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Full text of "Storia dell'Italia antica"

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presented  to  the 
UNIVERSITY  LIBRARY 
UNIVERSITY  OF  CALIFORNIA 
SAN  DIEGO 

by 


Mrs .  Charles  Kelly 


STORIA  DELL'ITALIA  ANTICA, 


STORIA 

DELL'ITALIA  ANTICA 


SCRITTA 


u^XXO  VAIVIVUOCI. 

TERZA    EDIZIONE 
ACCRESCIUTA,     CORRETTA    E    ILLUSTRATA    COI    MONUMENTI 


VOLUME  QUARTO. 


rt.-imihi  iiniieipoiii...,  geiienS  liuuiaiu....  iloniiimni. 
TAaTO,  llist..  Ili,  OS. 

viiiii;  Deuirt  eledu  (IKdia)  quac...  spai-sa  congre- 
aai-et  imperla,  ritusque  molliret,  et  tot  populurum 
iliscordes  ferasque  linguas  scrmonis  con\niercio 
'ontraheret ,  colloquia  et  hunianitatcìii  homiici 
ilavet:  breviterquc  una  cuiiclai-um  fcnlium  ii. 
Kifo  orbo  pati-in  (ierel. 

V'r.iMo.  .V»r.  Wst.,  III.  i: 


MILANO 

TIPOGRAFIA  EDITRICE  LOMBARDA 
Via  Appiani,  N.  10 


l'roprietà  lettertxria 


LIBRO     SETTIMO. 
L'IMPERO  ROMANO  NEI  DUE  PRIMI  SECOLI, 


VANr;i:c-t;i  —  Sloria  dell'Italia  antica  —  IV. 


CAPITOLO  PRIMO. 


Augusto  lavora  destramente  tutta  la  vita  a  riunire  in  sé  solo  ogni  po- 
tere della  caduta  Repubblica,  e  sotto  apparenze  repubblicane  costituisce 
l'Impero.  —  Ordinamenti,  leggi  e  riforme  a  Roma,  in  Italia  e  nelle 
province.  —  Nuovi  ordini  delle  milizie;  eserciti  stanziali  e  guerre  per 
istabilire  e  per  assicurare  i  confini  dell'impero.  —  Il  popolo  pasciuto 
e  divertito  applaudisce  al  felice  padrone,  mentre  pochi  sospirano  invano 
la  spenta  libertà.  —  Anche  le  opere  immortali  delle  lettere  e  delle 
arti  usate  come  strumenti  d'impero.  —  La  poesia  e  la  storia  alla  corte. 
—  I  grandi  monumenti  di  Roma.  —  Lusso  e  commercio.  —  La  fumi- 
glia  imperiale,  e  la  vecchiezza  e  la  fine  d'Augusto. 

(Anni  di  Roma  723-707,  avanti  Cristo  29  e  di  Cristo  14). 


ra  vengono  le  .sorti  di  Pioma  e  d'Italia 
0  delle  province  sotto  l'impero  dei  Cesari,  e  i 
tempi  in  cui  i  mutati  ordini  non  danno  ri- 
poso, e  le  rivoluzioni  continuano  più  crudeli, 
più  istantanee,  più  numerose,  e  all'agitata  li- 
bertà succede  servitù  sanguinosa,  e  tutte  le 
vite  degli  uomini  dipendono  dai  capricci  di  un  despota 
imbecille  o  di  un  pazzo  feroce.  Abbiamo  alla  mani  una 
storia  di  enormi  delitti,  e  lo  strazio  disonesto  e  la  morte 
di  un  mondo.  E  prima  di  tutto  dobbiamo  vedere  come 
si  stabilisse  c[uest'ordine  nuovo  che,  mite  dapprima,  di- 
viene poi  crudelissimo,  e  tutto  avvilisce  e  deturpa,  e  Ila- 


;5  L- IMPERO  ROMANO.  [Lin.  VIL 

gella  con  mali  inenarrabili  la  stirpe  umana,  ed  ha  per 
suoi  strumenti  e  compagni  perpetui  i  veleni,  i  ferri,  i 
furti,  le  confiscazioni,  le  spie;  e  la  reggia  stessa  riempie 
di  sangue,  e  in  balia  di  ebbri  soldati  pone  lo  scettro  e 
le  vite  dei  principi,  i  quali  cadono  traendo  seco  migliaia 
di  vittime  umane,  dopo  avere  contaminata  la  terra  col 
sangue  di  loro  madri,  di  loro  mogli,  di  loro  parenti,  e 
dei  partigiani,  dei  duci  e  degli  eserciti  interi.  Alcuni 
principi  buoni  e  valenti  tentano  di  rimediare  ai  mali  della 
dominazione  ferocemente  dispotica:  ma  se  con  loro  prov- 
vedimenti ed  imprese  ristorano  un  momento  la  giustizia 
oltraggiata,  e  danno  al  nome  romano  giorni  di  nuovo  e 
grande  splendore,  e  continuano  l'opera  civilizzatrice  del 
mondo,  invano  si  sforzano  di  arrestare  la  rovina  di  questa 
impero,  il  quale  dopo  lunghi  anni  di  incertezze  e  furori 
cade  sconciamente  lasciando  Roma  e  l'Italia  in  preda 
dei  barbari  (")• 

11  vincitore  di  Antonio  e  di  Cleopatra  dopo  avere,  coi 
sottili  accorgimenti  e  coi  poderosi  sforzi,  tolto  di  mezzo- 
ogni  ostacolo,  mirava  cupidamente  a  godere  solo  i  frutti 
delle  lunghe  fatiche  recando  in  sua  mano  ogni  potere 
dello  Stato.  Quelli  che  scrissero  che  Ottavio,  dopo  dodici 
anni  di  pericoli ,  di  guerre ,  e  di  delitti  commessi  per 
amore  d'imperio,  volle  sinceramente  abdicarlo  allorché 
ebbe  conseguito  quasi  tutti  i  suoi  desiderii,  mostrarono 

(")  Ai  tempi  nostri  si  vitlero  f-crittori  che.  coirintendimento  di  aiutare 
la  fondazione  di  nuovi  imperi,  presero  a  celel)rare  la  tirannide  dell'ira- 
licro  romano  (vedi  Romieu,  U  ère  des  Césars,  Paris  18r)0).  Agli  autori 
di  questo  sconcezze  cosi  rispose  di  passo  un  libero  e  onesto  e  arguto  ri- 
'••^rcatore  delle  cose  romani;:  —  Il  s'esi  clahli  deputò-  qiielque  iemps  une 
mode  de  n'hai nliier  l'empire  roraain ,,  car  il  avait  besoin  de  rclinhili- 
intion.  Je  me  stiis  permis  de  ne  pas  lenir  compie  de  ce  jìaradoxe  ; 
j'en  .siiis  restr  à  l'opinion  co'niraiine,  voilà  ma  hardiessc;  on  avail  ' 
'..lis  le  ci'-Kr  (I  droite,  je  l'ai  remis  ò  f/aiiche:  ce  n'esf  pa\-  ma  fante 
.y'il  ne  convieni  paini  à  tout  le  monde  qii'iì  soit  ('<  .\a  place.  Ampère, 
L'histoire  romaine  a  Rome,  Paris  lKr>2.  voi.  I.  pai;.  XLIV. 


Gap.  I.]  ARTI  DI  OTTAVIO  PER  FONDARE  LA  SUA  POTENZA.    9 

piccola  conoscenza  dell'uomo,  e  cosi  grande  semplicità 
da  dare  idea  non  troppo  buona  del  loro  giudizio.  È  vero 
che  egli  stesso  lo  disse  più  volte  ;  ma  appunto  perchè  un 
tale  uomo  lo  disse,  si  vuol  credere  che  non  lo  avesse 
nell'animo.  Egli  voleva  prendere  a  gabbo  la  gente  av- 
vezza da  lungo  tempo  alla  libertà ,  facendosi  padrone 
senza  dirlo  e  senza  parerlo,  perchè  sapeva  la  sorte  toc- 
cata a  Cesare  che  non  studiò  di  dissimulare  a  bastanza; 
voleva  fondare  a  suo  profitto  un'autorità  illimitata,  simu- 
lando, per  tor  via  ogni  sospetto,  di  non  fare  mutazione 
e  di  continuare  rinnovati  gli  ordini  antichi:  studiava  di 
recare  ad  effetto  il  suo  disegno  destramente  e  lentamente, 
perchè  l'impresa  non  gli  fallisse.  Sapendo  che  gli  uomini 
si  lasciano  governare  dai  nomi,  pensò  che  tutti  coi  nomi 
antichi  accetterebbero  la  servitù  nuova.  E  a  questo  la- 
vorò tutta  la  vita  con  maraviglioso  apparato  di  prudenza, 
d'ipocrisia  e  di  scaltrimenti,  e  menò  si  bene  le  arti  sue 
che,  quando  ebbe  preso  ogni  cosa,  la  città  lo  salutò  pa- 
dre della  patria,  e  gli  storici  lo  celebrarono  per  avere 
restituita  la  maestà  e  la  dignità  al  senato  e  ai  magistrati, 
e  rinnovata  l'antica  Repubblica  ^ 

Le  parti  di  dissimulatore  rappresentava  con  tanta  mae- 
stria, che  neppure  alcuni  dei   più  intimi  confidenti  sco- 
prirono i  segreti  dell'animo  suo,  se  è  vero  che  chiedesse 
loro  consiglio  sul  partito  da  prendere.  Narrano  che  dopo  AnDjdiu 
i  trionfi  e  le  feste  della  vittoria  si  restringesse  a  consulta  g'^'cV'.^^ 
con  C.  Cilnio  Mecenate  e  con  Marco  Vipsanio  Agrippa  ("), 

('')  Ritratti  di  Mecenate  e  di  Agrìppa.  N.  1.  ^Mecenate  in  cornalina 
«Iella  collezione  Farnese ,  lavorata  da  Solone  il  cui  nome  è  ivi  scritto  in 
caratteri  greci.  —  2.  Medaglione  collo  stesso  ritratto  e  col  nome  del 
medesimo  artista.  Il  tipo  del  rovescio  sembra  imitato  da  una  moneta 
ilei  Metropolitani  d'Ionia,  presso  i  quali  era  nato  il  vincitore  ai  giuochi 
<lel  Circo  in  onore  del  quale  fu  battuto  il  medaglione.  —  3.  Testa  di 
Agrippa  trovata  a  Gabii.    Ha  la  fronte  accigliata  e  la   fiera   guardatura 

1  Velleio  l'atei  colo,  II,  89. 


10 


[LiB.  VII. 


i;iiratti  .li  M..'CrniU<'  e  di  Agrippa  [Viso.ìt:,  ho»,   /.'o...  ,) 


Gap.  L]  I  CONSIGLI  DI  .MPXENATE  E  DI  AGRIPPA.  1 1 

come  per  chiedere  il  loro  avviso  sul  disegno  di  ristabi- 
lire la  Repubblica,  nel  tempo  stesso  che  era  risolutissimo 
a  piantare  più  ferme  le  basi  della  sua  dominazione.  È. 
stato  avvertito,  e  giova  ripeterlo,  che  i  discorsi  posti  da 
Dione  in  bocca  a  quei  due  consiglieri  non  sono  altro  che 
una  esercitazione  rettorica  dello  storico  greco,  quantunque 
e'  faccia  loro  dir  cose  conformi  pienamente  all'indole  di 
ciascheduno.  Agrippa,  franco  soldato  e  supposto  amico  ai 
seguaci  di  libertà,  discorse  dell'amore  di  egualità  innato 
negli  uomini,  m.ostrò  i  pericoli  e  i  danni  del  potere  di 
un  solo,  e  apertamente  consigliò  di  restituire  la  Repub- 
blica e  la  costituzione  che  già  fece  la  gloria  e  la  gran- 
dezza di  Roma:  e  disse  ciò  desiderarsi  dai  hberi  uomini^ 
ciò  volersi  alla  sicurezza  di  Ottavio.  All'incontro  Mece- 
nate, di  animo  cortigiano,  e  perciò  bisognoso  di  una  corte 
e  di  un  principe,  mostrò  con  lunga  diceria  che  la  sicurezza 
del  vincitore,  e  le  condizioni  di  Roma  e  dei  vinti  neces- 
sitavano il  governo  di  un  solo,  il  quale  per  altro  non 
doveva  esser  dispotico,  ma  distruttore  dell'anarchia  e 
rigeneratore  della  Repubblica.  Espose  anche  i  suoi  pen- 
sieri sugli  ordini  del  nuovo  governo,  che  voleva  essere 
regio  nel  fatto  senza  averne  "l'odioso  nome;  e  consigliò 
di  stringere  il  mondo  in  monarchia  potente  e  una  per 
egualità  di  diritti,  di  leggi  e  d'imposte  *. 

che  colla  parola  torvitas  sono  ricordate  da  Plinio  (XXXV,  9).  —  4.  Testa 
di  Agrippa  cinta  di  corona  rostrale  e  murale  colla  leggenda  M.  agrippa 
COS.  TER.  (console  per  la  terza  volta),  cossus  lentulus  (Cosso  Lentulo 
magistrato  preposto  alla  fabbricazione  delle  monete).  —  5.  Testa  di  M. 
Agrippa  al  nome  del  quale  vedesi  aggiunto  qui  pure  quello  del  triumviro 
monetale  platorinus  iiiv.  {triumvlr).  —  6.  Testa  cinta  di  corona  rostrale 
colla  leggenda  M.  agrippa  l.  f.  {Litcii  fdius),  cos.  ter.  {consul  tertium). 
Per  allusione  alle  vittorie  navali  di  Agrippa  nel  rovescio  è  figurato- 
Nettuno  col  tridente  e  col  delfino  suoi  attributi.  Le  sigle  s.  e.  {senatus 
consulto)  dicono  che  la  medaglia  fu  battuta  per  decreto  del  senato.  Vi- 
sconti. Icon.  Rom.,  voi.  I,  pag.  209  e  291,  tav.  XIII,  e  Vili. 

l  Diono  Cassio,  LII,  1-10. 


12       OTTAVIO  IMPERATORE  CON  AUTORITÀ  SUPREMA.  [Lib.  VII. 

Ottavio  segui  naturalmente  i  consigli  di  Mecenate  per 
ciò  che  riguarda  il  governo  di  un  solo,  ma  lodò  Agrippa 
di  sua  franchezza,  e  unendolo  poco  appresso  alla  sua  fa- 
miglia con  nozze,  lo  usò  ai  suoi  disegni.  E  d'ora  in  poi 
mise  ogni  studio  a  fondare  un  ordine  che,  mentre  nel 
fatto  dava  tutto  ad  un  solo,  non  era  né  monarchia,  nò 
Repubblica,  e,  riposando  sopra  una  menzogna,  preparava 
il  regno  dei  soldati,  e  l'interregno  di  tutte  le  leggi. 

Console  già  da  più  anni,  mirava  a  pigliarsi  l'autorità 
di  questa  carica  a  vita,  e  la  ebbe  in  appresso.  Ora,  im- 
portandogli soprattutto  la  forza  delle  armi,  si  fece  decre- 
tare dal  senato  il  nome  à'  imperatore,  non  come  soleva 
darsi  già  ai  duci  vittoriosi  per  segno  di  onore,  ma  come 
indicante  l'autorità  suprema  quale  fu  presa  da  Cesare  ♦; 
e  con  quel  nome  accoglieva  in  sé  solo  tutta  la  potestà 
militare,  riduceva  i  capitani  a  suoi  luogotenenti,  si  ob- 
bligava per  giuramento  i  soldati,  e  li  rendeva  docili  stru- 
menti di  sua  grandezza.  Questo  fu  il  primo  fondamento 
di  sua  grande  potenza. 

Nei  suoi  trionlì,  dedicando,  presso  alla  Basilica  Giulia, 
la  nuova  Curia  fatta  splendida  delle  spoglie  egiziane  a 
onore  di  Cesare,  e  destinata  a  divenire  sede  usuale  al 
senato,  vi  aveva  posto  la  statua  della  Vittoria  trasferita 
in  antico  da  Taranto  a  Roma^:  col  che  diceva  chiaro, 
come  egli  vincitore  dei  nemici  intendesse  di  aveie  ri- 
dotti in  sua  potestà  anche  i  padri  coscritti.  Voleva  usare 
il  senato  a  sostegno  del  trono  per  dare  autorità  al  nuovo 
governo  coi  decreti  della  famosa  assemblea.  Quindi  per 
darle  più  autorevole  e  più  venerando  sembiante,  mentre 
la  spogliava  di  tutta  l'antica  potenza  e  la  riduceva  tutta 
in  suo  ar])itrio  ^,  si  adoprò  a  purgar  la  Curia  dei  membri 


J  Dione  Cassio,  LII,  -ti;  Ilaiiow,  Da  Princlpalii  Augusti,  Sorr.u  1837,  pag.  6. 
-  Dione  Cassio,  L,  22.  Conf.  Eckcl,  Doctrina  num.  vet..  VI,  85. 
3  Urocr.?,  Rerum  cicilv.i.m  apnd  Eomanos  mxUatio  sub  Augusto^  Traiceli  ad  Rlicat 
182-3,  rajr.  27. 


Gap.  I. 


RIFORMA  DEL  SENATO. 


1:5 


indegni  postivi  nella  licenza  delle  guerre  civili,  usando 'ì^a756'^^ 
la  prefettura  dei  costumi,  cioè  la  censura,  a  cacciar  via  ^■^'•■-^• 
gli  immeritevoli,  e  i  nemici  agii  ordini  nuovi.  E  perchè 
ell'era  difficile  e  pericolosa  faccenda,  a  quei  giorni  stette 
cinto  di  amici  gagliardi,  andava  al  senato  con  spada  e 
corazza,  né  ammetteva  al  suo  cospetto  alcun  senatore, 
se  non  dopo  averlo  fatto  frucare  per  sicurezza  che  non 


portasse  armi  sotto  *.  Per  via  di  dimissioni  volontarie, 
ottenute  alcune  colle  buone  e  altre  colle  minacce,  fece 
si  che  190  senatori  lasciassero  la  Curia,  e  per  non  irri- 
tarli troppo  si  destreggiò  perchè  non  fossero  notati  d'in- 
famia, e  lasciò  loro  le  mostre  esterne  di  quella  dignità. 


1  Svetonio,  Aug.^  35. 

A.  > .;  j  ;  ;(  —       Storia  dell'Italia   antica 


]4  RIFORMA  DEL  SENATO.  [Lib.  VII. 

Tornato  poscia  più  volte  a  far  questo  spurgo,  ridusse  i 
senatori  da  mille  a  000,  e  molti  di  questi  rese  favorevoli 
a  se  colla  liberalità  ;  perchè  avendo  inalzato  il  censo  se- 
natoriale da  iOO  mila  fino  a  un  milione  e  500  mila  se- 
sterzi (''),  détte  spesso  ai  meno  ricchi  ciò  che  mancava 
loro  per  giungere  a  quella  somma  *. 

Nel  nuovo  ordine  i  padri  continuarono  a  dare  udienza 
agli  ambasciatori  stranieri,  ad  andare  ai  governi  dei  sud- 
diti e  delle  legioni,  a  sedere  nei  tribunali,  ad  ammini- 
strare in  apparenza  l'erario,  e  furono  inalzati  ad  alta 
corte  di  giustizia  per  giudicare  i  rei  di  delitti  di  Stato, 
i  governatori  delle  province,  le  donne  nobili  che  si  co- 
privano d'infamia,  e  in  generale  i  casi  criminali  che  per 
causa  del  grado  elevato  delle  persone  più  offendevano 
la  pubblica  disciplina  ^.  Ma  per  ciò  che  riguarda  la  po- 
testà deliberativa,  il  senato  conservò  solo  le  apparenze 
di  quello  che  era  stato  in  antico:  perchè,  quantunque 
sia  detto  che  nelle  adunanze  lasciavasi  ad  ognuno  libertà 
di  opinione,  è  certo  che  i  padri  dovevano  sancire,  non 
discutere,  le  proposizioni  del  principe.  E  i  suoi  devoti 
largamente  sancivano  tutto;  e  gli  altri  vedendo  esser 
vano  l'opporsi,  alla  fine  non  andavano  più  alle  adunanze, 
quantunque  ridotte  a  due  sole  al  mese,  e  tolte  in  set- 
tembre e  in  ottobre.  Invano  furono  poste  multe  a  chi 
mancasse  non  impedito  da  giusto  motivo:  le  adunanze 
continuarono  ad  essere  sceme;  e  perchè  non  interveni- 


(")  Equivalenti  a  lire  ital.  238,557.  30.  II  denario  (4  sesterzi!)  corri- 
spondente sotto  la  Repubblica  a  82  centesimi  della  lira  italiana,  ne  valse 
79  sotto  Augusto,  78  da  Tiberio  a  Claudio,  73  sotto  Nerone,  70  da  Galba 
a  Domiziano.  Cosi  secondo  i  calcoli  del  Letronne  ,  Sur  l'évahiation  de-^ 
monnaies  ijrecques  et  roraaines.  pag.  85,  Paris  1.SI7. 

•  Svftonio,  41;  Dione  Cassio.  !,1I,  19  o  42,  l.III,  -',  UV,  I.ì,  IT,  20,  V,  13,  VI,  li. 
2  Dionn  Cassio,  LII,  31-32;  Svetonio,  6G  ;  Tacito,  A;,n.,  II,  2S,  31,  85;  \V  alter,  Sto.ia 
ilei  diritto  di  Roma^  lib.  I,  cap.  32. 


Cap.  I.]  I  SENATORI  PRIVATI  DEL  POTERE  E  ACCAREZZATI.       15 

vano  neppure  i  due  terzi,  cioè  400,  bisognò  stabilire  che 
anche  da  numero  minore  potessero  farsi  i  decreti  *. 

Per  impedire  che  i  malcontenti  si  recassero  altrove  a 
far  novità,  fu  ordinato  che  niun  senatore  senza  licenza 
potesse  uscire  d'Italia,  fatta  eccezione  solamente  per  la 
Gallia  Narbonese  e  per  la  Sicilia.  A  quelli  che  stati  se- 
guaci della  parte  contraria  si  mostravano  diffidenti  di 
lui,  fece  sapere  che  aveva  distrutto  tutte  le  lettere  tro- 
vate negli  scrigni  d'Antonio:  e  questa  era  menzogna, 
perchè  le  più  di  esse  lettere  conservò  con  gran  cura,  e 
le  usò  poscia  ai  suoi  fini.  Per  far  meno  sentire  a  tutti 
il  peso  della  sua  signoria,  Ottavio  usava  modi  gentili  coi 
padri,  non  volle  che  si  alzassero  né  quando  entrava,  né 
quando  usciva  dalla  Curia  ;  con  parecchi  tenne  relazioni 
amichevoli,  e  li  visitava  in  casa  nei  loro  giorni  solenni 
di  nozze,  di  nascite,  di  funerali  ^.  Ai  loro  figliuoli  concesse 
di  usare  i  distintivi  paterni,  e  d'intervenire  di  buon'ora 
alla  Curia  per  pigliar  pratica  nelle  faccende  3.  Anche  le 
mogli  in  appresso  ebbero  onori  e  titoli  di  chiare  e  di  chia- 
rissime ^  ;  ma  il  senato,  destinato  solamente  a  scemare 
colla  autorità  del  suo  nome  antico  l'odio  dell'usurpazione, 
e  a  coprire  la  tirannide,  quantunque  accarezzato,  e  pri- 
vilegiato di  posti  distinti  al  teatro  e  nel  Circo,  non  ebbe 
pii^i  se  non  le  apparenze  dell'autorità  ridotta  in  mano 
di  un  solo  :  e  piti  tardi  cadendo  negli  ultimi  obbrobri  della 
servilità,  quelli  che  già  composero  il  sovrano  e  sempiterno 
consiglio  di  Roma,  delle  nazioni  e  dei  re  •''  furono  riser- 
bati a  dar  consigli  alla  cucina  di  corte  ^,  e  a  deificare 
i  tiranni. 

Per  accrescere  il  numero   dei  suoi  aderenti,  Ottavic» 

1  Svetonio,  35;  Dione  Cassio,  l.IV,  35,  LV,  3. 

2  Dione  Cassio,  LII,  4'2-,  Svetoaio,  53;  Tacito,  Ann.^  XII,  i'3. 

3  Svetonio,  Auf/._,  3S. 

4  Digest..,  lib,  I,  tit.  9,  leg.  8;  Renier,  Mèlo.nges  d'épigra-phiej  Paris  ISjf ,  pa?.  7,  ecc. 

5  Cicerone,  Pro  Domo,  SS,  Pro  SexCiOj  65. 
«  Giovenale,  Sat.,  IV. 


16   PATRIZI  E  CAVALIERI.  OTTAVIO  PRINC.  DEL  SENATO.  [Lib.  VIL 

creò  nuove  famiglie  patrizie  *  da  porre  in  luogo  di  quelle 
spente  dalla  guerra  civile,  e  studiò  di  tirare  a  sé  i  ca- 
valieri, ai  quali  aveva  già  rimesso  i  denari  di  cui,  come 
appaltatori  delle  pubbliche  rendite,  erano  debitori  alio 
Stato  ^.  Coir  intendimento  di  fare  dell'ordine  equestre 
come  un  corpo  di  nuovi  nobili,  lo  riformò  severamente, 
facendo  render  conto  ad  ogni  cavaliere  dei  fatti  suoi;  e 
alcuni  ne  degradò  per  illecite  usure,  e  ai  più  fece  una 
reprimenda  in  segreto.  Lasciò  loro  gli  appalti  delle  ren- 
dite pubbliche,  li  conservò  nei  tribunali,  fu  largo  con 
essi  di  onori  e  di  privilegi  e  di  ufficii,  e  gli  usò  nell'am- 
ministrazione di  tutto  l'impero.  Aveva  anche  vietato  loro, 
per  onore  dell'ordine,  di  ballare  nell'orchestra  e  di  scen- 
dere nell'arena  a  combattere  da  gladiatori,  ma  da  ultimo 
fu  costretto  a  revocare  le  sue  leggi  impotenti  contro  il 
costume  ^. 

Nel  sesto  suo  consolato  (720)  nel  quale,  come  nella  cen- 
sura, ebbe  Agrippa  a  collega,  Ottavio  fece  il  censo  dei 
cittadini  romani  e  trovò  4  milioni  e  03  mila  uomini  atti 
alle  armi,  cioè  nell'età  da  17  a  00  anni,  rappresentanti 
una  somma  di  più  che  17  milioni  di  ambi  i  sessi,  ossia 
un  aumento  di  otto  volte  sulla  cifra  dell'ultimo  censo  ^. 

Dopo  ciò  Agrippa  pose  in  capo  alla  lista  dei  senatori 
il  nome  di  Ottavio,  e  lo  proclamò  principe  del  senato,, 
titolo  repubblicano  ricordante  le  istituzioni,  gli  uomini 
e  le  virtù  dei  tempi. migliori,  il  quale,  ponendo  nel  più 
alto  grado  di  preminenza  civile  lui  armato  della  forza 
militare  per  virtù  deWimperio^  gli  dava  il  diritto  di  opi- 
nare il  primo  nell'assemblea  e  quindi  il  modo  di  gover- 
nare gli  avvisi  e  le  deliberazioni  degli  altri  ^:  titolo  co- 

1  Dione  Cassio,  I.II,  42;  Tacito,  Ann.^  XI,  25:  Monumenlum  Ancyranicm,  col.  Il,  lin.  1, 

2  Appiano.  V,  130. 

3  Svotonio,  39,  40  e  43;  Dione  C.issio,  XLVIII,  33,  I.IV,  2  a  30,  I.V,  13,  LVI,  1'". 

*  Mon"..,i.  Ancyr.,   II,  4-5;  fjinton,  Fasti  He.llenici  ^  III,   101;  Mcrivalc,  lUst.  uf  Iho 
nomati^  under  the  cmjiìre,  III,  151,  London  1851 
5  Diouo  Cii-^.-io,  LUI,  1. 


Caf.  I.J   feste,  e  commedia  del  rinunziare  L'IMPERO.  17 

stituzionale  e  modesto  che  presto  passando  a  significato 
diverso  e  più  generale  indicherà  il  capo  e  padrone  di 
tutto. 

11  destro  uomo  a  poco  a  poco  piglia  ogni  cosa  per  se, 
e  con  nuove  feste  e  larghezze  fa  sì  che  la  gente  pasciuta, 
divertita  e  incantata  non  veda  il  dispotismo  che  le  so- 
vrasta. Dopo  la  distruzione  di  Antonio  aveva  regalato 
mille  sesterzi  a  ogni  veterano  delle  sue  tante  legioni,  e 
400  a  ogni  cittadino,  compresivi  per  la  prima  volta  anche 
i  fanciulli;  e  tanta  era  stata  la  moneta  sparsa  nel  pub- 
blico che  l'usura  diminuì  di  due  terzi,  scendendo  dal  do- 
dici al  quattro  per  cento,  e  il  prezzo  delle  terre  e  delle 
altre  cose  venali  si  accrebbe  del  doppio  *.  Ora  grande 
festa  e  giuochi  e  spettacoli  per  la  inaugurazione  del  ma- 
gnifico tempio  edificato  ad  Apollo  sul  Palatino,  a  ricordo 
della  grande  vittoria  di  Azzio,  e  nuove  distribuzioni  di 
grano  al  popolo,  e  regali  di  pecunia  e  condonazioni  di 
debiti  ad  altri  ^.  Poscia  per  togliere  a  sé  l'infamia  delle 
crudeltà  commesse  cogli  altri  triumviri,  condanna  le  pro- 
scrizioni, abolisce  i  decreti  del  triumvirato,  e  dichiara 
che  il  suo  trionfo  è  quello  delle  leggi  e  della  giustizia  ^. 
Di  che  la  gente  ammirata  applaudisce:  e  in  plausi  più 
ardenti  prorompono  quando,  con  più  solenne  commedia, 
dichiara  in  senato  esser  fermo  di  spogliarsi  d'ogni  auto- 
rità, e  di  rendere  al  popolo  e  al  senato  gli  antichi  di- 
ritti. Si  dice  contento  di  aver  vendicato  l'uccisione  di 
Cesare,  e  ridotto  l'Impero  a  tranquillità.  Vuole  ora  go- 
dersi la  vita  in  riposo,  e  ha  più  caro  il  titolo  di  sem- 
plice cittadino  romano  e  l'amore  del  popolo  che  la  pompa 
di  dominatore  del  mondo:  la  pubblica  libertà  gli  sta  a 
cuore  più  di  qualunque  suo  particolare  vantaggio. 


i  Monum.  Ancyr.,  IH,  17;  l;!one,  LI,  21  ;  Svctonio,  '11  :  Orosio,  VI,  19. 
3  Virgilio,  Aev.^  Vili,  717  e  spgp.  ;  Freiuivio,.  II,  31:  Velleio,  11,  ?1  ;  Svetcnio,  29  e 
2;  THone,  XLIX,  15,  e  LUI,  1-2. 
3  Tacito,  Ann.^  Ili,  SS;  Dione  Cassio,  LKl,  2. 


18      OTTAVIO  DIVIENE  AUGUSTO  E  SI  FA  PIÙ'  POTENTE.  [  Lib.  VII. 

I  senatori  furono  variamente  commossi  a  queste  pa- 
role. Alcuni  le  presero  sul  serio,  e  se  ne  dolevano;  e 
altri  si  rallegravano  della  libertà  rinascente,  mentre  i 
partecipi  o  indovini  del  segreto  inalzavano  soli  la  voce 
pregando  il  principe  a  non  parlare  di  riposo,  a  non  ab- 
bandonare la  Repubblica  affidatagli  dagli  Dei,  e  ad  assi- 
curarla colla  pace,  dopo  averla  salvata  colle  armi.  Egli 
fìntosi  irremovibile  dapprima,  disse  poscia  che  sforzato 
dalle  preghiere  e  dal  comando  dei  padri  cedeva  a  rite- 
nere il  governo,  ma  per  soli  dieci  anni,  protestando  anche 
che  abbrevierebbe  quel  termine  se  la  calma  rinata  e  il 
bene  della  patria  lo  domandassero.  Pure,  non  sentendosi 
forze  bastanti  a  reggere  da  se  tanto  impero,  disse  ne  pi- 
glierebbe  solo  una  parte.  E  fece  sembiante  di  voler  di- 
viso il  governo  col  senato  e  col  popolo,  ai  quali  lasciò 
le  regioni  interne  dell'Impero,  che  per  esser  tranquille 
non  abbisognavano  di  eserciti,  e  prese  per  sé  le  province 
poste  ai  confini,  le  quali  come  esposte  alle  invasioni  bar- 
bariche volevano  presidii  permanenti  *:  e  così,  mostrando 
di  fare  un  beneficio  al  senato  col  dargli  i  luoghi  di  piìi 
facil  governo,  lo  lasciava  senz'armi,  e  pigliava  tutte  le 
forze  militari  per  se. 

1  senatori,  o  complici  o  creduU  o  rassegnati,  gli  de- 
cretarono novelli  onori,  e  poiché  egli  voleva  consacrato 
con  altro  nome  il  cominciare  di  questa  nuova  potenza, 
alcuni  chiesero  che  *si  chiamasse  Romolo  come  egli  for- 
temente desiderava,  e  sulla  proposizione  di  L.  Munazio 

Anni  di  Ho- Planco ,    scoucissimo  adulatore  che  già  conosciamo,    gli 
O.C. 2^^'  dettero  il  nome  di  Augusto;  nome,  che  usato  già  a  de- 
signare i  luoghi  consacrati  dai  riti  degli  auguri,  circon- 
dava il  principe  di  sovrumano  splendore,  e  lo  faceva  quasi 
divino  -.  Di  pili  decretarono  che  si  ornasse  di  lauro  e  di 

>  Diono  Cassio,  LUI,  2-12;  Svetonio,  28,  47  ;  Stpabone,  XVII,  1. 

2  Dione  Cassio,  LUI,  16;  Svetonio,  7;  Censorino,  De  die  nat.,  22;  Velleio ,  H,  !'I  ; 
Fieri,  IV,  12,  60;  Ovidio,  Fast...  I,  €09. 


Cap.  I.]     CORONATO  DI  QUERCIA  PEI  CITTADINI  SALVATI. 


19 


una  corona  di  quercia  il  vestibolo  della  casa  di  lui  per 
ricordarlo  salvatore  dei  cittadini  ("),  e  perpetuo  vincitore 
dei  nemici,  e  lo  cinsero  in  città  di  soldati  che  gli  guar- 
dassero la  persona.  Quindi  i  suoi  ritratti  lo  mostrano  in- 
coi*onato  di  quercia  a  ricordo  dei  cittadini  salvati^  con 
atroce  insulto   alle   tante  vittime   del   feroce  triumviro. 


Augusto  incoronato  di  quercia  (Visconti^  Icon.  Rom.  ^  tav.  XVIH,  n.  3). 

Poscia  un  Sesto  Pacuvio  tribuno,  rincarando   in   adula- 
zione,  consacrò  sé  stesso  ad  Augusto,   ed  obbligatosi  a 


(«)  Monum.  Ancìjr.,  VI,  2G;  Dione,  LUI,  16.  Per  le  medaglie  con  la  leg- 
genda ob  civis  servatos ,  e  civibus  servateis  vedi  Eckel,  Doctrln.  Ninn. 
vet.,  VI,  88;  Cohen,  Moìtn.  frappées  sous  l'emp.  rom.,  voi.  I,  pag.  90, 
02,  94-97;  Hobler,  Records  of  Roman  Hisiory  front  Cnaeus  Pompeius 
lo  Tiberius  Consiantinus  as  e.rhibited  on  the  Roman  coins,  Westmin- 
ster  1860,  voi.  1,  pag.  35,  ecc. 


20  POTESTÀ  TRIBUNIZIA  E  PROCONSOLARE.        [Lib.  VII. 

non  sopravvivergli,  costrinse  a  far  lo  stesso  quanti  tro- 
vava per  via,  e  più  tardi  (746)  fece  ordinare  anche  dal 
popolo  che  il  mese  sestile  avesse  il  nome  d'Augusto  *. 

Questi  non  aveva  raggiunto  ancora  tutti  i  suoi  desi- 
derii:  al  suo  solito  procedeva  lento  per  arrivar  più  si- 
curo, e  attendeva  tempo  e  congiunture  propizie.  Niun 
usurpatore,  come  bene  fu  detto,  usò  mai  più  scaltrezza, 
ne  con  maggior  pazienza  aspettò  che  gli  uomini  e  il  tempo 
facessero  lentamente,  ma  sicuramente,  ciò  che  egli  non 
avrebbe  potuto  ad  un  tratto  senza  violenza  pericolosa. 
Non  aveva  la  cieca  e  brutale  ambizione  che,  invece  di 
evitare  gli  ostacoli,  si  piace  di  romperli,  e  calpesta  leggi 
e  costumi,  in  luogo  di  preparare  accortamente  la  via  che 
conduce  di  necessità  alla  servitù  eterna  degli  uomini  -. 

Dopo  gli  onori  avuti  finqui,  a  dileguare  i  sospetti  che 
potevano  nascere  da  innovazioni  si  gravi,  si  allontanò 
dalla  città  andando  a  ordinare  le  Gallie,  e  a  guerreggiare 
nella  Spagna.  La  lunga  assenza,  e  la  notizia  giunta  poscia 
a  Roma  di  una  grave  malattia  che  lo  colpi  a  Tarragona, 
crebbero  l'affetto  dei  devoti  alla  sua  persona  e  agli  or- 
dini nuovi.  Quindi  ardenti  dimostrazioni  di  gioia  all'an- 
nunzio della  sua  guarigione,  e  nuove  servilità  nel  senato. 
Anni  jiRo- Poi  quaudo  tornò  alla  città,  e  depose  l'undecimo  conso- 
G.C.23.  ■  lato,  dandolo  pel  resto  dell'anno  a  Lucio  Sestio,  già  caldo 
partigiano  di  Bruto,  si  levò  grande  entusiasmo  anche  tra 
molti  cittadini  rimasti  fedeli  a  parte  repubbhcana.  E  al- 
lora alcuni  senatori  profittarono  di  quella  sua  dimostra- 
zione liberale  per  offrirgli  due  altre  spoglie  della  Re- 
pubblica, e  gli  dettero  la  potestà  tribunizia  e  l'autorità 
proconsolare  per  tutta  la  vita,  e  la  fticoltà  di  proporre 
ciò  che  volesse  nell'assemblea  del  senato,  anche  quando 
non  avesse  attualmente  le  insegne  di  console.  La  potestà 
di  proconsole,  permessa  dalle  leggi  antiche  solo  fuori  di 

I  Dione  Cassio,  LUI,  20,  LV,  6;  Svetonio,  31;  Macrobio,  Saturn.,  I,  12. 
*  Cayx,  Ilistoire  de  l'Empire  romain,  Paris  1836,  voi.  I,  pag.  73. 


Gap.  I.]  POTESTÀ  PROCONSOLARE  E  TRIBUNIZIA.  21 

Roma  per  tempo  e  luogo  e  fine  determinato,  a  lui  fu 
conceduta  in  perpetuo  con  autorità  militare  e  civile  nelle 
province,  e  in  Italia  e  in  città  *.  La  potestà  tribunizia  («), 
che  a  differenza  degli  antichi  tribuni  (*)  poteva  esercitare 
anche  fuori  di  Roma,  gli  dava  il  diritto  di  convocare  a 
sua  voglia  il  senato  e  i  comizi,  di  propor  le  leggi,  d'im- 
pedire quanto  altri  proponesse  a  suo  danno,  di  ricevere 
appellazioni  da  ogni  sentenza,  e  col  nome  di  difensore 
della  plebe  lo  copriva  dell'inviolabilità  degli  antichi  tri- 
buni; privilegio  terribile,  che  poscia  divenne  fondamento 
alla  legge  di  maestà,  colla  quale  i  despoti  successivi 
sparsero  fiumi  di  sangue.  Egli  trovò,  dice  Tacito,  questo 
vocabolo  di  sovranità  per  non  pigliare  nome  di  dittatore 
e  di  re,  e  per  sovrastar  pure  con  qualche  appellazione 
a  ogni  altro  magistrato  -.  1  tribuni  antichi  rimasero:  ma 
poiché  in  lui  si  raccolsero  tutti  i  loro  poteri,  quell'ufficio 
non  ebbe  più  alcuna  importanza  ^. 

A  destargli  nuove  simpatie  fa  usata  anche  una  malattia, 
in  cui  parve  voler  lasciare  potestà  suprema  ad  Agrippa, 
col  dargli  il  suo  anello  ^.  E  quando  la  fame  è  la  peste 
desolarono  Roma  e  l'Italia  (732)  destramente  fu  sparso 
nel  volgo  che  queste  calamità  avvenivano  perchè  non 
era  più  console  il  pacificatore  del  mondo.  Di  che  il  po- 

(")  Secondo  Dione  la  potestà  tribunizia,  già  data  in  perpetuo  anche  a 
Cesare,  fu  data  ad  Ottavio  dopo  la  vittoria  di  Azzio  e  di  Egitto  (LI,  10, 
ma  comincia  veramente  dopo  questo  decreto  del  731.  Tacito,  Ann.,  I,  9; 
Eckei,  Boctr.  mim.  vet.,  VI,  91  e  92. 

(^)  Gli  Imperatori,  scrive  Dione,  LUI,  18,  stimano  obbrobrioso  l'eser- 
citare il  tribunato  della  plebe  perchè  sono  patrizi;  ma  poi  prendono  in 
«^ò  medesimi  tutta  la  potestà  tribunizia  nel  maggior  grado  che  essa  sia 
stata  giammai;  e  secondo  la  medesima  numerano  anche  gli  anni  del  pro- 
prio impero. 

1  Svetonio,  27  ;  Dione  Cassio,  LUI,  25,  32. 

2  Tacito,  Ann.,  IH,  55. 

3  Dione  Cassio,  LIV,  30. 
*  Dione  Cassio,  LUI,  30. 

Vannucci  —  Storia  dell'  Italia  antica  —  IV.  3 


22        POTESTÀ  CONSOLARE,  E  PONTIFICATO  SUPREMO.     [Lib.  VII. 

polo  levato  a  rumore  corse  alla  Curia  con  minacce  d'in- 
cendio, se  i  padri  non  facessero  lui  dittatore.  Augusto, 
memore  degli  Idi  di  marzo,  rifiuta  il  titolo  odioso,  prega 
in  ginocchio,  s'indigna,  e,  come  colpito  da  dolore  ed  or- 
rore, si  straccia  le  vesti,  supplica  che  lo  uccidano  prima 
di  costringerlo  a  contaminarsi  con  quella  carica,  stata 
sempre  fatale  alla  libertà;  e  alla  fine,  rigettata  l'offerta, 
accetta  solo  la  soprintendenza  all'annona,  e  coll'opra  di 
Tiberio  e  di  altri  provvede  perchè  cessi  la  fame  *. 

Dopo  andò  a  ordinare  le  province  d'Oriente,  ove  si 
mostrò  in  tutta  la  potenza  di  signore  del  mondo,  gover- 
nando sovranamente  le  faccende  delle  nazioni  e  dei  re, 
accogliendo  ambascerie,  dando  e  togliendo  di  suo  arbitrio 
libertà  e  privilegio  E  poiché  in  questo  mentre  a  Roma 
erano  frequenti  i  rumori  per  l'elezione  al  posto  di  con- 
sole, lasciato  vuoto  da  lui  anche  quando  gli  fu  offerto  di 
nuovo,  egli  tornando  prese  dai  nuovi  tumulti  occasione 
a  pigliare  nuova  autorità  e  a  rivestirsi  delle  ultime  spo- 
glie della  Repubblica.  Al  solito,  sotto  sembiante  di  essere 
sforzato  dalle  preghiere,  si  fece  dare  (735)  la  potestà  con- 
solare a  vita,  e  ne  prese  tutti  i  diritti,  lasciando  il  vano 
titolo  ai  consoli  che  rimasero  esecutori  dei  suoi  comandi. 
Riprese  anche  la  irrefeitura  dei  costumi,  e  con  essa  il  di- 
ritto di  fare  e  disfare  senatori  e  cavalieri,  di  esaminare  la 
maniera  di  vivere  di  ogni  cittadino,  e  di  mettere  fuori 
su  ciò  leggi  e  riforme  quante  volesse.  Poi,  alla  morte  di 
Lepido  (741),  prese  pure  l'ufficio  di  pontefice  massimo, 
e  quindi  ebbe  anche  la  religione  e  il  sacerdozio  ai  suoi 
ordini  ^,  e  potè  far  parlare  e  tacere  Sibille,  auguri,  e  ora- 
coli di  ogni  maniera,  e  mettere  gli  Dei  dalla  sua  parte. 
Quando  spirò  il  termine  dei  suoi  straordinarii  poteri, 
si  fece  prorogare  il  comando  prima  per  cinque  anni, 
poscia  per  dieci,  e  cosi  di  seguito  fino  alla  morte,  prò- 

»  Dione  Cassio,  LIV,  1;  Velleio,  II,  9i;  Svetonio,  TiO..  8. 
2  Dione  Cassio,  LIV,  7-10,  27,  30*  Svetonio,  31. 


Gap.  I.]  IL  PRINCIPE  PADRONE  DI  TUTTO.  COMIZI.  23 


testando  sempre  contro  la  violenza  che  facevano  al  suo 
grande  amore  del  riposo.  D'onde  poi  venne  l'uso  ai  suc- 
cessori di  solennizzare  il  primo  giorno  del  secondo  de- 
cennio come  quello  del  rinnovamento  di  loro  potestà  *. 

Così  a  poco  a  poco  recò  in  sua  mano  ogni  cosa,  e 
quasi  fosse  solamente  il  principale  magistrato,  col  nome 
di  principe  ^  si  fece  padrone  di  tutto  il  governo,  conti- 
nuando sempre  a  parlare  di  Repubblica.  Fatti  dipendenti 
da  sé  i  magistrati,  comandava  a  suo  arbitrio  in  città  e 
nelle  province;  aveva  in  sua  mano  gli  eserciti,  le  leve, 
la  pace,  la  guerra,  le  leggi,  i  giudizi,  le  imposizioni  e 
l'erario,  quantunque  di  nome  appartenesse  al  senato  ^.  I 
senatori,  riformati  più  volte  come  vedemmo,  erano  ser- 
vitori pronti  a  ogni  suo  cenno.  11  popolo  aveva  ancora  i 
comizi,  ma  convocati  e  preseduti  dal  principe,  che  li  go- 
vernava a  sua  voglia.  Egli  andava  alle  assemblee,  solle- 
citava pei  suoi  candidati,  puniva  le  brighe,  e  per  agevo- 
lare la  votazione  anche  ai  lontani  sparsi  nelle  colonie, 
ordinò  che  dalle  altre  parti  d'Italia  si  mandassero  a, 
Roma  per  via  di  schede  sigillate  i  suffragi:  ma  tutto 
questo  non  era  più  che  una  vana  apparenza,  perchè  il 
popolo  non  aveva  facoltà  se  non  di  decretare  onori  al 
padrone,  era  spoghato  della  giurisdizione  penale,  e  quanto 
alle  elezioni  il  principe  faceva  sì  che  non  si  eleggesse 
nessuno  senza  il  suo  piacimento,  e  molte  volte  eleggeva 
da  se  stesso  senza  badare  ai  comizi  *. 

Per  questa  via  Augusto  a  grado  a  grado  giungeva  a 
porre  sé  stesso  in  luogo  di  tutte  le  istituzioni,  e  il  di- 
spotismo fu  stabilito  di  fatto  :  ma  la  critica  storica  or  non 
ammette  che  un  ordinamento  di  popolo  sciogliesse  il 
principe  da  ogni  obbedienza  alle  leggi,  come  affermò  Io 

1  Dione  Cassio,  LUI,  16. 

2  Tacito,  Ann..  1,  9. 

S  Dione  Cassio,  LII,  14  e  segg.,  LUI,  17,  ecc.,  LIV,  2-3,  ecc. 

4  Tacito,  Ann..  1,  15;  Svetonio,  46  e  56;  Dione  Cassio,  LUI,  -21,  LV,  34,  LVI,  40. 


24  LEGGE  REGIA.  GOVERNO  D'AUGUSTO.  [Lib.  VII. 

storico  Dione  amico  e  cortigiano  dei  despoti  (");  ne  cre- 
dasi più  alla  legge  regia,  che  poscia  i  giureconsulti  di 
Giustiniano  considerarono  come  il  titolo  legale  del  potere 
assoluto  Q). 

Lasciata  da  banda  la  questione  del  diritto,  noi  abbiamo 
davanti  il  principe  che,  quantunque  si  sdegni  contro  chi 
lo  appella  signore,  è  padrone  di  fatto,  e  rivolge  ogni 
cura  a  tenere  Roma,  l'Italia  e  le  province  obbedienti, 
e  usa  provvedimenti  e  governi  acconci  a  ristorare  la 
pubblica  quiete,  e  a  rendere  meno  dura  ai  cittadini  la 
perdita  della  libertà.  Destro  e  prudente,  tenne  mite  go- 
verno, studiò  di  far  beneficii,  e  se  ciò  non  valesse,  era 
pronto  a  usare  la  forza  delle  armi.  A  nome  della  Repub- 
blica si  sforzò  a  tutta  possa  di  mettere  l'amministrazione 
in  armonia  coi  nuovi  ordini  del  potere  assoluto,  e  a  que- 
sto mirò  colle  leggi  e  con  ogni  sua  opera.  A  governare 
e  mantenere  tranquillo  l'Impero  sommamente  importava 
la  quiete  della  popolosa  città  {').  Augusto,   oltre   ad  al- 

(«)  Dione,  LUI,  18.  Ulpiauo  {Big.,  I,  tit.  3,  31)  disse:  Princeps  lerjibus 
fiohiius  est.  E  Giustiniano  asserì  arditamente  (Instit.,  I,  2,  6)  che  qua- 
lunque cosa  piacque  al  principe  ha  forza  di  legge,  perchè  il  popolo  por 
mezzo  della  legge  regia  concesse  a  lui  tutta  la  sua  sovranità  e  potestà. 
Quod  lìrincipi  placiiit,  legis  habet  vigorem  ;  qunni  lege  Regia  quae  de 
eiu.-i  imperio  lataestj  populus  ei  et  in  emn  omne  imperium  suum  et 
ptoiestatem  concedit. 

(*)  Forti,  Istituzioni  Civili,  I,  3;  Cayx,  Eist.  de  l'Emp.  rem..  I,  pag.  83; 
e  ]\!erivale,  Hist.  ofthe  Romans  under  the  empire,  voi.  Ili,  pag.  487-490, 
il  quale  dimostra  che  la  frase  legibus  solutus  usata  ai  tempi  della  Repub- 
blica come  sotto  l'Impei'O  (Cicerone,  Pro  lege  Manilia,  21,  De  Legibus. 
II,  23,  Philipp.,  II,  13;  Svetonio,  Caes. ,  18,  e  la  legge  con  cui  Vespa- 
siano fu  inalzato  all'impero)  significò  solamente  una  dispensa  dei  magi- 
strati e  dei  principi  da  qualche  legge  particolare,  non  lo  scioglimento  da 
tutte  le  leggi,  e  che  la  legge  regia  a  cui  si  appoggiò  il  dispotismo  è 
una  invenzione  fondata  sopra  una  falsa  interpretazione. 

(^)  Sulla  popolazione  di  Roma  dissero  frasi  grandi  gli  antichi  da  cui 
trassero  conclusioni  più  esagerate  i  moderni.  Lucano  (I,  .512)  scrisse  poe- 
ticamente ,  che  la  sterminata  città  era  capace  di   contenere  tutto  il  gè- 


Cai>.  I.]  PREFETTO  URBANO.  25 

.lontanare  per  via  di  colonie  i  cittadini  o  non  favorevoli 
a  sé,  0  in  qualunque  modo  pericolosi,  détte  il  governo 
di  Roma  al  prefetto  urbano  (737),  che  creato  straordina- 
riamente in  antico,  quando  i  re  o  i  primi  magistrati  si 
allontanavano  dalla  città,  divenne  ora  permanente,  e 
come  primo  delegato  del  principe  andò  armato  di  fasci, 
di  soldati  e  di  straordinari  poteri,  per  fare  la  polizia  ge- 
nerale di  Roma,  per  reprimere  i  tumulti  e  le  novità  nello 
spazio  di  cento  miglia  all'intorno.  Ebbe  anche  facoltà  di 
ricevere  gli  appelli  dei  litiganti  di  Roma,  e  giurisdizione 
nelle  liti  tra  servi  e  padroni,  e  tra  patroni  e  clienti;  e 
nell'assenza  del  capo  supremo  potè  cacciar  di  Roma  e 
d'Italia  i  cittadini  stimati  pericolosi  alla  pubblica  quiete, 
e  trasportarli  a  sicura  custodia  in  un'isola  *.  Da  lungo 
tempo  in  Roma  non  vi  era  più  sicurezza.  Ladri  e  assas- 

nere  umano.  Il  retore  Aristide,  nel  suo  Enconiìo  di  lloraa,  disse  che  ri- 
ducendo ad  un  sol  piano  tutte  le  altissime  case  di  Roma,  ed  estendendole 
pel  territorio  avrebbero  occupata  tutta  l'Italia.  Da  queste,  e  da  altre  am- 
pollose asserzioni ,  vari  scrittori  moderni  conclusero  che  la  popolazione 
doveva  ascendere  a  4  milioni,  a  8,  e  fino  a  14.  Il  Bureau  de  la  INIalle, 
[Econom.  jtolitiqìte  dei  Romains,  livre  II,  chap.  10-12),  considerando  la 
superficie  e  la  circonferenza  della  città,  sottraendone  gli  spazii  vuoti,  come 
i  moltissimi  templi  cinti  da  boschi  sacri,  i  fòri,  i  circhi,  i  teatri,  le  ba- 
siliche, le  terme,  le  piazze  o  trivii ,  che  Plinio  (III,  9)  portò  a  265,  cal- 
cola che,  non  contando  la  popolazione  dei  suburbii,  l'antica  cerchia  di 
Servio  Tullio,  che  durava  ai  tempi  di  Augusto,  non  potesse  contenere 
più  di  300  mila  abitanti,  e  che  nell'allargamento  fatto  poi  da  Aureliano 
non  potessero  starvi  molti  più  di  560  mila,  compresi  soldati  e  stranieri; 
e  conferma  questa  cifra  col  calcolo  del  grano  che  si  consumava  ogni 
giorno  ai  tempi  di  Settimio  Severo.  All'incontro  l'archeologo  Nibby  {Roma 
antica,  voi.  I,  pag.  207,  e  segg.),  fondandosi  anch'egli  sulla  consumazione 
annua  del  grano,  stima  la  popolazione  di  Roma  a  un  milione  e  950  mila 
ai  tempi  di  Augusto,  e  a  oltre  due  milioni  quando  giunge  al  suo  colmo 
al  principio  del  secolo  terzo. 

I  Tacito,  Ann.^  VI,  10,  11;  Svetonio,  33  e  37;  Dione  Cassio,  I-II,  21;  Gellio,  XIV,  8; 
Ulpiano,  De  Ofpc.  praef.  urb.^  Digest .^  1,  12,  1  ;  Corsini,  De  praefectis  urbiSj  Pisis  1766  ; 
Cardinali,  Intorno  la  serie  dei  prefetti  di  Roma^  Velielri  1S36  ;  Franke,  De  f,raefectura 
urbis  capita  duo^  Berlin  1850. 


2G  POLIZIA  E  ORDINAMENTO  MUNICil'ALE  DI  RO^IA.     j  Lib.  VII. 

siili  infestavano  le  vie;  né  la  gente  poteva  andare  tran- 
quilla nel  Campo  Marzio  a  uno  spettacolo,  se  per  tutta 
la  città  non  erano  disposte  guardie  a  difender  le  case  *. 
Augusto  represse  energicamente  questi  disordini,  e  come 
non  bastava  più  la  ordinaria  polizia  degli  edili,  ordinò 
guardie  di  nuove  maniere.  Partì  in  undici  regioni  tutto 
lo  spazio  racchiuso  dentro  alle  mura,  e  denominato  pro- 
priamente città  (Urhs),  e  in  tre  quello  dei  suburbii  sino 
all'estremità  dei  quali  estendevasi  il  nome  diRoma("): 
•poi  suddivise  le  14  regioni  in  205  vici  -,  o,  come  oggi 
diremmo,  contrade  o  quartieri,  e  sa  questa  divisione 
fondò  un  nuovo  ordinamento  municipale,  preponendo  a 
€gni  regione  un  pretore  o  tribuno  o  questore  incaricato 
dell'alta  amministrazione.  Sotto  di  essi  stavano  14  cura- 
tori, da  cui  dipendevano  altrettanti  minori  ufficiali  (de- 
nunciatorcs)  aventi  la  cura  di  trasmettere  gli  ordini  su- 
periori ai  quattro  capi  di  ogni  vico  {magistri  vicorum), 
che  avevano  1060  schiavi  al  loro  servizio.  Xon  sappiamo 
le  particolari,  funzioni  di  questi  vari  ufficiali  eletti  in  ogni 
quartiere,  ma  dei  capi  dei  vici  è  certo  che,  tra  le  altre 
cose,  facevano  la  polizia  dei  mercati,  vegliavano  all'onestà 
del  comprare  e  del  vendere,  e  che  erano  al  tempo  stesso 
magistrati  municipali  e  sacerdoti  dei  Lari  {^).  Dovevano 


C)  U/-bis  appellatio  muris,  Romae  autem  continentlbus  aedi/ìciii  fi- 
nitw,  quod  latius  patet.  Paolo,  Digest.,  L,   IG,  2. 

('')  Porfirione  e  Acrone,  Ad  Horat.  Sat.,  II,  3,  281;  Eggcr,  Recìierches 
nouvelles  sur  l'histoire  des  institutions  municipales  chez  les  Romains, 
neWExaìnen  des  historiens  anciens  d' Auguste ,  pag-.  359,  ecc.  Svetonio 
(30),  e  Dione  Cassio  (LV,8)  affermano  che  i  magistri  vicorum  furono 
istituiti  da  Augusto,  ma  se  ne  ha  menzione  anche  in  Cicerone  (In  Pison., 
4)  e  in  Eivio  (XXXIV,  7):  e  un'iscrizione,  trovata  di  recente  a  Pompei, 
dichiara  la  istituzione  anteriore  ad  Augusto,  il  quale  forse  non  fece  altio 
ohe  ordinar  meglio  questa  niagistratui'a,  dandole  la  dignità  di  due  littori 

'  Svetonio.  32. 

«  .Svetonio,  30;  Dione  Cassio,  LV,  8;  l'iinio,  III,  9. 


Gap.  I.j      vigili  E  PRETORIANI  A  GUARDIA  DELLA  CITTÀ.  27 

anche  vegliare  contro  agli  incendii  frequenti:  ma  come 
a  ciò  non  erano  bastanti  gli  schiavi  posti  sotto  di  essi, 
fu  provveduto  con  istituzione  più  efficace  ordinando  sette 
coorti  di  vigili  (7  mila  uomini)  o  guardie  notturne,  le 
quali  poste  a  quartiere  in  luoghi  determinati  presso  alle 
mura  e  alle  porte,  suli'Esquilie,  sul  Viminale,  sull'Aven- 
tino, sul  Celio,  in  Trastevere  e  altrove,  sotto  il  governo 
di  un  particolare  prefetto  avevano  il  carico  di  guardare 
ciascuna  a  estinguer  gT  incendii  in  due  regioni,  di  tener 
l'occhio  ai  ladri,  e  di  impedire  o  reprimere  ogni  disor- 
dine (").  A  presidio  della  città  Augusto  ordinò  anche  sei- 
mila uomini  divisi  in  quattro  coorti  urbane,  come  a  guar- 
dia di  sua  persona  pose  cavalieri  Germani  e  Batavi,  e 
diecimila  pretoriani  partiti  in  nove  e  poscia  in  dieci  coorti 
levate  dall' Etruria,  dall'Umbria,  dal  Lazio  e  dalle  colonie 
antiche  ,  tre  delle  quali  stanziarono  in  Roma  e  le  altre 
ne'  luoghi  vicini,  d'onde  potevano  esser  pronte  ad  ogni 
occorrenza  '.  Assicurò  la   città   anche   dalle  inondazioni 


e  riacarico  di  ■orvegliarc  cogli  edili  alla  estinzione  degli  incendii.  Vedi 
Fiorelli,  Giornale  degli  scavi  di  Porajjei,  1861,  n.°  1,  pag.  2-4,  il  quale, 
confrontando  la  suddetta  epigrafe  pompeiana  con  la  782  dell'Oi-elli,  fissa 
all'anno  707  la  prima  istituzione  dei  ìnagistri  vicorum. 

(«)  Dione  Cassio,  Lll,  24,  LIV,  2,  LV,  8  e  26;  Digest.,  lih.  I,  tit.  15. 
§  1  e  3,  De  Officio  Praefecti  Yigilum.  Di  queste  guardie  di  polizia  par- 
lano molte  epigrafi  colle  quali  e  con  altri  monumenti  ai  tempi  nostri  fu 
dato  di  determinare  il  sito  della  maggior  parte  di  loro  stazioni.  Vedi 
Kellermann,  Yig^liim  Romano ì-um  lalercula  duo  caelimontana ,  ecc.  Ro- 
mae  1835;  Borghesi,  in  Bullett.  Istit.,  1835,  pag.  170-176 ;"G.  B.  De  Rossi. 
Le  stazioni  delle  sette  coorti  dei  vigili  nella  città  di  Uomo,  in  Annal. 
Islit.  ,  1858,  pag.  265-297,  e  391-392;  Henzen,  in  Bullett.  Istit. ,  1867, 
pag.  8-30,  ove  si  parla  della  scoperta  della  stazione  della  settima  coorte 
in  Trastevere,  e  precisamente  nella  contrada  detta  Monte  di  Fiore.  Una 
iscrizione  parla  dei  vigili  anche  in  Numidia.  Vedi  De  Vit.,  in  Bidl.  Istil.. 
1868,  pag.  63. 

1  Dione  Cassio,  LV,  23-21,.  LAI,  23;  Svetonio  Ai'g..  \<d.,  C'aìirj.,  A3,  Galba,  12;  Tacito, 
A)!)ì.,  L  2i,  e  IV.  5. 


23 


TEVERE,  ACQUIDOTTI,  ACQUA  VERGINE. 


[  LiB.  VII. 


del  Tevere,  allargandone  e  purgandone  l'alveo;  deputò 
nuovi  magistrati  a  curare  gli  edifizi  pubblici,  le  vie,  gli 
acquidotti  (■'):  e  a  seconda  dei  suoi  desiderii  Agrippa 
autore  di  tante  opere  pubbliche  condusse  in  città  V Acqua 
Ycrfiine  (735),  la  quale,  allacciata  all'ottavo  miglio  della 


(Canina^  Elif  ^  I\,  2i3) 

via  Collatina,   per  vie  sotterranee,  e  sopra    archi  e  so- 
struzioni monumentali,   dopo  14  miglia  di  corso,  venne 

(«)  Dione  Cassio,  LI V,  8.  11,  23;  Orazio,  Od.,  I,  2,  13  e  segg;  Svetonio, 
30,  37,  42.  Agrippa,  che  foce  tanti  acquidotti  e  tante  fontane,  ne  prese 
dapprima  la  cura  egli  stesso.  Poscia  Augusto  ne  fece  una  magistratura 
onorevole,  e  T ufficiale  incaricato  di  essa  si  chiamò  curator  aquarum. 
Frontino,  che  più  tardi  fu  curatore  delle  acque,  ha  conservato  il  catalogo 
di  tutti  quelli  che  lo  precedettero.  Vi  furono  anche  due  corporazioni 
(familicn)  istituite  pel  mantenimento  degli  acquidotti,  una  delle  quali  si 
componeva  di  fontanieri,  di  ispettori,  di  muratori,  ecc.,  e  l'altra  di  pub- 
blici servi,  designati  col  nome  di  aquarii.  Frontino,  De  Aquaediici.. 
98-116.  Ve<U  anche  Orelli,  Inscript.,  3203. 


Gap.  I.]    ANNONA,  E  LEGGI  A  SOSTEGNO  DEL  PRINCIPATO.  29 

ad  abbeverare  uno  dei  più  popolosi  quartieri  di  Roma, 
ed  è  quella  stessa  che  oggi  nutrisce  la  grande  fontana 
di  Trevi  (").  E  mentre  si  dava  cura  dell'acqua,  il  principe 
pensò  anche  al  pane,  e  fu  studiosissimo  di  impedire  le  ca- 
restie col  provvedere  al  pronto  trasporto  dei  grani.  Dap- 
prima prese  cura  in  persona  di  questa  grave  faccenda; 
poi  nominò  deputati  straordinarii  nei  casi  urgenti,  e  pose 
un  prefetto  permanente  a  presedere  all'annona  con  ampia 
giurisdizione  sui  mercati  e  sugli  edili  cereali  K 

Tolto  al  popolo  quasi  ogni  potere  legislativo  ed  elet- 
torale, scelse  da  sé  i  magistrati  più  importanti,  e  pose 
mano  a  fare  in  altro  modo  le  leggi  necessarie  al  nuovo 
ordine  per  lui  stabilito.  Usò  di  una  specie  di  consiglio 
di  Stato,  composto  di  senatori,  di  cavalieri,  di  magistrati 
e  di  familiari  a  se  più  devoti,  dapprima  di  15  membri, 
poscia  di  venti,  rinnovati  dalla  sorte  ogni  semestre,  ai 
quali  chiedeva  avviso  su  ciò  che  voleva  ordinare,  e  le 
cose  deliberate  da  essi  nella  casa  imperiale  da  ultimo 
ebbero  autorità,  come  se  le  avesse  sancite  il  senato  -. 
All'assemblea  generale  dei  padri  rimaneva  poco  più  che 
approvare  le  voglie  del  principe,  le  quali  egli  poscia  pub- 
blicava col  nome  di  senati-consulti. 

A  tempo  della  Repubblica  i  pretori,  che  coi  loro  editti 
supplivano  e  correggevano  il  diritto  civile  3,  qualche  volta 
con  finzioni  legali  interpetravano  le  leggi,  o  ne  eludevano 
le  disposizioni  per  favorire  i  patrizi.  Augusto,  fermo  a 
prendere  dagli   ordini  della  libertà  ciò  che  fosse  buono 

(")  Nibby,  Dintorni  di  Roma.  voi.  Ili,  pag.  466-472.  L'epigrafe  dice 
che  Claudio  rifece  gli  archi  dell'acquidotto  guastati  da  Caligola.  L'Acqua 
Vergine,  al  dire  di  Frontino  {De  Aquaed,  10),  ebbe  questo  nome  perchè 
la  sua  sorgente  fu  indicata  da  una  giovinetta  [puella  virgunculo).  Coni". 
Plinio,  XXXI.  25,  e  Cassiodoro,    Yarr.,  VII,  6. 

1  Svetonio,  37,  41  ;  Dione  Cassio,  LI,  21,  LII,  91,  LUI,  2S,  LIV,  1,  LV,  3,  10,  26  e  13. 

2  Dione  Cassio,  LUI,  21,  LVI,  28  e  41  ;  Svetonio.  35. 

3  Vedi  Reddie,  De  edictis  praeCorum,.  Gottingae  1S25. 

V  <  j  j       CI  —  Storia  deW Italia  antica  —  IV.  4 


30  I  GIURECONSULTI  CAPITONE  E  LABEONE.        [  Lib.  VII. 

a  fondare  gli  ordini  del  principato,  stabilì  nuovi  principii 
di  legislazione  sotto  il  nome  degli  autori  delle  leggi  re- 
pubblicane, e  coi  suoi  editti  alterò  le  leggi  antiche  e 
anche  quelle  pubbUcate  da  lui  stesso*.  E  così  sotto  co- 
lore di  riformare  la  giurisprudenza,  la  trasformò  e  la  go- 
vernò a  sua  volontà.  A  questo  usò  anche  l'opera  dei  giu- 
reconsulti, cui  dette  facoltà  di  decidere  sulle  questioni  di 
diritto,  e  impose  ai  giudici  di  stare  ai  loro  responsi-. 
Per  recare  alla  sua  parte  i  giureconsulti  più  valenti,  e 
farli  strumenti  di  sua  potenza,  li  allettò  con  gli  onori, 
ed  ebbe  con  se  Aulo  OiìUo  già  familiarissimo  a  Cesare, 
P.  Alfeno  Varo  di  Cremona  uomo  dottissimo  ',  e  détte 
il  consolato  a  C.  Ateio  Capitone,  il  quale  quanto  splen- 
deva per  sapienza  di  leggi,  tanto  cadde  in  dispregio  del- 
l'universale  per  le  sconce  adulazioni,  e  per  l'aiuto  che 
dette  al  dispotismo  con  sue  turpi  sentenze,  e  ne  fu  pu- 
nito poscia  anche  col  non  essere  quasi  mai  citato  dai 
successivi  giureconsulti,  quantunque  prevalesse  la  tiran- 
nide, di  cui  egli  si  era  fatto  sostenitore  *.  Ma  altri  sde- 
gnarono di  mettere  la  scienza  delle  leggi  a  puntello  del 
trono,  e  tra  tutti  andò  celebrato  per  incorrotta  libertà 
M.  Antistio  Labeone,  figlio  di  padre  morto  coi  Repubbli- 
cani a  Filippi^;  il  quale,  sovrano  luminare  della  scienza, 
autore  di  un  numero  grande  di  libri,  e  tenacissimo  delle 
antiche  dottrine,  ebbe  gloria  maggiore  dalla  persecuzione 
del  principe,  i  cui  voleri  combattè  gagliardamente  in 
ogni  occorenza,  e,  stando  sempre  per  le  sentenze  più  li- 
bere, perpetuò  coi  suoi  seguaci  la  resistenza  alle  dottrine 


>  Gibbon,  History  of  the  Decime  and  Fall  of  the  roman  emprre,  .hap.  41;  Xougarède, 
Jlistoire  da  siede  d'Anguale^  I,  19. 

2  l'.ach,  Historia  Jurinprud.  Rom.,  seetio  V,  §  3. 

3  Cicerone,  Ad  Famil.,  VII,  21;  Pomponio,  Dig.^  I,  2,  2,  41;  Gelilo,  VI,  5.  Conf.  Vir- 
Kilio,  Ecl.^  VI,  10,  e  Servio,  wi  e  113. 

4  Tacito,  Arm.^  Ili,  70  e  75;  Dione,  LVII,  17;  Svetonio,  Gramm.^  22;  Hugo,  Hist.  du 
dfoit  romain,  §  324.  Sulla  sua  dottrina  vedi  Gelilo,  X,  20;  Macrobio,  «SafKrn.,  VII,  13, 

r.  Avi^iano,  IV,  ]'-:. 


Gap.  I.]  RIORDINAMENTO  DEI  TRIBUNALI.  31 

del  dispotismo,  e  nella  tirannide  insegnò  agli  uomini  di 
legge  a  mantenere  libertà  e  dignità  {''). 

Augusto  pensò  alla  giustizia  e  riordinò  i  tribunali,  e 
stabili  quanti  e  quali  dovessero  essere  i  giudici,  e  come 
e  quando  avessero  a  tenere  i  giudizi.  Come  per  la  legge 
Aurelia  vi  erano  tre  decurie  o  classi  di  giudici  (cavalieri, 
senatori  e  tribuni  dell'erario),  egli  ne  aggiunse  una  quarta, 
composta  di  quelli  censiti  in  200  mila  sesterzi,  cui  affidò 
le  cause  minori,  e  portò  a  quattromila  il  numero  dei 
giudici,  dei  quali  egli  stesso  come  prefetto  dei  eostiimì 
faceva  la  lista  ^  Fu  lodato  di  avere  procurato  buona  giu- 
stizia e  provvisto  contro  la  corruzione  dei  giudici  '^.  Pure 
lo  vediamo  talvolta  anche  in  questo  essere  parziale  ai 
suoi  fautori,  e  sottrarre  alle  pene  i  colpevoli,  e  sotto  co- 
lore di  pubblico  bene  governarsi  con  risentimenti  pri- 
vati, e  far  condannare  gli  assenti  difesi  dalle  leggi.  Dietro 
accusa,  o  di  proprio  moto,  era  assiduo  a  tenere  ragione 
coi  titoli  di  console,  di  proconsole  e  di  imperatore,  che 
gli  davano  l'autorità  del  sangue.  Riceveva  gli  appelli  dai 
tribunali  minori,  giudicava  i  soldati  nelle  cause  in  cui 
ne  andava  la  testa  o  la  fama.  Intervenne  nei  tribunali 
per  assistere  gli  amici,  per  fare  da  interrogatore  e  da 
testimone,  e  per  temprare  la  foga  degli  accusatori:  usò 
anche  di  aggiungere  il  suo  voto  a  c|uello  degli  assolventi, 
come  secondo  il  mito  greco  dicevasi  aver  fatto  Minerva 
ad  Atene  nel  processo  d'Oreste  ^i  colla  qual  cosa  si  im- 


{")  Tacito,  loc.  cif.:  Dione  Cassio,  LIV,  15;  Svetonio,  54;  Macrobio,  III, 
9;  Gelilo,  XIII,  10  e  12;  Bach,  loc.  cit.,  6-8.  I  frammenti  di  Labeone  sono 
in  Hommel,  Palingenesia  libr.  iur.  vet.,  Lipsiae  1767,  p.  321-338,  e  in 
Huschke,  luHspriid.  anie-iustin.,  I,  43-48,  e  II,  44-50.  Vedi  anche  C. 
Thomasius,  Comparatio  Labeonis  et  Capitonis,  Lipsiae  1683;  C.  v.  Eck. 
De  vita  Labeonis  et  Capitonis,  Franeker  1692,  e  Biener,  Antistius  Labeo 
iuris  civilis  nocaior,  nei  suoi  opuscoli,  Lipsiae  1830,  I,  pag.  196-213. 

>  Plinio,  XXXIII,  7;  Svetonio,  32;  Gellio,  XIV,  2.  C'onf.  Svetonio,  Caes.^  41. 

2  Dione  Cassio,  LIV,  3. 

»  Eschilo,  Eumenidi^  734  e  segg.;  Dione  Cassio.  LI,  19. 


32 


RIFORME  RELIGIOSE. 


[LiB.  VII. 


padroni  del  diritto  di  grazia  :  e  talvolta  apparve  sì 
crudo,  che  Mecenate  per  tirarlo  a  pensieri  più  miti  lo 
chiamava  carnefice  *. 

e  le  sue  riforme 


Le  sue   leggi 


Il  suffragio  di  Minerva 
{Winckebnann.  Monum.  ant.  ined.j 


151). 


furono  rivolte  a  rior- 
dinare la  religione,  lo 
Stato,  la  famiglia,  i 
costumi,  e  ad  arric- 
chire l'erario.  Dive- 
nuto pontefice  mas- 
simo e  padrone  di 
tutte  le  cose  sacre  ("), 
attese  a  rimettere  in 
onore  le  credenze  an- 
tiche, studiandosi  di 
purgarne  le  fonti  col 
bruciar  moltissimi  li- 
bri di  profezie  greche 
e  latine,  e  col  con- 
servare santamente 
nel  tempio  di  Apollo 
soltanto  i  sibillini,  re- 
putati autentici.  Ban- 
di dal  pomerio  le  su- 
perstizioni    egiziane 


già  cacciate  altre  volte,  accrebbe  il  numero  e  i  privilegii 
dei  sacerdoti,  restaurò  e  inalzò  in  Roma  numero  grande 


C')  Dione  Cassio,  LUI,  17,  LIV,  27.  Suireserapio  di  Augusto  anche  gli 
altri  imperatori  vollero  aver  parte  a  tutti  i  sacerdozii.  Da  medaglie  ed 
epigrafi  si  vede  che  quasi  tutti  furono  ascritti  tra  gli  Arvali.  Nerone 
dicesi  cooptatus  in  omnia  collegia:  Domiziano  è  Sacerdos  collegiorum 
omnium:  Commodo  assumptiis  est  in  omnia  collegia  sacerdotalia,  ecc. 
Marini,  Arval.  I,  153,  154;  Lampridio,  Commod.,  12;  Borghesi,  Osser- 
vazioni numismatiche,  decade  VII,  nel  Gior.  Arcad.,  voi.  XV,  p.  325,  ecc. 


I  Svetoriio,  56;  Dione  Cassio,  LII,  31,  LIV,  3  e  30,  LV,  4  e  47. 


Gap.  I.]    TEMPLI,  FESTE,  RELIGIONE  STRIAIENTO  POLITICO.  33 

di  templi  (''),  li  fece  ricchi  d'oro  e  di  gemme  ed  eccitò  i 
cittadini  opulenti  ad  aiutarlo  in  quest'opera,  cui  pose 
mano  anche  Livia  sua  moglie;  istituì  nuove  feste,  rimise 
in  onore  il  culto  dei  vecchi  numi  e  dei  Lari  e  di  Vesta, 
divinità  tutelari  dello  Stato  e  della  famiglia  ;  di  Vesta 
trasportò  il  santuario  in  sua  casa:  ai  Lari  cui  l'adulazione 
accoppiò  anche  il  culto  del  Genio  del  principe,  egli  fece 
rimettere  nei  quadrivi!  le  statue  ordinando  che  la  gente 
del  vicinato  le  adornasse  di  fiori  in  primavera  e  in  estate: 
e  nel  737  celebrò  con  gran  pompa  la  solennità  secolare 
cantata  da  Orazio  K  Augusto,  non  credente  agli  Dei,  di 
cui  all'occasione  si  era  stranamente  burlato  parodiando 
in  un  convito  1'  Olimpo,  e  cacciando  Nettuno  dal  tempio 
dopo  la  perdita  dell'armata  in  una  tempesta-,  usava  la 
religione  come  strumento  di  politica,  e  da  essa,  secondo 
l'uso  di  tutti  i  potenti,  fece  consacrare  il  suo  dispotismo: 
e  coir  edificazione  di  un  tempio  a  Marte  Ultore  nel  suo 
Fóro  santificò  le  sue  vendette  sui  Repubbhcani  a  Fi- 
lippi (''),  e  con  are  alla  Pace  e  alla  Salute  celebrò  la  quiete 
e  la  prosperità  pubblica  da  lui  procurate  ^.  Ma  la  religione 
macchina  dello  Stato  aveva  le  sue  molle  consunte;  non 

C^)  Nel  monumento  di  Ancira  (IV,  21)  è  ricordato  che  costruì  o  restaurò 
82  templi.  Virgilio  esagerando  gliene  fa  consacrare  trecento.  Ovidio  [Fast., 
II,  63)  lo  invoca:  templorum  positov,  templorum  sancte  repostor:  e  Li- 
vio (IV,  20)  lo  dice:    templorum  omnium  conditorem   aut   restitutorem. 

(*)  Svetonio ,  29;  Ovidio,  Fast..  V,  .551.  Per  l'imagine  dei  ruderi  del 
tempio  vedi  Canina,  Ediflzii,  voi.  II,  tav.  103  ;  Reber,  Die  Ruinen  Roms , 
pag.  160.  Leipzig  1863;  Burn,  Rome  and  the  Campagne,  pag.  132,  Lon- 
don 1871.  Di  \m  altro  tempio  a  Marte  Ultore  sul  Campidoglio  parla 
Dione  (LIV,  8),  e  vi  sono  medaglie  che  ne  danno  l'imagine  colla  leg- 
genda: MAR.  ULT.  Vedi  Donaldson,  Architect.  Niunism.,  pag.  94. 

1  Svetonio,  29,  31  ;  Dione  Cassio,  LUI,  2,  LIV,  18  e  27;  Virgilio,  Aen.,  Vili,  716  ;  Ovi- 
.lio,  Faxt.,  IV,  919,  V,  147,  157,  VI,  637;  Velleio,  11,89;  Orazio,  Od.,  IV,  5,34,  e  Carni, 
saec;  Egger,  Examen  des  historiens  d'Aug.j  pag-  359,  ecc. 

2  Svetonio,  16,  70. 

3  Ovidio,  Fast.^  1,709,  e  III,  SS2;  Momim.  Ancyr.,  IV,  21  ;  Svetonio,  29;  Eckel,  Doctr. 
mini,  vet..,  VI,  92. 


34  VESTALI.  [LiB.  VII. 

credevano  ne  sacerdoti  ne  popolo,  e  i  soli  Dei  venerati 
e  temuti  d'ora  in  poi  divenivano  gli  imperatori,  potenti 
a  divertire  e  a  sfamare,  ad  imprigionare  e  ad  uccidere. 
Non  si  trovavano  neppure  pili  donne  libere  che  volessero 
consacrarsi  al   culto   di  Vesta,  e   perchè  il  fuoco   sacio 


Temiiio  di  Marte  Ultore  nel  Fóro  d'Augusto  {Canina  e  Rchey). 

non  si  s]>egnesse,  bisognò  ammetter  con  legge  le  figiic 
dei  liberti  al  ministero,  stato  per  tanti  secoli  il  più  ve- 
nerato di  Roma  '.  Ed  Augusto  non  riusci  nell'opera  sua, 

•  Dione  Cassio,  I.V,  22. 


Gap.  I.]         RIFORMA  MORALE.  COSTUMI  DEL  PRINCIPE.  35 

perchè  non  vi  ha  potenza  capace  a  comandare  le  cre- 
denze: e  i  poeti  increduli,  che  celebrarono  lui  ristoratore 
della  religione  degli  avi ,  mentirono  sconciamente  per 
adulare  al  forte  padrone. 

Fallì  del  pari  anche  nella  tentata  riforma  morale,  con 
cui  volle  richiamare  alla  purezza  antica  i  rotti  costumi. 
Egli  menava  semplice  vita;  parco  nel  cibo  e  nel  vino, 
modesto  nelle  masserizie.  È  detto  che  usò  cibarsi  di  cose 
quasi  volgari,  come  cacio  vaccino,  piccoli  pesci,  e  pane 
di  seconda  qualitcà  che  mangiava  in  qualunque  luogo  gli 
venisse  appetito.  Alle  sue  cene  ove  con  Virgilio  e  Orazio 
erano  sempre  senatori  e  cavalieri  faceva  servire  tre  vi- 
vande con  piccola  spesa,  e  sei  quando  volea  far  scialo. 
Ed  era  l'ultimo  a  mettersi  a  tavola  e  il  primo  a  levarsi. 
Trascurato  nel  vestirsi,  e  nell'acconciarsi:  non  portò  mai 
altre  vesti  che  quelle  fatte  in  casa  da  Livia  e  da  Giulia. 
Per  più  di  quarant'anni  abitò  sul  Palatino  la  casa  stata 
già  dell'oratore  Ortensio,  piccola  e  male  agiata,  senz'al- 
cun  ornamento  di  marmi,  con  letti  e  tavole  e  addobbi 
che  a  questi  tempi  si  sarebbero  disdetti  a  qualunque 
privato  cittadino  :  e  ivi  dormi  sempre  nella  medesima  ca- 
mera d'estate  e  d'inverno  *.  Ma  in  altre  cose  i  suoi  co- 
stumi non  potevano  esser  proposti  a  modello,  ed  è  chiaro 
che  i  suoi  precetti  venivano,  non  da  amore  di  virtù,  ma 
da  ragione  di  Stato.  Femminiero  e  turpemente  libidinoso 
fino  da  giovane,  anche  provetto  andava  alle  donne  altrui 
e  faceva  adulterii  per  politica,  come  dicevano  gli  amici, 
volendo  per  mezzo  delle  mogli  scoprire  gli  intendimenti 
dei  mariti.  Teneva  mezzani,  facevasi  procacciare  le  donne 
anche  da  Livia  sua  moglie.  Amoreggiò  la  moglie  di  Me- 
cenate suo  primo  ministro,  e  per  lei  scemò  l'affetto  al 
marito  ^.  Onde  i  cittadini  cui  era  nota  la  vita  dell'austero 


»  Svetonio,  72-79.  Per  la  casa  del  Palatino  vedi  Canina,  Edi/tzii  ^       il.  IV,   lav.  298- 
302;  e  Parker,  The  Archeoìogy  of  Rome.  —  Palatine  Hiìl.  toni.  I,  p,-\;ie  II,  fd.  3. 
2  Svetonio,  63,  Ò3,  71  ;  Dione  Cassio,  LIV,  V,  e  19,  T.VI,  43:  Zoi!.?-a,  X.  38 


36 


ORDINI  CONTRO  I  CELIBI. 


[LiB.  VII 


censore,  non  curandone  le  parole,  dagli  esempi  pigliavano 
autorità  a  rimanere  in  loro  corrotti  costumi.  E  quindi 
riuscivano  inutili  le  sue  leggi  per  frenare  il  lusso  dt-i 
conviti,  per  bandire  gli  adulterii  e  gli  stupri,  e  per  or- 
dinare i  matrimoni,  e  rimettere  la  santità  nei  costumi 
domestici  *. 
Principalissime    di   tutte    le    sue    leggi    furono    ciuelle 


Ruderi  della  casa  di  Augusto  sul  ralatinc  {I'ai-ìu;r 


contro  i  celibi,  aventi,  al  tempo  stesso,  fine  morale,  li- 
scale  e  politico.  La  legge  Giulia  sui  matrimoni ,  e  la 
Papia  Poppea,  che  poscia  fu  complemento  di  essa,  inllis- 

1  Svctùnio,    3i;   Oellio,    II,  21;   Dione,    LIV,  IG,  T,VI,  2-9.  Conf.  Orazio,  0('.j  IV,  b, 
22,  ecc.,  e  IV,  15,  10. 


Cap.  1.]  ORDINI  CONTRO  I  CELIBI.  37 

sero  pene  gravissime  a  chi  ad  una  data  età  non  avesse 
preso  moglie,  né  procreato  figliuoli.  Non  trascurò  nulla 
per  indurre  i  cittadini  a  dar  prole  allo  Stato;  recitò  in 
pieno  senato,  e  fece  nota  al  popolo  per  via  di  un  editto 
Forazione  di  Q.  Metello  sulla,  necessità  d'aumentare  la 
prole  1;  mostrò  pubblicamente  Germanico  beato  di  sua 
figliuolanza.  Per  facilitare  i  matrimoni  permise  agli  inge- 
nui, che  erano  più  delle  femmine,  di  unirsi  a  liberto;  per 
incoraggiare  le  donne  vietò  che  alle  mogli  si  alienasse  la 
dote,  e  a  spavento  di  quelli  che  rompessero  la  fede  giu- 
rata, e  invadessero  l'altrui  proprietà,  punì  di  esilio  gli 
adulteri,  rilegati  in  un'isola  e  spogliati  della  metà  di  loro 
beni  2.  Ma  il  corrotto  costume  era  di  grande  ostacolo 
alla  legge  che  comandava  le  nozze:  e  bisognò  tenerla  so- 
spesa più  anni,  e  poscia  fu  elusa  e  frodata;  perchè  se 
alcuni  per  non  cadere  nelle  pene  presero  moglie,  sposa- 
vano fanciulle  di  età  non  atta  a  figliuoli,  e  le  rimanda- 
vano spesso.  Onde  fu  mestieri  che  altra  legge  dichiarasse 
l'età  necessaria  alle  donne  per  essere  spose,  e  rendesse 
più  gravosi,  più  difficili  e  meno  frequenti  i  divorzi  3.  Con- 
tinuarono lungo  tempo  i  rumori,  e  aijche  i  motti  e  le 
satire  contro  il  principe  libertino,  che  si  faceva  legisla- 
tore di  severo  costume.  Perlochè  egli  pieno  di  sdegno, 
quando  si  sentì  più  assicurato  nella  sua  potenza,  adunò 
nel  Fóro  i  recalcitranti,  separò  gii  ammogliati  dai  celibi, 
e  veduto  essere  molti  più  questi  di  quelli,  fece  lodi  e 
rampogne,  mescolò  pene,  premi  e  minacce,  f^odò  e  ri- 
compensò quelli  che  generando  figliuoli  davano  sostegni 
alla  patria:  e  ai  celibi  fece' in  capo  un  rumore  grande,  e 
disse  non  essere  né  uomini,  né  cittadini,  né  Romani,  ma 
scellerati  che  spegnevano  i  nomi  famosi,  e,  per  quanto 
era  da   essi,   distruggevano  Roma.  Più  tardi  (762)  pro- 

1  Svetonio,  89;  Livio,  Epit..  59.  Conf.  Gellio,  I,  6. 

2  Svetonio,  34;  Dione  Cassio,  LI  V,  16;  VVmìo,  Episl.^Yl,  31;  Fa.oìo,  Seììteìit.j  11,20.51. 

3  Svetonio,  loc.  cit.  ;  Dione,  LVI,  7;  Paolo,  Dig.^  XXIV,  2,  9. 

Vannccci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  5 


38  LEGGE  PAPIA  POPPEA.  [Lib.  VII. 

mulgò  definitivamente  contro  il  celibato  la  legge  Papia 
Poppea,  così  detta  per  maggiore  stranezza  dal  nome  di 
due  consoli  celibi,  M.  Papio  Mutilo,  e  Q.  Poppeo  Secondo  *. 
Ai  maritati  con  prole  essa  dava  amplissimo  diritto  all'e- 
redità, e  ricompense  quali  non  si  concessero  mai  a  niuna 
virtù:  privilegi  alle  donne  madri  a  più  figli;  ai  mariti 
luogo  distinto  in  teatro,  e  più  magistrati;  liberato  da  ogni 
personale  gravezza  chi  avesse  tre  figli  vivi  in  Roma,  4 
in  Italia,  S.nelle  province;  ai  Latini  con  figliuoli  il  diritto 
alla  cittadinanza  romana.  Tra  i  consoli  data  la  prece- 
denza non  al  più  vecchio,  come  era  uso  in  antico,  ma 
al  padre  di  molti  figliuoH.  Dall'altra  parte  ordinava  che 
gli  uomini  non  ammogliati  sotto  i  sessant'anni,  e  le  donne 
non  maritate  sotto  i  cinquanta,  non  potessero  ereditare 
se  non  dai  parenti  più  stretti;  e  che  i  coniugi  senza  fi- 
gliuoli avessero  solo  la  metà  delle  cose  lasciate  loro  per 
testamento.  Erano  ingiuste  le  ricompense,  ingiuste  le 
pene,  che  per  ragione  di  nozze  e  di  figli  davano  o  to- 
glievano i  pubbUci  uffici,  dovuti  ad  altri  meriti  e  ad  altre 
Aàrtù.  Se  era  giusto  liberare  dalla  tutela  perpetua  le 
donne  feconde, «era  ingiusto  negare  questo  sgravio  a 
quelle  che  non  avevano  potuto  trovare  un  marito,  o 
erano  per  natura  infeconde.  Infine  era  ordinato  che  le 
eredità  tolte  ai  celibi  e  agli  orbi  andassero  al  pubblico 
erario  («).  E  l'intento  fiscale  della  legge  fu  raggiunto  pie- 

{")  Tacito,  Aìin.,  Ili,  25,  28,  e  XV,  19;  Svetonio,  34;  Gdlio,  II,  15; 
Giovenale,  IX,  87;  Gaio,  Instit.,  Il,  111,  144,  286;  Ulpiano,  Fragm. , 
XXIV,  3;  Nougarède,  III,  17;  Guarini,  La  Finanza  del  pop.  rom.,  pag.  34 
e  nota  155  e  seg.;  Merivale,  IV,  pag.  41.  L'Eineccio  raccogliendo  i  fram- 
menti degli  antichi  giureconsulti  e  le  notizie  della  storia  ricompose  tutte 
le  disposizioni  della  legge.  —  Anche  a  tempo  di  repubblica  vi  erano  im- 
posizioni sui  celibi,  ma  più  comportabili.  I  non  ammogliati  pagavano  una 
multa  che  dicevasi  uxorium;  e  un'altra  detta  viduvium  pagavasi  dalle  ve- 
dove che  non  volevano  rimaritarsi.  Vedi  Valerio  Massimo,  lì,  9,  1  ;  Pesto 
alla  voce  Uxorium,  e  il  commento  dello  Scaligero  a  questa  medesima  voce. 

>  Dione  Cassio,  LVI,  10. 


Gap.  L]  imposizioni  E  SCIENZA  FISCALE.  m 

namente.  Una  turba  di  delatori,  eccitati  dai  premi,  all'ap- 
pello del  principe  corsero  zelantissimi  a  denunziare  le 
eredità  lasciate  a  persone  senza  nozze  o  senza  figliuoli; 
e  scoppiò  un  nuovo  flagello  che  empì  di  terrore  le  fami- 
glie: e  mentre  s'impinguava  l'erario,  furono  sconvolte 
le  fortune  di  molti  a  Roma,  in  Italia  e  in  ogni  regione 
dell'Impero  dove  fossero  cittadini  i.  Ma  non  rinacque 
l'amore  della  virtù  e  dei  costumi  domestici;  né  i  matri- 
moni, né  la  popolazione  si  accrebbero  sotto  il  governo 
di  un  principe,  che  dopo  avere  distrutto  tutte  le  istitu- 
zioni antiche  di  Roma,  riduceva  al  modo  antico  le  vesti, 
era  parchissimo  nel  dar  la  cittadinanza  per  non  conta- 
minare col  forestiero  il  sangue  romano  ^,  e  si  vantava  di 
avere  richiamato  a  vita  gli  esempi  e  i  costumi  dei  mag- 
giori («). 

Con  intento  di  raccoglier  pecunia  gravò  di  un  vente- 
simo le  eredità,  le  donazioni,  e  i  legati  che  non  andas- 
sero agli  stretti  parenti  o  ai  poveri  ^,  e  si  mostrò  valen- 
tissimo nell'applicare  la  scienza  fiscale,  con  cui,  al  dire 
di  Tacito,  i  Romani  potevano  sopra  i  sudditi  più  che  colle 
armi  *.  La  Repubblica  ebbe  già  imposizioni  sulle  colonne 
e  sulle  porte,  biasimate  e  non  tolte  da  Cesare  ^:  poi  al- 
l'occasione della  guerra  di  Modena  imposte  di  4  oboh,  o 
di  dieci  assi  a  ogni  tegolo:  poscia  vi  furono  gravezze  sui 
cammini  e  sulle  finestre  ('-')  :   e  gii  imperatori  trovarono 

(")  Nelir iscrizione  di  Ancira  (II,  12)  egli  disse:  Legibus  novis  latis 
exempla  raaiorum  exolescentia  {revocavi,  et  abolita)  iam  ex  nos  {tris 
moribus)  avitarn/m  rerum  exempla  imitanda  {proposui).  Ed.  Egger. 

(*)  Dione  Cassio,  XLVI,  31  ;  Bureau  De  la  Malie,  Econ.  Polit.,  livr.  IV, 
chap.  24.  Cicerone,  citato  da  Nonio  alla  voce  conficere,  dice  che  gravando 
di  sei  sesterzi  ogni  tegolo  delle  case  di  Roma,  si  poteva  ritrarne  60  mi- 
lioni di  sesterzi,  che  equivalgono  a  quasi  12  milioni  di  lire  italiane. 

1  Tacito,  Ann.,  Ili,  iS. 

2  Svetonio,  •10. 

3  Dione  Cassio,  LV,  ?5. 

4  Tacito,  Hist.,  IV,  64. 

5  Cesare,  Bell.  Civ.,  IH,  32;  Cicerone,  Ad  Attic,  XIII,  6,  e  Ad  Fam,il.,  Ili,  S. 


40  DISTINZIONI  DEI  CITTADINI.  GLI  SCHIAVI.        [Lib.  VII. 

anche  il  modo  di  far  denaro  sulle  meretrici,  siili' orina, 
sulle  latrine  *. 

Con  altre  leggi  richiamò  a  vita  le  distinzioni,  più  che 
mai  necessarie  al  potere  assoluto,  e  nei  teatri  e  nel  circo 
stabilì  sui  posti  degli  spettatori  minute  differenze  per 
ceti  e  casati,  dando  luoghi  separati  ai  senatori,  ai 
cavalieri,  agli  ambasciatori,  ai  giovani  nobili,  alle  Vestali, 
alle  altre  donne,  ai  soldati,  alla  plebe  ^. 

Anche  alla  schiavitù  riguardò  con  sue  leggi,  non  col- 
r animo  di  togliere  quell'obbrobrio  dal  mondo,  ma  per 
far  denaro  sui  padroni  e  sui  mercanti  d'uomini.  Obbligò 
i  venditori  di  schiavi  a  pagare  all'erario  la  cinquantesima 
parte  del  prezzo  ^,  e  gravò  della  vigesima  le  manumis- 
sioni, e  per  suoi  fini  politici  pose  molti  ostacoli  tra  la 
servitù  e  la  libertà,  e  molti  più  tra  la  servitù  e  l'acquisto 
dei  diritti  civili  ■'^:  e  se,  dopo  avere  uccisi  servi  a  mi- 
gliaia, ordinò  al  prefetto  di  Roma  di  ascoltare  le  querele 
di  essi,  e  si  mostrò  severo  contro  i  padroni  feroci  ^,  dal- 
l'altra parte  col  senatoconsulto  Silaniano  confermò  l'a- 
troce ordine  antico,  che  faceva  torturare  e  dare  all'estremo 
supplizio  tutti  i  servi  di  ogni  sesso  e  di  ogni  età  dimo- 
ranti nella  casa,  ove  fosse  stato  ucciso  il  padrone  ^. 

Con  altri  ordini  provvide  più  particolarmente  all'am- 
ministrazione d'Italia  e  delle  province. 

Gli  Italiani,  che  già  aveano  conquistato  a  mano  armata 
la  cittadinanza,  goderono  in  piccola  misura  e  per  poco 
tempo  1  diritti  della  libertà  comprata  col  sangue.  Le  con- 
tese civili,  le  guerre  di  Perugia,  di  Modena  e  di  Sicilia 
menarono  all'ultima  distruzione  le  contrade  più  fiorenti. 


1  Svetonio,  Calig..  40,  e  Ves\ìas.^  23. 

2  Svetonio,  41. 

3  Dione  Cassio,  LV,  31. 

4  Svetonio,  Aug.  40;  Dione,  LV,  13,  LVI,  33;  Gaio,  Instit.,  1,  13-15,  25-27,  42-46. 

5  Dione,  XLIX,  12,  LIV,  23;  Appiano,  V,  131;  Orosio,  VI,  IS. 

0  Cicerone,  Ad  Famil.,  IV,  12;  Tacito,  Ann.j.  XIV,  42-45,  e  Lipsie,  ivi;  Paolo,  Sen- 
tentìae,  lib.  Ili,  tit.  V,  De  senatusconsuìto  Silaniano. 


Gap.  I.]         SORTI  DELL'ITALIA  NELLE  GUERRE  CIVILI.  41 

che  parteggiando  per  questa  o  per  quella  fazione  furono 
esposte  vicendevolmente  alla  rabbia  dei  vincitori,  e  alle 
rapine  e  alle  stragi  delle  feroci  soldatesche.  Ai  tempi  di 
Mario  e  di  Siila  è  detto  che  la  strage  durò  fmchò  vi  fu 
gente  da  uccidere  *.  I  sopravvissuti  fuggivano  e  andavano 
a  cercar  loro  ventura  in  paesi  stranieri  ^.  Le  proscrizioni 
confiscarono  gli  averi  dei  municipii,  e  gli  insaziabili  ve- 
terani occuparono  anche  i  beni  privati.  Il  paese  dei  Volsci, 
l'Etruria,  il  Sannio,  la  Lucania  e  tutte  le  regioni  del- 
l'Italia inferiore  in  queste  tristi  vicende  rimasero  povere 
e  quasi  deserte. 

Augusto,  che  nel  tempo  della  guerra  civile  avea  dato 
a  Mecenate  il  governo  d' Italia  ^,  dopo  la  vittoria  la  empì 
di  colonie,  cacciò  dai  loro  campi  gli  Italiani  stati  seguaci 
di  Antonio,  e  invece  di  ripopolarla,  come  fu  detto  ^,  di- 
minuì il  numero  dei  liberi  possidenti.  Non  potevano  ri- 
popolarsi i  paesi  dai  veterani,  che  impazienti  delle  fatiche 
e  della  coltura  dei  campi  ^,  dopo  aver  messi  gli  antichi 
possessori  nell'estrema  miseria,  vendevano  a  piccolo 
prezzo  le  terre  avute  in  dono,  e  agevolavano  ai  ricchi 
il  modo  di  formare  le  loro  immense  tenute.  Quindi  la 
terra,  già  fecondissima  madre  di  biade,  divenne  sempre 
più  sterile,  e  incapace  a  nutrire  gli  abitatori,  i  quali  senza 
i  grani  tratti  dalle  province  sarebbero  morti  di  fame  ^. 

Nella  divisione  dell'Impero  fra  Augusto  e  il  senato, 
r  Italia,  come  territorio  della  Repubblica,  rimase  indivisa. 
Poscia  il  principe,  estesala  dallo  stretto  di  Sicilia  fino 
al  piede  delle  Alpi,  la  scompartì  in  undici  regioni  (^),  che 

(«)  Plinio,  III,  6-10  e  16-22.  Vedi  anche  Becker,  e  Marquardt,  Handbuch 
der  Romischen  Alterthùmer ,  III,  pag.  59-71,  Leipzig  1851,  ove  è  tentato 
anche  di  segnare  i  confini  precisi  di  ogni  regione. 

1  Floro,  III,  21,  5. 

'  Cicerone,  Pro  Fonteio^  1. 

3  Tacito,  Ann.^  VI,  11. 

4  Svetonio,  46  ;  Monum.  Anci/r.  V.  37. 

5  Tacito,  Ann.^  XIV,  27. 

«  Tacito,  Ann.^  Ili,  54,  XII,  43;  Columella,  I,  Praef.;  Plinio,  XVIII,  4. 


42  DIVISIONE  IN  REGIONI,  E  GOVERNO.  [Lib.  VII. 

furono  :  il  Lazio  colla  Campania  ;  le  terre  degli  Irpini,  la 
Calabria,  l'Apulia  e  i  Salentini;  la  Lucania  e  il  Bruzio  ; 
i  paesi  dei  Frentani,  dei  Marrucini,  dei  Peligni,  dei  Ve- 
stini,  dei  Marsi,  dei  Sanniti,  dei  Sabini;  il  Piceno;  l'Um- 
bria; l'Etruria;  la  Gallia  Cispadana;  la  Liguria;  la  Venezia 
e  l'Istria;  e  la  Gallia  Transpadana.  Era  una  divisione 
geografica,  ma  fatta  evidentemente  coli' intendimento 
di  renderne  più  facile  e  più  sicuro  il  governo.  Che  un 
magistrato  dovesse  stare  al  governo  di  ogni  regione  si 
vede  facilmente  a  priori;  e  di  più  nei  consigli  di  Mece- 
nate è  detto  al  principe  che  ne  dia  il  governo  ad  uomini 
consolari  e  preterii  *.  Sonq  anche  ricordati  questori  sta- 
biliti per  sopraintendere  alle  spiagge  marittime  in  tutti 
i  luoghi  d'Italia  2;  e  Strabene  scrisse,  che  al  governo 
dei  Liguri  delle  contrade  più  montuose  si  mandava  un 
prefetto  dell'ordine  equestre  ^.  Nei  secoli  appresso  le  te- 
stimonianze degli  scrittori  e  soprattutto  le  epigrafi  ci 
mostrano  le  regioni  italiche  amministrate  da  correttori, 
da  consolari  e  giuridici:  e  da  quanto  può  scorgersi  nella 
os'curità  delle,  vicende  imperiali  apparisce  che  le  condi- 
zioni della  Penisola  sotto  il  rispetto  amministrativo  non 
differirono  da  quelle  delle  altre  province  "•. 

Quanto  ai  tributi,  l'Italia,  già  libera,  ne-  fu  gravata  dai 
triumviri  5,  e  poi  anche  a  tempo  della  guerra  d'Antonio  ^, 
ma  sembra  che  il  vincitore  la  sgravasse  '  dopo  la  batta- 


1  Dione  Cassio,  I.II,  22. 
*  Dione  Cassio,  LV,  4. 

3  Strabene,  IV,  6. 

4  Sparziano,  Adrian.^  22;  Ca.\nto\\no,  Antonino  Pio ^  2  e  "H,  g  M.  Antonino  Filosofo,  11; 
TreboUio  Pollioni-,  Trig.  Tyrann.^  22;  Dione,  LXXVIIl,  22;  Aurelio  Vittore,  De.  Caes 
XXXIX,  11;  Notitia  Dignitatum;  Creili,  Inscript..  312,  753,  107t,  10S7 ,  1099,  1126, 
117S ,  1187 ,  22S3,  22S5,  2377,  304J,  3143,  3173,  3174,  3177.  3764,  3851  ;  Berglieli,  in  Annal. 
Istit.^  1853,  pag.  146  e  segg.,  e  Oeuvres  complèteSj  V,  pag.  391-406  ;  Henzf  n,  Iscrizioni 
Chiusine.,  in  Atinal.  Istit.,  1865,  pag.  S81  e  segg.,  e  Tabula  Alimentaria.,  pag.  51; 
Becker,  loc.  cit. 

5  Appiano,  IV,  5,  32,  V,  C7. 
C  Dione  Cassio,  L,  6. 

7  Dione  Cassio,  LUI,  2. 


Gap.  L]    gli  ITALIANI  SPOGLIATI  DAI  COLONI  IMPERIALI.  43 

glia  di  Azzio,  quantunque  non  sia  detto  espressamente  da 
ninna  testimonianza.  Certo  è  che  più  tardi  non  vi  era 
terra  che  pagasse  tributo  ("). 

Ma  un  grosso  e  incomportabile  tributo  avevano  pa- 
gato i  cittadini,  colla  perdita  di  loro  terre  date  all'empio 
soldato  *  in  premio  della  vittoria  civile.  Quindi  la  miseria 
cresciuta:  quindi  maggiore  l'emigrazione  itahca  nelle 
province  lontane,  e  l'accorrere  in  frotta  di  vecchi  e  donne 
e  fanciulli  a  empire  di  pianto  i  Fóri  e  i  templi  di  Roma, 
a  ingrossare  la  turba  famelica  e  a  mendicare  sul  ponte 
Sublicio  2.  Tutto  questo  stuonava  tristamente  cogli  inni 
alla  prosperità  universale  di  cui  partigiani  e  cortigiani 
davano  vanto  alla  sapienza  del  nuovo  padrone.  È  certo 
ohe  le  sorti  degli  Italiani  erano  tutt'altro  che  liete  :  ma 
ai  miseri  spogliati  e  disarmati  ^  era  necessità  rassegnarsi. 
A  chi  avesse  voluto  resistere  ne  toglievano  ogni  pensiero 
i  soldati  che  posti  a  stanza  in  28  città  d'Italia  (*)  ricor- 
davano la  forza  d'Augusto,  e  la  necessità  di  servire  al 
vincitore  di  tutti.  E  di  lieve  ristoro  erano  i  premi  dati 
dal  principe  ai  plebei  che  avesser  figliuoli,  e  le  carezze 
che  egU  fece  ad  alcune  città  adornandole  di  belli  edifizi 
e  di  opere  utili  al  pubblico  ''.  Qui  strade  restaurate  o  fatte 

{")  Per  Italìam  nullus  ager  trihutarius.  Frontino,  in  Goes.,  p.  76. 

(*)  Colle  testimonianze  delle  epigrafi  e  degli  scrittori  sono  ora  accer- 
tati i  nomi  e  i  luoghi  di  24  delle  28  colonie  militari  poste  da  Augusto 
nelle  varie  regioni  d"  Italia.  I  luoghi  da  esse  occupati,  sono  :  Acerra,  Atella, 
Capua,  Volturno,  Literno,  Cuma,  Pozzuoli,  Teano  dei  Sidicini,  Nuceria, 
Benevento,  Sora,  Minturao,  Laurento,  Gravisca,  Perugia,  Fermo,  Ateste 
(Este)^  Brescia,  Verona,  Dertona ( Torfona),  Augusta  Taurinorum  (Torino), 
Augusta  Vagiennorum  {Salii2Zoì),  e  Augusta  Praetoria  {Aosta).  Vedi 
Borghesi,  Sulla  iscrizione  perugina  della  Porta  Marzia  (Colonia  Vibia 
Augusta  Perusia),  in  Archivio  storico,  1850,  voi.  15,  part.  I,  pag.  89-108, 
e  Oeuares  complòtesj,  voi.  V,  pag.  257-283. 

1  Virgilio,  Edog.,  I,  71. 

2  Appiano,  V,  12;  Orazio,  Od.^  II,  IS,  23;  Seneca,  De  vita  beata^  25.  Conf.  Mon. 
Aneyr.  V,  4. 

3  Digest.,  XLVllI,  6,  1.  Conf.  Svetonio,  Aiig.,  46. 

4  Svetonio,  Aug.j  46. 


44 


OPERE  PUBBLICHE  IN  VARIE  CITTA. 


[LiB.  VII. 


di  nuovo.  A  Narni  un  magnifico  ponte  sulla  Nera  del 
quale  rimangono  ancora  belle  e  pittoresche  rovine  (''). 
Altrove  archi,  templi,  teatri,  mura  e  belle  porte,  come 
alle  nuove   colonie  auguste  dei  Taurini*,  di  Aosta,  e  a 


Rovine  del  ponte  d'Augusto  presso  Narni  (Da  Fotografia). 

Fano  ove  si  ricordano  le  nuove  mura,  le  torri,  e  più  tem- 
pli e  una  Basilica  della  quale  fu  architetto  lo  stesso  Vi- 
truvio  ^. 


(«)  Il  ponte  è  ricordato  da  Marziale,  VII,  93.  Si  cita  ancbe  un'epigrafe 
ivi  scolpita,  ma  è  o  mutilata  o  scorretta  o  falsa:  Caesar  Augusius  de 
manubiis  —  Narniensis  patronns.  Vedi  Eroli,  Notizie  del  celebre  ponte 
l'Otto  d'Augusto,  nella  Miscellanea  storica  Narnese,  Narni  18G2,  voi.  2", 
pag.  139-181. 

'  Proniis,  Scavi  della  Porta  augustea  di  Torino,  ora  detta  Porta  Palazzo  o  Palatina^ 
in  Bullett.  Islit.,  1872,  pag.  27-29. 

4  Vitruvio,  V,  1,  6.  Vedi  Mancini  (Pompeo),  Illustrazione  dell'Arco  d'Augusto  in  Fano 
(antica  porta  sulla  via  Flaminia),  con  una  lettera  archeolog.  di  B.  Borghesia  Pesaro  1S20. 


Cap.  L]         •  ELEZIONI  MUNICIPALI.  45 

Gli  ordini  liberi  mutati  a  Roma  non  potevano  durare 
nelle  altre  città:  e  nelle  assemblee,  da  cui  dovevano  man- 
darsi a  Roma  i  suffragi  sigillati,  votavano  i  decurioni, 
cioè  i  senatori,  non  le  tribìi  della  plebe  *.  Pure  i  governi 
municipali  rimasero  ;  eleggevansi  dai  cittadini  i  magi- 
strati locali,  che  col  nome  di  duumviri,  di  quatuorviri, 
di  edili,  di  pretori,  di  proquestori,  di  quinquennali  {cen- 
sori) rendevano  giustizia,  e  amministravano  le  faccende 
particolari  della  città.  È  vero  che  non  era  permesso  far 
nulla  di  straordinario  senza  la  licenza  del  principe,  il 
cui  potere  si  andava  ognor  piìi  dilatando;  ma  da  più 
esempi  si  vede  ^,  che  vi  erano  ancora  assemblee,  e  che 
il  popolo  continuò  ad  avere  qualche  influenza  sulle  ele- 
zioni municipali,  anche  quando  fu  spenta  al  tutto  la  vita 
politica.  Ne  rimasero  parecchi  ricordi  negh  Album  di 
Pompei,  cioè  sulle  pareti  esterne  imbiancate  delle  case 
poste  sulle  vie  più  popolose,  e  nel  muro  laterale  di  re- 
cinto all'edificio  di  Eumachia  sulla  via  dell'Abbondanza 
presso  all'entrata  del  Fóro,  ove  la  parete  divisa  da  pila- 
stri e  adorna  allora  di  cornici  e  frontoni,  ebbe  la  forma 
gentile  di  un  monumento.  Ivi  tra  le  iscrizioni  graffite,  e 
dipinte  in  rosso  e  in  nero  nell'intento  di  annunziare  al 
pubblico  le  vendite,  le  locazioni,  le  feste,  e  gli  spettacoli 
dei  gladiatori  se  ne  trovarono  molte  con  invocazioni  di 
cittadini  agli  edili,  ai  quinquennali,  ai  duumviri  e  agli 
altri  magistrati  civih,  e  con  proposte  e  raccomandazioni 
di  questo  o  quel  candidato  agli  elettori.  All'appressare 
delle  elezioni  municipali  le  epigrafi  dicono  che  nella  città 
è  universale  1'  agitazione  degli  animi.  Tutti  studiano  di 
far  trionfare  qualcuno.  Qui  voti  perchè  giunga  all'edilità 
Marco  Olconio.  I  cittadini  del  vicinato  vogliono  edili  Elvio 
Sabino,  e  Aulo  Vezzio  Cerrinio  Felice:   altri  raccoman- 


>  Svetonio,  46. 

2  Noris,  Cenotaphia  Pisana^  dissert.,  I,  cap.  3. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV. 


ELEZIONI  -^lUMCIPALI  A  P0]\1PEI. 


[LiB.  VII. 


ciano  M.  Cerrinio  Vazia  («).  Questi  chiedono  che  sia  quin- 
quennale P.  Postumio  Modesto:  quelli  vogliono  eletti  a 
giudici  L.  Plozio  e  Suellio  :  e  tutti  i  Pompeiani  (universi 
Pompeiani)  combattono  a  favore  di  Pacquio  Proculo.  Vi 


Album  dell'edificio  di  Kumachia  a  Pompei    (3Iazois]. 

sono  voti  di  ogni  qualità  di  persone.  Pregano  collettiva- 
mente tutti  i  Venditori  di  cipolle,  i  fruttaioli,  i  salaioli, 


C)  Nella  prima  delle  due  epigrafi  clie  diamo  incise  mi  lesto,  pag.  47, 
conservando  i  caratteri  trovati  sulla  parete,  Paventino  prega  che  Marco 
Cerrinio  Vazia  sia  fatto  edile,  e  usa  la  formula  che  ritrovasi  in  molte  altre 
epigrafi:  0.  V.  F.,  cioè  orai  vos  faciaiis.  Nell'altra  lo  stesilo  Cerrinio  è  f  di!e, 
e  a  lui  si  rivolge  lo  scriba  Isso,  e  lo  prega  di  favorirlo  0.  F.  {orai  fuveat), 
e  si  dice  degno  di  questo  favore.  Vedi  Museo  Borh.,  voi.  VI  in  fine,  e  Ilyer, 
Pnriì/itni,  pair.  RO. 


Cxr.  I.l 


ELEZIONI  MUxXICIPALI  A  POMPEI. 


47 


i  pescatori,  gli  sguatteri,  i  fornai,  i  barbieri,  i  tintori,  i 
lavandai,  i  legnaioli  e  carradori,  i  mulattieri,  i  facchini, 
i  giujcatori  di  palla,  i  gladiatori,  gli  agricoltori,  gli  ore- 
fici (^-),  i  Socii  Venusti,  e  gl'lsiaci,  i  clienti,  gli  Studiosi, 
e  maestri,  e  scolari,  e  donne  e  fanciulli':  e  per  lo  più 
accompagnano,  secondo  l'usanza  C*),  il  nome  dei  candidati 
con  lodi  alla  loro  virtù,  e  li  dicono  buoni  cittadini,  degni 
della  Repubblica,  e  persone  benemerite,  egregie  e  prohis- 


■■■■■' \  Dìcmm     r~--^ 


Programmi  per  le  elezioni  mvinicipali  a  Pompei. 

sime:  voti  ed  elogi  che  ripetuti  per  ogni  contrada  non  po- 
tevano non  aver  qualche  forza  sugli  animi  degli  elettori  ("")• 

C)  Caepari,  Pomari,  Salinienses,  Piscicapi,  Culinari^  Pistores,  Ton- 
sores,  Offectores,  Fullones,  Lignari,  Plostrari,  Muliones,  Saccari,  Pi- 
licrepi,  GladiatoreSj,  Agricolae,  Aurifìces. 

(*)  Omnes  canclidaios  bonos  viros  dichnus  ;  quomcdo  ohrAos ,  si  no- 
men  non  succurit,  dominos  salutamus.  Seneca,  Epist.,  3,  1. 

C)  Sugli  Album,  sui  Programmi ,  e  sulle  epigrafi  di  Pompei,  vedi 
Mazois,  Ruines  de  Pompei,  troisième  partie,  pag.  46,  pi.  28,  Paris  1829; 
Garrucci,  Questioni  Pompeiane,  Napoli  1853,  pag.  31-43,  e  Inscriptions 
gravées  au  trait  sur  les  nmrs  de  Pompei,  Bruxelles  1854;  Rreton,  Pam- 
peia,  Paris  1855,  pag.  25,  30-32,  61,  106,  183;  Fiorelli,  Giornale  degli 


48  GOVERNO  DELLE  PROVINCE.  [Lib.  VH. 

Quanto  alle  province,  sebbene  Augusto  apparentemente 
ne  dividesse  il  governo  col  senato  e  col  popolo,  nel  fatto 
era  padrone  di  tutte,  perchè  aveva  in  sua  mano  e  la 
forza  militare,  e  i  governatori  e  i  sudditi.  In  appresso, 
secondo  che  stimava  più  profittevole  a  sé,  barattò  anche 
le  province  sue  con  quelle  date  al  senato,  e  sotto  vari 
pretesti  ne  tolse  alcune  ai  senatori  senza  compenso,  come 
fecero  anche  i  suoi  successori  ^  e  a  sé  solo  attribuì  quelle 
conquistate  dopo  il  reparto. 

Le  province  del  senato  si  vedono  amministrate  da  pro- 
consoli estratti  a  sorte,  ma  sopra  una  lista  approvata 
dal  principe,  i  quali  con  tre  legati  ai  loro  ordini,  vanno 
preceduti  da  sei  fasci;  ma  esercitano  solamente  funzioni 
civili:  non  veste  militare,  né  spada,  e  quindi  ninna  auto- 
rità sulle  milizie  poste  sotto  gli  ufiziali  del  principe.  Du- 
rano in  carica  un  anno;  debbono  lasciar  la  provincia 
appena  giunga  il  successore,  e  tornare  a  Roma  dopo  tre 
mesi  per  render  conto  di  loro  amministrazione  ^.  I  go- 
vernatori delle  province  imperiali  sono  eletti  dal  prin- 
cipe stesso  fra  i  suoi  più  devoti,  col  titolo  di  legati  e  di 
propretori.  Apparentemente  sembrano  inferiori  ai  reggi- 
tori delle  province  senatoriali,  perché  hanno  un  solo  le- 
gato e  cinque  littori;  ma  nel  fatto  sono  più  potenti  pel 
comando  degli  eserciti  e  pel  diritto  della  spada,  che  gli 
rende  padroni  della  vita  dei  soldati.  Rimangono  in  ufficio 


scavi  di  Pompeij,  18G2,  n.  14,  pag.  46,  63-64,  ecc,  e  Descrizione  di  Pompei, 
Napoli  1875,  pag.  36,  ecc;  De  Petra,  Sulle  condizioni  delle  città  italiche 
dopo  la  guerra  sociale,  Napoli  1866,  pag.  73-79;  Zangemeister,  Inscrip- 
tiones  parietariae  Pompeianae,  in  Corpus  Inscriptionwn  Latinarum, 
voi.  IV,  Berolini  1871  ;  Mau,  Scavi  di  Pompei,  in  Bull.  Istit.,  1874,  pag.  267- 
269.  Vodi  anche  Overbeck,  Pompei  in  seinen  Gebàuden,  Alterthùmer  und 
Kunstwerken,  pag.  414  e  segg.,  Leipzig  1S75. 

1  Tacito,  Ann.,  I,  76;  Svotonio,  Clauà.,  25;  Dione,  LX,  21. 

*  Dione  Cassio,  LUI,  12  e  13,  LX,  25;  Svetonio,  Aug.,   17;   Campianus,   De  Officio  et 
Intestate  magistrotuum  rom.,  pag.  260,  ecc. 


Gap.  I.]  GOVERNO  DELLE  PROVINCE.  49 

quanto  piace  al  padrone  *.  Vi  sono  anche  presidi  preposti 
con  ampia  giurisdizione  al  governo  delle  faccende  civili, 
ai  quali  più  tardi  sarà  data  anche  l'autorità  militare  ^. 

Per  r  avanti  i  governatori  non  avevano  ricompensa 
determinata  ai  loro  servigi.  Apparteneva  alle  province  il 
nutrirli:  ed  essi  anche  a  questo  titolo  rubavano  i  sudditi 
a  man  salva.  Augusto  tentò  di  rimediare  il  male  fissando 
lo  stipendio  ad  ognuno  e  ordinando  che  fosse  pagata  loro 
una  certa  quantità  di  denari  pei  trasporti  ed  alloggi,  di 
cui  per  l'avanti  erano  provveduti  dal  pubblico  ^;  e  per 
frenare  arbitrii  e  rapine  sottomise  tutti  i  governatori  a 
leggi  fisse,  e  vietò  loro  di  levar  soldati,  e  di  prendere 
dai  sudditi  più  denaro  di  quello  già  decretato.  A  riscuo- 
tere le  rendite  delle  province  furono  destinati  i  procu- 
ratori 0  ragionieri  del  principe,  tratti  dai  liberti  di  lui  e 
dai  cavalieri,  che  avevano  anche  l'incarico  di  far  le  spese 
occorrenti  '',  e  di  giudicare  le  liti  sorte  in  fatto  di  con- 
tribuzioni, e  soprattutto  di  aver  l'occhio  ai  questori  e  ai 
proconsoli  nelle  faccende  del  denaro.  Ed  essi  sovente, 
sotto  colore  di  sostenere  gli  interessi  del  fìsco,  entravano 
troppo  avanti  anche  nelle  faccende  dell'amministrazione, 
e  venivano  a  contesa  coi  governatori,  al  cui  tribunale 
spettavano  tutti  gli  affari  criminali  e  civili  della  provin- 
cia, sia  in  prima  istanza,  sia  in  appello  dai  loro  legati  e 
dai  giudici  municipali.  Le  ammende  andavano  al  fìsco; 
il  ^che  impediva  le  condanne  date  per  la  cupidità  dei 
ministri,  dalle  cui  sentenze  in  ogni  caso  vi  era  appello 
al  senato  e  al  principe  ^.  E  così  col  potere  di  usare  e 
di  abusare  del  loro  uffìcio,  i  magistrati  provinciali  per- 

1  Svetonio,  47;  Appiano,  De  Rebus  Hispan..  102;  Fontein,  Bisputatio  historico-anti- 
quaria  de  profinciis  Homanorum^  Traiecti  ad  Rhenum  1853,  pag.  144,  ecc. 

2  Vedi  Jager.  De  praesidibus  provinciarum  apud  Romanos^  lenae  1698,  pag.  5,  ecc. 

3  Svetonio,  36;  Dione  LII,  23,  e  LUI,  15. 

4  Dione  Cassio,  LUI,  15;  Strabene,  III,  4. 

5  Tacito,  Agric.  ^  9;  Naudet ,  Des  changemens  opérés  dans  toutes  les  jìarties  de 
l'administration  de  l'Empire  Romain^  sous  les  régnes  de  Dioclétien^  de  Constantin  «t 
de  leurs  suceesseurs,  jusqu'à  Julien^  Paris  1817,  voi.  I,  pag.  67-72. 


50  CENSIMENTO  DI  TUTTO  L'IJ.IPERO.  [L-.b.  VII. 

derono  parte  dell'  importanza  che  gii  aveva  resi  tre- 
mendi. 

Augusto  visitò  più  volte  tutte  le  province,  tranne  l'Af- 
frica e  la  Sardegna  ("),  e  vi  si  trattenne  a  lungo  per  or- 
dinarle a  suo  modo.  Per  conoscerne  tutte  le  forze,  e  per 
sottomettere  ogni  provincia  a  regolari  tributi,  recò  a  ter- 
mine in  tutto  l'Impero  la  gigantesca  operazione  del  censo, 
ossia  la  numerazione  degli  abitanti  e  l'estimo  dei  pos- 
sessi di  ognuno.  L'opera  era  stata  già  iniziata  da  Cesare, 
il  quale  col  medesimo  intendimento  l'anno  della  sua 
morte  aveva  ordinato  a  tre  dotti  Greci  di  levare  la  mi- 
sura geografica  di  tutto  il  mondo  romano.  Zenodoto  ebbe 
il  carico  di  misurare  l'oriente,  Teodoto  il  settentrione, 
Policleto  le  parti  meridionali;  e  compierono  ciascuno 
l'opera  sua,  il  primo  nel  723,  il  secondo  nel  729,  il  terzo 
nel  756  o  l'anno  appresso  quando  fu  compiuto  il  censi- 
mento d'Italia  (^).  Di  più  Agrippa  aveva  cominciata  la 
carta  del  mondo  intero,  che  poscia  su  quel  disegno  fu 
compiuta  e  descritta  nel  portico,  che  ebbe  il  nome  di  lui  C^). 

Dopo  questo  lavoro  preliminare  venti  cittadini  {'^),  di- 

{")  Svetonio,  47.  Perciò  Virgilio,  Aen.,  VI,  802,  disse  che  neppure  Al- 
cide corse  più  terre  di  lui  : 

Nec  vero  Alcides  tantwn  telluris  obivit. 

(*)  Ciò  è  riferito  da  Etico  Istro,  o  Giulio  Onorio,  cosmografo  del  medio 
evo,  nella  prefazione  del  suo  Compendio.  Vedi  Fabricio,  Not.  Temp.  Aug., 
pag.  208;  Egger,  Exam.  des  Histor.  d'Aug.,  pag.  54. 

(<')  Plinio,  III,  3;  Dione  Cassio,  LV,  13.  Né  tali  lavori  erano  nuovi. 
Varrone  vide  dipinta  la  forma  d'Italia  nelle  pareti  del  tempio  della  Dea 
Tellure;  e  più  anticamente  Tiberio  Sempronio  Gracco,  tornando  in  trionfo 
dalla  Sardegna,  aveva  offerta  a  Giove  una  tavola,  in  cui  era  dipinta  la 
figura  deirisola.  Varrone,  De  re  rustica^  I,  2,  1  ;  Livio,  XLI,  32. 

(^)  Vedi  Suida  alla  voce  «.itoypxì^i].  Ogni  magistrato,  cui  era  commesso 
quest'ufficio  in  una  o  più  province,  si  chiamava  legaius  Augusti  prò 
praetore  ad  censns  (Marini,  Iscrizioni  Alb.,  pag.  54);  o  ad  census 
accipiendos  (Orelli,  Inscript.,  3044),  o  anche  legaius  Augusti  prò  prae- 
tore censitor  (Grutero,  pag.  1025,  n.  2).  In  Siria  ed  in  Giijdea  fu  mandato 


Gap.  I.]       CENSIMENTO  DI  TUTTO  L' IMPERO.  51 

stinti  per  probità  e  per  buoni  costumi,  aiutati  da  ufficiali 
minori  ("),  ebbero  l' incarico  di  andare  nelle  varie  regioni 
per  fare  un  catasto,  e  numerare  le  genti,  e  misurarne 
particolarmente  i  possessi,  e  dietro  una  regolare  divi- 
sione, repartire  tutte  le  imposte;  e  un  Balbo,  che  presedè 
come  capo  alla  parte  geodesica  e  topografica  di  questa 
operazione,  determinate  le  forme  e  le  misure  di  ogni 
provincia  e  di  ogni  città  col  suo  territorio,  le  riportò  nei 
registri,  e  distinse  e  dichiarò  le  leggi  che  dovevano  go- 
vernare la  proprietà  territoriale  in  tutto  l'Impero  (^). 

Con  lo  specchio  della  popolazione  e  della  ricchezza  di 
ogni  paese  Augusto  potè  imporre  nuovi  e  pììi  uniformi 
tributi,  mentre  con  le  notizie  raccolte  nei  suoi  frequenti 
viaggi,  0  acquistate  in  altro  modo,  ordinava  l'ammini- 
strazione e  il  governo,  stabiliva  con  ordini  particolari  i 
limiti  dei  campi,  provvedeva  ai  bisogni  dei  municipii  e 
delle  colonie,  e  si  occupava  delle  più  minute  faccende  (''). 


P.  Sulpicio  Quirinio  a  rendei'vi  giustizia,  e  a  far  l'estimo  di  tutte  le  pro- 
prietà. Giuseppe  Flavio,  Antiq.  luci.,  XVIII,  1  ;  San  Luca,  Evany.,  cap.  II, 
1-3;  Cassiodoro,  Var.,  Ili,  52;  Isidoro  di  Siviglia,  Orig.,  V,  36;  Orosio,  Vi, 
22;  Bureau  De  la  Malie,  Econ,  jjolit.  des  Rom.,  I,  19;  Borghesi,  Iscrizioni 
di  Foligno  in  Annali  Isiit..  1846,  pag.  316.  Conf.  Mommsen.  Re.s^  gestae 
divi  Av.g.  pag.  124. 

(")  Uno  di  questi  è  chiamato  adiutor  ad  census  provinoiqe  Lugdu- 
nensis.  Grutero,  pag.  403,  n.  5,  e  Orelli,  2156. 

(^)  Frontino,  in  Goes.,  pag.  109,  dice:  Addendaé  sunt  mensurae  li- 
mitwn  et  terminorum  ex  libris . . . .  Balbi  mensoris,  qui  temporibus 
Augusti  omnium  provinciarum  et  civiiatum  formas  et  mensuras  com- 
pertas  in  commentarios  contulit,  et  legem  agrariam  per  universitatem 
provinciarum  distinxit  et  declaravit.  Negli  Scriptores  rei  agrariae  si 
citano  spesso  i  risultamenti  di  questo  universale  catasto,  che  si  conser- 
vavano nei  pubblici  archivi  ;  e  spesso  siffatti  documenti  sono  invocati  per 
finire  nel  modo  più  semplice  le  cootese  insorte  in  fatto  di  proprietà  ter- 
ritoriale. Pare  anche  che  questi  registri  fossero  accompagnati  da  carte, 
alcune  delle  qitali  erano  incise  sul  metallo,  perchè  non  rimanessero  esposte 
alle  ingiurie  del  tempo  o  ai' tentativi  deirinteresse  privato.  Vedi  Egger-, 
Examen  critique  des  Historiens  anciens  d'Auguste,  pag.  50. 

{'')  Sappiamo  che  esisteva  un  discorso  di  lui  De  sialu  micmcipiorum. 


52  NUOVI  ORDINAMENTI  DELLE  GALLIE.  [Lib.  VIL 

Da  ciò  che  egli  fece  nelle  Gallie,  e  in  altre  regioni,  pos- 
siamo avere  qualche  idea  delle  mutazioni  e  delle  riforme 
da  lui  operate  in  tutto  l'Impero  romano. 

Cesare  aprì  la  Gallia  agli  istituti  romani;  détte  il  di- 
ritto del  Lazio  a  Nemauso,  ad  Avignone,  ad  Antipoli  (An- 
iibo);  fece  alleati  i  Voconzii,  e  cittadini  gli  Allobrogi; 
fondò  colonie  di  cittadini,  e  ne  condusse  altre  di  veterani 
a  Narbona,  ad  Arelate  (Arles)  a  Fóro  Giulio  {Fréjus),  a 
Beterre  (Beziers)  e  quietò  gli  animi  imponendo  leggiero 
tributo,  e  aprendo  le  legioni  al  valore  dei  prodi  vaghi  di 
nuove  avventure  K  Ma  rimaneva  molto  da  fare  per  dar 
forma  e  quiete  alla  nuova  provincia.  I  Galli,  vinti  di  fre- 
sco, e  mal  trattati  nel  tempo  della  guerra  mossa  da 
Antonio  erano  ancora  impazienti  del  giogo;  e  poiché 
di  frequente  si  sollevavano,  Augusto  prima  mandò  i  suoi 
legati  a  reprimere  le  rivolte  colle  armi.  Poscia  si  recò 
da  sé  stesso  a  Narbona  per  provvedere  stabilmente  al- 
l'ordinamento di  tutto  il  paese:  eresse  un  temano  alla  giu- 
stìzia e  alla  clemenza  di  Cesare  -,  convocò  ivi  l'assemblea 
degli  Stati,  e  ordinò  il  censo  della  GaUia  Chiomata  vinta 
da  Cesare  per  trarne  le   notizie  necessarie  a  fissare  le 

Vedi  gli  Scripiores  rei  ag-rarìae,  in  Goes.,  Amstelaedami  1G74,  pag.  41, 
181  e  192,  Un'iscrizione  riferita  dal  Grutero  (pag.  164)  attesta  della  cura 
che  Augusto  si  pigliava  anche  dei  municipiii  più  lontani  e  più  oscuri;  e 
una  iscrizione  di  Pompei  lo  mostra  occupato  dei  facchini  di  ima  piccola 
colonia,  ai  quali  attribuisce  un  certo  spazio  di  terreno.  Vedi  Guarini, 
Fasti  duumvirali  di  Pompei,  pag.  107,  Napoli  1837.  Si  vede  occupato 
negli  affari  deiramministrazione  municipale  anche  a  Venafro,  dove  costruì 
Ì3U  magnifico  acquidotto,  che  per  14  miglia  couduceva  in  città  le  acque 
del  Volturno,  e  fece  un  editto  con  cui  regolava  Tuf^o  delle  medesime 
acque.  L'editto  aquario  rimane  ancora,  e  puoi  vederlo  pubblicato  e  sa- 
pientemente spiegato  da  T.  Mommsen  nel  BuUetlino  dell'  Istituto  di 
Corrispondenza  Aì'cheologica,  1850,  pag.  44-63. 

1  Vedi  Ilerzog,  De  quilusdam  praelorum  Galliae  municipalium  inscriptionibuSj  Lip- 
siae  1862,  pag.  29. 

2  Grutero,  Inscript.,  pag.  223;  u.  G. 


Gap.L]  nuovi  ordinamenti  delle  GALLIE.  53 

imposte  conformi  a  quelle  delle  altre  province  K  Lasciò 
la  Narbonese  nei  suoi  limiti  antichi,  e  mescolando  favori 
e  rigori  si  adoprò  a  calmare  gli  animi  ardenti.  A  Marsilia 
in  pena  del  favore  dato  ai  liberali  nella  guerra  civile, 
scemò  la  potenza,  e  ai  danni  di  essa  favorì  la  colonia 
di  Fóro  Giulio,  che  poscia  divenne  stazione  d'un  grande 
armamento  navale  ^.  Pose  colonie  novelle,  o  accrebbe  in 
più  luoghi  i  coloni  alle  antiche  privilegiate  del  diritto  del 
Lazio  0  della  cittadinanza  romana  («).  Rispetto  alla  Galìia 
Chiomata  ne  allargò  o  scemò  le  province  (Aquitania,  Cel- 
tica e  Belgica)  a  suo  senno,  mutò  nomi  e  cose,  ridusse 
a  60  i  popoli  costituiti  come  nazione,  e  tutto  rimesco- 
lando, e  regolando  in  nuova  maniera  a  seconda  dei  suoi 
intenti  politici  pose  ogni  studio  a  fare  scomparire  le  tra- 
dizioni nazionali  e  gli  ordini  antichi  e  i  gloriosi  ricordi 
dell'ultima  guerra.  La  Gallia  Celtica  di  molto  diminuita 
.chiamò  Lugdunese  dal  nome  di  Lugduno  {Lione)  città 
romana  fondata  non  ha  guari  dal  proconsole  Planeo,  dove 
r Arari  (Saona)  entra  nel  Rodano,  per  darvi  stanza  ai  citta- 
dini fuggiti  a  causa  delle  discordie  intestine  da  Vienna  (^): 
Augusto  la  rafforzò  di  una  colonia  militare,  e  come  pel 
sito  era  acconcia  ai  commercii,  e  alla  guardia  degli  altri 
paesi  fece  partire  da   essa   più  strade   conducenti  nelle 


(«)  Ad  Araysio  (Orange),  a  Fòro  Giulio,  a  Carpentoracte  lulia  {Car- 
penlrus),  a  luIia  Valentia  [Yalence),  a  Nemauso  {Nimes),  a  Cabellio 
[Cataillon],  ad  Aquae  Sextiae  [Aìx],  ad  Apta  lulia  Vulgieutium  {Apt  in 
Provenza),  ad  Alba  negli  Elvii  {Alps  presso  Vitiers),  Mela,  II,  5;  Plinio, 
III,  4;  Thierry,  Hist.  des  Gauloisj  III  partie,  chap.  1. 

('')  Dione,  XLYI,  50;  Strabone,  IV,  1  e  3;  Grutero,  Inscript.,  pag.  439, 
n.  8.  Fianco  condusse  anclie  la  colonia  clie  fondò  Augusia  Rawacorum, 
o.sigi  Aiigst  nel  cantone  di  Basilea.  Vedi  Kleijn,  De  L.  et  T.  Munaiiis  Plan- 
cis,  pag.  37,  Lugduni,  Batav.  1856;  Coste,  L'Alsace  Romaine,  Mulhouse 
1859,  pag.  21  e  25;  Tacito,  Hist,  I,  51  ;  Plinio,  IV,  31;  Tolomeo,  li,  9. 

1  Livio,  Epit.,  131;  Dione,  LUI,  22.  Vedi  anclie  LIV,  21. 

2  Plinio,  III,  5;  Strabone,  IV,  1;   Tacito,  A7m.,  IV.  5. 

Vaxnucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  ■  7 


54  NUOVI  ORDINAMENTI  DELLE  GALLIE.  [Lib.VII. 

varie  regioni  *,  la  destinò  a  sede  dei  governatori  delle 
Tre  Gallic,  e  dell'assemblea  delle  sessanta  città  destinata 
a  curare  gl'interessi  municipali,  a  scompartire  le  tasse 
da  pagare  all'Impero,  a  decretare  onoranze  all'imperatore 
e  ai  suoi  funzionarli  piìi  che  a  sindacarne  il  governo 
come  da  qualcuno  fu  imaginato  ^.  La  nuova  città  ebbe 
splendore  di  belli  edifizii,  fu  favorito  sogggiorno  del  prin- 
cipe, perchè  sórta  cogli  ordini  nuovi  non  aveva  tradizioni 
liberali  e  nemiche  alla  signoria  forestiera,  e  poscia  fiori 
per  gare  di  studi  coi  quali  qui,  come  ad  Augustoduno 
ed  altrove  3,  i  giovani  delle  grandi  famiglie  tra  le  gen- 
tilezze e  le  dottrine  della  nuova  civiltà  venuta  d'Italia 
si  avvezzavano  a  nuove  fogge  e  a  nuovi  costumi,  e  coi 
loro  amori  romani  servivano  ai  disegni  dei  nuovi  pa- 
(h^oni:  e  in  breve  da  un  oscuro  villaggio  uscì  la  città  più 
popolosa  delle  Gallio  dopo  Narbona^,  mentre  da  un  altro 
lato  r  operosa  avversione  d' Augusto  faceva  rimanere 
oscuri  0  deserti  i  luoghi  mostratisi  più  nemici  di  Roma, 
e  divenuti  famosi  nella  guerra  della  libertà  nazionale. 
La  preminenza  delle  città  ricordanti  le  glorie  dei  Galli 
fu  trasferita  ad  altre  oscure,  cui  venne  aggiunto  il  nome 
di  Augusto  0  di  Cesare.  Tale  fu  la  sorte  dell'  eroica  Ger- 
govia,  di  Bibracte  e  di  altre  parecchie.  Da  ogni  parte 
vi  furono  città  Giulie  ed  Aìiguste  (").  L'antica  Nemauso 

(«)  11  grado  di  capitale  degli  Arverni,  tolto  a  Gergovia,  fu  dato  ad 
Angusta  Nemelum  (Clermont);  e  Bibracte  fu  mutata  in  Augustodnnum 
(Autvin).  Così  avvenne  a  Bratuspantium  capitale  dei  Bellovaci:  la  sua 
preminenza  fu  trasferita  a  Caesaromagus  clie  oggi  è  Beauvais,  Novioduno 
(Soi^sons)   capitale    dei    Suessioni   ebbe   il   nome   di   Augusta.  Beterrae 

>  PIìdìo,  IV,  32;  Tacito,  Hist.^  I,  51,  85-,  Strabene,  IV,  6;  Tolomeo,  li,  S;  Seneca, 
Epist.,  91;  Creili,  n.  194,  2322,  2325. 

2  Vedi  Bernard,  La  Qaule  gouvernement  répri^entatif  soiis  les  Romains,  in  Revue 
orchéologique^  1861,  voi.  IX,  pag.  1-12,  art.  tratto  dall'opera  dello  stesso  autore  inti- 
tolata Le  tempie  d'Auguste  et  la  nationalité  gauloise. 

3  Giovenale,  I,  44;  Svetonio,  Calig.,  20;  Tacito,  Ann.,  HI,  43;  Jung,  De  Scholis  Ro- 
Manis  in  Gallia  Cornata.,  Lutetiae  Parisiorum  1855;  Plinio,  Epist..,  IX,  11. 

4  Strabone,  IV,  3. 


CAI'.  LI 


5:U0VI  ORDINAMENTI  DELLE  GALLIE, 


55 


{NUnes)  fu  detta  Augustonemauso,  e  anche  oggi  tra  i  mo- 


Porta  d'Augusto  a   Nìmes  {Le  Bas^  Francej  voi.  Ili,  pi. 

numeriti  che  ivi  rimangono  si  vedono  i  ruderi  della  Porta 
d'Augusto. 

(Beziers)  si  chiamò  lidia  Beterra;  Alba  degli  Elvi  divenae  Alba  Angu- 
sta. Augusta  fu  chiamata  pure  la  capitale  dei  Veromandui,  oggi  Sen 
Quintino:  e  Augiistobona  quella  dei  Tricassi  (Troyes),  e  così  quelle  dei 
Rauraci  (Augst),  degli  Ausci  (Auch)  e  dei  Treviri  (Treves).  Il  capoluogo 
dei  Turoni  si  trasformò  in  Caesarodunum  presso  Tours:  e  quello  dei  Le- 
movici  in  Augustorituìn  (Limoges).  Nei  Voconzii  tra  i  fiumi  Isèra  e  Du- 
ranza,  Yasio  [Yaisoyi)  fu  detta  lulia  Augusta  Vscontioruni  (Henzen, 
Inscript.j  5222).  Ivi  erano  Dea  Augusta  delta  ora  Die  (Orelli,  1958,  2332,' 
4025),  Lucus  Augusti^  e  vicus  Augusti  di  cui  rimane  il  nome  in  Lue, 
e  Aouste.  A  Riez,  nel  dipartimento  delle  Basse  Alpi,  fu  la  colonia  luli» 
Augusta  Apollinarium  Reiorum,  e  dalle  parti  di  Tolosa  Augusta  Triea- 
stinorum.  Vedi  Thierry,  loc.  cit.,  pag.  273;  e  Herzog,  De  quibusdam 
praetorum  Galliae  Narbonensis  tnunicipalium  inscriptionibus ,  Lip- 
siae    1862,  pag.  24-27  e  30. 


56  NUOVI  ORDINAMENTI  DELLE  GALLIE.  [Lib.VIL 

Per  isciogliere  ogni  antico  legame  tra  i  Galli,  Augusto 
pose  la  mano  anche  nella  religione  dei  Druidi,  stata  po- 
tente strumento  contro  l'invasione  straniera  come  quella 
che  univa  i  popoli  nell'amore  di  patria,  e  nella  speranza 
e  nell'odio.  Colpi  fieramente  il  druidismo  interdicendolo 
a  chi  avesse  o  volesse  la  cittadinanza  romana  considerata 
come  il  maggiore  dei  premi,  e  a  nome  dell'umanità  e 
per  gli  intenti  di  sua  politica  abolì  cautamente  i  feroci 
sacrifizi  di  vittime  umane  *;  e  per  toglier  via  il  particolare 
predominio  di  quelle  credenze,  seguendo  V  antico  uso 
della  Repubblica  di  accogliere  gli  Dei  dei  popoli  vinti, 
ammesse  le  divinità  galliche  alla  cittadinanza  dell'Olimpo 
romano,  dicendole,  come  già  scrisse  Cesare  ^,  simili  a 
quelle  delle  altre  genti,  e  la  differenza  stare  solo  nei 
nomi,  e  gli  Dei  delle  selve  druidiche,  Tarani,  Camulo, 
Tentate,  Beleno,  Arduinna  e  Belisana  non  essere  altro 
che  denominazioni  locali  e  particolari  delle  universali 
divinità  di  Giove  Tonante,  di  Marte,  di  Mercurio,  di 
Apollo,  di  Minerva  e  Diana.  E  cosi  fu  ridotto  a  una  me- 
desima cosa  il  culto  di  Gallia  e  di  Roma,  e  gli  Dei  repu- 
tati comuni  comparvero  col  doppio  nome  sui  monu- 
menti («).  E  Augusto  stesso,  per  eccitare  coli' esempio, 
votò  e  dedicò  un  tempio  al  gallico  Circio,  personificazione 
divina  del  vento  flagellatore  dei  lidi  meridionali  ^,  e 
poscia,  andando  piìi  oltre,  fece  porre  sé  stesso  tra  le  di- 
vinità nazionali  dei  GaUi,  e  l'adulazione  fu  pronta  a  consa- 
crarlo coi  Genii  particolari  delle  città  (^). 

C)  Marti  Camulo ,  Max  orilo  Camulo;  Apollini  Beleno:  Minervae  Be- 
lisanae;  Ardoinyxae,  Camulo,  lovi,  ecc.  Vedi  Grutero,  Inscript.  pag.  40, 
n.  9,  36,  11-15,  56,  11-12;  Ordii,  1960,  1968,  1977,  1978;  Lucano,  I,  445; 
Ausonio,  Frofessores  Burdigal.,  IV,  9;  Thierry,  III,  pag.  290;  Meri- 
vale,  IV,  102;  Duruy,  Histoire  des  Romains.  Ili,  pag.  235. 

{^)  In  un'epigrafe,  riferita  dal  Grutero  (p.  227,  u.  1),  si  legge:  Augusto 

1  Svetonio,  Claud..  25 v  Mela,  III,  2, 

8  Cesare,  De  Bell.  Gali.,  VI,  17. 

3  Seneca,  Kat.  Qiiaest...  V,  17;  Lucano,  I,  107. 


Cap.ì.]  >;U0VI  ordinamenti  delle  GALLIE.  57 

Pure  la  vecchia  religione  non.  spenta  da  queste  arti 
rimase  coll'odio  agli  stranieri  nel  cuore  dei  Druidi  e  del 
popolo:  ma  ciò  non  dava  timori,  perchè  la  nazione  nella 
massima  parte  era  senz'armi,  e  contro  ogni  atto  ostile 
di  essa  stavano  sulla  ripa  sinistra  del  Reno  otto  legioni 
pronte  a  reprimere  i  moti  interni  degli  impazienti  del 
giogo  e  dei  grossi  tributi,  come  le  invasioni  germaniche  ^. 
Di  più  nelle  città  prevalsero  tosto  i  nuovi  interessi,  e  i 
maggiorenti  consacrarono  sé  stessi  al  potente  imperatore 
e  al  culto  di  Roma,  che  trasformava  splendidamente  il 
paese,  erigendo  templi  di  marmo  in  luogo  delle  querci 
(h'uidiche,  aprendo  magnifiche  strade  nelle  impenetrabili 
selve,  e  grandi  acquidotti  di  cui  rimane  presso  a  Nìmes 
un  magnifico  avanzo  nel  Ponte  del  Gard  ascritto  ad 
Agrippa  2;  edificando  circhi,  teatri,  terme,  archi  trionfali, 
e  portando  tutti  gli  splendori  della  civiltà  greca  e  latina. 
E  quindi  sotto  ogni  rispetto  facevasi  piena  la  divisione 
degli  animi  nutrita  dai  nuovi  amori,  dalle  nuove  disu- 
guaglianze e  dai  nuovi  interessi  delle  città  privilegiate 
di  libertà,  di  alleanza^  e  del  diritto  del  Lazio  e  della  cit- 
tadinanza l^oman  a  ^  che  facevano  piìi  odiosa  la  servitù  dei 
soggetti:  disuguaglianze  che  scomparvero  solo  quando  il 
dispotismo  crescente  regolò  ogni  città  in  modo  uniforme 
sottoponendo  tutti  allo  stesso  servaggio,  quantunque  ai 
pòpoli  fossero  lasciati  loro  magistrati  e  assemblee,  e  molti 
degli  ordini  interni  ''. 

Nello  stesso  modo  Augusto  adoprò  nelle  Spagne,  quando 


sacrum  et  Genio  Civiiaiis  Bit.  Vie,  cioè  Biturigum  Yidsoorum.  {Bor- 

^ìcaux). 

'  Tacito,  Ann.,  Ili,  43,  e  IV,  5. 

2  Mónard  e  Perrot,  Histoire  des  antiquités  de  la  ville  de  Nìmes,  Nìmes  18(6,  pag.  151- 
155  ;  Frandsen,  Agrippa,  pag.  172;  Merivale,  IV,  97. 

3  Plinio,  III,  5,  IV,  32,  33;  Tacito,  Ann.,  Ili,  40,  XI,  25;  Thierry,  loc.  cit..  pag.  2S2. 

4  Tacito,  Hist.,  I,G3,  V,  10;  Strabene,  IV,  4;  Klirarath,  Hist.  du  droit public  et  prive 
do  la  Francej,  cliap.  2,  nella  Revue  de  législation,  voi.  VII,  pag.  105,  ecc. 


58 


SPAGNE. 


Li»,  vii. 


furono  recate  al  tutto  in  sua  potestà.  Le  tenne  divise  in 
tre  province;  la  Tarraconese,  la  Lusitania  e  la  Betica, 
delle  quali  Tarragona  stette  generale  metropoli,  come 
quella  che  era  posta  in  luogo  assai  comodo  ai  governa- 
tori spediti  da  Roma;  e  fu  stanza  particolare  del  prin- 
cipe nei  moì  ripetuti  viaggi  per  queste  regioni,  e  ancora 


[■unt  (Ju  Gar.l  [Le  /?.(s-,  Fr.uicc^  vul.   II,  [il.  IdOj. 

vi  rimane  col  suo  nome  una  parte  del  grande  edilizio  di 
residenza  dei  romani  procoìisoli,  nel  quale  è  creduto  cli.e 
egli'  abitasse  ^ 

Colà  pure,  anche  nel  nuovo  ordinamento,  tra  le  molti^ 
genti  assoggettate  a  tributo  {siipendiariae)  si  vedono 
nuove  colonie  militari  sulle  terre  confiscate  ai  più  prodi 
difensori  del  suolo  nativo,  e  luoghi  destinati  a  convegno 
per  la  giustizia  dei  magistrati  e  pei  pubblici  alfari  {con- 


Dc  Labordo,   Voyar/e  Pilloresqtie  de  l 


I,  tav. 


Gap.  L] 


SPAGNE. 


59 


ventus),   e  popoli  fatti   liheri  e   federati,   e  privilegi   del 
diritto  latino  e  italico,  o  della  cittadinanza  romana  *,  e 


Parte  del  Palazzo  d'Auguito  detto  auche  Torre  di  Pilato  a  Tarragona  (De  Lahorde). 

più  città  nuove  o  vecchie  che  prendono  il  nome  di  Au- 
gusto ,    0     mutano   con  esso   l' antico  (").   Gli    Spagnuoli 


("')  Nella  Tarraconese  :  Colonia  Caesarea  Illici  Augusta.  Plinio,  III,  4; 
2umpt,  loc.  cif.,  pag.  366  ; 

Faventia  lulia  Augusta  Pia  Barcino  (Barcellona).  Plinio,  III,  4  ;  Gru- 
tero,  Inscript.,  p.  429,  4  ; 

Lìbisosa  cognomine  Foroangustana  (non  lungi  da  Cuenca).  Plinio, 
111,  4.  Colonia  Libisosanorum,  Grutero,  p.  260,  3  ;  Zurapt,  p.  367  ; 

Caesaraugusta  (Saragozza)  colonia  immunis,  amne  Ibero  affusa,  ubi 
oppiduìu  antea  vocahaiur  Salduba.  Plinio,  III,  4;  Strabone,  III,  2  e  4; 

I  Plinìo,III,3e4,  IV,  35;  Strabone,  HI,  2  ;  Dione,  LUI,  22  e  20,  LIV,  23  e  25;  Appiano, 
Hispan^  102;  Zumpt,  De  coloniìs  Romanorum  militar ihus^  in  Commentixt.  Epiffraphic.^ 
pag.  361-370,  Berolini  1850;  Becker  e  Marquardt,  Ròm.  Alterthiim.^  HI,  p.  82-83. 


60  SPAGNE,  SICILIA,  ILLIRIA,  MACEDONIA.  ECC.     [Lie.  VII. 

si  erano  assuefatti  al  giogo  di  Roma  fino  dai  tempi  della 
Repubblica;  e  tutti,  tranne  gli  Asturi  e  i  Cantabri,  ac- 
coglievano di  buon  animo  la  civiltà  portata  dalla  do- 
minazione straniera.  Onde  ad  Augusto  fu  facile  compiere 
l'opera  di  assimilazione,  e  Strabene  poco  appresso  potè 
scrivere,  che  più  genti  avevano  ivi  cambiato  al  tutto  loro 
lingue  e  costumi  pigliando  quei  dei  Romani,  e  tra  questi 
anche  i  Celtiberi,  stimati  una  volta  i  più  feroci  di  tutti  ("). 
Quanto  agli  altri  paesi  sappiamo  di  colonie  mandate 
da  Augusto  in  Sicilia,  (a  Taaromenìo,  a  Catania,  a  Sira- 
cusa, a  Terme,  a  Tindari),  in  IJliria,  in  Macedonia,  in 
Acaia,  nell'Asia,  nell'Affrica  *,  e  di  una  nuova  spedita  a 
Cartagine  ^  che  già  cominciata  a  ripopolarsi  dai  'coloni 
di  C.  Gracco  e  di  Cesare,  ora  risorse  grande  dalle  antiche 


Bracarum  (Braga)  oppidiim  Augusta,  Plinio,  IV,  34.  Bracaranio.u- 
(justani.  Grutero,  p.  324,  4. 

Nella  Lusitania  :  Augusta  Emerila  (.Merida)  nei  Turduli.  Plinio,  IV,  35; 
Strabene,  III,  2  e  4  ;  D'ione,  LUI,  26  ; 

Paxaugiista  tra  i  Celti  (Beja  o  Badajoz),  Strabene,  III,  2. 

Nella  Betic.a  :  Astigi  (Ecija)  cognomine  Augusta  Firma.  Plinio,  III,  3. 
Colonia  Astigitana  in  Creili,  3783  ;  Zumpt.,  pag.  365  ; 

Tucci  (Martos)  quae  cognctnine  Augusta  Gemella.  Plinio,  III,  3; 
Strabene,  II,  2  ; 

Gades  (Cadice)  habet  oppidum  civium  Romanoruìn,  quod  appellatici- 
Augusta  urbs  lidia  Gadiatanana.  Plinio,  IV,  36. 

I  nomi  di  altre  colonie  celebravano  la  Liberalità,  la  Felicità,  la  Virtù 
e  lo  Splendore  e  la  Fama  di  Cesare.  Ebora  (Evora)  Liberalitas  lidia  ; 
Olisipo  Felicilas  lulia,  Plinio  IV,  35  ;  Itucci,  Yirtus  lidia  ;  Atlubl 
Claritas  lidia  ;  Seriae  Fama  lidia.  Plinio.  Ili,  3, 

(")  Strabene,  II,  2,  3.  È  detto  anche  che  gli  Spagnoli  riferiscono,  al 
tempo  di  Augusto  il  principio  della  loro  èra,  che  secondo  Isidoro  di  Si- 
viglia dovrebbe  il  suo  nome  all'imposta  {aes,  aera),  a  cui  la  Spagna  fu 
allora  regolarmente  sottomessa,  come  le  altre  province  romane.  Vedi 
Masdeu,  Historia  critica  de  Espana,  Madrid  1799,  toni.  VII  in  prin- 
cipio, citato  dairEgger,  Exam.,  ecc.,  pag.  40. 

'  Monum.  Anryr,  V,  33-38-,  Ziinipt,  De  Colon.,  pag.  303,  o  373-381. 
2  Dione  Cassio,  MI,   13. 


Gap.  I.]  AFFRICA,  E  ORIENTE.  61 

rovine  ed  ebbe  nuovi  splendori  di  studi,  di  arti  e  di 
monumenti  come  è  attestato  dalla  storia  e  dalle  recenti 
scoperte.  L'Affrica  intera  era  sottomessa  al  regime  delle 
province,  tranne  le  due  Mauritanie  altre  regioni  date, 
dopo  la  morte  di  Bogude  e  di  Bocco,  a  Giuba  II  figlio  del- 
l'antico re  di  Numidia  già  condotto  prigioniero  a  Roma 
ed  ivi  educato  agli  studi  e  agli  affetti  romani  *.  In  Affrica 
pure  rimase  il  governo  municipale,  e  il  popolo  pigliava 
parte  alla  elezione  dei  duumviri  2;  e  iscrizioni,  recente- 
mente trovate,  mostrano  gli  abitanti  di  un  municipio  divisi 
in  più  curie  come  nel  municipio  spagnolo  di  Malaga  3. 

In  Oriente  Augusto  regolò  da  sé  stesso  le  faccende 
dei  popoli  e  dei  re.  È  ricordato  che  premiò  i  Lacedemoni 
per  avere  accolto  Livia,  quando  esulò  col  marito,  e  che 
punì  gli  Ateniesi  già  seguaci  delle  parti  di  Antonio.  In 
Asia  represse  sedizioni,  détte  libertà  ai  suoi  fautori,  la 
tolse  ai  nemici;  alcune  città  aggravò,  altre,  danneggiate 
da  terremoti,  soccorse  di  denaro  e  dispensò  dai  tributi  '*, 
Ai  benemeriti  di  Roma  e  di  sé  largì  anche  la  cittadi- 
nanza romana  o  il  diritto  del  Lazio,  finché  rumori  inte- 
stini non  gli  offrirono  l'occasione  di  ritogliere  i  concessi 
privilegio  Riprese  tutte  le  province  al  di  là  dell'Adria- 
tico, abbandonate  a  re  forestieri,  e  détte  a  un  nipote 
del  re  Tigrane  l'Armenia  Maggiore  che  poteva  essere 
ridotta  a  provincia.  Accomodò  i  regni  nel  modo  che  piij 
stimava  confacente  ai  suoi  nuovi  ordini;  studiò  di  fare  i 
re  amici  tra  loro,  gli  strinse  con  parentadi,  ne  prese 
cura  come  di  membra  e  parti  dell'Impero.  Ai  loro  pupilli 
dava  tutori;  alcuni  allevò  e  fece  istruire  a  Roma  coi 
propri  figfiuoli.  Ricevè  ambascerie  da  genti  lontanissime  : 
vennero   a  chiedere  la  sua  alleanza   gli  Indiani,  i  Bat- 


1  Dione,  LI,  15,  e  LUI,  26;  Strr.lono,  IV,  4,  XVII,  3;  Plutarco,  Ces.  55. 

2  Cod.  Theodos.,  lib.  XII,  tit.  5,  1. 

3  Renier,  InscripC.  Romaines  de  l'Algerie,  !)l  ;  Henzen,  pag.  524,  n.  7420  f.  a,  e  n.  7421. 
i  Dione  Cassio,  LIV,  7,  23  e  30  ;  Svetonio,  47. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  -        X 


62  EGITTO.  [LiB.  VII. 

triani,  i  Garamanti,  gli  Sciti.  Dovunque  andasse,  i  monar- 
chi senza  insegne  regie  lo  accompagnavano  come  clienti*. 
In  modo  eccezionale  fu  ordinato  l'Egitto,  posto  sotto 
un  prefetto  augustale,  il  quale,  to-lto  dai  cavalieri,  e  dai 
più  confidenti  e  affezionati  del  principe,  ebbe  il  supremo 
comando  militare  delle  legioni  ivi  stanziate,  mentre  l'au- 
torità giudiciaria  e  i  provvedimenti  civili  erano  per  la 
più  parte  in  mano  di  magistrati  nazionali,  sindacati  da 
comandanti  superiori  venuti  da  Roma  (").  Augusto  vietò 
anche  che  senatori  o  cavaheri  di  conto  entrassero,  senza 
licenza,  in  Egitto,  affinchè  ninno  ambizioso  potesse  farsi 
indipendente  e  destare  sedizioni  affamando  l'Italia  da 
quella  provincia  di  malagevole  accesso,  ricca  di  biade, 
e  chiave  di  mare  e  di  terra  ^.  Era  questo  uno  degli  ar- 
cani della  politica  di  Augusto.  E  la  disgrazia,  seguita  da 
morte,  onde  fu  colpito  il  poeta  Cornelio  Gallo,  primo 
prefetto  ^,  mostra  quanto  il  principe  fosse  sospettoso  e 
geloso  anche  degli  amici  rispetto  a  questa  importante 
provincia.  Dopo  tante  rivoluzioni  e  stragi  di  uomini,  e 
turpitudini  e  delitti  di  principi,  e  spoliazioni  di  vincitori, 
il  paese  rimaneva  con  sette  mihoni  di  abitanti,  e  mara- 
vigHosamente  prospero  per  beneficio  della  natura.  Il  Nilo 

(*)  Sui  prefetti  e  suiramministrazione  romana  in  Egitto,  vedi  Letronne, 
Recherches  pour  servir  à  l'hisioire  de  VEgypte  pendant  la  domi- 
nation  grecque  et  romaine,  tirces  des  inscriptions  grecques  et  latines, 
Paris  1823,  pag.  265,  segg.;  Labus,  Di  una  epigrafe  latina  scoperta  in 
Egitto  dal  viaggiatore  G.  B.  Belzoni,  e  in  occasione  di  essa  dei  pre- 
fetti di  quella  X'ifovincia,  da  Ottaviano  a  Caracalla,  Milano  1826;  Varges, 
De  siatu  Aegypti  provihciae  romanae  primo  et  secundo  post  Chrisium 
natum  saeculi^,  Gottingae  1842,  Il  catalogo  dei  prefetti  fu  dato  dal  Franz, 
in  Boeckh,  Corpus  inscript.  Graecarum,  III,  pag.  310-313. 

1  Monur.i.  Ancyr.,  V,  21-31;  Ora/io,  Od..  I,  1-2,  56,  <•  IV,  11,  12;  Dione  Cassio,  I.I,  2, 
LIV,  !);  .Sv(!tonio,  21,  -IS,  CO;  Aurelio  Vittore,  De  Caesarihus,  I,  C;  Moro,  IV,  12,  01; 
Eutropio,  VII,  5;  Orosio,  VI,  21. 

2  Tacito,  Ann.,  II,  59,  XII,  CO,  ]Iist.,  I,  lì. 

3  Strabene,  XVII,  1;  Dione,  LT,  17,  LUI,  23. 


Gap.  1.1 


EGITTO. 


63 


che  già  minacciò  il  Tevere,  ora  vinto  e  venuto  in  ima- 
gine  a  Roma  prigioniero  di  guerra,  ricordava  la  fertilità 
di  cui  colle  sue  acque  era  cagione  alle  grandi  vallate  (''): 


Il  Nilo  (Pistoiesi). 


e  i  vincitori  ne  fecero  loro  profitto.  Quindi  l'Egitto  già  ric- 
chissimo per  produzioni  di  suolo  e  per  floridezza  di  com- 


{^)  La  statua  semicolossale  di  cui  diamo  il  disegno  è  al  Vaticano  (vedi 
Pistoiesi,  Vaticano,  voi.  IV,  tav.  25,  e  Visconti,  Mus.  Pio  Clem.,  voi.  I, 
tav.  38).  Il  fiume  incoronato  di  frutti  e  di  foglie,  e  disteso  sopra  una 
base  scolpita  a  onde,  e  figurata  nelle  parti  inferiori  di  piante  e  di  ani- 
mali nilotici,  appoggia  il  gomito  sinistro  sopra  una  sfinge,  tiene  nella 
mano  sinistra  il  corno  dell'Abbondanza  da  cui  escono  spighe,  uve,  rose 
selvatiche,  frutti  di  loto,  e  un  putto  colle  braccia  incrociate:  e  stringe 
nella  destra  un  fascio  di  spighe.  I  sedici  putti  che  gli  stanno  d'attorno 
simboleggiano  i  sedici  cubiti  ai  quali  le  sue  acque  doveano  elevarsi  per 
la  maggiore  fertilità  delle  terre  inondate. 


64  STRADE   INMTALIA.  [Lib.  VII. 

mercio,  ora  amministrato  saviamente  e  fatto  coltivar  con 
più  cura,  oltre  a  grandissime  rendite  in  denaro  e  in 
metalli,  spediva  a  Roma  ogni  anno  20  milioni  di  modii 
o  270  milioni  di  libbre  di  grano  *.  Commerci  di  mare  e 
di  terra  davano  splendida  prosperità  ad  Alessandria,  te- 
nuta come  la  seconda  metropoli  dell'Impero  romano,  e 
come  il  primo  emporio  del  mondo  2,  dove  si  mescolavano 
l'Occidente  e  l'Oriente  ;  popolata  da  più  di  300  mila  abi- 
tanti, con  più  di  22  chilometri  di  circuito,  con  larghe  e 
lunghissime  strade,  e  templi  e  pubblici  edilizi  di  grande 
sontuosità,  tra  cui  il  Serapéo  che  forse  non  cedeva  che 
al  Campidoglio  di  Roma,  e  l'Augustéo  con  portici,  biblio- 
teche, boschi  sacri,  propilei,  statue,  pitture,  e  nuovo 
splendore  di  oro  e  di  argento  ^. 

Per  aver  facile  accesso  nelle  province,  e  opportunità 
a  mandarvi  rapidamente  eserciti  ed  ordini,  e  per  age- 
volare ai  governatori  il  modo  di  accorrere  a  ogni  luogo 
dove  fosse  bisogno  '%  fece  costruire  magnifiche  strade  in 
tutte  le  parti  dell'Impero.  In  Italia,  dove  le  vecchie  strade 
guaste  dalle  lunghe  guerre  0  trasandate  non  erano  più 
praticabili,  nel  727  incaricò  senatori  e  personaggi  trion- 
fali di  risarcirle  e  di  farne  altre  nuove  coi  propri  denari 
e  colla  pecunia  delle  spoglie  di  guerra  portata  all'erario. 
E  presto  furono  compiuti  molti  e  grandi  lavori  di  cui 
rimangono  alcuni  vestigi  e  più  imagini  nelle  medaglie 
battute  a  ricordo  delle  vie  ììuinite  ("),  ove  si  vedono  ponti, 

(")  Per  le  monete  fatte  a  perpetuare  il  ricordo  delle  vie  munite  yedi 
Borghesi,  Sulle  medaglie  d'Augusto  rappresentanti  l'arco  di  Rimini; 
Donaldson,   Archiiect.  Numisr.i.,   pag.  235;    Cohen,    Mcd.   cons.,   p.  333, 

'  Aurelio  Vittore,  Epist.^  1;  Dureau  De  la  Malie,  Econom.  ììolit.  des  Rom.^  IV,  IG; 
Nasse,  De  pubblica  cura  annonae  apud  Romanos^  Honnae  1851,  pag.  33. 

2  Strabene,  XVII,  1  ;  Ammiano  Marcellino,  XXII,  16. 

3  Diodoro  .Siculo,  XVII,  52  e  58;  Varges,  toc.  cit.,  pag.  47;  Aristide,  Orat.,  14;  Dione 
Crisostomo,  Orat.  ^  32;  Achille  Tazio,  V,  1;  Filone,  Legai,  ad  Caium;  Friedlaeader, 
Moeurs  romaines.  II,  p.  429. 

•*  Praef.  in  Commentar.  Icinerar.  Anton. 


Gap.  I.] 


STRADE  IN  ITALIA. 


65 


archi,  statue   equestri  e   quadrighe  trionfali   e   trofei  a 
glorificazione  del  principe  che  ordinò  quelle  opere,  prin- 


l,e  vie  munite  {Donaldson  e  Cohen). 

pi.  XLIf,  Yinicia,  n.  2-5.  La  medaglia  coir  epigrafe  quod  viae  munitae 
SUNT  fu  ingrandita  dal  Donaldson  per  far  meglio  spiccare  le  opere  di 
architettura.  Le  due  piccole  sono  la  quarta  e  la  quinta  del  Cohen,  nella 
prima  delle  quali  sta  la  testa  d'Augusto  colla  leggenda:  augustus  tr. 
POT.  vili  (tribunitia  potestate  oclavo):  e  nel  rovescio:  i,.  {Lucius)  vinicius 
L.  F.  (Lucii  filius)  III.  viR.  (triumvir  cioè  triumviio  monetale):  e  un 
cippo  su  cui  leggesi  :  s.  p.  q.  r.  imp,  cae.  quod.  v.  m.  s.  ex.  ea  p.  q.  is  ad. 
A.  DE  {senatus  populus  que  romanus  Imperaiori  Caesari  quod  viae  tnii' 
nitae  sunt  ex  ea  pecunia  quatn  is  ad  aerarium  detulit,  o  quae  iussu 
senatus  ad  aerarium  delata  est).  L'altra  medaglia  col  rovescio  simile  a 
questo  ha  nel  diritto:  s.  p.  q.  r.  imp.  caes.  sul  piedistallo  di  una  statua 
equestre  posta  dinanzi  alla  mura  di  una  città. 


66  STRADE  IN  ITALIA.  [Lib.  VII. 

cipalmente  nella  Flaminia  che  da  Roma  per  l'Etruria  e 
per  l'Umbria  andava  fino  ad  Arimino.  Egli,  che  voleva 
far  passare  per  essa  l'esercito,  ne  prese  sopra  se  stesso 
la  cura,  e,  compiutane  la  restaurazione  nel  medesimo 
anno,  ebbe  dal  senato  e  dal  popolo  arco  e  statue  nel 
ponte  Milvio  sul  Tevere,  e  un  arco  marmoreo  a  Rimini  *, 
che  rimane  ancora,  presso  la  porta  orientale,  ammirato 
come  magnifico  ed  elegantissimo  lavoro  di  arte  ;  del 
quale  anche  l'epigrafe,  sebbene  mal  concia  dal  tempo, 
attesta  sempre  che  fu  fatto  dal  senato  e  dal  j^opolo  in 
onore  dell'imperatore  l'anno  in  cui  era  console  la  settima 
volta  e  designato  l'ottava,  cioè  nel  727,  quando  per  suo 
consiglio  furono  restaurate  le  celeberrime  strade  d' Ita- 
lia («).  Col  suo  nome,  dato  dappertutto  a  ogni  cosa,  fu 
chiamata  Augusta  anche  la  via  che  in  Etruria  dalla  porta 
Cimina  di  Falleri  conduceva  alla  via  Annia  ('').  Ed  "  egli 
prolungò,  col  nome  di  via  Giulia  Augusta,  fino  in  Gallia 
per  la  Liguria  e  per  le  Alpi  marittime,  la  Emilia,  che 
M.  Emilio  Scauro  aveva  condotta  per  Pisa  e  Luni  fino  a 
Vada  Sabazia 2;  e  poscia  fattosi  curatore  delle  strade  inalzò 

('*)  Vedi  Brighenti.  Illustrazione  dell'arco  di  Rimini,  Rimini  1825, 
dove  è  anche  la  dottissima  dissertazione  del  Borghesi  sulle  medaglie  d'Au- 
gusto rappresentanti  quest'arco.  Conf.  Descrizione  aniirptaria  architet- 
tonica dell'arco  d'Augusto,  ecc.,  Rimini  1813,  la  quale  è  nuova  edizione 
dell'opera  del-Temanza  già  stampata  nel  1741  a  Venezia.  Vedi  anche 
Tonini,  Rimini  avanti  il  principio  dell'era  volgare,  pag.  170.  Augusto 
nell'ultimo  anno  della  sua  vita  cominciò  a  Rimini  anche  il  supei'bo  ponte 
sulla  Marecchia,  compiuto  poi  da  Tiberio  come  si  vede  dalle  iscrizioni 
incise  sulle  sue  sponde. 

(^)   Viam  Augustam  a  porta  Cimina  usque  ad  Anniam. 

Eonori  Imp.  Caes.  Divi  f....  viam  Augustam  ab   via  Aì^nia s-ilice 

sternendam  curarunt.  Epigrafi  in  Garrucci,  Dissertazioni  archeologiche. 
Voi.  I,  pag.  37,  Roma  1864. 

1  Dione  Cassio,  LUI,  22;  Svctonio,30;  Strabene,  V,  2;  Ucnzea,  Inscript.,Z3G0;  Eckel, 
Doctr.  Nu'tn.  vet.,  VI,  105. 

8  Strabonr»,  V,  2;  Spitalieri,  Sulla  via  Giulia  Augusta^  in  Accad.  delle  Scienze  di  Torino^ 
1843,  p.  165-lS  I  ;  Celesia,  Porti  e  He  strale  dell'antica  Liguria,  Genova  1863,  pag.  36,  occ. 


Gap.  li 


STRADE  IN  ITALIA. 


67 


nel  Fóro  romano  a  pie'  del  tempio  di  Saturno  *  il  milliario 
aureo,  che  era  una  colonna  di  bronzo  dorato  con  epigrafe 
indicante  i  nomi  delle  vie  consolari  che  partivano  da  Roma, 


Arco  di  Augusto  a  Rimini  (Brighenti). 

e  probabilmente  la  distanza  dei  punti  estremi  di  esse  2. 

Le    strade   tracciate    alle   uscite    d' Italia   per  le  Alpi 

Pennino  {Gran  S.  Bernardo)  e  Graie  {Piccolo  S.  Bernardo) 

1  Tacito,  Hist.^  r,  27;  Svétonio,  Otho.  6;  Dione  Cassio,  LIV,  8,  26;  Plinio  III,  9. 

2  Nibby,  Roma  antica^  parte  II,  pag.  11^. 


«8  STRADE  PER  TUTTO  L'IMPERO.  [Lib.  VII. 

fecero  capo  da  una  parte  al  Reno,  e  dall'altra  a  Vienna, 
e  Lugduno  {Lione)  ;  e  da  questa  capitale  delle  Gallie  par- 
tirono ,  come  da  centro ,  quattro  grandi  strade,  fatte, 
come  attesta  Strabene,  per  opera  di  Agrippa j  due  a 
mezzogiorno,  conducenti  l'una  per  Nemauso  a  Narbona, 
l'altra  a  Marsilia  lungo  le  rive  del  Rodano.  Due  altre  a 
settentrione  finivano,  la  prima  a  Gessoriaco  (Boulogne), 
e  l'altra  per  Argentorato  {Strasburgo)  {")  a  Leida  termine 
allora  dell'Impero.  Nelle  Spagne  una  via  militare  lunga 
1200  miglia  riunì  Tarragona  a  Lisbona;  e  un'altra,  che 
pure  riusciva  a  Tarragona  movendo  da  Gade,  fu  restau- 
rata splendidamente.  Una  via  di  4000  miglia  traversò  l'Im- 
pero da  Occidente  ad  Oriente.  Partendo  da  Lisbona  faceva 
capo  ad  Aquileia,  ove  si  partiva  in  due  rami,  uno  dei 
quali  entrato  nell'antica  via  Egnazia  {'')  a  Dirrachio  per 
l'Epiro  e  per  la  Macedonia  e  per  la  Tracia  correva  sino 
a  Perinto  sulla  Propontide;  l'altro,  passando  per  Tau- 
runo  {Tzeruinka)  allo  sbocco  della  Sava  nel  Danubio  *, 
seguiva  dopo  Belgrado  il  Danubio,  e  giunto  a  Tomi  nella 
Scizia  romana  tornava  in  Tracia,  metteva  a  Bisanzio, 
donde,  passato  il  Bosforo,  per  Nicomedia  e  Antiochia 
andava  all'Eufrate,  ultimo  limite  orientale  dei  possessi 
romani.  La  via  militare  dell'Oriente  cominciava  da  Tra- 
pezunte  {Trehisonda),  e  voltasi  per  Antiochia  ad  Ales- 
sandria traversava  l'Egitto  fino  a  Siene,  d'onde  fu  con- 

(")  Sulle  vie  militari  e  consolai'i  di  queste  regioni  comunicanti  colFin- 
terno  delle  Gallie  vedi  Coste,  L'Alxace  romaine,  pag.  27,  ecc. 

{^)  L'Egnazia,  cui  non  si  sa  quale  Egnazio  dòtte  il  suo  nome,  da  Dir- 
rachio {Burazzo)  per  Apollonia  e  Tessalonica  andava  a  Cipsela  suU'Ebro, 
e  univa  l'Illirico  alla  Macedonia  e  alla  Tracia,  fìra  lunga  535  miglia  ro- 
mane. Ne  parlano  Polibio  (XXXIV,  12)  e  Strabone  (VII,  7):  e  da  Cice- 
rone, che  la  percorse  andando  in  esilio ,  si  l'itrae  che  giovava  al  molto 
commercio  che  allora  era  tra  Dirrachio  e  Tessalonica.  Vedi  Tafel,  De 
■eia  militari  liomanorum  Eynalia,  qua  Ilhjricum,  Macedonia  et  Tliracia 
iungebaniu',%  dissertatio  geogvaphica,  Tubiagae  1841  e  1812. 

1  Plinio,  III,  28. 


Cap.  I. 


STRADE  PER  TUTTO  L'IMPERO. 


69 


tinuata  sino  alla  fortezza  di  Olismo  sul  golfo  Arabico, 
quando  Augusto  ebbe  recata  l'Etiopia  alla  sua  alleanza. 
Le  quali  grandi  comunicazioni  da  provincia  a  provincia, 
osservate  nella  loro  direzione  intorno  ai  confini  dell'Im- 
pero, partivano  da  Cartagine,  e  per  Alessandria  e  An- 
tiochia volgevano  a  Belgrado,  e  quindi  per  Argentorato, 
per  Narbona  e  pei  Pirenei  giungevano  a  Cadice.  Al  di 
là  dello  Stretto  gaditano  ripigliavano  a  Tingis  (Tanger) 
verso  Cartagine  traversando  la  Mauritania,  e  coU'im- 
mensa  curva  percorrevano  SOOO  miglia  romane.  Opere 


Uovine  di  Tìiiltìs  {'layloi  ^   Voi/'ige  en  L^p  tr/ìm  ti  6  i,    la  cuti,  u'Affique^  II,  p',  SO) 

che,  anche  non  contando  le  mille  vie  secondarie,  appa- 
riscono maravigliose  non  solo  per  la  estensione,  ma 
anche  per  la  solidità,  e  per  l'ardimento  con  cui  vinsero  i 
più  indomiti  fiumi,  e  appianarono  i  più  alti  monti  *.  E 


1  Vedi  Bergier,  Hist.  des  grands  chemins  de  l'Empire  romain,  T,  0,  10,  li; 
20,  30-lS-,  ^ong3.Tède,ms(.  da  siede  d'Auguste.  I,  15,  III,  6,  VII,  21. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV. 


23,  29,  III, 


70  ORDINAMENTO  DELLE  POSTE.  [Lib.  VIL 

attestano  solennemente  dell'amministrazione  energica  e 
della  potenza  di  Augusto,  il  quale  usando  l'opera  dei 
soldati,  dei  provinciali  e  dei  servi,  e  i  denari  di  tutte  le 
province,  con  queste  costruzioni  gigantesche  fece  presente 
nei  luoghi  più  lontani  la  mano  potente  di  Roma,  rese 
possibile  il  regolare  governo  del  mondo,  détte  modo  alla 
civiltà  di  penetrare  nei  recessi  più  solitari,  facilitò  e 
ingrandì  i  commerci,  ministri  di  prosperità,  di  luce,  e 
di  pensieri  più  umani  fra  i  popoli. 

Lungo  le  vie  fece  costruire  magazzini,  ove  ufficiali  di 
ciò  incaricati  {frumentarii)  raccoglievano  le  vettovaglie 
dalle  province,  e  le  conducevano  rapidamente  agli  eser- 
citi. A  brevi  e  regolari  distanze  si  stabilirono  perciò 
poste  (''),  e  vetture  e  cavalli:  e  guardie  con  nomi  di- 
versi ('")  stavano  a  proteggere  questi  trasporti,  a  dar  man 

{")  Perciò  Augusto  fu  considerato  come  inventore  o  introduttore  delle 
poste  presso  i  Romani.  E  certo  che  anche  molto  prima  di  lui  era  stata 
fatta  qualche  cosa  pei  pubblici  trasporti  ricordati  in  un  frammento  del 
vecchio  Catone.  (Vedi  Frontone,  Epist.  ad  Antonin.  Imp.,  I,  2,  pag.  150, 
ed.  Mai,  1823):  ma  egli  coll'ingrandire  e  migliorare,  e  rendere  più  rego- 
lari i  modi  usati  in  antico,  meritò  il  vanto  di  ordinatore  delle  poste  del- 
l'Impero romano.  Ciò  fu  provato  non  ha  guari  dal  Naudet  nella  sua  dotta 
dissertazione.  De  V  administration  des  postes  chez  les  Romains ,  Paris 
1<S58,  estratto  dalle  Mém.  de  V  Acadeni.  des  Inscript.,  voi.  XXIII.  Vedi 
anche  Rùdiger,  De  cursu  piiblico  imperii  romani,  BresIau  1846;  e  Ber- 
gier.  De  publicis  et  militaribus  Imp.  rom.  viis,  in  Graevio,  tora.  X, 
pag.  410,  e  seguenti. 

(*■)  Si  chiamavano  stoiionarii,  speciilatores ,  opinatores,  ctcriosi.-  Gli 
siaiionarii  erano  guardie  poste  di  distanza  in  distanza  per  reprimere  i 
malfattoi'i,  e  per  denunziare  chi  turbasse  l'ordine  pubblico.  Gli  opina'ores 
addetti  alle  legioni  avevano  l'incarico  di  affrettare  il  pagamento  delle 
contril>uzioni  per  le  vettovaglie  dei  soldati.  Gli  ypcculatores  ordinati  in 
coorte  vegliante  alla  sicurezza  dell'imperatore,  erano  spie  dell'esercito, 
e  facevano  anche  da  boia.  (S.  Marco,  Evamj.,  VI,  27).  I  citriosi,  oltre  a 
occuparsi  dei  tributi,  mandavano  a  Roma  avvisi  su  tutte  le  faccende  delle 
l>rovince.  Svetonio,  Calig.,  44;  Plinio,  Epist.,  X,  78;  Schelius,  in  Gracidio, 
tom.  X,  pag,  1225;  Spanheim,  De  usu  et  praestantia  Numism.,  toni.  II, 
pag.  233-344;  Tacito,  Hist.,  II,  73;  Sparziano,  Adriano,  11;  Codice  Teodo- 
siano,  De  ciirios..  VI,  20,  I;  Naudet.  loc.  cit.,  pag.  52. 


Gap.  I.]  L'AMMINISTRAZIONE  D'AUGUSTO.  71 

forte  ai  gabellieri,  a  vegliare  sui  contrabbandi,  a  perse- 
guitare i  pubblici  debitori,  a  portare  innanzi  e  indietro 
ordini  e  lettere  *,  ad  avvertire  i  governatori  di  ogni  no- 
vità, a  spiare  ogni  andamento  dei  sudditi  e  dei  magi- 
strati, a  fare  l'ufficio  di  sbirri,  e  da  ultimo  anche  quello 
di  carnefici  ^. 

Si  celebrano  molto  l'amministrazione  sapiente,  l'ordine, 
la  giustizia,  e  la  pace  e  la  prosperità  procurate  da  Au- 
gusto alle  province,  in  cui  è  detto  che  le  rapine  diven- 
nero minori,  e  più  facili  gii  appelli  contro  le  ingiurie 
dei  magistrati,  e  più  stabile  la  sicurezza.  Per  le  quali 
cose  anche  Tacito  afferma,  che  il  nuovo  ordine  non  di- 
spiacque ai  sudditi,  già  straziati  dagli  avari  proconsoli, 
e  non  protetti  dalle  leggi,  rese  impotenti  dalle  violenze, 
dai  raggiri  e  dall'oro  3.  E  da  ogni  parte  i  provinciali  re- 
sero onori  grandi  al  nuovo  signore.  Sessanta  popoli  della 
Gallia  Chiomata  per  mezzo  di  loro  deputati  mossi  da 
Druso  decretarono  e  dedicarono  a  lui  e  a  Roma  un'ara 
a  Lione  nella  penisola  del  confluente  della  Saona  e  del 
Rodano  ("),  con  sacerdoti  e  con  festa  perpetua:  e  ivi,  in- 
torno alla  statua  colossale  dell'imperatore  e  di  Roma, 
sorgevano  in  piccole  statue  le  imagini  delle  città  concorse 
ad  erigere  il  monumento,  davanti  al  quale  ogni  anno  nel 
primo  giorno  d'agosto  s'immolarono  vittime  ai  nuovi  Dei 
delle  Gallie  (*).  In   appresso   anche   i   Narbonesi  posero 


(■')  L' imagine  dell'  at-a  adorna  di  figure  tra  due  colonne  sormontate 
ciascuna  da  una  Vittoria,  coU'epigrafe  bom.  et  aug.  (Romae  et  Augusto) 
ci  fu  conservata  nel  rovescio  d'una  medaglia,  la  quale  nel  diritto  ha  la 
testa  di  Augusto  colla  leggenda:  caesar  augustus  mvi  F.  {filius)  pater 
PATRiAE,  Donaldson,  Architectiira  numismatica,  pag.  163;  Cohen,  Mon- 
naies  frappces  sous  l'Empire  rom.,  voi.  I,  pi.  Ili,  n.  275. 

(&)  Livio,  Epitom.,  137  (139);  Strabene,  IV.  3;  Dione,  LIV,  32;  Duruv, 

1  Svetonio,  19. 

2  Naudet,  loc.  cit.j,  p.-.g.  71,  ecc. 

3  Tacito,  Ann..  I,  2. 


72 


TEMPLI  AL  PRINCIPE  NELLE  PROVINX'E. 


LiB.  vn: 


un'ara  ad  Augusto  e  con  solenne  decreto,  che  tuttora  ri- 
mane, nel  764  sì  obhllgarono  a  rcuderfili  culto  perpetuo^. 


Ara  (li  Roma  e  d'Augusto  a  Lione  {Donaldson  e  Cohen). 

di  un  tempio  eretto  dagli  Allobrogi  a  Vienna  in  onore 


Hist.  des  Ronioins,  HI,  238.  Era  precisamente  nel  PÌto  dove  ora  sorge 
la  chiesa  di  S.  Pietro,  come  è  pi-ovato  da  monumenti  e  da  un'epigrafe  non 
ha  guari  scoperta.  Ivi  ogni  popolo  manteneva  un  sacerdote:  ivi  si  riuni- 

»  Vedi  Grutcro,  Inscrìpt.  pag.  220,  e  Ordii,  n.  2lì>9 


Gap.  1.1  TEMPLI  AL  PRINCIPE  NELLE  PROVINCE. 


di  Augusto  e  di  Livia  rimangono  anche  oggidì  le  rovine  *. 
Molte  città  ad  Augusto  vivo  e  morto  posero  are  e  templi 


Tempio  di  Augusto  e  di  Livia  :i  Vienna  {Le  Bos 


nelle  Spagne  -,  in  Italia,  in  Illiria,  in  Epiro,  in  Grecia  e 
nell'Asia  3,  ove  più  tardi  undici  popoli  contesero  per  avere 

vano  annualmeDte  i  deputati  per  deliberare  sui  loro  generali  interessi: 
ivi  fu  posta  la  famosa  tavola  di  brónzo  contenente  il  discorso  dell'im- 
perator  Claudio  al  senato.  Intorno  al  tempio  furono  eretti  anche  i  monu- . 
menti,  che  le  province  galliche  dedicavano  ai  magistrati  e  ai  personaggi 
cospicui:  e  ivi  finalmente  era  il  circo,  in  cui  ogni  deputato  aveva  il  suo 
po.-to  notato  con  iscrizioni,  di  cui  alcune  giunsero  a  noi.  Vedi  Bernard, 
nella  Revue  arclièologirpie,  maggio  1862,  voi.  5,  pag.  319-322,  e  dello 
{Stesso,  Xe  tempie  d'Anguste  et  la  naiionaliic  gauloise ,  Lyon  1864;  e 
D'Aus.signT,  Notice  sur  la  decouverle  de  l'amphitheatre  antique,  et  les 
restes  de  l'aulel  d'Auguste  a  Lugdunum,  Caen  1803, 

1  Vedi  Delorme,  Description  du  Musée  de  Vienne,  pag.  4  e  segg.,  Vienne,  1S41  ;  Le 
Bas,  France^  voi.  1,  pag.  53. 

2  Tacito,  Ann.  I,  78;  Plinio,  IV,  34,  3;  Mela,  HI,  1;  Sparziano,  Adrian.,  12. 

3  Orelli,  laser. ^  n.  606-610,  642,  643;  Grutero,  pag.  227,  n.  2  e  5,  223,  8,  e  pag.  230; 
Eckel,  VI,  12i,  125;  Annuì.  Istit.,  1836,  pag.  271;  Bevue  archéologique.  IS62,  voi.  VI, 
pag.  322;  Tacito,  Ann.,  IV,  55;  Pausania,  III,  11,  4;  Dione,  LI,  20;  Giuseppe  Flavio, 
Antiq.  lud.,  XVI,  10, 1,  e  Bell.  lud.,  I,  21,  3;  Reinaud,  l'Empire  romain  et  l'Asie  Orien- 
tale, in  Journal   Asiatique,  mars-avril,   1863,  pag.  183. 


CONDIZIONI  DEI  SUDDITI. 


[LiB.  VII. 


il  privilegio  di  dedicare  un  tempio  anche  a  Tiberio:   e 
tutti  i  re  dell'Oriente   contribuirono  insieme  alle   spese 
per  compiere  il  tempio  di  Giove  Olimpio,  cominciato  ab 
antico  in  Atene,  e  ora  dedicato  al  Genio  di  Augusto  *. 
Noi,   che  vedemmo   piti   volte   come   sia  preparata   e 


Tempio  ili  Giove  Olinijiico  aJ  Atene  {B 


come  proceda  questa  faccenda  delle  pubbliche  dimostra- 
zioni fatte  ai  potenti,  non  abbiamo  troppa  ragione  di 
credere  alla  spontaneità  e  alla  verità  di  quell'entusiasmo 
artificiosamente  destato  dai  governatori  imperiali,  o  da 
altri  per  loro  particolari  interessi.  In  qualunque  modo, 
anche  se  i  popoli  ebbero  dapprima  o  sperarono  qualche 
ristoro  dai  nuovi  provvedimenti,  presto  sentirono  anche 
che  queir alleviam.ento  non  era  durevole,  che  infelicissime 
rimanevano  le  loro  condizioni  materiali  e  sociali,  e  che  il 
feroce  diritto  della  guerra  e  della  vittoria  continuava  a 
pesare  terribile  sopra  di  essi,  destinati  a  pagare  col  lavoro 


Svetonio,  60.  Conf.  Pausania, 


Cap.  I.]  SPESE  E  RENDITE   PUBBLICHE.  75 

e  colle  proprietà  il  lusso  di  corte,  e  le  feste  di  Roma,  e  a 
nutrire  la  plebe,  e  i  numerosissimi  eserciti,  e  i  funzionari! 
grandemente  cresciuti.  Non  sappiamo  a  quanto  salissero 
le  contribuzioni  dirette  e  indirette  pagate  dai  sudditi,  né 
quante  fossero  le  rendite  di  tutto  l'Impero.  Sventuramente 
andò  perduto  lo  specchio  dello  Stato  fatto  da  Augusto  me- 
desimo {"),  documento  prezioso,  che  conteneva  la  nume- 
razione dei  cittadini  e  dei  socii,  degli  eserciti,  delle  ar- 
mate, dei  regni,  delle  province,  dei  tributi,  dei  dazii, 
dei  carichi  di  ogni  sorte,  e  delle  largizioni,  e  rendeva  conto 
di  tutta  la  grande  amministrazione  dell' Impei'o.  Quindi 
la  storia  è  ridotta  alle  congetture,  e  con  esse  le  rendite 
delle  province  furono  valutate  a  150  milioni  di  scudi 
d'oro  dal  Lipsio  *,  a  circa  400  milioni  dal  Gibbon  ^,  a  784 
e  a  960  milioni  da  altri.  Ma,  lasciando  da  parte  le  con- 
getture, sappiamo  che  smisurate  erano  le  spese,  e  che 
Vespasiano  al  cominciare  del  suo  regno  dichiarò  che  per 
tenere  in  piedi  lo  Stato  bisognavano  40  miliardi  di  se- 
sterzi (^),  equivalenti  a  più  di  sette  miliardi  di  lire.  Sap- 
piamo con  sicurezza  che  le  antiche  rendite,  quantunque 
grandissime,  non  erano  più  sufficienti  alle  spese  ^,  accre- 
sciute per  supplire  alle  più  larghe  distribuzioni  gratuite, 
ai  giuochi,  agli  spettacoli,  e  al  mantenimento  delle  aumen- 
tate mihzie.  È  certo  del  pari  che  coll'aumento  dei  cittadini 


(")  Rationarum  o  Breviariuai  iolius  iuipsì-ii.  Svetonio,  2S!  e  101;  Ta- 
cito, Anìi.,  I,  11;  Dione  Cassio,  LUI,  130. 

(^)  Svetonio,  Yespas.,  10:  P/ofes.'^ìis-,  quadriìigenties  ìnillieò-  opus  esse 
ìit  respiihlica  stare  posset.  II  Budeo  propose  di  mutare  qiiodringendes 
rnilUes  in  quadrqgies  millies,  il  che  la  circa  784  milioni  di  lire;  somma 
la  filiale  unita  alle  contribuzioni  pagate  in  natura  forma  una  valutazione 
creduta  rispondente  alla  grandezza  delTlmpero  remano.  Vedi-Naudet,  Des 
rhzìKjemenls  de  Vadministr.  de   V  Emp.    roin.  voi.  I,  pag.  5  e  17G-177. 

1  Lipsio,  De  Mannit.  Rom.,  II.  3. 

'^  Gibbon,   The  Ilistory  of  Decime ,  ecc.,  chaj'.  6. 

3  Dione  Cassio,  I.II,  2S,  ecc. 


76  CONTRIBUZIONI  GRAVISSIME.  [Lib.  VII. 

grandemente  cresciuti  dal  708  al  725  *  era  diminuito  il 
numero  nei  sottoposti  al  tributo,  e  perciò  scemata  anche 
la  quantità  delle  terre  imponibili.  D'onde  seguiva  neces- 
sariamente, che  a  pareggiare  lo  sbilancio  tra  le  entrate 
e  le  uscite  bisognava  porre  ai  sudditi  gravezze  maggiori. 
Per  questo  Augusto  fece  il  catasto  generale  dell'Impero, 
e  accrebbe  i  tributi;  e  molti  regni  e  province  ebbero  cari- 
chi non  mai  provati  fmqui  ^,  e  alcuni  popoli  in  appresso 
pagarono  il  doppio  ^.  Il  modo  stesso  dell'imposizione 
divenne  più  grave.  La  contribuzione  fondiaria,  che  sotto 
la  Repubblica  non  era  se  non  una  parte  del  ricolto  pagato 
in  natura,  divenne  una  parte  determinata  della  rendita 
presunta,  cioè  la  quinta  o  la  settima,  secondo  la  qualità 
delle  terre;  somma  fissata  anticipatamente  dietro  la  stima 
officiale  del  suolo  {").  Cosi  lo  Stato  rimaneva  sempre  al 
sicuro,  e  per  esso  non  vi  erano  intemperie  di  stagioni, 
né  fortuite  sterilità  di  campi,  mentre  i  sudditi  pagavano 
anche  per  le  raccolte  che  avesse  distrutte  la  grandine. 
Di  più,  non  ostante  la  cura  messa  a  toglier  via  gli 
abusi  dell'amministrazione  provinciale,  anche  dopo  la  ri- 
forma i  popoli  patirono  ingiurie  e  rapine  crudeli.  Fre- 
quenti le  confìscazioni  dei  principi.   Tiberio  confiscò  gli 


(*•)  Ajri  vectigales  muUas  Jiabent  consiìtuiiones.  In  quibusdam  j^ro- 
vinciis  fniclus  pariem  constitulam  praestant;  alii  quintas,  alzi  septi- 
mas  ;  nunc  multi  peciiniam,  et  hoc  per  soli  aestimationem.  Certa  enini 
praeiia  agris  constiliita  sunt ,  ut  in  Pannonia  avvi  primi  (di  prima, 
qualità),  arvi  secundi;  prati,  silvae  glandi ferae,  silvae  viilgaris,  jjascui. 
Eis  o'innibus  agris  veciigal  ad  modum  ubertatis  per  singula  iugera 
conslitutum.  Igino,  De  limitib.  const.,  in  Goesio,  Ilei  agrariae  auctores, 
pag.  198.  Vedi  anche  Bureau  De  la  Malie,  Econom.  poHt.  des  Romains, 
IV,  14  e  IG,  pag.  41^  e  434. 

1  Vedi  Plntnrco,  Cesare  ^  55;  Livio,  Epitom.  ^  115-,  Svctonio ,  27;  Dione,  XI, III,  25, 
LUI,  1,  I,IV,  35,  Monum.  Ancyr..  II,  •!. 

2  Pcrizonio,  Dissert.  ^  W .  pag.  330,  ecc.;  Bureau  De  la  Malie,  Econom.  polii,  (h-s 
Hom..,  II,  9. 

3  Syctonio,   Vespas.,  \6. 


Gap.  I.]  RAPINE  NELLE  PROVINCE.  77 

averi  ai  principali  cittadini  delle  Gallie,  delle  Spagne  e 
di  Grecia,  e  ad  alcuni  solo  perchè  avevano  i  possessi  in 
denaro  *.  Un  Licinio,  procuratore  della  Gallia,  accusato 
di  menare  fiere  rapine  e  di  esigere  ladronescamente  le 
tasse  come  se  fossero  14  i  mesi  dell'anno,  si  difese  di- 
cendo che  aveva  spogliato  e  dissanguato  i  ricchi  sudditi, 
perchè  non  avessero  più  forza  a  fare  ribellioni,  e  pose 
in  mano  del  principe  la  ricca  preda.-  Ed  Augusto  trovò 
buone  quelle  ragioni,  e,  preso  il  tesoro  rubato,  mandò 
assoluto  il  ladro  2.  La  quale  impunità  accrebbe  la  pub- 
blica indignazione  per  modo,  che  uno  dei  piti  notabili 
cittadini  fece  disegno  di  uccidere  l'imperatore  nelle  Alpi 
al  suo  ritorno  in  Italia  ^.  È  narrato  pure  di  concussioni 
in  Oriente,  e  di  giustizia  e  di  ufficii  venduti  all'incanto  dai 
favoriti  di  Caio,  nipote  del  principe  (").  M.  Lollio  s'infamò 
per  estorsioni  in  tutto  l'Oriente,  e  poscia  Lollia  Paolina 
andava  carica  di  oltre  sette  milioni  di  gemme  tratte  da 
queste  rapine  ^.  P.  Quintilio  Varo,  quello  stesso  che  poi  fu 
distrutto  in  Germania,  entrò  povero  in  Siria,  e  ne  usci 
ricco,  lasciandola  povera^.  Anche  la  Giudea  e  le  altre  con- 
trade si  vedono  rovinate  dalle  angherie  dei  magistrati,  e 
più  tardi,  quantunque  si  punissero  i  ladri,  continuarono 
le  ruberie  dei  crudeli  e  avari  proconsoli^.  Vessazioni  infi- 
nite nell'Affrica  per  causa  delle  leve  militari  corrotte  con 
denari  e  con  brighe  ';  crudeltà  e  rapine  dei  governatori 

(")  E  vero  che  alcuni  di  costoro  la  passarono  male.  Paedagogum  mi- 
nistrosque  Caii  fdii,  per  occasionem  valetudinis  mortisque  eius  siq:>erbe 
avareque  in  provincia  grassatos,  oneratis  grati  pendere  certicibiis, 
praecipitavit  in  flumen.  Svetonio,  Àii.g.,  67. 

1  Svetouio,  Tib.,  49.  Conf.  Tacito,  Ann.,  VI,  10,  e  Dione,  XLI,  38. 

2  Dione  Cassio,  LIV,  21. 

3  Svetonio,  70. 

4  Velleio  Patercolo,  II,  102 ;  Plinio,  IX,  53. 

5  Velleio  Patercolo,  II,  117. 

6  Tacito,  Ann.,  II,  42,  54,  III,  40. 

7  Tacito,  Ann.,  XIV,  IS  ;  Plinio,  Epist.,  II,  11  e  12;  Giovenale,  I,  47,  ecc. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  10 


78  MILIZIE.  [LiB.  VII. 

di  Spagna  e  quindi  ripetute  sollevazioni  di  Asturi  e  Can- 
tabri  ^;  verghe  e  scuri  e  feroci  avarizie  proconsolari  in 
Germania  tra  l'Elba  e  il  Reno  -\  e  in  Britannia  legati  e 
fiscali  si  divoravano  il  sangue  e  gli  averi  dei  popoli:  nulla 
poteva  salvarsi  dalle  loro  feroci  voglie.  I  centurioni  met- 
tevano tutto  a  devastazione,  e  saccheggiarono  la  casa, 
e  bastonarono  la  moglie  e  stuprarono  le  figliuole  di  un 
principe,  che  aveva  lasciato  erede  Nerone  3.  Potrei  ag- 
giungere' anche  altri  fatti  simili  a  questi,  che  mostrano 
quale  fosse  la  sorte  delle  province  sotto  1'  amministra- 
zione imperiale,  quantunque  sia  detto  che  ora  stavano 
meglio;  ma  gh  riserbo  ai  loro  tempi. 

Per  tenere  in  suggezione  le  province,  per  ispaventare 
i  malcontenti,  e  per  mantenere  l'integrità  dell'Impero, 
Augusto  ordinò  gagliardamente  le  forze  militari.  A  difen- 
dere le  'nuove  conquiste  contro  i  nuovi  confinanti  dei 
possessi  romani  stabili  presidii  su  tutti  i  confini,  e  anche 
nelle  città  dove  fosse  da  temere  ribellione,  come  ad  Ales- 
sandria, a  Borito,  a  Lugduno  ''  ;  e  mantenne  gli  eserciti 
stanziali,  già  cominciati  a  tempo  delle  guerre  civili.  Ben 
connesse  tra  loro  le  province,  le  legioni,  le  armate  ^i 
Roma  guardata  da  piìi  di  20  mila  uomini.  Ridusse  a  25 
il  numero  delle  legioni^,  che  distribuì  due  nella  Mesia 
quando  fu  vinta,  e  due  in  Pannonia,  le  quali  spalleggiate 
da  altre  due  di  Dalmazia  difendessero  la  riva  destra  del 
Danubio,  e,  al  bisogno,  potessero  accorrere  ad  aiuto  d'I- 
talia; otto  sul  Reno  a  ridosso  ai  Germani  ed  ai  Galli; 
tre  nelle  Spagne;  due  nella  provincia  di  Affrica;  due  in 
Egitto  ;  e  quattro  ne  fece  stanziare  in  Oriente  a  guardia 
di  tutto  il  sran  tratto  che  si  estende  dalla  Siria  all'Eu- 


1  Dione  Cassio,  ÌAU,  29,  LIV,  5  e  11;  Plinio,  Epht.,  Ili,  9. 

2  Tacito,  Ann.,  I.  W,  II,  15. 

3  Tacito,  Agric  .  15,  Ann.,  XIV,  31,  3$. 

4  Lipsio,  De  Magnii.  rom.,  I,  4. 

5  Tacito,  Ann.,  I,  9. 

«  Dìodo  Cassio,  I,V,  21.  Conf.  Appiano,  V,  127;  Orosio,  VI,  18. 


Gap.  I.J  MILIZIE.  79 

frate.  Assicurati  anche  i  mari  :  un'  armata  di  250  navi 
stette  nell'Adriatico  presso  a  Ravenna,  un'altra  nel  Me- 
diterraneo al  capo  Miseno;  molte  navi  rostrate  con  forte 
ciurma  stanziarono  al  porto  di  Fóro  Giulio  (Fréjus)  per 
difendere  le  spiagge  di  Gallia  e  di  Spagna;  40  navi  con 
tremila  soldati  assicurarono  il  Ponte  Eussino  {Mar  Nero): 
furono  armati  di  flotte  il  Danubio ,  il  Reno ,  e  proba- 
bilmente l'Eufrate,  per  ostare  al  passaggio  dei  barbari  *. 
Le  quali  forze,  ingrossate  da  molti  ausiliari  e  sparse  in  un 
impero  di  circa  120  milioni  di  abitanti,  è  calcolato  che 
montassero  a  450  mila  uomini  '^. 

Tanti  soldati  raccolti  a  difesa  dell'Impero  potevano 
divenire  minaccia  e  pericolo  al  principe,  dopoché,  avvez- 
zati a  violare  ogni  legge,  sapevano  che  tutta  la  forza 
stava  nelle  loro  spade.  Augusto  rivolse  ogni  industria  a 
impedire  questo  effetto,  e  adoperò  che  gli  antichi  di- 
fensori della  Repubblica  si  trasformassero  in  soldati  del 
principe.  Li  separò  dagli  altri  cittadini,  li  legò  a  sé 
con  larghi  doni  e  con  privilegi.  Il  soldato  ebbe  posto  di- 
stinto al  teatro,  potè,  senza  impacci  di  formule,  far  te- 
stamento sul  campo,  ebbe  la  proprietà  dei  beni  acqui- 
stati sotto  le  insegne.  Ma  se  il  principe  dava  privilegi  e 
favori,  non  tollerò  pretensioni  né  disordini  tra  le  milizie. 
Voleva  essere  egli  il  padrone:  il  soldato  doveva  obbedire. 
A  questo  effetto  ristabili  rigidissima  disciphna.  Dopo  la 
vittoria  !?purgò  gli  eserciti  degli  schiavi  ("),  introdottivisi 
nella  guerra  civile,  né  chiamò  più  commilitoni  i  soldati, 

{")  Servorum  qui  fuggisent  a  dominis  suis,  et  arma  contra  rem- 
publicam  tulerunt  triginta  fere  millia  capta  doìninis  ad  sii-pplicium 
sumendimi  tradidi.  Monuin.  Ancyr.,  V,  1-3. 

1  Tacito,  Ann.,  IV,  5;  Svetonio,  49;  Dione,  LV,  23-24;  Lipsio,  De  Magnit  rom.,  I,  5; 
Pfitzner,  De  legionibus,  quae  inde  ab  Augusto  usque  ad  Hadrianum  in  Itlyrico  teten- 
derunt,  Berolini  1846;  e  dello  stesso,  Commentatio  qitot  quibusque  numeris  insignes 
legiones  inde  ab  Augusto  ad  Vespasiani  principatum  in  oriente  tetenderint.  Novi  Bran- 
denburgi  1844;  Robertelli,  De  Legionib.  Roman.,  in  Graevio,  tom.  X,  pag.  1470,  ecc. 

2  Gibbon,  lot.  cit.,  chap.  1  e  2.  Vedi  anche  Lipsio,  loc.  cit.,  I,  5. 


80  MILIZIE.  ERARIO  MILITARE.  [Lib.  VII. 

e  vietò  ai  suoi  figliuoli  adottivi  di  usare  familiarmente 
con  essi  ^  Negli  eserciti  ordinò  disciplina  severa.  Punì 
ignominiosamente  i  non  obbedienti,  decimò  e  nutrì  di 
orzo  i  codardi,  ordinò  pena  di  morte  agli  ufficiali  che 
abbandonassero  il  posto;  e  vendè  all'incanto  un  cavaliere 
con  tutti  i  suoi  beni,  in  pena  di  aver  sottratto  alla  mi- 
lizia due  figli  col  tagliar  loro  il  pollice  -. 

Fissò  il  servizio  militare  a  dodici  anni  pei  preto- 
riani ("),  e  a  sedici  pei  legionarii  (^),  e  assegnò  dopo  il 
congedo,  ai  primi  una  ricompensa  di  20  mila  sesterzi  C), 
e  di  12  mila  ('')  ai  secondi,  perchè  a  causa  di  loro  pò- 
verta  non  divenissero  strumento  degli  amatori  di  cose 
nuove.  Il  qual  provvedimento  era  buono,  perchè  mentre 
contentava  i  veterani,  liberava  i  cittadini  dal  timore  di 
nuove  spoliazioni,  e  ne  rendeva  sicuri  i  possessi  3.  Ma 
come  per  pagare  il  soldo  ordinario  e  le  gratificazioni  alla 
fine  del  servizio  non  bastavano  i  mezzi  ordinarli,  e  si 
richiedevano  rendite  nuove,  Augusto  pensò  a  stabilire 
a  questo  fine  un  erario  militare,  ossia  una  cassa  perma- 
nente che  rispondesse  al  bisogno.  Per  darle  principio 
vi  messe  170  milioni  di  sesterzi  (lire  italiane  34,458,276) 
a  nome  suo  e  di  Tiberio  ^,  e  chiese  soccorsi  ai  popoli 
stranieri  e  ai  re.  Poi  pensando  a  nutrirla  colle   rendite 

(")  Sulla  istituzione  e  sulle  vicende  di  essi,  vedi  Groneman,  De  militum 
praetorianorum  apud  liomanos  hhtoria,  Traiecti  ad  Rhenum  1S:^2. 

(^)  Fu  poscia  prolungato,  e  anche  dopo  quel  termine  1  legionarii  eriino 
tenuti  per  qualche  tempo  sotto  le  insegne,  per  esser  pronti,  come  ri- 
serva, al  bisogno.  Tacito,  Ann.,  I,  17,  26. 

C^)  Equivalenti  a  3975  lire  italiane  "e  95  centesimi. 

C)  Cioè  2385  lire  italiane  e  57  centesimi.  Dione,  LIV,  25,  LV,  23; 
Svctouio,  49.  Sullo  stipendio  delle  milizie  vedi  Lipsio,  Excurs.  ad  Tacit. 
Ann.,  I,  17,  e  Graevii   Thesaiir.,  tom.  X,  pag.  280  e  1190. 

1  Appiano,  V,  131  ;  Svetonio,  ?5. 

2  Svetonio,  21;  Diono,  XLIX,  Vi,  ecc..  I.VI.  ','1.  r,.'-(_  Vn!  rio  Massino,  VI,  3,  3. 

3  Dione  Cassio,  LIV,  25. 

*  Monum.  Ancyr.^  Ili,  36-39. 


Gap.  I.]         NUOVE  GRAVEZZE  PER  PAGARE  I  SOLDATI.  81 

fisse  di  nuove  gravezze,  ricorse  per  consiglio  al  senato, 
ma  trovò  grande  opposizione,  perchè  tutti  erano  con- 
trarli anche  all'  idea  di  una  imposizione  qualunque  si 
fosse.  Egli  propose  la  gravezza  della  ventesima  sulle  ere- 
dità e  sui  legati,  e  diceva  di  averla  trovata  tra  i  ricordi 
di  Cesare.  Senatori,  cavalieri  e  popolo  erano  tutti  con- 
trarli a  tal  novità;  ma  egli  governandosi  colla  solita 
destrezza,  minacciò  di  porre  in  cambio  una  gravezza  ai 
proprietarii  di  terre  e  di  case  ;  e  con  questo  mezzo  riuscì 
a  fare  accettare,  come  male  minore,  l'imposizione  di  un 
ventesimo  sulle  eredità  che  non  andassero  agli  stretti 
parenti  e  ai  poveri,  e  senza  curare  dicerie  e  schiamazzi 
nominò  tre  deputati  per  sopraintendere  a  questa  ren- 
dita ("),  che  poscia  fa  data  in  appalto  ai  pubblicani  *  in 
Italia,  e  amministrata  dai  procuratori  imperiali  nelle  pro- 
vince, come  è  attestato  da  molte  iscrizioni-.  A  sostegno 
dell'erario  militare  andò  anche  la  tassa  dell'uno  per  cento 
posta  sulle  cose  venali  {''),  e  la  cinquantesima  parte  del 


{")  Dione  Cassio,  LV,  23,  LVI,  2S:  Svetonio,  49;  Burmanno,  De  vecfi- 
(jalibus  pop.  rom.,  cap.  11.  Quelli  incaricati  di  percepire  la  vicesima 
delle  eredità,  e  di  giudicare  i  motivi  di  esenzione  addotti  dai  contribuenti, 
sono  chiamati  nelle  iscrizioni  irrocuratores,  2'>ì'omagistri  XX  (vicesimae) 
heredilatum,  procuratores  Augusti  Jiereditatiian.  Vedi  Borghesi,  Iscri- 
zioni di  Foligno  negli  Annali'  di  corrispondenza  archeologica  ^  1846, 
pag.  319-,  Grutero,  pag.  426,  n,  5,  437,  7.,  454,  8  e  9;  e  Bureau  De  la 
M3.\\e,  Economie  politique  des  Romains  ,  livre  IV,  chapitre  21,  voi.  Il; 
pag.  472,  Paris  1840. 

(*)  Tacito,  Ann.,  I,  78,  II,  42.  Era  una  tassa  sui  commestibili  {edulia), 
simile  a  quello  che  oggi  si  chiama  dazio  di  consumo.  Niuna  imposta 
riusci  più  grave.  Pesava  specialmente  sul  popolo;  era  oltre  ogni  dire 
vessatoria,  e  sottoposta  a  ogni  sorta  di  frodi,  perchè  si  percepiva  nel- 
l'interno di  Koma,  non  allo  porte.  Plinio,  "XIX,  Ì9;  Svetonio,  Calig.,  40 
•Bureau  De  la  Malie,  loc.  cit.,  IV,  20  e  21. 

1  Plinio,  Eiìist.,  VII,  n,  Paneg.^  37. 

2  Vedi  niohhorst,  Qiinestioaum  epigr.iphicantm  de  procuraloyih".3  i-r.peratorum^ 
Regimon'i  Iruss.  ISGl. 


82  L'IMPERATORE  CAPO  DI  TUTTI  GLI  ESERCITL    [Lib.  VIL 

prezzo  che  furono  obbligati  a  pagare  quelli  che  vendes- 
sero schiavi  *. 

Provveduti  e  fatti  a  sé  devoti  i  soldati,  impedì  che 
acquistassero  fama  di  grandi  guerrieri  quelli  che  pote- 
vano nutrire  pensieri  ambiziosi,  e  non  messe  a  capo  delle 
grandi  imprese  se  non  i  membri  di  sua  famiglia,  Dap- 
prim.a  comandò  da  sé  stesso  le  guardie  pretoriane,  che 
poscia  colle  vite  dei  principi  ebbero  in  mano  l'impero; 
e  da  ultimo  ne  divise  il  comando  fra  due  cittadini  non 
temibili,  né  per  chiarezza  di  parentado,  né  per  qualità 
personali  2.  A  sé  riserbò  il  titolo  d'imperatore  dato  per 
le  imprese  felici,  e  lo  ebbe  ventuna  volta  3,  A  poco  a 
poco  rese  disusati  i  trionfi,  perché  niun  privato  citta- 
dino avesse  modo  ad  elevarsi  anche  per  un  giorno  solo 
al  pari  del  principe,  e  perchè  la  gloria  militare  divenisse 
privilegio  imperiale.  Fu  stabilito  per  massima,  che  l'im- 
peratore ordinando  le  imprese  e  cominciandole  con  suoi 
auspicii,  e  reggendole  col  suo  senno,  egli  solo  vinceva, 
e  che  quindi  a  lui  solo  si  dovevano  gli  onori  della  vit- 
toria. Parecchi  aveva  lasciato  trionfare  sulle  prime,  anche 
per  piccole  vittorie  contro  ladroni  o  città  sediziose  '',  ma 
quando  si  sentì  più  sicuramente  padrone  non  concesse 
quell'onore,  se  non  qualche  volta  ai  parenti  e  agli  amici 
fedeh.  Agli  altri  dava  solamente  le  insegne  trionfali,  con- 
sistenti nella  corona  aurea  a  foggia  di  lauro,  nella  toga 
ricamata  d'oro,  nel  bastone  d'avorio  sormontato  dall'a- 
quila, e  da  ultimo  anche  in  una  statua  eretta  nel  Fóro^: 
onori  dati  più  tardi  a  chi  non  avesse  militato  e  anche 
ai  fanciulli  e  ai  delatori,  e  fatti  sempre  più  vili  col  cre- 

1  Dione,  LV,  31. 

2  Dione  Cassio,  LV,  10.  Conf.,  LII,  21. 

3  Monum.  Ancyr.,  I,  2.'?;  Tacito,  Aun.,  I.  9. 

4  Svetonio,  38  ;  Dione,  LIV,  12. 

5  Diono  Cassio,  LIV,  21,  SI,  33,  31,  LV,  2S,  LVI,  17;  Ralnis.  De  ornamentis  trinm- 
phalibus,  Angiisiae  Vindeiicorani  1850;  Goell,  Le  triurnphi  romani  origina,  permissuj. 
Mfparatu.  via,  Schleizae  1S54,  pag.  39,  ecc.;  Borghesi,  Iscrizioni  di  Foiiyno,  negli 
Annali  di  corrisp.  archeoloij.^  1316,  pag.  312-350. 


Gap.  I.J 


83 


■11  SMm 

Statua  corazzata  d'Augusto  {JVel  vestibolo  del  Palazzo  dei  Conservatori  in  Campidoglio). 


84  CONFINI  DELL'IMPERO.  [Lib.  VIL 

scere  della  tirannide  *.  Accadde  allora  di  essi  come  nei 
tempi  moderni  delle  decorazioni  cavalleresche,  le  quali 
piovendo  in  copia  grandissima  a  ogni  sorta  di  nomini  e 
per  ogni  sorta  di  titoli,  da  molte  oneste  persone  si  re- 
putarono tutt' altro  che  segni  d'onore. 

Sorto  al  grado  supremo  per  forza  di  armi,  quantunque 
non  prode  soldato,  impedì  che  altri  tentasse  di  alzarsi 
coi  medesimi  modi  ;  e  tolta  o  menomata  la  preponde- 
ranza agli  eserciti  e  ai  duci,  si  volse  agli  studi  pacifici, 
e  si  adoprò  a  finire  le  contese  con  trattati,  obbligando  i 
capi  dei  barbari  pacificati  a  giurargli  fedeltà  nel  tempio 
di  Marte  Vendicatore;  e  allora  potè  vantarsi  di  aver 
tratti  a  Roma  a  chiedere  amicizia  ambasciatori  non  più 
visti  dai  Medi,  dagli  Indiani,  dai  Seri  (Chinesl),  dagli 
Albani,  dagli  Iberi,  dai  Bastami,  dagli  Sciti  e  dai  Sar- 
mati (").  Persuaso  che  a  Roma  bastasse  un  impero  limi- 
tato a  settentrione  dal  Danubio  e  dal  Reno,  a  occidente 
dall'Oceano,  a  mezzodì  dalle  cateratte  del  Nilo,  dai  deserti 
e  dal  monte  Atlante,  e  a  oriente  dall'Eufrate,  si  studiò 
di  stabilire  quei  termini,  consigliò  ai  successori  di  non 
oltrepassarli,  e  per  quanto  era  da  lui  fece  guerra  solo 
per  fissarli  e  per  mantenerli,  e  per  frenare  le  libellioni 
0  per  vendicare  le  disfatte  ^. 

Pensò  più  volte  di  recare  ad  esecuzione  i  disegni  di  Ce- 
sare sulla  Britannia,  e  di  ridurla  a  provincia  romana  di 
fatto,  ma,  distoltone  da  altre  cose  più  urgenti  é  dalle  diffi- 
coltà dell'impresa,  si  contentò  delle  profferte  e  dei  doni 

e*)  Momim.  Ancì/r.,Y,  50-54.  Vedi  anche  Strabene,  XV,  1  in  principio; 
Dione  Cassio,  LIV,  9;  Svetonio,  2L  Floro,  IV,  Ì2,  di,  ricorda  i  Sei-i,  e 
dice  che  gli  Indiani  spesero  nel  viaggio  quatti'O  anni  e  recarono  in  dono 
gemme,  margherite,  ed  elefanti.  Vedi  anche  Reinaud  nel  Journal  Asia- 
iique,  niars-avril  1803,  pag.  178,  e  segg. 

>  Tacilo,    Ann.,  XI,    20,  XH,  2,   XIII,  53,  XV,    72;   Svelonin,    Claud.,  21,  Ner.,  15; 
Dione,  LX,  8,  23,  ZO. 
2  Tacito,  Ann.,  I,  :5,  11. 


Gap.  L]     guerre  CONTRO  MESI,  DACI,  GALLI  E  SPAGNOLL         85 

mandati  al  Campidoglio  dai  capi  dell'isola  («).  Nel  725 
vinse  coll'opera  di  M.  Licinio  Crasso  la  Mesia  {Bulgaria 
e  Servici),  già  tentata  da  lui  stesso  ai  tempi  della  sua 
guerra  di  Dalmazia  e  Pannonia:  furono  battuti  i  Daci,  e 
respinti  oltre  il  Danubio  (^)  :  ricacciati  oltre  il  Reno  gli 
Svevi  provatisi,  con  altri  Germani,  a  passarlo,  e  repressi 
nelle  Gallie  i  moti  dei  Treviri  e  Merini  *.  Messala  trionfò 
degli  Aquitani,  ribellatisi  dopo  le  vittorie  di  Agrippa  (''), 
e  il  principe  stesso  andò  in  persona  (727)  a  estendere, 
oltre  i  Pirenei,  l'Impero  fino  all'Oceano  colla  sottomis- 
sione dei  Cantabri  e  degli  Asturi,  che,  rimàsti  sempre 
indipendenti  nella  servitù  di  tutti  gli  altri  Spagnuoli 
risorgevano  gagliardi  dalle  sconfitte,  eccitavano  a  rivolta 
le  altre  tribù  iberiche  già  sottomesse,  e  nei  loro  monti 
offrivano  asilo  a  tutti  i  nemici  di  Roma.  Abitavano  nel 
settentrione  della  Spagna  i  luoghi  stessi,  che  più  tardi 
si  serbarono  indipendenti  dai  Mori,  cioè  la  Discaglia,  le 
Asturie,  la  parte  superiore  della  Galizia  e  il  paese  intorno 
a  Leone.  Erano  una  fiera  gente,  fatta  forte  dall'asprezza 
dei   monti  nativi,  dai  selvaggi  costumi,  e  da  amore  su- 


(«)  Dione  Cassio,  XLIX,  38,  LUI,  22,  25;  Strabene,  IV,  5;  Orazio,  Od, 
I,  35,  29.  Dione  (L,  24)  fa  ricordare  ad  Ottavio  il  passaggio  in  Britanuia 
come  cosa  compiuta:  Strabone  {loc.  cif.;  dice  quasi  tutta  l'isola,  aderente 
ai  Romani:  e  Orazio  in  altro  luogo  parla  di  Britanni  soggiogati  e  riu- 
niti airimpero  {Od...  IH,  5,  2.  Vedi  anche  III,  4,  33,  ed  E}) od.,  VII,  7-8): 
ma  non  fu  che  un  desiderio,  e  im  progetto.  Da  un'altra  parte  sappiamo 
che  Augusto  aveya  consigliato  di  lasciare  in  pace  i  Britanni,  e  che  Tiberio 
chiamava  precetto  questo  consiglio.  Tacito,  Agric,  13, 

(*)  Dione  Cassio,  LI,  23-26;  Virgilio,  Georg.,  II,  497.  I  Daci,  detti  anche 
Geti ,  quando  il  Danubio  era  gelato  lo  passavano ,  e  saccheggiavano  i 
luoghi  vicini.  Augusto,  dice  Floro,  lY,  12,  li  respinse  sull'altra  l'ipa,  e 
pose  presidii  al  di  qua:  Sic  tunc  Bacia  non  vieta,  sed  summoia. 

(c)  Appiano.  Bell.  Civ.,  IV,  38,  è  V,  92.  Vedi  Tibuilo,  I,  7,  il  quale 
descrive  le  imprese  di  ^Messala,  e  ne  Celebra  il  trionfo  sui  Galli. 

1  Dione,  LI,  2)  e  21. 
Vannucci  —  Storia  dell'  Italia  antica  —  IV.  U 


86  SOTTOMISSIONE  DEI  CANTABRI  E  ASTURI.        [Lib.  VII. 


premo  di  libertà*.  Augusto,  se  ordinò  di  mettere  a  di- 
struzione il  paese,  neppur  qui  fece  alcuna  prodezza  di  sua 
persona,  perchè  caduto  gravemente  infermo  dovè  ritrarsi 
dal  campo,  e  poscia  con  un  monumento  attestò  nuova- 
mente della  sua  vecchia  paura  del  fulmine,  inalzando  a 
Roma  un  tempio  a  Giove  Tonante,  perchè  una  notte 
nella  guerra  Cantahrica  non  fu  colpito  dalla  folgore,  che, 
strisciatagli  la  lettiga,  uccise  il  servo  incaricato  di  illu- 
minargli la  strada  2.  Ma  i  suoi  legati  proseguirono  l'im- 
presa gagliardamente,  e  i  Cantabri,  assaliti  nei  villaggi 
e  nei  monti,  dopo  lunga  e  diffìcile  lotta  furono  vinti 
colle  armi,  colla  fame  e  col  fuoco.  Né  a  salvarU  giova- 
rono gli  Asturi  venuti  alla  riscossa,  né  le  forti  prove 
ritentate  in  appresso.  Pure,  quantunque  oppressi  e  ven- 
duti e  trasportati  lungi  dalle  native  montagne,  i  fieri 
uomini  non  caddero  d'animo:  uccisero  i  padroni,  torna- 
rono al  paese  nativo,  resisterono  di  nuovo  a  Roma  si- 
gnora del  mondo  Q").  Per  finirli  fu  necessaria  l'opera  di 
Agrippa,  il  quale,  accorso  (735)  dalle  Gallie,  compresse  gli 
ultimi  moti,  spense  quasi  tutti  i  Cantabri  atti  alle  armi, 
e  gli  altri  trasportò  nei  piani  sotto  la  guardia  di  legioni 
e  di  forti  colonie.  Cosi  tutte  le  tribù  della  Galizia,  dopo 
aver  resistito  lungamente  alla  grande  potenza  di  Roma, 
furono  vinte  e  sottomesse  per  sempre.  La  poesia  romana 
celebrò  con  alte  lodi  la  guerra  Cantahrica  3,  e  dei  vinti 
non  rim-ase  se  non  la  fama  di  loro  grande  caduta;  pe- 
rocché anche  le  storie  dei  vincitori  narrarono  di  madri 
che  uccisero  i  figli  per  impedire  che  andassero  in  mano 

{^)  Livio,  XXVIII,  12,  dice:  Hispania  .  .  .  .  'prima  Romanis  inita 
provinciarum,  quae  quidem  contineniis  sunt,  postrema  omnium,  nostra 
demum  aetdte,  ductu  auspicioque  Angusti  Caesaris  perdomita  est. 

1  Vedi  Duray,  État  Au  monde  romain  vers  le  Cenips  de  ?<t  fondation  de  Vempirej, 
Pari*  1853,  pag.  12,  e  seguenti. 

2  Svetonio,  Aug.^  29  e  91.  Conf.  Dione.  LIV,  4. 

3  Orazio,  Od.,  II,  6,  5,  e  II,  11,    1.,  Ili,  8,  ^,  IV,  11,  41.  Episl..  I,  12,  20. 


Gap.  I.]     GUERRE  AGLI  ETIOPI,  GARAMANTI,  ARABI,  EGO.  87 

al  nemico,  e  di  altri  che  col  veleno  o  col  ferro  e  col 
fuoco,  bruciati  i  lori  ripari,  liberarono  sé  stessi  e  i  loro 
cari  dalla  servitù  *. 

In  Affrica  C.  Petronio,  governatore  di  Egitto,  respinse 
e  disfece  in  più  scontri  gli  Etiopi,  che  condotti  dalla 
regina  Candace  si  avanzarono  fino  ad  Elefantina,  e  tutt® 
mettevano  a  sacco  ;  e  le  armi  romane  allora  penetra- 
rono nella  sconosciuta  regione  e  la  fecero  alleata  all'Im- 
pero 2  (732).  Tre  anni  dopo  Cornelio  Balbo  riaprì  per  le 
regioni  di  Fasania  (Fezzan)  la  via  dell'interno  dell'Affrica, 
e  avanzatosi  fino  al  monte  Atro  (Gibel-Asoud),  guerreggiò 
i  Garamanti  ed  altre  genti  sconosciute,  di  cui  portò  a 
Roma  gli  strani  nomi  e  le  imagini.  Balbo,  nativo  di  Gade 
nell'ultima  Spagna,  era  il  primo  straniero  che  avesse  a 
Roma  l'onore  del  trionfo  («). 

In  Oriente  Augusto  fece  tentare  l'Arabia  nella  spe- 
ranza di  averne  gli  aromi  e  le  imaginate  ricchezze,  e 
per  assicurare  il  commercio  dell'Eritreo.  Ma  Eho  Gallo, 
che  si  avventurò  a  quell'impresa  (730-731)  con  diecimila 
uomini,  tradito  dalle  guide  infedeli,  e  combattuto  dal 
mare  e  dagli  aridi  luoghi,  dopo  molti  e  vani  travagli 
tornò  indietro  scemo  della  più  parte  dei  suoi,  spenti 
dalle  fatiche,  dalle  malattie  e  dagli  stenti  ^. 

Quanto  alle  altre  genti  orientali,  divisa  tra  due  re  la 
Tracia  '%   tolti  di  mezzo   i  regni  inutili,  e   serbati  come 

(«)  Plinio,  V,  5;  Solino,  29;  Virgilio,  Aen.,  VI,  795.  Un'ampia  illu- 
strazione del  passo  di  Plinio,  relativo  all'impresa  di  Balbo  e  ai  popoli  di 
cui  trionfò,  è  nella  Revue  archéologique,  1862,  voi.  II,  pag.  303-31,3. 
Vedi  anche  A'ivien  De  Saint-Martin,  Le  Nord  de  l'Afrique  dans  l'em- 
tiquité  grecque  et  romaine,  Paris  1863,  pag.  Ili,  e  seguenti. 

