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Full text of "Storia della vita di Dante Alighieri"

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Biblioteca 
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STORIA DELLA VITA 



DI 



DANTE ALIGHIEEI 

COMPILATA 

DA PIETRO FRATICELLI 

SiVdOC (MENTI 

IN PARTE RACCOLTI DA (JIUSEPPK PELLI 

IN PAUTE INEDITI. 
VOLUMK IJMC<». 



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^\JOTBc^ 



PIETRO AMOROSO 
•'APAGONA 



firp:nze, 

tì. HARBÈUA, EDITORE 



J801. 



\L LETTORE. 



Esaurita da qualche anno V edizione delle Mcmo- 
rie per servire alla r?7a di Dmìte, raccolte (la Giu- 
seppe Pelli (Firenze 1823) pensai, che invece di ripiiì- 
durle nella forma in cui quel benemerito raccoglitore 
le aveva distese, sarebbe stato miglior av>-iso V ordi- 
narle diversamente. Non si propose il Pelli, siccome 
dice egli stesso, di scrivere una storia della vita di 
Dante, ma solo di raccoglier quei documenti, che 
avessero potuto ad essa servire. Egli forse aveva in- 
tenzione di fare quandoché fosse un hivoro in altra 
guisa disposto, perciocché gli editori di i] nelle memo- 
rie ne avvertono, come la morte )ìoìì <fli permise di 
por mano alla Vita dclV Alighieri, che arrchbe po- 
tuto comporre con molta lode, ordinando i materiali, 
che con tanta fatica acca messi insieme. 

Quello dunque che non fece, o non jìote fare il 
Pelli, ho tentato di far io: tanto più cJie, occujìan- 
domi da molti anni intorno alP illustrazione ilelle 
opere del sommo Poeta, mi trovava aver raccolto 
molti altri documenti e notizie in proposito : e così, 



VI AL LETTORE. 

oltre a fare un lavoro, nuovo nell' ordine e nella for- 
ma, poteva farlo eziandio più -esteso di quello che il 
Pelli stesso avrebbe potuto fare. Se adunque questo 
mio libro contiene tutto quello che il Pelli raccolse, 
tranne le cose evidentemente erronee, quelle di lieve 
importanza e le estranee al subietto, non è peraltro 
un lavoro modellato su quello di lui, o di qualunque 
altro biografo dell' Alighieri. Io non do una nuda 
raccolta di 'memorie, non do una vita del nostro 
Scrittore in quel largo significato che oggi suol 
darsi a titoli consimili, ma do una storia della vita 
di Dante, compilata sui documenti, e scritta (per 
quanto mi ha consentito l'ingegno) con quella critica, 
la qual si richiede in lavori siffatti. Certamente, che 
parlando d' un personaggio, che fu non solo sommo 
poeta, ma altresì illustre cittadino e sapiente magi- 
strato, bisogna rappresentar l' uomo nel suo secolo ; 
ma nella storia del secolo non dee l'uomo scompa- 
rire : la sua figura, siccome la principale in un di- 
pinto, dee campeggiare convenientemente, e non ri- 
manere affogata dagli accessorii. Ond' è, che della 
storia de' secoli decimoquarto e decimoquinto ne pon- 
go nel mio libro solamente quel tanto, che fa di me- 
stieri a dar cognizione di quegli ordinamenti civili e 
di quelle cause, onde furon prodotti gli avvenimenti, 
dei quali o fu parte, o in mezzo ai quali trovossi in- 
volto il nostro Alighieri. 

Scrivendo il Baldinucci la vita di Giotto, e ripor- 
tando di quel grande artista alcuni minuti partico- 
lari, dà la ragione del suo operato con dire, esser 
egli stato sempre di parere, che ogni piccolissima aj)- 
partenenza a memorie di uomini celebratissimi debba 
aversi in gran pregio. Così ho creduto dovere far io ; 



AL LETTORE. MI 

e COSÌ pure crederono dover fare altri biografi, quan- 
tunque ai minuti particolari della vita di Dante no 
inframettessero alquanti, che nulla han che vedere 
con esso. 

Non ho voluto impacciarmi in questioni puramente 
letterarie : che a mettersi in questo pelago vi sarebbe 
stato da empiere de' volumi ; ma ho impreso ad esporre 
e risolvere le questioni storiche, non peraltro tutte, ma 
solamente quelle cui puossi a buon dritto dare un 
tal nome, perocché molte non sono che o capricciosi 
enunciati, o deduzioni erronee. Mi sono studiato con 
ogni diligenza di riuscire storico fedele e senza parte ; 
ed in quelle controversie antiche e moderne, che du- 
rano ancora intomo alcuni punti di questo argomento, 
io non ho portato alcun mio preconcetto, ma ho cercato 
risolverle in quel modo, che più parevami conforme a 
verità : ond' è che invito il lettore a non trascurare 
le illustrazioni a ciascun capitolo apposte, non es- 
sendo esse semplici citazioni, ma ampliazioni e schia- 
rimenti delle controversie medesime. 

Piacemi nutrir la speranza che, essendo oggi in 
tanta venerazione la memoria di questo grande Ita- 
liano, e studiandosi con tanto ardore e con tanta di- 
ligenza non solo la Divina Commedia, ma tutte le 
altre opere sue, possa incontrare nel pubblico un qual- 
che favore questa storia della vita di lui. 

F<»bbraio, 18GI. 



STORIA DELLA VITA 



DI 



DANTE ALIGHIERI. 



CAPITOLO PRIMO. 

Della stirpe di Dante e della sita nobiltà. 
I Frangipani e gU Elisei. 

V origine delle antiche famiglie, eziandio delle più cospi- 
cue, è quasi sempre involta nelle incertezze e ne' dubbii, per 
difetto di memorie sicure e di documenti autorevoli. Varii 
biografi del nostro Poeta hanno creduto poter dire, che egli 
discendesse dalla nobilissima stirpe romana de' Frangipani, 
Iti quale fu nominata cosi per un atto generoso fatto da uno 
di essa in tempo di carestia, somministrando gratuitamente 
il pane alla plebe affamata.* Ed aggiungono che uno di que- 
sta schiatta, appellato Elisone o Eliseo, e che diede quindi ori- 
gine alla famiglia degli Elisei,' pertossi a Firenze insiem con 
quell' Uberto, che il buon Malispini racconta essere stato qua 
inviato da Giulio Cesare.' 

Altri, non risalendo tant' alto, dicono che quest' Elisone o 

Eliseo venne qua con Carlo Magno, quando questo imperatore 

riedificò Firenze, da Attila re degli Unni distrutta.* Ma tutti 

questi racconti, come ben s' intende, son favole ; perchè è 

Daktb. — Vitn. i 



2 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

falso che Giulio Cesare inviasse qua queir Uberto ; è erroneo 
che Attila distruggesse Firenze, poiché non passò mai Y Ap- 
pennino : quegli che, non già la distrusse, ma la malmenò fu 
Totila re de' Goti ; onde Carlo Magno non ebbe a riedificarla : 
bensì ampliolla, e le si mostrò benevolo. 

Quello peraltro che vuoisi bene notare si è, che Dante 
stesso pregiavasi d' essere di famiglia nobile, e veramente cre- 
devasi discendere da uno di quei romani, che colonizzarono 
Firenze. Nel quindicesimo deir Inferno, per bocca di Brunetto 
Latini, die' egli di sé stesso : 

La tua fortiina tanto onor ti serba, 

Che r una parte e V altra avranno fame 
Di te, ma lunge fia dal becco V erba. 

Faccian le bestie fiesolane strame 

Di lor medesme, e non tocchin la pianta, 
Se alcuna sorge ancor nel lor letame, 

In cui riviva la sementa santa 
Di quei Roman, che si rimaser quando 
Fu fatto il nido di malizia tanta. 

L' allusione qui è chiara : la pianta venuta su dal seme latino, 
e eh' ei non vuol che si tocchi dalle bestie fiesolane, cioè dai 
Fiorentini discesi da Fiesole, non è che lui stesso.* E notisi 
anche il modo con che significa questo concetto, dal quale 
traspare chiaramente, andar egli altero della sua nobile ori- 
gine. Nel sedicesimo del Paradiso, il tritavo di Dante Caccia- 
guida parla di se stesso così : 

Gli antichi miei ed io nacqui nel loco, 

Dove si trova pria T ultimo sesto 

Da quel, che corre il vostro annual gioco. 
Basti de' miei maggiori udirne questo : 

Chi ei si furo, ed onde venner quivi, 

Più è tacer, che ragionare onesto. 

Il principio dell' ultimo sestiere, cioè di Por' san Pietro/ 
era in quel punto della via odierna de' Calzaiuoli, donde 
per di sotto comincia il Corso, e per di sopra si va in Mer- 



CAPITOLO PRIMO. 3 

cato vecchio ; sì che restava nel centro dell' antica Firenze : 
e r avere abitazione nel centro era segno (secondo che di- 
cono tutti i nostri Cronisti) di antica origine fiorentina^ i ve- 
nuti dal contado prendeano stanza per lo più ne' borghi. 11 
luogo poi onde gli antenati di Cacciaguida si partirono per ve- 
nir quivi ad abitare^ è (come abbiam veduto qui sopra) Roma. 
Adunque le parole di Cacciaguida non suonan biasimo, 
siccome malamente credono alcuni commentatori, ma suonan 
lode ; perocché dicendo che egli e i suoi antichi nacquero nel 
centro della città^ dice implicitamente eh' erano d' antica e 
nobil famiglia, e perciò conchiude : basti solo udirne questo, 
non importando aggiungere eh' ei venner da Roma. E non 
r aggiunge ; e dice esser per lui più onesto il tacere, che il 
fame altre parole, per non darsi lì in cielo, ov' era beato, il 
meschino vanto d' una nobile ed illustre origine. Ma se all'ani- 
ma santa di Cacciaguida non conveniva vantarsene, lo si con- 
veniva a Dante; ed infatti se ne vanta, in questo stesso canto 
dicendo : 

O poca nostra nobiltà di sangue, 

Se gloriar di te la gente fai 

Quaggiù dove l'affetto nostro langue, 
Mirabil cosa non mi sarà mai; 

Che là, dove appetito non si tòrce, 

Dico nel cielo, io me ne gloriai. 

Vale a dire : « Io non mi maraviglierò più se gli uomini su quc- 
» sta terra, dove il cuore è debole, menan vanto del pregio 
» de' natali ; mentre io stesso in cielo, dove non può amarsi 
» che il bene, me ne gloriai. » Ed egli se ne gloriava veramen- 
te, poiché non lasciava occasione, in cui avesse potuto lanciare 
una frase di spregio contro coloro, eh' eran venuti su di basso 
stato, e contro coloro che, per dirla in un modo eh' è antico 
e moderno, non erano di puro sangue. Nel canto medesimo: 

Ma la cittadinanza, eh' è or mista 
Di Campi, di Certaldo e di Figline, 
Pura vedeasi nell'ultimo artista. 



i VITA DI irANTE ALIGHIERI. 

Oh quanto fora meglio esser vicine 
Quelle genti eh* io dico, e<ì al Galluzzo 
Ed a Trespiano aver vostro confine, 

Che averle dentro, e sostener lo puzzo 
Del villan d'Aguglion, di quel da^igna, 
Che già per barattare ha V occhio aguzzo. 

E appresso: 

Tal futto è fiorentino, e cambia e merca, 
Che tu sarebbe v^to a Semifi>nti, 
LÀ, doT« andava Y avolo alla cerca. 

B w>l Pan?, (evinto VI, v, ì%ò) : 

«,,»... ed un Marcel diventa 
Ogni villan, che parteggiando viene. 

E ìKiV Inf. (canto X\% v. 73) : 

La gente nuova, e i subiti guadagni. 
Orgoglio e dismisura han generata, 
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni. 

Comunque sia, e quantunque a Dante .per essere il più il- 
lustro uomo d' Italia non abbisogni d' un lilolo, che non è 
grande se non quando è fatto tale dalle virtù, perocché la 
nobiltà è un manto, che tosto raccorciasi, se non vi s* appone 
di di in dì; pure possiamo sicuramente asserire che la schiatta 
di lui fu nobile ed antica. Ma egli in buona fede credeva di 
discendere da famiglia romana, e molti scrittori credono ve- 
ramente, che tale famiglia fosse quella de' Frangipani, la 
quale pur nelle istorie del Medio Evo è ricordata siccome il- 
lustre. Ond'è che a schiarire viemeglio siflatta questione 
giudico conveniente riportare alcune parole, che fece in pro- 
posilo il signor Filippo de Romanis:' « Opinò il signor 

> Pelli, che il passo del XV dell' Inferno, Faccian le bestie fie- 
» solane strame ec, non sia abbastanza chiaro per concludere 
» che la famiglia degli Elisei fosse d* origiae romana. Ma se 
» quella pianta, in cui rigermogliava la stirpe romana, non 

> si prendesse per la famiglia degli Ehsei, non si, scorge di 



CAPITOLO PRIMO. 5 

» qual' altra Brunetto potesse intendere, e l' allusione rimar- 
^ rebbe senza un soggetto determinato. Air incontro da tutto 
» il contesto si rileva, che Dante in quel tratto volle distin- 
» guersi e per origine e per costumi, dai concittadini suoi 
» nemici. Perciò mise in opposizione gli lazzi sorbi col dolce 

> fico, cosi la gente avara e superba con un cittadino che la 

> fortuna serba a tanV onore da essere infine desiderato 

> da' suoi persecutori medesimi ; e così finalmente mise i 

> Fiorentini venuti da Fiesole, che chmma bestie fiesolane, in 
» confronto degli altri di origine romana. Simile distinzione 
» tra i Fiesolani e Romani, col biasimo dei primi ed encomio 
» de' secondi, ci sforza a concludere che Dante, modestamente 

> si, ma con sufficiente chiarezza, volesse dichiararsi romano 
A d' origine per bocca del suo maestro Brunetto: e chiunque 
» sostenesse il contrario, verrebbe a dire che il divino Poeta 
]» si fosse posto da sé stesso nel numero delle bestie fiesolane, 
» quantunque Brunetto gì' inculcasse di forbirsi da' lor co- 
lf ^umi, il che includerebbe un' assurdità manifesta ed ine- 
» scusabile. Che poi quel passo così vada inteso, lo affermano 
» più accreditati scrittori ; fra gli altri Giannozzo Manetti, 

» Leonardo Bruni, Ugolino Verino E il detto loro si ac- 

» corda coli' asserzion del Boccaccio, che quest' Eliseo tra li 
» novelli abitatori fosse stato ordinatore della riedificazione 
» della città, e datore al nuovo popolo delle leggi, secondo 
ì> che la fama del suo tempo ne faceva testimonianza. » 

Ma che si prova per queste parole del De Romanis? Ben 
si prova che, poiché Firenze avea avuto origine da famiglie 
romane e fiesolane. Dante riteneasi e gloriavasi discendere da 
una delle prime, e rifiutava la comunanza colle seconde. Ma 
che la famiglia degU Elisei, da un ramo della quale discesero 
gli Alighieri, fosse in priina origine derivata da' Frangipani 
di Roma, come si prova> quando le autorità slesse da questo 
scrittore invocale non fanno che emettere una semplice opi- 
nione? ' D Boccaccio dice che Eliseo venne in Firenze con 
Carlo Magno (an, 781-800) ; il Pucci dice posteriormente, 
cioè verso Tanno 833; Filippo Villani non sa diffinire se 



6 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

venisse dum Florentiof civitas per Ccesarein conderetur, ov- 
vero se cum Karolo Magno una adfuiL E Leonardo Brunii 
dopo aver detto, gli antichi di Dante essere stati di quelli Ro- 
mani, che posono Firenze, aggiunge (e si noti bene), che questa 
cosa è molto incerta, e secondo mio parere niente altro è che 
indovinare. E noi conveniamo pienamente in questa sentenza. 

Lasciando pertanto da parte le favole del Malispini e d' al- 
tri nostri antichi scrittori, e alle tradizioni popolari prestando 
solo quel tanto di fede, che può esser consentito da una cri- 
tica circospetta, dirò che quello che vi ha di certo intomo gli 
antenati di Dante Alighieri si è, che essi dapprima chiama- 
ronsi Elisei. Ebbero essi castella in contado ei torri in città,' 
che si tenevano come distintivi di potenza : le loro case ^rano 
poste (secondo che dice il Malispini, e «'.he vieh confermato 
dalle antiche memorie) innanzi il principio del sestiere di 
Por' san Pietro, in via degli SpeziaU grossi," detta pur oggi 
degli Speziali : la quale è quella che taglia la via Calzaiuoli 
quasi a mezzo, e dopo breve tratto conduce in Mercato vec- 
chio. Neil' 800 un messer Eliseo Elisei fu fatto cavaliere da 
Carlo Magno," e un Ansaldo Elisei fu nel 1019 scelto insiem 
con altri gentiluomini a tener compagnia all' imperatore Ar- 
rigo U per tutto quel tempo, eh* ei si trattenne in Firenze." 
Nella discordia sorta nella città per l'uccisione di Buondel- 
monte (anno 1215) gli Elisei si misero dalla parte de' Ghibel- 
lini," e dalla parte loro (secondo che il Malispini racconta) 
continuarono a tenersi al tempo di Federigo n verso l' an- 
no 1248 5 ** e dalle proprie torri combattevano contro i Pazzi 
e i Donati. Ma la loro potenza cominciò a decadere dopo le 
sventure degl' Imperiali a Benevento e a Tagliacozzo, essen- 
doché alcuni di detta famiglia, come messer Arrigo cavaliere, 
insiem con Liseo e Bonaccorso suoi figli, furono nel 1268 di- 
chiarati ribelli, e sottoposti alla confisca de' beni." 

Nelle antiche c^rte trovansi più volte nominati Lisci de 
arcu pietatis,^^ ed anche rispetto a ciò ne informa il Malispi- 
ni, che I Lisci furono antichi gentili uomini, ed era da casa 
loro ab antico una tolta, che si chiamava la volta della mi- 



CAPITOLO PRIMO. 7 

sericordia, che tenea dall' una via all' altra : " die qual uotno 
andasse alla giìisiizia, o avesse meritato morte, essendo sotto, 
era franco da ogni persona. La famìglia degli Elisci sembra 
che s* estinguesse in Leonardo di messer Buonaccorso, di cui 
resta il lestamento fatto nel 1371^ poiché ctopo quest' anno 
non se he incontra più memoria alcuna.^^ 

Non stimo inopportuno il dar qui appresso le armi de* Fran- 
gipani^ degli Elisei e degli Alighieri^ delle quali nella prima e 
neir ijdthna è cosa curiosa il riscontrare una somiglianza^ se 
non ne' colorì^ nella forma : oud' è tanto più da scusarsi il 
nostro Poeta^ se^ fondandosi pur su di essa^ ritencasi originato 
da quell' antica famiglia. 



Frangipani. 



Elisei. 





Alighieri. 




8 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI 

AL CAPITOLO PEIMO. 

* Filippo Villani (Vita Dantis, ]pag. 6) «Cui denomina- 
n tieni {de Frangipanibus) talem titiUTim casus indiderat. 
n Unos siquidem ex ea, qua dizi, patrìciorum fiamilia, tìt di- 
n tìsBimuB exurienti roman» plebi frnmenta multa, quse in 
ft korreis congesserat, grati» erogavit. Inde^ quasi panem, 
n famelico populo ponendo, fregisset, tale cognomen 
n emeruit. n 

* Nelle antiche carte, e nelle nostre Cronache questa 
famiglia trovasi corrottamente detta anche lUaei, e accor- 
ciatamente Lisci. 

' Cap. 28: « Ora ritorniamo al buòno Uberto Cesare. 
» Costui venne alla detta Cesarla, cioè a Fiorenza, per lo 
» detto e comandamento di Giulio Cesare, é per lo sospetto 

9 che ebbe di lui, veggendolo cosi valoroso, savio ed ardi- 
9 to, e là lo mandò con sette compagni : e fece e ordinò e 
fi racconciò la detta Fiorenza a simuitudine di Roma, ed 
n erane come signore in tutto, e teneala e guidavala e 
» manteneala per lo Comune di Roma. Sicché avvenne che 1 
n detto Uberto prese per moglie una gentilissima e no- 
n bile donna di Roma, sirocchia d* uno nobilissimo barone 
» cittadino di Roma, il quale ebbe nome Elisone, della cui 
n schiatta discesono poi i Lisei da Fiorenza, i quali ab an- 
r> tico discesono dai Freapani di Roma : e *1 detto Eli- 
» sone fue uno de' detti sette compagni del detto Uberto, 
» e con lui venne nellja' detta Cesarla, cioè inFix)renza: e 
n questi fece sua residenzia e stanzia dentro al detto cir- 
» cuito di Fiorenza. ». - 

* n Boccaccio '{Vita di Dante j pag. 12J dice che que- 
sto Eliseo venne in Firenze quando fu riedificata da Carlo 
Magno. Ecco le sue {f&role: « Infra gli altri novelli abita- 
» tori, forse ordinatore della riedificazione, partitore delle 
n abitazioni e delle strade, e datore al nuovo popolo delle 
» leggi opportune, secondochè testimonia la fama, vi venne 
n da Roma uno nobilissimo giovane della schiatta de'Fran- 
n gipani, e nominato da tuta Eliseo. 11 quale per awen- 



CAPITOLO PRIMO. 9 

n tura, poiché ebbe la principal cosa, per la quale veirato 
n v' era fornita, o dallo amore della città nuoTamente da 
n lui ordinata, o dal piacere del sito, al quale forse Tide 
n nel futuro dovere il cielo efleere favorevole, o da altra ca- 
n gione che si fosse tratto, in quella divenne perpetuo cit- 
n tadino, e dietro a so di figliuoli e di discendenti lasciò 

V non picciola, né poco laudevole schiatta : li quali V antico 
n soprannome decloro mae^orì abbandonato, per sopran- 
iy nome presono il nome £ colui, che quivi loro avea dato 
n cominciamento, e tatti inmeme si chiamarono gli Elisei. *> 

Filippo Villani {Viia DantU, pa^. 5): « A majorìbua 

Tt ^entis mesB, qui gestn rei scribendi opieram impense de- 

n derunt, audìsse me memini, poetam summo loco natum, 

n et apprime nobilem jmrentibus, qui ab urbe Roma, dum 

n ex ipsis Bomanis et FeanlamB Florentias civitas per Co- 

n sarem conderetnr, patricio genere primordia retmiseeiit; 

n referentibus aliis fune datmn est, ejus majores ab Heli- 

f) saeo quodam viro romano nobilis famili» de Frangipa- 

r> nibus, quae ex antio^uissimo patriciorum genere genealo- 

V giam ducebat, origmem habuisse Hic Helisieus ex or- 

n dine senatorio onm Karolo Magno una adfuit, quando 

n super Attil» cineribos Florentia reparata est^ cfaì captuB 

n saluberrimi loci amoenitate busb vitas sedes ibidem col- 

n locavit. n 

Pucci (^Genealogia à^ ngnori Frangipane, pag. 30) : 
u Vogliono gli scrittori, che circa V anno 833 quattro fra- 

» telli de* Frangipani si partissero da Roma, e fossero 

» autori di diverse famiglie *, fra* quali uno nominato Eliseo, 
n dopo il passaggio di Carlo Magno per V Italia, si ritirò 
» ad abitare la città di Firenze, rinnovata e riabbellita, 
» et ivi venne autore d* una nuòva famiglia, che dal costui 
n nome si chiamò degli Elisei. » 

Leonardo Bruni ( Vita di Dante) ; « I maggiori di Danto 
n furono in Firenze di molto antica stirpe, intantochè lui 
n pare volere in alcuni luoghi {della divina Commedia) ì 
» suoi* antichi essere stati di quelli Romani, che posono Fi- 
li renze. Ma questa cosa é molto incerta, e secondo mio 
n parere, niente altro è che indovinare. » 

Giannozzo Manetti {Vita Dantis, pag. 1): u Dantes 
» poeta clarissimus, ex urbe Roma, ut ipse quodam loco 
fi innuere videtur, originem traxit : principium vero generis 
9 ab Elisaeo quodam Frangipanorum, ut quidam ferunt fa- 
n mìlia, inveterata hominum opinione roferebat. » Epag.9: 
u Ejus posteri, quemadmodum olim majores sui, pristino 
» £BimilÌ8B nomine prorsus extincto, prò Frangipanis Elisaei 



iO VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

ff cognominati sunt, ita nunc prò ElisaBis Aligheri eo un- 
n diane nomìnarentur. n 

Ugolino Verino nel poemetto de Illustràtione urbis 
FlortnticBy dopo aver detto nel lib. I sul merito letterario 
di Dante, 

Quos Florentinìis longe supereminet omnesy 
Gloria Musar um, Dantes, nec cedit Homero, 
Par quoque Virgilio; doctrina vincit utrumque; 

aggiunge nel lib. Ili sullVorìgine della famiglia di lui, 

Trojanos EUsceus avoSy Bomamque parentes 
Ostendit, murosque urbis fundavit et arces, 

** Che Firenze fosse dapprima popolata di Romani e di 
Fiesolani, fii sempre opinione comune ; ed il Villani stesso 
(lib. IV, cap. 6) dice : « I Fiorentini son oggi stratti di due 
n popoli, diversi di costumi e natura, siccom' era il popolo 
f» romano e quello de' Fiesolani. » 

^ La città di Firenze fu dapprima divisa in sestieri o 
sesti, e poi (siccom' è pur oggi) in quartieri. I sestieri 
erano i seguenti: V Sesto d* Oltrarno, 2' Sesto di san Piero 
Scheraggio, 3* Sesto di Borgo, 4* Sesto di san Pancrazio, 
5' Sesto di Porta Duomo, 6' Sesto di Por* san Piero. 

^ Note alla Vita di Dante, scritta dal Tiraboscbi. 

^ Si vedano qui sopra le note 3 e 4. 

^ n Malispini al cap. 55 della sua Cronaca dice che 
gli Elisei aveano castella in Vadirobbiana -, e al cap. 137, 
che alle loro case aveaùo torri. 

*® Vedi il sopracitato Malispini al cap. 52. 

'* Malispini, cap. 53 : « Carlo Magno imperatore, alla 
» tornata che fece in Francia, fece {in Firenze) molti ca- 
n valieri, siccome adrieto dicemmo, ed ora ne nomineremo 
» la maggior parte.^ n £ fra questi nomina messer Lisco 
Lisci. 

" Malispini, cap. 49: a G-li Elettori della Magna eles- 
t> sono imperatore Arrigo primo, duca di Baviera (intendi 
n Arrigp II di Sassonia) Questo imperatore colla sua 



capìtolo primo. li 

rf donna stettero assai in Fiorenza, e feciono edificare la 
» chiesa di santo Miniato a Monte; e molti cavalieri e al- 
» tri nobili cittadini gli tennono compagnia, tra* quali fu- 

» irono quelli della Pressa e anehe uno de' Lisci, il cui 

rf nome fiie Ansaldo. » — Arriga II della casa di Sassonia, 
fu coronato imperatore in Roma il 14 febbraio 1014, e 
mori il 13 luglio 1023. Adunque erra il Villani, ponendo 
imperatore nell'anno 1015 Corrado, il quale fu il succes- 
sore di lui. Pure dice anch' egli (lib. IV, cap. 10) che 
fra le famiglie nobili, le quali al tempo del detto imper»» 
tore erano nella città di Firenze, si annoveravano gli Eli- 
sei, che simile sono oggi popolani, che stanno presso a 
Mercato vecchio. 

'' Cosi racconta il Malispini al cap. 100. 

'* Malispini, cap. 132. Anco il Villani (lib. VI, cap. 83) 
annovera gli Elisei fra i Ghibellini del sesto di Por' san 
Piero, de' quali eran capi i Tedaldini : e ciò si ha pure da- 
gli Spogli del Borghini esistenti nella Magliabechiana. 

*^ P. lidefoBSOy Delizie degli Eruditi toscani, voi. Vili, 
pag. 278-279. 

*• Il Del Migliore, Firenze illustrata, pag. 503, dice di 
essersi incontrato a vedere in antiche scrittm'e: dominus 
Bonaecursus de EUseis de arcu judex, « Intorno a questo 
» Bonaccorso (nota il Pelli) Giovan Battista Dei, peritis- 
*> simo nelle memorie delle nostre fiorentine famiglie, iS'in- 
" dico tre carte, estrfitte da' rogiti di ser Matteo Biliotti, 
n la {>rima del 1294 in cui si legge : domina Gemma, uxor 
rt Bindi m^igistri Benis Medici, in prcesentia domini Bo- 
»» naccursi lAscdi judicis, legum doctoris, petit munduaU 
n dum. La seconda del 1295, la^ quale mostra che dominus 
n Bonaecursus Eliseus recepii florenos quinque prò salario 
»» suce avocationis et allegationum etc; e l' ultima del 1300, 
n nella quale si dice che Bonafede MiUiorati populi S, Ma- 
ri vice Novellce emancipavit Matteum, filium suum coram 
*f sapienti et jurisperitissìmo domino Bonaccurso Helisei, 
» legum doctore. Di lui poi fu moglie donna Ravenna di 
» Castello de' Nerli, come apparisce da un documento 
n del 1303, citato negli Spogti ai Pier Antonio dell' Incisa, 
» esistenti nell'archivio segreto di Palazzo vecchio. Que- 
»» sto Bonaccorso aveva un fratello, per nome Guidotto, ed 
» essi nascevano da un Eliseo. In una carta presa dai ro- 



Ì2 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

n citi del suddetto Matteo Biliottì, leggo : 1300. Actum in 
» aomo domini Bonaccurai Elisei et fratrum.,,.. Guido t- 
» tua jUiua quondam domini Eliaei, auo nomine, jet vice 
» et nomine domini Bonciccurai Eliaei fratria aui, locai 
n bona in populo S, Columbahi ec. Ebbe poi un Leonardo 
n per figliuolo; il quale fece testamento nel 1371, e fu pa- 
n trono della chiesa di sant'Andrea in Mercato vecchio, 
n come, dal testamento medesimo apparisce. Questo testa- 
f) mento, che esiste nelV archivio del r. spedale di s. Ma- 
» ria Nuova, è riferito dal Manni nel suo libro delle Terme 
I» Fiorentine, lib, li, cap. 9, ed in esso si legge: Leonar- 
» dua olim domini Bonaccurai de Liaeia, popuU S. Marice 
n Nipotecoae de Arcu Pletatia, fecit teatamentum; ove 
n vuole che deferatur corpus auum per hominea et perso- 
ti naa de domo- de Adimaribua ad aepeliendum in Eccle- 
V aia S, Andrecè Calismalce, ut Patronus ejusdem, in ae- 
ri puhro fiendo in dieta Ecclesia, n 

*' Quest* arco (dice il Pelli, e dice bene) era situato non 
lungi dalla chiesa di Santa Maria Nipotecosa, poi San^ Don- 
nino, nel Corso degli Adimari, ossia via Calzaioli. E dopo 
aver detto cosi, cade in un manifesto errore dicendo, che 
le case degli Elisei si può credere essere state dirimpetto 
al Palazzo Salviati, poi Bicciardi, in via Por* san Piero 
presso V antico convento dei Padri delle Scuole Pie, La chie- 
sa di Santa Maria Nipotecosa, poi San Donnino, rimaneva 
all' estremità occidentale di quella via^ détta in passato di 
Por' san Piero, ora del Corso, che pur non è breve, ed in 
qnef punto precisamente che fa angolo colla via Calzaiuoli 
e colla via Crocerossa, mentre il palazzo Ricciardi, che fu 
anticamente de' Portinari, rimane all' estremità orientale 
presso il Canto de' Pazzi. L' arco della Pietà io son pres- 
soché certo che restasse non già in via Por' san Piero, 
ma sibbene in via degli Speziali grossi, cioè nella stessa 
via, ove stavano le case degli Elisei. 

^^ Di questo testamento ^ stato parlato qui sopra alla 
nota 16. 



13 



CAPITOLO SECONDO. 

Degli antenati di Dante, cominciando da Cacciagwda, 
Origine della famiglia Alighieri, Non Allighieri, ma 
Alighieri dee scriversi il casato di Dante^ 

[Secoli XII e XIII.] 



Da un ramo degli Elisei derivarono al principio del se- 
colo Xn gli Alighieri; ed ecco il come. Cacciaguida degli Eli- 
sei, che nacque il 1106/ avea preso in moglie donna Aldi- 
ghiera degli Aldighieri di Ferrara. Avuto da essa un figlio, e 
ad onore di essa nominatolo Aldighiero, i suoi discendenti 
presero il nome da lui, e si chiamarono Aldighieri ; ' nome 
che poi per dolcezza di pronunzia C/ambiossi non già in 
AlMghieri, siccome alcuni pretendono, ma bensì in Alighie- 
ri. Cotesto Cacciaguida segui nel 1147 l' impera tor Corra- 
do in nella seconda crociata in Terra santa, e fu da esso 
pel suo valore fatto cavaliere; ma l'esercito de' Crociati 
essendo ben tosto sconfitto, egli lasciovvi la vita in età di 
anni A±^ 

Avea Cacciaguida due fratelli ; Moronto che non lasciò 
successione, ed Eliseo onde contiiiuossi il ramo degli Elisei 
fino a Leonardo di Buonaccorso, che abbiamo ricordato nel 
capitolo precedente.* Oltre a quel figlio, cioè oltre ad Aldi- 
ghiero, ebbene Cacciaguida un altro, per nome Preitenitto: 
ma poiché di questo non resta altra memoria, che quella di 
vederlo insiem col fratello nominato in un documento del 1189, 
perciò è da ritenersi che non avesse discendenza, e ri- 
man perciò escluso dalla ricerca presente. Or dunque da un 
fratello e da un figlio di Cacciaguida derivandosi ésì princi- 



14 VITA DI DANTE .ALIGfflERI. 

pio del secolo XII le due famiglie Elisei e Alighieri, cercarono 
esse distinguersi V una dall' altra così pel nome, come per 
Tarme: onde, mentre quella degli Elisei aveà d'argento 
(siccome abbiam veduto poc' anzi) la parte inferiore dello 
scudo, e a scacchi azzurri e d'oro la parte superiore; quella 
degli Alighieri faceva uno scudo diviso pel mezzo in diritto, 
parte d'oro e parte nero, e tagliato per traverso piano d^ 
una fascia bianca. Pertanto da Cacciaguida discese Alighie- 
ro I,* da Alighiero I Bellincione, da Bellincione Alighiero li, 
e questi fu il padre di Dante. Bellincione ebbe un fratello, 
che chiamossi Bello, e poiché in qualche documento ve- 
desi costui nominato col titolo di messere, è da dirsi che 
fosse dottore, o cavaliere, non per altro tributandosi al- 
legra quel titolo. Da lui discesero Cenni, Gualfreduccio, 
Clone e quel Gerì, detto appunto del Bello, che Dante 
finge vedere nel XXIX dell' Inferno, quasi a volerne signi- 
ficare esser egli stato proditoriamente ucciso (siccome fu 
di fatto da un de' Sacchetti), e andarsene sdegnoso per 
non avere ancora (nel 1300) trovato alcuno della famiglia, 
che n' avesse tratto vendetta ; vendetta diremo qui di 
passaggio, che solo fu fatta. dopo la morte di Dante, da un 
nipote dell'ucciso: tali essendo le stolte e ad un tempo 
feroci leggi d' onore di queir età.' Comunque sia, della 
discendenza di messer Bello non resta altra memoria che 
quella de' figli. 

Adunque Alighiero n, figlio di Bellincione, nipote d' Ali- 
gliiero I, e bisnipote di Cacciaguida, fu il padre di DanU\ 
Suoi fratelli furono un Gherardo, di cui nulF altro sappiamo 
se non che viveva nel, 1277, ed un Brunetto, la cui discen- 
denza s' estinse in un figlio, e di cui dirò qualche cosa in ap- 
presso. Al contrario degli Elisei, che (come dicemmo) erano 
Ghibellini, gli Alighieri eran Guelfi ; ne ciò dee recar mara- 
viglia, perocché in quei tempi,. mcl^e sventuratamente i 
cittadini s'abbandonavano allo spirito di parte, sono fre- 
quentissimi gli esempii non solo di consorti, ma pur d' indi- 
vidui delle stesse famiglie, nemici fra loro. E gli Alighieri di 



CAPITOLO SECOICDO. 15 

siffatta guisa si furon dati al partito guelfo^ che Farinata de- 
gli liberti^ parlando di essi (Inf.^ canto X^ v. A6), dice : 

Fieramente foro avverai 

A me ed a* miei primi ed a mia parte, 
Si che per due fiate li dispersi. 

Infatti Brunetto, lo zio di Dante or ora ric(»rdato, faceva parte 
dell' esercito fiorentino, che a Montaperti fu pienamente scon- 
fìtto, nel quale ei tenne un posto assai distinto, poiché egli 
era una delle guardie del Carroccio ; e nel quale ebbe V inca- 
rico Insiem con altri di dirigere la costruzione delle vie, oc- 
correnti in quel tratto, ov' era posto V accampamento.'' Do- 
veron pertanto due volte esular dalla patria: la prima 
nel 1248 quando ne furon cacciati per opera di Federigo 
d' Antiochia, figlio dell' imperator Federigo II ; ^ la seconda 
ne^ 1260, immediatamente appresso la grande sconfitta so- 
praccennata di Montaperti.' Ma 

S* ei far cacciati, ei tornar d* ogni parte, 
l' una e V altra fiata, 

risponde fì^oeta air Uberti (ivi, v. 49) ; ed infatti torna- 
rono la pnffii volta nel 1251 dopo la morte di Federigo im- 
peratóre, la siSiOnda nel 1266-12W, dopo che Carlo conte di 
Provenza ebbe tolto a Manfredi i féami di Puglia e di Sicilia. 
La discendenza di quésto Brunetto Alighieri, guardia del Car- 
roccio, e zio di Dante, si estinse in un figlio chiamato Clone. 
Le case degli Alighieri (che più d' una ne possedevano) 
restavano nel centro della città e nel sesto di Por* san Piero: 
di fronte guardavano la piazzetta di san Martino del Vesco- 
vo, e piegando a sinistra giungevano fino alla piazzetta 
de' Giuochi : a tergo rispondevano sulla piazza de' Dona- 
ti, detta ot^ della Rena. « Gli Alighieri (dice Leonardo 
» Bruni) abitarono in sulla piazza dietro a san Martino del 
» Vescovo, dirimpetto alla via che va a casa i Sacchetti,*® e 
». dall' altra parte si stendono verso le case de' Donati e 
ji de' Giuochi. » E questo vien confermato dai documenti 



16 VITA DI DANTE ALIGHIERI.. 

che tuttora sussistono. Infatti (dice anco H Pelli) il nostro 
Poeta era della parrocchia di San Martino del Vescovo; e se 
nei libri delle anime della cura di Santa Margherita, chiesa 
non molto distante dall' ^tra^ una c^sa posta sulla piazzetta, 
posseduta già da' Padri domenicani, si trova nominata la 
Torre di Dante," ciò accade forse perchè avendo San Martino 
cessato d' esser parrocchia," venne ad essere incorporata 
nell' altra di Santa Margherita/Quella che dlrecente si è chia- 
mata la casa di Dante, e che resta di contto al fianco setten- 
trionale della torre di Badia, e guarda quasi diritto la via 
de' Magazzini, non è che una di esse; ma il dir che in quella 
appunto venisse alla luce il divino Poeta, è un dir cosa non 
molto probabile, ^sseaado essa la più meschina delle circo- 
stanti, le quali pure agli Alighieri appartenevano. E se non 
possedevano molte ricchezze, non erano però gli Alighieri 
da dirsi poveri, poiché (oltre le case notate) sappiamo che ave- 
vano delle possessioni in Camerata^ BfeHa ^Piaggentina o nel 
popolo di Sant' Ambrogio, a SanJ^Uiiato a Pagnólle, e in Piano 
di Ripoli : luoghi tutti vicini alla città. Ma di questo darò mag- 
giori particolari nel capitolo seguente. 

Ho detto qui sopra che il casato Aldighieri.C"?Ai^iossi non 
già in Allighieri, siccome alcuni pretendoap>'''P^tìrl5ensì in Ali- 
ghieri. Mi convien duiiqu» '-warlo, tanto'^piu che non solo 
nell' alta Italia, ove ben -pòco si sa della nostra pronunzia, 
ma eziandio in Toscana si vede da alcuni usato, e non san lo 
perchè, il mal vezzo di scrivere questo casato con doppia l, 

n quale casato in più modi si trova essére stato scritto 
in antico, cioè Alageri, Alagheriy Alaghieri, AliagìUeri, 
Aldeghieri, AldigUieri, Alegeri, Alegheri, Aleghieri, Aligeri, 
Allegheri, Allighieri. Ma ài Pelli parve bene seguire, sic- 
come ei dice, l'autorità delBoccaccio (che peraltro, come 
vedremo, egli intese a rovescio), e perciò preferi la forma 
Allighieri, quantunque nel suo librolsì veda spesso questo 
casato scritto con una / sola. Ora il signor Filippo Scolari fino 
dal i841 pubblicò un libretto che ha per titolo Del doversi 
scrivere e stampare costantemente Dante Allighieri con dop- 



CAPITOLO SECONDO. 17 

pia 1, e non altrimenti e il signor Alessando Torri, seguendo 
e avvalorando la tesi dello Scolari, ne pubblicò un altro 
nel 1852 intitolato La grafia del casa^p di Dante Allighieri 
rivendicata alla legittirda originaria lezione. 

Comincia lo Scolari dicendo : e La causa che vengo a di- 
» scutere e a mettere in salvo da qualsivoglia opposizione 
» futura, consiste in questa ferma e nitida proposizione, — 
» che sia debito assoluto di tutti, debito di giustizia e di sana 
Ti critica, quello di scrivere e stampare costantemente Alli- 
» ghieri: » — E trattando questo argomento egli dice, « non 
» curare le risa "beffarde e T ignorante disprezzo, che taluni 
j» forse preparano alla sua sentenza ; e che se V ostinazione 

> non si vorrà dare a patto veruno per vinta, rimarrà salva 
» r utilità del suo scritto, e dimostrata e assicurata la giur 

> stizia, la convenienza e V importanza del suo sentenziare. » 

In una ricerca storica, e filologica, siccome questa, non fa- 
ceva veramente di bisogòo' assumere un tuono così assoluto 
e così burbanzoso, qual è quello dallo Scolari assunto : ma 
noi lasciando pure che altri s' indrachi a suo talento, diremo 
che tutt' affaM^uori della questione si è il dire e il provare, 
che la forma^j^g^rt, pronunziata come si voglia o celi' e 
breve o coH'-^ Iwiiga, è erronea, perciocché si sa bene che . 
essa fu adottata d*B nipoti di DanH-i^^r dar corpo e colore 
» (come nota pure lo Scolari) ad una favola, che non appar- 

> tiene né punto, né poco alla vita di Dante ; quella cioè che 
y> gli Aligeri fossero cosi denominati dal latino alas gerere, 
» come quelli che nello stemma gentilizio portassero un'ala 
» d' oro in campo azzurro. » Ma non é vero quello su che 
tanto insiste lo Scolari dicendo che, nel dar bando alla for- 
ma con due /, si è conservato quella con utf / sola, unica- 
mente per non recar, danno èli' ala ; perciocché se da più 
secoli si pronunzia e si scrive Alighieri, non si é mai avuto 
mente all' ala, ma sì al primitivo nome AUighieri. 

n Landino fu quegli (dice il Torri, e con frasi diverse 
vien pure a dir lo stesso Io Scolari) « il quale volendo alle- 
» gorizzare anche sul cognome di Dante, lo disse derivato 
Dante. — TìM. 2 



18 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» da ala, simbolo di genio^ e così per una sottigliezza d' in* 
» gegno ne corruppe e adulterò' la primitiva genuina serit-' 
» tura; e di là lo scandaloso mal compio. » Veramente a mo 
non è riuscito trovare che il Landino abbia enunciato sif- 
fatta opinione: bensì ho trovato che è il Vellutello quegli 
ohe dice, come il cognome Aligeri depende da un' ala d' oro 
in campo azzurro, che oggi poì-tano a Verona per arme i di- 
scesi dal nostro Poeta. Ma se il Vellutello (o s' anco vogliasi il 
Landino) allegorizzò intorno al casato dì Dante, non fu egli 
che per tirarvi queir allegoria corrompesse e adulterasse la 
primitiva e genuina scrittura del cognome, cioè mutasse (se- 
condo che pretendono lo Scolari ed il Torri) Allighieri in 
Alighieri, h Vellutello trovò ovunque scritto quel casato con 
un' / sola e non con due ; sentiva da tutti pronunziare Ali- 
ghieri e non Allighieri: non ebbe quindi bisogno d'alterar 
nulla per tener dietro al suo fantastico allegorizzare. L' ala 
insomma venne in conseguenza di Alighieri o Alaghieri o 
Alageri già esistente, né e converso V ala corruppe Alli- 
ghieri che non esisteva, facendone venir fuori Alighieri, 

Comunque sia, ripeterò che questa è queijione estranea 
al nostro argomento, perchè il cognome ifj^eri, e 1' ala 
d'oro in campo azzurro, furono assunticeli Alighieri di 
Verona sulla fine del secolo XV, o sul pJKTcipio del XVI, e 
noi cerchiamo come si debba scrivere non il casato degli 
Alighieri di Verona, ma sì quello degli Alighieri di Firenze. 

Gli argomenti addotti dai signori Scolari e Torri a soste- 
gno della loro opinione, son tre. II primo^ che ne' più antichi 
e più autentici documenti questo casato è scritto con dop- 
pia /. Vediamolo dunque; e in tutti e diciassette i più anti- 
chi documenti che ci restano. 

Nel documento del 1189 in cui gli Alighieri promettono 
al prete di san Martino d' abbattere un fico : 
Alagherii fratres. 

In quello del 1:201, in cui Aldighiero fa da testimonio : 
Alagherius filius Cacciaguidce. 



CAPITOLO SECONDO. 19 

^_ Nel registro dei militi guelfi a Montaperti del 1260 : 

^ •" Burnettus de Alagheriis, 

' * " Burnettus Bellincionis Alagherii. 

Nel libro delle matricole dell'arte de* medici e speziali 
(anno 1297) : 

Dante d* Aldighieto 
degli Aldighieri. 

Nella Convenzione nel 1299 col Comune di s. Gimignano : 
Dantem de Aìtegheriis. 

Nei libri delle Consulte del Consiglio di Stato^ dal 1296 
al 1301 : 

Dante Alagherii (sei volte.) 

Nella sentenza del 27 gennaio 1302 : 
Dante Alagherii, 

In quella del 10 marzo dell' anno stesso : 
DaiUem Alagherii.^* 

Nel contratto d'obbligazione cogli Ubaldini^ del giu- 
gno 1306: 

Dante Allegherà. 
Neir atto di procura de' Malaspina^ del 6 ottobre del 1306 : 
DafUtm Alegerium. 

Nella costituzioù della pace^ procurata in quel giorno 
per essi : 

DaiUi Alegerii. 

Nella sentenza del 7 novembre 1315 : 
Dantem AdhegheriL 

Nel contratto del 1332 tra Francesco^ Piero e Jacopo Ali- 
ghieri : 

Franciscus quondam Alegherii 
de A legheriis, 



20 VITA m DANTE ALIGHIERI. 

fila quondam Dantis Allàgherii 

de Alagheriis, ,^ ' /p 

uxor olim Alegherii, '' 

tAXor olim dicti Allegherà, 

Neìr atto del Consiglio maggiore di Verona, del 1337 : 
Petro de Alegeriis judice. 

Neir istrumento, in cui Jacopo fa- un pagamento per ri- 
scatto de^beni di sijo padre, del 1342 : 

Dante quondam Alegherii, 
fiiii olim dicti Alegherii, 

Nel necrologio delle monache di San Michele in Campagna 
di Verona (1364) : 

Dominus Petrus judex, filius quondam 
Dantis de Alegheriis, 

Nelle due egloghe di Giovanni del Virgilio, e nelle due 
responsive di Dante (cod. laurenz. del sec. XIV) : *' 

Dante Alagerii (quattro 'vòlte). 

Pertanto trentatrè volte è qui ripetuto il casato Ali- 
ghieri; quattro sole con due /, Tentotto con unW sola, una 
affatto^ senza /. Poiché adunque negli antichi documenti il 
casato di Dante leggesi qusisi sempre con un' l sola, e nou 
con due (siccome i signori Scolari e Torri vprrebbon far cre- 
dere) perciò questo argomento materiale, su che tanto essi 
si fondano, non prova se non contro di loro. 

n secondo argomento dello' Scolari si è che « dalla forma 
y> legittima Aldighieri, come sola autentica e originale, èin- 
» separabile V Allighìeri, per la, naturale e certa mutazione 
» della lettera d in /, mutazione avvenuta in tante altre parole 
» simili, passate dal latino nell' italiano moderno; come per 

» esempio (e lo dice in seguito) allido, alloquor, alligatus 

» Ed essendo indubbio V Aldigherius latino, è indubbio V Al- 
» lighieri italiano per usitatissimo mutamento della lettera 
» d in I. » 



CAPITOLO SECONDO. 21 

Che la fbnna originale e legìttima sia Aldighieri (eomc 
dice lo Scolari) non vi ha il minimo dubbio, ed è quello ap- 
punto ch'io sostengo; ma che da essa sia inseparabile (sic- 
come lo "Scolari pretende) la forma Allighieri, per la natu- 
rale e certa mutazione della lettera d in l, egli è questo uno 
sproposito. Si sa bene dà tutti, che ne' vocaboli latini la con- 
sonante della preposizione ad si cambiava non solo in /, 'ma 
pure in ogni altra con che cominciasse la voce a cui era ante- 
posta ; e cosi dì adlido faeeasi allido, di adlaqmr alloquor, di 
adligatus dlligatm. Ma il vocabolo Aldigherius consta egli di 
due parti? è egli composto d'una preposizione e d'una 
voce, come sono i vocaboli dallo Scolari portati ad esem- 
pio? No certamente. Dunque il vocabolo Aldigherius non 
essendo Adligherius, cioè non constando della preposizione 
Ad e delia voce ligherius, non potea cambiare il suo d in /. 
Infatti i vocaboli Aldus, Aldobrandus ec, sonosi essi cam- 
biati, possòn mai cambiarsi in Allo, Allobrandof E che 
dunque vanno almanaccando lo Scolari ed il Torri cpn que- 
sti argomenti men che fanciulleschi? a L'uso (dice lo Sco- 
» la^i) non dee e non può vincere sopra la verità e la ragio- 
» ne, perchè contro ragione e verità non havvi che abuso. » 
Dunque io rispondo, se un uso invalso da cinque o sei secoli 
dee tuttavia chrsì erroneo, e se più nulla non vale la sen- 
tenza d' Orazio, dica il signor Scolari Aldighieri, ma non 
pretenda dire Allighieri , perchè cosi direbbe uno sproposito, 
e darebbe un calcio alla verità^ alla ragione. 

IL terzo argomento dello Scolari e del Torri è il seguen- 
te. Dice il Boccaccio, che alla moglie di Cacciaguida, la qua- 
le era degli Aldighieri di Ferrara, piacque di rinnovare il 
fwtne de' suoi passati in un suo figlio, e nominollo A Idi- 
ghieri, comecché il vocabolo poi per detrazione di questa 
lettera d corrotto, rimanesse Alighieri. Primieramente av- 
vertirò che r edizione principe della Vita di Dante, non che 
le altre più stimate, invece di detrazione leggono sottrazione. 
Secondariamente, che questa detrazione o sotlrazimie è atte- 
stata altresì da Gianuozzo Manetti, pag. 9 : « Unum {filium) 



22 VITA W DANTE ALIGtoERI. 

» Ut uxori morem gereret, nomine familiae uxoris suae Aldi- 
» gherum cognominavil, quamquam d littera, ut in pluri- 
ji>.l}usque fit euphoniae causa e medio suljlata, prò Aldighero 
» Aligherum appellaret. )> E ìfinalmente^ che il Landino, pur 
citato dallo Scolari, dice lo stesso facendo le parole seguen- 
ti : « Come Eliseo mutò il nome de' Frangipani, cosi questo 
» (Aldighiero) lo mutò ^'Eliseì i^i Aldighieri: ma in suc- 
» C€SS0 di tempo levata (lo Scolari legge rimiossa) la rf, si 
» dissero Alighieri. » Ma comunque si voglia leggere o de- 
trarre sottrarre, o levare o rimuovere, non vengono che 
a significare lo stesso, vale a dir toglier via; ed infetti il Boc- 
caccio, il Manetti e il Landino non vollero con quelle lor frasi 
dir altro, che il vocabolo Aldighieri, scemato della lettera d, 
rimase Alighieri. Ma no (grida il Torri) non vuol dir questo; 
ma vuol dire che il buon popolo toscano, facendo temperino 
de' denti, si mise pronunziando a raschiare la pancia del d, 
e raschia raschia ne fece una bellissima /, e così finì col pro- 
nunziare AlUghieri. Ma il Torri dice proprio queste parole? 
No, non son queste le sue parole; ma egli^è questo il suo 
preciso concetto. Ecco com' egli lo enuncia : « Usando av- 
« vertitamente il Certaldese d^^razion^, ha inteso ohfe dalla 
» lettera d {d' Aldighieri) levato uno de* due elementi ond'è 
» composta, cioè la piccola curva dinanzi, (ossia la pancia), 
» e rimasa quindi la sola parte od asta equivalente ad l, 
» venne appunto a formarsene, insieme all' altra / che la 
» precede, il casato Atlighieri con / doppia. » 

Volendo il Torri sostenere questa sua fantasia, rifiuta la 
vera voce usata dal Boccaccio, che è sottrazione ; \ion fa 
conto della parola levata, o come legge lo Scolari, remossa, 
del Landino ; e ritenendo solo detrazione, la interpreta per 
scemamento, diminuzione. Ma concedendo pure che detra- 
zione valga scemamento, diminuzione, À\ concetto del Boccac- 
cio non viene sempre a resultare lo stesso? Vediamolo con 
tale sostituzione : Comeccìiè il vocabolo (Aldighieri), per sce- 
mameMo, o diminuzione di questa lettera d corrotto, rima- 
nesse Alighieri. Anche in questa guisa vuol dir dunque che il 



.CAWTOLO SECONDO. ' 2g 

% 

vocabolo Aldighièri, composto di dieci lettere^ por essergliene 
stata scemata^ o diminuita una, cioè il d, rimase Alighieri. 
Ma il Torri replicherà che le voci scemamento, diminuzione 
lìpn ha inteso proporle con simile significato; e cosi dando 
interpretazione d' interpretazione, dirà che significano oMot- 
tigliamento, raschiamento. Ed allora potrà rispondersi al Tor- 
ri, che detrarre (che viene da detrahere, vale a dire trahere 
de) significa trarre da,. levare da, sottrarre da, e non già 
assottigliale, rasch^af^e- 

U equivoco del Torri, equivoco che gli fece trovare un tal 
gingillo filològico, nacque da questo : che egli non considerò 
come nel periodo del Boccaccio il soggetto, che soffre la sot- 
trazione, detrazione è il vocabolo Aldighieri, e jnón già la 
lettera d. Se il Boccaccio avesse scritto : Comecché la lettera 
d, contentila in questo vocabolo, venisse poi per detrazione 
corrotta (naa e che frase sarebbe mai la lettera per detra- 
zione corrotta ?) ; allora la sua interpretazione potrebbe reg- 
gere : ma poiché egli scrisse : il vocabolo, per detrazione di 
questa lettera d corrotto, è evidente che il buon Torri prese 
un equivoco. E su questo proposito, che fa lo Scolari? Egli 
procede più francamente, e cambia le carte in tavola; poiché 
dopo aver riportato il passo del Boccaccio, non parla più di 
vocabolo per detrazione della lettera d corrotta, ma parla 
di lettera d corrottu. Ecco le sue parole: « Ora la d corrot- 
* ta, se avesse importato sottrazione assoluta, avrebbe fatto 
» jche si stampasse Alighieri, ed è stan^pato invece Alti- 
n ghieri (dóve ? in un' edizione scorrettissima^ : dunque non 
% è che il Boccaccio abbia detto sottratta la d, ma corrotta, 
» per la mutazione naturalissima, usitatissima della rf in /. » 

Noi pertanto vediamo come tutti gli argomenti messi, in 
campo dallo Scolari e dal Torri, o son falsi, o fanno lor con- 
tro. E che tali siano, venne riconosciuto da molti dotti, che 
continuano a scrivere Alighieri con un' / sola, e V3nne di- 
chiarato (fra gli altri) da Carlo Troya, il quale nel Veltro al- 
legorico de' Ghibellini (Napoli, 1850, pag. 370) disse: « Ma 
» può egli negarsi che i toscani scrittori ed il popolo dtttj 



|( - VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» abbiano in ogni età e dicano V Alighieri? Ciò non potea con- 
» traddirsi^ né si contraddisse dal Pelli^ nato in Toscana : egli 
» nondimeno iascioSsi travolgere nel peggior partito, alle- 
» gando (a spropositò) V autorità del Boccaccio-, al quale ap- 
» pone d' aver detto Allighieri n^41a Vita di Dante, stam- 

> pata. r arino 1576. Ora il signor Audin de Rians ha ultima- 
j) naente osservato che siffatta stampa non è la prhna, ma la 
» terza, e che le due precedenti dei U77 e deh ibù hanno 
y> Alighieri}'' Ed io non aspettai una si calzante rispósta per 

> protestarmi {cóntro lo Scolari ed il Torri), come or mi 
» protèsto d'aver sempre detto, e voler dire Alighieri, se- 
]> cóndo r uso costante del parlar toscano, che in ciò è la 

> legge suprema , e secondo l'eufonia che deriva da tal 

]» uso A chi non è noto, che nel suo prolisso Commento 

» il. Boccaccio non scrisse mai Allighieri, ma sempre Ali- 

> ghieri? E Benvenuto da Imola, che studiava sì diligente- 
» mente i libri di ^esto suo maestro, afferma : Quod q,lii di- 
» cunt Allagherà corrumpunt omnino vocabulum. » Pur 
nonostante lo Scolari con quella sua burbanza, per cui si è 
sempre distinto, verso la fine del suo scritto non si tien da 
esclamare: e Portata a questo grado di mtica, -di terità e 
» d'evidenza la storia di tale argomento {e noi l'abbiamo 
» veduto davvero) y chi avrebbe potuto mai credere, che 

> nel 1837 stampandosi a Firenze la Commedia di Dante 

> tornasse a vedersi nel frontespizio' (guost fosse una brul- 
la iy^ra) V erroneo, storpio, illegittinK), ingiusto e detestando 
» Alighieri? Quali ragioni avrebbero potuto maì> o potreb- 
» bero tuttavia, far difesa ad una persistenza si disperata? » 
Ma queste ultime parole non potranno a buon dritto ritor- 
cersi contro di lui, dopoché abbiam veduto, che tutti i suoi 
pretesi argomenti e futte le sue parole non son che altera- 
zioni, sragìonamenti e spropositi? 



GAnTOLO SEeONDO. S| 

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI 

AL CAPITOLO SECONDO. 

* Questo Cacciagoidà finge Dante incontrarlo nè^ Pa- 
i^isoj sfera, dì Marte. £i gli si palesa per stipite della 
sua fìimigUa, dicendo (canto XV, v. 87) : 

O fronda mia, in che io compiacemmi 
Pure aspettando, io fui la tua radice. 

E dopo avergli detto molte altre cose, gV indica V aiuio della 
sua nascita per mezzo di questa circonlocuzione : 

Da quel di che fu detto Ave 

Al parto, in che mia madre, eh* è or santa, 
' S* alleviò di me, ond* era grave, 

Al suo Leon cinquecento cinquanta 
E tre fiate venne questo fuoco 
A rinfiammarsi sotto la sua pianta ; 

vale a dii'e: Da quel di che dall'arcangelo Gabbriello fu 
detto Ave a Maria vergine, cioè dal siomo dell* ine ama- 
zione del divin Verbo, fino al giorno del parto, in che mia 
madre, che è ora in Paradiso, s* alleggerì di me. di cui 
era gravida, questo focoso pianeta di Marte venne 553 volte 
aUa costellazione del Leone a riaccendersi sotto di lui. E 
poiché secondo Dante, e secondo gli antichi, la rivoluzione 
di Marte compievasi in due anni, perciò raddoppiando il 553 
avremo 1106, anno della nascita di Caccia^uida. Vedi an- 
che la mia nota a questo luogo del Paradiso. 

* Lo stesso Cacciaguida dice (Parad. canto XV, v. 137) : 

Mia donna venne a me di Val di Pado, 
É quintli il soprannome tiio si fep. 

n Boccaccio, pag. 12: « De* quali (^Elisei) tra gli altri 
f* nacque e visse uno cavaliere, per arme e per senno rag- 
» guardevole e valoroso, il cui nome fu Cacciaguida: al 
1» quale nella sua giovinezza tm data da* suoi maggiori per 
f> isposa una donzella nata degli Aldighieri di Ferrara, cosi 
» per bellezza e per costumi, come per nobiltà di sangue 
n pregiata^ colla quale più anni vi^se, e di lei generò più 
n n^uoli. E comecché gli altri nominati si fossero in uno, 



93 VITA DI, DANTE ALIGHIÈRI. 

» siccome le donne sogliono esser vaghe di fare, le piacque 
» di rinnuovare il nome de' suoi passati, e nominollo J.^d/- 
» ghierì ; comecché il vocjabolo poi, per sottrazione di que- 
j» sta lettera d corrotto, rimanesse Alighieri, r 

Leonardo Bruni : « Di messer Cacciaguida nacquero gli 
n Aldighieri, cosi nominati da un suo figliuolo, il quale per 
» stirpe mate]:na ebbe nome Aldighieri. » 

Giannozzo Manetti ( Vita JDantia^ pag. 9) : « Hic igitur 
» nobilis Cacciaguida virginem quamdam forma mo- 
li ribusque prasstantem e ola*ra quadam Aldighqriqrvun fer- 
ii rarensium familia in matrimonium accepit, ex qua quum 
I» plure^ filios suscepisset, unum ex muUis, ut uxori morem 
» gereret, nomine familiae uxoris suaB Aldigherum cogno- 
» minavit, quamquam d littera, ut in pluribusque fit eupho- 
11 nias causa, e medio sublata, prò Aldighero Aligherum 
» appellaret. » 

Filippo Villani {Vita Dantis, pag. 7) dice le cose me- 
desime, ma discorda rispetto alla patria della moglie di 
Cacciaguida, e invece che di Ferrara^ la vuole di Parma. 
Non cita peraltro alcun fatto, ma emette sqIo una sua opi- 
nione, dicendo : « quasi sola Ferrarla in valle Padi sita sit, 
» et non Parma; sed familisB parmensis notissimum agno- 
li men fictionem concionantis enudat, idque ipsum ibidem 
» perspicaciter contuenti videtur assererò Cacciaguida..... 
» Hanc ingenuam veritatem modemus quidam, ut hestensi 
» alluderet marchioni, conatuà est obùmbrare, poetico af- 
1) firmans commento, de Frangipanibus quemdam nescio 
» quem ab antiquo Ferrariae firmasse coloniam, indeque per 
n posteros migrasse Florentiam, ex eo fortasse loco argu- 
ii mentum sumens, quod dixerit Cacciaguida, meauxor ad 
n ine venit de valle Padi, » Che una famiglia Aldighieri 
fosse anco in Parma può essere, ma che la valle del Po ac- 
cenni piuttosto a Parma, che a Ferrara, noi crédo. Ecco 
poi quello che in proposito dice il Pelli, pag. 17 ; « Filippo 
» Villani nella Vita di Dante, e Domenico d' Arezzo nella 
n sua opera ms., che ha per titolo Fona memorabilium 
» universi, ove parla del nostio Poeta (parte V, lib. I) scri- 
n ve, che ^a' suoi tempi in Parma sussisteva la casata Ala- 
li gheri, e che Benvenuto da Imola, commentando un ter- 
n zetto del canto XV del Pai^adiso, avea pensato che la 
n moglie di Cacciaguida fosse di Ferrara, per compiacere 
» al marchese Niccolò d* Este. Ma ciò non può esser vero, 
» perchè prima di Benvenuto avea dettò il medesimo il Boc- 
» caccio. Comunque però sia, in Ferrara la famiglia Aldi- 
» ghieri era in essere nel XII secolo, e rispetto a quella 



CVPITOLO SECONDO. 27 

n di Panna trovo nelle memorie storiche di Bologna di 
» Matteo de* Griffoni, stampate nel voi. XVIII, Scriptor. 
I» Ber. Italie, y pag. Ì4S, the-rai Pàolo de Aldigeriis de 
» Parma fu- nel 1B28 rettore della stessa città di 'Bo\ògna.y 
n e che di questo medesimo Paolo parla ancora frate Bar- 
n toloDomeo della Pn^liola nella sua Cronica di Bologna 
tt ^'anno 1316, inserita in detto volume, pag. 330. Cosa 
9 poi debba credersi fra questa varietà di sentimenti, non 
t> ho tanto in mano da determinarlo, n Pure sembra a me 
che si determini benÌ83Ìmo*, perciocché il dire che nel 1328 
era in Panàa una frtmiglia Alagherii o Aldighieri non j^rova 
nulla, essendoché bisógna provare che la vi fosse due in- 
teri secoli innanzi, cioè verso il tempo che Cacciaguida 
prese moglie. E quando pur ciò si provasse, come, può di- 
struggersi r asserzion del Bioccaccio, come può contorcersi 
il senso delle parole di Cacciaguida, Mia donna venne a 
me di vai di Fadof 



' Continuando a parlar di sé, dice Cacciaguida (Para- 
diso, canto XV, v. 140 e seg.): 

Poi seguitai lo imperador Currado, 
Ed ei mi' cinse della sua milizia : 
Tanto per beue oprar gli venni in grado. 

Dietro gli andai, incontro alla nequizia 
Di quella legge, il cui popolo usurpa, 
Per colpa del f>astor, vostra giustizia. 

Quivi fìi'io da quella gente turpa 
Disvifuppato dal mondo fallace, 
Il cui amor molt* anime deturpa, 

E venni dal martirio a questa pace. 

^ Cacciaguida stesso nomina questi due suoi" fratelli , 
(Paradiso, canto XV, v. 136) : 

Moronto fu mio frate ed Eliseo. 

' Questi, che (come abbiam detto) fu il primogenito di 
Cacciaguida, e diede il nome al ramo degli Elisei, che si 
disse degli Aldighieri, è posto da" Dante nel Purgatorio tra 
i superbi, secondo che suonan le parole dello stesso Caccia- 
gvàad. (Paradiso, canto XV, v. 91 e seg.) : 

...... Quel da cui si dice 

Tua cognazione, e che cent'anni e pine 
. Girato ha il monte in là prima cornice, * 



28 VITA DI DANTE A-UGHIERI. 

Mio figlio fti, e tuo bisavo fue ; . ' 
Ben si' convìen, che la lunga fatica 
Tu gli raccorci con 1* opere tue. 

£ ben il ricorderà il lettore^ che nella prinui cornice, o 
primo girone del Purgatorio^ si purga là stiperbia. 

• Neil* Inferno, (canto XXIX, v. 4 e seg.) : 

Ma Virgilio mi disse: Che pur guate? 
Perchè la vista tua pur si.soffolge 
Laggiù tra V ombre triste smozzicate ? . 

Tu non hai fatto si all' altre bolge. — 

Dov* io teneva gli occhi 9Ì a posta 

Credo che un spirto del mio sangue pianga 
Ija colpa, che laggiù cotanto costa. -=— 

Allor disse il Maestro : Non si franga 
Lo tuo pensier da qui innanzi sovr' elio : 
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga; 

Ch*io vidi lui appiè del ponticello 
Mostrarti, e minacciar forte col dito. 
Ed udi' '1 nominar Gerì del Bello. ^ ' 



Duca mio, la violenta morte, ' ,. 
Che non gli è vendicata ancor, diss'io. 
Per alcun che dell' onta sia* consorte. 

Fece lui disdegnoso ; onde sen gio , 
Senza parlarmi, sì com'io stimo: 
Ed in ciò m'ha fatt' egli a sé più pio. 

In brevi parole ecco il fatto. Geri degli Aldighieri, figlio di 
messer Bello, uomo rissoso, fu ucciso a tradimento da uno 
de' Sacchetti •, e nessuno della famiglia, ingiuriata per que- 
8t' omicidio, n' avea preso ancora vendetta. Ma (secondo che 
narra il Landino) un figliuolo di messer Cione, e quindi 
nipote dell' ucciso, nel lo30 (per togliersi quell' onta) uccise 
uno de' Sacchetti mentre trattenevasi sulla porta di sua casa. 

■^ Nel>reffistro dell' esercito guelfo, che tuttora conser- 
vasi nell' archivio centrale ,di Stato, e che ha per titolo Li- 
bro della Condotta e del Campo del Comune di Fiorenza, 
el quale libro li fu tolto- quando furono sconfitti (i Guelfi) 
a Monte aperto ec, a^éarte 11 tergo si legge : Infraacripti 
stknt elee ti per Capitaneum exercitus ad faciendum jjieri 
et ampliari viaa per campum cum uno ex f umilia Potè- 



CAPITOLO SECONDO. 29 

statisi Bumettua de AtagMTiis Portce Sancii Petri ec. 
E a carte 61 : Pedites C(irrocci elèe ti : Bumettus Bellin- 
oionis j^lagherii, ^popuU Sancii Martini Episcopi, ec. 

' Giovanni Villani (lib. VI, cap. 3): « In questo con- 
9 trasto e battaglia (fra i Ghibellini ed i Guelfi), Federigo 
n impéradore mandò a Firenze 4o re Federigo suo figliuolo 
» bastardo con sedici centinaia di cavalieri di sua gente 
n tedesca. Sentendo i Ghibellini, eh' elli erano presso a Fi- 
» renze, -presono vigore, e con più forza e ardijre pugna- 
li rono contro i Guelfi,, i. quali non aveano altro aiuto, né 
n attendeano nullo soccorso, perchè la Chiesa era a Leone 
yt sopra Rodano oltremonti, e la forza di Federigo era trop- 

n pò grÌEuide.ìn tutte parti d' Italia Alla fine veggendosi 

ni Guelfi aspramente knenare, e sentendo entrato già lo 
n re Federigo con sn^ gente la domenica mattina, si si 
» tennero i Guelfi infino al mercoledì vegnente. Allora non 
» potendo più resistere aHu forza de' Ghibellini, si abban- 
n donarono la difenza, e partirsi dalla città la notte di 
n B. Maria Candellara gli, anni di Cristo 1248. n 

s ■ 
\ • Giovanni Villani Qib. VI, cap. 80) : « Venuta in Firenze 
» la novella della sconfitta dolorosa, e tornando i miseri fu^- 
I» giti di quella, si levò il pianto d' uomini e di femmine m 
n Firenze si grande, Qhe andava infino a cielo, imperciocché 
n no]>avea casa ninna in Firenze, piccola o grande, che non 

» vi rimanesse uomo morto o preso Per la qual cosa i capo- 

» rali de'-Guelfi nobUi e popolari, eh' erano tornati dalla scon- 

t fitta, e quegli eh'* erano in Firenze, sbigottiti e impauriti 

n senz'altro commiato o cacciamento, colle loro famiglie 
» piangendo uscirono di Firenze, e andarsene a Lucca, gio- 
» vedi a di 13 di settembre, gli anni di Cristo 1260. » 

*® Infatti le case Sacchetti stavano sull' angolo, che 
fanno le due vie de' Cerchi e de' Magazzini, la seconda delle 
quali riesce in via Condotta, detta anticamente del Garbo. 
Nei MSS. .Strozziani leggesi un contratto, in cui Rinuccino 
Rinucchù, che avea le sue case sull' angolo che formano 
le due vie de' Magazzini e Condotta, e precisamente nello 
stabile occupato oggi dalle cartolerie Chiari e Volpini, è 
chiamato confinante colla casa Sacchetti. In un brano di 
documento riportato dall'Uccelli (JBadù» fiorentina, pag. 30) 

leggesi: Apothecas quce sunt in proprieiaie. Aòbaiias 

usque ad clasauih (chiassolo, cioè via de' Magazzini), quod 
est juxtà domum filiorum Sacchetti, 



30 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

'* Annale.IY dell» Società Colombaria, MS. nella li- 
breria di essa Società, pag. 19^. 

*^ H p. Richa nelle sue Notizie storiche delle Chiese Fio- 
rentine ^parte I, quartier s. Croce, pag. .^08-336) dice che 
ì monaci cassinensi della nostra Badia, ne* quali nel 1034 
era pervenuta la chiesa di San Martino per donazione del 
Diacono Tegrimo, unirono nel 1479 la sua parrocchia a 
quella loro vicina prioria di San Procolo (e queste cose dice 
pure r Uccelli, Badia fiorentina, pag. 19 e 21). Ma o la 
Torre detta di Dante, eh* è nella cura di Santa Margherita, 
non è la vera casa del Poeta, o qualche fuoco della par- 
rocchia di Sanlifartino fu aggregato a quelli di Santa Mar- 
gherita. Errano pertanto i coihpilatori di alcuni Prioristi, i 
quali nel riferire air anno 1300 U priorato di Dante^ lo 
éinno del popolo di Santa Margherita. 

*• Afferma lo Scolari, che in queste due sentenze il ca- 
sato di Dante trovisi scritto Allighieri, Ma egli è questo 
un equivoco, a schiarire il quale riporterò alcune parole, che 
fece in proposito il signor Stefano Audin nel suo libretto Del 
Casato e deW Arme di Dante, Fir. 1^3 : « La citazione 
n dello Scolari, ov*egli dice che iiellà sentenza di bando 
» del 10 mar^o leggesi AUighieri, non deriva dàlV ori^- 
)» naie, ma da una copia scorrettissima, riportata da varii 
» autori, i quali veduto non aveano come noi il codice del- 
n r archivio delle Riformagioni, capitoli, classe^ XI, dist. I, 
n num. 19, a e. 2 e 9, che contiene la sentenza del 27 gen- 
f> naio 1302 e quella del 10 marzo dell' istesso anno. Le due 
n sentenze leggono Alagh^rii e non AUighieri. Nella prima 
» del xxvij Janttarii A, D. miltesimo eòe" secundo leggesi: 
-n Dante Alaghieri de Sextu seti Petri major.; e nella ^e- 
n conda dell* iàtesso anno : die x ' mens* Martij, Dantem 
» Alaghieri. » ^ 

** Audin, Del Casato e deW Arme di Dante y plag. 10: 
a n Pelli prende per autorità la vita di Dante scritta d^ 
»» Giovanni Boccacci, secondo 1* edizione di Firenze ap- 
n presso Bartolommeo Sermartelli 1576 in B'*; e cosi fa il 
n signor Torri, chiamando principe questa edizione,^ eh' è la 
n terza soltanto, e 1* unica in cui trovisi stampato AlUghieri ; 
n la peggiore fra quante ne esistono, adulterata in più luo- 
» ghi, ed in quello appunto riportato dal signor Torri ;...w il 
n quale non teme di dare al dottissimo A. M. Biscioni il 
fi carico di averne a suo piacere cambiata la lezione^ nella 



. CiPITOLO SECONDO. 31 

n pregiatissima raccolta di Prose di Dante e Boccaccio^ 
n da lui pubblicata..^.. Rammenteremo al signor Torri, che 
f» r edizione principe della Vita di Dante è quella premessa 
» al testo della divina Commedia col commento dì Ben- 
1» venato da Imola (anii di Jacopo della Lana), Venezia 

» per Yìndelin de Spiera, 1477 in fol.; né egli poteva 

n Ignorare V esistenza di questa edizione (perch' ei la pos- 
n siede), né dell* altra del 1544, la quale, salvo alcune leg- 
n gere differenze. ortografiche, è (;opia della prima del 1477. » 



VITA DI DAHT-e AIiIGHIEIU. 



CAPITOLÒ TERZO. 



Albero degli ascendenti di Dante, ^oaaeaai della famiglia 
Alighieri, D* altre famiglie Alighieri esistenti nell.dOO 
in FiHnze, 

[Secoli XII e XIH.] 



A maggiore dichiarazione delle cose discorse nel capitolo 
precedente darò qui appresso V albero della famiglia Alighieri 
da Cacciaguida a Dante, e lo correderò di tutte le notizie, 
che fu dato al Pelli di raccogliere e a me d' aggiungere, 
traendole da quei documenti, che il tefnpo ci ha conservati. 
' A questo proposito egli è conveniente notare, che altre 
famiglie erano in Firenze, che o quasi simile, o simile aveano il 
cognome a quello di Dante. Non dirò nulla degli Aringhieri, o 
Arringhieri, o Ardinghieri; diie de' quali,, cioè V uno Jacobus 
Màgister Gener Aringhieri, e V altro, Actavianus olim Arrin- 
ghieri populi sancii Pancratii, furono commiUtoni con Bru- 
netto Alighieri a Montaperti, e consignaverunt unum equum 
pili nigri, secondo che si legge rispetto al primo a carte 20, e 
rispetto al, secondo a e. 22 retro del sopraricordato registro 
deir esercito fiorentino» Nulla parimente dirò d' un' altra fa- 
miglia che chiamavasi Aligeri, perchè queste non si possono 
così agevolmente prendere V una per V altra. Ma qualche 
parola farò' d'altre due famìglie Alighieri, che pure al tempo 
di Dante esistevano in Firenze, e che appunto per l' iden- 
tità del nome furono con quella di Dante confuse da qual- 
cuno. 

Leopoldo Del Migliore ne' suoi zibaldoni esistenti liella 
Magliabechiana (voi. 11, pag. 131) nota: 12S4. Caruccim Salvi 



CAPITOLO TERZO. 33 

Alighieri: e a pag.132, riportando un albero della famiglia 
di Dante, dice che questo Salvi, padre di Caruccio, fu 
Ogliu^e di Alaglìiero 4i Cacciaguida. Ma avendo il Pelli ri- 
trovato ne' rogiti di ser Matteo Biliottì a e. 58 : Caruccius 
quondam Salvi Allighieri populi S. Marics in Capitolù), mu- 
tao recepii libras diias a.Folchetlo quondam Ca faggi Mara- 
ckaglicB populi S. Paneratii; ed avendo cosi veduto che 
quel Caraccio era del popolo di Santa Maria in Campidoglio, 
distante non poco da San Martino del Vescovo, tantoché V una 
parrocchia non poteva essersi confusa coir altra; pensò, e 
pensò bene, che Salvi e il suo figlio Caruccio fossero d'altra 
e diversa famiglia. Oltre a questo argomento hàwene un al- 
tro. Da uno Spog/io, esistente nella Magliabechiana, vedesi 
che questo Caruccius Salvi Allighieri è di consiglio nel 1295. 
Ora, in quest' anno, in nessun Albero della famiglia degli 
Alighieri dà San Martino si riscontra un individuo così no- 
minato, sia come fratello o cugino o zio del nostro Dante. 
Dunque egli era d' altra famiglia. 

Piu-e d' altra e diversa famiglia fu quel Gherardo Aldi- 
ghieri del popolo, di San Remigio, cancelliere degli uffiziali di 
guerra, d' un libro del quale, che portava la data del 1304, 
e in che eran notati i capitani della guerra e le loro delibe- 
razioni, dà il Borghini un estratto ne' suoi Spogli, esistenti 
nella Magliabechiana. Questo Gherardo che il Del Migliore 
{loc. cit.) rammenta" còme vivente nel 1269, ftt notaio della 
Signoria nel 1301, nel 1302 e nel 1304, e notaio de' Capitani 
di parte guelfa-iiel 1312. Ch' egli fosse notaio della Signoria 
nel 1301, lo certifica Marchionne di Coppo Stefani nella sua 
Storia fiorentina {yoì. X, pag. 30, delle Delizie degli Eruditi 
toscani) dicendo che i Priori del bimestre da mezzo agosto 
a mezzo ottobre del 1301 avevano ser Gherardo Aldighieri 
per loro notala Anzi il De Romanis opina con molta proba- 
bilità, che quel ser Gherardm notarius quondam Pepi, fir- 
mato nella nota de' fideiussori, i quali prò Guelfis de sextu 
Ultrami promisero la pace del 18 gennaio 1280, stipulata sulla 
piazza di Santa Maria Novella alla presenza del cardinal Latino> 

Dahtb. — Vita, 3 



34 VITA DI DANTE ALIOHIERI. 

legato di papa Niccolò ni (siccome nota il citato storico Ste- 
fani, voi. IX, pag. 75), non altri fosse che questo ser Ghe- 
rardo di cui ora parliamo. Gh'ei'lo^se notaio della Signoria 
nel 1302 lo asserisce il Pelli; ch*ei lo fosse pure nel 130i 
r ho veduto lo stesso indicato in un , antico prìorìsta, ove 
inoltre era data l'arme di esso, che in campo bianco por- 
tava una croce azzurra vuota, come infatti dice anco il 
Pelli essere stata V arme di lui. Ch' ei fosse notaio de' Capi- 
tani di parte guelfa nel 1312, Io dice il Del Migliore ne' citati 
Zibaldoni (voi. V,. pag. 90) ove aggiunge, che egli in tal qua- 
lità rogò una nota di ribelli. E questa nota di ribelli è pro- 
babilmente quella della cosi detta riforma di Baldo d' Agu- 
glione, della quale parleremo al capitolo VI, e daremo un 
estratto. 

Or dunque questo Gherardo Alighieri non era della fa- 
miglia di Dante, sì perchè la sua parrocchia era quella di 
San Remigio, e non quella di San Martino ; si perchè un Pepo, 
che fu il padre di ser Gherardo, non riscontrasi fra gli Aldi- 
ghieri, ond' era il nostro Poeta ; e si perchè la sua arme era 
tutt' affatto diversa e da quella degli Elisei e da quella de- 
gli Aldighieri discesi da Gacciaguida, siccome anc' oggi si 
vede nella cappella, che fu di lui nella chiesa di San Remigio, 
la quale in seguito passò ai Gaddi. Egli poi fu lo stipite 
d' una famiglia, la quale, per distinguersi da quella del nostro 
Poeta, fu detta degli Aldighieri di ser Gherardo o di San Re- 
migio, della quale l' ultimo fu un padre Sinibaldo dell' ór- 
dine de' Predicatori, figliuolo di meisser Donato giurecon- 
sulto, e nipote di Ricco, che fu de' Priori nel lùglio e agosto 
del 1350. Di quel religioso e della sua morte, accaduta 
nel U20, ce ne ha conservato memoria 1* antico necrologio 
del convento di Santa Maria Novella in tal guisa (num. 612 F.) : 
Sinibaldìis domini Donati, magisler in theologia, et prmdi- 
color gralissimus ac dcfctissimus obiU, prima die aprilis 1420. 
Hic exemplaris et religiosus fuit ter Prior Florentice, in- 
quisitar bononiensis, et scepius provinciw definitor capituli 
generalis. Reliqmt plurima societati lauulum prò exequMs 



CAPITOLO TERZO. 35 

et festis celebrandi», ac tandem devotissime in Domino quie- 
vit FlorenticB die quo ut supra, existens Prior conventus, 
E sebbene a queste seguano le altre parole : Fuit de Aldi- 
gheriis Dantis agnatus, pure non dee darsi ad esse alcun 
valore, poiché (come osservò il Pelli) riconosconsi aggiunte 
da mano moderna. La cappella poi di San Remigio, rispetto 
alla quale prese abbaglio il p. Richa dicendo {Notizie delle 
Chiese Fior, ec, voi. I, pag. 259) eh' ella fu la cappella genti- 
lizia del nostro Poeta, passò alla famiglia Gaddi, perchè Cate- 
rina di messer Donato, e sorella del sopradetto frate Sinibal- 
do, fu moglie di Taddeo Gaddi. ' 

Nell'albero della famiglia Alighieri .pone il Pelli siccome 
figlio d' AMighiero n, e conseguejitemente siccome fratello 
di Dante, un Uoritenico Aldighiero degli Aldighieriy che fu 
fimssaro generale di Modena nel ÌZSI . Egli è questo un er- 
rore. Secondo il Pelli la morte d' Aldighiero avvenne nel 1270, 
ma poiché il Boccaccio racconta (e in questo io credo gli si 

. debba prestar fede) come Dante nella sua età di nove anni, 
cioè nel 1274, fu dal padre condotto ad una festa in casa di 
Folco Portinari, perciò é forza dire che non prima del 1274 
la morte di lui avvenisse. Óra, partendo da questa data, che 

' attenua il computo che vado a fare, e supponendo pure che 
Domenico nascesse V anno medesimo della morte del padre, 
resulteretibe eh* egli fu massaro quando avea 113 anni d'età. 
Ma oltre V improbabilità eh' é dimostrata dalle date, chi ha 
mai detto che Dante avesse un fratello per nome Domenico ? 
qual è il documento che lo prova? Laddove il Pelli parla 
degli Aldighi^ri di Ferrara, nota fra le altre cose, pag. 30, 
come il Tiraboschi (Storia dell'Abbazia di JSonantola, voi. I, 
pag. 288) riferisce che Y abate di Nonantola, Niccolò d' As- 
sisi, concesse in feudo nel 1387 per i marchesi Albizi una 
casa ed alcuni beni a Domenico del fu Aldighiero fiorentino, 
massaro generale di Modena. Se questa qualifica di fiorentino 
é vera, e cosi pare infatti/poiché il Tiraboschi {ivi, pag. 348) 
si studia di provare che quella famiglia Aldighieri fiorenti- 
na fosse originaria di Nonantola; non sarà punto improba- 



36 VITA DI DANTE ALrOHIERI. 

bile 41 dire, che sia quella stessa degli Aldighieri di San Re- 
migio, e -«he questo Domenico sia figlio di Ricco, e fratello 
di Donato. Ecco, secondo quel che parmi poter dedurre dai 
documenti, qual è V Albero di questa famiglia degli Alighieri 
da San Remigio: 



Pepo 



Gherardo 

Ricco 

n i \ ■ 

Donato Domenico 

■ 



Sinibaldo Caterina 

. Non credo Analmente dover fare, siccome fece il Pelli, 
alquante, o s' anco vuoisi poche parole per confutar le opi- 
nioni, le pretese di coloro, che dissero esser discesa da 
Dante la famiglia Danti di Perugia, ed esser consorti degli 
Alighieri i Del Bello, onde poi discesero i Biliolti del quar- 
tier Santa Croce; perciocché le allucinazioni ed i^ogni non 
meritan confutazione. v 



CAPITOLO TERZO. 



37 




38 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI 

AL CAPITOLO TERZO. ' 

^ * Rispetto a Cacciaguida e a' suoi fratelli, Moronto ed 
Eliseo, abbiaiho (siccome notammo al capitolo precedente) 
la testimonianza di Dante medesimo (Farad, canto XV, 
V. 134-136) e le parole pur sopra allegate degli antichi 
biografi del Poeta. 

' Anche d'Aldighiero (e lo notammo di sopra) abbia- 
mo la testimonianza d^l nostro Poeta (Parad. canto XV, 
V. 91-94). L' Uccelli {Badia fiorentina, pag. 91^ riferisce 
che in un documen^. del 1189 Preitenitto e Aldighiero, 
figli del fu Cacciaguida, promettono al prete Tolomeo e 
successori suoi di tagliare ogni volta ne fossero richiesti un 
lor fico, che aveano presso ^l muro di San Martino. Ecco 
pertanto il documento, che fu comunicato al Pelli dal p. Pier 
Luigi Galletti, uomo dotto nella diplomatica e nell' anti- 
quaria : 

; « In Dei nomine. Anno millesima centesimo octuagesimo 
n nono, quinto Idus^ Decembrìs, Indictione octava. In prae- 
n sentia Bérci filii Mincelli, et Lutterii et Giugni fratrum 
n filiorum Zampae, et Astuldi fìlli Clarissimi, et Passavantis 
n filii Bencivenni. In istorum et aliorùm testium prsesentia 
n Preitenittus et Alagerius fratres, filii olim Cacciaguidse, 
n sub poQna solidorum viginti, et obUgo Consulum sive al- 
n terius potestatis prò tempore Fiorenti» existentis, promi- 
» serunt et pactum fecerunt presbitero Ptolomeo ecclesisB 
rt S. Martini, et ejus successoribus, quod fìcum quam habent 
t) ibi juxta murum qui est S. Martini, vel si aliam ibi ha- 
n beant aliquo tempore, infra vni dies proximos post in- 
n quisitionem eis factam a presbitero S. Martini, vel altero 
tt prò eo, penitus abscindent et' extirpabunt. Quod si non 
j» facerent, presbiter S. Martini, vel alter prò ipsa Ecclesia, 
» sine pena abscidere et extirpare (possit) sine ipsorum vel 
n heredum contradictione. Quod si molestarent vel contra- 
r> dicerent, predictam penam solvent, et, pena soluta, haec 
li firma tenebunt. PraBter^a ^encivenni filius FoUis similem 
v promissionem et pactum fecit prenominato presbitero prò 
r> quadam alia ficu, quam ibi habet, et obligavit et fecit et 
n promisit de se et per se in totum de ipsa ficu, vel si que 



CAPITOLO TERZO. '39 

-V alia foret, sicut feceruat predicti, ut dictum est. Actom 
•» FlorentiaB. 

n Signa etc. 

n Ego Busticus Henrici regia jadex et notariiiB ibidem 
■n rogatns interfui, et haec omnia scripsi. n 

È probabile (cQce il Felli') che questo Aldighiero vivesse 
ancora nel 1201. Il Del Migliore nell' albero della famiglia 
Alighieri (citato di' sopra) segna sotto Aldighiero V an- 
no .1201 per denotare che in quel tempo era tuttora vivo ; 
« Cosimo Della Rena ne' suoi. Spogli cita un documento del 
medesimo anno 1201, nel quale il detto Aldighiero è nomi- 
nato. Il documento poi, che al Pelli fu fatto conoscere dal 
Dei, dice cosi: Jacobus Rose protomagUter de. Venetiafe- 
cit olim finem Communi FlorentioB, et prò eo Sitio filio 
quondam Butrigelli, et Melio fiUo Catalani, consiliarii 
iomini Paganelli potestatìs Flerentias, de quibusdam re- 
bus sibi promissis a Communi FlorentioB. Ora fra gli altri 
testimonii di questa quietanza è ivi sottoscritto Autgerius 
JUius ,Gacciaguid(B (Lib. 26 de' Capitani a e. 29-42). Dun- 
que <^onvetrà dire, che le note parole di Dante (Farad, can- 
to XV, V. 92) cent* armi e pine Girato ha H monte in la pri- 
ma cornice, le quali, poiché la visione è (secondo che per i 
più si vuole^ del 1300, direbbero Aldighiero morto innanzi, 
« non dopo il 1200, non debbono èsser prese a tutto rigore. Ma 
poiché la visione (siccome dimostrerò) é veramente del 1301, 
copi supponendo che Aldighiero morisse V anno stesso in che 
fece da testimonio, v' avrebbe di mezzo tra la sua morte e 
la visione un secolo intero. . 

' Negli Zibaldoni del Del Migliore ([voi. Ili, pag. 101) 
si trova questo Bello avere il tilolp di messere, dal che 
4eesi congetturare (siccome avvertimmo^ esser lui stato dot- 
tore o cavaliere. Fioriva poi, secondo cne dice il Felli, in- 
torno al 1255, ciò rilevandosi dagli Spogli del capitan Della 
Bena. Nel 1^77 a di 11 settembre alcuni della parrocchia 
•di San Mar;kino si oppongono a' monaci di Badia, che volean 
-fabbricare innanzi alla porta della Chiesa verso tramontana, 
lasciandovi la strada larga solo braccia tre e un quarto ; e fìra 
•quelli che si presentaron per ciò innanzi a' giudici, furono Bel- 
lo del fu Alighiero e Gherardo Aleghieri (suo nipote ex fra- 
tre) : cosi riferisce V Uccelli nellisi Badia fiorentina, pag. 20. 

* Che Bellincidne fosse 1' avo di Dante, lo disse il Del 

Minore ne' citati suoi Zibaldoni (voi. II, pag. 132) e Pier 

,Antonip dell'Incisa ne' suoi Spogli, ch'esistono nell'archi- 



40 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

vio segreto di Palazzo vecchio. Anzi il Del Migliore (vqI. I^ 

Sig. 131) asserisce d' aver trovato in varie memorie questo 
ellincione nominato come di consiglio e popolare, lo che 
conferma che gli Alighieri eran guelfi ; ed aggiunge, che 
GherijTdo e Brunetto di Bellincione vennero nel 1277 no- 
minati con Cenni del già messer Bello, come procuratores 
nomvmm vicince Ecclesice (S. Martini). Il senator Carlo 
Strozzi ne' suoi Spogli nota : 1260 Allighiero di Bellincione, 
E nel capitolo precedente, nota 7, abbiamo veduto ; 1260 Bur- 
nettua^ (il fratello d'Aldighiero) Bellincioni» Alagherii, pò- 
pulì S, Martini Episevpi: Non saprei pertanto «u qual fon- 
damento possano alcuni avere asserito, che avo di Dante Bon 
fu Bellincione, ma bensì un Cacciaguida II, che, per qu^ello 
che sembrami, è totalmente immaginario. . 

^ Di Geri di messer Bello abbiamo la testimonianza di 
Dante stesso (Inf. canto XXIX, v. 27): Ed udì' 'Lnominar 
Geri del BMo : ed il più volte citato Del Migliore {Zibaldoni 
voi. Ili, pag. 101) dice che in un libro di cartapecora nel 1269^ 
in cui son notati i rifacimenti de'danni fatti ai Guelfi si legge : 
Geri del fu messer Bello Alaghieri, del popolo di San Mar- 
tino del Vescovo, del sesto di Por' San Fièro, E questa nota 
di danni deve con tutta probabilità esser quella, che pub- 
blicò poi il p* Ildefonso nel voi. VII ' delle Delizie, ove a 
pag. 259 si legge : Domum aliquantulum destructam in 
populo S, Martini Episcopi, Geri quondam Belli Alaghe- 
rii ; cui a 1 'èia, a 2 filii Donati, a 3 filli Mardoli, a 4 BeU 
lincionis Alagherii. Damnum extimafunt Uh, 25. Di Cenni, 
Gualfreduccio e messer Cione, e del figlio di quest' ultimo, 
di cui non conosciamo il nome, non abbiamo altra autorità 
che quella del Del Migliòre e del Della Kena, secondo che 
dice il Pelli, il quale eziandio ritiene che Cenni vivesse 
nel 1277. Rispetto a messer Cione e al suo figliuolo, ab- 
biamo peraltro l' asserzion del Landino, ' il quale al can- 
to XXIX, V. 27 dell' Inferno annota : u Geri del Bello, fratello 
» di messer Cione del Bello degli Alighieri, consorte di 
rt Dante, fu molto scismatico {seminator di discordie), e per 
» tal vizio fu ucciso da uno de' Sacchetti, né se ne "fé ven- 
» detta, se non dopo trent' anni {cioè treni* anni dopo il 1300) : 
» ed allóra un figliuolo di messer Cione uccise uno de' Sac- 
n chetti sulla porta di casa sua. » 

^ Aldighiero, oltre l'esser nominato' da tutti i biografi 
del Poeta, è ricordato pure in varii antichi documenti, co- 
me in quelli del 1332 e del 1342, che riporterò qui sotto: 



CAPITOLO TERZO. 41 

nel .primo de' quali leggesi: Ftanciacua quondam Alegherii 
de Àlegheriia, qui moratur in populo S, Martini Episcopi; 
e nel secondo: Cum Duifante olim vocatus Dante, quon- 
dam Alaqherii de Florehtia fuerit condemnatu» ec. Ris- 
petto 9t Brunetto abbiam veduto nel capitolo precedente, 
eh' egli, era una deHe guardie del Carroccio, e qui sópra 
nella nota 4, eh' egli fu insieme col suo fratello G-herardo 
procuratóre della chiesa; di San Martino. Quante -al suo figlio, 
il Pel Migliore {Zibuldfmi, yo\. VI,.pag. 67),-fra gl'impo- 
nitorì dell' imposta per la guerra di monte Acci anice 
del 1306, nomina nel popolo di San Martino del Vescovo 
Cione di Brunetto Alighieri. Aldighiero, padre di Dante, 
che- fu gmreconsultO'di professione,^ bì accasò in prime nozze 
^e^ dopna Lapa di Chiarissimo Ciahiffi, che fu la madre 
di Francesco^ f#ateU6 del nostro Poeta, secondo* fche «i ha 
dkll' istrtHuento del 13S2 riportato qui appresso, ove leggesi : 
dommas Lapce matria die ti Francisci, et filice oUm Claris- 
simi- Cialuffi, et uxòria olirà AleqhierL Rimasto vedovo, 
prese une seconda moglie, della quale nuli' altro sappiamo se 
non che chiamavasi donna Bella, è che fu la madre* del nostro 
Dante : questo pure si ha dal documento citato, ove leggesi : 
domince BellaSy olim matria dicti l)antia, et olim avice dicti 
Jacohi et dominv Petri, et uxoria olim dicti Alleghieri^ 

7 II padre Ildefonso {Delizie degli Eruditi toacani, 
volg XU, pag- 256) riporta alcuni brani di due documenti 
del 1297, ne' qu,a}i è nominato Francesco, fratello di Dante, 
e sono i seguenti : " 

« Sub anno 1297, die 23 decembris, Indict. xj, Dantcs 
» et Franciscus fratres et filli q. Alagherii de Aligheriis 
» populi S. Martini Epìscopi, mutuo receperunt a Jacobo 
n filio q. Lotti de Corbizzis populi S. Petri Majoris, mu- 
n tuante prò se et Pannocchia Riccomanni populi S. Pro- 
» culi, floren. 480 .de auro, sub fidejussione dom. Durantis 
» dom. ^cholaii de Abbatibus, et domini Manetti domini 
n Donati de Donatis, Alamanni q. dom. Boccaccii de Adi- 
rt maribus. Spigliati q. Spigliati de Filicaria in solidum obli- 
y> .gatorum. Demde anno 1332 dictus Jacobus de Corbizzis 
» fecit finem Jacobo et dom. Petro de Alàgheriis et bo- 
«norum q. Dantis possessoribus,, et Francisco Dantis fra- 
» tri, de dictis floren. 480, qui soluti fuerunt in parte de 
f> bonis venditis domine Johanne, ut supra ec. 

n 1297. Domina Bartola vidua, uxor q.' dom. Guidonis 
» dell'Accolto de Bardis, et fik q. Guccii dom. Catalani 
» de Ubaldinis de Grigliano, petit in mundualdum Cocchum 



42 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» q. Lippi de Lupicinis populi AbbatisB^e Bipolis. Qu» dom. 
n Bartola vendidit Francisco q. AUagherii de Allagheiiig 
n poptdi S. Martini Episcopi, recipienn nomine dom. PiersB 
n ejus uxoris, et ^iae q. Donati Brunaccii, qnoddam pre- 
» diom positum in populo plebis S. Petri de Bipoli, n 

Oltre questo fratello nominato Francesco, ebbe Dante 
una iM>rella, della quale non conosciamo il nome, e della 
quale sappiamo soltanto <:he fii maritata ad un tal Leone 
Poggi, padre di quell' Andrea, di cui il Boccaccio ^ (nel 
cap. VITI del suo Commento) racconta essere stato familiare 
ed amico, con queste parole : « È da sapere che Dante ebbe 
» uni^ sorella, là quale fu maritata ad un nostro cittadino, 
» chiamato Leon Poggi^ il eguale di lei ebbe più figliuoli; 
f> tra' quali ne fu uno di. più tempo che alcun degli altri, 
n chiamato Andrea : il quale maravigliosamente neUe linea- 
la ture del viso somigliò Dante, e anc(»ra nella statura della 
V persona; e cosi andava^ un poco gobbo, come Dante si 
» dice che facea: e fu. uomo idioto, ma d'assai buon sen- 
71 timento naturale, e ne' suoi ragionamenti e costumi or- 
r* dinato e laudevole. Dal quale, essendo io suo dimestico 
« divenuto, udii più volte de' costumi e de' modi di Dante. » 

Francesco poi prese in moglie donna Piera di Donato 
Brunacci, secondo che si, ha non solo dal brano riportato, 
ma altresì dal documento del 1332, ove Icggesi : domine^ 
Pierod uxoria die fi Francisci, et filice olim Donati Bru- 
naccii; e da èssa ebbe tre figli. Durante, Tonia e Marti- 
nella, secondo che. riferisce il Pelli (pag. 36) citando gH 
Spogli del capitan Della Rena. Di Durante nulls^ sappia- 
mo, e probabilmente mori giovane, e senza lasciar succes- 
sione. Tonia si dice essersi accasata con un Lapo di Ric- 
comanno del Pannocchia. Martinella fu moglie di ser 6re- 

forio di ser Francesco di ser Baldo del popolo di Sant'Am- 
rogio, da cui derivò la famiglia Serfranceschi.' 

* Neil' archivio generale de' Contratti, nei ^o^ti di 
fier Salvi Dini (protocollo X) havvi un ■ istrumento al ven- 
dita, importantissimo rispetto alle cose delle quali ora par- 
liamo, perocché oltre a Indicare varie possessioni della fa- 
miglia Alighieri, nomina Aldighiero, Francesco suo figliQ, 
Dante e i suoi figli Piero e Jacopo, Lapa prima moglie d' Al- 
dighiero e madre di Francesco, Piera moglie di Francesco, 
Bella seconda moglie d' Aldighiero e madre di Dante e Gem- 
ma moglie di Dante.. Io lo riporto tal quale lo diede il Pelli : 

« 1382. Franciacua quondam AlegherU de Aleghe^iia qm 
» morabatur in populo iSi, -Martini de Floìrentia, et hoaie 



CAPITOLO TERZO. 43 

yt moratur in populo pUbUr de BipóU, et dominua Pierus 
n judex, et Jaeobus, fratres, fili% cruondam Dantiè Atta- 
» ffherU de AlagherOsy popuU S. Martini Episcopi, Nico- 
n lau» quondam Foresini de Donatis, procurator dicti Pe^ 
» tri^ eompromittunt in Laurentium Alberti de Villama- 
n ^na notariwm; Nero Naddù Nero Joannia, Minuto te- 
n stibus. — Actum in poputo /S, CeciUce 1332. -^ Bona die ti 
n Franeiad et domim Petti, et Jacohi de AlaqheriU adhuc 
9 erant indivisa inter eos^ videlicet: — un poàere con casa 
n nel popolo di San Marco di Mugnone in Camerata, cui 
» a 1", 2*, 3° via, a 4" Berti; — un pezzo di terra in Fi- 
n renze nel popolo di Sant'Ambrogio, cui a 1*, 2*, 3**, 4" vìa ; — 
n una casa posta in Firenze nel popolo di San Mart^ino del 
» Vescovo, cui a 1** via, a 2 ' heredes Simonis Nerii et Tue- 
n eius Griammori, a -3^ de Cocekis seu alii, a 4" Betti de 
» MardoUs ; «~ un casolare nel popolo di Sant' Ambrogio, 
» cui a 1® e 2® via, a 3* heredes Gursii Fomadari, a 4' here- 
9 dea 'Migliorucoi ; — un podere nel popolo di San Mi- 
n niato di PagnòUa, contado di Firenze, luogo detto le Ra- 
fi dola n (PagnoUe, ov' è la parrocchia di San Miniato, resta 
ne' monti a settenttione di Fiesole sopra le sorbenti del fosso 
detto le Falle, ea ponente delle i^orgenti di quello detto 
le Sieci) « cui a l'' via, a 2^ fossato, a 3 ' vescovado di Fie- 
9 sole, a 4° Lotti de Èruariis ; «— più pezzi di terre posti 
» intomo a detto podere. -^ Le quali cose furono assegnate 
» a detto Francesco per la metà, ed 'e^i immediate vendè 
n il 'podere di Camerata a Giovanni di Manetto Fortinari, 
» comperante per so e per Accerito suo fratello, e con 
» parte del prezzo i figliuoli di Dante pagano un debito 
1 di 12b'bonòrum et legalium fiorenorum auri, quos dictus 
I» Dantes confessus fuit se mutui^ recepisse et nabuisse a 
h dicto Francisco per instrumentum rogatum manu ser Gui- 
» donis Benivieni Guidi RuffoU de Florentia notdrii, sub 
n anno Domini 1299, Indictione XII, die 14 intrante mense 
n marta, et de quodam alio debito florenorum 80 auri, 
n' quos mutuo recepii a dicto Francisco per publicUm in- 
n atrumentum, 'factum^ aub anno Domini 1300, Indictio- 
n ne XIII, die 2 junii, manu ser Uguccionia domini Aghi- 
n netti notarti, et imbreviaturia ser Aldobrandini filii sui, 
n E promesse il detta Francesco che IT figliuoli & Dante 
n non mólesterelbbe per li beni, che già furono di Dante, 
« per occasione di dote, e d' istrumento di dote dominm 
» Lapce matris dicti Frandsci, et filice olim Clarissimi 
r> Cialuffi, et uxoris olim Alegheri; né per occasione della 
9 dote dominca Pieras rncotia dicti Francisei, et filica olim 



44 VITALI DANTE ALIGHIERI. 

n Donati BrunaccL £ piomessero i detti Jacopo e mes- 
n ser Piero pagare a Fralkicesco infino a tanto che i bèni 
n di Dante si cavassero da' beni de' ribelli e banditi del Co- 
r mane di Firenze, staia 30 grano (all' anno). Inc^tre i detti 
7 Jacopo e messer Piero si obbligarono con Francesco di 
» non molestare ijL podere di Camerata per occasione delle 
rt .doti domince Btllas olim matria dicti Dantisy et oUm ù.yias 
fi dicti Jacohi et domini Petri, et uxoria olim diati Àie- 
n gherii, ne per la dote domirue Gemmce vidtuB, olim matria 
ti' dictorum Jacohi et Petri, et uxoria olim dicti Dantia, 
n et filice olirà domini ManetU de JDonatia. — Diciua Fran- 
ti eiacua fuit herea Jacohi quondam LotU de Corhizia. — 
» Actum Florentias in poptdo S» Cecilice in cedibua medi- 
» eorum, apetiariorum et merciariorum auh die 16 maji 
n anno Domini 1332, Joanne aer Heddite populi 8. Lau- 
ri rentU, Làpuccio Tinucci, aer Spigliato Dini notario pò- 
n puli S. MargaritcBf teatibita. /» 

Ma rispetto ai possessi della famiglia Alighièri non è 
questo solo il documento che ci resta. Ve ne hanno altri; 
e perciò credo conveniente di riferirgli qui appresso. 

Nel 1342 Jacopo figliuolo di Dante, fatta istanza alla 
Signoria di Firenze, che gli fossero restituiti i beni confi- 
scati al padre suo, adducendo fra le altre ragioni che vi po- 
sava sopra la dote di Gemma sua madre, della quale era egli 
r erede, potè recuperarli, mediante il pagamento di piccola 
somma, cioè di 15 fiorini d' oro. Il documento, ove contengonsi 
queste notizie, leggesi in un codice membranaceo del 1342 
a e. 114 tergo, che esisteva nell' archiviò del Monte comune 
di Firenze, e che oggi conservasi nell' archivio centrale di 
Stato, n Pelli ne produsse un brano mutilo e «corretto, traen- 
dolo dall' annale V della Società Colombaria (pag. 164) ma 
io lo produco per intero, e come si legge nel codice. 

« Die viìj januarìi 1342. Cum -Durante, olim vocatus 
»» Dante, quondam AlagheriiNde Florentia, fuerit condemna- 
n tus et exbannitus per dpminum C^ntem de Gabriellibus 
» de Eugubio, olim et tunc potestatem Florentiae in an- 
n no 130? de mense (januarii) in persona et in confisca- 
n tiene honorum ipsius in Commune Florentiae, prò eo quod 
n debuit turbasse statum partis guelfas civitatis Pistorii, 
n et commisisse baratteriam, tunc existente in officio Prio- 
w ratus, et alia fecisse prout in formula dictse condemnatiò- 
n nis continetur, et prò quadam alia condemnatione de ipso 
ft Dante facta in anno 1315 de mense octobris per domi- 
t) num Rainerium domini Zacharias de Urbeveteri, olim et 
n tunc vicarium regiom civitatis FÌorentisB) prò eo quod 



CAPITOLO TERZO. 15 

» non comparuit ad satisdandum de eundo ad confinla, prout 
n in formtQa dictse condemnationis plenius continetur : et ut 
n asseruit Jacobus, filine quòndam Durantis, olim vocati 
n Dantifl praBdicti, filius et neres prò dimidia dominaB Gem- 
n mse, olim eJuB matrìs, et uxoris olim prsedicti Dnrantis 
» vocati DanIJB, per medietatem prò. indiviso nnius poderis 
r> istorum tunc communis cum Francisco patruo suo, et olim 
» £ratre dicti Dantis, filii olim dicti Alagherii, bona relata 
n et incorporata in Communi FlorentisB in offitio bonorum 
» rebelliom et exbannìtorum, condemnatorum, cessantium 
n a libris et factienibus Communis Florentiae, et taxata in 
n Otto m'odio grani, tamqnam bona dicti Dantis exbanniti 
n et condemnati Communis Fiorenti»*, et maxime prò qua- 
n dam condemnatione personali de dicto Dante facta per 
^ domimim Cantem de Gabbriellibus de Eugubio potesta- 
» tem; qusB bona inferins sunt descripta, prò caucellatione, 
» exentione et abolitione infrascriptorum bonorum, et prò 
n restitutione ipsorum bonorum, prout in ipsa Jacobi petitio- 
n ne continetur, et decreto facto super ipsa petitione, con- 
« tentis in ea 'scriptura, et publico mandato ser AndresB 
1» Donati de Florentia notarii, et secundum formam decreti 
it dicti domini, et prò òmnibus in dieta petitione et deli- 
" beratìone et decreto et contentisi dictus Jacobus dedit 
^ et solvit dictis tbesaurariis ftorenos quindecim auri, com- 
» patato quolibet floreno ut supra in summa. 

n In primis una petia terrse cum vinca et cum domibus 
^ super ea combustis et non combustis, posita in populo 
» S. Miniatis de Pagnola, cui a l*" et 2* via, a 3° fbssus, 
" a 4*^ Qpiscopatus fesulanus. — ' Item una alia petia terrse 
n posita in dicto poptdo, cui a 1' et 2' via, a 3^ fossus, 
» a 4" Apintus. — Item una alia petia terraa^ posita ibi 
» prope, cui a l"» via. a 2' fossus, a 3' Geppi Spad», et Ben- 
n chi et Granuzi (?) fratrum, a 4 ' Nuti Michelis. — Item 
» una alia petia terrse, posita ibi prope, cui a 1** et 2* via, 
» a 3' episcopatus fesulanus, a 4' Apintus. -^ Item un^ 
n alia petia terrsB, posita ibi prope, cui a V via, a 2® Mi- 
n glions Guadagni, a 3' dictorum Benchi et Drànuzi (?), 
» a 4' Nuti Michelis. »• 

CoBÌ sta nel codice questo importante documento, ma 
^come bene si scorge^noii è ultimato, perchè non solo manca 
m esso la indicazione degli altri beni di Dante, ma manca 
altresì la conclusione. In questo però, più che negli altri 
documenti che ci restan di siffatto genere, abbiamo una 
qteciale e minuta descrizione del possesso di San Miniato 
a Pagnolle, del quale in prima poco o nulla sapevasi. 



i6 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Nell^ Opera manoscritta di Roberto Gherardi, intitolata 
la Villeggiatura di Maiano, e scritta verso il 1740. la quale 
si conserva oggi da' signori Uguccioni, eredi de* Gherardi, 
al cap. XII Q>ag. 168 e seg.) hawi un lungo brano, in cui 
è fatta la storia de' passaggi di quel possesso^ che Dante 
aveva in Camerata. Questo brano fu prodotto primamente 
dal Pelli (pag. 20 del suo libro) e dice cosi; 

u , Questi Linocenti, cioè lo spedale, m' invitano a schia- 
n rirè la proveniefiza della loro villa detta le Cure, insieme 
» col podere,' per etoer ella stata il trattenimento ed il sol- 
n lieve, e per averla posseduta in proprietà il nostro divino 
I» Dante Alighieri. Egli possedeva- fra gli altri beni la sud- 
» detta villa col podere nel popolo di San Marco Vecchio 
» in Camerata, con più la casa in Firenze- nel popolo di 
n- Sai) Martino del Vescovo, siccome si può riscontrare dai 
n rogiti di ser Salvi Dini del di 6 maggio 1332. Questi 
n ef^tti essendo dalla propria famiglia stati redenti dalle 
» mani del fisco, restarono dipoi venduti in parte, cioè la 
n villa e il podere predetto, a Giovanni di Manettp Porti- 
» nari e ad Accerito suo fratdlo, come nel detto rogito si 
n legge» La Francesca d%. Duccio Tomaquinci, vedova di 
9} Folchetto Portinari e di loro cognata, probabilmente -avea 
n ricevuto dipoi in pagamento della sua dote il detto pò* 
n dete insieme/ colla villa delle Cure ; sicché essa nel di 
» 30 seimsivo\di' qual annoi) per rogito del medesimo 
n ser Salvi- Dini lo rivendè a Jacopo del già Jacopo del 
». popolo di San Pier Coelorum. Passato questo effetto collo 
» scorrer del tempo in varie mani, pervenne finalmente nella 
» casa Cortigiani-, ed i tutori de'fi^li di. Bonifazio d' Or- 
li manno Cortigiani, per sodisfare ai legati lasciati da Bo- 
li nifazìo medesimo, venderono un terzo di detto podere, 
n. chiamato il podere che fu di Dante Alighieri (come si 
» nota nel contratto del. di 26 setteiùbre 1408, per rogito 
« di ser Cristofano -del gi^ Andrea da Laterina, esistente 
» fra le carte dello spedale di Santa Maria Nuova) ad An- 
si drea del Gallo per sé, e per chi nominerà, restando pos- 
n seduti gli altri due terzi del podere ihedesimo da Maria 
» Isabella, figlia di Francesco di Buto Scodellari, e vedova 
n del già Niccolò di Forese Falconieri. I quali 'Falconieri 
» aveano acquistato detta villa e podere delle Cure con 
» case e terre ec.' ov' è ora il mulino, fino dal 21 gen- 
n naio 1353, per rogito di ser Roberto di Talènto da Fie- 
li sole. I tutori adunque de\ figli del Cortigiani, avendo ven- 
n duta la terza parte della villa e di detto podere^ posto 
» nel popolo di San Gervasio, cui a 1"^, 2, 3^ via, a 4' mona 



:t 



CAPITOLO TERZO. 47 

Alessandra de* Bardi, luogo detto Camerata, lo conse- 
gnarono al compratore Andrea del Gallo predetto. Due 
scambi sono.quÌYÌ seguiti ; uno del popolo, V altro del 4^ con- 
fine d^ luogo, n primo del Popolò si corregge per il ro- 
gito di ser bimóne di Berto di Dino d'Asciano del 26 giu- 
gno 1404, come alla posta di lui nel libro di gabella A 55 
a 2. t., in cui dicesi nel popolo di San Marco Vecchio. 
H 4 confine poi di mona Alessandra de' Bardi, deve dire 
di mona Maddalena, figlia di Doffo (cioè Dolfo) di Gio- 
vanni de' Bardi, sorella di Giovanni, Doffo, Niccolò e 
Carlo .d&' Bardi, che fu sposata ad Jacopo di Niccolò 
Cruasconif-'come al libro di gabella A 51 a 98. Jacopo 
Gnasconi, fatto acquisto del rimanente delle case e po- 
dere di Dante, e delle case e terre proprie della sua mo- 
Slie, eh' essa godeva per indiviso con Lodovico di Michele 
i Banco, détte in portata il medesimo effetto nel Pre- 
stanzoi^e del Lion d' oro nel 1427, poich' egli fu commis- 
I» sario g^ierale a Pisa per i Dieci di Balia, liberato per 
I» decreto della non fatta portata del 1427, ma bensì fatta 
» dipoi nella filzetta del 1430 a 126 t., dicendo quivi, un 
» podere pósto in sul Mugnone in Camerata, con palagio 
n ed orto murato intorno da signore, e con casa da lavo- 
,n ratoire, cui a X\ 2\ 3* via, a 4° Lodovico di Michele 
» dì Banco. E vi si aggiunge in postilla, e di mona Lena 
9 di Jacopo di Niccolò Guasconi*, e si aggiunge, la metà 
»- per indiviso fra Lodovico di Michele di Banco e mona 
n Lena de' Bardi mia donna, d' mìa casa con circa 30 stara 
9 terra lavorativa, cui a 1 ' via, a 2^ il sopradetto podere, 
» a 3 via, a 4' Bartolo di Domenico Corsi, posta nel po- 
n polq di San Gervasio. Si aggiunga alle terre ag^egate 
I» al dett<JL podere di Dante il 4"" confine del Corsi, 'il quale 
n ancora si scorge dalla' portata del Corsi medesimo (nel 
fi Catasto del 1&7, Lion d'oro a 280). Se adunque appa- 
9 risce che ii suddetto Guasconi col podere di Dante, che 
» avea acquistato, confinava a 4° colle terre per indiviso 
n fra il Banchi e la moglie mona Maddalena de' Bardi nel 
n popolo di San Gervasio, e queste terre per indiviso con- 
n nnavano col Corsi, essendo stati riuniti ì due terzi al- 
si r altro terzo, posseduto per indiviso dalla moglie del Gua- 
n sconr, a tutto il podere che si chiamava di Dante Ali- 
n ehieri nel suddetto contratto del di 26 settembre 1408, 
» rorza è confessare che quest' effetto di Dante sial' istesso, 
n che come sopra il Guasconi nel 1430 e nella sua portata 
n confinò colle tre strade e con la moglie sua ed il> Bau- 
*» chi, posto nel medesimo popolo di &a Marco Vecchio, 



i8 VITA DI DANTE ALIGfflERI. 

n come dalla sua portata nel gonfalone della Scala e del 
n Lion d' oro si riconosce : e per aver dipoi fatto aggiunta 
» delle terre indivise fra la moglie ed^ il Bandii nel pò- 
n polo di San Geryasio, confinanti allora (come ancora con- 
n finano di presente, e situate ne' medesimi popoli di 
n San Marco Vecchio e di San Gervasio) col jpodere del 
rt signor marchese Corsi fuori della Porta a Pinti presso 
n la Querce, come nel gonfalone del Lion d'oro si osserva, 
n Dal Guasconi il detto podere di Dante passò agli eredi 
n di .Jacopo Giugni con la sua villa, e nella portata dì detti 
» eredi del. 14^7, 1469 e 148Ò (nel gonfalone delle Ruote 
» Santa Croce), e dipoi da Giovambatifeta di Jacopo. Giu- 
» gni fu portata in conto di Niccolò di messer Albizzo Al- 
n bergotti (gonfalon delle Ruote) per metà d^un podere 
» con casa da signore e da lavoratore, luo^o detto Came- 
n rata, posto nel popolo di San Marco Vecchio, e parte 
n nel popolo di San Gervasio (per causa delle terre per 
» indiviso tra la moglie mona Maddalena Bardi ed il Ban- 
n chi, aggiunte dal Guasconi suo marito a detto pode- 
»» re), cui a 1", 2' e 3® via, a 4' Bardo di Bartolo Corsi, 
» a 5* Mugnone, coft decima di scudi 3. 12. 8. La qual 
n metà passata nell' Albergotti alla decima del 1498, restò 
n dipoi confiscata e cancellata per . partito, degli nuziali 
n di decima del 21 ottobre 1530, e si dice data allo spe- 
n dale degP Ipnocenti, con più un pèzzo d' albereta sul Mu- 
n gnone in i:ifacimento di danni sofferti pBr Tassedio del 1529 
ti con condizione che ad utile pubblico vi si fabbricassero 
n le mulina nelle case di qua dalla vi)la. L' altra ihetà poi 
n del podere di Dante fu venduta ^dal suddetto Giugni a 
ft Donato di Bonifazio Pazzi (gonfalone del Lion d'oro); 
f e Francesca suo fratello lo rivendè poi per fiorini 560 
n d' oro allo spedale medesimo il 24 ottobre 1542 per ro- 
if gito di sér Zaccaria Minori, come per arroto* 1542 di 
n num. 118 Leon d' oro. n . 

Relativamente a questo possesso ài Dante aggiungerò 
che in una postilla dell' anuale Y della Società Colom- 
baria trovasi scritto : « Pjoco innanzi il 1739 il duca Sai- 
n viati acquistò una villa in Camerata, che dicevasi esser 
» quella di Dante, perchè fu comprata dapprima da un Por? 
» tinari. Quando il Salviatila comprò, apparteneva agli eredi 
n di Domenico Corsi, n 

La casa poi che fu di Dante in Firenze nel popolo di 
San Martino del Vescovo, riferisce il Pelli (pag. 20) che da 
messer Pietro giudice, e figlio di l>amte medesimo, fu la- 
sciata per testamento alla Compagnia della santissima Ver- 



?' 



CAPITOLO TERZO. 49 

ne d* Or' San Michele di Firenze, nel dì 21 febbraio 1344 
1364?), per rogito :di Ber Bancbino Speccliigiani ; e da 
èssfi Compagnia restò dopo venduta a Matteo di Jacopo 
Arrìi^lii nel 18 novembre 1365 per rogito di ser Domenico 
d* Allegro, ^ebme dagli spogli- di detta Compagnia a 31. 
Anco n l'Iaffei (negli Scrittori Veronesi) solV autorità d' un 
necrologio delle monaclie di San Micbele m Campagna di Ve- 
rona riporta : & 1364. Domlnus Petrus judex, fìlius quondam 
» Dàntis de AlegberilS) condidit testamentum Veronse pras- 
» sientibus inter alios domino Francisco judice,filio domini 
» ^landinis de^ Mafeis de Sancto. Benedicto : here^em fé- 
n cit Dantem (II) filium saum : legavit Societati Sanctas Ma- 
» rise .de Orto populi S. Mipbelis domum suam, positàin in 
» popolo S. Martini Episcopi de Florentia. » (Libro di te- 
stomenti delF archivio di quei Capitani,) 

Leonardo Bruni, dopo aver detto che gli AJighieri abi- 
tarono in sulla piazza dietvo a San Martino -del Vescovo, 
dirimpetto alla -via che. andava alle case Sacchetti, e che 
dair altra parte si stendevano verso le case de' Donati e 
de* Giuochi, aggiunge : «< Dante, innanzi la t^acòiata sua di 
» Firenze, contuttoché di grandissima ricchézza non fosse, 
n nientedimeno non" fu povero, ma ebbe patrimonio me- 
» dÌDcre e sufficiente al vivere onoratamente. Case in Fi- 
» renze ebbe assai decenti, congiunte con le case di Geri 
n dì mess'er Bello suo consorte ; possessioni in Camerata, 
» neila Piaggentkia e in Piano di Ripoli ; «uppellettile abbon- 
n dante ^ preziosa, v £ finalmente dice : « £ gli mostrai (a 
Leonardo 'Alighieri, nipote di Piero, venuto in Firenze 
poco dopo il 1400) le «ase di Dante e de' suoi antichi. » 

Che cesa pertanto deducesi .da questi autentici docu- 
menti e jda queste autorevoli testimo^anze^qui sopra ripor- 
tate ? Si deduce che non una sola, ma parecchie erano le 
case, degli Alighieri, poiché dalla piaz^tta di San, Martino 
si estendevano fino alla piazzetta de' Giuochi; ed> infatti da 
alcuni fu d^tto che «uU a piazza de' Giuochi rispondeva la 
Torre xsosi detta di Dante (la qUale potrebb' esser proba- 
bilmente quella* easa alta, che oggi' appartiene ai signori 
Campani). « La. casa di Dante (dice il Bandini, Lettere 
» fiesolanCy pag. 24) è quella posta sulla piazzetta di 
» Santa Margherita (o de' Giuochi), detta in oggi (nel 1775) 
n la* Tórre di Ù^ntt, e posseduta da* Padri domenicani 
» di Santa Maria Novella.» Il Lastri purè (O«wn?crfor^o - 
ventino f voi. VI, pag. 122): « Si chiama tuttora la Torve 
ft di Dante una casa posta sulla piazza .di Santa -Marghe- 
n ritit, già posseduta da^ Padri, domenicani di San Marco, 
Dakte. — Vita, V 



50 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

n a confine (dsk tergo) colla piazza de* Donati. 9 £ da al- 
cuni altresì td detto che una, casa degli Alighieri. rimaneva 
nella parrocchia di Santa Margherita, siccome infatti ridi 
io stesso in cèrti spogli, dei quali ho sventuratamente per- 
duta la copia che in parte ne feci. E veramcQte cdme po- 
trebbe sostenersi che agli Alighieri nobili e discretameùie 
ricchi, possessori di abitazioni assai decenti, « provvisti' di 
suj^cllettile abbondante e preziosa, siccome dice il Bruni; 
agli Alighìeriy che (come dica il Boccaccio.) aveano un^as- 
sai lieta fortuna, quantunque temperi 1! espressione aggìuii- 
gendo, lieta seconda la qualità tlel mondo che allora c(»rTeVa ; 
come potrebbe So^enersi che agli Alighieri non appartenesse 
altro che quella meschina casupola, sul. cui usciolo, proprio 
più di segrete che di palagio, fu posta T iscrizione : Jngve- 
sta casa degli AUghieti nacque il divino. Foeta? ìlsL.YT&n" 
Cesco Alighieri ebbe in pagamento 'una casa, che fu di 
Dante i Pietro Alighieri lasciò alla Compagnia d'Or' San Mi- 
chele una casa, che* fu di Dante ve i Padri domenicani pòs- 
sedeano sulla piazzetta de' Giuochi una casa, che fu di Dante. 
Or tutte queste case formavano una casa^ sola? E le case 
Alighieri nou aveaùo un orto, del quale uti fico davii nòia 
al parroco di San'^ Martino? £ non si jestendevano dalla 
piazzetta di San Martino a quella di Safita Margherita ? 
Dunque non solo piegavano a > sinistra fino alla piazzetta 
de' Griuochi, ma- si prolungavano anco a destra fin presso a 
quella piazzetta, che dicesi oggi de' Tavolini. * 

Avevano una possessione (dice il Bruni) in Pian di Bi- 
poli, e quantunque di questa non s' -abbia diretti riscontri^ 
pure uno indiretto se n' ha nel contratto del 1332*, ov* è 

detto Franfiiacus quondam Alegherii qui hedie moratur 

in populo plebis de' Eipolis, essendo da credersi che egli 
abitasse in casa di sua^ pertiuenza*. 

Avevano un pezzo di terra fn Firenze nel -popolo di 
Sant' Ambrogio, a cui era annesso prossimo un casolare. 

Avevano un podere nel popolo di ^an Miniato a Pagnolla 
Pagnolle, e più pezzi di terre posti intorno a detto podere. 

Avevano un altro podere (e guest' era il loro possesso 
più considerevole^ in Camerata. : Sul -quale essendosi • fatti 
più discorsi e più controversie, si rende necessario eh' io mi 
distenda alcun poco. Camerata è un^uogo prossimo a Pi- 
renze, neppure un miglio distante, dalla porta a Pinti per 
andare direttamente a Fiesole. Hawi pertanto chi vuole che 
questo^ podere sfa' quello detto delle Cure, chi quello dette 
il Villino cinese, appartenuta già ad un Pinzanti, chi quello 
che possiede oggi il BÌgpoe Ginntim (ed ui^qiieBto vuolii che 



" : CAPITOLO TERZO. 51 

tuttora sussistano gli avanci del palagio di Dante) ; e tutti 
s' ingegnano provarlo con congetture assai probabili e con 
documenti. Ora io dico che il podere di Dante non era al- 
tro che il complesso di questi tre poderi. L' 'equivoco e la 
questione nacque '4all* aver datò alla voce podere il signi- 
ficato che ha oggi, cioè ji' un' estensione di terreno lavo- 
rabile da una piccola famiglia colonica, mentre in antico 
aveva quello' di vasta possessione: che altrimenti dicevasi 
campOf o- pezzo di terra. Nel Du-Cange : an. 1195. PhiUp- 
pus..... dominua totìus poderia comitissce Matildia : an. 1292. 
Per Commune Parmce fuit. eia largita quarta para pode- 
'ria domini Jacobi ' Tàv^rnarii, il podere di Dante, era- po- 
sto nel popolo -di San .Matco Vècchio, 'ed in quello di 
San 'O^rvasio, od almeno con quello di San-Gervasio con- 
finava; ma da San Marco Vecchio a San Gervasio ha la 
distanza di circa un miglio: dunque il podere era esteso. 
Conteneva un palagio, o villa signorile, con orto murato in- 
tomo,.' case e abita^oni da laboratori: dunque era una pos- 
sessione considerevole. Fu venduto a brani, e dapprima ne 
fu venduta una terza parte : ^dunque il possesso era vasto, 
poiché un podere ordinario non potrebbe mettersi in parti, 
non dando allora il mezzo di vivere ad una famiglia, colonica. 
Ma si obietterà: Còme poteva esser tutto un possesso, quando 
partendo^' daUa Querce sonvi due strade che lo dividono, 
r una da levante^ a ponente, V altra da mezzogiorno a set- 
tejlitrione, e di esse non si fa p^ola negli antichi contrat- 
ti ? Bispondo che -cotesto strade in antico non esistevano : 
infatti quella da levante a ponente, che riesce "sul Mugno- 
ne, fu aperta non fan dieci anni; quella da mezzogiorno a 
settentrione, la quale conduce a San Domenico^ conservò 
per lungo tempo il nome di strada nuoya (cioè nuòvamente 
costrutta) ; mentre la vecchia è quella che esiste tuttora, e 
che costeggia il Mugnone fino aUa villa Palmieri. 

' Bispetta al possesso (secondo il Bruni) posto in Piacen- 
tina o Piaggentinà, eh' è un- luogo poco distante dalla porta 
alla Croce e prima di giungere a Varlungo, non si è .tro- 
vato finora alcivì documento. Ma poiché questo luogo Piag- 
gentinà estendevasi (secondo alcuni) fino alle odierne mura 
ai Firenze, e precisamente fino al torrione cx)n porta rimu- 
rata, che resta in fondo di via Ghibellina; cosi potrebbe 
credersi che la possessione della Piaggentinà non altro fosse, 
che i^pezzo di terra ^ e il casolare, che gli Ali^ieri ave- 
vano nel popolo di Sant' Ambrogio. 



52 VJTA DI DANTE ALIGHIERI. 



CAPITOLO QUARTO. 



Nascita, 'puerizia e gioventh di Dante, Suoi studii. Bru- 
netto Latini a'uó, maestro,' Suo innamoramento per Bea- 
trice, Contrae amicizia con' Guido Cavalcanti, Vino da 
Pistoia^ e Lapo Gianni, Guelfi e Ghibellini, Battaglia 
di Campaldino, e assedio di Caprona, a cui egli prese 
parte. Morte di Beatrice, 

[1266-1290.] ■ ' 



Da Aldighlero degli Aldighieri, di professione (siccome- di- 
cemmo) giureconsulto^ e da donna Bella, la quale non siap- 
p|amo a qual famiglia appartenesse, nacque Dante in Firenze 
verso la metà di maggio 1265.* Poiché i Guelfi dopo la scon- 
fitta di Montaperti non furono riammessi in patrid die nel 1266 
1267, è da dirsi che il padre Ji Dante o non fu tra» gli esiliati, 
fu riammesso prima degli altri, od anco può supporsi che 
donna Bella, divenuta gravida, venisse in Firenze a dare alla 
luce la sua prole. Errò dunque Leonardo Bruni} quando nell^ 
Vita di Dante disse «he egli nacqlie poco dopo la tornata dei 
Guelfi in Firenze, stali in esilio per la/sconfitta di Mgntaperti. 
Al battesimo che ricévè nel nostro antico tempio di San Gio- 
vanni, gli fu posto il nome di Durante;^ ma per T uso che 
aveva il popolo fiorentino d' accorciare e siribòpare quasiché 
tutti i nòmi^roprii, fu sempre da. ognuno chiamato DatUe ; 
ed egli pure amò chiamarsi cosi, siccome vadosi nelle poche 
lettere che di lui ci rimangono, e siccome ce ne assicura egli 
slesso nel canto XXX, v. 55 del Purg., facendosi dir da Beatrice : 

Dante, perchè Virgilio se ne vadd. 
Non pianger anco; 



CAPITOLO QUARTO. 53 

al che tosto soggiunge* (v. 62) : 

. .■^. . '. . . mi volsi al suon del nome mio, 
Che di necessità qui. si registra. 

Né suir essQT egli nato in Firenze può minlmaraento 
muoversi dul)biQ> inquantochè i suoi biografi sono in ciò 
tutti concordi^ ed egli jstesso in sei sopra undici delle suo 
epistole che ci rimangono chiamasi fiorentino ; ed an^o nel 
suo Poema (Farad, canto XXV^ v, 7) manifestando la speranza 
di potere un giorno ricever la corona d' alloro in Firenz.e, 
dice essere stato battezzato nella chièsa di San' Giovanni : 

Nel bello ovile, oy' io dormi' agnello 



Ritornerò poetÀ, ^à in sol fonte 
-^ Del mio- battesmò prenderò '1 cappèllo. 

E più esplicitamente ancora nel XXm^ v. 9i dell' Inferno : 

. • ./. . , Io fui 'nato e cresciuto 
, Sovra n bel fiume. d'Amo alla gran villa. 

Nel giorno in che Dante venne alla luce; il Sole trova- 
vasi ne/la cogtellaziohe de' Gemelli. Lo dice egli stesso nel 
canto XXn, V. HO del Paradiso : ' 

...... io vidi il s^gùo. 

Che segue 1 Tauro, e fui dentro da esso. 

gloriose stelle, q lume pregno 
Di gran virtù, dal quale io riconosco 
Tutto, qual che si sfa, 16 mio ingegno; 

Con voi nasceva 'e s' ascondeva vosco 
Quegli, eh' è padre d' ogni mortai luce, 
QuandVio senti' dapprima l'aer tosco. 

Dui che si lia non solamente; che la sua nascita avvenne (sic- 
com' ho detto)' verso la metà di maggio, poiché nel 1265 non 
essendo avvenuta nel calendario la correzione, che poi fu 
detta gregwiana, il Sole entrò ne' Gemelli (secondo che di- 
mostrano le tavole astronomiche) nel di U maggio.; ma si ha 



5i VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

pure che egli riteneva^ e il ritennero del parii suoi contempo- 
ranei^ esser lui nato sotto un favorevole influsso de' cieli. 
L' astrologia giudiziaria^ scienza superstiziosa e vana^ era in 
gran voga a quei tempi, e secondo i predicati di essa ritene- 
vasi, che V influsso del segno de* Gemelli predisponesse alla 
letteratura e alla scienza. Brunetto Latini, incontrato da 
Dante nell'Inferno, fra le varie parole f-he gli rivolge, usa 
anco queste (cantD XV, v. 25 e seg.) ì 

Se tu segui tua stella, 

Non puoi tallire a giorioso porto, 

Se ben m' accorai nella vita bella. 
E s' io non fossi si per tempo mòrto, 

Veggendo il cielo a te così benigno, 

Dato t' avrei àlL* opera conforto. 

È pertanto da credersi quello che si racconta, cioè che Bru- 
netto, osservando lo stato del cielo al momento della nascita 
di Dante, ne facesse V oròscopo, e prenunziasse com' egli sa- 
rebbe stato uomo di' grand' ingegno^ e dottrina; ed avrebbe 
conseguito fema ipimortale. E veramente in questo caso 
r evento corrispose appieno alla predizione, quantunque fon- 
data sopra indjzii di nessun valore. Anche le visioni (se fede 
potessero meritar i racconti di questa specie) concorsero ad 
annuniziare qual doveva riuscir il fanciullo, che doitna Bella 
portava nel seno. Narra il Boccaccio un sogno avuto dalla 
madre di Dante, non guari lontana al. tempo ael partorire : 
« Parea alla gentile donna nel suo sogno essere sotto un al- 
» tissimo alloro, posto sopra un verde prato, allato ad una 
» chiarissima fontC;» e quivi sì sentia partorire uno figliuolo ; 
» il quale in brevissimo tempo nutricandosi solo delle orbac- 
» che, le quali dello alloro cadevano^ e delle onde della 
» chiara fonte, le pareva che divenisse un pastore, e s' inge* 
» gnasse a suo potere d' avere delle frondi dello alloro. Il cui 
> frutto lo aveva nudrito : e a ciò sforzandosi, le pareà ve- 
^ derlo cadere, e nel rilevarsi non più Uomo, ma pavone il 
» vedea divenuto, i» . 



<JAPITOLO QUARTO. 55 

Poco sappiano della puerizia cU Dante; ma quantunque 
ci perdesse il genitore nel 127i o 1275, cioè quando aveva 9 
<i:'10 anni d' età, nientedimeno per cura della madre sua, ed 
oziandio è dà credersi per quella de' parenti e de' tutori, fu 
fatto ililigenteraìente educare ed istruire in ogni liberal disci- 
plina. « Nella puerizia sua (dice il.Bruni) nutrito libecalmen- 
» te, e datò a' precettori delle lettere, subito apparve in lui 

» ingegno grandissimo, e attissimo a cose eccellenti Con- 

» fortato da' propinqui, e da Brunetto Latini, valentissimo 
j^ uomo secondo quel tempo, noii solamente a lUteratum, ma 
» agli altri stiidn,'iiberali si 'diede, niente lasciando indietro 
j^ che appartenga a^far l' uomo ecoellente. Né per tutto questo 
» si racchiuse Jql ozio, né privossi dd secolo, ma vivendo e 
-» conversaaido eegH attri giovani di^ua età,, costumato ed ae- 
> jcorto e valoroso, ad ogni esercizio giovanile si trovava. » 
Ed il Boccaccio^ distendendèsi alquanto dì più, si esprime 
nella guisa seguente: € Lasciando stare della sua infanzia, 
T> nella quale assai stagni apparirono della futura gloria del 
» §uo ingegno, -dico che dal principio della sua puerizia, 
» avendo già li primi elementi delle lettere appresi, non se- 
» condo i xostunai de* nobili odierni si diede alle fanciulle- 
» sche lascivie, ed agli ozii, nel grembo della madre impi- 
» grendo, ma nella propria patria la sua puerizia con istudio 
» conXinovo diede alle liberali artico in quelle mirabilmente 
» divenne esperto. E créscendo insieme cogli anni l* animo 
» e f ingegno, non a' lucrativi studii, a' quali generalmente 
» correr oggi ciascuno, si dispose, ma ad una laudevole va- 
» glìQzza di perpetua fama : e sprezzando le transitorie ric- 
» chezre, liberamente si diede a volere aver piena notizia 
y> delle fizioni poetiche e dello artifiziosov dimostramento di 
» qt^cHe! Nel quale esercizio familiarissimo divenne di Virgi- 
» lio, di Orazio, di Ovidio, di Stazio e di ciascun altro poeta 
» famoso; e non solamente avendo caro il conoscerti, ma an- 
» Cora altamente cantando s' ingegno d' imitarli, come le sue 
» opere dimostrano. E avvedendosi le poetiche opere non 
» esser vane o semplici favole o maraviglie (come molti stolti 



&C VITA DI DANTE AUi&KIERI. 

> estimano)^ ma >sott0 se dolcissimi frutti di verità istoriografe 
» e filosofiche avere nascosi ; per Ir qual cosa pienamente 
» senza le istorie e la morale ^ la naturale filosofìa^ le poeti- 
» che invenzioni avere non si poteano Intere; partendo i 
». tempi debitamente, le istorie da sè^ e la filosofia sotto di- 
» versi dottori s' argomentò, non ^nza lungo afltono e stu- 
31 dio, d' apprendere. E prèso dalla dolcezza del conoscere il 
» vero delle cose racchiuse dai cielp, ne niun^ altra più cara 
» di questa trovandone in questa vita, kscianda dej 'tutto 
» ogni altra temporale sollecltudiney tutto ^ questa sola si 
» diede. E accioechè ninna parte di filosofia.non vista da lai 
» rimanesse, nelle profondità altissime della ieologia con acutft 

> ingegno si messe : né fu dalla intenzione lo effetto lontano, 
» perciocché non curando né caldi, liè freddi, né .vigilie, né 
» digiuni, né alcun altro corporale disagio3 con assiduo' stu- 
» dio pervenne a conoscere deHa divina essenza e defle al- 

> tre separate 'intelligenze quello, che per umanc^ ingegno 
» qui se ne può comprendei»e. E cosi come jn vaile etadi 
» varie scienze furono da lui conoscfule studiando, cosi in 
» varii studii sotto varii dottori le comprese. » 

Dunque le istorie (secondo il Boccaccio) le apprese da sé, 
e da sé, secondo che dice Dante stesso, apprese V arte del 
dire por rima. Nella Vila Nuova^ § JÌI : Conciofossecosaché io 
avessi veduto per me medesimo V arte del dire patole per rima, 
proposi di fare un sonetto. Le scienze naturali poi, pare che 
veramentè-le apprendesse (come riferisca il. Bruni) da Bru- 
netto Latini, il quale, secondo che vedesi più specialmente 
dal suo Tesoro, possedeva tutte quelle scientifiche cognizioni, 
che a quei tempi potevano, aversi ; ed il quale, secondo che si 
ha dalla storia, e secondo che dice Giovanni Villani (lib.' Vili, 
cap. 10) « fu gran filosofo, e sommo maestro in rettorica, 
» tanto in bene saper dire, come jn bene, dittare {bene seri- 
» vere),%<{i quegli che spuose la Rettoriga di Tullio, e fece 
}> il buono ed utile hbro àetto Tesoro, e il Tesor^Uo, e la 
* Chiave dei Tesoro, e più altri libri in filosofia; e do* vizii e 
» delle virtù; e fu dittatore {segretario) .del nostro Comu- 



CAPITOLO • QUARTO. 57 

» ne. Fu mondano uome^ ma <li lui avemo fetta mentione^ 
.ì perocché egli fu cominciatore e maestro in digrossare i 
» Fiorentini^ e farli scòrti in bene parlare^ e in saper gui- 
ì dare e reggere la nostra repubblica secondo la politica.' » 
£ ciàe il Latini fosse uno de' maestri di Dante non può 
affatXo mettersi in dubbio; poiché se' il Poeta neHa sua inal- 
terabile fermezza ai principii morali miselo neir Inferno tra 
coloro che peccarono contro "Batura, gli rese al tempo stesso 
una splendida testimonianza di gratitudine^ per essergli stato 
primo maestro o^uida neHa via del sapere. Si odano le sue 
parole (Inf., canto XV, v. 30 e seg.), e si noti quanto affetto 
da esse traspira : . . 

.... . Sipte voi qui, ser Brunetto? - - 
£ quegli : figliuol 'mio, non ti dispiaccia, 

Se Brunetto Latini i(n poco teco 

Bitoma indietro, e lascia andar la traccia. 
Io dissi lui-: Quanto posso ven preco*, 

E se volete che con vói m' asseggia, 
\^ Farol, se piace a costui; che vo seco. 

flgliuol mio (gli risponde Brunetto) non m' è dato soffermar- 
mi, però va'oltre : i' ti verrò a' panni ; — e Dante seguivalo, 

-, . . e '1 capo chino 

Tenea com' uom che reverente vada. — 

Ma qual fortuna li mena quaggiù ? domandagli Brunetta — 
Ed egli significatagliela, gli risponde il^maestro : • . 

èe tu segui tua stella, 

Nonpuot» fallire a glorioso porto. 

Se ben* m accorsi nella vita bella. 
E s' io non fo^i si per tempo morto, 

Veggendo il cielo a te cosi benigno, 

Dato t' avrei all' o{férà conforto. 
Ma queir ingrato popolo maligno,' 

Che discese da Fiesole ab antico, ' 

£ tiene ancor c(el monte e del macigno, 
Ti si farà, per tuo bea far, nemico. . 



53 VITA DI DANTE ALIGfflERI. 

E dopo alquante altre espressioni, riprende la parola Dante, e 
gii dice : - . 

Se fosse pieno tutto il mio dimando, 

....... voi non sareste ancora , ' 

• Dell'umana natura pósto in bando; 

Che in la mente m' è fitta, ed or m' accùora, 
La cara e buona immagine patema 
Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora 

M' insegnavate come 1' uom s'eterna: 
E quant' ro F abbo in grado, mentr' io. vivo, 
Convien che nella mia lingua si scerna. 

Or come queste parole ei dimostrano R tenero e filiale affetto 
di Dante per il Latini, tantoché ci fanno per un momento 
dimenticare eh' ei lo ha posto air Inferno, così ci danno chia- 
ramente a conoscere; che fu egli uno de\ primi suoi precet- 
tori. Ma quantunque il Latini possa essere statò il primo e 
principal maestro dì Dante, è da credersi che non fosse il 
solo. Se le tantef alluvioni de' Barbari, che dopo la caduta 
dell'impero romano inondaron V ItaHa tutta, vi 'soffocarono 
quasi ogni seme di civiltà, in Toscana peraltro iion spensero 
mai il sapere ;. e le lettere, le scienze e le arti libcrah eb- 
bero sempre qualche distinto coltivatore, vo' dire distinto 
quanto poteva comportare la rozzezza e la infelicità di 
quo' tempi.* Nel secolo XllI, in che nacque Dante, fiorirono 
nelle lettere e. nelle scienze^ oltre Brunetto Latini, Bona- 
giunta Urbicranr lucchese. Ricordano Malispini, fra Guittone 
d'Arezzo, Gino da Pistoia, Lapo Gianni, Guido Cavalcanti, 
fra Giordano da Rivalta, Dino Compagni,- Giovanni Villani, 
Francesco da Barberino ; e per essi il nostro volgare comin- 
ciò dalla bocca del popolo a passare nelle. scritture, distri- 
candosi, ripulendosi e ingentilendosi non poco. JVelle arti 
belle poi fiorirono, e si" resero celebri un Cimabue, un Arnol- 
fo ed un Giotto. Ond' è che Dante^ a far compiuta la sua 
educazione, coltivo eziai>dio le belle arti, e particolarmente 
il disegno, siccome attesta Leonardo Bruni dicendo che di 
sua^ mano egregiamente disegnava ; e siccome rilevasi da ciò 



. CAPITOLO QUARTO. 50 

che dice Dante stesso nella Vita Nuova, § XXXV, raccontando 
come neir anniversario della morte di Beatrice, ricordandosi 
di lei, si pose a disegnare un angelo sopra una tavoletta. £ 
veramente il modo con che nel canto XI del Purgatorio ri- 
corda ed encomia i celebri miniatori Oderigi da Gubbio e 
Franco bolognese, dà a conoscere eh' egli sentiva molto 
avanti in questa materia. Ed altra e più forte riprova n' è la 
grande amicizia, che fu tra* lui e il sommo Giotto, il quale lo 
ritrasse, tuttoché assai giovane, nella cappella del palagio del 
potestà*; ed egli (secondochò narrano Benvenuto da Imola 
nel suo Commento alla Divina Commedia,- PMrg, canto XI, e 
il Baldinucci nella Vita di Giotto, pag. 49) somministrò a lui 
alcuni disegni, perchè in Napoli li dipingesse. Non lasciò di 
applicare anco alla musica : difettossi (racconta il Bruni) di 
musica e di suoni; ed anco il Boccaccio dice, che nella sua 
gioventù si dilettò in suoni é in canti, e con ciascuno, che a 
que' tempi era ottimo cantatore e sonatore, fu amico ed ebbe 
sua iisanza. Quindi h sua conoscenza con quel Belacqua, 
egregio fabbricatore? di cetre,.- eh' egli nomina nel canto V, al 
V. 123 del Purgatorio. Né sembra improbabile, siccome opinasi, 
che a maestro di musica avesse quel Casella, il quale finge 
incontrare a pie del monte. del Purgatorio, e la cui armo- 
nio^ voce suonavagli.nell' animo sì dolcemente^ 

Che gli solea quetar tutte stie voglia. 

Era altresì valente calligrafo,, e ciò p attestato dal Bruni, il 
quale- dice : « Fu ancora Dante scrittore perfetto, ed era la 
» lettera sua magra e lunga e molto corretta, secondo io ho 
1 veduto in alcune epistole di sua propria mano scritte. > 
Ma se il Bruni ebbe la grata'sodisfazione d' aver sott' occhio 
il carattere di questo grand' uomo> l'edacità del- tempo e 
fors'anco T incuria degli uomini, T ha oggi tolta a noi, che 
sventuratamente non pendiamo di Dante neppure la firma.* 
U atto originale della pace fra^ Malaspina e il vescovo di 
Luni, ove leggevasi.la firma di Dante, dicesi che al principio 
di questo secx)lo si trovasse in Lunigiana presso jan discen- 



GO VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

dente di quella illustre famiglia ; ma i)gginon se ne sa più 
nulla. 

-Or tranne le scienze sacre^ alle quali . non applicò che 
alquanto appresso^ può dunque dirsi con sicurezza che Danti; 
apprese nella sua gioventù -tutto ciò^ che potea a' suoi 
tempi sapersi. Onde appare verissimo quello che disse Leo- 
nardo Bruni, ci9è che « per istudio di filosofia, di teologia, 
^ astrologia^ aritmetica e geometria, per lezione di storie, per 
^ rivoluzione. di molti e varii lihi:i> vigilando e sudando ne- 
» gli studii, acquistò la sciènza, la quale dot ev« ornare ed 
» esplicare co' suoi versi.' » 

Non avea che diciott' anni allorquando scrisse il suo pri- 
mo sonetto, che comincia ^ ^ 

A ciascun' alma presa e gentil cor^e *, 

e r occasione di esso, come di tutte le altre sue poesie gio- 
vanili, fu la seguente. Il primo <H maggio del 1274 Dante, 
non compiuti interamente nove anni, fu condotto dal padre 
in casa di Folco Portinai, cittadino de' più distinti -^e di 
molte facoltà provvisto,'' ad una di quelle fesìe,- che nella* 
primavera solevano allora 4 signori fiorentini dare ai. parenti 
e agli amici, quasi per solennizzare il ritorno della più bella 
e ridente fra le «tagioni.. Or quivi trovandosi s' imbattè in 
una piccola figlia di Folce, che confava, poco più d' otto anni 
d'età, e che chiamavasi Beatrice ; V immagine della quale, gen- 
tile e piacevole, gli s' accolse con tanto affetto nel cuore, che 
fin da quel giorno dee dirsi che incominciasse ad esser si- 
gnoreggiato dalla passione dl^ràore. Passati altri nove anni, 
la rivide in mezzo a due gentili donne, e, salutandola, ne fu 
da essa cortesemente risalutato. Di che prese tanta dolcezza, 
che ritrattosi nella sua camera a pensare di quella cortesia^ 
fu sopraggiunto da un soave sonno, ed in esso etJbe nna vi- 
sione. Svegliatosi, si propose di comporre un sonetto, ne! 
quale significasse ciò che gli era parso vedere, e d' indiriz- 
zarlo, ai fedeli d'Amore, perchè gli- dessero risposta in pro- 
posilo. 



CAPITOLO QUARTO. 6i 

Intorno questo innamoramento di Dante per Beatrice ò 
bene ascoltare quel, che lasciò scritto il Boccaccio nella vita 
di lui : « Nel tempo nel quale la dolcezza del cielo riveste di 
» suoi ornamenti la terra, e tutta per la varietà de' fiori, 
» mescolali tra le verdi frondi, la fa ridente; era usanza 
s^ nella nostra città e degli uomini e. delle donne nelle loro 
» contrade, ciascuno in distìnte compagnie, festeggiare.* Per 
)> la qual cosa, infra gli altri, per avventura Folco Portinari, 
» uomo assai orrevole in quei tempi tra' cittadini, il primo 
» di di maggio aveva i* ciroustanti vicini raccolti nella pro- 
» pria casa a festeggiare'; infra li quali era il sopradetto Ali- 
» ghieri, il quale, siccome i fanciulli piccioli, e spezialmente 
» a' luoghi festevoli, sogliono li padri seguitare. Dante, il cui 
» nono anno non era ancora finito, seguitato aveva. Avvenne 
» che quivi mescolate tra gli altri delia sua etade, de' quali 
» cosi macchi come femmine erano molti nella casa del fe- 
y> steggiante, servite le prime mense^ di ciò che la sua pic- 
» cola età poteva operare puerilmenter si diede con gli altri 
» a trastullare. Era infra la turba de' giovanetti una figliuola 
* del sopradetto Folco, il cui nome era Bice (eomecchè egli 
» sempre dal suo primitivo nome, cioè Beatrice, la nomi- 
la, nasse), la cui età era forse d' otto anni;' assai leggiadretta 
» e bella secondo la sua fanciullezza, e ne' suoi atti gentile- 
» sca e piacevole molto, con costumi e con parole assai pHi 
» gravi e. modeste, che '1 suo picciola tempo non richiede- 
» va : e oltre a questo aveva le fattezze del volto dilicate 
» molto e ottrmaipentiB disposte, e piene, oltre alla bellezza, 
)> di tanta oneèta vaghezza, che quasi un' angiolelta' era re- 
» putata da moki. Costei adunque t^le quale io la disegno, o 
» forse assai più bella, apparve in questa festa, non credo 
» primamente, ma prima possente ad innamorare gli occhi 
» del nostro Danta : il. quale ancoraché fanciiillo fosse», con 
i» tanta affezione la bella immagine di lei ricevette nel cuore, 
» che da quel giorno innanzi mai, mentrechè visse> non se 
» ne diparti. Quale ora questa si fosse niuno il sa, ma o con- 
» fonnità di complessione o di costami, o speziale influenza 



62 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» del cielo che in ciò operasse, o siccome noi per isperienza 
» veggiamo nelle feste^ per la dolcezza de' suoni^ per la ge- 
» nerale allegrezza, per la delicatezza de* cibi e de' vini, gli 
» animi eziandio degli uomini maturi, non che de* giovinetti, 
» -ampliarsi e divenir"att| a poter leggiermente esser presi da 
» qualunque cosa che piace, è certo questo esserne divenu- 
» to, cioè Dante nella, sua pargoletta età -d;* amore ferventi** 
» Simo servidore. Ma lasciando stare de- puerili accidenti, dico 
» che con r etàmultiplicsirono le amorose jSarame in tanto, 
)> che niun' altra cosa gli 'era piacere, riposo, o conforto, se 
s> non il vedere costei. Per la qual'cosa ogni altro affare la- 
» sciandone, sollecitissimo. andava là, dovunque potea cre- 

> dere vederla, quasi del viso e d^gli occhi di lei dovesse 
» attignere ogni, suo- b^ue e^ intera xìonsolaziòne. » 

Che Dante s' innamorasse di Beatrice è attestato non solo 
dal Boccaccio, nja pur anco dall' apatico commentatore chia- 
mato r Ottimo. : il quale nel proemio al i^anto XXX del Pur- 
gatorio dice : « Laicamente ai potrebbono sporre a lettera le 
» parole di Beatrice, prendendo lei per quella madonna Bea- 
» trice, che egli (Dante) amò. con pura benivolenza. » E 
chiosando il v 121 : « Dice qui Beatrice in riprensione di 
» Dante, che declinando.r Autore a lascivia e vanitade, ella 
» il sostenne per alcun tempo con la bellezza dei volto suo, 
» conducendolo in parte diritta e vfftuosa. E questa lettera 
» ha due sposizioni: Tuna puoi riferire, eh' egli parli di Bea- 
» trice in quanto ella Ju tra', mortali corporalmente, che 
» aveano tanta forza le sue bellezze su Dante, che toglievano 
» da lui ogni malo pensiero, e inducévano e cercavano ogni 
» pensiero buono;.... l' altra è dà riferire a spirito ed intel- 

> letto. > Anche Leonardo Bruni, quantunque non nomini 
espressamente Beatrice, pure attesta che l'Alighieri «fu usante 
» in giovinezza sua con giovani innamorati, ed egli ancora di 
» simJle passione occupato, non per libidine, ma per gentilezza 

> di cuore; e ne^ suoi- teneri anni versi d' amore a scrivere 

> cominciò, come si può vedere in. una sua operetta volgare> 
» che si chiama la Vita Nuova, > Esiwressamente poi la no- 



CAPITOLO QUARTO. C3 

mina Filippo Villani, il quale così dice (pag. 10-11) : a Is, duni 
» juveHis admodu/n duki usu patrise frueretur, Beatricis, cui 
> morosità te florentiiwe faceiise Bice dicebatur, amore castis- 
» Simo, qui in ipso puerJtise limine coeperat, ardentissimo 
» tencretur, in (*iu9 honorem nmltas vulgares composuit can- 
» tiU^nas. » Quello stesso cbe dell' innamoramento di Dante 
l^eonta il Boccaccio, e qufil eh' ei dice della Portiiiari, è 
TtccoDtato pure da Giannozzo Manetti (pàg„ 1!2-13). E se vor- 
rassi dire che quésti non fece che ricopiare il certaldése, 
non sarà men vero, che al certaldese prestasse in ciò fede 
intera. Il medesimo è a dirsi di Benvenuto .da Imola, il quale 
parlando della Portinari, tìon la dice già un simbolo, ma una 
fanciulla mircB pulchriludinis, et majeris hónestatis. 

Ma più delle testimonianze de' suoi biografi non valgono 
forse le dichiarazioni di Dante medesimo ? Egli è pertanto 
necessario vederle, non solo perchè attenenti a questo su- 
biétto, ma più specialmente perchè spargono- molta luce in- 
torno un punto assai controverso della vita del Poeta, essen- 
dosi da taluni tacciato di romanzierg il Boccaccio, il quale 
disse Beatrice essere stata la figha di -Folco Portinari, e non 
già un ente intellettuale e simbolico, siccome da costoro sì 
credè, e si pretese eziandio dovesse esser creduto dagH altri; 
nonostantechè in tanti luoghi delle sue opere V abbia Danto 
stesso qualificata per donna in carne e in ossa, e ia dicesse 
eziandio figliuola d' ìiomo mortale. Ma su cosiffatta questione, 
che fu dapprima promossa dal mendace Giovan Mario Filelfo, 
sarebbe affatto inutile ch'io mi trattenessi, poiché come 
ne' capitoli II e IH della dissertazione premessa al. Canzo- 
niere ho fetlo minutaniente la storia degli amori di Dante, 
cosi in quella premessa alla Vita Nuova ho trattato a lungo 
questa particolare questione, e parmi aver dimostrato all' evi- 
denza che Beatrice fu donna vera e reale, quantunque Dan- 
te, a continuarle il suo affetto eziandio che mòrta fosse, ne 
fumasse nel Ckmvito il simbolo della filosofia, e nella Divina 
Commedia quello della teologia. 

Adunque tornando al subietto, dico che nel libretto della 



e l VITA DI DANTE- ALlGinERl. 

Vita Nuova, cb' è una storia de' suof giovenili amorr con 
Beatrice^ e che Dante scrìsse ncir età di 27 ajinì^ cioè due 
unni dopo la morte della sua amàta^ rabconta la pripia ori- 
gine del suo amore nella guisa seguente : « Nove fiate già 
» appresso al mio nascimento fera tornato lo cielo della luce 
» (la sfera . del Sole) quasi ad un medesimo punto^ quanto 
» alla sua propria girazione, quando alli miei occhi apparvi) ^. 
y» prima la gloriosa .donna della mia mente^ la quale fu ék 
y> molti chiamata Beatrice^ i quali non sapeano dte si chia- 
» mare. Ella era -già in questa vita stata tan.to che nel suo 
» tempo lo ciclo stellato era mosso verso la parte d' oriente 
y> delle dodici parti V una d' un grado (cioè, la-parie dodice- 
)) sima d* un secolo) ; si che. quasi 4al principio del suo anno 
» nono apparve a me, ed io la vidi quasi alla fine del mio 
» nono anno. Ella apparvemi vestita di nobilissimo colore, 
» umile ed onesto, sanguigno, cinta ed ornata alla guisa che 
» alla sua giovanissima etade si convenia. In quel punto dico 
3> veracemente che io spirito delia vita, lo quale dimoila nella 
» segretissima camera^del cugre, cominciò a tremare si for- 
» temente che apparia ne' menomi polsi orribilmente ; e tre- 
> mando disse queste parole : Ecce Deus fortior me, qui w- 
j> niens dominaWur milii. In quel punto Jo spirito animale, 
» il quale dimora neir alla- camera, nella q^uale tutti li spiriti 
» sensitivi portano le loro percezioni, si cominciò a maravi- 
» gliare molto, e parlando spezialmente allo spirito del viso, 
» disse queste parole: Apparuitjam b^atiludo vehtraAn quel 
» punto lo spirito naturale, 11 quale dimora in --quella parte 
» ove si ministra lo nutrimento nostro, cominciò a piangere, 
» e piangendo disse queste parole : Ueu miser I quia frequen- 
» ter impediius ero deinceps, D* allora ihnanzi dico clie Amo- 
» re signoreggiò l'anima mia, la quale fu si .tosto a lui di- 
» sposata, e cominciò, a prendere sopra me tanta sicurtade 
* e tanta signoria, per la virtù che gli jdava la mia inwnagi- 
» nazione, che mi convenia fare compiutamente tutti i suoi 
» piaceri. » 

E dopo aver raccontato altre particolarità di questa sua 



CAPITOLO' QUARTO. 65 

passione, la quale pur tuttavia era di si nobile virtù, che 
nulla volta sofferse che Amòre lo reggesse senza il fedel con- 
siglio della ragione, prosegue la sua narrazione dicendo: 
I Poiché furono passati tanti di, che appunto erano compiuti 
ì li nove anni appresso V apparimento soprascritto di questa 
» gentilissima, nell* ultimo di questi dì avvenne, che questa 
^mirabile dojnna apparve * me vestita di colore bianchis- 
l^-simo^in mezzo di due gentili donne, le quali erano di più 

> lunga etade, e, passando per una via, volse gli occhi verso 
» quella parte, ov' io era molto, pauroso ; e per la sua inefTa- 
» bile* cortesia, la quale è ora meritata nel grande secolo, 
» {rimeiitata nell' altro mondo) mi salutò virtuosamente 
» 4anto, che mi parve allora vedere tutti i termini della 

» beatitudine E perocché quella fu la prima volta che 

» le sue parole vennero a' miei orecchi, presi tanta dolcez- 
» za, che come inebriato mi partii dalle genti. E ricorso al 
» solingo luogo d' una mia camera, puosimi a pensare di 
» questa cortesissima ; e pensando di lei, mi sopraggiunse un 
» soave sonno, nel quale m' apparve una mirabil visione 

> E pensando io a ciò che m' era apparito, proposi di farlo 
» sentire a molti^ i quali erano famosi trovatori in quel tem- 

> pò, E proposi di fare un sonetto. » 

Dunque il raccónto, che il Boccaccio' fa dell' innamora- 
mento di Dante a nove anni, è pur troppo vero, perchè 
basato sulla confessione di Dante stesso. Né si creda che a 
provare la verità di questo fatto, abbiasi solo il passo ora ri- 
portato della Vita Nuova, essendoché per altre due evolte se 
ne trova nel suo Canzoniere la conferma. Nella canzone che 
incomincia. £' w' incresce dime, nella quale parlando allo 
giovani donne, fa Dante lamento della durezza della donna 
sua,. dopo aver descritto melanconicamente gli effetti della 
sua passione non punto corrisposta, o per lo meno non cor- 
risposta secondo i suoi desiderii, ripete la storia dell' origine 
del suo innamoramento con queste parole : 

Lo giorno, che costei nel mondo venne, 

Secondo che si trova 
Daktb. — V.ta. 5 



co VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Nel libro della mente che vien meno, (nella me-, 

moria) 
La mia persona parvola {di nove anni) sostenne 
Una passì'on nova, 
Tal eh* io rimasi di paura pieno: 
Ch' a tutte mie virtù fu posto' un freno 
Subitamente sì, eh' io caddi in terra 
Per una voce, che nel cor percosse. {Ecce Déuà 

fortior me, qui venienà dominabitur mih%), 
E, sd '1 libro {la memoria) non erra, 
Lo spirito maggior tremò si forte, {lo spirito na' 

turale,,, cominciò a piangere, e piangendo 

disse: Heu miser!) 
Che parve ben, che morte 
Per lui in questo mondo giunta fosse. 

Gino da Pistoia diresse a Dante un sonetto^ che comincia 

Dante, quando per caso s*abl)andona 
n desio amoroso della speme, 

nel quale gli domanda 'se quando neir uomo vien meno un 
amore, ei può passare ad un altro.' E Dante risponde al- 
l' amico parimente con un sonetto/ la cui prima quartina 
dice cosi : 

Io sono stato con Amore insieme 
Dalla circolazion del Sol mia nona, 
E so com' egli affrena e come sprona, 
E come Sotto lui si ride ^ geme. 

Ecco dunque anco qui ripetuto dall'Alighieri d'essersi in- 
namorato ftn dal suo nono anno (dalla circolazion del Sol 
mia nona). Ora, dopo tutte le testimonianze de* suoi biografi, 
e dopo le ripetute dichiarazioni di Dante stesso, come po- 
trebbe dubitarsene ? 

Quel primo sonetto che Dante scrisse, e che più sopra ho 
detto cominciare 

A cia&cun*alma presa e gentil core 



•CAWTOLO QUARTO. 67 

fu per lui r occasiona di fare, amicizia con alcuni distinti 
^ti suoi ccmtemporanei> come Guidò Cavalcanti^ Gino da 
Pistoia^ Lapo Gianni, non volendo annoverare fra questi il 
plebeo maianese. Gino ^a Pistoia gli rispose col sonetto che 
comincia 

J^ataralmenté chere ogni amadore. 

GII rispose anco Guido Cavalcanti, ed ecco come ciò rac- 
conta Dante medesimo (Vita I^uova, § HI): « A questo so- 
li netto fu risposto da molti, é di diverse sentenzie, tra li 
I quali fu risponditore quegli, cui io chiamo primo de' miei 
» amici {Guido Cavalcanti), e disse allora un sonetto, lo 
» quale dice ... 

» Vedesti al mio parere -t)gni valore. 

> E questo fu quasi il principio dell'amistà tra lui e me, 
» quando, egli seppe che io* era quegli, che gh avea ciò 
» mandato. » 

L'amicizia ch'egh contrasse più- particolarmente con 
Guido Cavalcanti e con Gino 'da Pistoia, non venne in 
Dante mai meno. Al prinTo di essi, che fu poeta e filosofo, 
ed assai stimato da' suoi contemporanei, diresse Dante il 
suo libretto della Vita iVwora, siccome appare dalle parole 
seguenti, § XXXI ! « Conciossiachè le parole, che seguitano 
» a quelle che sono* allegate, sienò tutte latine, sarebbe 

> fuori del mio intendimento se io le scrivessi; e simile, 
» intenzione so che ebbe questo mio amico, a cui ciò scri- 
» vo, cioè eh' io gli scrivessi solamente in volgare. » Il 
modo poi onorevole, con che lo ricorda nel canto X, v. 58 
dell' Inferno, facendosi dire- dal padre di lui Cavalcante : 

....... Se per questo cieco 

Carcere vai per altezza d* ingegno, 
Mio figlio ov' è ? e perchè non è teco ? 

dà a divedere eh' ei lo teneva non solo come amico e compagno 
indivisibile, ma altresì pari a sé hell' altezza dell' ingegno. 



68 VITA DI DANTE ALICmERI. 

A Gino da Pistoia, che fu gentile poeta e dotto giure- 
consulto, diresse varii sonetti, come può vedersi nel suo 
Canzoniere, e delle lettere ch'ei gfi scrisse ne resta una 
anc* oggi. Inoltre nel Volgqre Eloquio citando le canzoni di 
lui ad esempio delle sue teoriche, lo nomina più volte suo 
amico. 

Dcir amicizia con Lapo Gianni, che fu per que' tempi 
poeta non ispregevole, ed era di professione notaio, è atte- 
stai dal seguente sonetto, indiritto dal nostro Poeta a Guido 
Cavalcanti : . 

Guido, vorrei che tu e Lapo ed io* 
Fossimo presi per incantamento, 
E messi ad un vascel, eh' ad ogni vento 
Per mare andasse a voler vostro e mio; 

Sicché fortuna, od altro tempo rio 
- ' Non ci potesse dare impedimento. 
Anzi, vivendo sempre in un talento, 
Di stare insieme crescesse il disio. 

E monna Vanna e monna B:ce poi. 
Con quella eh' è sul nuiréro del trenta. 
Con noi ponesse il buono incai^tatore : 

E quivi ragionar sempre d' amore : 
E ciascuna di lor fosse contenta. 
Siccome io credo che spiriamo noi. 

E che egU fosse terzo compagno fra Dante e Guido,^ è at- 
testato pure da un sonetto del Cavalcanti indiritto al no- 
stro Poeta, e di cui la prima quartina è la seguente : 

Se vedi Amore, assai ti prego. Dante, 
In parte là, 've Lapo sia presente. 
Che non ti gravi dispor si la mente. 
Che mi riscrivi s' ei lo chiami amante. 

Dante poi nel lib. I, cap. 13 del Volgare Eloquio fra coloro 
che a suo giudicio conobbero la eccellenza del linguaggio 
volgare, pone, nqn solamente Guido Cavalcanti- e Gino da 
Pistoia^ ma altresì Lapo Gianni. 



CAPITOLO QUARTO. 69 

Lo Studio delle lettere^ delle scienze *® e delle arti belle, 
it pensiero affettuoso per la sua donna, la coltivazione delle 
amicizie contratte cogli uomini più stimabili del suo tempo, 
furon pertanto le occupazioni principali di Dante nella sua 
gioventù. « Ed era mirabil cosa (dice Leonardo Bruni) che 

> studiando continuamente, a ninna persona sarebbe pa- 
» ruto che egli studiasse, per V usanza lieta e conversazion 

> giovanile. Per la qual cosa mi giova riprender V errore 
» di molti ignoranti, i quali credono niuno essere studian- 

> te, se pon quelli che si nascondono in solitudine ed in 
) ozio : e io non vidi mai niuno di questi camuffati, e ri- 
» mossi dalla conversazione degli uomini, che sapesse tre 
» lettere. V ingegno alto e grande non ha bisogno di tali 
» tormenti, anzi è verissima conclusione e certissima, che 
» quelli che non apparano tosto, non apparano mai : sic- 
» che stranarsi dalla . conversazione è al tutto di quelli, che 
» niente son atti col loro basso ingegno ad imprendere. ^ 

Adunque Dante, mentre dava òpera indefessa agli studii, 
conversava costumato ed accorto con gli altri giovani di 
sua età, e nato essendo sotto un libero reggimento, non 
trascurava i doveri xhe come a cittadino gì* incombevano : 
ond'è (come dice il biografo ora citato) che valoroso e 
destro ad ogni esercizio giovanile^ si trovava, in tantoché 
in quella battaglia memorabile e grandissima, che fu a Cam- 
paldino, lui giovane e bene stimato nel!' armi si trovò com- 
battendo vigorosamente a cavallo nella* prima schiera. 

Dopo là morte della contessa Matilde, che tanta parta 
d'Italia ebbe. al suq nlominio, i Comuni di Toscana, svin- 
colandosi sempre più dalla soggezione degr imperatori, o di 
chi teneane le veci, poterono meglio ordinarsi, e fermare 
sopra più solide basi la lor libertà. Dall'anno IH 5, in che 
avvenne la morte di. quella celebre donna, fino al 1215, in 
che fu ucciso il Buondefmonti, cioè per la durata d' un in- 
tero secolo, la repubblica di Firenze, tranne alcune guer- 
riccluole coHe repubbliche confinanti, e tranne quelle che 
più di frequente faceva ai signorotti del suo territorio, ai 



70 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

quali, distruggendo a mano a mano i castelli, imponeva di 
venire ad abitare nella città> era-stata in pace ed in quiete, 
ed era pervenuta ad alto grado di prosperità. Dico ch'era 
stata in pace, poiché né i Fiorentini, né altri popoli di 
Toscana, av^an preso parte alla celebre lega lombarda 
del 1167; e quantunque TU novembre- del 1197 «i for- 
masse la prima lega, guelfa toscana -fra le città di Firenze, 
Lucca, Siena, Volterra, Prato, San Miniato, cui nell'anno 
appresso aderirono altre ; lega che fu giurata nella chiesa 
di San Cristofano nel Porgo di Sait Genesi©,^* e che avea 
per iscopo di premunirsi contro le temute offese dei suc- 
cessori dei Barbarossa; puró^ questa lega era rimasta per 
lungo tempo allo stato di semplice convenzione, non avendo 
mai avuto luogo di tradursi in atto. 

Le vere e prijprié fazioni dei Guelfi^e dei Ghibellini non 
avcano ancora posto piede in Toscana, potete, quantunque 
Firenze e Siena si fossero ^più voltfe e lungamente guerreg- 
giate, né r una avealo fatto perchè devota.alla parte della 
Chiesa, né l'altra alla part^ dell'Impero, ma si per accre- 
scere i proprii dominii, e per gelosia vicendevole di poten- 
za. Così del pari, quantunque nel 1177 i potentissimi liberti 
avessero acceso nella città una fiera discordia, la quale 
peraltro rimase dopo alcun tempo sedata, non aveano avuto 
per iscopo d'inalzare una fazione, di che. quasi non cono- 
sceasi per anco il nome, ma solo di aver parte nel governo 
della repubblica. 

Nel 1215 la città (secondoché usavasi da molti anni) 
reggevasi a consoli, ch'eran due o tre, e ad amministrar 
la giustizia era stato preposto fino dal 1207 il potestà, il 
quale non dovea esser fiorentmo, perché (come dice l'Am- 
mirato) non avendo, un forestiero nella città affetto d'ami- 
cizia di parentado, più dirittamente giudicasse. « Negli 
» anni di Cristo 1215 (racconta il Villani, lib. V, cap. 38), 
» essenda podestà di Firenze méssef . Gherardo . Orlandi, 
» avendo uno messer Buondelmonte de' Buondèlmonti, no- 
> bile cittadino di Firenze, promesso tórre" per moglie una 



CAPITOLO QUARTO. 71 

» donzella M casa gli Amideì^ onorevoli e nobili cittadini^ 
» e poi cavalcando per la città il detto messer Buondel- 
» monte (ch'era molto leggiadro e bello cavaliere) una 
]» donna di casa i Donati il chiamò biasimandolo della donna 
» ch'egli avea promessa, come non era bella né sofficente 
» a lui, e dicendo : Io v* avea guardato questa mia figliuo- 
)^ la : la quale gli mostrò, ed era bellissima. Incontanente 
y^ per subsidio diaboli preso di lei, la promise e isposò a 
» moglie. Per la qual cosa i parenti della prima donna 
)» promessa raigiati insieme, e dogliendosi di ciò che messer 
» Buondelmonte aveva loro fatto di vergogna, si presono 
» il maladetto sdegno, onde la città di Firenze fu guasta e 
» partita: che -di più casati de* nobili si congiuraro insieme 
» di fare vergogna al detto messer Buondelmonte, per ven- 
)> detta di quella ingiuria. E stando tra }oro a consiglio in 
)> che modo il dovessero offendere, o di batterlo o di fe- 
» dirlo, il Mosca de' Lamberti disse la mala parola. Cosa fatta 
» capo ha, cioè che fosse morto; e cosi fu fatto." Che la 
» mattina di Pasqua di Risurresso si raunaro in casa gli 
» Amidei da San Stefano, e vegnendo d' oltrarno il detto 
* messer Buondelmonte, vestito nobilmente di nuovo di 
» roba tutta bianca, e in su uno palafréno bianco, giu- 
-% gnendo a pie del Ponte vecchio dal lato di qua, appunto 
» appiè del pilastro ov' era la insegna di Marte, il detto 
» messer Buondelmonte fu atterrato del cavallo per lo 
» Schiatta degli liberti, e per lo Mosca Lamberti e Lam- 
» bertuccio degli Amidei assalito e fedito, e per Oderigo 
» Fifanti gli furono segate le vene e tratto a fine : ed eb- 
» bevi con loro uno de' conti da Gangalandi.*' Per la qual 
» cosa la città corse ad arme e romore ; e questa morte di 
» messer Buondelmonte fu la cagione e cominciamento 

» delle maladette parti guelfa e ghibellina in Firenze 

» tutti i legnaggi de' nobili e altri cittadini di Firenze se 
» ne partirò, e chi tenne co* Buondelmonti che presono la 
» parte guelfa e furonne capo, e chi con gli Uberti che 
» furono capo de' Ghibellini : onde alla nostra città seguì 



72 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» molto di male e ruina^ come innanzi si ùAmbazìoIic, 
» e mai non si crede che abbia fine^ se4ddlàtìd termi- 
» na.^^ 1^ Dopo di che enumera il Villani le case che si po- 
serò dall'una, e. quelle che si posero dall'altra parte/ tan- 
toché la città fu propriamente divisa in due campi nemici, 
essendoché di' settantadue^ famiglie (dice l'Ammirato) che 
in quel tempo si conta essere state a Firenze di qualche 
fama/ le trentanove divennero guelfe^ e- il rimanente ghi- 
belline. 

A sopire f)er un momento quìjsti feroci odii d^^- parte 
sopraggiunse nel 1222 la guerra con tra. Pisa, e poi le lun- 
ghe e replicate guerre contro Siena ; ma il fuoco, se non 
apertamente mostravasi, non era spento. « Federigo II (rac- 
» conta l'Ammirato), sapendo in Firenze esser, vi ve le in- 
» clinazioni non più verso la Chiesa, che in favor dell* im- 
» pero, pensò che quand' egU porgesse aiuto alla fazion sua, 
)^ facilmente sarebbe a' Ghibellini riuscito di discacciare i 
» Guelfi loro avversarli, e così per conseguente poter aver 
y> quella città tutta a sua devozione. Per questo fece con 
» caldissime lettere e con solleciti messi intendere tilla fa-^ 
» miglia degli liberti, la .quale era capo e quasi principe 
» della parte ghibellina, che era il tempo di potersi appieno 
» vendicarle dei loro nemici, perciocché egli era per pre- 
» starle ogni aiuto e favore, qiiando ella si disponesse a . 
» saper conoscere il beneficio biella fortuna. Nò a ciò fu di 
y> molti conforti mestiere, perocché trovando per la morte 
» di Buondelmonte gli animi acconci a ricevere il cattivo 
» seme, non tardò molto a nascerne^ V amaro frutto della 
» civile discordia, la quale grandemente afflisse (l'anno 1247) 
y> la città di Firenze. Perché ogni altro, studio lasciato da 
» parte, si corse di nuovo all'arme, alle violenze, agl'in- 
» condii, alle rapina e a tutti que' mali, de' quali maggiori 
» non si possono aspettare da barbari nemici, combatten- 
» dosi la città in tutti i sei sesti con odio acerbissimo di 
» giorno e di. notte, talché parca. una immagine di sei campi 
3r che contendessero insieme. » 



CAPITOLO QUARTO. 73 

Fedeciga^ Tedendo cbc le cose procedeano secondo i 
suoi de»deiiij. ma pur conóscendo che le forze .dell' un 
partito e dell'altro si bilanciavano,. perchè -finalmente trion- 
fasse la parte sua, mandò nel I2i8 in Firenze Federigo 
principe d'Mtiochia, suo figliuolo 'naturale cori 1600 cava- 
lieri tedeschi. Con questo potente aiuto poterpno i Ghibel- 
lini nel primo febbraio 1249 -cacciare affatto dalla città i 
Guelfi, L quali si ridussero parte nel castello di Montevar- 
chi, parte in quello di Capraia e in altri luoghi vicini. 

Io uon S4;rivo la storia di quei tempi infelici, ma trac- 
cio un breve sunto storico delle vicende . di queste due fu- 
ribonde' fazioni per riuscire al fatto, che ha relazione colla 
vita di Dante, vale a dire alte battaglia di Campaldino. 
Non dirò dunque come i GhibeHini, rimasti padroni della 
città, quasiché non distrùggessero la propria patria, rovi- 
narono, da' fondamenti e case e torri o jialagii de' Guelfi, 
tra' quali quello magnifico de' Tosinghi, eh' era uno stupore 
a vederlo, o che per antonomasia veniva chiamato il Pala- 
gio. Non dirò come e Guelfi e Ghibellini si facessero aspra 
guerra ne* varii castelli della provincia, né come 1* impera- 
tore, venuto poco appresso in Toscana, si recasse seco in 
Pugda i prigionieri di Capraia (ed erano i più notevoli 
fra' Guelfi), e colà li facesse in parte accecare, in parte 
gettar in mare. Sventure, e gravi sventure italiane io 
racconterei, che sarebbero d* ammaestraménto a coloro che 
vivono, e dalle quali apprenderebbero, che le discordie e le 
fazioni rovinano gli Stati, e partoriscono a' popoli la servi- 
tù," Ma non è- questo il mio assunto. 

Non si contentarono i Ghibellini di sfogare il loro odio 
contro i Guelfi grandi e nobili, ma per la vittoria montati 
in orgoglio, cominciarono a diportarsi superbamente verso 
il popolo e la gente minuta. Onde il popolo, stanco delle 
ingiurie che riceveva e delle gravezze a cui veniva sottopo- 
sto, si levò a roraore; e, fatto massa alle case degli Anchioni 
da San Lorenzo eh' erano molto forti, il 20 ottobre del 1250 
depose il potestà, eleggendo in suo luogo un capitano del 



74 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

popolo^ che fu Uberto Rosso da Lucea^ a fia^gp del quale 
pose dodici anziani, due per sestiere. E rimossi ..del pari i 
vecchi magistrati, creò in loro vece trentasei cittadini, che 
chiamò caporali.. Ed essendo poco appresso, cioè nel 13 di- 
cembre 1250, morto Federigo II, fatto il popolo più anìnoso 
ne' suoi divisamene!, il 7 gennaio 1251 richianìò in patria i 
profughi guelfi. Gli anziani peraltro, prima tjhe rientrasse^ 
ro, ebbero cura di pacificarli coi Ghibellini : onde il loro 
ritorno fu senza tumulti e senza, sangue. Dopo pochi mesi 
sentendosi come Corrado IV si preparava^. scendere in 
Italia per ricuperai:e (com* ei diceva) il regno paterno oc- 
cupatogH da Manfredi suo. fratello bastardo, pensò il popolo 
fiorentino, che ad afforzarsi contro questo evejrto sarebbe 
stato oppwtuno il rimettere i Guelfi pure in Pistoia, donde 
già, come da altri paesi ove questa peste delle fazioni avea 
penetrato, erano stati pàcciati. Ma i Ghibellini temendo che 
il partito guelfo non si facesse più forte, sì che poi la cosa-' 
non riuscisse in danno loro, si rifiutaron di prender parie 
a quella (com* ei la diceano) violenza. Onde il popolo, mossa 
guerra a* Pistoiesi, e tornato vittorioso a Firenze, costrinse 
quei Ghibellini che non av^an voluto concorrere a queir im- 
presa (i quali peraltro non furono molti) ad uscir della cit- 
tà; e fu allora, cioè nel mese di luglio. Che per segno della 
nuova fortuna modificò la sua insegna, cambiando il giglio 
bianco in canapo vermiglio nel giglio vermiglia in campo 
bianco. - 

11 21 maggio 1254 mori Corrado IV ; onde Manfredi ri- 
masto senza competitore re- di Puglia e di Sicilia, prese a 
rialzare in Toscana la parte ghibellina; e già i Sanesì e i 
Pisani aveanoliderito a lui. Importava grandemente a Man- 
fredi che a parte ghibellina si riducesse eziandio Firenze; 
il perchè non cessava di stimolare i Ghibellini rimasti nella 
città, fra i quali là potente famiglia degli liberti, a recarci 
in mano il governa della repubblica e ad abbattere del 
tutto la fazione guelfa. Gli Uberti dunque cominciarono a 
menar questa pratica, ma non la menarono in guisa che ai 



CAPITOLO QUARTO. 75 

rettori della città non ne venisse alcun sentore; i quali 
volendo provvedere che lo stato non patisse detrimento, 
citarono in giudizio i sospetti, che venissero a render ra- 
gione di ciò che era loro imputato. Ma eglino, yeggen- 
dosi scoperti, non solo non vollero ubbidire, né ritrarsi in 
luogo sicuro, ma stimando esser venuto il tempo opportuno 
di recar la congiura ad effetto, s'unirono tutti insieme, è 
si diedero a combattere aspramente la famiglia del potestà 
con animo di cacciarlo dalla sua sede, e di recarsi in mano 
il governo della repubblica. Ma il popolo, avverso ai Ghibellini, 
codiando più specialmente gli liberti, diede di piglio all' armi, 
e corso a furore alle case degli liberti, ne- uccise alcuni, e 
tutti gli altri, insiem coi loro coitsorti e aderenti, che fu- 
rono delle principali famiglie di Firenze, <;GStrinse alla fugai 
Né questa volta il popolo si mostrò temperato- nell'ira sua, 
per^rhè disfece da' fondamenti tutte le case e torri degli 
liberti e di altri Ghibellini, e fece nio^zare il capo all' abate 
di Vallombrosa de* signori di Beccheria da Pavia apponen- 
dogli d' aver avuto mano nella congiura, comecèhè da al- 
tri si" tenesse eh' ei ne fosse innocente."^ Questa cacciata 
de' Ghibellini avvenner nel luglio del 1258. 

Espulsi da Firenze, rifuggirono i Ghibellini per la più parte 
a Siena ; ri perchè i Fiorentini inandarono a quella repub- 
blica querelandosi che, contro i patti della loro lega, avesse 
ricevuto e dato favore agli usciti, e chiedendo che fossero 
fuor di Siena mandati. Ma le istanze de' Fiorentini non ven- 
nero accolte : ond' essi ebbero ricorso allò armi, e messo in- 
sieme un potente esercito si portarono sotto le mura di Siena. 
Erano giunti in questa ctttà cento cavalieri tedeschi, che 
Manfredi ad istanza de' Ghibellini avea colà mandati, scarso 
e meschino aiuto in tanta bisogna di quel partito. Ond' è che 
Farinata degli liberti, per costringere il re a mandare altra e 
più copiosa mano di soldati, ebbe pensato a un sottile strat- 
tagemma. Avendoli un giorno empiti di cibo^ bevanda, ed 
eccitatili con larghe promesse, li cacciò fuori a combattere, 
fingendo di tener loro dietro per sostenerli. Caldi del vino i 



76 VITA pi DANTE ALIGHIERI. 

Tedeschi^ benché non punto seguitati da Farinata^ assalirono 
con tanto furore iì campo de' Fiorentini, che molti ne ucci- 
sero, e^ molti più fecero .volger le spalle. Ma i capitani, av- 
vedutisi deHa piccola schiera con che aveano a fare, fatto 
voltar il viso- a' fuggitivi circuirono quegli sciaurati, i qual», 
quantunque combattessero aspramente, rimasero tutti flao 
air ultimo uccisi. E i Fiorentini, avuta in mano Ja bandiera 
del re, quella trascinarono nel fango per tutto il campo. Ma 
i Sanesi e i Ghibellini non si moveano dalla città : onde veg- 
gendo i Fiorentini di non poterli cavar fuori a battaglia, se 
ne tornarono alle case loro. Questi fatti avvennero nel mag- 
gio del 1260. . ' 

. L'. indegnità usata alla bandiera "reale acerbamente com- 
mosse r animo di Manfredi, sì che agevolmente prestò orec- 
chio alla proposta, che gli venian facendo i Sanesi, di pren- 
dere al loro soldo un migliaio di' quei Tedeschi, che tanto 
valore diceano aver dimostrato in quel funesto combatti- 
mento. Ei dunque li concesse, ed 800 ne Volle aggiunger del 
proprio, che alla fine di luglio, mandò a Siena sotto la con- 
dotta del conte Giordano, capitano valoroso ed esperto. Fa- 
rinata, eh* era de' primi capi di quel partito, considerando 
che i Tedeschi non eran condotti che per tre mesi, e che 
alla fine della condotta non vi eran denari suflQcienti per raf- 
fermarli, vedeva che tutto questo sforzo era per dover riu- 
scire di poco niun giovamento, quando i Fiorentini non vo- 
lessero nuovamente uscire in campo. Al qual uopo comin- 
ciossi dal bandir Toste sopra Montalcino loro confederato: 
ma i Fiorentini non si moveano. Ad altra sottil malizia egli 
ebbe allora ricorso ; ed insiem con Gherardo Ciccia de' Lam- 
berti, trovati due frati minori, andò mostrando loro, commessi 
non poteano più reggere a' modi superbi di Provenzan Sai- 
vani, che tutte a suo arbitrio governava le pubbliche faccen- 
de:" che per. questo erano ^ disposti non solo a rinunziare 
all' amicizia de' Sanesi, ma a dare eziandio Si^na in potere 
de' Fiorentini, a condizione però che fosser lor dati diecimila 
fiorini d' oro : che questa cosa poteva conseguirsi ageyol- 



CAPITOLO QI?ART(h 77 

mente, quando i Fiorentini, sotto cagione d' andare a rifor- 
nir Montalcino, venissero insino al fiume dell'Arbia ; ed essi 
avrebbon consegnato loro la porta, che mena ad Arezzo, 
dotta la porta di San Vito. I frati, credendo tutto vero, fu- 
rou tosto a Firenze : e, significato agli anziani che avean da 
dire cose di grandissima importanza in beneficio della re- 
pubblica, quando due di essi fossero deputati ad intenderle 
e promettessero il segreto, iipn che i' osservanza de' patti, 
fu fatto secondò che costoro chiedevano. In breve, i Fioren- 
tini caduti neir aguato, accolsero quanto da* Ipro nemici si 
proponeva; e, me^so insieme un esercito poderosissimo per 
quei tempi (trentamila pedoni e tremila cavalieri) furono 
sollecitamente in sul fiume dell* Arbia, nel luogo detto Monta- 
perti, aspettando che venisse loro dischiusa la porta, siccome 
era stato convenuto. Ma iu quella vece la mattina del 4 set- 
tembre 1260 vedendo da -tutte le porte rispondenti a levante, 
uscir r esercito de' fuorusciti, de' Sanesi e de' Tedeschi, ordi- 
nata a battaglia, furon dapprima per V inaspettata novità sò- 
prappresi da timore, ma poi indignati dell' inganno lor fatto, 
e resi animosi dalla presente necessità, si fecero arditamente 
incontro a' nemici/ E benché V assalto de' Tedeschi, eh' erano 
nella prima fronte, fosse stato terribile, non fu però debole 
il contrasto e la difesa de' Fiorentini, cosicché nel bel princi- 
pio la battaglia sostenevasi.; quando i Ghibellini occulti, che 
trovavansi neìl' esercito fiorentino, e che s' erano già indet- 
tati con Pannata, passando al campo nemicò e rivolgendo le 
armi contro quelli stessi in compagnia de' quali eran venuti, 
gettarono lo scompiglio fra le schiere- de' Guelfi. Pur non- 
ostante l^ sdegno per così vituperevole tradimento infuse in 
essi novello vigore, e seguitavano a combattere arditamente 
come dapprima, quando un atto di sonm>a perfidia pose in 
disperazione le cose de' Guelfi. In mezzo alla schiera de' ca- 
valieri fiorentini portava quel dì V insegna della repubblica 
un cavaliere della famiglia de' Pazzi, uomo di gran valore, 
il cui pome fu Iacopo del Vacca. Appresso di lui stava 
Bocca dQgli Abati, il quale essendo anch' esso uno di quei 



78 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Ghibellini occulti^ ehe avean promesso passare ai nemici^ spin- 
togli/il cavallo addosso^ gli trasse un gran colpo su ({nella 
mano con che teneva V insegna, e tagliògliela di netto." Que- 
st* orribile tradimento mise fu tanto disordine i cavalieri, i 
quali furono i primi a conoscere di non più sapere a chi po- 
tersi fidare, che si diedero precipitosamente alla fuga : lo che 
fii cagione che pochi di essi rimanessero morti, o prigioni in 
quella memorabil battaglia. Ma i fanti, a cui il fuggire riu- 
sciva meno agevole, ed a cui non era noto il tradimento di 
Bocca, sostenevano audacemente T'urto degr irrompenti ne^ 
mici, e con incstimabil valore difendevano il Carroccio, in- 
torno al quale stavano i più valenti, che perciò fu forza 
quasi tutti tagliare a pezzi. Dopo la perdita del Carroccio (e 
fu quella la prima volta che i Fiorentini lo persero) non fu 
nell' esercito guelfo che fuga e strage. 

Non è a dirsi quale fosse la desolazione della città alla 
nuova di tanta ruina ; ma ne faccia fede la deliberazione che 
gli avanci del disfatto esercito, e i Guelfi eh' eran rimasti in 
Firenze presero ben tosto di abbandonarla : lo che fecero 
nel dì 13, rifugiandosi a Lucca. Entrati i Ghibellini tre giorni 
appresso nella quasi vuota città, né potendo sfogar V ira loro 
contro le persone, si volsero all' usata pazzia di disfar le case 
e i palagii de' loro nemici. Poi i principali di essi, de' Sanesi, 
de' Pisani, degli Aretini, e quasiché tutti i conti e signori dì 
Toscana, convennero in Empoli ad, un general parlamento, 
ove trattar doveasi del modo, con che potesse assicurarsi lo 
stato loro comune. E cominciate le t5onsulte, si venne da 
tutti in questa sentenza, che se si avea da temere pencolo 
alcuno, questo non d' altronde potea venire che da Firenze ; 
la quale, essendo naturalmente di fazion guelfa, tanto avrebbe 
sopportato di star soggetta al governo de' Ghibellini, -quanto 
la forza l' avesse costretta ; ma se mai le si scoprisse occa- 
sione favorevole, non esser dubbio alcuno, eh' ella avrebbe 
richiamato i Guelfi e discacciatone i Ghibellini : e di ciò es- 
serne gli esempii freschissimi. D perchè, se voleasi una volta 
per sempre assicurarsi, non restava a ciò altro mezzo che 



CAPITOLO QUARTO. 7i) 

disfarla. Di silTatta proposta indignato Farinata degli liberti, 
levatosi in pie con turbato volto prese a ragionare dj que- 
sta sentenza: • 

— Dopo una tanta e si gloriosa vittoria, qual è quella che 
noi abbiaiito ottenuta, io non mi pensava d' avermi a dolere 
d' essere restato in vita ; perchè l' ingiuria più duole quan- 
d' ella è fatta da'pfoprii consorti, che quando è da' nemici. 
E quale ingiuria fia maggiore di questa, di voler disfare la 
patria a chi tanto ha sudato e sofferto per lei? Io non ho im- 
parato r artedel dire siccome coloro che han parlato innanzi 
di me ; ma parlo com' io so, e dico quello cl^e ho neir ani- 
mo, secondo Y antico proverbio, com* asina sape, così mi- 
nuzza rdpe.' Pure io -dirò che reputerei troppo misero mo 
stesso ai tìalei: concittadini, se fosse in vostro arbitrio e po- 
tere il di^ré la città nostra. Certamente, che per via di 
ragione voi Bon potete ferlo; perchè noi abbiamo una coni 
federazione eguale, nella quale siamo .entrati non per rovi- 
nare le città, ma per mantenerle, rinnovandone^solo gli or- 
dinamenti. <hid'-^ che i vostri consigli si deono reputare più 
temerari! che crudeli ; ma si può dire che e' siano e V uno 
e r altro', poiché vi date a credere poter far quello che non 
è in vostro arbitrio, e dimostrate odio e crudeltà contro gii 
stessi vostri confederati. Ma chi consiglia con passione con- 
siglia male, e chi- cerca nuocere al compagno, non brama 
l'utile comune. Ma voi dite: Firenze è capo' di parte guel- 
fe; ed io vi rispondo, chQ ella ora quando la tenevano i 
Guelfi; ma ora eh'ellasi^ticn per noi, qual è la ragione, 
per che non debba dirsi gliibellina ? Non son le case e le 
mura secondo gli abitatori ? Ma il popol minuto (voi sog- 
giungete) è sempre in cuore più guelfo che ghibellino. Or 
se è cosi, perchè • i nostri avversarli hanno piuttosto voluto 
abbandonar la clttd> che por fidanza in esso ? Ma poniamo 
che la plebe ne sia mal fida : noi che abbiamo combattuto al 
. vostro fianco non meritiamo d' esser tenuti a sospetto; e per 
una sospezion che non' cade su noi, voi non avete ragione 
di privarne di quello stesso, che voi o tenete o desiderate. 



ì 



80 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Alle case vostre tornerete voi dunque gloriosi e felici^ e noi 
derelitti e raminghi andremo domandando altrui un asilo ? 
Le vostre città saran dunque conservate, ,e la .nostra di- 
strutta ? È egli alcuno di voi che mi stimi cosi codardo da 
comportare siffatta scelleratezza ? Se io so perseguitare col- 
Tafmi i miei nemici, io non so mai . offendere ed (xjiare la 
patria; anzi il sudore e '1 sangue eh' io ho sparso, Tho spar- 
so per riacquistarla. Né quella città, che. lasciata or son po- 
chi . di da' miei avversarli, è gtata da lor conservata, patirò 
mai che sia distrutta da me. Non acconsentirò mai che ne' fu- 
turi secoli i miei nemici abbiano ad esser chiamati conser- 
vatori, ed io distruttore della patria ;• poiché non può esser 
cosa né più infame né più vile del disfare la propria città, 
per tema eh' ella non diventi albergo de' propri avversarii. 
Ma che vo io moltiplicando in parole ? Esca finalmente da 
questo petto una voce degna di me. Io dico, che se del gran 
numero de' Fiorentini non restassi che io solo, io non patirò 
mai, finché potrò reggere questa spada, che la mia patria sia 
distrutta; e se mille volte bisognasse morire per lei, mille 
volte son pronto ad incontrare la morte. — 

La gravità delle parole, 1' autorità dell' uomo, V atto ch'ei 
fece ponendo la mano sull' elsa della spada, e l' uscir del 
consiglio tutto sdegnoso, fecero mutar di parere gli ,dssembra- 
ti, né di questa cosa si parlò più. Bene pertanto potè il nostro 
Poeta far dire a quel magnanimo tlnferno, canto X, v. di) : 

^ Ma fu' io sol colà, dove, sofferto 

Fu per ciascun di torre via JFi'oreiiza, 
Polui èhe la difesi a viso aperto. 

Quantunque i Ghibellini nel 25 novembre di quell'anno 
raffermassero la loro lega, e nel 46 e 23 maggio dell' anno 
appresso v' aggiungessero. alcuni capitoli; quantunque mosse 
le armi contro Lucca, la costringessero, dopo alcun contra- 
sto, ad espellere dalle sue mura i Guelfi, che perciò doveron 
ricoverarsi a Bologna; pure il loro preponderare non fu 
di lunga durata. Di troppa importanza era >pei papi, che la 



CAPITOLO QUARTO. 81 

parte dell' impero non prevalesse, tìon* perchè calesse loro 
delie-libertà e fraHchìgie de' Comuni, ma perchè ne veniva 
abbassata la loro potenza/ ed infrenata l'ambiziotie di- viepiù 
egtcnderla. Clemente IV, di nazione francese, eletto ^apa sul 
principio' del 1265, nemico come gli altri suoi predecessori 
ébVtat famiglia sveva, ojfferse (quasiché i troni 'della terra fos- 
sero stati suoi) la corona ^ Puglia e di Sfcilia a Carlo d' An- 
giò conte di Proven£a, e dichiarò crociata la guèrra, che 
costui,"^ ambizioso di conquistjfire il regno, mosse ben tosto 
a Manfredi: Passando per Lombardia,. Romagna, le Marche 
e pei ducato di Spoleto, pfòichè noh avrebbe potuto per 
Toscana occfupata da' Ghibellini, giunse Carlo a Roma, e nel 
6 gennaio del 1266 prese la corona,. e coi .suoi Provenzali, e 
con una squadra di 400^ prodi cavalieri guelfi, eh' erano -de- 
gli esuli di Firenze,' en*?ò subitamente nel Iregno. A Bene- 
vento nel 26 febbraio si attaccò fra i due re la memorabil 
battaglia, nell^ quale Manfredi perse la vita. 

Venuto^ co^ nobil reame in potere di Carlo, il quale (co- 
ro* era ben naturale) serbavasi amico al pontefice, la parte 
guelfa cornine^ a rialzare, abbassando quella de' Ghibellini. 
Già il popolo di Firenze mostrava desiderio di cose nuove, e 
cominciava a fare a^sembranSenti, pre9ursori di prossimi dis- 
ordini, quando coloro che reggevano la^ repubblica credet- 
tero d' ovviare a questo inconveniente, proponendo che a 
riformaro il governo in modo equo per ambe le p^irti, «i 
chiamassero uomini che non fossero più ghibellini che guelfi. 
Era da poco innanzi cominciato in Italia un ordine di cava- 
lieri di Santa Maria, detti frati gaudenti, i quali faceano pro- 
fessione di proteggere le vedove e i pupilli, ed' intromettersi 
fra i nemici a far pace. Due di costoro chiamaron^dunque a 
Fùrenze, e furono Loderingo degli Andalò e Catalano de' Ma- 
lavolti, ambedue bologuesi; e ad essi, siccome a due potestà, 
diedero in mano il governo. Forse le- intenzioni loro furon 
buone, quantunque il nostro Poeta li cacci neh' Ififerno fra 
gr ipocriti ; *• ma le novità che per essi furono nel governo 
introdotte^ e particolarmente quella di dare alle corporazioni 

Dante. — Vita. 6 



82 VITA DI DANTE AU6HIERI. 

delle sette arti (che poi furon dette maggiori) un console e 
UH capitano col gonfalone, fecero sì che il potere del popolo, 
che intimamente era guelfo, montasse tropp' alto, e non po- 
tesse più esser tenuto in bilancia da quello de' mbìM, che 
generahhente erano ghibellini Questi pertanto, yedfmdo H 
perìcolo a cui si trovavano esposti, stimolarono tanto il eonte 
Guido Novello da Poppi, capitano della taglia ghibelMBa, rkh 
strandogli come sarebb' egli stato il primo ad esser tagliato 
a pezzi, .che egli mandò ordine a' confederati che fornissero 
le genti dì che eran in obbligo. Millecinquecento cavalieri giun- 
sero in breve in Firenze, che unitici seicento Tedeschi ehe 
stavano col capitano, e aiutati dalle forze delle famiglie gfai* . 
belline; .fira cui . principali erano secondo H solito i . Lim-^ 
berti e gli liberti (Farinata era morto), fecero una massa di 
genti considerevole. Vennero dunque alle mani; ma dai ser- 
raglio, eh' erasi fatto presso le. case de' Tomaqulnci, difenden- 
dosi il popolo bravamente, fu preso il conte da timcn^, né 
dando ascolto ad alcun conforto che gli fosse dato, lasci/ò vil- 
mente r impresa. Il popolo si mostrò questa volta assai .mo- 
derato, poiché data licenza a' due frati, e i chiamati due Or- 
vietani ad esercitar l' uno l' officio di' potestà^ V altro di ca- 
pitano, riammise nel principio del 1267 tutti i fuorusciti di 
qualunque parte si fossero ; e paci e nozze e feste rallegra- 
rono per alquanti giorni la città. Ma di breve durata, fu l' al- 
legrezza e la pace : che i più notevoli tra' Guelfi, amando {hù 
sé che la patria, e non- comportando di vedérsi negli ufficii 
pubblici accomunati coi Ghibellini, con atto che sente a un 
tempo di viltà e di perfidia, andarono sl re Carlo rappresen- 
tando che, $e egli avesse voluto mandare a Firenze una mano 
di suoi soldati, la parte ghibellina sarebbe rimasta in tutto 
abbattuta, ed essi avrebbon dato opera eh' ei fosse n(Hninato 
signore della città. Il quale considerando di quanta impor- 
tanza fosse r aver amicizia con altri potentati d' Italia, senza 
por tèmpo in mezzo mandò a Firenze il conte Guido di Mon- 
forte con ottocento cavalieri francesi. Gli sventurati ,Ghibel- 
lini sentendo questa venuta, e considerando che, quand' an- 



CAPITOLO QUARTO. 83 

che aressero resistito al primo assalto^ non avrebbon potuto 
resistere al secondo^ dacché grande era la potenza del re^ e 
più grande aveala fatta la vittcnria contro Manfredi^ la notte 
precedente alla Pasqua di resurrezione^ in che giunse la 
squaA*a francese^ abbandonarono tutti la città. 

^Adunque Carlo fu gridato signore di Firenze pei' dieci an- 
ni^ ed egli vi mandò d' anno in anno suoivicarii a governar- 
la, insiein con dodici cittadini, deputati a ciò dal Comune, e 
chianiati buonuomini, i quali esercitavan press' a poco quel- 
la officio stesso, <^he poc' anzi gli anziani. Ma i Ghibellini, ria- 
Tutìdi dal prkoM) sbigottimento, non si dìeron per vinti, e nel 
contado presero*.a fare aspre guerrìcciuole, delle quali la più 
ostinata fu quella SQstenuta dal: castellò di Poggibonzi, per 
vincere il quale fu d' uopo di tutto lo sforzo di Carlo mede- 
simo^ che a tale. oggetto nell'agosto del iS67 rècossi in To- 
scana. Pure caduto Poggibonzi, ecco, che nuova speranza ai 
Ghibellini rifulse. Corradino, figlio di Corrado e nipote a 
Manfredi, ardendo <K riconquistare quel regno die (com'egli 
dicea) il conte di Provehza aveagli usurpato, moveva alla 
volta d' Italia. Giunsò infetti à Tretito, e di.l^ per Verona e 
Paria calessi alla riviera di Genova ; donde imbarcatosi venne 
del mese di maggio 1268 a Pisa. Da Pisa, rifiutata la batta- 
glia, cui verso Lucca pareva l'invitasse l' esercito de' Guelfi 
toscani, mosse alla volta' dì Siena, ove giunse in breve pas- 
sando per Poggibonzi, Che, rompendo i patti fatti con re 
Carlo, gli aperse le porte. Da Siena proseguendo il viaggio, 
e distruggendo per via, a Laterina, un corpo di soldati fran- 
cesi^ che gli s' era posto alla coda, giunse a Róma, e poi 
a' confini del regno ; ma a Tagliacozzo negli Abruzzi, attac- 
cata il 23 d' agosto battaglia con Carlo, vincitore dapppma, 
restò alla fine perdente, più per l' astutezza del cavaliere 
Alardo di VaHeri,' che pel valore dell' esercito francese:*® ed 
egli stesso, lo sventurato giovinetto, venne a man del ne- 
mico, n quate, consultato papa Clemente, ed avutone in ris- 
posta : vUa Corradini mors Caroli, mors Corradini vUa Ca- 
roli; il fece decapitare sulla piazza del mercato di Napoli : 



84 VITA W DANTE ALIGHIERI. 

atto barbaro e feroce, e solo degno di quel provengale or- 
goglioso e Superbo. 

Piena fu allora la preponderanza del partito guelfo, al 
quale per amore o per forza si ridussero beftftosto tutte le 
città di Toscana', tranne. Pisa e Siena, ed -altresì qualche ca- 

' stello, come quello di Poggìbonzi. Del quale volendo ì^ Fio- 
rentini vendicarsi per la rotta fedo, mandàron genti a dare 
il guasto al paese : e ì Sanesi, venuti ar liberare i loro vicini 
da quella molestia, restarono piènamente sconfitti in vici' 
nanza di GoQe, lasciandovi morto Provenzano Sàlvani, loro 
principale cittadino e condottiero? Ciò avvenne nel luglio 
del' 12B9. Gregorio X, transitando nei 1273 per Firence, 
s'adoperò perchè. fra' Ghibellini e i GuelQ si facesse pace; e 
già da' rettori della città n' avea^ ricevuto fortnMe promessa, 
quand' essi minacciando di morte 1 legati de' Ghibelfini, éhe 
a tal uopo s' eraft recati a Firenze, e cQStringendoIf a ilile- 
guarsi, ruppero bruttamente -la data fede : onde il papa tutto 
sdegnato lasciò incontanente la città, lanciandole contro l'in- 
terdetto. Né da questo la prosciolse nemmen quando due 
anni appresso tornando dal concilio di Lione ripassò per essa, 
accresciutasi in lui l'indignazione per avere i Fiorentini senza 
giusta cagione assaliti i Pisani : on^'eglino si doveron perciò 
restare sotto le censure ecclesiastiche sino a che non fu fatto 
pontefice Innocenzio V, cioè sino al principio del 1276. Nic- 
colò ni, successore di luì, amando anch' egli ehe cessassero 
una volta le discordie in Firenze, vi roanxlò suo legato con 

* amiplissime facoltà il cardinal. Latinq Frangipani ; il quale 
tanto s'adoperò, che rie' primi mesi del 1280 la pace e la 
concordia^ non solamente tra Guelfi e Ghibellini, ma eziandio 
tra alcune famiglie guelfe che avean preso ad osteggiarsi; fu 
finalmente fermata. A^ governo della città invece di dódici 
IJuónuomini ne furon messi quattordici, otto guelfi e sei 
ghibellini, sótto un capitano del popofb. 

Ma ai Guelfi nojh potea (iscir dell' animo la gelosia per 
tanto tempo nutrita inverso i Ghibelfini,. e parca loro che, 
per la forma data al governo dal cardinal Latino, avessero 



CAPITOLO ^UAJEITO. 85 

troppa parte. uelle pubbliche faccende. Il perchè nel i88S 
yollero che il govierno della repubblica risedesse in sei cit- 
tadini (upo per sesjch^re) detti priori delle arti^ e cosi chia- 
Tjlàiii, perchè a quell'ufficio non potea venir eletto. ehi alle 
arti non apparteoesse^ p non si sfosso ascritto: dalla qual 
nuova forma dì 'governo venne ad alterarsi notevolmente 
quella della cittadinanza^ confondendosi e mescolandosi gli 
ordini^ sì perchè molte famiglie nobili si fecion.di popolo^ 
affine di poter partecipare al reggimento; si perchè molte 
cambìaron di nome e di stemma ; e si perchè altre pure ne ven- 
nero di contado a farsi di popolo'^anch- esse^ o a formare 
una novella nobiltà allato air antica. La qual confusione de- 
gli ordini civili disapprova pure il nostro Boeta dicendo (Pa- 
radiaOy canto XVI, v. ,67) : 

• I Sempre la confasiori delle persone 

Principio fa del mal della cittade, 
Come del corpo il cibo che s* appone:* 

«Nonostante che V isola di Sicilia si fosse ribellata a Carlo 
ne' famosi vespri. siciliani, è si fosse data al re Pietro d'Ara- 
gona, e noBiostante che Carlo, combattendo per ricuperarla, 
fosse stato sconfitto, pure il partito guelfo non veniva punto 
rimettendo della sua .animosità, poiché i Fiorentini, veduto 
r abbassamentQ de' Pisani dopo l' infausta battaglia ddla Me- 
loria, si 4iedero a formare una lega . ad esterminio di essi : 
pericolo peraltro in che i Pisani non incorsero, mediante gli 
artifizi! usati dal conte Ugolmo della Gherardesca per istor- 
narlo. Ma morto fiafìo^ ed il suo figlio maggiore trovandosi 
prigione del re Jacopo d' Aragona, e altresì vacando la sedo 
pontificia, ì Ghibellini rialzarono alquanto la testa ; e impa- 
dronitisi d' Arezzo, ne diedero la signoria al vescovo Gu- 
glielmo degh libertini, schietto Ghibellino, ed atto più a ma- 
neggiare la spada che il pastorale. Il quale non contento di 
signoreggiare quell'importante città, e di essersi assicurato 
con la confederazione di tutti coloro, che teneano parte ghi- 
bellina in Toscana, si volse eziandio agU appoggi di fuori, e 



86 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

collegatosi cogli Spoletani^ Marchi^ani e Romagnoli^ e avu- 
tone da essi gagliardi soccorsi^ minacciava d' aver questa 
volta ad abbattere afi^tto in Toscana il nome de' Guelfi. Per 
la qual cosa i Fiorentini con tutti i lor collegati^ tra i quali 
erano ei\trati pure i S^nesi^ doveron pensi^re ai casi loro; 
e. messo insieme un buon esercito/ e veduto ch'era neces- 
sario venire a battaglia^ stimarono più onore^t^ole^ ed in parte 
più sicuro partito l'andare a incontrare ir nemico^ che 
aspettarlo. 

« Ma perchè è cosa utile (lo dirò colle parole dell' Àm^ 
» mirato) conoscere quali erano le forze della 'repubblica 
> in quel tempo^ e quali quelle de' loro collegati/ e in che 
» modo concorrevano alla contribuzione delle genti, che 
» mandavano alla guerra, sarà bene farne in questo ìuoge 
» menzione. I cavalieri delle cavallate di Firenze erano 
» duemila. Chìamavansì cavallate le bande o ordinanze de'ca- 
»^ valli, perciocché ciascun cittadino phe avea il podere, do- 
» vea quando venia il tempo della guerra trovarsi col suo 
» cavallo in ordine, siccome fanh' oggi i faiiti a pie, e sic- 
» come faceano anticamente i Romani. Ad altrettanto nu- 
» mero arrivavano i cavalieri, i quali erano condotti al, soldo 
» del Comune. I cavalieri della taglia de' Guelfi erano d' or- 
» dinario cinquecento; ma negli accidenti importanti che 
» occorrevano, faceva, oltre questa prima taglia> ciascun 
» Comune un altro numero di cavalieri, secondo riéercava 
» il bisogno, e secondo, il poder di ciascuno per rinforzo 
» della taglia e aiuto degli amici loro. Lucca dunque man- 
j> dò 300 'cavalieri, ne vennero di Pistoia 50 con Bernar- 
» dino di Guido da Polenta lor capitano, e altrettanti ne dio 
» ciascuna di queste terre, Volterra, San Miniato e San Gimi- 
» gnano. Colle contribuì 30 cavalieri; e da' privati signori, 
» com' erano i conti Guidi, Maghinàrdo di Susinana, Jacopo 
» da Fano, Filippuccio da Jesi, i conti Alberti da Mangona, 
» e altri baroncelli di Toscana, ne vennero 250, senza le 
» genti cl^e si aspettavano da Siena, le quali giunsono poi 
y> nel campo, partito che fu l' esercito di Firenze, che fu- 



CAPITOLO QUARTO. 87 

» 'fono 450 cavalieri e 3000 pedoni col conte Guido Salva- 
Tf tice *lor podestà. 

> Veggendosi dunque i Fioreiltini aver tante gentil clic 
» giudicavano poter assalire i nemici^ crearono capitano 
» dell' esercito il lor podestà Fuxirago, e ciò fatto, bandi- 
» rono il^ ventesimo giorno di-maggio (del 1288) la guerra 
» contro gli Aretini. Baiidìvasi la guerra, non come laceano 
» gli antichi mandando il sacerdote feciale, ma coi^ animo- 
» siià non dissimile si ponevano l'insegne dell'esercito alla 
» Badia di Ripoli, *' ove stavano otto giorni spiegate in se- 
» gno cbe la guerra era bandita contro i nemici, affine che 

* essi potessero iwovvedersi, e non rimanesse loro occasione 
» di dire d' essere a tradimento e all' improvviso stati assa- 

» liti Si mosse dunque l'esercito verso il contado 

» d'Arezzo, essendo ferma' opinione, dopo le genti che fu- 
» ron condotte all' Arbia, non aver la repubblica messo in- 
» sieme più belio né più poderoso esercito di questo : per- 
» che non parendo agli Aretini partito d' incontrare i nemici 
» in bampagna, si tennero forti dentro la città, mettendo 
» oghi industria di difendere co' presidii alpuni luoghi più 
» importanti. A' Fiorentini fu lasciata comodità di far molto 

» dlBiuno per tutto il contado, e in pochi giorni occupa- 

» rono più di quaranta castella e fortezze in Val d'Ambra.... 
) I Sanesi ancor essi, giunti che furono nel campo, non la- 
» sciarono di sfogar l'odio loro contro i nemici comuni, 
) guastando tutte le vigne e giardini phe erano intorno ad 
» Arezzo, e per maggior dispregio li tagliarono l' olmo. Ma 
» cadute grandissime pioggie dal dielo, con turbini e venti 
» che si levarono impetuosi la vigilia di San Giovanni sopra 
» tutto il campo, e specialmente sopra quello de' Senesi, ove 
» non lasciò trabacca nò tenda, nò padiglione alcuno cht^ 

* non abbattesse o stracciasse in più parti, gli Aretini im- 
» putarono questo a miracolosa opera di san Donato lor pro- 
» tettore. Gontuttociò non lasciarono i Fioi^ntini il giorno 
» seguente, essendo schierati in sul prato (il quale era in- 
» tomo alle mura d' Arezzo), d* esercitar l' alterigia mili- 



83 VITA DL DANTE. AUfifllERI. 

y» tare^ altre volte centra i<.lor nemici, usata; ciò fu di cor- 
» reré il pal^p^ quasi non avendo i nimici per nulla, col mo- 
» strar. di fare quelle ,co^, le quali si costumano fare in 
» una somma quiete. Ed essendo le cose succedute prospe» 
> ramente, fecero dodici .cavalieri di corredo, quelli pfer-av- 
» ventura, i quali aveauo datio uis^giori segni di.virtu pelle 
» scaramucce passate^ », 

Or qui debbo per. un momento interrompere il raeconto, 
^ofifòrmandomi per dir cosa, finora non avvertita da idcuno, 
ed è che a queste fazioni trovossi presente il nostro Ali- 
ghièri. Tutu i .nobili ^ tutti coloro che ne aveano il potere, 
vale a dir quelli del cosi detto popolo, grasso, doveano (se^ 
co^dochò dice lo storico) concorrere a formare le cavall^te. 
Or perdiè Dante, il guale era nobile e ne avQva il potere, 
ed erasi già addestrato afie armi, ed avea compito il suj 
awio vigesinaoterzo, non avrebbe dovuto concorrervi ? Non 
vi concorse V anno appresso, quando proseguendosi la guerra 
presente trovossi alla battaglia di Gampaldino e poi aU' as- 
sedio di Caprona'? Perchè dunque non dovea esservi con- 
corso r^anno innanzi? Ma questa ragionevolissima induzione 
diventa certezza per ciò. che lo stesso Dante dice, comin- 
ciando il canto XXU deU' Inferno : 

Io vidi già cavaliQr muover campo, 

E cominciare stormo, e far lor inostra, ^ 

E talvolta partir per loro, scampo*, 
Corridor vidi per la ferra vostra, 

O Aretini, e vidi gir gualdaìie. 

Ferir tomeainenti e cònrer giostra, 
Qaando con trombe e quando con campane^ 

Con tamburi e con cenni di castella, 

E con cose nostrali e con istrane. 

Le cose che qui dice. aver vedute ei l'ha viste in quella 
irruzione e in quelle scorribande, che dal fedele storico sono 
descritte. Le gualdane che qui dice aver vedute pel terri- 
torio degli Aretini, queste giialdane . che son cavalcate, le 



, CAPITOLO QUARTO. S9 

quali si fanno sul territorio 'nemico per guastare^ predare e 
feur prigioni^ ei V ìm viste^ e y' ha preso psirte^ in quel moUo 
demno che i Fi^retUini fecero in tuUo il contado aretino, e 
in quell' occupazione di quaranta e più castella e fortezze 
in Féi^'d'ilmòra;-ei l'ha, viste in quel guasto di tutte le 
viffne e giardini, eh' erano intorno ad Arezzo, fatto da' Sa- 
nesi che stavano nélT esercito de' Fiorentini. Quel ferir tor- 
neamenii, quel correr giostra son probabilmente gli esenfizii 
d' aUerifia militare, usati a .vilipendio ,de' lor nemici^ come 
la corsa del palio^ e- la creazione de' dodici cavalieri di cor- 
redo. Quel che altri ne* crederà non so, ma per me credo 
fermamente' che la (rase Corridor vidi per la. terra vostra, 
ArHini, e vidi- gir gualdane, non possa fare allusione che 
ai fotti guerreschi> a cui egli prese parte in questa occasione; 
perciocché* chi volesse rifelrirla a quelli dell' anno seguente 
non troverebbe appoggio nella storia/ essendosi la guerra 
combattuta non néU' aretino/ ma nel càsentinese : che se 
dopo la vittoria V esercito fiorentino si ìrecòr sotto Arezzo^ 
ove fermossi pochi dì^ ciò fu solo per tentare d' insignorir- 
sene per^rpresa^ e non per farvi quelle scorribande e quello 
mostre d' alterigia' militare^ che solo furon fatte l' anno in- 
nanzi. " ' ; 

Tornando ora all' interrotto racconto^ dirò che i Fioren- 
tini, visto che quei d' Arezzo non voleano uscir fuori a batta- 
glia, si restituirono alle case loro. '' Non per questo si ri- 
mase la guerra; che ella anzi continuò con ardore or qua 
or là attorno i castelli del contado. Cresciuto poi l' animo 
agli Aretini si per la lor vittoria della Pieve al Toppo con- 
tro i Sanesi, si per essersi Pisa colla tragica fihe del cx)nte 
Ugolino rivolta nuovamente a parte ghibellina, ardùrono cor- 
rere il territorio Qorentiao tino al Ponte a Sieve, a dieci 
miglia dalla città, e poi nuovamente fino a San Donato in 
GoUina, solo sette miglia distante, mettendo tutto a ruba ed 
a fuoco. Ond' è, che Firenze, a tòrsi dattorno quella incre- 
scevole molestia, vide la necessità di doyer nuovamente scen- 
dere in campo. Pertanto messo insieme un ^esercito di 1600 



90 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

cavj^epi e 10,000 pedoni, eompresìTi gli aiuti de' lor colle- 
gati, il 2 giugno del 1289 si mossero i Fiorentini per venir 
contro Arezzo, -prendendo la via del Casentino. Il Yéscavo 
Guglielmo, che si trovava avere in pronto' 800 cav^aHeri 
e 8000 pedoni, sentendo la venuta dell'oste fiorentina, e 
come dava il guasto alle terre del conte fluido Novello, al- 
lora potestà d' Areczo, dubitando non desse T assalto alla sua 
terra di Bibbiena^ deliberò di farsi incontra a' nemici, quan- 
tunque fosse loro alquanto inferiore di forze. E giunto in 
vista di essi, appiè di Poppi, e presso a Gertomondo ki un 
piano detto Gampaldino, mandò richiedendo i Fiorentini della 
battaglia, la quale lietamente accettarono, e così si posero 
in ordine- per attaccarla. L'esercito d* Arezzo era condotto 
(siccome ho accennalo) dal vescovo Guglielmo degli Ubertini; 
quello di Firenze da Amerigo di Nerbona, capitano esperto 
e valoroso, che i Fiórentroi aveano chiesto al re di Puglia 
Carlo II, che era transitato per Firenze il mese innanzi 

« Feciono dunque i Fiorentini (riporterò anco qui le pa- 
y> role del sovracitato storico) di f ulto il loro esercito quattro 
» squadre : nella prima (e nota che in questa trovossi Dante) 
» posono 150 feditori; così chiamavano coloro i quali ave- 
» vano il carico di appiccar la battaglia : di questi era oapo 
» Vieri de' Cerchi,'* cavaliere di 'molta stima, e per sua di- 
» fesa aveva due ali di pavesari, di balestrieri e dr lance 
» lunghe, che lo circondavano a guisa' d' una mezia luna, 
» con amendue i corni destro e sinistro Secondo gli antichi, 
» e tra questi erano pedoni e cavalieri. La seconda era chia- 
» mata la schiera grossa, che si collocava dietro a* feditori, 
» perchè succedesse con la maggior forza dell' esercito a' pe- 
)^ .rieoli e alla vicenda della battaglia, dietro alla quale per 
» conseguenza era distesa la terza, ove si mettea tutta là 
y> salmeria (così chiamavano le bagaglie) con alquanto nu- 
» mero di fedoni per fare spalla, e per ritenere quanto più 
T> potessero quando fusse 'rinculata là seconda schiera. Di 
y> fuor di queste tre schiere, quasi in disparte, misono una 
» schiera di dugentò cavalieri e di molti fanti Wicchijsi e pi- 



CAPITOLO QUARTO. 91 

) stoiesi e altri amici^ la' cura de' quali fu data a Corso Do- 
» nati che in quel tjémpo era podestà di Pistoia^ con ordine^ 
» sotta pena del capo^ che senza comandamento del capitano 
» non si movesse a cosa ninna. ' 
' » Quasi il medesimo ordine tennero gli Aretini^ se non 
' » che accrebbero il numero de' feditbfi infino, a 300, fra i 
» quali elessero dodici caporali, uomini famosi in arme, i 
» quali chiamarono paladini. Essendo in questo modo ordi- 
» nate le schiere; Amerigo non usò molte parole a cenfor- 
» tare i soldati, se non che ricordò loro, con quella prontezza 
) doversi portare al combattere, con la quale poco innanzi 
1 s' erano mostrati in fare spalla al re Carlo, quando quella 
» glente temerària era venuta a tale ardire, che avea Impreso 
» di voler fare un nobilissimo re prigione ; e che quelli erano 
» que' Ghibellini, tante volte vinti e abbattuti da loro, a' quali 
» se cosa alcuna era riuscita prospera, non era avvenuto 
» per altro, sé non per mezzo d' inganni e di tradimenti, ri- 
» tenendo il governo della patria loro più per opera dei 
» Guelfi, che ve li aveano introdotti, che per cagione dell' in- 
» "dustria e valor proprio. E se Pisa non avéa mai retto alla 
) potenza e fortuna de' Fiorentini, città ricca e potente, e 

> per l'imperio del mare gloriosa per tutte le lontane parti 

> del fflondo> come voler contrastare la città d' Arezzo, in 

> questo tempo massimamente eh' era vota di tanti cittadini, 
» i quaU si trovavano nel campo loro, e c|ié aveano l' arme 
V in mano per torla a que' fuoruscili, a' quali l' aveano re- 

> stituita? 

> Con molte più parole si distese il vescovo Guglielmino, 
» uomo oltre la scienza dell' arme non ignorante di lettere, 
• .raccontando l' antica grandezza d^li Aretini, della quale 

> que' popoU oltre modo pregiavansi. fi medesimo fece poi 
» magnificando i Marchigiani e i Romagnoli, ì quali erano in 

> lor Compagnia, còme quello che coi fatti e con le parole 
» era molto usato a "prendere gli animi delle persone, ma so- 
» pra tutto inalzando a cielo il titolo, con che si moveàno a 
» quella guerra; eh' era il sostener la parte imperiale. 



92 VITA DI DANTE AUa^IERI. 

> Dopo le quali dicerie sentendosi lisonar V aria di trom- 
» be^ non penarono gli eserciti ad andarsi ad incontrare con 
» inpredibii ferocia dall' una parte e dall' altra^ imperocché 
» r animo del capitano franzese^ oltre la naturai furia della 
» nazione^ e la speranza della propria gloria^ nop era voto 
» d- uà potente* stimolo di vendicarsi dell' oltraggio^ G}ie gli 
» Aretini aveano tentato di fare al suo re. Nò al vescovo, 
» guerriero valoroso^ mancavano sproni ardenti che lo pun- 
» gesserò a portarsi egregiamente^ trattandosi dello stato, 
]» déUa riputazione e del(a vit^ di ciascuno. £ veramente v 
» non si combattè mai con eguale speranza e pericolo, né 
> che m^no si Q(Hivenisse far beffe del nemico» imperocché 
» i f^ditori aretini assalirono con tanto impeto quelli de' fio- 
» rentini, che molti di questi furono gittati pia cavallo : noE- 
» dimeno raggruppandosi e rannodandosi insieme combatte^ 
» vano con ostinazione grande, e i pedoni con l' al^ ordinata 
» s' ingegnavano, di rinchiudere in mezzo i nemici. Ma era 
» tale la sollecitudine e V ardbre de' cavalieri^ i quali, inani- 
» mati maggiormente per la prosperità del primo incontro 
» trascorrevjano per tutto, disordinando. e aprendo con gì* in- 
» contri de' cavalli e con le lance lunghe l' ordine della fan- 
» teria, che incominciava dal lato de' Fiorentini ad esser màg- 
)> giore il -dubbio déUa speranza ; quando Còrso Donati, clie 
» lunga ora era stato fermo per lo rigido comandamento ri- 
j^ cevuto.dal capitano, non potendosi più contenere, .e^cla- 
» mando con alta voce disse :—.I)unque staremo noi, sol- 
» dati miei, a vedere a guisa di spettatori sconfitto questo 
» esercito^ perchè sani e salvi abbiamo a narrare dinanzi 
» a' signori priori, come successe particolarmente la rotta 
]» delle nostre genti ? arò. io a preporre il rischio della te- 
1^ sta mia al perioolo della salute e dell' onor di tanti ? Anzi 
» diamo animosamente dentro, e sgabbiamo a perdere, mo- 
]» riamo onoratamente con gli altri nostri cittadini a guisa (]|i 
]» valent' uomini nel mezzo della battaglia;. ma se (com' io 
» spero) Iddio ci darà la vittoria, allora venga agioi chi vuole 
)> per la condannazione a Pistoia. -^ Ed essendo cpif mara- 



• CAPITOLO QUARTO. 03 

> yiglìoso ardire seguito da' «001^ i*quliH conosceva e da' quali 
» tutti era ottimamente conosbiuto^ come uomo partigiano « 
» favorevole di simili uomini^ urtò con taftto sforzo i nimioi^ 

> già incominciati ad allargarsi per la vittoria che parca loro 
» avere in mano^ che non è dubbio alcuno Ivri essere stato 
» prfiicipal cagione della vittoria de' Fiorentini. Cercò di ri- 

> mediare^a questo inconveniente il vescovo, mandando a 
» dire- al ^nte Guido Novello^ a cui con una schiera di 
» 150 cavalieri era st^to dato ordine^ quando vedesse il tem- 
» po^ di ferire per cost9> che non dovesse più differire il bi- 

> sognov.Ma il eonte^ il quale aveva «vùto sempre più ctira 
» deib salute che dell'onore^ non volle ingatinar niuno dei- 
» l' opinióne^ che per noolti anni innanzi s' avea acquistato^ 
» (cioè eh* et fosse un vigliacco) ; perchè dato con vergognosi 
» pretesti alcun indugio^ non prima incominciò l' esercito a 

> piegare^ che attese a salvarsi, vituperosamente fuggendo 
» alle sue castella. Non fece cosi il vescovo, il quale^^riacorando 
» i suoi^ e facendo per .tutto ufficio di capitano è di soldato, 
» né volendo, poiché yide fagliare a pezzi le sue genti, sopra v- 

> vivere a tanta rovina^ si (jacciò nel mejzo dell' acdore della 
» battaglia, e ivi valorosamente combattendo restò ucciso.** 

> Di simil morte perirono Buoncpnte di Montefeltro;*' e 

> Guglielmo de' Pazzi Il numero de' prigioni fu ^QOO, 

» de' quali 740 ne vennero legati a Firenze : gli altri furono 
» parte per atnistà e parte per danarh-trabaldatì. I morti 

> passarono ^il numero di i700> tra' quali-, oltre i già detti, 

> di riputazione furono tre degli Ubertini, due de' Grifoni 
» di Fighne, Guidarèllo d' Orvieto che portò quél di l' inse- 

> gna imperiale, uno della famiglia degli Abati, fuoruscito 
» fiorentino, e due nfpgti di Guglielmo dC''- Pazzi. Dal lato 
» de' Fiorentini i feriti furono molli, ma i morti ascesero a 
» piccola somma, e ^tra questi di copto non vi^rimasono se 
» non Bindb del Baschiera Tosinghi cavaliere, licci Visdo- 
» mim', e il Balio del 'Capitano, cavahere dì gran pregio; 
> 'chiamato Guglielmo Bertaltìi. "^ Questo fatto sigscedette 
» r undecime ^orno di giugno del 1^9. i» 



'94 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Questa battaglia afferma il Bruni essere stata descritta da 
Dante in una sua lettera^ o^e ne disegnò eziandio la f<Htna. 
£ ne fe cenno puref (secondo il citato biografo) in altra «sua let-^^ 
tera^ ove parlando del suo priorato diceva : « Dieci anni erano 
» già passati dopo la battagliaci Gampaldiiio^ nella quale là 
» parte ghibellina fu quasi al tutto morta e disfatta^ dote mi 
» trovai non fanciullo nelt' armi^ e dove nel prii^cipio ebbi te- 
» mqnza moltà^ e nella fine grandissima allegrezza per H yarii 
» easi di quella battaglia. > Come pertanto è certissimo che égtt 
si trovò a questa battaglia^ e eh' egli fu de' feditori insieme 
con Yi^ri de' Cerchiy così è altrettatnto certo eh' ei prese 
parte alle fazioni della guerra còutro Pisa^ e particolarmente 
all' assedio e resa del castello di Caprona^ poiché egli stesso 
Io accenna nel canto X^^ v. 94 dell' Inferno^ dicendo d' aver 
veduto uscir di Gaprona il vinto presidio^ e temer di sua 
vita procedendo in mezzo a tanti nemici^ com' ei di sua vita 
temeva trovandosi in 'mezzo a tanti demonii: 

E così vid' io già temer Ir fanti 
Ch'uscivan patteggiati di Caprona/ 
Veggendo sé tra nemici cotanti. 