1  Dione  Cassio,  LI,  21,  LUI,  25  e  29,  LIV,  5  e  11;  Strabene,  III,  -1  ;  Svetonio,  29; 
Floro,  IV,  12,  46-lS;  Orosio,  VI,  21. 

2  Strabene,  XVII,  1;  Dione  Cassio,  LIV,  5;  Plinia,  VI,  35. 

3  Dione  Cassio,  LUI,  29;  Plinio,  VI,  32,  17;  Strabene,  XVl,  4;  Virgilio,  Aen.,  VII, 
605;  Orazio,  Od.^  I,  29;  U,  12,  24,  III,  24,  2,  Epist.^  I,  6,  6,  e  I,  7,  36. 

4  Tacito,  Ann.,  Il,  64. 


88 


LE  INSEGNE  ROMANE  RESTITUITE  DAI  PARTI.  [Lib.  VII. 


sudditi  quelli  che  potessero  servire  di  baluardo  all'Im- 
pero, rimaneva  solo  da  incutere  spavento  agli  Armeni 
ed  ai  Parti;  ed  Augusto  lo  fece  si  bene,  che  i  primi  gli 
chiesero  un  re;  e  gli  altri,  comecché  potentissimi,  gli 
restituirono  senza  guerra  le   insegne  militari,   e   i  pri- 


Ricordi  delle  insegne  romane  riavute  dai  Parti. 

gionieri  rimastivi  nelle  infelici  imprese  di  Crasso  e  di 
Antonio  (-');  e  Fraate,  loro  re,  détte  i  suoi  figliuoli  in 
ostaggio  per  guadagnarsi  l'amicizia  di  Roma.  E  Augusto 
ne  menò  festa  e  trionfo,  reputandosi  a  gran  lode  di 
aver  tolto  senza  sangue  quell'onta  al  nome  romano:  e  i 
poeti  celebrarono  magnificamente  lui,  fulmine  di  guerra 
sull'Eufrate  e  domatore  dei  Parti  ^  E  per  ciò,  come  per 


(«)  Orazio,  Exjist,  I,  12,  2,  Od..  Ili,  5,  4,  Carm.  Saec,  54;  Ovidio,  Fast, 
I,  593.  Molte  medaglie  coU'epigrafe  Signis  Parthieis  receptis,  Signis  re- 
cepiis,  e  Signa  P.  li.j  hanno  Marte  che  tiene  un'aquila  romana  e  un'in- 
segna di  guèrra,  e  Parti  che  genuflessi  o  in  piedi  presentano  insegne  ad 
Augusto  in  quadriga  trionfale.  Vedi  Eckel,  Doctrina  Num.  vet.,  VI,  94-98, 
101  :  e  Cohen,  Monnaies  frapp.  soiis  l'Emp.  rom.,  pag.  62  e  63.  Diamo 
incise  due  medaglie  della  gente  Aquillia.  Nella  prima  col  nome  del  mone-; 
tiere  l.  aquillius  florus  iii  vir  (triumvir),  vedesi  la  testa  della  Virtù 
coperta  di  elmo,  e  nel  rovescio  con  la  leggenda  c.\esar  augu.stus  sign. 
RECE.  [signis  receptis)  è  un  Parto  genufles.so  che  presenta  un'insegna. 
Nell'altra  è  la  testa  radiata  del  Sole,  e  la  stessa  leggenda  del  raonetiere 
.suddetto,  e  similmente  un  Parto  che  presenta  un'insegna.  Vedi  Cohen, 
Mrdailles  consulaires,  pi.  VI,  Aquillia,  n.  7  e  8. 

•  ùion",  LUI,  33.  UV,  8;  Velloio,  li,  91  ;  Strabene,  VI,  C  ;  Monum.  Ancyr.  .  V,  39-13; 
Giu'-tino,  XLII,  5;  Livio,  Epit..  139;  Floro,  IV,  1?,  63:  Eutropio,  VII,  5;  Tacito,  Ann.. 


Gap.  L]  distruzione  DEI  SALASSI  NELLE  ALPI.  89 

le  ambascerie  venute  a  Roma  dall'ultimo  Oriente,  si  fece 
più  viva  e  più  generale  l'idea  di  estendere  fino  all'India, 
alla  Battriana  e  alla  China  la  dominazione  romana,  e  di 
fondare  la  monarchia  universale  ;  idea  che  messa  in 
campo  da  Cesare  durò  fino  ad  Adriano,  e  rimase  idea 
senza  effetto,  quantunque  la  poesia  ne  parlasse  sovente 
come  di  fatto  compiuto,  o  prossimo  a  compiersi  *. 

Nell'interno  dell'Impero  sommamente  importava  sotto- 
mettere al  tutto  i  fieri  popoli  Alpini,  per  avere  sicura 
la  via  alle  Gallio,  al  Reno  e  al  Danubio.  Si  era  comin- 
ciato già  dai  Salassi  (727),  abitatori  di  luoghi  asprissimi 
nel  fianco  meridionale  delle  Alpi,  o\e  ora  è  la  valle  di 
Aosta.  Erano  stati  combattuti  più  volte  ^  e  spogliati  di 
loro  miniere  d'oro,  ma  duravano  terribili  sugli  alti  dirupi, 
donde,  precipitando  macigni,  schiacciavano  eserciti  e 
viaggiatori.  Fu  mandato  a  finirli  Terenzio  Varrone  Mu- 
rena, il  quale  col  menar  tutto  a  distruzione  forzò  la  fiera 
^mte  a  chieder  pace,  e  ne  prese  36  mila,  tra  cui  ottomila 
setti  alle  armi,  e  condottili  ad  Eporedia  (Ivrea)  li  vendè 
tutti  all'incanto.  Poscia  a  compier  l'opera  fu  mandata  colà 
una  colonia  di  tremila  soldati  pretoriani,  la  quale,  presa 
la  migUor  parte  di  quel  territorio,  fondò  ivi  Augusta 
Praetoria  (Aosta)  alle  due  foci  delle  Alpi  Graie  e  Pen- 
nino 3,  ossia  delle  valli  che  vanno  al  Piccolo  e  al  Gran 
San  Bernardo.  La  città  fu  fondata  dentro  il  recinto  del 
campo  di  Varrone  Murena,  e  tuttora  ne  conserva  la 
forma  di  parallelogrammo,  e  una  parte  delle  antiche 
mura,  e  la  porta  pretoria,  bella  e  solida  mole,  fuori  della 
quale  sorge  sempre  il  grande 'arco  inalzato  ad  onore  di 


ir,  1  ;  Orosio,  Vf,  2!  :  Orazio,  Od.,  I,  12,  53,  III,  5,  l,  IV,  5.  25,  IV,  15,  17,  Sat.,  II,  5. 
62,  Episl..  I,  18,  55,  e  II,  1,  256;  Virgilio,  Georg..  HI,  31,  Aen.  .  VII,  606;  Properzio, 
li,  10,  13,  e  III,  4,  6. 

'  Vedi  Virgilio,  Georcj.,  II,  172,  Aen..  I,  236,  VI,  795,  VIII,  705,  e  segg.  ;  Orazio,  Od., 
I,  12,  55,  III,  29,  27-23,  IV,  15,  23;  Properzio,  III,  A,  1,  IV,  3,  10,  IV,  6,  SI. 

2  Dione,  Fragm.,  79,  XLIX,  3i  e  3S,  e  sopra  voi.  Ili,  pag.  97. 

3  Dioue  Cassio,  LUI,  25;  Strabene,  IV,  6;  Plinio,  III,  6  e  12. 


90 


[LiB.  VII. 


Edificii  romani  d'Aosin. 
rianta  della  ciiii,  i::rra,  porta,  tgalro,  anfiteatro,  arco  d'Augusto  [Promis  e  Auher^j. 


Gap.  L]     monumenti  DELLA  CONQUISTA  IN  VAL  D'AOSTA.         91 

Augusto  per  ricordo  della  distruzione  dei  Salassi.  Altre 
opere  d'arte  resero  splendida  l'abitazione  dei  nuovi  co- 
loni, e  anche  oggi  rimangono  belle  rovine  dell'elegante 
teatro,  dell'anfiteatro,  del  magazzino  militare,  di  templi, 
di  terme,  e  si  vedono  colonne  ed  epigrafi,  e  antiche  me- 
daglie, alcune  delle  quali  si  riferiscono  al  popolo  distrutto 
dalle  legioni.  La  dominazione  di  Roma  fece  anche  ivi 
cambiar  l'aspetto  dei  luoghi.  La  valle,  che  da  Ivrea 
lungo  la  Dora  per*  circa  50  migUa  si  estende  fino  alle 
Alpi  Graie  e  al  Montebianco,  fu  solcata  da  una  grande 
strada  romana,  la  quale  giunta  ad  Aosta  si  divideva  in 
due  rami,  uno  dei  quali  salito  il  Sommo  Pennino  (Gran 
San  Bernardo)  di  là  per  Ottoduro  IMartigny),  Aventico 
(Avencìbes),  Augusta  dei  Rauraci,  (Augst  presso  Basilea), 
ed  Argentorato  (Strashargo)  andava  a  Magonza:  e  l'altro 
per  l'Alpe  Graia  (Piccolo  S.  Bernardo)  a  traverso  agli  Allo- 
brogi  conducevasi  a  Vienna  e  a  Lione.  Per  tutta  la  valle 
rimangono  tracce  della  via,  ora  tagliata  nelle  rupi,  ora  so- 
stenuta da  arcate.  A  Donnas  per  250  passi  vedesi  tagliata 
nel  vivo  masso  che  ivi  dall'alto  del  monte  scende  a  pre- 
cipizio nel  fiume.  11  ferro  dei  soldati  romani  distrusse 
lo  scoglio  che  impediva  il  passaggio,  e  un'arcata  monu- 
mentale fu  posta  per  ingresso  alla  magnifica  via,  e  per 
sostegno  al  monte,  cui  era  stata  tolta  la  base.  A  Saint- 
Vincent  sono  belle  le  rovine  del  ponte,  caduto  dopo  18 
secoli  all'età  nostra.  Fra  le  opere  più  belle  dell'arte  an- 
tica sorge  a  Pont-Saint-Martin  il  ponte  sotto  cui  passa 
YHellcx  che  dal  Monte  Rosa  corre  alla  Dora.  Altri  ruderi 
di  ponti  a  Chàtillon,  aU'entrata  di  Aosta,  a  Liverogne  e 
altrove.  I  luoghi,  chiusi  da  grandi  montagne  coperte  sem- 
pre di  ghiacci  e  di  nevi,  e  variati  di  verdi  campi,  e  di 
vitiferi  colli,  ad  ogni  tratto  ricordano  Roma  con  avanzi 
di  opere  stupende,  con  iscrizioni  e  sepolcri.  A  Villanova 
è  memoria  dei  sacerdoti  Augustah.  Sul  Gran  San  Ber- 
nardo presso  l'Ospizio   della   carità  universale,  nel  sito 


92       MONUMENTI  DELLA  CONQUISTA  IN  VAL  D'AOSTA.  [Lib.  YH. 

che  anche  oggi  chiamasi  Piano  di  Giove  rimangono  ve- 
stigii  di  Giove  Pennino  nelle  epigrafi  votive  in  tavolette 
di  bronzo,  che  i  viaggiatori  appendevano  in  rendimento  di 
grazie  al  Dio  Alpino,  dopo  aver  passati  fehcemente  all'an- 
data e  al  ritorno  {prò  itu  et  reditu)  ì  pericoli  dell'ardua 


Saiat-Vinccnt. 


{A:fherl}. 


montagna.  A  Courmayeur  ("),  ai  piedi  del  Montcbianco, 
sono  i  profondi  trafori  fatti  dai  Romani  nelle  montagne 
per  ricercare  i  metalli  e  scavar  le  miniere,  di  cui  rendono 
oggi  testimonianza  anche  le  ricche  fontane  ferruginose  e 


(")  Detto  Aw'i  fodinae  a  tempo  dei  Ronuuii,  e  .Curtis  o  Curia  inaiar 
nel  medio  evo:  d'onde  il  noiue  moderno. 


Cap.  I.]      GUERRA  CONTRO  I  RETI,  VINDELICI  E  NORICI. 


93 


sulfuree:  e  sulla  cima  del   Piccolo  San  Bernardo  ruderi 
antichi  ricordano  i  Romani,  i  Salassi  ed  Annibale  *. 

la  appresso  furono  vinte  tutte  le  altre  genti  alpine 
dalle  Alpi  marittime  fmo  all'lUiria,  e  fra  tutte  queste 
guerre,  intese  ad  assicurare  l'Italia,  andò  famosa  nelle 
storie  e  nei  canti  dei  poeti  ^  quella  contro  i  Reti,  i  Vin- 
deliei  e  i  Norici  governate  da  Druso  e  da  Tiberio,  figlia- 
stri di  Augusto.  I  Reti,  figli  degli  Etruschi,  fuggiti  dalle 
pianure  del  Po  al  tempo  dell'antica  invasione  dei  Galli, 
tenevano  le  Alpi  grigione  e  trentine,  discendendo  alcun 
poco  verso  l'Italia  fino  agli  Insubri.  I  Norici  stavano  tra 
il  Danubio  e  le  Alpi  fmo  alla  Carnia^;  e  i  Vindelici  al 
di  là  dell'Eno  (lun)  e  del  lago  dei  Briganti  {lago  di  Co- 
stanza), nel  piano  che  pende  dolcemente  verso  il  Da- 
nubio. I  Reti  imbarbariti  sui  monti  uccidevano  gli  uomini 
fatti  prigioni,  e  anche  le  donne  che  i  loro  indovini  di- 
chiarassero incinte  di  un  maschio;  menavano  prede  di 
•Gallia  e  d'ItaUa,  e  ai  Romani  facevano  quanti  più  danni 
potessero.  Druso,  giovane  di  rara  eccellenza  nelle  armi, 
gli  vinse  (739)  in  una  grande  battaglia  nelle  Alpi  trentine, 
e  li  disperse  penetrando  i  loro  recessi.  Invano  i  fuggenti 
cercarono  ricovero  nella  Vindelicia  levatasi  a  loro  favore. 
Tiberio  venne  dalle  GaUie  a  soccorso  di  Druso  ;  e,  unite 
insieme  le  forze,  i  due  fratelli  trionfarono  di  ogni  osta- 
colo. Furono  aperte  le  dense  foreste;  traversato  con  navi 
il  lago  dei  Briganti;  espugnate  molte  castella,  fatte  molte 
belle  fazioni,  superati  i  luoghi  più  difficih,  vinte  con 
grande  strage  genti  numerosissime,  e  soprammodo  fe- 
roci. Tutti   i  Reti  e  Vindelici  si  arresero  a  discrezione; 


1  VeJi  Proiiiis,  Le  antichità  di  Aosta^  Augusta  Praetoria  Salassorum^  misurate^ 
disegnate  e  iUust>-ate,  Torino  1862;  Aubert,  La  vallèe  d'Aoste^  Paris  1860,  e  dello  stesso 
Les  vaie»  romaines  dans  la  vallèe  d'Abste  Bella  Revue  archèologique^  1862,  voi.  6, 
pay,  65  e  segg.;  Gal,  Coup-d'ceil  sur  les  antiquitès  d'Aoste.^  Aoste  1862;  Gerard,  La 
vallèe   d' Aoste   sur   la   scène.  Aoste  1S62. 

2  Vedi  Orazio,  Od..  IV,  4,  e  IV,  11,  7-32. 

3  Strabene,  VII,  1. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —   IV.  12 


94 


PROVINCIA  DELLA  REZIA. 


[LiB.  VIL 


e  la  gioventù  più  robusta  fu  venduta  e  trasportata  in 

paesi  lontani  (").  Tut- 
te quelle  regioni  for- 
marono la  provincia 
di  Rezia,  che  fu  te- 
nuta a  freno  da  le- 
gioni e  castelli ,  e 
dalla  colonia  di  Au- 
gusta dei  Vindelici, 
che  poi  divenne  la 
città  di  Ausburgo  : 
dove  facevano  capo 
tutte  le  vie  di  comu- 
nicazione tra  Itaha, 
Gallia,  Reno  e  Pan- 


nOnia,  e  fu  luogo  fio- 


Ruderi  del  trofeo  d'Augusto  {Zuecagni  Orlandini). 


rentissimo  di  com- 
mercii,  e  splendido- 
di  monumenti  rehgiosi  e  civili,  come  attestano  le  iscri- 
zioni e  molte  rovine  (^),  E  come  Pompeo  aveva  già  posti 


(«)  Dione  Cassio,  LIV,  22;  Velleio  Patercolo,  II,  95;  Svetonio,  Aiig.,2\, 
e  Tib.,  9;  Strabone,  IV,  6,  e  VII,  L  Nel  cantone  dei  Grigioni,  e  massime 
neirEngadina,  che  corrisponde  a  una  parte  dell'antico  paese  dei  Reti, 
rimangono  ancora  più  tracce  della  conquista  e  della  dominazione  romana 
nel  linguaggio  romantsch ,  che  ha  visibili  elementi  latini,  e  in  più  nomi 
di  luoghi,  tra  cui  noto  i  seguenti:  Septiynerpass ,  Julierpass  (passo  di 
Settimo,  'passo  di  Giulio):  Bruserthal  (valle  di  Druso);  Celerina;  Sil- 
vaplana,  ecc.  Vedi  la  Bibliothèque  univer selle  de  Genève,  64®  année, 
tom.  IV,  pag.  54.  A  questi  si  possono  aggiungere  anche  Puntigels  per 
Poniiculus  ;  Montigels  per  Menticulus  ;  Planisius  per  Planities  ;  Yei- 
chenofen  per  Yieus  novus ;  Prad  T^er  Pratum,  ecc.  Vedi  Gabriele  Rosa 
nella  Rivista  EtirojJea,  1846,  voi.  I,  pag.  180. 

(^)  Vedi  De  Ring,  Suì^  les  ctablissemenls  du  Rhin  et  dii  Danitbe, 
Paris  1852,  voi.  Il,  pag.  101-109.  L'autore  di  questo  libro  raccolse  tutte 
le  medaglie  e  le  epigl-afi  lasciate  dai  Romani  in  (jueste  l'egioni,  ricercò 
i  siti  dei  50  castelli  di  Druso,  i  campi  delle  legioni  e  i  loro  ricordi,'  studiò 


Gap.  I.]  MONUMENTO  DELLA  VITTORIA  SUI  POPOLI  ALPINI. 


95 


trofei  sulla  cima  dei 
Pirenei  per  memoria 
delle  sue  vittorie  di 
Spagna  * ,  ora  per 
eternare  il  trionfo 
su  tutte  le  genti  mon- 
tane dal  mar  Tirreno 
all'Adriatico  fu  inal- 
zato un  gran  monu- 
mento sulle  Alpi  ma- 
rittime, del  quale  du- 
rano sempre  le  ro- 
vine a  Torbia  sulle 
alture  al  di  sopra  di 
Monaco  e  di  Rocca- 
bruna  ,  ove  la  via 
Giulia  Augusta  della 
Liguria  passava  di- 
rigendosi a  Cimella 
e  a  Nicea  (Nizza)  ("). 


le    linee    di    fortificazione 
sul    monte    Abnoba    nella 

Selva  Nei'a,  sul  Tauno,  sul  Reno,  sul  Meno,  sul  Danubio,  e  su  tutti  i  con- 
fini :  percorse  le  antiche  vie,  investigò  i  ruderi  dei  monumenti,  le  tracce 
della  colonizzazione,  e  tutti  i  documenti  valevoli  a  illusti'are  la  storia 
della  conquista  e  della  dominazione  romana  in  Germania,  dove  l'Italia 
portò  le  sue  istituzioni,  la  sua  religione,  la  sua  civiltà,  le  sue  arti.  Per 
Augusta  dei  Yindelici  vedi  anche  Raiser,  Die  roniischen  Alterthùmer  zu 
Augsburg,  Augsburg  1820;  e  Conf.  Zumpt,  De  coloniis  Roman,  inilit., 
pag.  403. 

(^)  Vedi  Spitalieri ,  Notizie  sul  Monumento  dei  trofei  di  Augusto  di 
Torbia,  nelle  Memorie  dell'Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  1843, 
serie  II,  toni.  5,  pag.  161  e  segg.  Nell'iscrizione  del  monumento,  conservata, 
da  Plinio,  sono  i  nomi  di  45  popoli,  ed  è  detto  che  fu  inalzato  ad  Augusto: 
Quod  eius  dxctu  aiispiciisque  genies  Alpinae  omnes,  quae  a  mari  sii- 


Lo  stesso  trofeo  restaurato  da  L.  Canina. 


Plinio,  III,  4. 


96  IL  RE  COZIO.  [Lib.  VII 

Ivi  erano  scritti  i  nomi  dei  popoli  sottomessi  all'Im- 
pero di  Roma:  ma,  ad  eccezione  di  due  (Veamini  e  Ca- 
turigi),  non  si  ricordano  *  le  -tribù  governate  da  Cozio, 
regolo  alpino,  il  quale  col  suo  senno  trovò  modo  a  far 
sì  che  i  suoi  avessero  patti  men  duri.  Marco  Giulio  Cozio, 
figliuolo  di  Donno,  dominava  sulle  Alpi  Cozie  tra  l'Italia 
e  le  Gallio  dal  monte  Vesulo  (Monviso)  fino  al  Cenisio, 
allargandosi  da  una  parte  Verso  Ebroduno  {Emlrrìin),  e 
dall'altra  fino  a  Segusione  (Suso),  e  verso  i  Liguri  Tau- 
rini e,  al  dire  di  Strabone,  anche  verso  la  città  di  Ticino 
dove  ora  è  Pavia  2.  Egli  sentita  la  tempesta  che  trasvolse 
i  popoli  alpini,  chiese  pace  ad  Augusto,  e  gli  eresse  a  Susa 
un  bell'arco  trionfale  in  cui  egli  ha  il  titolo  di  Prefètto 
delle  città,  ossia  dei  popoli  di  cui  l'iscrizione  dà  i  nomi  (^'). 
Sappiamo  anche  che  con  grandi  lavori  egli  rese  più  brevi 
e  più  comodi  i  passaggi  delle  Alpi,  e  resse  con  giusto 

pero  ad  inferiim  pertinebant ,  sub  imperium  populi  romani  sunt  re- 
dactae.  Plinio,  III,  24.  Vedi  anche  Egger,  Examen,  des  Histor.  d'Aug., 
pag.  300  e  ^^z%.,  e  Monti,  Storia  di  Como,  pag.  54.  I  ruderi  e  la  restau- 
razione del  monumento  sono  in  Zuccagni  Orlandini,  Corografia  d'Italia. 
Atlante  I,  6,  e  in  Canina,  Architettura  romana,  tavola  201. 

(")  Vedi  Scipione  Maffei,  Museum  Veronense,  pag.  CCXXXIV;  Mas- 
sazza,  L'antico  arco  di  Susa  descritto  e  disegnato,  Torino  1750;  Pon- 
sero,  Piccolo  cenno  sull'arco  trionfale  di  Cesare  Ottaviano  Augusto, 
esistente  nella  citlà  di  Susa  (con  disegno),  Torino  1841.  Il  Canina  di- 
segnò l'arco  restaurato  nella  tavola  184  àeW Architettura  Romana.  L'epi- 
grafe riferita  anche  dairOrcUi  (n.  626),  dice  così: 

Imp.  Caesari.  Augusto.  Divi.  F.  Pontifici. 

Maximo.   Tribunic.  Postestate  XV.  Imp.  XIIL 

M.  Julius  regis  Donni,  f.  Cotius  p)^'<Jefectus  ceivifatium. 

Quae.  subscrijjtae.  sunt.   Segoviorum.  Segusinorum. 

Bellacorum.  Caturigum.  Medulliorum.   Tebavioì'um. 

Adanatium.  Savincatium.  Egidniorum.   Yeaminiorum. 

Yenicamorum.   Imeriorum.    Vesubianornm.    Qiiadiaiium. 

Et.  ceivitates.  quae.  sub.  eo.  praefecto.  fuerunt. 

1  riinio,  ni,  21. 

2  Strabone,  IV,  1  o  G,  V,  2. 


Gap.  1.1 


ARCO  DI  SUSA. 


97 


governo  le  sue  genti,  le  quali  per  questo  e  per  la  quiete 
procurata  loro  coll'amicizia  di  Roma,  gli  fecero  a  Susa 
un  venerato  sepolcro,  e  serbarono  di  lui  religiosa  me- 
moria'. Rimase  ricordo  anche  di  suo  figlio  chiamato  col 
medesimo  nome,  a  cui  poscia  Claudio  rese  il  titolo  di 
re,  e  il  regno  paterno   ingrandito,   il  quale  durò  fino  a 


di  «usa  (Ponstro;. 


quando,  per  la  morte  di  lui,  Nerone  ridusse  le  Alpi  Cozie 
a  provincia  romana  -. 


1  Ammiano  ìMarcellino,  XV,  10,   2  e  7. 

2  Dione,  LX.  21;  Svctonio,  ?>'cr. ,  IS:  Vn. 


98  GUERRE  IN  PANxXONIA  E  IN  GERMANIA.        [Lib.  VII. 

Il  principe  trionfò  ed  ebbe  tutti  gli  onori  di  queste 
vittorie,  come  di  quelle  di  altri  legati  che  tenevano  in 
freno  i  tumultuanti  del  Bosforo,  e  le  fiere  genti  di  Tracia,, 
e  respingevano  i  Daci  oltre  il  Danubio,  e  davano  p^ce 
e  sicurezza  alle  province  d'Oriente  ^  Agrippa  e  Tiberio 
batterono  piìi  volte  i  Pannoni  e  i  Dalmati  ribellanti  a 
ogni  tratto  ^,  mentre  Druse  accresceva  sua  gloria  in 
Germania,  ove  arse  la  guerra  più  grossa  del  regno  di 
Augusto  per  opera  di  quelle  terribili  genti,  che  pregia- 
vano più  il  ferro  che  l'oro,  e  che  forti  di  sito  e  di  nu- 
mero e  di  amore  indomabile  di  libertà  opposero  resi- 
stenza invincibile  alla  dominazione  straniera,  e  dettero 
i  primi  colpi,  da  cui  alla  line  fu  crollato  e  distrutto  l'Im- 
pero. Gli  abitatori  delle  vicinanze  del  Reno  (Sicambri, 
Usipeti  e  Tenteri)  avevano  già  passato  il  fiume  più  volte 
e  infestate  le  Gallio,  d'onde  dapprima  li  respinse  il  va- 
lore di  Agrippa.  Anche  M.  Lollio,  più  cupido  di  pecunia 
che  di  giusto  governo,  li  vinse  e  li  gravò  di  tributo,  ma 
si  trovò  a  mal  partito,  perchè  i  barbari  tornando  con- 
tr'esso  lo  circondarono,  gli  saccheggiarono  il  campo,  e 
gli  tolsero  r  aquila  della  quinta  legione  ^  :  ed  egU  ebbe 
per  gran  ventura  d'impedire  che  si  avanzassero  oltre  alla 
Mosella.  Finalmente  (742)  mosse  Druse  contr'essi,  e  pe- 
netrò a  dentro  nelle  foreste  germaniche,  e  correndo  e 
ricorrendo  per  varie  regioni  vinse  e  rivinse,  senza  domarli 
mai,  più  popoli  in  tre  spedizioni,  delle  quali  per  la  man- 
canza dei  necessari  ragguagli  non  possiamo  farci  un  chiaro 
concetto.  A  difesa  delle  Gallio  pose  presidii  lungo  la  Mosa 
e  costruì  50  castelli  sulla  ripa  sinistra  del  Reno  "^j  dai  quali 
probabilmente  sorsero  poscia  le  città  di  Basilea,  di  Stra- 
sburgo, di  Spira,  di  Worms,  di  Magonza,  di  Bingen,  di 

»  Vellaio  Patercolo,  II,  9S;  Floro,  IV,  12,  17-lS-,  Dione  Cassio,  LIV,  20. 
«  Dione  Cassio,  LIV,  20,  21,  28,  31,  34. 

S  Dione,  LÌV,  20;  Volleio,  II, 'J7;  Svetonio,  23;  Tacito,  Ann  ..  1,  10;  Giulio  Ossequente, 
De  Ostentisi  71. 
4  l-h>ro,  IV,  12,  20;  Merivale,  IV,  221. 


Gap.  I. 


IMPRESE  DI  DRUSO. 


99 


Coblenza,  di  Andernach,  di  Bonna,  di  Colonia,  di  Neuss, 
di  Nimega   e    di   Leyda.    Fece    la  fortezza    dell' Alisone 


Dritso  (Icon.  Rom.^  tav.  21,  n.'l). 

(Elsen  0  Wesel)  nell'interno  della  Germania:  e  per  mezzo 
di  un  canale  congiunse  il  Reno  coll'Yssel  ("),  navigò  nel 


C^)  La  Fossa  Drusiana  era  grande  e  profonda  da  potere  esser  percorsa 
dalle  navi  le  quali  in  tal  modo  avevano  comodo  a  passare  dall'uno  all'altro 
fiume,  per  quindi  andare  nell'Oceano,  e  approdare  ai  paesi  dei  Frisi  e 
(lei  Cauci  per  le  foci  dell'Enis  e  del  Weser.  Il  lavoro  di  Druso  fu  pro- 
digioso, e  perciò  anche  Svetonio,  Claud.,  I,  lo  chiama  fossas  novi  et 
immensi  operis.  Il«Luden,  Storia  d'Alemar/na,  II,  2,  è  d"avvi?o  che  fos- 
sero preparate  da  questi  lavori  di  Druso  le  irruzioni  posteriori  dell'O- 
ceano, per  le  quali  lo  Znidersce  divenne  un  golfo  di  mare. 


100  VITTORIE  E  MORTE  DEL  GIOVANE  EROE.        [Lib.  VII. 

lago  Flevo  (Zitidersee),  e  prima  d'ogni  altro  andò  all'o- 
ceano germanico.  Vinse  Frisii,  Catti  e  Cherusci,  disertò 
i  paesi,  condusse  in  schiavitù  donne  e  fanciulli,  uccise  gli 
uomini  a  guisa  di  bestie  feroci;  corse  gli  oscuri  recessi 
della  selva  Ercinia,  penetrò  due  volte  fino  al  Yisurgi 
{Weser),  e  dopo  gravi  pericoli  giunse  alle  rive  dell'Albi 
{Elba)  ove  inalzò  suoi  trofei.  È  detto  che  una  donna  di 
])iìi  che  umana  statura  si  attraversò  un  giorno  ai  suoi 
])assi,  e  rimproverandolo  in  lingua  latina  della  sua  ambi- 
zione insaziabile,  gli  disse:  Arì-èstati,  o  Druso:  i  fati  non 
ti  concedono  di  vedere  ogni  cosa,  ed  è  x>rossimo  il  termine 
delle  tue  opere  e  della  tua  vitaQ').  Checche  sia  dello  spet- 
tro, Druso  nella  sua  ritirata  prima  di  giungere  al  Reno 
cadde  da  cavallo,  e  in  un  mese,  alla  sua  età  di  30  anni, 
morì  della  malattia  che  seguitò  alla  caduta.  All'annunzio 
del  disastro,  Tiberio  che  era  a  Pavia,  per  ordine  del  prin- 
cipe corse  in  Germania,  e  trovato  il  fratello  agli  ultimi 
aneliti  ne  accompagnò  a  piedi  il  cadavere  a  Roma,  dove 
fu  condotto  con  grandissima  pompa,  portato  dapprima 
dagli  ufiiciaU  delle  legioni,  poi  dai  maggiorenti  dei  muni- 
cipii  e  delle  colonie.  Fu  lodato  con  orazioni  funebri  nel 
Fóro  da  Tiberio,  e  nel  Circo  Flafninio  da  Augusto,  il  quale 

10  fece  seppellire  nel  suo  mausoleo,  e  gli  compose  da 
sé  stesso  4'epigrafe  e  ne  scrisse  la  vita,  mentre  un  poeta 
ne  faceva  il  panegirico  in  versi  a  consolazione  di  Livia. 

11  senato  dòtte  a  lui  e  ai  suoi  posteri  il  nome  di  Ger- 
manico che  poscia  fu  fatto  più  illustre  dal  suo  infelice 
ligliuolo;  e  ordinò  di  erigere  in  suo  onore  sulla  via  i^pia 

(")  Delle  imprese  di  Druso  in  Germania,  e  della  fine  e  degli  onori  di 
lui  parlano  Dione,  LIV,  25,  32,  33,  30,  e  LV,  1-2;  Velleio  Patercolo,  II, 
07  ;  Tacito,  Ann...  1,  3,  li,  7-8,  41  e  82,  III,  .5,  IV,  72,  XII,  20,  XIII,  53, 
Jlisl.,  V,  19,  Germ.,  34  e  37;  Livio,  E^nt-,  139  e  segg.;  Svetonio,  Claud.;, 
I.  e  Tib..  7;  Strabone,  VII,  1:  Plinio,  VII,  20;  Seneca,  Consol.  ad  Polyb., 
31;  l'Eutropio,  VII,  5  e  8,  e  Pedone  Albinovano  (o  chi  altri),  woWEpicedio 
<]ì   Di'ìisn. 


Gap.  I.] 


PUBBLICHE  ONORANZE  ALL'ESTINTO. 


101 


Medaglia  coU'arco  di  Druso 
(Canina,  Edif.,  IV,  244). 


un  arco  marmoreo  con  trofei,  del  quale  abbiamo  ancora 
l'imagine  intera  in  una  medaglia,  e  i  grandi  ruderi  presso 
la  porta  S.  Sebastiano.  Ebbe 
lode  per  le  imprese  guerresche, 
pel  mite  costume,  per  la  fedeltà 
coniugale  rarissima  in  questi 
tempi,  e  anche  per  l'ingegno 
civile,  perchè  fu  creduto  che 
nutrisse  il  pensiero  di  restitui- 
re, quandoché  fosse,  la  libertà 
popolare:  la  qual  cosa,  vera  o 
imaginata  ,  servì  a  rendere 
presso   i   cittadini    più    caro    e 

reverito  il  suo  nome,  quando  Tiberio  col  truce  aspetto  e 
coi  crudeli  fatti  apparve  come  il  contrapposto  di  lui. 

In  Germania  il  campo  in  cui  cadde  si  chiamò  scelle- 
rato. I  soldati  addoloratissimi  della  perdita  del  duce  ca- 
ramente diletto  volevano  ritenerne  la  salma:  ma  Augusto 
gli  avvertì  esser  loro  dovere  di  serbare  la  disciphna  nel 
dolore  come  nella  mihzia  (^):  ed  essi  a  sfogo  dell'animo 
gli  posero  un'ara  sul  fìume  Luppia  (Lij^pe),  gli  inalzarono 
statue  e  sepolcro  onorario  sul  Reno  presso  a  Magonza, 
ordinando  che  intorno  ad  esso  ogni  anno,  a  un  dato 
giorno,  si  facesse  festa  di  corse  e  di  giuochi,  e  che  tutte 
le  città  delle  Gallio  ne  celebrassero  la  memoria  con  sup- 
plicazioni solenni.  Una  statua  colla  scritta  in  memoria 
di  Druso  trovata  presso  a  Magonza  rimase  ivi  sulle  mura 
della  dogana  fino  all'anno  1688,  dopo  il  quale  fu  spezzata 
dai  soldati  francesi  (^):  e  avanzo  del  monumento  onorario 

C^)  Modicm  lugendi  non  sibi  tantum  sed  etiam  aliis  fecit ;  ac  totum 
exercitum  non  solum  moestum,  sed  eiiam  attonitiim,  corpus  Brusi  sui 
sibi  vindicantem,  ad  morem  romani  luctus  redegit;  iudicavitqi(e  non 
miliiandi  tantum  disciplinam  esse  servandiim ,  sed  etiam  dolendi.  Se- 
neca, Consci,  ad  Polyb.,  34. 

(^)  Vedi  Wagener,  Jlandbuch  der  vorzilgUclislen  in  Deutschland 
Vannucci  —  Storia  d^l'Italia  antica  —  IV.  13 


I 


102 


PUBBLICHE  ONORANZE  ALL'ESTINTO.  [Lib.  VII. 


Yogliono  sia  presso  a  Magonza  la  Pietra  della  quercia 
(Eichelstein),  tenuta  per  tale  anche  ai  tempi  di  Ottone 
di  Frisinga,  cioè  ai  principii  del  duodecimo  secolo  '. 


Ruderi  dell'arco  di  Druso  a  Koiiia  {Da  Fotografia). 

Lucio  Domizio  Enobarbo,  figlio  di  quello'  che  avea  co- 
mandato la  flotta  repubblicana  di   Bruto   e   di   Cassio, 


entdeckten  Alterthùmer  aus  heidnischer  Zeit ,  Weimur  1S42,  fìf>-.  729^, 
pag.  70,  il  quale  dà  il  disegno  della  statua,  e  lamenta  che  (|ueir avanzo 
della  veneranda  antichità  fosse  vandalicamente  distrutto. 


Luden,  Storia  d'Alemagna,  U,  2;  Mascou,  Storia  dei  Tedeschi,  I, 


Gap.  I. 


TIBERIO  IN  GERMANIA. 


103 


le 


sue  correrie 
in  suo  luoso 


successe  a  Druso  in  Germania,  e  spinse 
anche  oltre  l'Elba  *.  Ma  presto  fu  messo 
Tiberio,  il  quale,  meglio  se- 
condando i  disegni  della  po- 
litica imperiale,  rinunziò  allo 
splendore  delle  imprese  inu- 
tili, e,  studiando  di  recare  i 
popoli  a  pace  per  via  di  trat- 
tati ^,  accolse  la  sottomis- 
sione volontaria  di  molti,  ma 
trattò  perfidamente  i  Sicam- 
bri  mostratisi  più  indoma- 
bili ;  perocché  ritenne  pri- 
gioni i  loro  messaggi,  i  quali 
si  uccisero  per  fuggire  l'ob- 
brobrio della  servitù  e  la 
noia  dell'esilio,  e  spopolò  la 
nazione  di  40  mila  uK)mini 
trasportandoli  in  Gallia  sulla 
ripa  sinistra  del  Reno  ^.  Gli 
altri  Germani  consentirono 
di  restar  tributari ,  finché 
poco  dopo  altri  guerrieri  im- 
pazienti del  giogo  non  si  al- 
zarono a  menar  fiera  ven- 
detta degli  invasori  stranieri. 

Dopo  questi  fatti  fu  per   più   anni  pace   nel   mondo  ; 
Augusto  chiuse  per  la  terza  volta  il  tempio  di  Giano  {"); 


Statua  di  Druso 
'/là.  esistente  a  Magonza  (Wagener). 


(«)  Svetonio,  22;  Moniim.  Anojr.,  IT.  42-43.  La  prima  chiusura  del 
tempio  fu  dopo  la  battaglia  di  Azzio,  la  seconda  dopo  la  vittoria  sui  Can- 
tabri,  e  la  ter/a  probabilmente  nel  747.  Vedi  su  ciò  Dione,  LI,  20,  LUI, 


1  Tacito,  Anii.^  IV,  41;  Svetonio,  Ner.^  A. 

2  Tacito,  Ann..  II,  26. 

S  Svetonio,  Aug.^  21,  Tib.^  0\  Dione,  LV,  S. 


104  FESTE  A  ROMA  PER"  LE  VITTORIE.  [Lib.VII. 

e  in  questa  quiete  nacque  nella  Giudea  Gesù  Cristo  che 
veniva  a  predicare  libertà  e  uguaglianza  tra  gli  uomini, 
e  a  cominciare  per  l'umanità  un'era  nuova  (753)  ("). 

A  Roma  le  liete  novelle  venute  dai  campi  erano  cagione 
di  -sontuose  feste,  di  allegrezze  e  di  largizioni,  per  cui 
la  moltitudine  si  rendeva  sempre  più  devota  al  nuovo 
padrone.  Per  la  vittoria  di  Tiberio  sui  Pannoni  e  sui 
Dalmati  il  popolo  ebbe  solenne  convito  sul  Campidoglio 
e  in  altri  luoghi  della  città:  Livia  e  Giulia  convitarono 
le  donne,  e  nel  giorno  della  ovazione  vi  fu  festa  e  ban- 
chetto pei  senatori  e  per  le  matrone  K  Per  ogni  occor- 
renza vi  erano  belli  e  sontuosi  spettacoli.  Continui  i  fe- 
steggiamenti del  dì  natalizio  d'Augusto  e  dei  membri  di 
sua  famigUa:  feste  augustali  pel  ritorno  del  principe  dalle 
province ,  e  augurii  e  canti  per  pregargli  felicità  dagli 
Dei-;  feste  votive  per  la  salute  di  lui:  feste  per  la  dedi- 
cazione di  templi,  di  teatri,  di  portici;  allegrezze  per  le 
nozze  dei  figli  e  nipoti  del  principe;  spettacoli  teatrali 
in  ogni  quartiere  della  città  con  istrioni  di  tutte  le  lingue; 
giuochi  secolari,  giuochi  quinquennali  per  la  vittoria  di 
Azzio,  e  lotte  di  atleti  e  gare  di  corridori  e  di  saltatori; 
giuochi  troiani  di  giovinetti  patrizi,  giuochi  di  Marte  con 

20,  LIV,  ."G,  e  Egger,  Examen  des  Hisioriens  d'Aurj.,  il  quale  discusse 
lungamente  questa  materia  a  pag.  30,  47,  48,  49,  271,  294,  30O,  301, 
318,  319-321. 

(«)  Questa  è  la  credenza  comune:  ma  il  calcolo,  , che  serve  di  base 
all'èra  volgare,  fatto  nel  secolo  .sesto,  sta  su  dati  meramente  ipotetici. 
Il  censo  fatto  da  Quirinio  è  posteriore  di  più  anni  a  quello  in  cui,  se- 
condo Luca  e  Matteo,  nacque  Cristo  :  e  l'iscrizione,  con  cui  volevasi  sta- 
bilire che  Quirinio  fece  due  censi,  è  tenuta  per  falsa.  Vedi  Orelli,  623, 
e  Renan,  Vie  de  Jesus,  Paris  1863,  pag.  20.  Altri  tentò,  ma  con  poco 
frutto,  di  conciliare  gli  scrittori  sacri  e  profani.  Vedi  Donati,  De  censu 
rjuem  Caesar  Octavius  AitfjusUis  tempore  nativitaiis  Christi  per  orhem 
terrariim  fecit,  Wittenbergae  1720. 

>  Svetonio,  Tib.^  9;  Dione,  LV,  ?. 
2  Sretonio,  57. 


Gap.  1.]  LOTTE,  NAUMACHIE,  CACCE  DI  FIERE,  ECC.  105 

corse  di  cavalli,  e  con  cacce,  in  cui  si  uccidevano  cen- 
tinaia di  leoni  e  di  altre  fiere  affricane.  Nel  Circo  Massimo 
uomini  correnti  sui  carri  davano  la  caccia  alle  belve:  e 
rinoceronti  battagliavano  con  elefanti.  Per  allontanare  i 
cittadini  dal  Fòro,  il  principe  M  traeva  ai  combattimenti 
del  Circo,  studiando  a  poter  suo  che  questo  popolo,  pa- 
drone già  dei  fasci  e  dell'Impero,  si  contentasse  di  avere 
in  cambio  pane  e  spettacoli.  Frequentissimi  i  combatti- 
menti dei  gladiatori;  magnifiche  le  battaglie  navali  in 
laghi  artificialmente  scavati  nelle  vicinanze  del  Tevere. 
Nel  Circo  Flaminio,  empito  d'acqua  a  quest'uopo,  una 
volta  furono  uccisi  36  cocodrilli.  Nell'iscrizione  di  Ancira 
Augusto  stesso  ricorda  la  grande  naumachia  data  al  di  là 
del  Tevere  in  un  gran  lago  artefatto,  ove  combatterono  30 
navi  rostrate  e  molte  più  navi  minori;  ricorda  che  dieci- 
mila uomini  combatterono  agli  spettacoli  dei  gladiatori 
dati  a  suo  nome,  o  dei  figli  e  nipoti;  come  pure  parla  di  27 
spettacoli,  e  di  20  cacce  negli  anfiteatri,  nel  Fóro  e  nel 
Circo,  in  cui  furono  uccise  3500  fiere  affricane.  Nei  teatri 
e  nelle  grandi  ragunanze  di  popolo  per  rendere  ammi- 
rate le  genti  mostrava  bestie  rare,  e  ostaggi  di  lontane 
regioni.  Intento  a  studiare  ogni  via  per  conciliar  favore 
a  sé  stesso,  anche  i  pubblici  trastulli  usò  come  strumenti 
di  regno.  A  tutti  gli  spettacoli  e  alle  gioie  del  volgo  in- 
terveniva in  persona  («)  :  protesse  e  privilegiò  chi  meglio 
divertiva  la  moltitudine,  e  fece  suo  prò  delle  contese  degli 
istrioni,  perchè*  destando  essi  fazioni  nel  pubblico,  disto- 
glievano gli  animi  da  altri  pensieri,  e  come  il  comme- 
diante Pilade  disse  al  principe  stesso,  servivano  bene 
alla  nuova  politica  '. 

Né   si  rimaneva   a   dar  feste   e   spettacoli,   ma  prese 

(^)  Civile  rebatur  misceri  voluptalibv.s  tuhji.  Tacito,  Ann.j,  I,  54. 

l  Monum.  Ancyr.,  IV,  31-48;  Dione  Cassio,  LI,  2,  LUI,  1,  LIV,  9,  17,  25,  26,  31,  LV, 
10  e  22,  LVI,  3  e  27-,  Svetonio,  31  e  45. 


106  LA  LI3ERTÀ  FATTA  OBLIARE  COI  DONL         [Lib.  VII. 

cure  grandi  e  continue  perchè  il  popolo  fosse  abbondan- 
temente nutrito.  Provvide  la  città  del  bisognevole;  in  oc- 
casione di  carestie  cacciò  da  Roma  i  forestieri  e  i  servi, 
e  largheggiò  in  distribuzioni  di  pecunia  e  di  grano,  le 
quaH  si  facevano  regolarmente  a  tempi  determinati,  e  vi 
partecipavano  dugentomila  persone  e  talora  anche  più  {'^). 
Dette  più  volte  fino  a  600  sesterzi  (lire  it.  119  e  28  cent.) 
a  testa,  e  in  grazia  del  suo  nipote  Marcello  ammesse 
anche  i  fanciulli  al  donativo.  Nel  tredicesimo  suo  con- 
solato restrinse  i  doni  di  pecunia  a  200  mila  persone 
dando  ad  ognuna  60  denari  (lire  47  e  70):  il  che  portava 
a  lire  9,540,000  di  spesa.  In  qualche  occcasione  détte  gra- 
tuitamente anche  i  bagni  e  i  barbieri*.  L'iscrizione  di 
Ancira  ricorda  tutti  i  larghi  donativi  di  lui;  e  nel  suo 
testamento  egli  stesso  disse  ^  di  avere  consumato  quat- 
tromila milioni  di  sesterzi  avuti  in  legato  dai  cittadini, 
oltre  al  suo  patrimonio  e  a  quello  ereditato  da  Cesare. 
Al  che  è  da  aggiungere  tutto  ciò  che  egli  pighava  dalle 
rendite  dello  Stato,  perchè  quantunque  avesse  separato 
il  suo  denaro  particolare  da  quello  del  pubblico  erario, 
spendeva  l'uno  e  l'altro  a  sua  voglia:  e  anche  lo  storico 
Dione  non  seppe  comprendere  qual  differenza  vi  fosse 
tra  il  pubblico  erario  e  il  fisco  del  principe. 

Augusto  vide  i  mali  di  tutte  queste  larghezze,  che  nutri- 
vano l'ozio  e  più  corrompevamo  il  popolo,  ma  non  osò  di 


(^)  Ogni  frumentai'io  riceveva  5  moclii  o  ()7  V->  libbre  di  grano  al  mese. 
Onde  queste  libbre  moltiplicate  per  12  e  per  200  mila,  numeri  dei  mesi 
dell'anno  e  delle  persone  che  ricevevano  la  distribuzione  gratuita,  dive- 
nivano ogni  anno  162  milioni  di  libbre.  Moltiplicando  poi  questo  numero 
per  15  centesimi,  prezzo  probabile  della  fibbi-a  del  grano,  si  trova  che  la 
spesa  annuale  era  di  24  milioni  e  :^00  mila  lire  italiane.  Vedi  Bureau  le 
la  Malie,  Econom.  polii,  des  Rom.,  IV,  12. 

•  Svetonio,  41;  Dione  Cassio,  LI,  21,  LUI,  28,  LIV,  ?5,  LV,  10  e  26;  Monim:  Ancyr.^ 
Ili,  7  e  sege. 
-  Svetouio,  101. 


Gap.  I.]    SATIRE,  CONGIURE,  PERSECUZIONI  E  UCCISIONI.  107 

sopprimerle  mai,  perchè  servivano  egregiamente  ai  suoi 
fini.  L'elemosina  data  a  tutti  a  pubbliche  spese  faceva  di- 
menticare la  libertà:  il  popolo  divertito  e  pasciuto  plaudiva 
al  donatore  magnifico  di  cose  non  sue,  e  invano  alcuni  si 
indignavano  delle  nuove  leggi  *  e  dei  privilegi  monarchici. 
Anche  in  questo  universale  avvilimento  vi  erano  uo- 
mini che  non  arrendendosi  neppure  al  destino,  come 
già  Catone,  seguivano  la  causa  dei  vinti,  quantunque  ab- 
bandonata dagli  Dei,  e  protestavano  che  la  pace  com- 
prata a  prezzo  di  servitù  era  disonorevole  e  calamitosa.- 
Alcuni  appiccavano  alla  Curia  libelli  contro  l'usurpatore  ; 
altri  congiuravano  di  spegnerlo.  Egli  dapprima  alcuni 
lasciò  dire,  stimandosi  contento  che  la  fortuna  avesse 
tolto  loro  il  modo  di  nuocergli  coi  fatti.  Ad  altri  amatori 
di  facezie  e  di  motti  mordaci  chiuse  la  bocca  col  bando. 
Esiliò  un  Cassio  da  Padova,  che  in  numeroso  convito 
disse  non  mancargli  la  voglia  ne  1'  animo  di  ucciderlo  ; 
e  multò  in  denari  le  ingiurie  di  un  Giunio  Novato  ^.  Punì 
nel  capo  alquanti  cospiratori,  tra  i  quali  sono  ricordati 
alcuni  di  illustri  famighe,  quantunque  gli  storici  di  corte 
gli  chiamino,  come  sempre  accade,  e  fiore  di  ribaldi  e 
canaglia.  Primo  a  cospirare  fu  il  figlio  di  Lepido,  il  quale 
con  molti  cittadini  tramava  di  ucciderlo  subito  dopo  la 
vittoria  di  Azzio.  La  trama  fu  scoperta  da  Mecenate, 
che  quietamente  e  celeremente  fece  troncare  la  testa  a 
Lepido,  e  lasciò  da  banda  il  processo,  perchè  i  con- 
giurati erano  troppi.  Dopo  si  proposero  il  medesimo  in- 
tento Fannie  Cepione,  e  Licinio  Murena,  fratello  di  Te- 
renzia  moglie  di  Mecenate,  e  per  un  ordine  del  principe 
contrario  alle  leggi  furono  condannati  assenti,  e  poi  uc- 
cisi nella  fuga.  Di  due  servi  che  avevano  accompagnato 
Cepione  fuggente,  uno  lo  difese  con  pericolo  della  vita 
dagli  sgherri  di  Augusto,  e  l'altro  da  traditore  aiutò  i 

'  Dione  Cassio,  LV,  23  e  27. 
2  Svetonio,  51  e  55. 


10?  LODI  AL  PRLXCIPE  CLEMENTE  CON  CINNA.      [Lib.  VIL 

persecutori  a  pigliarlo.  E  il  padre  dell'ucciso  nel  suo  co- 
raggioso dolore  protestò  contro  la  illegale  uccisione  del 
figlio  dando  libertà  al  servo  generoso ,  e  mettendo  in 
croce  il  traditore,  dopo  averlo  fatto  passare  pel  Fóro  con 
un  cartello,  che  diceva  la  causa  per  cui  era  mandato  al 
supplizio.  Congiurò  Marco  Egnazio  Rufo;  poscia  Plauto 
Rufo,  e  Lucio  Paolo;  e  anche  uomini  di  bassa  mano  eb- 
bero animo  di  vofere  uccidere  il  distruttore  della  libertà. 
Un  saccomanno  dell'  esercito  d'  Rliria  fu  colto  di  notte 
vicino  alla  camera  del  principe  con  in  mano  un  coltello 
da  caccia.  Molti  altri  ebbero  accusa  d' insidie  tramate  , 
né  è  noto,  dice  Dione,  se  a  diritto  o  a  torto,  perchè  rima- 
nendo ogni  cosa  segreta,  il  pubbHco  diceva  questi  essere 
trovati  e  pretesti  del  principe  per  togliere  di  mezzo  gh 
uomini  non  amati  da  lui.  Da  ultimo  gli  tramò  contro  an- 
che Gneo  Cornelio  Cinna,  nato  di  una  figliuola  di  Pompeo 
Magno;  ma  con  lui  fu  stimato  più  utile  l'usare  genero- 
sità: e  per  consiglio  di  Livia,  Augusto  gli  perdonò,  e  po- 
scia lo  fece  anche  console,  e  lo  ebbe  tra  i  suoi  più  fidi  *. 
Per  queste  arti  usate  a  tempo  alcuni  nemici  si  con- 
vertirono in  amici  del  principe;  egli  ammiratori  di  esso 
avevano  nuovi  argomenti  a  vantare  la  generosa  virtù  del- 
l'uomo che,  impassibile  come  il  marmo,  fu  clemente  per 
necessità  del  suo  posto,  come  per  calcolo  era  stato  fred- 
damente crudele.  Molti  celebravano  anche  la  sua  grande 
affabilità,  il  suo  usare  degnevolmente  nei  luoghi  frequenti 
di  popolo,  il  non  volere  essere  appellato  signore,  il  ri- 
cevere alla  buona  e  senza  regio  orgoglio  le  visite  dei 
cittadini,  l'andare  a  conviti,  e  ad  allegrezze  e  a  consigli 
domestici  in  casa  degli  amici.  E  gh  storici  a  mostrare 
come  molti  dei  cittadini  accettavano  di  buona  voglia  il 
principato,  e  si  riconciliavano  col  distruttore  della  Re- 
pubbhca,  narrano  che  a  capo  d'anno  gli  facevano  regaU 

1  Velleio  Patercolo,   II,  88,  91,  93;   Dione  Cassio,   LIV,  3  e  15,   LV,   14-22  e  27;  Sve- 
tonio,  19;  Seneca,  De  Brevit.  vitae,  5,  De  Clem.,  I,  9;  Appiano,  Bell.  Civ.,  IV,  50. 


Gap.  I.]     IL  PRINCIPE  CULTORE  E  FAUTORE  DEGLI  STUDI.         109 

di  strenne,  celebravano  il  suo  dì  natalizio,  lo  accoglievano 
con  lieti  augurii,  con  canti  e  con  onori  di  are  alla  For- 
tuna e  alla  Pace  al  ritorno  dalle  province,  gli  inalzavano 
statue,  gli  offrivano  denaro  pei  suoi  bisogni,  e  gli  face- 
vano nei  testamenti  grandissimi  lasciti,  dai  quali  negli 
ultimi  20  anni  della  sua  vita  raccolse  una  somma  di  mi- 
lioni che  sembra  incredibile  *.  Tutte  queste  dimostrazioni, 
di  alcune  delle  quali  parla  egli  stesso  ^,  sono  celebrate 
come  spontanee  ed  universali;  ma  forse  è  da  credere 
alla  spontaneità  di  esse,  come  alla  sincerità  di  quelli,  che 
dopo  avere  perduti  per  causa  di  esso  e  parenti  ed  amici 
e  fortune,  lo  salutarono  ])adre  della  patria^',  sincerità 
alla  quale  può  credersi,  come  alla  verità  del  suffragio 
universale,  che  ai  tempi  nostri  operò  in  Francia  tante 
maraviglie  di  libertà  jiello  stato  d'assedio. 

Ma  Augusto,  non  contento  del  plauso  dei  contempora- 
nei, che  divertiti  e  pasciuti  lo  celebrarono  più  che  uomo 
mortale,  cercò  destramente  anche  l'ammirazione  dei  po- 
steri, provvedendo  per  mezzo  dei  suoi  ministri  ed  amici, 
che  poeti  e  scrittori  di  ogni  maniera  lodassero  e  lui  e  il 
suo  principato.  E  anche  in  questo  si  governò  destra- 
mente, e  fu  avventuroso.  Aveva  buon  gusto  e  molta  cul- 
tura,  e  ben  comprendeva  quanto  le  lettere  giovino  ad 
eternare  i  potenti  che  sappiano  usarle  ai  loro  fini.  Era 
stato  ammaestrato  da  grammatici,  da  retori  e  da  filosofi, 
e  tenne  in  corte  per  sua  istruzione  il  filosofo  Aréo  d'A- 
lessandria, e  i  suoi  figli  Dionisio  e  Nicànore,  e  lo  stoico 
Atenodoro  di  Tarso,  e  il  retore  Apollodoro  di  Pergamo, 
stati  già  suoi  precettori  ad  Apollonia  ^:  si  esercitò  molto 


1  Dione  Cassio,  LV,  12,  LVI,  E6,  32,  43;  Svetonio,  53,  57,  G6,  101  •.  Seneca,  De  Clem.^ 
I,  15. 

2  Monum.  Ancyr.^  II,  27-3^  e  IV,  51-52., 

3  Monum.  Ancyr.,  VI,  25;  Dione  Cassio,  LVI,  41;  Svetonio,  58;  Orazio,  Od.^  I,  2,  50; 
Ovidio,  Fast..  II,  127,  Trist.^.  II,  89  e  181;  B'ioro,  IV,  12,  66. 

4  Svetonio,  Aug..  89,  De  Clar.  Rhetor.,   !;  Slrabone,  XIII,  4,  XIV,  5;   Dione  Cassio, 
LI,  16;  Seneca,  Canaol.  ad  Marc.  -i. 

Vannccci  —  Storia  dell'Italia  aulica  —  IV.  14 


Ilo  SCRITTI  LN  VERSI  E  IN  PROSA.  ÉIBLIOTECHE.    [Lib.  VII. 

neir  eloquenza ,  scrisse  greco  e  latino ,  fece  da  giovane 
sconci  epigrammi,  dettò  tragedie,  e  un  poema  in  esa- 
metri sulla  Sicilia;  quindi  compose  i  Commentarii  della 
sua  vita  in  tredici  libri,  scrisse  le  Esortazioni  alla  filo- 
sofìa, la  Risposta  allo  scritto  di  Bruto  sopra  Catone,  il 
Prospetto  delle  sue  geste ,  e  più  altre  cose,  tra  cui  le 
Orazioni  funebri  per  Marcello,  per  Agrippa,  per  Ottavia 
e  per  Druse,  del  quale  fece  l'elogio  anche  in  versi  *  :  e 
molte  lettere  come  quelle  dirette  a  Virgilio,  a  Orazio,  a 
Mecenate  e  a  Cesare,  a  Giulia  e  a  Tiberio,  e  alla  nipote 
Agrippina,  delle  quali  rimangono  ricordi  e  frammenti 2. 
Diresse  l'educazione  letteraria  dei  suoi^;  fece  istruire  da 
uomini  valenti  i  nipoti.  A  Nestore,  fdosofo  di  Tarso,  af- 
fidò l'educazione  di  Marcello  ^,  e  accolse  in  sua  casa  con 
lo  stipendio  annuo  di  100  mila  sesterzi  (più  di  26  mila 
lire)  Verrio  Fiacco,  famoso  grammatico,  come  maestro 
dei  figli  di  Giulia  e  di  Agrippa  (").  Per  mostrare  che  gli 
stavano  a  cuore  gli  studi,  alla  biblioteca  già  fatta  da 
Asinio  Pollione  neW Atrio  della  Libertà  sull'Aventino 
aggiunse,  a  servigio  del  pubblico,  quella  del  tempio  di 


("■)  Verrio  Fiacco  era  di  Preneste:  morì  vecchio  sotto  Tiberio,  ed  ebbe 
una  statua  nel  Fóro  della  sua  patria.  Ordinò  e  pubblicò  i  Fasti  Prene- 
stini,  scrisse  di  ortografia,  fece  una  raccolta  di  cose  memorabili,  com- 
pose versi,  trattò  delle  discipline  etrusche,  e  del  significato  delle  parole, 
scritto  giunto  a  noi  nei  compendii  che  ne  fecero  Pompeo  Festo  e  Paolo 
Diacono.  Svetonio,  De  Illustribus  Grammaticis,  17  e  18;  Gellio,  IV,  5, 
Schol.  Yeron.  ad  Aen.,  X,  183  e  200,  e  Macrobio,  I,  4,  il  quale  ricorda  un 
libi'O  intitolato  Saturno.  I  pochi  frammenti  che  rimangono  dei  suoi  vai-i 
scritti  furono  ristampati  con  quelli  di  Festo  nel  1838  a  Parigi  dall'KggGr. 

'  Svetonio,  Aug.^  8,  61,  SI  e  85,  Claud.,  1;  Plutarco,  Parcg.  di  Demostene  e  Ciccr.j 
2;  Dione,  LH,  30,  LIV,  23  e  35,  LV,  2;  Quintiliano,  1,6,  19,  XII,  C,  1  ;  Macrobio,  II,  4; 
Marziale,  XI,  20;  Plinio,  Epist.,  V,  3;  Weichert,  De  Imp.  Caes.  Aug.  scriptis  comnien- 
catio,  Griinma  1835,  e  Imperatoris  Caesaris  Augusti  operimi  reliquiae,  Grimnia  ISll. 

2  Svetonio,  Aug.,  69,  71,  76,  86,  Claud.,  4,  e  Horat.  vita;  Tacito,  Dialog.  de  Orati., 
13;  Macrobio,  II,  4;  Quintiliano  I,  6,  19. 

3  Svetonio,  86. 

■I  Strabone,  XIV,  1. 


Cap.  I.]  MECENATE  PRIMO  MINISTRO.  Ili 

Apollo  Palatino  *,  e  quella  presso  il  Circo  Flaminio  («), 
e  vi  fece  raccogliere  le  opere  della  letteratura  greca  e 
latina.  I  cultori  più  felici  delle  lettere  accarezzò  accor- 
tamente, e  per  conciliarseli  ascoltava  cortesemente  la 
lettura  di  loro  storie  e  poemi  ^  ;  e  tutti  gli  ingegni  mi- 
gliori tirò  a  sua  corte,  e  détte  loro  la  prima  ispirazione 
alle  lodi  per  gli  ordini  nuovi,  e  tutta  la  letteratura  fece 
strumento  di  politica,  e  la  usò  a  suo  profitto,  d'accordo 
con  Mecenate  (685-746),  che  anche  in  ciò  lo  servi  egre- 
giamente. 

Questi  era  della  casa  dei  Cilnii,  stata  prepotente  fino 
ab  antico  in  Arezzo  (^),  ove  gli  avi  suoi  si  erano  assisi 
nella  sedia  eburnea  dei  Lucumoni  di  Etruria.  Divenuto 
presto  amico  dell'erede  di  Cesare,  che  lo  pose  al  governo 
di  Roma  e  d'Italia  nell'ultima  guerra  civile,  e  più  volte 
lo  adoperò  in  faccende   diplomatiche   e  in  maneggi   di 

{"}  Questa  è  chiamata  comunemente  la  Biblioteca  del  Portico  di  Ottavia; 
ma  l'iscrizione  d'Ancira  (IV,  2-4)  corregge  così  :  Porticum  ad  circum  Fla- 
minium,  quam  sum  appellavi  passus  ex  nomine  eius  qui  priorem  eodem 
in  solo  fecerat  Octaviam.  Di  più  Festo,  alle  voci  Octaviae  2'>orticus,  dice 
che  uno  dei  due  portici  era  detto  cosi  dal  nome  di  un  Ottavio  che  aveva 
trionfato  di  Perseo.  Dal  che  .si  vede  che  tutta  V  antichità  avrebbe  preso 
la  forma  Octaviae,  riferentesi  al  plurale  feminino  porticus^  per  il  nome 
della  sorella  di  Augusto,  e  bisognerebbe  leggere  in  Plinio  e  altrove  Opera 
Octavia  in  vece  di  Octaviae.  Vedi  Egger,  Examen ,  pag.  271. 

(*)  Livio,  X,  3  e  5.  Sugli  antenati  e  sui  particolari  della  vita  di  lui, 
vedi  Meibomii,  Maecenas,  Lugduni  Batav.  1653;  Viola,  Storia  di  C.  Cilnio 
Mecenate,  Roma  1816;  Lion,  Maecenatiana,  sive  de  C.  Cilnii  Maecenatis 
vita  et  moribus,  Gottingae  1824,  dove  sono  accuratamente  narrati  i  fatti 
e  i  costumi  di  Mecenate,  e  raccolti  tutti  i  frammenti  delle  sue  opere: 
Frandsen,  C.  Cilnius  Maecenas ,  eine  historische  Untersuchung  ueber 
dessen  Leben  und  Wirken,  Altona  1843,  lavoro  più  ricco  e  pieno  di 
ogni  altro, 

1  Svetonio,  29-,  Dione,  LUI,  1;  Orazio,  Epist.,  I,  3,  16;  Liirsen.  De  tempio  et  bibìio- 
theca  Apollinis  Palatini,  Franequerae  1719.  Vedi  anche  il  Palazzo  dei  Cesavi  illustrato 
da  Ville.  Ballanti,  Roma  1828,  e  Poppe  De  privatis  atque  illustriorihus  publicis  rete- 
rum  Romanorum  bibliothecis,  Berlin  1826,  p.  13,  e  seguenti. 

2  Svetonio,  89. 


112  SUOI  MOLLI  E  SINGOLARI  COSTUMI.  [Lib.  VII. 

accordi,  e  ne  ebbe  utili  e  molto  importanti  consigli  e 
servigi  *,  fu  poscia  il  primo  ministro  del  nuovo  governo 
imperiale,  e  per  lungo  tempo  partecipò  a  tutti  i  segreti 
consigli  del  principe,  ma  da  ultimo  conservò  il  favore 
più  in  apparenza  che  in  fatto  2.  È  detto  che  Augusto  ebbe 
a  dolersi  di  lui  perchè  non  serbava  bene  i  segreti  («); 
ma  la  causa  più  grande  del  raffreddamento  fu  la  sua  mo- 
glie Terenzia,  amoreggiata  da  Augusto,  che  per  goder- 
sela meglio  la  conduceva  seco  nei  lunghi  viaggi,  e  quanto 
più  amava  lei  tanto  piti  pigliava  a  noia  il  marito  ^.  Certo 
è  che  il  cortigiano  non  ebbe  mai  bene  della  capricciosa 
donna:  tormentato  dall'amore  geloso  cercava  invano  di 
conciliarsi  il  sonno  con  sinfonie  risuonanti  da  lungi;  la 
ripudiava  e  la  ripigliava  ad  ogni  istante,  a  tal  che  fu 
detto  che  prese  mogUe  mille  volte  e  ne  ebbe  una  sola*. 
Questo  primo  ministro  era  un  singolare  uomo;  operoso 
e  indolente,  coraggioso  e  codardo,  favorito  dalla  fortuna 
e  travagliato  dalle  sciagure  domestiche  :  sempre  nel  con- 
trasto di  una  vita  divisa  tra  futih  occupazioni,  tra  vo- 
luttà epicuree,  e  tra  gravi  cure  di  Stato.  Così  fu  ritratto 
da  Velleio  (^)  e  da  Seneca.  Non  volle  esser  più  che  ca- 
valiere, e  mostrò  la  sua  molta  possanza  col  vivere  a  suo 
modo.  Ebbe  lode   di  mansuetudine;   e   quando   Augusto 

(")  Svetonio,  66.  In  fatto  di  violazione  di  segreti  Augusto  fu  oi-udelis- 
simo.  A  un  segretario,  che  mostrò  ad  altri  una  sua  lettera  per  5lJ0  de- 
nari, fece  spezzare  le  gambe.  Svetonio,  67. 

(*)  C.  Maecenas  equestri,  sed  splendido  genere  natii s ,  tir.  ubi  res 
vigiliam  exigeret,  sane  exsomnis ,  lìrovidens ,  o.tque  agendi  sciens  :  simili 
vero  aliquid  ex  negocio  remitti  X'osset,  odo  ac  mollitiis  -pene  ultra 
feminam  fluens.  Velleio  Patercolo,  II,  88. 

1  Tacito,  Ann.^  VI,  U  ;  Velleio  Patercolo,  li,  88;  Orazio,  Oì..  IH,  S,  \R.  Ili,  -29,  5, 
Sat.,  I,  5,  27-29;  Appiano,  Bell.  Civ..  V,  53,  64,  92-fe5,  99  e  112;  Dione,  XI. IX,  10,  1,1, 
3,_LII,  14  e  scgg.;  Plutarco,  Anton.^  35;  Frandsen,  Maecenas^  pag.  56-65. 

'«  Tacito,  Ann..  Ili,  30. 

3  Dione  Cassio,  UV,  19,  e  LV,  7.  Vedi  anche  Svetonio,  GO. 

i  Seneca,  De  Provid.,  3,  Epist.^  114,  4;  Plinio,  VII,  52.  Sugli  amori  non  platonici  cii 
Iklecenate  vedi  Plutarco,  Ragionamento  d'amore.  16. 


Cai».  L] 


MECENATE  E  I  SUOI  SCRITTI. 


113 


nei  tribunali  mostravasi  disposto  a  fiere  sentenze,  ei  gli 
gettava  da  lungi  una  tavoletta  con  le  parole:   alzati  di 
là  una  volta,  o  carnefice!^    Ma  ciò,  dice  Seneca,   era 
mollezza,  non  benigna  natura.  La  sua  vita  delicata  passò 
come  in  proverbio.  Era  tenero  pel  mimo  Batillo  2,  aveva 
molle  andatura,  portava  discinta  la  toga;  in  pubblico  si 
mostrò   sempre  con   in 
capo  il.  mantello  :  e  tra 
le  armi  delle  guerre  ci- 
vili suo  corteggio  erano 
due  eunuchi,  e  pure  più 
maschi  di  lui.  Insomma 
era  marcio  di  voluttà,  e 
il  soverchio  della  buona 
fortuna  gli  aveva  smosso 
il  cervello.  Ebbe  molta 
cultura;    fece    versi    e 
prose    di    vario     argo- 
mento, tra  cui  un  Pro- 
meteo, più  dialoghi,  e  la 
descrizione  di  un   sim- 
posio in  cui  Messala  alla 
presenza   di  Virgilio   e 
d' Orazio     parlava     del 

vino  3;  e  nei  suoi  scritti  ritrasse  sé  stesso.  Dai  suoi  versi 
impariamo  che  l'idea  della  morte  gli  metteva  una  paura 
strana  così  che,  a  suo  dire,  sarebbesi  contentato  *di  ri-  jj^ 
maner  gobbo,  m(mco,  zoppo,  sdentato,  e  di  stare  anche 
in  croce,  purché  vivo.  Nello  scrivere  portò  la  mollezza 
che  aveva  nell'animo,  ed  effeminò  la  energica  lingua  ro- 


Mecenate  vecchio  {VisCs  Icon.  rom. 


1  Dione  Cassio,  LV,  7. 

2  Tacito,  Ann.,  I,  51;  Dione,  LIV,  17. 

3  Servio,  Ad  Georg.,  IT,  42.  e  Ad  Aen. ,  Vili,  310;  Orazio,  Od..  II,  12,  9;  Seneca, 
Epist.,  1&,  8;  Plinio,  VII,  46,  IX,  8;  Lion,  Maecenatiana.  pag.  27-48;  Frandsen,  Mae- 
cenas,  pag.  lGl-170. 


114  MECENATE  IN  CERCA  DI  LODATORI  DEL  PRINCIPATO.  [ Lib.  VII. 

mana:  lo  stile  dinodato,  affettato,  lezioso,  come  il  vestire, 
mostrava  sempre  l' uomo  snervato ,  anzi  castrato  dalla 
felicità*.  «  Era  uomo  di  grande  ingegno,  se  lo  avesse 
guidato  per  via  più  diritta,  se  non  avesse  fuggito  d'essere 
inteso,  se  anche  nel  ragionare  non  si  dispergesse.  Però 
ebbe  un'eloquenza  da  briaco,  avviluppata,  errante,  licen- 
ziosa. Mecenate  nelle  sue  gale....  Quelle  parole  si  perver- 
samente composte,  sì  trascuratamente  gittate,  tanto  con- 
tro la  comune  usanza  collocate,  mostrano  che  similmente 
i  suoi  costumi  furono  altrettanto  e  distorti  e  singolari  2.  » 

Pure  egli  aveva  e  gusto  e  giudizio  da  distinguere  gli 
scrittori  meglio  adatti  a  servire  la  causa  degli  ordini 
nuovi,  e  ad  ornarli  di  lodi  più  belle,  e  a  tramandare  alle 
età  lontanissime  il  suono  degli  inni  cantati  al  potente 
protettore. 

Fu  stabilito  che  la  virtù  di  Augusto,  divenuta  una  Dea, 
avesse  tempio  e  sagrestani  degni  di  essa('');  e  Mecenate, 
incaricato  di  trovare  i  sacerdoti  e  di  istruirli  nel  culto 
novello,  adoperò  si  bene  che  condusse  nel  tempio  gh 
uomini  più  fiorenti  d'ingegno,  e  fece  venerare  e  cantare 
la  Dea  anche  da  quelli  che  l'avevano  già  maledetta.  Il 
panegirico  è  una  faccenda  che  vuol  esser  trattata  deli- 
catamente, perchè  se  tu  lo  getti  in  faccia  con  poca  de- 
strezza ti  partorisce  l'effetto  contrario.  Augusto  e  Mece- 
nate lo  sapevano  benissimo;  e  perciò  allontanarono  i 
laudanti  mediocri,  affamati  di  pecùnia  e  di  onori;  ten- 
nero' a  freno  lo  zelo  dei  laudanti  indiscreti,  e  posero  or- 
dine a  impedire  che  il  nome  del  principe  non  perdesse 

C)  ....  Est  operae  praelium  cognoscere  quales 

Aedituos  habeat  belli  spedata  domirjue 
VirtuSj  indirjno  non  cummittenda  jivelae. 

Orazio,  EpisU,  II,  1,  229-231. 

•  Seneca,  Epist.,  19,  y2,  lol. 

2  Soncca,  Epixt.,  ili,  tnidotta,  (la  1'.  (Wur.laiii.  V,-ili  aucln'  Sv.M..!iio,  .sd  ;  Taoil..,  D/a- 
log.  de  Orati..  t>0,  e  Macrobio,  Saturi)..  II,  -1;  Gidvcnalo,  I,  GG,  e  XII,  3V. 


Gap.  I.]    POETI  FAVORITI  DAL  MINISTRO  E  DAL  PRINCIPE.        115 

della  sua  maestà  coli' essere  male  a  proposito  ricordato 
da  male  adatti  poeti  *.  Ma  a  chi  sapeva  lodare  con  buon 
gusto  e  ingegnosamente  fu  aperto  largo  campo  all'alta 
protezione  del  ministro  e  del  principe. 

Primo  passo  ai  favori  era  l'essere  ammesso  alla  conver- 
sazione di  Mecenate  nell'alta  e  splendida  mole  del  pa- 
lazzo sorto  in  mezzo  ai  lieti  giardini  dell' Esquilie,  i  quali 
fatti  novellamente  con  magnifica  pompa  nei  campi  già 
deformi  pei  sepolcri  della  misera  plebe,  resero  il  luogo 
ameno  e  salubre  ^  e  fruttarono  al  ministro  la  dedica  del 
Trattato  della  cultura  degli  orti  scritta  da  Sabino  Ti- 
rone  {"■).  Ivi  lo  stesso  Augusto  cercava  ristoro  e  salute  2. 
Ivi  erano  invitati  gli  uomini  più  famosi  d'ingegno,  i  quali 
tra  i  bei  ragionari  delle  liete  feste  e  della  parasitica 
mensa,  tra  i  canti  e  i  bicchieri  '%  di  repubblicani  si  face- 
vano monarchisti,  e  prendevano  l'ispirazione  a  novelli 
poemi.  E  quando  Mecenate  era  ben  sicuro  di  essi,  li  con- 
duceva alla  presenza  del  principe,  ove  le  cortesi  parole, 
le  promesse  e  i  doni  compievano  l'opera.  Allora  i  poeti 
cantavano  di  gran  lena  il  novello   imperio,   e  il  nume 


(")  Plinio  XIX,  57.  11  campo  della  misera  plebe  sul  quale  fiorirono  i 
nuovi  giardini  era  tra  le  vie  uscenti  dalle  porte  Esquilina  e  Viminale.  Di 
questi  giardini  e  del  palazzo  di  Mecenate  recentemente  si  trovarono  nuove 
rovine  neiroccasione  degli  scavi  fatti  per  fondare  le  nuove  fabbriche  de- 
stinate ad  accogliere  gl'Italiani  che  fino  dal  1870  tolsero  Roma  dalle 
mani  dei  preti,  e  la  fecero  capitale  della  libera  Italia. 

Pei  resultati  scientifici  di  questi  scavi  vedi  Luciani,  Belle  scoperte 
principali  avvenute  nella  prima  zona  del  nuovo  quartiere  esquilino , 
in  Bulleitino  della  Commissione  Archeologica  Municipale ,  gennaio- 
marzo  1874,  pag.  42  e  segg. ,  e  C.  L.  V.,  Antica  sala  da  recitazioni, 
ovvero  auditorio,  scoperto  tra  le  mine  degli  Orti  Mecenaziani,  sull'E- 
squilino,  luglio-settembre  1874,  pag.  137-173. 

'  Svetunio,  89. 

2  Orazio,  Sat.,  I,  8,  7-10,  Od.,  Ili,  29,  IO,  £pod.,  IX,  3. 

■i  Svetonio,  72. 

■I  Orazio,  Epod.,  IX,  3,  e  segg.;  Svetonio,  Jlorat.  vita. 


116  CORNELIO  GALLO,  LUCIO  VARIO  E  VIRGILIO.       [Lib.  VH. 

d'Augusto  e  ]a  sapienza  del  cavaliere  Mecenate.  L'uomo 
di  Stato  e  ii  principe  davano  ville  :  Apollo  cantava  inni. 
Erano  due  potenze  che  si  porgevano  amicamente  la  mano. 
Fra  i  primi  a  godere  i  favori  della  nuova  potenza  fu- 
rono i  poeti  Lucio  Vario  Rufo  e  C.  Cornelio  Gallo  (685-727); 
questi  scrittore  di  belle  elegie,  amico  di  Cicerone,  di  Pol- 
lione,  di  Virgilio,  e  poi  governatore  di  Egitto,  ove  presto 
cadde  in  disgrazia  e  fece  mal  fine,  uccidendosi  di  propria 
mano,  né  è  chiaro  se  per  sua  colpa,  o  pei  sospetti,  com- 
pagni perpetui  del   dispotismo  ('');  Vario,   amico  di  Au- 
gusto, di  Mecenate,  di  Virgilio  e  d'Orazio,  famosissimo 
allora  come  poeta  epico  e  tragico,  autore  di  un  canto 
sulla  morte  di  Cesare,  e  panegirista  del  vincitore  subito 
dopo  la  battaglia  di  Azzio,  vantato  come  aquila  dell'epo- 
pea, e  come  il  solo  atto  a  cantare  in  versi  eroici  le  im- 
prese di  Augusto  e  di  Agrippa  (^).  ^ 


(«)  Cicerone,  Ad  Famil.,  X,  32;  Dione  Cassio,  LI,  17,  LUI,  23;  Svetonio, 
66;  Virgilio,  Ecl.>  VI,  64,  e  segg.  e  Ecl.,X.;  e  Servio  wi  in  principio; 
Properzio,  II,  34,  91;  Quintiliano,  X,  I,  93;  Svetonio,  Aiig.:,  66;  Amm. 
Marcellino,  XVlI,  4,  5;  S.  Girolam®,  in  Euseb.  Chron.,  an.  727;  Fonta- 
nini,  Eistoria  literaria  Aquileiensis ,  Romae  1742,  p.  1-62;  Vòlker,  Be  C. 
Cornelii  Galli  foroiuliensis  vita  et  scriptis.  Pars  prior,  Bonuae  1840,  e 
Pars  altera,  Elberfeld  1844;  Nicolas,  Be  la  vie  et  des  oucrages  de  Caius 
Corntliiis  Gallus,  Paris  1851;  Becker,  Gallo  o  Scene  romane  del  tempo 
d'Augusto,  Lipsia  1838  e  3^  ediz.,  ivi  1863  (in  tedesco);  Egger,  Examen, 
pag.  67.  Ovidio,  Amor.,  Ili,  9,  63,  accenna  all'innocenza  di  Gallo  colle 
parole  falsimi  temerad  crimen  amici.  La  sua  patria  è  incerta:  fu  di- 
sputato tra  Frejus,  Cividale  del  Friuli  e  Forlì. 

(^)  Orazio,  Od.,  I,  6,  1-4,  Sat.,  I,  6,  55,  I,  9,  23,  I,  10,  43-4,  Epist.,  II, 
1,  247,  e  AdPisones,  55;  Acrone,  in.Horat.,  Epist.,  ì,  16,  27;  Virgilio, 
Ed.,  IV,  35;  Tacito,  Bial.  de  Orati.,  12;  Marziale,  Vili,  14,  7,  Vili,  56, 
21,  Xll,  4,  1;  Quintiliano,  X,  1,  98,  che  dice  il  di  Tieste  Vario  parago- 
nabile con  qualunque  tragedia  dei  Greci  ;  e  Macrobio,  Saturn.,  VI,  1  e  2, 
ove  sono  citati  12  esametri  del  poema  sulla  morte  di  Cesare.  Nei  carme 
a  Pisone  (vers.  226)  è  data  lode  a  Mecenate  di  aver  fatto  di  Vario  un 
gran  tragico.  Vedi  Weichcrt,  Be  L.  Varii  et  Cassii  Parmensis  vita  et 
carminibìts,  Grimae'183G. 


Gap.  li     VIRGILIO.  STUDI  A  CREMONA,  A  MILANO,  ECC. 


117 


Dopo  venne  P.  Virgilio  Marone,  il  più  soave  e  piti 
perfetto  poeta  della  letteratura  romana.  Era  nato  ai  15 
ottobre  del  684  nelle  vicinanze  di  Mantova  da  parenti  di 
modesta  fortuna.  La  madre  si  chiamò  Magia  Polla,  e  il 
padre,  Marone,  il  quale  mercenario  o  vasaio  (figulus) 
erasi  comprato  un  poveretto  presso  al  villaggio  di  Andes 
{Pìetola),   e  potè  fare' educare  liberalmente  il  figliuolo 


Virgilio  del  Cuau  e   \  .  i,>  au  .  [V,s_unU,  I  on    A'ortl  .  tav.   i:;). 

dapprima  a  Cremona  e  a  Milano,  e  poscia  a  Roma  e  a 
Napoli  ove  si  perfezionò  nelle  lettere  greche  e  nella  filo- 
sofia, e  studiò  le  scienze  naturali,  la  medicina  e  le  ma- 
tematiche. Singolari  cose  narrò  di  lui  la  tradizione,  attri- 
buendogli più  che  umana  potenza  d'ingegno  operatore 
di  grandi  e  strani  portenti  (").  Certo  è  che  gli  furono  ra- 


(")  Vedi  la  vita   scritta  Ja  Tiberio  Claudio  Donato,  e  il  Bavle    all'ar- 
ticolo Virgile.  Molte  insulsaggini  e  favole    spacciate  nel  mcilio  evo  sotto 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  15 


1 18      SPOGLIATO  DEI  BENI  PATERNI  E  POI  RISTORATO.  [Lib.  VII. 

piti  i  suoi  beni,  e  corse  pericolo  di  essere  ucciso  da  un 
feroce  soldato,  quando  Ottavio,  reduce  da  Filippi,  di- 
stribuì ai  veterani  le  terre  migliori  d'Italia.  In  questa 
sciagura  egli,  che*già  aveva  dato  i  primi  saggi  del  suo 
ingegno  poetico,  andò,  come  sembra,  per  protezione  ad 
Asinio  Pollione  governatore  della  Gallia  Transpadana, 
e  autore  anch'egli  di  versi,  e  amico  ai  poeti;  e  fu  bene 
accolto.  Ebbe  liete  accoglienze  anche  dal  poeta  Cornelio 
Gallo,  e  da  Alfeno  Varo  uomo  di  guerra.  Presero  tutti  a 
proteggerlo:  e  con  queste  raccomandazioni  corse  a  Roma 
a  chieder  mercè,  si  presentò  a  Mecenate,  che  lo  con- 
dusse ad  Ottavio  da  cui  fa  compensato  della  perdita  delle 
terre  paterne  (").  Allora  con  l'animo  pieno  di  gratitudine 
cominciò  a  celebrare  i  suoi  protettori  nelle  Bucoliche 
(713-715)  di  cui  prese  in  gran  parte  le  idee,  gli  argomenti, 
e  anche  le  frasi  dal  siciliano  Teocrito.  Ma  imitava  con 
ingegno  capace  a  trasformare  le  cose  prese  da  altri,  ad 
animarle  di  nuova  vita,  a  vestirle  di  grazia  e  di  soavità 
singolare  e  di  un'armonia  non  più  sentita  per  le  terre 
italiane,  e  a  rinnovare  quel  genere  di  poesia  adattandolo 
ai  gusti  del  popolo,  che  dilettavasi  delle  cose , civili  più 


i  nomi  (li  Donato,  di  Probo  e  di  Servio,  furono  confutate  dai  critici  po- 
steriori, nei  quali  puoi  vedere  ciò  che  sia  di  vero  negli  antichi  racconti. 
Vedi  tra  gli  altri  Martyn,  Life  ofVirgil;  Crusius,  Lires  of  ihe  Roman 
Poets,  toni.  I,  e  l'IIeyne,  P.  Maronis  vita  per  annos  digèsta.  Per  ciò 
che  riguarda  Probo,  Donato  e  Servio  vedi  Reifferscheid  (C.  Svetonii  Tran- 
quilli  praeter  Caesarurn  libros  reliquiae,  Lipsiae  1860,  pag.  52-68,  e 
conf.  pag.  398-405)  il  quale  riprodusse  anche  la  vita  di  Virgilio  a  Foca 
grammatico  urbis  Romae  versibus  edita. 

C')  Augusto,  al  dire  di  Donato,  gli  offrì  i  beni  di  uno  cacciato  in  esilio, 
ma  egli  non  volle  accettarli.  GcUio  (VII,  1)  accenna  a  un  suo  fondo  in 
Campania  nelle  vicinanze  di  Nola:  e  lo  stesso  Donato  (24)  ricorda  la  casa 
da  lui  posseduta  sull'Esquilie  presso  gli  orti  di  Mecenate,  e  aggiunge  che 
possedè  prope  ccnties  sestertium ,  cioè  cento  volte  centomila  sesterzi, 
equivalenti  a  1,987,077  lire  italiane.  Vedi  anche  Orazio,  Epist.,  II,  1,  246- 
247;  Marziale,  Vili,  56,  e  Servio,  Ad  Acn.,  VI,  682. 


Gap.  L]  la  BUCOLICA.  119 

che  della  vita  pastorale  e  campestre  K  Egli  amava  la  na- 
tura e  la  vita  dei  campi,  ma  invece  di  dipingere  veri  pa- 
stori, sovente  prestò  loro  i  suoi  particolari  sentimenti,  e 
fece  una  poesia  piena  di  allegorie  e  di  allusioni  alle  pro- 
prie vicende  e  a  quelle  di  Roma,  delle  quali  può  profittare 
la  storia,  quando  il  velo  allegorico  non  copre  troppo  il 
pensiero  del  poeta.  Inalzò  talora  il  suo  canto  per  renderlo 
degno  di  un  console;  cantò  la  creazione  delle  cose,  i 
tempi  primitivi,  e  lo  sperato  rinnovellamento  del  mondo, 
e  il  ritorno  della  giustizia  e  del  secolo  d'oro  -.  Poeta  del- 
l'esilio cantò  mestamente  in  più  luoghi  le  proprie  e  le 
altrui  sciagure,  descrisse  gli  orrori  di  cui  fu  testimone,  e 
consolò  i  miseri,  che  spodestati  da  feroce  soldatesca  erano 
costretti  a  lasciare  i  dolci  campi  paterni  in  preda  di 
barbari,  e  ad  esulare  in  lontane  terre  ^.  Dai  sentimenti 
suoi  propri  furono  ispirate  le  lodi  ad  Ottavio,  che  per  lui 
sarà  sempre  un  Dio  ^,  a  Pollione  ^,  a  Varo  *  e  a  Gallo  '. 
Quantunque  i  suoi  pastori,  come  fu  già  notato,  siano 
spesso  troppo  civih,  e  si  mostrino  bei  parlatori  e  lette- 
rati e  filosofi  più  di  quello  che  porti  la  loro  condizione; 
quantunque  spesso  la  parte  bucolica  sia  solamente  un 
accessorio  a  carmi  lirici,  epici,  elegiaci,  didattici,  pure 
le  eleganti  pitture  delle  rusticane  bellezze  e  della  quiete 
dei  campi  piacquero,  pel  contrasto,  a  Roma  affaticata 
dagli  eccessi  del  lusso  e  dagli  orrori  della  guerra  civile. 
Dilettò  il  bel  paesaggio  italiano,  in  cui  i  guardiani  dei 
greggi  cantavano  dolcemente  assisi  sull'erba.  Fu  festeg- 


1  Vedi  Meusel,  De  Theoorito  et  VirgiUo,  poeCix  fti'/eoZìc/s  ,  Gottingae  1770  ;  Ifunger, 
De  poesi  Romanoruni  bucolici'^  Ilalae  ISll,  pag.  18  e  sfgg.  ;  Gebauer,  De  poatarum 
graecorum  bucolìcorum .  impriìnii  TheGCriti,.  curminibufi  in  Eclogìs  a  Virgilio  ex- 
pressis.  Lipsia  1831. 

2  Egl.,  IV  e  VI. 

3  Egl.  I,  65,  IX,  4  e  segg-. 
*  Egl.^  I,  6  e  segg. 

5  Egl,  ILI.  81,  IV,  12,  VI!I,  0-13. 

6  Egl,  VI,  7,   IX,  -20. 

7  Eql.,  VI,  61  e  seL-L'.,  e  X. 


120 


LA  GEORGICA. 


[LiB.  VII. 


giata  la  tenera  Musa  che  non  arrossiva  di  abitare  tra  le 
selve;  il  canto  dei  pastori  ebbe  plauso  anche  in  pieno 
teatro^:  e  il  poeta  incoraggiato  dal  pubblico  e  dai  suoi 
protettori  pose  mano,  rimanendo  nei  campi,  ad  opera 
ììiaggiore,  e  colla  Georgica  si  fece  maestro  agli  agricoltori. 
Lasciati  i  rumori  di  Roma,  e  ritiratosi  alla  quiete  di 
Napoli,  attese  ivi  a  studi  più  gravi,  ricercò  tutto  quello 


Scena  pastorale  (BartoU,    Virgilio    Vaticano,  pag.  ">). 

che  della  cultura  dei  campi  avevano  scritto  Esiodo,  Ni- 
candro.  Arato,  Senofonte,  Magone  Africano,  Aristotele, 
Teofrasto,  il  vecchio  Catone  e  Varrone  -.  Da  quest'ultimo 
prese  anche  il  disegno  generale  dell'opera,  e  scrisse  del 
come  si  debba  coltivare  la  terra,  come  le  viti,  gli  ulivi 
e  gli  altri  alberi;  del  modo  di  allevare  i  bestiami,  e  delle 
cure  che  vogliono  le  api.  Lavorò  sette  anni  (717-724)  a 
quest'opera,  e,  vinte  le  difficoltà  che  impedivano  di  es- 

'  Donato,   V.rf/il.  vita.  10;  T;icito,  Dialog.  de   Orati.,  13. 

2  Servio,  Ad  Georg.,  I,  '13;  Macrobio,  V,  2;  Gellio,  IX,  9;  Quintiliano,  X,  1,  56 


Gap.  I.]  LA  GEORGICA.  121 

sere  nuovo  a  chi  giungeva  dopo  tanti  altri,  condusse  le 
Muse  greche  in  Italia  *,  fece  il  più  perfetto  poema  dida- 
scalico che  mai  fosse  creato  da  umano  ingegno,  ritraendo 
una  parte  degli  usi  degli  agricoltori  italiani  del  tempo  suo, 
e  mostrando  l'agricoltura  romana  nella  sua  decadenza  2. 
Non  è  qui  luogo  a  discorrere  delle  immortali  virtù  di 
questo  capolavoro;  ma  non  vuoisi  tacere  dell'ingegno  so- 
vrano che  tutto  veste  di  luce  serena,  che  infiora  le  cose  più 
tenui  e  più  schive  di  ogni  ornamento  ;  né  dello  stile  parco, 
rapido,  variato,  fluido,  armonioso  e  ricco  d'immortali 
splendori;  né  dell'arte  a  un  tempo  ingenua  e  ardita  con 
cui  anima  tutto,  e  dà  anche  alle  piante  e  vita  ed  affetti; 
dell'arte  leggiadra  con  cui,  come  graziosamente  fu  detto 
da  Vincenzo  Monti,  «  conduce  le  Muse  e  le  Grazie  ad 
abitare  i  rustici  casolari,  a  inghirlandarsi  di  fiori  campe- 
stri, a  fare  salti  scomposti  sull'aia  coi  villanelli,  a  cantare 
rozze  canzoni  in  onore  di  Bacco  e  di  Cerere  ^.  »  All'ap- 
parire di  Virgiho  scompaiono  tutte  le  ruvidezze  dell'antica 
lingua  del  Lazio.  Egli  è  tutto  soavità,  tutto  dolcezza:  e 
«  le  vaghezze  d'elocuzione,  aggiunge  il  sovraccitato  poeta, 
sono  talmente  sparse  per  tutto  il  poema,  che  nulla  mai 
ci  ritrovi  di  trascurato,  nulla  di  scabro,  nulla  di  quel- 
l'orrido che  fa  duro  sentire  in  Lucrezio  :  tutto  insomma 
è  spirante  di  quella  mollezza  che  Orazio  dicea  conceduta 
per  singoiar  dono  delle  Muse  a  Virgilio,  e  che  Quintiliano 
appellava  esquisita  eleganza  e  decoro  (").  » 


(^)  Molle  atque  faceium 

Virgilio  annueriint  gaudentes  rure  Camoenae. 

Orazio,  Sat.,  I,  10,  44-45. 
^'edi  anclic;  Quintiliano,  VI,  3,  20. 

1  Georg.,  Ili,  8  e  segg.  ;  Fulvio  Orsini,  Virgilius  collatione  graecorum  scriptorum 
itlustratus,  Antuerpiae  1568-,  FÀchhoff,  Études  grecques  sur  Virgile^  ou  recueil  de  tous 
les  passages  des  poétes  grecs  imìtés  dans  les  BucoUqties ,  les  Géorgiques  et  l'Eneide^ 
Paris  1825. 

2  Vedi  Gaillardin,  Les  GèorgiqueSj  Paris  ISSO 

3  Monti,  Opere,  voi.  V,  pag.  268,  Firenze  1817. 


122  LA  GEORGICA.  [Lib.  VII. 

Egli  non  risplende  per  lampi  istantanei,  ma  va  adorno 
di  perpetua  e  variata  bellezza;  perchè,  oltre  al  vestire 
poeticamente  le  umili  cose,  e  appagare  sempre  l'orec- 
chio con  le  care  armonie,  e  l'anima  con  pensieri  sapienti, 
sa  unire  alla  soavità  la  grandezza,  e  ritrarre  la  natura 
energicamente,  e  inalzarsi  quando  bisogna  alle  sublimità 
dello  stile. 

Anche  ai  meno  esercitati  apparisce  incomparabile  negli 
episodi!  che  maestramente  innesta  ai  precetti  dell'arte, 
quando  narra  i  predigli  veduti  alla  morte  di  Cesare , 
quando  canta  le  lodi  d'Italia  madre  feconda  di  biade  e  di 
eroi,  e  la  felicità  della  vita  campestre,  e  la  grandezza 
che  da  essa  venne  ai  primi  Italiani,  o  descrive  pietosa- 
mente l'universale  contagio  dei  greggi,  o  ricorda  i  do- 
lenti casi  di  Euridice  e  di  Orfeo,  e  i  costumi  e  le  indu- 
strie delle  api,  e  la  vita  beata  del  buon  vecchio  di 
Taranto. 

La  Georgica,  splendida  di  poesia  squisitissima,  appariva 
opera  bella  e  benefica  anche  pel  suo  intendimento,  nei 
tempi  infelici  in  cui  gli  Dei  rusticali  avevano  abbando- 
nato i  campi  già  lieti  di  messi.  La  guerra  aveva  man- 
dato in  esilio  i  vecchi  coloni,  le  curve  falci  •  si  erano 
mutate  in  ispade:  miseria  e  desolazione  dappertutto.  In 
queste  grandi  sciagure  il  poeta  intende  di  ridestare  negli 
animi  l'amore  dei  lavori  campestri,  mostrando  che  può 
esservi  felicità  per  tutti  su  questa  terra  Itahca,  feconda 
sopra  ogni  terra  del  mondo,  e  già  ricca  e  gloriosa  nu- 
trice dei  forti  popoli  antichi  e  dei  primi  Quiriti.  E  usa 
tutto  il  nobile  ingegno  a  ispirare  questo  amore  dei  campi, 
a  insegnare  il  lavoro,  ad  accrescere  l'odio  delle  armi  ne- 
miche a  ogni  legge.  Ma  non  fallisce  neppure  agli  altri 
intendimenti  dei  suoi  protettori,  dei  quali  destramente 
intreccia  le  lodi  ai  precetti  dati  ai  coloni;  e  a  Mecenate, 
al  quale  indirizza  il  poema,  dice  apertamente  che  canta 
per  ordine  avuto  da  lui,  e  che  da  lui  gli  viene  l'ispira- 


Gap.  I.]  LODI  DI  VIRGILIO  AI  SUOI  PROTETTORI.  123 

zione  di  tutti  i  grandi  pensieri  («),  e  l'onore  e  la  parte 
più  grande  della  sua  fama  (^);  mentre  ad  Ottavio  fa  invo- 
cazioni come  a  un  Iddio,  e  lui  saluta  come  salvatore  del 
mondo,  lui  meritevole  di  altari,  o  voglia  esser  signore 
della  terra  o  del  mare,  o  gli  piaccia  di  prender  luogo  nel 
cielo,  ove  gli  astri  antichi  usciranno  di  luogo  per  dar 
posto  all'astro  novello,  nel  cielo,  ove  lo  chiamano  gli  Dei 
invidiosi  che  tanta  virtù  rimanga  tra  gli  uomini.  Quindi 
le  calde  preghiere  ai  Numi  tutelari  di  Roma,  perchè  a 
lui  non  vietino  di  soccorrere  al  secolo  guasto;  e  quindi 
anche  il  poeta  intende  di  inalzare  al  nuovo  Dio  un  tempio 
di  marmo  sulle  rive  del  Mincio  per  celebrarlo  con  so- 
lennità di  feste  e  di  sacrificii,  vuol  fare  un  monumento, 
nel  quale  saranno  sculte  in  oro  e  in  avorio  le  imprese 
del  salvatore  del  mondo,  e  le  città  dome  dell'Asia,  e  le 
pugne  sul  Gange  e  sul  Nilo,  e  le  vittorie  sui  Parti,  e  le 
genti  trionfate  due  volte  dall'Oriente  all'Occidente  *. 

Poscia  prometteva  di  accingersi  più  di  proposito  a  dire 
le  ardenti  pugne  del  suo  eroe,  e  a  celebrarne  la  fama 
più  degnamente  ^:  e  tenne  parola,  e  inalzò  un  monumento 
solenne  alla  gloria  del  popolo  latino  e  di  Augusto. 

JJEnekle,  facendosi  innanzi  sfolgorante  di  una  bellezza 
poetica  di  cui  i  figliuoli  di  Romolo  non  avevano  mai  ve- 
duto l'eguale,  cantava  le  origini  antichissime  di  Roma  da 
Troia  3,  e  l'impero  di  Priamo  caduto  e  risorto  poscia  più 
grande  in  Itaha  per  opera  di  Enea  e    di  un  popolo  ca- 


C)  ....   Tua  Maecenas ■  ha.ud  mollia  iiissa; 

Te  sine  nil  altum  mens  inchoat.         Georg.,  HI,  41-42. 
(*')  O  decuSj,  0  famae  merito  pars  maxima  nostrae. 

Georg.,  II,  40. 

1  Georg.,  I,  24-42,  e  49S-514;   HI,  10-39. 

2  Georg.,  Ili,  46- IS. 

3  Di  quest'antica  credenza  sono  più  ricordi  nei  poeti  e  negli  storici,  ma  niuno  l'avea 
consacrata  con  la  solennità  elio  le  détte  la  Musa  del  poeta  di  Mantova.  Vedi  Scheben 
Depoetis  Aeneae  fugam  atque  fata  ante  Virgilium  describentihus j  Munstereifel  1823. 


124  INTENDIMENTO. POLITICO  DELL'ENEIDE.         [Lib.  VIL 

ramente  diletto  dagli  Dei,  e  destinato  ab  eterno  a  di- 
venir padrone  del  mondo ,  ed  avere  potenza  infinita. 
Così  l'avevano  intesa  le  Parche,  cosi  gli  immutabili  de- 
creti di  Giove,  così  gli  altri  Dei  che  proteggono  Enea, 
figliuolo  di  Venere,  che  stanno  sempre  in  gran  faccenda 
per  lui,  e  pensano  all'inclita  Roma,  e  a  quegli  uomini 
grandi,  i  quali  colla  loro  virtù  mostreranno  di  avere  ve- 
ramente l'origine  divina  di  quella  grande  famiglia  troiana, 
che  comincia  da  Giove  e  fa  capo  a  Cesare  K  L'Eneide, 
che  fa  l'albero  genealogico  della  casa  dei  Giulii,  mostrava 
come  il  nobile  sangue  troiano  si  fosse  ridestato  a  più 
splendida  vita  in  Roma  genitrice  di  eroi,  il  più  grande 
dei  quali  era  Augusto,  che  salendo  sul  trono  non  usur- 
pava, ma  si  riprendeva  legittimamente  l'eredità  dei  suoi 
padri  antichissimi,  come  Enea  ricovrò  già  il  retaggio  di 
Dardano  (").  Tutti  i  consigli  dell'Olimpo,  tutti  gli  avvisi 
celesti,  tutti  gU  oracoli  dell'Oriente  e  dell'Occidente  con- 
tinuamente ripetono  ^  che  Enea,  per  la  grazia  degli  Dei, 
è  padrone  dell'impero  d'Italia,  e  che  di  qui  vengono  i 
diritti  d'Augusto,  dell'uomo  promesso  dai  fati  (^),  del 
figlio  adottivo  di  Cesare,  il  quale  discendendo  da  Giulo, 
figlio  di  Enea,  aveva  nelle  vene  regio  e  divino  sangue,  e, 

('')  Vo'li  Vicaire,  Pla7i  de  l'Eneide  de  Vi'rgile,  ou  Exposition  raisonnce 
de  l'economie  de  ce  poème ,  pour  en  facililer  l'intelligence.  Ouvrar/e 
dans  lequel  on  discute  quel  a  étc  le  biit  principal  de  l'auteur  en  coni- 
posant  san  porrne,  Paris  1787.  Vedi  anche  Le  Gris,  Elude  sur  Virgilc, 
Paris  1840;  Nougaréde,  Jlist.  die  siede  d'Aitg.,  V,  22.  Dello  scopo  poli- 
tico dell'Eneide  parlò  anche  ilVatry  nel  Biscours  sur  la  fable  de  l'É- 
néide  nelle  Mé'U.  de  l'Acadcm.  des  Inscript.,  voi.  XIV,  Paris  1753. 

(*)  Hic  vir,  hic  est,  tibi  queni  promitti  saepius  aiidìs, 

Auf/ustus  Caesar,  divi  genus. 

Aen..  VI,  792. 

1  Aen.,  r,  280,  V,  45,  VI,  123,  7G2,  779,  VII,  219  e  sPL'Uenti. 

2  Aen.,  I,  205,  223,  235,  257,  3S2.  II,  293,  589,  691,  780,  111,  5,  85,  96,  164,  183,  251, 
374,  501,  IV,  222,  275,  315,  V,  710,  722,  VI,  66,  81  o  segg.,  VII,  120,  239,  269,  Vili,  38, 
311,  477,  502,  X,  23,  XI,  232,  XII,  28,  791  e  seguenti. 


Gap.  L]  indole  DELL'EPOPEA  VIRGILIANA.  125 

come  disse  egli  stesso  * ,  riuniva  nella  sua  famiglia  la 
santità  dei  re  che  sono  i  più  potenti  tra  gli  uomini,  e 
la  veneranda  maestà  degli  Dei,  che  tengono  in  loro  mano 
anche  i  re. 

Così  per  via  di  genealogie  e  di  oracoli  si  stabiliva  il 
diritto  divino  del  nuovo  signore,  che  prenunziato  dai  fati 
e  protetto  dai  Numi  ricondurrà  nel  Lazio  il  secolo  d'oro 
e  stenderà  l'impero  sugli  Indi  e  sui  Garamanti,  e  farà 
imprese  più  grandi  di  quelle  d'Alcide  ^.  E  il  poema,  che 
faceva  splendidi  di  nuova  luce  i  titoli  vecchi,  fu  carissimo 
al  principe,  il  quale  anche  in  mezzo  alle  guerre  aveva  ad 
esso  il  pensiero,  e  spronava  il  poeta  a  compirlo  ^^  e  fu 
salutato  con  entusiasmo  dai  seguaci  dell'  ordine  nuovo,  i 
quali  esaltarono  l'opera  religiosa  e  monarchica  al  suo 
comparire  e  anche  prima  che  venisse  alla  luce  ''. 

Non  è  qui  luogo  a  ricercare  se  l'Eneide,  composta  sotto 
l'influenza  del  gusto  del  secolo  che  tutto  cercava  dai  mo- 
delli greci,  e  faciente  un  solo  tutto  dell'Odissea  e  del- 
l'Iliade ^,  raggiungesse  le  eccellenze  dell'epopea,  né  a 
dimostrare  come  il  poeta,  vissuto  tra  uomini  increduli, 
non  potesse  dare  alle  sue  invenzioni  la  fede,  l'ingenuità 
e  Tentusiasmo  dell'epopea  primitiva.  Ma  vuoisi  ripetere, 
che  se  egli  non  potè  avere  le  qualità  di  altri  tempi,  ebbe 
nuove  virtù  e  nuovi  affetti,  e  trasfondendo  nei  versi  la 
sua  tenera  anima,  fu  semplice,  eloquente,  patetico;  rin- 
giovanì, quanto  era  possibile,  un  maraviglioso,  nel  quale 

1  Svetonio,  Caes.t  G. 

2  Aeìì..  I,  291,  e  VI,  700  o  seguenti. 

3  Donato,   Virgil.    Vita,  4(3. 

4  Properzio,  li,  31,  65-68  ;  Ovidio,  Amor.,  I,  15,  25-23,  De  arie  atn.  ,  III,  337-333 
Remed.  amor.,  398,  Tylst.,  11,  335-336. 

5  Vedi  Macrobio,  I,  24;  Walch  ,  De  eo  quod  nimiuin  est  in  imilatione  Honieri  Vir- 
giUana.  Sclileusingae  1733;  Lauter,  De  Virgilio  imitatore  Ho>neri ,  Heidelberg  1796;  H. 
Muller,  Homer  und  Virgil,  eine' Parallele ,  Erfurt  1S07;  Lckert,  Parallele  zviisclian 
Homer's  Itias  und  Virgil's  Aeneis ,  Munchen  1S29  ;  Destainville  ,  Influence  du  siede 
d'Auguste  sur  la  composilion  dx  l'Eneide,  Paris  1S26;  Fortoul,  Dii,  Genie  de  Virgile, 
Lyon  1840,  pag.  51;  Marcacci,  Ragionamenti  intorno  all'Eneide  di  Virgilio  coi  con- 
fronti ed  imitazioni  degli  scrittori  antichi  e  moderni,  Pernpìa  1844. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  16 


126 


LE  ANTICHITÀ  ITALICHE  NELL'ENEIDE.  [Lib.  VIL 


il  secolo  indilferente  ed  incredulo  non  vedeva  se  non  uno 
strumento  di  governo  e  una  macchina  letteraria;  sposò 
la  poesia  alla  storia,  all'amore  della  religione,  della  patria, 
della  famiglia,  e  riscaldò  l'opera  sua  col  culto  delle  anti- 
chità nazionali,  ricercate  con  amore  romano  e  italiano, 
e  coir  intendimento  di  moralista,  che  piglia  diletto  allo 
spettacolo  malinconico  degli  umili  principii  della  gran- 
dezza umana,  e  coi  ricordi  dell'infanzia  consola  la  mae- 
stosa e  trista  vecchiezza  d'un  popolo  '. 
I  primi  libri,  maravigiiosa  ispirazione  della  arte  greca, 


DiJotie  {Museo  Pio  Clem.). 

con  la  narrazione  degli  ultimi  casi  di  Troia,  colla  fuga, 
cogli  amori  dell'eroe  e  della  regina  Bidone  a  Cartagine, 
e  colla  tragica  fine  di  essa  2,  sono  come  l'avviamento  al 
poema,  al  quale  apresi  più  largo  campo  nei  successivi, 
quando  i  profughi  scampati  dalle   tempeste   approdano 

i  Vedi  Patin,  Mélanges  de  littérature  ancienne,  pa^r.   113. 

2  Per  Didone  vedi  Visconti,  Museo  Pio  Clem.,  voi.  II,  tav.  ■10  e  H,  VI,  10. 


Gap.  I.]  LE  ANTICHITÀ  ITALICHE  NELL'ENEIDE.  127 

ai  lidi  ausonii,  ove  un  ordine  maggiore  di  cose  e  fatti 
più  solenni  danno  nuovo  eccitamento  all'  ingegno  (''). 
L'Italia  popolata  di  aspra  e  fiera  gente*  ispira  allora 
altri  canti  al  poeta,  il  quale  amantissimo  dell'  antichità, 
celebra  con  nobile  amore  le  origini,  i  semplici  costumi, 
e  gli  usi  pastorali  e  guerrieri,  e  le  feste  e  il  grave  culto 
dei  primi  padri,  e  gli  istituti  militari  e  civili  di  Roma  (*). 
E  ci  pone  davanti  gli  Arcadi,  i  Latini,  gli  Etruschi  e  le 
altre  genti  minori,  e  raccoglie  e  veste  di  splendide  form.e 
i  miti,  i  simboli  e  le  tradizioni  piti  lontane  dei  luoghi 
ove  poi  surse  Roma-;  e  canta  il  culto  degli  eroi,  e  l'umile 
tetto  di  Evandro  ;  i  luoghi  sacri  e  terribili  per  la  religione 
degli  avi,  i  fondatori  delle  città,  i  datori  di  leggi,  la  forte 
gioventù  3  e  i  grandi  guerrieri  d' Italia ,  tra  i  quali  pri- 
meggiano r  etrusco  Mezenzio ,    fiero   dispregiatore  degli 


(")  7Jaior  rerum  mihi  nasciUir  orda. 

Maius  opus  moreo. 

Acn.,  VII,  44-45. 

{^)  Quintiliano,  1,7.  18.  Servio,  Ad  Aen.,y\,lo2,  dice  che  Virgilio  ce- 
lebrò tutta  la  storia  romana  dalla  venuta  di  Enea  fino  ai  suoi  tempi ,  e 
che  perciò  trovavasi  che  negli  antichi  quest'opera  era  chiamata  non  Eneide 
l'A'd.  gesta  pQpuli  romani.  Sui  costumi,  sugli  istituti  religiosi,  politici, 
domestici,  militari,  e  su  tutte  lo  antichità  romane  di  Virgilio,  scrissero 
Lorenzo  Lersch,  De  morum  in  Virrjilii  Acneide  habitii,  Bounae  1836,  e 
Antiquitafes  Yirfjilianae  ad  vitam populi  romani  descriptae,  Bonnae  1843; 
Muff,  Antiquitates  ronianae  in  Yirgilii  Aencide  illusiratae,  HaWe  1864; 
Vedi  anche  Noél,    Virgile  et  l'Italie,  Paris  1864. 

Sulla  parte  storica  dell'Eneide,  intesa  alla  glorificazione  di  Roma  e  dei 
Cesari,  e  sulla  sua  indole  religiosa  e  nazionale  è  da  vedere  anche  Phili- 
bort-Soupè,  Elude  sur  le  caractcre  nadonal  et  religieux  de  l'Epopèe 
Ialine,  Amiens  1851,  pag.  78-97.  -^ 

1  Aen.^  V,  730. 

~  Vedi  Bonstetten,  Voyage  sur  la  scéne  des  six  derniers  livres  de  l'Eneide,  Genève  1804, 
e  nouvelle  èdition,  ivi,  1862;  Topfer,  Virgilii  geographia  in  Aeneide  eo:hibita,  Arnstadt 
1S2S-1S3I. 

3  Aen  ,  VII,  172,  203,  OJl,  ecc..  Vili,  100,  1S5,  ecc.,  311,  35C,  -103,  564,  600,  ecc.,  IX, 
60".  XI,  4S,  ecc. 


128  GLI  EROI  ITALICI,  ROMA,  ENEA,  E  AUGUSTO.    [Lib.  VII. 

Dei*,  e  l'audace  Turno,  fiero  come  lupo  alTamato  2,  e 
Cammilla  ornamento  d'Italia,  la  prode  vergine  che  con 
altre  italiche  donne  fortemente  combatte  e  muore  per  la 
patria  ^.  E  con  essi,  che  bene  ritraggono  la  gioventù  e  la 
forza  dei  primitivi  Italiani,  comincia  per  noi  l'importanza 
di  questo  poema,  in  cui  il  pensiero  di  Roma  e  d'Italia 
guida  sempre  il  viaggio  del  poeta  tra  le  oscurità  dei  se- 
coli antichi  e  fa  predominante  il  genio  italico  nelle  parti 
più  originali  dell'opera.  Già  ad  Enea  era  stata  predetta 
agli  Elisi  tutta  la  storia  della  grandezza  romana, -e  a  lui 
erano  passate  davanti  le  imagini  dei  grandi  cittadini, 
che  farebbero  eterna  la  città  protetta  dai  Numi  ''.  Anche 
le  sciagure  di  essa  non  erano  state  obliate,  -e  la  tradita 
Didone  morendo  aveva  invocato  le  vendette  di  Annibale  ^. 
Poi  lo  scudo  di  Enea  porgeva  scolpiti  da  un  Dio  i  romani 
trionfi,  e  da  ultimo  la  grande  vittoria  di  Azzio,  fine  alle 
guerre  civili  ;  e  Augusto  e  Agrippa  sulle  navi  colle  genti 
italiche,  coi  padri,  col  popolo,  e  cogli  Dei  della  patria; 
e  dall'altra  parte  Antonio  e  Cleopatra  con  tutto  l'Oriente 
e  coi  mostruosi  Dei  del  Nilo,  e  Apollo,  che  dal  suo  pro- 
montorio di  Azzio  cacciava  in  fuga  cOlF  arco  divino  il 
barbaro  esercito  e  i  barbari  Dei  ^. 

Non  sappiamo  se  Virgilio  mirasse  ad  Augusto  scri- 
vendo di  Enea.  Più  d'uno  lo  disse  :  e  sarebbe  facile  tro- 
vare rassomiglianze  tra  i  due  ,  e  vedere  raffigurate  in 
Enea  le  qualità  dell'ultimo  dei  suoi  discendenti,  la  pietà 
verso  gli  Dei,  lo  zelo  per  la  giustizia,  e  la  grande  pre- 
videnza con  cui  sempre  signoreggiò  la  fortuna  '.  Ma,  qua- 
lunque fosse  l'intendimento  del  poeta,  è  certo  che  egli 

1  Aen.,  VII,  048,  IX,  522,  X,  689,  729,  702  e  segg. 

2  Aen.,  IX,  59  e  segg. 

3  Aen..  XI.  EOS,  510,  655,  _G65,  734,  810,  863  e  seguenti. 

4  Aen..  VI,  079  0  seguenti. 

5  Aen.^  IV,  622  e  seguenti. 

6  Aen..  VIII,  C2S  e  seguenti. 

7  Aen..  I,  379,  511,  ecc.,  ecc.  Sul  carattere  religioso  del  poema  virgiliano  vedi  .inohe 
Boissicr,  Un  X'Oète  Ihéologieu,  in  Revue  des  deux  mondes,  1°  mars  1S73,  pag.  199-222. 


Gap.  L]     enea  E  TURNO,  STILE  E  AFFETTI  IX  VIRGILIO.  \2^ 

non  riuscì  a  far  di  Enea  un  eroe,  perchè  questo  pio- 
figliuolo  di  Venere  che  tradisce  l'innamorata  Bidone  da 
cui  ebbe  liete  accoglienze,  che  prega  ad  ogni  momento 
gli  Dei,  e  piange  spesso,  e  non  fa  mai  una  grande  pro- 
dezza, è  personaggio  freddo  e  monotomo,  e  a  malgrado 
della  pietà,  della  giustizia,  e  della  fama  per  cui  è  noto 
sopra  le  stelle,  ci  desta  meno  affetto  che  il  prode  Turno, 
difensore  d'Italia  contro  le  armi  straniere.  Dalla  feroce 
virtù  di  Turno  dipendono  le  sorti  delle  battaglie;  è  un 
nuovo  Achille,  figlio  anch'egli  d'una  Dea,  potente  di  avi 
e  di  atavi;  è  il  più  bello  degli  Itali  antichi,  è  smisurata 
di  membra,  suona  orrendo  nelle  armi ,  è  ardente  come 
generoso  destriero,  implacabile  come  ferito  leone;  va  in- 
nanzi a  tutti  alle  pugne,  si  scaglia  ove  sono  più  folte  le 
schiere,  uccide  i  nemici  a  migliaia,  empie  tutto  di  fuga, 
di  strage,  d'incendio.  Finché  egli  vive,  lo  straniero  non 
può  aver  sicura  stanza  in  Italia:  e  per  ucciderlo  ci  vo- 
gliono forze  e  armi  celesti  ^ 

Virgilio  dòtte  al  canto  degli  eroi  la  eccellenza  dello 
stile,  di  cui  aveva  abbellito  le  umili  fatiche  degli  agricol- 
tori, e  divenne  per  questo  la  maraviglia  del  mondo.  Ma 
la  sua  gloria  suprema  sta  nel  rivelare  gli  affetti  del 
cuore,  e  nel  dipingere  mirabilmente  le  umane  passioni. 
Fra  le  maestose  eleganze  e  le  soavi  armonie,  di  cui  ri- 
suonano perpetuamente  i  suoi  versi ,  la  sua  parola  ha 
sempre  un  accento  di  umana  pietà,  e  con  tenerezza  squi- 
sita compiange  a  tutte  le  umane  miserie.  11  poeta,  che 
nella  prima  gioventù  fu  vittima  del  furore  soldatesco , 
impreca  energicamente  alla  guerra ,  e  nella  sua  malin- 
conica anima  fa  voti  di  conciUazione  e  di  pace,  e  ha  la- 
crime per  ogni  sciagura  ;  e  informa  la  poesia  di  spirito 
nuovo,  quando  nei  suoi  versi  anche  i  vinti  sono  tocchi 
di  compassione  anche  ai  mali  dei  vincitori  ^ ,   e  quando 

•  Aev.,  Vr,  io,  VII,  56.    IG),   InO.  f,50.  7S3,  VIH,    1,  ecc.,   IX,  25,55,  126,  133.  525,  731, 
795,  X,  20,  2S0,  451,  X!,  335,  397,  410,  4S0.  492,  e  tutto  il  libro  XII. 
2  Aen  .   I,  460,  630,  II,  6,  III,  Gli,  ecc.,  XI,  252,  2i0,  292. 


130 


MORTE  DEL  POETA  A  BRINDISI. 


[LiB.  VII. 


canta  l'uomo  che,  salvati  dalle. fiamme  gli  Dei  della  pa- 
tria, non  distrugge,  ma  edifica  e  fa  solenne  la  religione 
dei  sepolcri  *. 

Virgilio  lavorò  circa  dodici  anni  aW Eneide ,  ma  non 
ebbe  tempo  a  darle  l'ultima  mano.  Si  era  recato  a  visi- 
tare la  Grecia  {")  e  i  luoghi  a  cui  approdarono  gli  esu- 
lanti da  Troia,  e  nel  viaggio  fu  colto  dal  male,   che   lo 


{Simpsoìi). 


spense  appena  approdato  allo  rivo  (l"ltalia  ai  22  settembre 
(]('ì  735  nel  suo  cinquantesimo  nnno.  Morì  a  Brindisi 
dove  una  casa  serba. ancora  il  suo  nome  ('').  Il  corpo  fu, 


("i  Su  fjuesto  viap-pio  vedi  Orazio.  Od.,  I.  :'-. 

(^)  P.l  (liscrrno  (li  essa  vedi  Simpson,  il/ee??;?//  :i'c  siot  ;  a  j<n(,  ney  ali 
rouud  the  world,  London  Ì^7À,  pag.  20. 


Aen.^  V.  .IT,  101 


G,  ?5.  180.  PC( 


Gap.  L]  sepolcro  A  NAPOLI.  ORDINE  DI  BRUCIARE  IL  POEMA.    131 

secondo  il  suo  desiderio,  trasportato  a  Napoli  da  lui 
caramente  diletta  pel  ricordo  dei  dolci  studi  con  cui  vi 
ebbe  nutrito  l'ingegno,  E  ivi  sulla  via  conducente  a  Poz- 
zuoli ebbe  il  sepolcro  con  l'epigrafe  ricordante  i  luoghi 
dove  nacque  e  mori,  e  gli  argomenti  delle  sue  opere  ("). 
A  quel  sepolcro  onorato  di  culto  perenne  andarono  po- 
scia ad  ispirarsi  i  poeti  (^)  :  e  anche  oggi  il  viaggiatore 
tra  gli  incanti  di  Mergellina  e  le  delizie  dei  colli  fioriti 
cerca  con  reverenza  i  ruderi  del  monumento  cui  fu  dato 
il  nome  del  cantore  dei  pastori,  dei  campi,  e  dei  duci; 
e  più  oltre  sente  ricordare  la  Scuola  di  Virgilio  tra  le 
grandi  rovine  della  Villa  di  Lucullo  al  Capo  Posilipo. 

Fu  detto  che  prima  di  morire  chiese  instantemente  che 
fosse  bruciata  l'opera,  a  cui  aveva  dato  tanti  anni  di 
studio  G  di  cure  amorose;  e  ciò  pel  motivo  che  rimaneva 
non  corretta  e  non  compiuta  ^  Il  qual  motivo,  se  è  vero 
il  racconto,  apparve  sì  strano,  che  altri  andò  in  cerca  di 
ragioni  più  gravi,  e  non  mancò  chi  sostenne,  che  il  poeta 
pentito  delle  lodi  date  ad  Augusto  volle  distruggere,  come 
una  mala  azione,  il  poema  col  quale  si  era  fatto  stru- 
mento del  dispotismo  {").  Comunque  sia,  certo  è  che  la 
nuova  signoria  usò  a  suo  profitto  il  grande  ingegno  di 


(")  Manilla  me  geniiit,  Calahri  rapiiei  e,  tenet  mine  Parthenope.  Ce- 
cini jìascua,  rura,  duces.  Donato,    Yirgil.  -cita,  zA. 

(^)  Vedi  sopra  voi.  I,  pag.  275.  Ciò  che  rimane  di  questo  sepolcro 
evidentemente  non  appartenne  mai  al  nostro  poeta.  I  ruderi  del  monu- 
mento che  l:a  tradizione  attribuisce  a  Virgilio  consistono  «  in  un  basa- 
mento quadi'ato  con  un  masso  rotondo  al  disopra.  L'interno  d'opera  re- 
ticolata, è  un  cohimbario  probabilmente  pei  liberti.  Conteneva  undici 
nicchie  per  le  urne  ;  ed  cifre  la  larghezza  di  palmi  19  V2  quadrati,  e 
l'altezza  di  palmi  17  l/à-  »  {Napoli,  e  i  luoghi  celebri  delle  sue  vici- 
na-nz-e,  Napoli  18-15,  Voi.  II,  pag.  424). 

(")  Vedi  Rartenstein,  Ctir  Yirgilius  moriens  Aenelda  comburi  lussiti 
Coburgi  1774. 

1  Donato,   Vlry.  vita,  f.7.  ' 


132  INDOLE  MALINCONICA,  E  VERECONDI  COSTUMI,  i  Lib.  VIL 

lui,  e  che  egli  lodò  largamente  i  fondatori  degli  ordini 
nuovi,  ma  non  si  abbassò  alle  brutture  in  cui  si  diso- 
norarono altri,  e  non  ebbe  né  i  costumi,  né  i  modi  che 
ci  vogliono  per  usare  alle  corti.  Uomo  d'indole  malin- 
conica e  timida,  con  un'anima  delle  più  candide  e  dolci 
che  fossero  mai,  affettuosissimo  figlio,  semplice  come  un 
fanciullo,  e  tardo  a  parlare,  si  dilettava  della  vita  soli- 


Sciiola  di  ^ll•JlU^)  (Diòegìio  di  Arturo  Blaschnik  dal 


taria,  sottraevasi  a  quelli  che  lo  seguivano  in  pubblico, 
e  lo  mostravano  a  dito,  e  visse  per  lo  più  in  Campania 
e  in  Sicilia  *,  fuggendo  il  rumore  delle  popolose  città  e 
dei  grandi  palagi,  ove  era  bisogno  plaudire  ogni  giorno 
alla  commedia  di  corte,  e  maledire  ai  caduti,  e  aver 
pronta  ad  ogiii  istante  la  lusinghiera  menzogna.  La  sua 
verecondia,  la  innocenza  e  il  candore  dell'animo,   e  la 


'  Orazio,  Sat.,    I,  5,  -IO- li;  e 
vita,  22,  2),  'j:,,  27. 


Icrj.  de  Orali. ^  13;  Donato,  Virgil. 


Gap.  I.]  Q.  ORAZIO  FLACCO.  133 

squisita  sapienza  lo  fecero  ammirato  presso  gli  antichi, 
e  gli  dettero  i  primi  omaggi  del  mondo  moderno,  quando 
Dante  lo  prese  a  sua  guida  e  maestro,  e  altri  lo  tennero 
per  teologo  ispirato  da  Dio,  e  per  mago  e  per  negromante 
e  profeta,  e  cercavano  nei  suoi  versi  le  sorti,  e  narra- 
vano di  lui  strani  portenti,  operati  coll'aiuto  dei  diavoli 
dell'inferno,  e  colla  sua  grande  scienza  ('').  La  parte  di 
adulatore,  non  conveniente  al  suo  integro  animo,  stava 
benissimo  ad  altri,  e  massime  a  Quinto  Orazio  Fiacco 
(8  dee.  089-^27  nov.  71-6),  maestro  e  modello  dei  cortigiani. 
Questi ,  quantunque  venuto  da  umile  origine  ,  è  nato 
fatto  per  vivere  coi  grandi,  delle  cui  amicizie  mena  gran 
vanto;  è  piccolo  della  persona,  va  bene  adorno,  porta 
fina  la  toga  e  profumati  i  negri  capelli  ;  e  pingue  e  ni- 
tido, ama  la  gioia,  il  vino,  le  Muse  e  le  donne;  parla 
dolce  e  arguto  (^),  è  pronto  anche  all'ira,  ma  facilmente 


C^)  Nel  medio  evo  quando  <Aì  ei'oi  e  gli  Dei  Ji  Grecia  e  di  Roma  di- 
venivano principi,  duchi,  cavalieri,  e  scudieri.  Virgilio  di  poeta  divenu" 
un  incantatore,  e  .di  questa  trasformazione  rimasero  tracce  importanti 
nelle  opere  letterai-ie  delle  principali  nazioni  di  Europa.  Su  ciò  vedi 
Siebeuhaar,  De  fabulìs  qiiae  media  aetale  de  P.  Virgilio  Marone  cir- 
ciimferehanlur,  Berlin  1837;  Rossignol,  Virgile  et  Constanlin  le  G.  a.id 
a  pag.  XXIX  e  '^e';:^^..  Paris  1846;  Du  Meri!,  Virgile  Venchanteur,  in  Mé- 
langes  archrologiqnes  et  liUrraires,  Paris  1850,  pag.  424-478;  Schwabbe, 
P.  Virgiliiis  per  niediam  aetaiem  gratia  aiqiie  auctoritate  floreniissimits , 
Paderborn  1852;  Piper,  Virgiliiis  cds  Theologus  ùnd  Prophet,  in  Ecan- 
gelischer  Kalender,  Berlin  1862,  pag.  17-82,  e  Comparetti,  Virgilio  nel 
medio  evo,  Livorno  1872,  2  voi.  in-S.  in  cui  l'autore  studiò  largamente 
e  scienti>ficaraente  il  poeta  nella  ti'adizione  letteraria,  e  nella  leggenda 
popolare,  e  riprodusse  il  testo  di  più  leggende  virgiliane  in  ver.so  e  iu 
prosa,  e  si  propose  di  <.<  esporre  tutta  intiera  la  storia  della  nominanza 
di  cui  godette  Virgilio  lungo  i  secoli  del  medio  evo,  segnarne  le  varie 
evoluzioni  e  peripezie,  determinare  la  natura  e  le  cause  di  queste,  e  i 
rapporti  che  le  collegano  colla  storia  del  pensiero  europeo.  » 

Vedi  anche  ]\Iax  Cullinan,  Virgile  mcgicien,  in  lìecue  Britanniijiie, 
novembre  1873,  pag.  33-19. 

(*)  Svetonio,  Horat.  cita,  lo  chiama  liornuncìonera  lepitlissinncni. 
Van.nucci  —  Storia  ilclV llalia  antica  —  IV.  17 


134 


INDOLE  CORTIGIANA.  PRIMI  STUDI. 


LiB.  VII. 


placabile;  ha  gusto  molto  squisito,  e  ad  ogni  occasione 
sa  fare  versi  saporitissimi  pel  principe,  pel  ministro  e 
per  chi  va  con  loro  *.  Insomma  è  l'uomo  che  si  con- 
viene ai  nuovi  padroni,  ai  quali  consacra  tutto  il  suo 
splendido  ingegno;  e  ora  spontaneo,  ora  forzato  dalla 
necessità  delle  cose  serve  fino  all'ultimo  ai  disegni  della 
nuova  potenza. 
Era  nato  agli  8  decembre  del  G89  a  Venosa  da  padre 


Orazio  {Visconti^  Icon.  Rora.^  tav.  XIII,  n.  2  e  3). 

liberto,  il  quale,  sebbene  vivesse  non  largamente  di  un 
magro  poderetto,  e  'dell'ufficio  di  riscuotitore  delle  ren- 
dite del  comune,  non  risparmiò  cure  e  spese  per  farlo 
educare   nobilmente,  .non  per  vanità,  ma  per  renderlo 


J  Orazio,  Sai..  H,  1,  76,  Epist..  I,   I,  V,  e  16,  I,  7,  S'-^-S,  I,  11,  32,  I,  17,  35,  I,  20,  ; 
Od.,  I,  2P,  1,  HI,  1,  3,  ecc.,  ecc. 


Gap.  I.]   ORAZIO  SOLDATO  DI  BRUTO.  PRIMI  VERSI  SATIRICI.     135 

dotto  e  onesto  *,  e  dopo  avergli  da  sé  stesso  insegnato 
a  vivere  da  galantuomo,  lo  messe  a  studio  a  Roma  e 
ad  Atene  2.  Il  giovane  era  in  Grf^cia  sul  fiore  degli  anni, 
quando  vi  passò  Bruto  per  raccoglier  gente  contro  i 
triumviri.  Ed  allora  egli  ardente  di  libertà,  lasciati  da 
banda  gli  studi,  seguì  con  entusiasmo  le  libere  armi 
di  Bruto,  e  fu  tribuno  di  una  legione  a  Filippi  3.  Ma 
quando  vide  che  la  vittoria  arrideva  ai  nemici,  egli  uomo 
poco  forte  e  non  atto  alla  guerra  («),  gettato  vitupero- 
samente lo  scudo  S  si  détte  alla  fuga,  e  tornò  in  Italia 
umile  come  un  uccello  tarpato,  e  povero  e  derelitto, 
perchè,  morto  il  padre,  gli  avevano  confiscato  il  fondo 
paterno  ^.  Pure  a  questi  mali  egli  aveva  un  riparo  nel 
patrimonio  del  suo  ricco  ingegno ,  che  i  potenti  non 
possono  ne  togliere,  né  comprare,  quando  altri  non  voglia 
farne  mercato.  E  di  fatti,  spinto  dalla  povertà  e  dal  de- 
siderio della  gloria,  prima  che  ninno  lo  proteggesse,  com- 
pose nobili  versi,  che  mostrarono  subito  qual  poeta  egli 
fosse.  Erano  Satire  e  Odi  quasi  tutte  satiriche,  in  cui, 
oltre  il  fervore  poetico  dell'età  giovanile,  era  animirabile 
la  libertà  dello  sdegno  contro  quelli  che  menavano  a  stra- 
zio la  patria.  Egli  sperava  ancora  nella  libertà  vinta  a  Fi- 
lippi; e  nei  crudi  giorni,  in  cui  la  guerra  di  Perugia  e  le 
rapine  dei  veterani  desolavano  più  ferocemente  l'Italia, 
con  accento  di  pietoso  cittadino  deplorò  i  mali  di  quella 
patria,  che  non  vinta  dal  valore  dei  Marsi,  né  dalla  fie- 
rezza di  Spartaco,  né  da  alcuno  straniero,  ora  rovinava 
per  le  stesse  sue  forze  e   per  la  empietà  dei  suoi  cru- 

(")  Egli  stesso  si  chiama  imbellis  ac  flrmns  parum.  Epod.,  1,   IO. 

1  Su  ciò  vedi  Schmid,  Quinti  Horatiì  pater  a  vanitatis  crimine  vindieatus^  Halber- 
stadt  1819.  Conf.  Weber,  Q.  Horatius  Flaccus  als  Mensch  und  Dichter^  Iena  1844, 
pag.  9. 

2  Orazio,  Sat..  I,  6,  45,  e  71,  Epist.^  II,  2,  13  e  segg. 

3  Sat..  r,  6,  15-lS,  Epist..  II,  2,  41-52. 

4  Od.^  II,  7,  10,  IH,  4,  26. 

5  Epist,  li,  2,  50. 


136  PASSAGGIO  DALL'OPPOSIZIONE  ALLA  CORTE.     [Lib.  VH. 

deli  figliuoli  *.  È  detto  che  fulminò  anche  Mena  traditore 
di  Sesto  Pompeo  '^,  rimasto  sola  speranza  agli  amici  della 
libertà.  E  poiché  non  poteva  assalire  di  fronte  Ottavio, 
che  era  troppo  potente,  tolse  a  battere  colle  armi  del  ri- 
dicolo gli  amici  di  lui:  nella  mordacissima  satira  in  cui 
è  detto  che,  sotto  il  nome  di  Malchino  ^,  beffò  Mecenate 
strascicante  per  effeminatezza  la  toga,  assali  il  cantore 
Tigellio,  familiare  di  Ottavio  '',  e  il  dissoluto  Cupennio,  e 
Galba,  e  altri  galanti,  le  sozze  faccende  dei  quali  ci  mo- 
strano la  brutta  corruttela  a  cui  erano  andati  i  costumi; 
corruttela  di  cui  era  marcio  lo  stesso  poeta,  perocché  egli 
ci  apprende  che  si  contaminava  nel  medesimo  fango, 
quantunque  usasse  più  accorgimento  per  evitare  i  peri- 
coli da  cui  molti  uscirono  mal  conci.  1  belli  e  liberi  versi 
ebbero  plausi  e  conforti,  ed  egli  prese  lena  a  scriverne 
altri;  ma,  come  uomo  poco  tenace  dei  forti  propositi,  la- 
sciò da  banda  i  disegni  di  opposizione  ai  potenti,  quando 
vide  che  tornava  più  utile  fare  altrimenti. 

Per  ristorare  la  sua  fortuna  dapprima  erasi  procacciato 
un  post^  di  Scriba  o  Segretario  nel  pubblico  erario  ^,  ma 
lasciò  quell'ufficio  pieno  di  noie  appena  ebbe  altro  modo 
da  vivere. 

Fra  gli  ammiratori  dell'ingegno  di  Orazio  erano  primi 
Vario  e  Virgilio,  i  quali  si  offrirono  di  raccomandarlo  e 
di  presentarlo  a  Mecenate;  ed  egli,  obliando  la  libertà 
e  P)ruto  e  Filippi,  accettò  di  andare  alla  corte.  Presen- 
tato al  ministro,  balbettò  vergognoso  poche  parole,  e  die 
contezza  dell'esser  suo.  Mecenate  gli  fece  fredda  acco- 
Shenza,  e  lo  accomiatò  con  breve  discorso,  perchè  forse 


'  Epod.,  I,  10. 

2  Epod..  IV,  e  Scholiast.,  ivi;  Appiano,  De  Beli.   Civ..  V,  7S-S0. 

3  Vedi  Sal.^  I,  2,  25.  e  le  noto  di  Acrono  e  di  Porfiriono,  e  Weichert,  De  larbita  Ti- 
mofjenis  aetmiìaiore.  %  7,  in  Poelarutn  Latinorum  reliqiàae,  pag.  423. 

*  ■f"^.  I,  3,  4  o  se^-. 

5  Svetonio,  Ilnrnt.  vit.  in  ]irincipio;  Orazio,  Sut  >  li,  C,  3G-37.  Conf.  Fisone  citato  da 
iic.llio,  VI,  9,  e  Livio,  IX,   i6. 


Gap.  I.]  DONO  DELLA  VILLA  SABINA.  137 

non  si  fidava  ancora  del  tribuno  di  Bruto,  e  aspettò  che 
avesse  dato  miglior  saggio  di  so.  Il  poeta,  studioso  di 
acquistar  nuovi  meriti,  e  di  fare  obliare  il  passato,  ce- 
lebrò con  gioia  la  sconfitta  di  Sesto  Pompeo  ',  e  si  mostrò 
ardente  per  la  causa  dei  vincitori.  Allora  Mecenate,  si- 
curo del  fatto  suo,  dopo  nove  mesi  mandò  a  ricercare 
di  lui ,  lo  accolse  tra  i  suoi  amici ,  lo  ebbe  familiaris- 
simo  -,  e  lo  mise  nella  grazia  d'Augusto.  E  Orazio  rispose 
bene  a  quella  fiducia,  e  si  mostrò  quale  il  ministro  vo- 
leva che  fosse,  dimenticò  la  filosofia  nutrice  dei  forti 
pensieri  e  paurosa  ai  potenti,  e  a  poco  a  poco  repressi 
gli  impeti  repubblicani,  che  lo  portavano  a  celebrare 
l'indomita  virtù  di  Catone,  nelle  case  dei  grandi,  ove 
prese  l'ispirazione  ai  suoi  canti,  si  fece  vero  uomo  di 
corte;  e  riducendo  ad  arte  la  cortigianeria,  istruì  in  essa 
i  suoi  giovani  amici,  e  mostrò  loro  il  modo  sicuro  di  bu- 
scarsi i  favori  dei  ricchi,  e  proclamò  che  il  piacere  ai 
maggiorenti  non  è  l'ultima  delle  lodi  ("). 

Per  godere  riposata  e  dolce  la  vita  desiiderava  un  pos- 
sesso nei  lieti  colh  di  Tivoli:  e  Mecenate  appagò  oltre 
misura  i  suoi  desiderii.  Perchè  avesse  agio  a  glorificare 
gli  ordini  nuovi  gli  dette  la  terra  di  Ustica  nella  Sabina (^). 
Era  luogo  ricco  ed  ameno:  ivi  comoda  casa,  fertili  campi, 
prati,  selve  e  verzieri,  e  limpidi  rivi,  fresche  valli,  liete 
ombre,  e  dolci  recessi,  ove  il  poeta  potrà  studiare,  dor- 
mire, bevere,  conversare  colle  Muse  e  obliare  dolcemente 
le  cure  della  vita  affannosa.  Egli  non  aspirava  a  tanto: 
ma  gli  Dei  suoi  protettori  furono  larghi   con  lui,   e   più 

(^)  PrincApihus  placHìSse  viris  non  itlfima  Ictus  est.  Ejnsi..ì,  17,  :35. 
Vedi  anche  l'epistola  18  del  medesimo  libro. 

(^)  Per  la  villa  Sabina  di  cui  fu  scritto  molto  e  da  molti,  vedi  Nibby, 
Viaggio  anliqitario,  voi.  1,  pag.  94,  e  Conf.  Rosa,  in  Bullett.  Isiit.  1857, 
pag.   lOo. 

1  Epod..  IX    7  e  seg^. 

2  Sat.,  I,  6,  r.1-64,  II,  C,   11-59 


138 


LODI  A  MECENATE. 


[LiB.  VII. 


gli  avrebbero  dato  se  più  avesse  voluto  (")•  Onde  egli, 
beato  sopra  ogni  mortale,  non  ebbe  più  altro  pensiero 
che  cantare  in  tutti  i  tuoni  il  gran  ministro  e  il  divino 
principe  e  tutti  i  favoriti  da  loro.  Mecenate,  discendente 
di  re,  è  il  più  nobile  di  tutti  i  Lidii  che  vennero  a  sta- 


Villa  Sabina  d'Orazio  {Nibbi/). 

bilirsi  in  Etruria;  è  l'ornamento  dei  cavalieri,  è  presidio 
e  dolce  decoro  al  poeta,  che  lo  appella  anche  suo  signore 
e  suo  padre,  e  dice  che  ha  bisogno  dell'approvazione  di 
lui  anche  per  tener  belli  i  suoi  versi  lirici.  Con  lui  gli  è 
gioconda  la  vita  che  gli  sarebbe  insopportabile  senza  di 


(«)  Epist.,  I,  14,  1  e  Pegg-.,  I,  10,  2-10,  H,  2,  77,  Sat.,  II,  6,  1-5,  Ud.. 
h  17,  1-22,  li,  18,  12-14,  Ili,  10,  21),  HI,  1^,  2.  Epod.,  I,  :51.  Svetonio  nella 
■vita  di  Orazio  dice:  Aiii/n<(Hs-  nna'jKc  et  aftera  vice  locupletavi/. 


I 


Gap.  I.]  INNI  AD  AUGUSTO.  139 

lui,  e  fa  voti  agli  Dei  di  morire  nel  medesimo  giorno.  A  lui 
confida  anche  le  sue  pene  amorose;  lui  invita  a  bevere 
tra  i  profumi  e  tra  i  fiori;  ed  ha  un  canto  anche  per  la 
infedele  Terenzia,  di  cui  loda  il  mirabile  lampeggiare 
degli  occhi,  e  il  petto  fido  agli  scamhievoli  amori  *. 

Infinite  le  lodi  dell'eterno  onore  di  Augusto,  figlio  di 
Numi  benigni,  Dio  tutelare  della  patria.  A  lui  gli  inni,  a 
lui  le  invocazioni  delle  mense  seconde,  a  lui  le  mattutine 
e  le  vespertine  preghiere,  perchè  si  degni  di  dare  lunga 
])ace  all'  Italia,  e  anche  perchè  liberi  la  terra  dai  fulmini 
e  dalle  tempeste.  Egli  è  potente  Dio  sulla  terra,  come 
Giove  nel  cielo;  è  padre  e  custode  dell'umana  gente,  è 
il  più  grande  di  tutti  i  Romani,  e  i  propizi  Numi  non 
fecero  mai  dono  migliore  al  mondo,  né  mai  potrebbero 
dargli  altsettanto,  quand'anche  riconducessero  la  prisca 
età  dell'oro.  Augusto  è  il  salvatore  di  Roma  e  del  mondo; 
protegge  gli  averi  dei  cittadini,  fa  fiorire  la  religione, 
l'agricoltura,  il  commercio,  le  arti;  è  la  luce  della  pa- 
tria, e  colla  sua  presenza  riconduce  la  primavera,  fa  più 
splendido  il  sole,  allieta  ogni  cosa  ^.  Finalmente  Augusto, 
pauroso  dei  fulmini  e  fuggente  dai  pericoli  delle  battaglie, 
pel  poeta  cortigiano  è  un  eroe  superiore  a  tutti  gli  eroi 
greci  e  romani  ^. 

Bello  era  gridare  contro  i  vizi  mostruosi  del  secolo,  e 
scoprirne  le  cause  e  indicarne  i  rimedii;  bello  ripetere 
in  splendidi  versi,  che  nulla  giovano  i  vani  lamenti,  se 
non  si  recide  col  supplizio  la  colpa,  se  alle  leggi  non 
si  aggiungono  i  buoni  costumi,  se  con  severa  educa- 
zione non  si  preparano  virtuosi  cittadini  alla  patria*'; 
ma  brutta  menzogna  era  rincantare,  che  Augusto  colla 
sua  riforma  mutò  veracemente  i  costumi,  e  che  per  opera 

>  Od.,  I,  L  1-2  e  33,  I,  20,  Lece,  II,  12,  I3-1d,  II.  17,  2-3,  111,8,  1-16,  JII,  IG,  20,  Ut, 
2S),  1  e  segp'.,  Epecl.,  I,  5,  Epist.^  I,  7,  37,   Sat.,  I,  0.  1,  ecc.,  ecc. 

2  Od..  I,  2,  I,  12,  III,  25,  3  e  scgg.,  III,  11,  IV,  2,  5,  11  e  15. 

3  Od..,  II,  y,  19,  IV,  2,  33,  IV,  11,  5  e  secg.,  Eivst.,  1,  2,  48,  e  lì,  1,  1-19. 
*  Od..,  III,  21,  51  e  segc-. 


140  I  POliTI  DI  CORTE  CORROTTI  E  IPOCRITI.       [Lib.  VII. 

sua  non  vi  erano  più  stupri  per  le  case  romane,  e  che 
le  spose  andavano  laudate  per  somiglianza  di  prole,  e 
tornavano  a  vita  la  fede,  la  religione  e  le  forti  virtù, 
per  cui  crebbe  il  nome  latino,  e  la  maestà  dell'Impero 
si  estese  dall'orto  all'occaso  *. 

La  vita  stessa  dei  poeti  di  corte  smentisce  le  loro 
parole  in  lode  dei  costumi  migliorati  dal  principe.  Orazio 
era  corrotto  al  pari  degli  altri,  e  i  suoi  versi  lo  atte- 
stano a  chi  non  voglia  credere  alle  brutture,  che  di  lui 
narra  Svetonio^.  Pieni  di  sconcezze  sono  i  versi  dei  più. 
Tutti,  tranne  Ovidio,  vissero  celibi  e  non  curanti  della 
legge  Papia  Poppea.  E  Properzio 'protestava  che  prima 
di  ammogliarsi  avrebbe  patito  di  perder  la  testa  ^.  Erano 
libertini  sfrenati,  che  celebravano  splendidamente  la  san- 
tità delle  nozze.  Ciò  che  havvi  di  particolare  ai-tempi  di 
Augusto  è  uno  studio  infinito  di  salvare  le  apparenze,  e 
di  fare  una  perpetua  commedia  di  decenza ,  di  pietà  e 
di  morale,  in  cui  i  personaggi  principali  si  ripromettono 
gli  onori  della  virtù  coi  piaceri  del  vizio  ''.  L'ipocrisia  è 
la  grande  faccenda  dei  sudditi  come  del  principe.  Uomini 
gravi  e  austeri  in  pubblico,  menano  in  privato  abomine- 
voli orgie;  uomini  ones^^,  i  quali,  stimati  molto  nel  Fóro 
per  la  loro  pietà  neh'  immolare  vittime  ai  Numi ,  dopo 
avere  invocati  altamente  Giano  e  Apollo,  in  segreto  pre- 
gano Laverna,  Dea  protettrice  dei  ladri,  perchè  ricopra 
di  una  nube  le  loro  frodi,  e  li  faccia  passare  per  giusti 
e  per  santi  ^. 

Insomma  questa  età,  che  la  poesia  chiama  d'oro,  è  di 
ferro.  Ninno  crede  né  alla  virtù,  nò  alla  religione  degli 
avi;  e  non  ci  crede  neppure  il  poeta,  che  incredulo  prima 

»  Od..  IV,  5.  20-2:!,  e  IV.  15,  1?-1G 

2  Vedi   Richter,  In  Q.  Horatii  Flacci  vit'On  a  C.   Sve'.onio   Tranquillo    conscriptntn  , 
Zwickaviao  1830,  ]>ti<;r.  OG  e  seguenti. 

3  Properzio,  II,  7,  7. 

*  Le  Gris,  Home,  ses  novolenrSj  ses  coiìsercateurs,  ecc.,  voi.  II,  ['•''•t-'    'J^'- 
5  Orazio,  npist..  I,  ir,,  jT-CO. 


C.v-.  I.] 


LA  RELIGIONE  D'ORAZIO. 


141 


di  essere  ricco,  poscia  si  finge  devoto  per  atterrire  e  con- 
vertire gli  increduli,  ricorda  l'onnipotenza  di  Giove  to- 
nante e  fulminante  i  Titani  *,  racconta  i  miracoli  che 
gli  Dei  fanno  per  Mecenate  e  per  lui  2;  e  fatto  religioso 
per  ordine  venuto  dall'alto,  inveisce,  per  dar  piacere  ad 
Augusto,  contro  i  giovani  empi,  e  canta  la  religione,  da 


Giove  fulminante  i  Titani  (Gemma  del  Museo  Kazionale  di  Napoli). 

cui  venne  la  gloria  dei  padri.  Ma  egli  stesso  sa  bene  che 
non  si  crede  agli  Dei  d'oro  e  di  marmo,  e  che  la  vera 
rehgione  dell'età  nuova  inaugurata  dal  principe  è  l'amore 
smodato  della  ricchezza  e  del  lusso,  ed  è  costretto  a  con- 


1  Od.  I,  34,  5-S,  e  HI,  I,  6-S,  IH,  5,  1;  Museo  Dorbon.,  vcl.  \,  tav.  53. 

2  Od.  1,  17,  13,  II,  17,  21-32,  III,  -I,  7-20,  e  II,  8,  6-8. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV. 


142  1  SEVERI  AMATORI  DELLA  LIBERTÀ.  [Lib.  VIL 

fessarlo  in  più  luoghi,  e  a  predire  che  da  questi  padri 
nasceranno  più  perversi  figliuoli  *. 

Rimane  qualche  cittadino  temprato  all'antica,  qualche 
anima  resa  forte  dall'amore  della  libertà  e  delle  istitu- 
zioni avite.  Vi  è  Labeone,  che  non  si  lascia  comprare 
dagli  onori  del  principe  e  lo  combatte  in  ogni  occorrenza. 
E  Orazio  nel  suo  ardore  di  cortigiano  si  fa  beffe  del  gran 
cittadino,  e  taccia  di  pazzo  solenne  il  più  nobile  e  il  più 
libero  dei  giureconsulti  ('').  Rimangono  gli  stoici,  che 
tutto  ripongono  nella  forza  dell'animo,  rigidi  non  pure 
in  parole,  ma  in  fatti;  sobrii,  temperanti,  casti;  che  re- 
putano dovere  primo  del  cittadino  difendere  la  patria  e 
la  libertà,  e  morire  per  esse;  e  quando  altri  s'incorona 
di  rose,  muoiono  piuttostochè  vivere  vilmente.  Il  dispo- 
tismo ne  teme  i  forti  esempi  e  le  austere  dottrine;  e 
quindi  Orazio,  per  iscreditarli,  usa  contr'essi  la  satira, 
coglie  il  lato  che  si  presta  allo  scherzo,  ride  di  loro  as- 
solute sentenze,  ne  beffa  il  portamento  severo,  l'asprezza 
dei  modi,  i  neri  denti,  il  capo  rasato;  induce  per  le  vie 
i  ragazzi  a  strappar  loro  la  lunga  barba,  e  ha  profondo 
disprezzo  per  loro  povertà  e  libertà  -.  E  alle  forti  dot- 

(")  Sat.,  I,  3,  H2,  e  le  note  di  Acrone  e  ài  Porfiriono  a  questo  luogo.  — 
Da  alcuni  si  volle  scusare  Orazio  di  questa  grossa  ingiuria,  dicendo  che 
Labeone  era  sempre  giovane,  e  non  ancora  famoso  né  autorevole.  E  una 
povera  scusa,  perchè  colui  che  divenne  quel  sapiente  giureconsulto  che 
tutti  sanno,  non  poteva,  neppure  da  giovane,  meritare  il  nome  di  pazzo. 
Vedi  Feldbausch,  7J)e  7/ora<io  nou  adulatore,  Heidelbergae  l'3^,  pa,r.  IS. 
Sulla  faccenda  dell'adulazione  ai  potenti,  della  quale  con  ragione  il  poeta 
fu  rimprover-ato  più  volte,  altri,  anche  di  recente,  fu  d'avviso  che  egli 
lodasse  Augusto  poco  anziché  ti-oppo,  dicendo  che  messe  in  versi  i  decreti 
del  senato,  e  che  le  sue  lodi  non  sono  altro  che  un  artificio  oratorio. 
Vedi  Paul,  De  Q.  Horatii  Flacci  in  Auguslum  adnlatione  quomodo 
iudicandum  sii.  Thoruni  1847,  pag.  1:5,  17  e   IS. 

1  Od..  I,  31,  1  <!  segg.,    I,  33,  3:5-38,    HI,   0,    13-lS    III,    n.,  1  e  segg.,   &■•/.,  I,   1,  'J2, 
II,  5,  8,    Epht..   1.  2,  -10-53,  I,  e,  30-38. 
«  Epht.,  I,  1,  101,   I,  18,  5-8,  Sat.,  I,  3,  7G-9S,  II.  3,  16,    II,  7,  45  e  S3-M. 


Gap.  I.]  ORAZIO  E  GLI  STOICI  E  LE  VOLUTTÀ.  143 

trine  degli  uomini  che  non  vogliono  transazioni  di  sorta 
il  poeta  oppone  un  sistema  adatto  a  quietare  ogni  pas- 
sione politica,  e  a  lasciar  tranquillo  chi  domina.  Insegna 
a  non  darsi  pensiero  delle  umane  faccende,  a  obliare  il 
passato,  che  neppure  da  Giove  potrebbe  mutarsi;  si  fa 
maestro  di  mollezza  e  di  voluttà,  esorta  a  incoronarsi  di 
rose  e  di  mirto,  a  profumarsi  di  nardo  *;  e  canta  Venere 
e  Bacco,  gli  amori  e  l'ebbrezza,  e  celebra  i  prodigii  del 
vino,  che  solo  può  rendere  la  speranza  ai  cuori  abbat- 
tuti, e  serve  egregiamente  alla  politica  nuova.  Col  vino 
medica  gli  animi  travagliati  da  moleste  cure;  e  colle  vo- 
luttà epicuree  studia  di  riconciliare  ad  Augusto  i  mal- 
contenti, cui  ripete  di  continuo  che  bisogna  affrettarsi  a 
godere  perchè  la  vita  fugge  rapidissim.a,  perchè  alla  casa 
di  Plutone  non  vi  sono  né  banchetti,  né  amori;  e  perchè 
la  vera  sapienza  sta  nel  pensare  ai  propri  diletti  e  alla 
propria  utilità,  che  è  madre  del  giusto  e  dell'equo  ;  e 
propone  a  modello  sé  stesso,  grasso  iJorco  della  mandra 
d'Epicuro  -. 

Né,  secondo  lui,  vi  era  tempo  più  acconcio  per  vivere 
allegri.  Prima  del  trionfo  di  Augusto,  egh  dice,  era  una 
disperazione:  niuno  poteva  darsi  buontempo,  né  cavare 
il  vecchio  Cecubo  dalle  avite  celle.  Ma  dopo  la  vittoria 
di  Azzio,  che  ha  liberato  Roma  dal  mostro  fatale  minac- 
ciante catene,  è  permesso  aprire  il  cuore  alla  gioia: 
ognuno  ora  è  felice,  e  debbo  godere,  cantare,  danzare, 
ridere,  banchettare,  bevere,  incoronarsi  di  mirto  "\ 

E  COSI  tripudiando  fa  versi  come  li  bramano  i  suoi 
protettori;  canzoni  voluttuose  alle  sue  donne,  agli  amici; 
versi  scherzosi  per  divertire  Mecenate;  odi  per  frenare 
la  indomita  licenza,  per  lodare  la  vita  frugale  e  la  san- 


1  Od.^  1,9,  5-24,  e  II,  li. 

2  Od.,  I,  4,   l,  7,  17-21,  1,  li,   I,  IS,  II,  3,   II,  II,  III,  19,  UT  21,  IV,  1,   IV.  12,  Epod. 
XIII,  1-10,  Ej)ist.,  I,  -1,  15-lG,  I,  5,  I,  G,  ecc. 

3  Od..  I,  37  e  3S,  Epod..  IX. 


144   INNI  SACRI,  LODI  AI  FELICI,  LETTERA  AD  AUGUSTO.    [Lib.  VIL 

tità  degli  antichi  ;  inni  sacri  che  la  gioventù  non  ha  an- 
cora ascoltato;  inni  ad  Augusto,  lodi  a  tutti  i  felici,  ma- 
ledizioni a  tutti  i  perseguitati  dalla  fortuna  e  dal  principe, 
del  quale  accoglie  ciecamente  tutte  le  avversioni  e  tutti 
gli  amori. 

Quindi  non   è   da   domandare   se  Augusto   tenesse  in 
pregio  e  in  amore  il  poeta. che  lo  serviva   sì  bene.  Gli 


Allegro  convito  {Museo  Borh.^  V,  51). 


ollrl  l'ufficio  di  suo  segretario,  che  quegli  non  accettò 
per  motivi  di  mal  ferma  salute:  gli  faceva  carezze,  lo 
pregava  con  lettere  affettuose  a  disporre  Uberamente  di 
lui:  e  quando  vide  i  sermoni  diretti  a  più  amici,  in  una 
lettera  gli  mosse  lamento,  perchè  in  ninno  di  quelli  aveva 
diretto  a  lui  il  discorso  con  l'abbandono  dell'affetto,  come 
è  uso  tra  gli  amici,  quasi  temesse,  che  il  mostrarsi  suo 
familiare  gli  potesse   essere  recato   ad  infamia  dai  pò- 


Cap.  L]  ORAZIO  POETA  LIRICO.  145 

steri  («).  E  allora  Orazio  con  un'  epistola  gli  fece  sue 
scuse  *  dicendo  che  si  crederebbe  nemico  del  bene  pub- 
blico, se  con  lunghi  discorsi  tenesse  a  bada  lui  occupato 
ad  assicurare  colle  armi ,  ad  ornare  coi  costumi ,  e  ad 
afforzare  colle  leggi  lo  Stato;  e  dopo  avergli  parlato  sa- 
pientemente di  poesia  vecchia  e  nuova,  gli  mostrava  come 
i  grandi  debbano  avere  a  cuore  la  protezione  dei  poeti, 
che  possono  farli  immortali;  e  poscia  continuò  tutta  la 
vita  a  lodare,  ripetendo  sempre  di  non  aver  forze  capaci 
a  sì  grande  opera. 

Fece  meraviglie  di  arte  e  d'ingegno  per  nobilitare  i 
fondatori  della  servitù  universale  :  e  i  suoi  splendidi  elogi 
furono  da  molti  tenuti  come  veraci  testimonianze,  né 
mancò  chi  li  prendesse  a  sicuro  documento  di  storia. 

Orazio,  dimenticando  Catullo,  e  gli  altri  ohe  lo  ave- 
vano preceduto,  vantò  di  essere  stato  il  primo  a  cantare 
in  Roma  versi  lirici  sul  metro  dei  Greci  -.  E  molto  i 
Greci  imitò,  ma  non  fu  né  un  traduttore,  né  un  mosai- 
cista; cantò  originalmente  le  cose  romane,  e  accanto 
alle  cose  tolte  ai  Greci  ne  pose  altre  bellissime  trovate 
da  lui;  e  per  la  squisitezza  del  gusto,  e  per  le  rare  ele- 
ganze prese  un  posto,  al  quale  in  appresso  non  fu  dato 
mai  a  ninno  di  giungere.  Ma  privo  com'era  del  vero  en- 
tusiasmo e  dell'amore  alle  cose  grandi,  che  fanno  grande 
la  lirica,  egli  si  elevò  di  rado  al  sublime  in  quei  versi, 
che  sono  maravigliosi  di  gusto,  di  venustà,  di  grazia,  di 
gravità,  di  splendore,  e  di  arte,  e  con  felicissima  audacia  ^ 
arricchiscono   la  lingua  di  nuove  o  rinnovate   parole,  e 


('')  Irasci  me  Ubi  scito,  quod  non  in  plerisque  eiusmodi  scriptìs  mecum 
potissiriium  loquaris.  Anvereris,  ne  apud  posteros  hi  fame  Ubi  sit,  quod 
videai'is  familiaris  nobis  esse?  Svetonio,  Horat.  vita. 

'  Epist.^  Il,  1. 

2  Od.,  I,  32,  3,  III,  30,  13,  Epist ,  I,  IS,  21-34. 

3  Quintiliano,  X,  1,  S6. 


146  POESIE  SATIRICHE  E  DIDATTICHE.  [Lib.  VII. 


conducono  a  perfezione  il  linguaggio  poetico*.  Altri,  non 
negando  che  il  poeta  molte  cose  disse  egregiamente  e 
soavemente  e  fu  felicissimo  negli  artifizi  poetici,  affermò 
che  per  mancanza  di  affetto  non  ebbe  spirito  né  ingegno 
poetico  2  :  il  che  è  fuori  del  vero,  come  l'opinione  soste- 
nuta negli  ultimi  tempi,  che  in  Orazio  tutto  debbe  esser 
perfetto,  e  che  le  parti  che  in  lui  appariscono  mediocri 
o  inette  voghono  reputarsi  non  sue,  ma  interpolazioni 
e  corruzioni  di  codici  ■^. 

Nelle  Satire  e  nelle  Epistole  ove,  come  disse  il  Vico, 
grecizzò  meno,  fu  più  poeta,  quantunque  paia  che  egli 
opinasse  in  contrario  ^,  e  ritrasse  fedelmente  Roma  e  la 
filosofia,  la  politica,  la  morale,  la  reUgione  e  i  costumi 
di  un^età  corrotta  e  incredula.  Satireggiò  con  infinita 
gaiezza  l'aridità,  l'avarizia;  rise  dei  ghiotti,  dei  parasiti, 
dei  libidinosi,  dei  fanatici,  dei  pedanti,  dei  cattivi  poeti; 
ragionò  amabilmente  di  morale;  e  dòtte  precetti  di  lette- 
ratura, di  gusto,  di  critica  laeWEjnstola  ai  Pisoni  (")  e 
altrove,  ed  ebbe  perpetue  compagno  le  grazie  e  le  urba- 

(")  Di  questa  Epistola,  che  è  tra  le  opere  più  eccellenti  di  Orazio,  fu- 
rono dette  molte  e  diversissime  cose.  Sul  vero  scopo  di  essa,  che 'è  di  in- 
i»egnare  ai  suoi  amici  il  modo  di  studiar  le  lettere,  se  vogliono  attendere 
alla  poesia,  vedi  Sti-euber,  De  Q.  Horatii  Flaccl  od  Pisones  epistolaj 
Basiliac  1839;  e  Liedemann,  De  Horaiii  epistola  ad  Pisones  quae  in- 
scribitiir  de  arie  poetica,  Zittaviae  1840.  Per  altri  lavori  critici  su  que- 
.sta  e  sulle  altre  opere  d'Orazio,  come  sulla  storia  di  lui  e  dei  suoi  j)ru- 
tettori  ed  amici,  vedi  i  miei  Studi  storici  e  morali  .m/la  letteratura 
latina,  pag.  329-403,  Torino,  Loescher,  1871. 

'  Klotz.  De  felici  Iloratii  audacia^  lenac  I7G2;  Zanireineister,  De  Horatii  vocil>us 
singuìaribus^  Berolini,  1862;  Rothemaler,  De  Jloralio  verborum  inventore ^  Berolini  1802. 

2  Vedi  Klcischcr,  Meditationiim  ad  Horatii  Flacci  poesim  lyricam  pertinentium^ 
pars  I,  Emmerich  18U. 

3  Q.  Horatii  Flacci  carr,iina  recensuil  P.  Ilofinan  l'eeilkamii.  editio  altera  emendata 
et  aucta^  Ainstelodami  18G2;  Schatzrt;ayr,  Studia  Horatiana,  Golliae  1S63;  conf.  Kicli- 
stiidt,  Parado-va  Horatiana.  pars  V,  IcnaelSSO,  e  Paldanius  ,  De  imilatione  Horatii. 
Orcifswald  1851,  pag.  1-9. 

<  Vedi  Sat..  I,  -l,  3S-I1  e  r.f>,  EìVst..  II.  1.  1.''.0,  01..  I,  I,  '?.),  I,  31,  1,  I.  : -2,  3,  li, 
2;>,  4-S,  IH,  1,  3,    III,  1.  -il,    III,  13,  13.   IH,  •.'•.,  1,  111,  30,  l-KÌ,  iv,  y,  l-l. 


Gap.  L]         stile  E  INDOLE  DELLA  SATIRA  ORAZIANA.  1  i7 

nità  di  uno  stile  tutto  nuovo,  facile,  semplice,  arguto: 
ebbe  la  meditata  trascuratezza  del  verso,  e  il  naturale 
andamento  che  dava  pregi  non  più 'visti  a  quel  modo 
di  componimento,  destinato  ad  andare  per  le  mani  di 
tutti.  Rispetto  allo  stile  egli  détte  perfezione  alla  satira 
lasciata  ruvida  dagli  scrittori  precedenti;  e  in  ciò  sta  il 
suo  merito  sommo.  Con  l'acuto  occhio  vide  le  parti  che 
negli  umani  caratteri  pili  si  porgevano  al  riso,  e  le  ri- 
trasse in  variatissimi  e  graziosissimi  modi,  per  via  di 
scene  drammatiche,  di  dialoghi,  di  apologhi,  di  aneddoti, 
di  narrazioni  sparse  di  motti,  di  sali  e  d'italo  aceto,  e 
rallegrate  da  perpetua  festevolezza,  e  abbellite  di  grazia 
inarrivabile  di  elocuzione  e  di  verso.  Ma  sotto  il  rispetto 
morale  non  poteva  essere  il  flagello  dei  vizi  che  aveva 
a  comune  con  gli  altri.  Egli  stesso  confessa  *  che  era 
dissoluto,  incostante,  non  persuaso  di  ciò  che  diceva, 
non  credente  ai  propri  principii,  non  forte  a  levarsi  dal 
fango,  lodante  la  frugalità,  quando  i  grandi  non  lo  invi- 
tavano a  cena.  Quindi  più  che  dei  veri  vizi  si  burlò 
delle  ridicolezze  e  delle  stoltezze  degli  uomini.  Scrisse 
pieno  di  ironie  e  di  scherzi  per  divertirsi  alle  spalle  di 
quelli,  da  cui  non  poteva  sperare  né  celebrità,  né  pia- 
ceri. Dettò  satire  perchè  non  poteva  dormire,  perchè  non 
si  sentiva  forte  a  lodare  degnamente  né  le  battaglie,  nò 
la  giustizia  di  Cesare  -.  Non  osò,  né  potè  levarsi  contro 
i  grandi  viziosi,  che  appartenevano  alla  classe  da  lui 
riverita  e  cantata.  Uomo  di  corte,  non  poteva  esser  mo- 
ralista come  Cicerone  vissuto  in  libera  patria,  né  sati- 
reggiare la  servitù  universale,  che  a  lui  procurava  agi 
e  delizie. 

Le  Epistole,  che  accoppiano  la  festevolezza  alla  gra- 
vità, e  hanno  il  verso  più  culto  e  più  rapido,  la  frase  piìi 
elegante,   e  la  morale  quasi   sempre  più   generosa,  fu- 

1  Sat.,  U,  7. 

2  Sat,  IF,  1,  7. 


148 


EPISTOLE  RICCHE  DI  DOTTRINE  MORALI. 


LiB.  VII. 


rono  composte  in  età  più  matura,  allorché  egli,  sentendo 
meno  l'ardore  delle  passioni,  sospirava  più  che  mai  alla 
solitudine,  e  ivi,  divenuto  fiero  di  nuova  indipendenza, 
mandava  la  virtù  avanti  a  ogni  cosa,  e  spregiava  chi 
cerca  prima  i  quattrini.  Allora  studia  il  vero  e  il  buono, 
e  la  sapienza  che  giova  al  povero  e  al  ricco;  e  fatto  di- 
fensore dell'austera  virtù  esorta  gli  amici  a  chiudere  le 
orecchie  ai  canti  delle  seduttrici  sirene,  e  a  respingere 
le  bevande  e  gli  incantesimi  di  Circe  trasformanti  gli 
uomini  in  sozzi  animali  (");  predica  il  dovere  di  gover- 
nar l'animo,  di  coltivarne  le  buone  inclinazioni,  di  farsi 


KIPKH     0AI22EYS 


I  compagni  di  Ulisse  mutati  in  bestie  da  Circe  (Guattani). 

usbergo  della  buona  coscienza,  di  trovare  la  vera  libertà, 
senza  la  quale  non  vi  è  né  virtù,  nò  saggezza;  e  riduce 
a  belli  assiomi  la  scienza  buona  a  bene  regger  la  vita, 
e  talvolta  apparisce  seguace  di  quelli  stoici,  che  altrove 
furono  da  lui  messi  in  ridicolo.  Ma  poscia,  come  spaven- 
tato dalle  conseguenze  delle  severe  dottrine,  ritorna  alla 
facile  morale,  che  meglio  favorisce  le  sue  inclinazioni  *. 

(")  Epis-f.,  I,  2,  23-26;  Guattani,  Monumenti  anticld  inedili,  voi.  V, 
jìag.  24,  tav.  I.  Vedi  nnclie  Raoul  Roehette,  Monumenis  incdils  d'anti- 
rjuitt^  figurre,  pi.  (il. 


»    ^73!!^.    I,    6. 


Gap.  I.]       POESIA  SAPIENTE,  SQUISITA  E  INARRIVABILE. 


149 


Come  poeta  egli  è  variato,  sapiente,  ricco  di  imagini 
graziosissime ,  delle  quali  adorna  mirabilmente  anche  i 
pensieri  comuni.  È  solenne  maestro  nell'arte  di  fare  dif- 
fìcilmente facili  versi.  Con  rara  purezza ,  e  sobrietà  e 
precisione  di  lingua  e  con  gusto  perfetto,  unisce  l'ele- 
ganza alla  forza,  la  semplicità  allo  splendore,  la  facilità 
alle  dolci  armonie,  la  gravità  delle  sentenze  agli  scherzi  : 
e  crea  una  poesia,  che  dopo  migliaia  di  anni  rimane 
florida  di  perpetua  gio- 
ventù. Egli  ha  nei  versi 
le  qualità  del  popolo, 
che  in  tutto  più  che 
all'ideale  mirava  a  ciò 
che  potesse  tornare 
praticamente  buono 
alla  vita,  e  che  ebbe, 
come  dice  Virgiho  *, 
jier  arti  sue  proprie  il 
vincere  e  il  reggere  i 
popoli.  Perciò  molti 
versi  di  Orazio  diven- 
nero massime,  e  si  ri- 
petono come  proverbi 
sanciti  dall'esperienza 
dei  tempi  {"). 

Ma  fra  tante  bellezze 
poetiche  non  è  bella  la 
Storia  delle  tante  contradizioni  narrate  da  quei  versi  im- 
mortah,  che  ci  mostrano  lui  repubblicano  e  poi  cortigiano, 
e  stoico  ed  epicureo,  e  fuggente  dalla  battaglia  e  ammi- 
ratore di  Tirteo  che  coi  versi  eccitava  i  forti  alle  pugne 


Tirteo  (Vi 


Icon.  gj 


3,  n.    1). 


(")  Si  possono  vedere  raccolte  e  illustrate  da  F.  X.  Frùlie,  De  Horaiii 
'nteniiis,  Constantiae  18."3^. 


Aen.,  VI,  852. 

Vann'ucci  —  Storia  dell'  Italia  antica  —  IV. 


130 


CONTR  ADIZIONI. 


LiB.  VI!. 


marziali,  e  laudante  ehi  muore  per  la  patria  e  oppone 
forte  petto  all'  avversa  fortuna  ;  che  celebrano  gli  erai 
romani  e  il  valore  nazionale,  e  fanno  l'apologia  dell'ozio 
e  della  spensieratezza;  che  lodano  Catone  e  dispregiano 
Labeone,  che  celebrano  le  Grazie  decenti*  e  cantano 
ai  giovinetti  e  alle  vergini,  e  calpestano  la  verecondia  e 

raccontano  le  oscenità 
del  poeta;  che  ci  mo- 
strano tutto  l'uomo  il 
quale ,  pieghevole  ad 
ogni  vento,  si  gloria  di 
esser  coerente  a  sé 
stesso,  e  dopo  aver  lo- 
dato chi  fugge  le  su- 
perbe soglie  dei  potenti, 
si  vanta  di  viver  con 
essi;  che  insegnano  so- 
prattutto la  morale  del 
proprio  interesse ,  la 
quale  ad  esso  sottomette 
tutti  i  grandi  doveri  che 
legano  l'uomo  agli  altri 
cittadini  e  alla  patria; 
morale  che  servirà  sem- 
servitìi  e  il  dispotismo. 


I.e  Grazie    (Pittura  Pompeiana  in  Mus.  Borb.  ^ 
VII!,  tav.  3). 


pre  a  perpetuare  nel  mondo   la 

come  servì  già  a  sostenere  i  potenti  protettori,  dei  quali 

il  poeta  tramandò  splendidamente  il  nome  alle  età  più 

lontane. 

I  favori  ottenuti  in  corte  da  Orazio  e  dagli  altri  de- 
stano gli  appetiti  di  molti:  quindi  innumerabiU  le  brighe 
per  cercare  la  protezione  del  principe  e  del  ministro,  lì 
far  versi  diviene  mania:  dotti  e  ignoranti  scrivono  poemi; 
giovani  e  vecchi  coronati  di  frondi  dettano  carmi,  non 


I   Od.,  I,  4,  6. 


Gap.  L]      poetastri  CUPIDI  DEI  FAVORI  DEL  PRINCIPE. 


151 


facendo  caso  del  bene  scrivere,  ma  del  comporre  molto 
e  presto  *.  I  poetastri  in  loro  accademie  e  congreghe 
s' intessono  corone  a  vicenda,  si  applaudono  furiosa- 
mente; poi  portano  da  sé  stessi  loro  versi  e  ritratti  alla 
biblioteca  d'Apollo,  fondata  e  destinata  dal  principe  ad 
accogliere  le  migliori  opere  dell'ingegno  greco  e  latino  ^. 
Questi  per  darsi  aria  di  uomo  ispirato  va  per  luoghi  ro- 


Bibliotcca  d'Ai 


I  alatino  restaurata  da  L    Cauina  {Edif.j  IV. 


miti,  vive  trascuratamente,  e  lascia  crescersi  le  ugne  e 
la  barba.  Altri  per  le  vie  e  per  le  piazze  arrestano  la 
gente,  e  recitano  i  loro  versi  alle  vecchie,  ai  ragazzi, 
alle  serve.  I  ricchi  recitano  ai  parasiti  che  dopo  una 
grassa  cena  levano  grande  il  rumore  dei  plausi.   Orazio 


1  Orazio,  Epist..  II,  1,  103-110,  SaC,  I,  4,  ll-?8. 

!  Orazio,  Ejìist.,  I,  3,  17,  II,  2,90,  Sat.,  I,  4,25:  Svetoni 


Aurj., 


152  SCRITTORI  ACCOLTI  ALLA  CORTE.  [Lib.  VII. 

descrisse  e  satireggiò  i  costumi  dei  recitatori  molesti  *, 
cornee  degli  improvvisatori ,  sdegnosi  del  lento  lavoro 
della  lima,  e  perciò  condannati  a  veder  perire  l'opera 
loro  in  un  tratto,  a  guisa  delle  corone  che,  come  dice 
un  altro  poeta,  inaridivano  sulla  fronte  dei  banchet- 
tanti -.  Orazio  stesso  narrò  le  brighe  incessanti  usate  da 
essi  per  essere  accolti  nelle  sale  di  Mecenate  ^  ;  ma 
erano  vani  sforzi;  né  tutti  poterono  essere  ammessi  alle 
cene  degli  Dei. 

Fra  gli  ammessi,  il  poeta  ne  ricorda  parecchi  ^  allora 
applauditi,  ora  obliati.  Fra  questi  erano  Caio  Fundanio, 
celebrato  come  il  solo  poeta  comico  valente  di  quell'età, 
e  Caio  Valgio  Rufo,  stato  console  nel  742,  che  compose 
elegie  ed  epigrammi,  e  cose  grammaticali  e  rettoriche, 
e  scrisse  della  virtù  delle  piante,  e  intitolò  l'opera  sua 
ad  Augusto  con  parole  di  basso  adulatore,  dicendo  che 
dedicava  al  principe  il  libro  dell'uso  delle  erbe,  affincJiè 
la  sua  maestà  avesse  il  modo  di  medicare  tutti  i  mali  dei 
mondo  ^  Vi  era  Plozio  Tucca  poeta ,  che  fu  con  Vario 
eletto  a  correggere  e  a  pubblicare  l'Eneide^;  Pedone 
Albinovano  autore  di  una  Teseide ,  e  di  un  poema  sul 
viaggio  marittimo  e  sulle  guerre  di  Germanico  ('');  Rabido 


(«)  Ovidio,  Ex  Ponto,  IV,  K',  71  e  segg.  ;  Quintiliano,  X,  1,  90;  Se- 
neca, Suasor.,  I;  Weichert ,  De  Lucio  Vario,  pag.  164.  I  versi  pei- 
consolar  Livia  nella  morte  di  Druso  attribuiti  ad  Ovidio,  perchè  furono 
trovati  nei  codici  antichi  di  lui,  e  poscia  dati  a  Pedone  Albinovano  da 
Giuseppe  Scaligero,  non  pare  che  appartengano  né  air  uno,  né  all'altro, 
e  ultimamente  furono  creduti  scrittura  del  secolo  XV.  Vedi  Haupt,  Epi- 
ceiìiuiii  Brusi  cura  cor,ìnicni.ariis .  Lipsiae  1850. 

>  Orazio,  Scit..  t,   1,  ?.:ì-M,  Epistola  ad  Plsones.  2!)6-301,  3S2,   120,  453-170. 
8  Properzio,  II,  13,  al. 
3  Orazio,  5-1^,  I,  9,  21-25,  e  43-59. 

i  Sat..  I,  9,  (il,  I,  10,  83  e  segg.,  II,  8,  19-22,  Episl...  I,  3,  G,  e  I,  10,  1 
^  Minio,  XXV,  2.    Di  lui  e  delle  suo  opere,  vedi  Weichort  in  Poetarum  Lati»,  reli- 
quiae^  pag.  203-210,  e  Unger,  De  C.    Valgii  Ru/i  poemalis  conimcntatiOj  Halle  ItjlS. 
c  Donato,  Virgil.  vita.  06. 


Gap.  T.]  PROPERZIO.  153 

cantore  delle  guerre  di  Azzio  e  di  Alessandria  ('');  e  Ma- 
nilio che  scrisse  il  nome  di  Augusto  in  testa  a  un  poema 
inteso  a  cantare  l'influenza  degli  astri  sulle  umane  sorti, 
e,  con  Cesare  tornato  alle  native  sedi  degli  Immortali, 
celebrò  lui  principe  e  invitto  padre  della  patria  e  desti- 
nato a  oscurare  tutti  gli  astri,  e  a  divenire  nel  cielo  il 
più  grande  dei  Numi  ('').  Una  brigata  di  poeti  accompa- 
gnava Tiberio  alla  guerra  per  celebrarne  le  imprese  ^, 
Non  mancavano  anche  i  censori,  e  loro  presidente  fu 
Mezio  Tarpa,  lodato  per  gran  critico  dai  poeti  di  corte, 
e  incaricato  dal  principe  di  rivedere  i  componimenti  tea- 
trali ,  e  fors'  anche  le  opere  degne  di  entrare  nella  bi- 
blioteca d'Apollo  2. 

Ma  fra  tanti  cantori  dell'Impero,  e  d'Awgusto  e  di  tutta 
la  imperiale  famiglia,  ninno,  dopo  Virgilio  e  Orazio,  giunse 
a  noi  più  famoso  di  Properzio,  di  Tibullo  e  di  Ovidio. 

Sesto  Aui-elio  Properzio  nato  nell'Umbria  (705-739  circa) 
e  spogliato,  come  Virgilio,  dei  suoi  campi  dalla  guerra  ci- 
vile 3,  era  venuto  a  Roma  per  far  l'avvocato;  ma  in  breve, 
tratto  dall'amore  dei  versi,  lasciò  i  rumori  del  Fóro,  e  in 
molli  elegie  cantò  le  sue  donne.  Presto  fu  conosciuto  e 
accolto  anch'egli  ai  conviti  di  Mecenate.  Lo  festeggiarono 
come  adatto  a  rendere  popolare  il  nome  del  principe, 
quando  volesse  destramente  inserirlo  nei  suoi  versi  leg- 

C)  Velleio.  II,  30;  Seneca,  De  Benef.,  VI,  3,  1;  Ovidio,  Eo:  Ponto,  IV, 
16.  5.  A  questa  composizione  si  riferiseono  forse  i  frammenti  trovati  a 
Ercolano.  Vedi  Weichert,  loc.  cit.,  p.   157-164. 

(*)  Manilio,  Astronomicon,  I,  7-10,  e  444-446,  923-924,  II,  509,  IV,  57-63 
e  931-933.  Fra  tutti  costoro  si  ricorda  anche  un  Gracco  scrittore  di  tra- 
gedie, e  un  Procolo  imitatore  di  Callimaco.  Ovidio,  Ex  Ponto,  IV,  16,  31 
e  32;  Weichert,  loc.  cit..  pag.   108. 

i  Orazio,  Epist.,  I,  3,  6  e  segucnii. 

2  Cicerone,  Ad  Famil.^  VII,  1,  1;  Orazio,  Sol.,  I,  10,  3S,  Epht.  ad  Pisones.^  SS.?; 
Lauge,  De  censoribus  veterum  liUerariis,  loiiae  17j3,  iiajr.  XXVII;  Walckenaer,  Hi- 
stoire  de  la  vie  et  des  poésies  d'Horace,  I,  iOS. 

3  Properzio,  IV,  1,  129-130. 


154  PROPERZIO.  [LiB.  VII. 


gieri,  che  andavano  per  le  mani  dei  giovani  e  delle  donne 
galanti.  Poi  speravano  da  lui  anche  cose  maggiori:  ed 
egli  commosso  dalle  cortesie  del  ministro  si  messe  nella 
schiera  dei  lodatori.  Mecenate  lo  eccitava  a  lasciar  da 
banda  i  perpetui  argomenti  di  amore,  e  a  celebrare  in 
più  alto  stile  la  gloria  d'Augusto.  Properzio  rispondeva  : 
Questo  è  troppo  gran  carico  per  1^  mie  deboli  spalle. 
Tentai,  come  Ennio,  di  cantare  i  re  e  le  battaglie,  ma 
Apollo  con  mal  viso  mi  distolse  dal  folle  tentativo.  11  mio 
ingegno  è  fatto  per  le  cose  leggiere  ;  ognuno  ha  da  na- 
tura le  sue  inclinazioni;  io  seguo  le  mie,  e  in  questo 
imito,  0  Mecenate,  la  tua  temperanza.  Tu  protresti  levarti 
in  fama  come  uomo  di  toga  e  di  spada,  ma  per  singoiar 
modestia  ti  stai  .lungi  dagli  ambiziosi  rumori,  e  sei  pago 
di  mostrare  la  tua  fedeltà  ad  Augusto,  la  quale  sarà  no- 
bile monumento  della  tua  gloria,  mentre  la  continenza 
ti  renderà  famoso  al  pari  di  Cammillo. 

Le  scuse  ingegnose  e  adulanti  chiamavano  altre  pre- 
ghiere, dopo  le  quali  il  poeta  scrisse,  che  il  patrocinio' 
di  Mecenate  gli  sarebbe  di  gloria  in  vita  e  in  morte,  che 
le  parole  di  lui  gli  facevano  più  grande  e  più  gagliardo 
l'ingegno,  e  che  perciò,  quantunque  si  sentisse  tremare 
all'ardua  impresa,  tenterebbe  tutto  ciò  che  fosse  in  grado 
al  potente  protettore.  Se  l'età  prima,  egli  diceva,  cantò 
gli  amori,  l'ultima  canti  le  guerre;  se  a  celebrare  Au- 
gusto e  Mecenate  mi  verranno  meno  le  forze,  avrò  glo- 
ria dalla  stessa  audacia,  perchè  nelle  cose  grandi  è  assai 
lode  il  volere.  E  messosi  in  grave  contegno  tentò  più 
sublimi  carmi,  ridisse  le  guerre  di  Filippi,  di  Perugia, 
di  Siciha,  i  trionfi  d'Azzio  e  d'Egitto,  le  conquiste  d'O- 
riente; magnificò  il  valore  guerresco  d'Augusto,  pianse 
la  morte  di  Marcello  ^,  celebrò,  colle  sue  voluttà,  i  primi 


'  Properzio,  II,  16,  37-12,  IH,  3,  i:?-17,  III,  4,  1  e  sogg.,  IK.'J,  1-3-i,  IH,  11,31-72,  III, 
18,  IV,  »,  11-91. 


Gap.  I.]  PROPERZIO.  155 

tempi  di  Roma,  e  aspirando  a  essere  il  Callimaco  ro- 
mano *  fece  splendide  elegie ,  le  quali  sono  anche  affet- 
tuose, quando  le  allusioni  e  la  soverchia  mitologia  non 
gU  raffreddano  l'ispirazione  poetica. 

Egli  va  carico  di  erudizione  nei  gravi  argomenti  come 
nelle  cose  d'amore,  né  sa  piangere  le  sciagure  di  Roma 
senza  ricordare  i  dolori  d'Andromaca,  e  le  calamità  della 
casa  di  Laio  ;  e  per  troppe  allusioni  spesso  si  fa  oscuro 
e  pesante.  Ma  spesso  usa  bene  anche  le  storie  e  le  fa- 
vole, fa  quadri  pieni  di  vita  e  di  grazia;  è  variato  di  stile 
e  di  imagini ,  e  si  inalza  anche  all'energia  della  lirica. 
Mostra  ingegno  capace  di  opere  grandi,  quando  si  prova 
a  sposare  la  poesia  alla  leggenda  storica  dei  primi  tempi 
di  Roma,  e  quando,  lasciato  l'orpello  dell'erudizione  greca, 
esprime  schiettamente  le  sue  simpatie  e  le  sue  antipatie 
nazionali.  Con  affetto,  e  con  versi  patetici  e  semplici 
ritrae  le  bellezze  della  natura  contemplate  in  gioventù 
nelle  valli  e  nei  monti  dell'Umbria  nativa  ricca  di  pa- 
scoli e  di  nitidi  bovi,  e  celebra  Mevania  (Bevagna)  coi 
suoi  pingui  campi ,  e  il  fiume  Clitunno  colà  adorato  in 
un  tempio  (");  e  con   amore   cerca  pace  ai  suoi  dolori 

(«)  Properaio,  II,  19,  25,  III,  22,  23,  IV,  1,  121  e  segg.  Vedi  anche 
Virgilio,  Georg.,  II,  145,  e  Sei^vio,  ivi;  Giovenale,  XII,  13;  Stazio,  Silv., 
I,  4,  228;  Silio  Italico,  IV,  546.  Plinio  {Epist.,  Vili,  8)  parla  a  lungo  del 
Clitunno  e  del  tempio  a  lui  sacro.  Il  Clitunno,  egli  dice,  sgorga  per 
molte  vene  da  un  piccolo  colle  boscoso  e  opaco  per  antichi  cipressi,  e 
appena  sgorgato  forma  un  limpido  e  cristallino  lago,  d'onde  esce  amplis- 
simo fiume  capace  anclie  a  regger  le  navi  [etiam  navium  paiiens),  colle 
rive  coperte  di  pioppi  e  -di  frassini.  Quivi  sorge  un  antico  e  venerabile 
tempio  in  cui  sta  in  piedi  lo  stesso  Clitunno  ornato  di  pretesta:  e  gli 
oracoli  annunziano  la  presenza  del  Nume  fatidico.  All'intorno  vi  sono 
|v  edicole  ad  altri  Numi  minori ,  e  ville  lungo  le  amene  sponde.  Augusto 
K;     donò  il  luogo  agli  Ispellati.  i  quali  a  spese  pubbliche  accolgono  i  visita- 


Properzio,  III,  1,  1-4,  IV,  1,  63-64;  Hertzberg,  De  Propertio  Calììmachi  et  Philetac 
imitatore^  Halberstadt  1833,  e  Unger,  Analecta  Philetaea  et  Propertiana^  Neubranden- 
burg  1850. 


156 


PROPERZIO, 


[LiB.  VII. 


nei  silenzi  della  solitudine,  e  narra  ingenuamente  le  pene 
dell'animo  agli  amici,  ai  sassi  e  ai  tronchi,  e  insegna 


alle  aure  a  ripetere   un   amato  nome,  e  in  mille   modi 
canta  le  bellezze  e  gli  amori  di^Cinzia  ("). 

Properzio  va  congiunto   in  tutte  le   menti   a   Tibullo. 


tori,  che  .«lille  colonne  e  sulle  pai'cti  celobrnno  con  loi'o  «critture  il  fonti' 
e  il  suo  Nume. 

Del  tempio  rimangono  ancora  i  vestigii  tra  Spoleto  e  Foligno  nel  luogo 
detto  Le  "Vene.  Vedi  Y Albimi  di  Roma,  voi.  XV,  pag.  385,  e  Davies,  The 
Pilgrimaf/e  of  the   Tiber,  London  1873,  pag.  3i)3. 

(")  Vedi  Hertzberg,  De  S.  Avrelii  Properiii  amicitiis  éf  amorìì>us, 
Halae  1835;  Carutti,  Saggio  critico  intorno  a  Properzio  e  a  una  nuova 
edi.~Aone  della  Cinzia,  Torino  18G8.  Un  bello  studio  su  Properzio  e  gli 
uomini  di  lettere  del  secolo  d'Augusto  è  nella  ^Yes(minsier  Revieio 
<iel  1854.  Sul  nome  e  sul  tempo  clie  visse  Properzio  vedi  Teuffid,  Rumiseli. 
Litlerai..  230,   1. 


Gap.  I.]     TIBULLO  UNICO  NEL  NON  PIEGARSI  AI  POTENTI.  157 

Ambedue  stettero  principi  della  romana  elegia;  ambedue 
cantarono  soavemente  gli  amori  e  le  donne.  Properzio 
ebbe  maggiore  l'ingegno,  Tibullo  l'affetto,  espresso  con 
pili  verità,  con  più  naturalezza,  con  piii  grazia,  con  stile 
più  puro.  Tibullo  non  imita  nessuno,  non  scrive  per  de- 
siderio di  gloria,  ma  a  sfogo  del  cuore.  Quindi  la  facile 
e  naturale  espressione,  che  il  delicato  gusto  non  lascia 
cader  mai  nel  triviale.  L'ingenuo  sentimento  gli  detta 
parole  di  facilità  graziosissima ,  e  versi  che  hanno  la 
dolcezza  del  suono  del  flauto. 

Albio  Tibullo  (700-735)  di  animo  candido  e  debole  fu 
vittima  dei  capricci  donneschi  di  Delia  e  di  Nemesi  K 
Si  rassegnava  a  non  esser  nulla  in  sua  casa,  e  compor- 
tava che  la  sua  donna  vi  fosse  regina  e  tiranna.  Tutto 
soffriva  a  patto  di  avere  amore:  l'amore  fu  la  grande  fac- 
cenda e  il  supremo  pensiero  della  sua  vita.  Ma  sebbene 
si  arrendesse  a  tutte  le  più  strane  fantasie  delle  donne, 
ebbe,  sotto  altri  rispetti,  dignitoso  sentire  ;  e  nel  tempo 
in  cui  si  avvilivano  tutti,  egli  non  si  piegò  ad  adulare  i 
potenti,  che  anche  a  lui  avevano  assottigliato  il  patri- 
monio. Celebrò  nei  versi  l'amico  Messala  con  cui  avea 
militato,  ma  non  ebbe  parole  di  lode  per  altri;  e  in- 
vano Orazio  lo  invitava  a  rallegrarsi  venendo  a  veder 
lui  grasso  13  or  co  di  corte;  invano  gli  diceva,  che  un  uomo 
com'egli,  bello  della  persona,  nobile  d'animo,  amato  e 
avuto  in  pregio  da  tutti,  e  ricco  d'ingegno  e  di  lingua 
capace  a  manifestare  gli  affetti  del  cuore  ^^  aveva  ragione 
di  tenersi  felice,  e  dovea,  lasciata  la  solitudine,  vivere 
lietamente  tra  gli  uomini.  Egli  si  rimase  a  cantare  meste 
elegie  nella  solitudine  delle  selve,  e  imprecando  alla 
guerra  e  invocando  la  Pace  ministra  di  prosperità  e  di 
letizia  celebrò    gli   Dei  rusticali  e  le  feste  e   i  sacrificii 

'  Per  esse  vedi   Dietericli,   De  Tihulli  amoribus.  sive   de  Delia  et  JN'c-mes?^   Marburiii 
Cattoruin  1811. 
2  Orazio,  Epht.j  1,  4. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  20 


158 


OVIDIO. 


LiB.  VII. 


con  cui  gli  agricoltori  imploravano  messi  abbondanti  {")  : 
e  non  venne  mai  a  strisciare  ai  piedi  di  Augusto. 

Ma  il  nobile  esempio  non  ebbe  imitatori:  e  col  pro- 
cedere del  tempo  il  silenzio  di  Tibullo  fu  largamente 
compensato  da  Publio  Ovidio  Nasone  (711-770),  arden- 


Sacritìcio  agli  Dei  rusticali  [Montfaiicon^  Ant.  Exij!.^  Il,  pog.  190,  tab.  82). 

tissimo  nel  culto  del  principato  nascente  e  negli  inni 
cantati  alla  gloria  dei  Cesari ,  dai  quali  ebbe  in  ricom- 
penso un  amaro  esilio  in  barbara  terra. 

Era  nato,  come  dice  egli  stesso,  ai  '20  marzo  del  711 
di  antica  e  agiata  famiglia  equestre,  tra  gli  antichi  Pe- 
ligni  nella  fredda  Sulmona  ',  presso  alla  quale  per  tradi- 


(")  Tibullo,  I.*10,  H,  1.  Coni'.  Virgilio,  Ed.  V,  le,  ili,  77,  Georg,  J, 
345,  e  Festo  alle  voci  Opima  spolia  e  Ambarvalis.  Per  maggiori  parti- 
colarità sulla  vita  e  sui  versi  di  lui,  vedi  Spohn ,  De  A.  Tibùlli  vita  et 
r.arminibus ,  Lipsiae  1819;  Naudet,  Vie  de  Tibnlle,  ììeWa.  Biographie  Uni- 
versclle  ;  Oestling,  De  Albii  Tibulli  vita  et  canninibus  quaestiones, 
Upsala  1860;  Wisser,  Quaestiones   Tibullianac.  Kiliae  1870. 

1  Tri^t.,  IV,  10,  3,  13-11,  Fas.t..  IV,  81,  Ex  Ponto.  IV,  S,  17-18,  IV,  11,  19,  Amor.. 
II,  1,  1,  II,  10,  I,  III,  15,  3,  5-G,  11-11. 


Gap.  L]  OVIDIO.  159 

zione  lunga  e  costante  si  chiamano  Villa  d'Ovidio  i  ru- 
deri di  un  edifìcio  romano  dove  il  volgo  crede  siano 
nascosti  grossi  tesori,  che  Ovidio  stesso  con  suoi  incan- 


Ruderi  dull'antico  edilicio  detto  ^'illa  d'Ovidio  presso  a  Sulmona  {Da  Fologra/ìa). 

tesimi  fa  custodire  da  serpenti,  da  lupi,  da  orsi,  da  leoni, 
e  da  tigri  (").  A  Roma  fu  istruito  dai  più  lodati  maestri. 


(a^  Vedi  la  Gazzetta  di  Sulmona  dei  18  luglio  1874  ove  il  Prof.  An- 
-toaio  De  Nino  descrive  questo  edifizio  situato  presso  l'eremo  di  S.  Onofrio, 
primo  abituro  di  colui  che  fece  per  viltacle  il  gran  rifiuto^  e  accenna 
le  strane  opinioni  volgari  intorno  ai  tesori  nascosti. 

Le  fonti  principali  della  vita  d'Ovidio  sono  i  versi  in  cui  egli  parla 
del  suo  luogo  natale  nel  paese  degli  acquosi  Peligni,  dei  suoi  gusti,  dei 
•suoi  amici,  e  dèlie  sue  tristi  avventure.  Tra  gli  antichi  che  ne  ricorda- 
rono gli  studi,  l'ingegno,  le  disgrazie  e  i  costumi,  vedi  Seneca,  Nat. 
Quaest.,  Ili,  27,  e  Seneca  retore,  Controv.,  II,  10,  V,  33,  e  Eo:cerpt.,  IX, 


160  OVIDIO.  [Lio.  VII. 


ed  ebbe  confortatore  agli  studi  Valerio  Messala,  l'amico 
di  Tibullo.  11  padre  voleva  farlo  avvocato;  ma  la  vinse  la 
natura,  che  lo  aveva  fatto  poeta  *.  Compiti  gli  studi,  se- 
condo l'uso,  ad  Atene,  e  visitate  per  sua  istruzione  le 
città  famose  dell'Asia,  e'ntrò^nella  carriera  dei  pubblici 
onori,  ed  aveva  aperta  la  via  al  Senato;  ma  presto  posta 
giù  ogni  ambizione,  e  fermo  a  non  prostituire  la  voce 
nel  Fóro  e  a  non  spegnere  l'ingegno  in  cose  vane  e  in- 
gloriose, si  détte  tutto  alla  poesia  che  è  sola,  come  egli 
dice,  opera  immortale,  e  vince  la  potenza  e  i  trionfi  dei 
re  ^.  Cantò,  come  gli  altri,  i  suoi  amori  e  le  sue  voluttà; 
celebrò  le  bellezze  di  Corinna,  e  ritrasse  i  costumi  delhi 
città,  in  cui  era  Nume  potente  il  denaro,  e  si  vendevano 
caramente  anche  la  bellezza  e  gli  affetti.  Mostrava  ricca 
vena  d'ingegno,  abbondanza  spontanea,  grazia  e  argu- 
tezza di  versi;  e  tutti  lo  salutarono  sommo  poeta.  Ed  egli 
continuando  per  la  sua  via,  scrisse  in  versi  delVAì^te  di 
fare  alV  amore,  e  dette  strani  precetti,  che  attestano  la 
profonda  corruzione  della  città  in  cui  Augusto,  secondo 
i  poeti  di  corte,  aveva  ricondotto  i  buoni  costumi.  Calzò 
anche  il  coturno,  e  dettò  la  Medea,  celebrata  come  un 
capolavoro  dai  critici  antichi  3;  scrisse  le  EróicH,  lettere 

5;  Velleio  Patercolo,  II,  36;  Quintiliano,  IV,  1,  77,  Vili,  5,  G,  X,  8,  88. 
93  e  98;  Svetonio,  De  illustr.  Gramm.,  20;  Marziale,  l,  62,  III.  38,  V,  10, 
Vili,  63;  Aurelio  Vittore,  Epit,  I,  27;  Sidonio  Apollinare,  Carm.,  XXIIl, 
157-159:  e  tra  i  tanti  moderni  che  scrissero  di  lui,  vedi  Masson,  Ovidii 
vita  ordine  chronologico  sic  delineata  ut  poetae  fata  et  opera  veris  assi- 
gnentur  annis ,  Amstelodami  1708;  Rosmini  (Carlo),  Vita  d'Oddio  A"a- 
xone,  Ferrara  17S9,  Rovereto  1795,  e  Milano  1821-,  Lòrs,  De  P.  Ovidii 
Nasonis  fdia,  Bonnae  1833;  Kocli,  Pro.sopographiae  ovidianae  elementa, 
Breslaviae  1865;  Reichart,  Die  sitiliche  Lebensanschauung  des  P.  Oci- 
diiis  Naso,  Potsdam  1867. 

1  Seneca,  Controv.,  H,  10;  Ovi.lio,  Ex  Ponto.   I,  ~,  27-3i),  II,  2,  !I9-100,  TriKt.,   IV,  1(1, 
15-10,  Amor..   I,  15,  5-6. 

2  Amor.,   I,  15,  1-34,  IH,  9,  17-3?,  Trist.,  1,2,77,  II,  93,  IV,  10,  33,  Ex  Ponto.   II,  10, 
21,  Fast..   IV,  38»,  e  VI,  417. 

3  Quintiliano,  X,  1,  98;  Tacito,  Dialog.  De  Oratt..  12;  Ovidio,  Ajjìoì-.,  HI,  1,  29-30. 


Gap.  I.]  OVIDIO.  161 

amorose  delle  antiche  eroine  ai  loro  amatori,  e  la  grande 
opera  della  Metamorfosi ,  racconto  stupendo  di  tutte  le 
trasformazioni  delle  cose  e  degli  esseri  animati  dal  caos 
lino  al  cambiamento  di  Cesare  in  astro;  cominciò  i  Fa- 
sti, calendario  astronomico  e  storico  in  versi  elegiaci,  e 
fece  altre  cose  minori.  Egli  era  già  lungi  dalla  verità , 
dalla  bellezza  e  dalla  castità  virgiliana.  Le  sue  opere  fa- 
cevano sentire  le  intemperanze,  i  giuochi,  e  i  concetti 
della  scuola  dei  retori  frequentati  nei  suoi  primi  anni  ; 
ma  per  ingegno  fecondo,  e  per  ricchezza  di  leggiadre 
fantasie,  per  abbondanza  e  facilità,  e  sveltezza  e  lina  arte 
e  grazia  di  eloquio,  apparve  il  poeta  più  grande  degli 
ultimi  tempi  d'Augusto.  L'amabile  indole,  lo  spirito  ar- 
guto e  la  facile  vena  lo  resero  caro  a  magistrati,  a  dotti, 
a  donne  galanti,  a  giovani,  a  vecchi,  a  poeti  piccoli  e 
grandi  1.  Perciò  fu  festeggiato  alla  corte,  e  Augusto  gli 
mostrò  affetto  d'amico.  Andava  celebrato  come  il  re  della 
romana  elegia  2,  ed  era  il  poeta  di  moda  che  agli  amori 
e  ai  precetti  de\Y  Arte  di  amare  intrecciava  le  lodi  di 
Augusto  e  della  casa  imperiale;  e  nelle  Metamorfosi  e  nei 
Fasti  al  canto  delle  tradizioni  antiche  e  delle  feste  della 
religione  romana ,  univa  sempre  inni  ardenti ,  e  lodi  di 
santità  e  di  giustizia  divina  ai  padroni  ^,  nell'atto  che 
essi  meditavano  contro  di  lui  una  enorme  scelleratezza. 
Da  giovane  aveva  sposato  e  ripudiato  due  mogli:  poscia 
si  unì  a  una  donna  che  andava  gloriosa  e  superba  di  lui, 
e  gli  rimase  fedele  e  amantissima  nella  buona  e  nell'av- 
versa fortuna  ■''  :  ed  egli  lasciato  il  folleggiar  giovanile  e 
l'amor  che  si  pasce  di  lascivia  e  di  crapula  viveva  lieto  di 


1  Trist..  IV,  10,  41-00,  V,  3,  5  e  47-53,  Amor.,  II,  17,  28,  Ex  Ponto,  I,  l,  13  e  segg.. 
Ili,  5,   13-41,  IV,  2,  1  e  segg.,  IV,  3,  1(3;  Svetonio,  De  illustr.  gramm.,  20. 

-  Ovidio,  Remed.  am..  395. 

3  Amor.,  1,  2,  £0-52,  II,  14,  17-lS,  UT,  S,  51  e  111,12,  15,  De  arte  ani.,  I,  171  e  segg., 
Hemed.  amor.,  153-156,  Fast.,  I,  1-26,  531-530,  590-600,  II,  13?-144  e  637,  III.  124, 
419-426,  IV,  919-951  e  675,  V,  567-596,  VI,  455,  Met.,  XV,  716  e  segg.  e  465-170. 

i  Trist.,  IV,  10,  69-73,  Ex  Ponto,  II,  11,  13-18. 


162  OVIDIO.  [LiB.YII. 

onesti  studi  e  di  puri  affetti  domestici  tra  i  cari  figliuoli, 
e  una  figlia  nobile  d'ingegno  e  di  animo  da  lui  educata  al- 
l'arte dei  versi  quando,  ai  20  novembre  del  703,  gli  cadde 
addosso  una  cruda  sentenza  d'eolio.  Augusto  dispotica- 
mente lo  relegava  nelle  inospitali  terre  di  Scizia  pei  suoi 
versi  deWArte  di  amare;  motivo  che  suonava  come  un  cru- 
dele scherno,  perchè  quel  libro  era  stato  scritto  più  tempo 
avanti,  né  aveva  dato  motivo  a  lamenti,  né  tolto  per 
dodici  anni  i  favori  di  corte  al  poeta.  Ma  non  vi  era 
scampo  dal  volere  dell'  onnipotente  padrone.  11  misero 
dovè  immediatamente  lasciare  la  patria,  la  diletta  moglie 
e  tutte  le  dolcezze  domestiche,  per  andare  a  morire  a 
Tomi  nella  barbara  terra  del  Ponto.  Egli  descrisse  a  lungo 
gli  orrori  della  partenza,  i  travagli  del  viaggio,  e  il  crudo 
martirio  di  quella  sua  stanza.  Nelle  lunghe  elegie  scritte 
dall'esilio  parlò  in  mille  modi  della  sua  grande  infelicità, 
ma  tacque  della  causa'  che  lo  aveva  sprofondato  in  tanta 
miseria.  Disse  solo  che  era  punito  per  aver  veduto  un 
delitto  non  suo,  ma  non  sappiamo  qual  fosse,  ed  è  vano 
cercarlo  {").  Egli  si  sentiva  innocente  ;  ma  per  mitigare  la 
cruda  ira  del  principe  confessò  di  meritare  la  pena  avuta, 
e  continuò  a  lodare  enfaticamente  i  suoi  persecutori  im- 
placabili. Disse  che  meritava  anche  di  perdere  la  vita, 
se  non  avesse  avuto  a  fare  colla  benignità  di  un  principe 
più  clemente  di  Giove.  E  quando,  dopo  infinite  e  vili  e 
vane  preghiere,  sentì  la  morte  di  Augusto,  compose  in 
lode  di  lui  un  poema  nella  lingua  dei  Geti,  gli  inalzò 
altari  nella  sua  casa,  gli  faceva  sacrifizi  ogni  giorno,  e 
lo  venerava  insieme  colle  imagini  di  Tiberio  e  di  Livia, 
per  indurre  i  vivi  a  fargli  la  grazia  non  avuta  dal  morto. 
•È  una  pietà  riandare  tutto  ciò  che  egli  disse  di  tutti  i 
suoi  carnefici,  e  vedere  quanto  la  sventura  avvilisse  il  suo 

(")  Sulle  ricerche  fatte  tante  volte  per  iscoprire  il  segreto,  vedi  i  miei 
^tiali  svila  letteraliira  latina,  Torino  1871,  pag.  420-421. 


Gap.  I.] 


OVIDIO. 


163 


animo.  Ma  nulla  valse  a  mutargli  né  a  rendergli  l'esilio 
più  mite.  Morì  a  Tomi  (770)  nella  inospitale  regione  del 
Ponto:  anche  le  sue  ossa  rimasero  in  esilio  tra  i  barbari, 
né  poterono  illustrare  il  grande  sepolcro  dei  Nasoni  che 


Sepolcro  dei  Nasoni  [BartoU). 


ancora  rimane  scavato  nella  rupe,  prossimo  ai  giardini 
ovidiani  ("),  sulla  via  Flaminia  a  quattro  o  cinque  miglia 


(«)  ....  qiios  piniferis  'positos  in  collibus  hortos 

Spectat  Flaminiae  Claudia  iuncta  viae. 

{Ex  Ponto,  I,  8,  43-44). 


1G4  LE  LETTERE  AVVILITE  DAL  FAVORE  DEI  DESPOTL  [Lm.  VII. 

da  Roma,  ove  tra  molte  pitture  altri  credè  di  ritrovare, 
nella  nicchia  principale  di  contro  all'ingresso,  il  ritratto 
del  poeta  incoronato  di  lauro,  accanto  alla  Musa  che,  per 
quanto  poteva,  lo  consolò  nel  durissimo  esilio  (").  Comun- 
que sia,  la  storia  delle  sue  sciagure  rimase  a  mostrare 
qual  sorte  di  gente  fossero  questi  vantati  protettori  delle 
lettere,  a  cui,  come  fu  detto,  più  che  ogni  altra  cosa  si 
debbono  i  Tristi  di  Ovidio.  E  le  lodi  ardenti  date  ad  essi 
dal  poeta,  anche  quando  era  iniquamente  percosso,  ri- 
mangono ad  attestare  come  la  protezione  dei  despoti  e 
l'educazione  di  corte  servano  mirabilmente  a  gettare  i 
grandi  ingegni  nel  fango,  e  a  distruggere  tutta  la  dignità 
dell'anima  umana. 

Pure  Augusto  rimase  nelle  menti  degli  uomini  come  il 
tipo  dei  protettori  magnanimi,  come  l'educatore  e  quasi 
il  creatore  dei  grandi  ingegni,  che  nei  loro  canti  lo  tra- 
mandarono ai  posteri  splendido  e  perfetto  di  ogni  virtù. 
E  per  lui  furono  obliati  gli  altri  che  favorirono  gli  inge- 
gni e  aiutarono  la  generale  cultura:  e  a  lui  protettore 
dei  poeti  come  dei  pantomimi,  perchè  gli  uni  e  gli  altri 
distraevano  gli  animi  dai  pensieri  della  politica,  fu  dato 
tutto  il  merito  dello  splendore  letterario  venuto  dall'ec- 
citamento e  dall'educazione,  che  gli  ingegni  ebbero  negli 
ultimi  anni  della  Repubblica,  e  dalla  ragione  delle  cose 


(")  \'edi  Le  pitture  del  sepolcro  dei  Nasonii  nella  via  Flaminia  dise- 
gnate e  intagliate  alla  similitudine  degli  antichi  originali  da  Pietro 
Santi  Barioli,  e  illustrate  da  Giov.  Pietro  Bellori,  Roma  1680.  Conf. 
Bianconi,  Lettere  sopra  A.  C.  Celso,  pag.  200-201  ;  Guattani,  Monumenti 
Sabini,  voi.  II,  pag.  13-17,  e  Canina,  Edif.,  voi.  IV,  tav.  279. 

11  prospetto  del  sepolcro  che  diamo  .inciso  ù  quello  che  fu  veduto  e 
disegnato  dal  Bartoli  nel  1675  al  momento  stesso  della  scoperta  occa- 
sionata dal  taglio  della  rupe  che  si  fece  nell'intento  di  procacciar  ma- 
teria pel  risarcimento  della  via  Flaminia,  come  apparisce  anche  dai  la- 
voranti occupati  a  quell'opera,  dei  quali  furono  conservato ,  nel  diseguo, 
le  imagini. 


Gap.  I.]  LA  PROTEZIONE  D'AUGUSTO  E  LA  STORIA.  165 

e  dei  tempi  K  Né  la  verità  fa  oscurata  solamente  negli 
inni  poetici;  anche  i  narratori  di  storie  servirono  in  parte 
la  causa  del  fortunato  dominatore,  e  Tacito  poco  dopo 
ebbe  a  lamentare,  che  l'adulazione  crescente  avesse  sgo- 
mentati 0  guasti  anche  gli  ingegni  degli  storici  onesti  -. 

Difficile  era  scrivere  esattamente  e  veracemente  la 
storia,  dopoché  nell'ordine  nuovo  rimanevano  segrete  le 
cose  importanti,  le  quali  per  l'avanti  riferite  al  senato  e 
al  popolo  potevano  esser  sapute  e  scritte  da  molti  ^. 
Augusto,  come  tutti  i  dominatori  assoluti,  sentiva  offen- 
dersi gli  occhi  dalla  luce  pubblica,  e  si  circondò  di  mi- 
stero e  di  tenebre.  Lasciò  vivere  gli  atti  diurni  o  giornali 
che  non  potevano  nuocergli,  perchè  si  convertirono  in 
annunzi  di  nascite,  di  spettacoli,  di  fabbriche  nuove,  e 
di  altre  cose  di  questa  fatta  *;  ma  vietò  la  pubblicazione 
degli  atti  del  senato  ^,  e  si  adoperò  perchè  si  sapesse  e 
si  scrivesse  solamente  ciò  che  era  piacevole  a  lui.  Accolse 
alla  corte  gli  storici,  come  aveva  ricercato  i  poeti,  e  colle 
carezze  si  studiò  di  mitigare  i  severi  giudizi  di  quelli,  che 
meglio  poterono  conoscere  i  fatti. 

Alla  corte  fu  festeggiato  Tito  Livio  (695-770),  il  più 
splendido  e  il  più  grande  dei  narratori  romani.  Era  ve- 
nuto da  Padova  sua  terra  natale,  e  visse  la  più  parte  dei 
suoi  anni  a  Roma,  ove  fu  amato  dall'  imperatore  <*  e  da 
tutta  la  imperiale  famiglia.  È  ignoto  come  e  quando  la- 
sciasse la  patria,  e  quali  fossero  i  maestri  che  lo  dires- 

i  Bianconi,  Lt'?;(j)-e  sopra  A.  Cornelio  Celso ^  Roma  1779,  pag.  22-23  ;  Schey,  i3e  cawsjs 
quibìis  factum  esse  videatur  ut  o.pud  Romanos  Auguati  tempore  maxime  literae  fìo- 
rerent,  Amstelodami|§8S7,  cap.  II  o  iV. 

2  Tacito,  Aniiì^  I,  1  e  Hist.^  I,  1. 

3  Dione  Cassio,  LUI,  19. 

4  Svetonio,  Caes.^  20,  Tib.,  5,  Calig..  8;  Tacito,  Ann.^  Ili,  3;  LampriJio,  Commod.. 
15;  Le  Clero,  Bes  journaucc  che:  les  RomainSj  Paris  1838;  Lieberkuehn,  Commentatio 
de  diiirnis  Romanorum  actis^  Vimariae  1810;  F.enssen,  Ve  diurnis  aliisque  Roma- 
norum  actis^  (Jroningae  1856. 

5  Svetonio,  Aug.^  36. 

6  S.  Girolamo,  in  Euseb.  Cliron.,  ann.  60j  e  770;  Marziale,  1,  61,  3;  Plutarco,  Ces.. 
47;  Quintiliano,  I,  5,  56  e  Vili,  2,  3;  Tacito,  Annal.^  IV,  34;  Svetonio,  Claud.,  41. 

Van.nucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —   IV.  ?1 


166  TITO  LIVIO.  [LiB.  VII. 

sero  negli  studi  filosofici  e  letterari,  di  cui  détte  saggio 
in  più  dialoghi  e  in  una  lettera  al  figlio  sull'eloquenza  *. 
La  sua  vita  sta  tutta  nei  suoi  scritti  a  noi  pervenuti,  ove 
versò  largamente  gli  affetti  di  cui  aveva  pieno  il  cuore. 
Ed  è  bello  a  vedere,  come  dalle  carezze  dei  potenti  non 
si  lasciasse  indurre  a  maledire  o  a  obliare  i  vinti,  ad  ac- 
cettare tutte  le  opinioni  officiali,  e  a  fare  ingiuria  alla 
verità,  nel  tempo  in  cui  tutti  s'inchinavano  ciecamente 
ai  voleri  del  vincitore.  Semplice,  e  candido  e  nobile  d'a- 
nimo, amava  la  libertà  e  la  virtù  antica,  e  per  confortarsi 
dei  mali  e  delle  vergogne  del  tempo  suo  si  volse  a  con- 
templare il  maestoso  passato  di  Roma,  e  scrivendone  la 
storia  inalzò  alla  grandezza  romana  un  monumento  so- 
lenne, che,  sebbene  mutilato,  sopravvive  splendidamente 
alle  rovine  del  Fòro  e  del  Campidoglio. 

La  critica  moderna  cercò  con  lungo  studio  a  quali  fonti 
egli  attinse,  e  con  qual  diligenza  e  giudizio  seguì  i  più 
antichi  scrittori  delle  cose  romane  ^i  fu  notato  come  nelle 
origini  e  nei  tempi  primitivi,  o  per  fuggire  il  fastidio  delle 
aride  scritture,  o  per  qualsiasi  altra  ragione,  trascurò 
parecchi  documenti  che  rimanevano  anche  al  suo  tempo  ^. 
Fu  pure  avvertito,  che  non  avendo  egli  chiara  idea  della 
prima  costituzione  romana,  confuse  le  cose  vecchie  e  le 
nuove,  e  nei  tempi  antichi  non  seppe  dilucidare  troppo 
bene  i  pensieri,  né  circa  i  popoli,- né  circa  gli  Stati;  e  fu 
narratore  piacevole  delle  tradizioni  popolari,  non  storico 
guidato  dalla  luce  della  critica,   quantunque  non  possa 

1  Quintiliano,  X,  1,  39;  Seneca,  Epist.^  100,  8;  Lachmaiin,  D<;  fontibus  historiarum 
T.  Liviij  I,  pag.  105,  11,  pag.  66  e  81;  Kòhler,  De  T.  Livii  vili^eC  moribus^  Berolini 
1851  ;  Weingaertner,  De  T.  Livii  vita^  Bejolini  1852,  pag.  41  ;  Weisafiiborn,  De  Titi 
Livii  vita  et  scrlptis^  Lipsiae  1868,  nella  sua  nuova  edizione  di  Livio.  , 

2  Vedi  Kruse,  De  fide  Livii  reale  aestimanda,  Lipsiae  1812  ;  Lachmann,  De  fontibus 
hisloriarum  T.  Livii,  Gottingae  1822  e  1828;  Lucas,  Disputatio  de  ratione  qua  Liviux 
in  Libris  hist.  conscribendis  usus  est  opere  Polybiano,  Glogau  1851;  Kieserling,  De 
rerum  romanarum  scriptoribus  quibus  T.  Livius  usus  est,  Bjerolini  1858;  Tilliuanns, 
Qua  ratione  Livius  Polybii  historiis  usus  sit,  Bonnae  1860,  o  Peter,  Livius  und  Poly- 
hius.  Ilalae  1863. 

3  Vedi  sopra,  voi.  I,  pag.  683. 


I 


Gap.  1.]  TITO  LIVIO.  167 

muoversi  dubbio  sulle  sue  intenzioni  di  essere  schietto 
narratore  del  vero.  E  che  quindi  il  confronto,  che  gli 
antichi  fecero  di  lui  con  Erodoto,  è  vero  per  quello  che 
riguarda  la  dolcezza  della  narrazione,  maravigliosa  in 
ambedue,  ma  non  per  lo  spirito  investigatore  e  osser- 
vatore da  cui  venne  somma  lode  allo  storico  greco  (''). 

Ma  non  vuol  darsi  a  lui  troppo  carico  di  ciò  che  non 
intese  di  fare.  Egli  non  volle  dare  come  storia  vera  le 
favole  poetiche,  e  seguendo  la  fama  senza  rispondere 
della  certezza  dei  fatti,  rivolse  ogni  cura  principalmente 
a  ritrarre  con  amabile  candore  ciò  che  si  narrava  delle 
origini  della  città,  delle  virtù  e  dei  prodigii  dei  primi 
tempi:  e  nello  scrivere  le  cose  antiche  sentiva,  come 
egli  dice,  farsi  antico  anche  l'animo*,  e  teneva  quasi 
obbligo  di  patria  religione  riferire  ingenuamente  le  ma- 
raviglie che  ebbero  tanta  parte  alla  grandezza  di  Roma. 
Ricco  d'imaginazione  poetica  vesti  di  splendidi  colori  le 
vecchie  tradizioni,  e  intendendo,  come  i  più  dei  narratori 
antichi,  a  fare  della  storia  un  insegnamento  morale,  usò 
tutti  i  partiti  dell'eloquenza  più  adatti  a  riscaldare  gli 
animi  e  ad  eccitare  i  nobili  affetti.  Ritrasse  il  grande  spet- 
tacolo del  sorgere,  del  crescere,  e  dall'ampliarsi  di  Roma, 
mostrò  per  quali  vie  e  con  quali  arti  giungesse,  superati 
gli  ostacoli  esterni  ed  interni,  alla  dominazione  suprema; 
e  come  giunta,  coi  buoni  costumi,  colla  parsimonia,  e  con 

"(")  Niebuhr,  Hist.  Rom.,  introduzione,  e  Lectures  on  the  Jiistory  of 
Rome,  III,  pag.  LVII.  In  una  opera  recente,  premiata  dall'Accademia 
francese,  Livio  fu  largamente  e  sapientemente  studiato  sotto  il  rispetto 
della  critica  storica,  dell'arte  e  dell' eloqiienza.  Vedi  Taine,  Essai  sur 
Tite  Live,  Paris  1856.  Della  sua  grande  eloquenza,  della  mirabile  gio- 
condità nel  racconto,  e  ^ella  su-a  eccellenza  nell' esporre  gli  affetti  più 
dolci,  parlarono  tra  gli  antichi  Tacito,  Agric,  10,  e  Annal.,  IV,  34; 
Seneca,  De  Ira,  I,  20;  Seneca  retore,  Snasor.,  6;  Quintiliano,  II,  5,  19, 
Vili,  1,  3,  X,  1,  32  e  101. 

1  Livio,  XLITI,  13. 


\6i  TITO  LIVIO.  [LiB.  VII. 

tutte  le  forti  virtù,  alla  piìi  alta  delle  umane  grandezze, 
volgesse  al  precipizio,  ne  potesse  più  tollerare  ne  i  mali, 
né  i  rimedii.  Nel  seguire  queste  grandi  fortune,  e  il  cre- 
scere e  il  cadere  del  popolò,  intorno  al  quale  si  avvolge 
quasi  tutta  la  storia  del  mondo  antico,  fu  narratore  impa- 
reggiabile; caldo  d'affetti,  abbondante  di  lingua,  ricco  di 
stile  vivido,  florido  e  variato  di  colori  infiniti,  ora  ener- 
gico é  rapido,  ora  solenne  ed  impetuoso,  ora  ardente,  ora 
semplice,  dolce  e  pieno  di  grazia,  e  modello  dell'urbanità 
romana  nel  suo  splendore  elegante;  ora  ampio  e  magni- 
fico, quale  si  conveniva  a  ritrarre  il  primo  popolo  del 
mondo,  e  l'Impero,  come  egli  dice,  più  grande  dopo 
quello  degli  Dei.  Nella  lunga  serie  delle  guerre  esterne 
e  delle  contese  del  Fóro  ritrasse  con  stile  trionfale  le 
vittorie  e  i  trionfi,  descrisse  splendidamente  i  costumi, 
rappresentò  la  impetuosa  eloquenza  dei  tribuni  nelle  as- 
semblee popolari,  e  vide  e  dipinse  i  caratteri  vari  degli 
uomini  che  compariscono  nel  magnifico  dramma,  e  tutti 
i  personaggi  fece  parlare  a  seconda  dei  loro  affetti.  Dopo 
averlo  veduto  semplice  e  rapido  nelle  incertezze  dei  primi 
tempi,  tu  lo  ammiri  abbondante  e  magnifico  nella  tra- 
gedia decemvirale  e  nel  racconto  dell'uccisione  di  Vir- 
ginia che  col  suo  sangue  resuscita  la  spenta  libertà,  e 
le  infonde  nuovo  vigore;  nelle  guerre  Sannitiche,  e  nella 
invasione  di  Annibale,  ove,  facendo  rivivere  un'imagine 
della  virtù  e  della  libertà  dei  tempi  migliori,  riscalda  il 
racconto  e  lo  eleva  all'altezza  e  agli  effetti  della  grande 
eloquenza:  e  per  ciò  che  riguarda  la  hngua  ne  apparisce 
sempre  di  eleganza  e  di  proprietà  squisitissima,  quan- 
tunque fosse  ripreso  del  difetto  di  pafavinità  da  Pollione, 
la  quale  pare  che  stesse  in  certa  peregrinità  di  parole 
spiacevoli  alle  orecchie  romane  *.     * 

i  Quintiliano,  I,  5,  55-56,  Vili,  1,  2-3;  Morhof,  De  patavinitate  Livianay  Kiliae  1685; 
Eckard ,  De  C.  Asinio  PoUione  iniqìto  optimorum  latinitatis  atictortim  censore^  lenae 
1743,  pag.  CO;  Walch,  Historia  critica  lalinac  Unguae,  Lipsiao  1729,  pag.  188,  e  segg.; 
Wiedemann,  Quaiatio  de  Patavinitate  Limi ^  I-III,  Gorlitz  1818,  1851,  1855;  Wein- 
gaerlner.  De  T.  Livii  vita,  pag.  35,  e  segg.;  Tcuffel,  Gesch.  der  ròm  Litterat.^  241,  11. 


Gap.  I. 


TITO  LIVIO. 


169 


Fu  rimproverato  del  suo  troppo  amore  per  Roma,  che 
non  di  rado  gli  fece  vituperare  nei  nemici  le  tristizie  e 
le  insidie,  ammirate  e  lodate  nei  suoi*:  e  più  luoghi 
potrebbero  citarsi  a  prova  di  ciò  -.  Come  gli  altri  sto-- 
rici  romani,  egli  considerò  le  cose  dal  solo  lato  della 
grandezza  di  Roma,  ma  la  serenità    e  la   semplicità  del 


Uccisione  di  Virginiiv  (Scharj^  in  Macaulay^  Lays  of  ancient  Rome,  p.  V9). 

SUO  cuore  spesso  lo  salvò  dal  torcere  scientemente 
dal  vero,  e  piti  volte  gli  détte  la  calma  della  sapienza, 
che  inalza  la  storia  al  di  sopra  delle  piccole  passioni 
umane. 


1  Vedi  Joecher,  De  suspecta  Livii  fide,   cap.  Ifi  e  18    E   nel  Livio  dol  Drakenborch, 
Lugduni  Batavorum  1746,  voi.  VII. 

2  Vedi  tra  gli  altri,  II,  11,  25,  30,  V,  36.  VII    20.  IX,  12.  14,  18,  31,  X,  29,  43. 


170  TITO  LIVIO.  [LiB.  VII. 

Gli  antichi,  e  fra  questi  anche  Tacito,  lo  lodarono  per 
la  fede  imparziale  e  pel  candore,  con  cui  narrò  e  giu- 
dicò uomini  e  fatti  *.  E  per  queste  virtù  di  uomo  onesto 
e  di  grande  scrittore  ebbe  altissima  fama  anche  in  vita: 
e  il  suo  nome  suonava  sì  venerato  pel  mondo,  che  dalle 
Gallio  e  dall'ultima  Spagna  vennero  più  personaggi  espres- 
samente per  vedere  il  grand'uomo,  e  vedutolo  partirono 
da  Roma  senza  cercare  di  altro,  quasi  lo  stimassero  la 
sola  cosa  degna  di  esser  veduta  nella  città,  che  empiva 
del  suo  nome  la  terra  ^. 

La  sua  grande  opera  è,  come  tutti  sanno,  perita  nella 
massima  parte,  e  di  442  libri  ne  rimangono  soli  35  con 
qualche  frammento "3.  E  fra  le  tante  cose  che  mancano 
sono  anche  le  narrazioni  dei  tempi  suoi ,  che  megho 
avrebbero  potuto  dirci  fmo  a  qual  punto  lo  storico  salvò 
la  sua  imparzialità  e  la  sua  indipendenza  nel  discorrere 
degli  uomini,  di  cui  aveva  l'amicizia  e  i  favori.  Quan- 
tunque e  l'autorità  degli  antichi,  e  alcuni  passi  dei  libri 
rimastici,  nei  quali  allude  ai  suoi  tempi,  dicano  che  non 
cadde  in  bassezze,  è  mostrato  da  altri  luoghi  che  non 
potè  al  tutto  sottrarsi  alle  influenze  del  tempo,  e  alle 
necessità  in  cui  lo  poneva  il  suo  usare  a  corte.  Come  a 
ninno  è  possibile  camminare  pulitamente  nel  fango,  non 
è  dato  a  niuno  di  vivere  a  lungo  immacolato  tra  i  cor- 
tigiani, e  anche  l'animo  dell'uomo  più  puro  ne  contrae 
qualche  macchia.  Un  bel  frammento  di  Livio  sulla  morte 
di  Cicerone  ci  mostra,  che  egli  giudicò  liberamente  l'in- 
dole e  l'ingegno  dell'uomo  assassinato  dai  feroci  trium- 
viri; ma  ivi  odora  fortemente  di  corte  una  frase,  in  cui 
per  iscusare  l'infame  uccisione  del  grande  oratore  dice, 
che  potè  non  parere  sì  indegna^  perchè  non  fu  trattato 
dal  nemico  vincitore  più  crxidelmente  di  quello  che  egli, 

'  Tacito,  Ann.^  IV,  31;  Seneca,  Suasor.,  7. 

2  Plinio,  Epist.j  II,  3;  San  Girolamo,  Epist.  ad  Paullinum. 

3  Pei  frammenti  vedi  Hertz,  De  fragmentis  T.  Livii  commentatio,  Breslau  1S61. 


Gap.  I.]      TITO  LIVIO,  E  CLAUDIO  SCRITTORE  DI  STORIE.  171 


vìncendo,  avrebbe  fatto  al  nemico  (").  Anche  altri  luoghi 
mostrano  quanto  allora  fosse  diffìcile  fuggire  al  tutto  l'a- 
dulazione, che  veniva  necessaria  compagna  dei  padroni 
e  dei  servi;  mostrano  lui,  per  amore  del  principe,  con- 
tradicente  a  sé  stesso  C*);  quantunque  altrove  apparisca 
governato  da  nobile  amore  di  virtù  e  non  tema  di  opporre 
i  Romani  antichi  ai  loro  indegni  figliuoli,  anche  dopo  le 
riforme  fatte  da  Augusto,  e  celebrate  dai  poeti  come  rin- 
novatrici  della  buona  morale. 