L' esercito fiorentino, dopo aver dentato invano d' insi- 
gnorirsi per sorpresa d' Arezzo,^ erasi il 2:2 di luglio tornato 
a Firenze. E come i Lucchesi aveano prestato le forze Icuro 
ai Fiorentini per rintuzzare le ostilità d' Arezzo, così i Fio- 
rentini amministrarono ai Lucchesi 400 cavalieri e 2000 pe- 
doni per rintuzzar quelle di Pisa, hi questa die piuttosto 
die guerra dirò scorreria, perchè dopo leggieri combattimenti 
l'esercito nemico si chiuse hi Pisa, avvenne l'assedio del 
castello di Gaprona, ohe si rese a patti dopo la resistenza di 
non molti giorm'.** 

Lieto pertanto per essersi trovato a .quella grande vit- 
toria di QMODpaldino, e per avere avuto, parte in tanti altri 
onorévoli combattimenti, (si restituiva Dante nel settembre 
del: 1289 a Firenze, e tornava alle sue predilette occupa- 
zioni ; cioè gii studii e l' amore della sua donna ; quando ella 



CAPITOLO QUARTO. 95 

poco .ap{H*es8o infermò. Nel suo Canzoniere leggesi una can- 
zone diretta alla Morte che incomincia 

Morte, poiché non tmovo a coi, mi doglia ; 

nella quale fa prova d' ammansirla^ esponendo tdtte le ra- 
gioni^ che il suo ingegno e il suo cuore potean suggerirgli 
per arrestare il colpo funesto ; e nella quale concMóde^ spe- 
rare eh' ella si rimuoya da quel àuo fiero volere di spegnerla^ 
si che tuttavia possa al mondo far dono di sé quell* ahìma gen- 
tile^ a €ui dono di sé aveva fatto egli il Poeta. Ma a che gio- 
vano ì voti e i lamenti di chi ama^ quando è giunta V ora 
fatale? Nei 9 giugno 1290^ in età di ventiquattr' anni e due 
mesi, moli Beatrice. " 



ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI 

AL CAPITOLO QUABTO. 

* Che, Dante nascesse V anno 1265 lo significa Giovanni 
Villani, dicendo (Ub. IZ, càp. 136) che neU^anno 1321 mòri 
Dante Alighieri in Bavenna in età circa cinqoantasei 
anniy tanti essendone passati dal 1265 al 1321. Lo attestano 
i più antichi biografi del Poeta, cioè il Boccaccio, il Bruni e il 
luinetti, q[uantuhque il primo di questi equivocasse dicendo 
apa Urbano IV, morto V anno avanti. 



che m (jaelFanno èra palpa 

mentre il papa regnante m quell' anno era Clemente IV. Che 
naacéìne nA. 1265 viene a éUrlo egli stesso ne* primi due 
versi del suo Po^ma: 

Nel mezzo del cammin di nostra vita 
Mi ritrovai per una selva oscura ; 

il meno del cammìnb della vita umana essendo (siccom^egli 
atonio dice nel Convito) Tanno trentacinquesimo; e tren- 
tacinqne ne corrono dal 1265 al 1300, data della trilione. Che 
nascesse nel maggio viene a dirlo egli stesso, Scendo nel can- 
to XXII, V. 110 del Paradiso, di eteer nato sotto il segno 
de* Gemelli; ed altresì ò attestato dal Boccaccio, il quale 



96 yiTA DI DANTE ALIGHIERI. 

narra d* aver saputo da Ber Pietro di messer Giar^no da 
Ravenna, eh' era stato nnp de' pia intiiqi amici del nostro 
Poeta, eh' egli era morto in età di anni 56 e tanti mesi 
{cioè i), quanti corrono da maggio {in che nacqtie) al 14 set- 
tembre 1321 (in che mori). Errò pertanto il Lanaino, e die- 
tro ad esso alcmn altro, il quale nella breve vita del Poeta, 
da lui premessa al suo Commento •auila, Divina Commedia, 
lo dice nato l' anno 1260. Se pur non fu questo un errore 
di stampa, poiché mentre il Landino pone V anno 1260, 
aggiunge essendo papa Clemente IV. Ora il dotto Landino 
non potea igncnrare .che nel 1260 era' papa Alessandro IV, 
e che Clemente IV era succeduto, ad Urbano IV, Bucce»* 
sere di Alessandro IV nel febbraio del 1265. Bipeto dun- 
<iue che (a, parer mio) fii quello im errore di stampia; ed 
infatti nelle tre ristampe che il Sansovino fece di quel Com- 
mento nel 1564, 1568 e 1596 credè bene di correggerlo, 
ponendo l' anno 1265 invece di 1260. 

' Che Dante sia accorciatura di Durante, lo dicono pa- 
recchi. Filippo Villani, pag. 8: Poetce infontiòus sacris no- 
men Durante fuit, sed syncopo^to nomine, pro^ diminutione 
locutionis more^ appellatus est D§,nte. — Volterrano (Cotii- 
ment, Urban,, lib. XXI, col. 638); D&utes poeta fior entlnus 
e gente Alegheria, Durantes ao initio vocatus, interciso 
deinde ut fit in pueris vocabulo. — Domenico di maestro 
Bandino d' Arezzo {Fons memorahilium Universi, parte V, 
lib. I, MS. neU' Opera del Duomo): Danftes est proprtum 
et usitatum nomen cujusdfim poetce, philosbphi ep meolcgi 
fiorentini, uhi nota, quod' in fonte sancti lavacri Durante 
fuit' sibi nomen impositum, Sed blanditiarum alludio, se- 
cundum florentinórum morem, sincopato nomine, Dantes ^- 
catus est. Ed è autenticamente attestato dal documento 
del 1342: Cum Durspite óUm vocatus Dante, quondam Ale» 
gherii de Florentia, fuerit condemnattis et exbannitus...,. 
Jacobus fiUus quondam 'Dorantis, oUm vocati Dantis 
prcedieti. 

' Nacque Brunetto in Firenze nel 1220, ed era del se- 
sto di porta a Duomo. Fu segretario della repubblica, ed 
appartenne al partito guelfo ; onde nel 1260,* dopo la scon- 
fitta di Montaperti, gli convenne esulare. Andonne in Fran> 
eia, ove attese ai suoi stu^, ed' ove sqrisse in- lingiha fran- 
cese la sua opera principale, eh* è intitolata «2 Tesoro. Pare 
che tornasse in Firenze dopo che i Guelfi vi fttrono riam- 
messi, cioè dopd il 1266 o 1267. Infitti egli erà^ sindaco 



CAPITOLO QUARTO. 97 

del Comune insieme con Manetto di Benincasa nella lega 
fatta tra Firenze, Genova e Lucca a danno de' Pisani nel 
mese d' ottobre dèi 1284, Mori in Firenze il 129^4. 

* Intorno a ciò posson ledersi il Lami nella parte I del 
suo Odeporico, pag. 229 e spg. -, e il canonico Bandini nella 
prefìizione posta al primo volume del suo. Specimen litera- 
turcB florentinéis ^ccculi XL 

* La forma del carattere di Dante (dice il Pelli) si ptlò 
avere da un codice segnato E del pubblico archivio Aj- 
manni di Gubbio, in fine del quale e un sonetto {Tu che 
stanzi lo^ colle ombroso e fresco). Che credesi scritlx) di suo 
pugno. Ma il Pelli, cosi dicendo, ^ ^tato tratto in inganno da 
ciò, che scrìsse Francesco Maria Éaffaelli nel su'o libro intor- 
no a Busone da Gubbio (cap. V, § 5); poiché quel sonetto è 
apocrifo, ed è scrittura posteriore a .Dante di due secoli. 

' • Francesco da Buti, comentando il v. 42 del canto XXX 
del Purgatorio, dice (ed alcuni sull' autorità di lui lo ripe- 
terono) che Dante nella sua gioventù si facesse frate di 
san Francesco. Ecco le sue parole : u Prima eh' io fuor di 
ìierieia foss^ : per questo appare che '1 nostro Autore in- 
ae quando era garzone d' innamorasse della Santa Sent- 
irà, e questo credo che fusse quando si fece frate del- 
n l'. ordine di san Francesco, del quale uscitté innanzi che 
9» facesse professione. » Donde il Buti s' attingesse una sif- 
fatta notizia noi saprei immaginare: dirò peraltro eh* è que- 
sta una favola, suUa quale non vai la pena spendere molte 
parole. Bacconta Dante nel Convito (Tratt. II, cap. 13) 
che egli dopo la mo.i^e di Beatrice immaginava la filosofia 
come una donna bellissima, e pensava .ch\ella*dovesse es- 
aere somma cosa, «<E da questo immaginare (segue a di- 
n re) cominciai ad andare là, ov* ella si dimostrava ve- 
li racemente, cioè nelle scuole de* religiosi e alle disputazioni 
» de*'filoBofanti. n Ora, poiché non vi ha il minimo d^to per 
far supporre che Dante fatìeSsesl frate, può esser pertanto 
che il Buti abbia creduto, come, dicendo il Poeta, d' avere 
appreso la filosofia nelle scuole de* religiosi, abbia voluto 
dure d* essersi fatto frate. Alcuno poi? crede averlo Dante 
stesso indicato con quelle " parole del canto XVI, v, 106 
deU* Inferno: . 

Io aveva una corda intorno cinta, 
E con essa pensai alcuna volta - 

Prender* la lonza -alla pelle dipinta. 
DA^TB. - Vita. 7 



98 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

]Mia clie voleasi fare con quella corda ? Si volea mansuefare 
il mostro Gerìone, e indurlo a portar giù i Poeti sulla sua 
groppa. Ma Gerione è simbolo dejla frode, né io so vedere- 
come a sventar la frode faccia d' uopo della corda fran- 
cescana. Altri poi crede poterlo dedurre dall* essere stato 
Dante tumulato in abito di terziario dell' ordine di san Fran- 
cesco; ma oltreché V abito di terziario, eli' ^ cosa puramente 
laicale, non avrebbe nuUa che fare coir esser egli stato 
frate, ella é questa una mera supposizione, che sta contro 
ciò che dice Giovanni Villani, cioè che Dsjìte fu jseppelUto 
a grande onore in abito di poeta e di filosofo. 

■^ I Portinari restavano poco più di cinquanta passi lon- 
tano, dagli Alighieri, poiché questi abitavano (siccome no- 
tammo) fra San Martino è Santa Margherita, e quelli ave- 
vano le loro case dove é ora il palazzo Ricciardi, già Sal- 
viati, all' estremità di via del Corso, presso il, canto de' Pazzi. 
I Portinari erano venuti a FirenzQ da Fiesole, e il più an- 
tico di ei«5i, che si trovi rammentato in un atto del 1187, 
è un Portinaio di, Folco*, e cosi probabilmente chiamaronsi 
perchè abitando (siccome ho dettò), all' estremità di via del* 
Corso, restavano presso la porta San Piero. Infatti la loro 
arme faceva una porta con due leoni rampanti. Questa fa- 
miglia s' estinse in un Anton Maria, che morì il 13^ gen- 
naio 1772. 

Beatrice nacque nell' aprila del 1266 da Tolco di Rico- 
vero Portinari, e da Gilia dì ìarherardo Caponsacchi. Dal 
testamento di Folco, rogato nel 15 gennaio 1287 (égli morì 
il 31 dicembre 1289 : nel prioriata Petribuoni), e pubblicato 
dal Richa (voi. Vili, pag. 229) s' apprende eh' ella era già 
stata maritata a Simone de' Bardi. Eccone la particola : 
Item domince Bici filice mece, ei uxori domitii Simonia de 
Bardia reliqui libr,- 50, adfloren.Mlsi morì il 9 giugno 1290 
in età di anni 24- e due n^esi. Qui potrebbe da alcuno farsi 
una domanda, ed é questa: Come mai D^nte, eh' era tanto 
innamorato di Beatrice, non cercò d' ottenerla in isposa ? 
Si vuol rispondere a ciò, che forse Dante non avrà omesso 
di tentarlo, ma la disparità delle loro fortune, giacché Folco 
era doviziosissimo (come quegli che con una parte delle sue 
ricchezze potè fondare lo spedale di Santa Maria Nuova), 
ne sarà ^tato probabilmente 1' ostatolo. Infatti la famiglia 
Bardi, nella quale ella entrò, era delle più doviziose di 
quei tempi. 

* Anco Giovanni Villani (lib. Vili, cap. 39) racconta 



CAPITOLO QUARTO. 99 

cbe a ogni anno per tutta la citt^,.per lo calen di maggio, 
9 si faceano le brigate e le compagnie d' uomini e di don- 
9 ne, di sollazzi e balli. » 

* Un lie^e errore commette qui il Boccaccio, poiché nel 
pnmo maggio 1274 Beatrice aveva otto anni e un mese. 

*® Le scienze umane a quel tempo- eran sette, e con vo- 
cabolo specioso venivan chiamate del Trivio e del Quadri- 




drivio non entravano le scienze fisiche, la metafisica, la mo- 
lule, il diritto civile e canonico, e le scie'nze sacre, le quali 
perciò formavano dette catégorie a parte. 

^^ J3an Genesio, o Borgo San Genesio, era una ricca e 
pm^lata terra del Yaldarno di sotto, 24 miglia distante da 
Firenze, ed in prossimità di San Miniato. Fu -distrutta, se- 
coi^dò dhé narra il Villani (lib. VI, cap. 31) V anno 1248. 

.** Questo Lamberti' è postò da Dante nell' Inferno, 
(canto XXVIII, v. 103 e seg.). fra coloro che semmaron 
discordie «ivili ndl* umana famiglia: 

"Ed un che avea Tuna e l'altra man mozza. 
Levando i moncherin per Taurà fosca. 
Si che il sangue facea la faccia sozza, 

Gridò: Ricorderatti anco del Mosca, 
Che * disfei (lasso !) : Capo ha cosa fatta ; 
Che fu '1 mal senie per la gente tosca. 

%à. io v'aggiunsi: E morte di tua schiatta. 

*' Peir uccisione di Buondelmonte, quasi vittima sacri- 
ficata atUà statua mutila di Marte, eh' ers^ a pie del Ponte 
vecchio, fa parole Dante nel canto Xyi, v. 140 e seg. del 
Parade: 

-0 Buondelmonte, quanto mal fuggisti 
Le nozze sue per gli altrui confo i^ti! 
Molti sarebber lieti, che son tristi, 
^Se Dio t' avesse conceduto ad Ema 
'La prima volta che. a città venisti. 
Ma conveniasi a quella pietra scema, 
Che guarda. 1 ponte, che Fiorenza fosse 
Vittiuìa nella sua pace postrema. 



100 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

** Una cronichetta, falsamente attribuita a Brunetto La- 
tini, ma probabilmente della fine del secolo XIII, o del prin- 
cipio del XIV, pubblicata dapprima dalGori (néììa. Toscana 
illustrata, p&s, 283), e poi dal Rezn, contiene su questo 
tristo fatto del Buond^lmonti qualche particolarità, che non 
leggèsi né nel Malispini, né nel Villani: "il perché io credo* 
opportuno di riferirne qui appresso una parte. 

a 1215. Essendo potestà di Firenze un Currado Ovlatidi, 
» nella terra di Campi presso a Firenze a sei miglia, si 
» fece cavaliere* un Mazzingo Tegrini de' Mazzinghi, ed in- 
» vitovvi tutta la buona gente di Firenze. Ed essendo tutti 
rt li cavalieri a tavola, un giocolare di' corte levò un tagliere 
n- fornito dinanzi a m. Uberto Inf^ingati, il quale era in 
n compagnia di m. Buondelmonte Buondélmonti; donde for- 
rt temente si crucciò. E m. Oddo Arrighi de' Fifanti, uomo 
n valoroso, villanamente riprese m. Uberto predetto: onde 
» ifi. Ubertó^ lo smenti per la gola, e m. Oddo Arrighi li 
» gettò nel viso un tagliere di carile fornito: onde tutta la 
» corte né fu travagliata. Quando furono levate le mense, 
» e m. Buondelmonte diede d' un coltello a m. Oddo Arp- 
n ghi, e villanamente il fedì. Tornati ognuno a sua ma- 
» gione, m. Oddo Arrighi fece consiglio di suoi amici e 
n parenti, infra' quali furono conti de' Gangalàndi, liberti, 
»» Lamberti e Amidei; e per loro fu consigliato che di que- 
» ste cose fòsse pace, e m. Buondelmonte togliesse la figlia 
»» di Lambertuccio di capo di ponte degli Amidei; la quale 
» era figlisi,^ della sirocchia di m. Oddo Arrighi. 

n Fatto il trattato e la concordia, V altro giorno appresso 
» si doveva fare il matrimonio •, e madonna &ualdrada, mo- 
» glie di m. Forese Donati, segretamente mandò per m. Buon- 
p delmonte, e disse : Cavaliere vituperato, chi hai tolto per 
»» moglie per paura degli Uberti e de' Fifanti? Lascia quella 
n c'hai presa, e prendi questa, e sarai sempre onorato 
r> cavaliere. E tantosto egli ebbe assentito' a questa opera 
» fare senza alcun consiglio. E quando venne l' altro giorno, 
n la mattina per tempo, a' 10 febbraio in giovedì, e la gente 
n dell' una e dell' altra parte fu ragunata, venne m. Buon- 
tt delmonte, e passò per Por' Santa Maria, e andò a giu- 
n rare la donna de' Donati, e quella degli Amidei lasciò 
» stare. Sorto questo vitupero, vedendo m. Oddo Arrij^ 
» questa cosa, fu molto crucciato, e fece un consiglio n&Ùi 
1» chiesa di Santa Maria sopra porta di tutti li suoi amici 
n e parenti, e quivi fortemente si lamentò della vergogna, 
rt che gli 'erti fatta per m., Buondelmonte. H perchè fu con- 
» sigliato per certi uomini, che a lui fosse dato d' un ha- 



CAPITOLO QUARTO. 101 

» stone *, e altri dissero, fosse fedito nella faccia : infra' qnali 
n rispose m. Mosca Lamberti, e disse : Se tu il bàtti o fe- 
» disci, pensa di fare la fossa ove te ricoveri; o dalli tale 
» che ti paia: che cosa fatta capo hà.?A.vvenne che tra 
» loro fu deliberato che la vendetta fosse fatta in quel luo- 
n go, ove la gente era ragunata a fare il giuramento del 
I» matrimonio. Sicché la mattina della Pasqua di Rèsurressì, 
» in capo del Ponte vecchio m, Buondelmonte cavalcando 
fi a palafreno in giubba di zendado e in manteUo, con una 
j» ghirlanda in' testa, m. Stiatta degli Ùberti li corse ad- 
ii dosso, e dielli d' una mazza in sulla testa, e miselo in 
9 terra del cavallo; e tantosto m. Oddo Arrighi con un 
» coltello li segò le vene, e lasciollo morto. E questo ap- 
» postamento ru fatto in casa li Amidei. Allora lo rumore 
n fa grande: e* fu messo in -una bara, e la moglie stava 
» entro la bara, e teneva il capo in grembo, forte piangen- 
» dò ; e per tutto Firenze in questo modo il portarono. In 
» questo igiomo si cominciò la distruzione di Firenze; che 
» mantenente si levò nuovo vocabolo, cioè parte guelfa e 
» parte ghibellina, ónde per tutti li cristiani è sparsa que- 
» sta malattia, e pi^ centmaia d* uomini ne sonò- morti; che 
9 imo piglia una parte, e l' altro, V altra, n 

*' Nel 1345 il barbaro Morbasciano, avuto avviso che 
una poderosa crociata apprestavasi contro di lui, rispose 
che nulla temeva finché fossero vissuti i due poderosi amici, 
eh' egli avea fra la gente cristiana. E richiesto quali fos- 
sero, rispose : Guelfo e Ghibellino. (Storia romanesQa presso 
il Muratori, Antich. Ital,, vol..III,.pag. 371.) 

*• Pare che .Dai\te lo tenesse reo del delitto appostogli, 
poiché lo colloca fra i traditori (Inf.,. canto XXXII, v. 118): 

Se fessi dimandato altri chi t' era, 
Tu hai da lato quel di Beccheria, 
Di cui segò Fiorenza, la gorgiera. 

*' Di lui fa un tal carattere pure il nostro Poeta di- 
cendo (Purg., canto XI, V. 121): 

^^ Quegli é. . . . . . Provenzan Salvani ;. 

Ed é qui, perché fu presuntuoso 
A recar Siena tutta alle* sue mani. 

^^ Questo traditore è lK)sto dal Poeta nella ghiaccia 



i02 ' VITA, pi DANTE ALIGHIERI. 

detta Antenora , ed è ricordato con indignazione (lìifer- 
no, canto XXXII, v.. 97 e &eg.) : 

Allor lo presi per la cuticagna, 

E dissi: E' converrà che tu ti nomi, - 

che capei, qui su non ti rima^na. 

Ond* egli a me : Perchè tu pai dischiomi. 
Né n dirò ch'io sia, né mostrerolti. 
Se mille fiate in sul capo mi tomi. 

Io aveva già i capelli in mano avvolti, 
E tratti glie n' avea più.d' una- ciocca. 
Latrando lui con gli occhi in giù raccolti; 

Quando un altro gridò: Che hai tu. Bocca? 
Non ti basta sonar con le masceÙe, 
. Se tu non latri? qual diavol ti tocca? 

Omai, diss'io, non vo' che più favelle. 
Malvagio traditor; eh' aUa tua onta 
Io porterò di te vere novelle. , 

*» Neil' Inferno (canto XXIH, f . 103 e seg.) :' 

Frati godenti fummo e bolognesi : 
Io Catalano e costui Loderingo 
Nomati, e da tua terra insieme presi, ^ 

Come suol esser tolto un uom sotingo. 
Per coifàervar sua pace: E fummo tali, ' 
Ch' ancor si pare intorno dal Gardingo. 

^* Alardo di Valleri consigliò re Carlo a combattere con 
soli due terzi delle sue genti; perchè i Tedeschi vincendo si 
sarebbono dati tosto a far bottino^ e si sarebbono dispersi 
el eampo ; ed egli il re, piombando lor sopra coli' altro terzo, 
i avrebbe agevolmente distrutti. Così appunto avvenne: 
onde Dante disse (Inf., canto XXVIII, v. 17) : 

là da Tagliacozzo, 

Ove senz' arme vinse il vecchio Alardo. 



E 



I 



'* Lo storico espone la cosa imperfettamente, dicendo 
che si poneano alla badia di Ripoli le insegne. Le <WR 
(e principale di es^e, dopo il Carroccio,^ era la martìntHljk 
cioè, una campana appesa ad un castello di legno atir TlP^ 
carro) si poneano fuori di quella porta, che guidava alla 
città, contro la quale bandivasi la guerra. Quella volta 
dunque furon poste alla badia di Ripoli presso la porta 
San Niccolò, perchè da essa si va ad Arezzo. 



CAPITOLO QUARTO, 103 

*' A quelle parole di Dante, che riporta Leonardo Bru- 
ni, e che, dicono nella battaglia di Campaldino mi trovai 
non fanciullo nelV armi, molto opportunamente osserva il 
Balbo, che, ^e V epistola, la quale dovea certamente esser 
latina, è qui ben tradotta, chiaro apparisce che questo non 
fd il primo fatto d' arme, in che Dante si trovasse. Dunque 
il primo dovea esser quello dell' anno innanzi. 

'^ Fxi in questa occasione, che accadde il combattimento 
della Pieve al Toppo, accennato- da Dante nel canto XIII, 
V. 120 dell' Inferno, dicendo che vi perse la vita il sanese 
Lano; ed ecco come. Neil' allontanarsi da Arezzo i fiorentini 
fecero intendere ai Sanesi che, per iafuggire ogni pericolo, 
sarebbe ^tato bene che ne venissero con loro fino a Monte- 
varchi, potendo quindi per la via di MontegrossOli tornare 
a Siena. Ma essi baldanzosi, e avendo in animo di dare il 
guasto al castello di Lucigna-nò, ^vollero tener la via diritta, 
pacando ben tosto la pena della loro temerità, poiché colti 
all"improwiso dagli Aretini, che s- erano appostati in Val- 
dichiana presso la Pieve at Toppo, restarono pienamente 
sconfitti. 

'* Comandante di questa prima schiera dice Dino Com- 
pagni essere stato messer barone de' Mangiadori da San Mi- 
niato, il quale secondo la cronaca Sanese pubblicata dal 
Muratori (Rer, Hai Script,, voi. XV, pag. tó) era in quel- 
r anno capitano di Siena. Comunque sia, Vieri de' Cerchi 
era anch' esso uno de' capitani. « Essendo messer Vieri 
» de* Cerchi de' capitani (dice il Villani, lib. VII, cap. 131) 
V e malato di sua gamba, ^lon lasciò perciò di voler essere 
» de* feditori *, e convenendogli eleggere per lo suo sesto, 
» nullo volle di ciò gravare più che si volesse di volontà, 
n ma elesse sé e '1 figliuolo e' "nipoti : la qual cosa gli fu 
a in grande pregio *, e per suo buono esemplo molti 
nobiU cittadini si misono tra' feditori. » 



** L' elmo e la spada di questo vescovo furono, ^ quasi 
imoglie opime, appese nel nostro battistero di San Giovan- 
idli e vi restarono fino a che non f uron tolte per ordine del 
^ lacà Cosimo III. 



«^" 



■ *• Nel Purgatorio, canto V, v. 88 e seg. finge Dante in- 
contrare r anima di questo guerriero : 

Io fui di Mont efeltro, i' son Buoncònte. 



104 VITA DI DANTE AUGmERI. 

Ed io a lui: Qual forza, o quàl yentura 

Ti traviò si fuor di Campaldino, 

Che non si seppe mai tua sepoltura?» 
Oh, risposa egli, appiè del Casentino 

Traversa un' acqua, e' ha nome l' Archiano^ 

Che sopra V ermo nasce in Appennino. 
Là, 've il vocabol suo diventa vano, .^ 

Arriva' io forato nella gola, 

Fuggendo a piede, e sanguinando il piano. 
Quivi perdei la vista, e lai parola 

^el nome di Maria fini': e quivi 

Caddi, e rimase la mia carne sola. 

E quindi racconta come il suo' corpo trascinato in Amo 
dalle acque dell' Archiàna, rimanesse quivi fra la rena e la 
ghiaia sepolto. - 

' '^ La sepoltura di questo cavaliere vedesi insìno a' no- 
stri giorni nel chiostro della Nunziata, nella parete che 
guarda a ponente, ov' egli è. rappresentato a cavallo colla 
spada nuda in mano, in atto di correre contro i nemici. 

*8 Griovanni Villani, lib. Vili, cap. 137 -, Ammirato, lib. III. 
Il castello poi di Caprona era posto suUa destra dell'Arno 
là, dove sbocca il torrente Zambra, à cinque miglia/ a le- 
vante da Pisa, ^ - 

" Era nata Beatrice nell' aprile del 1266 è mori nel 9 giu- 
gno del 1290: dunque ella aveva ventiquattr' anni e 'due 
mesi. Dice il Boccaccio che Beatrice mqrì nella fine del . 
suo anno ventiquattresimo; ma di si lieve inesattezza non 
vorrà nessun discreto fare a lui rimprovero. H giorno pre- 
ciso della morte di lei è indicato da Dante stesso con le se- 
guenti parole, che leg^onsi al § !X!XX della sua VUa Nuova ; 
ove secondo le fantasie astrologiche di quel tempo, vwftL Te* 
dere e trovare nel numero 9, tutti gì' indizi! de' fam^ che . 
avean relazione a Beatrice, e al suo innamoramento per 
essa.^ u Io dico che, secondo V usanza d' Italia, 1' anima sua 
ti nobilissima si parti nella prima ora del nono giorno del 
n mese {dunque nel di 9); e secondo l' usanza^ Siria^eft^ 
» si parti nel nono mese dell' anno : il primo mese è 1^ 
f» Tismin, il quale è a noi ottobre {dunque se il primo è ottO' 
n hre, il nono sarà giugno), E secondo 1' usanza nostra, 
n ella si parti in quello anno della nostra indizione, cioè 
» degli anni Domini, in eui il perfetto numero (it numero 



CAPITOLO QUARTO. 105 

^ j^erfettOy secondo Dante nel Convito, Tratt, //, cop. 15, 
^ è il numero 10)- nove volte era compiuto in quel centi- 
" naio, {in quel secolo), nel quale in questo mondo ella 
^ fu ^o^idk Ù>unque se il 10 erasi commuto 9 volte, avre- 
*» mo dO\ Ed efla fa de* cristiani del terzodecimo centi- 
'*' naio (cioè, del secolo XIII). » Dante stesso pertanto 
^^'vi.ol dire, che Beatrice mori il nono giorno del mese di 
eiiigno del 1290. 



f 



106 VITA D( DAVre ALI6HIERI. 



CAPITOLO QUINTO. 



Dante prende moglie. Studia le scienze sacre. Si ascrive 
alV arte de^ medici e speziali. Dell* industria e del 
commercio de' Fiorentini, Forma del governo di Firenze. 
Consegue Dante i pubblici officii. Va ambasciatore a 
San Gimignano, Ottiene il priorato. Giano Della 
Bella. I Neri e i Bianchi, I Donati e i Cerchi. Lega- 
zione di Fra Matteo d* Acquasparta. Carlo di Valois. 
Dante va ambasciatore a Bonifazio VITI. Influenza 
de' papi ne' governi d' Italia. Esilio di Dante. 

[1290-1302.] 



Quanto fosse sensibile a Dante la perdita dell' amata Bea- 
trice^ non potrebbe a parole significarsi. « In tanto dolore 
» (dice il Boccaccio)^ in tanta afflizione^ in tante lagrime 
" » rimase, che molti de' suoi congiunti, parenti ed amici niuna 
» fine a quelle credettero, altro che solamente la morte ; e 
» quella estimarono dover essere in breve, vedendo lui a 
» ninno conforto, a niuna consolazione pòrtagli dare orec- 
5 chic. Li giorni alle notti erano eguali, e le notti a' giorni ; 
» delle quali niuna si trapassava senza guài, senza A)6piri, 
ì> e senza copiosa quantità di lagrime, e parevano li suoi 
» occhi due abbondantissime fontane d' acqua surgente, in- 
» tantoché e' più si maravigliavano donde tanto umore egli 
» avesse, che al suo pianto bastasse. » 

Nelle subite e forti passioni le potenze dell' anima si ri- 
mangono quasi legate, sì che non è dato all' uomo, fin che 
rimane in tale stato, di potere operare. Poeta innamorato, 



CAPITOLO QUINTO. 107 

andava Dante celebrando ne' suoi versi le bellezze e le virtù 
della sua donna; amante sventurato, non potè per alcun 
tempo parlare della sua dipartita. « Ma poiché gli occhi miei, 
^ (dice egli stesso nella Vita Nuova § XXXII) ebbero per 

* alquanto tèmpo lagrimato> e tanto affaticati erano, eh' io 
^ non potea disfogare la mia tristizia, pensai di voler disfo- 

* garla con alquante parole dolorose : e peròi)roposi di fare 

* una canzone, nella qua)e piangendo ragionassi di lei, per 
^ cui tanto dolore erasi fatto distruggitore dell' anima mia ; 
^ e cominciai allora : 

» Gli occhi dolenti per pietà del core 
■n Hanno di lagrimar sofferta péna 
n Sì, che per vinti son rimasi ornai. 
» Ora s' io voglio sfogar lo dolore, 
ff Che appoco, appoco jalla morte mi mena, 
n Convenemi parlar traendo guai : ec. n 

^ nonostantechè con questo e con altri poetici componi- 
Xnenti cercasse disfogare l' interna doglia ; nonostantechè si 
leonesse a Scrivere il libretto della Vita Nuova, eh' è una 
storia passionata del suo amore per Beatrice dalla prima orl- 
ane fino a un anno dopo la morte di lei ; pure le lagrime 
non ristavano: ond'egli pensò, di trovare a ciò altro modo, 
e questo fu lo studiò, « Come per me fu perduto (die' egli 
» nel Convito, tratt. II, cap. 13) il primo diletto della mia 
» anima (cioè Beatrice), io rimasi di tanta tristizia punto, 
» che alcuno conforto non mi valea. Tuttavia dòpo alquanto 
5> tempo, la mia mente che. s" argomentava di sanare, prov- 

» vide ritornare al modo, che alcuno sconsolato avea 

n tenuto a consolarsi. E misimi a leggere quello non coho- 

> scinto da molti libro di Boezio, nel quale captivo e 3iscac- 

> ciato consolato s'avea. E udendo -ancora che Tullio scritto 
» -avea un altro libro, nel quale, trattando dell' amistà, avea 

» toccate parole della consolazione di Lelio, misimi a leg- 

» gere quello. » • 

La consolazione peraltro eh' egli andava cercando, non 



108 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

potea venirgli di subito^ ma soltanto col tempo ; perocché 
troppo forte era il colpo, che la sua sensibilità avea provato, 
e troppo accesa era la sua fantasia della celeste immagine 
della donna, che avea perduta. « Egli era (prosegue a nar- 
» rare il Boccaccio) sì per lo lagrimare^ e sì per V afflizione 
*> che al cuore sentiva dentro, e sì per lo non avere di sé 
> alcuna cura, divenuto quasi una cosa salvatica a riguar- 
»• dare, magro, barbuto e quasi tutto trasformato da quello, 
» che avanti essere soleva ; intantochè il suo> aspetto, non 
ì> che negli amici, ma eziandio in ciascun altro che '1 ve- 
ì> deva, a forza di sé nàetteva compassione. Questa compas- 
» sione e dubitanza di peggio faceva' li suoi parenti stiure 
» attenti alli suoi conforti; lì quali, come alquanto videro le 
» lagrime cessate, e conobbero K cocenti sospiri alquanto 
» dare sosta al faticato petto, colle consolaziohi lungamente 
» perdute ricominciarono a sollecitare lo sconsolato; il quale 
» comecché iusino a- queir ora avesse a tutte ostinatamente 
» tenuto r orecchie chiuse, alquanto le cominciò non 3<^a- 
» mente ad aprire, ma ad ascoltare volentieri ciò, che intorno 
» al suo conforto gli fosse detto. La qual cosa veggendo li 
1^ suoi parenti, acciocché del tutto non solamente de' dolori 
» il traessinò, ma il recassero in allegrezza, ragionarono in- 
» sien^e di volergli dar moglie, acciocché come la perduta 
]» donna gli era stata di tristizia cagione, così di letizia gli 
» fosse la nuovamente acquistata. E trovata donna giovane, 
)) quale alla sua condizione era dicevole, con quelle ragioni 
» che più loro parvero induttive, la loro intenzione glisco- 
» prirono. E acciocché io non tocchi, particolarmente eia- 
» scuna cosa,. dopo lunga tenzone, senza mettere guari di 
» tempo in mezzo, al ragionamento seguì V effetto, e fu 
» sposato. » 

Pertanto nell' anno 1292, e nella sua età di anni ventiseV 
te, prese in moglie Gemma di Manetto Donati, * non propria- 
mente di quella famiglia, ond' era il celebre Corso, che avea 
le sue case e le torri sulla piazza dì San Piero (oggi Merca- 
tino), ma di quella, probabilmente {affine air altea) ehe abi- 



CAPITOLO QUINTO. 109 

tìiva sulla piazzetta della Rena, che pur fino a' nostri giorni 
À è continuata a chiamare la piazza de' Donati. Or poiché 
e case degli Alighieri rispondevano, a tergo contro a quelle 
le' Donati, io ho sempre avuto il sospetto, che la gentil 
lonna, giovane e bella, la quale, dopo la morte di Beatrice, 
;uardava Dante da una finestra molto pietosamente, sicché 
uUa la pifitade pareva in lei accolta {Vita Nuova, § XXXVI), 
lon altra fosse che quella, ch'egli poi prese in moglie; 
[uando mi sono imbattuto a vedere che questo sospetto 
)bbe pure il Balbo, il quale dice : cr Fu egli poi il matri- 
ì marno di Dante conseguenza immediata dell' aver esso la- 
ì sciato il pensiero della gentil donna consolatrice ? ovvero 
ì fu ella una sola persona quella consolatrice dapprima ri- 
» gettata, e poi presa in donna ? }> 

Seconde alcuni scrittori, la mutua corrispondenza fra 
narito e moglie non durò lungamente. 11 Boccaccio afferma 
'he Dante una volta partito da lei, mai né dov* ella fosse 
rdle venire, né sofferse che dov* egli fosse ella venisse giam- 
òai. E il Manetti rincarando, dice : Uxorem habuit e claris- 
intìi Donaterum familiay nomine Gemmam, morosam admo- 
fum, ut de Xantippe, Socratis philosophi coniuge, scriptum 
uè legimus. Ma veramente di tutto questo non si ha par- 
icolar riscontro dalla storia ; e quantunque lo non trovi che 
1 alcun luogo delle sue opere atbia Dante ffttto menzione 
ella sua moglie, pure nel breve corso di dieci anni avendo 
vutò da lei sette tìgli, e facendosi nel Paradiso (canto XVII, 
'. 55) dire a Cacciaguida: 

Tu lascerai ogni cosa 'diletta 

Più caramente ; e questo è quello strale 
Che r arco dell'esilio pria saetta; 

a quale espressione oltre i flglt può comprendere eziandio 
a consorte ; io sono portato a credere che egli non provasse 
m lei queir avversione, della quale quegli scrittori han te- 
auto, forse troppo gratuitamente, discorso. Narra il Boccac- 
cio, ehe, confiscati i beni a Dante, potè la moglie salvarne 



^iO VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

ona piccola parte per le sue ragioni dotali, ed ella, non senza 
fatica ottenutala, de' frutti di essa sé e li piccoli figliuoli di 
lui assai sottilmente reggeva. Veramente non era questo uà 
operare da novella Xautippe, siccome la chiama il Manetti. 
Che se il Poeta non la ricordò mai nelle sue opere, è da avver- 
tirsi che mai non ricordò in esse i suoi figli : onde se V ar- 
gomento non prova per questa parte, non dee provare nem- 
meno per quella. 

Fu nel 1292, nell' anno stesso in che-prese moglie, ch'egli 
cominciò a darsi di proposito allo studio della filosofia e delle^ 
scienze sacre, proseguenda in esso assiduamente per quasi, 
tre anni; Dopo avere scritto il sonetto 

Oltre la spera che più larga gira, 

che è r ultimo da lui inserito nella Vita Nuova, dice : 
« Appressò a questo sonetta apparve a me una mirabil vi- 
» sione, nella quale vidi còse che mi fecero proporre di non 
» dir più di questa benedetta (Beatrice) infintantochè io non 
» potessi più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò 
]> io studio quanto posso, sì com' ella sa veraceinenle. Sic- 
» che, se piacere sarà di Colui, per cui tutte le cose vivo^ 
» no, che la mia vita per alquanti anni perseveri, spero di 
» dire di lei quello, che mai non fu detto d'alcuna. » Or 
come di qui s' apprende, che fin da quel tempo aveva Dante 
concepito l' idea del suo Poema, nel quale volea dir di Bea- 
trice quello che mai non fu detto d'alcuna, perciocché dj lei 
avrebbe formato l'altissimo simbolò della divina sapienza; 
così s* apprende che a ciò abbisognandogli la cognizione delle 
dottrine filosofiche e delle scienze sacre, queste si pose a 
studiare quanto poteva. Per trpvare alcun sollievo alla sua 
afflizione, vedemmo di sopra eh' egli s' era posto a leggere 
il libro della consolazione di Boezio, e il trattato dell' ami- 
cizia di Cicerone. Da questa lettura vonne (secondo eh' egli 
stesso racconta nel Convito, Tratt II, cap, 13) eh' egli s'in- 
namorasse della filosofia: « E siccome essere suole, che 
» r uomo va cercando argento, e fuori della intenzione trova 



CAPITOLO QUINTO. Ili 

» oro; io che cercava di consolarmi/ trovai non solamente 
» alle mie lagrime rimedio^ ma vocaboli d' autori e di scienze 
» e di libri :, li quali considerando, giudicava bene che la filo- 
» sofìa, ch'era là donna di questi autori, di queste scienze 
» e di xjuesti libri, fosse somma cosa. E iminaginava lei fatta 
» come una donna gentile, e non la potea immaginare in 
» atto alcuno se non misericordioso. Perchè sì volentieri lo 
» senso di vero V anmiirava, che appena lo potea volgere da 

> quella. E da questo immaginare cominciai ad andare là, 
j ov'ella si dimostrava veracemente, cioè nelle scuole de're- 
» ligiosi, e alle disputazioni de' filosofanti : sicché in picciol 

> tempo, forse di trenta mesi> cominciai tanto a sentire 
» della sua dolcezza, che il suo amore cacciava e distrug- 
) geva ogni altro pensiero. » . - 

E-d egli veramente studiava in questo tempo, più che con 
assiduità, con ostinazicme, tantoché gli s' indebolì la vista. 
La Canzone 

Amor, che nella mente mi ragiona, 

fu da lui scritta nel .1294 o 1295; e ciò rilevasi dall' esser 
questa cantata da Casella nel Purgatorio, e dal sapersi che Ca- 
sella era morto quakhe anno avanti al 1300 : ciò deducen- 
dosi dall' interrogazione che gli fa il Poeta dicendogli : Ma 
a te come tanV ora è tolta? Ora racconta Dante nel Con- 
vUo (tratt. HI, cap. 9) che l' anno, in che compose la detta 
Canzone. « per affaticare- lo viso (/a vista) molto a studio di 

> leggere, in tanto debilitò gli spiriti visivi, che le stelle gli 

> pareano d' alcuno albóre ombrate : e per lunga rip^nza 
» in luoghi oscuri e freddi, e con affreddare lo corpo del- 

> r occhio con acqua chiara> rivinse {ricuperò) la virtù dis^ 
y gregata, e tornò nel primo buono stato della vista. » 

Dunque studiava Dante, e studiava con ;Bura indefessa, 
ma un ingegno forte, sì com' era il suo, non potea star rac- 
chiuso nella specolativa, e sentiva il bisogno di manifestarsi 
e d' espandersi neh' atto pratico. Egli era cittadino d' una 
repubblica, avea combattuto nelle battaglie della patria. 



112 VITA DI DANTE ALIGfflERI. 

avea appreso tutto quello, che uom potesse apprendere in- 
quella età : il perchè non se gli può far rimprovero, sicco- - 
me gli fece il Boccaccio, d' essersi divelto dalla vita solitaria- 
dello studioso, e d' aver egli, uomo nel santo seno della filosofia^ 
allevato, nutricato e ammaestrato, ambito gli offlcii pubblibi ;ì 
sì perchè per essi potea la sua virtù viemaggiormente dÌHio— 
strarsi ed accrescersi, sì perchè potea la sua patria ricevernes 
incremento. Ho accennato nel capitolo precedente, come finoc 
dal 1282 il popolo fbrentino volle, che non si potesse con- 
seguire oflQcio pubblicp da chi alle arti non appartenesse, CZ 
non si fosse ad alcuna di esse ascritto. Dante adunque s 
fece ascrivere a quella de' medici e speziali, eh' era la sesta 
delle sette arti maggiori. In qual anno ciò avvenisse non fe 
bastantemente accertato. Il Pelli dice nel 1297, e si fonda 
sopra un codice di detta arte (de' medici e speziali) che 
comincia dall' anno 1^97 e va sino al 1300; ove a e. 47 leg- 
gesi Dante d' Aldighieri degli Aldighieri poeta fiorentino. Io 
ho veduto questo codice membranaceo, eh' è segnato del 
nura. Vn, neir archivio centrale di Stato, ma poiché in esso 
è detto d'esser compilato nell'anno 1446-1447 sopra gli. an- 
tichi registri, ed è disposto per ordine alfabetico, e non per 
ordine di tempi; e poiché se si dovesse stare a quella indi- 
cazione mancherebbero i nomi di tutti coloro, che vi furono 
ascritti dal 1282 al 1297; io sospetto forte che sia errofe 
nella limitazione indicata da. quelle due date, e son portato 
a credere, che Dante si facesse ascrivere non nel 1297, ma 
sì nel 1295, quand' egli avea compito interamente i «uoi, 
studila ed era pervenuto all' età di trent' anni : età eh' era 
richiesta dalla legge per potere esercitare i diritti politici. 
E pervenuto a quest' età, ed, amando di far parte del go- 
verno, come e perchè avrebbe voluto Dante indugiare due 
anni ? Egli infatti (dice il Biscioni nelle Notizie genealogiche 
della famiglia Alighieri, co± magliab. num. 112, CI. XXVI) 
fece parte nel 1295 del Consiglio speciale (detto anche Con- 
siglio del potestà, perchè dal potestà convocavasi), e in 
esso arringò nel 1295, nel 1296 (ed io aggiungo pure 



CAPITOLO QUINtO." Il3 

nel 1300 e nel 1301), siccome ricavasi (e il Biscioni V afferma) 
dalle provvisioni della repubblica. Ora io dico che Dante 
non avrebbe potuto appartenere al Consiglio speciale nel 1295 
enei 1296,'se non si fosse fatto ascrivere ad un' arte.» -E 
quantunque la testimonianza di Giannozzo Manetti non possa 
essere in questo caso d' un^ autorità ineccczionabfle, piire 
notierò ch'egli dice, come Dante diedesi agli afferi pubblici 
verso il suo anno trentesimo (1295), e; venuto in fama di 
sommo cittadino, sosteone offlcii e magistrature. con onore. 
Le arti maggiori furono, quelle, che resero ì Fiorentini 
celebri nell' industria e .nel commercio, e procuraron loro 
quelle. ricchezze, per. cui andaron famosi nelle istorie, e po- 
terono inalzare tante moli grandiose e stupende, quante son 
quelle che destan oggi la nostra ammirazione. Floridissima 
in Rrenze fu l'arto della lana nei secoli XIII e XIV, es- 
sendo i suoi panni ' richiiesti in tutti i mbrcati del mondo 
commerciale di quei tempi ; ìron perchè, quel!' arte fosse 
esercitata da' soli Fiorentini^ ma porcile nessuno sapeva rag- 
giungere» la perfezione, -a cui es^ r a vèvan portata. Anche in 
Francia e nelle Fiandre si fabbricavano panni di lana, che 
Venivano portati nel resto d'Europa, ma essendo inferiori 
. in finezza e in bellezza ai fiorentini, erano questi sempre i 
preferiti. - . ■ . - 

. U arte della lana non si occupava che de' panni indigeni, 
eioò 4e'veri panni fiorentini,* mentre quella di Calimala, 
detta eziandio de' mercanti di pamni franceschi, esercitava 
un' industria alquanto differente, ma che procurava pur essa 
molto guadagno a Firenze. Questi mercanti compravano in 
Francia, in Fiandra, ed eziandio in Inghilt>t*ra i panni quivi 
fabbricati, li ritingevano, li cimavano, e li sottoponevano a 
tali industriose operazioni da reùdferli d' un molto, maggior 
valore, e he facevano grandissimo commercio. Questa du- 
plice industria de' panni cominciò a decadere . al principio 
del sècolo XV, (ìuaiìdo la Francia e l'Inghilterra diedero 
nlaggior perfezione alle fabbriche loro. 

L'arte della seta cominciò in Firenze prima dì quella 
DANtB. — Vita. « 



ÌU VUPA DI DANTE ALlGfflERI. 

della lana. Dicesi che dalle isole dèli' Arcipelago fosse stata 
portata in Sìciliay e quindi fn Toscana e in Lombardul:; e 
gi4 sino dal 1204 vediamo nominati i consoji dell' arte della 
S3ta nql trattato di pace cqì Sanesi. Quest' arte fu sobito 
portata in Italia a tal perfezione^ che i più rinoBuati drap^ 
erano quelli de* Fiorentini^ de* Lucchesi è de' Veneziani ; ina 
nei broccati e tessuti d'oro, d'argento e di seta, i Fioren- 
tini sorpassjafono tutti : ... 

Ha ttèfiV bella seta, o si fin òro, 
Mai Fiorentini industri tesser hnnOf 

dice l'Ariosto nell' Orlando, canto H/st. 75. Fioriva tut- 
tora quest' arte quando quella ddla lana era in decadenza. 

Anche l' arte del cambio arxicdii grandemente i Fioren- 
tini; e poiché i rami del commercio si collegano e si aiutan 
tra lofo, cosi l' accrescimento delle arti dejla lana, di Cali- 
mala e della seta, e l' ingente iòmma che da quelle ntrae- 
vasi, accrebbero pure 1' arte del calhbio. Erano i Fiorentini 
i banchieri generah d' Europa, dei principi e dei re; i Sal- 
viatl della casa di tìorgogna ; i Salimbenì e i Peruzzi \ói 
quelle di Francia e d' Inghilterra, e còsi i Bardi, ì Fresco- 
baldi e gli Acciaiuoli. Gli Alberti aveapo stabilimenti e ^calse 
filiali in Avignone, Bruggia, Brussellé, Parigi, Venezia, Na- 
poli, Roma e altrove ; ed essi riscuotevano i daaiuri delle 
annate, censi e benefizii per i papi da. tutta -d'Europa. Ma 
all'jetà di Dante le più potenti erano le compagnie de' Bardi 
e de' Peruzzi, le quali per ricchezze, per credito, per pri- 
vilégii ottenuti, pel gran nupero de' loro stabilimenti, e per 
la vastità delle loro operazioni, rassonrìgliano al banco di 
san Giorgio di Genx)và, e alle compagnie inglesi e olandesi 
delle Indie orientali. I Medici, gli Strjozzi, i Capponi, i Ru- 
cellai, i Da lizzano non sorsero che dopo i tempi di D^nte. 

L'arte de'medipi e speziali, a'ciri Dante s' ascrisse^» non 
s'occupava solo delle droghe medicinali, ma faceva in' pai^ 
ticolare l'importante commercio delle spezierie.e di^i pro- 
dotti di tutto r Oriente, non escluse le perle a le pietre pre- 



CAWTOIiCF QUINTO. Ì15 

ziose. Ella era ^perciò una delle principali, -e, come le altre 
quattro sunnonainate, procurava molto guadagno a Firenze. 
I ragliagli, fche ne dà il Pegolotti, scrittore del secolo XtV, 
provano che le naerci orientali erano, da' Fiorentini portate 
non 60I0 in Firenze pel consumo della città, ma ben anco 
in paesi esteri/ é particolarmente negli, scali di Ponente/ in 
Francia) in Fiandra e ia Inghilterra : se non che mancando 
ai tempi di Dante di porti e (tì i*avi> noleggia van per que- 
sto i legni dei Genovési-, HfarsigResi, Savonesi, Anconitani, 
Pisani ^d altri secondo le occorrenze. A.iJunquf dalle arti e 
dal commercio provenne e ^ mantenfleper qualche sécoto 
ia'ricQibezza jie' Fior^ntitii, e i loro pubblica offlcfi non si 
esercitavano che da arti^ani. . 

La .suprèma magistratui?a del governo di Firenze risede- 
va, dejK) la morte della contessa Matilde (siccomfe un poco 
accenoammo) ne' consoli ; poi per alquaìiti.anni negli anzia- 
ni; quindi per breve tempo ne' buonuomini ; e finalmente 
nel 1282 ne' priori detti delle arti, perchè doveano appar- 
tenere alla corporazioni di esse. Le arti- al tempa di Dante 
«pan dodici, sette maggiojri e. cinque minori : poco appresso 
giunsero a yentuna, e allora si dissera maggiori, mediane e 
mitiori. Errano le maggiòn : I. Giudici e Notai ; n. Mercanti di 
CaUmate ; HI. Cambiatori ; IV. Lanaiuoli ; V. Setaiuoli ; VI. Me- 
dici e Speziali ; VII. Vaiai e Pellicciai. Le mediane : Vili. Bec- 
cai ; -IX. CJal^crtai ; X. Fabbri ; XI. Maestri di pietre e legna- 
me ; XII. Rigattieri e mercanti a Ritaglio. Le minori : XIII. Vi- 
nattieri; XIV. Albergatori; XV-. Oharidoli; XVI. Galigai, ossia 
conciatori di pelli;. XVII. Corazzai e Spadai; XVIII. Correg- 
giai; XIX, Legnaiuoli; XX. Chiavaiuolf; XXI. Fornai. Dapprima 
le sole ^tì di Calimala, de] cambiò e della seta elessero 
uno de' loro membri per ciascuna,, e così i priori furono tre, 
m^. ben tpstò il numero fu esteso a sei, un per sestiere; e 
poi a dodici, due per sestiere. Al tempo .di Dante eran sei. 
Nel 1292 fa i5reato un magistrata eletto gonfelonier di giu- 
stizia, il quale aveva^ dapprijna il comando dimille, e poi di 
duenrila* uomini (somministrati dalle arti), coi quali proteg- 



116 VITA .DI prANTE ALIGHIERI,. 

geva il popolo contro i nobili^ e faceva eseguire contro di 
essi le leggi della giustizia (Ordinamenta justiticB); leggi se- 
verissime^ eh' erano state compilate per opera principalmente 
di Giano Della Bella. Nel 1306 a qùest' ufiflcio fu deputato 
resecutorfey ed allora il gonfaloniere formò parte del su- 
premo magistrato de' priori^ che coir andar del tempo fu 
denominato la Signoria. Tutti i cittadini eh' erano ascritti 
alle arti, e ohe aveano gli altri requisiti voluti dalla legge, 
potevano esercitare i diritti politici! Dai consoli e capi delle 
arti erano* tratti i priori e il gonfalonier di giustizia. In ge- 
nerale nella Signoria risedeva il potere esecutivo : il legisla- 
tivo- poi si divideva ne* tre Consigli/il Consiglid del popolo, 
il Consiglio delle Capitudini, il Consiglio del potestà, detto 
anche il Consiglio speciale. Del resto i priori e il gonfatoniere 
non si estraevano a sorte dalle» borse, raà si eleggevano. 

Ogni proposta' di leège, avanti di èsser presentata ai 
Consigli (diremma oggi assemblee o Camere), doveva esséro 
deliberata e vinta dalla .maggiorità de' priori e de' collegi. 
Erano i collegi formati da dodici cittadini prò tempore e da 
sedici gonfalonieri delle compagnie del popolò, e venivano 
di frequente consultati dalla Signoria, e più speci^lmetite ne- 
gli affari d' importanza. La proposta, vinta alla maggiorità di 
voti tra i priori e i collegi, era portata al Consiglio del popo- 
lo. Questo chiamavasi anche Consiglio del capitano (e l' officio 
der capitano era stato creato fino dal 20 ottóbre 1250), per 
distinguerlo da quello del potestà, detto anche' Consiglio del 
cJbmune: l'officio del potestà fu creato nel 1207. Il Consi- 
glio del pòpolo era dapprima composto di dugentottanta- 
cinque cittadini, pòi di trecento e più : non si eleggevano, 
ma. si traevano a sorte dalle borse destinate a quest' uopo, 
nelle quali erano imborsati i popolani guelfi più notabili. 
Distitìguevasi questo Consiglio per esser tutto composto di 
popolani, e per esser presieduto dal capitano. La proposta 
una volta passata nel Consiglio del popolo, veniva portata 
dinanzi ài Consiglio delle Capitudini. Era questo, cosi chia- 
mato, perchè compósto dei capi delle arti maggiori e me- 



. CAPITOLO QUINTO. H7 

diane^ .cioè consoli^ gonfalonieri^ capitaiù ed altri officiali di 
esse. La proposta era quindi portata avanti il Consiglio del 
potestà^ il quale componevasi di novanta, o cento membri ; 
la parte di popolani più distinti, e. in part^ di nobili: era, 
pe^r cosi dire. Un Gonsiglip d' ottimati, che oggi diremmo la 
Camera alta. , 

Approvata la proposta eziandio nel Consiglio del potestà,- 
dovea inibire un'ultima prova; e questa. era nel Consiglio 
generale, ove tjutti e tre i Consigli, cioè. quello del popolo, 
delle Capitudini e del potestà, conve^ivano.' Allora la prò» 
pcsia^ approvata che fosse, acquistavtì.forza di legge; e l'ese- 
euzione di- pssa veniva afladata ora al potestà, ora al capi- 
tano del popolo, ed ora air ese^utor di giustizia, secondo 
che voleva la sua particolar natura, e "che richiedevano le 
speciali attribuzioni di quei magistrati. 

Quello che poi rjchìedevasi dalle leggi; per potere aver 
parte in qualunque de' detti Consigli, non che nella suprema 
iBagÌ8Jtratu|ra de' priori, e per potere esercitare qualunque 
fossesi diritto politico, si efa : V essere ascritto ad alcuinn^ 
delle arti; il pagare Iettasse, le imposizioni e le prestanze; 
y esser guelfo; l'età non minore di trent' afini. Dello squit- 
tinio^ delle borse, e dejlè tratte, dello specchio, del veto di 
j^te guelfa (1' oflacio de' capitani di parte guelfa fu istituito 
nel '12.67), eh' erano le prove che dovean far garanzia di 
tutto quello che si voleya per essere amméssi all' esercizio 
de' diritti politici, io non credo dover far parola, perchè en- 
trerei kk trattazioni troppo minute ; le quiali se stanno bene 
in. una storia di Firenze, non potrebbero stare altrettanto 
bene in una storia della vita di Dante, siccom' è: quella ch'io 
scrivo. 

Dante adunque (secondo cha di sopra ho accennato) ap- 
partenne ad alcuno di questi Consigli nel 1295^ nel 1296, 
nel 1300 £ nel 1301 ; e. poiché dai documenti che riporto in 
fine del capitolo si ha^ che.^li fece parte più. volte del Con- 
siglio delle Capitudini^ cosi, è forza dedurne • che non fossp 
nella sua arte un semplice ascritto, ma ne fosse anco uno 



US VITA Dr DANTE ALIGHIERI. 

degli officiali, cioè uno de' capi. Ed ecco pef Dante un altro 
titolo onorevole nellfi( su^ pàtria. Nel 1299 fu spedito amba- 
sciatore al Comune di san Gemignano^ col quale stabili un 
accordo concernente alcuhi particolari riguardanti la Taglia 
guelfa.* « Negli ufflcii pubblici (dice il Boccaccio) gli fu tanto- 
» la fortupa seconda, che niuna . legazione si ascoltava, a 
» niuna si rispondeva, ninna legge si rifoi;mava, ninna se ne 
» arrogava, niiina pace si faceva, niuna guerra s' toprende- 
» va, e brevemente niuna deliberakibne,. la quale alcuno 
» pondo portasse; si pigliava, se egH non desse la sua sen- 
» tenza. > Io non dirò tutto questo, perchè sente un po\trop-. 
pò d' esagerazióne ; né dirò (siccome disse il* Pilelfo) che egli 
sostenesse quattordici ambascerie : i. ad Sanms^s prò fini- 
hup; 2. aii Perusìmspro cimbus quibmdam Perusii detentis^j 
5. ad Venetorum RempuUicam prò juhgendo f(»dere j 4. ad 
régem Parthenopwum cum munefibus conirahendc» amicUice 
§rMa ; 5. ad Estensèm marchionem in nupliis ; 6. ad Gè- 
mmaes prò finibtis; 7. ad regem' ParthenopcBumVursus prò 
^m^atione Vanni Bardupci, guefn erai ultimo affeclurus Sìip- 
plicio; 8, 9, fOjiiiad Banifacium ponti fipem moopimum 
quatuor ; {2, f5. ad re^m Hunfwrutn bis ; ii, in Halliam ad 
regem Francorum; perocché non ha nessuno, ed io tanto 
meno, che presti fede alle faiita'Sie, se non vogllanst chia- 
mare imposture, di Giovan Mario FilelfOi* ma ^irò soltanto, 
che come non potè Dante non fersi conoscere per il. suo in- 
gegno, per la sua dottrina, per la «uà probità, cosi non potè 
a meno di essere frequentemente consultato ed ònotato di 
pubblici incarichi. Infatti Leonardo Bruni dice che Dante fu 
adoperato nella repubblica Tassai. ' 

Pervenuto Dante air età di 35 anni, fu fatto uno de'priori, 
che insieme col gonfaloniere formavario (siccome dicemmo) 
la suprema magistratura della repiAWica. Si ^isava allora 
d'eleggerli, non d' estrarli dalle borse, come usossi dappoi^ 
e I' elezione loro facevasi dai priori che usciyan di carica, 
unitamente a dodici principali cittadini, che éhiamavansi ar- 
roti (aggiunti), e dovevano esser due per sestiere : mentre 



CAPITOLO QUllNTO. 119 

il gonfabniere eleggevasi dai priori soltanto. Quindi è che 
Tessere eletto, invece che venuto su a sorte dalle borise/ 
riesce a 'maggiore onore di lui. V officio del priorato durava 
due mesi, e wmiiiciava alla metà del mese : pertanto egli ri-^ 
siede nel suo ufficio dal 15 giugno al 15 agosto 130D. Suoi 
(XHUpagni furono. Noflfo di Guido buonafedi;, Neri di messer 
Jacopo dd Giudice Alberti; Nello d' Arrighetto Doni, Btndo 
di Donato Bilenchi, Ricco Falconetti. Il gonfaloniere di giu- 
stizia fu Fazio da Micciollé; il notàro della Signoria ser Al- 
doln^ndinb d' Uguccione da Campi. 

l.p parte ghibellina trcfvavasi ornai quasi del tutto abbat- 
luta'; Pisa e 'Arezzo, umiliate per tante sconfitte, non osa- 
vano più contrastare' a, Firenze il primato trà Ife repubtìi- 
elie tói$ca.ne: onde pe' Fiorentini procèdendo le cose fino' 
dal 1292 pro^eramenté,avrel)boiJ essi potuto vivere in pace. 
Ma, quei tre vizii, di che il Poeta dice essere stati ì loro cuori 
accesi (superbia, invidia ed avarizia), se, in forza delle guerre 
che Firen:ze dovè sostenere* colle circostanti ed emule re- 
pubbliohe, eran rimanti- per alcùd tempo assopiti, ripreseM^ 
novélld vigore nella 'quiete e nelF ozio. I grandi tutti insiè- 
me vilipèndevano ed angariaVano il popolo, e fra di loro 
s'invidiavano e s'odiavano. Giano Della Bella, di famiglia 
noMissima, offeso da Berto Frèscobaldi, si voltò tutto alla 
parte popolare,* e diede opera efficace a far quello, che jl po- 
polo vivamente desiderava, cioè frenare V insolenza ed ab- 
bassare ¥ orgoglio de' grandi. Fu allora che per lui venne 
creato U gonfaloriier di giustizia,, èui afforzavano mille po- 
polani armati, e a chimera affidata Y esecuzione delle sentenze 
contro igrandi; e fu allora che vennero compilati i fieri or- 
^ dftii della giustizia contro di essi, <>ve tra le. altre esorbi- 
tanze eira Quella, che, sé un nobile ovunque Si trovasse avesse 
commesso un delitto, tutti gli altri' della sua famiglia, /ed 
eziandio i consorti, ne fossert) responsabili.' Per questo sue 
opere* divenuto Giano odiosissfnio ^i grandi, aspettavan essi 
r occasione disperderlo, né questa lar^ò a mancare. Avendo 
Corso Donati commesso un malefìssio, né essendone dal pc- 



120 VITA pi DANTE AUGfflERI. 

testa stato punito^ entrata la plebe in furore corse annata al 
palagio dei potestà e v| commise assai guasti; e quindi. alle 
case del Donati^ il quale potè, dirsi fortunato se fuggenido 
schivò la tempesta. Dell' essersi la plebe^ contro ogni legge^ 
(iatta ragione ó,i per sé stessa^ accusarono 1 grandi Giano^ 
comecché ne fosse affatto iiuiooento : gli fu fatto pertanto 
un processo^ e intimato a comparire davanti i giudici. Intesa 
la cosa, entrò 1^ plebe nuovamente in furore^ e corse ar- 
raatia alla casa di Giano, per essergli ^ scudo e difesa. Ma^ 
grandi scannarono anch' essi, perchè restasse fprza alla legga 
Ond'era per accendersi fiera battaglia cittadina, .quando 
GiaRo.cpjì grandezza d':aninK) romana, anteponendo il bene 
duella patria al proprio, scongiurata. la plebe a posare le. armi, 
s' elesse volontario esilio (5 marzo 1295). 

a: Non mai la città (dice l'Ammirato) in maggiore .e più 
3> felice stato s' era trovata, di quello che (nel principio 
j& del 1300) si ritrovasse, così d* uomini come di ricchezze 
» e riputazione. » Ma come per i Buotìdelmùnti e gli.Uberti 
furono ijitrpdotte in Firenze nel, 121 5 le parti.guelfa^ e, ghi- 
bellina; così per i Donati, ed i Cerchi furono ÌQtfodotti 
nel 1300: i Neri ^^ i Rianch'i. Trovavansi in Pistoia due fami- 
glie Cancellieri, consorti, ma fra loro nemiche; discese da un; 
messep Cancelliere notaio, il quale aveva qvuto du^.> mogli 
E poiché una .di esse nomps^i* Bianca, co^ i discesi da^ii^ si 
nomìn^roup i Cancellieri bianchi^ e. quelli nati- daft^ altra 
donna cjiiamaronsi per contrapposto i Gancelljeri neri JFi^ 
alcuni di costoro avv:enuta un giorno una. rissa. Gerì di Ber- 
laccio Bertacca fu lievemente ferito da Lore di GugliiBÌmo^ 
Il perchè volendo Guglielmo con alcuno attendi cortesia tU 
parare ali! ingiuria che il figliuolo aveva altrui fatta, gli co- 
mande che andasse a casa il padre dell' offeso, e del ca^p se- 
guirò gli chiedesse perdono. Obbedì Loi:e, ma.il suo attp 
umile non mitigò Inanimo dell' ingiura'to; il quale fatto pren- 
dere da' suoi familiari il giovine,- e portatolo in una stalla, 
gli fece sopra una mangiatoia tagliare la mano, dicendogli 
che tornasse a casa, e dicesse al padre sup,.r ingiurie do- 



CAPITOLO QUESTO. 121 

Tersi lavare non colle paroley ma col. sangue. Questo fatto 
crudele commosse 4n guisa V ànimo di Guglielmo e dì tutti 
gli altri Cancellieri neri, che a. tutto loro potere si diedero a 
voler farne vendetta; E si grande fu il séguito, che ciascuna 
delle due parti per soverchiar T^^ltra si 'andò procacciando, 
che in breve non solo tutta la città, ma eziandio il contado, 
s'era diviso in due rabbiose fazioni,, che s* andavano offen- 
dendo e distruggendo a vicenda.® I Fiorentini, ai ^uali impor- 
tava che le cose di Pistoia stesser- quiete, col consenlimen]to 
dello stesso Comune pistoiese, presero la signoria dejla città, 
e, per liberarla da quelle fazioni, i capi di esse ne levarono, 
e li conflnarono a Firenzie. Ma con poco accorgimento. oper^ 
Tono questa volta i Fiorentini, non avendo con ciò fatto altro 
che levare il fuoco di casa d' altri, e metterla nejla propria. 
Erano in Firenze due famiglie molto potenti e fra loro 
lavali : i Donati, di nobiltà aulica, valenti nelL'.armi, ma pòco 
ricchi j.i Cerchi, di nobiltà recente, ma di molte ricchezze ;^ 
ed ognuna aveva aderenze e seguitò .di molte altre famighe. 
Della prijna era capo Corso; della .seeoada Vieti. Ora avendo 
Corso Donati preso. al suo séguito i Cancellieri neri, Vieri 
de*. Cerchi prese i CanceUieri bianchi ; e in po«hi giorni la 
città fu divisa' in parte ner^ e^ iu parte^ bianca^! capitani di 
parte guelfa ..temendo, e con ..ragione,, che r-qi*este divisioni 
non FÌ|5or tasserò in ^ampo il nòhie di .gliib^llinq e dì guelfo,, 
cosicché la parte 4ellà Chiesa potesse correr qualche, peri- 
cólo, mandarono a .papa Bonifazio, chiedendo cjie vedesse 
modo di porvi riparo. Ond* ò che il papa inviò a Firenze 
suo legato frate Matteo d' Acquasparta, il quale _vi giunse 
alla metà di giugno. Ma .quando egli venne a chieder baìlia 
di riformar la città, non gli tu da' rettori della, repubblica 
consentita cosa alcuna. In questo tempo .ei;a entrato in offi- 
cio Dante ; ed essendo già fra le due parti nemiche avvenute 
delle avvisaglie, che minacciavano prossimamente una guerra 
formale, i. priori (a scongiurare il pericolo che correv^i lo 
Stato) quantunque non avessero créduto opportuno di va- 
lersi dell'opera del .cardinale, pure videro la necessità di 



122 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

pigliare qualche proYYedinrento. Laonde confinaroDo i capt 
delle due fazióni^ Corso e Sinibaldo Donati^ Rosso è Rossel- 
lina dell^ Tosa^ Giachinòtto e Pazzino de' Pazzi, e G^ri Spini 
Con molti altri al Castello della Pieve ; e Gentile, Torrìgiana 
e Carbone de' Cerchi, Baschiera Tosinghi, fialdinaccio Adi- 
mari, Naldo Gherardini, Guido Cavalcanti e Giacotto Mali- 
spini pur con molti altri aSerrezzano.' Ma Corso Donati; 
die teuea segreto trattato col cardinale e co' Lucchesi, i 
quali dovéan muovere in suo soccorso, non voleva obljedire ; 
pure minacciato da* rettori se n' andò. E se n' andò pur egli 
il cardinale poco apptesso,*^ essendosi già- fatto manifesto, 
che la baila da lui domandata non àvea per fine che d'ab- 
bassare la parte de* Bianchi; e fare acquistare il di. sopra a 
quella de' Neri.** Saviamente dunque adoperarono Dante e i 
suoi colleghi nel non voler const5n tire alle richieste di esso, 
perocché il governo noji dee farsi pafte^ ma moderatole e 
conciliatore delle parti. 

Pertanto beij disse Giannòzzo Manetti : -Ex w^a Guetfo- 
rum factione dùce Flórmtice propalam consurgunt, qnaf in- 
clytus Poeta iiostef, optmus sane civis, propterea sedare 
admodum cupiebat, quód ad perniciem cimtqti^, si patUo 
diutius obduruissentj vel maxime' ma chinar i verebatur* Ma 
r esser egli stato un ottimo cittadino e un sapiente magi-' 
strato fu appunto la causa delle sue disgrafie; perocché ve- 
duto i Neri che per opera di lui non avean potuto riuscire 
ne' lóro rei disegni, cominciarpno ad odiarlo!, spargendo eh' eì 
fosse. segretamente legato coi. "Gcrchì, mentre F integerrimo 
magistrato Jion^avea guardati) a confinare tre principali per- 
sonaggi di quella famiglia, nfe pel ben pùbblico si era ritenuto 
dal confinare eziandio il suo dolcissimo amico Guido CavaK . 
canti, n quale essendo in breve tornato^ perchè nel luogo 
del suo confino ammalatosi, dfssero essere stato lui che avealo 
richiamato, quasiché verso la fine dell* anno> allorquando il 
Cavafcanti tornò, fosse 't\jttavia Dante al potere^ E «he dal 
priorato àvessefo avuto la prima origine le sue disgrazie, lo 
disse pUre egli stessa in una lettera veduta da Leonardo 



CAPljTOLO QUINTO. 123 

Bruni : Tutti li mali e tutti fi' inconvenienti faiii dogi in- 
fausti comizii del mio priorato ebbero cagione e principio ; 
del quale priorato benché per prudenza io non fossi degno, 
niefnledimeno per fede e per età non ne era indegno. Dallo 
stesso' Bruni abbiamo poi la conferma di tutte queste parti- 
colarità. Egli dice : « Essendo la città in armi e in travaglio, 
:• i priori, per consiglio di D'ante, provvidero di fortificarsi^ 
jè defla moltitudFue del popolo; e quando furono fortifìeati, 
:» ne mandarono a' confini 0i uomini principali delle due 

31 sette. Questo diede gravezza assai a Dante^ e 

> contuttoché egli §i scmsi come uòmo senza parte, niente- 

yi dimeno fu reputato che pendesse in parte bianca; e »c- 

^ Crebbe V invidia, perchè quella parte di cittadini, che fu 

> c(Aìfinata à.Seipezzana, subito ritornò a Firenze; e 1! altra' 

»^i5h' era confipata a Castello della Pieve, si rimase di fuori. 

)> A questo risponde Dtìrite^ che quando quegli furono da Se- 

» rezzana rivocati, esso era fuori dell' ufficio del priorato, e 

» ehte a lui lion si debbo imf^utare. Più dice che la ritornata 

j» toro fu per rinfermità di Guidò Gavaloanti, il quale am- 

>malò a Serezzana per T aere cattivo, e poco apjwesso 

1 morì. » >^. 

Tornati i Neri dopo alcun mese in Firenze, non volean 
desistere daH'^ opera • incominciata, ma cércavan anzi modo, 
onde poterla condurre a termine. Nel 1301 Carlo di Valois, 
fratello di Filippo Ai Bello re di Francia, transitò per To- 
scana (senza peraltro toccar Firenze) andando alla volta di 
Roma ; donde poi intendeva muovere al conquisto della Si- 
cilia, che (come dicemmo) avea scpsso là signoria francese, 
ed erasi, data agli Aragonesi. Or dunque difesso pensarono i 
Neri valersi per conseguire il loro intento. Il perchè, tenuto 
ift-prima tra loro un conciliàbolo nella chiesa di santa Trinità, 
e ferinità Jà congiura, furono attorno a lui e a papa Boni- 
fazio ; e loro rappresentarono oonje i Bianchi- non altro fos- 
sero che Ghibellini, nemici detla Chiesa e della casa di Fran- 
cia: chiedevano pertanto, che il principe, prima di fai: l*i«*- 
presa di Sicilia, venisse 'in Firenze col titolo di paciario, e 



124 VITA BI DANTJE ALIGHIERI. 

riformasse lo stato in modo, che niun pericolo più corresse 
la parte guelfa.-** E tanto s' adopei^rono, e tanto denaro spar- 
sero air uopo, che finalmente poteron conseguire V intento 
loro/' I priori che sederon dal 15 agosto al 1,5 ottobre, ve- 
dendo bene che i Neri, col chiamare in Firenze il principe 
francese, non miravano che a sconvolgere la città, e forse a 
procacciarne la rovina colla -distruzione de* loro avversarii, 
mandarono verso la fino di settembre, o ^' primi d' ottobre, 
quattro ambasciatori al pontefice, perchè tentassero di re- 
muoverlo dair infausto divisamento. Uno di questi amba- 
sciatori fu il nostro Dante Alighieri: degli altri ci sono stati 
conservati i nomi dal Compagni-, e furono « messer Ubal- 
;» dfno Matevolti, giudice sanese, nocivo uomo> e pieno di 
» cavillazioni ; .il quale ristette per cammino per ridoman- 
j!) dare certe giurisdizioni d' un castello, che teneano i Fio- 
» reatini, dicendo jchea lui ^ppartenea, e tanto impedì 
» à' compagai ìl'cammino, che non giuYisono a tèmpo ;...*... 
» lllaso di messer Ruggierino Mjnerbetti, falso popolano, il 
> quafe non difendea la sua volontà, ma seguiva quella 

» d'altri; il Corazza da Signa, il quale si riputava tanto 

» guelfo, che appqna credea che nell'animo di niuno quella 
» parte fg^se aljtf o che spenta. i> 

Giunti gli ambasciatoci a Roma, il papa gli ebbe a solo 
in camera, e (secondo il citato storico) disse loro : Perchè 
siete voi così ostinati?.. Umiliatevi a. me: ed io vi dico in ve- 
rHàj che io non ho g,ltra intenzione che di vostra pace, Tor- 
nate indietro ^ue di voi, e abbiano la mia benedizione, se pro- 
curano che sia ubbiditala mia volontà. Rimasero pertanto 
Dante e il Malavolti per attendere le nuove istruzioni, che 
il governo fosse stato per mandar loro; e tornarono il Mi- 
nerbetti e il Corazza ;• ma Carlo di Valois troyavasi già in 
Firenze:. egli vi era entrato secondo il Villani il primo no- 
venribre, e secondo il Compagni il dì 4. 

I priori ch'erano entrati in officio il 15 ottobre, uomini 
non sospetti e buoni, come li qualifica fi Compagni (e un 
d' essi era egli stesso), peir poter de venire a concordia prò- 



CAPITOLO QUINTO. 125 

posero di accomunare gli officii (cioè^ dividerli per metà fra 
L Neri ed i Bianchi); e i Bianchi, che in tutte queste con- 
tese avean dato prova di cedevolezza, se ne contentarono 
Canto> che fidenti nella riuscita della proposta, non parla- 
vano che di pace, quando invece (come dice Io storico) « 
canvenia loro arrotare i ferri : perocché i Neri, tratto già 
dalla loro parte il pontefice, aveano concertato che Carlo, 
il quale trova vasi in Roma, movesse tosto alla vofta di Fi- 
renze, e avean già fatto il deposito di settantamila' fiorini 
4' oro pel suo soldo e per quello de' suoi cavalieri; D quale, 
giunto che fu in Siena innanzi la fine d' ottobre, mandò am- 
l)asciatori a Firenze, i quali parlando in pien Consiglio ge- 
nerale dissero che il sangue reale di Francia veniva in To- 
scana, solamente per metter pace nella parte di santa Chiesa, 
e per grande amóre che^alla città portava e a detta parte ì 
e che. il papa il mandava sicconie signore, che se ne potea ben 
fidare. Il perchè àovesse loro piacere, venisse a fare il sm 
ufficio, n governo di Firenze, veduto chj3 il' Consiglio quasi 
die tutto unanimemente erasi pronunziato per accogliere il 
sedicente paciario, mandò dicendogli che potea venire Kbe- 
ramente, purché in prima promettesse^ che non pretende- 
rebbe alcuna giurisdizione^ ne che assurfierebbe alcun ufficio 
pubblico, né per titolo d' hnperio, né per altra cagione ; e che 
uè le leggi della città, né gli usi muterebbe. Accettò egh 
tutte queste condizioni. « La lettera venne (dice Dino) e io 
» la vidi, e feci copiare, e tennila fino alla venuta del «i- 
» gnore ; e quando fu venuto, io lo domandai se di sua vo- 
t lontà era scritta, e rispose : Si certamente. Quelli che il 
i.conduceano s'affrettarono, e di Siena il trassoiio quasi 
» per forza, e donorongli fiorini diciassettemila per avac- 
» ciarlo ; però che lui temea forte la" furia de' Toi^àni, e 
> venia con gran rigiiardo. I conducitori lo confortavano e 
» la sua gente, dicendo: Signore, e* sonò vinti; domandano 
» indugio di tua venuta per -alcuna malizia,' is fanno con- 
» giure: Ed altre sospinte gli davano, ma congiura alcuna 
1 non si facea^^o» 



126 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Eutcò dunque €arlo in Firenze senza alcuna opposizio- 
ne^ accompagnato da' suoi 800 cavalieri^ unitamente ad al- 
tri 400 tu parte guelfa^ ch3 gli s'erano accodati passando 
per mezs^o Toscana ; e fermossi in casa Frescobaldi oltr' Arno. 
Poco appresso invitò a parlamento sulla piazza di santa Ma- 
ria Novella i priori, ma essi temendo della perfidia di lui, 
non vi andarono che in tre, a' quali (dice Dino) niente disse, 
come colui che non volea parlare, ma sì uccid^e. E non po- 
tendo ucciderli tutti, perchè non tutti erano andati a lui, si 
rimase. In questo tempo giunsero in Firenze 1 due amba- 
sciatori, tornati addietro da Roma; ei prióri, intese le pa- 
role: del papa, mandarono segretamente nuove istruzioni t 
ÌDante, ^condo le quali significasse a Bonifazio, cb' egli erano 
pronti ad ubbidire,, ma solo il pregavano ^ voler loro maa- 
dare per riforiìiatore il cardinal Gentile da Montefiore. £ ì 
Neri,^. che aveano segreta intelligenza, con alcuno, de* sei 
priori, che in. questo tempo, si erano contro alle leggi vo- 
luti aggiungere agli altri, avendo saputo la cosa, e temendo 
che la venuta del cardinale, quando pure il papa Y avesse 
consentita, non fosse per guastare i loro disegni, presero le 
armi, e cominciarono ad offendere i loro awersarii: Sì de- 
starono allora i Bianchi dar loro sonno, o si armarono an- 
ch'essi: ma ecco (versjo la metà di novembre) che Corso 
Donati, il quale era stato per la seconda volta confinato, 
rotto il confino, si presenta alla postierla di Pinti presso la 
chiesa di san Pier Maggiore, ov' è ora la Volta ; e, trovando 
quella serrata^ V jabbaUe a colpi di scure/ ed entra in città. 
Tutti i Neri, rinforzati. già di gente fatta venire da flio]![i,a 
lui concorrono ; ed. egli rompe le prigioni e libera i prigio- 
nieri; a^le H palagio del potestà^ e ne lo scaccia; -assale 
quello de'- priori, e li costrìnge a dimettersi;** e i Cerchi, 
tentata hi prima una prova che riuscì loro infelice, si chiu- 
dono e si asserragliano nelle case loro. Comincia allora una 
distruzione e una strage5^ che non è paragonabile nemmeno 
a quellà,,à cui va sottoposta una città presa d' assalto da fien 
e barbari nemici. Un terzo della città fu distrutto col ferro 



. CAPITOLO QUmTO. 127 

e col fuoco^ ^ e quando una casa ardea forte (racconta Dino 
1 Compagni) messer Carlo (che stava dì là d* Arno) domajo- 
j .dava : Che fuoco è queUo ? Ed eragli risposto eh' era utìa 
3 capanna^ quand' era uno ricco palagio.*'^ E questo mal fare 
» durò giorni sei ; che così era ordhiato : e pure il contado 
1 ardea da ogni parte. » Ecco il bel frutto^ che fu prodotto 
dall' intromettersi di Bonifazio nelle discordie de* Neri e 
de' Biandbj^ e dall' aver voluto ad ogni costo, e coniro l'av- 
viso della parte moderata di Firenze, mandare^ m questa 
dtlk con lo speciosa titolo di. paciarìo un principe francese. 
Ma questo imnHschiarsi def papi nelle faccende tempo- 
rali, questo costituirsi capi di parte potitica, insomma que- 
sto potere temporale di essi, quando e come ebbe origine t 
qoale scopo aveva? quaU resùltam^ti ottenne? Difficilis- 
simo subietto per me sarebbe questo, ove imprendessi a 
trattarlo; ma io^non intcfndo dare che brevi notizie storiche 
^.dilucidai^ione di alcuni fatti, che vado registrando, dei quali 
npn saprebbesi render ragione senza la cognizion di quelle. 
La potenza temporale de' papf,. se per essa s' intenda l' au- 
torità politica, comincia verso il 730,*® quando varie città 
dell' Esarcato si francarono dall' oppressione degU imperatori 
d'Oriente, e si posero sotto il protettorato del pontefice 
Gregorio II, il quale (dice il Muzzarelli) pag. i3i, « si trovò 
) dalle circostanze necc^tato ad agire come capo e rappre- 
1 sentante del popolo di Roma e del suo ducSito. » Ma i re 
longobardi, che- possedevano, quasi tutta l' Italia superiore, 
avendo in appresso occupato violentemente quelle città, e 
volendo eziandio impor la loro dQminazione a Roma e al suo 
distretto, il papa Stefano II ebbe ffcorso a Pipino re di 
Frsmcia : il quale, mosse lo' armi contro Astolto, obbligoljo 
alla restituzione.^^ La donazione fatta da Pipino a Stefano, 
fu poi confermata e accresciuta da Carlo Magno a papa 
Adriano : che se a questi possessi si aggiungano quelli, che 
alla santa Sede lasciò al principio del secofo XII 'la contessa 
Matilde, si vedrà che il pontefice veniva fin da quel tempo 
ad essere una delle potenze d' Italia» Caduto^nell' 8()0 per le 



128 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

armi ài Francia il regno longobardo, e 1' autorità dell'im- 
peratore di Costantinopoli fion essendosi in Italia -ad altro 
ridotta che a un nome vano, il papa sia per gratitadine a 
Carlo Magno, sia perchè i popoli d' Italia potessero avere 
un' efficace tutela, lo nominò e incoronò imperatore^ rista- 
bilendo cosi r impero d' Occidente. Da quel tempo papi e 
popolo romano si tennero per elettori dell* imperatore^ Ano 
a che ne( secolo XIII questo diritto non. fu assunto^ o. me- 
glio usurpato, da sette principi d' Alemagna." 

• Comunque 'Sia^ come il papa, divenuto signor temporale, 
eleggeva l'imperatore, o, confermava il successóre se diluì 
legittimò crede, c<!y8Ì T imperatore, -nella sua qualHèi di re 
di&^ Romani e di patrizio di Roma, volea essere, se non elet- 
tore, confermatore almeno della elezione del papa. Quindi 
r knpero occidentale e V Italiai ebbero come due capi, due 
contrappesi ; complicanza non ben'.definita né aUora né poi, 
fonte di beni e di- mali per molti secoli. Ora poiché principe 
teinporale era il papa siccome T imperatore, e poiché am- 
bedue dominavano -neiristifssa regione, non potea a meno 
di nascer fra loro un antagonismo e una gara, por estendere 
la-loro influenza e. la. loro autorità oltre quella oerchia, in 
che ciascuno, se pur V uomo potesse spogliarsi di passioni, 
avria dovuto contenersi. Adunque le parti di chiesa e d'im- 
pero sursero non molto dopo la morte di Carlomagno, ma 
il nome di guelfa e di ghibellina non V assunsero che quat- 
tro secoli appresso : ma che fa il nome, . quando hawi la 
cosa ? I papi, siccome dapprima avean fatto, accettando il 
protettorato delle città oppresse dal greco monarca, si po- 
sero dalla parte de' popoli e de' governi popolari; gl'impe- 
ratt5ri da quella de' signori e de' governi aristocratici. Co^ 
incendo, i primi'fdrono causa principale della libek*tà dei Co- 
muni e di quelle arti e di quella civiltà, che l' Italia ebbe il 
bene di^ possedere la prima, e la gloria' di dar poi alle altre 
nazioni cristiane. Ma . mentre, procuravano questo bene, da- 
vano per altra parte. origine a un male; un male di che ia 
principio gf Italiani non &* accorsero, ma che sentirono 



CAPITOLO QUINTO. 129 

lungamente in appresso, e n' ebber trista e lacrimevol ri- 
prova; voglio dire lo sminuzzarsi in centinaia di piccoli 
stati, e il rendersi cosi impotenti a resistere alle straniere 
invasioiiL Da questo male un altro pure ; cioè, che essendosi 
eostìtoiti in tanti piccoli municipii, dovean sentire il bisogno, 
sia per acquistar consistenza, sia per avvantaggiare le loro 
arti e i loro commercii, d' allargare i proprii dominii : quindi 
r offendersi, il guerreggiarsi, il distruggersi a vicenda. E da 
questo pure un altro : che trovandosi offesi e oppressi dal 
vicino, mentre sdegnosamente rifiutavano la supremazia del- 
l' imperatore, ricorrevano umilmente nelle loro strettezze a 
quella del papa, e s'abbandonavano alla sua mercè. 

Se avessero i papi avuto maggior sapere politico, avreb- 
bon del tutto dovuto francar T Italia dalla signoria straniera, 
e costituirla definitivamente in nazione, riunendola in con- 
federazione stabile ed omogenea sotto il loro alto patronato. 
Ma che ad essi mancasse l' ardimento, o che quei secoli 
non fosser da ciò, preferirono d' avversare or copertamente, 
<Mra scopertamente gì' imperatori, e più spesso d' appoggiarsi 
ai re di Puglia e ai re di Francia; cosi mantenendo sem- 
pre in Italia le divisioni, ed impedendo (come pur nota il 
Machiavelli) che quello che non avean voluto o saputo far 
essi, venisse fatto dal re de' Romani. Il quale, costituito una 
volta il regno d- Italia, in essa e non in Alemagna avrebbe 
fermato sua sede, siccom' era avvenuto de' re longobardi ; 
e se pur foss' egli Straniero, i figli suoi e suoi successori, 
come quelli che in Italia avrebbono avuto la nascita, sareb- 
bero stati italiani : ed italiani più de' pontefici ; i quali, fa- 
cendosi per elezione e il più delle volte venendo da fuori e 
gravi d' età, non potean sentire affetto per una terra che 
non era la loro. 

Per questo nuovo ordine di cose i papi cominciarono in 
breve ad esser molto potenti,, più per esser eglino i mode- 
ratori supremi di parte guelfa, e per essere i capi della re- 
ligione in secoli, barbari se si voglia, ma profondamente re- 
ligiosi, che in virtù de' loro possessi territoriali. Qiiesta po- 

Dautb. x Vita, 9 



130 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

tenza esaltò le menti loro^ ed essi si crederon avere il 
diritto di poter disporre a loro talento de' regni della terra : 
pretesa pur questa che portò mali e beni : contro la quale 
scrisse Dante il noto Trattato de Monarchia. Alla metà del 
secolo XIll^ donde incomincia la storia prefsente^ la potenza 
papale avea incominciato a decadere^ ed erasi fotta quasi 
simile a quella degli altri stati italiani^ fluttuante^ precaria, 
maggiore o minore secondo la prevalenza or di questa parte, 
or di quella. Colla potenza non venivan peraltro infievdendo 
le pretese e T affaccendarsi dei pontefici nelle bisogne poli- 
tiche ; ma i popoli, o meglio a questo tempo le fazioni e le 
sètte, non si valevano ornai del gran nome papale, se non 
tanto quanto loro piacesse, o quanto potesse loro giovare ad 
ottenere il conseguimento de'-f>roprii disegni. Quindi quel- 
la andare e venire di legati, paciarii, cardinali, pra chiesti 
ora no, ora accolti ora respinti; quindi quelle continue bri- 
ghe e contese, non più tra Guelfi e Ghibellini, ma tra Bian- 
chi e Neri, tra Secchi e Verdi, tra Donati e Cerchi^ tra con- 
sorteria e consorteria d'una città inedesima : tantoché il 
guelfìsmo non era ornai ridotto ad altro che ad una dema- 
gogia ; la quale ora appoggiandosi alla Curia pontificia, ora ri- 
fiutandone l'intervento, non solo impedì mai sempre qua- 
lunque formazione d' una forza politica^ atta ad escludere 
gli stranieri d' Italia, ma disordinò e corruppe i buoni prin- 
cipii de' Comuni italiani, si che essi in breve precipitarono 
pressoché tutti sotto la tirannide domestica, ò straniera. In 
questo sociale disordine, in questa gran confusione, in que* 
sta selva selvaggia (come dissela il Poeta) trovavano il loro 
conto i principi provenzali, già fattisi re di Puglia, ed i so- 
vrani di Francia, poiché il ghibellinismo, ch'essi sempre 
osteggiarono, debilitavasi, e il guelfismo corrompevasi e tras- 
forma vasi non in altro, che in parte francese. « Capo 
» de' Guelfi moderati era il papa (dice il Balbo), capo degli 
» esagerati il re di Francia: vedesi tutto ciò chiaramente 
» ne' fatti narrati di Firenze ; dove sincero benché infelice 
» paciere {direi sincero guelfo) fu il papa, ma aperto nemico 



CAPITOLO QUINTO. 13i 

1^ d' ogni pace, d' ogni moderazione fu Carlo, fratello del re 
J^ Filippo. E quindi sì spiega e si scusa in parte V abban- 
1» dono fatto da Dante di questa parte guelfa pervertita, non 
:i» più nazionale, e già straniera ancor ^ essa, i 

Adunque per opera di Carlo rimasti i Neri padroni delia 
desolata città, nominarono a lor piacere i nuovi priori, cac- 
csiandone gli antichi, -ed elessero a potestà Gante de' Gab- 
!l)rielli da Gubbio; il quale, crudele di sua natura, e ven- 
duto a' Neri, non fu nel suo ufiOicio che un docile istrumento 
^Ue loro vendette. Confiscò, dunque, condannò, esiliò fino 
^ quanto parve a' suoi novelli padroni, tantoché (siccome 
dice Dino Compagni) più di seicento furono i condannati, i 
quali andarono stentando per lo mondo, chi qua e chi là.** 
Fra questi sventurati fu il nostro Alighieri, al quale i Neri 
non potean perdonare, eh' egli avesse nel tempo del suo 
Priorato mandato a' conflni^alcuni de' principali della lor fa- 
zione, ch'egli avesse denegato d'accordare al papa cento 
militi siccome avea chiesto (vedi nota 2); eh' egli si fosse op- 
posto ne' Consigli a che fosse data una somma, o come allor 
dicevasi provvisipne, al Valois per far l' impresa di Sicilia; '® 
e eh' egìi si fosse assunto l' incarico di distogliere il ponte- 
fice dar voler mandare in Firenze quel principe. Adunque 
Gante nel 27 gennaio 1302 lo condannò insiem.con altri 
tre, cioè Palmieri degli Aitovi ti. Lippe Becchi e OWanduccio 
Orlandi, a una multa di cinquemila lire di fiorini piccoH (m 
lihris quinque millibus florenorum parvorum), non pagata la 
quale dentro tre giorni, tutti i suoi beni fossero guastati, 
distrutti e messi in pubblico (vastentur, destruantur, et va- 
9kUa et destructa remaneant in Communi), E quand' anche 
aves^ dentro i tre giorni pagato la multa, ei lo condannava 
a star confinato per due anni fuor di Toscana (nihilhominm 
stare debeat extra provinciam Tusciw ad confines duobus 
annis); e che pagando o non pagando, stando a' confini o 
non stando, fosse escluso per sempre 4a ogni oflBizio e be- 
nefizio pubblico (nullo tempore possit habere aliquod óffitium 
vel benefUium prò Communi, vel a Communi Florentice, in 



132 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

civitate, comitalu vel districtu vel alibi, sive condepnationem 
solverà, sive non). « Questo merito (esclama il Boccaccio) ri-. 
)> portò Dante del tenero amore avuto alla patria 1 questo 
» merito riportò Dante dello affanno avuto in voler tor via 
yf le discordie cittadine ! questo merito riportò Dante 4eUo 
» avere con ogni sollecitudine cercato il bene^ la pace e la 
» tranquillità de* suoi cittadini ! Per che assai manifesto ap- 
» pare quanto sieno vóti di verità i favori de' popoli, e 
» quanta fidanza si possa in essi avere. Colui nel quale poco 
» avanti pareva ogni pubblica speranza essere posta, ogni 
» affezione cittadina, ogni rifugio popolare, subitamente senza 
)> cagione legittima, senza offesa, senza peccato, di quel romo- 
y^ re, il quale per addietro s' era molte volte udito le sue laudi 
» portare sino alle stelle, è furiosamente mandato in irrevoca- 
* bile esilio. Questa fu la marmorea statua fattagli ad eterna 
» memoria della sua virtù ! Con queste lettere fu il suo nome 
» tra quelli de' padri della patria scritto in tavole d' oro ! 3 
Gli addebiti poi che gli furono dati, o, come diremmo 
oggi, i motivi della sentenza, furono i seguenti : che nel tem- 
po del suo priorato, e fuori di quello, avesse commesso, se- 
condo che era pervenuto alle orecchie del potestà (si noti 
bene questa gran prova, ex eo quod ad aures nostras, et cu- 
rice nostras; notitia, fama publica referente, pervenit) barat- 
terie, lucri illeciti, e inique estorsioni in denari ed in robe; 
che avesse sottratto de' pubblici documenti; che durante il 
suo officio avesse percetto più di quello, che per diritto per- 
venivagli ; che avesse sparso denaro per far contro il sonuuo 
pontefice e il principe Carlo, resistendo alla sua venuta ; che 
avesse fatta nascere la discordia in Pistoia, e n'avesse poi 
fatto cacciare i Neri, fedeli devoti della santa romana Chie- 
sa.*^ Non bastava pertanto a que' furibondi il cacciarlo in 
esilio, lo spogliarlo di tutti i beni, si che dovesse andar per 
r Italia limosinando,'* e provare 

si come sa di sale 

* Lo pane altrui, e com' è duro CftUe 
Lo scendere e 1 salir per V altrui scale ; 



CAPITOLQ QUINTO. 133 

zmnsi volevan anco infamarlo. Voleano infamare un ottimo cit- 
tadino, un integerrimo magistrato, un Dante Alighieri, splen- 
dore di Firenze e d* Italia, esimio benefattore deir umanità ! 
ma ben falli loro la prova ; che non fuvvi allora alcuno, nò 
Ti sarà mai, che a quelle stolide accuse possa prestare la 
I)enchè minima credenza. La vera causa dd suo esilio fu 
r avere attraversato i rei disegni de' Neri, e V essersi oppo- 
sto alla venuta del principe francese, eh' ei beiì prevedeva 
dover riuscire alla distruzione della città. Questa causa tras- 
pare chiaramente dalle parole stesse della sentenza, ov' è 
detto essersi egli adoperato cantra summum pontificem et 
dominum Karolum prò pesistentia sui adventus, e d' aver 
tentato che Pistoia si dividesse ab unione et voluntate civi- 
tatis FlorenticB, et subiectione sanctas romante Ecelesice, vel 
dùtnini Karoli in Tuscia pacidrii. E questa causa fu atte- 
stata dal notaro della Signoria, il quale in margine dello 
stanziamento fatto dappoi, cioè nel 26 marzo 1302, per dare 
a Carlo la somma richiesta, notò essere stato Dante esiliato 
per aver fatto opposizione ne regi {Sicilia) Karolo daretur 
subsidium postulaium. Il ];)arattiere, il trafficante degli officii, 
il ladro della pecunia pubblica non fu V Alighieri, ma quel 
principe francese, il re Senzaterra, e poi tutto il partito 
de' Neri. 

Di questi ecco quello che racconta Dino Compagni, testi- 
mone oculare, e storico fedele : « Grandissimi mali fecio- 

I no molta gente sforzarono e rubarono; rubati i pu- 

ì pilli ; uomini impotenti spogliati de' loro beni, e' caccia- 
) vanii della loro città : e molti ordini feciono, quelli che 
» voleano, e quanto e come. Molti furono accusati, e conve- 
% nia loro confessare aveano fatto congiura, che non Taveano 
» fatta, ed erano condannati in fiorini mille per uno. E chi 
> non si difendea era accusato, e per contumace condannato 

h neir avere e nella persona e di questi fu Dante Alighieri, 

» eh' era ambasciatore a Roma; ~ (il quale per conseguenza 
non potè obbedire alla citazione fattagli per numptium Com- 
manis Florentie, ut certo termino jam elapso coram nobis 



134 VITA DI DANXE ALIGHIERI. 

et nostra curia comparere deberet ac venire ad se defen- 

dendum et exrusandum ab inquisitione premissìa), — E chi 
» ubbidiva, pagava ; e dipoi accusati di nuove colpe erano 

» cacciali di Firenze sanza nulla pietà; patto, pietà, né 

» mercè in niuno mai si trovò. » 

Di Carlo, a cui il papa, mandandolo a Firenze, avea detto 
che il mandava alla fonte dell* oro; e a cui furono dapprima 
dati settantamila fiorini pel soldo suo e de' suoi cavalieri, e 
poi altri diciassettemila perchè affrettasse la sua venuta, ecco 
quello che dice lo storico medesimo : « Messer Carlo di Va- 
» lois, signore di grande e- disordinata spesa, convenne pale- 
» sare la sua rea intenzione. E* cominciò a volere trarre da- 
» nari da' cittadini : fece richiedere i priori vecchi (quelli 

» cioè^che i Neri avean costretto a lasciare 1' oflBicio) e 

» volea da loro trarre danari, apponendo 'gli aveano vietato 

y> il passo e cosi gli perseguitava per trarne danari - 

» Uno ricco popolano e di gran bontà, chiamato per home 
» Rinuccio di Senno Rinucci, il quale avea molto onorato 
» messer Carlo a uno suo bel lu(»go {di campagna) quando 
» andava a uccellare...... fece pigliare, e posegli di taglia flo- 

» rini quattromila, o lo manderebbe preso (prigione) in Pu- 
» glia; pure per preghiere di suoi amici lo lasciò per fiorini 
» ottocento; e per simil modo ritrasse molti danari».... E 

» simile avvenne a più richiesti che partiti erano : gli con- 
» dannava nell' avere e nella persona, e i beni confiscava m 
» comune ; per modo che il Comune ebbe fiorini ventiquat- 
» tromila, ed egli fini tutto ciò, che gli avea appUcato sotto 
» il titolo di paciaro. » 

Col titolo di paciaro estorceva, col titolo di paciaro con- 
fiscava ed applicava al Comune, e col titolo di paciaro si 
mangiava tutto quello, che al Comune era. stato applicato. 
Veggano i popoli a che conducano le discordie intestine, e 
qual pace e qual prosperità apporti lo straniero. Dopo aver 
dimorato in Firenze cinque interi mesi, cioè dal primo o^^ 
4 novembre 1301 al i aprile 1302> parti Carlo dalla desolatai- 
città per alla volta della Sicilia. 



CAPITOLO QUINTO. 135 

Tornando ora alla sentenza contro Dante, dirò che Gante 
^e' Gabbrielli, o per meglio dire il partito de' Neri, non si con- 
téhtò di condannarlo a un esilio perpetuo e alla confisca di 
tutti i beni ; ma quaranta giorni dopo (cioè nel 10 marzo) 
prendendo motivo dai non aver egli dapprima obbedito alla 
citazione, e poi^ dal non aver pagato la multa, donde argo- 
mentavasi per reo confesso di ciò che gli era stato imputato, 
lo condannava, qualora rielle forze della repubblica perve- 
nisse, ad esser bruciato vivo.*' 



ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI 

• AL CAPITOLO QUINTO. 

* Che Gemma Donati fosse figliuola d' un Manetto, e ni- 
pote d' un Donato, apparisce da due istrumenti •, il primo 
tìel 1297, r altro del 1332. Così dice il Pelli, promettendo 
^ riportare in appresso i detti documenti ; ma il fatto si è 
che poi non ne riporta che un solo, cioè quello del 1332 
(v. la nota 8 al òap. Ili), V altro V abbiamo riportato noi (v. ivi, 
nota medesima), ma in questo non si fa parola di Gemma. 

> 
' Da alcuni frammenti d' un codice cartaceo, che tut- 
tora si conservano nelV archivio centrale di Stato (fram- 
menti di minute di consulte) si vede che Dante discusse 
nel 5 giugno del 1296 nel Consìglio del capitano (in Con- 
silio Centum virorum) sopra alcune proposte, leggendovisi : 
Dante Alagherii consuluit aecundum jpropositiones prce- 
dictas. La data, per esser le carte andate a male, non vi 
&i legge chiaramente^ ma il Segretario dell' archivio, mio 
buon amico e collega, mi scrive (28 settembre 1860): u Tenga 
» per fermo, bhe la data della consulta di Dante, che esa- 
n minammo insieme ieri mattina è del 5 giugno 1296. n Dun- 
que mi sono apposto al vero, dicendo che Dante si fu ascritto 
alle arti non neri297, come dice il Pelli, ma sì nel 1295. 
Nel 1301 discusse due volte nel Consiglio delle Capitu- 
dini, ed una volta nel Consiglio de' cento. Queste . discus- 
sioni, che pur io ho vedute nel libro di consulte dal 1300 



136 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

al 1303, che si conserva nel!' archìvio centrale di Stato, fu- 
rono già pubblicate nell' Archivio Storico ; ed avendole tro- 
vate pienamente conformi all' originale, le riporto qui tali 
quali furono dapprima stampate: 

tt Die xiiij mensis aprilia 1301. 

n In Consilio Capitudinum xij'*" Majorum Artiom et 
n aliorum Sapientum, proposuit dominus Capitaneus, prae- 
n sentibus Prioribus et Vexillifero, quomodo electio futnro- 
n rum Prioruih fieri debeat prò Communi. PrsesentibuB tepti- 
n bus etc. 

n Ser Bindus ser Guicciardi notarius consuluit, quod 
rt Capitudines et Sapientes cujuslibet Sextus, simul congre- 
n gati, notninent quatuor in quolibet Sextu; et postea fiat 
n scruptinium secundum morem solitum. 

n Guido Ubaldini de Signa consuluit, quod Oapitudi- 
n nes cujuslibet Artis nominent duo in quolibet Seztn. 

n Dante Alagherii consuluit secundum dictum primi Sa- 
n pientis. 

n Facto partito ad sedendum et levandum, placuit quasi 
» omnibus secundum dictum primi Sapientis. n 

u Eadém die xiiij aprilis. 

n In Concilio Capitudinum xij*^'"" Majorum Artium et 
n duorum Sapientum prò Sextu, proposuit dominus Capita- 
» neus, quomodo eligantur sex boni viri in Sextu Bur^, qui 
n vadant ad scruptiniuip prò electione Vexilliferi. 

n Dante Alagherii consuluit, quod Capitudines et.Sa- 
n pientes cujuslibet Sextus nominent unum in dicto Sextu. 

n Facto partito ad sedendum et levandum,, placuit omni- 
n bus secundum dictum dicti Sapientis. » 

u Die xiij mensis septembris 1301. 

n In Consiliis Centum, generali et speciali, domini Capi- 
» tanei. et in Consilio generali Communis et Capitudinum 
n xxj Artium et aliorum honorum 'virorum, congregatis in 
n pallatio domini Potestatis, coram Potestate et Capitaneo, 
» Prioribus et Vexillifero •, proposuit domìn\is Potestas, qtdd 
n sit providendum et faciendum super conservatione Oidi- 
» namentorum Justitiae et Statutorum Populi. 

» Dante Alagherii consuluit 

» Dominus Guidoctus Corbiczi consuluit, quod predicta 
n omnia remaneant in Potestate, Capitaneo, Prioribus et 
* Vexillifero, cum ilio Consilio, quod habere voluerint. » 



CAPITOLO QUINTO. i 37 

Xn un lit)ro di minute di Consulte dal 1300 al 1303, si 
trov^ che Dante ha discusso altre due volte: 

« Die xviiij mensis junii (1301). 

y» In Consilio Centum virorum, generali et speciali, et 
** Oapitudinum xij majoriun Artium, proposuit dominus Ca- 
^ pitaneus infrascripta, presentihus Pporibus et Vexillifero. 
y» Primo, de servitio domino Papae faciendo de centum 
" XEiilitibus, secundum formam literarum domini Mathei Car- 
'» <lìnalis. 

9) Item super comnussione facta in dominos Priores et 
** "Vexilliferum per Commune de Colle acceptanda. 

n Ser Rogerius Ughonis Albitzi notarius consuluit, quod 
" Clietum servitium fiat domino Papas secundum £ormam 
" X^ropositam. Item, quod dieta commissio facta per Oom- 
*» xnune de Colle in dominos Priores eijb Vexilliferum acce- 
^ ptetnr per eos. 

n- Dante Alagherii consnluit, quod de servitio faciendo 
** domino PapsB nihil fiat. In alia propositione eonsuluit se- 
*» cundum dicti primi Sapieutis. 

» Dominus Guidoctus de Canigianis Judex consuluit se- 
** cundum dictum primi Sapieutis. 

ti Dominus Albizua Corbinelli Judex consuluit, quod de 
**. • servitio faciendo domino Papae suspendatur ad presens. 
n Presentibus domino GentUe domini Gualteroms de Fir- 
^ mo, Judice et collaterali assessori predicti domini Capita- 
** nei, et Albitzo Bedde precone domini Capitanei et gitpuU 
*» fiorentini et aliis. 

» Facto partito ad sedendum et levandum placuit omni- 
^ bus secundum dictum primi Sapieutis super facto de Colle. 
n Dieta die acceptata fuit dieta commissio per offi- 
** cium, n 

u Eadem die. 

» In Consilio Centum virorum proposuit dominus Ca.pita- 
» neus infrascripta, presentibus Prioribus et Vexillifero. 

n Primo, de servitio faciendo domino PapaB de centum 
1» militibus prò ilio tempore, quo videbitur Prioribus et Ve- » 
n xillifero presentibus, et quod in dicto servitio morari 
n debeat dominus Neri de Giandonati capitaneus dictorum 
n militum, et etiam ser Gorello de Broncis prò notarlo dicti 
n capitanei ad solitam rationem, salvo quod tempus dicti 
» servitii non excedat kalendas septembris, dummodo dieta 
» pecunia solvatur illi person», seu personis, quibus videbi- 
» tur Prìoribuis et Vexillifero. 



138 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

n Item, de solutione iìj millium libr. facienda véxillifero 
» peditum comitatus prò solutione facienda quibusdam pedi- 
n tibus comitatus. 

n Don^inus Guidoctus de Canigianis Judex consulnit se- 
n cundum propositi ones predi etas. 

n Dante Alagberii consuluit quod de servitio faciendo do- 
n mino Papae nihil fiat. In alla propositione consuluit secnn- 
n dum propositionem. 

n Factis partitis ad pissideni et pallas, placuit xlviìij se- 
»» cundum propositionem, non fuerunt xxxij. Item, super se- 
n cunda propositione placuit Ixxx, secundum propositionem, 
» non fuerunt j. » 

• Altri vuole cbe, a propriamente parlare, non vi aves- 
sero cbe due Consigli, oltre il Consiglio generale, cioè quello 
del popolo, presieduto dal capitano, e quello del Comune, 
preseduto dal potestà. Il Consiglio del Comune adunavasi 
per deliberare in seconda istanza intorno agli affari già 
vinti nel Consiglio del popolo •, ma questo Consiglio era di- 
viso in due sezioni, cbe separatamente V una dalV altra de- 
liberavano, componendosi la prima di novanta o cento con- 
siglieri, tratti dalle Capitudini delle dodici arti (le sette 
maggiori e le cinque mediane), cbe costituivano u Consi- 
glio di credenza •, e componendosi V altra di trecento cit- 
tadini, dal quale venne il nome alla sala ov* essi adunavansi, 
la quale si appellò appunto de' trecento. Comunque sia, 
poiché il Consiglio del potestà dividevasi iù due sezioni, 
può benedirsi cbe vi avessero quattro Consigli: il Consiglio 
del popolo, ,quello delle Capitudini, quello de' trecento, e 
il Consiglio generale, cbe si componeva di tutti e tre gì' in- 
dicati. ' ' 

* Ex libris Reformationum terrae Sancti Geminiani, tem- 
pore d. Mini de Tolomeis de Senis Potestatis dictae terrsB 
(anno 1299) apud me Carolum Strozzae. (P. Ildefonso, Deli- 
zie ec. voi. XII, pag. 257.) 

« 1299. Die viij maii. Convocato et adunato Consilio ge- 

n nerali Communis et bominum Sancti Geminiani, in palatio 

n dictae Communis, ad sonum campanse, vocemque preepnis, 

n ut moris est, de mandato nobilis et potenti» militis domini 

» Mini de Tolomeis de Senis, Lonor. Potestatis Comm. et 

n bom. terras Sancti Geminiani praedictae, in quo quidem 

n Consilio praesente, volente et cònsentiente provido viro 

n Dominico Gilio D. Celli de Narnia, judice appellationum 

" et sindico dictae Terrae, proposuit et consilium postulavit 



CAPITOLO QUINTO. - lS9. 