Quanto  più  procedevano  i  tempi,  più  crescevano  le 
difficoltà  a  scrivere  la  storia  con  animo  indipendente. 
Augusto  che  già  scherzava  con  Livio  chiamandolo  Po7n- 
peiano^,  coli' invecchiare  divenne  più  difficile  e  più  so- 
spettoso, e  perseguitò  fieramente  i  libelli,  sicché  da  una 
parte  il  timore,  e  dall'altra  il  dovere  di  adulare  obbli- 
gavano gli  scrittori  di  storie  ad  essere  più  che  prudenti. 
E  allora  Livio,  probabilmente  per  queste  cagioni,  finì  il 
suo  lungo  racconto  alla  morte  di  Druso;  e  stimando  me- 
gUo  tacere,  che  dire  a  voglia  altrui,  confortò  Claudio  a 
scrivere  delle  guerre  civili  e  del  regno  di  Augusto.  E  il 
giovine  principe   scrisse,  ma  i  rimproveri  che  ne  ebbe 


(«)  Omnium  adversorum  nihil,  ut  viro  dignum  eratj  tulit  praeter 
mortem,,  quae  vere  aestimanti  minus  indigna  videri  potuit  j  quod  a 
vietare  inimico  nil  crudelius  passus  erat,  quain  quod  eiusdeni  fortunae 
compos,  ipse  fecisset.  Livio  in  Seneca,  Suasor.,  7. 

(*)  Livio,  IV,  20.  Vedi  anche  Perizonio,  Animadversiones  liistor.,  cap.7; 
Lachmann,  De  Fontibus  Histor.  Livii,  li,  pag.  74;  Egger,  Examen,  p.  100. 
Se  dai  brevi  argomenti  {Epitomae,  Periochae)  dei  libri  perduti  potessimo 
giudicare  di  ciò  che  aveva  fatto  l'autore,  dovremmo  credere,  che  in  qualche 
luogo  egli  affermasse  cose  negate  da  tutte  le  altre  testimonianze.  Nella 
guerra  di  Perugia,  ove  Ottavio  fece  tanta  strage  dei  vinti,  Tabbreviatore 
dice,  che  non  versò  stilla  di  sangue:  Perusiam  dirMÌt,  redactisqiie  in  po- 
testatem.  suaìn  omnibus  diversae  partis  exercitibus,  belhim  extra  ullum 
sanguinem  confecit.  Epiiom.,  126. 

1   Tacito,  Aìin.^  IV,  3J, 


172  MESSALA  E  POLLIONE.  [Lib.  VII. 

dalla  madre  e  dall'avola  *  mostrano  quanto  Livio  prov- 
vedesse bene  a  se  stesso,  lasciando  ad  altri  la  cura  di 
continuare  un'opera  resa  impossibile  dal  peggiorare  e 
dairinfierire  dei  tempi  2. 

Altri  pure  scrisse  storie; -chi  usando  a  corte,  chi  lon- 
tano da  essa;  alcuni  indipendenti,  altri  adulatori  servili. 

Fra  i  pochi  che  stettero  in  disparte  furono  M.  Valerio 
Messala  Corvino  (690-762)  e  C.  Asinio  Pollione  (679-758), 
due  uomini  che,  dopo  avere  aiutato  in  principio  la  rivo- 
luzione monarchica,  si  ritrassero  poscia  sdegnosi  che  le 
cose  andassero  al  di  là  dei  loro  pensieri;  simili  a  certi 
hberali  di  altri  tempi,  i  quali  per  distruggere  i  Repub- 
blicani si  unirono  coi  despoti,  da  cui  poscia  ebbero  il 
premio  di  essere  avvolti  nell'onta  del  comune  servaggio. 
Pure  la  vita  dei  due  Romani  fu  dignitosa  nei  brutti 
tempi,  in  cui  si  contaminavano  tutti.  Essi,  lasciato  ogni 
ufficio,  volsero  i  pensieri  agli  studi.  Messala,  che  già 
vedemmo  oratore  e  proscritto,  e,  dopo  aver  combattuto 
con  Bruto  a  Filippi,  aiutatore  di  Ottavio  alla  disfatta  di 
Antonio,  si  ritrasse  dalle  cariche,  quando  vide  che  la 
libertà  si  spengeva  affatto  sotto  le  mani  del  principe  ; 
e  cercò  conforto  scrivendo  poesie  erotiche  in  greco, 
narrando  i  casi  che  vide,  e  facendo  studi  di  lingua. 
Scrisse  i  fatti  del  primo  triumvirato,  compose  libri  sulle 
famiglie  romane,  e  trovò  anche  il  tempo  a  scrivere  un 
libro  intero  sulla  lettera  S.  Era  scrittore  nitido  ed  ela- 
borato ("),  e  nel  fatto  della  lingua  passò  per  inesorabile 
purista;  difese  ostinatamente  le  vecchie  tradizioni,  e  si 

(«)  Quintiliano,  I,  7,  23  e  35,  IX,  4,  38,  X,  1,  113,  XII,  10,  11,  Xil, 
11,  28,  ecc.;  Svetonio,  Aug.,  74;  Plinio,  Epist.,  V,  3;  Plutarco,  Bnit., 
40,  42,  45;  Weise,  De  Messalae  cita  el  studlis,  Berolini  1829.  Vedi  di 
lui  alcuni  frammenti  citati  in  Gelilo,  XIII,  14;  in  Macrobio,  Sat.,  I,  9:  in 
Plinio,  XXXIII,  3,  XXXIV,  3«,  XXXV,  2,  e  in  Seneca,  Conirov.,  II,  12. 

I  Svotonio,  daicd.j  41. 

'  Kpk'or,  loc.  cit.j  pag.  72  e  100. 


Cap.  1.1 


MESSALA. 


173 


burlò  dei  declamatori  come  non  parlanti  latino.  Fu,  come 
dicemmo,  l'eroe  di  Tibullo;  e  lui,  come  Pollione,  celebra- 
rono anche  i  poeti  di  corte  e  i  commensali  di  ^lecenate, 
col  quale  egli  non  potè  aver  mai  commercio,  per  la  troppo 
diversa  maniera  di  sentire  e  di  vivere.  Mori  vecchio  la- 
sciando un  figliuolo,  M.  Valerio  Messalino  Cotta,  che  ebbe 
il  vanto  di  essere  stato  il  primo  ad  arrostire  le  palme  dei 
piedi  delle  oche  e  ad  acconciarle  insieme  con  le  creste 
dei  polli,  come  il  figlio  di  Cicerone  restò  famoso  per  es- 
sere grande  tracannatore  di  vino  *  :  e  credasi  che  com- 


piesse per  sepoltura  del  padre  il  bel  monumento  marmo- 
reo di  cui  col  nome  di  Casal  Rotondo  rimangono  ancora 
parecchie  reliquie  presso  al  settimo  miglio  dell'Appia  (*). 

(")  Del  moìiumento  marmoreo  parla  due  volte  Marziale  (Vili,  3  e  X,  2). 
Tra  le  rovine  si  trovò  solamente  il  nome  di  Colta.  Canina,  Edifizii,  voi.  V, 
pag.  36,  e  voi.  VI.  tav.  39.  Vedi  anche  la  sua  Yia  Appia,  I,  pag.  145-156. 

»  Plinio,  X,  27,  e  XIV,  28. 
Vannucci  —  atoria  dell'Italia  antica        IV.  28 


174  POLLIONE.  [Lib.  VII. 

Pollione,  nato  di  gente  venuta  dal  paese  dei  Marrucini, 
scrisse  pure  la  storia  delle  guerre  civili,  nelle  quali  prese 
parte  al  principio,  e  di  cui  rimase  semplice  spettatore 
alla  line  *.  Naturalmente  dispiaceva  in  corte,  che  siffatto 
argomento  fosse  trattato  da -uomo  non  seguace  delle  opi- 
nioni di  Mecenate  e  del  principe.  E  perciò  Orazio,  nel- 
l'atto di  lodare  magnificamente  l'ingegno  dello  scrittore, 
lo  disapprovava  per  essersi  messo  ad  opera  piena  di  pe- 
ricolo 2.  Ottavio  gli  avea  scritti  contro  versi  satirici,  ed 
egli  rispose  con  uno  scherzo  dicendo,  che  non  voleva 
scrivere  contro  chi  poteva  proscrivere  3.  Era  dilettante  di 
belle  opere  d'arte:  fece  grandi  fabbriche  ricordate  come 
suoi  monumenti,  e  queste,  come  gli  Orti  Asiniani  posti 
tra  i  colli  dell'Aventino  e  del  Celio  ^,  adornò  di  più  capo- 
lavori dei  greci  scalpelli,  t»-a  i  quali  si  cita  il  gruppo  fa- 
moso di  Anfione,  di  Zeto,  e  Dirce  legata  al  toro,  che 
poscia  passò  alle  Terme  di  Caracalla,  e  oggi  col  nome  di 
Toro  Farnese  sta  tra  i  più  belli  ornamenti  del  Museo 
Nazionale  di  Napoli (").  A  suggerimento  del  principe  aveva 
restaurato  l'Atrio  della  Libertà  sull'Aventino  ove  colle 
spoglie  dei  Dalmati  fondò  una  Biblioteca  greca  e  latina 
che  fu  la  prima  aperta  in  Roma  a  uso  del  pubblico,  e  vi 
pose  le  imagini  degli  scrittori  ^.  Teneva  intorno  a  sé  poeti 
e  grammatici;  scrisse  lodate  tragedie  e  versi  amorosi, 
fece  molte  orazioni,  e  fu  il  primo  a  trovar  l'uso  di  legger 

(«)  Plinio,  XXXVr,  4,  10-13  e  21.  Sugli  Orti  Asiniani  vedi  Nibbj, 
Roma  antica,  II,  305-306,  e  Pellegrini  (in  Bull.  Istit.,  1867,  pag.  109. 
119)  il  quale  descrive  gli  scavi  fatti  nel  sito  di  essi,  e  le  case  ivi  trovate 
adorne  di  bellissime  pitture  e  di  preziosi  musaici. 

1  Svetonio,  Caes.,  30,  55  e  56;  Seneca,  Suassor..  6  e  7;  Valerio  Massimo,  VITI,  13,  4, 
ext.^  e  Snida  alle  voci  I\v).i:cy,  e  '.Ajf'yt'jf. 

2  Orazio,  Od..  II,  1,  1-8. 

3  Macrobio,  Sat..  II,  4. 

<  Frontino,  De  Aquaed..  21. 

5  Svetonio,  Aug..  29;  l'iinio,  Nat.  Hist..  VII,  31,  7,  XXXV,  2;  OTidio,  Trist.,  III,  1, 
71-72;  Isidoro,  Orig.^  VI,  5. 


Gap.  I.]  LO  STORICO  TIMAGENE.  175 

i  suoi  scritti  in  casa  agli  amici  prima  di  esporli  al  giu- 
dizio del  pubblico  *.  Fu  amaro  critico  delle  opere  altrui, 
divenne  acerbissimo  alla  fama  di  Cicerone,  di  cui  era 
stato  amico  da  giovane;  e  oltre  ad  accusare  di  jpatavinità 
Tito  Livio  riprendeva  Sallustio  di  troppa  affettazione  del- 
l'antico, mentre  egli  stesso  scrisse  arido  ed  affettato  cosi, 
che  pareva  piìi  vecchio  di  un  secolo  -. 

Per  fare  opposizione  al  principe  accolse  in  sua  casa 
lo  storico  Timagene,  cacciato  di  corte  per  sue  maldicenze. 
Questi  era  un  Greco,  stato  dapprima  schiavo  e  cuoco, 
e  portatore  di  lettiga,  poi  divenuto  amico  del  principe, 
e  scrittore  di  storie  e  gran  dicitore  di  motti  arguti  e 
maligni  che  correvano  tutta  la  città.  Parlava  liberamente 
d'Augusto,  diceva  male  di  Livia  e  di  tutta  la  casa  im- 
periale. Invano  ammonito  a  frenare  la  lingua  continuò 
le  sue  maldicenze,  e  fu  cacciato  di  corte.  Pollione  lo 
accolse  in  sua  casa  dove  invecchiò  :  ivi  lesse  le  sue  storie 
e  bruciò  la  parte  in  cui  aveva  narrato  i  fatti  del  prin- 
cipe, distruggendo  per  ira  le  lodi  scritte  quando  era  in 
favore.  Ne  la  disgrazia  gli  fece  chiudere  le  porte  di  ninna 
casa.  Seneca  afferma,  che  lo  accarezzavano  e  se  lo  ra- 
pivano tutti,  quantunque  si  mostrasse  nemico  di  Roma, 
e  dicesse  che  gli  dispiacevano  gli  incendii  solamente 
perchè  sapeva,  che  da  essi  la  città  sarebbe  risorta  piìi 
bella  3. 

Né  egli  era  il  solo  straniero  che  avesse  che  fare  col 
principe  e  coi  grandi.  Dalla  Grecia  e  dall'Asia  venivano 

1  Virgilio,  Ed..  Ili,  86,  Vili,  9-10;  Orazio,  Od.,  II,  I,  9-16,  Sat..  I,  10,  42;  Plinio, 
Epist.j  V,  3;  Seneca,  Controv.  Excerpt. .  Lib.  IV,  praef.  ;  Meyer,  Orat.  Romanor. 
fragm...  p.  329-336,  2"  ediz. 

-  Seneca,  Epist.,  100,  6,  Controv.  ExcerpC,  Lib.  IV,  praef.,  e  Suasor..  7  ;  Svetonio, 
Caes.  56,  e  De  illustr.  Gramm.,  10;  Gellio,  X,  26;  Quintiliano,  IX,  3,  13,  X,  1,  113,  e 
XII,  i,  22;  Tacito,  Dialog.  de  Orati  .  21  ;  Thorbecke,  De  Asinii  PoUionis  vita  et  stiidiis 
dectrinae.  Lugduni  Batavorum  1820;  Ilendecourt,  De  vita,  gestis  et  scriptis  Asinii  Pol- 
lionis.  Lòwen  1858;  B.  Luzzato,  Ricerche  storiche  su  C.  Asinio  Pollione.  Padova  1867; 
Lanzellotti,  Della  vita  e  degli  studi  di  C.  Asinio  Pollione  Marrucino,  Prato  1875. 

3  Seneca,  De  Ira.  Ili,  23,  Epist..  91,  13,  Controv. ^Y,  34;  Conf.  Quintiliano,  I,  10,  IO, 
X,  1,  75;  Ammiano  Marcellino,  X       9,  2;  Strabene,  IV,  1. 


176  GRECI  MERCANTI  DI  SCIENZA  A  ROMA.  [Lib.  VIL 

molti  a  vendere  a  Roma  filosofia,  erudizione  e  precetti 
grammaticali  e  figure  rettoriche.  Insegnavano  ai  gio-vani, 
e  li  proteggeva  il  principe  istruito  da  essi.  Ateneo  e  Se- 
narco  di  Seleucia,  due  filosofi  peripatetici,  batterono  di- 
versa via.  Ateneo,  amico  del  ^cospiratore  Murena,  fu  preso 
nella  congiura,  e,  quando  lo  rimossero  in  libertà,  con 
Euripide  disse  agli  amici  che  tornava  dalle  morte  genti. 
Senarco  invece  ebbe  da  Augusto  onori  e  favori  *.  Alcuni 
disputavano  di  parole:  e  tra  essi  fu  Apione  tristo  sofista, 
egiziano,  scrittore  di  un  libro  sulla  lingua  romana  2,  e 
primo  dei  grammatici  e  dei  retori  che,  cresciuti  in  infi- 
nito sotto  l'Impero,  ponevano  a  servigio  dei  grandi  e 
del  volgo  una  erudizione  superficiale  e  spesso  bugiarda  ^. 
Dalla  Grecia  nel  sesto  secolo  era  venuto  Arcagato,  il 
primo  dei  medici  che  si  vedessero  a  Rom.a,  fatto  citta- 
dino romano,  allogato  in  bottega  compra  a  pubbliche 
spese,  e  poi,  per  la  sua  crudeltà  nel  tagliare  e  bruciare 
le  piaghe,  chiamato  carnefice  ^.  Ora  di  là  giungevano  altri 
di  varia  fama  e  dottrina:  e,  mentre  Cornelio  Celso  nei 
suoi  molti  volumi  sulle  arti  trattava  di  agricoltura,  di 
rettorica,  di  filosofia,  di  scienze  naturali,  e  di  cose  mi- 
litari, e,  biasimando  le  voluttà  e  il  lusso  venuti  di  Grecia 
a  guastare  i  costumi  e  la  salute  dei  cittadini  romani  ^, 
vestiva  di  eleganze  latine  i  precetti  salutari  ("),  Antonio 

(«)  Coluraella,  I,  1,  14,  II,  2,  15,  III.  17.  4,  IV,  8,  1,  IX.  2.  I,  IX,  7, 
2,  IX,  11,  15,  IX,  14,  6,  ecc.:  Plinio.  X.  74_,  XIV,  4,  XX,  14;  Quintiliano, 
VII,  1,  10,  X,  1,  124,  XII,  11,  124;  Augusiìno,  De  haeresi,  Prolog.;  Ve- 
gezio,  De  re  militari,  1,8;  Lido.  De  magistrat.,  I,  47.  Della  vita  e  degli 
scritti  di  lui  vedi  Bianconi,  Lettere  sopra  A.  Cornelio  Celso,  Roma  1779; 
Del  Chiappa,  Intorno  alle  opere  e  alla  persona  d\  Celso,  Milano  1829; 
Paldaraus,  De  Cornelio  Celso,  Greifswalde  1842;  Kissel,  Celsus,  eine  histo- 

*  Strabene,  XIV,  5;  Euripide,  Ecuba,  1. 

*  Ateneo,  Deipnosoph.^  XV,  26.  Coni    Plinio,  I,  praef...  i'O 
3  Egger,  loc.  cit.^  pag.  105. 

*  Cassio  Emina,  citato  da  Plinio,  XXIX,  C. 
5  Celso,  De  medicina  libri  octo^  Praef. 


Gap.  I.] 


ANTONIO  MUSA  MEDICO  D'AUGUSTO. 


177 


Musa,  liberto  di  origine,  era 
ricompensato  di  larga  pecu- 
nia e  di  immunità  concesse 
anche  agli  altri  esercenti 
queir^arte  (") ,  e  onorato  di 
statua  nel  tempio  di  Escu- 
lapio,  per  aver  guarito  Augu- 
sto coi  bagni  caldi,  con  cui 
poscia  uccise  Marcello  Q):  e 

rische  Monographie  :  I.  Leben  inid 
Werhe  des  Celsus  im  Allgemeinen, 
Giessen  1844. 

Il  Bianconi  fa  vivere  Celso  ai  tempi 
di  Virgilio  e  di  Orazio  nei  primi  anni 
dell'impero  d'Augusto.  Altri  lo  pon- 
gono ai  tempi  di  Tiberio  e  di  Ca- 
ligola. 

(«)  Molti  i  medici  a  corte.  Nelle 
iscrizioni  sono  ricordati  un  medico 
Lapo  di  tutti  (sitpra  medicos),  un  de- 
curione dei  medici  [dscurio  medicus), 
un  medico  particolare  pei  mali  d'orec- 
chie {Amintas  medicus  auricularius), 
il  medico  di  Giulia  (Gori,  Columbar: 

liberi.  Liviae,  n.  73,  75  e  76;  Creili,  n.  2974  e  4227).  E  da  Plinio  sappiamo 
che  i  medici  primarii  avevano  la  provvisione  annua  di  duecentomila  se- 
sterzi (lire  28,967),  e  che  Quinto  Stertinio  ebbe  il  doppio,  e  mostrò  che 
faceva  questo  sacrifizio  per  amore  alla  casa  imperiale,  perchè  per  l'avanti 
curando  le  famiglie  particolari  della  città  non  guadagnava  meno  di  600 
mila  sesterzi  (lire  116,901):  ed  egli  e  il  suo  fratello,  che  ebbe  pari  mer- 
cede da  Claudio ,  alla  loro  morte  lasciarono  ciascuno  30  milioni  di  se- 
sterzi (lire  5,845,065),  quantunque  avessero  fatte  grandi  spese  per  abbellire 
la  città  di  Napoli.  Vedi  Plinio,  XXIX.  5,  il  quale  altrove  (XXIX,  8) 
notando  i  grossi  guadagni  dei  medici  ricorda  che  per  la  cura  di  una 
malattia  fu  stipulata  la  somma  di  200  m.ila  sesterzi. 
•  ('')  Svetonio,  Ai(f/.,  59;  Dione,  LUI,  30;  Crell,  Antonius  Musa  Augusti 
medicus  observationibus  illustratus,  Lipsiae  1725  ;  Ackermann,  De  An- 
tonio Musa  Octaviani  Augusti  medico,  et  libris  qui  UH  adscribuntur^ 


Statua  creduta  di  Antonio  Musa 
{Pistoiesi^  Vaticano^  IV,  8). 


178  LO  STORICO  DIONISIO  D'ALICAKNASSO.  [Lib.  VII. 


la  scienza  si  divulgava  cosi,  che  oggi  se  ne  ritrovarono 
vestigli  notabili  anche  nei  poeti  e  negli  altri  scrittori  *. 
Da  Alicarnasso,  dopo  la  fine  della  guerra  civile,  era 
venuto  Dionisio,  un  retore  il  quale,  dopo  avere  speso 
ventidue  anni  a  ricercare  nelle  biblioteche  romane  gli 
antichi  ricordi,  ])agava  l'accoglienza  degli  ospiti  com- 
ponendo con  facile  erudizione  il  romanzo  delle  origini 
greche  di  Roma.  Scrisse  a  istruzione  e  a  conforto  dei 
Greci,  a'  quali  mostrava  che  potevano  consolarsi  di  loro 
caduta,  pensando  che  ai  furti  vincitori  erano  stati  maestri 
delle  istituzioni  e  delle  leggi,  da  cui  venne  tutta  la  ro- 
mana grandezza.  Conforto  che  potrebbe  sembrar  simile 
a  quello  di  chi  tenesse  per  meno  spiacevole  la  morte 
datagli  con  un'arme  rapita  a  lui  stesso.  Spesso,  all'uso 
dei  retori,  Dionisio  abbondò  in  luoghi  comuni,  in  decla- 
mazioni, in  concioni  prolisse  e  piene  di  noia.  Errò  anche 
per  non  comprendere  le  antiche  espressioni  latine  ;  ma 
fece  utile  opera  raccogliendo  molte  cose  degli  antichi 
annahsti  ora  periti  :  ed  a  lui  siamo  debitori  delle  notizie 
che  ci  restano  sugli  antichi  ordinamenti,  e  sulle  muta- 
zioni delle  leggi  e  della  costituzione  primitiva  di  Roma  : 
ed  è  lodato  di  esattezza  anche  sotto  il  rispetto  giuridico, 
quando  espone  le  conseguenze  di-lla  ritirata  del  popolo 
al  Monte  Sacro  ("). 

Altorfii  1780.  Quantunque  non  sia  provato  che  Musa  scrivesse  dell'arte, 
si  citano  più  opere  col  nome  di  esso,  tra  cui  un  trattato  àeWerba  beto- 
nica, e  vi  .sono  frammenti  del  libro  De  tiienda  valetudine  ad  Maecena- 
tem.  Vedi  Antonii  Musae  fragntenta  qiiao  cxlanl  raccolti  da  Fior.  Cal- 
dani, Bassano  1800. 

(^)  Niebuhr,  Leciiires,  ecc.,  Ili,  pag.  LV;  Giraud,  Des  Nexi,  aeWAcadém. 
des  Sciences  morales  et  politiques,  2^  sèrie,  voi.  V,  pag.  4G3.  Sulle  fonti 
a  cui  attinse  Dionisio,  e  sulla  sua  critica,  vedi  Kiessling,  Be  Dioni/sii 
Halicarn.  antiquitatum  aiictoribits  laiinis ,  Lippiac   1858. 

Per  rimagine  di  Dionisio  vedi  Mai,  Bionysii  Halicarn.  liomanarum 
Antiquitatum  pars  hactcnus  desiderata,  Mediolimi   \^\(j. 

l  Vedi  Menière,  Études  mèdicaìes  sur  les  poétes  latina,  l'aris  1858;  e  dello  stesso.  Ci- 
céron  mèdecin,  Paris  1845. 


Gap.  L] 


IL  gp:ografo  STRABONE. 


179 


In  un  campo  diverso,  ma  riguardante  da  vicino  la 
storia,  lavorava  pure  in  Roma  Strabone,  un  altro  Greco 
contemporaneo  di  Dionisio  e  di  Livio.  Egli  scrisse  un'o- 
pera storica  a  continuazione  di  Polibio  *  ;  ma  a  noi  si 
raccomanda  per  la  sua  geografia,  nella  quale  se  non  ebbe 


Dionigi  d'Alic:\rnas.so  del  Cod 


l'Oriana  (Mai). 


la  scienza  matematica  dei  dotti  Alessandrini,  fu  singo- 
lare per  la  vita  e  per  la  potenza  delle  sue  descrizioni: 
e  la  sua  opera  rimase,  con  gli  scritti  di  Plinio,  la  rac- 


'  Vedi  Ileeren,  De  Fontihus  Plutarchi,    pag.    100   e  sptrg.,   e   Coray,  Prolegom.    alla 
Geografia  di  Strabone,  Parigi  ISIO. 


180  FILONE  GIUDEO  E  NICOLAO  DAMASCENO.        [Lib.  VII. 

colta  più  ricca  di  notizie  e  di  documenti  per  la  statistica 
dell'Impero  romano  e  per  la  etnologia  e  la  storia  dei 
popoli  antichi.  Partito  giovane  da  Amasia  del  Ponto  sua 
patria,  viaggiò  lungamente,  raccolse  fatti,  tradizioni, 
leggi  e  costumi  dai  luoghi  e'dai  libri.  Fu  il  solo  dei  con- 
temporanei che  ci  tramandasse  notizie  importanti  delle 
Spagne  ;  schiarì  più  parti  della  storia  di  Roma  e  delle 
province  :  descrisse  la  grande  città  e  i  contorni,  e  più 
vie  romane,  massime  quelle  delle  Alpi  ;  parlò  dei  com- 
merci, e  di  molte  delle  guerre  combattute  al  suo  tempo. 
E  quantunque  esagerasse  il  quadro  della  potenza  romana 
sotto  Augusto,  in  generale  non  sembra  alla  critica  che 
sia  da  sospettare  della  sua  buona  fede,  e  in  generale  può 
ritenersi  per  guida  sicura  *. 

Altri  stranieri  rispettarono  meno  se  stessi  e  la  reli- 
gione del  vero.  Se  l'alessandrino  Filone  libero  e  sapiente 
scrittore  potè  non  avvilirsi  celebrando  enfaticamente  la 
felicità  del  mondo  sotto  il  governo  di  Augusto  benevolo 
al  culto  giudaico,  altrimenti  accadde  a  Nicolao  Damasceno, 
il  quale  dopo  essere  stato  cortigiano  e  adulatore  di  Erode 
in  Giudea  venne  con  esso  alla  corte  di  Augusto,  e  ot- 
tenuti i  favori  anche  di  questo,  ne  scrisse  la  vita,  i  cui 
frammenti  lo  dicono  insipido  amplificatore,  e  storico 
parziale,  e  adulatore  basso  e  sozzo  e  mal  destro  ;  come 
lo  accusano  di  menzogna  le  «parole  in  cui  affermò  che 
Cesare  da  giovin'etto  fu  desiderato  da  tutte  le  più  belle 
e  più  splendide  donne,  ma  che  egli  non  cede  mai  a  ninna 
loro  arte  {"). 

Ma  in  mezzo  a  tanto  affaccendarsi  nel  magnificare  i  vin- 

C*)  Yeài  Historicoruìn  Graecorum  Fraymenta,  voi.  Ili,  pag.  427-456, 
Paris,  Didot,  1849.  Avvene  anche  una  edizione  procurata  da  N.  Piccolos 
'■-  accompagnata  da  una  traduzione  francese  di  A.  D.  (Alfredo  Didot), 
Paris,  Didot,  1850.  Per  Filone  vedi  Opera,  ed.  Mangey.  Londini  1742,. 
voi.  II,  p.  567-568,  591-592. 

1  Egger,  Historiens  anc.  d'Auguste,  pag.  95,  ecc. 


Gap.  1.1         TROGO  POMPEO,  GIUSTINO,  FENESTELLA.  181 


citori,  è  bello  vedere,  come  non  mancasse  aoiche  chi  ebbe 
un  pensiero  pei  vinti,  obliati  sempre  da  Roma.  Trogo 
Pompeo,  originario  della  Gallia,  si  messe  a  riparare  a 
questa  ingiustizia;  e  ricercatele  storie  degli  altri  popoli, 
e  attinte  le  materie  alle  fonti  dei  Greci,  le  espose  con 
bello  e  svelto  modo  latino  nei  quarantaquattro  libri  giunti 
a  noi  scemi  nel  compendio,  che  ne  fece  poscia  Giustino, 
scrittore  magro,  ma  facile,  chiaro,  elegante  e  quasi  sempre 
di  pura  favella  ("). 

Vi  fu  anche  chi  tenne  dietro  alla  storia  del  pensiero 
umano.  Lucio  Fenestella,  autore  diligentissimo,  agli  An- 
nali delle  guerre  di  Roma  accoppiò  la  storia  delle  scienze, 
delle  lettere,  delle  istituzioni,  dei  costumi,  del  lusso  e 
del  modo  di  vivere  fino  agli  ultimi  tempi  d'Augusto  e 
al  cominciar  di  Tiberio  '. 

A  ciò  rivolse  il  pensiero  anche  un  re  d'Affrica,  Giuba  II, 
figlio  all'altro  che  vedemmo  vinto  da  Cesare,  il  quale 
educato  a  Roma,  dove  fu  prigioniero  dopo  la  morte  del 


(^)  Per  lo  storico  che  scrisse  anche  di  zoologia  e  di  botanica,  e  pel 
suo  compendiatore,  vedi  Giustino,  Praef.,  1,  e  lib.  XXXVIII,  3,  e  XLIII, 
5;  S.  Agostino,  De  Civ.  Dei,  IV,  6;  Vopisco,  Aurelian.,  2,  e  Prob.,  2; 
Orosio,  1,  8  e  10;  Plinio,  X,  51,  3,  XI,  94,  1  e  114,  2,  XVII,  9,  XXXi, 
47,  6;  Bielowski,  Pompei  Trogi  fragmenta,  Lemberg  1853;  Wolffgarten, 
De  Ephori  et  Dinonis  historiis  a  Trogo  Pompeio  expressis  _,  Bonuae 
1868;  Boissonade,  Histoire  universelle  de  Justin,  in  Journal  de  VEm- 
pire,  3  dee.  1806,  e  nella  Critiqiie  littéraire,  Paris  1863,  voi.  I,  p.  343-350; 
Rzesinski,  De  Justino  Trogi  epitomatore,  Krakau  182(T;  Raun,  De  CU- 
tarcho  Diodori,  Curtii,  Jiistini  Alidore,  Bonuae  1868;  Rozek,  De  natura 
latinitalis  Jusiinianae,  Hermanstadt  1865;  Fischer,  De  elocittione  Ju- 
stini.  Halle  1868. 

1  Vedi  Plinio,  Vili,  7  e  74,  IX,  30  e  59,  XV,  1,  XXXIIf,  G  e  'd,  XXXV,  46;  Plutarco, 
Crasso,  5,  Siila,  2S,  e  Quest.  rom.,  41;  Tertulliano,  Div.  InstiC,  I,  6,  e  De  ira  Dei,  22; 
Seneca,  Epist.,  108,  31;  'Macrobio,  Sat.,  I,  10;  Nonio  alle  voci  Reticulum,  Praesente, 
e  Ruraor;  Svetonio,  Ter»ntii  vita,  1;  Digest.,  I,  13,  1;  S.  Girolamo,  in  Enseb.  Chron., 
ann.  772;  Mercklin,  De  Fenestella  historico  et  poeta,  Dorpat  1814;  Poeth,  De  Fenestella 
historiarum  scrittore  et  carminv.m,  Bonnae  1819;  Madvig,  De  Asconii  Pediani  in  Cì- 
ceronis  orationes  commentar ìis,  Ilauniae  1827,  pag.  64. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  23 


182     IL  RE  GIUBA  SCRITTORE  IN  GRECO  E  IN  LATINO.  [Lib.  VII. 


padre,  vi  prese  amore  agli  studi,  e  poscia  rimesso  in  trono 
da  Augusto  e  sposato  a  Cleo- 
patra Selene,  figlia  di  M.  An- 
tonio e  della  regina  Cleopatra, 
si-dilettò  a  scriver  libri,  com- 
pose la  storia  dell'arte  dram- 
matica presso  gli  antichi,  illu- 
strò i  costumi  e  le  istituzioni 
romane,  dettò  opere  di  storia 
naturale,  di  geografia,  di  filo- 
logia, di  grammatica,  e  forse 
anche  di  metrica,  e  meritò 
bene  delle  lettere  greche  e  la- 
tine, dagli  esercizii  delle  quali 
apprese  ad  esser  buon  padre  e 
buon  re,  e  a  rendere  la  sua  me- 
moria venerata  tra  i  sudditi  (''). 


Giuba  II  (Visconti). 


(^)  Surmna  veneratione  (^IsMvì)  coluerunt  Jubani.  TeriwWÌSiXìO,  Dio.  In- 
.slit.,  I,  15.  —  Jiiba  Mauria  volentibus  Deus  est,  Minucio  Felice,  Octav. ,23. 

Di  lui  e  delle  sue  opere  citate  molto  da  Ateneo,  da  Eliano,  da  Suida, 
da  Fozio,  da  Stefano  Bizantino,  da  Esicbio  e  da  altri,  vedi  Plinio,  V,  1, 
VI.  31,  XI,  31,  XXXII,  4.  ecc.,  ecc.;  Plutarco,  RomoL,  lo  e  17,  Num.. 
7  e  13,  Seri.,  9,  Siila,  16,  Anton.,  87,  Ces.,  .5,  Parag.  di  Pelop.  e  Marcello. 
Quest.  rom.,  4,  24,  59,  78,  89,  Parallela,  23;  Strabene,  IV,  4,  XVIL  3; 
Dione,  LI,  15,  LUI,  26,  e  sopra  pag.  61.  I  frammenti  furono  raccolti  e 
discussi  dal  Piagge,  De  Juba  secundo  rege  Mauritaniae,  Monasteri! 
Guestphalorum  i^49;  dal  Ten  Brink,  Juhae  Maurusii  de  re  metrica 
scriptoris  latini  reliquiae ,  Ultraiecti  ad  Rhenum  1854;  e  dal  Gòriitz, 
De  Juhae  regis  Mauritaniae  fragmentis,  Breslau  1862.  Altri  danno  la 
metrica  a  un  altro  Giuba  del  secolo  terzo  dopo  G.  C.  Vedi  Wentzel, 
Sj/mbolae  criiicae  ad  historiam  rei  metric.  lat.,  Breslau  1858,  pag.  18-25; 
Keil,  Quaestiones  grammaticae ,  Lipsiae  1S(;0,  pag.  14-22,  e  Teuffel, 
Gesch.  der  róm.  Litteral.,  366,  1. 

Diamo  il  ritrattò  di  Giuba  nel  diritto  di  una  medaglia  d'argento  con  la 
leggenda  latina  rex  juba,  e  nel  rovescio,  quello  della  regina  Cleopatra  sua 
moglie  col  nome  in  lettere  greche  ;  e  aggiungiamo  un  altro  ritratto  di  lui 
in  coi-nalina  di  squisito  lavoro.  Vedi  Visconti,  Icon.  gr.,  tav.  LV,  n.  2  e  4. 


Gap.  I.]  STORIA  ANEDDOTICA  DEL  PRINCIPE  E  DELLA  CORTE.  183 

Ma  queste -sono  eccezioni.  La  letteratura  è  quasi  tutta 
occupata  nei  fatti  e  nelle  lodi  del  principe,  del  quale  rac- 
coglie ogni  pensiero,  ogni  minima  azione,  e  lascia  ricordi 
a  chi  vorrà  sapere  le  sue  malattie,  le  disgrazie,  i  sogni, 
la  fede  agli  augurii,  le  profezie,  i  suoi  motti,  i  suoi  rigori 
contro  gli  sbagli  ortografici,  quantunque  per  conto  proprio 
non  guardasse  alle  regole  stabilite  dai  maestri  in  gram- 
matica; il  suo  modo  di  parlare  e  di  scrivere  elegante 
e  lontano  dalle  sdolcinature,  e  dalle  affettazioni  dei  vo- 
caboli rancidi  e  oscuri  rimproverate  a  Mecenate  e  a  Ti- 
berio *;  e  colla  sua  temperanza  nel  mangiare  e  nel  bevere, 
notano  i  vini  prediletti  da  lui  e  da  Livia,  ricordano  i 
pregustatori  della  mensa  imperiale,  e  come  il  principe 
usasse  di  riconfortarsi  lo  stomaco  e  di  medicarsi  colla 
lattuga  2;  come  avesse  il  corpo  sparso  di  macchie  simili 
alle  stelle  dell'orsa  celeste,  e  gli  occhi  glauchi  a  moda 
dei  cavalli,  e  come  si  divertisse  a  pescare,  e  a  giuocare 
ai  dadi  e  alla  palla  ^.  E  se  alcuno  lascia  scritto  come  egli 
fuggisse  dalle  battaglie  '%  altri  narra  i  prodigi!  che  accom- 
pagnarono la  sua  nascita,  la  sua  gioventù  e  gli  anni  virili, 
e  fa  sapere  ai  posteri  che  pei  suoi  trionfi  gli  fu  mandato 
l'alloro  dal  cielo  ^  E  i  facitori  di  epigrafi  tramandano 
agli  avvenire  anche  i  nomi  degli  astrologi,  dei  ragionieri, 
dei  maestri  di  casa,  dei  chirurghi  e  dei  medici,  dei  peda- 
goghi, degli  scrivani,  dei  segretari,  portinai,  lavandai, 
fornai,  camerieri,  e  di  tutti  i  servi  di  corte  ;  della  balia  e 
delle  adornatrici  e  profumatrici,  e  rammendatrici  di  Li- 
via, del  suo  portinaio,  dei  pedissequi,  del  lettore,  del  pit- 
tore, del  doratore,  del  calzatore,  del  custode  delle  gemme 
e  dei  vestimenti,  degli  orefici,  del  distributore  della  lana 
alle  sue  filatrici,  dello  schiavo  destinato  ad  averne  in  cura 

1  Svetonio,  86-SS,  91,  92-,  Valerio  Massimo,  I,  7,  1-2;  Plinio,  VII,  46.    . 

2  Svetonio,  76,  77-,  Plinio,  XIV,  8,  XIX,  38. 

3  Svetonio,  SO,  83;  Plinio,  XI,  54. 

4  Plinio,  VII,  16. 

5  Svetonio,  91;  Plinio,  IX,  22,  XI,  7S,  XV,  AO. 


184  AUGUSTO  CRUDELE  AGLI  SCRITTORI  E  AGLI  SCRITTI.  [Lib.  VII. 

la  sedia,  del  sagrestano  preposto  all'edicola,  da  lei  consa- 
crata al  marito,  e  di  molte  altre  persone  della  medesima 
classe,  i  cui  titoli  ci  attestano  del  lusso  e  del  fasto  della 
casa  imperiale  ora  e  in  appresso  *. 

In  mezzo  ai  concenti  della  letteratura  officiale,  tentava 
di  mischiarsi  anche  qualche  libera  voce  di  satira;  ma 
presto  era  fatta  tacere  dalle  minacce,  dalle  condanne, 
dagli  esilii  e  dal  fuoco  :  e  quindi  giunsero  a  noi  solamente 
i  suoni  laudanti. 

Tacito  parla  di  versi  pieni  di  contumelie  contro  Augu- 
sto ^1  ma  perirono  i  versi  e  i  nomi  di  chi  li  compose.  11 
ferro  di  un  sicario  aveva  vietato  già  a  Cassio  da  Parma 
di  celebrare  i  suoi  compagni  nell'uccisione  di  Cesare,  e 
di  fare  nuovi  epigrammi  politici  ^. 

Sulle  prime  Augusto  rispose  scherzando  alle  più  delle 
satire  scoccate  contro  di  se  e  contro  i  suoi.  Lasciava 
dire,  purché  lo  lasciassero  fare  ;  e  non  curando  di  repri- 
mere le  invettive,  solite  a  scriversi  nei  testamenti,  fece 
ricercare  solo  gli  autori  di  libelli  e  di  satire  pseudonimo  '*. 
Ma  mutò  modo  quando,  spariti  i  più  di  quelli  che  ave- 
vano respirato  l'aria  della  libertà,  il  principato  non  aveva 
più  ostacoli  a  correre  per  le  vie  della  tirannide  ;  quando 
morti  i  migliori,  rimanevano  consiglieri  e  intriganti  di 
corte  i  più  tristi. 

Le  sozzure  che  bruttarono  da  ultimo  la  casa  imperiale,' 
fecero  sorgere  libere  voci  contro  i  vizi  dei  grandi,  e  contro 
la  universale  servitù,  e  il  principe  per  far  tacere   l'elo- 
quenza e  la  storia  divenne   crudele  contro  gli  uomini  e 
contro  gli  scritti,  ai  quali  apphcò  la  legge  di  maestà  ^ 

1  Vedi  Gori,  Columbarium  libertorum  et  servorum  Liviae  Augustae  et  Caesarum 
Romae  detectum  in  via  Appia  anno  MDCCXXVI,  Florentiae  1727,  n.  4,  21-32,  35,  36, 
:W,  11,  45,  73-78,  81-88,  94.96,  98,  99,  102,  ]ni-l(i7,  113-126,  U\,  177,  222,  221,  229,  295; 
Creili,  2933,  2971;  Egger,  loc.  cit.^  pag.  131. 

2  Tacito,  Ann..  IV,  31. 

■J  Weichert,  De  Cassio  Parm.j  pag.  273. 
*  Svetonio,  55. 

5  Tacito,  Ann...  1,  72;  Dione,  LVI,  27,  e  Brugraans,  De  perdueUionis  crimine  apud 
Romanos^  Amstelsedami  1835,  pag.  42. 


Il 


Gap.  L]  I  DECLAMATORI  ALBUZIO  SILO  E  FORGIO  L,\TRONE.      185 

La  vera  eloquenza  era  morta  insieme  con  la.  libertà: 
cominciavano  i  declamatori,  dei  quali  Seneca  ci  lasciò 
la  storia  e  la  critica.  Sul  Unire  di  Augusto,  tra  più  altri 
andarono  celebri  il  novarese  C.  Albuzio  Silo,  Perciò  La- 
trone,  Arellio  Fusco,  Giunio  Gallione,  e  Tito  Labieno  e 
Cassio  Severo  più  forti  d'ingegno  e  di  studi,  i  quali  po- 
terono chiamarsi  anche  oratori. 

Il  troppo  ricordarsi  di  Bruto  e  della  morta  Repubblica 
portò  sciagura  a  Silo,  retore  di  grande  probità  e  inca- 
pace di  fare  e  di  patire  un'ingiuria.  Partì  dalla  patria 
per  un  al'lronto  fattogli  sul  tribunale,  mentre  come  edile, 
rendeva  giustizia.  A  Roma  pure  trovò  dispiaceri,  A  Mi- 
lano difendendo  un  accusato  davanti  al  proconsole,  de- 
plorò il  misero  stato  d'Itaha,  ed  eccitato  dai  plausi  e 
da  una  statua  di  Bruto  che  aveva  dinanzi,  lo  invocò 
vindice  della  libertà  e  delle  leggi,  e  fu  al  punto  di  ca- 
pitar male.  Da  ultimo  tornato  vecchio  e  infermo  a  No- 
vara convocò  il  popolo,  espose  pubblicamente  le  ragioni 
che  aveva  di  rinunziare  alla  vita,  e  quindi  rimessosi  in 
casa  si  lasciò  morire  di  fame  K 

M.  Porcio  Latrone  compatriotta  e  amico  del  retore 
Seneca,  che  nelle  Controversie  parlò  lungamente  di  lui, 
maestro  d'Ovidio  nel  declamare,  riverito  dai  discepoli 
pel  suo  molto  ingegno,  e  tenuto  principe  dell'arte  sua, 
usando  modo  diverso  dagli  altri  ammaestrava  coli'  e- 
sempio  più  che  per  via  di  precetti.  Andava  ad  ascoltarlo 
anche  Augusto:  e  un  giorno  mentre  declam.ava  alla  pre- 
senza del  principe  e  di  Mecenate,  gli  accadde  di  offen- 
dere Agrippa  col  ricordo  dei  suoi  oscuri  natali.  Fu  uomo 
di  singolari  costumi,  eccessivo  nello  studiare  e  nel  di- 
vagarsi, e  alla  fine  uscì  dalla  vita  per  liberarsi  dal  tedio 
della  febbre  quartana  {""). 

{°')  Seneca,  Controv.,   I,   praef.,  II,  10,  12,  ecc.,  ecc.;   Plinio.  XX,  57; 

1  Svetonio,  De  Clar.  Rhet.,  6;  Seneca,  Controv..  Ili,  praef.  e  IV,  25,  ed.  Bip.;  Quin- 
tiliano, II,  15,  36,111,  3,  4,  111,6,  61;  Lindner,  De  Caio  Albucio  Silo  commentatio  ^\t&- 

tislaviae  1861. 


186  TITO  LABIENO  E  CASSIO  SEVERO.»  [Lib.  VII. 

Non  bene  incontrò  a  Tito  Labieno  e  a  Cassio  Severo 
che,  assalendo  fierissimamente  donne  illustri  e  uomini 
e  ceti,  colla  estrema  loro  libertà  mettevano  a  pericolo  il 
principato.  Labieno,  chiamato  Rahleno  pel  suo  dire  rab- 
bioso, era  declamatore  e  scrittore  di  storie.  Nelle  sue 
dicerie  erano  sforzati  ad  ammirare  l'ingegno  anche  quelli 
che  più  ardentemente  odiavano  l'uomo.  Al  pari  dell'in- 
gegno aveva  violento  anche  l'animo.  Non  pose  giù  mai 
il  suo  amore  per  la  spenta  Repubblica;  e  scrivendo  la 
storia  dei  fatti  contemporanei  disse  cose  sì  fiere  che, 
quantunque  arditissimo,  non  si  attentava  a  leggerle  nep- 
pure a  tutti  gli  amici,  e  le  serbava  alla  lettura  dei  po- 
steri. Ma  la  polizia  lo  riseppe,  e  inventò  contro  di  lui 
un  supplizio  nuovo.  Un  decreto  del  senato  condannò  que- 
gli scritti  alle  fiamme;  e  quando  erano  arsi,  Cassio  Se- 
vero, amicissimo  dello  scrittore,  disse:  Ora  bisogna  bru- 
ciare anche  me  che  li  so  tutti  a  mente.  Labieno  non  volle 
sopravvivere  ai  parti  del  suo  ingegno;  e  seppellitosi  vivo 
nel  monumento  dei  suoi  maggiori,  ivi  finì.  Poco  appresso 
quello  stesso  che  aveva  pronunziata  la  sentenza  contro 
gli  scritti  di  lui,  vide  nel  medesimo  modo  condannati  alle 
fiamme  anche  i  propri  *. 

Cassio  Severo  aveva  itiolto  ingegno,  e  le  qualità  d'o- 
ratore, massimamente  politico,  quantunque  Tacito  gli 
attribuisca  più  forza  che  sangue.  Non  curava  l'ordine 
nelle  cose,  nò  il  pudore  delle  parole;  usava  le  sue  armi 
scomposte;  non  faceva  battaglia,  ma  rissa.  Vigoroso, 
culto,   pieno   di   grandi   sentenze.   Destava  a  sua  vogha 

Quintiliano,  IX,  2,  91,  X,  5,  18;  S.  Girolamo,  in  Eusebii  Chron..  ann.  751. 
Della  sua  vita,  dei  costumi,  del  suo  modo  di  declamare,  e  del  posto  che 
tenne  nelle  lettere  e  tra  i  retori  fu  lungamente  discorso  da  Gustavo- 
Lindner  nella  dissertazione,  De  M.  Porcio  Latrane,  Vratislaviae  1855. 

'  Seneca,  Contrbv..  V,  praef._,  Excerpt.  Controv..  IV,  praef.;  conf.  Quintiliano,  1,  5, 
S,  IV,  ],  11,  IX,  3,  13;  Weicliert,  De  Labieno  oratore  et  historico,  Excurs.^  II,  nel 
libro  De  Lucio  Vario  et  Cassio  Parmensi^  pag.  319-324. 


Cap.  L]  OVIDIO  E  IGINO.  187 

tutti  gli  affetti,  ma  meglio  che  ogni  altra  cosa  lo  ispirava 
la  collera.  Non  difese  mai  nessuno,  tranne  sé  stesso,  e 
contro  un  Nonio  Asprenate,  amico  d'Augusto  e  difeso  da 
Asinio  PoUione,  sostenne  che  in  un  convito  aveva  avve- 
lenato 130  persone.  Ma  nelle  sue  accuse  non  otteneva 
l'intento.  I  giudici  spesso  assolvevano  gli  accusati  da  lui; 
€  il  principe  che  dapprima  lo  motteggiava  della  sua  poca 
fortuna  (''),  da  ultimo  per  accusa  di  diffamazione  contro 
uomini  e  donne  illustri,  lo  mandò  in  esilio  tra  i  sassi  di 
Serifo,  piccola  isola  del  mare  Egeo,  ove  morì  dopo  25  anni 
di  patimenti  crudissimi  ^ 

Vedemmo  come  fosse  cacciato  inesorabilmente  in  esilio 
anche  Ovidio.  Qui  vuoisi  aggiungere  che  questo  fatto  è 
opera  del  solo  volere  del  principe,  il  quale  di  proprio 
moto,  senza  processo,  senza  decreto  del  senato,  condanna 
un  cittadino  a  morire  tra  i  geli  di  Scizia.  E  la  persecu- 
zione sempre  più  arbitraria  e  più  cruda  si  estende  anche 
alle  opere  del  poeta,  le  quali  se  non  sono  arse  come 
quelle  di  Labieno,  hanno  il  bando  dalle  biblioteche  di 
Roma  2.  Capitano  male  anche  gli  amici  dell'esule.  A  lui 
era  familiarissimo  C.  Giulio  Igino,  un  liberto  d'Augusto 
di  origine  ispanica,  autore  di  molti  scritti  di  erudizione, 
di  agricoltura,  delle  api,  di  teologia,  di  biografìa,  di  cri- 
tica letteraria,  e  di   storia  •"',  tra  cui  voglionsi   ricordare 


{^)  Augusto  disse  lan  giorno:  Vorrei  che  Cassio  accusasse  il  mio  Fòro; 
sarebbe  subito  assoluto,  cioè  finito.  Cum  multi  Severo  Cassio  accusante 
absolcerentiir,  et  archilectus  Fori  Augusti  expectationem  operis  diu 
traheret,  ita  iocatus  est:  Vellem  Cassius  et  mewn  Forum  accusasset. 
Microbio,  Sat.,  II,  4. 

»  Tacito,  Ann.,  I,  72,  IV,  21,  e  Diatog.  de  Oratt.j.  19  e  26;  Seneca,  Controv.^  II,  12, 
Excerj)t.  Controv.,  IN,  praef.;  Plinio,  XXXV,  46;  Quintiliano,  VI,  3,  27,  ecc..  Vili,  3, 
89,  X,  l,  22  e  IIG,  XI,  1,  57,  XII,  10,  11;  Svetonio,  Aug.,  56;  S.  Girolamo,  in  Euseb. 
Chron.  ami.  785. 

2  Ovidio,  Trist.,  Ili,  1,  59-74. 

3  ColumeUa,  I,  1,  13,  IX,  2,  IX,  13,  8;  Gallio,  I,  14  e  21,  VL  6,  VII.  1,  X,  16  e  18, 
XVI,  6;  Macrobio,  Sat..  Ili,  4  e  8;  Servio,  Ad  Aen..,  V,  389. 


188  PERSEGUITATO  PIÙ'  CHE  MAI  IL  PENSIERO.       [Lib.  VII. 

le  opere  Sull'origine  e  sul  sito  delle  città  italiche  *.  11 
ciotto  nomo  era  stato  posto  alla  direzione  della  Biblioteca 
d'Apollo  sul  Palatino,  ma  alla  line  cadde  anch' egli  in 
disgrazia,  e  rimosso  da  quell'ufficio  morì  in  grande  mi- 
seria 2. 

Così  Augusto,  divenendo  coll'andare  degli  anni  più  ar- 
bitrario e  più  crudo  contro  la  libertà  del  pensiero,  oscu- 
rava alquanto  colle  tenebre  del  dispotismo  lo  splendido 
quadro  delle  glorie  letterarie,  a  cui  fu  legato  il  suo  nome. 
Xè  è  facile  consolarsi,  come  altri  credè,  della  persecu- 
zione, pensando  che  essa  cominciò  quando  i  grandi  in- 
gegni finivano  ^.  È  vero  che  la  buona  eloquenza  storica 
si  era  taciuta  con  Livio,  e  che  i  decreti  colpivano  odiosi 
declamatori;  ma  gli  esilii  e  le  fiamme  esercitavano  su 
tutti  una  influenza  terribile  educando  una  generazione 
di  schiavi,  e  preparando  l'ultima  abiezione  dell'uomo. 
Se  tra  le  fiamme  dei  libri  arsi,  Cremuzio  Cordo  trovò 
forza  a  scrivere  liberamente  dei  tempi  liberi,  e  a  morire 
più  tardi  vittima  del  suo  coraggioso  amore  del  vero  *■, 
quelh  che  non  avevano  sì  forte  la  tempra  dell'animo  si 
bruttarono  sconcissim amente.  L'eloquenza  divenne  stru- 
mento di  delazione  in  mano  di  retori  sozzi;  la  storia  fu 
scritta  per  lodare  i  favoriti  e  i  tiranni,  e  nell'oppressione 
e  nell'avvilimento  dell'umano  pensiero  crebbe  Velleio 
Patercolo,  che  divinizzò  anche  Ottavio  triumviro  e  Ti- 
berio e  Sciano  {"),  e  celebrò  la  felicità  del  mondo  sotto 

{^)  Velleio  Patercolo,  II,  80,  81,  94,  104,  123,  124,  120,  127,  ecc.  Re- 
centemente ^i  vollero  cercare  circostanze  attenuanti,  e  per  provare  che 
il  lodatore  di  Tiiberio*  e  di  Seiano  era"  di  buona  fede,  e  non  vile,  fu  detto 

1  Macrobio,  Sat.,  V,  IS;  Servio,  Ad  Aen..  Ili,  553,  VII,   112  o  G7S,  Vili,  597  e  G38. 

•  Svetonio.  De  illu&tr.  gramm.^  20;  Conf.  dvidio,  Trist.,  Ili,  11.  Vedi  Suringar,  Hi- 
scoria  scholiastar.  LcUinor.,  1,  pag.  20 1,  e  Eunte,  De  C.  Julii  llygini  Augusti  liberti 
vita  et  scriptiSj  Marburgi  Ilassoruin  1816. 

3  Seneca,  Ccnlrov.^  V,  praef. 

*  Tacito,  Ami.,  IV,  34,  35;  Seneca,  Consol.  ad  Marciarne  1  e  22;  Svetonio,  Tib.,  CI; 
Liionc,  LVII,  21  ;  Ileld,  Commentatio  de  vita  scriptisque  A.  Cremutii  Cordi,  Suidaici  1811. 


Cah.  L]      avviliti  gli  animi  e  fatta  roma  PIÙ'  ADORNA.        189 

la  più  sconcia  tirannide  :  allora  si  educarono  gli  altri 
vili  intriganti,  che  Tacito  in  appresso  consegnò  al  di- 
spregio dei  posteri. 

E  il  preparatore  e  cominciatore  di  questo  avvilimento 
degli  uomini  e  delle  lettere  fu  Augusto,  il  quale  lasciando 
scrivere  e  .parlare  solamente  a  chi  scriveva  e  parlava 
per  lui,  e  usando  tutte  le  arti  che  abbiamo  discorse, 
2)acifìcò  '  la  libertà,  la  poesia,  l'eloquenza,  la  storia,  ogni 
cosa. 

Ma  mentre  avviliva  gli  animi,  con  grande  lavorio  di 
architetti  fece  Roma  più  splendida  di  nuovi  edificii,  e 
abbaghò  i  contemporanei  e  i  posteri  anche  coli' avere, 
come  egli  vantavasi,  fatta  di  marmo  la  città  che  trovò 
di  mattoni  ("). 

Vi  era  allora  l'architetto  Yitruvio  Pollione,  il  quale 
dopo  essere  stato  ingegnere  militare  di  Cesare  e  d'Au- 
gusto, pensionato  alla  fine  da  questo  per  le  raccoman- 
dazioni di  Ottavia  2,  scriveva  e  dedicava  a  lui  il  libro 
ove  raccolse  in  un  corpo  di  dottrine  tutto  ciò  che  i 
Greci  e  i  Romani  seppero  di  architettura,  e  vi  aggiunse 
i  trovati  del  proprio  ingegno,  e  dimostrò  tutte  le  ragioni 
dell'arte.  Lodò  la  divina  mente  e  l'onnipotenza  d'Augusto, 
come  quella   di  Cesare;  pure   non  si  allargò  troppo   in 

clie  potè  essere  ingannato  dallo  spirito  del  suo  tempo,  dai  pregiudizi  di 
famiglia  e  di  educazione,  dal  suo  carattere  e  da  quello  di  colore  di  cui 
fa  l'elogio,  e  cLe  quindi  fu  troppo  credulo,  ma  galantuomo,  ecc.,  ecc.  I\Ia 
n  chi  legge  le  sozze  parole  scritte  a  glorificazione  dei  due  mostri,  tutti 
questi  discorsi  non  possono  diminuire  l'impressione  di  quelle  parole,  e 
nella  nostra  opinione  chi  esalta  i  tristi,  se  non  è  uno  stupido,  non  può  mal 
tenersi  per  uomo  dabbene.  Vedi  Speckert,  De  la  sinceriti'  de  C.  Yelleiiis 
Paterculus,  Toulouse  1848. 

(")  Svetonio,  29;  Dione,  LIV,  30.  Per  l'architetto  coi  suoi  strumenti, 
del  quale  diamo  l'imagine,  vedi  Grivaud  de  la  Vincelle,  Aris  et  mèiiers 
<ìs^  anciens,  Paris  1819,  pi.  XXII. 

'  Tacito,  Dialog.  de  Oratoribus,  38. 
2  Vitruvio,  I,  'prnef. 

Vaxnucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  21 


190 


L'ARCHITETTO  VITRUVIO  POLLIONE. 


[LiB.  VII. 


adulazioni,  e  più  volontieri  si  trattenne  a  raccomandare 
agli  artisti  la  probità  del   cuore,   e  la  dignità  dell'arte, 


esortandoli  a   cercare 
turpe  ricchezza  *. 


l'onesta  povertà  piuttostoche   la 


Architetto  in  antica  pittura  del  Museo  Kircheriano  trovata  nella  via  Appia. 

È  notevole  che  egU  non  parli  molto  delle  grandi  opere 
sorte  al  suo  tempo,  quantunque  •  dica  di  avere  scritto, 
affinchè  il  principe  stesso  volgendo  gli  occhi  ai  suoi  vo- 
lumi avvertisse  quali  fossero  le  opere  da  lui  fatte  e  da 
farsi  ^\  Pure  i  suoi  precetti  dovettero  servire  a  molti  di 
guida  in  questo  grande  rinnovamento  della  città,  mentre 
a  noi  riescono  preziosissimi  sotto  il  rispetto  storico  e  ar- 
tistico, perchè  ci  dicono  di  ogni  forma  e  materia  di  fab- 
briche dalle  case  dei  barbari  fatte  di  terra,  di  fango  e  di 

»  Vitruvio,  I,  1;  III,  praef.^  VI,  praef.^  IX,  praef.,  X,  praef. 
.  2  Vitruvio,  I,  praef. 


il 


Cap.  I. 


L'ARCHITETTO  VITRUVIO  POLLIONE. 


191 


frondi  lino>  ai  templi  degli  Dei  immortali  splendidi  di 
marmi  preziosi,  ai  Fóri,  alle  basiliche,  alle  curie,  ai  tea- 
tri, ai  bagni,  alle  palestre,  agli  edifici  privati  per  ogni 
qualità  di  famiglie,  alle  case  rustiche,  alle  stanze  dei 
morti,  agli  acquidottl,  a  ogni  sorta  di  macchine  utili  in 
pace  e  in  guerra:  e  di  tutte  le  opere  dell'architetto  pre- 


Le  antiche  case  dei  barbari  {B.  Gcdiaii,   Vilruvio  tradotto j  tav.  3). 

scrivono  i  modi  atti  a  farle  forti  e  leggiadre,  e  ritraggono 
l'arte  greca  e  romana  condotta  alla  sua  perfezione. 

Augusto,  dopo  avere  rimesso  nei  templi  del  Pelopon- 
neso e  dell'Asia  gli  ornamenti  rapiti  da  Antonio  *,  prese 
a  rinnuovare  tutto  a  Roma;  ristorò  i  vecchi  monumenti, 
fece  nuovi  e  più  belli  gli  edifìci  sacri  e  profani:  e  quindi 
la  poesia  cortigiana  cantava  di  lui  che,  dopo  gli  uomini 
volle   obbligare   anche   gli   Dei  (").    Restaurò    splendida- 


e*)  Caefera  ne  simili  caderent  labefacta  mina, 

Cavit  sacrati  provida  cura  Diicis  : 

»  Monum.  Aneyr.,  IV,  49;  Strabene,  XIII,  I;  Plinio,  XXXIV,  19,  9. 


192  TEMPLI  E  ALTRI  MONUMENTI.  [Lib.  VH. 

mente  82  templi*;  ne  inalzò  molti  dei  nuovi,  alla  Dea 
Roma,  e  a  Giulio  suo  padre,  a  Quirino,  a  Castore  e  a 
Polluce,  alla  Concordia,  a  Marte  Vendicatore,  alla  Gio- 
ventù; a  Giove  Feretrio  e  a  Giove  Tonante  sul  Campido- 
glio; a  Minerva,  a  Giunone  Regina,  e  a  Giove  Liberatore 
sull'Aventino;  ad  Apollo,  e  alla  Gran  Madre  sul  Palatino, 
ai  Penati  sul  Velia:  e  ai  Lari  pose  un  tempio  nella  Via 
Sacra,  e  simulacri  in  ogni  contrada  2. 

Restaurò  ed  abbellì  il  Campidoglio,  fece  portici  nuovi 
denominati  da  Livia,  e  dai  nipoti  Caio  e  Lucio;  compiè 
e  intitolò  dal  giovinetto  Marcello  il  gran  teatro,  di  cui 
durano  anche  oggi  le  magnifiche  rovine  ^.  Nel  Circo  Mas- 
simo e  nel  Campo  Marzio  eresse,  come  altrove  nettammo, 
obelischi  trasportati  di  Egitto  su  navi  {")  di  maravigliosa 
invenzione^.  11  Campo  Marzio,  cinto  da  vaghi  colli  de- 
scriventi un  semicerchio  sul  Tevere,  fu  variato  di  bo- 
schetti con  lieti  passeggi,  e   abbellito  di  grandi  edifizi. 


Sub  quo  deluhris  sentUur  nulla  senectus, 
Nec  satis  est  homines,  obligat  ille  Deos. 
Templorum  positor,  iemplorum  sancte  o-eposlor, 

SU  superis,  opto,  mutua  cura  tui; 
Beni  tibi  coelestes,  quot  tu  coelestibus  annos, 
Proque  tua  maneant  in  statione  domo. 

Ovidio,  Fast.,  II,  59- G6. 
C*)  Una  nave   arrivata  a   Roma    da  Alessandria   portava,   oltre  a  1200 
soldati  e  200  marinai,   un  obelisco   lungo  87   piedi,   e  gran  quantità  di 
derrate  egiziane.  Cedreno,  ediz.  di  Bonn,  tom.  1,  pag.  300;  Egger,  toc.  cit  , 
pag.  332.  Vedi  anche  sopra  voi.  I,  pag,  272. 

1  Monum.  Ancyr.,  IV,  17. 

2  Monum.  Ancyr.,  W,  1-8;  Ovidio,  Fast.,Y,  145;  Vitruvio,  III,  2,7;  Svetonio,  29,  57; 
Dione  Cassio,  LI,  20,  22,  LUI,  1,  LIV,  4,  8,  19,  LV,  8  e  27,  LVI,  25.  Vedi  anche  Eckel, 
VI,  75,  98,  110,  ecc.,  e  Eichhoff,  De  consecrationis  dedicationhque  apud  liomanos  ge- 
nerihus  variis.  Duisburgi  1859,  pag.  19. 

3  Dione  Cassio,  LUI,  30,  LIV,  23  e  26,  LVI,  27;  Ovidio,  Fast..  G39-C10;  Plutarco,  Mar- 
ceìlo,  30;  Livio,  Epitom.,  138  (140)  ;  Svetonio,  29;  Nibby,  Roma  antica,  voi.  II,  p.  593. 

4  riinio,  XXXVI,  11-15;  Strabone,  XVII,  1;  Aminiano  Marcellino,  XVII,  4;  Zoega, 
De  origine  et  usu  obeliscorum,  Roma  1797.  Vedi  anche  sopra  voi.  III,  pag.  CS3. 


J 


Gap.  I.] 


TEATRO  DI  MARCELLO. 


193 


tra  cui  più  templi  simtuosi,  tre  teatri,   un  anfiteatro  e 
il  superbo  Mausoleo  di- Augusto  ^ 

Fra  le  cose  più  insigni  di  Roma  fu  numerato  il  Fóro 
d'Augusto  ("),  che  ebbe  nel  mezzo  il  tempio  di  Marte  2;ià 


Veduta  delle  reliquie  del  teatro  di  Marcello  su  cui  fu  edificato  il  palazzo  Orsini 
(Canina.  Edif..  IV,  163). 

promesso  in  voto  a  Filippi,  ed  eseguito  poscia  magnifi- 
camente, e  destinato  ad  appendervi  i  trofei  militari.  Il 
principe  dedicò  il  tempio  da  se  stesso,  e  volle  che  ivi  il 
senato  trattasse  le  cose  di  guerra,  che  di  li  partisse  chi 
andava   con  governo   militare    nelle    province,   e   che  i 


C^)  I  nomi  dei  padroui  entravano  dappertutto.  Vi  fu  anche  un  marmo 
augusteo  e  un  marmo  tiberiano  (Plinio,  XXX VL  11),  e  un  rame  detto 
liviano  da  Livia  (XXXIV,  2). 

1  Strabene,  V,  7. 


194  FORO  D'AUGUSTO.  [Lib.  VII. 

duci  vi  deponessero  la  corona  e  lo  scettro  portati  nella 
pompa  trionfale  *.  Ai  lati  del  Fóro  giravano  due  portici 
ove  furono  erette  in  abito  trionfale  le  statue  dei  duci 
che  più  avevano  contribuito  ad  ampliare  la  potenza  di 
Roma.  E  sotto  ogni  statua  una  iscrizione  ricordava  le 
più  gloriose  gesto  di  ciascheduno,  e  gli  onori  avuti  dalla 
Repubblica.  Si  cominciava  da  Enea  e  da  tutti  gli  ante- 
nati della  gente  Giulia;  poscia  venivano  gli  eroi  Repub- 
blicani; e  da  ultimo  vi  si  leggevano  i  nomi  delle  genti 
conquistate  dal  principe.  Oltre  alle  memorie  storiche, 
nella  parte  più  frequentata  del  Fóro  erano  belli  orna-, 
menti  di  arte,  tra  cui  si  ricordano  una  statua  d'Apollo 
in  avorio,  pitture  di  battaglie  e  trionfi,  e  quattro  tavole 
di  Apelle  ritraenti  Castore,  Polluce,  Alessandro  Magno, 
e  la  Vittoria  ('^). 

Anche  i  templi  per  tutta  la  città,  oltre  ad  essere  fatti 
ricchi  d'oro  e  di  gemme,  furono,  come  gli  altri  edifizi 
pubblici,  adorni  di  maravigliosi  dipinti,  di  statue  di  marmo 
e  d'avorio  '^.  Vi  erano  denti  interi  di  elefanti  appesi  a-lle 
mura  '.  In  Campidoglio  destò  le  meraviglie  un  pezzo  di 


(^)  Monum.  Anctjr.,  IV,  21;  Ovidio,  Fast.,  V,  563;  Yelleio  Patercolo, 
II,  39;  Svetonio,  31  e  5G;  Plinio,  VII,  54,  XXII,  6,  XXXV,  10  e  36; 
Gellio,  IX,  II;  Hefner,  Da  statuia  piris  illiistrib.  apud  Roman,  jìositis. 
Monachii  1847.  Rimangono  ancora  le  iscrizioni  laudative  di  Scipione  Emi- 
liano, di  I\Ianio  Valerio  Corvino,  di  Appio  Claudio  Cieco,  di  L.  Cecilio 
Metello,  di  Q.  Fabio  Massimo,  di  Caio  Mario,  di  L.  Licinio  Lucullo,  di 
Marcello,  di  Sicinio  Dentato,  di  Cammillo,  ecc.,  le  quali  credonsi  quello 
stesse  che  furono  poste  sotto  le  loro  statue  nel  Fòro  di  Augusto.  Vedi 
Morcelli,  De  stilo  inscript.,  I,  256-268,  ed.  2*,  1819;  Nibby,  Roma  antica, 
II,  160  e  segg.  ;  e  conf.  Borghesi;  nel  Giorn.  Arcad.,  1859,  pag.  62,  e 
Graff,  De  Romanor.  laudai ionibus,  Dorpati  1862,  pag.  77  e  seguenti. 

1  Dione  Cassio,  LIV,  8  e  Supplem.  Morell.  al  libro  LV  ;  Svetonio,  29;  Ovidio,  Fast.^ 
V,  551.  Vedi  anche  sopra  a  pag.  33  e  34. 

2  Plinio,  VII,  54,  XXXV,  10  e  36. 

3  Svotonio,  30;  Dione  Cassio,  LI,  22;  Plinio,  XXII,  2,  XXXV,  10,  XXXVI,  5,  C. 
*  Plinio,  VIII,  10. 


Gap.  I. 


MONUMENTI  DI  AGRIPPA. 


195 


cristallo  di  50  libre,  offerto  da  Livia,  il  maggiore  che  si 
fosse  veduto  mai  K 

Augusto,  oltre  a  fare  da  sé,  esortò  i  cittadini  princi- 
pali, perchè  a  loro  potere  adornassero  la  città  di  novelli 
monumenti:  e  quindi  gli  amici  e  i  parenti  messero  in 
questo  ogni  loro  pensiero.  Agrippa,  sebbene  tenesse  al- 
quanto del  ruvido,  portò  a  Roma  tavole  comprate  a  gran- 
dissimo prezzo,  adornò  le  sue  terme  di  quadri  e  di  pit- 


Panteon  d'Agrippa  {Da  Fclogra/ìa], 

■ture  all'encausto,  e  con  una  orazione  magnifica  inculcò 
ai  privati  di  mettere  in  pubblico  e  pitture  e  sculture, 
piuttostochè  mandarle  nelle  ville  come  in  esiUo  ^.  Alle 
grandi  costruzioni  fatte  da  edile,  aggiunse  altre  opere 
di  suprema  magnificenza.  Fabbricò  e   decorò   di  pitture 

1  Plinio,  XXXVII,  10. 

2  Plinio,  XXXV,  9,  XXXVI,  6J. 


Ì9G        ANFlTEATtlO  DI  TAURO,  E  TEATRO  DI  BALBO.       [Lio.  VII. 

il  portico  di  Nettuno  per  ricordo  delle  sue  vittorie  na- 
vali*; fece,  come  già  abbiamo  detto,  gli  acquidotti  del- 
l'Acqua Vergine,  e  compiè  il  grande  edificio  del  Panteon, 
solenne  di  architettonica  bellezza,  e  splendido  di  colonne, 
di  fregi,  di  bronzi,  di  statue-;  una  delle  opere  più  per- 
fette dell'arte  romana.  T.  Statilio  Tauro  fece  nel  Campo 
Marzio  un  grande  e  stabile  anfiteatro  di  pietra  dalle  cui 
rovine  sorse  poscia  il  Monte  Citorio.  Cornelio  Balbo,  il 
vincitore  dei  Garamanti,  costruì  un  teatro  adorno  di 
quattro  maravigliose  colonne  di  onice,  e  un  magnifico 
portico  coperto  presso  di  quello  in  vicinanza  del  Tevere 
e  del  luogo  dove  ora  sorge  il  palazzo  dei  Cenci  ^.  Altri 
con  altre  opere  secondarono  le  voglie  del  principe,  perchè 
non  rimanendo  altro  sfogo  alle  ambizioni,  i  ricchi  stu- 
diavano di  far  parlare  di  sé  con  suntuosi  edifìzi.  Taglia- 
vano i  monti  cercando  con  crescente  furore  i  marmi 
stranieri.  Senatori  e  cavalieri  correvano  le  province  in 
cerca  d'avorio  e  di  cedro  '\  La  città  romoreggiava  conti- 
nuamente di  carri  trasportanti  grosse  colonne  ^.  Era  una 
faccenda  incredibile.  Alle  opere  inalzate  dagli  ultimi  Re- 
pubblicani (')    aggiungevansi   edifìzi  di  nuovo  splendore 

(^)  L'oratore  Lucio  Crasso  era  stato  il  primo  ad  avere,  sul  Palatino, 
una  magnifica  casa,  adorna  di  sei  colonne  di  marmo  del  monte  Inietto. 
j\I.  Emilio  Lepido  arricchì  la  sua  di  marmi  numidici.  LucuUo  détte  il  suo 
nome  al  marmo  oscuro  di  Chio,  perchè  fu  il  primo  a  trasportarlo  a  Roma. 
]\Ia  ogni  magnificenza  di  fabbriche  fu  vinta  da  M.  Emilio  Scauro,  il  quale 
divenuto  ricchissimo  per  le  proscrizioni  di  Siila,  nella  sua  edilità  (C9u) 
fece  un  teatro  temporario  a  tre  piani,  il  primo  di  marmo,  il  secondo  di 
vetro,  il  terzo  di  legno  incrostato  di  oro.  Vi  erano  360  colonne,  e  tra  esse 
3000  statue  di  bronzo.  La  cavea  potea  contenere  80  mila  persone.  L'ap- 
parato della  scena  era  tanto  che  le  tappezzerie,  le  pitture  e  gli  altri  or- 

>  Dione  Cassio,  LUI,  27. 

2  Dione  Cassio,  toc.  cit.;  Plinio,  IX,  5S,  XXXIV,  7,  XXXVI,  4  e  21 

3  Plinio,  V,  5  e  XXXVI,  12;  Svetonio,  21)-,  Dione  Cassio,  LI,  23,  LIV,  25;  Strabene,  V, 
7;  Piranesi,  Antich.  rom..  I,  pag.  10;  Nibby,  Jioma  ant.^  I,  43?,  o  li,  5S7. 

4  Plinio,  V,  1  ;  Tacito,  Ali».,  Ili,  72. 

5  Tibullo,  li,  3,  41;  Seneca,  Epist.^  90,  8;  Plinio..  XXXVI,  1,  Paneg.,  51. 


Cap.  I.]       SPLENDORE  DI  PALAGI,  DI  STATUE  E  GIARDINI.         197 

dagli  amici' del  principe;  e  sorgevano  in  numero  grande 
palazzi  pieni  di  colonne  frigie,  e  tenarie  e  caristie,  e  nu- 
midiche,  e  dei  più  squisiti  marmi  del  mondo;  con  volte 
il'icche  d'oro,  d'avorio,  di  pitture,  d'intagli,  e  con  pavi- 
menti coperti  di  mosaici  delle  pietre  più  rare  *.  Gli  atrii, 
pieni  in  antico  di  spoglie  nemiche  ^  e  delle  venerate  ima- 
gini  dei  maggiori,  ora  sorgevano  adorni  di  marmo  e 
d'argento  in  peregrini  e  sublimi  disegni  3;  e  la  turba 
degli  adulatori  affamati  invadeva  il. luogo,  ove  le  oneste 
matrone  antiche  stavano  a  filare  con  le  ancelle  ^.  E  gli 
appartamenti  erano  dipinti  a  storie  e  a  fogliami 5;  né  vi 
mancavano  anche  le  pitture  oscene  ^.  Le  statue,  già  or- 
namento dei  luoghi  pubblici,  empivano  anche  le  case 
private,  e  davano  ad  esse  sembiante  di  Fóri  '.  Vi  erano 
selve  di  platani  tra  i  peristili  marmorei,  e  al  di  sopra 
giardini  pensili,  e  grandi  terrazze,  adorne  di  alberi,  di 
fiori,  di  fontane^,  d'onde  si  vedevano  le  magnificenze 
del  Campidoglio  e  del  Palatino,  i  circhi,  i  teatri,  i  grandi 
portici  formati  d'innumerevoli  colonne  '',  i  templi  sfavil- 


nameuti  avanzati  e  trasportati  nella  villa  Tusculana  per  uso  delle  quo- 
tidiane delizie  si  valutarono  a  100  milioni  di  sesterzi.  (Plinio,  XVII,  1, 
XXXVI,  2,  3,  8  e  24).  In  appresso  Mamurra  di  Formia,  favorito  di  Cesare 
e  arricchito  colle  spoglie  della  Gallia  Cornata  fu  il  primo  ad  avere  la 
casa,  sul  Celio,  piena  di  colonne  tutte  di  solido  marmo  Caristio  e  Lu- 
nense.  (Cornelio  Nepote,  citato  da  Plinio,  XXXVI,  7.  Di  lui  vedi  anche 
Cicerone,  Ad  Atiic,  VII,  7,  XIII,  52,  e  Catullo,  Carm.,  XXIX). 

1  Orazio,  Od..  I,  31,  6,  li,  16,  11,  li,  18,  1-5,  Sai.,  II,  6,  103,  li,  7,  9ó  ;  Tibullo,  III, 
3,  13;  Properzio,  HI,  21,  29;  Stazio,  Silv...  I,  2,  152;  Seneca,  Episl..  90,  9  e  114,  9,  De 
Ira.  III,  35,  De  TranquilUt.  animi.  1  ;  Plinio,  Xill,  29.  . 

2  Polibio,  VI,  53;  Virgilio,  Aen..  VII,  184;  Plinio,  XXXV,  2. 

3  Orazio,  Od..  Ili,  1,  46;  Plinio,  XXXV,  2,  XXXVI,  2  e  3. 

4  Ovidio,  Fast..  II,  T41. 

5  Vedi  Mazois,  Palais  de  Scaurus.  2*  edition,  Paris  1S22,  chap.  7. 

6  Properzio,  II,  6,  27;  Svetonio,   Tib..  41. 

7  Plinio,  XXXIV,  9. 

8  Orazio,  Od..  III,  10,  5,  Epist..  I,  10,  22;  Tibullo,  III,  3,  15;  Plinio,  Epist..  V,  6-, 
Rutilio  Numaziano,  Itincrar..  I,  111;  Mazois,  loc.  cit..  chap.  15. 

9  Stazio,  Sili-..  III,-  5,  90. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  25 


198  LUSSO  SMODATO  NELLE  CASE  DEI  GRANDL      [Lib.  VIL 

lanti,  su  cui  l'occhio  non  poteva  arrestarsi,  i  sontuosi 
giardini  del  Gianicolo,  gli  ameni  boschetti,  i  teatri,  l'anlì- 
teatro,  i  monumenti  alle  donne  e  agli  uomini  illustri,  e  gli 
altri  edifizii  che  nel  Campo  Marzio  ricorda  Strabone  *. 

Infinite  le  morbidezze  raccolte  in  queste  case  dei 
grandi,  nel  tempo  stesso  che  i  poeti  cantano  il  ritorno 
della  severa  virtù.  11  lusso  passa  ogni  confine,  e  mette 
a  contribuzione  anche  i  luoghi  ove  non  giunsero  le  armi 
di  Roma  ^.  In  ogni  angolo  delle  case  è  profusione  di  ric- 
chezza; splendidissimi  gli  addobbi,  in  cui  gareggiano  l'ele- 
gante lavoro  e  la  preziosa  materia  ^  ;  letti  di  legno  di 
cedro,  e  di  bronzo,  adorni  d'avorio  e  di  squame  di  tar- 
taruga, e  coperti  di  sontuosi  tappeti  ^.  Nei  triclinii,  ful- 
gidi d'oro  e  di  marmo  e  di  tappeti  babilonesi  e  persiani, 
in  vasellami  d'argento  ^  s'imbandiscono  su  mense  d' oro 
cibi  di  peregrine  regioni;  uccelli  del  Fasi,  di  Ionia  e  di 
Afirica,  rombi  e  pavoni  e  murene,  ricci  del  capo  Miseno 
e  ostriche  del  lago  Lucrino  e  di  Baia  ^.  Ivi  coronati  di 
rose,  di  appio  e  di  mirto,  e  profumati  di  nardo  ^  man- 
giano le  più  rare  delizie  del  mondo,  e  divorano  a  tavola 
le  granai  fortune  {"),  mentre  belle  schiave  spagnuole  can- 
tano sulla  lira  e  intrecciano  danze  lascive,  e  gladiatori 
lottanti  intorno  alle  mense  accoppiano  l'orrore  della 
strage  alle  gioie  dell'orgia  ^. 

n  Orazio,  Epist.,  I,  15,  26,  Sat.,  II,  8;  Macrobio,  Sat.,  II,  9;  Stazio, 
^Sih.,  1,  6,  5-11.  Sul  lusso  dei  conviti  cominciato,  come  vedemmo,  da 
assai  tempo,  scrissero  molti.  Erano  proverbiali  le  cene  dei  pontefici:  e  di 
una  di  queste  cene  ci  fu  conservata  la  lista  di  25  squisite  vivande.  Vedi 
.Boettiger,  Carte  ou  memi  d'un  repas  de  l' ancienne  Rome,  Paris  1801. 

i  Rutilio  Numaziano,  I,  96;  Strabone,  V,  7. 
5!  Manilio,  V,  369-375. 

3  Seneca,  De^  Tranquillit.  animij  1  ;  Mazois,  loc.  eie.  ca]!.  7, 

*  Orario,  Sat..  H,  0,  103;   Properzio,  II,  13,  21  ;  Seneca,  De  Benefica  VII,  9;  Plinio, 
Vili,  73,  IX,  12,  13. 
5  Orazio,  Sae.^  II,  2,  4,  II,  4,  83;  Plinio,  Vili,  73;  Seneca,  De  Benefit..  VII,  'i. 
e  Orazio,  Sat..  II,  2,  22  e   12,  II,  1,  32-31  e  58,  I>pod..  II,  M;  Marziale,  III,  31,  77. 

7  Orazio,  Od,  JI,  7,  21,  II,  11,  15. 

8  Orazio,  E-piit..  II,  2,  98;  Silio  Italico,  Xl,  51-51  ;  Mazois,  loc.  cit..  cliap.  19;  Marziale,. 
Ili,  G3,  5,  VI,  72,  2;  Stazio,  Silv..  I,  6,  71  ;  Plinio,  Epist..  I,  15.  Conf.  Livio,  IX,  40. 


Cap.  L]  delicatezze  del  mondo  muliebre.  199 

Chi  potrebbe  ridire  le  delicatezze  del  mondo  muliehre 
€  le  vesti,  e  i  vasi  di  ogni  forma  e  di  ogni  metallo,  pieni 
d'unguenti  odorosi,  di  manteche,  di  lisci,  e  degli  altri 
apparecchi  per  tingere  i  capelli,  e  per  render  fresco  il 
colore  ai  volti  appassiti?  ("). 

Si  ricercavano  con  amore  più  furioso  i  vasi  di  cri- 
stallo e  di  onice,  le  perle,  le  gemme,  le  ambre  ^  Il  lusso 
delle  gioie  passò  tutti  i  modi.  Se  ne  facevano  collezioni 
e  musei,  e  Cesare,  che  da  console  comprò  a  Servilia, 
madre  di  Bruto,  una  gemma  per  sei  milioni  di  sesterzi  (*), 
poscia  ne  dedicò  molte  nel  tempio  di  Venere  Genitrice, 
ove  pose  anche  una  corazza  fatta  di  margarite  britanni- 
che -.  Antonio  proscrisse  il  senator  Nonio  per  prendergli 
una  rarissima  pietra  che  aveva  all'anello:  e  il  figlio  del 
commediante  Esopo  volle  dare  alla  gola  la  gloria  di  sen- 
tire qual  sapore  avessero  le  perle,  e,  come  Cleopatra, 
ne  bevve,  stemprata  nell'aceto,  una  che  costava  un  mi- 
lione ,  e  ne  dette  altre  a  gustare  ai  suoi  commensali  ', 

C^)  Tibullo,  I,  8,  9  e  44;  Ovidio,  De  Medicamine  faciei,  51  e  segg.;  Boet- 
tiger.  Sabine,  ou  la  matinée  d'un  dame  romaine  à  sa  toilette,  Paris  1813, 
pag.  61,  ecc.  Non  ha  guari  negli  scavi  di  Cuma  fu  trovata  una  scatola 
di  legno  e  di  avorio  racchiudente  il  mundus  muliebris  di  una  signora 
romana:  uno  specchio  con  sua  teca  di  legno,  un  pettine  d'avorio,  belletto, 
aghi  crinali,  ecc.,  ecc.  Vedi  il  Bullettino  archeologico  napoletano ,  feb- 
braio 1856,  pag.  113.  Il  Fiorelli  ne  détte  una  illustrazione  anche  nel- 
Y Athenaeum  di  Londra,  12  aprile  1856.  Donne  in  atto  di  farsi  acconciare 
sono  figurate  in  un  bassorilievo  del  Museo  di  Arezzo  (vedi  Roulez,  Notice 
sur  un  bas-relief  funéraire  du  Musce  d'Arezzo  représentant  une  scéne 
de  toilette,  nelle  Mém.  de  l'Acadcm  Royal  de  Belgique,  1845  e  1846), 
in  pitture  di  vasi,  e  altrove:  e  un  mondo  muliebre  d'avorio  scoperto  pure 
nella  grande  necropoli  di  Canoaa  andò  perduto  per  la  imperizia  di  chi 
conduceva  gli  scavi.  Vedi  Bullett.  di  corrisp.  archeolog.,  1843,  pag.  73,  e 
Annali,'  1848,  pag.  151.  ^ 

(*)  Svetonio,  Caes,,  50.  Cioè  circa  un  milione  e  192,786  lire  italiane. 

»  Plinio,  XXXVII,  li  e  IS;  OtìJìo,  Mttam.,  II,  3jl-?/in. 

«  Plinio,  IX,  57,  XXXVII,  5. 

3  Orazio,  Sat.,  Il,  3,  239;  Plinto,  IX,  58  e  59,  XXXVII,  21  ;  V*lerio  Mf.s.inio,  IX,  1,  2. 


200 


PERLE,  GEMME,  ECC. 


[LiB.  VII. 


In  tazze  fiammeggianti  di  gemme  si  beveva  alle  mense 
dei  grandi*;  di  gemme  .adornavano  le  ricche  vesti  di 
porpora  ^.  Gli  uomini  si  empivano  le  dita  di  anelli  con 
pietre  di  squisito  fulgore  3.  Se  nella  lieta  Campania  l'ar- 
tista greco  imaginò  gli  Amorini  messi  al  mercato,  a  Roma 
il  malinconico  poeta  vide  venduta  la  fede  e  traditi  gli 
affetti  a  prezzo,  di  gemme  ■^  Le  donne  chiedevano  dia- 
manti, perle  e  gemme  agli  amanti,   e  se  ne  caricavano 


11  mercato  degli  amori  in  pittura  di  Stabia  {Mus.  Borboni..  I,  3). 

la  testa,  le  orecchie,  il  collo,  il  petto,  le  braccia  e  anche 
i  calzari  5.  Avevano  specchi  adorni  d'oro  e  di  pietre  pre- 


'  Virgilio,  Georg.,  II,  50r,;  Properzio,  III,  5,    1. 

2  Orazio,  Episi.,  I,  C,  18 

5  Plinio,  XXXIII,  1-,  Ovidio,  De  Art.  am.,  IH,  JK);  Seneca,  Quaesl.  Nat.,  VII  ;jl  • 
Marziale,  XI,  59.  '       ' 

*  Tibullo,  I,  9,  32. 

5  Properzio,  I,  2,  21,  II,  22,  9,  IH,  0,  12;  Ovidio,  DeArt.am..  I,  132.  III,  129,  AmCf, 
I,  2,  U,  liemed.  amor,  313,  De  Medicamiì^e  fac,  20;  Plinio,  IX,  53,  XIII,  29. 


Gap.  L]     profumi,  PORPORA,  SETA,,  VINI  STRANIERI,  ECC.        201 

ziose  che  costavano  più  di  quello,  che  la  Repubbhca  dava 
già  in  dote  alle  figlie  dei  capitani  indigenti  K 

Profusi  milioni  in  balsami,  in  unguenti,  in  olii  aroma- 
tici usati  largamente  al  lusso  dei  conviti,  e  dei  bagni, 
e  a  profumare  la  persona,  i  capelli,  le  vesti  ^,  le  ceneri 
stesse  dei  morti  3.  Ai  vini  ancora  mescolavano  aromi  ^; 
e  dei  mercatanti  di  queste  voluttà  era  pieno  a  Roma  il 
vico  Tosco,  chiamato  per  causa  di  essi  anche  vico  Un- 
(luentario  ^. 

Dalle  contrade  dell'  Oriente  e  del  Mezzogiorno  erano 
mandate  tutte  queste  delizie,  come  anche  le  porpore,  i 
drappi  di  seta,  i  tappeti  babilonesi  e  persiani,  F ebano, 
l'avorio,  le  tartarughe  e  ogni  sorta  di  pietre  preziose, 
per  causa  delle  quali  ogni  anno  uscivano  dall'Impero,  al 
dire  di  Plinio  ^  cento  miUoni  di  sesterzi  (19,879,775  lire 
itahane),  mandati  ad  arricchire  gli  Arabi,  gli  Indiani 
e  i  Seri.  Ed  era  commercio  quasi  tutto  passivo  per 
l'Italia  e  per  Roma,  perchè  si  facevano  pochi  cambi,  e 
bisognava  dare  oro  per  quelle  merci  vendute  a  caris- 
simo prezzo  '. 

A  Roma  venivano  le  cose  di  prima  necessità,  di  co- 
modo, di  lusso,  e  di  fasto,  e  tutti  i  beni  delle  province  ^. 
Vedemmo  già  come  all'Italia,  impoverita  e  disertata  dalle 
guerre,  abbisognassero  più  che  mai  i  grani  di  Sicilia,  di 
Sardegna  e  di  Affrica.  Quando  molti  posero  loro  gloria 
nell'ubriacarsi  9,  non  più  bastarono  i  vini  di  questa  terra 

1  Seneca,  Quaest.  Nat.^  I,  17. 

2  Orazio,  Od..  I,  5,  2,  1,29,  7,  II,  11,  IG,  ITI,  20,  1 1  ;  Tibullo.  II,  2,  3,  III,  1,  28;  Pro- 
jicrzio,  I,  2,  3,  TI,  4,  5. 

3  Tibullo,  I,  3,  7,  III,  2,  23;  Properzio,  II,  13,  30,  IV,  7,  33. 
l  Plinio,  XIV,  15. 

5  Orazio,  Sat..  II,  3,  228,  Epist.,  II,  1,  269. 
G  Plinio,  XII,  41. 

7  Vedi  Mengotti,  Dei  Commercio  dei  Romani,  cap.  6;  Pastoret,  Du  Commerce  et  dn 
Itcxe  des  Romains,  nelle  Mém.  de  V Acadèmìe  des  InscrijU.  et  Belles-lettreSj  voi.  Ili, 
pag.  285  e  355,  e  voi.  V,  pag.  76. 

8  Plinio,  XI,  97. 

9  Plinio,  XIV,  28;  Orazio,  Sa(.,  I,  1,  51,  II,  1,  9,  II,  8,  3. 


202  COMMERCI  CON  GERMANIA,  BRITANNIA,  SPAGNA,  ECC.  [Lib.VII. 

celebrata  come  carissima  a  Bacco  ',  e  moltissimi  e  pre- 
ziosi ne  vennero  di  Sicilia,  di  Grecia,  di  Asia,  di  Egitto 
e  di  Spagna  (°). 

Ogni  paese  mandava  le  cose  sue  proprie.  Dalla  Sci- 
zia  venivano  pellicce;  dalle  rive  del  Baltico  traevasi 
l'ambra,  ornamento  delle  donne  latine,  pagata  carissima 
con  meraviglia  dei  barbari-;  dalla  Germania  biondi  ca- 
pelli per  le  donne  galanti  3,  vini  dalla  Rezia  e  dall'Istria; 
oro  e  ferro  di  ottima  tempra,  e  schiavi  e-  greggi  e  pel- 
licce dal  Nerico,  dalla  Dalmazia  e  dali'lUiria '^  :  e  di  tutto 
era  emporio  Aquileia  ^.  Le  Gallie  mandavano  ruvide  lane 
e  tappeti,  lavori  di  ferro,  di  pionfibo  e  di  stagno,  e  lino 
per  vele,  e  focosi  cavalli,  e  nardo,  e  cacio  di  Nemauso 
{Nimes)  lodato  su  tutti  quelli  delle  province,  e  grossi 
prosciutti,  e  altri  salumi  in  tal  copia,  che  fornivano  Roma 
e  quasi  tutte  le  parti  d'Italia  ^.  Con  la  Britannia  si  face- 
vano cambi,  e  da  essa  mandavansi  cani  da  caccia,  pelli, 
freni  d'avorio,  collane,  vasi  d'ambra  e  di  vetro,  e  altre 
produzioni  dell'isole  e  dei  mari  d'attorno'.  Di  Spagna 
veniva  ogni  sorte  di  beni  s.  Roma  era  piena  di  ricchi 
mercanti  spagnuoli  che  usavano  l'oro  a  sedurre  le  donneai 
grosse  navi  cariche  di  metalli  preziosi,  di  oro,  di  ferro, 

(^)  Plinio,  XIV,  2  e  segg.,  ne  ricorda  più  di  190  specie;  tra  cui  .50  di  vini 
generosi,  38  di  oltremarini,  7  di  vini  salsi,  18  di  vini  dolci,  64  di  vini 
contraffatti,  12  di  vini  prodigiosi,  tra  i  quali  quello  di  Arcadia  che  ren- 
deva gli  uomini  rabbiosi  e  le  donne  feconde;  quello  di  Acaia  che  faceva 
sconciare  le  pregne,  e  quello  di  Trezene  che  impediva  di  generare. 

1  Virgilio,  Oeorg.^  Il,  2-8,  388  e  segg.;  Plinio,  III,  9,  7. 

2  Tacito,  Germ.^  4rj-,  Plinio,  XXXVII,  11,  12;  Gibb.on,  Decline,  ecc.,  chap.  2. 

3  Ovidio,  Amor.,  I,  1  1,  15,  De  Art.  nm...  Ili,  103-168;  Boettiger,  Sabine,  pag.  7i>. 

*  Virgilio,  a»org.,  11,  95;  Orazio,  Od.,ì,  10,  9-10,  Epod.,  XVII,  71;  Strabone,  IV,  0; 
Stailo,  Silv.,  I,  2,  153,  III,  3,  00,  IV,  7,  15;  Plinio,  XXXIII,  21,  XXXIV,  41. 

•">  Strabone,  V,  2. 

«  Orazio,  Od.,  I,  8,  6;  Varrone,  De  re  ruslica,  II,  1,  10;  Strabone,  IV,  3  «  1;  Lu- 
••no,  I,  425;  Plinio,  XI,  97,  XII,  26,  XIX,  20. 

7  Strabone,  IV,  5. 

8  Giustino,  XLIV,  1.  ■  ^ 
3  Orazio,  Od.,  IH,  0,  .•^1-33. 


Gap.  I.J        NAVI  MERCANTILI  A  POZZUOLI  E  AD  OSTIA.  203 

di  squisiti  vini,  di  olio,  di  finissime  tele,  di  sparto  per 
funi  da  navi,  di  lane  di  colori  bellissimi,  di  allume,  di 
minio  e  di  ogni  sorta  di  merci  giungevano  di  continuo 
a  Pozzuoli  e  ad  Ostia  *  :  e  di  due  navi  a  vela  ci  fu  con- 
servata l'imagine  in  un  bel  monumento  non  ha  guari 
scoperto  nel  porto  ostiense  superbo  di  moli,  di  colonne, 
di  statue  colossali,  e  di  archi,  quale  fu  edificato  magni- 
ficamente da  Claudio,  e  ingrandito  poi  da  Traiano  sulla 
destra  del  Tevere  (")• 


('')  Vedi  P.  E.  Visconti,  nella  Gazzetta  di  Roma,  10  e  23  dee.  1863, 
e  20  genn.  1864;  Henzen,  Scavi  di  Porto,  in  Bullett,  Isiit.,  1864,  p.  12-20; 
Cavedoni,  Il  bassorilievo  rapjjr  e  sentante  il  porto  di  Claudio  dichiarato 
coi  riscontri  delle  medaglie  antiche,  ivi,  pag.  219-223;  Guglielmotti, 
Delle  due  na'^i  romane  scolpite  sul  bassorilievo  portuense  del  principe 
Torlonia,  Roma  1866. 

Secondo  le  illustrazioni  dei  dotti  archeologi  il  monumento  egregiamente 
scolpito  ai  tempi  di  Settimio  Severo  è  votivo,  e  fu  posto,  come  usavasi, 
dai  naviganti  scampati  dai  perigli  del  mare.  Rispetto  alle  navi  il  Gugliel- 
motti, ricco  di  elegante  dottrina  sulle  cose  navali  antiche  e  moderne,  lo 
descrisse  più  largamente  degli  altri.  Secondo  lui  la  prima  na-^e  a  sinistra 
dei  riguardanti,  la  quale  nella  gonfia  vela  porta  per  insegua  la  lupa  nu- 
tricante i  gemelli  e  si  distingue  pel  faro  alla  poppa,  festeggia  il  felice 
arrivo  nel  porto  mettendo  fuori  corone  di  frondi,  tenute  da  due  figure 
alate  alla  poppa  e  al  calcese.  L'arrivo  è  significato  anche  dal  sacrifizio 
fatto  ad  un'ara  accesa  dal  Padrone,  da  una  donna  che  tiene  aperta  Vacerra 
o  cassetta  dei  profumi,  e  da  un  servo  che  alla* chiamata  del  Padrone  si 
accosta  portando  la  pàtera  e  il  calato  «  vaso  pocillare  consueto  nei  sa- 
crifizi bacchici,  e  nelle  feste  vinali,  per  far  libagioni  al  Nume  tutelare  » 
cioè  a  Libero  o  Bacco,  indicato,  come  pare,  anche  dalie  lettere  V.  L. 
significanti  votum  Libero  (Conf.  Apuleio,  Afetamorph.,  XI,  16).  Le  navi 
credute  cariclie  di  anfore  piene  di  vino  si  dirigono  all'emporio  vinario, 
cui  presiede  Bacco  «  scolpito  di  figura  gigantesca,  coronato  di  pampini, 
ornato  la  faccia  ridente  di  grappoli,  col  tirso  nella  sinistra,  il  cratère 
nella  destra,  e  la  pantera  allato ....  su  piedistallo  in  cui  stanno  scolpite 
tre  ninfe  che  versano  liquore  da  una   grande  anfora  a  due  manichi,  ro- 

1  Strabene,  111,  2,  3;  Properzio,  II,  3,  li;  Orazio,  Epod.^  IV,  3;  Plinio,  III,  1,  XIX, 
2,  XXXIII,  21,  10,  XXXIV,  ti,  XXXV,  53;  Silio  Italico,  I,  231-236;  Marziale,  XII, 
99,  XIV,  133. 


2U4 


i  I..U.  Vii. 


Cap.  I.J  lane,  vini,  marmi,  e  vasi  di  GRECIA.  205 

Esiliati  dalle  guerre  i  pastori  d'Italia,  e  scemate  quindi 
le  lane  appule  ed  euganee,  e  le  altre  che  più  erano  in 
pregio,  si  introdussero,  oltre  alle  iberiche,  quelle  morbi- 
dissime di  Laodicea  e  di  Mileto,  tinte  colle  porpore  fa- 
mose di  Tiro,  di  Laconia  e  di  Affrica  *. 

Delicatezza  in  gran  copia  forniva  la  Grecia;  vini  di 
Coo  per  far  salse  ^  ;  vini  di  Lesbo,  vini  dolci  di  Chio,  e 
miele  per  temprare  il  troppo  austero  Falerno  ^;  mille 
sorte  di  marmi  preziosi,  tra  cui  quelli  splendidi  di  Paro 
e  del  monte  Imetto  '*;  vasi  di  Corinto  ^;  profumi,  stoffe, 


vescia,  e  con  ambedue  anse  airingiù:  »  vaso  al  tutto  simile  a  quello  che 
porta  sulle  spalle  il  marinaro  disceso  dalla  seconda  nave,  e  diretto  all'em- 
porio. Di  più  a  significare  che  le  due  navi  portano  vino  notasi  un  Bacco 
a  mezzo  busto  sulla  prua  della  seconda,  e  che  sulla  prima  nel  medesimo 
luogo  vedesi  un  piccolo  Bacco  colla  lince  e  con  tutti  i  segni  di  quello 
gigantesco  che  presiede  all'emporio;  e  che  al  disopra  stanno  scolpiti 
due  otri. 

Il  dotto  illustmtore  nota  pura  che  le  navi  romane  trafficanti  di  vino, 
si  misuravano  ad  anfore,  e  che  la  loro  portata  comune  era  tra  le  due- 
mila e  le  tremila,  come  rilevasi  da  Cicerone  {Ad  Famil.,  XII,  15),  e  da 
Plinio  (VI,  22):  e  dopo  queste  ed  altre  importanti  ricerche  conclude  sulle 
navi  del  monumento  votivo:  «  le  navi  sono  due,  a  vela  e  non  a  remo, 
conserve,  rotonde,  onerarie,  vinarie,  di  duemila  anfore:  arrivano  in  porto 
e  vanno  all'emporio.  L'occhio  umano,  simbolo  non  ignoto  di  Osiiide  e  di 
Bacco ,  pende  da  eteree  catene  davanti  alle  due  navi ,  fattovi  scolpire 
dall'ordinatore  del  monumento  votivo,  perchè  non  era  nò  poteva  stare  a 
quel  modo  nel  Porto.  L'occhio  fatale  e  la  prudenza  han  vinto  il  fascino 
della  malignità.  Viaggi  felici,  grandi  guadagni.  11  Padrone  è  lieto,  ha 
fatto  voto,  e  chiede  la  pàtera  per  libare  al  Nume  suo  tutelare.  Pone  il 
monumento,  ricorda  i  benefici!  ricevuti,  e  scrive  sulla  vela  dipinta  le 
iniziali  lettere  del  suo  voto  V.  L.,  votum  Libero.  «  Il  voto  è  a  Bacco.  » 

>  Orazio,  Od.^  II,  16,  35,  Epist..  I,  6,  IS,  I,  17,  30;  Virgilio,  Georg. ^  III,  307;  Plinio, 
Vili,  73,  IX,  60-64;  Columella,  VII,  2;  Properzio,  IV,  3,  51. 

2  Orazio,  Sat.,  II,  4,  73,  IT,  8,  9. 

3  Orazio,  Od.^  1,  17,  21,  II,  6,  14,  Epod..  IX,  31,  Sat.,  I,  IO,  24,  II,  2,  15,  II,  3,  115; 
n,   1,  24;  Virgilio,  Georg..  IV,  101-102;  Macrobio,  Sat...  VII,  12;  Plinio,  XI,  13. 

4  Orazio,  Od..  I,  19,  6,  II,  IS,  3;  Tibullo,  III,  3,  14;  Plinio,  XXXVI,  2-4. 

5  Virgilio,  Georg..  II,  464;  Orazio,  Sat...  I,  4,  28;  Ovidio,  Met.^  VII,  416;  Properzio, 
in,  5,  6;  Plinio,  XXXIV,  1-3. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  26 


206 


MERCI  DI  AFFRICA  E  D'ASIA. 


[  LiB.  VII. 


bisso,  e  le  finissime  vesti  di  Coo,  che  lasciavano  traspa- 
rire quasi  come  nude  le  membra  delle  donne  romane  *. 
Le  navi  d'Egitto,  oltre  a  copia  grande  di  grano,  por- 
tavano leoni,  leopardi,  elefanti,  papiro,  lino,  vetro,  allume, 
i  marmi  egiziani,   e   la  mirra,    l'avorio,  e  il  cotone   di 


Vesti  trasparenti  (Pitture  d'Ercolano,  voi.  Ili,  tav.  30). 

Etiopia,  la  porpora  di  Getulia,  i  marmi  di  Numidia  e  di 
Libia,  e  le  tavole  preziose  di  cedro  2,  e  l'olio  cedrino  per 
salvare  i  libri  dalle  tignole  ^    ' 

L' Asia  Minore  e  le  contrade  vicine  davano  grande 
alimento  al  commercio  con  variatissime  merci  '*;  coi 
marmi  di  Frigia  ^,  col  cacio   di  Bitinia  reputatissimo  a 


>  Orazio,  Od.,  IV,  !,'{,  13,  Sat.,  1,  2,  101;  Tibullo,  li,  3,53  e  II,  »,  29;  Properzio,  I,  2, 
2,  II,  1,  5;  Seneca,  De  benef..  VII,  9;  Plinio,  XI,  27. 

2  Plinio,  XII,  33-36,  XIII,  21-27,  XIX,  1,  XXXV,  15,  XXXVI,  S  ;  Strabene,  XVII,  2; 
Orazio,  Od.,  II,  16,  35,  li,  18,  1-1,  III,  20,  4,  Epist..  II,  2,  ISl  ;  Virg.,  Georg.,  Il,  120; 
Mela,  III,  2. 

3  Vitruvio,  lì,  9,  13;  Orazio,  EpUt.  ad  Pisones,  332. 

4  Orazio,  Od.,  I,  35,  7,  III,  7,  3. 

5  Orazio,  Od.,  III,  1,  41;  Tibullo,  IH,  3,  13. 


Cap.  I.]     ALESSANDRIA  DEPOSITO  DI  TUTTO  IL  COMMERCIO.     207 

Roma  1,  col  croco  di  Cilicia  e  di  Licia  -,  coi  legnami  da 
costruzione,  col  ferro,  colla  cera,  col  miele,  e  colle  pietre 
preziose  del  Ponto  ";  coi  tappeti  orientali,  col  preziosis- 
simo nardo  d'Assiria  '*,  colle  merci  di  Tiro  e  cogli  odori 
di  Armenia  ^, 

Alessandria  era  il  deposito  di  tutto  il  commercio  del- 
l'Affrica e  dell'Oriente  con  l' Italia  e  con  Roma.  Ai  tempi 
di  Strabone  120  navi,  salpando  da  Myos  Ormos  {Ahou- 
somer)  e  da  Bei^enice  (Foul-Bay)  nel  seno  Arabico  ^,  cor- 
revano ogni  anno  lungo  le  coste  aiTricane  in  cerca  di 
tartarughe  destinate  a  ornamenti  di  letti,  di  tavole,  e  ad 
altri  lavori  d'intarsio  ^;  raccoglievano  le  perle  dell'Eritreo, 
la  mirra,  gli  aromi,  e  gli  incensi  delle  odorose  selve  di 
Arabia  S;  e  i  garofani,  le  spezi-erie,  il  balsamo,  l'avorio, 
l'ebano,  l'oro,  le  gemme  e  le' conchiglie  odorose  del- 
l'India ''^;  e  i  tappeti,  le  pelli,  gli  unguenti,  e  le  vesti  pre- 
ziose dei  Persi  e  dei  Seri  **',  e  altre  cose  di  lusso,  che 
giunte  ai  lidi  egiziani  si  trasportavano  per  terra  ad  Ales- 
sandria. Altre  merci  dell'interno  dell'Asia  si  recavano  alle 
foci  dell'Indo,  e  di  là  a  Babilonia  e  a  Palmira  i'.  Per 
vie  diverse,  tutte  le  delizie  venivano  a  Roma  a  nutrire 


1  Plinio,  XI,  97. 

2  Orazio,  Sat.,  Il,   1,  r.S;'Plino,  XXI,  17. 

3  Catullo  Carni.,  IV,  10;  Orazio,  Od.,  !,  il,  H  ;  Strabone,  XII,  2;  Plinio,  XV,  IS,  XXI, 
15,  XXXVII,  C. 

*  Plinio,  Vili,  73;  Orazio,  Od.,  I,  31,  12,  e  II,  11,  16;  Tibullo,  III,  1,  2S 

5  Orazio,  Od.,  Ili,  29,  00;  Tibullo,  I,  5,  35,  IV,  2,  11  e  Hi. 

6  Strabone,  II,  1,  XVI,  4,  XVII,  1.  Conf.  C.  Miiller,  Geo'jraphi  graeci  minores,  ediz. 
Didot,  1855,  voi.  I,  Prolego;n.,  pag.  LXIX. 

7  Plinio,  IX,  12  e  13. 

8  Tibullo,  II,  1,  30,  IV,  2,  19-20;  Orazio,  Epist.  ,  I,  6,  G;  Virgilio,  Georg.,  II,  117; 
Diodoro  Siculo,  II,  19;  Plinio,  IX,  53,  XII,  30-37;  Manilio,  V,  653;  Strabone,  XVI,  4; 
Stazio,  Sili}.,  Ili,  3,  33-31;  Charton ,  Vpyogeurs  anciens ,  vcl.  I,  jjag-.  7S-S0;  Nòel  des 
Vergers,  Arabie,  in  Univ.  Pittar.,  Paris  1847,  pi.  3S,  pag.  44. 

9  Plinio,  XII,  12,  ecc.;  Virgilio,  Georg.,  I,  57;  Tibullo,  II,  2,  16;  Orazio,  Od.,  I,  31, 
fi;  Ovidio,  Fast.,  I,  .339-312;  Stazio,  Silv.,  Ili,  3,  91. 

io  Plinio,  VI,  20,  XIII,  2,  XXXIV,  41;  Orazio,  Od.,  Ili,  1,  41,  Epod.,  XIII,  8;  Vir- 
gilio, Georg.,  II,  121;  Stazio,  Silv.,  I,  2,  122. 

Il  Baldelli,  Storia  delle  relazioni  vicendevoli  dell'Europa  e  dell'Asia,  Firenze  1S27, 
I,  14. 


20S  GLI  ODORI  DELLE  DONNE  ROMANE.  [Lib.  VIL 

il  lusso,  ad  effeminare  gli  uomini,  e  ad  abbellire  le  vo- 
luttuose romane,  che  profumate  di  mirra  orontea,  di  cin- 
namomo e  di  balsamo,  cariche  d'oro,  e  adorne  di  con- 
chiglie, di  smeraldi  e  di  gemme  del  valore  di  due  o  tre 
patrimonii  ^,  correvano  pei  circhi,  pei  templi  e  pei  por- 


Albori  dell' incenso,  del  cinnamomo  e  del  lj?.lsamo  {Cliarton  e  Nòel  des  Vergen]. 

tici  in  caccia  di  amanti  ^,  e  coli' odore   degli  unguenti 
invitavano  a  sé  anche  chi  badasse  ad  altro  ^ 

1  Seneca.  De  Benef.,  VIL  0;  Orazio,  Sul.,  I,  2,  M;  Properzio,  I,  2.  :?,  Ili,  (k  1-';  Ti- 
bullo, I,  0,  70. 

•  Properzio,  I,  2,  21,  U,  10,  9;  Ovidio,  De  Arte  nm.,  HI  ■[:>,')  .387,  Uemed.  am..  oi:? 
De  Medie,  fac,  21,  e  setrg. 

•5  Plinio    XIII,  1-r,. 


Gap.  I.]  TRATTATI  COMMERCIALI  COLL'ORIENTE.  209 

L'Oriente  mandava  anche  numero  grande  di  schiavi, 
e  nutriva  il  bruttissimo  commercio  degli  eunuchi,  tra- 
stulli alle  noie  dei  grandi,  custodi  alle  donne,  e  sozzi 
strumenti  di  vizi  infami.  Da  Plinio  è  ricordato  che,  sotto 
Tiberio,  Sciano  comprò  un  eunuco  per  50  milioni  di 
sesterzi  equivalenti  a  più  di  nove  milioni  di  lire  *. 

Tutti  questi  commercii  moltiplicando  le  relazioni  colle 
più  lontane  contrade,  e  facendo  di  uso  comune  le  cose 
dapprima  ignote,  giovavano  alla  umana  vita  -.  Recavano 
qualche  vantaggio  anche  alle  province,  che  colle  indu- 
strie si  ripigliavano  una  parte  della  ricchezza,  che  ave- 
vano tolto  loro  le  rapine  della  guerra.  Di  più  arrichivano 
alcuni  mercanti  forti  alle  fatiche  e  audaci  contro  i  peri- 
coli 3,  ma  in  generale  erano  a  danno  di  Roma,  .che  con- 
sumando e  non  producendo  dava  fondo  al  denaro,  e  si 
riduceva  da  ultimo  ad  estrema  povertà  '*. 

Augusto,  quantunque  la  vera  e  utile  scienza  del  com- 
mercio non  conoscesse,  è  detto  che  giovò  ai  traffici  col 
dar  loro  libertà,  e  col  far  diritto  comune  dell'Impero  le 
leggi  rodiane,  che  per  la  loro  saviezza  furono  accolte  da 
tutti  i  popoli  navigatori  ^.  È  certo  che  per  ragioni  di 
commercio  e  di  politica  trattò  coi  re  dell'Oriente,  come 
è  provato  da  testimonianze  latine,  greche,  indiane  e  chi- 
nesi.  Medaglie  romane  degli  ultimi  tempi  della  Repub- 
bUca  accennano  a  relazioni  tra  Roma  e  gli  Indiani,  e  la 
Battriana,  posta  tra  l'India,  la  Persia  e  la  China.  Fino 
da  quando  Antonio  governava  l'Egitto  si  vedono  stabiliti 
banchi  romani  nelle  principali  piazze  di  commercio  dei 
mari  orientali,  e  ordinate  compagnie  di  mercanti.  Ogni 
anno  dai  porti  egiziani  del  Mar  Rosso  partivano,  come 
dicemmo,  navi  mercantili  per  l'Arabia,  pel  Golfo  Persico 

1  Plinio,  VII,  40.  Vedi  Pi-norio,  De  ScyvU^  17-. 

2  Plinio,  XIV,  1. 

3  Orazio,  Sat.,  I,  \,  C,  I,  4,  29-32,  Efiìst.^  I,  1,  4:. 

■*  Mengotti,  Del  commercio  dei  Romania  cap.  C  <;  7. 

5  Svetonio,  ^'S;  Faljricio,  August.  temp.  notatio^  pag.  201. 


210  AMBASCIATORI  CHINESI  A  ROMA.  [Lib.  VII. 

e  per  la  penisola  Indiana':  e  gli  Annali  chinesi,  che 
non  conoscono  il  nome  di  Roma,  chiamano  Antou  la  ca- 
pitale romana,  cioè  Alessandria,  che  ai  tempi  di  Antonio 
era  il  vero  capo  delle  province  orientali  dell'Impero. 
Queste  relazioni  coll'interno  dell'Asia  continuarono  anche 
sotto  Angusto,  e  si  mantennero  poi  per  più  secoli.  Egli 
fece  trattati  commerciali  e  politici  coi  Battriani  e  cogh 
Indi,  ed  ebbe  onorevoli  ambasciate  da  essi.  Al  dire  di 
Strabene,  alle  navi  romane  fu  offerto  di  accoglierle  con 
ogni  facilità  in  tutti  i  porti,  e  gli  ambasciatori  deha  Bat- 
triana,  chiedendo  l'amicizia  dell'imperatore,  gli  portarono 
in  dono  perle,  gemme,  elefanti,  tigri,  vipere  di  straor- 
dinaria grandezza,  un  serpente  di  dieci  cubiti,  e  un  uomo 
senza  braccia,  che  coi  piedi  teneva  l'arco  e  scagliava 
frecce,  e  faceva  ogni  cosa  che  altri  fa  colle  mani.  Venne 
un'ambasciata  anche  dal  paese  dei  Seri,  cioè  dalla  China  -, 
e  con  essi  pure  fu  fatto  un  trattato,  e  cominciarono  più 
direttamente  le  relazioni  commerciali  tra  Roma  e  il  Ce- 
leste Impero,  che  già  per  mezzo  dell'India  forniva  in 
tanta  copia  la  seta,  sì  cara  al  lusso  delle  donne  romane  ('*). 
E  cosi  da  ogni  parte  le  lodi  abbondavano  a  lui  ordi- 
natore pacifico  delle  romane  conquiste.  La  fama  non  si 

(")  Reinaud,  Memoire  sur  les  reìations  poliliques  et  commerciales  de 
l'empire  romaìn  avec  l'Asie  orientale  pendant  les  premiers  siècles  de 
l'ere  chrctienne,  d'aprcs  les  tómoignages  latins,  grecs,  aràbss,  persans, 
indiens  et  chinois,  nel  Journal  Asiaiique,  mars-avril,  1863,  pag.  95,  e 
segg.,  e  mai-juin,  pag.  298,  e  segg.  Egli  nota  che  gli  Annali  chinesi  non 
contengono  il  nome  dei  Romani.  Essi  sono  ivi  designati  col  nome  di 
Ta-thsin,  cioè  grandi  Chinesi,  perchè  secondo  alcuni  si  tenevano  origi- 
narli della  China.  Pure  la  parola  Cesare  si  trova  in  quegli  Annali  sotto 
la  forma  di  Kai-sa.  Ivi  si  parla  dell'alta  statura,  dell'indole  franca  e 
diritta  dei  Romani,  somiglianti  molto  agli  abitatori  del  regno  del  mezzo, 
dei  loro  magistrati,  delle  monete  d'oro  e  d'argento,  delle  stoffe,  delle 
piante  medicinali,  del  loro  commercio,  ecc.,  ecc.  Ivi,  pag.  341. 

»  Strabene,  XVII,  1.  '  * 

»  Orario,  01.,  IV,  15,  15  e  segg.;  Floro,  IV,  12,  62. 


Gap.  I.]       DISGRAZIE  DOMESTICHE  E  MOGLI  D'AUGUSTO.  211 

stancava  di  ripeterne  il  nome  negli  scritti,  nelle  boc- 
che del  popolo,  nei  templi  a  lui  inalzati.  Ma  fra  tante 
liete  fortune  non  mancarono  cagioni  di  grandi  dolori, 
che  fecero  sentire  di  essere  uomo  più  degli  altri  a  quello 
che  tutti  chiamavano  Dio  *.  Fortunato  nelle  cose  pubbli- 
che, fu  infelicissimo  in  casa;  e  da  ultimo  una  grande 
sconfìtta  gli  avvelenò  anche  il  dolce  delle  passate  vittorie, 
e  mostrò  la  debolezza  dell'edificio  ordinato  con  tanta 
fatica. 

Invano  studiò  lungamente  di  metter  puntelli  alla  sua 
signoria  2,  raccogliendo  intorno  a  se  ed  esaltando  i  pa- 
renti più  stretti.  In  mezzo  agli  splendori  e  alle  gioie 
della  sua  potente  casa  si  aggirava  una  furia  stermina- 
trice di  tutti  i  più  cari  destinati  a  suoi  successori  e  a 
continuatori  dell'opera  sua. 

L'uomo  che  fece  leggi  contro  il  divorzio  aveva  ripu- 
diato tre  mogli,  tra  cui  Scribonia,  sorella  di  Lucio  Scri- 
bonio  Libone  suocero  di  Sesto  Pompeo,  dalla  quale  ebbe 
Giulia  sua  unica  figlia  ^,  e  prese  per  quarta  Livia  Drusilla 
togliendola  al  marito  Tiberio  Claudio  Nerone,  quantun- 
que gravida  di  lui  da  più  mesi.  Era  cosa  vietata  dalle 
leggi  e  dall'onestà,  ma  egli  non  curando  di  questo,  si 
fece  assolvere  dai  sacerdoti,  prontissimi  sempre  ad  ap- 
provare le  voglie  dei  potenti.  Ne  fu  un  gran  dire  nel 
volgo  :  e  quando,  dopo  tre  mesi,  la  sposa  partorì  Druse, 
dicevano  che  ai  fortunati  nascono  i  figliuoli  trimestri,  e 
il  motto  diventò  proverbiale  *.  Questa  Livia  nata  da  un 
ramo  dei  Claudii  entrati  per  adozione  nei  Livii  5,  era 
giovane  («),  bella,  di  sottile  intelletto,  eulta,  accorta,  al- 

(°)  Era  figlia   di   (|Uel    Livio    Diuso  Claudiano    che    dopo   la    rotta   dei 

>  Seneca,  Consol.  ad  Pohjb.^  3t. 

2  Tacito,  Ann..  I,  3. 

3  Svetonio,  Aug.^  62  e  63  ;  Dione  Cassio,  XLVI,  50,  XI.VIII,  5,  10  e  31. 

4  Tacito,   Ann.:.  I,  10,  V,  1;   Velleio  Patercolo,   II,  91;   Svetonio,  Aug.^  G2,   Tib:.    , 
■Cianci.,  1  ;  Dione  Cassio,  XLVIII,  43-41. 

!"'  Tacito,  Ann.,  V,  1,  e  VI,  51;  Svetonio,  Tib.,  3. 


212 


LIVIA  DRUSILLA. 


[LiB.  VII. 


tera,  ambiziosa.  Non  amava  l'uomo  per  cagione  del  quale 
dopo  la  guerra  di  Perugia  andò  raminga   col   marito   e 


Livia  moglie  d'Augusto  {MovgeSj  Iconcgr.  rom.,  pi.  XlX,  n.  l). 


col  figlio,  ma  si  uni  a  lui  per  amore  di  grandezza  e  d'im- 
pero, e  coir  ambizione  spense  in  sé  ogni  altro  affetto  di 
donna.  Per  ottenere  i  suoi  desiderii,  facile  moglie  chiuse 


Repubblicani  a  Filippi  si  elètte  nella  sua  tenda  la  morte  (Velleio  Pater- 
colo,  li,  71  e  75;  Dione  Cassio,  XLVIII,  44).  Alcuno  la  fa  nascere  nel 
696,  altri  nel  700  (Dione,  LVIII,  2;  Plinio,  XIV,  8).  Secondo  queste  date 
ella  che  sposò  Ottavio  nel  716  doveva  essersi  unita  a  Nerone  circa  quattro 
anni  prima,  cioè  nei  suoi  12  o  16  anni.  Quando  entrò  nella  casa  del  secondo 
marito  era  già  madre  di  Tiberio  nato  nel  712,  e  gravida  di  Druso  che 
ii  sospettò  figlio  di  Ottavio,  il  quale  ripudiò  Scribonia  appena  si  fu 
sgravata  di  Giulia,  perchè  era  innamorato  di  Livia  (Dione,  XLVIII.  34, 
43;  VelU-io  Patercolo,  II,  75,  e  conf.  Svetonio,   Tib.,Z,  Aug.,  62  e  69). 


Gap.  I.J  LIVIA  DRUSILLA.  21. 'i 

un  occhio  sulle  infedeltà  del  nuovo  marito,  cui  fu  detto 
che  procurava  da  sé  stessa  le  donne  che  più  gli  piaces- 
sero: Ulisse  in  gonna  ^,  scaltrissima  e  maestra  nel  dissi- 
mulare al  pari  d'Augusto,  entrò  a  parte  dei  suoi  segreti 
politici,  e  col  sembiante  dell'obbedienza  e  con  moine  e 
lusinghe  riuscì  a  governare  a  sua  voglia  il  padrone  del 
mondo,  sola  ingannò  l'uomo  che  aveva  ingannato  tutti; 
non  sgomenta  dai  primi  tentativi  falliti,  provando  e  ripi'o- 
vando,  con  pertinacia  invincibile  raggiunse  i  suoi  fmi. 

In  processo  di  tempo  fu  salutata  madre  della  pairia 
e  del  mondo,  cantata  come  Dea  dai  poeti;  ebbe  onori  di 
templi  e  d'altari,  e  fu  adorata  sotto  l'imagine  della  Pietà, 
di  Vesta  e  di  Cerere  -.  Ma  la  sua  ambizione  non  era  paga 
di  questo.  Infeconda  nel  letto  del  principe,  voleva  inal- 
zare all'impero  i  figli  del  primo  marito,  e  a  ciò  rivolse 
ogni  pensiero,  ogni  arte,  ogni  sforzo  :  e  la  fama  l'accusò 
di  avere  usato  intrighi  e  veleni  e  delitti  per  toglier  di 
mezzo  chiunque  facesse  ostacolo  all' inalzamento  di  Ti- 
berio e  di  Druse,  ai  quali  mercè  la  confidenza  e  l'affetto 
di  Augusto  appianò  la  via  agli  onori  e  al  comando. 

Il  principe  amava  caramente  il  giovinetto  Claudio  Mar- 
cello nato  di  Ottavia,  lo  inalzò  innanzi  tempo  agli  onori 
per -aprirgli  la  via  al  principato,  e  in  questo  intento 
presto  (729)  lo  sposò  a  Giulia  sua  figlia.  Ma  il  giovane 
si  spense  nel  fiore  della  vita  (731)  alle  acque  di  Baia, 
celebrato  dai  poeti,  onorato  in  tutti  i  modi  dal  principe 
che  lo  fece  seppellire  con  grandissima  pompa  nel  suo 
Mausoleo  del  Campo  Marzio,  pianto  inconsolabilmente 
dalla  madre,  e  anche  dal  popolo,  che  lo  credeva  aifabile, 


1  Svetonio,  Calig.^  23. 

2  Muratori,  Inscript.^  CCXXII,  3;  Orelli,  613-61S;  Eckel,  Coctr.  num.  vel.^  VI,  1  is;, 
150,  151,150-157;  Marini,  Arva^.,  I,  7S  •,Vìscontì,  Monumenti  scelti  borghesiani^  tav.  XXII, 
n.  1,  e  Museo  Pio  Cementino^  voi.  II,  tav.  47;  Annali  dell'  Istituto  di  corrispondenza 
archeologica^  1839,  pag.  46,  1817,  pag.  283,  1851,  pag.  201;  Hobler,  Records  of  roman 
Hisitori/  as  exibhited  in  the  romans  coins^  Westminster  1S60,  voi.  I,  pag.  57  e  58. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  27 


214  I  FIGLI  DI  GIULIA  E  DI  LIVIA.  [Lib.  VII. 

virtuoso,  e  di  nobile  animo,  e  di  civili  pensieri,  e  che 
della  morte  détte  a  Livia  la  colpa  *. 

Agrippa  che,  già  gareggiante  con  Marcello  di  premi- 
nenza, era  stato  costretto  ad  allontanarsi  da  Roma,  per- 
chè la  segreta  inimicizia  non  procedesse  a  manifesta  rot- 
tura 2,_  tornò  dopo  la  morte  del  giovane,  e  Augusto  gli 
détte  a  moglie  la  vedova,  dalla  quale  ebbe  tre  figli  e  due 
figlie.  Caio,  Lucio,  Agrippa  Postumo,  Giuha  e  Agrippina. 
Il  principe  adottò  Caio  e  Lucio  (737)  perché  fossero  so- 
stegni di  sua  potenza,  gli  educò   con  gran  cura,   come 


Caìo,  Agrippina  e  Lucio,  figli  ili  Giulia  e  di  Agrippa 
(ilongez,  leon.  Rom..  pi.  XX,  n.  6-7,  e  XXIV,  n.  4). 

destinati  ad  essere  suoi  successori  all'Impero.  Ma  erano 
amorevolezze  funeste,  perchè  eccitavano  gli  ardenti  e 
operosi  odii  di  Livia  e  di  Tiberio,  insofferenti  di  emuU 
nelle  speranze  del  potere  supremo.  Tiberio  in  più  imprese 
aveva  dato  saggi  egregi  di  molto  valor  militare,  e  quando 
Agrippa  fu  morto  (742),  egli  rimaneva  con  Druse  suo  fra- 
tello uno  dei  più  valenti  guerrieri  dell'età  sua.  I  figli  di 
Agrippa,    come    troppo    giovani,    non  potevano  in  niun 


>  Svetonio,  Aug.,  20,  V-,  C?.,  00;  Tacito,  Ann.j  II,  11,  Hist..  I,  15;  Velleio,  II,  93;  Se 
nfica,  Consol.  ad  Marc.^  2;  Dione,  LUI,  27,  30,  33,  LIV,  2r.;  l'iutarco,  A««o».,  87;  Vii 
fc'ilio,  Aen^  VI,  85(5-880,  e  Servio,  i^ij,  862;  Properzio,  III,  JS, 

*  Velleio,  loc.  cit.;  Dione,  LUI,  32,  LIV,  6-,  Svetonio,  Tib.^  10. 


Gap.  I.l 


GIULIA  FIGLIA  D'AUGUSTO. 


21S 


modo  competere  coi  fì^li  di  Livia  :  e  quindi  Augusto,  biso- 
gnoso di  aiuti  nell'amministrare  le  faccende,  anche  a  suo 
malgrado  ^  accostò  a  se  Tiberio,  e  gli  détte  a  sposa  la 
madre  di  Lucio  e  di  Caio,  dopo  avergli  fatto  ripudiare  la 
moglie  Vipsania  amata  da  lui.  E  cosi  vinsero  ora  le  arti 
di  Livia.  Ma  Giulia,  maritata  e  rimaritata  a  voglia  al- 
trui per  ragioni  di  Stato,  dispregiava  Tiberio  come  da 
meno  di  sé;  ed  egli  il  sapeva, 
e  conosceva  anche  i  rotti  co- 
stumi di  lei,  ma  la  sposò  per- 
ché con  essa  si  appressava 
più  al  trono:  ed  ella  appena 
gli  ebbe  fatto  un  figliuolo  che 
morì  nell'infanzia  non  abitò 
più  col  marito  assente  quasi 
sempre  da  Roma  ^. 

Augusto  aveva  studiato  di 
educare  con  ogni  cura  più 
sollecita  questa  unica  figlia. 
Si  adoprò  a  farla  onesta,  le 
adornò  l' ingegno  di  egregi 
studi.  Ed  ella  crebbe  bella 
della  persona,  e  di  spirito 
lieto  ed  arguto,  ma  rese  vane 
tutte  le  cure  usate  dal  padre 
per  farla  una  donna  dabbene.  Volle  che  come  le  antiche 
romane  attendesse  al  lanifìcio,  le  vietò  di  dire  o  far  cosa 
che  non  potesse  riferirsi  negli  Atti  Pubblici,  di  ricevere 
visite  di  giovani  nobili  3,  di  mostrarsi  con  essi  in  teatro, 
di  andare  adorna  più  di  quello  che  convenisse  alla  figlia 
di  Cesare.  Essa  lo  addolciva  con  graziose  risposte:  ed 


Giulia  e  Tiberio  busti  iugati  su  cammeo 

in  onice  (Galleria  di  Firenze^ 

serie  V,  tav.  I,  n.  4). 


1  Dione  Cassio,  LIV,  31. 

2  Tacito,  Ann.^  I,  12  e  53;  Svetonio,  Aug. 
Dione,  LIV,  31. 

3  Svetonio,  Aug.,  61. 


03,  Tib.^  7;  Velleio.  Patercolo,  »,  96: 


216 


GIULIA  FIGLIA  D'AUGUSTO. 


[LiB.  VII. 


egli  dicendo  scherzosamente  agli  amici  di  avere  due  de- 
licate figliuole,  la  Repubblica  e  Giulia,  che  gli  era  ne- 
cessità sopportare,  persuadevasi  di  avere  in  casa  il  mo- 


,'^W^W¥%. 


Giulia  figlia  d'Augusto  {Monges^  Icon.  Rom.^  pi.  20.  n.  2). 

dello  delle  antiche  matrone,  mentre  Giulia  mostrava  a  che 
possa  giungere  la  donna  libera  che  ha  rotto  ogni  freno  *. 
Si  attorniò  di  più  giovani  nobili  cui  nel  nuovo  ordine  di 
cose  non  rimaneva  altra  occupazione  che  correre  per 
portici  e  circhi  e  teatri  ad  esercitare  Yartc  insegnata  da 
Ovidio,  a  corteggiare  e  sedurre  le  donne.  Fra  questi  si 

•^  Macrobio,  Sat.,  II,  cap.  5,  Super  iocis  ac  morilus  hdiae.  Augusti  filiae. 


\ 


€a?.  I.J  GIULIA  FIGLIA  D'AUGUSTO.  ^  217 

ricordano  un  Appio  Claudio ,  un  Sempronio  Gracco,  uno 
Scipione,  e,  più  distinto  di  tutti,  Giulio  Antonio,  il  se- 
condo dei  figli  nati  da  Fulvia  al  triumviro,  risparmiato  da 
Augusto  dopo  la  vittoria  sul  padre,  e  fatto  anche  console. 
Giulia,  se  prima  aveva  disonestato  il  talamo  di  Agrippa,  e 
scherzando  ricordava  svergognatamente  le  ingiurie  fatte 
al  marito  ("),  ora  corse  a  più  rotte  libidini.  Sventata, 
audace,  con  una  turba  di  adulteri  menò  orgie  notturne 
per  la  città,  fece  stupri  nel  Fóro  sui  rostri  stessi,  da  cui 
suo  padre  aveva  bandito  le  leggi  contro  gli  adulteri.  Roma 
per  più  anni  fu  piena  dei  suoi  vituperi,  prima  che  Augu- 
sto ne  avesse  sentore.  Quando  gli  seppe,  andò  sulle  furie, 
e  mandando  il  questore  a  leggere  pubblicamente  le  sue 
vergogne  in  senato  fece  palese  a  tutti  ciò  che  avrebbe 
dovuto  celare.  Né  si  rimase  a  grida  e  lamenti.  I  più  dei 
drudi  furono  banditi  d'Italia:  a  Giulio  Antonio,  stimato 
reo  di  maestà  per  aver  corrotto  la  figlia  del  principe  e 
insidiato  alla  potenza  imperiale,  fece  dar  morte:  deliberò 
di  far  morire  anche  Giulia  e  poscia  la  relegò  (752)  nel- 
l'isola Pandataria  {Ventoiene),  luogo  reso  poscia  infame 
dalle  crudeli  morti  di  Agrippina  e  di  Ottavia.  Ivi  ella  ri- 
mase dolorosamente  cinque  anni  in  compagnia  della  ma- 
dre Scribonia  senza  che  altri  potesse  vederla  mai  se  non 
con  espressa  licenza  del  principe.  Fu  vana  ogni  pubblica 
e  privata  preghiera  per  rendere  il  padre  più  mite  con 
essa.  Agli  intercessori  rispondea  fieramente  imprecando 
loro  tali  mogli  e  figliuole;  e  fieramente  disse  che  avrebbe 
voluto  esser  padre  di  Febe  liberta  di  Giulia,  e  aiutatrice 
ai  suoi  falli,  la  quale  si  dette  da  sé  stessa  morte.  Si  dolse 
(iella  perdita  di  Agrippa  e  di  Mecenate  che  in  quella  oc- 
casione coi  loro   fidi,  consigli  lo   avrebbero  impedito   di 


(")  Cumque  conscii  flagitiortim  mirarentur,  quo  modo  similes  Agrip- 
pae  filios  'parerei,  quae  tam  vulgo  potesiatem  sui  corporis  faceret , 
nit:  Nunquam  enim  nisi  navi  piena  tallo  vectorem.  Macrobio,  Sai.,  II,  5. 


218 


GIULIA  FIGLIA  D'AUGUSTO. 


[LiB.  VII. 


andare  troppo  oltre  nell'ira.  Pure  rimanendo  fermo  nei 
suoi  proposili  vietò  che  la  colpevole  fosse  mai  sepolta 
nel  suo  Mausoleo,  la  trattò  duramente,  e  solo  dopo  cin- 
que anni  a  nuove  preghiere  del  popolo  permise  che 
uscendo  dall'isola  stesse  con!  nata  a  Reggio  sulle  estreme 
rive  d'Italia,  ove  poi  travagliata  vieppiù  da  Tiberio  mori 


Avanzi  della  casa  detta  di  Giulia  nell'isola  Pandataria 
{Albiim  di  Roma^  1857,  voi.  24,  pag.  21). 

disperata  e  consunta  dalla  fame  e  dal  lungo  solfrire  K 
Il  principe  fu  più  fiero  con  essa  che  con  le  altre  donne, 
perchè  nelle  sregolatezze  della  sua  casa  puniva  un'azione 
sacrilega,  e  un  crimenlese,  e  più  che  a  vendicare  l'olTesa 
fatta  ai  buoni  costumi  intendeva  a  incutere  rispetto  per 
la  imperiale  maestà  2. 


»  Tacito,  Ann.^  I,  53,  III,  24,  IV,  41,  VI,  51  ;  Seneca,  De  Benef.,  VI,  32;  Sveionio,  (it, 
65  e  101,  Claud.,  2,  e  Tib.^  11;  Velleio  Patcrcolo,  II,  100;  Plinio,  VII,  16,  XXI,  (3;  I:ioi,e 
Cassio,  LI,  15,  LIV,  26,  LV,  10,  13,  e  LVI,  32;  Zonaia,  XI,  2;  Macrùbio,  Sat.,  U,  r,. 

*  Tacito,  III,  24;  Montesquieu,  Esprit  des  Lois,  VII,  13. 


Gap.  I.]  TIBERIO  A  RODI.  MORTE  DEI  CESARI  CAIO  E  LUCIO.     219 

In  appresso  anche  l'altra  Giulia,  non  dissimile  di  co- 
stumi dalla  madre,  fu  per  suoi  adulteri  rilegata  nell'isola 
dei  Tremiti  presso  le  coste  d'Apulia,  ove  mc*rì,  dopo  avere 
essa  pure  patiti  lunghi  anni  di  durissima  vita  ,*. 

Così  la  casa  del  principe  si  faceva  sempre  più  deserta 
di  parenti  e  di  amici.  Vi  rimanevano  gli  altri  figli  di  Giulia, 
ma  il  destino  e  le  tristi  arti  di  Livia  stavano  sospesi  ad 
essi  sul  capo,  e  presto  disparvero  per  lasciare  tutto  i! 
campo  ^  Tiberio. 

Questi,  prima  della  condanna  di  Giulia  era  partito  (748) 
da  Roma,  o  per  odio  di  lei,  o  per  gelosia  dei  favori  di 
Caio  e  di  Lucio;  e  in  ritiro  o  in  esilio  vestito  alla  greca 
visse  a  Rodi  più  di  7  anni  baloccandosi  con  filosofi  e  con 
indovini,  e  meditando  ire,  simulazioni  e  segrete  libidini  ^. 
Ma  Livia  lavorava  per  lui  alla  corte,  e  presto  disparvero 
tutti  quelli  che  gli  facevano  ostacolo.  I  giovani  Lucio  e 
Caio,  amati  da  Augusto,  ammessi  alla  vita  pubblica,  fatti 
principi  della  gioventù  e  inalzati  agli  onori  prima  che 
avessero  gli  anni  da  ciò,  e  spediti  agli  eserciti,  l'uno 
in  Oriente  a  frenare  le  pretensioni  dei  Parti,  e  l'altro 
nelle  Gallie,  e  nelle  Spagne,  morirono  ambedue  sul  fiore 
degli  anni  ;  Lucio  improvvisamente  a  Marsiha  (755),  e 
Caio  in  Licia  mentre  (756)  tornava  d'Armenia  ferito  da 
im  traditore.  Andò  generale  sospetto  che  finissero  per  le 
arti  di  Livia;  e  l'indole  e  l'ambizione  di  lei,  e  l'utile  che 
aveva  da  quelle  morti,  dettero  non  piccolo  fondamento 
ai  sospettare  degli  uomini  ^. 

Certo  è,  che  quando  morirono  i  due  giovani  Cesari, 
Tiberio,  per  le  pressanti  sollecitazioni  di  Livia,  aveva  ot- 
tenuto di  tornare  a  Roma  ^%. e  già  vi  era  giunto,  e  per 
la  influenza  materna  poco  appresso  fu  adottato  da  Augu- 

'  Tacito,  Ann.^  IV,  71;  Svetonio,  05;  Plinio,  VII,  W 

2  Tacito,  Ann.^  I,  4  e  53;  Svetonio,  Tib.^  10-11;  Dione,  LV,  9  e  11. 

3  Monwn.  Ancyr.,  HI,  1-6;  Tacito,  Ann,.  I,  3;  Vellpio,  II,  102;   Diona  Cassio,  LIV, 
-2ì,  LV,  8,  9,  11  e  12;  Plinio,  VII,  IG;  Svetonio,  65. 

*  STetoDio,  Tib.^  12. 


220 


TIBERIO,  AGRIPPA  POSTU^.IO  E  GERMANICO.     [Lib.  Vu' 


sto,  e  messo  a  parte  delia  potestà  tribunizia.  È  vero  che 
Augusto,  per  non  ingrandir  troppo  lui  solo,  adottò  anche 
Agrippa  Postumo,  l'ultimo  figlio  di  Giulia,  e  obbligò  Ti- 
berio  ad  adottar  Germanico   figlio  di  Druso  '  vincitore 


Antonia  madre  di  Germanico  {Righetti^  Campidoglio.  I 


dei  Germani,  e  della  virtuosa  Antonia  nata  dal  triumviro 
^I.  Antonio  e  da  Ottavia  sorella  d'Augusto  (-').  Ma  a  Livia 


("j  Quest'Antonia  detta  famosa  per  bellezza  e  onestà  da  Plutarco  (An- 
ton., 87),  è  celebrata  più  pai'ticolarmente  da  Valerio  Massimo  (IV,  3,  3) 
il  quale  scrive  che  ella  colle  sue  Iodi  superò  tutti  gli  uomini  eccellenti 
della  sua  casa,  e  con  egregia  fedeltà  serbata  costantemente  anche  nella 

>  Tacito,  Ann  ^  I,  3  ;  Dione  Cassio,  LV,  13;  Svetonio,  Tib.^  15;  Velleio  Patercolo,  H, 
1u:ì,  101. 


Cap.  I.]       AUGUSTO  IN  POTERE  DI  TIBERIO  E  DI  LIVIA.  221 

era  facile  togliere  di  mezzo  anche  questi  ultimi  ostacoli: 
e  per  le  accuse  di  lei,  che  oramai  governava  a  suo  senno 
il  vecchio  marito,  Agrippa  Postumo  giovane  rozzo,  fiero 
di  modi,  e  facile  a  lasciarsi  vincere  dall'ira,  ma  non  reo 
di  alcun  delitto,  fu  rilegato  (760)  alla  Pianosa  nel  mare 
di  Toscana  *.  Cosi  finivano  le  adozioni,  i  matrimoni  e  i 
divorzi!,  usati  ad  afforzare  la  riuova  potenza.  Gli  esilii,  le 
morti  e  l'infamia  menavano  orrido  strazio  della  famiglia 
imperiale,  e  il  vecchio  principe  sul  finire  della  vita  rima- 
neva solo  nella  sua  casa  desolata,  in  preda  alla  trista 
moglie  e  al  feroce  figliastro,  ambedue  apparecchiati  a 
nuovi  delitti  per  possedere  e  conservare  l'ambita  potenza. 
Tiberio  fu  adoprato  al  governo  delle  province,  spedito 
agli  eserciti,  e  poscia  preso  stabilmente  per  compagno 
all'impero.  Ogni  cosa  si  rivolgeva  a  lui;  ed  egli  fu  in 
ogni  cosa  principale  sostegno,  e  prestò  utile  opera  nel 
Settentrione,  ove  piìi  si  agitavano  le  genti  indomite  e 
apparecchiate  sempre  a  ribellare.  Alla  testa  delle  legioni, 
già  da  lui  comandate  prima  dell'esilio,  corse  le  terre  ger- 
maniche fino  all'Elba  (757-758),  ordinò  una  spedizione 
combinata  per  terra  e  per  mare,  pose  prima  di  ogni 
altro  un  esercito  alle  stanze  nel  cuore  di  queste  contrade 
alle  sorgenti  della  Luppia  (Lippe),  sottomise  i  Bructeri, 
i  Caninefati,  gli  Attuari,  i  Cherusci,  stanziati  tra  il  Reno 
e  il  Visurgi  (Wéseì^),  e  i  Cauci  e  i  Langobardi,  gente  di 
più  che  germana  ferocia,  e  parve  che  per  un  momento 
col  terrore  riducesse  a  soggezione  tranquilla  tutte  le 
tribù  stanziate  tra  il  Reno,  il  Weser  o  anche  l'Elba, 
l'Oceano  e  il  Meno  ^. 

sua  vedovanza  compensò  l'amore  ehe  le  portava  il  marito.  La  qual  cosa 
tìebbe  esser  notata  come  più  singolare  che  rara  in  tanta  corruzione  di 
uomini  e  donne,  massime  nella  casa  imperiale.  Vedi  anche  Gius.  Flavio, 
Ani.  Giud.,  XVIII,  8,  6. 

1  Tacito,  l§c.  r.it.;  Dione  Cassio,  LV,  32;  Swftonio,  Am^.,  05,  e  Tib.s  la. 
.2  Velleio  Patercolo,  H,  104-107;  Dione  Cassio,  LV,  28;  Svetonio,  Tib.^  16. 

Vankucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  28 


222      MAROBODUO.  RIVOLTA    DEI  PANNOM  E  DALINIATI.  [Lib.  VII. 

Poscia  si  preparava  a  muovere  contro  Maróboduo,  il 
quale  ai  tempi  di  Druso  emigrato  coi  Marco manni  dal 
paese  nativo  sugli  estremi  confini  occidentali  delle  terre 
germaniche,  si  era  posto  nel  paese  già  occupato  dai  Boi 
(Boemia),  fondandovi  un  grosso  reame.  Era,  dice  Velleio, 
di  nobile  stirpe,  gagliardo  di  corpo,  feroce  di  animo, 
barbaro  più  di  nazione  che  d'intelletto,  inteso  a  fondare 
impero  fermo  e  assoluto.  Stava  tra  monti  e  rupi  e  foreste, 
signore  delle  genti  d'attoi'no  tirate  a  sé  colle  armi,  forte 
di  70  mila  fanti  e  di  4  mila  cavalli  armati  e  disciplinati 
all'  uso  romano.  A  lui  si  riparavano  tutti  i  nemici  di 
Roma:  ed  egli  per  suoi  ambasciatori  parlava  coi  duci  Ro- 
mani ora  in  sembiante  di  supplice,  ora  coi  liberi  accenti 
di  chi  credesi  eguale.  Tiberio  divisava  di  assahrlo  dal 
Nerico,  mentre  il  suo  legato  C.  Senzio  Saturnirio  gli  piom- 
berebbe addosso  dal  Reno  a  traverso  alla  selva  Ercinia. 
E  già  arrivato  a  Carnunto  (AUenbourg)  sul  Danubio  poco 
lungi  da  Vienna,  si  appressava  al  nemico,  quando  da  non 
atteso  accidente  fu  costretto  a  trattare  a  giusti  patti  con 
esso  ("),  per  Volgersi  a  cose  più  urgenti.  Scoppiò  una 
grande  sollevazione  in  Dalmazia  e  in  Pannonia,  ove  fu- 
rono uccisi  e  presidii  e  cittadini  e  mercanti  romani.  Gli 
insorti,  gagliardi  di  200  mila  fanti  e  9  mila  cavalli,  con- 
dotti da  acerrimi  ed  espertissimi  duci,  tra  cui  Datone  e 
Pinete  in  Pannonia,  e  Datone  capo  dei  Dalmati  che  solo 
alla  fine  scampò  passando,  traditore,  alla  parte  nemica, 
divisero  la  grande  oste  in  tre  corpi,  per  difendere  con 
uno  il  paese,  e  coll'altro  piombare  sull'Itaha  per  le  vie 
di  Nauporto  e  Tergeste  {Trieste),  e  assalire  la  Macedonia 
col  terzo;  e  confortarono  Sarmati  e  Daci  ad  assalire  sul 
Danubio  i  Romani. 

Augusto,  atterrito  a  questa  novella,  disse  che  in  dieci 
giorni  i  nemici  potevano  essere  a  Roma,   chiese  pronti 

(")  Conditionibus  aequis  discessum.  Tacito,  Ann.,  II,  40. 


I 


€ap.  I.]    VITTORIE  DI  TIBERIO  IN  PANNONIA  E  DALMAZIA.        223 

soccorsi  ai  senatori  e  ai  cavalieri,  richiamò  da  ogni  parte 
i  veterani,  costrinse  uomini  e  donne  a  dare  i  loro  liberti 
all'esercito,  mandò  contro  gl'insorti  Tiberio,  e  quindi 
anche  Germanico,  il  quale,  avuto  sui  22  anni  il  suo  primo 
comando  militare,  con  belle  prodezze  in  Dalmazia  co- 
minciò a  mostrarsi  valente  uomo  di  guerra,  e  degno 
figlio  di  Druso.  .11  contrasto  fu  duro:  le  legioni  patirono 
grosse  perdite  e  furono  a  pericoli  estremi.  A.  Cecina 
Severo,  comandante  della  Mesia,  battè  i  Pannoni  sulla 
Brava,  ma  con  vittoria  non  allegra.  Se  Valerio  Me  ssalino, 
prefetto  di  Dalmazia  e  Pannonia,  fu  celebrato  come  vit- 
torioso dei  Dalmati,  questi  già  erano  stati  vincitori  di 
lui.  Ma  dall'altro  canto  gl'insorti  fino  dal  principio  si 
erano  invano  provati  a  prender  Salona  sul  mare  Adria- 
tico, e  Apollonia  (PoUno)  d'Illiria,  e  Sirmio  (Sirmich), 
sede  del  presidio  romano  in  Pannonia  tra  la  Sava  e  la 
Drava.  Vi  furono  lunghi  assedii,  e  città  fieramente  difese 
e  incendiate  con  grande  strage  da  ambe  le  parti,  e  donne 
che  trucidarono  i  figli  per  salvarli  dalla  schiavitù,  e  get- 
tarono sé  stesse  nelle  fiamme  e  nei  fiumi.  Ma  alla  fine 
dopo'  tre  anni  (759-761)  di  gagliarde,  difese  nelle  città, 
nei  campi,  sui  monti,  nei  ripari  delle  selve  ove  furono 
uccisi  a  modo  di  fiere,  i  Pannoni  dapprima,  .poi  i  Dalmati, 
più  che  dalle  armi  vinti  dalla  fame  e  dalle  malattie  ve- 
nute con  essa,  si  arresero:  e  Roma  fu  padrona  delle 
grandi  regioni,  che  sotto  il  nome  d'Illiria  si  estendevano, 
dal  mare  Adriatico  fino  al  Danubio,  e  dalla  Macedonia 
e  dalla  Tracia  fino  al  Nerico  '. 

A  Roma  furono  decretati  onori  a  Tiberio  e  a  Germa- 
nico per  questa  vittoria  costata  carissima:  ma  cinque 
giorni  dopo  1'  annunzio  di  essa  giunse  la  notizia  di  una 
grande  sciagura  che  impedì  di  attendere  a  feste  e  trionfi. 

C(fme  i  Dalmati  e  i  Pannoni  erano  insorti,  perchè  Roma 

1  Velleio,  II,  101-116;  Dione,  LV,  29  e  segg.,  LVI,  11-17;  Svetonio,  Tih..  16. 


^ 


224         I  GERMANI  E  IL  PROCONSOLE  QUINTILIO  VARO.  [Lib.  VII. 

mandava  a  guardia  dei  greggi  non  pastori  né  cani,  ma 
lupi  *,  così  per  l'avarizia  dei  governanti  furono  trucidate 
tre  legioni  in  Germania. 

I  Romani  non  incontrate  grandi  resistenze,  si  eran'o 
colà  afforzati  con  presidii  e  castelli,  e  profittando  delle 
inimicizie  delle  varie  tribù,  ne  avevano  recate  alcune  a 
loro  devozione  con  privilegi  e  alleanze.  Si  ricordano  fra- 
telli e  figli  di  principali  famiglie  divisi  in  due  parti:  questi 
fedeli  alla  patria,  quelli  seguaci  dei  nuovi  signori.  Altri 
venerava  i  Cesari  come  suoi  Dei^:  e  a  Colonia  sorse 
un'ara  con  sacerdoti  germani  sacrificanti  al  culto  di 
Roma  (").  11  popolo  commerciava  in  fiere  e  mercati  coi 
trafficanti  italiani  seguaci  delle  legioni,  e  le  donne  si- 
cambre  vendevano  lor  bionde  chiome,  ricercate  per  ador- 
namento delle  belle  romane  ^.  Sembrava  che  i  barbari  a 
poco  a  poco  si  adusassero  alla  civiltà  e  alle  costumanze 
di  Roma.  L'  opera  avrebbe  potuto  lentamente  compirsi 
senza  gravi  contrasti  usando  accorgimenti  e  riguardi,  e 
studiando  di  non  offendere  violentemente  il  sentimento 
vivissimo  della  patria  libertà,  e  gli  usi,  e  l'onore,  e  la 
dignità  del  paese.  Ma  così  non  l'intendeva  il  proconsole 
P.  Quintino  Varo  il  quale,  dopo  avere  in  Oriente  spogUata 
la  Siria  e  insanguinata  la  Giudea  *,  ora  studia  a  trava- 
gliare cupidamente  colle  estorsioni  i  Germani  e  ad  am- 
mollire colle  leggi  i  non  domi  dal  ferro.  Pieno  di  folle 
•  fidanza  tiene  distanti  gli  uni  dagli  altri  i  presidii  intesi 
a  cambiare  loro  stanze  in  colonie,  senza  provvedere  alle 
necessarie  difese:  corre  qua  e  là  senza  le  precauzioni 
da  usare  in  terra  nemica,  come  un  pretore  urbano  nel 

(")  Ara  TJbiorum.  Tacito,  Ann.,  I,  57. 

1  Dione,  LV,  33.  • 

2  Velleio  Patercolo,  II,  107. 

3  Dione,  LVI,  18;  Ovidio,  Amor.^  I,  14,  15-50. 

4  VeUeio  Patr^rcolo,  II,  117;  Giuseppe   ¥\a.yÌQ,Antich.  Oetid.^XVIl,  12,8;  Eckel,  III^ 
?75;  Borghesi,  Oeuvres.  I,  306,  309-310. 


Il 


Gap.  I.]        COSPIRAZIONE  E  SOLLEVAZIONE  DI  ARMINIO.  225 

Fóro  giudica  le  liti  con  leggi  ignote  e  odiose  al  paese; 
e  pone  tributi  come  tra  popolo  schiavo.  Quindi  nei  fieri 
animi  si  ridesta  più  terribile  l'ira  contro  la  prepotenza 
straniera:  m^  dissimulando  per  aver  sicurezza  ai  loro 
disegni,  si  mostrano  tranquilli  e  sommessi,  e  cospirano. 
Più  ardente  di  tutti  è  Arminio,  figlio  di  Segimero  prin- 
cipe dei  Cherusci,  giovane  forte  di  mano,  pronto  d'in- 
gegno, parlatore  facondo,  e  spirante  l'ardore  dell'animo 
dai  detti,  dagli  occhi  e  dal  volto.  Apprese  già  la  milizia 
tra  le  armi^romane,  e  fu  privilegiato  della  cittadinanza 
e  del  grado  di  cavaliere.  Ma  tenendo  in  cima  ad  ogni 
pensiero  la  hbertà  del  luogo  nativo,  a  conquistarla  volge 
tutto  r  ingegno  e  il  coraggio ,  e  rende  il  suo  nome  im- 
mortale. Mette  il  suo  entusiasmo  negh  animi  altrui,  trae 
molti  ai  suoi  forti  consigU,  e  ordisce  larga  congiura. 
I  cospiratori  conversano  come  amici  con  Varo,  stanno 
spesso  a  sua  mensa,  lo  occupano  nei  giudizi  di  loro  con- 
tese, pongono  ogni  cura  per  dargli  a  credere  che  i  Ger- 
mani possono  esser  tenuti  soggetti  senza  usare  le  armi, 
e  più  che  mai  lo  eccitano  a  divider  sue  forze  col  man- 
darle a  trasportar  vettovaglie,  a  presidiare  i  deboh,  a 
dar  la  caccia  ai  ladroni.  Segeste,  zio  d' Arminio  e  suo 
fiero  nemico  perchè  il  giovane  gli  ha  rapito  la  figlia 
Tusnelda,  tenta  invano  di  scuotere  Varo  denunziandogli 
la  trama  ordita  contro  di  lui.  L'indolente  proconsole, 
tenendosi  amato  dai  Germani  per  suoi  beneficii,  non  dà 
ascolto  agli  avvisi  amichevoli,  crede  ai  nemici  che  per 
trarlo  in  aguatò  gli  annunziano  una  imaginaria  rivolta 
scoppiata  in  paese  lontano,  e  si  mette  subito  in  moto 
per  correre  a  schiacciare  i  ribelli.  I  congiurati  offertisi 
guidatori  alla  marcia  lo  mettono  per  difficili  passi,  e  poi 
allontanatisi  sotto  colore  di  raccogliere  aiuti  per  lui^ 
vanno  a  sollevar  le  tribù  già  preparate  allo  scoppio,  e 
le  conducono  al  macello  dell'aborrito  straniero. 

Per  la  grande  foresta  di   Tefltoburgo,  fra  le  sorgenti 


226  I  ROMANI  NELLA  SELVA  DI  TEUTOBURGO.       [Lirs.  VII. 

della  Luppia  {Lippe)  e  dell' Amisia  {Ems)  in  Vestfalia  (^), 
per  ìjioghi  ingombri  da  paludi,  da  dense  e  altissime 
selve,  senza  via  a  schiere  seguite  da  numero  grande 
di  carri  e  di  jiiacchine,  l' improvido  duce  romano  com- 
battuto da  piogge  dirotte  e  bufere,  e  da  un  diluvio  di 
barbari  alla  fronte,  ai  lati,  alle  spalle,  e  ritardato  tra  lo 
scemare  continuo  dei  suoi  e  il  crescere  delle  orde  ne- 
miche, non  ebbe  modo  di  scampo.  Dapprima  riuscì  a 
piantarsi  sopra  selvosa  altura  dove  anche  oggi  riman- 
gono le  tracce  degli  accampamenti  e  del  vajlo  di  cui  le 
genti  vicine  parlano  con  superstiziosa  paura,  e  vi  girano 
attorno  da  lungi  credendo  il  luogo  infestato  da  appari- 
zioni di  spiriti  ^  Nel  giorno  seguente,  arsi  o  lasciati 
carri  e  bagagli,  si  avanzò  in  luogo  sgombro  di  alberi: 
jjoì  di  nuovo  per  mezzo  ad  angustie  di  gole  e  di  selve 
fra  l'incessante  tempestare  dei  venti,  delle  piogge,  e  de- 
gli strali  nemici.  Alla  fine  su  paludoso  terreno  dove  Ar- 
minio  aveva  raccolto  il  più   grosso    sforzo   dei  suoi,  in 


{^)  Negli  ultimi  50  anni  molto  fu  studiato  d;ii  Tedeschi  sul  sito  e  sulle 
particolarità  della  disfatta  di  Varo  nella  foresta  di  Teutoburgo  {Saltus 
Teutoburgensis)  tra  le  antiche  sedi  del  Bructeri,  dei  Marsi  e  dei  Che- 
rusci  nell'odierno  circondario  di  Bechwn,  non  molto  lungi  da  Mùnster. 
Dal  1821  al  1874  si  contano  più  di  70  scritture,' tra  cui  citiamo:  Masz- 
mann,  Arminius  Cheroscorum  dux,  ac  clecus,  Uberator  Germaniae,  ex 
collectis  veterum  locis ,  Lemgoviae  1839;  Gièfers,  De  Alisone  castello 
de^ue  cladis  Varianae  loco,  Crefeldiae  1844;  Essellen,  Ueber  den  Ort 
der  Niederlage  der  Romer  unter  Yarus,  Hannover  1853.  —  Bas  ròmi- 
sche  Castell  Aliso  j  der  Teuioburger  Wald,  und'die  Pontes  Longi, 
Hannover  1857.  —  Ueber  den  Ort  der  Varusschlacht,  Hamra  1863.  — 
Geschichte  der  Sigambern  und  der  von  den  Rdmern  bis  suni  Jaìire  16  n. 
dir.  im  nordwestliclien  Deutschland  gefiihrten  Kriege,  Leipzig  1868.  — 
Bas  Varianische  Schlachtfeld  ini  Kreise  BecJium,  Berlin  1874;  Bòttger, 
Ein  sicherer  Fùhrer  durch  das  Gebiet  der  am  ztoeiten  Tage  endenden 
Schlacht  ziir  Vernichiung  des  rómischen  Heeres  im  Jahreg  nach  Chr. 
durch  den  Cheriiskenfilrsten  Hermann,  Hannover  1874. 

*  Bòttger,  Ein  sicherer  Fichrer^  pag.  52. 


Gap.  I.] 


DISTRUZIONE  DELLE  LEGIONI  DI  VARO. 


227 


piccolo  e  mal  fermo 
campo  fu  l'estrema 
atrocissima  lotta. 
Varo  e  i  principali 
dell'esercito  già  fe- 
riti e  disperati  di 
ogni  salute  per  sot- 
trarsi agli  oltraggi 
del  vincitore  si  det- 
tero di  propria  ma- 
no la  morte.  Dei 
soldati  rimasti  sen- 
za comando  fu  me- 
nato esterminio. 
Tre  intere  legioni 
con  cavalli",  fanti  e 
ausiliarii  caddero 
distrutte  dal  furore 
di  Arminio.  Le  tre 


aquile 


e  tutte  le 


'02.  di 


msegne  rimasero 
trofei  del  nemico. 
Dei  prigioni  alcuni 
appiccati  agli  albe- 
ri, 0  offerti  vittime 
agli  Dei  dei  Ger- 
mani :  altri  rima- 
sero per  40  anni 
schiavi  tra  i  bar- 
bari 2.  Il  cadavere 
di  Varo  fu  dissot- 
terato  e  sconcia- 
mente straziato.  Po-  Distribuzione  delle  truppe  nel  medesimo  campo  (Bòttger). 

1  Tacito,  I,  60,  II,  25;  Dione,  LX,  8.  Conf.  Floro,  IV,  12,  3S. 

2  Seneca,  Epht.,  17,  8  ;  Tacito,  XII,   17. 


228  SGOMENTO  E  PROVVEDIMENTI  DI  AUGUSTO.     [Lib.  VII 

chi  ramyighi  poterono  ripararsi  al  castello  di  Alisene  ove 
furono  fortemente  assediati  e  presto  ridotti  agli  estremi: 
ma  quando  il  vincitore  più  che  ad  altro  attese  alle  prede,, 
essi,  condotti  dal  prode  Lucio  Cedicio,  coli' arte  e  col  ferro 
si  apriron  la  via,  e  giunsero  a  scampo  sulla  sinistra  del 
Reno  accolti  dal  legato  L.  Asprenate  comandante  di  due 
legioni  il  quale  governandosi  con  energia  e  con  senno 
impedì  che  dopo  il  disastro  la  rivolta  passasse  oltre  il 
fiume,  come  senza  dubbio  era  nei  pensieri  di  Arminio 
€he,  cupido  di  schiacciare  da  ogni  parte  i  Romani,  mandò 
la  tronca  testa  di  Varo  a  Maroboduo  per  eccitarlo  a  le- 
varsi in  armi  di  nuovo:  ma  il  capo  dei  Marcomanni  ge- 
loso dell'uccisore  delle  legioni  non  rispose  all'appello, 
mandò  la  tronca  testa  ad  Augusto,  e  salvò  Roma  da 
più  grosso  pericolo  '. 

All'  annunzio  di  questa  disfatta,  la  più  atroce  e  vitu- 
perosa dopo  quella  di  Crasso ,  se  i  più  dei  cittadini  ora- 
mai avvezzati  a  non  curarsi  delle  cose  pubbliche  si  mo- 
strano apatici,  Augusto  diviene  quasi  forsennato:  si 
straccia  le  vesti,-  batte  la  testa  nel  muro,  richiede  a  Varo 
le  sue  legioni,  per  più  mesi  non  taglia  ne  capelli  né 
barba,  si  raccomanda  a  Giove  con  voti,  come  a  tempo 
delle  guerre  dei  Marsi  e  dei  Cimbri.  Ma  prende  anche 
forti  provvedimenti:  mette  la  città  come  in  stato  cV m- 
sedio  affinchè  il  popolo  non  si  levi  a  rumore,  caccia  via 
tutti  i  Galli  e  Germani  usati  come  sue  guardie  del  corpo, 
o  stanziati  a  Roma  per  altre  faccende,  pone  ogni  cura 
a  radunar  nuovo  esercito,  e  fortemente  combatte  contro 
i  resistenti  a  suoi  ordini.  A  molti  dei  chiamati  alle  armi 
che  non  fanno  risposta  il  principe  dà  nota  d'infamia,  e 
gli  spoglia  dei  beni:  e  come  questo  non  basta,  egli  a  spa- 
vento di  tutti  ne  condanna   alcuni    alla   morte  ^.  I  forti 

»  Velleio  Patercolo,  II,  117-119;  Strabene,  VII,  1;  Tacito,  i4nM.,  1,61,62,  II,  SS;  Sy«- 
tonio,  Tib.^  17;  Dione  Cassio,  LVI,  18-22;  Zonara,  X,  37;  Floro,  IV,  12,  30-39;  I'"rontSno, 
Slratag.,  IV,  7,  8. 

2  Svctonio,  Aug.^  23;  Dione,  LVI,  23;  Aurelio  Vittore,  Epit..  1  ;  Orosio,  VI,  21. 


Gap.  li       TIBERIO  CONDUCE  NUOVE  LEGIONI  SUL  RENO.  229 

animi  dekpopolo  già  famoso  pel  suo  coraggio  crescente 
nelle  sciagure,  ora  nella  servitù  sono  caduti  bassi  così, 
che  per  rialzarli  abbisogna  il  carnefice. 

Alla  fine  messi  insieme  veterani  e  liberti,  Tiberio  con 
Germanico  mosse  (763)  alla  testa  di  essi  verso  i  quar- 
tieri del  Reno  ove  l' impero  di  «Roma  era  tornato  agli 
antichi  confini.  E  ivi  per  lungo  tempo  attese  a  discipli- 
nare fortemente  1  nuovi  soldati,  a  rialzare  gli  animi  dei 
vinti,  a  rifornire  le  legioni  delle  macchine  e  delle  armi 
perdute,  e  a  metterle  in  grado  di  tornare  animose  sui 
campi.  Fece  anche  qualche  scorreria  tra  i  Germani,  bruciò 
i  loro  abituri,  e  ne  messe  a  guasto  le  terre,  ma  per  lo 
più  si  tenne  sul  Reno,  e  procedendo  molto  rispettivo  non 
osò  d'internarsi  ne  di  assalire  alcun  luogo  forte,  come 
pure  i  nemici  non  osavano  di  venire  alle  mani  con  lui  *. 

Poscia  rientrò  in  Roma  (765)  al  trionfo  già  differito 
per  le  vittorie  sui  Pannoni  e  sui  Dalmati,  e  trionfò  ac- 
compagnato da  Germanico  e  dagli  altri  legati  che  per 
quelle  imprese  ebbero  le  insegne  trionfali;  e  prima  di 
volgersi  al  Campidoglio,  sceso  dal  carro  andò  a  inginoc- 
chiarsi davanti  ad*  Augusto  che  presedeva  alla  pompa 
trionfale  Q"). 


(«)  Svetonio,  Tib.,  17  e  20:  Velleio  Patercolo,  II,  121  -,  Ovidio,  Ex  Ponto, 
li,  1,  19  e  segg.,  PI,  2,  81-84;  Masson,  Ovid.  vita,  ann.  765. 

Ciò  vedesi  anche  nel  cammeo  di  Vienna,  insigne  opera  d'arte  di  cui 
diamo  il  disegno.  Nella  parte  superiore  è  un  carro  trionfale  guidato  dal 
Genio  delja  Vittoria,  d'onde  scende  Tiberio  per  andare  a  rendere  omaggio 
ad  Augusto,  (^esti,  assiso  accanto  alla  Dea  Roma  coperta  di  elmo  e  ar- 
mata di  asta,  tiene  il  lituo  nella  destra  e  lo  scettro  nella  sinistra,  ha 
sopra  di  sé  il  Capricorno  sua  costellazione  natalizia:  e  una  donna  di  fi- 
gura ideale  gli  pone  sul  capo  una  corona  di  lauro.  L'altra  donna  col 
cornucopia  assisa  più  abbasso  è  la  Dea  Abbondanza  qui  posta  a  perso- 
nificare la  pubblica  prosperità  procurata  dal  principe.  Il  giovane  guerriero 

Svetonio,  Tib.,  18-19;  Velleio  Patercolo,  II,  120-121;  Dione,  LVI,  21-25. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  29 


230 


TRIONFO  SUI  PANNONI  E  DALMATI. 


[LiB.  VII 


Germanico  esercitò  nel  medesimo  anno  l'uffiiio  di  con- 
sole, e  come  per  le  sue  prodezze  era  caro  alle  milizie 
sui  campi,  pei  suoi  modi  umani  e  civili  divenne  più  caro 
al  popolo  che  in  lui  riponeva  le  sue    migliori  speranze. 


Tuonfo  di  Tiberio  nell'insigne  caiimieo  di  ^  lenna  (Da  Fotografia). 


L' imperatore  pose  in  sua  mano  la  difesa  della  frontiera 
più  importante  dell'Impero  alla  (^uale  egli  si  recò  con- 
ducendo seco  la  sua  sposa  Agrippina,  figlia  di  .Giulia  e 
di  Agrippa,  associata    d'ora  in  poi  a  sue  glorie  e  scia- 


che  sta  in  piedi  tra  Roma  e  il  carro  trionfale  è  Germanico,  riconosciuto 
al  suo  sembiante  simile  a  quello  impresso  sulle  medaglie. 

Nella  parte  inferiore  del  quadro  si  vedono  legionari!  occupati  a  inal- 
zare un  trofeo  di  armi  nemiche,  verso  il  quale  altri  trascinano  i  barbari 
vinti.  Vedi  Mongez,  Iconogr.  Rom.,  voi.  II,  pag.  59-66,  pi.  XIX  bis,  e 
Maffei,  Miis.  Veron.,  pag.  CCXLV. 


Cap.  I.j  GERMANICO,  TIBERIO,  AUGUSTO,  AGRIPPA  E  LIVIA.      231 

gure  *.  In  appresso  noi  lo  vedremo  correre  altre  fortune 
alla  testa  di  otto  legioni  sul  Reno:  ma  Augusto  non  ve- 
drà né  i  pericoli,  né  le  vittorie  del  prode  figlio  di  Druso. 

N^l  raccomandare  Germanico  al  senato  elevò  Tiberio 
a  suo  collega  nel -potere  supremo  facendogli  rinnuo  vare 
la  potestà  tribunizia  2,  e  in  sue  lettere  gli  die  grandi  lodi 
per  gli  alti  servigli  resi  come  vigile  e  sapiente  duce  al- 
l'Impero. 

Ma  in  modo  diverso  parlava  con  altri  di  lui,  biasimando 
palesemente  i  suoi  aspri  costumi,  e  compiangendo  le 
sorti  del  misero  popolo  sotto  un  uomo  di  tempra  si 
cruda. 3.  E  parve  pentito  di  averlo  posto  si  alto,  se  è  \7er0 
che  di  nuovo  volgesse  l'aniioo  al  nipote  bandito. 

Andò  fama  che  njei  giofni  estremi,  dolente  della  soli- 
tudine della  sua  casa  pensasse  a  ri- 
chiamare presso  di  sé  Agrippa  Po- 
stumo, l'ultimo  dei  suoi  sacrificato 
alle  ambizioni  di  Livia.  Perciò  dicono 
che  si  recò  segretamf  nte  a  visitarlo 
alla  Pianosa,  e  che  gli  fece  calde  di- 
mostrazioni di  affetto,  da  cui  stima- 
vasi  che  presto  lo  .richiamerebbe  alla  Agripim  Postumo  in  moneta 
corte.  Testimone  di  questo   se^freto         di  Corinto  (3io«^e^. 

.  ■■•  ^  Icon.  Rom...  pi.  20,  u.  8). 

lu  solamente  il  senatore  Fabio  Mas- 
simo, che  con  suo  danno  lo  rivelò  alla  moglie  Marzia,  da 
cui  fu  ridetto  a  Livia.  È  facile  a  credere  che  questa  usò 
tutte  le  arti  sue  per  render  vani  i  pentimenti  del  vecchio 
marito.  Essa  avrebbe  fatto  sparire  Fabio,  partecipe  in- 
comodo di  un  gran  segreto  di  Stato,  e  mancato  in  fatto 
poco  appresso  di  morte  stimata  non  naturale,  come  nei 
suoi  funerali  attestavano  i  lamenti  di  Marzia;  e  per  im- 
pedire in  qualunque  modo  il  ritorno  dell'esule,  emulo  di 

J  Velleio  Patercolo,  II,  123;  Svetonio,  Awgr.,  64,  Calig..  1,  3,  7  e  8  ;  Tacito,  Ann..  1,3. 
«  Dione,  LVI,  26  e  28;  Tacito,  Ann.,  I,  3. 
3  Svetonio,  Tib..,  21. 


232  MALATTIA  E  MORTE  D'AOGUSTO.  [Lib.  VII. 

Tiberio,  affrettò,  secondo  i  rumori  d'allora,  la  morte 
d'Augusto.  Niuna  di  queste  accuse  date  a  Livia  dalla 
voce  pubblica  è  accertata;  ma  ella  era  temita  capace  di 
tut^o  per  assicurare  l'impero  al  figliuolo;  e  il- suo  con- 
tegno dopo  la  morte  del  marito,  e  l'uccisione  di  Agrippa, 
che  fu  il  primo  fatto  del  nuovo  principato,  dettero  fon- 
damento ai  &x)spetti  popolari  *. 

Comecchessia,  Augusto  mentre  recavasi  ad  accompa- 
gnare fmo  a  Benevento  Tiberio,  che  andava  in  llliria 
per  assicurarvi  la  pace,  fu  preso  in  Astura  da  flusso 
di  ventre.  Quantunque  travagliato  corse  a  diporto  le 
liete  rive  di  Napoli  e  le  vicine  isole  trattenendosi  pia- 
cevolmente per  quattro  giorni  nel  recesso  di  Capri.  A 
Pozzuoli  fu  accolto  con  augurii  festosi  dai  marinari  giunti 
allora  su  nave  alessandrina  nel  porto;  assistè  a  giuochi, 
a  feste,  a  conviti;  si  mostrò  allegro,  fu  largo  di  doni. 
Poscia  proseguito  il  viaggio  a  Benevento,  nel  ritorno 
alla  fine  fu  costretto  dal  crescer  del  male  ad  arrestarsi 
a  Nola.  Livia  con  lettere  pressanti  lichiamò  Tiberio  en- 
trato appena  in  llliria,  chiuse  la  casa  con  strette  guardie, 
né  ciò  che  dentro  accadeva  si  seppe  mai,  finché  una  sola 
voce  annunziò  la  morte  di  Augusto  e  la  elevazione  di 
Tiberio. 

Narrano  che  Augusto  sentendo  avvicinar  la  sua  fine 
domandò  se  per  causa  di  questo   nasceva  tumulto  al  di 
fuori;  quindi  si  fece  dare  uno  specchio  per  acconciarsi 
^        i  capelli  e  la  faccia,  e  domandò  agli  astanti  che  lo  applau- 
dissero se  aveva  fatto  bene  la  sua  parte  nelkrcommedia 
AmnidiRo- <^^^^  '>iiondo.  E  poscia   lincenziato   ognuno,   morì  fra  le 
g^J/'iY'^' braccia  di  Livia,  nella  stanza  medesima,   ove  già  era 
morto  Ottavio  suo  padre  -. 
I  decurioni  delle  città  municipali  e  delle  colonie  por- 

»  Tacito,  Ann.,  I,  5;  Dione  Cassio,  LVI,  29-30;  Plutarco,  Della  garrulità.  II. 
^  Tacito,  Ann.,  I,  5-,  Svetonio,  97-100;  Dione  Cassio,  LVI,  2e-31.  Conf.  Velleio  Pater- 
colo,  II,  123. 


Gap.  L]  suo  TESTAMEìNTO.  233 

tarono  il  cadavere  da  Nola  a  Boville,  ove  fa  accolto  dai 
cavalieri,  che  lo  deposero  a  Roma  nel  vestibolo  della  casa 
imperiale.  Prima  dei  funerali  .fu  letto  in  senato  il  testa- 
mento, in  cui  lasciava  per  suoi  eredi  primi  Tiberio  e 
Livia,  cioè  quello  di  due  terzi,  e  questa  di  un  terzo  del- 
l'aver suo;  per  secondi  chiamava  Druso  di  Tiberio  e  Ger- 
manico e  i  suoi  tre  figli  maschi;  e  in  terzo  luogo  molti 
parenti,  e  per  boria  anche  alcuni  cittadini  da  lui  odiati. 
Al  popolo  romano  legava  40  giiUoni  di  sesterzi  (7,951,910 
lire  italiane),  alle  tribù  tre  milioni  e  mezzo  (695,792),  a 
ogni  pretoriano  mille  (198),  a  ogni  soldato  delle  coorti 
urbane  cinquecento  (99),  a  ogni  legionario  trecento  (59). 
Fece  legati  a  senatori,  a  cavalieri,  e  anche  a  re,  e  quan- 
tunque ad  alcuni  lasciasse  fino  a  due  milioni  di  sesterzi 
(397,595  lire  italiane)  è  lodato  di  non  aver  trapassato  in 
ciò  i  modi  civili;  ed  egli  stesso  si  scusava  dei  piccoli  la- 
sciti colla  sua  mediocre  fortuna,  dichiarando  che  ai  suoi 
eredi  non  andrebbero  più  di  150  milioni  (29,819,662  lire 
ital.)  dopoché  aveva  speso,  come  disse,  a  prò  dello  Stato 
due  patrimoni  paterni  e  4  miliardi  di  sesterzi  (795,191,000 
lire  ital.)  avuti  in  legato  dai  testamenti  degli  amici  negli 
ultimi  venti  anni  '. 

Col  testamento  furono  letti  anche  tre  volumi,  nel  primo 
dei  quali  prescriveva  il  da  farsi  nei  suoi  funerali,  nel  se- 
condo dava  l'indice  delle  sue  gesto,  e  nel  terzo  facea  un 
quadro  delle  forze  e  delle  rendite  pubbhche,  ed  era,  come 
oggi  direbbesi,  la  statistica  dell'Impero. 

Dell'indice  delle  sue  geste  perì  l'esemplare  che,  inciso 
nel  bronzo,  fu  posto  per  epigrafe,  come  egli  aveva  ordi- 
nato, davanti  al  suo  grande  sepolcro.  Ma  le  città  delle 
province  che  a  lui  divinizzato  inalzavano  templi ,  ivi 
scolpirono  sui  marmi  questo  documento  importante  il 
quale  cosi  giunse  a  noi  nella  massima  parte.  Nel  pronao 

1  Tacito,  Ann.^  l,  S;  Svetaiio.  101;  Dione,  LVJ,  3?. 


234 


MONUMENTO  D'ANCIRA. 


LiB.  VII.» 


del  tempio   sacro   a  Roma   e   ad  Augusto   nella  città  di 
Ancira  (Angora)  in  Galazia  se  .ne  scoprirono  nel  secolo 


Tempio  di  Roma  e  d'Augusto  ad  Ancira,  com'è  di  presente  (Perrot). 

decimosesto  alcuni  frammenti  in  latino  e  in  greco  :  poi 
per  nuove  e  più  accurate  ricerche  si  ritrovò  quasi  tutto  («). 


(«)  Per  la  storia  del  testo  latino,  come  della  traduzione  greca  ti-ovata 
pure  ad  Ancira  e  in  parte  ad  Apollonia  {Oluburlu)  di  Pisidif  ;  per  le 
copie  fatte  sul  luogo  dal  1554  al  1862;  per  le  molte  stampe  puljblicate 
dal  secolo  decimosesto  al  decimonono;  e  per  le  moltiplicate  ricerche,  e 
per  tutti  i  lavori  critici  con  cui  viaggiatori  e  filologi  tedeschi,  olandesi, 
inglesi  e  francesi  ridussero  alla  maggiore  perfezione  possibile  il  Monv- 
mento  Ancirano,  vedi  Egger,  Examen  criiique  des  historiens  anciens 
de  la  vie  et  du  regne  d'Auguste,  Paris  1844,  pag.  412-456;  Cacsaris 
Augusti  index  rerum  a  se  gestarum  sive  Monumcntum  Ancijranum  ex 
reliquiis  graecae  inierpretationis  restituii  Ioannes  Franzius ,  comen- 
tario  perpetuo  instruxit  A.  W.  Zvniptius ,   Bertlini    1845;   Res  gestoe 


Cai'.  L]  monumento  D'ANCIRA.  235 

E  ora  mercè  gli  studi  pazienti  e  sapienti  della  critica  epi- 
grafica e  storica  abbiamo  con  poche  lacune  questo  te- 
stamento politico  in  cui  il  vecchio  principe  negli  ultimi 
mesi  della  sua  vita  vantando  con  latina  magniloquenza 
le  glorie  della  "sua  sapienza  civile  ricordò  le  opere  del 
suo  lungo  regno  ;  le  vendette  per  lui  menate  degli  ucci- 
sori di  Cesare,  le  sue  riforme  militari  e  civili,  le  grandi 
largizioni  a  cittadini  e  a  soldati,  le  colonie  poste  in  ogni 
provincia,  la  città  divertita  con  sontuosi  spettacoli  e 
fatta  splendida  di  templi,  di  teatri  e  di  portici;  le  sue 
vittorie  e  i  trionfi  su  tutti  i  nemici,  l'Egitto  aggiunto  al 
dominio  di  Roma,  f  Impero  allargato  fino  aU'Elba  e  al- 
l'Oceano, le  insegne  di  Crasso  riavute  dai  Parti,  il  tem- 
pio di  Giano  chiuso  tre  volte,  le  grandi  dimostrazioni, 
le  magistrature,  i  sacerdozii,  la  corona  civica  e  il  titolo 
di  padre  della  patria  avuti  dal  senato  e  dal  popolo. 

Tiberio  e  Druse  lo  lodarono  con  orazioni  funebri  nel 
Fóro.  Senatori,  consoli  e  cavalieri  gareggiarono  di  falsità 
e  di  dimostrazioni  servili,  studiandosi.,  dice  Tacito,  di 
non  parer  lieti  della  morte  dell'un  principe,  né  tristi  del 
principio  dell'altro.  In  senato  fu  proposto  che  il  funerale 


divi  Augusti  ex  monumentis  Antijrano  et  Apolloniensi  edidit  Th. 
Mommsen,  Berolini  1865;  Perrot,  Exploration  archéologique  de  la  Ga- 
latìe  et  de  la  Bithynie,  Paris  1872,  voi.  I,  p.  243-266,  e  voi.  Il,  pi.  25-29, 
il  quale  colle  sue  nuove  ricerche  ad  Ancira  raccolse  un  testo  più  com- 
piuto e  più  corretto  di  ogni  altro,  ne  détte  una  bella  tradi^zione  francese,  e 
riprodusse  con  Ogni  particolarità  le  rovine  del  tempio  in  cui  fu  ritrovato. 
Altri  coll'aiuto  di  questo  documento  dettero  giudizi  diversi  di  Augusto 
e  delle  opere  sue.  Vedi  Gaston  Boissier,  Le  testament  politique  d'Atc^ 
gusle,  in  Revue  des  deux  mondes,  avril  1863,  pag.  734  e  segg.,  e  Beulé, 
in  Journal  des  savants,  1873,  pag.  209-216.  Il  Mommsen  illustrando  da 
par  suo  la  grande  epigrafe  si  limitò  a  dire  d'Augusto  queste  notevoli 
parole:  Arcana  imiìerii  in  tali  scripto  nemo  sanus  quaeret,  sed  ea  quae 
populum  universum  et  pleheculam  maxime  de  se  credere  vellet  impe- 
rator  aitimi  callidi  magis  quam  siiblimis,  quique  magni  viri  personam 
apte  gesserit,  ipse  non  magnus. 


236 


ONORI  FUNEBRI. 


LiB.  VII. 


passasse  per  la  porta  trionfale ,  che  il  corpo  fosse  por- 
tato al  rogo  sulle  spalle  dei  senatori ,  preceduto  dai  ti- 
toli delle  leggi  fatte,  e  dai  nomi  dei  popoli  vinti,  e  seguito 
dalle  statue  dei  suoi  avi  e  parenti,  e  di  tutti  i  Romani 
più  illustri  cominciando  da  Romolo.  Il  cadavere  fu  arso 
con  gran  pompa  e  apparato  di  armati  nel  Campo  Marzio  : 
e  le  ossa  raccolte  da  Livia  furono  ivi  poste  nel  grande 


Mausoleo  d'Augusto  restaurato  da  L.  Canina  {Edif.,  IV,  lav.  2S3-286). 

Mausoleo  che  egli  aveva  splendidamente  edificato  a  se 
stesso  e  ai  suoi,  nel  quale  già  stavano  Marcello,  Ottavia, 
Agrippa,  e  i  giovani  Caio  e  Lucio,  figli  di  Agrippa  e  di 
Giulia.  Un'aquila  posta  sulla  cima  del  rogo  volò  allo  scop- 
piare delle  fiamme;  e  dissero  che  portava  via  l'anima 
celeste  di  Augusto,  che  secondo  gli  storici  di  corte  tor- 
nava alla  sua  prima  sede  (").  E  un  Numerio  Attico,  che 

C)  Velleio  Patercolo,  123,  dice:  animam  coelestem  coelo  ì^eddidit. 


I 


Gap.  I.]  APOTEOSI.  237 

giurò  di  aver  veduto  quell'anima  volare  al  cielo,  ebbe  in 
premio  un  milione  di  sesterzi  (198,797  lire  ital.)  da  Livia. 
Per  ordine  di  Tiberio  e  di  Livia  fu  posta  al  morto  una 
statua  d'oro  nel  tempio  di  Marte  perchè  i  cittadini  po- 
tessero fargli  offerte  d'incenso.  Come  a  un  Dio  gli  ordi- 
narono un  tempio  anche  a  Roma  con  culto,  e  cerimonie 
e  sacerdozii,  e  giuochi  aiigiistali  :  e  Livia  divenuta  Giulia 
ed  Augusta,  e,  fatta  sacerdotessa  del  Nume,  armata  di 
littori,  presedè  al  culto  dell'uomo  già  da  lei  governato 
ed  eccitato  alla  rovina  de'  suoi.  Fu  convertita  in  tempio 
anche  la  casa  di  Nola  dove  egli  morì,  e  da  ogni  parte  si 
moltiplicarono  le  feste  e  i  sacerdoti  augustali  ("). 

Così  finì  a  76  anni  onorato  e  deificato  l'uomo,  che  dopo 
aver  pacificamente  compiuta  la  grande  opera  dell'  ordi- 
namento delle  conquiste ,  incurante  o  improvvido  del- 
l'avvenire, lasciò  aperta  la  via  al  più  feroce  dispotismo 
che  mai  flagellasse  l'umanità.  Sorto  a  nome- del  popolo 
non  gli  lasciava  alcuna  guardia  contro  la  servitù,  e  non 
previde  che  i  soldati,  rimasti  unica  forza  dei  nuovi  or- 
dini, diverrebbero  tiranni  anche  dei  principi.  Incredulo 
a  tutto,  aveva  pensato  solamente  all'utile  proprio,  e  ogni 
sua  cura  fu  di  prendersi  tutto  sotto  le  apparenze  di  non 
voler  nulla  e  di  sacrificarsi  al  pubblico  bene:  ogni  studio 
rivolse  a  bene  rappresentare  una  lunga  commedia.  L'u- 
manità, la  virtù  e  la  morale  erano  per  lui  una  vana 
rappresentazione  teatrale,  e  l'uomo  un  attore.  E  neppure 
nel  suo  più  solenne  momento  smentì  questo  tristo  pen- 
siero. Dal  letto  di  morte  chiedendo  plauso  alla  commedia 
da  lui  recitata  per  40  anni  rivelò  il  segreto  di  tutta  la 

{^)  Pei  vari  giudizi  degli  uomini  sul  principe  morto,  e  per  le  partico- 
larità degli  onori  funebri,  dell'apoteosi,  e  dei  sacerdoti  destinati  al  suo 
culto,  vedi  Tacito,  Anwa^.,  I,  9-10  e  54,  II,  83,  Hist.,  II,  95;  Dione,  LVI, 
30-47,  LVIII,  12,  LIX,  7;  Svetonio,  Aug.,  100-101,  e  Claucl,  6;  Velleio 
Patercolo,  II,  75;  Petronio,  Sai.,  30;  Grutero,  InscriiH.,  431,  1;  Noris, 
Cenotaphia  Pisana,  I,  6. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  30 


23S 


APOTEOSI. 


[LiB.  VII. 


vita,  e  la  regola  con  cui  governò  le  sue  operazioni.  Se- 
natori, consoli,  cavalieri,  e  popolo  e  plebe  comprati  dalle 
sue  largizioni  plaudirono  e  deificarono  il  gran  comme- 
diante, e  nelle  colonie,  nelle  città  d'Italia  e  delle  pro- 
vince continuarono,  alcuni  di  buona  voglia,  altri  a  loro 
malgrado,  a  erigergli  statue,  e  templi  e  sacrarii  con  sa- 
cerdoti destinati  al  suo  culto,  come  vedesi  da  iscrizioni 
e  medaglie,  in  cui  fu  rappresentato  anche  col  fulmine, 
attributo  di  Giove  *.  E  anche  tra  le  generazioni  lontana 


Apeteosi  d'Augusto  (Frammento  di  antico  cammeo). 

continuò  il  rumore  di  quei  plausi  e  l'ammirazione  al- 
l'uomo, che  dalla  via  del  sangue  passato  a  qfuella  dei 
sottili  accorgimenti,  delle  ipocrisie  e  di  tutte  le  tristi 
arti  di  volpe  giunse  a  farsi  benedire  per  opere,  che  ad 
altri  fruttarono  l'infamia  della  rupe  Tarpeia,  e  che  nel 
suo  egoismo  è  fama  finisse  contento,  pensando  che  lo 
desidererebbero  dopo  la  morte  a  causa  delle  crudeltà  del 
successore  eletto  da  lui  ^. 


l  Eckel,  Doctrina  num.  vet.^  VI,  87  , e  sopra,  pag.  73-71.  Pel  cammeo  coU'apoteosi 
d'Augusto  vedi  Mongez,  Icon.  Rem.,  voi.  II,  pag.  157-172,  pi.  2G,  e  King,  Antique  gems. 
London  18G0. 

*  Tacito,  Ann.^  I,  10;  Svetonio,  Tib.,  21;  Dione,  LVI,  15. 


Gap.  L]  L'OPERA  DI  AUGUSTO.  23c> 

La  sua  vita  fu  tutta  una  grande  menzogna:  e  anche 
quando  nel  suo  testamento  politico  scrisse  che  dopo 
spente  le  guerre  civili  rese  al  senato  e  al  popolo  l'ar- 
bitrio della  Repubblica  datogli  dall'universale  consenso, 
e  che  d'allora  in  poi,  superiore  agli  altri  in  dignità,  non 
sovrastò  mai  di  potenza  ai  suoi  colleghi  nei  pubbhci  uf- 
fici *,  inentiva  sapendo  di  essere  padrone  assoluto  di  tutto, 
e  lasciava  un'eredità  dannosissima  ai  suoi  successori  e 
all'Impero,  cioè  una  potenza  senza  sostegno  di  istituzioni 
vitali,  e  senza  freno  di  leggi,  esposta  ai  capricci  e  alle 
follie  di  un  despota  deificato,  il  quale  dalla  sua  vertigi- 
nosa altezza  darà  in  infamie  e  in  atrocità  non  più  viste. 
L'Impero  lasciato  così  in  balìa  della  fortuna  non  pro- 
tegge i  deboli  contro  i  potenti,  come  a  torto  fu  detto: 
opprime  e  fa  vili  tutti,  disusa  i  cittadini  dalle  pubbliche 
cure  e  dalle  armi,  fa  i  sudditi  e  i  principi  servi  di  mi- 
lizie comprate,  crea  il  tipo  del  governo  in  cui  il  principe 
è  un  Dio,  e  il  popolo  prostrato  ai  suoi  piedi  una  bestia 
da  macello  e  da  soma.  Questa  è  l'opera  della  sapienza 
politica  e  della  lunga  commedia  del  divo  Augusto. 

l  Momun.  Ancyr.j  VI,  13-23. 


CAPITOLO  11. 


'Gli  imperatori  della  casa  d'Augusto.  —  Tiberio.  —  Sollevazione  degli 
eserciti  in  Panaouia  e  sul  Reno.  —  Imprese  di  Germanico.  —  Governo 
di  Tiberio  nei  primi  anni.  —  Germanico  muore  in  Oriente.  —  Pubblico 
lutto  e  vendette.  —  Politica  di  Tiberio  nelle  faccende  esteriori.  —  La 
legge  di  maestà  e  i  delatori.  —  Accuse  e  condanne.  —  Brutture  e 
atrocità  del  senato  adulante  al  tiranno.  —  Sciano,  primo  ministro,  usa 
la  sua  potenza  a  distruggere  tutti  i  successori  all'Impero.  —  Grandezza 
e  rovina  di  lui.  —  Sterminati  anche  i  suoi  fautori  —  Tiberio  carnefice 
crudelissimo.  —  Terrore  universale.  —  Sciolto  ogni  vincolo  di  umano 
consorzia.  —  Morte  del  feroce  e  sozzo  tiranno.  —  Gli  succede  Caligola. 
—  Allegrezza  del  mondo.  —  Buon  principio  e  pessimo  fine.  —  Gli  uo- 
mini straziati  e  rubati  da  un  pazzo  feroce  e  osceno.  —  Profusioni  e 
rapine.  —  Imprese  ridicole.  —  Caligola  si  fa  Dio.  —  Ucciso  dal  pu- 
gnale di  Cherea.  —  Vani  tentativi  per  restituire  la  Repubblica.  —  Al 
frenetico  succede  un  vecchio  tenuto  imbecille.  —  Claudio  fatto  impe- 
ratore dai  soldati.  —  Il  governo  in  mano  ai  liberti.  —  Imprese  al  di 
fuori.  —  Leggi,  riforme,  e  opere  pubbliche.  —  Ati'ocità  e  infamie  di 
corte.  —  Messalina  e  Agrippina.  —  Claudio  ucciso  di  veleno.  —  Im- 
pero di  Nerone. 

(Anni  di  Roma  7C)7-821,  di  Cristo   14-G8). 


__iJ»^ra  le  genti  antiche  sopravvissute  in  Roma 
a  tanto  volgere  di  casi,  una  delle  \nu  singo- 
lari era  quella  dei  Claudii,  già  fautori  ardenti 
V"  CO  dei  privilegi  patrizii,  crudeli  alla  plebe,  cele- 
Ijrati  per  numero  grande  'di  consolati  e  trionfi, 
autori  di  opere  egregie  e  di  tristi  fatti,  fecondi 
di  eroi  e  di  solenni  ribaldi ,  e   anche   di   donne  famose 


Gap.  IL]  I  CLAUDII  E  TIBERIO.  241 

per  virtù  egregie  e  per  superbie  oltraggiose.  Di  loro  fu 
il  vecchio  Cieco  che  fieramente  eccitò  gli  animi  alla 
guerra  di  Pirro,  e  Claudio  che  cacciò  i  Cartaginesi  di 
SiciUa,  e  l'altro  più  famoso  per  la  grande  sconfitta  di 
Asdrubale.  Da  un  altro  lato  la  famiglia  vide  alcuni  dei 
suoi  condannati  per  ladri  e  per  omicidi  :  e  Roma  fu  ti- 
ranneggiata da  Appio  Claudio,  insidiatore  di  Virginia,  e 
sconvolta  da  Clodio  demagogo  feroce  *. 

Da  questi  superbi  discendeva  per  padre  e  per  madre 
Tiberio  Claudio  Nerone,  che  portò  sul  trono  la  dissimu- 
lazione ,  la  feroce  libidine ,  e  la  inestinguibile  sete  del 
sangue.  Da  Svetonio  sono  narrati  i  casi  pericolosi  che 
egli  corse  da  fanciullo,  quando  coi  parenti  esulava  fug- 
gendo le  ire  del  vincitore  di  Perugia.  E  noi  vedemmo 
già  come  Livia  sua  madre  gli  aprisse  poscia  la  via  alla 
suprema  potenza,  quali  servigi  egli  rendesse  colle  armi 
all'  Impero,  e  quali  varietà  di  fortune  corresse  fino  alla 
morte  di  Augusto.  Nel  4848  si  disse  ritrovata  a  Magonza 
la  spada  che  fu  strumento  della  vittoria  d'Augusto,  e  ri- 
mase splendido  ricordo  delle  felicità  di  Tiberio  ('').  Co- 

(")  Vedi  Lersch,  Das  sogennante  Schioert  des  Tiberius ,  Bonn  1849; 
Henzen,  Bull.  Istit.,  1849,  pag.  87-89;  Bergk,  in  Gerhard  Denkmàlern, 
1849,  II,  pag,  61-64;  Klein  e  Becker,  Bas  Schicert  des  Tibevius,  Mainz 
1850;  Cavedoni,  in  Annal.  Istit.,   1851,  pag.  227,  e  Bull.,  1851,  p.  155. 

La  spada  ricca  di  bei  lavori  d'oro  e  d'argento  è  pei  suoi  bassirilievi 
un  monumento  importante  sotto  il  rispetto  artistico  e  storico.  Nella  parte 
superiore  del  fodero,  secondo  i  primi  illustratori,  sta  assiso  Tiberio,  ap- 
poggiato colla  sinistra  a  uno  scudo  colla  scritta  felicitas  tiberi,  e  sten- 
dente la  destra  ad  accogliere  una  piccola  Vittoria  dalla  mano  di  un  gióvane 
guerriero  creduto  Germanico.  Dietro  a  Tiberio  si  avvicina  scendendo  quasi 
dal  cielo  una  divinità  femminile  avente  al  sinistro  braccio  uno  scudo  colle 
parole  vie.  aug.  {Yictoria  Augusti),  e  nella  mano  destra  una  lancia. 

Nel  bassorilievo  inferiore  la  figura  f eminile  quasi  danzante,  idealizzata 
nel  viso  e  nell'attitudine,  con  scure  bipenne  nella  destra  e  lancia  nella 
siaistra,  creduta  un'Amazzone  dal  Lersch  e  la  Germania  da  altri,  si  tiene 

l  STetonio,   Tib.,  1  e  2. 


242 


LA  SPADA  DI  TIBERIO. 


LiB.  VII. 


miinqiie  sia ,  Tiberio  Claudio  Nerone 
aveva  mostrato  valore  e  senno  capaci  a 
condurre  gli  eserciti  alla  vittoria  sulle 
Alpi,  in  Germania  e  in  Pannonia. 

Era  allora  nei  56  anni.  Corpo  ampio  e 
robusto:  statura  più  che  ordinaria;  largo 
nelle  spalle  e  nel  petto,  ben  proporzionata 
in  tutte  le  membra;  grandi  occhi  che  ve- 
la Viiidelicia  o  la  Rezia  dal  Bergk,  dal  Klein,  dal 
Cavedoni  e  dal  Becker  sull'autorità  d'Orazio  {Od.,  I\% 
4,  17)  che  dice  costume  dei  Reti  e  Vindelici  di  andar© 
colla  destra  armata  di  ^cz<re  Atnasonia,  e  sulla  tra- 
dizione (Servio,  Ad  Aen. ,  I,  243)  che  alle  Amazzoni 
riferiva  l'origine  di  questi  popoli  alpini. 

Secondo  questi  ultimi  interpreti  nel  bassorilievo 
superiore  l'imperatore  assiso  è  Augusto,  e  il  giovane 
che  gli  porge  la  Vittoria  è  Tiberio  al  quale  fu  donata 
da  Augusto  medesimo  questa  splendida  spada  d'onore 
per  la  vittoria  da  lui  riportata  con  Druso  sopra  i 
Reti  e  Vindelici. 


La  '^lada  di  Tiberio  e  du  ■  Ijn.ss'.riliovi  di  cs  :>.  '^rrsch  e  Klein). 


Cap.  IL]  I^s'DOLE,  STUDI  E  COSTUMI  DEL  NUOVO  PRINCIPE.        243 

devano  anche  all'oscuro  ^  In  lui  grande  conoscenza,  e 
lunga  esperienza  dei  pubblici  affari:  alto,  sottile  ed  astu- 
tissimo ingegno  nutrito  di  studi  liberali:  scrisse  versi, 
memorie,  orazioni,  ma  poneva  gran  cura  ad  oscurare  lo 
stile  coll'affettazione  delle  parole  recondite  e  viete,  e  ad 
essere  studiosamente  enimmatico  ^^  precursore  di  chi 
disse,  la  parola  essere  data  all'uomo  per  celare  il  pensiero. 
Pure  di  buon'ora  apparvero  e  la  mala  natura  'e  le  sue  in- 
clinazioni feroci,  quantunque  usasse  grand'arte  a  tenerle 
celate.  Teodoro  Gadareo,  suo  maestro  di  rettorica,  lo  disse 
fino  da  giovinetto  fango  impastato  col  sangue  ^.  E  appena 
chiamato  alle  faccende  lasciò  trasparire  i  tristi  pensieri 
del  cupo  animo  chiedendo  pene  tiranniche  contro  gli 
autori  di  liberi  scritti  ^  Già  correva  la  fama  di  sue  ire, 
e  superbie,  e  crudeltà,  e  simulazioni,  e  soppiatto  libidini  ; 
e  i  soldati,  poscia  ammiratori  di  sua  prodezza  nei  campi, 
dissero  quale  fosse  stato  in  principio  la  sua  intemperanza 
nel  bere  mutandogli  i  nomi  di  Tiberio  Claudio  Nerone  in 
quelli  di  Biherio  Caldio  Merone  {""). 

Appena  spirato  Augusto,  pei  segreti  apparecchi  di  Livia 
ebbe  in  mano  le  guardie  e  l'erario,  e  cominciò  il  regno 
con  un  delitto.  Fece  assassinare  Agrippa  Postumo  alla 
Pianosa  :  e  quando  vennero  a  dargli  notizia  del  fatto , 
disse  che  non  aveva  ordinato  nulla,  e  che  dovevasi  ren- 
derne conto  al  senato:  ma  la  finta  minaccia  fu  tosto  la- 
sciata da  banda. 

Tutti  giurarono  fedeltà  al  nuovo  imperante  ,  ed  egU  , 
quantunque  avesse  preso  subito  l' impero,  e  provveduto 

(")  Tacito,  Ann.,  I,  4,  e  Svetonio,  Tib.,  42,  che  ricorda  anche  le  sue 
orgie  quand'era  censore ,  e  i  premi  dati  ai  bevitori  più  intrepidi.  Vedi 
anche  Plinio,  XIV.  28,  e  Seneca,  Epist.,  83,  13. 

1  Svetonio,  Tih.,  68;  Plinio,  XI,  51. 

2  Svetonio,  Tib.^  8,  61,  70,  Aug.  86    Tacito,  Am«.>  XIII,  3;  Dione,  LVII,  1. 

3  Svetonio,  Tib.,  57. 
*  Svetonio,  Aug.^  51. 


244  ANCORA  LA  COMMEDIA  DEL  NON  VOLERE  L'IMPERO.  [Lib.  VIL 

cogli  eserciti  a  sua  sicurezza  e  mantenuto  ogni  uso  di 
corte,  fece  sembiante  di  non  esser  nulla,  di  non  volere 
il  comando  come  faccenda  troppo  grave  per  lui:  propose 
di  dividerlo  coi  cittadini,  rimproverò  loro  di  non  sapere 
qual  fiera  hestia  fosse  Vimjìero,  e  dopo  avere  con  sommo 
studio  avviluppato  le  intenzioni  dell'  animo  ,  alla  fine , 
quasi  sforzato  dalle  suppliche ,  cessò  di  negare  ,  sospi- 
rando tuttavia  al  tempo  in  cui  volessero  dare  qualche 
riposo  a  sua  vecchiezza  *.  Era  la  vecchia  commedia  di 
Augusto  rifatta  ora  per  nuove  ragioni,  tra  cui  entrava 
anche  la  paura  di  Germanico ,  forte  dell'  amore  del  po- 
Anni  di  Ro- polo  6  di  otto  Icgioui  6  di  molti  ausiliarii  sul  Reno.  Esitò 
o-V.?!/^*  anche  per  parere  eletto  all'impero  e  non  portatovi  da 
intrighi  donneschi,  e  dalla  tarda  adozione  di  un  vecchio: 
e  anche  per  aver  modo  a  studiare  gli  atti  e  i  volti  e  i 
segreti  intendimenti  dei  grandi ,  e  a  notare  speranze  e 
timori,  e  coglierne  pretesto  a  future  vendette  ^. 

Del  resto  incontrò  subito  non  piccole  difficoltà  nel- 
r  esercizio  dell'  ambita  potenza  :  perocché  se  a  Roma  il 
popolo  si  mostrava  non  curante  della  servitù ,  e  il  se- 
nato non  aveva  altra  faccenda  che  adulare  vilmente  il 
nuovo  signore ,  gli  eserciti  al  di  fuori  rumoreggiavano 
fieramente.  E  in  breve  giunsero  novelle  delle  legioni  sol- 
levate in  Pannonia  e  in  Germania. 

Le  cagioni  erano  le  medesime  in  tutti.  I  soldati,  sen- 
tendo in  loro  mano  tutta  la  potenza  di  Roma ,  e  la  fa- 
coltà di  dare  e  toglier  gU  imperi,  non  volevano  più  tol- 
lerare lor  dure  sorti,  il  troppo  lungo  servizio,  il  piccolo 
soldo,  i  premi  mal  resi,  i  duri  trattamenti  dei  capi.  Prime 
si  levarono  le  tre  legioni  di  Pannonia  eccitate  da  uomini 
turbolenti  a  farsi  innanzi  coi  preghi  o  colle  armi  al  prin- 
cipe nuovo  e  mal  fermo.  Giunio  Bleso,  loro  duce,  non  potè 
contenerli  per  grida  o  minacce:  riuscì  solamente  a  per- 

>  Tacito,  Ann.,  I,  r.-8  e  11-13;  Svetonio,  Tib..  21;  Dion-',  I.VII,  2. 
*  Tacito,  Ann.,  I,  7. 


Gap.  II.]     SOLLEVAZIONE  DELLE  LEGIONI  IN  PANXONIA.  245 

suaderli  di  mandar  messaggi  a  Tiberio  con  loro  rimo- 
stranze. Da  ciò  breve  tregua  al  tumulto,  che  presto  riarse 
più  fiero  con  scherni  e  oltraggi  ai  capi,  con  ruberie,  con 
sforzamenti  di  carceri.  Né  la  sedizione  posò  neppure  al 
giungere  di  Druse,  figlio  di  Tiberio,  mandato  da  Roma 
con  Sciano  e  con  più  cittadini  dei  principali,  e  con  buona 
scorta  di  guardie.  Solamente  un  ecclissi  della  luna  a  ciel 
sereno  atterrì  i  ribellati,  superstiziosamente  credenti  che 
l'astro  si  oscurasse  per  loro  misfatti.  E  Druse  allora  co- 
gliendo quel  destro,  divise  gli  ammutinati,  destò  speranze 
e  paure ,  tolse  di  mezzo  i  sommovitori ,  e  schiacciò  la 
sommossa.  I  particolari  della  quale  sono  da  vedere  in 
Tacito,  che  con  solennità  di  concetti  e  di  stile  ritrasse 
il  furore  delle  turbe  imperversanti  al  contemplare  la  loro 
moltitudine,  e  sbigottite  all'aspetto  del  duce:  e  il  mor- 
morare incerto  e  l'atroce  gridare,  e  poi  la  subita  quiete  : 
e  secondo  il  prevalere  della  superstizione  o  della  bal- 
danza, ora  timide,  ora  tremende. 

Quasi  nel  medesimo  tempo  e  con  violenza  maggiore 
insorsero  le  legioni  del  Reno,  che  stavano  in  due  campi, 
superiore  e  inferiore,  con  due  legati  e  sotto  il  supremo 
reggimento  di  Germanico,  allora  intento  a  fare  il  censo 
delle  Gallie.  Si  sollevò  arrabbiatamente  Y  esercito  infe- 
riore, nò  potè  ripararvi  il  legato  Aulo  Cecina  avvilito 
dai  furori  di  tanti.  Vane  le  parole  dei  tribuni  e  dei  pre- 
fetti del  campo:  i  centurioni  furono  investiti  colle  spade, 
e  gettati  fuori  del  vallo  o  nel  Reno.  Germanico  accorso 
rapidamente,  rimproverò,  pregò,  minacciò.  I  soldati  gri- 
darono: vogliamo  giustizia,  ristoro  dai  crudeli  tratta- 
menti, più  largo  stipendio,  men  dure  fatiche,  e  alla  fine 
riposo  senza  miseria.  E  aggiunsero  di  esser  pronti  a 
dare  a  lui,  se  il  volesse,  l'Impero  che  stava  in  loro  mano. 
Alle  quali  parole,  egli  quasi  contaminato  di  fellonia, 
balzò  dal  tribunale,  e  tentò  la  fuga:  ma  ritenuto  dai  fu- 
ribondi, ed  esclamando  voler  morire  prima  che  romper 

Vannucci  —  Scoria  dell'Italia  antica  —  IV.  31 


•24." 


SOLLEVAZIONE  DELLE  LEGIONI  SUL  RENO.      [Lib.  VII; 


la  fede,  si  cacciava  nel  petto  la  spada,  se  gli  astanti  non 
gli  trattenevano  la  mano.  Tratto  dagli  amici  nel  padi- 
glione fece  concessioni,  studiò  ogni  rimedio  per  quietare 
il  tumulto,  prima  che  anche  Tesercito  di  sopra  seguisse 
Tesempio.  Ma  come  nulla    valeva  a  posare  quegli  animi 

pieni  di  sospetti,  di  paura 
e  di  furore,  egli  pensò  a 
mettere  in  salvo  fra  i  Tre- 
viri la  moglie  Agrippina 
e  il  piccolo  figlio  Caligola. 
Quando  i  soldati  videro 
partire  mestamente  senza 
guardie,  senza  corteggio 
la  moghe  del  duce  per 
cercare  scampo  nella  fede 
degli  stranieri;  punti  da 
vergogna  e  rimorso,  sup- 
])licarono  clie  rimanesse. 
E  il  duce,  fiotto  suo  prò  di 
loro  ripentirò,  rimproverò 
i  delitti  commessi,  eccitò 
i  sedotti  a  separarsi  dai 
seduttori:  e  i  rei  furono 
■spenti  per  giudizio  degli 
stessi  soldati.  Di  due  le- 
gioni, state  le  prime  alla 
ribellione,  e  non  atterrite 
dai  gastighi  degli  altri , 
fece  prendere  orribil  ven- 
detta da  Cecina.  11  quale, 
d'accordo  con  gii  alfieri  e  coi  migliori  del  campo,  ordinò 
di  dare  addosso  ai  più  tristi  :  e  a  un  segno  dato  saltarono 
nelle  tende  menando  tutto  a  strage.  «  Di  quante  guerre 
civili  tur  mai,  dice  Tacito,  ninna  ebbe  tal  forma.  Non 
in  lìattaglia.  nò  da  contrarli  canmi,  ma  da^li  stessi  letti. 


Stat  1 1  (h  Geiinanico 
fig:uriito  111  atto  (il  parlari' 
[On-ri'.rri,  Museo  Latcanense^  t 


H'.  II.]  REPRESSIONE  FEROCE.  247 


dopo  avere  il  dì  insieme  mangiato,  la  notte  insieme  tran- 
quillamente dormito,  a  un  tratto  sorgon  nemici,  volgonsi 
contro  i  ferri.  Grida,  ferite,  sangue  son  palesi;  la  cagione 
occulta,  il  resto  retto  dal  caso.  Molti  pur  dei  buoni  vi 
furono  uccisi;  posciachè  i  cattivi,  inteso  contro  chi  s'in- 
fieriva, dier  di  piglio  all'armi  ancor  essi.  Non  v'era  freno 
di  legato  0  tribuno;  fu  permessa  al  volgo  licenza  e  ven- 
detta a  sazietà.  Entrato  ne'  quartieri  Germanico  poi,  la- 
crimando e  chiamando  quella  non  vendetta,  ma  macello, 
fa  i  corpi  abbruciare.  Entra  allora  in  quegli  animi  tut- 
tavia accaniti  una  smania  d'andare  contro  al  nemico  in 
satisfazione  del  passato  furore;  non  altrimenti  potersi 
placar  l'anime  degli  uccisi  compagni,  se  non  ricevendo 
negli  empi  petti  oneste  ferite.  Cesare  seconda  quel!'  ar- 
dore, e  gittato  un  ponte,  fa  passare  dodicimila  de'  legio- 
narii,  ventisei  coorti  dei  soci  ed  otto  squadre  di  cavalieri, 
state  pure  d'intemerata  modestia  nella  sedizione  »  '. 

A  traverso  a  selve  corse  nelle  borgate  dei  Marsi 
{West [alia),  e  trovatili  in  feste  e  in  banchetti,  né  appa- 
recchiati a  resistenza,  devastò  a  ferro  e  a  fuoco  per  oO 
miglia  all'intorno,  non  perdonando  a  sesso,  ad  età,  a 
cose  profane  o  sacre,  e  fece  strage  delle  altre  tribù  ve- 
nute troppo  tardi  al  soccorso  -.  Poscia  si  ridusse  alle 
stanze  del  Reno,  d'onde  mosse  l'anno  appresso  a  novelle 
correrie  e  arsioni  nel  paese  dei  Catti  {Assia),  colFinten- 
dimento  di  volgere  a  suo  prolìtto  le  interne  contese  dei 
parteggianti  per  l'indipendenza  e  dei  seguaci  delle  armi 
straniere.  Capo  dei  primi  era  al  solito  il  prode  vincitore 
di  Varo,  e  gli  altri  guidava  Segeste,  odiatore  di  Arminio 
per  amore  di  parte,  e  anche  perchè,  come  altrove  di- 
cemmo, questi  gli  aveva  rapita  la  figliuola  Tusnelda,  li- 
danzata  ad  un  altro.  Segeste,  traditore  della  patria,  com- 
battuto e  assediato  pregava  di  pronto  aiuto  Germanico, 

1  Tacito,  Ann.j,  I,  16- M'. 

2  Tacito,  I,  50.  51. 


?4S  CORRERIE  CONTRO  I  GERMANI  ED  ARMINIO.     [Lib.  VII. 

il  quale  accorso  lo  levò  dalle  strette,  ed  ebbe  in  poter 
suo  Tusnelda  che  nell'animo  si  serbava  più  moglie  che 
figlia;  e,  degna  di  Arminio,  in  faccia  al  nemico  non  era 
né  piangente,  ne  supplice;  colle  mani  strette  al  seno  mi- 
rava il  gravido  ventre,  pensando  alla  schiavitù  del  fi- 
gliuolo del  liberatore  di  Germania. 

Arminio,  ora  più  fiero  che  mai  per  la  sua  donna  ra- 
pita, e  pel  figlio  servo  in  seno  alla  madre,  corre  furiosa- 
mente il  paese,  e  ricordando  la  crudele  avarizia  straniera 
trae  a  guerra  i  Cherusci  e  gli  altri  vicini,  cupidi  di  ser- 
bar libertà  o  di  morire. 

Germanico,  spediti  suoi  legati  per  terra,  navigò  per 
le  foci  del  Reno  all'Amisia  {Ems),  e  di  ciui  internandosi 
pervenne  alla  foresta  di  Teutoburgo,  ove  rimanevano  an- 
cora umani  teschi  conficcati  nei  tronchi  degli  alberi,  e 
pietosamente  rese  gli  ultimi  ufficii  alle  insepolte  ossa 
delle  legioni  di  Varo.  Poi  segui  Arminio,  ritraentesi  per 
istrani  sentieri  di  selve  e  di  paludi,  e,  tentato  vanamente 
di  coglierlo,  tornò  alle  foci  dell'Amisia,  d'onde  ricondusse 
al  Reno  le  legioni  per  mare,  ed  ebbe  gran  danno  nelle 
navi  dalla  tempesta,  mentre  Cecina  tornando  per  terra 
fu  a  pericolo  estremo  per  la  stretta  via  dei  Ponti  Lunghi 
sulle  paludi  tra  il  Reno  e  il  Yisurgi  (Wescr).  Arminio 
corso  innanzi  ai  nemici,  nei  tenaci  pantani  avrebbe  rin- 
novellato la  giornata  dell'eccidio  di  Varo,  se  non  era  il 
senno  e  la  prodezza  di  Cecina.  E  la  fama  dei  pericoli 
da  cui  egli  uscì  giunse  rapida  alle  stanze  del  Reno,  ove 
narravasi  dell'esercito  colto  in  mezzo,  e  delle  orde  ger- 
maniche accorrenti  ad  invadere  la  Gallia,  Tanta  fu  la 
paura,  che  ad  impedire  l'aspettata  invasione  volevasi 
tagliare  il  ponte  presso  al  luogo,  ove  poi  fu  Colonia,  se 
non  lo  contrastava  Agrippina,  la  quale  stando  a  capa 
del  ponte  incuorò  i  timidi,  accolse  con  lodi  e  premii  le 
legioni  tornate,  e  fece  virilmente  le  parti  di  capitano. 

1  barbrri  ne   presero    maggior   baldanza:  ma   Germa- 


Oap.  IL]  BATTAGLIA  D'IDISTAVISO,  E  VENDETTA  DI  VARO.       249 

nico,  non  avvilito  dalla  sciagura,  ristorò  i  patiti  danni 
coi  soccorsi  di  Gallia,  Spagna  e  Italia,  gareggianti  a  dare 
armi,  cavalli  e  pecunia,  e  quindi  con  mille  navi  portò 
otto  legioni  in  riva  al  Visurgi,  e  si  incontrò  con  Arminio  "^naSllviT 
nel  piano  di  Idistaviso  sulla  destra  del  fiume.  Ivi  fu  un  ^  ^'^^ 
grosso  e  fierissimo  fatto,  nel  quale  soprattutti  apparve 
spettabile  Arminio  sostenente  la  pugna  con  mano,  con 
voce  e  ferite,  e  salvantesi  nella  rotta  de'  suoi  col  trasfi- 
gurarsi il  volto  col  proprio  sangue.  Nel  medesimo  modo 
sfuggi  suo  zio  Inguiomero.  Molti  dei  fuggenti  rimasero 
affogati  nel  fmme.  La  strage  non  cessò  che  al  soprav- 
venir della  notte.  Dieci  miglia  di  terreno  furono  ricoperte 
di  cadaveri  e  di  armi  germaniche,  di  cui  il  vincitore 
fece  un  trofeo,  e  vi  scrisse  sopra  i  nomi  delle  nazioni 
vinte.  11  quale  spettacolo  afflisse  e  adirò  i  Germani  cosi, 
che  subito  anelanti  a  vendetta  riapparvero  tutti  sui 
campi,  condotti  da  Inguiomero  pronto  a  ogni  cosa,  e  si 
appiccarono  a  nuova  battaglia,  nella  quale  pure  corse 
in  gran  copia  il  loro  sangue.  Dopo  di  che  Germanico, 
lodati  i  suoi  prodi,  fece  un  mucchio  delle  armi  nemiche 
con  questa  superba  epigrafe:  «  Debellate  le  nazioni  tra 
Reno  ed  Elba,  l'esercito  di  Tiberio  Cesare  consacrò  que- 
sta memoria  a  Marte,  a  Giove,  ad  Augusto.  » 

E  così  vendicata  la  disfatta  di  Varo,  avviò  per  terra 
alcune  delle  legioni  alle  stanze,  e  altre  ricondusse  da  sé 
stesso  pel  fiume  Amisia  e  pel  mare,  ove  colto  da  altra 
tempesta  patì  nuovi  e  più  grandi  danni  di  navi  rotte  o 
disperse.  Alla  fine,  dopo  vari  casi,  giunse  ai  quartieri 
del  Reno,  ove  trovò  lettere  di  Tiberio  che  lo  richiama- 
vano a  Roma,  e  gli  impedivano  di  proseguire  la  guerra 
che,  al  dire  di  Tacito,  avrebbe  potuto  compirsi  in  un'al- 
tra campagna  ^ 

Tiberio  per  rumoreggiare  di  sollevazioni  o  di  guerre 


250  GOVERNO  DI  TIBERIO  NEI  PRLMI  ANNI.  [Lib.  VII. 

non  si  era  mosso  da  Roma.  Dapprima  aveva  dato  inten- 
zione di  recarsi  in  persona  ad  attutare  le  legioni  ribel- 
lanti, ma  poi  non  curando  le  dicerie  e  le  burle  della 
città  contro  i  suoi  Unti  indugii,  rimase  fermo  a  non  porre 
a  repentaglio  se  stesso  e  lo  Stato  *.  E  attendendo  a  for- 
tificarsi contro  il  lupo  die  diceva  di  tener  per  le  orecchie, 
si  governò  accortamente,  e  nei  primi  anni  il  suo  reggi- 
mento ebbe  lode  di  sapienza  e  di  temperanza  anche  da 
Tacito,  il  quale  ricordò  gli  affari  rilasciati  a  trattare  al 
senato,  la  facoltà  data  ai  padri  di  discutere  liberamente, 
l'adulazione  repressa,  gli  onori  pubblici  affidati  ai  più 
degni,  e  le  leggi  bene  usate,  tranne  i  casi  di  maestà. 
Rari  in  Italia  i  possessi  particolari  del  principe:  non  lusso, 
né  insolenza  di  servi,  pochi  i  liberti  in  casa,  le  liti  del 
prìncipe  coi  particolari  decise  dai  tribunali  secondo  la 
ragion  comune.  I  grani,  i  tributi  e  le  altre  entrate  pub- 
bliche erano  amministrate  da  compagnie  di  cavalieri.  La 
plebe  invero  pativa  del  caro,  ma  non  era  colpa  del  prin- 
cipe, il  quale  non  risparmiò  spesa  ed  industria  per  sup- 
plire all'infecondità  della  terra  e  alle  disgrazie  del  mare. 
Provvide  che  le  province  non  fossero  travagliate  con 
nuove  gravezze,  e  che  le  antiche  non  si  rendessero  in- 
comportabili per  avarizia  e  crudeltà.  Non  battiture  di 
persone,  non  confìscazioni  di  beni-:  alleviate  con  doni 
di  pecunia  e  remissione  di  tributi  le  sciagure  di  più  città 
dell'Asia  rovinate  per  terremoti:  beneficenze  riferite  con 
lode  dagli  scrittori,  e  ricordate  anche  oggi  dalle  rovine 
di  un  bel  monumento  eretto  al  benefiittore  in  Pozzuoli  (''). 

(«)  Tacito,  Ann.,  II,  47,  e  IV,  Kj;  Strahone,  XII,  7,  <'.  XIII,  4;  Plinio, 
li,  SO. 

Il  monumento  scoperto  nel  1693  a  Pozzuoli,  e  poscia  trasportato  noi 
Museo  fli  Napoli  fu  eretto  dagli  Augnatali  a  Tiberio.  E  una  base  (jua- 
(hata  con  le  imagini  delle  città  beneficate,  sculte  sui  lati:  la  statua  del 

'  Ta.-ito,  Ann.,  I,   l(i,   17.  «  IV,  \\  Svetonio,  Tih.,  :ìS. 
2  Tacito,  Ann.,  IV,  0  ..•  7. 


I 


Gap.  II.]  SOCCORSI  ALLE  CITTA  ROVINATE  DA  TERREMOTI.       SA 

Ai  governatori  dei  sudditi  egli  ricordava  che   le   pecore 


iK'OS^^VR^/RAMYRns'A  iE;5^He5o^  a>''^iw,^  >^t 


L    cut  i   ivnti  he  sDuCoisp   Jd[  )  1  (lami: 


M  s    5  ^      ij,     e  e     ^  ij  ^    ) 


l)enefattore  sorgeva  al  disopra.  Le  città  più  o  meno  nuitilate  riinanpono: 
il  beneluttore  scomparve. 

Le  città  sono  dodici  in  Tacito,  e  14  >ul  monumento.  L'epigrafe  posta 
nella  fronte  del  marmo  a  significare  che  gli  Augustali  posero  il  monu- 
mento a  Tiberio  è  chiusa  da  due  figure  che  si  credono  rappresentare 
Sardi  e  Magnesia  del  Sipilo,  cioè  le  due  città  principali  tra  quelle  colpite 
dal  terremoto,  e  più  largamente  soccorse  perchè  più  danneggiate.  Due 
degli  altri  lati  hanno  tre  figure  ciascuno,  le  quali,  come  vedesi  dai  lora 
nomi  rimasti  interi  o  mutilati  nel  marmo,  sono  Filadelfea,  Tmolo,  Cime. 
Mostene,  Ege,  lerocesarea  :  e  nell'altro  lato  di  cui  diamo  il  disegno  sono 
sei  città  coi  loro  nomi,  cioè  .  .  ìnos  {Temnos),  cibyra,  myrina,  ephesos. 
APOLLONIDEA.  Dell'ultima  non  resta  il  nome:  ma  si  sa  che  dapprima  vi 
fu  letto  HiRCA  indicante  la  città  degl'Ircani,  ricordata  da  Tacito.  Vedi 
rJinervini,  in  Mus.  Borbon.,  voi.  XV,  tav.  4  e  5. 

Questa  liberalità  è  ricordata  anche  dalle  medaglie  in  cui  coirepigrafe 
civiTATiBUS  ASIAE  RESTiTUTis  SÌ  Vede  Tiberio  assiso,  coronato  di  liuiro,  >-> 
te'nente  nelle  mani  patera  e  scettro.  Cohen,  Monn.  frapp.  soi'.s  l'emp. 
rorr,:,  voi.  I,  pag.  124,  125,  n.  51,  57,  o  pi.  VI. 


2r.2        PROVINXE,  ITALIA.  TEMPERANZA  NEL  DENARO.    [Lib.  VIL 

t5i  voglion  tosare,  non  scorticare  *:  e  furono  accusati  e 
condannati  per  loro  ladronerie  molti  proconsoli  -.  E  questi 
provvedimenti  meritavano  lode,  quantunque  non  conse- 
guissero pieno  l'intento,  e  non  togliessero  in  più  luoghi 
i  mali,  da  cui  i  sudditi  erano  spinti  alla  disperazione 
delle  armi;  e  in  alcune  province,  oltre  ai  governatori, 
esercitassero  brighe  e  avarizie  anche  le  loro  mogli  che, 
superbe,  crudeli,  ambiziose,  avide  di  potenza  comanda- 
vano senza  freno  nei  campi,  marciavano  in  mezzo  ai 
soldati,  decidevano  gli  affari  3. 

Guardò  l'itaha  dai  ladri  e  dalle  sedizioni^;  prese,  e 
spense  Clemente  schiavo  delf  ucciso  Agrippa,  il  quale 
preparava  novità  dandosi  per  Agrippa  stesso,  e  trovava 
credenti  e  seguaci,  e  da  ultimo  preso  e  da  Tiberio  do- 
mandato come  si  fosse  fatto  Agrippa  rispose:  Come  luti 
■sei  pitto  Cesare  ^.  Tolse  via  gli  asili  moltiplicati  in  Italia 
e  nelle  province  a  rifugio  di  debitori  e  di  scellerati''.  A 
Roma  fece  reprimere  le  contese  del  teatro,  e  cacciar  via 
gl'istrioni,  perchè  gli  spettatori  gareggianti  per  questi  o 
per  quelli  venivano  spesso  alle  mani  e  al  sangue  '. 

Nei  primi  tempi  fu  fermo  anche  rispetto  al  denaro; 
non  accettò  eredità  se  non  dagli  amici,  e  rigettò  quelle 
di  sconosciuti,  che  lo  nominavano  erede  per  odio  di 
altri  ^.  Quantunque  avesse  modi  villani  fece  anche  be- 
neficii  e  larghezze.  Sovvenne  più  senatori  caduti  in  mi- 
seria, mentre  ad  altri  rifiutò  acerbamente,  non  volendo 
che  pel  troppo  donare  fallisse  lo  Stato,  e  si  accrescesse 
la  pigrizia  e  languisse  l'industria-'.  Nel  caro  delle  vetto- 

1  Svetonio,  Tib.^  ?,2;  Tacito,  IV,  6;  Dione,  l.VII,  lo;  Orosio,  VII,  -1. 

2  Tacito,  Ann.^  I,  71,  III,  60,  70,  IV,  15,  ecc.  ecc. 

3  Tacito,  Ann.,  Ili,  3:!,  ^^\. 
*  Svetonio,  Tih.,  3". 

''  Tacito,  Ann.,  II,  :ir*-in;  Svetonio,  THk,  25;  Diono,  LVII,  ir,. 

fi  Tacito,  Ann.,  Ili,  CO-C,;!,  IV,  14;  Svetonio,  Tih.,  37. 

7  Tacito,  Ann.,  1.  rrl,  77,  IV,  M;  Svetonio,  Tih  ,  37;  Dione,  LVII,  21. 

s  Tacito,  Ann.,  Il,  -IS. 

i'  Tacilo,  Ann.,  I,  7r.,  II,  37,  .38,  i9,;  Svetonio,  77'/..  17;  V-^lleio,  li,  li'9;  Dione,  l.VII,  ]?). 


% 


k 


Gap.  IL]  SOCCORSI  AI  POVERI,  FRENI  AL  LUSSO,  E  A  COSTUML     253 

vaglie  fissò  il  prezzo  del  grano,  e  ad  alleviamento  dei 
poveri  pagò  per  ogni  medio  due  denari  del  suo:  e  quando 
si  incendiò  il  monte  Celio,  sovvenne  con  denaro  alla 
grande  calamità  *.  Né  perciò  volle  mai  il  titolo  di  padre 
della  patria,  offertogli  più  volte,  e  riprese  aspramente 
chi  chiamava  lui  signore,  e  divine  le  sue  occupazioni, 
dicendo  che  era  padrone  degli  schiavi  non  dei  cittadini, 
e  che  le  sue  occupazioni  si  volevano  appellar  laboriose 
e  non  altro.  Vietò  anche  di  giurare  nei  suoi  atti,  sti- 
mando incerte  le  cose  mortali;  ne  volle  onori  di  statue 
0  di  templi  2. 

Quanto  ai  costumi  fece  reprimere  con  gravi  decreti  e 
condanne  la  disonestà  delle  donne,  e  vietò  che  le  ma- 
trone potessero  mettere  il  corpo  a  guadagno,  dopoché 
fu  veduta  una  di  esse  matricolarsi  agli  edili  per  mere- 
trice 3.  Moderò  le  spese  degli  spettacoli,  e  détte  esempio 
di  parsimonia  nelle  masserizie  e  nei  cibi.  Ma  sapeva 
bene  che  le  leggi  suntuarie  non  giovano  a  nulla:  e  quando 
altri  proponeva  forti  rimedii  contro  gli  apparati  della 
gola  e  della  lussuria,  egli  dopo  severe  parole  e  rimprocci, 
concludeva  sempre  per  la  tolleranza  di  vizi  radicati  e 
cresciuti,  e  resistenti  ad  ogni  decreto,  dicendo  doversi  da 
ognuno  trovare  nel  proprio  animo  la  medicina  a  questi 
mali  ;  né  volere  egli  pigliarsi  odii  e  nimicizie  per  nulla  ''. 
Ai  piccoli  magistrati  conservò  la  realtà  degli  uffici,  e  ai 
maggiori  le  sole  apparenze.  Si  alzava  per  segno  di  onore 
alla  presenza  dei  consoli,  e  dava  loro  luogo  per  via  ^. 

Al  popolo  tolse  fm  da  principio  anche  il  nome,  che 
solo  gli  restava,  dei  diritti  politici,  trasferendo  dal  Campo 
Marzio  al  Senato  le   elezioni  dei  magistrati,  e  tutti  gli 

>  Tacito,  Ann.^   II,    S7,  IV,   61,  VI,  45;  Velleio,   II,    130;   Svetonio,  Tib.^  4S  ;   Dione, 
LV!I,  16. 

2  Tacito,  Ann..  I,  72,  II,  S7  ;  Svetonio,  Tib.,  2(5,  27;  Dione,  LVII,  8. 

3  Tacito,  Ann.^  II,  So;  Svetonio,  Tib.^  35. 

4  Tacito,  Ann.^  Ili,  52-51. 

5  Tacito,  Ann.,  IV,  6;  Svetonio,.  T/ò.,  31;  Dione,  LVII,  11. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  32 


254  COMIZI  E  GIUSTIZIA.  [Lib.  VII. 

altri  poteri  dei  comizi  popolari  che,  sotto  il  nome  dei  pa- 
dri, d'ora  in  poi  stanno  allatto  in  mano  del  principe  *. 
Egli  a  suo  piacere  ed  arbitrio  nomina  i  cittadini  agli  uf- 
fici ^  e  da  sé  stesso,  o  per  mezzo  del  servile  senato  ordina 
le  leggi  e  giudica  delle  vite  degli  uomini.  E  se  poi  si 
continua  a  parlar  di  comizi,  questi  sono  una  ceremonia  e 
non  altro:  l'assemblea  è  chiamata  solo  a  ratificare  gli 
ordini  venuti  dell'alto  (").  La  cosa  non  curata  dal  popolo 
se  non  con  vano  schiamazzo,  fu  detta  ordinazione  dei 
comizi  2  da  Velleio  Patercolo,  parlante  la  sozza  lingua  di 
tutti  coloro  che,  nelle  più  triste  età,  dissero  i  despoti 
fondatori  dell'ordine  e  salvatori  del  mondo.  Nel  senato 
Tiberio  trovò  più  viltà  che  non  volesse,  e  talora  se  ne 
mostrò  stomacato,  e  resistè  ai  troppo  ardenti,  e  ne  tem- 
jierò  il  soverchio  zelo  di  servitù  '^ 

Interveniva  ai  tribunali  come  consigliere  dei  giudici 
per  vegliare  alla  giustizia  e  alla  osservazione  delle  leggi, 
e  fu  causa  di  molti  ordini  contro  alle  pratiche  e  al  fa- 
vore dei  potenti  :  ma,  mentre  colla  sua  presenza  voleva 
aiutare  la  giustizia,  toglieva  la  libertà  dei  giudizi  ^.  E  di 
libertà  egli  favellava  sovente,  dicendo  che  in  città  hbera 
dovevano  esser  libere  le  menti  e  le  lingue:  ricordava 
l'osservanza  dei  dettami  della  sapienza  antica,  non  aversi 
a  scemare  il  diritto  dalla  potenza  dei  principi,  né  usar 
l'imperio  ove  si  può  far  colle  leggi.  Belle  parole,  osserva 
Tacito,  ma  fatti  vani  o  falsi,  che  dalle  finte  mostre  di 
libertà  doveano  riuscire  a  servitù  più  crudele  ^. 

C^}  Di  comizi  consolari  è  parlato  da  Svetonio  {Domit..  10).  da  Plinio 
{Paneg.,  03)  e  da  Seneca  {Epist.,  118).  Vedi  Merivale,  chap.  XLIV,  voi.  V, 
pag.  110  e  segg. 

»  Tacito,  Anw.j  I,  15  o  SI. 
8  Dione,  LVIII,  20. 

3  Velleio  Patercolo,  II,  121. 

4  Tacito,  Ann.^  Ili,  65;  Svetonio,  Tih..  27. 

^>  Svetonio,  Tib.,  33;  Tacito,  I,  75;  Dione,  F-VII,  7. 
«i  Svetonio,  Tib.,  28;  Tacito,  Ann..  I,  81,  III,  C!?« 


Cap.  II.] 


LA  LIBERTÀ  DI  TIBERIO. 


255 


E  a  malgrado  delle  dissimulazioni,  la  feroce  bestia 
a  poco  a  poco  mostrava  i  denti,  con  cautela  dapprima, 
fmchè  non  venne  il  tempo  di  imperversare  senza  riguardi 
e  di  dar  di  piglio  apertamente  nell'onore,  nella  roba  e 
nel  sangue.  Già  fino  dai  primi  giorni  avea  mostrato  come 


Tiberio  (Moiirjez,  Icon.  Jiom.^  pi.  XXII,  n.  1). 

intendesse  la  giustizia  e  la  libertà  del  parlare,  allorché 
un  cittadino  in  un  funerale  si  fece  a  chiedere  al  morto, 
che  riferisse  ad  Augusto  che  non  erano  ancora  stati  pa- 
gati i  suoi  lasciti  al  popolo.  Tiberio,  risaputa  la  cosa, 
ordinò  che  fosse  preso  il  motteggiatore,  e  datagli  la  sua 
parte  dei  lasciti,  lo  fece  impiccare,  perchè  andasse  a  por- 


256  PAURE,  ESITANZE,  ODII  E  TRISTIZIE.  [Lib.  VII. 

tarne  la  novella  ad  Augusto  *.  Poscia  apparve  brutto  di 
atroce  egoismo,  di  bassa  gelosia,  di  viltà  incredibile  nel 
vincitore  dei  Germani  e  dei  Dalmati,  e  inferocì  per  sete 
inestinguibile  di  sangue,  e  per  barbarie  crescente  cogli 
anni,  e  potè  sostenere  il  paragone  coi  più  abominevoli 
despoti  che  la  storia  ha  consacrato  all'esecrazione  degli 
uomini. 

La  paura  governava  quest'uomo  sempre  esitante,  e 
oscuro  in  volto  e  in  parole,  dotto  a  dissimulare  e  a  fìn- 
ger tutto,  tranne  l'atlabilità,  non  contento  né  della  fran- 
chezza né  dell'adulazione,  sdegnoso  della  libertà  e  della 
servitù,  diffìdente  del  senato,  del  popolo,  delle  province, 
degli  eserciti,  e  massime  del  successore. 

Spento  Agrippa  Postumo,  rimaneva  a  turbargli  i  sonni 
Germanico,  caro  al  popolo  e  alle  legioni,  e  perciò  più 
temibile.  Né  a  temperare  la  paura  valeva  il  severo  con- 
tegno del  prode  fìglio  di  Druso,  né  la  fedeltà  a  tutta 
prova,  né  l'orrore  mostrato  quando  le  legioni  tumultuanti 
gli  offrirono  l'impero.  A  cotali  virtù  non  credeva  Tiberio, 
giunto  al  potere  supremo  per  la  via  degli  intrighi,  e  delle 
tristizie.  Egli  odiava  Germanico  perchè  all'abile  e  d'inge- 
gno civile,  e  amatissimo  dall'universale  per  la  memoria 
di  Druso.  Anche  la  vecchia  Livia  soffiava  nell'odio  per 
sue  stizze  con  Agrippina,  moglie  a  Germanico,  donna  di 
animo  indomito,  segnalata  per  fecondità,  famosa  per  pu- 
dicizia. Questa  andava  compagna  al  marito  sui  campi,  si 
mostrava  forte  ai  pericoli,  attutava  le  sedizioni,  rasse- 
gnava le  schiere,  dava  donativi  2.  Le  quali  cose  parevano 
a  Tiberio  una  cospirazione  contro  di  lui,  e  ne  era  più 
punto  il  suo  animo,  già  turbato  e  pieno  di  sospetti,  pel 
grande  affetto  dei  soldati  a  Germanico,  e  per  la  gloria 
di  armi  da  esso  acquistata.  D'onde  il  proposito  di  toglierlo 
alle  legioni  di  Germania,  e  di  mandarlo  ad  altri  destini  '. 


«  Svetonio,  Tib.,  57;  Dione  Cassio,  I.VII,  11. 

2  Tacito,  A)ìn.^  I,  3:^,  M\  41,  CO. 

3  Tacito,  Ann...  I,  r.2,  ''.o,  II,  5. 


I 


Cap.  If.] 


TRIONFO  SUI  VINTI  GERMANICI. 


Lo  richiamò  a  un  secondo  consolato  e  al  trionfo:  e  Ger- 
manico venne,  e  fu  più  che  mai  festeggiato.  Era  giovine, 
bello  della  persona, 
prode  in  guerra:  si 
porgeva  affabile , 
generoso.  Tutti  spe- 
ravano da  lui  mi- 
gliori destini  alla 
patria.  Tutto  il  po- 
polo di  ogni  ordine 
e  sesso  ed  età  pieno 
di  entusiasmo  andò 
ad  incontrarlo  a  40 
miglia  fuori  della 
città.  Cosi  tutte  le 
coorti  pretoriane 
quantunque  a  due 
sole  fosse  stato  or- 
dinato di  uscire  :  e 
lo  acclamarono  ar- 
dentemente quan- 
do ai  26  maggio 
comparve  sul  carro 
trionfale  con  Agrip- 
pina e  con  cinque 
figliuoli,  preceduto 
dai  simulacri  dei 
monti,  dei  fiumi  e 
delle  battaglie  ger- 
maniche, e  dai  prin- 
cipali nemici  fatti  prigioni,  tra  cui  Tusnelda 
Arminio,  e  Tumehco  suo  figlio  {"). 


Trionfo  di  Germanico,  con  Tusuelda,  moglie  di  Arminio 
e  Tumelico  suo  figlio  (Cohen,  e  Mon.  ined.  Istic). 


moglie  di 


(^)  Tacito,  Ann..  II,  41,  4-2;  Strabene,  VII,  1;   Svetonio,  Calig.,  4.   La 
medaglia  rappresentante  il  trionfo  ha  nel  diritto  Germanico  su  quadrio-a 


258    GERMANICO  DESTINATO  A  RICOMPORRE  L'ORIENTE.  [Lib.  VII. 

Fu  eretto  un  arco  trionfale  presso  il  tempio  di  Saturno 
per  le  insegne  di  Varo  ricuperate  ("),  duce  Germanico^ 
auspice  Tiberio,  il  quale  in  nome  del  trionfatore  donò  a 
ciascuno  della  plebe  300  sesterzi  e  lo  fece  suo  collega 
nel  consolato  per  l'anno  seguente:  ma  perciò  non  fu 
creduto  che  egli  amasse  di  più  o  avesse  meno  in  sospetto 
questo  suo  nipote  e  figlio  adottivo.  L'opinione  d'allora 
fu  che  cogliesse  la  prima  occasione  per  allontanare  da 
Roma  il  giovane  carissimo  al  popolo,  e  amato  anche  da 
alcuni  alla  corte  parteggiante  tra  lui  e  Druso,  uomo  da 
poco  ma  preferito  dal  principe  come  suo  proprio  sangue. 
Tiberio  mandò  il  fìgho  a  sorveghare  lllirii  e  Germani, 
e  destinò  Germanico  al  governo  dell'Oriente  ove  si  turba- 
vano regni  e  province,  e  si  riagitavano  a  guerra  i  Parti, 
cacciato  come  straniero  il  re  Vonone  avuto  da  Roma, 
e  posto  in  suo  luogo  l'Arsacide  Artabano:  era  agitata 
l'Armenia  a  causa  dello  stesso  Vonone  accolto  nella  fuga 
e  fatto  re  degli  Armeni,  e  quindi  richiesto  minacciosa- 
mente dai  Parti  e,  per  evitare  la  guerra,  tratto  a  sé  con 
artificio  dal  governatore  di  Siria,  e  custodito  con  pompa 
e  nome  reale  e  serbato  alle  future  occasioni.  E  si  tur- 
bavano Commageni  e  Cilici  per  la  morte  dei  re  Antioco 
e  Filopatore,  e  Siria  e  Giudea  pregavano  alleviamenti  ai 
troppo  gravi  tributi,  mentre  da  un  altro  lato  occorreva 
ordinare  la  Cappadocia  ora  ridotta  a  provincia  dopo  la 
fine  del  vecchio  re  Archelao  morto  a  Roma.  Tiberio  disse 

trionfale  colle  parole  germanicus  caesar;  e  nel  rovescio  Germanico  con 
scettro  sormontato  da  un'aquila  e  coH'cpi^rafe  signis  kecept.  (recepiis) 
DEviCTis  GERM.  (anj.s)  s.  c.  {Seìiatu.s  consulto).  Cohen,  Monn.  frappces 
■sous-  l'emp.  rom.,  I,  pag.   138,  pi.  A'III,  n.  5. 

Per  la  statua  supposta  di  Tusnelda  che  è  sotto  le  Logge  dei  Lanzi  a  F'i- 
i-enze,  e  per  la  testa  di  Tumelico  del  Museo  Britannico,  vedi  Monuni. 
'Ined.  Istit.,  voi.  VIII,  tav.  28,  e  Gottling,  in  Annal.  Istit.,  1841,  p,  58-61. 

(")  Delle  aquile  di  Varo  erano  state  riprese  due,  secondo  le  testimonianze 
di  Tacito  (Ann.,  I,  60,  e  II,  25):  la  terza  fu  ricuperata  ai  tempi  di  Claudio 
(Dione,  LX,  8).  Conf.  Floro,  IV,  12,  3S. 


€ap.  IL]  PARTE  SOTTO  LA  SORVEGLL'^NZA  DI  GN.  PISONE.        259 

in  senato  la  sola  sapienza  di  Germanico  capace  a  com- 
porre l'Oriente  sommosso,  essendo  egli  stesso  in  età  de- 
clinante, e  Druso  non  ancora  uomo  fatto;  e  con  decreto 
dei  padri  gli  fece  dare  il  governo  delle  province  oltre- 
marine con  maggioranza  d'imperio  su  tatti  i  governatori. 
Ma  gli  messe  alle  spalle  come  aiutatore  (")  e  sorvegliatore 
Gneo  Calpurnio  Pisone,  uomo  superbo  e  feroce,  destinato 
al  governo  della  Siria  dopo  averne  rimosso  Cretico  Silano 
stretto  di  affinità  con  Germanico.  Credevasi  che  Pisone 
avesse  segreti  mandati  contro  di  lui:  e  Munazia  Plancina, 
sua  moglie,  che  lo  seguitò  al  governo  di  Siria,  era  inca- 
ricata di  travagliare  con  gare  femminili  Agrippina:  e 
Funa  e  l'altro  menarono  fieramente  lor  triste  arti  *. 

Germanico  mosso  da  Roma  prima  della  fine  dell'anno, 
imbarcato  ad  Ancona  approdò  in  Dalmazia  per  visitar 
Druso  con  cui  visse  sempre  in  buona  concordia,  e  quindi 
corso  con  mala  fortuna  pei  mari  Adriatico  e  Ionio,  visitò 
il  golfo  famoso  per  la  vittoria  di  Azzio,  e  i  trofei  ivi  con- 
sacrati da  Augusto,  e  il  campo  d'Antonio  suo  avolo,  e  di 
là  si  volse  ad  Atene.  Era  egregiamente  nutrito  di  lettere, 
nobile  scrittore  di  versi,  autore  di  commedie  greche, 
eloquente  in  greco  e  in  latino,  dotto  ed  elegante  tra- 
duttore di  Arato  2,  ammiratore,  come  i  più  culti  romani, 
di  tutte  le  belle  e  grandi  cose  dei  Greci:  e  quindi  per 
rispetto  alla  città  madre  della  sapienza  e  dell'arte,  e  an- 
tica confederata  di  Roma,  egli  console  tenne  un  solo 
littore.  I  Greci  lo  accolsero  con  esquisitissimi  onori  met- AnnidiRo- 
tendo  innanzi  fatti  e  detti  dei  loro  maggiori  per  dare  g.'Ws/' 
all'adulazione  più  dignità  3.  E  di  loro  ammirazione  e  af- 

(^)  In  appresso  (juando  si  trattava  di  giudicare  Pisene  ribelle,  Tiberio 
disse  in,  senato  adiutorem  Germanico  datimi  a  se.  Tacito,  Aìtn.,  Ili,  12. 

'  Tacito,  Ann.^  U,  1-1  e  41-41. 

2  Ovidio,  Fast.,  1,   19-23,  Ex  Ponto,  II,  o.    W-JB,   IV,  3,  67-7S;  SvetDnio,  Ci'ij.,  3; 
Tacito,  Ann.,  II,  S'-i. 

3  Tacito,  II,  53. 


260 


LIETE  ACCOGLIENZE  AD  ATENE. 


[LiB.  VIL 

fetto  per  lui  si  credè  trovare  ricordo  in  un  bell'onice 
ove  Agrippina  sotto  figura  di  Cerere,  e  un  giovane  con 
qualche  rassomiglianza  a  Germanico  stanno  sopra  carro 
tratto  da  alati  serpenti,  come  quello  in  cui  Cerere  mandò 
Trittolemo  a  insegnare  l'agricoltura  ai  mortali  comin- 
ciando dal  piano  di  Eleusi  nell'Attica*. 


Germanico  e  Agrippina  in  lÌLUra  di  liittolonio  e  di  Cerere  (/co-i.  7i'o»>i.^  XXIV,  3). 

Passò  poi  in  Eubea  e  in  Lesbo  ove  Agrippina  ebbe 
Giulia,  suo  ultimo  parto,  e  di  là  nei  confini  d'Asia  e  in 
Perinto  e  in  Bisanzio  città  di  Tracia.  Poscia  entrò  per 
lo  stretto  della  Propontide  e  per  la  foce  del  Ponto,  vago 
di  conoscere  quei  luoghi  antichi  e  famosi,  e  a  un  tempo 

1  Mongoz,  Iconogr.  Rom.,  voi.  p.  II,  IIW,  pi.  XXIV,  n.  :.'>. 


Cap.  ili  escursioni  in  GRECIA  E  IN  ASIA.  FURORI  DI  PISONE.     2GI 


per  confortare  quelle  province  travagliate  dalle  interne 
discordie  e  dalle  angherie  dei  magistrati.  Impedito  dagli 
Aquiloni  di  approdare  all'isola  di  Samotracia  famosa  e 
venerata  pei  misteri  della  religione  dei  Cabiri,  vide  Ilio 
cuna  di  Roma,  ricosteggiò  l'Asia  e  approdò  in  Colofone 
a  consultare  l'oracolo  di  Apollo  Ciarlo  che  fu  detto  gli 
annunziasse  con  oscure  parole  vicina  la  morte. 

Intanto  Pisene  per  dar  pronta  mano  a  sue  male  opere 
entra  furiosamente  in  x\tene,  pieno  di  sdegno  perchè 
non  gli  hanno  fatto  grazia  di  un  falsario  condannato 
dall'Areopago,  chiama  la  città  feccia  di  ogni  nazione,  le 
la  colpa  degli  onori  resi  a  Germanico,  e  morde  obliqua- 
mente anche  lui  per  aver  con  modo  non  degno  del  nome 
romano  corteggiato  gente  siffatta.  Poi  per  le  Cicladi  con- 
tinua sua  via,  e  spinto  da  tempesta  agli  scogli  corre  pe- 
ricolo estremo,  e  ne  scampa  solo  per  l'aiuto  che  uma- 
namente gli  manda  Germanico;  ma  non  fatto  più  mite 
per  questo,  dopo  averlo  incontrato  a  Rodi,  rapidamente 
passa  oltre,  e  recatosi  alle  legioni  di  Siria  fa  ogni  opera 
di  corruzione  per  trarlo  ai  suoi  intenti.  E  Plancina  lo 
aiuta  sui  campi  e  ai  militari  esercizi  aizzando  i  soldati 
con  invettive  ad  Agrippina  e  a  Germanico.  Delle  quali 
cose  sono  guasti  anche  i  migliori  perchè  bisbigliansi 
latte  non  senza  voler  di  Tiberio. 

Germanico  sapeva  ogni  cosa:  ma  intento  soprattutto 
a  riordinar  le  province,  si  volse  all'Armenia,  e  aspettando 
invano  gli  aiuti  chiesti  al  governatore  di  Siria,  quietò  il 
paese  dandogli  a  capo  Zenone,  figlio  di  Polemone  del 
Ponto,  il  quale  fin  da  fanciullo  emulando  gli  usi  e  i  co- 
stumi d'Armenia  era  caro  ai  grandi  e  alla  plebe;  e  nella 
città  di  Artassata  gli  pose  in  capo  la  corona  reale,  e 
tutti  contenti  lo  gridarono  re  chiamandolo  Artassia  dal 
nome  della  città.  Alla  Cappadocia  ridotta  a  provincia 
ilètte  un  legato  e  la  sgravò  di  alcuni  dei  rcgii  tributi 
portarle  parere  più  mite  l'impero  di  Roma;  e  i  Corama- 

Vanàtccj  —  Storia  del'.' Ita'.ia  antica  —  IV.  i^ 


2B2  RIORDINAM.  DELLE  PROVINCE,  E  VIAGGIO  IN  EGITTO.  I  Lib.  VII. 

geni  furono  per  la  prima  volta  sottoposti  a  im  pretore. 
Ai  messaggi  dei  Parti  recanti  che  Artabano  per  rinniio- 
vare  alleanza  e  amicizia  verrebbe  a  riva  d' Eufrate  a 
congiunger  le  destre,  e  intanto  chiedeva  fosse  cacciato 
Vonone  di  Siria,  Germanico  rispose  con  pompa  rispetto 
all'alleanza  richiesta,  e  con  decoro  e  modestia  quanto 
al  venire  del  re  ad  onorarlo:  e  Yonone,  protetto  dal  go- 
vernatore di  Siria  pei  doni  che  avea  fatti  a  Plancina, 
contino  a  Pompeiopoh,  città  marittima  della  Cilicia,  dove 
poco  appresso  tentando  fuggire  fu  ucciso  da  chi  lo  aveva 
in  custodia. 

Compiute  le  cure  più  gravi  del  riordinar  le  province 
co-ntinuavano  i  disordini  del  governatore  di  Siria  sempre 
oltraggioso  e  recalcitrante  ai  comandi,  prepotente  in  atti 
e  in  parole,  rispondente  con  altere  scuse  ai  rimproveri 
fatti  con  ira  compressa,  pretendente  ad  onori  uguali  a 
quelli  del  capo  supremo,  e  in  ogni  occorrenza  tanto  piìi 
superbo  e  feroce  quanto  Germanico  più  porgevasi  man- 
sueto e  benigno.  Quindi  più  si  concentravano  e  più  si 
invelenivano  gli  odii  ^ 

Per  distrarsi  da  questa  rivalità  che  gl'inaspriva  il  dolce 
animo,  Germanico  l'anno  appresso  (77'2)  sotto  colore  di 
visitar  la  provincia  si  recò  a  vedere  le  antichità  e  le  ma- 
raviglie d'Egitto.  Andò  pel  Nilo  cominciando  da  Canopo, 
vide  le  grandi  rovine  dell'antica  Tebe,  il  colosso  vocale 
di  Memnone,  le  piramidi  emiilatrici  dei  monti,  e  giunse 
lino  ad  Elefantine,  e  a  Siene  termine  allora  dell'Impero 
di  Roma.  Coir  aprire  i  granai  fece  rinviliare  il  prezzo  dei 
gKani,  e  fece  molte  cose  piacevoli  ai  popoli.  Andava  senza 
guardie  vestito  alla  greca,  come  già  Scipione  in  Sicilia. 
Del  che  lo  rimproverò  leggermente  Tiberio  mentre  gli 
scriveva  agre  parole  sull'essere  entrato  in  Alessandria 
contro    il   divieto    d'Augusto    ai   senatori   e   cavalieri   di 

1   lucilo,  Aìin.j  li,  51-58  e  <1S. 


Cap.  ll.l  CONTRASTI,  MALATTIA  E  MORTE  DI  GERMANICO.        203 


€onto  di  andare  in  Egitto  senza  licenza  del  principe,  af- 
finchè ninno  potesse  alfamare  l'Italia  tenendo  con  poco 
presidio  quella  provincia,  chiave  di  terra  e  di  mare  *. 

Al  ritorno  in  Siria  trovò  Pisene  divenuto  nemico  aperto, 
e  guasta  per  lui  ogni  cosa,  e  contrariati  o  ilistrutti  gli 
ordinamenti  suoi  per  le  città  e  tra  i  soldati.  Quindi  aspre 
parole  da  una  parte  e  più  feroci  fatti  dall'  altra.  Pisene 
piuttostochè  cedere  stabili  di  lasciare  la  Siria,  ma  alla 
notizia  di  una  malattia  di  Germanico  sostò  in  Antiochia; 
e  come  l'udì  riaversi  e  farsene  sacrifizi  e  festa  dal  po- 
polo, egli  furibondo  con  suoi  littori  messe  sottosopra  le 
vittime  e  tutto  l'apparato  festivo.  Poi  se  ne  andò  a  Se- 
leucia  per  attendere  a  che  riuscisse  la  malattia  ridesta- 
tasi e  fatta  più  cruda  dalla  persuasione  che  ne  fosse 
causa  il  veleno.  Germanico  allora  con  lettera  disdisse  la 
sua  amicizia  a  Pisene,  e  gli  ordinò  di  sgombrar  la  pro- 
vincia. Ed  egli  salpò  ma  a  lenta  voga  per  essere  più 
pronto  al  ritorno  appena  la  morte  di  Germanico  gli  ria- 
prisse la  Siria,  poi  si  arrestò  per  attendere*  a  che  riu- 
scisse la  malattia.  Germanico  aggravò  e  morì  in  Antiochia 
per  male  arti  o  allaturamcnti  di  Pisene  e  di  Plancina, 
^secondo  che  allora  corse  la  fama.  È  narrato  che  furono 
scavate  dal  suolo  e  dalle  pareti  ossa  umane  con  incan- 
tesimi e  scongiuramenti  e  col  nome  di  Germanico  su  pia- 
stre di  piombo,  e  ceneri  arsicciate  e  intrise  di  sangue, 
e  altre  malìe  con  cui  credevano  consacrarsi  le  anime 
ai  Numi   infernali  (;').   Sid   che   non  vi  è  nidla  di   certo, 

C)  Et  reperiebantur  -solo  ac  jìarietiOits  erutae  humanoru,,i,  corporuni 
reliquiae,  carmina  et  devotiones,  et  nomen  Germanici  plumbeis  tabulis 
i'isculptum,  semiusii  cineres  ac  tabe  obliti,  aliaqtte  ,  male  fida,  quis 
'  recUdir  aninias  numinibus  infernis  sacrari.  Tacito,  Annal.,  II,  C9,  e 
Dione,  LVII,  18,  il  quale  afferma  anche  che  Germanico  morì  per  frode 
■di  Pisane  e  di  Plancina,  coi  sommo  piacere  di   Tiberio  e  di  Licia. 

L"u?o  (li  scrivei'e  in  piastre  di  piombo  il  nome  dei  nemici,  oho  volevansi 

>  Tacilo,  Ann.,  II,  2K-61. 


204  LUTTO  E  LODI  DEI  POPOLI.  [Lib.  VII. 


tranne  la  persuasione  in  che  era  il  morente  di  perire 
per  insidie  e  malie  e  veleni  dei  suoi  persecutori.  E  negli 
ultimi  istanti  lo  disse  chiaro  agli  amici,  cui  legò  sue 
vendette,  mentre  ad  Agrippina  raccomandava,  che  per 
l'amore  di  lui  e  dei  comuni  figliuoli  ponesse  giù  l'alterigia, 
sottomettesse  l'animo  all'incrudelita  fortuna,  né  irritasse 
a  Roma  i  più  potenti  di  lei.  Corse  voce  che  in  segreto 
le  dicesse  anche  ciò  che  temeva  di  Tiberio. 
.liifco-  Fini  nel  vigore  dell'età  e  delle  speranze,  a  34  anni^ 
V.  ù'.  '  con  gran  lutto  delle  province  circostanti;  pianto  da  po- 
poli e  re,  si  era  dolce  agli  alleati,  mansueto  ai  nemici 
e  venerabile  del  pari  a  vederlo  e  a  udirlo. 

«  Senza  imagini  né  pompe,  scrive  Tacito,  furono  splen- 
dide l'esequie  per  le  lodi  e  la  memoria  di  sue  virtù. 
Eravi  chi  comparava  sua  bellezza,  età  e  genere  di  morte 
ed  anche  la  vicinanza  del  luogo  ove  morì,  coi  destini 
d'Alessandro  Magno.  —  Ambi  di  bel  corpo,  alto  le- 
gnaggio,  non  molto  sopra  ai  30  anni,  per  insidie  de'  suoi 
tra  straniere  genti  caduti.  Ma  questi  aveva  vivuto  mite 
agli  amici,  temperato  ai  piaceri,  contento  d'una  moglie, 
certo  de'  suoi  lìgliuoli:  non  men  guerreggiatore,  benché 
men  temerario,  e  impedito  di  mettere  il  giogo  alle  Ger- 
manie, pur  abbattute  da  tante  vittorie.  Che  se  fosse  stato 
solo  arbitro  delle  cose,  se  avesse  avuto  dritto  e  nome 
regio,  tanto  più  facile  avrebbe  conseguita  la  gloria  del- 
l'armi, quanto  soprastava  in  clemenza,  temperanza  ed 
ogni  altra  bontà.  —  Il  corpo,  prima  che  arso,  fu  snudato 
sul  Fóro  d'Antiochia  destinatogli  a  sepoltura.  Se  portasse 
segni  di  veleno  non  é  chiaro;  interpretandone  ciascuno 

ammaliare  e  niuleJire  e  consacrare  agli  Dei  infernali,  è  attestato  da  pa- 
recchie tavole  greche  e  latine  che  ancora  rimangono,  piene  di  siffatte 
imprecazioni.  Vedi  Boeck,  Coì-pus  inscript.  Graec,  5;5S  e  539;  Henzeu, 
Annal.  Istit.,  1846,  pag.  203--217,  e  Bitllet.  htit.,  1849,  pag.  77;  Lo- 
norrnant,  I)e  tubulis  decctionis  plumbcis  Alexondrinis,  in  RlieinischeS'- 
Mv.cum,  1854,  pag.  365-382. 


I 


Cap.  il 


PISONE  LIETO  E  RIBELLE. 


2r,a 


diversamente  secondo  che  pendeva  a  pietà  verso  Germa- 
nico e  a'  concepiiti  sospetti,  ovvero  al  favor  di  Pisone  »  *. 
Pisone,  avuta  la  novella  nell'isola  di  Coo,  ne  fece  gran 
festa,  uccise  vittime,  menò  furiosa  allegrezza,  e  Plancina 
si  vestì  panni  più  lieti.  Poscia  tornò  a  Siria  d'onde  era 


stato  cacciato,  e  apertamente  ribelle  tentò  invano  di  ri- 
pigliarne il  governo  dato  già  a  Gneo  Sanzio  dal  consiglio 
dei  legati  e  dei  senatori  del  campo;  e  infelicemente  com- 
battè in  guerra  civile,  e  fu  vinto  e  preso  e  mandato  a 


>  Tacito,  Ann.j  II,  G9-7:;;  Svetonio,  Cstliy-^  1-j;  Dioae,  LV'II,  IS. 


263        LUTTO  PUBBLICO  A  ROISLA.  E  ONORI  AL  MORTO.    [Lib.  VII. 

Roma  ',  ove  preparavasi  contro  di  lui  grossa  tempesta  da- 
gli amici  del  morto,  intenti  a  raccoglier  prove  all'accusa. 
A  Roma,  come  prima  giunse  la  notizia  della  malattia 
di  Germanico,  il  popolo  scoppiò  in  ira  e  lamenti;  e  aper- 
tamente accusavano  le  trame  di  Livia  con  Plancina.  Poi 
quando  certi  mercatanti  partiti  di  Siria  portarofio  nuove 
più  liete  si  fece  smodata  allegrezza:  corsero  in  folla  le 
vie  gridando:  Salvo  Germanico,  è  salva  Roma,  salva  la 
patria;  corsero  con  lumi  e  vittime  al  Campidoglio  per 
ringraziare  gli  Dei,  e  quasi  divelsero  le  porte  del  tempio: 
da  ultimo  saputa  con  certezza  la  morte,  vi  fu  silenzio  e 
gemito  universale,  e  onori  al  morto  in  tutte  le  guise  che 
sa  trovare  ingegno  d'amore.  Decretato  che  il  nome  di 
lui  si  cantasse  nei  Carmi  dei  Salii,  che  se  ne  portasse 
l'imagine  nei  giuochi  circensi:  che  avesse  sepolcro  in 
Antiochia,  sedie  curuli  tra  1  sacerdoti  d'Augusto,  e  archi 
a  Roma,  sul  Reno  e  in  Siria,  con  iscrizioni  ricordanti 
une  geste.  A  Spoleto  rimane  ancora  l'arco  coi  nomi  di 
lui  e  di  Druso,  figliuol  di  Tiberio  (").  Innumerevoli  le 
statue  e  i  luoghi  destinati  a  venerarlo,  L'imagine  sua 
fu  data  anche  per  insegna  ai  cavalieri  per  la  marcia 
degli  idi  di  luglio,  e  una  squadra  di  essi  si  chiamò  dal 
suo  nome.  Proponendosi  di  porgli  il  ritratto  tra  gli  ora- 
tori sopra  scudo  d'oro  e  d'insigne  grandezza,  Tiberio 
affermò  di  dedicargliene  egli  uno  uguale  agli  altri,  pe- 
rocché l'eloquenza  non  si  giudica  dalla  fortuna,  e  a  lui 
sarebbe  assai  gloria  1'  esser  tenuto  tra  gli  antichi  scrit- 
tori -.  Si  credè  anche  figurata  la  sua  apoteosi  in  un'opern 
d'arte  nel  giovane  che  s'inalza  sulle  ali  di  un'aquila  men- 
tre una  Vittoria  volante  gii  pone  una  corona  sul  capo  ^ 

{^)  valline    la  descrizione,    il   disegno    e    rejiip-rafe    in  Stinsi,  Sloria(ìl 
Spnì.no,  voi.  I,  pag.  105-108  e  2GS,  e  tav.  X.  n.  -2. 

'  Tacito,  Ann..  It.  71-si. 

2  Tacito,  li,  S-2-S:!;  Svetonio,  a.di'.i..  C^. 

3  Vedi  Monge/,,  Icon.  Rom.^  pi.  XXIV  bis.  n.  '<. 


Il 


Cap.  IL]  LUTTO  IN  ITALIA  AL  GIUNGER  DELL'URNA  FUNEBRE.  2GT 

Poscia  il  dolore  si  rinnovò  più  rumoroso  al  giungere 
di  Agrippina  con  le  ceneri  nell'urna  funebre.  Gran  folla 
accorsa  quando  sbarcava  a  Brindisi  ingombrò  mesta  le 
vie,  e  con  affetto  gentile  domandava  a  sé  stessa,  se  colle 
acclamazioni'o  colla  solennità  del  silenzio  dovesse  con- 
fortare l'infelice  donna  e  onorare  l'estinto.  Tiberio  avea 


Aiou  Ji  <j.riiiariico  e  .li  Iiruso  a  S|.uleto    (6a„Sn. 

mandato  due  coorti  pretorie  con  ordine  ai  magistrati  di 
Calabria,  di  Apulia  e  Campania  di  rendere  gli  ultimi 
onori  a  Germanico.  1  figli  di  questo  rimasti  in  città, 
suo  fratello  Claudio,  e  Druso  gli  andarono  incontro  a 
Terracina.  Per  tutta  la  via  era  un  accorrere  in  folla 
dalle  colonie,  dai  luoghi  vicini  e  lontani,  e  accompagnare 
l'urna  con  gemiti  e  bTuciar  vesti  e  profumi,  secondo  l'uso 
dei  funerali,  e  far  sacrifizi.  Uscirono  in  folla  anche  i 
primi  di  Roma ,  e  consoli  e   senatori  e  gran   parte   del 


•208    PIANTI  A  ROMA,  E  ARDENTI  SALUTI  AD  AGRIPPINA.  [Lib.  VII. 

f)Opolo:  e  non  era  dolore  adulante,  perchè  la  mal  dissi- 
mulata contentezza  di  Tiberio  era  nota  a  tutti.  Il  principe 
e  sua  madre  Livia  non  uscirono  fuori,  stimando  disdice- 
vole a  loro  maestà  il  mostrarsi  a  piangere  in  pubblico, 
ovvero,  nota  Tacito,  per  non  far  conoscere  falso  lor  duolo 
a  tanti  volti  scrutatori.  E  perchè  fosse  meno  notata  l'as- 
senza, ritennero  in  casa  anche  la  vecchia  Antonia,  madre 
di  Germanico,  la  quale  non  prese  parte  a  ninna  cere- 
monia  pel  figlio.  Quando  le  ceneri  furono  riposte  nel  se- 
polcro di  Augusto  la  città  era  pel  silenzio  come  un  de- 
serto, 0  desolata  per  il  gran  pianto:  le  vie  brulicavano 
di  popolo,  Campo  ^[arzio  ardeva  di  faci,  tutti  gridavano 
caduta  con  Germanico  la  Repubblica,  morta  ogni  spe- 
ranza: e  quantunque  sapessero  di  far  dispetto  a  Tiberio, 
chiamarono  Agrippina  onore  della  patria,  solo  sangue  di 
Augusto,  specchio  unico  della  virtù  antica,  e  pregavano 
gli  Dei  che  salvassero  i  suoi  figliuoli  dagli  iniqui.  Tiberio, 
a  frenare  il  troppo  entusiasmo,  con  un  editto  ricordò  al 
popolo  le  grandi  sciagure  sostenute  dagli  antichi  con  più 
fermo  animo,  e  rimandò  tutti  alle  usate  faccende  e  anche 
ai  piaceri  (-'). 

Poi  dall'amore  pel  morto  passarono  naturalmente  al 
furore  contro  quelli  da  cui  stimavasi  ucciso.  Le  ire  po- 
polari si  accrebbero  al  giungere  di  Pisone  e  di  Plancina, 
tornati  a  Roma  con  grande  apparato,  e  banchettanti 
lietamente  in  lor  casa  del  Fóro,  parata  a  festa,  quasi  a 
insulto  del  pubbUco  dolore.  In  quella  irritazione  dell'odio 
gli  amici  di  Germanico  portarono  contro  Pisone  l'accusa 
di  aver  governato  sediziosamente  le  legioni  di  Siria,  e 
adoperato  malie  e  veleni  contro  Germanico,  e  celebrato 
sua  morte    con   feste    e    con   sacrifizi,  e  poscia  usato  le 


'"')  TiKMto.  Ann.,  III.  1-6.  Sui  ca>i  .li  Germanico  e  rli  Airrippina  redi 
M-'iiate,  De  casìbus  Germanici,  occ,  Roinae  1.S2Ì,  il  quale  ci*  ';7 
:lir!-  anche  tutte  le  iscrizioni  e  mecla-J:lie  che  ad  e«si  si  riù'riscono. 


€ap.  II.]  ACCUSE  A  PISONE,  E  SUA  MORTE.  269 

jirmi  contro  lo  Stato  per  ripigliare  la  provincia.  Chiede- 
vano che  Tiberio  stesso  ne  giudicasse,  e  anche  l'accusato 
non  era  scontento  di  aver  lui  a  giudice.  Ma  Tiberio  si 
rifiutò,  e  rimesse  la  causa  al  senato. 

Invano  Pisone  cercò  difensori  tra  i  più  illustri:  la 
maggior  parte  spaventati  dall'odio  pubblico  se  ne  scusa- 
rono in  vari  modi:  e  tutti  erano  intenti  a  vedere  se 
Tiberio  nascondesse  a  bastanza  o  mostrasse  l'animo  suo. 
Egli  parlò  con  studiato  temperamento:  disse  volersi  se- 
vera, non  animosa  giustizia:  gli  accusatori  provassero 
loro  detti;  l'accusato  e  i  difensori  producessero  libera- 
mente ciò  che  serviva  a  scolparlo;  i  giudici  guardassero 
alla  verità,  non  al  dolore  del  principe. 

L'avvelenamento  non  fu  provato  in  niun  modo,  quan- 
tunque i  giudici  rimanessero  implacabili  per  non  poter 
credere  che  Germanico  fosse  morto  senza  tradimento. 
Chiaro  era  il  delitto  dei  soldati  corrotti  e  delle  armi  ri- 
volte contro  allo  Stato:  e  Pisone  stesso  nelle  sue  lettere 
a  Tiberio  si  dichiarava  reo  di  rivolta,  e  chiedeva  grazia 
pel  tiglio  Marco,  che  lo  aveva  sconfortato  dal  tornare 
in  Siria.  E  questo  bastava  a  rendere  implacabile  il  prin- 
cipe, il  quale  del  resto,  consapevole  o  no  delle  trame  di 
Pisone  contro  a  Germanico,  aveva  interesse  a  perdere 
l'accusato  per  dileguare  colla  condanna  i  sospetti  di  com- 
plicità. 11  popolo  era  furioso  fuori  della  Curia,  e  minac- 
ciava di  sbranar  l'accusato  colle  sue  mani,  se  scampasse 
dai  giudici,  e  ne  traeva  le  statue  alle  Gemonie. 

Pisone,  al  veder  Tiberio  impassibile  senza  segno  d'ira 
o  pietà,  perde  ogni  speranza,  si  tenne  morto,  e  la  mat- 
tina fu  trovato  in  sua  stanza  scannato  col  coltello  in 
terra.  Secondo  alcuni  si  détte  morte  da  sé  :  secondo  altra 
voce  lo  fecero  uccidere,  per  impedire  che  mostrasse  in 
senato  le  commissioni  avute  dal  principe  contro  a  Ger- 
manico. I  contemporanei  e  i  posteri  narrarono  varia- 
mente il  fatto,  e  la  verità  rimase  avvolta  di  tenebre. 

Vanxucs!  —  Storia  dell'Itnìia  «mtica  —  IT,  34 


270  DRUSO  SUL  DANUBIO.  GUERRA  CIVILE  IN  GERMANIA.  [Lib.  VII. 

Tiberio  premiò  gli  accusatori  di  dignità  e  di  sacerdozii, 
ma  condiscese  anclie  alle  ultime  preghiere  del  morto, 
liberò  la  famiglia  dal  disonore,  rilasciò  la  più  gran  parte 
dei  beni  paterni  ai  figliuoli.  Per  Plancina,  che  aveva  se- 
parato la  sua  causa  da  quella  del  marito,  egU  allegò  con 
vergogna  e  ignominia  le  preghiere  di  sua  madre  Livia:  e 
allora  andò  salva  per  finire  più  tardi  di  propria  mano,  ac- 
cusata di  noti  delitti,  quando  perivano  rei  e  innocenti: 
e  per  una  strana  bizzarria  di  fortuna  tornarono  fatali 
anche  a  lei  le  sciagure  della  sua  nemica  Agrippina  *. 

Nel  tempo  che  Germanico  pacificava  l'Oriente,  Druse, 
figlio  di  Tiberio,  mandato  sul  Danubio  perchè  sui  campi 
si  acquistasse  l'amore  dei  soldati,  lavorava  d'intrighi  per 
eccitare  a  discordia  e  a  guerra  civile  i  Germani,  partiti 
in  due  leghe  nemiche  dopo  la  vittoria  sulle  legioni  di 
Varo.  Da  una  parte  Arminio  col  suo  zio  Inguiomero  sotto 
il  vessillo  della  libertà  riuniva  i  Cherusci  e  le  genti  del- 
l'Elba e  del  Weser;  e  dall'altra  stavano  Marcomanni, 
Svevi  e  più  altri  sotto  Maroboduo  despota  e  potentis- 
simo duce  che  Tiberio  stesso  disse  più  formidabile  a 
Roma  di  quello  che  già  furono  Pirro  ed  Antioco.  Ma  il 
suo  contegno  di  traditore  dopo  la  rotta  di  Varo  fece 
disertare  da  lui  varie  genti  che  passarono  ai  Cherusci, 
dai  quali  in  compenso  disertò  con  suoi  clienti  Inguiomero 
geloso  e  sdegnoso  di  sottostare  al  nipote.  Maroboduo  e 
Arminio  uniti  avrebbero  assicurato  l'indipendenza  germa- 
nica: separati  e  nemici  rovinarono  la  patria  e  sé  stessi. 
Si  alfrontarono  con  esito  incerto  e  rovinoso  da  ambe  le 
parti:  ed  aspetta  vasi  nuova  battagha,  quando  Maroboduo 
ritraendosi  ai  colli  confessò  di  avere  ayuta  la  peggio,  e 
fu  nella  sciagura  abbandonato  da  molti,  e  chiese  aiuto 
a  Tiberio.  Questi  dapprima  rispose:  Tu  non  ci  aiutasti 
contro  i  Cherusci,  e  non  meriti  aiuto  da  noi.  Poscia  gli 

•  Tacilo,  Ann..  HI,  7-l!J,  VI.  20;  STetonio,  Tib..  52;  Dione,  LVII,  1». 


Gap.  IL]  FINE  DI  MAROBODUO  E  DI  ARMINIO.  271 

mandò  Druso,  che  sotto  nome  di  paciero  soffiò  più  che 
mai  nel  fuoco  della  discordia,  e  trasse  lui  malconcio  ai 
termini  estremi,  levandogli  contro  Catualda  capo  dei  Go- 
toni,  già  suo  nemico,  il  quale  entrato  poderoso  tra  i 
Marcomanni,  sedusse  i  maggiorenti,  sforzò  la  reggia  e 
il  castello,  e  ne  prese  i  tesori.  Maroboduò  da  ogni  parte 
deserto  passò  il  Danubio,  e  dal  Nerico  scrisse  di  nuovo 
a  Tiberio  chiedendogli  l'amicizia  di  Roma.  La  conclu- 
sione della  risposta  fu  che  avrebbe  asilo  a  Ravenna:  ed 
egli  venne,  e  Tiberio  lo  usò  come  strumento  di  sua  po- 
litica per  ispaventare  gli  Svevi,  mostrandolo  a  ogni  loro 
mossa  pronto  a  tornare  nel  regno.  Ma  non  parti  mai 
d'Itaha  in  diciotto  anni  che  invecchiò  oscurato  dalla 
troppa  brama  di  vivere.  Neppure  Catualda  lini  lietamente. 
Cacciato  via  dagli  Ermonduri  e  ricorso  alla  protezione 
di  Roma  fini  rilegato  a  Fóro  Giulio  (Fréjus)  nella  Gallia 
Narbonese  *. 

Distrutta  dalle  discordie  germaniche,  e  dagli  intrighi 
romani  la  potenza  dei  Marcomanni,  cadde  anche  quella 
dei  Cherusci  e  di  Arminio.  Un  capo  dei  Catti  oliVi  di 
levarlo  di  mezzo  se  da  Roma  gli  fosse  procacciato  veleno. 
Gli  fu  risposto  :  il  popolo  romano  essere  uso  a  vendicarsi 
dei  nemici  non  con  frodi  né  di  soppiatto,  ma  aperta- 
mente e  colle  armi.  E  Tiberio  ne  prese  cagione  di  vanti, 
e  paragonò  sé  a  Fabrizio  che  impedì  l'avvelenamento  di 
Pirro.  Ma  Arminio  circondato  di  nemici  non  tardò  a 
scomparire.  È  detto  che  inorgoglito  di  sua  fortuna  aspi- 
rava a  regnare  sulle  genti  da  lui  fatte  libere,  e  fu  assa-  Annidi  uo- 
lito  colle  armi  e  pugnò  con  varia  fortuna,  e  alla  fine  o^-iò.  ' 
cadde  per  inganno  de'  suoi  parenti.  Ciò  solo  sappiamo 
della  line  dell'eroe  germanico  celebrato  da  Tacito  con 
queste  parole  che  sono  l'epigrafe  più  eloquente  pel  monu- 
mento che  ora  gli  pone  la  libera  patria  nella  selva  di  Teu- 

S  Tacito,  Ann.^  II,  44-40  e  62-63. 


272  LODI  E  MONUMENTO  DI  ARMIMO.  [Lib.  VII. 

toburgo  dove  distrusse  le  legioni  di  Varo  ("):  «  Liberatore 
non  dubbio  della  Germania,  disfidatore  non  del  popolo 
romano  in  sul  nascere,  come  altri  re  e  duci,  ma  del  suo 
fiorentissimo  imperio:  vario  nelle  battaglie,  non  vinto 
nella  guerra,  compiè  37  anni  di  vita,  12  di  potenza.  Si 
canta  anche  ora  dai  barbari;  è  ignoto  negli  annali  dei 
Greci  ammiratori  solamente  di  lor  proprie  cose;  né  ce- 
lebrato secondo  suo  merito  dai  Romani,  magniilcatori 
dei  fatti  antichi,  e  dei  presenti  incuriosi  »  (''). 


(•*)  Il  grande  monumento  nazionale,  che  sarà  inatigurato  ai  16  agosto 
di  quest'anno  1875,  sorge  presso  Detmold,  condotto  con  grande  e  lungo 
amore  dall'architetto  Giuseppe  Ernesto  von  Bandel.  Sulla  spada  d'Arminio, 
lunga  24  piedi  e  pesante  undici  centinaia  di  libbre,  sono  scritti  in  lettere 
d'oro  (jaesti  due  versi: 

DEUTSCHE   EINIGKEIT   MEINE   STAERK.E 
MEINE    STAERKE    DEUTSCHLANDS    MACHT 

cioè:  V unità  germanica  e  la  ìnia  forza,  la  mia  forza  ^  la  potenza 
della  Germania. 

Pel  disegno  del  monumento  vedi  Bòttger,  Ein  sicherer  Fi'hrer,  e  Tìie 
(iarlenlaiibe  illuslrirtes  Familienblatt,  Leipzig  1875,  n.  21,  pag.  357. 

Con  molto  piacere  qui  ricordiamo  che  il  Prof.  Michele  Ferrucci,  insi- 
gne latiuii^ta  italiano,  fino  dal  1840  compose  l'epigrafe  pel  colosso  d'Ar- 
minio in  questi  semplici  e  nobilissimi  versi,  a  ciò  invitato  dal  ]irincipe 
Leopoldo  di  Lippe  Detmold,  allora  suo  scolare  a  Ginevra: 

WT.IC.    udì.    romano.    RUliUEUU.NT.    SANGUINE.    VAI.I.ES 

DUXQUE.   DATUS.   TERNA.   CUM.   LEGIONE.   KECI 
H0Ì5T1BUS.   HEIC.   TERROR.   POST.   PAECULA.    MULTA.   RESURiO 

VINDEX.    GERMANL    NOMINIS.    ARMINIU^=. 

{}]  Tacito,  Ann.,  II,  88.  L'eroe  della  libertà  germanica  entrn,  come  fu 
notato,  nel  campo  della  storia  ad  un  tratto,  vi  splende  di  fulgidissima  luce, 
poi  scomparisce  ad  un  tratto  nella  notte  dei  secoli:  misterioso  nel  prin- 
<'ipio  e  nel  fine;  inalzato  a  somma  gloria  dalle  sue  imprese,  forse  spento 
digli  emuli,  che  non  ne  potevano  sopportar  la  gi'andezza.  In  ogni  modo 
("bbe  la  ventura  di  morire  libei-o  e  senza  vergogna,  quando  a  lui  la  schia- 
Titù  della  moglie  e  del  fijrlio  i-endevano  meno  cara  la  vita.  A  niun  altro 


Gap.  II. 


273 


\r:i..i.i«  {<jr'i,-teJi/(i,.i,,-). 


274  SOLLEVAZIONE  DI  TACFARINATA  IN  AFFRICA.  [Lib.  VII. 

Anche  in  altre  parti  Tiberio  sovente  più  che  colle  armi 
fini  le  contese  con  accorgimenti  e  astuzie.  11  fatto  piìi 
lungo  e  più  grosso  del  suo  tempo,  dopo  la  guerra  ger- 
manica, fu  la  sollevazione  di  Tacfarinata  in  Alfrica.  Era 
un  Numida  che,  dopo  aver  militato  tra  gli  ausihari  del 
campo  romano,  disertò,  divenne  capo  di  vagabondi  e  di 
ladri:  poscia,  tratti  con  se  Musulani  e  Mori,  a  varie  ri- 
prese fece   scorrerie  e  guerre  più  anni  (770-777),  ora 


Tacito  détte  lodi  più  grandi  di  quelle  con  cui  adornò  il  liberatore  della 
Germania  celebrato  nei  canti  nazionali,  custodi  delle  patrie  memorie.  Ora 
di  questi  canti  non  rimane  più  traccia:  e  uiuna  ti'adizione  o  leggenda  ri- 
corda il  grand'uomo.  Nulla  si  seppe  di  lui  nel  medio  evo.  Solo  fu  creduto 
che  l'idolo  Ermensul,  onorato  di  tempio  e  di  voti,  e  distrutto  da  Carlo 
Magno  quando  prese  Erisbourg,  fortezza  dei  Sassoni,  fosse  un  avanzo  del 
culto  reso  dai  Germani  ad  Arminio.  La  memoria  e  l'onore  di  lui  rivissero 
solamente  quando  nel  secolo  XVI  furono  ritrovati  gli  Annali  di  Tacito. 
Questa  scoperta  rivelò  alla  Germania  il  suo  passato  e  il  suo  eroe  più 
grande,  al  quale  poscia  tutti  gli  amatori  della  libertà  nazionale  si  volsero 
con  grande  affetto  e  con  culto  di  lodi  magnifiche.  Nei  tempi  moderni  lo 
celebrarono  altamente  i  poeti,  e  di  recente  nel  Gladiatore  di  Ravenna, 
tragedia  tedesca  di  Halm .  fu  nobilmente  cantato  l'Eroe  di  Teutoburr/o , 
il  Padre,  il  Salvatore.  Ivi  si  narrano  cosi  gli  effetti  prodotti  dalla  no- 
vella della  sua  morte  : 

A   (jiiella  rea  novella  un  gran  silenzio 
Si  le'  per  le  campagne,  e  voce  alcuna 
Non  si  levò  di  lode  o  pur  di  biasmo. 
Ma  col  volger  degli  anni,  bas>a  bassa 
Da  prima  udissi  una  parola  intorno 
Ricordar  dì  miglioi'i,  indi  più  ardita 
Quell'uomo  nominai-,  cui  li  dovemmo: 
Ed  or  da  lungi  per  monti  e  per  valli 
Un  grido  di  dolore  e  di  desio 
Vola  chiamando  Ai-ininio,  e  ovunque  dove 
E  una  terra  tedesca,  ivi  ogni  bocca 
Di  lui  favella,  e  ogni  verso,  ogni  suga. 
Il  pia  grande  il  saluta  o  il  più  famoso I 

(Tradizione  di  Iacopo  Ccb'.anra'. 


Gap.  II.]  RIVOLTE  DEI  GALLI. 


vincitore,  ora  ricacciato  dentro  ai  deserti,  finché  non 
cadde  in  battaglia,  preso  dalle  sue  medesime  arti  *. 

Per  causa  dei  gravi  tributi  di  denaro  o  di  uomini  vi 
furono  sollevazioni  di  popoli  nelle  Gallio  (77i),  sui  monti 
di  Tracia  (774-779)  e  tra  i  Frisi  (781).- 

Giulio  Floro  treviro,  e  Giulio  Sacroviro  eduo,  due  no- 
bili'-privilegiati  della  cittadinanza  romana  pei  meriti  dei 
loro  padri,  in  adunanze  e  crocchi  segreti  eccitarono  a 
libertà  la  Gallia  Belgica  e  la  Gallia  eentrale  oppresse  dalle 
estorsioni  dei  governatori  e  dai  debiti.  Si  commosse  quasi 
ogni  città  sulle  rive  della  Saona,  della  Loira  e  della  Mo- 
sella:  ma  al  solito  mancò  la  concordia  ad  insorgere  tutti 
ad  un  tempo.  Andecavii  (Aujou)  e  Turoni  (Toaraine),  le- 
vatisi i  primi  e  non  seguiti  dagli  altri,  furono  facilmente 
compressi  da  pochi  legionarii  :  e  Sacroviro  per  non  isco- 
prirsi  a  mal  tempo  dovè  guidare  contro  i  complici  le 
truppe  ausiharie  degli  Edui.  Floro  riuscito  a  trarre  a  sé 
una  parte  dei  Treviri  militanti  sotto  le  insegne  nemiche, 
détte  il  segno  della  rivolta  colf  uccidere  i  mercanti  ro- 
mani, e  radunata  una  frotta  di  clienti  e  falliti  s'avviò 
alla  grande  Selva  Arduenna  {Ardennes)  ove  circondato 
da  due  legioni,  e  assalito  da  Giulio  Indo  treviro,  suo  per- 
sonale nemico,  quando  vide  chiusa  ogni  via  di  scampo, 
col  ferro  détte  fine  a  sua  vita  e  al  movimento  dei  Treviri. 

Dall'altra  parte  Sacroviro  recata  in  suo  potere  Augu- 
stoduno  (Autun),  prese  i  giovani  delle  principali  famiglie 
che  ivi  erano  a  studio,  arruolò  i  gladiatori  tutti  coperti 
di  ferro  e  male  atti  ai  movimenti,  e  messe  insieme  qua- 
rantamila uomini,  di  cui  solamente  ottomila  con  buone 
armi  preparate  in  segreto,  e  gli  altri  armati  di  spiedi,  di 
coltelli  e  dardi  da  caccia;  e  con  tale  esercito  a  nome 
della  libertà  e  delle  antiche  glorie  dei  Galli,  sopra  insigne 
destriero  mosse   contro  a  C.  Silio,  il  quale  non  potuto 


>  Tacilo,  Ann.^  Il,  5i',  IIL  50,  21  e  7:;-74,  IV,  2::  26, 


276 


RIVOLTE  DEI  GALLI. 


[LiB.  VII. 


arrestare  dai  Sequani  veniva  con  due  ardenti  e  bene  ar- 
mate legioni  a  schiacciar  la  rivolta.  Lo  scontro  fu  a  do- 
dici miglia  dalla  capitale  degli  Edui,  e  anche  qui  il  di- 
sciplinato valore  trionfò  della  tumultuosa  bravura.  I  Galli 
cederono  al  potente  urto  delle  legioni,  e  la  battaglia  di- 
venne macello.  Sacroviro  dapprima  si  salvò  in  Augusto- 
duno:  poscia,  veduto  non  rimanere  via  di  salute,  per  non 


Arco  irionralc-  d'OraniJX'  {Le  lina.  France,  II,  ;•!.  b  t) 


cadere  in  potestà  del  nemico  si  trasse  coi  suoi  pili  lidali- 
a  una  villa  vicina,  e  messovi  fuoco,  egli  di  propria  mano,  e 
gli  altri  si  uccisero  tra  loro,  e  arsero  tra  quelle  fiamme  '. 


»  Tacito    Xnnal..  IH,  (0-47. 


Gap.  II.]  TRACI  E  FRISI.  TIBERIO  PIÙ'  FEROCE.  577 


Il  nome  di  Sacroviro  rimane  ancora  sull'arco  trionfale 
d'Orange  fra  i  trofei  delle  armi  dei  Galli  unite  alla  loro 
insegna  militare  del  cinghiale  ripetutavi  dodici  volte.  E 
quindi  non  ha  guari  fu  sostenuto  che  quell'arco,  il  piìi 
hello  di  quanti  ne  rimangono  sulla  terra  di  Francia  a 
ricordo  delle  vittorie  romane,  sorgesse  come  monumento 
della  disfatta  di  Giulio  Floro  e  di  Giulio  Sacroviro  *. 

Colle  imperiali  astuzie  furono  quietate  le  regie  contese 
di  Tracia  (772),  e  poi  colle  armi  vinti  i  popoli  sorti  a 
rivolta,  e  i  fieri  montanari  renitenti  alla  leva  e  alle  mag- 
giori gravezze,  risoluti  a  non  volere  essere  trattati  da 
schiavi,  e  pronti  a  farsi  ragione  col  ferro,  e  a  preferire 
la  morte  alla  servitici  '-. 

I  Frisi,  già  assoggettati  da  Druse,  si  sollevarono  per 
causa  della  feroce  avarizia  di  chi  li  reggeva,  batterono 
i  Romani  e  ne  uccisero  900  presso  la  selva  Baduenna. 
Tiberio  dissimulò  questi  danni:  e  sospettoso  della  gloria 
dei  duci,  pii^i  che  la  guerra  amava  la  pace  anche  poco 
onorevole,  e  continuava  a  far  prova  d' insidie  ^. 

Del  resto  il  più  del  suo  impero  passò  quieto  o  senza 
grandi  commozioni  al  di  fuori.  Un  tentativo  di  guerra 
servile  fatto  nell'Italia  inferiore  per  chiamare  a  libertà 
gli  schiavi  a  Brindisi  e  nei  luoghi  dattorno,  fu  represso 
facilmente  ^:  e  quindi  l'imperatore  potè  volgere  ogni  pen- 
siero alle  cose  interne  della  città,  e  sfogare  il  fiero  animo 
nel  processare  e  uccidere,  tormentare,  esiliare  cittadini 
e  parenti  che  gU  dessero  ombra. 

È  detto  che  peggiorò  dopo  la  morte  di  Germanico  3; 
ma  era  stato  crudele  anche  innanzi.  Cominciò  coll'ucci- 


1  Vedi  Ch.  Lenormant,  E.ctrait  d'un  Mémoire  sur  Vare  de  triomphe  d' Orange^  s'cr 
l'i;poque  de  ce  monunieììta  et  sur  les  sujets  qui  y  sont  représentós  (lu  le  17  aoùt  1SÒ7 
dans  la  séance  publique  des  cinq  Acadèinies). 

2  Tacito,  Annui..  II,  61-67,  III,  38-39,  e  IV,  46-51. 

3  Tacito,  Ann..  IV,  75-74.  Coni'.  Dione,   LIV,  ■'•2. 
i  Tacito,  Ann..  IV,  27. 

£•  Tacito,  Ann..  VI,  51. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  '.'^ 


278  FLAGELLO  DELLA  LEGGE  DI  MAESTÀ.  [Lib.  VlL 

dere  Agrippa:  fece  marcir  di  stento  e  di  malattie  in  esilio 
Giulia  sua  moglie  *  :  poi  usò  fieramente  la  legge  di  maestà, 
si  cinse  di  delatori  e  di  carnefici. 

Una  legge  antica  perseguitava  coloro  che  con  tradire 
fesercito,  sollevare  la  plebe,  o  male  amministrar  la  Re- 
pubblica menomassero  la  maestà  del  popolo  romano:  ma 
allora  si  punivano  i  fatti,  non  le  parole.  Augusto,  alte- 
rando a  suo  profitto  la  legge,  la  rivolse  contro  i  libelli 
famosi  per  togliere  ogni  libertà  di  parola.  Quindi  delitto 
di  lesa  maestà  il  dire  la  propria  opinione  sui  fatti  del 
principe  e  del  suo  governo  :  e  sacrilegio  il  menomo  atto 
di  irriverenza  all'imperatore,  divenuto  un  Iddio.  Con  que- 
sto nuovo  trovato  sotto  Tiberio  la  signoria  cominciò  a 
divenir  legalmente  feroce,  e  non  vi  fu  più  scampo  per 
chi  avesse  l'odio  del  principe,  o  eccitasse  colle  proprie 
ricchezze  la  cupidigia  dei  delatori.  L'accusa  di  maestà 
fu  universale  flagello,  perchè  diveniva  compimento  di 
tutte  le  accuse.  Accusata  come  atto  di  ribellione  ogni 
cosa  più  indilTerente.  La  splendida  vita,  il  chiaro  nome, 
l'innocente  faceziar  tra  le  mense,  il  festeggiare  il  giorno 
del  proprio  natale,  il  consultar  maghi  sopra  faccende  di 
Stato,  il  lodar  Bruto,  il  conservare  il  ritratto  di  Cassio, 
il  trascurare  il  culto  d'Augusto,  levare  il  capo  da  una 
statua  di  lui  per  mettervene  un  altro,  non  giurar  nei 
suoi  atti,  battere  un  servo  vicino  all'imagine  dell'impe- 
ratore, mutarsi  dinanzi  a  quella  la  veste,  portare  in  una 
latrina  o  in  un  bordello  l'imagine  di  lui  scolpita  in  anello 
0  moneta,  e  finalmente  i  sogni,  i  sospiri,  la  compassione, 
e  anche  il  silenzio,  furono  delitti  di  maestà,  che  raccolti 
dalle  spie  esponevano  a  pericolo  di  esilio  o  di  morte  2. 

Tiberio  aveva  intorno  a  so  e  accarezzava  una  turba 
di  scellerati  accusatori  e  delatori,  che  si  arricchivano  a 


'  Tacito,  Ann.,  \,  b:'>. 

1  Tacito,  Ann..  I,  7-2-7J,  II.  27-3-'  e  50,  III,  22,  36,  3S,  69,  70,  IV,  31,  36,   12,  VI,  l-S; 
Svetonio,  Tib.,  5S  •  Dione,  LVII,  l'J. 


1 


Cai'.  IL]  INFA^IIE  DEI  DELATORI.  270 

pubblico  danno:  peste  crudelissima  che  a  poco  a  poco 
arse  e  divorò  tutto.  Ogni  morto  di  fame,  chiunque  avesse 
disperso  il  suo  in  libidini,  cercava  ricchezza  e  potenza 
col  rovinare  i  più  chiari,  e  con  la  delazione  si  faceva 
puntello  del  dispotismo,  e  serviva  la  crudeltà  del  tiranno. 
Costoro  andavano  attorno  per  piazze  e  taverne,  spiavano 
le  case,  raccoglievano  ogni  parola,  e,  tortala  al  peggio, 
la  usavano  ad  accusa.  Il  morbo  poi  diventò  contagioso, 
e  la  pessima  condizione  dei  tempi  portò  cavalieri  e  se- 
natori ad  abbassarsi  all'infame  mestiero,  e  a  vendere 
amici  e  parenti.  Tiberio  celebrava  i  loro  servigi,  gli  aveva 
più  cari  quanto  più  si  mostrassero  crudeli,  e  gli  pre- 
miava di  ricchezze,  di  statue,  di  onori  trionfali  e  di  sa- 
cerdozi, e  gli  chiamava  pubblicamente  conservatori  del- 
l'ordine e  delle  leggi  '.  11  che  non  parrà  incredibile  alla 
presente  età,  che  vide  sbirri  e  delatori  onorati  di  regii 
sorrisi,  di  croci  e  pensioni:  e  sa  che,  or  sono  80  anni, 
Carolina  Austriaca  sconcia  e  feroce  regina  di  Napoli  per 
distruggere  l'antico  errore  che  reputa  infame  le  spie,  cioè 
i  cittadini  migliori  di  tatti  perchè  fedeli  al  trono  e  custodi 
alle  leggi,  détte  loro  titoli  di  marchesi  e  baroni,  e  uffici 
di  Stato.  A  Roma  non  mancò  l'infamia  di  quelli  che  chia- 
mano oggi  agenti  provocatori,  ì  quali  eccitavano  gli  in- 
cauti a  parole  e  a  fatti  per  accusarli,  ed  arricchirsi  di 
loro  spoglie:  perchè  agli  accusatori  andava  la  quarta 
parte  dei  beni  del  condannato  -. 

Alle  prime  accuse  Tiberio  consultato  rispondeva  si  os- 
servassero le  leggi:  ma  fece  assolvere  più  d'uno  da  im- 
putazioni scempiate  ^.  Poi  fu  crudelissimo,  empi  di  sangue 
Roma,  e  di  esilii  le  isole  Fonzie  nel  mar  Tirreno,  e  quelle 
di  Donusa,  di  Giaro,  di  Citno,  e  di  Amorgo  nei  mari  di 
Grecia. 


1  Tacito,  Ann.,  II,  32,  IH,  19,  07,  IV,  3D,  36,  G6  ;  Svetonio,  Tib.,  61;  Dione,  I.VII,  19, 
LVIII,  14. 

2  Tacito,  Ann.,  II,  27,  IV,  2,). 

3  Tacito,  Ann.,  I,  72-71. 


280  UN  FIGLIO  ACCUSATORE  DEL  PADRE.  [Lib.  VIL 


Famoso  tra  i  primi  andò  il  processo  di  Libone  di  casa 
Scribonia,  giovane  leggiero  e  improvido,  accusato  di  mac- 
chinar novità  dal  senatore  Firmio  Cato,  uno  dei  suoi 
amici  intimi,  il  quale  lo  denunziò,  dopo  averlo  eccitato  a 
cospirare.  Altri  accusatori  si  unirono  a  lui,  e  facevano  a 
gara  a  cui  dovesse  toccare  la  diceria,  e  dopo  imputazioni 
scempiate  gli  apposero  di  aver  fatto  di  sua  mano  atroci 
postille  ai  nomi  dei  Cesari.  Libone  negò:  furono  venduti 
i  servi  perchè  potessero  testimoniare  contro  di  lui:  gli 
fu  cinta  di  soldati  la  casa.  Egli  disperato  di  scampo  si 
uccise:  e  Tiberio  a  giurare  che,  quantunque  colpevole,  gli 
avrebbe  salva  la  vita,  se  non  avesse  affrettata  la  morte  *. 

Atroce  spettacolo  di  crudeltà  e  di  miseria  dettero  due 
Yibii  Sereni,  padre  e  figliuolo.  Il  vecchio,  stato  già  tra 
gli  accusatori  di  Libone,  e  poi  condannato  all'esilio  per 
pubbliche  violenze,  ne  era  tratto  lurido,  squallido,  inca- 
tenato a  richiesta  del  giovinetto,  il  quale  presentandosi 
tutto  lindo  e  gioioso,  lo  accusava  di  aver  tese  insidie  al 
principe,  e  faceva  da  spia  e  da  testimone  a  un  tempo. 
Un  Cecilio  Cornuto  imputato  di  complicità  si  dette  la 
morte:  ma  il  vecchio  Sereno  non  perduto  di  animo,  con 
gli  occhi  rivolti  al  figlio  squassava  le  sue  catene,  prote- 
stava se  innocente,  imprecava  vendetta,  e  chiedeva  agli 
Dei  gli  rendessero  l'esilio  per  vivere  lungi  da  tanto  or- 
rore. I  servi  esaminati  stettero  contro  l'accusatore;  il 
popolo  infuriato  gli  minacciava  il  supplizio  dei  parricidi: 
ed  egli  atterrito  fuggi,  ma  fu  costretto  a  proseguire  l'ac- 
cusa infame  da  Tiberio,  mal  celante  un  suo  odio  antico 
contro  il  vecchio  esiliato,  quantunque  poi  gli  commutasse 
la  pena  di  morte  pronunziata  dai  giudici,  e  lo  facesse 
ricondurre,  senza  altro  aggravio,  all'esilio  di  Amorgo  ^. 

Altri  furono  condannati  all'esilio  o  alla  morte  per  aver 
violato  il  Nume  di  Augusto,   o   spregiato  la  maestà  di 

»  Tacito,  Ann..  II,  27-31. 

«  Tacito,  Ann.,  II,  'M,  IV,  13,  '->8.  30. 


Gap.  IL]  CONTINUE  ACCUSE  E  CONDANNE.  VILTÀ  DEL  SENATO.   281 

Tiberio,  o  fatto  incantesimi  contro  di  lui,  o  consultato 
maghi  sulla  casa  imperiale  *.  Un  Lutorio  Prisco,  accusato 
di  crimenlese  per  aver  composto  de'  versi  in  una  malattia 
di  Druso,  sperando,  se  morisse,  di  averne  dal  principe 
premio  maggiore  di  quello  ottenuto  già  per  una  poesia 
in  morte  di  Germanico,  fu  condannato  e  ucciso  subito 
in  carcere;  e  Tiberio  se  ne  lagnò  in  senato  colle  solite 
ambagi,  esaltando  la  pietà  di  chi  aspramente  vendicava 
le  offese  anche  lievi  al  principe ,  deplorando  le  troppo 
precipitate  punizioni  delle  parole,  lodando  gli  accusatori, 
e  non  biasimando  i  difensori.  Fece  stanziare  che  i  de- 
creti non  si  eseguissero  se  non  fra  dieci  dì:  ma  anche 
questo  non  profittò  ai  condannati,  perchè  il  senato  non 
aveva  libertà  a  ripentirsi,  e  Tiberio,  dice  Tacito,  non  sì 
faceva  più  mite  per  indugio  -. 

Tutta  la  storia  di  questi  anni  è  tediosamente  uniforme 
per  continue  accuse,  per  atroci  comandari,  per  rovine  di 
innocenti,  per  cause  riuscite  costantemente  a  un  mede- 
simo fine  ^. 

Tiberio,  variando  e  tramescolando  segni  d'ira  e  cle- 
menza, ora  infierisce,  ora  fa  grazia:  reprime  talvolta  an- 
che gli  accusatori  eccedenti  di  zelo,  ma  più  spesso  li  fa- 
vorisce, anche  quando  appongono  fìnti  delitti,  e  punisce 
solamente  i  dappoco,  e  tiene  per  più  sacrosanti  i  più 
inesorabili  e  più  infami  ^. 

Ne  meno  atroce  e  laido  spettacolo  dà  di  sé  il  senato 
colle  inique  sentenze,  colle  turpi  delazioni,  col  vile  adu- 
lare. I  più  erano  sempre  apparecchiati  a  decretare  le 
pene  più  crude,  ed  avevano  bisogno  di  esser  frenati  nel- 
l'ardore soverchio.  Aggravavano  sconciamente  la  mano 
sopra  i  morti  :    e   fra   le   cose   proposte   da   essi   contro 


1  Tacito,  Ann.,  II,  27,  IH,  '«,  66,  ecc.,  VI,  21). 

2  Tacito,  Ann...  IH,  51. 

3  Tacito,  Ann.,  IV,  32,  33 

4  Tacito,  Ann.,  Ili,  56,  IV,  31,  42. 


282      BRUTTURE  DI  CAPITONE,  E  PROTESTE  DI  ALTRI.  [Lib.  VII. 

Libone  vi  fu,  che  fosse  festivo  il  giorno  in  cui  si  era  uc- 
ciso e  si  offrissero  doni  agli  Dei,  come  se  quella  morte 
avesse  liberato  la  patria  da  un  gran  pericolo  *.  Yi  era  tal 
gara  nel  dare  i  pareri  più  sozzi,  che  Tiberio  stesso  sen- 
tiva schifo  di  quella  tanta  viltà  dei  suoi  servitori,  affac- 
cendati a  proporgli  ovazioni  per  una  passeggiata  in  Cam- 
pania, e  votanti  per  cose  da  nulla  onori  straordinarii,  e 
archi  e  imagini  ai  principi,  e  templi  agli  Dei  -.  Taluni  in- 
vocavano anche  la  libertà  della  parola  per  fare  adula- 
zioni più  sconcie.  Uno  disse  che  come  uomo  libero  vo- 
leva liberamente  far  sapere  al  senato  che  Cesare  colle 
fatiche  consumava  se  stesso  pel  bene  di  tutti:  e  quando 
il  cavaliere  Lucio  Ennio  fu  accusato  di  aver  convertito 
ad  uso  profano  l'argento  di  una  statua  del  principe,  e 
Tiberio  non  voleva  che  si  procedesse ,  il  giureconsulto 
Capitone,  come  a  mostrar  libertà,  contradisse  altamente, 
protestando,  che  non  doveva  togliersi  al  senato  la  fa- 
coltà di  punire  :  l'imperatore  fosse  pure  arrendevole  nelle 
cose  che  offendevano  lui,  ma  non  largheggiasse  in  quelle 
fatte  alla  Repubblica:  e  per  questo  vituperoso  parlare  ri- 
mase soprattutti  più  infame,  quanto  più  andava  avanti 
agli  altri  per  sapienza  di  leggi  ^. 

Alcuno  protestava  contro  quei  vituperii:  e  Lucio  Cal- 
purnio  Pisone  un  giorno  parti  dalla  Curia  gridando,  che 
voleva  andarsene  a  vivere  solitario  nei  campi  per  fuggire 
i  brogli  del  Fóro,  la  corruzione  dei  giudizii,  le  crudeli 
minacce  dei  delatori:  e  ritenuto  con  preci  del  principe, 
chiamò  in  giudizio  Urgulania,  che  protetta  da  Livia  so- 
verchiava le  leggi.  11  quale  ardimento  perdonatogli,  ma 
non  scordato  a  corte,  lo  avrebbe  fatto  mal  capitare  in 
appresso,  se  non  gli  veniva  opportuna  la  morte  '\  Un  al- 


»  Tacito,  Ann.^  II,  32. 

2  Tacito,  Ann..  Ili,  17,  57,  65,  ecc. 

3  Plutarco,  Dell'adulatore  e  dell'amico,  18;  Tacito,  Ann.,  IH.  70. 
*  Tacito,  Ann.,  II,  31,  IV,  21. 


à 


Gap.  IL]  SEIANO  PRLMO  MINISTRO.  28» 


tro  senatore  chiese  arditamente  riparo  contro  i  ribaldi, 
che  toccando  un  simulacro  di  Cesare  avevano  impunità 
ad  ingiuriare  ogni  uomo  dabbene  K 

Ma  i  più  dei  senatori  contaminavano  con  brutture  lor 
nomi  famosi,  facendosi  vili  strumenti  a  Tiberio,  e  con- 
tribuivano al  crescere  del  dispotismo,  che  incrudeliva 
ogni  giorno  sotto  il  ministero  di  Elio  Sciano.  Questi  go- 
vernava Tiberio  stesso  cosi,  che  Tacito  non  seppe  trovare 
a  quel  fatto  altra  spiegazione,  che  l'ira  degli  Dei  contro 
Roma.  Nato  in  Volsinio  (Bolsena)  di  un  cavaliere  ro- 
mano, seguitò  nella  prima  gioventù  Caio  Cesare,  nipote 
d'Augusto,  ed  ebbe  fama  di  aver  venduta  l'onestà  al 
ricco  e  prodigo  Apicio  (").  Poscia  con  sue  arti  vinse  Ti- Annidi ro- 
berio  cosi,  che  quell'animo,  chiuso  a  tutti,  divenne  in-  g.^Z^ì/ 
cauto  e  aperto  per  lui.  «  Era  di  corpo  faticante,  d'animo 
audace;  occultatore  di  sé  stesso,  dilfamatore  degli  altri; 
adulatore  e  superbo  insieme;  composto  al  di  fuori  a  mo- 
destia, dentro  cupidissimo  di  signoria:  perciò  ora  usava 
larghezza  e  lusso,  e  più  spesso  industria  e  vigilanza,  arti 
non  meno  nocevoh,  quando  si  fìngono  a  fin  di  regnare  -.  » 
Divenuto  primo  ministro,  ebbe  tutto  in  sua  mano;  ed 
eccitando  colle  sue  atroci  ambizioni  la  sanguinaria  in- 
dole di  Tiberio,  rese  più  cupa  e  gelosa  quella  fiera  ti- 
rannide, e  ne  accrebbe  gli  orrori. 

Prefetto  delle  guardie  pretorie,  allargò  la  potenza  di 
quell'ufficio,  stato  poca  cosa  fino  allora.  Quelle  milizie 
vivevano  dapprima  sparse  per  la  città,  ed  egli  le  raccolse 
in  un  campo  fortificato  a  poca  distanza  fuori  delle  porte 


{"')  È  queir Apicio  che  professò  la  scienza  della  cucina,  e  che  dopo 
aver  divorata  una  fortuna  di  100  milioni  di  sesterzi  (19,879,775  lire  ital.) 
si  avvelenò  per  non  morire  di  fame  coi  dieci  milioni  che  gli  restavano. 
Seneca,  Consol.  ad  Helv.,  10;  Dione,  LVII,  19. 

l  Tacito,  Ann.^  IH.  ?A. 
*  Tacito,  Ann.,  IV,    . 


-284 


TRAME  CONTRO  LA  FAMIGLIA  IMPERL\LE.      [Lib.  VII. 


Viminale  e  Collina  per  tenerle,  con  disciplina  più  stretta, 
separate  dagli  allettamenti  di  Roma,  per  dar  loro  colla 
riunione  più  fidanza  in  sé  stesse,  e  per  averle  tutte 
pronte  ad  un  cenno  nei  casi  subitanei.  Creava  da  sé 
stesso  centurioni  e  tribuni:  e  ridusse  in  suo  potere  i 
soldati,  insinuandosi  a  poco  a  poco  nei  loro  animi  col 
visitargli  spesso,  e  chiamargli  a  nome. 
Padrone  della  forza  e  caro  a  Tiberio,   che   pubblica- 


p^^^j  gj  mm  a  g  j^^  ^r~^^  ^ 


Porta  ed  elevazione  interna  delle  mura  del  CT^tro  Pretorio 
(Cnnina.  Edif ^  II,  tav.  17,  n.  7  e  s). 

mente  lo  chiamava  compagno  di  sue  fatiche,  potè  tutto 
ciò  che  volle.  Lo  corteggiavano  consoli,  senatori,  pro- 
consoli, e  ogni  ambizioso  di  onori:  tutti  ricorrevano  a 
lui  per  grazie  ed  uffici:  in  sua  casa  si  apparecchiavano 
le  cose  da  trattare  in  senato.  A  lui  poste  statue  nei 
teatri  e  nel  Fòro:  le  sue  imagini  venerate  tra  le  insegne 
delle  legioni  ^ 

Quindi  inalzò  l'animo  ad  audaci  speranze:  e  come  per 
giungere  alla  suprema  potenza  gli  facevano  ostacolo  i 
giovani,  di  cui  fioriva  la  casa  imperiale,  rivolse  ogni 
studio  a  torgh  di  mezzo.  E  cominciò  da  Druso,  figliuolo 
di  Tiberio,  che  già  associato  alla  potestà  tribunizia  aveva 


1  Ta:I-o,  .Ui.j  in,  7:',  IV.  2;  S-neca,   Conso'.ad  Marc,  -i  ]  Lione  Cassio,  LVII,  1'.'. 


Gap.  II. 


DRUSO  FIGLIO  DI  TIBERIO. 


■285 


le  prime  speranze  ^  Era  giovane  di  tristi  costumi  e  d'i- 
stinti crudeli,  dato  al  soverchio  bere,  spesso  e1)lito; 
amante  delle  stragi  del  Circo  così  che  le  spnde  iiiii  tu- 
glienti   dei    gladiatori    dal    suo    nouxe    furono    ch'uitriate 


Iirii-.o,  Uglio  di  Tiberio  [Mov.'jez,  I.?<j^  .  Rov.^iA.  XXIII,  n.  2). 

Drusiane  :  pur  non  discaro  al  pubblico,  perchè  amava 
giuochi  e  spettacoli,  e  si  mescolava  liberamente  ai  croc- 
chi e  parlari  della  città  fuggiti  dal  padre  :  e  di  più  era 
vissuto  sempre  in  buona  armonia  col  cugino  Germanica, 


Tacito,  A\n.,  Ili,  Vi. 

Van?;uc' £  —  storia  dcW  Italia  antica—  IV, 


28:5      UCCISO  DI  VELENO  DALLA  .^lOGLIE  E  DA  SEIaNO.  [Lib.  VIL 

e  mostravasi  affezionato  ai  suoi  figli  *.  Egli  vide  o  sospettò 
le  ambizioni  del  ministro,  e  come  in  sua  fierezza  non 
poteva  patir  concorrenti,  venne  a  guerra  aperta  con  lui: 
e  quando  questi  in  una  disputa  gli  andò  sopra  colle  mani, 
egli  rivoltandosi  lo  percosse  nel  viso.  Onde  Sciano  piìi 
fermo  e  fiero  in  suo  proposito,  per  aver  modo  più  facile 
a  perderlo,  gli  corruppe  la  moglie  Livilla,  sorella  di 
Germanico,  la  amoreggiò,  la  disonestò,  e  la  indusse  a 
consentire  di  dar  morte  al  marito  per  regnare  poscia  con 
lui.  Fu  concluso  l'infame  patto  :  Sciano  per  più  assicurare 
la  donna,  ripudiò  la  propria  moglie  Apicata  da  cui  aveva 
tre  figli:  e  alla  fine  dopo  i  timori,  gli  indugii  e  le  esita- 
zioni che  portava  la  enormità  del  delitto,  Druso  bevve 
per  mano  dell'eunuco  Ligdo  un  veleno  lento,  che  fece 
credere  naturale  la  malattia  e  la  morte.  Tiberio  fece  mo- 
stra di  animo  forte  in  quella  disgrazia,  intervenne  con- 
tinuo al  senato  nei  giorni  della  malattia  e  della  morte, 
e  ai  senatori  piangenti  rese  con  ferma  voce  i  conforti 
che  volevano  dare  a  lui  (").  Fece  condurre  nella  Curia 
Nerone  e  Druso,  figliuoli  di  Germanico,  gli  affidò  ai  se- 
natori, quali  eredi  futuri  del  trono,  e  come  uniche  spe- 
ranze della  cosa  pubblica  nei  presenti  mali:  e  ai  due 
giovani  raccomandò  che  avessero  i  senatori  in  luogo  di 
padri.  Le  quali  parole  avrebbero  commosso  gii  animi  se 
si  arrestavano  qui:  ma  col  ripetere  le  sue  vecchie  fole, 
tante  volte  derise,  di  voler  lasciare  il  governo  e  resti- 
ci) Svetonio  (Tib.j,  a2)  dice  che  Tiberio  non  lo  amava  di  affetto  pa- 
terno, perchè  di  animo  molle  e  di  vita  troppo  rimessa,  e  che  non  mostrò 
<U  contristarsi  della  sua  morte:  e  aggiunge  che  quando,  un  poco  più 
tardi,  gli  ambasciatori  di  Ilio  vennero  a  condolersi  con  lui,  come  so  il 
ricordo  del  dolore  fosse  al  tutto  spento,  rispose  ridendo  che  anch'egli  si 
doleva  di  loro  mala  sorte,  per  aver  perduto  Ettore  loro  egregio  concit- 
tadino. 

>  Tacito,  Ann.,  I,  -29,  70,  IH,  37;  Dione  Cassio,  LVil,    13,   14-,  Plinio,  XIV,  23;  Plu- 
tarco, Quaest.  Coni- tv.,  I,  G,  -1. 


Gap.  II.l        CONGIURA  COiNTRO  LA  CASA  DI  GERMANICO. 


28": 


tuire  la  Repubblica,  tolse  fede  anche   alle  cose  vere  e 
oneste  *. 

Del  resto  e  popolo  e  grandi  malgrado  lor  mostre  di 
duolo,  in  segreto  erano  lieti  della  morte  di  Druso,  perchè 
faceva  rivivere  le  speranze  della  casa  di  Germanico.  Ma 
questo  stesso  affrettava  la  rovina  di  essa.  Sciano  si  ac- 
cese pili  che  mai  nel  proposito  di  toglier  di  mezzo  i 
giovani:  e  come  la  specchiata  castità  di  loro  madre  e  la 
fedeltà  dei  servi  non  gli  lasciavano  speranza  di  far  giun- 
gere ad  essi  il  veleno,  usò  strumenti  di  altra  sorte  :  destò 
sospetti,  armò  e  invelenì  l'odio  fiero  della  vecchia  Livia 
contro  Agrippina,  e  risvegliò  le  ire  di  Tiberio  mostran- 
dogli la  città  divisa  come  in  guerra  civile,  e  la  vedova 
di  Germanico  superba  dell'amore  del  popolo,  e  cinta 
apertamente  di  partigiani,  i  quali  non  frenati  si  farebbero 
tremendi.  E  questi  semi  sparsi  accortamente  fruttifica- 
rono poi  ciascuno  a 
suo  tempo,  e  porta- 
rono larga  raccolta 
di  mali.  Tiberio  ina- 
sprito cominciò  a  mo- 
strare il  suo  mal  ani- 
mo rimproverando  i 
pontefici  di  aver  mes- 
so Nerone  e  Druso 
alla  pari  con  lui  nelle 

preghiere  agli  Dei,  e  ordinò  al  senato  di  non  levare  a  su- 
perbia i  lievi  animi  dei  giovani  con  prematuri  onori  ("); 


Kerone  e  Dniso,  figli  di  Germanico  (Cohen) 


('^')  Le  imagini  dei  due  giovani  Cesari  si  hanno  coi  loro  nomi  nelle 
medaglie.  In  una  di  quelle  che  riproduciamo  compariscono  ambedue  a 
cavallo,  e  nell'altra  si  vedono  le  loro  teste  con  attorno  l'epigrafe,  logora 
in  parte:  nero  et  drusus  caesares  quinq.  c.  vi.  n.  c.  {Quinqiiennales 
coloniae  victricis  JSovae  Ca.rthaginis).  Il  che  significa  che  dalla  colonia 


Tacito,  Ann.,  IV,  8-11. 


288  ACCUSA  E  MORTE  DI  CREMLZIO  CORDO.         [Lib.  VII. 


mentre  Seiano  ne  preparava  la  rovina  da  lungi,  col  far 
togliere  di  mezzo  ad  uno  ad  uno  tutti  quelli,  che  nella 
sventura  erano  rimasti  fedeli  a  Germanico  e  ai  suoi. 
L'amicizia  per  essi  fu  rovina  a  Silio  vincitore  dei  Galli, 
e  Sosia  sua  moglie  ebbe  l'esilio  per  l'amore  che  le  por- 
tava Agrippina  •.  Poscia  vennero  le  rovine  degli  altri. 

Era  il  tempo  in  cui  i  delatori  trionfavano  per  l'aperta 
protezione  del  principe,  e  servivano  ardentemente  Seiano 
in  sue  ambiziose  e  crudeli  vendette.  Allora  due  clienti 
di  lui  mossero  innanzi  nuovo  e  non  più  udito  delitto,  ac- 
cusando A.  Cremuzio  Cordo,  integro  vecchio,  di  oltraggio 
fatto  alla  imperiale  maestà,  per  avere  nelle  sue  storie  lo- 
dato Bruto  e  chiamato  Cassio  V ultimo  dei  Romani.  Cre- 
muzio, clie  aveva  motteggiato  la  crudeltà  di  Seiano, 
sentita  l'accusa  e  veduto  il  truce  volto  di  Tiberio,  certo 
di  morire,  disse  nobili  parole,  degne  dello  storico  degli 
ultimi  difensori  della  Repubblica;  e  poi  uscito  dalla  Curia 
si  lasciò  morir  di  fame.  I  suo  scritti  furono  condannati 
alle  fiamme;  ma  rimasero  occultati  allora,  massime  per 
opera  di  Marzia  sua  figlia,  e  furono  pubblicati  in  appresso 
ad  accrescere  la  gloria  dell'uomo  fortissimo  die  gli  aveva 
scritti  col  sangue,  e  l'infamia  di  chi  in  sua  stoltezza  cre- 
deva di  poter  distruggere  l'umano  pensiero  ("). 

Seiano,  accecato  dalla  soverchia  fortuna,  e  stimolato 
dalla  vedova  di  Druso  al  maritaggio  promessole  in  premio 
dell'uccisione  del  marito,  con  studiata  lettera  la  chiese 

di  Nova  Cartagine  {Cartagcna)  erano  stati  fatti  Quinquennali,  cioè  eletti 
tia  i  magistrati  ohe  nei  niunicipii  e  nelle  colonie  avevano  potere  cen- 
sorio. Vedi  Cohen,  Monn.  frappces  .sous  l'cmp.  rom.,  voi.  I,  pi.  Vili, 
11.   1   e  4. 

(")  Tacito,  Ann.,  IV,  34-35:  Dione  Cassio,  LVII,  24;  Seneca,  Consol. 
ad  Marc,  I  e  22;  Svetonio,  Tib.,  61.  Sulla  vita  di  Cremuzio  Cordo,  scarsa 
di  notizie,  e  .sopra  i  suoi  scritti,  vedi  Held,  Commentatio  de  vita  scrip- 
tis'jue  A.  Cremutii  Cordi,  Suidnicii  1841. 

»  Tacito,  Ann..  IV,  17-2». 


Cap.  IL]  SEIANO  ECCITA  TIBERIO  AD  ALLONTANARSI  DA  ROMA.  289 

in  moglie  a  Tiberio,  ma  non  ebbe  in  risposta  se  non 
parole  più  astute,  e  un  rifiuto  addolcito  da  vaghe  pro- 
messe di  cose  maggiori  e  più  degne  del  caro  ministro  *. 
Onde  questi,  lasciato  cotal  disegno  da  banda,  attese  ad 
avvantaggiarsi  col  persuadere  a  Tiberio  il  ritiro  nella 
solitudine  fuori  di  Roma,  ove,  lungi  dalla  folla  popolare 
e  cortigianesca,  e  dai  fastidii  e  dagli  odi!,  potrebbe  me- 
glio vacare  alle  cose  importanti.  L'astuto  ministro  pen- 
sava che,  nell'assenza  del  principe,  rimarrebbe  padrone 
di  tutte  le  cure  dell'Impero,  e  con  meno  invidia  e  sospetto 
avrebbe  modo  più  agevole  a  conseguire  i  suoi  intenti. 
Nò  era  difficile  persuadere  la  fuga  al  principe  impaurito 
dall'odio  e  dal  dispregio  pubblico,  manifestati  contro  di 
lui  ad  ogni  istante.  Ora  si  trovavano  libelli  pieni  di  vil- 
lanie in  teatro  sulle  sedie  dei  senatori:  ora  uscivano  versi 
sul  suo  odio  alla  madre,  e  sulla  sua  sete  di  sangue:  ora 
i  condannati  gli  dicevano  in  faccia  ogni  vituperio-:  e 
in  una  causa  di  maestà  l'accusatore  stesso,  per  provar 
meglio  l'assunto,  ripetè  pubblicamente  in  senato  tutto  il 
male  che  si  diceva  in  segreto  del  principe.  Onde  questi 
fermava  di  fuggire  le  adunanze,  e  di  ritrarsi  dove  non 
potesse  raggiungerlo  il  sordo  fremito  del  pubblico  odio  ^. 
Ma  prima  inferocì  in  altre  condanne,  e  portò  nuovi 
colpi  alla  casa  di  Germanico,  di  cui  oramai  dovea  com- 
piersi la  rovina.  Fu  accusata  di  maestà  e  di  adulterio 
Claudia  Pulcra,  cugina  di  Agrippina.  E  invano  questa 
usò,  per  salvarla,  lamenti,  ingiurie,  preghiere.  Accorsa  a 
Tiberio,  e  trovatolo  sacrificante  ad  Augusto,  gli  disse 
non  istar  bene  offrir  vittime  a  lui,  e  perseguitare  i  suoi 
discendenti.  Al  che  Tiberio,  spiegandosi  più  chiaro  del 
solito,  rispose:  Ti  olJendì,  o  donna,  perchè  non  regni. 
Seiano  inacerbì  più  le  ire  facendo  avvisar  di  nascosto 

1  Tacito.  Ann.^  TV,  39,  40. 

2  Svetonio,  Tih.^  59,  (iG;  Tacito,  Ann..  I,  72;  Dione  Ca-^-^io,  LVII,  23. 

3  Tacito,  Ann.,  IV,  11,   1?. 


290 


PERICOLI  DELL'INCAUTA  AGRIPPINA. 


[LiB.  YIL 


Agrippina  che  stesse  in  guardia,  perchè  Tiberio  voleva 
darle  veleno.  La  mal  cauta  donna  rifiutò  a  mensa  le 
frutte  offertele  dal  principe,  ed  egli  rivolto  alla  madre 
disse,  che  non  sarebbe  da  far  maraviglia  se  trattasse  più 
severamente  colei  che  lo  accusava  di  avvelenatore.  Dopo 


Agrippina  del  Museo  Capitolino  {Righeiti,  I.  31). 

le  quali  cose  andò  attorno  la  voce  che  egU  si  apparec- 
chiasse a  darle  segreta  morte  *. 

Tiberio  studiò  di  divertire  questi  rumori,  e  alla  fine 
dopo  lungo  meditare  andò  in  Campania,  allegando  a  pre- 
testo la  dedicazione  del  tempio  di  Giove  a  Capua  e  di 
quello  di  Augusto  a  Nola,  ma  coU'animo  fermo  di  viver 
lungi  da  Roma.  GU  astrologi  predissero  che  non  vi  sarebbe 


Tacilo,  Ann..  IV,  52-r.l;  Svetonio,  Tift  ,  5:5. 


I 


Cap.  IL]  CAUSE  DELLA  PARTENZA  DI  TIBERIO  DA  ROMA. 


291 


tornato,  ed  avvenne  come  avevano  predetto.  Della  qual 
dipartita,  oltre  agli  eccitamenti  di  Seiano  e  alla  paura 
dell'odio  pubblico,  fu  causa  anche  il  desiderio  di  nascon- 
dere agli  occhi  di  tutti  la  sua  vecchiezza  brutta  di  turpi 
libidini,  e  di  sottrarsi  alla  prepotenza  della  imperiosa  ma- 
dre aborrita  da  lui,  sdegnoso  di  metterla  a  parte  dell'im- 
pero avuto  per  le  arti  di  essa.  Egli  aveva  fino  da  prin- 
cipio proibito  al  senato  *di  darle  il  nome  di  mach'e  della 
patria,  rimasto  in  medaglie  ed  epigrafi,  e  di  decretarle 
altre  onorificenze  pubbliche,  adonestando  l'invidia  e  l'in- 
gratitudine coi  nomi  di  temperanza  e  di  modestia:  e  po- 
scia se  l'era  recata  a  noia  per  modo,  che  fuggì  sempre 
di  trovarsi  a  segreti  coUoquii  con  essa,  perchè  altri  non 
credesse  che  egli  ne  accettava  i  consigli.  Quindi  erano 
divenuti  nemici:  ed  egli  non  la  visitò  malata,  non  inter- 
venne, quando  fu  morta  (782),  alle  esequie,  non  ten.ne 
conto  del  testamento  di  lei,  e  ne  perseguitò  tutti  i  fa- 
miliari e  gli  amici  *. 

Partì  con  poca  comitiva:  Seiano,  Cocceio  Nerva,  gran  Anni  di  ro- 
dottore  di  leggi,  Curzio  Attico,  alcuni  cavalieri  e  maestri  g.c.2g.  ' 
di  arti  liberali.  Greci  i  più,  per  ricrearsi  con  loro  discorsi. 
Si  trattenne  alquanto  per  le  amene  ville  di  Campania, 
ove  proibì  con  editto  che  ninno  venisse  a  disturbargli  la 
quiete,  e  poscia  andò  a  nascondersi  nell'isola  di  Capri, 
nel  golfo  di  Napoli,  sicura  perchè  cinta  quasi  d'ogni  in- 
torno da  scoscese  e  altissime  rupi  e  da  mare  profondo, 
lieta  di  dolce  aere  l'inverno,  fresca  e  amena  l'estate^,  e 
maravigliosa  in  antico,  come  oggidì,  pel  grande  spettacolo 
che  dalle  cime  dei  colli  e  dei  monti  offriva  mostrando 
r  ampio  mare  di  Sicilia,  i  golfi  di  Napoh  e  di  Salerno, 
le  fiorite  rive  di  Posilipo,  di  Pozzuoli  e  di  Baia,  colle 
isole  d'Ischia  e  di  Procida,  col  promontorio  di  Minerva,, 

•  Tacito,  Ann..  I,   14,  IV,  57,  V,  1  e  2;  Svetonio,    Tib.^  IO,  DO,  51;   Dione   Cas.sio, 
LVII,  3,  12,  LVIII,  2.  Conf.   sopra  pag.  213. 
-  Svetonio,  Tib.,  10-,  Taeito,  Ann.:,  IV,  OS  e  67. 


202 


L'ISOLA  DI  CAPRI. 


LiB.  VII. 


e  Sorrento,  e  il  Vesuvio  ed  Ercolano  e  Pompei  non  ancora 
distrutte  dagli  incendii  del  tremendo  vulcano.  Ivi  monti 
selvaggi  e  aridi  scogli  frequentati  dai  falchi  di  mare,  e 
orride  rupi  cadenti  a  precipizio  nelle  onde,  e  oscure  e 
misteriose  caverne  dentro  al  suolo,  e  grotte  marine  con 
incantevoli  effetti  di  luce  cerulea:  e  poi  i  ricordi  delle 


I:^ola  fli  rp.nri  ilisegnata  da  Moritz  Meurer,  in  Bazor^  7  setteiiibi'P,  Berlino  ISTI. 

Sirene,  e  valli  ridenti,  e  aranci,  e  fiori  e  profumi  e  le- 
tizia di  vigne. 

L' isola  già  popolata  dai  Greci  e  custode  di  loro  studi 
e  costumi  stette  in  potere  dei  Napoletani  fino  ai  tempi 
d'Augusto,  il  quale,  dilettatosi  del  luogo  ameno  e  dell'aero 
salubre,  la  prese  per  so  dando  loro  in  compenso  l'isola 
d' Ischia  di  cui  si  era  impadronito  colle  armi,  e  la  fece 
suo  privato  possedimento,  e  la  ornò  di  edifici  in  cui  rac- 


4 


Gap.  II.J  OPERE  DI  TIBERIO  A  CAPRI.  203 

colse  opere  d'arte  e  rarità  di  smisurate  membra  di  fiere, 
e  ossa  di  giganti  e  armi  di  eroi  ^ 

Tiberio  facendola  per  parecchi  anni  sua  sede  e  metro- 
poli del  mondo  romano,  le  détte  non  più  veduto  splen- 
dore: appianò  i  luoghi  scoscesi,  colmò  le  valli,  abbassò 
le  sommità  per  rendere  accessibili  i  siti  più  ardui  con 
solide  strade,  tra  cui  rimane  ancora  spettacolosa  quella 
che  a  ponente  sale  la  rupe  di  Anacapri  con  533  scaglioni 
di  pietra  calcare.  Egli  ingrandì  e  moltiplicò  gli  edilìzi 
di  Augusto  sui  colli  più  ameni,  ove  si  ricordano  dodici 
magnifiche  ville  -  delle  quali  parlano  anche  molti  e  grandi 
ruderi  di  sale,  di  vòlte,  di  splendidi  pavimenti  a  musaico, 
di  peregrini  marmi,  di  colonne,  di  statue,  di  pitture,  di 
bassirilievi,  di  teatri,  di  templi,  di  acquedotti  e  di  bagni 
sparsi  dappertutto  nei  luoghi  più  pittoreschi  per  selve  e 
campi  e  vigne  e  oliveti.  Fu  detto  per  congettura  che  queste 
dodici  ville  fossero  dedicate  ai  dodici  gran  Dei  dell'Olimpo, 
e  che  avessero  loro  nomi  da  essi  3,  Rispetto  a  questo  sap- 
piamo soltanto  che  portò  il  nome  di  Giove  ''  quella  che 
sorse  nell'estremità  orientale  sul  colle  di  Santa  Maria 
del  Soccorso,  in  sito  incantevole  che  domina  l'isola  tutta 
e  i  golfi  e  le  rive  vicine;  villa  più  splendida  e  più  ampia 
di  ogni  altra,  come  tuttora  apparisce  anche  dalle  sue 
grandi  rovine  più  volte  studiate  e  illustrate  ("). 


(")  Vedi  Hadrava ,  Eaygttagli  di  vari  scavi  e  scoverte  di  antichìió. 
fatte  nell'isola  di  Capri,  Napoli  1793;  Mangoni,  Ricerche  storiche  sul- 
l'isola di  Capri,  Napoli  1834,  e  Ricerche  topografiche  ed  archeologiche. 
Napoli  1834;  Quaranta  e  Alvino,  Le  antiche  mine  di  Capri,  Napoli  1835; 
Gregorovius,  Die  Insel  Capri  mit  Bildern  und  Skizzen  von  K.  Linder- 
mann-Fionmel,  Leipzig  1868,  ripubblicata  senza  illustrazioni,  in  Wan- 
derjahre  in  Itallen,    voi.   I,    Leipzig    1870,   pag.    313-388,    e    tradotta   in 

1  Strabene,  V,  0;  Dione,  LII,  43;   Svetonio,  Avg.,  72  e  92. 

2  Tacito,  Ann..  IV,  G7. 

3  I.ipsio,  Ad  Tiicit..  Annuì.,  IV,  67. 
*  Svetonio,  Tib..  C5.  , 

Van.nucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  37 


-294 


LA  VILLA  DI  GIOVE. 


[LiR.  VII. 


In  essa  Tiberio  riparavasi  come  in  sua  rocca  ',  e  di  là 
per  undici  anni  mandò  i  suoi  ordini  a  Roma,  e  al  mondo, 
nel  tempo  stesso  che  ebbro  di  vino,  di  lussuria  e  di  sangue 
rendeva  infami  gli  ameni  luoghi  con  sue  turpitudini  e 
sue  crudeltà:  le  ville,  i  giardini,  i  boschetti,  gli  antri,  le 


Rovine  d.;lla  Villa  di  Giove  (Alvino). 


rupi,  e  anche  i  templi  furono  contaminati  dalle  mostruo- 
sità del  feroce  e  turpissimo  vecchio  -. 

Il  tempo  distrusse  tutti  i  suoi  grandi  edilizi:  e  invano 
altri  si  affaticò  a  ricercare  e  distinguere  i  luoghi  ador- 


italiano  dal  conte  Augusto  di  Cossilla  col  titolo  di  Ricordi  storici  e  pit- 
torici (Vltalia,  Milano  1870,  voi.  I,  pag.  197-25:ì. 


1  Svntonio,   Tih.,  65.  Plinio,  III,  12. 

2  Svotonio,  Tib.,   i:5-15. 


Cap.  IL] 


IL  SALTO  E  LE  CRUDELTÀ  DI  TIBERIO. 


29.' 


nati  dall'arte,  e  bruttati  dall'orgia.  Solo  il  suo  terribile 
nome  in  ogni  parte  rimase  colà  nelle  bocche  del  popolo 
che  lo  chiama  Timherio,  e  lacrime  di  Tiberio  chiama  il 
vino  migliore  dell'isola,  e  secondo  una  vecchia  tradizione 
crede  che  nei  sotterranei  della  villa  di  Giove  stesse  un 
colossale  cavallo  di  bronzo  e  sopra  di  esso  Tiberio  con 
gli  occhi  di  diamanti,  guardato  da  quattro  schiavi  pur 
colossali,  di  raro  e  prezioso  lavoro  '  :  e  presso  la  mede- 
sima villa  anche  oggi  chiamano  Salto  di  Tiberio  la  rupe 


Il  salto  di  Tiberio  (Grcgorùcius.  pag.  3S). 


di  aspri  macigni  cadenti  nel  mare  da  più  di  800  piedi 
di  altezza,  e  mostrata,  al  dire  di  Svetonio,  in  antico  come 
la  e arriifìcina, del  mostro,  il  quale  alla  sua  presenza  fa- 

1  Mangoni,  Ricerche  topografiche  e  arch.j  pag.  91,  e  Grogoi-ovius,  Die  Instel  Capri 
pag.  H. 


-29G  DISASTRO  A  FIDENE.  MESSAGGI  DI  MORTE  DA  CAPRI.  [Lib.  VII. 

€eva  precipitare  di  lassù  le  sue  vittime  dopo  averle  stra- 
ziate con  lunghi  e  studiati  tormenti.  I  miseri  cadevano 
in  mezzo  a  una  squadra  di  marinari  occupati  a  percuo- 
terli con  bastoni  e  con  remi  fmchè  rimanesse  loro  un 
soffio  di  vita  Q"). 

Tiberio  appena  giunto  a  Capri  fa  richiamato  con  pre- 
ghiere e  scongiuri  dal  popolo  per  provvedere  al  caso  di 
Fidene  ove  rovinò  l'anfiteatro  alfollato  di  gente  accorsavi 
da  Roma  a  uno  spettacolo  di  gladiatori,  e  di  cinquanta- 
mila persone,  ventimila  furono  scliiacciate  dalla  rovina, 
e  l'altre  ne  uscirono  storpie.  Ed  egli  venne  in  terra  ferma 
e  promise  a  ciascuno  di  andare  a  parlargli,  e  fece  prov- 
vedere perchè  tali  calamità  non  si  rinnovassero  più  *. 

Sciano  tornò  a  Roma  armato  della  intera  fiducia  del 
principe,  il  quale  si  teneva  pienamente  sicuro  della  de- 
vozione del  ministro,  dopoché  questi  a  un  banchetto  in 
una  grotta  naturale  in  Campania,  presso  i  monti  di  Fondi, 
gli  fece  arditamente  riparo  del  suo  corpo  contro  una  frana, 
€he  schiacciò  alcuni  servi  e  fugò  i  commensali  -.  Era 
creduto  e  secondato  in  qualunque  rea  cosa  eh'  ei  pro- 
ponesse. Ministro  e  tiranno,  per  fini  diversi,  andavano 
concordi  in  odii  e  vendette.  Delatori  scellerati  inventa- 
vano delitti,  pei  quali  solamente  si  giungeva  a  Sciano, 
distributore  di  premi  e  di  uffici.  E  Sciano  ne  scriveva 
a  Tiberio,  il  quale  passava  dalle  orgie  a  segnare  supplizi 
atroci.  Le  condanne  de'  suoi  parenti  e  di  loro  amici  fu- 
rono portate  dai  primi  messaggi  di  Capri.  Seiano  aveva 
posto  guardie  a  spiare  ogni  loro  moto,  ogni  detto,  e  su- 


(^)  Carnificinae  cius  o.slenditur  locns  Capreis,  unde  damncAos,  post 
longa  et  exquisìta  tormenta,  praecijìitari  corara  se  in  mare  iubebat, 
cxrÀpienle  classiarioruin  mamt,  et  contis  atque  remis  elidente  cadavera, 
ne  cui  residui  spirilus  quidrjuani  inesset.  Svetonio,   Tib.,  02. 

1  Tacito,  Ann.^  IV,  02-03-,  Svetonio,   Tih.,   IO. 

2  Tacito,  Ann.^  IV,  -,0. 


Gap.  II.]    ^lORTE  DI  SABINO.  ACCUSE  DI  TIBERIO  AI  SUOI.  297 

bornato  accusatori  massime  contro  Nerone,  modesto  gio- 
vane, e  reo  solamente  di  sconsigliate  parole.  Insidiato 
continuamente,  amareggiato  con  belle:  recatogli  a  colpa 
il  parlare  e  il  tacere.  Neppur  la  notte  era  sicuro:  sua 
moglie  Giulia,  figliuola  di  Livilla,  riferiva  veglie  e  sospiri 
alla  madre,  e  questa  ridiceva  tutto  a  Sciano.  Il  quale 
tirò  dalla  sua  anche  Druse,  fratello  di  Nerone,  eccitando 
gelosie  e  odii  fraterni,  e  dandogli  speranza  del  primo 
luogo,  nel  tempo  che  preparava  la  rovina  anche  a  lui  *. 

Primo  fu  ucciso  il  loro  amico  Tizio  Sabino,  cavaliere 
romano,  perchè  conservava  alla  famiglia,  anche  quando 
era  abbandonata  dagli  altri,  l'affetto  già  avuto  a  Germa- 
nico. Quattro  infami  senatori,  d'accordo  con  Sciano,  gli 
prepararono  con  insidie  la  morte.  Latinio  Laziare,  uno  di 
essi,  fingendogli  amicizia  lo  lodava  di  suo  costante  affetto 
agli  infelici:  e  Sabino  piangendo  si  sfogava  liberamente 
con  lui  in  lamenti  contro  la  crudeltà  di  Sciano  e  di  Ti- 
berio. Gli  sfoghi  furono  ripetuti  più  volte  e  uditi  dagli 
altri  tre  senatori,  appiattatisi  tra  il  tetto  e  il  soffitto  della 
casa  per  origliare  dalle  fessure.  Quindi  fa  data  la  querela, 
.e  scritta  la  trama  a  Tiberio,  il  quale  rispose  con  altre 
accuse  indicanti  che  voleva  sentenza  di  morte.  Sabino 
fu  tratto  tosto  a  morire:  per  via,  quantunque  soffocato 
nei  panni  e  stretto  alla  gola,  non  cessò,  finché  ebbe  fiato, 
d'imprecare  ai  tiranni.  La  città  era  piena  di  orrore  :  la 
gente  atterrita  fuggiva  temendo  morte  solo  per  averlo 
ascoltato  -. 

Vennero  ringraziamenti  da  Capri  per  la  pena  data  a 
quel  nemico  della  ReinihhUca.  Tiberio  si  diceva  anche 
trepidante  di  sua  vita,  e  sospettoso  di  aguati  nemici, 
mirando  ad  Agrippina  e  a  Nerone,  quantunque  non  no- 
minasse nessuno.  Poscia  in  altre  lettere  mandò  piìi  aspre 
parole  e  rimproveri  di  impudicizia  al  giovane,  e  di  animo 

1  Tacito,  Ann.,  IV,  59-60. 

2  Tacito,  Ann...  IV,  (5>'-70. 


:.^0S  CRUDE  MORTI  DI  AGRIPPINA ,  [Lib.  VII. 

arrogante  e  fiero  alla  madre.  Il  senato  esitò  e  tacque. 
11  popolo  corse  in  folla  intorno  alla  Curia,  portando  le 
imagini  di  Agrippina  e  di  Nerone:  accusava  Seiano,  gri- 
dava viva  Tiberio  !  diceva  le  lettere  false,  e  inventate 
per  macchinare  rovina  alla  casa  imperiale.  Ma  Tiberio 
con  lettera  più  minacciosa  ripetè  gli  obbrobri  ad  Agrip- 
pina e  a  Nerone,  garrì  la  plebe,  si  dolse  dell'  esitanza 
dei  padri,  e  prese  la  causa  sopra  di  sé  *. 

Per  la  perdita  di  una  parte  degli  Annali  di  Tacito  ci 
mancano  i  particolari  sulla  fine  di  quegli  infelici,  accusati 
fra  le  altre  cose  di  voler  fuggire  all'esercito  di  Germania 
0  invocare  nel  Fóro  l'aiuto  del  popolo:  suggerimenti  dati 
loro  dai  nemici  che  gli  spiavano,  e  apposti  loro  a  delitto 
Annidi  Ilo- comecché  rifiutati-.  Sappiamo  solamente  che  Agrippina 
^^0  30.  'trasportata  in  catene  nell'isola  Pandataria,  vi  patì  cru- 
deli trattamenti,  percossa  e  privata  di  un  occhio  dal  cen- 
turione posto  a  sua  guardia.  Anche  dopo  la  caduta  di 
Sciano  non  ebbe  alleviamento  a  sua  pena,  e  morì,  non 
è  certo  se  volontariamente  o  per  violenza,  maledicendo 
sempre  al  feroce  assassino  di  sua  famiglia.  Tiberio  sca- 
gliò sconce  e  false  accuse  contro  a  lei  morta,  e  si  fece, 
merito  di  non  averla  strozzata  e  gettata  nelle  Gemonie  : 
e  il  senato  decretò  annuali  offerte  agli  Dei  nel  giorno  in 
cui  ella  finì.  Ma  il  tiranno  che  nella  sua  rabbia  feroce 
ordinò  anche  dì  nasconderne  sotto  terra  le  ossa  affinché 
ninno  potesse  mai  onorarle  degli  ultimi  uffìcii,  non  riuscì 
ad  impedire  che  poscia  fossero  raccolte  in  un'urna,  e 
poste  nel  grande  Mausoleo  d'Augusto,  e  solennemente 
onorate  ("). 


C)  Tacilo. /Inn.,  VJ,  25:  Svotonio,   Tib.,  7)S:  Dione  Cassio,  LVIII,  2. 
L'urna  u.'jcita  colla  sua  epigrafe  dalle  rovine  del  Mausoleo   imperiale, 
0  portata  in  Campidoglio  fu  un  tempo  adoprata  a  servire  di  misura  fru- 

I  Tacito,  Ann..  V,  ;^-5. 
•  T.ic-ito,  Aun.j  IV,  ')7. 


i 


Cap.  II.] 


DI  NERONE  E  DI  DRUSO. 


290 


Nerone,  esiliato  all'isola  di  Ponza,  vi  mori  di  fame,  o 
si  uccise  di  sua  mano  alla  vista  del  carnefice  che  entrava 
a  strozzarlo  *.  Druso  che  aveva  servito  di  strumento  a 
Seiano  contro  il  fratello,  tradito  dalla  moglie  Emilia  Le- 
pida, accusato  anch'egli  e  sepolto  in  un  sotterraneo  del 
Palatino,  e  lasciato  senza  cibo,  vi  mori  disperatamente 
di  fame  dopo  aver  dato  di  morso  alla  coltrice.  E  Tiberio 


AGRiPPI^IAEM-AGRIPPAE    i  ,;. 
dIvIì^gheptis  VXORIS  '  1/  ""■ 

GERHANICI-CAESARIS  |    ]'j[^ 
MATPJS  CCAESARISAVG  j   |!!|,[Kl 


I 


Vnia  sepolcrale  ili  Agrippina  {BartoU). 

fece  narrare  in  senato  tutte  le  particolarità  dei  tormenti 
dati  a  quel  misero,  le  bastonate,  la  fame,  ogni  circostanza 
di  sua  crudele  agonia,  ogni  imprecazione  del  morente  ^. 


jnentai'ia  [rubiaiellae ,  scritto  erroneamente  i-ugitellae),  come  altri  mo- 
numenti furono  usati  a  misurare  olio  e  vino.  Ora  sta  nell'atrio  del  palazzo 
dei  Conservatori,  e  porta  nel  fianco  figurate  le  insegne  di  essi  e  del  mo- 
derno senato  romano.  Vedi  Bartoli  e  Bellori,  Sepulchra  veteriim,  p.  45. 

1  Svetonio,  Tib.,  51. 

2  Tacito,  An7i.^  VI,  23,  24  a  40;  Svetonio,  Tib.j  51  ;  Dione  ("assio,  LVII,  3  e  22. 


300  SOSPETTI  E  ARTI  DI  TIBERIO  CONTRO  SEIANO.    [Lib.  YIL 

Seiano,  liberato  dagli  emuli,  era,  come  voleva,  pa- 
drone di  ogni  cosa,  e  già  si  teneva  presso  alla  cima  dei 
suoi  desiderii,  né  restavagli  più  che  a  toglier  di  mezzo  il 
vecchio  di  Capri,  al  quale  niuno  più  riguardava.  Tutti 
erano  intenti  a  sfoggiare  in  servilità  col  ministro,  ed  ac- 
correre a  sua  casa,  ed  esser  veduti  prima  di  ogni  altro. 
Da  molti  dei  grandi  tenevasi  per  alto  onore  l'esser  co- 
nosciuti dai  liberti  e  dai  portinai  di  Seiano  '.  Moltiplicate 
in  ogni  luogo  le  sue  statue  :  si  giurava  per  la  fortuna  di 
lui:  quasi  lo  chiamavano  imperatore,  e  il  senato  ordinò  si 
celebrasse  pubblicamente  il  suo  dì  natalizio,  e  gli  decretò 
sacrifizi  -. 

Ma  tutto  ciò  non  poteva  non  dar  sospetto  a  Tiberio, 
facilissimo  a  sospettare  Tli  tutto  e  di  tutti,  anche  per  cose 
da  meno.  Alla  novella  di  queste  grandigie  del  ministro, 
e  delle  soverchie  onoranze,  fu  impaurito  di  quella  smi- 
surata potenza  creata  da  lui  stesso  a  proprio  danno,  e 
volse  ogni  pensiero  a  distruggerla,  e  a  usare  tutte  le  arti 
di  cui  era  maestro  per  iscreditare  a  poco  a  poco  il  fa- 
vorito, e  alla  line  aver  modo  a  levarlo  di  mezzo,  senza 
che  -quegli  potesse  farvi  riparo.  Le  astuzie  messe  in 
opera  per  menare  a  line  questa  faccenda  furono  tenute 
il  capolavoro  della  diplomazia  del  solitario  di  Capri.  Per 
causa  di  lui  vietò  al  senato  di  ordinare  sacrifizi  ad  un 
uomo,  ma  al  tempo  stesso  lo  scelse  compagno  nel  con- 
solato, e  lasciò  a  lui  solo  la  carica,  per  addormentarlo 
nelle  ambiziose  speranze.  E  quando  i  padri  prorogarono 
il  consolato  all'imperatore  e  al  ministro,  Tiberio  disse  il 
decreto  illegale,  e  rifiutò  quell'onore,  perchè  anche  Seiano 
fosse  costretto  a  fare  lo  stesso.  E  spesseggiava  di  lettere, 
ora  calde,  ora  fredde.  Oggi  si  diceva  malato  e  morente, 
domani  ben  portante  e  sulle  mosse  per  Roma:  ora  grandi 
lodi  al  ministro,  ora  rimproveri:  ora  onorati,  ora  umiliati 

'  Tacito,  Ann..  VI,  8. 

2  Dione  Cassi..,  I.VIII,  :.' ;  Svrtonio,   Tih...  6j. 


I 


Cap.  II.]  CONGIURA  DEL  MINISTRO  SCOPERTA.  301 

gli  amici  di  esso.  Pei  quali  segni  contrarii,  Seiano,  incerto 
tra  timore  e  speranza,  non  sapeva  a  qual  partito  appi- 
gliarsi. Ma  quando  gli  fu  negata  la  licenza  di  recarsi  in 
Campania,  e  vide  gli  onori  e  le  speranze  date  a  Caligola, 
figliuolo  di  Germanico,  pare  che  temendo  dei  mali  estremi 
cospirasse  per  salvarsi,  senza  usare  però  energia  e  riso- 
lutezza, e  lasciandosi  ingannare  da  altre  dimostrazioni 
dell'uomo  che  in  fatto  di  arti  segrete  e  di  insidie  la  sa- 
peva troppo  più  lunga  *. 

È  detto,  che  stavano  per  Seiano  le  guardie  pretorie, 
e  molti  senatori  coi  loro  liberti  "^.  Era  suo  complice  Fiil- 
cinio  Trione,  uno  dei  delatori  più  infami:  e  Publio  Vi- 
tellio,  prefetto  dell'  erario,  fu  in  appresso  accusato  di 
avere  offerto  ai  cospiratori  le  chiavi  del  tesoro  militare  ^. 
Ma  non  poteva  contare  sul  popolo,  affezionato  al  giovane 
Caligola  '\ 

Tiberio  fu  avvisato  della  congiura  dalla  vecchia  Anto- 
nia, madre  di  Germanico,  la  quale  gli  scrisse  minutamente 
per  mezzo  di  uno  dei  suoi  servi  più  fidi  ^\  Al  grave  an- 
nunzio egli  serbò  la  sua  usata  calma,  prese  i  ripari 
opportuni,  e  si  governò  colle  astuzie,  non  stimando  sicuri 
gli  assalti  aperti.  Pel  caso  di  una  lotta  in  città,  ordinò 
di  togher  di  carcere  Druse,  che  non  era  ancora  morto, 
e  di  metterlo  alla  testa  del  popolo  :  e  quando  tutto  an- 
dasse male  a  Roma  apparecchiò  navi  per  rifugiarsi  tra 
le  legioni  lontane.  Fece  disporre  segnali  sulla  via  per 
avere  pronte  le  novelle  del  fatto:  egli  stesso  stava  in 
osservazione  sulla  torre  più  alta  dell'isola:  e  al  tempo 
medesimo  mandò  a  Seiano  la  promessa  di  farlo  suo  pa- 
rente, e  di  dargli  la  potestà  tribunizia  ^. 

«  Dione,  LVIII,   1-8;  Svetonio,  Tih..  G5. 

2  Giuseppe  Flavio,  Antichità  Giudaiche,  XVIII,  S,  0. 

3  Tacito,  Ann.^  V,  8,  11,  VI,  4. 

4  Dione  Cassio,  LVIII,  S. 

5  Giuseppe  Flavio,  Ant.   Giud.,  XVIII,  8,  6. 

*  Svetonio,  Tib..  63-,  Tacito,  Ann.,  VI,  23;  Dione,  LVIII,  13. 

Vannucci  —  Storia  dell'  Italia  antica  —  IV.  38 


302 


MACRONE  NUOVO  CAPO  DEI  PRETORIANI.       [Lib.  VII. 


Come  fu  bene  ordinata  ogni  cosa,  una  notte  giunse  a 
Roma  Nevio  Sertorio  Macrone,  investito  segretamente 
del  comando  dei  pretoriani.  Si  abboccò  con  Memmio 
Regolo  uno  dei  consoli  tenuto  fedele,  e  con  Grecino 
Lacone,  prefetto  delle  guardie  notturne,  ai  quali  aprì  i 
segreti  mandati  del  principe.  Allo  spuntare  del  giorno, 
mentre  si  recava  al  senato,  incontrò  Sciano  per  via,  e  ai 
lamenti  di  questo  sul  non  aver  lettere  di  Tiberio,  rispose 


Faro  o  castcUr,  di  Tiberio  nell'isola  di  Capri  [Da  Fotografia). 


che  gli  portava  la  potestà  tribunizia.  11  ministro  entrò 
pieno  di  gioia  nella  Curia,  e  mentre  i  senatori  si  ralle- 
gravano con  lui  e  lo  adulavano  pel  nuovo  onore,  Macrone 
mostrò  l'ordine  da  cui  era  investito  del  comando  dei 
pretoriani,  e  rimandatigli  al  campo  sotto  colore  di  un 
donativo  dell'imperatore,  pose  a  custodia  del  senato  Gre- 
cino Lacone  colle  guardie  notturne.  Quindi  entrò  nella 
Curia,  consegnò  ai  consoli  la  lettera  di  Tiberio,  e  prima 
che  fosse  letta  si  riparò  nel  campo  fra  i  pretoriani  *. 
La  lettera  era  luìiga  e  verbosa'^:  cose   vaghe  in  prin- 

I  Dione,  LVIII,  0. 

*  Giovenale,  Saf.,  X,  71. 


Gap.  II. 


MESSAGGIO  DI  MORTE. 


303 


cipio:  poi  nominato  Seiano  con  lieve  rimproccio:  poi 
discorso  di  altre  faccende:  quindi  ritorno  a  Seiano  per 
biasimarlo  e  lodarlo,  e  dopo  lungo  variare  di  tuoni  le 
parole  diventando  più  gravi  e  più  minacciose  lìnivano 
coll'ordine    chiaro    di    arrestare  il  ministro    cospiratore. 


ìiyìiiiwdi  ii'iiiiiiiii!iiiitiiiiT(iMiiiiiiNiij.iiiit'/iii,fiiiiii[i^^ 

Soldati  Pretoriani  {Musée  des  antiqites^  voi.  Ili,  pi.  30). 


Fu  uno  scoppio  di  fulmine:  le  sedie  intorno  a  Seiano 
rimasero  deserte  a  im  tratto;  fuggirono  da  lui  i  senatori 
prima  adulanti,  e  cambiarono  in  maledizioni  le  lodi.  11 
console  lo  chiamò   perchè  gli  venisse   davanti.  Egli  non 


■J04      SEIANO  STRAZIATO  DAL  POPOLO  GL\  PLAQDENTE.   [  Lib.  Vlf. 

usato  a  ricevere  ordini,  e  fatto  stupido  dal  subito  spa- 
vento, non  si  mosse  alla  prima.  Chiamato  di  nuovo,  si 
Anni  di  R..- alzò  in  mezzo  alle  ingiurie,  fu  incatenato,  tratto  in  pri- 
G.V l'i'/"  gione,  condannato  e  ucciso.  La  turba  poco  fa  plaudente 
e  adorante  (")  gridava  e  imprecava,  e  spezzava  e  fondeva 
le  statue  dell'uomo  caduto  (^),  con  ogni  sorta  di  insulti 
e  di  strazii  al  cadavere  C),  trascinato  per  le  vie,  e  dopo 
tre  giorni  gettato  alle  Gemonie  e  al  Tevere.  Inseguiti 
e  trucidati  per  le  strade  gli  amici  più  noti,  che  caddero 
in  mano  alla  folla.  Nel  tumulto  alcune  contrade  della 
città  andarono  a  fuoco  e  a  sacco  per  opera  dei  preto- 
riani gelosi  delle  guardie  notturne.  Il  senato  poco  fa 
adulatore  vilissimo  del  potente  ministro  ora  ordinò  di 
celebrare  con  giuochi  e  feste  solenni  il  giorno  della  sua 
uccisione:  e,  come  se  la  tirannide  fosse  spenta  con  lui, 
decretò  F  inalzamento  di  una  statua  nel  Fòro  a  gloria 
della  Libertà  riacquistata  per  virtù  di  Tiberio  cui  offri- 
rono il  nome  di  Padre  della  Patria  con  una  festa  nel 
suo  di  natalizio  e  con  altri  onori  ch'ei  rifiutò.  Anche  al- 
trove  furono  posti    monumenti    alla   Libertà  Pubblica  e 

(")         Turba  Remi  iequitu)'  forlimam,  ut  seviper,  et  odif 
Damnatos.  Idem  populus,  si  Nurtia   Tusco 
Favisset,  si  oppressa  foret  secura  senectus 
Principis,  hac  ipsa  Seianum  diceret  hora 
ÀTgcstniii. 

Giovenale,  Sat.,  X,  73-77. 

('■'i         lam  stridunt  ir/ncs,  iam  foUibus  atque  caminis 
Ardet  adoratum  populo  caput,  et  crepat  ingens 
Seianus  ;  deinde  ex  facie  toto  orbe  sectmda 
Fin.nt  iirceoli,  pelves,  .sarini/n.  palellac. 


Seianus  ducitur  unco 

Spcclandus.  daudent  omncs. 

Giovenale,  loc.  cit.,  61  e  segg. 
(*)  Populus  ili  frusta  dioìslt  :  in  i/uem  i/uidquid  congeri  poterai,  Dii 
huììiinesque  contulerant ,  ej;  cu  nihil  superfuit  quod  carni fex  traheret. 
Seneca,  Bc  iranquillit.  animi,  11. 


Gap.  IL]      UCCISI  ANCHE  GLI  AMICI  E  I  PARENTI  DI  LUL  305 

alla  Provvidenza  di  Tiberio  salvatore  da  quel  nemico 
perniciosissimo  ("). 

Ma  caduto  il  malvagio  ministro,  non  vi  fu  migliora- 
mento di  sorte,  e  tornarono  vane  le  speranze  di  quelli 
che  recavano  a  Seiano  la  cagione  di  ogni  male.  Continuò 
il  crudele  governo,  e  Tiberio  imperversò  piti  che  mai  nel 
furore  dei  supplizi  ',  ai  quali  fu  causa  nuova  l'amicizia 
mostrata  al  ministro,  come  peri' avanti  era  stato  delitto 
di  morte  il  non  essergli  amico. 

Al  sangue  infame  di  lui  andò  mescolato  anche  il  san- 
gue innocente  dei  figli,  fra  cui  fu  uccisa  pure  una  fan- 
ciulletta  sì  semplice,  che  domandava  per  qual  colpa  e 
dove  la  traessero,  e  prometteva  che  noi  farebbe  più,  e 
pregava  che  la  punissero  di  sferza,  come  si  fa  coi  fan- 
ciulli. E  come  per  uso  antico  la  verginità  difendeva  dalla 
condanna  capitale,^  il  carnefice  violò  la  fanciulla  prima 
di  ucciderla.  La  moglie  di  Seiano,  già  ripudiata  da  lui, 
non  volle  sopravvivere  ai  figli,  e  si  uccise  dopo  avere 
svelato  gli  avvelenatori  di  Druso:  e  allora  anche  Livilla 
fu  fatta  morire  di  fame,  e  Scipioni,  e  Cassii  e  Silani 
dettero  in  senato  atroci  sentenze  contro  la  memoria 
di  lei  K 

Nella  implacabile  persecuzione  contro  tutti  quelli  che 
avessero  avuto  favori  dall'uomo  caduto  furono  avvolti  an- 
che i  magistrati  non  pronti  ad  opprimerli  ^.  Alcuni  degli 
accusati  scamparono  mettendosi  tra  i  delatori  '*:  e  chi  più 


(")  Dione  Cassio.  LVIII,  10-12.  A  Terni  fu  trovata  questa  iscrizione: 
Saluti  perpetuae  Augustae  Libertatique  Publicae  populi  romani  Provi- 
dentiae  Tib.  Caesaris  Augusti,  nati  ad  acternitatem  romani  nomini.s, 
sublato  hoste  perniciosissimo  P.  R.OveWì,  Inscript.,  089.  Conf.  Marini, 
Arcai,  I,  43. 

>  Svetonio,  Tib.,  61. 

8  Tacito,  Ann.,  V,  9,  VI,  2;  Dione  Cassio,  LVIII,  II. 

3  Tacito,  Ann.,  V,  11. 

4  Tacito,  Ann.,  VI,  7. 


306  IMMENSO  MACELLO  DI  UOMINI.  [Lib.  VII. 

vergognosamente  era  stato  strumento  alle  ribalderie  di 
Seiano,  ora  più  si  alTannava  a  cercar  salute  col  perse- 
guitarne l'aborrita  memoria.  Tra  tanti  vili  furfanti  uno 
solo  accusato  di  quella  amicizia  ebbe  cuore  di  vantarsene 
apertamente,  e  ricordò  ai  senatori  le  loro  adulazioni  per 
sedici  anni  alle  spie,  ai  liberti,  e  anche  ai  portinai  del 
ministro,  e  concluse  che  dei  suoi  buoni  ufficii  a  Seiano 
egli  si  teneva  reo  quanto  Tiberio,  che  per  tanto  tempo 
lo  aveva  amato  e  onorato  *.  Molti  furono  uccisi,  rei  e 
innocenti:  altri  si  uccisero  di  propria  mano  2.  Poi  in 
un  giorno  furono  trucidati  tutti  gli  accusati  di  cui  le 
prigioni  erano  piene.  Fu  immenso  macello  di  ogni  sesso, 
età,  e  condizione,  sparsi  0  ammassati,  con  divieto  ai 
parenti  ed  amici  di  piangerli,  e  di  raccoglierne  i  corpi. 
Le  guardie  poste  a  notare  il  dolore  di  ognuno  seguivano 
i  fetidi  cadaveri  trascinati  nel  Tevere,  ove  galleggianti 
0  gettati  a  riva  ninno  si  attentava  di  arderli,  né  di 
toccarli  3. 

E  il  mostro  più  beveva  sangue  e  più  ne  chiedeva, 
eccitato  ora  da  Macrone  che,  entrato  in  luogo  di  Seiano, 
esercitava  più  copertamente  le  medesime  arti,  e  col  suo 
odio  fu  micidiale  a  parecchi  ^.  Le  lettere  di  Capri  porta- 
vano ([uasi  sempre  sentenze  di  morte  0  di  bando  anche 
agli  amici  del  tiranno,  irretiti  nelle  scelleratezze  con  cui 
avevano  perduto  altri 2.  Sacrificò  i  delatori  vecchi  quando 
ne  era  sazio,  e  si  affidò  ad  altri  più  infami  ^•,  accusò  di 
turpitudini,  e  uccise  per  toghere  ai  mortila  roba^:  uc- 
cise le   madri  per   aver  pianto  i  figliuoli  *.    Fu    delitto 


i  Tacita,  Ann.^  VI,  S. 

«  Tacito,  Ann.^  V,  0  e  7,  VI,  14. 

3  Tacito,  Ann.^  VI,  VJ. 

*  Tacito,  Ann.^  VI,  29,  4S;  Dione  Cassio,  I.VIII,  21  e  27. 

5  Tacito,  Ann.,  VI,  10. 

«  Tacito,  Ann.,  IV,  71,  VI,  :ìù,  3S,  18;  Dione  Cassio,  I.VIII,  21. 

~  Tacito,  Ann.,  VI,   19. 

«  Tacilo,  Aìtn.,  VI,  10. 


Gap.  II.]  ALLA  BELVA  DI  CAPRI  CRESCE  LA  SETE  DEL  SANGUE.  307 

l'avere  avi,  stati  amici  a  Pompeo  Magno  *:  né  solo  il 
far  versi  satirici,  ma  il  dir  male  di  Agamennone  in  una 
tragedia  fu  delitto  da  strangolazione  e  da  rupe  Tarpeia: 
e  le  morti  si  davano  lente  ai  più  odiati  ^.  Molti,  uomini 
e  donne,  si  uccisero  da  sé  stessi  di  veleno,  di  ferro,  di 
fame  per  fuggire  le  pene  degli  strangolati  dal  carnefice, 
ai  quali  negavasi  la  sepoltura  e  si  confiscavano  i  beni 
con  rovina  dei  figli  ^.  La  morte  naturale  di  un  uomo 
chiaro  apparve  allora  una  rarità,  degna  di  esser  notata 
come  fenomeno  (").  Fra  i  tanti  che  spensero  volontaria- 
mente sé  stessi  fu  anche  il  giureconsulto  Cocceio  Nerva, 
intrinseco  e  commensale  di  Tiberio,  le  cui  preghiere  non 
valsero  a  distorglierlo  dal  fiero  proposito  di  finire  per 
fame.  Preso  da  tedio  della  vita  fra  i  tanti  orrori  che  aveva 
dattorno  volle  salvarsi  dal  veder  peggio  *.  Il  cavaliere 
Vibuleno  A  grippa,  accusato,,  si  avvelenò  pubblicamente 
in  mezzo  alla  Curia:  ma  anche  così  morente  fu  tratto  in 
carcere  e  finito  dal  carnefice,  perché  i  suoi  beni  non  fug- 
gissero ai  delatori  e  al  fisco.  Ad  altri  intervennero  i  me- 
desimi casi  ^. 

Lo  spettacolo  continuo  di  tante  crudeltà  bandi  ogni 
compassione  dagli  animi,  e  in  quel  terrore  universale  si 
sciolsero  tutti  i  vincoli  del  consorzio  umano  ^.  Ai  tempi 
delle  proscrizioni  di  Siila,  di  Mario  e  dei  triumviri,  vi 
furono  cittadini  salvati  con  proprio  pericolo  da  parenti, 
da  donne,  da  servi.  Ora  non  apparisce  quasi  segno  di 
devozione,  nò  di  umana  pietà:  alcune  donne  si  uccidono 
per  non  sopravvivere  ai  mariti  spenti,  ma   non  «si  vede 

(")  Per  idem  tempus ,  L.   Piso  2'>oìiiifex,  rarnm  in  tanta  claritudine, 
•fato  ubiit.  Tacito,  Anìi.,  VI,   10. 

»  Tacito,  Ann.,  VI,  IS. 

2  Tacito,  A«M.,  VI,  29,  39;  Svetonio,  Tib.,  01;  Dione  Cassio,  LVII,  20,  LVIII,  3  e  21. 

3  Tacito,  Ann.,  VI,  14,  18,  29,  3S,  39,  10,  ecc. 

4  Tacito,  Ann.,  VI,  2o;   Dione,  LVIII,  21. 

r.  Svetonio,  Tih.,  01;  Tacito,  Ann.,  VI,  40;  Dione,  LVIII,  21. 
6  Tacito,  Ann.,  VI,  19. 


308  OGNI  VLXCOLO  UMANO  ROTTO  DALLA  PAURA.  [Lib.  VII. 

per  umana  virtù  salvato  alcuno  dei  colpiti  dalla  tirannide. 
L'accusato  non  solamente  non  trova  difensori,  ma  come 
colto  da  pestilenza  è  fuggito  da  amici  e  congiunti,  i  quali 
studiosi  di  loro  salvezza  aggravano  anche  le  accuse,  e 
si  precipitano  ad  adulare  vilmente  i  carnefici.  Al  passare 
di  un  condannato  imprecante  ai  tiranni  rimangono  de- 
serte piazze  e  vie:  fuggono  tutti,  scansano  incontri  e 
discorsi  di  conoscenti,  poi  tornano  indietro  a  farsi  ve- 
dere, temendo  di  esser  notati  e  accusati  per  avere  avuto 
paura  *.  Non  rimaneva  neppure  il  sentimento  volgare, 
che  muove  l'uomo  a  spegnere  il  fuoco  vicino,  perchè  non 
si  apprenda  alla  sua  casa.  Ninno  pensava  a  difendere 
gli  altri,  e  non  era  difeso  al  bisogno.  Quindi  nel  pericolo 
tutti  si  trovavano  soli,  senza  nascondiglio,  senza  riparo 
dalle  spie,  dal  tradimento,  dall'universale  paura,  denun- 
ziati da  congiunti  ed  estranei,  da  amici  ed  ignoti  2.  Vano 
il  tentar  la  fuga,  perchè  in  quella  vastità  dell'Impero  era 
difficilissimo  raggiungere  un  luogo  di  scampo.  È  ricordato 
solamente  un  Rubrio  Fabato  che,  disperando  delle  cose 
romane,  ebbe  il  pensiero  di  rifuggire  alla  misericordia 
dei  Parti.  Fu  ripreso  allo  Stretto  di  Sicilia,  e  ricondotto 
a  Roma,  e  messo  sotto  custodia,  e  più  per  oblio  che  per 
clemenza  scampò  ^. 

A  chi  considera  questo  scempio  crudele  dell'umanità, 
fatto  per  volere  di  un  brutal  vecchio,  se  fa  supremo 
orrore  Tiberio,  non  desta  meno  disgusto  la  vile  pazienza 
dei  llagellati,  i  quali,  pronti  a  darsi  la  morte  per  fuggire 
il  camelee,  non  sanno  unirsi  per  resistere  al  sanguinario 
dispotismo,  di  cui  sono  principal  forza  il  terrore  di  tutti, 
e  il  niun  vincolo  dell'uomo  all'altro  uomo.  Una  rivoluzione 
non  poteva  essere  allora  schiacciata  dagli  eserciti,  il  cui  ' 
principal  nerbo  stanziava  ai  lontani  confini.  Le  forze  di 

1  Tacito,  Ann.,  IV,  r,o,  70. 

2  Tacito,  Ann.,  VI,  7;  Champagny,  Les  Càsdrs,  I,  2C.S. 

3  Tacito,  Ann.,  VI,  11. 


Gap.  IL]  TREMANTI  I  SOGGETTI,  E  TREMANTE  IL  TIRANNO.     309 

Roma  potevano  non  diffìcilmente  voltarsi,  come  si  vide 
in  più  casi,  ed  erano  piccola  cosa  poste  a  confronto  coi 
presidii  dGlle  grandi  città  moderne,  in  cui  pure  il  popolo 
schiacciò  anche  i  grandi  eserciti,  quando  sorse  concorde 
nella  sua  ira  tremenda.  E  bene  lo  sapeva  il  dispotismo 
romano:  e  perciò,  mentre  tremavano  tutti,  tremava  nel 
suo  covile  anche  la  belva,  causa  dell'universale  terrore. 
La  paura  aveva  cacciato  Tiberio  di  Roma:  ma  anche 
nella  tana  di  Capri  non  viveva  tranquillo,  sebbene  cinto 
dal  mare,  e  assicurato  dai  difficili  accessi.  Dopo  la  morte 
di  Sciano  si  tenne  rinchiuso  per  nove  mesi  nella  villa 
(li  Giove  *  :  e  dopo  avere  uccisi  o  banditi  astrologi  e 
maghi  stranieri,  e  vietato  ai  cittadini  di  esercitare  quelle 
arti,  stava  con  un  gregge  di  indovini  -,  tra  cui  principale 
di  tutti  Trasillo  già  cimentato  a  Rodi  con  terribili  prove. 
Era  cupido  e  pauroso  di  loro  predizioni,  come  delle  ri- 
sposte degli  aruspici,  ed  avrebbe  distrutto  gii  oracoli 
prossimi  a  Roma,  se  non  lo  tratteneva  superstizioso  ti- 
more 3,  Quando  venne  in  Campania,  e  si  avvicinò  a  Roma 
per  ordinare  più  da  vicino  le  stragi,  e  vedere  quasi  coi 
suoi  occhi  grondare  il  sangue  per  le  case  e  dalle  mani 
dei  carnefici,  tornò  indietro  nel  trovare  divorato  dalle 
formiche  un  serpente  che  a  suo  diletto  nutriva  di  propria 
mano.  Prese  quel  fatto  come  una  ammonizione  a  guar- 
darsi dalla  furia  della  moltitudine  ''.  Sebbene  i  monumenti 
parlino  più  volte  della  felicità  di  Tiberio,  significata  dal 
caduceo  ricorrente  sulle  medaglie,  e  dal  simulacro  alla 
Felicità  posto  a  Fondi  dove  altri  lo  crederono  nato:  seb- 
bene i  decurioni  Fiorentini  ogni  anno  celebrino  con  sa- 
crifizi e  conviti  il  di  natahzio  di  lui  felicissimo  pontefice 


'  Svetonio,  Tib.^  65. 

2  Giovenale,  Sat.^  X,  93-01;  Dione,  LVII,  15. 

3  Tacito,  VI,  20  e  21-,  Svetonio,  Tib.,  U,  62-63,  Aitg..  9S;   Dione,  LV,  IL  LVIII,  27 
Ciiovenale,  VI,  575. 

*  Tacito,  Ann..  VI,  1,  30;  Dione,  LVIII,  21;  Svetonio,  72. 
Vannocci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  Si) 


310  NUOVI  TORMENTI  E  NUOVI  TORMENTATI.       [Lib.  VII. 

massimo,  e  altri  lo  chiamino  ottimo  prìncipe  *,  la  sua 
turpe  e  crudele  anima  è,  come  vuole  giustizia,  in  continui 
tormenti.  Anche  fra  gli  scogli  di  Capri  le  grida  delle 
vittime  risuonanti  nelle  vie  deserte  di  Roma,  turbano 
le  libidini  e  i  sonni  al  tiranno,  cui  sono  rivolte  in  sup- 
plizio le  scellerate  vergogne.  Un  giorno  scrive  al  senato, 
che  non  sa  più  che  dire  e  che  fare,  giura  agli  Dei  che 
si  sente  perire,  ha  paura  dei  tuoni,  e  nei  recessi  non 
trova  scampo  ai  tormenti  che  gli  straziano  l'anima  -.  Una 
turba  di  spettri,  un  popolo  di  vittime  grondanti  sangue 
gli  passa  dinanzi  allo  sguardo  atterrito,  e  lo  accompagna 
alle  mense,  a  letto,  ai  diporti.  Tiberio,  che  vinse  tutti  i 
nemici,  è  vinto  dalla  propria  coscienza,  dilaniato  dalla  sua 
crudeltà. 

Pure,  finché  gli  bastò  la  vita,  rimase  fermo  a  condan- 
nare, a  uccidere,  a  mutare  le  pene  delle  leggi  in  assas- 
sinio. Tra  i  nobili  che  Augusto  avea  indicati  come  pos- 
sibili competitori  all'Impero  C.  Asinio  Gallo  morì  di  fame 
dopo  lungo  e  miserissimo  carcere:  e  L.  Arrunzio,  uomo 
di  integra  vita,  si  uccise  di  propria  mano  per  fuggire 
maggiori  tlagelli  '^.  Non  passò  giorno  senza  supplizi!.  In- 
ventò nuovi  tormenti  contro  i'suoi  grammatici,  contro 
gli  invitati  a  sua  mensa,  contro  i  più  intimi,  e  uccise 
tutti,  non  mitigato  mai  per  tempo,  per  preghiere  o  per 
sazietà.  Di  venti  de'  suoi  antichi  amici,  scelti  a  consi- 
glieri pei  casi  di  Stato,  diciassette  o  diciotto  furono  uc- 
cisi. Molti  altri  già  destinati  al  supplizio  rimasero  salvi 
per  la  morte  inaspettata  del  tiranno,  e  per  l'industria 
dell'astrologo  Trasillo  il  quale  col  predirgli  ancora  dieci 
anni  di  vita  lo  persuase  a  rimettere  quelle  uccisioni  a 
tempo   più   comodo.   Spense   molti   parenti  con   orribile 


»  Svetonio,  Tih..  5;   Borghesi,  Decad.  Numisni.^  XIV,  7;  Cavedoni,  Medaglie  iinpe- 
riati,  in  Annal.  Istit..  IS51,  p.  2i'T;  Ordii,  loscripl.,  Gs6,  e  Ilenzen,  T'^w;!. 
2  Tacito,  Ann.,  VI,  C;  Svetonio,  TU..  67,  C»;  Plinio,  XV,  .W. 
:■■  Tacito,  Ann.,  I,  13,  VI,  23,  48,  p  XI,  36;  Dione,  LVIII,  3  e  27. 


4 


Cap.  II.] 


LE  TURPITUDINI  ESTREME. 


311 


strazio,   e  chiamava  Priamo   felice,   per   essere  rimasto 
superstite  a  tutti  i  suoi  *. 

Sono  note  le  infami  libidini  del  mostro,  che  di  mezzo 
alle  brutture  senza  nome  mandava  a  Roma  sentenze  di 
morte  e  di  esilio  contro   agli  adulteri   e   alle   meretrici 


'  / 


éÌjim^L 


Tiijerio  in  <Hi\.  av^mzata  (Mcseo  Capitolino,  Rirjh.,  \,  31). 


Quelle  turpitudini,  da  cui  rifuggono  la  penna  e  il  pen- 
siero, furono  toccate  gravemente  da  Tacito,  e  le  narrò 
minutamente  Svetonio,  raccoglitore  attento  di  ogni  più 


Tacito,  Ann.,  VI,  38;  Svetonio,  Tih.,  55,  'J\,  60,  02;  Dione  Cassio,  LVIIt,  22,  2"  e  27 


312  TRISTA  E  QUASI  CONTINUA  MONOTONIA  DELLA  STORIA.  [Lib.  VII 

sconcia  cosa  ('').  Continuò  in  esse  anche  quando  le  donne 
inorridite  lo  respingevano  con  pericolo  di  morte:  e  anche 
quando  l'età  gli  aveva  fiaccate  le  forze,  e  fatta  curva  e 
gracilissima  l'alta  persona,  e  calva  la  testa,  e  irsuta, 
fetida,  ulcerosa  e  piena  di  empiastri  la  faccia  ^  11  se- 
colo era  profondamente  corrotto:  pure  quelle  infande  lai- 
dezze fecero  orrore,  e  furono  assalite  con  allusioni  in 
teatro,  e  per  lettera  gliele  rinfacciava  dall'Asia  il  re  Ar- 
tabano,  esortandolo  anche  ad  uccidersi,  per  fuggire  al- 
l'odio universale  meritato  colle  sue  crudeltà  -. 

Questa  uniformità  di  scellerate  brutture,  che  empiono 
di  insopportabil  tedio  la  storia,  è  appena  interrotta  da 
qualche  astuzia  nel  governo  delle  cose  esteriori;  dalle 
notizie  del  re  Artabano  cacciato  nuovamente  di  Armenia, 
e  costretto  a  fuggire  ai  confini  di  Scizia  col  muovergli 
contro  i  barbari  d'Asia,  col  destargli  congiure  in  casa, 
e  i  Parti  richiamati  al  rispetto  di  Roma,  col  far  mostra 
delle  potenti  legioni  condotte  sull'Eufrate  da  Lucio  Vi- 
teirLo(700)3;  dagli  annunzii  della  conquista  della  Mesia, 
e  di  nuove  regioni  della  Giudea  unite  all'Impero^;  e  da 
qualche  atto  di  munificenza  a  sollievo  delle  miserie  di 
Roma.  Come  Tiberio  altre  volte  aveva  riparato  con  doni 
ìiuo-alle  pubbliche  calamità,  anche  negli  ultimi  tempi  di  sua 
ir;  '  vita  soccorse  con  cento  milioni  di  sesterzi  (lire  10,483,501 
e  25  cent.)  ai  danni  recati  da  un  incendio  sull'Aventino 
e  nelle  vicinanze  del  Circo  ^.  Provvide  anche  al  nuovo 
infierire  delle  usure  ;  e  per  impedire  i  fallimenti  e  le  ro- 


{")  Tacito,  Ann.,  VI,  1:  Svetonio,  Tib..  43.  Pure  Svetonio  stesso  (44) 
aggiunge:  Maiore  adhuc  et  turpiore  infamia  pagravit,  vix  ut  ì^e ferri 
audirive  possit,  nedian  credi  fas  .sit. 

>  Svetonio,  Tib..  45  e  fiS;  Tacito,  Amì.,  IV,  57,  VI,   IO. 

2  Svetonio,  Tib..  CO. 

3  Tacito,  A'im...  VI,  .'«l  e  sepTg.  ;  Giuseppe  Flavio,  XVIII,  6,  2. 

4  Appiano,  Illyr..  30;  Giuseppe  Flavio,  Ant.  Giud..  XVIII,  6,   l.  Cunf.  Dione,  LV,  27. 

5  Tacito,  Ann..  VI,  ir>;  Dione  Cassio,  LVIII,  26;  Svetonio,  48. 


I 


Gap.  IL]       TIBERIO  LIBERALE  DELLA  PECUNIA  RAPITA.  313 

vine  minacciate  dagli  interessi  smodatamente  cresciuti 
stabili  il  credito  grahiito,  come  dicono  oggi,  per  mezzo  di 
un  fondo  di  400  milioni  di  sesterzi,  sul  quale  lo  Stato  pre- 
stava ai  particolari  senza  interesse  per  tre  anni,  purché 
dessero  cauzione  doppia  della  somma  imprestata  *.  Ma 
erano  liberalità  di  chi  dona  l'altrui.  Egli  dava  ad  alcuni 
ciò  che  colle  confiscazioni  aveva  rapito  ai  cittadini  e  ai 
sudditi:  perocché,  oltre  alle  rapine  sui  condannati  della 
città,  spinti  spesso  alla  morte  per  avidità  di  loro  fortune, 
inventò  delitti  per  confiscare  i  patrimoni  ai  più  ricchi  di 
Spagna,  di  Gallia,  di  Grecia  e  di  Siria,  ad  alcuni  dei 
quali  fu  sola  colpa  Favere  una  parte  dei  beni  in  denaro: 
e  Vonone,  re  dei  Parti,  cacciato  dai  suoi  e  riparatosi  alla 
fede  romana,  era  stato  ucciso  per  amore  dei  suoi  grossi 
tesori-.  E  così  coli' andar  del  tempo  il  tristo  vecchio  di 
Capri  perdeva  anche  la  non  grande  virtìi  dell'astinenza 
dalla  roba  altrui,  della  quale  era  stato  lodato  dapprima  '\ 
Da  ultimo  egli  era  venuto  in  Campania:  e  comecché 
si  sentisse  infiacchito  e  cadente,  banchettava  al  sohto, 
non  rimetteva  nulla  di  sue  voluttà,  affettava  fermezza 
nel  patire,  e  si  burlava,  come  sempre  aveva  fatto,  dei 
medici  e  di  coloro  che,  passati  i  trent'anni,  abbisognas- 
sero dell'  altrui  senno  per  governar  la  propria  salute. 
Aveva  con  sé  Macrone  e  Caio  Cesare,  soprannominato 
Caligola,  i  quali  più  che  d'ogni  altra  cosa  si  davano  pen- 
siero del  successore  all'Impero.  Ci  aveva  pensato  anche 
Tiberio,  alla  cui  scelta  in  famiglia  si  offrivano  Tiberio 
(ìemello,  nato  di  Druso  suo  figlio,  il  nipote  Claudio,  e 
Caligola,  indegno  figlio  del  prode  e  virtuoso  Germanico. 
Gemello  era  ancora  fanciullo,  e  non  amato  da  lui  per 
causa  di  sua  madre  Livilla  adultera  di  Seiano  e  avvele- 
natrice  del  marito:  Claudio  aveva  scema  la  mente:  e  a 


1  Tacito,  Ann.^  VI,  Kì  e  17;  Svetonio,   18;  Dione  Cassio,  LVIII,  21. 
-  Tacito,  Ann.,  VI,  1!);  Svetonio,  Tib..   W;  Dione,  LVIII,  22. 
3  Tacito,  Ann.,  I,  75,  III,  IS,  IV,  2H. 


314 


QUESTIONE  DEL  SUCCESSORE  ALL'IMPERO.      [Lib.  VH. 


Caligola  quantunque  educato  alla  sua  scuola  di  Capri  vo- 
leva male,  perchè  amato  dal  popolo,  e  lo  chiamava  ser- 
pente ed  allevato  a  rovina  del  mondo,  e,  al  dire  di  Filone, 
pensò  più  volte  di  spegnerlo  *.  Perciò  Tacito  afferma, 
che   incerto   d'animo   e  incapace  a  risolversi,  lasciò  la 


Tiljerio  e  C'aliiola  iiloalizzati 


;XII,  4). 


•deliberazione  al  destino,  nel  quale  credeva  soprattutto  :  e, 
al  dire  di  Dione,  era  solito  ripetere  spesso  l'antico  verso: 
morto  io,  bruci  il  mondo  (").  Pure  sappiamo  da  altra  parte 
che  nel  testamento  lasciò  eredi  e  colleghi  Gemello  e 
Caligola,  quantunque  prevedesse  e  dicesse  che  quello  sa- 


C^)  Dione,  LVIII,  2'.i.  —  Illa  vox  inhumana  et  scelerata  ducitur  eorwn, 
fjui  negant  se  recuscu-e ,  quo  minus  ipsis  mortiiis  ierrarum  oììinium 
depagratio  conserpiatrtr ,  quod  vulgari  quodani  versu  graeco  pronun- 
tiari  solet.  Cicerone,  De  Finib.,  Ili,  19.  Vedi  anche  Seneca,  De  Clem., 
II,  2;  Svetonio,  Ner.,  38:  Claudiano,  In  Rufin..  II,  19-20. 


1  Tacilo,  Aìin.,  VI,  IO;  Svetonio,   Tib..  02,  e  Calig.^ 
Dione,  LVIII,  23. 


uno,  Legazione  a  Caio  ; 


I 


Cap.  II.j  MALATTIA  DI  TIBERIO.  315 

rebbe  ucciso  da  questo  *.  Caligola  nella  distruzione  della 
sua  casa  si  era  salvato  coprendo  il  feroce  animo  con  fìnta 
modestia,  né  fiatò  mai  per  la  uccisione  della  madre  e  dei 
fratelli,  e  tristo  ipocrita  alla  corte  del  despota  secondava 
Tiberio  si  bene,  che  meritò  allora  il  nome  del  migliore 
dei  servi,  come  poscia  del  peggiore  dei  padroni.  Di  più  lo 
proteggeva  Macrone  potente  appresso  a  Tiberio,  e  cupido 
di  conservare  la  sua  potenza  col  giovane  sostenuto  e  inal- 
zato colle  sue  arti;  e  a  questo  fine  gli  messe  attorno 
anche  la  propria  moglie  Ennia  Nevia  a  innamorarlo  e 
a  legarlo.  Tiberio,  vedendo  gli  accordi  e  le  trame  dei 
due,  rimproverò  Macrone  di  abbandonare  il  sole  al  tra- 
monto per  volgersi  al  sole  nascente,  ed  ebbe  di'  nuovo- 
il  pensiero  di  uccider  Caligola,  ma  gli  mancò  il  tempo, 
0,  secondo  altri,  lo  preferiva  volentieri  per  successore, 
affinchè  i  suoi  misfatti  fossero  oscurati  da  quelli  più  atroci 
di  lui  2. 

Comunque  sia,  Tiberio  cadde  malato  ad  Astura:  poi  si 
riebbe,  andò  a  Circei  e  prese  parte  ai  giuochi  dei  soldati. 
Pure  il  male  cresceva,  e  invano  tentò  di  nasconderlo. 
Avuta  notizia  che  il  senato  aveva  assolti  alcuni  accusati, 
lo  tenne  per  dispregio  fatto  a  se,  e  fermò  di  tornar  su- 
bito a  Capri,  per  colpire  di  là  più  sicuramente.  Ma  rite- 
nuto dal  male  e  dalla  tempesta  si  arrestò  al  capo  Miseno 
nella  villa  stata  già  di  LucuUo,  ed  ivi  finì  di  veleno  da- 
togli da  Caligola,  secondo  alcuni,  di  fame  secondo  altri, 
0  soffocato  tra  vestimenti  e  guanciali.  Seneca  scrisse,  che 
sentendosi  mancare  si  cavò  di  dito  l'anello,  come  per 
darlo  ad  altri,  poi  se  lo  rimesse  :  e  quindi  chiamati  i  ser- 
venti, né  avuta  risposta  da  alcuno,  si  alzò  e  cadde  non  Annidi ro- 
lungi  dal  letto  per  essergU  mancate  le  forze  ^.  g.V.'s;.  ' 


1  Svetonio,  Tib.^  76,  Cal.^  14;  Dione,  LIX,  I. 

2  Tacito,  Ann.,   VI,  20,    15,  15;   Svetonio,   Calig.,  10  e   12;  Dione  Cassio,    LVIII,  28; 
Filone,  Legazione  a  Caio. 

3  Svetonio,  TU.,  72,  73,   Cali'j.,  12;  Dione  Cassio.  LVIII,  2S. 


31G    E  SUA  MORTE  NELLA  VILLA  DI  LUCULLO  A  MISENO.  [Lib.  VIL 

Tacito  narra,  che  gli  stava  appresso  un  medico  insigne 
di  nome  Caricle,  non  uso  a  curarlo,  ma  a  dargli  consigli: 
il  quale,  facendo  sembiante  di  congedarsi  per  andare  a 
sue  faccende,  e  prendendogli  la  mano  come  per  baciarla 
in  segno  di  ossequio,  gli  tastò  i  polsi.  Tiberio  se  ne 
accorse,  e,  più  premendo  sua  ira  se  fu  offeso,  fece  im- 
bandire di  nuovo  le  mense  e  vi  stette  più  del  solito, 
come  per  fare  onore  all'amico  che  partiva.  Pure  Caricle 
affermò  a  Macrone  che  si  spegneva  la  vita,  e  che  non 
andrebbe  avanti  più  di  due  giorni.  Quindi  disponevasi 
in  fretta  ogni  cosa  a  corte,  e  si  mandavano  messaggi 
agli  eserciti.  Ai  sedici  marzo  ebbe  una  mancanza,  e  lo 
credettero  morto:  e  già  Caligola  in  mezzo  a  turba  di 
gratulanti  usciva  a  prendere  i  primi  ufficii  dell'Impero, 
quando  viene  nuova  che  torna  a  Tiberio  la  favella  e  la 
vista,  e  che  chiede  cibo  per  ristorarsi.  Allora  impauri- 
scono tutti,  si  disperdono,  si  fìngono  mesti  o  ignoranti 
del  fatto.  Caligola  ammutoUto,  attonito,  dalle  più  alte 
speranze  cade  ai  timori  estremi.  Ma  Macrone  intrepido 
fa  affogare  il  vecchio  nei  panni,  e  ordina  a  tutti  di 
allontanarsi.  Cosi  lini  Tiberio  nel  suo  settantottesimo 
anno  dopo  avere  in  23  anni  di  regno  tolto  affatto  la 
maschera  repubblicana  al  dispotismo  dei  Cesari.  Uomo, 
conclude  il  medesimo  storico,  di  egregia  vita  e  fama, 
finche  fu  privato  o  nei  comandi  sotto  Augusto  :  coperto, 
e  astuto  in  finger  virtù,  finche  sopravvissero  Germanico 
e  Druse:  misto  di  bene  e  di  male,  finche  visse  la  madre: 
esecrabile  di  crudeltà  ma  nascosamente  libidinoso,  finché 
amò  o  temè  Sciano  :  da  ultimo  rotto  ad  ogni  scelleratezza 
ed  infamia  quando,  rim.ossa  ogni  vergogna  e  paura,  si 
abbandonò  tutto  al  suo  genio  *. 

Giunta  a  Roma  la  sospirata  novella,  dapprima  esita- 
rono a  crederla,   e    massime    a   rallegrarsene,   temendo 

1  Tacito,  Anu.,  VI,  50.  jl. 


Gap.  ll.l     GIOIA  PEL  MORTO,  E  FESTE  PEL  SUCCESSORE.  317 


che  fosse  un'insidia  di  spie.  Cessati  i  dubbii,  la  gioia 
passò  tutti  i  modi;  e  quando  fu  portato  da  Miseno  a 
Roma  l'odiato  cadavere,  la  turba  gridava  che  si  gettasse 
alle  Gemonie  e  al  Tevere.  Pure  ebbe  gli  onori  funebri, 
e  Caligola  gli  recitò  l'orazione  piangendo,  quantunque 
avesse  già  fatto  annullare  dal  senato  la  parte  del  testa- 
mento, che  chiamava  a  parte  dell'eredità  il  figlio  di 
Druso  *. 

C.  Cesare  Caligola,  festeggiato  ardentemente  per  tutto 
il  viaggio  da  Miseno  a  Roma,  fu  proclamato  imperatore 
dal  senato  e  dal  popolo,  che  invase  in  folla  la  Curia. 
Fecero  festa  i  soldati,  cui  era  caro  perchè  nato  tra  essi 
nei  campi,  e  soprannominato  Caligola  dai  loro  calzari 
(caligae)  che  portò  da  fanciullo  '^.  Tutti  erano  lieti  di  ve- 
dere alla  fine  in  trono  un  figliuolo  di  Germanico,  e  lo 
vezzeggiavano  coi  più  cari  nomi.  Ed  egli  per  risposta  alle 
liete  accoglienze  prometteva  di  dividere  l'impero  coi  se- 
natori, e  di  governarsi  coi  loro  consigli:  e  per  mostra  di 
civiltà  e  di  libertà  non  prese  alcun  titolo  di  imperatore. 

Prime  cure  di  lui  furono  i  pietosi  onori  alla  madre  e 
ai  fratelli  spenti  dalla  crudeltà  di  Tiberio,  del  quale  disse 
tutti  i  vituperii  che  poteva  maggiori:  e  sfidando  le  tem- 
peste andò  da  sé  stesso  alle  isole,  infami  per  la  morte 
di  Agrippina  e  di  Nerone,  ne  raccolse  reverentemente 
le  ceneri,  le  depose  con  solenne  pompa  nel  mausoleo  di 
Augusto  e  istituì  per  essi  pubbliche  esequie  annuali:  e 
per  la  madre  ordinò  giuochi  Circensi,  e  carro  da  portarne 
il  simulacro  nella  processione  solenne,  ne  ravvivò  l'ima- 
gine  su  medaglie  d'oro  e  di  bronzo  nuovamente  battute 
a  onore  di  lei  {").  All'avola  Antonia  détte  tutti  gli  onori 


.(")   Svetouio,   Caiiij..    15;   Dione,    LIX,   'i-,   Cohen.   Mcdailles    frappe- 
wì(S  VEmp.  Rom.,  I,  pi.  8;  Mougez,  Icon.  Rom.,  pi.  XXIV,  n.  5  e  7. 

1  Svetonio,  Tib.^  75-76,  Co.lig.,  13-15;  Dione,  LIX,  1,  3  e  4, 

2  Tacito,  Ann.j  I,  41.  Couf.  Svetonio,  Calig.s  S. 

Yanmcci  —  Storia  dell'  Italia  aritica  —  IV.  40 


318  LIBERALE  GOVERNO  DI  CALIGOLA  NEI  PRIMI  MESI.  [Lib.  VH. 

delle  Vestali,  e  la  fece  Augusta  e  sacerdotessa  d'Augusto, 
del  quale  compi  e  dedicò  con  festa  solennissima  il  tem- 
pio che  Tiberio  avea  lasciato  incompiuto.  Poi  liberò  tutti 
di  prigioni  e  banditi,  dette  amnistia  generale,  disse  di 
aver  fatti  bruciare  i  documenti  delle  passate  tristizie  per 
levare  ogni  occasione  alle  vendette,  tolse  via  la  legge 
di  maestà,  non  volle  più  sentire  di  delazioni,  e  a  chi  gli 
denunziava  una  congiura  contro  alla  sua  vita  rispose  di 
non  temer  nulla,  perchè  non  aveva  fatto  male  a  nessuno. 


Medaglia  battuta  da  Caligola  in  onore  di  Agrippina. 


Provvide  alla  più  pronta  giustizia  coli' accrescere  i  giu- 
dici: cercò  l'amore  del  popolo  col  far  prova  di  restituirgli 
i  comizi,  lasciò  piena  e  libera  autorità  ai  magistrati,  rese 
conto  pubblicamente  dell'amministrazione  dell'Impero, 
scemò  le  gravezze,  ordinò  soccorsi  ai  mali  pubblici,  fece 
doni  e  larghezze  ai  cittadini  e  ai  soldati.  Ristorò  anche 
la  libertà  del  pensiero,  e  permise  di  pubblicare  e  di  leg- 
gere le  opere  di  Labieno,  di  Cremuzio  Cordo  e  di  Cassio 
Severo,  già  bandite  e  bruciate,  dicendo  inportare  a  sua" 
gloria  che  la  verità  dei  fatti  andasse  agli  avvenire.  Poi 
pubbliche  feste  e  giuochi  solenni,  e  pugne  di  gladiatori, 
e  lotte  di  atleti  nel  Circo,  adornato  con  novello  spendere, 
e  cacce  di  fiere  alTricane,  e  notturne  rappresentazioni  tea- 
trali per  tutta  la  città  illuminata,  e  conviti  ai  senatori  e 
cavalieri,  e  doni  di  cibi  e  di  vesti  al  popolo.  Per  le  quali 


Gap.  II.]   SPETTACOLI,  FESTE  E  UNIVERSALI  ALLEGREZZE.         319 

cose  la  letizia  dei  cittadini  era  estrema:  e  il  senato  de- 
cretò di  celebrare  con  festa  religiosa  il  giorno  dell'eleva- 
zione di  Caligola,  come  l'èra  del  rinnovamento  di  Roma. 
All'amore  dei  cittadini  si  aggiunse  anche  il  favore  degli 
strani;  e  il  re  dei  Parti,  che  aveva  mostrato  tanto  odio 
e  dispregio  a  Tiberio,  chiese  amicizia  al  novello  impe- 
ratore, e  fece  onore  alle  imagini  dei  Cesari  e  alle  aquile 
romane  *, 

È  ricordato,  che  in  tre  mesi  furono  immolate  160,000 
vittime  per  la  conservazione  della  vita  dell'uomo  che 
faceva  felici  tutti.  A  oriente  e  ad  occidente,  scrive  Filone 
Giudeo  con  enfasi  asiatica,  era  universale  allegrezza: 
Roma,  l'Italia  e  le  province  godevano  festiva  pace  sotto 
gli  auspicii  di  così  benigno  Nume.  Tutto  pieno  di  festa, 
di  solennità,  di  vittime,  di  sacrificii,  di  tripudio,  di  gare, 
di  musica,  di  spettacoli,  di  conviti,  di  piaceri  di  ogni 
sorte.  «  Niuna  differenza  più  tra  ricchi  e  poveri,  tra  per- 
sone illustri  ed  umili,  tra  creditori  e  debitori,  pareg- 
giando il  tempo  i  diritti:  tanto  che  omai  trovava  fede  il 
secolo  di  Saturno,  descritto  nelle  favole  dai  poeti.  Tale 
era  l'ubertà  e  la  felicità  dell'annona:  tale  la  giovialità  e 
la  sicurezza,  di  che  tutte  le  famiglie  e  tutte  le  popola- 
zioni di  notte  e  di  giorno  furono  piene  pei  primi  sette 
mesi  dell'impero  di  lui.  Ma  nell'ottavo  gravissima  ma- 
lattia prese  Caio,  perchè  volle  la  frugale  e  salubre  ma- 
niera di  vivere....  cambiare  in  lusso  da  re.  Che  assai  di 
vino  e  d'altre  lautezze  si  pose  egli  a  consumare;  né  lo 
smisurato  appetito,  per  quanto  il  ventre  fosse  pieno,  sa- 
ziavasi.  Aggiungevansi  bagni  inopportuni  e  i  vomiti,  e 
il  ripetuto  bere,  e  i  piaceri  del  ventre,  e  di  ciò  che  sotto 
il  ventre  stassi,  e  il  mischiarsi  con  donne  e  fanciulli,  ed 
ogni  cosa  che  nocevole  all'animo,  o  al  corpo,  può  rom- 
pere d'entrambi  l'accordo:  poiché   della  temperanza  è 

»  Svetonio,  Calig.,  13-18;  Dione  Cassio,  LIX,  1-4  e  27;  Plinio,  XXXIII,  8  e  10. 


320  CALIGOLA  CAMBL\TO  L\  BESTIA  FEROCE.       [Lib-  VII. 

frutto  la  robustezza  e  la  sanità;  della  intemperanza  la 
malattia  e  la  infermità  vicinissima  alla  morte  »  *. 

La  nuova  della  malattia  empì  di  dolore  il  mondo  sì 
lieto  per  l'avanti:  tutti  divennero  malati  col  principe,  e 
vi  ebbe  anche  chi  votò  la  sua  vita  per  lui.  Poscia  scoppiò 
di  nuovo  un'allegrezza  infinita  alla  notizia  di  sua  guari- 
gione. Ma  fu  breve  festa.  Caligola  era  divenuto  un  altro 
uomo;  anzi  apparve  d'ora  in  poi  non  più  uomo,  ma  mo- 
stro sozzo  e  furibondo. 

Per  ispiegar  la  subita  mutazione,  fu  detto  che  il  male 
lo  fece  cadere  in  demenza,  alla  quale  del  resto  aveva 
mostrato  disposizione  anche  prima,  e  ne  dava  segni 
anche  col  brutto  pallore  del  volto  -.  Da  fanciullo  era  epi- 
lettico: più  tardi  pativa  d'insonnia,  e  lo  spaventavano 
fantasmi  notturni.  Tiberio  aveva  veduto  una  specie  d'in- 
sania nei  suoi  disuguali  costumi,  ed  egli  stesso  qualche 
volta  pensò  a  cercare  rimedio  alla  mente  turbata  ^.  È 
parlato  anche  di  filtri  amorosi,  che  gli  avrebbero  fatto 
scemo  il  cervello.  È  certo  che  fin  da  principio  dòtte  segni 
non  dubbi  di  animo  vile  e  corrotto.  A  Capri  fu  veduto 
dissimulatore  basso  e  servile,  e,  pei*  amore  della  vita, 
studioso  a  reprimere  ogni  senso  di  onore  e  d'affetto.  A 
Pioma  era  inteso  ad  orgie  segrete  e  lussurie,  mentre  da 
un  altro  lato  mostrava  la  sua  crudele  e  vituperosa  na- 
tura col  dilettarsi  di  vedere  i  tormenti  dei  condannati  ^. 
Giunto  agli  splendori  dell'impero,  parve  altro  uomo  da 
quello  che  era:  ma  liberato  da  ogni  timore  di  tiranni, 
divenne  più  abietto  servo  delle  sue  turpi  passioni,  si  ab- 
bandonò più  che  mai  agli  sconci  vizi  che  gli  ammala- 
vano l'animo  e  il  corpo:  e  ubriacato  dall'entusiasmo,  dalle 
smodate  adulazioni  di  Roma  e  del  mondo,  e  dalla  illimi- 


>  Filone,  Legazione  a  Caio,  irad.  da  G.  lìelloni,  Milanu  1S2S. 

2  Seneca,  De  Const.  Sap.^  18. 

3  Svetunio,  Calig.,  50,  51;  Tacito,  Ann.,  Xlll,  :!  ;  l-'iloiie,  Legazione  a  Caio. 
*  Tacito,  Ann.,  VI,  9  e  20,  XV,  72;  Svetonio,  Calig.,  11. 


Cap.  II.]  UCCISIONI  DI  PARENTI  ED  AMICI.  321 

tata  potenza,  senti  più  che  mai  girare  la  debole  testa,  si 
tenne  padrone  assoluto  di  tutto  e  di  tutti,  e  superiore 
a  ogni  legge,  mandò  sfide  anche  a  Giove  re  dell'OUmpo, 
fece  prove  di  tutte  le  più  atroci  foUie  del  governo  dispo- 
tico: e  d'ora  in  poi  le  più  delle  sue  opere  sono  quelle 
d'un  forsennato  e  furioso  ("),  asceso  sul  sanguinoso  trono 
dei  Cesari  a  rovina  e  obbrobrio  del  genere  umano,  quan- 
tunque ad  intervalli  apparisca  anche  acuto  e  arguto,  e 
si  valga  della  pervertita  ragione  a  commettere  i  più  im- 
mani delitti. 

Fece  tutto  il  contrario  di  ciò  che  aveva  detto  e  fatto 
in  principio:  comandò  da  despota  più  che  Tiberio,  rista- 
bih  la  legge  di  maestà,  trovò  nuovi  modi  di  accuse  e  di 
rapine,  uccise  molti,  odiò  e  rubò  tutti.  Tra  i  parenti  ob- 
bligò Tiberio  Gemello  ad  uccidersi,  dopo  averlo  adottato, 
apponendogli  a  delitto  di  tenere  un  contravveleno  contro 
le  insidie  dell'imperatore.  Fece  morire  di  dolore  o  di  ve- 
leno l'avola  Antonia,  e  ne  mirò  il  rogo  ardente  da  un 
lieto  banchetto.  Comandò  morte  al  virtuoso  M.  Giunio 
Silano,  padre  di  Claudia  sua  prima  moglie:  uccise  Giulio 
Grecino,  perchè  era  uomo  migliore  di  quello  che  conve- 
nisse al  tiranno,  e  costrinse  a  morire  quelli  che  nella  sua 
malattia  si  erano  votati  agli  Dei,  affinchè  non  restassero 
vani  quei  voti.  Fra  le  prime  vittime  fu  pure  il  confidente 
Macrone  con  sua  moghe  Knnia  Nevia,  a  cui  doveva  l'im- 
pero. Questi  gli  susurrava  continuamente  alforecchio, 
non  essere  dell'imperiale  decoro  il  ridere  rumorosamente 
alle  scurrilità  dei  buffoni  in  teatro,  il  contraffare  loro 
gesti,  r accornpagnare  con  la  voce  i  cantori;  e  ad  ogni 
istante  gli  dava  nel  gomito  perchè  cessasse.  Caligola, 
per  hberarsi  dalle  noie  del  riprensore  molesto,  gli  ordinò 


lice  im- 


(«)  Seneca,  Consol.  ad  Poli/b.,  36.  Stazio,  Silo..  Ili,  3,  69,  lo  die 
Tnitis  et  furiis  agitatus  :  e  più  sotto,  al  verso  72,  terribilem  affatu . . . . 
cisuque  tijrannum. 


322  STRAZII  E  CRUDELTÀ  SENZA  NOME.  [Lib.  VII. 

che  morisse:  ed  egli  si  uccise:  e  anche  sua  moglie,  che 
gicà  aveva  venduto  le  sue  libidini  alle  speranze  e  alle 
promesse  di  nozze  imperiali,  fu  avvolta  con  tutta  la  fa- 
miglia nella  stessa  rovina  *. 

Liberato  da  Macrone,  si  lasciò  governare  da  saltatori, 
da  gladiatori,  da  cocchieri,  da  mimi  e  da  commedianti, 
dei  quali  era  pazzo.  Richiamò  tutti  gli  istrioni  già  cac- 
ciati di  Roma,  fu  largo  ad  essi  di  pecunia  e  di  onori, 
gli  accarezzava  sconciamente  in  teatro,  parteggiava  per 
gli  uni  contro  gli  altri,  e  andava  in  furia  contro  il  po- 
polo non  plaudente  ai  suoi  favoriti.  Fra  i  suoi  amori  era 
Mnestere  pantomimo,  lo  baciava  pubblicamente,  e  bat- 
teva chi  facesse  il  più  lieve  rumore  mentre  quegli  bal- 
lava. Furono  suoi  consiglieri  un  Apelle,  recitatore  di 
tragedie,  uomo  infame,  e  un  Elicone,  servo  e  buffone 
iniquo,  che  compagno  assiduo  al  giuoco,  alla  palestra, 
ai  bagni,  ai  conviti,  lo  divertiva  con  sue  arguzie  intra- 
mezzate di  accuse  '^. 

Sarebbe  lungo  e  insopportabile  narrare  tutte  le  cru- 
deli follie  del  mostro,  che  recava  a  sua  lode  l'essere  senza 
vergogna,  e  si  credeva  lecito  tutto.  Basti  un  cenno  di 
alcune.  Mandò  sicarii  per  le  isole  a  trucidare  tutti  gli 
esiliati,  imaginandosi  che  gli  augurassero  la  rnorte.  Fece 
pascere  di  carne  umana  le  fiere  del  Circo,  perchè  il  loro 
nutrimento  non  costasse  troppo  allo  Stato.  Fece  segare 
uomini  in  mezzo,  e  straziarne  in  minuti  brani  le  membra; 
ricercava  le  morti  lente,  perchè  fossero  meglio  sentite. 
Crudele  anche  a  mensa  e  ai  passatempi,  ai  quali  mesco- 
lava spettacoli  di  torture  e  di  uccisioni.  A  un  convito 
proruppe  ad  un  tratto  in  riso  smodato;  e  richiesto  dai 
consoli,  che  gli  stavano  dappresso,  del  perchè  di  quei 
ridere,    rispose:    perchè  con   un   sol   cenno  posso   farvi 

«  Svetonio,  Calirj.,  S3,  20,  2'.>\   Seneca,  De  Jhuef..  II,  21  ;  Dione  Cassio,  LIX,  3,  8  e 
10  ;  Filone,  loc.  eie. 
2  Svetonio,   CuNij..  51,  55;  Dione  Cassio,  I.IX,  5  e  27;  Filone,  loc.  cit. 


€ap.  II.]  LODI  A  TIBERIO,  E  SOZZURE  DI  AMORI  E  DI  NOZZE.     323 

strozzare  ambedue.  Forzò  padri  ad  assistere  all'uccisione 
•dei  figliuoli,  e  nel  medesimo  giorno  gli  invitò  a  cena  in 
sua  casa.  Dolente  che  i  suoi  tempi  non  divenissero  fa- 
mosi per  qualche  grande  calamità  di  pestilenze,  di  stragi, 
di  fami  e  di  terremoti,  ricercò  spettacoli  di  sangue,  fla- 
gellò, uccise  nobili  e  plebe,  e  i  delatori  di  sua  madre  e 
fratelli,  come  i  cittadini  più  virtuosi.  Non  si  vedeva  altro 
che  morti,  dice  Dione:  e  nel  delirio  più  sanguinario  che 
sia  ricordato  da  storie,  desiderò  che  il  popolo  romano 
avesse  un  sol  collo  per  uccidere  tutti  in  un  colpo  '. 

Dopo  aver  vituperate  le  laidezze  e  le  crudeltà  di  Ti- 
berio, le  vinse  tutte,  e  celebrò  il  mostro  di  Capri,  e  uc- 
cise chi  ne  dicesse  male.  Un  giorno,  venuto  in  senato, 
così  favellava  a  difesa  di  quello:  Padri  coscritti,  degli 
uccisi  sotto  Tiberio  vostra  è  la  colpa:  voi  foste  accusa- 
tori, voi  falsi  testimoni,  voi  condannatori.  E  in  prova 
messe  fuori  i  libelli,  che  già  disse  di  aver  fatti  bruciare. 
Poi  induceva  Tiberio  a  rispondergli  in  questo  tenore: 
«  Veracemente  parlasti,  o  Caio:  guardati  dall'amare  e  dal 
perdonare  ninno  di  costoro,  che  se  possono  ti  uccide- 
ranno. Pensa  solamente  al  tuo  piacere  e  alla  tua  sicu- 
rezza: ciò  solo  è  giusto.  Ed  essi  ti  onoreranno  loro  mal- 
grado. Non  vi  è  uomo  che  volentieri  obbedisca:  tanto 
si  rispetta  il  sovrano,  quanto  si  teme  :  se  egli  cessa  di 
essere  il  più  forte,  bisogna  che  muoia  »  2, 

Fu  mostruoso  negli  amori  e  nei  matrimonii,  infame 
d' incesti  con  le  sorelle  Giulia,  Agrippina  e  Drusilla.  Le 
prime  due,  dopo  aver  servito  alle  voglie  brutali  di  lui  e 
de'  suoi  compagni  di  orgia,  furono  accusate  di  congiura, 
e  dannate  all'esilio.  Quanto  a  Drusilla,  la  tolse  al  marito 
Lucio  Cassio  Longino,  e  la  tenne  per  moglie  legittima. 
Poi,  quando  fu  morta  nel  fiore  degli  anni,  le  rese  divini 

>  Svetonio,  Calig..  2S-33  ;  Filone,  Ad  FlaccHva.^   in  fine;  Dione  Cassio,  LIX,  18,  26  e 
30;  Seneca,  De  Ira.  Ili,  18,  19. 
2  Dione  Cassio,  LIX,  16:  Svetonio,  30. 


324  DRUSILLA.  —  INVIDIA  DI  TUTTE  LE  GLORIE.     [Lib.  VIL 

onori,  le  inalzò  templi  e  statue,  giurò  e  fece  giurare  pel 
Nume  di  lei,  ordinò  pubblico  lutto,  punì  di  morte  chi  in 
quei  giorni  facesse  alcun  segno  di  gioia.  Fu  delitto  ca- 
pitale il  non  piangere  la  donna  morta;  delitto  capitale 
il  piangerla  divenuta  una  Dea.  Studiò  di  divertire  il  do- 
lore col  giuoco,  errò  inconsolabile  per  Campania  e  Sicilia, 
tinche  non  lo  fece  fuggire  atterrito  una  eruzione  dell'Etna. 
Poi  racconsolatosi,  rapi  una  Livia  Orestilla  nel  giorno  in 
cui  si  maritava  a  C.  Calpurnio  Pisone  :  quindi  la  rimandò, 
e  saputo  che  si  era  ricongiunta  a  Pisone,  li  mandò  am- 
bedue a  confino.  Prese  al  marito  anche  quella  Lollia  Pao- 
lina, che  andò  famosa  pel  suo  incredibile  lusso  di  sme- 
raldi e  di  perle*;  e  lei  pure  rimandò  in  pochi  giorni, 
con  divieto  di  aver  commercio  con  altri.  L'ultima  moglie 
fu  Cesonia,  eh' ei  mostrava  ai  soldati  a  cavallo  vestita 
di  elmo  e  di  scudo.  L' amò  furiosamente  e  più  lungamente 
d'ogni  altra,  quantunque  né  bella,  ne  giovane.  D'onde 
la  fama  dei  filtri  amorosi.  Egli  stesso,  maravigliato  di 
essere  si  fermo  con  lei,  diceva  che  la  metterebbe  al  tor- 
mento per  istrapparle  il  segreto,  con  cui  l'aveva  legato 
sì  fortemente.  Nel  guardarla  ebbro  di  voluttà  diceva  an- 
che: eppure  questo  bel  collo  sarà  tronco,  quando  mi 
piaccia.  Di  lei  ebbe  una  figlia,  e  la  riconosceva  per  suo 
vero  sangue  dalla  fierezza  con  cui  metteva  le  dita  negli 
occhi  ai  bambini,  suoi  compagni  ai  trastulli  infantili  ^. 

Brutto  di  ogni  più  bassa  passione,  e  pieno  d'invidia 
contro  tutte  le  glorie  e  tutti  gli  ingegni  antichi  e  re- 
centi, ebbe  in  animo  di  distruggere  Omero,  Livio  e  Vir- 
giho.  Punì  tutti  quelli  che  con  belle  azioni  cercassero 
gloria:  fece  abbattere  le  statue  inalzate  da  Augusto  agli 
uomini  illustri.  Avvilì  i  senatori  con  uffici  di  servi,  e  alle 
più  insigni  casate  tolse  le  insegne  di  loro  nobiltà,  perchè 

«  Plinio,  IX,  r.i<. 

2  Svetonio,  Catig..  l'I,  25;  Dione  Cassio,  LIX,   3,   8,    12,  22,  28;  Seneca,  Consol.  ad 
Pohjb.,  3';. 


à 


C,\p.  11.]  AMORE  'ALLE  COSE  IMPOSSIBILI.  PONTE  DI  BAIA.  325 

voleva  essere  illustre,  nobile  e  grande  egli  solo.  Si  teneva 
pel  primo  degli  oratori,  e  perseguitò  chi  mostrayse  di 
volerlo  emulare.  Seneca  per  aver  difeso  bene  una  causa 
corse  pericolo  di  morte,  e  Domizio  Afro,  migliore  oratore 
che  uomo,  si  salvò  in  un'accusa,  lìngendosi  vinto  dalla 
maravigliosa  eloquenza  del  principe.  Ambi  anche  alla 
gloria  di  gladiatore,  di  cantore,  di  istrione,  di  cocchiere, 
e  si  decretava  corone  da  sé  stesso.  Andò  sì  avanti  nella 
follìa  pel  suo  cavallo  Incitato,  che  gli  fece  stalla  di  marmo, 
greppia  d'avorio,  e  adornamenti  di  ostro  e  di  perle.  Lo 
abbeverava  di  vino  in  vasi  d'oro,  gli  dava  a  mangiare 
vena  dorata,  gli  fece  una  corte,  lo  inalzò  all'onore  del 
sacerdozio,  e  voleva  eleggerlo  console  '. 

Soprattutto  lo  frugava  la  smania  delle  opere  non  fatte 
da  altri:  senza  curare  di  utilità  aspirava  al  vanto  delle 
cose  impossibili  ("):  e  quantunque  di  codardia  prodigiosa, 
voleva  ad  ogni  costo  il  nome  di  eroe.  Per  vincer  Serse, 
gettò  sul  mare  da  Baia  a  Pozzuoli  un  ponte  di  navi 
fermate  sulle  ancore  in  doppia  fila,  e  vi  fece  sopra  una 
grande  strada,  a  somiglianza  dell' Appia,  lunga  3G00 
passi,  con  luoghi  di  riposo  e  alberghi.  Poi  vi  passò  in 
contegno  di  guerriero  trionfante.  Mosse  da  Baia  colle 
milizie,  sopra  superbo  destriero,  vestito  di  aurea  clamide 
splendente  di  gemme,  armato  di  targa  e  di  spada,  e  co- 
ronato di  quercia.  A  Po;?zuoli  si  riposò  un  giorno,  come 
se  avesse  fatto  una  gran  fatica:  poi  ripassò  il  ponte  su 
carro  tratto  da  quattro   corsieri,  con  macchine  e  trofei 

C^)  Svetonio,  Caliy.,  37.  La  sola  opera  utile,  fatta  da  lui,  è  la  stazione 
per  le  navi  frumentarie  provenienti  dall'Kgitto  costruita  verso  !  eggio  e 
Sicilia,  ma  non  condotta  a  compimento  (Giuseppe  Flavio,  Antichità.  Giud., 
XIX,  2.  5).  A  ciò  forse  allude  la  sua  moneta  in  cui  è  Nettuno  stante, 
con  delfino  nella  destra  e  ti'idente  nella  sinistra.  Vedi  Cavedoni,  Med.  - 
imp.,  in  Annal.  Istit.,  1851,  pag.  237.  Con*'.  Act.  Apostolorum,  XXVIII, 
11-13. 

1  .Svetonio,  Calig.j  31,  35,  53;  Tacito,  Ann.,  IV,  ó?;  Dione  ra«:sio,  M\",  l*^. 
Vaxnucci  —  Storili  de/I' Italia  antica  —  H'.  -fi 


326  DISPERSIONE  DI  TESOIU  IN  EDIFICII  E  l'OLLlE.  [Lib.  VII. 

militari:  e  a  mezzo  il  ponte  salito  in  un  trono,  con  sua 
diceria  vantò  la  grande  impresa,  lodò  i  soldati,  disse  vinto 
il  mare,  oscurata  la  gloria  di  Serse,  e  fece  sacrifizii  a 
Nettuno,  agli  altri  Dei,  e  anche  al  Livore,  perchè  l'altrui 
invidia  non  olTendesse  la  sua  fama.  Poi  conviti  e  alle- 
grezze, e  luminarie  la  notte  sul  ponte  e  sulle  incantevoli 
rive  del  golfo  di  Baia.  La  turba  ammirava  dai  lidi;  alcuni 
si  avvicinarono  sulle  barche:  e  il  forsennato,  per  pigliarsi 
uno  dei  suoi  feroci  piaceri,  fece  gittare  nelle  onde  molti 
dei  curiosi,  e  anche  alcuni  dei  suoi  commensali.  E  come 
quei  malarrivati  si  sforzavano  di  salvarsi  rimontando 
alle  barche  o  al  ponte,  li  faceva  ricacciar  già  a  colpi 
di  remi  *. 

In  queste  stranezze  disperse  immensi  tesori,  né  qui 
si  arrestò  la  mania,  che  più  si  accendeva  davanti  agli 
ostacoli.  Disegnò  di  tagliare  l'istmo  di  Corinto,  e  di  co* 
struire  una  città  sui  gioghi  delle  Alpi;  edificò,  dice  Sve- 
tonio,  nel  profondo  del  mare  contendendo  colle  ire  dei 
llutti:  alzò  le  pianure  al  pari  dei  monti,  spianò  i  monti 
con  incredibile  celerità,  dando  morte  a  chi  non  eseguisse 
pronto  i  suoi  cenni.  Non  ebbe  misura  nelf  edificar  ville  : 
invase  Roma  colle  sue  case,  le  quali  dal  Palatino  allargò 
fino  al  Fóro  in  modo,  che  il  tempio  di  Castore  e  Polluce 
fosse  ad  esse  vestibolo,  e  per  mezzo  di  un  ponte  con- 
giunse la  sua  abitazione  palatina  con  l' altra  fatta  sul 
Campidoglio  per  essere  contubernale  di  Giove  -.  Pei  suoi 
diporti  costruì  navi  con  poppe  ingemmate,  e  con  velo 
di  ricche  stolfe  a  vari  colori,  con  dentrovi  portici,  terme, 
e  grandi  triclinii  e  giardini.  E  su  tali  navi  andava  a  di- 
letto lungo  le  rive  di  Napoli  in  compagnia  di  gladiatori 
e  di  istrioni,  sempre  in  banchetti,  e  tra  musiche  e  danze. 
Fu  eccessivo  negli  spettacoli,  nelle  feste  a  Roma  e  fuori, 

'  .Svptonio,  Oaliij  ^  19  o  32;  Dione  C.issio,  LIX,  IT;  Sfiieca,  De  Brevil.  vitue^  18. 
-  Plinio,  XXXVI,  21;  Svetopir.,  21,  22,  37;  Dione,  I.IX,  28;  e  Nardini,  Roma  (mtioo, 
VI,  or\p,  i:!,  voi.  Ili,  iiat.',   107,  Rom.-.  18K'. 


i 


Gap.  II.]  RAPINE  IN  ITALIA.  327 

nelle  distribuzioni  di  cibi,  e  nel  gettar  denaro  al  popolo: 
eccessivo  in  bagni  e  profumi.  Nei  conviti  trovò  nuovi  por- 
tenti, e  vinse  i  più  stolti  scialacquatori.  Oltre  al  bevere, 
come  già  altri,  le  pietre  preziose  stemprate  nell'aceto, 
faceva  imbandire  pane  e  vivande  dorate,  dicendo  che 
bisognava  essere  uomo  frugale  o  Cesare.  È  affermato  che 
in  una  cena  consumò  dieci  milioni  di  sesterzi  (1,948,356 
lire  italiane)  *;  e  con  tali  follie  in  meno  di  un  anno  di- 
sperse duemila  settecento  milioni  (o^OjOSO/lSS  lire  ital.) 
raccolti  da  Tiberio  -. 

Poscia  ricorse  a  modi  crudelissimi  per  procacciarsi 
nuovi  milioni  da  spendere  in  nuove  follie,  mentre  alla 
plebe  mormorante  della  scarsezza  del  pane  rispondeva 
con  imprigionamenti,  con  esilii,  con  uccisioni.  Fece  accu- 
sare i  cittadini  più  ricchi,  giudicò  da  sé  stesso  le  cause, 
condannò  gli  accusati  e  si  prese  la  roba.  Molti  i  modi 
ad  assalire  l'altrui  proprietà,  e  a  rubar  tutti.  Ai  vecchi 
non  uccisi  dava  il  nome  eli  padri  e  di  avi,  e  a  titolo  di 
lìgliuolo  metteva  le  mani  nei  frutti  dei  loro  beni,  finché 
vivevano,  e  poi  nei  beni  stessi  quando  erano  morti.  An- 
nullò i  testamenti  di  chi  non  avesse  fatto  legati  a  Ti- 
berio e  a  lui:  obbligò  i  principali  cittadini  a  scriverlo 
tra  gli  eredi,  e  perché,  come  diceva,  non  si  burlassero 
di  lui  continuando  a  vivere  dopo  averlo  fatto  erede,  man- 
dava loro  il  veleno.  Ma,  come  neppur  tutto  questo  ba- 
stava alla  sua  fame  insaziabile,  inventò  inaudite  gravezze, 
né  vi  fu  cosa  o  persona  che  rimanesse  salva.  Tasse  sulle 
hti  e  sui  giudizii:  tassati  i  facchini  nell'ottava  parte  dei 
loro  guadagni;  tasse  alle  meretrici,  ai  ruffiani,  agli  adul- 
teri. Per  far  guadagno  messe  anche  un  bordello  a  suo 
conto  nella  casa  imperiale.  Rubò  al  giuoco,  rubò  anche 
sulle  contravvenzioni  da  lui  procurate,  colfimpedire  che 
le   sue  leggi  venissero   a   cognizione   del  pubblico.    Pe- 

l'Seneca,  Consol.  ad  Heìv.,  9. 

^Svetouio,  Calig.^  37.  ConC.  Dione  (  assio,  I.IX,  2. 


32S  SPEDIZIONE  E  BUFFONATE  SUL  RENO.  [Lib.  VII. 

rocche  le  faceva  scrivere  in  caratteri  minutissimi,  ed 
affiggere  in  alto  dove  non  giungesse  la  vista,  e  non 
potessero  leggersi.  E  lieto  di  queste  rapine,  si  svoltolava 
laidamente  con  tutta  la  persona  sui  mucchi  dell'oro  rac- 
colto *. 

Rubate  Roma  e  l'Italia,  andò  in  persona  a  spogliar  le 
province,  coH'intendimento  anche  di  fare  grandi  imprese 
e  di  meritarsi  il  trionfo.  Fece  grandi  leve,  raccolse  due- 
centomila soldati  sul  Reno,  e  marciò  ora  rapido,  ora 
■mollemente,  conducendo  seco  gladiatori,  commedianti  e 
cortigiane,  e  facendosi  spazzare  e  innaffiare  le  vie,  perchè 
la  polvere  non  l'offendesse.  Dopo  una  severa  rassegna 
sul  Reno,  passò  il  fiume  in  cerca  dei  Germani.  Ma  come, 
nell'avanzarsi  per  uno  stretto  passo,  alcuno  avvertì  che 
nascerebbe  gran  disordine,  se  venisse  a  comparire  il 
nemico,  egli  atterrito  a  questo  pensiero,  si  détte  a  pre- 
cipitosa e  sconcia  fuga,  né  si  arrestò  fino  al  campo  sul- 
l'altra riva  del  fiume.  Pure  il  codardo  voleva  ad  ogni 
modo  i  titoli  per  trionfare,  e  simulò  una  vittoria.  Nascose 
alcuni  de'  suoi  in  una  selva,  e  mentre  stava  a  mensa  si 
fece  venire  la  notizia  dell'appressare  del  nemico,  vesti 
subito  le  armi,  corse  all'assalto,  fece  prigioni  i  soldati 
nascosti  nella  selva,  e  poscia  tornò  solennemente  al 
campo  tra  lo  splendore  delle  faci  e  coi  trofei  della  vit- 
toria, e  distribuì  corone  ai  suoi  prodi,  e  scrisse  a  Roma 
vituperando  il  senato  e  il  popolo  di  starsi  vilmente  tra 
piaco'i  di  teatri  e  di  ville,  mentre  egli  affrontava  fatiche 
e  pericoli.  1  Germani  lo  schernirono  pubblicamente  della 
sua  codardia,  e  voltisi  ad  invader  la  Gallia  l'avrebbero 
corsa  e  predata,  se  non  vi  era  Servio  Sulpicio  Galba  a 
respingerli,  mentre  l'imperatore   spaventato  si  apparec- 


«  SvPtonio,  Ca'ifl..  10-12;  Dione  Cassio,  LIX,  2S. 

2  Svctonio.  Califi.,  43-15,  M,  Calb  ^  0;   Ta.ito,  Ge,-m..?,l\  Dione  Cas^iO;  MX,  2! 
Pr-rsio,  Sot.,  VI,   i:?-!". 


J 


Gap.  IL]  RUBERIE  NELLE  GALLIE.  SPOGLIE  DELL'OCEANO.         :\2{> 

Dopo  queste  ridicole  imprese  fece  nelle  Gallie  cose 
più  gravi:  rubò,  confiscò,  e  superò  la  crudeltà  di  tutti  i 
più  avari  spogliatori  di  province.  Uccise  i  maggiorenti 
accusandoli  di  non  vergognarsi  di  esser  più  ricchi  di  lui, 
vendè  i  loro  beni  all'incanto,  forzò  altri  a  comprarli  al 
prezzo  che  egli  poneva,  e  divenuto  mercante  fece  por- 
tare da  Roma  i  mobili  della  casa  imperiale,  e  li  vendè 
carissimi,  facendo  valere  che  avevano  appartenuto  quale 
a  Germanico,  quale  ad  Augusto,  quale  ad  Antonio.  A 
Lione  celebrò  giuochi  e  pubbliche  gare  di  eloquenza, 
nelle  quali  chi  aveva  fatto  prova  più  trista  dovè  in  pena 
cancellare  lo  scritto  con  una  spugna  o  colla  lingua,  se 
non  voleva  la  frusta  o  un  tuffo  nel  Rodano  *. 

Di  là  meditò  anche  un'impresa  in  Britannia^,  che. 
come  le  altre  cose  sue,  finì  sconciamente  ridicola.  Ap- 
pena imbarcate  le  truppe  nell'Oceano,  le  richiamò  a 
terra,  e  disposte  sul  lido  le  macchine,  fece  suonar  le 
trombe,  come  per  dare  un  assalto,  e  quindi  ordinò  ai 
soldati  di  raccogliere  negli  elmi  le  conchiglie  marine, 
che  chiamava  spoglie  dell'  Oceano  da  portarsi  in  trofeo  al 
Campidoglio.  E  superbo  di  questa  vittoria  inalzò  sul  lido 
una  torre  ("),  a  uso  di  Faro,  che  ricordasse  la  grande  im- 
presa, per  la  quale  si  apparecchiava  al  trionfo  ^. 

Prima  di  partire  dalle  Gallie  voleva  punire  le  legioni 
del  Reno,  che  lo  avevano  tenuto  assediato  da  fanciullo 
nel  campo,  quando  si  levarono  a  ribellione  sotto  Ger- 
manico. A  gran  pena  fu  potuto  rimuovere  dal  pensiero 
di  trucidare  tutti  i  soldati,  ma  era  fermo  a  decimarli, 
se  non   provvedevano   arditamente   a  sé   stessi,   minac- 

(-<)  La  torre  fu  distrutta  vei'so  la  metà  del  secolo  XVII,  e  ne  rimase 
solamente  un  antico  disegno  puliWicato  dai  Montfaucon,  come  imag-ine 
non  dubbia  del  Faro  eretto  da  Caligola  sugli  scogli  in  riva  all'Oceano. 

»  Dione  Cassio,  LIK,  21  e  22:  Svetonio,  Cano.,  20,  :5;i-,  Giovenale,  Saf.,  I,  41. 

2  Tacito,  Agric,  1:!. 

:ì  Sveionio,  Culig.,  i''^;  Pionr,  I.IX,  -'5. 


330 


NUOVE  CRUDELTÀ  AL  RITORNO  IN  ITALIA.      [Lib.  VII. 


dando  di  volgergli  contro  le  armi,  e  forzandolo  a  fug- 
gire per  la  paura  («). 

Tornò  a  Roma  furente  contro  i  senatori,  che  accusava 
di  non  saperlo  onorare  secondo  i  suoi  meriii;  e  dopo  avere 


I.ft  torre  di  Caligola  a  Gosoriaco  [Montfaucon,  Ant.  expl.^  IV,  Supplem^  tab.  50). 

insultato  per  via  i  loro  ambasciatori,  e  meditato  di  ucci- 
dere tutto  il  senato  coi  principali  dei  cavalieri,  gli  spogliò, 
ne  uccise  parecchi,  e  menò  vanto  pubblicamente  di  aver 
ilisonorato  le  loro  donne.  La  città  nuovamente  fu  piena 
di  supplizii,  di  rapine,  di  terrore  e  di  anarchia.  Non  più 
sgoverno  di  sorta:  sola  legge  l'insana  nequizia  che  man- 

(■^1  Svetonio,  Caììfj.,  -18.  Probabilmente  a  qii('*t(!  bello  imprese  in  Ger- 
mania e  in  Ri'itannia  si  l'iferisce  la  inedugiia  che  ha  una  Vittoria  con 
'ine  rami  «li    palma.  Vedi  Cavedoni,  Med.    imperiali  ,  in    AminL    Istif. , 

i^r.i,  paL^.  ■s:hj. 


Il 


Gap, 


ROMA  ATTERRITA. 


33  K 


dava  veleni  e  tormenti:  e  i  magistrati  atterriti  non  sa- 
pevano fare  altro,  che  prostrarsi  adoranti  all'aborrito 
tiranno  ',  il  quale  aveva  sempre  con  se  un  Protogene 
portante  due  lunghe  liste  di  vittime  ;  e  ad  accrescere  la 


^■ 


Ritratto  di  Caligola  (t,v^«eo  Cupitolino). 


universale  paura  studiava  allo  specchio,  per  rendere  più 
truci  i  torvi  occhi  e  il  sinistro  e  orrido  aspetto  ricordato 
da  Seneca,  da  Svetonio  e  da  Tacito,  e  tramandatoci  dal- 


l  Svetouio,  CuHi,'.^  iS-lC;   Dione  Ca-.-io.    LIX,  23-,  .Seneca,  De  La^  HI,  19:   Giiisei-pe 
Flavio,  XIX,  1. 


3:32  CALIGOLA  METTE  SE  SOPRA  TUTTI  GLI  DEI.    [Lib.  VII. 

l'arte  antica  nel  bronzo  e  nel  marmo  ("):  mentre  dall'altra 
parte  negli  ornamenti  della  persona  si  mostrava  molle 
e  affettato  qual  femmina,  pieno  di  gemme  e  di  armille, 
e  ora  acconcio  come  Venere,  ora  in  corazza  e  in  veste 
all'uso  dei  trionfanti,  ora  adorno  da  Nettuno,  da  Apollo, 
da  Ercole,  da  Bacco,  da  Diana,  da  Giunone,  da  Giove  *. 
Perocché  tra  le  altre  cose  egli  teneva  soprattutto  ad 
esser  Dio,  e  portò  alle  ultime  conseguenze  il  nuovo  culto 
della  divinità  vivente  degli  imperatori,  cominciato  colla 
creazione  dell'Impero,  e  confermato  poscia  dai  popoli  di- 
sputantisi  il  privilegio  di  eriger  templi  a  Tiberio.  Pieno 
di  questa  idea  volle  star  sopra  a  ogni  Iddio,  come  stava 
sopra  a  ogni  re  della  terra.  Quindi  fece  troncar  le  teste 
alle  statue  più  celebri  degli  Dei  della  Grecia  per  mettervi 
in  cambio  la  sua:  prese  i  nomi  degli  Dei  più  famosi,  si 
chiamò  Cesare  Ottimo  Massùiw  e  Giove  Laziale  e,  nuovo 
Titano,  mandando  a  Giove  sue  sfide,  imitava  con  una 
macchina  il  fragore  del  tuono,  e  lo  splendore  dei  lampi, 
€  a  ogni  cadere  di  fulmine  scagliava  contro  il  cielo  una 
pietra.  La  Luna  invitava  a  dormir  nel  suo  letto.  Si  fece 
adorare,  volle  templi  e  sacerdoti,  che  davanti  alla  sua 
statua  d'oro  offrissero  sacrilizii  di  pappagalli,  di  paoni, 
e  di  altri  uccelli  più  rari.  Molti  comprarono  a  carissimo 
prezzo  l'onore  di  quel  sacerdozio,  a  cui  egli  ascrisse  an- 


C)  Senoca,  Da  Const.  Sap.,  18;  Svetonio,  50;  Tacito,  Ann.,,  XV,  12. 
Ecco  il  ritratto  che  trovasi  in  essi:  Alta  statura,  color  pallido,  collo  e 
gambe  estremamente  sottili,  pitó  c^aorrai,  tempie  e  occhi  incavati,  fronte 
larga  e  torva;  calvo  in  cima  aìz,  testa,  ii^suto  di  peli  in  tutto  il  resto 
<lel  corpo.  Pei  ritratti  ia  mai-mi,  in  medaglie,  in  cammei  vedi  Bottari  e 
Foggini,  Museo  Capitolino,  voi.  II,  tav.  11;  Mongez,  Icon.  Rom.,  voi.  II, 
pag.  15G,  pi.  XXV;  Visconti,  Museo  Pio  Clement.,  voi.  Ili,  tav.  3;  Braun, 
ia  Annal.  Isiit.,  1840,  pag.  102-106,  e  Monnm.  ined.  Isiit.,  voi.  V,  tav.  ."); 
Ampère.  L'empire  romain  a  Rome,  Paris  I8G7,  voi.  II,  pag.  '.}  e  segg.  ; 
Beulr,  Le  scuir/  de  Germanicus,  Paris  180*.i,  pag.  1115-120. 

'  Diono.  I,IX.  M;  Svelor.io,  Calig.,  5",  52. 


Gap.  II.]  RUMORI  IN  GIUDEA  E  AD  ALESSANDRIA.  333 

che  il  suo  cavallo  Incitato,  e  se  stesso.  Ordini  fulminanti 
andarono  per  le  province,  e  guai  a  chi  non  adorasse  il 
principe  adoratore  di  sé.  Pure  un  calzolaio  delle  Gallio, 
vedendolo  vestito  da  Giove,  cominciò  a  ridere  sconcia- 
mente, e  gli  disse  in  faccia  che  gli  pareva  un  gran  matto  *. 
E  peggio  ancora  furono  accolte  quelle  stoltezze  nei  paesi 
ove  abitavano  Giudei.  Quando  fu  comandato  di  contami- 
nare colla  statua  del  nuovo  Dio  il  sacro  tempio  di  Ge- 
rusalemme, tutti  gli  abitatori  della  Giudea,  lasciato  da 
banda  ogni  altro  pensiero,  trassero  in  folla  a  Petronio, 
governatore  di  Siria,  e  supplicarono  piangendo  e  prote- 
starono energicamente,  che  l'inaugurazione  della  nuova 
divinità  non  si  forebbe  tra  essi  senza  sparger  fiumi  di 
sangue.  Petronio  commosso  dalle  rimostranze,  e  vedute 
le  difficoltà  dell'eseguire  gli  ordini  venuti  da  Roma,  pru- 
dentemente temporeggiò  :  ma,  mentre  egli  con  la  umanità 
e  con  la  saviezza  impediva  le  stragi,  la  tempesta  scoppiò 
furiosa  per  le  stesse  cagioni  in  Alessandria,  ove  tra  i 
Giudei  e  i  Greci  ardevano  odii  di  religione,  e  gare  d'in- 
teressi e  di  schiatta.  Gli  Alessandrini  colsero  l'occasione 
della  nuova  divinità  per  dare  sfogo  al  loro  maltalento,  e 
sapendo  che  i  Giudei  non  patirebbero  mai  che  la  statua 
del  nuovo  Dio  s'introducesse  nelle  loro  assemblee  reli- 
giose, gridarono  quanto  più  poterono  viva  Caligola  Dio! 
e  provocarono  prima  con  parole  di  scherno  i  loro  avver- 
sarli, poi  invasero  i  loro  quartieri,  profanarono  i  luoghi 
sacri,  e  messere  tutto  a  ruba,  a  sangue,  a  sterminio.  Gli 
scampati  al  disastro  mandarono  un'ambasciata  a  Roma 
per  chieder  giustizia  dei  mali  patiti,  e  fu  capo  di  essa 
Filone  Giudeo,  uno  dei  luminari  della  scienza  giudaica 
di  questo  tempo,  il  quale  narrò  le  sciagure  della  sua  gente, 
le  preghiere  spese  invano  per  implorare  mercè,  e  le  bef- 

I  Svetonio,  Caìig.,  2i',  l~ \  Dione  Cassio,  LIX,  2G  e  2». 
V,^nxl:cci  —  Storia  dcWItalia  antica  —  IV.  \2 


334  CONGIURE  CONTRO  CALIGOLA,  [Lib.  VIL 

farde  accoglienze  di  Caligola,  contro  le  crudeli  stoltezze 
del  quale  rimaneva  solo  la  ragione  del  ferro  *. 

Per  toglierlo  di  mezzo  avevano  già  cospirato  Gneo 
Cornelio  Lentulo  Getulico,  poeta  erotico  e  storico,  stato 
per  dieci  anni  legato  della  Germania  superiore,  e  M. 
Emilio  Lepido,  il  quale  parente  di  Augusto  e  legato  d'a- 
more alle  sorelle  di  Caligola,  sperava,  spento  il  tiranno, 
Anni  di  Ro-  di  Salire  egli  all'Impero.  Ambedue  furono  scoperti  da  un 
G.\\'39.'^'  Anicio  Cenale  e  spenti:  si  celebrarono  giuochi  e  feste  pei 
ne  farli  disegni  scoperti,  e  Caligola  dalle  Gallio  fece  con- 
sacrare a  Marte  Vendicatore  i  ferri,  destinati  a  rompergli 
la  persona  {").  Allora  ebbero  l'esilio  le  sorelle  Giulia  e 
Agrippina,  accusate  di  complicità  e  di  adulterio  coi  con- 
giurati 2. 

Più  destro  a  menar  la  trama  fu  Cassio  Cherea,  uomo 
arditissimo  3,  già  soldato  di  Germanico,  e  ora  tribuno  di 
una  coorte  pretoria.  Caligola  lo  aveva  oltraggiato  più 
volte  rispondendogli  quando  domandava  la  parola  d'or- 
dine, con  motti  ridicoli  e  osceni,  che  lo  facevano  burlare 
dai  compagni.  Quindi  Cherea,  più  fermo  che  mai  a  ven- 
dicare i  comuni  oltraggi  e  se  stesso,  si  intese  con  Va- 
lerio Asiatico,  a  cui  il  tiranno  aveva  disonorato  la  moglie 
e  se  ne  era  vantato  pubblicamente.  Ad*  essi  si  unirono 
il  senatore  Pompedio,  Papinio  e- Cornelio  Sabino,  tribuni 
dei  pretoriani,   un   liberto  di  Caligola,  e  più  cavalieri  e 

C)  Negli  Aiti  degli  Arvali  è  così  accennata  la  scoperta  di  questa  con- 
giura :  GB  DETECTA.  NEFARiA  cofisilia  in  C.  Cuesarem  AugustxìVi  Ger- 
manicum  cn.  lentuli  GXEtulici.  Vedi  .Marini,  Arvali,  tab.  VII,  voi.  I, 
pag.  CVIl,  e  65-68;  Orelli,  Tnscript.,  n.  698,  e  Henzen,  Ada  fratrvm 
Arvali'.an  quae  supersunt,  Berolini   1874,  pag.  XLIX. 

'  Filono,  Legazione  a  Caio;  Tacilo,  Hial.,  V,  9;  Giuseppe  Flavio,  Antich.  Giud., 
XVIII.  11,  e  Guerra  Giud. ^  II,  10;  Salvador,  Histoire  de  la  nomination  romaine  en 
Judee,  Paris  1817,  voi.  I.  pag    459  e  segs;. 

2  Svetonio,  Cxlio..  8  e  21,  Claud  ,  9;  Tacito,  A«n.,  VI,  30,  XIV,  2,  o  XYI,  17;  Diono 
Cassio,  LIX,  22;  Seneca,  Epist.^  4;  Plinio,  Epist.^  V,  3. 

3  Tacito,  Ann  .  I,  32. 


Gap.  II.]  E  UCCISIONE  DI  LUI.  335 

soldati.  Chi  voleva  precipitare  il  tiranno  dalla  Basilica 
Giulia,  quando  dal  tetto  di  essa  gettava  denaro  alla  plebe 
raccolta  nel  Fóro;  chi  trucidarlo  nella  Curia  o  nel  tempio 
del  Campidoglio.  Dopo  varie  sentenze,  considerato  im- 
portare soprattutto  il  far  presto,  perchè  l'indugio  in  tali 
faccende  porta  pericolo,  fermarono  di  ucciderlo  nell'oc- 
casione dei  giuochi  Augustali  celebrati  sul  Palatino:  e 
ai  24  gennaio,  quando  egli  recavasi  allo  spettacolo,  o,  se- 
condo altri,  quando  tornava,  Cherea,  fattoglisi  dappresso 
in  un  andito  appartato,  gli  menò  un  colpo  sul  collo:  e 
Cornelio  Sabino  gli  passò  il  petto  da  banda  a  banda,  e 
gli  altri  lo  finirono  con  trenta  ferite.  Alle  grida  accor- 
rono i  soldati  della  guardia  imperiale,  uccidono  chi  si  fa 
loro  innanzi,  e  brutti  di  sangue  precipitano  al  teatro, 
minacciando  esterminio  alla  turba  atterrita,  non  ritenuti 
da  pianti  o  da  preghi.  Solo  quando  un  araldo  solenne- 
mente annunziò  dalla  scena  la  uccisione  del  principe,  i 
furibondi  quietarono,  pensando  essere  inutile  spargere 
nuovo  sangue  a  vendetta  di  un  morto,  da  cui  non  ave- 
vano più  a  sperar  nulla. 

Così  fini  Caio  Cesare  Caligola,  spento  nel  suo  anno  ven- AnnidiRo- 
tesimo  nono  dopo  avere  per  poco  meno  di  quattro  anni  g.V «'.^ 
fatto  degli  uomini  strazio  disonesto  e  feroce  così  che 
allora,  al  dire  di  Seneca,  l'essere  ucciso  senza  torture 
tenevasi  tra  le  opere  di  misericordia.  Con  lui  furono 
spente  anche  la  moglie  Milonia  Cesonia  e  la  figlia  per 
mano  di  un  tribuno  spedito  a  questo  effetto  da  Cherea; 
la  prima  di  spada,  e  l'altra  infranta  ad  una  parete  *. 

Ma  il  dispotismo  non  se  ne  va  nò  con  questa,  né  con 
altre  uccisioni  di  tiranni,  perchè  i  mostri  non  si  spen- 
gono per  generosa  rivoluzione  di  popolo,  inteso  a  ricon- 
quistare la  libertà,  ma  per  ira  di  qualche  individuo,  per 
cospirazioni  di  corte,  per  intrigai  di  soldati,  di  liberti  e 

•  Svetonio,  Calig.,  56-5!»  ;  Seneca,  De  Constant.  Sap.j  IS,  e  JV'il.  Qxaest.,  praef.  ;  Dione 
Cassio,  I.IX,  29  e  30;  Giuseppe  Flavio,  Antichità  Giudaiche.  XIX,  cap.   1  e  2. 


336  SPARISCE  IL  TIRANNO  E  LA  LIBERTÀ  NON  RITORNA.  [Lib.  VII. 

di  cortigiane,  e  a  benefìzio  di  un  altro  tiranno,  da  cai 
si  spera  favore  e  potenza. 

Il  Senato,  radunatosi  subito  non  nella  Curia,  perchè 
chiamavasi  Giulia,  ma  nel  tempio  di  Giove  Capitolino,  fu 
assediato  da  una  turba  di  schiavi,  di  liberti  e  della  plebe 
più  vile,  chiedenti  vendetta  della  uccisione  dell'uomo, 
stato  largo  con  essi  di  feste  e  di  donativi.  Ma  Valerio 
Asiatico  impose  silenzio  a  quei  miserabili,  dichiarando 
arditamente,  che  gli  doleva  di  non  essere  stato  egli  l'uc- 
cisore del  tiranno.  I  consoli,  preso  il  governo,  fecero 
guardar  la  città  dalle  coorti  urbane,  promisero  diminu- 
zione di  gravezze  e  ricompense  ai  soldati,  mentre  Cherea 
si  studiava  di  riaccendere  fra  essi  l'amore  di  libertà.  I 
senatori  disputarono  lungamente  e  vanamente  anche  du- 
rante la  notte:  e  come  gli  uccisori  non  aveano  pensato 
a  ciò  che  dovesse  farsi  dopo  spento  il  tiranno,  cosi  i 
padri  nella  novità  del  caso  non  avevano  un  determinato 
e  concorde  partito  alle  mani.  Alcuni  erano  pronti  ad 
abolire  il  nome  dei  Cesari,  e  a  distruggerne  i  templi: 
altri  proponevano  di  continuare  la  monarchia  in  altra 
famiglia:  e  di  pretendenti  non  vi  era  difetto  tra  i  nobili. 
Gneo  Senzio  Saturnino,  uno  dei  consoli,  parlò  degli  ob- 
brobriosi mali  della  tirannide,  e  salutò  la  luce  della  li- 
bertà risorgente  dopo  tanta  notte  di  turpe  servaggio,  e 
propose  decreti  di  onoranze  solenni  a  Cherea,  pubblico 
benefattore,  e  più  grande  di  Bruto  e  di  Cassio  :  e  colla 
parola  Liberia  risposero  a  lui  chiedente  la  parola  d'ordine 
per  le  milizie. 

Ma  mentre  i  padri  perdevano  il  tempo  in  parole,  ogni 
questione  fu  troncata  dai  pretoriani,  i  quali  non  inten- 
dendosi più  di  Ilepubblica  volevano  un  imperatore,  e  lo 
crearono  da  sé  per  averne  doni  più  larghi.  Nò  fu  difficile 
trovare  l'uomo  da  ciò.  Mentre,  nel  tumulto  che  segui  al- 
l'uccisione, andava  a  sacco  il  palazzo  imperiale,  un  sol- 
dato scoprì  Claudio,  che  pieno  di  paura  stava  rincantuc- 


Cap.  II.]  CLAUDIO  FATTO  IMPERATORE  DAI  PRETORIANI. 


337 


ciato  dietro  una  portiera,  e  lo  trasse  dal  nascondiglio.  11 
pover  uomo  si  gettò  in  ginocchio  chiedendo  in  grazia  la 
"vita;  e  il  soldato  lo  gridò  imperatore,  e  lo  menò  ai  com- 
pagni, che  ripetendo  quel  grido,  presero  sulle  spalle  il 
tremante  e  lo  portarono  al  campo.  La  gente  che  lo  ve- 
deva passare  abbattuto  e  smorto  ne  aveva  pietà  come 
di  uomo  tratto  al  supplizio.  Egli  stesso  credeva  giunta 
la  sua  ora  estrema,  e  non  cessò  di  tremare,  se  non  quando 
si  vide  in  mezzo  all'esercito  festeggiato  e  salutato  impe- 
ratore da  tutti  i  soldati. 
Il  Senato,  avuta  notizia  della  strana  avventura,  mandò 


Claudio  acool- 


3tor;ani  (Donaldson^  Archit.  Sum.,  p.  -32:3). 


ambasciatori  nel  campo,  i  quali  usarono  esortazioni  e 
minacce,  perchè  Claudio  non  accettasse  Tlmpero  datogli 
fuori  d'ogni  regola  da  audaci  soldati,  e  gli  intimarono 
che  si  sottomettesse  all'autorità  delle  leggi  e  dei  padri, 
cui  apparteneva  di  statuire  sulle  sorti  della  Repubblica. 


33S  VANA  RESISTENZA  DEI  LIBERALI.  [Lib.  VII. 

Egli  rispose  non  potere  resistere  alla  forza  maggiore:  e 
confortato  da  altri,  e  massime  dal  giudeo  Erode  Agrippa, 
amicissimo  dell'ucciso  tiranno,  che  in  quel  giorno  si  mo- 
strò consigliere  scaltrissimo,  stette  fermo  a  pigliarsi  il 
comando,  di  cui  il  Senato  non  aveva  forza  a  spogliarlo. 
Parlamentò  i  pretoriani,  ebbe  il  loro  giuramento,  e  col 
promettere  a  ognuno  quindicimila  sesterzi  (2582  lire  ital.) 
fu  il  primo  dei  Cesari  a  comprare  a  contanti  la  fedeltà 
dell'esercito.  La  plebe  lo  salutò  con  grida  festive:  da 
ogni  parte  soldati  e  gladiatori  accorrevano  a  lui,  e  alla 
fine  le  stesse  guardie  del  senato  chiesero  tumultuosa- 
mente un  imperatore  e  andarono  al  campo,  né  valse  a 
frenarle  lo  sdegno  impetuoso  di  Cherea,  che  invano  pro- 
testava darebbe  tutto  il  suo  sangue  alla  Repubblica,  e 
non  tollererebbe  a  imperatore  uno  stupido  dopo  un  fre- 
netico. 11  senato,  rimasto  senza  difesa,  e  discorde  tra  i 
vani  pensieri  di  libertà  e  tra  le  ambizioni  di  più  pre- 
tendenti, alla  fine  fu  necessitato  ad  accettare  la  elezione 
dei  soldati,  e  ad  offrire  i  suoi  omaggi  a  Claudio.  Il  quale, 
entrato  in  Roma  come  padrone,  spense,  ad  esempio, 
Cassio  Cherea  con  altri  dei  congiurati,  e  offri  perdono 
e  amicizia  a  Sabino:  ma  questi  non  volle  rimaner  testi- 
mone della  nuova  schiavitù,  nò  sopravvivere  alla  libertà, 
che  aveva  creduta  risorta  *. 

Il  nuovo  imperatore  nasceva  dal  primo  Druso  e  da 
Antonia,  figlia  di  Marco  Antonio  e  di  Ottavia  sorella  di 
Augusto;  e  quindi  era  fratello  di  Germanico  e  nipote  di 
Tiberio  e  zio  di  Caligola.  Aveva  avuto  l'infanzia  e  la  gio- 
ventù afflitte  dai  barbari  trattamenti  di  un  pedagogo,  e 
da  continue  infermità  che  gli  travagliarono  l'anima  e  il 
corpo  cosi,  che  non  eravi  alcuno  che  lo  stimasse  buono 
a  qualcosa.  Era  in  corte  zimbello  alle  beffe  di  tutti.  L'a- 
vola Livia  non  gli  volgeva  se  non  dure  parole;  e  la  madre 

>  Giuseppe   Flavio,  AiU.  Gv'.d.^  XIX,   1-4-,  Svctonio,  Calig.^   «0.    Cland.^  10;  Dione 
Cassio,  l,X,  1  e  3. 


Cap.  11.]  IMPERATORE  SCIAGURATO,  ERUDITO  E  BALORDO.        339 

stessa  lo  chiamava  un  mostro  di  natura,  e  per  notare 
alcuno  di  grande  stupidezza  diceva:  è  piìi  balordo  di 
Claudio  mio  figlio.  Augusto  che  ne  sentiva  commisera- 
zione, lo  fece  guardare,  perchè  con  qualche  sciocchezza 
in  pubblico  non  esponesse  al  ridicolo  la  famiglia  impe- 
riale. 

Di  questo  dispregio  dei  suoi  egli  aveva  cercato  conforto 
negli  studi  delle  lettere,  e  divenne  molto  erudito,  e  pei 
consigli  di  Livio  scrisse  più  opere  storiche:  ma  la  sua 
mente  rimase  sempre  uno  strano  fenomeno,  perchè  fra 
lo  scrivere  hbri  non  senza  ingegno,  e  il  parlare  talora 
elegante  ^,  dava  sempre  in  grandi  sciempiaggini,  e  per 
difetto  di  giudizio  ebbe  chiusa  la  via  degli  onori.  Augusto 
gli  permise  solamente  l'ufiìcio  di  augure,  quasiché  la  ba- 
lordaggine non  facesse  ostacolo  a  predire  il  futuro:  e 
Tiberio  a  cui  chiedeva  instantemente  il  consolato,  gli 
mandò  denari  perchè  si  divertisse  nei  Saturnali.  Sotto 
Caligola  riuscì  ad  esser  console:  né  perciò  si  facevano 
minori  le  beffe  di  lui,  povero  e  pieno  di  debiti,  e  usante 
con  mali  uomini,  e  dato  ad  ubriachezze  e  altre  lordure. 
Corse  anche  non  lievi  pericoli:  battuto  e  schiaffeggiato 
da  Caligola,  che  in  Germania  lo  fece  gettare  in  un  fiume 
quando  a  nome  del  Senato  andò  a  congratularsi  per  la 
scoperta  della  congiura  di  Lepido  2. 

Per  tutto  questo  diventò  timidissimo,  istupidì  più  che 
mai,  non  ebbe  più  volontà,  fu  facile  ad  essere  indotto 
ad  atti  sconci  e  crudeli.  Nei  suoi  buoni  momenti  dichia- 
rava di  essersi  finto  stupido  per  campare  da  Caligola:  ma 
non  gli  credeva  nessuno,  perchè  altri  atti  e  motti  insipidi 
mostravano  subito  che  la  sua  balordaggine  non  era  fin- 
zione 3.  Ora  comincia  lo  spettacolo  del  governo  del  mondo 
nelle  mani  di  un  uomo  incapace  a  governare  sé  stesso. 