»» per eum per nobilem virum Dantem de AUegheriis, amba- 
»» xiatorem Communis Florentiae, qui prò parte dicti Comm. 
» mpraesenti Consilio exposuit, et dìxit quod ad prsesens 
» in certo loco parlamentum et ratiocinatio more solito per 
" omnes Communitates Tallìse Tusciae, et prò renovatione 
» et confirmatione novi Capitanei fieri expedit propter qnae 
»» ad expedìendum praedieta convenit, quod Sindici et amba- 
»» xiatores solemnes praBdictarum Communitatum simul conve- 
»» niant se. 

i> Dom. Primeranus judex, unus ex dictis Consiliariis sur- 
»» gens in dicto Consilio arengando consuluìt super dieta 
»^ imposita et ambaxiata, quod prò Comm. Sancti Geminiani, 
*» et prò parte ipsius, ut hactenus est solitus facere, fiat, et 
>» sindicus unus vel plures ordinentur cura pieno et sufficienti 
» mandato, ac etiam ambaxiatores eligantur, qui suo loco et 
^ tempore dum prò parte communis Florentiae ruerit Commu- 
>» nifl Sancti Geminiani per alias litteras requisitus, ire de- 
» beant et convenire se debeant cum aliis sindicis et amba- 
»» xiatóribus aliarum Communitatum dictae sotietatis ad par- 
» lamentom, et specialiter ad ordinandum et reformandum et 
»» confirmandum novum Capitaneum Talliae, dummodo nil 
» possint firmari, vel ad aliquod se obligari, quia prius dicto 
n Comm. et Octo expensarum factum deelarent. 

yt Keformatum fuit ad dictum d. Primc^ani consultoris. n 

' Non ho detto esattamente, dicendo che a creder ciò 
non vi ha nessuno, poiché havvi il Balbo, il quale mostra 
jn^questo di prestar qualche credenza al Filelfo. Ma se il 
Balbo Yoleva dimostrare almeno probabile V asserzione di 
qaello scrittore, conveniva eh* egli convalidasse coi dati sto- 
rici r- oggetto di quelle ambasciate. E chi ha detto mai 
che i Fiorentini mandassero dal 1297, o s'anco vogliasi 
dal 1295, al 1301, ambascerie ai Sanesi e ai Genovesi pei 
confini? ai Perugini e al re di Puglia per liberar de' pri- 
gioni? allo stesso re di Puglia per contrarre un' amicizia 
ch'era già contratta, e strettamente? ai Veneziani per far 
lega (e di che?\ al re d' Ungheria e al re di Francia (per 
qual motivo?). Se quindici volte fosse Dante stato amba- 
sciatore, ed m paesi si lontani (dico quindici, perchè il Fi- 
lelfo omette V ambasceria al Comune di San Geminiano) 
quanti anni non gli sarebbero in quel secolo abbisognati? 
Eppure vediamo che nel 1295, 1^96, 1300, 1301 egli era in 
'Firenze ad arringar né' Consigli. Era egli Dante un sant'An- 
tonio che si trovava al tetnpo stesso in due luoghi? Sei 
cre4a il Balbo. 



i40 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

* Giano Della Bella è una sola volta ricordato da Dante 
nel Poema, ma dignitosamente ; poiché egli dice che mentre 
la famiglia Della Bella era stata onorata dal conte Ugo, 
il celebre marchese di Toscana, della sua arme, Giano dal 
partito de* grandi era passato a quello de' popolani, modi- 
ficando al tempo stesso quell' arme antica col contornarla 
d' un fregio d' oro. (Farad., canto XVI, v. 127 e seg.) : 

Ciascun che della bella insegna porta 

Del gran barone, il cui nome e '1 cui pregio 

La festa di Tommaso riconforta. 
Da esso ebbe milizia e privilegio, 

Avvegnaché col popol si ranni 

Oggi colui, che la fascia col fregio. 

' Queste leggi, decretate per opera di Giano Della Bella, 
furono dettate (racconta Dino Compagni) da messer Donato 
di messer Alberto Ristori, messer Ubertino dello Strozza e 
messer Baldo Aguglioni. 

' Per questo si rivolge Dante neir Inf , (canto XXV, v. 10 
e seg.) contro Pistoia, dicendo eh' ella sorpassa nel malvagio 
operare gli stessi seguaci di Catilina, ond' ella ebbe V origine : 

Ah Pistoia, Pistoia, che non stanzi 
D'incenerarti, sì che più non duri. 
Poi che in mal far lo seme tuo avanzi? 

^ È stata fatta questione per risolvere quàl fosse quer 
sto Serazzano o Sarazzano, ove fu confinato il CaràlcwDti, 
e ov' egli per la mal' aria infermò sì, che tornato in FirenM 
mori poc' appresso. Tre paesi di questo nome erano al* 
lora in Toscana : Serazzano, lat. Sergianum, oggi Sanaas, 
città della Lunigiana presso la foce del fiume Magra; Be- 
rezzano nella Versilia presso il mare, bor^o spettante ai 
Lucchesi, del quale non resta o^gi più traccia *, e Serezsano, 
borgo posto tra la vai di Cecma e la vai di Comia.. Ora, - 

Stoiche il Serezzano di che si tratta era un luogo di mal* aria 
siccom' é pure attestato dal Villani, che lo dice luogo in- 
fermo) perciò dovrà escludersi Sarzana, perchè posta in 
luogo salubre. Or dunque fra gli altri due pairmi più proba- 
bile r attenersi a quello della maremma volterrana. Castel 
della Pieve poi, ove fu confinato Corso co' suoi compagni, 
apprendiamo dal Bruni, eh' era posto in quel di Perugia, 
ed è molto probabilmente il paese, che oggi chiamasi Citta 
della Pieve. 



CAPITOLO. QUINTO. 141 

^^ Nel canto XII, v. 124 del Paradiso, Dante ricorda que- 
sto cardinale, cb* era frate dell' ordine francescano, punzec- 
chiandolo. Dopo aver detto, che chi cercasse minutamente^ 
pur troverebbe ancora alcun buon religioso, soggiunge: 

Ma non fia da Casal, né d' Acquasparta, 

lìà, onde vegnon tali alla Scrittura, 

. Cb' uno la fugge, e V altro la coarta. 

" Questi fatti sono raccontati da tutti gli storici di Fi- 
renze; ma per comprovare cbe avvennero nel priorato di 
Dante, oltre la testimonianza che si ha»' dal Villani, il quale 
li riporta al mede di giugno (ed in giugno appunto sedeva 
tra .1 priori Dante)^ basterà quella di Dino Compagni, il 
quale vi prése parte non piccola. « Andando la vigilia di 
I» san Giovanni (23 giugno) V arti a oflferire com' era usaiiza, 
n ed essendo i consoli innanzi, furono manomessi da certi 
» grandi e battuti, dicendo loro : Noi siamo quelli che dem- 
n ma la sconfitta in Campcddino, e voi ci avete rimossi 
» dagli ufficii e onori della nostra città* I Signori sdegnati 
n ebbono consiglio di più cittadini, é io Dino fui uno di 
n quelli. E confinarono alcuni di ciascuna parte (e qui lo 
n storico ne riporta i nomi). Quelli della parte de' Donati 
n non si voleano partire, mostrando cbe tra loro era con- 
9 giura. I rettori gli voleano condannare, e se non aves- 
n sono ubbidito, e avessono presa V arme, quel dì arebbono 
> vinta la terra; però che i Lucchesi di .coscienza (d* in- 
» telligenza) del cardinale vernano in loro aiuto con grande 

• €iercito d* uomini. Vedendo i Signori cbe i Lucchesi ve- 

• niano scrissono loro, non fossono arditi entrare sul loro 

• terreno; ed io mi trovai a scrivere le lettere: e alle vil- 

• late si comandò pigliassono i passi; e per istudio di Bar- 

• telo di messer Jacopo de* Bardi tanto si procurò, che nb- 

m hìàìroììxy. Molto si palesò allora la volontà del cardinale, 

» elle la pace eh* egli cercava era per abbassare la parte 

» de* Cerchi, ed inalzare la parte de* Donati. La quale vo- - 

«9 Ionia, per molti intesa, dispiacque assai. E però si levò 

n xmo di. non molto senno, il quale con un balestro saettò 

n un quadrello alla finestra del vescovado (dov' era il car- 

m dinaie), il quale si ficcò nell'asse. E per paura si partì 

» di quindi, e andò a stare oltre Arno a casa messer Tem- 

n maso dei Mozzi per più sicurtà. I Signori per rimediare 

» allo sdegno eh' avea ricevuto, gli presentarono 2000 fio- 

*• rini nuovi. E io glieli portai in una coppa d' ariento, e 

« dissi: Monsignore, non gU disdegnate perchè siano pò- 



I i:2 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

n ehi, perchè sanza i consigli palesi non si può dare più 
1 moneta. Hìspose gli avea cari, e molto li guardò, e non 

n li volle, n 

** La doliberazione de' Neri di far venire in Firenze 
Carlo di Valoìs, non fu presa nel tempo del priorato di 
Dante» come erroneamente dice il Pelli-, perchè Dante fd 
priore dal 15 giugno al 15 agosto 1300, e il principe fran- 
00*0 non vouuo in Italia che nel 1301. 

** l>iuo Compagni (Cronaca fiorentina, lib. II) cosi rac- 
conta : «• Ea^eudo già venuto messer Carlo di V alois a Bo- 

* ìogna, funnio a lui imbasciadorì de' Neri di Firenze, 
•• UMudo 4u^*»to parole : Signore, merzè per Dio, noi sianio 
^ i iìuelji di Firense, /edeli della casa di Francia: per 
'* i>K> prtndi guardia di te, e della tua gente, perchè la 

* Hostra città si regge dai Bianchi, nemici tuoi e della 
"• Chiesa, Partiti gU ambascìadori de' Neri, ginnsono i 
<» Uìaikchi, i quali con grandissima reverenzia gli feciono 
« molte proferte come a loro signore. Ma le maliziose pa- 
n rolo poterono più in lui che le vere : perchè gli patre 

* luagciore segno d' amistà il dire : Guarda come tu vai, 
» che Te proferte 

» Passò messer Carlo in corte di Roma sanza entrare 
» in Firenze, e molto fu stimolato, e molti sospetti gli fd- 

* reno messi nell' animo. Il signore non conoscea i Toscani, 
» né le malizie loro. Messer Musciatto Franzesi, cavalière 
» di gran malizia, picciolo della persona, ma di grand' ani- 
n mo, conoscea bene la malizia delle parole, eh' erano dette 
n al signore: e perchè anche lui era corrotto, confermava 
» quello che pe' seminatori degli scandoli gli era detto, che 
n Ogni dì gli erano dintorno 

» Divisi così i cittadini di Firenze, cominciarono a in- 
n famare l' un 1' altro per le terre vicine, e in corte di Roma 
» a papa Bonifazio, con false informazioni. E più pericolo 
n feciono le parole falsamente dette in Firenze, che le punte 
n de' ferri. E tanto feciono col detto papa, dicendo che la 
n città tornava in mano de' Ghibellini, e eh' ella sarebbe 
n ritegno {sostegno) de' Colonnesi ; e tanta fu la quantità 
» de' danari mischiata colle false parole, che, consigliato 
n d' abbattere il rigoglio de' Fiorentini, promise. di prestare 
» a' Guelfi la gran potenzia di Carlo di Valois de' reali- di 
n Francia. » 

** Di Corso Donati, che fu la cagione principale delle 



CAPITOLO QUINTO. 143 

^cordie e delle sventure di Firenze al principio del se- 
^lo XIV, annunzia Dante la violenta morte per bocca di 
*^^ese nel canto XXIV, v. 82 e seg. del Purgatorio: 

Or va', diss' éi : che quei che più n' h^ colpa 
Vegg' io a coda d' una bestia tratto 
Verso la valle (l'Inferno), ove mai non si scolpa. 

La bestia ad ogni passo va più ratto, 

Crescendo sempre, infìn eh' ella il percuote ; 
$ lascia il corpo vilmente ^disfatto. 

^me la gelosia e Y invidia reciproca de' grandi, e là gara 
^er gli offlcii pubblici era stata la cagione della rovina di 
^«nte famiglie fiorentine, così fu *di quella di Corso. Que- 
sto altero magnate, prode nelV arme, bello della persona, 
ornato parlatore, che Dino Compagni assomiglia a Catilina, 
^n potea soffrir compagni n.ella potenza, e volea sempre 
essere il primo nella sua città : cosa malagevole a oonse- 
goirsi in una repubblica democratica, siccom' era allora 
Firenze. Nel settembre del 1307 volea di nuovo riformare 
a sua posta il governo, e a ciò preparava le armi; ma fu 
prevenuto da' suoi avversarii, i quali fecero subitamente ci- 
tarlo a comparire davanti al potestà, e, non comparso, lo 
fecero ^dannare al bando. £ tosto gli assalirono le case, 
ov'egli ^'era asserragliato; quando non potendo resistere 
«De forze soverchianti, si diede alla fuga. Ma raggiunto 
OTesso San Salvi, fuori di porta alla Croce, dà alcuni sol- 
dati catalani, volean questi rimenarlo in città, ed egli se 
ne schermiva con parole. E veduto che a nulla riusciva, 
e che sarebbe stato condotto a dare a' suoi nemici mise- 
rando spettacolo di sé, « non dimenticandosi in tanto ab- 
n bassamento dell' avversa fortuna (dice 1' Ammirato) del- 
n V usata grandezza dell' animo suo, più con animo di la- 
n sciarsi ivi tagliare a pezzi, che con isperanza alcuna di 
» salute, si lasciò cader da cavallo. Nel che yenne il suo 
n avviso leggermente fornito, perciocché passatagli per un 
» di quei Catalani la gola, ivi spacciatamente, senz'atten- 
» der altro, il lasciaron disteso per morto. » E pare che 
nel cadere gli restasse un pie nella staffa, e che il cavallo 
lo trascinasse moribondo per alcun tratto, perchè Dante 
descrive la sua morte nella forma, che abbiamo qui sopra 
▼eduta. 

^^ Come si diportasse Carlo, entrato ch^ fu in Firenze, 
lo udiremo da Giovanni Villani (lib. Vili, cap. 49) guelfo 



144 VITA DI DANTE AMGfflERI. 

purissimo, e che fu testimone oculare de' fatti che quivi 
racconta : « Riposato e soggiornato in Firenze alquanti £, 
n si richiese il Comune di volere la signoria e guardia dé&a 
n cittade, e balia di potere pacificare i Guelfi insieme. E 

n ciò fu assentito E messer Carlo, dopo la sposizione del 

n SUO aguzzetta, di sua bocca accettò e giurò, e come 
» figliudo di re promise di conservare la città in pacìfico 
n e buono stato; e io scrittore a queste 'cose fui présente. 
n Incontanente per lui e per sua gente fu fatto il contra- 
n dio, » E qui lo storico racconta come Corso Donati ruppe 
il bando, e, com* era ordinato, entrò in Firenze, e tutta 
manomise la città; indi prosegue: « E con tutto questo 
1 stracciamento di cittade messer Carlo di Valois pè sua 
n gente non mise- consiglio né riparo, né attenne saramento 
» ccfsa promessa per hii. Per la qual cosa i tiranni ^ mal- 
9t fattori e isbanditi, chi erano nella cittade, presa baldanza, 
n cominciarono a rubare i fondachi e botteghe e le -case 
r> a chi era di parte bianca, con molti micidii e fedite hr 
rt cendo nelle persone di più buoni uomini di parte bianca, 
n E durò que$ta. pestilenzia in città per cinque di continiii, 
n e poi segui in contado, andando le gualdane rubando e 
tt ardendo le case per ^ più di otto dì; onde un grande na- 
» mero di belle e ricche possessioni furono arse e guaste. • 
Contro il Valóis, che tollerò tanta infainia, e di oon- 
sentimento del quale (secondo che afferma il Compagni) 'eim 
tornato in Firenze Corso Donati, e i Neri s* erano armali e 
provvisti d* aiuti, si scaglia il Poeta nel canto XX, y. 70 e seg. 
del Purgatorio, dicendo : 

Tempo vegg' io, non molto dopo ancoi. 
Che traggo un altro Carlo fuor di Francia, 
Per far conoscer meglio e sé e i suoi. 

Senz* arme n* esce, e ttolo con la lancia. 
Colla qual giostrò Giuda, e quella ponta 
Si, eh' a Fiorenza fa scoppiar la pancia. 

Quindi non terra, ma peccato ed onta 
Guadagnerà, per sé tanto più grave. 
Quanto più lieve simil danno conta. 

La frase di Dante non terra guadagnerà allude al somran- 
nome, che gli fu messo, che fu di Carlo Senza terra. Carla 
(dice il Villani) venne in Toscana per recarvi pace, e vi 
lasciò guerra; andò in Sicilia per far guerra, e reconne 
vergognosa pace. Non potè mai farsi signore d' alcun paese, 
e pero fu per dileggio chiamato il Senzaterra. E che egli 



CAPITOLO QUINTO. 1 45 

non venisse in Firenze, se non per cacciarne la parte bian- 
ea, lo dice il medesimo storico : a Messer Carlo di Valois, 
1» fornito in Firenze quello, per che era venuto, cioè sotto 
n trattato di pace cacciare la parte bianca, si partì, e an- 
n donne a corte {del papa\ e poi a Napoli, n (Lib. Vili, 
cap. 50.) 

Contro poi Bonifazio Vili, che, se non fu il principale 
orditore di quella nera trama, fu peraltro quegli, che le diede 
corpo e compimento, usa parole mordaci nel canto XVII, 
?. 47 e seg. del Paradiso, facendosi dire da Cacciaguida: 

Qual si partì Ippolito d' Atene 

Per la spietata e perfida noverca. 

Tal di Fiorenza partir ti conviene. 
Questo si vuole, e questo già si cerca, 

E tosto verrà fatto a chi ciò pensa 

Là, dove Cristo tutto dì si merca. 

E rispetto air esser cacciato innocente, prosegue dicendo : 

La colpa seguirà k, parte offensa 
In grido, come suol; ma la vendetta 
Fia testimonio al ver che la dispensa; 

vale' a dire : La colpa, secondo che suol sempre avvenire, 
larà apposta, attribuita a chi è stato offeso, poiché chi ne 
toeoa ha sempre torto ; ma la vendetta, che ne seguirà sui 
' tuoi persecutori, specialmente su Bonifazio, Corso Donati 
e. gli altri principali Neri, i quali (lo racconta bene^ il Com- 
pagni) finirono tutti malamente, renderà testimonianza a 
quel vero oltraggiato, donde poi viene la punizione. 

*« Per molto tempo fu dato fede alla pretesa donarione 
di Costantino, ed anco Dante vi credè, dicendo (Infer- 
no, canto XIX, v. 115); 

Ahi Costantin, di quanto mal fu matre 
Non la tua conversion, ma quella dote. 
Che da te prese il primo ricco patre! 

Ma essa non e che una favola. « Il diploma di Costantino 
n (dice monsignor Muzzarelli, pag. 7) e spurio: questo im- 
f> peratore non donò al papa la sovranità di Jtoma o di 
*» altre provincie d' Italia, e ciò può chiamarsi oramai di- 
n mostrato sino all' evidenza. Ma peraltro avrebbe potuto 
f> Costantino donare ai papi una qualche civile e tempo- 
» rale -giurisdizione in queste parti, senza conferirgliene 
Dante. - Vati, ^0 



146 VITA DI DANTE AUGfflERI. 

n r assoluta sovranità, e ritenendone per sé stesso e pe*saoi 
j» successori il sovrano dominio. » E poco appresso (pag. 30) 
^ aggiunge : « La donazione di Costantino non fu una dona- 
n zione di vera sovranità, ma piuttosto un titolo d'onori^- 
» cenza, accompagnato da qualche privilegio e civil giu- 
iì risdizione, qual forse fu quello che Augusto donò al Se- 
n nato. » Che se ì papi possedevano come patrimonio apche 
città e castella, potrebbe dirsi (pag. 85^ « che tali città e 
t> castella appartenessero al .papa solo m quanto air utile 
» dominio e ad alcune regalie, ma non in quanto ali* alto 
n dominio e alla perfetta sovranità. » 

^"^ Le città restituite al papa, e quelle che Pipino volle 
aggiungervi, sono Ravenna, Rimini, Pesaro, Fano, Cesena, 
Smigaglia, Iesi, Forlimpopoli, Forlì, Sussubio, Mqntefeltro, 
Acerragio, Mónte di Lucaro, Serra, Castel di San Maria- 
no, Bobbio, Urbinp, Cagli, Luccolo, Gubbio, Comacchio, e 
volle pur gli fosse restituita Narni, città che i duchi di Spo- 
leto avean tolto al Ducato romano più anni addietro: Ed 
oltre a queste nella carta di donazione si contenevano 
Faenza, Imola, Ferrara, Bologna, Osimo, Numana, Fos- 
sombrone ed alcune altre, le quali il papa non potè avere 
da Astolfo, ma ebbe poi, se non tutte, almeno la maggior 
parte, da Desiderio successore di lui. . 

^^ Furono costoro gli arcivescovi di' Colonia, di Magonza 
e di Treveri; il conte palatino del Reno, il mar£fhese <U 
Brandeburgo, il duca di Sassonia e il re di Boemia. Con 
qual diritto s' arrogassero costoro una tale autorità, la sto- 
ria noi dice, e noi dice perchè non ha ragioni da produrre. 
Ma egli è un fatto che per oltre quattro secoli questo di- 
ritto fu esercitato dagl* italiani, e non solo dal papa, uni- 
tamente ai personaggi più notabili di Roma, ma talvolta 
pure dalle repubbliche. Nel 1256 la repubblica di Piaa 
elesse ad imperatore Alfonso re di Castiglia, come nato dai 
principi della casa di Svevia, e gli dette con atto solenne 
la rispettiva investitura,. Questo inaperatore prestò giura- 
mento di reggere e governare V impero secondo V avviso 
della repubblica di Pisa e suoi confederati ', e di recarsi a 
R(ftna per farsi incoronare. Promesse inoltre di fornir gente 
d'arme, e far la guerra contro i Lucchesi, i Fiorentini e i 
Genovesi, quando per sua mediazione non avessero voluto 
ÙLT pace colla repubblica pisana. Ai Pisani poi concesse 
immunità e franchigie di tutti i diritti, tasse e gabelle per 
le mercanzie, che essi o per mare o per terra traspertas- 



CAPITOLO QUINTO. HI 

sere ne' suoi stati, e facoltà d' inviarvi consoli e rettori per 
amministrare la giustizia aMoro connazionali. (Dal Borgo-, 
T; I; Dissert V ; Diplom. 14 e 15. — Tronci, Annali, pa- 
gina 202. — Liinig, Cod. diplom,, T. I^ num. xn e xiii, 
pag. 1060-1065. — Ughelli, T. Ili, num. 51, pag. 435. — 
Aftjhiv. delle Rifornì, di Firenze, T. XX, Cartapecore, Atti 
pubblici, docum. ined., num. xvi.) 

*• A questa cacciata^ de' Bianchi alludono le parole, che 
8i fanno tra Dante e Ciacco (Inf., canto VI, v. 60 e seg.) : 

Ma dimmi, se tu sai, a che verranno 
. Lj cittadin della città partita. . i 



Ed egli a me: Dopo lunga tenzone 
Verranno al sangue, e la parte selvaggia 
Caccerà 1' altra con molta offensione. 

Poi appresso convien che questa caggia 
-Infra tre soli, e che 1' altra sormonti 
Con la forza di tal {del Valois), che teòtè piaggia. 

Alto terrà lungo temjio le fronti'. 
Tenendo l'altra sotto -gravi' pesi, . 
Come che di ciò pianga, e che n^ adonti. 

*® In uno de' libri delle provvisioni, che conservansi 
nell' archivio centrale di Stato (Anno saluti fercs Incarna- 
tionis millesimo trecentesimo secundo, indicUone quinta- 
decima , die vig esimo sexto MartiL — Balia domini Vexilli- 
feri donandi domino Karolo, pXii olim regis Francics, prò 
armata Sicilice) ; si legge scritta nel margine dalla stessa, 
o poco diversa mano, ma pur tuttavia di carattere sincro- 
no, la postilla seguente : Nota quod in processu contra 
Dantem Allegherà, prò ejus expulsione formato, fuit in- 
ter alia intentatum, quod ipse jecerat contra presentem 
réformaiionem, ne regi' (Siciliae) Karolo daretur suhsi- 
dium^ postulatum ad ea, de quibus in reformatione fit 
mentio, . . 

'!^ Dall' archivio delle Eiformagioni (Capitoli, Classe XI, 
dist. I, num. 19, a e. 2) : . 

a (27 gennaio 1302.) In nomine Domini amen. 

>» Hec sunt condepnatiónea, sivè condepnationum senten- 
» tie, facte, late et promulgate per nobilem et potentem mi- 
T9 litem dominum Cantem de Gabriellibus de Eugubio, honor. 



\ 



U8 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

« Potestatem cìvitatis Florentiae, super infrascriptis excessi- 
n bus et delictis centra infrascriptos homines et personas, 
n sub examine sapientis et discreti viri domini Taidi de Eu- 
n gubio, Judicis ipsius domini Potestatis ad offitium ^per 
n barattariis, iniquìs extorsionibus et lucris illicitis deputati, 
n et de voluntate et Consilio alioram Judicum ejusdemrdo- 
n mini Potestatis, et scripte per me Bonoram de Pregio, 
n prefati domini Potestatis notarium et offitialem, et Com- 
» munis FlorentisB ad idem officium deputatum, currente 
yy anno Domini millesimo ccp secundo, Indictionexv, tempore 
w sanctitìsimi patris domini Bonifacii pape octavi. 

n Nos Gante Potestas predictus infrascriptas condepna- 
» tionum sententias damus et proferimus in hune modum. 

» Dominum Palmerium de Altovitìs de sextu Burgi 
n Dante Alagherii de sextu Sancti Petri majoris 
n Lippum Becche ,de sextu Ultrarni 
» Orlanduccium Orlandi de sextu Porte domus. 

» Contra quos processum est per inquisitionem ex officio no- 

» stro et curie nostre factam, super eo et ex eo quod ad au- 

tt res nostras et curie nostre, notitia, fama publica referente, 

»» pervenit, quod predicti, dum ipsi vel aliquis eorum exi- 

ft stentes essent in offitio Prioratus vel non existentes, vel 

n ipso officio Prioratus deposito temporibus in inquisitione 

» contentis, commisertint per se vel alium barattarias, lucra 

n illicita, iniquas extorsiones in j^ecunia, vel in rebus. Et 

n quod ipsi, vel alic[uls ipsorum receperunt pecuniam, vel 

n res aliquas vel scriptam libri vel tacitam promissionem de 

n aliqua pecunia vel re alia, prò aliqua electione aliquorom 

» novorum Priorum et Vexilliferi seu Vexilliferorum lacien- 

» da, licet sub alio nomine, vel vocabulo. Et quod ipsi vel 

» aliquis eorum recepì ssent aliquid indebite, illicite vel inju- 

» ste prò aliquibus offitialibus eligendis, vel ponen^s in ci- 

n vitate vel comitatu Florentiae vel districtu vel alibi, prò ||^- 

n quibus stantiamentis, reformationibus, vel ordinamentis 

n laciendis vel non faciendis, vel prò aliquibus apodizis mis- 

n sis ad aliquem Rectorem vel offitistlem Communis Ploren- 

V tiae, vel concessis alieni. Et c[uod predicta tractassent ipsi, 

» vel ipsorum aliquis, vel fuissent seu fieri fecissent. Et 

rt quod propterea dedissent, promisissent vel solvissent, aeu 

n dari vel solvi fecissent in pecunia vel in rebus vel scri- 

n ptam libri alicujus mercatoris fecissent,offitio durante vel 

fi eo. deposito. Et super eo quod recepissent a Camera Com- 

» munis FlorentiaB, vel de domo et palatio Priorum et Vexil- 

n liferi ultra, vel aliter quam Communis Florentiaa stantia- 



. CAPITOLO QUINTO. 149 

« menta cttctent. Et quod commìserint, vel committi fecermt 
n frandem vel barattariam in pecunia vel rebus Commutiis 
» PlorentisB, vel quod darent, sive expenderent centra Sum- 
» ìnum Pontificem et dominum Karolum prò rèsistentia sui 
s'adventus, vel centra statum pacificum civitatis Floren- 
» tiaa et partis Guelforum : quodque ipsi vel ipsorum aliquis 
» habuissent, vel recepissent aliquid in pecunia vel rebas ab 
» aliqua speciali persona, collegio vel universitate, occasione 
» vel ratione aliquarum minarum, concussionis terrarum, quas 
n vel quos intulissent, vel de inferendo per Priores Commune 
" et populum minati essent. Super coque quod cemmisissent, 
» vel committi fecissent vel fieri tecissent fraudem, falsitatem, 
n dolom vel malitiam, barattariam vel illicitam extorsìonem, 
n et tractasseùt ipsi vel ipsorum aliquis, quod civitas Pistoni 
f» divideretur et scinderetur infra se ab unione quam habe- 
3» bsnt in simul, et tractassent quod Anziani et Vexillifer 
j» diete pivitatis Pistorii essent ex una parte tantum, fecis- 
» sentque tractari, fieri seu ordinari expulsionem de dieta ci- 
j» vitate eorum qui dicuntur Nigri, fidelium devotorum sancte 
« Romane Ecclesie ; et dividi quoque fecissent dictam civita- 
» tem ab unione et voluntate civitatis Florentie, et subìe- 
j» ctione sancte Romane Ecclesie, vel domini Karoli in Tu- 
» scia paciarii. Qui ^ 

» Dominus Palmerius 

» Dante 

n Orlanduccius 

f» Lippus ' ' 

n citati et requisiti fuerunt legiptime per ntimptium commu- 
» nis Florentie, ut certo termino jam elapso coram nobis et 
» nostra curia comparere deberent ac venire ipsi, et quolibet 
n msorum ad parendum mandatis nostris, et ad se defenden- 
n onm et excusandum ab inquisitione premissa, et non vene- 
ii^pttit, sed potius fuerunt passi se in bapno poni Communis 
»^1orentil9B de libris quinque millibus florenorum parvorum 
n pjro quolibet, per Duccium Francisci publicum bapnitorem 
n Commtfnis ejusdem; in quod incurrerunt se contumaciter 
» absentando, ptout de predictis omnibus in actis nostre cu- 
» rie plenids continetur. 

' » Idcirco ipsos, dominum Palmerium, Dante, Orlanduc 
n cium et Lippum et ipsorum quemlibet, ut sate messis juxta 
n qualìtatem seminis fructum percìpiant, et juxta merita 
rt commidsa per ipsos dignis meritorum retributionibus mune- 
» rentur, propter ipsorum contumaciam babitos prò confessis 
»- secandum formam jur. stat. Communis et populi civitatis 



150' VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» Florentie ordin. just, reformation., et ex vigore nostri ar- 
n bitriì, in libris quinque millibus fiorenorum parvpnim prò 
n quolibet dandis et solvendis Camere Communis Florentie 
» ree. prò ipso Communi. Et quod restituant extorta illicite 
n probantibus illud legiptime. Et quod si non solverint oen- 
n depnationem infca tertiam diem a- die sent^ntie computan- 
n dam, omnia .bona talìs non solventis publicentur, vastentnr 
n et de^struantyr^ et. i^a&tata et destrueta remaneant in Com- 
n muni. Et si solverint condepnationem {Mredictam, ipsi yel 
n ipsorum aliquis talis solvens nihilominus stare debeat extra 
» provinciam Tusciae ad confines duobus amiis. Et ut pre- 
» dictorum domini !Palmerii, Dante,- Lippi et Orlanducciper- 
n petua fiat memoria, nomina eorum scribantur in stalu po- 
n puli, et tamquam faUarii et barattsurii nullo tempore pos^int 
» habere aliqu<yi offitlum vel benefitium prò Communi, vel a 
» Communi Florèntia in civitate^ comitati vel distrieta tei 
n alibij sive^ condepnationem solverint sive non, in bis Bcri- 
» ptis itententìaliter condepnamus. Computato bàpno m t^on- 
,n depnatione presenti. 

» ^Late, pronumptiate et promulgate fuerunt diete con- 
n depnationum sentontie per dominum Potestatem predictnm 
n prò tribunali sedentem in Consilio generali Communis Flo- 
» réntise, et lecte per me Bonoram notarium supradictum in 
» dicto Consilio, de mandato ejusdem domini Potestatis, 
n die xxvij jànuarii ^nno Domini millesimo ccc secundo, In- 
n dictione XV, tempore domini Bonifatii pape viij, presenti- 
n bus testibus ser Agnolo socio ipsius domini Potestatis, ser 
n Pace Thome de Eugubio, notarlo ejusdem domini Potesta- 
n tis, Duccio Francisci et Albizzo, bapnitoribus, et pluribus 
n aliis in eodem Consilio existentibus. n 

*^ Che peregrino, e quasi mendicante fosse andato per 
tutta r Italia, provando gli affanni dell' esilio, e le angu- 
stie della povertà, lo dice egli stesso nel trattato priq|D 
del Convito, cap. 3 ; trattato che da lui fu scritto- nel 1314. 
Ecco le sue parole : « Poiché fu piacere de' cittadini della 
n bellissima e famosissima figlia di Eoma, Fiorenza, di get- 
ti tarmi fuori del suo dolcissimo seno (nel quale nato e nu- 
n drito fui fino al colmo della mia vita, e nel quale con 
» buona pace di quella desidero con tutto il cuore di ri- 
n posare 1' animo stanco, e terminare il tempo che m' ò 
V dato), per le parti quasi tutte, alle quali questa lingua 
» si stende, peregrino, quasi mendicante, sono andato, mo- 
n strando contro a mia voglia la piaga della fortuna, che 
» suole ingiustamente al piagato molte volte essere impu- 



* CAPITOLO QUINTO. 151 

" tata. Yframente io sono stato legno senza vele e senza 
» governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento 
» secco, che vapora la dolosa povertà ve sono vile apparito 
» » molti, che forse per alcuna fama, in altra forma mi 
1 aveano immaginato : nel cospetto de' quali non solamente 
f> mia persona invilio, ma di minor pregio si fece ogni opera 
» già Hktta come quella che fosse a tare, n 

*' Dair archivio delle Kiformagioni (Capitoli, Classe XI, 
dist. I, num. 19, a carte 9) : 

a (10 marzo 1302.) In nomine Domini amen. 

9f Hec . est quedam. condepnatio, sive condepnationis sen- 
» tentia, facta, Is^ta et promulgata per nobilem et potentem 
» mìlitem dominum Canfe de GlabrieUibus de Eugubio, hono- 
*» rabilem Potestatem Civìtatis Florentiae, contra infrascriptos 
*» homines et personas, sub examine sapientis et discreti viri 
^ domini Pauli de Eugubio, Judicìs ad offitium inquirendi et 
>9 procedendi contra committentes barattarias et lucra ìllicita 
»» deputati, et scripta per me Bonoram de Pregio, ejus^em 
»> domini Potestatìs et Communis Florentìe notarium, ad 

» idem offitium deputatum, in anno Domini millesimo trecen- 

si- tesimo secundo, tempore domini Bonifacii pape viìj, Indi- 

» ctione XV. 

» Nos Caute Potestas predictus infrascriptam condepna- 

» tionis sententiam damus et proferimus in hunc modum: 

» Doqiinum Andream de Gherardinis 
» Dominum Lapum Salterelli Jud. 
n Dominum Paunerium de Altovitis 
» Dominum Donatùm Alberti de sextu- porte Domus 
» Lapum Amuniti de sextu Ultrarni 
» Lapum Blondum de sextu Sancti Petri majoris 
I» Gherardinum Deodati populi S. Martini episcopi 
» Cursum domini Alberti Kistori 
» Innami de RuflPolis 
n Lippum Becche 
» Dantem Alagherii 
» Orlanduccium Orlandi 
,n Ser Simonem Guidalocti de sextu Ultrarni 
>» Ser Guccium medicum de sextu porte Domus 
n Guidonem Brunum de Falconeriis de sextu S. Petri. 

» Contra quos processum est per inquisitionem ex nostro of- 
»» fitio et curie nostre factam super eo et ex eo, quod ad au- 
» res nostras et ipsius curie nostre pervenit, fama publica re- 



152 VITA DI DANTE ALIGHIERI. -^ 

n ferente,' quod cnm ipei et eorum quilibet n<mdHMè oèea- 
n sione barattar! anun, iniquamm extorsìonam ei fflieitomm 
n lucrorum fuerint condepnati, j^tiod in ipsiscondepnationibus 
n docetur apertiua, condepnationes easdem ipsi, vel eorum 
n aliquis termino assignato non solverint. Qui omnes et sin- 
» ffuli per numptium Uommuuis Florentie citati et requisiti 
» fuerunt legiptime, ut certo termino jam elapso mandatis 
t) nostris parituri yenire deberent, et se a premìssa inquisi- 
n tione protinus excusarent. Qui non venientes per Clarum 
n Clarissimi publicum bapnitoremponi se in bapnoJCommunìs 
» Florentiae substulerunt : in quod incurrentes eosdemì assen- 
w tatio contumacia innodavit, ut hec omnia nostre curie la- 
n tius acta tenent, ipsos et ipsoruip quemlibet, ideo habitos 
n ex ipsorum contumacia prò confessis, secundum Jura, sta* 
?» tuta ed Ordin. Communis et Populi civitatis Florentie 
» ordin. just., et ex vigore nostri arbitrii, et omni modo et 
j» jure quibus melius possumus, ut si quis predìctomm ullo 
I» tempore in fortiam dicti Communis per>enerit, talis per- 
n yeniens igne cómburatur sic quod moriatur, in bis seri- 
I» ptis sententialiter condepnamus. 

» Lata, pronumptiata et promulgata fuit dieta condepna- 
n tionis sententia per dominum Gante Potestatem predictom 
n prò, tribunali sedentem {n Consilio generali Communis Flo- 
I» rentie, et lecta per me Bonoram notarium stipradictum sub 
» anno, tempore et Indict. predictis, die x mensis martii, pre- 
n sentibus testibus ser Massaio de Eugubio et ser Bernardo 
» de Camerino notarlo dicti domini Potestatis, et pluribus 
n aliis in eodem Consilio existentibus. 



153 

CAPITOLO SESTO. 



'^'^^^ma radunanza de' Bianchi in Gargonza ;. poi in Arezzo. 
I Bianchi a Forlì con Scarpetta degli Ordelaffi, Im- 
presa di Pulicciano. Missione del paciaro cardinal Nic- 
colò da Prato, Tentativo de^ Bianchi di ripatriare sotto 
Baschiera Tosinghi. Prime peregrinazioni di Dante. Va 
allo Studio a Bologna. Clemente V. Legazione del car- 
dinal Napoleone degli Orsini. Guerra di - Montaccia" 
nico. Congresso de* Bianchi in San Gaudenzio. Dante 
a Padova ; in Lunigiana presso i marchesi Maleupina. 
Sua legazione al vescovo di Luni. Tòma Dante nel 
Casentino, e poi in Lunigiana. Frate Ilario. Dante a 
Parigi, Arrigo VII. Dante torma in Italia: sua let- 
^ tera ai principi e popoli d* Italia. Inchina Arrigo, e 
torna nel Casentino. Scrive ai Fiorentini, e quindi ad 
Arrigo. Riforma di Baldo d' Aguglione. Storia d* Ar- 
rigo. Sua morte. 



[1302-1313.] 



Mentre Dante^ veduta riuscire del tutto inefficace la sua 
^mobasciata a papa Bonifazio^ tratteneyasi in Roma^ incerto 
di che far si dovesse, ebbe notizia della rovina della sua pa- 
tria, e poco appresso delle sue proprie disavventure. Dile- 
guandosi allora dalla Curia pontificia, e maledicendone in cuor 
suo la doppiezza e la perfìdia, corse alla volta della Toscana ; 
e, giunto in Siena, intese i particolari di tutti quei fatti lu- 
gubri. Vide allora ben egli, e videjro tutti gli altri sbanditi, 
che non v' era alcun modo di ridurre i loro avversarli a 
sensi più miti : il perchè s' avvisarono d' accozzarsi insieme. 



154 \lTk DI DANTE ALIGHIERI. 

la prima loro riunione fu a Gargonza^ castello della fami- 
glia Ubortinì, che restava a mezza strada fra Siena ed Arez- 
xo ; quivi stabilirono di eollegarsi coi Ghibellini di Toscana 
e di Uouiagna^ e di fermare la loro sede in Arezzo. Il pas- 
saggio di Danto dal \m\\Xo dei Guelfi bianchi a quello de' Ghi- 
MHnì non data ohe da questo tempo, cioè dal febbraio, o 
marxo del laoi ; e chi ha detto diversamente non avea ben 
piVìit^uti questi fatti storici^ e le lor cause e le lor tjonse- 
gut^iue. In Attizzo adunque convennero, e quivi presero a 
r»duiuir%^ lo forze loro, facendone capitano il conte Alessan- 
i\x\> ila Uuiuona, e nominando dodici consiglieri, che gli do- 
\ossi*r\> start* a fianco; uno de' quali fu Dante. « In Siena 
)> (raiHvnta il Bruni) intesa più chiaramente la sua calamità, 

> ^ Hon vedendo alcun riparo, deliberò accozzarsi con gli 
>► «Uri usciti, ed il primo accozzamento fu in una congre- 
)► gaxiitno degli usciti, la quale si fé a Gargonza ; dove trat- 

ì^ tate molte coso, finalmente fermarono la sedia loro in - 

> Arezzo : e quivi ferono campo grosso, e crearono loro.ca- — 
^ pìtano il conte Alessandro da Romena ; e feron dodici con- 

^ siglieri, del numero de* quaU fu Dante. ]| 

Or qui presentasi una questione : Chi fu l' Alessandro da 
Romena capitano di questa lega de' fuoruscHi ? Fu forse 
queir Alessandro, queir anima trista, che maestro Adamo, 
falsificatore a sua istanza del fiorino d* oro, vorrebbe veder 
nell' Inferno (canto XXX, v. 77) a penare con sé ? No, non fa 
lui. Egli fu un suo cugino ; fu quegli che, morendo nel 1305, 
lasciò eredi d' ogni sua facoltà Guido ed Oberto conti da Ro- 
mena, ai quali Dante ihanxiò una lettera, condolendosi della 
morte del loro zìo, che egli chiama coi titoli più onorevoli e più 
affettuosi, e dicendo che non gli è dato prender parte ai solenni 
funerali di lui, rum per negligenza, né ingratitudine, ma per 
l'improvvisa povertà che dall'esilio mi venne (sono sue paro* 
le) : costei, siccome fiera persecutr ice, privo d'armi e di cavalli 
m'ha cacciato ornai nelV antro di sua prigionia, e avvegnaché 
io faccia ogni sforzo per rilevarìni, infino a qui ella prevale, 
e macchina V empia di ritenermi tuttavia fra' suoi artìgli. 



CAPITOLO SESTO. 155 

In Arezzo pertanto (seguita a raccontare il Bruni) dimo- 
f^l^ouo i fuorusciti di speranza in speranza fina al 1304. Era 
J*^ questo frattempo^ cioè nell* 11 ottobre 1303, morto Boni- 
^*^io Vni, più per malattia morale che fìsica : imperciocché, 
l^cistatosi col re di Francia Filippo il BeHo, questi lo fé da 
^^iarra Colonna e da Guglielmo di Nogaret assalire- in Anagni 
^ prender prigione : ond' egli tanto s^ accuorò, sia per lo 
^^^egio alla pontificai dignità, sia per la nera ingratitudine, 
^^n che di tanti benefizii la real casa di Francia lo ricambia- 
^^^ che pochi giorni appresso se ne morì : * pontefice, a cui 
^j per r infelicità de' tempi, è da rimproverarsi qualche atto 
^biasimevole, non si disconviene peraltro il nome di grande, 
^ che la stpria V ha onorato. Or dunque nella fine del mese 
4* ottc^»*e eletto in suo luogo il vescovo d' Ostia, che prese 
il nome di Benedetto XI (uomo d' indole pacifica, ed ornato 
delle più belle virtù, siccome conviensi ad un vicario di 
Cristo in terra) amando egli che avesser fine le civili discor- 
dile, che lacera van V Italia, e più speciahnenie Firenze, pensò 
<ìi mandare in questa città col titolo di suo legato e paciario 
il cardinale fra Niccolò della famiglia Albèrtini> o (com' altri 
dice) de' Martini da Prato,* gran politico di quei tempi, savio 
e moderato (siccome lo .qualificano gli storici) e nemico dd 
furor delle parti. Egli giunse in Firenze nel 10 marzo 1304. 
Ma prima eh' io narri ciò che per lui fu, se non portato ad 
effetto, tentato, conviene eh* io faccia parola d* un altro fatto, 
intervenuto in questo frattempo, fatto al quale da alcuno 
vorrebbesi,. che avesse preso parte il nostro Dante. 

< I Ghibellini e i Bianchi (racconta Dino Compagni) 

> eh' erano rifuggiti a Siena, non si fidavano starvi per una 

» profezia che diceva. La Lupa puttaneggia onde n' anda- 

» rono ad Arezzo, dov* era podestà Uguccione della Fag- 
» giuola, antico ghibellino..'... E buona parte sen'andarona 

> a Furfi, dov* era vicario per la Chiesa Scarpetta degli Or- 
» delaffi. » In Arezzo pertanto contrasse Dante con Uguc- 
cione queir amicizia, che non fu mai tra loro interrotta, e 
della quale il Poeta gli diede splendida testimonianza dedi- 



156 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

candogli nel 1309 la prima Cantica del suo Poema, e della 
quale il guerriero diede al Poeta affettuosa riprova, accoglien- 
dolo dapprima ne' suoi castelli del Montefeltro, poscia in 
Lucca quand' ei nel 1314 se ne rese signore, e finalmente 
facendo sì, eh' ei fòsse ospitato alla corte di Cane Scaligero. 

Abbiamo gi^ veduto che Arezzo era di parte ghibelHna; 
ma come in Firenze i Guelfi s'eran divisi in Neri (Guelfi puri) 
e in Bianchi (Guelfi moderati), cosi in Arezzo i Ghibellini 
eransi divisi in Secchi (Ghibellini puri) e in Verdi (Ghibellini 
moderati) : e al tempo di che parliamo, il partito che in Arezzo 
prevaleva, e a cui stava a capo il potestà Uguccione, era 
quello de' Verdi. Quindi- si spiega quello, che per vari storici 
è raccontato, cioè che il papa si fosse rappacificato con Uguc- 
cione, e gli avesse promesso un cappello cardinalizio per suo 
figlio; dal che venne che il capo de' Ghibellini verdi non si 
mostrasse agli esuli quivi^convenuti troppo favorevole. 

Ora i rifuggiti, trovando in Uguccione freddezza, si rivol- 
sero a Scarpetta degli OrdelaffI in Forlì ; il quale, fatto lega 
con Imola, Faenza e Bologna, con Federigo da Montefeltro, 
con Bernardino da Polenta (fratello della Francesca, e com- 
pagno d'arme di Dante alla battaglia di Gampaldino), ed al* 
tresì (secondo il Troya e il Balbo) ma copertamente,^ con 
Uguccione; mise insieme quattromila fanti e settecento ca- 
valli. Vuoisi pertanto che Dante venisse anch' egli a ForB^ 
e fosse dall' Ordelaffl inviato a Verona a Bartolommeo della 
Scalar per richiederlo d'aiuto; e che, ottenutolo, si tornasse 
insiera con esso' a Forlì per prender parte alle fazioni, che 
s' apprestavano. ' Ho detto vtu>lsi, perchè di questo fatto 
non abbiamo documenti certi e autorevoli ; né V argomento, 
che alcuni vorrebber desumere dalle parole di Dante nel 
canto XVII, v. 70 e seg. del Paradiso, parmi molto convin- 
cente. Da Cacciaguida si fa dire il Poeta: 

Lo primo tuo rifugio é 1 primo ostella 
Sarà la cortesia del gran Lombardo, 
Che sulla scala porta il santo uccello ; 



CAPITOLO SESTO. 157 

Che avrà in te sì benigno riguardo, 
Che del fare e del chieder, tra voi due, 
,Fia primo qual, che tra gli altri è il più tardo. 
Colui vedrai, colui, ec. 

Primieramente, se qui Dante ha inteso parlare di'Barto- 
[ommeo (il che non credo affatto), non vedo come per averne 
Dtténuto una piccola mano di soldati dovesse fargli questo 
3logio magnifico : secondariamente, se si -supponesse (come 
Tu supposto da alcuno) che Dante, dopo essersi trattenuto 
pochi mesi in Arezzo, si portasse tosto alla corte dello •Sca- 
lìgero, e vi fosse ospitato onorevolmente, e perciò più di 
l^^ieri ne potesse ottenere V aiuto in discorso ; si suppor- 
rebbe un fatto del tutto arbitrario, poiché tutti i documenti 
provano, e molti storici affermano, che i primi tre anni del 
suo esiho (il 1302, 1H03 e 1304) fossero da Pante passati in 
Toscana, o ne' luoghi finitimi. Ma lasciando questa questione, 
sulla quale dovrò tornare in appresso, dirò colle parole di 
Dino Compagni a che riuscisse lo sforzo de' Bianchi e Ghi- 
bellini sotto la condotta dell' Ordelaffl. 

« La terza disavventura eh" eW)ono i Bianchi e' Ghibel- 
» lini, la quale gli accomunò, e i due nomi si ridussono in 
» uno, fu per questa cagione : che essendo Folcieri da Cal- 
» voli podestà di Firenze, i Bianchi chiamarono Scarpetta 
» degli Ordelaffl loro capitano, uomo giovane e temperato, 
]^ ma nimico vdi Folcieri. E sotto lui raunarono loro sforzo, 
» e vennono a Puhcciano* (ciò fu nella primavera del 1303),... 
» credendo prenderlo^ e quindi venire alla città.*"... I Neri 
» v/ andarono con gran riguardo ; i quali vedendo che i ni- 
» mici non assalivano il podestà, che era con pochi, taglia- 
» rono i ponti e afforzarorisi, e presero cuore ingrossandosi. 
» A' Bianchi parca essere presi, e però si levorono male in 

> ordine ; e chi non fu pronto a scampare, rimase ; però che 

> i villani de' conti d' attorno furono subito a* passi, e pre- 
}> sonne e uccisonne molti. Scarpetta con più altri de' mag- 
» giori rifuggirono in Monte Accianico. E fu 1' esercito 



i58 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» (le* Bianchi;, cavalli 700 e pedoni 4000 : e quantunque la 
» partita non fosse onorevole^, fu più savia che la venuta.* » 
E se^ue narrando come furono presi varii di quei fuor- 
usciti, i quali, menati in Firenze e condotti innanzi al potestà 
Fulcieri, vennero da lui crudelmente derisi e straziati, e 
poi dannati nel capo ; « e tjuesta (segue a dire il Compagni) 
» non. fu ghista deliberazione, ma fu contro alle leggi co- 
» muni, perocché i cittadini cacciati, volendo tornare in casa 
» loro, non debbono essere a morte dannati; e fu contro 
» air uso della guerra, che tenere li doveano presi.* » 

Sebbene il Balbo creda che V Alighieri dimorasse presso 
Bartolomraeo un anno intero (mentr'io credo che non vi 
dimorasse affatto, o se vi fu, vi fu solo per un momento 
come ambasciatore dell' Ordelaffl), pure dice che nel^ giu- 
gno 1304 trova vasi egli nuovamente in Toscana.' Nonostante 
la sconfitta di Pulicciano, non si erano i Ghibellini perduti 
d' animo ; e tanto meno poi, che, restituitisi ad Arezzo, ve- 
devano il partito loro rinforzarsi per novelli aiuti. Nel detto 
anno 1303> nel mese di settembre, « i Bianchi e i Ghibeltìni 
» (dice Dino Compagni) s' accozzarono con messer Tolosatto 
> degli liberti) nobile- cavaliere di Firenze, e valentissimo 
» uomo d' arme. Cavalcarono ad Arezzo con soldati pisani ; 
» e i Sanesi dierono loro il passo, perchè i cittadini di Siena- 

» marciavano bene con ambo le parti , Raunaronsi ad- 

» Arezzo i Bianchi e' Ghibellini di Firenze, Romagnoh, Pisani 
» e ogni altro amico. » Ristoratisi pertanto della perdita sof— 
ferta, si accingevano a novelle imprese, e meditavano di fare 
irruzione contro Firenze, quando giunse in Toscana paciario 
(siccome accennai di sopra) il cardinal Niccolò da Prato. 

Riprendendo dunque il racconto quivi interrotto dirò, 
che il cardinale, appena giunto in Firenze, ottenne da' ret- 
tori piena e libera balia (son parole del Villani, lib. VIU, 
cap. 69) « di far pace tra' cittadini d' entro e' loro usciti di 
» fuori, e di fare i priori, gonfalonieri e Signorie della terra 
y> a sua volontà. E ciò fatto, intese a procedere e a far pace 
» tra' cittadini; e rinnovò 1* ordine de' diciannove gonfalo- 



CAPITOLO SESTO. 169 

^ nieri delle compagnie al modo dell' antico popolo vecchio, 

> e chiamò i gonfalonieri, e die loro i gonfaloni al modo che 
» son oggi. Per la quale nuova riformagione del cardinale, 
ì> il popolo si riscaldò e rafforzò molto, e i grandi n' abbas- 
* sarò, e mai non finaro di cercare novitadi e opporre al 

> cardinale per isturbare la pace ; perchè i Bianchi e i Ghi- 
» bellini non avessono stato, né podere di tornare in Firenze, 

> e per poter, godere i beni loro, messi in comune per ri- 

> belli in città e in contado. Per tutto questo il cardinale 

> non lasciò di procedere alla pace : ^ alla 'qual conseguire 
facea d' uopo distogliere i fuorusciti congregali in Arezzo 
da ogni pensiero di guerra, n perchè per un frate L.** 
mandò loro nel mese d' aprile una lettera,, colla qual pro- 
metteva che, ov' essi si rimanessero da ogni offesa, ^gK 
avrebbe procurato di tornarli alla patria, e rimetterli ne' loro 
intichi diritti, e che Firenze sarebbe riordinata secondo i 
lor Toti medesimi. Ed essi, avuta insieme consulta, -replica- 
rono al cardinale, protestandogli la più viva e più sincera 
gratitudine per la benevolenza,^ che loro mostrava : dicevano 
lon per altro aver braiMÌito le armi, se non per tentare di 
riconduite i loro avversarli ai principii di buona cittadinan- 
eÌ ; .e che la loro -intenzione non mirava che al'riposo e alla 
libertà del popolo fiorentino. E poiché frate L.**, conforme 
r incarico ricevuto, li richiedeva d'astenersi frattanto da 
ogni assalto ed uso di guerra, essi di buon grado lo promet- 
tevano, rilasciando interamente alla interposizione del Car- 
dinale il regolamento definitivo delle condizioni della pace. 
La lettera ehe contiene queste dichiarazioni (vedila nelle 
Opere miTMri) fu scritta a nome di Alessandro da Romena 
capitano, del consiglio e università della parte Manca di Fi- 
renze, e lo scrittore credesi con molta prqbabiHtà «essere 
stato Dante, il quale (siccome accennammo) era uno de' do- 
dici consiglieri. « Attese il cardinale (dice Dino Compagni) 

> ad avacciare la pace, e a darvi esecuzione. E prese per 

> consìglio, per concordare le ditferenzie, di far venire 
» de' capi degli usciti di fuori, ed elessene quattordici. I 



IGO VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» quali ycnnono in Firenze sotto licenzia o sicurtà^ e stet - — 
> tono oltr' Arno in casa i Mozzi; e fecionvi chiuse di le - — 
» gname e posonvi guardie per non potere essere offesi. 3*^^ 
Ma le benevole intenzioni del cardinale, e gli ardenti YOt r^ \ 
de* fuorusciti non sortirono alcun effetto; poiché i Nei — ^^ 
eh' erano, e volcan restare, i padroni di Firenze, entrati ìe^k^^ 
sospetto che il cardinale volesse favorire i Bianchi, lo per^"^*' 
suasero neir 8 maggio a portarsi a Prato e Pistoia;* e frat •^•^" 
tanto eh' ei là si trovava, sparsero la voce (e per mezzo d^E^i 
lettere false cercarono darle colore di verità) che egli, mes -^^' 
sosi già d'accorido coi Bianchi, avea determinato mutar ìmM^^^ 
stato della repubblica con grave danno della parte guelfa ^3^- 
Onde, tornato che fu in Firenze, non trovando più alcui^: -^^ 
favore nel popolo, nò vedendo che dai rettori del Comune &?5^ ^ 
desse più ascolto alle sue parole, irritato abbandonò ia cittàt -i*^ 
a' primi di giugno del 1304, lanciandole contro V interdetto. — ^' 
Chiaramente conobbero allora i fuorusciti, che ogni trai -:• ^" 
tato d' accordo era co' Neri impossibile : onde, come dappri ^^-'* 
ma, per 1* interposizione del cardinale, avean differito di rlS^ 
correre all' armi, cosi ora s' affroitarona alla guerra. E mess(^*^ 
insieme un discreto esercito ; 1600 cavalK (il Villani dice 1200 J 
e 9000 pedoni, di cui facean parte i GhibelUni d' Arezzo, d^ J 
Romagna, di Bologna e di Pistoia ; venendo giù celerement^^ 
pel Casentino e pel Mugello, giunsero improvvisamente 1-^ 
sera del 21 luglio alla Lastra di Mont* Ughi presso a Firenzo 
a due miglia. Guidava quelle schiere Baschiera Tosinghi,*^*' 
il quale per impeto giovanile commise due errori, che fe- 
cero fatUire V impresa : il primo, eh' egli giunse due giorni 
prima del convenuto ; ond' è che non gli si potè unire. To- 
losatto degli liberti, che conduceva la schiera de' Pistoiesi : 
il secondo eh' egli avrebbe dovuto irromper subito nella città, 
che nulla di ciò sospettava, e non attendere il giorno dipoi." 
Adunque si mosse il dì 22, ed in principio l' impresa riusci- 
vagli felicemente, poiché, traversati i sobborghi senza con- 
trasto, giunse fmo alla porta degli Spadai;" donde, tolto a 
forza uno sportello, poterono alcuni inoltrarsi fino alla piazza 



CAPITOLO SESTO. 161 

I 

^* san Giovanni. |Ca non trovando nella città alcun favore, 
^^Ccome era stato lor fatto credere, ed al contrario vedendo 
^he i cittadmi, riavutisi dal primo spavento, cominciavano ad 
affrontarli gagliardamente, titubarono, si disordinarono ed alla 
^Ue sì volsero in fuga. Poco lungi dalla terra scontrossi in essi 
''^olosatto, che veniva coi Pistoiesi, ed egli volea farli riv(Jgere 
**ldietro : ma non fu possibile, tanto erano scoraggiati. 
Le parole di Farinata (Inferno, canto X, v. 79) : 

Ma non cinquanta volte fia raccesa 
La faccia della donna, che qui regge, 
Che tu saprai quanto quell' arte pesa ; 

Vale a dire, e non passeranno cinquanta mesi, che tu saprai 
per prova quanto è grave il non poter tornare alla patria, » 
anudonó evidentemente a questo tentativo de' fuorusciti di 
rientrare armata mano in Firenze. Ora, quantunque non mi 
possa indurre a credere, che si trovasse Dante armato nella 
schiera del Tosinghi; pure io credo che anch' egli cooperasse 
in qualche modo, se non altro col consiglio, a questa spedi- 
zione, ohe riuscita avrebbelo rimesso in jiatria. Se cosi non 
si ritenesse, le parole di Farinata si rimari-ehbono senza sco- 
po, e mal sarebbono rivolte ti Dante, quand' egli si fosse te- 
nuto del tutto estraneo a quel fatto. Ma Dante si fa dire 
altrove (Paradiso, canto XVII, v. 6Ì e seg.) : 

E quel, che più ti graverà le spalle, 
Sarà la compagnia malvagia e scempia. 
Con la qual tu cadrai in questa valle; 

Che tutta ingrata, tutta matta ed empia 
Si farà centra te; ma poco appresso 
Ella, non tu, n' avrà rotta la tempia. 

Di sua bestialitate il suo processo 
Farà la prova sì, che a te fia bello 
Averti fatto parte per te stesso. 

Egli è vero che qui dice Darite d' essersi separato da' suoi 
compagni di sventura, perchè malvagli e stt)lti, e d' aversi 

DiiiTB. — Vita. 11 



162 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

fatto parte per sé stesso^, ma non dice quando. Onde il ri- 
portare questa sua determinazione air anno 1303 (siccome 
fanno dcuni) o all' anno 1304 (siccome fanno altri) quando 
da un autentico documento del 1306, che produrrò poco ap- 
presso, lo vediamo collegato sempre coi fuorusciti, sarebbe 
un far la storia a capriccio. Io credo pertanto che Dante non 
si separasse da' suoi compagni, che verso l'agosto del 1306. 
Ma che valore ha poi quella sua espressione, quando non 
molto tempo dopo* tornò ad essere ghibellino, ponendosi 
nel 1311-1313 dalla parte d'Arrigo; e, morto questo, accom- 
pagnandosi nel 1315-1316 con Uguccìone? Per due ragioni 
erasi Dante dato al partito imperiale ; la prhna, perchè cre- 
deva esser questo il mezzo per far tacere le guerre de'mu- 
nicipii e le ire delle sètte, e riordinare l' Italia e forla grande; 
la seconda, per poter rientrare in Firenze; ed ei non lascio- 
mai di creder questo, e di sperar questo: onde se potò. tal- 
volta distaccarsi da alcun suo compagno, non potò certa^ 
mente rinnegar mai la sua parte politica. , 
^ Dopo questa prova infelice di rientrare in Firenze co- 
minciano le vere e proprie peregrinazioni di Dante; ma il 
determinare ov' egli andasse, ov' egli si trattenesse dall'ago- 
sto 1304 al giugno 1306, è cosa iQolto difficile, e dirò anco 
impossibile, per la mancanza di documenti certi. Forlì, ond'era 
signore TOrdelaffi; il Casentino, ove possedeano parecchi ca- 
stelli varii rami della famiglia de' conti Guidi; la Faggiuola 
del Montefeltro, ond'era signore Uguccione, detto perciò 
della Faggiuola,*' vuoisi che fossero i luoghi da lui in que- 
sto frattempo visitati : poi s' afferma (e questo con molta 
probabilità) che egli andasse allo Studio di Bologna, ove si 
trattenesse fino al primo di marzo 1306. Dante (dice il Vil- 
lani) cacciato e sbandito di Firenze, andossene allo Studio a 
Bologna, e poi a Parigi.** Ch' egli fosse col conte Guido Sai- 
vatico in Casentino, col marchese Moroello Malaspina in Lu- 
nigiana, con quelli della Faggiuola ne' monti d' Urbino, a Bo- 
logna, a Padova, e, due volte a Verona, lo dice anco il 
Boccaccio, ma tutto in confuso e non per ordine cronolo- 



CAPITOLO SESTO. 163 

gico. Verso la fine del 1304^ od il comìucìamento del 1305 
(dice il Troya pag. 126) cominciò ad errare in varii luoghi^ 
ora nel Casentino presso il conte Guido Salvatico, ed ora 
ae' monti d' Urbino tra Feltro e Feltro, nel castello della 
^^ggiuola. Ed il Balbo : ^ Il soggiorno di Bologna essendo 
> pur nominato dal Boccaccio, ei non mi pare possa rimaner 
^ dubbio, che alla vicina Bologna andasse Dante subito o 
^ l)oco dopo la fuga della Lastra del luglio 1304, ed ivi poi 
^ limanesse qualche, tempo..... Ad uno di questi soggiorni è 

^ da riferire una gita nel Casentino, e V ospitare di lui presso 
^ Guido Salyatico, signore di Bagno e di Montegranellì...... 

^ È probabile che pure a questo tempo, o prima d' andare 
-^ a Bologna, o durante la dimora di Dante in essa, sia da 
^ riferire il soggiorno di lui alla Faggiuola, o in alcun' altra 
^ deHe terre d' Uguccione, ondechè sempre più dovè strin- 
^ gersi l'amicizia tra esso e Dante; e il veder questo fra 
"^ poco dargli una prova chiarissima di tale amicizia, ci di- 
^ . mostra che dovettero rivedersi e dimorar familiarmente 
^ insieme qualche altra volta dopo la prima d'Arezzo. » Io 
^redo pertanto, che da Arezzo si portasse Dante nel Casen- 
tino; quindi nel Montefeltro ai castelli d' Uguccione; di là poi 
^ Forlì, e finalmente a- Bologna. Quanto in quest'ulthna 
^ittà si trattenesse noi potrenmio determinare; pure con 
tutta probabilità può ritenersi, che se ne allontanasse verso 
Il marzp del 1306 ; perciocché i Bolognesi istigati (come rac- 
contan gli storici) dai Neri di Firenze, cacciarono in quel 
tempo dalla loro città i Bianchi; e il cardinale Orsini, che 
li avrebbe voluti rimettere, non essendo dai Bolognesi ascol- 
tato, li scomunicò e li privò dello Studio : onde si per l' una 
cagione, che per l' altra avrà dovuto Dante nel marzo allon- 
tanarsene. 

n giorno stesso, in che 1 fuorusciti furono sotto le mura 
di Firenze sconfìtti, moriva in Perugia il buon papa Bene- 
detto XI. Tempestosissimo fu il conclave, che si adunò per 
la novella elezionp, dappoiché v' avevano due partiti, che 
quasi si Rilanciavano; 1* italiano e il francese. Convennero 



164 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

infine i cardinali che il primo partito proponesse tre vescovi 
francesi^ e il secondo scegliesse fra i tre. La proposta per- 
tanto fu si bene di tre francesi, ma^ poiché nominati dal par- 
tilo italiano^ erano creature di Bonifazio^ e nemici di re Fi- 
lippo. Onde qudsti, avuta tosto in mano la nota^' ebbe ri- 
corso ad un artifizio per far sì^ che il nuovo papa fosse per 
riuscire in tutto a lui devoto. Andato dunque a trovare 
Bertrando d' Agoùt, arcivescovo di Bordeaux^ eh' era uno 
de' tre, e mostrandogli le lettere, che avea ricevute da*ca^ 
dinali francesi ch'enano in conclave, gli disse (Villam 
lib. Vili, cap. 80) : « Vedi, arcitescmo, i' ho m mia mano 

> di poterti fare papa s' io voglio^ e però sono venuto a^ie: 
» perciò se tu mi prometti di farmi sei grazie, eh' io U do- 
1» manderò, io ti farò questo onore. U guascone, ooYÌdoso 
T) della, dignità papale, veggendo così di subito come nel re 

> era al tutto di poterlo far papa, quasi stupefatto dall'ai- 
» legrezza gli si gittò a' piedi, e disse : Signore mio, ora co- 

> nosco che W ami più che uomo sia, e vu^oimi rendere bene 

> per male : tu hai a comandare, e io a ubbidire, e sempre 

> sarò così disposto. Lo re il rilevò suso, e gli disse : Le tei 
» speziali grazie, eh' io voglio da te, sono queste. La prima, 
» che tu mi riconcilii perfettamente colla Chiesa, e facci per* 

> donare del misfatto, eh* io commisi della presura di papa 
» Bonifazio. Il secondo, di ricomunicare me e' miei seguaci. 
j» // terzo articolo, che mi concedi tutte le decime del reame 
s> per cinque anni, per aiuto alle mie spese, e' ho fatte per la 
» guerra di Fiandra^ Il quarto, che tu mi prometti di éis- 
ì> fare e annullare la memoria di papa Bonifazio. Il quinto, 
ì> che tu renda V onore del cardinalato a messer Jacopo e 
j> messer Piero della Colonna, e rimettigli in istato^ e facci 
» con loro insieme certi miei amici cardinali. La sesta grò- 
» zia e promessa mi riservo a luogo e a tempo, ch*^ è segreta 
» e grande. » 

Tutto promise e giurò T ambizioso Bertrando, fino la 
sesta cosa non allora espressa, che (fu second'o alcuni) il tras- 
ferimento della sedia apostolica in Avignone, o (secondo altri) 



CAPITOLO SESTO. 165 

la distruzione dell' ordine de' Templari ; e così nel giugno, o 
com' altri dice nel luglio 1305, dopo un anno d' interregno, 
fu egli nominato papa, prendendo il nome di Clemente V. 
Questo pontefice non mise mai il piede in Roma, né mai 
venne in Italia; e cosi Avignone fu per seltant'anni con- 
tinui la residenza de' papi. « Qual diminuzione d' autorità e 
]i di potenza ne soffrisse quindi il papato, e come principato 
» italiano, e come sommo pontificato, fu avvertito da molti, 
j» ma non forse abbastanza da nessun moderno (così dice 
» il Balbo, scrittore che si dichiara guelfo, e tutto devoto 
» ai pontefici). Ai contemporanei si vuol ricorrere per veder 
9 lo sdegno de' buoni, il trionfo de' malvagli per questa inna- 

> turale, inusitata e pericolosa traslazione, detta* allora da 
» tutti la cattività di Babilonia, Imperciocché non è Roma, 

> come male interpretano i più, ma Avignone, e la corte 

> colà, quella che è chiamata Babilonia da Dante e Petrarca. 
% Questa traslazione fu quella, la quale poco men che di- 
» strusse la grand' opera di Gregorio VII e suoi seguaci; 

> questa che agevolò, od anzi causò e produsse poi il lungo 

> e grande scisma d* occidente Quindi è che non solo vo- 

» lentìeri scuseremo, ma .se ci sia conceduto di conchiudere 
:» dalle, opinioni degli storici più approvati della Chiesa, noi 

> loderemo anzi Dante d' essersi rivolto contro Clemente V 
) e il suo francese successore, primi motori di tanti danni. » *■ 

E non solo alla causa religiosa, ma altresì alla politica 
recò gravò danno la traslazione della santa sede in Francia; 
poiché mentre dapprima (cioè dal 1!266 al 1305) furono i papi 
partigiani degli Angioini re di Napoli, e de' reali di Francia, 
ora divennero se non sudditi, sottoposti troppo alle esigenze 
del monarca francese. Quindi é che i papi stessi, e gli stessi 
legati pontificii, servendo a malincuore a quella tirannia, sol- 
levaronsi talvolta contro gli eccessi di essa, e, facendo come 
Dante, si mostrarono di tempo in tempo quasi ghibellini. 

Stavano per parte bianca e ghibellina Bologna, Pistoia, Pisa 
ed Arezzo. Con Firenze guelfa e nera stavan Lucca ed altre 
minori città. Or volendo i Fiorentini snidar di Pistoia i 



166 VITA. DI DANTE ALIGHIERI. 

Bianchi, messo insieme un esercito,- e dal re Carlo n di Na- 
poli ottenuto per capitano di quello il suo figliuolo Roberto 
duca di Calabria, strinsero il 20 maggio 1305 Pistoia d'as- 
sedio. Io non farò la storia di quest' assedio, che durò quasi 
un anno, né racconterò le crudeltà, che vi commisero i Neri : 
son esse raccontate con alto sdegno da Dino Compagni : ma_ 



dirò solo che, giuntane la voce fino in Avignone, il papa per 
consiglio del cardinal da Prato, fautore de' Bianchi, inviò in^^ 
Italia suo legato il cardinal Napoleone degli Orsini. Il cpi^ì f 

mandò tosto dicendo al duca di Calabria, che si togliesse dal ■ 

l'assedio; ed egli, non volendo incorrere nelle censure accie 

siastiche, obbedì, ma vi lasciò i ^uoi soldati : onde la ffuerr^^i 

npn rimesse del suo furore. Giunse poi il cardinale m To 

scana, quando la straziata Pistoia nell' aprile del 1306 arren — 
devasi ai suoi fieri nemici : ond' egli indignato del non ave:»* 
voluto i Fiorentini levarsi dall' assedio, e del non aver vo-^ 
luto ricever» lui stesso nella loro città, si diede a procacciar 
loro nemici, e a radunar gente per farne vendetta. 

Non molti giorni avanti la caduta di Pistoia i Ghibellini 
erano stati cacciati da Bologna, e il cardinal legato avea 
perciò fatto chiudere quello Studio." Pertanto parte dì essi, 
e Dante con quelli, se ne vennero nel Mugello, ove gli Ubal- 
dini, sperando forse d' essere aiutati dal cardinale, appresta- 
vano le armi per muover guerra contro Firenze. Ma i Fio- 
rentini non misero tempo in mezzo, e a' primi di mag- 
gio rivolsero l'esercito contro i detti Ubaldini e lor conciati, e 
posero assedio ^d uno de' loro più forti castelli, cioè qudlo 
di Montaccianico. Allora i capi de' collegati, convenuti in nu- 
mero di diciotto nella chiesa abbaziale di San Gaudenzio 
appiè dell' Alpi, stipularono nel giugno 1306, per rogito di 
ser Giovanni d'Ampinana, un atto, pel quale si obbliga- 
vano solidalmente inverso Ugolino di Feliccione Ubaldini 
e suoi figli di rifar loro tutti quei danni, nei quali potessero 
incorrere, tam in bonis temporalibus, quam etiam in bene- 
ficiis ecclesiasticis, per causa della guerra, che faceasi e che 
proseguivasi dal castello di Montaccianico. Ora fra questi 



CAPITOLO SESTO. 167 

<^ontraenti vi ha il nostro Dante Alighieri : " dunque non si 
^x*€i ancor separato da'fSuoi antichi compagni di sventura. 

f n castello di Montaccianico de' signori Ujbaldini (rac* 
^ conta il Villani^ lib. Vili, cap. 86) era molto bello e ricco, 
* e Tortissimo di sito, e di doppie mura, perocché V avea 
^ fatto edificare con grande spendio e diligenzia il cardinale 
^ Ottaviano loro consorto : nel quale castello s' erano ridotti 
^ gran parte degli Ubaldini, e quasi tutti i ribelli, bianchi e 
^ ghibellini, usciti di Firenze ; e faceano guerra, e soggioga- 
^ vano tutto il Mugello fino all' Uccellatolo. » Ora quan- 
dunque l'assedio durasse da circa quattro mesi, e quan- 
dunque nell' oppugnazione si adoperassero quei maggiori ar- 
tìfizii, che l'arte della guerra allora indicava, pure tutto 
Riusciva invano; e se gli assediati avessero durato qualche 
^Itro mese, tanto che sopraggiungesse V inverno, il nemico, 
non potendo tenersi in^uogo cosi alpestre, sarebbe stato co- 
stretto di abbandonare l' impresa. Ma quello che non potè 
far tó forza, lo fece la fortuna e V industria. Gli Ubaldini (dice 
il Villani) vennero tra loro in discordia ; e i Fiorentini, ciò 
inteso, fecero proporre a Ugolino di Feliccione, per mezzo 
€ii messer Geri Spini suo parente, un trattato di cessione. 
In breve, il trattato fu conchiuso, e i. Fiorentini ebbero il 
castèllo, salve le persone e le robe, per quindicjmila fiorini 
d' oro, " e lo fecero tosto demolire da' fondamenti. Ecco per- 
tanto quando e perchè si separò Dante dalla compagnia 
malvagia e scempia, la quale non dalle forze degli avver- 
sarli, ma fu vinta solo dalle proprie discordie 

Dal Mugello sembi*a allora che ^ portasgfe a Padova, ove 
nel 27 agosto di queir anno, fu testimone ad un contratto 
rogato in casa di donna Amata Papafava. *• Ma ben poco 
colà si trattenne, poiché nel 6 ottobre lo vediamo già in 
Lunigiana presso i marchesi Malaspina. Per recarsi da Pa- 
dova in Lunigiana, sarà probabilmente passato (siccome dice 
il Troya) per Mantova e Parma, città ghibelline ; della prima 
delle quali era prjncipal cittadino Francesco de' Buonaccolsi, 
della seconda era signore Giberto da Correggio, cognato di 



163 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Franceschino Malaspina. Sia pertanto che Dante venisse rac- 
comandato a Franceschino da Giberto^ sia che Dante stesso 
ne avesse fatto la conoscenza in Firenze^ fu egli da quel si- 
gnore ricevato ed ospitato molto onorevohnente. Nò sola— 
mente da lui, eh' era padron di Mulazzo, ma fu ospitate^ 
eziandio da Morc»ello di Villafranca, che di Franceschino erar 
nipote, e che nel 1312 fu per Arrigo VII vicario di Brescia. 
Dell'amicizia di Dante coi Malaspina, eh* erano signori dSI- 

quasi tutta la Lunigiana, oltre i documenti, di che farò pa 

role in appresso, fanno, testimonianza varii biografi del Poeta,.^»* 
e specialmente il più antico di essi, il Boccaccio ; il quale €^»= 
neìla Vita di patite^ da lui scritta in sua gioventù, e ne^l- 
Commento alla Commedia, da lui composto nella sua vec — 
chiezza, narra due volte coi medesimi particolari, come, ri — 
trovati in Firenze nel 1307 i primi sette canti del Poema^^ 
fossero inviati a Moroello Malaspina, affinchè h rimettesse ìeb. 
mano di Dante, allora suo ospite. Egli è per ciò opportu- 
no, che qui si riferiscano le parole di questo scrittore : e È7 
» da sapere che Dante ebbe una sorella, la quale Ai mari- 
» tata a un nostro cittadino chiamato Leon Poggi, il qual^ 
» di lei ebbe più figliuoli ; fra' quali ne fu uno di più tempo 
» che alcuno. degli altri, chiamato Andrea: il quale maravi- 
» gliosamente nelle lineature del viso somigliò Dante, ed an- 
» Cora nella statura della persona; e cosi andava un poco 
ìi gobbo, come Dante si dice che faceva : e fu uomo idiote, 
» ma d' assai buon sentimento naturale, e ne' suoi ragiouà- 
» menti e costumi ordinato e laudevole. Dal quale, essendo 
f> io suo domestico divenuto, udii più volte de' costumi e 
)) de' modi di Dante; ma tra V altre cose, che più mi piacque 
» di riservare nella memoria, fu ciò eh' esso ragionava in- 
» torno a quello, di che noi siamo al presente in parole. Di- 
» ccva adunque che essendo Dante della setta di messer 
» Vieri de' Cerchi, ed in quella quasi uno de' maggiori ca- 
» porali, avvenne che, partendosi messer Vieri di* Firenze 
^ con molti degli altri suoi seguaci, esso medesimo, si parti, 
» e andòssene a Verona. Appresso alla qual partita, per sol- 



GiPITOLO SESTO. 169 

^i> lécitudine della sètta contraria^ messer Vieri e ciascuno 

n^ altro che partito s' era, e massimamento de' principali della 

:» sètta, furono condennati, siccome ribelli, neir avere e nella 

3» persona; e tra questi fu Dante. Per la qual cosa segui 

"3» che alle case di tutti fu corso a romore di popolo, e fu 

:» rubato ciò che dentro vi si trovò. È vero che temendosi 

:^ questo la donna di Dante, la quale fu chiamata madonna 

^ Gremma, per consiglio d' alcuni amici e parenti avea fatto 

:» trarre della casa alcuni forzieri con certe cose più care, 

-* e con iscritture di Dante; e fattili porre in salvo luogo. 

» Ed oltre a questo, non essendo bastato aver le case ni- 

9 bs^te, sùnilmeute i parziali più possenti occuparono chi 

» una possessione e chi un' altra di que' eondennati ; e così 

1 furono occupate quelle di Dante. Ma poi, passati bene 

> cinque anni o più, essendo la città venuta a più conve- 

) neyole reggimento, che quello non era quando Dante fu 

1 condannato, le persone cominciarono a domandare loro 

^ ragioni, chi con un titolo e chi con uà altro sopra i beni 

» stati de' ribelli: ed erano uditi. Per che fu consigliata la 

» donna, che ella ahneno con- le ragioni delle doti sue do- 

) vesso de' beni di Dante raddomandare. Alla qual cosa dis- 

Y ponendosi ella, le furon di bisogno certi strumenti e scrit* 

» ture, le quali erano in alcuno de' forzieri, li quali ella in 

» sulla furia del mutamento delle cose aveva fatti fuggire, 

% né poi mai gli avea fatti muovere del luogo, dove deposti 

» gli avea. Per la qual ciosa diceva questo Andrea, che essa 

» aveva fatto chiamare lui siccome nepote di Dante, e, fida- 

* tegli le chiavi de' forzieri, l'avea mandato con un procu- 
I ratore a dover cercare delle scritture opportune : delle 
» quali mentre il procuratore cercava, dice, che avendovi 

* più altre scritture di Dante, tra esse trovò più Sonetti e 
) Canzoni e simili cose. Ma tra 1' ^Itre che più gli piacquero 

* fu un quadernetto, nel quale di mano di Dan^te erano 
1^ scritti i primi sette canti {del Poema) ; e però presolo e 
i reca,tosenelo, ed una volta ed altra rilettolo, quantunque 
) poco ne intendesse, pure diceva gli parevano bellissima 



170 VITA DI DANTE ALIGfflERI. 

» cosa; e però deliberò doverli portare, per sapere quello 
» che fossero, ad un valente uomo della nostra città, il quale 

> in quelli tempi era famosissimo dicitore in rima, il cui 
» nome fu Dino di messer Lambertuccio Frescobaldi. 11 qual 

> Dino, essendogli maravigliosamente piaciuti, e avendone a 

> più suoi amici fatto copia, conoscendo V opera piuttosto 
1 iniziata che compiuta, pensò che fossero da dover riman- 
» dare a Dante, e di pregarlo che, seguitando il suo propo- 
» nimento, vi desse fine* Ed avendo investigato e trovato, 

> che Dante era in quel tempo in Lunigiana con uno no- 
» bile uomo de' Malaspini, chiamato il marchese Moroello (il 

> quale era uomo intendente ed in singularità suo amico) 
1 pensò di non mandarli a Dante, ma al marchese cbe glieli 
1 mostrasse ; e cosi fece, pregandolo che in quanto potesse 
» desse opera, che Dante continuasse V impresa, e, se potesse, 

> la finisse. Pervenuti adunque li sette canti predetti alle 

> mani del marchese, ed essendogli maravigliosMnente pia- 

> ciuti, li mostrò a Dante ; ed avendo avuto da lui che sua 
» opera erano, il pregò gli piacesse di continuare la impresa. 
» Al qual dicono che Dante riprese : lo estimava veramente 

> che qmstiy con altre mie cose e scritture assai, fossero nel 
» tempOy che rubata mi fu la casa, perduti, e però del tutto 
1 «' avea l'animo e '/ pensiero levato. Ma poiché a Dio è 
1 piaciuto che perduti non sieno, ed hammegli rimandati in- 
» nanzi, io adopererò ciò eh* io potrò di seguitare la biso- 

> qna, secondo la mia disposizion prima, E quinci rientrato 

> nel pensiero antico, e reassumendo V intralasciata opera, 

> disse in questo principio del canto ottavo : /' dico segui- 
li tando. Ora questa istoria medesima puntualmente, quasi 
» senza alcuna cosa mutarne, mi raccontò già un ser Dino 
» Perini, nostro cittadino ed intendente uomo, e (secondo 
» eh' esso diceva) stato quant' esser si potesse familiare ed 
» amico di Dante : ma in tanto muta il fatto, che esso di- 
» ceva, non AndFea di Leone, ma esso medesimo essere stato 

> colui, il quale la donna avea mandato a' forzieri per le 
1 scritture, e che avea trovati questi sette canti, e portatili 



CAPITOLO SESTO. 171 

j> a Pino di messer Lambertuccio. Non so a quale io mi 
» debba più fede prestare ; ma qual che di questi due si dica 
» il vero no^ mi occorre nelle parole loro un dubbio, il 
» quale io non pos^o in maniera alcuna solvere, che mi so- 
» disfaccia; ed il dubbio è questo. Introduce nel sesto canto 
-» V autore Ciacco e fagli predire, come avanti che il terzo 
» anno dal dì eh' egli dice finisca, conviene che caggia dello 
» stato suo la sètta, della quale era Dante: il che così av- 

> venne. Perciocché (come detto è) il perdere lo stato la 
» sètta bianca ed il partirsi di Firenze fu tutt' uno ; e però, 
» se r autore si partì all' ora premostrata, come poteva egli 
}i avere scritto questo ? » 

Non facendo d' uopo di rilevare' le inesattezze storiche, 
che in questo racconto del Boccaccio vi hanno, come 
quella, che Dante fuggì di Firenze dietro a Vieri 4e' Cerchi 
(mentr'egli trovavasi a Roma), e come l'altra, che andòs- 
sene tosto a -Verona (mentre andò a Siena, a Gargoiiza e ad 
Arezzo); poiché son cose^ià da noi chiaramente Vedute, mi 
fermerò soltanto sopra due particolarità, che son meritevoli 
di considerazione e d' esame. L' una, che Dante avea inco- 
minciato a scrivere il Poema innanzi la cacciata sua, e che 
per essa avea deposto ogni pensièro di continuarlo. Io credo 
potere esser vera la prima parte, non così la seconda. « Inutil 
j cosa è (dice il Troya, pag. 135) d' andare almanaccando 
» su questo fatto, dal quale si potrebbe,- se fosse vero, trarre 
» le più ardite, ma fallaci conseguenze. Ben Dante avea po- 
» luto lasciare in Firenze una copia, uno schizzo de' primi 
» sette canti ; ma come si dimostra eh' egli avesse abban- 
» donato qualunque pensiero di continuare il Poema ? Andrea 
» Poggi, Dino Perini, .non afferma d' aver saputo ciò dal- 
» r Alighièri : furon questi romori del volgo, che nacquero 

> in Lunigiana. V ha egli più bestiai cosa del presupporre, 
» senza neppur potersi fondare sull' autorità del Boccaccio, 
» che un tanto Poema, voto e sforzo supremo d' una vita ; 
» un Poema tentato prima in latino, si sarebbe dimenticato, 
)) quasi vii cencio, ne' forzieri di Firenze ? e che solo il caso 



172 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» d' essersi aperti quei forzieri avesse ridato una tanta luc^ 
» al mondo^ senza che Dante non avesse mai più per let— 
» tera, o per messaggio richiesto le sue carte ?» Ed io ag- 
giungerò: Come può essere che Gemma volesse indugiare 
cinque^ interi anni a far valere i suoi diritti dotali? Com& 
può essere che non avess' ella avuto mai di bisogno d' aprire 
quei forzieri^ ove ^vea riposto le sue cose più care ? Come 
può estere che Dante, il quale fino dalla morte di Beatrice 
aveasi proposto fermamente di scrivere Un poema nel quale 
dicesse di lei qìiello che mai non fu detto d' alcuna, e che 
a ciò fare stu4iava quanto poteva, avesse non solo niesso in 
non cale la sua promessa, ma dimenticatala ? E poi i sette 
canti ritrovati, eran eglino nella forma, in che poscia, ripresa 
e terminata la Cantica, lì pubblicò ? Ed oltre al dubbio, che 
lo stesso Boccaccio affaccia rispetto al discorso di Ciacco^ 
non' può aflacciarsene un altro dal considerare il senso sto- 
rico nel primo canto racchiuso? Io non taccerò certo di 
mala fede il Boccaccio, perchè noi meriterebbe affatto; naa 
dirò che egh troppo credè alle parole del Poggi e del Pe- 
rini, nelle quali se e' era alcun che di vero, come potreb- 
be essere l'aver trovato un abbozzo de' primi sette canti, 
era pure dell' alterato e del fantastico. Ma, lasciando una cotal 
questione, che interrompe la storia eh' io vo facendo della 
vita dell' Alighieri, noterò che la seconda cosa importante, 
che vi ha nel brano del Boccaccio, si è che il Poeta nel 1307 
trovavasi in Lunigiana, e che era amico ed ospite cTi Moroello 
Malaspina. E quand' anco non avessimo questa testimonian- 
za, quando non avessimo una lettera, che Dante scrisse 
nel 1307 o 1308 a Moroello, nella quale lo chiama suo si- 
gnore e sé dice suo servo dai sensi di gratitudine domi- 
nato; avrenunq (e sarebbe abbastanza) quell'elogio magni- 
fico, che de' Malaspina fa il Poeta nella fine del canto VAI 
del Purgatorio, rispondendo a Corrado Malaspina : 
..... . per li vostri paesi 

Giammai non fui; ma dove si dimora 
Per tutta Europa,- eh* ei non sien palesi ? 



CAPITOLO SESTO. i73 

La fama, clie la^ vostra casa onora, 
Grida i signori e grida la contrada 
Si, che ne sa chi non vi fu ancora. 

Ed 'io vi giuro, s* io di sopra vada. 
Che vostra gente onrata non si sfregia 
Del pregio della borsa e della spada. 

Uso e natura si la privilegia, 
Che, perchè il capo reo lo mondo torca. 
Sola va dritta, e il mal cammin dispregia. 

Ed egli: Or va', che il Sol non si ricorca 
Sette volte nel letto, che il Montone 
Con tutti e quattro i pie copre ed inforca. 

Che cotesta cortese opinione 

Ti £a chiovata in mezzo della testa 

Con maggior chiovi, che d' altrui sermone ; 

Se corso di giudicio non. si arresta. 

Qui dunque Dante accenna, che innanzi che fossero tras- 
rei sette anni, cioè innanzi il 1307, avrebbe provato per 
opria esperienza quanto 1 Malaspina si fossero cortesi v. 
igiianimi. Essi infatti gli diedero ogni dimostrazione d' af- 
;to e d' onore, tantochò gli affidarono uno di quegli inca- 
M, che non si danno se non a persona, della quale si ab- 
I piena fiducia. Per lungo tempo fra i Malaspina e il ve- 
jvo di Luni Antonio erano durate le guerre, le inimicizie 
gili odii {diutius inter Dominum Antonium, Dei graiia Lu- 
nsem Episcopum et Comitem, et magnificos viros^ et excel- 
ì Dominos Morroellum, Francischinum, Corradinùm et 
Ures Marchiones Malaspina, guerri&, inimicitiis, odiisque 
bortis etc\); il perchè considerando di quanti beni sia ap- 
rtairice a* popoli la tranquillità e la pace {attetidentes quod 
mi regno desìderabilis debet esse tranquillitas, in qua pe- 
U proficiunt, et gentium utilitas custoditur)y il marchese 
anceschino, e i marchesi Moroello e Corradino fratelli, per 
ittar la pace e conseguirla, nominarono il 6 ottobre 1300 
inte Alighieri loro legittimo procuratore (legitimum pro- 
ratoremy actorem et nuncium specialem Dantem Alege- 



ìli VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

rium de Florentia, ad pacem, sedationem, quietationem, re- 
mi$$ionem et finem perpetuam recipiendam a venerabili in 
Ckristo patre et domino D. Antonio, Dei gratta Lunensi Epi- 
scopo et Comité)}^ Ed egli con sodisfazione d* ambe le parti 
la conchiuse, apponendo la firma, unitamente al vescovo, 
all' atto solenne, che nello stesso giorno fu rogato in CasteJ- 
novo dal notaro Parente- Stupio." 

Quanto si trattenesse Dante in Lunigiansi noi sappiamo ; 
ma certo egli dovè farvi non breve dimora. In Mulazzo in- 
dicasi tuttora» una torre e una casa col nome di Dante : il 
quale per dare ai Malaspina una solenne testimonianza della 
sua gratitudine e del suo affetto, volle poi dedicare a Moroello 
marchese di Villafranca la seconda Cantica del suo Poema. 

Per la resa e demolizione del castello di Montaccianico 
non ebbe fine la guerra fra 1 Guelfi Neri e i Bianchi GhibeF- 
lini. Da una parte raccoglievansi questi in Arezzo, e n' era 
promotore e capo il cardinal degli Orsini, dall' altra conve- 
njvan di nuovo in Forlì sotto la condotta dell' Ordelaffl : 
così durarono le ostilità, con poco profitto dell' un partito e 
dell' altro, per quasi due anni, dal 1307 al 1308 ; ma ad esse 
non prese parte l' Alighieri. Ove in questi anni s' aggirasse 
è molto incerto. Dalla lettera eh' egli scrisse a Moroello, nella 
quale dice d' aver posto le piante sulle rive dell' Arno, pare 
potersi dedurre, che nuovamente si fosse portato nel Casen- 
tino ; ove (secondo ciò che a quel suo protettore significa) 
s' innamorò d' una donna, a' miei principìi (dice egli stesso) 
a' miei costumi ed alla mia fortuna pienamente conforme. 
Chi fosse costei, e quanto durasse queir amore, è vano cer- 
care. Nel 1308 (secondo che affermano alcuni storici) egli 
era. nuovamente in Forlì. Lo storico Flavio Biondo {Histo- 
riarum, decas II, pag. 338), il quale nacque in Forlì, e morì 
nel 1463, attesta che a' suoi giorni leggevansi tuttora le lettere 
di Pellegrino Calvi, cancelliere di Scarpetta, p che in esse 
faceasi frequente menzione di Dante, che le dettava. Non 
dubitò quindi Giorgio Marchesi {Vitce illustr, Foroliv., 
pag. 384) d' asserire, che Dante fu segretario di Scarpetta ; 



CAIPITOLO SESTO. 175 

€ ma doveva aggiungere (dice il Troya) che ciò era sotto la 

^ direzione del Calvi, capo della cancelleria forlivese 11 

jD tempo in cui Dante esercitò T officio di pro-segretario del- 
^ r Ordelaffi, è ottimamente indicato nel 1308 dallo storico 
> forlivese Paolo Bonoli, pag. 123-124. » 

Nella primavera del 1309 egli era tornato in Lunigiana 
presso i Malaspina, e di là, passando per le due riviere di 
Genova, e per la Provenza, intendeva muovere alla volta di 
Parigi ; ed in quella celebre Università, ove concorreano i 
maggiori sapienti, acquistar novello tesoro di dottrina. Avea 
egli in que* giorni terminato di scrivere la prima Cantica del 
suo Poema, la quale avea stabilito inviare e dedicare al suo 
amico Uguccìone della Faggiuola: ma dalla Magra al Conca 
troppa distanza v' avea, e molti erano i paesi guelfi e neri 
da attraversare ; sicché non facile riusciva di ftir giuugere il 
libro alla sua destinazione. Erano allora ì frati i messi, gli 
ambasciatori, gì' intermediarii, insomma i mezzi d'ogni fac- 
cenda di pace ; e già vedemmo che frati furon quelli, che 
Farmata inviò ai Fiorentini ; frati quelli, che il reggimento 
di Firenze chiamò a ricompor la città ; frate quello, che il 
cardinale Albertiui mandò ai fuornsciti in Arezzo: onde 
pensò Dante di doversi per questa bisogna valer d' un frate. 
Colà dove la Magra termina il suo corso, si prolunga nel 
mare uno sprone delle Alpi, eh' è detto monte Caprione, an- 
tico retaggio dei vescovi di Luni e dei Malaspina, la cui 
punta estrema, chiamasi del Corvo. Quivi fino dal secolo XII 
era stato fondato un monastero, che si disse di santa Croce 
del Corvo, e che apparteneva all' ordine de' Camaldolensi, 
vale a dire queir ordine, di cui il fratello d' Uguccìone era 
uno d^' superiori^ e di cui Ugùccione stesso era giusdicente 
vicario, e feudatario.** Adunque al priore di quel monaste- 
ro, eh' era allora un frate Ilario, si presentò l' Alighieri, con- 
segnandogli il libro, e pregandolo che, dopo avergli apposto 
alcune glosse, lo volesse far pervem're ad Ugùccione della 
Faggiuola, a cui intendeva egli dedicarlo. Ed il frate corte- 
semente gliel promise, ed in breve adempiè la promessa. 



176 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Pertanto nella primavera del 1309 incamminossi Dante 
alla volta di Parigi : quum iste homo (dice frate Dario nella 
lettera, colla quale accompagnò ad Uguccione il libro) ad 
parUs ultramontanas ire intènderei, et per lunensem dimce- 
sim transitum facerel. Che Dante fosse all' Università di Pa- 
rigi è attestato da tutti i suoi biografi : lo dice Giovanni 
Villani : Sbandito di Firenze, andossene allo Studio a Bologna, 
e poi a Parigi ; e il suo nipote Filippo : Sacris liUeris Pa- 
risiis studuit, iibi perscepe disputationibus publicis excellen- 
tiam ivgenii, et memorice nobilitatem ostendiL Lo dice Gio- 
vanni Boccaccio : « Ma poiché vide da ogni parte chiudersi 
Tf la via alla tornata, e più di di in di divenire vana la sua 
» speranza, hon solamente Toscana, ma tutta Italia abban- 

> donata, passati i monti, se n* andò a Parigi ; e quivi tutto 

y si diede allo studio della filosofìa e della teologia Ed 

», essendo egli a Parigi, e quivi sostenendo in una disputa- 
» zione de quolibet, che nello scuole della teologia si faceva, 
» quattordici quistioni di diversi valenti uomini e di divèrse 
» materie, cogli loro argomenti prò e contra, fatti dagli op- 
» ponenti, senza mettere tempo in mezzo raccolse, e ordi- 

> natamente, come poste erano state, recitò quelle ; poi quel 
» medesimo ordine seguendo, sottilmente solvendo e rispon- 
» dendo agli argomenti contrarii : la qual cosa quasi mira- 
» colo da tutti i circostanti fu riputata.*'» Inoltre questo 
scrittore, non nella Vita di Dante, ma nel carme latino, cgl 
quale mandò clonando al Petrarca una copia da lui stesso 
fatta della Divina Commedia, dice che Dante si portasse 
fìno in Inghilterra: 

Nomati foraan et ipse, 

Traxerit ut juvenem Phosbus percelaa nivoai 

Cyrreos, '. 

Parisios dudum, extremoaque Britannos. 

Le quali parole del Boccaccio danno qualche peso all'asser- 
zione di Giovanni da Sera valle, vescovo di Fermo, vissuto 
un secolo dopo Dante, il quale nel suo Comento alla Divina 



CAPITOLO SESTO. 177 

Commedia dice fra le altre cose : Anagogice dilexit theolo- 
giam sacram, in qua diu sluduit tara in Oxoniis (Oxford) 
in regno Anglice, qtiam Parisiis in regno Francioe, et fuit 
haccalareus in Universitate parisiensi, in qua legit senten- 
tias prò formmmagisierii ; legit Bibliaj respondit omnibus 
Doctoi*ibu8, ut moris est, et fecit omnes actus qui fieri debeni 
per doctorandum in sacra theologia, Nihil restabat fieri, 
nisi inceptù) seu conventus, et ad incipiendum seu faciendum 
conventus deerat sibi pecunia. Anche Giannozzo Manettì 
(pag, 29), confermando V andata di Dante a. Parigi, la pone 
innanzi la discesa d' Arrigo in Italia^ cioè innanzi il 1310-1311 : 
Proinde non Etruria solum, sed universa quoque Italia de- 
relieta, in parisiensium urbem, studiorum dumtaxat gratia, 

se contulit Henricus enim, nuper ad imperium legitime 

delectus, e Germania abiit Italiam. 

Spenti gr imperatori di casa sveva,;e riuscite vane le 
elezioni di Guglielmo d' Olanda, di Riccardo d* Inghilterra e 
d' Alfonso di Castiglia, era stato nel 1273 eletto a re di Ger- 
mania e re de* Romani Rodolfo conte d' Absburgo, della casa 
di Thierstein, prode guerriero, e fondatore di quella monar- 
chia austriaca, che tanto funesta doveva poi riuscire al- 
l' ItaUa. Ma né egli, né il suo figlio Alberto, che fu eletto 
l'anno 1298, scesero mai in Italia: ond'è che non mai ve- 
nuti a farsi incoronare a Monza ed a Roma, furono impe- 
ratori solo di nome e non di fatto, tantoché V impero per 
lungo corso di anni potè dirsi vacante.'* Ma morto il primo 
di maggio 1308 Alberto d' Absburgo, il re Filippo di Fran- 
cia brigava perché a re de' Romani venisse eletto il suo fra- 
tello Carlo, il re Senzaterra ; quando il cardinale Niccolò 
Albertini, che presso Clemente V era moltd potènte, consi- 
derando che> se si effettuasse quella elezione, l' Italia sarebbe 
tutt' affatto caduta in balia de' Francesi, persuase il ponte- 
fice ad avversare le mire di Filippo, e a adoperare di tutta 
la sua influenza, perchè invece di Carlo venisse eletto al- 
l' impero Arrigo conte di Lussemburgo. Così infatti avvenne 
con m^eraviglia di molti, non comprendendosi il perché, es- 

Damtb. — Viia, \t 



178 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

sendo egli signore di piccolo stato, venisse a tanti altri po- 
tenti principi preferito. Fu eletto il 25 novembre 1308, e 
come re di Germania coronato in Aquisgrana il 6 gen- 
iiaio 1309." 

Quasi due anni si rimase Arrigo in AtoQiag&a, cosi fa- 
cendo credere che poco gli calesse delle .eqs0 4' Italia : ma 
nel settembre del 1310, scendendo dàlie Alpi eivetic)ìe, vennft 
in Piemonte ; e, dopo aver lentamente percorse quelle pro- 
Aincie, si portò a Milano, ove come re de' Romani si cinse 
Al 6 gennaio 1311 la corona di ferro. Dante, che (come ab- 
biamo narrato) faceva allora dipiora in Parigi, intesQ come 
Arrigo scendeva in Italia, pieno delle più grandi speranze^, 
siccome ogni altro esule e tutto il partito gbibellino, abban- 
donò quella metropoli, e corse in Italia. Giuntovi (lo ohe fu 
nel principio del 1311, o meglio nella fine del. 1310), scrisse 
un'epistola ai principi e popoli d'Italia, nella quale, dopo 
aver significato la sua gioia del veder sorgere i segni di con- 
solazione e di pace, si volge air Italia, ed esclama : e Ralle- 
» grati oggiinai, Italia, già degna d' esser commiscrata .pure 
*» da'Saracini, che tosto parrai per tutto il mondo da essere 
01 invidiata, perocché il tuo sposo, eh' è letizia del secolo e 
» gloria della tua plebe, il clemenlissimo Arrigo,- alle tue 
» nozze di venire s' affretta. Rasciuga, p bellissima, le lagri- 
» me, e cancella le vestigia del dolore, poiché egli è presso, co- 
» lui, che ti libererà dalla carcere de' malvagli. » Parla quindi 
della clemenza del novello imperatore, dicendo che perdonerà 
a tutti che misericordia chiederanno, essendo egli Ccsare> e la 
maestà sua derivando dal fonte della pietà. Si rivolge poi a 
coloro, che giacciono nell' oppressione, e li conforta a sollevar 
l'animo, perocché la loro salute è vicina. « Perdonate (egli 
y^ esclama), perdona te oggimai, carissimi, che avete meco in- 
» giuria sofferto, affinchè V ettoreo pastore vi conosca peco- 
> relle del suo gregge; il quale, quantunque per divina con- 
1^ cessione abbia in mano la verga del temporale castigo, purè, 
y^ perché sappia odore di Colui, dal quale come da un punto 
» si biforca la potestà di Pietro e di Cesare, volentieri correg- 



CAMT0J.0 SESTO. 179 

) gè la sua famiglia^ ma più volentieri le usa misericordia. » 
Oltre queste espressioni, che sono d'una mitezza e d* un afifetto 
singolare^ hannovi in questa lettera varie cose degne di nota, 
poiché per èsse jSOno accennati quei principii politici, ch'egli 
poi SYÌlupp{f H^sao Trattato della Monarchia, L'autorità del 
principe Adn ;.41pende da quella del papa, ma V una come 
r fliltra^ e V una distinta dall' altra, si biforca (bifurcatur), 
e deriva immediatamente da Dio. L' Impero romano è vo- 
luto e predestinato dalla divina potestà, e confermato dal 
Verbo, perchè due essendo i fini dell'uomo; la felicità in 
questa vita, che consiste nelle operazioni della propria virtù, 
e la beatitudine di vita eterna, eh' è la fruizione dell'aspetto 
diyìno ; due Soli, ossia due guide, abbisognano, l' imperatore 
ed il papa. « In maravigliosi effetti (egli dice) riluce Iddio 

> avere predestinato il romano principe,' ed attesta la Chiesa 
»• averlo egli posteriormente confermato colla parola del Ver- 
» bo... che il Figliuolo di Dio, mentre evangelizzava in terra, 
» come se partisse due regni, distribuendo a se ed a Cesare 
» tutte le cose, giudicò si rendesse all' uno ed all' altro ciò 
3 che gli appartiene. ^ Ed è notevole che mentre Dante dice 
che chi resiste alk potestà resiste al ct)mandamento di Dio, e 
dbd repugna al comandamento di Dio recalcitra contro alla 
volontà coeguale all' onnipotenza ; mentre insinua ai popoli di 
sottoporsi al reggimento dell' imperatore, non vuole eh' ei 
sacrifichino le proprie libertà, ma le conservino : Evigilate 
igOur omnes et assurgile regi vestro, incolce Italice, non se- 
Ivim sibi ad imperium, sed lU liberi ad regimén reservati. 
Del pari notevole è la conchiusione, nella quale, a riunire 
gli animi si de' Guelfi come de' Ghibellini in un solo volere 
di prestare obbedienza all' imperatore, va dicendo che Cle- 
mente V accorda il suo favore ad Arrigo, e gli dà l' aposto- 
licabenedizione : « Questi (Arrigo) è quegli, che Pietro vica- 

> rio di Dio ci ammonisce d' onorare; questi è quegli, che 

> tllemente, ora successore di Pietro, illumina della luce 
1 d' apostolica benedizione, acciocché, dove il raggio spirituale 
1 non basta, lo splendore del minor lume ne rischiari. » 



}80 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

La discesa d' Arrigo VII iaJtalia è uno de' fatti più istrut— 
tivi delle nostre istorie ; ed essendo uno degli episodii i me - 
glio narrati da' nostri cronisti, non meno che dal vescovo 
di Butrintò, che seguì quel principe in tutta la sua spedizio- 
ne, mi dispensa dal tener dietro minutamenÌB a tutto quelTo 
che Arrigo fece, limitandomi solo ad accennare sommaria- 
mente quelle cose, che hanno attinenza colla vita di Dante. 
« Iddio onnipotente (dice Dino Compagni) il quale è guardia 
» e guida de' principi, volle la sua venuta {d' Arrigo) fusse 

> per abbattere e castigare' i tiranni, eh' erano per Lpm- 
» bardia e per Toscana, infino' a tanto che ogni tirannia 
» fosse spenta..... Era uomo savio, di nobile sangue, giusto 
» e famoso, di gran lealtà, prò' d' arme ; uomo di grande 

> ingegno e- di gran temperanza, d' età d' anni quaranta, 

smezzano di persona, -bel parlatore, e ben fazionato 

» Parte guelfa e ghibellina non volea udir, ricordare, e la 
» falsa fama l' accusava a tòrto. I Ghibellini diceano : E' non 
» vuol vedere se non Guelfi ; e i Guelfi diceano : E* non ae- 
» coglie se non òhibellini. y> Ed anco il Vill$im*, guelfo puro, 
ne fa grandi elogi : il perchè vedesi, che se per un principe 
fosse stato possibile il riordinare e pacificare l' Italia, non 
avrebbe potuto essere che per lui ; ma questo era un sogno, 
cosi de^ moderati tra' Guelfi, come de' moderati tra' Ghibel- 
lini; poiché ai nuovi 9rdinamenti civili vuoisi che i popoli 
siano disposti, e senza il lavoro delle idee i grandi fatti so- 
ciali non si compiono. Lo che, dopo il fatto, mostrò di rico- 
noscere lo stesso nostro Poeta, dicendo nel canto XXX, v. 138 
del Paradiso, che l' alto Arrigo 

a drizzar Italia 

Verrà in prima eh' ella sia disposta. 

Tornato Dante in Italia, pertossi a Mflano, ove inchinò 
r imperatore, protestandogli la sua devozione. Questo fatto 
deducesi dalle parole di Dante medesimo^ dicendo egli liella 
lettera ad Arrigo, di cui parleremo tra poco : Vidi te, qvMÌe 
si conviene alla imperiale maestà, benignissimo, e udii te 



CAPITOLO SESTO. 181 

rìlementissimo, quando le mie mani toccaroruì i piedi tuoi, e 
te mie labbra pagarono il loro debito. Ma poco sembra eh' ei 
» trattenesse in Milano^ perocché nel mario lo veggiamo 
essere di nuovo nel Casentino, ove probabihnente si portò 
per eccitare i conti Guidi, già devoti quasi tutti all' impero, 
a prestare un valido aiuto ad Arrigo nelle imprese, che me- 
ditava di fare. E se è .vero ciò che racconta Benvenuto da 
Imola {Commento td canto XVI del Purgatorio) che Dante 
fu ospitato in Reggio da Guido Roberti da Castello, sopran- 
nominato il semplice Lombardo,^* non può esser ciò avve*- 
noto, se non dopo che Dante parti da Milano. ' 

Ma bell'imperatore i Fiorentini non voleano saperne nulla, 
ed anzi si preparavano a fargli la più vigorosa ed ostinata 
T^istenza: « Fecero (dice il Villani, lib. IX, cap. 7) mille 

> cavalieri cittadini di cavallate, e si cominciaro a guernire 
-» di soldati e di moneta ; e a fare lega col re Roberto (41 
quale era succeduto a Carlo II padre suo nell' estate del 1309), 
1 e con più città di Toscana e di Lombardia; » né solo 
questo, « ma per tema della venuta dello imperadore sì or- 

> dinarono a chiudere la città di fuofi della porta a san 
» Gallo insino alla porta di santo Ambrogio, detta la Croce 

> a gorgo, .e poi insino al fiume d' Arno ; e le mura dal 
» prato d' Ognissantr già fondate, sì le feciono inalzare otto 
1 braccia. E questo lavoro fu fatto subito e in poco tempo ; 
1 la qual cosa fermamente fu poi lo Scampo della -città. » 

Irritato Dante dal vedere come i Fiorentini, se non soli, 
poco almeno dagli alìri popoli e principi seguiti, denegassero 
ogni qualunque atto di sommissione all' autorità imperiale, 
e SI apparecchiassero con tutto lo èforzo a resistere alle 
armi del suo diletto Arrigo ; dal Casentino (ov' ei si trovava) 
inviò ad essrnel 31 marzo 1311 una lettera piena d' ira e 
di fiele. Dante Alighieri fiorentino, ed esule immeritevole 
(così porta quella intitolazione) a quei che sono in città scel- 
leratissimi Éiorentini. Questa lettera è nel suo genere un 
tratto di bdla eloquenza; e mentre io non credo doverne 
qui fare che una breve analisi, invito il lettore a leggerla 



182 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

nel suo originale. Dopo aver premesso (secondo il solito) che 
al bene dell' umana società è necessaria la monarchia^ della 
quale V esercizio appartiene di diritto al re de' Romani, e 
che ciò è provato dall' istoria e dalla rivelazione, rivolgen- 
dosi ai Fiorentini, li rimprovera acerbamente dell'essersi ri- 
bellati contro r autorità di Cesare. Domanda loro, come non 
possano esser presi di timore, mentre s* affretta il momento 
dell' inevitabile loro naufragio. Avete forse fidanza (domanda 
loro) in una difesa ? Ma che vi gioverà l' esservi circondati 
di fossi, r avervi armati di baluardi e di torri, quando vi 
giunga addosso la .terribile aquila romana? Fa quindi loro 
una viva pittura delle sciagure, a cui anderanno incontro, vo- 
lendo resistere alle armi dell' imperatore, e li avverte a non 
prendere in esempio l' inopinata ventura, che incontrarono i 
Parmigiani, allorquando Federigo n dalla sìia nuova citta- 
della di Vittoria travagliavali e stringevali; ma a por mente 
alla terribil vendetta, che il Barbarossa prese principalmente 
di Milano e di Spoleto. E dopo altre molte rampogne e mi- 
nacce, e dopo varie considerazioni; fra le quali è notevole 
quella ove dice, che l' osservanza delle leggi non è servitù, 
ma anzi la maggiore delle libertà, perocché la libertà non è 
altro che il Ubero passaggio della volontà all' azione, passag- 
gio che le leggi appianano ai loro fedeli ; conchiude final- 
mente r Alighieri, annunzia^ndo a' suoi concittadini, a' suoi 
avversarli, che il tempo era omai trascorso, e che l' impe- 
ratore, già sì clemente e sì buono, nuli' altro avrebbe dato 
loro che il meritato castigo." 

Ma che cosa ottenne Dante da questo sfogo del suo disde- 
gno ? I Fiorentini, che (come ho di sopra accennato) avevano 
rinnovato la loro lega con Roberto re di Napoli e, con tutte 
le città guelfe di Toscana, ad afforzarsi viemaggiormente di 
gente, richiamarono dal bando molti de* fuorusciti. Ma in 
questo stanziamento, che nelle nostre istorie va sotto il 
nome di Riforma di Baldo rf' Aguglionef^ fu tra tanti altri 
eccettuato Dante Alighieri : cosicché questo atto venne ad 
essere una conferma delle due condanne precedenti. Non vi 



CAPITOLO SESTO. 183 

eran 4)ertanto se non le armi dell' imperatore, che Y ayessero 
potuto ricondurre in Firenze. Dopo la sua incoronazione 
trattenendosi Arrigo in Milano, dava opera a ricomporre 
l' Italia, studiandosi di far cessare le inveterate inimicizie tra 
J'amìglia e famiglia, fra municipio e municipio, e far tacere 
le ire di parte. A questo lodevolissimo fine credeva egli di 
poter pervenire, rimettendo ovunque i fuorusciti si guelfi 
^^e ghibellini, niettendo nelle città un vicario imperiale, e 
TMnostrandosi con tutti mite e benevolo. E quando credè 
^' avere bastantemente pacificata la Lombardia, per tenerla 
meUa sua devozione durante pure il suo viàggio a Roma, de- 
liberò prendere statichi guelfi e ghibellini, venticinque per 
<ygni parte, nominati dalla parte contraria ; e creare un vi- 
cario generale di Lombardia, che fu il conte di Savoia. Ma da 
queste nomine nacquero dispute, e per assegnar la paga al 
vicario sorsero difficoltà;, sicché i Visconti capi de' Ghibelli- 
ni, e i Torriani capi de* Guelfi, caddero ad un tempo in so^ 
spetto. Ma purgatisi quelli da ogni accusa, tutto il sospetto 
si volse contro di questi : si venne alle mani ; e i Torriani 
sconfitti, furono dà quella città, ove per V innanzi aveano 
signor^giato, cacciati co' loro consorti per modo, che non 
fu loro dato il ritornarvi mai più. La cacciata "però de' guelfi 
Torriani, che molte aderenze avevano in Lombardia, fu fa- 
villa, che accese il fuoco della ribellione, già preparato da 
qualche tempo; e alla fine di febbraio, Mantova, Padova, 
Lodi, Cjema, Bergamo, Brescia, Cremona più non obbedi- 
vano aU' autorità dell'impero. Titubava frattanto Arrigo 
se, non curando di queste minori città, dovesse irrompere 
alla volta di Firenze e di Roma, ove prender doveva la 
corona imperiale, o se dovesse in prima castigar le città 
ribellate per non lasciarsi alle spalle un nemico, che di 
giorno in giorno potea farsi più forte; quando pel con- 
sigliò di frate Gualramo appiglìossi a questo secondo par- 
tito, e mosse tosto le armi contro Cremona. Allora fu un 
gran gridare di tutti i Ghibellini e fuorusciti toscani; che 
l'aspettavano in questa provincia, e che da lui speravano 



184 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

il poter trionfare in Firenze e in Toscana della tirannide 
guelfa. 

Mentre coli' esercito accampato in sulle rive del Po in- 
tendeva Arrigo all' espugnazione di Cremona, Dante, d' ogni 
dimora impaziente, in suo nome e a quello pure degli altn 
esuli ghibellini toscani, prese a scrivergli una lettera, datata 
del 16 aprile 1311, e colla stessa indicazione di quella a' Fio- 
rentini, "scritta in Toscana sotto la fonte d* Arno, vale a dir 
nel castello di Porciano. Gli va in essa dicendo, che i suoi 
fedeli toscani si maravigliano della sua tarda venuta, e che 
r espugnazione delle città lombarde guasterebbe affatto le 
cose dell'impero: che ad ottener la vittoria, doveasi com- 
battere non in Lombardia, md \n Toscana, ove stava Fi- 
renze, volpe frodolenta, vipera ingrata, pecora inferma, che 
tutta la greggia contaminava ; Firenze noti menò empia di 
Mirra, né meno pazza e furente di Amata. Contro di quella 
aggravasse Arrigo il forte suo braccio, e a .quella schiac-> 
classe il capo col piede. Essersi (quale yergogna !), essersi la 
insana femmina data in potere di re non suo (cioè Roberto 
re di Napoli), e per animo di mal fare, voler patteggiare con 
quello diritti non suoi. La line d'Agag,.la sorte degli Ama- 
leciti doversi ai Fiorentini serbare : percuotesse Arrigo, uc- 
cidesse questi peccatori; e così Giovanni di Lussemburgo, 
regale suo primogenito, apparisse al mondo in figura d'Asca- 
nio, ed egli, sacra tissimo re, in quella d' Enea, spegnitore di 
Turno e de' suoi superbi seguaci. Né qui cessava lo sdegnoso 
Alighieri, ma per affrettare Arrigo dicevAgU, che ai fomiti 
tornò sempre dannoso. il differire d'aflrontare i nemici: e 
questi erano i detti stessi di Curio a Cesare sul Rubicone, 
pei quali avealo messo in Inferno co//a lingiia taglicUa nella 
strozza. Termina infine esortandolo a romper gì' indugii, pre- 
dicendogli sicuro il triónfo, per il quale tornerà la pace alla 
Toscana e all' Italia, e gli esuli, fra i quali lo stesso Alighieri, 
verranno restituiti alla patria. 