1  Tacito,  Ann..  XIII,  3. 

2  Svetonio,  Claud,  1-9,  '11  e  12;  Dione  Cassio,  LIX,  2?.,  IX,  ?. 

3  Svetunio,  Claud.j  35;  Dions,  LX,  2. 


340  MISTO  DI  CRUDELTÀ,  DI  BONTÀ  E  DI  PAURA.    [Lm.  VIL 

Quando  i  pretoriani  lo  messero  in  trono  era  sui  cin- 
quant'anni.  Abbiamo  negli  scrittori  il  ritratto  del  corpo 
e  dell'animo,  confermato  in  parte  da  numero  grande  di 
medaglie,  di  statue  e  di  busti.  Aspetto  dignitoso  e  au- 
torevole, soprattutto  quando  stava  in  riposo;  grande  per- 
sona, grasso  collo,  bella  canizie.  Ma  nel  muoversi  e  nel 
favellare  dava  lo  strano  spettacolo  di  un  imperatore  del 
mondo  malato  di  corpo  e  di  mente,  mal  sicuro  sulle  gi- 
nocchia, indecente  nel  riso,  con  voce  confusa  e  rauca  a 
guisa  di  mostro  marino,  e  più  sconcio  nell'ira,  colla  bocca 
spumante  di  bava,  colle  narici  umide,  colla  lingua  non 
bene  sciolta,  colla  testa  tremante  ("). 

Atterito  dalla  uccisione  di  Caligola  sul  principio  non 
osò  per  un  mese  di  recarsi  al  senato.  Dappertutto  ve- 
deva ferri  appuntati  contro  il  suo  petto.  Quindi  inter- 
venne cinto  di  guardie  armate  ai  conviti,  e  faceva  fru- 
care  uomini  e  donne  e  fanciulli  che  andassero  a  salutailo 
in  palazzo,  né  rnai  andava  a  visitare  un  infermo  se  prima 
non  era  assicurato  che  non  si  celassero  armi  tra  le  co- 
perte e  le  materasse  del  letto  K  Al  tempo  stesso  per 
mostrar  modi  civili,  non  volle,  secondo  Svetonio,  il  nome 
d'imperatore,  ricusò  gli  onori  soverchi,  giurava  nel  nome 
d'Augusto,  vietò  a  tutti  di  giurare  nei  suoi  atti,  fu  parco 
nello  spender  per  sé,  détte  amnistia  alla  tentata  rivolu- 
zione, abolì  le  accuse  di  maestà,  giurò  di  non  usar  mai 

(")  Svetonio,  Claud.,  30;  Seneca,  Apocolocyntosis,  o  De  morte  Claudii 
Caesaris,  5;  Dione,  LX,  2\  Giovenale,   VI,  6'^3. 

Pei  ritratti  di  Claudio  nelle  medaglie,  nei  cammei  e  nei  marmi  vedi 
Cohen,  Mcd.  frappces  aous  l'emp.  rovi.,  voi.  I,  pi.  X,  pag.  157-IG7,  n.  1-1»7; 
Visconti,  Museo  Pio  Clem.,  voi,  VI,  tav.  4],  e  Monumenti  Dorgheniani, 
tav.  19;  Bottari,  Mus.  CapitolinOj  voi.  II,  tav.  13;  Mougez,  Iconocjr.  Rom., 
pi.  27  e  29;  Garrucci,  Mus.  Laieran.,  tav.  11;  Beulé,  Le  xanr/  de  GeV' 
manicus,  pag.  192-201:  Engelmaun,  in  Annoi.  Istit..  lN7'.\  pag.  57,  e 
tav.  agg.  E. 

•  Dione  Cassio,  LX,  3;  Svetonio.  Claud. j,  35. 


i 


Cai>.  IL]      GIUDIZII  SENZA  AUTORITÀ,  E  SENZA  DECORO.  341 

la  tortura  coi  liberi,  richiamò  gli  esiliati,  abolì  le  straor- 
dinarie gravezze  e  le  altre  abominazioni  di  Caligola,  e  in 
pari  tempo  pio  agli  altri  parenti  onorò  la  memoria  di 
Druso  e  di  Antonia  suoi  genitori,  e  quella  degli  avi  suoi 
Livia  ed  Antonio:  non  fece  nulla  senza  il  senato,  onorò 
i  magistrati,  provvide  al  nutrimento  del  popolo,  détte 
donativi  ai  soldati,  congiarii  alla  plebe,  colse  ogni  oc- 
casione per  fare  feste  magnifiche,  e  pubblici  conviti  e 
sontuosi  spettacoli  a  cui  assisteva  le  intere  giornate,, 
chiamando  i  cittadini  suoi  padroni,  ed  esortandogli  a 
stare  allegri.  Le  quali  cose  fin  da  principio  lo  resero 
amato  cosi  che  sparsasi  un  di  la  voce  di  sua  morte,  il 
popolo  corso  a  furore  minacciò  i  senatori  e  i  soldati, 
né  si  calmò,  finché  quel  grido  non  fu  smentito  K 

Ma  da  un  altro  lato  perdeva  ogni  autorità,  non  ser- 
bando alcun  decoro  in  suoi  atti  e  parole,  dicendo  spesso 
fredde  facezie  e  grosse  sciocchezze  ^,  e  facendosi  ridi- 
colo anche  nelle  cose  più  gravi.  Era  assiduo  a  render 
giustizia;  giudicava  in  camera  sua,  in  senato,  nel  Fóro, 
ora  mitigando  le  leggi,  ora  trapassandole  stranamente,, 
ora  mostrandosi  circospetto  e  sagace,  ora  inconsiderato 
e  simile  a  un  demente,  e  distruggendo  con  decisioni  ri- 
dicole l'effetto  delle  buone  sentenze.  Talora  non  ascol- 
tava se  non  una  delle  parti,  e  diceva  di  stare  con  quelli 
che  avevano  esposto  la  verità.  Una  volta,  domandato 
perché  un  testimone  non  fosse  comparso,  gli  dissero: 
perché  è  morto:  ed  egli  seriamente  aggiunse  che  la  scusa 
era  lecita.  Spesso  dormiva  nel  render  giustizia,  e  appena 
era  risvegliato  dagli  avvocati,  che  a  bella  posta  alzavano- 
la  voce.  Un  giorno  stando  sul  tribunale  nel  Fóro  d'Au- 
gusto senti  l'odore  di  un  lauto  convito,  che  si  apparec- 
chiava dai  Salii  nel  vicino  tempio  di  Marte,  e  avidissimo 
com'era  di  mangiare  e  di  bere  ad  ogni  ora,  lasciò  subito 

>  Svetonio,  Claud.^  11,  12,  -'1;  Tacito,  Anv.,  XII,  41  -,  Dione  Cassio,  LX,  '.'.-6,  13,   25. 
2  Svetonio,  Claud..  21  e  10. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  13 


1 


342     L'IMPERATORE  E  IL  INIONDO  IN  POTERE  DI  LIBERTI.  [Lib.  VII. 

la  giustizia,  e  andò  nel  tempio  e  si  pose  a  tavola  e  mangiò 
sconcissimamente.  Per  le  quali  cose  era  la  bella  e  il 
dispregio  di  tutti.  Gli  avvocati  pigliavano  tanta  confidenza 
con  lui,  che  quando  voleva  scendere  dal  tribunale  lo  ri- 
tenevano pel  lembo  della  toga  e  pei  piedi:  e  vi  ebbe  chi 
apertamente  lo  chiamò  vecchio  stolto  e  crudele,  e  gli  gettò 
•in  viso  lo  stilo  e  le  tavolette  '. 

È  facile  imagjnare  a  quali  stranezze  dovesse  trascor- 
rere il  governo  di  un  cotal  uomo.  Ma  vuoisi  dir  subito 
che,  quantunque  avesse  non  di  rado  buone  intenzioni, 
nella  più  parte  delle  cose  buone  o  triste  fatte  in  suo 
nome,  egli  spesso  non  ebbe  né  merito,  né  colpa,  perchè 
non  aveva  né  giudizio,  né  odio,  se  non  dettato  e  coman- 
dato '2.  L'imperatore  e  il  mondo  stettero  in  potere  di  li- 
berti e  di  donne:  ed  egli  stesso,  sebbene  pcidre  della 
patria,  e  incoronato  di  quercia,  e  Dio  anche  in  vita,  di- 
ceva di  non  esser  padrone  in  sua  casa  ("). 

I  liberti  si  vendicavano  ora  degli  oltraggi  patiti  dagli 
antichi  padroni  coli' umiliare  davanti  a  sé  i  grandi  di 
Roma,  e  coU'usarli  a  strumento  di  loro  turpitudini.  Sono 
ricordati  Polibio,  suo  maestro  di  studi,  Callisto,  l'eunuco 
Poside,  Arpocrate,  Mirone,  Anfeo,  Feronatte,  e  potentis- 
simi il  segretario  Narciso  e  il  ragioniere  Pallante,  che  la- 
sciati in  libertà  di  rubare  a  loro  voglia,  divennero  più 
ricchi  dell'imperatore  stesso.  Pallante  ammassò  300  milioni 
di  sesterzi  (58,450,083  lire  ital.),  e  Felice,  fratello  di  lui, 
marito  di  tre  regine,  si  arricchì  nel  governo  della  Giudea, 
ove  uccise  e  rubò,  e  si  credè  lecito  ogni  misfatto.  Pallante, 

P)  Svet.onio,  40.  Il  Rorgliesi  mostrò  incontrastalìilinente  che  fu  salutato 
padre  della  patria  agli  idi  di  gennaio  del  795:  e  il  titolo  di  divino,  dato 
a  lui  vivo,  è  attestato  dagli  Aiti  degli  Arvali.  Vedi  Borghesi,  Layn'(7e  di 
Criiinio  Silano,  in  Oeuvres,  V,  192,  e  Bull.  Islit.,  1842,  pag.  177. 

'  Svoionio,   11,  ir.,  -23,  3:!;   Tacito,  Ay.n  ,.   XI.   ■.'  .■  :ì  :    liion"  Ca'^^io,    1,\'.    !,  ir,  o  17; 
.Seneca.  Apocnloc  ,  7. 
2  Tacito,  Ann..  XU,  '.\. 


Gap.  !I. 


ONORI  AL  LIBERTO  FALLANTE. 


343 


passato  dalla  servitù  a  scandaloso  favore  e  a  suprema 
potenza,  era  onorato  come  discendente  dei  re  di  Arcadia, 
e  si  divertiva  a  dettare  decreti  al  senato  per  reprimere 
il  commercio  delle  matrone  coi  servi.  E  il  senato  per 
questa  proposta  gli  destinò  le  insegne  pretorie  e  quindici 
milioni  di  sesterzi,  e  per  avviso  di  uno  Scipione,  aggiunse 
doversi  rendere  pubbliche   grazie   al  grande   uomo,  che 


Claudio  incoronato  di  quercia  {Mongez,  Icon.  Rom.,  pi.  XXVII,  n.  2). 


posponendo  la  sua  antichissima  nobiltà  al  pubblico  ser- 
vigio consentiva  di  essere  uno  dei  ministri  del  principe. 
Ma  Fallante  fece  dire  da  Claudio  che  accettava  solamente 
l'onore,  e  rimaneva  contento  alla  sua  prima  povertà.  11 
senato  allora,  cadendo  a  più  turpe  bassezza,  fece  scolpire 


•344  ORDINAMENTI  MILITARI.  GUERRA  IN  AFFRICA.    [Lib.  VII. 

in  bronzo  il  decreto,  con  cui  si  lodava  di  antica  parsi- 
monia il  liberto  ricco  di  300  milioni  *. 

Costoro  colle  mogli  del  principe  facevano  e  disfacevano 
a  proprio  talento:  venderono  il  privilegio  della  cittadi- 
nanza romana,  disposero  sovranamente  di  ogni  ufficio 
pubblico,  dell'erario,  degli  eserciti,  delle  fortune  e  delle 
vite  dei  cittadini:  per  denaro  davano  il  privilegio  di  por- 
tare intagliati  nell'anello  i  ritratti  del  principe;  dettavano 
i  decreti  di  lui,  annullavano  i  suoi  giudizi,  gli  davano  a 
loro  scelta  la  sposa  -.  Onde  un  altro  imperatore  più  tardi 
ebbe  a  dire  di  Claudio,  che,  quando  non  aveva  seco  i  li- 
berti e  la  moglie,  era  come  un  personaggio  muto  da  scena, 
e  quasi  un  corpo  senz'anima  '. 

Pure  questi  liberti,  che  governano  l'imperatore  e  si 
arricchiscono  a  spese  del  mondo,  alle  infamie  sanno  ac- 
coppiare anche  i  savii  consigli.  E  sotto  lo  stupido,  non 
geloso  della  gloria  dei  duci,  si  accresce  la  potenza  romana 
al  di  fuori,  sono  respinti  i  nemici  da  ogni  frontiera,  e  nel- 
l'interno si  fanno  utili  provvedimenti  e  grandiosi  lavori. 

La  cavalleria  fu  meglio  ordinata:  istituita  una  milizia 
di  soprannumero,  che  stesse  come  riserva*:  gli  onori 
trionfali  dati  facilmente,  e  spesso  anche  sprecati^:  ma 
i  duci  attendevano  di  proposito  ad  imprese  che  parto- 
rissero lode,  e  quasi  dappertutto  trionfarono  delle  male 
disposizioni  dei  popoli  e  dei  re.  In  Affrica  i  moti  dei 
Annidi  Ro- Mauri,  cominciati  già  sotto  Caligola,  furono  repressi  da 
G.^c!4^'.  '  C.  Svetonio  Paolino,  che  prima  d'ogni  altro  s'avanzò  oltre 


•  Piitter,  De  senatux  consulto  Claudiano ,  cel  dà  poenis  midieruin  qtcae  aìieiiis  se 
servis  iunrcerhìt,  Berolini  1S27;  Seneca,  Apocoloc,  13;  Svetonio,  2S,  29;  Tacito,  Ann.^ 
XI,  29  e  3S,  XII,  53,  Hist.,  V,  9;  Dione  Cassio,  LX,  8,  17,  S9,  .'!!;  Plinio,  Hist.  Nat. 
XXXIII,  47,  XXXVI,  12,  Epht..  VII,  2.1,  Vili,  0;  Giovenale,  XIV,  91;  Giuseppe  Fin- 
vio.  Guerra  Gmd.^  li,  12,  13,  e  Ant.  Giud.^  XX,  7;  Tertulliano,  De  pallio.  5. 

2  Svetonio,  25,  29;  Tacito,  Ann..  XII,  1  e  2;  Dione  Cassio,  LX,  2,  S  e  11;  Plinio, 
XXXIII,  12. 

3  Giuliano,  /  Cisarij  :■.  Vedi  anche  Filostrato,  Vito,  ili  ApoUonio  Tioneo,  V,  ;Ì2. 
•1  Svctfinio,  25. 

-  Tacito,  Ann...  XI,  20,  XII,  3;  Srctonio,  21;  Dione,  LX,  2:'   ■  :;;). 


à 


Cap.  IL]  SPEDIZIONE  IN  BRITANNIA.  345 

l'Atlante,  e  la  regione  fu  partita  in  due  province  coi  nomi 
di  Mauritania  Cesariana,  e  Tingil^ana '.  L'anno  appresso 
fu  intrapresa  anche  la  spedizione  in  Britannia,  ed  ese- 
guito il  conquisto  di  una  parte  dell'isola,  tentato  sola- 
mente da  Cesare,  e  trascurato  per  prudenza  da  Augusto. 
Ne  ebbe  l'incarico  Aulo  Plauzio,  governatore  delle  Gallie, 
il  quale  vinte  le  difficoltà  dei  soldati  ricusanti  dapprima  di 
avventurarsi  ad  un  paese  sconosciuto,  e  creduto  al  di  là 
dei  confini  del  mondo,  passò  lo  Stretto,  e  prese  di  leg- 
gieri tutta  la  contrada  fino  al  Tamigi.  Ma  i  Britanni  fug- 
giti dapprima  si  apparecchiavano  sul  fiume  a  gagliarda 
resistenza.  Per  lo  che  Plauzio,  non  stimando  sicuro  as- 
sahrli  con  la  sua  gente  chiese  rinforzi,  e  scrisse  a  Claudio 
di  venire  in  persona  al  governo  dell'impresa.  E  l'impe- 
ratore, corso  rapidamente  il  mare  da  Ostia  a  Marsilia, 
e  traversate  le  Gallie,  passò  da  Gessoriaco  (Boulogne)  in 
Britannia,  varcò  con  tutta  l'oste  il  Tamigi,  messe  in  rotta 
lo  sforzo  dei  Brettoni,  prese  Camuloduno  (Colcìiestcr)  ca- 
pitale dei  Trinobanti,  e  assoggettò  parecchie  tribù.  L'im- 
presa fu  compiuta  in  16  giorni:  e  Claudio,  salutato  più 
volte  imperatore  ("),  lasciò  Plauzio  al  governo  dei  vinti, 
e  dopo  sei  mesi  di  assenza  tornò  a  Roma,  e  oltre  al 
nome  di  Britannico ,  che  rimase  poi  più  specialmente 
al  suo  figlio ,  prese  tutti  gli  onori  degli  eroi  :  un  arco 
trionfale  in  città  {^),  un  altro  a  Susa,  un  altro  sulle  rive 

(")  Sebbene  mea  battagliero  degli  altri,  Claudio  fu  salutato  27  volte 
imperatore  in  sua  vita.  Spanhem.,  De  praest.  num.,  II,  p.  404;  Orelli,  715. 

e*)  L'arco  di  Roma  ricordato  anche  dalle  medaglie  (Eckel,  VI,  210) 
sorgeva  sulla  via  Flaminia  {Corso)  presso  l'imboccatura  della  strada  che 
oggi  (la  Pia::za  di  Sciarra  conduce  a  Piazza  di  Pietra  (Nibby,  Roma 
oMi'ica ,  I,  440).  Delle  rovine  di  esso  rimangono,  a  quanto  sembra7  sola- 
mente alcuni  bassirilievi  mutilati  e  logori  molto  tra  le  antichità  della 
Villa  Borghese,  nei  quali  vedesi  un  imperatore  paludato  in  mezzo  ai  suoi 
legati,  e  altri  ufficiali,  e  molti  soldati  con  insegne  e  scudi  portanti  la 
protome  di  Claudio.  Vedi  Nibby,  Monumenti  scelti  delle.  Villa  Borghese, 
Roma  1832,  pag.  14-15,  25-2G,  e  tav.  1  e  T). 

'    Jionfi  Cassio,  LX,  0.  Conf.  Plinio.  V,  '. 


346  TRIONFO  DI  CLAUDIO.  [Lib.  VII. 

galliche  ove  si  era  imbarcato:  corona  navale,  quasi  do- 
matore dell'Oceano:  trionfo  solenne  sul  Campidoglio,  al 
quale  sali  in  ginocchio  mentre  Messalina  lo  seguiva  sopra 
magnifico  carro.  Fece  pompa  di  corone  d'oro,  una  delle 
quali,  donata  dalla  Spagna  citeriore,  pesava  7  mila  libbre, 
e  9  mila  un'altra  donata  dai  Galli.  Profuse  onori  trion- 
fali e  corone  d'oro  e  collane  ed  armille  ai  compagni.  Poi 
spettacoli  senza  misura,  corse,  lotte  di  atleti,  cacce  di 
fiere,  giuochi  trionfali,  sacrifizii,  conviti  e  larghezze  di 
ogni  sorte  al  popolo  e  ai  soldati.  Allargò  il  pomerio 
per  avere  accresciuta  la  dominazione  di  Roma,  e  per 
questa  impresa  ebbe  monumenti  e  lodi  per  tutta  la 
vita  *.  Al  trionfo  sui  Brettoni,  ricordato  e  figurato  sulle 
medaglie,  altri  credè  allusivo  anche  l'antico  Cammeo  in 
cui  sopra  carro  tratto  da  due  centauri  si  videro  Claudio, 
Messalina  e  i  loro  figliuoli  Ottavia  e  Britannico:  Claudio 
in  veste  trionfale  e  coronato  di  lauro,  e  armato  di  ful- 
mine, mentre  la  Vittoria  vola  a  porgli  una  corona  sul 
capo,  e  i  centauri  calpestano  i  barbari  da  lui  fulminati: 
Ottavia  coronata  anch'  ella  di  lauro,  e  il  piccolo  Britan- 
nico in  veste  militare  con  la  sinistra  appoggiata  sul  pa- 
razonio  -. 

Pure  la  vittoria  non  era  compiuta;  i  Britanni  si  sol- 
levarono pili  volte;  e  contro  essi  sorse  a  Camuloduno 
la  prima  colonia  romana,  stabilita  da  P.  Ostorio  Scapula 
successore  di  Plauzio,  come  fortezza  della  potenza  ro- 
mana nell'isola;  e  poscia  (804)  fu  preso  anche  Carattaco, 
capo  famoso  dei  Siluri  ("),  il  quale  per  molte  dubbie  e 
molte  felici  imprese  sorto  sopra  gli  altri  duci  Britanni 

C)  Nella  parte  meridionalo  del  paese  di  Galle;?. 

1  Tacito,  Agric.  13;  Pione  Cassio,  LX,  l!>-23;  Svctonio,  !7,  21;  Tlinio,  XXXIII,  16; 
Maff-i,  Museo  Veron.^  218,  2\Annal.  Jstit.^  1839,  pap.  31;  Heazen,  in  Bull.  Istit...  1857, 
pajr.  12-13;  Orelli.  710  e  713. 

2  Per  le  medaglie  vedi  Cohen,  I,  pi.  20,  n.  2  e  13.  11  Cammeo  ò  in  Millia ,  Galerie 
Mvihol,  l'I.  177,  n.  «78,  e  in  Mongez,  Ico'k.  Kom^  pi.  XXIX,  n.  5.  Per  le  interpreta- 
zinni  vedi  ivi,  voi.  11,  p.  211-216. 


Gap.  IL] 


IL  RE  CARATTACO  A  ROMA. 


347 


dopo  lunghe  prove  tentò  l'ultima  fortuna  e  fu  vinto  da 
Ostorio,  e  dopo  la  perdita  di  sua  moglie  e  figliuola,  ca- 
dute in  mano  ai  nemici,  venne  anch'egli  in  potere  di 
essi,  tradito  da  Cartismandua,  regina  dei  Briganti,  nella 
cui  fede  si  era  commesso,  e  fu  mandato  in  catene  a  Roma, 


Trionfo  ^i  Clai 


Mo.'oez) 


ove  il  vinto  parlò  nobili  parole  all'imperatore  assiso  so- 
lennemente sul  suo  tribunale,  e  Claudio  risparmiò  lui  e 
sua  moglie,  e  figliuola,  e  fratelli;  e  i  padri  paragonarono 
quella  mostra  alle  antiche  di  Siface  e  di  Perseo.  Ostorio 
ebbe  l'onore  dell'ovazione  per  quella  vittoria:  ma  anche 


348  IMPRESE  IN  GERMA:^IA  E  IN  ORIENTE.  [Lib.  VIL 

dopo  questo  i  IJritanni  non  si  accomodarono  alla  signoria 
forestiera,  e  continuarono  a  tentare  con  varia  fortuna 
la  prova  delle  armi  *. 

In  Germania  fa  combattuto  felicemente  coi  Catti  e  coi 
Cauci  da  Servio  Sulpicio  Galba  e  da  P.  Gabinio  Secondo, 
il  quale  ebbe  la  gloria  di  riprendere  l'ultima  delle  aquile 
romane,  rimaste  in  mano  ai  nemici  dopo  la  sconfìtta  di 
Varo.  Ai  Cherusci  chiedenti  un  re  fu  dato  Italico ,  un 
nipote  di  Arminio  che  stava  a  Roma,  giovine  bello  di 
persona  e  maneggiatore  di  armi  e  cavalli  all'uso  romano 
e  germanico  :  e  Gn.  Domizio  Corbulone ,  il  più  valente 
uomo  di  guerra  di  questa  età,  sottomise  i  ribellanti  Fri- 
Annidi  uo- soni,  6  avrcbbc  proceduto  a  cose  maggiori  contro  i  Cauci, 
o.\\ 'i7?*  se  ordini  della  sospettosa  corte  di  Roma  non  lo  costrin- 
gevano a  tornare  alle  stanze  del  Reno,  ove  egli,  invi- 
diando la  libertà  degli  antichi  capitani,  tolse  dall'ozio  i 
soldati  coir  occuparli  a  scavare  un  canale  di  23  miglia 
tra  Mosa  e  Reno  ^  per  agevolare  le  comunicazioni  in 
regioni  di  suolo  mal  fermo  a  sostenere  il  peso  di  una 
via  militare,  e  per  mettere  ostacoli  alle  invasioni  d'-;!- 
l'Oceano  (")• 

In  Oriente,  seguendo  l'uso  antico  di  nutrire  le  discordie 
tra  i  Parti,  non  potuti  mai  vincere  colle  armi,  fu  dato 
loro  un  re  che  ebbe  tristi  fortune;  e  Claudio  ne  menò 
vanto,  e  si  paragonò  per  questo  fatto  ad  Augusto.  Ai 
Licii  fu  tolta  la  libertà  per  causa  di  loro  discordie.  I 
Bisantini ,  che  mandarono  un'  ambasciata  a  ricordare  i 
loro  meriti,  furono  alleviati  dei  tributi  per  cinque  anni: 
sii  Illesi  andarono  liberi  da   oo;ni   gravezza  in  memoria 


(")  This  great  -work  stili  forms  a  principal  drain  of  the  province  ol 
HoUand  bet^veen  the  city  of  Leiden  and  the  village  of  Sluys  on  the  Maas. 
Greenwood,  Hislory  of  ihe  dermans ,  I,   111.  in  Scrivale,  VI,   12. 

1  Tacito,  Ann..  MT,  :'.l-:iS.  A;.ri'-..  !-l  <-  H 

2  Tacito,  Ann..  .\1,  10-?(J:  Sv.'tonio,  21:  Dione  Cassio,  LX ,  S  e  .'{D. 


à 


Cap.  n.]         GOVERNO  DELLE  PROVLNCE,  349 

dell'essere  stati  i  primi  padri  di  Roma:  e  quelli  di  Coo 
ebbero  immunità  in  grazia  di  Esculapio,  che  recò  la  me- 
dicina nell'isola,  e  del  loro  concittadino  Senofonte,  medico 
dell'imperatore.  La  Tracia  sollevatasi  fu  vinta  e  ridotta 
a  provincia  :  la  Palestina  riunita  al  governo  di  Siria  : 
riconquistata  l'Armenia:  il  Bosforo  Cimmerio  dato  a  un 
discendente  del  gran  Mitridate  ;  e  come  questi  poscia 
tentò  di  scuotere  il  giogo,  fa  preso  e  condotto  a  Roma 
in  mostra  al  popolo  *. 

In  varie  maniere  fu  provveduto  all'  amministrazione 
•delle  province  -,  al  tempo  stesso  che  si  poneva  ogni 
studio  nell'afforzare  ed  allargare  le  prerogative  imperiali, 
a  danno  del  senato  e  dei  magistrati.  I  consoli  perderono 
il  diritto  di  giudicare  alcune  cause  rimesse  ai  pretori  3, 
mentre  i  giudizi  dei  procuratori,  incaricati  nelle  province 
di  soprintendere  ai  servi  e  alle  private  sostanze  del 
principe,  ebbero  forza  quanto  le  cose  statuite  da  lui:  e 
avuta  giurisdizione,  a  poco  a  poco  presero  l'autorità,  che 
perdevano  i  magistrati  officiali.  Cosi  i  liberti ,  ministri 
della  casa  imperiale,  si  uguagHavano  alle  leggi  e  al  prin- 
cipe, il  quale  diveniva  il  solo  magistrato,  e  convertiva 
la  sua  volontà  in  unica  legge  del  mondo.  Dopo  l'impresa 
di  Britannia ,  sotto  colore  di  agevolare  la  piena  sotto- 
missione deli'  isola ,  fu  stabilito  che  ogni  convenzione 
fatta  coi  Brettoni  dall'imperatore  o  dai  suoi  legati  avesse 
validità,  come  se  fosse  sancita  dai  padri  e  dal  popolo. 
E  ne  fece  decreto  il  senato,  che  afforzava  l'imperatore 
coir  indebolire  sé  stesso.  Anche  la  licenza  ai  senatori 
per  assentarsi  da  Roma  e  d'Italia,  già  dipendente  da  un 
senatoconsulto,  divenne  ora  una  grazia  accordata  dal 
principe  '*. 

»  Tacito,  Ann...  Xr,  S-lli,  XII,  10-21,  2?,,  GÌ,  6:1;  Svetonio,  ì:*;  Dione  Cassio,  I.X,  S  e 
17;  Giuseppe  Flavio,  Ant.  Giud.^  XIX,  5,  XX,  7 

2  Dione  Cassio,  LX,  25. 

3  Dione  Cassio,  LX,  21. 

*  Tacito,  Ann.^  IV,  15,  XI,  5,  XII,  i)0  ;  Dione  Cassio,  LX,  23-25  ;  Svotonio,  2:'.. 
Vanxucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  44 


350    I  SERVI  PROTETTI,  E  I  DRUIDI  ABOLITI  DA  CLAUDIO.  [Lib.  VIL 

Pure  anche  in  mezzo  al  crescere  della  corruzione  e 
della  tirannide,  vi  furono  ordinamenti,  che  mostrano  il 
progredire  dell'umana  ragione.  Mentre  i  filosofi  scrivono 
che,  quantunque  tutto  sia  permesso  verso  lo  schiavo,  il 
diritto  comune  degli  esseri  animati  non  soffre  che.  tutto 
sia  permesso  verso  l'uomo  %  un  raggio  di  pietà  entra 
anche  negli  ordinamenti  dei  despoti,  e  per  legge  s'im- 
pedisce al  padrone  di  uccidere  il  servo  impunemente, 
come  il  bove  e  la  pecora:  è  tolto  il  feroce  diritto  di  vita 
e  di  morte,  e  l'uccisione  di  un  servo  è  punita  come 
omicidio.  Contro  1'  uso  di  abbandonare  i  servi  malati , 
esponendoli  nell'isola  Tiberina,  è  ordinato  che  tutti  gli 
esposti  cosi  divengano  liberi,  e  che  i  padroni  non  abbiano 
più  alcun  diritto  su  questi  infelici.  Dall'  altra  parte  ,  a 
mostrare  quanto  sia  opera  meritoria  la  liberazione  dei 
servi,  è  punita  per  legge  la  ingratitudine  verso  gli  autori 
di  SI  gran  beneficio,  e  il  liberto  non  riconoscente  può 
esser  fatto  servo  di  nuovo,  ed  è  vietato  l'assistere  gli  ac- 
cusatori degli  antichi  padroni  ;  e  a  chi  contravvenga  a 
quest'ordine  si  toglie  la  facoltà  di  accusare  ^. 

Legge  umana  fu  pure  quella  che  nelle  Gallio  aboliva 
non  solo  i  sacrificii  di  uomini,  ma  anche  tutto  il  feroce 
culto  religioso  dei  Druidi,  quantunque  eseguita  con  modi 
atrocissimi.  Vietati  sotto  pena  di  morte  tutti  i  segni  di 
quella  credenza:  e  un  Gallo,  condotto  a  Roma  per  ca- 
gione di  un  processo,  fu  dato  al  carnefice,  perchè  aveva 
sulla  persona  Y  uovo  del  serpente,  un  talismano  druidico 
creduto  buono  a  vincer  le  liti  '^. 

Anche  a  Roma  si  volse  il  pensiero  alle  riforme  di  re- 
ligione, e  Claudio  studiò  di  rimettere  in  vigore  le  tradi- 
zioni degli  aruspici,  e  l'antichissima  disciphna  d'Italia, 


'  Seneca,   De  Clementia.  I,  is. 

2  Svetonio,  Claud.j  25;  Dione  Cassio,  LX,    I::,  -'S-i'Dj  ,.  coni,    ivi ^    15;   Modesti 
Digest. .  XI  ,  s,  -2. 

3  Plinio,  XXIX,  l;.':  Svetonio,  Claud.,  •>:>:  Aurelio  Vittore,  De  Cacsaribìis.   1. 


Cap.  ILI  PEDANTERIE  D'ANTIQUARIO.  NUOVA  CENSURA. 


.351 


già  tramandata  dai  maggiorenti  d'Etruria,  e  guasta  ora 
dalle  superstizioni  straniere  *.  Egli  sognava  di  ristorare 
la  Roma  degli  avi,  ed  era  tutto  in  citare  e  in  imitare  il 
dassato.  Nei  trattati  per  assicurar  la  fede  uccideva,  come 
già  i  Feciali,  una  porca  nel  Fóro.  All'udir  terremoti,  e 
alla  vista  di  sinistri  uccelli ,  ordinava  preghiere  e  ferie 
■secondo  il  rito  degli  avi;  voleva  i  supplizi  e  le  feste  al- 
l'antica, e  anche  nei  conviti  rinnuovò  gli  usi  vecchi,  quan- 


Ponte  Lucano  e  sepolcro  dei  Plaiizii  (Mihby^  Viaggio  Antiquario:,  I,  112). 

tunque  il  suo  smodato  e  sconcio  mangiare  non  avesse 
che  far  nulla  colla  prisca  parchezza.  Ma  tutto  questo  era 
amor  d'erudito,  e  pedanteria  d'antiquario,  non  sentimento 
di  ciò  che  fra  le  istituzioni  avite  potesse  profittare  al 
presente,  Ristabih  anche  la  censura,  abolita  già  da  tanti  Anni  di ro- 

^  ma  SOO,  di 

G.  C.  J7. 

1  Tacito.  Ann.^  XI,  15. 


352     AUMENTO  DEI  CITTADINI  ROM.  I  GALLI  IN  SENATO.  [Lib.  VIL 

anni,  e  presone  egli  stesso  1'  ufizio  ,  creò  secondo  1'  uso 
antico  un  collega,  e  si  fece  a  riformare  ogni  còsa.  Creò 
nuovi  patrizi,  tra  cui  un'epigrafe  ricorda  i  Plauzii  illustre 
famiglia  plebea  dei  tempi  repubblicani,  della  quale  dura 
anche  oggi  il  grande  sepolcro  presso  l'Anione  sulla  via 
Tiburtina  a  i6  miglia  da  Roma.  Chiamò  a  sindacato  ca- 
valieri e  senatori,  pregò  gli  indegni  a  uscire  volontarii 
dagli  ordini,  lodò  con  sua  diceria  i  poveri  che  lasciavano 
spontaneamente  la  Curia,  e  ne  cacciò  gli  ostinati  *.  Mentre 
i  potenti  liberti  vendevano  a  corte  il  diritto  della  citta- 
dinanza, egli  studioso,  come  Augusto,  di  mantener  puro 
il  sangue  romano  puniva  fieramente  chi  usurpasse  quel 
privilegio  (").  Pure  il  numero  dei  cittadini  crebbe  di  molto, 
e  mentre  nell'ultimo  censimento,  fatto  nel  767  da  Augusto 
tre  mesi  prima  della  sua  morte,  erano  quattro  milioni  e 
937,000  i  cittadini  maschi  di  età  militare,  ora  nel  censi- 
mento di  Claudio  se  ne  contarono  cinque  milioni  989,072  ^, 
i  quali  possono  rappresentare  una  somma  di  più  che 
venticinque  miUoni.  Ora  anche  i  provinciali  cominciarono 
ad  avere  il  diritto  di  entrare  in  senato.  Claudio ,  per 
riempire  i  vuoti  fatti  nella  Curia  dalle  uccisioni  di  Tiberio 
Annidi  Ro-  e  di  Caligola,  propose  di  ammettervi  i  cittadini  della  Gallia 
crc^'iV/^'  Chiomata,  ai  quali  aveva  particolare  affetto,  perchè  era 

C)  Svetonio.  ClcwcL,  2,');  Dione  Cassio,  loc.  cit.,  17.  Sotto  questo  ri- 
spetto egli  si  mostra  indulgente  in  un  editto  ritrovato  l'anno  1809  presso 
a  Ck's  in  Val  di  Non  a  settentrione  di  Trento,  nel  quale  dopo  avere  or- 
dinato che  una  Commissione  regoli  le  contese  tra  la  città  di  Como  e  i 
montagnoli  dipendenti  da  essa,  tratta  delle  popolazioni  soggette  al  mu- 
moipio  di  Trento  accusate  di  avere  usui'pato  la  qualità  di  cittadini  ro- 
mani. Claudio,  considerando  che  in  ciò  avvi  una  specie  di  prescrizione, 
decide  che  si  lascino  in  possesso  della  cittadinanza.  L'editto  è  dei  ir> 
maggio  709  di  Roma,  46  dell'era  volgare.  Vedi  Kenner,  Ein  Edict  des 
Koisers  Klai'dius ,  Wien  18G9,  e  Revne  archcoh(/iquc ,  1800,  voi.  20, 
pag.  417. 

i  Tacito,  A«M.>  XI,  25.  XII,  r.-2  ;  Svetonio,  Claud.,  Kl,  Ollt.,  1;  Dione  Cassio,  I.X,  -t*. 
2  Moninn.  Ancyr.,  II,  lO-U  ;  Tacito,  Ann..  XI,  -Kk 


1 


Gap.  II.l    EDITTI  DI  CLAUDIO,  E  RIFORMA  DELL'ALFABETO.  353 

nato  in  Lione  fra  essi:  provvedimento  liberale  e  savio 
in  sé  stesso,  perchè  univa  più  sicuramente  le  province 
con  Roma,  e  dava  modo  a  meglio  conoscere  i  bisogni 
dei  sudditi.  Invano  i  senatori  si  opposero,  chiamando 
quell'ammissione  dannosa  all'  Italia  e  ingiuriosa  all'onore 
di  Roma.  Claudio  sostenne  la  proposizione  con  grande 
sfoggio  di  erudizione  antica:  e  fatto,  come  egli  volle,  il 
decreto,  gli  Edui,  antichi  amici  di  Roma,  ebbero  i  primi 
l'onore  di  sedere  nella  Curia  ("). 

In  quel  suo  invasamento  di  esercitare  la  censura  su 
tutto  ,  riprese  severamente  la  licenza  del  popolo  che  in 
teatro  fischiava  le  tragedie  del  consolare  Pomponio  *  ; 
vietò  agli  usurai  di  fare  ai  figliuoli  di  famiglia  prestanze 
pagabili  alla  morte  dei  genitori,  e  tassò  la  mercede  degli 
avvocati  a  diecimila  sesterzi  (4948  lire  ital.),  entrando  di 
mezzo  tra  i  seguaci  dell'antica  severità,  vietante  ogni 
ricompensa,  e  coloro  che  chiedevano  troppo  grossi  gua- 
dagni 2.  E  sempre,  secondo  il  suo  solito,  ai  provvedimenti 
serii  aggiungeva  sconvenienze  e  sciocchezze  :  e,  quantun- 
que altri  si  pigliasse  giuoco  di  lui,  era  continuo  in  dicerie 
e  in  editti,  dei  quali  mandò  fuori  fino  a  venti  in  un  giorno, 
avvertendo  tra  le  altre  cose  il  popolo  che,  per  esservi 
abbondante  ricolta  di  vino,  avesse  cura  di  impeciar  bene 
le  botti,  e  insegnando  a  medicare  i  morsi  delle  vipere 
col  succo  dell'albero  che  chiamasi  tasso  (^).  Finalmente 

C^*)  Tacito,  Ann.j  XI,  2:3-25.  L'orazione  di  Claudio,  rimasta  in  buona 
parte  su  due  tavole  di  bronzo  scoperte  a  Lione  tre  secoli  fa,  e  pubbli- 
cata da  Giusto  Lipsio  e  da  altri  commentatori  di  Tacito,  all'età  nostra 
fu  illustrata  più  volte  in  Francia  e  in  Germania.  Vedi  Zeli,  Claudii  Im- 
jìeratoris  oratio  super  civitaie  Gallis  danda,  Friburgi  Brisigavorum  1833; 
Boissieu ,  Inscriptions  antique.s  de  Lyon,  Lyon  1846:  Comarmond,  Be- 
■srrÌ23fion  des  tahles  de  Claude,,  Lyon  1847:  ^lonfalcon,  Mono'jraphie 
de  la  table  de  Claude,  Paris   1853. 

(/')  Svetouio,  Claud.,  10.  Andò  fonia  che   meditasse  anche  di  fare   un 

1  Tacito,  Ann.,  XI,  13    Coaf.  Plinuj.  Epist.,  VII,  17. 

2  Tacito,  Ann.,  XI,  5-7  e  13. 


354  PROVVEDIMENTI  CONTRO  LA  FAME.  [Lib.  VII. 

nella  sua  manìa  di  riforme,  pensò  anche  all'alfabeto  la- 
tino, e  aggiunse  tre  nuove  lettere,  che  vi  rimasero  finche 
durò  la  potenza  di  lui  o  poco  più  (''). 

Tra  le  cose  sue  più  lodevoli  sono  i  provvedimenti 
contro  gli  incendi  e  la  fame  minacciante  non  di  rado 
la  quiete  di  Roma,  perchè  la  plebe  romana  docile  e  ser- 
vile in  tutto  si  levava  a  tumulto  per  ogni  timore  di  vi- 
veri scarsi,  e  una  volta  assediò  l'imperatore  nel  suo  tri- 
bunale, e  gli  diceva  improperii  e  gli  scagliava  pezzi  di 
pane  e  gli  fece  una  grande  paura  ^  È  detto  che  alla  morte 
di  Caligola  la  città  era  provvista  solamente  per  sette  o 
otto  giorni,  perchè  egli  aveva  occupato  in  sue  folM  im- 
prese le  navi  destinate  ai  trasporti  dei  grani  di  Siciha 
e  di  Affrica  -.  Era  necessario  provvedere  affinchè  rapi- 
damente e  sicuramente  si  volgessero  a  Roma  le  tante 
merci  che  facevano  capo  a  Pozzuoli.  L'antico  porto  di 
Ostia  posto  nella  foce  del  Tevere  non  era  più  adatto  al 
bisogno,  perchè  ingombrato  dalle  alluvioni  del  fiume: 
cosi  che  le  grandi  navi  erano  costrette  a  starsi  ancorate 
nell'alto  mare,  e  far  trasportare  pel  fiume  le  merci  su 
piccole  barche  ^.  Cesare  ebbe  il  pensiero  di  sgombrare 
le  sabbie  ammassate  intorno  al  littorale  ostiense  e  di 
farvi  porti  sicuri   per  numero   grande  di  navi.  Ciò   che 

editto  quo  veniam  darei,  flaUon  crepitxìnqiie  ventris  in  convivio  emil- 
tendi,  cum  periclitatuni  quendam  prae  pudore  ex  contumelia  reperisset. 
Svetonio,  Claud.,  32.  Anche  Triraalcione  permetteva  che  ai  suoi  conviti 
ognuno  avesse  piena  libertà  di  sgravarsi.  Petronio,  Satijric,  Al. 

(")  Tacito,  Ann.,  XI,  13,  14;  Svetonio,  Claud.,  41;  Quintiliano,  I,  7,  27; 
Orelli,  710,  711;  Marini,  Arvali ,  pag.  97.  Le  tre  nuove  lettere  erano: 
d,  un  F  a  rovescio,  da  servire  pel  V  consonante;  0  l'antisigma,  da  valore 
come  ps  0  bs;  P  0  la  metà  sinistra  dell'  H.  per  indicare  il  suono  di  mezzo 
ti>a  Vi  e  r?(  (Y)  :  la  piima  e  la  tei-za  si  vedono  in  parecchie  iscrizioni. 
Vedi  Buechlor,  ])e  Ti.  Claudio  Cacsare  (/rayamafico,  Elberfeldae  1856. 

1  Tacito,  Ann..  XII.  13;  Svetonio,  is. 

2  Spoeca,  De  breoit.  vit..,  IS;  Biono,  LIX,  17;  A.  Vittore,  De  Caeis.,  ^. 

3  Strabone,  V,  3. 


Gap.  II.] 


NUOVO  PORTO  DI  OSTIA. 


355 


non  potè  fare  il  grand'  uomo  fu  intrapreso  e  compiuto 
da  questo  buon  uomo  di  Claudio,  il  quale  intento  ad  al- 
lontanare la  fame,  ed  eccitato  dal  suo  segretario  e  pa- 
drone Narciso  che  nelle  grandi  costruzioni  trovava  il  suo 
conto,  non  si  lasciò  spaventare  dalla  enorme  s-pesa  oc- 
corrente, né  dalle  difìicoltà  d'ogni  sorte  messe  avanti 
dai  suoi  ingegneri,  e  prontamente  fece  metter  mano  alla 
costruzione  di  un  porto  dal  lato  opposto  all'antica  città 
di  Ostia,  sulla  destra  del  Tevere.  Furono  gettati  nell'alto 
mare  due  moli  {brachia),  fu  scavato  un   seno  dentro  la 


l'orto  e  Faro  di  Ostiu 
(^Donaldson,  Archit.  Numism.,  p,  332,  e  Canina^  Edif.,  VI.  isr>,  n.  3). 

terra,  fu  costruita  davanti  alla  bocca  un'isola  ponendole 
per  fondamento  l'enorme  nave  costruita  già  da  Caligola 
pel  trasporto  dell'  obelisco  vaticano,  e  sopra  l' isola  fu 
eretto  un  alto  Faro,  emulo  di  quello  di  Alessandria,  per 
mostrare  colle  sue  faci  l'entrata  ai  naviganti  che  poterono 


356  INCORAGGIAMENTI  AI  TRASPORTI  DEL  GRANO.   [Lib,  VII. 

sicuramente  condurvi  i  loro  carichi  di  giorno  e  di  notte. 
11  nuovo  porto  dopo  più  anni  di  sforzi  fu  compiuto  al 
principio  del  regno  di  Nerone,  in  una  medaglia  del  quale 
se  ne  vede  Fimagine;  e  riuscì  bella,  e  grande  e  molto 
utile  opera,  e  servì  pienamente  ai  bisogni  per  cui  fu  edi- 
ficato (').  Oggi  non  resta  che  una  morta  palude  nel  luogo 
che  per  più  secoli  fu  animato  da  potentissima  vita,  e  fiorì 
di  ricchi  commerci  e  splendè  di  belle  opere  d'arte  e  di 
grandi  edificii ,  origini  ad  una  nuova  città  che  da  esso 
prese  nome  di  Porto,  e  che  con  esso  disparve  lasciando 
poche  rovine  e  più  ricordi  dell'antico  splendore  C*). 

Dopo,  a  incoraggiare  i  trasporti,  fu  trovato  un  modo 
che  in  qualche  parte  somiglia  a  ciò  che  fecero  le  compa- 
gnie di  assicurazione  nei  tempi  moderni.  Si  assicurava  ai 
navigatori  un  determinato  guadagno  sul  grano  trasportato 
da  essi,  e  si  mettevano  a  carico  dello  Stato  i  danni  delle 
tempeste.  Vi  furono  anche  premi  e  privilegi  ai  costrut- 
tori di  navi  :  i  Romani  ebbero  sgravio  dai  carichi  della 
legge  Papia  Poppea  sui  matrimoni  :  i  Latini  furono  pri- 

C»)  Dione  Cassio,  LX,  II;  Svetonio,  Clauil,  20;  Plinio,  IX,  o,  XVI,  76, 
XXXVI,  14  e  15;  Giovenale,  Sat. ,  XII,  75;  Quintiliano,  II,  21,  18,  III, 
8,  16;  'ìiìhhy,  Della  via  portuense  e  dell'amica  città  di  Porto,  Roma  1827, 
pag.  41-48,  e  segg.,  e  Dintorni  di  Roma,  II,  430-431,  e  GÌ  1-613.  Un'e- 
pigrafe, trovata  nel  183G,  e  illustrata  da  P.  E.  Visconti,  dice  che  a  caupa 
<lel  porto  furono  fatte  fosse  per  condurre  l'acqua  del  Tevere  al  mare,  e 
liberare  Roma  dal  pericolo  delle  inondazioni.  Vedi  gli  Atti  dell'Accademia 
romana  di  Archeologia,  voi.  Vili,  pag.  213-222.  SwWa^ Stagione  delle  navi 
di  Ostia,  vedi  anche  una  dissertazione  di  Luigi  Canina,  loc.  cit.,  pag.  250- 
310,  ed  Edifici,  voi.  V,  pag.  198-205,  e  voi.  VI,  tav.  180-191.  Vedi  anche 
sopra  in  questo  volume,  pag.  204-20.5. 

(/")  Sulla  città  di  Porto,  sulle  vicende  e  sulle  rovine  di  essa,  e  su  ciò 
che  ne  dissero  gli  ultimi  scavi  vedi  Nibbv,  Dintorni  di  Roma,  II,  614- 
660,  e  Via  Portuense.  pag.  48  e  segg.  ;  Henzen,  Lanci,  Cavedoni  e  G.  B. 
De  Rossi,  in  Bulleit.  htit,.  1864,  pag.  12  e  segg.,  151,  219,  1866,  p.  135, 
1867,  p.  123;  Lanciani,  Ricerche  topografiche  sulla  città  di  Porlo,  in 
Annal.  Istit.,  1868,  pag.  144-19.5,  e  Monutn.  ined.  Istit.,  Vili.  60;  e  dello 
stesso:  Iscrizioni  Portuensi,  in  Bullett. ,  1868,  p.  2S7,  e  1870,  p.  18. 


i 


Cap.  II.]  L'ACQUE  CLAUDIA  E  ANIl^NE  NUOVA.  2^7 

vilegiati  della  cittadinanza  romana  ;  e  alle  donne  che 
costruissero  navi  fu  dato  il  diritto  delle  madri  di  quat- 
tro figliuoli  *. 

Altra  opera  molto  magnifica  fu  l'acquidotto  che,  comin- 
ciato già  da  Caligola  e  compiuto  e  inaugurato  da  Claudio 
neir803,  e  appellato  dal  suo  nome  ^,  portò  un  altro  fiume 
tino  sui  colli  più  alti  di  Roma.  Furono  raccolte  da  sor- 
genti diverse  due  acque,  d'una  delle  quali,  detta  propria- 
mente Claudia^  veniva  da  38  miglia  presso  la  via  di  Sub- 
biaco,  e  l'altra,  detta.  Aniene  Nuova,  perchè  derivata  dal 
liume  dello  stesso  nome,  partiva  da  quattro  miglia  più 
lungi.  Il  corso  della  prima  era  di  46  miglia,  e  di  58  quello 
della  seconda,  venendo  lungamente  per  vie  sotterranee 
e  in  più  tratti  sopra  sostruzioni  e  opere  arcuate,  le  cui 
grandi  rovine  rendono  anche  oggi  sublime  lo  spettacolo 
dello,  deserta  campagna  ^  Fuori  di  Roma  correvano  se- 
parate sui  medesimi  archi,  e  poscia  confondendosi  in- 
sieme in  città,  da  92  serbatoi  si  distribuivano  a  case  pri- 
vate, a  più  di  mille  fontane,  a  edilizi  pubblici,  a  terme, 
ad  alloggiamenti  militari,  a  teatri,  a  ville,  a  giardini:  ed 
erano  in  sì  grosso  volume,  che  formavano  più  d'un  terzo 
di  tutta  l'acqua  di  Roma  (").  L'acquidotto  che  costò  55 
milioni  e  500  mila  sesterzi  (10,813,376  lire  ital.),  era  per 
testimonianza  di  Plinio  la  più  gran  maraviglia  del  mondo  ^. 
Ne  rimangono  anche  oggi  grandi  avanzi  in  campagna  e 
in  città,   e   gli  archi  della  Porta  Maggiore,  ove   l'acqua 

(^)  Frontino  dice,  che  i  condotti  della  Claudia  e  de]V Aniene  Nuova 
portavano  9345  quinarie,  mentre  gli  altri  sette  condotti  (Appia,  Aniene 
Vecchia,  Tepula,  Giulia,  Vergine,  Marcia,  Alsietina)  uniti  insieme  ave- 
"\ano  15,400  quinarie.  De  Aquaecl.,  13,  21,  72,  76,  87;  Nibby,  Roma  antica, 
1,  343-354;  Canina,  Edifizi,  voi.  Ili,  pag.  «. 

1  Svetonio,  Claud.,  IS  e  19. 

2  Frontino,  De  Aquaed..  13;  Svetonio,  Calig..  21,  e  Claude  20;  Tacito,  A«n.,  XI,  1:?. 
VeJi  anche  il  frammento  dell'epigrafe,  trovata  nel  1S31,  ìnBullett.  htit.j  1831,  pa^-.  l\-, 

3  Frontino,  13-15. 

4  Plinio,  XXXVI,  21. 

"V,vN.NUcci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV,  45 


35S 


EMISSARIO  DEL  LAGO  FUCINO. 


[LiB.  VII. 


passava  sopra  le  vie  Prenestina  e  Labicana,  sono  la  parte 
più  bella  sopravvissuta  alle  rovine  del  gigantesco  edilizio. 
Ma  anche  più  prodigioso  fu  il  lavoro  intrapreso  per 
disseccare  il  lago  Fucino  nei  Marsi  coll'intendimento  di 
rendere  liberi  all'agricoltura  i  fecondi  campi  d'attorno, 
inondati  spesso  dal  traboccare  del  lago.  11  liberto  Narciso 
presedè  a  questa  opera  di  incredibile  spesa:  e  dopoché 


Vedut,»  interna  delia  Porta  Maggiore 
-■oi  comlotti  delle  acque  Claudia  e  Aniene  Nuova  {Caniìia^  Edif.,  IV,  22!)). 


W'ò  mila  uomini  ebbero  lavorato  per  undici  anni  continui 
a  scavare  tra  gli  scogli  dei  monti  un  canale,  lungo  tre 
migHa,  che  scaricasse  le  acque  nel  Liri,  Claudio  per  inau- 
gurar l'opra  con  solenne  festa,  armò  sul  Iago  due  flotte 
di  dodici  triremi  ciascuna,  e  fece  venire  10  mila  prigioni, 
che  combattessero  in  battaglia  navale  al  suono  della 
ti^rribn  di  \m  Tritone  d'argento  fatto  venir  fuori  pervia 


Cap.  II.]  EMISSARIO  DEL  LAGO  FUCINO.  359 

di  una  macchina  dal  mezzo  del  lago.  Le  ripe  e  i  monti 
d'attorno  a  modo  di  anfiteatro  si  empirono  di  folla  in- 
numerabilcj  venuta  al  grande  spettacolo  da  Roma  e  dalle 
altre  parti  d'Italia.  Presedè  l'imperatore  vestito  d'insigne 
paludamento,  e  non  lungi  stava  la  sua  moglie  in  clamide 
d'oro.  Gli  infelici,  destinati  ad  uccidersi  per  dare  spetta- 
colo alla  turba,  indirizzarono  all'imperatore  l'estremo 
saluto:  e  come  egli  rispose.  Salate  a  voi,  essi  si  reputa- 
rono graziati,  e  ninno  voleva  combattere.  Del  che  Claudio 
andato  in  furia  meditava  di  ucciderli  tutti  di  ferro  o  di 
fuoco:  ma  bastarono  esortazioni  e  minacce  per  indurli 
alla  pugna:  e  quando  ebbero  appagata  la  curiosità  della 
turba  con  molta  effusione  di  sangue,  fu  fatta  cessare  la 
battaglia,  e  impedita  l'intera  uccisione.  Alla  fine  fu  aperto 
l'emissario,  ma  non  sgorgò  se  non  poca  parte  delle  ac- 
que perchè  avevano  errato  nel  calcolo,  e  il  canale  non 
era  livellato  neppure  a  metà  della  profondezza  del  lago. 
Quindi  fu  mestieri  di  ritornare  sui  lavori:  e  alla  fine, 
dopo  nuovi  spettacoli,  fu  data  la  via  alle  acque,  che  pro- 
ruppero a  furia  menando  spaventoso  rumore  e  rovina  *. 
La  grande  opera,  trascurata  in  appresso,  rimase  inutile, 
e  fu  mestieri  di  ripigliarla  all'età  nostra  2,  per  impedire  i 
danni  del  lago  che  durarono  fmchè  un  principe  romano, 
Alessandro  Torlonia,  non  si  messe  risoluto  e  ardito  alla 
difficile  impresa,  e  spendendo  generosamente  una  parte 
della  sua  grossa  fortuna,  c'on  lungo  e  sapiente  lavoro  tolse 
di  mezzo  le  acque  del  Fucino,  rese  all'agricoltura  i  fertili 
campi  già  preda  delle  onde,  e  per  tanto  beneficio  ebbe 
le  benedizioni  dei  popoli,  e  l'onore  di  una  medaglia  d'oro 
depretata  (1875)  dal  governo  della  libera  Italia  ^. 

1  Tacito,  Ann.,  XII,  50,  r,7  ;  Svetonio,  Claud.,  20,  21,  :«  ;  Plinio,  XXXVI,  21;  Dione 
Cassio,  LX,  11  e  33;  Sparziiino,  Adrian.,  '22. 

2  Afan  De  Rivera,  Della  restaurazione  dell'emissario  di  Claudio  e  dello  scolo  del  lago 
FurAno,  Napoli  1836;  Colletta,  Storia  del  reame  di  Napoli,  VI,  1,  3;  Bullett,  Istit.^ 
l'^3i),  pag.  85  e  111,  e  Annali,  1831,  pasr.  "21,  e  segg.  Vedi  anche  Guattani,  Sul  lago  Fu- 
cino e  suo  emissario,  negli  Atti  dell'Accad.  rom.  d'archeologia,  voi.  IV,   pag.  ITd-VJù. 

3  Veli  Lanci,  in  BaUett.  Istil. ,  183S,  pag.  89-92,  e  la  Gazzetta  Olficiale  del  Regno 
d' Italia,  12  febbraio  1875. 


360        LE  MOGLI  DI  CLAUDIO.  INFAMIE  DI  MESSALINA.    [Lib.  VII. 

Si  debbono  ricordare  anche  la  via  Claudia,  già  aperta 
da  Druso  colla  guerra  nelle  Alpi,  e  da  Claudio  selciata 
per  320  miglia  dal  Po  fino  al  Danubio,  come  è  detto  da 
tre  iscrizioni  trovate  in  Tirolo;  e  i  lavori  di  restauri  e 
di  ponti  fatti  alla  Claudia  Valeria  (802)  da  Cerfennia  nei 
Marsi  fino  alle  foci  dell' Aterno,  come  è  attestato  da  altre 
iscrizioni  ^ 

Mentre  l'imperatore  era  tutto  nelle  opere  pubbliche  e 
nei  pensieri  della  censura,  i  liberti  e  la  moglie  gli  contami- 
navano la  casa  con  infami  tresche,  che,  note  a  tutti,  igno- 
ravansi  da  lui,  farneticante  dietro  agli  antichi  costumi. 

Dopo  essere  stato  vanamente  fidanzato  a  Emilia  Lepida^ 
nipote  d'Augusto,  e  a  Livia  Medullina,  e  dopo  avere  ri- 
pudiato due  mogli  (Plauzia  Urgulanilla  ed  Elia  Petina), 
si  era  sposato  con  Valeria  Messalina,  figlia  del  suo  cu- 
gino Valerio  Messala  Barbato,  dalla  quale  ebbe  Ottavia 
e  Britannico,  famo^  in  appresso  per  loro  sciagure.  Ella 
portò  al  colmo  l'infamia  delle  feroci  libidini,  e  mutò  in 
postribolo  il  palazzo  imperiale  e  lasciò  nella  storia  un 
nome  che  suona  obbrobrio  proverbiale  al  suo  sesso.  D'ac- 
cordo coi  liberti  più  favoriti  governava  a  sua  voglia  il 
marito,  lo  abbrutiva  più  che  mai  tra  voluttà  e  gozzovi- 
glie, gli  empiva  l'animo  di  paure,  e  ne  usava  il  terrore 
alle  proprie  vendette.  Per  gelosia  gli  fece  uccidere  Giulia 
nata  da  Druso,  figliuolo  di  Tiberio,  e  cosi  l'altra  Giulia^ 
sorella  di  Caligola,  e  Poppea  Sabina,  la  più  bella  donna 
dell'età  sua;  ed  esiliare  in  Corsica  il  filosofo  Seneca, 
accusato  di  adulterio  con  Giulia.  Fece  uccidere  anche  il 
patrigno  C.  Appio  Giunio  Silano,  perchè  non  volle  condi- 
scendere alle  sue  turpi  voglie:  l'avere  rifiutato,  e  ravej:*e 
assentito  ad  esser  suo  drudo  furono  cause  di  morte  -.  Ti- 


1  Crolli,  Iiiscr/pt.jlll,  e  Hi'iizen,  ÓIHD;  vedi  anche  Do  King,  litablissements  romains: 
(hi-  Rhin  et  du  Dannhe,  voi.  II,  pH^r.   ITil. 

2  Svetonio,  Claud..  29  e  37;  Tacito,  Axjì.,  XIII,   i:{  e  T.;  Diono  Cassio,  LX,  8,   11,  18, 
:n  ;  Seneca,  Apocoìoc.j  11. 


Gap.  II.]    RIVOLTA  VANAMENTE  TENTATA  IN  DALMAZIA.  36! 

rava  le  matrone  a  oscene  tresche  in  palazzo  :  e  voleva  te- 
stimoni di  loro  infamia  i  mariti,  i  quali  erano  premiati  di 
ricchezze  e  di  ufficili  se  compiacenti,  e  uccisi  se  resistenti. 
E  tristo  a  chi  tentasse  di  far  noti  a  Claudio  quei  vituperi  *. 
Le  lordare  della  corte  andarono  al  sommo,  e  furono  stru- 
mento a  nuove  fortune.  1  liberti  e  la  sconcia  donna  trova- 
rono sconcissimi  adoratori.  Lucio  Vitellio,  padre  a  quello 
che  fu  imperatore  in  appresso,  bruttò  in  corte  la  fama  di 
severa  virtù  procacciatasi  nel  governo  di  Siria,  e  rimase 
ai  posteri  sozzo  esempio  di  adulazione  servile.  Dopo  es- 
sere stato  il  primo  ad  adorare  Caligola  come  un  Iddio, 
rese  culto  alle  imagini  di  Fallante  e  di  Narciso,  poste 
in  sua  casa  tra  quelle  dei  Lari:  e  ottenuto  per  grazia 
particolare  di  levare  i  calzari  a  Messalina,  ne  teneva 
sempre  uno  sotto  la  toga,  e  lo  venerava  e  baciava  2. 

L'indignazione  pubblica  contro  le  infamie  di  corte  si 
manifestò  in  parecchie  congiure  di  patrizi,  intesi  a  toglier 
di  vita  Claudio,  per  non  esser  pili  bersaglio  ai  furori  della 
imperiale  meretrice  ^.  Nel  795  vi  fu  cospirazione  in  città 
per  fare  imperatore  Annio  Viniciano,  uno  dei  candidati 
all'Impero  dopo  l'uccisione  di  Caligola,  e  i  congiurati 
spinsero  alla  rivolta  M.  Furio  Cammillo  Arrunz*io  Scribo- 
niano,  comandante  in  Dalmazia,  il  quale  con  una  lettera 
piena  di  minacce  fece  tanta  paura  all'imperatore,  che 
questi  pensò  di  abdicare.  Ma  presto  andò  a  monte  la  ten- 
tata rivolta,  perchè  i  soldati,  vedendo  un  tristo  augurio, 
non  tennero  il  fermo,  e  Cammillo  abbandonato  fu  co- 
stretto a  fuggire  e  si  uccise  nell'isola  d'Issa  (Lma):  e  la 
sua  memoria  venne  proscritta,  e  si  cancellò  il  suo  nome 
dai  fasti  '\  Ricercato  ogni  complice,  più  uomini  e  donne 
illustri  ebbero  a  Roma  l'estremo  supplizio.  Furono  am- 

1  Dione  Cassio,  LX,  IS. 

2  Tacito,  Ann.^  VI,  32;  Seneca,  IVat.  Quaest..  IV,  Praef.  ;  Svetonio,  Vitell.^  2;  Dione^ 
MX,  27. 

3  Svetonio,  Clatid..  Vi,  36;  Tacito,  Anv.,  XI,  ?2  e  2S,  XIII,   J3;  Dione,  LX,    lo  e  27. 
*  Vedi  Borghesi,  in  Annui,   hrit..  lS5lt,  pag.  350,  e  Ilenzen,  Ada  frair.  Arv  .  p.  1S7. 


■362  FEROCIE  E  LIBIDINI  A  CORTE.  [Lm.  VII. 

messe  anche  le  delazioni  dei  servi  contro  le  nuove  leggi 
di  Claudio  che  vietavano  ad  essi  di  far  testimonianza 
contro  i  padroni.  Alcuni  ricomprarono  ad  alto  prezzo  la 
vita:  altri,  tra  cui  Viniciano,  si  uccisero  da  sé:  e  fra  tutti 
andò  famoso  il  caso  di  Arria,  la  quale,  per  essere  di  con- 
forto e  di  esempio  al  morire  a  Peto  suo  marito,  si  trafisse 
il  seno  e,  trattone  il  ferro  insanguinato,  lo  offri  a  lui  di- 
cendo :  Prendi,  o  Peto;  non  fa  dolore  K 

Per  opera  dei  liberti,  e  delle  mogli  di  Claudio,  anche 
il  regno  di  lui  fu  pieno  di  sangue.  Rancori,  libidini,  avi- 
dità, gelosie  furono  a  molti  cagioni  di  morte.  Uccisi  35 
senatori,  più  di  300  cavalieri,  moltissimi  cittadini  2.  Valerio 
Asiatico  fu  ucciso  perchè  Messalina  ne  voleva  i  sontuosi 
orti  Lucullani  :  uccisa  Poppea  Sabina  per  pretesto  di  adul- 
terio con  lui:  ucciso  anche  il  liberto  Polibio,  dopo  aver 
servito  da  drudo  a  Messalina  ^,  la  quale  sempre  più  fu- 
riosa in  sue  sconcezze  correva  notturna  le  vie  in  cerca 
<\ì  avventure,  andava  pei  lupanari,  teneva  più  adulteri  in 
corte,  ed  era  sì  accesa  di  Mnestere  istrione,  che  per  vin- 
cerne le  repugnanze  gli  fece  ordinare  da  Claudio  stesso 
di  obbedirla  in  ogni  sua  voglia  ''.  Da  ultimo,  sprezzando 
le  facili  turpitudini,  si  volse  a  non  più  conosciuti  piaceri, 
e  ardendo  furiosamente  di  Silio,  giovane  nobile,  il  più  bello 
di  Roma,  pubblicamente  andava  a  casa  all'adultero,  gli 
profondeva  onori  e  tesori;  e  sì  crebbe  in  questo  furore, 
che  pensò  di  sposarlo  e  regnare  con  esso:  e  questa  grande 
infamia,  dice  Tacito,  le  piacque  come  ultima  voluttà,  dopo 
avere  scialacquato  tutte  le  altre.  Colta  l'occasione  di  un 
viaggio  di  Claudio  a  Ostia,  essa  ripudiò  l'imperatore,  e 
prese  a  marito  l'amante.  Vi  furono  testimoni  e  contratto 

1  Plinio,  Epist.,  Ili,  10;  Tacito,  Ann.,  XII,  r.2,  Hist.^  II,  75;  Svetonio,  Cìaud..  i:!,  :r.  ; 
Dione  Cassio,  LX,  15;  Marziale,  1,11. 

2  Svetonio,  Claud.,2'J\  Tacito,  A/(<(  ^  XIII,   K'.;  Seneca,  Aposo/oc^  o  De  motte  CUutdii 
■Caesaris,  U. 

3  Tacito,  Ann.,  XI,  1,  e  segg-.  ;  Dione  Cassio,  I.X,  :'.!. 

*  Dione,  I.X,  22;  Tacito,  XI,  30;  Giovenak,  S'it.,  VI,  115. 


I 


Cap.  II.]    LA  MOGLIE  DI  CLAUDIO  SPOSA  SILIO  SUO  AMANTE.        3G3 

e  dote  e  sacrifizii  e  velo,  e  convito  e  tutte  le  solennità 
delle  nozze  *. 

I  liberti  di  corte,  inorriditi  di  tanta  audacia  e  temen- 
done rovina  a  sé  stessi,  agitarono  se  fosse  da  strappare- 
da  quello  strano  amore  la  donna  per  via  di  segrete  mi- 


Messalina  {Mongez^  Icon.  Rotn.^  XXVIII,  n.  2). 


nacce.  Dopo  vario  consultare.  Fallante  e  Callisto  per 
paura  si  rimasero  da  ogni  pratica:  ma  Narciso  fermo  a 
troncar  la  tresca,  per  mezzo  di  due  cortigiane  fece  sa- 


i  Tacito,  Ann.j  XI, 
X,4K'.:),  e  secisr. 


-27;  Svetonio,  Claud.j  2G  e  30;  Dione,  LX,  31;  Giovena'.e,  5rt/., 


364  ORGIE  DI  NOZZE  E  PAURE  DI  MORTE.  [Lib.  VII 

pere  a  Claudio  in  Ostia  le  vergogne  della  sua  casa,  e 
poscia  gli  confermò  egli  stesso  lo  strana  novella.  L'im- 
peratore impaurito  già  si  credeva  rubato,  con  la  moglie, 
l'Impero,  né  sapeva  a  qual  partito  appigliarsi.  Alla  fine 
fu  stabilito,  che  prima  provvedesse  alla  sua  sicurezza  ri- 
parandosi fra  i  pretoriani  nel  campo:  poi  si  penserebbe 
alla  vendetta  degli  adulteri.  I  quali  intanto  sul  Palatino 
nel  palazzo  imperiale  menavano  grande  orgia,  simulando 
una  festa  di  vendemmia.  Silio  era  incoronato  di  edera, 
e  Messalina  brandiva  il  tirso  fra  cori  procaci  e  furiose 
baccanti.  Fra  quelli  schiamazzi  Vezio  Valente,  un  medico 
adultero  dell'imperatrice  *,  inerpicatosi  sopra  un  albero, 
disse  che  di  lassù  vedeva  venire  da  Ostia  un'atroce  tem- 
pesta. E  difatti  venivano  Claudio  e  Narciso  apparecchiati 
a  vendetta.  I  festeggianti  si  dispersero  subito:  Silio  per 
mostrar  sicurezza  andò  agli  uffici  del  Fóro;  Messalina 
agli  orti  LucuUani,  e  benché  fuori  di  sé  per  la  grande 
sciagura,  risolvè  di  farsi  incontro  al  marito  per  disar- 
marlo colle  preghiere.  Condusse  seco  i  comuni  figliuoli, 
e  la  più  vecchia  delle  Vestali,  e  traversata  la  città  fra  i 
segni  manifesti  dell'universale  dispregio,  appena  s'in- 
contrò in  Claudio  gridava  :  volesse  udire  la  madre  di 
Britannico  e  di  Ottavia:  ma  Narciso  le  ricopriva  la  voce 
ripetendo  a  Claudio  le  infamie  di  lei.  Ai  iìgliuoli  non  fu 
permesso  accostarsi:  la  A'estale  fu  rimandata  con  pro- 
messa, che  si  ascolterebbero  le  discolpe.  Claudio  stava 
muto,  e  Narciso,  intento  ad  accenderlo,  gli  mostrò  le 
spoglie  imperiali  portate  in  casa  all'adultero,  e  trattolo 
in  mezzo  al  campo  eccitò  i  soldati  a  gridare  che  si  pu- 
nissero i  rei.  Quindi  Silio  fu  condotto  subito  al  tribunale  : 
e  non  tentò  difesa  né  indugi,  ma  pregò  gli  affrettassero 
la  morte.  Furono  uccisi  più  senatori  e  cavalieri  complici 
delle  imperiali  vergogne,  e  con  essi  anche  Mnestere, 
quantunque  Claudio  ne  sentisse  pietà  2. 

1  Plinio,  XXIX,  r,. 

2  Tacito,  Aìin.,  XI,  Ì:ì-M.>. 


Gap.  II. J  uccisione  DI  MESSALINA.  365 

«Intanto  Messalina  negli  orti  Lucullani  {Villa  Medici) 
allungava  la  vita,  componeva  suppliche  con  qualche  spe- 
ranza, e  talor  con  ira;  sì  fu  superba  fino  allo  estremo. 
Che  se  Narciso  non  le  avesse  affrettata  la  morte,  ricade- 
vagli  sul  capo  la  rovina.  Perocché  Claudio  tornato  a  casa, 
e  datosi  a  gozzovigliar  più  per  tempo,  come  ne  fu  ammol- 
cito,  e  riscaldato  dal  vino,  comandava  si  andasse  ad  an- 
nunziare alla  misera,  tal  parola  dicono  usasse,  che  venisse 
il  dì  appresso  a  difendersi.  11  che  udito,  e  veduto  allenar 
l'ira  e  tornare  l'amore,  e  temendosi,  se  s'indugiasse  di 
più,  la  notte  vicina  e  la  memoria  del  letto  maritale;  Nar- 
ciso esce  fuori,  ed  intima  ai  centurioni  e  al  tribuno  lì  pre- 
senti, aversi  ad  eseguire  la  morte;  così  comandava  l'im- 
peradore.  Fu  dato  loro  per  guardia  e  soprastante,  Evodo, 
uno  dei  liberti.  Questi  volato  ai  giardini  trovala  in  terra 
stramazzata;  e  sedutale  appresso  Lepida  sua  madre,  non 
amica  alla  figlia  nella  felicità,  ma  ora  vinta  a  pietà  dalla 
sua  estrema  miseria.  Consigliavala  a  non  aspettare  il  si- 
cario; passata  era  oramai  sua  vita;  non  altro  restava  a 
cercare  che  morte  onorata.  Ma  in  quell'animo  dalle  libi- 
dini corrotto  non  capeva  onore;  nò  altro  che  lacrime  e 
lamenti  vani  n'uscivano.  Quando  dall'impeto  de'  vegnenti 
spalancate  le  porte,  ecco  senza  far  parola  il  tribuno,  e 
con  gran  furia  di  servili  villanie  il  liberto.  Allora  soltanto 
fecesi  capace  di  sua  fortuna,  e  preso  il  ferro  se  ne  die 
tremando  malamente  per  la  gola  ed  il  petto,  finché  da 
un  colpo  del  tribuno  fu  trafitta.  11  corpo  fu  conceduto 
alla  madre.  A  Claudio  banchettante  fu  annunciato,  esser 
morta  Messalina,  senza  dire  se  di  propria  mano  o  d'altrui. 
Né  egli  cerconne;  ma  chiesto  un  bicchiere  seguitò  al  so- 
lito il  convito.  Ne'  dì  seguenti  non  fece  segno  d'odio, 
gioia,  ira,  dolore,  o  ninno  umano  affetto;  non  quando 
vedeva  gli  accusatori  gioire,  non  quando  i  figliuoli  do- 
lersi. Aiutollo  il  senato  a  quell'oblio,  ordinando  si  le- 
vassero il  nome  e  l'effigie  di  lei  da  ogni  luogo  pubblico  e 

Van:<occi  —  Stona  dell'  Italia  antica  —  IV.  16 


366     CONTESE  PER  DARE  A  CLAUDIO  ALTRA  MOGLIE.     [Lib.  VIL 

privato.  A  Narciso  furono  decretate  le  insegne  da  que- 
store; cosa  da  poco  a  lui,  che  già  sovrastava  a  Fallante 
e  Callisto.  E  bene  stette  tutto  ciò;  ma  n'avevano  a  se- 
guire efìetti  pessimi,  e  tristezze  non  vendicate  »  ^ 

Claudio,  quantunque  avesse  detto  ai  pretoriani  di  uc- 
ciderlo, se  dopo  tanti  matrimonii  infelici  si  ammogliasse 
novellamente  2,  non  poteva  star  libero  da  un  giogo  di 
donna.  E  i  liberti  furono  subito  in  gran  faccenda  per 
dargli  altra  moglie,  e  più  donne  sfoggiarono  di  nobiltà, 
di  bellezze ,  e  di  ricchezze  a  mostrarsi  degne  di  tali 
nozze.  Lollia  Paolina,  già  moglie  di  Caligola,  era  soste- 
nuta da  Callisto  :  Narciso  instava  a  favore  di  Elia  Petina, 
già  ripudiata  dall'imperatore  per  cause  non  gravi:  ma 
vinse  Fallante  protettore  di  Agrippina,  figliuola  di  Ger- 
manico, e  nipote  di  Claudio,  sebbene  le  leggi  romane  e 
la  pubblica  opinione  riprovassero  come  incestuose  le 
nozze  fra  zio  e  nipote.  Claudio,  già  preso  dai  vezzi  di 
Agrippina,  fu  eccitato  più  da  Vitellio,  il  quale  facendosi 
ora  strumento  di  altre  brutture  gli  détte  ad  intendere, 
come  quella  unione  volevasi  pel  bene  universale  dal  se- 
nato e  dal  popolo.  Anche  nella  Curia  alcuni  protestarono 
a  gara  che,  'se  l'imperatore  indugiasse  le  nozze,  ve  lo 
costringerebbero  a  forza,  e  decretarono  che  d'ora  in  poi 
potessero  unirsi  legittimamente  zii  e  nipoti:  vergognoso 
monumento  di  servitù  e  di  ambizione,  che  durò  fra  le 
leggi  fino  all'Impero  di  Nerva  3. 

Agrippina  nel  vigore  dell'età,  bella  di  persona,  ricca 
d'ingegno,  piena  di  virile  energia,  audace,  superba  e  fe- 
rocemente ambiziosa,  ora  ha  raggiunto  una  parte  dei 
desiderii  a  cui  ebbe  sempre  rivolto  il  suo  animo. 

Era  nata  a  Colonia  dal  prode  Germanico  e  dalla  fiera 
e  virtuosa  Agrippina  IMaggiore  nell'anno  10  dell'era  vol- 

>  Tacito,  Ann.^  XI,  :?r,  3S,  traU.  da  «'.  Palljo. 

2  Svetonio,  Ctaud.^  23. 

3  Tacito,  Ann.^  XH,  1,  e  segg.;  Svetonio,  Claude  20;  Dione  Cassio,  T.X,  21,  LXVIII,  l'. 


J 


Cap.  IL] 


L'AMBIZIOSA  E  FEROCE  AGRIPPINA. 


367 


gare  (769  di  Roma).  Passò  i  primi  anni  tra  gli  splendori 
e  i  lutti  domestici ,  dei  quali  poscia  fece  ricordo  'nei 
Commentarii  scritti  per  difesa  dei  suoi  e  di  sé  ^  Dopo 
la  morte  del  padre,  e  l'esilio  e  la  uccisione  della  madre, 
Tiberio  la  sposò  giovanissima  (781) 
a  Gneo  Domizio  Enobarbo,  uomo 
feroce,  brutto  d'infami  delitti  e 
degno  di  lei,  come  confessava  egli 
stesso,  quando  agli  amici  congra- 
tulantisi  per  la  nascita  di  un  fi- 
gliuolo rispose,  che  da  Agrippina 
e  da  lui  non  poteva  nascere  cosa 
che  non  fosse  detestabile  e  dan- 
nosa al  genere  umano  -.  E  questo 
figliuolo,  nato  coi  piedi  avanti  a 
significare  sciagura  ^,  chiamato  Do- 
mizio dapprima,  fu  più  tardi  Ne- 
rone. Sotto  r  impero  del  fratello 
Caligola  essa  partecipò  colle  altre 
sorelle  agli  onori  divini,  alle  orgie  e 
agli  incesti  del  mostro  :  poi  cospirò 
contro  di  lui,  e  con  Giulia  fu  ri- 
legata alle  isole  Fonzie,  mentre  il 
figliuolo  rimasto  orfano  del  padre 
a  tre  anni,  era  raccolto  da  Domizia 
Lepida,  sorella  di  questo  *.  Richia- 
mata da  Claudio  (794)  e  rimessa 
in  possesso  d'ogni  aver  suo  trovò 
a  Roma  le  persecuzioni  di  Messa- 
lina, da  cui  si  salvò  facendosi  druda  del  liberto  Fallante 


Agrippina  giovinetta 

(  Visconti^  Monuìu.  Borghesiani^ 

tav.  XXIH,  n.  2). 


Tacito,  Ann.^  IV,  53;  riinio,  VII,  S;  Sfahr,  AgrÌ2ìiri»a^  die  Mutler  des  Kero^  Ber- 


2  Svetonio,  Ner..  6;  Tacito,  Ann.,  IV,  75;  rimo. 

3  Plinio,  VII,  8. 

*  Svetonio,  Ner.,  G;  Dione,  LIX,  23. 

5  Tacito,  Ann.^  XI,  12,  XII,  25;  Dione,  LXf,  1'). 


compendiato  da  Sifilino,  LXI,  2. 


363  L'AMBIZIOSA  E  FEROCE  AGRIPPINA.  [Lib.  VII. 

e  usando  a  suo  prò  la  bellezza,  la  pecunia  procacciata 
per  ogni  via,  e  il  favor  popolare  venutole  dal  nome  del 
padre.  Vedova  del  feroce  Enobarbo,  dapprima  aspirò  alle 
nozze  di  Galba  a  cui  era  stato  predetto  l'Impero  *.  Poi 
si  maritò  coli' oratore  Crispo  Passieno,  di  cui  agognava 
i  tesori,  e  lo  tolse  di  mezzo  appena  egli  ebbe  istituito 
suo  erede  Nerone  -. 

Ardente  d'ogni  brama  tirannica,  ora  divenuta  moglie 
del  principe  vuole  regnare  a  nome  del  vecchio,  e  inalzare 
il  figliuolo  all'Impero  per  regnare  a  nome  di  questo  in 
appresso.  Con  questi  intenti  pone  ogni  studio  a  tirare  a 
sé  0  a  toglier  di  mezzo  i  potenti  di  corte,  e  non  cu- 
rando di  ostacoli  combatte  intrepidamente,  senza  scru- 
poli e  senza  rimorsi,  coll'oro,  col  ferro,  col  veleno,  colle 
rapine,  colle  libidini,  con  ogni  più  mostruoso  delitto. 

Da  Claudio  ottiene  subito  ogni  sua  voglia.  Sta  con  lui 
sulle  medaglie,  ha  titolo  d'Augusta,  e  si  eleva  alla  piìi 
alta  potenza.  Dà  udienza  ai  cittadini,  e  ne  fa  mettere  il 
ricordo  negM  Atti  Pubblici;  sale  al  Campidoglio  su  coc- 
chio simile  a  quello  destinato  alle  statue  degli  Dei  e  ai 
sacerdoti,  comparisce  solennemente  come  imperatrice 
nelle  grandi  occorrenze.  Nel  giorno  in  cui  è  mostrato 
trionfalmente  a  Roma  il  Britanno  Carattaco,  ella  siede 
su  trono  cospicuo  davanti  alle  insegne  romane;  e  alla 
gran  festa  del  lago  Fucino  presiede  con  Claudio  in  cla- 
mide d'oro,  0  paludamento  simile  a  quello  che  vestono 
i  duci  supremi  alla  guerra  ^. 

E  per  mostrare  la  sua  potenza  anche  alle  genti  alleate 
fece  mandare  col  suo  nome  una  colonia  di  veterani  sul 
Reno,  nella  terra  degi  Ubii  dove  era  nata  ("). 

(■')  Tacito,  Ann.,  XII,  27.  Si  chiamò  Colonia  Agrippina,  e  détte  prin- 

>  Svetonio,  Galba.  1-5;  Tacito,  VI,  20;  Dione,  LVII,  19,  LXIV,  1. 

2  Svetonio,  Ner..  G;  Plinio,  XVI,  91;  Schol.  a  Giovenale,  IV,  81. 

3  Cohen,  Méd.  imp  ,  I,  pa"-.  171;  Tacito,  Ann..  Xll,  :^7,   12,  5'!;  Plinio,  XXXIII,  19; 
Dione  Cassio,  LX,  33. 


1 


Cap.  II.]  TRACIE  E  DELITTI.  369 

Per  togliersi  davanti  ogni  ostacolo,  sotto  vari  pretesti  e 
false  accuse  perde  tutti  quelli,  che  in  qualunque  maniera 
le  dessero  ombra.  L.  Giunio  Silano  (Torquato)  fu  accusato 
e  costretto  ad  uccidersi,  perchè  fidanzato  ad  Ottavia,  che 
ella  voleva  sposare  al  proprio  figliuolo  ;  e  fu  bandita  anche 
la  di  lui  sorella  Giunia  Calvina.  A  Statilio  Tauro  portarono 
morte  le  molte  ricchezze,  che  Agrippina  desiderava  per 
sé.  Lollia  Paolina,  rea  di  essere  ricchissima  e  di  avere 
aspirato  alle  nozze  del  principe,  fu  mandata  in  esilio,  ove 
presto  le  giunse  un  tribuno  ministro  di  morte.  E  quando 
Agrippina  se  ne  vide  portata  davanti  la  testa,  e  in  quel 
trasfìguramento  non  potea  riconoscerla,  le  apri,  dice 
Dione,  di  propria  mano  la  bocca  per  accertarsene  da  un 
particolar  segno  che  aveva  nei  denti.  Calpurnia,  illustre 
•matrona,  ebbe  l'esiho,  perchè  Claudio  un  dì  rammentan- 
dola a  caso  ne  lodò  la  bellezza.  Pei  medesimi  intrighi 
donneschi  fu  uccisa  Domizia  Lepida,  la  madre  di  Messa- 
lina, parente  dei  Cesari,  pericolosa  alla  cognata  Agrippina, 
perchè  da  lei  non  molto  distante  di  bellezza,  di  età,  di 
ricchezza,  e  come  lei  impudica,  violenta,  e  gareggiante  di 
vizi  non  meno  che  di  prospera  fortuna;  e  studiosa  di  at- 
trarre a  se  con  doni  e  carezze  il  nipote  Nerone.  L'ac- 

cipio  alla  città  di  Colonia,  che  è  oggi  la  più  cospicua  del  Reno.  Degli 
edificii,  che  fecero  splendida  la  colonia  romana,  si  ricordano  il  Capitolio, 
i  templi  a  Giove,  a  Venere,  a  Marte,  a  Giunone,  a  Giano;  la  naumachia, 
l'arsenale,  1" anfiteatro,  il  pretorio  militare,  di  cui  esiste  sempre  una 
torre,  il  pretorio  civile,  il  palazzo  e  castello  di  Druso,  Tara  ad  Augusto, 
e  altri  monumenti  attestati  dallo  iscrizioni.  Vedi  De  Ring,  Étahlissements 
romainf  dit  RJiin  et  dn  Danube,  voi.  II,  pag.  23  e  segg. 

Parlammo  già  della  Colonia  di  Camuloduno  in  Britannia.  Debbe  ricor- 
darsi che  dei  tempi  di  Claudio  è  anche  quella  del  paese  dei  Treviri 
{Augusta  Treviroriim)  la  quale  détte  o-rigine  alla  città  di  Treves  ;  e  che 
altre  colonie  di  lui  andarono  a  Sabaria  in  llliria,  ad  Apros  in  Tracia,  a 
Tolemaide  in  Fenicia,  ad  Archelaide  in  Cappadocia,  e  in  Affrica  a  Lisso, 
a  Cesarea,  e  a  Jol  dove  già  fu  la  reggia  di  Giuba.  Vedi  Zumpt,  De  colon, 
militar.  Roman.,  p.  384-390. 


370  NERONE  ADOTTATO  A  DANNO  DI  BRITANNICO.   [Lm.  VII. 

cusarono  di  aver  cercato  con  malie  di  sposare  il  principe, 
e  di  aver  mal  frenato  i  suoi  servi  in  Calabria,  e  così 
turbato  la  pace  d'Italia  *.  E  Nerone  che  aveva  avuto  la 
prima  educazione  da  lei,  per  far  piacere  alla  madre  te- 
stimoniò contro  la  zia^. 

In  cima  ad  ogni  pensiero  di  Agrippina  stava  l'innal- 
zamento di  questo  figliuolo.  Ella  voleva  dargli  a  ogni 
costo  l'Impero,  ma  col  fermo  proposito,  dice  Tacito,  di 
non  mai  sopportarlo  imperante.  Dapprima  gli  aveva  messo 
d'attorno  Seneca,  richiamato  dall'esilio  di  Corsica,  perchè 
gli  fosse  maestro  di  studi,  e  consigliere  a  giungere  al 
principato  ^.  E  come  primo  passo  a  ciò  era  l'adozione  di 
lui  nella  casa  imperiale,  volse  a  questo  intento  ogni  stu- 
dio, sostenuta  nell'opera  dal  suo  drudo  Fallante,  il  quale 
eccitò  Claudio  a  provvedere  al  bene  dello  Stato  coll'af- 
forzare  di  questo  aiuto  la  fanciullezza  del  suo  Britannico. 
E  l'imperatore,  dopo  aver  fatto  in  senato  una  gran  di- 
Anni  di  ro- ceria,  adottò  il  figlio  di  Agrippina  nella  famiglia  Claudia 
g'^S).'^' e  nel  nome  dei  Neroni:  e  i  sacerdoti  fecero  festa  e  sa- 
crifici per  quell'adozione  ("):  poi  gli  anticipò  la  toga  virile, 
perchè  paresse  atto  agli  affari,  lo  destinò  console  pel 
ventesimo  anno,  lo  colmò  di  onori,  e  lo  sposò  alla  sua 
figlia  Ottavia.  E  il  giovane  ammaestrato  da  Seneca  per 
dar  saggio  di  eloquenza  e  di  spiriti  generosi  orò  a  fa- 
vore degli  Illesi,  antichissimi  padri  di  Roma,  che  furono 
sgravati  di  ogni  pubblico  carico,  e  col  suo  patrocinio  fece 
sovvenire  di  dieci  milioni  la  colonia  di  Bologna  arsa  in 

(«)  Tacito,  Ann.,  XII,  2.5,  2G;  Svetonio,  CkvuL,  3'.).  In  una  tavola,  re- 
centemente scoperta,  è  memoria  dei  voti  fatti  dai  fratelli  Arvali  per  quel- 
l'adozione, avvenuta  ai  28  di  giugno.  Melchiorri,  in  Bullett,  Istit.,  1842, 
pag.  177.  Vedi  anche  Henzen,  Ada  fratriim  Arvaìium  'ptae  supersunt , 
pag.  LVl',  LVIF,  Berolini  1874. 

1  Tacito,  Ann.,  XII,  4,  S,  22,  59,  fil,  05;  Svetonio,  Claud..  27  e  2iJ;  Dione,  LX.  31,  32; 
Borghesi,  Lapide  di  Giunto  Silano,  in  Oeuvres,  V,  iyO-U)2,  e  Ilenzen,  loc.  cit.,  p.  189. 

2  Svetonio,  Ner.,  7. 

3  Tacito,  Ann..  XII,  8  e  CI;  Svetonio,  loc.  ci/. 


Gap.  II.]  GUERRA  A  CORTE.  371 

un  incendio,  e  rendere  la  libertà  ai  Rodiani,  e  rimettere 
cinque  anni  di  tributi  agli  Apamesi  (Denais)  di  Frigia, 
sovvertiti  da  un  terremoto  *.  In  nome  di  Nerone  si  fecero 
donativi  ai  soldati  e  alla  plebe:  a  lui  riserbate  le  parti 
graziose:  e  quanto  più  egli  era  esaltato  più  si  deprimeva 
Britannico,  che  lasciato  sempre  senza  alcun  segno  di 
onore,  ai  giuochi  circensi  fu  portato  come  fanciullo  in 
pretesta,  mentre  Nerone  comparve  in  veste  trionfale, 
perchè  si  argomentasse  di  loro  varia  fortuna.  Poi,  perchè 
rimanesse  senza  sostegno,  la  matrigna  allontanò  da  lui 
chiunque  gli  mostrasse  compassione  e  affetto,  e,  fatti 
esiliare  o  uccidere  gli  educatori  più  fidi,  lo  pose  in  mano 
a.  gente  venduta  -. 

Per  conseguire  pieno  il  suo  intento  la  feroce  donna 
meditava  anche  l'uccisione  di  Claudio,  temendo  che  si 
risvegliassero  in  lui  gli  affetti  di  padre;  ma  non  osò  il 
misfatto,  finché  non  si  fu  assicurata  delle  coorti  pretorie 
col  togliere  ad  esse  i  capi  antichi,  e  col  darne  il  comando 
a  Burro  Afranio,  il  quale,  stato  fin  qui  di  fama  egregia 
neUa  mihzia,  ora  per  riconoscenza  e  per  ambizione  prestò 
l'opera  sua  a  sostegno  delle  infamie  di  corte.  Ella  studiò 
anche  di  rovinare  Narciso,  che  le  era  di  ostacolo,  e  lo 
issali  con  accuse:  ma  questi,  non  perduto  di  animo,  le 
esistè  a  viso  aperto,  le  rinfacciò  la  donnesca  insolenza  e 
ie  soverchie  speranze,  e  prese  a  sostenere  apertamente 
Britannico  ^. 

Fra  queste  agitazioni  di  corte  Claudio,  ignaro  sempre 
delle  tristizie  domestiche,  alla  fine  seppe  che  si  preparava 
rovina  al  suo  figlio;  e  un  giorno  parlò  minaccioso  alla  mo- 
glie, e  fatte  carezze  a  Britannico,  come  a  ristorarlo  della 
trascuranza  passata,  gli  promise  la  toga  virile  prima  del 
tempo,  affinchè  il  popolo  romano  avesse  un  vero  Cesare  '\ 


1  Tacito,  Ann.,  XII,  58. 

-  Tacito,  Ann.,  XII,  2(5,  li  ;  Svetonio,  .Ver..  7. 

3  Tacito,  Ann..  XII,  42,  57,  65. 

4  Svetonio,  Claud.,  43;  Dione,  LX,  31. 


372  CLAUDIO  UCCISO  DI  VELENO.  [Lib.  VII.. 

Allora  Agrippina,  a  impedire  che  rovinasse  ad  un  tratto 
tutta  l'opera  sua,  affrettò  l'estremo  misfatto,  cogliendo 
l'occasione  che  Claudio  rimaneva  senza  guardia,  perchè 
Narciso,  affranto  sotto  il  peso  di  tante  cure,  era  andato 
in  Campania  a  cercar  salute.  Stabilito  di  spegnere  il  ma- 
rito con  morte  che  non  fosse  né  troppo  rapida,  né  troppo 
lenta,  fu  chiamata  Locusta,  avvelenatrice  famosa,  tenuta 
fra  gli  strumenti  di  regno:  e  il  tossico  preparato  dall'arte 
di  lei  fu  amministrato  al  vecchio  in  un  piatto  di  funghi^, 
dei  quali  era  ghiottissimo  *.  Ma  come  questo  non  pro- 
dusse altro  che  un  breve  scioglimento  d'intestini,  e  parve 
faUire  all'effetto,  ebbero  tosto  ricorso  all'aiuto  del  medico 
Anni  (li  Ro- Senofonte,  il  quale,  come  a  promuovergli  il  vomito,  gli 
gVsV  cacciò  in  gola  un  rapido  veleno,  e  lo  finì  ai  13  ottobre. 

Intanto  al  di  fuori  senato,  consoli  e  sacerdoti,  facevano 
voti  per  la  salute  dell'imperatore:  e  in  corte,  per  aver 
tempo  a  proclamar  Nerone,  si  fingevano  cure  al  malato, 
e  si  chiamavano  commedianti  come  a  distrarlo.  Agrippina 
pose  guardie  a  tutte  le  entrate,  ritenne  in  camera  i  fi- 
gliuoli di  Claudio,  abbracciava  Britannico  chiamandolo 
ritratto  vero  del  padre,  e  faceva  dire  che  il  malato  stava 
meglio.  Finalmente  preparata  ogni  cosa,  e  venuto  il  mo- 
mento annunziato  propizio  dagli  astrologi,  al  mezzodì  si 
aprirono  ad  un  tratto  le  porte,  e  Nerone,  accompagnato 
da  Burro,  si  presentò  alla  coorte  di  guardia,  la  quale 
indettata  dal  capo  lo  accolse  con  grida  di  gioia,  e  lo 
trasportò  in  lettiga  al  campo,  ove  egli  aringo  i  soldati, 
promise  larghi  donativi,  e  fu  gridato  imperatore  da  tutti. 
L'elezione  delle  milizie  fu  confermata  anche  da  un  de- 
creto dei  padri,  nò  vi  fu  esitanza  nelle  province,  cui  poco 
importava  del  nome  del  padrone. 

Poscia  si  fecero  esequie  solenni.  Agrippina  e  Nerone 
piangevano;  e  questi  recitò  al  morto  una  grande  orazione 

«   l'ikiio,  XII,   IO. 


Gap.  II.] 


CLAUDIO  DIVINIZZATO. 


composta  da  Seneca,  e,  ricordate  le  glorie*  antiche  dei 
Claudi!,  lodò  gli  studi  liberali  del  principe,  e  fece  rider 
tutti  discorrendo  di  sua  provvidenza  e  saggezza.  Lo  po- 
sero anche  fra  i  Numi;  Agrippina  gli  inalzò  un  magnifico 
tempio  sul  Celio  ("):  e  allora  andò  attorno- un  motto  di 


Gallione,  fratello  di  Seneca,  che  diceva  Claudio  tirato  in 
cielo  con  un  uncino,  come  i  condannati  che  si  trascina- 
vano alle  Gemonie.  Nerone   più  tardi  disse  anche  che  i 

(")  Altri  gli  pose  un  cenotafio  sul  Libano.  Veili  la  Re>:ue  arcJirolor/ique, 
mai  1862,  pag.  344. 

Vanxucci  —  Storia  dell'Italia  antica—  W.  17 


374     NERONE  IMPERATORE.  GOVERNO  DEI  PRIMI  ANNI.  [Lib.  VII, 

funghi  erano. cibo  da  Dei;  e  Seneca,  dopo  le  lodi  'dell'ora- 
zione funebre,  sfoggiò  di  arguzie  per  far?  ridere  il  mondo 
sulla  morte,  sull'apoteosi  e  sul  viaggio  al  cielo  e  all'in- 
ferno del  vecchio,  assassinato  dalla  ferocissima  moglie  *. 

Nerone  Claudio  Cesare  Augusto  Germanico  salì  sul 
trono  a  17  anni;  e  anch' egli  ebbe  lode  di  mitezza  nei 
primi  tempi,  quando  si  lasciò  governare  da  Burro  e  da 
Seneca,  a  suggerimento  dei  quali  con  programma  letto 
nella  Curia  promise  buona  amministrazione  e  severa  giu- 
stizia, e  guerra  alla  tirannide  dei  delatori.  Le  porte  della 
sua  casa  sarebbero  chiuse  alla  baratteria  e  agli  intrighi. 
Voleva  che  il  Senato  ripigliasse  i  suoi  ufficii  antichi,  e  che 
r  Italia  e  le  province  del  popolo  stessero  nella  giurisdi- 
zione dei  consoli:  a  sé  riserbava  solamente  il  comando 
degli  eserciti,  e  promise  di  governare  secondo  le  prescri- 
zioni di  Augusto  ^. 

Sulle  prime  si  mostrò  severo  contro  le  spese  soverchie, 
fece  pompa  di  J^beralità,  e  prometteva  clemenza  con  ' 
dicerie,  composte  da  Seneca;  e  quando  gli  prese-  . 
una  sentenza  di  morte  da  sottoscrivere  gridò,  e'      • 
desiderato  di  non  sapere  di  lettera  ^.  E  anche  a 
fatti  risposero  alle  parole  in  modo,  che  Tacito  i        ...., 
che  rimaneva  come  un'apparenza  di  Repubblica  '\  Il  Se- 
nato ebbe  libertà  di  fare  utili  provvedimenti:  e  vi  furono 
leggi  nuove  e  riforme  ('').  Puniti  i  questori  dell'erario  ag- 
gravanti la  mano  sul  popolo  ^;  frenate  le   prepotenze  e 

C)  Dione  Cassio,  compendiato  da  Sifilino,  LXI,  4.  D'ora  in  poi  della 
stui'ia  di  Dione  non  abbiamo  più  che  il  compendio  di  Giovanni  Sifilino 
gr(  co  del  secolo  undecirao,  nipote  del  monaco  Giovanni  Sifilino  di  Tre-' 
bifonda,  che  fu  patriarca  di  Costantinopoli  dal  1004  al  1075, 

'  Tacito,  A>m.,  XII,  66-69,  XIIl,  ^■,  Svetonio,  Claud..  11-15,  Ner..  V,\  Dione  Cassio, 
I.X,  31-35;  Giovenale,  Sat.  ^  I,  GO,  V,  117,  VI,  620;  Maizialc,  1,21;  Seneca,,  Apoco/oc, 
o  De  morte  Clandii  Cacsaris 

2  Tacito,  Ahm.,,  XII,   1;  Svetonio,  Ner..  10. 

3  Tacito,  A«»i.,'xill,  11  ;  Svetonio,  Sur..  10. 
*  Tacito,  Ann.^  XIM,  28. 

5  Tacito,  Ann.,  XIII,  2S. 


Gap.  II.]  DOGANE,  PUBBLICANI,  DAZII,  PROVINCE,  E  COLONIE.    375 

le  ruberie  dei  governatori  delle  province,  e  condannati 
tra  essi  quelli,  che  non  erano  salvati  da  scelleratezze  care 
alla  corte.  Fu  condannato  anche  un  delatore,  stato  già 
strumento  alle  vendette  di  Messalina  *.  Oltre  ad  abolire 
0  mitigare  le  imposte  più  gravi,  Nerone,  assordato  dai 
lamenti  del  popolo  contro  i  pubblicani,  meditava  in  ap- 
presso di  toglier  via  le  dogane:  ma  come  lo  distolsero 
da  ciò  i  senatori,  i  quali  lodando  la  sua  magnanimità  gli 
mostrarono  che  rovinerebbe  lo  Stato  se  mancassero  i 
modi  di  bilanciare  le  uscite  e  le  entrate,  egli  con  un 
editto  ordinò,  che  si  pubblicassero  le  taril'fe  di  ogni  com- 
pagnia di  pubblicani  tenute  fino  allora  segrete;  le  riscos- 
sioni tralasciate,  dopo  un  anno  non  si  potessero  ripetere; 
a  Roma  e  nelle  province  fossero  giudicati  prima  d'ogni 
altra  causa  i  richiami  contro  i  pubblicani;  che  i  soldati 
godessero  immunità,  tranne  in  quelle  cose  di  cui  traffi- 
cavano: ed  altri  provvedimenti  giustissimi,  dice  Tacito, 
serbati  qualche  tempo,  e  delusi  in  appresso.  Pure  rimase 
la  soppressione  della  quarantesima  e  della  cinquantesima, 
introdotte  illecitamente  dai  pubblicani,  sulla  esportazione 
e  importazione  delle  mercanzie.  E  le  province  oltremare 
furono  liete  della  legge  che  rese  meno  gravoso  il  diritto 
sul  trasporto  del  grano,  e  liberò  le  navi  mercantili  dal 
dazio  2.  Le  nazioni  delle  Alpi  marittime  ebbero  il  diritto 
del  Lazio:  le  Alpi  Cozie,  e  il  Ponto,  furono  ridotte  a  pro- 
vince 3.  Fu  ora  (811)  con  nuovi  veterani  afforzata  la  co- 
lonia di  Capua,  come  in  appresso  quelle  di  Nuceria,  di 
Taranto  e  d'Anzio,  e  dato  il  diritto  di  colonia  col  co- 
gnome di  Nerone  all'antica  città  di  Pozzuoli  ''. 

.  Una  legge  sui  testamenti  intese  a  impedire  le  frodi  dei 
folsarii:  e  nelle  liti,  stabilito  lo  stipendio   che   dai   con- 


1  Tacito,  Ann.,  XIII,  30,  31,  :!3,   13,  XV,  20-22. 

2  Tacito,  Ann.,  XIII,  50,  51. 

3  Tacito,  Ann.,  XV,  32;  Svetonio,  Ner.,  18;  .\urolio  Vittore,  i3c  Caesarihus,  5. 

4  Tacito,  Ann.,  XIII,  21,  XIV,  27;  Zumpt,  De  co'.oniis  militar,  roman.,  pag.  331-393. 


376         QUATTROCEiNTO  SCHIAVI  TORTURATI  E  UCCISI.  [Lib.  VII. 

tendenti  doveva  pagarsi  agli  avvocati,  fu  vietato  di  dar 
mercede  ai  senatori,  perchè  pagati  dal  pubblico  '.  Contro 
quelli  che  privi  di  figliuoli  fingevano  di  adottarne  per 
aver  diritto  agli  onori,  e  gli  emancipavano  appena  otte- 
nuto l'intento,  il  Senato  decretò,  che  per  adozioni  simu- 
late niuno  potesse  aver  pubblici  uffìcii  né  eredità  -.  Tornò 
in  campo  anche  la  questione  dei  liberti,  cresciuti  oltre- 
modo e  divenuti  insolenti  contro  agli  antichi  padroni;  e 
chiedendo  alcuni,  che  con  legge  generale  vi  si  mettesse 
riparo,  Cesare  rispose  al  Senato,  che  si  voleva  distinguere 
gli  innocenti  dai  rei,  e  fare  ragione  in  particolare  a  qua- 
lunque padrone  che  desse  querela  ai  liberti,  senza  dero- 
gare in  generale  a  niuno  dei  diritti  della  libertà  una  volta 
donata  ^.  Ma  fu  rinvigorito  con  nuove  disposizioni  il  se- 
natoconsulto  che  dannava  a  morte  tutti  gli  schiavi  di  una 
casa,  in  cui  da  uno  di  essi  fosse  stato  ucciso  il  padrone: 
e  il  tremendo  decreto  fu  messo  ad  effetto,  quando  (814) 
si  trovò  spento  in.  sua  casa  Pedanio  Secondo,  prefetto 
di  Roma;  e  Nerone  nel  dissenso  dei  padri  sostenne  l'av- 
viso più  fiero,  e  quattrocento  schiavi,  a  malgrado  delle 
grida  furibonde  del  popolo,  furono  torturati  e  mandai'  a 
morte  ('').  Anche  la  Repubblica  metteva  al  tormento  ..'it 

C)  Tacito,  Ann.,  XIII,  32;  XIV,  42-45.  Vedi  anche  sopra,  pag.  4C. 
I  più  dei  giureconsulti  riferiscono  all'impero  di  Nerone  anche  la  legge 
Petronia,  che  tolse  ai  padroni  la  potestà  di  vendere  a  loro  arbitrio  gli 
schiavi  per  combattere  colle  fiere.  Altri  la  pongono  sotto  Augusto,  altri 
sotto  Antonino  Pio,  altri  sotto  Adriano.  Un'epigrafe,  trovata  a  Pompei 
nel  1814,  offrì  occasione  a  meglio  illustrar  questa  legge,  e  a  dimostrale 
che  esisteva  anche  prima  di  Adriano  e  di  Antonino.  Vedi  Arditi,  La  legge 
Petronia  illustrata  col  mezzo  di  un'  antica  iscrizione ,  rincenuta  ncl- 
r Anfìi eatro  di  Pompei,  Napoli  1817;  Ruga,  in  Giornale  Arcadico. 
voi.  IV,  pag.  19-34,  e  Pqmpeianarum  antiquitatnm  hist.  collegit  los. 
Fiorelli,  Neapoli   1860,  voi.  I,    pars.  II,  pag.  149. 

1  Svctonio,  Ner  ^  17. 

2  Tacito,  Ann.,  XV,  ]!). 

3  Tacito,  Ann.,  XIH,  2(i,  27. 


Gap.  IL] 


NERONE  GIOVANE. 


377 


schiavi  dei  padroni  uccisi*:  ma  l'Impero  definì  meglio 
questa  materia,  ed  estese  l'applicazione  della  tortura  e 
della  pena  di  morte,  come  vedesi  dai  senatoconsulti  Si- 
laniano  (763),  e  dal  Neroniano ,  Claudiano  o  Pisoniano^ 
ora  citato,  il  quale  ordinò  anche,  che  uccisa  la  moglie  si 


K  CS.C/H.tlENI  / 

Nerone  giovane  {Mv.s.   Capilo!.^  High.   I,  7S). 

desse  la  tortura  alla  famiglia  del  marito,  e  lo  stesso  si 
facesse  alla  famiglia  della  moglie  quando  fosse  ucciso  il 
marito  -. 


1  Cicerone,  Ad-  Fani)l._,  IV.  12. 

2  Pauli,  Sentent.^  HI.  'ì.  (ì  Vedi  anclie  WassTKclileben,  Hixloria  quaeslionum  per  tor- 
menta apud  RomanoS:.  Ilerolini  1S36,  pag.  69-76,  e  Walter,  Stor.  del  diritto  di  Roma^  TSO. 


378  CRUDELTÀ  E  INTRIGHI  DI  AGRIPPINA.  [Lib.  VII. 

I  primi  cinque  anni  di  Nerone  furono  celebrati  come 
modelli  di  savio  e  giusto  governo  *,  opera  dei  filosofi  li- 
berali Seneca  e  Burro  e  degli  altri  che  andavan  con 
loro.  Pure  anche  questo  felice  quinquennio  abbonda  di 
sangue ,  e  di  grandi  delitti ,  e  la  reggia  vede  la  nuova 
infamia  del  matricidio,  e  il  gioivano  Nerone,  comecché 
ammaestrato  alla  clemenza  da  Seneca,  non  degenera  dal 
padre  feroce,  né  dagU  avi,  violenti,  selvaggi,  sanguinarli, 
barbe  di  rame,  teste  di  ferro,  cuori  di  piombo  (").  Agrip- 
pina cominciò  il  nuovo  regno  col  far  morire  di  stento 
Narciso  in  dura  prigione,  e  coll'ordinare  che  fosse  ucciso 
di  veleno,  senza  saputa  di  Nerone,  M.  Giunio  Silano,  pro- 
console d'Asia,  per  timore  che  vendicasse  il  fratello  Lucio 
già  spento  da  lei-.  Agitata  da  insaziabile  smania  d'im- 
pero, voleva  governare  a  suo  arbitrio  il  Senato,  lo  faceva 
adunare  in  palazzo,  e  si  stava  dietro  a  una  tenda  per 
ascoltarne,  non  veduta,  i  decreti.  Si  apprestava  anche  a 
salire  sul  tribunale  col  figlio  per  dare  udienza  agli  amba- 
sciatori di  Armenia,  se  non  vi  rimediava  un  accorgimento 
di  Seneca,  il  quale  suggerendo  all'imperatore  di  farsi 
incontro  alla  madre,  e  di  differire  ad  altro  giorno  l'alTare, 
impedì  quello  scandalo  sotto  colore  di  filiale  reverenza  ^. 

Essa  vide  come  Seneca  e  Burro,  governatori  di  Nerone, 
quantunque  inalzati  da  lei,  mirassero  a  toglierle  ogni  in- 
lluenza  sull'animo  del  figliuolo,  ogni  autorità  nel  governo; 
e  sostenuta  dal  liberto  Fallante  cominciò  guerra  ardente 
d'intrighi.  Nerone  le  lasciò  sulle  prime  gli  usati  segni 
d'onore*:  ma  come  questi  non  bastavano  a  lei,  cupida 

(")  L'oratore  Lucio  Crasso  disse  di  Gn.  Domizio  Enobarbo  console  nel 
032  e  conquistatore  degli  Allobrogi  :  Non  esse  mirancìjvm,  qund  aeneam 
barbarli  habcret,  cui  os  ferreiim,  cor  plnmbeum  essel.  Svetonio,  Xer.,  2. 

■    l  Aurelio  Vittore,  De  Caesaribus^  5,  e  Epiiomej  5. 

2  Tacito,  Ann..  XIII,  1  e  33;  Plinio,  VII,  H  ;  Dione,  LXI,  G. 

3  Tacito,  Ann..  XIII,  5;  Dione,  LXI,  3. 

4  Tacito,  Ann..  XIII,  2;  Svetonio,  Ner'..  9;  Dione,  I.XI,  .''.. 


Cai».  IL]  GUERRA  DI  SENECA  E  BURRO  ALLA  FIERA  DONNA      379 

di  tutto  il  comando,  egli  cominciò  a  pigliarla  a  noia  in- 
sieme con  Pallente,  che  con  trista  arroganza  ne  secon- 
dava le  voglie.  Burro  e  Seneca  a  soffiare  nella  nascente 
discordia,  e  a  porre  ogni  studio  in  accrescerla,  per  affor- 
zare la  loro  potenza  sulle  rovine  della  fiera  donna.  Ne 
questi  educatori,  comecché  lodati  di  severi  costumi,  bada- 
vano troppo  ai  modi  di  raggiunger  l'intento.  Per  sottrarre 
il  figliuolo  dalla  influenza  materna  gli  si  fecero  arrende- 
voli, gli  allentarono  il  freno,  gli  lasciarono  attorno  M.Salvio 
Ottone,  di  famiglia  consolare,  e  Claudio  Senecione,  fi- 
gliuolo di  un  liberto  di  Cesare,  due  bei  giovinetti  entra- 
tigli' in  grazia  per  via  di  lussurie,  e  gli  messero  davanti 
un'Atte  liberta,  della  quale  egli,  che  già  aborriva  la  virtìi 
della  casta  moglie,  arse  furiosamente  (").  La  madre  fre- 
mente lo  svergognava,  ed  egli  si  accendeva  di  più,  e  non 
dava  ascolto  a  rimproveri.  Né  a  ricovrar  la  sua  autorità 
le  valse  il  tentar  nuovi  espedienti,  nò  il  far  carezze,  nò 
Foifrirsi  pronta  a  tener  mano  alle  lascivie  del  figlio,  nò 
il  porgersi  umile  quanto  prima  era  stata  superba.  Gli 
amici  avvisarono  Nerone,  perché  stesse  in  guardia  contra 
quelle  false  mostre,  e  lo  indussero  anche  a  togliere  a 
Pallante,  favorito  di  lei,  il  maneggio  delle  finanze,  da- 
togli da  Claudio.  Allora  Agrippina  a  modo  di  forsennata 
proruppe  a  grandi  villanie  contro  i  ministri,  minacciò  di 
rivelare  tutti  i  delitti  con  cui  era  stato  tolto  l'Impero  a 
Britannico,  e  di  condurlo  nel  campo  tra  i  soldati  a  pu- 
nizione del  figlio  ingiuriatore  della  madre  :  e  nel  suo  fu- 
rore invocò  Claudio  dal  cielo,  e  le  ombre  di  tutti  gli 
uccisi,  e  le  tante  inutili  scelleratezze  *. 
Le  quali  ire  non  servirono  ad   altro  che  a  prepararle 

(")  Svetonio,  28;  Dione,  LXI,  7.  Questa  liberta  è  celebrata  benemerita 
e  ottima  moglie  e  soreMa  pns:shna  nelle  iscrizioni.  Vedi  Raphael  Fabretti, 
Inscripl.  antiq.,  120,  40;  ^relli,  735;  Menzen,  5412,  5413. 


380 


UCCISIONE  DI  BRITTANICO. 


[Li3.  VII. 


rr 


Annidi  Ro- 
ma 808,  (li 
G.  C.  55 


■     WS 


V  ultima  rovina ,  e  ad  afTrettare  la  morte  del  figlio  di 
Claudio,  al  quale  pur  nocquero  gli  amori  del  popolo  e 
dei  grandi.  Nelle  feste  dei  Saturnali,  tra  lo  scherzare  dei 
giovani,  Nerone,  re  dei  giuochi,  ordinò  a  Britannico  di 

cantare,  coll'intendimen- 
to  di  renderlo  ridicolo  e 
spregiato:  ma  il  giovi- 
netto cantò  con  ferma 
voce  alludendo  alle  sue 
sciagure  e  all'Impero  ra- 
pitogh,  e  mosse  a  pietà 
i  circostanti,  e  accrebbe 
odio  a  Nerone.  11  quale  a 
liberarsi  dall'emulo  chia- 
mò l'avvelenatrice  Locu- 
sta: e  dopo  una  prima 
]ìrova  riuscita  vana,  fu 
composto  tale  veleno,  che 
amministrato  al  giovi- 
netto alla  mensa  impe- 
riale gli  tolse  ad  un  tratto 
e  voce  e  fiato.  Al  subito 
caso  si  spaventarono  i 
commensali  "non  consa- 
pevoli: Ottavia,  sorella 
di  Britannico,  non  ardi 
far  segno  di  dolore  o 
d'  amore  :  Agrippina  , 
smarrita  al  vedersi  togliere  quell'ultimo  appoggio,  sentì 
che  cosa  si  preparava  anche  a  lei.  Nerone  rimase  cori- 
cato com'era,  e  fingendosi  nuovo  disse  esser  mal  caduco, 
di  cui  il  giovinetto  pativa-  fin  dall'infanzia. 


Cii^i 


M> 


Britannico  {Visc.  Monum.  Borghes.,  tav.  IG). 


La  medesima  notte  si  fecero  mediocri  funerali,  già  pre- 
parati, e  l'imperatore  si  scusò  al  pufeblico  della  piccola 
pompa,  e  disse  che  aveva   affrettato   l'esequie  per  non 


Gap.  II.]      AGRIPPINA  ESPULSA  Da  CORTE,  E  ACCUSATA.  381 

prolungare  ai  cittadini  il  dolore  dell'acerbo  caso.  Locusta 
ebbe  ampli  poderi,  e  discepoli  cui  insegnava  sua  arte.  I 
beni  di  Britannico  furono  donati  ai  più  potenti  per  farli 
tacere:  e  quegli  stessi  che  affettavano  più  gravità  di  co- 
stumi, cioè  Burro  e  Seneca,  o  volontari  o  forzati  presero 
case  e,  ville.  Anche  Agrippina  ebbe  parte  alla  preda  *. 

Ma  per  larghezze  non  potevano  attutarsi  le  ire  di  lei 
e  continuò  a  infuriare.  Abbracciando  Ottavia,  esaltando 
i  più  nobili,  accarezzando  centurioni  e  tribuni,  am- 
massando denari,  cercava  fautori  e  capi  di  parte.  Allora 
Nerone  le  fece  toglier  le  guardie,  avute  prima  come 
moglie  del  principe,  poi  come  madre,  e  la  mandò  in  altra 
casa  lungi  da  sé,  ove  la  visitava  di  rado  e  con  studiata 
freddezza,  e  le  mise  d'attorno  gente  che  in  ogni  modo 
la  travagliasse  2.  E  nella  cresciuta  dis^azia  esSa  non  solo 
rimase  deserta  da  tutti ,  ma  fu  accusata  di  cospirare 
contro  al  figliuolo  per  isposare  e  portare  all'  Impero  C. 
Rubellio  Plauto,  nipote  d'Augusto.  Ordirono  la  trama  due 
donne:  Domizia,  sorella  di  Domizia  Lepida,  poco  fa  con- 
dannata e  uccisa,  e  zia  paterna  di  Nerone,  e  grande  ne- 
mica di  Agrippina;  e  Giuha  Silana,  famosa  per  nobiltà, 
bellezza  e  lascivia,  la  quale  per  causa  di  offese  feminili 
patite ,  era  passata  segretamente  dall'  amicizia  all'  odio 
contr'essa.  L' istrione  Paride  ,  liberto  di  Domizia ,  portò 
l'accusa  all'imperatore,  il  quale  atterrito  pensò  subito  di 
uccider  Plauto  e  la  madre,  e  di  togliere  il  comando  dei 
pretoriani  a  Burro,  stimato  complice  come  antica  creatura 
di  Agrippina  :  ma  lo  lasciò  al  suo  posto  per  le  assicura- 
zioni di  Seneca.  Burro  promise  che  spegnerebbe  Agrip- 
pina, se  fosse  provata  l'accusa,  ma  pregò  istantemente, 
perchè  alla  madre  accusata  da  genti  nemiche  si  conce- 
desse la  difesa,  che  non  negavasi  agli  altri:  e  avuto  egli 
stesso  l'incarico  di  esaminarla,  adempì  quell'ufficio  alla 

1  Tacito,  Aniì.,  XIII,  lE-lS;  Svetonio,  ./Ver..  33;  Dione,  LXL  7. 
2  Tacito,  Ann.^  XIII,  IS;  Svetonio,  Ner.^  34;  Dione,  LXI,  S.  ' 

Vanhucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  48 


382  ORGIE  DI  NERONE  [Lib.  VII- 

presenta  di  Seneca  e  di  .alcuni  liberti.  Agrippina,  quan- 
tunque vergognosa  di  esser  costretta  a  difendersi  avanti 
a  uomini  inalzati  da  lei,  serbò  l'usata  fierezza:  respinse 
le  accuse,  ricordò  tutto  quello  che  aveva  fatto  per  mettere 
in  trono  Nerone,  e  riuscita  ad  avere  un  abboccamento 
con  lui,  ottenne  vendetta  contro  ai  suoi  delatori,  alcuni 
dei  quali  ebbero  l'esilio,  altri  la  morte.  Andò  salvo  so- 
lamente Paride,  necessario  alle  libidini  del  principe.  Di 
Plauto  per  allora  non  fu  parlato  *. 

Pure  il  credito  rimase  ai  ministri,  i  quali  per  conser- 
vare in  loro  mano  il  governo  chiusero  più  che  mai  gli 
occhi  ai  disordini  di  Nerone  :  e  per  questa  facilità  egli, 
che  prima  aveva  cercato  di  coprir  sue  brutture ,  corse 
ora  apertamente  per  le  vie  del  vitupero.  Sempre  in  con- 
viti e  in  abominevoli  orgie.  11  ponte  Milvio  lo  vide  la  notte 
in  sozzi  baccani;  e  le  rive  del  Tevere  e  del  golfo  di  Baia 
furono  bruttate  di  sue  sporcizie.  In  città,  travestito  da 
schiavo,  correva  di  notte  le  vie  e  i  lupanari  con  ima 
turba  di  dissoluti,  sconficcava  le  porte,  rubava  le  botte- 
glie,  stuprava,  feriva,  uccideva.  Su  quell'esempio  anche 
altre  brigate  notturne  presero  a  disturbare  la  città,  e 
crebbero  gli  oltraggi  a  uomini  e  donne,  e  ogni  notte  pa- 
reva un  saccheggio.  Per  amore  di  orgie  egli  pighava  di- 
letto anche  alla  licenza  teatrale,  e  fatte  toghere,  come  a 
segno  di  più  libertà,  le  coorti  solite  stare  a  guardia  degli 
spettacoli,  eccitava  da  se  stesso  a  guerra  aperta  istrioni 
e  pantomimi,  e  mentre  volavano  pietre  e  sedili,  stando 
nascoso  gettava  dall'alto  sassi  sul  popolo,  e  un  giorno 
ruppe  la  testa  a  un  pretore  -. 

Poi  un  nuovo  amore  del  sozzo  principe  finì  di  rovinare 
Agrippina,  e  condusse  lui  al  più  esecrando  dei  delitti. 
S' invaghì  di  Poppea  Sabina,  nata  dall'altra  che  fu  uccisa 

1  Tacito,  Atin.,  XIII,  19-22;  Dione  Cassio,  I.XI,  8;  Borghesi,  Lapide  di  Giunio  Silano^ 
in  Oenvres,  V,  2W-2in. 
S  Tacito,  Avn.^  XIII,  21,  25,  47;  STetonio,  Aer.^  2C-27;  Dione  Cassio,  LXI,  0. 


Gap.  II.]  RESO  PIÙ'  SCELLERATO  DALL'AMOR  DI  POPPEA.  383 

da  Messalina  per  essere  la  più  bella  donna  di^Roma. 
Anche  la  figlia  era  bellissima,  e  tranne  l'onestà,  aveva 
tutti  gli  ornamenti  del  corpo  e  dell'animo.  Era  lasciva 
e  affettava  modestia:  mostravasi  di  rado  in  pubblico,  e 
mezzo  velata  per  destare  più  desiderio.  Incurante  della 
fama,  e  intenta  solo  all'utile  suo,  non  distingueva  mariti 
da  adulteri.  Lasciò  il  letto  di  un  cavaliere  romano  per 
darsi  ad  Ottone,  di  cui  piacevale  il  lusso  e  il  favore  ac- 
quistato in  corte  per  sue  infamie.  Ottone,  fosse  amore  o 
ambizione,  non  finiva  mai  di  lodare  al  principe  la  bella 
moglie.  Quindi  il  principe  volle  vederla,  e  la  fece  venire 
in  palazzo:  ed  essa  usò  sì  bene  le  sue  arti,  ohe  in  breve 
Nerone  acceso  di  lei  allontanò  dalla  corte  il  marito,  e 
perchè  non  gli  facesse  il  rivale  in  Roma,  lo  mandò  al 
governo  di  Lusitania  *. 

Ma  Poppea,  non  contenta  di  esser  la  druda  del  prin- 
cipe, voleva  titolo  e  potenza  di  moglie:  e  per  accendere 
più  desiderio  di  se  usava  severità  e  superbi  disdegni. 
Come  vide,  che  alle  alte  ambizioni  ostavano  la  madre  e 
la  moglie  di  Nerone,  e  che  vivente  Agrippina,  non  sa- AnniJiRo- 
rebbe  facile  indurlo  al  ripudio  di  Ottavia,  fece  ogni  sforzo  g.^csò.  ' 
per  recarlo  all'  infamia  del  matricidio.  Lo  irritava  gar- 
rendolo e  motteggiandolo  come  pupillo,  ligio  all'altrui 
volontà:  chiedeva  di  esser  resa  al  talamo  di  Ottone  per 
non  vedere  i  pericoli  e  le  vergogne  dell'imperatore;  e  a 
tutto  questo  mesceva  lacrime  e  libidini  più  eccitanti  -. 

Narrano  che  Agrippina,  agitata  dalla  smania  di  tenere 
in  poter  suo  il  figliuolo,  trascorresse  fino  al  tentativo  di 
legarlo  a  sé  coll'infamia  di  un  incesto.  Altri  scrisse  che 
la  scellerata  voglia  fu  di  Nerone,  non  di  Agrippina:  ma. 
giova  più  stare  con  quelli  che  credono  il  pensiero  del 
defitto  imaginato  per  causa  dei  costumi  dell'uno  e  del- 
l'altra ^.  Certo  è  che  Nerone,  timoroso  d'insidie,  fuggiva 

1  Tacito,  Ann.^  XIII,  -15-16. 

«  Tacito,  Ann..  XIV,  1. 

3  Tacito,  Ann..  XIV,  2;  Svetonio,  Ner..  28;  Dione  Cassio,  LXI,  11. 


334   RISOLVE  DI  AFFOGAR  LA  MADRE  NEL  GOLFO  DI  BAIA.  [Lib.  VIL 

Ogni  rijj-ovo  con  essa,  e  alla  fine  risolvè  l'estrema  scel- 
leratezza del  matricidio,  meditata  già  da  gran  tempo. 
Difficile  ucciderla  di  veleno,  perchè  andava  munita  di 
antidoti ,  coi  quali  fece  tornar  vani  tre  tentativi  '  :  e  la 
morte  di  ferro  non  copriva  il  delitto.  Quindi  esitanze  sulla 
scelta  del  modo,  finché  non  ne  propose  uno  nuovo  Ani- 
ceto, prefetto  dell'armata  a  Miseno,  aio  già  di  Nerone, 
odiatore  di  Agrippina  e  odiato  da  lei,  il  quale  suggerì 
si  facesse  perire  in  mare  per  via  d'una  nave,  che  apren- 
dosi a  un  tratto  la  precipitasse  nell'onde,  e  paresse  opera 
del  caso. 

Nerone,  andato  a  Baia  per  celebrare  le  feste  di  Minerva, 
vi  attirò  Agrippina  col  darle  intenzione  di  volere  rifar  la 
pace  con  lei.  Ed  essa,  facile  a  credere  a  ciò  che  deside- 
rava, vi  andò,  e  fu  lietamente  incontrata  dal  figlio,  che 
la  tenne  seco  a  mensa  per  gran  parte  della  notte,  la  ac- 
carezzò, le  fu  largo  in  dimostranze  d'onore,  e  al  dipar- 
tirsi non  saziavasi  di  baciarla,  o  per  compiere  l'inganno, 
dice  Tacito,  o  che  l'ultima  vista  della  madre  destinata  a 
perire  rattenesse  quell'animo,  quantunque  feroce. 

Era  stellata  la  notte,  placido  il  mare:  e  la  donna,  fi- 
dente e  lieta  delle  dolci  accoglienze,  muoveva  in  nave 
alla  sua  villa  di  Bauli  con  due  soli  familiari,  Crepereio 
Gallo,  che  stava  al  timone,  e  Acerronia  Polla,  che  assisa 
ai  suoi  piedi  le  ragionava  del  pentimento  del  figlio  e  del- 
l'amore ricuperato.  Quando  ad  un  tratto  precipitò  la  co- 
perta della  nave ,  e  il  piloto  ne  rimase  schiacciato.  La 
nave  non  si  sfasciò  tutta,  né  si  sommerse  istantanea- 
mente, come  era  ordinato,  perchè  in  quel  tumulto  i  re- 
miganti non  indettati  impedirono  l'opera  degli  altri.  I  lati 
sporgenti  del  letto  salvarono  le  donne  dalla  prima  rovina. 
Acerronia,  mentre,  o  per  paura  o  per  devozione,  diceva 
esser  ella  la  madre  del  principe  e  chiedeva  soccorso,  fu 

1  Svctonio,  Ner.,  'M, 


Cap.  II.]  FALLITO  L'ANNEGAMENTO  ADOPRASI  IL  FERRO.         ,385 

uccisa  a  colpi  di  remi.  Agrippina  ferita  in  una  spalla  si 
gettò  a  'nuoto ,  e  trovata  poscia  una  barca  entrò  nel 
lago  Lucrino,  d'onde  si  fece  trasportare  alla' villa. 

Appariva  chiara  l'iniquità  della  trama:  ma  essa,  sti- 
mando che  unico  scampo  fosse  il  mostrare  di  non  inten- 
der le  insidie,  mandò  a  dire  al  figliuolo,  che  per  beni- 
gnità degli  Dei  e  per  fortuna  di  lui  era  scampata  da  un 
gran  caso,  dopo  il  quale  non  le  occorreva  altro  che  stare 
in  riposo. 

Nerone  al  sentire  non  riuscito  il  delitto,  di  cui  non 
poteva  rimaner  dubbio  l'autore,  credè  di  veder  subito 
accorrere  la  madre  a  sollevargli  contro  il  Senato,  il  po- 
polo e  i  soldati.  E  in  quel  terrore  fece  chiamar  subito 
Burro  e  Seneca,  i  quali  è  incerto  se  fossero  a  parte  del 
fatto.  Essi  stettero tm  pezzo  in  silenzio:  poi  Seneca  guardò 
in  viso  l'altro,  come  per  interrogarlo  se  si  aveva  a  man- 
dare un  soldato  a  uccider  la  donna:  e  Burro  rispose,  che 
i  pretoriani,  memori  di  Germanico,  non  ardirebbero  un 
misfatto  contro  il  suo  sangue:  e  come  per  risparmiare 
quell'obbrobrio  ai  soldati  aggiunse  che  al  liberto  Aniceto 
apparteneva  di  compier  l'opera.  Questi  accettò  lieta- 
mente: ebbe  caldi  ringraziamenti  da  Nerone,  gridante 
che  ora  solamente  e  in  grazia  di  un  liberto  possedeva 
l'Impero;  e  inventata  la  favola  di  un  servo  mandato  dalla 
•madre  a  uccidere  il  figlio,  con  una  mano  di  sicuri  sgherri 
andò  a  consumare  l'assassinio. 

Alla  novella  del  caso  di» Agrippina  i  lidi  di  Baia  si  erano 
empiti  di  popolo:  correvano  attorno  con  fiaccole,  cerca- 
vano, chiedevano,  facevano  risuonare  le  rive  e  il  mare 
di  lamenti,  di  grida,  di  voti.  E  saputala  salva,  muovevano 
a  congratularsi  con  essa,  quando  furono  dispersi  dagli 
armati.  Aniceto  circondò  di  guardie  la  villa ,  sforzò  le 
porte,  s'impadronì  degli  schiavi,  e  penetrò  nella  camera, 
dove  Agrippina  giaceva  affannata  di  non  veder  giungere 
nessun  messaggio,  ne  tornare  quello  spedito  al  figliuolo. 


386«      AGRIPPINA  UCCISA  DAGLI  SGHERRI  NEL  LETTO.  [Lib.  YIL 

i" 

Era  stata  abbandonata  da  tutti,  e  l'ultima  ancella  fuggì 
al  comparire  degli  sgherri.  La  sciagurata  al  vedere  cinto 
il  suo  letto* dagli  assassini  disse  ad  Aniceto:  Se  Nerone 
ti  manda  a  cercar  mie  novelle,  gli  dirai  che  mi  sono 
riavuta:  sevieni  a  un  delitto,  io  non  credo  che  ti  abbia 
mandato  il  mio  figlio.  In  questa  uno  degli  sgherri  le  dette 


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Agrippina  inadre  di  Nerone  {Mo:^geZj  Icon.  Rara.,  jl.  XXVII,  n.  C<). 

di  un  bastone  sul  capo:  e  mentre  un  centurione  strin- 
geva il  ferro,  essa  sporgendo  il  ventre  dissfe:  Ferisci  qui; 
e  rimase  spenta  di  più  colpi  di  spada.  Il  cadavere  fu  arso 
nella  stessa  notte  dalla  pietà  di  un  liberto,  e  le  ceneri 
non  ebbero  onore  di  sepoltura,  fìncliò  visse  il  matricida*. 

»  Tacito,  Ann.,  XIV,  3-9;  Svetonio,  31;  Dione  Cassio,  I.XI.  12-11. 


Cap.  II.]  PUBBLICI  PLAUSI  AL  MISFATTO,  E  NUO\'I  DÉLITTL     387 

Anche  la  scellerata  anima  di  Nerone  non  potè  aver 
quiete  dopo  tanto  misfatto.  Lo  agitavano  furie  tremende, 
e  nell'atterrita  fantasia  udiva  lamentevoli  suoni,  che  lo 
cacciavano  dai  luoghi  infamati  colla  sua  empietà.  Ma  non 
mancarono  confortatori  allo  scellerato,  quasi  a  mostrare 
a  quatito  eccesso  d'infamia  fossero  condotti  gli  uomini 
dalla  più  sozza  delle  tirannidi.  Burro  gli  mandò  centurioni 
e  tribuni  a  congratularsi  di  essere  scampato  dalle  insidie 
materne.  Gli  scellerati  di  corte  gli  dissero,  che  aveva  ac- 
quistato il  favore  del  popolo  colla  morte  dell'odiata  donna. 
Le  città  di  Campania  arsero  incensi  sugli  altari  e  fecero 
festa.  Seneca,  scrivendo  a  Roma  del  matricida,  ne  fece 
l'apologia,  e  chiamò  pubblico  beneficio  quella  uccisione, 
mentre  Nerone,  per  accrescere  odio  alla  madre  e  parere, 
levata  lei,  più  benigno,  richiamava  in  patria  più  donne 
e  uomini  cacciati  da  essa.  11  Senato  fece  ringraziamenti, 
e  supplicò  al  principe  che  tornasse  in  éìiik:  e  in  quella 
occasione  il  solo  Peto  Trasea  protestò  contro  la  vile 
scelleratezza  di  tutti  coli' alzarsi  e  partire  dalla  Curia. 
Alcuni  fecero  satire  in  greco  e  in  latino;  ma  i  più  ap- 
plaudirono, e  quando  alla  fine  il  mostro  tornò  a  Roma 
fu  incontrato  e  festeggiato  dalla  folla  che  stette  su  palchi 
lungo  la  via  come  a  veder  passare  un  trionfo.  Gli  Arvali 
sacrificarono  per  la  salute  e  pel  ritorno  di  lui.  Ed  egli 
trionfante  della  pubblica  servitù,  entrò  in  Campidoglio, 
rese  grazie  agli  Dei,  fece  sacrifizii  e  giuochi  sontuosissimi. 
Il  mondo  non  aveva  veduto  mai  abominazioni  simili  a 
queste  K 

Dopo  non  ebbe  più  freno  a  misfare  :  si  contaminò  sulla 
scena,  e  fra  più  turpi  libidini,  inferocì  nelle  stragi,  uccise 
i  ministri,  fu  micidiale  di  tutta  la  sua  casa. 

Fino  dai  più  teneri  anni,  educato  da  un  ballerino  e  da 
im  barbiere,  si  dilettò  solo  in  cavalcare,  in  cantare,  in 

1  Tacito,  Ann.^  XIV,  10-13;  Dione,  LXI,  15-17-,  Svetonio,  y.rr.,  31,  ?9;  Ilenz.'n,  Ad. 
Arv.^  pag.  LXXV. 


388  NERONE  CITAREDO,  ISTRIONE,  AURIGA,  ECC.    -[Lib.  VII. 

dipingere,  in  far  versi  ^  Ora  Burro  e  Seneca,  non  po- 
tendo più  trattenerlo  nella  sua  manìa  di  far  da  cocchiere 
e  di  cantar  sulla  scena,  condiscesero  che  reggesse  ca- 
valli senza  pubblicità  in  un  chiuso  della  valle  vaticana. 
Ma  bramoso  di  esser  veduto  e  ammirato  vi  ammesse  il 
popolo,  e  dai  plausi  fu  viepiù  acceso  nei  suoi  strani  amori. 
Cosi  sul  teatro  domestico  cominciò  a  cantare  sulla  cetra 
a  modo  di  giullare:  poi  comparve  più  solennemente  nei 
giuochi  giovcnali,  istituiti  quando  si  tagliò  la  prima  barba. 
E  per  menomare  la  sua  onta  trasse  per  prezzo  o  per  forza 
più  nobili  di  ogni  sesso,  grado  ed  età  a  cantare,  a  dan- 
zare, a  fare  sulla  scena  sconci  atti:  e  a  poco  a  poco, 
posto  giù  ogni  riguardo,  si  fece  pubblico  cantore  e  gui- 
datore di  cavalli,  e  recitatore  di  tragedie,  non  lasciando 
occasione  di  farsi  ammirare  sui  teatri,  nel  circo,  alle  feste 
particolari  dei  cittadini.  Il  popolo  e  i  soldati  applaudi- 
vano a  lui,  cantante  con  grande  studio  e  amore  di  ar- 
tista, e  anche  Burro  e  Seneca,  comecché  dolenti,  erano 
costretti  a  lodare  il  citaredo.  Applaudivano  con  bella  va- 
rianza di  suoni  cinquemila  cavalieri  Augustani,  arruolati, 
e  istruiti  da  particolari  maestri  a  quest'uopo,  e  chiama- 
van  divine  la  bellezza  e  la  voce  del  principe  -. 

Egli  poneva  ogni  studio  a  conservare  e  a  coltivare  que- 
sta voce  divina,  chiamato,  dagli  storici  rauca  ed  esile  ^: 
e  al  tempo  stesso  era  fieramente  frugato  anche  dal  de- 
siderio della  gloria  poetica,  e  raccoglieva  intorno  a  sé 
poetastri,  perchè  gli  ripulissero  i  versi,  i  quali  poi,  reci- 
tati da  lui  in  pubblico  a  gara  con  altri,  erano  natural- 
mente coronati  dai  giudici,  e  il  Senato  li  faceva  scrivere 
in  lettere  d'oro  e  consacrare  nel  tempio  di  Giove  Capi- 
tolino. Si  recitavano  anche  da  giullari  per  le  piazze,  e  i 
cittadini  che  non  vi  badass'ero,  nò  dessero  premio  ai  re- 

»  Sretonio,  Ner.^  fi,  20;  Tacito,  Ann..  XIH,  ,'ì. 

«  Tacito,  Annal..  XIV,  H,  15;  Svetoiiio,  AVr.,  20-22;  Dione  Cassio,  LXI,  17-21. 

3  Plinio,  XIX,  'S.i,  XXXIV,  :>">]  Sv^-touio,  2:1;  Dione,  I.XI,  21. 


Cap.  II.]     UCCISIONE  DI  BURRO  E  DISGRAZIA  DI  SENECA.  389 

citanti,  correvano  rischio  di  andare  in  prigione  per  cri- 
menlese.  Si  dilettò  pure  dell'ascoltare  le  dispute  dei  filo- 
sofi, e  Tacito  ritrasse  sdegnosamente  i  frequentatori  delle 
sue  cene,  i  quali  compiacevansi  di  esser  contemplati  in 
volto  e  voce  severa  tra  le  delizie  e  le  voluttà  della 
reggia  ("). 

Così  il  mondo  per  più  anni  ebbe  lo  spettacolo  di  un 
cannibale  verseggiatore  e  suonatore  di  cetra.  Fra  gli 
esercizi  di  poesie  e  di  musiche  fece  uccidere  dai  medici 
Domizia,  sua  vecchia  zia,  per  pigliarne  i  possessi  che 
ella  aveva  a  Baia  e  su  quel  di  Ravenna  Q).  Poi  spense 
di  veleno  Burro  *,  contrastante  al  meditato  ripudio  di 
Ottavia:  e  détte  il  governo  dei  pretoriani  a  Fenio  Rufo 
e  a  Sofonio  Tigellino;  il  primo  buono  e  dappoco,  l'altro 
scelleratissimo,  e  che  perciò  divenuto  onnipotente  usò 
a  delitti  la  grazia  e  la  potenza,  acquistate  con  libidini 
infami.  Collo  sparire  di  Burro  cadde  anche  il  favore  di 
Seneca,  che  già  aveva  mal  nome  pei  milioni  procaccia- 
tisi con  tristi  arti  di  usure,  e  per  le  sue  connivenze  alle 
scelleratezze  di  corte.  Egli  veduto  come  precipitavano  le 
cose,  studiò  di  tirarsi  indietro  per  provvedere  a  sua  si- 
curezza: tenne  lungo  discorso  a  Nerone  per  domandargli 
riposo,  lo  ringraziò  delle  sue  grandi  liberalità,  e  offri  di 
rendergli  i  troppi  doni,  divenuti  causa  di  travagli  e  d'in- 
vidie. E  Nerone  a  sfoggiare  in  parole  cortesi,  a  ringra- 
ziare il  maestro  dei  suoi  precetti  e  consigli,  a  pregarlo 
che  non  volesse,  per  troppo  amore  di   moderanza  e  di 


(")  Tacito,  Ann.,  XIV,  10,  21;  Svetcnio,  Ner.,  10-12:  Filostrato,  Vita 
di  Apollonio  Tianeo,  lY,  39.  A  questo  conversare  coi  filosofi  probabil- 
mente allude  anche  la  medaglia  di  Nerone,  in  cui  si  vede  una  civetta  e 
Minerva.  Vedi  Cavefloni,  Med.  iìnjì.  in  Annal.  Istit.,  1851,  paj;'.  244. 

(^)  Era  sorella  della  Domizia  Lepida  già  condannata  a  morte  per  le  ge- 
losie di  Agrippina.  Vedi  Svetonio,  Ner.,  34;  Dione,  LXI,  17,  e  Reiniar,  i':i. 

1  Svetonio,  Ner.^  3ó;  Dione  Cassio,  LXII,  13;  Tacito,  A.nn.,  XIV,  'A. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  40 


390  ALTRE  UCCISIONI.  RIPODIO  DI  OTTAVIA.        [Lib.  VII. 

quiete,  lasciare  l'amico  esposto  a  passare  per  avaro  e 
ingrato.  Poi  "abbracciamenti  e  baci,  usando  sempre  co- 
prir l'odio  con  le  carezze.  Seneca,  come  avviene  sempre 
a  chi  ragiona  coi  principi,  lo  ringraziò,  e  riformò  sua 
grandezza,  e  colse  pretesti  a  star  solitario  per  non  dare 
ombra  :  ma  non  riuscì  a  campare  da  morte  violenta  *. 

Invano  il  filosofo  aveva  mostrato  al  principe  che,  per 
quanta  gente  spegnesse,  non  potrebbe  toglier  via  il  suc- 
cessore. Crebbero  le  uccisioni  e  i  misfatti.  Il  comparire 
della  cometa,  che  durò  continuo  per  tutto  questo  feroce 
regno,  e  che  Nerone  placò  sempre  con  sangue  illustre  -, 
erasi  creduto  annunziatore  di  mutazione  di  Stato.  E  come 
la  voce  pubblica  metteva  innanzi  il  nome  di  C.  Rubellio 
Plauto,  severo  uomo  discendente  per  parte  di  madre  dai 
Giulii,  Nerone  lo  aveva  rilegato  nei  suoi  possessi  di  Asia. 
Ma  poiché  anche  di  là  faceva  paura,  Tigellino  lo  fece 
uccidere  come  troppo  ricco,  e  arrogante  e  torbido,  e 
avido  di  affari,  come  tutti  gli  stoici.  Anche  Fausto  Cor- 
nelio Siila  Felice,  sacerdote  Arvale,  marito  di  Antonia, 
figliuola  primogenita  di  Claudio,  quantunque  povero  e 
indolente,  per  la  chiarezza  del  sangue  fu  spento  a  "Mar- 
silia,  ove  lo  avevano  esiliato,  attribuendogli  a  sottile 
astuzia  la  tardità  dell'ingegno.  Le  tronche  teste  furono 
portate  al  principe,  il  quale  mirandole  si  burlò  del  grosso 
naso  di  Plauto  e  della  precoce  calvizie  di  Siila  ^.  Per  le 
quali  infamie  lo  ringraziava  il  Senato*:  ed  egli  certo 
oramai  di  potere  osar  tutto,  e  di  fare  accogliere  come 
cosa  ottima  ogni  scelleratezza,  alla  fine  ripudiata  la  casta 
Ottavia  sotto  pretesto  di  sterilità,  sposò  la  sua  meretrice 
Poppea  Sabina,  la  quale  per  infamare  la  virtuosa  donna, 
le  fece  dare  accusa  di  amore  a  uno  schiavo.  Le  più  delle 

'  Tacito,  4«JM.>  XlU,'*i2,  43,  XIV,  50-57,  X^,\   D  j»  50;  Dione,  LXII.^S. 
'  T'ilnio,  II,  2jJ;  Tacilo,  Ann.,  XIV,  22,  XV,   17;  Svefonio,  Ner.,  :Ik 

3  Tacilo,  Ann.,  XIII,  10  e  47,  XIV,  22,  57-59;  fevetonio,  C/awd..  27;  Dione  Cassio, 
LXII,  14;  llenzen,  Ada  fratfwn  ^rvaliumj^^g.  LXIV,  <■  l'indicf  a  pag-,  ^181. 

4  TRcito,  Ann..  ^vlV,  OC».      ^  *    ,  '  '  '  «•  i 


Gap.  IL] 


SPOSATA  POPPRA. 


391 


ancelle  resisterono  a  tutti  i  tormenti  per  sostenere  la 
santità  della  padrona,  e  una  di  esse  fra  le  torture  sputò 
in  faccia  a  Tigellino  e  gli  disse,  che  più  pure  della  sua 
bocca  erano  le  parti  femin'li  di  Ottavia.  Tornò  vana  ogni 
difesa,  e  la  infelice  sorella  di  Britannico  fu   cacciata  in 


Poppca  Saljina  {Museo  Ciipi^  Righeti'L  I, 

Campania,  sotto  la  custodia  di  feroci  sgherri.  Per  tanta 
scelleratezza  si  levò  a  rumore  la  città,  e  Nerone  impau- 
rito richiamò  a  Roma  la  misera  donna.  E  allora  la  turba 
sali  al  Campidoglio  a  ringraziare  gli  Dei,  e  benedicendo 
a  Nerone,  abbattè  de  statue  di  Poppea,  e  inghirlandò 
quelle  di  Ottavia.  Sforzi   vani  e  dannosi!  Una   frotta  di 


■à02  OTTAVIA  UCCISA.  [  Lib.  VII. 

Sgherri  disperse  i  festeggianti  a  colpi  di  bastone  e  di 
spada:  e  Poppea,  più  inferocita  dalla  pubblica  esecrazione, 
ridestò  con  l'ira  l'ardimento  del  delitto  in  Nerone,  e  subito 
fu  risoluta  la  morte  di  Ottavia.  Aniceto,  uccisore  della 
madre,  tratto  da  larghe  promesse  a  infamare  con  nuova 
accusa  la  moglie,  sostenne  di  aver  fatto  adulterio  con  lei, 
e  sotto  nome  di  bando  ne  ebbe  a  premio  il  godimento  di 
Annidi Ro- ricchi  posscssi  in  Sardegna'.  Ottavia,  relegata  da  un 
G^S/'  editto  nell'isola  Pandataria,  partì  accompagnata  dalla  ste- 
rile pietà  del  volgo,  e  trovò  il  carnefice  nel  luogo,  già 
infame  per  altre  stragi  della  casa  imperiale.  Era  nel  ven- 
tesimo anno;  e  quantunque  la  sua  vita  fosse  stata  un 
continuo  dolore,  non  sapeva  ridursi  a  lasciarla.  Circon- 
data da  centurioni  e  soldati  pregò,  invocò  i  parenti  co- 


t®' 


Ottavia  moylii'  di  Neronn  {Cohen). 

muni  a  lei  e  a  perone.  Le  strinsero  di  legami  le  mem- 
bra, le  tagliarono  le  vene,  e  come  il  sangue  ghiacciato 
■dalla  paura  usciva  lento,  la  fecero  spirare  col  vapore  di 
un  bagno  caldissimo  (").  Aggiungono  anche  che  per  più 
atroce  crudeltà  le  fu  recisa  la  testa,  e  recata  a  Poppea. 
E  si  decretarono  per  ciò  doni  ai  templi,  perchè  oramai 

(")  Nel  diritto  della  medagli£|||3i  bronzo  che  diamo  incisa  vedesi  l'ima- 
gine  di  Ottavia  con  attorno  l'epigrafe:  octaviae  neronis  aug.  [iisH),  sot- 
tinteso l'.xon  Nel  rovescio  è  una  donna  che  tiene  una  patera  é  un  cor- 
nucopia, colla  leggenda  significante  che  la  medaglia  fu  battuta  nella 
Colonia  di  Corinto  sotto  il  duumvirato  di  Q.  Fulvio  Fiacco:  gen.  {io) 
COL.  (oniae)  cor.  (inthi)  q.  vvu.  flacco  n  vik.  Cohen,  Monn.  frap.  sous 
l'emp.  rom.,  voi.  I,  pi.  XII,  n.  1-;  Mongez,  Icon.Rom.,  pi.  XXXVII,  n.  7. 

1  Tacito,  Ann.,  XVI,  nO-62-,  Svetonio,  Ner.,  Ip;  Diono,  LXII,  13. 


Gap.  II.]  UCCISA  ANCHE  POPPEA.  393 

divenne  uso  di  ringraziare  gli  Dei  per  ogni  uccisione  o 
esilio,  come  in  altri  tempi  si  faceva  pei  successi  felici  *. 

Poppea,  giunta  coi  delitti  al  colmo  dei  desiderii,  andò 
superba  di  sua  feroce  vittoria;  sfoggiava  di  non  più  visto 
lusso,  ferrava  d'oro  i  muli  destinati  a  portarla,  era  stu- 
diosissima della  bellezza,  che  le  aveva  dato  la  mano  del- 
l'imperatore; e  per  conservare  morbide  e  lucenti  le  carni 
si  bagnava  ogni  giorno  nel  latte  di  un  armento  di  cin- 
quecento asine  2.  Nerone,  sempre  più  preso  di  lei,  ne 
cantava  in  versi  i  biondi  capelli  ^,  e  détte  in  eccessive 
allegrezze  quando  gli  partorì  una  figliuola,  cui,  come  alla 
madre,  dette  il  nome  d'Augusta.  Gli  Arvali  fecero  voti 
solenni,  e  i  soliti  sacrifizi  di  bovi  e  di  vacche  pel  parto  *. 
11  Senato  pure  non  ebbe  misura  nel  fare  ringraziamenti 
agli  Dei,  e  nell'ordinare  allegrezze.  Poi,  quando  in  capo 
a  pochi  mesi  morì  la  bambina,  la  dnchiararono  Dea,  e 
le  fecero  onore  di  templi  e  di  sacerdoti  ^.  Ma  non  dura- 
rono a  lungo  queste  felicità  della  divina  ^  Poppea,  perchè 
dopo  tre  anni,  mentre  era  gravida  di  nuovo,  Nerone  un 
dì,  crucciato  con  essa,  le  dòtte  un  calcio  e  la  uccise:  e 
dopo  le  fece  onori  infiniti,  ne  lodò  la  bellezza  dai  Ptostri, 
la  celebrò  come  madre  di  una  divina  fanciulla,  e  per 
onorarla  e  imbalsamare  il  cadavere  all'uso  orientale  con- 
sumò più  profumi  di  quelli  che  produceva  l'Arabia  Felice 
in  un  anno:  e  poscia  le  dedicò  un  tempio  adorno  di  ma- 
gnifici voti  coll'epigrafe  :  A  Sabina  Dea  Venere  fecero  le 
matrone:  perchè  edificato  col  denaro  rapito  principal- 
mente alle  donne  ''. 

Poscia  ebbe    capriccio  di  Antonia,  figlia  primogenita 

1  Tacito,  AwM.,XIV,  61. 

2  Plinio,  XI,  96,  XX Vili;  50;  Dione  Cassio,  LXII,  2S.  Conf.  Giovenale,  VI,  4G2-Ì70. 

3  Plinio,  XXXVII,  12. 

4  Marini,  Arvah,  pag.  CXXIII,  0  121,  125;  Ilonzrn ,  Ada  fratr.  Arv.  ^  p.  LXXVIII, 
LXXIX. 

5  Tacito,  Ann.j  XV,  23;  Svetonio,  Ner.^  35. 

6  Vedi  Creili,   Inscripf.,  h.  731. 

7  Tacito,  Ann.^  XVI,  6-7;  Dione  Cassio,  LXII,  27,  e  LXIII,  2G;  Plinio,  XII,  41. 


394  NUOVE  E  PIÙ'  TURPI  NOZZE,  E  IXNUMERABILI  ORGIE.  [Lib.  VII. 

<]i  Claudio,  alla  quale,  come  dissi,  aveva  già  ucciso  il  ma- 
rito, e  perchè  essa  non  volle  consentire  alle  nozze,  la 
spense,  accusandola  di  macchinazioni  contro  all'Impero: 
e  sposò  Statilia  Messalina,  cui  pure  trucidò,  .per  averla, 
il  marito  *.  Fece  anche  cose  più  infami,  sposando  pub- 
blicamente e  con  ogni  solennità  di  nozze  uno  Sporo,  ed 
altri  eunuchi  e  liberti,  inventando  ogni  dì  libidini  più 
mostruose,  introducendo  a  Roma  ogni  lascivia  straniera, 
facendosi  maestro  e  sforzatore  di  vizi,  e  perdonando  ogni 
delitto  a  chi  più  si  mostrasse  impudico  ^.  Si  voltolava 
come  porco  in  brago,  banchettava  giorno  e  notte  alla 
presenza  del  pubblico ,  nella  Naumachia ,  nel  Campo 
Marzio,  nel  Circo  Massimo,  servito  da  male  donne  e  da 
matrone  sulle  ripe  del  Tevere,  e  sui  lidi  di  Baia  in  ta- 
verne apparecchiate  per  lui.  È  detto  che  per  una  sola 
cena  spese  fino  a  (Quattro  milioni  in  lusso  di  dolcezze,  e 
di  rose  e  profumi  ^.  Un  banchetto  preparato  da  Tigellino, 
è  ricordato  da  Tacito  come  esempio  degli  scialacquamenti 
e  delle  turpitudini  di  cui  'era  capace.  Fu  fatto  nello 
stagno  d'Agrippa  su  navi  intarsiate  d'oro  e  d'avorio-,  e 
imbandite  di  uccellami  e  selvaggiumi  d'ogni  paese,  e  di 
animali  ricercati  fino  dall'Oceano,  mentre  sulle  sponde 
matrone  e  donne  da  conio  davano  di  se  mostruoso  spet- 
tacolo ^. 

Gli  cresceva  sempre  più  anche  la  smania  di  fare  am- 
mirare la  sua  voce  dal  mondo,  e  a  Napoli  cantò  in  tea- 
tro tre  giorni  di  seguito  alla  folla  accorsa  a  sentirlo  anche 
dalle  vicine  colonie  e  dai  municipii.  Poi  fu  a  Benevento 
e  meditava  un  viaggio  in  Grecia,  per  avere  ammiratori 
più  degni  della  sua  valentia  (■'). 

(«)  Tacito,  Ann.,  XV,  33,  34;  Svetonio,  Ner. ,  20.  Anche  le  medaglie 

1  Svetonio,  Ner.,  35;  Tawto,  Ann.^  XV,  68. 

2  Tacito,  Ann.^  XV,  37  ;  Svetonio,  Nei:.  23,  23;  Dione,  I.XIII,  l:>. 

3  Svetonio,  Ner.^  27. 

*  Tacito,  Ann..  XV,  :!7.  Couf.  Dione  Cassio,  I.XII,  ir.. 


Gap.  II.]  GUERRA  IN  BRITANNIA.  395 

Mentre  Nerone  poneva  ogni  diletto  nelle  libidini,  e 
ogni  gloria  nel  far  l'istrione,  il  cantore  e  il  cocchiere, 
altri  combatteva  in  lontane  contrade:  ed  egli  da  quelle 
geste  pigliava  occasione  ad  orgie  novelle,  a  grandi  spet- 
tacoli, a  inaudite  profusioni,  e  quindi  a  nuove  violenze  di 
sangue  sui  ricchi  per  riempire  le  casse  vuote  coi  loro 
tesori. 

Sotto  il  suo  impero  arse  lungamente  la  guerra  in  Bri- 
tannia  e  in  Oriente.  I  Britanni  si  sollevarono  per  causa 
delle  insolenze  soldatesche,  e  delle  crude  gravezze  im- 
poste anche  ai  morti  '.  Dicono  vi  contribuisse  pure  l'ava- 
rizia di  Seneca,  che  aggravò  le  miserie  dei  popoli  col 
ripetere  a  un  tratto  il  pagamento  di  40  milioni  di  sesterzi 
(7,352,392  lire  ital.)  prestati  loro  con  grossa  usura -.  Sve- . 
tonio  Paolino,  governatore  della  provincia,  assalì  l'isola 
Mona  {Anglesey)  possente  di  abitatori;  e  ricetto  ai  fug- 
giaschi di  altri  paesi,  e  ai  Druidi  cacciati  di  Gallia,  i  quali 
ora  tenevano  qui  loro  assemblee  e  scuole  ed  oracoli  nel 
bosco  sacro  al  loro  terribile  Dio.  Svetonio  Paolino  spinse 
i  suoi  fanti  su  navi  adatte  a  quella  spiaggia  di  fondo 
scarso  e  incerto,  e  fece  passare  i  cavalli  a  guazzo  o  a 
nuoto  dove  erano  più  alte  le  onde.  Fu  contrastato  ga- 
gliardamente lo  sbarco.  Il  popolo  in  armi  occupava  le 
rive:  le  donne  vestite  a  lutto,  scapigliate,  correvano  in 
mezzo  alle  schiere  agitando  faci  ardenti  a  modo  di  Furie. 
I  Druidi  colle  mani  alzate  al  cielo  gli  mandavano  feroci  Annidi ro- 
preghiere,  e  con  quello  spettacolo  nuovo  mettevano  paura  'g.^^cY"' 
ai  soldati  che  rimasti  immobili  si  lasciavan  ferire.  Ma 
presto   richiamati  al   dovere   dal  duce   ed  eccitatisi  tra 


ce  lo  hanno  conservato  in  veste  ed  in  attitudine  di  citaredo  con  lira 
nella  sinistra  e  plettro  nella  destra.  Vedi  Cavedoni,  in  Anna!.  Isiit,,  1851. 
pag.  244,  e  Cohen,  Med.  frappèes  sous  l'emp.,  voi.  I,  pi.  XI,  n.  214. 

1  Dione  Cassio,  I.XII,  ?.. 

2  Dione  Cassio,  LXII,  2. 


396  SOLLEVAZIONE  DELLA  REGINA  BAODICEA.      [Lib.  VII. 

loro  a  non  tremare  di  quel  muliebre  e  fanatico  stuolo, 
spinsero  avanti  le  insegne,  dettero  addosso  ai  nemici  e 
gli  avvolsero  in  loro  fiamme.  Superato  in  breve  ogni  con- 
trasto, abbattute  le  selve  druidiche  sacre  a  riti  crudeli, 
rovinate  le  are  sparse  del  sangue  dei  prigionieri,  e  delle 
umane  viscere  usate  a  consultare  la  volontà  degli  Dei-, 
e  posto  un  presidio  sui  vinti  ',  il  vincitore  parti  chia- 
mato altrove  da  una  grande  sollevazione  dei  Brettoni 
spinti  agli  estremi  da  nuovi  oltraggi  degli  invasori. 

Prasutago,  re  degli  Iceni  (Noì^folk  e  Suffoll)  morendo 
lasciava  eredi  due  figlie,  e  con  esse  Nerone  per  salvare 
cosi  la  famiglia  e  il  regno.  Ma  i  centurioni,  mandati  dal- 
AnnidiRo- l'imperatore  a  raccoglier  l'eredità,  messere  a  sacco  il 
G.^c:39.  'regno,  percossero  Baodicea  moglie  del  morto,  stuprarono 
le  figliuole,  rubarono  la  casa.  Per  le  quali  enormità  il 
popolo  levato  a  rumore,  tirò  a  ribellione  i  Trinobanti 
{Hertford  e  Esscx),  e  le  genti  dattorno,  più  cupide  di  li- 
bertà. Si  aggiunsero  narrazioni  di  strani  prodigii,  minac- 
cianti  ai  nemici  rovina  estrema;  e  ne  crebbe  il  cuore  agli 
oppressi.  Assalita  la  colonia  di  Camuloduno,  seggio  odioso 
della  tirannide:  uccisi  i  veterani  non  forti  a  reggere  a 
tanto  impeto,  e  con  essi  i  sacerdoti  del  tempio  eretto 
ivi  a  Claudio,  il  quale  appariva  come  una  rocca  di  eterna 
dominazione;  inseguiti  i  soldati  sparsi  per  le  castella, 
espugnate  le  rocche,  arse  le  case,  rovinato  il  municipio 
di  yerulamio:  e  nel  rapido  spargersi  della  rivoluzione 
per  ogni  luogo,  dove  fossero  Fiomani,  furono  uccisi  70 
mila  tra  cittadini  e  alleati,  senza  distinzione  di  sesso  o 
di  età,  e  con  strazi  ferocissimi  alle  donne  appese  agli 
alberi  con  in  bocca  le  mammelle  tagliate.  L'ira  e  la  vit- 
toria non  lasciarono  alcuna  sorte  di  vendetta. 

Erano  in  armi  120  mila  uomini  governati  da  Baodicea, 
Ja  quale  armata  di  asta,  coi  lunghi  capelli  sparsi  dietro 

1  Tacilo,  Ann.,  XII,  29-30.  Conf.  Lucano,  I,   150  <•  segp.,  TU,  31)9-120. 


Gap.  II.]        GRANDE  STRAGE  DEI  BRETTONI.  397 

le  spalle,  truce  in  volto,  ardente  di  vendetta,  eccitava  le 
turbe  a  rivendicare  la  libertà,  mostrava  le  figlie  stuprate, 
ricordava  le  ingiurie  patite  dai  superbi  oppressori,  non 
rispettanti  né  verginità,  né  vecchiezza, 

Svetonio  Paolino,  accorso  con  rapida  marcia  al  riparo 
e  traversati  arditamente  i  paesi  infestati  dalla  rivolta, 
andò  a  Lohdinio  (Londra),  luogo  già  celebratissimo  per 
commerci  e  ricchezze;  e  intento  a  raccogliere  tutte  le 
forze,  e  pensando  col  danno  di  una  sola  terra  salvare  il 
tutto,  senza  dare  ascolto  a  lamenti,  prese  seco  chi  volle 
seguirlo,  e  lasciò  donne,  vecchi  e  fanciulli  al  furore  dei 
nemici,  che  gli  uccisero  tutti. 

I  Brettoni,  pazienti  di  ogni  disagio,  forti  alla  guerra 
dei  luoghi  difficili,  e  vincitori  agli  assalti  repentini,  non 
avevano  né  disciplina,  né  armi  da  reggere  alle  grandi 
battaglie  contro  le  ordinanze  romane.  Perciò,  quando  la- 
sciarono la  guerra  spicciolata  per  venire  a  giornata  cam- 
pale, la  virtù  prevalse  al  furore,  e  Svetonio  Paolino  con 
soli  diecimila  uomini  ne  vinse  120  mila.  Il  centro  nemico 
fu  sfondato  dai  legionari:  la  cavalleria  romana  colle  lun- 
ghe aste  sbaragliò  tutti  i  più  forti  che  le  si  fecero  in- 
contro. È  detto  che  caddero  80  mila  uomini,  né  furono 
risparmiate  le  donne  venute  sui  carri  per  veder  la  vit- 
toria: e  Baodicea  si  uccise  di  veleno,  per  non  sopravvi- 
vere all' esterminio  di  sua  gente.  Furono  messe  a  ferro  e 
a  fuoco  le  terre  dei  vinti:  ma  questi,  anche  nelle  estreme 
sciagure,  non  lasciarono  il  pensiero  della  resistenza,  né 
l'amore  della  libertà.  Sperarono  anche  di  far  loro  prò 
delle  discordie  na.te  fra  i  duci. del  campo  nemico;  e  quando 
da  Roma  venne  il  liberto  Policleto  a  ricomporre  gli  animi, 
essi  risero  al  vedere  come  un  duce  e  un  esercito  vit- 
torioso di  SI  gran  guerra  si  lasciassero  governare  da 
schiavi  'K 


1  Tacito,  Ann.,  XIV,  23-39,  Agric,  Il-IG;  Dione  Cassio,  LXII,  1-1; 
VAN-Nacci  —  Storia  delVItaìià  antica  —  IV. 


398 


MOTI  D'ORIENTE  COMPRESSI  DA  CORBULONE.    [Lib.  VII. 


Sotto  Nerone  la  quiete  fu  appena  turbata  in  Germania 
da  tentativi  facilmente  repressi*:  all'incontro  patirono 
lunghi  travagli  di  guerra  le  province  orientali,  per  causa 

del  gran  disegno  conce- 
pito da  Vologeso,  re  dei 
Parti,  di  sottrarre  l'O- 
riente dal  giogo  romano, 
e  per  l'amóre  ardente  di 
indipendenza  che  agitava 
i  Giudei. 

Vologeso  cominciò  dal- 
l'invadere  l'Armenia,  e 
vi  pose  al  governo  il  suo 
fratello  Tiridate,  nei  pri- 
mi anni  di  Nerone:  poi 
minacciato  si  ritirò,  e 
dette  ostaggi  per  ingan- 
nare con  sembianti ,  di 
pace,  e  aver  tempo  a 
più  forti  apparecchi.  A 
vegliare  e  a  impedire 
quei  moti  fu  mandato 
Gn.  Domizio  Corbulone, 
duce  di  grande  eccellen- 
za, il  quale,  bramando  di 
rinnuovare  in  Asia  i 
trionfi  di  Lucullo  e  di 
Pompeo,  richiamò  a  se- 


Corbiilone 
(Fise,  J/oHK/H.  Borghes.,  ta 


3). 


vera  disciplina  le  legioni  infemminite  tra  le  delizie  orien- 
tali, e  poscia  entrato  in  Armenia  arse  la  grande  città  di 
Artassata,  ebbe  a  patti  Tigranocerta,  e  recato  in  suo  po- 
tere tutto  il  paese,  cacciò  Tiridate ,  ne  détte  la  corona 


T;\cito,  Ann.,  XIII,  53-5G. 


Gap.  II.]  SOTTOMISSIONE  DEI  PARTI.  399 

a  un  Tigrane,  amico  di  Roma,  e  si  ridusse  nella  provincia 
di  Siria. 

Ma  i  due  Parti  non  erano  uomini  da  lasciare  facil- 
mente il  pensiero  di  quell'impresa.  Mandarono  ambasce- 
rie e  preghiere,  usarono  accorgimenti,  corsero  di  nuovo 
l'Armenia,  ne  cacciarono  Tigrane ,  e  ridotto  il  legato 
Cesennio  a  capitolare  vergognosamente,  chiesero  a  Roma 
per  via  di  messaggi  il  regno,  già  preso  colle  armi.  Ma 
come  questo  sembrava  uno  scherno,  il  consiglio  di  Ne- Anni  di  ro- 
rone  dichiarò  la  guerra,  e  ne  détte  tutto  il  carico  a  Cor-  g.^Ss.'^' 
bilione,  investito  di  straordinari  poteri.  Egli,  fatti  grandi 
apparecchi,  passò  l'Eufrate,  e  correva  sulle  terre  dei 
Parti  per  la  via  fatta  già  da  Lucullo,  quando,  prima  per 
ambasciatori  e  poscia  in  persona,  gli  si  fecero  incontro 
Vologeso  e  Tiridate  chiedenti  pace.  Molte  le  ceremonie  * 
e  le  cortesie  da  ambe  le  parti;  e  alla  fine  fu  concluso, 
che  Tiridate  ponesse  sotto  la  imagine  di  Nerone  la  re- 
gia corona,  e  che  andasse  a  riprenderla  dalle  mani  del- 
l'imperatore a  Roma,  ove  avrebbe  ogni  sorte  di  liete  ac- 
coghenze  '. 

Mentre  si  "combatteva  al  di  fuori,  Nerone,  per  procac- 
ciarsi non  più  visti  spettacoli  e  nuovi  piaceri  di  artista, 
fece  incendiar  la  città.  La  voce  pubblica,  riferita  dai*piìi 
degli  slorici  («),  narrò  che  egli  commise  questa  atrocità 

(«)  Plinio  (XVII,  I)  dice  apertamoute  che  Nerone  bruciò  la  città  : 
urbem  cremavit.  Svetonio  (38)  afFerma  lo  stesso,  e  ricorda  i  suoi  came- 
rieri veduti  ad  eccitare  l'incendio  con  fiaccole  e  stoppa.  Dione  (LXII,  16 
e  17)  dice  che  le  guardie  notturne  e  i  soldati,  intenti  alle  rapine,  invece 
di  spegnere  il  fuoco,  davano  aiuto  a -farlo  più  divampare.  Tacito  (XV,  38) 
riferisce  la  voce  non  sapendo  se  l'incendio  avvenne  a  caso  o  per  frode  del 
principe,  e  aggiunge  che  lo  spegnere  era  proibito  con  minacce  da  molti, 
e  che  altri  gittavano  fiaccole  gridando  di  avere  quest'ordine,  o  che  lo 
avessero  veramente,  o  per  rubare  con  più  licenza.  Si  ricorda  anche  che 

1  Tacito,  Ann..  XIII,  G-0,  XIV,  23-2(;,  XV,  I  17;  Dione  Cassio,  LXII,  19-23;  Svetonio, 
Ner..  39. 


400  INCENDIO  DI  ROMA.  [Lib.  VII. 

inaudita,  perchè  non  garbandogli  la  forma  e  l'ordine  dei 
vecchi  edifizi  e  delle  strette  e  tortuose  vie,  ambiva  alla 
fama  di  architettore,  col  creare  una  novella  Roma  che 
portasse  il  suo  nome.  Comunque  sia,  l'incendio  scoppiò 
ai  19  di  luglio  nel  giorno  stesso  in  cui  dicevasi  che  Roma 
fu  già  incendiata  dai  Galli.  Cominciato  presso  al  Circo 
Massimo  da  alcune  botteghe  piene  di  materie  facilmente 
infiammabili,  rapidamente  si  allargò  nei  piani  e  nei  coUi, 
Annidi  Ro-  aiutato  dal  vento,  dai  calori  estivi  e  dai  ministri  del  prin- 
G^c.^Hl^'  cipe,  che  impedivano  ad  altri  di  spegnerlo,  e  lo  eccita- 
vano con  ardenti  faci.  Corse  terribile  distruggitore  per 
sei  dì  e  sette  notti  sul  Palatino,  nel  Velabro,  nel  Fòro, 
nelle  Carine,  sul  Celio,  e  non  si  arrestò  che  ai  pie  del- 
l'Esquilie:  poi  riprese  e  durò  ancora  tre  giorni  volgen- 
dosi al  Quirinale  e  al  Viminale  {'').  Lo  scroscio  degli 
edificii  cadenti  e  il  rumore  delle  fiamme  ricoprivano  le 
grida  e  i  lamenti  dei  miseri  che,  cinti  per  ogni  .parte 
dal  fuoco  e  da  una  notte  di  fumo,  invano  cercavano 
scampo,  e  molti  morirono  per  salvare  i  cari  parenti. 
Non  si  era  mai  veduta  uguale  rovina.  Andarono  in  ce- 
nere tre  intere  regioni:  di  sette  restarono  poche  vestigie; 
e  quattro  sole  rimasero  intatte.  Fra  gli  edificii  arsero  i 
pili  'venerati  per  antichità  e  religione,  perirono  l'Ara 
Massima  e  l' edicola  consacrata  a  Ercole  dall'Arcade 
Evandro,  il  tempio  votato  da  Romolo  a  Giove  Statore,  il 
tempio  consacrato  da  Servio  Tullio  a  Diana  sull'Aventino, 
la  reggia  di  Numa,  e  il  tempio  di  Vesta  col  Palladio  e 
coi  Penati  di  Roma.  Perirono  irreparabilmente  i  monu- 
menti della  Storia,  i  ricordi  delle  guerre  Puniche  e  Gal- 


lo spettacolo  delle  fiamme  era  uno  dei  suoi  grandi  amori  e  che  un  giorno 
mostrò  desiderio  di  vedere  coi  suoi  occhi  l'incendio  del  mondo  (Svetonio, 
Ner.,  11  e  38;  Dione,  LXII,  10). 

(")  Una  iscrizione   attesta  che   T incendio  durò   nove  giorni:   Urbs  per 
novem  dies  arsit  neronianis  temporibus.  Creili,  n.  736. 


Gap.  II.]  GL'INNOCENTI  CRISTIANI  ACCUSATI  E  STRAZIATI.       401 

lidie,  le  case  degli  antichi  duci  adorne  delle  spoglie  ne- 
miche, e  i  tanti  miracoli  dell'arte  greca. 

Nerone,  che  era  in  Anzio,  tornò  quando  il  fuoco  infu- 
riava già  da  sei  giorni,  e  corse  voce  che  tutto  lieto  dalla 
torre  di  Mecenate  mirasse  lo  splendore  delle  liamme,  e 
che  di  là,  o  di  sulla  scena  di  casa  sua,  cantasse  l'eccidio 
di  Troia,  di  cui  il  presente  disastro  rendeva  viva  la  tre- 
menda imagìne.  La  qual  cosa,  creduta  dal  popolo,  rese 
meno  grati  i  soccorsi,  con  cui  egli  tentò  di  riparare  alla 
grande  miseria  prodotta  dall'incendio,  e  il  rinvilio  del 
grano,  e  i  ricoveri  dati  ai  raminghi,  e  le  ftiasserizie  fatte 
venire  da  Ostia  e  dai  municipi  vicini,  e  i  subiti  edilìcii 
inalzati  per  accogliervi  la  turba  mendica.  Poscia  ordinò 
la  riedificazione  della  città  con  disegno  più  bello,  pro- 
mise premi  a  chi  rifacesse  più  presto  le  case,  fece  molti 
provvedimenti  a  impedire  -nuovi  incendii,  e  comandò 
espiazioni  agli  Dei*.  Ma  per  questo  non  iscemò  l'infame 
•grido,  che  diceva  lui  comandatore  dell'incendio.  E  quindi 
egli,  per  iscagionarsene,  ne,  détte  la  colpa  a  una  gran 
turba  di  innocenti  Cristiani,  e  li  fece  straziare  crudel- 
mente, aggiungendo  alle  morti  gli  scherni.  Alcuni  vestiti 
di  pelli  di  fiere  furono  fatti  dilaniare  dai  cani;  altri  af- 
fidisi alle  croci;  altri  coperti  di  vesti  resinose  e  incerate, 
erano  arsi  per  far  lume  la  notte  agli  spettacoli,  che  Ne- 
rone in  abito  di  cocchiere  dava  nei  suoi  giardini  nel 
Circo  Vaticano  costruito  già  da  Caligola:  dove  quello 
strazio  feroce  di  uomini  innocui,  spenti  non  per  ben  puh- 
hlico,  ma  per  bestialità  di  lui  solo,  mosse  a  pietà  il  po- 
polo stesso,  che  non  amava  e  calunniava  i  Cristiani  2. 
Quei  giardini  già  infami  pel  sangue  delle  matrone  ro- 
mane e  dei  senatori  che  vi  uccise  Caligola  ^,  rimasero 
consacrati  dal  puro   sangue   di  molti  uomini   e   donne, 

1  Tacito;  Ann.,  XV,  38-U;  Svetonio,  A'ei-.,  3S  ;  Dione  Cassio,  LXII,  IG-IS. 
-  Tacito,  XV,  44-,  Giovenale  e  il  suo  scoliaste,  Vili,  235. 
3  Seneca,  De  Ira.,  Ili,  IS. 


402  LA  CITTA  RIEDIFICATA  PIÙ' REGOLARE.         [Lib.  VIL 

martiri  della  dottrina  di  Cristo.  I  Romani  gli  dissero 
odiatori  del  genere  umano,  odiati  per  loro  scelleratezze 
e  ' superstizioni  prave,  malefiche,  esiziali,  sfrenate^:  ed 
essi  non  curanti  calunnie  e  supplizi  resisterono  eroica- 
mente a  tutti  i  tiranni,  e,  crescendo  sempre  di  numero, 
dal  Colle  Vaticano  sparsero  per  ogni  contrada  nuova  e 
splendida  luce  di  verità,  di  libertà  e  di  giustizia,  e  col 
martirio  e  coi  santi  costumi  rigenerarono  e  conquista- 
rono il  mondo. 

La  città  risorse  più  regolare  con  isolati  edificii,  con 
larghe  e  diritta  strade  per  opera  di  Severo  e  di  Celere, 
due  ingegneri  di  tale  audacia,  che  non  conoscevano  osta- 
coli, e  ne  disgradavano  la  potenza  del  principe,  a  cui 
promisero  di  trarre  un  canale  navigabile  dal  lago  Averno 
ad  Ostia  per  aride  spiaggie  ed  opposti  monti:  ed  egli, 
smanioso  com'era  delle  cose  impossibili,  fece  cominciare 
i  lavori,  e  durarono  anche  in  appresso  i  vestigli  della 
folle  speranza.  Disegnava  anche  di  tirare  Je  mura  della 
città  lino  ad  Ostia,  e  di  condurre  dentro  Roma  il  mare 
per  via  di  una  fossa  2. 

Era  bruciata  anche  la  casa  del  principe  che  non  con- 
tento di  quella  antica  del  Palatino  l'aveva  protratta  di  là, 
col  nome  di  Transitoria,  fino  ai  giardini  di  Mecenate  suV 
l'Esquilino,  in  una  circonferenza  di  quasi  tre  miglia  e  un 
terzo.  Ora  fu  tutto  inteso  a  riedificarla  più  splendida.  E 
questa  tra  tutte  le  opere  nuove  si  alzò  portentosa  col 
nome  di  Casa  aurea  per  l'oro  e  per  le  preziosità  non  mai 
vedute  in  tale  abbondanza  fra  le  tante  grandigie  di  Roma, 
e  si  estese  largamente  dal  Palatino  all'Esquihe  e  alle  cime 
del  Celio  ^.  Ivi  il  lusso  volgare  delle  gemme  e  dell'oro, 
profuso  per  le  sontuose  sale,  e  la  novità  dei  marmi  ri- 


>  Tacito,  XV,  11;  Svetonio,  Nc;:^  16;  Plinio,  Epht.^  X,  <J7.     - 

2  Tacito,  Ann.^  XV,  12;  Svetonio,  Nér.^  10,  31. 

3  Svotonio,  Ner.,  31  e  30;   Tacito,   XV,  39;  Mi\r/iale,  De  spectac,  2;   Diom-,  LXVf, 
5;  Plinio,  XXXHI,  16,  XXXVI,  21;  Nibljy,  Roma  antica,  II,  411). 


Cap.  II. 


LA  CASA  AUREA  DI  NERONE. 


403 


flettenti  a  guisa  di  specchi  gli  oggetti,  era  nulla  rispetto 
alla  magnificenza  dei  campi,  dei  laghi,  degli  spazi  aperti, 
dei  prospetti,  e  delle  selve  solitarie  che  si  distendevano 
d'attorno  al  superbo  edificio,  a  cui  lavorarono  i  condan- 
nati e  i  prigioni  di  tutto  l'Impero,  Nel  vestibolo  sorse  in 
bronzo  il  colosso  di  Nerone,  alto  120  piedi,  opera  di  Ze- 
nodoro;  e  sul  davanti  un  portico  di  mille  passi  con  tre 
ordini  di  colonne.  Nell'interno  tutto  fregiavasi  d'oro,  di 
gemme,  di  perle  e  di  pitture,  tra  cui  si  ricordano  quelle 
di  Amulio  dipintore  di  umili  cose,  grave  e  severo  e  llorido 
a  un  tempo,  autore  di  una  ])klinerva,  che  fissava  lo  sguardo 


in  1  1  i_  j  saci  1    \  1   Al  jUo  n 
,  r'  /.  IV,  t   \     311) 

sui  riguardanti  da  qualunque  parte  fosse  veduta;. il  quale 
ivi  ritenuto  come  in  carcere  lavorò  lungamente,  sempre 
in  toga  e  in  grave  contegno  anche  sui  ponti  {").  Nei  tri- 

(")  Paucis  diei  horis  inngehat,  id  quoque  cmn  gravitate,  quamquam 
in  machinis.   Career  eius  domus  aurea  fiiit.  Plinio,  XXXV,  37. 


404    ADORNA  COLLE  SPOGLIE  D'ITALIA  E  DELL' LMPERO.  [Lib.  VII. 

clinii  le  vòlte  di  avorio  si  volgevano  con  mirabile  con- 
gegno, e  spargevano  fiori  e  profumi  sui  convitati:  e  la 
sala  principale,  di  forma  rotonda,  girava  giorno  e  notte, 
come  per  imitare  il  movimento  del  mondo.  1  bagni'erano 
forniti  da  acque  di  mare,  e  da  quelle  chiamate  Albule. 
Un  lago  dei' contigui  giardini,  fatto  a  imitazione  del  mare, 
era  circondato  da  tanti  edificii,  che  davano  imagine  di 
una  città.  I  boschetti  d'attorno  abbondavano  di  ogni  sorta 
di  animali  domestici,  e  di  fiere. 

Quando  l'opera  fu  compiuta,  Nerone  nell' inaugurarla 
disse,  che  alla  fine  cominciava  ad  aver  casa  degna  di 
un  uomo.  E  per  adornarla  saccheggiò  l'Asia  e  la  Grecia, 
prese  a  Delfo  500  statue  di  bronzo,  imagini  di  Numi  e 
di  uomini,  rubò  Tespia  ed  Olimpia,  e  le  opere  più  belle 
■pose  nelle  stanze  delle  sue  turpitudini  ("),  non.  perdonò 
a  cose  sacre  e  profane  *,  fece  sua  preda  gli  Dei  di  Roma, 
e  Foro  dei  trionfi,  e  i  voti  dei  templi,  e  tutte  le  robe 
trovate  tra  le  rovine  dell'incendio,  e  gravò  senatori,  ca- 
valieri e  mercanti,  e  devastò  l'Italia  e  tutto  l'Impero  2. 

Era  una  vicenda  continua  di  profusioni  e  di  rapine: 
profusioni  immense  in  non  più  visti  spettacoli,  in  giuochi, 
in  feste  di  ogni  maniera,  in  donativi  di  oro,  di  gemme, 
di  tavole  dipinte,  di  giumenti,  di  carri,  di  navi,  di  terre, 
di  frumento,  di  cibi  squisiti  e  di  masserizie,  gettate  alla 
plebe  per  via  di  tessere  0  polizze  ^  :  profusioni  di  tesori, 
di  palagi  di  consoli,  e  di  ricchi  possessi  a  delatori,  a 
citaredi,  a  pantomimi,  a  liberti  e  a  servi,  uho  dei  quali 
potè  comprarsi  la  libertà  per  130  milioni  (23,895,274  lire 


C*)  In  sellariis  domiis  aureae  disposila.  Plinio,  XXXIV,  19. 

1  Tacito,  Ann.,  XV,  12,  J5-,  Svetonio,  Ner.,  ?,\  ;  riinio,  XXXIV,  1?,  XXXV,  :ì3,  XXXVf, 
".0;  Pa.isania,  V,  *5,  9  e  26,  3,  IX,  27,  3,  X,  7,  1 . 

*  Svttonio,  Ner.,  3S;  Orosio,  VII,  7. 

3  .Svetonio,  Ner..  \\,  12-,  Tacito,  Anw.^  XIII,  31,  XV,  3-.' ;  Plinio,  Vili,  7;  Pione  Cas- 
sio, LXI,  0,  18. 


Gap.  II.]  PROFUSIONI,  RAPINE  E  UCCISIONI.  405 

ital.)  *.  È  detto  ^  che  Nerone  profuse  in  donativi  2  mila 
200  milioni  (404,381,560  lire  ital.),  che  dichiarava  sordido 
ogni  spenditore  temperato,  che  lodava  di  magnificenza 
chi  fondesse  tutta  la  sua  facoltà,  e  che  era  grande  am- 
miratore di  Caligola  per  avere  in  breve  tempo  disperse 
le  grandi  ricchezze  lasciate  da  Tiberio.  Smodato  in  tutto: 
nel  pescare  usava  reti  d'oro:- non  si  messe  mai  la  stessa 
veste  due  volte:  conduceva  in  viaggio  duemila  carri,  tratti 
da  mule  ferrate  d'argento:  copriva  gli  istrioni  di  oro, 
indorava  barbaramente  le  statue  ^.  Per  aver  denaro  ecci- 
tava alle  rapine  i  ministri,  e  nel  dare  un  ufficio  era  solito 
a  dire:  Tu  sai  quello  di  cui  ho  bisogno:  attendiamo  a 
far  SI,  che  non  rimanga  nulla  a  nessuno  ^.  Gli  fu  dato  a 
credere,  che  a  Cartagine  troverebbe  nascosti  i  tesori- 
delia  regina  Bidone:  e  ordinò  scavi  e  ricerche,  e  rimase 
schernito  della  folle  speranza  ^,  ma  si  rifece  uccidendo 
sei  grandi  cittadini,  e  pigliandosi  la  metà  della  provincia 
di  Affrica  posseduta  da  essi  ^.  Dette  di  piglio  a  testa- 
menti ed  eredità  ",  spense  per  amore  di  pecunia  i  più 
ricchi  s.  Ogni  parola  fu  convertita  in  delitto  di  maestà: 
non  ricercavansi  lunghi  processi,  né  minuzie  legali;  una 
denunzia  bastava  a  dar  morte:  e  se  gli  accusati  erano 
lenti  a  morire,  egli  mandava  i  suoi  chirurghi  a  curarli^ 
cioè  a  tagliar  loro  le  vene  ^.  Anche  ora  fu  causa  di  ma- 
raviglia un  uomo  illustre,  che  a  forza  di  nascondersi 
riuscì  a  viver  tranquillo  '^. 

Questa  feroce  e  obbrobriosa   tirannide  alla   fine    fece 

1  Tacito,  Hist..  IV,  !•-'•,  Svetonio,  Nei-.,  30;  Plinio,  VII,  40.  C'onf.  XIII,   I,  XVIir,  2, 
XXXV,  33. 

2  Tacito,  Hist.^  I,  20. 

3  Svetonio,  iVer..  30;  Plinio,  XXXIV,  19,  XXXVII,  (3. 
■i  Svetonio,  Ner.^  3?. 

5  Tacito,  Ann.^  XVI,  1-3-,  Svetonio,  Ner.^  3Ì. 
C  Plinio,  XVIII,  7. 

7  Svetonio,  Ner.^  32. 

8  Tacito,  Ann.^  XIV.  65,  XV,  35,  Tli^t..  I,   fS. 
3  Svetonio,  A'er.j  :!T. 

10  Tacito,  Ann.,  XVI,  -17. 
Vannucoi  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  51 


406  GRANDE  CONGIURA  CONTRO  NERONE.  [Lib.  VII. 

Anni  di  Ro- nascere  una  grande  cospirazione,  a  cui  presero  parte  se- 
G.^a  fó/' natori,  cavalieri,  centurioni,  tribuni,  forti  soldati,  uomini 
molli,  e  anche  donne.  Fra  i  più  ardenti  erano  Subrio 
Flavio,  tribuno  d'una  coorte,  Plauzio  Laterano,  console 
designato,  Fenio  Rufo,  uno  dei  prefetti  del  pretorio,  i 
senatori  Flavio  Scovino  e  Quinziano  Afranio,  il  poeta 
Lucano,  più  commensali  di  Nerone,  ed  Epicari,  una  li- 
berta, che  alla  prova  si  mostrò  più  forte  di  tutti.  Alcuni 
volevano  vendicar  la  Repubblica;  i  più  le  ingiurie  pri- 
vate. Lucano,  tra  gli  altri,  odiava  Nerone,  perchè  per 
istolta  competenza  vituperava  e  proibiva  i  suoi  versi. 
Scopo  alla  congiura  era  uccider  l'imperatore,  e  mettere 
in  suo  luogo  Caio  Pisene,  della  illustre  casa  Calpurnia, 
uomo  rotto  ai  piaceri,  ma  caro  ai  più  perchè  bello  di 
aspetto,  largo  in  donare,  protettore  facondo  dei  citta- 
dini, e  cortese  in  atti  e  in  parole. 

Subrio  Flavio,  tirato  da  subito  impeto,  voleva  spegnere 
il  tiranno  mentre  cantava  in  teatro,  o  quando  corresse 
per  la  città  senza  guardie,  ma  la  brama  di  impunità  lo 
ritenne.  Indugiavano  incerti,  quando  la  presura  di  Epi- 
cari, intenta  a  tirare  alla  trama  i  capi  della  flotta  stan- 
ziata a  Miseno,  messe  paura  in  tutti,  e  fu  stabilito  di 
affrettar  l'uccisione.  Alcuni  proponevano  di  fare  il  colpo 
a  Baia  nella  villa  stessa  di  Pisene,  dove  l'imperatore, 
allettato  dall'ameno  luogo,  andava  sovente  per  bagni  e 
banchetti.  Ma  Pisene  non  volle  contaminare  di  sangue 
le  mense  ospitali:  e  quindi  fu  fermato  di  ucciderlo  ai 
giuochi  del  Circo,  e  si  dòtte  la  sua  parte  ad  ognuno.  Se 
non  che,  mentre  si  apparecchiavano  al  fatto,  fu  rovinata 
ogni  cosa  dal  tradimento  di  un  liberto,  il  quale,  allettato 
da  speranza  di  premio,  accusò  Scovino  di  aver  fatto  te- 
stamento, liberato  i  servi  e  dato  loro  danari,  e  ordi- 
nate fasce  da  ferite,  e  affilato  un  pugnale,  tratto  dal 
temj)io  della  Salute  in  Etruria,  o  della  Fortuna  in  Ferente. 
Trovato  e  sostenuto  uno  dei  cospiratori,  non  fu  difficile 


Gap.  IL]  I  CONGIURATI  SCOPERTI  E  UCCISI.  407 

scoprirne  molti  altri,  perchè  i  più,  spaventati  alla  vista 
delle  torture,  rivelarono  gli  amici,  e  anche  i  parenti.  Vi 
fu  un  momento  di  universale  paura:  tremanti  i  congiu- 
rati, tremante  Nerone,  comecché  armato  di  sgherri  e 
di  supplizii.  Fu  imprigionata,  a  così  dire,  tutta  la  città, 
occupate  con  guardie  le  mura,  interclusi  il  mare  e  il 
fiume.  Fanti  e  cavalli  e  soldati  germani  correvano  la 
città  e  la  campagna  traendone  continue  funate  di  prigioni. 
Pure  alcuni  congiurati  rimanevano  ancora  ignoti,  liberi, 
e  in  armi  presso  a  Nerone,  e,  mentre  gli  erano  ministri 
ai  tormenti,  continuavano  le  trame.  Fra  gli  altri  Fenio 
Rufo  per  mostrarsi  ignaro  era  crudelissimo  ai  complici  :  e 
quegli  già  sostenuti  denunziavano  gli  altri.  Dal  cavaliere 
Antonio  Natale  fu  denunziato  Pisene  e  anche  Seneca. 
Scevino  udito  ciò,  o  per  fiacchezza,  o  perchè  credesse 
tutto  scoperto,  nominò  gli  altri.  Tra  questi  Lucano,  Quin- 
ziano,  e  Tullio  Senecione  negarono  a  lungo.  Poi  Lucano 
denunziò  sua  madre  Acilia,  e  gli  altri  nominarono  due 
dei  loro  amici  più  cari.  Un  centurione  cospiratore  trasse 
al  supplizio  Laterano,  che  generoso  non  gli  rivolse  con- 
tro l'accusa:  un  tribuno,  pur  complice,  avuto  l'ordine 
di  andare  a  uccider  Seneca  consultò  Fenio  Rufo,  che  gli 
disse  di  obbedire  al  comando.  Finalmente  Nerone,  mentre 
interrogava  i  sostenuti,  si  trovò  senza  saperlo  fra  i  due 
congiurati  Subrio  Flavio,  centurione,  e  Fenio  Rufo,  pre- 
fetto. Flavio  domandò  per  cenni  al  prefetto,  se  in  mezzo 
alla  disamina  aveva  a  sguainare  la  spada,  e  compire 
l'uccisione:  e  il  timido  Rufo  rispose  di  no,  e  gli  rattenne 
la  mano  già  corsa  all'elsa. 

I  cospiratori  morirono  in  varie  maniere;  tremanti  al- 
cuni, impavidi  altri.  Epicari  détte  forte  esempio  ai  de- 
nunziatori  codardi,  sopportò  imperterrita  verghe,  fuochi, 
ira  di  manigoldi,  e  colle  membra  dilaniate  serbò  costante 
silenzio  a  favore  di  ignoti,  che  tradivano  gli  amici  e  i  pa- 
renti ;  e  alla  fine,  perché  i  tormenti  non  le  strappassero 


408  MORTE  DI  SENECA.  .[Lie.  VII. 

alcuna  parola,  si  appiccò  da  sé  stessa,  fatto  capestro 
della  fascia  del  petto.  Pisene,  non  ascoltate  le  voci  di  chi 
lo  confortava  a  tentare  il  favore  dei  soldati  e  del  popolo, 
da  ultimo  si  ritrasse  in  sua  casa,  alTorzò  l'animo  pei  mo- 
menti estremi,  e  finì  colle  vene  tagliate  alle  braccia;  e 
per  salvare  i  beni  alla  moglie  fece  nel  testamento  brutte 
adulazioni  a  Nerone. 

Seneca,  reduce  dalla  Campania  erasi  fermato  nella  sua 
splendida  villa  suburbana  sulla  via  Appia  a  quattro  mi- 
glia da  Roma.  Ivi  fu  chiuso  da  una  coorte  pretoria  ("), 
e  dopo  varie  domande  e  consulte  ebbe  l'intimazione  eli 
uccidersi.  Imperterrito  chiese  di  far  testamento,  e  impedi- 
tone dal  centurione,  lasciò  agli  amici  l'esempio  della  sua 
vita,  la  sola  e  più  bella  cosa  rimastagli,  e  die  conforto 
ai  piangenti  dicendo,  che  null'altro  che  morte  era  da 
attendere  dalla  crudeltà  di  Nerone.  Poi  abbracciata  la 
moglie  Pompea  Paolina,  la  pregò  a  temperare  il  dolore, 
e  a  confortarsi  onestamente  di  quella  sciagura.  Ma  come 
ella  dichiarò  di  voler  morire,  egli  non  resistè,  per  non 
invidiarle  tal  gloria,  e  ambedue  si  fecero  aprir  le  vene. 
A  lei,  cui  Nerone  non  aveva  odio  proprio,  furono  fasciate 
le  ferite,  e  visse  ancora  pochi  anni,  ma  sempre  pallida 
in  volto  e  memore  dell'amato  consorte.  Seneca,  fatti  ve- 
nire scrivani,  occupò  i  momenti  ultimi  a  dettare  suoi 
ricordi  di  stoico.  E  poiché  il  sangue  stentava  ad  uscire 
dal  vecchio  corpo,  bevve  un  veleno  già  apparecchiato: 
e  non  spento  neppure  da  questo,  entrò  in  un  bagno  caldo, 
e  fini  spruzzando  i  servi  vicini,  e  consacrando  quel  li- 
quore a  Giove  Liberatore.  Nel  medesimo  luogo  fu  arso 
senza  alcuna  pompa  il  suo« corpo,  e  un  monumento  se- 


(")  Temporibus  diris  igitur  iussuque  Neronis 

magnos  Senecae  praediviiis  horios 

Clausìt  ....  tota  cnhors. 

Giovenale,  X,  15-18. 


Gap.  II.]  MORTI  CORAGGIOSE  DI  LUCANO,  DI  LATRRAXO,  ECC.  409 

polcrale  di  opera  laterizia  che  ivi  ancora  rimane  fu  con 
molta  probabilità  a  lui  attribuito  (''). 

Lucano,  sentendo  per  l'uscire  del  sangue  fieddarsi  le 
mani  e  i  piedi  e  appressare  la  fine,  presente  a  sé  stesso 


Jlomoria  sepolcrale 
scoperta  al  quarto   miglio  della  Via  Appia  dove  accadde  la  morte  di  Seneca   {Canina). 


recitò  i  versi  del  suo  poema,  in  cui  aveva  ritratto  il 
morir  sim.ile  di  un  soldato  ferito  *:  e  furono  questi  i  suoi 
detti  estremi.  Laterano,  tratto  al  luogo  dei  supplizii  dei 
servi,  morì  con  fermo  silenzio.  Senecione,  Quinziano  e 
Scovino  smentirono  colla  morte  la  morbida  vita.  Subrio 


(«)  Vedi  Nibby,  Dintorni  di  Roma^  voi.  III,  pag.  5-13;  Canina,  EcUfizi, 
voi.  VI,  tav.  23,  e  Via  Appia,  pag.  97-104,  tav.   14. 

1  J.ucano,  Pharsal.^  Ili,  039. 


410      ^'U.MERO  GRANDE  DI  VITTIME.  ONORI  A  NERONE.  [Lib.  VII. 

Flavio  mori  confessando  con  soldatesca  fierezza  a  Ne- 
rone il  proponimento  di  ucciderlo  per  l'odio  destatogli, 
dopoché  era  divenuto  uccisore  della  madre  e  della  mo- 
glie, e  cocchiere  e  istrione  e  incendiario.  Quando  gli 
facevan  la  fossa,  vedendola  bassa  e  angusta,  disse  ai 
soldati:  neppur  questo  è  in  regola.  Poi  ammonito  dal  car- 
nelice  di  porgere  il  collo  da  forte,  rispose:  lo  troncassi 
tu  con  pari  fortezza.  E  quegli  dopo  avere  tutto  tremante 
spiccato  il  capo  appena  in  due  colpi  si  vantò  di  sua 
fierezza  a  Nerone,  dicendo  averlo  ucciso  due  volte.  E  in- 
trepidi finirono  anche  gli  altri  soldati,  tranne  Rufo,  morto 
tra  indegni  lamenti. 

La  città  fu  piena  di  funerali,  e  il  Campidoglio  di  vit- 
time. 1  parenti  e  gli  amici  degli  uccisi,  per  paura  di  sé, 
si  affaccendavano  a  ringraziare  gli  Dei,  a  ornare  di  allori 
le  case,  a  gettarsi  alle  ginocchia  di  Nerone,  e  stancarne 
la  destra  coi  baci.  I  senatori,  quanto  più  avevano  ra- 
gioni di  dolore,  più  s'infangavano  in  adulazioni,  decre- 
tando doni  e  grazie  agli  Dei,  e  giuochi  circensi  e  templi 
alla  Salute,  e  onori  particolari  al  Sole  che  dal  suo  tempio, 
presso  al  Circo  dove  si  apparecchiava  il  delitto,  aveva 
scoperto  i  segreti  della  congiura;  e  dettero  il  nome  di 
Nerone  al  mese  d'aprile.  E  Anicio  Ceriale  quello  stesso 
che  già  tradì  la  congiura  contro  Cahgola,  propose  un 
tempio  al  Divo  Nerone  meritevole  della  venerazione  degli 
uomini.  Egli  consacrò  a  Giove  Vindice  il  pugnale  di  Sce- 
vino,  e  onorò  di  statue  Tigellino,  e  altri  ministri  di  sue 
vendette.  Il  liberto  Ninfidio  ebbe  gii  onori  trionfali,  e 
quindi  fu  inalzato  a  prefetto  del  pretorio.  A  ogni  soldato 
furono  donati  duemila  sesterzi  (367  lire  it.)  e  grano  gra- 
tuito. Premiati  riccamente  i  delatori,  per  cagione  dei 
quali,  e  per  la  crescente  paura  del  principe,  continua- 
rono lungamente  le  stragi  *. 

1  Tacito,  Ann.^  XV,   lS-71;  Dione  Cassio,  LXII,  iM-:»7. 


Gap.  Il]  BANDI  A  FILOSOFI,  E  NUOVE  UCCISIONI.  411 

Furono  fatti  morire  di  veleno  o  di  fame  i  figliuoli  dei 
condannati,  e  fu  vietato  ai  rimasti  poveri  di  andar  men- 
dicando per  vivere  *.  Poi  bandi  a  truppe  di  uomini  e 
donne:  bandi  ai  filosofi,  sebbene  non  partecipi  della  con- 
giura. Andarono  per  le  amare  vie  dell'esifio  Anneo  Cor- 
nuto, maestro  di  Persio,  Virginio  Flavo,  insegnatore  di 
eloquenza  e  C.  Musonio  Rufo,  eroe  degli  stoici,  e  cele- 
brato anche  dai  Cristiani  per  la  sua  grande  virtù  2.  Per- 
secuzione e  deportazione  in  Sardegna  al  vecchio  e  cieco 
C.  Cassio  Longino,  famoso  giureconsulto,  perchè  serbava 
venerata  l'imagine  del  suo  antenato,  uccisore  di  Cesare  ^. 
Nell'anno  precedente  era  stato  costretto  a  tagUarsi  le 
vene  D.  Giunio  Silano  Torquato  per  la  chiarezza  della 
sua  nobiltà,  per  avere  Augusto  a  suo  bisarcavolo,  per 
lo  spendere  più  di  quello  che  convenisse  a  un  privato, 
e  tener  liberti  per  cancellieri,  segretarii  e  ragionieri,  e 
nutrir  pensieri  da  imperatore.  Ora  le  stesse  accuse  an- 
darono contro  il  suo  nipote  L.  Silano  Torquato,  disce- 
polo di  Cassio,  quantunque  ammaestrato  dalla  rovina  dello 
zio  stesse  in  guardia:  e  fu  portato  a  Ostia  e  chiuso  a 
Bari,  municipio  di  Puglia,  ove  presto  lo  raggiunse  con 
suoi  sgherri  il  carnefice  contro  il  quale,  sebbene  inerme, 
lottò  di  tutta  sua  forza  ^.  Più  altri  perseguitati  feroce- 
mente per  delitto  di  parentela  0  amicizia  agli  uccisi  ^. 
Polluzia  (0  Pollitta)  vedova  di  RubelUo  Plauto,  ucciso  già, 
come  altrove  fu  detto,  ne  aveva  abbracciato  il  corpo  san- 
guigno, ne  serbava  religiosamente  il  sangue  e  le  vesti 
intrise,  durava  in  lutto  perpetuo  e  in  digiuno,  rotto  sol 
quanto  bastasse  a  non  morire.  Ella,  e  suo  padre  Vetere, 


1  Svetonio,  Ner.^  33,  37. 

2  Tacito,  Ann.^  XV,  71;  Svetonio,  Persil  vita;   Suida  alla  voce  Kop-jo-'iroi-;  Diono 
Cassio,  LXII.  27,  29;  Plinio,  Epist.,  Ili,  U;  San  Giustino,  Apoìog. 

3  Tacito,  Ann.^  XII,  12,  XVI,  7  e  9;  Svetonio,  Ner.,  37;  Plinio,  Epixt.,  VII,  2J. 

4  Tacito,  Ann.^  XV,  35,  XVI,  7-9;  Dion.-,  I.XII,  27;  Ror-h.-si,  Lapide  di  Giunio  Si- 
lano^ in  Anna!.  Istit.  arch.^,  I8J9,  pag.  35  o  scgij-. 

5  Tacito,  Ann.^  XVI,  17  e  33. 


412   IL  FORTE  OSTORIO  SCAPULA  E  IL  MOLLE  PETRONIO.  [Lib.  VII. 

e  Sestia,  suocera  a  lui,  erano  odiosi  a  Nerone  cui,  vi- 
vendo ,  pareano  rimproverare  la  uccisione  di  Plauto. 
Quindi  fu  facilmente  trovato  il  modo  da  perderli:  e  il 
vecchio  e  le  donne  non  vedendo  via  onesta  di  scampo, 
nella  medesima  camera  si  tagliarono  le  vene  e  morirono 
insieme  *.  M.  Osterie  Scapula,  forte  soldato  e  famoso  per 
le  sue  geste  in  Britannia,  ove  ebbe  l'onore  di  una  corona 
civica  quando  ivi  militò  sotto  il  governo  del  padre,  e 
poi  console  (812),  accusato  ora  di  consultare  indovini 
contro  Nerone,  si  ruppe  le  vene  in  una  sua  villa  sui 
confini  di  Liguria,  e,  spacciandosi  col  pugnale,  rivolse 
in  sé  la  virtù  mostrata  spesso  al  nemico.  E  le  vene  si 
tagliò  P.  Anteio  colpito  dalla  medesima  accusa 2.  Perle 
molte  ricchezze  fu  costretto  ad  uccidersi  Anneo  Mela, 
fratello  di  Seneca,  e  padre  a  Lucano:  così  altri  per  le 
stessè  cagioni  '.  E  fra  tanta  pazienza  servile  e  tanto 
sangue  sciupato,  che  stancavano  e  straziavano  anche  il 
forte  cuore  di  Tacito,  andò  singolare  la  morte  di  Caio 
Petronio,  che,  famoso  per  molle  vita  e  squisitezza  di 
lusso,  era  intimo  al  principe  e  arbitro  di  sue  eleganze. 
lì  qual  favore  gli  fu  cagione  di  morte,  perchè  Tigellino, 
sdegnoso  di  esser  vinto  da  lui  nell'insegnare  al  padrone 
le  voluttà,  lo  fece  accusare  da  un  servo  di  essere  stato 
amico  a  Scovino.  Nerone  ne  desiderava  la  morte,  anche 
per  impadronirsi  delle  sue  ricche  mense.  Onde  Petronio, 
veduto  che  non  vi  era  scampo,  non  istette  a  indugiare 
tra  speranze  e  timori,  ma  non  corse  nemmeno  precipi- 
toso a  morire.  Scherzò  colla  morte;  si  fece  aprire,  poi 
richiudere,  e  quindi  riaprire  le  vene,  parlò  burlescamente 
agli  amici,  si  fece  leggere,  non  detti  di  filosofi  sull'im- 
mortalità dell'anima,  ma  versi  piacevoli;  dette  agli  schiavi 
denari  e  bastonate,  passeggiò  e  dormi  per  dar  sembiante 

1  Tacito,  Ann..  XVI.  10,  11. 

2  Tacito,  Ann..  XII,  31,  <•  XVI,  11,  15;  llcnzrn,  Ada  frat.  Arra!.,  pag.  LXXV. 

3  Tacito,  Ann..  XVI,  17. 


Gap.  IL]     ACCUSE  A  PETO  TRASEA  E  A  BAREA  SORANO. 


413 


di  volontaria  alla  morte  forzata;  non  scrisse  nei  codicilli 
ninna  adulazione  ai  po- 
tenti ,  fece  spezzare  un 
prezioso  vaso  potorio  co- 
statogli 300  talenti,  perchè 
non  potesse  goderne  Ne- 
rone, e  lasciò  descritte 
tutte  le  foggie  nuove  delle 
ribalderie  di  lui,  e  gliele 
mandò  sigillate  *. 

Dopo  tante  uccisioni 
Nerone  volle,  dice  Tàcito, 
spiantare  la  stessa  virtù 
collo  spegnere  Peto  Tra- 
sea  e  Barca  Sorano,  già 
odiati  da  lungo  tempo  am- 
bedue. 

P.  T  rase  a  Peto,  nativo 
di  Padova,  era  uscito  dal 
senato,  quando  gli  altri 
celebravano  la  uccisione 
di  Agrippina:  non  assistè 
ai  funerali  di  Poppea,  non 
faceva  sacrifizi  per  la  sa- 
lute del  principe ,  non 
plaudiva  alla  sua  celeste 
voce,  A  queste  colpe,  ba- 
stanti a  dar  morte,  ag- 
giungevansi  anche  le  au- 
daci sentenze,  l'ostenta- 
zione di  animo  libero,  la 
severità  dei  costumi  e  del 
portamento,  per   cui  an- 


P.Trasea,  statua  nel  Prato  della  Vall« 
{Da  disegno  dell'archivio  del  Municipio  di 

Padova). 


Tacito,  Ann.^  XVI,  18,  10;  Pliiiio,  XXXVII,  7. 
Van-.nucci  —  Storia  dell'  Italia  antica  —  IV. 


414   CONDANNA  DI  SGRANO  E  DI  SUA  FIGLIA  SERVILIA.  [Lib.  VII. 

dava  celebrato  in  Italia  e  nelle  province.  Sorano  aveva 
l'odio  di  Nerone  per  la  severa  giustizia  esercitata  nel- 
l'amministrazione dell'Asia.  I  due  onesti  cittadini  erano 
coi  severi  costumi  perpetuo  rimprovero  alle  brutture  di 
corte,  e  quindi  fu  decretato  di  spegnerli. 

Nel  giorno  del  giudizio,  del  quale  non  poteva  farsi  a 
meno  con  uomini  di  quella  chiarezza,  fu  cinta  la  Curia 
di  milizie  e  di  sgherri  togati,  e  le  basiliche  e  le  piazze 
vicine  si  empirono  di  squadre  a  minaccia  dei  giudici:  e 
per  questo  apparecchio  1'  assemblea  dei  padri  apparve 
compresa,  non  della  tristezza  nota  e  solita  per  la  conti- 
nuità dei  pericoli,  ma  di  nuovo  e  più  profondo  terrore. 
Nerone  non  osò  di  comparire  alla  Curia,  e  mandò  a  leg- 
gere dal  questore  una  sua  diceria.  Tre  infami  delatori 
Eprio  Marcello,  Capitone  Cossuziano  e  Ostorio  Sabino, 
tirati  da  speranza  di  grossa  preda,  dissero  a  gara  parole 
minacciose  al  Senato  e  feroci  agli  accusati.  A  Trasea, 
tra  le  altre  cose,  imputarono  il  dispregio  di  ogni  reli- 
gione, perchè  non  adorava  Nerone,  e  le  lodi  date  a  Ca- 
tone, e  l'aver  settatori,  e  infine  il  silenzio  con  cui  con- 
dannava tutti  i  fatti  del  principe.  A  Sorano  apposero  a 
colpa  l'amicizia  tenuta  con  Plauto,  e  l'ambizione  di  con- 
ciliarsi la  provincia  per  far  novità.  Fu  implicata  nella 
causa  anche  la  sua  figlia  Servilia,  giovinetta  di  20  anni, 
vedova  di  un  marito  esiliato,  e  accusata  di  avere  speso 
denari  per  consultar  maghi  contro  Nerone.  Ella,  condotta 
in  senato,  non  osava  guardare  in  faccia  il  vecchio  padre 
stimando  di  avergli  accresciuto  i  pericoli:  e  quando  la 
interrogarono  sugli  ornamenti  femminili  venduti  per  fare 
misteriose  cerimonie,  piangendo  e  abbracciando  gli  altari 
rispose,  non  aver  supplicato  empi  Dei,  ne  chieste  con 
sue  preghiere  infelici  se  non  che  fosse  salvo  l'ottimo 
padre,  per  cui  non  che  le  gemme  darebbe  anche  la  vita. 
Sorano,  non  lasciandola  finire,  chiese  che  la  sua  causa 
fosse  separata  da  quella  della   figlia,  rea  solamente   di 


i 


Gap.  IL]  MORTE  DI  TRASEA.  415 

soverchia  pietà,  e  correva  ad  abbracciarla,  se  non  lo  re- 
spingevano brutalmente  i  littori. 

Furono  condannati  tutti  alla  morte,  lasciata  loro  sola- 
mente la  libertà  di  sceglierne  il  modo. 

Trasea  sentì  la  condanna  mentre  nei  suoi  giardini  era 
a  crocchio  con  uomini  e  donne  illustri,  attendendo  prin- 
cipalmente a  Demetrio  filosofo,  cui  domandava  della  na- 
tura dell'annua  e  della  disgiunzione  di  essa  dal  corpo. 
Esortò  gli  amici  piangenti  a  ritrarsi,  affinchè  il  prati- 
care con  un  condannato  non  portasse  loro  sciagura.  Alla 
moglie  Arria,  che  voleva  imitare  la  fortezza  di  Arria  sua 
madre  *,  ordinò  di  vivere  come  unico  sostegno  alla  co- 
mune figliuola,  vedovata  di  Elvidio  Prisco,  che  la  stessa 
sentenza  dannava  all'esilio.  Poscia  fattesi  tagliar  le  vene 
alle  braccia,  offrì  il  suo  sangue  a  Giove  Liberatore,  e  morì 
impavidamente.  Gli  accusatori  Marcello  e  Capitone  eb- 
bero ciascuno  cinque  milioni  di  premio  (919,049  lire  ital.), 
e  Sabino  un  milione  e  200  mila  sesterzi  ('220,571  lire  it.) 
cogli  ornamenti  della  questura  (''). 

Né  fra  tanti  misfatti  cessavano  mai  le  orgie  e  le  feste, 
e  le  letizie  delle  danze  e  dei  canti.  Roma,  contaminata 
del  sangue  più  illustre,  festeggiò  solennemente  Tiridate, 
venuto  a  prendere  la  corona  di  Armenia,  accompagnato 
da  moglie  e  figliuoli,  da  tremila  cavalieri  Parti,  e  da  nu- 
mero grande  di  Maghi.  Il  suo  viaggio  fu  come  una  marcia 
trionfale.   Nerone  gli  andò  incontro  a  Napoli,  gli  détte 

(«)  Tacito,  Ann.,  XIII,  4'.),  XIV,  12,  XVJ,  21-35;  Dione  Cassio,  LXII, 
26,  27;  Svetonio,  Ner. ,  37;  Plinio,  Epist. ,  VII,  19,  VIII,  22;  Plutarco, 
Praacept.  ger.  Reipubl.,  14,  e  Cut.  Min.,  25  e  37;  Giovenale,  V,  30;  Mar- 
ziale, 1,  9.  Tutte  le  notizie  tramandateci  dagli  antichi  su  Trasea  si  pos- 
sono vedere  raccolte  nel  libro  di  Raffaele  Mecenate,  intitolato:  l)e  Thrasea 
Paeto  eiusque  genero  Hekidio  Prisco  commentarius ,  Romae  1823,  di 
cui  il  Giornale  Arcadico,  voi.  XIX,  pag.  87,  e  segg.,  détte  un  estratto;  e 
in  Hoits-ema,  Dispiitalio  hislor.  de  P.   Thrasea  Paeto,  Groningae    1852. 

»  Vedi  sopra  pag.  362. 


416 


ACCOGLIENZE  AL  RE  TIRIDATE  A  ROMA.       [Lib.  VIL 


un   grande   spet- 

tacolo di   gladia- 

tori a  Pozzuoli,  e 

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^^ 

quindi  lo  condus- 

\, r^% 

se    a    Roma.    La 

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città  era  adorna 
splendidamente  ; 
il  Fóro   pieno  di 

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soldati  e  di  turba 

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ardentissima     di 

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dente  degli  Arsa- 

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^  in  sedia  curule, 
fra  i  vessilli  mi- 

litari, vestito   da 

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trionfatore.   Tiri- 

1 ,    '1 

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date    al   cospetto 

¥-4 

\  1 

della  moltitudine, 

sebbene  non  vo- 
lesse   deporre   la 

1  1 

spada,  si  messe 
in   ginocchio   da- 

l^t^^   ^^^^Mm 

vanti   all'impera- 

'^^m 

tore,    lo    chiamò 

suo  padrone,  e  lo 

)^^^jk 

^^^wj>% 

venerò  come  Mi- 

''li 

tra,   il   gran  Dio 

in 
(Vi 

■ili 

dell'  Oriente  *      e 

Statua 

■>.bito  bar'iarico,  creduta 
conti,  Monum.  lìorgha 

(li  Tiriilate  d'Armoni 
..  XXII,  n.  1). 

Nerone,  rialzan- 
dolo, lo  baciò,  gli 

pose   in  testa  la 

coroi 

la, 

e  lo  gridò  re.  Poi  lo  ebbe"  a 

sontuoso  convito,  e 

quindi 

lo   coiidus.se   i 

a 

teatro   di  Po 

npeo,  fatto  a  bella 

i 


€ap.  II.]    FESTE,  CANTI,  CRUDELTÀ,  E  DISEGNI  DI  GUERRE.      417 

posta  coprir  d'oro  in  quel  giorno:  e  vago  di  mostrare 
allo  straniero  la  virtù  di  cui  più  si  gloriava,  vestito  da 
Apollo  sfoggiò  nel  Circo  la  sua  destrezza  a  regger  cocchi 
e  cavalli,  e  cantò  al  suono  della  cetra,  destando  di  sé 
profondo  dispregio  nel  Parto,  il  quale  disse  apertamente, 
che  non  comprendeva  come  il  prode  Corbulone  potesse 
star  soggetto  a  un  tal  uomo.  Nerone  volle  essere  da  lui 
istruito  nei  misteri  della  magia,  per  apprendere  a  par- 
lare colle  ombre  e  cogli  spiriti  infernah.  Poscia,  riman- 
dandolo al  regno  di  Armenia,  lo  colmò  di  doni  e  per  le 
spese  del  viaggio  durato  nove  mesi  gli  fece  pagare  800 
mila  sesterzi  (147,047  lire  ital.)  al  giorno  *. 

Anche  gli  spettacoli,  dati  per  fare  ammirare  la  sua  voce, 
erano  occasione  a  nuove  crudeltà,  e  vi  correva  pericolo 
chi  dalle  spie  fosse  notato  non  plaudente  e  non  lieto. 
Vespasiano,  dormicchiante  nel  tempo  del  canto,  ebbe  in 
appresso  una  grande  sgridata  da  Febo,  liberto,  e  a  mala 
pena  ne  uscì  salvo.  Percosse  toccavano  agli  Italiani  e  ai 
provinciali,  non  pratichi  di  tali  lascivie,  e  non  tolleranti 
della  disonesta  fatica  dei  plausi  comandati  -. 

Pei  successi  d'Oriente  Nerone  aveva  avuto  onori  mi- 
litari, e  il  Senato  gli  ordinò  statue,  archi  e  continui  con- 
solati ".  Egli,  fra  tante  follie  e  crudeltà  aspirò  pure  alla 
gloria  di  scopritore  dei  segreti  del  Nilo,  e  mandò  due 
centurioni  a  cercarne  le  ignote  sorgenti;  e  un  giorno 
«bbe  anche  vaghezza  della  gloria  delle  armi,  e  meditò 
guerra  agli  Etiopi  e  ad  altre  nazioni*:  ma  tutto  finì 
con  un  viaggio  da  artista. 

Dopo  i  plausi  di  Roma  e  d'Italia  ardeva  di  farsi  am- 
mirare dalla  Grecia,  patria  delle  arti,  dalla  quale  gli 
erano  inviate  spesse  corone,  anche   per  gare  a  cui  non 


1  Svetonio,  Ner.,  1:3;  Dione  Cassio,  I.XIII,  1-7-,  Plinio,  XXX,  C,  XXXIII, 

2  Tacilo,  Aim.^  XVI,  1,  5. 

3  Tacito,  Ann.,  XII!,  11. 

4  Seneca,  Nat.  Quaest.,  VI,  8;  Tacito,  Ann.^  XV,  30;  Plinio,  VI,  35. 


418  VIAGGIO  ISTRIONICO  DI  NERONE  IN  GRECIA.     [Lib.  VII. 

avea  preso  parte.  Onde  gridando  che  i  soli  Greci  si  in- 
tendevano di  canto,  e  soli  erano  degni  dei  suoi  cari 
Anni  di  Ro- studi,  partì  per  la  Grecia  con  splendidissimo  corteggio, 
G^c  S  ^^  con  un  esercito  di  istrioni  e  di  citaristi,  armato  di  cetre, 
di  plettri,  di  maschere  e  di  coturni.  Cantò  dapprima  a 
Corcira;  poi  corse  trionfante  per  tutte  le  città  omeriche, 
tranne  Sparta  e  Atene,  per  paura  di  Licurgo  e  delle  Furie 
vendicatrici  dei  delitti:  ne  osò  di  farsi  iniziare  ai  misteri 


Arco  trionfale  di  Nerone  a  Roma  {Donaìdson,  Arcliit.  Niim.^  p.  222). 


di  Eleusi  vietati  con  orribili  imprecazioni  agli  empi  e  agli 
impuri.  I  Greci  fecero  celebrare  per  lui  tutti  i  giuochi 
ricorrenti  in  successivi  anni  ad  Olimpia,  a  .Nemea,  a 
Delfo,  a  Corinto:  ed  egli  entrò  in  tutti  gli  aringhi,  si  fece 
gridare  vincitore  di  tutti  gli  istrioni,  e  cocchieri  e  can- 
tori, ed  atleti  di  cui,  per  risplendero  solo,  ordinò  che 
fossero  abbattute  le  statue:  coronalo   alla  corsa  anche 


Oap.  II.]      VITTORIE  NEI  GIUOCHI,  RAPINE  E  UCCISIONI.  419 

quando  cadeva  rovesciato  dal  carro,  coronato  quando 
sul  teatro  rappresentava  le  parti  di  Canace  partoriente, 
e  quelle  di  Oreste  matricida,  di  Ercole  furioso,  di  Edipo 
cieco.  Un  consolare  romano  facendo  da  araldo  gridava 
alle  attonite  genti  :  Nerone  Cesare  vincitore  corona  il  i^o- 
polo  romano  e  il  mondo  a  cui  impera.  Furiosi  da  ogni 
parte  gli  applausi:  e  Nerone  a  largheggiare  di  pecunia 
e  del  premio  della  cittadinanza  romana  coi  giudici  delle 
sue  valentie;  e  da  Corinto  dette  libertà  e  immunità  a 
tutta  la  provincia  d'Acaia  («). 

Qui  pure  alle  feste  uni  le  rapine  e  le  stragi,  mentre  1 
liberti  Elio  e  Policleto  uccidevano  e  rubavano  a  Roma 
in  suo  nome  ^  A  Delfo,  sdegnato  dell'oracolo  che  gli  ri- 
cordava i  suoi  delitti,  rubò  le  ricchezze  del  tempio,  con- 
fiscò il  sacro  campo  di  Cirra,  volle  esterminare  i  sacerdoti. 
Altrove  mescolò  il  greco  col  sangue  dei  nobili  romani, 
tratti  con  se  come  mallevadori  di  ciò  che  accadesse  sul 
Tevere.  Fieramente  geloso  e  pauroso  del  prode  Corbu- 
lone  e  della  gloria  acquistata  colle  sue  imprese  nell'Asia, 
per  liberarsene  lo  chiamò  in  Grecia  con  lettera  inganna- 
trice. 11  valente  e  fedele  soldato  obbedì,  e  appena  giunse 
a  Cencrea,  porto  di  Corinto,  ebbe  ordine  di  morire:  ed 
egli  si  ferì  di  sua  spada,  dicendo  di  aver  meritato  tal 
sorte,  per  essersi  serbato  fedele  al  vile  istrione  e  all'in- 
fame incendiario.  Presi  ai  medesimi  lacci  ebbero  pari 
sorte  i  due  fratelli  Proculo  e  Rufo  di  casa  Scribonia, 
proconsoli  dell'Alta  e  della  Bassa  Germania  -.  Nerone, 
ambizioso  di  tutte  le  glorie,  a  Corinto  imprese  il  taglio 


(«)  Dione,  LXIII,  IO,  11  e  14;  Svetonio,  21,  23,  24  e  34  ;  Plutarco, 
Flamìn.,  12.  Alla  libertà  data  alla  Grecia  si  riferisce  la  medaglia  in  cui 
vedesi  la  Vittoria  incedente  col  pileo  della  Libertà.  Vedi  Cavedoni,  in 
Annal.  Isiit.,  1851,  pag.  245. 

1  Diono,  I.XIII,  12. 
3  Diune,  LXIII,  17. 


420  TAGLIO  DELL'ISTMO  DI  CORINTO.  [Lib.  VII. 

dell'istmo,  già  tentato  invano  da  Demetrio  Poliorcete, 
e  progettato  da  Cesare  e  da  Caligola  *.  Con  una  zappa 
d'oro,  cantato  l'inno  di  Anfitrite  e  di  Nettuno,  al  suono 
delle  trombe  détte  egli  stesso  principio  solenne  all'opera 
fra  i  plausi  del  popolo.  Numero  grande  di  soldati,  di 
schiavi,  di  condannati,  e  seimila  prigionieri  Giudei,  man- 
dati da  Vespasiano,  attesero  alacremente  all'impresa,  cui 
lavorò  incatenato  anche  il  filosofo  Musonio  Rufo  fatto 
venire  da  Giaro  dove  stava  a  confino:  e  in  breve  scavato 
il  canale  per  quattro  stadii,  ne  avevano  fatto  la  quinta 
parte  quando  venne  ordine  di  cessare  il  lavoro  perchè 
il  malcontento  di  Roma,  e  le  agitazioni  dell'Occidente 
trassero  Nerone  ad  altri  pensieri  («). 

Già  era  stato  più  volte  sollecitato  a  tornare  a  Roma 
dove  le  cose  si  mettevano  male.  Alle  prime  lettere  egli 
rispose  che  non  aveva  colto  ancora  tutti  gli  allori  del- 
l'arte. Alla  fine  il  liberto  Eho  venuto  a  lui  in  gran  fretta 
da  Roma  gli  disse  di  una  grande  congiura  intesa  a  cac- 
ciarlo di  trono.  Allora  il  cantore,  posto  giù  ogni  altro 
Annidi Ro- disegno,  lasciando  libera  e  insanguinata  e  spogliata  la 
GX'.'k.  '  Grecia,  senza  curare  il  mar  tempestoso,  s' imbarcò  alla 
volta   d' ItaUa ,    e    giunse  a  Pozzuoli,  carico  di  palme  e 

(«)  Svetonio,  Ner.,  19;  Dione,  LXIII,  16;  Giuseppe  Flavio,  Guerra  Giud., 
Ili,  10,  in  fine;  Filostrato,  Vita  d'Apollonio  Tianeo ,  IV,  24,  e  V,  19; 
Luciano,  Nerone,  o  del  taglio  dell'istmo;  Lucano,  VI,  57. 

Fu  detto  che  Nerone  lasciò  da  parte  l'impresa  perchè  gli  scienziati 
egiziani,  misurata  la  superficie  dei  due  mari,  assicurarono  che  se  l'opera 
fosse  stata  compiuta,  le  acque  del  golfo  di  Corinto  più  alte  di  quelle  del 
golfo  Saronico  riversandosi  intorno  all'isola  di  Kgina  l'avrebber  sommersa. 
Luciano,  che  riferisce  questa  voce,  non  le  dà  fede  alcuna,  e  non  crede  alla 
disuguale  altezza  delle  acque,  e  fa  dire  a  Musonio  che  Nerone  non  si  sa- 
rebbe tolto  dal  taglio  neppure  se  gliel  avesse  detto  Talete  con  tutta  la 
fisica  e  la  sapienza  che  aveva,  perche  egli  era  più  pazzo  di  cavare  che 
di  cantare  in  pubblico:  e  afferma  che  fu  tratto  di  Grecia  e  dell'istmo 
dal  movimento  dei  popoli  dell'Occidente  e  dall'ardimento  di  Vindice. 

1  riiuio,  IV,  5;  Slrabono,  I,  3;  Svt-tonio,  Caes.^  !l,  Cuìig.,  21;  riiitavco,  Ces.^  'ì^. 


Gap.  IL]       RITORNO  TRIONFALE  DI  T>^ERONE  IN  ITALIA.  421 

trofei.  Di  là  su  carro  tratto  da  bianchi  cavalli  fece  la 
sua  trionfale  comparsa  a  Napoli,  entrando  per  una  brec- 
cia fatta  alle  mura,  come  usavano  in  Grecia  i  vincita! 
dei  giuochi.  La  medesim^a  scena  fu  ripetuta  ad  Anzio,  ad 
Alba  e  a  Roma.  Qui  entrò  con  accanto  il  citaredo  Dio- 
doro, sul  carro  che  servì  ai  trionfi  di  Augusto,  in  veste 
purpurea,  e  clamide  ricamata  a  stelle  di  oro,  portando 
nella  destra  la  corona  dei  giuochi  Pizii,  e  coronato  di 
oleastro;  e  ostentò  1800  corone  ('')  riportate  di  Grecia, 
e  sah  al  Campidoglio  e  poi  al  Palatino  e  al  tempio 
d'Apollo,  accompagnato  da  soldati,  da  cavaUeri  e  da  se- 
natori festanti.  Gli  fecero  sacrifizi,  lo  ricoprirono  di  pro- 
fumi e  di  fiori.  Da  ogni  parte  gridavano  furiosamente: 
evviva  Nerone  Apollo,  Nerone  Ercole,  Nerone  vincitore  di 
tutti  i  giuochi.  Il  Senato  gli  decretò  feste  più  numerose 
dei  giorni  dell'anno.  Egli  si  fece  ritrarre  da  citaredo  in 
statue  e  medaglie  ('');  e  deificato  e  adorato  continuò  nelle 
orgie,  nelle  rapine  e  nel  sangue,  finché  il  mondo  non  fu 
stanco  di  quella  tirannide  mostruosa  K 

La    tempesta    mosse    dalle    afflitte    province    e    dagli 
eserciti,   stati    cagione  di  perpetua    paura  al  cantore  -: 
Io    scoppio  primo  fu  nelle  Gallio,  dove  era   vicepretore  Ann! di ro- 
C.  Giulio  Vindice,  discendente  dagli  antichi  re  d'Aqui-  G^c'ck  ' 
tania,  uomo  di  gran  cuore,  di  interi  costumi,  ardentis- 

(")  Le  corone  furono  poste  nel  Circo,  sul  grande  obelisco  che  ricorda 
le  conquiste  di  Sesostri;  ed  è  quello  stesso  che  oggi  sorge  sulla  Piazza 
del  Popolo. 

(^)  La  medaglia  che  uniamo  alla  statua  sedente  del  citaredo  ha  nel 
dii'itto  la  testa  di  Nerone  radiata  colla  legg^enda:  nero  claud.  {ius)  caesak 
AUG.  (ustvs)  GERMANI  [cus):  6  nel  rovescio  Io  stesso  Nerone  stante  in 
veste  da  donna,  in  atto  di  cantare  e  di  accompagnarsi  colla  lira,  e  at- 
torno le  parole:  pontif.  [ex)  max.  [imiis)  tr.  {ìbunitia)  p.  [oteslatc) 
IMP.  {eì^ator)  p.  p.  {Pater  Patriae).  Cohen,  Mcd.  frapp.  sous  l'emp.  rom., 
voL  I,  pL  XI,  n.  214. 

1  Svetonio,  Ner.,  22-25;  Dione  Cassio,  LXIII,  lS-21. 

2  Tacito,  Ann..  XIV,  51,  57,  XV,  59. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  5:5 


RIVOLUZIONE  NELLE  GALLIE  E  NELLE  SPAGNE.    F  Lib.  VI 


bimo  di  libertà,  e  scampato  per  sue  arti  da  Nerone  *. 
Edi  non  agitava  pensieri  d'indipendenza,  ma  voleva 
sottrarre  la  provincia  nativa  e  l'Impero  dal  governo  del 


NeruiK.'  citaredo    Visconti^  Miis.  P.  Clem  ^  voi.  IH,  4;  o  Cohen). 

sozzo  tiranno.  Non  forte  di  esercito  sollevò  la  nazione, 
ricordandole  le  rapine  e  le  vergogne  patite,  e,  raccolti 

1  Plinio,  XX,  n. 


I 


Gap.  II.J       PAURE  E  STOLTEZZE  DI  NERONE.  423 

100  mila  uomini  nella  Gallia  centrale,  offri  l'Impero  al 
vecchio  Sulpicio  Galba,  governatore  di  Spagna,  pregan- 
dolo con  ripetute  lettere  a  farsi  liberatore  del  genere 
umano.  E  questi,  dopo  molte  incertezze,  si  messe  nella 
impresa,  fece  leva  di  uomini,  trovò  seguito  grande,  ec- 
citò col  narrare  le  crudeltà  di  Nerone,  e  promise  ogni 
cura  alla  patria,  chiamandosi  non  imperatore,  ma  ca- 
pitano del  Senato  e  del  popolo  romano  '. 

Nerone,  che  già  altra  volta  aveva  creduto  di  vedere 
segni  di  novità  nei  fulmini,  che  nella  villa  di  Sublaqueo 
(Sabiaco)  gli  colpirono  le  mense  2,  ebbe  le  prime  notizie 
di  Gallia  a  Napoli,  dove  stava  tra  le  usate  libidini,  e 
sul  primo  fu  lieto  di  quei  moti,  sperandone  occasione  a 
nuove  vendette  e  rapine.  Né  si  mosse,  né  fece  risposta 
agli  avvisi,  finché  non  seppe  che  Vindice  nei  suoi  bandi 
Io  chiamava  un  tristo  cantore.  Allora  andò  sulle  furie, 
affidò  le  vendette  al  Senato,  andò  a  Roma,  mise  una 
taglia  al  ribelle,  ordinò  gli  muovessero  contro  le  legioni 
d'Uliria  e  del  Reno  ^.  Gli  arguti  di  Roma  scrivevano  sulle 
mura  e  sulle  colonne,  che  i  Galli  cantando  lo  aveano 
svegliato  *.  Ma  gli  durarono  poco  i  gravi  pensieri.  Dopo 
le  agitazioni  della  prima  paura  tornò  alle  libidini,  ed  era 
tutto  nel  provare  e  mostrare  al  pubblico  uno  strumento 
di  nuova  invenzione.  Poi  nuovi  terrori  alla  notizia  della 
sollevazione  di  Galba:  si  stracciò  le  vesti,  dòtte  della 
testa  nel  muro,  non  poteva  persuadersi  di  avere  a  lasciar 
l'Impero  prima  di  morire.  Altre  novelle  non  triste  lo  ri- 
condussero alle  gioie  dei  canti  e  dei  lauti  conviti,  ove 
recitò  versi  contro  i  ribelli:  e  m.editò  di  assassinare  tutti 
i  duci  degli  eserciti,  fece  vendere  a  Roma  i  beni  di  Galba, 
che  in  risposta   prese  i  possessi  di  lui  nelle  Spagne:  si 


1  Plutarco,  Galba^  4,  5;  Svetonio,  Galba^  9,  li);  Dione  Cassio,  LXIII,  22,  23 

2  Tacito,  Ann..  XIV,  22. 

3  Tacito,  Hist..  I,  9. 
*  Svetonio,  Ner..  15. 


424  VINDICE  E  VIRGINIO  RUFO  A  VESONZIO.  [Lib.  VII. 

apparecchiò  a  dare  le  province  rivoltate  al  saccheggio, 
a  fare  uccidere  tutti  i  Galli  che  erano  a  Roma,  ad  .avve- 
lenare il  Senato  a  un  convito,  a  incendiare  la  città,  a 
scatenare  le  bestie  feroci  contro  il  popolo.  Parve  pen- 
sare anche  alla  guerra,  ma  al  modo  solito,  non  trascu- 
rando tra  gli  apparecchi  le  vetture  pei  suoi  strumenti  di 
musica,  e  per  le  cortigiane  vestite  e  armate  a  foggia 
di  Amazzoni.  Disegnò  pure  di  presentarsi  senz'  armi  ai 
ribelli,  sperando  d'intenerirli  col  pianto;  e  già  preparava 
gU  inni  per  tale  vittoria  '. 

Ma  i  sogni  dello  stolto  svanirono  presto.  1  cittadini 
non  risposero  all'appello,  e  negarono  soldati  e  denaro. 
La  plebe  affamata  e  turbolenta:  la  città  piena  di  satire 
e  di  grida,  e  di  presagii  annunziatori  di  estrema  rovina  2. 
Sempre  più  tremendi  gli  annunzii  di  fuori:  la  rivoluzione 
allargatasi  in  Lusitania,  dove  Ottone  seguiva  la  parte  di 
Galba,  e  in  Germania  ^,  dove  L.  Virginio  Rufo,  capo  delle 
legioni,  si  dichiarava  nemico  a  Nerone,  sebbene  ripro- 
vasse le  sollevazioni  di  Gallia  e  di  Spagna.  Virginio, 
uomo  di  antica  severità,  sosteneva,  l'Impero  doversi  dare 
dai  liberi  sutfragii  del  Senato  e  del  popolo,  non  dai  sol- 
dati: e  corse  a  frenare  i  moti  delle  Gallio.  A  Vesonzio 
(Besanzone)  ebbe  un  abboccamento  con  Vindice,  ed  era 
sul  punto  di  intendersi  con  lui,  desideroso  di  abbatter 
Nerone,  non  di  sottrarre  le  Gallie  all'Impero,  quando  i 
due  eserciti  venuti  alle  mani,  senza  ordine  dei  capi,  fe- 
cero grossa  battaglia,  e  i  Galli  perderono  20  mila  uomini 
e  Vindice  stesso,  spentosi  di  propria  mano  al  veder  ca- 
duta tanta  speranza  di  libertà.  Le  legioni  vincitrici  gri- 
darono imperatore  Virginio,  che  fermo  nel  forte  proposito 
ricusò  quell'onore,  ripetendo  che  il  dar  l'Impero  non  ap- 
parteneva ai  soldati  *. 

1  Svctonio,  Ner.,  40-11. 
•  Svoionio,  Galba,  1. 

3  Plutarco,  Galba.  2.);  Svetonio.  Ncr.,   17;  Tacito,  Hixt.,  I.  r.:^. 

4  I)i.;nc,  I.XIII,  21-25;  Tacito.  Illst.  .   1,  H,  IV,  17;  Svotoaio ,  Ner.  .  10,  GaU,a  ,    \\\ 
riutarco,  Galba.  G;  Plinio,  £/)?sf..  Il,  1,  e  VI,  H). 


Cap.  II.]  FUGA  DI  NERONE  425 

Nelle  Spagne  Galba  tornava  alle  antiche  dubbiezze,  e 
stava  per  lasciare  l'impresa.  Un  capo  eli  ardimento  e 
senno  avrebbe  potuto  trar  profitto  dalle  incertezze  del 
vecchio  governatore,  come  dai  contrasti  di  Gallia.  Ma 
Nerone,  frugato  dalla  rea  coscienza  e  perseguitato  dal- 
l'odio e  dalle  grida  universali,  tremava  di  suprema  paura, 
e  cadeva  nel  precipizio.  Lo  abbandonarono  anche  quelli 
tenuti  più  fidi,  e  invano  mandò  e  andò  in  cerca  di  essi. 
Lo  stesso  Ninfidio  Sabino,  inalzato  non  ha  guari  al  grado 
supremo  di  prefetto  del  pretorio,  trasse  i  pretoriani  alla 
parte  di  Galba  con  promessa  di  larghissimi  donativi.  Lo 
sconcio  tiranno,  non  trovando  neppure  un  gladiatore 
che  gli  desse  la  morte,  e  ondeggiante  fra  disperati  pen- 
sieri, ora  voleva  gettarsi  nel  Tevere,  ora  ricovrarsi  in 
Egitto  a  vivere  del  suono  della  sua  cetra,  ora  tra  i  Parti, 
ora  alla  misericordia  di  Galba,  o  a  implorare  coi  pianti 
perdono  dal  popolo:  ora  ricordava  i  presagii,  che  gli  ave- 
vano promesso  l'imperio  d'Oriente.  Quando  vide  saccheg- 
giate le  sue  stesse  camere,  e  rapito  anche  il  veleno  che 
gli  aveva  preparato  Locusta,  fatto  stupido  aspettava  il 
fato  estremo.  11  liberto  Faonte  gli  offrì  ricovero  in  una 
sua  villa  tra  le  vie  Nomentana  e  Salaria  a  quattro  mi- 
glia da  Roma:  ed  egli  accompagnato  da  quattro  persone 
nel  buio  della  notte  partì  sopra  un  tristo  cavallo,  scalzo, 
in  camicia,  col  viso  nascosto  in  un  velo  per  non  essere 
riconosciuto,  e,  spaventato  da  terremoti  e  baleni,  e  dalle 
grida  che  nel  Campo  Pretorio  mandavano  maledizioni 
al  suo  nome  e  felici  augurii  a  Galba,  per  tragetti  e  male 
vie  si  ridusse  affannato  alla  villa,  ove  per  non  essere  ve- 
duto entrare  dalla  porta  passò  da  un'apertura,  fatta  nella 
parte  più  nascosta  del  muro.  Ma  quasi  subito  vi  fu  rag- 
giunto dalla  notizia,  che  il  Senato  lo  condannava  a  pe- 
rire di  supplizio  all'antica.  Egli  domandò  qual  fosse  questo 
supplizio,  e  udito  che  consisteva  nell' inforcare  il  collo 
del  reo,  e  nel  battere  colle  verghe  pubblicamente  il  nudo 


426 


E  SUA  SCONCIA  MORTE. 


[L1B.VII. 


corpo  finché  spirasse,  fu  preso  da  più  fiera  paura,  e 
trasse  di  sotto  due  pugnali,  ne  tentò  la  punta,  e  poi  li 
ripose  dicendo,  che  ancora  non  era  giunto  il  fatai  mo- 
mento. Chiese  all'  infame  Sporo  che  cominciasse  i  la- 
menti, pregò  che  alcuno  gli  facesse  cuore  col  proprio 
esempio  ad  uccidersi,  e  si  rampognò  di  viltà.  Alla  fine, 


Nerone  (Mongez,  Icon    Rom.^  pi    XXX,  u.   1). 

all'udire  il  rumore  dei  cavalli  correnti  a  cercarlo,  ripetè 
il  verso  d'Omero  «  Sento  il  rumor  dei  pronti  corridori  »  *, 
e  rammaricandosi  che  in  lui  finisse  un  artista  si  grande, 
coU'aiuto  del  liberto  Epafrodito  si  dette  del  pugnale  nella 


J  Iliade,  X,  535 


Gap.  II.]  NERONE  ANTICRISTO.  427 

gola,  e  sconciamente,  come  aveva  vissuto,  morì  ai  9  giù-  ''n'Ja'sfi^'di 
gno  all'età  di  30  anni  e  sei  mesi,  nel  decimo  quarto  anno  g.  e.  es. 
del  suo  principato  (").  Due  nutrici  e  Atte  sua  concubina 
gli  prepararono   rogo  e  funerali,  e   lo  deposero  nel  se- 
polcro di  casa  Domizia  sul  colle  degli  Orti,  ove  è  oggi  la 
lieta  passeggiata  del  Pincio  *. 

Lasciò  Roma  e  l'Italia  piene  di  sangue  e  di  devasta- 
zioni e  rapine,  e  contaminate  da  non  più  viste  libidini, 
delle  quali  durò  vivo  il  ricordo  fino  all'età  più  lontane. 
Se  egli  fu  adorato  e  desiderato  dalla  canaglia,  per  cui 
ridusse  la  vita  a  un  baccanale  continuo,  nella  memoria 
di  tutti  gli  uomini  onesti  rimase  come  l'infamia  più 
grande  del  mondo.  Nella  fantasia  dei  Cristiani  orrenda- 
mente straziati  divenne  l'ideale  del  male,  generato  da 
una  potenza  satanica;  scomparso  e  non  morto,  per  essi  fu 
l'Anticristo,  la  Bestia  annunziata  dal  Veggente  di  Patmos, 
il  mostro  destinato  a  ricomparire  nei  giorni  precedenti 
la  distruzione  del  mondo  {'').  Il  suo  orribile  nome  si  vede 
ancora  cancellato  da  più  epigrafi  greche  e  latine  ^.  Anche 
sul  finire  del  secolo  undecimo  le  genti  credevano  di  ve- 
dere l'orrendo  fantasma  uscire  dal  sepolcro,  ed  errare 
sulle  alture  d'attorno:  e  la  chiesa  di  S.  Maria  del  Popolo 


C^)  Clinton  (Fast.  Rom.,  I,  52)  calcola  la  vita  di  Nerone  a  30  anni, 
cinque  mesi  e  ventisei  giorni  contando  dai  15  decembre  790  ai  9  giu- 
gno 821.  Vedi  Merivale,  voi.  VI,  pag.  358,  e  Conf.  Svetonio,  Ner.,  57. 

(»)  S.  Agostino,  De  Civ.  Dei,  XX,  19;  Lattanzio,  Div.  Instit.,  VII,  17, 
e  De  mortib.  persec,  2;  Snlpicio  Severo,  Hist.  sacra,  II,  28,  29;  Mal- 
yamìa.,  De  Antichristo,\\Wi\xnàe.Q,\m,  Romae  1604;  Renan,  L'Antechrist, 
Paris  1873,  pag.  178,  350  e  segg.,  e  chap.  XVI  e  XVII. 

Nell'opera  del  Malvenda  il  libro  sesto  narra  in  22  capitoli  particolar- 
mente i  vizi,  le  frodi,  le  arti  infernali,  le  magie,  le  rapine,  le  profusioni, 
le  sontuosità,  le  libidini  e  tutte  le  mostruosità  di  Nerone  Anticristo. 

1  Svetonio,  Ser..  l;!-50-,  Dione  Cassio,  LXII!,  2(5-2;)  ;  Sii-pplementa  ad  Tacit.^  Ann., 
XVI,  06,  e  se-'g.;  Nibby,  Roma  antica.  II,  [lag.  315. 

2  Vedi  Letronne,  Recueil  des  inscriplions  de  V Egypte ,  toiii.  I,  pag.  410,  toni.  II, 
pag.  ISl,   160;  Creili,  725,  7Ì9;  Henzen,  5106;  Momiuscn,  Inscript.  regni  Neap.,  2163. 


428  FINE  DELLA  STIRPE  DEI  CESARI  [Lib.  VII. 

fu  edificata  per  cacciar  via  quei  terrori'.  L'esecrato 
nome  rimase  congiunto  a  più  rovine  della  campagna  di 
Roma,  ove  popolarmente  fu  chiamato  sepolcro  di  Nerone 
quello  che,  oltre  il  quarto  miglio  della  via  Cassia,  l'epi- 
grafe dice  eretto  a  P.  Vibio  Mariano;  e  sulle  amene 
rive  di  Pozzuoli  e  di  Baia  dura  sempre  l'atroce  memoria 
del  matricida.  Al  suo  tempo,  quasi  non  bastassero  i  fla- 
gelli della  mano  del  principe,  l'Italia  fu  percossa  anche 
da  tempeste  e  malori.  La  Campania  fu  devastata  da  trombe 
di  venti,  che  abbatterono  ville,  arbusti  e  biade  fin  presso 
a  Roma;  e  una  gran  pestilenza  uccise  ogni  generazione 
di  mortali  e  30  mila  persone  in  città '^.  Caddero  fulmini 
più  che  in  nlun  altro  tempo,  splenderono  continuamente 
sinistre  comete.  È  narrato  anche  di  strani  predigli,  di 
uomini  e  d'altri  animali  nati  con  due  teste,  e  di  fiumi 
che  corsero  indietro  ^,  ma  il  prodigio  maggiore  fu,  che 
fosse  sopportato  quattordici  anni  questo  nemico  del  ge- 
nere umano  ("). 

Con  Nerone  finì  la  progenie  dei  Cesari,  la  quale  comin- 
ciata coi  Giulii  e  invano  rinforzata  per  via  di  adozioni 
cogli  Ottavii,  coi  Claudii  e  Domizii  crescendo  sempre  di 
ferocia,  negli  ultimi  cinquant'anni  riuscì  a  distrugger  sé 
stessa.  Fra  quelli  che  tennero  il  supremo  grado  Augusto 
solo  finì  la  vita  tranquillo.  Gli  altri,  uomini,  donne,  gio- 
vani e  vecchi  nella  massima  parte  finirono  di  ferro,  di 
veleno,  di  stenti  e  di  fame.  La  morte  naturale  fu  allora 
una  eccezione  per  chiunque  avesse  parentela  coi  de- 
spoti, divenuti  carnefici  di  loro  madri,  mogli,  sorelle, 
fratelU  e  nipoti. 

(")  Xeronem  loto  principatu  suo  hostem  nencris  humani.  Plinio,  VII,  6. 

1  Nibby,  Roma  ant..  It,  310. 

2  Tacito,  Ann.^  XVI,  13;  Svetonio,  Ner.,  39. 

3  Tacito,  Ann.,  XV,  il;  l'iinio.  II,  23,  Xó,  inC. 


CAPITOLO  HI. 


Anarchia  militare  e  guerra  civile.  —  Galba  vecchio  e  avaro  ucciso  dopo 
sette  mesi  di  regno  da  Ottone,  inalzato  dalle  milizie,  mentre  le  legioni 
di  Germania  gridano  imperatore  il  sozzo  Vitellio.  ■ —  La  contesa  si  fi-, 
nisce  sul  Po.  —  La  parte  vitelliana  vince  a  Bedriaco,  e  Ottone  si  uc- 
cide di  propria  mano.  —  L' Italia  predata  e  disertata  dal  furore  dei 
vincitori  e  dei  vinti.  —  Orgie  di  Vitellio.  —  Flavio  Vespasiano  gridato 
imperatore  dalle  legioni  d'Oriente,  dopo  la  fama  acquistatasi  nelle 
guerre  contro  i  fpiudei.  —  Guerra  dei  Flaviani  e  Vitelliani  sul  Po.  — 
Cremona  distrutta.  —  Rolla  in  preda  ai  Flaviani.  —  Vitellio  ucciso. 
—  Onori  ai  vincitori.  —  Elvidio  Prisco,  Mudano  e  Domiziano,  e  le 
spie.  —  Grande  sollevazione  destata  da  Civile  nelle  Gallie  e  in  Ger- 
mania. —  Vespasiano  in  Egitto.  —  Gerusalemme  presa  e  distrutta  da 
Tito.  —  Vespasiano  a  Pi,oma.  —  Provvedimenti  per  ristorare  l'ordine, 
la  giustizia,  le  finanze,  i  costumi,  e  per  abbellire  la  città.  —  Tito  triste 
dapprima,  poi  delizia  del  genere  umano.  —  Calamità  pubbliche.  — 
Grande  incendio  del  Vesuvio.  —  Roma  flagellata  dalla  tirannide  di 
Domiziano,  finché  un  ferro  non  toglie  dal  mondo  l'atroce  mostro. 
(Anni  di  Roma  821-840,  di  Cristo  G8-96). 


e  i  pretoriani  avevano  mostrato  che  di- 

luieva  dal  loro  arbitrio  il   dare  e  il  togliere 

impero,    ora   l'elezione   di   Galba    svelava   il 

rande  arcano,  che  il  principe  poteva  farsi  an- 

_^:     ^■\\(ì  fuori  di  Roma;   e   quindi   sollevandosi  gli 

""^^"^    animi  dei  soldati   e  dei  capi  delle  province  si 

apparecchiava  nuova  materia  a  rivoluzioni,  ad  anarchie, 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  54 


430  ODII  E  AMORI  A  NERONE.  [Lib.  VII. 

a  guerre  civili.  Tutto  l'Impero  andò  sottosopra:  arse 
guerra  sterminatrice  in  Italia  e  in  Roma  stessa;  e  in  po- 
chi mesi  tre  imperatori  finirono  di  morte  violenta. 

La  città,  morto  Nerone,  fece  grandi  allegrezze,  e  la 
gente  correva  le  vie  col  berretto  degli  affrancati.  Con 
principe  nuovo  e  lontano  pigliavano  libertà  il  Senato  e  i 
grandi  ;  e  i  lorcr  seguaci  e  il  popolo  migliore  e  imparenti 
dei  condannati  aprivano  l'animo  a  liete  speranze.  Sola- 
mente la  plebaglia,  e  chi  campava  sui  vituperi  di  Nerone, 
erano  addolorati  e  avidi  di  rumori.  Non  mancò  chi  per 
più  anni  ornasse  di  fiori  il  sepolcro  dell'osceno  tiranno, 
ne  chi  pighasse  il  suo  nome:  molti  desideravano  e  cre- 
devano, 0  fìngevano  che  Nerone  vivesse-  un  discepolo 
della  sua  scuola  giunse  in  pochigpnesi  an'impero,  e  in 
breve  si  videro  piti  falsi  Neroni,  uno  dei  quali  ebbe  aiuti 
dai  Parti,  e  un  altro  levò  rumore  e  trovò  seguaci,  e  fu 
ucciso  nell'Arcipelago  *. 

Anche  ora  era  spento  il  tiranno ,  non  la  tirannide. 
Sulle  prime  Ninfìdio  Sabino,  prefetto  del  pretorio,  messo 
da  parte  Tigellino  suo  collega,  col  favore  dei  soldati  tirò 
a  se  ogni  faccenda,  comandò  da  padrone  ,  e  si  fece  sa- 
lutare dal  Senato  benefattore  della  patria.  Per  procac- 
ciarsi popolarità  fece  trucidare  i  Neroniani  che  gli  cade- 
vano in  mano  :  poi  mirando  più  alto,  cospirò  per  far  se 
imperatore ,  e  volle  tradir  Galba ,  come  aveva  tradito 
Nerone.  Ma  non  riuscì  nel  disegno;  perocché  i  soldati, 
sebbene  accarezzati  da  lui,  furono  svolti  da  altri,  e  quando 
egli  si  presentò  al  campo,  invece  di  salutarlo  imperatore, 
lo  trucidarono  ^. 

Le  novelle  di  Roma  erano  giunte  a  Galba  quando  egli 
pensava  a  lasciar  da  banda  l'impresa,  in  cui  era  entrato 
per  caso,  non  per  consiglio  deliberato.  Dapprima  Icelo, 

1  Tacito,  Hist.  I,  2,  1,  5.  Il,  S,  9;  Svetonio,  Ner..  :>7  ;  Dione  C:l<^sio,  I.XIV,  i)  ;  Dione 
Crisostomo,  Orat.,  ?0;  Zonara,  XI,  15. 

2  Plutarco,  Galba^  8,  D,  11,  13,  11;  Tacito,  Ilist..  I,  5;  Svetonio,  Galba,  11. 


Gap.  III.]        CRUDI  E  SANGUINOSI  PRINCIPII  UI  GALEA. 


431 


SUO  liberto,  poi  Tito  Vinio  Rufino,  gli  recarono  la  notizia 
che  r  esercito ,  il  Senato  e  il  popolo  lo  avevano  eletto 
all'Impero,  già  a  lui  prenunziato  da  Augusto,  da  Tiberio 
e  da  altri.  Era  wn  vecchio  di  73  anni ,  discendente  dai 
Sulpicii,  casa  nobile,  antica,  opulenta,  figlio  di  padre  pic- 
colo, gobbo,  poco  eloquente,  e  di  madre  bella  e  assai 
ricca.  In  sua  vita  ora  duro,  ora  molle.  Da  giovane  ebbe 
fama  per  aver  dato  prima  d'ogni  altro  al  popolo  uno 
spettacolo  di  elefanti  funamboli.  Rese  culto  alla  Fortuna, 
corse  la  via  dei  pubblici  ufficii.  Governò  l'Aquitania  sotto 
Caligola,  fu  aspro  mantenitore  della  disciplina  militare 
sul  Reno,  e  combattè  fortemente  i  Germani:  poi  sotto 
Claudio  rigido  fino  alla  crudeltà  nel  governo  dell'Affrica, 
e  ne  ebbe  gli  ornamenti  trionfali.  Ma,  vedendo  correre 
tempi  diffìcili,  si  ritrasse  poscia  a  vita  solitaria,  finché 
Nerone  non  lo  mandò  al  governo  di  Spagna,  ove  dopo 
le  prime  severità  divenne  trascurato  e  infingardo,  per 
allontanare  da  sé  i  sospetti  che  menavano  a  morte  ogni 


mmliore 


Fatto  imperatore  nel  modo  che  abbiamo  veduto,  mosse 
a  piccole  giornate  da  Spagna  alla  volta  di  Roma.  A  Nar- 
bona  gli  si  fece  innanzi  l'ambasceria  del  Senato,  che  lo 
pregava  di  affrettar  il  cammino,  perchè  il  popolo  aveva 
grande  desiderio  di  lui.  Ma  egli  continuò  lentamente  per 
andare  più  sicuro.  Tolse  dall'  esercito  di  Germania  Vir- 
ginio Rufo,  quantunque  ave|^e  cessato  da  ogni  resistenza, 
e  pose  in  suo  luogo  Ordeonio  Fiacco  vecchio,  debole, 
infermo,  e  non  atto  al  governo  di  soldati  pronti  a  sedi- 
zione 2.  Nelle  Gallio  alleggerii  tributi  ai  popoli  amici^e 
pose  enormi  gravezze  e  diminuì  i  territori  ai  nemici,  e 
a  più  città  distrusse  le  mura  e  uccise  i'capi  con  loro 
donne  e  figliuoli.  Dappertutto  spedi  ordini  per  toglier  di 

1  Svetonio,  Galba,  2-9;  Plutarco,  Galha  ^  ?,  e  scgg.  ;  Tacito,  Ann.  ^  VI,  2(1;    Dione, 
LVII,  1-j,  e  LXIV,  1. 

2  Tacilo,  Hist.,  I,  9;  riutarco,  Gaìba,  10-11. 


432       GOVERNO  DEI  FAVORITI  E  BRUTTURE  DI  CORTE.  [Lib.  VII. 

mezzo  chi  gli  fosse  contrario,  e  fece  uccidere  a  Roma  i 
complici  della  congiura  di  Ninfìdio,  e  in  Affrica  e  in  Ger- 
mania i  legati  Clodio  Macro  e  Fonteio  Capitone,  minac- 
cianti  rivolta  *.  Le  quali  morti,  date  senza  processo  e  con 
tutto  il  fiero  arbitrio  della  tirannide,  gli  partorirono  fama 
di  uomo  crudele  :  e  F  Odio  si  accrebbe  al  suo  entrare  in 
Roma  per  la  strage  dei  remiganti,  dei  quali  fece  uccidere 
più  migliaia,  perchè  chiedevano  tumultuando  di  rimanere 
nell'ufficio  di  soldati,  in  cui  gli  aveva  posti  Nerone.  Le 
vie  erano  piene  di  sangue  :  e  quell'  entrata  del  nuovo 
imperatore  fra  tanti  cadaveri  apparve  orribile  cosa  \ 

Anche  il  suo  governo  non  fu  tale  che  gli  conciliasse 
favore,  perchè,  incapace  a  reggere  di  per  sé  cotanto  peso, 
si  abbandonò  a  tre  favoriti,  Icelo,  Tito  Yinio  e  Cornelio 
Lacone,  che  messere  tutto  a  disordine.  Icelo,  liberto,  con 
grande  onta  dell'ordine  equestre  ebbe  le  insegne  di  ca- 
valiere e  il  nome  di  Marziano;  Lacone,  uomo  intollera- 
,  bilmente  arrogante  e  ignavo,  fu  pi^efetto  dei  pretoriani, 
e  governò  ogni  cosa  insieme  con  Tito  Vinio  già  legato  di 
Galba  nel  governo  di  Spagna,  un  altro  tristo,  peggiore  di 
tutti,  audace,  pronto,  astuto,  vario  di  costumi,  capace 
di  grandi  ribalderie  e  di  forti  opere,  infame  nella  sua 
prima  mihzia,  quindi  comandante  d'una  legione  con  lode, 
poi  lordo  di  una  bruttura  da  schiavo  per  avere  rubato 
una  tazza  d'oro  alle  mense  di  Claudio.  Costoro,  intesi 
soprattutto  a  farsi  presto  rkchi,  per  timore  che  la  vec- 
chiezza di  Galba  non  lasciasse  loro  troppo  tempo,  ven- 
devano le  cariche,  le  dignità,  i  privilegi,  le  esenzioni,  le 
pene  degli  innocenti,  le  impunità  dei  rei:  rubavano  a 
man  salva  lo  Stato,  e  empivano  di  odio  e  di  dispregio 
il  principe,  di  cui  erano  sempre  al  fianco  assidui  pedo- 
noglti,  come  chiamavali  il  volgo,  del  vecchio  di  73  anni  3. 

'  Tacito,  Hist.,  I,  6,  7,'s,  37,  r>l,  G:.;  Svetonio,  Guì'.a .,    11,  12;  Plutarco,  GalhOj  ir.; 
Mone  Cassio,  LXIV,  ,>. 

2  Tacito,  IJist.,  I,  C;  Svetonio,  12-,  Plutarco,  loc  cil.,  \:>\  Dion-,  LXIV,  .?. 

3  Svetonio,  Gaìba^  11,  15;  Tacito,   Hist.,  I,  0,  7,  12.  Ili,  :.'3,  'òi,  ol ,  'IS;  Dione  Cassio, 
I.XIV,  i>;  Plutarco,  Galla,  13,  2f>. 


I 


Gap.  1II.1  GALEA  DEBOLE  E  INCAPACE  A  REGGER  L'IMPERO.     433 


Egli  dal  canto  suo  era  frugale  in  sua  casa,  e  rispetto 
alla  pecunia  pubblica  mostravasi  integro  custode  in  ogni 
occorrenza:  ma  non  avendo  forza  e  risolutezza  per  tenere 


fi* 


^' tor^ 


Galba  {31>'.s.  Capitoì.,  Righetti^  I. 


nella  retta  via  i  ministri,  dopo  essersi  mostrato  buono 
amministratore  di  province  apparve  incapace  all'impero. 
E  invano  altri  chiamava  saviezza  il  suo  andar  lento.  Fa- 


434  MALCONTENTO  DEI  SOLDATI.  RIVOLTA  IN  GERMANIA.  [Lib,  VII. 

ceva  pompa  di  severità  all'antica;  ma  alle  parole  non 
aveva  corrispondenti  i  costumi.  In  nulla  era  uguale  a 
sé  stesso:  ora  mostravasi  fiero,  ora  rilassato:  punì  alcuni 
partigiani  di  Nerone,  e  per  la  protezione  di  Vinio  *  ri- 
sparmiò Tigellino,  più  infame  di  tutti,  e  rampognò  il 
popolo  che  ne  chiedeva  il  supplizio.  La  stessa  sua  età 
era  cagione  di  fastidio  e  di  beffe  al  volgo,  che,  dice 
Tacito,  fa  concetto  dei  principi  dalla  bellezza  e  dal  de- 
coro della  persona.  Le  brutture  di  corte  duranti  come 
sotto  Nerone  erano  meno  scusate,  perchè  mentre  questi 
largheggiava  in  donare ,  Galba  mostravasi  parco  ,  anzi 
avaro  sordidamente.  Quindi  l'odio  dei  sol-dati,  cui  non 
dava  il  donativo,  per  la  speranza  del  quale  avevano  ab- 
bandonato Nerone.  Ai  pretoriani,  chiedenti  le  larghezze 
promesse  da  Ninfidio  in  suo  nome,  rispose:  che  egli  sce- 
glieva, non  comprava  i  soldati.  Il  quale  detto,  che  in  altri 
tempi  avrebbe  fatto  famoso  un  uomo,  a  lui  fu  cagione 
di  pronta  rovina.  Perocché  le  milizie  inasprite  rimasero 
materia  disposta  ai  cenni  di  chiunque  ardisse  di  far  no- 
vità, mentre  Roma  e  l'Italia  erano  pronte  a  servire  e  a 
darsi  a  chi  vincesse,  come  premio  della  guerra  2. 

Ì?ochi  giorni  dopo  le  calende  di  gennaio,  in  cui  entra- 
rono consoli  Galba  e  Vinio,  venne  avviso  che  le  legioni 
Anni  di  Ro- dall'Alta  Germania,  irritate  della  falHta  speranza  dei 
G.^a  m>/'  premi,  sprezzando  il  duce  Ordeonio  Fiacco,  si  erano  le- 
vate a  chiedere  altro  imperatore,  di  cui,  per  parer  meno 
ribelli,  lasciavano  la  scelta  al  Senato,  e  l'approvazione 
a  tutti  gli  eserciti.  Piene  di  malcontento  anche  le  legioni 
della  Germania  Inferiore,  poste  sotto  gli  ordini  di  Aulo 
Yitellio,  mandato  a  quel  governo  da  Galba:  e  nel  me- 
desimo tempo  si  mostravano  divise,  inquiete  e  minac- 
ciose anche  le  Gallie  ^.  Onde  l'imperatore,  pensando  che 


1  Tacito,  HisC.^  I,  72. 

2  Tacito,  Hist.^  1,  5-7;  Svetonio,  Galla,  12,  15,  Ifi;  Dione  Cassio,  LXIV,  2,  3;   Plu- 
tarco, Galba,  17,  IS. 

3  Tacito,  Jiist.,  I,  51  e  segg.  ;  Plutarco,  Galba,  22;  Sretonio,  10. 


Gap.  III.]       ELEZIONE  DEL  SUCCESSORE  E  NUOVI  ODII.  435 

la  mala  contentezza  di  tutti  venisse  dall'  essere  lui  vec- 
chio e  senza  figliuoli,  per  rassicurare  gli  animi  si  affrettò 
a  recare  ad  effetto  il  disegno  già  concepito  dell'adozione 
di  un  successore.  Di  che  fu  grande  il  discorrere  per  la 
città,  grande  1'  affaccendarsi  dei  favoriti.  Vinio  portava 
M.  Salvio  Ottone,  sperando  di  dargli  per  moglie  la  pro- 
pria figliuola  :  e  Ottone  contava  molto  suU'  adozione  per 
essere  stato  il  primo  a  dichiararsi  per  Galba:  ma  il  vec- 
chio imperatore  non  volle  sapere  di  lui,  pieno  di  vizi  e 
di  debiti,  e  in  quella  repugnanza  fu  confermato  da  Lacone 
e  da  Icelo ,  già  adombrati  del  troppo  orgogUo  di  Vinio. 
Alla  fine  fu  chiamato  a  corte  e  adottato  L.  Calpurnio  Pi- 
sone  Liciniano ,  uomo  di  stirpe  nobilissima,  grave  di 
aspetto,  severo  di  costumi,  e  di  modi  all'  antica.  Fatta 
l'adozione  in  palazzo  ai  10  gennaio,  non  ostante  un  fiero 
temporale  che  dava  tristo  augurio ,  fu  presentato  al 
campo  dei  pretoriani  come  successore  all'  Impero.  Ivi 
Galba  disse  brevi  parole,  e  si  astenne  da  ogni  promessa 
di  doni.  Quindi  cupo  silenzio  nei  più  dei  soldati,  che  per 
ogni  poca  di  liberalità  avrebbero  levato  plausi.  In  se- 
nato molti  applaudirono  di  cuore  all'adozione,  altri  tepi- 
damente  e  fintamente  (").  Poi  fu  discorso  di  mandare 
ambasciatori  in  Germania  all'esercito  ribellato;  e  strin- 
gendo il  bisogno  di  rimediare  alla  penuria  dell'  erario, 
nella  difficoltà  di  porre  nuove  gravezze  i  consiglieri  di 
Galba  avvisarono  che  si  facesse  danaro  col  ripigliare  i 
tesori,  prodigati  già  da  Nerone  ai  suoi  favoriti.  E  come 
molti  di  questi  avevano  dissipata  ogni  cosa,  fu  stabilito 
di  andare  contro  chi  aveva  comprato  da  essi,  e  ne  nac- 
quero grandi  turbamenti  nella  città,  e  nuovi  ed  inutili 
odii.  Fu  accresciuta  anche  la  irritazione  dell'esercito  col 
cassare    quattro    tribuni  dai  ruoli:  perchè    quell'atto  di 

C^)  Di  essa  è  ricordo  negli  atti  degli  Arvali ,  che  al  solito   fecero  voti 
e  sacrificii.  Marini,  Arval.,  I,  CXXVII,  tab.  XX. 


536  CONGIURA  CONTRO  GALEA.  [Lib.  VII. 

diffidenza,  invece  di  essere  di  esempio  agli  altri,  messe 
paura  e  malanimo  in  tutti  *. 

Di  questi  errori  fece  suo  profitto  Ottone,  il  quale  stato 
il  primo,  come  dicemmo,  ad  accostarsi  alle  parti  di  Galba, 
ed  entrato  fin   d'  allora  nella  speranza  di   alte  fortune, 
,  avea  posto  ogni  studio  nel  far  suoi  i  soldati  con  carezze 

e  con  donativi.  Lo  vedemmo  già  compagno  a  Nerone 
nei  vizi  più  infami:  era  molle  e  pieno  di  mondizie  mu- 
liebri, col  viso  sbarbato  e  impiastrato,  e  curava  la  cute, 
e  andava  armato  di  specchi,  nascondeva  accuratamente 
la  calvizie  ,  si  acconciava  con  lo  studio  di  una  mere- 
trice. Tutti  i  cortigiani  di  Nerone  amavano,  per  la  uni- 
formità dei  costumi,  costui  splendido,  scialacquatore, 
avido  di  pompe  e  di  voluttà,  e  pieno  di  gusti  da  grandi. 
Gli  astrologi  gli  avevano  promesso  l' Impero,  ed  egli  lo 
cercava  ardentemente  per  lib,erarsi  dai  debiti,  per  aver 
modo  a  vivere  in  lussurie,  in  ebbrezze,  in  ritrovi  di  fem- 
mine: e  sebbene  molle  di  corpo  e  piccolo  di  statura,  aveva 
l'animo  ardito  a  ogni  pericolosa  ventura  "^.  Quindi,  appena 
vide  fallire  la  speranza  dell'adozione,  non  avendo  altro 
partito  alle  mani,  si  gettò  alla  rivolta,  e  pensò  ad  ucci- 
dere Galba  e  Pisone ,  nel  tempo  stesso  che  faceva  loro 
la  corte,  ed  ebbe  a  principale  strumento  il  liberto  Ono- 
masto,  il  quale,  corrotti  con  denari  alcuni  soldati,  tirò 
facilmente  a  servir  la  congiura  gli  altri,  aborrenti  il  prin- 
cipe avaro:  e  la  pessima  scelleratezza  fu,  dice  Tacito, 
ardita  da  pochi,  voluta  da  molti,  patita  da  tutti. 
ADDirìiRo-  Ai  i5  gennaio,  nel  sacrifizio  offerto  da  Galba  nel  tem- 
ucci),  pio  di  Apollo,  1  aruspice  vide  segni  di  vicina  sciagura. 
Ottone,  che  era  ivi  presente,  ne  prese  cagione  a  meglio 
sperare  per  sé;  e  poco  appresso,  avvisato  copertamente 
da  Onomasto  che  tutto  era  pronto,  partì,  scusandosi  di 
avere  a  comprare   certe  case.  Appena  giunto  nel   Fóro, 

•  Tacito,  Hist.^  I,  l?-20;  Svetonio,  Galba^  15  e  17-,  Plutarco,  Galba^  16  e  23. 
i  Svetonio,  Olh...  12. 


Cap.  III.]       OTTONE  IMPERATORE.  ROMA  IN  TUMULTO.  437 


ventitré  soldati  lo  salutarono  imperatore,  e  mentre  tre- 
pirlava  per  causa  del  piccolo  numero,  lo  posero  in  let- 
tiga ,  e  lo  rapirono  al  campo ,  ove  in  breve  fu  gridato 
imperatore  anche  dagli  altri  soldati,  accorrenti  da  ogni 
parte.  Egli  stendeva  loro  le  mani,  adorava  la  turba,  ser- 
viva per  dominare,  e  con  ardenti  parole  eccitava  ai  mi- 
sfatti i  già  pronti. 

La  notizia  del  fatto  giunse  a  Galba  mentre  continuava 
ad  affaticare  con  voti  gli  Dei  dell'Impero,  che  non  erano 
più  suoi.  La  città  offrì  quel  giorno  uno  sconcio  spetta- 
colo di  ferocia,  di  viltà,  di  paura,  e  di  repentini  passaggi 
dalla  gioia  al  dolore,  dal  rumore  al  silenzio,  dalle  salu- 
tazioni festive  alle  grida  di  morte,  ora  a  questo  ora  a 
quello,  a  seconda  dei  timori  e  delle  speranze.  La  plebe 
e  gli  schiavi  dapprima  empirono  di  grida  adulatrici  l'atrio 
imperiale,  e  chiesero  la  morte  dei  congiurati:  e  quando 
lisci  voce  che  Ottone  era  ucciso,  moltiplicarono  nelle 
dimostrazioni  di  gioia,  e  più  feroci  di  lingua  apparvero 
i  più  codardi,  pronti  a  imprecare,  poco  appresso,  a  Galba 
spento,  e  inchinarsi  umili  a  Ottone  vincitore. 

Fra  quel  tumulto  Pisone  studiò  con  modeste  parole 
di  tener  fedele  la  coorte  di  guardia  al  palazzo,  mentre 
Mario  Celso  ed  altri  facevano  prova  di  tener  devoti  gli 
altri  soldati.  Da  un  altro  canto  i  favoriti  stringevano  con 
discordi  consigli  lo  sciagurato  imperatore,  il  quale,  la- 
sciato da  banda  il  partito  di  difendersi  cogli  schiavi  in 
palazzo,  si  avviò  al  Fòro,  sperando  di  frenare  i  ribelli  col 
suo  aspetto.  Usci  in  lettiga,  non  potendosi  reggere  sulla 
persona,  e  mostrò  fino  all'ultimo  animo  intrepido  a  ogni 
minaccia,  e  fermo  a  reprimere  la  insolenza  soldatesca. 
A  un  Giulio  Attico,  che  vantavasi  di  avere  ucciso  Otto- 
ne, e  a  prova  del  fatto  mostrava  la  spada  insanguinata, 
disse:  Comìnilitone,  chi  te  lo  Ita  e  ornami  aio"?  Ma  tutto  era 
vano;  la  sedizione  si  faceva  più  furibonda,  crescevano  le 
triste  novelle.  Pisone,  mandato  innanzi  a  tentare  il  campo, 

Vanxucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  55 


438 


UCCISIONE  DI  GALEA  E  DI  PISONE. 


[LiB.  VII. 


Anni  di  Ko- 
ina  822,  di 

e.  e.  OS). 


era  costretto  a  retrocedere  :  le  milizie  della  città  in  piena 
rivolta:  fuggiti  anche  quelli  che  avevano  mostrato  più 
fede  e  coraggio.  Galba  era  spinto  qua  e  là  nel  Fòro  dal 
vario  ondeggiare  della  turba,  passata  dalla  servile  bal- 
danza al  terrore  dei  codardi.  Finalmente  al  giungere  dei 
soldati  dì  Ottone  il  vecchio  imperatore  fu  abbandonato 
da  tutti,  e  rovesciato  dalla  lettiga,  lini  trucidato  e  osce- 


Tempio  di  Vesta  in  moneta  di  Vespasiuno  {Doii'.tldaon,  p.  60). 


namente  straziato  dopo  sette  mesi  d'impero,  al  quale 
parve  atto  finche  non  l'ebbe  ottenuto.  Il  cadavere  ebbe 
umile  sepoltura  nei  suoi  orti  privati,  sulla  via  Aurelia 
fuori  della  porta  Gianicolense,  dalle  mani  di  un  servo. 
Pisone,  difeso  magnanimamente  da  un  centurione,  fuggì, 
sebbene  ferito,  nel  tempio  di  Vesta,  d'onde  poi  tratto  a 
forza  dagli  sgherri,  fu  fatto  a  pezzi  sul  limitare.  Vinio, 
che  per  salvarsi  gridava  di  essere  della  congiura,  cadde 


Cap.  III.]        ATROCITÀ  K  GIOIE  DELLA  STRAGE  CIVILE.  430 

di  più  colpi  davanti  al  tempio  di  Cesare.  Lacone  fu  esi- 
liato e  subito  ucciso;  Icelo,  liberto,  giustiziato  in  pub- 
blico al  modo  degli  schiavi.  Le  tronche  teste,  infitte  sulle 
aste,  furono  portate  in  trionfo.  Ottone  fece  smodata  al- 
legrezza di  quella  di  Pisene,  e  la  contemplò  con  occhi 
insaziabili.  I  carnefici  mostravano  a  vanto  le  mani  brutte 
di  sangue:  più  di  420  chiesero  premio  di  quelle  ucci- 
sioni: e  Vitellio  in  appresso,  trovate  le  loro  suppliche,  li 
fece  tutti  punir  di  morte,  non  per  amore  agli  uccisi  da 
essi,  ma  per  provvedere,  secondo  l'uso  dei  principi,  alla 
sua  sicurezza  col  metter  timore  della  vendetta  avvenire. 

Tutto  quel  giorno  andò  a  voglia  dei  soldati.  Ebbero  pre- 
mio del  sangue  versato,  nominarono  a  loro  arbitrio  i  pre- 
fetti del  pretorio,  fecero  prefetto  di  Roma  Flavio  Sabino, 
fratello  di  Vespasiano,  già  nominato  a  quella  dignità  da 
Nerone.  Poi,  a  colmo  delle  scelleratezze,  si  aggiunse  la 
gioia.  Il  popolo  e  il  Senato  precipitatisi  nel  Campo  Pre- 
torio gareggiarono  in  false  e  turpi  mostre  di  allegrezza, 
lodando  il  giudizio  dei  soldati,  imprecando  a  Galba,  ba- 
ciando la  mano  a  Ottone.  Ognuno  sfoggiava  in  adulazioni 
per  far  dimenticare  le  recenti  parole  d'ingiuria*. 

Ottone,  avuti  tutti  gli  onori  dei  principi  e  salito  al  trono 
fra  i  cadaveri  e  il  sangue,  studiò  di  rassicurare  la  città 
e  di  quietare  i  soldati  avidi  e  minaccianti:  e  quantunque 
non  avesse  ancora  la  forza  da  proibire  il  mal  fare,  salvò 
dai  loro  strazi,  col  farlo  incatenare,  Mario  Celso,  uomo 
dabbene,  stato  fedele  a  Galba  fino  all'estremo. 

La  città,  spaventata  da  tante  atrocità,  ebbe  nuovo  ter- 
rore dall'avviso,  che  le  legioni  del  Reno,  non  potute  fre- 
nare da  Ordeonio  Fiacco  e  dagli  altri  capi  rimasti  fedeli 
a  Galba ,  creato  nuovo  imperatore,  marciavano  minac- 
ciose alla  volta  d'Italia. 

La  rivolta,  cominciata,  come  dissi,  prima  della  morte 

1  Tacito,  Hist.,  I,  21- li);  Plutarco,  Ott.,  5,  Galha,  '2?.-2?i\  Svetonio,  Galba^  19-20, 
Oth..  1-7,   Vespas.^  1  ;  Dione  Cassio,  LXIV,  r.-6;  Kutropio,  VII,  10. 


440  LE  LEGIONI  DEL  RENO  DANNO  L'IMPERO  A  VITELLIO  [Lib.  VII. 

di  Galba,  non  si  arrestò  quando  egli  fu  spento,  perchè  i 
soldati,  non  curanti  di  ciò  che  facevasi  a  Roma,  volevano 
un  capo  che  fosse  pieghevole  alle  loro  voglie.  Perciò  ave- 
vano inalzato  all'impero  Aulo  Vitellio,  messo  da  Galba  al 
Governo  della  Germania  Inferiore.  Era  figlio  del  sozzo 
adulatore  di  Caligola,  di  Claudio  e  di  Messalina,  e  lo 
rendevano  spregevole  vizi  grossolani,  e  la  cura  soverchia 
del  ventre,  e  la  insaziabile  voracità,  e  la  mancanza  di 
qualunque  senso  di  decoro  e  di  onore.  Da  giovinetto 
avea  servito  alle  infamie  di  Capri  :  poi  fu  parasito  e 
aiutatore  dei  vizi  alle  corti  di  Caligola,  di  Claudio,  e  di 
Nerone,  ed  ebbe  in  premio  più  ufticii.  Si  comportò  one- 
stamente nel  governo  dell'Affrica,  e  questo  è  il  solo  bene 
che  si  dica  di  lui.  A  Roma  nell'ufficio  di  edile  rubò  gli 
ornamenti  preziosi  dei  templi,  e  gettò  nella  voragine 
della  sua  gola  i  beni  ereditati  e  rubati.  Quando  Galba  lo 
mandò  governatore  in  Germania,  e  per  causa  dei  debiti  e 
della  miseria  non  poteva  partire,  si  liberò  dai  creditori 
con  fiere  minacce  d'accuse,  e  trovò  i  denari  occorrenti 
al  viaggio  appigionando  la  casa  paterna,  e  strappando 
una  perla  dalle  orecchie  di  sua  madre  Sestilia.  Lieto  di 
aver  modo  a  rifarsi  nella  provincia,  e  a  mangiar  più 
che  mai,  al  campo  si  porgeva  familiare  e  triviale  con 
tutti,  largo  donatore  del  suo  e  dell'altrui,  pronto  a  passar 
sopra  a  ogni  colpa,  a  far  grazie,  a  liberar  gli  accusati. 
Quindi  subito  divenne  oltremodo  caro  ai  soldati,  i  quali 
con  sediziose  grida  scuotendo  la  sua  tarda  natura  gli 
fecero  parer  bello  l'Impero  *.  Ma  nutriva  più  il  desiderio 
che  la  speranza,  finche  non  fu  più  vivamente  eccitato 
dai  legati  Alieno  Cecina  e  Fabio  Valente,  i  quali,  audaci 
e  avidi  di  farsi  con  una  mutazione  ricchi  e  potenti,  gli 
mostrarono  che  egli  più  di  ogni  altro  era  degno  del- 
l'onore supremo.   Ai  3   di  gennaio  Valente ,   accorso   in 

1  Svtonio,   VitelL,  3-8. 


Gap.  III.]  E  MUOVONO  PER  VIK  DIVERSE  CONTRO  L'ITALIA.       441 

Colonia  coi  cavalli  e  con  gli  ausiliari  della  prima  legione, 
lo  gridò  imperatore.  Aderirono  a  gara  gli  altri  soldati, 
e  ad  essi  furono  pari  in  ardore  i  Coloniesi,  i  Treviri  e  i 
Lingoni,  offrendo  all'esercito  aiuti  d'uomini,  d'armi,  di 
denari,  e  ogni  loro  facoltà.  Assentirono  alla  mutazione  i 
Galli,  parte  per  le  offese  patite  da  Galba,  parte  per  paura 
delle  minacciose  legioni,  e  i  presidi!  della  Belgica  e  della 
Lionese,  come  quelli  di  Rezia  e  Britannia  K 

Per  lo  che  i  sollevati  sentendosi  forti  chiedevano  ar- 
dentemente di  precipitar  subito  all'  assalto  d' Italia  e  di 
Roma:  e  quell'ardore,  compensando  il  difetto  del  duce,  che 
briaco  a  mezzo  dì  e  torpido  per  troppo  mangiare,  innanzi 
tempo  godeva  la  fortuna  del  principato  in  lusso  infin- 
gardo, fu  deliberata  e  presa  tosto  la  guerra.  Valente  mosse 
con  40  mila  armati  per  la  via  delle  Gallio  verso  le  Alpi 
Cozie:  Cecina  si  diresse  con  30  mila  uomini  alla  volta 
dei  monti  Pennini  (Gran  San  Bernardo):  e  Vitellio  dovea 
tener  dietro  con  gli  aiuti  di  Galha  e  con  tutto  il  pondo 
della  guerra. 

Le  Gallio  non  fecero  resistenza,  dopo  le  triste  sorti 
toccate  a  Divoduro  (Metz),  dove  l'esercito,  quantunque 
accolto  cortesemente,  uccise  ì  mila  persone.  Tutte  le  al- 
tre città,  tirate  da  amore  o  paura,  andarono  incontro  e 
aprirono  festevoli  e  supplichevoli  le  porte  a  Valente,  il 
quale  per  Lione,  Vienna  e  Savoia,  giunse  ricco  di  rapine 
alle  Alpi. 

Più  preda  e  sangue  fece  Cecina  contro  gli  Elvezii  ignari 
della  uccisione  di  Galba  e  ricusanti  di  obbedire  a  Vi- 
tellio. Egli  chiamò  i  Rezii  a  pigliarli  alle  spalle,  ed  empi 
di  crudeli  rovine  gli  ameni  luoghi,  ove  è  di  presente  la 
città  di  Baden  nel  cantone  di  Argovia,  frequentati  anche 
allora  per  salutiferi  bagni.  Sacco  e  sangue  per  tutto.  Gli 
abitatori,  fuggiti  nel  Giura  al  monte  Vocezio  (Boezberg) 

1  Tacito,  Hist.^  I,  50-59. 


442  IL  MONDO  DIVISO  TRA  OTTONE  E  YITELLIO.      [Ltk.  VII. 

e  perseguitati  per  selve  e  caverne,  caddero  a  migliaia 
0  furono  venduti  all'  incanto.  Aventico  ("),  loro  capitale 
destinata  alla  distruzione,  fu  salva  dalla  parola  di  un 
ambasciatore  eloquente.  Dopo,  Cecina,  passate  fra  le  nevi 
le  Alpi,  giunse  alle  pianure  del  Po,  dove  già  una  guar- 
nigione dichiaratasi  per  Yitellio  aveva  tirato  con  sé  le 
più  forti  città  transpadane,  Milano,  Novara,  Eporedia 
{Ivrea)  e  Vercelli  K 

Stettero  per  Ottone  le  legioni  di  Dalmazia,  di  Panno- 
nia  e  di  Mesia,  con  l'Egitto  e  l'AlTrica,  e  le  altre  province 
lontane  e  le  armi  di  oltremare.  Vespasiano  gli  tenne  fe- 
dele la  Giudea,  Muoiano  là  Siria.  La  Spagna  giurò,  e  poi 
si  volse  a  Vitellio  (''):  così  molti  luoghi  delle  Gallie,  quan- 
tunque fossero  dati  privilegii  per  tenerli  fedeli. 

Prima  di  venire  alle  mani  i  due  tristi  uomini  si  ten- 
tarono a  vicenda  con  lettere:  Ottone  offriva  a  ViteUio,  e 
questi  a  quello,  pecunia  e  favori  e  vita  sicura  a  patti  di 
lasciar  l'impresa:  dapprima  dolcemente  e  con  brutta  si- 
mulazione, poi  con  male  parole  o  con  rinfacciamenti 
scambievoli  di  loro  malvagità.  Studiarono  anche  di  cor- 
rompersi i  soldati,  e  l'uno  e  l'altro  mandò  vanamente 
assassini  al  rivale  ^. 

Pure  fra  questi  furori  la  famiglia  di  Vitellio  a  Roma 
non  pati  oltraggio  di  sorta.  Ottone  per  darsi  nome  di 
clemente  accolse  fra  i  suoi  intimi  e  pose  fra  i  capi  della 
guerra  Mario  Celso,  già  sottratto  alla  furia  dei  soldati 
e  confessante  la  fede  serbata  a  Galba,  e  promettente  di 
serbar  fede  uguale  al  nuovo  signore.  Questi  apparecchiò 
navi  e  uomini  con  energia  insolita  a  lui,  quantunque  fra 


{'^'■)  Avcnches  a  due  leghe  e  mezzo  da  Friburgo. 

(^)  Al  giuramento  allude  anclie  una  medaglia  coirepigrafe:  Cunsensus 
liispaniarum.  Vedi  Cavedoni,  in  Annal.  Istit.  archeolog.,  1851,  pag.  252- 

1  Tacito,  Hist.^    I,  Cn-70. 

2  Tacito,  Hist.^  I,  02,  71-70;  Svctonio,  Oth.,  8;  PUitsirco,  Ottone,  J. 


Gap.  hi.]  ROMA  IN  PREDA  DELLA  TIRANNIDE  E  DELLA  LICENZA.  443 

le  gravi  cure  non  iscordasse  anche  gli  amori  antichi. 
Fece  rialzare  le  statue  a  Poppea,  e  celebrare  Nerone, 
del  quale  per  primo  atto  del  suo  governo  ordinò  di  com- 
piere la  Casa  aurea  colla  spesa  di  50  milioni  (8,846,673 
lire  ital.),  e  rendè  gli  ufficii  ai  procuratori  e  liberti  di 
esso;  né  fece  segno  alcuno  di  rifiuto  quando  plebe  e  sol- 
dati lo  salutarono  Ottone  Nerone;  ed  è  detto  che  scri- 
vendo ai  governatori  delle  province  si  firmava  Nerone. 
Per  piacere  alla  città  fece  anche  dare  a  Tigellino  la 
morte,  chiesta  come  debito  puuhUco  dall'universale;  da 
una  parte  perchè  fautore,  dall'altra  perchè  traditore  di 
Nerone.  Lo  scellerato,  colto  ai  bagni  di  Sinuessa  senza 
aver  modo  di  scampo,  finì  tra  laidezze  di  concubine  e 
brutte  diuiore  la  infame  vita,  tagliandosi  la  gola  con  un 
l'asoio  ^ 

Ma  nulla  rassicurava  la  città,  incerta  tra  tirannide  e 
licenza  per  le  frequenti  mutazioni  dei  principi,  e  trava- 
gliata da  mali  crescenti.  Il  Tevere  straripando  fece  strage 
di  uomini  e  di  case.  Mancavano  il  lavoro,  il  denaro,  le 
vettovaglie:  infuriava  la  fame,  infuriavano  le  feroci  sol- 
datesche, cupide  di  metter  le  mani  negli  averi  e  nel 
sangue  sotto  colore  di  difendere  Ottone  dal  Senato  co- 
spirante contro  di  lui.  Mentre  egli  dava  un  gran  convito 
in  palagio  a  senatori  e  a  nobili  donne,  andò  un  falso  grido 
fra  le  coorti,  che  egli  era  a  pericolo  di  essere  assassinato. 
Quindi  i  soldati  mezzo  ubriachi  corsero  colle  spade  sguai- 
nate, uccisero  chi  tentasse  ritenerli,  entrarono  furiosi  in 
palazzo.  I  convitati  pieni  di  terrore  si  salvarono  fuggendo 
come  potevano  per  segrete  uscite,  e  l' imperatore  a  fa- 
tica potè  frenare  i  tumultuanti  con  preghi,  con  lacrime, 
con  donativi.  Anche  nel  giorno  appresso  stettero  deserte 
le  vie  e  chiuse  le  case.  1  soldati,  pieni  di  maltalento  con- 
tro ogni  nobile  e  ricco,  andavano    travestiti  a  spiare    i 

1  Tacito,  Hist..  I,  71,  72,  78;  Plalarco,  Ottone .  1-3;  Svetonio,  Oth..  7. 


444  OTTONE  MUOVE  ALLA  GUERRA  CONTRO  VITELLIO.  [Lib.  VIL 

segreti  domestici.  A  ogni  nuova  buona  o  trista  si  cam- 
biava animo  e  volto  per  non  mostrare  o  paura  o  poca 
allegrezza.  Tutto  pieni  di  sospetti:  i  tristi  soli  speravano 
di  avvantaggiarsi  dei  mali  pubblici. 


"f^^p-'  '^^a 


iton^'  {Muxco  CapUoì.,  Righetti^  I,  91). 


Finalmente  cominciava  la  guerra.  Ottone,  preparata 
la  llotta  per  assaltare  la  Gallia  Narbonese,  e  commessi 
fanti  e  cavalli  a  Svetonio  Paolino,  a  Mario  Celso,  e  a 
Licinio  Proculo  prefetto  dei  pretoriani,  nel  quale  fidava 


Gap.  III.]       FAZIONI  IN  LIGURIA  E  NELLA  NARBONESE.  445 

più  che  in  ogni  altro,  ai  14  marzo  celebrò  in  parlamento 
la  maestà  di  Roma,  e  la  concordia  del  Senato  e  del  po- 
polo nell'inalzare  lui  all'Impero.  Il  popolo  per  libidine  di 
servitù  gli  rispose  con  grida  adulatrici  e  false:  ed  egli, 
raccomandata  la  Ptepubblica  ai  Padri,  e  lasciato  il  sao 
fratello  L.  Salvio  Ottone  Tiziano  al  governo  della  città 
e  dell'Impero,  parti  per  la  guerra,  conducendo  seco  ma- 
gistrati e  personaggi  a  modo  di  corte,  e  molti  che,  non 
avvezzi  alle  pugne,  pompeggiavano  in  belle  armi,  in  ca- 
valli e  in  apparecchi  di  conviti  e  di  lascivie  ^ 

Cinque  coorti  pretoriane,  una  legione  e  2000  gladia- 
tori, sotto  il  comando  di  Annio  Gallio  e  di  Vestricio  Spii- 
rinna,  andarono  innanzi  a  pigliare  le  ripe  del  Po,  e  a  far 
testa  a  Cecina.  Seguiva  Ottone,  accompagnato  da  truppe 
scelte,  non  tardo  né  col  solito  lusso,  ma  pronto  e  pede- 
stre, innanzi  alle  insegne,  armato  di  lorica  di  ferro,  lu- 
rido*, polveroso,  dissimile  dalla  sua  fama  ("). 

La  sua  flotta  s' impadronì  di  quasi  tutta  l' Italia  occi- 
dentale fino  alle  Alpi  marittime,  e,  disertata  la  Liguria  e 
sfogata  l'ira  feroce  contro  Albio  Intemelio  (T^en^frr.f^fZfa)^ 
procede  alla  Gallia  Narbonese  per  arrestare  le  operazioni 
di  Valente:  ed  ivi  menò  atroce  strage  dei  Vitelliani  ve- 
nutigli contro,  e  li  forzò  a  ritrarsi  in  Antipoli  {Antibo).  E 
la  fama  di  questi  successi  tirò  anche  la  Corsica  e  la  Sar- 
degna alle  parti  di  Ottone  -. 

Dall'altra  parte  Cecina,  felice  nei  primi  scontri,  aveva 
occupato  i  luoghi  più  fiorenti  dal  Po  alle  Alpi.  Compariva 
in  saio  di  vari  colori  e  in  brache  all'  uso  dei  Galli  con 
Salonina  sua  moglie,  montata  su  nobile  palafreno  coperto 
di  porpora.  Tentò  di  corrompere  i  nemici   e  fu  tentato 

C)  Pedester,  ìiorridus,  incomptus,  famaeque  dissimilis.  Tacito,  Hist., 
II,  11.  Ciò  contrasta  al  detto  di  Giovenale  (lì,  104):  Speculum  civili^ 
sarcina  belli  1 

1  Tacito,  Hist.^  I,  71-90;  Svetonio,  Olh.^  S;  Plutarco,  Oliane^  3-5;  Dione.  LXIV 

2  Tacito,  mst..  Il,  11-17. 

Vannucci  —  Storia  dell'  Italia  antica  —  IV.  50 


44G  DISCORDI  !  CAPI,  INDISCIPLINATE  LE  TRUPPE.     [Lib.  VII. 

da  essi:  assali  Piacenza  con  grande  sforzo,  e  respinto 
vergognosamente  da  Spurinna  ripassò  il  Po,  si  diresse  a 
Cremona,  e  a  12  miglia  da  essa  fu  battuto  di  nuovo  dagli 
altri  duci  di  Ottone,  e  avrebbe  patita  piena  sconfitta,  se 
Svetonio  Paolino  per  soverchia  prudenza  non  suonava 
troppo  presto  a  raccolta. 

Erano  discordi  i  capi,  indisciplinate  le  truppe.  A  Sve- 
tonio Paolino,  che  era  il  capitano  più  grande  di  questi 
tempi,  e  a  Mario  Celso,  e  ad  altri,  duci  di  vigore  e  di 
senno,  diceva  villanie  ogni  peggior  soldato.  E  Ottone, 
che  credeva  a  ogni  più  vile  e  temeva  dei  buoni,  gli  facea 
tener  d'occhio  da  Licinio  Proculo  prefetto  dei  pretoriani 
non  pratico  di  cose  di  guerra,  con  ordine  di  fomentare 
tra  essi  gelosie  e  divisioni  stimate  buone  a  tenergli  fe- 
deli: e  alla  fine  chiamò  da  Pioma  Tiziano,  suo  fratello, 
e  lo  fece  supremo  capo. 

Dall'altro  canto  l'esercito  di  Valente,  composto  di  Ba- 
tavi,  di  Treviri,  di  Tungri,  di  Galli,  di  Liguri  misti  ai 
legionarii,  era  corso  agli  estremi  disordini.  Levatisi  a 
tumulto  contro  il  duce,  lo  avevano  forzato  a  nascondersi 
travestito  da  schiavo:  poi  impauriti  dal  vedersi  senza 
capo,  e  dalle  conseguenze  di  loro  anarchia,  lo  ricerca- 
rono, gli  fecero  gran  festa,  lo  portarono  in  trionfo.  Ce- 
cina e  Valente  si  astiavano,  si  rinfacciavano  loro  colpe 
scambievolmente.  Ma  nel  pericolo,  posti  giù  i  gelosi  pen- 
sieri e  i  rancori,  congiunsero  insieme  tutte  le  forze  con 
animo  di  finir  la  guerra  in  una  giornata  campale. 

Allora  Ottone  tenne  consiglio  sul  partito  da  prendere. 
Svetonio  Paolino ,  famoso  per  le  sue  geste  di  Britannia 
e  tenuto  pel  più  accorto  guerriero  del  suo  tempo  dimo- 
strò che,  mentre  al  nemico  necessitava  la  fretta,  l' in- 
dugio era  senno  per  essi,  abbondanti  di  tutti  i  comodi, 
difesi  dal  Po  e  da  città  forti ,  e  vicini  a  ricevere  pode- 
rosi rinforzi  di  Pannonia  e  di  Mesia.  Mario  Celso  e  Annio 
Gallo   furono   dello    stesso  avviso.  Ma  Ottone   ardeva  di 


Gap.  III.]  GLI  OTTONIANI  SCONFITTI  A  BEDRIACO.  4-17 

combattere.  Tiziano  e  Proculo  per  ignoranza  avevano  il 
medesimo  desiderio:  battaglia  chiedevano  i  pretoriani, 
cupidi  di  tornare  alle  delizie  di  Roma.  Quindi  fu  risoluto 
il  combattere,  e  con  più  tristo  consiglio,  che  fece  cader 
l'animo  a  molti,  spinsero  l'imperatore  a  non  pigliar  parte 
alla  pugna  e  a  ritrarsi  coi  migliori  in  Brescello,  ove  si 
serberebbe  all'ultimo  uopo  e  all'Impero. 

La  battaglia  (15  aprile),  detta  di  Bedriaco  da  un  borgo  Anni  di  ro- 
fra  Cremona  e  Verona,  fu  cominciata  sulle  rive  del  Po.  g.Vou  ' 
I  Vitelliani  erano  superiori  d'ordine,  di  prodezza,  di  nu- 
mero. Agli  altri  mancava  la  disciplina  e  la  perizia  dei 
supremi  capi,  ai  quali  Celso  e  Paolino  gridarono  invano, 
non  doversi  assahre  il  nemico  riposato  con  soldati  stan- 
chi per  una  marcia  di  16  miglia.  Pure  anche  con  questi 
svantaggi  dettero  dentro  ferocemente,  e  al  principio  fece 
belle  prove  la  prima  legione.  Poi  essa  perde  il  legato  e 
molte  bandiere:  andarono  a  sbaraglio  i  gladiatori,  fu  rotta 
la  legione  decimaterza,  fu  sgominato  il  centro,  fuggirono 
i  duci,  e  tutti  gli  Ottoniani  corsero  a  precipizio  verso 
Bedriaco,  e  per  la  lunga  via  patirono  grande  uccisione, 
perchè  la  guerra  civile  non  permetteva  di  far  prigio- 
nieri. Dione  affermò  che  tra  questa  battaglia  e  il  fatto 
accaduto  precedentemente  presso  a  Cremona  perirono 
40  mila  uomini.  I  soldati  fuggiti  a  tumulto  infuriavano 
contro  i  capi,  chiamandoli  traditori  per  volgere  in  altri 
la  propria  vergogna,  e  a  fatica  furono  ritenuti  dal  voltare 
le  spade  contr'essi  e  dall' aggiungere  l'infamia  ai  mali 
della  sconfitta.  Nel  giorno  appresso,  raccoltisi  da  varie 
parti  nel  campo,  chiesero  pace  al  nemico  e  la  ebbero. 
Allora,  dice  Tacito,  vinti  e  vincitori  con  lacrime  dirotte 
e  con  miseranda  allegrezza  esecravano  le  armi  civili. 
Nelle  medesim.e  tende  chi  de'  fratelli,  chi  de'  parenti  me- 
dicavano le  ferite.  Le  speranze  e  i  piaceri  erano  dubbi, 
le  morti  e  i  lutti  certi:  non  vi  fu  chi  non  avesse  ninno 
da  piangere. 


448 


OTTONE  SI  UCCIDE  A  BRESCELLO. 


LiB.  VII. 


Giunta  la  nuova  della  disfatta  in  Brescello,  i  soldati 
facendosi  intorno  ad  Ottone,  con  grande  amore  lo  prega- 
vano, non  disperasse.  Gli  ricordarono  che  vi  era  ancora 
un'oste  fedele,  e  pronta  a  ogni  estremo,  e  che  presto 
giungereblDero  i  rinforzi  di  Mesia.  Ma  Ottone,  coraggioso 
e  di  sé  risoluto,  li  ringraziò  di  loro  fedeltà,  disse  esser 
fermo  a  non  voler  cercare  con  nuovo  sangue  civile  il  suo 
scampo.  Confortò  i  piangenti ,  premiò  gli  amici ,  pregò 
tutti  a  partirsi  per  non  irritare  l' ira  del  vincitore,  arse 
le  lettere  in  cui  fossero  parole  di  lode  a  lui  e  di  vitupero 
a  Yitellio,  e  quindi  nella  notte  si  trafisse  colla  sua  spada. 
Così  fini  l'avventuriere  disceso  da  famiglia  etrusca  ori- 
ginaria di  Ferento,  antica  città  presso  a  Viterbo  sulla 
sinistra  della  via  di  Montefiascone,  ove  ne  rimangono 


Rovine  del  teatro  di  Feronto  {Dennis). 


più  rovine  di  sepolcri,  e  di  altri  edificii  tra  cui  sorgono 
ancora  maestose  le  rovine  delie  arcate,  delle  mura  e 
delle  porte  del  vecchio  teatro  ricordanti  le  forti  costru- 
zioni etrusche  di  massi  rettangolari  senza  cemento,  unite 
ai  ruderi  di  altre  opere  dell'architettura  romana  proba- 


Gap.  III.]  LA  MORTE,  LA  VITA,  I  FATTI  E  I  DETTI  DI  OTTONE.  440 

bilmente  dei  tempi  di  Ottone  Q').  Egli  fini  a  37  anni  dopo 
95  giorni  di  tristissimo  regno,  glorificato  come  un  eroe 
per  la  morte  dissimile  dalla  sua  molle  vita.  Tutti  gli 
storici  celebrarono  la  fortezza  dell'effeminato,  che,  fa- 
cendo la  scimmia  a  Catone,  protestava  di  morire  per  la 
pace  di  Roma.  Ma  altri  con  ragione  può  domandare,  se 
l'uomo  caduto  in  fondo  alla  più  vile  mollezza  non  si  uc- 
cidesse piuttosto  per  non  esser  capace  a  lottare  contro 
le  estreme  difficoltà,  e  a  sopportare  le  incertezze  fra 
il  timore  e  la  speranza;  e  se  meriti  lode  di  eroe  il  mae- 
stro di  voluttà  e  d'infamie  a  Nerone,  lo  sconcio  merca- 
tante della  moglie  Poppea,  il  quale  dopo  aver  fuggito  la 
morte  in  battaglia  mostra  la  forza  allora  comune  anche 
alle  donne,  e  si  uccide  quando  non  può  salvare  in  modo 
alcuno  la  vita,  e  dice  esser  meglio  la  morte  di  uno  per 
tutti  che  quella  di  tutti  per  uno,  quando  Roma  è  piena 
del  sangue  dei  cittadini  sparso  per  opera  sua,  e  40  mila 
uomini  giacciono  cadaveri  nelle  pianure  del  Po  per  so- 
stener lui  corso  a  scellerata  guerra  civile  per  salvarsi 
dai  debitori,  e  continuare  allegramente  la  sua  turpe  vita. 
I  soldati,  facilissimi  all'ammirazione  pei  duci  larghi  di 
doni,  e  di  licenza  a  misfare,  lo  piansero  come  uomo  for- 
tissimo, e  parecchi  si  uccisero  intorno  al  suo  rogo.  Poi 
fecero  tumulto  per  dar  di  nuovo  l'Impero  a  Virginio 
Rufo,  0  mandarlo  ambasciatore  per  essi  al  nemico:  ed 
egli,  fermo  più  che  mai  al  rifiuto,  si  salvò  colla  fuga  *. 

Roma  alla  notizia  della  vittoria,  che  portava  nuova 
mutazione   di  principe,  disse   contumelie   a   Ottone   ca- 

(")  Degli  antenati  di  Ottone  scrive  Svetonio  al  principio  della  sua  vita 
che  nacquero  oppido  Ferentino,  familia  vetere  et  honorata ,  atque  ex 
principibus  Etruriae.  Per  le  rovine  della  città  e  del  teatro  vedi  Canina, 
Topografia  dell'antica  città  di  Perento,  in  Annal.  Istit.  arch.,  1837,  e 
Dennis,   The  cities  and  cemeteries  of  Etruria,  I,  201-208. 

l  Tacito,  ffisf.^  II,  18-51;  Svetonio,  Oth. .  9-12;  Plutarco,  Ottone^  G-18;  Dione  Cassio, 
LXIV,  10-15.  Vedi  anche  Marziale,  VI,  32,  <•  conf.  Giovenale,  II,  99-109. 


450  L'ITALIA  STRAZIATA  DA  TUTTE  LE  PARTI.      [Lib.  VII. 

duto,  fece  plausi  a  Vitellio  vincitore:  e  il  Senato,  tremante, 
gli  decretò  quanti  più  onori  si  trovarono  mai  per  prin- 
cipe stato  lungamente  sul  trono,  e  con  ambascerie  mandò 
agli  eserciti  lodi  e  ringraziamenti.  Il  popolo  portò  le 
imagini  di  Galba  intorno  ai  templi  con  corone  di  fiori  e 
d'alloro,  e  con  esse  gli  fece  come  un  sepolcro  nel  luogo 
dove  fu  trucidato  ^ 

Intanto  la  povera  Italia  rimaneva  disonestamente  stra- 
ziata per  queste  infami  battaglie,  nelle  quali  trattavasi 
solamente  di  quale  dovesse  prevalere  tra  i  contendenti, 
famosi  per  dappocaggine  e  per  brutti  costumi.  Già  i  sol- 
dati di  Ottone,  nel  muovere  alla  guerra,  avevano  trattato 
le  patrie  contrade  come  paese  straniero.  In  Liguria  di- 
sertate le  coste,  arse  e  rubate  le  città.  Albio  Intemelio 
{Ventimiglia)  patì  orribile  strazio  -.  Dall'altra  parte  rube- 
rie e  distruzioni  dei  barbari  venuti  d'oltre  Alpe.  A  Pia- 
cenza andò  distrutto  un  magnifico  anfiteatro.  I  capi  met- 
tevano contribuzioni  di  ogni  maniera,  rubavano  nemici 
ed  amici,  e  per  immense  rapine  non  si  appagava  la  fiera 
ingordigia  3.  Né  i  mali  cessavano  col  tacere  delle  armi: 
dopo  la  battaglia  le  misere  contrade  furono  afllitte  più 
atrocemente  che  in  tempo  di  guerra.  «  I  Vitelliani,  sparsi, 
dice  Tacito,  per  municipii  e  colonie,  spogliavano,  rapi- 
vano, stupravano:  niun  riguardo  a  sacro  o  profano:  uc- 
cisi i  particolari  nemici  sotto  specie  di  soldati  di  Ottone. 
I  soldati  pratici  del  paese  destinavano  a  preda  i  fertili 
campi,  le  ricche  case,  e  chi  contrastasse  uccidevano:  nò 
i  capi  ardivano  di  rattenerli.  Cecina  era  meno  avido, 
ma  più  ambizioso:  Valente,  infame  per  brutti  guadagni, 
dissimulava  perciò  le  colpe  alti'ui.  L'Italia,  spossata  già 
da  gran  tempo,  non  poteva  più  tollerare  tanti  soldati,  e 
violenze  e  oltraggi  »  '•. 

1  Tacito,  Hist.,  ir,  5r)-,  Dione  Cassio,  LXV,  1. 

2  Tacito,  Hìst.,  Il,  12,  13,  Agric,  7. 

3  Tacito,  Hist.,  II,  21;  Dione  Cassio,  LXIV,  10;  rintarco.  Oltane,  G. 
*  Tacito,  Hist..  II,  56. 


Cap.  III.]  ORGIE  E  IMMANITÀ  DI  VITELLIO.  451 

Poi  rimaneva  a  nutrire  la  insaziabile  voracità  di  Vi- 
tellio,  che,  udita  nelle  Gallio  la  morte  di  Ottone,  mosse 
alla  volta  di  Roma  facendosi  portare  a  modo  di  trionfante 
in  mezzo  a  un  esercito,  pieno  di  scompiglio,  di  crapule, 
di  baccani.  Egli  rideva  delle  rapine  dei  suoi  familiari  *,  e 
attendeva  più  che  mai  a  grandi  apparecchi  di  mense  e  a 
piaceri  di  ventre.  Fu  ricerca  e  saccheggiata  tutta  l'Italia 
dall'uno  all'altro  mare  per  apprestargli  squisiti  cibi:  i 
grandi  e  le  città  si  rovinavano  in  imbandigioni  di  mense. 

Al  giungere  di  qua  dalle  Alpi  gli  disturbava  i  sozzi 
piaceri  il  pensiero  dei  soldati,  statigli  contro  a  Bedriaco, 
e  quindi  per  liberarsi  da  quella  molestia  fece  uccidere  i 
centurioni  mostratisi  più  prodi  e  più  devoti  al  nemico, 
sciolse  i  pretoriani,  rimandò  gli  stranieri  ai  loro  paesi, 
disperse  qua  e  là  le  legioni,  e  seminò  nuove  cagioni  di 
guerra.  Tra  i  capi  principali  Paolino  e  Proculo,  lunga- 
mente straziati,  alla  fine  si  salvarono  col  sostenere  di 
essere  stati  traditori  ad  Ottone.  Mario  Celso  la  scampò 
senza  viltà;  e  Salvio  Tiziano  ne  uscì  a  nome  della  pietà 
pel  fratello,  e  della  sua  dappocaggine  2. 

Tutto  il  viaggio  fu  brutto  di  orgie  e  di  sangue  sparso 
tra  i  vincitori  stessi,  che  corrotti  dall'esempio  del  capo 
venivano  a  risse,  e  si  davano  dei  ferri  nel  petto.  A  Cre- 
mona Vitellio  assistè  allo  spettacolo  dei  gladiatori,  prepa- 
rato da  Cecina,  e  poi  volle  vedere  nei  campi  di  Bedriaco 
i  tristi  vestigi  della  recente  vittoria,  e  passeggiò  lieto  nei 
luoghi  devastati  dalla  guerra  fraterna,  lordi  ancora  di 
tabe,  pieni  di  corpi  laceri  e  di  tronche  membra,  mentre 
i  Cremonesi  gli  spargevano  la  via  di  fiori,  e  gli  uccide- 
vano vittime.  11  mostro,  non  commosso  da  tanto  strazio 
di  uomini ,  bevve  allegramente  tra  i  cadaveri  e  disse 
che  il  sangue  dei  nemici  mandava  odor  buono,  e  meglio 
quello  dei  cittadini.  Fu  un  osceno  tripudio,  che  agghiaccia 

1  Svetonio,   VilelL,  10. 

2  Tacito,  Hisl.^  II,  00. 


452  VIAGGIO  A  ROMA  TRA  RAPINE,  EBBREZZE  E  STRAGI.  [Lib.  VII. 

solo  a  pensarvi,  e  l'orrore  si  tempera  al  solo  ricordo  di 
un  umano  alletto  mostrato  dai  soldati,  che  piansero  alla 
fiera  vista  *. 

Poi  nuovo  spettacolo  di  gladiatori  a  Bologna,  e  nuove 
e  più  fiere  crudeltà  pel  cessare  della  paura,  che  gli  era 
venuta  dagli  emuli.  Neil'  appressarsi  a  Roma  si  faceva 
più  dispregevole  per  lordure  sue,  e  di  eunuchi,  di  istrioni 
e  giullari  amici  suoi  per  comunanza  di  vituperi.  Lo  se- 
guivano 60  mila  uomini  licenziosissimi,  e  numero  mag- 
giore di  servi  e  di  vivandieri.  Grande  anche  il  corteggio 
dei  familiari,  dei  cavalieri  e  dei  senatori  venuti  a  incon- 
trarlo per  adulazione  o  paura.  Incredibili  le  rapine.  Per 
ammassar  provvisioni  furono  devastate,  come  paese  ne- 
mico, le  città  e  le  campagne  biondeggianti  di  messi'.  I 
soldati,  discordi  tra  loro,  s'intendevano  solo  nel  rapire, 
neir uccidere  i  miseri  abitatori,  e  nell' empir  tutto  di 
paura.  Strage  immensa  accadde  a  sette  miglia  da  Roma, 
ove  Vitellio  distribuiva  largamente  cibo  alle  milizie,  come 
avesse  a  ingrassare  gladiatori.  Vi  corse  per  diletto  molta 
plebe  dalla  città,  e  come  si  divertiva  a  scherzare  to- 
gliendo le  cinture  ai  soldati,  quegli  animi  fieri,  non  usi 
ad  esser  beffati,  corsero  con  le  spade  ignudo  addosso 
agli  inermi  e  tra  gli  altri  fu  ucciso  il  padre  di  un  soldato 
che  accompagnava  il  figliuolo.  Anche  Roma  andò  sotto- 
sopra per  le  milizie  precorsevi,  che  vestite  di  pelli  di 
fiere  e  ornate  di  grossi  dardi,  per  nulla  menavano  le 
spade  ed  empivano  le  vie  di  terrore  e  di  strage  -. 

Vitellio  fece  solenne  entrata  sopra  superbo  corsiero 
col  popolo  e  Senato  innanzi,  e  i  soldati  attorno.  Il  giorno 
appresso,  salito  al  Campidoglio,  fece,  con  gran  diceria,  le 
lodi  della  sua  industria  e  temperanza  davanti  a  quelli 
stessi,  che  lo  avevano  veduto  traversare  l'Italia  ebbro  e 
sonnolento.  11  popolo  strepitò  colle  solite  adulazioni  im- 

«  Tacito,  Hist.^  II,  70;  Svetonio,  VitelL.  10;  Dione  Cassio,  I,XV,  1. 
2  Tacilo,  Hist.^  II,  87,  8S 


Cap.  lil.]  FAMIGLIA,  GOVERNO  E  VORACITÀ  DI  VITELLIO.  453 

parate,  mentre  insolentivano  i  soldati,  sparsi  senz'ordine 
pei  portici,  pei  templi,  per  la  valle  del  Vaticano.  Cecina 
e  Valente,  discordi  e  gareggianti,  governavano  ogni  cosa, 
rapivano  le  case,  e  i  giardini  dei  particolari  e  le  ricchezze 
dell'Impero.  Alla  brutta  corte  era  gara  di  turpitudini  tra 
liberti,  istrioni  e  cocchieri  fatti  potenti.  Feroce  si  mo- 
strò Lucio,  fratello  del  principe:  feroce  più  che  donna, 
Triaria  moglie  di  quello.  Galeria  moglie  di  Vitellio  si 
tenea  modesta,  ne  aftlisse  gli  afflitti:  e  Servilia  madre  di 
lui  serbò  l'antico  costume,  e  non  fatta  baldanzosa  per 
lusinghe  di  fortuna,  né  per  corteggiamenti,  sentì  solo  i 
mali  della  sua  casa.  Dal  principato  del  figlio  non  cavò 
altro  che  pianto  e  buona  fama.  Andò  voce  che  fosse  uc- 
cisa da  lui,  0  che  si  avvelenasse  per  tedio  del  presente 
0  per  paura  dell'avvenire  K 

Vitellio  attese  anche  a  far  leggi,  intervenne  nella  Curia 
a  discutere,  e  contradetto  da  f]lvidio  Prisco  ricordò  come 
egli  avesse  già  dissentito  da  Trasea,  e  fece  ridere  colla 
temerità  del  confronto.  Ordinò  come  Pontefice  Massimo 
le  feste  pubbliche,  sebbene  fosse  ignorante  di  ogni  ra- 
gione umana  e  divina.  Per  mostrare  a  qual  modello  mi- 
rasse nel  suo  governo,  fece  celebrare  nel  Campo  Marzio 
solenni  funerali  a  Nerone,  e  la  città  pose  in  mano  di  vi- 
lissimi  istrioni  e  cocchieri.  Cacciò  gli  indovini  d'Italia,  e 
proibì  ai  cavalieri  di  dare  spettacolo  di'sè  nella  palestra 
e  in  teatro,  ma  soprattutto  era  occupato  a  mangir.re  ^. 
Tutti  affaccendati  a  preparare  incredibili  imbandigioni  a 
quella  gola,  insaziabile  come  voragine.  Orgie  e  ubria- 
chezze il  giorno  e  la  notte.  Mangiava,  vomitava,  tornava 
a  mangiare.  Si  faceva  convitare  da  questo  e  da  quello,  e 
alcuni  per  lo  smisurato  spendere  andarono  falliti.  Nella 
cena  datagli  dal  fratello  al  suo  entrare  in  città  furono 
imbanditi  duemila  uccelli  e  settemila  pesci  rarissimi.  Costò 

1  Tacito,  Hist.,  II,  63,  01,  90,  02,  03,  III,  67;  Svotonio,   Vite'!.,  11. 
»  Tacito,  Hist.^  II,  02,  .S7,  01,  95;  Svetor;io,    Vileìl.^  11-11. 
Van.nucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  57 


454  T.  FLAVIO  VESPASIANO.  [Lib.  VII. 

un  milione  di  sesterzi  (76,932  lire  ital.)  un  piatto  fatto  fare 
in  una  fornace  edificata  a  quest'uopo,  chiamato  Scudo  di 
Minerva  per  la  sua  smisurata  grandezza,  pieno  di  fegati 
di  scari,  di  cervelli  di  fagiani  e  paoni,  di  lingue  di  pap- 
pagalli e  di  latte  di  murene,  pescate  dal  mar  Carpazio 
fino  al  mare  di  Spagna.  Era  sì  lordo,  che  ai  sagrifìzi  si 
gettava  a  divorare  le  viscere  delle  vittime,  e  viaggiando 
entrava  per  le  cucine  delle  osterie,  e  trangugiava  ogni 
avanzo.  In  pochi  mesi  détte  fondo  a  900  milioni  (159,239,038 
lire  it.)  di  sesterzi  *,  e,  mentre  le  medaglie  lo  figuravano 
in  atto  di  sollevare  Roma  prostrata,  avrebbe  divorato 
l'Impero,  se  le  legioni  di  Oriente  e  il  nome  di  Vespasiano 
non  venivano  a  disturbargli  i  conviti  ('). 

T.  Flavio  Vespasiano,  che  inalzò  al  trono  la  oscura 
gente  dei  Flavi,  veniva  dalle  terre  Sabine,  e  sua  madre 
Vespasia  Polla  da  cui  prese  il  nome  era  nativa  di  Nursia. 
Egli  nacque  a  Falacrine,  piccolo  borgo  al  di  là  di  Rieti  (^), 
dove  anche  oggi  la  valle  Falacrine,  e  la  chiesa  di  San  Sil- 
vestro in  Falacrino  conservano  il  nome  antico  del  luogo. 
Sulle  prime  si  fece  largo  col  blandire  i  potenti.  Adulò 
bruttamente  Caligola  col  chiedergli  di  celebrare  i  giuochi 
per  la  sua  ridicola  vittoria  in  Germania,  col  proporre  in 
senato  che  ai  congiurati  Getulico  e  Lepido  fosse  negata 
la  sepoltura:  cercò  la  protezione  dei  liberti  di  Claudio,  e 
fu  duce  in  Germania,  e  poscia  si  acquistò  alta  gloria  nelle 
guerre  della  Britannia,  dove  è  detto  che  prese  20  città, 
assoggettò  l'isola  Vecte  (Wiglit),  e  vinse  30  battaglie:  e  ne 
ebbe  in  premio  gli  ornamenti  trionfali  e  due  sacerdozi  e 

C)  In  una  medaglia,  coU'epigrafe  Urbem  restitutam,  si  vede  Vitellio 
accompagnato  da  due  soldati  in  atto  di  sollevare  Roma  prostrata.  Cave- 
<loni,  in  Annoi.  Jstit.  archeolog.,  1851,  pag.  253. 

(^)  Nalns  in  Sahinis  ultra  Reale,  vico  modico,  cui  nonun  est  Pha- 
lacrine.  Svetonio,  Vespas.,  2.  Vedi  Gu^ittani,  ^lomcnenti  Sai/ini,  voi.  I, 
p.  OG-97,  e  li,  pag.  203-264,  tav.  39. 

l'h'acito,  nùt.^  ir,  i'5-,  Svttonio,  ViteU.^  l:'.;  rione,  LXV,  S-l;  Plinio,  XXXV,  l''>. 


Gap.  III.] 


T.  FLAVIO  VESPASIANO. 


455 


poi  il  consolato.  Era  fiero  soldato,  pronto  di  mano  e  di 
consiglio;  appariva  il  primo  ai  pericoli,  sopportava  disagi  e 
fatiche,  sapeva  farsi  amare  dai  soldati  senza  corromperli. 
Sotto  Nerone  ebbe  favori  e  patì  disgrazie  perchè,  invece 
di  porgersi  attento  e  plaudente,  si  addormentava  ai  canti 
del  citaredo:  tornò  povero  dal  governo  dell'Affrica,  e 
di  cavalli  e  di  schiavi.  Poscia  fu 


S\n  Silvestro  Falacrino  {GicnUinij. 

mandato  a  domare  la  ribellata  Giudea  ',  d'onde  la  fama 
di  gran  capitano  lo  condusse  all'impero. 

I  Giudei  si  erano  sollevati,  perchè  non  potevano  più 
reggere  alla  cruda  tirannide  dei  governatori  romani.  Pi- 
lato, messo  colà  da  Sciano,  vendeva  le  sentenze,  rubava, 
uccideva,  e  nel  tempio  di  Gerusalemme  mescolò  il  san- 
gue del  popolo  a  quello  dei  sacrifizi  ^.  In  appresso  furono 

1  Svetonio,  Vespas.^  2-1;  Tacito  Ann.,  XVI,  5,  Hist.,  U,  5,  97,  Agr-,  13  e  17. 

2  Filone,  Legazione  a  Caio;  Luca,  Eoang..  XIII,  1. 


456  SOLLEVAZIONE  DEI  GIUDEI.  [Lib.  VIL 

ferocissimi  i  governi  del  liberto  Felice  ',  come  quelli  dei 
procuratori  Albino  e  Gessio  Floro  sotto  Nerone.  Continue 
le  iniquità,  le  offese,  le  rapine,  le  stragi  ^.  Quindi  fre- 
quenti i  tumulti:  bande  armate  correvano  i  monti:  cre- 
sceva ogni  di  il  desiderio  di  scuotere  l'insopportabile 
giogo,  e  s'infiammavano  tutte  le  passioni  religiose  e  po- 
litiche per  opera  di  predicatori  ispirati  e  d'impostori 
profetizzanti,  i  quali  traevano  a  sé  malandrini  e  sicarii, 
e  facevano  farneticare  le  turbe,  promettendo  loro  che 
Dio  farebbe  miracoli  per  liberarle  dalla  schiavitù  ^.  Erano 
divise  le  città  e  le  famiglie.  A  Gerusalemme  in  numerose 
assemblee  gli  amatori  della  indipendenza  nazionale  si 
accendevano  con  canti  e  preghiere  e  commenti  alla  legge. 
1  più  caldi,  chiamati  zelanti,  ripetevano  doversi  con 
guerra  disperata  cacciare  la  dominazione  straniera  o  mo- 
rire: i  più  temperati  volevano  la  lotta,  ma  con  speranza 
di  accomodamenti:  altri  stimando  mortale  follia  la  spe- 
ranza di  resistere  alla  onnipotenza  di  Roma  contrasta- 
vano in  tutti  i  modi  alla  guerra:  e  tra  essi  i  non  caduti 
sotto  il  ferro  degli  assassini  o  nelle  lotte  della  guerra 
civile,  ai  giorni  estremi  si  ripararono  nel  campo  nemico. 
Alla  fine  il  partito  estremo  prevalse,  e  il  grido  della  ri- 
volta risuonò  per  tutte  le  terre  giudaiche.  Alle  richieste 
dei  sacerdoti  e  dei  nobili  Floro  mandò  da  Cesarea  a  Ge- 
rusalemme una  parte  delle  sue  truppe.  1  soldati  per  più 
giorni  sostennero  grossa  battaglia  contro  la  città  solle- 
vata: ma,  non  soccorsi,  furono  dalla  necessità  delle  cose 
costretti  ad  arrendersi.  Capitolarono  a  condizione  di  aver 
salve  le  vite,  e  presi  e  disarmati  furono  uccisi  contro  la 
fede  dei  patti  giurati.  Invano  Cestio  Gallo,  governatore 
di  Siria,  accorse  con  forte  oste  al  riparo.  L'entusiasmo 


1  Tacito,. //?s^.  V,  0. 

2  Giuseppe  Flavio,  Guerra  Giinl.^    U,   12-1 1,  Anllcìnlà  Giud.^  XX,  0-9,  11;  Tacito, 
Ann.,  Xll,  54. 

'i  ninseppu  l-'lavio,  Guerra  CiniL,  II,  1">. 


Gap.  III.]  VESPASIANO  MANDATO  A  REPRIMERLI.  457 

détte  di  nuovo  la  vittoria  agli  insorti:  anche  il  governa- 
tore fa  battuto  e  fugato  '. 

Gli  insorti  provvidero  gagliardamente  alla  guerra,  or- 
dinarono la  difesa  per  tutto  il  paese,  afforzarono  le  mura 
di  Gerusalemme,  fabbricarono  armi:  la  gioventù  correva 
a  gara  agli  esercizi  guerreschi,  e  le  donne  stesse  erano 
ardentissime  a  difendere  la  libertà  -.  Di  questi  gravissimi 
fatti,  accaduti  negli  ultimi  anni  di  Nerone,  giunse  a  lui 
la  novella  in  Acaia,  mentre  era  intento  ai  trionfi  di  ar- 
tista. A  reprimergli  faceva  mestieri  di  forte  esercito  e 
di  prode  condottiero,  e  fu  scelto  Vespasiano,  perchè, 
quantunque  non  godesse  allora  le  grazie  del  principe, 
stimavasi  il  solo  capace  a  domare  i  ribelli,  e  non  dava 
sospetto  a  cagione  degli  oscuri  natali.  Egli  mosse  all'im- 
presa con  Tito  suo  figlio,  e  con  oste  forte  di  numero  e 
di  disciplina.  Radunò  a  Tolemaide  (S.  Giovanni  d'Acri) 
60  mila  combattenti ,  s' intese  coi  partigiani  di  Roma 
sparsi  pel  paese  nemico,  fece  ogni  apparecchio  oppor- 
tuno, e  quindi  cominciò  l'invasione  nelle  terre  giudaiche, 
e  mise  tutto  a  ferro  e  a  fiamme. 

Non  è  qui  luogo  a  narrare  partitamente  le  prodezze 
di  Vespasiano,  né  le  eroiche  prove  fatte  dai  Giudei  a  di- 
fesa della  indipendenza  nazionale.  Il  grande  e  luttuoso 
argomento,  di  cui  ci  lasciò  i  principali  ricordi  Giuseppe 
Flavio,  giudeo  traditore  di  sua  gente,  fu  non  ha  guari 
trattato  nobilmente  da  un  dotto  Ebreo,  che  aveva  il 
cuore  e  l'ingegno  e   l'eloquen-za  da  ciò  (-'),  e  a  noi  non 

(«)  Vedi  Salvador,  Hialoire  de  la  domination  romaine  en  Judée, 
Paris  e  Bruxelles  1847.  Vedi  anche  Renan  {L'AntecJvist,  Paris  1873, 
chap-  X,  XII  e  XiX)  il  quale  più  recentemente  accoppiando  le  vicende 
dei  Giudei  alle  sorti  Cristiane,  e  illustrandole  colle  tradizioni  della  Chiesa 
nascente  e  della  vecchia  Sinagoga,  espose  le  peripezie,  l'esaltazione  feroce, 
f  Teroismo  della  patria  giudaica,  e  cercò  le  cause  delia  lotta  nella  singo- 

1  Giuseppe  Flavio,  Guerra  Giuri.,  Il,  17-20;  Tacito,  Hht.,  V,  10;  Svetonio,  Vespas.,  \. 

2  Giuseppe  Flavio,  Guerra  Giud.,  II,  2-2;  Tacito,  Hist...  V,  13. 


458  EROICA  RESISTENZA  E  STRAGE  DEI  GIUDEI.      [Lib.  VII. 

appartiene  se  non  toccarne  i  fatti  principalissimi  e  le 
conclusioni  finali. 
AnnidiRo-  Vcspasiano  entrò  in  Galilea  alla  metà  di  aprile^,  prese 
G^c??.*^'  Gadara,  la  dette  alle  fiamme,  e  uccise  tutti  gli  abitatori. 
A  Giotapata,  posta  sopra  scoglio  di  difficilissimo  accesso, 
i  cittadini  opposero  una  resistenza,  che  merita  di  stare 
fra  le  più  famose  che  ricordi  la  storia.  Vespasiano  stesso 
vi  ebbe  una  ferita  di  freccia.  Ma  dopo  i-5  giorni  di  ter- 
ribile assedio  gli  eroici  difensori,  spossati  dal  lungo  com- 
battere e  dalla  sete,  furono  vinti  per  tradimento  di  un 
disertore,  e  menati  al  macello.  Essi  medesimi,  quando 
videro  fallita  ogni  speranza  di  vittoria,  aiutarono  la  strage 
uccidendosi  di  propria  mano,  e  gettandosi  dai  precipizii. 
Vi  furono  iO  mila  morti,  e  1200  schiavi  di  ogni  sesso 
ed  età  *.  Furono  vinte  e  sterminate  le  bande  raccolte 
sulle  montagne.  A  Giaffa  uccise  15  mila  persone:  4000 
perite  alla  presa  di  loppe,  ove  i  sollevati  armavano  navi. 
Tiberiade  per  opera  di  Agrippa  apri  le  porte  al  nemico  ; 
poscia  fu  vinta  con  fiera  battaglia  Tarichea,  città  forte  sul 
lago  di  Tiberiade,  e  degli  abitanti  6500  perirono  pel  ferro 
nemico,  6  mila  furono  mandati  in  Grecia  a  lavorare, 
come  dicemmo,  al  taglio  dell'istmo;  30  mila  venduti  al- 
l'incanto; e  i  rendutisi  a  patto  di  aver  salve  le  vite,  e 
1200  vecchi  e  altri,  cui  la  debolezza  toglieva  ogni  valore 
in  commercio,  furono  uccisi  a  Tiberiade  nel  Circo  sotto 
gli  occhi  di  Vespasiano.  Con  valore  pari  alla  loro  fama 
si  difesero  i  cittadini  di  Gamala,  tenuti  pei  più  forti  dei 
Galilei.  Vespasiano  vi  corse  pericolo,  e  patì  grandi  danni 

]are  natiu'a  e  nelle  istituzioni  sacerdotali  dfl  popolo,  che  dispregiatore 
della  civiltà  greca  e  romana,  e  odiato  da  tutti  i  vicini  corse  ciecamente 
e  inevitabilmente  alla  morte;  e  dice  che  in  faccia  a  quel  grande  accesso 
di  febbre  e  a  quella  convulsione  Vìiistorien,  partagè  entre  V admiration 
et  Vhorreur,  doil  s'arréler  avec  respect  cotnme  devani  iout  ce  qui  est 
mistrrieux  (pag.  22G). 

1  Giuseppe  Flavio,  Guerra  Giud.,  Ili,  7-,  Svetonio,   Vespas.,  \. 


Gap.  III.]  QUASI  TUTTA  LA  GIUDEA  SOTTOMESSA.  459 

l'esercito,  contro  il  quale  furono  rovinate  le  case  poste 
in  pendìo.  Qui,  come  a  Tarichea,  andò  celebrata  la  pro- 
dezza di  Tito.  La  città  cadde  dopo  un  mese  di  assedio  : 
di  10  mila  abitanti  ne  perirono  4  mila  di  ferro,  e  5  mila 
precipitandosi  giù  dagli  scogli  K 

L'ultimo  grido  di  libertà  in  Galilea  suonò  sulle  alture 
del  Tabor:  e  spento  anche  questo  nel  sangue,  le  fron- 
tiere e  le  parti  settentrionali  del  territorio  giudaico  e  i 
distretti  galilei  stettero  tutti  in  potere  del  nemico.  I  so- 
pravvissuti alle  prime  battaglie  si  ripararono  con  mara- 
vigliosa  marcia  a  Gerusalemme,  sotto  la  scorta  del  galileo 
Giovanni  di  Giscala,  uno  degli  eroi  e  dei  martiri  della 
libertà  nazionale,  mentre  Giuseppe,  preposto  al  supremo 
comando  di  Galilea,  passava  ad  aiutar  la  conquista  nel 
campo  nemico,  accolto  con  premi  ed  onori,  seguito  dal- 
l'accusa di  traditore  dei  suoi,  e  quindi,  nelle  storie  che 
in  appresso  scrisse  sui  miserandi  casi  della  nazione,  in- 
teso, per  giustificazione  di  se,  ad  aggravare  le  sciagure  e 
le  colpe  dei  vinti,  e  ad  esaltare  la  virtii  dei  vincitori,  a 
inventare  profezie  adulatrici  in  onore  di  Vespasiano  e  di 
Tito,  a  imaginare  i  miracoli  del  Siloe  asciutto  pei  difen- 
sori di  Gerusalemme,  e  largo  di  acque  per  dissetare  i 
Romani  2.  Nei  due  anni  seguenti  Vespasiano  assalì  le  altre 
contrade  coll'intendimento  di  impadronirsi  di  ogni  pro- 
vincia, e  di  stringere  da  ultimo  la  metropoli  da  ogni 
parte.  Dappertutto  trovò  eroi  pronti  a  combattere  e  a 
morire  per  la  patria:  ed  egli  sparse  ilumi  di  sangue, 
empì  il  Giordano  di  cadaveri,  incendiò  e  devastò  cam- 
pagne e  città,  e  alla  fine  aveva  recato  in  suo  potere  tutta 
la  Giudea,  tranne  Gerusalemme,  e  le  fortezze  di  Hero- 
dion,  di  Massada  e  di  Macheronte  3;  quando  sopravven- 
nero i  fatti  che  dovevano  portarlo  all'  impero. 

1  Giuseppe  Flavio,  Guerra  GivA-.  Ili,  T-10,  IV,  1;  Svetonio,  Tlt..   1. 

2  Giuseppe  Flavio,  Guerra  Giud  ^  V,  9;  Salvador,  III,  pag.  131.  Ed.  di  Braselles. 

3  Giuseppa'  Fì'ivi...  Ice.  cit..  IV,  1.  2,  s  o  0 


4G0  VIAGGI  DI  TITO  IN  CERCA  DI  BUONE  VENTURE.  [Lib.  VII. 

Nel  tempo  della  guerra  egli  teneva  l'occhio  anche  alle 
rivoluzioni  di  Roma,  e  dopo  l'inalzamento  di  Galba  aveva 
mandato  Tito  a  onorarlo,  o  per  essere  eletto  a  successore, 
come  si  diceva  dal  volgo:  ma  la  sùbita  novella  della 
uccisione  del  vecchio,  giunta  a  Tito  in  Corinto,  gli  im- 
pedì di  proseguire  il  viaggio  e  rese  vana  ogni  pratica. 

Tito  che  in  cima  a  tutti  i  pensieri  avea  quello  di  pro- 
cacciare alla  sua  casa  e  a  sé  l'impero  del  mondo,  dopo 
aver  consultato  gli  amici  a  Corinto,  mosse  in  cerca  di 
buoni  augurii.  A  Cipro  visitò  il  santuario  famoso  di  Ve- 
nere Pafia  ove  la  Dea  sorgeva  nella  cella  del  tempio  non 


Temp 


l'ain  [Donaldson) 


in  figura  di  donna,  ma  in  pietra  di  forma  conica  o  pi- 
ramidale, come  è  detto  dagli  scrittori  e  confermato  dalle 
medaglie  (");  e  sacrificò  a  lei  molte  vittime,  e  chiese  del 

(")  Tacito,  Ilist.,  II,  3;  Servio,  Ad  Aeu.,  I,  720;  Massimo  Tirio  Bissert, 


Gap.  III.]     LE  LEGIONI  D'ORIENTE  DISPOSTE  A  RIVOLTA.  461 

SUO  viaggio,  e  copertamente  delle  cose  che  dovesse  spe- 
rare di  sé.  L'oracolo  gli  promise  mare  propizio,  e  il  sa- 
cerdote, trattolo  in  disparte,  gli  confermò  la  speranza  che 
avea  dell'  impero.  Quindi  il  giovane  ambizioso  tornò,  cre- 
sciuto di  animo,  al  padre,  e  messe  in  opera  l'arte  e  l'in- 
gegno per  conseguire  l'intento  '. 

Dopo  le  elezioni  di  Galba,  di  Ottone  e  di  Vitellio,  fatte 
dai  soldati,  ogni  esercito  ardeva  di  disporre  dell'Impero 
a  sua  voglia.  E  le  legioni  d'Oriente  dispostissime  a  non 
mostrarsi  da  meno  delle  altre,  pensarono  a  inalzare  al- 
l'impero il  vincitore  dei  Giudei,  il  quale  sotto  ogni  rispetto 
avanzava  di  gran  lunga  i  tre,  eletti  in  pochi  mesi  dagli 
altri  soldati.  A  questo  erano  accese  anche  dalla  voce, 
allora  divulgata,  che  i  fati  promettessero  grandezza  a  chi 
veniva  d'Oriente  2.  Vi  si  aggiungevano  pure  gli  interessi 
di  molti  capi,  che  speravano  di  ingrandirsi  col  dare  al 
mondo  un  nuovo  padrone:  e  fra  questi  era  principale  C. 
Licinio  Muoiano,  governatore  di  Siria  e  comandante  di 
quattro  legioni,  uomo  molle  e  forte  a  seconda  dei  casi, 
grande  spenditore,  e  potente  per  vizi  e  virtù,  e  per  arti 
squisite  di  seduttore  (^).  La  vicinanza  dei  governi  aveva 
dapprima  portato  inimicizia  fra  lui  e  Vespasiano,  ma  po- 
scia, per  le  pratiche  di  Tito,  i  due  posero  giù  gli   odii, 

38;  Mùater,  Der  Tempel  der  himmUsche  Gottin  zn  Paphus ,  tab.  IV, 
1;  Guigniaut,  Religions  de  l'antiquitc,  pi.  LIV,  n.  204-206.  Couf.  Pitture 
di  Ercolano,  voi.  III,  tav.  52. 

La  medaglia  col  tempio  e  col  simulacro  di  Venera  che  diamo  incisa 
sta  nel  Museo  Britannico,  ed  è  dei  tempi  di  Caracalla  del  quale  porta 
dall'altra  parte  l'imagine.  Vedi  Donaldson,  Arcìiiiect.  Niimism.,  pag.  106, 
n.  31. 

C')  Tacito,  Ilist.j  I,  10.  Sui  fatti  suoi  vedi  Borghesi,  Dei  tre  consolati  di 
Mudano,  in  Oeuvres,  IV,  34.5  e  segg.;  Marini,  Arua/.^  pag.  1:^9;  Plinio, 
VII,  40,  6,  IX,  10.  I,  IX,  85,  3,  XII,  5,  1,  XIII,  17,  3,  XVI,  79,  1,  XXXI, 
13,  1,  XXXVI,  27,  1  ;  e  Brunn,  De  C.  Licinio  Mudano,  Lipsiae  1870. 

1  Tacito,  Hist.,  II,   l;  Svotcnio,  Tìt.,  5;  Criusepiie  Flavio,  Guerra  Guaì.,  IV,  9,  '?,. 

2  Svetonio,   Vespas.^  4. 

Vannucci  — -  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  58 


4GL'         VESPASIANO  FATTO  IMPERATORE  DAI  SOLDATI.  [Un.  VII. 

accomunarono  i  consigli,  e  Muciano,  che  non  poteva 
sperar  l'Impero  per  se,  fermò  di  darlo  al  vincitore  dei 
Giudei,  pel  quale  si  adoperavano  anche  Tiberio  Alessan- 
dro, giudeo  rinnegato,  posto  da  Nerone  al  governo  d'E- 
gitto, Agrippa  li,  figlio  dell'ultimo  re  di  Giudea,  e  sua 
sorella  Berenice,  regina  di  Calcide,  la  quale  bella,  grande 
maestra  d'intrighi,  cara  a  Vespasiano  pei  suoi  ricchi  doni, 
e  am.ante  di  Tito,  era  caldissima  a  favorir  quella  parte  e 
a  procurarle  fautori  '. 

Le  miUzie  erano  si  infervorate  per  Vespasiano,  che 
rimasero  silenziose  quando  dovevano  prestare  il  giura- 
mento a  Vitellio  ^.  Eventi  conformi  a  ogni  suo  desiderio 
erano  stati  a  lui  promessi  dal  sacerdote  del  monte  Car- 
melo :  sogni,  prodigii,  augurii  e  responsi  di  astrologi 
gli  avevano  prenunziato  l'Impero  ^,  ma  egli  andava  con- 
siderando le  difficoltà,  e  pendeva  incerto  se  a  60  anni 
dovesse  avventurar  sé,  e  i  due  giovani  figli  Tito  e  Do- 
miziano, a  un'impresa  piena  di  estremi  pericoli.  1  legati 
e  gli  amici  gli  fecero  cuore,  e  soprattutti  Muciano  insi- 
stendo con  veemenza  maggiore  lo  tolse  dalle  incertezze, 
col  mostrargli  che  il  prender  l'Impero  era  opera  agevole, 
gloriosa,  utile  al  pubblico,  necessaria  alla  propria  salute. 
Il  primo  a  gridarlo  imperatore  fu  il  governatore  di  Egitto, 

Anni  Hi  Ro-  chc  fcce  giurare  le  legioni  in  suo  nome  il  primo  di  luglio. 

orc'c"'.  '  Quindi  giurarono  le  legioni  di  Giudea,  ove  pochi  soldati 
dapprima,  poi  tutti  lo  salutarono  Cesare  e  Augusto,  e  gli 
dettero  ogni  titolo  del  principato.  Giurarono  unanimi  e 
liete  le  legioni  di  Siria  cui  fu  detto  che  Vitellio  delibe- 
rava di  tramutarle  dalle  dolcezze  e  dai  riposi  di  quella 
regione  ai  freddi  e  alle  fatiche  di  Germania:  e  Muciano 
nel  teatro  di  Antiochia  parlamentò  con  grazia  e  greca 
facondia  alle  turbe,  e  tirò   tutti   alla   nuova  fortuna.  In 

1  Tacito,  Jlist.,  II,  2,  5,  81;  Salvador,  loc.  cit..  Il,  .TtìS. 

8  Tacito,  Hist  .  II,  74. 

3  T.acito,  Hist^  II,  78;  Svetonio,  Vcfitas.^  5;  Dione,  LXV,  P. 


1 


Gap.  III.]     ADUNANZA  A  BKRITO  E  APPARKCCIII  DI  ARMI. 


pochi  giorni  stavano  per  Vespasiano,  oltre  alle  legioni, 
i  principi  alleati  e  tutto  1'  Oriente  K 

Egli,  sollevato  l'animo  alle  alte  venture,  parlò  militar- 
mente, apparve  non  gonfio,  non  arrogante,  non  nuovo  in 
tanta  novità.  Tenne  generale  consiglio  a  Berito  (Beirut), 
e  subito  furono  stanziati  nuovi  apprestamenti  di  guerra, 


ieirùt  dove  fu  l'antica  Borito  (Taylor^  La  S>jrie.  I,  --'IS  . 

ordinate  leve,  richiamati  i  veterani,  scritte  lettere  ai 
legati  di  tutti  gli  eserciti,  invitati  a  ripigliare  le  milizie 
i  pretoriani  nemici  a  Vitellio,  fermati  con  ambascerie  i 
Parti  e  gli  Armeni  per  non  aver  molestia  alle  spalle. 
Fu  battuta  moneta,  e  cercato,  senza  badare  a  modi,  il 
denaro,  nerbo  della  guerra  civile.  Mudano  rapi  agli  altri, 
e  spese  tutto  il  suo  per  rifarsi  poi  sullo  Stato:  e  in  breve 
tutto    romoreggiò  di  navi,  di  armi,  di  uomini.   Stabilito 


1  Tacito,  Hist..  II,  76-81. 


464  LA  GUERRA  RECATA  TOSTO  IN  ITALIA  DA  ANT.  PRIMO.  [Lib.  VII. 

che  Tito  avesse  la  cura  di  governare  la  Giudea,  e  di 
vincere  Gerusalemme,  Vespasiano  si  indirizzò  all'Egitto, 
per  tenere  la  chiave  dell'Impero  ed  avere  in  mano  le 
vettovaglie  di  Roma,  e  Mudano,  con  parte  delle  truppe 
e  col  nome  del  nuovo  eletto,  si  dispose  a  correre  contro 
Vitellio  in  Italia  ^ 

L' impresa  e  la  vittoria  finale  furono  accelerate  dalle 
legioni  d'Illiria  e  di  Mesia,  rinforzate  da  quelle  di  Pan- 
nonia,  volte  a  Vespasiano  dal  tribuno  Antonio  Primo, 
uno  dei  più  terribili  strumenti  della  parte  llaviana.  Era 
un  Tolosano  soprannominato  Becco  dai  suoi  ^.  Fu  cac- 
ciato dal  senato  per  condanna  di  falsario,  poi  vi  rientrò 
nei  tumulti  della  guerra  civile.  Uomo  prò'  di  mano,  pronto 
di  lingua,  gran  seminatore  di  odii,  potente  nelle  sedi- 
zioni, rapace,  largo  a  donare,  pessimo  in  pace,  non  spre- 
gevole in  guerra.  A  lui  si  uni  anche  Cornelio  Fusco,  che 
tirò  seco  i  soldati  di  Dalmazia,  e  aggiunse  gran  fiamma 
all'incendio.  Essi  eccitarono  con  lettere  le  legioni  di  Bri- 
tannia,  di  Gallia  e  di  Spagna,  e  mossero  precipitosi  alla 
volta  d'Italia  ^. 

Antonio  occupò  ogni  cosa  intorno  ad  Aquileia,  tirò  a 
se  facilmente  Opitergio  (Oderzo),  Aitino,  Padova,  Este, 
e  Vicenza,  patria  di  Cecina,  e,  sorprese  e  volte  a  mutar 
fede  tre  coorti  vitelliane  sul  Po,  fermò  la  sede  della 
guerra  in  Verona,  la  quale  forte  di  ricchezza  e  di  sito, 
e  cinta  di  nuove  trincee  dava  riputazione  agli  invasori, 
e  li  faceva  padroni  degli  sbocchi  della  Rezia  e  delle  Alpi 
Giulie.  Vespasiano  dall'Egitto  aveva  ordinato  di  non  pro- 
cedere oltre  Aquileia,  sperando  che  i  Vitelliani  cedessero 
per  mancanza  di  vettovaglie:  ciò  stesso  ripeteva  con  let- 
tere frequenti  Muoiano,  cupido  che  si  riserbasse  a  lui 
tutta  la  gloria  della  guerra:  ma,  per  causa  delle  grandi 
distanze,  gli  avvisi  giungevano  sempre  dopo  i  fatti. 

1  Tacito,  Hist.,  II,  81-81. 

2  Svetonio,   Vilell.^  IS,  «  Reiinar  ad  Dion.,  LXV,  9. 

3  Tacito,  Hist.^  II,  83,  86. 


Gap.  III.]  I  VITELLIANI  ROTTI  A  BEDRIACO  E  A  CREMONA.        405 

A  queste  novelle,  poco  credute  dapprima,  Vitellio  or- 
dinò a  Cecina  e  a  Valente  di  mettersi  in  pronto.  L'eser- 
cito, corrotto  dai  piaceri  sull'esempio  del  principe,  uscì 
di  Roma  fiacco  di  corpo  e  di  animo,  e  con  capi  discordi 
e  nemici.  Cecina,  che  mosse  il  primo  e  mandò  le  legioni 
a  Ostiglia  e  a  Cremona,  aveva  l'animo  al  tradimento, 
per  r  invidia  che  portava  a  Valente:  quindi  tutti  i  suoi 
pensieri  erano  a  intendersi  con  Lucilio  Basso,  capo  della 
flotta  stanziata  a  Ravenna,  per  tirarla  alla  parte  flaviana. 
Poi  si  accampò  in  luogo  sicuro  tra  Ostiglia  e  le  paludi 
del  Tartaro,  e  quando  ebbe  la  nuova  che  la  flotta  aveva 
voltato  bandiera,  corse  pel  campo  esaltando  la  virtù 
della  parte  nemica,  esortò  i  soldati  a  tradire,  e  ne  mandò 
avviso  ad  Antonio  Primo.  1  consapevoli  giurarono  subito 
fedeltà  a  Vespasiano,  e  abbatterono  le  imagini  di  Vitel- 
lio: ma  gli  altri  si  levarono  ferocemente  contro  tanta 
bruttura,  incatenarono  Cecina,  e,  creati  nuovi  capi,  si 
volsero  a  Cremona  per  unirsi  alle  legioni  Ptcìpace  e  Ita- 
lica, già  ivi  spedite  a  tener  la  città  ^ 

Antonio,  che  aspettava  l'esito  del  tradimento,  al  sen- 
tire che  la  frode  non  procedeva  felicemente,  mosse  pre- 
cipitoso da  Verona  ad  assalire  i  Vitelliani,  prima  che  si  Anni  di  ro- 
unissero  insieme,  e  nei  campi  di  Bedriaco,  già  fatali  ad  g^c'gò. 
Ottone,  incontratosi  in  una  parte  di  essi,  sulle  prime  fu 
anch'  egli  al  punto  di  esser  disfatto ,  e  vide  i  suoi  vólti 
in  fuga;  ma  nel  pericolo,  facendo  fortemente  le  parti  di 
duce  e  di  soldato,  ritenne  i  fuggenti,  raccolse  la  caduta 
bandiera,  ristorò  la  battaglia,  e,  vólti  in  piena  sconfitta 
i  nemici,  gli  inseguì  fin  sotto  Cremona.  Dove,  al  giun- 
gere poco  appresso  di  sei  legioni  di  Vitellio  e  di  tutto 
r  esercito  stato  ad  Ostiglia ,  fu  combattuta  nella  notte 
una  nuova  battaglia,  varia,  atroce,  ora  a  questi  ora  a 
quelli  esiziale.  Non  valevano  né  animo,  né  mani,  né  oc- 

!  Tacito,  Hht.,  II,  06-101,  UT,  1-1 1;  Dione  Cassio,  LXV,  10. 


4GG  CREMONA  RUBATA  E  ARSA  DAI  FLAVIANI.      [Lib.  VII. 

chi  a  schermirsi  fra  le  tenebre,  e  nella  confusione  dei 
segnali,  delle  armi,  delle  bandiere.  1  Vitelliani  furono 
disfatti  con  orribile  strage,  e,  come  in  tutte  le  guerre 
civili,  si  videro  fatti  atrocissimi,  tra  i  quali  l'uccisione 
di  un  padre  per  mano  del  figlio  *. 

Rimaneva  a  superare  la  città,  forte  di  mura,  di  torri, 
di  porte  aspramente  ferrate,  di  popolo  numeroso,  e  di 
altra  moltitudine,  concorsavi  in  quei  giorni  alla  fiera  da 
ogni  parte  d'Italia.  Antonio  Primo,  a  spavento,  fece  su- 
bito incendiare  le  amene  ville  d'attorno,  poscia  spinse 
all'assalto  delle  mura  i  suoi,  avidissimi  di  preda.  1  Vi- 
telliani ivi  raccolti  erano  scorati  per  tante  perdite,  né 
potevano  resistere  alla  nuova  tempesta.  Quindi,  cedendo 
alla  fortuna,  pensarono  a  provvedere  a  sé  stessi:  abbat- 
terono le  immagini  di  Vitellio,  e  sciolto  Cecina,  lo  man- 
darono a  implorare  mercè  dal  nemico.  Il  traditore,  con 
pretesta  e  littori  da  console,  si  presentò  nel  campo  dei 
vincitori  in  contegno  superbo  e  lieto  così,  che  fece  or- 
rore agli  stessi  nemici,  i  quali  gli  rinfiicciavano  l'infamia 
del  suo  tradimento,  e  gli  avrebbero  fatto  peggio,  se  An- 
tonio non  lo  salvava  mandandolo  sotto  scorta  a  Vespa- 
siano. 

Fu  perdonato  alle  milizie,  non  alla  misera  Cremona, 
ove,  entrati  a  furia  40  mila  armati  con  numero  maggiore 
di  servi  cupidi  di  preda  e  ardenti  di  menar  vendetta  dei 
cittadini,  stati  sempre  fautori  di  Vitellio,  empirono  tutto 
di  rapine,  di  stupri  e  di  sangue.  È  detto  che,  contata  la 
strage  della  precedente  battaglia,  furono  uccise  50  mila 
persone  2.  Il  saccheggio  durò  4  giorni,  e  ad  esso  fu  ag- 
giunto l'incendio,  che  distrusse  ciò  che  non  si  poteva  ra- 
pire. Mai  non  si  vide  ardore  più  feroce  nella  ricerca  del- 
l'argento  e  dell'oro,  né  rabbia  cosi  crudele  nel  macello 
degli  esseri  più  inoffensivi.  La  città,  già  lieta  di  popolo 

1  Tacito,  Hist.^  IH,  ir.,  IS,  22,  ecc.;  Dione  Ca^^sio,  LXV,  12-14. 

2  Dione  Cassio,  LXV,  i:>.  Coni".  Giusoi.pc  Flavio,  Guerra  Gind.,  IV,  11,  2. 


Gap.  in.]  VESPASIANO  POSCIA  AIUTA  LA  INFELICE  CITTÀ. 


467 


I — sJ 


e  ricca  per  libertà  di  campi  e  comodità   di   commercii, 
rimase   un   mucchio  di  rovine.   1  cittadini   sopravvissuti 
andarono  all'incanto:  e  poiché  gl'Itahani  con  bell'esempio 
di  fraterna  pietà  stettero  concordi  a  non  comprare  que- 
gli   infelici,    1   soldati,  _,__^ 
pieni  di  sdegno,  minac- 
ciavano di  ucciderli  tut-  -n-.^^ 
ti,  e  avrebbero  tenuto 
parola ,    se    parenti    e 
amici  non  correvano  a 
procacciarne  il  riscatto. 
In  appresso  si  ripopo- 
larono anche  ciucile  ro- 
vine :    la   magnificenza 
dei  cittadini  rifece  fóri 
e  templi;  e  Vespasiano 
stesso  favorì  il  risorgere 
della  città,  distrutta  dal 
furore  dei  suoi  '. 

Alle  sciagure  vitellia- 
ne  non  potè  ripararsi 
da  Fabio  Valente ,  il 
quale,  muovendo  lento 
fra  concubine  ed  eunu- 
chi, e  pensando  più  che 
altro  a  sfogar  sue  libi- 
dini, giunse  quando  era 
impossibile  porgere  ef- 
ficace soccorso.  Da  ultimo  egli,  mandate  le  sue  genti  ad 
Arimino,  s'imbarcò  sulle  coste  d'Etruria,  volgendo  nell'a- 
nimo l'ardito  disegno  di  correre  nella  Narbonese,  e  de- 
stare di  là  nuovo  incendio  di  guerra  nelle  Gallie  e  in 
Germania.  Ma,  travagliato  da  fortuna  di  mare,  cadde  in 


Vespasiano  {Mongez,  Icon.   Rom.  ,  XXXI!,  n     l; 


Tacito,  Hist.,  in,  31-31. 


468     PROGRESSI  DEI  FLAVI  ANI,  E  PAURE  DEGLI  ALTRI.  [Lib.  VII. 

mano  dei  nemici  alle  Stecadi  {Hijères)  isole  dei  Marsi- 
gliesi: e  ricondotto  in  Italia,  fu  dopo  ucciso  in  prigione 
ad  Urbino,  e  mostrata  la  sua  testa  ai  soldati,  per  togliere 
ogni  speranza  a  chi  volesse  serbarsi  fedele  a  Vitellio  *. 

I  vincitori  mandarono  corrieri  e  novelle  della  vittoria 
nelle  Spagne,  in  Gallia  e  in  Britannia  per  tirare  le  le- 
gioni a  Vespasiano,  e  chiusero  i  passi  delle  Alpi  per 
impedire  che  di  Germania  giungessero  aiuti  al  nemico. 
Cornelio  Fusco,  messo  a  capo  della  flotta  di  Ravenna, 
circondò  i  soldati  che  tenevano  Arimino,  e  prese  i  piani 
dell'Umbria,  e  le  marine  del  Piceno.  Antonio  Primo  nella 
fortuna  scopri  meglio  il  suo  animo  avaro,  superbo,  cu- 
pidissimo di  potenza  ;  calpestava  l'Itaha,  studiava  di  farsi 
ligio  l'esercito,  mentre  si  apparecchiava  a  passare  l'Ap- 
pennino e  a  muovere  a  Roma^  contro  a  Vitellio.  Il  quale, 
come  dicemmo,  non  credente  sul  primo  ai  pericoli,  stava 
sdraiato  pei  boschetti  di  Aricia,  come  porco  in  brago, 
intento  a  empire  di  cibo  il  sacco.  Alla  prima  novella  dei 
tradimenti  tentati  tornò  a  Roma,  spogliò  Cecina  per  l'ul- 
timo giorno  dell'ufficio  di  console,  fece  pompose  dicerie 
in  senato  fra  le  adulazioni  dei  padri,  e  spinto  dal  fratello 
Lucio  proruppe  ad  atti  crudeli.  Poi,  saputo  della  disfatta 
di  Cremona,  aggravò  il  male  per  volerlo  celare,  e  fece 
uccidere  le  spie  mandate  a  osservare  le  forze  nemiche, 
affinchè  non  parlassero,  mentre  in  Roma  non  discorre- 
vasi  d'altro,  e  si  diceva  anche  più  del  vero.  Continuava 
nelle  orgie,  creò  consoli  per  dieci  anni,  dette  titoli  di 
cittadini  agli  strani,  largì  immunità:  ma  non  voleva  udire 
di  guerra  ^. 

^Pure  alla  fine,  destato  dal  moltiplicare  delle  notizie 
semi^re  più  gravi,  mandò  gente  a  occupare  l'Appennino, 
ed  egli  stesso  con  gran  seguito  di  senatori,  tratti  i  più 

>  Tacito,  Jlist.,  Ili,  -10,  '11,   in,  C2. 

2  T.-.cilo,  Wst..  Ili,  42,  10. 

3  T.^ri.n,  rrhi.^  Ili,  30-^;»,.  51. 


Gap.  III.]  VANI  SFORZI  PER  LASCIAR  L'IMPERO.  469 

da  paura,  andò  a  campo  nell'Umbria.  I  soldati  gli  erano 
fedeli  e  pronti  a  far  testa  al  nemico,  travagliato  dalla  fame 
e  dal  freddo:  ma  egli  non  seppe  fare  altro  che  dar  loro 
continuo  spettacolo  di  ubriachezze  e  di  paure  crescenti 
a  ogni  annunzio.  Quando  poi  udì,  che  anche  la  flotta  di 
Miseno  gli  aveva  voltata  bandiera,  lasciato  parte  dell'e- 
sercito a  Narni,  e  mandato  il  fratello  Lucio  a  frenare  la 
Campania,  tornò  precipitoso  a  Roma,  pianse,  pregò,  fece 
larghe  promesse,  come  è  solito  di  chi  ha  paura,  prese 
come  buono  augurio  il  nome  di  Cesare,  non  voluto  dap- 
prima. Il  volgo  chiese  armi  a  difenderlo:  ed  egli  pose 
gravezze,  e  pensò  a  nuovi  argomenti  di  guerra,  che  ora- 


mai erano  vani 


Antonio  Primo,  passato  l'Appennino  con  molto  pericolo 
per  le  nevi  della  cruda  vernata,  al  primo  incontro  tirò 
a  sé  i  Vitelhani ,  scorati  per  la  fuga  dell'  imperatore  e 
degli  altri  capi.  Poi,  per  fuggire  a  Roma  l'odio  partori- 
togli dal  gran  sangue  sparso  a  Cremona,  raffrenò  l'ardore 
dei  soldati,  e  mandò  a  offrire  larghi  patti  a  Vitellio,  se 
rinunziasse  all'impero.  E  quegli,  incapace  di  ogni  forte 
consiglio,  avrebbe  ceduto  a  quei  patti,  se  non  si  oppone- 
vano i  suoi.  Invano  pianse  e  chiese  pietà,  e  cercò  di  de- 
porre le  insegne  dell'Impero  prima  in  mano  de' magistrati, 
poi  nel  tempio  della  Concordia  (18  dicembre).  La  turba  ^^^j^jr^,. 
si  levò  a  rumore,  chiuse  le  strade,  e  lo  forzò  a  rientrare  g.^c^'I;.''' 
in  palazzo,  mentre  egli  voleva  tornar  privato  in  casa  al 
fratello  2. 

Fra  quel  disordine  i  grandi  stavano  attorno  a  Flavio 
Sabino,  prefetto  della  città,  esortandolo  a  farsi  capo  a  parte 
Flaviana,  e  a  salvare  l'Impero  al  fratello.  Egli,  debole  per 
vecchiezza  0  aborrente  dal  sangue,  sulle  prime  andò  lento 
e  trattò  con  l'imperatore  di  porre  giù  le  armi  e  far  pace  ^. 

1  Tacito,  Hist.^  Ili,  58;  Svetonio,   Vitella  15. 

2  Tacito,  Hist.^  Ili,  GS;  Svetonio,  loc.  cit.  ;  Dione,  LXV,  16. 

3  Tacito,  Hist.^  Ili,  65. 

Vannucci  —  Stori».  dell'Italia  antica  —  IV.  59 


470        CAMPIDOGLIO  ARSO.  MORTE  DI  FLAVIO  SABINO.    [Lib.  VII. 

Poscia,  allo  spargersi  della  voce  che  Vitellio  rinunziava 
l'Impero,  confortato  più  che  mai  dai  primi  del  senato  e 
dall'ordine  equestre,  uscì  fuori  in  armi,  e  battuto  in  un 
primo  scontro  da  tre  coorti  di  Germani,  fedeli  a  Vitellio, 
si  riparò,  con  qualche  senatore,  al  Campidoglio.  I  Vitel- 
liani  lo  assediarono,  ma  con  tal  negligenza,  che  nella 
notte  potè  farvi  entrare  i  figliuoli,  e  il  nipote  Domiziano, 
e  spedire  avvisi  ad  Antonio.  Nel  giorno  appresso  mandò 
a  ricordare  i  patti  a  Vitellio;  ma  il  messaggio  a  mala 
pena  scampò  dal  furore  dei  soldati,  i  quali  intanto  dal 
Fóro  assalivano  impetuosamente  il  Campidoglio,  salendo 
pei  cento  gradi  della  rócca  Tarpeia,  e  pei  congiunti  edi- 
fizi,  e  tentando  di  aprirsi  la  via  colle  fiamme.  I  difensori 
gettarono  dall'alto  tegoli  e  sassi,  e  chiusero  le  arse  porte 
con  le  statue  dei  grandi  cittadini,  già  poste  ivi  ad  or- 
namento dei  templi  e  degli  archi.  In  quel  furore  andò 
a  fiamma  il  tempio  di  Giove  con  gli  edifizi  d'attorno, 
e  gli  assalitori  mossero  tutto  a  ferro  e  a  distruzione. 
Sabino,  atterrito  e  come  fuori  dal  senno,  smentì  la  fama 
acquistata  in  35  anni  di  onorata  milizia,  e  non  seppe  di- 
fendere contro  tre  coorti  la  rócca,  stimata  inespugnabile 
anche  da  fortissimi  eserciti.  I  suoi  alla  fine,  studiosi  solo 
del  proprio  scampo,  gettarono  le  armi,  e  fuggirono,  chi 
travestito  da  schiavo,  chi  in  altro  modo.  Domiziano  si 
nascose  nella  notte  presso  il  custode  del  tempio,  e  la 
njattina,  travestito  da  sacerdote  d'Iside,  trovò  via  alla 
fuga.  Fu  preso  Sabino  inerme  e  non  fuggente:  e  Vitellio 
tentò  di  salvarlo,  ma  la  furibonda  plebe  glielo  tolse  di 
mano  sulle  scalee  stesse  del  palazzo,  e,  fattolo  a  pezzi,  lo 
trascinò  alle  Gemonie.  11  console  Quinzio  Attico,  che  aVeva 
mandato  fuori  gran  bandi  pieni  di  vituperi  a  Vitellio,  si 
salvò  coU'asserire  di  aver  messo  fuoco  nel  tempio,  e  col  pi- 
gliare per  sé  l'odio  e  l'infamia  che  andavano  ai  vincitori  *. 

1  Tacito,  Ilist.,  II r,  71-7G,  7S;  Dione  Cassio,  LXV,  17;  Svctonio,  Domit.,  I. 


Gap.  III.]  I  FLAVIANI  A  ROMA.  471 

La  fama  di  questi  fatti  affrettò  la  marcia  dei  Flaviani, 
già  venuti  da  Narni  ad  Otricoli.  Q.  Petilio  Ceriale,  venuto 
avanti  con  mille  cavalli  per  la  via  Salaria,  fu  respinto 
e  rotto  presso  alla  città.  Ma  ciò  non  spense  l' ardore 
degli  altri.  Invano  Vitellio  spedi  ambasciatori  di  pace: 
fu  risposto  che,  ucciso  Sabino  e  arso  il  Campidoglio, 
non  vi  potevano  essere  accordi  '.  Quindi  Antonio  Primo 
fece  entrare  in  Roma  1'  esercito  in  tre  corpi,  per  la  via 
Flaminia,  lungo  la  ripa  del  Tevere,  e  per  la  via  Salaria 
dalla  porta  Collina.  La  plebe  andò  in  rotta  al  primo  urto 
dei  cavalli.  Gli  invasori  trovarono  dapprima  forte  con- 
trasto negli  Orti  Sallustiani  per  le  vie  insidiose  e  angu- 
ste, ove  dall'alto  delle  macerie  i  nemici  gli  travagliarono 
e  gli  respinsero  a  lungo.  Ma  per  esser  meglio  guidati 
alla  fine  poterono  atterrare  ogni  ostacolo.  In  Campo 
Marzio  fu  fiera  battaglia,  I  Vitelliani,  vólti  in  fuga,  si 
raccozzarono  dentro  le  mura:  e  allora  si  combattè  dap- 
pertutto sotto  gli  occhi  del  popolo,  che,  come  fosse  a 
festa,  applaudiva  ora  a  questi  ora  a  quelli,  scopriva  il 
ritiro  dei  vinti  perchè  fossero  uccisi,  e  attendeva  a  ra- 
pire, mentre  i  soldati  empivano  le  vie  e  le  case  di  strage.. 
Crudele  e  bruttissimo  in  quel  giorno  l'aspetto  di  Roma 
piena  di  battaglie,  di  sangue,  di  cadaveri,  e  al  tempo 
stesso  di  crapule,  di  voluttà,  di  nefande  scelleratezze: 
misti,  più  che  in  ogni  altra  guerra  civile,  gli  estremi 
lutti  e  il  sozzo  esultare  di  uomini  lieti  dei  mali  pubblici  ^. 

V  ultima  battaglia  fa  al  Campo  Pretorio ,  ove  i  Vitel- 
liani con  coraggio  degno  di  miglior  causa  caddero  tutti 
feriti  nel  petto.  Dopo  la  città  fu  tutta  in  potere  dei  Fla- 
viani ^. 

Vitellio  aveva  tentato  invano  la  fuga.  Deserto  anche 
dagli  infimi    schiavi  si  aggirava   pel  vasto    palazzo    con 

1  Tacito,  Hist.,  Ili,  78-81;  Svetonio,   VitelL,  IO;  Dione  Cassio,  LXV,  18,  19. 

2  Tacito,  Hist.,  Ili,  83. 

3  Tacito,  Hist..  Ili,  84. 


VITELLIO  SCHERNITO  E  UCCISO. 


[LiB.  VII. 


l'anima  atterrita  da  quel  silenzio  di  morte.  Da  ultimo  si 
era  nascosto  in  un  vergognoso  aguato.  Lo  scoprì  Giulio 
Placido,  tribuno  di  una  coorte,  e  cavatolo  fuori,  lo  stra- 
scinò con  le  mani  legate  dietro  alle  spalle  e  mezzo  ignudo 
a  obbrobriosa  mostra  nel  Fóro,  tra  le  grida  insultanti 
della  oscena  turba.  Con  le  punte  delle  spade  gli  tene- 
vano alta  la  faccia,  perchè  la  presentasse   agli  scherni, 


Ai/ 


^^,,,g3Sr 


Vitellio  (Bottai-I,  Museo  Capitolino,  II,  tav.  21) 


e  vedesse  lo  strazio  delle  sue  statue  cadenti.  Lo  rico- 
prirono di  fango  e  di  sterco,  lo  chiamarono  incendiario 
e  leccapiatti,  lo  schernivano  della  soverchia  pinguedine, 
e  della  faccia  rubiconda  pel  soverchio  bere.  Agli  insulti 


Gap.  ih.]  STRAGI  E  RAPINE  DEI  VINCITORI.  473 

rispose  solo  una  volta  dicendo  :  Eppure  io  fai  vostro  im- 
peratore.  Alla  fine  lo  gettarono  alle  Gemonie,  e  il  volgo 
lo  straziò  morto  con  la  stessa  perversità,  con  cui  lo  aveva 
favorito  vivente  K 

Col  morire  di  lui  cessò  la  guerra,  non  cominciò  la 
pace.  I  vincitori  Flaviani,  fatti  padroni  della  città,  dap- 
prima uccisero  chi  incontrassero  per  via,  poi  traevano 
dagli  asili  i  nascosti,  e  alle  uccisioni  aggiungevano  le 
rapine.  Furono  sfondate  e  rubate  le  case  sotto  colore 
di  cercare  i  Vitelliani.  Dappertutto,  dice  Tacito,  grido  e 
lamenti  e  faccia  di  sforzata  città.  Non  era  facile  frenare 
il  furore  della  soldatesca:  e  i  capi  avevano  il  pensiero 
ad  altro.  Domiziano,  uscito  dai  nascondigli  e  salutato 
Cesare  dai  soldati,  dapprima  nel  palazzo  imperiale  era 
inteso  a  mostrare  potenza  principesca  con  stupri  e  adul- 
tera; poi  trascorse  a  insolenze,  e  distribuiva  a  suo  ta- 
lento ufficii  in  città  e  nelle  province,  ed  eccitava  contro 
di  sé  gli  sdegni  del  padre  lontano  -. 

La  suprema  potenza  stava  in  Antonio  Primo,  che  so- 
pra tutto  attendeva  a  spogliare  il  palazzo  dei  Cesari. 
Mandò  cavalli  contro  Lucio  Vitellio ,  fratello  del  morto, 
che  riconducendo  da  Terracina  le  coorti ,  con  cui  era 
andato  a  frenar  la  Campania,  faceva  temere  che  si  riac- 
cendesse la  guerra.  A  Boville  Lucio  si  dette  in  mano 
ai  Flaviani  e  fu  spento.  I  suoi  soldati  furono  condotti  a 
Roma  e  incarcerati  in  mezzo  agli  scherni  del  volgo. 

Fu  provveduto  con  nuovi  presidii  alla  quiete  della  Cam- 
pania, e  alla  fine  parve  tornata  stabilmente  la  pace.  La 
città  era  lieta  delle  lettere  scritte  d'Egitto  da  Vespasiano, 
che  parlava  modestamente  di  sé  e  magnificamente  della 
Repubblica.  E  il  Senato  gli  decretò  tutti  gli  onori  soliti 
ai  principi  ("),  lo  fece  console  insieme  con  Tito,  e  détte 

(^)  Il  decreto,  detto  volgarmente  legge  regia,  con  cui  il  Senato  rivestì 

1  Tacito,  Hist.^  Ili,  85;  Svetonio,  VitelL,  16,  17;  Dione  Cassio,  LXV,  20,  21. 

2  Tacito,  Hist.^  IV,  39,  46,  47,  51;  Dione  Cassio,  LXVI,  2. 


474     ONORI  A  VESPASIANO  E  AI  SUOI.  ELVIDIO  PRISCO.  [Lib.  VII. 

a  Domiziano  la  pretura  con  potestà  consolare.  Mudano, 
che  scriveva  lettere  piene  di  vanti,  ebbe  le  insegne 
trionfali  a  nome  della  sua  spedizione  contro  i  Sarmati, 
ma  in  verità  per  la  guerra  civile.  Ad  Antonio  Primo 
furono  date  le  insegne  consolari;  agli  altri  capi  altri 
onori. 

Mentre  tutti  applaudivano  ai  nuovi  padroni,  solo  El- 
vidio  Prisco  non  apparve  adulante.  Discorrendosi  di  ri- 
fare il  Campidoglio  arso,  egli  propose  che  si  riedificasse 
a  pubbliche  spese,  e  che  Vespasiano  porgesse  aiuto.  Col 
che  si  aprì  la  via  alla  estrema  rovina,  e  fu  esempio  di 
quanta  libertà  godesse  Roma  sotto  il  nuovo  padrone.  Ve- 
niva da  Terracina;  era  uno  stoico  della  tempra  di  Trasea, 
di  cui,  come  vedemmo,  sposò  la  figliuola.  Tacito  lo  ce- 
lebra come  uomo  giusto,  spregiatore  delle  ricchezze,  h- 
berissimo  d'animo,  intrepido  nei  pericoli.  Bandito,  quando 
Trasea  fu  ucciso,  tornò  ai  tempi  di  Galba,  e  in  ogni  in- 
contro si  scagliò  contro  i  delatori,  che  sotto  la  tirannia 
di  Nerone  erano  stati  causa  di  morte  ai  migliori.  Più 
fieramente  d'ogni  altro  assalì  C.  Eprio  Marcello,  peggiore 
di  tutti,  ma  non  riuscì  a  perderlo,  perchè  i  senatori  eb- 
bero paura  che  con  lui  non  rovinassero  troppi. 

Mancava  il  principe,  mancavano  le  leggi  per  gover- 
nare i  casi  presenti:  i  vinti  ardevano  di  rabbia,  i  vinci- 
tori non  avevano  autorità,  e  tutto  si  avvolgeva  nell'in- 
certezza, quando  giunse  a  Roma  Muoiano,  e  recò  ogni 
faccenda  in  poter  suo.  Comparve  in  grande  apparato  di 
armi,  di  guardie,  di  lusso,  di  grandigie  da  principe,  e 
fu  corteggiato  dalla  città,  pronta  a  volgersi  a  ogni  for- 
tuna nuova:  poi,  datosi  al  severo,  tolse  di  mezzo  anche 

Vespasiano  dell' autorità  imperiale,  fu  inciso  in  bronzo,  e  rimane  anche 
oggi  in  gran  pai-te  nel  Museo  Capitolino,  ed  è  uno  dei  più  cospicui  mo- 
numenti di  Roma  antica.  Fu  stampato  dal  Grutero,  e  nelle  edizioni  di  Tacito 
dell' Oberlino,  del  Brotier  e  del  Leraaire,  e  nelle  iscrizioni  dell' Orelli, 
voi.  I,  pag.  507. 


I 


Gap.  III.]  LE  ARTI  DI  MUOIANO  E  LE  SPIE.  RIVOLTA  DI  CIVILE.  475 

gli  innocenti  che  gli  dessero  ombra,  fece  mettere  in 
croce  Asiatico,  liberto  potente  per  tristizie  sotto  Vitellio, 
e  più  tardi  uccise  anche  il  figliuolo  di  questo,  per  toglier 
via  ogni  cagione  di  discordia;  calmò  i  pretoriani  che  le- 
vavano quasi  fiamma  di  sedizione,  accarezzò  Antonio 
Primo,  non  potendolo  assalir  di  fronte,  e,  dopo  averlo 
celebrato  in  pubblico,  gli  tolse  tutta  la  forza  col  privarlo 
dei  più  devoti  soldati;  e  con  lettere  a  Vespasiano  lo 
fece  cader  di  grazia  per  m(Jdo,  che  poscia  non  fu  più 
parola  di  lui. 

Per  queste  arti  di  Mudano  la  città  a  poco  a  poco  tornò 
in  potere  delle  leggi  e  dei  magistrati.  Ma  non  cessavano 
gli  assalti  contro  i  delatori  arricchitisi  sotto  Nerone  ;  e 
vi  ebbero  fiere  batoste  in  senato ,  e  fu  coperto  di  im- 
properii  Regolo,  iniquissimo  fra  gli  accusatori.  Elvidio 
si  rifece  contro  Eprio  Marcello:  e  Musonio  Rufo  assalì 
Celere,  che  aveva  perduto  Barca  Sorano,  suo  discepolo 
e  amico.  Ma  Domiziano  si  fece  a  intercedere  per  questi 
ribaldi.  Muoiano  stesso,  per  cessare  le  contese,  la  prese 
apertamente  pei  delatori,  che  andarono  salvi  *. 

In  questo  mezzo  giunsero  avvisi  di  una  grande  rivolta 
di  Germani  e  di  Galli,  e  della  distruzione  delle  legioni 
sul  Reno.  Eccitatore  primo  del  moto  era  Claudio  Civile, 
nato  in  Batavia  {Olanda)  di  regia  stirpe,  e  destro  più 
di  ogni  barbaro,  e  fiorissimo  odiatore  della  signoria  fo- 
restiera; si  chiamava  Sertorio  ed  Annibale,  per  essere 
com'  essi  cieco  da  un  occhio.  Da  giovane  militò  pei  Ro- 
mani ,  da  cui  patì  prigionia  ed  ebbe  un  fratello  spento. 
Quindi,  cresciuto  nell'odio,  giurò  di  non  tagharsi  i  ca- 
pelli, finche  non  avesse  fatta  vendetta  di  sé  e  della  pa- 
tria colla  cacciata  degli  stranieri.  Rivolse  tutti  gli  sforzi 
della  sua  energica  anima  a  fare  un  solo  impero  dei  Da- 
tavi, dei  Galli  e  dei  Germani,  e  in  questo  intento  com- 

1  Tacito,  Hist.  IV,  1-11,  39-10,  80;  SvLtonio,  Domit.j  1;  Dione,  LXVI,  12. 


470  LE  LEGIONI  BATTUTE  SUL  RENO.  [Lib.  VII. 

battè  da  eroe,  eccitò  con  ardente  eloquenza  gli  oppressi 
radunati  in  un  sacro  bosco.  Diceva,  la  natura  aver  fatto 
liberi  anche  gli  animali  muti:  la  virtù  esser  bene  proprio 
dell'uomo;  gli  Iddii  stare  coi  forti.  Mandò  messaggi  ai 
lontani,  e  parlando  a  questi  di  preda,  a  quegli  di  libertà, 
agli  altri  di  gloria,  destò  un  moto  terribile. 

Per  far  suo  prò  della  guerra  civile,  che  teneva  divisi 
i  dominatori,  dapprima  simulò  di  seguire  la  parte  Fla- 
viana,  e  ne  ebbe  aiuti  al  suo  intento,  e  potè  armare  i 
suoi  Batavi,  cacciare  i  presidii  stranieri  dall'isola,  e  im- 
padronirsi delle  navi  romane  del  Reno,  e  quindi  sollevare 
Galli  e  Germani.  Tirò  a  sé  Classico  e  Tutore,  duci  dei 
Treviri,  e  quel  Giulio  Sabino  Lingone,  che  si  vantava 
bastardo  di  Giulio  Cesare,  e  che  poi  fu  reso  celebre  dalle 
sue  sciagure,  e  .dall'affetto  di  Eponina  sua  moglie. 

Le  legioni  del  Reno  erano  in  piena  anarchia:  ardenti 
per  Yitellio  i  soldati,  inchinevoli  a  parte  Flaviana  i  capi; 
tutto  pieno  di  sospetti,  di  licenza,  di  zuffe.  Ordeonio 
Fiacco,  capo  supremo,  uomo  lento  e  pauroso,  fu  accusato 
di  tradimento  dai  soldati  e  spento;  Dillio  Vocula  assas- 
sinato da  un  disertore:  degli  altri  duci  chi  imprigionato, 
chi  scampò  colla  fuga.  Fra  tanto  disordine  Civile  ebbe 
modo  a  vincere  dappertutto.  Le  legioni  furono  battute  a 
Bonna,  a  Magonza,  a  Novesio  (Neuss):  gli  accampamenti 
stretti  con  ferro  e  fame,  e  dopo  lungo  contrasto  espu- 
gnati; e  i  soldati,  tra  cui  erano  molti  ausiliarii  barbari, 
con  nuovo  obbrobrio  giurarono  fedeltà  all'impero  dei 
Galli. 

Dopo  le  quali  cose  gli  oppressi,  stimando  giunta  l'ora 
estrema  della  dominazione  di  Roma,  inalzarono  l'animo 
a  grandi  speranze;  e  Ubii,  Tungri,  Treviri  e  Lingoni, 
radunati  in  Colonia,  si  gridarono  liberi.  Per  le  Gallio  i 
Druidi  dicevano,  l'incendio  del  Campidoglio  esser  segno 
del  cielo  annunziante  la  line  della  potenza  di  Roma,  e 
promettente  l'impero  del  mondo  ai  Transalpini.  Ai  Ger- 


Gap,  III.]  ROMA  AIUTATA  DALLE  DISCORDIE  DEI  SOLLEVATI.    477 

mani  accresceva  animo  la  profetessa  Velleda,  che  aveva 
predetto  le  prime  vittorie. 

Ma  i  sollevati  non  raggiunsero  l'intento  finale  perchè 
non  fecero  provvedimenti  pari  all'impresa,  non  guarda- 
rono i  passi  delle  Alpi,  per  cui  veniva  il  nemico  a  schiac- 
ciarli, e  si  mostrarono  discordi  e  gelosi,  quando  più  bi- 
sognava unità  di  consigli  e  di  sforzi:  Civile,  ««nirando  a 
più  alto* scopo,  non  volle  giurare  nell'impero  dei  Galli; 
e  fra  questi  presto  scoppiò  fiera  discordia  per  opera  dei 
partigiani  di  Roma.  Giulio  Sabino,  che  prese  nome  di 
Cesare,  fu  battuto  dai  seguaci  della  fortuna  romana,  e 
scomparve,  e  fu  creduto  estinto  nell'incendio  della  sua 
casa.  Gli  altri  Galli  convennero  a  generale  assemblea 
nella  città  dei  Remi  (Rcims)  per  deliberare  sul  partito 
da  prendere.  Ma  come  ogni  città  metteva  innanzi  le  sue 
ambizioni  e  i  suoi  titoli  a  esser  capitale  dell'Impero  non 
ancora  creato,  le  vane  gare  impedirono  di  ascoltare  chi 
eccitava  alla  lega  e  alle  armi,  e  quindi  tornò  inutile  anche 
questa  ultima  prova,  contro  la  quale  già  erano  in  via 
nuove  forze  da  Roma. 

Muoiano,  ordinate  come  meglio  poteva  le  cose  della 
città,  mandò  quattro  legioni  contro  i  sollevati,  ne  chiamò 
altre  di  Britannia  e  di  Spagna,  e  détte  il  governo  del- 
l'impresa a  Q.  Petilio  Cenale,  e  si  apparecchiava  a  partire 
egli  stesso  alla  volta  delle  Gallie.  Anche  Domiziano  ar- 
deva di  correre  oltr'Alpe,  ma  Muoiano  ne  ritardò  a  suo 
potere  la  partenza,  affinchè  colle  sue  sfrenatezze  e  coi 
mali  consìgli  non  rovinasse  la  pace  e  la  guerra. 

Appena  giunse  fra  i  sollevati  la  prima  legione  romana, 
fu  battuto  a  Bingio  {Bingen)  Tutore  coi  Treviri;  e  quindi 
Valentino,  altro  duce  di  essi,  che  corse  alla  riscossa,  fu 
sconfitto  e  preso  a  Rigodulo  {lìiol)  nel  piano  della  Mo- 
sella  da  Ceriale,  arrivato  per  la  via  di  Magonza.  A  Co- 
lonia vennero  innanzi  al  duce  le  legioni  che  avevano 
giurato  fede  al  nemico:  erano  stupide  per  la  vergogna, 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  60 


478  CIVILE  SOTTOMESSO  DA  CERIALE.  [Lih.  YII. 

e  davano  di  sé  spettacolo  miserando.  Ceriale  le  perdonò 
e  fece  loro  coraggio,  sperando  che  con  forti  prove  si 
purgherebbero  dalla  passata  vergogna. 

Il  duce  romano,  impetuoso  e  non  rispettivo  nel  ma- 
neggiar la  guerra,  fu  più  volte  a  pericoli  estremi.  Mentre 
poneva  le  stanze  nella  capitale  dei  Treviri  (Trcves)  fu 
inopinatafhente  assahto  di  notte  da  Civile,  da  Classico  e 
da  Tutore  che,  presa  una  parte  del  ponte  dell^  Mosella, 
mandarono  le  legioni  in  rotta.  Ma  egli  con  gran  fran- 
chezza riparò  alla  sua  trascuranza,  e  respinse  gli  assa- 
litori, e  arse  il  loro  campo.  Poscia  li  fiaccò  e  Castra  Yetera 
(Xanten)  {'')  in  più  grossa  e  più  decisiva  battaglia,  dopo 
la  quale  Civile  fu  forzato  a  ritirarsi  cogli  altri  in  Batavia. 
Ceriale  lo  inseguì  anche  colà,  e  messe  a  guasto  il  paese, 
destò  tumulti  nel  popolo  stanco  dei  lunghi  travagli,  e 
dall'altra  parte  indusse  la  profetessa  Velleda  a  ispirare 
pensieri  di  pace  ai  Germani.  Onde  Civile,  disperato  di 
quell'impresa  alla  fine  cessò  dalle  armi,  e  fu  conclusa  la 
pace  a  patto  che  i  Batavi  rimanessero  alleati,  non  sud- 
diti, che  non  pagassero  tributo,  e  fornissero,  come  per 
l'avanti,  uomini  a  Roma  ♦. 

Mudano  e  Domiziano,  che  seppero  della  rotta  dei  Tre- 


C)  Vetera  fu  per  un  pezzo  la  principale  piazza  di  guerra  della  Ger- 
mania Inferiore.  Ivi  molte  legioni  lasciarono  ricordo  di  sé.  Nei  dintorni 
si  trovarono  molte  tombe  dei  tempi  di  Augusto,  di  Druso,  di  Germanico, 
di  Claudio,  di  Caligola,  di  Nerone,  dei  Flavii  e  degli  Antonini.  lu  niim 
altro  luogo  del  Reno  rimasero  tanti  oggetti  di  arte  romana,  come  gioielli, 
cammei,  figurine  di  bronzo,  vasi  cinerarii,  frammenti  di  armi ,  ecc. ,  elio 
ora  adornano  il  museo  della  moderna  città.  Si  trovano  anche  avanzi  della 
via  militare  che  congiungeva  Vetera  a  Colonia  Agrippina.  Più  tardi  la 
piccola  città  di  Xanten  sorta  sulle  rovine  di  Vetera  andò  famosa  mA 
poema  dei  Niebelungen  pel  palazzo  di  Sigismundo  e  di  Siegelinda,  geni- 
tori di  Siegefrido,  eroe  principale  di  quest'epopea.  Vedi  De  Ring,  É/a- 
hlissements  romains  du  Rhin  et  du  Damile,  voi.  II,  pag.  6-14. 

1  Tacito,  Ilist.,  IV,  12,  37,  j1-7'J,  V,  11-2G. 


Gap.  III.]  MUOIANO  E  DOMIZIANO.  479 

viri  prima  di  giungere  alle  Alpi,  non  procederono  più 
oltre  di  Lione;  e  Mudano  colse  da  questa  notizia  il  de- 
stro per  impedire  al  giovane  principe  di  accostarsi  al- 
l'esercito. Gli  disse  non  essere  della  sua  dignità  andare, 
finita  la  guerra  grossa,  a  imprese,  cui  bastavano  minori 
duci.  E  Domiziano,  accortosi  dell'arte,  fece  sembiante  di 


-yr^'^fP'^^ 


11  giovane  Domiziano  {leon.  Rom.j  pi.  Zi). 

non  intenderla,  ma  è  fama  che  da  Lione  tentasse  Ceriale 
per  averne  l'esercito  in  sua  mano,  né  si  sa,  se  per  far 
guerra  al  padre  o  al  fratello.  Ad  ogni  modo  Ceriale  lo 
eluse  destramente,  come  fanciullo  bramoso  di  cose  vane, 
e  il  principe  tornò  a  Roma  senza  aver  fatto  né  bene,  né 


480  MIRACOLI  E  PROVVEDIMENTI  DI  VESPASIANO.    [Lib.  VII. 

male,  quantunque  l'adulatore  Giuseppe  Flavio  scriva  che 
si  ricoprì  di  gloria  per  geste  superiori  ai  suoi  anni,  e 
attribuisca  a  lui  tutto  l'onore  della  vittoria  sui  barbari  *. 

La  guerra  finita  in  Occidente  continuò  ancora  qualche 
tempo  in  Oriente.  Vespasiano  governava  dall'  Egitto  ogni 
faccenda.  Mandò  armi  a  ricacciare  oltre  il  Danubio  i 
Sarmati,  che  passati  nella  Mesia,  e  ucciso  il  presidio  ro- 
mano, mettevano  le  contrade  a  ferro  e  a  fuoco.  In  Egitto 
gli  venne  un'ambasciata  dal  re  dei  Parti  coli' offerta  di 
40  mila  cavalli  di  aiuto,  che  egli  rifiutò.  Di  là  spediva 
suoi  ordini  in  ogni  parte,  intento  ad  assodare  con  ogni 
mezzo  la  nuova  potenza.  È  narrato  che  in  Alessandria, 
per  acquistarsi  autorità  e  maestà,  facesse  miracoli  su 
ciechi  e  rattratti  guariti  al  suo  tocco,  e  che  nel  tempio 
di  Serapide  vedesse,  come  se  fosse  presente,  un  Basilide 
che  era  lontano  80  miglia.  E  vi  fu  chi  credè  e  fece  te- 
stimonianza a  queste  imposture  degli  adulatori  e  dei  preti 
egiziani,  che  facevano  la  corte  al  potente,  mostrandolo 
amato  dagli  Dei.  Egli  pensò  a  raccoglier  denari  ponendo 
gravi  tributi,  di  cui  gli  Alessandrini  lo  maledissero.  Ma 
le  sue  cure  erano  principalmente  all'Italia,  ove  mandò 
navigli  carichi  di  grano  per  fornire  Roma,  ridotta  quasi 
alla  fame:  e,  mentre  aspettava  i  venti  favorevoli  alla  sua 
partenza,  mandò  Tito  a  compiere  la  guerra  giudaica  colla 
espugnazione  di  Gerusalemme  -. 

1  Giudei,  spogliati,  come  vedemmo,  di  tutto  il  loro  ter- 
ritorio, si  erano  ricoverati  nella  metropoli,  ove  la  grande 
moltitudine  portò  l'anarchia,  la  pestilenza  e  la  fame.  La 
parte  che  governava  al  cominciar  della  guerra  fu  abbat- 
tuta dagli  Zelanti,  i  quali,  armati  di  feroce  audacia,  ac- 
cusarono gli  avversarli  di  tradire  la  patria,  e  ne  fecero 


•  Tacito,  Hist.j  IV,  85,  85;  Svetonio,  Dom. ,  2;  Giuseppe  Flavio,  Guerra  Giudaica, 
VII,  1,  2.  Vedi  anche  Silio  Italico,  III,  607-608. 

2  Tacito,  Hist.,  IV,  51,  52,  81,  82;  Dione  Cassio,  LXVI,  8;  Svetonio,  Vespas.^7\  Giu- 
seppe Flavio,  Guerra  Giud.^  VII,  4,  3. 


Gap.  III.]  GERUSALEMME.  481 

macello  ;  e  ordinatisi  alla  difesa  giurarono  di  non  cedere, 
finche  avessero  mano  da  reggere  un  ferro.  Anima  e  capi 
dell'impresa  furono  Giovanni  di  Giscala  e  Simone,  figlio 
di  Giora,  che  combatterono  da  eroi  fino  agli  estremi. 

La  città,  mirabilmente  afforzata,  era  chiusa  per  ogni 
parte  in  circa  quattro  miglia  di  giro  da  mura  di  grossi 
macigni  coronate  di  164  torri,  e  fornite  di  parapetti.  Nel- 
l'interno l'arte  aveva  fortificato  le  colline,  forti  già  per 


Veduta  di  Gerusalemme  presa  dalla  valle  di  Giosafat  {Taylor) 

natura.  Il  Sion,  o  alta  città,  aveva  torri,  e  bastioni,  ed 
era  circondato  di  particolari  mura,  di  fosse  e  valloni. 
Così  le  colline  di  Aera  e  del  Moria  dette  Città  Bassa  ri- 
spetto alle  alture  di  Sion,  e  la  Città  Nuova,  comprese  nel 
comune  recinto,  stavano  separate  l'una  dall'altra  dentro 
mura  distinte.  Sul  Moria  elevavasi  il  tempio  con  due  re- 
cinti, chiusi  l'uno  nell'altro,  e  in  vicinanza  sorgeva  su 
nudo  scogUo  la  mirabile  fortezza  Antonia  fiancheggiata 


482  ASSEDIO  DI  TITO.  [Lib.  VII. 

di  torri:  la  quale  per  via  di  un  ponte  comunicava  col 
tempio,  e  stava  come  legame  delle  altre  difese.  1  palazzi 
stessi  solidissimi  e  muniti  di  torri  potevano,  al  bisogno, 
aiutare  le  difese  e  le  offese  *. 

I  difensori  avevano  24  mila  uomini  disciplinati  e  ar- 
mati, a  cui  aggiungevasi  una  grandissima  turba  di  popolo 
credente  che  ai  Giudei  fosse  promesso  l' impero  del 
mondo,  e  quindi  pronto  in  ogni  occorrenza  a  piombare 
da  ogni  parte  addosso  ai  nemici.  Tito,  famoso  per  sue 
valentie  e  consigli  di  combattitore  e  di  duce,  e  caro  ai 
soldati  perchè  affabile  e  prode  e  partecipante  alle  comuni 
A^ini'iRo-  fatiche,  giunse  ai  primi  di  aprile  sotto  le  mura  della  forte 
G.\vfo.  'città  con  terribile  apparato  di  macchine,  con  circa  80 
mila  uomini  tra  legionarii  e  ausiliarii,  e  bande  di  Arabi, 
nemici,  come  vicini,  ai  Giudei,  e  molti  venuti  di  Roma 
e  d'Italia  per  pigliar  parte,  prima  di  altri,  alle  fortune  dei 
principi  nuovi-:  e  aveva  ai  suoi  ordini  valenti  ufficiali 
tra  cui  si  ricordano  il  giudeo  Tiberio  Alessandro,  Sesto 
Cereale,  Larcio  Lepido,  Tittio  Frugi,  Aterio  Frontone,  e 
^I.  Antonio  Giuliano  ("). 

Al  primo  avvicinarsi  coi  suoi  cavalieri  Tito  stesso  corse 
pericolo  di  cadere  in  mano  ai  nemici  venutigli  impetuo- 
samente addosso  da  una  porta  che  all'  improvviso  fu 
aperta,  e  scampò  coli' aiuto  del  suo  freddo  coraggio,  e 
del  forte  e  veloce  cavallo.  Nel  giorno  appresso  pose  le 
truppe  dai  lati  di  borea  e  di  ponente,  e  poscia  mandò 
Giuseppe  Flavio  sotto  le  mura  per  esortare  alla  resa  i 
Giudei,  i  quali  alla  vista  del  traditore  divennero  viepiù 

{")  Giuseppe  Flavio,  VI,  4,  3.  Per  la  storia  di  essi  vedi  Leon  Renier, 
.S/fr  les  officiers  qui  assistcrent  au  conseil  de  guerre  temi  par  .Titus-, 
avanl  de  livrer  l'assaut  au  tempie  de  Jerusalem,  in  Mcm.  de  l'Insliiui 
imprrial  de  France,  Paris,  1867,  tome  XXVI,  pag.  294-321, 

1  Salvador,  De  la  domìnation    romaine  en  JudéCj  ch.Tp.  IS  e  19;  Taylor,  La  S;/rif, 
VEgypte^  la  Palestine  et  la  Judée,  voi.  I,  pag.  271,  Paris  1839. 
«  Giuseppe  Flavio,  Guerra  Giud.^  V,  1,  2  e  6;  Tacito,  Hist..  V,  1  e  13. 


Gap.  III.]  EROICA  DIFESA  DEGLI  ASSEDIATI.  483 

furiosi,  e  dopo  avere  risposto  con  ima  grandine  di  pietre 
e  di  dardi,  uscirono  impetuosamente  a  distrugger  le  mac- 
elline, e  messero  in  disordine  gli  assediatori.  Pure,  a 
malgrado  dei  fieri  contrasti,  ai  primi  di  maggio  fu  aperta 
la  breccia,  e  Tito  entrò  con  duemila  uomini  nella  Città 
Nuova:  ma  i  difensori,  usciti  ad  un  tratto  da  tutte  le  case, 
gli  piombarono  addosso  con  tanto  impeto,  che  dopo  aver 
perduti  molti  soldati  fu  forzato  a  ritrarsi  velocemente 
fuori  delle  mura,  prima  che  gli  fosse  preclusa  la  via. 
Breve  vittoria.  I  Romani,  ardenti  di  vendicare  la  scon- 
fitta e  la  fuga,  tornarono  più  furiosamente  all'assalto,  e 
dopo  tre  giorni  di  terribile  battaglia  rimasero  padroni 
del  quartiere  contrastato,  e  ai  Giudei  fu  forza  ritirarsi 
dentro  le  mura  della  Città  Bassa. 

I  mesi  di  maggio  e  di  giugno  furono  spesi  a  combattere 
la  fortezza  Antonia,  guardata  da  Giovanni  di  Giscala,  che 
mostrò  suprema  energia,  ed  ebbe  sì  devoti  i  soldati,  che 
a  ogni  suo  cenno  incontravano  i  pericoli  a  gara.  Tito 
schierò  fanti  e  cavalli  nei  sobborghi,  e  per  crescer  terrore 
ai  nemici  fu  largo  di  strazii  ai  prigionieri:  tagliò  loro 
le  mani,  e  ne  mise  in  croce  fino  a  500  per  giorno.  Gli 
assediati  alla  orribile  vista  si  accesero  viepiù  alla  difesa, 
e  imprecando  al  feroce  oppressore,  si  scagliarono  a  met- 
ter fuoco  alle  macchine,  e  respinsero  gli  assedianti  nel 
loro  campo.  Fu  questo  un  supremo  sforzo.  Soldati  e  po- 
polo, usciti  dalle  mura,  si  avventavano  furibondi  contro 
le  aste  romane,  respinsero  i  nemici  da  ogni  parte,  e  as- 
sediatili negli  alloggiamenti  combatterono  terribilmente 
un  giorno  intero.  Le  legioni  erano  a  estremo  pericolo,  se 
la  cavalleria  non  isbandava  gli  assalitori,  forzandoli  a 
ritornare  in  disordine  dentro  alle  mura. 

Tito,  cui  importava  affrettare  la  fine,  ventilati  vari  par- 
titi, ordinò  una  circonvallazione  per  chiudere  ogni  en- 
trata alle  vettovaglie,  e  vincere  colla  fame.  E  presto  anche 
questa  si  aggiunse  agli  orrori  della  guerra,  e  portò  seco 


484  BATTAGLIE  ALLA  FORTEZZA  ANTONL\  E  AL  TEMPIO.  [Lib.  VII. 

crudele  pestilenza  e  infinita  mortalità.  Mette  spavento  il 
ricordo  dei  mali  patiti  dalla  infelice  città,  ove  è  detto 
che  una  donna,  per  fame,  mangiò  il  suo  figliuolo.  In 
mezzo  ai  moltiplicati  flagelli  crebbero  anche  le  furie  ci- 
vili, e  le  crudeltà  contro  i  partigiani  di  Roma,  accusati 
di  nascondere  le  provvisioni.  Le  vie  erano  ingombre  di 
cadaveri:  tutto  pieno  di  orrore  e  di  morte.  Pure  l'odio 
alla  schiavitù  sosteneva  ancora  le  forze  dei  difensori,  che 
ricordando  animosi  il  loro  giuramento  erano  fermi  a  re- 
spingere qualunque  proposizione  di  accordi. 

Sulla  fine  di  giugno  l'ariete  ruppe  il  muro  della  for- 
tezza Antonia,  e  ne  fece  crollare  una  torre:  ma  dalla 
breccia  gli  assediatori  videro  sorgere  un  nuovo  bastione, 
forte  come  il  primo,  fatto  inalzare  da  Giovanni  di  Giscala. 
Onde  i  Romani  atterriti  cominciavano  a  disperare  del- 
l'impresa, e  fu  d'uopo  di  tutta  la  costanza  del  duce  per 
tenerli  fermi  e  rinfiammarne  colla  eloquenza  il  coraggio. 
Alla  fine  una  sorpresa,  aiutata  forse  dal  tradimento,  fece 
cadere  la  fortezza.  Tito  nei  silenzi  della  notte  fece  salire 
22  uomini  per  le  rovine  della  torre  crollata ,  e  li  seguì 
con  grossa  schiera  di  prodi.  1  difensori,  atterriti  alla  im- 
provvisa vista,  si  precipitarono  in  tumulto  fuori  della 
fortezza,  e  si  volsero  al  tempio,  ove  aiutati  dalle  forze 
di  Simone  Giora  ebbero  modo  a  far  testa.  Fu  combattuto 
tutta  la  notte  fra  le  tenebre  in  disordine,  a  ventura:  e 
alla  nuova  luce  la  battaglia  continuò  a  corpo  a  corpo 
dieci  ore  con  prove  di  eroica  prodezza  da  ambe  le  parti: 
e  per  quel  giorno  il  tempio  fu  salvo. 

Prima  di  procedere  a  nuovi  assalti,  Giuseppe  Flavio 
tornò  a  gridare  ai  Giudei  di  arrendersi.  Tito  stesso  fece 
esortazioni,  e  minacciò,  se  non  si  arrendessero,  di  ardere 
il  tempio  di  Dio,  e  spinse  per  più  giorni  l'ariete  contro 
i  baluardi,  che  lo  accerchiavano.  Vane  prove.  I  Giudei, 
risoluti  a  seppellirsi  nelle  rovine,  non  dettero  ascolto  ad 
esortazioni  o  minacce,  e  comecché  rifiniti  dalla  fame  re- 


AP.  III.I 


48 


^^-"""^-^ 


illiniiiiiiim'ittJÉiilililiMl 

Tuo  in  atto  di  arlngare  i  soldati  (Mongez^  Ieo;x.  Rara  .  XXXIK,  n.  1). 
Vannucci  —  SlorU  dell'Italia  antica  —   IV.  ''1 


48S  VITTORIA  DEI  ROMANI  E  MACELLO  DEI  VINTI.  [Lib.  VII. 

spinsero  fieramente  gli  assalti,  sventarono  le  sorprese, 
precipitarono  dall'alto  chi  tentasse  di  salire  per  le  scale. 
Ma  non  poterono  chiuder  la  via,  che  gli  assalitori  si  apri- 
rono colle  fiamme  al  primo,  e  quindi  al  secondo  recinto 
del  tempio.  Invano  Tito  gridò  di^  arrestare  la  distruzione: 
i  soldati,  cupidi  di  predare  e  di  finir  la  guerra,  dettero 
nutrimento  all'incendio:  e  fu  distrutto  il  sontuoso  edilìzio, 
e  molti  guerrieri  rimasero  ravvolti  in  quella  grande  ro- 
vina. È  narrato  di  prodigii  e  di  segnaU  terribili  veduti 
nel  tempo  della  fiera  battaglia:  e  oltre  ogni  credere  tre- 
menda fu  la  strage  menata  dai  vincitori.  Seimila,  tra 
donne  e  fanciulli,  perirono  di  fuoco  sotto  il  portico  reale: 
il  sangue  corse  a  rivi  sui  gradini  del  tempio. 

Simone  Giora  e  Giovanni  di  Giscala,  seguiti  dai  più 
prodi,  riuscirono  con  disperato  sforzo  ad  aprirsi  una  via 
tra  le  fiamme  e  i  nemici,  e,  ritiratisi  nell'alta  città,  fecero 
le  ultime  prove  tra  le  fortificazioni  di  Sion.  Tito  promise 
salva  la  vita  a  chi  si  arrendesse:  ma  senti  ripetere  il 
terribile  giuramento,  e  allora  furioso  pronunziò  l'estremo 
esterminio,  e  fece  battere  incessantemente  le  mura.  I 
più  dei  difensori  erano  caduti  di  ferro,  di  fame,  di  pesti- 
lenza: e  tutti  aveva  abbandonato  omai  la  speranza. 

Aperta  la  breccia,  i  Romani  entrarono  (7  settembre) 
gridando  vittoria:  e  i  loro  vessilli  sventolarono  sulle  torri 
di  Sion.  Fu  menato  incredibil  macello:  uccisi,  oltre  ai 
soldati  presi  colle  armi,  anche  i  vecchi  inermi.  In  pochi 
giorni  perirono  undicimila  persone  di  dolore  e  di  fame, 
e  il  numero  totale  dei  moi'ti  durante  l'assedio  vuoisi  che 
ascendesse  a  più  d'un  milione  (").  1  principali  capi  fecero 
invano  ogni  sforzo  per  sottrarsi  alla  rabbia  nemica.  Riu- 
sciti  dapprima  a  riparai'si  per   cloaclie   e  caverne,   alla 

(")  Giuseppe  Flavio,  VI,  9,  3,  dice  che  gli  uccisi  durante  l'aesoflio  fu- 
rono un  milione  e  centomila.  Giusto  Lipsio,  De  Constanlia ,  II,  21,  con- 
tando anche  i  periti  nella  guerra  di  Vespasiano,  dà  in  tutto  la  somma 
di  un  milione  e  240  mila. 


Gap. 


LA  CITTA  ROVINATA  E  I  GIUDEI  DISPERSI. 


487 


fine  furono  presi.  Giovanni  ebbe  condanna  di  perpetua 
prigione,  e  Simone  fu  serbato  alle  onte  del  trionfo,  e  a 
crudissima  morte.  Vi  ebbero  circa  centomila  prigioni:  i 
più  giovani  riserbati  al  trionfo,  gli  altri  destinati  ai  la- 
vori pubblici  e  a  pasto  delle  fiere  nel  Circo.  La  città  ri- 
mase tutti,!  ima  rovina;   l'aratro  passò  dove  già  sorse  il 


ii^i:i':i^:5']?^si= 


Ruderi  del  recinto  del  tempio  di  Gerusalemme 
{De  Saulcyj   Voyage  autour  de  la  Mer  Morte^  ecc.,  pi.  XXIII  a,  e  XXIV,  1  e  2). 

magnifico  tempio,  e  i  Giudei  scampati   cominciarono  la 
loro  dispersione  pel  mondo  ("). 


k 


{"')  Delle  ultime  sciagure  di  Gerusalemme  détte  particolareggiato  rac- 
conto Giuseppe  Flavio,  il  quale  recentemente  ebbe  uu  accurato  e  im- 
portante commento  in  un'  opera  del  De  Saulcy  {Le  derniers  jours  de 
Jèrusalem,  Paris  1866)  che  in  questo  intento  si  recò  due  volte  a  Geru- 
salemme, e  vi  fece  lunga  dimora  per  bene  studiare  la  città  e  i  suoi  con- 


488  FESTE  DEL  VINCITORE.  VESPASIANO  A  ROMA.     [Lib.  VII. 

Tito  lodò  il  valore  dei  suoi,  distribuì  fra  essi  le  ricche 
spoglie,  pose  un  presidio  a  Gerusalemme,  e  lasciata  ad 
altri  la  cura  di  pigliare  le  fortezze  di  Massada,  di  Hero- 
dion  e  di  Macheronte,  che  lungi  dalla  capitale  reggevano 
ancora,  si  apparecchiò  a  muovere  a  Roma  per  far  ces- 
sare la  voce  che  lo  accusava  di  voler  farsi  indipendente 
dal  padre,  creando  per  sé  un  impero  d'Oriente.  Ma  prima 
di  mettersi  in  via  festeggiò  a  Berito  e  a  Cesarea  l'anni- 
versario del  padre  e  del  fratello:  e  in  quei  giuochi  i  vinti 
Giudei  furono  forzati  a  combattere  colle  fiere  o  a  ucci- 
dersi a  vicenda,  e  più  migliaia  furono  arsi  vivi,  per  ren- 
dere più  vera  l'imagine  di  ciò  che  era  accaduto  a  Ge- 
rusalemme K 

Le  terre  giudaiche  andarono  poscia  vendute,  e  i  Giudei 
di  qualunque  parte  del  mondo  furono  obbligati  a  pagare 
ogni  anno  due  dramme  a  testa  al  tempio  di  Giove  Ca- 
pitolino, come  già  facevano  a  quello  di  Gèrosolima  2. 

Prima  che  fosse  compiuta  la  guerra  giudaica.  Vespa- 
siano si  era  incamminato  alla  volta  d'Itaha.  Sopra  una 
nave  da  carico  tragittò  a  Rodi  e  in  Grecia,  e  toccata 
Corcira  approdò  a  Brindisi,  ove,  fra  i  plausi  del  popolo. 


torni,  e  cavarne  piante  e  livelli,  e  così  comprendere  e  spiegare  tutte  le 
particolarità  narrate  dallo  storico  che  fu  testimone  oculare.  Egli  ricercò 
amorosamente  ogni  angolo  della  città,  ogni  rovina  delle  sue  mura,  ogni 
ricordo  che  potesse  dar  nuova  luce  al  racconto  della  tremenda  catastrofe: 
riconobbe  e  notò  tutti  i  punti  assaliti  e  difesi,  segui  minutamente  la 
strategia  dei  Romani,  e  i  loro  accampamenti,  gli  immensi  lavori  dell'as- 
sedio, i  combattimenti  giornalieri  fra  assedianti  e  assediati,  e  ritrasse  le 
abominevoli  e  terribili  scene  della  città  in  quell'enorme  moltitudine  di 
popolo  decimato  dalla  carestia,  dalle  malattie  e  dalle  stragi  della  guerra 
civile.  Di  lui  vedi  anche  Voyarje  autoiir  de  la  Mer  Morie  et  dans  les 
Terres  Bibliques,  Paris  1853. 

1  Giuseppe  Flavio,  Guerra  Giud.,  V,  1-13,  VI,  1-10,  VII,  1-10;  Tacito, //isf.^  V,  l-llì; 
Dione  Cassio,  LXVI,  1-7. 

2  Giuseppe  Flavio,  Guerra  Giud.  ^   VII,  0,  7;  Dione,  LXVI,  7;  Svetonio,  Dom.^  1?; 
Tertulliano,  Apolog.,  18;  Appiano,  Syr.^  50. 


Gap.  ih.]  TRIONFO  SUI  GIUDEI.  489 

fu  accolto  da  Mudano  e  dai  maggiorenti  di  Roma  venuti 
a  incontrarlo.  Egli,  cortese  a  tutti,  fu  severo  con  Do- 
miziano, di  cui  conosceva  le  insolenze  e  la  trista  natura. 
Per  tutta  la  via  corsero  in  folla  le  genti  a  vederlo  e  a 
salutarlo  festosamente.  A  Roma  più  solenne  la  gioia  con 
lieti  conviti  e  sacrificii  agli  Dei.  Tutti  pieni  di  alte  spe- 
ranze cantavano  inni  al  principe,  e  lo  salutavano  Salva- 
tore 1. 

Le  feste  si  rinnovellarono,  più  mesi  dopo,  all'arrivo  del 
vincitore  di  Gerusalemme.  Tito,  facendosi  avanti  al  pa- 
dre come  per  rispondere  a  chi  lo  accusava  di  trame, 
disse  con  effusione:  Eccomi^  eccomi,  o  padre!  -  E  Vespa- 
siano lo  accolse  festevolmente,  e  per  toglier  via  ogni 
dubbio  e  timore  lo  prese  a  compagno  in  tutti  gli  ufficii 
della  potenza  imperiale.  Socio  nella  censura  e  nella  po- 
testà tribunizia,  collega  in  sette  consolati,  primo  ministro, 
e  da  ultimo  prefetto  del  pretorio:  e  d'ora  in  poi  ebbero 
in  comune  gli  adoratori  e  i  pubblici  voti  ("). 

Il  padre  e  il  figlio  uniti  menarono  insieme  un  solo 
e  comune  trionfo  della  vinta  Giudea,  e  di  Gerusalemme 
distrutta,  del  quale  serba  anche  oggi  vivo  ricordo  l'arco 
di  Tito,  uno  dei  monumenti  più  conservati  di  Roma  (^). 

(^)  Svetonio,  Tit. ,  5;  Censorino,  Be  die  nat.j,  17.  Un  Trofimo  fondò 
per  essi  sul  Celio  il  collegio  dei  cultori  o  devoti  Numinis  Dominorum. 
Vedi  Marini,  Aì'val.,  I,  113;  MafFei,  Mus.  Yeron.,  96,  5;  Morcelli,  De 
Stilo  inscript.,  I,  348.  Nella  censura  si  vedono  uniti  anche  sopra  una 
medaglia.  Vedi  Giorn.  Arcad.,  1822,  voi.  XVl,  pag.  57-S9. 

(*)  L'iscrizione  sull'arco  dice:  Senatus  populusque  romanus  Biro  Tito 
Bivi  Vespasiani  F.  (ilio)  Vespasiano  Augusto.  In  altro  monumento  il 
Senato  e  il  Popolo  romano  celebravano  Tito  quod  praeceptis  patris 
consiliisque  et  auspiciis  gentem  ludaeorum  domiiit  et  urbem  Hieroso- 
li/mam  omnibus  ante  se  regibus  gentibusque  aut  frustra  petitam  aut 
omnino  intenfafam  delevit.-\' edi  Orelli,  Inscr.,  759,  e  Henzen,  ivi,  voi.  Ili, 
p.  73.  —  Paolo  Orosio  (VII,  9)  conta  questo  come  il  CCCXX  dei  trionfi 

1  Giuseppe  Flavio,  Guerra  Giud.j  VII,  2  e  4;  Dione  Cassio,  LXVI,  9,  10. 

2  Svetonio,  TU..  5. 


490 


TRIONFO  SUI  GIUDEI. 


[LiB.  VII. 


Lo  storico  giudeo  con  trista  compiacenza  disse  *  la 
gioia  sovrumana  del  popolo,  le  sontuosità  della  pompa, 
le  ineffabili  miserie  dei  vinti.  Niun  particolare  fu  per  lui 
lasciato  da  parte.  Lietamente  vide  Vespasiano  e  Tito  lau- 


Arco  di  Tito  (Canina^  Ediflti,  IV,  tar.  2W). 

reati  e  vestiti  di  porpora,  uscire,  all'aurora,  dal^tempio 
di  Iside,  e  avviarsi  ai  Portici  d'Ottavia;  e  ivi  le  acco- 
glienze dei  senatori,  dei  magistrati  e  dei  cavalieri,  e  il 

romani.  Poi  se  ne  aggiunf^ono  altri  trenta,  finché  Diocleziano  chiude 
nel  302  la  serie  dei  trionfanti.  Vedi  Goell,  Be  triumphi  romani  origine, 
perrnissu,  apparatu,  via,  Schleize  1854,  pag.  43. 


Giuseppe  Flavio  ^Guerra  Gtud.,  VII   5. 


Gap.  ih.]  TRIONFO  SUI  GIUDEI.  491 

giubilare  dei  soldati  coronati  d'alloro  e  vestiti  di  seta,  e 
le  pubbliche  preghiere  dei  trionfanti,  e  il  pranzo  usato 
in  tali  occasioni  prima  di  mettersi  in  moto:  poi  il  sa- 
crifizio agli  Dei  custodi  della  porta  trionfale,  e  lo  sfilarsi 
della  grande  processione  per  le  vie,  pel  Circo  Flaminio, 
e  pel  Circo  Massimo  affollati  di  popolo  plaudente.  Ninno 
è  rimasto  a  casa  quel  giorno  in  cui  può  vedersi  riu- 
nito ciò  che  di  più  bello  e  più  ricco  possederono  mai 
gli  uomini  più  fortunati:  innumerabili  lavori  di  oro,  di 
argento  e  d'avorio,  vesti  purpuree,  vesti  babilonesi  di- 
visate a  pitture  finissime,  gemme  in  tanta  abbondanza 
da  smentire  l'opinione  che  tiene  una  rarità  le  pietre  pre- 
ziose; imagini  di  Dei  di  maravigliosa  grandezza,  di  pre- 
ziosa materia,  di  squisito  lavoro;  animali  d'ogni  sorta 
splendidamente  arredati;  i  partecipanti  al  trionfo  adorni 
in  non  più  vista  maniera;  coperti  di  porpora  e  d'oro 
anche  gli  inservienti  alla  pompa,  e  del  pari  adorni  i  700 
prigioni  scelti  pel  trionfo  tra  i  giovani  più  belli  della 
Giudea. 

Poi  maraviglie  di  macchine  guerresche  a  tre  e  quattro 
piani,  intarsiate  d'oro  e  d'avorio,  con  aurei  drappelli,  e 
in  cima  le  imagini  dei  capi  delle  città  soggiogate  nel- 
l'atteggiamento in  cui  furono  presi.  Su  quadri  di  verità 
portentosa  la  guerra  fa  grande  mostra  di  se  in  figure  di 
città  messe  a  fuoco,  ed  a  fiamme,  in  falangi  nemiche 
menate  a  sterminio,  in  mura  di  strana  grandezza  cadenti 
all'urtar  degli  arieti:  e  vittorie  contro  fortezze  poste  sulle 
vette  dei  monti,  e  incendii  di  templi,  e  case  rovinanti 
addosso  ai  padroni,  e  ogni  luogo  pieno  di  sangue  e  di 
morte. 

Dietro,  una  lunga  mostra  di  navi  e  molte  altre  spoglie 
alla  rinfusa.  Ma  soprattutto  è  detta  notevole  la  comparsa 
delle  spoglie  del  tempio  di  Gerusalemme,  stato  il  più  ma- 
gnifico e  più  ricco  del  mondo.  Vedovasi  la  mensa  d'oro 
pesante  molti  talenti,  il  candelabro  d'oro  a  sette  lucerne, 


492  TRIONFO  SUI  GIUDEI.  [Lib.  VII. 

e  il  codice  delle  leggi  giudaiche  :  e  quindi  molti  simulacri 
d'avorio  e  d'oro,  seguiti  da  Vespasiano  e  da  Tito  sul  carro 
trionfale,  con  Domiziano  procedente  dappresso  sopra  su- 
perbo destriero. 

Giunti  al  tempio  di  Giove  Capitolino,  termine  della 
processione  trionfale,  secondo  l'uso  aspettarono  che  ve- 
nisse la  notizia  della  morte  del  più  terribile  capo.  Simone, 
figlio  di  Giora,  condotto  tra  i  prigionieri,  fu  con  un  laccio 
al  collo  trascinato  nel  Fòro,  e  percosso  di  verghe  e  uc- 
ciso. All'annunzio  che  egli  avea  cessato  di  vivere  scoppiò 
un  feroce  grido  di  gioia  a  cui  seguirono  sacrifìcii  e  pre- 
ghiere. Poscia  i  principi  si  ridussero  a  grande  banchetto 
alla  reggia,  e  i  cittadini  in  loro  case  fecero  festa  a  mense 
lautamente  imbandite.  Tutti  tripudiarono  sulle  stragi  e 
sulle  rovine  di  un  popolo  straziato  con  una  barbarie  di 
cui  non  trovasi  pari  esempio  tra  genti  civili. 

L'arco  di  Tito  che,  come  dicemmo,  rimane  monumento 
di  questo  grande  e  atroce  trionfo,  nei  bassirilievi  di  cui 
diamo  il  disegno,  ci  mostra  istoriata  una  parte  della 
pompa:  dapprima  il  trasporto  del  candelabro,  e  della 
mensa  d'oro  con  un  vaso  per  le  libazioni,  e  le  trombe 
annunziatrici  del  giubileo  ;  quindi  l' imagine  del  fiume 
Giordano  portato  prigioniero  sopra  una  barella,  e  le  vit- 
time destinate  al  sacrifizio  sul  Campidoglio;  e  da  ultimo 
il  vincitore  coronato  dalla  Vittoria  su  carro  tratto  da 
quattro  cavalli  guidati  da  Roma  *. 

Dopo  tanto  infuriare  di  tirannide  e  x3i  guerra  tornava 
finalmente  la  sicurezza  e  la  pace:  e  le  genti  benedissero 
come  salvatore  l'uomo,  che  nel  nuovo  grado  si  porgeva 
senza  fasto,  e  umano  e  cortese,  dando  a  tutti  facile  ac- 
cesso, non  tenendo  guardie  alle  porte,  e  non  pensando. 


1  Vfili  Bartoli,  Admiranda  ,  tab.  4-6,  e  Rossini,  Archi  onorarti  e  funehri  degli  an- 
tichi Romani  sparsi  per  tutta  Italia,  lloina  1S3G,  tav.  3«.  Vedi  anclie  Braun,  Bassori- 
Uivo  rappresentante  l'accoglienza  d'un  trtonfatore  presso  t  portici  d'Otlavìa^  in  Annal. 
IttH.^  Is5t,  pag.  78-79. 


Gap.  III.] 


493 


\]m  n*"  ||il'|i|M||[tr"l|'  ifil  |ii|iii|M     I  Ifi  pilli  II  l|i|      ^^wn     TT       '  I  |i|  nii||  1   II     pTf^l 


mM^^m. 


Trijufo  cui  Giuilfi  figurato  nei  bassirilievi  d"U'arco  di  Tito  (Bartoli  e  Rossini) 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  62 


494  VESPASIANO  TUTTO  INTESO  A  RIORDINARE  LO  STATO.  [Lib.  VII. 

ad  altro  che  a  riordinare  lo  Stato,  e  a  soccorrere  ai  tra- 
vagli del  mondo,  e  lavorando  i  giorni  e  le  notti  a  questa 
grande  opera  *.  Con  molti  sforzi  riparò  subito  ai  mali  più 
gravi;  rimesse  in  freno  1  licenziosi  soldati,  licenziò  molti 
dei  vinti,  e  con  severa  disciplina  tolse  l'audace  baldanza 
ai  compagni  della  vittoria  2,  Come  da  più  tempo  non  si 
faceva  giustizia,  e  i. delitti  rimanevano  impuniti,  egli,  oltre 
a  rendere  ragione  da  sé  stesso,  provvide  al  modo  di 
spacciar  subito  le  liti,  che  prima  duravano  eterne,  e  or- 
dinò un  tribunale  con  autorità  di  giudicare  e  fare  resti- 
tuire le  cose  rubate  durante  la  guerra  ^.  Fattosi  poscia 
censore  con  Tito,  riformò  il  Senato  e  l'ordine  equestre, 
togliendone  gl'indegni,  e  mettendovi  i  cittadini  più  ono- 
rati d'Italia  e  delle  province.  Creò  nuovi  patrizi,  crebbe 
fino  a  mille  le  famiglie  senatorie,  di  cui  rimanevano  ap- 
pena duecento,  e  al  senno  del  Senato,  divenuto  come  una 
rappresentanza  di  tutto  l'Impero,  sottomise  ogni  affare 
importante  *. 

Ma  soprattutto  importava  ristorare  le  finanze,  di  cui 
i  suoi  predecessori  avevano  fatto  tristissimo  governo. 
Trovando  vuoto  l'erario,  Vespasiano  dichiarò  che  biso- 
gnavano 40  miliardi  di  sesterzi  (circa  dieci  mihardi  di 
lire)  per  riparare  ai  mali  pubblici  e  privati,  e  far  sussi- 
stere lo  Stato  {").  Per  raccoghere  questa  somma  fece  un 
nuovo  catasto,  che  gli  desse  modo  e  regola  a  stabilire 
nuove  gravezze  ^,  rimesse  su  quelle  tolte  da  altri,  aumentò 

(")  Professus ,  quadringentics  millies  opus  esse,  itt  Ttespiiblica  stare 
posset.  Svetonio,  Vespas.,  16.  Altri  leggono  quadragies  millies,  cioè  4 
miliardi  di  sesterzi. 

1  Svetonio,  Vesj)as.j.  12;  Plinio,  Ilist..  Nat.^  Il,  »;  Plinio,  Epist. ,  III,  5;  Dione  Cas- 
sio, LXVI,  10. 

2  Svetonio,   Vespas  .,  8. 

3  Tacito,  Hist.^  IV,  40-,  Svetonio,  Vespas.^  10;  Dione  Cassio,  LXVI,  10. 

4  Tacito,  Agrìc,  9;  Svetonio,  Vespas.^  9;  Dione  Cassio,  LXVI,  10;  Canitolino.  M.  An- 
tonini vita,  1  ;  Aurelio  Vittore,  De  Caesaribus,  cap.  9. 

5  Frontino,  De  coloniis^  in  Goes.,  Rei  agrar.  auctores,  pag.  127  e  1 IC. 


Gap.  III.]     PROVVEDIMENTI  PER  RISTORARE  LE  FINANZE.  495 

e  raddoppiò  i  tributi  ad  alcune  province  *,  e  se  détte  il 
diritto  del  Lazio  a  tutta  la  Spagna  ^  tolse  la  libertà  al- 
l'Acaia,  cui  l'aveva  restituita  Nerone,  e  alla  Licia,  a  Rodi, 
a  Bizanzio  e  a  Samo,  per  aver  modo  a  sottoporre  questi 
luoghi  alle  gravezze  dei  sudditi:  e  col  medesimo  intento 
ridusse  a  province  la  Cilicia  e  la  Commagene,  state  fm- 
qui  sotto  il  governo  di  re,  riunendo  quest'ultima  alla 
Galazia  sotto  un  governatore  imperiale  (").  Né  ad  Antioco, 
re  della  Commagene,  valsero  i  servigi  resi  a  Roma  sotto 
Gerusalemme.  Il  governatore  di  Siria  lo  accusò  di  inten- 
dersela coi  Parti,  e  mossagli  guerra,  gli  prese  Samosata 
sua  capitale,  importantissima  per  esser  ai  passi  dell'Eu- 
frate, pose  il  re  in  catene  e  lo  mandò  a  Roma,  dove  gli 
fu  fatta  abilità  di  vivere  colla  sua  donna  e  coi  figli  3, 

A  sollievo  delle  esauste  finanze  ricompensò  i  veterani 
licenziati  dopo  la  guerra  civile  coll'aggiungerli  agli  anti- 
chi coloni  di  Ostia,  di  Rieti,  di  Spello,  di  Pozzuoli,  di  Nola 
e  di  Fóro  Popilio  in  Campania,  e  in  altri  luoghi  del  Sannio, 
di  Apulia  e  Calabria,  e  mandò  nuove  colonie  in  Spagna, 
in  Elvezia,  in  Pannonia,  in  Tracia  e  nell'Asia  (^). 


{^)  Svetonio,  Vespas.,  8;  Borghesi,  Iso^izioni  di  Sepino,  in  Oper.,  V, 
348.  Svetonio  pone  anche  la  Tracia,  ma  questa  era  provincia  fino  dai 
tempi  di  Claudio,  come  si  ha  dalla  Cronaca  di  Eusebio.  Aurelio  Vittore 
[De  Caes.,  9)  ha  Cilicia  Trachea.  E  invece  di  Tracia  debbe  leggersi  in 
Svetonio  Trachea.  Vedi  Spanheim,  Orbis  Romanus,  pag.  260,  e  Turnebius, 
Adoers.,  XXIV,  36. 

(*)  Zumpt,  De  Colon.  Roman,  milit.,  in  Cotnment.  Epigraph.,  p.  394- 
398.  Il  nome  dei  Flavii  si  trova  tra  gli  Elvezii  ad  Aventico  (Avenches), 
a  Vindonissa  {Windisch)  e  altrove  (Orelli,  212,  363,  364,  380,  381,  437, 
5026;  Henzen,  5256,  e  Momrasen,  Inscr.  Helvet.,  18,  IBS,  249).  Plinio  (IV,  34) 
ricorda  Flaviobriga  in  Spagna.  A  Sirmio  {Mitrovic)  in  Pannonia  si  trova 
la  colonia  Flavia  Sirmiatium  {Corp.  Inscr.  lai.,  III,  pag.  418  e  n.  753). 
In  Tracia  i  Veterani  fondano  la  colonia  Flavia  Pacensis  a  Develto  (Plinio, 

1  Svetonio,   Vespas.^  16;  Dione,  LXVI,  S. 

2  Plinio,  Nat  ,  Hist..  Ili,  4,  15. 

3  Giuseppe  Flavio,  toc.  ciC.^  VII,  7. 


496  NUOVE  INDUSTRIE  PER  EMPIRE  L'ERARIO.      [Lib.  VII. 


Fu  detto  che  Vespasiano  anche  delle  orine  fece  capi- 
tale per  rinfrescare  l'erario  ("),  e  come  con  arguzie  ri- 
spose a  chi  lo  rimproverava  di  non  guardare  a  modi  per 
raccoglier  pecunia.  Accostò  al  naso  di  Tito  i  primi  denari 
raccolti  dal  nuovo  tributo,  dicendogli  che  non  putivano, 
quantunque  venuti  da  quella  putida  fonte  '.  La  cronaca 
scandalosa  narrando  questo  e  altri  simili  aneddoti  ag- 
giunse che  egli  andò  anche  più  oltre,  e  si  dette  a  mer- 
cature vergognose,  e  per  denari  vendeva  le  assoluzioni 
di  rei  e  d'innocenti,  dava  i  pubblici  ufiicii  ad  uomini 
tristi  e  rapaci  per  guadagnare  poi  condannandoli  allorché 
si  fossero  arricchiti  colle  rapine,  o  per  ispremerli,  se- 
condo il  suo  detto,  come  le  spugne  ^,  quando  son  piene. 
Tutto  questo  potè  essere  esagerato  dalle  voci  maligne: 
ma  dovè  esservi  un  fondamento  di  vero,  perchè  anche 
lo  scandalo  ha  qualche  rispetto  al  probabile,  e  nelle  sue 
esagerazioni  non  corre  a  inventare  colpe  che  non  esi- 
stono affatto.  Tacito  narra  che  Muoiano  era  stato  mae- 
stro in  dar  vinte  le  cause  a  chi  più  potesse  pagare,  e 
che  per  far  denaro  usava  delazioni  e  rapine.  Le  quali 
cose,  fatte  dapprima  per  le  necessità  della  guerra,  ri- 
masero anche  in  tempo  di  pace,  e  poi  furono  anche  dal 

IV,  18,  e  Zumpt,  loc.  cit.)  dove  fu  l'antica  Zela;  e  Siscia  (5.-J5;e/f)  nella 
Panuonia  Superiore  chiamasi  Flavia  nell' iscrizioni  (Orelli,  3075,  e  Momm- 
%en,  Corp.  Insci:  lat.,  III,  pajr.  501).  licheni  in  Palestina  diviene  Flavia 
Neapolis  (Kckel,  III,  433).  Una  colonia  Flavia  è  stabilita  a  Cesarea  di 
Samaria  (Plinio,  V,  14;  Paolo,  in  Digest.^  L.  lo  {de  ciinsibus)  7);  e  due 
Flaciopoli  si  incontrano  in  Oilicia  e  in  Bitinia  (Kckel,  II,  412,  e  III,  56). 
(")  Oltre  alle  lati-ine  pubbliche,  ricordate  da  Svetonio  {Tib.,5S),  e  affit- 
tate ai  pubblicani  (Giovenale,  Sat.,  Ili,  38),  sui  canti  delle  strade  di  Roma 
vi  erano  vasi,  in  cui  ognuno  poteva  fare  i  fatti  suoi  senza  spesa.  Vespa- 
siano per  farne  suo  prò  vietò  di  orinare  fuori  di  quei  vasi,  e  impose  una 
tassa  a  chi  ne  usasse,  Svetonio,  Vesj/as.j  23;  Dione.  LXVI,  14;  Dureau 
De  la  Malie,  Econom.  politique  des  Romains,  li,  48:2. 

1  Svetonio,   Veapas.^  23 
'  Svetonio,  Vespas.^  16. 


Gap.  111.]  SPESE  IN  OPERE  UTILI  AL  PUBBLICO.  497 

principe  imparate  e  osate  *.  Tito  pure  mercanteggiava 
sulle  cose  pubbliche,  e  Cenide,  concubina  di  Vespasiano, 
lo  aiutava  a  vendere  ufficii,  sacerdozi  e  rescritti  -.  Né  le 
necessità  dell'erario  scusano  Vespasiano  di  questa  avidità 
del  denaro.  Era  una  vera  manìa,  ereditata  dall'avo  per- 
cettore, e  dal  padre  riscuotitore  delle  pubbliche  rendite 
e  usuraio:  manìa  rimproveratagli  da  un  vecchio  bifolco, 
il  quale  non  riuscito  a  ottenere  gratuitamente  da  lui  la 
sua  libertà,  gridò:  La  volpe  muta  il  j^elo,  non  i  costumi  ^. 
Del  resto  usò  bene  la  pecunia  in  tutti  i  modi  raccolta, 
spendendola  non  in  suoi  piaceri,  ma  a  pubblica  utilità. 
Soccorse  senatori  e  consolari  divenuti  indigenti,  ristorò 
più  città  dei  danni  patiti  per  terremoti  e  incendii,  premiò 
artisti,  scelse  i  migliori  professori  di  eloquenza  greca  e 
latina,  e  détte  loro  uno  stipendio  annuo  di  centomila 
sesterzi  (lire  21,240).  Provvide  alla  storia,  facendo  rimet- 
tere per  mezzo  di  copie  nel  pubblico  archivio  {Tabularlo) 
tremila  tavole  distrutte  dal  fuoco,  nelle  quali  si  contene- 
vano senaticonsulti,  trattati  di  pace,  privilegi  di  città,  e 
altri  importanti  documenti  ^.  Fece  ogni  sforzo  per  toglier 
via  di  Roma  le  rovine  e  i  guasti  degi'incendii,  incoraggiò 
altri  a  edificare,  e  ricostruì  egli  stesso  più  edìfizi  periti. 
Alla  riedificazione  del  Campidoglio,  cominciata  solenne- 
mente da  Elvidio  Prisco  pretore,  e  da  Plauzio  Eliano 
pontefice  ^,  è  detto  che  lavorò  egli  stesso  nell'apparecchio 
dei  fondamenti,  e  fece  lavorare  i  più  cospicui  senatori 
per  eccitare  il  popolo  coli' esempio:  ma  a  ciò  contrasta 
la  ragione  dei  tempi  perché  fu  posta  mano  all'opera  prima 
del  suo  ritorno  in  Italia^:  e  quindi  egli  non  potè  avere 


1  Tacito,  Hist.^  II,  84. 

2  Dione  Cassio,  LXVI,  14. 

3  Svetonio,   Vespas.j  I  e  16. 

4  Svetonio,  Vespas.j.  8,  16,  17,  18;  Dione  Cassio,  LXVI,  10;  Aurelio  Vittore,  De  Cas- 
saribusj  cap.  9. 

5  Tacito,  Hist.,  IV,  53. 

6  Svetonio,   Vespas.^  8;  Dione  Cassio,  LXVI,  10,  e  Reiniar,  ivi. 


RIEDIFICAZIONI  DI  TEMPLI. 


[LiB.  VII. 


altro  onore  che  quello  di  contribuire  agli  adornamenti, 
e  di  mettere  il  nome  e  il  ritratto  sulla  medaglia  in  cui 
venne  a  noi  Fimagine  del  tempio  splendidamente  ri- 
sorto {").  Rifece  a  sue  spese  le  vie  di  Roma  mal  andate 
per  l'incuria  degli  ultimi  tempi,  rialzò  il  tempio  della 
Vittoria  rovinato  per  vetustà  (*).  Riedificò  magnificamente 
il  tempio  di  Claudio  sul  Celio,  distrutto  quasi  da  Nerone 
per  fare  la  casa  aurea,  e  lo  ridusse  una  delle  opere  più 
belle  di  Roma*.  Ristorò  a  sue  spese  anche  l'acquidotto 


Riedificazione  del  tempio  di  Giove  Capitolino. 


di  Claudio,  come  lo  attesta  una  iscrizione  a  Porta 
giore  (<=):  e  per  lui  fu  riedificato  e  ornato  di  pitture  il 
tempio  dell'Onore  e  della  Virtù  (^):  e  quindi  nei  monu- 


(^)  Cohen,  Med.  frapp.  sous  l'emp.  rom.,  I,  pi.  XV,  n.  409,  pag.  420: 
medaglia  in  bronzo  colla  testa  di  Vespasiano  coronato  di  alloro,  e  attorno 
la  leggenda:  imp.  caes.  vespasian.  aug.  p.  (ontifex)  m,  {aximus)  tr. 
(ibunitia)  p.  (otestafe)  p.  P.  (pater  pairiae)  cos.  (consul)  vii.  Nel  rovescio 
la  facciata  del  tempio,  e  sotto  s.  e.  [senatus  comtullo). 

(»)  Creili,  n.  742  e  1868. 

(*)  Aquas  Curtiam  et  Caeruleam  perductas  a  divo  Claudio  et  postea 
intermissas  dilapsasqiie  jìer  annos  novem  sua  impensa  urbi  restitiiit. 
Creili,  n.  55. 

(«*)  Plinio,  XXXV,  37.  Ad  esso  allude  anche  una  medaglia.  Vedi  Ca- 
vedoni,  Med.  imp.,  in  Ann.  Istit.  archcolog.,  1853,  pag.  7-8. 

l  Svctonio,  Yespas.t  9;  Marziale,  De  Spectac,  2. 


Gap.  III.]  TEMPIO  DELLA  PACE.  STRADE,  ACQUIDOTTI,  ECC.      499 

menti  è  celebrato  come  restitutore  dei  sacri  templi,  e 
conservatore  delle  cerimonie  e  dei  riti  antichi  *.  Nel  cen- 
tro della  città,  inalzò  il  grande  Anfiteatro  {Colosseo),  di 
cui  parleremo  in  appresso. 

Tutti  erano  lieti  della  tranquillità  ristabilita  dopo  tanto 
infuriare  di  atrocissima  guerra  civile  in-  Italia,  e  anche 
dentro  le  mura  di  Roma:  e  il  principe  contento  dell'opera 
sua  simboleggiò  sulle  medaglie  la  Pace  tornata  col  be- 
nefico olivo  e  col  cornucopia  a  ristorare  i  travagliati 
mortali  (")  ;  e  affinchè  del  beneficio  rimanesse  più  solenne 
memoria,  alla  festeggiata  Pace  consacrò  un  tempio  presso 
al  Fóro  Romano  e  al  luogo  dove  poscia  sorse  la  Basilica 
di  Costantino,  alle  rovine  della  quale  per  più  secoli  erro- 
neamente fu  dato  il  nome  di  esso.  Il  grande  edificio  col 
sacro  recinto  e  colla  Biblioteca  che  stavagli  a  lato  ora 
è  al  tutto  scomparso  :  e  solo  dagli  antichi  ricordi  sap- 
piamo che  fu  splendidissimo  per  adornamenti  di  pitture 
e  sculture,  e  sorse  quasi  un  museo  delle  più  rare  opere 
d'arte,  e  delle  cose  più  preziose  raccolte  da  ogni  parte 
del  mondo,  tra  cui  i  vasi  d'oro  rapiti  a  Gerusalemme  dal 
tempio  di  Dio  ^. 

E  fuori  di  Roma  le  iscrizioni  attestano  che  restaurò 
la  via  Appia,  costruì  un  acquidotto  ai  Minturnesi,  di  cui 
rimangono  magnifici  avanzi,  rifece  strade  in  Sardegna, 
rialzò  ad  Ercolano  il  tempio  della  Madre  degli  Dei  andato 


(^)  Nel  rovescio  di  parecchie  medaglie  di  Vespasiano  coU'epigrafe  Paei 
orbis  terrarum ,  ecc.,  vedasi  figurata  una  donna  ora  assisa,  ora  stante, 
ora  alata,  avente  nelle  mani  rami  d'olivo,  caduceo,  cornucopia,  spighe, 
palme  e  corone.  Vedi  Cohen,  Monn.  frappées  sous  Vemp.  rom..  Vespa- 
sien,  n.  124,  126,  129,  131-137,  140,  142,  143,  145,  146,  195,  326,330, 
335-351. 

1  Muratori,  Inseript.j  185,  5;  Ordii,  716,  186S  e  2361. 

2  Svetonio,  9;  Plinio,  XII,  42,  XXXV,  36,  XXXVI,  4,  11,  24;  Giuseppe  Flavio,  VII, 
5;  Giovenale,  Sat.,  IX,  22;  Spanheim,  De  Praestantia  et  tisu  Numism.  ant'iq.,  voi.  I!, 
pag.  618,  ediz.  1717,  Vedi  anche  Annali  Istituì,  archeolog.^  1S53,  pag.  10-13.  _ 


500 


NUOVO  TEMPIO  DI  BRESCIA. 


FLiB.  VII. 


in  rovina*:  e  altre  lo  ricordano  restitutore  al  Pubblico 
dei  beni  invasi  dai  privati  a  Pompei,  come  dei  luoghi 
dedicati  a  Capua  a  Diana  Tifatina,  e  costruttore  di  nuove 
strade  nell'Asia  Minore  2, 

11  suo  nome  rimane  anche  tra  le  rovine  di  un  tempio 
romano   scoperto   nel  1823  sulla   costa  meridionale   del 


mM 


Ruderi  del  tempio  col  nome  di  Vesi^pasno  a  Bresci; 
{Mu».  Bresciano  illustr.j  nel  frontespizio). 


colle  Cicneo  alle  cui  cime  sovrasta  la  rocca  di  Brescia. 
Si  vedono  ancora  i  tronchi  di  sedici  colonne  corintie, 
avanzi  dell'ampio  portico  già  sorto  a  fronte  del  bello  edi- 
lìzio, con  fogliami  egregiamente  scolpiti  e  col  fregio  ove 
stette  l'epigrafe  che  ricorda  Vespasiano  nell'anno  825  di 


1  Raphrifl  l'aljrctti,  Inscr.  antiq.  .  pap.  IIJ,  n.  .Tiri;  Bullettino  archeolog.  Napoletano, 
lS12-i:{,  papr.  131;  La  Marinerà,    Voynge  en  SardaignCj  11,  -KW. 
.  *  Orelli,  H6)  e  3262;  e  Corpus  Imcr.  lat  ^  III,  752,  pag.  88,  n.  470. 


Gap.  III.]  LA  VITTORIA  DI  BRESCIA.  501 

Roma  e  75  dell'  èra  volgare  {"■).  Dietro  a  quei  ruderi  è  un 
muro  con  tre  porte  conducenti  a  tre  celle  nelle  quali 
sorgono  tre  grandi  piedistalli  a  modo  di  altari,  figurati 
nelle  facce  di  genii  alati,  di  patere,  di  litui,  e  di  altri 
utensìli  pei  sacrifizi.  Peregrini  marmi  rivestono  i  pavi- 
menti e  le  pareti  interne  dell'edificio  adorno  in  antico 
di  belle  statue,  di  busti  di  bronzo  e  di  marmo,  e  di  altre 
sculture,  di  cui  nel  18'2G  fu  ritrovata  ivi  presso  una  parte. 
Fra  tutte  queste  opere  primeggia  altamente  «  una  statua, 
maggiore  del  vero,  che  rende  imagine  della  Vittoria,  atteg- 
giata a  un  di  presso  come  vedesi  nella  Colonna  Traiana, 
dallo  scudo  in  fuori,  che  in  questa  pare  dovea  esservi, 
ma  non  venne  trovato:  statua  che  per  molta  correzione 
di  disegno,  per  aggraziata  movenza,  e  per  singolare  ma- 
gistero di  fusione  si  ammira  come  capolavoro  e  come 
gemma  del  bresciano  Museo  »  K 

Architetti  e  archeologi  scrissero  con  afletto  sapiente 
di  queste  rovine,  e  conclusero  che  il  tempio  dovè  esser 
eretto  da  Vespasiano  probabilmente  come  attestato  della 
sua  gratitudine  a  Brescia  per  gli  aiuti  che  ne  ebbe  nel 
giorno  in  cui  dalla  battaglia  di  Bedriaco  fu  a  lui  assicu- 
rato l'Impero;  e  che  come  ricordo  di  tale  vittoria  fu  da 
lui  donata  ai  Bresciani  la  Dea  sosjjìro  dei  forti  e  premio 
dei  prodi,  figurata  nella  grande  statua  di  bronzo,  che 
dura  perenne  ornamento  della  città  nobilissima  madre 
in  ogni  tempo  di  uomini  forti,  di  eletti  ingegni  e  di  grandi 
e  liberi  animi  (''). 


(")  L'epigrafe  restaurata  si  legge  così:  imp.  caesar.  vespasianus  augu- 
STUS  PONT,  [ifex)  MAX.  (imus)  TR.  [ibunitio)  POTEST.  (ate)  mi.  imp.  x.  coss. 

{ConSUl)   UH.   CENSOR. 

(*)  Nel  Museo  bresciano  illusi, -ato  (Brescia  1838),  ricco  di  splendide 
incisioni  e  di  dotte  ricerche  vedi  Vantini,  Dell'antico  edificio  nel  quale 
è  posto  il  Museo,   pag.  17-30;  e  Labus,  Osservazioni  storiche  intorno 

1  Vantini,  in  Mus.  bresciano  illustrato,  pag    23. 
Vannocci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  63 


501; 


LiB.  VII. 


Vittcria  di  Brescia  {Museo  bresciano  illustralo,  tav.  10). 


CAI'.  III.]        VESPASIANO  RIFORMATORE  DEI  COSTUMI.  503 

Esercitando  la  censura  con  Tito  attese  anche  a  rifor- 
mare i  costumi,  e  a  frenare  il  lusso  smodato  delle  mense 
e  dei  vestimenti.  La  corruzione  era  al  colmo,  e  peggiori 
mostravansi  i  più  potenti  alla  corte.  Turpemente  vizioso 
Muciano;  depravati  i  figliuoli  del  principe,  ed  egli  stesso, 
perduta  la  moglie  Flavia  Domitilla,  teneva  molte  concu- 
bine in  palazzo,  e  a  tavola  cogli  amici  si  lasciava  andare 
a  sozzi  parlari  *.  Pure,  a  confronto  degli  altri,  poteva 
passare  per  uomo  di  costumi  temperati,  ed  è  lodato  di 
non  abbandonarsi  ad  eccessi,  di  ritenere  la  semplicità 
antica,  e  di  aborrire  gli  uomini  molli  ^.  Egli  rinnovò  il 
decreto  di  Claudio,  che  faceva  schiave  le  donne  prosti- 
tuentisi  a  servi,  e  perseguitò  gli  usurai,  che  coi  prestiti 
da  restituirsi  dopo  la  morte  del  padre,  nutrivano  le  dis- 
solutezze dei  giovani.  Vietò  le  vendite  di  cibi  delicati 
nelle  taverne;  e,  vestendo  e  vivendo  all'antica,  ai  grandi 
raccomandò  la  semplicità  coli' esempio.  E  l'ossequio  al 
principe,  dice  Tacito,  e  il  fervore  di  imitarlo  valsero  più 
che  ogni  pena  o  paura  di  leggi  3. 

La  semplicità  del  suo  animo  appariva  anche  nel  por- 
gersi cortese  a  tutti,  nel  soffrire  gli  scherzi  pungenti, 
nell'aborrire  dal  fasto,  nel  ricordare  volentieri  la  sua 
oscura  origine  e  nel  burlarsi  degli  adulatori,  che  si  af- 
fannavano a  mostrarlo  disceso  da  un  compagno  di  Ercole 
fondatore  di  Rieti  '\ 

Ebbe  lode  di  clemenza  per  avere  scordate  le  offese 
antiche.  Maritò  onorevolmente  e  con  ricca  dote  una  figlia 

all' antico  edificio  nel  quale  è  posto  il  Museo,  pag.  39-52,  e  136-141,  ove 
pai^ticolarmente  è  illustrata  la  Vittoria  di  cui  le  tavole  danno  tre  squi- 
siti disegni.  Vedi  anche  Annal.  Istit.  ardi. ,  1839,  pag.  182,  e  Raoul- 
Rochette,  in  Journal  del  Sai-ants,  1845,  pag.  466-479,  e  530-547. 

1  Svetonio,  3,  13,  21,  22. 

2  Svetonio,  S. 

3  Tacito,  Ann.^  IH,  55;  Svetonio,  11  ;  Dione  Cassio,  LXVI,  10. 

4  Svetonio,  12,  13;  Dione  Cassio,  LXVI,  10,  11. 


504     LODI  DI  CLEMENZA,  E  PERSECQZIONI  AI  FILOSOFL  [Lib.  VII. 

di  Vitellio,  e  fece  console  Mezio  Pomposiano,  cui  gli  astri 
promettevano  l'Impero  ("). 

Dei  familiari  liberissimi  con  lui,  e  di  Muoiano  mas- 
simamente, sopportò  di  buon  animo  i  modi  arroganti, 
quantunque,  come  gli  altri  principi,  non  amasse  né  le 
libere  parole,  né  i  liberi  pensieri.  A  Demetrio,  fdosofo 
cinico,  che  diceva  male  di  lui,  dapprima  rispose  chia- 
mandolo cane;  ma  poi,  a  istigazione  di  Muoiano,  lo  bandi 
da  Roma  con  gli  altri  filosofi  e  fece  battere  con  le 
verghe  un  Diogene,  e  uccidere  Erate  più  ardito  degli 
altri  1.  Gli  stoici  furono  crudelmente  battuti  nella  per- 
sona di  Elvidio  Prisco,  capo  della  setta,  il  più  nobile 
e  più  ardito  di  tutti.  Toccai  sopra  come  gli  venissero 
addosso  le  prime  ire  di  corte,  le  quali  gli  si  accrebbero, 
quando  da  pretore  negli  editti  non  faceva  menzione  del 
principe,  e  di  lui  e  del  governo  parlava  con  grande  ar- 
dimento, e  celebrava  il  dì  natalizio  di  Bruto  e  di  Cassio. 
Per  tutto  ciò  ebbe  di  nuovo  l'esilio,  nel  quale  lo  rag- 
giunse uno  schiavo,  che  gli  tolse  la  vita.  Dicono  che 
Vespasiano  pentito  si  adoprasse  ad  impedire  l'esecu- 
zione; ma  arrivò  troppo  tardi  il  messaggio,  e  non  è 
chiaro  se  questa  fosse  commedia  o  sincera  volontà  di 
salvarlo  ^. 

Più  inutile,  e  quindi  più  odiosa,  apparve  la  uccisione 
(li  Giulio  Sabino,  ricordato  sopra  nella  sollevazione  delle 
Gallie.  Egli,  fatto  credere  di  essere  perito  nell'incendio 
della  sua  villa,  si  era  nascosto  in  una  caverna,  ove  gli  fu 
amantissima  e  coraggiosa  compagna  la  moglie  Eponina, 
la  quale  dopo  sette  mesi  sperando   che   l'ira  di  Vespa- 


C')  Veispasiano  gli  détte  il  consolato  dicendo:  si  ricorderà  del  beneficio 
quando  sarà  imperatore.  Svetouio,  14;  Dione,  LX^'II,  12;  Aurelio  \'it- 
tore,  De  Caesaribus^  11. 

1  Svetonio,  13;  Dione  Cassio,  LXVI,  13,  15. 

2  Svetonio,  15;  Dione  Cassio,  LXVI,  12;  Arriano,  Epitteto^  I,  2. 


Gap.  III.]      UCCISIONE  DI  GIULIO  SABINO  E  DI  EPONLNA.  505 

siano  fosse  calmata,  per  tentare  la  fortuna  si  recò  a  Roma 
col  marito  travestito  da  schiavo:  ma  fatti  accorti  della 
vanità  d'ogni  prova,  tornarono  segretamente  alla  tene- 
brosa caverna.  Nell'orrido  luogo  ella  partorì  e  allevò  due 
figliuoli.  Dopo  nove  anni,  scoperti  in  quell'asilo,  furono 
trascinati  a  Roma  in  catene.  La  forte  donna,  cui  solo  pen- 
siero era  salvare  il  marito,  si  gettò  supplice  ai  piedi  del 
principe;  e  mostrandogli  i  teneri  figliuoli,  disse:  Questi, 
0  Cesare,  ho  partorito  e  nutrito  nell'orrore  delle  tenebre, 
perchè  fossimo  in  più  a  chiederti  mercè  pel  povero  padre. 
La  città  fu  commossa  alla  novità  del  caso  pietoso,  e  com- 
pianse la.  grande  sciagura,  e  celebrava  quelle  solenni 
prove  di  coraggio  e  di  affetto.  Anche  Vespasiano  ne  fu 
intenerito  fino  alle  lacrime:  ma  la  commozione  non  gli 
impedì  di  fare  uccider  Sabino,  e.  di  acquistarsi  nome  di 
uomo  crudele  in  una  occasione,  in  cui  egli  pieno  di  con- 
fidenza nei  suoi  destini  poteva  esser  clemente  senza  pe- 
ricolo. In  tutto  il  suo  principato,  dice  Plutarco,  non  av- 
venne caso  sì  crudele  e  odioso,  e  non  fu  spettacolo  più 
abominato  dagl'Iddìi  e  dai  Demoni.  La  generosa  donna 
quando  disperò  della  salvezza  del  marito,  chiese  di  par- 
teciparne il  destino,  e  disse  che  era  stata  più  felice  con 
lui  nelle  tenebre,  che  Vespasiano  nello  splendore  dell'im- 
pero del  mondo.  E  anch' ella  fu  uccisa.  Dei  figli  uno  fu 
ucciso  in  Egitto,  e  l'altro,  di  nome  Sabino,  accolto  da. 
Plutarco  nella  sua  casa  di  Delfo,  potè  raccontargli  tutta 
la  dolorosa  storia  dei  suoi  ^ 

Solo  negli  ultimi  tempi  Vespasiano  corse  pericolo,  ma 
da  uomini  di  altra  fatta.  Congiurarono  contro  di  lui 
Alieno  Cecina,  traditore  di  VitelUo,  ed  Eprio  Marcello, 
l'infame  spia  di  Nerone,  ambedue  onorati  e  accarezzati 
anche  alla  nuova  corte.  È  detto  che  avevano  tratti  pa- 
recchi soldati  con  se,  e  preparata  l'allocuzione  all'eser- 

1  Dione  Cassio,  LXVf,  IO;  Plutarco,  Ragionamento  d'amorej  25.  Conf.  Tacito,  Hist.^ 
IV,  G7. 


506  MORTE  E  QUALITÀ  DI  VESPASIANO.  [Lib.  VII. 

cito;  ma  furono  scoperti  prima  che  venissero  ai  fatti,  e 
Tito  all'uso  dei  despoti  saltando  sopra  ogni  impaccio  di 
leggi  e  processi,  invitato  Cecina  a  cena,  lo  fece  pu- 
gnalare all'uscir  dalle  mense.  Marcello,  condannato  dal 
Senato,  tolse  la  fatica  al  carnefice  uccidendosi  di  pro- 
pria mano  *. 
Anni  di  Ro-  Vespasiano  mori  (23  di  giugno)  dopo  quasi  dieci  anni 
g"c''?5/'  di  regno  e  70  di  vita.  Sentendo  i  prima  assalti  del  male 
se  ne  andò  a  Cutilia  nei  suoi  possessi  Sabini,  ove  era 
solito  di  passar  sempre  l'estate,  e  ivi  anche  ammalato 
attese  finché  potè  alle  cure  del  regno.  Quando  senti 
giunta  l'ora  sua,  burlandosi  dell'uso  di  divinizzare  gli  im- 
peratori morti,  disse:  sento  veramente  ch'io  divengo  un 
Iddio.  Aggiunse  anche,  che  un  imperatore  doveva  morire 
in  piedi,  e  mentre  teiltava  di  alzarsi  mandò  l'estremo 
sospiro-:  e  anch' egli  ebbe  gli  onori  divini,  di  cui  si 
burlava. 

Sebbene  avaro,  non  mise,  come  i  predecessori,  le  mani 
ladre  nelle  robe  altrui,  non  uccise  per  ispogliare,  non 
confiscò  i  beni  ai  nemici,  mentre  dall'altro  lato  tolse  via 
molti  disordini  del  governo  assoluto,  rese  forza  alle  leggi, 
e  ristabili  la  quiete  e  la  sicurezza.  Qualche  volta  anche 
egli  fece  sentire  le  unghie  e  i  denti  del  despota,  ma  in 
generale  il  suo  governo  fu  saggio  e  benefico,  e  portò 
qualche  ristoro  ai  travagli  del  mondo. 

Egli  era  stato  il  primo  de'  principi  che  divenisse  mi- 
gliore sul  trono  ^.  Il  medesimo  accadde  di  Tito  suo  figlio, 
che  per  testamento  gli  successe  nell'impero,  e  détte 
l'esempio  come  di  due  contrarie  nature.  Era  bello  e  mae- 
stoso d'aspetto,  comecché  di  statura  non  grande  né 
snella.  Da  giovinetto    stette   alla    corte    imperiale   e  fu 


1  Dione  Cassio,  LXVI,  10;  Svetonio,  Tit.,  0.  Per  Marcello  vedi  AvoUino,  Sopra  una 
cjìùp-dfe  di  C.  Eprio  Marcello,  Napoli  1831,  e  Borghesi,  Opere,  voi.  Ili,  pag.  385  e  segg. 

2  Svetonio,  21;  Dione  Cassio,  LXVI,  17 

3  Tacito,  HiH.,  I,  50. 


Gap.  III. 


GIOVENTÙ'  E  STUDI  DI  TITO. 


507 


educato  con  Britannico,  e  patì  grave  malattia  per  aver 
gustato  la  bevanda  che  uccise  il  figlio  di  Claudio.  Poi 
entrato  nella  milizia  fece  prove  famose  in  Germania  e 
in  Britannia,  ove  fu  onorato  di  statue  e  d'imagini.  In- 
gegno pronto  e  adorno  di  gentili  studi:  dettava  all'im- 
provviso versi  e  prose,  cantava  di  musica,  e  danzava 
piacevolmente.  Scrivendo  contraffaceva  si  bene   l' altrui 


Tito  imperatore  (Visconti^  Mus.  Pio  Clem.^  VI,  tav.  XLIII,  n.  1). 


mano,  che  gli  sarebbe  stato  agevole,  come  egli  diceva, 
di  riuscire  un  valente  falsario.  Coll'arte  accrebbe  la  natu- 
rale grazia  dei  modi,  con  cui  si  concihava  mirabilmente 
gli  alTetti.  Pure,  finché  visse  suo  padre,  ebbe  fama  di 
uomo  libidinoso,  crudele,  cupido,  perfido.  Nel  tempo  della 


508  NON  BUONO  PRIMA  DI  SALIRE  SUL  TRONO.      [Lib.  VIL 

guerra  giudaica,  quantunque  ammogliato,  amoreggiò  la 
regina  Berenice,  sorella  di  Agrippa  II,  la  quale,  venuta 
a  Roma  dopo  la  distruzione  di  Gerusalemme,  fu  accolta 
in  palazzo  e  levò  rumore  colle  sue  bellezze  e  colla  splen- 
dida vita;  e  fu  tenuta  qual  moglie  da  Tito,  che  probabil- 
mente per  causa  di  lei  ripudiò  la  madre  della  sua  unica 
figlia  *.  Ma  eravi  anche  di  peggio.  Amava  gli  eunuchi, 
passava  le  notti  in  orgie  con  sozzi  cinedi  :  e  quando 
Vespasiano  gli  ebbe  commesse  le  cure  principali  del  go- 
verno, si  mostrò  rapace,  e  fece  mercato  degli  uffìcii,  e 
a  lui  furono  attribuiti  molti  degli  atti,  da  cui  venne  bia- 
simo al  padre.  Era  stato  crudele  in  guerra,  e  a  Gerusa- 
lemme straziò  disonestamente  i  prigioni.  Anche  a  Roma, 
come  prefetto  del  pretorio  uscì  dei  modi  umani  e  civili, 
fece  pigliar  dai  suoi  sgherri  e  uccider  i  sospetti  senza 
processo.  Per  le  eguali  cose  si  acquistò  odiosissimo  nome, 
e  quando  giunse  all'impero  tutti  ne  ebbero  paura  come 
di  un  novello  Nerone,  a  cui  rassomigliava  anche  nei 
gusti  di  poesia,  di  musica  e  di  danza  2. 