Ma non si mosse l'imperatore; e, fornita l'impresa di 
Cremona, di Brescia e d' altre minori città, invece che a 



' CAPITOLO SESTO. 185 

Firenze recossi a Genova, e quindi a Pisa, donde poco ap- 
presso andò a Roma: ove giunse il 7 maggio 1312, ed ove 
il 29 giugno prese la corona imperiale." Due mesi dopo tor- 
nando indietro, mosse alla volta della Toscana, prendendo 
la via deir Un^ìria. Venne a Cortona, e poi ad Arezzo, ove 
fu ricevuto onorevolmente, ed ove riordinò le sue schiere 
per muovere contro Firenze. Strada facendo investì e prese 
varii castelli, fra i quali Montevarchi e Sangiovanni. Venne 
quindi all'Incisa, ove T esercito fiorentino s'era appostato 
per impedirgli il passo ; ed egli schierò le sue genti nel pia- 
no, invitando i Fiorentini a battaglia. Ma questi, ^non avendo 
si valente cavalleria come quella d'Arrigo, né trovando utile 
iasciare la fortezza del luogo che teneano, non vollero ac- 
cettarla. Egli allora, piegando alquanto a sinistra; valicò i 
poggi, e si lasciò addietro i Fiorentini; tantoché il suo an- 
' tiguardo e il retroguardo di essi si scontrarono e s' attac- 
carono^ restando il vantaggio ad Arrigo. Prosegui quindi il 
cammino ; e nel giorno seguente (19 settembre 1312) dalla 
sinistra deirArno passato sulla destra, giunse sotto Firenze, 
e si attendò alla badia di San Salvi. Se appena giunto avesse 
Arrigo attaccato la città, sprovvista quasi affatto di difen- 
sori, forse r aveva : ma o che le sue genti fossero stanche, 
o che volesse attendere le altre sue schiere> eh' eran re- 
state in Valdarno e neir Umbria, egli credè dover differire; 
e ciò fu k) scampo di Firenze. Perocché l' esercito de' Fio- 
-rentini, rimasto all' Incisa; potè in due giorni alla spicciolata, 
e girando. a sinistra rientrare in Firenze; e in breve spazio 
di tempo tanti furono gli aiuti de' collegati che v} perven- 
nero, che r esercito de' Fiorentini divenne il doppio supe- 
riore di quello d'Arrigo. Ond'egli, quantunque stesse per. 
più d' un mese accampato sotto Firenze, non s' arrischiò di 
darle T assaltò: e, veduto che a nulla poteva riuscire, il 
primo novembre levò il campo, e per la via di San Casciano 
e Poggibonsi tornossene a Pisa. Donde nell'estate dell' anno 
seguente partitosi per andare ad invadere il regno di Napoli, 
s* ammalò di febbre verso Siena : ma pur proseguendo il 



186 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

cammino^ ed il male aggravandosi, morì a Buopconvento 
il 24 agosto 1313. Il corpo di lui fu dall'esercito riportato 
a Pisa, e là nel celebre camposanto riposto in un* arca mar- 
morea riccamente lavorata.*'^ 

Considerando le parole deije due lettere surriferite, si dirà 
che Dante si lasciasse troppo trasportare dalla passione. Ma 
le due condanne contro di lui non furon forse ingiuste ed 
inique? U esser-' cacciato senza alcuna ragione dalla patria, 
il venir condannato ad una multa per quei tempi fortissima, 
il vedersi distrutte tutte le sue facoltà e ridottosi alla mi- 
seria, il sentirsi condannato ad esser arso vivo, il vedersi a 
torto infamato, non son forse offese che sveglierebbero Tira 
nel petto il più mansueto? Eppur Dante, prima d' andare a 
Parigi « con .buone opere e buoni portamenti (dice Leonardo 

> Bruni) avea cercato riacquistare la grazia di poter tornare 
» in Firenze, per ispontanea rivocazioiie di chi reggerva la 

> terra;. e sopra questa parte s'affaticò assai, e scrisse più 

> volte non solamente a' particolari cittadini del reggimento, 
» ma ancora al popolo; ^* e intra V altre una epistola assai 
» lunga, che comincia : Popule mem, quid feci Ubi? > E che 
n'ebbe in risposta? Si vide eccettuato dall'amnistia di 
Baldo d' Aguglione. Pure se si hiostrò fiero in parole, non 
si mostrò vendicativo colle opere; che come nel luglio 1304 
non fu con Baschiera - all' impresa, della Lastra, cosi ora 
« tanto il tenne la reverenza della patria (così prosegue il 
» citato biografo), che venendo l' imperatore contro a Fi- 
» renze, e ponendosi a campo presso la porta, non ci volle 
it essere, secondo lui scrive, contuttoché confortatore fosse 

> stato di sua venuta. ^ , , 



CAPITOLO SESTO. 187 

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI 

AL CAPITOLO SESTO. 



* Quantunque non amico a Bonifazio, Dante s'irrita a 
"^Gcler V indegno oltraggio, fatto alla sacra persona del pon- 
*^€[ce, ed esclama (Purgatorio, canto XX, v. 86 e seg^: 

Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso, 
. E nel vicario suo Cristo esser catto : 
Veggiolo un' altra volta esser deriso ; 

Veggio rinnovellar V aceto e 1 fiele, 

E fi'a nuovi ladroni essere anciso. 
Veggio il nuovo Pilato si crudele, 

Che ciò noi sazia, ma senza decreto 

Porta nel tèmpio le cupide vele. 
O Signor mip, quando sarò io lieto 

A veder la vendetta, che nascosa 

Fa dolce l' ira tua nel tuo segreto ? 

* Neil' archivio di santa Maria Novella (secondo che at- 
testa il Bandini nella Vita del cardinale Niccolò ; Magazz, 
storico, voi. Ili, Livorno 1756)^ esistevano le seguenti car- 
tapecore : 

Num. 96, an. 1303. Benedetto XI deputa suo legato fra 
Niccolò vescova ' d' Ostia dell'ordine di san Domenico a 
trattar la pace ih Italia. 

Num. 98. Estende la legazione di lui alle isole di Sàr: 
^e^a e di Corsica, e a tutta la provincia di Genova. 

Num. 111. Elegge per potestà di Firenze il nobil uomo 
.ÀJitonio 4a Fisceraga (o Fuxirago), e non accettando lui, 
costituisce tre altri, a procurare la pace de'Fiorentini, per 
la. quale ^vea deputato il detto cardinal Niccolò. 

Num. 112. Scrive alla repubblica di Firenze, esortan- 
dola a non tenere in officio i turbatori della pace, e ad ob- 
'bedire al cardinal Niccolò suo legato. 

' Gfirolamo Della Corte nella sua storia di Verona parla 
di quest' aiuto mandato da Verona all' Ordelaffi è a', fuoru- 
sciti per la guerra del Mugello, ma lo pone all' anno 1306 ; 
la qual data (secondo il Troya ed il Balbo) è erronea, per- 
chè la guerra del Mugello, che prese il nome dal caste! 



188 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

di Pulicciano, avvenne nel 1303. Veramente in Mugello 
v'ebbe un'altra guerra, ed appunto nel 1306, che prese il 
nome dal castello di Montaccianico, ma questa fu diretta 
dagli Ubaldini, mentre quella lo fu dall' Ordelaffi : e il Della 
Corte dice all' Ordelaffi, e non agli Ubaldini mandato V aiuto. 
Onde la deduzione del Troya e del Balbo circa all' error 
della data sarebbe ragionevole •, ma poiché il racconto del 
Della Corte (siccome vedremo nel capitolo seguente) è tutto 
falso, perciò torna inutile il correggerne la dat^. 

* Pulicciano era un castello di Val di Sieve in Mugello. 
Apparteneva dapprima agli Ubaldini, a cui lo tolsero i Fio- 
rentini nel 1254. 

^ H racconto di questa fazione si ha con poca diversità 
anco dal Villani (lib. Vili, cap. 60). « Nel detto anno 1302 
n del mese di marzo (cioè del 1303, perchè i Fiorentini co- 
n minciavan 1* anno dal 25 di marzo), i Ghibellini e i Bian- 
» chi, usciti di Firenze, colla forza de'Bolognesi, che si reg- 
n geano a parte bianca, e coli' aiuto de' Ghibellini di Eo- 
n magna e degli Ubaldini, vennero in Mugello con 800 
» cavalieri e 6000 pedoni, ond' era capitano Scarpetta degli 
n Ordelaffi da Forlì*, e presono senza contasto il borgo e 
n poggio di Pulicciano, -e assediarono una fortezza, che vi 
n teneano i Fiorentini. » £ segue raccontando come all' ap- 
pressarsi dell' esercito de' Fiorentini, che venia a liberare il 
castello, credendosi traditi, abbandonarono in gran disor- 
dine r assedio : e molti de' principali vi restaron presi e poi 
condannati a morte, siccome racconta pure il Compagni. 

* Le crudeltà di Fulcieri da Calvoli sono accennate da 
Dante nel canto XIV, y. 58 e seg. del Purgatorio, ove 
Guidò del Duca cosi dice a Rinieri da Calvoli, zio di 
Fulcieri : 

Io veggio tuo nipote, che diventa 

Cacciator di quei lupi {dei Fiorentini) in sulla riva 

Del fiero fiume {dell'Arno) ; e tutti gli sgomenta. 
Vende la carne loro essendo viva, ' 

Poscia gli ancide come antica belva : 

Molti di vita, e sé di pregio priva. 
Sanguinoso esce della trista selva {di Firenze) ; 

Lasciala tal, che di qui a m^ir anni 

Nello stato prima' non si rinselva. 

E questo potestà non trucidava solo i presi in guerra^ ma 



CAPITOLO SESTO. 189 

quelli pure ch'erano in città. Gio. Villani (lib. Vili, cap. 59): 
« Folcieri da Calvoli, uomo feroce, e crudele, a posta de' ca- 
li poraii di parte nera fece pigliare certi cittadini (e ne 

» noiAina alquanti), apponendo loro che trattavano tradi- 
» mento nella città co' Bianchi usciti, e colpa ò non colpa 

» per martorio gli fece confessare, e gli giudicò, e fece 

» loro tagliare le teste. » 

"^ a n gran Lombardo (dice il Balbo) è uno de' punti 
» più controversi dai Commentatori, essendovene che ten- 
» gono per ognuno de' tre fratelli. Ma s' elimina Cane dal- 
li r età di lui, e dal distinguersi ne' versi 76 e seg. del 
» canto XVII del Paradiso, esso Cane dal gran Lombardo 
(w eliminerebbe ritenendo che Dante fosse ospitato da Bar- 
tolommea nel 1303, e volendo credere che nel passo del 
Paradiso riparli, non d' un solo Scaligero^ ma di due), 
» E s* elimina Alhoino dal vituperio di poca nobiltà a lui 
» dato . da Dante nel Convito : non che Dante non si ri- 
» creda talvolta ; ma ei soleva ricredersi dal bene al male, 
' » per ingiurie ricevute dagli amici, non mai dal male al 
i> bene, perchè non era di sua natura mettersi in caso di 
I» ricever benefizii, da chi 1' avesse ingiuriato una volta. Ed 
«.essendo il Paradiso, e così % versi riferiti, scritti all'ul- 
n timo della vita di Dante, io peno a credere clìe vi piag- 
n glasse cosi chi egli avea vituperato in un' opera anteriore. 
»> r)e' tre Scaligeri trovati da Dante in Verona l' anno 1303, 
» due sono qui lodati (secondo' il Balbo ^ ma per me non 
è cTie un solo, e lo dimostrerò in appresso), » uno taciuto^ 
« ed è perciò probabile che il taciuto fosse quello vitupe- 
» rato altrove. Anzi così s' intende perchè qui fosse taciuto. 
» E finalmente il Commento attribuito a Pietro figlio di 
» Dante {ben dice attribuito, perchè chi oserebbe affer- 
fnare che fo>8se verame^ite di lui f) » dice chiaramente, che 
» 1' ospite di suo padre fu Bartolommeo (e dicendo questo 
mostra di non esser Pietro figUo di Dante, perchè Pietro 
figlio di Dante andò a Verona a stare insieme eoi padre 
suo (nel 1317) quando questi trovavasi ospitato non da 
Bartolommeo, ma da Cnne):.,,n La gratitudine mostrata 
» qui (ne* citati verài) da Dante a Bartolommeo (ma ella 
è questa una petiiion di principio, se vi si parli cioè di 
Bartolommeo), n e .i ^nomi di. rifugio e d' ostello, mi sem- 
» brano poi indubitatamente accennare, che tal dimora ei 
» là vi fece non solo . da ambasciatore, ma anco da esule, 
» rifugiato ed ospite *, e quindi che, dopo la breve 'campa- 
li gna e la dispersione de' Bianchi in Mugello, Dante rima- 



i90 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» nesse in Verona, che vi riprendesse i suoi varii lavori, il 
» Convito forse e *1 Volgare Eloquio.,,, Ancora quanto ivi 
n dimorasse resta incerto, ma certo non guari più d*an 
n anno, poscìachè a giugno 1304 troveremo memoria dì lui: 
n altrove (cioè in Toscana). La prossimità di tal data a 
r> quella della morte di Bartolommeo addi 7 marzo del me- 
» desimo anno, può lasciar credere che Alboino, fratello di 
n lui, succedutogli nella signoria, non si mostrasse a Dante 
I» cosi cortese ospite *, e che. perciò Dante allor si partisse 
n di Verona ; perciò vituperasse poi Alboino nel Óonvito, 
(ma qui il conte Balbo vitupera Dante: fortuna, che il 
trattato IV del Convito ove (al cap. 16) trovanai . fe pa* 
role contro Alboino y o per meglio dire contro gli Scali- 
geri, che peraltro non vitupera, ma dice soltanto che e89i 
in noìiiltà sono inferiori a Guido da Castello di Reggio; 
fu scritto da Dante prima del suo esilio, cioè nel 12wf)/ 
n perciò quando scrisse i versi surriferiti molti «inni dopo 
» in corte di Can grande, nominasse questo solo con Bar- 
n tolommeo, e sdegnosamente tacesse d* Alboino, n 

E poiché r argomento mi ha qui portato a rilevare, come 
il Baloo, per volere avvalorar certi suoi preconcetti, offende 
in Dante queir onestà e quella rettitudine, alla quale egli non 
venne mai meno ; così noterò eh' egli eccede dicendo, é sempre 
studiandosi di provare, che egli « guelfo moderatissimo, bianco 
Il moderato in patria, cacciato che fu per sospetto di QM- 
rt bellinismo, si fece per superbia e per ira ghibellino. H 
» gran peccato di Dante fu T ira ; V ira, che pur represse 
» nelle azioni, ma eh' egli sfogò in parole, non che perdo- 
n nategli, ma ammirate anc&e troppo da' posteri ..... Dante 
n mutò parte ; e mutò da quella de' maggiori, da quella del 
n popola e della indipendenza italiana a quella della si- 
n gnoria lontana e straniera.... L'ira è punto principalÌ8- 
», Simo della vita e dej poema di Dante. » 

Dunque in Dante esiliato non fu (secondo ii Balbo) che 
superbia ed ira ; non, fu che sete di vendetta, e perciò bra- 
ma ardente di dominazione straniera, che questa vendetta 
gli procacciasse ; di guelfo moderatissimo, di -bianco mode- 
rato si fé ghibellino, noA già per coscienza, * ma pier ira : e 
poi dice il Balbo, che Dante non si sfogava che- in parole, 
quasiché il farsi arrabbiato partigiano non fosse un operare! 
Ora io dirò che in Dante l' indignazione contro la demago- 
gia guelfa, e non già la superbia, era mossa dalla canta 
della patria, e dalla brama della sua prosperità e grandezza. 
Egli avrà forse errato nel mezzo, ma il fine era giusto. 
Vedea Dante che la divisione in tanti piccoli stati^ senza 



CAPITOLO SESTO. 191 

una potestà a tutti superiore, era/ la causa che commettea 
discordia non solo fra città e città, ma tra vicinanza e vi- 
cinanza, e tra famiglia e famiglia d'una città medesima; 
sicché le forze degl Italiani trovavansi in perpetua guerra 
tra loro, e andavansi invan consumando. Vedea come il 
Guelfismo, a cui stava a capo il papa pel suo particolare in- 
teresse, vale a dire per dominare e per non esser sopraf- 
fatto dal potere imperiale, non era che un pretesto ed un 
mezzo a sfogare gli odii municipali e le ire private. Pieno 
Dante delle idee dell* antico impero latino, che fece del- 
ritaUa la dominatrice delle nazioni, ed esistendo tuttavia 
r impero di nome e non di fatto, agognava il momento in 
cui ridivenisse una realtà. Non per superbia, non per ira, 
ma col pensièro e coli- affetto si volse Dante all' impero 
latiao, perchè solo potea sodisfare ai bisogni del tempo, e 
congiungere la nuova civiltà cristiana celi antica romàna, 
eh' egli non sapea ricordare che con venerazione. Non già 
che S monarca dóvess' essere un signore assoluto,. ma capo 
e moderatóre di tanti stati confederati, i quali da per sé 
colle proprie leg^i si reggessero, al tempo stesso che avreb- 
bon dipeso da lui, quasi centro e anima vivificante di molte 
membra, destinate a formare un sol corpo. Il monarca dovea 
imperare, non già governare o reggere le città, poiché i po- 
pofi italiani erano u^ Ubèri ad regimen reservati, "^è l'im- 
peratore era da lui, non che dalla massima parte degl- Ita- 
liani, considerato come straniero, dacché egli era re de'Ro- 
Hiani, la sua sede doveva esser Boma, e il suo regno l' Italia. 
Sarà stata questa, almen per quel tempo, un utopia, ma 
non può a meno di- dirsi grande e magnifica, e degna del- 
l' alta e sintetica- mente dell' Alighieri. Ma si risponderà: la 
lettera ad Arrigo, e quella a' Fiorentini son furibonde. Si, 
^ vero ; e ripetendo col Balbo, che Dante si sfogava in pa- 
iole, domanderò : Qual era il concetto che in quelle acchiu- 
«levasi ? <|uale era lo scopo cui egli mirava, se^ non quello di 
por termine alle guerre municipali, agli odU di parte, al 
disordine morale e politico, e delle sparse' membra d'Italia 
formare un'Italia grande e felice? 

® Dino Compagni {Cronaca, lib. Ili): «I contrarii alla 
>» volontà del papa non volendo più sostenere il fascio del 
»» cardinale, né lasciar più abbarbicare la pace, feciono 
>» tanto con false parole, clie rimossono il cardinale di Fi- 
y» renze, dicendogli : Monsignore, anzi che andiate 'pik avanti 
»» con la esecuzione della pace, fateci certi <ihe PiMoia 
» ubbidisca ; perchè facendo noi pace, e Pistoia rimanendo 



192 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» a' nostri avversarii, noi saremmo ingannati, E questp 
n non diceano perchè, avendo Pistoia, volessono la pace, 
» ma per prolungare il trattato della pace. E tanto con 
>» colorate parole il mossono, che a dì 8 di maggio 1304 
ti hi parti di Firenze ec. » 

® Questo ficodolento artifizio de' Neri è attestato da Gio- 
vanni Villani (lib. Vili, cap. 69): « In questi trattati ai 
n Possenti guelfi e neri parca a loro guisa, che 1 cardinale 
» sostenesse troppo la parte de' Bianchi e de' Ghibellini ; 
n ed ordinarono sottilmente, per iscompigliare il trattato, 
M di mandare una lettera contraffatta col suggello del car- 
n dinaie a Bologna e in Bomagna agli amici suoi ghibel- 
9> lini e bianchi, che, rimossa ogni cagione d* indugio, do- 
» vessono venire a Firenze con gente d' arme a cavallo e 
» a pie in suo aiuto: onde di quella gente venne inflno a 
M Trespiano e di tali in Mugello. Per la qoal venuta, in 
V Firenze n' ebbe grande scombuglio e gelosia , "e 1 legato 
» ne fu molto ripreso e infamato. » 

*** Capitano di quella lega ghibellina era (siccome ve- 
demmo) Alessandro da Romena. Or perchè non fu egli 
che condusse quella fazione ? Probabilmente trovavasi mad- 
iate, essendo morto (secondo che riferisce il Troya) nella 
fine del 1304, o nel principio del 1305. 

** Un terzo errore (secondo il Villani^ commise Baschiera,: 
e fu che, entrando in città « si posono m luogo sanz' acqua : 
n che, se si fossono schierati in sulla piazza di Santa Croce, 
M aveano il fiume e V acqua per 11 loro cavalli, e la oittà 
» rossa dintorno fuori delle mura vecchie {la città rossa 
era tutta quella part^, compresa oggi dalle parrocchie 
di Sant* Ambrogio e di San (jriu8eppe\ n eh' era tutta ac- 
n casata da starvi al sicuro ogni grand' oste ', ma a cui 
I» Dio vuole male gli toUe il sennò e l' accorgimento, . . . 
» onde per lo disagio di stare infino dopo nona a schiera 
n alla ferza del Sole, e non avendo acqua a sofficienza per 
» loro e per loro cavalli, cominciarono a partirsi e andare 
fi via in fuga. » Per ogni altra particolairità di questa fatto, 
oltre il citato Villani (lib. Vili,, cap. 72) può vedersi Dino 
Compagni, nel lib. Uh 

" La porta degli Spadai, prima che fosse fatto V ultimo 
cerchio, restava all' estremità di via de' Martelli, pressa 
l'odierna chiesa di San Giovannino. 



CAPITOLO SESTO. 193 

*' n Montefeltro è la parte verso le Alpi della provin- 
cia d' Urbino, e infatti questa città è detta da alcuno la 
capitale del Montefeltro. La Faggiuola poi (castello donde 
prese il nome la famiglia d* Uguccione) restava a cinque 
le^he nord-ovest da Urbino presso le sorgenti, del fiume 
Conca, e qi;asi in mezzo alle piccole città di Macerata- 
feltria e del feltrio San Leo. 

** Crede alcuno che Dante andasse a studio in Bolo- 
gna anche nella sua gioventù, quando avea incirca venti 
anni ^ ^e crede poter dedurlo dalle parole di Dante stesso 
( Vita Nuova, % X) : Mi convenne partire della sopradetta 
cittctde (Firenze), ed ire verso quelle parti, ov* era la gen- 
til donna eh* era stata mia difesa, avvegnaché non tanto 
lontctno fosse lo termine del mio andare, quanto ella era. 
M^a se qui dice Dante d' essersi dovuto per qualche sua 
faccenda allontanare da Firenze, non accenna punto d* es- 
sere andato a Bologna, e tanto meno a studio. Un argo- 
mento a prima vista più probabile è prodotto da Benve- 
nuto da Imola, il quale dicendo che Dante ancor giovine, 
cioè^.prima dell' esilio-, andò alle università di Bologna e 
eli Padova, aggiunge che in Bologna conobbe il miniatore 
Oderigi da Gubbio. Ed infatti dal modo, con che il Poeta 
xie parla nel Purgatorio (canto XI, v. 76 e seg.): 

È videmi e conobbemi e chiamava. 
Tenendo gli occhi con fasica fisi 
A me, che tutto chin con lui andava. 
0, dissi lui^ non se' tu Odorisi, 
L' onor d' Agobbio, e V onor di queir arte. 
Che alluminare è chiamata in Parisi? 
sembra eh' ei lo conoscesse di persona. Ma vi era egli 
d' uopo che avesselo dovuto conoscere appunto in Bologna ? 
Nonpotea averlo conosciuto in Firenze? E non dice in- 
fatti u Baldinucci, che Oderigi fece per alcun tempo dimora 
in Firenze nella Ibottega di Oimabue ? Quanto a me ritengo 
che Dante non andasse a Bologna, che dopo.il suo esiho. 

" Più volte si scaglia Dante contro Clemente V, e più 
specialmente nell' Inferno (canto XIX, v. 82 e seg.) là dove 
dice dover precipitare nelle buche infernali," ove stanno ca- 
povolti i papi simoniaci, sopra Niccolò III Bonifazio Vili, 
e sopra Bonifazio Clemente : 

Che dopo lui {dopo Bonifazio) verrà di più laid' opra 
^ Di vèr ponente un pastor senza legge, 
Tal che ,convien^ che lui e me ricopra. 
Daktb. — Vita. 13 



194 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Nuovo Giason sarà, di cui si legge 
Ne' Maccabei : e, come a quel ra molle 
Suo re, così fia a lui chi Francia regge. 

*« Giovanni Villani (lib. Vili, cap. 85) : « Papa ae- 
n mente fece legato e paciaro venerale in Italia messer 
» Napoleone degli Orsini dal Monte, cardinale; e diègli 
» grandi privilegii e autoritadi : il quale si parti da Leone 
n sopra Bodano, e passò i monti. E mandando a' Fiorentini, 
n che volea venire in Firenze per far pace e concordia da 
» loro ai loro usciti, quelli che reggeano la. città, per so- 
» spetto di lui, noi vollono ricevere : onde da capo gli bco- 
» municò {erano i Fiorentini stati scomunicati poc' anzi, 
quando non si vollero levare dall' assedio di Pistoia\ « e 
n confermò lo interdetto, e andonne alla città di Bologna 
n del mese di maggio ; e volea similmente pacificare i So- 
n lognesi insieme, e rimettere in Bologna i loro usciti bian- 
n chi e ghibellini (eh* erano stati cacciati il primo di 
n marzo), « Quelli che reggeano la terra. .... per sodduci- 
» mento de' Fiorentini, di Bologna villanamente IVacèomia- 
n taro, minacciato per lo bargello della persona, se non vo- 
rt tasse la terra. Il quale sanza indugio si partì, e andonne 
» alla città d' Imola in Romagna, che si tenea per gli Bian- 
n chi e Ghibellini. E andandone per lo contado di Bologna^ 
n gli furono rubati e tolti molti de' suoi arnesi e some : per 
n la qual cosa il detto legato aspramente procedette con- 
n tro a loro per iscomunica e interdetto della terra, e pri- 
n volli dello Studio, e scomunicò qualunque scolaro andasse 
» allo Studio a Bologna, n 



*' Questo istrumento dice così: 

tf In Dei nomine. Amen Junii. 



n Actum in Choro Abbatie S. Gaudentii de pede Al- 
I» piura, praesentibus Orco q. Gherardi Guidalotti de'Flo- 
>» rentia, Lapo Bertaldi de Florentia, et Davizino 4© Cor- 
n bitzis de Florentia, testibus. 

n Dom. Torrigianus i 

» Carbone et ! . de Cerchis 

» Vieri j 

» Dom. Guillelmus.de Ricasolis 

n Dóm. Neri \ - 

r> Bettinus Grossus f ^^ TTk«»*:«:- 

«Bettinuaet } de Ubertmi» 

» Nuccius Dom. Acceriti J 



CAPITOLO SESTO. 195 

» Dom. Andreas de Gherardinis 
» Branca et ^ , e? i •!. 
n Chele \ ^^ Scolaribus. 

» Dante Allegherii 

rt Minus de Radda 

r> Rubertus de Pazzia 

» Lapus N 

:Tafcs,et UeUbertis . 

» AzzolinuB / 

^ » Isti omnes,- et quilibet eormn prò se^ omnì delibera- 
»» tiene pfensata, promiserunt et convenerunt Lapo Bertaldi 
» de Florentia, recipienti prò viro nobili Ugolino àe Felic- 
»> clone, et prò eius filiis, et prò omnibus aliis de domo 
»> Ubal^hiòrum, et prò quolibet eorum, omnia damna^inte- 
>» resse et expensas resti tuere, satisfacere -et emendare de 
>» eomm propriis bonis, quae vel quas pf aedicti Ugolinus vel 
>» ejus consortes incurtrerent seu recigerent, tam in bonià 
*» temporalibiis^ quam etìam in beneficiis ecclesiasticis, occà- 
*» STone novitatis, seu guerrae factse vel faciendsB per Ca- 
» Btrum Montis Acéianighi, vel per aliquam aliam eorumdem 
>» . fortilitiam seu fideles , vel per ipsosmet ad arbitrium 
y* eorum, sub poena duorum millium marcarum argenti. 

» Pro quibus omnibus òbservandis obligaverunt dietQ 
» Lapo, recipienti ut supra, omnia eorum bona praesentia 
» et Hitura, qui ex nunc constituit se prò eis precarie pos- 
»> sidere giiarentigias. 

» Pro illis de Ubaldìnis ser Jo. de Buto de Ampinana. » 

Grande questione è stata fatta intorno la data di que- 
ajo documento. Il Brocchi, il.p. Ildefonso, il Pelli lo rife- 
ìdscono air anno 1307 ; il Troya (il quale talvolta vorrebbe 
far servire i documenti a cèrti suoi preconcetti) gli attri- 
1)01606 gratuitamente la data del giugno 1304 ; e questa data 
gli dà, perchè vuol sostenere che jDante si separasse da' suoi 
Gompagni, e si facesse parte per sé stesso, -subito dopo il 
tentativo infelice del 22 luglio 1304. Ma se quest' istrumento 
fosse stato fatto per la guerra del luglio 1304 (siccome vor- 
rebbe credere il Troya, ed eziandio il Balbo che gli va die- 
trp), come mai fra i diciotto contraenti non furono Baschiera 
della Tosa e Tolosatto degli liberti, eh' erano i capitani di 
quella guerra ? Come mai non vi fu alcuno de' principali 
capì di parte bianca, che insiem con esso Basehiera eran 
venuti due mesi innanzi in Firenze a casa Mozzi, per trat- 
tare della pace daKcardinal Niccolò proposta: i quali fu- 



196 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

rono (vedi il Compagni) messer N. de* conti Gangalandi, 
Lapo di messer Azjblino degli Uberti, Baldìnaccio Adimairi, 
Giovanni de' Cerchi e Naldo di messer Lottino Gherardini? 
Ma già è un fatto storico che i Ghibellini nel Ì304 vennero 
da Arezzo giù pel Casentino, mentre la guerra del 1306, 
a cui appella il documento, fu fatta nel Mugello, e mossa 
dal castello di Montaccianico : occasione guerrce (dice il 
documento) factce vel faciendoe per Casirum Montis Accia- 
nighi. E di qui poi la data certissima del documentOj che 
non del giugtio 1307 (come crede il Pelli); non del giu- 
gno 1304 (come vorrebbe il Balbo) ma è del giugno 1306. 
Tre protocolli di ser Giovanni di Buto d' Ampinana 
haiini) nel nostro archivio de' Contratti. Il terzo, in cui a 
carte 120 si legge il documento presente, porta scritto in 
costola : dal 1307 al 1318 : ma questa indicazione è certo 
di carattere del secolo scorso, e questa fu che trasse in 
errore il Brocchi, il p. Ildefonso ed il Pelli, |)erocchè non 
potendoiii dal documento stesso aver più la data, che il 
tempo e V umidita hanno fatto del tutto sparire, la presero, 
in buona fede dà quella indicazione. Ora questo protocollo 
(nella guisa stessa che gli altri due) non è più nel suo stato 
primitivo : è messo insieme confusamente di carte staccate, 
ed ha parecchie lacune ; ond' è che dalla data delle carte 
antecedenti e delle susseguenti non può razionalmente de- 
sumersi quella d' una carta intermedia. Tanto meno poi che 
il buon notare, per risparmiar carta, approfittava spesso 
de' vuoti, bianchi rimasti nelle pagine, per copiarvi idtri 
contratti, che rogava mesi ed anni dopov II perchè, quan- 
tunque la carta, che precede al documento, porti là data 
del 1309 •, e del 1309 la porti pur quella che gli sussegue ; pure, 
siccome, quelle carte non fanno parte -dello stesso quadèrno^ 
e son messe insigne confusamente e saltuariamente, nov 
danno diritto a dedurre, che il documento in questione sia 
anch' essa del 1309. Ed infatti esso non può essere sia 
del 1309, sia del 1307, -sia del 1304 -, ma è del giugno ÌSÓG, 
per òhe stipulato in occasione della guerra in pa^rte fitttà e 
in parte da farsi per mezzo del castello di Montaccianìco[. 
Ora la guerra di Montaccianico fu cominciata nel mag- 
gio 1306, e terminata nell' agosto dell' anno stesso. Giovanni 
villani, Simone della Tosa, -Scipione Ammirato, msómma 
tutti i nostri storici sono concordi in questa indicarsione. E 
quantunque il Pelli sospetti, che varii storici abbiano asse- 

gaato il 1306 invece del 1307 ad alcuni fatti del cardinale 
rsini; e cosi alt^i pure potesse sospettare, che il fatto dL 
Montaccianico, egualmentechè l'istrumento rogato da ser^ 



CAPITOLO SESTO. 197 

Griovanni, sia da riferirsi al 1307 piuttosto che al 1306 (lo 
che peraltro converrebbe dimostrare non con congetture, ma 
con documenti autentici) ^ pure io dico che, anco in questa 
supposizione, resta sempre vero ciò, eh' ho sostenuto contro 
il Troya ed il Balbo ; cioè, che Dante non abbandonò i suoi 
compari nel luglio 1304, ma bensì qualche anno appresso. 

}^ L' Ammirato, che "pare aver veduto negli archivi! i 
documenta, dice che furono 15,600 : che 7,800 fiorini d' oro 
furono pagati a Geri del già Ugolino di Feliccione, e al- 
trettaata. somnraa Francesco del cavaliere Ugolino di Senno. 
Baccoiita pai (è lo racconta purè il Villani) che ad impedire 
la riedificazione del castello di Montaccianico, .V ottavo di dì 
setteHibre 1306 diedero i Fiorentini principio a fondare, ivi 
presso^ a due miglia, una nuova terra, alla quale posero nome 
QgLn .'fiamaba} bejichè non per altro nome, che per quello di 
Scarp^a fosse poi sempre chiamata. E questo fatto conferma 
di naoTo la data dà noi stabilita dell'asseclto di Montaccianico. 

'^^ Ciò apparisce da un istrumento esistente presso i mar- 
chesi Papatava di Padova, riportato nelle Novelle Lette- 
rarie (anno 1748, col. 361) ove si legge : Anno millesimo 
érecenèeeimo sexto, IndicL IV, die vig esimo septimo mensis 
•Attgudtiy Padue in centrata S. Martini in domo domine 
uniate domini Papa/ave, prcesentibus Dantino quondam 
^lligerii de Florentia, qui nunc stat Padue in contrata 
éS. Xidiurentii eie: 

*^ Questo atto di procura è estratto dai protocolli del 
notaro Parente Stupio, esistenti nel pubblico archivio di 
Sarzàna (Serie 342, tit. 5.) Esso è del seguente tenore: 

. « In Nomine Domini. Àmen. Anno a Nativitate eius Mil- 
» lesimo. CCCVI , Indictione IV, die VI Octobris ante 
»' missam. - 

»- Magnificus vir Dominus t'rancischinus Marchio Mala- 
». spina recit, .constituit et ordinavit suum legitimum Procu- 
» -ratorém, Actorem, Factorem et Nuncium specialem, Dan- 
» tem Alegerium de Florentia ad pacem, sedationem, quie- 
» tàtionem, remissionem et finem perpetuam recipiendam^ a 
» venerabili in Christo patre et domino domino Antonio, 
» Dei gratia Lunensi Episcopo et Comite, dante et red- 
» dente prò se et suis successoribus, et Lunensi Ecclesia, et 
»» àmicis, subditis, et sequacibus suis, de omnibus et sin- 
» gulÌB iniuriis, guerris, inimicitiis, offensionibus, incendiis, 
»» damnìd, rebellionibus, vulneribus, homicidiis, et quibuscum- 



198 VITA DI DANTE ALIGfflERI. 

» que alii0 detictis, seu enormitatibus perpetratìs, tractatìs 
n vel contractis hactenus centra ìpsum venerabilem patrem, 
n et Lunensem Ecclesiam, vel homines et sequaces ìpsitis 
» per dominum dominum Francischinum, et dominos Mor- ' 
n roellum et Conradìnum fratres Marchiones Malaspioa, et 
n amicos, Bubditos et sequaces ipsorum, de quibus ìpsi Pro- 
fì curatori videbitur et placebit. Et ad similem pacem, se- 
n datìonem, quietationem, remissionem, et finem perpetuam 
n faciendam et reddendam ipsi domino Episcopo prò se et 
n suis successoribus, et Lunensi Ecclesia, et amicis, et 
» séquacibus et subditis, recipienti procuratorio nomine ut 
n dictum est prò ipso domino Francischino et prsedìctis do* 
n minis Morroello et Conradino et fratribus, et eorom ami- 
n cis, subditis ert séquacibus, de quibus ipsi Procuratori 
» placebit et videbitur, ut est dictum, cum illis pactis, con- 
t» ditionibus, et clausulìs, modis, tenoribus, promissionibos, 
» poenis et obligationlbus, de quibus ipsi Procuratori vide- 
n bitur, et specialiter ad promittendum prò ipso domino 
n Francischino, et ipsuin dominum Francischinum ad illam 
9 poenam, qu» sibi videbitur, et sicut voluerit, oblingandum 
fi perpetuo, et ad tempus; quod ipse dominus Francischi- 
» nus sic laciet et curabit quod dominus Conradinus praedi- 
n ctus ratificabit et approbabit prò se et fratribus soia 
n omnia et singalà £ftcta, gesta, promìssa et procurata per 
» ipsum Dantem Procuratorem prò ipso domino FrancischinìE», 
n et ipsius nomine cum omnibus poenis et obligationibus, qu» 
» per ipsum dantem fuerint factae, promissae vel stipnlatsB. 
n Item ad omnia pacta, promìssiones, stipulationes, obligatio- 
n nes, exceptionès, et renunciationes faciendum et recipien- 
ìt dum, prout ipsi Procuratori in omnibus videbitur et pla- 
» cebit. Et generaliter ad omnia alia et singula facienda, 
ft gerenda, procuranda et exercenda, quae in prsedictis, et 
» circa prasdicta, seu ab ipsis dependentibus, coherentibos 
n et connexis, fuerint utilia et necessaria, et quae ipse do- 
» minus Francischinus facere, gerere et promittere posset, 
n si praBsens essèt ; ita quod ejus absentia nihll impediat, 
n seu prorsvxs laedat *, dans dìcto suo Procuratori in praedi- 
n ctis omnibus et singulis plenum, liberum, speciale et ge- 
n nerale mandatum oum piena, libera et generali totorum 
n honorum àdministratione; Rata, grata et firma perpetuo 
n habiturus omnia et singula, quaB per ipsum Dantem Pro- 
r> curatorem in prsedictis et circa praedic^a, et ab ipsis de- 
n pendentibus, seu ipsis coherentibus et connexis, fuerint 
» facta, gesta, promìssa, stipulata et procurata sub obliga- 
ti tiene honorum suorum praesentium et futurorum. 



CAPITOLO SESTO. 199 

» Actam SarzansB^ in platea CalcandulaB, praesentibus 
1» ven. Fratre Guillelmo Malaspina Ordinis Minorum, Bar- 
I» tolomtneo Tanaregia milite de Luca, domino Tomasino 
» judice filio Parentis Stupii de Sarzana, testibus ad hsBC 
» rogatis et vocatis. » ' 

'* L' atto di costituzion della pace, tratto anch' esso dal- 
l' ai^chivip soprindicato, dice così: 

« In Nomine Domini. Amen. Anno a Nativitate ejus 
1» Millesimo CCCVI, Indictione IV, die VI Octobris in bora 
» tertià. . 

n Diucius, diabolica «xsuperante potentia, inter venera- 
» bilem patrem et dominum dominum Antonium, Dei gratia 
» Lonensem Episcopum et Comitem, " et magnificos viros et 
« cxcelsos dommos Morroellum, Franciscbinum, Conradinum 
n et firatres Marcbiones Malaspina, guerris, inimicitiis, 
» odiisque subortis, ex quibus homicidia, vulnera, caedes, in- 
» cendia, vasta, clamna et pericula plurima sunt sécuta, ac 
», provincia Lunexanae diversimode lacerata, praefati domini 
» Episcopus et Marchiones, summi Patria inhaerentes exem- 
» pio Buis dicentis Apostolis : pacem meam do vobis ; pacem 
n mèam relinquo vobis, eumdemque effectom operis ample- 
n xantes mediante tractatu venerabilis et devoti viri domini 
»' fratris Guillelmi Malaspina, et firatris Gtullelmi de Go- 
n dano sanctisdimi Ordinis Fratrum Minorum ; attendentes 
»> etiam quod omni jegno desiderabilis debet esse tranquil- 
» litas, in qua populi proficiunt, et gentium utilitas custo- 
» ditur, qu8B bonarum etiam artium decora mater mortalium 
» genus reparabili subcessione multiplicat, facilitates pro- 
» tendit, mores excolit", vixque quantae sit virtutis agnosci- 
» tur, in eorum amicorum, sequacium et subditorum octiosa 
» tranquillitate et pacis amenitate placida ^loriantes, excelsl 
» Salvatoris gratia illustrante, ad infrascriptam pac^em, ve- 
» ram et perpetuanl concordiam, devenerunt. Videlicet : 

n Quod antedictus venerabilis pater dominus Antonius, 
« liunensis Episcopus et Comes, prò se et Lunensi Ecclesia, 
» et suis sequacibus et bominibus, videlicet Nobilibus de 
>» Fosdenovo, Pucio et Francisco de la Muscha, filiip quon- 
»» dam Facii de Falcinello, et bominibus Terrarum et Ca- 
» strorum Lunensis Ecclesise, et Communitatibus ad ipsum 
a» dominum Episcopum pertinentibus, comuniter vel privatim, 
ti reddidit et fecit Danti Alegerii de Florentia Procuratori 
»» domini Francischini Marchionis Malaspina ptaBdicti ad in- 
n frascripta specialiter constituto, prout constat publico In- 
1 strumento, scripto manu Joannis Parentis notarli infìra- 



200 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

if scrìpti de Sarzana, in praescnti millesimo^ Indictione et 
» die, in bora prima, recipienti procuratpno nomine prò 
» ipso domino Francischino, et dicto nomine de ipsias do- 
n mini Francischini speciali mandato, prò domino Conia- 
n dino filio q. domini Oppecini Marchionis Malaspìna, prò 
n quo domino Conradino dictus Dante procurator, procura- 
n torio nomine dicti domini Francischini promisit, quod 
» omnia suprascripta et infrascripta prò ip8& et fratribus 
n suis infra XY dies a celebratione prsesen^ cootraotns, 
» ratificabit et approbabit ; et firma et rata babebit, tenèbit 
n et observabit ; et prò ipsis omnibus attendendis et obser- 
n vandis promittet Qt se obligabit per inodum le^imum^ et 
» sicut ipse dominus Episcopus prò sua parte m presenti 
n contractu promittit et se obligat. Et prò domiiió Morroello 
n Marchione Malaspina predicto, prò quo idem Dante, dicto 
rt procuratorio nomine domini Francischini, promisit quod 
» ipse dominus Francischinus inducet, si poterit, ipsiim do- 
n minum Morroellum ad omnia suprascripta et infrascripta 
n ratificanda et firma tenenda ut supra, et infra- promittet 
n et se obligabit dominus Episcopus antedictus, recipienti 
n etiam prò omnibus et singulis hominibus Terrartim ipso- 
iì rum dominorum Marchionum et sequaciura eommdem, vi- 
» delie et parte ipsorum dominorum de Sarzana et Castro 
»» Sarzanae, Commune et hominibus de Carraria, Commnne 
« et hominibus de Ponzano, Commune ethominibus.de Bi- 
n boia. Pars de S. Stephano et Belano, veram et perpe- 
^ tuam pacem, remissionem, quìetationem et firiem de omni- . 
n bus et singulis, et prò omnibus et singulis offensis, gHei^is, 
n inimicitiis, offensionibus, incendiis, damnis, rebellionibns, 
n vulneribus, homicidiis, et quibuscumque aliis delictis, seu 
n enormitatibus perpetrati s, tractatis, vel contractis haete- 
^ nus centra ipsum venerabilem'patrem, et Lunensem Ec- 
» clesiam, vel homines et sequaces ipsius, superius no- 
n minatos. 

» Et e converso Dante predictus Procurator, procora- 
» torio nomine, et prò ipso domino Francischino Marchione, 
» nomin^ et vice dominorum Morroelli et Cprradini Mar- 
^ cliionum praedictorum,^ prò quibus dictus Procurator pro- 
n mittit de rato ut supra, et prò omnibus eorum sequacibus, « 
»» vìdelicet hominibus Terrarum supradictarum ipsorum do- — 
»» minorum Marchionum, ex parte ipsorum de Sarzana, et— = 
« Castro, Commune et hominibus de Carraria, Commune et= 
» hominibus de Ponzano, Commune et hominibus de Bibpla^^ 
n Pars de S. Stephano et Belano, fecit et reddidit dictc^ 
y> venerabili patri, accipibnti prò se, et Lunensi Ecclesia ^ 



CAPITOLO SESTO. 201 

» et omnibus et singuiis suis sequacibus supradietis, veram 
n et pei^etuam pacem de omnibus et singulis prsBdictis, et 
n quibuslibet excessibus et ofFensionibus, et in signum ver® 
» et perpetuaB pacìs dominus venerabilis pater dominus Epi- 
V scopus, et Dante prasdictus, sese ad invicem osculantes. 
» Hoc acto de communi concordia praedictorum, quod. idem 
n /venerabilis pater dominus Episcopus debeat et teneatur 
» amicos et sequacés dominorum Marchionum prgedictorum 
n tractaré, tenere et habere ab hodie in antea prò veris, 
» legitimis et propriis amicis suis. Et e converso praefeti 
»» domini Marehiones . teneantur et debeant ab hodie in 
» antea tractare^ - tenere et habere amicos et sequacés ptss- 
rt fati domini Episcopi prò veris, legitimis et propriis amicis 
n suis.- 

» Item in pace praedicta, idem venerabilis pater fecit 
» expressam remissionem dicto Danti, recipienti ut supra, 
» de omnibus et singulis bonis, vel rebus acceptis ^eu ha- 
» bitis per ipsos dominos Marehiones, vel alios nomine ipso- 
n- rum, tempore occupationis factaB de Episcopatu de anno 
» proxime praeterito, seu per officiales ipsorum a die resti- 
» tutionis domini Càrdinalis ut retro. 

» Item promittit dominus Episcopus praedictus, Danti 
» praedicto recipienti nominibus quibus supra, quod ipse do- 
» minus Episcopus omnes condemnationes, sententias, banna 
»» et processus factos, facta et data, vel quas seu qui fieri 
r> possent, occasione aliquorum commissorum vel debitorum 
» ab bine retro tam in temporalibus, quam in spiritualibus, 
» per ipsum dominum Episcopum, vel ejus Curiam terapo- 
» ralen» vel spiritualem, contra dictos dominos Marehiones 
»-. et ipsorum amicos, subditos et sequacés praedictos, faciet 
» cassari, irritari et annuUari, et cassabit, irritabit et an«- 
». nullabit, et statuet et decernet prò nuUis, cassis et irritis 
» haberi et teneri per quoslibet ipsius domini Episcopi vi- 
» carios, judices, potestates, rectores, notarios et caeteros 
I» alios officiales et quamcumque personam ; et sibi reconci- 
n liabit et prò reconciliatis habebit omnes illos, de quibus 
n in concordia fuerit prò domino Francischino Marchione 
rt praedicto, hac conditione videlicet, quod praedictus domi- 
n nus Francischinus et Conradinus et dominus Morroellus 
» si cuncta' habere voluerìnt supradicta et infrascripta, vice 
n consimili faciant et facere teneantur de amicis, subditis 
n et sequacibus ipsius domini Episcopi, cum clausula ista, 
» quod amici et sequacés praedicti utriusque part4s, et qui 

» sibi ad invicem inimici ad pacem et concordiam 

» reduci debeant, et modis omnibus quibus poterunt 



202 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» per proedictum venerabilem patrem, et per dominum Fran- 
I» ciscninum Marehionem praBdictum. 

n Acto etiam hoc specialiter et expresse inter dictum 
» dominane Episcopum et dictum Dantem ag^ntem noxniue 
» quibus supra, quod jura Brineae et Bolani remaneant in 
f» eo statu in quo nunc sunt, usque ad certum tempus eli- 
rt gendum et statuendum, seu terminandum ab ipso dojiiino 
» Episcopo ex una parte et prsefato domino Francischino 
n Marohione Malaspìna prò. se et dominis» Conradlno et Mor- 
» roello, in quantum ipse dominus Morroellus rata liabere 
» voluerit supradicta et infrascripta altera. Et quod .ab eo 
n tempore ultra sic dicto statuto vel terminato, ait licitom 
n partibus antedìctis in Castro Brincie et Bolani pvosequl 
» jura sua, et propter hoc quod sic ipsa jura prosequantnr 
*» dictae partes vel aliqui eorum, non intelligatur pax esse 
n fracta. Et pax quas modo facta est et nt non deroget 
» juribus alicujus dictarum partium in ipsis Castris Brineae 
» et Bolani. 

» Convenerunt insuper ex pacto solemni stipulatione- val- 
I» lato, inter praedictum dominum Episcopum ex una parte, 
» et Dantem praefatum, Procuratorem dicti domini fran- 
n cischini Marchionis, procuratorio nomine prò eo ex altera, 
n quod praedictus dominus Francischinus si non posset in- 
n ducere dictum dominum Morroellum ad omnia praedicta 
9» ratificanda, et firma tenenda, ut supra expressum et di- 

» ctum est, non teneat et ex eo vel propter ea quod sic 

» dominum Morroellum facere consentire et ratificare pre- 
» dieta, snec ipse dominus Episcopus obligetur, jiec pbUga- 
» tuB intelligatur ad pacem cum Morroello et homiùibus 
» Terrarum ipsius, si sic ut supra non consentiret et rati- 
fi ficaret ipse dominus Morroellus, nec robur assmnat pax 
1» vel concordia sic facta prò ipso domino Morroello et homi- 
n nibus Terrarum ipsius, nìsi sic ut supra ipse dominus 
» Morroellus consenserit, ratificaverit et approbaverit omnia 
» et singula supradicta et infrascripta. 

» Hanc autem pacem et veram concordiam, remissionem, 
n absolutionem, liberationem et quietationem et omnia et 
fi singula supradicta promiserunt sibi ad invicem dictae par- 
» tes', videlicet dictus dominus Episcopu» ex una parte, et 
» Dante praefatus Procurator dicti domini Francischini pro- 
» curatorio nomine prò e.o et nominibus quibus supra ex al- 
n tera, solemnibus stipulationibus hinc inde intervenientibus, 
rt perpetuo rata, grata et firma habere, tenere, observare et 
I» adimplere, et centra ea vel aliquod eorum numquam fa- 
» cere, vel venLfe per se vel per alios de jure vel de &cto, 



CAPITOLO SESTO. à03 

nec alicui contravenire vel facere volenti consentire, imo 
sese in eontrarium opponere et prò viribus impedire Mn 
pena et sub pena mUle marcharum argenti, solemni sti- 
pulatione promissa ac toties committenda et eflFectualiter 
ezigénda prò parte fidem servante a parte quaé non ser- 
varet praedicta, vel aliquod praedictorum quoties contra 
praedictam vel praedictorum aliquod factum vel ventum 
loret^ praedictis nihilominus in suas firmitatis robore dura- 
turis. Pro qnibus omnibus et singulis sic attendendis et 
observandis et poenis prestandis et solvendis obligavemnt 
.sibi invicem dictaB partes, videlicet dictus dominus Epi- 
Bcopos se et suos subcesSores, et bona Episcopatus, et ejus 
propria. Et dictus Dante, procurator dicti domini Fran- 
^eischini, procuratorio nomine prò eo, ipsum dominum 
Francischinum et ejus bona, habita et habenda. Acto hoc 
expresse et specialiter, inter dictas partes, quod in tantum 
obligetur et obligatus intelligatur ad poenae solutionem et 
exationem dietim dominus Francischinus, et prasdicti do- 
minus Conradinus et dominus Morroellus, in quantimi ra- 
tificaverint supradicta omnia, ut supradictum et expressum 

est ipsi domino Epìscopo et suis subcessoribus ipse 

domintis Episcopus et sui subcessores et obligari pos- 

sent per supradictam stipulationem ipsi domino Fran- 

cischinò,.' et aliis dominis Marchionibus supradictis ; re- 
Dunciantes dictae partes omnibus et singulis eorum exceptio- 

nibus et defensionibus et Canomcis beneficiis et pri- 

vilegiis, quibus contra praedicta possent facere vel venire, 
vel a praedictis seu eorum aliquo aliqualitef se tueri. 

» Actum in camera episcopalis palatii de Castro Novo, 
praesentibus domino fratre Guilleimo Malaspìna Ordinis 
Minorum, domino Bortolo Lunense Arcbidiacono, domino 
Percivalle de Camilla fratre ipsjus domini Episcopi, fratre 
Gasparino de Sarzana, dominis Mazig. de praedicto, To- 
masino filiò Parentis Stupii de Sarzana, et Francischino 
de Pelacano judicibus, testibus ad haec rogatis et vo- 
catis. 

» Infrascrìpta sunt pacta, firmata inter dominum Anto- 
nium Lunensem Episcopum ex parte una, et dominum 
Francischinum Marchionem Malaspinam prò se et consor- 
tibuB suis ex altera, et secundum ea fieri debet pax, et 
focta est, ut in nostro contractu continetur, et firmata 
infrascripta pacta in camera episcopalis palatii de Ca- 
otro Novo, die et anno supradictis, et coram predictis testi- 
bus; et sunt haec, videKcet. 

n Pacta quae petit dominus Francischinus Marchio Ma- 



204 VITA Df DANTE AU6HIERI. 

n laspina prò se et consortibuB saia, et e<»ram amicis de 
n Lanezana atque sequacìbus prò pace facienda intereos 
n et dominam Lunensem Episcopom, sunt^ 

I» Primo : ......•••.. 

I» Seicuhdo :........,....»,. 

■ n Tertìo : Quod omnes condcmnationes, baima . et pro- 
» cessns, facta et facienda, vel quae fieri possent oécasione 
n aliqaoFom commissorum ab bine retro tam in tem|;k)ralibufl, 
f» quam. in spiritualibus per dominiùn Episcopum vel ejus 
» Cmiam temporalem vel spiritualem centra amicoif, sab^i^s 
n et seqnaces dominonim Marcbìonum sint easdft- irrita et 
n nnUius momeutf, atque eassari debeant per ipsom dòmi- 
n num Episcopum, et quod omnet» imbanniti geqtiaees et 
» amici ipsorum Marchioaum, quos nominandos daxerit ipse 
n dominus Franciscbinus, recoocilientur ^mn ipso domino 
n Lnnense Episcopo. 

n Ex nunc declaretur, et vice consimili fiat, 4e ieCpia- 
n cibus et amicis dominv Episcopi in- dausuÙt conSMiflBiDnis 
n faciendaa de amicis et sequaoibus^ qui sibl ad ìnvicem 
n inimicarentur : jura vero Brineae et' Éolani jremaneanl in 
n eo statu, in quo nunc sunt, usque ad certum tempus a 
» partibus eligendum. Et ab eo tempore ultra sit. licitum 
» partibus in Castro Brineae persequi jura sua, et propter 
9 hoc pax non intelligatur esse fracta, et quod Hubc pax 
» fiat, non derogando juribus alicujus partium. 

» Sequaces dominorum Marcbionimi Malaspina. 

n Pars de Sarzana et Castro Fosdenovo. 

» De Carraria. 

» De Scto Stepbano et Belano. » 

^^ n Monastero di Santa Croce del Corvo fu creduto che 
appartenesse all' Ordine de' Komitani di Sant'. Agostino (e 
cosi credè pure il conte Carlo Troya, che tanto si appog- 
giò alla lettera di frate Ilario) -, ma il si^or Eugenio Bran- 
chi in una lettera che mi scrisse negli ultimi giorni del 1858, 
e eh' egli poi pubblicò nel Poliziano, fascicolo di ioiag- 
gio 1859, provò coi documenti, che apparteneva all' Or- 
dine de' Camaldolensi, vale a dire a quell' Ordine, d' un 
monastero del quale era Abate, ossia Superiore, siccome 
ho accennato, il fratello d' Uguccione. Questo fratello del 
guerriero ghibellino chìamavasi Federigo, e il monastero, 
di cui fu egli Superiore, era quello ai Santa Maria del 
Trivio di Monte-coronarp,. alpe che divide la Toscana .dalla 
Romagna. Ma per siffatte particolarità, sia intomo alla fa^ 
miglia dei Faggiolani, sia intorno a frate Ilario, e ali* Or- 



CAPITOLO SESTO. !205 

dine, end' era Santa Croce del Corvo, vedi il Capitolo ulti- 
mo, ove se ne parla appositamente. 

*' Dante stesso, ricordando il sapiente Sigieri e 1' Uni- 
versità di Parigi, Paradiso, canto X, v. 136, lo fa in mòdo, 
ricordando cioè il vicolo degli strami (rue de Fouarres, 
presso la piazza Maubert), da far veramente credere, esservi 
e^i stato. 

'* Questa incuria de* due AbsburgheM non piacque a 
Dante, poiché per mezzo dell* autorità imperiale voleva che 
r Italia dal tumulto delle fazioni si ricomponesse a pace e 
concordia. Egli esclama, Purgatqrio,: canto VI, v. 97 e seg. 

Alberto tedesco, che abbandoni 
Costei, eh' ò fatta indomita e selvaggia, 
E dovresti, inforcar gli suoi arcioni, 

Giusto giudicio dalle stelle caggia 

Sovra 1 tuo sangue, e sia nuovo ed aperto. 
Tal che '1 tuo successor temenza n' aggia : 

Che avete tu e 1 tuo padre sofferto. 
Per cupidigia di costà distretti. 
Che T.giardin dell' imperio sia diserto. 

Vieni-awirétìer Montecchi e Cappelletti, 

' Monaldi e Pilippeschi, uom senza cura; 
Color già tristi, e costor con sospetti. 

Vien, jerudei, vieni •, e vedi 1* oppressura 
- De' tuoi gentili, e cura lor magagne v 
È vedrai Santafior come si cura : 

Vieni a veder la tua Roma, che piagne, 

, Vedova e sola ; e di e ncftte cmama : 
Cesarre mio, perchè non m' aocompagne ? 

Vieni a veder là gente quanto s' ama \ 
E se nulla di noi pietà ti muove, 
A vergognar ti ttien 'della tua fama. 

Solo questo passo avrebbe fatto conoscere al Balbo, se 
r avesse ben considerato, (jual fdsse il motivo, per cui Dante 
81 avesse dato al partito ghibellino. E il motivo era, che l'Ita- 
lia crasi fatta indomita e selvaggia, o (come disse una frase 
odierna d' altra nazione) ingovernabile. Neri e Bianchi, Mon- 
tecchi e Cappelletti, Monaldi e Pilippeschi, si straziavan fra 
loro; i gentili d' Italia, i nati dal gentil sangue latino, erano 
oppressi ; il giardin dell' iiiipero (l' Italia) era abbandonato ; 
iU>ma, vedova e sola, chiamava a sé giorno e notte il suo 



200 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Cesare. Se questo almeno avesse il Balbo considerato, non 
all'ira, non alla superbia, non alla brama di vendetta 
avrebbe ascritto il parteggiare di Dante, ma si a un con- 
cetto morale e politico (che nuovamente ripeterò essere 
stato per quel tempo un* utopia), il quale era di licomf 
por V Italia in un modo, che aovesse procurare la sua 
grandezza e felicità. Ma il Balbo non potea veder la cosa 
sotto questo ai&petto *, poiché quando uno storico si manifesta 
più volte, ed esplicitamente, partigiano, non giudica i &tti 
secondo verità, ma secondo passione. Ora il Balbo, che n 
dichiara guelfo nelV anima, non può essere biografo^ impar- 
ziale di chi si dichiarò ghibellino. Ma io domanderò : A che 
giovano oggi queste dichiarazioni ? Il Guelfismo e 11 Ghibel- 
Snismo del 1300, che hanno che fare colle idee politiche del 
secol nostro? Il Guelfismo non avea in mira che il munici- 
palismo ; il Ghibellinismo la nazionalità. ìl Guelfismo non 
volea r ordine, ma la libertà «confinata, cioè la licenza ; il 
Ghibellinismo voleva 1* ordine e la libertà limitata, cioè fre- 
nata dalla supremazia imperiale. Oggi, insiem colla nazio- 
nalità, rifiutando la licenza popolare e V |issolutismo monar- 
chico, vogliamo V ordine colla libertà congiunto. 

*' Come re di Germania chiamossi Arrigo VII, come re 
de' Romani Arrigo VI : pure nelle nostre' istorie è sempre 
nominato Arrigo VII. 

*® Con questo nome è pur chiamato da Dante, e_ da lui- 
ricordato con lode nel canto XVI, v. 121 e seg. del Pur- 
gatorio : 

Ben v' en tre vecchi ancora, in cui rampogna 
L'antica età la- nuova, e par lor tarerò, 
Che Dio a miglior vita li ripogna; 

Currado da Palazzo e '1 buon Gherardo, 
E Guido da Castel, che me' si noma 
Francescamente il semplice lombardo. 

H Cronista. Sagacio Gazzata racconta, come iffel 1318 
sederono più volte a mensa con-Can grande ed egli e Guido 
da Castello, il semplice lombardo, e Dante Alighieri. Ed 
anco di qui si ha nuova testimonianza che Dante conti- 
nuava a far dimora in Verona. 

" La lettera, com' ho detto, è datata del 31 marzo 1311. 
Ma donde fu scritta ? In finibus ThuacicB, ^uh fontem Sami, 



CAPITOLO SESTO. 107 

vale a dire dal Casentino. Ma da qual castello ? Alcuni di- 
cono da quello di Poppi, altri da quello di Porciano. Era 
Porciano posto sopra uno sprone del monte Falterona, a 
mezzo miglio a maestrale da Stia, e cinque sole miglia lon- 
tano • dalle sorgenti dell' Arno, che sono appunto nella FaU 
terona. Più probabile si rende pertanto che questa lettera , 
come pur V altra, che Dante scrisse ad Arrigo sedici giorni 
appresso, cioè nel 16 aprilie, fosse scritta in Porciano piut- 
tosto che in Poppi, il qual castello molte più migliai distan-^ 
te dalle sorgenti delVArno. Al ramo de conti Guidi, detto 
di~Modigliana, apparteneva Porciano; e ne' tempi di cui 
parliamo n' erano si^ori i conti Tancredi e Bandino ; i 
quali, essendo ghibelhni, prestarono nel 1312 assistenza agli 
ambasciatori d Arrigo VII nel loro passaggio dal Mugello 
nel Casentinq*, anzi presso lo stesso Arrigo, quando venne 
in Toscana, si recò Tancredi a protestargli la sua devozione 
(Repetti, Dizion. geogr. Art. Porciano). Guidalberto pure, 
altro, conte di Porciano, fratello de' due nominati, fu sem- 
pre dappresso ad Arrigo perdurante la sua spedizione in 
It^ia. 

Molti erano allora i conti Guidi, che aveano signoria nel 
Casentino. Nel cap. IV vedemmo un conte Guido Novello, 
signore di Poppi, che si trovò a Montaperti fra i Ghibel- 
lini ; e fra i Ghibellini parimente, sebben vigliacco soldato, 
alla battaglia di Campaldino. Un conte Alessandro Guidi, 
rio di Guido e d' Oberto da Romena, abbiam veduto in que- 
sto stesso capitolo essere «tato amico di Dante in Arezzo, 
e un conte Guido Salvatico essere stato ospite di. Dante in 
Pratovecchio. Un altro conte Gjiido da BatttfoUe vedremo 
nel tìapitolo seguente esser nominato potestà di Firenze, e 
venir durante il suo officio stanziato un decréto, col quale, 
sotto certe condizioni, venivano riammessi in Firenze i fuor- 
usciti. Altri conti Guidi incontreremo in questa storia, sic- 
come parecchi altri se ne veggiono nominati da Dante nella 
Divina Commedia, Il perchè far due parole intorno di essi, 
quantunque in ciò v' abbia alquanta incertezza, non lo stimo 
inopportuno. 

Tiitti i rami de' conti Guidi derivarono dàlia famiglia 
de* conti di Modigliana. Guidoguerra VI era congiunto 
d' Ottone imperatore, come accenna alcuno de!. nostri storici 
senza dime la ragione *, ed' era perchè in prime nozze avea 
sposato Agnese, nata da Guglielmo il vecchio, marchese di 
Monferrato, e da Beatrice dell' imperator Federigo I. Rima- 
sto vedovo, sposò in seconde nozze GuaHrada di Bellitìcione 
d' Uberto Ravignani, dalla quale gli nacquero cinque figli ; 



208 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Guidoguerra, Marcovaldo, Aghinolfo, Teudegrimo e Rug- 
gieri. 

Da Guidoguerra derivarono i conti di iPoppi, di Batti- 
folle e di Bagno, quasi sempre ghibellini, e da lui nacque 
quel conte Guido Novello nominato qui sopra. Il conte Si- 
mouQ suo fratello, datosi poi al partito guelfo, si separò da 
esso, e nel 1274 fu ricevuto in grazia dalla repubblica di 
Firenze, la quale gli permise di fabbricare in !roppi un pa- 
lazzo e un castello. Figlio di questo Simone, e per conse- 
guenza nipote di Guido Novello fu quel conte Guido da 
BattifoUe, che ft; potestà di Firenze nel 1316-1317, e che 
pure abbiamo ricordato di sopra. Nei primi del 1300 si vede 
dunque che i conti di Poppi si eran fatti guelfi. 

Da Marcovaldo, che fu conte di Dovadola, nacque quel 
Guidoguerra Vili, tanto nominato nelle vicende guelfe ék 
Firenze del 1256 e 1267, e che da Dante vien posto nel- 
l'Inferno (canto XVI, v. 37) : 

Nepote fu della buona Gualdrada; 

Guidoguerra ebbe nome : ed in sua vita 
Fece col senno assai e con la spada. 

Nipote di costui, come quegli che discendeva dai conti di 
Dovadola, fu Guido Salvatico, signore di Pratoveechio ; col 
quale ritengo io, e ritengon altri, e non con Guido da B^t- 
tifollè, essere stato in istretta relazione l' Alighieri. Guido 
Salvatico (dice l'Ammirato nella Storia de* Conti Cruidi, e 
ripete il Pelli, pag. 134, n. 13) che verso il 1310 era si— 

fnore di Pratoveechio. Altri vorrebbon farlo signore dL 
oppi : ma quali sono i documenti che lo comprovano ? DaL 
documenti peraltro citati dal Repetti noi veggiamo che^ 
quantunque Pratoveechio avesse appartenuto ai conti Guid3 
del ramo di BattifoUe, siccome fu Guido Novello signore dS 
Poppi, e poi queir altro Guido, detto appunto di BattifoUe, 
che fu potestà di Firenze ; pure nel principio del secolo XIV" 
era posseduto dai conti Guidi di Dovadola : tre de' quali fu- 
rono in quel tempo il conte Guido Salvatico, sul, quale cad^ 
il nostro discorso, quindi Ruggiero suo figlio, e poi Marco*' 
Valdo suo nipote, che nel 1334 lo circondò. di mura e di fossi- 
Da Aghinolfo venne la linea or guelfa, or ghibellina dei 
conti da Romina. Ma tranne che con Alessandro capitano 
dei fuorusciti in Arezzo, che mori nel 1305, e con Guido 
ed Oberto nipoti di lui, ai quali scrisse una lettera, non ebb^ 
Dante alcuna relazione o amicizia : onde non farò più p»' 
rola di essi. 



CAPITOLO SESTO. 209 

Da T^udegrimo finalmente (q dico finalmente^ perchè 
Kuggiero non ebbe prole) uscì la linea ghibellina de* conti 
di Forciano, e da ìm discesero quei conti, che più sopra 
parlando di questo* éastelk) abbiamo nominati. 

Difficile poi, e forse impossibile, riesce il determitiare 
quali de' conti Guidi in questo tempo fossero guèlfi, e quali 
ffhibellini. £ quantunque per la natura de* loro possedimenti 
dovessero esser ghibellini, pure talvolta gli veggiamo guelfi, 
« mutar parte (come dice il' Poeta) dalla state al verno. 

A maggior aichiarazioile delle cose discorse, produrrò 
quella parte dell* Albero della famiglia Guidi, che spetta ai 
tempi di Pante. E al brano che ne diede il Repetti, clou- 
gìunto con quello che ne diede il Troya,. aggiungerò alquanti 
nomi, di che ho potuto avet 1* indicazióne dagli storici e dai 
documenti. 



Dante.— Vita. U 



210 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 



ALBERO DELLA FAMIGI 



Guidojj 
sp. innanti il iiSO a Goal 

Guidoguerra \1I di Modigliana Marcovaldo di Dovadols 

sp. a Giovanna Pallavicini iS20 -iSSS'iSSQ 

Ì220-4229 ■ -^ 

. ^ I 1 Guidoguerra Vili Ruggier 

Guido Novello di Modigliana Simone i260 • 4267 • un i260 

i252- 4260 -126^5 -4289 di Battifolle neirinferno I 

1251 • 1260 insiem con Bruoetto ^ . , J , 

I Guido Salv 

180! 
uario UrUldo ospite dì D 

4i 4315 di Battifolle 1 

alla battaglia ^ potestà i>„«JL' 

di Montecatini di Firenze ^!JS^ 

1316 1317 ' *!?*,ia 

I potestà di ìm 

\ 

«»r»"'» Marcova» 



K 



CAPITOLO SESTO. 



211 



CONTI GUIDI. 



leione de'Ravignani 



Aghinolfo I 
di Romena 

ISSO* 4225 ISSd 



Gui( 

d375 



idoi 



r 



Teudegrimo 
di Porciano 

4^0-4229 

Guido 
+ 



Ruggieri 

)|c verso il 4228 
lascia eredi 
i suoi fratelli 



Tancredi Bandino Guidalberto 

4342 1343 ÌZiiiZiZ 43Ì2-43Ì3 
ospite di D. ospite di D. 



Éb n Guì^o n 

liSOO 4281 
Mor. fcils.delfioh 
ff» d' oro 



1 



Alessandro 

4284 • i31« 
fals. del fior. 

d* oro . 
sp. a Gate! ina 
de' Pantolini- 
di Faenza 



ssandro II 

t. de* Bianchi 
co di Dante 
%i30& 



oifo: 



Aghinolfo III 

4306131413Ì2-1318 



Guido 

cai scrive D. 
i305 



Oberto 

cai scrive D. 

i3U6 



212 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

** Questo importaute documento è riferito dal pajdre Ude- 
fonso, nelle Delizie degli eruditi tose, voi. XI, pag. 61 e aeg. 

« In Dei Nomine, Amen. Hoc est ordinamentnm, stan- 
» tiamentum et provisio, facta per providos et discretofi vi- 
» ros ec. n (e qui ripòrta i nomi, de' ^eì priori, del gonfa- 
loniere e de* dodici arroti). 

« Die VI mensis Septembris an. MCCCXI. Prsenominati 
f> Priores Artium et Vexillifer Justitiae Communis efc.Populi 
n fiorentini, et duodecim sapientes probi viri, per dictos 
rt Priores et Vexilliferum Justitiae electi et absumpti, vo-» 
» lentes attendere et providere fortificàtioni, corroborationi 
» et reconciliationi Populi et Communis Florentiae et Partis 
n guelfsB dictse Civitatis et Communis et Comitatus et Di- 
» strictus Florentise, et super rebanniendis (cioè da esser ri- 
rt chiamati dal bando), guelfis et aliis, in balia praedieta coiih 
t) cessis, et ut in dieta balia apparet mandatum per Ser Ben- 
» signoroni Guccii Nqtarium et Scribam Reformatioaum' eie. 
» Inter alia feceruat hujusmodi provisioaem, videlicet: 

» Item providerunt, statuerunt et firmaverunt modo et 
» ordine quibus supra, quod nuUus cujuscumque conditionis 
» existat possit gravari, molestari, inquietari, vel accusari, 
» vel in judicio vocari de cetero per aliqua regimimi floren- 
n tina presentia vel futura, prò aliquo maleficio reali vel 
ti personali commisso de mense Octobris MCCCVIII. ^ 

n Et salvo et reservato quod omnes et singuli infrascrìpti 
n nullum beneficium consequantur expresse per ^ctas pro- 
» visiones, nec aliquam earum, nec de ipsorum condemna- 
I» tionibus et bannis, vel condenmationibus tantum, vpl bau-: 
n nis tantum, liberari, cancellari vel absolvi possint vel de- 
» beant ullo modo : imo exbanniti et condemnati 8Ìnt et 
» remaneant in omnibus sicut erant ante preBsentem provì- 
n sionem...... 

» Infrascripti sunt Ghibellini Civitatis et Comitatus Flo- 
» rentise, exceptati in Reformatione Dom. Baldi de Agu- 
» elione et sotiorum, a benefitio contento in Refortaatione 
n Communis Florentias, quas appellatur Réformatiò DonL 
» Baldi de Aguglione. » 

E qui segue la lunghissima nota degli eccettuati da 
questa riforma, che oggi diremmo amnistia, i quali sono 
circa 900, e si può anzi dire oltre 1000, perchè parecchi 
individui vi hanno che sono eccettuati insieme coi loro figli, 
nipoti e consorti, non nominati singolarmente. Donde si vede 
quanti mai innanzi il 6 settembre 1311 dovevan essere gV in- 
felici esiliati dalla patria, se dopo un* amnistia cosi ampia 
ne restavano tuttavia fuori più di mille. 



CAPITOLO SESTO. 213 

Ora, fra gli eccettuati del sestiere di Por' San Piero, 
ha il nostro Dante Alighieri. 

Termina infine il docomento coUa sottoscrizione del 
notare: 

« Ego Gerardns Aldighieri de S. Remigio, florentinus 
9 ciyis, imperiali auctojitate Jndex ordinarias et publicns 
«Notarius, et tunc Notarius Dominoium Capitaneorum 
n Partis guelforum et dict» Partis, praedictos omnes et«in- 
n gnlos in hoc quaterne contentos scripsi de mandato et 
n Tolontate dictorum Capitaneomm, et eormn Consilii. Snb 
n annis Domini MCCCXU, Indict. ^, die VII mensis 
I» Martii. 9 

Due volte nel principio del documento si legge la data 
del 6 settembre 1311 ; onde questa seconda del 7 marzo 1312 
(1313 stile comune) non è da ritenersi se non come fine di 
quel lungo atto, che consta di più parti, ^ di parecchie ag- 
giunte, latte di tempo in tempo. Inìfatti il principio fa ro- 
gato da altro notaio : « Et ego Filippus Nerini Notarius et 
» Scriba dictorum DD. Priorum ec. haec écripsi sub annis 
n Domini MCCCXI, Indict. IX, dìebus et mensibus infra- 
» Bcriptis. » 

Un* avvertenza debbo aggiungere, ed è che Giovanni 
Villani (lib. IX, cap. 16) pone questo stanziamento al dì 26 
aprile. Óonvien quindi aire o che il Villani errò, o che il 
decreto del 26 aprile Ibsse un primo principio di quello, che 
h, ÙLtto più estesamente dappoi nel 6 settembre. 

^ Per via di predizione Dante colloca in uno degli scanni 
celestiali il suo diletto Arrigo, così facendosi dire da Bea- 
trice nel canto XXX, v. 133 e seg. del Paradiso : 

In quel gran seggio, a che tu gli occhi tieni 
Per la corona, che già v* è su posta, 
Prima, che tu a queste nozze* ceni, 

Sederà V alma, che fia giù agosta. 
Dell* alto Arrigo,' che a drizzare Italia 
Verrà, in prima ch'ella sia disposta. 

^ Da Clemente V, che dimorava in Avignone, furono de- 
putati all' incoronazione d' Arrigo i cardmali Niccolò da 
Prato, Luca del Fiesco e Arnaldo Pelagrù. Ma Roberto, 
che s'era collegato cogli Orsini, mandò a Roma suo fra- 
tello Giovanni con una buona mano di cavalli per contra- 
stare, ad Arrigo l' entrata. Infatti a Ponte Molle, presso 
alla città un miglio, vennero alle mani, ma Arrigo forzò 



214 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

il passo ed entrò in Roma : pur nonostante non potè pene- 
trare nella città leonina, poiché i suoi nemici vi si erano 
molto afforzati : ond' ei fu costretto a coronarsi, non in San 
Pietro, ma in San Giovanni Laterano. H pontefice (come 
dice il Muratori^ barcheggiava -, che mentre era Btato u pro- 
motore dell\ elezione d' Arrigo, ora phe questi era disceso 
in Italia noi secondava, anzi lasciava che Roberto insiem 
eoa tutto il partito guelfo se gli opponesse : né in ciò ha 
nulla di straordinario; poiché la politica de' papi era di 
mantener sempre in Italia un dualismo, regolandosi in modo 
che r una parte V altra non soverchiasse. Quindi si fanno 
chiare quelle parole di Dante nella fine del canto XXX, 
del Paradiso: 

E fia prefetto nel foro divino 

Allora tal, che palese e coverto 

Non anderà con lui (con Arrigo) per un cammino. 
Ma poco poi sarà da -Dio sofferto^ 

Nel santo ufficio ; eh' el sarà detruso 

Là, dove Simon Mago è pfer suo merto, 
E farà quel d' Alagna andar più giuso. . 

Ciò nonostante aveva Arrigo rialzato tanto le speranze dei 
Ghibellini, e" messo tanto in timore i Guelfi, che lo stesso 
Villani (lib. IX, cap. 63) dice che « se la sua morte non 
n fosse stata si prossimana, un signore di tanto valore e di 
» si grandi imprese com' era egli, avrebbe vinto il Regno, 
» e toltolo al re Ruberto, che piccolo apparecchiamento 
n avea al riparo suo. Anzi si disse per mólti, che il re Rn- 
» berto non l'avrebbe atteso, ma itosene per mare in 
» Proenza: e se appresso avesse vinto il regno, coD^é s'àv- 
» visava, assai gli ^ra leggiere di vincere tutta 1* Italia. » 
Della gran paura, che Roberto, il re da sermone, aveva 
d' Arrigo, fa fede un importante do(iumento, non ancorpub- 
blicato, che esiste nell' arch. diplóm. di Siena,- Filza xVlI, 
num. 1387. Son le istruzioni, dte quel re dà ai suoi amba- 
sciatori nel portarsi in Avignone alla corte del papa. Dopo 
aver cercato di provare, che l' elezione, e confermazione del 
re de' Romani è stata sempre all'Italia e alla santa Sede 
causa di molti mali, perchè statini quod est coronattM eri- 
gitur in fumum superbice, et credit se esse non solum pa- 
rem domini Papce, sed etiam majorem, racconta Roberto 
d' aver mandato ad Arrigo, fin da quando era in Alemagna, 
suoi ambasciatori ad prestandum sibi sacramentum fideU- 
tatia prò terra, quam idem, Mex tenebat ab eo, e cne ci^ 



CAPITOLO SESTO. 2i5 

non ostante non volle Arrigo ricevere il buq giuramento. 
Tenuto poi in Italia, e fermatosi in Genova, gli mandò di 
iraovo ambasciatori, proponendogli il matrimonio fra Carlo 
dùca 41 Calabria suo primogenito e la figlia di lui ] ma non 
potè ottenerne cbe risposte evasi.ve : il perchè conobbe che 
Arrigo aveva inverso ai lui livorosum et ohlicum animum. 
Poco appresso sentendo che pure in Boma il partito ghi- 
bellino levasse il capo, e perseguitasse i devoti della santa 
Sede^ frefatus domvnua Bex provise providity non expectans 
perduti, spectabilem juvenem {f^m^num Johannem, Gravinm 
eomitem, germanum suum, ad dictam Urbem trasmìctere, 
non in cujuaquam injuriam vel offensain, sed ut predictis 
amicis et devotis. assisteret, et imminentem ojfensionia in- 
jwriamsibi regnoque prefato per defénsiónia ohatacolum sicut 
essetexpediens propulsaret, prohabiliter dubitane Rex ipse 
"Sidlias, ne de Urte jam dieta eidictoque regno suo offen- 
dieulwm gravioris peiriculiproveniret. Espone poi come i 
cardinali deputati a incoronarlo, avendogli chiesto (secondo 
la forma del mandato apostolico) eh* egli avesse prestato 
giuramento di non^ offendere, né invadere, né di lasciare ad 
altri offendere ed invadere il regno di Napoli, egli aveasi 
ricusato, dicendo .non esser lui a ciò tenuto. Ma poiché era 
questa una cohdjzione posta' espressamente dal papa, perciò 
la sua incoronazione non doveva avere e^cacia. Prefatus 
enùn dominua Papa voluit et mandavit per auaa licteraa 
jam dictia cardinalibua, quodpriua quam ad unctionem vel 
coronoLtion^m dicti Regia Romanorum in aliquo procede- 
rent, ah eodem Rege Romanorum, nomine ipaiua domini 
Papts et Eccleaie Romane, corporale preatandum jpereum 
puolice reciperent juramentum, quod idem Rex dictum re- 
gnum Sicilice, aive terram aliam poaitam citra Farum, 
quas quidem terra de prefato regno Sicilie fore dignoaci- 
tuff, per ae vel alium nunquam invader et aliquatenua vel 
offenderet, nec offendentibua vel invadentibua, aut offen- 
dere vel invadere volentibua, preataret auxilium Unde 

eum dictua Rex Romanorum recuaaverit ipaum aacramen- 
tum facere et preatare, aicut pretactum eat, velut per 
responaionem auam factam prefatia cardinalibua evidenter 
apparet, manifeatum eat quod coronatio facta centra for- 
mam dicti mandati, non hàbuit efficaciam, E poiché il papa 
(notinsi queste esorbitanze) ha il diritto di confermare i* im- 
peratore, ed egualmente può pei suoi demeriti deporlo, e 
può altresì trasferire V impero da una famiglia in un' altra, 
e vacante V impero ha egli là giurisdizione nelle cose tem- 
porali ; — {dominua Papa habet confirmare Imperatorem, 



216 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

sicut dicit Decretai. Venerabilem, Extra, de eleotione; 
item potest ipaum ex Buia demeritia deponere, ut Diat. XV, 
q. VI. Can. alias, Diat. XCVII, Can. Dao sont quìppe; 
et foteat tranaferre Impenium de una natione^ in aliam, 
ut in dieta Decretai. Venerabilem clare liquet ;^et vacante 
Imperio dominua Papa hahet juriadictionem Imperli in 
temporalibua, ut dicit Decretai. Licet, Extra, de foro com- 
petenti) ; — da ciò segue, che il detto re de? Bomani, con- 
tumacia a contunmcia aggiungendo, non meritò il favore di 
essere incoronato *, e perciò nuUe sono (nulla firmitate auòai- 
atunt) la bua unzione e la sua incoronazione. Chiedano per- 
tanto ed insistano gli ambasciatori, che questa^ incorona- 
zione d' Arrigo sia dal papa dichiarata di nessun valore^ 
Petant die ti Nunti^ prò parte ejuadem domini Begi$ Sh 
oilie a predicto domino Papa^ cum .conailio dominorum^ 
cardinàUum apecialiter amicorum ejuadem domini Mègig, 
prout eia videbitur expedire, quod ipae dictam coròncUio- 
nem, quatenua de faceto ^procesait, deolaret et denunciet 
nuUam fuiaae, vel minua legitime proceaaiaae. 

^*^ H Bruni fu segretario della repubblica, e vide in pa- 
lagio co' proprii occhi (secondo eh* egli asserisce) le lettere 
di Dante; ma poi anco il Villani conferma il detto del 
Bruni, con queste parole : u Dante, infra V altre, fece tr& 
ry nobiH pistole ; V una mandò al reggimento di Firenze, do- 
» gliendosi del suq esilio sanza colpa ec. » 



217 



CAPITOLO SETTIMO. 



Dante a Gubbio e a Fonte Avellana.^Sua lettera ai car- 
dinali italiaid, Uguccione della Faggiuola signore di 
Pisa, e quindi di LiLcca. Dante a Lucca, Battaglia di 
. Montecatini. Terza condanna di Dante. Vien richia- 
mato' in patria ad umilianti condizioni, e ricusa. È oc- 
eólto in Verona da Cane Scaligero ; ed ei gli dedica il 
Paradiso. La' famiglia Paratico e il patriarca Pagano 
della Torte. Tesi sulV acqua e sulla terra, sostenuta 
da Dante in Verona. Dante in Ravenna presso Guido 
da Polenta, ti bolognese Giovanni Del Virgilio, Dante 
arftbasciatore per G^ido alla repubblica di Venezia. 
Toma a Ravenna. Sua morte. " 



[.1313-1321.] 



^ Non è a dirsi quanto V esule immeritevole (siccome chia- 
nava sé stesso l' Alighieri) rimanesse scorato per la fine im- 
natura e inattesa d' Arrigo, la quale troncava dalla radice 
)gni sua speranza. Ov' ei s' aggirasse pel corso di quasi due 
«mi, noi sapremmo dire con molta esattezza; pure con 
nolta probabilità può credersi, che dimorasse per alcun tempo 
ielle case de^ Raffaelli di Gubbio, e nel monastero di Fonte 
Wellana, situato non molto lungi di là. « Morto V impera- 

> tore Arrigo (dice il Bruni), Dante povero assai trapassò il 

► resto della sua vita, dimorando in varii luoghi per Lom- 

► bardia, per Toscana e per Romagna sotto il sussidio di 

> varii signori, per infino a che finahnente si ridusse a Ra- 
I venna; dove fini sua vita. » — ^ 



218 VITA DI DANTE ALIGfflERI. 

La famiglia RafTaelli, onde verso il 1280 nacque Rosone, 
era illustre ed antica, e di parte ghibellina. Come gli altri 
di questa parte, cacciato Bosone dalla sua città nel 1300, 
ricovet'ossi in Arezzo, ove suo padre era stato potestà negli 
anni addietro; è qui nel 1302 contrasse amicizia con Dante. 
Fu riammesso in patria nel 1311, ma ne fu ricacciato il 
primo ottobre .1315. Il Balbo si mostra incerto' nel determi- 
nare, se Dante fosse accolto da Bosone nel 1313-1315, ovvero 
nel 1318, quando quegli fu nuovamente riammesso alla pa- 
tria: ma poiché io ritengo, che Dante dai primi del 1317 
in poi, vale a dire dacché fu accolto dallo Scaligero, non 
tornasse mai più neir ombria ; così dico che a Gubbio e a 
Fonte Avellana egli fu negli auni 1^13-1315. Vuoisi anzi che 
Bosone non solo V accogliesse nelle sue case, poste nel quar- 
tiere di sant* Andrea, ma altresì nel suo castello di Colmol- 
laro, .situato presso il fiume Saonda, lungi sei miglia incirca 
^la detta città.* 

Costante tradizione è pure che il Poeta, dopo la morte 
d' Arrigo, quasi oppresso da' suoi tristi pensieri, si ritraesse 
per alcun tempo nel monastero deir Ordine camaldolense di 
Santa Croce di Fonte Avellana, situato nel territorio di 
Gubbio sul fianco dell'Alpe detta Catria; luogo orrido e so- 
litario> siccome pur viene descritto da lui medésimo (Pa- 
radiso; canto XXI, v. 106 e seg.) : • ^ 

Tra' duo liti d' Italia surgòn sassi, 
E non molto distanti ^lla tua patria, 
Tanto che i tuoni assai suónan più bassi ; 

É fanno un gibbo che si chiama ' Catria, 
Disotto al quale è' consecratò un ermo, 
Che suol esser disposto a sola latria. 

La camera, ove si tiene che abitasse Dante, e vi scrivesse 
parte del suo Poema, chiamasi tuttora la camera di Dante; 
e, sotto un busto di marmo rappresentante il Poeta, avvi 
in una parete la seguente iscrizione : 



CAPITOLO SETTIMO. 219 

Hocce cubiculuin hosp^d 

In quo Dantes Àligherias biai^itasso 

In eoque non minimam praBclari ac 

Pene divini operis sui partem conf- 

Posuisse dicitur undique fatiscens 

Ac tantum non solo aequatum - * 

Philippus Bodulphius 

Laurentii Nicolai Cardinalis 

Amplissimi &atris filius summus 

CoUegii praBSQS prò eximia erga 

Civem suum pietate refici hancque 

Illius effigiem ad tanti viri memo- 

Biam reVoc'andam Antonio Petreio 

Canon. Florent. procurante 

Collocar! mandavit ^ 

Kal. Mail MDLVII. 
Camald. Monaci re verius cognita 

Hoc in loco ab ipsis restaurato 
Posuerunt Kal. Nòv. MDCXXII. * 

Molto probabile si rende dunque, che Dante negli ultimi 
mesi del 1313, o ne' primi del 1*314/ facesse alcuna dimora 
in Gubbio e a Fonte Avellana. 

Non compiuti otto mesi dalla morte d' Arrigo (cioè verso 
la metà d' aprile 13U), morì Clemente V: pontefice, che non 
ebbe alcuna delle grandi qlialità di Bonifazio, ma ne ebbe 
tutti, ed in maggior copia 1 difetti. « Sono brutti l colóri 
) lasciati alla memoria di questo pontefice dagli storici (dice 
» il Muratori). Certo alcuni ne avrà inventati la malignità ; 
» ma indubitato è ancora, che un gran processo dovette 
> questo pontefice trovare nel tribunale di Dio, per la ma- 
Ti niera da lui tenuta in ottenere il pontificato, e per aver 
» privata della sua residenza quella città, di cui Dio ha fatti 
» pastori particolari i sommi pontefici. Fu anche accusato 
» di non aver conosciuto misura nell' arricchire ed ingran- 
% dire i suoi parenti, nel ridurre in commenda tanti mo- 
» nasteri, e neir ammassar tesori anche per illecite vie ; te- 



!220 VITA DI DANT'E alighieri. 

» sori che dopo la sua morte 'andarono tutti a sacco, colla 
» giunta di quel deforme spettacolo, che viene asserito da 
» fra Francesco Pipino per.relazione di chi v' era presente ; 
» cioè, che di tante sue ricchezze appena potè trovarsi uno 
» straccio di veste da coprirlo; e morto, restò talmente ab- 
» bandonato da tutti i suoi, intenti allo spoglio, che il fuoco 
» caduto da un doppiere gli bruciò una parte del corpo. 
» Raccontano ancora gli storici, che uno de' Templari, con- 
» dotto fin 4a Napoli alla corte pontificia, e condannSTto al 
» fuoco, benché si protestasse innocente, citò al tribunale 
» di Dio il papa e il re Filippo, entro lo spazio d* un anno, 
3 a render conto di quella ingiustizia ; e che non finito 
3 Tanno, amen due mancarono di vita {Filippo il Bello mori 
il 29 novembre; sette mesi dopo eh' era morto Clemente), 
1 Quand' anche fosse vera una tal citazione, noi non dobbiam 
1 per questo attribuire ad essa la morte del papa, perchè 
» troppo scuri sono al guardo nostro i giudizi! di Dio ; ma 
» essendovi chi nega questo fatto, quasiché non: si combinino 
3 i tempi, si vuole osservare che nelT arino precedente alla 
» morte del papa e del re due Templari, ed altri nel presente,' 
» tutti costantissimi in asserir sé stessi innocenti di quei 
» misfatti, de' quali erano incolpati, furono bruciati vivi in 
> Parigine però poter forse sussistere un sì fatto racconto, i 
Morto pertanto Clemente V, i cardinali in numero di 
ventiquattro s' adunarono in conclave a Carpentras, città 
della Provenza. Sei soli fra di essi erano italiani; cioè. Na- 
poleone Orsini, Jacopo e Pietro Colonna, Niccolò da Prato, 
Francesca Gaetani e iSuglielmo Longo : tutti- gli altri erano 
francesi, o d' altre nazioni e devoti al partito francese. 
Ammaestrati dall' esperienza delle passate sventure voleano 
i primi far si, che venisse eletto in pontefice alcuno di loro 
nazione, il quale, riportando la sedia apostolica in Roma, 
ponesse rimedio a' mali, che laceravan la Chiesa e l' Italia. Ma 
troppo forte era il partito contrario, cioè quello de' Gua- 
sconi ; da cui era uscito il precedente pontefice, e cui con 
nuovi aderenti avea questi cercato d' afiforzare : laonde a 



CAPITOLO SETTIMO. 221 

ragione temevasl che nel contrasto gì' Italiani potessero re- 
star soccombenti. 

Dante^ a cui più che ad ogni altro doleva il vedere, come 
la prepotenza francese andasse sempre più malmenando le 
cose d' Italia, prese a scrivere a' cardinali italiani/ che già 
trovavansi in conclave, una lettera, la quale, se contiene 
acerbe • rampogne pei non lodevoli fatti lor precedenti, li 
conforta e li eccita a procurare il bene della Chiesa e d' Ita- 
lia^ nominando un papa italiano. Questa lettera dovè essere 
scritta da Dante ne' primi mesi della vacanza pontificale, 
cioè prima che fosse appien manifesta V impotenza de' car- 
dinali italiani; vale a dir prima della violenza, che fu loro 
usata dal partito guascone nel 14 luglio 1314. Ma donde ei 
la scrivesse noi sappiamo : forse da Fonte Avellana, forse da 
Pisa da Lucca ; ma ciò poco monta ; e solo è importante 
CMioscerne il contenuto. Dopo aver premesse quelle parole 
di Geremia : Quomodo sola sedei civitas piena populo : facta est 
quasi vidua domina gentium; comincia. dal sigtiificar loro 
come la cupidigia del sacerdozio era fino ab antico stata 
quella, che avea portato fra' popoli lo scompiglio e la rovina ; 
dando cosi occasione a' Giudei e a' Gentili d' irridere alla 
nostra santa religione, e di proferir con tr' essa orrende be- 
stemmie. E perchè egli è attaccatissìmo alla religion cattoli- 
ca> cosi prova estremo dolore nel mirar Roma, la sede di 
quella, abbandonata e deserta, e nd veder la piaga deplora- 
bile delle eresie. Prosegue rampognando gli ecclesiastici del 
condurre per falso calle la greggia de' fedeli dì Cristo, e del 
fkr mercato delle cose più sante ; ed esortandoli a non volere 
stancar la pazienza di Colui, che a penitenza ai^ettavali. Dopo 
aver ribattuto le possibili obiezioni, con dire non esser lui un 
novello Oza, poiché quegli distese la mano all'arca pericolante 
egli ai bovi calcitranti, né la fenice del mondo, conciossiachè 
tatti conoscano quelle cose di che faceva lamento ; grida che 
vergogna ior prenda dell' esser ripresi non già da un messo 
celeste, ma da un misero uomo qual egli è. Volge infine la 
parola ai cardinali Orsini e Gaetani, dicendo loro che vogliano 



222 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

tener presente agli occhi la misera Roma straziata da nuovi 
Annibali, sola, vedova, e d' ambedue i suoi luminari (il papa e 
l'imperatore) destituta ; e mentre non cessa dal rinfacciar loro 
le male opere,.li conforta all' emenda, animandoli a combattere 
a prò della sposa di Cristo e d' Italia, ed a far si che, uscendo 
vittoriosi del combattimento, l'obbrobrio de' Guaschi, i quali 
di tanto furibonda cupidigia accesi, intendono ad usurpare la 
gloria de' Latini, resti a' posteri in £sempio per tutti i secoH. 
Or perchè le parole del nostro Dante non si ritengano per 
troppo acri, dirò che per la concorde testimonianza di tutti 
gli storici appariscono indubbi! i fatti, ai quali vuol fare allu- 
sione. Che il guascone Clemente V, a venire eletto in ponte- 
fice, facesse uno sconvenevole e vergognoso accordo con Filippo 
il Bello, lo dice pure il continuator del Baronio (anno 1305); 
appoggiandosi non solo alle parole del ViUani, che nel capi- 
tolo precedente riportammo, ma a quelle pure di sant'Anto- 
nino, del biografo dello stesso pontefice, della Cronaca di 
Martino Polono e di altri. Di quante calamità affliggesse poi 
Clemente la Chiesa e l'Italia, oltre all'orrendo massacro 
de' Templari, e al disconveniente traslocamento della sedia 
apostolica, lo udiremo da un testimone oculare ; cioè dal car- 
dinale Napoleone Orsini : Urbs tota sub eo etpereumtxtremm 
ruince subjacuit, et sedes Beati Petri, immo Domini nostri 
Jesu Chrisli, disrupta est, et patrimonialis non per prwdones 
potius quam per rectores spoliata estj et adhuc sulbiacet vasti- 
tati, Italia tota, ac si non esset de corpore, sic quoad omaia^ e^ 
neglecta, immo dolosis anfractibus et comminatis seditianUms 
dissipata, quod posset fides Christi in threnis Eieremim rena- 
vare lamenta. Nam quasi nulla remansit cathedralis Ecclesia, 
vel alicuius ponderis prebendula,'quee non sit potms per- 
ditioni quam provisioni exposita, ^am omnes quasi per em^^kh 
nem et vendiUmem, vel carnem et sanguinem, possiden^biu, 

immo vsurpantibtAS, advenerunt Nos italici, qtU ipsum ÌHh 

num credentes posuimus, sictU vasa testea reseli fàiwms. 

Nunc volens Ecclesiam reducere ad an^ulum Vasco- 

nim, talia quce scimus prò certo concepenU, si jam ùrdimw^ 



CAPITOLO SETTIMO. 223 

ì^at, quod vere se ipsum, si complesset, et Ecclesiam destruxisseL 
Vani peraltro in un colle parole di Dante caddero i voti 
e gli sforzi degli Italiani^ troppo forte e prepotente essendo il 
partito de'. Guasconi^ cui rendeva ancora più forte V influenza 
ambiziosa del re di Francia. Poiché^ stando i primi férmi nel 
volere eleggere a pontefice un italiano di probità conosciuta^ 
che a Roma in un coli' ordine e colla pace tornasse V aposto- 
lica sedia^ e posto avendo lor mire sopra il cardinal Gugliel- 
mo Longo, vescovo di Preneste; i secondi, sostenuti da' lor 
fautori, irruppero annata mano nel conclave, e, minacciando 
di morie i cardinali italiani, gli costrinsero tosto a sgombrare. 
Per lo che rifuggitisi a Valenza, né più cogli altri volendosi 
ricongiungere, restò la Chiesa vacante per più di due aimi, 
finattantochò, indotti dalle.lusinghe de' principi francesi, nò 
potendo altro di meglio, convennero in Iacopo cardinale, ve- 
scovo d' Avignone, che si nomò Giovanni XXn. 

Comunque la lettera di Dante riuscisse vuota d' eifetto, è 
in tanto per noi interessante, in quanto serve a darci una 
più piena idea deUe opinioni del ghibellino scrittore. « Im- 
) perciocché (dice il conte Balbo) siccome il vedemmo nelle 

> lettere precedenti, nel Poema e nella Monarchia, deside- 

> rare la venuta a Roma dell' imperatore, cosi lo veggiamo 
) qui desiderare e sforzarsi di procacciare la tornata del papa. 
» N^ certo questo era desiderio da Ghibellino estremo: che 
f quantunque i papi non fossero stati ultimamenti i veri capi 
) di parte guelfa (eranlo i principi francesi), tuttavia n' erano 
» i personaggi principali, ed essa non potea non rinforzarsi 
% per loro tornata. Il desiderio di Dante mostra, se non altro^ 
) esser egli stato mosso meno dagl' interessi particolari della 
» parte, che non da quelli più generali, qui ben intesi da lui, 

> dell'Italia e della Cristianità. E forse gli tornavano in 

> mente, a malgrado della sua ira contro i papi, i tentativi 

> loro, per mezzo de' lor legati, in favore de' fuorusciti ; e 

> qualche speranza gli rinasceva, che per un nuovo papa ita- 

> liano siflàtti tentativi si rinnovassero. Ma foss' egli più o 

> meno diànteressato^ qui ad ogni modo si vede chiaro il suo 



224 VITA DI DANTE ALIGfflEUI. 

» desiderio imparziale per V uno come per V altro de' due, che 
» stimava legittimi ornamenti e capi della nazione italiana, è 
Pisa (siccome vedemmo) era sempre devota al partito im- 
periale, ed in Pisa (siccome fu detto) venne portato il corpo 
del defunto imperatore, là riducendosi gli avanzi del suo 
esercito; e dico avanzi, poiché i suoi coUegati, e i sigm^i 
che lo seguivano, se ne tornarono, morto lui, alle proprie 
dimore. • In Pisa venne pure Federigo re di Sicilia, il quale 
fino da quando scese Arrigo in Italia, gli si mostrò favore- 
vole, e lo aiutò sempre con un'armata di piare. Ora i Pisani, 
trovandosi quasi che soli del partito ghibellino in Toscana,, e 
vedendosi esposti alle ire de' Guelfi; pensarono per lóro sal- 
vezza di oflerire a Federigo la signoria della loro città. Ma 
r aragonese, sia per viltà, come. gli rimprovera Dante (Pa- 
radiso, canto XIX, v. 43a) : 

Yedrassi T avarizia e la'viltadó 
Di quel, che guarda l' isola del fuoco ; 

sia perchè pensasse essere stolta cosa mettere, a periglio sé 
stesso per salvar altri, ovvero perchè (come alcun pensa) 
avesse già volto l' animo a comporsi col re Roberto, si ri- 
fiutò, dicendo : Foie, o fratelli, come potete : fate secondo ac- 
cennano le condizioni de' tempi e V impeto della fortuna. ^ 
Chiamarono allora come loro signore Ugucjcione della Fag- 
giuola, il quale, avendo sempre seguito l' imperatore, era 
stato da lui poc' anzi inviato suo vicario in Genova. Ed egli 
verso la fine d' aprile 1314 condottosi là con una buona ma- 
no di suoi soldati, e là trovatovi mille cavalieri tedeschi, che 
i Pisani aveano preso al loro soldo di quelli eh' erano stati 
con Arrigo, venne formando un assai discreto esercito, e 
mosselo tosto contro i Lucchesi, chiedendo loro due cose: 
primieramente, che restituissero ai Pisani tutte le castella 
che ne' tempi innanzi avessero loro tolto ; secondariamente, 
che riammettesBero in Lucca gli espulsi GhibeUini. 

Ifa chi era questo guerriero, che rialzò e tenne alta per 
due interi anni la bandiera de' Ghibellini, e che fa tanto 



CAPITOLO SETTIMO. 2:25 

ii^néco <del nostro Alighieri? Lo udiiemo dall' Amoiiratò : 
< Era Uguceigoo uoma di fièra vista, molto grande e robu- 
i> sjtD del corpo, e per questo adoperando armi grandissime 
» « di maggior peso, che gli altri liGonijii comunalmente .don 
» costumavanft; talché parca che l' ardire e le (orz^ sue.fos- 
» sero più che umane. E andava molto per le bocche degli 
» uomini un fatto suo molto, illustre :. che essetìdo in una 
'» caria ba^tt^glia fatta a Cerone. abbandonato ,da*suoiV e poco 
» meno che posto in . mezzo da' nimici, egli, .ferifo in unp 
^^ gamba e ammaccatogli graodemente . la celata, valorosa* 
» mente ritirandosi riportò a' suoi in un targone lungo da 
» pedone qu.attro partigiane e tredici verrettoni, tirati ^a 
» balestre < piccole; » Oltre di' questo. Io storico Albertin 
Mussato, che il conobbe di persona, riferisce che con un' elo- 
quenza più naturale che studiata sapeva. cattivarsi i cuori; 
eh' egli' era ilare- d' aspietto, pronto nelle i^isposte, ed acuto 
ne' motti, Onde ebbe, a dire il Troya, che non fu egli men 
gentile clie valoroso, poiché ed era affabile nel conversare, e 
teneva in pregio gli uomini di lettere ; e alla robtistezza del 
corpo linlvasi in lui l' ingegno ,é l' arte del favellare,, per la 
quale infondeva il coraggio nel petto de- suoi soldati. 

Non potendo i Lucchesi resistere ù\V impeto .d' UgucQio- 
ne, restituirono i. castelli e rimisero in città i fuorusciti; ma 
ne avvenne quello, che per fatti consimili epa altrove avve- 
nuto, cioè che i riammessi voleano a lor volta cacciare gli 
awersarii. Gombattendosi dunque i ^dùe partiti per le vie 
di Lucca," il li giugno v' entrò Ugupcione, e ne cacciò i 
Guelfi e il vicario ^ re Roberto. Quindi Lucca fu signoreg; 
giata da Pisa, e Pisa e Lucca da Uguccione ; il quale in que- 
sta città mise potestà Francesco, uno de' suoi figli, mentre 
Neri, altro suo figlio, insignorivasi di Borgo San Sepolcro. 

A Lucca pertanto, ridottasi a parte ghibellina e signoreg- 
giata dall'amico Uguccione> sen venne. Dante nella seconda 
metà del 1314; e qui dimorò fino a che Uguccione non ne 
perse la signoria. Qui scrisse Ja terz' ultiìoia parte del suo 
Purgatorio, e qui s' innamorò di quella Gentucca, alla quale 

Daktk. — Vita, 13 



2^ VITA DI DANTE AI^IGHIERI. 

accenn^t nel canto ^X4V, v. Wo seg. di quella cantica. Bo- 
nagiuiita Urbiciani . lucchese, tPoVatore coB^empofanciD di 
Dante, viene dal Poeta incontrato 'pel sesto balzo -del Pu^ 
gàtòrux Egli nriortnorara tra sé-: Genturek, ÙèfUucca. ì^- 
chiestó dair Alighieri a palesargli fi signiflcafb di qpiella pa- 
role; Vi' ha um.femrhina (rispose) e non p^tà'tuf^or he^da, 
raìfe à'dife/ ed al presente (30 marzo i300) è asaàì) ( ^ A MS , 
la "^imU fdfàtti un giorno piff^cèTe In mia città, dncorchè ei 
si(f talunoi <^e- or la riprenda e la ^rto't ; intèndendo del- 
l' istes^ Dante, il quale nel canto XXI dell' Inferno aveia qua- 
lifiéafcJi Lucchési per haratticfri": ' -^^ ' - ' 

]Ma come fa chi gqjarija, e poi. fa ^rez^a 

Più d' un che* d' Altro, fé: ip a quel da Lucca, , - 

Che più parca di me voler contezza. 
Ei mormo»ray^-, e-non sO'ChcL Greniuccà 

Sentiva io là,vov\ei sontia là piaga . . ., 

Della giustizia, che si gli piluQpa,, 
anima, diss' io,, che. par* sì vaga 

Pi pairla^ mqcò, fa' si eh' io t' intenda ; 

E te è me eoi tiro parlare appaga. ^ 
i'emmina è' nata, .e non porta ancor benda ^ 

Cominciò ei, che ti farà pia^érij^' 

Là mia città, come eh' uq^Ì'iIS? nprenda/ 
Tu te n' andrai cofii qWtó'^Jtófivedefre*: 

Se net mio mòrmcOT» prendesti error'e, ' • * ' 

Dichiareràriti ancor le cose vere. 

n ^nso contenuto in queste frasi è chim*o abbastanza: per 
esse vien significato, cheT affetto che Dante a^èbbe un di 
sentito per Gentucca, disacerberebbe lo sde^fM^^concetto dal 
Poeta contro la patria di lei. Ed in ^ratstiixkff^nto di tale 
leggiadra femmina piaciutogli il soggiornò di Lùcca,'yo]1e in 
certo modo espiar quello sdegno, per mezzo del gentile arti- 
fizio della predizione di Bonagmnta. Che se in mezzo* alla ca- 
ligine deir antichità (dice il conte Ti^ya) può credersi alle 
congetture, le sopravviventi memorie di Gentucca, moglie 



CAPITALO -SETTIMO. ^ 227 

di Sernsardo McNrla deigU Antelminelli AUucinghi^ farebbero 
'sospettare che iu ella colei^ la qaafó tanto sull'Alighieri potè.' 

• Di dijhe co^ importanti città diventato -signore Uguccìone^ 
vàlgeva r aaimo ad imprese maggiori; ed anèo senza gK sti- 
moli del suo amico Alighieri vedeva beney che. ad assicurarsi 
ngi potwe, e a dar maggior consistenza alla parate imperiale, 
taceva d'uopo4)^n tosto di muover guerra a Fir^inze. Or 
duoqua.a l[)nncipio dell' anno seguente irruppe, nel terriitH*io 
pistoiese, pi^r riconquistare quei castelli, che, dopo, la resa di 
Pistoia' divisi fra LUèca e Firenzey/avevano i Fiorentini nel- 
r anno :av4mti usurpati-,. RiojCcupatine.,paréfcchi> e colle sue 
soonrerie giungendo fino a Carmignaào, a dieci mjglia da Fi- 
renze, pose assèdio a Montecatini in -Val di Nievole. L' irrom- 
pere d' Ugucerone non solo nel pistoiese iha nel fiorentino, la 
sua audàoia, la quantità delle forze che ave^ seco, incussero 
gran paura ne' FicHrentipi; i quali scrissero lettere a tutti i 
loro confederati ed amteì dicendo lóro, come Uguccione della 
Faggiuola coniforlissinK) esercito diiTedeschi,^ Pisani, Lucchesi 
e altri Ghibellini d' ogni parte raccolti, s' avanzava contro Fi- 
renze: li richiedevano perciò, die accorressero tòsto al loro 
socoorsQ isuccurrite iVjfi/iir (dicevan loro) ; nobis enim magnw 
necessitatis oasus ìHCumbit, et maximum ino'(nni modica mora 
periculum vertiV Vennero pertanto aiuti d'ogni parte; e 
Impna schiet^ (M cavalli mando Roberto di Napoli insiem con 
due suoi fratelli Filippo e Piero, ed .un suo nipote, Carlo figlio 
di Filippo; tantodiè'ì Fiorentini poterono mettere fnsieme 
un esercito si nella qualità che nella quantità (3200 cavalli 
e '25000 fanti) non inferio&re,- anzi.piut tosto superiore a quello 
dell>vversario (iì500 cavalli e ^tìOOO fami). Ma ai. Guèlfi 
mancava un capitano, e 1 Ghibellini avevano Uguccione. 

: 11= 6 agosto Ì31J5 mossero dunque i Fiorentini il loro eser- 
cito, e si postarono in sòl torrente Nievole, di fianco all' ac- 
campamento d' Uguccione, che (com' ho detto) assediava Mon- 
tecatini; e quivi stettero scaramucciando più giorni. Ma 
considerando Uguccione, che il luogo ove trovavasi non era 
of^rtuno per lui, sia che gli piacesse o gh fosse necessità 



"ìiS VITA DI DA^TE AUGUIGRI. 

far battaglia, sia che volesse rHrarsi a Pisa, la niaUiua del 29 
levò le tehde e venne sai fUime con intenzione?,- che, se il 
nemico non si movesse, egii T avria valicato; ed aviebbesi 
acquistato il modo- alla ritirata: se si fosse mosso, avrebbe 
avuto la scélta del campo. « Quasi tutta Italia era commossa 
» (nota bene V Ammirato) circa V espettazione di quello^ che 
)) avessero a fare questi due eserciti, da' quali parca che 31 
» contendesse non tanio di .Montecatini, ma qual delle due 
» fazioni, guelfa ghibellina; avesse a prevalere in lialia: 
» €hè gli uomini versati in quella cognizione, che abbraccia 
» la memoria delle cose passate^ sapeano per la giornata del- 
» r Arbia essere per alcun tempo stata abbattuta, e quasi 
y> che spenta, la'fazion guelfa. > • ..- 

Il principe Filippo, capitano de' Fiorentini, veggendo che 
Uguccione apprcstavasl a valicare il torrente, mandò le 
schiere de' Sanesì e de' Colligiani ad impedirglielo; e questi 
spinse lor contro, 150 scelti cavalieri, alla testa de' quali 
pose lo stesso suo figlio Francesco, e Giovanni Giacatti Mali- ' 
lispini, fuoruscito fiorentino, che portava la bandiet^ impe- 
riale. Air urto impetuoso non ressero i Sanesi : si ,disordiDa- 
rono e s' aprirono : ma dietro ad essi stava tutta la caval- 
leria fiorentina e quella del re Roberto ; onde que' 1^ pwK- 
di, quantunque combattessero ferocemente, vi riosaserò 
quasi tutti spenti. Veduto Uguccione che quella sua prima 
schiera, apertosi vrtlorosameute il passo, erasi pel sup ardore 
troppo inoltrata e gran pericolo correva, inviò tosto in soo- 
corsfO ttttta^ la scliiera de' cavalli tedeschi (ed erano 800) che 
avea sqco; ma essi non giunsero che alla vendetta. E poco 
stante, saputo della morte del figlio, e veduto la sua cavat 
leria urtare impetuosamente quella del nemico, spinse tutte 
r esercito alla battaglia. Nel medio evo non fu mai batta- 
glia in Toscana pari a questa : grande pur fu quella dell'Ar- 
bia, ma poco contrastata ; è qui fanti con fanti, cavalieri con 
cavalieri lunga pezza e ferocissimamente combatterono. .Co- 
minciarono finalmente a piegare i collegati de' Fiorentini, 
quindi tutto Jl loro esercito, e la vittoria si dichiarò' total- 



CAPITOLO SETTIMO. 229 

mentfe per Ugucciono; Duemila e più morti vi Icisciarono i 
Guelfi: soli 1500 i prigióni, lo che fa prova del furore ct)l 
quale si cohiballè: fra i' morti il principe Piero, fratèllo del 
re Roberto, e il principe Carlo suo nipote, i connestabili Ga- 
roccio e Brasco d' Aragona, il conte Carlo di BattifoUe ; e 
non vi fu quasi casa in Firenze popolana o grande, che non 
perdesse alcuno de' suoi : « in Firenze, in Bologna, In Slena, 
» in Perugia e in NapoH (dice V Ammirato), per il piant() 
» de' cittiidini perduti, tutto- il popolo m' vestì a bruno.^ » 
E quantunque Uguccione, oltre la priròa sctiiera de^ 150 ca- 
valli, non vi perdesse molta gente, pure la vittoria hon fti 
per lui troppo lieta, poiché vfpci*dè ilsuoilìglio Francesco, 
giovine valorcfeo e di belle speranze.' 