Ma  si  comportò  in  modo  che  presto  il  biasimo  e  l'odio 
gli  si  rivolsero  in  lode  e  in  amore:  allontanò  da  sé  i  vi- 
tuperosi compagni  delle  orgie,  scelse  gli  amici,  i  consi- 
glieri e  i  ministri  fra  i  più  pregiati  cittadini,  rimandò 
Berenice  in  Giudea,  lasciò  le  voluttà,  e  vestì  in  tutto  co- 
stumi onesti.  Accettò  l'ufficio  di  pontefice,  per  essere 
viepiù  obbligato  a  serbarsi  puro  da  ogni  macchia,  e  go- 
vernò con  intelletto  di  giustizia  e  d' amore.  A  tutti  si 
porgeva  cortese  di  amorevoli  accoglienze,  studiavasi  di 
non  rimandare  ninno  scontento:  e  ciò  non  vuoisi  spre- 
giare in  un  principe  assoluto.  Al  bene  si  credeva  ob- 
bligato così,  che  una  sera,  non  ricordando  di  aver  fatto 
nella  giornata  servigio  ad   alcuno,   disse   dolente  quelle 

1  Svetonio,  Tit.^  1-3,  7;  Tacito,  Hist.  ^  II,  1-5,  81;  Dione  Cassio,  LXVI,   15;    Aurelio 
Vittore,  De  Caesarihus,  10;  Giovenale,  Sat.^  VI,  155. 

2  Dione  Cassio,  LXVII,  2;  Svetonio,  Tit.,  3,  6-7. 


e  XP.  III.]     DELIZIA  DEL  GENERE  UMANO  DA  IMPERATORE. 


509 


famose  parole:  Amici,  questa  è  una  giornata  perduta. 
Onde  fu  detto  delizia  del  genere  umano  e  salutato  qual 
nume  :  e  poscia  nei  bassirilievi  del  suo  arco  lo  figura- 
rono, come  anche  oggi  si  vede,  nell'atto  di  esser  portato 
al  cielo  da  un'aquila  K 

Parrebbe  inutile  il  dire  che  non  uccise  nessuno:  ma 
gli  scrittori  lo  notano  perchè  era  un  merito  in  un  impe- 
ratore romano.  Abolì  il  delitto  di  maestà,  e  giurò  di  voler 


Apoteosi  di  Tito  (Banali). 

perire  egli  stesso  prima  di  uccidere  altri,  affermando  che 
quanto  a  sé  non  temeva  le  ingiurie  non  meritate,  e  per 
rispetto  agli  altri  imperatori  lasciava  ad  essi  la  cura  di 
farne  vendetta,  se  erano  divenuti  Dii,  come  dicevasi.  Ri- 
spose con  affetto  alle  offese,  e,  scoperta  una  cospirazione, 
non  solo  perdonò  ai  cospiratori  mostrando  la  vanità  dei 
loro  disegni  pel  principato,   su  cui  poteva  solamente   il 


1  Svetonio,  1,  7,  8;  Plinio,  Paneg.^  35;  Dione  Cassio,  LXVI,  IS,  19;  Aurelio  Vittore, 
De  Caes.,  10;  Bartoli,  Arlmiranda^  tav.    9. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  64 


510  GRANDI  CALAMITÀ  PUBBLICHE  SOCCORSE  DA  TITO.  [Lib.  VII. 

destino,  ma  spedì  messaggi  a  rassicurare  la  madre  di 
uno  di  essi  sulla  sorte  del  figlio.  Perdonando  a  Domi- 
ziano le  ingiurie  e  le  insidie  lo  tenne  sempre  a  parte 
di  sua  potenza,  e  come  suo  successore:  ma  quantunque 
anche  colle  lacrime  lo  pregasse  a  rendergli  amore  per 
amore,  non  riuscì  ad  ottenere  gratitudine  dal  tristo  fra- 
tello. Fu  crudo  solamente  coi  delatori,  stati  flagello  uni- 
versale di  Roma:  gli  fece  battere  nel  Fóro,  e  porre 
nell'Anfiteatro  a  pubblica  mostra,  e  poi  vendere  come 
schiavi,  0  bandire  nelle  isole,  ove  più  fosse  aspra  la  vita  *. 

Tre  grandi  calamità,  che  nel  breve  suo  regno  afflissero 
Roma  e  l'Italia,  gli  dettero  nuove  occasioni  a  mostrare 
la  bontà  del  suo  animo.  A  Roma  un  incendio  durato  tre 
giorni  e  tre  notti  distrusse  i  templi  del  Campidoglio  e 
quelli  di  Serapide,  d'Iside  e  di  Nettuno,  il  Panteon  e  le 
Terme  di  Agrippa,  la  scena  di  Pompeo,  il  teatro  di  Balbo, 
e  altri  grandi  edifizi,  e  molte  case  di  cittadini.  Soprav- 
venne poscia  la  pestilenza,  che  menò  strage  crudelis- 
sima. Tito  accorse  soccorrevole  da  ogni  parte,  confortò 
ì  miseri,  aprì  l'erario,  usò  le  particolari  ricchezze,  e 
anche  gli  ornamenti  delle  sue  case  a  ristoro  dei  pubblici 
mali  -. 

Ma  non  eravi  munificenza  capace  a  riparare  alle  mol- 
tiphcate  sciagure.  Infiniti  furono  i  danni  portati  dall'in- 
cendio del  Vesuvio,  che  fece  strazio  crudelissimo  delle 
città  e  delle  amene  rive  della  Campania. 

Le  tradizioni  e  la  geologia  dicono  che  il  terribile  vul- 
cano aveva  già  imperversato  altre  volte  in  tempi  lonta- 
nissimi 3.  Ora  da  lunga  stagione  tacevano  gli  incendii, 
ma  il  suolo  di  frequente  era  scosso,  e  ai  tempi  di  Ne- 
rone un  terremoto  fece  grandi  guasti  a  Pompei,  a  Er- 
colano,  a  Nocera,  e  afflisse  Napoli  e  altri  luoghi  dattorno: 

1  Svetonio,  8;  Dione  Cassio,  LXVI,  19;  Plinio,  Paneg..  ?'>. 

«  Svetonio,  8;  Dione  Cassio,  LXVI,  24;  Eusebio,  Cliron.  ann.  81. 

3  Tacilo,  Hist.^  I,  2;  Diodoro  Siculo,  IV,  21;  Strabene,  V,   1;  Vitruvio,  II,  6,  2. 


Gap.  III.]      INCENDIO  DEL  VESUVIO  E  MORTE  DI  PLINIO.  511 

e  dalle  esalazioni  sotterranee  ne  venne  fiera  pestilenza 
ai  greggi  *. 

Sotto  l'impero  di  Tito,  ai  primi  di  novembre,  dopo  Anni  di  ro- 
lunga  siccità  la  terra  nuovamente  si  scosse,  e  con  tale  g.^c^S.'^' 
fragore  che  pareva  tutto  andasse  in  rovina.  Quindi  il 
Vesuvio  cominciò  a  vomitare  fiumi  di  lava,  di  fumo,  di 
lapilli  e  di  ceneri,  che  coprirono  la  Campania  di  folte 
tenebre,  rischiarate  solo  in  qualche  istante  da  lunghe 
figure  di  fiamme,  che  squarciavano  la  nera  nube  diffusa 
sulla  terra  e  sul  mare  2.  È  detto  che  il  sole  ne  fu  oscu- 
rato anche  a  Roma,  e  che  le  ceneri  giunsero  fino  in  Asia 
e  in  Egitto  3.  Le  città  di  Ercolano  e  di  Pompei,  e  altre 
terre  minori  rimasero  sepolte  sotto  quella  pioggia  di 
lava  e  di  ceneri,  e  solo  dopo  18  secoli  per  lungo  lavoro 
di  scavi,  non  ancora  compiuti,  fu  dato  a  noi  di  rivederle, 
in  parte,  alla  luce  con  loro  monumenti  e  fóri  e  templi, 
e  teatri,  e  basiliche  e  abitazioni  private,  che  ne  rivelano 
le  arti,  le  istituzioni,  le  credenze,  le  feste,  gli  amori, 
i  gusti,  gli  usi  domestici  e  la  prospera  vita  con  qualche 
imagine  dei  cadaveri  del  popolo  miseramente  colpito. 
Plinio  il  Naturalista,  che  comandava  la  flotta  stanziata 
a  Miseno,  accorso  per  dare  aiuto  ai  pericolanti  di  Stabia 
e  per  istudiare  da  vicino  il  fenomeno,  rimase  vittima  di 
quella  sciagura,  e  tre  giorni  dopo  fu  trovato  cadavere 
sul  lido,  come  è  narrato  dal  giovane  Plinio,  suo  nipote, 
il  quale,  testimone  oculare,  disse  i  pietosi  casi  del  sa- 
piente vecchio,  e  con  essi  i  particolari  della  crudele  ro- 
vina e  l'universale  terrore.  Risuonavano,  egli  dice,  ulu- 
lati di  donne,  gemiti  di  fanciulli,  grida  di  uomini.  I 
padri  chiamavano  i  figliuoli,  le  mogli  i  mariti,  e  tra 
quelle  tenebre  li  riconoscevano  solamente  alla  voce.  Chi 
deplorava  la  propria  sciagura,  chi  quella  dei  suoi.  Alcuni 

1  Tacito,  Annali  XV,  22;  Seneca,  Nat.  Quaest.j  VI,  1  n  27. 

2  Plinio,  Epist.,  VI,  16  e  20. 

3  Dione  Cassio,  LXVI,  22.  23. 


I.IR.  VII. 


Gap.  III.] 


ROVINE  DI  POMPEI. 


per  timore  della  morte  invocavano  la  morte;  molti  sup- 
plicavano gli  Dei;  altri  stimavano  che  non  vi  fossero 
più  Dei,  e  credevano  venuta  la  fine  del  mondo  («). 


^^li^.V     l||||, 


Cadaveri  Pomijciani  [Overheck,  pag.  29  e  30). 

Tito  andò  da  sé  stesso  a  visitare  i  luoghi  colpiti  dal- 
l'immane flagello,  e,  quantunque  fosse  impossibile  prov- 

C')  Plinio,  Epist.,  VI,  20.  Pei  particolari  del  fatto  vedi  Beulé,  Le  drame 
du  Vcsiive,  Paris  1872,  il  quale  coi  ricordi  storici  e  coi  soccorsi  della 
.scienza  narrò  eloquentemente  quella  grande  catastrofe,  spiegando,  come 
già  fecero  altri,  qualmente  Plinio  giaciutosi  sul  lido  quando  i  terremoti 
forzarono  tutti  a  uscir  dalle  case  di  Stabia,  fu  ucciso  dall'acido  carbonico 
solito  a  prodursi  alla  superficie  del  suolo  nelle  eruzioni  vulcaniche,  e 
morì  mentre  scampavano  tutti  i  suoi  compagni  che  non  erano  giaciuti. 
Egli  fu  asfissiato  nel  modo  che  avviene  al  cane  posto  in  terra  nella 
grotta  a  poca  distanza  dal  lago  di  Agnano,  ove  rimangono  illesi  i  visi- 
tatori che  assistono  in  piedi  a  quello  spettacolo,  perchè  la  mortifera 
esalazione,  come  più  pesante  dell'aria,  rimane  accosto  alla  terra,  né 
giunge  a  chiuder  loro  le  vie  del  respiro. 


514 


BENEFICENZE  E  MONUMENTI.  TERME. 


[LiB.  VII. 


vedere  efficacemente  a  tanta  grandezza  di  mali,  fece  tutto 
il  bene  che  era  in  poter  suo.  Commise  in  due  consolari 
la  cura  di  ristorar  la  regione,  e  di  dar  soccorsi  a  chi  più 
aveva  patito,  soccorse  coi  propri  denari,  e  destinò  a  que- 
st'uso i  possessi  rimasti  senza  padrone,  e  soliti  per  l'a- 
vanti  a  divenir  proprietà  dell'erario  '. 

A  malgrado  di  tanto  dispendio  non  pose  nuove  gra- 
vezze, né  prese  neppure  tutti  i  tributi  ordinarli  2.  Del  che 
fu  ammirato  e  celebrato  dagli  uomini  che  avevano  visto  i 
principi  rapire  e  sprecare  le  facoltà  dei  privati  e  del 
pubblico.  Né  per  questo  trascurò  di  essere  magnifico  nel 
costruire  edifizi,  e  nel  secondare  i  gusti  del  popolo  collo 
splendore  degli  spettacoli.  In  breve  tempo  edificò  a  co- 
modo pubbUco  le  sue  belle   Terme   sull'Esquilie  presso 


Veduta  delle;  iirincipali  reliriuie  delle  Termo  di  Tito  [Canina^  Edif.^  IV,  2i)l). 

l'Anfiteatro  cominciato  dal  padre  3,  e  anche  questa  grande 
opera  continuò  alacremente. 


1  Svetonio,  S  ;  Dione  Cassio,  LXVI,  21. 

2  Svetonio,  7. 

3  Sretonio,  Tib.,  7;  Canina,  EJilìzi.  voi.  Ili,  pag.  73-71,  e  IV,  lav.  202-2)4. 


Gap.  III.]  ANFITEATRO  FLAVIO.  515 

Fu  notato  come  nelle  opere  di  Vespasiano  e  di  Tito 
apparisca  chiaro  lo  studio  di  far  guerra  a  Nerone  col 
riedificare  le  cose  distrutte  da  lui,  col  toglier  via  i  monu- 
menti del  suo  fasto  oltraggioso,  col  riparare  ai  pubblici 
danni  venuti  dalle  sue  grandi  follie.  Vespasiano  rifece  sul 
Celio  il  tempio  di  Claudio  che  egli  aveva  quasi  distrutto. 
La  Casa  aurea  fu  rovesciata  coU'intento  di  rendere  a  uso 
e  a  diletto  del  pubblico  i  terreni  da  Nerone  rapiti  ('').  Il 
suo  colosso  di  bronzo  fu  trasportato  presso  la  via  Sacra 
e  trasformato  perchè  rappresentasse  Apollo  colla  testa 
adorna  di  raggi  *.  Le  Terme  di  Tito  sorsero  nel  luogo 
ove  egli  aveva  posto  i  suoi  grandi  giardini  ('').  Il  lago 
artificialmente  scavato  tra  il  Celio  e  l'Esquilie  fu  pro- 
sciugato. Con  esso  scomparvero  i  prati  e  le  selve  piantate 
a  diletto  del  citaredo  :  e  nel  sito  del  lago  sorse  il  grande 
Anfiteatro,  portento  della  grandezza  romana,  celebrato 
come  la  più  magnifica  meraviglia  del  mondo  C"). 

L'imagine  esterna  con  a  lato  la  Meta  sudante  si  vede 
nelle  medaglie  di  Tito  che  insieme  alle  sue  Terme  lo 
dedicò  solennemente  nell'anno  ottanta  dell'era  volgare,  abuì di rc 

°  ma  838. 

(")  Reddita  Roma  sibi  est:  et  sunt,  te  praeside,  Caesar, 

Deliciae  populi^  qiiae  fuerant  dotnini. 

Marziale,  De  spectac,  2. 
(*)  Hic  ubi  miramnr,  velocia  munera,   Thermas, 

Abstulerat  miseris  teda  superbus  ager. 

Marziale,  De  specfac,  2. 

C^)  Hic  ubi  conspicui  venerabili^  Amphitheafri 

Erigitiir  moles,  slagna  Neronis  erant. 

Marziale,  De  spectac,  2. 

Barbara  Pgramidum  sileat  miracida  Memjìhis  ; 

Assiduus  iactet  nec  Babijlona  labor 

Omnis  Caesareo  cedat  labor  Amphitheatro  : 

Unum  prae  cunctis  fama  loquatur  opus. 

Marziale,  Da  spectac,  1. 

'-  Dione,  LXVI,  15;  Plinio,  XXXIV,  IS;  Sparziano,  Adrian.,  18. 


516 


ANFITEATRO  FLAVIO. 


[LiB.  VII. 


Si  ricordano  i  sontuosissimi  spettacoli  dati  dal  popolo  in 
quella  occasione:  grande  numero  di  gladiatori  combat- 
tenti a  coppie  e  a  truppe,  cacce  a  migliaia  di  fiere  uccise 
da  strenui  bestiarii  e  anche  da  donne,  battaglie  navali,  e 
larghi  doni  gettati  dall'imperatore  alla  folla,  e  lieti  plausi 
di  vittoria,  e  orribili  grida  di  morte.  La  festa  durò  cento 


L'Anfiteatro  in  medaglia  (li  Tito  {Donaldsùn,  pag.  201,  n.  79). 

giorni,  ed  è  detto  che  fu  rallegrata  anche  da  combatti- 
menti di  gru  K 

La  grande  mole  capace  di  87  mila  persone  fu  compiuta 
poscia  da  Domiziano  con  lungo  lavoro  di  prigionieri  e 
di  schiavi  e  con  profusione  di  fiumi  di  oro^.  L'edificio 

1  Svofnnio,  Tit.^  7;  Dione,  I.XVI,  2r,;  Eutropio,  VII,  H. 

2  C'iissiodoro,   Vm-iar.  Epiat.,  V,  12. 


Gap.  III.l  ANFITEATRO  FLAVIO.  517 


di  pietre  Tiburtine  fortemente  commesse  con  perni  di 
piombo  e  di  ferro  sorse  alto  così  che  appena  l'umana 
vista  potea  pervenirne  alla  cima  *  ;  con  cinque  ordini  di 
gradini  all'interno  splendidamente  coperti  di  marmo,  e 
al  di  sopra  un  portico  destinato  alle  donne  e  alla  plebe: 
ottanta  archi  di  ordine  dorico,  ionico  e  corintio  all'esterno 
decorati  di  statue,  e  quelli  corrispondenti  nel  mezzo  degli 
assi  adorni  di  colonne  sporgenti  e  di  carri  trionfali,  come 
si  vedono  nelle  medaglie.  Al  di  sopra  del  vasto  recinto 
distendevasi,  quando  bisognasse,  un  immenso  velario  per 
togliere  agli  spettatori  le  molestie  del  sole.  La  parte  sot- 
terranea all'arena  fu  poscia  scavata  e  murata  ed  ebbe 
ambulacri  di  accesso,  e  cavee  per  tenervi  pronte  le  fiere, 
e  congegni  ordinati  a  far  saltar  fuori  le  macchine  per 
gli  spettacoli,  e  tutto  disposto  in  modo  da  poter  con- 
vertire l'arena  stessa  in  un  lago  per  le  battaglie  navali. 
Il  grande  edificio  destinato  ai  feroci  divertimenti  di 
Roma  risuonò  lungamente  delle  grida  di  migUaia  di  gla- 
diatori combattenti  e  morenti,  di  prigionieri  e  di  schiavi 
sbranati  da  numero  infinito  di  leoni,  di  leopardi,  di  orsi 
e  di  altre  belve  fatte  venire  dall'Asia  e  dall'Affrica.  Ro- 
vinato e  restaurato  più  volte  dopo  i  danni  patiti  da  in- 
cendii,  da  terremoti  e  da  fulmini,  nel  medio  evo,  preso 
il  nome  di  Colosseo^,  divenne  fortezza  feudale,  campo  alle 
lotte  di  prepotenti  baroni,  di  papi  e  di  popolo,  e  teatro 
ai  misteri  della  Passione  di  Cristo  e  a  giostre  di  cavalieri, 
e  a  scene  notturne  di  negromanti,  e  servi  anche  a  rico- 
vero di  malandrini.  Poi  fu  guasto  in  più  parti  per  trarne 
pietre  a  costruire  chiese  e  palazzi  finché  al  principio  del 
secolo  nostro  altri  con  aiuti  di  grandi  contrafforti  fecero 
opera  di  impedire  che  rovinasse  del  tutto.  E  oggi  rimane 
la  più  magnifica  e  spettacolosa  rovina  di  Roma  («). 

{^}  Le   particolarità   più   importanti   della   costruzione  e  delle  vicende 

1  Ammlano  Marcellino,  XVI,  10,  15. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  65 


518 


^MALATTIA  E  MORTE  DI  TITO. 


[LiB.  VII. 


È  narrato  che  l'ultimo  giorno  delle  feste  celebrate  per 
dedicare  l'Anfiteatro  e  le  Terme,  Tito  pianse  dirottamente 
in  presenza  del  popolo  per  causa  di  tristi  augurii.  Quindi 
parti  malinconico  per  le  sue  terre  Sabine.  Per  via  lo 
colse  la  febbre  :  e  presentendo  il  suo  fine,  alzò  le  tende 
della  lettiga,  guardò  il  cielo,  e  si  dolse  di  avere  a  morire 


\lUiU  del  Culusseu  ^icb^r,  j-a_;. 


sì  presto.  Disse   che  di  una   sola   azione  della   sua   vita 
="'£',^5:  sentiva  rimorso:  né   si  sa  quale  fosse.   Morì   a  42  anni 

a8:U,  di  ^ 

<^'-8i-    nella  villa  in  cui  era  morto  Vespasiano,  dopo  im  regno 


dell'Anfiteatro  sono  in  Nibby,  Roma  antica,  voi.  I,  pag.  399-432,  e  in 
Canina,  Edifizi  di  Roma  antica,  voi.  Ili,  pag.  23-28,  e  IV,  tav.  164-177. 
Per  le  scoperte  fatte  cogli  ultimi  scavi  nei  sotterranei  vedi  Gori ,  Le 
memorie  storiche,  i  giuochi  e  gli  scavi  delV Anfiteatro  Flavio,  ed  i  pre- 
tesi martiri  del  Colosseo,  Roma  1875,  pag.  105  e  segg. 


Gap.  III.]  ROMA  IN  LUTTO.  519 

di  26  mesi  e  '20  giorni.  Roma  fu  tutta  in  lutto.  Ognuno 
se  ne  dolse  come  della  perdita  di  un  caro  parente,  e  il 
Senato  pianse  e  lodò  solennemente  questo  modello  dei 
principi  *.  Tutti  avevano  obliata  la  prima  parte  della  vita 
di  lui,  e  non  ricordarono  se  non  il  breve  tempo  in  cui 
mostrò  la  sua  buona  natura.  I  Giudei  soli  non  dimenti- 
carono mai  (ed  è  ben  ragione)  lo  strazio  crudele  fatto  alla 
loro  patria  infelice,  e  quindi  nelle  loro  tradizioni  rimase 
come  un  orribile  mostro  l'imperatore,  che  altri  chiama- 
rono la  delizia  del  genere  umano  (^). 

Dopo  questo  breve  ristoro  il  mondo  torna  a  sentire  i 
flagelli  della  tirannide,  e  Domiziano  contamina  il  trono  di 
nuove  brutture. 

{")  Le  leggende  giudaiche,  spiegano  in  modo  particolare  la  fine  preci- 
pitata di  Tito.  Egli  è  vittima  di  uno  spettro,  che  di  continuo  gli  si  alza 
davanti,  ed  ha  l'anima  travagliata  dal  ricordo  delle  crudeltà  commesse 
in  Giudea.  I  supposti  rimorsi  sono  simboleggiati  da  un  verme,  che  gli 
rode  il  cervello.  Secondo  la  leggenda  Tito  introdusse  nel  tempio  di  Ge- 
rusalemme una  prostituta  ,  squarciò  colla  spada  il  sacro  velo,  e  ne  usci 
sangue.  Poi  ravvolse  in  questo  velo  il  libro  delle  leggi  e  i  vasi  sacri,  e 
li  fece  portar  sulla  nave.  Nel  viaggio  corse  pericolo  di  naufragio.  Allora 
il  distruttore  di  Gerusalemme  gridò  :  «  Dunque  il  Dio  dei  Giudei  ha  forza 
solamente  sul  mare,  che  uccise  Faraone,  e  minaccia  d'inghiottire  anche 
me.  Se  questo  Dio  è  onnipotente,  venga  a  combattermi  in  terra.  »  Allora 
si  ascoltò  una  voce  che  disse  :  «  Tristo  figlio  di  un  tristo,  io  ho  prodotto 
una  creatura  che  si  chiama  moscerino:  vieni  sulla  terra  e  sarai  là  com- 
battuto da  esso.  »  Ora  un  moscerino  entrò  nelle  narici  di  Tito,  salì  al 
suo  cervello,  e  lo  ròse  per  sette  anni.  Un  giorno  nel  passare  davanti  alla 
bottega  di  un  fabbro  il  rumore  del  martello  annestò  il  rodere  dell'insetto. 
Tito  fece  venire  presso  a  sé  un  uomo,  e  gli  dava  quattro  monete  d' ar- 
gento al  giorno,  perchè  continuamente  battesse  col  suo  martello.  Per  30 
giorni  la  cosa  andò  bene:  ma  dopo  il  moscei-ino,  avvezzato  al  rumore, 
si  messe  a  roder  di  nuovo.  Pinra  o  Fineo,  figlio  di  Erouba,  aggiunge  la 
leggenda,  era  pi'esente  coi  maggiorenti  di  Roma  quando  Tito  mori:  e 
narrò  come,  apertogli  il  cranio,  vi  fu  trovato  un  moscerino,  grosso  quanto 
una  rondine  con  unghie  di  ferro  e  becco  di  bronzo.  Salvador,  Hixt.  de 
la  domination  rom.  en  Judèe,  II,  498. 

l  Svetonio,  10,  U;  Dione.  LXVI,  26. 


520  TRISTA  INDOLE  DI  DOMIZIANO.  [Lib.  VII. 

Altrove  accennammo,  come  egli  di  buon'ora  desse 
saggio  del  suo  animo  tristo.  Stato  di  sconcia  vita  fino 
da  giovinetto,  dopo  la  vittoria  del  padre  crebbe  nei  vizi, 
visse  tra  violenze  e  adulterii ,  rapi  a  L.  Elio  Plauzio 
Lamia  la  moglie  Domizia  Longina,  indegna  figliuola  del 
prode  e  virtuoso  Corbulone,  ingiuriò  Tito  nella  sua  unica 
figlia;  poscia,  mentre  per  dispetto  affettava  modestia  e 
amore  agli  studi,  arse  d'invidia  contro  il  fratello,  gli  tese 
aguati,  e  da  ultimo  ebbe  accusa  di  avergli  affrettata  la 
morte  cacciandolo,  nell'ardore  della  febbre,  in  un  bagno 
di  neve;  e  sebbene  lo  deificasse,  abolì  gli  onori  del  suo 
di  natalizio  '. 
AanidiRo-  Avuutl  clic  Tito  spirassc,  egli  corse  a  Roma,  e  si  fece 
G^c^ii.^'  gridare  imperatore  dalle  milizie.  Senza  rispetto  alcuno 
osò  dire  che  il  padre  scrisse  lui  per  suo  successore,  e 
che  altri  ne  falsicò  il  testamento  :  e  poscia  dichiarò  im- 
pudentemente in  senato  che  egli  aveva  dato  l'impero  al 
padre  e  al  fratello,  e  che  essi  ora  glielo  avevano  reso  (^')- 
Sulle  prime  si  tenne  appartato  in  palazzo  e  dilettavasi 
a  trafigger  mosche  2,  quasi  preludio  alle  uccisioni  degli 
uomini.  Ma,  sebbene  i  segni  di  sua  tristizia  apparissero 
non  dubbii,  sulle  prime,  mescolando  vizi  e  virtù,  fece 
anche  qualche  buona  opera.  Attese  a  fabbriche  utili  ;  in 
Roma  rese  libere  da  ogni  ingombro  le  strade  3;  restaurò 
le  vie  Appia  e  Latina  ^;  rifece  e  chiamò  col  suo  nome 
la  via  lungo  le  spiagge  della  Campania,  la  quale  uscendo 
da  Sinuessa  sotto  magnifico  arco,  e  poscia  traversando 
il  Volturno  andava  a  Cuma,  a  Baia  e  a  Pozzuoli,  d'onde 


(«)  Patri  se  et   fi  atri  imperium   dedisse,   illos   sili   reddidissc.  Sve- 
tonio,  13. 

1  Tacito,  Hist.  ,  IV,  8G  ;  Svetonio,  Domit.  ^  1,  2  e  22;   Dione   Cassio,  LXVI,  3  e  26, 
LXVII,  2-3;  Aurelio  Vittore,  De  Caesarihus.  10,  11. 

2  Svetonio,  3;  Dione,  LXVI,  9;  Aurelio  Vittore,  Epit.^  11. 

3  Marziale,  VII,  61. 

4  Marziale,  IX,  102;  Stazio,  SUv.,  IV,  3,  3,  o  IV,  4,  60. 


Gap.  III.]  PROVVEDIMENTI,  LEGGI  E  RIFORME.  521 

fu  poi  prolungata  per  Napoli,  Ercolano,  Pompei  e  Sor- 
rento *.  Per  favorire  gli  studi  mise  gran  cura  a  ricom- 
porre le  biblioteche  incendiate,  mandò  ad  Alessandria  a, 
copiar  manoscritti,  e  ne  fece  venire  da  ogni  banda-.  Si 
fece  censore  e  riformatore  religioso  e  politico,  attese  alla 
giustizia,  cassò  le  sentenze  parziali,  notò  d'ignominia  1 
giudici  corrotti,  punì  i  magistrati  colpevoli,  studiò  che 
fossero  temperati  e  giusti  i  governatori  delle  province: 
si  astenne  egli  stesso  dall'altrui  roba,  e  rifiutò  anche  le 
eredità  di  chi  avesse  fìghuoli.  Per  un  momento  si  videro 
frenati  e  puniti  i  delatori  calunniosi  dall'uomo,  che  poco 
appresso  usò  l'opera  loro  a  dar  di  piglio  negli  averi  e  nel 
sangue.  Cosi  egli  incestuoso  e  adultero  e  vissuto  tra  tur- 
pitudini di  meretrici,  prese  a  riformare  colle  leggi  i  co- 
stumi, che  oltraggiava  coi  fatti  e  cacciò  dal  senato  e  dai 
tribunali  gli  uomini  di  vita  non  pura,  punì  fieramente 
gli  adulteri  e  le  Vestali  accusate  di  disonestà,  mentre 
teneva  fra  i  suoi  cortigiani  e  delatori  l'infame  Crispino, 
contaminatore  di  Vestali.  Fece  leggi  sui  teatri,  proibì 
alle  donne  di  mala  fama  di  andare  in  lettiga,  e  di  rice- 
vere lasciti  ed  eredità,  richiamò  in  vigore  la  legge  Scan- 
tina contro  le  libidini  infami,  vietò  di  prostituire  i  bam- 
bini lattanti,  e  di  fare  gli  uomini  eunuchi.  Per  le  quali 
cose  i  poeti  di  corte  cantarono  lui  pudico  e  santo  prin- 
cipe, e  datore  di  salute  e  di  gloria  al  mondo,  e  restitu- 
tore di  buoni  costumi  e  della  pietà  e  della  giustizia  3. 
Non  è  certo  che  tali  provvedimenti  movessero  da  amore 


1  Dione,  LXVII,  14;  Stazio,  Silv.^  IV,  3,  26  e  segg.;  Corcia,  Storia  delle  due  Sicilie^ 
II,  pag.  457. 

2  Svetonio,  20-,  Aurelio  Vittore,  Epit.,  11. 

3  Svetonio,  7,8,9,  22;  Dione  Cassio,  LXVII,  2,  3,  13;  Giovenale,  Sat.,  II,  29-33  e  44; 
Marziale,. J>e  Spectac.  4,  5,  II,  60,  91,  V,  2, 19,  VI,  2,  4,  45,  IX,  7,  102;  Stazio,  Silv.^  Ili, 
4,  73,  IV,  1,  25.  Delle  leggi  di  Domiziano  ragionò  particolarmente  Van  Goens,  De  T. 
Flavio  Domitiano  imp.  rom.  eiusque  iurisprudentia.  Lugdiini  Batavorum  1820.  Per 
tutti  i  particolari  della  vita  e  del  regno  di  Domiziano  vedi  Imhof,  Titus  Flavius  Domi- 
tianus^  ein  Beitrag  zur  Geschichte  der  ròmischen  Kaiserseit^  nach  den  Quellgn 
iargestellt^  Halle  1857. 


522  PRINCIPE  FEROCE,  ASTUTO  E  IPOCRITA.         [Lib.  VII. 

del  bene.  Fece  sotterrar  viva  la  Vestale  Cornelia,  di  cui 
non  è  certa  la  colpa;  ma  un  onesto  scrittore  afferma, 
che  a  ciò  lo  indusse  il  desiderio  di  illustrare  il  suo  secolo 
con  quella  severità  ^  E  altri  pure  disse  che  la  legge 
sugli  eunuchi  era  una  satira  agli  antichi  amori  di  Tito, 
al  quale  in  ogni  occorrenza  dava  obliqui  morsi,  mentre 
gli  amici  più  cari  di  lui,  come  quelU  del  padre,  dannava 
all'ignominia  e  alla  morte,  reputando  a  sua  ingiuria  l'af- 
fetto mostrato  ad  essi  -. 

Fu  notato  come  nei  ritratti  apparisca  più  bello  del 
padre  e  del  fratello,  ma  di  una  bellezza  formidabile  e 
di  un'aria  feroce.  Nella  sua  statua  al  Vaticano  si  mostra 
una  caricatura  terribile,  che  aggrotta  le  ciglia  e  digrigna 
i  denti,  come  chi  ha  voglia  di  mordere.  Era  una  bestia 
più  fiera  delle  altre,  che  sederono  sul  trono  dei  Cesari, 
perchè  bestia  intelligente,  e  non  pazzo  come  Caligola  (^). 

La  paura  gli  accrebbe  la  naturale  ferocia.  Talvolta 
erompeva  furioso,  ma  il  più  spesso  bassamente  codardo 
e  ipocrita,  usava  insidie  e  astuzie,  e  celava  gli  odii  mor- 
tali sotto  sembianze  di  affetto,  e  accarezzava  quelli  de- 
stinati alla  morte,  e  preparava  freddamente  le  stragi 
dei  più  intimi  suoi,  e  studiava  che  ne  ricadesse  l'odio 
sugli  altri  3. 

Uccise  per  cose  da  nulla.  Dopo  spento  l'istrione  Paride, 
adultero  di  sua  moglie  Domizia,  e  quelli  che  in  esso  ave- 
vano onorato  l'artista,  fece  perire  anche  uno  scolare  di 
lui,  perchè  dicevasi  che  emulerebbe  il  maestro  nella  ec- 
cellenza dell'arte  e  nella  bellezza  della  persona.  A  Elio 

C^)  Vedi  Ampère,  L'  Empire  romain  à  Rome,  li,  121.  Stazio  cantò  i 
celestiali  occhi  di  Domiziano  {Silv.,  Ili,  4,  53),  e  la  inarrivabil  bellezza, 
e  la  serena  e  dolce  maestà  (IV,  2,  41):  e  anche  Marziale  (IX,  25)  vide 
in  Domiziano  la  serena  fronte  di  Giove  ! 

1  Plinio,  Epist.,  IV,  11, 

2  Svetonio,  2;  Dione  Cassio,  LXVII,  2,  3. 

3  Svetonio,  11;  Plinio,  Paneg..  66  e  95,  Epht.^  IV,  11  ;  Dione  Cassio,  LXVII,  1,  2,  3. 


Gap.  III.J 


UCCISIONI  DI  UOMINI  E  DONNE. 


523 


Lamia,  cui  prima  di  essere  imperatore  aveva  rapito  la  mo- 
glie, détte  morte,  perchè  si  ricordò  che  in  quella  occa- 
sione gli  aveva  detto  contro  un'arguzia.  Mandò  al  supplizio 
il  cugino  Flavio  Sabino,  perchè  il  banditore,  invece  di 
gridarlo  console,  per  isbaglio  lo  chiamò  imperatore.  Ucciso 
Salvio  Cocceiano,  nipote  di  Ottone,  perchè  festeggiava  il 
dì  natalizio  dello  zio  :  ucciso  Sallustio  Lucullo,  legato  in 


Statua  loricata  di  Domiziano  (Museo  Chi  aro  monti). 


Britannia,  per  aver  lasciato  chiamar  lucullane  certe  lance 
di  nuova  foggia:  ucciso  Mezio  Pomposiano,  perchè  oltre 
ad  essergli  stato  predetto  l'Impero,  si  dilettava  di  carte 
geografiche,  e  aveva  raccolto  insieme  le  allocuzioni  dei 
re  e  dei  duci  delle   storie  di  Livio,  e  due   suoi  schiavi 


524       LA  MOGLIE  DI  DOMIZIANO,  E  LA  FIGLIA  DI  TITO.  [Lib.  VII. 

_ — <k 1 

chiamava  coi  nomi  di  Magone  e  di  Annibale:  uccisi  Ci- 
vica Celiale  proconsole  d'Asia,  e  Salvidieno  Orfito,  e 
Acilio  Glabrione,  come  macchinatori  di  novità:  ucciso  il 
sofista  Materno,  perchè  ad  esercizio  dell'arte  sua  aveva 
declamato  contro  i  tiranni:  ucciso  Ermogene  di  Tarso, 
perchè  in  una  sua  storia  usò  ambigue  espressioni,  e  fu- 
rono posti  in  croce  quelli  che  avevano  copiato  e  venduto 


Giulia  figlia  di  'I  ito  (Mongee,  Icon    Rom  ^  pi.  XXXV,  n.  2) 

il  SUO  libro.  Meditò  anche  di  uccider  la  moglie  adultera, 
le  die  libello  di  ripudio,  e  poi  la  riprese.  Aveva  rifiutato 
di  sposar  Giulia  sua  nipote,  la  brutta  figliuola  di  Tito: 
poi  vivente  ancora  il  padre,  la  disonestò  maritata  a  Flavio 


Gap.  III.]         IMPRESE  DI  GUERRA.  GIULIO  AGRICOLA.  52.5 

Sabino,  e  da  ultimo,  uccisole  il  marito,  la  tenne  pubbli- 
camente per  sua  concubina,  e  le  fu  cagione  di  morte 
forzandola  ad  abortire.  Altre  donne  da  lui  corrotte  fu- 
rono condannate  a  morte  per  adulterio,  e  una  fu  uccisa 
per  essersi  spogliata  dinanzi  ad  una  statua  del  principe. 
Altri  spenti  per  altre  simili  ragioni  *. 

Benché  pieno  di  codardia  e  di  paura,  Domiziano  ambì 
anche  alla  gloria  delle  armi,  e  fino  dai  tempi  del  padre, 
per  emulare  il  fratello,  aveva  tentato  di  capitanare  un 
esercito  da  mandarsi  in  Oriente  a  soccorso  del  re  Volo- 
geso.  Non  conseguì  allora  l'intento  perchè  Vespasiano 
inteso  ad  afforzare  colla  pace  lo  Stato  non  amava  di 
mettersi  a  pericolose  avventure  per  altri  ^  :  ma  quando 
fa  padrone  di  sé,  mosse  ad  imprese  che  riuscirono  a 
grandi  vergogne. 

Il  capitano  che  sotto  il  suo  regno  tenne  in  più  onore 
le  armi  romane  fu  da  lui  invidiato  e  umiliato. 

Gneo  Giulio  Agricola,  nato  di  chiara  famiglia  nella  co- 
lonia di  Forogiulio  {Frejus),  era  uno  dei  pochi  che  nella 
corruzione  dell'Impero  serbavano  le  virtù  di  altri  tempi. 
Tacito,  che  gli  era  genero,  ne  scrisse  con  affettuosa  elo- 
quenza la  vita,  e  lo  fece  immortale,  ritraendolo  ardente 
della  sapienza,  affettuoso  coi  suoi,  prode  soldato,  inte- 
gerrimo magistrato,  prudente  e  magnanimo,  autorevole 
senza  burbanza,  umano  senza  fiacchezza.  Suo  padre  Giulio 
Grecino  senatore  e  filosofo  fu  ucciso  da  Caligola  perchè, 
rifiutatosi  ad  accusare  Silano:  e  la  madre  Giulia  Procilla, 
castissima  donna  e  sua  educatrice  sapiente,  gli  fu  uccisa 
dai  soldati  di  Ottone  predatori  dei  suoi  beni  in  Liguria. 
Entrato  di  buon'  ora  nella  milizia  fu  valente  e  onorato 
tribuno  in  Britannia  sotto  Svetonio  Paolino,  e  poscia 
questore  integro  in  Asia.  Uccisa  la  madre  dagli  Ottoniani 

1  Svetonio,  3,  10,  22;  Dione  Cassio,  LXVII,  3,  12;  Plinio,  EjiisC.  ^  IV,  li;  Giovenale, 
IV,  151.  Per  ISIaterno  conf.  Tacito,  Dialog.  de  Orat.,  2. 

2  Svetonio,  2;  Dione,  LXVI,  15. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  6<j 


526  AGRICOLA  IN  BRITANNI  A.  [Lib.  VII. 

si  gettò  subito  alla  parte  Flaviana  da  cui  ebbe  il  carico 
di  quietr-re  in  Britannia  i  soldati  ribellanti  della  legione 
ventesima.  Vespasiano  lo  fece  patrizio,  lo  mandò  a  go- 
vernar TAquitania,  lo  nominò  console,  e  da  ultimo  lo 
mandò  governatore  in  Britannia  dove  rimase  sette  anni 
(831-837  -di  Roma,  78-84  di  C).  Ivi  subito  represse  gli 
Òrdovici  e),  riprese  l'isola  Mona  {Anglesey),  lasciata  dopo 
la  prim;ì  conquista,  e  pose  ogni  studio  a  togliere  le  ca- 
gioni dtile  sommosse,  frenando  la  licenza  militare  con 
severa  disciplina,  riformando  sé  e  la  sua  casa,  chiamando 
agli  ufiìcii  i  più  degni,  e  ripartendo  più  equamente  le 
imposte,  e  facendo  ogni  opera  perchè  paresse  meno  dura 
la  servitù.  Fu  dolce  ai  cedenti:  le  voluttà  e  le  lusinghe 
dei  vizi  usò  a  snervare  i  più  forti,  e  per  tirare  più  facil- 
mente i  stivaggi  all'ozio  e  alla  sommissione  gli  invaghì 
delle  arti  liberali,  dei  begli  edifìzi,  delle  sontuose  vesti, 
delle  delizie  di  bagni  e  conviti,  chiamando  civiltà,  ciò 
che  era  strumento  di  servitù.  I  resistenti  persegui  e  predò 
senza  tregua:  pose  loro  fortezze  sul  collo,  corse  da  ogni 
banda,  vide  tribù  sconosciute,  assah  la  Caledonia  (Scorm), 
e  munì  di  presidii  l'istmo  tra  i  golfi  di  Glota  e  Bodotria  (^), 
che  la  separava  dalla  Britannia.  Si  avanzava  per  terra 
facendosi  seguire  dalle  navi  lungo  le  coste.  I  Caledonii, 
vedendosi  turbare  nei  quieti  recessi,  corsero  alle  armi, 
assalirono  le  nuove  fortezze,  e  messere  a  pericolo  estremo 
la  nona  legione.  Agricola  accorse  pronto  al  bisogno,  e  li 
disperse:  ma  quelli,  tenendosi  vinti  per  astuzia  di  capi- 
tano più  che  per  valore  di  soldati,  non  si  smarrirono 
d'animo;  e  armata  la  gioventù,  e,  messo  in  salvo  donne 
e  figliuoli,  con  giuramenti  e  sacrifizi  si  strinsero  in  po- 
tente lega.   Agricola  avanzando   gli  incontrò   al   monte 


(*)  A  settHnti-ione  del  paese  di  Galles. 

(^)  Sono  i  jjfnlfi  in  cui,  dalla   parte  di  Edimburgo,  mette  foce  il  Forili 
(Bodotria)  e  dal  lato  opposto  la  Clyde  (Glota). 


Gap.  III.]  VITTORIE  E  SCOPERTE,  E  RICHIAMO  DI  AGRICOLA.     527 

Grarapio  (").  Erano  30  mila  uomini  capitanati  da  Galgaco, 
il  primo  fra  tutti  per  nascita  e  per  valore.  Ivi  fu  com- 
battuta una  grande  battaglia  descritta  in  tutti  i  partico- 
lari da  Tacito,  il  quale  mostra  i  forti  barbari  accorrenti 
in  folla  dalle  native  selve  a  difesa  del  sacro  suolo  della 
patria,  e  racconta  le  fiere  parole  con  cui  Galgaco  gli 
infiammava  a  scuotere  l'aborrito  giogo  dei  ladroni  del 
mondo,  e  ricorda  le  prodezze  dell'una  parte  e  dell'altra, 
e  la  grande  sconfitta  e  la  fuga  dei  Caledonii  e  la  strage 
di  diecimila  uomini. 

Agricola,  dopo  la  vittoria,  fece  fare  dalle  navi  il  giro 
di  tutta  la  Caledonia,  e  accertò  che  la  Britannia  era  isola, 
e  prese  anche  le  Orcadi,  e  vide  l'ultima  Tuie  *,  e  fu  ce- 
lebrato come  conquistatore  e  scopritore  di  nuove  regioni. 

Dopo  tutto  ciò  l'opera  principale  era  fatta.  Rimaneva 
da  compiere  e  assicurare  la  conquista:  e  Agricola  era 
l'uomo  da  ciò;  ma  non  glielo  assentì  la  gelosia  del  ti- 
ranno, irritato  dalla  fama  delle  vittorie,  che  rendevano 
un  particolare  cittadino  più  rinomato  del  principe.  Agri- 
cola annunziò  con  modeste  lettere  il  felice  successo,  ma 
la  fama  pubblica  lo  celebrava  con  tanta  solennità,  che 
Domiziano  stesso,  comunque  pieno  di  maltalento,  non 
potè  non  fargli  decretare  gli  onori  trionfali.  Poi  richiamò 
l'odiato  vincitore,  sotto  colore  di  destinarlo  ad  altro  co- 
mando. Agricola  venne  subito  a  Roma,  entrò  di  notte  in 
città,  e,  trovate  fredde  accoglienze  in  palazzo,  studiò  di 
sottrarsi  alla  tristizia  dei  tempi  e  ai  pericoli  colla  riti- 
ratezza e  colla  modestia  della  vita.  Ma  forse  quello  studio 
non  bastò  a  camparlo  dai  pericoli  che  gli  sovrastavano  : 
e  rimane  incerto,  se  finisse  la  vita  naturalmente  o  per 
opera  di  Domiziano,  cui  erano  crudo  tormento  quella 
virtù  e  quella  gran  fama,  e  quell'ammirazione   del  po- 

(«)  Oggi  Grampians  nella  Scozia  settentrionale. 

1  Forse  la  maaroriore  delle  isole  Shetlands  detta  ora  Mainland. 


528 


IMPRESA  DI  DOMIZIANO  SUI  CATTI. 


[LiB.  VII. 


polo,  che  a  ogni  notizia  di  patite  sconfitte  e  di  eserciti 
disfatti  chiamava  il  vincitore  dei  Britanni  per  riparare 
alle  altrui  codardie  K 

L'imperatore  che  geloso  e  pauroso  dell'altrui  gloria  sen- 
tiva che  senza  capitanare  gli  eserciti  e  fare  a  sé  devoti 
i  soldati  non  potrebbe  tenere  l'Impero  preso  colle  armi 
dai  suoi,  prima  del  ritorno  di  Agricola  si  era  messo  alla 
testa  delle  legioni,  sperando  di  oscurare  con  una  grande 
impresa  il  vincitore  dei  Britanni  e  ogni  altro  più  famoso 
guerriero.  Mosse  senza  necessità  in  Germania  ove  era 
pace,  corse  e  saccheggiò  il  paese  dei  Catti,  non  vide  il 
nemico  ritrattosi  al  suo  comparire  e  poscia,  chiamandosi 
Germanico,  tornò  a  Roma  superbo  e  trionfante  di  quella 


Domiziano  coronato  col  titolo  di  Germanico  {Monges  ^  Icon.  Eom.,  XXXIV,  n.  5  e  6). 


escursione,  come  di  guerra  gloriosamente  compiuta,  portò 
iiRo-  simulacri  di  bugiarde  vittorie,  e  mostrò  come  prigionieri 
^l  <^'  gli  schiavi  comprati  al  mercato  e  vestiti  alla  foggia  dei 
barbari;  applaudito   dai  soldati  cui  aumentò  lo   stipen- 
dio, e  deriso  da  chi  sapeva  i  segreti  della  commedia  ("). 


(«)  Dione,  LXVII,   4;   Zonara,  XI,  19;   Svetonio,  C;  Marziale,  IX,  2; 
Creili,  Insci'. j  521,  che  ricorda  Domiziano  Germanico. 

Tacito  {Agric,  39,  e  Germ.,  37)  parla  dei  falsi  trionfi  e  degli  schiavi 


1  Tacito,  Agricola. 


Gap.  III.]  GUERRA  CONTRO  I  DACI.  529 

Due  anni  dopo  andò  a  reprimere  le  irruzioni  dei  Daci, 
una  forte  nazione  stanziata  al  di  là  del  Danubio,  gover- 
nata da  Decebalo,  famoso  per  prodezze  e  accorgimenti 
di  guerra  sotto  la  scorta  del  quale  passarono  il  fiume, 
invasero  la  Mesia,  sconfìssero  i  presidii  romani  e  ucci- 
sero il  comandante  Oppio  Sabino  *. 

Il  governo  dell'impresa  fu  dato  a  Cornelio  Fusco,  pre- 
fetto dei  Pretoriani.  11  principe  non  osando  di  prender 
parte  ai  pericoli  stette  in  un  villaggio  della  Mesia  occu- 
pato in  ozii  e  libidini,  e  all'avvicinarsi  della  tempesta 
tornò  a  Roma  a  perseguitare  il  Senato  e  il  popolo,  mentre 
duci  e  soldati  si  facevano  uccidere  per  lui.  L'esercito 
corrotto  dall'esempio  era  simile  al  principe  che  andava 
alla  guerra  in  lettiga  :  la  disciplina  spenta,  tutto  pieno  di 
confusione,  di  licenza,  di  codardia:  i  duci  senza  autorità 
e  senza  fiducia;  i  migliori  presi  a  sospetto,  e  puniti  gli 
esecutori  fedeli  degli  ordini  quando  avessero  nemica  la 
sorte  2.  Decebalo  spregiava  altamente  il  nemico.  Si  venne 
a  battaglia.  I  Romani  patirono  piena  sconfitta  e  grossa 
perdita  d'uomini.  Cornelio  Fusco  fu  ucciso,  e  l'aquila 
d'una  legione  restò  preda  dei  barbari  ^. 

La  sciagura  fu  riparata  poscia  da  Terzio  Giuliano  già 
comandante  di  una  legione  nella  Mesia,  passato  a  parte 
Flaviana  a  tempo  della  guerra  tra  Ottone  e  Vitellio  ^. 
Egli  procede  oltre  al  Danubio,  vinse  il  nemico  alla  grossa 
battaglia  di  Tape,  e  lo  inseguì  fino  alla  sua  capitale. 

Domiziano  al  rivolgersi  della  fortuna  tornò  alle  fron- 


comprati.  Plinio,  {Paneg.,  16  e  17)  dice  dei  carri  mimici  e  dei  siìmdacri 
della  falsa  vittoria.  Conf.  Stazio  che  celebra  il  trattato  coi  vinti:  Yictis 
jìarcentia  foedera  Cattis/  Silv. ,  III,  3,  168,  e  Frontino,  Strataq.,  I,  1, 
8,  II,  2,  7. 

1  Svetonio,  6;  Eutropio,  VII,  13-,  lordanes,   Get.,  13,  il  quale  lo  chiama  Poppeo. 

2  Dione,  LXVII,  6;  Plinio,  Paneg.^  18  e  82;  Svetonio,  19;  Orosio.  VII,  10. 

3  Svetonio,  6;  Giovenale,  VI,  112;  Marziale,  VI,  76;  Orosio,  VII,  10. 

4  Tacito,  Hist.^  II,  85,  IV,  39  e  40. 


530  SCONFITTE  E  TRIONFI.  [Lib.  VII- 

tiere,  e  corse  baldanzoso  a  punire  i  Marcomanni,  i  Quadi 
e  i  Sarmati  perchè  non  lo  avevano  aiutato  nella  lotta 
coi  Daci.  Ma  i  Marcomanni  lo  batterono  e  lo  volsero  in 
fuga,  e  una  legione  fu  uccisa  col  suo  capo  dai  Sarmati  («). 
Quindi  egli  che  già  avea  respinta  ogni  domanda  del  capo 
dei  Daci,  ora  gli  mandò  messaggi  di  pace.  E  Decebalo 
rispose  mandandogli  un  messo  a  trattare  con  lui,  e  a 
rendergli  le  armi  e  alcuni  prigioni.  Domiziano,  come  se 
fosse  il  caso  di  un  popolo  debellato  e  assoggettato  e 
chiedente  un  re  al  vincitore,  pose  sulla  testa  del  messo 
il  regio  diadema:  e  dopo  questa  cerejnonia  concluse  la 
pace  col  dare  molta  pecunia  al  nemico,  e  col  promet- 
tergli annuale  tributo,  e  artefici  romani  per  ogni  opera 
di  pace  e  di  guerra  *:  fatto  obbrobrioso  che  dà  principio 
alla  lunga  serie  dei  patteggiamenti  e  delle  viltà  per  cui 
alla  fme  l'Impero  e  l'Italia  diverranno  preda  dei  barbari. 
Domiziano  Germanico  e  Dacico  reduce  da  cotali  im- 
prese fece  sentire  la  sua  potenza  alle  province  poste  sulla 
sua  via.  È  detto  che  i  luoghi  per  cui  passava  patirono 
saccheggi  e  devastazioni  come  da  una  irruzione  di  bar- 
AnnidiRo-^^^i-  -^  Roma  menò  duplice  trionfo  sui  Germani  e  sui 
g\^^9i/^'  Daci,  e  pei  Sarmati  portò  a  Giove  Capitolino  un  ramo 
di  alloro  (*),  e  fra  i  plausi  del  Senato  e  del  popolo  celebrò 
le  sue  glorie  con  greggi  di  vittime,  con  pugne  navali,  e 
combattimenti  di  fanti  e  di  cavalieri  nel  Circo,  con  corse 
di  vergini,  con  un  grande  convito  al  popolo  prolungato 
per  tutta  la  notte.  Tutti  gli  accessi  del  tempio  di  Giove 
Capitolino  furono,  dice  PUnio,  contaminati  da  innume- 
revoli statue  d'oro  e  d'argento  poste  all'incestuoso  prin- 


{")  Dione,  LXVII,  6.  —  In  Sarmaiia  lerjio  eius  cum  duce  interfecta, 
Eutropio,  VII,   15.  Verli  anche  Tacito,  Agric,  41. 

(»)  Plinio,  Paneg.,  20;  Svetonio,  6;  Eutropio,  VII,  15;  Eusebio,  Chron. 
all'anno  91  di  Cristo:  Domitianus  de  Dacis  et  Germanis  tì^umphavit. 

1  Dione,  LXVII,  7. 


Gap. 


MONUxMKNTI  E  MENZOGNE  POETICHE. 


531 


cipe  tra  quelle  dei  numi.  Poi  simulacri  a  lui  per  tutte  le 
regioni  della  città,  e  una  colossale  statua  di  bronzo  nel 
Fóro;  dappertutto  archi  con  quadriglie  trionfali  («).  I  poeti 


Arco  di  Domiziano  {Donaldson,  p.  222) 

cantarono  a  gara  le  grandi  prove,  gli  allori,  e  i  degni 
trionfi  del  sommo  duce,  invitto  domatore  del  Reno  e 
dell' Istro,  vincitore  di  re,  guerriero  forte  al  pari  di  Marte, 
maggiore  di  Achille  e  d'Alcide,  tutela  e  salute  del  mondo; 
e  convertirono  le  sconfitte  in  grandi  e  non  piìi  viste  vit- 
torie *.  E  il   gran  capitano  giunse  a  tale   arroganza  che 


(*)  Dione,  LXVII,  8;  Svetonio,  13;  Plinio,  Paneg.,  52  e  54;  IMarziale 
Vili,  65.  Per  la  grande  statua  equestre  di  bronzo  nel  Fòro  vedi  Stazio, 
Silv.,  I,  1. 


1  Marziale,  II ,  2 ,  V,  1,  V,  3,  19  e  65,  VII,  5-S,  Vili,  2,  51  e  7S,  IX,  2,  7,  65  e  102; 
Stazio,  Silv.^  I,  1,  13-21,  I.  2,  180,  I,  4,  89-92,  HI,  3,  117-118,  IV,  4,  94-96,  IV,  7,  49-52, 
V,  1,  88,  V,  2,  177,  e  Theb..  I,  19-20;  Silio  Italico,  III,  607  e  segg.,  e  XIV,  '""  '"° 


-688. 


532   VITTORIA  SUI  NASAMONI.  —  EDIFIZI  DI  DOMIZIANO.  [Lib.  VII. 

non  andò  più  al  senato  se  non  in  veste  trionfale,  dette 
i  nomi  di  Germanico  e  di  Domiziano  ai  mesi  di  settembre 
e  di  ottobre,  perchè  nell'uno  avea  preso  l'Impero  e  nel- 
l'altro era  nato:  e  prese  consolati  più  che  niun  altro 
mai,  si  fece  salutare  imperatore  22  volte  come  se  avesse 
riportate  altrettante  vittorie,  procede  con  24  littori,  si 
chiamò  signore  e  Dio,  e  negli  editti  volle  usata  la  for- 
mola:  il  Signore  e  Dio  nostro  comanda  ^.  E  allorché  dopo 
una  disfatta  delle  truppe  di  Fiacco  pretore  di  Numidia 
per  opera  dei  Nasamoni  rivoltatisi  a  causa  delle  procon- 
solari angherie,  questi,  sorpresi  ubriachi  del  vino  rapito 
ai  nemici,  erano  stati  schiacciati  dal  pretore  prima  bat- 
tuto, il  superbo  imperatore  scrisse  al  Senato  dicendo  che 
aveva  proibito  ai  JSasamoni  di  esistere  ("). 

Domiziano  passò  il  suo  tempo  in  imprese  guerresche, 
che  furono  vergogne,  in  ridicoli  trionfi,  in  atti  crudelis- 
simi, in  continue  paure.  La  satira  lo  chiamò  un  calvo  Ne- 
rone ^,  ed  era  come  questo  crudele,  e  amatore  furioso  del 
fabbricare,  e  dello  spendere  in  grandi  spettacoli  e  festeg- 
giamenti, per  poi  riempire  l'erario  colle  accuse  di  maestà 
e  coll'ùccidere  e  spoghare  i  cittadini  più  ricchi.  Rifece 
sontuosamente  molti  edifìzi  incendiati,  fece  un  Odeo,  uno 
Stadio  dove  è  ora  la  Piazza  Navona,  e  una  nuova  Nau- 
machia per  divertimento  del  popolo  ^,  rese  splendida  e 
degna  di  Giove  la  casa  imperiale  sul  Palatino,  con  grande 
profusione  di  marmi,  e  di  oro  per  le  camere  delle  sue 
concubine,  per  logge,  e  bagni  e  ninfei  *  ;  converti  in  tem- 
pio sacro  alla  gente  Flavia  la  povera  casa  in  cui  nacque 

(«)  Zonavsi,  AnnaL,X],  19;  Eusebio,  Chron.  ann.  841  di  Roma,  88  del- 
l'era volgare.  Alla  Vittoria  sui  Nasamoni  allude  anche  una  medaglia.  Vedi 
Cavedoni,  in  Annal.  Istit,,   1853,  pag.  27. 

1  Svetonio,  13;  Dione  Cassio,  LXVII,  1  ;  Plutarco,  Num.j  19;  Stazio,  Silv.j,  IV,  1. 

2  Giovenale,  Sat.^  IV,  38. 
"  Svotonio,  5. 

4  l'Iiitarco,  Public.  15;  Marziale,  VII,  5C,  Vili,  36  e  39;  Stazio,  Silv..  Ili,  4,  48. 


Gap.  III. 


TEMPIO  DI  VESPASIANO. 


533 


sul  Quirinale  (-'),  e   inalzò   un   tempio  a  Vespasiano    nel 
Fòro  presso  al  tempio  della  Concordia  ('')•  Sul  Capitolio 


Ruderi  del  tempio  di  Vespasiano  {Bi:rn). 

(«)  Svetonio,  l  e  17;  Marziale,  IX,  2,  4  e  35;  Stazio,  5i7u.,  V,  1,  240- 
241.  Un'epigrafe  attesta  che  la  casa  dei  Flavii  era  pre?«o  l3  chiese  di 
Santa  Teresa  e  San  Caio.  Vedi  Nibby,  Roma  an'ica.  II,  C6  \ 

(*)  Stazio,  Silv.,  I,  1,  31;  Cassiodoro,  Chron.;  Nibby,  Bonia  antica, 
II,  119-120. 

Ai  piedi  del   Campidoglio    di    fianco    alb   Coucord  a   ne   rin:angono  in 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  67 


534  TEMPIO  DI  GIOVE  CAPITOLINO.  ■  Lib.  VII. 

pose  un  tempio  a  Giove  Custode  nel  luogo  in  cui  egli 
giovinetto  si  nascose  per  sottrarsi  al  furore  dei  Vitelliani^  : 
e  il  tempio  di  Giove  Capitolino  arso  di  nuovo  dopo  la 
riedificazione  di  Vespasiano  rifece  con  tanto  splendore 
che  le  dorature  della  vòlta  costarono  dodicimila  talenti 
(36  milioni  di  lire  ital),  e  a  causa  di  esso  Roma  per  più 
secoli  si  chiamò  Città  d'oro  {Urbs  aurea)  (").  Poi  templi. 


piedi  tre  colonne  corintie  cue  un  tempo  si  dissero  volgarmente  di  ''-iove 
Tonante.  11  Canina  dietro  le  scoperte  del  1830  ne  restaurò  la  pianta,  il 
prospetto  e  le  parti  laterali,  e  disegnò  i  particolari  delle  decorazioni  bel- 
lissime. Edifizi,  voi.  I,  pag.  76-79,  li,  tav.  33-34.  Conf.  Architettura  ro- 
mana, tav.  19-20.  Pei  disegni  delle  tre  colonne  vedi  Reber,  Bie  Ruinen 
Roms,  pag.  81,  e  Burn,  Rome  and  the  Campagna,  pag.  118. 

L'anonimo  di  Einsiedlen  vide  il  tempio  intero  nel  secolo  ottavo,  e  ne 
conservò  l'ultima  epigrafe  postavi  a  ricoidare  che  il  tempio  distrutto  da 
un  incendio  fu  rifatto  dal  Senato  e  dal  Popolo  romano:  S.  P.  Q.  R.  in- 
cendio consumptum  resiilnit  divo  Vespasiano.  Vedi  Bunsen,  in  Ballett. 
Istif.,  1835,  p.  77-78,  e  Annal.,  1836,  pag.  223-224. 

(")  Svetonio,  5;  Marziale,  IX,  4;  Stazio,  Silv. .  IV,  3,  10;  Plutarco, 
Pìihlic,  15;  Gregorovius.  Geschichte  der  Siadt  Rom  im  Milielaltcr .  I. 
41.  Recentissimamente  si  è  ritrovata  nel  giardino  dei  Conservatori  una 
parte  della  sostruzione  di  questo  tempio.  Leggiamo  nel  giornale  V Opinione 
(7  novembre  1875):  «  Nei  lavori  di  sterro  eseguiti  nel  giardino  del  pa- 
lazzo dei  Conservatori  per  la  costruzione  della  sala  centrale  dell'Esposi- 
zione archeologica  da  inaugurarsi  nel  venturo  dicembre,  è  stato  scoperto 
il  lato  orientale  della  platea  in  opera  quadrata  già  antecedentemente  rin- 
venuta nell'attiguo  giardino  Caffarelli,  e  che  occupa  quasi  tutta  la  som- 
mità occidentale  del  colle  Capitolino. 

«  Alcuni  topografi  avevano  già  timidamente  proposto  doversi  riconoscere 
ili  questa  immensa  platea  la  sostruzione  del  tempio  di  Giove  Capitolino, 
cui  Dionisio  attribuisce  una  superficie  di  4000  piedi  quadrati.  Tale  sup- 
posizione sembra  ora  raggiungere  il  grado  di  assoluta  certezza  in  seguito 
della  scoperta  di  un  rocchio  di  colonna  scanalata  in  marmo  bianco  che 
presenta  una  circonferenza  di  metri  5,43.  Ponendo  a  confronto  di  tale 
scoperta  quanto  fu  ragionato  nel  primo  volume,  del  Bollettino  della  Coiu- 
raissione  archeologica  municipale  (pag.  149  s.  p.)  e  considerando  come  a 
niun  monumento  del  Campidoglio  possa  convenire  una  colonna  di  dimen- 

1  Tacito,  Tlist.^  Ili,  71;  Svetonio,  5. 


Gap.  III.]      TEMPLI  A  GIUNONE,  APOLLO.  ^HNERVA,  ECC.  535 

parte  nuovi,  parte  restaurati,  a  Giunone,  ad  Apollo,  a 
Ercole,  a  Castore  e  Polluce,  a  Serapide  e  Iside,  e  a 
Giano  *.  Onde  i  suoi  poeti  gli  dettero  vanto  di  aver  fatta 
Roma  più  splendida  di  quello  che  mai  fosse  stata,  e  dis- 
sero che,  se  egli  richiedesse  tutto  ciò  che  aveva  dato 
agli  Dei,  essi,  anche  vendendo  all'incanto  tutte  le  pre- 
zio.sità  dell'Olimpo,  non  riuscirebbero  a  saldare  la  duo- 
decima parte  del  debito  2. 

Come  Cesare  vantavasi  disceso  da  Venere,  e  Augusto 
si  pose  sotto  la  protezione  di  Apollo,  Domiziano  rese 
culto  superstizioso  a  Minerva  di  cui  si  spacciava  figliuolo, 
ne  tenne  sempre  l'imagine  in  camera,  la  pose  sulle  me- 
daghe,  adornò  dell'egida  gorgonea  i  propri  ritratti,  e  le 
eresse  un  magnifico  tempio  nel  Fóro  che  per  essa  fu 
detto  Palladio,  e  Transitorio  {Tranéitorium ,  Pervium) 
perchè  posto  in  luogo  di  transito  dalla  parte  occidentale 
alla  parte  orientale  di  Roma  ("). 

Anche  ad  Alba  pose  un  tempio  a  Minerva  con  un  col- 
legio particolare  di  sacerdoti  per  celebrare  ogni  anno  le 
festività  della  Dea  (Qiùnquatria)  con  grandi  cacce  di 
fiere  e  lotte  di  gladiatori,  e  spettacoli  scenici,  e  gare  di 
oratori  e  poeti,  a  cui  distribuiva  corone  3.  Ad  Alba  riunì 

sioni  così  stiaordinarie,  se  non  che  al  tempio  di  Giove  Ottimo  INIassimo, 
cosi  sembra  potersi  finalmente  considerare  come  risolta  la  questione  della 
jìosizione  rispettiva  sulle  due  sommità  capitoline  dell'arce  e  del  tempio. 

«  È  superfluo  aggiungere  che  i  frammenti  marmorei  scoperti  nel  giar- 
dino del  palazzo  dei  Conservatori  spettano  alla  riedificazione  del  tempio 
latta  da  Domiziano.  » 

(«)  Quintiliano,  X,  1,91;  Svetonio,  5  e  15;  Dione,  LXVII,  1;  Filostrato. 
Apoll.  Timi.,  Vili,  IG;  Lampridio,  Alex.  Sever.,  28;  A.  Vittore.  Caes., 
!•-';  Eckel,  VI,  375.  Nibby,  Roma  anf. ,  II,  221-238;  Camna,  Edi  fi  :i ,  J, 
p.  276-279,  e  II,  tav.  104-110. 

1  Marziale,  VI,  4,  IX,  i,  05  e  ln2,  X,  2S  ;  Stazio,  Silv.,  IV,  3,  !». 

2  Marziale,  Vili,  56,  IX,  1. 

3  Svetonio,  Domit.  ^  4;  Dione  Cassio,  LXVII,  1  e  U;  Marziale,  IV,  1,  V,  1,  Vili,  1; 
Stazio,  Silv..  Ili,  5,  28,  ecc.,  IV,  2,  65,  IV,  5,  -'2. 


536 


LA  VILLA  ALBAN. 


[Ltb.  VIL 


insieme  le  magnifiche  ville  di  Pompeo  e  di  Clodio,  e  ne 
fece  una  villa  di  inusitato  splendore,  estendentesi  a  circa 
sei  miglia  di  giro,  e  ridotta  a  modo  di   ròcca  *.  Vi  fab- 


Uuvine  <ltil  Fóro  Palladiu  (Bum,  \,.  ^■iC^]. 


bricò  terme?,  teatro,  campo  pretorio  e  anfiteatro,  di  cui 
rimangono  grandi  rovine  2.   Istituì  i  concorsi   quinquen- 


1  Tacito,  Agric  ,   V:<\  Dione  Cassio,  LXVII,  1;  Giovenale,  IV,  1  !:>. 

2  Nibby,  Analiai  della  carta  dei  dintorni  di  Fonia,  voi.  I,  pa^;-.  91-0(5,  e  Viaggio  An- 
tiquario, II,  pacr.  I17-122-,  Menzon,  in  BuHettino  L<tit.  archeol. ,  U5:{,  pag.  4,  ecc.; 
r";sjardins,  Topogrophie  du  Latiura ,   Paris  Viò\,  pag.  122,  210,  255. 


Gap.  III.]      AGONE  CAPITOLINO,  E  GRANDI  SPETTACOLI.  537 

nali  dell'Agone  Capitolino  in  onore  di  Giove  con  premi  ^x^apfdi 
di  molte  corone  ai  vincitori  nelle  musiche,  nelle  lotte,    ^•^•^^• 
nelle  corse  di  giovinette,  nei  certami  equestri  e  pedestri, 
e  nelle  gare  di  eloquenza  e  di  poesia  greca  e  latina:  e 
presedeva  egli  stesso  vestito  alla  greca,  portando  in  testa 
corona  d'oro  con  l'effigie  di  Giove,  di  Giunone  e  di  Mi- 
nerva, circondato  dal  sacerdote  Diale  e  dal  collegio  dei 
sacerdoti  Flaviali,  vestiti  nel  medesimo  modo  ("'). 
Fece  celebrare  i  giuochi  secolari  cent'anni  dopo  cjuelli 


•i^Afiiij^^jÌjiyLSiiiiJji- 


Ruderi  dell'Anfiteatro  di  Domiziano  nella  sua  villa  All)ana  {Canina^  Et'if.^  VI,  58). 

celebrati  da  Augusto  non  contando  quelli  celebrati  in- 
nanzi tempo  da  Claudio.  E  sempre  nuovi  e  sontuosi  spet- 
tacoli nell'anfiteatro,  nello  stadio  e  nel  circo  ove  aggiunse 
nuovi  colori  e  fazioni:  grandi  battaglie  navali,  corse  di 
carri,  certami  di  cavalli  e  di  fanti,  e  battaglie  di  donne 
con  bestie,  e  lotte  di  gladiatori,  prolungate  anche  la  notte 
a  lume  di  faci.  Uomini  consolari  furono  costretti  a  com- 
battere con  orsi  e  leoni:  numerosissime  nell'anfiteatro  le 

(^)  Svetonio,  4.  Vedi  Morcelli,  Siili" Agone  Capitolino,  Milano  181G,  e 
Friediaender,  Moeurs  romaines,  II,  pag.  25G  e  :327,  ove  sono  molte  par- 
ticolarità e  le  citazioni  delle  epigrafi  e  degli  autori  che  parlano  di  questi 
concorsi. 


di  Ro> 
^11,  di 

,  88. 


r)38  LARGIZIOM,  FESTE  E  CRUDELTÀ.  [Lib.  VII. 

mostre  di  elefanti,  di  rinoceronti  e  di  tigri  K  Poi  larghi 
regali  al  popolo  di  denari,  di  conviti,  di  cuccagne  e  fon- 
tane di  vino  2.  Stazio  parla  di  ogni  sorta  di  delizie  get- 
tate a  pioggia  in  teatro  dalla  mano  cesarea,  e  ricorda 
come  in  quelle  orgie  plaudissero  le  grasse  donne  di 
Lidia,  e  danzassero  le  Gaditane  con  crotali  e  cembali, 
e  poi  come  fra  il  tumulto  popolare  scendesse  dall'alto 
una  nube  di  uccelli  di  Numidia,  e  del  Nilo  e  del  Fasi:  e 
per  quelle  allegrezze  di  conviti  e  di  spettacoli  egli  vanta 
il  suo  tempo  come  superiore  dell'antico  secolo  d'oro  ^. 

Ma  tutto  non  era  allegrezza  anche  fra  le  feste  in  cui 
sovente  erompevano  i  crudeli  istinti  del  principe.  Soprav- 
venuta una  volta  nell'affollato  anfiteatro  una  pioggia  di- 
rotta, egli  vietò  che  ninno  partisse,  e  a  non  pochi  fu 
causa  di  malori  e  di  morte  *.  Ora  obbligava  i  cittadini  a 
combattere  colle  fiere,  e  poi  gli  uccideva  per  essersi  diso- 
norati in  quei  combattimenti  servili.  Marziale,  che  coglie 
ogni  occasione  per  vantare  la  grande  mitezza  del  feroce 
mostro,  narra  come  un  giorno  chiedendosi  da  alcuni 
spettatori  un  gladiatore,  e  dagli  altri  un  altro,  egli  per 
somma  benignità  li  fece  combattere  tutti  e  due,  e  con- 
tentò ambe  le  parti  ^.  Ma  da  altri  sappiamo  come  anche 
nell'anfiteatro  cercasse  delitti  di  crimenlese,  tenendosi 
spregiato  da  chi  non  rispettava  i  suoi  gladiatori  «.  Di  più 
non  voleva  che  lo  spettacolo  crudele  fosse  finzione,  e 
quando  si  rappresentavano  casi  di  morte  faceva  verace- 
mente uccidere  gli  attori.  Alla  rappresentazione  della 
storia  di  Orfeo  con  meravigliosi  effetti  di  scena,  con  mo- 
vimenti di  rupi  e  di  selve,  e  con  ogni  sorta  di  fiere  che 


I  Svctoiiio,  4  e  7;  Dione  Cassio,   LXVII,   11;   Giovenale,   IV,  Bil-lOl  ;  Marziale,  De 
Spectac.  6,  8-11,  17,  18,  19,  22,  2*,  23. 
*  Svetonio,  loc.  cit.  ;  Dione  Cassio,  LXVII,   1  e  8. 

3  Stazio,  Silv.,  I,  6. 

4  Dione  Cassio,  LXVII,  S. 

5  Marziale,  De  Spectac.^  20. 

<;  Svetonio,  10-,  Plinio,  Paneg.,  33. 


Gap.  III.]  DELATORI  ASSASSINI  E  LADRONI.  53'.) 

stavano  intorno  al  cantore  di  Rodope,  la  conclusione  fu, 
che  l'attore  rappresentante  il  personaggio  di  Orfeo  fini 
sbranato  da  un  orso  *. 

Ad  Alba  stava,  dice  Plinio,  come  una  fiera  nell'antro  -, 
e  di  là  lo  vediamo  spedire  suoi  editti  per  decidere  le  liti 
dei  popoli  3.  Vi  riuniva  suoi  consiglieri,  e  senatori  servili 
e  pontefici^,  e  una  turba  di  delatori  ministri  alle  sue 
crudeltà:  M.  Regolo  il  più  tristo  animale  della  terra:,  già 
arricchitosi  colle  stesse  infamie  sotto  Nerone^;  Catullo 
Messaline,  che  parve  mostro  di  turpitudini  anche  in  tempi 
di  sozzi  costumi  ^  ;  un  Pompeo  destro  a  fare  spargere  il 
sangue  con  segrete  calunnie  ';  Mezio  Caro  e  Bebio  Massa, 
flagelli  di  tutti  i  buoni  ^;  Fabrizio  Veientone ,  sozzo  e 
scaltrissimo^;  e  Crispino,  stato  già  schiavo  in  Egitto,  e 
poi  corruttore  di  Vestali,  e  giunto  colla  delazione  ad  alta 
potenza  ^^.  Essi  servirono  a  tutti  gli  odii  e  a  tutte  le  atro- 
cità del  tiranno.  Come  assassini  e  ladroni  infestavano  i 
templi  e  le  vie,  uccidevano  e  rubavano.  Non  eravi  più 
testamento  sicuro:  l'erario  fatto  spogliatoio  dei  cittadini  e 
crudo  ricettacolo  delle  cruente  rapine  *'  :  subornati  schiavi 
contro  padroni  ;  amici  tirati  a  tradire  gli  amici  ;  la  servitù 
giunta  al  colmo  ;  tolto  dalle  spie  il  poter  favellare  e 
ascoltare  *'^. 

Servì  a  questi  furori  anche  il  Senato,  caduto  nell'e- 
strema viltà.  Adunavasi  muto  e  pauroso  in  mezzo  a  un 


1  Marzir.le,  De  Spedar.^  il.  Vedi  anche  t>,  ivi. 

2  Plinio,  Paneg..  4S. 

3  Orelli,  Lat.  Inscript.^  3118. 

4  Plinio,  Epist.^  IV,  11;  Giovenale,  Sat.^  IV,  61. 

5  Tacito,  Hist..  IV,   12;  Plinio,  Epist.,  I,  5,  II,  20,  IV,  2,  T,  VI,  2. 

6  Plinio,  Epist.,  IV,  22;  Tacito,  Agric...  45;  Giovenale,  Sat.^  IV,  115. 
-  Giovenale,  Sat..  IV,  109-110. 

8  Plinio,  Epist..,   I,  5,   III,  4,   VI,   29,  VII,  19  e  33;  Tacito,  Hist.j  IV,  49,  Agric. 
45;  Giovenale,  Sat.,  I,  35-36. 
'J  Giovenale,  Sat..  IV,  113;  Plinio,  IV,  22.  IX,  13. 

10  Giovenale,  Sat.^  I,  27,  IV,  1,  e  segg. 

11  Plinio,  Paneg.^  31  e  36. 

12  Tacito,  Hist.,  I,  2,  Agric.^  2  e  45. 


5-10       IL  SENATO  VILE  MINISTRO  AI  FURORI  IMPERIALI.  [Lib.  VII. 

assedio  di  soldati  e  di  sgherri,  e  decretava  statue  e 
trionfi,  e  commetteva  scelleratezze,  e  condannava  uò- 
mini e  donne  innocenti  *.  Giovenale  racconta,  come  Do- 
miziano ad  Alba  chiedesse  consigli  a  più  senatori  per 
cucinare  un  magnifico  rombo  -,  e  altri  ricorda  come,  a 
spavento,  invitasse  senatori  e  cavalieri  a  un  convito 
apparecchiato  in  sala  parata  di  nero  con  tutti  i  segni 
dei  banchetti  funebri  ^,  ove  li  fece  servire  da  fanciulU  nudi 
imbrattati  d' inchiostro  a  guisa  di  spettri.  Tremavano 
tutti.  Egli  godendo  di  quella  paura  li  trattenne  a  lungo 
con  ragionamenti  di  stragi:  poi  congedatili  più  morti  che 
vivi,  mandò  in  dono  a  ciascuno  una  parte  dei  lugubri 
apparecchi  stati  loro  cagione  di  mortale  spavento. 

I  senatori  sempre  più  avviliti  e  tremanti,  per  salvare 
se  stessi  infuriarono  più  che  mai  con  sentenze  di  sangue, 
e  fecero  da  sgherri  contro  i  colleghi  odiati  dal  principe. 
Fra  i  tanti  uccisi  si  ricordano  particolarmente  Erennio 
Senecione,  Elvidio  Prisco,  e  Aruleno  Rustico,  uomini  lo- 
dati di  rara  virtù. 

A  Rustico  costò  la  testa  l'avere  scritto  la  vita  di 
Trasea,  chiamandolo  uomo  santissimo:  e  a  Senecione 
l'avere  scritto  quella  di  Elvidio  Prisco,  ucciso  da  Vespa- 
siano. Il  figlio  di  questo,  chiamato  Elvidio  pur  esso,  in- 
vano studiò  di  nascondere  nel  ritiro  il  pericoloso  nome 
e  la  propria  virtù;  fu  accusato  e  ucciso  come  gli  altri: 
e  il  senatore  Publicio  Certo  gli  mise  le  mani  addosso  in 
senato,  e  détte  primo  l'osceno  esempio  di  un  giudice 
faciente  le  parti  di  sgherro.  I  libri  di  Rustico  e  di  Sene- 
cione furono  arsi  pubblicamente,  come  per  affogare  in 
quel  fumo,  secondo  il  detto  di  Tacito,  la  voce  del  popolo 
e  la  coscienza  del  genere  umano.  La  persecuzione  colpi 
anche   i  parenti   dei   lodatori  e   dei  lodati.   Ebbe   esilio 

1  Pliuio,  Paneg.^  51,  7ò,  Epist.^  Vili,  1-1  ;  Tacito,  Agrk.,  45. 

2  Sat.^  IV. 

3  Dione  Cassio,  I.XVII,  9. 


Gap.  III.]  PERSECUZIONI  A  DONNE,  A  FILOSOFI.  A  CRISTIANI,  ECC.  341 

Maurico  fratello  di  Rustico.  Fannia,  figliuola  di  Trasea, 
vedova  del  vecchio  Elvidio  e  madre  del  giovane,  con- 
dotta anch'  essa  sui  tribunali  sostenne  impavidamente 
di  aver  fornito  documenti  e  memorie  allo  scrittore  della 
vita  di  suo  marito,  e  nulla  fece  per  sottrarsi  al  pericolo, 
e  accolse  la  sentenza  di  esilio  con  animo  sereno.  Aveva 
già  esulato  due  volte,  sotto  Nerone  e  Vespasiano,  in  com- 
pagnia dello  sposo:  ora  esulava  la  terza  per  amore  alla 
memoria  di  esso,  portando  seco  e  conservando  con  re- 
ligione il  libro,  che  era  causa  di  sua  condanna:  e  per  la 
pietà  e  costanza  di  animo  meritò  le  nobili  lodi  di  Plinio, 
e  rimase  modello  alle  madri  e  alle  spose.  Furono  esi- 
liate anche  Arria,  madre  di  lei,  e  Pomponia  Gratilla, 
moglie  di  Rustico  *. 

Come  i  tre  virtuosi  uomini  spenti  facevano  professione 
di  stoici,  i  furori  di  Domiziano  si  volsero  anche  contro 
tutta  la  setta,  e  con  decreto  del  Senato  fece  cacciar 
d'Italia  tutti  i  filosofi,  e  con  essi  ogni  buona  arte-. 
Perseguitò  i  Giudei,  e  con  essi  i  Cristiani,  di  cui  ne 
erano  anche  alla  corte,  e  tra  i  parenti  stessi  del  principe. 
Ucciso  Flavio  Clemente,  ed  esiliata  sua  moglie  Domitilia, 
cugini  di  lui.  San  Giovanni  rilegato  nello  scoglio  di 
Patmos  3. 

Uccisioni  violente  di  ferro,  uccisioni  insidiose  di  ve- 
leno: scogli  bagnati  di  sangue,  mari,  dice  Tacito,  pieni 
di  esilii.  Gli  illustri  natali,  le  ricchezze,  i  rifiutati  e  gli 
esercitati  onori,  erano  delitto  capitale  :  la  virtù  soprat- 
tutto recava  sicura  rovina.  Anche  ora  fu  prodigio  un 
nobile  giunto  a  vecchiezza  ^  Domiziano,  più  feroce  di 
Nerone,  alla  crudeltà  univa  l'insulto;  le  sentenze  di 
morte  accompagnava  con  proteste  di  clemenza,  andava 

1  Ts.cho,Agric.,  2  e  45;  Plmio,  Epist^  L  5,  II,  IS,  III,  li  e  16,  V.  I,  VII,  19,  IX,  VA  \ 
Dione  Cassio,  LXVII,  13;  Svetonio,  10. 

2  Tacito,  Agric.^  2;  Dione  Cassio,  loc.  cit.  ;  Svetonio,  10. 

3  Dione  Cassio,  LXVII,  14;  Svetonio,  12,  15;  Eusebio,  Hist..  Eccles.^  Ili,  12,  19,  2^. 
<  Tacito,  Hist.^  I,  2;  Svetonio,  10;  Dione  Cassio,  loc.  cit.;  Giovenale,  Sat.^  IV,  07. 

Vannucci  —  Stoì-ia  deU'Ualia  antica  —  IV.  6S 


542      RIVOLTA  MILITARE  DI  L.  ANTONIO  IN  GERMANIA.  [Lib.  VII. 

per  le  prigioni  a  interrogare  da  sé  stesso  gli  accusati, 
tenendo  in  mano  le  loro  catene;  assisteva  ai  comandati 
supplizii,  e  strazio  peggiore  d'ogni  altro  era  ai  miseri 
il  sostenere  quel  volto,  che  del  rossore  faceva  schermo 
a  vergogna,  e  lo  sguardo  della  belva,  che  all'immane  e 
oscena  ferocia  accoppiava  l'astuzia  '. 

I  primi  tentativi  di  congiure  contro  di  lui  tornarono 
vani,  e  produssero  esilii  e  nuove  uccisioni  2.  Vana  era 
stata  anche  la  sollevazione  militare  tentata  in  Germania. 
Lucio  Antonio  Saturnino,  comandante  delle  legioni  del- 
l'alto Reno,  dichiarò  imperatore  se  stesso,  ma  fa  com- 
battuto e  ucciso  da  Lucio  Appio  Massimo  Nerbano,  e 
la  rivolta  rimase  subito  spenta.  Il  vincitore  arse  tutte  le 
carte  di  Antonio  per  togliere  ogni  occasione  a  processi 
e  uccisioni.  Vane  cautele!  Domiziano  corse  in  Germania, 
e  saziò  la  sua  crudeltà  tagliando  le  mani  e  mettendo  il 
fuoco  alle  parti  più  delicate  del  corpo  delle  vittime:  e 
l'uccisione  fu  tanta,  che  egli  stesso  vietò  di  tenerne 
registro  ("). 

Per  impedire  nuove  sollevazioni  di  milizie,  studiò  di 
affezionarsi  i  soldati  accrescendone  lo  stipendio  di  un 
terzo.  Vietò  di  riunire  più  legioni  nel  medesimo  campo  ^: 
per  ragioni  di  paure  vietò,  secondo  alcuno,  la  cultura 
delle  viti,  perchè  l'abbondanza  del  vino  era  causa  a  som- 
mosse {%  e  pensò  anche  a  diminuire  gli  eserciti,  quando 
la  furia  dei  barbari  si  faceva  più  minacciosa. 

(")  Dione  Cassio,  LXVII,  11;  Svetonio,  G,  10;  Plutarco,  Pao^o  Emilio, 
25.  Lucio  Appio  ]\Iassimo,  che  oppresse  la  sedizione  di  Antonio,  è  ricor- 
dato anche  in  una  iscrizione,  ove  si  chiama  confectoris  belli  germanici. 
Vedi  Grutero,  359,  5;  Orelli,  772,  e  Heuzen,  pag.  75,  e  Borghesi,  Del- 
l'età di  Giovenale,  in  Oper.,  Ili,  p.  52. 

(*)  Filostrato,   loc.  cit. ,  VI,  17.  Svetonio,   7,   assegna  a  ciò   un'altra 

1  Tacito,  Agric.^  'la;  Plinio,  Paneg.^  48;  Dione  Cassio,  LXVII,  12. 

2  l'ilostrato,  Vita  di  Apollonio  Tianeo,  VII,  8;  Dione  Cassio,  LXVII,  l:;. 

3  Svetonio,  7. 


Gap.  III.]        VANO  IL  GUARDARSI  DALL'ODIO  DI  TUTTI.  543 

Le  cose  erano  giunte  agli  estremi.  Una  parola,  un 
gesto,  un  sospiro  erano  causa  di  morte  *.  Terribile  il 
tiranno  a  incontrarsi  e  a  vedersi  con  quella  superbia  di 
volto,  con  quegli  occhi  accesi  d'ira.  Operando  da  nemico, 
teneva  nemici  tutti,  e  cercava  le  tenebre,  circondato  di 
spavento,  come  una  fiera  nell'antro,  né  usciva  dalla  so- 
litudine, se  non  per  far  solitudine  dove  passasse  ^.  Ma  in 
mezzo  alle  stragi  tremava  sotto  il  peso  del  pubblico 
odio,  e  aveva  la  turpe  anima  agitata  da  tristi  presagii. 
Invano  prese  provvedimenti  di  ogni  sorte,  e  accrebbe 
le  guardie,  e  ad  evitare  le  sorprese,  dice  Svetonio,  ri- 
coprì le  pareti  del  portico  in  cui  solca  passeggiare  di 
una  pietra,  che  riflettendo  le  imagini  gli  mostrasse  ciò 
che  facevasi  dietro  di  lui.  La  vendetta  lo  colse  tra  le 
stesse  sue  guardie,  e  sforzò,  dice  Plinio,  le  porte  e  pe- 
netrò nelle  segrete  caverne,  e  nei  crudeli  recessi,  ove 
lo  rinchiudevano  la  paura  e  l'odio  degli  uomini  ^.  Piccoli  ^ 
e  grandi  ne  volevano  la  morte.  Un  nobile  vecchio,  tor- 
mentato dagli  anni  e  da  atroci  dolori  di  gotta,  li  soppor- 
tava tranquillo  nella  speranza  di  sopravvivere  anche  di 
un  giorno  all'aborrito  tiranno  ^.  Gli  erano  nemici  i  prin- 
cipali capi  dei  pretoriani,  tementi  ognuno  per  sé:  nemici 
gli  ufficiali  di  palazzo  e  i  camerieri  e  i  liberti,  dopo  il 
caso  di  Epafrodito,  che  Domiziano  spense,,  perchè  aveva 
aiutato  Nerone  ad  uccidersi,  e  volle  con  ciò  avvertire 
che  a  niuno  era  lecito  di  mettere,  in  qualunque  modo, 

cagione,  cioè  il  suo  amore  alla  cultura  del  grano.  Vedi  anche  Stazio, 
Silv.,  IV,  3,  11-12.  Svetonio  riferisce  (14)  che  non  fu  dato  seguito  al- 
l'ordine di  tagliare  le  viti  a  causa  di  un  epigramma  greco  messo  fuori 
in  quell'occasione,  il  quale  diceva:  «  Benché  tu  mi  tagli  fino  alle  radici, 
pure  manderò  fuori  tanto  frutto  che  basti  a  sacrificar  Cesare.  » 

1  Tacito,  Agric.j  2  e  45. 

2  Plinio,  Paneg.,  18,  18. 

3  Svetonio,  14;  Plinio,  Paneg.,  19. 

4  Giovenale,  Sat.^  IV,  153. 
3  Plinio,  EpisC.^  I,  12. 


)44 


CONGIURA  IN  PALAZZO. 


LiB.  VII. 


le  mani  nel  sangue  del  principe.  Ma  l'avvertimento  par- 
torì l'effetto  contrario,  e  i  minacciati  si  affrettarono  ad 
allontanare  in  un  colpo  il  pericolo.  Dicono  che,  scoperta 
una  lista  in  cui  Domiziano  aveva  scritti  i  nomi  dei  li- 
berti destinati  alla  morte  unitovi  anche  quello  di  sua 
moglie  Domizia,  essi  a  quella  notizia  si  strinsero  insieme, 


Domizia  moglie  di  Domiziano  (Mongez^  Icon.  Rora.^  XXXV, 


e  pensarono  concordi  ad  uccidere  per  non  essere  uccisi. 

Anni  ili  Ho-  Come  SÌ  furono  intesi  sul  modo,  ai  18  settembre,  Stefano 

«. e. &6.  '  liberto,   portando  fasciato    il   braccio   sinistro   come   se 

fosse  malato,  si  presentò  al  principe  per  dirgli  di  una 

congiura  scoperta,  e  a  prova  di  essa  gli  pose  in  mano 


Cap.  ih.]  DOMIZIANO  UCCISO  CON  SETTE  FERITE.  545 

uno  scritto;  e  mentre  Domiziano  leggeva  attentamente, 
trasse  di  sotto  alle  fasce  del  braccio  un  pugnale,  e  gli 
détte  una  ferita  nel  ventre.  11  colpo  non  era  mortale,  e 
il  ferito  precipitandosi  sul  feritore  lo  stramazzò  a  terra 
e  lottò  gagliardamente  per  cavargli  gli  occhi,  e  trargli 
di  mano  il  ferro.  Al  trambusto  e  alle  grida  accorsero 
altri  dalle  vicine  stanze,  ma  per  raddoppiare  i  colpi,  non 
per  porger  soccorso,  e  lo  finirono  con  sette  ferite.  Aveva 
45  anni  di  età,  e  quindici  di  regno  *. 

Il  popolo  ascoltò  con  indifferenza  la  nuova  dell'ucci- 
sione, i  soldati  ne  fremerono,  e  se  non  mancavano  capi 
sarebbero  corsi  subito  a  vendicare  il  tiranno.  Ma  tutti 
gli  altri,  che  avevano  tanto  tremato  di  questo  flagello  e 
peste  del  mondo,  esultarono  al  vedersi  liberati  dal  mostro. 
Il  Senato,  raccoltosi  in  fretta,  disse  al  morto  ogni  sorta 
di  vituperi  e  fece  abbattere  e  spezzare  e  fondere  le  sue 
innumerevoli  statue^  e  distruggere  gli  archi  e  toglier  via 
ogni  memoria  di  lui.  Il  cadavere  ebbe  di  nascosto  povere 
esequie  da  una  nutrice.  E  così,  dice  Plinio,  Giove  ascoltò 
le  imprecazioni  del  mondo,  e  tolse  le  genti  dalle  fauci 
dell'  avidissimo  ladrone  ^. 


1  Svetonio,  17;  Filostrato,  Apol.  Tian.^  Vili,  25;  Eutropio,  VII,  \:<,  e  Vili,  1.  Conf. 
Dione,  LXVII,  15,  17  e  IS. 

2  Svetonio,  23;  Dione,  LXVIII,  1;  Plinio,  Paneg..  52,  94. 


CAPITOLO  IV. 


Breve  e  debole  impero  di  Nerva.  —  Traiano  prode  duce  e  modello  dei 
principi  cittadini.  —  Umano  e  sapiente  governo.  —  Imprese  di  guerra 
sul  Danubio,  e  vittorie  sui  Daci.  —  Grandi  opere  pubbliche.  —  Spe- 
dizione in  Oriente.  —  Elio  Adriano.  —  Ordinamento  dell'  Impero.  — 
Gli  Antonini.  —  Antonino  Pio,  Marco  Aurelio,  Commodo. 

(Anni  di  Roma  840-945,  di  Cristo  96-192). 


k  JKJ^  [)LMito  il  feroce  tiranno,  fu  gridato   im- 

/  iK-ratore   M.  Cocceio   Nerva,  vecchio   di  circa 

ì\  '  70  anni,  clie  aveva  congiurato  cogli   uccisori. 

Ir"  lira   nato   a  Narni,   nell'Umbria,   di  famiglia 

/  già  venuta  dall'Isola  di  Creta,   e  così  dava  il 

primo  esempio,  rinnovato  poi  frequentemente, 
di  uno  straniero  salito  al  trono  dei  Cesari.  Aveva  indole 
mite  e  timida,  si  dilettava  di  versi  leggieri,  era  uomo 
giusto  e  benefico,  e  lodato  anche  di  gravi  costumi,  quan- 
tunque altri  lo  rimproverasse  di  intemperanza  nel  vino, 
e  di  costumi  facili  troppo. 

Con  lui  e  con  Traiano  comincia  un'  era  nuova ,  cele- 
brata con  entusiasmo  dagli  scrittori  più  gravi  pel  ritorno 
della  sicurezza ,  della  giustizia ,  e  della  libertà  del  pen- 
siero e  della  parola  :  e  Tacito  loda  Nerva  per  avere  ac- 
coppiato  insieme   libertà  e  principato ,  stati   sempre  in 


Gap.  IV.] 


]yi.  COCCEIO  NERVA  IMPERATORE. 


547 


guerra  finqui  :  e  per  decreto  del  Senato  e  del  popolo  fu 
posto  un  monumento  alla  Libertà  restituita  da  lui  {''). 

Nerva  in  ogni  suo  atto  si  mostrò  civilissimo  ,  e  de- 
sideroso del  bene  universale,  e  fece  molti  provvedimenti 
meritevoli  di  ogni  più  alto  encomio.  Con  editto  pieno  di 


Ncrva  (Mongez^  Icon.  Rom.,  XXXVI,  n.  2  e  3). 

giustizia  e  di  umanità  assicurò  i  cittadini  ;  assolvè  tutti 
gli  accusati  di  empietà,  richiamò  in  patria  i  banditi,  punì 
gli  schiavi  denunziatori  dei  padroni,  restituì  ibeni  a  quelli 


(«)  Tacito,   Agric,  3;  Plinio,  Epist. ,  IX,    13.    —   ubertati    ab  imp. 

NERVA  CAESARE  AUG RESTiTU  {tae)  s.  P.  Q.  R.  Grutero,  Inscr.j  246, 

1,  e  Henzen,  n.  5436. 


548  BUONI  PROVVEDIMENTI  E  DEBOLEZZE.  [Lib.  VII. 

che  ne  erano  stati  spogliati ,  vietò  le  accuse  contro  il 
rito  giudaico  o  cristiano,  confermò  1'  ordine  che  vietava 
di  fare  gli  uomini  eunuchi,  fece  aggiunte  ai  benefici  de- 
creti di  Tito ,  suir  esempio  del  quale  perdonò  anche  e 
accarezzò  quelli  che  gli  tramarono  insidie.  11  palazzo  im- 
periale chiamò  casa  pubblica  ;  sollevò  le  città  afflitte  da 
flagelli,  si  porse  benefico  a  tutte  le  umane  sciagure,  soc- 
corse i  poveri,  cominciò  l'istituzione  intesa  ad  alimen- 
tare i  figli  orfani  ;  e  a  questo  fine  pose  modo  a  ogni 
altra  spesa,  non  curò  di  attendere  a  fabbriche  (^),  cessò 
feste  e  spettacoli,  e  vendè  i  suoi  beni  privati  e  i  vasel- 
lami preziosi  del  palazzo  imperiale,  e  col  valore  di  essi 
comprò  terre  da  distribuire  ai  più  bisognosi,  e  con  ma- 
gnifico  discorso  esortò  tutti  alla  liberahtà.  Agli  onori 
pubblici  chiamò  i  più  degni  cittadini;  e  allora  si  videro 
consoli  Virginio  Rufo  ,  il  venerabile  vecchio  che  aveva 
tante  volte  combattuto  per  non  accettar  Y  impero,  e  po- 
scia lo  storico  Corneho  Tacito. 

A.1  cominciare  di  questo  nuovo  impero  con  incomposte 
e  turbolente  grida  furono  assaliti  i  ribaldi,  stati  vili  stru- 
menti ai  furori  di  Domiziano ,  e  Plinio  si  dette  molta 
faccenda  per  usare  contr'  essi  i  beneficii  della  nuova 
libertà.  Quindi  alcuni  delatori  furono  puniti ,  ma  i  più 
potenti  non  ebbero  altro  che  un  po'  di  paura,  e  rimasero 
salvi,  perchè  i  più  dei  senatori  non  volevano  avventu- 
rarsi a  pericolose  vendette ,  e  Nerva  per  la  sua  mite  e 
debole  natura  rifuggiva  dai  mezzi  violenti,  e  a  malgrado 
del  suo  buon  volere,  non  sapeva  resistere  a  ninno,  e 
studiava  di  esser  d'accordo  con  tutti.  Perciò  i  delatori 
più  odiosi  si  videro  presto  alla  sua  mensa  con  le  vittime 


C)  Del  Fòro  chiamato  col  suo  nome,  egli,  come  sopra  fu  detto,  fece 
solamente  la  dedica,  o  poco  più.  Le  epigrafi  ricordano  qualche  riatta- 
mento 0  coi^truzione  di  strade  fatto  da  lui.  Vedi  Muratori,  448,  1  ;  Orelli, 
n.  780  e  783,  e  Henzen,  5437,  5438. 


Cap.  IV.]      ADOZIONE  DI  TRAIANO  E  MORTE  DI  NF.RVA.  540 

di  Domiziano  tornate  d'esilio.  La  quale  facilità  apparve 
soverchia,  e  molti  ne  mormoravano,  e  nacquero  nuovi  e 
gravi  disordini.  I  pretoriani,  cupidi  di  vendicare  il  tiranno 
ucciso  ,  contenuti  dapprima  colla  promessa  di  un  dona- 
tivo,  presero  nuova  baldanza,  né  ebbero  più  alcun  ri- 
spetto al  vecchio,  cosi  facile  a  cedere  alle  altrui  voglie. 
Gli  infiammava  il  prefetto  Casperio  Eliano  :  levarono  fiero 
tumulto,  e  chiesero  apertamente  il  supplizio  degli  uccisori 
di  Domiziano.  Nerva  provò  a  resistere,  disse  esser  me- 
glio morire  che  avvilire  cosi  l'autorità  dell'Impero,  e 
offrì  la  sua  vita  ai  tumultuanti:  ma  nulla  valse  a  quie- 
tarli :  e  le  vittime  domandate  furono  uccise,  e  il  principe 
fa  costretto  a  ringraziarli  pubblicamente  di  quella  ucci- 
sione, come  di  un  pubblico  servigio.  Perlochè  l'impe- 
ratore si  vide  fatto  spregevole,  e,  non  tenendosi  capace 
a  regger  cotanto  peso ,  saviamente  pensò  a  mettere  in 
mani  più  gagliarde  l'Impero:  e  sul  Campidoglio  dichiarò 
solennemente,  che  adottava  e  faceva  suo  successore  M.  Annidi ko- 
Ulpio  Traiano.  Questo  fu  il  beneficio  più  grande  da  hii  G.^^aw." 
reso  all'Impero:  poco  dopo  al  quale  morì  ai  23  di  gen- 
naio dell'anno  98  avendo  regnato  16  mesi  '. 

M.  Ulpio  Traiano  era  nato  ad  Italica  (Ann.  di  R.  80G, 
di  G.  C.  53),  città  della  Betica ,  sorta  per  opera  di  una 
colonia  militare  di  Scipione  Affricano  e  divenuta  poi  flo- 
ridissima, come  attestano  anche  oggi  le  sue  grandi  rovine 
presso  a  Siviglia  nel  borgo  di  Santiponce  succeduto  alla 
splendida  sede  degli  antichi  coloni  ("). 


(")  Appiano,  Hispan.,  38;  Aurelio  Vittore,  De  Caesaribiis,  13;  Eutro- 
pio, Vili,  2;  Dione,  LXVIII,  4. 

Per  le  rovine  d'Italica  vedi  De  Laborde,  Bescripiion  d'un  pa>:r  en 
mosaì'quc  decouvert  dans  Vancienne  ville  d'Italica,  Paris  1803,  e  Voijarje 

1  Pliuio,  Epht.,  I,  5,  ir,  1,  IV,  22.  V,  ?,,  VII,  31.  IX,  13,  X,  0(3,  P.vierj..  5-!0.  35,  IT, 
39,  ecc.,  ecc.;  Tacito,  Agric.  3;  Dione  Cassio,  LXVIII,  1-1;  Aurelio  Vittore,  De  Cae- 
mribus,  12,  e  Epit.,  12;  Eusebio,  Chron.  ;  Eutropio,  VILI,  1;  Marziale,  Vili,  70,  IX,  27. 

Tannucci  —  Storia  dell'  Italia  antica  —  IV.  69 


IL  PADRE  DI  TRAIANO. 


[LiB.  VII. 


Il  padre  suo  Ulpio  Traiano  legato  della  decima  legione 
nella  guerra  giudaica  si  distinse  all'  assedio  di  Giaffa , 
combattè    con    Tito  a  Tarichea  ^ ,  e  f a  fatto    patrizio  e 


Rovine  d"  Italica  dove  naciine  Traiano  {De  L'horOe). 

console  da  Vespasiano  ^  :  poscia  ebbe  la  propretura  con- 
solare di  Siria,  riportò  una  vittoria  sui  Parti  per  cui  fu 
decorato  delle  insegne  trionfali  ^ ,  e  sotto  Tito  (70)  go- 
vernò come  proconsole  la  provincia  di  Asia  ove  le  iscri- 
zioni greche  lo  ricordano  perchè  costruì  un  acquidotto 
a  Smirne,  e  inaugurò   l'Anfiteatro  di  Laodicea  presso  il 


pittoresque  de  V Espagne,  voi.  II,  pi.  84;  Taylor,  Yoyage  pitloresquc  cu 
Espagne,  V^-  partie,  pi.  45;  D.  de  los  Rios,  Terme  d'Italica,  in  Annal. 
Islif.  ardi.,  18G1,  pag.  375-380.  Vedi  anche  sopra  voi.  II,  p.  -108. 


'  Giuseppe  Flavio,  Gner, 

2  Plinio,  Pmegii:^  0. 

3  l'iinio,  Praeg.,  1 1  e  1(3 


•a  Gitici.,  IH,  7,  2r.-2r,,  e  III,  10,  3. 


Caf.  IV.]        TIROCINIO  i:  PRIMI  GOVERNI  DI  TRAIANO.  o51 

Lieo  *.  Nel  rovescio  di  una  moneta  d'oro  rimane  l'ima- 
gine  di  lui,  deificato  poscia  dal  figlio  -. 

Questo  grande  figliuolo  nella  prima  gioventù  ebbe  modo 
a  farsi  esperto  delle  cose  e  degli  uomini: 
conobbe  nuove  genti  e  paesi  e  costumi,     X-$'p^'^^^\ 
vide  F  Eufrate,  militò  come  tribuno  dieci   (/^'^0f^^ 
anni,  contribuì  con  sue  prodezze  alla  vit-    [Ù,   l^"^  f/j 
toria  del  padre    sui  Parti,  si  indurò  alle     \\{0^^yy 
fatiche  dei  campi,  crebbe  forte  soldato  e       x..:^^-;^::^ 
sapiente  duce  :    poi  divenne  pretore  ,    fu  n  lajrc  di  Traiano. 
console    nel  91  (841-  di  Roma),  comandò 
nella  Spagna,  e  di  là  negli  ultimi  tempi  di  Domiziano  o 
al  principio  dell'impero  di  Nerva  andò   al  governo  del- 
l'Alta Germania  ^  ove  col  suo  forte  braccio  compresse  le 
sedizioni,  ristorò  la  disciplina  guasta  in  tutti  gli  eserciti, 
restituì   alle   legioni  Y  antico  vigore,  e  le  rese   capaci  a 
respingere  gli  assalti  dei  barbari,  e  a  fare   rispettare  e 
temere  il  nome  romano  già  caduto  in  dispregio  ("). 

È  ricordato  come  rimasto  anche  nel  nuovo  grado  affa- 
bile con  dignità  e  con  fermezza  prendesse  parte  a  tutti  i 
militari  esercizi],  e  mettesse  negli  altrui  animi  la  propria 
virtù.  Egli  il  primo  alle  fatiche  e  ai  pericoli  delle  batta- 
glie, e  l'ultimo  a  ridursi  la  notte  al  riposo  dopo  aver  vi- 
sitato tutte  le  tende.  Eccitava  col  suo  esempio  e  colle  sue 
lodi,  portava  aiuto  agli  stanchi,  ristoro  agli  infermi:  e 
quindi  divenne  l'ammirazione  e  famore  di  tutti  K 

("■)  Plinio,  Pancv/..  .",  12,  1-1-15.  l^'^;  S])!ìV7.i3.no.  Adrian..  1;  Reimar.  «c^ 
Bion.,  LXVllI,  4,  e  Henzen.  Iscrizione  onoraria  di  Adriano,  in  Ann. 
IsliU,  1862,  p.  146.  ove  si  prova  che  Traiano  governò  l'Alta  e  non  la 
Bassa  Germania,  come  fu  supposto  finora  dietro  le  espressioni  di  Aurelio 
Vittore  (Be  Caes.,  13),  e  di  Eutropio  (VIII,  2j. 

1  Eckel,  Nmn.  vet.^  VI,  133-136;  Boeck,  Corjnts  inscrlpt.  graec,  n.  3116,  3117,  31)35 

2  Culien,  Moìiìuiies  fyafipéea  sous  l'empire  romain,  voi.  II,  pi.  IV,  n.  1. 

3  Vedi  Diiruy,  Hist.  des  Romains,  IV,  213,  >'  Mommsen  e  Dicrauer  ivi  citali. 

4  Plinio,  Paneg.,  9,  13,  II,  15,  19. 


552  VENDICANHRVA.E  AFFORZA  L'IMPERO  IN  GERMANIA.  [Lib.  VII. 

La  fama  della  sua  virtù  presto  risuonò  da  ogni  parte 
chiarissima,  e  lo  designava  all'Impero  cosi  che  Nerva 
eleggendolo  non  fece  che  secondare  il  pubblico  grido.   ■ 

Era  sui  44  anni  quando  gli  giunsero  i  messaggi  por- 
tanti l'annunzio  dell'  adozione  e  dell'associazione  all'im- 
pero ,  accolto  con  grande  entusiasmo  dal  Senato  e  dal 
popolo ,  e  poi  dagli  eserciti,  come  attestò  il  suo  cugino 
Adriano  andato  a  congratularsi  da  parte  delle  legioni  di 
Mesia  ^ 

Xerva,  nel  dichiararlo  figliuolo  e  successore  all'Impero, 
gli  chiedeva  che  vendicasse  l'insulto  fatto  dai  pretoriani 
alla  imperiale  dignità,  e  con  le  parole  che  in  Omero 
Crise  rivolge  ad  Apollo,  diceva  al  tiglio  adottivo  :  I  Greci 
■pacjliiìio  per  le  tue  saette  il  mio  pianto.  E  Traiano,  po- 
stosi subito  air  opera ,  chiamò  presso  di  sé  Casperio 
Eliano ,  .6  gli  altri  istigatori  delle  turbolenze ,  li  punì  di 
morte  o  d'  esilio,  e  colla  fama  della  sua  forza  quietò  da 
lungi  ogni  tumulto,  e  rimesse  la  calma  in  Roma  2. 

Forse  avea  combattuta  vittoriosamente  egli  stesso  là 
guerra  Suehica  ricordata  da  una  iscrizione  ^,  per  la  quale 
Xerva  prese  il  nome  di  Germanico  -',  e  lo  détte  anche  a 
lui  con  quello  di  Cemre  ^.  Ma  rimaneva  molto  da  fare 
per  ridurre  a  tranquillità  la  Germania,  e  assicurare  l'Im- 
pero da  quella  parte  :  e  quindi  non  si  mosse  di  ■  là  alla 
prima  chiamata,  e  vi  rimase  anche  allorché  poco  ap- 
presso gli  giunse  a  Colonia  la  notizia  della  morte  di 
Xerva  recatagli  dallo  stesso  Adriano  allora  tribuno  di 
una  legione  a  Magonza  *. 

Fu  detto  che  l' Impero  quasi  invecchiato  e  appassito 
per  l'inerzia   dei  Cesari  tornò   a  rinverdire    come  vigo- 

1  Sparziano,  Adrian.,  2. 

■-  Tiione  Cassio,  LXVllI,   t-5;  Plinio,  Paneg..  1-15. 

:ì  Ilcnzcn,  in  Orelli,  n.  513'J. 

4  Il.-nzcD,  in  Orelli,  n.  513S;  Eckel,  VT,  400. 

5  llenzen,  Iscrizione  onorari    d'A<\ria»o,  pag'.  117 
C  Sparziano,  Adrian..,  2. 


Cap.  IV.]    SCARSE  E  NON  CHIARE  NOTIZIE  DEI  EATTI  SUOI. 


553 


roso  di  nuova  gioventù  per  la  virtù  di  Traiano  *.  Ma 
per  mala  ventura  le  notizie  di  questa  novella  età,  seb- 
bene ora  aiutate  dagli  studi  epigrafici,  rimangono  scarse, 


Traiano  (Monjez,    co»,  liohi..  XXXVI.  n.  :>) 

incerte  e  confuse   in  piìi   parti,  e  danno   sempre    molto 
da  fare  alla  critica   storica  (0.   E  quindi   non  ò   dato  di 


(")  Vocìi  Francke,  Geschic/tte  Trojans,  uncl  seiner  Zeitcjenossen,  Que- 
dlinburg  1840;  Borghesi,  Iscrizioni  di  Foligno,  in  Annal.  Istit.  arch., 
184C,  pag.  328-332;  Volker,  De  imperatoris  Trajani  vita,  Elberfeld  1859; 
Henzen,  Iscrizione  onoraria  di  Adriano  illustrata,  in  Annui.  Istituì., 
1862,  pag.  145  e  segg.  ;   Noci  des  Verger?,  Memoire  sur  la  chronologie 

1  Floro,  Proeni.  in  fine  . 


554      COLONIE  E  FORTEZZE  SIL  DaNLBIo  E  SUL  RENO.  [Lib.  VIE 

seguire  l'imperatore  con  passo  sicuro  in  tutte  le  sue  im- 
prese sul  Reno,  sul  Danubio,  sull'Eufrate  e  sul  Tigri,  e 
vedere  distintamente  e  narrare  tutto  ciò  che  egli  fece  in 
guerra  e  in  pace  in  circa  iO  anni  di  regno. 

Senza  curarsi  delle  pompe  di  Roma,  e  lasciando  il  go- 
verno al  Senato  e  ai  consoli ,  continuò  per  quasi  due 
anni  in  Germania  a  tenere  i  nemici  in  freno  colle  armi 
e  con  forti  ripari.  Non  temeva  e  non  provocava  la  guerra. 
Andò,  a  quanto  sembra,  in  Pannonia  (ann.  98-99)  ove  ri- 
cordasi la  colonia  Ulpia  Troiana  *  a  Petovione  {Pcttau), 
corse  colle  legioni  le  ripe  del  Danubio  gelato ,  chiese 
ostaggi  ai  nemici ,  e  li  forzò  a  star  quieti  in  loro  la- 
tebre 2. 

Fra  le  opere  fatte  nel  suo  lungo  soggiorno  in  Germa- 
nia, oltre  a  pili  città  rialzate  ^  si  ricordano  la  fondazione 
della  Città  Uljyia  ove  ora  è  Ladcnlnirg  sulle  rive  del 
Nechar  (");  la  Colonia  Traiana  nelle  vicinanze  di  Xanten  '•  ; 
la  fortezza  che  si  chiamò  col  suo  nome  presso  la  con- 
giunzione della  Nitida  col  Meno  {'):  una  parte  del  limite 
transrenano,  immensa  barriera  innalzata  a  impedire  che 


du  rcgne  de  Trojan,  in  Coraptes  rendiis  de  l'Acadcmie  dcs  Inscriptions, 
Paris  1866,  pafj^.  73-86;  Diei-auer,  Beitrdge  za  einer  kriiischen  Ge- 
.schichlc  Trojan' s,  in  Budinger' s  Untersuchungen  zht  ròmisch.  Kai- 
sergeschichle .,  Leipzig  1808,  voi.  I.  paLT.  1-18G;  Froehner,  La  Colonne 
TraJane,  Pari.s  1872,  pag.  1  e  scgg. 

(«)  È  ricordata  da  un'epigrafe  scoperta  presso  Ladcnburg  or  sono  po- 
chi anni.  Vedi  Froehner,  Die  grossherzogliche  Sammlung  vaferlaendi- 
.scher  Alter thiìmer  zu  Karlsruhe,  Karlsruhe  1800,  u.  CO  i^,  e  Archaeo/o- 
gische  Zeitung,  1869,  pag.  74. 

(^)  Munimenium  quod  in  Alariiannorum  solo  condiUirii  Trajanns  suo 
•/.ornine  voluit  appellari.  Aramiano  Marcellino ,  XVII ,  1 ,  11  ;  De  Ring, 
Klahlisscmcnts  rom.  sur  le  Rhin,  I,  pag.  308. 

1  Xumpt,  De  colon.  Rom.  ìnUit..  p-   lOT  ;  Corpux  int^crìpt.  lal.^  Ili,  p.  510. 

2  Plinio,  Pancg..  12  e  IC;  Siobl.c-,  Plinius  Brirfc^  in  Phiìologus^  1870,  p.  .ISUr^SO. 

3  Eutropio,  Vili,  2. 

4  Antonini  Itinerar.,  p.'-.g'.  ^\\  ed.  del  IGOO;  Zumi  t,  'o^-  ''»'■'  P^g.   lff> 


Cap.  IV.]      RITORNO  E  FESTOSE  ACCoOLlENZE  A  RO^IA.  555 

i  Germani  si  avvicinassero  al  fiume  *;  la  grande  via  da 
Colonia  a  Nimega,  il  ponte  sul  Reno  presso  a  Magonza,  e 
lo  scavo  0  rabbellimento  dei  bacini  delle  acque  termali 
nel  luogo  ove  ora  sono  le  delizie  di  Baden-Baden  (°). 

Finalmente,  lasciando  le  province  afforzate  e  tran- AimidiRo- 
quille,  sul  cadere  d'  autunno,  mosse  alla  volta  di  Roma,  g.*c.  w5.  ' 
ove  lo  chiamavano  i  pubblici  voti ,  e  procede  con  pla- 
cido e  modesto  viaggio.  Ninno  ebbe  a  patire  della  licenza 
soldatesca  :  temperatissime  le  spese,  di  cui  fu  reso  conto 
al  pubblico,  confrontandole  con  quelle  enormi  già  fatte 
da  Domiziano.  Al  suo  arrivo  immensa  la  folla:  calcate  le 
vie,  gremiti  di  gente  anche  i  tetti.  Ogni  sesso,  ogni  età, 
anche  i  malati,  corsero  a  salutare  con  lieti  evviva  l'uomo 
celebrato  per  prode  e  giusto  e  mitissiaio.  Ammiravano 
la  nobile  ed  alta  e  forte  persona,  il  volto  lieto,  amabile, 
dignitoso,  tranquillo,  e  improntato  di  grande  energia  ;  e 
stringendosi  a  lui  gli  volgevano  parole  di  affetto.  Entrò 
a  piedi  con  pochi  soldati  quieti  e  modesti  come  cittadini; 
si  porgeva  cortese  a  tutti,  riconosceva  e  salutava  tra  la 
folla  gli  amici,  chiamava  a  nome  senatori  e  cavalieri.  Con 
civile  modestia  salì  al  Campidoglio,  modestamente  andò 
al  palazzo  imperiale,  e  modestissima  si  mostrò  sua  mo- 
glie Plotina,  la  quale  dalle  scale  del  palazzo  volgendosi 
alla  moltitudine  promise  di  uscirne  come  vi  entrava, 
non  mutata  di  costumi  dalla  fortuna  "-. 

Traiano,  come  Nerva,  aprì  a  tutti  il  suo  palazzo  ,  nel 
quale  visse  semplicemente  come  in  casa  privata,  difeso 
non  da  guardie  ma  dall'amore  del  popolo.  Aveva  sempre 

C^)  Francke,  Geschiclite  Trojnns,  pag.  57-60;  Froehner,  La  Colonne 
TraJane,  pag.  III.  Traiano  è  ricoulato  a  Baden-Baden  (Aquae  e  poscia 
Aurelia  Aquensis)  da  un'epigrafe  ivi  a  lui  posta  dalle  legioni  prima  e 
undecima,  e  pubblicata  nella  sovraccitata  Gvos alter zogliche  Sarnmlung 
vaterlaendischer  Alterthilmer,  n.  CO  A. 

1  De  Ring,  loc.  clt..  pag.  309. 

2  Dione  Cassio,  LXVIII,  5-,  Plinio,  Panari.,  SO- -23,  55. 


55G 


TRAIANO  MODELLO  DEL  PRINCIPE  CITTADINO.     [Lib.  VIL 


i  più  virtuosi  cittadini  alla  sua  mensa,  non  splendida 
di  vasellami  preziosi,  ma  lieta  di  libera  gioia  e  di  schietti 
e  affettuosi  coUoquii.  Visitava  cortesemente  gli  amici, 
era  compagno  a  loro  cacce  ,  e  diporti  e  conviti.  Per  le 
vie  non  andava  cinto  di  sgherri,  lasciava  ad  ognuno 
libertà  di  accostarglisi ,    s' intratteneva  in   familiari  col- 


/^N^^ 


Plotina  moglie  di  Traiano  [Mo'ngez .  Icon.  Rom.,  XXXVII,  n.  2). 

loquii,  non  stimando  di  abbassarsi  col  mostrar  gentilezza, 
né  credendo  necessaria  la  burbanza  a  conciliarsi  rispetto. 
Insomma  rimase  uomo  nel  grado  supremo,  e  uomo  onesto 
e  affettuoso,  e  perciò  trovò  venerazione  e  amore,  e  fu 
reputato  il  modello  del  principe  cittadino.  Ebbe  quello 
che  quasi  mai  non  fu  dato  ad  un  principe,  molti    amici 


I 


Cap.  IV.]      NON  SOSPETTOSO,  NÉ  FASTuSO,  NÉ  AMBIZIOSO.  557 

sinceri,  che  conservò  con  ricambio  di  fidanza  e  di  affetto. 
Quando  alcuno  volle  fargli  sospetto  L.  Licinio  Sura,  suo 
amicissimo,  egli  andò  senza  guardie  a  cena  da  lui,  e  si 
pose  tutto  in  sua  mano  ^ 

Fidente  in  sua  virtù,  non  apparve  mai  sospettoso  né 
ombroso.  Nel  creare  il  prefetto  del  pretorio  gli  porse  la 
spada  dicendo  :  con  questa  difendimi  se  governo  bene  , 
e  volgila  contro  di  me  se  faccio  altrimenti.  I  voti  fatti 
per  lui  volle  che  fossero  espressi  colla  condizione  che  il 
suo  governo  fosse  giusto  e  tornasse  ad  utilità  dell'uni- 
versale. I  quali  sentimenti  gli  erano  ispirati  dalla  bontà 
del  suo  animo,  dai  pericoli  corsi  sotto  la  passata  tiran- 
nide, e  dall'odio  che  aveva  veduto  gravare  sui  despoti: 
e  quindi  diceva  volere  essere  con  tutti  come  avrebbe 
desiderato  che  gli  altri  imperatori  fossero  con  lui  cit- 
tadino -. 

Quanto  più  meritava  gli  onori ,  tanto  si  mostrò  tem- 
perato neir  accettarli,  e  prese  i  più  piccoli  per  non  parer 
superbo.  Poche  le  statue,  e  non  d'oro,  ma  simili  a  quelle 
dei  più  benemeriti  cittadini  3.  Dopo  avere  rifiutato  di 
esser  console,  cede  alle  preghiere,  ed  esercitò  quell'uf- 
ficio con  civile  modestia,  e  sottomesso  alle  leggi,  tenendo 
se  non  padrone,  ma  primo  magistrato  della  Repubblica. 
Andò  come  gli  altri  candidati  ai  comizi  consolari,  e 
aspettò  la  sua  nomina:  poi  prestò  giuramento,  promise 
dalla  ringhiera  di  osservar  le  leggi,  e  all'  uscire  di  ufficio 
giurò  di  non  averle  violate.  Al  Senato  lasciò  piena  libertà 
di  parola  e  di  deliberazioni,  e  in  una  allocuzione  esortò 
i  padri  a  ripigliare  il  possesso  della  libertà ,  e  a  darsi 
cura  dell'Impero,  come  di  un  bene  comune  ^. 

1  Dione  Cassio,  LXVIII,  7  e  15;   Plinio,  Paneg.^  4S,   -19,   SVS/;   Eutropio,  Vili,  2; 
Aurelio  Vittore,  De  Caesaribus^  13. 

2  Dione  Cassio,  LXVIII,  IG;  Plinio,  loc.  cit.^   Il,  Ò7.  6S,  71;  Aurelio  Vittoro,  De  Cae- 
saribus^  13;  Eutropio,  Vili,  2. 

3  Plinio,  Paneg.j  55. 

♦  Plinio,  loc.  cic.^  51,  55,  58,  G3-C5. 

Van.nucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  70 


55S  BENEFICO  E  PROVVIDO  GOVERNO.  [Lib.  VII. 

Le  sue  lodi  maggiori  stanno  nella  bene  amministrata 
giustizia,  neir  onesto  e  forte  governo,  nello  studio  posto 
a  soccorrere  largamente  i  pubblici  mali. 

Per  celebrare  il  suo  inalzamento  all'  impero  fece  larghi 
donativi  al  popolo  di  Roma  e  delle  altre  parti  d' Italia , 
e  vi  comprese  pure  i  fanciulli  più  bisognosi,  a  cui  prov- 
vide anche  coli' allargare  e  render  più  stabile  l'istitu- 
zione degli  alimenti ,  cominciata  da  Nerva ,  assegnando 
per  le  città  d'Italia  somme  più  grosse  al  nutrimento  e 
all'  educazione  dei  piccoli  figliuoli  dei  poveri  *;  istituzione 
benefica  divenuta  in  breve  floridissima ,  come  non  ha 
guari  fu  provato  dagli  studi  epigrafici,  della  quale  ne  oc- 
correrà di  parlare  più  a  lungo  in  appresso.  Ne  per  questo 
volle  aggravato  e  danneggiato  nessuno:  anzi  tolse  via  le 
gravose  contribuzioni,  che  col  nome  di  doni  le  città  e  le 
province  erano  costrette  a  offrire  ai  nuovi  imperatori  2. 
Soccorse  alle  pubbliche  sciagure,  cagionate  da  inonda- 
zioni, da  incendii,  da  pestilenze,  da  carestie  -;  e  per  libe- 
rare Roma  dai  pericoli  della  fame  favorì  il  commercio, 
rese  sicure  le  vie  ,  agevolò  i  trasporti  del  grano  dalle 
province,  procurò  che  fossero  pagate  effettualmente  al 
prezzo  fissato  le  derrate  provenienti  dalle  terre  lontane. 
Quindi  abbondanza  alla  capitale  senza  rovina  delle  pro- 
vince: e  le  cose  furono  governate  con  tal  provvidenza  e 
buon  ordine,  che  in  un  anno  di  sterilità  Roma  potè  soc- 
correre di  grano  l'Egitto,  solito  finqui  a  nutrire  l'Italia  '*. 

Fra  i  beneficii  delle  diminuite  gravezze  fu  anche  l'avere 
ristretto  l'odioso  diritto  della  ventesima  sulle  eredità  col- 
laterali ,  già  mitigato    da  Nerva  ^.  Rese   pure   libertà  ai 


•  Plinio,  Paneg.,  26-23;  Dione,  LXVIII,  5;  Ilenzen,  De  tabula  alhnentaria  Baebiano- 
ì-um^  in  Annal.  Istit.j  1814,  pag.  10  e  segg.-,  Ernest  Desjardins,  De  tabulìs  alimenta- 
riis^  Parisiis  1851. 

2  Plinio,  loc.  cit..  27,  41. 

3  Aurelio  Vittore,  loc.  cit.  ;  Plinio,  Paneg.j  29;  Eusebio,  Chron. 
<  Plinio,  Paneg.^  29-31. 

^o  Plinio,  loc  cit..  37-39. 


Gap.  IV.]  L  K  (.GIUSTIZIA  E  IL  DENARO  PUBBLICO.  .550 

testamenti ,  togliendo  1'  obbligo  di  far  legati  all'  impera- 
tore *,  e  moderò  i  diritti  del  fisco,  che  per  F  avanti  era 
causa  di  rapine  sanguinose.  Per  opera  sua  i  tribunali 
furono  aperti  a  chiunque  avesse  da  lagnarsi  dei  mini- 
stri di  Cesare  :  fu  libera  ai  cittadini  la  scelta  dei  giudici: 
la  libertà  e  il  principato  litigarono  nel  medesimo  Fóro, 
e  con  gran  meraviglia  di  tutti  il  fisco  non  ebbe  sempre 
ragione  2.  Furono  abolite  di  nuovo  le  accuse  di  maestà: 
puniti  come  assassini  i  delatori,  e  rilegati  nelle  isole  già 
piene  di  loro  vittime  ^. 

Molto  fu  speso  in  donare,  in  soccorrere:  ma  le  lar- 
ghezze non  fecero  pianger  nessuno:  e  a  malgrado  delle 
sue  liberalità,  il  principe  abbondava  in  ricchezze,  perchè 
vendè  a  utile  pubblico  le  cose  di  lusso,  e  perchè  la  fru- 
gale e  semplice  vita  non  gli  faceva  sentire  la  diminu- 
zione delle  rendite.  L'  erario  rigurgitò  della  pecunia,  che 
gli  altri  spendevano  in  fasto  e  in  delitti. 

Di  tale  uomo,  che  fu  reputato  il  più  grande  dei  prin- 
cipi, e  alla  fine  nelle  epigrafi,  nelle  medaglie  e  nel  lin- 
guaggio comune  ebbe  il  titolo  di  Ottimo  (-'),  dato  finquì 
solo  a  Giove,  non  avvi  una  storia  compiuta,  che  parti- 
tamente  ne  descriva  le  imprese  militari  e  civili.  Perirono 
con  altri  ricordi  le  memorie  che  aveva  scritto  egli  stesso 
in  più  libri  sulle  sue  guerre  di  Dacia,  di  cui  rimane  solo 
una  frase  in  un  grammatico  del  secolo  SQsto  Q):  e  la 
notizia  delle  sue  opere  civili  ci  viene  scarsa  da  qualche 


(«)  Vedi  De  Vita,  Antiquit.  Benerent.,  I,  253;  Orelli,  788,  789,  795.; 
Eckel,  418,  420,  421,  423-4:30,  436-438,  448-450,  458;  Mongez,  Icon.  Rom., 
pi.  XXXVI,  n.  G:  Cohen,  voi.  II,  Trojan,  n.  9,  16,  17.  21-59,  63-75,  91- 
94.  96-100.  ecc..  ecc. 

(*)  Trajanus  in  1  Dacicorum:  inde  Berzobim  processimiis  —  Pri- 
sciano,  VI,  13. 

1  Plinio,  loc.  cil.^   13. 

2  Plinio,  loc.  cit.y  S?. 

3  Plinio,  loc.  eie...  34-3G. 


560 


IL  PANEGIRICO  DI  PLINIO  A  TRAIANO. 


[LiB.  VII. 


compendio,  e  dal  Panegirico  detto  da  Plinio  quando  entrò 
console  il  primo  di  luglio  dell'anno  853  di  Roma  (100  di 
Cristo),  cioè  quando  l'imperatore  era  al  principio  della 
^fua  grande  carriera:  panegirico  di  una  declamazione  ele- 
gante, che  usa  ed  abusa  la  lode,  che  da  tutto  trae  occa- 
sione d'entusiasmo,  e  che  esagerando  non  può  quindi 
tenersi  in  ogni  parte  come  documento  di  storia.  Pure,  da 
chi  considera  l'onestà  dello  scrittore  e  il  suo  concordare 
in  più  cose  con  ciò  che  sappiamo  da  altri,  non  può  ne- 


C.  Traiano  Otlimo  principe  (3Io>}gez,  Icon.   Roni.^  XXXVI,  n.  G). 

garsi  fede  a  molte  delle  asserzioni  del  panegirista,  quando 
sieno  sceverate  dagli  artifizi  rettorici. 

Lo  loda  anche  per  le  sanguinose  battaglie  dei  gladiatori, 
perchè  atte  a  nutrire  il  valore  e  il  dispregio  della  morte. 
Altrove  contradice  anche  a  sé  stesso,  perchè  lo  appella 
sempre  sifjnorc  *,  dopo  aver  detto  che  il  principe  non 
voleva  quel  titolo.  Il  panegirista  celebra  l'universale  en- 
tusiasmo; e  mostra  Traiano  perfetto  di  ogni  pubblica  e 
|)rivata  virtù.  Egli  il  modello  dei  capitani  e  dei  principi 
riformatori,  degnevole  con  tutti,  piangente  di  gioia  e 
suffuso  di  rossore  alle  grida  festose  del  popolo:  venerabile 


Plinio,  Epist.,  lib.  X,  passim. 


Gap.  IV.l 


IL  PANEGIRICO  DI  PLINIO  A  TRAIANO. 


561 


di  aspetto,  cui  aggiunge  maestà  la  precoce  canizie.  Egli 
di  santi  costumi,  sui  quali  si  modellano  quelli  dei  cittadini, 
richiama  al  mondo  l'onestà,  bandita  dagli  sconci  tiranni. 
La  sua  casa,  già  antro  di  fiere,  convertita  in  tempio  di 
giustizia,  e  in  scuola  di  morale  alle  genti.  Ivi  virtuose  la 
moo'lie  Plotina,  la  sorella  Marciana   poscia  deificata  («), 


Marciana  e  Matidia  {Monge:^  Icon.  lioni.,  XXXVII,  n.   1  e   5). 

e  Matidia  figlia  di  ciuesta,  della  quale  sappiamo  da  una 
medaglia  che  pia  e  benefica  aiutava  l'imperatore  nel  soc- 
correre i  poveri  (').  Plinio  dice  che  nel  palazzo  imperiale 


(")  Ella  è  Diva  uell'arco  di  Ancona  e  in  altre  epigrafi  (Hùbuer,  lu- 
script.  Hispaniae,  n.  2340),  e  nelle  medaglie  ove  colla  parola  consecralio 
4  vede  anche  il  carro  sacro  (Thensa),  simbolo  dell'apoteosi.  Col  suo  nome 
fu  chiamata  Marcianopoli  nella  ^Mesia  Inferiore  la  città  detta  oggi  Pra- 
wady.  Corp.  Inscript.  lat..  Ili,  pa,ii.  144. 

{^)  Mongez,  Icon.  Rem.,,  pi.  XXXVII,  n.  5.  Testa  di  IMatidia  colla 
leggenda:  matidia.  aug.  {ìista)  eivae  marcianae  f.  i^ilia):  e  nel  rovescio 
ima  donna  che  accoglie  due  fanciulli  chiedenti  soccorso,  colla  leggenda: 
PIETAS  AUGUST.  (o).  6  le  sigle  s.  e.  [senatus  consulto). 


562  GOVERNO  DELLE  PROVINCE.  —  FRENI  ALLE  BRIGHE.  [Lib.  VII- 

erano  virtuosi  anche  i  liberti,  e  ci  mostra  Traiano  inteso 
solamente  alla  felicità  universale,  a  riformare  ogni  abuso, 
a  incuorare  i  nobili  studi,  a  infiammare  i  giovani  al  bene 
coi  premi  della  virtù,  a  esaltare  le  indoli  generose  punite 
dagli  altri,  ad  affidare  gli  uffici  pubblici  ai  più  integri  cit- 
tadini, e  a  toglierne  i  ribaldi,  e  a  perseguitarli  in  città 
e  nelle  province. 

Sappiamo  con  certezza  che  furono  processati  e  con- 
dannati i  governatori  che  rubavano  in  Affrica  e  Spagna*: 
e  in  quest'opera  del  ralfrenamento  dei  ladri,  anche  PIo- 
tina  détte  aiuto  al  marito,  mettendolo  in  guardia  contro 
i  procuratori  imperiali  -.  Con  molta  sollecitudine  studiò 
che  nelle  province  fosse  resa  buona  giustizia,  mandò 
governatori  onesti  a  riordinare  l'amministrazione,  e  a 
correggere  i  guasti  costumi,  e  temperò  le  spese  fatte  dai 
provinciali  in  suo  onore  ^.  Concesse  immunità  a  più 
luoghi,  e  provvide  alla  pubblica  prosperità  in  ogni  re- 
gione, facilitando  le  comunicazioni  con  magnifiche  strade 
e  con  ponti  sui  fiumi  ^.  In  Italia  pei  buoni  provvedimenti 
di  Traiano,  si  vide  ad  un  tratto  cresciuto  il  prezzo  dei 
campi.  I  candidati,  dice  Plinio,  facevano  banchetti  ai  se- 
natori, mandavano  regali,  promette van  denaro  a  chi 
avesse  dato  loro  il  suffragio.  L'imperatore  richiesto  che, 
come  agli  altri  disordini,  riparasse  col  suo  senno  anche 
a  questo,  con  la  legge  del  broglio  restrinse  le  brutte  e 
infami  spese  dei  candidati,  e  comandò  che  una  terza 
parte  del  loro  patrimonio  dovessero  averlo  in  terre  d'I- 
talia, stimando  cosa  sconcia  che  i  concorrenti  agli  ufficii, 
quasi  altrettanti  viaggiatori,  tenessero  Roma  e  l'Italia 
non  per  patria,  ma  si  per  albergo  e  osteria.  Onde  è  che 
i  candidati   comprarono   a  gara,   e  fecero   rincarare  le 


1  Flinio,  Epist..  II,  11,  III,  9,  VI,  22. 

2  Aiiri'lio  Vittore,  Epilom.j  42. 

3  Plinio,  Epist.^  VII,  10,  X,  52-Ó3. 

4  Dione  Cassio,  LXVIII,  7  e  15  ;  Eutropio,  Vili,  2. 


Gap.  IV.]  PLINIO  GOVERNATORE  IN  BITINIA.  563 

terre,  massime  le  suburbane,  mentre  ravviliavano  quelle 
delle  province  *. 

Traiano  messe  nell'amministrazione  una  cura  instan- 
cabile, e  provvide  a  tutto  con  attività  prodigiosa.  Quanta 
fosse  la  sua  vigilanza  è  attestato  dal  carteggio  che  tenne 
con  Plinio,  quando  questi,  uscito  dal  consolato,  andò  per 
ordine  del  principe  governatore  in  Bitinia  a  riformare 
gli  abusi  e  a  stabilirvi  durevol  pace  ^.  Plinio  di  là  consulta 
l'imperatore  sulle  più  piccole  cose,  e  questi  risponde  con 
lettere  mirabili  di  gravità,  di  concisione,  di  chiarezza.  A 
Prusìa,  per  esempio,  è  un  bagno  fetido  e  cadente.  Si 
debbe  rifare?  Sì,  risponde  l'imperatore,  purché  i  Prusiani 
paghino  coi  propri  denari  ^.  La  città  di  Nicomedia  è  stata 
guasta  dal  fuoco.  Si  vorrebbe  un  collegio  di  fabbri  per 
avere,  all'occorrenza,  gente  pronta  con  strumenti  acconci 
a  riparare  agli  incendii.  Ma  Traiano  non  accorda  la  do- 
manda, perchè  la  provincia  patì  travagli  da  siffatte  unioni 
di  uomini  *.  Ora  è  necessaria  la  sua  permissione  per  un 
acquidotto  a  Nicomedia  o  a  Sinope,  ora  per  un  teatro  a 
Nicea,  e  un  bagno  a  Claudiopoli,  ora  per  l'interramento 
di  una  palude  insalubre  ad  Amastri,  ora  per  la  traslazione 
del  tempio  di  Cibele,  e  delle  ceneri  di  un  sepolcro,  ora 
per  regolare  i  premi  dei  giuochi,  per  dare  i  passaporti 
a  chi  vuol  partire  s,  e  per  cento  altri  provvedimenti  re- 
lativi all'amministrazione  delle  finanze,  della  giustizia, 
dei  lavori  pubblici,  e  di  tutte  le  più  minute  faccende 
municipah. 

Le  quali  cose,  se  provano  la  grande  attività  di  Tra- 
iano, mostrano  anche  quanto  fosse  pericoloso  il  sistema 
che,  in  sì  vasto  Impero,  toglieva  alle  città  ogni  diritto, 
e  sottometteva   tutto    ad  un    uomo  il  quale  a  malgrado 

1  Plinio,  Ejiist.,  VI,  19. 

2  Plinio,  Epist.,  X,  41  e  US, 

3  Plinio,  Episl..  X,  31,  35. 

4  Plinio,  Epist.,  X,  42,  4.3. 

5  Plinio,  Epist.,  X,  46,  49,  5S,  59,  73,  71,  91,  92,  ecc.,  ecc. 


nG4  PERSKCUZIONE  AI  CRlSTIAM,  E  ALLE  ASSOCL\ZIONI.  [Lib.  VIL 

del  SUO  buon  volere,  non  poteva  mai  curare  ogni  fac- 
cenda. 

Nelle  lettere  sopraccitate  è  discorso  anche  dei  Cristiani, 
che  andavano  moltiplicando  in  Bitinia  per  città  e  bor- 
gate e  campagne.  Plinio  chiama  prava  e  sfrenata  super- 
stizione la  credenza  cristiana;  quantunque,  dopo  aver 
messo  donne  al  tormento,  non  gli  sia  riuscito  scoprire 
se  non  che  si  adunavano  per  cantare  inni  a  Cristo,  per 
fare  innocenti  conviti,  e  si  obbligavano  con  giuramento 
a  non  mancare  alle  promesse,  a  custodire  fedelmente  il 
deposito,  a  non  commettere  furti,  violenze,  e  adulterii. 
Egli  aveva  condannato  vari  degli  accusati,  fermi  in  loro 
credenza,  per  punirli  di  loro  invincibile  ostinazione.  j\fa 
come  gli  accusati  crescevano  di  numero,  anche  dopo 
l'editto  dell'imperatore  vietante  quelle  adunanze,  egli 
volgevasi  a  Traiano  per  consiglio  sul  partito  che  si  avesse 
a  pigliare.  L'imperatore  lodò  la  diligenza  del  governatore 
nel  fare  i  processi,  e  gli  ordinò  di  punire  i  Cristiani, 
quando  le  accuse,  non  anonime,  fossero  abbastanza  pro- 
vate '.  Le  associazioni  gli  facevano  una  grande  paura  {"): 
e  quindi,  quantunque  nel  resto  più  umano  degli  altri, 
chiedeva  la  punizione  di  uomini  da  lui  non  compresi. 
Egli  non  era  capace  a  sentire  quanto  grande  sia  l'iniquità 
che  uccide  la  libertà  più  sacra  di  tutte,  la  libertà  del 
pensiero  e  della  coscienza. 

Traiano,  vissuto  tutta  la  gioventù  tra  gli  eserciti,  ove 
erasi  acquistato  nome  di  primo  tra  i  prodi,  amò,  anche 
sul  trono,  la  guerra.  Era  ardentissimo  tra  i  suoi  desiderii 
quello  di  cancellare  le  vergogne  di  Domiziano,  che  aveva 


(")  Le  proibì  tutte  tranne  quella  dei  l'ornai  a  cui  die  maggior  forza 
affinchè  fosse  perpetua  l'abbondanza  del  pane.  Annonae  perpeiuae  mire 
consultum,  reperto  firmatoqiie  pistornva  collegio.  Aurelio  Vittore,  l^e 
Caesaribus,  13. 

1  Plinio,  Episl.^  97-i)?. 


Gap.  IV.] 


TRAIANO  E  I  BACI. 


565 


vilmente  comprato  la  pace  dai  barbari.  Lo  agitava  sì 
forte  la  voglia  di  sottometter  Decebalo  che  per  affermare 
energicamente  una  cosa  era  uso  a  dire:  così  potessi  io 
ridurre  la  Dacia  in  provincia  *.  E  presto  ebbe  l'occasione 
voluta  a  correre  sul  vasto  paese  compreso  tra  il  Tibisco 
(Theiss)  a  occidente,  i  Carpazi  a  tramontana,  l'Hierasso 
(Pruth)  a  levante,  il  Basso  Danubio  a  mezzogiorno,  e 
rispondente  alla  parte  orientale  della  moderna  Ungheria 
{Banato  di  Tcniesvar),  alla  Transilvania,  alla  Buckovina, 
alla  Moldavia  e  alla  Valachia. 
Gli  abitatori,  detti  (")  della  stirpe  dei  Geti  {Bulgaria  e 


in  villaggi , 


in  caverne  e 


Romelia),  e  stanziati  in  città. 

capanne  di  legno  per  selve  e  per  monti,  erano  fortissima 

gente,   fiera  di  voce,  truce  d'aspetto  (^);  i  maggiorenti 


f  (    x^lV       (S?^^?^- 


-"^w 


Daci  pileati  e  cliiomati  {Froehnc;-^  Colonne  Trajane,  pi.   19  e  51). 

coperti  di  pileo,  il  volgo  con  lunghe  chiome  e  barbe  ar- 
ruffate, dediti  soprattutto  alla  guerra,  e  usi,  prima  di 
andare  a  un'impresa,  di  attingere  acqua  al  Danubio,  e 
beveria  come  vin  sacro    giurando    di   non   tornare    alle 

C^)  Baci   quoque   soboles  Getarum   suni.    Giustino,   XXXII,   3.   Conf. 
Dione,  LXYII.  6. 

(*)  Yox  fera,  trux  cullus,  verissiina  Marlis  imago; 

Non  corda,  non  itila  barha  reseda  ììianii. 

(Ovidio,  Trist.j  V,  7,  17-18). 


Amniiano  Marcellino,  XXIV,  3,  0. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV. 


5G6 


I  BACI. 


LiB.  VII. 


patrie  sedi  se  non  dopo  aver  trucidati  i  nemici  *,  contro 
i  quali  muovevano  dietro  ad  insegne  con  figure  di  grandi 


Le  insegne  dei  Daci  {Froehner^  19  e  SI). 

serpenti  a  bocche  spalancate  come  minaccianti  di  ingo- 
iare chi  tentasse  di  opporsi  "-. 
Continue  e  terribiU  le  loro  scorrerie  sui  paesi  vicini  e 


t^tàp^^ 


--;>^:x^rin!i;; 


'r-'-^m 


li  m- 


Trofei  (lei  Daci  {Bartoli^  Col.  Traiana,  tav.  19,  e  Froehner^  50). 

lontani  con  rapine  e  uccisioni  delle  quali  serbavano  come 
trofei  le  tronche  teste  dei  vinti  sulle   mura  di  loro  for- 

1  Filargirio,  Ad  Georg.  Virgil.,  U,  497. 

2  Ammiano  Marcellino,  XVF,  10,  7, 


Gap.  IV.] 


I  RE  COTISOXE  E  BEREBISTA. 


567 


tezze.  Sembra  che  anche  le  donne  all'occasione  mettes- 
sero le  mani  nel  sangue  nemico,  perchè  nella  Colonna 
Traiana  si  vedono  ma- 
neggiare a  guisa  di  Furie 
le  faci,  e  bruciar  vivi  i 
prigioni. 

Poco  sappiamo  di  loro 
vicende.  Cesare  ebbe  il 
pensiero  di  frenarne  le 
incursioni  in  Tracia  e  nel 
Ponto  *.  Morto  lui,  storici 
e  poeti  ricordano  il  re 
Cotisone  che,  sprezzata 
l'amicizia  d'Augusto,  e 
unito  con  M.  Antonio , 
minaccia  co'  suoi  Daci 
Roma  dairistro  ^.  Crasso 
li  vince  (727)  e  ne  mena 
trionfo:  pure  essi  conti- 
nuano le  feroci  escur- 
sioni in  Pannonia,  pas- 
sano il  Danubio  gelato, 
vietano  che  si  chiuda  il 
tempio  di  Giano,  e  anche 
dopo  che  Augusto  li  dice 
vinti  sulle  due  rive  del 
fiume  3,  si  vedono  sor- 
gere forti  di  200  mila  armati  sotto  il  re  Berebista,  il 
quale,  sostenuto  da  un  profeta  rivelatore  dei  voleri  divini, 
fa  la  sua  gente  più  sobria  e  gagliarda,  la  regge  con  go- 
verno assoluto,  la  conduce  a  più  sanguinose  rapine,  di- 


Le  donne  dei  Daci  bruciano  vivi 
[Bartoli^  33,  e  Froehner^ 


1  Svetonio,  Caes.^  i4,  e  Aug.,  S. 

2  Svetonio,  Aug.,  63;  Floro,  IV,  12,  18-19;  Dione,  LI,  SS;  Frontino,  Slrat.  ^  I,  10,  1; 
Virgilio,  Georg..  II,  197;  Orazio,  Od.,  I,  35,  9,  II,  15,  17,  HI,  0,  13-16,  III,  S,  IS. 

3  Dione,  LI,  23,  LIV,  33;  Monum.  Anojr..  V,  40-«. 


568    SCORRERIE  E  INSULTI  DEI  BACI  SOTTO  DECEDALO.  [Lib.  VII. 

serta  le  terre  dei  Taurisci  e  dei  Boi,  traversa  a  suo  talento 
il  Danubio.,  infesta  Macedonia  ed  Illirico,  e  domina  dal 
Nerico  al  Ponto  Bussino,  fmchò  cade  vittima  di  una  se- 
dizione dei  suoi.  Il  potente  regno  allora  va  diviso  tra 
quattro  capi  sui  quali  le  legioni  hanno  facil  vittoria:  il 
grande  esercito  è  ridotto  a  40  mila  guerrieri,  e  la  nazione 
sembra  divenuta  obbediente  ai  Romani  *.  Ma  questa  era 
solo  apparenza.  Poco  appresso  i  Daci  uniti  coi  Sarmati 
tornarono  a  invader  la  Mesia  {Scrvia  e  Bulgaria) -:  quindi 
ai  tempi  della  guerra  tra  Vitelliani  e  Flaviani  dettero 
addosso  ai  presidii  del  Danubio  e  ne  presero  ambe  le 
rive  3;  e  da  ultimo  guidati  da  Decebalo  re  potente  di  ac- 
corgimenti, di  ardire  e  di  mano,  come  altrove  vedemmo, 
combatterono  fortemente  colle  legioni,  e  per  la>  viltà  di 
Domiziano  fecero  pace  imponendo  a  Roma  un  tributo. 

E  ora  Decebalo  facendo  scorrerie  sui  confini  superba- 
mente insultava  l'Impero  e  accresceva  la  misura  delle 
vergogne  di  Roma.  Quindi  Traiano  cupidissimo  di  can- 
cellare quell'onta  '',  e  probabilmente  eccitato  anche  dal- 
l' ampere  della  gloria,  e  dalla  cupidità  delle  ricchezze  dei 
Daci,  si  apparecchiò  energicamente  a  combatterli.  Uno 
dei  primi  preparativi  fu  il  compimento  della  via  strategica 
disegnata  già  da  Tiberio  lungo  la  riva  destra  del  Danubio, 
opera  gigantesca  tagliata  nel  vivo  scoglio  dei  monti,  della 
quale  rimangono  anche  ora  i  vestigli  nella  Servia  tra 
Kolumbacz  e  Orsova  là  dove  il  fiume  corre  più  rapido, 
strettamente  racchiuso  fra  scoscese  e  altissime  rupi;  come 
vicino  alla  Porta  di  Ferro,  in  faccia  al  villaggio  di  Ogra- 
dina  a  due  ore  da  Orsova,  24  piedi  al  disopra  delle  acque 
rimane  incisa  nella  rupe  anche  l'epigrafe,  la  quale  ricorda 
che  Traiano  nel  terzo  suo  consolato  e  nella  quarta  po- 

1  Strabene,  VII,  3;  Svotonio,  Aug.  ^  21  ;  Floro,  loc.  cit.  ;  Mommsen  ,  Ees  gestae  divi 
Augusti,  pag.  88-89. 

2  Svotonio,  Tib.^  ti. 

3  Tacito,  Hixt.^  Ili,   IG. 
*  Dione.  LXVIII,  6. 


Gap.  IV.]  LA  VIA  TRAIAXA  LUNGOIIL  DANUBIO.  5G9 

testa  tribunizia  (an.  100  dell'era  volgare),  fagìiati  i  monti 
e  vinti  i  fiumi,  aprì  questa  via  ("). 


La  via  Traiana  lunio  il  Danubio  presso  ad  Orsova  (Andree). 


(^)  Vedi  Arnetli,  Die  Trojans  Inschrift  in  der  Naehe  des  eisernen 
Thores,  Wien  1856;  Froelmer,  La  Colonne  Trajane,  Paris  1872,  pag.  X; 
Mommsen,  Corpus  Inscript.  latin.,  voi.  Ili,  Berolini  1873,  pag.  209,  n.  1699, 


570  LE  FORZE  DI  TRAIANO  CONTRO  DECEDALO.     [Lib.  VII. 

Le  forze  usate  da  lui  alla  guerra  furono  le  quattro 
legioni  stanziate  a  Troesmi  {Iglitza),  e  a  Durostoro  (S/- 
listrìa),  nella  Mesia  Inferiore,  e  a  Singiduno  (Belgrado) 
e  al  forte  campo  di  Viminacio  (Kostolatz)  nella  Mesia  di 
sopra  *.  Rispetto  alle  quattro  legioni  della  Pannonia  ri- 
cordate nelle  epigrafi  ad  Aquinco  {Buda),  a  Petovione 
(Pettau),  a  Carnunto  {Petronell  presso  Altenhurg),  e  a 
Vindobona  (Vienna),  sappiamo  che  la  Trigesima  Gemina 
Pia  Fedele  fu  quella  che  détte  principio  alla  guerra,  e 
dopo  la  vittoria  finale  rimase  colla  Prima  Adiutrice  a  oc- 
cupare il  paese  dei  vinti  -. 

Ai  legionarii  si  unirono  le  coorti  pretorie  sotto  il  go- 
verno del  prefetto  Claudio  Liviano,  e  molti  ausiliari  Batavi, 
Oalli  e  Germani,  e  frombolieri  e  arcieri  orientah,  e  una 
squadra  di  Mauri  condotti  coi  loro  veloci  cavalli  dal 
prode  Q.  Lusio  Quieto  dall'Affrica  3.  Tra  gU  altri  ufficiali 
di  primo  ordine  si  ricordano  L.  Licino  Sura  compatriotta 
e  amico  di  Traiano  *  ;  Adriano  ^  ;  P.  Ghzio  Atilio  Agricola 
originario  di  Torino,  dove  più  iscrizioni  ne  dicono  ancora 
le  lodi,  un  valoroso  già  governatore  della  Spagna  e  della 
Belgica,  poi  console,  e  ora  governatore  in  Pannonia '^; 

il  quale  così  supplisce  Tepigrale  nelle  due  ultime  righe  di  cui  rimangono 
poche  lettere: 

MOìiTibiis  excisis  KmnìBVs 

suPtfrATÙ  ■ciam  fecì(. 
Per  r  irnagine  del  luogo  in  cui  stette  la  strada  e  pei  ruderi  che  ne  ri- 
mangono  vedi  Andree.  Der   Weltverhehr  und  seine  Mittcl,  Leipzg   und 
Berlin  1875,  pag.  G7,  fig.  24. 

1  Vedi  Corp.  Inscript.  latin..  vo\.  Ili,  pag.  115-14G,  265-266,  997,  909-1003,  e  1021-1023. 

2  Corp.  lnscrip(.  latin..  Ili,  pag.  439  e  segg. ,  510-520,  550-561,  564-569,  1041-1012, 
1014-,  Froehner,  loc.  cit .  pag.  X. 

3  Dione,  LX VI II,  9  e  32.  Conf.  Strabene,  XVII,  :ì,  §  7. 

4  Dione,  LXVIII,  9  e  15;  Aurelio  Vittore,  De  Caes..  13;  Grutero,  Inscript..  p.  CCCC- 
XXIX,  n.  3-9. 

5  Sparziano,  Adrian..  3;  Henzen,  in  Annal.  Istit..  1862,  pag.  ir!7. 

6  Vedi  Rivautella  e  Ricolvi ,  Marmora  Taurinensia.  Augusiae  Tatirinorum  ,  1743  e 
1747,  voi.  I,  pag.  185,  e  li,  25-10;  Maffei,  Hus.  Ver..  226,  9,  Ut,  e  :il3,  C;  Borghesi, 
Iscrizioni  di  Foligno,  in  Annal.  Istit..,  1846,  p.  313;  llenzen ,  5119;  Corp.  Inscript. 
graec.  C763. 


Gap.  IV. 


PRIMA  GUERRA  COI  DACI. 


571 


e  Manio  Laberio  Massimo  governatore  di  una  delle  due 
Mesie  K 

11  fortissimo  esercito   muovendo  probabilmente   dalla  Annidi  ro- 
città  di  Viminacio  una  delle  principali  fortezze  romane  g.^c.  w'i.* 


Cavalieri  Mauri  al  Campo  di  Traiano  {Bartoli^  Colonna  Traiana^  tav.  '13). 

dell'Alta  Mesia,  passato  il  Danubio  sopra  un  ponte  di 
barche,  per  varie  vie  procede  nel  paese  nemico  lasciando 
dietro  a  sé  presidii  e  campi  fortificati  per  non  esser  preso 
alle  spalle  e  aver  sempre  aperta  la  via  del  ritorno.  È 
detto  che  prima  di  trovare  i  nemici  l'imperatore  vide 
comparirsi  davanti  gli  ambasciatori  dei  Burli  (")  i  quali 

(-')  È  supposto  che  abitassero  presso  le  sorgenti  del  Tibisco.  Tacito, 
Germ.,  43,  parla  dei  Burli  stanziati  dietro  ai  Marcomanni,  e  ai  Quadi. 
Vedi  anche  Capitolino.  M.  Aurelio  Antonino,  22. 

1  Dione,  LXVIII,  9;  Plinio,  Eiiist.,  X,  IG  (75). 


572   PRIMA  GUERRA  COI  BACI.  VITTORIA  DI  TAPE,  ECC.  [Lib.  VII. 

venuti  a  pregarlo  di  retrocedere  e  non  turbare  la  pace, 
portavano  quella  preghiera  scritta  in  lettere  latine  sopra 
un  grandissimo  fungo.  Traiano  non  badando  alle  richieste 
di  quella  povera  gente,  poco  dopo  venne  a  grossa  bat- 
taglia coi  Daci  a  Tape  nel  luogo  stesso  in  cui  già  furono 
battuti  ai  tempi  di  Domiziano,  e  ne  menò  grande  strage 

w:^!  ;!'!'. ''r':ii'iir'!iì;ii""'jiiiMi!:iiiiiini|,, 


ittà,  sul  Danubio  d'onde  le  legioni  muovono  contro  la  Dacia 
(Bartolij  Colonna  Traiana^  tav.  'ò-l,  Froehner^  o0-31). 


accompagnata  da  molte  e  gravi  perdite  delle  legioni.  Egli 
si  mostrò  pieno  di  umanità  coi  feriti,  fu  largo  di  cure 
con  essi,  e  per  fasciarli  stracciò  le  sue  vesti,  e  ai  morti 
inalzò  un'ara  e  ordinò  funerali  da  ripetersi  ogni  anno. 
Poscia  continuando  a  dar  la  caccia  al  nemico,  lo  inseguì 
nei  suoi  ripari,  ne  sforzò  i  luoglii  muniti,  e  recò  in  poter 
suo  Sarmizegetusa,  capitale  del  regno,  della  quale  riman- 
gono ancora  le  rovine  in  Transilvania  al  villaggio  di 
Varhcly  ove  stette  naturalmente  afforzata  dal  vivo  scoglio 
della  montagna  e  da  due  o  tre  strati  di  pietre  poligone 
intramezzati  da  tronchi  di  alberi,  ^vlolti  dei  difensori  ivi 
caddero  spenti  o  fatti  prigioni  ^  ^ 
Decebalo  che  prima  di  esser  vinto  aveva,  come  a  di- 

>  Dione,  LXVIir,  S;  Plinio,  Epht..  \U\,   1;  l'rcchncr,  Colonne  Trajane,  pag.  21. 


Gap.  IV. 


VANE  TRATTATIVE  DI  PACE. 


573 


spregio,  spediti  per  suoi  messaggi  uomini  del  volgo  a 
Traiano  *,  ora  gli  manda  ambasciatori  i  suoi  maggiorenti, 
uno  dei  quali  vedesi  gettato  ai  piedi  del  principe  a  im- 
plorare che  voglia  concedere  al  re  di  venire  in  persona 
a  trattare  di  pace,  con  promessa  che  egli  assentirà  ad 
ogni  richiesta.  L'imperatore  manda  a  lui  Licinio  Sura  e 
Claudio  Liviano;  ma  in  questo  mezzo  il  re  ha  mutato 
pensiero,  non  accoglie  i  messaggi,  e  le  pratiche  non  rie- 

Ci 

.-  ^'^^ 

-■et    i  —  'Mi 

m  ■    ■■  H  t<  3 


F(  riti  e  chirurghi  del  Campo  Romano  (Bartoli^  ta%-.  29,  e  Froehne>\  65). 

scono  a  nulla.  Quindi  la  guerra  continua  con  ardore  cre- 
scente. Manio  Massimo  s'impadronisce  della  cittadella  in 
cui  risiede  la  sorella  del  re,  e  la  fa  prigioniera:  Traiano 
supera  le  fortezze  sui  precipizii  dei  monti,  toglie  al  ne- 

1  Dione,  LXVIir,  9;  Pietro  Palricio,  in  Ilistoricor.  graecor.  Fragni,  j  ed   Didot,  voi  IV 
p.  185.  ' 

Vannccci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  72 


574 


SOTTOMISSIO^'E  DI  DECEBALO. 


[LiB.  VII. 


mico  armi,  macchine  e  uomini,  e  alla  line  ripiglia  anche 
l'aquila  legionaria  divenuta  preda  dei  barbari  nella  guerra 
di  Domiziano. 

Dopo  tutto  ciò  Decebalo  per  acquistar  tempo  ad  altri 
consigli  tornò  alle  proposte  di  pace,  e  colla  scorta  dei 
suoi  dignitarii  recatosi  a  implorare  perdono,  si  prostese 


Aìr.ii.liUo- 
).!;■.  -:.'5,  di 
'..I-,  103. 


Ambasciatore  di  Decebalo  prostrato  davanti  a  Traiano 
{BartoK^  tav.  41,  e  Froehncr^  83). 

a  modo  di  supplice  davanti  a  Traiano,,  promise  di  con- 
segnare tutte  le  armi  e  tutti  gli  strumenti  di  guerra  coi 
romani  fabbricatori  di  macchine  e  i  fuggiaschi  che  fosser 
presso  di  lui,  dichiarandosi  pronto  a  non  accoglierne  più 
alcuno,  a  distruggere  i  castelli  già  costruiti,  a  rinunziare 
ai  luoghi  occupati  sui  confini,  e  a  quelU  presi  dalle  le- 
gioni, e  a  tenere  per  suoi  nemici  i  nemici  di  Roma.  A 
queste  condizioni  ottenne  la  pace,  e  mandò  suoi  mes- 
saggi a  Roma  per  chiederne  la  ratificazione  al  Senato*. 
Finita  con  questa  vittoria  la  guerra,  e  lasciati  presidii 
in  più  luoghi,  Traiano  tornò  glorioso  e  trionfante  in  Italia, 


1  Uiono,  LXVIII, 


Gap.  IV.]  TRAIANO  DACICO.  FESTE  E  PREMI  DELLA  VITTORIA.  575 


prese  il  nome  di  Dacico,  rallegrò  Roma  con  feste  e  spet- 
tacoli di  gladiatori  e  di  mimi,  distribuì  un  congiario  ai 
soldati  »,  détte  ricompense  di  ornamenti  trionfali,  di  col- 


pF" 


^  '  0Z-C 


Sottomissione  di  Decebalo  {BartoH^  tav.  51-55,  e  Froehner^  102-103). 

lane,  di  armille,  di  aste  e  vessilli,  di  corone  murali,  vallari 
e  navali  a  Licinio  Sura,  a  Glizio  Agricola,  a  Minicio 
Natale,  a  Lusio  Quieto,  a  Manie  Massimo,  a  Pompeo 
Falcone,  e  agli  altri  più  valorosi  che  fortemente  lo  aiu- 
tarono a  vincere;  doni  ripetuti  poscia  a  tutti  quelli  che 
dettero  opera  alla  vittoria  finale  2. 

Poscia  lasciate  le  feste,  l'imperatore  tornò  assiduo  alle 
cure  civili  e  all'amministraz'one  della  giustizia  3,  Ma  al 
tempo  stesso  teneva  fìsso  il  pensiero  anche  alle  cose  dei 
Daci,  consapevole  che  sulla  parola  del  fiero  re  non  bi- 

1  Dione,  LXVIII,  10;  Eckel,  VI,  417;  Borghesi,  Osservazioni  Numism..  XV,  6. 
•  Marmerà  Taurinensiay  voi.  II,  p.  27  o  37  ;  Orelli,  2«scr.>  3451,  3570;  Henzen,  54IS, 
5451,  6777,  6853  Corpus  Inscript.  latin.,  II,  2424,  4101,  III,  1910. 
3  Dione,  LXVIII,  10. 


576  PONTE  DI  TRAIANO  SUL  DANUBIO.  [Lib.  VII. 

sognava  troppo  fidare.  E  a  rendere  più  facile  e  sicura 
la  via  per  corrergli  addosso  quando  non  stesse  al  trattato, 
fece  dar  mano  alla  costruzione  di  un  forte  e  stabile  ponte 
sul  Danubio,  il  quale  dopo  lungo  lavoro  sorse  magnifico 
e  celebrato  come  la  più  maravigliosa  delle  sue  grandi 
opere  *,  e  anche  oggi  è  ricordato  dalle  rovine  che  dopo 
avere  resistito  alle  vrolenze  del  tempo  e  delle  onde  ri- 
mangono visibili  tra  i  villaggi  di  Turnu-Sevcrinuhii  (l'an- 
tica Drobete)  in  Valachia,  e  di  Feti-Islam  in  Servia  un 
poco  al  di  sotto  delle  rapide  correnti  di  Orsova. 

Dalle  testimonianze  degli  antichi  e  dagli  studi  recenti 
sappiamo  che  senza  contare  le  cosce,  le  venti  pile  de- 
stinate a  reggere  il  ponte  sorgevano  in  pietre  quadrate 
distanti  170  piedi  l'una  dall'altra,  alla  prodigiosa  altezza 
di  piedi  150,  così  che  l' intravatura  delle  volte  a  pieno 
sesto,  e  il  piano  del  ponte  erano  molto  al  di  sopra  delle 
piene  più  grosse,  nella  lunghezza  di  quasi  3670  passi  ro- 
mani. Una  porta  monumentale  apriva  e  chiudeva  da 
ambi  i  lati  il  passo  del  ponte,  afforzato  sulle  rive  opposte 
da  due  cittadelle  {"). 

(«)  Vedi  Canina,  Architettura  romana,  Roma  1840,  tav.  182;  Asbacli, 
JJeber  Trojans  steìnerne  Donauhrùcke,  Wien  1858;  Froehner,  La  Co- 
lonne TraJane j  pag.  19-20.  Conf.  INTai'sigli,  Bescription  du  Banube  dcpiiis 
la  montagne  de  Kalenherij  en  Autriche  jusqu'au  confluent  de  la  risière 
lantra  dans  la  Bulgarie,  traduit  du  latin,  G  voi.  in  fol.,  à  la  Haye  1744. 
Gli  avanzi  del  ponte  come  esistevano  alla  fine  del  secolo  XVII  sono  fi- 
gurati e  descritti  nei  volumi  I,  tab.  16,  e  II,  pag.  25  e  segg.,  tab.  10-15. 
L'autore  fino  dall' anno  1700  avea  pubblicato  il  Banubialis  operix  pro- 
dromus. 

Diamo  il  disegno  dei  ruderi  delle  pile  come  furono  osservati  noi  1858, 
quando  le  acque  erano  più  basse  del  solito,  e  Timagine  dell'opera  come 
vedesi  nei  bassirilievi  della  Colonna  Traiana  e  nelle  medaglie  da  cui  ap- 
pariscono costrutti  di  legname  il  piano,  le  vòlte  e  ì  ripari  laterali  del 
ponte  sostenuti  dalle  colossali  pile  di  pietra. 

1  Plinio,  Epist..  vili,  l;  Dione,  XIA'III  ,  13;  Aurelio  Vittore,  De  Caes..  13;  Tzetze, 
Chiliad.j,  II,  C5-,  Procopio,  Degli  edilizi  di  Giustiniano,  IV,  G;  Fabretii,  Columna  Tra- 
pana, [<ng.  90-100  e  301.  Conf.  Uoiinar,  Ad  Dion,,  toc.  cit. 


i 


•Gap.  1Y.] 


PONTE  DI  TRAIANO  SUL  DANUBIO. 


'ni 


ApoUodoro  di  Damasco,  secondo  che  riferisce  Procopio, 
architettò  la  grande  opera,  a  cui  lavorarono  lungamente 
i  soldati,  destri  a  maneggiare,  al  pari  delle  spade  e  del 


Ponte  di  Traiano  sul  Danubio  [Bartoli.  tav.  TI,  e  Froehner^  pag.  19-20). 

pilo,   vanghe  e  zappe  e  martelli  e  ogni  strumento   del- 
l'arte ("). 


if)  Tre  tegole  trovate  nel  1858  sui  ruderi  delle  pile  del  ponte  portano 
scritto  il  ricordo  di  tre  coorti  ausiliarie,  cioè  della  II  Hispanorum,  della 
I  civium  Roìnanorum  equitata,  e  della  III  Britannica.  Vedi  Corpus  In- 
^cript.  latin.,  voi.  Ili,  pag.  270,  n.  1703. 


578  SECONDA  GUERRA  DACICA.  [Lib.  VII. 

Intanto  Decebalo  reso  infrenabile  dallo  sdegno  dell'op- 
pressivo trattato,  non  aveva  altro  pensiero  che  liberarsi 
da  quella  vergogna  e  ricovrare  la  sua  indipendenza.  Era 
tutto  neir apparecchiarsi  di  nuove  armi,  nel  riparare  le 
rovinate  fortezze,  nell'accogliere  disertori,  nello  stringere 
alleanze  colle  vicine  tribù,  ed  eccitarle  a  insorgere  con- 
tro il  nemico  comune.  Fece  incursioni  sulle  terre  degli 
amici  0  clienti  di  Roma,  mosse  oltre  il  Tibisco  (Tlicìss) 
contro  gli  lazigi  ricusanti  di  unirsi  con  lui,  sottomise 
una  parte  del  loro  paese,  e  pare  tentasse  anche  con- 
giura coi  Parti*.  E  quindi  Traiano  desideroso  di  aver 
modo  a  finirla  coi  Daci  prese  vigorosamente  l'occasione. 
Ama  dillo-  fece  dichiarare  dal  Senato  Decebalo  nemico  di  Roma, 
dTr'^iS  corse  con  gagliardo  esercito  contro  di  lui,  e  in  due  anni 
condusse  all'ultimo  fine  l'impresa. 

Decebalo  fece  tutti  gli  sforzi,  messe  in  opera  ogni  arte, 
mandò  assassini  a  Traiano,  assalì  i  campi  romani.  Le  in- 
sidie uscirono  a  vuoto,  gli  assalti  furono  validamente  re- 
spinti con  perdite"  grandi  dei  Daci.  Il  re  attirò  a  colloquio 
Longino  prode  comandante  di  una  legione  col  pretesto 
di  trattare  di  accordi,  e  presolo  a  tradimento  lo  ritenne 
in  ostaggio  per  aver  modo  a  scoprire  i  disegni  nemici,  e 
fece  sapere  a  Traiano  che  restituirebbe  il  prigioniero  a 
patti  di  riavere  i  confini  del  Danubio  e  tutte  le  spese 
di  guerra.  Longino  resistè  alle  lusinghe  e  alla  forza,  e 
affinchè  il  pensiero  dei  pericoli  della  sua  prigionia  non 
diminuisse  all'imperatore  la  libertà  di  governarsi  a  suo 
senno,  si  détte  col  veleno  la  morte. 

Dopo  lungo  contrasto  colle  insidie,  colle  difficili  vie, 
colle  dense  foreste,  e  colle  fortezze  dei  monti  le  legioni 
fecero  le  ultime  prove  all'assalto  di  Sarmizegetusa,  forte 
capitale  dei  Daci.  La  città  dopo  fiera  resistenza  fu  presa 
di  nuovo,  e  Decebalo  disperando  di  se  e  d'ogni  sua  cosa 

1  Minio,  Epist.^  X,  15  (75). 


Cap.  IV.] 


DECEBALO  VINTO  UCCIDE  SE  STESSO. 


570 


nascose  i  regii  tesori  nel  fiume  Sargezia  (Strelil)  fatto 
deviare  a  quest'uopo,  e  per  non  cader  vivo  in  mano  al 
nemico  si  détte  di  sua  mano  la  morte.  La  sua  testa  mo- 
strata a  spettacolo  delle  legioni  nel  campo,  e  poscia  a 
Roma  nel  Fóro  annunziò  che  la  guerra  dacica  era  finita*. 
Erano   passati  quasi   due   secoli  dal  giorno  in  cui  C. 


Decebalo  uccide  sé  stesso 
(Bartoli^  104,  e  Froehner^  171). 


La  testa  di  Decebalo  mostrata  al  Campo 
Romano  {Barlolij   109,  e  Froehner^  17SJ. 


Scribonio  Curione,  proconsole  di  Macedonia,  dopo  aver 
fatto  prova  di  invader  la  Dacia  (G7G  di  Roma)  si  ritrasse, 
spaventato  dalla  profonda  oscurità  delle  selve  (^).  Traiano, 
non  arrestato  da  nulla,  ridusse  in  suo  potere  il  vasto 
paese   che  dissero  rinchiuso  nel  giro  di  un  milione  di 


C^)  Curio  Dacia  tenus  venit:   sed  ienehras   saltuura   expavit,   Floro, 
III,  4,  6. 


Dione,  LXVIII,  10-14. 


580  LA  DACIA  RIDOTTA  A  PROVINCIA  ROMANA.      [Lib.  VII. 

passi  • ,  e  ne  fece  subito  una  provincia  che  fu  l' ultima 
acquistata  e  poscia  la  prima  perduta  ("). 

Per  ripopolare  le  contrade  che  la  guerra  aveva  rese 
deserte,  vi  chiamò  gente  da  tutto  l'Impero  (^),  e  la 
stanziò  ivi  in  colonie,  in  oppidi,  e  in  municipii  a  Sar- 
mizegetusa  colonia  principale  e  metropoli  della  nuova 
provincia,  ad  Apulo  (Carlshiirg),  a  Napoca  {Kolsvar,  o 
Klausenhurg),  e  in  altri  luoghi  ricordati  poscia  dalle 
iscrizioni  ("). 

Fra  i  nuovi  abitatori  si  vedono  anche  Galati,  Palmi- 
reni  e  Iturei,  e  colla  nuova  gente  pighano  possesso  del 
paese  gli  Dei  romani,  greci,  asiatici,  egizii,  ricordati 
essi  pure  di  frequente  nelle  epigrafi  mortuarie  e  votive, 
scoperte  nei  campi  militari,  e  negli  altri  luoghi  più  fre- 
quentati, unitamente  a  statue  di  marmo  e  di  bronzo,  e 
a  rottami  di  colonne  e  di  fabbriche  erette  dai  nuovi  pa- 
droni, i  quali  introducendo  dappertutto  loro  arti,  e  reli- 
gioni, e  linguaggio  e  culti  e  costumi,  fecero  sparire  quasi 
ogni  ricordo  del  popolo  vinto  nel  paese  solcato  di  nuove 

{^)  Fu  divisa  dapprima  in  due  parti,  superiore  e  inferiore,  e  poscia  in 
tre,  Porolissense,  Apulense  e  Maluense^  poste  tutte  sotto  il  governo  di 
un  legato  imperiale,  con  un  procuratore  particolare  a  ciascuna.  Henzen, 
Inscr.,  5280,  5520,  G919;  Mommsen,  Corpus  Inscript.  latin..  Ili,  p.  IGO, 
e  n.  753. 

(*)  Trajanus,  vieta  Dacia.,  ex  loto  orbe  romano  infìnitns  eo  copias 
hoìninum  transtulerat  ad  agros  et  itrbes  colendas.  Eutropio,  VIII,  3. 

C)  La  capitale  di  Decebalo  ora  si  chiamò  Colonia  Ulpia  Trajana  Augu- 
sta Dacica  Sarmizegetusa.  Orelli,  791,  812,  831,  3234,  3441.  Ulpiano  {Di- 
gest., L,  15,  8)  ricorda  come  dedotta  da  Traiano  la  Colonia  Zernensium, 
colonia  iuris  italici,  come  Sarmizegctusa.  Più  altri  luoghi  sono  notissimi 
nelle  epigrafi  come  Porolissum  {Mojgrad},  Certia  [Romlot),  Potaissa,  o 
Patavissa  (Thorda),  Brucia  (presso  Nugy-Enyed).  Alburnus  maior  vicus 
Pirustarum  (  Verespatak),  Ampeluni  (Zalatna).  Germisara  (presso  Csilimù), 
Tibiscum  (presso  Karansebes),  Ad  Mediani  {Mehadia).  ecc.  Vedi  Corpus 
Inscript.  latin.,  voi.  Ili,  pag.  I61-2G1. 

l  Eutropio,  Vili,  2. 


Oap.  IV.l  PREDE  E  TRIuNFl»  SU!  DACI.  581 

strade,  e  reso  florido  di  nuova  cultura  e  di  nuovi  com- 
merci ("'). 

Nelle  due  Mesie  che  ora  cessavano  di  essere  province 
di  confine  furono  poste  in  riva  al  Danubio  le  colonie  di 
Oesco  (Gicen)  e  Ratiaria  o  Retiaria  (Acer)  *  per  affor- 
zare, al  bisogno,  i  presidii  di  Dacia:  e  nella  Mesia  Infe- 
riore, presso  riatro  {lantra),  ai  piedi  dell'Emo,  fu  edifi- 
cata la  città  di  Nicopoli  come  monumento  della  grande 
vittoria  sui  Daci,  di  cui  rimane  il  nome  nel  borgo  chia- 
mato oggi  Xikup  ^. 

Il  paese  dei  Daci  era  ricco  di  miniere  d'oro  e  d'ar- 
gento 3j  le  quali  scavate  e  amministrate  dai  vincitori 
accrebbero  gli  splendori  e  le  magnificenze  di  Roma.  È 
detto  che  Traiano,  tornando  da  quel  famoso  conquisto, 
riportò  cinque  milioni  di  libbre  d'oro  e  dieci  milioni  di 
argento,  senza  contare  le  armi,  i  vasi  d'inestimabile 
prezzo,  e  gli  altri  tesori  del  re  Q)  trovati  sepolti  nel  fiume 
dietro  l'indicazione  di  un  servo  ''-. 

La  grande  vittoria  fu  celebrata  a  Floma  con  nuovo 
trionfo,  splendido  di  larghi  donativi  ai  soldati,  di  amba- 
scerie venute  fino  dall'India  e  da  ogni  parte  del  mondo, 
e  di  giuochi  durati  123  giorni,  in  cui  combatterono  die- 
cimila  gladiatori  e  undicimila   bestie   feroci:   perocché 


(^)  Per  le  .scoperte  archeologiche  fatte  in  Daci.a  negli  ultimi  tempi  vedi 
Henzen,  Aniicliità  della  Trans iloania,  in  Bullett.  Istif.  arch.,  1848, 
png.  129,  152,  161,  177,  e  Neigebaur,  Dacwn  aus  den  Ueberresten  des 
Klassischen  Alterthiirns,  Kronstadt  1851. 

(*)  Lido,  De  magistroAibus j,  11,  2*^,  il  pale  aggiunge  anche  la  cifra 
incr'edibile  di  500  mila  prigioni. 

1  Zumpt,  De  yailit.  Eom.  colon. ^  p.  403  ;  Henzen,  52S0;  Momni3$n,  Cor^).  Inscr.  ìat.. 
Ili,  pag.  112  e  2d3,  n.  -53  e  1641. 

2  Ammiano  Marcellino,  XXXI,  5,  16;  lordanes,  Getic.^  cap.  IS  e  M  ;  Corp.  Inscript.j 
ìat..  Ili,  p.  111. 

3  Henzen,  loc.  cit.^  pag.  165;  Momm=on,  Corp.  Inscript.  ìal.^  voi.  Ili,  pag.  213--;i!. 

4  Dione,  LXVIII,  11. 

Vannucci  —  Storia  dell' Italia  antica  —  IV.  .  73 


RICCARDI  L»l  TRAIANO  IN  DACIA. 


LiB.  VII. 


anche  Traiano   conservava  la  massima  antica  di  tener 
quie-to  il  popolo  con  pane  e  spettacoli  *. 

Egli  fu  il  primo  e  il  solo  che  piantasse  la  potenza  ro- 
mana al  di  là  del  Danubio  e  con  essa  una  nuova  civiltà 
che  trasformò  la  popolazione,  il  hnguaggio  e  i  costumi. 
La  lingua  divenne  romana  cosi  che  anche  oggi  dopo  tanto 


Ti-i'.iano  trii)ni;iiitc  di-i  Daci  {Rossini^  Ardii.,  tav.    H). 

volger  di  secoh  i  Yalaehi,  i  Moldavi  e  gli  altri  Danubiani 
ricordano  il  latino  con  loro  favella  che  si  chiama  Bo- 
mania  i^').  E  la  memoria  di  Traiano,  trionfante  del  tempo,' 


C^)  «  I  popoli,  elio  noi  chiamiamo  Valaclii,  cliiamano  sé  stessi  Romani. 
L-  il  loro  liniiuati-iiio  Romania.  (Questo  linguasiyio  Romanzo  è  parlato  in 
Valachia  e  Moldavia  e  in  qualche  parte  dell'I'nglieria,  Transilvanfa  -• 
Dcssarabia.  Sulla  riva  destra  del  Danubio  occupa  alcuno  parti  deirantica 
Tracia,  della  Macedonia  e  anelie  della  Tcssajilia.  K  diviso  dal  Danubio 
la  due  rami:  settentrionale  o  Daco-roraanieo ,  e  meridionale  o  Macedo- 
romanico.  Il  primo  è  meno  misto,  ed  ha  ricevuto  una  certa  cultura  let- 


1  Dione,  LXVIII,  V<:  Fr-ntone,  Piincipia  hifloriae ^   {<•■ 
Pc^ieg.,  33. 


115,  ed.  Mai.  Conf.  Plinii 


Oap.  IV.]  LA  COLONNA  TRAIANO..  oS3 

rimase  popolare  in  quelle  contrade,  unita  inseparabil- 
mente nelle  leggende  e  nel  linguaggio  volgare  ai  campi, 
ai  piani,  ai  prati,  alle  fosse,  ai  monti,  ai  dirupi,  alle  vie, 
al  cielo,  ai  tuoni  e  alle  tempeste,  (^). 

Ma  di  questa  guerra,  che  per  alcun  tempo  chiuse  una 
delle  porte  delle  invasioni  barbariche,  e  portò  la  civiltà 
sulle  rive  del  Danubio,  abbiamo  appena  qualche  cenno 
nell'informe  abbreviatore  di  Dione,  dal  quale  non  è  pos- 
sibile aver  chiaro  concetto  della  parte  che  vi  fece  il 
grande  guerriero.  Con  ogni  particolare  ricordo  andarono 
perduti,  come  dicemmo,  i  commentari  che  sulle  Guerre 
'ìaciche  scrisse  Traiano:  perì  anche  il  poema  con  cui  le 
celebrò  Caninio  Rufo  amico  di  Plinio  ^  :  e  solo  monumento 
della  grande  impresa  rimane  la  Colonna  trionfale,  inalzata 
in  Roma  da  Traiano,  sulla  quale  in  molti  quadri  mara- 
vigliosamente scolpiti,  si  vedono  istoriate  le  varie  vicende 
delle  marce,  delle  battaghe  e  delle  vittorie. 

La  Colonna  d'ordine  dorico  si  compone  di  grandi  massi 
di  marmo  egregiamente  commessi.  Una  scala  interna 
conduce  per  184  gradini  alla  cima,   ove  sorg§   ora  una 

leraria;  l'altro  lia  preso  uu  ■jrdn  numero  <ii  parole  albanesi  e  greche,  e 
non  è  ancora  grammaticalmente  fissato.  Il  moderno  Valaco  viene  dalla 
lingua  parlata  nella  romana  provincia  di  Dacia.  »  Max  Mi'iller,  On  the 
Science  of  languagej  tliird  edition,  London  1862,  pag.  196. 

{"■)  «.Le  souveniv  de  Trojan  est  empreint  partout ,  dans  la  D'adition. 
dans  la  langue,  sur  les  monts,,  dans  le  del  r.icme.  Aìnsi  la  voie  Lactce, 
i^'est  le  chemin  de  Trajan;  l'orage  e' est  sa  voìj';  Vavalanche  est  son 
tonnere ;  la  plaine  est  son  camp ,  la  montagne  est  sa  tour;  le  pie 
■-■scarpe  est  sa  vedette.  »  Ubicini,  La  Roumanie,  pag.  207. 

In  Servia  la  tradizione  parla  di  lui  narrando  le  geste  di  Troiano,  prin- 
■;ipe  mitico,  che  aveva  ali  e  tre  teste,  e  partiva  spesso  dal  suo  vecchio 
castello  di  Trojanovgrad  per  volare  contro  le  genti  vicine.  Froelmer,  Xa 
Colonne   Trajane,  pag.  XV. 

Vedi  anche  D,  Sestini,  Viaggio  curiosOj  scientifico,  antiquario  per  la 
Yalachia,  Transilcania,  ecc.,  a  pai^-.  60.  Firenze  1815. 

I  Plinio,  Epist..  Vlir,  i.  Conf.  I,  .;. 


:M        le  guerre  DACICHE  nella  colonna  TRAIANA.  [Lib.  yil 

statua  rappresentante  S.  Pietro,  in  luogo  di  quella  che 
in  origine  rappresentata  Traiano.  La  Colonna  sorge  sopra 
un  gran  piedistallo,  nel  quale  sono  figurati  grandi  trofei, 
e  varie  maniere  di  armi.  Le  storie  della  guerra  dacica 
furono  distese  a  modo  di  fascia  al  di  fuori  per  tutta  la 
lunghezza  del  fusto,  e  gli  artisti,  di  cui  principale  fu 
Apollodoro  di  Damasco,  famoso  architetto  del  ponte  get- 
tato sopra  il  Danubio,  dettero  prova  di  raro  ingegno  e 
di  squisitissimo  gusto,  e  fecero  tale  opera  che  con  ra- 
gione potè  esser  chiamata  il  capolavoro  della  scultura 
romana.  Ed  è  importantissima  per  l'arte,  come  per  ri- 
spetto alla  storia,  perchè  ritrae  gli  usi  di  guerra,  le  vesti 
dei  combattenti,  le  insegne,  le  armi  di  ogni  sorte,  le  ba- 
liste che  dai  carri  scagUano  dardi,  le  testuggini,  gli  arieti, 
i  sacrifizi  prima  delle  battaglie,  le  ambascerie,  le  forti- 
ficazioni dei  campi,  il  modo  di  gettar  ponti  sui  fiumi, 
e  gli  assalti  delle  fortezze,  le  stragi,  gli  incendii,  le 
fughe  {"). 

(")  Pei  dis^-ni  pubblicati  in  vari  tt-rniji  e  per  le  illustrazioni  archeolo- 
gicke  e  storiche  della  Colonna .  vedi  Historia  utriusqiie  belli  Bacici  a 
Traiano  Caesare  gestì,  ex  simiilachris  qiiae  in  columna  ciuscìern  liomae 
riscinUir  colletta,  av.ctore  F.  Alfonso  Ciacono  hispano,  eie.,  Koniae  1576. 
(Fu  ristampata  nel  1585  e  nel  1610).  I  disegni  sono  di  Girolamo  ^Muziano 
fondatore  dell'Accademia  di  S.  Luca  (1577).  il  <|Uale  gli  fece  incidere  da 
F.  Villamena  a  sue  spese  ^ 

Colonna  Troiana  nuovamenie  d'a^egìiata  et  inioijliato  da  Pietro  Santi 
Bartoli,  con  l'esposizione  latina  di  Alfonso  Ciaccone  coynpendiata  nella 
rolgo.re  lingua  sotto  ciascuna  i.nagine,  accresciuta  di  medaglie,  iscri- 
zioni e  trofei  da  Giovanni  Pietro  Bellori,  Roma  1672,  (Opera  che  seb- 
bene jiiyV  elegante  che  accurata  al  dire  del  Fabretti,  ed  erronea  nell'in- 
terpretazione  delle  parti  «xancanti.  ebbe  piìi  fortuna  e  più  fama  delle 
ultr,;-.  Fu  ristampata  a  Roma  nel  1813  con  prefazione  di  Carlo  Fea)  ; 

Fabretti.  I)c  Columna  Trojana  syntagma,  Romae  1083.  (Ristampata 
nel  1090.  Opera  egregia  e  degna  di  questo  dotto  archeologo): 

Piranesi,  Trofeo  ossìa  inagnifica  colonna  coclide ,  ecc..  Roma  1770. 
(Grandiosa  imagino  del  prospetto  principale  dell" altezza  di  quasi  duf 
meti-i.  con  cinque  granì:  tavole  figuranti  il  piedistallo,  e  altre  con  par- 


Gap.  IV.]  LE  GUERRE  DACICHE  NELLA  COLONNA  TRALVNA. 


585 


La  guerra  scolpita  comincia  col  passaggio  del  Danubio 
sopra  un  ponte  di  barche.  Il  Dio  del  fiume  che  ha  sua 
stanza  in  una   caverna   è   fii^iurato   colossale   colla   testa 


Il  Danubio  proiii/io  al  passo  U«_'i  Kuiiiaiii 
[Bartoli^  Colonna  Traìana^  tav.    l.  o  Froehncr^  31 1. 

cinta  di  canne,  con  capelli  e  barba  grondanti  di  acciua. 
con  mantello  avvolto  alle  spalle.  Egli  protegge  le  legioni 


licolarità  di  armi  e  figure  intaccate:  tutti  cUseu:ui  egregi,  e  magnifica- 
mente incisi). 

Columna  Trojana  exliibens  historiarn  l'iruisque  belli  Bacici  a  Tra- 
jano  Cacsare  Avgusto  gesti,  ab  Andrea  Morellio  accurate  delineata  et 
aere  incisa,,  nova  descriptione  illustrata  cura  et  studio,  Aut.  Fr.  Gori, 
Amstelodami  1772.  (I  disegni  del  Morell ,  numismatico  svizzero,  furono 
tratti  dai  modelli  in  gesso  già  eseguiti  per  conto  di  Luigi  XIY  di  Francia. 
L'opera  è  di  poco  conto  dal  lato  dell'arto,  e  anche  le  illustrazioni  non 
danno  quasi  nixlla  di  nuovo). 

La  Colonna   Traiana   ilh'.strata   da   Era-^nio  Pistoiesi,   disegyiaia   da 


580       LE  GUERRE  DACICHP:  NELLA  i  OLoNNA  TRAIANA.  [Lib.  VIL 

sostenendo  colla  possente  destra  il  ponte   di  navi  co- 
struito sulle  sue  onde. 

L'esercito  passa  con  sue   insegne,   e   armi  e  bagagli. 
Traiano  alla  testa  delle  legioni  è  uno  dei  primi  a  mettere 


Salvatore  Busuttill,  incisa  da  Nii-ola  Moueia.  con  alcune  indicazioni  del 
Faljretti,  Cecconi.  Ikllori,  Roma  1S40.  (I  disegni  vengou  da  quelli  del 
Bartoli). 

La  Colonna  coll'audare  del  tempi  i-orse  vai-ie  vicende.  Nel  secolo  de- 
cimo servi  di  campanile  a  un  convento  L'Ostruito  nel  sito  del  Fòro,  finché 
nel  1162  il  Senato  romano  vietò  sotto  pena  di  morte  e  confiscazione  de' 
tieni  di  guastare  il  più  bel  monumento  di  Roma.  (Fea,  nella  sua  edizione 
'Vi  Winckelmann,  voi.  Ili,  p.  355) , 

Nel  secolo  XM,  per  ordine  dì  Paolo  111,  l'ui-ono  tolte  via  le  l'ovine  </iie 
}ie  copri  van  la  base;  e  poscia  E  architetto  Domenico  Fontana  ebbe  da 
Sisto  V  Fiacarico  di  demolire  le  case  vicine  e  di  fare  i  restauri  che  cre- 
-lesse  opportuni:  e  allora  >S.  Pietro  fu  i»osto  sulla  cima  dove  già  stett'^ 
Traiano.  Pure  gli  ingombri  non  iscomparvero  allatto  fino  ai  primi  anni 
del  secolo  XIX  pei  nuovi  lavori  di  Napoleone  I,  i  ijuali  ridussero  il  Fòro 
Traiano  come  vedesi  oggi.  (Fea,  Ine.  cit.,  p.  378,  o  dello  stesso,  Miscel- 
lanea, II,  9-11,  yotizie  degli  scavi  nel  Fóro  Traiano,  Roma  1813, 
pag.  13-26,  e  Reclami  del  Fòro   Traiano,  Roma  1832,  pag.  3-6). 

Quando  le  truppe  francesi  dopo  il  trattato  di  Tolentino  occuparono 
Roma,  il  generale  Pommereul  aveva  proposto  di  trasportare  tutta  la  Co- 
lonna a  Parigi,  perchè  servisse  di  piedistallo  alla  statua  della  Libertà 
sulla  Piazza  Yendòme.  Il  monumento  rimase  al  suo  posto:  ma  ai  giorni 
nostri,  sotto  Napoleone  III,  ne  fu  con  modo  diverso  trasportata  in  Francia 
la  parte  che  potevasi  pigliare  senza  furto,  affinchè  servisse  agli  studi 
della  scienza  e  dell'arte.  E  i  calchi  dei  bassirilievi  fatti  negli  anni  1861- 
1862.  e  riprodotti  in  galvano-plastica  nel  1863  dettero  occasione  a  una 
nuova  e  grande  pubblicazione  recentemente  compiuta:  zz  W.  Froèhner, 
La  Colonne  Trajane  d'aprcs  le  surmoulage  executé  à  Rome  en  1861- 
1862  reproduite  en  photographie  par  Gustave  Arosa,  220  planches  ini- 
priraces  en  couleur  avec  textc  or  ne  de  nombreuses  vignettes,  Paris  1872. 
::r:  Sono  tre  magnifici  vòlunni  di  tavole  con  un  l)el  volume  di  tt-sto  in  cui 
il  Froèhner  facendo  suo  profitto  delle  medaglie,  delle  iscrizioni,  dei  raarmi. 
delle  nuove  scoperte  archeologiche,  dei  viaggi  fatti  nelle  terre  de' Daci. 
e  dei  progressi  degli  studi  scientifici,  etnografici  e  storici,  illustrò  sapien- 
temente tutti  i  bassirilievi  considerati  come  monumento  di  storia,  e  ac- 
curatamente studiò  d'indagare  il  signifi<ato  e  i  fatti  di  ijuolle  tante  figui'e. 


Gap.  IV.]  ].E  GL'ERRE  DACICHK  .NELLA  COLONNA  TRAIANA.        587 

il  piede  sulla  tèrra  nemica.  Prima  di  procedere  nelle  sco- 
nosciute contrade  tiene  consiglio  di  guerra  coi  suoi  uffi- 
ciali, sulla  via  da  seguire.  Secondo  l'uso  antico  seguito 
sempre  al  cominciar  d'una  impresa,  l'imperatore  vestito 
di  toga,  con  in  mano  lituo  e  pàtera,  al  suono  di  corni  e 
di  flauti  offre  vittime  e  incensi  per  propiziare  gli  Dèi:  e 
poscia  dal  suo  tribunale  parla  alle  truppe  per  esortarle 
alla  pugna  imminente. 

Le  allocuzioni  e  i  sacrifizi,  ripetuti  sovente,  seguono  le 
vicende  e  le  peripezie  della  guerra,  nelle  quali  l'impera- 
tore è  sempre  presente  a  provvedere,  a  dirigere,  a  or- 
dinare e  sorvegliare  le  costruzioni  dei  campi,  a  far  cuore 
ai  soldati,  a  eccitarli  con  lodi  e  con  premii. 

Non  è  possibile  dire  partitamente  tutto  l'andamento 
della  grande  epopea  istoriata  sulla  Colonna  con  circa 
2700  figure  di  Romani,  di  Daci,  di  Sarmati,  di  Galli,  di 
Germani,  di  guerrieri  affricani  ed  asiatici:  colle  imagini 
dei  cavalli,  degli  armenti,  dei  fiumi,  dei  monti,  delle  case 
e  delle  fortezze  barbariche,  delle  vie  aperte  nelle  foreste, 
con  più  di  20  campi  fortificati  dalle  legioni,  con  le  prove 
di  tanti  assalti  e  combattimenti  e  grandi  battaglie,  cogli 
incendii  delle  città  e  dei  villaggi,  colle  stragi,  colle  donne, 
e  i  fanciulli  e  i  vecchi  tratti  prigioni. 

Si  vedono  dapprima  su  veloci  cavalli  gli  esploratori 
mandati  a  osservare  il  paese.  11  nemico  è  vicino:  e  le 
legioni,  apertasi  la  via  tra  le  selve,  piene  di  ardore  Io 
affrontano.  Se,  come  altrove  vedemmo,  i  Daci  sono  usi  a 
ostentare  come  trofei  le  teste  tagliate  ai  nemici,  qui  i 
Romani  appariscono  non  meno  feroci.  Un  soldato  tiene 
in  mano  la  spada  e  stringe  tra  i  denti  la  testa  tronca 
di  un  barbaro:  e  altri  portano  all'imperatore  due  teste 
come  loro  trofei.  Al  furore  degli  uomini  risponde  l'im- 
perversare degli  elementi:  dall'alto  delle  nubi  il  Si- 
gnore del  tuono  scaglia  fulmini  ai  Daci.  e  aiuta  la  vittoria 
romana. 


LiB.  VII. 


_^_^va^    -^^ 


Teste  tronche  dei  Daci  (Bartoli^  IT,  e  Froehner^   lS-19). 


I  baci  (iihimiuti  uà  «j1^.vi-  [Bartoli,  \i,  e  Froehner^  49). 


Cah.  IV.l  LE  GUERRE  DAC^ICIIE  NELfA  COLuNNA  TRAIANA. 


580 


1  nemici  disfatti  sono  forzati  a  lasciare  uno  dei  loro 
grandi  ripari  posto  in  cima  a  una  rupe  dentro  a  doppio 
muro  circolare,  difeso  da  fossa,  coronato  di  merli,  e  di 
teste  troncate  agli  invasori.  I  Romani  incendiano  il  forte 
oppido,  e  quindi  passato  a  guado  un  torrente  e  non  trat- 
tenuti da  nulla  corrono  con  ardore  a  dar  la  caccia  ai 
fuggenti. 

In  appresso  l'imperatore  parla  ai  soldati,  e  riceve  un 
ambasciatore  venuto  a  far  proposte  di  pace:  ma  come 
le  parole  non  approdono  a  nulla,  si  procede  a  nuove 
battaglie.  L'avanguardia  romana  scopre  un  villaggio  ove 
stanno  a  rifugio  le  famiglie  e  i  greggi  dei  guerrieri  corsi 


Prigionieri  Daci  (Bartoli^  tav.  21,  e  Froehnev^  53-51). 

altrove  a  combattere.  I  vecchi  sorpresi  nel  loro  riparo 
combattono  con  mazze  di  ferro  e  vendono  caramente  la 
vita.  Uno  di  essi  trascina  nella  fuga  un  fanciullo.  Gli  in- 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  71 


590       LE  GUERRE  DACICHE  ^■ELLA  COLONNA  TRALVNA.  [Lib.  VII- 

vasori  scannano  i  greggi  nascosti  in  una  caverna  e  trag- 
gono prigioniere  più  donne  vestite  di  lunga  tunica  a 
piccole  pieghe,  e  coi  capelli  coperti  da  un  pezzo  di  stofla. 
Le  povere  madri  portano  seco  i  piccoli  figli,  e  gli  mo- 
strano supplichevolmente  a  Traiano,  il  eguale  sembra  dire 
col  gesto  che  saranno  umanamente  trattati. 

I  Daci  col  disegno  di  assalire  un  campo  romano  si 
avventurano  al  passo  di  un  fiume  gelato  :  ma  il  gelo  sotto 
il  loro  peso  si  rompe,  e  uomini  e  cavalli  sprofondano 
miseramente  nell'onde  alla  vista  dei  compagni  che  dalle 
rive  fanno  ogni  prova  per  dar  loro  soccorso.  Ma  anche 
dopo  questa  sciagura  Fesercito  procede  arditamente  al- 
l'assalto. I  difensori  lo  accolgono  con  una  pioggia  di 
mortiferi  strali  cui  i  Daci  rispondono  coi  loro  archi,  e 
battono  follemente  coll'ariete  le  mura. 

Poscia  altra  scena  al  principio  della  stagione  che  dopo 
l'inverno  richiama  i  soldati  alle  fatiche  dei  campi.  Sullo 
rive  di  un  fiume  sorge  una  grande  città  bella  di  templi, 
di  anfiteatro,  di  portici.  Nel  fiume  sono  apparecchiate 
le  navi  pel  trasporto  di  soldati,  di  cavalli,  di  armi,  di 
tende  e  bagagli.  La  bireme  imperiale  è  adorna  alla  prua 
con  pitture  di  Amori  a  cavallo  a  Tritoni  armati  di  remi. 
Traiano  vestito  di  tunica  corta  e  di  manto  è  uscito  dal 
suo  palazzo  e  imbarcato:  e,  com'è  suo  costume,  dà  mano 
a  remare  («).  La  llottigUa  solca  le  onde  del  fiume  e  mette 
sull'altra  riva  le  truppe  che  tosto  corrono  nel  paese  ne- 
mico. Traiano  a  cavallo  è  alla  testa  dei  suoi  armato  di 
lancia  e  di  spada.  Giunge  l'annunzio  dell'appressar  del 
nemico  forte  dell'aiuto  di  uomini  e  cavalli  tutti  coperti 
di  corazze  di  ferro  (catafraciaril).  La  cavalleria  ronKina 

C^)  Si  quando  plaucit  idem  corporis  rohur  in  maria  jivoferre,  non 
ille  fluitanlia.  vela,  aiit  ocitlis  sequi ,_,  aut  manibus :  sed  nunc  guber- 
naculis  assidei,  nunc  cum  valentissitno  quoque  sodaliwn  certat  froi- 
(jere  fluctus,  domitare  venios  reluctanies,  remisqiie  transire  obstaniia 
freta.  Plinio,  Paneg.,  8L 


Gap.  IV.]  LE  GUERRE  DACICHE  NELLA  COLONNA  TRALA.NA.        501 

assale  vigorosamente  questi  tremendi  guerrieri,  gli  rompe 
e  gli  fuga.  Una  schiera  di  Daci  che  fa  prova  di  arrestare 
i  vincitori  al  passo  dei  monti  è  fortemente  battuta  e  fu- 
gata, e  un  loro  capo  uccide  se  stesso  per  non  andar  vivo 
in  mano  ai  nemici.  Sulla  collina  piena  di  cadaveri  si 
vede  una  fila  di  carri  pieni  d'insegne  militari,  di  armi 
e  di  oo;ni  sorte  di  vasi.  A  una  delle  rote  sta  attaccato  il 


Cavalieri  e  cavalli  coperti  di  corazze  di  ferro  {Bartoli^  tav.  27,  e  Froehner^  (!-'). 

cadavere  nudo  e  mutilato  di  un  prigioniero  romano;  le 
legioni  continuano  la  marcia  dietro  ai  gloriosi  vessilli, 
e  ai  suonatori  di  corno.  11  nemico  che  tiene  le  alture  è 
assalito  da  fanti  e  cavalli,  e  lascia  il  campo  di  battaglia 
pieno  di  morti  e  morenti. 

Finita  questa  battaglia,  Traiano  circondato  dai  rappre- 
sentanti delle  truppe  che  ebbero  parte  alla  vittoria  gli 
ringrazia  di  loro  bravura:  e  poscia  distribuisce  i  donativi 


rm       LE  <tUERRE  DACICHE  nella  colonna  TRALVNA.  [LiB.  VII. 

ai  più  prodi.  Egli  è  assiso  in  alto  sulla  sedia  castrense, 
ove  uno  dei  premiati  gli  bacia  rispettosamente  la  mano. 
Due  discesi  dalla  tribuna  si  abbracciano  commossi  di 
gioia  pel  donativo  ottenuto.  Un  altro  si  allontana  portando 
in  un  sacchetto  il  suo  premio.  Gli  spettatori  sembrano 
mandar  grida  di  giubilo.  In  seguito  si  vedono  le  donne 
dei  Daci  che  menano  orribile  strazio  dei  prigionieri  ro- 
mani, e  la  guerra  continua  collo  stesso  spettacolo  di  fo- 


Distribiizione  'lei  donativi  ai  soldati  più  prodi  [Bartoli,  tav. 


reste  abbattute  per  costruire  campi  fortificati,  di  grandi 
movimenti  di  schiere  e  di  macchine,  di  assalti,  di  scara- 
mucce e  battaglie,  di  città  e  villaggi  e  casolari  incendiati;, 
di  stragi,  di  prigionie,  di  allocuzioni  alle  truppe,  di  amba- 
sciate, di  sacrifizi,  fmchò  Decebalo  cede  alla  necessità 
delle  cose,  e  la  prima  guerra  si  conclude,  conforme  alla 


€ap.  IV.I  LE  GUERRE  DACICHE  NELLA  COLONNA  TRAL\NA. 


593 


storia,  col  trionfo  delle  armi  romane:  e  la  Vittoria  tra 
due  trofei  scrive  sullo  scudo  il  nome  del  popolo  vinto. 
Nei  bassirilievi  la  seconda  guerra  comincia  coli' arrivo 
delle  legioni  a  una  città  posta  sulle  rive  del  mare,  la 
quale  dà  grande  spettacolo  coi  suoi  edificii  splendidi 
di  colonne  e  di  statue,  e  col  porto  pieno  di  navi.  La 
bireme  imperiale  distinta  pei  suoi  ornamenti  dalle  altre 
ha  un  fanale  sospeso  alla  sommità  della  poppa.  Traiano 


Vittoria  lacica  (BartoU,  lav. 


iu7j. 


sbarca  di  notte  accolto  festevolmente  dai  cittadini  con 
fiaccole,  e  fa  la  sua  entrata  solenne  nel  Fóro  e  offre  sa- 
crifizi agli  Dei.  Sulle  are  inghirlandate  ardono  frutti  ed 
incensi;  i  vittimarli  scannano  i  tori;  suonano  i  flauti: 
uomini  e  fanciulli  incoronati  di  foglie,  levando  le  mani 
al  cielo  accompagnano  la  cerimonia  con  loro  preghiere. 
Finite  le  offerte  e  le  preci  si  dà  mano  alle  armi  e  ri- 
comincia la  marcia.  L'imperatore  muove  a  piedi  in  mezzo 
ai  soldati,  e  in  breve  siamo  di  nuovo  nell'interno  delle 


594       LE  GUERRE  DACICHE  NELLA  COLONNA  TRAL\NA.  [Lib.  VII. 

terre  dei  Daci  alcuni  dei  quali  si  presentano  tosto  coi  loro 
figliuoli  a  chieder  mercè. 

In  questa  come  nell'altra  guerra  la  scultura  ritrae  il 
continuo  alternarsi  di  costruzioni  di  alloggiamenti  e  di 
ponti,  di  passaggi  di  fiumi,  di  assalti,  di  correrie  per  fo- 
reste. Qui   vedesi  un  campo  dei  barbari    costrutto  e  af- 


Daci  supplicanti  (Bartoìi^  tav.  07,  e  Froch;ìcì\.  119-120). 

forzato  secondo  le  regole  dell'arte  romana.  Più  oltre  i 
Romani  sono  improvvisamente  assaliti  in  due  campi  posti 
l'uno  in  vicinanza  dell'altro.  A  un  tratto  i  ripari  si  em- 
piono d'armati  che  respingono  fortemente  l'assalto.  Nel 
più  forte  della  mischia  giunge  di  fuori  un  rinforzo,  alla 
vista  del  quale  i  Daci  caduti  di  animo  si  danno  alla  fuga 
lasciando  sul  terreno  loro  morti  e  feriti. 

Poi  vedesi  il  magnifico  ponte  di  cui  demmo  altrove 
l'imagine,  e  il  sacrifizio  fatto  per  l'inaugurazione  di  esso 
a  lato  di  un  campo  di  forma  emisferica.  Vi  assiste  una  le- 
gione per  mezzo  di  un  tribuno  e  dei  suoi  vessillarii.  L'ara 


Cai».  IV. 


Assalto  dei  Daci  a  im  campo  romano  [BartoV.^  tav.  71,  ■■  FroehneVj  155). 


Sacrifizio  per  l'inaugurazione  del  ponte  del  Danubio  {Br,-io]'_,  tav.  71.  e  FroehncVj  12i')» 


r,9G       LE  GUERRE  DACICHK  NELLA  COLONNA  TRAIANA.  [Lib.  VIL 

è  al  solito  inghirlandata  e  coperta  di  frutti.  Il  vittimarlo 
aspetta  il  segnale  per  immolare  il  toro  a  ciò  preparato. 
Più  oltre,  dopo  l'incontro  di  una  deputazione  di  Sarmati 
0  Geti,  e  il  passaggio  di  un  ponte  ornato  di  trofei,  Tra- 
iano in  veste  sacerdotale  nel  recinto  del  campo  al  suono 
di  tibie  e  di  trombe  offre  libazioni  agli  Dei  e  sacrifica 
un  verrà,  una  pecora  e  un  toro  {suovetanriUa):  e  com- 
piuto il  rito  dice  ai  soldati  che  le  viscere  delle  vittime 
promettono  sicura  vittoria.  Quindi  essi  muovono  lieti 
cogU    elmi   incoronati   di   lauro:  e  disertato   il  paese  e 


}:/:^^<i^^jk 


Assalto  a  Sarniizcgetusa  (BartoHj.  tav.  Sti,  e  Froel^ner:,  14r>-HCi). 


vinto  ogni  ostacolo  giungono  alle  ultime  prove   davanti 
alla  forte  capitale  nemica. 

Legionarii,  fanti  leggeri.  Germani,  frombolieri  e  arcieri 
le  stanno  d'attorno  e  corrono  intrepidamente  all'assalto 
sotto  una  tempesta  di  pietre  e  di  strali  pioventi  dall'alto. 
Gli  assalitori  rispondono  con  ogni  sorta  di  strali,  e  co- 
perti dei  loro  scudi  avvicinano  le  scale  alle  mura,  l'no 


Cap,  IV.]  LE  (GUERRE  DACìCHE  NELLA  COLONNA  TR.UANA.        597 

di  essi  salito  in  alto  ha  tagliata  la  testa  al  nemico  ve- 
nutogli contro,  e  si  ritrae  col  sanguinoso  trofeo. 

Da  un'altra  parte  si  tenta  di  aprire  la  breccia:  le  grosse 
pietre  gettate  dall'alto  vietano  di  compiere  l'opera,  e 
l'assalto  è  vittoriosamenie  respinto.  Occorre  tentare  altra 
via:  e  i  Romani  atterrano  gli  alberi  della  vicina  foresta, 
e  danno  opera  ad  elevare  un  grande  aggere  per  battere 
più  efficacemente  le  mura. 

Intanto  un  ambasciatore  del  re  viene  a  chieder  la  pace. 
Traiano  lo  accoglie  solennemente  in  mezzo  ai  suoi  uffi- 
ciali e  soldati.  Ma,  a  quanto  pare,  le  trattative  falliscono. 
Quindi  Decebalo  ordina  ai  suoi  di  incendiar  la  città  e  di 
ritrarsi.  Fortezze,  torri  e  palazzi  si  vedono  in  preda  alle 
fiamme. 

Dopo  questo  disperato  partito  i  più  coraggiosi  dei  sa- 
cerdoti e  dei  principi  daci  risolvono  di  non  sopravvivere 
al  morir  della  patria,  e  raccoltisi  intorno  a  un  grande 
vaso  di  veleno  bevono  disperatamente  la  morte  a  mal- 
grado dei  piantile  degli  sforzi  dei  loro  compagni  che  li 
supplicano  di  serbarsi  a  migliore  avvenire.  Un  pileato 
empie  il  bicchiere  al  vaso  mortifero,  e  un  altro  lo  ac- 
costa alle  labbra.  Alcuni  stesi  per  terra  sono  in  orribile 
angoscia:  più  lungi  altri  sono  portati  via  moribondi. 

1  più  valenti  difensori  della  capitale  distrutta  non  di- 
sperati ancora  della  patria  si  riparano  precipitosamente 
nelle  foreste  per  tentare  di  nuovo  la  fortuna  delle  armi: 
e  si  vedono  poscia  raccolti  in  vasto  campo  protetto  da 
un  fiume  e  da  baluardi  di  pietre  e  di  tronchi  di  alberi, 
d'onde  muovono  all'assalto  di  un  alloggiamento  romano. 
Inutili  prove.  Decebalo,  tentato  invano  di  placare  con 
nuova  ambasciata  il  nemico,  si  uccide.  Alcuni  dei  capi 
ne  seguon  l'esempio,  mentre  altri  si  apparecchiano  a 
comprare  la  vita  con  ricchi  doni.  Da  ogni  parte  piena 
vittoria  con  grandissima  predadi  ricchezze,  d'uomini  e 
d'armi.  Sono  scoperti  e  presi  i  vasellami  d'oro  e  d'argento 

Va>ìnjcci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  75 


598       LE  GUERRE  IiACICHE  NELLA  COLONNA  TRALWA.  [Lib.  VIL 


e  gli  altri  regii  tesori  nascosti  nel  fiume.  I  soldati  gridano 
imperatore  Traiano,  che  li  ringrazia  di  loro  prodezze. 

I  pochi  Daci  non  sottomessi  combattono  fino  agli 
estremi  contro  la  cavalleria  che  gì' insegue.  Le  fiamme 
di  una  città  incendiata  dai  vincitori  illuminano  la  trista 
scena  della  morte  di  un  popolo. 

L'ultimo  quadro  figura  quelli  che  dopo  fatto  ogni  sforzo 
per  salvare  la  patria  non  hanno  cuore  di  vederne  la  schia- 
vitù, e  cercano  rifugio  sulla  terra  straniera.  Uomini  e  donne 
emigrano  con  armenti  e  con  ogni  aver  loro,  portando  in 


Emigrazione  dei  Daci  (BartoVi^  ti 


Froehner,  18 1). 


collo  i  piccoli  figli:  e  due  di  quei  miseri  si  volgono  me- 
stamente indietro  a  dare  l'ultimo  sguardo  al  paese]nativo. 
La  grande  Colonna  sorse  nel  Fòro  che  Traiano  edificò 
e  chiamò  col  suo  nome,  superando  di  grandezza  e  splen- 
dore tutte  le  opere  simili  fatte  finqui,  con  moli  gigan- 
tesche e  singolari  tra  tutte  le  opere  umane,  così  che 
Ammiano  Marcelhno  in  appresso  alTermò  non  .potere 
esser  descritte  a  parole,  nò  rinnuovate  dai  mortali  ("). 

(^)  Sinr/ularem  sub  ornni  rodo  sirucinrarn,  ut  opinamnr,  etiam  'im- 
minum  adsensione  mirahilem  ....  (lif/antcos  contextiis  ....  ncc  re- 
latu  cffubiles,  nec  rursus  mortalibi'.s  adpetendos.  Amm.  Marcellino,  XVI. 
10,  \7).  Lo  storico  parla  del  Fòro  Traiano  ranno  XiO,  quando  venne  a 
Roma  l'imperatore  Costanzo. 


Gap.  IV. 


11.  FORO  TRAIANO. 


590 


Come  lavoro  preparatorio  fu  scavata  la  parte  montuosa 
che  nel  luogo  a  ciò  designato  sorgeva  tra  il  Capitolino 
e  il  Quirinale  congiungendo  i  due  colli,  e  si  ridusse  pia- 
neggiante coll'abbassare  l'altura  di  centoventotto  piedi, 
corrispondenti  all'altezza  della  Colonna,  come  attesta 
l'epigrafe  posta  nella  base  di  essa  {"■).  Di  queste  magni- 


Ruderi  «lei  Fóro  Traiiino  {Da  Fotografia). 

iìcenze  parlano  anche  le  rovine,  quantunque  non  si  veda 
che  una  piccola  parte  del  luogo  occupato  dal  Fòro  e  dalle 


(")  L' epigrafe  couservata  intera  dairAiionimo  di  Einsiedeln  .lice  che  il 
Senato  o  il  Popolo  romano  posero  la  colonna  airimperatore  Ti-aiano  nel- 
l'anno della  sua  deciniasettima  pot-^stà  ti-ibunizia  (113  dellV-ra  volgare) 
ad  declarandum  rjuantae  aliiiudinli  mons  et  lociis  tant  (is  ope)  ribiii: 
sit  egestas. 


600 


IL  FORO  TRAIAXf)  E  I  SUOI  MONUMENTI. 


LiB.  VII. 


sue  grandi  fabbriche  («).  Ivi  sfoggio  non  mai  veduto  dei 
marmi  più  preziosi  del  mondo  nelle  colonne,  nei  portici, 
nei  pavimenti,  nei  fregi,  nei  trofei,  nelle  statue.  L'entrata 
era  per  un  arco  trionfale  adorno  di  bassirilievi  e  di  statue 
con  quadriga  e  trofei  alludenti  alle  vittorie  del  principe 
di  cui  giganteggiava  la  statua  equestre  in  mezzo  all'area 
quadrata.  Rimangono  alcuni  ruderi  della  basilica  già"  va- 
stissima e  splendida  di  soffitta  di  bronzo,  di  ricche  co- 
lonne, di  squisitissimi  fregi,  di  quadrighe  trionfali,  e  di 
insegne,  con  epigrafi  ricordanti  Traiano  benemerito  della 
Repubblica  in  guerra  e  in  pace,  e  le  legioni  che  combat- 
terono in  Dacia  (''):  e  in  appresso  vi  si  aggiunsero  statue 
a  gueiTÌeri,  a  magistrati,  a  scrittori.  Un  tempio  del  quale, 
come  della  "rande  basilica  e  dell'arco  d'ingresso,  le  me- 


l'òro,  Dasilica  e  tciiii'io  di   Iraiano  {Car,rna^  £dif.j  II,  tav.  IKi  e  120). 

daghe  ci  serbarono  Timaginc  esterna,  fu  poscia  ivi  con- 
sacrato a  Traiano.  E  ad  esso  vicino  stette  una  biblioteca 
in  due  sale,  una  per  gli  atti  pubblici,  pei  senaticonsulti, 
e  pei  libri  lintei  relativi  ai  fatti  de'  principi,  e  l'altra  per 
le  opere  letterarie  e  scientifiche,  destinata  più  tardi  anche 


(")  Il  NibLy  (Rom.  ant.,  II,  221)  notò  clic  de'  330  mila  piedi  quadrati 
«leHri  superfice  antica  ora  non  ne  voiipiamo  clic  TC»  mila  <>  800,  cioè  circa 
la  sesta  parte. 

(^)  Fra  i  nomi  delli'  U'i:ioni  ivi  scritti  rimant:ono  quelli  della  XI  Clau- 
dia, della  XV  Aiiollinnre.  e  della  NX. 


Gap.  IV.]  VITTORIA  DI  C.  PALMA  SUGLI  ARABI.  601 

a  USO  di  letture  accademiche.  Una  epigrafe  diceva  che 
tutte  queste  grandi  opere  furono  fatte  colla  vendita  delle 
spoglie  dei  vinti  ("). 

Anche  d'Oriente  venivano  spoghe  di  guerra,  perchè 
mentre  Traiano  era  occupato  alla  sottomissione  dei  Daci 
il  suo  legato  Aulo  Cornelio  Palma,  governatore  di  Siria, 
aggiunse  nuovi  paesi  al  grande  proconsolato  dell'Asia 
(105)  vincendo  gli  Arabi  nomadi  infesti  alla  Palestina  sui 
mal  fìssati  confini  da  Damasco  al  Mar  Rosso:  e  presi  i 
luoghi  che  servivano  di  riparo  ai  ladroni  afforzò  Gerasa 
(Djeràsrit),  Bostra  (Bosra),  Filadelfia  {Rahhath-Ammon)  e 
Petra,  reggia  dei  Nabatei  *,  le  quali  d'ora  in  poi  sotto  la 
disciplina  romana  divennero  città  popolose  e  floride  d'im- 
portanti commerci,  massime  Petra  e  Gerasa,  di  cui  pa- 
recchie rovine  ricordano  ancora  la  prospera  e  splendida 
vita  f  ). 

(^)  Eo'  manubiis.  Gellio.  XIÌI,  24.  Per  le  altre  particolarità  conosciute 
del  Fòro  Traiano  e  delle  sue  fabbriche  vedi  Aram.  Marcellino,  XVI,  10, 
15;  Pausania,  V,  12,  6;  Dione,  LXVIII,  10,  LXIX,  4;  Sparziano,  Adrian.. 
19;  Vopisco,  Anrelian.,  1  e  8,  Tacit.,  8,  e  Prob.,  3;  Gellio,  XI,  17;  Si- 
donio  Apollinare,  IX,  IO:  \ìo\a,  Memorie  storico-critiche  del  Fi'>ro  Tra- 
iano, in  Giorn.  Arcad. ,  1821-1822,  voi.  XII,  p.  207-230,  XIII,  260-273, 
XV,  201-215.  370-384,  XVI.  76-88;  mhhx,  Ro,.ia  ant.,,  II,  183-221;  Ca- 
nina, Edifizi,  I,  279-288,  II,  tav.  111-125,  e  Indicazione  topografica  di 
Roma  antica,  pag.  279-288;  Fea,  Miscellanea,  voi.  II.  pag.  9-11,  e  No- 
tizie degli  scavi  nel  Fóro  Traiano,  Roma  1813,  p.  13-26.  Deu'li  scavi 
più  recenti  è  dato  ragguaglio  nel  Bull.  Isiit.  arch.,  1844.  pag.  131,  177- 
179,  1852,  pag.  183  e  segg.,  e  AnnaL,  1849.  pag.  .349,  1852,  pag.  131-135. 

(*)  A  Petra  tra  le  altre  cose  rimangono  grandi  ruderi  di  due  archi 
trionfali,  di  un  anfiteatro,  di  un  tempio,  e  di  molte  magnifiche  tombe  con 
iscrizioni  greche  e  latine.  Vedi  Leon  De  Laborde  et  Linant,  Voj/agc  de 
l'Arabie  Petrée ,  Paris  1830,  pag.  42-68,  pi.  33-60:  Noel  des  Vergers, 
L'Arabie,  Paris  1847,  pag.  3  e  34,  pi.  11  e  12:  Hittorf,  Petra  et  Pompei, 
in  Revuc  archcologique,   1862,  voi.  5,  \A.  X,  e  voi.  6.  pag.  1-18. 

Per  Gerasa  vedi  Taylor,  La  Sgrie,  VEggpte,  la  Palestine  et  la  Judée, 
Paris  1839,  voi.  I,  pag.  291. 

1  Dione,  LXVIII,  11;  Ammiano  Marcollino,  XIV,  S,  13;  Merivale,  Vili,  47-48. 


002  GOVERNO  E  GIUSTIZIA.  [Lib.  VII. 

Cessate  le  fatiche  dei  campi,  Traiano  torna  assiduo 
alle  cure  civili  del  governo,  delle  leggi,  della  giustizia,  e 
delle  opere  pubbliche  a  Roma,  in  Italia  e  nelle  province, 
con  una  perseveranza  instancabile,  ammirata  non  meno 
del  valore  di  cui  die  prova  alla  guerra.  Egli  discute  coi 
suoi  colleghi  in  senato  i  provvedimenti  utili  al  buon  go- 
verno del  mondo:  coi  giudici  più  valenti  ascolta  gli  ap- 
pelU  dei  tribunaU  più  alti  di  tutto  l'Impero,  e  le  sue 
sentenze  divengono  leggi,  come  i  suoi  editti,  e  rescritti 
e  risposte  ai  governatori  e  magistrati  delle  province  •. 
Giornalmente  siede  in  tribunale  nel  Portico  di  Livia,  nel 
Fóro  di  Augusto  e  altrove  2.  Plinio  che  lo  aveva  veduto 
per  tre  giorni  in  senato  intento  ai  lunghi  dibattimenti 
per  l'accusa  di  un  proconsole  ladro  dell'AfTrica,  pieno  di 
ammirazione  lo  ritrovò  giudicante  in  prima  istanza  cause 
di  tradimento,  di  eredità,  e  d'adulterio  anche  nell'ameno 
ritiro  di  Centocelle  (Civliai'rccìda),  ove  si  mostravano 
meglio,  egli  dice,  la  giustizia,  la  gravità,  e  la  piacevolezza 
del  principe  ^. 

Vietò  di  condannare  gli  assenti,  e  gli  imputati  per  soli 
sospetti,  e  statui  esser  meglio  Vimpnnità  di  un  reo  che  la 
condanna  di  un  innocente  (").  La  Giustizia  che  nelle  me- 
daglie di  Traiano  sta  assisa  e  impugna  lo  scettro  ^  nel 
regno  di  lui  presedè  quasi  sempre  al  governo  degli  uomi- 
ni, e  pel  grande  amore  eh'  ei  le  portava  fu  sovranamente 
ammirato  e  amato  dai  contemporanei  e  dai  posteri. 

Rispetto  all'edificare,  vinse  tutti  gl'imperatori  nel  nu- 
mero e  nella  grandezza  delle  opere,  e  perciò  fu  chiamato 
architetto  del  mondo  (*).  Xè  sembra  che  le  sue  magnifi- 
ca) Satius  esse  lelinqui  facìnus  nocentis,  nuani  innocentem  daranare. 
1  Ipiano,  Biyest.,  LXVIIK  19.  5. 

(^)  Orhem  terr<u'u,H  ncdiftcans.  Eutropio,  Vili.  2. 

1  Sullo  leggi  di  Traiano  vedi  Franckc,  Orxch.   Trajans^  pag.  366-Ó19. 

2  Dione,  I.XVIII,  10. 

3  Plinio,  Epist..  Il,  11.  e  VI,  31. 

y  Cohen,  Mona,  frapp.  ^ous  l'enip.  rom..  II,  Trajaa^  n.  2>I. 


Cap.  IV.l    EDIFIZI  ERETTI  0  RESTAURATI  DA  TRAIANO. 


003 


cenze  portassero  ai  sudditi  straordinarie  gravezze.  Se 
altri  avevano  gettato  in  follie  il  sangue  dei  cittadini  pro- 
scritti, egli  usò  le  sue  economie  e  le  prede  e  i  tributi 
sui  nemici  vinti  colle  armi  in  opere  che  per  lo  più  tor- 
navano a  utile  pubblico.  A  Roma,  come  nelle  province, 
riparò  ai  guasti  delle  inondazioni,  degli  incendii  e  dei 
terremoti,  e  a  rendere  meno  facili  le  rovine  limitò  a  60 
piedi  l'altezza  delle  case  private  *.  Pose  ogni  cura  a  con- 
servare le  fabbriche  antiche,  edificò  per  gli  Dei,  pel  Se- 
nato, pei  cittadini,  non  per  sé  stesso  2,  e  messe  all'al- 
tezza delle  nuove  fortune  la  grande  città  di  cui  dopo  il 
conquisto  della  Dacia  potè  allargare  il  pomerio  ^.  Inalzò 
un  tempio  a  Nerva  nel  Fóro  Palladio,  pose  statue  e  mo- 
numenti a  Sura,  a  Palma,  e  ad  altri  cittadini,  benemeriti 
per  grandi  servigli  resi  allo  Stato  '*.  Dette  al  popolo  nuove 


Tc-rmo  di  Traiano  (Co.in,^.a^  E<iif.,  IV,  ii. 


Terme  sulle  Esquilie  (presso  la  chiesa  di  S.  Martino)  in 
vicinanza  di  quelle  di  Tito  ^  Prolungò  la  serie  degli  edi- 

1  Aurelio  Vittore,  Epit.,  13  ;  Orosio,  VII,  1-'. 
*  Plinio,  Paneg.,  50  e  51  ;  Dione,  LXVIII,  7. 

3  Vopisco,  Aìireliano^  21. 

4  Plinio,  Paneg..  11;  Dione  LXVIU,  15  e  16:  Nibby,  Roma  artf.j  II,  5i>?.  e  231. 

ti  Pavisania,  V,  12,  (i;  Nibby,  ìoc.  ci(.,  pag.  811,  Canina,  Edifzi,  voi.  IV,  tav.  206. 


604    CIRCO  M.A.SSmO.  CONDOTTO  DELL'AOgUA  TRAIAXA.  [Lib.  VII. 


fìzi  6  dei  portici  che  adornavano  il  Campo  Marzio  *,  e  vi 
fece  un  teatro  notevole  per  la  sua  forma  rotonda,  di- 
strutto poi  da  Adriano  2.  E  Dione  ricorda  anche  l'odeo  e 
il  ginnasio  edificati  per  ordine  suo  da  Apollodoro,  famoso 
architetto  del  ponte  sul  Danubio  e  del  Fóro  Traiano  3. 