Che Dante, il ^[uale allora avea passato icinquant* anni 
d'età; e s'èra dato tutto allo studio, prendesse parte iii- 
siém ^ol suo axfìiico alla battaglia di Montecatini, non è da 
credersi; ma che in qualche modo partecipasse a quegli 
eventi -e alle speranze^ che ne sorgevano, non è punto da 
dubitare. Infatti veggiamo che due mesi appresso (cioè il 
8iiov.^mbre) fb per la terza' volta, e se si aggiunga la ri- 
forma di Baldo d' Aguglione, per la quarta condannato. La 
sentenza fu data da Ràniew di' Zaccaria d' Orvieto, vicàrio 
.del re Roberto, che i Fiorentfni aveano nel 1313 eletto a lor 
signore per cinque 'anni, e che poi confermarono per altri . 
tré. iPerchè, secondo il solito, non si era presentato a- pagar 
la 'multa, e a dar sicurtà dell'andare e stare a' confini (ed 
ecco la riprova ch'egli era a Liicca), lo condanna il, vicario 
a perder la testa per mano del carnefice: si in nostrani vel 
Conithunis Florenliae prliam dévenerint (cioè. Dante e gU 
• altri insiem con luì condannati) quod ducantur ad locunijusti- 
Hai,' et ibi eisdem caput a spatulis amputetur ita quod penitus 
moriantur, E perchè eglino non si possano gloriare della loro 
contumacia {ne-de eorum contumacia glorientur), dà facoltà a 
chiunque di offenderli impunemente nell' avere e nella per- 
sona. Ma quello che ha di più notevole in questa sentenza 
si è, che Dante è condannato unitamente a tutti i suoi figli 



!230 VITA DI BANTE AUGHIEIII. 

(Dantem JÌde§herU et filios). Che cosa avessero faUo t figH 
di Datfte; sei sapeva solo 11 vicario di rè Rotorto, il cavàUer 
panieri di Zaccaria d' Orvieto. • 

Poco pensiero peraltro doyè prendersi Dante di questa 
nuova condanna, finéhè Uguccione restò signore di Pisa e di 
Lueòdw Ma questi, invece d' approfittare di quella sua splen- 
dida vittoria, e tentar di spengere il nome guelfo in Tosca- 
na, si diede tutto ad, assodare la sua. signoria, sì che quasi 
convertiBa in tirannide: imperocché^ fatti prendere Ban- 
duccio Buonconti ed il suo figliuolo, onorevoli cittadini pi* 
sani, che cercavano attraversarlo ne' sueir^visai)fienti, e ap- 
posto loro di tener traltaio col re Roberto, gli fece tòsto 
decapitare: ondechè i nemici che avea in Pisa, invece 41 
diminuire, s' accrebbero. Poqo apprèsso Neri delia Faggiuo- 
la, succeduto nella potesteria di Lucca al fratello morto a 
Montecatini, fece prendere e condannare a jftiòrte Caslruccia 
Castracani, perchè avea poste a ruba in Lunigt£^a< certe ca- 
stella di Spinetta Malaspina, amico d'Uguccion^-: lo'ché;j^8C 
fece con giustizia, non fece con molta , prudenza, peirchè 
Castruccio era de' principali cittadini di Lucca,, e lion meno 
amato di quello che. fossero odiati i Faggkiolani. Udita quella 
condanna, i Lucchesi si levarono a tumulto -per liberare il 
condannato, e Neri cercava difendersi contro il furor popo- 
lare. Mandò tòsto al padre per aiuto; ma non potè regger 
* tanto che l' aiuto giungesse, e fuggì. S' era già mosso Uguc- 
cione da Pisa per soccorrere il figlijuplò, quando i nemici 
suoi, con a capo Coccetto del Colle, corsero' al suo palagio e 
r incendiarono ; uccisero .tutti i suoi familiari^ mutarono i 
rettori della città, e né fecero signore Gaddo della Gherar- 
desca. Così in un giorno solo (e fu il 3 aprile 1316) Uguccio- 
ne perse ambedue le città. « Questo fu il guiderdone (esclama 
» il guelfo Giovanni Villani) che lo ingrato popolo di Pisa rendè 
% a Uguccione, che gli avea vendicali 4i t»nte vergogne, e 
» racquistate tutte ioro castella e dignità ; e rimisigli tìel màg- 
» giore stato, e più temuti da' loi*o vicini, che città d' Italia, » 
Dove refugiossi allora r Alighieri ? Noi sappiamo affetto; 



CAPITOLO. 3ETTIH0. 231 

ma poiché Uguccìoue eoa alquanti soldati^ che gli «raiii ri- 
maci fedeli si portò (secondo che gli storici narrane)^ in Lu- 
nìgiana presso il- ^uo amico Spinetta Malaspina^ sarebb' ella 
ardita- ipotesi il supporre^ che in Lunigiana si portasse pure 
il nostro-Poeta ; in Lunigiana, ove altre due yolt^ i^ra stato 
accolto cosi amichevolmente? 

Per la fuga del Faggiuolano eFano. i. Fiorentini^ insìem con 
tutto il partito guelfo di Toscana> rimasti liberi d' ogni timo- 
re ; tanto più .poi, che avendo, fatto pace con Pisa, satto 
Gaddo dj^ Gberardesca diventata guelfa, (e già' nel 13,14 
pacificatisi con Arezzo), non aveano om^ per nemici clic i 
Lucchesi, perchè àllor signoreggiati da, Ciastruccio eh* era di 
parte ghibellina. Rimosso allora ser Landò da Gubbio, uomo 
d' indole troppo fero<:e, dall' officio di lòr potestà, elessero a 
quello, col consentimento di reRoberto^ nell'ottobre del 1316, 
il conte Guido da BattifoJle; ^^ e due mesi appresso, sotto il 
reggimento di lui, fecero uno stanziamento, pel quale con- 
cedetesi facoltà a quasiché tutti i fuorusciti e banditi di po- 
tere a certe condizioni rientcìre in Firenze. *•* Epno le con- 
dizioni : (Jovet pagare una certa sonuna, e quindi umili e di- 
messi, con mitere in capo (segno dMnfamià), ,e tenendo un 
cero nelle, mani, andar processionalmente, dietro il carro 
della zecca, alla chiesa di san Giovanni; e quivi far 1'; offerta 
al santo in espiazione de' loro, delitti. Era una costumanza 
antica de' Fiorentini il graziare alcuni màlfattof*], offerendoli 
ai santo Ipro patrono; tna il^ottoporrp ora i fuorusciti poli- 
tici ad una QondizioQC, che pareggiavali ai ladjri e agli omici- 
di,; era un voler loro far pagar troppo cara la grazia. Pur 
aonostante molti compagni d'esilio dell'Alighieri, siccgme i 
Tosinghi, i Rinucci, i Mannelli,, si piegarono alle umilianti 
condizioni; e nella festività di san Giovanni (il 24 giugno 1317) 
conseguirono la loro affrancazione. Ma non si piegò quegli 
che molto più sentiva la propria dignità, cioè Dante ; e ad 
un frate suo congiunto, *^ che di quello stanziamento gli 
diede notizia, pregandolo al tempo stesso di voler ritornare, 
nobilmente rispose siccon^e appresso. 



232 VITA pi DANTE ALIGHIERI. 

. « Dallo vostre lettere, colla debita riverenza ed affezione 
» da me ricevute, io ho con diligente considerazione e con 
» grata animo appreso, quanto vi stia a cuore il rftiò ritortìo 
» alla patria : per lo che io vi sono tanto più strettamente 
» obbligato, quanto più raramente incontra agli esuli di riiro- 
» vàr degli amici. Pertanto al significato di quelle rispondo; 
» e, sé là risposta mia non fosse.mài tale, quale la pusillanimità 
» d* atòUni vorrebbe, affettuosamente vi prego, che, priachè 
» dannata^ sia da voi considtTata òon maturo consiglio. 

» ficco dunque ciò> che per le lettere del vostro e mio 
» nipote, non che d(' altri parecchi amici, mi è stato signifi- 
» cató intorno lo stanziamento tèste fatto in Fiorenza, sopra 
5) V àssoluìjion de' banditi : che s' io voglia pagare una certa 
» quantità di denaro, e patir l«i vergogna dell' oblazione, io 
» possa nmanermi assoluto, e di presente ritornare. Nel che, 
» per dir vero, sono, o padre, due cose ridevoli e mal ponde- 
» rate :'dico'mal ponderate per coloro che così s* espres^- 
y> ro, dappoiché le lettere vostre, e più discretamente e più 
» assennatamente concepito, nulla di simile contenevano. 

)) È egli adunque questo il glori^eso modo, per cui Dante 
» Alighieri si richiama alia patria, dopo V affanno d' un esi- 
y> Ho quasi trilustre ? È questo il merito dell' innocenza sua 
y> ad ognun manifesta ? Questo or gli fruttano il largo sudo- 
i^re e le'fatiche. negli studli durate? Lungi dall'uòmo fami- 
» liare della fdosofia, questa bassezza propria d' un cuor di 
» fango,. eh' egli, a guisa d'un certe Ciolo e di altri uomini 
» di. mala fama, patisca,.- quasi malfattore fra lacci, venire 
» offerto al riscatto I Lungi dall' uomo banditor di giustizia, 
» che egli, d' ingiuria offeso, ai suoi offensori, quasi a suoi 
» benemerenti, paghi il tributò ! 

>> Non è questa la via di ritornare alla patria, o padre 
5) mio ; ma se un' altra per -voi, o per altri se ne troverà, 
y> che la fama e 1' onor di Dante non sfregi, io per quella 
» mi metterò prontamtjnte. Che se in Fiorenza per via ono- 
y> rata non s' entra, io non entrerovvi giammai. E che? noil 
» potrò io da qualunque angolo della terra mirare il Sole e 



CAPITOLO SETTtMO. 233 

j^'ìe stelle? non potrò io sotto ogni plaga del cielo moditcìn» 
» le dolcissime verità, se pria non mi renda uom senza glo- 
» ria^ anzi d' ignominia, in faccia al popolo e alia pitta di 
jr Fiorenza ? — Né il pane, io confido, verrammi meno. » 

Co^ rispose il grande Alighieri ; e lasciando ogni cosa di- 
letta, non lasciò V altezza dell* animo, e i savii gli plaut^iroho. 
E veramente non è concesso per ricuperare la patria il par- 
tirsi dair onestà, e farsi vile : vuoisi anii soflferlre o^i affan- 
no, che perdere il conforto dell* innocenza; pdchè l'inno- 
cenza non si lascia dentro le mura della patria, non nella 
propria cosa, non ne' superbi palagli, ma èssa e la còstanz?r 
e la magnanimità e la sapienza si portano secò nèir esilio, 
nel carcere, e sotto il carnefice, essendo elleYio Virtù, che non 
rifiutano né dolor né supplizio. A questa epistola, eh' è 
un' apologia della vita di Dante, poiché da essa apparisce la 
sua innocenza, lo studio continuato della filosofia, la cura di 
serbarsi in buona fama e in decoro; e che al tempo stèsso 
dà riprova della grandezza dell' ànimo suo ; alludeva il Boe* 
caccio, quando nel raccontare il fatto dello stanziamento v 
la disdegnosa ripulsa di Dante, disse-: « tu il nostro Poeta 
» d' animo altiero e disdegnoso; tantoché corcandosi per alcun 

> -suo amico, eh' egli potesse ritornare in Firenze (il che egli 
» sopra ad ogni altra cosa sommamente desiderava), nò tro- 
y vandosi a ciò ^Icun modo Con coloro li quali il.''governo 
>' della repubblica allora avevano nelle mani, so non uno, il 
» quale era questo : che egli per c^rto"' spazio stesse ih pri- 
» gione; e, dopo quello, in alcuna solennità pùbblica si fosse 

> misericordiosamente alla nostra prìnqipal chiesa óffèirtp, e 
» per conseguente libero e. fuori d'ogni condenna^ione.pfcr 
» addietro fatta contro di lui, n' andasse ; parendogli que- 
» sta cosa convenirsi e usarsi in qualunque è depresso, e ad 

> infami uomini e non ad altri ; perciò al suo ihaggior desi- 
» derio dato bando, prima elesse di stare in esilio, anziché 
» per cotale via tornare in cJisa sua. y> E sì dicendo il Boc- 
caccio, tocco dalla magnanimità dell' Alighieri, non può te- 
nersi dall' esclamare :. « Oh isdegno laudabile di magnanimo. 



234 ^ VITA DII>ANTC ALiGHIERI. 

:» quanto virilmente operasti^ reprimendo \o ardente disio 
» del ritornare per via meo cbe degna ad uomo nel grem- 
»-bo della, filosofia nutrlcatol » 

Era a quel tempo signor di Terpna Cane della Scala^ b^ 
giovane di 25 anni^ rinomato per ricchezze e liberalità^ e 
dato tutt(> al partito ghibellino. Era il più giovine de' tre 
figll^ ehe.Àlberto^ morendo n^l 1301^ lasciò: onde a lui suc- 
cèsso il maggiore (Bartolommeo) e morto nel 1304^ sìAeit- 
tra il secondo (Alboino) il quale^ essendo cagionevole di sa- 
lute^ nel 1308 si. associò nella signoria quésto suo minor 
fratello^ cM Cane, Ma nel 131 i essendo morto pure Alboi- 
no^ rimase Cane solo^signof di- Verona: in questo stesso 
anno tolse .Vicenza ai Padovani, aiutò Arrigo VII s\V assedio 
di Brescia, e lo segui fino a Genova. Morto queir imperato- 
re, $ì difese bravamente da^ Guelfi circostanti, com' erano i 
Padovani, i Trivigiani> il marchese d' Estc e il vescovo di 
Feltre; e poi nel. 17 settembre 1314 die loro una grande 
sconfitta ne' ^borghi di Vicenza. 

A questo principe ebbe. pertanto ricorso Uguceione, ed 
egli lo nominò capitauò. delle sue armi, e poi pptestà di 
Vicenza. -Ora, essendo un fatto certissimo che Dante alla 
fine del 1316, o alpripcipio del 1317, fu ricevuto anch' esso 
in corie dello Scaligero, sarebbe mai un' improbabile conget- 
tura quella,. per la quale si ritenesse, che Dante. vi venisse 
accolto per. opeì*a non d' altri, che dell' amico Uguceione? In 
Verona sembra. Veramente' che Dante trovasse quella delica- 
ta cortesia ,e "aff^ettuosa benevolenza, che di rado incontra 
agli^ esuli e ai miseri di trovare: tali e tanti sono gli elogii 
che egli fa dello Scaligero non solo nel Poema, ma altresì 
nella lettera che gli scrìsse^ e di cui farò parola poco ap- 
presso. 11 Tròyay seguito cleòamente dal Balbo, vuole xhe 
appena un anno durasse la buona armonia fra il protettore 
e il protetto, e di ciò fa causa una risposta, che diede Dante 
a C^ne. Lo interrogò il principe: Come va die un gitdtare 
(della corte di Cane) cosi mocco giaccia a noi itUH, men^ 
tre noi puoi tu, che sei dello capiente? E il Poeta rispose: 



CAHTÓLO SETTIMO. 235 

Non te ne maravigliereiti se sapessi, che la iiagtene • del- 
l' amicizia sta nella: parità de' costumi, e nella sotrtigHan- 
za degli 'animi. Ma quapd' anche vera fosse- questa risposta, 
non se ne può dedurre una conseguenza, quale è quella 
della rottura, di cui non ha storico che porga alcun 4ato : 
e senza dati storici, deduzioni di questa fatta non son che 
capricci. Giunse Dante in Verona quando avea composto po- 
chi canti del Paradiso, e nella fine del diciassettesimo (scritto 
pure secondo il Troya nel 1319) leggesi per lo Scaligero un 
elogiò si magnìfico, che Dante non mai fece a nessuno, la 
rettura?'£ come si accorda questa rottura con quello che 
poco appresso lo stesso Balbo racconta? « Sembra ,che in 
» Verona facesse Dante non un semplice soggiorno, ma uno 
» stabilimento fermo, e con intenzione che fosse durevole. 
» Certo v'ebbe seco. Piero, il figlìuol ^uo primogenito, il 
» quale 'vi continuò a vivere poi dopo la. morte del padre, 
» e v'ebbe discendenza : fors' anche .altri figliuoli di Dante 
» si ricongiunsero a lui. > - * 

Notissimo è come il Troya prendesse ad inialzare Uguc- 
cione sopra ogni altro guerriero ghibellino di quel tempo ; 
né qui, per dir vero, saprei contradirgli ; ma non v' era 
perciò di bisogno, eh' egli tentasse ognora! di deprimere 
Cau della Scala. Ora per deprimerlo anche più> immaginò 
che si diportasse con Dante -superbamente, si che questi, 
sdegnoso per natura, abbandonasse Verona, e si réfugiasse 
di nuovo in Casentino, iji Gubbio e nel monastèro^ di 
Fonte Avellana: mentre^ è per me una delle cose meno in- 
certe nella vita di Dante, ch'egli dai priAii- del 1317 in 
poi taoii fu più mai in Toscana, e tanto meno neli' Umbria. 
Ed il Balbo non si contenta di parlare in genere di proposte 
e risposte pungenti, ma, quasiché scrivesse la satira e non la 
vite di Dante, lo chiama il superbo protetto, e dice che (ed 
id ripeto : Su quali dati ?) oltre la magnificeìiza scortese del 
signore, vi ebbe la superbia difensim ed offensiva del rifu- 
giato tantoché il superbissimo Dante se ne liberò, senza 

badare se offendesse, ed offese. 



230 * VITA DI DANTE ALIGfflERI. 

Ma lasciando che jàìttì creda e pensi a sua posta^ prose- 
guirò nella narrazione ; e dirò, come Dante, non molti giorni 
dopo il suo arrivo a Verona^ dedicò a Cane la terza cantica 
del mo poenia ; il Paradiso^ eh' egli stava allora scrivendo. 
Nella- lunga lettera -dedicatoria, che gli S4*Tisse, t^omincia 
Dante- dall' attestare, come la fama della magnificenza di lui 
erasi ^par$a ovunque in Italia, e come egli aveva creduto, 
phe quelle alte lodi oltrepassassero di troppo il vero. Perciò 
per non restare più a lungo incerto e dubbioso, erasi por- 
tato a Verona ad ottenere testimonianza dagli occhi proprii. 
'Ghintpvi,Yide' le. magnificenze, vide e prpvò i benefizii, si 
che agevolmente conobbe essere degli encoinii i fatti stessi 
maggiori. E còme per le cose soltanto udite gli era dap- 
prima ^divenuto benevolo,- cosi al primo vederlo gli diven- 
ne devotissimo e amico, Dfoe poi che assumendo il nome 
d\amicQ non teme •d<' incorrere nella taccia di prosuntuo- 
so, avvegnaché pel .sacro vincolo dell* amicizia si leghino 
non tanto gli uomini tra loro eguali, quanto i disuguali : 
anzi, (egli aggiunge) a chi ben guarda apparirà, che i perso- 
naggi preminenti si stringono il più delle volte a' loro mi- 
nori. Anteponendo pertaftto a ogni altra cosa T amicizia dello 
Scaligero, egli protesta volerla con accurata sollecitudine 
conservare'. Ma come a conservar V amicizia fa d' uopo di 
alcun che d' analogo, cosi a retribuzione de' benefizii fattigli; 
(ftce essergli sacro di seguire t' analogia. Però aver riguar- 
dato attentamente quelle cosarelle, che avesse potuto do- 
nargli ; averle iu prima segregate, e poi poste a disamina; 
cercando per esso la più degna e la più grata. Nò alla pre- 
minenza del signor di Verona aver ritrovato più convene- 
vol dono, che la sublime cantica del suo Poema, intitolata 
il Paradiso ; e questa volere a lui intitolare, offerire e rac- 
coìnandare. Ma novello nella grazia di lui, promette che, 
poco di sua vita curando, fin dal primordio s' affretterà più 
veloce alla meta; e. che, a modo d' espositore, imprenderà 
succintamente a trattare alcune cose, per introduzione del- 
l' opera offerta. E tosto incomincia un' esposizione minuta 



' CAPITOLO SETTIMO. 237 

a modo di quella del Convito, che occupa la più lunga parte 
della lettera^ a che, non ostante la sua lunghezza, non oltre- 
passa il canto primo. Parla del subietto^ (Jeir agente, della 
forma, del fine, del titolo e del genere di filosofia. Dice anco 
che il senso della sua opera non è semplice, ma che ella dee 
dirsi , polisensa, poiché racchiude più senèi ; e dà la ragione 
perchè 1* abbia chiamata Commedia. Termina in fine con 
queste parole : « Questo è il sunto del Prologo in generale : 
» liei parliedare non V esporrò di presente ; imperocché mi 
> siringe r angustia di mie facoltà, si che lasciar mi conviene 
» e <)iieste ed altre cose utili al ben pubblico. Ma dalla ma- 
» gnìficenza vostra io spero mi verrà dato di procedere ahra 
» volta neir utile esposizione. » E racconta il Boccaccio, «che 
ogni volta che del Paradiso avea composto, ^ei o otto canti, 
quelli, prhna che alcun altro li vedesse,, manda va allo Scali- • 
gero> il quale egh sopra ad ogni altro .aveva in reverenza; 
e poiché da lui aerano stati veduti^ ne faiceva co|)ia a cy la 
voleva. . , , 

L' elogio magnifico, che, per bocca, del suo tritavo Gac- 
ciaguida, fa Dante dello Scaligero nel canto XV|1, v. 70-00 
del Paradiso, è il seguente : 

Lo primo tuo rifugio e '1 primo ostello 

n Sarà là cortesia del gran Ipinbardo, . . 
Che *n su la scala porta il santo ùccéjlo ; 

Ch'avrà in te sì benigno, riguardo, 
Che del fare e del chieder tra vjbi due ^ ^ 
Fia primo quel, che tra gK altri è più tardo. 

Colui vedrai, cdlui che impresso fue, 
Nascendo, sì da questa stélla forte, 
Che mirabili fien rpperé-sùe. • • ' 

Non se ne sono ancor le genti accorte 
Per la novella età, che pur nove anni 
Spn queste ruote intomo di lui tprte. 

Ma pria eie *1 Guasco T alto Arrigo inganni^ 
Parran faville della sua virtute 
In non curar 4' Argento, né d* afiBsinni. 



238 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Le sue magnificenze conosciute 

Saranno ancora 8Ì, che i suoi nemici 
Non né pdtran tener le lingue mute. 
. . .A lui t'aspetta ed a' suoi benefici: 
Per lui fia trasmutarla molt^ gente, 
Cambiando^ condizion ricchi e mendici. 

Si è fatto -sempre graijde questione se Dante, oltre l'es- 
sere itato accolto in Verona da Cane Scaligero negli anni 1317 
e seguenti^ vi fosse accollo pure da alcuno de' saoi fratelli 
(Bartolòmmeo Alboino) nel 1303 o nel 1308. Quindi l'altra 
questione, se in quest' elogio si parli d' uno Scaligero^ o di 
due. Io non intendo risolverlo in modo da non poter più dar 
luogo a contesa, ma intendo solo esporre e corroborare 
d' argomenti e di prorve il parer mìo, il quale si è, che qui 
non si parli che d'un solo Scalìgero, cioè di Cane, e che 
Dante non sia stato ospttato mai né da Bartolòmmeo, né da 
Alboino. L'opinione mia è pur quella del canonico Dionisi; 
ond* è cosa niatufale che alcuni degli argomenti eh' io pro- 
durrò, siano stati iii pfhiia prodotti da quel critico. 

Il pi'lmo verso del terzo ternario da me npbrtato, legge- 
vasi in antico più frequentemente cosi : 

Con lui vedrai colui che impresso fue. 

Ora, se con quel primo Scaligero vedeane Danio un altro, 
certo sarebbe che dovqano esser due ; che questi due non 
potean essqre che Alboino e Cane; e che questo fatto non. 
potò avvenire al più presto, se non nel 1308, perchè- boì» 
nel 1308 Cane, in otè di 17 anni, fu associato neUa signoriai 
air infermo Alboino. Infatti il Pelli impiega un intero capi- 
tolo delle sue Memorie per provare, essere impossibile che 
prima del 1308 si portasse Dante a Verona, e dice avere 
errato il Boccaccio, e^ sulla fed^ di lui il Maffei e fl Fontani- 
ni ; e non poter egli prestar fede a Girolamo delhi Corte, il 
quale lasciò scritto, aver Cane della Scala, per le preghiere 
di Dante, mandato nel 1306 runa schiera de' suoi a Scarpetta 
Ordelaffi, capitano de' fuorusciti Bianchi: Ma il Dionisi ayen- 



CAPITOLO SETTiMO. ' !23!) 

(lo veduto in varie antiche stampo e in varii codier, cIk^ 
quel verso leggevasi ' 

Colui vedrai, colui clic impresso fue *, 

lezione per la quale V elpgio non più a due^ firn si rifiorisco 
a un solo Scaligero; sostenne (e sostengo anch'io) dQvcrsi 
legger cosi^ e non . in altro modo. Cacciagujda j)redie(^ndo a 
Dante coì^e il primo suo rifugio e 7 primo ossilo sarebbe 
staio la cortesia del gran lombardo, non intende dirlo pri- 
mo in ordine di tempo^ ma in riguardo alla grandezza del 
beneficio. Primo adunque non ha qui altro- significato cUe di 
principale o più grande, nella guisa stessa che/ dicendosi 
Dante il primo poeta del mondo, non dQvrebbe intendersi 
il più antico in ordine di tempo, ma bensì fi più grande ris- 
petto air eccellenza poetica. Come infatti avrolbbe il Po^ta 
potuto chiamare il gran lombardo Alboirio, un principe tac- 
ciato da lui stesso nel Cònvtio (Tratt. IV, cap. 16) di poca 
nobiltà d' animo ; un principe che nel breve -suo regno non 
fece mai nulla, e che visse sempre malatìcqioTLa storia non 
ha dato il titolo di grande ad altri Scaligeri johe a Cane: 
magnifico atqiie viclorioso domino Kant grandi de la Scala, 
intitola Dante Ja sua lettera a Cane. Inoltre Cacciaguida pa;*- 
ticolareggiando gli annunzia, che lo Scaligero, dal quale sa- 
rebbe stato accolto si amorevolmente, avrebbe portalo sopra 
la sua arme, che faceva una ^cala con due mastini rampanti, 
il santo uccello, cioò V aquila imperiale ; « il DionM mostrò 
co' documenti, che il primo fra gli Scaligeri a portar quella 
insegna fu Cane nel 1311. Queste ragio;ni, che stan con- 
tro Alboino, miUtano del pari, se non cOn maggior forza. 
contro Bartolommeo. Se nel 1303 Daii'te .appena esiliato ()a 
Firenze fosse stato accolto si magnifican^ente da Bartolom- 
meo^ come mai Cacciaguida, innanzi quelle parole,, gli avreb- 
be, potuto annunziare quest'altre? 

Tor proverai si come sa di sale 
Lo pane altrui, e com'è duro tìallc 
lio scendere e *1 «alir per V altrui scale. 



"Hi) VITA m DAKTp ALIGHIERI. 

Come avrebbe Dante potuto dir nel Convito (tratl. 1, cap. 3)- 
di essere andato per tutta Italia peregrinando e mendican — 
do? E opmé concòrclare (Juesto preteso fatto, con quello as- 
serito da Leonardo Bruni, che da Roma venne Dante a Sic — 
na, da Sfena a^ G^rgonza e afl Arezzo, ove di speranza in 
isperanza ilimorò fin^ ai t304? E se nel 1303 fosse stato ac- 
colto alla- corte :di Bartolommeo, avrebb' egli indugiato quin- 
:<}rci 0' sedici anni ad attestargliene la sua gratitudine? Piut- 

• tosto clie «alla metà della terza cantica, non n' avrebb'. egli 
fatto ricordo ip sul principio della prima? E al contrario, 
)K)n^S(rt'ebbe ìslbtò segno di brutta ingratitudine il parlar, 
come [fece nel canto' XVIII del Purgatorio, con pungenti ram- 
l)f>gnedel padre e d'un fratello di Bartofommèo? E poi io 
vlomàn'do.: Qual relazióne era nel 1302-1303.frai Veronesi 
ghibellini e i Fiorentini guèlfi? qual titolo potea aver Dante 
ix^r e^re allora, quando il suo nome ancw non molto suo- 

' iiava) accolto si magnificamente da Bartolommeo? quale ca- 
,gione ragione speciale d'amicizia poteva essere in quel 
tempo fra BartOlQihmeo e Dante? Se questi fosse stato si 
lafgainenic benefica tt) da Bartolommeo o da 'Alboino, non 
avrebb' egft dovujto nella sua lettera a Cane farne una>qual- 
•(;he pdrotó? eli* altra parte avrebb' egli potuto, senza timor 
d' arrossirt?v dire urgét me rei familiaris angustia? Se altra 
volta fosse stato accolto- alla corte degli Scaligeri, e sei così 
avesse- goduto fliri dal 4308 del favore non già di Bartolommeo 
d'Alboino, ma di Cane, come mai in questa lettera si sa- 
rebbe chian^to ten^Uus gratiw veslirwf Non gli avrebbe detto 
che anco per l'ovanti era stato nella grazia siia, e n'avea 
provato te benefictenze? Ese l'elogio, contenuto nel passo 
surrifetrito, fosse dir^D non ad un solo Scaligero, ma a due, 
come mai Càcdaguida avrebbe conchiuso il suo discorso: A 
lui V aspetta ed a' suoi benefici? non avrebb' egli detto : A lor 
t'aspetta ed a* lor benefici? Oir poiché il pronome /ut non ac- 
ceiìna che a un solo> e qui non e' è ammimiicolo che basti, 
nfe' versi del Poeta è Vaticinato un uom solo; e Questo uom. 
solo è Cah grande. Onde non con lai, m^ dee leggersi colui. 



CAPITOLO SETTIMO. 241 

€ome la ragion critica vuole che si legga, colui, e s' in- 
tenda qui parlarsi d' un soloy cosi il vuole la ragione poe- 
tica. Io invito ogni lettore non pregiudicato a rileggere il 
passo, coir antica lezione^ e gli domando se così resti più 
buon senso ne' magnifici versi di Dante. Comincia a elogia- 
re uno^ poi troncando a mezzo V elogio passa ad un altro; 
finalmente conchiude^ e non si sa a chi la conchiusione si 
riferisca. Ma potrebb' egli essere questo il fare d' uno scrit- 
tore qual è Dante Alighieri? Ora se quel ch'io propugno è 
voluto dalla ragion critica e dalla ragion poetica^ dirò eh' è 
pur voluto 4alla ragione storica. 

Si suppone dunque che Dante fosse ospitato o da Al- 
berto, da Bartolonuneo^ o da Alboino ; si suppone che que- 
sto fatto avvenisse nel 1303, o nel 1306, o nel 1308. Si co- 
mincia male, perchè V un supposto esclude V altro, e tutti 
8* escludono insieme. E quali sono pertanto gli argomenti 
storici, coi quali si è creduto appoggiare quei supposti ? « £ 
9 veramente falso (dice il Pelli, pag. 121) quello che narra 
> il Boccaccio, cioè che Dante nel suo primo fuggire an- 
» dasse a messer Alberto della Scala; imperciocché questi 
» era morto senza fallo, prima che il Poeta fosse condannato 
» all'esilio. » Infatti morì il 3 agosto 1301. Non occorre 
dunque più far parole d' Alberto ; e riducendo solo la que- 
stione a Bartolommeo e ad Alboino, dirò che né T'uno nò 
r altro di essi trovasi mai nominato dagli storici come ospite 
dell' Alighieri, né come somministratore di soldati a richie- 
sta di lui. Flavio Biondo nelle sue Istorie (Decadis II, lib. 9) 
all'anno 1303, dice: « Dantes in AlhcHrum partibus annu- 
» meratus, urbe Florentia extorres ad eum confluxerunt, 
» acceptusque est ab utraque ih belli ducem Scarpe ta Or- 
» delafus vir nobilis, et Gibeliinorum in Forolivio princeps: 
» eo quoque vocatus accessit Hugutio Fagiolanus, multa 
» tunc in Apennino, qui ForoUvio est proximior, castella 
» possidens, peritissimus ea astate exercituum ductor, Bo- 
» noniensesque parti tunc faventes gibelUnse Forolivium 
» accessere. Et Canis grandis Scaliger, Veronse tunc pri- 

DaKte. — Vita. 16 



%i% VITA DI DANTE ALIGmERT. 

» mum dominio potitas> a prsedictis omnibus Forolivii agcn^ 
» tibus per Dantis legationem oratus, auxilia equitum pe- 
ji ditumquc concessit. Innuunt autcm nobis Peregrini Calvi 
» foroliviensis, Scarpetae epistolarum magistri, extantes Hte- 
» rse crebram Dantis mentionem habentes, a quo dictaban- 
» tur^ fuìsse pra3dlctis animum in agrum Mugellanum ad 
» Ubaldinoruni terram, et inde Fiorentiam se conferre. > 
Qui dunque non ò nominato né Bartolommeo^ nò Alboino. 
Ma risponderassi molto ragionevolmente che, poiché nel 1303 
era signor di Verona Bartolommeo, questi e non Cane 
d^v' essere stato quegli, che concesso i soldati ; ed aver per- 
ciò lo storico errato nel nome. Ma uno storico (io replicherò), 
che sbaglia in un punto si importante, uno storico che 'fa 
Cane signor di Verona ( Veronce tane primum dominio pò- 
titus) nel 1303, quand'egli non era che un giovanetto di 
12 anni, qual fedo si merita? E se volessi menar buono lo 
sbaglio, ne discenderebbe forse la conseguenza, che Danto 
venisse ospitato da Bartolommeo per un intero anno, comò 
pretende il Troya? Lo storico non dice altro se non che a 
Dante, ambasciatore de' Bianchi, furono concessi dallo Sca- 
ligero i soldati richiesti: ab omnibus Forolivii agentibus 
(cioè dai Ghibellini congregati in Forlì sotto l' Ordelaffi) per 
Dantis legationem oratiis, auxilia equitum peditumque con- 
cessit. Dunque il più che potrebbe concedersi si è una mo* 
mentanea legazione di Dante a Verona,, non già una sua 
prolungata dimora alla corte di Bartolommeo. 

Vediamo ora quel che racconta Girolamo Dalla Corte, 
sul quale storico tutti i nostri contradittori si appoggiano, 
senza peraltro riferirne le preciso parole, che son le se- 
guenti: « Nell'agosto del 1306 Can Francesco, coD alcuno 
» fiorite compagnie di cavalli e di fanti, andò per riinettere 
» i fuorusciti in Bergamo; ....... ma mentre aspetta che 

» gli sia, come gli era stato promesso da alcuni parziali 

» de' fuorusciti, aperta una porta, intende che i Milanesi 

» a gran passi veniano per trovarlo; ond'egli se ne 

> tornò a Verona, senza la ver fatto cosa alcuna. E poi, a pre- 



CAPITOLO SETTIMO.* 243 

» ghiera di Dante Aligieri, gentiluomo fiorentino e poeta 
» eccellentissimo^ mandò quelle bande di cavalli e fanti^ che 
» avea menate seco^ in favore de' Bianchi fuorusciti fioren- 
» timi, eh' erano stati alcuni anni addietro dalla parte Nera 
» loro contraria^ della patria cacciati e banditi : e di que- 
» sti uno era il sopranominato Dante Aligieri, Il quale es- 
» sondo di molta accortezza e dottrina, fu dal signor Gan 
» Francesco (in casa del quale èra alloggiato) molto onora- 
» tamente trattato e accarezzato. Ora questi fuorusciti, che 
1 cc^li aiuti de' nostri e de' Bolognesi erano al numero di 

> seimila fanti e ottocento cavalli, avendosi eletto per ca- 
» pitano Scarpetta Ordelaffó signor di Forlì, col qual s' era 
» anco congiunto Uguccione Faggiuola ; mentre vanno per 
» la Valle del fiume Lamone per passare In Mugello sul 

> fiorentino, «intendono che i Fiorentini e' Lucchesi, che 

> 6' erano congiunti insieme, avendo occupate le migliori 

> terre degli Ubaldini, trascorrevano tutto il paese. Onde, 

> passato eh* ebbero 1' Appennino, si fermarono presso a 
» Puliciano; dove, essendo sopraggiunti di notte da' Fioren- 
» tini> e per essere in minor numero, e per essere afflitti 

> daUa fame, si posero in fuga; e molti che volsero com- 
» battere rimasero prigioni, i quali poi furono tutti in Fio- 
) renza fatti crudelmente morire. )^ E segue raccontando 
che le compagnie veronesi tornate a casa, a Veronesi, Man- 

> tovani e Bresciani fecero lega contro il marchese Azzo 
» d'Este,' facendo capitan generale di tutto l'esercito il 

» signor Can Francesco, il quale nell' autunno di 

» quello stesso anno 1306 trascorse quasi tutto il contado, 

» e vi fece di gran danni e prede; : ma che soprag- 

» giunto da una cruda invernala, che venne molto per 
» tempo, se ne tornò a Verona: » " 

Pare impossibile come in un sì breve racconto abbia 
questo storico accunìulati tanti errori. 

Capitano delle compagnie, che nell' agosto del 1306 anda- 
rono contro Bergamo, e capitan generale della lega, che 
neir autunno deHo stesso anno fecero Verona, Mantova e 



iii VITA DI DANTE ALIGHtERI. 

Brosciaj^.lo storico ne fa Gan Francesco^ il quale non aveva 
allora cbe 15 anni. 

Goiiipagno ad Alboino nella signoria di Verona^ to storico 
(à Gan Francesco nel 1306^ mentre noi fu ohe nel 1308. 

La guerra di Pulicciano fatta da' Bianchi sotto la con- 
dotta deir Ordelaffi^ la pone lo storico nel settembre del 1306, 
mentre avvenne (ed in questo son concordi tutti i nostri 
cronisti) nella primavera del 1303. . 

L' onorata e amichevole ospitalità^ largita a Dante da 
GaYie nel 1317, lo storico la riferisce all'anno 1306^ quando 
Dante trovavasi in Lunigiana presso i ìfalaspina. 

Né qui vale il ripiego, a cui semlnra appigliarsi il Pelli, 
cioè del riferire i fatti narrati dallo st(M*ico^ non al 1306 ma 
al 1308^ perchè il fatto della lega tra Verona^ Mantova e 
Brescia è veramente del 1306, ^* e perchè il capitano di 
ossa lega, chiunque si fosse^ non avrebbe potuto nell'au- 
tunno del 1308 muover guerra ad Azio d' Este, essendo que- 
sti morto fln dal 31 gennaio ili queir anno. 

Concludo dunque, non avervi (almeno per ora) il più 
piccolo documento che provi, essere stato Dante accolto 
sia da Bartolommco, sia da Alboino; ** e quindi doversi 
ritenere, che neir allegato passo del Paradiso non inten- 
da il Poeta far V elogio che d' un solo Scaligero^ cioè di 
Cane. 

. i^rotetto dalla munificenza di questo signore> fermò Dante 
la sua dimora in Verona; e là fece venire i suoi Agli Pie- 
tro e Jacopo, il primo de' quali avea già preso la laurea 
neir Università di Bologna. Secondo alcuni, dimorò Dante 
alcun poco nel castello di Paratico^ posto nel territorio di 
Brescia^ ed appartenente alla famiglia che prese il nome 
dal castello medesimo. '" Secondo altri^ alcun poco dimorò 
pure in Udine, e nel castello di Tolmino nel Friuli^ pres- 
so Pagano della Torre patriarca d'Aquileia, e dapprima 
vescovo di Padova. " Al qual proposito nota il Pelli, che 
se Dante fu veramente con Pagano della Torre quand' era 
(com' è detto) patriarca d' Aquileia, ciò non potè accadere 



CAPITOLO SETTIMO. 2Ì5 

se non dopo V agosto del 1318, in cui mor) Gastone della 
Torre, predecessore di Pagano. " Pertanto se queste dimo- 
re hanno veramente avuto luogo, la data loro è da riferirsi 
a quel tempo, in cui Dantje avea fermato il suo soggiorno 
in Verona, donde non può dirsi' improbabile, che a quand(» 
a quando il Poeta si dilungasse, per visitare i luoghi e li^ 
città circonvicine. Quelle dimore peraltro non potrebbero 
considerarsi che come escursioni, o villeggiature; ma quanto 
a me, dirò che vi presto poca fede, poiché le pVove che se 
n' adducono mi sembrano prive d' ogni valore. Certo è, che 
in questo tempo trovossi Dante, forse di passaggio, in Man- 
tova ; ciò attestando egli stesso nel principio della Qtiestime 
da lui trattata intorno alla sfera dell' acqua e della terra. 
Le sue parole són queste : « Essendo io in Mantova, insorse 
» una certa questione, la quale più volte largamente discus- 
»^ più a fine d' apparenza che di verità, rimanevasi indc- 
) terminata. Laonde essendo io fino dalla fanciullezza con- 
» tinuamente nutrito nello studio della verità, non soffersi 
» di lasciare indiscussa la préfata questione; ma piacquemi 
» dimostrare jl vero intorao ad essa, e gli argomenti addotti 
» in contrario risolvere, sì per amore della verità, come per 

> avversione alla falsità. » La tesi filosofica, tornato eh' ei fu 
in Verona, fu da lui sostenuta colle forme scolastiche di quel 
tempo nella cappella di sant' Elena (il 20 gennaio dell' an- 
no 1320) alla presenza di tutto il clero veronese. « Questa 

> filosofica discettazione (co^ termina Io scritto di Dante> fu 

> determinata, dominando lo Invitto signore Cane grande 
» della Scala per V Impero sacrosanto romano,- da me Dante 
» Alighieri, minimo tra i filosofi, nella inclita città di Verona, 
y nel tempietto di sant' Elena, alla presenza di tutto il clero 

> veronese, eccetto certunr, i quali, ardenti dì troppo amore 
) di sé, non ammettono gli altrui postulati, e per virtù 
» d' umiltà poveri di Spirito santo, per non sembrar d' ap- 
» provare 1* eccellenza degli s^tri, ricusano d' intervenire ai 

> sermoni loro. E ciò fu fatto nell' anno dalla natività del Si- 
» gnor nostro Gesù Cristo millesimo trecentesimo vigesi- 



2i6 VITA M DANTE ALIGHIERI. 

» mo^ settimo delle idi di gennaio^ e decimoterzo 

» avanti le calende di febbraio. > . 

£ questo mostra chiaramente guanto falso sia (<M)me 
notai di sopra) che^ per causa di parole pungenti Dante e 
Cane si guastassero fra loro. Onde^ poiché è indubitato che 
Dante passò gli ultimi due anni di ^a vita in Ravenna 
presso Guido Novello da Polenta^ è da credersi che ciò non 
avvenisse^ senza eh' egli non ne interrogasse in prima lo 
Scaligero^ e non ne riportasse il suo consentimento. Erra 
pertanto il Boccaccio^ pon^dò V andata di Dante a Ray^tma 
poco appressò la morte d' Arrigo^ poiché in prima fu a Luc- 
ca^ a Verona e in quei taati altri luoghi^ che abbiamo ri- 
cordati. 11 Pein opina che vi andasse nel 1319. Il Troya dice 
che ne* principii del 1320 Dante era giunto in Ravenjda^ e ^ 
viveva presso Guido PolentanQ.; ed anch'io crcdo^ che non 
vi si portasse che ne' primi di queir aniw). *• 

Nella guisa stessa che da Cane Scaligero^ fu liberahoiìente 
ospitato Dante da Guido Polentano; e in Ravenna^ siccome 
in Verona^ sentì meiio la infelicità della sua condizione. Or 
mentre trovavasi in quest' ultima $ua dimora^ il bolognese 
Giovanni/soprannomi&ato Del Virgilio^ che avealo conosciuto 
di persona nel 1305-1306, prese a scrivergli un'egloga la- 
tina, nella quale lodandolo per la sua grand' opera della 
Divina Commedia, gli fa dolce rimprovero perchè scrìva 
sempre in lingua volgare, e lo eccita a farsi più chiaro al 
mondo^.con poemi latini. Lo invita infine a venire a Bolo- 
gna a prendere la corona- d' alloro. Senza risponder diretta- 
mente: alla questioiHì posta da Giovanni, replica. Dante al- 
l' amico con assai gentilezza,^ lodandolo de' suoi bei carmi 
latini, pierio demulsa sinu; thadèl laurearsi in Bologna 
risponde piacergli più. il prender l' alloro, - per merito del 
suo Poema, in Firenze: 

. £ non-fia meglio, 

Ch* io m' orni e copra sótto ìV trionfale 
Serto le chiome, ove alla patria io tornì ^ 
Che saran bianche, e bionde «van eulF Amo ? 



^ 



CAPITOLO SETTIMO. 217 

Quando celebrati 

Fìan dal mio canto i corpi, che a' aggirano 
Intorno al mondo ed x celasti spirti, 
Si come or sono ài sotterra i regni, 
Allor mi gioverà d' edra e di \sl\jxo 

Cinger la fronte .-.; 

(^Traduzione,) 

Dalle quali parole si vede, come V eàule infelice desiderasse 
sempre di tortìare alia patria, e come del Poema volesse 
farsene un merito pel suo richiamo. Ed' è a notarsi come 
le espressioni, contenute neh' egloga latina, fossero poco 
appressò ripetute, sebbene in forma alquanto diversa, nei 
principio del canto XXV del Paradiso : 

Se mai continga che *1 Poema sacro, 
Al quale ha posto mano e cielo e terra 
Sì, che m* ha fatto per molti anni macro, 

Vinca la crudeltà, che fuor mi serra 
Del bello ovile, ov' io dormi' agnello, 
Nimico a* lupi, che gli danno guerra ; - 

Con altra voce omai, con altro vello 
Ritornerò poeta ; ed in sul fonte 
Del mio battesmò prenderò '1 cappello. 

Ma Giovanni non si dà per vinto, e con una secónda 
egloga insta affettuosamente, eh' egli venga a Bologna, enu- 
merand(^ gli agii e i piaceri che vi godrebbe. E Danto 
pure in altra egloga, «he può dirsi di nuova invenzione, si 
maraviglia di Giovanni, al quale piacciano gli aridi sassi 
de' Ciclopi, intendendo Bologna, e magnifica la propria 
stanza nelle fertili campagne di Peloro, intendendo Raven- 
na; e conchiude, che volentieri si porterebbe ove invita vaio 
r amico, sol per vederlo, se non avesse avuto paura di Po- 
lifemo, cosi accennando Rpmeo de'Pepoli, ch'era allora 
quasi il padron di Bologna. 

Assai dunque piaceva a Dante il dimorare in Ravenna; 
e quivi stando avea dato termine alla sua terza cantica. 



2i8 VITA DI DANTE ALtGHIERI. 

quando la repubblica di Venezia prese a muover guerra al 
Polentano. Onde questi pregò V amico Alighieri a voler por- 
tarsi con titolo di suo ambasciatore a quella repubblica per 
tentare^ se fosse stato possibile^ di ridurla a sensi di pace. 
Ed egli il fece : ma i particolari della sua legazione non ci 
sono stati tramandati dalla storia^ e solo sappiamo che poco 
nulla da quel rigido Senato potè ottenere : *• ond' egli, 
dolente della mala riuscita^ si dispose tosto alla partenza. 
Ma negatogli da' Veneziani il passo per mare^ dovè pren- 
dere la via di terra; e, transitando C/On disagio per quei luo- 
ghi paludosi, contrasse la febbre e tornò infermo a Raven- 
na. Dove il male di dì in di aggravandosi, né a nulla va- 
lendo le cure affettuose del suo amico ed ospite Guido, il 
i4 settembre i321, in età di anni 56 e 4 mesi, si ricongiun- 
se a Dìo, anelando in cielo a vedere la gloria della sua don- 
na, cioè di quella benedetta Beatrice, che gloriosamente mira 
nella faccia di Colui, qui est per omnia sacula benedictas. ^ 
a Fece il magnifico cavaliere (dice il Boccaccio) il morto 
» corpo di Dante d'ornamenti poetici sopra un funebre 
if letto adornare;, e quello fatto portare sopra gli omeri 
yt de' suoi cittadini più solenni, inaino al luogo de' frati mi- 
» nori di Ravenna, con queir onore che a sìilsitto corpo 
yf degno estimava, insino quivi quasi con pubblico pianto 
» il seguitò : e in un' arca lapidea il fece per allora ripor- 
» re. E tornato nella casa> nella quale Dante era prima abì* 
» tato (secondo il ravignano costume) esso medesimo sì a 

> commendazione dell' alta scienza e della virtù del defun- 
» to, e sì a consolazione de' suoi amici, li quali egli avea 
» in amarissima pena lasciati^ fece un ornato e lungo ser- 
)» mone, disposto se lo stato e la vita gli fossero durati, di 

> sì egregia sepoltura onorarlo, che se mai alcun altro suo 

> merito non lo avesse memorevolmente renduto a' futuri, 
» quella lo avrebbe fatto. » Ma ciò che il Polentano, per 
le fortunose vicende che gli sopravvennero, non potò fare, 
fecero poi nel 1483 Bernardo Bembo, nel 1691 il cardinal 
Domenico Corsia e finahnente nel 1790 il cardinal Luigi Va- 



CAPITOLO SETTIMO. 2i9 

lentia ii quale gì' innalzò iquel monumenjto^ che tuttora st 
vede in Ravenna. 

Cosi inori Dante^ non ancor giunto alla vecchiezza: 
uomo fin dalla sua gioventù infelice per la perdita immatu- 
ra della donna amata ; iufehce ne* servigli voluti rendere 
alla patria; condannato^ perseguitato^ infamato dagli stessi 
suoi concittadini; sventutato nelle sue più care speranze 
del riordinamento d' Italia e del suo ritorno in Firenze ; 
povero^ quasi mendico^ ed oguor peregrinante da una ad 
altra città. Che se gli oltraggi e le persecuzioni gr inspira- 
rono sensi di alto disdegno^ egli però non rimesse in nulla 
della sua fede, né lasciò mai d' amare, e adoperò e scrisse 
pel bene della patria e della umanità : le stesse sue sven- 
ture non fecero, che temprare più fortemente la nobile 
e gagliarda anima sua. Senza i dolori dell' esilio e della po- 
vertà, senza i tumulti delle passioni politiche, che pur sono 
grandi, fonti di poesia, la Divina Commedia sarebb' ella stata 
quale V abbiamo ? I personaggi che figurano nel Poema, e 
(*e tanto destano il nostro interesse, perchè vissuti col Poeta, 
e ih un tempo sì fecondo d' avvemmenti, sàrebbon eglino 
stati somministrati a lui dalla storia- contemporanea, o non 
piuttosto dair antica? E restando agnello nel beli' ovile, e 
godendo d'una vita riposata e tranquilla, sarebb'egli Dante 
stato quel poeta civile che è, o non più specialmente un 
poeta moralista e teologo? Io ne dubito, ma non mi arri- 
schio a pronunziar la sentenza. 



ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI 

AL CAPITOLO SETTIMO. ' 

' Vedi t^rancesco Maria Raffaelli, Trattato della famì- 
glia, della persona ee. di meeser Bomme da Ghtbbio, nello 



-250 VITA Di DANTE ALIGHIERI. 

Dellcice eruditorum del Lami. Che Dantei si trattenesse in 
Gubbio, ed ivi scrivesse parte del suo Poema, era tradi- 
zione di quei cittadini: onde un Falcucci, diventato pos- 
sessore delle case de' RàflFaelli, poàte nel quartier Saiit* An- 
drea presso la porta Sant' Agostino, fece collocare nella 
parete laterale questa Iscrizione : 

Hic mansit 
Daiités Aleghierius poeta 
. Et carmina scripsit 
Fcdericus Falcutius 
Virtuti et Poster. P. 
-7. 
Vuoisi poi da alcuni, che Dante, mentre trovavasi nejle 
case de' Raffaellì, insegnasse la lingua greca ad un figlio 
di Rosone. Ciò mi par poco probaì)ile, e tanto irTeno lo 
credo, inquantochè per prova si adpluce il sonetto. Tu che 
stanzi le colle ombroso e fresco, il quale è apocrifo. Ve- 
dilo nel Canzoniere, Pur nonostante riferisce il Pelli, che 
un Ubaldo, tiglio d' un Bastiano, autore d' im' opera ine- 
dita che s'intitola Teleutologia, e che si trova nel cod. 16 
Plnt. XIII della Laurenziana, dice in alcun luogo di essa 
d' avere in Gubbio appreso da Dante le lettere greche. 

' Di questa memoria credo opportuno dare una tradu- 
zione italiana, perchè se ne leggono a stampa altre tradu- 
zioni, in cui v'hanno notevoli errori. 

Questa cameretta 

Ov' è fama abitasse ospite Dante Alighieri 

. ' E quivi scrivesse biJbna parte 

Della preclari^ e quasi divina opera sua 

Fessa d' ogui parte ma stante tuttavia in ]^iedi 

Filippo Ridolfi 

Figlio di Lorenzo fratello di Niccolò Card, amplissimo 

Superiore del Monastero 

Per l'esimia pietà verso il suo concittadino 

Ordinò si restaurasse 

E questa effigie 

Procurata da Antonio Petrei canonico fiorentino 

A ravvivare la memoria di cotanto uomo 

Vi si collocasse 

Il primo màggio 1567 

I Monaci Camaldolensi verificata la cosa 

In questo luogo da essi risarcito 

Posero nel primo novembre 



CAPITOLO SETTIMO. 251 

Questo canonico Petrei,. che procurò il busto di Dante, era 
amico del cardinal Niccolò Bidolfi, arcivescQvo di Firenze, 
e mori nel X570. 

* Qvo. Villani (lib. IX, cap. 53 e 54V: a Lui morto, si 
» partirono gli Aretini e gli altii Ghibellini della Marca e 
i> della Romagna daH:* oste di Buoneonventp, nella quale 
n avea gente grandissima a cavallo e a piede. ... I ca- 
y> porali e baroni, eh* erano coli* imperatore (dopo averne 
rt riportato il corpo a Pisa) si partirono e tornarono in 
n loro paesi. Altri cavalieri tedeschi « brabanzoni e fiam- 
y> minghi con loro bandiere rimasono al soldo de* Pisani, 
« intorno di mille a cavallo. » 

* Nicol. Special, presso il Muratori (Ber, italic. Script. 
voi. X, pag. 1056). 

* Nel suo secondo libro II veltro de' Ghibellini (pag. 105Ì 
dice il Troya cosi-: « Parente di Cas^ruccio viveva nel 1314 
n in Lucca un Bernardo Moria degli Antelminelli Ailucin- 
n ghi, marito di Gentuoea. n 

" Darò, per esempio, una di queste lettere circolari, 
tratta dall* archivio centrale di Stato (Riformagioni, clas. X, 
dist. 1, num. 38): 

u 26 aprilis 1315. 

n Excellenti militi domino Canti de* Gabbriellibus, amico 
n carissimo. 

.» Bainerius domini Zaphari» Vicarius (del re Roberto^^ 
n Priore» Artium, et Vexìllifer justitie populi et cornitiunig 
n Florèntiae, salutem ad vota felicem. 

» Cum Uguccio de Fagiuola cura Teotonicis, Pisanis 
n et Lucensibus, et aliis vocatis undique gibellinis, in mi- 
» litum et peditum fortissimo brachio, versus nos veniat 

V exercitualìter et potenter, et jam in districtu S. Miniati 
n processerit, ibique nonnullas suo dominio fortilitias subiu- 

V garit, et Castrum de Giolo (Castrum de Ceulia, Cigoli, 
j» a due miglia a macitr ale-ponente da San Miniato) dira 
n premati obsidione, et bona omnium fratrum et amicorutn 
n nostronlm vastitati supponat, et de persona vestrs^-et in 

V a,rmis et consiliis speciaUter confidamus. Requirimus et ro- 
n gamus affectuosissime ^micitiam vestram, quatenus cum 
». ad defónsam nostram virilltér nos paremus, yelìtis et nla- 
n ceat vobis cum viginti quinque militum comitiva in snbù* 



252 VITA DI ETANTE ALIGHIERI. 

n dium et Buccursam nostrum accedere sine dilatione aliqna, 
n presentibus intellectis. Futurum nobiscum maxime gaudkim 
n habuerimus regium (del re Roberto) potem» ezfortiam, 
n quod firmiter in proximo expectamus prò stata nostro ser- 
n vando, nostraque gratia speciali, et quanto citios venietìs, 
n tanto àdventus vester fructuosior et gratior nobìs erit. 

V Succurrite igitur *, nobis enim magne necessitatis casBS 
n incumbit, et maximum in omni modica mora periculum 
n vertit. Et vobis et vestris prpvidebitur prout honori vestro 
» videbimur convenire. 

n Data Florentie die XXVJ aprilis, Indict. XIII. » 

In quella occasione la Signoria scrive pure una circo- 
lare a tutti i rettori e comuni dello stato fiorentino, per- 
chè si armino in aiuto della repubblica contro Ugaecione. 
(Riformag., clas. X, dist. I, num. 6.) 

■^ A questo pianto, a questo lutto de' Fiorentini crede il 
Troya, e Con molta probabilità, che alludano i versi. di 
Dante (Purgatorio, canto XXIII, v. 106 e seg.) ove il Poeta 
riprende dei mal costume le donne fiorentine : 

Ma se le svergognate fosser certe 
Di ciò, che il ciel velpce loro ammanna. 
Già per urlare avrian le bocche aperte. 

£, se r antiveder qui non m' inganna. 
Prima fien triste, che le guance impeli 
Colui, che mo si. consola con nanna. 

^ Il Machiavelli dice che fu Castruccio quegli, che diresse 
la battaglia,! perchè Ugaecione stava malato a Montecarlo 
(ma doiide trass' egli questa peregrina notizia ?) ; dice che 
la battaglia non fu cominciata da' 150 feditóri, ma da am- 
bedue le ale dell'esercito, l'.una delle quali componevasi 
delie più deboli genti de' Guelfi, e l' altra delle più gagHarde 
de' Ghibellini (ma quale storico lo racconta ?) ; dice che néBa 
rotta Inerirono. diecimila nomini (più di duemila, siccome 
rUerisce il guelfo Villani, lo crederei anch' io, ma non 
diecimila), ■ e che fra i morti fu pure il principe di Taranto 
(ma il principe di Taranto fu anzi quegli, che 4A ridoase in 
un cogU avanzi dell' esercito a Pistoia). E perciò soggiunge 
con tutta radono l' Ammirato : « parte delle quali cose es* 
n Bendo manifestamente £alse, rendono sospette anco qoeUe, 
n che potrebbono esser vere, n 11 Troya poi notate queste, 
se npn falsità, inesattezze del Machiavelli, diee che. quella 
vita da lui soritta di Castraccio non è che un romanxo. 



CAPITOLO SETTIMO. 253 

• Dall' archivio diplom. di Firenze, pergamene già spet- 
tanti al convento di santa Maria NoveUa: 

« 6. Novembre 1315. In Dei Nomine. Amen. 

n Hec snnt banna et exbahnimenta, lata et promulgata 
» per nobilem mìlitem dominum Raynerium domini Zacherie 
n de Urbeveteri, regium Vicarium in civitate Florentie et 
» districtu, contra infrascriptos ghibellinos et rebelles prò 
« infrascriptis inobedientiis et contumaciis in penis et ban- 
» nis inferius denotatis de Consilio Buorum Judicum ; et 
n scripta per me Aymericnm Petri de Bononia, notarium 
r» ipsius domini Vicarii deputatum sub anno domini mille- 
rt BÌmo trecentesimo quintodecimo, Indictione tertia decima, 
n Romana ecclesia pastore vacante. - 

» Nos Raynerius Vicarius antedictus, prò tribunali se- 
» dentes- ad bancum juris in palatio Communis Florentie, 
» hec banna et exbannimenta sententialiter damus et pro- 
n ferimus in bis scriptis prout inferius continetur. 

» De Sextertio Porte Sancti Petri Civitatis Florentie. 

» Omnes de domò de Portinaris, exceptis Manetto, Fol- 
li Ghetto, Serugalo, Torrigiano, Puccio, Se^a, Andrea Por- 
n tinario et Francisco fratribus. Accento filio ser Manetti, 
» Andrea olim Bencii, Benocto, Johanne Manetti, Gherardo 
n Falchi et Andrea Bencii, omnibus de Portinariis. qui so- 
» daverunt. ^ ^ 

» Omnes de domo de Giochis, excepto Lamberto Lapì 
« et Filippo Gherardi de dieta domo, qui sodaverunt. 

n Dantem Adhegherii et filios. - > • 

» Contra quos omnes et singulos superius nominatos, et 
» contra omnes et singulos de dictis domibus seu consorti- 
I* bus, non exceptatos cmi non satisderunt a septuaginta 
« apnis infra, et a quindecim annis supra, processimns p^r 
» Inquisitionem, quod loco et tempore in inquisitione coa- 
» tentos taìnquam gl^ibellinos et rebelles Communis et Po- 

* pulì Civitatis Florentie et Statutorum partis guelfe, spre- 
» Yeront nostra banna et precepta, videltcet quod venire et 
» comparere deberent coram nobis et nostra curia ad sa- 
» iisdandum et securitatem prestandam de eundo et stando 
« ad confinia, eis et cuilibet eorum deputanda per nos et no- 
ti stram curiam, et parendum nostris mandatis \ omnia pre- " 
n dieta in totum protinus contemnentes et in contemtn ha- 
» bentos, etiam alia et diversa malescia commiserunt et 

• perpetraverunt contra bonum statum Communis Florentie 
« et partis guelfe, prout de omnibus predictis et aliis per 
n eoa commissis, inquisitione centra eos per noe et nostram 



254 VITA DI DANTE ALIGfflERI. 

9 curiam formata plenìtu continetur; et ob «oram et cuiusque 
n eorum contùmaciam legiptime condemnati, videlicet quos 
» 8i quo tempore ipsi vel alìquis predictorum, ut dictum est, 
» in nostram vel Communis Florentie fortiam devenerint, 
» quod ducantur ad locum JnstìtisB, et ibi eisdem caput a 
» spatulis amputetur ita quod penitus moriantur. Ideo ne de 
» eorum contumacia glorientur, ipsos et quemlibet eorum, 
n ut dictum est, exbandimus et in bamno ponimus de cìtì- 
«.tate Flore,ntie et districtu, dantes liceutiam eoique ipsos 
» et quemlibet eorum, ut dictum est, offendendi in ère et 
» persona, et impune, secimdum formam Statutorum Fio- 
n rentie, in bis scriptis sententialiter pronuntiamus ; ^vo 
» quod si aliqui ex predictis confinatis satisdederint infra 
» tempus sententic late per nos centra eo» vel quos ammi- 
» simus et pronumptiavimus super àefensione eoniza, quod 
» hoc banno non teneantur et quod notarii camere poeaint 
» et debeant ipsos . cancellare de dieta banno absqùe pena 
» et banno ec. 

» Lata et pronumptiata fnerunt dieta banna et exban- 
» nimenta per nobilem militem dominum Baynerìum Vica- 
» rìum antedictum, sedentem in palatio Communis Florentie 
n ad bancum juris prò tribunali in generali Consilio C(Mn- 
» munis ad sonum campane et vocem preconi», ut moris est, 
9 in dicto palatio de mandato dicti Yioarii congregato, et 
» Bcripta per me Aymericum Petri de Bononia notanum 
n antedictum sub annis Domini millesimo trecentesimo quin- 
n todecimo, Indictionc tertiadecima, die sexto mensis no- 
» vembris, presentibus discretis viris ser Nicchola de Ba- 
» gnoregio, ser Petro de Namia, et E^r Bandello- de £u- 
» gubio et aliis. 

n Ego Aymericus Petri de Bononia, imperiali auctori- 
» tate notarius, et nunc notarius' Vicarii antedicti, predicta 
» omnia scripsi et legi, et de mandato ejusdem ipsa pn- 
» blicavi, signumque meum apposui consuetum, scripei, 
» scripsi ec. 

n Ego Thomas Compagni de Florientia jude^ oidìnarìas 
» publicusque notarius predicta omnia ex actis et Ubrìs ban- 
» norum et exbannimentorum Communis Florentiss existen- 
n tibas in camera ipsius Communis, sumpsi et'hic fidditer 
n exemplavi, ideoque subscripsi sub annis Dominice Incarna- 
» tionis miUesimo trecentesimo quintodeoimo , Indietione 
n quartadecima, die vigesimoctava februarii. 

(Poiché i Fiorentini contavano gli anni ab incamationej 
questo 2S febbraio 131Ò, giorno in cui fu fatta la cofia 
aella atntenza^ corrisponde al 28 febbrcUo 1316 a .nativi- 



€APITQLa SETTIMO. 255 

tate, stile comune. Infatti la copia porta Indìctìone qnar- 
tadecima, mentre Voriainale Aa Indictione tertia decima). 

f» Ego Laurentlus nlìus ser Uguccionis notarli de Fio- 
» rentia, imperiali auctoritate judex atque notarius, predicta 
» ^omnia esemplata vidi et legi, et qnidquid in eis non re- 
n peri absqUe ' signo dicti Tnomasii notarii, hic fideliter 
1» esemplando transcripsi ideoque, subseripsi ec. 

» Ego Lottus ser Raynerii de Castagnuolo filias, impe- 
I» riali auctoritate judex et notarius, predicta omnia exem- 
•t piata per suprascriptum Laurentium ex suo . exemplo 
» sùmpsi, et hic fideliter exemplavi et publicavi ec. n 

^® Questo eonte Guido di BattifoUe era figlio di Simone 
signore di Poppi, é nipote di quel Guido Nevello di parte 
ghibellina, che ricordammo più volte. BattifoUe poi era un 
castello del Casentino, posto sopra un risalto orientale del 
monte della Consuma ^ e da esso prese il titolo un ramo 
de'contì Guidi di Poppi. 

** Tre provvisióni o stanziamenti furono fatti in Firenze 
nel 1316, per riammettere i ribelli e banditi. H primo nel 2 
giugno (arch. Biform. num. 15, class. 2, dist. 2, pag. 181), 
il Becondo'nel 3 settembre (num. 16, class. 2, dist. 2, 
pag. 10) ; il terzo nell' 11 dicembre (ivi, pag. 36). Ora, qua- 
lunque di essi si voglia prendere, il fetto apparterrà sempre 
al 1316. 

" Che il personaggio a cui Dante risponde fosse un frate, 
si deduce dalla voce pater, con cui lo chiama due volte. 
Che fosse un suo congiunto si fa manifesto daUa frase, per 
litteras veatri meique nepotis significatum est milii. Ora 
non può essere stato costui, che un Brunacci od un Poggi. 
Ebbe Dante un fratello nominato. Francesco, il quale sposò^ 
donna Piera Brunacci : onde può credersi, che il religioso fosse 
fratel germana di donna Piera. Ebbe altresì una sorella, la 
quale tra maritata a Leone Poggi, il quale -pure poteva avere 
un fratel germano che fosse religioso. 

*' Girolamo Dalla Corte, Storia di Verona, voi. I, 
pag. 600. 

^* Giovanni Villani (lib. Vili, cap. 88): « Nel detto 
I» anno 1306 i Veronesi, Mantovani e Bresciani feciono lega 
» insieme, e grande guerra mossono al marchese Azzo da 
• Esti, eh* era signore di Ferrara, per sospetto preso di lui, 



256 VITA DI DANTE ALIOHIÈRI. 

n eh* egli non volesse essere ngnore di LoodlNurdia, perchè 
n avea preso per moglie una figliuola del re Carlo ; e cor- 
n songli la^saa terra> e tol«mgu più di me castella. » 

* ' Nel canto XII dell* Inferno descrivendo Dante un In 
scosceso e dirupato, lo paragona a una frana di monte su 
riva dell* Adige, forse (come alcun dice) alla rovina di monte 
Barco presso Boveredo: 

Qual* è quella mina, che nel fianco 
Di qua da Trento 1* Adige percosse . 
per tremoto, o per sostegno manco; 

Che da^cima del monte, onde si mosse, 
Al piano è si la roccia discoscesa, 
Che alcuna via darebbe a chi su fosse ; . 

Cotal di quel burrato era la scesa. 

Ora chi pretende che Dante fosse ospitato da Bartolommeo 
o da Alboino, dice che, poiché è evidente, che Dante ve- 
desse co* proprii occhi quel monte franato ; e poiché vuoisi 
con molta probabilità, che la prima cantica foste pubbli- 
cata non oltre il 1309 ; cosi non può egli averlo veduto che 
in queir occasione. £ perchè non m altra ? rispondo; io. Non 
venne egli Dante nell* Italia superiore nel 1306, dappoiché 
un istrumento notariale ce lo fa vedere in Padova in miei- 
r anno ? £ non potea averlo egli sajjutò per relazione ? Non 
seppe pure per relazione la condizion del sepolcreto di 
Fola presso del Quarnaro, eh* ei descrive nella fine del 
canto IX dell* Inferno ? £ non conobbe altresì per rela- 
zione, la forma degli argini de* Fiamminghi tra Gusante 
e Bruggia, di cui fa parola nel canto XV ? £ quant* altre 
cose non son mai nel Poema, eh* ei descrive, o pur non 
vide cogli occhi proprii ? 

" Nel voi. IX, della raccolta di varie operette mano- 
scritte, che si conserva in Brescia, le^^i a carte 40; 
« Lanteri ^di Paratico) seguendo le nobili pedate de* ma^- 
^ glori SUOI, alloggiò un tempo quel famoso poeta Aldigeno 
» Sorenttiio nel castello e villa di Paratico, mentre egli 
*> era dalla patria sua esule ; dove stette un temj^ poetando, 
n come da diversi antichi di questa famiglia di Lianteri at- 
n tempati ho sentito. » 

'^ Giacomo Valvassoni, Sommario della vita deiquatiro 
Patriarchi di caaadella Torre (brano d*unlfS. della Cnigiana 



CAPITOLO SETTIMO. 257 

•coUa data del 1561, pabblicato dal Fea nelle Nuove osserva- 
zioni sopra la Divina Commedia^ Roma 18à0): u Pagano 
9 della Torre fu si^óre magnanimo e prudente, grande 
» protettore di dotti, appresso 11 quale ricoverò Dante Ali- 
n gfaieri fiorentino, poeta e filosofo celebratissimo, fuoruscito 
■n per le fazioni de Neri e Bianchi. Con il qu^l signore con 
» molta satisfazipne egli dimorò per buon tempo, e con lui 
n -frequentò sovente la bella contrada di Tolmino, castello 
» situato ne' monti sopra Dividale del Friuli miglia XXX; 
n luoco ne* tempi estivi molto dilettevole per la bellezza e 
it copia di fontane & fiumi limpidissimi e sani ; per V aria 
» saluberrima ; per T altezza dei monti e profondità spaven- 
» tosa delle valli ; per i passi strettissimi e novità del paese, 
« il quale tenendo molto del barbaro, accompagna però con 
» r orrore del sito, una graziosa vista di campagne, di rivi 
i> e di terre grasse e ben coltivate. In questo sito si mira- 
» bile, che pare nato per speculazione de* filosofi e poeti, 
» si crede cbe Dante scrivesse a compiacenza di Pagano 
t» alcune parti delle sue Cantiche, per avere i luoohi in esse 
n descritti 'molta, corrispondenza con questi. E a questa cre- 
^ denza consente imo scoglio sporto sopra il fiume 'Tolmino, 
« chiamato fino oggidì dalli -paesani sedia di Dante; nel 
« qual loco la fama di mano in mano ha cons^ervato me-^ 
» moria, che egli scrivesse Della natura de' pesci. » Ma 
quale autorità potrà fare uno scrittore, il cfiaXe. racconta 
ehe Dante, stando sul sasso di Tolmino, scrivesse un libro 
-suUa natura de^ pesci f £ (|ual fede potrà meritare una tra- 
dizione da lui riferita, secondo la quale si crede che Dante, 
stando colà, scrivesse una parto delle sue eantiche -per com- 
piacere al patriarca d-Aquileia? 

" Vedi Francesco Florio, Dissert. sopra il monumento di 
Gastone, patriarca d' AquiUia, nel voi. II delle Memorie 
della Sopietà colombaria ; ed il p. Bernardo Maria de Rubeis 
nelle Dissert, de nummis Patriarchi Aquileiens. nella prima 
parte delle Dissert. de monètis Italice, raccolte da Filippo 
Argelati. ■ , 

*• £ qui d* uopo avvertire che Guido da Polenta ge- 
nitore di Francesca, non. è questo Guido ospite generoso 
dell' Alighieri, col quale lo confusero quasiché tutti gì* illn- 
etratori di Dante, non escluso il Perticari e il Foscolo e FAr- 
rivabene e gli Annotatori padovani. L* ospite di Dante fu 
Ouido Noveuo, cioè Guido il giovine; del quale {& gr^inde 
elogio il Boccaccio, chiamandolo nobile cavaliere, ne* libe- 
Daxte. — Vita, - 17 



258 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

rali studi ammaestrato e che sommamente i v'alorosi nomini 
onorava ; mentre il padre di Francesca fa Guido il Vecchio 
(così pur chiamato dagli storici), il quale era capo de' Guelfi 
m Romagna nel 1249. Egli maritò Francesca a Gianciotto 
nel 1275; e, se fosse stato tra i rivi quando Dante mori 
(cioè nel 1321) avrebbe contato più di cent* anni d' età. Ci 
narra il Boccaccio come Guido accompagnò onorevolmentp 
r Alighieri al sepolcro, e recitò il funebre elogio di lui. È 
egli da dirsi probabile -che ciò potesse farsi da uomo, che 
avesse già varcati i venti lustri ? Il padre di Francesca fn 
insomma l' avo di Guido Novello, e questi -era nipote di 
quella donna infelice. 

^® L' ambasciata di Dante* a' Veneziani per Guido à& Po- 
lenta ne* primi mesi del 1321, è attestata^ da quasi tutti i 
biografi del Poeta. Giovanni Villani (lib. IX, cap. 136) dice 
che Dante mori in Ravenna, essendo tornato . d* ambasceria 
da Vinegia in servigio, de* signori da Polenta, con cui dimora- 
va, Giannozzo Manetti (nella Vita Danti/) dice ohe essendo 
Guido in guerra co' Veneziani, mandò ad essi ambasciatore 
Dante, per proeurare la pace ; ma non avendo potuto otte- 
nere che fosse prestato ascolto alle sue parole, tomossene 
aJBSitto e. ammalato in Ravenna, dove poco tempo appresso 
mori. Girolamo Rossi (Hist, Ravenni, lib. 6), e il poarchese 
Ma£fei {Scritt, Veròn, pag. 54)^ parlando di quest' amba- 
sciata di Dante, dicono che nel ritomo amnjialò e mori^ af- 
flitto dal dispiacere di non aver potuto servire, come bra- 
mava, il suo signore, al quale quella repùbblica minacciava 
di muover guerra. £ tutte queste testimonianze rendono 
certo il fatto dell' ambasciata di Dante a Venezia net primi 
mesi del 1321. . • 

Ora dirò che nel veneto archivio di «Stato (nei volumi 
dei Patti internazionali) trovasi un documento del 4 mag- 
gio 1322 (di cui vidi copia presso lord Vemon), il quale è 
r atto della pace avvenuta in. quel giorno &a 1& repubbEca 
di Venezia e Guido da Polenta, signor di Ravenna. In quel- 
r atto s^ accenna a trattative precedenti, ma non si dà il 
nome delle persone che le incominciarono. Comunque sia, è 
certo il fatto ■ della pace 'nel 4 maggio 132^^ e quello delle 
trattative nell'anno 1321, le quali non è improbabile che 
fossero incominciate appunto dà Dante. 

Fra le epistole del nostro Poeta havveuQ una pubblicata 
dal Doni qcI 1547, la quale è scritta da Venezia il 30 marzo, 
e per la quale l'Alighièri rende conto al Fomentano' della 
niuna riuscita della sua ambasciata, prendendo da ciò oc- 



CAPITOLO SETTIMO. 259 

caeione di dir male de* Veneziani. Peraltro questa lettera 
invece' di portare la data del 1321, porta quella del 1314 : 
ond' è che molti critici ritennero che fosse apocrifa, ed 
inventata di pianta da quel fantastico editore ; sì perchè 
nesBHn biografo del Poeta ha detto che Dante sostenesse 
per Guido due ambascerie (una nel 1314, 1* altra nel 1321), 
si perchè nessun^ memoria si ha dalla^ storia, che fosse 
Dante ospitato dal Polentano nel 1314. Non starò qui a ri- 
petere quello, che dissi nelV illustrazione a quella epistola, 
e solo aggiungerò .che ir fatto della legazione del 1314 non 
sussiste veramente ;, ma non perciò si rende necessario il ri- 
tener la lettera per apocrifa, quando sì supponga (come pur 
Buppose il Balbo) che la data sia sbagliata, e che invece 
del 1314 sia del 1321. Ma gran noia da ai critici la mor- 
dacità delle frasi usate in essa, quasiché Dante non n'avesse 
usate òr contro questo, or contro quello delle più acerbe in 
tutte quante le opere sue. Se peraltro quei critici «.vesserò 
veduto la - Vita di Dante scritta da Filippo Villani, la quale 
in passato giacevi^ inedita^ non sarebbero stati tanto cor- 
rivi da tacciare il Doni d' impostore. Ecco come questo bio- 
grafo racconta la legazione di Dante a Venezia nel 1321 
(ivi, pag. 23): 

« Accidit ut Veneti, potentisB viribus freti. Guidoni sine 
» juxta caussa bellum indicerent, et terra marique exerci- 
f» tibus comparatis, in ejus excidium superbissime propera- 
» rent. Ea res jfatorum ordine, consuetum illustribus viris, 
» Poetse vit» exitum properavit. Nam cum .Guido in tanto 
» rerum sùarum discrimine versaretur, parumque suis fideret 
n viribus, sestimavit Poetae facundiam et nomen,posse ei im- 
I» minenl^em declinare ruinam, eique propterea quaerendas 
n pacis curam, oratoris officio, delegavit. Ille, suscepto li- 
I» benter onere, cum multa» itineris insidias perpessus anxie 
»» Venetias appulisset,- veriti parum docti eloquentisd viri ve- 
»» neti, ne persuasionibus, quibus potfentissimum Poetam fama 
» -compererant, a superbo aimoverentur proposito, exponendae 
« legationis iÙi iterum atqùe iterum petenti potestatem de- 
tt negaverunt. Cumque Poeta ^inauditus, laborana febribus 
yt commeatum per ora maris ad Bavennam precibus postu- 
li ^laséet, illi majorìlaborantes insania, penitus denegarunt. 
f) Admiratus {V ammiraglio) siquidem navalis exercitus, pa- 
n cis beUique leges piene eoncesserant. Et si Danti per 
n aquas tutum aditum permisi ssent, illum SBstifhaverunt quo 
n vellet posse flectere Admiratum singillatim. Profecto tam 
» praeclarìBe urbi setemùm insensatas stultitise dedecùs,. quo 
n liqùeret tantam urbem summa inconstantia laborare, cum 



260 MTA DI DAKTE ALIGHIERI. 

n timeret facundse persaasionis delinifnentìs ab bis qasB cqh- 
». salto decreverat, ' posse dimoveri, et, qaod est tuipias, vo> 
1» luisse ab urbe sua eloquentiam exalare. Ineommoda igìtur 
1» terrestris itineris cum febribos Poeta perpessus, cwn Ba- 
li vennam applicuisset, paucis post diebus extinctus est. » 
Filippo Villani scrisse questa vita (secondo il Moreni) 
dal 13^ al 1397. Dunque centocinquanta anni't>tima del 
Doni si vede raccontato da quel biografo il fatto dell* am- 
basciata di Dante, con tutti^ quegli stessi particolari, ed 
eziandio con altri, cbe si leggono nella lettera controversa, 
e che fecero dubitare della buona fede del suo editore. Per 
me dunque la' lettera (che certamente doyea esser latina, 
quella del Doni non essendo che una traduzione) è vera, 
ma invece di portar la data del 30 marzo 1314, dee portar 
quella del 30 marzo 1321. 

'' Le parole rtferite son quelle, con éhe teifmina la Vita 
Nuova, 

Che la morte di Dante accadere veramente il 14 'set- 
tèmbre 1321, lo attesta il Boccaccio nella Vita di Dante, 
dicendo che mori del mese dì settembre, negli anni di Cri- 
sto 1321, nel di che la esaltazione della santa Croce si 
celebra dalla Chiesa. £ nel Commento alla Diviiia Com- 
media (cap. I^ racconta aver saputo da ser Pietro di messer 
Giardino da Kavenna, che era stato uno de* più intimi amici 
del Poeta, che egli era morto in età di anni 56 e tanti 
mesi, quanti corrono da maggio a settembre (cioè 4), il di 14 
di questo stesso mese dell' anno 1321. Lo stesso dice Ben- 
venuto d^ Imola al canto XXX, v. 135 del Paradisa. Lo 
stesso dice Filippo Villani con queste parole : ObiitJ^aeta 
anno^ratias MCCCXXI, idibus septembris,.qno die sanetm 
Crucis solemnitas cetébratur, dierum vitas suhb €Mno sexto 
et quinquagesimo. Che se nelle stampe di Giovanni Villani 
si leg^e esser morto Dante^nel luglio là21, 1 giornalisti di 
Venezia (nel voi. XXXV, pag. 24^) significarono come in 
nn pregevole codice di questo storico, che si conserva nella 
biblioteca di san Marco, si legge nel mese di settembre, 
e non già nel mese di luglio, E poiché alcuno pose in dob- 
bio questa' data, a troncare ogni controversia aggiangerò 
che V iscrizione sepolcrale, dettata dall' amico di Dante Gio- 
vanni Del Virgilio, termina, cosi s 

Mille trecentenisf ter s'eptem Numtnis anhis, 
Ad sud septemòris idibus astra recUt. 



261 



CAPITOLO OTTAVO. 



Qualità di D<mte. AntddQtL Cecco d* Ascoli, Giotto. Opere 
del nostro Poeta, Questioni intonxo alcuni particolari 
della Divina Commedia. Quando ognuna deUe tre can- 
tiche fosse pubblicata ; ed a chi dedicata, Qual sia la 
data della visione descritta nel Poema, 



c Questa nostro Poeta, (dice il Boccaccio) fu di medio- 

> ere statura; e poiché aUa matura età fu pervenuto^ andò 

> 'alquanto curvetto^.ed era il suo andare grave e mansue- 
>'tp; di onestissimi panni sempre vestito^ in quello abito 
» eh' èra alla.sua maturità convenevole. Il suo volto fu lun^ 
y go» e '1 naso aquilino^ e gli occhi anzi grossi che piccioli^ 
». e le mascelle grandi^ e dal labbro di sotto era quello di 
» sopra avanzato : il colore era bruno^ e i capelli e la barba 
» spessi^ neri e crespi^ e sempre nella faccia malinconico 
1 e pensoso ...... Ne' costumi pubblici e domestici mira- 

l' burnente fu composto e ordinalo; e in tutti più che al- 
1 cun altro cortese e civile. Nel oibo e nì3l poto fu mode- 
» stissimo^ sì in prenderlo ali- ore ordinate^ e sì in non 
1 trapassare il segno della necessità quelli prendendo; rè 
» alcuna golosità ^bbe mai in uno più che in-un altro : i 
» dilicati lodava^ e il più si pasceva de' grossi; oltremodo 
»• biasimando coloro^ li quali gran parte del loro studio pon- 
» gono in avere le cose elette^ e quelle fare con somma 
w diligenza apparare ; affermando^ questi cotali non mangia- 

> re per vivere, ma piuttosto vivere per mangiare 

» Rade volte, se non domandato, parlava ; e quelle pesata- 
» mente, e con voce conveniente alla materia di che par- 



!262 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» lava; non per tanto che laddove si richiedeva, eloquen- 
» tlssimo fu e facondo, e con ottima e pronta prola- 
^ zione. j 

Dice il biografo che Dante avea la barba e i capelli neri: 
ma veramente appare che non fosse cosi, poiché egli-stesso 
nella sua prima egloga, rispondendo a Giovanni Del Virgilio, 
che r invitava a Bologna a prender la corona d^ alloro, 
dice : ' 

£ non fia meglio, 

Ch*io m'orni e copra sotto il trionfale 
Serto le chiome, ove alla patria io tomi, 
Che saran bianche, e bionde eran stilr Amo? 
{Tradìiz. del Personi.) 

€ Ne' suoi studii fu assiduissimo (segue raccontando il 
D> Boccaccio) in tanto che, essendo una volta tra te altre in 
9 Siena, e avvenutosi per accidente alla stazieàe d»' uno spe- 
» ziale; e quivi statogli recato unp libretto davanti promes- 
» soglia e tra' valenti uomini molto famoso, né da lui giam^ 

> mai stato veduto; non avendo per avventura spazio di 
» portarlo in aJtra parte, sopra la panca, che davanti aHo 
» speziale era, si pose col petto; e messosi il libretto davan- 
» ti, quello cupidissimamente cominciò a leggere. E comec- 

> che poco appresso in quella contrada stessa, e dinanzi da 
» lui, per«alcuna general festa tle' Sanesi, si cominciasse dai 

> gentili giovani ^ facesse una grande armeggiata, e con 
» quella grandissimi romori da* eircustanti (siccome in co- 
» tali casi con istromenti vàxii e con voci applaudenti sud 
i farsi); e aRw cose assai vi avvenissero da dover tirare al- 
» trui a vedere, siccome balli di vaghe donne, e giuochi 
» molti di ben disposti e leggiadri giovani ;. mai non fu alcu- 
> no, che muovere di quindi il vedesse, né alcuna volta le- 
» vare gU occhi dal libro: anzi postovisi a ora di nona, pri- 
» ma fu passato vespro, e tutto V ebbe veduto e quasi som- 
» mar iamente compreso, eh' égfi da ciò si levasse, affermando 
» poi ad alcuni, che '1 domandarono come s' era potuto te- 



CAPITOLO OTTAVO. Ì63 

y^ ocre di riguardare, a cosi bella festa, come davanti a lui si 
> era fatta, sé niente averne sentito. Per lo che alla prima. 
3 maraviglia^ non indebitamente la seconda^ s' aggiunse a' di- 
» mandanti. » , 

Poche parole intorno le qualità di Dante fa Leonardo 
Bnini^ dicendo soltanto, che egli fu uomo pulito b di grato 
aspetto; pieno di gravità; parlatore rado e. tardo, ma nelle 
sue risposte molto sottile. Assai più ne fanno Giovanni Vìi», 
lani e il suo nipote Filippo ; ma il primo non ha cosa note- 
vole, che non si conformi a ciò eh' è stato già riferito, e il 
secondo non ferche ricopiare press' a poco le parole del cer- 
taldese. * • . 

Varii aneddoti «i raccontan di Dante ; ma lasciando a 
parte quelli raccontati da Franco Sacchetti ; cioè quelH del- 
l' asinaio e delJabbro, dell' Adimari e del genovese (che.^no 
inverosimili, e milL' altro che sconce novelle) ; ne riporterò 
alcuni alto-/ dichiarando nondimeno che non intendo darli 
affatto e tutti per verù 

È una tradizìon popolare che D^nte, quando stava in Fi- 
renze,^ si recasse le sere della calda stagijoue stilla piazza di 
santa Maria del Fiore, detta allora santa Reparata, a pren- 
dere il fresco, assidendosi sopra un muriociuolo in quel 
punto, ove pochi anni sono fu collocata una memoria, che 
dice : Sasso di Dante. Or quivi stando una sera, .gli si presen- 
ta uno sconosciuto^ e lo interroga: Stessere, sona impegnato 
ad una risposta, né so come trarmi d' impaccio : mi che siete 
così doUOf. potreste Sìiggerìrmiela: Quat è il migliar boccone? 
E Dante, senza por tempo di mezzo, rispose: L'uovo, Un 
anuQ dopo, sedendo egli sullo stesso muricciuolo, gli si pre- 
senta di nuovo quell'uomo, che piùìion aveva egli veduto, 
e lo interroga : Con che? Ed egli tosto : Col sale, E fu cosa 
mirabile (dicon coloro, che prestan credenza a siffatti rac- 
conti) che egli, cólto cosi all' improvviso, sapesse tosto risov- 
venirsi della prima domanda, e> collegandola colla seconda, 
rispondere cosi acconciamente. 

Un' altra volta trovavasi Dante nella chiesa di santa Ma- 



264 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

ria ^Novella^ ed appoggiato ad un altare stara meditando, 
quando gli si accosta uno di quei fastidiosi^ che colle ciarle^ 
stancano ed annoiano eziandio il più paziente uomo del 
mondo. Sforzavasi Dante di torsolo d'attorno/ ma non ve- 
nendogli fatto ; Prima eh* io ti risponda (gli disse) chiari- 
scimi d'una mia domanda: QuaV è la maggior besitùi del 
mondo? E quegli, diffondendosi in. parole, gli rispose che 
per V autorità di Plinio credetti fosse il lionfante.^ Or b&ne 
(rispòse il Poeta), o lionfante, nou'mi dar pia noia. 

Quando i priori, insiem cogli arroti, nel settembre 1^ 
tennero consiglio per trovar modo d'impedire la venutar-di 
Carlo, avendo deliberato di mandare a papa Bonifazio un*am- 
liasceria, e di questa volendo dar V inc^arico a Dante, rac- 
conta il Boccaccio, che egh, stato alquanto so^ra di sé, ri- 
spondesse: Se io V0, chi rimane? e serimangOrChi va? Quasi 
esso solo fosse quegli, che tutto tra tutti calesse.. Probabil- 
mente il Boccaccio non fece altro, eh© riferire una voce che 
allora correva : ma io non so creder vero il fatto ; tanto 
meno poi, perchè vedo che non fu il solo Dante V ambascia- 
tore, essendosi egh portato a Roma in compagnia di altri 
tre, siccome dicemmo nel capitolo V. 

Come la malevolenza può avere inventato quella rispo- 
sta, che gli darebbe carico d' orgoglioso, così, rompendo un 
pozzetto dei "battistero, fu da alcuno accusato a torto d' irri- 
verenza ai luoghi sacri. Mentr' egli un giorno trovavasi nella 
chiesa di, san Giovanni, cadde un fanciullo in uno di quegli 
angusti pozzetti, ch'erano attorno al sacro fonte^ e il quale in 
quel momento era pieno, d' acqua. Ora Dante^ per salvare da 
morte certa il fanciullo, non potendo altrimenti cavjamelo, 
ruppe il pozzetto. Ed efeli descrivendo nel canto XIX, v. 13 
e seg. déir Inferno i fori ove stanno, capovolti i simoniaci, 
ricorda questo fatto, evidentemente per iscusarsene, e per 
purgarsi da ciò/ che le male lìngue ne avean detto : 
Io vidi, per le coste e per lo fondo, 
Piena la pietra livida di fori, > 
D'un largo tutti; e ciascuno era tondo. 



CAPITOLO OTTAVO. 2G5 

Non parean né men ampii,. né maggiori 
Di quei, che aon nel mio bel san Giovanni; 
Fatti per luogo de' battezzatori; 
. LVuno de' qttali, ancor -non è molti anni, 

. Bupp' io per un, che dentro ▼* annegava : 
. _£. questo fia Buggel che ogni uomo sganni. 

E come egli ebbe de' malevoli e de' nemici in patria^ così 
n' ebbe alcuiH> ma non molti, fuori di essa. Che i conti 
Guidi lo tènessièrp per qualche tempo prigione nel castello 
di Porciano (siccome alcuni raccontano) sarebbe stoltezza 
il crederlo; dappoiché i conti di Porciano erano e si man- 
tennero ghibellini, ed in quel loro castello accolsero Dante 
siccome amico, anzi che ritenerlo siccome prigioniero: e 
questo abbiam veduto nel capitolo VI. Ma già la memo- 
ria che costoro adducono, cioè che Dante vi stesse prigio- 
ne dopo la battaglia di Gampaldino, mostra quanto sia falsa 
cotesta credenza; perciocché né Dante rimase prigioniero a 
quella battaglia,, né dopo di quella si trattenne nel Casen- 
tino, ma pertossi tosto nel pisano all'assedio di Caprona. 
Nulla dirò d' un Cecco Angiolieri sanesé, mediocrissimo 
poeta (d' un' avventura del quale ha formato una novella 
H Boccaccio), il quale. in alcun suo sonetto prese, a mor- 
der Dante; come nulla dirò dell' oltraggio, che a lui si 
dice aver fatto in Genova gli amici di Branca d' Oria, per- 
chè Dante non fu mai in quella città : ma qualche parola 
forò di Francesco Stabili, più conosciuto sotto il nome di 
Cecco d' Ascoli; ingegno arguto ma falso, il quale, dannato 
al fuoco per negromante, mori in Firenze vittima della 
stolta e ad un tempo crudele superstizione di quella età. 
Ovecchè si fossero conosciuti (forse in Bologna), certo è che 
Dante e Cecco tenevan fra loro epistolare corrispondenza. £ 
se è véro quello che alcuno racconta; cioè; che, posta la que- 
stione Se la natura potedsi vincer daW arte, e stando Danto 
pel si e Cecco pel no, restasse Cecco vincitore, perciocché 
avendo quegli addestrato un gatto a reggere una candela, 
questi fecegliela lasciare sprigionando topi improvvisamen- 



"ìee VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

te; potrebbe dirsi che Danto avea conosciuto V ascolano 
I)er qu^l che valeva, e tenevaselo quasi per trastullo. 
Infetti quand' egli dimorava in Havenna proposegli un' as- 
surda que^tione^ cioè goal fosse più nobile fra due figliuoli 
nati ad nn patio; e questa gli propose^ probabilmente per- 
chè Cecco gii avea criticato la sua canzone suDai nobiltà^ 

Le dolci rime d* amor ch*io solia. 

E r ascolano, non accorgendosi che Dante si prendea giuoco 
di lui^ rispose nell' Acerba, poema ia sesta rima ihediocris- 
Simo, ed oggi alTatto dimenticato : 

Ma qui me scrisse dabitanda Dante : 

Son doi figliuoli nàti in uno parto, 

E più gentil se monstra quel (iavante, 

E ciò cognosco come già Io vedi 
"Tomo a BaTenna; fe" de 11 non me parto:" 

Dimme, Asculano, quel che tu ne credf. 
.Rescrissi a Dante-, intendi tu che legi ec. ' 

Ho accennato nel c<'ipitolo lY, come tra Dante e Giotto 
fosse molta amicizia e familiarità : bella fratellanza e non in- 
solita tra' sommi^ i quali lasciano a' loro inferiori V invidiarsi 
od il mordersi. Ora riferirò alcuni particolari di questa loro 
amicizia. Era Giotto più giovine di Dante di undici anni, 
perchè nato nel 1276 (morì di &ò anni nel 1336)^ e (secondo 
quel che dice il Baldinucci nella Vita d' Oderigr da Gnidio 
questi^ Dante -e Giotto furono tutti e \re insieme ad ap- 
prendere il disegno nella bottega. di Gimabue: « Il motivo 
» che Jho (sono le sue parole) di tenere ciò per fermo, è la 
» triplicata amicizia^ che passò tra Oderigi^ Giotto e Damate; 
» la quale come quella, che fu di attuai presenza, siccome 
» proveremo dipoi, venne necessariamente prodotta dallo 
» medesime cagioni, cioè tempo, studii e luogo, che dettero 
» loro occasione di conversare insieme. Quanto alla prima, 
j> vissero tutti e tre nel medesimo tempo : di Giotto e dì 
» Dante è notissimo, e di Odérigi lo dice apertamente il 



CAPITOLO OTTAVO. 267 

» Vasari, menlre insinua ch'egli fu in Roma a miniare per 
» la libreria del papa nel tempo stesso, che Giotto,- d' ordine 
» del medesimo pontefice, era quivi venuto a fare le isue fa^ 

> mose pitture. Quanto alla seconda, erano tutti e tre della 
i^ 'medesima nobilissima professione, perchè si leggono di 
» esso 0ante, appresso Lionardp Bruni, queste precise parole 
» degli studii di quel gran Poeta, e di ma mano egregiamente 
» disegnava. Quanto alla, terza, furono tutti e tre nella bot- 

> tega di Cimabue, perchè tutti e tre appresero Tarte dal 
» medesimo «maestro. E di vero, per quanto a Giotto ap- 
)i partiene; la cosa è spianata.^ Di Dan^e, e da chi altri dire- 

> mo noi eh' egli apprendesse l' egregio suo disegnare, se 
ì^ noA da Giinabue, unico allora in Firenze per V eccel- 

> lenza del dipigneref -D' Oderigi poi mi si rende quasi in- 
)i dubitato per le seguenti ragioni ec. » 

Tornato Giotto da Roma, fece nella cappella del palagio 
del potestà un affresco, e, tra le molte figure che vi pose, 
dipinse pure il suo amico Dante Alighieri. Ciò avvenne (se- 
condo che i.più credono) nel 1301, quando Giotto avea 25 
aìmi d' età. Per tre secoli queir affresco (ed era pure 
un'opera del* sommo Giotto) rimase t^operto vandalicamente 
àa ima mano di bianco ; quando nel 21 luglio 1840, per cura 
dell' americano Enrico. Wild, dell'inglese Seymour Kirkoup 
e del. piemontese Giovanni Bezzi, tornò a rivedere la luce; 
ed è soltanto da quello, che si h potuto avere la vera effigie 
di Dante, la quale rispetto alla forma ha tali hneamenti, e 
rispetto all'espressione ha tal dignità,- che invano si cerche- 
rebbero ne' ritratti, che comunemeiite si veggono. Racconta 
il Cellini, che Giotto e Dante facessero insieme il viaggio 
della Francia, e Benvenuto da Imola (Commento al canto XI 
del Purgatorio) riferisce, che quel dipintolre accolse il Poeta 
in sua. casa a Padova, mentre colà dipingeva. Ecco le ^ue 
parole : Accidit autem semel, quod dum GioUus pingeret Pa- 
dum, adhuc satis juvenis, unam cappellam in loco ubi fuil 
tkeatrìÀm sive arena, Danthes pervenit ad locum, quem QioU 
tus, honorifice, receptum duxit ad domum suam, e L'arino 1316 



268 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» (dice il citato Baldinircci) fec^- Giotto ritorno aUa i»itria,. 
» carico di ricchezze e d'onori .. ..JPocer dipoi fu per ojJPra 
» de' signori della Scala condotto a Padova^'dove.»' era- poco 
» avanti fabbricata la chiesa del Santo ; e vi diptose tina 
» bellissfma cappella {quella degli Scrùviffni), In '<pie£(to 
» tempo e'ric^yette in casa suiaH nostro poeta Dante, i 
Quantunque il Baldinucci prenda errore dicendo^ ehe^ fu 
condotto a Padova per i signori della Scala^ perciocché Cane 
Scaligero non era nel 1317 «ignore di .Padova, ma sì di Ve- 
rona e di Vicenza ; pure è verissimo il fetto dell'aver Giotto 
dipinto nella cappella degli Scrovigni della nominata città. 
Anzi il Selvatico nella Illustrazione tii detta cappella, dice 
che il pittore vi ritrasse nuovamente T amico, e che questo 
ritratto ha molta somiglianza con quello che vedesi nella eiap- 
pella del potestà di Firenze ; perchè tanto qui che là Dante 
tiene in mano la melagrana, simbolo dell' inferno (poeta de- 
scrittor dell' inferno). E torna pure assai bene l' anno 1317, 
che il Baldinucci assegna alla dimora di Giotto in Padova, 
poiché Dante in queir anno era in Verona, donde è più clie 
probabile eh* egli si trasferisse alla vicina Padova;, per rive- 
dere e salutare l' amico.' Or mentre Dante tratten^ivasi in 
casa di Giotto, s' incontrò in alcuni figliuoletti' df lui; e ve- 
dutigli piuttosto brufti, cioè simili al padre, il quale quanto 
fu bello dell' animo, tanto era deforme del vcrfto^ disse a 
Giotto : Egregio maèstro, io molto mi meraviglio, che avendo 
voi fama costante per lo mondo di non aver pari neW arie 
della pittura, cosi bette facciate ad altri le figure^ ed a voi 
si bruite. Al che Giotto" (secondo Benvenuto da hrnola, dal 
quale questo aneddoto è riferite) sorridendo rispose : Cosi ad- 
diviene, quia pingo de die, sed fingo de nocte : la qual risposta 
piacque molto a Dante, non già perchè il concetto gli giun- 
gesse nuovo, avendosene un simHe ne' Saturnali di Macro- 
bio, ma per vederlo rinato dall' ingegno d' un tant' uomo. 
Dopo aver lavorato in Padova, passò jGiotto a Verona, e in 
questa città (segue a raccontare il Baldinucci) « ritrasse 
}» messcr Cane della Scala ; e per Un silo palazzo foce molte 



CAPITOLO OTTAVO. 2G9 

:» belle pittuce^ e una tavola per la. chiesa di san Francesco. 

» Nelr tornarsene poi alla patria, fu da' signori Estensi fer- 

:» mato in Ferrara; e quivi dipinse nel loro palazzo, e nella 

> chiesa di sant'Agostino. Fu poi (verso il 1320)-per opera 
» di- Dante fatto vepire a Ravenna, luogo del suo esilio, dove 

> per li sigùori da Polenta gli fece fare alcune storie a fre- 
» SCO intorno alla chiesa di'^n Domenico. » 

Carlo Martello, figlio di Carlo n re^ di Napoli, il quale 
ereditò dalla madre il regno d' Ungheria, ma non giunse a 
possederlo, perchè mori assai giovane nel 1295 (r ebbe poi 
il suo figHo Cario Umberto), fu anch'esso amico di Dante. 
Con questo, giovane, che si trattenne per ponchi giorni in Fi- 
renze nel 1289, contrasse Dante un' amicizia più sincera e 
più costante, che non suol essere tra principi e privati ; e 
prob^bihnente fu, tra loro coltivata e accresciuta per episto- 
lare corrispondenza. E quantunque, per la morte di quel 
priucipe, non durasse l'amicizia che sei anni, pure il Poeta, 
serbandpne -sempre in cuore affettuosa ricordanza, collocò 
r amico nel cielo di Venere, fajcendone un encomio, che tra- 
manda a' secoli onorato il nome di lui, più che non avrebbon 
fatto le sue imprese politiche e militari: Nel Paradiso, can- 
to Vin, v, 4» e seg. : 

Il mondjO m' ebbe 

GHù poco tempo •, e se più fosse stato, 
Molto darla di mal clie non sarebbe. 
La mia letizia mi ti tien celato, 

Che mi raggia d'intorno e mi nasconde, 
Quasi animai di sua seta fasciato. 
Assai mi amasti, ed avesti "ben onde*, 
; • Che se fossi giù stato, io ti mostrava 
- ' Di mio amor più oltre che le fronde ec. 

Oltre la Dinina Commedia (della quale farò parola in ap- 
presso) lasciò scritto Dante in italiano il libretto della 
Vita Nuova-, eh' è una- storia de'giovenili suol amori con 
Beatrice, e nel quale incluse alcune sue rime, scritte ap- 



270 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

punto ili occasione di tali amori^ e quivi da lui dichiarate e -^ 
chiosate. Questo libretto ei lo compose neM292, valeva dire.^= 
quand' egli aveva 27 anni. Lasciò scritto una quantità (circa=^ 
ottanta) di componimenti poetici ; cioè canzoni^ sonetti e^^ 
ballate ; la cui raccolta è stata intitolata Canzoniere, e ì qualÉ" 
trattano ora d' ambre, ora d' qrgopienti morali o filosofici.. Que — 
sti componimenti ben si comprenderà, che non.foron da lav 
scritti tutti in un tempo> ma ei li venne scrivendo di mano in. 
mano, dal suo anno diciottesimo (nel quale, -siccome notam- 
mo, compose il suo primo sonetto) fin presso al termine della 
sua vita. Del merito di queste poesie non farò qui parola, 
poiché n' ho parlato abbastanza nella dissertazione^ premessa 
al Canzoniere; e d' altra parte potrà ben da ognuno pensai 
si, che il grande scrittore della Divina Commedia nou potea 
esser minore a sé stesso, quando scriveva o una canzone o 
>un sonetto. Seguono al Canzoniere alcune rime di argomento 
sacro ; e ^ono la traduzione in terza rima de' Sette salmi 
penitenziali, e la sua Professione di fede, ossia parafrasi del 
Credo, de' sacramenti, del decalogo, de'vizii capitali, del 
pater noster, e dell' ave Maria, componimento' pur questo 
in terza rima. Tali rime sacre vuoisi comunemente che fos- 
sero da lui dettate negli ultimi anni di sua' vita ; ma si è da 
alcuni dubitato se siano, veramente di lui. La maggior parte 
però de' critici e àc' biografi (fra i quali il Balbo) non fanno 
diflicoHà ad ammetterle; e quanto a n^e dirò, che, quantun- 
que riconosca esser questi componimeptì non condotti al- 
l' ultima perfezione, e in cui perciò riscontrasi qualche difet- 
to, pure essendovi non pochi .tratti, da cui .&' appalesa il 
fare di Dante, io mi sento^ propeaso più ad ammetterli, che 
ad escluderli. * Nii^l penultimo anno della sua vita scrìsse 
due egloghe in esametri latini, in replica ad altre due, che 
aveagli indirizzate il suo amico Giovanni Del Virgilio, bolo- 
gnese ;. e, poiché di esse ho parlato nel capitolo precedente, 
non ne farò qui altre parole. • ' ^ 

La gua più lunga e più considerevole opera in prosa italia- 
na è il Convito, che fu da lui così denominato quasi imbandi- 



CAPATOLO OTTAVO. 271 

mento di scienza ; e che può. dirsi un trattato (non peraltro 
compiuto) di tutta la filosofia di quei tempi, esposta eloquen- 
temente in forma di cemento sopra tre delle sue canzoni 
morali. Cohsta di quattro libri (eèli li chiama trattati), ma 
(secondo che dijee,«gli stesso) doveva constare di quindici, 
volendo in quattórdici libri comentare altrettante sue can- 
zoni,* e' destinando il primo ad essere una generale introdu- 
zione: all'opera. Una diligente analisi ha portato a riconoscere, 
che due di- essi libri furono da Dan;te scritti nel 4297 e 1298, 
e dtte nel 13t4. -^ 

Scrisse in latino il trattato de Monarchia, il quale si 
compone di tre libri : nel primo si propone l' autor di pro- 
vare, chÌB al ben essere dell' umana società, e all' ottima 
disposizione del inondo, è necessaria la monarchia; nel secon- 
do, chjB r oflQcÌQ della nionarchia, ossia dell' impero, appar- 
tenne ed appartiene di 'diritto al popolo romano, e conse- 
guentemente al re de' Romani, ossia all' imperatore; nel 
terzo, che l' autorità del monarca dipende immediatamente 
da Dio, e non da alcun suo ministro o vicario. Questo trat- 
tato vuoisi per i più, che fosse scritto da Dante quando Ar- 
rivò era in Italia, e che egli lo andasse scrivendo coli' inten- 
zione di dedicarlo a lui ; ma, morto questo imperatore prim^i 
che l'opera fosse compiuta. Dante dedi colla poco appresso a 
Lodovico il Bavaro, che fu uno de' due principi (l' altro fu 
Federigo d'Austria)^ che per più anni si contrastarono l'im- 
pera Questo libro dovea (com' è ben naturale) dispiacer 
molto al partito guelfo, e più altamente poi alla Curia papale, 
la qual vedeva in esso confutate sottilmente 4e irragiopevoli 
sue pretese. Ond' ò che il cardinal Bertrando del Poggetto, 
legato del pcmtefice Giovanni XXII, trovandosi verso il 132S 
in Bologna, e sentendo che l' antipapa fra Pietra'da Corvara; 
il quale avea preso il nome di 'Niccolò V, ed il quale era del 
partito di Lodovico il Bavaro; toglieva argomento da questo 
libro per sostenere la validità, della sua elezione, non si con- 
tentò 'di proibirlo, sottoponendo' chiunque lo leggesse alle 
censure ecclesfastiche, ma, mosso da soverchio zelo, voleva 



372 VITA -DI DANTE AUGHIERI. 

altresì die si dessero al fuoco le ossa del suo autore. Lo che 
forse ayrebb* egli mandato ad effetto^ se non tì si fosse op- 
posto Pino della Tosa e Ostagio.da Polenta^ che pjresso di 
lui godevano di molto favore. * Quindi venne che ii celebre 
giureconsulto Bartolo (il quale viveva intorno alla- metà del 
secolo XIV) lasciò scritto; che, per càusa di quest' opera, «ella 
iiuale. sostenne Dante che Y autorità degF imperatori era in- 
dipendente da quella de' romani pontefici^ fu quasi dannato 
come eretico. ® . • - - 

Il trattato de vulgari Eloquio sive Idióinatè, vale a dire 
ilei volgare Linguaggio, è un' operetta da lui lasciata incom- 
piuta. Erano quattordici (secondo eh' ei riferisce) i princi- 
pali dialetti^ che allora parlavansi in Italia. Ytìlendo Dante 
trovar modo di stabilire una lingua italiana comune^ in che 
tutti i dotti avrebbon dovuto scrivere, si fa ad esaminare 
quei varii dialetti; e mentre trova che i principali eran 
quattordici, vede al tempo stesso che nessun d' essi è dégno 
d' ottenere jsopra ogni altro il primato, e di esser prescélto 
a tal uopo. Quindi conchiude, che il volgare da. hii chiamata 
illustre, cardinale, aulico e curiale, ossia la lingua italiana 
comune, non trovavasi già fatta, ma doveasi fare, prenden- 
do il buono ed il meglio da quei dialetti. Io accenno qui la 
questione e non la tcnnino, perdio ne ho parlato a luogo 
opportuno ;,cloè nel volume secondo delle Opere minori. Alle 
tré specie dì stile (il sublime, il mediocre e V umile) in che 
doveasi potere usar questo volgare, assegna T autore le 
materie ; e rispetto ai varii componimenti poetici prescrive 
la forma de' versi, delle stanze e d' ógni altra particolarità: 
cosicché questa operetta, oltre ad essere un trattato della 
lingua volgare, crebbe riuscita, se fosse &tata compiuta, 
anche un trattato dell'arte poetica. Dovea essa constare di 
quattro libri; ma tutto quello, che oggi ne abbiamo, non com- 
prende che il libro primo è una parte del secondo. Proba- 
bilmente ei fu mosso a fare Un lavxtro sifiÈatto, per ribattere 
con ntla trattazione teorica le critiche, che gli venian faicen- 
dp, non che i suoi nemici, gli amici stessi, .dello scriver egli 



CAPITOLO OTTAVO. «73 

il SUO Poema in lingua volgare^ e non già in Ungua Iati> 
sa^ ch'era quella di cui faceasi allora uso da tutti i dotti. 
Quest' operetta fu da lui scritta dal 1305 al 1307^ ma non 
fu proseguita; e quanto a quel passo del Convito (Tratt. I, 
cap. 5) che sembrerebbe contradire a tale indicazione : Di 
questo si parlerà pia compiutamente in uno libro, eh' io in- 
tenda^ di fare, Dio concedente, di volgare eloquenza; se ben si 
co^sidera^ non riesce contradittorio^ perciocché l'autore 
d' un' opera, che deve constare di quattro libri, non avreb- 
be potuto in diversa maniera parlarne, quand' egli non ne 
avesse pure terminati due; e di più ^li non ne avea pub- 
blicato alcuno. 

Un altro opuscoletto lasciò scrìtto Dante in latino, ed è 
una tesi filosofica de aqua et terra, da lui sostenuta in 
Verona il W gennaio ISSO; nella quale prese ad esporre 
e provare, che la proposizione da altri avanzata, cioè 
€ che r acqua nella sua sfericità, vale a dire nella sua prò- 

> pria circonferenza, fosse in qualche parte [Hù alta della 

> terra, > era falsa ed assurda, dovendosi anzi ritenere il 
contrario: Delle molte epistole da lui scritte, è tutte probabil- 
mente in latino, poche oggi ne restano^ cioè undici; ma 
di esse non dirò qui nulla, perchè quasi di ciascuna singo- 
larmente ho fatto quando molte, quando poche parole nel 
processo di questo libro. 

Intorno alla Divina Commedia, poema cui non sarà dato 
ad uomo d' eguagliare, non che dì superare, sono state fatte 
(com' era ben naturale) parecchie questioni, sia storiche, sia 
letterarie. Tralasciando affiatto le letterarie, e trascegliendo 
dalle storiche quelle che hanno più attinenza col mio su- 
bietto, la prima che si presenta è — quando Dante scrisse 
la Divina Commedia? — A questa domanda rispondo,, che 
quantunque i primi saggi 'fossero da lui. fotti in Firenze, 
posteriormente alla morte di Deatrice e prima deli' esilio, 
pure l'opera, quale oggi l'abbiamo, fu ^ tutta scritta da lui 
nel- tempo, in che visse esule dalla patria, cioè dal 1302 al 1321. 
Là dove riportai le ultime parole della Vita Nuova, colle quali 

Daktb. — Vita, 18 



274 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

dice Dante^ che studiava quanto poneva per poter dire un 
giorno di Beatrice quello ohe mai non fu detto d' alcuna, 
notai come fino da allora aveva egli concepito Vìdea del 
Poema^ nel quale Beatrice sarebbe stata rappresentata sotto 
un, altissimo simbolo, qual è quello della scienza delle cose 
divine. Si rende quindi verosimile, se ùon in tutto> almeno 
iu parte, il racconto dei Boccaccio, ove dice essere stati 
trovati in Firenze nel 1307 'i primi sette icanti della Diciiia 
Commedia; non essendo quollj per avvoìitura-,se non i primi 
saggi, diremmo meglio abbozzi di quel lavoro. Ch' egli poi 
non terminasse il Poema se non neir ultimo, o (se pur si vo- 
glia) nel penultimo anno di sua vita, è attestato dallo stésso 
l)iografo, il quale racconta, che gli ultimi tredici canti del 
Paradiso furono inviati a Cane non da. Dante, ma da' figfi di 
lui, posciachò era avvenuta la sua morte. E che al principio 
del 1320 la terza cantica non fosse ancora pubblicata, lo si- 
gnifica Dantei' stesso al suo amico Giovanni Del' Virgilio, là 
dove nell'egloga prima gli risponde, che gli sarà grato di 
prendere la corona d' alloro non in Bologna, ma in Firenze, 
quando abbia égli pubblicato il Paradiso. Anzi i dieci va- 
selli, ch'egli s'appresta ad- empiere, -mungendo la sua pe- 
corella che tanto abbonda di latte. 

Est mecum quam noscis ovis gratiaaima , . . 
Uberot vix quce /erre jpotesì, tara lactia abundans : 

• • V 

Hanc ego jprceatolor maniòus muìgere paratia; 
Hoc implebo decem miasurus vascula Mopao ; ' 

vuole il Troya,^ e non senza probabilità, che non altro signi- 
fichino, che i dieci idtimi canti* del Paradiso, che gli resta- 
vano' allora da scrivere. 

Ora se il Poema fu da Danfe scritto' dal 1302 al 1321, 
quando però fu ultimata e pubblic^rta la prima, quandi te 
seconda e quando la terza cantica?- Yarii critici (fra 1 quali 
il Troya) dicono che la prima cantica fu ultimata e pubbli- 
cata alla fine del 130§. Io distinguo, e dico, che ultimata aUa 



CAPITOLO OTTAVO. 275 

fine del 1308 può essere, ma non pubblicata; poiché ella noi 
fu che al principio del 1309, dopo che Dante ne ebbe fatto 
la copia, che e0i lasciò a frate Ilario del Corvo, per essere in- 
viata ad Ugucdone della Faggiuola, a cui intendeva egli de- 
dicarla. 1.0 che avvenne non nella fine del 1308, ma bensì 
nel principio del 1309, quando Dante posesi in cammino per 
passare i monti e andarne a Parigi : che per passare i monti 
in quella ^tà non aspetiavasi 1* inverno, ma sì la primavera . 
« Dico adunque che quest' uomo (scrive frate Ilario ad Uguc- 

> clone), disponendosi 4' andare alle parti oltramontane, e 
}> per la diocesi di Luni passando, jo lui movesse la religione 
» del luogo, od altra qual siasi càusa, si portò al monastero 

* predetto, i E qui il buon frate racconta ciò che Dante gli 
disse ; dopo di che prosegue : « Quando poi mi vide tutto 

* intento ad udirlo, e conobbe eh' io 1* ascoltava con molto 
» afifetto, si trasse dj seno, con modo assai familiare, un li- 

> bretto, e liberalmente me V offerse dicendo : — Ecco una^ 

> parte dell'opera mia, che per avventura tu non hai mai 
» veduta: lasciò a voi questo ricordo, perchè serbiate di me 

> più ferma memoria. — Dopo aver dette queste cose {ed 
•» altre che qui non riporta) con molta affezione soggiùnse, 
» che, sef mi fosse conceduto d'attendere a tali studii, quel- 
>. l' operetta con brevi chiose dichiarassi, e poi di quelle ve- 
» stita la trasmettessi a voi. » ^ ^ 

Ma sursero i contradittori, e dissero che la lettera di 
frate Ilario era apocrifa; e che, sebbene nella prima cantica 
non si veda accennato fatto storico, che oltrepassi l'anno 1308 
(siccome dapprima aveano osservato il Mar-chetti ed il Troya) ; 
pure vedendovlsi vaticinata nel canto XIX la morte di Cle- 
mente V, siccome quella che avrebbe dovuto avvenire den- 
tro un certo tempo determinato; così non poteà Dante ar- 
rischiarsi a fare quel vaticinio, se veramente la morte di 
detto papa non fosse in prima avvenuta. Quanto airauten ti- 
cità della lettera di frate Hario, ne terrò discorso nel capitolo 
ultimo di questo libro ; e qui non farò che risolvere la que- 
stione intorno papa Cleìneute. 



276 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Finge Dante^ trovar nelK inferno (canto XIX) papa Nic- 
colò III, condannato dalla divina giustizia per le sue simonie 
a ^r capovolto ìq una buca; il quale, fra le altre còse, gli 
dice che resterà in quella penosa posizione, fìnchè venga Bo- 
nifazio YIU a rilevamelo. Ma Bonifazio (egli soggiunge) non 
starà così piantato per tanto tenìpo,. per quanto ci sono 
stat'io, perocché dopo di lui ,verrà Clemente V : 

Laggiù cascherò io altresì, quancLo. 
Verrà colui, eh' io credea che tu fossi, 
AUor che feci il subito dimando. 

Ma più è *1 tempo già che i pie \ni cossi, 
E eh* io son stato cesi sottosopra, 
Ch'ei non starà piantato compiè rossi: 

Che dopo lui verrà, di piil laid*jopra. 
Di vèr ponente un pastor senza legge, 
Ttìd che conyien che lui e me ricopra. 

DI qui adunque V opposiz^ione : perciocché come potea il 
Poeta annunziar ne' suoi versi, che Bonifazio sarel)be stato 
a quel tormento meno tempo di quello che stato vi fosse 
Niccolò, se non sapea la morte di quel papa, cioè di Clemènte 
(avvenuta Yieir anno 1314), che nella pena medesima a Bo- 
nifazio successe? Per due modi può rispondersi a questa 
obiezione : ma in prima è d' uopo far precedere alcuni dati 
cronologici. Neil* estate del .1280 (v. il Binaldi, continuatore 
del Baronie) muore Niccolò IH, e (secondo la finzione poetica 
deir Alighieri) piomba all' Inferno a ricevervi la punizione 
de' simoniaci. Neir li ottobre del 1303 muore Bonifazio, che 
dall' acerbo tormento rileva Niccolò, il quale per questi dati 
positivi apparisce esservi stato ^3 anni e qualche mese. 
Nel 1314- muore Clemente; e va alla sua volta a rilevar 
Bonifaziq, che colle piante in aria ha dimorato soli anni 11, 
cioè molto meno del suo predecesso;re. In pruno luogo per- 
tanto io rispondo, che dalla grave età di Clemente potea 
benissimo .argomentar l'Alighieri che questo pontefice non 
avrebbe dùnoràto sulla cattedra di ^n Pietro per il lungo 



CAPITOLO OTTAVO. 277 

corso >di anni 23, e potea quindi con molta probabilità va- 
ticinarne la morte, come da avvenire innanzi quel punto, n 
cui, supponendogli 23 anni di regno, sarebbe pervenuto; cioè 
innanzi V anno 1328. Ma non soltanto dalla sua età potea 
questo argomentar V Alighieri, ma altresì dal suo vacillanti' 
stato di salute, poiché essendo egli tormentato di frequente^ 
da acerbi dolori d' intestini, o (come dice la cronaca d'Asti) 
afflitto dHÌVhorribiHs morbìM lupuli,'' facea sempre temere 
di sua prossima morte.^ 

In ^cq^do luogo rispondo (e questo finisc-e di risol- 
vere la questione) che è stata sempre credenza, come nes- 
sun pontefice retto avrebbe la chiesa di Cristo per tanti 
anni, per quanti fu. retta d|il primo pontefice san Pietro, 
cioè per quasi 24 anni. È notissima quella sentenza rivolti) 
ai pontefici: Ncn videbis annos Pelri; ed è cosa curiosa il 
riscontrare che nel lungo corso di quasi diciotto secali (cioè 
fino a Pio VI), non sia pure una volta stata smentita. Que- 
sta credenza nel secolo dell' Alighieri tenacemente serbata, 
e ritenuta come inconcussa verità, fu quella senza dubbio, 
che autorizzò il Poeta, vivo ancora Clemente V, a predire che 
questo pontefice non sarebbe pervenuto all'anno 1328, co- 
me non vi pervenne di fatto, non avendo egli oltrepassato 
il i3U: perciocché si vuol ben notare, come Dante nelle pa- 
role controverse non dice, che Clemente debba morire il tal 
anno o il tal altro (nel qual' caso V annunzio non poteva 
darsi che dopa il fatto), ma dice sola che non avrebbe te- 
nuto la cattedra pontificale per t^ti anni, quanti la tenne 
il primo pontefice. £ questo poteva ben dirsi da chiunque, 
sema luretendere di fare il profeta. 

Fra gli argomenti idonei a provare, che la prima can- 
tica dev'essere statai pubblicata nella primavera del 1309, 
e che nel rimanente di quell' anno furono scritti (siccome 
il Troya insiste a dimostrare) i primi canti. del Purgatorio, 
son da porre questi Versi del canto VI: 

Che vai percbò ti racconciasse il freno 
Ctiustinianoy se la sella è vuota? 



278 VITA DI DAME ALIGHIERI. 

(parla aH' Italia.) 

O Alberto tedesco, che abbandoni 
Costei, eh' è fatta indomita e selvaggia, 
E dovresti inforcar gU saoi arcioni ; 

Giusto giudicio dalle stelle caggia 
Sovra il tuo sangue-, e sia nuovo ed aperto, 
Tal che il tuo successof temenza n* aggia. 

Alberto^ la cui morte violenta è qui predetia, fu ucciso dal 
suo nipote nel 1308; e di qui prènde dceasìone il Poeta per 
fare una minacicfa contro U successore di luf, Arrigo VE. 
Ayrebb' egli Dante potuto fare una Jstl minaccia dopo il i3i0^ 
cioè dopo che Arrigo, da lui tanto venerato, era già sceso 
in Italia? Quando Arrigo avea già valicato le Alpi, poteva 
egli dire che la sella era vmta? Se nel' 1310 eran pertanto 
scritti i primi canti del Pjirgatorio, a più forte ragione do- 
veva esserlo la cantica dell'Inferno. Celestino V fu cano- 
]iizzato nel 1313. Ora io dico, che l'Inferno era già pub- 
blicato ; poiché se non lo fosse stato, avrebb' egli il Poeta, 
iracondo se vuoisi, ma profondamente cattolico, posto quei 
santo nell'Antinferno fra gli sciaurati, che mai non far vim? 
Ho già detto che il Convito (o per meglio dire quella parte 
che da Dante ne fu scritta) fu da lui pubblicato nel 1311. 
Parecchi scrittori' vogliono che lo fosse anco innanzi : tanto 
meglio, se non per la verità storica, almeno per quello che 
vado ad esporre. In quest' opera dice Dante (Tralt. I, cap. 3), 
che per causa del suo esilio e della sua povertà « egli ap- 
» parve vite agli occhi a molti, y guali forse per alcuna faiq? 
» iji altra forma lo aveano immaginato: nel cospetto de' quali 
» non solamente sua persona invilì, ma di nainor pregio si 
» fece ogni opera sì già fatta, eoipe quella che fosse a fare. » 
Ora, qua!' è l' opera già fatta, che per la povertà dell" auto- 
re, il quale non weasi potuto presentare alle corti in ìsplen- 
dido arnese, era divenuta di minor pregio nel cospetto di 
molti? La Monarchia non era ancor pubblicata ;. e quando 
pur lo fosse stata, essendo essaruno scritto di partito, non 



CAPITOLO OTTAVO. 279 

potea riscuoter plauso^ che da quegli della parte ; il volgare 
Eloquio era sempre un lavoro non terminato, e che non 
fu conosciuto, se non .dopo la morte dell'autore ; la Vita Nuova, 
piccola scrittura giovanile, non era tal' opera^ dalla quale lo 
stesso amor proprio di Dante avesse potuto ripromettersi 
una celebrità : era dunque la Divina Commedia. Ma come 
mai. non sarebbe questa stata apprezzata secondo il suo me- 
rito, se non fosse già stata, pubblicata, vale a dire, se non 
ne fosse già stata pubblicata la prima cantica? 

Molti sono gli argomenti, che il Troya mette in campo a 
pro.vare, che i^Purgatorio fu ultimato nel settembre del 1315; 
ma io volendo esser .breve, non ne riporterò che alcuni. 
Primieramente è da. osservarsi, che in questa seconda can- 
tica non trovasi alcun fatto, accennato per modo di predi- 
zione, il quale, oltrepassi quell'anno. Secondariamente, le 
parole che il Poeta pone in bocca 41 Bonagiunta, per le quali 
vien significato che a Dante sarebbe un giorno piaciuto 11 
soggiorno di- Lucca, si trovano nel canto XXIY, cioè verso 
la fine di quella cantica: e quelle parole è probabilissimo 
che fossero scritte mentr' egli era caldo dell' afifetto per Gen- 
tucca, mentr' egli cioè faceva in Lucca dimora. Qra Dante 
non dimorò in questa città, se non nella fine del 131i, 
nel 1315 e nel principio, del 1316. Alla corte dello Scaligero 
portossi Dante o alla fint) del 1316, o al principio del 1317; 
ma all(Nra le due prime eantiche erano già state pubblica- 
te, poiché nel fare a Cane la dedica del Paradiso, dice di 
non aver trovato tra le cose sue altro di più opportuno a 
tal uopo. E perchè non l' Inferno, e perchè non il Purgato- 
ciò, e perchè non tutla la Commedia, ma solo il Paradiso 
Dante dedicò a Cane-? Perchè non potea più disporre delle 
due prUne oantiche. Dunque le avea dedicate : dunque era- 
no state pubblicate. Infatti (l'osserva bene il Troya). se egli 
avesse pubblicato il Purgatorio dopo avere ottenuto da Can 
delia Scala i benefizii, de' quali egli fa parola nella »sua epi^ 
^tola dedicatoria, non potrebbe sfuggire alla taccia di brutta 
ingratitudine; perciocché nel canto XVIII si leggono aspre 



280 VITA DI DANTE ALIGiOHU. 

parole contro il fratello e il padre del suo benefattore. « Si 
» può egli e si dev' egli credere (dice il citato scrittore) , 
» che Dante componesse simili versi nella corte veronese? 
» No. Il Purgatorio^ .cosi comanda l' onore dell' Alighieri^ si 
» pubblicò prima dell' asilo trovato in Verona presso di Gan 
» della Scala; si .pubblicò in un tempo^ nel quale mancava 
» a Dante la facoltà di sopprimere quei versi o di rìtoccar- 
» li^ quand'egli ebbe ricevuti da Cane i beneficii; &Gane 
yt dovè ignorare o dissimulare T ingiuria^ recata alla su» 
» famiglia nel Purgatorio. » 

Rispetto al Paradiso^ avendone detto qualche cosa qui 
sopra^ e avendone pur toccato in alcun de' capìtoli pceee- 
denti, non farò qui molte parole. Abbiamo dal Boccacdo, 
che di mano in mano ohe Dante n' avea composti sei o otto 
cantì^ li mandava a Gan della Scala : ora questo non potè 
avvenire^ se non dopo eh' egli fu accdto da quel signore, 
cioè negli anni 1317 e seguenti. E poc' anzi ve^mmo^ come 
ne' primi mesi del 1320, scrivendo al Del 'Virgilio, signifi- 
casse Dante stesso di non l'avere ancor terminato. Ma poi- 
ché al principia del 1321 egli si portò a Venezia, e di colà 
tornato infermò e morì, convien dire che il Poema fosse 
stato da lui prima della partenza terminato. Anzi il Boccac- 
cio racconta; che gli ultimi tredici canti non furono rimessi 
a Cane, se* non dai. figli di Dante.' Dunque si paò^dire che 
Dante terminò la sua vita appena ebbe egli terminato ìì 
Poema. 

« Questo libro della Commedia (segue a raccontare H 
)» Boccaccio) secondo il ragionare d' alcuni intitolò egli a tre 
9 solennissimi uomini itaìianij secondo la sua triplice divi- 
» sione, d" ciascuno la sua, in questa guisa. La prima parte, 

> cioè l'Inferno, iiìtitolò a Uguccione della Faggiuola; la 

> seconda parte, cioè il Purgatorio, al marchese MòroeHo 
)»>Malaspina; la terza parte, cioè il Paradiso^ a FederigD 
» terzo re di Sicilia. Altri vogliono dire, lui averlo^ intito- 
» lato tutto a messer Cane della Scala. 1^ Nella fine della 
lettera, colla quale frate Dario accompagna la prima cantica 



. CAPITOLO OTTAVO. 281 

ad Uguccione, si leggono queste parole : « Se poi la magni- 
» licenza vostra, come chi raccogliendo lo parti si propone 

> riunire l' intero, deHe altre due parti di quest' opera di- 
» venisse un gierno bramosa ; la seconda, che'vien dietro a 
» questa, la chiederete air egregio uonio> il signor marchese 

> Moroello, e presso V illustrissimo Federigo re di Sicilia 
» potrete ritrovar V ultima. Imperocché (siccome V autore 
» stesso dell' opera ra' asserì) dopo d' aver cx)nsiiìerato tutta 
» l'Italia, stabili in suo proposito di eleggere sopra ogni altro 

> voi tré, per V offerta di quest' opera tripartita, i^ 

Or poiché (come ben sappiamo) tu il Paradiso intitolato 
a Can della Scala, perdié mai frate Ilario e Giovanni Boc- 
cacciò dicono a Federigo re di Sicilia? Non é difficile la 
risposta. Frate Ilario, scrivendo ad Uguccione, gli manifesta 
qual'era l'intenzione di Dante nel tempo ch*ei gli.pariò, 
cioè nella primavera del 1309; né potea punto sapere, come 
noi sapeva Dante stesso, se avesse un giorno cambiato prò- 
pofiito, e se invece di dedicare il Paradiso a Federigo (sic- 
come avea dapprima determinato) l'avrebbe nel 1317 dedi- 
cato al signor di Verona. Il Boccaccio poi ripetè <iueUo stesso, 
che avea detto frate Ilario,' perchè quando scrisse la Vita di 
Dante (cioè nell' anno 1350) noii conosceva l' epistda dedi- 
catoria a Cane Scaligero : avendola conosciuta- solo verso 
il 1373, quando in santo Stefano leggeva il suo Ckmmento 
alki Divina Commedia. 

E perchè Dante si mutò di proposito? Nemmeno a que- 
sto la risposta è difficile. L'aragonese Federigo seppe te- 
nersi in^icilia contro la potenza degli Angioini e le ire di 
Bonifazio e di Clemente. Ond' è che Dante se ne fece (come 
dice il Troya) ammiratore; ed a lui, valente avversario 
de' Guelfi, potè dapprima avef pensato d'intitolare il Para- 
diso. Nemicò -deg^t Angioini e di parte guelfa mantennesi 
Fedito nella disòesa d' Arrigo in Italia, e col suo naviglio 
prestò ad esso continuamente un valido aiuto. Ma quando, 
^[)entp r imperatore, lion volle .più pensare che a sé stesso, 
e aUMUdoi^ò la causa de' Ghibellini in un modo pure non 



I 



:2S!2 VITA DI DANTE AUGHIBU. 

troppo dicevole a un re (siecome vedemmo nel capitolo VII), 
Dante non potè più sentire affetto, e provare stima per lui; 
(j così deliberò di dedicare a tutti altri la cantica dèi Pa- 
radiso, eh' égli -poco appresso a quel- fatto si pose a scrive- 
re. Non panni dunque che si possa muovere ragionevole 
dubbio su quésta pai^icolaHtà, eioè che F Inferno tessè da 
Dante dedicato ad Uguccione -della Paggiùolà, il Porgatcfrio 
a Moroello Malaspina, '® il Paradiso a Gan della Scala.- 

Soggetto a questione è stato pura il giorno, in che Dante 
finge aver avuto il principio ééM visioni) che nel Poema 
descrive, il giorno cioè che, trovandosi per la selva smarri- 
to, prende a salir su pel colle Uhimihato da' raggi del Sde: 
e, quantunque siffatta questione sentii a prima vista di 
poco momento, pure risoluta che sia secondo verità, vc- 
drassi quanto accresca V importanza del concètto filosofico, 
ch'ebbe in mira l'autore nello scrivere Ja Didna Comma- 
dia. Il virgiliano notms swclorum nascitur orda fu- da lui as- 
sunto Jn una forma puf e cronologica, e4a data 'della visione 
non è che il primo giorno del nuove secolo, o (per dire con 
maggiore esattezza) l'ora, in cìii si trova smardto. nella 
selva, non è che quella, in cui terminali 'decimoterzo, ed ha 
principio il secolo decimoquarto. Cominciò. H Poeta il suo 
viaggio allegorico nella notte dell' ultimò giorno del 1300 al 
primo del 1301 ab incarMoiitme, cioè nella notte del 21 
al 25 marzo a nativitate: e le ricerche se lo coaùnciasse 
invece nella notte dal 4 al 5, ò in quella dal 7 all' 8 aprile; 
se la pasqua e il plenilunio cadessero in uh giorno piutto- 
sto che in un altro, non sono che questioni vanissimo; pe- 
rocché Dante ha avuto .in mira wi concetto Cronologioo, 
ma ideale al tempo medesimo, avendo Bd esso subordinata 
ogni altra particolarìtèrdel subietto. Vorrobbeglisi credere che, 
per. data dèlia visione, ponesse Dante un ^òrno a caso o alta 
grossa, per lo m^nd un giorno qualunque; quasi còsa in- 
differente? No^ Tutto è simmetrico-nel divino Poema, tutto 
è pensato, e profondamente pensato.- La rifonna doride e 
civile d'Italia (vorrei dire^aneódiÉ'ImHinità) f u il ^conoetto 



CAPITOLO OTTAVO. 283 

di Dante nel Poema: ora egli finse che l'uomo allegorico, 
che era il protagonista del Poema, cominciasse il viaggio al 
momento che il secolo rinnuovavasi : 

Tempo era dal prinòipìo del mattino, 
£ !1 Sol montava in su con quelle stelle, 
€Jh* eran con lui, quando V amor divino 

Mosse dapprima quelle cose belle. 

Secondo Dante ebbe il mondo principio neir equinozio di 
primavera; «ecóndo Dante e le comuni credenze. Cristo, 
che venne a rinnovar V uomo ed il «ondo, s* incarnò nel- 
r equinozio di primavera. Ora V equinozio di primavera ve- 
niva posto in antico testantemente dal 2i al 25 di marzo. 
Adunque creazione, incarnazione, equinozio di primavera, 
jMÌncipio e rinnovamento del secolo hanno coinune il giorno 
colla data della sua visione. 

Essendo Dante fiorentino, contava gli anni ab incarna- 
Uone, come contavangli i suoi concittadini, non che altri 
popoli di Toscana e d' Italia. Si ha di ciò la riprova dalle 
parole ch'egli pone in bocca di Cacciaguida (nel canto XVI, 
V. 34 e. seg. del Paradiso) : 

. . . . Da quel dì, che 'fu detto Ave 
• Al parto, in che mia madréj eh* è or santa, 
S'alleviò di me .... ^ 

€ome computa qui gii anni della nascita di Cacciaguida? Li 
computa pure da quel dì che fu detto Ave, cioè dal dì, in 
cui r arcangelo Grabriele annunziò il decreto del cielo a Ma- 
ria; insomma dal giorno dell'incarnazione 4el Verbo. È 
stata sempre credenza de' fedeli^ e tanto più lo era al tempo 
di Dante, che Cristo morisse il 25 di marzo (octavo Kaleìidas 
Aprilis) come riferiscono Lattanzio, san Giovan Crisosto- 
mo/ santo Agostino, Tertulliano, san Cirillo alessandrino, 
san Gregorio turonense ed altri santi padri. Ora essendosi 
sempre in ogni età ritenuto fermamente, che Cristo morisse 
di 33 anni e 3 mesi, ne viene che, compiltandosi, come de- 



284 VITA DI DANTE ÀLI6HIERT. 

vonsi, i 9 mesi che stette neir utero di Maria, e così com- 
piendosi precisamente 34 anni, s' incarnasse il 25 di marzo. 
E infatti da questo giorno cominciavan V anno quei popoli, 
che contavano gli anni ab ihcarnatione. 

Ed ancor che questa non fosse stata allora comune cre- 
denza, basterebbe per risolver la questione il vedere quello, 
che ne credesse Dante. Or eéco all'uopo le sue parole 
(nel Convito, tratt. IV, cap. 23) : « Là, dove' sia il punto som- 
)> mo di questo arco {della vita umana), per quella dis^ggua- 
» glianza che detta è di sopra, è forte da sapere^; ma nelli 
» più io credo tra '1 trentesimo e '1 quarantesimo anno : e 

> io credo che nelli perfettamente naturati esso ne sia nel 
» trentacinquesimo anno. E movemì questa ragion^, che 
» ottimamente naturato fue il nostro Salvatore Cristo, il 
» quale volle morire nel trentaquattresimo anno della sua 
» etade ; che non era convenevole, la divinità stare cosi in 
» dicrescione, né da- credere è eh' elli non volesse dimorare 
» in questa nostra vita al somme, poiché stato c'era ne! 
^ basso stato della puerizia. E ciò ne manifesta l' ora del. 
» giorno della sua morte, che volle quella consomigliare 
>> colla vita Sua : onde dice Luca, eli' era quasi- ora sesta 
^ quando morie, che è a ■ dire lo eolmp del di ; onde si può 
y> comprendere per quello, quasi che al trentacinquesimo 

> anno di Cristo era il colmo della età sua. » Dùnque (se- 
condo Dante) Cristo morì quando avea compiuto interamente 
34 anni, ed era entrato da dodici ore nel trentacinquesimo, 
che, ^conforme natura^ sarebbe stato il colmo della sua vita. 
Ora nell'Inferno, canto XXI, v. Ii21eggònsi le seguenti parole: 

ler più oltre 'cìnqu* ore che quest'otta, 
Milledugento con sessantasei - 
Anni compier, che qui la via fu rotta ; 

colle quali vien significato, che il giorno antecedente a quello,, 
in cui 11 demonio Malacoda le profferisce- (giorno in cut 
Dante, uscito fuor della selva, procèdeva su^pel colle), era 
r anniversario della -morte del Salvatore. Quindi è che ag- 



CAPITOLO OTTAVO. 285 

giungendo agli anni 1266 trascorsi i 34 della vita di lui, ab- 
biamo 1300 anni compiuti. Dunque la data della visione è, 
nel concetto di. Dante^ il primo giorno del 1301 ; cioè, il 
primo giorno del nuovo secolo; e q\ie§ta,yuole, oltre i dati 
cronologici riferiti, la ragione allegorica del Poema, che ac- 
cenna alla riAnovazione del secolo.** 



ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI 

AL CAEITOLO OTTAVO. * 

* Credo conveniente riportare qui am>vesso i cenni bio- 
grafici, che di Dante diede Giovanni Villani nel libro IX, 
cap. 136 della sua Cromica^ essendo questo scrittore stato 
contemporaneo di lui. Debbo peraltro avvertire il lettore, 
che, quantunque i cenni dati <lal buon Villani siano in 
generale conforme a verità, pure fra di essi havvene 'al- 
cuno dato* da lui secondo relazione. Ma poiché in Firenze 
ebbe il. Poeta non pochi nemici, così non dee farsi rimpro- 
vero al cronista, se, secondo udita, ha esagerato dicendo, che 
Dante pel suo sapere fu alquanto prosuntuoso e schifo e 
sdegnoso^ e che quasi a guisa, di filosofo mal grazioso, non 
bene sapea conversare cogli illetterati *, mentre Dante fu 
sempns negli atti composto, cortes^ e civile, e seppe in tutto 
mantenére il decoro. Del che fem pure riprova- le sue pa- 
role (nel Purgat., canto III, v. 11) ove dice, che la fretta di- 
snMga ad ogni atto l'onestà ; e quelle^del Convito (Tratt. IV, 
cap. 26) ove è detto che alla gioventù è necessario essere 
cortese, che, avvegnaché a ciascuna età sia bello l'essere 
di cortesi costumi, a questa massimamente è necessario. 

« Nel detto anno 1321, del mese di luglio (leggi set- 
fi tembre), mori: Dante Alighieri di F.iretize bella città di 
». Ravenna in' Romagna, essei^do tornato d* ambasceria da 
it Yinegia in servigio, de* signori da Polenta, con cui dimo- 
V rava : e in Ravenna, dinann alla porta deUa chiesa mag- 
li giore, fu seppellito a, grande onore, in^ abito di poeta e di 
n grandefihMKito. }dori in esilio del comune di «Firenze in età 
n circa cinquantasei anni. Questo Dante fu onorevole e antico 
» cittadino di Firenze di porta San Piero, e nostro vicinò; 



286 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» e'I sao esilio di- Firenze fa per cagione, che quando 
n messer Carlo di Valois, della easa^ di Francia, venQe in 
» Firenze V anno 130r, e cajccionne hk parte bianca (come 
» addietro né* tempi' è fatta menzione) il detto Dante era 
» de* maggiori governatori della nostra città, e di quella 
n- parte, benché fosse guelfo : e però sanza altra* colpa colla 
n detta parte bianca pi cacciato -e. sbandito di Firenze, e 
n andossene allo Studio a Bologna e poi a Parigi, e in più 
» parti del mondo. Questi fu grande letterato quasi in ógni 
» scienza, tutto fosse laico : fu somme poeta, e filosofo, e 
» rettorico perfetto, tanto in dittare e versificare, come in 
n aringa parlare nobilissimo dicitpre ; in rima sommo, col 
y più pulito e bello stile, che mai fosse in nostra lingua in- 
» fino al suo tempo, e più innanzi. Fece in sua giovanezza 
»» il libro della Vita nuova d'amore*, e poi quando fu in 
» esilio fece da venti canzoni morsili e d* amore molto ec- 
» celienti; e in tra l'altre fece tre nobili- pistole: Tuna 
» mandò al reggimento di Firenze dogliendosi del suo esi- 
» Ho sanza colpa; V altra mandò allo imperadore Arrigo 
y> quand' era all' assedio di Brescia, riprendendolo della bua 
» stanza, quasi profetizzando; la terza a' cardinali italiani, 
» quand' era la vacazione dopo la morte di papa Clemente, ^ 
». acciocché s' accordassono a eleggere papa imiano; tutte 
>» in latino con alto dittato, e con eccellenti sentenzie e 
fi autoritadi, le quali furono molto commendate da' savii in- 
9 tenditori. £ fece la Commedia, ove in pulita rima, « con 
» grandi e sottili questioni morali, naturali e astrolaghe, 
» filosofiche e teologhe, con belle e nuove figure, compa- 
» razioni e poetrie {maniere poetiche) compose e tntttòm 
» cento capitoli, ovvero canti, dell'essere e stato dell'In- 
n femo, Purgatòrio e Paradiso, cosi altamente cpme dire 
n se ne possa, siccome per lo detto suo trattato ai può ve- 
» dere e intepdere chi è di sottile intelletto. Bene si dilettò 
n in quella Commedia di garrire e sciamare a guisa di 
» poèta, forse in parte più che non si convenia : ma forse 
» il suo esilio gliele fece fare. Fece- ancóra la i^fonarcAta, 
» ove trattò dell' officio del papa e de^' imperadori. E co- 
» minciò uno commento sopra quattordici delle sopraddette 
» «uè canzoni morali volgarmente, il quale per la soprav- 
f> venuta^ morte non perfetto si tìruova, se non sopra le tre; 
» la quale (per 'quello che si vede) alta, bella, sottue e gran- 
n dissima opera. riuscia, perocché ornato appare d' alto dit- 
• tato e di bslle ragioni filosofiche e 'astrologiche. Altresì 
» fece uno libretto, che l' intitola De» vulgati eloquentia, 
y> ove promette fare quattro libri, ma non se De truova se 



CAPITOLO OTTAVO. 2^7 

n non due, forse per V affrettalo suo fine ; ove .con forte e 
» adomo latino e heUé ragioni riprova tutti i volgari d'Ita- 
» Ha. Questo DaQteper-k) suo savere -fu alquanto presun- 
n tuoso e schifo e (sde^oso, e quasi, a guisa di filosofo 
tt mal granoso^ no^.bepe sapea conversare coi laici {il- 
I» Z€Wcra^*)/tn>k per J* Altre sue virtudi é scienza e valore 
n di tanto cittadino, né pare che si convenga di dargli per- 
ii petua meQioiàa infiquesta nostra cronica, con tutto che le 
n sue nobili* opere^ lasciateci in iscrittura, facciano di lui 
n véro, testimonio^ colmabile. fama alla nostra cittade. » 

JCijgpvtèrò Anche ajenne .parole di Filippo ( Vita Dàntis, 
pag.. SB) quantuii<|ue^, non faccia egli (siccome ho avvertito) 
che ripetere ciò ohe dissi^ il Boccaccio: 

a. Fuit mirabfli morum prasditus honestate, omnique actu 
Tt ordinatus atque compòsitus ; vitaa continentissunaB ; cibi 
» potusque parcissimus -, lautsB delicatseque vitae laudator, 
tt cum ipse ipaccuratione permaxlma cibis grossioribu&ute- 
» retur ; solertJssimus et impiger in agendis *, in locutione 
ft tardissimus, et qui nunquam imprsemeditate loqui videre- 
» tur ; facundus et eloq\^ens, et prò expeditione quandoquc 
» hilaris et faceto^; vocis, sonorse' et nitidse, reique pero- 
» randffi accomodatissim^ . . . w . Vestìtu honesto et per- 
ii politp, et frequentissime tabarro contéctus in. publicum 
9 procedebat. Fuit insùper animi altissimi et infracti, et qui 
ft abomìnaretur pusillanimes ; ingenii iyrseiactlti et locuple- 
n tissimi atque intellectus pro^emodum divini *, inemoriae in- 
1» credibilis, studiique pertinacissimi ec. n 

' Poiché ben poco sappiamo intorno alla relazione, che 
passò fra Cecco a* Ascioli e Dante, parmi opportuno il por 
sott* occhio del lettore quei luoghi dell'Aceròa, ne* quali il 
poeta ascolano si studia di mordere il fiorentino. 

Nel libro I, cap. Q: 

Ma nostra fede vuol che pietade 
Dimori sopra nel beato regnoy ' 
Al qual là spene mena a queU* effetto ^ 
Di quella luce del Fattor benegnor 
Del qual già ne trattò quel fiorentina 
Che 11 lui conduss^. Beatrice *, 
Ma 1 eoipo mnano mai non fo divino, 
Né può siccome il perso essere bianco, , 
Perchè si rinnovò come fenice 
In quel desio, che gli pungeva il fianco. 



^88 VITA DI DAHTI AUGHIERI. 

Negli altri reeni, dove andò col duca 
Fondando .^i suoi piò ^M^ bassp centro^ • 
Là lo condoBse la 8i\a fede j^oea, 
E 80 che a noi non fece mai ritorno,' 
Che 1 suo desio Io 'tenne sempre -dentvó. 
De Ini -mi duol per suo parlare adomo. 

In questi' rozzi versi par voler dire, che, se Dante avesse 
avuto fede, non avea d''uo|>ò, per conoscer lo stato delle 
anime dopo la morte, dì., farsi condurre «e' tr^ regni da 
Virgilio e da Beatrice: di ciò^ammaestriandoné abbastanza 
la nostra religione. Scaglia poi contro Dante un'insolen- 
za col dire che, essendo egli entrato néll* Inferno, vale a 
dire ne* vizii, non n' è poi uscite, ed è rimasto sempre là 
dentro. 

Nel libro II, cap. 1: 

Tomo nel canto, ed alle prime note 
Dico die ciò eh* è sotto il ciel creato. 
Depende per virtù delle sue rote. . 
Ghi tutto move sempre tutto regge," 
De fine e moto e principio e stato ' • 
In ciascun cielo pose la sua legge. 

Sono gli cieli organi divini 
Per potenzia della natura etema. 
Che in lor splendendo son de gloria plini, 
In forma dei plesio innamorati, 
Mbvepdo così ^ mondo, si governa 
Per questi eccelsi lumi immacolati. 

Non fa necessità ciascun movendo,- 
Ma ben dispone tn^éatura umana 
Per qualità : qual V anima seguendo, 
L'arbitrio abbandona e fassivile. 
Serva e ladra, di virtude strana^ 
Da sé dispone T abito gentile. 

In ciò peccasti, fiorentina poeta. 
Ponendo che gli ben della fortuna 
Necessitati sono con lor meta: 
Non è fortuna che raso^ non venca. 
O^ pensa. Dante, se prova nessuna 
Se può più fare che questa convenga. 

Fortuna non è altro che disposto 
Del cielo, che dispon cosa animata, 
Qual difq^nendo si trova Y opposto, 



CAPRIOLO OTTAVO. ^S9 

Non vien neceflsitato il ben felice ; 
Essendo in libertà l' alma creata, 
Fortuna in lèi non può se contradice. 

Con queste parole preteùde il povera Cecco di confutare la 
dottrina esposta da Dante intomo la Fortuna Qel canto VII 
dell' Inferno, dal v. 73 al 96 ; e, quantunque ponga in campo 
qualche argomento non ispregevole, pure lo fa in un modo 
cosi sgarbato, phe egli è assai se dal lettore può ottenere 
un po' di compatimento. 

Nel libro II, cap; 12: 

Piovete, cieli, la vostra chiare^a, 
^E. correggite de questi Terróre, 

Che falsamente appellan gentilezza. 

Fu già trattato con le dolci rime ' 

E di^nito il nobile valore , 

Dal -fiorentino con le acute lime. 

Qui è elidente che 1* ascolano allude alla canzone di Dante, 
che eommófa Le dolci rime d* amor eh' io solia, e che ha 
per argomento la nobiltà. Non confuta Cecco la teorìa filo- 
sofica del nostro Poeta, ma non perciò concorda con esso in 
ogni particolarità del subietto. Dopo- aver detto che senti- 
lezza, o nobiltà, viene dai secóndo 'cielo, die tien di -gen^ 
iilez9fi la figura, prosegue dicendo : ' 

Ma qui me scrisse dubi^ndo Dante : 
Són doi figliuoli nati in uno parto, 
E più gentil se monstra quel davante, 
E ciò conosco, come tu già vedi : 
Torno a Kavennà ; e de li non me parto : 
Dìmme, Asculàno, quel che' tu ne credi. 

Rescrissi a Dante : intendi tu ehe legi : 
Fanno ^i cieli per diverd aspetti, 
Secondo il mio filosofo che prègi, 
Per qualitade le diverse monstre, 
E in un concettò variati effetti, 
Secondo il raggio, c'han l'anime nostre. 

Lo primo nato forma V oriente, 
Et in el altro la virtù divina 
Inspirano le«. stelle d'occidente. - 
Se '1 primo è virtuoso, V altro è vile ; 
La prima parte nel ben fo latina, 
L' altric maligna^ però non simile : ee. 

Darti . -^ Vtta, 99 



S90 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

£ continua per lungo tratto con siffatte fanta^ticberìe astro- 
logiche, nelle quali molto ei pretendeva ; ma nei'punti prin- 
cipali concorda colle opinioni di Dante. 

Nel libro III, cap* 1 : 

- Ma Dante rescrivendo a messer.Cino, 
Amor Tiòn \ìàA in questa pura fórma ; 
Che tosto avria cambiato suo' latino, 

Io èono cftn Amore stato insieme: 
Qui pose Dante, com*novi speronf 
Sentir può.il fianco con la nova -speme. 
Contra tal dicto dico K^uél eh* io sento, 
Form9,ndo filosofiche' rasoni : 
Se Dante poi le solve,' io son contento. 

E questa una critica al concetto, che Dante espose nel suo 
sonetto Io sono stato con Amore insieme,' i\ qus^e fu da luì 
scritto in risposta ad un altro, che Gino aveagli indirizzato, 
domandandogli se l'uomo possa* da .un amore passare' ad 
un altro. E rispetto a Dante,' -il qultl^e tenne sempre Bea- 
trice in cima ae' suoi pensieri, là critica', astrattamente con- 
siderata, sarebbe ^usta; ma T ascolano non considerò^ cfa^ 
Dante rispose & Omo, attenendosi strettamente alla propo- 
sta, la quale parlava solo d^Jln apdor sensuale. Peraltro 
le parole più mordaci, che Cecco usasse. contro Dante, di- 
spregiando, perchè non P intendeva, 'il suo sublime lavoro 
della Divina Commedie^, son le segue'nti': 

• . • . -••^ 

>. ' Nei.Ubro IV, cap. 12: • 

Qui nonvse canta al modp de' le rane, • 
Qui non se caiita al* modo del poeta, 
Che finge immaginando cose strane'; 
Ma qui resplende - e luce o^i natura,.- 
Ch^ a. chi' intende fa la mente leta. 
Qui non se* aomnia de la selva oscura. ' ^ 

Qui. non vedo Pàùloy né Francesca, , • 

Delli Manfredi non vedo Alberico, 
Che colse amari frutti da dolce esca^; 
Né 1 Mastin novo e vecchio da Verrucchio, 
Che fece di Montapia più non dico, 
Né de* Franceschi lo sanguigno macchio. 



CAPITOLO OTTAVO. 291 

Non vedo il conte, che per ira. ed astp 

Tien forte lo arciveacoyo J^ogero, , • 

. Prendendo del suo cèffo el .fiero pasto ; 

Non vedo (|ui squadrare a Dio le fiche: 

Lascio li cianci, e tomo su nel vero; 

Le fabule me for sempre nemiche. 
Il nostro fine è di vedere osanna, 

Per nostra santa fede a> lui pe sale, 

É sènza fede V opera se danna. 
^ 'Al santo regno de *la etema pace 

Cónvieji^kse ie salire per tre scale,. 

Ove la tunana si^nte non tace ; 
Acciò cfa* io veda coq l' alme divine 

Il summo bene de l* etemo fine. 



s 



Sbaglia il Ginein (Bellezze dì Fir^ize, Firenze 1677, 
pa^. 336), dicendo che Griotto dipinse al naturale il suo 
amico l)ante/ eziaàcUo nella chiesa di santa Croce, nella 
navata a tramontana, poiché quella non fu opera di Giotto, 
ma del suo discepolo Taddeo Gàddi..In una storia di san 
Francesco, rappre^ntantc un miracolo che questo santo fece, 
risuscitando un fanciull^no caduto da un verone, dipinse il 
Oaddi fra gli' spettatori Dante Alighieri. Questa dipintura 
a fresco restava in una parete, che facea tr^ezzò alla 
chièsa; sia nel 1566, per ordine di Cosimo I, tolto dal Vasari 
fl. -tramezzo, gli affireschi'se n* andarono.. Che la dipintura 
restasse in quel punto ^ lo attesta pure Leonardo Bruni, al 
coi tempo esisteva : « L' effigie di Dante (egli dice) si vede 
9 in santa Croce,^ quasi al mei^o della chiesa, dalla mano 
f> ministra, andando verso T. aitar maggiore, e ritratta al 
» naturale ottimamente per dipintore perfetto,, di, quel 
n tempo.' » .^ ' ■ * 

* Anco il Pelli (pag. 192-193') ritiene .che queste rimo 
siycre appartengano a Dante. Egli dice : a Tornando a par- 
9 lare' della traduzione, o parafi:a6i dei .sette Sahpij òhe 
^ Dante fece^ è assai probabile che ih età molto avanzata 
n ponesse mano a questa fatica, quando cioè, conosciuto il 
» .poco merito delle cose di questa terra, si volse a pensare 
» ali* ultimo éuo fine. Questa sua operetta, benché sia scritta 
9 in istile piano e basso^.o (com' egli stesso lo chiama nel 
n libro della Volgare Eloquenza) elegiaco,' proprio dei mi- 
» serabiU, appaHsce, nonostante i dubbi delT autore della 
n Storia letteraria d' Italia (il Tiraboschi) esser di quel 



Wi VITA DI DANTE %/iLIGHIERI 

» sublime ingegno, che compose 111 Dhina Oommedìa, L' au- 
n tore di quella Storia estema qualche piccolo dubbio, che 
n tale versione non sia di Dante, ma nel tempo medesimo 
n la giudica senza esitare d* un antico. Quali siano i me- 
» tivi d' un tal sospetto non mi è ùoto, onde non posso né 

n combatterli, né scioglierli La ^Professione di fede è 

h intitolata ne' manoscritti il Credo ài Dante ,- ed oltre a 
» moltissime copie, che sono nelle nostre Biblioteche, quan- 
» tunque non affatto simili tra loro, si trovli anche stam^ 
f> pata dopo la- Commedia nelV -edizione faitta in Venezia 
n per lo Spira nel 1477, coa i .supposti Commenti di Ben- 
» venuto da Imola, e neir altra fatta in Milano per Lodo- 
» vico e Antonio Piemontesi nel 1478 col Commento attri- 
n buito al Terzago ; e da queste vecchie impressioni la ri- 
» copiò il Quadrio, avendolist peraltro ridotta alla moderna 
» ortografia. » , 

^ ^ Ecco come questo £eUì;o è raccontato dal Boccaccio : 
u Questo^ libro più anni dopo la morte dell' autore fu dan- 
n nato da messer Beltramo cardinale del Poggettp, e legato 
n del papa nelle parti di Lombardia, sedente papa Gio- 
n vanni ventiduesimo/ E là cagione fu, perchè Lodovico duca 
» di Baviera, dagli elettori della Ma^na eletto in re de*.Bp- 
» mani, venendo per la sua coronazione a Roma, contro al 
» piacere del detto^ papa Giovanni, essendo in Roma, fece, 
n contro^ agli ordinamenti ecclesiastici, uno frate minore, 
n chiamato frate Piero della Oorvara, papa, e molti cardi- 
» nati e vescovi *, e quivi a quésto papa si fece corollare. £ 
» nata poi in molti casi della* sua autorità questione, celi 
n e* suoi seguaci, trovato que$tó libro, a difensione éU quefia 
n e di sè ipolti degli argomenti in esso posti (Cominciarono 
n ad usare : per Id qual cosa il libro, il quale infino allora 
tt appena era saputo, divenne molto famoso. 'Ma poi, tòr- 
n natosi il detto Lodovico nella Magna, eli suoi seguaci, e 
r> massimamente r cherici' venuti al dichmo e dispersi, fl 
n detto cardinale, non essendo chi a ciò si: apponesse, avuto 
n il soprascritto- libro, quello in pubblica, come cose ereti- 
n che contenente, dannò al fuoco, E '1 simi^liante ai sfor- 
9 zava di fare dell* ossa dell* autore, a eterna infamia e con- 
n' fusione della sua memoria, te a ciò nòti si fosse opposto 
n uno valoroflip e nobilei cavaliere fiorentino, il coi nome fa 
n Pino della Tosa; il quale allota a Bologna, dove ciò si 
n trattava, si trovò ; e con lìti niesser Ostagio da Polenta, 
n potente ciascuno assai n^ MspMo del cardinale sojnra- 
» detto. » 



CAPITOLO OTTAVO. :293 

* Nel libro I Divi Verus et Anteninus Tiium. 3, § De 
requirendis rei») dice Bartolo, che Dante nel suo libro in- 
titolato Monarchia « disputavit tres qaestiones ; quarum una 
» &it, an imperator.depeudeat ab Ecclesia, et tenuit Tjuod 
n non ; sed post mortem saam quasi propter hoCfuit damna- 
» tc^ ab baresi, n . 

'i' Lettera del «av. Salvatore de Renzi al conte Carlo 
Tròja sulla malattia di Clemente Y : 

Illustre Signore 

1855. 

- £Ua mi^ domanda qnal genere- d' iufermità si fosse V hor- 
ribilis morbus lupuli, diu quale dice la cronica d'Asti 
(Ogerius Alferius, Crpnieon Astense^ apud Murai. Script, 
rer. ikU. tom. XI, pag. 194) essere stato spento Clemente V; 
ed ancora se Dante, sei anni innanzi alla morte di questo 
ponteficey^avessé avuto ragioni dà prevedere che lunga non 
poteva esserne la vita. Ed io che accolgo con gratitudine 
r onore de* comandi di lei, vengo ad esporle in breve il mio 
debole avviso. 

Quelle parole di tal éronica a me pare, che mostrino 
chiaramente esser morto Clemente V di quella specie di 
canchero delle sure o natiche, il quale da* medici del medio 
evo -era chiaipato lupua o ìuj^ulus, Qruido da Chauliac, chi- 
rurgo della corte de' papi in Avignone, un cinquant* anni 
dopo la morte di Clemente, vuole che così fosse stato chia- 
mato dal volgo, perchè l'ulcera corrode le carni, quasi di- 
vorandole come lupo affamato ; . ed ancora soggiunge, che 
Bugnero, chirurgo salernitano, il quale fioriva al cadere 
del XII, o al principio del XIII secolo, avesse per la prima 
volta introdotto quel nome nella scienza {Chirurgia mcmia 
Gruid. de Oaul., Lugduiji 1585, pag. 222). E per verità Ko- 
lando, cementatore e ricopiatore di Ruggiero, coi»! descrive 
la malattia: -Ca/icer in partibua extremis, ut in pedibus, 

cruribug dicitur ÌVL^nXsL^ et tunQ est incurabilia {Collect, 

Salern. Neap. 1852-1855, tom. II, pag. 631). Che nuovo si 
fosse il nome nella scieuza, e tratto da una similitudine, per 
far meglio ravvisare T orribile ^i questa malattia, si prova 
da* detti di Teodorico e di Bruno da Lon^obucco,. contem- 
poranei di Rolando^ ed alquanto posteriori a Ruggiero ; il 
primo, de* quali .dice: In libris veterum de hujua distinctione 
mhU invenitur omnino (MS. della r. Bibliot. Borbon. p. Vili, 
lett. Dy num. ^55, Ub. Ili, cap. L) ; e 1* altro esprime - lo 



^4 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

stesso con una frase^ che mi piace riferire come fu tradotta 
da mi anonimo del sec. XV, il cai manoscritto si conserva 
nella r. Bibliot. Borbon., p. XIIT, lett. G., nom.' dt-: Ma 
io Bruno non presumo ahuna veritade di tal distinsione, 
perchè in li libri degli <mtiqui' non ho Hrovado ■ alcnn ve- 
8 ligio. Ma se questo nome di luptts- era stato portlato da 
Ruggiero nella scienza, esso molto tempo prima era comune 
nelle altre scritture, e fih dal 963 si trova scritto in un di- 
ploma : morbo qui lupus dicitiir qraviter attritus quem 

patiebatur in. natibua (Mira^us, tom. Il/pag. 653). Che anzi 
taluno ne attribuiva la cagione ali* intemperanza, aUa lau- 
tezza del cibo, e forse^ alla ghiottoneria, come rilevasi da 
un sermone dell* ingenuo p. Menot, il quale dice: Cibos 
regios sequutìtur morbi regii^ ut lupus et gutta (Menot, 
Serm,' quadr,] pag. 185). 

E certamente era allora questo morbo riguardato con 
molto spavento, né credevasi poterne guarire altrimenti che 
con un miracolo. Leggesi presso Ste&no {MiscelL^tom, VII, 
pag. 170) fra' miracoli di san Martino di Tonrs quello della 
istantanea guarigione del vescovo Uldrìco, il qu^e, occulto 
Dei judiciOy morbo qui' vulgo lupus dieitur miseraòiUter, 
imma mirabiliter laborabat, T(xm gràviter enim vis ffole- 
tudinia graaaabdtur, ut mirimi' in modum eames ì>iri more 
lupino conmim&ret, corróderei, devoraret. £ da questo rac- 
conto si rileva un modo singolare di cura in quei tempi 
adoperato. Credevasi esistere nella parte offesa un veleno 
divoratore delle carni, e però, onde t&iìo, assorbire, avvici- 
navano al cancro, non quidem ape» evadendca agritudinia, 
aed aaltem ddlaUo mortia, quattro polli al giorno, allora 
aperti e caldi per darli in pascolo al morbo. Negli Acta 
Sanctorum dei Bollandisti, pailandosi dei miracoli di santo 
Ofilione, fìra gli altri ' portenti raccontasi, aver a^^tita la 
virtù, infirmoa infirmitate iUa qua dicitur lupos^ qum na- 
turaliter incuraoilia eèt, Dei gratia curari (Jnnii, tòm. IV. 
pag. 8M). Ma i BollancUsti volendo chiarire <j[uàl morbo si 
fosse quel lupua, la sbagliano citando tì Castelli, per prova 
che fosse V andina soffocatoria o>uxo«td>JC9 mentre il Castelli 
dice : Lupus avgnificat ulcua malignum ca/ncroaumy par tea 
inferiores^^ prceaertim' crura, in f catana, :celernmc'proaàmaa 
carnea depaacena et ea^edena, inaiar lupi famelici, \Lexieon 
medicum, tom. II, Patav. 1755, pag. 111). 

Dalle quali' cose tutte rilevasi che il lupus aveva comune 
con' le altre specie di cancheri V incurabilità, e se ne distin- 
gueva per la rapida corrosione e per la sede, 4i modo che 
questo nome si dava in ]^eferenza agli ulceri eancerigni 



CAPITOLO OTTAVO. 295 

delle parti inferiori del corpo. Né' qui a noi importa ricer- 
care t)e vero eanch^ro fosse il lu^a,. o una piaga erpetico- 
cancerigna, non andando i medici /ìi quei tempi molto pel 
sottile ; ma tuttavia possiamo ben rilevare quanto a. noi pre- 
me riguardo a* caratteri del morbo. Signa lupi (ci dicono 
i comentatori di Ruggiero) sunt fetar, fHtina corrosio et 
nigredo. {CollecL Salem- tom. II, pàg. '636). E^ altrove: 
Qu€mdo mórhìM est veteratus multum cortQdit .* tunc èor» 
ròéUt plus in die una, quam cancer in mense ; lupus plus 
corroditr {ibid. pag. 635). Ma chi meglio volesse conoscere 
la -distinzione di questa formìa dalle al&e, potrebbe rilevarlo 
da queir Arnaldo di' Villanòva; nel quale papa Clemente 
aveva riposte tutte le sue speranze, poiché, come si sa, es-^ 
sendo costui morto in un naufragio recandosi da Napoli ad 
Avignone, il pontefice con una bolla promise larghi com- 
pensi a chi avesse salvata l' opera di medicina pratica, che 
^ per lui aveva scritta quel inedico famoso* Ora Anialdo dice : 
Solutio continuitatis in carne, vel carnosa suòs tonila membri 
alieujus, plaga dicitur, si recens fuerit, Cum vero jam sa- 
niat, ulcus appellatur communiter ;'^quando vero est longum 
et concavum et strictum, vocatur fistula; quando vero est la- 
tum et òatulum, et drcumjacentia corrodens, vocatur lupus. 
(Amala. Villan. Specul, introd, mecf.; Basii. 1585, pag. 190.) 

Né questo morbo fermasi a' guasti orribili, che 'inesora- 
bilmente produce nel luogo ove si manifesta \ ma, come so- 
glion fare i cancheri, disturba si fattamente le altre fun- 
zioni della vita, da produrre quella speciale cachessia, che 
lo fiivela anche ali* aspetto *, e della quale eran certamente 
fenomeni i frequenti dolori ventrali,, la tristezza e la irasci- 
bilità di Clemente, di che fan parola gli storici. Si aggiunga 
che tutti i^j^evano essere il morbo incurabile, né lungo po- 
terne essere il corso, né mitigabile per medica industria. 
Farà più meraviglia se Dante teneva per ispacciato Cle- 
mente sèi anni prima della morte di lui ? Che anzi il tunc 
est vncurahiUsy ->— la festina corrosiOy — il carnes modo lu- 
pino devorat, — il celerrime proximas carnea depuscens et 
exedeng, sono tali caratteri, che forse produrre dovettero 
maraviglia nel ghibellino Poeta,- vedendo prolungar di sei 
amù. la sua previsione. 

Dalle quali cose mi par chiaro che V horribilis morbus 
lupuli della cronica d'Aiti sia il canchero, o T ulcera cor- 
rodente delle cosce; e che conoscendosi abora da tutti es- 
sere questo morbo incurabile e di breve corso, facile dive- 
niva la profezia dantesca : non vi voleva la zingara per in- 
dovinar la ventura. 



296 VITA M DANTE ALIGHIERI. 

* Vedanai Balatiug, in Vif. pontìf, Awnion. voi. II, 
pag. 90 e %*, Ptolom. Lucens. Histon ^eles, in Script, 
rer. italic. tomo XI, col. 1227 e 1242; Bernard. Gtiidbn. 
ivi, tomo III, col. 674. 

' Ecco le parole del bio^afo: a Egli era suo costume, 
n qualora sei *o otto, o più o meno canti £atti n'aveà, 
n quelli, prima che alcun altro li vedesse, dove eh' egli fosse, 
» mandare a messer Cane della Scala, il quale egli oltre 
n ad ogni nomo aveva in reverenza : e poiché da lui erano 
» stati veduti, ne facea copia a chi la voleva. £ in così 
ft fatta maniera avendogliele tutti, fuor che gli ultimi tre- 
» dici canti, mandati ; e queUi avendo fatti, né ancora man- 
n datigli, avvenne che egU, senza avere aleuna memoria di 
n lasciarli, si morì, n E qui il Boccaccio, che spesso presta 
fede alle visioni ed a* sogni, racconta come da* figliuoli e 
discepoli del Poeta non trovandosi questi tredici canti. 
Dante vestito di candidissimi vestimenti, e di una lucè non 
usata risplendente nel viso} apparve una notte a Jacopo 
suo figlio, e gV indicò il luogo, ove i detti tredici canti era- 
no stati da lui- riposti, a Per la qual cosa lietissimi (i figli 
n ei discepoli) quelli riscritti, secondo l'usanza dell' au- 
n tore, prima gli mandarono a messer Cane della Scjala, e 
n poi alla imperfetta opera ricongiunsero come si conve- 
n nia. In cotal maniera l'opera in molti anni compilata, 
» si vide finita. » 

*^ Qus^ntunque il conte Troya ritenga fermamente, che 
l'Inferno fosse dedicato ad Uguc6ione della Faggiuola, il 
Purgatorio a Moroello Malaspina, il Paradiso a Can della 
Scala ; pure, credendo egli che il Moroello, amico di Dante, 
fosse il marchese di Giovagallo, si manifesta impacciato' nel 
determinare se la dedica avesse poi luogo : perocché da' do- 
cumenti storici, che ci restano, sembra che nel 1315 Moroello 
di Giovagallo non fosse più tra' viventi. Questa difficoltà 
non sarebbesi affacciata al Troya, s' egli avesse consMe- 
rato, che il Moroello Malaspina, amico di Dante, non po- 
teva essere il marchese di Giovagallo (il capitano della ta- 
glia guelfa, il vapor di Valdimagra, che sconfisse i Bili- 
chi in Campo piceno), ma esser doveva o il marchese di Vìl- 
lafranca, pel quale procurò Dante la pace col vescovo di 
Luni, o il marchese di Valditrebbia. 

" n Boccaccio è il solo tra gli antichi, che abbia aè- 
cennato questa data del 1301. Ecco le sue parole (Com- 



CAPITOLO OTTAVO. 257 

mento al canto IH): « Quando T autore entrò in questo 
n cammino, il quale egli descrive, e nel quale dice aver 
» veduta e -conosciuta^r ombra di colui che fece per viltà 
n il gran rifiuto, ques^ san Piero non era ancora canoniz- 
n zato : percioccbe, siccome apparisce nel vigesimoprimo 
n canto di questo libro, V autore entrò in questo cammina 
» nel MOCCI, e questo santo uomo fu canonizzato^ molti 
n anni dopo, ^^ioè.al t«npo, di papa Giovanni vigesimose- 
*» condo.'n 



"298 VITA di; DANTE ALIGHIERI. 



CAPITOLO NONO. 



Dei figli di Dante, Albero de* suoi discendenti 
fincTalV estinzione della famiglia Alighieri in Verona. 



Ebbe Dante sette figli, cinque maschi e due femmine. 
Due de' maschi, cioè Eliseo ed Alighiero, morirono in tene- 
ra età: gli altri tre, che sopravvissero al padre, furono Pie- 
tro, Jacopo e Gabbrielìo. ^ « Ebbe Dante un figliuolo tra gli 
» altri chiamato Pietro (dice Leonardo Bruni) , il quale stUr 
)) dio in legge, e divenne valente; e per propria vii'tù e 
}> per favore della memoria del padre si fece grand' uomo, 
» e guadagnò assai; e fermò sub stato in Verona con assai 
j> buone facoltà. » Il Filelfo poi racconta, che cominciò a 
studiare in patria il diritto civile, e che, avendo seguitato il 
padre suo nell' esilio^ passò a Siena e quindi a Bologna, ove 
a suo tempo prese la Imirea dottorale. * Quantunque Pietro 
fosse tra i figli di Dante il maggiore, e lo si possa ritener 
nato nel 1293, pure non è ammissibile eh' egli proseguisse 
in Siena i suoi studii di diritto civile, mentre quivi per 
r esilio trovavasi il padre suo, perciocché questo avvenne 
nel 1302 quando Pietro Aon avea che 9 anni, d'età: può 
dunque solo ritenersi, che egli studiasse dapprima in patria; 
che fattosi poi d' età conveniente si portasse a Bologna, e 
quivi, compiti i suoi studii, prendesse la laurea; e poi nel 1317 
(quand'egli era in età di 24 o 25 anni) si trasferisse a Vero- 
na a convivere col genitore. In Verona dunque fermò Pietro 
là sua dimora, ed ivi esercitò la nobil professione* di giure- 
(*.onsulto. Hassi dai documenti che nel 1337 egli era giudice 
in Verona, ' e nel 1361 vicario del Collegio di detta città, 
e del potestà Niccolò Giustiniani. * Fu uomo molto dotto; ed è 



CAPITOLO^ NONO. 299 

perciò che da alcuni gli viene aùribuito un commento la- 
-tino sulla Divina Commedia, che va oggi s^^t'o il suo nome^ 
e che nel 1 §45 fu messo in luce a spese dì lord Vernon^ 
mentre da altri si crede non potere. a lui appartenere. * Io 
non pretendo pronunziar sentenza su questa difficil questio- 
ne; ma se dovessi dir semplicemente l'opinion mia^ direi 
che quel commento^ almeno nella forma che oggi. V abbia- 
mo, non è di Pietroi Fu egli anco in relazione col Petrar- 
ca, trovandosi che questi in. una sua lettera, lo chiama fio- 
rentinum causidicùm. Ebbe, in moglie una donna, la quale 
avea nome Jacopa, che gli mori nel 1358, ma che non sap- 
piamo a qual famìglia appartenesse. Dicono alcuni (e fra 
questi il Pelli) ohe, trasferitosi per suoi aflfaH in Treviso, 
quivi morisse nel 1364, e che il suo corpo fosse deposto 
nella chiesa di santa ' Caterina (altri dicono in quella di 
santa Margherita), in un bel deposito, a cui -fu apposta la 
seguente iscrizione: 

Clauditur Mq Petrus tnmdatua corpore. tetrua, 
Aat anima clava coelesti /utget in ara : 
Nara pina et juatua juvenia fuit atque venuatua, 
Ac jure quoque aimul inde peritila utroque: 
Extitit expertua multorum et acripta refertua, 
Ut lihrum patria punctia aperir et in atria, 
Cum genitua Dantia fuerit auper aMrg, volantia, 
Carmine materno decurto proraua Avbrno^ 
' Menteque purgataa animaa revelante bedtaa, 
Qttò aane dive gaudet Florentia cìve. 

Ma il Diòiiisi disse esser tuHo questo una favola. L'iscrizione 
paria più del padre che del figliuolo; non dice né in qual 
anno fu postarne da chi, né indica quando. Pietro morisse. 
Queir iscrizione fa morto Pietro da giovine, mentre morì di 
anni 71 ; lo fa credere morto In Treviso, e in una chiesa di 
essa città sepolto, mentre i documenti provano, che egli fece 
testamento e morì in Vjsrona nel 1364, e fu s^)olto nella 
chiesa di Sah Michele in campagna, presso le mura di questa 



aOO VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

città. 11 Maffei suU' autorità d' un necrologio delie monache 
di essa chiesa, riporta: anno 1364. Dwninus Petrus judex, 
filius quondam Danti» de Alegheriìs, condidil .te^amefìtum 
Verona!, pr&^eniibus inter alio» domino Francisco judice, 
filio demini Rolandini de Mafeis de sancto BenedicHo: he- 
redem fecit Dantem filium suum: legavit socielaU san- 
ctof JUarifB de Orlo populi sancii Michelis domum suam 
positam in populo sancii Martini Episcopi de^FlorenUa. 
Giovan Battista Biancolini, nelle Notizie storiche deHe Chiese 
di Verona (parte I del lih. V, pag. i9f a 220) riporta per in- 
tero il detto necrologio, ed in esso si legge : XI Kalendis 
Majas obitus domini Petri BanUs de Aligeri»;, patris sarò- 
rum Allegerìe, Gemme et Lucie ; MCCCLXtUI. Gomunqae 
sia, dirò che il monumento fu da molto tempo distrutto^ e 
che la riportata iscrizione si trova oggi nella libreria capi- 
tolare di Treviso. 

Di Jacopo, che si ritiene essere stato il secondogenito di 
Dante, pocliissime notizie abbiamo. I due documenti ripor- 
tati nel capitolo IH ; neir uno de* quali si vede Jacopo fare 
un contratto col suo zio Francesco, neli' altro si ha notizia 
che dal governo di Firenze gli furono restituiti i beni confi- 
scati al padre suo ; mostrano com' egli nel 1332 e nel 1342 
trovavasi in Firenze : anzi negli Spògli del capitan Della Rena 
è detto che abitava nel popolo di Sant' Ambrogio, probabil- 
mente in quella casa che apparteneva agli Alighieri, e della 
quale facemmo parola a suo luogo. In uqo Spoglio esistente 
nella Magliabechiana, trovasi scritto: Jacopo del già Dante 
piglia e* due primi ordini minori da m, Tedice véscovo; di 
Fiesole gli 8 -ottobre i326. Se questa notizia è vera, convien 
dire eh' ei non proseguisse piu,avanti, e si spogliasse T abito 
ecclesiastico, poiché troviamo che egli ebbe in moglie Tere- 
sa, (com' altri dice) Jacopa di Biliotto de^i Alfani; la quale 
lo rese padre di due figli. Sembra insomma, che non in Ve- 
rona insieme col fratel suo, ma stabilisse in F^jrenze la sua 
dimora. Fu a lui attribuito un commento, dettato in lingua 
.volgare, sopra la prima cantica della Divina Comnwdias e 



CAPITOLO NONO. 301 

Dòn uno^ ma due (H primo col titolo di Commento, il se- 
condo con quello di Chiose) sono i testi che si diceno di lui. 
Furono ambedue pubblicati a àpese di lord Vernon nei 1848^ 
ma sono mescbinissima cosa ; e, non contenendo alcuna par- 
ticolarità intorno la -vita del Poeta, autorizzano a ritenere 
che non appartengano a un figlio di Dante. A questo Iacopo 
credesi per i più, che appartenga quel componimento poeti- 
co, diviso in sessanta éapitoh', e intitolato il Dottrinale, il 
qual fu stampato la prfma volta nel volume III delle Rime 
antiche toscane, Palermo 1817; ed altresì quel capitolo in 
terza rima sopra la Commedia di Dante, che Vindelino da 
Spira stampò in Venezia nel 1477. Havvi peraltro alcuno, il 
quale opina, che questi componimenti, non a Iacopo figlib di 
Dante, ma a Iacopo figlio di Piero, debbano essere attribuiti. 
Ma questa opinione mi sembra molto vacillante, inquanto- 
che dell' esistenza di Jacopo, figlio di Piero, non abbiamo 
che r autorità, di Gioyan Mario Filelfo (della quale il lettore 
sa già qual conto possa farsi); e d'altra parte quel poe- 
metto, intitolato il Dottrinale, è un lavoro assai discreto 
per quel tempo, ed appare evidentemente scritto da un fio- 
rentino, e non da un veronese; ed il suo autore vi si dice 
più .volte figlio, e non già. nipote, di Dante. 

Di Gabriello, terzo figlio di Danto, non abbiamo altra no- 
tizia, che quella datane dal capitan Della Rena ne' suoi Spo- 
gli, donde appare che vivesse, nel 1351. E siccome questo 
Gabriello non. lo veggiamo prender parte, insiem coi due suoi 
fratelli, all' atto del 1332; così può credersi ch'egli si fosse 
già diviso da essi. "Ne' medesimi Spogli si vedo notata una 
figlia di Dante, la quale fu moglie d' un Pantaleoni ; ma non 
sL dà il nome di lei, né quello del suo marito. Di Beatrice, 
altra figlia del nostro Poeta, alla quale è probabile che il 
padre ponesse un tal nome in memoria della sua Beatrice 
Por tinari, sappiamo che vestì l'abito religioso nel monaste- 
ro di santo Stefano detto deli' Uliva di Ravenna. In questa 
città fors' ella conviveva dapprima col padre> e, trovandosi in 
Ravenna alla morte di lui, non volle lasciare Jl luogo ove ri- 



302 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

posavano le sue ceneri^ e quivi fecesi monaca. Nel 1350 il 
Boccaccio fecò-ad'essa dieci fiorini d' oro^ mand^lile in doìu) 
dalla repubblica fiorentina^ secondo che dice il Pelli; ovvero 
dalla compagnia d' Or^ San Michele^ secondo che^ pare ac- 
cenni il seguente ricordo^ che vedesi^in un fibro d'entrata 
e uscita del 1350y bistento . neir Archivio de'ie^pttani di 
detta compagnia^ e riposte neir armadio alto (pag.r30): 
f Setteml^ 1350. A messer Giovanni di Boccaccio fiorini 
» dieci d'^ro^ perchè gli desse a suora Beatrice/ figliuola che 
n fu di Dante Alleghieri^ monaca nel monastèro di San Ste- 
> fano deir Uliva di Ravenna. » 

Di Gabriello non si conosce alcun discendente : di Jacopo 
sappiaibo eh* ebbe due figli (un maschio ed una femmina), 
ne' quali s'estiuse la. discendenza di' questo ramo degli Ali- 
ghieri rimasti in Firenze. Racconta Leonardo Bruni in fine 
della sua Vita di Dante, che 4: messer Piero {figlio del nostro 
» Po^ta) ebbe un figliuolo chiamato Dante {neW Albero 
» Dante Jl), e di questo Diinte nacque Lionardo^ il quale 

» oggi vìve^ ed ha più figliuoli . . : Nò è moHo tempo^ 

» che questo Lionardo venne in Firenze con altri giovani 
» veronesi, bene in punto e onoratamente; e me venne a 
» visitare copie amico della . memoria del suo proavo ; ed 
» io gli mostrai le case di Dante e de' suoi antichi ; e die- 
:» gli notizia di molte cose a Idi incognite per essersi stra- 
» nato lui e i suoi dalla patria. » Nacque il Bruni nel 1370, 
morì nel 1444: fu segretario d^Ua. repubblica fiorentina due 
volte, e la seconda nel 1487 : la Vita di Dante ^u. éà lui 
scritta dopo essere stato segretario. Oiid' è che ia venuta a 
Firenze di quel bisnipote di Dante può stabilirsi intorno 
il 1430. Ora avendo il 'Bruni indicato a Leonardo ]e ime 
de' suoi maggiori, e non àlòuno de' suoi parénti, consegue 
che verso il tempo da noi determinato non restava di essi 
più alcuno in Firenze: infatti Bernardo, figlio di Jacopo, non 
ebbe lasciato alcun successore, e Alighiera> sorella di lui, e 
zia deir or citato Leonardo,, si trova vedova fino dal 1403. 

La discendenza dunque del nostro Poeta no» derivò che 



. CAPITOLO NONO. 303 

dal figlio > maggiore di lui, cioè da Pietro: maoion si pro- 
trasse che per poco più di due secoli dopo la morte di Dan- 
te; -essendosi estinta in una femmina chiamata Ginevra, la 
quale si maritò nel .1549 al conte Antonio Sarego di Ve- 
rona. Intorno ai figli di Dante non credo dover più avanti 
dièbndernù in parole, e rispetto agli altri suoi discendenti 
panni abbastanza il darne qui appresso l'Albero ; coarredan- 
dolo soltanto di quelle notizie, le quali, più che di erudi- 
zione> posson servire di documenti storici. L'arme poi, 
che gli -Aiigldeit di Verona, lasciata ^' amiea, -e»sinis!»*o net 
secolo XV, chiamandosi Aligeri (siccome fu accennato nel' 
capitolo II) è la seguente. ' . 




^i 



VITA DI DANTE AUGHIERI. 



DISCENDEN' 



Eliseo 

morto 
in tenera età 



Aiigbiera • 

monaca 
^ Ì3S7 



Ali^k 



tiiero 

morto 
in tenera età 



' I ^ 

Gabriello 
mi 



' Dante 
Pietro Pk 

4i 1364 



Geimua* 



Lucia* Dante 

mònaca ili dono il il 

i|i dopo il i864 abbadessa nel i40t 1 

Leonardo' 

1430 
i|i dopo il K 

Pietro li ' 
im 

h 

Dante in ' 

Il9^4501i504H 
i|c circa il 11 

r- H 

Lodovico " Pietro IH 

I5S6 • 1641 • 15i7 15S6-153S1&3I1 

Ginevra * 

gp. nel i^ 
al coDte 
Attlouio Sari 
di Vcrooi^ 



CAPITOLO >0S0. 



305 



DANT^E. 



Iacopo 



Donna N. 

■sposata 
ad un Panlaleoni 



.Beatrice 

monaca . 
ifl Ravenna 



^rwardo^ 



•Alighiera' 



•nia M 

1S69 



Elisabetta *^ 



Bernardo*' 



)fi Ì36S . . 140Ó 

^i iniiau^iil lisi 



lacopj *• 



;ro 



po' 



lesco *• 



Daktb.— Vita. 



20 



I 



306 VITA M DANTE ALIGHIERI. 

ILLUSTRAZIONI E DOCUHENTI 

AL CAPITOLO NONO. 



* Prese errore il Landino, ed alcun altro dietro a lui, 
dicendo (Prefazione al suo Commento èoj^ra là Divina Com- 
media) che Dante ebbe un figlio per nome Francesco. Non 
essenao ciò provato da alcun docuniento, sembra che que- 
sto sCTittore ■ eflyfondflMo il «fratello i^. Daste^ tff&Awmmaft» 
nominato, con un figliuolo di lui. Il Pelli poi ed il litto . 
pongono c6m6 figlio di Dante un Bernardo, ma nepper di 
questo si Im riscontro veruno. 

' Vita Dcmti8, T^Sig. G6, « P.etq»"KHtirttr«ttn Plweiillè 
n coepisset navare operatn juri civìM^ dnnde Semoi Booo- 
n nias demum sti^dium explevisset,- esfletque jorifleontiiltiit 
» effectus« doctoratusque aooatus inngnip ttifc •fliHMi dto 
» patet Vixit, eum isecutus est fvkmtiaQiké. jraR^UHV^ 
» tuni, dimissa Kavennaj Ynrrmiìm Brrrmit/afiM gatliliiì 
n tate' cfonsultandi, tum. felicitate patrise tnéàietìiip mlto- 
ff rum adiuinentis ditissimuS' fadìis est, incohiitqM Tento- 
n nam. n Ma già (comi^ ho Iivvertfto più volte) non'piMMKi 
in nulla prestar fedQ a questo B<!rittore, il quale ha riem- 
pito il suo libro di sogni e d' errori. Sgli» per esempio, cUee 
che Jacopo figlio di Dante morì in Boma nel 1SK)1, colà 
portatosi insieme col padre, che v' era andato come amba- 
sciatore per la repubblica fiorentina, mentre egli era vi- 
vente tuttora nel 1342, siccome vedemmo nel cap." III. Dice 
che gli altri due figli Eliseo e Alighiero morirono in Firen- 
ze, spenti dalta ^este : u ma di qual peste parli questo scrìt- 
n tore non so (dice il Pelli), mentre non trovo che alcuna 
n ne fosse in Firenze nella fine del secolo XIIl eneljprin- 
n cipio del secolo XI V. n Le sue parole son queste : Filios 
haèuit Dantea quatuor, ^ Petrum, Jacohum^ AUgerum et 
Elyaceum. Peate aunt lì^ppreaai Aliger et 'Elyaasue, cum an* 
num duodecimum alter, alter vero octavum attigiasent. Ja- 
cohua ohiit Romos per aeria intemperiem, cum illue prof e- 
ctiia eat pater orator. Ella è questa la ragione per la quale, 
mentre nel corso del presente libro mi son molto appog- 
giato alle parole degli antichi biografi, ho sempre scluvato 
di ricorrere al -Filelio, e se V ho talvolta citato, non V ho 
fatto che per confutarlo. 



CAPITOLO NONO. 307 

' U' marchese Maffei negli Scrittori Veronesi riferisce, 
che in un atto del Consiglio maggiore ^ Yeronadel 1337| 
eh' esìsteva presso di luì, ^a coloro, che intervennero col ti- 
tolo di ^udice^ si vede registrato Pietro Alighieri a Prtesen- 
tibua sapièntibus viria dominis Petto de Atigtriie, judice 
Commu^ Veronw.ec.y ' , • ,^ 

. / Cosl.dice Qiulio Dal Poùo, neW Elogiti Collegii Ve- 
ronen9Ì8, Veronae 1653, pag. 143. 

^ Nel commento attribuito, a Pietro si riferiscon notizie 
e pai^colarìtà di Firense cosi sftorte e ialse, che è impos- 
sìbile che siano scritte da 4ln fiorentino, da uno che avesse 
passato ÌU' Firense la 3ua gioventù, mostrando costai di 
task i^ver mai veduta qnestSi città. Nel commento mede- 
aimo si dicoB di Dante Qose, chQ un fielio non avrebbe 
0W,i dette, nò avrebbe mai pojtute dire.. U Dlonisi ire fece 
una lòiiga anaiisi; ma io non ne riporterò che le parole 
■egiieiiti(^eparasM»U! isiortco-critica, cap. 3): aLeggendp 
».fiqiiP.ÌIiiiiiiU fMunensa da ca:po a fondo- questa iroppo vo- 
■..IWBHiQiiO eommento, tale rimasi alla fine ({naie ehi muor 

• 4tt IMÉt^e bee in soffnoj .che, desto, si sente le labbra e le 
P ifkjjJAjtJA rasoiutte di prima. ' €onòbbi ^ora cHe chi avea 
» JiWplDi allo stelle <}uel libro, non V aveva giammai letto ; 

• e plui tutte le lodi 'a quello attribuite, venivano dal'pre- 

• sumere (cosa infatti assai naturale), che essendo il com- 
» mentatore figlio dell' istesso Poeta, e T Acato di luì, e 

• reputato uomo dotto, egli fosse- il più jicconcio di tutti a 
» dune le notizie le più sincere e recondite deHg^pmme- 
» dia. e dello scrittore di quella. Cedette però neV^animo 

■» mio la presunzione alla verità, subitorche; avendolo io in 
» ogni lato discusso,, oion ci trovai den^o né il figlio di 
n Dante, né il cittadin fiorentino, né V uomo intendente la 
n Divina Commedia, né i luoghi di essa i più belli, i più 
n curiosi) i più. importanti.' » . - -^ 

^ Dagti Spogli (djce il Pelli) del capitan Della R^na. 

^ "Giovan Battista Dei comunicò al Pelli il seguen- 
te sommario di. contratto, tolto. dai libri delle Gabelle 
Sib. A 54, pag. ò):ru téOS. Domina Aleghieraj filia o&'ip 
aèobiDan^de AldigheriSy et uxor olim - Agnoli' Joannut 
Baldueci (id. Baldoeci) populi «. Eridifikni de Florentia, 
prò se et quo nominaverit,^ emit bona per instrume^ntum 
rogatum a ser Antonio ChelU, sub die S /eòruortt 1403 



306 VITA DI DANTE ALIGHIERT. 

a /ratre Marco Sindaco fratrum s. Maria del Carmine, 
prò lib.22. 

* il Maffei OSeriUori VeróneMi, p«g. 53ìatteet^ di aver 
vedato liei pubblico archivio di VeTODa^-aistraito poi mi- 
seramente ^ da un incendio, il testamento di lai in data 
del 1428. È ricordato anco dal Bruni nel brano che abbia- 
mo di sopra riportato, ov' egli è detio figlio di Piero, e pa- 
dre di Leonardo. - 

^ Alighiera, Gemma e Lucia .furono ' monache nel mo- 
nastero di san Michele in campagna presso le mora di Ye^ 
rona. Si .ha ciò dal necrologio che fu pubblicato dal Bìan- 
colini, e del quale riportammo di sopra ftn brano, ove leggesi: 
Obitua domini Petri Ddniia dt Aligeris, patrie' éorortm 
AlUgerie, Gemme et Lucie. La morte di Ah ghiera avreime 
nel I3B7. Nel detto necrologio: XVIII Kèuendas «qptem- 
hris MCCCLXXXVn ohitna Aligerie de AUgerU monaee. 
Di Gemma non si sa T anno in che morì, quantanqae il bug 
nome e cogbome si legga pia volte nel medcaimo necrolo^ 
gio : ella peraltro deve aver sopravvisuto al padre, dedncen- 
dosi ciò dalle parole surriferite. Lucia poi, abbadeasa di quel 
monastero fino dal- 1402 (secondo che dice il Bianeolmi) 
mori il primo gennaio 1421. Ivi: Obitua aororia iMtìie de 
Aldigeriis, abbatisae dieti monaaterU-, ^ue obiit die 1 ja- 
ituarii 1421. 

^^ La morte di queste dne figlie di- Piero ò diit« dal 
suddetti) necrologio VJII Kaléndaa octobria MeCCLXIL 
Quanttlfique sembri un pò' straAo, che siano- ambedue morte 
nel medesimo giorno^ pure trovandosi quivi registrate, non 
pare potersi muovere ragionevole dubbio intomo la loro esi- 
stenjpa. 

'* Questo Bernardo, figlio di Piero e fratello dì Dante II, 
era notaro: Dice il citato Biancolini, che il notaio Bernardo 
degli Aligeri, quondam Pietro, di Mercato nuovo, ro^ ne'28 
dicembre 1405 una locazione ^tta dalle monache di »an Mi- 
chele, mentr* esse abitavano in Verona niella parrocchia di 
San Paolo. È notata la sua morte nel rammentato. necrolò- 
gio, mavnon è dato V anno di èssa, le^gendovisi soltanto : 
XV Kalendas deeembria obit\u domini Bernardi de Aldi- 
(feriia, fratria domine Lucie abbatiaae monaaterii SanctiMi- 
cìueUa. Pare peraltro potersene ^ inferire eh* ei morisse pri- 
ma della sua sorella Lucia. 



CAPITOLO NONO. 30& 

" Di questo Jacopo, figlio, di Pietro,- non è fatto parola 
che da Giovan Mario Fìdeì£Qr(VitaJ}<Mtl8, pag. G7) : Ex eo 
(Ptéro) n0t»s ett Jacoòua, qui tantumdem^adhibuit opéram 
legum ndenHaBy rhytìmUque interpretatv^ est avi codicem^ 
rei veritate a Fetri patria eDmmentariólia aecepta, -ExUà^ 
autem in hunc usque diem ^triuaque aententim^ ^t qftaé^^ét^. 
tru$' de Danila sui patria protulit libriaf et quaa MMu». 
fihythmia expreéaù r, . . . Ex hoc JaòQÒo ha tua e«^ W9^... 
qui dùìm ooUt- junior. Ma, ripetendo queUo- ohe ho ^Sxj^' 
più Tolte, chi potrà prestar^ fede al Filelfo?' Per lo tnèiitr 
ubn potrebV eaaere, che qui ayesee confuso il secondoge- 
nito di I>ante con questo preteso nipote?. 

^' Questo è quel Leonardo,'' che verso il li3§ venne- a 
Firenze, e fece amicizia c<d vecchio Leonardo ^^fimni-,^ sic- 
come accennanuno di sopra; U Pelli dice cb* egli fece te- 
stamento nel 14d9, ma non cita il documento ^ gli som- 
ministrò questa data. Del sup fratello si ha notisìa dal più 
volte citato necrologio, ove è dato il giorno, ma non Y anno 
deUa sua morte, leggendovisi : IH Kal^dàa depembria 
oòitué Petri fiUv domini Danti de ^Aldigeriia, fratria réU- 
giaee damine Lucie- ahhatiaae ditti mwtaaterii^ 

^^* A qncttto Pietro II indirizzò Giovan Mario Filelfbla 
sua Vita di Dante, ed e^ti ne mandò tòsto una copia a 
Firenze a Piero de* Medici e Tommaso Soderini, accompa- 

r Idola con maa lettera in data di yetou&^XIII Kalen- 
jamarii MGCGQLXVIIL Petr.ua Aliger (cosi dice 
r iotitolajdon di essa lettera) Dantia poetai j^ronepoa, tnch 
gnifiùia elariaaimiaque viria Petro de Medùna, et Thomas 
Soderino equiti, fibrentinia optimatibue et patriciia^ aa- 
lutem.Dì qui si vede che gli Alighieri avevano già a que- 
sta tempo cambiato il loro cognome in- Aligeri. 

'-' Questo Dante III fu uomo assai dotto, e buon 'poeta 
latino e volgare, ed è annoverato dal MafiEei tra gli scrit- 
tori veronesi. Fu.pote^tà di- Peschiera nel 1498, provvedi- 
tore del comune di Verona nel 1502, vicario della casa 
de' mercanti nel 1*^04, e provveditore alla Sanità nel 1505. 
Perla famosa lega di Óambrai' ^caduta Verona in mano 
degl! imperiali, ornando egli i nuovi- padróni, ed essendo 
paraaliseimo pei Veneti, abbandonò la patria,, e ritirossi in 
Mantova, ove morì nel 1510, addolorato del suo esilio, e 
tormentato dalla povertà, in che era caduto per la rovina 
delle sue terre in eonseguQnzar della guerra. Pierio Vale- 



310 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

nano nellàr sua opera Dt infelieitate UiUratorum - (^, 1} 
coeì Wrla di lui : « Dantes^ tertitui Aliger veroheiisiB, vir 

n dubio prociil optime literatus, et in latino condendo «ar- 

n mine -bene elegans et eruditne, fortonam ip0é quOqné pò- 

n vercam ezpeituB est..Qao^nim tempere sclripta sua eoepe- 

n rat in claases instniere, et inunortalitati i^nn TÌaticiim 

n comparare, in- belli tempora incidit,. qnod- anÌTerm ovbia 

n yiribus contra Venetos Jolins II pòntiienc maxima»^ conr 

» citarat. Quo factum est, ut Verona a barbarie cajp^ '(lo 

n che accctdde nel 1509), ipse ne^tnmani eorum feriùiti pa- 

1» rere cogeretur, Mantuam vòbintario exilio profugerit. fibiqoe 

n rerum omnium aneustiis óppressufi, uxore et Jiberis ex 

» opulenta satis conditione in arctissimam egestatem et mi- 

n seriam conjectis,.tum aatate-jaln gtavis, et ad incommoda 

n hujusmi^i ferenda.hiinus adsuetus, .^u.s\ admodum vale- 

n tùdine diu excruciatu8,'^iii eo exilip perturbato subversoqne 

n rerum omnium suarum ordine, calamitoso mortia genere 

Ji vitam finiit« »^ 

,*<> y edesi questo- Jacopo registrato. néirAIberq datone 
dal Pelli e dal Litta, ma rispetto air esistenza di esso non 
si ha che la testimonianza <lel Filelfo, la quale anco in que- 
sto caso appare dubbia e fallace. Da Piero de* Medici e 
Tommaso Soderini stimolato Pietro II* Alighieri, paydre di 
questo preteso Jacopo, a voler lasciare Verona e fermare 
la sua dimora in Firenze, donde aveva avuto orìgine la sua 
famiglia, risponde (nella lettera sopra citata) con parole 
evasive^ poi soggiunge-: Forte tamtri fiUwn mtumy ewm 
adoleverit, si non ipae commùtandce sedia cónsiUwn'ifUero, 
patria reddam, ea quidem ape atque fide,- qtutm me de 
volds habere vestra singularis humanitas voìuit, On di 
~qui sembra potersi dedurre, che P-ietro Ilnon aveva che 
un figlio, e questo era Dante III.- Dunque o errò il, Filelfo, 
o questo Jaqopo, quando suo padre scrisse la lettera, citata, 
era già n^orto. 

" Pietro III, morto il padre Dante. ìli, e avuto fine le 
peripezie de* Veneziani, rientrò in Verona : applioossi ai 
buoni studii, e passò la sua gioventù nel leggere i poeti 
latini e greci; Il Ma£fei {Scrittori Veronesi ^ pag. 53) dice 
che in una lettera manoscritta del conte Lodovico Nogaróla, 
sv: legge : u Si memoria tenes, mi Petre, dum nos adole- 
n scentuli. eam- ageremus sBtatem, quas maxime le^itadbas 
n amàtoriis dedita est, multuin in poeti» evohréndis temporis 
» consumebamus, non modo latinis nostralibusque, 'vernm 



CAPITOLO NOPrO. 31 1 

n etiam grsBck^ qmi Yaos> vel aUorom amore» decantassent. 
n Ctiin vero in «ummo faonore, ut nane quoque/ baberetnr 
» Dantes, praeclarus auctor nobilitatis tuse, ac Franciscus 
n Petrarca, qui elegantissinia poemata ^truscp eérmone con- 
n sccipserant, ect ji^Eg^i pm-esercitò varii offidì per la re- 
pofbUica veneta r^nel 15^ fcr vicario della casa nde* mer- 
canti in- Verona, nel 1528, 15S6, 11539 provveditore dèi co- 
muae. (Si accasò Òon Teodora^ Frisóni, dalla (male ebbe 
soltanto ima fidinola, per nome mnevra. Mori (non si sa 
in qoalanno) e fa sepolto inéiem colla moglie nella cbiesa^ 
di Bau Fermo viaggio^ -di Verona, nella òappella a mano 
stnistra-^dell' aitar maghete, la quale Francesco suo fratello 
avea fatto a ]pro]^e . i^se costruire ; ed al suo' sepolcro 
(secondo che- riferiscono iì Maffen', 2oe. àit, e il Biancolini, 
CSUeét di Vetona, lib. Vili; pag. ' 169) #d apposta IfC se- 
guente breve, Qia decorosir iscrizione : 

Petro Aligero Dantis III filio - 
Gr^co et latine docto 
Et Theodor» conjugi incomparal^lL . .. 

t . ' - . ' " • 

^^ Secondogenito di Dante III, e fratello di Pietto III, 
fu Lodovico, il quale esercitò la giurisprudenza, non la- 
flcdando d' applicare eziandio agli Stndii più geniali delle 
umane lettere, secondo che- riferisce -il piò volte citato ma^- 
ehcHse Maffei, riferendosi fi vane lettere dei Nogarola, ad 
eiBO Lodovico dirette, le quali parlano di greca erudizione. 
Nel 1526 fu ascritto al cdlegio de' giudici di Verona, ove 
poi fu pretore utbano, ed «eziandio vicario de* mercanti, 
secondo che dice il Pelli; dignità considerevole ih quella 
ei^.; ed uno de* deputati alla riforma degli statuti del col- 
leEgio."Si' accasò con Eleonora del conte Antonio Bmlacqua, 
ma non -ne ebbe figli" onde con suo testamento - del 1547 
istituì erede il suo fratello Francesco, il quale lo fece tu- 
mulare nella suddetta sua eappella di San Fermo magio- 
ne, in un sepolcro distinto da^ quello di suo* fratello Pie- 
tro in. L'iscrizione appostavi (Biancolini, loc^ cit,) dice 
così : ■ . " 

Ludovico Aligero jurisconsulto 
.Omnibus virtSsbus omatissimo 
Pratribus amantissimis 
Et sibi Franciseus Àligér fieri curavit. 
H. M. H. N. S. 

Le sigle, secondo il p. Zaccaria {IsUtuz, antiquario -lapi- 



'Sii VITA DI DANTE AUGHIERI. 

daria, Boma 1770, pag. 278 e 480), st fpiegmno: JSoe mo- 
numentum luaredém mo» sequitur. «e.- 

*' Quésto Francesco, Rateilo di 'Pietro IH e di Loéo- 
tìco, del quale (CQm' è staio notato qui sopra) rimase e^rede-, 
fu uomo fornito di molta do^rina. Il conte Itodorioo Nóga- 
rola, rispondendo a Daniel barbaro, il- qui^- lo Avea jpre- 
gato a pr<>curar^li da' suo! più dotti <$òncittadini-quakhc 
aiuto per la. yersione di Vitruvio, intorno «Ila tjixale. staara 
egli lavorando, cosi gli rispander^Vitruviunì .jani vidi a 
n Bernardino Donato nostro in linguam hetruscam- conver- 
^ sum, additis etiam nonnullis 8èbolii%. qùm quidem (mmia 
*> suspioo^ inaniter^periÌAse. Hoc idem postea féeit^ rogato 
n Al^andri 'Vitelli!, Fra^ciscus Dantis Aliger, quonenù- 
» nem Yeronsa. arbitror ad YitniTii inielligentiain propius 
y> accedere. Cum Hoc viro doctìssimo mia^ujs oiim mibi fìiit 
*> usus ; nunc vero nullus ; nam ruri contmenter vitam a^it, 
V nec nisi raro ad nos revertìtur; si forte tamen accidat, 
n Ut urbém repctat, hominem aggrediar. n (Maffei, Scritt 
Veron., pag. 54). Questo lavjoro di -FraneelK^O intomo Vi- 
truvio pare essersi perduto,, poiché il dotto Poleni (Exerci- 
tationes Vitrumance, ^pag. 83} dice non averne potuto mai 
rintracciare notisìa. 

Un altro lavoro fece Francesco,, ma quésto basai jdle 
stampe, ed ha per titolo Antiqmtìales Valentinm Francitci 
Aliqtriy DantU tertii filiù È una dotta, illustrasione delle 
iscruioni e statue antiche, raccolte nel suo palazzo di Trevi 
nell* Umbria da Benedetto Valenti) che fu ponti/icU cerarti 
trihunus sotto Clemente VII e Paolo III. La prima e mag- 
gior parte dell! opera, che contiene 1* illustrazione deUe la- 
pidi ed 'H primo dialogo -sopra le statue, fu pubblicata 
JtonuB apìtd Anionium 3ladum Agulanum, senz anno, ma 
probabilmente nel 1537, come vedovasi segnato .a penna in 
un- esemplare possediuto da Filippo de Romanis. B secondo 
dialogo sopra le statue (ove, come nel primo, sono interlp- 
cutoit.lo stesso Francesco, Benedetto Valenti e Xanto 
Porzio) che non era stato data alle stampe, e che -erede- 
vasi perduto, fu poi nel 1769 ritrovato manoscritto nell'ar- 
chivio della ricordata nobil fami^ia. Valenti dal profes- 
sor Cristoforo Amaduzzi, dal quale nel 1773 fu con dotta 
prefazione pubblicato Èomce apud Benedictum France- 
8Ìum. 

Questo Francesco fu T ultimo maschio della famìglia 
Alighieri :\ non si trova eh' e! prèndesse moglie : testò 
nel 1558» e morì probabilmente in quello stesso anno. 



CiPITQi.0 X0r(6. 313^ 

*^ Ginevra, figlia di Pietro III e nipote di Lodovico e 
di Francesco, fu V ultimo fiata della famiglia Alighieri.. 
Nel 1549 ella si maritò col conte Antonio Sarego di Ve- 
rona, ed in questa nobil casata portò le fìicoltà e la nuo- 
va arme degli AHghiezi^ Il Mwei {SgsrUtùri Veronesi, 
pag. 54) attesta che Fistrumento dotale di essa Ginevra, 
del detto anno 1549, trovavasi al suo tempq neir archivio 
di Verona ai rogiti 4i Girolamo Piacentini. Ma come tutte 
le cose di qtiaggiù hanno lor morte, l^osUla ffimiglia Sa- 
.rego, in cui s* èra -iimestàto il sungue degli Alighieri, 
s'attinse pochi anni fa in una donna, cioè nella contessa 
Mariateresa oe'Gozzadini di Bologna. 



3U VITA M DANTB.ALIGBIERI. 



GAPITéLO DECIMO. 

Del sepóp^ro di Dante in fia^eima, 
e delle iecrhiàni appostevi. 



Vari! scrittori delle cose di. Dante sono andati ripetendo, 
che la nota iscrizione Jura Monarchia ec, la quale si legge 
al sepolcro del nostro Poeta ih. Ravenna^ fosse dettata da lui 
stesso qualche tempo innanzi della sua morte. E poiché nel 
concètto raechiuso ne' due primi versi di quella^ il signor 
Gabriele Rossetti credè trovar una piena giustificazione del 
moda tutto suo particolare^ col quale andò interpretando le 
parole^ non che le frasi della Divina Commedia, non sarà 
discaro a chi ama le realtà più che le fantasie^ che io pren- 
da a mostrare come la detta iscrizione né fu^ uè .poteva es- 
sere dettata da Dante. Una tale indiagine ne trae seco un'al- 
tra : cioè quale si fosse veramente l' iscrizione posta dap- 
prima, quali le altre poste in appresso al sepolcro; e questo 
pùre^ dietro le tracce segnate già dal canonico Dionisio non 
che da altrì, prenderò a dichiarare. 

La controversa iscrizione dice adunque così : • 

^ S. V. F. 

Jiira Monarchiasj Superos, Flegetonta LoAiusque 
Lustrando, cecini , voluerunt fata quottsque ; 
Sed quia pars cessit melioribus hospita castris, 
Att^toremque suum petiit felicior astris, . 
Hic claudor Dantes, pattiis extorris ab oris, 
Quem genuit parvi Florentia mater amoris. 

Domandando su quali autorità dobbiamo noi ritenere 
che questa epìgrafe Tosse dettata da Dante>. odo rispondere 



GÀ1<IT0L0 DECIirO. Si^ 

che r iscrizione .pfirla in prima persona, 'e tal persona si è 
Dante; e. che il fatto è comprovato dalfa testimonianza di 
parecchi si3rittori. La prima parte della risposta non prova 
nulla ; perciocché quante mai iscrizioni non sono, che orla- 
no in prima pertona, e pure non "furono dettate* dà coloro 
che nel sepcrfcfo riposano? Anzi dirò, che un tal modo era 
assai familiare agli antichi^ e il riportarne degli esempli' non 
sarebbe che vana mostra di erudizione, dappoit5hè ella è 
cosa- notissima. • . . - -, . 

La seconda parte della risposta; «òè che il fatto è com- 
pcpvatò dalla testimonianza di parecchi pcrittori, è debole e 
vacillante pur essa; perciocché non sull'ìgiutorità di scrittori 
del secolo XIV, ma su ^quella <ì' uno storico df betf picciolà 
fede; e posteriore di oltre due secotf al fatto pretesò, e sulla 
interpretazione dellfr sigle *S. V. P., i moderni biografi e illu- 
stratori di'0ante sono andati ripetendo una tal voce. 

Dice Giovanni Villani^ die Guido da Polenta tanto amò 
r amico poeta, che appresso la morte di lui pensò di eriger- 
gli un onorevole monumento^ e che questo « fu a certo 
» tempo adomato d' alti e sottilissimi versi, i quali com- 
» puose e dittò il grande è valente poeta maestro Giovanni 
A Del Virgilio di Bologna, e furono iscolpiti in esso mònu- 
» mento. ** Il Boccaccio poi dice che il Polentano « avea 
*. disposto dì si egregia sepoltura onorarlo, che se mai alcun 
if altro suo merito non lo avesse renduto a' futuri, quella lo 
1 "avrebbe fatto* Questo laudevole, proponimento infra breve 
it spazio fu manifesto ad alquanti, li quali in quel tempo 
» erano in poesia solennissimi iiì Romagna ; sicché ciascuno 
* si per mostrare la sua sufficienza. Si per rendere testimo- 
» nianza delia portata benevoglienza al morto poeta, sì per 
9 accattare la grazia del signore, il quale sapevano ciò de- 
» siderare, ciascuno per sé fece versi, li quah, posti per epi- 
9 tafflo alla futura sepoltura, con debite lodi Éacessino- la 
}> posterità certa, chi dentro ad essa giacesse ; ed al magni- 
o> fico signore gli mandarono, il quale per gran peccato della 
» fortuna, non dopo molto tempo, toltogli lo stato, di mori 



310 VITA W.PAKTE ALIGHIERI. 

» a Bolqpa. Per la ijuial cosa e '1 fare il sepolcro^ e '1 porri 

> li mandati v.ersigi rimase. Li quali venii^ stati^ a lAe-mo- 
» strati più vKmpo .appresso, q veggeado loro «oft -avere 
» avuto luogo per kx^^aso già dimostfalo^ peasaudo le pre- 
j» senti cose per. iuo ^i;itte sieuo perpetue oonservatrioi della 

> colui mcnioria, immaginai non essere deonvenevolé quelli 

> aggiungere, a queste., lìa perciocché pia .che quelli che 

> r uno di Joro avesse, fatti^obé furi>no più) non si sarej^ 
)) bono ne' marmi intagliati; cosi solamente quelli d' mi solo 
» quivi e^imai che bussino da scriv^l^ : perche tutti meco 
)» esamincitigli, e. ppr ^te ;e per intendimento più de* 
».gni estimai, che, fuoserp quattordici fattine dal ivaestro 
3» (Giovanni Del Virgilio da Bologna, aHorit^famosissimo e gran 
» {)oetd, e di Dante stala singolarissimo amico. % Jilippò 
Villani, concordando co' due «ovraeitati scfittorf, dice pur 
esso cosi : «Decreyerat yir nobjlis vere Guido Novelhis ex 
» operoso marmpre, sumptu amplissimo^ erigere moniimén- 
» tum, quo .egregi! poet» cineres eonderentur; sed amici 

> propositum infelix frùudaviteventus, foi'tunis Guidonis in 
» deteritts commutatis. Quae tamen interim potuit, viri no- 
» bilis diiigentìa adimplevit : curavit siquidem, ut per mul- 
* tos, prò ci^ttsque arbitrio, ponendi versus in sepulcro in 
» poetse laudem dictarentur, multisque multorum receptis, 

> hos, qui fuere magistri johanpis. Del Virgilio, jussit in 
» frontispicio sdemnis areulse insigniri. » 

. Per le concordi testimonianze de' tre più antichi hiografr 
dell'Alighieri abbiamo pertanto,. che la prima iscrizione po- 
sta al sepolcro di lui in Ravenna, fu quella dettata da Gì(k 
vanni Del Virgilio. Né questi tre primi biografi, né Leo- 
nardo Bruni, il Laudmo, il Vellutello^ od alcun altro de' se- 
coli XIV e .XV, hannùsi mai pensato di dirne, che Dante 
istesso si dettasse r epigrafe, e che questa sulla 4apide di lui 
si leggesse, y silenzio dunque di quésti antichi biografi non 
sarà prova bastevole dell' insussistenza del fatto in questio- 
ne? Ma, e a provarne T insussistenza, e a rilevarne l' mve^ ' 
rosimiglianza, non è i|uesto U solo argomento, che da me 



CAPITOLO dEcmo.' 317 

possa portarsi in eam|K). Altri e pia forti ve n' banno^ de*quali 
farò ora discorso^ e^ì jquali rimarpà tolta' ogni e qualunque 
4lufeèiexza. . : , ' •/ 

. In primo luogo: se1'£!M9tico preteisadeii'AHghielt/ fosse 
veramente e^tìto a- tempi del-Boceàccio^ eotné mai questo 
caldo entusiasta- del divino Poèta; togliendo ad esame le epi- 
grafi dà i^ù scrittori dettate^ avrebbe preterita quella del 
suo TeneraÌo>maestfo^ ed estimata degna di-esser ne'marmi 
intagliata sole F altra del bolognese G^v^ama^f Avrebb'egli jl 
Boccaccio commesso mai un attocoBÌ ingiurioso alla memoria 
di .colui> a rintracciare gli scritti e le notizie del quale^ egH 
in quel tempo appunto eràsi portato in Ravenna? Questo 
istesfio argomento^ vuoisi ^eziandio porre in caitipo relativa* 
mente al Poìeotano, e al poeta bolognese^; ruH'de'qualifton 
avrebbe desiderato, V altro^ comporto la sepolcrale iscrizio- 
ne, se Dante, il loro amico diletto, la si avesse vivendo . 
dettata. Ecco dunque < un* altra sagione^ che<d sforza a ri- 
tenere per favola X ì^torielia- raccontatane da' moderni. 

In secondo luogo: essendo x[ueiriscri£Ìono scritta in versi 
rimati, che rendono il componimento di forma barocca, e 
non contenendo nulla, che riveli un poeta di qualche valore; 
malpuossì attribuire a Dante Alighieri, il quale, per quanto 
permettevano gli scarsi «tudii di quel secolo, cominciò a scri- 
vere il suo Poema, e scrisse poi le^ sue egloghe in quella 
forma di esametri, nella qiiale Virgilio, Ovidio, Lucano e Sta- 
zio, i poeti da lui presi a modello, aveàn dettato i poemi loro. 
In terzo luogo : né Dante vivente avrebbe mai detto di 
sè^ patriis extarris ab oris, mentre vivente sperò ognora di 
ritornarvi t 

(Con altra voce ornai, con altro vello 
Ritornerò poeta; 

uè sàrebbesi limitato a chiamar la sua patria matéfir parvi 
rti»or/f;nè avrebbe significato il Purgatorio colla voce lacus, 
la quale è aita piuttosto a significare T Inferno, che ha 
r Acheronte, la morta gora, la riviera del sangue e il lago 



318 VITA DI DANTE AldGHIERI. 

gelato ; laddove il Purga torìo« tranne la limpida ac<|u» netta 
sua dma^ non ba nò fonte^ né fiume^ né lago.- 

In quarto luogo : le parole^ Auctoremque Mum petUtfeii" 
ciùT astris, dicono che V anima del Poeta se- ne yòLò diritta al 
cielo a ricongiungersi al suo autore. Ma Dante> ebe, percorren- 
do il Purgatorio^ confessò óf dovere pur esso, morto <^ fosse, 
rimanere per alcun tempo a^ purgarvi i sud fallii avrebb' egli 
potuto, senza taccia di peccaminosa prosunzione> annunziare 
nella sua lapida dt essere speditamente volato^' empireo? 

Né questa epigrafe. fu dunque dettata dal divino Poeta, 
né questa fu- dapprima posta sul suo sepolcro: T epigrafe, 
che verso la metà del secolo XIV si lesse su quel sepolcro, 
fu bensì V altra dal Dd Virgilio composta, dal Boccaccio e 
da' due Villani. ricordata^ e che diceva cosi r • . 

Tkeologus Dantes, TmUiuè dogmatia èxpers, * 
• Quod fóveat claro philoeophid ehm; 

Gloria Musarum, vtUgo gratiestmua dùetor, 

Hià jacetf et fama pulèat uttùmque polum : 
Qui locct défunctiè-gelidisì regnumque gemdlum ■ 

Diétrihuit loyoiè thetoricisque mg4Ì9, - 
Fàsoua Pierii» demum reeonabat avénia: 

Atropos heu ! lecturA. Uviàa rupit. ùpuè, 
Huie ingrata tulit tristem JFlorentia fmetum, . 
-' ExiUum nata. patria cruda suo, ' "^ 

Quem pia Chiidonis gremio Eavenna Novelli 

Gaudet honorati conticuiese Dacie. -. 
MiUe trecentenie tereeptem Numinie afune. 

Ad eud eepiemhrie idihue astra rediU ' 

Or come sta (domanderammi il lettore) che Paolo Giovio 
(quello storico' che ho accennato di sopra) disse ne' suoi 
elogii degli uomini per dottrina illustri (cap. 4) che V iscri- 
zione Jura Mmarchios fosse stata dettata da Dante istesso? 
Se il Giovio (risponderò) tenne per vera siffatta voce^ fu a 
ciò mosso da una ragione apparente; imperocché la contro- 
versa iscrizione ben leggevasi al suo tempo sul sepolcro di 
Dante^ e ben le tre sigle S. V. F., poste in testa di essa. 



CAPITOLO DECIMO. 319 r 

poteano interpretarsi ^/ Vitìem Feeit, quantunque altri 
credano che ii loro significato sia Suo Vixit FcUo, o givrero 
Salve, Vive Felim^ od anco Senatus Venetus FecU. Ma per 
mostrare che qoella prima interpretazione non può ammet* 
tersiV avremo ricorso alla storia. ^ 

Abbiamo di sopra veduto che al Boccaccio furono in Ra- 
venna mostrate le iscrizioni fatte già pei ^polcro^di Dante, 
e che egli giudicò migtipre d' ogni altra quella del maestro 
Giòvannt Del Virgilio. Disse, inoltre il certaldese che i versi 
già fatti non avean potuto aver luogo per lo caso dimostrato, 
cioè pe^hè a^ Guido Polentauo Uk tolto lo stato. Ma i più 
antichi biograH dell' Alighieri ne certificano, siccome vedem- 
mo, che r iscrizione primamente apposta al sepólcro di lui 
fa quella del poeta bolognese. Dunque o fu ella apposta al 
tempo di che parliamo, cioè verso il 1350, quando il Boccac- 
cio preferilla sopra o^ì altra^ a non molto dappoi.' 

Il sepolcro dell' Ali^ieri si rimale in quella forma pri- 
mitiva pel corso di oltre un ^colo; e questo parmi si possa 
dedurre dal non riscontrarsi memoria, che accenni a restaur 
ro veruno. Ma nell'anho 1483 Bernardo Bembo, padre del 
cardinal Pietro, v^énendò a iRavenna pretore per la repub- 
blica di Venezia, pre^ da veneraztone per V autore del sacro 
Poema, procurò che il già lacero, e poco decente sepolcro 
risorgesse a novello e più solenne $plendQre. Adunque rico- 
struendolo, e di marcii e d' altri ornamenti fregiandolo, scom- 
parvero i versi di Giovanni Del Virgilio, ■ e in quella vece, 
a destra della cappella, ove riposano le ceneri del Poeta, 
comparve; e tuttora si lei^e^ V iscrizione seguente : 

Exigua tumtiU, Dante», Me sorte jacebds, 

Squallenti nulli cognite pene situ; 
At nuric marmòreo mihnixue conderia arcu, 

Omnibus et cultu iplendidiore nitéa. 
Nimirum Bembua Musis incensus etruscis, 
' Hoc tibi, quem' ih primis hce eòluere, dedit. 
Anno aalutis MCCCCLXXXHL VI. Kal Jun. 

Bemardua Bembua prastor cere auo poauit. 



3:20 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Al di sopra del sepolcro pose il busto di Dante^ in mezza 
figura, opera del valente scultore Pietro Lombardo, n'piòeta 
è. ra[^resentato in atto di tenere gli -occhi In uft vokmie 
posto sopra un leggio, coHa mano sinistra ^rreggesi il 
mento, e colla destra poggia su d' una breve tavola: In alto 
sta una ghirlanda, che chiude in mezzo le pafole Ftyiitiri et 
HonorL Nel piedistallo poi del monumento' fece il Bembo 
scolpire quella iscrizione, ehe tuttora in esso si legge, e che 
forma il subietto di questo capitolo. , 

Nel 169!2 Domenico Maria Corsi, car-dinal legato dv Ra- 
Vienna, fece alquanto restaurare questo sepolcro^ e (a memo- 
ria del fatto) pose a sinistra della cappella V is<5rizione se- 
4(uonte: 

Exìdem a Floréntia Z^'antì^em ^ . 
LiberalUaimù exeepU Bavenna, 
Yivo fruena,' mortuum egUna. 
Magnis cineribua licet in pafvQ magnifici parentarunt 
Polentani principea erigendo, . 
Beinhìta prcetor loctdentiua eo^truendo 
Prcetioaum Muaia et ApolUni mauaoleum, 
Qìiod iìijuria temponim pene aquaRena, 
Emo Dominico Maria Curaio legato, 
Jeanne Salviate prolegato , 
Magni civia cinerea patrios reconciliare, 
Cultua perpetuitate'curantibua, 
8. P. Q. R, 
Juré ac cere aito ' 
Tamquam thesaurìtm auum munivit inataùravit ornavit 
Awio Domini MDCXCIL . 

Finalmente nel 1780 il sepolcro ebbe nuovo restauro per 
le cure del cardinal Luigi. Valenti Gonzaga, il quale, tolta 
dalla parete sinistra della cappella V iscrizione dèi cardinal 
Corsi or or riferita, fece porvi T altra, che qui trascrivo, e 
che fu dettata dal MorceUi : . 



CAPITOLO DECIMO. ' 321 

DanH AUghiero 

PoetcB 8ui temporia primo 

Beeiitutori poUHoris humaniiatis 

Guido et HostoMÌus Polentard 

Clienti et hospiti peregre de/une to 

Monumentum fecerunt. 

Bemardaa Bemhua prastar venet. Bavenn, 

Pro meriOa e^ns ornatu excoluit. 

Aloynus Valentiiéa Gonzaga card. 

Leg. Prov. JEmiU 

Superiorum temporum negUgentia corruptum 

OperibtM ampUatis 

Munificentia sua resHtuendwm 

, Curavit ' 

Anno MDCCLXXX. 

RiepUogando pertanto gli argomenti flnm'a discorsi^ 
avremo: 1° che-ai tempo che il Boccaccio pertossi a Rayen- 
na (e ciò fu nella sua gioventù)^ non esisteva al sepolcro di 
Dante iscrizione veruna; 2* che la prima e sola iscrizione 
aiH[K)sta a quel sepolcro^ fu ({uella di Giovanni Del Virgilio; 
3* che la controversa epigrafe Jura Monarchics fu ign(»ata 
da' tre più antichi biografi del Poeta^ o^ se fu mai da loro 
conosciuta^ non la ritennero per iscrittura di Dante^ che al- 
trìmenti ncoi avrebbon mancato di farne parola ; 4® che que- 
sta epigrafe fu solo posta da Bernardo Bembo^ quando 
. nel 1483 ricostruì il sepolcro di Dante^ e che solo in quel- 
la anno fu tolta l' antica del J)el Virgilio ; S"" che se la detta 
epigrafe^ dappoiché riscontrasi in codici anteriori al 1483, 
non fu composta per ordin del Bembo; e se per avventura 
può supporsi una di quelle che gli amici del Polentano, ap- 
presso la morte di Dante, inviarongli, non potrà mai ritenersi 
per componimento di Dante medesimo. Dal Bembo peraltro, 
agevohnente tratto in inganno dalla forma di quell' epigra- 
fe, furono aggiunte le sigle S. V. F,, e questo fatto agevol- 
mente deducesi dair osservare, come nelle copie manoscritte 
anteriori al Bembo, le tre suddette sigle non si riscontrano. 

Dahtb. — Vita. t\ 



322 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

Dimostrato dunque che questa epigrafe non fu dettata 
da Dante^ il concetto racchiuso ne' due primi versi di quella^ 
cioè che, descrivendo V Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, 
intendesse il Poeta cantare i diritti della imperiai monarchia, 
si rimane una semplice opinione dell' anonimo scrittore di 
essa. Non ha dubbio che Dante, più per la brama ardente 
di veder ricostituita l' Italia, che per quella di trar ven- 
detta de' suoi ostinati nemici, si volse tutto alla parte impe- 
riale; ma il voler fare della Divina Commedia un libro di 
setta, e il voler qualificar Dante per un precursor di Lute- 
ro (siccome pretende.il Rossetti), è cosa che non piiò affitto 
anunettersì. I diritti della monarchia non furon da Dante 
cantati nel Poema, siccome dice l' epigrafe, e siccome vuol 
credere il citato scrittore, ma furon da lui esposti in appo- 
sito Trattato, che porta appunto il titolo Della Monarchia : 
nel Poema la monarchia non è che uno de' mezzi, i quali 
poteano procurare il riordinamento d' Italia e il bene del- 
l' umanità; l'altro essendo, anzi il primo, la religione di Cri^ 
sto. n gergo settario, architettato in un modo fanciullesco e 
ridicolo, che il Rossetti vuol trovare nel divino Poema, non 
ò che un portato mostruoso della sua fantasia. Non in geìngo^ 
non con frasi a mosaico, non timidamente, ma arditamente e 
con parole chiare ed aperte ha p^irlato Dante contro ^qu^ 
re, quei papi e quei grandi personaggi, che coi loro vizii e 
delitti avean disonorata l' umanità, e malmenato e ccurrotto 
r Italia. Dunque la frase lustrando Superos, FlegeUmkt, lor 
cusque, cecini jura Monarchia, non può attribuirsi all' au- 
tore della Divina Commedia, 



CAPITOLO DECIMO. 323 

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI 

AL CAPITOLO DECIMO. 

^ La lezione, che di qneiti verd abbiamo in varie stam- 
pe, anche recentissime, è lacera e guasta oltremodo. Gol 
confronto delle varie copie sì stampata che manoscritte ho 
potato correggere parecchi errori, sei dei quali pur riscon- 
transi nell* edizione di Padova, eh' è la meno scorretta di 
tutte le altre. Pongo qui a confronto le due lezioni. 

y. 3. clarissimus atustor gratUiimua auotor 

ivi regumqut gemtlUa regmmque gemellum 

V. 6. laycia loyda 

V. 7. amicis avems 

V. 8. IcBtum opus lectum opus * 

V. 9. Hic Huio 

ivi fatum frwitum 

V. 10. vati nato 

V. 12. continuiase cónticuiase 

V. 13. trecenti trecentenie 

ivi numerua Nurnims 

£ poiché Bon qui a far parola de^li errori corsi in questa 
iscrizione^ dirò d' un altro sba^o mtomo di essa commesso. 
Nell'adizione della Vita di Dante stampata dal Sermar- 
telU, Firenze 1576 ^edizione, che quantunque citata dall'Ac- 
cademia, è piena di alterazioni), do]^^ il periodo, nel quale 
fl Boccaccio dice, che i versi da lui stimati i migliori di 
tutti gli altri mostratigli, furono quattordici di Giovanni 
Del lor^io, U quaU (egli soggiunse) sono questi appresso 
tcfitti, SI riportano non gul i quattordici del poeta bolognesei 
ma (cosa veramente strana) tredici soltanto, che sono un 
miscuglio di tre differenti iscrizioni. Ma conciossiachò nelle 
due edizioni antecedenti (Yen. 1477, Roma 1544), e nelle 
due susseguenti (Fir. 1723, Yen. 1825) i verd del jDel Vir- 
gilio hannosi in quella forma, in che sono stati da me riferiti, 
e nella forma (aggiungerò) cne si leggono ne' co^ci mss.. ò 
evidente che la sunnotata differenza non ò che uno straul- 
eione, o un arbitrio dell' editor SermartellL 



924 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

' Taluno opina che il sepolcro di Dante nessuna iscri- 
zione B* avesse fino a che, per cura del Bembo, non risorse 
a nuovo splendore. Ma oltreché le parole surriferite de* tre 

Siù antichi biografi del Poeta non ammettono ragionevol 
ubbiezza, abbiamo la te^itimonianza di Giannozzo Manetti, 
il ouàle nella vita del Poeta, scritta varii anni avanti che 
il Bembo andasse a Ravenna, disse cosi: « Sepultus est 
n Bavenn» in saera minorum aede, egregio quodam atqne 
« eminenti tumulo, lapide quadrato et amussim construcfto, 
I» compluribus insuper egregiis carminibus inciso insignito- 
n qne. Epataphium ab initio hujusmodi in quadrato sepmchri 
» lapide incisum fuit: 

n Theologua Dantes, nulliua dogmatia expers, 
n Qiuod foveàt élaro philoaoj^ia ainu; 

n et quse sequuntur. Quum deinde postea sex dumtaxat car- 

n mina longe ptiorìbus illis elegantiora (che fossero piò, eie- 

n gantilasciamolo pure al giudizio delManetH) a doctissimo 

» quodam viro edita essent, veteribus e tumulo abolitis, nova 

n hfldc incisa fùerunt carmina: 

« Jura MonarchÙB, Superos, FlegetoiUa, Lacusque 
» Lustrando cecini ec. » 

Qui dunque il Manetti dice, che al sepolcro di Dante fa 
apposta una iscrizione, e che questa fu quella che incomin- 
cia Theologus Dantes, cioè quella dettata dal Del Virgilio. 
E mentre poi continua dicendo, che tolta in processo ài 
tempo quella prima iscrizione, vi fu sostituita 1* altra Jura 
Monarchim^ cioè. quella in questione; non dice punto che 
quei sei versi rimati fossero stati scritti da Dante, ma li 
dice axud composti a doctissimo quodam viro. Le parole 
del Manetti comerman dunque quello, che sono andato espo- 
nendo, ma discordano rispetto al tempo della sostituzione 
d' un* epigrafe all' altra. Non farò peraltro questione su que- 




lli composta da Dante. 

* Pra le molte testimonianze, che potrei citare a far prova 
come, ricostruito dal Bembo il sepolcro, non più vi si lesse 
r iscrizione del Del Virgilio, piacemi di citarne -una sola, 
n sassone Lore^iizo Schradero Halberstadien fece nel 1667 



CAPITOLO DECIMO. 325 

un erudito viaggio ^er V Italia, e trascrisse una ^an parte 
delle pubbliche iscrizioni, che a quel tempo n^a nostra 
penisola si trovavano. Venticinque anni appresso pubblicò 
quella sua raccolta in un volume in foglio così intitolato : 
Monumentorum ItaUa, qu<B hoc noetro sceoido a Cristiania 
posita sunt, libri quatuor, editi a Laurentio Schradero 
Halberstadien saxone ; HelmcestadU 1592. Fra queste iscri- 
zioni non mancano quelle, che allora (1567) si trovavano 
al sepolcro di Dante • in Bavenna, e sono due soltanto 
(car. 288 verso) •, la prima composta dì sei 'Versi, ed è quella 
che comincia Jura Monarchia} : la seconda composta di tre 
distici, ed è l'altra che principia Exigua tumuli, e che 
ricorda V opera generosa del Bembo. Se . il collettore non 
riporta che due sole iscrizioni, è chiaro che la terza, vale 
a dire la prima in ordine di tempo, non più esisteva. 



VITA DI DANTE ALIGHIERI. 



CAPITOLO DECmOPRIMO. 

CfU fossero i due Malaspina, amici ed ospiti di Dante, 



È un fatto certissimo nella storia^ che Dante trovò per 
un tempo ospitalità presso i Malasplna^ marchesi diLunigiana. 
I documenti che sono fino a noi pervenuti, i biografi del 
Poeta antichi e moderni, ed eziandio i comentatori, ci di- 
cono che furono un Franceschino ed un Moroello coloro, da 
cui r esule Alighieri fu accolto. ^ Ma essendo molti i feudi 
e i castelli dei Malaspina, ed essendo numerosa assai questa 
famiglia, la semplice designazione de' nomi ne toma troppo 
vaga ed incerta, tanto più che parecchi personaggi, per nome 
Moroello, si riscontrano fra i marchesi di Lunigiana. L'abate 
Emanuelle Gerini nelle sue Memorie storiche della Lunigia- 
na, producendo il vastissimo Albero della famiglia Blalaspina, 
volle cercare qual fosse il Moroello, a cui Dante avrebbe (se- 
condo il Boccaccio e la lettera di frate Dario) dedicato il 
Purgatorio, e conclude, non però senza molte dubbiezze e 
reticenze, che fosse il marchese dì Giovagallo, marito d'Alagia 
Del Fiesco, quegli cioè che liei 1301 capitanando INeri diede 
ai Bianchi la nota sconfitta in Campo piceno^ alla quale al- 
lude Dante (Inferno, canto XXIY in fine) Scendo Tragge 
Marte vapor di Val di Magra ec. Alla opinione del Gerini al- 
cuni moderni scrittori assentirono ; altri, e forse la ma^^or 
parte, non seppero acconciarvisi, ben riflettendo, che amico 
ed ospite dell' Alighieri (e se tede non lo si volesse per la 
lettera del frate, tale sarà dimostrato dai due documenti 
del 1306, e dalla epistola di Dante stesso ultimamente dal 
Torri discoperta, e nel volume m delle Opere minori ripro- 



CAPITOLO DEGIM OPRIMO. 327 

dottaX non poteva mai essere un guelfo^ anzi il capitan 
generale della taglia guelfa^ com' era Moroello di Giova- 
gallo. 

Or come non può, né poteva ragionevolmente muoversi 
dubbio, cbe fra i Malaspina pure un Moroello sia stato amico 
al Poeta ; conveniva peraltro, prima di dichiararsi per il Mo- 
roello di Giovagallo, ricercare se alcun altro Malaspina, por- 
tante tal nome, esistesse in quel tempo fra i marchesi dì Luni- 
gìana, e se sull'uno piuttosto che sull' alth) dovesse cader la 
sentenza. E per. venire in chiaro dì ciò, tre documenti, già 
da molti anni pubblicati, e di cui notissima era V esistenza, 
potevano esser bastanti. Questi documenti, di che intendo 
parlare, sono il primo, V istrumento del 6 ottobre 1306, per 
cui Franceschino de' marchesi Malaspina costituisce T Ali- 
ghieri in suo procuratore a far pace con Antonio vescovo 
di Luni, non tanto in nome proprio, quanto de' fratelli Mo- 
roello e Gorradino ; il secondo, 1' atto di costituzion della 
pace (deiranno stesso, mese ed anno) stipulato fra il pro- 
curatore Dante Alighieri e il detto vescovo; il terzo, una 
cartapecora dell' archivio Strozzi dell' anno 1301, rammen- 
tata dal Manm', e veduta e citata dal Pelli, nella quale 
Moroello e CcMradino (i due Malaspina degl' {strumenti 
del 1306) con Manfredi, Federigo, Azzone e Giovanni, sono 
nominati fratelli, e detti figli del marchese Obizzone o Obiz- 
zino del marchese Federigo. * 

Avendo dtotto che a risolver la questione, questi tre docu- 
menti potevano esser bastanti, mi conviene ora provarlo. Tutti 
i biografi, oomentatori e iUustratod dì Dante hanno detto e 
ripetuto, die i due Malaspina, i quali ospitarono l'esule Poeta, 
tarono un Franceschino ed un Moroello; e poiché un Fran- 
ceschino ed un Moroello sono fra quei Malaspina, che diedero 
a Dante un incarico sì delicato, qual si fu quello di trattare 
e concludere una pace, questi appunto dovranno essere i 
due personaggi, a cui si possa attribuire l' onore dell' amiche- 
vole ed ospitale accoglienza, l'auto è vero quello eh' io dico, 
che fino il Gerìni, il quale opinò pel Moroello di Giovagallo^ 



328 VITA DI DANTE AMGBIERI. 

ritenne in prima esser lui^ e non altrì^ il nominato nell' istru- 
mento della pace. ^ 

Quanto a sapere con precisione chi fosse il Franceschino^ 
bastava solo gettar V occhio sull' Albero della famiglia Mala- 
spina^ e tosto sarebbesi visto esser egli il marchese, di Mu- 
lazzo^ il figlio di Moroello I^ il quale successe a suo padre 
nel feudo il 1285^ e mori il 1319. Né su ciò poteva cadere 
il minimo dubbio^ poiché nissun altro di nome Franceschino 
riscontrasi in quel tempo fìra i marchesi di Lunigiana. Me 
sola avevasi questa riprova; poichò a convalidare la oosa^ 
avevamo pure le memorie e le tradizioni. Ed esse son que* 
ste : in Mulazzo^ nel centro del vecchio castello^ esiste un 
avanzo di torre^ che pur oggi si chiama la torre di Dante, 
e là presso si trova pure una casa^ ov' egli per più tempo 
(secondo si diqe) fece dimora^ o che pur oggi si chjama to 
casa di Dante; e queste tradizioni si sono colà tramandate 
di padre in figlio, e serbansi tuttora tenacemente. ' 

Quanto dunque al Franceschino, ella è cesia ornai fuor di 
dubbio, che fu il marchese di Mulazzo. Quanto poi al MoroeUo, 
io rimprovererei al Gerini e agli altri scrittori, che hanno opi* 
nato pel marchese di Giovagallo, di non avere avuto presenti 
alla mente i documenti, di che ho qui sopra (atto p^prola, i 
quali, siccome ho detto, potevano esser bastanti a nsolvore 
la questione. Infatti chi era il Moroello, del quale si è tanto 
fatto ricerca? Lo dice V istrumento stesso della pace : era il 
fratello di Gorradino. Or io domando: Il Moroello di Giova- 
gallo, che voi, signor Gerini, vorreste essere stato Tospite di 
Dante, aveva egli forse uà fratello di nome Gorradino? Get* 
tando l' occhio suU' Albero de' Malaspina, poteva ognuno ve» 
dere che no, poiché egli non aveva fratello nessuno, ma solo 
una sorella chiamata Manfredina. Dunque del tutto falso era 
il supposto per il marchese di Giovagallo. 

Neil' altro documento pure dell' archivio Strozzi, ove si 
trovano citati i medesimi due Malaspina (Moroello e Gorradi- 
no) sono essi nominati fratelli insiem con Manfredi, Feder^o, 
Azzone e Giovanm', e detti figli del marchese Obizzone o 



CAPITOLO HGIMOPRIMO. , 3!29 

Obìzzino del marchese Federigo. Questo documento confer- 
mando il detto di sopra^ cioè che il Moroello in questione avea 
un fratello di nome Gorradìno^ ne dice per di più^ aver egli 
altri quattro fratelli^ e tutti esser figli del marchese Obixzino 
del marchese Federigo. Noi sappiamo pertanto^ che il Mo- 
roello dì che si fó ricerea, ha cinque fratelli, e che è figlio 
del marchese Obizzino. Ora il Moroello di Gioyagallo nò ha 
questi cinque fratelli, nò ò figlio del marchese Obiitino;poi>» 
chò dall' Albero de' Malaspina si vede, che suo padre fti il 
marchese Manfredi. È dunque folso e del tutto arbitrario il 
supposto, che il personaggio in questione fosse il MoroeSo di 
Giovàgallo. L'Albero poi dal Gerini stesso prodotto, Dicendoci 
conoscere che i figli del marchese Obizzino (cioò i già nomi- 
nati Federigo,. Manfredi, Azzone, Giovanni, Gorradinoe Mo- 
roello) erano marchesi di YiUafranca, doveva fàcilmente de- 
dursi che un Moroello di Yillafranca, non già di Giovagallo, 
fosse stato l' amico del divino Poeta. 

Prima che possa dirsi esaurita l' argomentazione storica, 
che ho posta in campo, fa d' uopo eh' io risolva due istanze 
che mi potrebbero venir fotte: la prima, che pur altri due 
Moroelh, oltre il marchese di ViUafiranca e quello di Giova- 
gaUo, esistevano fra i Malaspina al tempo di Dante ; la secon- 
da, che il Moroello, al quale io accordo l' onore dell' amicizia 
del sommo Poeta, non fosse che un minore, cioò un giovi- 
netto al disotto de' ventun' anni, lo che raderebbe forte 
improbabile il resultato dalla mìa argomentazione disceso. 

Rispondo pertanto alla prima : che altri due Moroelli, oltre 
i già citati più volte, vivevano fra i Malaspina in quella età; 
r uno era il marchese di Valditrebbia, figlio d' Alberto e ni- 
pote di Corrado l' Antico; l' altro era il figlio del noto Fran- 
ceschino, marchese di Mulazzo. Contro ambedue questi nuovi 
Moroelli io argomento nel modo stesso, con cui ho argomen- 
tato di sopra ; cioò, che il Moroello, di che vuoisi for ricer- 
ca, debb' essere il fratello di Corradino, il figlio del mar- 
chese Obizzinò : or questi due non hanno a fratello un Cor- 
radino, nò del marchese Obizzinò son figlL Inoltre il Moroello 



330 VITA DI DANTI AU6HIERI. 

di Valditrebbìa non faceva dimora (come '1 dice il titolo del 
suo marchesato) in Lunigiana^ mentre Dante intrattenevasi 
in Lunigìana^ ed in Lunigiana doyeyano esser gli ospiti suoi; 
e r altro di Mulazzo, nel 1306 (data alla quale bisogna ripor- 
tarsi nella ricerca presente) non era se non un infante^ poi- 
ché tredici anni dopo^ vale a dire nel 1319^ aUa morte di 
Franceschino^ non era tuttavia che un minore^ e come 
tale fu lasciato dal padre suo sotto la tutela del fleanoso 
Castruccia 

Alla seconda istanza rispondo dicendo : ehe^ sebbene il 
Gerìni abbia asserito^ non si sa su qual fondamento^ che 
nel 1301 Moroello e Gorradino di Villafranca fossero minori; 
e sebbene altri^ rincarando la posta^ abbia creduto e ritenuto^ 
che tuttavia lo fossero nell'anno 1306 e seguenti (tempo 
della dimora di Dante in Lunigiana); pure è agevole il dimo- 
strare che questo è falso. Imperocché se nel 6 ottobre 1306 
nominarono in loro procuratore^ a trattar della pace col 
vescovo di Luni, Dante Alighieri^ come può dirsi eh' ei fos- 
sero minori? Quando mai i minori hanno avuto il diritto di 
fare una procura ? non appartien egli ciò alla persona^ alla cui 
tutela son essi affidati? Aggiungerò inoltre^ che se nell'istru- 
mento del 1301^ al quale ha creduto appoggiarsi il Gerìni^ 
si nominano come minori Giovanni^ Azzone e Federigo^ non 
son peraltro nominati siccome tali gli altri tre loro firatelli^ 
Manfredi, Gorradino e Moroello. 

Ma (qualcuno m' obietta), se Moroello di Villafranca non 
era nel 1306 un mmore, era sempre un giovine, e non pure 
in quell'anno, ma anco nel 1309, quando vuoisi che Dante 
si proponesse dedicargli un giorno il Purgatorio. E può egli 
credersi, che il Poeta avesse intenzione di dedicare la sua 
seconda cantica ad un giovine? — E perchè no (rispondo 
io), quando veggo che Dante dedicò il Paradiso a Gane allor 
eh' egli non contava che ventisei anni d' età? — E Moroello 
di Villafranca, nel marzo del 1309, ne aveva egli ventisei, o 
non piuttosto più di trenta? — Mancano i documenti per 
determinarlo con precisione; ma poiché non era minore 



CAPITOLO DEGIMOPRIMO. 831 

nel 1301 (vedi V istrumento dì quest' anno) non dovea egli 
nel 1309 avere per lo meno trent' anni? 

Io anzi ritengo che ne avesse di più^ e che fosse un per- 
sonaggio di maggior considerazione di quello^ che altri ha 
creduto. Nel trattato di pace^ fra 1 tre marchesi Malaspina 
egli è nominato pel primo: Diutitis ... . inter dominum 
AfUonmrkj Dei gratia lunensem Episcopum et Comitem, et 
magnificos viros et excelsos dominos Morroellùm, Francischi'' 
num, Conradinum et fratres marchiones Malaspina, guerris, 
inimicitiis, odiisque subortis ec. Inoltre ftoroello si riserva di 
ratificare le condizioni della pace^ e lo stesso Franceschino 
suo zio non può nulla prometter per luì, ma interporrà solo 
i suoi buoni ufflcii : Ipse dontinus Francischinus inducet, si 
p(aerit, ipsum dominum Morroelium ad omnia mprascripta 
et infrascripta ratificanda. Ed appresso: Si dominus Fran- 
cischinus non posset inducere dictum dominum Morroelium 
ad omnia prcedicta ratificanda et firma tenenda, . . . . nec 
ipse dominus Episcopus obligetur. Dunque* tutto questo in- 
duce a ritenere, che Moroello di Yillafranca, oltre ad esser 
signore di più feudi e castelli (come appare dal documento 
citato) fosse pure uno de' principali personaggi di quella il- 
lustre famiglia, e uomo d' una certa età, e non già un giovi- 
netto, che potesse esser dominato dallo zio. 

Anche il Tommaseo nel suo (hmmento alla Divina Com- 
media (pag. 34i) va cercando qual possa essere stato il Mo- 
roello, amico deir Alighieri. « Abbiamo dunque (egli dice) 
» quattro Moroelli vissuti circa i tempi di Dante .... E 
» quale è quegli, cui intendeva Dante di dedicare il suo 
» Purgatorio? Non il guelfo figliuol di Manfredi^ non il Mo- 
» roello figliuolo di Franceschino, che nel 1321 (1319) era 
» ancora pupillo. Resta dunque o il Moroello marchese di 
» Trebbia, figliuolo d' Alberto, o il Moroello (di Yillafranca) 

» figliuolo d' Obicino Non è da credere che a Moroello, 

» vapore di Valdimagra, volesse Dante dedicare V una can- 
» tica del suo poema. A chi mi rammentasse V elogio fatto 
» nel Purgatorio della m(^e di lui, Alagia de' Fieschi, io 



332 VITA DI DANTE AUGHI£RI. 

» risponderei che Alagia^ vissuta non pieeul tempo lontana 
» da Moroello^ poteva ben poco tenere de' costumi e ddle 
» opinioni di lui; e che ad ogni modo^ dalla stima in che 
» aveva Dante la moglie^ nulla si può conchìudere in favo- 
» re di tale marito. Resta dunque^ ripeto^ o il Moroello mar- 
» chese di Trebbia^ o il Moroello flgliuol d' Obicino^ mar- 
» chese di Yìllafranca : il primo morto innanzi il 1312^ l'altro 
» nel 1206 {avrebbe il Tommaseo dovuto dire nel i30i) uscito 
» appena di pupillo. Qua! sarà de' due l' uomo^ a cui Dante 
» voleva il Purgatorio dedicato? •— Quello probabilmente che 
» da Arrigo Vn fu mandato nel 1311 vicario in Brescia. — 
» E quale de' due fu mandato vicario? — Non si ^ ; ma la 
» verisimiglianza sta per il maggiore d* etài non per il gio* 
» vane^ che non ha varcato ancora i trent' anni^ n Moroello 
:» dunque nominato liella lettera di frate Dario pare debba 
» essere stato il figliuolo d' Alberto^ il marchese di Trebbia, 
> quello per cui forse trattò T Alighieri col vescovo di Luni, 
ji> nell' atto che altri trattava per l' ospite Francesdiino. > 
Giustamente qui rileva il Tommaseo^ che l'amico di Dante, 
quegli a cui intendeva dedicare il Purgatorio, non poteva es- 
sere il marchese di Giovagallo; ed oltre agli ai^omenti da 
lui e da me posti in campo, vi ha anco quello prodotto uIt 
timamente dal sig. Eugenio Branchi, il quale notò che Mo- 
roello di Giovagallo non avrebbe nel 1306 potuto accogliere 
il Poeta in Lunigiana, trovandosi egli in quell' anno all' as* 
sedio di Pistoia, e poi avendo dimorato in essa città siccome 
capitano del popolo. (V. Ammirato, Stor, fior., ìfb. rv> Storie 
pistoiesi, an. 1306, Pandolfo Ariaroh, Stor. di Pist, ms.). Onde 
escluso questo e il figlio di Franceschino, non resta che il 
marchese di Yillafr^nca e quello di Yalditrebbia ; ma dichia- 
randosi il Tommaseo pel secondo, distrugge al tèmpo stesso 
la sua conclusione; perciocché, se. l'amico di Dante dovea 
esser quello, per cui trattò col vescovo .di Luni, egli fu U mar^ 
chese di Yillafranca e non quello di Yalditrebbia. Un: altro 
errore storico commette il Tommaseo, dicendo che mentre 
Dante trattava col ve^vo per Moroello, dtri trattava per 



CAPITOLO DECIMOPRIMO. 333 

r ospite Franceschino. Ma chi fu se non V istesso Dante, che 
trattò per Franceschino nell' atto medesimo, che trattava per 
Moroello e Corradino fratelli? 

n citato sig. Branchi, dopo avere un tempo anch' egli 
opinato, che V amico di Dante fosse Moroello di ^Ilafranca, 
ha or di recente cambiato opinione, e si dichiara (come il 
Tommaseo) per Moroello signor di Bobbio (V. il Piovano Ar- 
lottOy fase, di settembre 1859) : ma io non mi sento di poter 
fiire aKrettanto; perciocché noa si è trovato ancora alcun 
documento, che faccia fede d' una qualunquesiasi relazione 
fira Dante e Moroello signor di Bobbio, mentre pel signore 
di Villafranca vi ha qnello solenne del 1306; e la qualifica 
di Moroello ghibellino, che un'antica cronichetta anonima 
dà al vicario di Brescia, se esclude il guelfo nero marchese 
di Giovagallo, non designa punto più V uno che V altro fra 
i due Moroelli rmianenti. E, se per un momento si ponesse 
l' ipoteM, che l'amico fosse il marchese di Valditrebbia, come 
si risponderebbe convenientemente all' obiezione, che Dante 
non avrebbe a luì potuto dedicare la cantica del Purgatorio, 
jperchè (secondo i documenti, e secondo ciò che dicono lo stesso 
Tommaseo -e lo stesso Branchi) morì innanzi che quella fosse 
condotta a termine? Si dice che pante scrìvesse il Trattato 
della M(marchia per dedicarlo ad Arrigo, ma, morto questo 
principe prima eh' ei V avesse compiuto, lo dedicò a Lodo- 
vico il Bavaro. E non avrebb' egli fatto altrettanto del Pur- 
gatorio? Ma il Boccaccio dice che lo dedicò a Moroello. Ora, 
se lo dedicò a un Moroello nel 1315, questi non poteva es- 
sere, che il marchese di Yillafranca. Neil' altra supposizione, 
la morte del marchese di Valditrebbia lasciava Dante in Ih* 
cdLik di disporre altrimenti di quella cantica. Ora, perchè 
mai non se ne valse nel 1317 per dedicarla a Cane Scaligero, 
a cui (non avendo allora nuir altro di disponibile) dedicò il 
Paradiso incominciato da poco? -— Perchè omai ne aveva 
disposto. 

Fhiò a che non mi si pongano sott' occhio documenti, 
che mi provino il contrario, io seguito dunque a • ritenere 



334 VITA DI DANTE AU6HIERI. 

che amici ed ospiti dì Dante furono Franceschino di Mulazzo 
e Moroello di Villafranca. 

Si rammenterà il lettore^ che un Corrado ìfalaspina parìa 
con Dante nel Purgatorio^ e che fra le altre cose gli dice^ 
non esser egli V Antico^ ma un suo discendente. Per dare 
in poche parole un' idea della discendenza di questo Corrado 
r Antico^ che fu marchese di Mulazzo^ e signore d' altri feu- 
di e castelli di Lunigiana^ dirò eh' egli ebbe quattro figli : 
Moroello^ Manfredi^ Federigo ed Alberto. Il primo di questi^ 
che credo il maggiore^ fu marchese di Midazzo^ ed ebbe in 
figlio quel Franceschino^ di che abbiamo poc' anzi parlato^ 
e che accolse Dante nel suo castello. U secondo fu marchese 
di Giovagallo^ e padre di quel Moroello^ capitano di parte 
guelfo^ da Dante detto vapor di Val di Magra, n terzo^ che 
fu marchese di. Villafranca^ ebbe a figli quel Corrado^ che 
parla con Dante nel Purgatorio^ e che chiamerò Corrado il 
giuniore ; e queir Obizzonea Obizzino^ citato nel documento 
strozziano come padre de' sei Malaspina già più volte da me 
nominati^ frai quali Corradino e Moroello. n quarto fu mar- 
chese di Yalditrebbia (il cui principale castello era Bobbio); 
^ ed ebbe per figlio quel Moroello, che i due scrittori sovra- 
citati vorrebbero essere stato l' amico di Dante. Si vede per- 
tanto, die nella discendenza de' Malaspina, da Corrado l'An- 
tico fino al principio del secolo XIY, non vi può essere la 
minima confusione e incertezza : pure l' Arrlvabene nel suo 
Commento storico alla Divina Commedia, in due o tre pagine, 
eh' egh ha scrìtte intomo quei personaggi, confondendo gli 
uni cogli altri, ha commesso tali e tanti abbagli che è una 
pietà. * 

Lo scrittore, che sopra |[li altri siasi accostato più al vero, 
nel trattar V argomento de' Malaspma del tempo dì Dante, 
è r ultimo biografo del Poeta, il conte Cesare Balbo. Ma seb- 
bene egli dica : e il Gerini chiama Y® il Moroello (marchese 

> di Gioyagallo) chiamandolo poi lY® nella tavola genealo- 

> gìca; e lui tiene per il Moroello ospite di Dante; lui per 

> quello, a cui è dedicato il Purgatorio; lui per quelloi di cui 



CAPITOLO DECIMOPRIMO. 335 

]» Dante fu ambasciatore^ dimenticando d' aver detto^ e detto 

> bene poco prima^ che questi era il figliuolo d'Obizzino^ 

> il fratello di Corradino : e si che correggendo tal errore, 
» cadono tulle le ragioni a creder la dedica fatta allo zio; > 
seUbenoegU dica tutto questo^ e cosi rilevi l'erroneità della 
sentenza del Gerini ; pure alla fine non fa che emettere una 
sua opinione e nulla più, conchìudendo: e quanto alla dedica 
]» del Purgatorio, fatta da Dante a un Moroello Malaspina, 

> dubiti chi vuole 4ra i due, allegando in prò dello zio, esser 

> egli stato il più illustre; che io sto per il nipote. > Ma 
perchè altri non potesse più dubitarne, e tutti ornai, non il 
solo Balbo, stessero pel nipote, conveniva trattar la que- 
stione con argomenti storici e con prove di fatto. Lo che 
avendo io ceriȈto con queste parole di fare, credo che, a 
dichiarazione maggiore delle cose per me discorse, sia ne- 
cessario r unir qui appresso il brano dell' Albero della fami- 
glia Sfalaspina da Corrado l' Antico fino ai tempi di Dante. 



VITA DI DANTE ALIGHIERI. 



ALBEBO DEI 



Corrado I 

marchese di Valazzo e( 

dello da Dante rAnticc 

sp. a GosiaDia sorellti del re Ma 

autore de' Malaspina dallo spio 

' ii93- 4196 iSMiic circa ^ 



Alberto 

march, di Valditrebbia 

4)66 • 4)75 • 4281 

Moroello 
Hfc circa 434) 



Manfredi I 

march, di Giovagallo 
4S66-4)75>|c4S[S) 



anfre 



Moroello I 

march, di Malazio 
4)66-4)75)1(4285 



Bernabò 

vesc. di Luni 
43)4 



Manfredina Moroello 

•p. a Pierino sp. a Alagia de' Fieschi 
di Casatico vapor di Val di Magra 
4)96 • 430) 
i|( innanzi 1315 



Franceschino 

V ospite di Dante 

4)96 -4306 -4307 

1ÌC4319 



Iacopo 



Ghiselio 



Gabriello 



Giovanni 



4319 



Moroello 

43)1 •43ai355 
ii(4365 



CAPITOLO DECIMOPRIMO. 



337 



MIGLIA MALASPINA, 



Federigo I 
roareb. di Villafranca 
1245 1260 4(1265 

H 



Obizzino 
1265 • 12G6 • 1296 ifc circa 1300 



Beatrice 

Niccolò Nalaspina 
sb. di Filattiera 



' Donna N. 

sp. a Giberto 

da Correggio 

signore di Parma 



Corrado 

il giuniore 
eoo cui parla Dante 

nel Piirg. 
1266 -1270 111 1294 

j 

Spina 

ftp. a Niccolò di Grignano 

indi a Giuffredi Gapece 

Doeeaceio^ no». 16. 



^,1. ■ I 

Federigo Azzone 

1321ÌSS6- 1301- 
1339 1355 

i|( 1367 i|c 1364 



Orietta Manfredi Corradino Moroello Giovanni 

1301 13011306 13011306 13011347 



sp. H 

Ceri Spini 

Boccaccio 

nov. 51 



I* amico 
di Dante 



Dante.» Vita. 



«2 



338 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI 

AL CAPITOLO DECIMOPBIMO. 



* Atto di procura, rogato dal notaro Parente Stapio 
nel 6 ottobre 1306, e riportato nel capitolo VI, nota 20. 
— Atto di costituzion della pace, rogato dal notaro sud- 
detto nel giorno medesimo, e riportato ivi, nota 21. — Let- 
tera di frate Ilario ad Uguccione della Faggiuola (vedi ca- 
pitolo seguente). — Lettera di Dante al marchese Moroello 
Malaspina (vedi nelV Opere minori, voi. 111). — Boccaccio, 
Vita di Dante. — Benvenuto da Imola, Commento alla Di- 
vina Commedia, — Pelli, Balbo ed altri. 

* Questi documenti furono pubblicati in tutto o in parte, 
o citati dagli scrittori seguenti : Maccioni, Cadice diploma- 
tico della famiglia Malaspina (parte I, docum. XI ve XV) 
Pisa 1759. — Lami, Novelle letterarie (an. 1767, num. 38, 
39 e 40). — Manni, Illustrazioni al Decamerone (parte II, 
pag. 380). — Pelli, Memorie ec. pag. 119. 

^ Di queste particolari notizie andai debitore al mio^ buon 
amico, il sig. avv. Eugenio Branchi, già auditore nel tri- 
bunale di Pon tremoli, il quale in una sua lettera del feb- 
braio 1846 cosi mi scrisse : « Sembra che l' ospite di Dante 
n debba essere stato Franceschino di Mulazzo, il quale in- 
» dubitatamente dimorava in Lunigiana .... E tale cod- 
n cetto rimane avvalorato dalla tradizione, la quale, tacen- 
n do affatto che Dante dimorasse a Giovf^gallo, o ad altri 
» castelli da' Malaspina dipendenti, addita Mulazzo come 
» r ospizio dell' esule Poeta; ne appella tuttavia di Dante la 
n torre eh' è nel centro del castellò, oggi pressoché demo- 
n lita ; e si mostra tuttavia al passeggiero la casa stata 
y> abitata dal ghibellino poeta, pei^ tale ritenuta anche in 
" alcuni pubblici istrumenti nei passaggi, che la medesima 
" ha fatto in diversi proprietarii .... » 

^ Gli abbagli dell' Arrivabene stimo conveniente il notarli 
qui appresso e correggerli, sì perchè al libro di lui ricor- 
rendo spesso gli studiosi di Dante questi potrebbon essere 
indotti in errore*, sì perchè si veda con qual negligenza 
siasi trattato finora questo argomento. 



CAPITOLO DEGIMOPRIMO. 339 

tt I Malaspina, marchesi di Lunigiana, appartennero 
» ad una delle famiglie principesche d' Italia. Son nomi 
9 chiari nella storia quelli d'Obizzo, di Moroello, d'Alberto, 
» di Guglielmo, di Corrado. L' antico Corrado, marchese di 
9 Lunig4ana, ricordato dall' Alighieri, era figliuolo di Folco, 
9 che viveva nel secolo XI. » 

Corrado l' Antico fu figliuolo non di Folco, ma d' Obiz- 
acne II, che viveva nel secolo XII : successe a suo padre 
ne' feudi di Lunigiana, unitamente ai suoi fratelli e cugini, 
nel 1193. e mori nel 1250. Nel 1221 si era diviso dal cugino 
Obizzino o Obizzone III, ritenendo per sé Mulazzo, capitale 
de' feudi di Lunigiana, con tutte le terre e castella, che 
Bon sulla destra della Magra fino al mare ', e più Villafran- 
ea e annessi eh' è sulla sinistra : e ritenendo -per sé V arme 
deUo spino secco (antico emblema della sua casataV mentre 
gli altri Malaspina, -discendenti da Obizzino o Obizzone, 
assunsero per emblema lo spino fiorito. 

u Del marchese Moroello furono figli Guglielmo, Cor- 
» rado ed Obizzo. Corrado, éhe fu lo stipite de' marchesi 
» di Villafranca, militava sotto le bandiere imperiali, e tro- 
9 vessi in Vittoria, quando fu sorpresa e incendiata da' Par- 
9 miffiani. n 

ì^n ritrovasi un Moroello, che abbia avuto i tre figli 
nominati dall' Arrivabene : onde riesce mal designato il Mala- 
spina, che segui le bandiere di Federigo II, e si trovò in Vitto- 
ria nel 1248. Del resto lo stipite de' marchesi di Villafranca 
non Ài Moroello, ma Federigo, che n' ebbe il possesso 
nel 1250, e mori nel 1265. Villafranca, come pur Mulazzo 
(feudo principale de'Malaspina), Giovagallo, Valditrebbia e 
altri erano i feudi del marchese Corrado l'Antico, che i 
suoi quattro figli (uno de' quali Federigo I di Villafranca) 
si divisero. 

tt Un altro Corrado chiede a Dante in Purgatorio no- 
9 velie della Lunigiana ; e Dante gli risponde : — Io non 
n fui mai pei vostri paesi •, ma dov' è luogo in tutta Europa, 
9 in cui non sia pervenuta di essi gran rinomanza? — E 
9 qui le lodi della famiglia. » 

Questo Corrado, con cui parla Dante nel Purgatorio, 
morì nel 1294. Era de' marchesi di Villafranca. Egli ebbe in 
moglie madonna Orietta ; ed ebbe una figlia chiamata Spina, 
maritata in prima a Niccolò di Grignano, poi a Giuffredi 
Capece: dr* questi personaggi parla il Boccaccio nella sua 
novella 16. 

a 1\ perchè Corrado gli promette, che questa opinione 
n tanto cortese, che egli ha della famiglia Malaspina gli sarà 



3i0 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

n infra sette anni ribadita in capo da troppo meelio che 
n da parole, cioè dalla generosa accoglienza che tara & lui 
n medesimo, cacciato di patria, Maroello Malaspina, suo 

rt figlio. » 

Maroello, o meglio Moroello, Malaspina de' marchesi di 
Villafranca, uno degli amici di Dante, era nipote e non 
tìglio di questo Corrado, che parla col Poeta. Questo Cor- 
rado non ebbe che una sola figlia, quella nominata qui 
sopra. 

u Dante ci fa conoscere che prima del 1300 non era 
r> mai stato in Lunigiana, ma che cosi scriveva dopo aver 
V ricevuto molte buone accoglienze da Franceschino Mala- 
r» spina nel tempo del suo esilio, e precisamente dopo scorsi 
» da quello cinque anni. Ebbe egli allora in sorte di essere 
n procuratore a Serazzana della concordia tra la casa Ma- 
n laspina o il vescovo Antonio. » 

Franceschino Malaspina era marchese di Malazzo, e 
cugino di quel Corrado, che parla con Dante : successe a suo 
padre Moroello I nel 1285, e morì nel 1319. 

tt Per manifestare la sua riconoscenza a madonna Ala- 
n già, moglie di Moroello, e madre d^l detto Franceschino, 
» fa che papa Adriano V, zio di lei, gli dica : — Se tu vuoi 
n raccomandarmi ad alcuno perchè preghi a mio prò, sappi 
n eh' io non ho al mondo alt^*a persona amorévole, presso 
ri cui tu possa fare un tal ufficio, che una nàia nipote: è 
n dessa Alagia. » 

Alagia de' Fieschi era moglie di Moroello marchese di 
Giovagallo, e non di Moroello marchese di Mulazzo^ come 
dice l'Arrivabene. La madre di Franceschino fu donna 
Berlenda, e non Alagia. I figli d' Alagia furono Manfredi, 
Luchino e Fiesca. 

u Nel 1301 Moroello Malaspina di Mulazzo, fi^io del 
n marchese Manfredi, alla testa de' Neri scacciati di Pistoia, 
n con impetuosa battaglia ruppe i Bianchi in Campo pi- 
» ceno, n 

Questo Moroello, figlio di Manfredi, e capitano de*Neri, 
era marchese di Giovagallo, e non già di Mulazzo : successe 
a suo padre nel 1282, e mori circa il 1315. 



3il 



CAPITOLO DEGIMOSECONDO. 



Il Veltro. Uguccione della Faggiuola. 
La lettera di frate IlaHo. 



, Fino dal canto primo dell' Inferno palesa Dante la sua 
speranza in un liberatore d'Italia. Qudla lupa, 

che di tutte brame 

Sembrava carca nella sua magrezza, 
£ molte genti fé già viver grame ; 

la quale nella selva si para davanti al Poeta, impedendogli 
di salir, su pel colle, e la. quale è figura della curia romana 
della guelfa potenza, proseguirà nelle sue male arti, e sarà 
causa del disordine e della infelicità d' Italia, 

. . infin che il Veltro 

Verrà, che la farà morir di doglia. 
Questi non ciberà terra né peltro, 

Ma sapienza ed amore e vlrtute; 

E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro. 
Di queir umile Italia fia salute. 

Per cui morio la vergine Cammilla, 

Burlalo e Niso e Turno di ferute. 
Questi la caccerà per ogni villa, 

Fin che l'avrà rimessa nell'Inferno, 

Là onde invidia prima dipartilla. 

Non solamente nel primo canto dell' Inferno preconizza 
Dante un liberatore d' Italia, ma altresì nel canto ultimo 
del Purgatorio, ov' egli dice sotto figura allegorica, che un 
capitan ghibellino verrà in breve ad uccidere la sc<)stumata 



342 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

femmina (la curia papale) e quel gigante (il re di Francia), 
che con lei delinque : 

Non sarà tutto tempo senza reda 
L'aguglia, che lasciò le penne al carro, 
Per che divenne mostro, e poscia preda : 

Ch' io veggo certamente, e però il narro, 
A darne tempo già stelle propinque. 
Sicure d' ogn* intoppo e d' ogni sbarro ; 

Nel quale im cinquecento dieci e cinque (DVX), 
Messo di Dio, anciderà la fuia, 
E quel gigante che con lei delinque. 

E questa speranza, che in lui non venne mai meno, la pa- 
lesa eziandio nel canto XXYII del Paradiso dicendo, che la 
provvidenza divina soccorrerà prestamente V Italia e Roma, 
straziate da' papi caorsini e guasconi, vale a dire da quel 
partito guelfo e francese, eh' era allora la causa del dìsordme 
politico e morale d* Italia : 

Del sangue nostro Caorsini e Guaschi 

S* apparecchian di bere. O buon principio, 
A che vii fine convien che tu caschi! 

Ma r alta provvidenza, che con Scipio ^ 
Difese a Roma la gloria del mondo. 
Soccorra tosto, sì còm' io concipio. 

Vaticinando un distruttore della potenza guelfa, non è 
possibile che il Poeta non abbia a quando a quando posto 
la mira sopra alcun prode guerriero ghibellino, suo con- 
temporaneo, che più viva gli facea sorger nel petto quella 
speranza. Il dir (come fece alcuno) che preconizzando V uc- 
cisor della lupa, il restaurator dell' impero latino, il libera- 
tore d* Italia, Dante non volgeva il pensiero che ai secoli 
futuri, dappoiché non potea sperare in alcun pi^incipe 
de' tempi suoi, è un mal conoscere l' umana natura, sem- 
pre proclive a credere di poter presto conseguire quel che 
desidera, e sempre presta a por sua speranza in ogni 



CAPITOLO DEGIMOSEGONDO. 343 

cosa, eziandio la più pìccola, che sembri porgerne comec- 
chessia un favorevole indizio. Quanto infatti non sperò Dante 
in Arrigo! le sue tre lettere del 1311 lo manifestano: Se 
Arrigo pertanto, ne* tre anni che dimorò in Italia (1311-1313) 
potè per Dante essere V uccisor della lupa, come avrebbe 
potuto esserlo neglianni avanti, quand' egli non era stato 
chiamato air impero, e non era forse da Dante conosciuto 
nemmeno di nome? E se lo fu nel 1311 al 1313, come po- 
teva proseguire ad esserlo negli atini dopo, quand' egli era 
morto? La prima cantica del Poema fu dal Poeta scritta 
negli anni 1302-1308, ed il Vehro è nominato nel canto pri- 
mo di essa : dunque quel simbolo non può storicamente ac- 
cennare ad Arrigo. 

-Il magnifico elogiò, che nel canto XVII del Paradiso fa il 
Poeta del signor di Verona, indusse molti a credere, che il 
vaticinato distruttor della lupa potesse, nel concetto di Dante, 
essere ^ato Cane Scalig^o ; tanto più che molta somiglianza 
di significato vi ha tra le voci Veltro e Caìut, e che le pa- 
role sua nazion sarà tra Feltro e Feltro potean designare il 
tratto di paese posto tra la provincia del Montefellro e 
quella della Marca trivigiana, della quale era Feltro una 
delle città principali. Ma fu rilevato che nessun argomento 
potea trarsi dalla somigUanza del nome dello Scaligero con 
veltro, perciocché il Poeta per armonizzare fra loro le varie 
parti deir allegoria, e non commettere un' improprietà di 
figura, doveva usare e la frase e la voce che usò, essendo 
il veltro il nemico naturale della lupa : che se, per esempio, 
egli avesse posto un' aquila, quantunque fosse il simbolo 
dell' impero, male avrebbe questa figura corrisposto colla 
natura dell' altra. Il voler poi, che la frase tra Feltro e Fel- 
tro accenni Verona, è induzione troppo ardita, poiché i ter- 
mini^ fra i quali quella città resterebbe compresa, sono di 
soverchio lontani, mal fra loro corrispondenti, e nulla di 
preciso e determinato designano: onde il Poeta avrebbe anco 
qui commesso un' improprietà, volendo con quella frase in- 
dicar geograficamente Verona. Oltre a queste vi hanno le 



344 VITA DI DANTE ALIGHIERI, 

considerazioni storiche^ le quali finiscono di rendere impro- 
babile^ che il Veltro accenni a Can della Scala. In qual anno 
faceva Dante quel suo vaticinio? — Al più tardi nella fine 
del i308. — Quaretà aveva allora lo Scaligero? — Ai più 
17 anni o i8, perchè nato nel 1291. — Ed aveva egli a quel 
tempo dato tali speranze di sè^ che promettesse di giunger 
presto air apice della civile e militare grandezza^ e divenir 
Teroe quivi vaticinato ? — No ; perocché Cane non consegui 
interamente la signoria di Verona che nel 1311^ cioè allor- 
quando mori Alboino ; non levò qualche fama di sé e dei suo 
valor militare^ che nello stesso anno impadronendosi di Vi- 
cenza^ e nel 1314 dando una grande sconfitta ai Padovani; 
non giunse al supremo onore di capo della lega ghibellina 
che nel 1318: date tutte posteriori alla pubblicazione della 
prima cantica del Poema. E come mai in Cane Scaligero^ 
ancora imberbe ed ancor digiuno di fatti grandiosi^ potea 
Dante vedere e preconizzare nel 1308 il salvatore d' Italia? 
Queste considerazioni, accompagnate da molte ricerche 
storiche in proposito, fecero ritenero al conte Carlo Troya, 
che nel Veltro non altri fosse indicato che Uguccione della 
Faggiuola, valoroso capitano ghibellino, a cui V Alighieri de- 
dicò la prima cantica del suo Poema. Allora la frase sua 
nazion sarà tra Feltro e Feltro si fa piana ed aperta, poi- 
ché dice che la famìglia, la schiatta (non altro significando 
qui nazione) di Uguccione avrebbe sua dimora tra i mopti 
dei Montefeitro (provincia d' Urbino), vale a dire nel ca- 
stello della Faggiuola, posto in mezzo tra Mafcerata feltria ed 
il feltrio Sanlco. Intorno questo subietto pubblicò quello scrit- 
tore un volume nel 1826, ed un altro più esteso nel 1846; il 
primo col titolo Del Veltro allegorico di Dante, il secondo con 
quello Del Veltro allegorico de Ghibellini: e per dir vero, la sua 
trattazione non va priva di solidi raziocinii e di stringenti ar- 
gomentazioni storiche ; tantoché so alla frase surriferita si 
vuol dare un vero e proprio significato, e se si vuole che in 
quel vaticinio sia dal Poeta designato alcun capitano suo con- 
temporaneo, questi non può essere stato altri che il Faggiolano. 



CAPITOLO DKGIMOSECONDO. 345 

Dalle parole più sopra riportate delle tre cantiche noi 
y^giamo^ che la speranza in un liberatore d' Italia^ quantun- 
que rimasta sempre vuota d' effetto, non lasero mai di te- 
nersi ferma nel cuore di Dante ; tantoché in mezzo agli acri 
rimproveri contro il caorsino papa Giovanni XXII (i quali si 
leggono nel canto XXVII del Paradiso, scritto da Dante nel 
penultimo anno della sua vita), il Poeta sospirava nuova- 
mente un liberatore. Onde il lettore comprenderà agevol- 
mente che, dicendo io d' assentire all' opinione del .Troya, 
noa intendo di limitare ad un solo personaggio, cioè ad Uguc- 
cione, tutte le allegorie dantesche di siffatta specie. Come 
il Poeta spt^rò dapprima in Uguccione, cosi sperò dappoi in 
Arrigo (e di questo non può muoversi dubbio): e nel 1318, 
quando Uguccione avea perduto la signoria di Pisa e di Lucca, 
quando Arrigo era morto, non potrà egli essere che sperasse 
in Cane Scaligero, veggendoio gridato capitano della lega ghi- 
bellina? Altro è la persona avuta in mira nel Veltro, altra 
quella nel I^esso di Dio, altra quella in Colui che ne soccor- 
rerà : ovvero una è la speranza, ma varii sono i personaggi 
in cui ella si fonda, secondo i tempi e secondo le circostan- 
ze ; poiché chi ha fermo il pensiero ad un fine, non può va- 
riare in altro che nei mezzi. Infatti chi si farà a considera- 
re le vicende politiche di quei tempi, gli avvenimenti ora 
prosperi, ora avversi alle sorti d' Italia, i principi, i capi- 
tani dapprima grandi e nel sommo della potenza, poi in breve 
caduti in basso, o discesi nel sepolcro, , non troverà impro- 
probabile, che il nostro Poeta riponesse ora in questo, ora 
in quello le sue speranze. Ond' è che, senza entrare in ul- 
teriori indàgini, ed ammettendo che Dante, come nel 131 1-1313 
ripose le sue speranze in Arrigo, cosi nel 1318 possa averle 
riposte nello Scaligero, dico che V opinione del Troya rispetto 
al Veltro del primo cauto dell' Inferno, è la più probabile 
d' ogni altra. 

Certamente fu, Uguccione uno de* primi capitani di quel- 
la età ; ma il Troya non a solo questo argomento storico 
s^ appoggiava, ma altresì alla testimonianza del Boccaccio, 



3i6 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

che disse l' Inferno dedicato a lui^ e più specialmente alla 
lettera di frate Ilario^ che su tal dedica dà più minuti par- 
ticolari. Onde gli oppositori^ che mai in qualsivoglia argo- 
mento non mancano^ conoscendo di qual peso fosse nella 
questione la lettera del frate, si arrat)attarono per farla cre- 
dere apocrifa. Ma le costoro industrie Tiusciron vuote d' ef- 
fetto: la lettera è vera, ed essa dice cosi: 

« Air egregio e niagnifico uomo, Uguccione della Fag- 
» giuola, fra i magnati d'Italia grandemente preeminente, 
» frate Ilario, umile monaco del Corvo alla foce della Magra, 
» in Colui, eh' è di tutti salute vera, salute. 

» Così come il Salvator nostro -evangelizza, l'uotno eh' è 
» buono, trae fuori buone cose dal tesoro del suo cuore 
» {MaUh. XII, 35) : nel che . due insegnamenti apparisc(mo 
1^ esser racchiusi ; cioè che per le parole, che da altri si. prof- 
» feriscono, i segreti del cuore in essi conosciamo, come, per 
> quelle, che da noi sono profferte, i nostri interni sentinienti 
» manifestiamo. Imperocché da/ loro fruito li conoscerete: 
» (Matth. VII, 16), lo che, sebbene de'peccatori sia detto, molto 
» più larganlente sì può intender de' giusti; perocché questi 
» non dubitano ognora di manifestare, quelli d' ascondere 
» r interno loro. Né soltanto la brama di gloria persuade 
» che i buoni semi, che in noi racchiudiamo fruttifichino al 
» di fuori, ma anzi lo stesso volere di -Dio non permette 
» che rimangano oziosi quei doni, che per sua grazia ci sono 
» stati concessi; imperocché Dio e la natura aborriscono gli 
j^ oziosi, e così r arbore che a suo tempo nega il frutto, al 
» fuoco é condannato. 

» E veramente quest' uomo (cioè Daìite), V opera del 
» quale con le chiose da me fattevi intendo rimettervi, pare 
» che quello, eh* è qui detto della manifestazione dell* interno 
» tesoro, tra tutti gli altri Italiani lo abbia egli fatto fino 
ì> dalla puerìzia; dappoiché (secondo ciò e' ho udito rac- 
5> contare) prima dell' adolescenza (cosa mirabile 1) si studiò 
» di dir cose inaudite ; e (eh* é più mirabile) quelle mate- 
» rie, che appena coli' istesso latino possono dagli uomini 



CAPITOLO DECIMOSE<:ONDO. 347 

» eccellenti venire spiegate, egli si è studiato di farle aperte 
» col sermone volgare ; col volgare, dico,, non semplice ma 
» metrico. E. lasciando le lodi di lui nelle sue opere, ove 
» senza dubbio appresso i sapienti con più chiarezza risplen- 
» dono, brevemente verrò al proposito. 

» Dico adunque che quest' uomo, disponendosi d' andare 
» alle parti oltramontane, e per la diocesi di Luni passando, 
» lui movesse la religione del 4uogo, od altra qual siasi 
t causa^ si portò al monastero predetto (dic^ predetto, p^r- 
:!^ che è indicato neW intitolazione). Ed avendolo io scórto, 
» mentre egli era pure incognito a me ed a tutti i miei 
t frali, lo interrogai che cercasse. E non rispondendo egli 
» parola, ma standosene tuttavia a ccmsiderare la costruzione 
» del. luogo, di nuovo lo interrogai che cercasse. Allora egli, 
» guardando ali* intorno i frati eh* erano meco, rispose 
» .— Pace. -- Laonde più e più m' accesi del desiderio di 
» conoscerlo e di sapere della sua condizione; e trattolo 
» dagli altri in disparte, ed avuto con esso un colloquio, il 

> conobbi. Il quale, quantunque innanzi quel giorno non lo 
» avessi mai visto, era già da lungo tempo a me noto per 

> fama. Quando poi mi vide tutto intento ad udirlo, e co- 

> nobbe eh* io T ascoltava con molto affetto, si trasse di seno, 
» con modo assai familiare, un libretto, e liberalmente me 

> lo porse dicendo ; — Ecco una parte dell' opera mia, che 
j> per avventura tu non hai mai veduta : lascio a voi questo 
» ricordo, perchè serbiate di me più ferma memoria. — E 
f tosto che dato m* ebbe il libro, con grato animo me lo 
» accostai al petto, lo apersi, e lui presènte vi ficcai gli oc- 
» chi con affezione. Ma avendovi io veduto parole volgari, 
» ed in un certo modo mostrando maravigliarmene, mi ri- 
» chiese della causa del mio soprassedere. Gli risposi, che 
t mi maravigliava della qualità del dettato, sì perchè diffl- 
) Cile, anzi inopinabile sembravami potersi esprimere in 
» vagare cosi sublimi intendimenti, si perchè parevami in- 
» conveniente il vestire una tanta scienza d' un abito popò- 
t lare. Al che rispondendo, egli disse: — Con ragione senza 



3i8 VITA IH DANTE ALIGHIERI. 

}> • dubbio tu il pensi ; ed allorquando in principio i semi di 
» queste cose, infusi fuFse dal cielo, presero a germogliare, 
» io prescelsi a ciò V idioma legittimo ; né solamente lo prc- 
» scelsi, ma con esso (secondo il modo usato poetando) <m)- 
» minciai : 

»» Ultima regna canàm fluido contermina mundo, 
» Spirìtìòus quce lata patent, qiue proemia solvunt 
n Pro meritis cuicumque suis 

» Ma quando ebbi ripensato la condizione dell* età presente, 
-» vidi i canti degl* illustri poeti quasi a nulla esser tenuti; 
» e per questo gli uomini generosi, dai quali si scrivevano 
» in tempi migliori siffatte opere, abbandonarono (ahi dolore!) 
» ai plebei le arti liberali. 11 perchè, deposta la piccioletta 

> lira, in cui avea preso fidanza, un' altra ne temprai ai 
» sensi de' moderni più accomodata; perciocché il cibo eh' è 
» duro si appresta indarno alla bocca di chi è lattante. — 

> Dopo aver detto queste cose, con molta affezione soggiun- 
» se, che se mi fosse conceduto d' attendere a tali studii, 
» queir opera con brevi chiose dichiarassi, e \m, di quelle 
» vestita, la trasmettessi a voi. Il qual lavoro, quantunque 
j> non abbia io appieno dichiarato il senso sotto H velame 
» delle parole nascoso, Y ho pur fatto con fedeltà e con ani- 
» nio volenteroso. E secondochè da quel vostro amicissimo 
» fummi ingiunto, la sua opera cosi postillata a voi rimetto. 

-> Nella quale se alcun che d'ambiguo vi parrà che riman- 
» ga, imputatelo solo alla mia insufficienza, poiché non è a 
» dubitare, che esso testo non sia in ogni cosa perfetto. 

» Se poi la magnificenza vostra (come chi raccogliendo 
» le parti si propone riunire l' intero) dello altre due parti 
"» di qucst' opera divenisse un giorno bramosa ; la seconda, 
» che vien dietro a questa, la chiederete all'egregio uomo 
» il signor marchese Moroello, e presso l' illustrissimo Fede- 
» rigo re di Sicilia potrete ritrovar l' ultima. Imperocché, 
^ siccome V autore stesso dell' opera m' asserì, dopo d' aver 
» considerato tutta V Italia, fermò in suo jaroposito di eleg- 



CAPITOLO DECIMOSEGONDO. 340 

» gere s)pra ogni altro voi tre per l'offerta di quest'opera 

» tripartita * » 

Le prime dubitazioni intorno V autenticità di questa let- 
tera sorsero in Emanuelle Repetti : poscia i professori Wittc 
e Centofanti si fecero a dileggiarla, studiandosi di dimostrare 
che fosse falsa. Il Tommaseo non pronunziò definitivo giu- 
dizio; ma dubitò alcun poco. Intanto il Ropetti, che avea 
somministrato gli argomenti alla questione, dopo aver molto 
dubitato, ma però senza dileggio e burbanza, si ricredè negli 
ultimi anni suoi, ed in più luoghi del suo Dizionario geo- 
grafico storico (v. le voci Ameglia, Corvo^ Monte Marcello) 
die per vero il colloquio di Dante col frate, e ritenne vera 
la let-tera. Ne soltanto nel suo Dizionario sì ricredè il Re- 
petti, ma altresì nell* Antologia. In occasione di parlare d'un 
manoscritto autografo del Boccaccio, scoperto dal professor 
Ciampi, egli disse così : « Alcune frasi (della lettera di frate 

> Ilario) mi messero in sospetto sulla verità de' fatti ivi 
» narrati, e conseguentemente sull' originalità della lettera 
» medesima, per quanto scritta in caratteri del secolo XIV ; 
» in guisa che io mi mostrava poco inchinevole a credere, che 
)^ il Boccaccio avesse voluto trascrivere interi squarci della 
^ medesima. senza citarne l'autore. A fare svanire però un 
» tal sospetto mirano le nuove indagini del professor Ciampi, 
» mercè le quali resta confermato non tanto V autentfcità 
» della lettera Ilariana in faccia al Boccaccio, quanto V es- 
» sersi trovato Dante in Lunigiana nel 1308 (o meglio al 

> principio del i 309) secondo l' autore del Veltro allegorico, 
» Che il codice laurenziano {oee trovasi la lettera) avesse 
» almeno in parte al Boccaccio appartenuto, è il secondo 
» punto ehe il professor Ciampi imprende a sostenere. » E 
su questo particolare il Troya conclude: « Se il Boccaccio 
» trasse il suo racconto dalla lettera di frale Ilario, egli dun- 
» que la tenne per vera ; se d' altro luogo, ed ei le accrebbe 
y^ fede con notizie da lui altronde raccolte. » 

L^ obiezioni del Witte erano, che Uguccione della Fag- 
giuola non gli pareva tal capitano da meritare che il Poeta 



350 VITA DI DANTE AU6HIERI. 

lo preferisse ad ogni altro per la dedica dell' Inferno: e che 
non vedeva la ragione^ per la quale Dante si fosse diretto a 
frate Ilario per far pervenire il libro al guerriero. Ma cbi 
fosse Uguccione lo abbiara veduto nel capitolo VII; e la ra- 
gione, per la quale Dante si valesse dell' opera d' un frate, la 
esponemmo nel capitolo \L Ed oltre quello che quivi di- 
cemmo, cioè che i frati erano in quel secolo gì' intermediarii 
più adatti per simili occorrenze, aggiunge il Troya: « Se 
» agli stessi marchesi Malaspina fosse abbisognato di scrivere 
» ad Uguccione, che altro avrebbero essi potuto, se non 
» commettere ad un frate, di recare, o far recare la loro let* 
» tera? V'erano forse allora i nostri ofiBcii delle poste? > 
Altra obiezione del Witte (egualmentechè di. ogni altro op- 
positore) era il non vedere, come un frate romitano di 
sant'Agostino potesse aver corrispondenza sia con Uguccione, 
sia con alcun suo amico o parente, il quale nel Montefeltro, 
e non lontano dal castello della Faggiuola abitasse, e che cosi 
potesse rimettergh il libro. A quest' ultima obiezione, eh' era 
forse una delle più ragionevoli, rispose vittoriosan^ente il 
signor avv. Eugenio Branchi con una lettera, che mi diresse 
e che più sotto riproduco, * colla quale provò che il minia- 
stero di santa Croce del Corvo non era dell' ordine di 
sant' Agostino, siccome aveasi sempre ritenuto, ma si di 
quello di san Benedetto; vale a dire di queir ordine stesso 
de' Camaldolensi, d' un monastero del quale (cioè di santa 
Maria del Trivio, o di Monte Coronare) era superiore un 
fratello d' Uguccione, che chiamavasi Federigo. 

Fra le obiezioni poste in campo dal Repetti la più forte 
era, che il castello della Faggiuola, donde prese il nome 
Uguccione, e che il Troya disse posto nel Montefeltro^ tra le 
città feltrie di Macerata e di Sanleo ed alle* sorgenti del 
fiume Conca, fton era esistito giammai. Un castello della 
Faggiuola (diceva il Repetti) era sì esistito, ma non restava 
nel Montefeltrense, sibbene nel Sarsinatense. E questo (se 
fosse stato vero) avrebbe distrutto V asserzione dèi Troya, 
che la frase di Dante tra Feltro e Feltro atesse appunto in 



CAPITOLO DECIMOSECONDO. 351 

mira quel castello feltrio^, ossia la famiglia e l'origine del 
nominato guerriero ghibellino. Ma V erudito signor Giuseppe 
Canestrini in una dissertazione che scrisse, e della quale 
riferirò i punti più importanti a quest' uopo, ' provò che il 
Repetti avea preso equivoco, e che il castello della Faggiuola 
restava appunto nel luogo dal Troya indicato. 

I dubbii del Tommaseo (vedi Commento alla Divina Com- 
media, pag. 342) sono i seguenti : « Dubiteremo se le parole 
» di Dante, fulminate contro la malvagia e scempia compa- 
» gnia, con la quale, prima di farsi parte per sé stesso, egli 
» associò le sventure e le speranze, non cadevano indiretta- 
» mente contro queir Uguccione, che fu si malamente co- 
» stretto (nel 1303) a levare V assedio di Pulicciano. » Ma 
chi ha detto al TomHfeeo, che T'assedio di Pulicciano fosse 
messo da Uguccione? — Mi fii detto (risponderà egli) dal 
conte Troya. — Ma il Troya (io replicherò) cadde in errore, 
perchè V assedio fu posto, e in breve levato, da Scarpetta 
degli Ordelaffi, siccome raccontano tutti gli storici ; e Uguc- 
cione non si mosse d' Arezzo. 

« Dubiteremo se sia cosa probabile, che Dante 

» volesse ad Uguccione intitolare l'Inferno queir anno, eh' e* 
» veniva da' Fiorentini sconfitto. » Cercando negli storici non 
trovo che nella fine del 1308, o nel principio del 1309, fosse 
Uguccione da' Fiorentini sconfìtto : trovo soltanto che i suoi 
feditori ebbero una rotta sotto Cortona nel febbraio 1310; 
ma, oltreché quésta riusci cosa di ninna conseguenza, il prin- 
cipio del 1309 (data della dedica) è anteriore d^ un anno al 
febbraio 1310: onde tale argomento non può qui opportuna- 
mente aver luogo. 

« Domanderemo da ultimo, se quel principe (Cane ScCh 
» ligero), il cui zio Martino mori per l' impero; se quegli^ 

> che nelT anno medesimo quando il Faggiuolano toccava 
* una disfatta, rimanea vincitore ; quegli, che* sotto Brescia 
» combatteva con Arrigo ; quegli, che per consiglio dello stesso 
» Uguccione fu creato capo della lega ghibellina ; quegli, che 

> fu scomunicato dal cardinal del Poggetto (e certo non come 



35:2 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

j> favorevole ai Guelfl) ; se principe tale non potesse eccitare 
» speranze più ragionevoli nel poeta, y^ Cane Scaligero tolse 
Vicenza a' Padovani nel 15 aprile 1311, e fu questa la sua 
prima impresa militare; prestò aiuto ad Arrigo nell'estate 
deir anno slesso, e fu nominato capitano della lega ghibel- 
lina nel IG dicembre 1318: questi dunque son tutti fatti 
posteriori alla dedica delFlnferno, né posson portarsi in campo 
per metterla in dubbio. Certo questi fatti avranno eccitato 
in Dante ragionevoli speranze, e fors' anco per questi avrà 
il Poeta dedicato più volentieri allo Scaligero il Paradiso. E 
perchè non gli dedicò V Inferno? Perchè ornai V aveva dedi- 
cato a Uguccione. Nel marzo 1309, quando Cane non ei^ che 
un giovinetto di 17 anni, come potesuPante prevedere che 
questi sarebbe divenuto un valente ci^pwano ghibellino, tanto 
che avesse dovuto preferir questo a quello? Comunque sia, 
i fatti del 1311 al 1318 non poteano esser causa di ciò, che 
Dante determinossi a fare nel 1309. 

Il professor Centofanti, uomo peraltro stimabilissimo, oltre 
a riassumere tutte queste obiezioni, e ad insistervi (e già 
abbiamo veduto quanto valgano), ne portò in campo delle 
nuove ; e cominciò dal dire, che l(k lettera di (rute Ilario è 
una manifesta impostura. U codice num. 8 del PltU. XXIX 
della Laurcnziana, ove leggesi questa lettera (e che è del 
S3colx) XIV), fra tante cose che contiene, ha pure la lettera di 
Dante ai cardinali italiani, adunati in conclave a Carpentras; 
quella pur di Dante a Cino da Pistoia, quella importantis- 
sima, del medesimo all'amico fiorentino, e le egloghe latine 
di Giovanni Del Virgilio colle responsive dell' Alighieri. — 
Ma la lettera di frate Ilario è (secondo il Centofanti) un' im- 
postura. •— Dunque tutto il codice è un' impostura. Un im- 
postore, qualche anno dopo che il Villani ebbe scritto la sua 
Cronica, lesse in quella come Dante scrivesse una lettera ai 
cardinali italiani con atto dettato, e con eccellenti sentenzie e 
autoritadi, e tosto foggiò una lettera su quelle indicazioni t 
Un impostore lesse nella Vita di Dante scritta dal Boccaccio, 
che compose due egloghe assai belle, le quali furotio intitolate 



C-VPITOLO DEGIMOSEGONDO. ;)o3 

€ mandate da lui per risposta a maestro Giovanni Del Vir- 
gilio, e tosto si die a comporre due egloghe in risposta a 
quelle dei poeta bolognese, e sì le une che le altre corredò 
di annotazioni 1 Un impostore ies^e nello stesso libro del Boc- 
caccio, che Dante non volle tornare in Firenze ad umilianti 
condizioni, eleggendo di stare in esilio, anziché per cotale via 
tornare in casa sua, e tosto finse che Dante scrivesse su ciò 
una lettera impareggiabile, e veramente dantesca, a un suo 
congiunto! Un impostore lesse, che Dante dedicò la prima 
cantica del suo Poema ad Uguccione della Faggiuola, il quale 
allora in Toscana era signore di Pisa mirabilmente glorioso, 
e su quella semplice indicazione andò tosto immaginando 
una nuova gita di Dai)te in Lunigiana, un colloquio di lui 
con un frate sconobl^:jrto nella storia, un'amicizia contratta, 
una commissione datagli, e via discorrendo ! Ma che bisogno 
aveva l'impostore d'inventar tutti questi particolari? non 
gli bastava di scrivere addirittura una lettera ad Uguccio- 
ne? — No (risponde il Centofanti) ; perchè la lettera non fu 
inventata se non per dar credito alle glossule, che il frate 
(o per meglio dire, cglui che prese il nome del frate) avea 
apposte alla cantica dell' Inferno. — Ma se V impostore vo- 
lea dar credito alle glossule, che bisogno avea di far dedi- 
care il libro ad Uguccione? Che han che fture le glossule colla 
dedica? Ad autenticare le glossule bastava solo il dire, che 
Dante, trattenendosi alcun giorno nel monastero del Corvo, 
ne diede a frate Dario le indicazioni opportune. « Ma dove 
^ sono queste glossule per poterne giudicare in bene od in 
y» male ? (domanda giustamente il conte Troya.) Dov' è la 
» cosa in tomo alla quale dovrebbe formarsi un giudizio?' 
» Dov* è il corpo di quello, che il professore opina essere 
j) stato un delitto d'impostura? Certamente se le glossule 
» vi fossero, chiarirebbero l' intenzion della lettera ; ma poi- 
* che non vi sono, come s' ardisce invocarle per prova d' una 
» rea intenzione? » E d'altra parte, tratta vasi forse d'un 
commentario, nel vero e proprio significato del vocabolo, 
siccome vorrebbe far credere il Centofanti, o non piuttosto 

Daktb. — Vita, i3 



354 VITA M DANTE ALIGHIERI. 

di alcune brevi chiose, o notarelle, siccome significa la voce 
glossula {cuw quibusdam glossulis)? Alquante glossule si veg- 
gono pure apposte alle egloghe di Giovanni Del Virgilio e di 
Dante, e al verso Die, age, quotfiores, qucelilia vertit arator, 
è ,notato scilicet Huguccio ; air altro- Tane ego sub quercu 
meus H Meliboeus eramus, è scritto quidam ser Dinus Perini 
florenlinus ec. Ora, se Dante avesse voluto far sapere ad 
Uguccione il nome del Veltro, qual sarebbe stata la glossula 
di frate^ Ilario? Secondo gli amici di Can della Scala sarebbe 
stata Canis Scaliger, e scendo quelli d' Arrigo, Henricus 
impercUor. « E so^(dice il Troya) il Veltro era Uguccione, 
» qual atto più degno d' un gentiluomo, cosi del decimoquarto 
» come del decimonona secolo, d' astenersi V autore dallo 
» scrivere, ma si db pregare il frate chtóPftrivesse Huguccio? t^ 
E a che mai si avrebbe^ allora avuto la rea intenzione di 
voler dar credito? 

Altro argomento dell' impostura è (secondo il professor 
Centofanti) V esser detto nella lettera, che Dante aveva in- 
tenzione di dedicare un giorno la terza cantica del suo Poe- 
ma a Federigo di Sicilia; mentre il Paradiso fu da lui de- 
dicato ad altro personaggio, e mentre quel re si vede dal 
Poeta vituperato nel canto XIX di quella stessa cantica, che 
avrebbe voluto a lui dedicare : 

Vedrassi 1* avarizia e la viltade 
Di quel, che guarda risola del fuoco. 

Se Dante avea in dispregio Federigo, come avrebbe potuto 
presceglierlo sovr' ogni altro per la dedica del Paradiso? Ed 
infatti non prescelse per questa Cane Sc^iiigero? •— La ra- 
gione sarebbe valida, quando le parole di frate Ilario si po- 
tessero riportare almeno all' anno 1317, cioè all' anno in cui 
Dante fece la dedica della sua cantica terza; ma poiché si 
debbon riportare alla primavera del 1309, quando Federigo 
mostravasi prode avversario del provenzale re di NapoK e 
di parte guelfa, quell' argomento si rimane spoglio d' ogni 
valore. Dapprima Dante ebbe in pregio Federigo, poi lo ebbe 



CAPITOLO DECIMOSECONDO'. 355 

iu dispregio pei giusti motivi, che notai verso ^a fine del 
capitolo Vili : onde non ha nulla di strano il cambiamento 
prodottosi neir affezione e nella determinazion del Poeta. 
Dirò anzi che quello, che il professor Centofantl crede essere 
argomento di falsità, è (ben considerato) argoménto di ve- 
rità; perocché un impostore, che avesse scritto la lettera in 
questione o verso il 1317, o dopo la morte di Dante, a vo- 
lere acquistar fede al suo racconto, non avrebbe prodotto 
un. fatto insussistente, come ^ello della dedica a Federigo, 
ma avrebbe francamente significato quello, che allora doveva 
essere avvenuto, cioè che Dante aveva intenzione di dedi- 
care il Paradiso a Can della Scala. Ora, apprendendosi da 
frate Dario, che V intenzione di dedicarlo b f^ederigo era in 
Dante a quei tempo, che avea compiuto la prima cantica e 
incamminavasi alla volta -di Parigi, si ha la riprova dell' au- 
tenticità della lettera; perocché chi avrebbe potuto signifi- 
care al frate questa intenzione, non poi effettuata, di Dante, 
se non Dante medesimo? 

Quello poi che di più singolare sì contiene nello scritto del 
Centofanti (vedi Studii inediti su Dante Alighieri, Fir. 1846, 
pag. 17-18), si è la conclusione, là dove egli espone il se- 
condo motivo^ per cui giudica dovere essere stata architet- 
tata r impostura; e là dove dice, che la lettera è di quel 
tempo (cioè della metà del secolo decimoquinto), in cui ai- 
cupi animosi, come Gino di messer Francesco Rinuccini, si 
levarono a difender Dante, il Petrarca e il Boccaccio, con- 
tro quei pedanti, che dispregiavanli per aver essi fatt' uso 
della lingua volgare invece della latina. € U flariana impo* 
* stura (egli dice) ebbe probabilmente il suo nascimento, 
» quando tutti gli spiriti erano intenti allo studio delle let- 
» tere greche e latine, e alla rinnovazione della sapienza 
» classica. La bellissima lingua nostra fu creduta un insuf- 
» fidente ed ignobile struiùento. dell' umano pensiero in 
» quella letteraria repubblica, dove tutte le imparate dot- 
» trine suonavano cosi altamente nell' idioma degli antichi 
» maestri: e non mancarono neppure al' sommo Alighieri i 



35G VITA ni DANTE AUGHIERI. 

» suoi detrattori .... E se ben ^si osserva la lettera del 
n vero supposto frate, troveremo c^e ella prmcipakneiìte 
» discorre le ragioni, per le quali Dante volle fare interprete 
» di tanta sapienza, quanta è nel divino poema, non il latino, 
» ma r idioma volgare; onde lo direste quasi evocato a di- 
ji fendere il suo divisamento con V autorità della sua pode- 
)» rosa parola .... Ecco dunque ritrovato (egli conclude) 
» un altro probabile intendimento, col quale forse fu con- 
j» cepita e partorita al mondo la filologica chimera, che senza 
» i pericoli di Bellerofonte abbiamo tranquillamente di- 
» strutta. » 

Non dando alcuna importanza al tuono di sicurezza, as- 
sunto dal professore in questa trattazione, dirò che se gli 
argomenti, da lui superiormente prodotti, sono di poco va- 
lore, questo Ile va privo del tutto. E primieramente: per 
avere scritto in lingua volgare non fu Dante criticato fin 
da quando scriveva il Poema? Non lo manifesta egli, stesso 
più volte nel Convito, e particolarmente negli ultimi capitoli 
del trattato primo? Non si diede a scrivere, più specialmente 
per questo, il suo trattato del volgare Eloquio? Non glie lo 
canta sul viso il suo grande amico Giovanni Del Virgilio 
neir egloga prima? Che bisogno v' ha di protrarre d' un 
secolo, contro la verità storica, una questione siffatta, se 
non appunto per volere ad ogni costo ritener falsa una scrit- 
tura eh' è vera? Secondariamente : come può dirsi inmia- 
ginata V impostura alla metà del secolo decimoquinto, men- 
tre la copia della lettera Mariana è della metà del secolo de- 
cimoquarto? Il codice riman tuttavia nella Laurenziana, e 
tutti possono esaminarlo. Se lo esaminasse pure il signor pro- 
fessore, non so ; ma, comunque sia, sembra che in paleogra- 
fia egli professi de' principii, molto diversi da quelli, che si 
tengono comunemente. « Non parlerò qui (egli dice) delle 
» arti opportune a giudicar sanamente i manoscritti antichi, 
» ne alzerò la voce contro le semplicità involontarie, o L) 
)> credulità, pensate degli eruditi. Volger Tpcchio acuto alla 
"» forma delle scritture non basta a raccoglierne la, certa te- 



CAPITOLO DECIMOSEGONIK). 357 

» stimonianza delia loro autenticità : bisogna aver V occhio 
» della mente aperto a vedere le falsificazióni possibili^ o 
» pronto il criterio a determinare questa possibilità istorica. > 
Dunque tutti coloro che esaminarono quel codice^ e lo dis- 
sero del secolo decimoquarto^ non possedean V arte oppor- 
tuna a giudicar sanamente de- manOi»crittì antichi: aveano 
aperti gli occhi del corpo^ ma non quello della mente; e di 
questa risma furono un Bandjni^ un Ciampi^ un Repetti, un 
Troya, un Audin : ond' è che questi^ non volgendo V occhio 
della mente a quello/ che cogli occhi del corpo andaron guar- 
dando/ nulla videro di ciò eh' era da vedersi^ e cosi presta - 
ron fede a credulità pensate, e commisero semplicità involon- 
tarie. Io non rivolgerò contro al professore quello eh* ei disse, 
cioè che v' hanno alcuni eruditissimiy i quali attribuiscono 
facilmente corpo ai fantasmi, per far perdere il tempo a chi do- 
vrà poi confutarli; ma dirò che, dubitando assai della scienza 
paleografica di lui, credo dovermi attenere al giudizio de'va- 
lentuomini sunnominati. 



ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI 

AL CAPITOLO DECIMOSECONDO. 

^ La lettera di frate Ilario essendo un documento molto 
importante, credo, che (oltre la traduzione che ne ho dati^ 
di sopra) sia conveniente il darne qui appresso V originale 
latino : 

u Egregia. et magnifico viro domino Uguiccioni de Fa- 
r> gioia, Inter italicos proceres quamplurimum ]^rseminenti, 
» irater HDarius, humilis monachus de Corvo in faucibus 
n Macrffi, salutem in Eo, qui est omnium vera salus. 

n Sicut Salvator- noster evangelìzat, bonus homo de bono 
y> theaauro cordis sui prof tri bonum : in quo duo inserta 
» videntur *, ut scilicet per ea, quas foras eveniunt, intrinseca 
» cognoscamuB in aliis, et ut per verba, quse ob hoc data 
f> Bunt a nobis, nostra manifestemus interna. A fructus enim 



358 VITA DI DANTE ALiGHIERI. 

• eorum (at scrìptam est) eognoMcetU eas : qnod, lieet de 
n peccatoribus hoc dicator, malto univenaUiiB de juatu in- 
» telligere possamus *, cum isti semper proferendi, et illi sem- 
n per abscondendi persuasionem quodammodo recipiant. Nec 
n solnm gloriae desiderium persoadet, ut bona, quae intos 
n habemos, fructificent de forìs, quin ipsnm Dei deterret 
n imperium, ne, si qua nobis de gratia snnt concessa, ma- 
n neant otiosa; nam Deus et natura otiosa despiciant: 
n propter quod arbor illa, quae in astate sua fructum dene- 
ti gat, igni damnatur. 

n Vere igitnr iste homo, cujus opus cum suis ezposiUo- 
n nìbus a me factis, destinare intendo, inter^ alios Italos, 
n hsec, quomodo dicitur, de prolatione intemi thesaurì, a 
» pueritia reserasse videtur ; cum, secundum quod accepi 
n ab aliis (quod mirabile est!) ante pubertatem inaudita loqni 
n tentavit, et (mirabilius) qnsB tìx ipso latino possont per 
n viros excellentissimos ezpUcari, conàtus est vulgari ape- 
n rire sermone \ vulgari dico non simpliei, sed musico. Et, 
n ut laudes ipsius in suis operibus esse sinantnr, ubi sine 
n dubio apud sapientes clanus elucescunt, breviter ad pro- 
ti positum Yeuiam. 

n Ecce igitur, quod cum iste homo ad parte» ultramon- 

» tanas ire ìntenderet, et per lunensem dioecesim transìtum 

» faceret, sive loci devotione, sive alia causa motus, ad lo- 

n cum monasterìì supradicti se transtulit. Quem ego cum 

n vìderem adhuc et mihi et aliis fratribus meis ignotum, 

» interrogavi quid peteret; et cum ipse verbum non red- 

rt derct, sed loci tamen constructionem inspiceret, iterum 

» interrogavi quid peteret. Tunc ille, circumspectis mecum 

»> fratribus, dixit — Pacem. — Hinc magis ac magis exarsi 

n ad cognoscendum de ilio cujus condictionis homo hic esset, 

n traxique illum seorsum ab aliis, et, habito secum deinde 

* colloquio, ipsum cognovi. Quem quamvis illum ante diem 
n minime vidissem, fama ejus ad me per louga primo tem- 
n pora Yenerat. Postquam vero vidit me totaliter sibi at- 
n tentum, affectumque meum ad sua verba cognovit, Hbcl- 
n lum quemdam de sinu proprio satis fiamiliariter reseravit, 
n et liberaliter mihi obtulit. — Ecce (dixit) una pars operis 
n mei, quod forte numquam vidisti. Talia vobis monumenta 
" relinquo, ut mei memoriam firmius tencatis. — Et, eum 
n exhibuisset quem libellnm, ego in gremium gratanter ac- 
n cepi, aperui, et in ejus praesentia oculos cum attentione 
n defixi. Cumque veri» vulgaria percepisscm, et quodam- 
n modo me admirarì ostenderem, cunctatiouis mese cansam 
n petivit. Cui me super qoalitate sermonia -admirarì respondi, 



CAPITOLO DEaHOSECONDO. 359 

» tom quia difficile, imo inopinabile videretnr intentionem tam 
n arduam ynlgariter exprimi potuisse, tam qoia inconveniens 
» videbatur conjunctio tantsB scienti» amioulo popolari. In 
rt quid enim ille respondens: — Bationabiliter c^rte pen- 
n saris ; et, eum a principio caelitus fortaase semen infàsnm 
*> in hnjusmodi propositum germinaret, Yocem ad hoc legi- 
n timam prseelegi ; nec tantummodo prseelegi quinimo (cum 
rt ipsa more eolito poetando) incoepi: 

h Ultima regna canam, fluido contermina mundo, 
» Spirittbua quce lata patent, quce prwmia solvunt 
n Pro meritis cuicumque 8UÌ8, 

n Sed ^mn praesentis sbvì conditionem rependerem, vidi can- 
» tua illnstriam poetarum quasi prò nihilo esse objectos \ 
n et hoc ipso generosi homines, quibus tàlia meliori tem* 
» pore seribebantur, liberales artes (proh dolor!) dimisere 
n plebeis. Propter quod lyrulam, qua frétna eram, deposui, 
r> aliam prseparans convenientem sensibus modemorum : fru- 
n stra enim mandìbilis cibus ad ora lactentium admovetur. — 
n QuaB cum dixisset, multum affectuose subjunxit ut, si ta- 
n libus vacare liceret, opus illud cum quibusdam ^losaulis 
n prosequerer, et, meis deinde glossulis sociatum, vobis trans- 
» mitterem. Quod quidem, etsi non ad plenum, quse in ver- 
n bis ejus latent, enucleavi, fideliter tamen laboravi et animo 
» liberali. £t, ut per illum amicissimum vestrum injunctum 
n fuit, opus ìpsum destino postillatum. In quo siquid apparebit 
^- ambiguum, insufficientisB meas tantummodo imputetis, cum 
»» sine dubio textus ipso debeat omniquaque perfectus haberi. 
n Si vero de aliis duabus partibus hujus operis aliquando 
»» magnificentia vestra perquireret (velut qui ex collectione 
n partium adintegrare proponit) ab egregio viro domino Mo- 
» roello marchione secundam partem, quae ad istam sequi- 
» tur, requiratis. Et apud illustrissimum Pridericum regem 
» CiciliaB poterit ultima inveniri. Nam, sicut ille, qui auctor 
n est, mihi asseruit se in suo proposito destinasse, postquam 
n totam consìdcravit Italiam, vos tres omnibus prseelegit ad 
n oblationem istius operis tripartiti..;. » 

' Questa lettera, che V avvocato Eugenio Branchi mi di- 
resse e che qui riproduco, fu da lui pubblicata nel Poli- 
ziano (fascicolo di maggio 1859): 

u Le lunghe dispute, che hanno avuto luogo intomo al- 
» r autenticità della Lettera di frate Bario del Corvo a 
n Ugucdone detta Faggiuola^ dalla quale si rileva che Dante 
n Biìl finire del 1308, o al principio del 1309, abbandonando 



360 VITA M DANTE ALlGHTERf. 

n r Italia, Tolle lasciare ai suoi connazionali in solenne te- 
I» stimonianza della sua memoria la prima Cantica del di- 
n vino poema, mi sembra, s* io non m'inganno, possano 
n considerarsi come finite col ritenere vera l' antenticità 
» stessa per le ragioni che sono per esporre. ^ 

n Ben sa ella, pregiatissimo amico, che da parecchi anni 
n io non tralascio studii perr compilare la Storia della Lu- 
n nigiana ne' tempi fendali. Bacoolto nn gran numero di 
» notizie, è qualche tempo che ho incominciato a stendere 
n la narrazione, solamente sospesa a intervalli per ragion 
n di salate o di novelle ricerche ; e non ha guari, che giunto 
n al principio del secolo XIV dovei occuparmi di ciò, che 
n rìsguardava la dimora che Dante fece in quella provincia : 
n onde mi trovai obbligato a rileggere la lettera di frate 
n Ilario, e tutto quello che prò e cantra era stato scritto 
n fino al presente giorno sulla medesima. L' opinione che 
n il nostro poeta fosse stato al monastero del Corvo prima 
n di recarsi oltsremonte parvemi la più ra^onevole e-rispon- 
n dente alla storia, che questo sommo riguarda : pur non 
n ostante, senza togliermi dinanzi alla mente le opposizioni, 
n eh' erano state ratte da chi con molto ingegno, ma forse 
n con troppa asseveranza T avea combattuta, mi detti a rovi- 
» stare per gli archìvìi e per le biblioteche, a fin di tentare 
» se a me, siccome non passionato nella questione, fosse dato 
n di rintracciare il vero : e la sorte parve che, favorendo le 
» mie ricerche, arridesse al concetto che mi era formato. 

n ;Ebbi primieramente non lieve sospetto che frate Ilario, 
n priore del monastero del Corvo, potesse essere un Mala- 
n spina, e precisamente Bernabò, fratello di quel marchese 
n Franceschino, che tanto cortesemente negli anni precc- 
n denti a quello attribuito alla lettera aveva dato ospitalità 
n in Mulazzo al poeta, quel monaco che poscia nel 1321 
» fu eletto vescovo di Luni. Ma per quanto rimanesd certo, 
n che Bernabò fosse monaco, e avesse già fatto professione 
n nel 1308 o 1309, e che in quei tempi ancora i monaci so- 
n lessero a lor beneplacito mutar nome air entrar nel ce- 
n nobìo, con facoltà inoltre di ripigliare il primo quando 
n specialmente con la loro elezione a vescovi ritornavano 
» al secolo, non potei certificare con documenti storici in 
1* qual ordine Bernabò professasse ; se nel chiostro appel- 
» lassesi Ilario, e se eletto vescovo, il primitivo nome suo 
n di battesimo riassumesse, com' era supponibile i>er la no- 
n biltà e grandezza della sua prosapia. Per che fili costretto 
I» ad abbandonare questa ipotesi. 

» Non riuscitomi per questo lato di gioìigere al fine che 



CAPITOLO DECmOSECOUDO. 3G1 

n mi era proposto, mi accinsi a tentare altre vie. Sapea 
f che alle terre sulle quali aveva dominio la ^miglia della 
n Faggiuola nell* Appennino di Val di Para^ erano non lungi 
» e Òamaldoli e specialmente il monastero di santa Maria 
» del Trivio o di Monte Comaro, cenobìi ambedue dell' or- 
n dine di san Benedetto ; per cui non era improbabile, che 
" Uguccìone avesse con quei monaci corrispondenza. Per 
n fermar questo punto, bisognava stabilire, che il monastero 
n di santa Croce del Cotvo, anziché della regola di san- 
r> V Agostino (come coloro, che scrìssero sulla lettera- di frate 
n Ilario, avevano ritenuto) fosse stato dell* ordine di san Be- 
» nedetto : ed allora si sarebbe potuto inferire, che Dante 
" appunto al Corvo fosse salitò, affinchè per mezzo di uno 
ff di quei monaci venisse il poema al signor della Faglinola 
»» tra'&messo, servendosi particolarmente d' un frate di Ca- 
n maldolì o del Trìvio. Ma ciò non bastava : era d' uopo 
n altresì stabilire che Uguccìone avesse corrispondenza con 
** uno di que' due monasterìi. Conveniva dunque porre in 
n chiaro in prìmo luogo, che santa Croce del Corvo non 
fi appartenesse air ordine di sant* Agostino, ^ invece a 
t quello di san Benedetto •, e ih secondo luogo, che i clau- 
n strali di Camaldoli, e più convenientemente quelli del 
n Trìvio, avessero tale intimità con Uguccìone della Pag- 
» giuola, da rìpromettersi che eglino non sarebbero" stati 
n per mancare alla commissione del priore del Corvo. 

n Giovandomi in questo delle cognizioni e de' lumi d'un 
» religioso del convento degli Agostiniani di Firenze, potei 
" conoscere per 1' esame degli annali tutti di queir ordine, 
" delle pergamene e dei librì più antichi, che si trovavano 
» nell' archivio di quel convento, che il monastero del Corvo 
y* non appartenne in alcun tempo all' ordine di sant' Ago- 
» stino. Di che accertatomi, feci le più minute ricerche 
fi nella grandiosa opera del Mittarelli, gli Annali Carnai- 
n dolensi; e bene avventurato trovai tali notizie, confer- 
" mate da documenti, che ad esuberanza parve a me som- 
n ministrassero tutto quello che al mio scopo occorreva. 

I» 1." Il monastero di santa Croce del Corvo in Lunigiana 
» era dell'ordine di san Benedetto, come tale leggendosi ricor- 
» dato in una bolla di papa Clemente III del dì 11 gennaio 1 189, 
» rìporti^ta dal Mittarelli (tom. IV, Appendice, e. 175), ove 
n si dice che la chiesa di santa Croce del Corvo nel vescovado 
» lunense apparteneva o dipendeva dal monastero dei Pulsanti 
n di san Michele in Orticana presso Pisa dell' ordine mento- 
n vato, si t!ome quello del Trìvio o di Monte Comare era sog- 
n . getto al monastero di Camaldoli {loc* ciU e. 117). 



2%ì VITA m DANTE ALIGHIERI. 

n 2.^ Col monaci del Trivio avea corrispondenza la fa- 
n miglia della Faggiuola, perchè nel di 8 dicembre 1298 
n per lodo proferito da Lancia di Monte Rotondo e da altri 
n era stata dichiarata creditrice dell* abate Giunta, e così . 
n de' monaci stessi, di certa somma per spese fìitte nella 
» custodia del castello di Selvapiana ai medesimi apparte- 
» nente (tom. V, Appendice, e. 334 e 335). £ rapporti più 
» diretti e di maggiore importanssa avea con essi personal- 
n mente Uguccione ; il quale nell' anno predetto, poco dopo 
n il mentovato lodo, era vicario di tutte le terre e luoghi, 
n che sotto la signoria del monastero si ritrovavano (tom. V, 
^ Appendice, e. 336); lo era anco in appresso, ed egli o 
n il catello Fondazza era forse tuttora allorché Dante al 
rt confate dell* ordine stesso del Trivio, ad Ilario, ricorse ; 
» incontrandosi nel Mittarelli stesso (Zoe. cit. e. 399) un 
n documento del mese di febbraio 1308 (1309), dal quale 
» si rileva che i monaci del Trivio, eleggendo in loro vi- 
» cario certo Roberto, notare di Borgo, gli conferirono tal 
n dignità tisque ad tempìiSy quod Ugticciits et Fondazza de 
» Fagiola vel alti ipaorum nominaverunt. 

n 3. ' Fra i monaci del Trivio era un fratello dello stesso 
n Uguccione, cioè Federigo, quindi abate, che vi aveva fatto 
n professione fino dal 24 novembre 1306 (tom. V, Appeìi- 
» dice, e. 395, 396, 397), e che precedentemente, e nel- 
n r epoca medesima attribuita alla lettera di frate Ilario, 
»» trovavasi tra gì' individui componenti il Capitolo del, mp- 
" nastero ; ciò rilevandosi dal Mittarelli tante volte ricor- 
w dato (ivi, e. 399 e 404), che riporta due documenti del 31 
« dicembre 1308 e del febbraio 1308 (1309). . 

n Le conseguensse che si deducono da questi tre fatti 
« mi sembrano tali da far sì, che il dubbio principale in- 
n torno air autenticità della lettera di frate Ilario si debba 
y> reputar dileguato. Dante, che partendo per Francia volea 
» lasciare in Italia la prima Cantica del suo poema, elesse 
n siccome depositario Uguccione : non potendo recarsi per- 
» sonalmente appo lui, e s' anco avesse potuto, non ere- 
^ dendo in sue mani sicuro un libro, che potea suscitare 
" molte ire e pericoli, elesse il mezzo dei monaci, allora e 
n poi poco nulla sospetti all' universale : scelse tra questi 
ff quelli dell' ordine di san Benedetto, perchè appartenenti 
» alla medesima religione degli altri di santa Maria del 
fi Trivio : sali a santa Croce del Corvo, perchè quel mona- 
» stero non era lungi dalla strada, che volea percorrere 
n per. recaru a Parigi ; e tra gli altri frati elesse il priore 
9 da affidargli la sua commissione; in quanto che^ come 



CAPITOLO DEGIMOSBGONDO. 363 

» capo del monastero, era da credere dovesse avere più 
n d'ogni altro mezzi di sicura comunicazione con la Val 
»» di Para, e qaindi con V altro monastero del Trivio : nel 
n quale ignorar non dovea essere stato, o essere anco in 
» quel tempo vicario Uguccione o alcuno de* suoi, ed avervi 
*> in esso un fratello, che più forse di Uguccione medesimo, 
n per la sua condizione ecclesiastica, cultore e pregiatore 
n delle lettere, avrebbe dovuto volentieri accogliere e con- 
n servare il libro. Dante non conosceva &ate Ilario, o meglio 
n il frate non conosceva il poeta; ma appena ebbero fra 
» loro parlato, questi si accorse non essersi male apposto; 
*> e la commissione fu data, accettata e compiuta. 

n Da quanto fin qui è stato esposto, mi sembra (tomo 
»» a ripetere) che il dubbio sorto in addietro suirautenti- 
» cita della lettera di cui parliamo, debba attribuirsi al- 
r» r errore commesso in principio, cioè ali* essere stato ri- 
r> tenuto che il monastero del Ck>rvo, anzi che di san Be- 
» nedetto, fosse ' dell' ordine di sant* Agostino. Comunque 
r» siasi, faccio noto a lei questo parzial resultato degli studi! 
» miei, affinchè, se fosse per sembrarle, siccome a me è 
» apparso, rispondente all' istc^rica ragione, possa fame quel- 
^ l'uso, che crederà conveniente, nel dare alla luce la sua 
» Storta delia Vita di Dante, r 

* « Molti scrittori (dice il Bepetti), attenendosi per av- 
n ventura più alle tradizioni che ai fatti della storia, pre- 
» scelsero per patria di Uguccione quella selva o torre 
n della Faggiuola, che più si confaceva ai desiderii di chi 
» bramava voler per concittadino quel potente avventuriere. 
n Allo scopo di rinvei^are ove fosse il castello della Fag- 
» giuola, quasi araba fenice, Albertino Mussato lo cercava 
»» nel territòrio di Rimini, Antonio Oraziani nelle selve della 
» Gallia togata, Lorenzo Guazzesi e gli Annalisti Camal- 
n dolensi ncU' Appennino di Ba^o e di Caprese ; mentre 
n a Domenico Maria Manni sembrò di averlo scoperto nelle 
n montagne del Montefeltro, verso dove si recò nel 1824 il 
» conte Troya per visitare nel Monte di Carpegna le rovine 
n del desiderato castello, indicatogli dai villici in una antica 
n torre di quella selva, che della Faggiola si appella. Ma 
n con buona pace di tutti direi che u castello della Fag* 
n ^uola non è esistito giammai.... Il castello che porta tal 
» nome bisogna cercarlo a Comete : è a Comete dove il cu- 
n rioso dovrebbe rivolgere i suoi passi per andare in traccia 
» del controverso castello, mentre colà egli troverebbe presso 
n la chiesa di san Martino a Cometo la tuttora esistente 



364 VITA DI DANTE AUGHIERI. 

» torre della Faggiuola , da cai prese il nome la nobil fa- 
« miglia sarsìnatense dei Faggìolani. » {Dizion, geogr. star, 
della Toscana, art. Cometa, Faggiìwla, Verghereto). 

£ non una sola volta parla il Bepetti di siffatta que- 
stiona, ma vi rientra e v' insiste nel Supplementjo al suo 
Dizionario all' articolo Corneto della F(tggiuola, ov' egli 
dice cosi: « I Faggiolani vennero da Corneto della Fàg- 
I» giuola, dove furono in origine giusdicenti, o vicarii dei 
w monaci camaldolensi dell'Abbazia del Trivio, prima che 
» ve la facessero da assoluti padroni. Un documento del 9 
n dicembre 1298, proveniente dalla detta Badia, ci parla 
n di quel BaAieri da Corneto, che Dante pone nella bolgia 
n infernale del sangue bollente fra i prepotenti ; quindi im- 
n pariamo come Ranieri da Corneto fosse padre del fami- 
» gerato ghibellino Uguccione della Faggiuola. Un altro 
» atto, rogato in san Martino di Corneto per interesse della 
» Badia del Trivio da una parte, e i fratelli Uguccione e 
» Ribaldo, figli del fu Rinieri della Faggiuola dall' altra, 
n ci fa conoscere che le parti si obbligavano a stare al 
n giudizio di arbitri per causa di alcune pretensioni dei 
» Faggiolani contro i monaci del Trivio. Un altro atto 
n del 1298 ci dimostra come 1' abate Giunta costituì per 
n sei mesi Uguccione di Rinieri della Faggiuola in vicario 
n delle terre, e castella e luoghi tutti del monastero del 
n Trivio. Ma appena Federigo, fratello d' Uguccione, ebbe 
» indossata la cocolla de' Camaldolensi, fu facile a Uguc- 
n clone d'installare il germano nella carica di abate del 
n Trivip, per impadronirsi de' possessi della stessa Badia, 
» e ritenere a titolo di feudo i paesi, dei quali era stato 
n poco innanzi un mero amministratore. Infatti col trattato 
»» di pace di Sarzana del 1353, a Neri d' Uguccione, come 
» seguace dell' arcivescovo Visconti, vennero confermati ìu 
n proprietà assoluta settantadue castelli o ville del Trivio 
n e della Massa Trabaria, fra le quali fuwi anche il ca- 
» stello di Corneto. » 

Or come mai (io domando) Corneto, o la Faggittola di 
Corneto, che non fu (secondo lo stesso Repetti^ ne di ila- 
nieri né di Uguccione suo figlio, ma de' monaci dèi Trivio, 
di cui Uguccione non era che un mero amministratore; 
come mai questo castello, che in proprietà della famiglia 
de' Faggiolani non pervenne legalmente che nel 1353, cioè 
molti anni dopo la morte d' Uguccione, potea aver dato a 

?[uel personaggio il suo nome ? Se Uguccione si chiamò 
come infatti chiamossi) Uguccione della Faggiuola, egli è 
evidente che un tal castello dovea avere appartenuto a suo 



CAPITOLO DECIMOSECONDO. 365 

padre e a' suoi avi : dunque il castello della Faggiuola, 
donde ricevè il nome Uguccione, era tutt* altra cosa dal 
castello di Cometo. 

Né solo questo error di giudizio commette il Bepetti, 
volendo sostenere il suo assunto, ma ne commette ancora 
de* più gravi di fatto. Dice che il castello della Faggiuola 
non è mai esistito ; dice che il padre d* Uguccione fu 
quel Ranieri da Cometo, che Dante pone nella riviera del 
sangue nel canto XII delV Inferno ; dice che la famiglia 
de' Faggiolani era sarsinatense e non montefeltrense ; men- 
tre tutte queste sue asserzioni si trovano in contradizione 
eoi documenti storici, ed eziandio con quelli che son da lui 
stesso citati, a Proveremo ad evidenza (dice il Canestrini) 
n che il castello della Faggiuola è quello, che diede origine 
n al nome e alla signoria de* Faggiolani ; che quel castello 
» era nel distretto e diocesi di Montefeltrò, e non in quello 
» di Sarsina; che non bisogna confondere il castello della 
» Faggiola nel montefeltrense con la torre presso la chiesa 
n di San Martino in Cometo nel sarsinatense *, che Cometo 
» era uno dei possessi della famiglia de' Faggiolani, per 
» cui era chiamato Cometa della Faggiuola per distin- 
» guerlo dagli altri luoghi, che sotto il nome di Cometo 
» esistevano, ed esistono tuttora neir Italia centrale di là e 
» di qua delV Appennino ', che Cometo ed altri castelli fu- 
" rono edificati posteriormente dalla famiglia della Fag- 
» giuola, come si rileva da un documento che addurremo 
» più sotto*, e che infine quel Ranieri da Corneto, che il 
^ Kepetti afierma esser nominato in un atto della Badia 
" del Trivio del 1298, non è Ranieri della Faggiuola, padre 
" di Uguccione, ma un altro Ranieri, e probabilmente Ra- 
'' nieri da Cometo di Maremma, siccome ha detto qualche 
^ antico commentatore di Dante : che anzi negli altri atti 
" citati dal Repetti, e risguardanti la stessa Badia del 
" Trivio, del medesimo tempo, e perfino dell' anno mede- 
» Simo 1298, si' parla non già di Ranieri di Cometo, ma 
" di Ranieri della Faggiuola. 

» Citeremo dapprima un documento stampato, quello 
" stesso che il Repetti addusse per provare che il castello 
« della Faggiuola, o non è esistito giammai, o bisogna cer- 
» cario a Corneto; voglio parlare del trattato della pace 
» generale tra i Guelfi e i Grhibellini del 1353, pubblicato 
» dal Dumont {Corps diplomatique du Droit de gena, tom. I, 
» p. II, pag. 271). Questo trattato contiene gli articoli della 
»» pace, segnata il 10 gennaio 1353 tra Giovanni Visconti 
n arcivescovo e signore di Milano, e tutti i suoi aderenti 



366 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

» di Lombardia e della Bomagna da una parte, e le Re- 
n pabbUche toscane, come Firenxe, Siena, Perugia, Arezzo, 
n Pistoia, Città di Castello e loro aderenti dalV altra. Dalla 
« parte del Visconti sono nominati in qneir atto solenne, e 
» nell' ordine seguente : il marchese d' Este,- il Tescovo di 
» Arezzo, il signor di Cortona, il eonte di Montefeltro, Pier 
» Saccone di Pietramala, Neri della Faggiuola e suoi se- 
» guaci, i conti di MódigUana, i Pazzi di Valdamo, il mar- 
» chese di Petriolo, i Chiaravallesi, Borgo san Sepolcro, 
» Gubbio, i conti di Romena, i Malaspina, il comune di 
» Fabriano, Gentile di Magliano, gli Ubaldini, Francesco 
» Castracane, i Panciatici ec. Questi aderenti passano 
» il numero di quaranta; e come si vede, i Fag^iuolani 
» figurano tra i primi, dopo le case dei Visconti, degli 
n intensi, e dei Montefeltrescbi. In questo trattato di pace 
» venne confermata a Neri, figlio d'Uguccione della Fag- 
» giuola, la signoria dei settantadue castelli che possedeva ; 
» e vengono nominati per ordine. Il primo è il castello 
n della Faggiuola; vengono poi gli altri; e troviamo che 
» per ordine il castello di Comete è posto il decimo. Come 
» mai potè asserire il Repetti, che il castello della Fag- 
» giuola non è mai esistito, se in quell'atto diplomatico è 
n scritto il primo? e come mai cercarlo a Comete, che è 
n un altro' possesso di quella famiglia, quando questo ca- 
n stello s* appella Comete, e non Faggiuola ; quando il 
» primo è nel sarsinatense, e il secondo nel montefeltrense ? 
» Se il castello della Faggiuola è scritto e nominato il 
n primo neir atto della pace del 1358, ciò fu perchè era il 
» più antico possesso della famiglia, e quello che diede 
9 origine al nome di lei. 

n Ci resta a provare, che il castello della Faggiuola 
» rimaneva nella diocesi di Montefeltro, mentre Comete, 
9 altro possesso de' Faggiuolani, restava in quella di Sar- 
9 Sina ; e che quella famiglia non era sarsinatense (come 
n afierma il Repetti) ma bensì del distretto e diocesi di 
» Montefeltro. Il Manni {Sigitli, tom. XX, pag. 75) cita 
n una Bolla di papa Gregorio, riferita dati* Ughelli nella 
» sua Italia sa^ra, del 1375, IX, Non. Julii, per provare 
9 che il castello della Faggiuola si trovava nella diocesi 
« di Montefeltro. Ora in questa Bolla il figlio d* Uguccione 
• è chiamato Neritta de Faggiuola domiceUus Ftrttrance 
n Dmceaia, Da un documento poi di Lodovico il Bavaro è 
» provato in modo più positivo, che il castello della Fag- 
» giuola era situato nel distretto e nella diocesi di Monte- 
9 feltro. Noi sappiamo dalla storia, che ad ogni calata de- 



CAPITOLO DECIMOSECONDO. 367 

n gV imperatori in Italia, i principi e signori ghibellini si 
» facevano rinnovare l'investitura dei loro possessi, o pro- 
n curavano di legalizzare le loro conquiste, facendosele con- 
r> fermare dair imperatore ; il quale d' altra parte era molto 
n prodigo di queste conferme o nuove investiture per le 
V ingenti somme, che ricavava dai signori. Cosi quando Tim- 
n peratore Lodovico il Bavaro calò in Italia, tra le varie 
rf concessioni e conferme fatte ai signori e Città, troviamo 
» anche un diploma, che contiene varii privilegii in favore 
n di Neri figlio d' Uguccione, e di Paulozzo d' Arrigo della 
rt Faggiuola (zio di lui), e tra le alfre concessioni la con- 
»» ferma delle signorie e possessi di varii castelli. Il primo 
n nominato nel privilegio di Lodovico il Bavaro del 15 feb- 
rt braio 1329 è il castello della Faggiuola ; poi seguono 
» altri castelli, posti insieme con quelli della Faggiuola in 
ry diatrictu et diceced Montisferetrii ; vengono confermati 
» altri castelli, tra i quali Conieto, posti in Diceceai Sar- 
n sinatenai ; e in ultimo sono annoverati altri castelli posti 
n (come vi si dicej in Dicscesi Civitatis Castelli. L* impe- 
»» ratore concede inoltre ai Faggiolani tutte quelle terre, 
» che potranno conquistare in Italia sui nemici deir impero; 
» la facoltà di creare notari pubblici, giudici ec, legitti- 
» mare figli spurii ec. (Archivio delle Riform., Atti pub- 
r^ blici, class. XI, dist. Il, num. 20). Così in quel privilegio 
r> di Lodovico il Bavaro si scorge, che i castelli dei Fag- 
n giolani sono distinti in tre categorie ; prima vengono enu- 
w merati quelli posti nella diocesi di Montefeltro, e primo 
n di tutti il castello della Faggiuola; poi quelli della dio- 
» cesi di Sarsina, e tra questi Cometo; in ultimo quelli 
» situati nella diocesi di Città di Castello. Ora noi non 
» riscontriamo, che un solo castello della Faggiuola ; e 
rt questo sempre scritto pel primo, come il più antico pos- 
n sesso, e come quello dal quale derivò il nome e la si- 
» gnoria di quella famiglia. Lo stesso Lodovico il Bavaro 
ri avea concesso a Uguccione della Faggiuola varii castelli 
n del Valdamo di sotto con suo diploma datato in Wim- 
n pina, del marzo 1315, e li confermò a suo figlio Neri 
n nel 1329. I castelli concessi da Lodovico il Bavaro a 
»» Uguccione sonò quelli di Fucecchio, Castelfranco, Santa 
» Croce, Santa Maria in Monte, Montecalvoli, Montefalcone, 
» e del Pozzo, posti nella diocesi lucana {Lettere patenti 
y> di Lodovico il Bavaro ai Faggiolani, Archi v. delle Ri- 
r> formag.. Atti pubblici, ci. XI, dist. Ili, num. 22. — Li- 
» bro S;V dei Capitoli, ci. XI, dist. 1\ » 

Più avanti prosegue il Canestrini nella sua trattazione; 



368 VITA DI DANTE ALIGHIERI. 

e, dopo aver parlato di altre cose riguardanti Uguccione e 
la famiglia della Faggiuola, bì fa a provare V lutra parti- 
colarità da lui assenta, cioè che il castello di Corneto fu 
edificato da' Fagfl^olani post tormente a quello onde pre- 
sero il nome. Eeii dice : « Dal testamento di Paulozzo della 
» Faggiuola figlio d'Arrigo, del 1 ottobre 1394, (Archiv. 
«» delle Riforma^., Atti pubblici, ci. XI, dist. II, num. 20) 
n si ricava che i nobili della Faggiuola appartenevano alla 
n diocesi di Montefeltro *, e che Faggiuola e Corneto erano 
n due castelli diversi. In quel testamento Paulozzo lascia 
» cento fiorini d' oro ai Francescani dell' Alvemia ; i ca- 
li stelli di Faggiuola, Corneto, Selvapiana, Cellario, San 
« Stefano, e una casa in Borgo san Sepolcro alla Bepub- 
n blica fiorentina, nel caso che morisse senza figli legit- 
ft timi e naturali ; con la proibizione ai Fiorentini di alie- 
n nare quei castelli; altrimenti chiama erede il papa. £ 
n da una memoria, scritta nel 1426, e diretta a un Salviati, 
» in favore dei diritti delle Repubblica fiorentina sopra al- 
» cuni castelli appartenenti sdla famiglia dei Faggiolani, 
» (incordo come le infrascritte terre e luoghi sono della 
n Signoria di Firenze, Archiv. delle Riformag. ci. XI, 
1 dist. II, num. 20), si parla delle vicende di quei castelli, 
n e di un ramo di quella famìglia. — Il castello di Selva- 
^ piana (dice la memoria) giace nella valle di Bagno; fu 
n signoreggiato da due fratelli carnali, Rigo e Cionarino, 
» figli di Paulozzo il vecchio della casa di Faggiuola; e 
» lo tenevano giustamente e per più ragioni ; primo, per- 
» che i loro antecessori (cioè i Faggiolani) edificarono le 
» infrascritte castella, cioè Selvapiana, San Stefano, Corneto, 
n Cuotolo, Sant' Agnolo e molti altri luoghi. Di quei castelli 
«I Rigo e Cionarino furono da più imperatori privilegiati, e 
» possono mostrare i privilegii ; per ciò non si posson dire 
li terre della Chiesa per le molte concessioni fatte loro da 
* più imperatori ec. » 

Dunque i documenti provano ad evidenza quello che as- 
serì il Troya, cioè che il castello della Faggiuola, onde 
prese il nome il padre, se non pur V avo, d' Uguccione, era 
posto nel Montefeltro, alle sorgenti del fiume Conca, rima- 
nendo in mezzo alle due piccole città di Macerata feltria, 
e del feltrio Sanleo. Ond' è che del famoso capitano ghi- 
bellino potea ben dire il Poeta, che sua nasiion sarà tra 
Feltro e Feltro, 

Fine. 



INDICE. 



Al Lettore Pag. v 

Capitolo Primo. — Della stirpe di Dante e della sua 
nobiltà. I Frangipani gli Elisei 1 

Capitolo Secondo. — Degli antenati di Dante, co- 
minciando da Cacciaguida. Origine della famiglia 
Alighieri. Non Allighieri, ma Alighieri dee scriversi 
il casato di Dante. — [Secoli XII e XIII.]. .... 13 

Capitolo Terzo. —Albero degli ascendenti di Dante. 
Possessi della famiglia Alighieri. D' altre famiglie 
Alighieri esistenti nel 1300 in Firenze — [Secoli XII 
e XIII.] 32 

Capitolo Quarto. — Nascita, puerizia e gioventù di 
Dante. Suoi studii. Brunetto Latini suo maestro. 
Suo innamoramento per Beatrice. Contrae amicizia 
con Guido Ca-valcanti, Cino da Pistoia e Lapo Gianni. 
Guelfi e Ghibellini. Battaglia ai Campaldino e asse- 
dio di Caprona, a cui egli 'prese parte. Morte di 

Beatrice. -^ [1265-1290.] 52 

Daktb. - Vita. 1% 



370 INDICE. 

Capitolo Quinto. — Danto prendo moglie. Studia le 
scienze sacre. Si ascrive all' arto de' medici e spe- 
ziali. Deir industria e del commercio de' Fiorentini. 
Forma del governo di Firenze. Consegue Dante i 
pubblici officii. Va ambasciatore a San Gimignano. 
Ottiene il priorato. Giano Della Bella. I Neri e i 
Bianchi. I Donati e i Cerchi. Legazione di Fra Matteo 
d' Acquasparta. Carlo di Valois. Dante va ambascia- 
tore a Bonifazio Vili. Influenza de' papi ne' gover- 
ni d' Italia. Esilio di Dante. — [1290-1302.] . Pag. 106 

Capitolo Sesto. — Prima radunanza de' Bianchi in 
Gargonza ; poi in Arezzo. I Bianchi a Forlì con Scar- 
petta degli Ordelaffi. Impresa di Pulicciano. Missione 
del paciaro cardinal Niccolò da Prato. Tentativo 
de' Bianchi di ripatriare sotto Baschiera Tosinghi. 
Prime peregrinazioni di Dante. Va allo Stadio a Bo- 
logna. Clemente V. Legazione del cardinal Napo- 
leone degli Orsini. Guerra di Montaccianico. Con- 
gresso de' Bianchi in San Gaudenzio. Dante a 
Padova *, in Lunigiana presso i marchesi Malaspina. 
Sua legazione al vescovo di Luni. Toma Dante nel 
Casentino, e poi in Limigiana. Frate Ilario. Dante 
a Parigi. Arrigo VII. Dante toma in Italia: sua 
lettera ai principi e popoli d' Italia. Inchina Arrigo, 
e torna nel Casentino. Scrive ai Fiorentini, e quindi 
ad Arrigo. Eiforma di Baldo d' Aguglione. Storia 
d' Arrigo. Sua morte. — [1302-1313.] 153 

Capitolo Settimo. — Dante a Gubbio e a Fonte 
Avellana. Sua lettera ai cardinali italiani. Uguc- 
cione della Faggiuola signore di Pisa, e quindi di 
Lucca. Dante a Lucca. Battaglia di Montecatini. 
Terza condanna di Dante. Vien richiamato in pa- 
tria ad umilianti condizioni, e ricusa. E accolto in 
Verona da Cane Scaligero ; ed ei gli dedica il Fa- 



INDICE.. 371 

radino. La famiglia Paratico e il patriarca Pagano 
della Torre. Tesi sul!" acqua e sulla terra, so- 
stenuta da Dante in Verona. Dante in Ravenna 
presso Guido da Polenta. Il bolognese Giovanni 
Del Virgilio. Dante ambasciatore per Guido alla 
repubblica di Venezia. Toma a Ravenna. Sua 
morte. — [1313-1321.] Pag. 217 

Capitolo Ottavo. — Qualità di Dante. Aneddoti. 
Cecco d* Ascoli. Giotto. Opere del nostro Poeta. 
Questioni intomo alcuni particolari della Divina 
Commedia, Quando ognuna delle tre cantiche fosse 
pubblicata; ed a chi dedicata. Qual sia la data della 
visione descritta nel Poema 261 

Capitolo Nono. — • Dei figli di Dante. Albero de'suoi 
discendenti fino all' estinzione della famiglia Ali- 
ghieri in Verona 298 

Capitolo Decimo. — Del sepolcro di Dante in Ra- 
venna, e delle iscrizioni appostevi 314 

Capitolo Deoimopbimo. — Chi fossero i due Mala- 
spina, amici ed ospiti di Dante 326 

Capitolo Deodiosboondo. -— n Veltro. Uguccione 
della Faggiuola. La lettera di frate Ilario 341 






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