Il  Circo  alassimo,  guasto  dal  fuoco,  fu  restaurato  e  con 
nuovi  ornamenti  fatto  emulo  alla  bellezza  dei  templi,  e 
ingrandito  in  modo  che  bastasse  ai  bisogni  della  grande 
città,  e  fosse  degna  sede  del  popolo  vincitore  del  mondo. 
Degno  di  principe  cittadino  fu  ivi  il  cambiamento  fatto 
nel  palco  imperiale,  che  "finqui  disposto  in  modo  da  dare 
facoltà  all'imperatore  di  non  esser  veduto  dal  pubblico, 
quando  cosi  gli  piacesse,  ora  fa  reso  aperto,  e  quindi 
l'imperatore  agli  spettacoli  stava  come  in  mezzo  al  po- 
polo, vedendo  tutti  e  veduto  da  tutti  (").  E  finalmente 
tra  le  grandi  e  più  utili  opere  fatte  a  benefizio  di  Roma 
fu  V Acqua  Traiana  condotta  (863)  parte  sopra  archi, 
parte  sotterra  dal  lago  Sabatino  {Lago  di  Bracciano)  al 
Gianicolo,  come  attesta  l'epigrafe  ritrovata  nel  1830  a 
dieci  miglia  da  Roma.  Fu  il  decimo  acquidotto  che  portò 
un  nuovo  fiume  in  città,  il  quale  lungamente  servì  a  muo- 
ver macine  e  a  tutti  gli  usi  comuni,  e  dopo  la  interru- 
zione cagionata  dalle  ingiurie  dei  secoli  fu  nei  tempi 
moderni  (1612)  restaurato  da  Paolo  V  Borghese,  e  col 
nome  di  Acqua  Paola  anche  oggi  abbevera  largamente 
il  Trastevere  (^). 

(«)  Plinio,  Paneg.,  51;  Dione,  LXVIII,  7;  (ìnitero,  240,  8;  Giovena!., 
Sai.,  XI,  195;  Canina,  Edif.,  Ili,  pag.  42-43,  IV,  tav.  185,  n.  1.  Vedi  la 
medaglia  incisa  sopra,  voi.  1,  pag.  601. 

(^)  Vedi  Fea,  m  Bullett.  Istit..  1830,  pag.  220,  e  Relazione  della  sco- 
perta di  una  interessantissima  iscrizione  del  condotto  dell'  Acqua 
Traiana,  Roma.  1831.  L'epigrafe  trovata  lungo  il  condotto  dice  che  l'im- 
]ieratore  nella  XIII  potestà  tribunizia  Aijuam  Trajanam  pecunia  sua  in 
urbem  perduxit  emptis  locis  per  latitudinem  pedum  XXX. 

i  P.  Vittore,  De  rerjionibus  urbis;  Francke,  p.  601. 

2  Pausaaia,  V,  12,  0;  Sparziano,  Adriano^  9. 

3  Dioen  Cassio,  LXIX,  I. 


Gap.  IV.J 


I  Pr>RTI  D'ANCONA  E  DI  CIVITAVECCHIA. 


605 


Grandi  e  importantissimi  i  suoi  lavori  nei  porti  e  nelle 
strade  d'Italia.  Il  bell'arco  marmoreo  e  l'iscrizione  di 
Ancona  dicono  che  ivi  colla  sua  pecunia  rese  ai  navi- 
ganti più  facile  e  più  sicuro  l'accesso  d' Italia  ("). 

Dopo  tanto  imperversare  delle  tempeste  e  degli  uomini 


Are  Olia  {I\oss 


Archì^  tav.  41 


rimane  anche  oggi  a  Civitavecchia  il  molo  da  lui  pian- 
tato contro  la  furia  delle  onde,  e  si  ritrovarono  i  rottami 
delle  colonne  e  dei  marmi  attestanti  la  magnificenza  del- 
l'opera messa,  a  quanto  sembra,  sotto  la  protezione  di 
un  colossale  Nettuno,  di  cui  si  rinvenne  un  braccio  e  il 
tridente  '.   Plinio  vide  il  grande  lavorio   delle   pietre   e 

(«)  ProrAdentissirno  Principi  Senatus  P.  Q.  R.  quod  accesswn  Ifaliae 
hoc  etiam  addito  ex  pecunia  sua  portu  tutiorem  nai-igantibus  reddidit. 
(Jnitero,  247,  6. 


1  P.  Manzi,  Stalo  antico  e  cttuale  del  porto  e  provincia  di  Civitavecchia,  Prato  1S37, 
pag.  6-'J  ;  Annovazzi,  Storia  di  Civitavecchia^  Roma  1833,  pag.  86  e  segg. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  76 


PORTO  DI  OSTIA.  "  Lib.  V 


delle  pile  trasportate  per  inalzare  l'isola  e  le  due  braccia 
del  porto,  e  fornire  tranquilla  stazione  alle  navi  *. 

A  Ostia  dove  non  era  luogo  bastante  ad  accogliere 
tutte  le  navi  cariche  dei  grani  necessari  alla  cresciuta 
popolazione  di  Roma,  restaurò  il  vecchio  porto  di  Claudio, 
lo  rese  più  sicuro,  e  lo  ingrandì  scavando  dentro  alla 
terra  il  Porto  Traiano  circondato  di  magnifiche  fabbriche 


l'orto  Traiano  a  Ostia  (Donaldso»). 

per  uso  di  magazzini,  del  quale  rimane  fimagine  e  il 
nome  in  una  medaglia:  e  con  nuovo  canale  {Fossa  Tra- 
lana) aprì  un'altra  via  al  Tevere  in  mare("). 

{^)  Vedi  lo  Scoliaste  di  Giovenale,  Xll,  75  e  segg.;  Plinio,  Ej.nst.,  \  111. 
17;  Fea,  Alcune  osservazioni  sopra  gli  antichi  porti  di  Ostia  ora  di 
FlwnicinOj  Roma  1824,  e  La  Fossa  Troiana  confermata,  Rnnia  1824; 

l  Plinio,  Epiit.^  VI,  31. 


Cap.  IV.]       VIE  RESTAURATE  E  COSTRUITE  DI  NUOVO.  607 

Galeno  scrisse  che  a  questi  tempi  tutte  le  strade  d'I- 
talia erano  fangose,  o  ingombre  di  sassi  e  di  sterpi,  o 
molestamente  ardue,  troppo  lunghe,  e  impraticabili  per 
mancanza  di  ponti;  e  aggiunse  che  Traiano  le  ripulì,  le 
selciò  e  appianò  e  abbreviò,  corresse  le  troppo  forti  sa- 
lite, fece  ponti  sui  grandi  fuimi,  e  quelle  poste  in  siti  de- 
serti e  pericolosi  diresse  per  luoghi  abitati  e  sicuri  *. 

Oltre  alle  costruzioni  delle  tre  vie  Traiane,  piccoli 
rami  delle  vie  Clodia  e  Cassia  -,  e  a  quella  nova  Traiana(f)^ 
ricordasi  che  egli  pose  ogni  cura  ad  assicurare  il  pas- 
saggio delle  Paludi  Pontine,  e  selciò  e  in  più  parti  rese 
migliore  la  via  Appia  3,  e  dette  il  suo  nome  a  un  gran 
tronco  di  essa,  il  quale  battuto  anche  prima,  secondo  che 
attesta  Strabene,  fu  più  solidamente  costrutto  e  reso 
rotabile.  L'Appia  da  Benevento  volgeva  ad  Eclano  {Grotte 
presso  Mh'ahella)  e  a  Venosa,  e  discesa  a  Taranto,  di 
là  per  Oria  andava  a  Brundusio,  Il  nuovo  tronco  chia- 
mato Via  Traiaua,  partendo  da  Benevento,  e  costeg- 
giando gl'Irpini  andò  nella  PugUa,  e  lini  a  Brindisi  dopo 
aver  toccato  Equotutico  (Saìif  Eleutcrio),  Acca  {Troia), 
Erdonia  {Ordona),  Canosa,  Piuvo,  Ceglie  di  Bari,  e  Gnazia 


N'ibby,  Della  Via  Portuense  e  dell'antica  città  di  Porto,  Roma  1827, 
pag.  29-33  e  49-50;  Canina,  Edifizi,  V,  pag.  202,  e  VI,  tav.  184. 

Della  medaglia  riferita  a  questa  grande  opera  diamo  (fecondo  l'ingraii- 
dÌ!iiento  del  Donaldson,  Archit.  Numism.,  pag.  332,  n.  90)  il  rovescio  iu 
cui  vedesi  il  porto  di  forma  esagona  circondato  da  edificii,  con  più  navi 
e  coir  epigrafe  i-ortim  traiani  s.  <•.  [senatus  consulta). 

(«)  Orelli,  n.  822.  L' epigro  fé  150  dell' Ordii  stesso  ohe  ricorda  la  vi», 
Traiana  pei  Salentini  e  pei  Bruzii  è  oggi  dichiarata  spuria,  come  pur^i 
si  tiene  indubitatamente  per  falsa  la  143  che  parla  della  via  Traiana 
Frentana.  Vedi  Henzen,  Inscript.,  in  Orelli,  voi.  IH,  pag.  7,  e  ^lommseu, 
Sullo,  topografia  deijli  Irpinij  in  Bnllett.  Istit.  ardi..  1848,  pag.  10.  Conf 
Corcia,  Storia  delle  due  Sicilie,  I,  210. 

1  Galeno,  Method.  raedendi,  lib.  IX,  cap.  S. 

'-  Grutero,  113,   1;  Orelli,  3300;  Mommsen,  Sulla  topogra/ki  d'-gli  Irpòù^  pag.  IO. 

3  D'oae  C.-\ssio,  LXVIII,  15;  Fabretti,  De  Colum>ì:i  Trojaìia.  pag.  l'Ol  ;  Grutero,  1019,  8 


C08 


VIA  TRAIAXA.  NUOVO  TRONCO    DEI.l/APPIA.      [Lib.  VII. 


presso  a  Fasnuo.  Ciò  rilevasi  da  parecchie  colonne  mil- 

pl  1  II  l!ii  I  lillllhipiilf  Pi  ili 


Via  'li'aiana  {Bur/nli  >■  Jìu.-sìn,). 

liarie  ritrovate  nei  luoghi  per  cui  passava  •,  in  una  dello 
(juali  ò  detto  che  Traiano  fece  questa  via  a  sue  spese  {^). 

{"■)  Viam  a  Benevento  Brundusiuni  pecunia  sua  fede.  Garrucci,  Dis~ 
sertazioni  archeologiche,  I,  pag.  87.  —  Qiu'sto  ti-nnco  fece  abbandonar* 
Talti-o  (li  Taranto. 

'  Moininsfin,   Topografìa  degli  Irphii,  pa^'.  6-3 


Gap.  IV.1  ALTRE  OPERE  IN  ITALIA  E  NELLE  PROVINCE.  POSTE.  (309 


Ad  essa  alludono  le  medaglie  e  uno  dei  bassirilievi  del- 
l'arco di  Costantino  ove  la  via  è  figurata  simbolicamente 
da  una  donna  seminuda  che  appoggiata  colla  mano  .si- 
nistra a  una  rota,  stende  la  destra  all'imperatore,  come 
chiedendo  soccorso;  ed  egli  ascolta  la  domanda  con  volto 
benigno  ^ 

Altre  epigrafi  parlano  delle  sostruzioni  fatte  alla  via 
Salaria  nella  valle  del  Velino  per  difenderla  dalle  rovine 
del  monte  ^,  e  di  sue  liberalità  ai  privati  e  al  pubblico  a 
Brindisi  e  a  Mesagne  nel  paese  degli  antichi  Messapi,  di 
benefici  provvedimenti  sulle  rive  del  lago  Fucino,  e  di 
vie  costruite  o  restaurate  in  Campania  3. 

Per  aver  modo  a  mandare  prontamente  i  suoi  ordini 
nelle  regioni  lontane,  e  ricevere  pronte  notizie  di  esse, 
riordinò  il  servizio  postale  :  e,  come  in  Italia,  anche  nelle 
province  fece  sentire  il  suo  provvidente  governo  con 
opere  utili  eseguite  parte  a  spese  dello  Stato,  parte  chia- 
mando i  municipii  a  concorrere  ''. 

L' antica  città  di  Hypsa,  nel  centro  della  Sardegna,  per 
esser  stata  fornita  di  un  Fóro  e  forse  ingrandita,  lasciò 
il  vecchio  nome  e  si  chiamò  Fòro  Traiano,  ricordato  dal 
nome  di  Fordungianus  che  serba  anche  oggi  il  villaggio 
<love  si  trovarono  molte  medaglie  traianee  di  bronzo  e 
d'argento,  e  armi  antiche,  ed  epigrafi  onorarie  e  fu- 
neree ("). 

Fu  detto  delle  sue  opere  sul  Danubio  e  sul  Reno.  Ora 

("')  Ivi  rimangono  in  massi  ciclopici  i  ruderi  delle  Terme  {Aquae  Hyp- 
■sitanae)  anteriori  alle  opere  dell'arte  romana:  e  il  ponte  lungo  120  metri 
a  otto  archi,  del  quale  le  sole  fondamenta  sono  antiche.  Vedi  Spano,  Bui- 
lettino  Archeologico  Sardo,  1860,  pag.  161-170. 

1  Eckel,  VI,  421-422;  Cohen,  Jlfonn.  frapp.  sous  l'emp.^  voi.  II,  Trojan,  n.  289;  Bar- 
toli,  Admiranda,  tab.  21  ;  Rossini,  Archi,  tav.  71. 

2  Urlichs,  Iscrizioni  di  Antrodoco,  in  Annal.  Istit.  arch.,  183S,  pag.  306;  Mommsen, 
Inscript.  Regni  Neap.,  6201. 

3  Mommsen,  Inscript.  Regni  Neap..  n.  451,  501.  5619,  6251,  6207,  0268. 
*  Aurelio  Vittore,  De  Caes..  13.  Conf.  Plinio,  Epist. ,  X,  62  e  120. 


(310  IL  PONTE  SUL  TAGO  E  IL  CANALE  DEL  NILO.     [Lib.  VII. 

clebbesi  aggiungere  che  una  via  da  lui  costruita  andava 
dal  Ponto  Eussino  alle  Gallie  *,  e  che  molte  iscrizioni  ne 
ricordano  parecchie  rifatte  per  ordine  suo  nelle  Spagne  (") 
ove  mandò  anche  il  suo  favorito  ingegnere  Lacero  a  co- 
^inaS-859  strulrc  il  gran  ponte  sul  Tago,  intrapreso  a  spese  dei  mu- 
',';,-,.',;,,; '^- nicipii  vicini  della  provincia  di  Lusitania;  opera  egregia 
di  cui  rimangono  magnifici  avanzi  ad  Alcantara  insieme 
all'epigrafe  con  cui  fu  dedicato  all'imperatore  Germanico 
Dacico  nell'anno  della  sua  ottava  potestà  tribunizia  (''). 

Da  ogni  parte  il  nome  dell'instancabile  edificatore  si 
trova  unito  a  grandi  e  belli  edifizi.  In  Egitto  a  causa  di 
nuovi  restauri  si  chiamò  Fiume  Traiano  quello  che  per 
l'avanti  dicevasi  Fiume  Tolomeo  -,  cioè  il  canale  tra  il 
Nilo  e  il  mar  Rosso  che  agevolava  il  commercio  e  spe- 
cialmente il  trasporto  del  granito  e  del  porfido  tratti  in. 


('')  Le  epigrafi  l'icoidauo  k-  .strade  rifatte  e  le  lodi  dei  mimicipii  a 
Traiano.  Vedi  Hiibuor,  Inscriptiones  Hispaniae,  in  Corpus  Inscripi.  latin., 
voL  II,  n.  1028,  1041,  2010.  2054.  2097,  3581,  4660,  4673,  4725.  4781, 
4782,  4708,  4707,  4841.  4800,  4803. 

(*)  Hiibner,  in  Annoi.  Istit.  ardi.,  1863,  pag.  173-194:  Moniim.  inech 
Isiit.,  Vl-VII,  tav.  73-75,  e  Inscript.  Hispaniae,  pag.  91-96,  n.  759-761. 

L'Epigrafe  dà  i  nomi  di  13  municipii  i  quali  stipe  coniata  optis  pontis 
perfecerunt. 

All'ingresso  «lei  ponte  rimangono  i  ruderi  del  tempio  sacro  a  Traiano: 
>•  dodici  versi  latini  celebrano  il  tempio  ^jieno  dc(tli  Dei  Superni  e  di 
Cesare,  le  magnificenze  del  pont^-,  e  l'arte  del  famoso  Architetto: 

Templum  in  rupe   Torji  Superis  et  Caesare  pleniim 
Ars  uhi  materia  ri.irifìir  ipsa  sita. 

Infjente'.n  vasta  pontern  qui  y>iolc  pcrer/lf . 
Sacra  litaturo  fecit  honorc  Laccr. 

Poi)tem  perpetui  rnaiìsì>ru,ri  in  soccida  rrmncli 
Fecit  divina  nohiUs  arte  Lucer. 

'  Aurelio  Vittore,  De  Caeaarih".^^  I^. 
2  Tolomeo,  Geoqr.,  IV,  '). 


Gap.  IV.]     TRAIANO  A.KELFO.  —  RITORNO  ALLA  (rUERRA.         Gli 


grande  abbondanza  dalle  cave  del  monte  Claudiano  {Gehel- 
Fatìré)  in  vicinanza  del  porto  di  Piloterà  («). 

Finalmente  le  epigrafi  parlano  di  Traiano  anche  a  Dello 
ove  coll'opera  del  suo  legato  C.  Avidio  Nigrino  fece  re- 
stituire al  ricco  tempio  la  regione  consacrata  ad  Apolline 
Pizio,  cui  l'avevano  tolta  le  genti  vicine  contro  la  sen- 
tenza degli  Anfizioni  *.  La  quale  ripetizione  continua  del 
nome  dell'odiamo  principe  in  ogni  regione  e  in  ogni  edi- 
fizio  fu  tacciata  di  vanità  dalla  satira,  e  poscia  Costantino 
che  trovava  dappertutto  quel  nome,  forse  mosso  da  in- 
vidia, gli  rimproverò  la  mania  di  volere,  come  la  parie- 
taria,  attaccarsi  a  ogni  muro  ^. 

Dopo  tanti  lavori  pacifici  di  costruzioni,  di  amministra- 
zione pubblica,  di  governo,  di  giustizia  e  di  leggi,  Traiano, 
quantunque  sui  60  anni,  torna  ai  suoi  vecchi  amori,  veste 
armi  e  corazza,  e  si  volge  a  nuove  grandi  conquiste  per 
assicurare  da  un'altra  parte  i  confini  dell'Impero,  e  al- 
largarlo nell'Asia,  ed  emulare  colà  le  gesto  del  grande 
Alessandro. 

Le  imprese  che  in  circa  quattro  anni  (714-717)  ten- 
nero dietro  a  questa  grave  risoluzione  del  vecchio  guer- 
riero, piene  di  rumore  e  vuote  di  durevoli  effetti,  per 
mancanza  di  particolari  ragguagli  giunsero  a  noi  oscure, 
confuse  e  nella  successione  dei  fatti  e  dei  tempi  imbro- 
gliate cosi  che  un  sommo  cronologo  potè  con  sicurezza 
affermare  che  la  durata  della  guerra  2:)artica  è  il  pro- 
blema più  inviluppato  di  tutta  la  cronologia  romana  3. 


(")  In  questa  regione  deserta  rimangono  le  rovine  di  due  città  sorte 
per  opera  della  popolazione  impiegata  alle  cave  e  alla  lavorazione  dei 
marmi.  Delle  cave  parlano  le  epigrafi  ricordanti  gli  ufficiali  preposti  ab 
optimo  Imp.  Traiano  operi  marmorw/n  monti  Claudiano.  Vedi  Letronne. 
Inscriptions  grecques  et  latines  de  l'Egi/pte,  I,  pag.  146,  149  e  sq^^.  , 
e  420  e  segg.,  e  ]\Iomiiisen,  Corpus  Inscript.  latin.,  vo!.  Ili,  n.  24  e  25. 

1  Corpus  Inscript.  latiti.^  voi.  Ili,  pag.  10()-1«9. 

2  Aminiano  Marcellino,  XXVII,  3,  7;  Aurelio  Vittore.  Epit...  Il,  13. 

3  Borghesi,  Decadi  Numismatiche.,  X,  8. 


C12 


fLiB.VIL 


^-     -        4kl 


{Visccntù  AtonuM    Borghesiam^  XIX,  2), 


Gap.  IV.]  SPEDIZIONE  DI  TRAIANO  IN  ORIENTE.  613 

li  motivo  dichiarato  della  spedizione  in  Oriente  fu  la 
vecchia  pretensione  dei  Parti  sopra  l'Armenia.  11  re 
Cosroe,  cupido,  come  i  suoi  antecessori,  di  tenere  ivi 
ferma  la  sua  influenza,  fece  giungere  il  suo  nipote 
Exedare  al  trono  vacante  per  la  morte  di  Tiridate. 
Traiano  all'incontro  dichiarò  che  l'Armenia  dipendeva 
in  tutto  da  lui,  e  mosse  subito  a  far  valere  colle  armi  le 
ragioni  della  sua  padronanza.  Cosroe,  lìero  dapprima, 
quando  vide  imminente  il  pericolo,  per  evitare  la  guerra 
mandò  ambasciatori  e  doni  a  Traiano  giunto  in  Atene, 
gli  offrì  la  sua  amicizia,  lo  assicurò  di  avere  spinto 
Exedare  a  lasciare  il  trono  di  Armenia,  e  gli  chiese  che 
in  luogo  di  lui  ponesse  l'altro  suo  nipote  Partamasiri  alle 
condizioni  con  cui  Nerone  coronò  Tiridate.  Traiano,  ri- 
fiutati i  doni,  rispose  che  l'amicizia  più  che  dalle  parole 
si  doveva  vedere  dai  fatti,  e  che  giunto  in  Siria  farebbe 
ciò  che  reputasse  opportuno  *.  Quindi  continuando  il  suo 
viaggio  per  l'Asia  Minore  e  la  Licia  arrivò  in  Antiochia, 
e  dopo  avere  colà  ristorata  la  disciplina  delle  legioni  am- 
mollite dal  clima  di  Siria,  per  la  valle  dell'Eufrate  si, 
volse  all'Armenia  Maggiore  col  fermo  proposito  di  ridurla 
a  provincia  romana.  Al  suo  appressarsi,  Partamasiri  gU 
scrisse  firmandosi  re:  e  come  non  gli  fu  fatta  risposta, 
riscrisse  omettendo  quel  titolo,  e  chiedendo  che  gli  fosse 
mandato  il  governatore  di  Cappadocia  per  trattare  con 
lui.  Traiano,  occupati  i  passi  dell'Eufrate  a  Samosata  e 
ad  Elegia,  gli  ordinò  di  presentarsi  a  lui  in  persona,  e 
lo  accolse  ai  confini  di  Armenia,  assiso  sul  tribunale  in 
mezzo  al  suo  campo.  Partamasiri  si  avanzò  sicuro  di  sé 
con  piccolo  corteggio  di  Parti  e  di  Armeni,  e  salutato 
l'imperatore  pose  il  regio  diadema  ai  suoi  piedi,  e  in 
silenzio  aspettò  che  gli  fosse  riposto  sul  capo.  Alla  vista 
di  questo  re  scoronato  tutto  l'esercito  levò  un  altissimo 


1  Dione  Cassio,  LXVIII,  17. 

Vannucci  —  Storia  dell' lUi'ia  antica 


614  UCCISIONE  DI  PARTAMASIRI  RE  D'ARMENIA.     [Lib.  VII. 

grido  e  salutò  Traiano  im^-)eratore,  come  se  avesse  vinta 
una  grande  battaglia.  A  questo  punto  Partamasiri  spa- 
ventato'dal  subitaneo  tumulto  si  credè  preso  a  un'insidia, 
e  tentò  di  fuggire;  e  impedito  dai  soldati  che  lo  chiu- 
devano da  tutte  le  parti,  chiese  gli  fosse  risparmiata  l'onta 
di  parlare  in  mezzo  alla  folla.  Allora  lo  condussero  nella, 
tenda  imperiale,  ove  non  fu  nulla  concluso.  Traiano  che 
voleva  avvilire  il  pretendente,  lo  fece  ricondurre  nel 
campo,  e  lo  costrinse  a  parlare  alla  presenza  di  tutti. 
Partamasiri  disse  :  Io  non  sono  stato  né  vinto  in  guerra, 
né  fatto  prigione:  venni  qui  di  mia  volontà  pensando  di 
non  ricevere  ingiuria,  e  di  avere  il  regno  nel  modo  con 
cui  Nerone  lo  restituì  a  Tiridate.  E  Traiano  rispose  : 
L'Armenia  appartiene  a  Pioma,  e  d'ora  in  poi  avrà  a 
capo  un  governatore  romano.  Dopo  ciò  Partamasiri  fu 
lasciato  libero  di  andare  dove  più  gli  piacesse  colla  scorta 
di  una  squadra  di  cavalieri  per  impedirgli  di  parlar  con 
alcuno,  e  di  tentar  novità:  e  della  sua  comitiva  i  Parti 
furono  lasciati  andare  con  lui,  e  gli  Armeni  ritenuti  come 
soggetti  di  Roma  *. 

Qui  finisce  la  storia  di  lui  in  Dione:  ma  da  altri  sap- 
piamo che  egli  fu  ucciso  ^i  e  da  un  frammento  di  un 
autore  contemporaneo  apparisce  che  il  congedo  datogli 
fu  una  finzione,  e  che  esso  arrestak)  di  nuovo,  quando 
tentò  di  resistere  fu  brutalmente  ammazzato  3;  e  che  il 
trattamento  sprezzante  fatto  all'inerme  venuto  supplice  e 
fidente  al  campo  nemico  è  una  brutta  macchia  all'onore 
di  Roma,  e  alla  lealtà  di  Traiano,  il  quale  permise  anche 
che  di  questa  non  eroica  vittoria  rimanesse  monumento 
una  medaglia,  nel  diritto  della  quale  è  il  ritratto  dell'im- 
peratore e  nel  rovescio  Partamasiri  col  ginocchio  piegato 
davanti  a  lui  assiso  sul  tribunale,  colla  leggenda  Re  Parto''. 


1  Dione  Cassio,  LXVIir,  lS-20. 

2  Eutropio,  Vili,  2. 

3  Frontone,  Principia  Hisloriae,  c<l.  Mai,  pai:.  -TIO. 

*  Cohen.  Monn.  frapp.  aous  Vamp,  rom.j  voi.  Il,  Tmjim. 


Gap.  IV.]     FACILI  VITTORIE.  INVASIONE  DELLA  PARTIA. 


615 


Tolto  di  mezzo  il  pretendente,  l'Armenia  non  fece  re- 
sistenza di  sorte,  e  fu  ridotta  a  provincia.  D'onde  Traiano 
rivoltosi  alle  regioni  settentrionali  trovò  pronte  a  obbe- 
dienza le  popolazioni  del  Ponto 
Eussino  {Mar  Nero),  ebbe  omaggio 
dagli  Enochii,  accettò  l'.alleanza 
<lelle  tribù  del  Bosforo  Cimmerio, 
dei  Sauromati,  e  degli  Iberi,  dette 
un  re  agli  Albani,  e  fece  sentire  la 
potenza  di  Roma  a  tutte  le  genti 
del  Caucaso  fino  al  mar  Caspio 
(Mare  Hijrcanum)  *. 

Poscia  lo  troviamo  alle  stanze 
d'inverno  in  Antiochia  quando  la 
grande  capitale  della  Siria  fa  col- 
pita da  turbini  straordinarii  di 
venti  e  da  fulmini,  forieri  di  un 
terribile  terremoto  che  fece  gran- 
dissima strage  di. case  e  di  gente. 
Fra  i  Romani  vi  perì  il  console 
M.  VergiUano  Pedone:  e  Traiano 
stesso  vi  corse  pericolo,  e  si  disse 

salvato  da  un  essere   misterioso  di  più  che  umana  sta- 
tura che  lo  portò  via  da  una  finestra  2. 

Pieno  del  pensiero  di  volgere  ogni  sforzo  a  sottomet- 
tere l'impero  dei  Parti,  e  portare  i  vessilli  romani  nelle 
contrade  vinte  già  da  Alessandro,  alla  primavera  egli 
passa  l'Eufrate,  corre  la  Mesopotamia  per  le  vie  in  cui 
da  Crasso  fu  trovata  la  morte,  è  accolto  in  più  luoghi 
con  doni  e  con  feste,  usa  gl'intrighi  non  meno  che  le 
armi,  fa  suo  prò  delle  interne  contese  dei  Regoli  e  Satrapi 
nemici  di  Cosroe,  prende  i  forti  siti  di  Singara  e  Nisibi 


Re  Parto  {Cohen) 


1  Eutropio,  Vili,  2.  Conf.  Plinio,  Epist.^  X,  IS-Tj;  Franckc,  Gescli.   TraJaììHj  p.  271. 

2  Dione  Cassio,  LXVIII,  21-25. 


616  TRAIANO  PARTICO.  IL  RE  COSROE  IX  FUGA.      [Lib.  VII. 

(Nisibin):  e  i  soldati  Io  salutano  Partico.  Giunto  al  Tigri 
lo  passa  coll'aiuto  delle  navi  fatte  costruire  nelle  selve 
di  Nislbi,  e  colà  trasportate  su  carri,  e  reca  in  poter  suo 
l'Abiadene  colle  città  di  Arbella  e  Gaugamela,  famose  per 
le  vittorie  di  Alessandro  su  Dario,  e  imposti  tributi  alla 
Mesopotamia,  di  là  senza  trov.are  forti  ostacoli  a  causa 
delle  discordie  intestine  dei  Parti  va  a  Babilonia,  riduce 
a  provincia  l'Assiria,  fa  trasportare  con  macchine  la  flotta 
sull'istmo  che  separa  l'Eufrate  dal  Tigri,  e  varcato  di 
nuovo  quest'ultimo,  corre  ad  assalire  Ctesifonte  residenza 
invernale  dei  re  Parti,  la  quale,  come  gli  altri  luoghi, 
non  fa  resistenza,  e  vi  entra  trionfalmente,  acclamato  di 
nuovo  Partico  e  Imperatore  dalle  esultanti  legioni.  Il  re 
Parto  è  fuggito,  e  i  legati  imperiali  gli  danno  la  caccia, 
e  a  Susa  prendono  la  sua  figlia  e  il  suo  trono  d'oro  ^ 

Dall'Eufrate  all'Indo  tutte  le  genti  orientali  furono 
scosse  dagli  eventi  di  questa  guerra^:  e  il  vincitore  ac- 
ceso più  che  mai  nel  pensiero  di  emulare  e  superare 
Alessandro  scese  il  Tigri,  entrò,  nel  golfo  Persico,  navigò 
l'Oceano  e  sebbene  sentisse  dolorosamente  di  non  avere 
la  gioventù  necessaria  a  correre  sulle  tracce  del  conqui- 
statore macedone  fece  costruire  una  flotta  per  andare 
più  oltre  di  lui  3. 

Giunte  a  Roma  queste  grandi  novelle,  tutti  parlarono 
stupiti  degli  Armeni,  dell'Eufrate  e  del  Tigri,  dei  Babi- 
lonesi, degli  Assiri,  degli  Arabi,  dell'Oceano  e  dei  Parti 
sottomessi  all'Impero  di  Roma.  Le  medaglie  perpetua- 
rono nel  bronzo  i  nomi  delle  nuove  province,  e  mostra- 
rono l'Armenia  colla  sua  tiara  in  mezzo  alle  imagini  del- 
l'Eufrate e  del  Tigri  calpestata  dal  conquistatore  decorato 
del  nome  di  Partico  ''. 

1  Dione-,  Cassio,!. XVIII,  21-2:ì,  20. 23;  Kiitropio,  Vili,  2;  Sparziano,  Adriano^  13  o  21; 
Krancke,  pag.  287. 

-  .Vurelif.  Vittore.  De  Cacsaribus.  \X 

■■5  Dione  Cassio,  LXVIII,  28-29;  Eutropio.  Vili,  2. 

•*  Tacito,  Ann.j  l,  Ri;  Rufo,  Breviar.,  U;  Kutrniiio,  Vili,  2;  NioV)iihr,  Inscriptinnes 
Nubiensea  .  in  Acctd.  Romana  d'archeoìogia  ^  IS?!,  voi.  I,  |);irle  1",  pap;.  609;  Kckfl  , 
Num.  vet..  VI,  p.   120,  I^T-IIO;  Colion,  n.  2a?-2()l,  292-290. 


Gap.  IV.] 


ARCO  DI  BENEVENTO. 


617 


11  Senato  che  già  aveva  decretato  il  grande  e  splen- 
didissimo arco  di  Benevento  a  onore  del  fortissimo  prin- 
cipe per  ivi  accoglierlo  al  suo  tornar  dalla  guerra,  e  di 
là  condurlo   al  trionfo   di  Roma  * ,    ora   gli  decretò  un 


Vruu    U  1  cit\    nu  (Aos 


nuovo  arco  trionfale  nel   Fòro  Traiano,  e  trionfi  quanti 
volesse  ("). 

('*)  Dione.  LXVir,  29.  —  Il  nuovo  arco  oi-a  decretato  forse  non  fu  mai 


i  De  Vita,  Antlqicita't.  Beneventan.,  I,  258-200.- Vedi  anche  Nicasfro,  Descrfi/oje  del 
.'lebre  Arco  eretto  in  Benevento  a  Traiano^  Benevento  1723. 


018  RIVOLTE  DEI  POPOLI  IN  ASIA  E  IN  AFFRICA.     [Lib.  VII. 

Ma  la  ferrea  mano  del  Fato  aveva  scritto  che  i  trionfi 
di  Traiano  eran  Uniti,  e  che  egli  non  rivedrebbe  più 
Roma.  Mentre  sognava  le  Indie,  e  a  Babilonia  sacrificava 
ai  Mani  di  Alessandro  nella  casa  ove  morì,  i  popoli  fa- 
cilmente sottomessi  si  levarono  a  rivolta  tra  l' Eufrate  e 
il  Tigri,  e  i  Giudei  stimando  giunto  il  tempo  del  loro 
trionfo  accrebbero  forza  e  grandezza  all'incendio. 

Egli  mandò  i  suoi  più  valenti  legati  a  schiacciar  la  ri- 
volta. Lusio  Quieto  riprese  Nisibi  e  vinse  Edessa,  e  la 
détte  alle  fiamme.  La  grande  città  di  Seleucia,  sulla  de- 
stra del  Tigri,  fu  presa  e  incendiata  dai  legati  Erucio 
Claro  e  Giulio  Alessandro.  Ma  L.  Appio  Massimo  Nerbano 
fu  battuto  e  ucciso  dai  rivoltati.  L'imperatore  stesso  ac- 
corse in-  persona  a  impedire  la  rivolta  dei  Parti,  e  a 
€tesifonte,  radunato  il  popolo  in  una  pianura,  dal  suo 
tribunale  fece  alle  turbe  una  gran  diceria  in  lode  delle 
sue  gesto,  e  poscia  dòtte  il  diadema  degli  Arsacidi  a 
Partamaspate,  rampollo  della  medesima  stirpe,. un  fan- 
toccio destinato  a  tenere  il  regno  nella  dipendenza  di 
Pioma  ("). 

Intanto  i  Giudei  rivoltati  menavano  grandissima  strage 
dei  Romani  e  dei  nativi  nella  Libia  Cirenaica  e  a  Cipro. 
Fu  contrasto  lungo  e  ferocissimo  da  tutte  le  parti:  e 
quando  la  rivolta  fu  spenta  a  Cipro  nel  sangue,  ogni 
Giudeo  ebbe  proibizione  assoluta  di  metter  piede  nell'i- 
sola, e  chiunque  vi  approdasse,  anche  spinto  dalla  tem- 
pesta, era  senza  pietà  messo  a  morte. 


compiuto:  e  le  sculture  fatte  i)er  esso  a  ricordo  delle  imprese  di  Traiano 
fuiono  poscia  trasportate  ad  adornare  Tarco  di  Costantino.  Vedi  Canina, 
Fdifizi,  IH,  pag.  116. 

("■)  Dione  Cassio,  LXVIII.  29-30.  In  una  medaglia,  colla  leggenda  rex 
PAUTHis  DATUs,  SÌ  Vede  Traiano  assiso  in  atto  di  presentale  alla  Partia 
inginoccliiata  un  re  che  sta  ritto  ai  piedi  del  suggesto  imperiale.  La  scena 
dc'ir  incoronazione  vuoisi  figurata  anche  in  uno  dei  bassirilievi  che  dal- 
l'arco di  Traiano  passarono  a  ornare  quello  di  Costantino.  Vedi  Bartoli, 
Admiranda,  tab.  17,  e  Rossini,  Archi,  tav.  71. 


Gap.  IV.] 


UX  NUOVO  RE  DATO  AI  PARTI. 


61^ 


In  Egitto  batterono  in  più  incontri  Lupo,  governatore 
romano:  poi  furono  vinti  dal  legato  Marzio  Turbone,  il 
quale  spedito  con  forze  terrestri  e  navali  al  riparo,  dopo^' 


Traiano  dà  un  re  ai  Parti  iBartoìi  e  F^ossini). 


aver  lungamente  evitato  gli  scontri,  schiacciò  la  rivolta 
in  una  saiaguinosa  battaglia,  in  cui  gl'insorti  caddero 
colla  faccia  rivolta  al  nemico.  Dappertutto  combatterono 


620      RITIRATA  DEL  CONQUISTATORE  VINTO  AD  ATRA.  [Lib.  VII. 

con  ardore  e  furore  incredibile,  e  anche  con  atti  di  im- 
mane barbarie,  quantunque  apparisca  esagerazione  evi- 
dente quella  che  scrisse  Dione,  cioè  che  usassero  di  se- 
gare per  mezzo  i  nemici,  di  vestirsi  di  loro  pelU,  e  man- 
giarne i  cadaveri  ^ 

Temevasi  che  anche  in  Mesopotamia,  dove  ne  erano 
molti,  insorgessero  d'accordo  coi  Parti:  e  Traiano  per 
impedire  questo  effetto  fece  ordinare  che  partissero  dalla 
provincia:  ma  essi  non  dato  ascolto  a  quell'ordine  corsero 
alle  armi:  e  Lusio  Quieto  riunite  segretamente  le  sue 
forze,  piombò  loro  addosso  ad  un  tratto,  e  ne  fece  macello  ; 
e  poscia,  perchè  portasse  lo  spavento  anche  nelle  loro 
sedi  native,  dalla  Mesopotamia  fu  trasferito  a  reggere  la 
Palestina  col  titolo  di  legato  augustale  ^ 

Ma  tutto  questo  non  era  bastante  a  rassicurare  le  cose 
romane  in  Oriente,  .e  Traiano  che  sentiva  sfuggirsi  le 
grandi  conquiste  cominciò  dolorosamente  la  sua  ritirata. 
Da  Ctesifonte  retrocedendo  per  la  Mesopotamia  si  diresse 
alla  volta  di  Siria,  dopo  avere  invano  tentato  di  togliere 
la  fortezza  di  Atra  {El  Haclr)  ai  ribeUi.  Era  una-  piccola 
città  sulla  via  da  Ctesifonte  a  Singara,  fatta  forte  dalla 
natura  del  luogo  deserto,  infestato  da  insetti  malefici, 
arso  dal  sole,  senz'acqua  se  non  salsa  e  fetida,  privo 
delle  cose  più  necessarie  alla  vita.  Fu  dato  l'assalto  alle 
mura,  e  aperta  la  breccia,  ma  tornò  vana  ogni  prova  per 
espugnar  la  fortezza.  Gli  assahti  si  precipitarono  sugli 
assalitori,  gli  dispersero  da  ogni  banda,  né  valse  il  cor- 
rere di  Traiano  a  cavallo  per  raccozzare  i  fuggenti.  Egli 
stesso,  quantunque  avesse  spogliato  la  veste  imperiale 
per  non  esser  preso  di  mira,  fu  a  pericolo  di  restare  sul 


»  Dione  Cassio,  LXVIII,  32;  Orosio,  VII,  U;  Appiano,  Bell.  Civ.  ^  II,  00;  Eusebio, 
Hist.  Eccles.^  IV,  2;  Sparziano,  jicJrian^  5.  Vedi  anche  un  nuovo  frammento  di  Appiano 
scoperto  e  illustrato  dal  Miller  nella  Revue  archéologique.  1869,  pag.  101-110. 

2  Niceforo  Callisto,  III,  23;  Eusebio,  Hist.  Eccles.  ^  IV,  2,  e  Chron.  ;  Dione,  LXVIII, 
32;  Orosio,  toc.  cil.  ;  Borghesi,  Decadi  JSumismatiche.,  X,  8. 


Gap.  IV.]     MORTE  DI  TRAIANO  A  SELIN'UNTE  IN  CIUCIA.  621 

campo.  È  detto  che  anche  la  tempesta,  la  grandine  e  i 
fulmini  aiutarono  quel  giorno  i  nemici  di  Roma  *. 

Anche  sotto  il  governo  di  un  fortissimo  duce,  scrive 
Frontone,  un  legato  fu  col  suo  esercito  ucciso,  e  non  fu 
né  sicura,  né  incruenta  la  via  per  cui  il  principe  tornava 
al  trionfo  ("). 

Finalmente  arrivò  in  Antiochia  colla  robusta  tempra 
affranta  dalle  lunghe  fatiche  e  forse  anche  dal  cordoglio 
degli  ultimi  fatti  e  dal  veleno  dei  vapori  pestilenziali  di 
Atra.  Quindi  se  ebbe  il  pensiero  di  apparecchiar  nuova 
guerra,  sentì  che  la  salute  non  gli  permetteva  di  cimen- 
tarsi di  nuovo  alle  durezze  dei  campi:  e  posto  Adriano 
al  governo  della  Siria,  e  congedatosi  dalle  legioni,  sue 
compagne  in  tante  gloriose  campagne,  s'incamminò  alla 
volta  d'Italia.  Ma  nel  viaggio  presto  aggravò  il  suo  male 
di  colpi  apoplettici,  d'idrope,  di  flussi  di  sangue,  o  di  ven- 
tre, secondo  le  voci  diverse:  e  giunto  a  Selinunte  (Se- 
lindi)  in  Cilicia  morì  ai  primi  di  agosto,  dopo  un  regno  Anni  di  Ro- 
di 19  anni,  sei  mesi  e  quindici  giorni. 

Le  sue  ceneri  trasportate  trionfalmente  a  Roma  da 
Azziano,  da  Plotina  e  Matidia,  rinchiuse  in  urna  d'oro  fu- 
rono sepolte  nella  base  della  Colonna  Traiana,  divenuta 
trofeo  e  sepolcro:  ed  egli  fu  deificato,  e  celebrato  per 
molti  anni  il  18  settembre,  suo  giorno  natalizio,  con  spet- 
tacoli che  si  chiamarono  Partici  ^. 

Phnio,  come  vedemmo,  rappresentò  Traiano  qual  mo- 
dello di  ogni  virtù,  perchè  il  panegirista  aveva  l'ufficio 

(")  Etiam  fortissimi  imperatoris  Trajani  ductu  legatus  (Maximus) 
cum  exercitu  caesus,  et  principis  ad  iriumphum  decedentis  handqua- 
qitam  secura  nec  incruenta  regressio.  Frontone,  Principia  Eistoriae , 
pag.  338,  ed.  Mai. 

>  Dione,  LXVIII,  31;  Amraiano  Marcellino,  XXV,  S,  5;  Merivale,  Vili,  161. 

2  Dione  Cassio,  LXVIII,  33;  Eusebio,  Chron.  ;  Sparziano,  AdWan..  5;  Aurelio  Vittore, 
De  Caesaribus,  13;  Eutropio,  Vili,  2;  Eckel,  .V«)u.  vet.,  VI,  411-443;  Francke,  Gesch. 
Trajans^  p.  297-29S, 

Vannucci  —  Storia  deWItalia  antica  —  IV.  -  78 


ma  870,  di 
Ct.  C.  117. 


QUALITÀ  DELL'UOMO  E  DEL  PRINCirE.  [Lib.  V 


di  lodare,  non  di  criticare  l'eroe.  Ma  la  storia  non  tacque 
dell'eccessivo  amor  della  gloria,  che  lo  spinse  ad  inutili 
imprese,  e  che  per  questo  amore  non  curò  il  sangue  de- 
gli uomini,  e  antepose  la 
guerra  alla  pace,  e  rimandò 
inascoltati  gli  ambascia- 
tori dei  Parti,  né  rispose 
sempre  alla  fiducia  da  altri 
riposta  in  lui  *.  Vuoisi  ri- 
cordare anche,  che  potenti 
furono  sotto  di  lui  gli  istrio- 
ni, e,  se  dapprima  cacciò  i 
pantomimi  -,  li  richiamò  in 
appresso  per  amore  di  Pi- 
lade  3;  e  quantunque  lo- 
dato per  la  riforma  dei 
costumi  e  per  le  frugali 
cene  '%  ebbe  ministri  di  vo- 
luttà ("),  si  contaminò  con 
sozzi  amori  di  giovani,  ed 
ebbe  così  immoderata  la 
passione  del  vino,  che  fu 
obbligato  a  ordinare,  che 
non  si  eseguissero  i  suoi 
comandi  dati  dopo  i  lunghi 
conviti  5.  Per  le  quali,  come 
per  altre  ragioni,  gli  fu   da  alcuno  negato  il  nome  di 


Matidia  {Icon.  Rom.^  XX,  VII,  n. 


(«)  Pedifserjiii  rationis  volnptuariae.  Marini,  Arval.,  I,  92;  Mommsen, 
Inscript.  Regni  Neap.,  n.  6758. 

1  Frontone,  Principia  HisC,  II,  332,  ed.  Cassan. 

2  Plinio,  Paneg.^  46. 

3  Diono  Cassio,  LXVIII,  10. 
Plinio,  Paneg.^  17  ;  Epi^t.,  VI,  31. 

5  Dione  Cassio,  LXVIII,  7  e  21;  Aurelio  Vittore,  De  Caenar..  13;  Sparziano,  Adrian.. 
,3,  4;  Frontone,  Epist..  Ili,  De  fei-iis  Ahiensibus,  voi.  II,  144;  Giuliano,  Cesari,  11  e  35. 


Cap.  IV.]  CONSACRAZIONE  DELLA  SUA  VIRTÙ'  NEL  ^lEDIO  EVO.  623 

Ottimo  *,  che  egli  preferiva  a  tutti  gli  altri  suoi  titoli  ^  dì 
cui  vedesi  adorno  nel  Panegirico  e  nelle  iscrizioni.  Ebbe 
gran  lode  anche  per  non  avere  ucciso  nessuno,  e  si  ri- 
corda che  Calpurnio  Crasso,  cospirante  contro  alla  sua 
vita,  dopo  essere  stato  già  perdonato  da  Nerva  per  altra 
congiura,  fu  ora  ucciso  dal  Senato,  ma  senza  che  egli  ne 
avesse  contezza  ^  :  pure  è  certo  che  per  odio  alle  corpo- 
razioni perseguitò  i  Cristiani,  e  ne  uccise  più  d'uno  ^. 
Del  resto  virtù  vere  furono  in  lui  la  singolare  modestia 
civile,  l'aborrimento  dal  fasto,  l'assennata  liberalità,  e 
l'amore  del  giusto,  e  il  desiderio  ardente  di  rendere  colle 
buone  leggi  e  col  buon  governo  gli  uomini  felici.  E  di 
queste  virtù  si  propagò  chiara  la  fama  nei  secoli:  e  a 
Roma  in  appresso,  quando  non  eravi  più  ragione  ad  adu- 
lare il  potente,  andato  dove  anche  gli  imperatori  non  sono 
piii  nulla,  il  Senato  rendeva  splendido  omaggio  alla  me- 
moria deWottimo  principe,  augurando  ai  nuovi  eletti  di  es- 
sere ^)fw  felici  di  Angusto^  ■migUori  di  Traiano  ^.  Poscia 
nel  medio  evo,  che  convertì  in  bizzarre  leggende  i  ricordi 
dell'antichità,  fu  consacrata  la  memoria  di  Traiano  con 
un  singolare  racconto,  secondo  il  quale,  non  potendosi 
dagli  uomini  di  quella  età  ammettere  che  uomo  sì  egregio 
andasse  dannato,  è  supposto  che  San  Gregorio  papa, 
commosso  dal  ricordo  delle  virtù  dell'ottimo  imperatore 
e  della  giustizia  da  lui  resa  alla  vedova,  implorasse  ed 
ottenesse  la  sua  salvazione  («).  E  San  Tommaso  s'inge- 

C*)  Vedi  Paolo  Diacono.  Vita  S.  Gregorii,  cap.  27;  Giovanni  Diacono, 
nella  vita  del  medesimo  papa,  lib.  II,  cap.  44,  e  Conf.  ivi,  lib.  Ili,  cap.  10; 
Giovanni  Sarisburiense,  Policraticus ,  sioe  de  nugis  Curialiwn,  lib.  V, 
cap.  8.  Il  Novellino  {Nov.,  C9),  ripetendo  ciò  che  allora  credevasi,  rac- 
conta cosi  la  tradizione: 

1  Velli  Bartels,  De  Traiano  non   Optimo^  Wittembcrgae  1725. 
•2  Dione  Cassio,  LXVIII,  23. 

3  Dione  Cassio,  LXVIII,  3  e  16-,  Eutropio,  Vili,  2. 

4  Eusebio,  Hist.  Eccles.,  Ili,  33. 

5  Eutropio,  Vili,  2. 


624  GIOVENTÙ'  E  PRIMI  FATTI  DI  ADRIANO.  [Lib.  VII. 

gnò  di  spiegare,  come  la  caritatevole  tradizione  potesse 
ammettersi  senza  eresia:  e  Dante  la  eternò  nel  sacro 
poema,  ponendo  Traiano  nel  suo  paradiso  *. 

Traiano  aveva  lasciato  in  Siria  al  governo  dell'esercito 
Publio  Elio  Adriano,  che  gli  successe  all'impero,  non  si 
sa,  se  per  espressa  sua  volontà  o  per  intrighi  di  corte. 

Adriano  era  anch'esso  originario  di  Italica  nella  Spa- 
gna, e  nasceva  di  famiglia  andata  colà  in  antico  dal 
Piceno.  Il  padre  di  lui  era  cugino  di  Traiano,  e  quindi 
sotto  la  tutela  di  questo  restò  il  giovinetto,  quando  a 
dieci  anni  rimase  orfano.  Fu  dapprima  educato  nelle 
lettere  greche,  e  divenne  in  quello  studio  perito  così 
che  lo  chiamavano  il  Pìccolo  Greco.  Poscia  attese  alle 
cose  civili  e  alla  milizia,  e  una  epigrafe  onoraria,  sco- 
perta nel  1862  tra  le  rovine  del  teatro  di  Bacco  ad  Atene, 
porta  nuova  e  più  sicura  luce  sulla  sua  vita  politica  e 
militare,  primachè  giungesse  all'impero,  perchè  annovera 


«  Lo  'mperadore  Traiano  fu  molto  giustissimo  signore.  Andando  un 
giorno  con  la  sua  grande  cavalleria  contra  suoi  nemici,  una  femina  ve- 
dova li  si  fece  dinanzi,  e  preselo  per  la  statfa  e  disse:  messer.  fammi 
diritto  di  quelli  che  a  torto  m'  hanno  morto  il  mio  figliuolo.  E  lo  'mpe- 
radofe  disse:  io  ti  soddisfarò  quando  io  tornerò.  Et  ella  disse:  se  tu  non 
torni?  Et  elli  rispose:  soddisfaratti  lo  mio  successore.  E  se '1  tuo  succes- 
sore mi  vien  meno,  tu  mi  sei  debitore.  Allora  lo  'imperadore  smontò  da 
cavallo,  e  fece  giustizia  di  coloro  che  avevano  morto  il  figliuolo  di  colei, 
e  poi  cavalcò  e  sconfisse  i  suoi  nemici.  E  dopo  non  molto  tempo  dopo  la 
sua  morte,  venne  il  beato  S.  Grigorio  papa,  e,  trovando  la  sua  giustizia, 
andò  alla  statua  sua.  E  con  lacrime  l'onorò  di  gran  lode  e  fecelo  dissep- 
pellire. Trovare  che  tutto  era  tornato  alla  terra,  salvo  che  le  ossa  e  la 
lingua.  E  ciò  dimostrava  come  era  stato  giustissimo  uomo,  e  giustamente 
aver  parlato.  E  Santo  Grigorio  orò*  per  lui  a  Dio.  E  dicesi  per  evidente 
miracolo  che  per  li  preghi  di  questo  santo  papa,  l'anima  di  questo  im- 
jieradore  fu  liberata  dalle  pene  dell' inferno,  et  andonnc  invita  eterna, 
«■d  era  stato  pagano.  » 

1  San  Tommaso,  Supplem.  quaest.^  73,  art.  5,  ad  snmm.;  Dante,  Parad.^  XX,  15 
Purgat  ^  X,  73-03. 


Gap:  IV.]    SFORZI  PER  ENTRARE  IN  GRAZIA  A  TRAIANO.  625 

i  suoi  uffìcii  fino  al  consolato  ('')  :  il  decemvirato  delle  liti, 
la  prefettura  delle  ferie  latine,  il  sevirato  d'una  turma 
de'  cavalieri  romani,  il  tribunato  militare  per  tre  volte, 
cioè  nella  legione  seconda  Adiutrice,  nella  quinta  Mace- 
donica, e  nella  vigesima  seconda  Primigenia;  poi  la  que- 
stura, la  partecipazione  alle  imprese  di  Dacia,  in  cui 
comandò  la  legione  prima  Minervia;  quindi  il  tribunato 
del  popolo,  la  pretura,  il  governo  della  Pannonia  Infe- 
riore, il  sacerdozio  degli  Epuloni  e  degli  Augustali:  ai 
quali  ufficii  sappiamo  da  altri  che  si  aggiunse  quello  di 
scrivere  i  discorsi  del  principe,  e  da  ultimo  la  legazione 
di  Siria,  quando  accompagnò  l'imperatore  alla  guerra  dei 
Parti.  Era  nella  Bassa  Mesia  al  momento  della  elevazione 
di  Traiano,  e  i  soldati  lo  elessero,  come  altrove  fu  detto, 
a  portare  le  loro  congratulazioni  al  nuovo  eletto,  il  quale 
lo  pose  in  ufficio  tra  le  legioni  del  Fieno  *.  Adriano,  come 
parente  di  principe  senza  figliuoli,  fin  da  principio  mirò 
cupidamente  all'Impero,  promessogli  anche  dalle  sorti 
Virgiliane,  e  da  più  predizioni  di  astrologi,  e  fece  ogni 
sforzo  per  entrare  in  grazia  a  Traiano,  ma  non  pare  che 
riuscisse  troppo  nel  suo  intento  :  perchè  Traiano,  amatore 
delle  armi  e  delle  conquiste  e  di  indole  franca  e  gene- 
rosa, non  ebbe  mai  schietta  simpatia  per  lui,  intento  a 
studi  e  a  sottigliezze  di  retori,  e  leggiero,  incostante, 
falso,  ombroso,  geloso,  invidioso.  Pure  Adriano  non  si 
dòtte  per  vinto  alle  prime  difficoltà:  fece  con  maggiore 
studio  la  corte  al  principe,  lo  secondò  anche  nei  vizi  2, 
mostrò  di  amar  la  guerra,  e  vi  fece  prodezze:  poscia  si 
volse  per  aiuto  a  Plotina,  a  cui  è  detto  che  seppe  ispi- 


C*)  Vedi  questa  epigrafe  dottamente  spiegata  e  illustrata  da  Guglielmo 
Henzen  negli  Annali  dell'  Istituto  di  corrispondenza  archeologica,  1862, 
pag.  1:37-160. 

'  Sparziano,  Adrian,  1,  2;  Aurelio  Vittore,  Epit.,  It. 
2  Sparziano,  Adrian. j  2  e  4. 


62G    ADRIANO  IMPERATORE  PER  GLI  AIUTI  DI  PLOTINA.  [Lib.  VII- 

rare  una  passione  amorosa  *  :  il  che,  se  fosse  fermamente 
provato,  mostrerebbe  che  anche  qui  bisogna  fare  un  poco 
di  tara  alle  lodi  di  Plinio,  che  la  chiama  santissima  fem- 
mina -,  e  alla  medaglia  che  celebra  la  sua  fedeltà  (").  In 
ogni  modo  è  certo  che  coli' aiuto  di  essa  e  di  Licinio 
Sura  egli  giunse  a  sposare  Giulia  Sabina,  nipote  di  Tra- 


Plotina  Fides  Angusta. 

iano  perchè  nata  da  Matidia  figlia  di  sua  sorella  Mar- 
ciana: e  così  restringendo  la  parentela  rese  migliori  le 
sue  condizioni,  e  si  levò  a  più  alte  speranze  ^.  Per  opera  di 
Plotina  ottenne  anche  nuovi  onori  e  comamli  di  eserciti. 
Pure  pel  fatto  dell'adozione  non  profittava  troppo,  e  ne- 
gli ultimi  tempi  sembravano  cresciute  le  contrarietà  di 
Traiano,  il  quale,  eccitato  dagli  amici,  volgeva  l'animo 
ad  altri,  e  Adriano  era  a  pericolo  di  avere  speso  invano 
cure  e  fatiche,  se  Plotina  non  gli  avesse  dato  l'ultimo 
soccorso  con  arditissimo  colpo.  Secondo  che  alcuni  nar- 


C)  Mongez.  Iconographie  romaine,  pi.  XXXVII,  n.  3.  Nel  diritto  della 
medaglia  è  l'imperatrice  colla  leggenda:  plotina  avg.  {usta)\yiv.  [eratoris) 
TRAiANi  (pottiuteso  uxor).  Nel  rovescio  una  donna  che  tiene  spighe  nella 
destila  e  una  patera  nella  sinistra  con  attorno  le  parole  fides.  aigust.  (a), 
e  nel  campo  s.  e.  {senatus  consulto). 

'  Dione  Cassio,  LXIX,  2  e  10. 
-  Epist.,  IX,  28;  Paììep.,  83. 
3  Sparziano,  Adrian.^  2. 


Cai>.  IV.]  PROVVEDIMENTI  ALLE  DIFFICOLTA  DELL'IMPERO.        G27 

rano,  essa  assicurò  il  suo  protetto  con  una  falsità,  che 
oggi  a  chi  non  è  principe  frutterebbe  la  pena  della  ga- 
lera. Mentre  l'imperatore  in  Selinunte  era  vicino  a  morte, 
nella  stanza  vicina  un  estraneo,  a  luce  incerta,  fece  de- 
stramente le  parti  di  imperatore  moribondo,  e  con  voce 
quasi  spenta  dichiarò  alla  presenza  di  più  testimonii,  es- 
sere sua  ferma  volontà  di  adottare  P.  Elio  Adriano.  Poi, 
per  aver  più  agio  a  preparare  ogni  cosa,  si  tenne  na- 
scosta più  giorni  la  morte  di  Traiano,  e  la  sua  supposta 
volontà  fu  mandata  al  Senato  con  lettere  sottoscritte 
dalla  stessa  Plotina  *. 

Adriano  avuta  in  Antiochia  la  notizia  della  morte  del 
principe  si  fece  gridare  imperatore  dai  soldati,  cui  die 
doppio  donativo  per  renderli  a  sé  più  devoti,  e  con  sue 
lettere  scusò  questo  modo  di  elezione,  e  con  grandi  pro- 
messe ne  chiese  la  conferma  al  Senato,  il  quale  subito 
assentì  alla  domanda  e  si  mostrò  pronto  a  decretargli 
ogni  sorta  di  onori  2. 

Egli,  come  già  notammo,  non  amava  la  guerra,  e  su- 
bito volse  ogni  studio  alla  pacificazione  del  mondo. 

Molte  le  difficoltà  da  vincere.  Fremeva  ancora  l'insur- 
rezione dei  popoli  che  avevano  respinto  Traiano.  Perdute 
le  recenti  conquiste  dell'Asia:  sollevazioni  e  sedizioni  tra 
i  Mauri,  in  Egitto,  in  Palestina;  e  Brettoni  e  Sarmati  mi- 
nacciavano guerra  ^.  Adriano  prese  tutti  i  provvedimenti 
opportuni,  mutò  capitani,  traslocò  eserciti,  e  per  meglio 
concentrare  le  forze  ritrasse  le  truppe  dall'Armenia, 
dall'Assiria,  dalla  Mesopotamia,  abbandonò  tutti  i  paesi 
al  di  là  dell'Eufrate  e  del  Tigri,  e  per  ridurre  l'Impero 
in  tutto  agli  antichi  confini,  è  detto  che  avrebbe  abban- 
donata anche  la  Dacia,  se  altri  noi  distoglieva  da  questo 
disegno,  mostrandogli  i  pericoli  dei  molti  coloni  romani 

1  Dione  Cassio,  LXIX,  1;  Sparziano,  4;  Aurelio  Vittore,  De  Caesaribus^  13. 
-  Dione  Cassio,  loc.  cit.,  2;  Sparziano,  5  e  6. 
i  Sparziano,  5. 


628  NON  PIÙ'  CONQUISTE.  I  NEMICI  VINTI  COI  DONI.    [Lib,  VII. 

colà  stanziati  *.  Quindi  si  contentò  di  rovinare  il  ponte 
fatto  da  Traiano  sul  Danubio,  per  rompere  la  via  ai  bar- 
bari pronti  a  inondare  la  Mesia.  Tolse  ai  Parti  il  re  dato 
loro  da  Traiano,   rimesse  poscia  Cosroe  in  trono,  per- 


^^f^'!^^^^ 


Adriano,  (Icon.  Rom.^  XXXVIII,  u.  1). 

mise  agli  Armeni  di  eleggersi  un  re  di  loro  nazione,  e 
molti  principi  di  altre  contrade  allettò  condoni  all'ami- 
cizia di  Roma,   comprando   anche  col  denaro  la  pace  2, 

1  Sparziano,  5,  9;  Eutropio,  Vili,  3. 

2  Dione  Cassio,  I.XVIII,  13;  Spar/.iano,  r>,  13,  17  e  31. 


Gap.  IV.]  NUOVO  ORDINAMENTO  DEGLI  ESERCITI.  (i2'J 

e  vantandosi  di  aver  profittato  più  con  questi  mezzi  che 
altri  colle  armi.  Così  coli' abbandono  delle  ultime  conqui- 
ste egli  faceva  mentire  l'oracolo  promettente  che  il  Dio 
Termine  non  tornerebbe  mai  indietro.  E  non  pochi  gliene 
vollero  male,  e  lo  accusarono  di  viltà  per  avere  spesso 
seguito  il  mal  uso  di  comprare  la  pace   dai   barbari,-  e 
dissero  che  abbandonò  le  nuove  conquiste  per  invidia  a 
Traiano.  Ma  egli  ebbe  grande  ragione  di  governarsi  cosj, 
perchè  quelle  conquiste  non  avean  fondamento,  e  perchè 
il  rimanere  negli   antichi  tradizionali  e  naturali   confini 
poteva  solo  dar  forza  a  resistere  ancora  al  turbine  delle 
invasioni.   E   coi   fatti   suoi   dimostrò   di  non  cercare  la 
pace  per  codardia  e  per  amore  di  vita  infingarda.   Egli 
seguace  di  Traiano  in  tutte  le  sue  grandi  imprese;  egli 
prode   combattitore   nella  guerra  Dacica,  e  perciò  pre- 
miato col  dono  del  prezioso  anello  che  Traiano  ebbe  da 
Nerva  quando  fu  associato  all'impero  ^,  aveva  dato  prova 
di  sapere   stare  intrepidamente  sui  campi:  e  ora  e   poi 
confermò  la  sua  valentia  militare   ponendo  ogni   cura  a 
ordinare  gli  eserciti  in   modo  ,  che   fossero,   al  bisogno, 
apparecchiati  gagliardamente  alla  guerra.  Storie,  meda- 
ghe  ed  epigrafi  attestano  (")  che  egli  ristorò  la  disciplina 
degli  eserciti,  tolse  via  ogni  delicatezza,  rese  obbedienti 
e  forti  i  soldati  colle  esortazioni,  coi  premi,  coi  gastighi, 
e  più  coir  esempio,   mostrandosi  primo   ai  disagi  e  alle 
fatiche,  cibandosi  duramente,  marciando  a  piede  e  a  capo 
scoperto,  vigilando  da  sé   stesso  agli  ufficii  del  campo, 


{")  Per  l'epigrafe  Biscipulinue  Augusti  incisa  .«opra  l'altare  trovato 
in  Inghilterra  a  Walton  House  lungo  la  linea  del  vallo  d'Adriano,  e 
perciò  a  lui  riferita  dal  Bruce  e  da  altri,  conf.  Hiibner,  Imcript.  Bri- 
tanniae  latinae,  n.  869.  Pel  resto  vedi  Bruce,  The  roman  M'ali,  pag.  48 
e  282,  e  Cohen,  Mi'd.  frapp.  sous  l'cmp.  rotn.,  voi.  II,  Adrien ,   n.  210. 

1  Sparziano,  Adriait.^  3. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  "9 


630 


DISCII'LIXA  -AIILITARE. 


[LiB.  VII. 


alle  spese,  alle  armi,  alle  macchine  ("),  ed  esercitando 
le  legioni  a  ogni  sorta  di  pugne,  e  facendole  valenti  a 
trar  d'arco,  a  maneggiar  fionde,  e  ad  emulare  i  cavalieri 
più  famosi  dei  Parti  e  di  altre  nazioni  *, 

Tornato  a  Roma,  modestamente  rifiutò  il  titolo  di  Padre 


Momimonii  (iella  disciplina  ristorata  da  Adriano  (Bruce  e   Cohen). 

della  Patria,  preso  solo  più  tardi,  e  gli  altri  onori  ecces- 
sivi che  gli  offriva  il  Senato:  non  volle  celebrare  in  suo 
nome  il  trionfo  già  decretato  a  Traiano,  e  portò  sul  carro 

{"■)  Rispetto  ai  provvedimenti  che  prese  per  avere  nuove  e  buone  mac- 
chine belliche  vedi  Poliorcciica  excerpta  ex  libris  Apollodori,  in  Mathe- 
maticerum  veterum  opera,  Parisiis  1693,  pau:.  13-48. 

'  Sparziano,  10;  Dione  Cassio,   LXIX,  CI;  Sahnasio.  in   Graec.   Tlies.,  X,  lUl. 


Cap.  IV.]    ADRIANO  COxNTRO  I  S ARMATI.  CONdlTRA  A  ROMA.    631 

trionfale  Fimagine  del  morta  al  tempio  di  Giove,  e  in 
quella  occasione  condonò  all'Italia  e  in  parte  alle  province 
i  tributi  che  col  nome  di  donativo  (aurum  cornonarium) 
si  pagavano  ai  trionfanti  ^  E  poco  appresso  parti  seguendo 
le  sue  truppe  spedite  nella  Mesia  contro  i  Sarmati  e  i  Ros- 
solani  che  invadevano  e  disertavano  le  province  romane, 
e  in  breve  gli  calmò  e  fece  pace  con  essi  continuando, 
come  facevasi  prima,  a  dar  loro  i  tributi  che  a  salvare 
le  apparenze,  furono  detti  stipendii,  come  se  i  barbari 
stessero  al  soldo  di  Roma,  e  si  pagassero  per  guardare 
i  confini.  Quindi  partì  lasciando  il  suo  prode  legato  Marzio 
Turbone  al  governo  della  Dacia  e  della  Pannonia  2. 

A  Roma  intanto  parlavasi  di  una  trama  ordita  contro 
la  vita  del  prìncipe  da  Cornelio  Palma  vincitore  degli 
Arabi,  da  Lusio  Quieto  prode  legato  di  Traiano  in  Dacia 
e  nell'Asia,  da  Celso  e  Nigrino,  coi  quali  andavano  d'ac- 
cordo molti  altri.  Pochi  e  oscuri  i  cenni  di  questa  con- 
giura. È  certo  soltanto  che  gli  accusati  fuj-ono  uccisi  in 
luoghi  diversi.  Palma  a  Terracina,  Quieto  in  viaggio,  Celso 
a  Baia,  Nigrino  a  Favenzia  {Faenza),  creduti  innocenti 
dal  pubblico,  il  quale  ebbe  tanta  irritazione  di  loro  strage 
che  Adriano  fu  costretto  ad  affermare  con  giuramento 
che  non  erano  stati  uccisi  per  ordine  suo,  e  si  adoperò 
a  quietare  il  turbamento  degh  animi  col  ripetere  la  pro- 
messa, ora  divenuta  usuale,  di  non  uccidere,  senza  or- 
dine del  Senato,  alcun  senatore,  col  largheggiare  di  doppio 
congiario  al  popolo,  e  di  donativi  ad  uomini  e  a  donne 
nel  teatro  e  nel  Circo,  col  dare  nel  giorno  suo  natalizio 
grandi  spettacoli  di  gladiatori  con  uccisione  di  molte 
bestie  feroci  tra  cui  cento  lioni  e  altrettante  lionesse;  e 
col  rimettere  all'Italia  e  alle  province  900  milioni  di 
debiti  arretrati  da  sedici  anni,  dei  quali  fece  solenne- 
mente bruciare  i  titoli  nel  Fòro  Traiano,  com'è  attestato 

'  Sparziano,  Adrian.,  G. 

•  Sparziano,  Adrian.,  6;  E;iseÌjio,  Cliron. 


DONI  ali;  ITALIA  E  ALLE  PROVIXCE. 


[LiB.  VIL 


dagli  scrittori  e  da  una  .medaglia,  nel  rovescio  della 
quale  si  vede  un  littore  armato  di  fascio  e  di  scure  in 
atto  di  dar  fuoco  a  un  ammasso  di  carte,  mentre  tre 
cittadini  davanti  ad  esso  levano  le  mani  in  segno  di 
plauso  (^). 
Più  tardi  andò  famosa  la  guerra  di  esterminio  eh'  ei 


Novecento  milioni  di  cri'dito  bruciati  per  sollievo  dei  di-bitori  (Cohen). 


fece  ai  Giudei:  ma  l'opera  per  cui  ebbe  lodi  non  dubbie, 
è  l'ordinamento  e  l'amministrazione  dell'Impero,  alla 
quale  rivolse  i  principali  studi  del  destro  ingegno. 

Prima  sua  cura  fu,  come  dicemmo,  di  rimettere  la 
pace  nel  mondo,  di  afforzare  e  assicurare  i  confini  del- 
l'Impero, di  trarre  i  barbari  all'amicizia  di  Roma,  e  di 
usarli  come  propugnacolo  contro  le  orde  più  lontane  e 
più  feroci.  E  come  l'Impero  componevasi  di  genti  sepa- 

C^)  Spaiziaiio, ilrf>-mn.,  7:  Dione  Cassio,  LXIX.  2  e  8:  Eckel,  Doctr.  nutn. 
vet.,  VI.  478:  Cohen,  Me(ì.  frapp.  sous  l'emp.  rom.,  vo!.  II.  pi.  VI.  n.  I04r» 

L'epigrafe,  rkliqi  a  vktkra  h.  s.  {sestertium)  noviks  mii.l.  (ies)  augi. ita 
nel  rovescio  ilella  mcflaglia,  dice  del  vecchio  debito  di  000  milioni  di  se-- 
sterzi  abolito. 

Anche  un'epigrafe  posta  nel  Fòro  Tiaiano  ricordò  clic  1" imperatore 
unus  omnium  principtim  et  solus  remittenclo  .seslerlìum  novies  millies 
eentena  millia  n.  debitum  fisci  non  prp.esenies  modo,  snd  et  posieros 
.trias-  reddidit  hac  liberoìilatc  securos.  Ordii.   Insrr.,  n.  805.  e  Hcnzon, 


i*:j,  voi.  Ili, 


V-'?- 


Gap.  IV.]  L'UNITA  DELL'IMPERO.  IL  PRINCIPE  E  IL  SENATO.      633 

rate  per  diversità  di  costumi  e  di  leggi,  a  più  stabilmente 
ordinarlo  studiò  che  tutte  le  parti  di  esso  si  legassero 
meglio,  e  fossero  quasi  membra  di  un  medesimo  corpo, 
e  si  reggessero,  al  possibile,  da  ordinamenti  uniformi,  e 
Roma  si  potesse  chiamare  con  verità  la  patria  comune  *. 
Per  ciò  che  riguarda  la  imperiale  potestà  egli  ordinò 
lo  Stato  a  forma  più  monarcale,  e  pose  in  più  alto  luogo 
la  persona  del  principe,  che,  se  anche  prima  si  chiamava 
Signore,  ora  si  chiamò  Sacratissimo  ^,  e  i  suoi  poteri  am- 
pliarono in  modo,  che  i  giureconsulti  gli  davano  non  solo 
piena  facoltà  di  far  leggi,  ma  lo  scioglievano  da  ogni 
freno  di  esse.  Al  che  l'accorto  principe  giunse  nel  tempo 
stesso  che  affermava  di  voler  governare,  come  se  lo  Stato 
fosse  cosa  non  sua,  ma  del  popolo  ^i  e  si  mostrò  pieno 
di  reverenza  al  Senato,  e  ristorò  i  senatori  caduti  in  po- 
vertà, e  frequentava  la  Curia  e  ne  difendeva  l'autorità, 
e  negava  appello  dalle  sentenze  di  essa,  e  diceva  che 
l'ufficio  di  senatore  era  l'onore  più  grande  che  potesse 
darsi  ad  un  cittadino  '':  quantunque  il  Senato  nel  fatto 
ogni  giorno  più  cadesse  nel  nulla,  e  sovente  non  fosse 
neppur  consultato,  e  in  luogo  dei  decreti  di  esso  entras- 
sero i  mandati,  i  rescritti,  e  le  costituzioni  del  principe: 
come  in  luogo  degli  antichi  magistrati  del  popolo  stet- 
tero sempre  più  i  magistrati  imperiali,  e  il  consiglio  del 
principe,  che  prese  le  parti  del  Senato,  e  tenne  in  sua 
mano  ogni  grave  faccenda.  Augusto,  come  vedemmo, 
aveva  istituito  una  specie  di  consiglio,  che,  cessato  quasi 
al  tutto  sotto  i  suoi  successori,  fu  da  Adriano  rinnovato 
ed  ampHato,  e  ridotto  a  pubblico  consiglio  di  Stato,  e  de- 
finito con  regole  e  forme  più  certe,  e   con  facoltà  non 

1  Vedi   Cnillet,  Dr  ratione  in  imperio  romano    ordinando  ab  Hadriano   imperatore 
odhibita,  Parisiis  1S:)7. 

2  Gaio, /)?.xii7.,  I.  SI-,  Grutero,  MC,  4;  y\ixv\m.  Atti  dei  fratelìi  Xrvcìi ,  paa-.  t?l  ;  Creili, 
134,  202,  3300,  3S5S. 

3  Sparziaiin,  8. 

4  Sparz  ano,  7.  roiif.  Capitolino,  M.  Anton,  philns.,  10. 


634  COXS.  DI  STATO,  PALAZZO,  FISCO,  RENDITE  PUBBLICHE.  [Lib.  VII. 

solo  di  render  giustizia,  ma  di  far  costituzioni,  e  ammi- 
nistrare la  Repubblica.  I  consiglieri  e  assessori,  di  cui 
lasciavasi  l'approvazione  al  Senato,  erano  presi  fra  i  se- 
natori, fra  i  cavalieri,  fra  i  giureconsulti  più  chiari,  e 
fra  gli  amici  del  principe,  e  stavano  sempre  ove  stesse 
l'imperatore,  a  Roma  o  in  viaggio,  e  facevano  a  lui  da 
Senato,  e  pronti  ad  ogni  sua  voglia,  contribuirono  ad 
accrescerne  la  potestà.  Il  prefetto  del  pretorio,  che  linqui 
attendeva  solamente  a  cose  di  milizia,  fu  tenuto  ora  a 
sapere  di  leggi,  e  s'ingerì  anche  nelle  cose  civili,  e  fu 
come  capo  del  consigho  di  Stato  *. 

Adriano  ordinò  megho  anche  gli  ufficii  del  palazzo,  e 
i  ministeri  del  principato,  che,  stati  fmqui  in  mano  ai 
liberti,  furono  dati  stabilmente  ai  cavaheri,  i  quali  per- 
ciò ebbero  in  loro  potere  le  ragioni  e  le  lettere,  e,  come 
oggi  si  direbbe,  tutta  la  cancelleria  imperiale,  con  la 
cura  di  conservare  gli  Scrinia,  in  cui  stavano  gli  atti, 
i  decreti  e  le  risposte  del  principe  -. 

Adriano  prima  di  ogni  altro  creò  l'avvocato  del  fisco, 
che  nelle  province  si  aggiunse  al  procuratore  cesareo, 
con  l'incarico  di  usare  ogni  dihgenza  per  far  pagare  i 
debitori  infedeli  e  morosi  ^. 

Alle  rendite  pubbliche  fu  provveduto  diligentissima- 
mente, e  Adriano  attese  all'amministrazione  con  tanta 
cura,  che  è  detto  aver  conosciuto  tutte  le  faccende  del 
vasto  Impero,  come  un  padre  di  famiglia  conosce  le  ra- 
gioni della  sua  casa  privata*.  E  le  rendite  accrebbe, 
quantunque  rigettasse  i  guadagni  nefandi,  e  dichiarasse 
volere  che  l'Impero  si  ampliasse  più  col  crescere  delle 
persone  che  coU'abbondanza  delle  pecunie  ^  Non  ammet- 


1  Sparziano,  8,  IS,  22;  Dione  Cassio,  I, XIX,  7;  Unnho\il,  De  consistorio  principum  ro- 
manorum^  negli  Opuscid.  Accadem.j  Lipsiae  lS2a,  toiii.  I,  pag.  207,  e  sogg.  ;  Niebulir, 
Lectiires  on  the  Hislory  of  Rome,  voi.  IH,  pag.  239. 

2  .Sparziano,  Adrian.,  22;  Aurelio  Vittore,  Epit ,  14;  Caillet,  loc.  cit  ,  cap.  6. 

3  Sparziario,  Adrian.,  20;  Vedi  Guiherius,  De  o/TiCìis  domus  Augustae,  III,  I. 
•i  Sparziano,  11  e  2fi. 

5  Digest..  XLVIII,  2.),  7. 


Gap.  IV.]  NOBILTÀ  E  TITOLI  NUOVI.  CURA  DP:LLE  PROVINCE.    635 

tendo  i  delitti  di  maestà,  vietò  che  i  beni  dei  condannati 
entrassero  nel  fìsco,  e  li  fece  andare  all'erario  :  e  ai  figli 
dei  condannati  concesse  la  duodecima  parte  di  loro  averi, 
e  ricusò  le  eredità  degli  ignoti,  né  volle  neppure  quelle 
dei  conoscenti,  se  avessero  figli  *. 

A  lui  si  debbo  anche  il  principio  di  quegli  istituti,  per 
cui  più  specialmente  gli  animi  si  assuefecero  al  regime 
di  un  solo,  cioè  della  più  certa  distribuzione  degli  ordini 
e  militari  e  civili,  e  di  quella  nobiltà,  che  coll'andar  dei 
tempi  divenne  numerosissima.  Quanto  alla  distribuzione 
degli  ordini  tenne  la  disciplina  civile  non  altrimenti  che 
la  militare  ^,  e  pare  che  allora  cominciassero  i  titoli  so- 
nori di  chiarissimo,  jjcrfetfissimo  ed  eminentissimo ,  che 
non  solo  furono  onorifici,  ma  dettero  dignità' e  privilegi  (''). 
La  nobiltà  si  propagò  anche  in  altra  maniera.  Nella  li- 
bera Repubblica,  chi  aveva  esercitato  un  ufficio  ne  rice- 
veva onore  al  suo  nome,  ma  non  ne  ritraeva  alcun  frutto. 
Ora  avvenne  altrimenti,  perchè  si  dettero  titoli  di  uffici! 
non  sostenuti,  e  Adriano  divulgò  molto  quest'uso  3. 

Soprattutto  ebbe  a  cuore  le  province.  Lo  attestano 
scrittori  e  monete  ed  epigrafi.  Passò  molti  anni  in  viaggi, 
correndo  dall'Eufrate  e  dalle  cateratte  del  Nilo  al  Da- 
nubio e  alla  Caledonia.  Fu  detto  che  corse  due  volte 
tutto  il  mondo  romano,  ma  ciò  non  è  dimostrato,  come 
non  è  chiaro  abbastanza  neppure  l'ordine  e  il  tempo  di 
questi  viaggi*.  Visitò  tutte   le   province   dell'Impero,   e 

(«)  Dositeo,  Seni.  B.  Hadrian..  cap.  5:  Cod.,  lib.  IX,  tit.  41.  11;  Cail- 
let,  loc.  cit.,  pag.  64.  Poco  dopo  anche  i  senatori  si  chiamarono  viri 
darissimij  e  le  loro  mogli  furono  dette  clarissimae.  Il  Senato  fu  diviso 
come  in  tre  ordini  di  illustri,  spettabili  e  chiarissimi.  Isidoro,  Eti/m., 
IX,  4;  Raphael  Fabretti,  Inscript.,  pag.  677,  n.  33.  Conf.  Lampridio, 
Hcliogab.,  4;  Marini,  Arval,  II,  pag.  CLXIV  e  673. 

i  Sparziato,  7  e  18. 

2  Sparziano,  22. 

3  Sparziano,  7,  8;  Creili,  3135,  330G;  Marini,  Arvali^  tora.  I,  tab.  6iV 

4  Vedi  Flemmer,  De  itineribus  et  rebus  geslis  Hadriani  imperatoris  sectmdum  numo- 
rum  et  inscriptionum  testimonia^  Hauniae  1836  ;  Greppo,  Mém  sur  les  voyages  de  l'em- 
psreur  Adrien.  d'après  les  médaiUes  q".i  s'y  rapportentj,  Paris  1842. 


630   VIAGGI  PER  TUTTO  L'IMPERO.  DIVISIONE  ir  ITALIA,  i  Lib.  VII. 

alcune  più  volte,  per  conoscere  di  per  sé,  ciò  che  abbi- 
sognasse ad  ognuna,  e  per  unirle  in  un  sol  corpo,  e  as- 
sicurarle dai  pericoli  interni  ed  esterni.  L'anno  120  del- 
l'era volgare  mosse  dalla  Campania  alle  Gallio,  passò 
quindi  in  Germania  e  in  Britannia,  e  due  anni  dopo  in 
Ispagna,  d'onde  tornato  a  Roma  riparti  per  l'Oriente: 
passò  due  inverni  ad  Atene,  andò  più  volte  nell'Asia, 
visitò  la  Siria,  la  Palestina,  l'Arabia,  l'Egitto,  e  dapper- 
tutto lasciò  monumenti,  e  larghezze,  e  provvedimenti 
intesi  ad  assicurar  la  pace  e  la  prosperità  dei  sudditi. 
Tenne  d'occhio  a  impedire  le  rapine  dei  governatori,  pro- 
curò che  rendessero  buona  giustizia,  tolse  via  ogni  vio- 
lenza, e  lasciata  ampia  facoltà  di  accusare  i  malvagi,  li 
punì  fieramente  ^ 

L'Italia  fu  da  lui  divisa  tra  quattro  consolari  -,  ma  non 
sappiamo  con  quali  circoscrizioni  e  giurisdizioni  e  diritti, 
quantunque  per  via  di  congetture  sia  stato  opinato  che 
loro  ufficio  fosse  di  diminuire  anche  in  Italia  i  diritti  dei 
municipii,  e  di  ridurli  tutti,  secondo  il  disegno  imperiale, 
alla  medesima  forma  ("). 

In  Italia,  lasciando  le  cose  di  Roma,  di  cui  diremo  al- 
trove, fece  pure  molte  altre  opere  di  diversa  maniera: 
restaurò  la  parte  della  via  Cassia  che  conduceva  da  Chiusi 
a  Firenze,  rifece  di  suo  la  via  Giulia  presso  alla  Treb- 
bia ('),  e  a  spese  sue  e  dei  possessori  dei  campi  adiacenti 

(")  Fu  congetturato  che  le  regioni  distribuite  fra  i  (juattro  (.ousolai-i 
fossero:  L**  Campania  e  Sannio;  2.°  Apulia  e  Calabria;  3.°  Bruzio  e  Lu- 
cania; 4°  Etruria,  Umbria  e  Piceno,  i-ccettuate  le  regioni  suburbicarie, 
che  appartenevano  alla  giurisdizione  del  prefetto  della  città.  Vedi  Poin- 
signon,  Sur  le  nomhre  et  V origine  des  j)^'ovinces  romaines  crèces  depuis 
Aufjuste  jusqu'à  Bioclétien,  Paris  1846. 

(^)  Yiam  Cassiam  vetustate  collapsam  a  Clusinor.  (um)  finibus  Fio- 
rentiam  jierduxit,  Grutero,  pag.  156,  2.  —  Viam  luliani  Aug.  a  fiumine 
Trebia  quae  vetustate  interciderai  sua  pecunia  restituit.  Maffei,  Mus. 
Yeron.,  231,  .5. 

»  Sparziano,  13,  21,  22;  Digest. .  lib.  I,  tit.  XVI,  10. 

•  .Sparziano,  22;  Capitolino,  Ant.  Pio..  2  e  3;  Appiano,  De  Bell.  Civ...  I,  3S. 


Gap.  IV.]  OPERE  PUBBLICHE  IX  ITALIA.  037 

restaurò  per  quindici  miglia  la  via  Appia  tra  Benevento 
ed  Eclano  *.  Sparziano  attesta  che  sollevò  tutte  le  città 
di  Campania,  'e  con  nuovi  lavori  aiutò  lo  scolo  del  lago 
Fucino  2.  E  da  altra  parte  sappiamo  che  per  le  sue  li- 
beralità in  opere  di  decoro  e  di  utile  pubblico  ebbe  mo- 
numenti ad  Eclano,  a  Nola  ^,  a  Sorrento,  a  Capua,  a  Teano 
dei  Sidicini  *■,  a  Suessa  ("),  nel  Sannio  ^,  a  Gabii,  a  La- 
vinia '5,  a  Nursia,  a  Faleria,  e  altrove  ^.  A  Gabii  Adriana 
e  Sabina  sua  moglie  stanno  congiunti  nella  lode  di  lar- 
ghi benefattori  del  municipio.  I  Teanesi  lo  celebrano 
massimo  e  ottimo  principe  :  nel  Sannio  diviene  Giove 
Trebulano,  o  genio  tutelare  di  Trebula:  e  finalmente  in 
alcune  monete  è  celebrato  restitutore  d'Italia,  come  in 
altre  si  chiama  restitutore  della  Sicilia,  della  Gallia,  della 
Britannia,  della  Spagna,  della  Mauritania,  della  Libia, 
dell'Egitto,  dell'Acaia,  della  Macedonia,  dell'Arabia,  della 
Frigia,  della  Bitinia,  dell'Asia,  e  anche  dell' or&e  terre- 
stre (^),  non  esclusa  la  Giudea  da  lui  flagellata  a  morte 
con  guerra  atrocissima. 

Percorrendo  due  volte   le  Gallie  vi  lasciò  liberalità  di 

(«)  Viam  Suessanis  munìcipibus  sua  pec.  (unia)  fec.  (it).  Grutero,  151, 
3;  Mommsen,  4037.  Nel  Piceno  è  munifico  restauratore  del  tempio  della 
Dea  Cupra,  Orelli,  n.  1852. 

{")  Vedi  Eckel,  Docir.  num.  vct.,  VI,  pag.  487,  4S8,  492,  494,  495,  497- 
500,  504,  506,  809;  Cohen,  II,  Adrien,  u.  445,  447-448,  450,  455,  459, 
1050-1088.  Conf.  Boeckli,  Corp.  Inscr.  graec,  n.  334,  ove  è  detto  Sal- 
vatore del  mondo.  In  alcune  monete  si  legge  :  Restitutori  orbis  terrarum, 
e  in  altre  rarissime,  locupletatovi  orbis  terrarum.  Greppo,  Yoijages  de 
l'empr.  Adrien,  p.  26  e  seger. 

1  Moranisen,  in  Bull.  Istit.^  1848,  pag.  9,  e  Inscriptiones  Regni  JVeapolitanù  n.  6287. 
Conf.  Garrucci,  Dissertaz.  archeol.^  voi.  I,  pag.  85-86. 

2  Sparziano,  Adrian. ^  9  e  22. 

3  Mommsen,  Inscr.  Regni  Neap.^  1098,  197t,  1975. 
i  Orelli,  3293;  Mommsen,  2112,  3990. 

3  Mommsen,  BuUett.  Istit.  arch.j  1817,  p.  153,  e  Inscr.  Regni  ÌS^eop.  ^  51tl  ;  Ilenzen- 
Orelli,  545t. 

6  Orelli,  816,  2503,  e  Henzen,  ivi,  voi.  Ili,  p.  S2. 

7  Orelli,  808  e  3311;  Henzen,  5152;  Mommsen,  loc.  cit..  n.  5771. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  SO 


638  GALLIA,  GERMANIA,  E  REGIONI  DEL  DANUBIO.     [  Lib.  VII. 

più  sorte  {"):  e  nel  suo  disegno  di  affrettare  l'unione  di 
tutte  le  genti  del  mondo  romano  pare  che  desse  a  più 
città  il  diritto  del  Lazio,  e  a  quelle  che  già  lo  avevano, 
massime  nella  Narbonese,  largisse  la  cittadinanza  ro- 
mana, e  vi  ponesse  colonie  *.  A  Nemauso  (Nimes)  eresse 
una  basilica  o  un  tempio  di  maraviglioso  lavoro  a  glo- 
rificazione di  Plotina  di  cui  ricompensò  i  servigli  avuti 
per  salire  sul  trono  del  mondo  coli' inalzarla  agli  onori 
divini  -. 

In  Germania  dove  stanziavano  cinque  legioni  attese 
soprattutto  a  riordinare  e  a  rafforzare  la  disciplina  mi- 
litare, 6  con  questi  e  con  altri  provvedimenti  studiò  di 
impedire  che  i  barbari  passassero  il  Reno  ai  danni  delle 
Gallie  e  di  altre  province.  Dette  un  re  ai  Germani  ^,  pro- 
babilmente coir  intento  di  frenare  per  mezzo  di  esso  le 
genti  che  stavano  dietro  al  grande  baluardo  piantato  da 
Traiano  contro  le  invasioni  nemiche;  e  forse  questo 
stesso  baluardo  fu  da  lui  prolungato  e  afforzato. 

Marzio  Turbone  reggeva  fortemente  la  Dacia  e  la  Pan- 
nonia  riunite  in  un  solo  comando:  e  l'imperatore  ora  e 
poi  fece  sentire  utilmente  l'opera  del  suo  governo  in 
queste  province  e  in  tutte  le  regioni  del  Danubio,  come 
si  vede  da  più  documenti  '\ 

In  Pannonia  ricordasi  a  Buda  un'ara  posta  a  Giove 
per  la  salute  del  principe  ^.  Fu  comunemente  creduto 
che  egU  piantasse  una  colonia  a  luvavo  {Salisburgo)  nel 

('*)  Un'epigrafe  ricorda  la  gratitudine  che  avevano  a  lui  i  barcaioli  del 
Rodano.  Orelli,  809;   Millin,  Voyage  dans   le  Départem.   du  midi  de  l 
France,  II,  76. 

'  Sparziano,  10;  Zumpt,  De  Coloniis  Romanoymn  militaribus  ,  in  Comment.  Epigra- 
phic^  pag.  411,  412. 

2  Sparziano,  12;  Dione,  LXIX,10;  Orelli,  3744;  Flemmer,  De  itinerib.  Hadriard , 
pag.  22.  Vedi  anche  Los  aigles  ou  le  palais  de  la  princesse  Piotine^  in  Menard,  Hisloirc 
des  antiquités  de  la  ville  de  yinies^  augmentée  par  PcrroL  Nimes  ISIG,  pag.  167-172. 

3  Sparziano,  12. 

*  Corpus  Jnscripl.  latin. ^  voi.  HI,  n.  719,  953,  1371,  1115-1417  e  1  l(i2. 
S  Orelli,  n.  815. 


I 


Gap.  IV.]  BRITANNIA.  GUERRA  COI  CALEDONI.  639 

Norico.  La  critica  rigetta  ora  come  interpolata  la  Co- 
lonia Adriana  nell'epigrafe  citata  a  prova  del  fatto  *  :  ma 
un'altra  epigrafe  attesta  come  opera  sua  la  fondazione 
della  Colonia  Elia  Mursa  nella  Pannonia  Inferiore,  nel 
luogo  ove  poi  sorse  Eszeg  capitale  degli  Schiavoni  {").  In 
Pannonia  pure  sembra  opera  di  lui  il  Municipio  Elio  a 
Carnunto  {Petronell),  come  nella  Mesia  Superiore  da  lui 
venne  il  nome  di  Elia  preso  dalla  città  di  Scupi  (Uski'ih) 
dove  stette  una  colonia  Romana  ^. 

Dalla  Germania  si  recò  nella  Britannia  passando  pro- 
babilmente per  la  regione  dei  Batavi,  ove  la  Tavola  Peu- 
tingeriana  segna  il  Fóro  d'Adriano,  ricordato  per  avven- 
tura da  larghe  rovine  tuttora  esistenti  nella  campagna 
di  Arentshurg  presso  YAia  ^.  La  più  parte  dell'isola  era 
sottomessa  da  un  pezzo,  e  accogliendo  le  arti  civili  por- 
tatevi dai  vincitori  ^  per  lo  più  stava  tranquilla  sotto  il 
nuovo  governo  che  pare  ponesse  la  sua  sede  principale 
a  Eboraco  {York).  Ma  dalle  selve  Caledonie  {Scozia)  ove 
l'amore  di  libertà  durava  ardentissimo,  i  barbari  minac- 
ciavano continue  incursioni.  E  a  questi  tempi  scoppiò 
fiera  rivolta  in  cui  molti  dei  dominatori  furono  uccisi  ^, 
e  vi  fu  guerra  non  piccola  della  quale  nel  silenzio  della 

C^)  Vedi  Corpus  Inscript.  latin..  Ili,  n.  3279.  in  cui  è  detto  che  i 
Mursensi  posero  questo  ricordo  Divo  Hadriano  conditori  suo  ;  e  il 
n.  3280  ove  nell'anno  133  il  nome  di  Adriano  è  posto  con  quello  della 
seconda  legione  Adiutrice,  coll'opera  della  quale  probabilmente  fu  edifi- 
cata la  nuova  città. 

1  Orelli,  n.  496,  e  Henzen,  ivi,  voi.  ITI,  juip.  35;  Mommsen,  Corp.  Tnscr.  latin..  Ili, 
pag-.  6C9,  n.  5036.  Conf.  Hefuer,  negli  Atli  dell' Accadem.  di  Vienna^  1S19,  vul.  I,  Class. 
philos.  hisC...  pag.  11  e  segg. 

2  Orelli,  n.  2675-,  Corp.  Inscript.  latin...  HI,  n.  1551;  Kellerman  ,  Tigil.  Roman.. 
n.  119;  Renier,  Inscript.  de  la  Mésie  Super.  ìa  Rev.  archéolog.,  :S73,  voi.  26,  p.  137-138. 

3  Vedi  De  Westreenen  de  Tiellandt ,  Recherches  sur  l'ancien  Forum  Hadriani,  .■\ni- 
sterdam  1S2G,  e  Reuvens  ,  Notice  et  pian  des  constructions  romaines  trouvées  dans  Ics 
fouilles  faites  en  1S27-1829,  sur  V emplacement  presume  du  Forum  Hadriani  à  la  cam- 
pagne nommée  Arentsburg  Comm'ine  de  Voorburg  prés  de  la  Haye.  La  Ilaje  1830. 

4  Tacito,  Agric.  21;  Giovenale,  II,  159-161,  XV,  112;  Marziale,  XI,  3,  5. 
s  Frontone,  De  bello  Partico,  ndiz.  Mai,  pag.  321-322. 


640  VALLO  DI  ADRIANO.  [Lib.  VII. 

storia  danno  qualche  cenno  le  epigrafi  e  i  diplomi  mili- 
tari, ricordanti  la  legione  seconda  Augusta,  la  sesta 
Vittrice  Pia  Fedele,  fatta  venire  in  questa  occasione 
dalla  Germania  in  Britannia  *,  e  la  ventesima  Valeria 
Vittrice;  Aulo  Platorio  Nepote,  legato  imperiale,  capo 
della  seconda  legione,  e  propretore  nell'isola  2;  M.  Menio 
Agrippa  Camerinate  tribuno  della  1^  coorte  degli  Spa- 
gnuoli,  e  poi  prefetto  della  flotta  Britannica,  e  procura- 
tore della  provincia  ^;  e  altri  duci  minori  mandati  per 
combattere  nella  medesima  guerra  *,  alla  quale  è  fatta 
allusione  anche  nelle  medaglie  che  dicono  dell'arrivo 
dell'imperatore,  e  della  vmta  Britannia  "". 

In  un  frammento  molto  lacero  di  una  iscrizione  pare 
che  Adriano  ricordando  le  prodezze  dei  soldati  sparsi  per 
la  provincia  tra  i  due  lidi  dell'Oceano,  gii  lodi  di  aver 
quietamente  ceduto  alla  dira  necessità  delle  cose  che  im- 
pediva di  portare  le  armi  vittrici  fino  al  termine  ultimo 
del  mondo  conosciuto  da  quella  parte  ^.  Comecchessia, 
egli  invece  di  mettersi  ad  avventure  di  grande  pericolo, 
usò  l'opera  delle  legioni  a  costruire  nell'istmo  inferiore 
dell'isola  {Northiimherland  e  Cumherland)  una  forte  bar- 
riera di  80  mila  passi  (73  Vs  miglia  inglesi)  destinata  a 
dividere  i  barbari  nordici  dai  Romani  ',  e  a  servire  di 
riparo  dai  Caledonii,  e  di  base  di  operazione  contro  i 
Brettoni  già  sottomessi. 

Questa  grande  e  arditissima  opera  di  cui  dopo  gli 
scavi  e  gli  studi  recenti  si  possono  seguire  quasi  co- 
stantemente le   tracce,  e  conoscerne   gli  edificatori,  le 

1  Orelli,  n.  31SG. 

2  Orelli,   II.  S22;  Bull.  Istit.^  1818,  pag.  17-18  e  £9-32-,  lìuhncr,  Inscript.  Britanniae 
latinae,  n.  6G0-663  e  1195. 

3  Orelli,  n.  801;  Hùbner,  Inscript.  Britanniae  latinae  j.  n.  3T9-:?82.  Per  la  flotta  Bri- 
ti>.nnica,  ricordata  ora  per  la  prima  volta,  vedi  ini  anche  i  numeri  SCI,  970  e  1226. 

<  Hcnzcn,  5156,  e  pag.  510;  Hiibner  ad  num.  211. 

•'•  Eckel,  Doctr.  Num.  vct.^  VI,  pag.  303;  Cohen,  voi.  II,  .U'iù'»^  ii.  5'').  781,  785. 

r-  llubner,  n.   198. 

7  Spar/iano,  Ad».,  11. 


Caì'.  !V 


Vallo  di  Adriano.  —  Sezioni  JolI'Aggere  presso  al  IS"  miglio  a  occidente  di  Newcastl 
e  a  mezzo  miglio  a  occidente  di  Carraw  (Bruce^  pag.  57). 


L'Atjgr'  a  Cawiìrlds  iBruce,  pag.  07) 


L'Aggere  a  Down  Hill  {Bruce^  p.ig.  132). 


<542  VALLO  DI  ADRL\NO.  [Lib.  YIL 

sostruzioni,  l'andamento,  le  misure  e  varie  rovine,  muo- 
vendo a  levante  da  Segeduno  (Wallsend)  presso  le  foci 
della  Tìjne  fu  condotta  per  pianure  e  dirupate  monta- 
gne alla  costa  occidentale  fino  a  Bowness  sull'estuario 
del  Sohuay  ;  composta  di  un  aggere  o  terrapieno,  di  un 
muro  di  pietra,  di  ottanta  castelli  posti  alla  distanza  di 
un  miglio  l'uno  dall'altro,  di  diciassette  stazioni,  o  campi 
muniti,  di  320  piccole  torri  di  guardia,  sussidiarie  ai  ca- 
stelli, delle  quali  scomparvero  quasi  dappertutto  le  tracce, 
e  di  una  via  militare  costruita  tra  l'aggere  e  il  muro  pel 
trasporto  delle  vettovaglie,  e  pel  passo  rapido  e  sicuro 
delle  milizie  dai  vari  quartieri  ai  punti  che  potessero 
esser  minacciati  dai  barbari  (").  Tutte  queste  parti  della 
grande  fortezza  chiamata  nei  tempi  moderni  Muro  dei 
Pitti  e  con  altre  denominazioni  diverse  (*),  in  antico  fu- 
rono comprese  nel  nome  generale  di  Vallo,  come  è  atte- 
stato dall'altare  eretto  per  causa  d'un  voto  (v.  s.  voimn 
soh'it)  a  Marte  Cecidio  e  al  Genio  del  Vallo  (GENIO  VALL) 

(<«)  Vetli  Collingwood  Bi-uce .  Tìie  Roman  Wall,  a  descripiion  of  the 
murai  borricr  of  the  nord  of  England,  third  edition  in  4"  di  pag.  465. 
London  18G7:  Hiibner,  Inscriptiones  Britanniae  latinae,  in  Corpus  In- 
òcri'ptiomim  latinarum,  voi.  VII,  Berolini  1872,  cap.  XLI-LVllI,  pag.  99- 
IC)'). 

Il  libro  del  Bruce  venuto  dopo  tanti  altri  ^tudi  inglesi  è  l'opera  più 
dotta,  più  accurata,  e  più  eloquente  di  tutte  .«u  questa  materia  :  raccoglie 
amorosamente  le  epigrafi,  descrive  ogni  rovina,  e  va  splendido  di  nume- 
lose  incisioni  che  danno  l'imagine  di  tutti  i  monumenti  più  importanti 
per  la  storia  e  per  l'arte. 

Per  la  notizia  delle  altre  opere  precedentemente  composte  a  illustra- 
zione del  vallo  da  Camden,  Speed ,  Gibson.  Stukeley,  Gordon,  Horsley, 
Swinhow,  Smith,  Warburton,  Wallis,  Hutchinson.  Brand,  Hutton.  Lysons, 
Mackenzie,  Hodgson,  Richardson,  Clayton,  ]\huighan,  Iledley,  Maclau- 
chlan,  ecc.,  vedi  Hiibner,  pag.  104-106. 

(»)  Dai  Brettoni  fu  detto  Gual-Secer,  Bai,  Val,  e  Mur-Sever ;  dagli 
Scozzesi.  Scottiskwaith ;  dagli  Inglesi  e  da  quelli  che  abitano  ivi  dattorno, 
The  Picts  Wall,  o  Pehits  Wall,  The  Kecpe  Wall,  e  semplireuK'nte  The 
Wall,  cioè  il  muro  per  eccellenza,  Bruce.  pag.  49. 


I 


Gap.  IV, 


VALLO  DI  ADRIANO. 


643 


da  un  Marzio,  ufficiale  della  prima  coorte  dei  Daci  *,  e 
posto  a  ricordo  delle  prospere  imprese  al  di  là  della  linea 
del  vallo  («). 

U  àggere  {valium  caespiticium)  composto  di  tre  bastioni 
di  terra  e  di  sassi,  e  afforzato  con 
fossa  larga  trenta  piedi  inglesi,  e 
profonda  dieci,  sta  costantemente  a 
mezzogiorno  del  muro  di  pietra,  e 
nella  parte  che  prospetta  quest'ul- 
timo si  eleva  da  sei  a  sette  piedi. 

Del  m.uro  edificato  di  pietre  qua- 
drate congiunte  l'una  all'altra  con 
cemento  fortissimo,  rimangono  in 
più  parti  notevoli  ruderi;  e  quasi 
dappertutto  ne  sono  visibili  i  fon- 
damenti che  lo  mostrano  largo  da 
sei  a  sette  piedi  e  mezzo.  La  sua 
altezza  non  può  precisamente  cono- 
scersi, perchè  non  rimane  intero  in 
niun  luogo.  Esso  pure  nel  margine 
settentrionale  era  accompagnato  da 
larga  e  profonda  fossa,  la  quale  ri- 
mane oggi  anche  dove  il  suo  com- 
pagno è  scomparso  (*). 

Nel  loro  lungo  corso  in  linea  quasi  diretta  l' aggere  e 
il  muro  talvolta  procedono  vicini  cosi  che  tra  essi  appena 
resta  luogo  bastante  al  passo  della  via  militare:  ma  spesso 
a  seconda  della  natura  djel  suolo  si  scostano  da  180  a 
200  piedi,  e  a  mezza  via,  nella  parte  centrale  dell'istmo. 


Altare  al  Genio  del  Vallo 
{Eruce^  pag.  287). 


(^)  Ob  yes  trans  vatìum  prospere  ijestas.  Heiizen.  n.  6774;  Hùbiier, 
n.  940. 

(*)  W.  Hutton,  Historij  of  the  Roman  Wall,  p.  139,  .siubili  che  la  fossa 
avesse  la  profondità  di  15  piedi,  e  la  larghezza  di  36.  e  il  Bruce  tiene 
probabili  queste  misure. 

1  Bruce,  pag.  2S7;  Ilubner,  n.  SS6,  pag.  151.  i 


644 


VALLO  DI  ADRL\XO. 


[LiB.  VIL 


ove  il  terreno  sorge  a  considerevole  altezza,  stanno  più 
di  mezzo  miglio  discosti,  perchè  Taggere  segue  costan- 
temente la  valle,  e  il  muro  preferisce  le  cime  più  ardue 
dei  monti,  e  fa  viaggio  più  lungo  estendendosi  da  Wall- 
sencl  sulla  Tyne  fino  a  Boivness  sul  Sohvay,  mentre  l'ag- 
gere  corre  tre  miglia  di  meno  da  ambe  le  parti,  comin- 
ciando da  Ponte  Elio  (Ncwcastlc)  a  levante,  e  cessando  a 
Dì/Ics ficlcl  a  ponente. 


l.a  fossa  deirAu-gere  a  Limestone  Baule  presso  Chesters  [Bruce^  \i:\ii     1  'i-- 

Lungo  tutta  la  linea  rimangono  le  tracce,  le  fonda- 
menta e  anche  grandi  rovine  delle  17  stazioni  {castra 
stativa),  cioè  dei  campi  fortificati  di  mura,  di  baluardi 
di  terra,  e  di  fossa  per  sicuro  e  stabile  alloggiamento 
delle  truppe  poste  a  presidio  del  vallo.  Sono  di  forma 
quadrata,  con  quattro  porte  secondo  lo  stile  di  tutti  i 
campi  romani.  La  grandezza  di  queste  stazioni  varia  da 
tre  a  sei  acri  inglesi  (").  La  più  piccola  di  tutte  è  quella 
di  Aesica  {Creai  Chesters):  le  più  grandi  quelle  di  Am- 


(")  T'n  aci'c  inglcf^c  equivale  a  quasi  40  are  e  mezza. 


Gap.  IV.] 


VALLO  DI  ADRIANO. 


645 


boglanna  {Birdosivald),  di  Borcovicio  (Houscsteads),  e  Ci- 
lurno  (Chesters).  Spesso  stanno  in  siti  forti  e  ameni,  ora 
appoggiate  alla  grande  muraglia,  ora  al  mezzogiorno  di 
questa  e  dell'aggere.  Di  alcune  durano  grandi  e  splendidi 
avanzi.  Sopra  altre  passò  l'aratro  e  mandò  sossopra  gli 


Ruderi  delle  stazioni  di  Amboglanna  e  di  Borcovicio   (Brace ^   pag.  256  e  frontespizio). 


alloggiamenti  dei  militi,  il  pretorio  d'onde  partivano  gli 
ordini  e  la  giustizia  dei  duci,  i  templi,  gli  altari,  i  se- 
polcri, e  le  ville  erette  d'attorno  per  uso  dei  seguaci 
delle  truppe  in  queste  lontane  contrade.  In  più  luoghi  le 
rovine  delle  fortezze  romane  furono  usate  a  costruzioni 
di  castelli  baronali,  di  chiese  e  di  altri  nuovi  edificii.  A 
Ponte  Elio,  ove  la  prima  coorte  dei  Traci  e  altre  milizie 


Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV. 


646 


VALLO  DI  ADIIL\N0. 


LiB.  VII. 


boschi,  alle  Dee  Madri,  a  Mercurio  e  ad  Ercole  *,  sta  oggi 
la  grande  città  di  Newcastle,  ricca  d'industrie  e  com- 
mercii,  affumicata  dalle  grandi  fabbriche  in  cui  un  po- 
polo di  manifattori  lavora  a  fonder  minerali,  a  costruire 
battelli  a  vapore,  a  crear  macchine  per  le  strade  ferrate 
inglesi  e  straniere,  a. preparare  terribili  cannoni  alla 
guerra.  E  l'ultima  stazione  occidentale  è  ora  un  pacifico 
luogo  di  bagni  marini. 

Fra  le  stazioni  si  ritrovarono  i  fondamenti  e  più  ru- 
deri degli  80  castelli,  parte  essenziale  del  muro,  posti 
ordinariamente  a  un  miglio  l'uno  dall'altro,  e  perciò  detti 
miniarli  {Mile- Cast  Ics)  dagli  Inglesi  che  scrissero  delle 
antichità  romane  in  Britannia:  edificii  di  mura  grosse 
come  la  grande  muraglia  del  vallo,  del  medesimo  stile, 


Forma  generale  dei  castelli  mostrata  dai  ruderi  di  Castlo  Nick  (Brucej  pag.  72). 

e  quindi  evidentemente  del  medesimo  tempo;  di  forma 
quadrangolare,  arrotondata  sugli  angoli,  differenti  di  qual- 
che poco  nella  grandezza,  ma  per  lo  più  di  sei  piedi 
quadrati;  eretti  nell'intento  di  proteggere  contro  le  su- 


Bruce,  pag.  103-105;  Hubncr,  Lisa:  Brit.  latin.,  p.  109-110. 


Gap.  IV.] 


VALLO  DI  ADRIANO. 


647 


bitanee  sorprese  i  soldati  posti  a  guardia  del  contiguo 
miglio  del  muro.  In  quelli  scavati  si  trovò  una  grande 
porta  al  settentrione  del  pari  che  al  mezzogiorno:  il  che 
non  dimostra  che  la  regione  settentrionale  fosse  lasciata, 
come  altri  opinò,  nelle  mani  dei  barbari  *. 
Oltre  a  tutto  ciò  si  conoscono  i  siti  e  le  rovine  di  una 


Interno  del  castello  di  Housesteads  presso  la  stazione  di  Borgo vicio  (Bruce^  jiag.  202) 

trentina  di  campi' posti  a  settentrione  e  a  mezzogiorno 
del  vallo  per  sostegno  alle  parti  meno  forti  di  esso  :  e 
da  questi,  come  dal  muro ,  dai  castelli  e  dalle  stazioni 
di  tutta  la  linea  uscirono  ricordi  moltiplici  degli  edifica- 
tori e  dei  difensori  della  grande  barriera. 

Lungamente  fu  disputato  suWa  edificazione  di  essa  at- 
tribuita a  Giulio  Agricola,  a  Settimio  Severo,  a  Teodosio 
e  a  Stilicene. 


Brace,  pag. 


648  .  GLI  EDIFICATORI  DEL  VALLO.  [Lib.  VII. 

Fra  gli  antichi  Sparziano  sulla  fine  del  secolo  terzo 
scrisse,  come  sopra  fu  detto,  che  Adriano  edificò  un  muro 
di  80  mila  passi  per  dividere  i  barbari  dai  Romani:  e 
poscia  al  capo  decimottavo  della  vita  di  Settimio  Severo 
aggiunse  che  questi  fece  un  muro  da  un  mare  all'altro, 
e  che  per  tale  opera,  la  più  gloriosa  di  tutto  il  suo  re- 
gno, fu  soprannominato  Britannico.  Dove  fosse  questo 
muro  diverso  da  quello  che  il  biografo  attribuì  ad  Adriano, 
né  egli,  ne  altri  lo  ha  detto.  Erodiano  e  Dione  Cassio,  con- 
temporanei di  Severo  e  narratori  della  sua  spedizione  in 
Britannia,  e  più  antichi  di  tutti  quelli  che  ricordano  il 
Mtiro,  non  dissero  che  fosse  edificato  da  lui.  Pure  tutti  gli 
autori  dei  secoli  dopo  in  grazia  dell'imbroglio  di  Sparziano 
attiibuirono  a  Severo  quest'opera:  e  i  più  degli  scrittori 
del  medio  evo  la  rimandarono  alla  metà  del  secolo  quinto. 
D'onde  le  dispute  inglesi  continuate  fino  ai  tempi  più 
prossimi. 

Ma  ora  l'esame  più  attento  dei  ruderi  e  lo  studio  severo 
dei  documenti  scritti,  e  dei  monumenti  dell'arte  raccolti 
tra  le  rovine,  non  lasciano  dubbio  sul  tempo  e  sull'unico 
autore  del  vallo,  le  cui  parti  diverse,  create  da  un  solo 
concetto,  rispondono  a  un  solo  e  medesimo  intento. 

Mentre  dell'imperatore  Severo  (")  e  degli  altri  supposti 
autori  dell'opera  non  rimane  in  essa  ricordo  nessuno, 
da  un  capo  all'altro  del  vallo  molte  iscrizioni  ricordano 
Adriano  coi  suoi  duci  e  soldati  che  lavorarono  alla  edi- 

(")  Del  toinpo  di  Severo  pì  ricordano  nel  vallo  solo  i  nomi  dei  consoli 
degli  anni  207  e  210.  Il  nome  di  lui  assente  dalla  grande  barriera  si 
trova  fuori  di  essa  a  Herram,  a  Old  Carlisle,  e  al  campo  di  Habitancum 
0  Habitancium  (Risingham),  ove  un'epigrafe  dice  che  egli  restaurò  la 
porta  e  le  mura  di  quella  stazioije  :  portam  cum  muris  vetustate  dilap- 
sis  ....  a  solo  restituii.  Hiibner,  n.  1003  :  e  da  questo  fu  ai-gomentato 
che  prima  di  muovere  a  guerra  contro  i  Caledonii  rimettesse  in  buon 
ordine  lo  stazioni  sulla  sua  linea  di  marcia,  e  si  tenne  probabile  che  re- 
staurasse anche  una  notevole  parte  del  muro.  Bruce,  pag.  82,  267,  336, 
344,  3G3.  383-384. 


Gap.  IV.]  GLI  EDIFICATORI  DEL  VALLO.  649 

ficazione  del  gigantesco  baluardo.  Il  nome  di  lui  rimasto 
alla  stazione  di  Ponte  Elio  si  ripete  molte  volte  su  tutta 
la  linea  e  fuori  di  essa  nelle  stazioni,  nei  castelli,  nei 
campi  distaccati,  e  lungo  le  vie  restaurate  o  fatte  di 
nuovo,  ora  solo,  ora  congiunto  ai  nomi  del  suo  legato 
Aulo  Platorio  Nepote,  e  delle  legioni  seconda  e  vente- 
sima ^  Di  Elio  Adriano  è  parlato  in  piti  luoghi  con  nu- 
merose iscrizioni  dalla  prima  coorte  dei  Daci,  e  dalla 
prima  coorte  degli  Ispani  chiamate  Elie  ambedue  -  :  e 
pili  sicuramente  si  riferiscono  ai  tempi  di  Adriano  l'al- 
tare della  stazione  di  Magna  {Carvoran)  dedicato  alla 
Fortujia  Augusta  per  la  salute  di  Elio  Cesare  adottato 
dall'imperatore  e  morto  prima  di  lui  3;  e  i  monumenti 
che  a  Maryport  sulla  costa  occidentale  ricordano  M.  Menio 
Agrippa,  tribuno  della  prima  coorte  degli  Spagnuoli,  e 
poscia  preposto  da  Adriano,  come  vedemmo,  al  governo 
della  flotta  Britannica  '^ 

I  soldati  delle  legioni  seconda,  ^sta  e  ventesima,  e  più 
coorti  ausiliarie  e  centurie,  e  anche  i  lavoranti  alle  cave 
di  pietre  lasciarono  scolpito  il  ricordo  dei  loro  capi  e  di 
se  nei  dirupi  e  in  moltissime  lapidi  sulle  varie  parti  del 
muro,  dei  castelli,  e  dei  campi  da  essi  costrutti,  e  sui 
moltiplici  altari  eretti  agii  Dei  ("). 

C^)  Tra  i  molti  ricordi  delle  tre  legioni,  delle  squadre  {vexillationes). 
delle  coorti,  e  delle  centurie  di  cui  si  nominano  i  capi,  diamo  a  pag.  650 
i  seguenti:  u.  1.  Legione  II  Augusta.  — •  ^.  Legione  VI  Vittrice  Pia  Fe- 
dele (  Vie.  P.  F.).  —  3.  Legione  XX  Valeria  Vittrice,  (V.  V.).  —  4.  Coorte 
HI  dei  Batavi.  —  5.  Centuria  di  Sorione.  —  6.  Coorte  IlII,  centuria  di 
Probiano.  —  7.  Centuria  di  Aufidio  Rufo.  —  8.  Coorte  VIII,  centuria  di 
Cecilio  Clemente.  —  9.  Centuria  di  Ostilio  Lupo.  —  10.  Centuria  di  Giulio 
Rufo.  —  11.  Centuria  di  Lucio.  —  12.  Centuria  di  Gellio  Filippo.  —  13. 
Centuria  di  Valeriano.  —  14.  Centuria  di  Fiorino,  ove  con  le  parole 
P.  XXII  si  nota  che  questa  centuria  edificò  ventidue  passi  del  muro. 

1  Bruce,  pag.  16,  208,  217,  230,  251,  251-235,  259,203,  273,356,372,383-381,412;  Iliib- 
ner,  n.  660-663,  713,  961,  1169,  1175. 

2  Bruce,  pag.  25J-256,  239,  273,  356,  412;  Iliibner  n.  S03,  SOS-823,  951,  963-965. 

3  Bruce,  pag.  244;  Hubner,  n.  748. 

4  Bruca,  pag.  ?07;  Hubner,  n.  379-382. 


650 


[LiB.  VII. 


Ricordi  delle  legioni,  delle  coorti,  squadre  e  centurie  edilìcalrici  del  Vallo  (Druce). 


Gap.  IV.]  ANFITEATRI,  BAGNI,  TEMPLI  ED  ALTARI  NEL  VALLO.  651 

Tutta  la  regione  del  vallo  ora  e  per  molti  anni  in  ap- 
presso è  popolata  da  gente  varia  di  luoghi,  di  lingue  e 
costumi.  Vi  sono  Italiani,  Galli,  Batavi,  Frisii,  Germani, 
Daci,  Pannoni,  Dalmati,  Reti,  Traci,  Ispani,  Mauritani, 
Hamii  di  Siria.  All'intorno  ferocia  e  barbarie.  Qui  per 
opera  degli  ordini  e  della  potenza  di  Roma  sorge  una 
nuova  civiltà  di  cui  rimangono  dappertutto  i  vestigi.  I 
soldati  romani  che  con  tutti  gli  aiuti  dell'ade  lavorano 
alla  edificazione  del  forte  propugnacolo  vi  lasciano  nu- 
merose memorie  di  loro  gusti,  e  pensieri,  e  amori  e 
credenze. 

Alle  stazioni  di  Cilurno  (Chesters)  e  di  Borcovicio  {Hoii- 
sesteads)  sono  tracce  di  anfiteatri:  in  molti  luoghi  fre- 
quentissime le  rovine  di  edificii  di  bagni,  di  acquidotti, 
di  ponti,  di  ville,  di  templi.  Rimangono  140  altari,  tra 
cui  alcuni  egregiamente  scolpiti,  coi  nomi  dei  duci  e  sol- 
dati che  gl'inalzano  a  Giove  Ottimo  Massimo,  a  Giove 
Augusto,  a  Giove  Dolicheno,  a  Giove  d' Eliopoli,  agli  Dei 
vecchi  e  nuovi,  ad  Apollo,  al  Sole  Apollo,  al  Dio  Sole 
Invitto,  a  Mitra,  alla  Santa  Minerva,  a  Diana,  a  Nettuno, 
a  Esculapio,  a  Marte  Militare,  a  Bellona,  a  Epona  Dea 
dei  cavalli  e  dei  muli,  a  Ercole  Invitto,  a  Ercole  Tirio, 
alla  Fortuna  che  dopo  il  re  dell'Olimpo  è  il  Nume  più 
favorito  e  più  onorato  di  sacrificii  dai  militi  intenti  a 
implorarne  la  vittoria  sui  campi,  e  il-  sicuro  ritorno  alla 
patria,   alla    Fortuna   del  Popolo   Romano  {"),   alla  Dea 

(«)  I  tre  altari  clie  diamo  incisi  nella  pagina  seguente  furono  trovati 
imo  al  campo  di  Habitancium  {Risingham)  fuori  della  linea  del  vallo,  e 
gli  altri  alla  stazione  àìNìm\o\^\\2i,  (Chesterholm):  il  primo  dedicato  alla 
Fortuna  Reduce  dal  tribuno  Giulio  Severino  a  scioglimento  di  un  voto  dopo 
compiuta  Tcdificazione  di  un  bagno  :  il  secondo  a  Giove'  e  agli  altri  Dei 
immortali  e  al  Genio  del  Pretorio  da  Quinto  Petronio  Urbico  italiano  di 
Brescia,  prefetto  della  quarta  coorte  dei  Galli;  il  terzo  alla  Fortuna  del 
Popolo  Romano  da  G.  Giulio  Retico  centurione  della  sesta  legione  Vittrice. 
Bruce,  pag.  335,  213-214  e  211.  Per  le  iscrizioni  vedi  Hùbner.  n.  984, 
704  e  702. 


652 


CULTO  AGLI  DEI  ROMANI  E  STRANIERI.         [Lib.  VII. 


Roma,  a  Roma  Eterna;  alla  Vittoria  Augusta,  ai  Numi 
imperiali,  al  Genio  dell'Imperatore  e  delle  Insegne;  al 
Genio  del  loco,  al  Genio  delle  coorti,  del  Pretorio  e  del 
Campo;  alle  Dee  Madri,  alle  Madri  Domestiche,  alle  Madri 
Campestri,  alle  Madri  Tramarine,  alle  Madri  di  tutte' le 
genti;  alle  Madri  Parche,  agli  Dei  Mani,  ai  Fati,  al  Buon 
Evento,  alle  Tre  Lamie;  agli  Dei  del  Villaggio,  a  Silvano 
Invitto  e  prèside   dei  giardini  e  dei  boschi,   alle   Ninfe 


'iTORTVNAE  REDVCi 
i'iVLlVS-SEV'ERINVS 

j  BALI  MEO -V-S-LM 


CETERISQVL 
|:DI!S  If^MORTH 
y!!ETGEM-PRA\ET«il 
Q.PETRONIVS 
QF.FABVRBlCVS'i: 
PRAEF-COH-liL^ 

!i  EX  ITALIA 
DOMOBRIXIA 
VOTvM  SOLVn 
PRO       SE 
AC        SVIS 


Altari  alla  Fortuna  Reduce,  a  Giove  e  arOenio  del  Pretorio,  e  alla  Fortuna 
del  Popolo  Romano  (Bruce). 

custodi  dei  rusceUi  e  dei  fonti;  ad  Astarte,  alla  Grande 
Dea  Siria  adorata  a  Magna,  dove  stanziano  gli  Hamii, 
ed  altrove;  al  santo  Cocidio  e  a  Beltucadro,  Numi  guer- 
rieri trovati  solo  nella  parte  occidentale  del  vallo,  alla 
Dea  Setlocenia,  a  Vanaunti,  ad  Anocitico,  ad  Antenoci- 
tico,  a  Matuno  e  ad  altri  Dei  ignoti  alfOlimpo  Romano. 


Gap.  IV. 


OPERE  D'ARTE  DEI  SOLDATI  DEL  VALLO. 


653 


Da  questi  altari,  ora  rozzi,  ora  belli  di  variati  orna- 
menti, e  dalle  altre  opere  appariscono  le  differenti  facoltà 
artistiche  dei  soldati  romani,  alcuni  dei  quali  si  vedono 
cercare  e  più  volte  raggiungere  le  gentilezze  dell'arte 
nei  fregii  delle  fabbriche  e  delle  colonne,  nei  bassirilievi, 
e  nelle  statue  che  parte  intere,  parte  mutilate  uscirono 
dalle  rovine* degh  edifìcii  civili  e  dei  templi.  Vi  sono  si- 
mulacri di  Nettuno,  di  Esculapio,  di  Mercurio,  di  Ercole, 


Saggio  delle  opere  d'arte  dei  soldati  del  Vallo  (Bruce). 

della  Vittoria,  di  Minerva,  di  Venere  e  delle  Ninfe  ai  loro 
lavacri,  del  Genio  del  Campo,  e  di  più  soldati  tra  cui 
un  cavaliere  in  atto  di  calpestare  im  nemico  vinto,  e  un 
milite  delle  coorti  ausiliarie  (").  Rozze  sculture  ritraggono 


(^)  N.  1.  Ercole.  —  2.  Cavaliere  che  calpesta  un  nemico  vinto.  —  3.  Sol- 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  82 


654  CONTINUAZIONE  DEI  VIAGGI  DI  ADRIANO.      [Lib.  VII. 

le  cacce  dei  militi  a  cervi,  a  daini  e  cinghiali:  e  piìi  epi- 
grafi ricordano  con  gentile  affetto  le  prodezze  dei  com- 
pagni, e  i  cari  parenti  perduti,  e  le  loro  tombe  lungi 
dalla  terra  natale. 

Tutta  la  linea  del  vallo,  e  i  campi  d'attorno   parlano 


Tombe  romane  a  Bremenio  (High  Rochester)  {Bruce^  pag.  330). 

dei  fatti,  delle  arti,  degli  affetti,  dei  conforti,  della  vita 
e  della  morte  di  più  generazioni  di  uomini  qui  venuti  a 
lavorare  e  a  combattere  da  tutte  le  parti  del  mondo:  e 
le  grandi  rovine  della  formidabil  fortezza  rimangono  come 
una  epitome  della  storia  dei  Romani  sotto  l'Impero  *. 

Assicurati  in  tal  guisa  i  confini  anche  da  questa  parte, 
Adriano  continua  i  suoi  viaggi  pel  mondo  romano  ove 
lo  seguiamo  con  rapida  corsa. 

Poco   appresso  è  nelle  province  di  Spagna:  sverna  a 


Jato  ausiliare.  —  4.  Genio  del  Campo.  —  5.  Vittoria.  —  6.  ^KnerTa.  — 
7.  Venere  al  bagno.  —  8.  Ninfe  ai  loro  lavacri.  Bruce,  pag.  114,  292,  199, 
199,  359,  196,  172,  409,  318. 

*  Merivale,  Hist.  of  the  Romana  under  the  empire^  Vili,  210. 


i 


Gap.  IV.]  SPAGNE  E  AFFRICA.  655 

Tarragona  ove  corre  pericolo  di  essere  ucciso  da  un 
servo  pazzo,  che  egli,  dopo  l'attentato,  raccomanda  alle 
cure  dei  medici.  Ivi  restaura  il  tempio  d'Augusto,  raduna 
in  generale  assemblea  gli  abitatori  della  provincia  reni- 
tenti derisoriamente  alla  leva,  e,  trattando  con  grande 
veemenza  gli  originarli  d'Italia  e  con  prudenza  e  cau- 
tela i  nativi,  provvede  a  toglier  via  ogni  disordine  *.  Nella 
Tarraconese,  nella  Betica  e  in  Lusitania  restaura  numero 
grande  di  strade,  e  ne  fa  delle  nuove  2;  1  municipii  ora 
e  in  appresso  gli  pongono  monumenti  e  lo  celebrano 
ottimo  e  massimo  'principe  ^.  Quantunque  vicino,  non  vi- 
sita Italica  sua  patria,  ma  la  cumula  di  doni  e  di  onori  '*. 
In  Affrica  ove  è  detto  che  fu  amato  dagli  abitanti  per- 
chè al  suo  arrivo  piovve  dopo  cinque  anni  di  siccità  ^, 
compresse  i  moti  guerreschi  dei  Mauri,  fu  largo  di  be- 
neficii  alle  province  ^,  e  studiò  di  afforzarle  per  via  di 
colonie  a  Thenae  nella  Bizacena,  a  Zama  in  Numidia,  a 
Utica  e  altrove  '.  Condusse  una  via  di  197  miglia  da 
Cartagine  a  Teveste  (Tehcssa)  in  Numidia  ^  coli' opera 
della  terza  legione  Augusta  che,  stanziata  colà  da  un 
pezzo  e  rimastavi  per  lungo  tempo  in  appresso,  ora  ebbe 
il  suo  quartier  generale  a  Lambaesa  {Lambesa  nella  pro- 
vincia di  Costantina)  in  fondo  a  una  fertile  valle  sulle 
ultime  pendici  del  monte  Aurasio,  ove  con  moltissime 
iscrizioni  datine  *  si  ritrovarono  quasi  intatte  le  mura 
del  campo   dei  legionarii  con  basilica  o  pretorio,  e  ac- 

i  Sparziano,  12. 

«  Hùbner,  Inscriptiones  Hisponiae  latina  e  ^  n.  4633,  4656,  4658,  1659,  4661-4663,  4658, 
4669,  4678,  4682,  4735-4738,  4747,  4748,  4752,  4779,  4780,4783,4821,4825,  4S39,  4841,  4849, 
4860,  4867,  4871,  4877,  4906. 

3  Hiibner,  n.  186,  4-?9,  478,  2ni,  2.3G5,  32.39,  4201,  4230. 

4  Dione  Cassio,  LXIX,  10.  Vedi  anche  Gellio,  Noct.  Attic,  XVI,  13. 

5  Sparziano,  22. 

6  Sparziano,  12  e  13. 

7  Zumpt,  De  Colon.  Roman,  inilit.,  pag.  420  e  segg. 

8  Creili,  n.  3564;  h&tvonm.  L'are  de  triomphe  de  Theveste.  ìa  Revue  archcologìqne^ 
1817-1818,  voi.  4,  pàg.  300. 

9  Leon  Renier,  Inscriptions  romaines  de  l'Algerie.,  pag.  1-160,  n.  1-1109. 


656  AFFRICA.  I  SOLDATI  RO:\IAM  A  LAilBESA.       [Lib.  VII. 

quidotto  e  altri  edificii,  e  poco  lungi  le  rovine  del  campo 
delle  truppe  ausiliarie  con  una  colonna  caduta,  nella  cui 
base  leggesi  ancora  l'allocuzione  colla  quale  Adriano  en- 
comiava la  disciplina,  la  forte  operosità  e  la  destrezza 
di  questi  soldati  posti  qui  a  difendere  la  Numidia  dagli 


archéolog.). 


assalti  delle  tribù  non  soggette  all' Impero  (^).  E  riman- 
gono anche  ricordi  di  loro  presidii  staccati  ad  aHorzare  i 
confini  in  castelli  muniti  lungo  la  montagna  su  cui  poscia 
eressero  altari  alla  Trinità  Capitolina  di  Giove,  di  Giunone 
e  Minerva  *,  e  a  Giove  sujnore  delle  temiicstc  divine  (*). 

e*)  Renior.  Inscriptions  romaines  de  l'Algerie,  n.  .5;  Henzon,  in  Annal. 
Isfit.  arch.,  1800,  pag.  62  e  segg.  —  Per  le  antichità  di  Lambesa  vedi 
De  La  Mare,  Notice  sur  Lmnbaesa  ville  de  la  province  de  Costantini, 
in  Revue  arclu'ologique.  1847-1848,  voi.  4.  pag.  449-453;  Texicr,  ivi,  1848, 
voi.  5,  pag.  417-418,  e  pi.  98. 

(*)  lovi  0.  M.  tempestatiwn  divinarum  2iot(:nti.   Rcnier,  u.  6.,  Sopra 

1  Renier,  lec.  cit.^  n.  IGll. 


Gap.  IV.]  GRECIA.  657 

Dall'Affrica  tornò  a  Roma,  e  presto  ripartì,  passando 
per  Atene,  alla  volta  d'Oriente  ^  Corse  la  Grecia  accom- 
pagnato, secondo  il  suo  solito,  da  una  turba  di  architetti 
e  di  fabbri,  ordinati  a  modo  di  legione  e  divisi  in  coorti  2, 
e  in  più  luoghi  fece  sorgere  rapidamente  nuove  e  belle 
opere  pubbliche. 

Pausania  vide  i  monumenti  e  i  templi  parte  fatti  di 
pianta,  parte  rinnovati  e  resi  più  adorni:  tra  cui  i  bagni 
e  le  fontane  di  Corinto  con  le  acque  condottevi  dal  lago 
Stinfalo;  l'allargamento  della  via  Scironia  lungo  l'Istmo 
per  le  balze  già  infestate  da  fieri  ladroni;  la  restaurazione 
del  sepolcro  di  Epaminonda  con  nuova  epigrafe  del  viag- 
giatore imperiale  a  Mantinea  tornata  al  suo  nome  antico, 
e  decorata  colla  riedificazione  del  suo  tempio  a  Nettuno; 
a  lampoli,  nella  Focide,  il  tempio  sacro  ad  Apollo  ;  e  ad 
Abe  un  portico  chiamato  Aclrianeo;  agli  Argivi  l'offerta 
di  un  pavone  d'oro  e  di  fulgide  gemme  nel  tempio  della 
loro  Giunone,  e  il  rinnovamento  della  corsa  equestre  nei 
giuochi  Nemei  ;  e  tutte  le  altre  magnificenze  di  edifìcii  e 
di  doni  ricordati  ad  Atene  dalla  epigrafe  nel  tempio  sacro 
a  tutti  gli  Dei  ^. 

Ad  Atene,  stazione  usuale  dei  suoi  viaggi  in*  Oriente, 
svernò  due  volte,  occupato  in  veste  greca  a  esercitare  le 
funzioni  di  agonoteta  e  di  arconte,  a  presedere  i  pub- 
blici giuochi,  a  celebrare  splendidamente  le  feste  di  Bacco, 
a  dare  grandi  cacce  di  fiere,  a  iniziarsi  ai  misteri  eleu- 


iin  altro  altare  della  stessa  legione  terza  è  scritto:  Vcntis  bonarum  tem- 
lìestatium  potentibus,  ivi,  n.  7. 

Per  altri  l'icordi  di  Adriano  a  Cirta,  a  Riisicade,  a  Sigiis,  a  Teveste  e 
nella  Mauritania  vedi,  ivi,  n.  1810,  2157,  2158,  2464,  2465,  3081,  3269, 
3842,  4136. 

1  Sparziano,  18. 
»  Aurelio  Vittore,  Epit.^  1 1. 

8  Pausania,  I,  5,  5,  I,  44,  6,  II,  3,  i,  li,  17,0,  VI,  16,  4,  Vili,  S,  12,  Vili,  10,  2,  Vili, 
11.8. 


658 


ATENE, 


[LiB.  VII. 


sini  *,  a  gareggiare  negli  esercizi  della  musica,  della 
danza,  dell'architettura,  della  scultura  e  della  pittura*, 
a  conversare  coi  filosofi  e  con  Erode  Attico  e  con  Po- 
lemone  maestri  dell'arte,  della  parola,  a  fare  sfoggio  di 
sue  munificenze  e  dei  suoi  amori  di  antiquario  e  d'ar- 
tista, e  a  rinnovare  con  altri  splendori  la  vecchia  città 
di  Minerva. 
Lungo  rilisso  a  levante  dell'antica  città  ne  sorse  per 


tZ^^'-vi, 


Arco  di  Adriano  ad  Ateno  (Stuart  e  lievett). 


opera  di  lui  una  nuova  chiamata  Adrianopoh,  di  cui  parla 
anche  oggi  l'arco  trionfale  colle  epigrafi  nel  fregio  delle 
sue  facce  di  marmo  pentelico,  una  delle  quali  prospiciente 
l'Acropoli  dice:  Qui  è  Atene,  l'antica  città  di  Teseo,   e 


1  Sparziano,  13  e  19;  Dione  Cassio,  LXIX,  1(1  e  ir,. 
*  Aurelio  Vittore,  Epil.^  11. 


Gap.  lY.]  ATENE.  659 

l'altra  dal  lato  opposto  :  Qui  è  la  città  d'Adriano,  e  non 
■più  quella  di  Teseo  {^). 

Il  nuovo  quartiere  fu  poscia  abbellito  anche  da  Erode 
Attico  di  uno  stadio  coperto  di  marmo  pentelico,  e  di 
un  odeo  colle  soffitte  di  cedro,  ed  elegantemente  adorno 
di  statue  della  stessa  materia;  due  opere  celebrate  come 
le  più  magnifiche  e  insigni  di  Grecia  *. 

Ivi  presso  sorse  l'Olimpieio,  cioè  il  tempio  di  Giove 
Olimpio,  di  straordinaria  grandezza,  in  un  sacrario  di 
quattro  stadii  Q),  cinto  da  numerose  colonne,  adorno  di 
uno  stupendo  colosso  d'oro  e  d'avorio,  e  di  molte  statue 
di  preziosi  marmi  e  di  bronzo  consacrate  all'imperatore 
dalle  città  greche  e  dalle  colonie  ^  :  edificio  a  cui  lavo- 
rarono per  secoli  Pisistrato  e  i  figli,  e  Antioco  Epifane, 
re  di  Siria,  poi  rovinato  in  parte  da  Siila  per  portarne 
via  le  colonne,  e  non  pienamente  rifatto  dai  re  alleati 
che  vollero  dedicarlo  al  Genio  d'Augusto  ^.  Adriano,  com- 
piuti i  lavori  già  fatti  cominciare  nei  precedenti  viaggi,- 
inaugurò  il  tempio  con  solenne  festa,  nella  quale  il  suo 
amico  Polemone,  famoso  sofista,  celebrò  con  una  sacra 
orazione  il  maraviglioso  santuario,  in  cui  l'altro  sofista 
Erode  Attico  stette  gran  sacerdote  dell'imperatore  e  di 
Giove  C). 

C)  Bi-eton,  Athénes,  p.  262.  Pei^  le  rovine  deirArco  vedi  Stuart  e  Re- 
vett,  Les  antiquités  d'Athénes,  Paris  1812,  tom.  Ili,  pi.  19  e  pag.  61; 
Bloiiet,  Expedition  scientifique  de  Morce,  Paris  1831,  pi.  98. 

(*)  La  circonferenza  del  sacrario  trovasi  ora  di  746  metri  e  50  centi- 
metri. Vedi  Breton,  Athénes,  p.  207. 

C)  Pausania,  I,  18,  6;  Filostrato,  Vite  dei  Sofisti,  I,  25,  3;  Sparziano, 
13;  \k\alLa.h\a,cììe,  Hérode  Atticus,  Etude  critique  sur  la  vie,  Paris  1872, 
a  pag.  37. 

A  pag.  74  del  presente  volume  demmo  una  piccola  imagine  di  questo 
colossale  edifizio  di  cui  rimangono  15  colonne,  cioè  due  isolate  e  13  riu- 
nite ancora  dai  loro  architravi.  Vedi  Breton,  Athénes,  pag.  213. 

1  Pausania,  I,  19,  6,  VII,  20,  6;  Filostrato,   Vite  dei  So/ìsCi^,  I,  1,  5. 

2  Pausania,  I,  18,  6. 

3  Polibio,  XXVI,  10;  Vitruvio,  lib.  VII,  P>-aef.^  15;  Livio,  LXI,  20  (25);  Velleio  Pa- 
tercolo,  I,  10;  Plinio,  XXXVI,  5  (Gj;  Svetonio,  Aug..  60. 


660  ATENE.     ^  [Lib.  VII. 

Fra  le  opere  sorte  ora  di  nuovo  si  ricordano  il  Portico 
di  Adriano,  il  tempio  a  tutti  gli  Dei,  il  tempio  di  Giunone 
e  di  Giove  Panellenio  superbo  di  120  colonne  e  splendido 
d'oro,  di  alabastro,  di  pitture  e  di  statue,  con  una  maravi- 
gliosa  Biblioteca  e  un  Ginnasio  Adrianeo,  adorno  di  cento 
colonne  di  marmo  delle  cave  di  Libia  *,  e  finalmente 
un  grande  acquidotto  per  abbeverare  la  nuova  città  -. 

Agli  Ateniesi  Adriano  fece  ogni  sorte  di  amabilità  con 
grandi  doni  di  pecunia,  di  grano  annuo,  e  dell'isola  di 
Cefalenia:  détte  loro  leggi  composte  sul  modello  di  quelle 
di  Bracone  e  Solone,  e  con  un  decreto  regolò  la  cultura 
e  il  commercio  dello  squisito  olio  attico,  e  provvide  che 
la  troppa  esportazione  di  esso  non  facesse  mancare  il 
bisognevole  agli  usi  pubblici  dei  sacrificii,  dei  ginnasi! , 
dei  giuochi,  dei  bagni  \ 

Se  Pericle  ebbe  un  giorno  il  pensiero  di  unire  i  de- 
putati di  tutti  i  Greci  dell'Europa  e  dell'Asia  per  trattare 
degli  affari  comuni  ^,  ora  illudevasi  chi  potè  creder  sul 
serio  che  il  Panellenio  significasse  veracemente  l'unione 
di  tutti  i  Greci  nel  pensiero  e  nel  culto  della  patria  co- 
mune. Il  Giove  adorato  nel  Panellenio  come  nell'Olimpieio 
non  simboleggiava  la  patria  ellenica,  ma  l'imperatore  del 
mondo  romano  consacrante  templi  e  are  a  se  stesso. 
Egli  il  Dio  vivente  e  potente  cui  dovevansi  indirizzare  le 
preci  dei  sudditi:  Giove  non  era  che  un  nome  e  un'om- 
bra. E  i  Greci  lo  capirono  subito,  e  chiamarono  lui  Giove 
Olimpio  ^,  e  Panellenio,  e  Dodoneo  ^  e  gli  moltiplicarono 
le  statue  nei  templi,   nelle  piazze,  nei  portici'',  e  nel 

1  Pausania,  I,  IS,  9;  S.  Girolamo,  Euseb.  Chron. 

2  Orelli,  Inscr.,  n.  511;  e  Corp.  Inscr.  lat.^  voi.  Ili,  n.  5J9. 

3  Dione  Cassio,  LXIX,  10;  S.  Girolamo,  in  Euseb.  Chron.;  Corp.  Inscr.  graec,  n.  355. 

4  Plutarco,  Pericle^  17. 

r.  Muratori,  Inscript.^  pag.  231-233;  Boeckh,  Corp.  Inscript.  graee...  n.  321-311;  Ordii, 
5453;  Aìinal.  Istit.  arch...  1852,  pag.  193;  Corp.  Inscr.  lai.,  voi.  Ili,  n.  371  e  51S. 

ti  Corp.  Insnr.  grate. ,  n.  1072  e  1521  ;  Eckel ,  Boctr.  mim.  vet.^  VI,  518;  Fleiiimer, 
De  iliner.  Hadriani,  pag.  69. 

f  Pausania,  I,  3,  2,  l,  18,  6,  l,  21,  7,  V,  12,  G;   Corp.  Inscr.  graec.  629,  6102. 


Gap.  IV.] 


ATENE. 


VIAGGI  NELL'ASIA. 


CGI 


teatro  di  Bacco  ad  Atene;  tra  le  rovine  del  quale  non 
ha  guari  scoperte  si  notò  il  posto  del  suo  sacerdote,  e 
le  basi  di  due  statue  a  lui  imperatore  ed  arconte  *.  Da 
ogni  parte  furono  istituiti  giuochi  Adrianei,  Panellenii  ed 
Olimpii.  Dalle  più  lontane  regioni  dell'Asia  vennero  de- 


Hoviae  del  teati'o  di  Bacco  ad  Atene  [Da  Fotografìa). 

putati  alle  feste  d'Atene,  e  statue  di  Adriano  all'Cdim- 
pieio  2.  A  Cizico  rimangono  le  rovine  del  magnificentis- 
simo  tempio  eretto  al  nuovo  Dio  3,  che  vedesi  consacrato 
anche  ad  Efeso  colla  sua  moghe  Sabina  K 

Adriano  corse   piìi  volte   le   regioni   dell'Asia  romana 
per  vigilarne  il  governo,  per  afforzare  i  confini,  per  di- 


1  Corp-  Inscript.  lat.j  TU,  n.  519-,  Hcnzen,  Inscriz.  onorar,  di  Adr.^  in  Annal.  Jstit.^ 
1SG2,  pag.  137;  llittorf,  in  Revue  archéolog..  1S62,  voi.  G,  pag.  111-112,  e  renormant, 
ivi,  18G1,  voi.  9,  pag.  431-436. 

8  Vedi  le  iscrizioni  greche  e  latine  citate  nella  pagina  precedente  a  proposito  di  Giove 
Olimpio  e  Panellenio. 

3  Dione  Cassio,  LXX,  4;  Maiala,  Chronographia,  ed.  Oxonii,  1691,  pag.  364;  Perrot 
Le  tempie  d'Hadrien  a  Cyzique.  h\Eev.  arch.,  1854,  voi.  9,  p-  3i;0-360,  e  Exploraiion 
de  la  Galatie,  pag.  69  e  segg.,  e  pi.  3  e  i. 

4  Corp.  InscripC.  graec...  n.  29C9. 

V.\N.Nucci  —  Storia  deh' Italia  antica  —  IV.  83 


C62  ADRIANO  NEL  PONTO  BUSSINO.  [Lib.  VII. 

sarmare  con  doni  e  alleanze  i  nemici,  per  visitare  i  luoghi 
famosi,  e  godere  i  grandi  spettacoli  della  natura  e  del- 
l'arte: e  qui  come  altrove  lasciò  dappertutto  moltiplici  e 
variati  ricordi  di  sé. 

Coi  suoi  accorgimenti  tenne  a  sé  amici  i  Parti,  e  gli 
abitatori  del  Caucaso,  e  fece  che  i  re  barbari  delle  coste 
del  Ponto  Eussino  riconoscessero  i  loro  scettri  da  lui  *. 
Egli  stesso  andato  nel  Ponto  costruì  il  porto  di  Trape- 
zunte  {Trehisonda)  per  sicuro  ricovero  alle  navi  accor- 
renti a  quella  città  mercantile,  e  di  là  contemplò  il  mare 
dal  luogo  d'onde  i  Diecimila  di  Senofonte  mandarono 
loro  grida  di  gioia  riconoscendo  l' Eussino,  termine  alle 
fatiche  e  ai  pericoli  della  ritirata  famosa.  E  ivi  sorse  una 
statua  del  principe  a  ricordo  degli  eroi  greci,  e  di  quella 
sua  visita.  Per  ordine  di  lui  Flavio  Arriano  di  Nicomedia, 
storico  di  Alessandro  Magno  e  ora  governatore  di  Cap- 
padocia,  navigò  lungo  le  coste  di  tutto  il  giro  del  Ponto, 
e  in  una  sua  lettera  gli  rese  conto  della  natura  dei  luoghi 
e  degli  abitanti,  delle  colonie  greche,  dei  commercii,  delle 
arti,  dei  porti,  delle  distanze  tra  i  vari  punti  di  approdo, 
delle  truppe  romane  poste  ivi  a  guardia,  delle  forze  dei 
barbari,  dei  luoghi  muniti,  e  di  quelli  bisognevoli  di  nuove 
difese:  e  non  dimenticò  i  monumenti  e  le  leggende  poe- 
tiche degli  Argonauti,  di  Achille  e  di  Prometeo  legato 
alle  rupi  del  Caucaso  -. 

I  popoli  e  i  re  barbari  mossi  per  tali  provvedimenti 
da  timori  e  speranze  si  facevano  amici.  Una  epigrafe  la- 
tina e  una  greca  di  Panticapea  (Kertscìi),  e  due  greche 
di  Fanagoria  ricordano  il  re  Tiberio  Giulio  Sauromate, 
grande  re  dei  re  di  tutto  il  Bosforo,  e  prestantissimo 
amico  dell'Imperatore  e  del  Popolo  Piomano :  in  un'altra 
latina  la  città  di  Tomi  {Kòstendjc)  pone  un  monumento 


1  .Sparziano,  13,  17  e  21;  Arriano,  Periplo  del  Ponto  Eussino. 

2  Arriano,  Periplo  del  Ponto  Eussino. 


Gap.  IV.]  GUERRA  AGLI  ALANI.  COLONIE.  CACCE  D'ADRIANO.      663 

d'onore  all'imperatore  Adriano  *.  E  chi  tenta  novità  è 
subito  ridotto  al  dovere,  come  attestano  in  appresso  gli 
Alani,  che  mossi  da  Farasmane,  re  degli  Iberi,  devasta- 
rono Armenia  e  Cappadocia  e  furono  rimandati  alle  loro 
montagne  da  Arriano  accorso  rapidamente  con  grande 
apparecchio  di  armi:  e  Farasmane,  già  isdegnoso  e  su- 
perbo, venne  a  Roma  a  sacrificare  a  Giove  Capitolino,  e 
ne  ebbe  onori  e  accrescimento  d'imperio  ^. 

Anche  in  Asia  fu  provveduto  alla  sicurezza  dell'Impero 
per  via  di  colonie  novellamente  fondate  o  accresciute 
nella  Misia,  in  Siria,  in  Giudea  e  altrove  ^  :  ma  come  nella 
più  parte  dei  paesi  asiatici  eravi  quiete,  Adriano  potè 
attendere  a  farsi  amici  i  popoli  coll'edifìcar  nuove  città, 
e  col  restaurare  e  abbellire  di  nuovi  monumenti  le  an- 
tiche. 

Era  grande  amatore  di  cacce:  e  i  poeti  lo  celebrarono 
pei  leoni  e  per  gli  orsi  coraggiosamente  uccisi  in  Libia 
e  nelle  foreste  EHconie  di  Grecia  {").  In  Asia  per  questo 
medesimo  amore  frequentò  le  selve  del  monte  Olimpo 
di  Misia,  e  ivi  pressa)  edificò  la  città  detta  Adrianotere, 
cioè  Cacce  d'Adriano  ^^  e  l'altra  chiamata  Hadriani  in 
Bitinia  nella  valle  del  Rindaco  sulla  via  da  Prusa  a  Per- 
gamo presso  il  villaggio  di  Beidjik  ^ 

(*")  Vedi  Ateneo,  XV,  21  :  e  riscrizione  che  celebra  in  versi  greci  l'uc- 
cisione di  un'orsa  nelle  selve  dell" Elicona,  trovata  nel  1869  presso  Tespia 
in  Beozia,  pubblicata  lo  stesso  anno  ad  Atene  nella  Nuova  effemeride 
archeologica,  e  riprodotta  e  tradotta  a  Parigi  dall' Egger  nei  Comptes- 
rendus  de  V Académ.  cles  Inscriptions,  1870,  pag.  50. 

1  Corpus  Inscript.  lai..  Ili,  n.  783  e  705;  Boekh,  Corp.  Inscript.  graec.^  a.  2108  B., 
2123    2124 

2  Arriano,  Ordine  della  battaglia  contro  gli  Alani;  Dione  Cassio,  LXIX ,  15,  e  Rei- 
maro,  ivi;  Sparziano  13  e  17. 

3  Corp.  Inscr,  lat.,  n.  374-,  Henzen,  n.  5153;  Dione  Cassio,  LXIX,  12;  Eusebio,  Hist. 
Eccles..  IV,  6;  Eckel ,  li,  462,  III,  441;  Stefano  Bizantino  alla  voce  Palmira;  Zumpt, 
De  colon...  pag.   117-120. 

4  Dione  Cassio,  LXIX,  10;  Sparziano,  20. 

5  Flemraer,  De  itiner.  Hadr.,  p.  61  ;  Perrot ,  Exploration  de  la  Golatie  et  de  la  Bi~ 
thynie.,  pag.  ■61-68. 


004  CITTA  ADRIANEE.  OPERE  PUBBLICHE  IX  ASIA.     [Lib.  VII. 

Quattro  città  in  Europa,  ventidiie  in  Asia,  e  due  in 
AiMca  per  le  opere  che  egli  vi  fece  furono  chiamate 
Elie,  Adrianee,  Adrianopoli  *,  tra  le  quali  una  sola  con- 
tinuò fino  ai  giorni  nostri  a  chiamarsi  Adrianopoli. 

Si  ricordano  suoi  beneficii  e  monumenti  in  ogni  con- 
trada: restaurate  Nicomedia,  Nicea,  Cesarea  e  le  vicine 
città,  e  Cizico  metropoli  dell'Ellesponto,  rovinate  da  ter- 
remoti 2;  aiutata  con  molta  pecunia  l'edificazione  del 
grande  Ginnasio  di  Smirne  3;  rialzato  con  grande  sforzo 
di  spese  e  di  macchine  il  colosso  di  Rodi  già  fatto  ca- 
dere da  un  terremoto,  e  giacente  da  più  di  tre  secoli^; 
acquidotti  e  bagni  chiamati  Adrianei  ad  Antiochia,  e 
teatro  e  tempio,  e  altre  splendide  opere  nel  sobborgo  di 
Dafne  2;  liberalità  di  acquidotti  alla  città  di  Troade  e  a 
Durazzo  <^:  strade  e  monumenti  di  gratitudine  in  Cilicia 
e  in  Galazia  ^;  adorazioni  e  culto  divino  in  cento  città, 
tra  le  quali  notiamo  Eliopoli  in  Celesiria,  dove  proba- 
bilmente cominciò  allora  l'edificazione  dei  grandi  templi 
di  cui  durano  anche  oggi  le  spettacolose  rovine  ^;  e  ri- 
cordi di  monete  a  Tiberiade,  a  Gaza,  a  Tolemaide,  a 
Cesarea,  a  Gerusalemme,  e  in  altri  luoghi  della  desolata 
Giudea  ^. 

In  Siria  dove  dimorò  lungamente  avanti  e  dopo  il  suo 
inalzamento  all'impero,  le  iscrizioni  parlano  di  lui  a  Be- 
rito  {Beirut),  e  a  Biblos  <^,  ove  ebbe  amici  i  retori  Filone 

1  Fiemmer,  ìoc.  cit.,  pag    61-S3. 

2  Maiala,  Chronographia.  pag.  361;  S.  Girolamo  in  Euseb.  Chron. 

3  Corp.  Inscr.  graec,  3118. 
i  Maiala,  Chronogr.j,  p.  305. 
5  Maiala,  loc.  eie...  pag.  363. 

C  Filostrato,  Vite  dei  So/isti..  Il,  1,  3;  Corp.  lascript.  lai...  Ili,   n.  466;  lleuzey,  in 
Rev.  archéoìog.,  1S62,  voi.  6,  pag.  319. 

7  Perrot,  Exploration  de  la  Galatie,  p.  2?S;  Corp.  Inscr.  Ut.,  n.  227,  2^1,  310,  313, 
311,  6057;  Bull.  Istit.,  1862,  p.  6S. 

8  Corp.  Inscr.  graec,  n.  4182;  Wood,   The  ruins  of  Balhec  otherwise  Heliopolis  in 
Caeìosyria,  London  1757. 

9  De  Saulcy,  Numismatique  de  la  Terre-Sainte.  Paris  187 1,  pag.  37,  85,  122-123,  159- 
160,  174,  215-217,  333,  338,  312,  3S5. 

10  Orelli,  n.  511;  Robinson,  Voyage  en  Palestine  et  en  Syrie,  li,  691,  e  Renan,  Mission 
de  Phèniciej  280.     ' 


Cai».  IV.] 


ISCRIZIONI  DI  ADRIANO  SUL  LIBANO. 


665 


ed  Aspasio,  il  primo  dei  quali  gli  scrisse  un  panegirico, 
e  l'altro  la  vita  *.  E  nelle  foreste  del  Libano  al  di  sopra 
di  questa  città  rimane  anche  oggi  in  monogramma  il 
nome  d'Adriano  profondamente  scolpito  per  centinaia  di 
volte  sulle  alte  rupi,  accompagnato  in  più  luoghi  da  epi- 
grafi in  piene  lettere  di  30  e  40  centimetri:  scritture  sin- 
golarissime, credute  come  una  specie  di  cartelli  ivi  posti 


Ricordi  di  Adriano  sul  Liljauo  yUcao-n^  Mission  de  1' 


-Ì73). 


a  nome  dell'imperatore  per  distinguere  quattro  sorte  di 
alberi  di  proprietà  dello  Stato  dagli  altri  concessi  all'uso 
privato  '. 

Sul  finire  di  questi  lunghi  viaggi  in  tutto  il  mondo  ro- 
mano, pei  quali  sulle  monete  fu  rappresentato  in  sem- 
bianza dell'Oriente  e  del  Sole  3,  si  vede  correr  l'Arabia, 


1  Fragni.  Historicorum  graec,  ed.  DiJot,  voi.  Ili,  pag.  560  e  576. 

2  Renan,  Mission  de  Phénicie^  Paris  1864,  pag.  25S-2SI. 

3  Eckel,  VI,  475;  Cavedoni,  in  Bull  Jstit.  arch.  ^  1853,   141  ;  Cohen,  Monn.,  voi    II, 
Adr.^  n.  330-333. 


666  ARABIA.  ED  EGITTO.  [  Lib.  VII. 

e  lasciare  anche  a  Petra  {Wadi-Musa)  il  suo  nome  ^,  e 
poi  per  la  via  di  Pelusio  entrare  in  Egitto  ove  era  stato 
anche  al  cominciare  del  suo  regno  per  causa  di  una  se- 
dizione delle  città  che  armata  mano  si  contendevano 
l'onore  di  accogliere  il  Bue  Api  ritrovato  dopo  molti 
anni  '^. 

Qui  lamentando  che  non  abbia  tomba  l'uomo  già  ono- 
rato di  templi,  rifa  con  più  magnificenza  il  sepolcro  a 
Pompeo  rovinato  dal  tempo  ^,  edifica  sul  Monte  Clau- 
diano  un  tempio  a  Giove  Sole,  Grande  Serapide,  e  agli 
altri  Dei  ivi  adorati  ''■,  conduce  lungo  il  Mar  Rosso  per 
luoghi  piani  e  ricchi  di  acque  una  strada  di  cui  parla 
un'epigrafe  recentemente  illustrata^;  naviga  il  Nilo,  vi- 
sita le  città  d'Egitto  e  di  Nubia,  e  lascia  ricordanze  del 
suo  passaggio  nei  monumenti  e  nei  templi  ^. 

Pel  suo  amore  alle  cose  antiche  fece  più  lunga  dimora 
a  Tebe  (Karnak),  ove  i  cittadini  lo  festeggiarono  po- 
nendo a  un  mese  intero  il  suo  nome  ^.  La  città  famosa 
per  le  cento  porte  cantate  da  Omero,  e  per  gli  splendori 
dei  grandi  suoi  monumenti  era  a  quel  tempo  visitata  so- 
prattutto per  uno  dei  due  Colossi  che  Amenofì  III,  ot- 
tavo re  della  Dinastia  diciottesima,  aveva  inalzati  a  sé 
stesso;  Colosso  che  nelle  finzioni  dei  Greci  ebbe  il  nome 
di  Memnone  figlio  di  Titone  e  dell'Aurora,  morto  alla 
guerra  di  Troia.  Questo  monumento  dopoché  da  un  ter- 
remoto fu  rovinato  nella  sua  metà  superiore  ^,  la  mattina 
colpito  dai  raggi  del  sole  mandava  un  rumore  che  dice- 
vasi  la  voce  di  Memnone   salutante  il  jìtorno  della   sua 


1  Corp.  Jnscript.  graec. ,  n.  4GG7;  Momnisen,  Corp.  Inscript.  latin. ^  III,  pcvg'.  17. 

-  Sparziano,  12. 

3  Appiano.  Giterr.  Civ.j  II,  86;  Dione  Cassio,  LXIX,  11;  Sparziano,  11. 

*  Letronne,  Inscript.  de  l'Ègypte,  I,  153. 

5  Miller,  in  Revue  nrchéoìogique,  1S70,  voi.  21,  pasr.  313-318. 

6  Rosellini,  Monumenti  dell'Egitto  e  della  Nubin^  Monitm.  storici,  voi.  Ili,  parte  1% 
ag.  216,  ecc.;  Campollion-Fiireac,  Epypte  ancienne,  pag.  '107,  471,  Paris  1839. 

7  Epigrafe,  in  Letronno,  La  statue  vocale  de  Memnon,  pag.  189-192. 

8  Strabone,  XVII,  1,  K!. 


Gap.  IV.] 


VISITA  AL  COLOSSO  DI  MEDINONE. 


667 


madre  divina;  e  fu  tenuto  per  una  delie  grandi  maravi- 
glie del  mondo  *.  Molte  epigrafi  greche  e  latine,  in  prosa 
e  in  versi,  scolpite  sulle  gambe  e  sul  piedistallo  serbano 
ancora  piti  di  cento  nomi  di  personaggi  greci  e  romani, 
prefetti  di  Egitto,  giudici,  ufficiali  e  soldati  venuti  ad 
ascoltare  il  miracolo;  e  tra  essi  i  nomi  di  Adriano  e  della 
sua  sposa  Sabina.  Una  epigrafe  latina  ricorda  Vimpera- 


éM^. 


Colosso  di  Meninone  {DescrìpHon  de  l'Egypte^  A.n(iquitéSj  voi    II,  pi.  20  e  22) 

tore  Adriano  senz'aggiungere  altro.  Una  in  .versi} greci 
posta  da  una  Giulia  Balbilla  narra  che  Memnone  [vedendo 
Adriano  re  del  mondo,  gli  détte  il  buon  giorno  anche 
prima  del  sorger  del  sole;  poi  quando  il  sole  fu  alto,  il 


1  Tacito,  Annalj  II,  GÌ;  Letronne,  loc.  cit.^  pag.  43. 


668  I  .MIRACOLI  DELLA  STATUA  VOCALE.  [Lib.  VII. 

colosso  con  suono  acuto  come  quello  di  un  vaso  di  bronzo 
percosso  salutò  per  tre  volte  l'imperatore,  il  quale  gli 
rese  il  saluto.  In  altra  epigrafe  greca  che  dallo  stile  sem- 
bra della  stessa  poetessa,  è  detto  che  Meninone  meno 
gentile  con  Sabina  rimase  muto  alla  sua  prima  visita. 
Quindi  grande  sdegno  della  regina.  E  Memnone  per  ti- 
more che  anche  il  re  si  sdegnasse,  e  che  una  lunga  tri- 
stezza prendesse  la  sua  venerabile  sposa,  il  giorno  di 
poi  a  un  tratto  fece  risuonare  la  sua  voce  divina  atte- 
stando che  si  dilettava  della  compagnia  degli  Dei  ("). 

Ad  Alessandria  Adriano  fu  accolto  con  lietissima  festa, 
se  dicono  vero  le  medaglie  in  cui  vedesi  entrare  con 
pompa  trionfale  e  stringere  la  mano  alla  città  che  gli 
presenta  i  suoi  omaggi,  e  fare  con  essa  sacrifizi  agli  Dei 
del  paese  *. 

e*)  Vedi  Bescription  de  l'Égt/pie,  ou  recueil  dcs  obsernations  et  des 
recherchcs  qui  ont  eie  faites  en  Égyple  j^cndant  V expedition  de  l'armie 
frangaise,  piiblié  per  Ics  ordres  de  l'empereur  Napoléon  le  Grand, 
Paris  1809,  voi.  I.  pag.  100-120;  Letronne,  La  staine  vocale  de  Memnon 
considerce  dans  ses  rapports  avec  l'Ègypte  et  la  Grece,  Paris  1833, 
ì\\  4°  di  pag.  274,  e  Jnscriptions  grecques  et  latines  de  l'Ègypte,  voi.  II, 
pag.  316-419;  Lep:^ius,  Denkmàlcr  aus  Aegypten  und  Acthiopien ,  Ber- 
lin 1849,  voi.  VI.  Per  le  epigrafi  latine  vedi  anche  ]Mommsen,  Coiy.  In- 
script.  latin..  Ili,  pag.  9-14,  n.  30-66. 

La  statua  vocale,  dopo  aver  parlato  por  circa  due  secoli  e  mezzo  finché 
restò  mutilata,  si  tacque  per  sempre  quando  l'imperatore  Settimio  Severo 
la  restaurò  nell"  intento  di  render  vita  alla  religione  morente.  Strabone 
dapprima  avea  sospettato  che  il  colosso  parlasse  per  artificio  di  sacer- 
doti, e  il  sospetto  fu  accolto  anche  dai  primi  che  nei  tempi  moderni  vol- 
sero ad  esso  gli  studi.  Oggi  air  incontro  è  dalla  scienza  provato  che  il 
rumore  di  I\Iemnone  veniva  dalla  vibrazione  del  colosso  monolite  nel  cam- 
biamento di  temperatura  cagionato  sopra  di  esso  dai  primi  raggi  del 
sole.  Questo  eftetto  naturale  fu  dalla  scienza  osservato  sulle  brecce  in  più 
luoghi.  L'Humboldt  lo  notò  sulle  rive  dell'Orcnoco;  e  Cliampolli^on  e  altri 
sentirono  risuonarc  nel  medesimo  modo  i  graniti  del  palazzo  di  Karnak, 
e  quelli  Siene,  del  Sinai  e  dei  Pirenei. 

J  Campollion-FigeaC;  loc.  cit. 


Gap.  IV.]  IL  ^lUSEO  D'ALESSANDRIA.  669 

Egli  riparò  le  rovine  fattevi  dai  Romani  nell'ultima 
guerra  contro  i  Giudei  sollevati,  rese  alla  città  gli  antichi 
privilegi  e  ne  concesse  dei  nuovi  *  :  e  come  amatore  di 
studi  prese  a  cuore  il  Museo,  antica  istituzione  scienti- 
fica e  letteraria  dei  Lagidi,  vi  messe  a  capo  Lucio  Giulio 
Vestino,  gran  sacerdote  di  Alessandria  e  di  tutto  l'Egitto, 
stato  suo  maestro  e  segretario,  e  preside  delle  biblioteche 
greche  e  latine  di  Roma-;  ascoltò  i  dotti  e  prese  parte 
a  loro  dispute,  e  in  questa  gabbia  delle  Muse,  come  la 
disse  Timone,  rinchiuse  altri  sofisti  e  poeti  ^  che  nutriti 
a  pubbUche  spese  parlavano  e  cantavano  secondo  le  vo- 
glie e  gli  amori  del  principe. 

Un'epigrafe  in  versi  latini  celebrando  l'arrivo  di  Adriano 
in  Egitto  cantò  il  suo  pio  secolo  e  il  ritorno  degli  uomini 
all'antica  virtù  ^:  e  un  Pancrate  cantò  il  principe  gra^ 
cacciatore  per  avere  ucciso  un  ingente  leone  di  "ijStm 
e  con  esso  celebrò  il  suo  bello  Antinoo,  e  per  prèr^^Jriu 
ammesso  nel  Museo  a  godere  la  mensa  egiziana  ^. 

Ma  a  tutti  non  piacevano  gli  scandalosi  amori  del  prin- 
cipe. Gli  Alessandrini  dopo  averlo  festeggiato  all'arrivo  ^, 
quando  fu  partito  si  burlarono  dell'imperiale  cinedo, 
e  Adriano  li  chiamò  razza  sediziosissima,  vanissima,  in- 
giuriosissima,  di  mali  costumi,  intesa  solo  ad  adorare 
come  suo  Dio  il  guadagno,  con  altri  vituperi  e  rimpro- 
veri ^. 

Mentre  navigava  sul  Nilc^  perde  il  suo  bello  Antinoo 
annegato  casualmente  nel  fiume,  come  scrisse  egli  stesso, 
0  sacrificatosi  per  la  salute  del  suo  amatore  alla  quale 
secondo  il  dire  dei  maghi  occorreva  una  vittima.  Ed  egli 

1  S.  Girolamo,  in  Eicseb.  Cìiron.  ;  Vopisco,  Saturnino.  8. 

2Fabretti,  Inscript.  antiq.^   pag.  19S,   n.  479;  Letronne,  Recherches  pour  servir  à 
l'ìiist.  de  VÉgypte,  pag.  251  ;  Mattcr,  L'école  d' Alexandria^  1,  pag:.  2fi6,  2"  edit.,  Paris  1840. 
3  Sparziano,  20;  Timone,  in  Ateneo,  XV,  41;  Filostrato,  So/Isti^  I,  22,  3,  e  I,  £5,  3. 
•4  Corpus  Inscript.  latin. _,  voi.  Ili,  n.  77. 
5  Ateneo,  XV,  21. 

fi  Eckel,  Doctrina  Num.  vet.^  V[,  180-191. 

7  Vedi  la  lettera  di  Adriano  a  Serviano,  in  Flavio  Vopisco,  Saturnino.,  S. 
VANNacci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  84 


670  APOTEOSI  DI  ANTIXOO.  RITORNO  DI  ADRIANO  A  ROMA.  [Lib.  VII. 

femminilmente  lo  pianse  con  vergognoso  dolore,  e  presso 
al  luogo  dove  morì  edificò  col  nome  di  lui  la  città  di  An- 
tìnopoìì  {CJieikli- Abaci),  lo  fece  Dio  con  templi,  sacerdoti 
ed  oracoli  da  lui  stesso  composti,  e  disse  di  vedere  nel 
cielo  la  sua  anima  volata  in  un  astro  novellamente  com- 
parso, e  per  tutto  il  mondo  gli  dedicò  simulacri.  1  Greci 
e  gli  Asiatici  adulatori  al  potente  si  affaccendarono  ad 
adorare  l'imperiale  Batillo  con  gli  attributi  di. Bacco,  di 
Mercurio,  di  Apollo,  di  Nume  Egiziano,  a  festeggiarlo  con 
giuochi  solenni,  a  celebrarlo  con  medaglie  ed  epigrafi  *. 
Poi  il  SUO  culto  venne  anche  a  Roma:  un  collegio  dei 
suoi  cultori  prese  stanza  a  Lanuvio:  la  villa  Tiburtina  si 
empì  dei  ricordi  di  lui  -  :  e  dappertutto  se  .ne  moltipli- 
caron  le  imagini  in  pitture,  in  bassirilievi,  in  statue  e  in 
busti  marmorei  che  rimangono  ancora  in  parecchi  Musei 
ad  attestare  le  eleganze  dell'arte,  e  a  perpetuare  la  me- 
moria delle  imperiali  sporcizie  (''). 

L'imperatore  tornò  a  Roma  glorioso  delle  tante  opere 
fatte  in  ogni  provincia,  dei  confini  afforzati  con  baluardi 

(")  ^Vinckelmaun.  Storia  delle  arti,  lib.  XII.  c;ip.  I,  e  Monumenti  ine- 
diti, n.  179;  Vi.sc'onti,  Museo  Pio  dementino,  I.  -tav.  7,  Monumenti  scelli 
Borghesiani,  tav.  36,  e  Musée  des  antlques,  voi.  Ili,  Busti,  pi.  G;  Le- 
vezow,  Ueber  den  Antinous  dargestellt  in  den  Kunstdenkmàlern  des 
Alterthums ,  Berlin  1808;  ^Mongez,  Iconographie  romaine,  III,  p.  52-54; 
Righetti,  Descrizione  del  Campidoglio,  l,  tav,  3,  60  e  93;  Gonze  e  IMi- 
chaelis,  Scavi  di  Eleusi,  in  Bull.  Istit.  arch.,  1860,  pag.  179;  Lenormant, 
in  Revue  archèolog.,  1874,  voi.  28,  pag.  217-219,  pi.  17.  Il  nome  di  An- 
tinoo  rimane  ancora  con  quelli  di  Adriano  e  Sabina  sull'obelisco  che  stette 
nella  Villa  Adriana,  e  ora  sorge  sul  Pincio.  Rosellini ,  Moniim.  dell'E- 
gitto, parte  1^  tom.  II,  pag.  449;  Nibby,  Roma  antica,  II,  275. 

1  Pausania,  Vili,  9,  7-8;  Sparziano,  11;  Dione  Cassio,  LXIX,  11;  Eckel,  JDoc/r.  ìV«ot. 
vet..  VI,  52S-539;  Corpus  Inscript.  graec. .  n.  2IS,  233,  2309,  ecc.;  Mionnet,  li,  57, 
97,  160,  403,  417;  Flemincr,  De  itiner.  Hadriani.  pag.  117-125;  Cohen,  Méd.  frapp.  sous 
l'emp.  rom.^  voi.  II,  pag.  27G. 

2  Ordii,  Inscr.^  n.  823;  Viola,  in  Giornale  Arcadico^  1820,  voi.  VI,  p.  207-213;  Ratti, 
Sopra  wi' a» Cica  iscrizione  rinvenuta  nel  territorio  di  Civita  Lavinia,  spettante  alla 
città  di  Lanuvio,  in  Accadem.  rem.  d'archeologia,  18?5,  voi  H,  pa^'.  137-161;  llonzcn, 
n.  60S6. 


I 


Gap.  I   .1  ORDINAMENTI  MUNICIPALI.  671 

e  colonie,  della  pace  mantenuta  per  via  di  alleanze,  di 
amicizie  e  di  doni,  degli  sforzi  fatti  a  procurare  l'unità 
dell'Impero,  alla  quale  pare  mirasse  anche  collo  studio 
posto  ad  aprire  più  larga  via  al  diritto  della  cittadinanza*. 

Vi  hanno  ricordi  di  privilegi  concessi  ai  decurioni,  e  ai 
municipii,  che  poterono  ricevere  eredità  fidecommissarie 
e  legati  '^.  Adriano  in  varie  maniere  favorì  parecchie 
città  3,  i  cui  oneri  par  che  scemasse  anche  ordinando  in 
altro  modo  le  poste  \  mentre  d'altra  parte  si  vede  come 
egli  studiasse  di  porre  i  privilegi  delle  città  al  di  sotto 
degli  statuti  imperiali  ^.  Di  più ,  o  fossero  i  municipii 
stessi,  che  per  adulare  all'imperatore  menomavano  la 
propria  libertà  dando  a  lui  e  ai  suoi  alcuni  degli  ufficii 
municipali,  o  fosse  Adriano,  che  per  suoi  fini  volesse 
entrare  dappertutto^  lo  vediamo  pretore  in  Etruria,  dit- 
tatore ed  edile  e  duumviro  nelle  città  latine,  quinquen- 
nale in  Italica  sua  patria  e  in  Adria,  demarco  a  Napoh, 
e  arconte  ad  Atene  ^:  e  una  epigrafe  ricorda  distinta- 
mente il  suo  duumvirato  a  Minturna  ^.  Oltre  a  ciò,  nel- 
r  amministrazione  delle  faccende  municipali  eravi  anche 
l'ingerenza  dei  curatori  imperiali,  della  cui  sorveglianza 
incontrasi  il  primo  esempio  sotto  Traiano  che  a  questo 
effetto  mandò  a  Bergamo  P.  Clodio  Sura,  trasferito  poi 
da  Adriano  a  Como  col  medesimo  ufficio  ^:  e  si  moltipli- 
carono da  ogni  parte  in  appresso,  e  a  poco  a  poco  tol- 
sero via  l'indipendenza  amministrativa  delle  città. 

Egli  attese  con  cura  particolare  alle  leggi,  e  fu  lodato 

1  Gaio,  Instìt..  I.  30,  77,  SO,  81  e  92;  Sparziano,  Adr..  21. 

2  Digest.,  XLVIII,  19,  15;   Ulpiano,  Fragm.,  XXII,  5,  e  XXIV,  2S;  Walter,  Storia 
ilei  diritto  di  Roma,  611. 

3  Dione  Cassio,  XLIX,  5 

4  Sparziano,  7.  Conf.  'Sa.udet,  De  l'administration  des  postes  ches  les  RomainSj  p.  14. 

5  Uljiiano,  Fragìn.  j  in  Caillet,  De  ratione  in  imperio  romano  ordinando  ab  Hadrian 
imp.  adhibita^  pag.  106. 

6  Sparziano,  19;  Dione  Cassio,  LXIX,  16. 

7  Orelli,  3S17;  Monimsen,  Inseript.  Regni  Neapol.,  4059. 

8  Orelli,  Lìscript...  n.  389S;    Henzen,  Sui  curatori  delle   città,    in  A.nìì.  Istit.   arch. ., 
1851,  p.  11. 


672  LEGGI,  GIUSTIZJA,  EDITTO  PERPETUO.  [Lib.  VII. 

perdio  studio  posto  nel  render  giustizia,  nell'esercizio 
della  quale  tenne  per  massima  che  nei  maleficii  si  guarda 
alla  volontà  non  all'esito  ("),  e  che  quindi  può  assolversi 
chi  uccise  senza  intenzione  di  uccidere,  e  che  all'in- 
contro chi  ferì  per  uccidere  debbe  condannarsi  quale 
omicida,  quantunque  non  venisse  morte  dalla  ferita  *.  Vi- 
gilava i  magistrati,  e  sovente  giudicò  da  sé  stesso,  assiso 
tra  consoli  e  pretori,  e  si  cinse  dei  più  valenti  giurecon- 
sulti, come  Giulio  Celso,  Salvio  Giuliano,  Nerazio  Prisco, 
alle  opinioni  dei  quali  détte  con  un  rescritto  autorità 
maggiore  di  quella  che  avessero  prima  -.  Usò  special- 
mente dell'opera  di  Salvio  Giuliano,  giureconsulto  allora 
più  famoso  d'ogni  altro,  per  compilare  Veditto  perpetuo, 
che  fu  una  specie  di  codice,  nel  quale  si  raccolsero  or- 
dinati, compendiati  e  commentati  tutti  gli  editti  prece- 
denti dei  pretori,  degli  edih  e  proconsoli,  e  si  fissò  in 
modo  positivo  il  diritto  onorario,  così  appellato,  perchè 
veniva  da  editti  di  magistrati  esercenti  gli  onori.  È  at- 
testato che  l'imperatore  stesso  prese  parte  a  quest'opera, 
da  cui,  tolte  via  le  incertezze  provenienti  dalla  grande 
varietà  degli  editti,  fu  resa  più  determinata  e  più  chiara 
la  scienza.  E  pare  anche  che  per  essa  fosse  preparata  la 
via  a  dar  leggi  uguali  alle  province,  e  che  quindi  venisse 
dallo  stesso  concetto  di  rendere  più  unito  l'Impero". 

Ai  senatori  vietò  di  pigliare  i  tributi  in   appalto  *  :   e 
tra  i  suoi  provvedimenti  migliori  furono  quelli  diretti  a 

• 

(")  In  maìcficiis  voluntas  spcctatur,  non  cxitua.  Digesto,  XLVIII,  8,  14. 

1  Digest..  XLVIII,  8,  1,  §  3. 

2  Sparziano,  18,  21,  22;  Dione  Cassio,  I.XIX,  7;  Gaio,  1,7  ;  Orelli,  Inscr..  23'59;  Momni- 
sen,  Inscf.  Regn.  Neap.,  4931,  e  Borghesi,  ivi;  Sickel,  De  Neratio  Prisco  icto,  Lipsiae 
1738;  Viertel,  De  vitis  ictorum.  Konigsberg  ISG8,  pag.  20-30;  Walter,  loc.  cit..  409. 

3  Giustiniano,  Cod.,  I,  17,  2,  111,  33,  15,  IV,  5,  10;  Entropio,  Vili,  9  ;  Eusebio,  C/iro)ì.  ; 
Eincccio  ,  De  Salvio  luliano  ictorum  sua  aetate  coryphaeo  j  Hallo  1732;  Bioner,  De 
Salva  Juliani  meritis  de  edicto  praelorio  vite  aestimandis,  Lipsiae  1809;  Ortolan,  Hist. 
de  la  législation  romaine.  Paris  1844,  pag.  263,  3'  édition  ;  lludorff,  Edicti  perpetui  quae 
reliqua  sunt.  Lipsiae  1869. 

*  Dione  Cassio,  LXIX,  IG. 


Gap.  IV.]  PROVVEDIMENTI  A  DIFESA  DEI  SERVI.  675 

procurare  che  i  servi  fossero  più  umanamente  trattati, 
rinnovando  e  allargando  gli  ordini  di  Claudio,  vietanti 
ai  padroni  di  uccider  gli  schiavi,  e  sottoponendoli,  come 
gli  altri  uomini,  al  giudizio  dei  tribunali.  Relegò  per  cin- 
que anni  una  matrona,  che  per  lievi  cagioni  aveva  atro- 
cemente torturato  le  ancelle;  proibì  di  adoperare  a  ca- 
priccio i  tormenti;  e,  mitigando  il  feroce  senatoconsulto 
silaniano  che  dannava  a  morte  tutti  i  servi  deha  casa  in 
cui  fosse  stato  ucciso  il  padrone,  statuì  che  si  desse  la 
tortura  soltanto  a  quelU,  che  per  la  vicinanza  potevano 
aver  cognizione  del  delitto.  Vietò  pure  di  vendere  uomini 
e  donne  a  maestri  di  gladiatori  e  a  ruffiani,  e  tolse  via 
gli  ergastoli,  orribili  carceri,  in  cui  i  servi  erano  rin- 
chiusi a  lavori  forzati  *.  Tra  gli  ordini  dei  tanti  rescritti 
con  cui  prese  a  riformare  e  regolare  ogni  cosa  (''),  è  no- 
tevole lo  studio  posto  a  toglier  via  con  minacce  di  morte 
il  barbaro  uso  della  evirazione  forzata  o  volontaria  dei 
servi  e  dei  liberi  ^i  e  fra  le  sue  opere  buone  debbe  ri- 
cordarsi anche  l'aver  provveduto  agli  alimenti  dei  fan- 
ciulli poveri,  allargando  gli  ordini  dati  già  da  Nerva  e 
Traiano,  e  fissando  che  i  maschi  si  nutrissero  fino  a  18 
anni,  e  le  femmine  fino  a  lì  ^. 

Onde  è  giustizia  concludere  che  Adriano,  valente  am- 
ministratore, fece  molto  bene  al  mondo:  ma  da  ciò  non 
viene  che  egli  sotto  il  rispetto  della  onestà  e  della  bontà 
debba  esser  posto  alla  pari  con  Traiano  e  coi  due  An- 
tonini suoi  successori,  che  furono  chiamati  i  santi  del 
paganesimo.  Stranezze  dispotiche  e  voglie  crudeli  non  di 
rado  gli  stravolgevano  l'animo:  e  dopo  aver  detto   delle 


{^)  I  rescrittti  di  Adriano  furono  recentemente  riuniti  dall' Haenel  nel 
Corpus  legum,  pag.  88-101. 

1  Sparziano,  IS;  Digest..  \,  0,  2,  e  XLYIII,  IS,  I. 

2  Binest.^  XLVllI,  8,  1,  §  2. 

3  Sparziano,  7;  Digest..  XXXIV,  I,  14. 


G74  OPERE  DEL  PRINCIPE  NON  FRENATO  DA  LEGGI.  [Lir.  VII. 

sue  opere  buone,  la  storia  imparziale  debbe  ricordarne 
le  tristizie  e  i  malvagi  costumi. 

Sparziano  tocca  delle  contradizioni  di  esso,  dicendolo 
severo,  lieto,  piacevole,  grave,  lascivo,  lento,  avaro,  libe- 
rale, simulatore,  crudele,  clemente,  vario  in  ogni  cosa*: 
e  si  citano  più  fatti  che  stanno  a  conferma  di  questa 
varietà  di  contegno. 

Dapprima  fece  mostra  di  grande  clemenza,  né  volle 
uccidere  alcuni  cittadini,  che  altri  accusava  come  sospetti 
di  tentar  novità  ^i  e  appena  saUto  sul  trono,  lungi  dal 
perseguitare  i  vecchi  nemici,  disse  ad  uno  dei  più  crudi: 
Tu  V  hai  scampata  perchè  io  sono  imperatore  ^;  e  sì  mo- 
strò cortese  alla  donna  che  per  via  gli  chiese  giustizia, 
e  apertamente  gli  rammentò  che  chi  regna  deve  sempre 
ascoltare  i  richiami  ^. 

Fra  le  sue  sentenze  che  altri  raccolse,  molto  notevole 
è  la  risposta  data  ad  un  figlio  il  quale  negavasi  di  dare 
alla  madre  una  parte  del  congiario  avuto  dall'imperatore. 
Se  tu  non  riconosci  la  madre,  disse  egli,  neppure  io  ri- 
conosco te  per  cittadino  romano  ^. 

Pure  ebbe  anch' egli  le  ore  del  despota,  che  quasi  sem- 
pre vengono  a  chi  non  ha  freno  di  leggi.  E  se  è  vero, 
come  giurava,  che  non  uccise  i  quattro  personaggi  che 
al  principio  del  suo  regno  gli  congiurarono  contro,  è 
detto  che  in  appresso  uccise  altri,  mosso  da  animo  so- 
spettoso e  crudele  *^,  e  dopo  essere  stato  degnevole  coi 
cittadini  ammettendoli  agli  imperiali  conviti,  e  alTabihs- 
simo  coi  più  umili,  e  cortese  oltremodo  agli  amici,  che 
visitava  infermi,  e   aiutava  e  onorava  in  tutte  le  guise  ', 


1  Sparziano,  14. 

2  Sparziano,  5. 

3  Sparziano.  17. 

4  Dione  Cassio,  LXIX,  G. 

5  Vedi  Dositeo,  Hadriuni  sententiae^  11. 

«  Dione  Cassio,  LXIX,  3  e  23  ;  Sparziano,  2C. 
7  Sparziano,  9  e  20;  Dioùe  Cassio,  LXIX,  7. 


Gap.  IV.]        STUDI  DI  LETTERE,  DI  SCIENZE  E  DI  ARTI.  675 

fini  col  trattarli  tutti  come  nemici,  e  alcuni  ridusse  alla 
estrema  miseria,  altri  forzò  a  uccidersi,  e  altri  vituperò 
con  libelli  famosi,  e  perseguitò  anche  quelli  cui  doveva 
l'Impero.  Da  ultimo  tenuto  come  nemico  Celio  Azziano, 
già  suo  tutore,  che  con  Plotina  molto  operò  per  farlo 
salire;  perseguitato  Marzio  Turbone,  uomo  di  severi  co- 
stumi e  prode  soldato,  benemerito  per  segnalati  servigli 
resi  allo  Stato  e  al  principe:  altri  con  vari  pretesti  pro- 
scritti, e  poscia  fatti  ammazzare  K  Con  trista  curiosità 
voleva  sapere  ciò  che  facevasi  in  casa  degli  amici,  e  man- 
dava spie  a  esplorare:  e,  violando  le  lettere,  scopriva  i 
segreti  domestici  di  mogli  e  mariti  -. 

Promosse  gli  studi  a  Roma,  in  Grecia,  in  Egitto,  ma 
anche  dagli  studi  che  fanno  l'uomo  più  mite  prese  oc- 
casione ad  atti  crudeli.  Dicemmo  che  fino  da  giovinetto 
era  stato  studiosissimo  dei  Greci.  Sulle  prime  per  esser 
vissuto  in  provincia  non  pronunziava  bene  il  latino,  e  ne 
fu  beffato  nella  Curia,  quando  parlava  o  leggeva  a  nome 
di  Traiano;  ma  poscia  si  corresse  di  questo  difetto,  e 
riuscì  valente  oratore,  e  si  citano  parecchie  orazioni  di 
lui  e  altri  scritti  3.  Ebbe  prodigiosa  memoria,  e  poteva 
ripeter  tutto  un  libro  letto  solo  una  volta.  Al  tempo  stesso 
scriveva,  dettava,  ascoltava,  conversava  cogli  amici  ^ 
Scrisse  poemi,  rispose  in  versi  agli  altrui  epigrammi,  fece 
versi  pei  suoi  sconci  amori,  e  coi  versi  accompagnò  Plo- 
tina al  sepolcro  ^.  Attese  a  tutti  gli  studi  e  a  tutte  le 
arti:  cantava  di  musica,  suonava  di  lira,  dipingeva,  mo- 
dellava, architettava,  pretese  a  mago  ed  astrologo,  van- 
tavasi  di  saper  tutto,  ed  era  cupido  di  gloria  così  che 
scrisse  la  propria  vita  e  le  sue  lodi,  e^  le  fece  pubblicare 

1  Sparziano,   1,  8,  9  e  13;  Dione  Cassio,  LXIX,  1  e  4. 

2  Dione  Cassio,  LXIX,  5;  Sparziano,  11. 

3  Sparziano,  3  ;  Dione  Cassio,  LXIX,  3  ;  Gellio,  XVI,  13  ;  Carisio,  II  ;  Digest..  V,  3,  22  e 
40,  XXXVin,  17,  9;  Gaio,  II,2S5-,  Meyer,  Oratorum  roman.  fragm..  p.  372,  Parisiis  1837. 

4  Sparziano,  20. 

5  Dione  Cassio,  LXIX,  3  e  IO;  Sparziano,  11;  Apuleio,  Agiologia,  11. 


676        ACCOLTI.  INVIDIATI  E  PERSEGUITATI  I  SAPIENTI.  [Lib.  VII. 

col  nome  di  un  suo  liberto.  Aveva  corte  di  filosofi,  gram- 
matici, retori,  musici,  medici,  geometri,  architetti,  pittori, 
e  alcuni  ne  intrattenne  con  provvisioni  e  con  gradi  ono- 
ratamente, e,  come  Vespasiano,  ai  medici  e  retori  e  gram- 
matici e  sofisti  in  più  luoghi  détte  immunità  *  :  ma  quando 
alcuno  diveniva  famoso  lo  cacciava  da  sé,  lo  persegui- 
tava, lo  infamava  con  satire  atroci,  perché  aveva  l'insania 
di  voler  passare  per  primo  in  tutto,  e  invidiava  la  fama 
di  ogni  altro.  Ebbe  invidia  anche  ai  morti,  famosi  per 
bontà  0  per  ingegno:  e  tentò  di  screditare  la  memoria  di 
Tito,  affermando  che  aveva  avvelenato  Vespasiano  per  pi- 
gliarsi più  presto  l'Impero:  e  avrebbe  voluto  toglier  di 
seggio  Omero,  per  mettere  in  luogo  di  esso  Antimaco, 
come  pure  insolentemente  giudicava  Platone,  e  preferiva 
Catone  a  Cicerone,  Ennio  a  Virgilio,  e  Celio  a  Sallustio. 
Tutto  .ciò  poteva  semplicemente  essere  effetto  di  gusto 
non  buono  :  ma  nel  suo  grado  non  riusciva  a  conclusioni 
innocenti  la  mania  di  imporre  agli  altri  i  suoi  gusti  let- 
terarii  ed  artistici,  quantunque  non  gli  fosse  difficile  tro- 
vare applausi  ad  ;0gni  sua  bizzarria,  per  le  ragioni  che 
mossero  Favorino,  il  quale,  ripreso  da  alcuni  amici  per- 
chè cedesse  ad  Adriano  sopra  una  parola  usata  da  buoni 
scrittori,  rispose  argutamente:  Gran  torto  avete,  amici 
miei,  a  non  volere  eli' io  tenga  pel  più  dotto  del  mondo 
l'uomo  che  ha  trenta  legioni  ai  suoi  comandi.  E  una  delle 
cose  di  cui  questo  stesso  Favorino  faceva  maraviglia,  era 
di  esser  vivo  a  malgrado  del  suo  disaccordo  col  principe  ^. 
Indegnissimo  il  modo  con  cui  trattò  Apollodoro,  archi- 
tetto del  Fóro  e  della  colonna  traiana,  col  quale  aveva 
antiche  cae;ioni  di  odio.  Mentre  Traiano  un  di  ragionava 


I  Sparziano,  16;  Di^gest.^  L,  4,  18,  30. 

•  Sparziano,  15  e  16-,  Dione  CassiOj  I-XVI,  17,  LXIX,  4;  Aurelio  Vittore,  De  Caesar.j 
11;  Filostrato,  5oj)/n's^,  I,  8,  2;  Aniniiano  Marcellino,  XXX,  S,  10;  Sainte-Croix,  5«r  le 
gout  de  l'empereur  Adrien  pour  la  littérature  et  les  ar(s^  nella  Mém.  de  ì'Académ  des 
InscrijUions  et  beli.  ìett..  voi.  I!>,  pag.  !13;  Marres,  De  Favorini  Are'.aten&is  viCa^  stu- 
diis,  scì-iplis^  Traifcti  ad  Rhenum  (Itrecht),  ISS:*,  pag.  20. 


Gap.  IV.]  APOLLODORO  E  IL  TEMPIO  DI  VENERE  E  ROMA.  677 

di  opere  d'arte  col  grande  architetto,  Adriano  ivi  pre- 
sente disse,  a  quanto  pare,  qualche  grande  schiocchezza. 
Onde  Apollodoro  gli  rispose  :  Va  a  dipingere  le  tue  zuc- 
che, perchè  in  questo  tu  non  capisci  nulla.  Adriano  non 
dimenticò  mai  quella  parola.  Appena  che  fu  divenuto  po- 
tente con  sua  lettera  invitò  il  grande  ingegnere  ad  aiu- 
tarlo colla  sua  scienza  nel  rinnovamento  delle  macchine 
da  guerra,  ed  egli  messosi  all'opera  costruì  migliori  con- 
gegni da  crollar  mura,  da  edificar  torri  e  ponti,  trovò 
strumenti  più  facilmente  movibili,  e  nuovi  modi  per  ri- 
parare i  soldati  dagli  strali  nemici,  e  mandò  all'impera- 
tore disegni  e  modelli  e  artefici  ammaestrati  a  questi 
lavori,  e  con  modeste  e  gentili  parole  si  disse  felice  degli 
ordini  avuti  *.  Dopo  questi  segnalati  servigi,  non  sappiamo 
per  quale  delitto,  si  vede  il  valentuomo  cacciato  in  esilio, 
ove  Adriano  gh  mandò  il  suo  disegno  del  tempio  di  Ve- 
nere e  Roma,  come  a  mostrargli  che  potevano  farsi  grandi 
opere  anche  senza  di  lui,  e  gli  chiese  il  parer  suo.  Apol- 
lodoro trovò  da  criticare  sotto  più  rispetti  il  disegno,  e 
quanto  alle  statue  di  Venere  e  Roma,  poste  a  sedere  in 
una  cella  del  tempio,  notò  esser  più  grandi  di  quello  che 
comportasse  il  luogo,  e  aggiunse  che  se  volessero  alzarsi 
e  uscire  non  sarebbe  loro  possibile.  E  il  principe  rispose 
da  par  suo  alla  critica,  mandando  assassini  a  uccidere 
il  libero  artista  -. 

Questo  tempio  di  Venere  e  Roma,  fondato,  come  mo- 
strano le  medaglie,  ai  21  di  aprile  (874  di  R.,  121  di  G. 
C),  anniversario  della  fondazione  di  Roma,  sorgeva  sulla 
Via  Sacra  presso  all'anfiteatro  Flavio:  e  rimangono  anche 
oggi  i  ruderi  delle  due  celle,  e,  giacenti  sul  suolo,  le  grandi 
colonne  di  granito,  che  servivano  a  sostegno  di  un  magni- 
fico portico  ai  fianchi  del  tempio.  Sappiamo  che  l'edifizio, 

1  Vedi,  Poliorcetìca  excerpta  ex  libris  ApoUodori^  iu  Vetemm  Mathemalieorìim  operoj 
Parisiis  1693,  pag.  13  e  segg. 

2  Dione  Cassio,  LXIX,  4.  Conf.  Sparziano,  19.      ' 

VAjfNucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  85 


GTS 


[LiB.  VII. 


Ristaurazione  del  tempio  di  Veneru  e  Roma  col  coios'^o  ni  iMii.hl'  ir.-^so  aii  Aniiieiurfj 
{Canina^  Edif.j  II,  tav.  55  A.) 


Gap.  IV.]  OPERE  PUBBLICHE  A  PvO?»IA.  MAUSOLEO  D" ADRIANO.    679 

splendido  di  preziosi  marmi,  era  dei  più  belli  e  grandi 
di  Roma;  e  anche  le  sue  rovine  attestano  del  gusto  e 
della  magnificenza  di  Adriano:  ma,  come  fu  con  ragione 
osservato,  il  sangue  d'Apollodoro  contamina  tutto  *. 

In  Roma  Adriano  restaurò  il  Panteon,  i  Septì,  la  Ba- 
silica di  Nettuno,  molti  templi,  il  Fóro  di  Augusto,  le 
Terme  d'Agrippa,  ne  fece  altre  nuove  dove  si  rinvennero 
antichi  dipinti  :  e  dal  collegio  degli  auguri  fece  ristabilire 
i  termini  del  pomerio  ^.  Dedicò  un  tempio  a  Traiano, 
quantunque  sia  detto  che  per  invidia  al  vincitore  dei  Daci 
rovinasse  il  teatro  da  lui  eretto  nel  Campo  Marzio;  e 
pare  anche  che  allargasse  il  Fòro  Traiano  ^. 

Tra  le  sue  opere  nuove  di  primo  ordine  è  il  Mausoleo, 
costruito  presso  al  Tevere  per  sé  e  pei  successori,  per- 
chè agli  imperiali  cadaveri  non  rimaneva  più  luogo  nel 
sepolcro  d'Augusto  ^.  Fu  una  mole  superba,  sorgente  al- 
tissima in  forma  rotonda  sopra  un  dado  quadrato,  co- 
perta di  grandi  massi  di  marmo  e  coronata  di  statue  di 
egregio  lavoro,  tra  le  quali  levavasi  colossale  quella  del- 
l'imperatore nel  centro:  capolavori,  che  poscia  nelle 
guerre  dei  barbari  servirono  di  armi  da  lanciare  contro 
gli  assaUtori,  e  i  Greci  le  avventarono  contro  i  Goti  ^.  E 
quindi  nella  lunga  notte  della  barbarie  il  superbo  sepol- 
cro fu  mutato,  col  nome  di  Castello  S.  Angelo,  in  for- 
tezza, da  cui  Italiani  e  stranieri  travagliarono  la  città 
caduta  dalla  sua  prima  grandezza;  e  successivamente, 
spoglio  dei  suoi  ornamenti,  vide  violenze  fatte  e  patite 
da  papi  e  baroni;  fu  stanza  a  Crescenzio,  a  Marozia,  a 
Cola  di  Rienzo  ^.  Poi  divenne  una  trista  prigione  papale 

1  Nibby,  Roma  antica,  II,  723;  Ampère,  L'empire  rom.  a  Rorae^  II,  pag.  191. 

2  Sparziano,  19;  Grutero,  198,  1;  Orelli,  n.  811;  Braun,  in  Annal.  Istit.  archeolog.^ 
ISIO,  pag.  161 

3  Sparziano,  9,  19;  Biinsen,  in  Annal.  Istit.  archeolog..,  \<?,~,  pag.   11. 

4  Dione  Cassio,  LXIX,  23;  Canina,  Edifizi.  HI,  pag.  143-154,  e  IV,  tav.  283. 

5  Procopio,  I,  22,  III,  36,  IV,  33. 

6  Nibb}-,  loc.  eie.  II,  4SS-518. 


680 


MAUSOLEO  D'ADRIANO  E  PONTE  ELIO. 


[LiB.  V! 


destinata  a  strazio  di  chiunque  contrastasse  al  dispotismo 
dei  preti.  E  da  ultimo  noi  lo  vedemmo  al  tempo  stesso 
prigione  e  fortezza  e  corpo  di  guardia  francese  fino  al 
1870,  in  cui  la  nostra  sacra  bandiera  inalberatavi  dai 
soldati  italiani,  dalle  alture  dell'antico  sepolcro  annunziò 
al  mondo  la  morte  del  mostruoso  governo  dei  preti,  e  la 
fine  di  ogni  signoria  forestiera  in  Italia. 

Presso  a  questa  superba   mole   l'imperatore  edificò  il 


Mu^jsol.o  d.  AOr.ano  rai.i-res.-ntaio  n.'lhi  sua  intera  architettura 
col  ponte  Elio  nella  sua  fronte  (C'inina,  Edif.^  IV,  2S5;. 

Ponte  Elio  che  oggi  chiamasi  Ponte  Sant'Angelo,  e  anche 
un  circo  per  celebrare  neir874  il  natale  di  Roma  *. 
]^Iolte  delle  opere  di  Adriano  furono  fatte  per  servire 

1  Sparziano,  10;  Dione  Cassio,  LXIX,  23;  Canina,  Sui  Circo  edificato  da  Adriano  vi- 
cino al  suo  Mausoleo.  n.>gli  Atti  delV Accademia  Romana  d'archeologia,  1S12,  voi.  X, 
pag.   la'.-r.l.  .-  /•;/,'.■;!,  Ill,  pag.  56,  e  IV,  tav.  192  e  239. 


Cap.  IV.]  VILLA  ADRIANA.  681 

ai  gusti  e  al  fasto  di  lui,  quantunque  sia  detto,  quasi  a 
indicare  modestia,  che  non  gli  piaceva  di  scrivere  il  suo 
nome  sui  monumenti.  Fece  sepolcri  a'  suoi  cani  e  cavalli, 
e  una  città  costruì,  come  sopra  fu  detto,  per  ricordare 
le  sue  valentie  alla  caccia,  per  la  quale  aveva  amore  fu- 
rioso {"). 

A  dimostranza  di  fasto,  e  a  sfogo  dei  suoi  piaceri  di 
artista,  fece  lungo  lavoro  la  grande  sua  villa  sul  declivio 
dei  colli  Tiburtini,  ove,  in  uno  spazio  di  più  miglia  di 
giro  raccolse  le  memorie  e  le  imitazioni  delle  pili  belle 
maraviglie  vedute  nei  suoi  viaggi  in  Grecia  e  in  Egitto. 
Con  curiosità  infaticabile  aveva  voluto  vedere  tutte  le  cose 
più  singolari  lette  sui  libri  intorno  ai  vari  paesi.  Salì  di 
notte  l'Etna  per  contemplare  dall'alto  il  sorgere  del  sole, 
che  dicevasi  mostrare  di  colà  i  colori  variati  dell'arco  ba- 
leno, e  perciò  stesso  salì  anche  il  monte  Cassio  (Djehel 
Olirai)),  presso  Antiochia  ♦.  Nei  viaggi  prese  le  più  belle 
opere  d'arte,  che  potevano  trasportarsi,  e  delle  altre  recò 
seco  l'imagine,  e  le  ricostruì  nella  gran  villa.  Ivi  rifece 
il  Liceo,  l'Accademia,  il  Pritaneo  e  il  Pecile  d"Atene,  il 
Canopo  d'Egitto,  e  vi  aggiunse  tre  teatri,  una  palestra, 
un  ninfeo,  una  biblioteca,  un  natatorio,  uno  stadio,  e  con 
più  altri  edificii  un  grande  e  splendido  palazzo  d'abita- 
zione. Una  profonda  valle  fra  Tivoli  e  la  villa,  chiamavasi 
Tempe.  Vi  erano  acque  cadenti  dall'alto,  e  due  rivi  scor- 
renti ivi  presso  furono  chiamati  Cefiso  ed  llisso.  Alle 
falde  del  colle  furono  scavate  quattro  vie  sotterranee  per 
rappresentare  l'inferno.  Non  lungi  si  vedevano  gli  Elisi, 
e  in  tutto  il  colle  fiorivano  vaghi  giardini,  ricchi  delle 
piante  rarissime   raccolte   da   ogni  regione   del   mondo. 

C^)  Sparziano,  20:  Dioue  Cassio,  LXIX.  10.  Un'epigrafe  che  è  sospetta 
alVOielli  (824)  celebra  la  velocità  di  Boristene  suo  cavallo  da  caccia. 

l  Sparziano,  13,  14  e  17;  Vignoli,  De  Cohtmna  Antonini  Pii^  cap.  7,  pag.  123  e  segg. 
Conf.  Strabene,  XVI,  2,  8;  Plinio,  V,  13  (•?2»;  Solino,  cap.  36. 


[LiB.  VII. 


Villa  Adriana.  Ruderi  del  palazzo  imperiale  {Canina^  Edij  ^  VI,  tav    156  e^lSS). 


T<atro  0  Odeo  (Canina^  Edif.^  VI,  151  o  152). 


Gap.  IV.]  GUERRA  AI  GIUDEI.  683 

Grande  anche  la  ricchezza  delle  opere  d'arte  :  gli  edifizi 
rifulgevano  di  marmi  preziosi  nelle  pareti,  e  di  squisiti 
mosaici  nei  pavimenti.  Innumerevoli  le  statue  ritraenti 
Dei,  eroi,  e  massime  Antinoo.  Di  tutte  le  quali  splendi- 
dezze non  rimane  ora  che  una  grande  rovina,  da  cui 
uscirono  più  capolavori  di  statuaria,  e  fregi  squisiti  e 
maravigliosi  mosaici,  trasportati  ad  adornare  i  musei,  e 
molte  opere  egiziane,  vere  o  imitate  ♦. 

Altrove  dicemmo  che  Adriano  pose  ogni  studio  a  man- 
tenere e  anche  a  comprare  la  pace.  Ora  vuoisi  aggiun- 
gere che  una  guerra  terribile  arse  durante  il  suo  regno, 
e  che  egli  la  combattè  fieramente  ed  esterminò  gli  av- 
versarli. Quella  guerra  fu  l'ultimo  atto  disperato  di  un 
popolo  per  riconquistare  la  sua  indipendenza,  fu  l'ultimo 
grido  della  nazione  giudaica. 

Adriano  ebbe  desiderio  ardente  di  conoscere  le  varie 
religioni  dei  popoli.  In  Grecia  si  iniziò  ai  minori  e  ai 
maggiori  misteri  di  Eleusi,  e  gli  istituì  anche  a  Roma^: 
fu  detto  che  pensasse  a  porre  tra  gli  Dei  anche  Cristo  •"', 
e  le  tradizioni  giudee  pretendono  che  dapprima  si  facesse 
proselita  della  legge  mosaica.  Ma,  anche  senza  credere 
a  questo,  può  tenersi  probabile  che,  mosso  dalla  sua  cu- 
riosità naturale,  e  dal  desiderio  di  conoscere  i  costumi 
e  tutte  le  forze  del  popolo  che  avea  resistito  a  Roma  con 
tanta  energia,  nel  suo  soggiorno  di  Siria  cercasse  gli 
ordinamenti  rehgiosi  di  esso,  per  aver  modo  più  facile 
a  compierne  la  distruzione  ^.  Egli  tolse  a  Gerusalemme 


1  Sparziano,  23",  Aurelio  Vittore,  De  Caes.^  1 1  ;  Tconographia  villae  Tiburtinne  Hadr. 
Caes.  olim  a  Pyrro  Ligorio  delineata  et  descripta^  poslea  a  Fr.  Continio  recogn.^  Ro- 
mae  1751  ;  Nibby,  Descrizione  della  villa  Adriana^  Roma  1827,  e  Dintorni  di  Roma^  III, 
647-706;  MùUer,  Roms  Campagna  in  Beziehung  auf  alte  Geschichte  ^  Dichtung  und 
Kunst  ^  Leipzig  1S24,  voi.  I,  pag.  17S-204;  Lepsius,  in  Annui.  Istit.  archeolog.^  1S37, 
pag.   168;  Canina,  Edifizi,  voi.  V,  pag.  152-193,  e  VI,  tav.  148-175. 

2  Sparziano,  13;  Aurelio  Vittore,  Ke  Caes.^  14;  Dione  Cassio,  LXIX,  11;  Corsini,  Fcjs?; 
Attici^  II,  pag.  110;  Flemnier,  De  itinerihus  Hadriani^  pag.  33-40  e  48. 

3  Lampridio,  Alessandro  Severo.,  43. 

*  Salvador,  De  la  domination  romaine  en  Judée.,  II,  366. 


684  GUERRA  AI  GIUDEI.  [Lib.  VII. 

anche  l'antico  suo  nome,  ponendovi  una  colonia,  che 
chiamò  Elia  Capitolina.  Fece  un  tempio  a  Giove  dove 
sorgeva  il  tempio  di  Dio,  e  di  più  vietò  ai  Giudei  di  cir- 
concidere i  figli  *.  Queste  furono  le  cause  immediate  del- 
l'ultima sollevazione,  di  cui  partì  il  segnale  da  Tiberiade, 
ove  stava  l'assemblea  dei  dottori  con  Akiba,  rabbino  o 
maestro,  che  fu  l'anima  a  cui  tutti  i  capi  dell'insurre- 
zione servirono  successivamente  di  braccio.  E  il  suo  nome 
rimase  venerato  dall'intera  nazione,  perchè  lavorò  tutta 
la  vita  a  liberare  la  patria,  e  pose  i  primi  fondamenti 
della  nuova  legge  del  popolo  schiavo  e  disperso,  e  a  lui 
è  attribuita  la  Kahhala,  dettata  nell'oscuro  linguaggio 
necessario  a  cospiratori  2. 
Annidi  Ro-  Lo  scoppio  della  sollovazìone  generale  fu  preceduto  da 
g^caìÌ^  sforzi  particolari  di  bande  insorte  e  afforzate  sulle  mon- 
tagne. La  nazione  tutta  corse  alle  armi  capitanata  da 
Barcocheba,  il  figlio  della  stella,  cui  Akiba  pose  in  mano 
il  bastone  del  comando,  la  spada  di  Dio  e  del  popolo  :  e 
tre  anni  di  terribile  resistenza  mostrarono  quanta  fosse 
la  sua  energia,  quanto  il  suo  senno  di  guerra.  Fu  detto 
clie  la  sua  bocca  vomitava  fiamme  3,  allegoria  orientale, 
significante  la  potenza  che  egli  aveva  a  infiammare  i 
suoi  partigiani.  Afforzò  città,  villaggi,  borgate  e  ogni 
luogo  atto  a  offesa  e  difesa,  e  scavò  vie  sotterranee  per 
avere  sicuro  passo  da  un  luogo  all'altro;  fece  rappresa- 
glie feroci  contro  Tinnio  0  Tineio  Rufo,  governatore  ro- 
mano della  Giudea,  che  mise  le  mani  nelle  robe  di  tutti, 
e  alla  fine  rimase  sconfitto:  e  l'insurrezione  in  breve  .si 
allargò,  e  agitò,  dice  Dione,  quasi  tutta  la  terra.  Adriano, 
intento  ad  usare  ogni  provvedimento  atto  a  schiacciarla, 
chiamò   daha  Britannia  Giulio   Severo  («),    il  duce    più 

e*)  Dione  Cassio,  LXIX,  13.  Una  iscrizione  mutilata    pare  che  ricordi 

1  Dione  Cassio,  LXIX,  12;  Sparziano,  1!. 

2  Salvator,  loc.  cit.^  II,  513. 

3  S.  Girolamo,  Advers.  Ruff.^  lib.  3. 


Gap.  IV.]  GUERRA  AI  GIUDEI.  G85 

grande  di  questa  età,  il  quale  seguendo  le  arti  di  Ve- 
spasiano, evitò  gli  scontri  generali  di  nemici  che  la  di- 
sperazione faceva  tremendi,  li  battè  separatamente,  chiuse 
loro  le  vettovaglie,  ed  entrato  nelle  fortezze  metteva  tutti 
a  filo  di  spada.  Il  centro  della  rivolta  e  delle  operazioni 
di  guerra  fu  a  Bitter,  presso  Gerusalemme,  ove  gli  asse- 
diati sopportarono  tutti  gli  orrori  della  fame  e  della  sete 
con  eroico  coraggio.  Akiba,  ivi  rinchiuso,  animò  colla  sua 
energia  gli  ultimi  martiri  della  hbertà  nazionale.  Presa 
la  fortezza  d'assalto,  Barcocheba  peri  colla  spada  alla 
mano,  e  Akiba,  caduto  in  potere  dei  nemici,  fu  tratto  al 
supplizio  con  gli  altri  dottori,  che  avevano  fatto  parte 
del  consiglio  di  difesa.  Lo  serbarono  a  perir  l'ultimo: 
vide  gli  strazi  dei  suoi  infelici  compagni,  e  poscia,  lace- 
rato con  uncini  di  ferro,  mori  intrepidamente  ripetendo 
che  V Essere  è  Dio  K 

La  tradizione  narrò  di  milioni  di  uomini  uccisi,  e  di 
torrenti  di  sangue  grandi  cosi  che  trasportavano  macigni, 
e  di  un  gran  muro  costruito  da  Adriano  con  le  ossa  dei 
morti.  Incalcolabile  il  numero  dei  periti  di  malattie  e  di 
fame.  Secondo  Dione  i  Giudei  ebbero  580  mila  morti  di 
ferro,  e  furono  prese  loro  50  fortezze  e  distrutti  985  vil- 
laggi (").  Tutto  ciò  può   credersi  facilmente  ingrandito. 


la  legazione  di  lui  in  Britannia.  Vedi  Borghesi,  Burbule'io ,  in  Opere, 
voi.  IV,  pag.  166,  e  Hùbner,  Inscr.  Brit.  lat.,  n.  276,  Altre  epigrafi  ri- 
cordano tra  i  duci  C.  Nummio  Costante,  e  Q.  LoUio  Urbico  premiati  da 
Adriano  di  corona  aurea,  di  collane,  di  armille  e  di  falere  per  loro  pro- 
dezze nella  guei'ra  giudaica.  Vedi  Orelli,  832;  Henzen,  6500. 

(«)  Dione  Cassio,  LXIX,  13-14;  Eusebio,  Hist.  Eccles.,  lY,  6,  e  Chron. , 
conf.  Fi'ontone,  Epist.,  II,  96.  Di  questa  guerra  scrisse  particolarmente 
il  jMiinter,  Ber  jùdische  Krieg  unlcr  Trojan  und  Hadrian,  Altona  1820. 
Vedi  anche  Tillemont,  Hist.  des  empereurs,  voi.  II,  pag.  285-294;  Bor- 
ghesi, loc.  cit,  pag.  165-168.  Per  le  monete  che  si  riferiscono  ad  essa, 
vedi  Flemmer,  Be  iiincribus  Hadriani,  pag.  97-104. 

1  Salvador,  loc.  cit..  II,  57>'. 

Vannuuci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  86 


686  GUERRA  AI  GIUDEI.  COSTUMI  DI  ADRIANO.       [Lir.  VII. 

ma  riman  certo  che  senza  numero  furono  le  calamità 
che  accompagnarono  e  seguirono  la  guerra.  La  Giudea 
fu  ridotta  a  deserto,  e  i  molti  prigioni  andarono  venduti 
alle  fiere  di  Terebinto  e  di  Gaza  K  Furono  moltiplicati  i 
provvedimenti  e  i  decreti  per  estinguere  affatto  il  sen- 
timento della  patria  presso  i  Giudei,  cui  fu  vietato  di 
avvicinarsi  a  Gerusalemme:  e  solo  più  tardi  gli  esiliati 
poterono  comprare  il  permesso  di  piangere  una  volta 
l'anno  sulle  rovine  della  santa  città,  nell'anniversario 
della  sua  distruzione  (").  E  quindi  la  memoria  di  Adriano 
(a  cui  pare  che  pel  compimento  di  questa  guerra  fosse 
eretto  un  monumento  pubblico  a  Roma)  (^)  rimase  piena 
di  abominazione,  e  il  suo  nome  fu  pronunziato  con  or- 
rore nelle  solennità  dei  Giudei  ^.  Anche  i  Cristiani  furono 
insultati  nella  vittoria:  posto  un  porco  di  marmo  sulla 
porta  della  città  rimpetto  alla  grotta  di  Betelem,  conver- 
tita in  tempio  di  Adone,  mentre  statue  di  Venere  e  di 
Giove  sorgevano  sul  Calvario  e  sul  santo  sepolcro  ('^). 

Quanto  ai  costumi  di  Adriano  sappiamo  che  egli  fu 
adultero,  e  non  rispettò  neppur  l'onore  degli  amici.  Ma 
sotto  questo  rispetto  meglio  d'ogni  altra  cosa  ce  lo  mo- 

C)  S.  Girolamo,  In  Soplion.,  2. . . .  Excepto  planciu  prohibentur  ingredi 
leriisalem ,   et  ut  ruinam  siiae    eis   fere   liccat  civitaiis    pretio  redi- 

munt Videas  in  die  quo  capta  est  a  Romanis  et  diruta  lerusalem, 

venire  popiilwn  htgubrem ,  connuere  decrepiias  mulierculas  et  senes 
pannis  annisque  ohsitos. . . .  ptlungere  ruinas  templi,  etc. . . .  Adluic  fletus 
in  genis  et  livida  brachia  et  sparsi  cineres  ;  et  miles  mercedcm  postu- 
lat,  ut  illis  fiere  j^ius  liceat. 

(^)  Vedi  il  frammento  di  una  iscrizione  troiata  negli  sgombri  del  Ta- 
bularlo, Bullett.  Istit.  archeolog.,  1851,  pag.  107,  e  Henzen,  5457. 

C)  Eusebio,  Chron.  II  tipo  di  un  porco,  a  dispregio  dei  riti  giudaici , 
si  vede  anche  sopra  le  monete  di  Elia  Capitolina.  Vedi  Cavedoni,  Spici- 
legio Numismaiico,  pag.  284,  e  Bullett.  Istit.  archeolog.,  1838,  pag.  137, 
e  Tillemont,  loc.  cii.,  pag.  295. 

1  Chronicon  Aìcxnndrinum,  pag.  50S 

2  Salvador,  H,  'm. 


Gap.  IV. 


GIULIA  SABINA. 


687 


strano  i  suoi  infami  amori  per  Antinoo,  di  cui  toccammo 
di  sopra.  Per  causa  di  esso  visse  in  discordia  con  sua 
moglie  Giulia  Sabina,  nipote  di  Traiano,  la  quale  spo- 
sata, con  lieve  assenso  di  questo,  per  favore  di  Plotina, 
gli  aveva  resa  più  facile  la  via  dell'Impero  K  È  affermato 


I 


Sabina  moglie  di  Adriano  {Movr/ez.  Icon.  Rom  ^  XXXVIII,  4). 

che  l'afflisse  con  trattamenti  servili,  e  che  accusandola 
di  umore  difficile  e  aspro  diceva  l'avrebbe  ripudiata  se 
fosse  stato  in  condizione  privata.   Ed  ella  pure  dolevasi 


Sparziano,  Adriano^  2. 


688  IMALATTIA  E  CRUDELTÀ  DI  ADRIANO.  [Lib.  VII. 

fieramente  di  lui,  e  corse  voce  che  dicesse  di  aver  fatto 
ogni  sforzo  per  non  dargli  un  figliuolo,  il  quale  venendo 
da  tale  uomo  sarebbe  nato  a  rovina  del  genere  umano. 
Fu  detto  pure  che  alla  fine  la  facesse  morire  ^  Non  sap- 
piamo quanta  parte  di  vero  sia  in  questi  rumori:  ma  sono 
certe  le  atroci  ingiurie  che  egli  fece  alla  moglie  coi  suoi 
sconci  amori,  colle  sue  follie  per  la  bellezza  maschile,  ed  è 
certo  che  Sabina  non  potè  avere  affetto  per  lui.  Se  egli 
allontanò  dalla  corte  Svetonio  Tranquillo,  e  gli  altri  che 
trattavano  troppo  familiarmente  con  lei  2,  ciò  non  prova 
l'affetto  del  marito,  ma  la  cura  del  principe  pel  decoro 
della  casa  imperiale:  e  questo  stesso  e  non  altro  dimo- 
strano le  medaglie,  e  i  fastosi  monumenti  in  cui  l'impe- 
ratore e  l'imperatrice  sono  figurati  in  compagnia  della 
Concordia  e  sotto  le  sembianze  di  Marte  e  di  Venere  ("), 
Da  ultimo  Adriano  si  ritirò  alla  villa  di  Tivoli,  e  ivi 
attendeva  a  opere  di  smodato  lusso,  a  sontuosi  conviti, 
a  lascivie.  Ma  poco  durarono  i  suoi  godimenti.  Una  ma- 
lattia irrimediabile  gli  straziò  crudamente  la  vita:  e  al- 
lora, impaziente  del  dolore,  détte  in  strani  furori  e  di- 
ventò ferocissimo  anche  contro  i  più  cari;  e  tolse  di 
mezzo  più  senatori,  alcuni  apertamente,  altri  per  mezzo 
d'insidie.  Uccise  Serviano,  suo  cognato,  in  età  di  90  anni, 
e  Fosco,  nipote  di  questo,  in  età  di  18,  accusandoli  di 
tentar  novità,  perchè  non  approvavano  la  scelta  del  suc- 
cessore all'Impero,  la  quale  era  biasimata  da  tutti.  E 
Serviano  spirò,  pregando  gli  Dei  che  non  concedessero 
la  morte  al  suo  uccisore,  quando  più  la  cercasse  '. 

{")  Vedi  Cohen,  Monn.,  II.  p.  265-206;  Rraun,  Adriano  e  Sabina,  BaS' 
soi'iliet/o  del  Museo  Chiaramonti,  in  Annal.  Istit.  ardi.,  1839,  pag.  243, 
tav.  agg.  Z,.  Sabina  in  figura  della  Concordia,  e  ornata  di  diadema  è  in 
lina  statua  illustrata  da  \\.  Q.  Visconti  nei  Mommi,  scrlti  Borghesinni, 
tav.  XXXVI,  n.  1. 

'.  A\irei:o  ViUorc,  Epit.,  Il;  Sparzicno,  11  e  23. 

2  S[iarziano,  11. 

3  Dione  Cassio,  LXIX,  17;  Sparziano,  15  e  23. 


Gap.  IV.] 


ADOZIONE  DI  ELIO  VERO. 


089 


A  successore    avea    destinato   per  via   di   adozione  L.  Annidi  ro- 
Ceionio  Commodo  Vero,  chiamato  d'ora  in  poi  L.  Vero   o^flV.'' 
Elio  Cesare,  un  giovane  a  lui  caro  per  la  molta  bellezza 
e,  al  dire  dei  malevoli,  per  turpi  commercii.  E  il  fatto 
fu  celebrato  con  solenni  feste,  con  grandi   giuochi  nel 
Circo,  e  ricchi  congiarii:  i  soldati  ebbero  300  milioni  di 


Elio  Cesare  {Righelti,  Campid.^  I,  149). 


sesterzi,  e  nulla  fu  lasciato  di  ciò  che  potesse  eccitare 
lafpubblica  gioia,  quantunque  il  successore  adornato  della 
pretura  e  mandato  a  governare  in  Pannonia,  e  poi  fatto 
console,  fosse  uomo  da  non  promettere  alcun  bene  di  sé 


690  BRUTTL'RE  E  MORTE  DI  VERO.  ADOZIONE  DI  ANTONINO.  [  Lib.  VII. 

nel  governo  del  mondo.  Le  mollezze  più  rare  erano  suo 
studio  precipuo:  inventò  un  pasticcio  squisito,  che  ad 
Adriano  piaceva  moltissimo.  Fra  i  suoi  raffinamenti  era 
pure  un  letto  ripieno  di  foglie  di  rose,  ove,  profumato 
di  odori  persiani,  giaceva  colle  sue  concubine  coperto 
d'un  velo  di  fiori  di  giglio.  Suoi  libri  prediletti  erano  gli 
Epigrammi  di  Marziale  e  i  versi  più  licenziosi  di  Ovidio. 
Vestiva  da  Amori  gli  schiavi  destinati  a  servirlo.  Ai  suoi 
corrieri  metteva  le  ali,  perchè  rassomigliassero  gli  Amori. 
Alla  moglie,  dolente  delle  sue  infedeltà,  rispondeva  che 
la  sposa  si  tiene  per  titolo  di  dignità,  non  per  cagione 
di  piacere.  Dal  che  vediamo  quali  beni  fossero  per  ve- 
nire all'Impero  da  questa  adozione.  Ma  i  disordini  presto 
portarono  via  questo  novello  Cesare,  che  fini  d'un  ri- 
bocco di  sangue,  e  come  Antinoo,  suo  collega  in  turpi- 
tudini, ebbe  anch' egli  statue  colossali  e  templi  in  tutto 
l'Impero  '. 
Dopo  fu  adottato  Tito  Aureho  Fulvo  Boionio  Antonino 
AnnidiRo- (13  febbraio),  che  poi  con  singolare  bontà  onorò  il  trono, 

ma 891.  di  ,  ,,    .    -,  ?        •       x  •  • 

G.  c  13S.  quanto  altri  lo  avevano  contaminato  con  ogni  maniera 
d'infamie.  Adriano  chiamò  intorno  al  suo  letto  i  prin- 
cipali fra  i  senatori,  e  presentando  loro  il  nuovo  adot- 
tato ,  lo  raccomandò  come  quello  che  aveva  virtù  e 
senno  da  far  felice  il  mondo.  Poscia  aggravò  nel  male: 
più  grandi  le  perdite  di  sangue:  crebbe  anche  l'idrope, 
che  già  gli  dava  fiero  travaglio.  Egli  sperò  vanamente 
di  liberarsene  con  arti  magiche,  ma  alla  fine  non  vedendo 
scampo  e  sentendosi  straziare  da  fieri  dolori,  chiese  che 
lo  uccidessero  di  veleno  o  di  ferro.  Ninno  gli  rese  il  do- 
mandato servigio,  ed  egli  traendo  guai,  e  lamentando  di 
non  poter  morire,  mentre  poteva  uccidere  altri,  infierì 
negli  estremi  momenti  con  ordini  crudelissimi  di  cui  im- 
pedì gli  efletti  la  umanità  di  Antonino.  Alla  fine  in  un 

1  Sparziano,  Adriano,  23;  Elio  Vero.  1-7;  Dione  Cassio,  LXIX,  17  e  20. 


Gap.  IV.] 


MORTE  DI  ADRIANO. 


691 


eccesso  di  cibo  e  di  bevanda  trovò  la  morte  bramata. 
Scherzando  con  leziosi  ver- 
setti rivolti  alla  sua  anima, 
ai  dieci  di  luglio  spirò  nella 
sua  età  di  circa  62  anni  e 
mezzo  dopo  averne  regnati 
21  e  undici  mesi  (").ll  Sena- 
to, che  lo  odiava  perle  sue 
crudeltà,  volle  condannarne 
la  memoria  e  cassarne  gli 
atti,  come  quei  d'un  tiran- 
no; ma  fu  salvato  dalla  pietà 
di  Antonino,  il  quale,  te- 
mendo anche  per  la  sua 
adozione,  pianse  e  pregò, 
e  fece  ricomparire  molti 
condannati,  che  aveva  sot- 
tratti agli  ultimi  furori  del 
moribondo,  e  riuscì  a  met- 
tere anche  lui  tra  gli  Dei, 
gli  edificò  per  sepolcro  un 
tempio  presso  a  Pozzuoli, 
d'onde  fu  trasportato  nel 
grande  Mausoleo  sulle  rive 
del  Tevere,  e  gli  consacrò 
culto  di  giuochi  quinquen- 
nali e  di  sacerdoti.  Così  finì 

con  onori  divini  P.  Elio  Adriano  che  per  la  sua  indole 
non  ebbe  affetto  neppure  da  chi   più  lo  lodava  {'')  ;  e  fu 


89J.  <ii 


Adriano  in  veste  sacerdotale 
(Righettij,  Camxiid.^  tav.  I,  116). 


(")  Animula  vayula,  blandula,  Hospcs  comesque  corporis,  Qu/u;  mine 
ahlbis  in  loca,  Pallidula ,  rigida,  nudula;  Nec,  ut  soles,  dabis  iocos. 
Sparziano,  25. 

(*)  Dione  Cassio,  LXIX.  22  e  23;  Sparziano.  Adr. .  24-27;  Capitolino, 
Antonino  Pio,  4  e  5;  Frontone,  Epist.,  I,  102.  I  suoi  sacerdoti  si  chiama- 
rono Adriano.li.\eAì  Borghesi,  i^rammen/o  di  fasti  sacerdotali,  in  Opere, 
voi.  HI,  pag.  400. 


692  GLI  ANTONINI.  [Lib.  VII. 

adorato  qual  Dio  l'uomo  che  rappresentò  in  sé  tutte  le 
contradizioni  del  tempo  suo,  sì  pieno  di  contrasti  e  di 
antitesi,  il  gran  sacerdote  e  instancabile  fabbricatore  di 
templi  senza  Dei,  cupidissimo  di  sapere  il  futuro  *,  cre- 
dulo a  tutto  senza  creder  nulla  da  vero  ("). 

Col  successore  di  Adriano  comincia  propriamente  il 
periodo  degli  Antonini,  chiamato  il  secolo  d'oro  del  ge- 
nere umano:  ma  è  un  periodo  che  non  oltrepassa  i  42 
anni.  I  buoni  Antonini  sono  due  solamente,  e  al  compa- 
rire di  Commodo,  erede  e  contaminatore  del  nome  così 
venerato,  cessano  a  un  tratto  le  gioie  degli  uomini,  e 
torna  più  tremendo  il  flagello  della  tirannide. 

Antonino,  soprannominato  Pio  pel  grande  studio  posto 
nell'onorare  gii  Dei,  per  la  squisita  clemenza  e  bontà 
del  suo  animo  e  per  la  pietà  mostrata  nel  difendere  e 
nell'onorare  Adriano   suo   padre   adottivo  (''),  veniva   da 

(")  Sotto  questo  rispetto  fu  studiato,  non  ha  guari,  da  un  valente  Te- 
desco studiosissimo  delle  cose  italiane,  il  quale  lo  mostrò  greco  nelle 
sue  inclinazioni  poetiche,  nei  suoi  amori  di  sofista,  nel  suo  entusiasmo 
per  Tarte:  amico  ai  gentili  e  ai  cristiani,  barbaro  nell'amore,  voluttuoso 
e  stoico,  e  vero  Romano  per  la  sua  energia,  per  la  sua  ragion  di  Stato. 
e  per  lo  studio  delle  leggi,  in  cui  infuse  non  poca  vita. 

La  prima  parte  del  libro  contiene  la  storia  politica,  1  fatti  di  Adriano 
come  imperatore,  e  viaggiatore  irrequieto  fino  alla  morte  ;  poi  un  quadro 
del  sistema  politico,  dell'amministrazione  e  delle  costituzioni  legali.  E 
la  seconda  discorre  della  cultura,  delle  scienze,  della  rettorica,  dei  sofisti, 
e  della  decadenza  delle  lettere  al  tempo  di  Adriano,  come  deirartificioso 
rialzamento  delle  arti  belle,  opera  non  del  tempo,  ma  del  principe,  e 
senza  fondamenti  essenziali  nel  popolo  :  e  finalmente  tratteggia  la  guerra, 
che  a  quel  tempo  insorse  tra  la  filosofia  antica  e  il  paganesimo  da  un 
lato,  e  il  cristianesimo  e  il  misticismo  orientale  dall'altro,  e  ci  pone  da- 
vanti 1  campioni  che  presero  parte  alla  lotta.  Vedi  Gregorovius,  Gcschichte 
d'is  rbmischen  Kaiser s  liadrian  und  seiner  Zcit,  Kònigsberg  1851. 

(^)  Pausania,  Vili,  43,  5;  Sparziano,  Arf/*.,  24  e  27;  Capitolino,  Anion- 
Più,  2  ;  Vulcazio  Gallicano,  Cassio,  2.  —  Il  titolo  di  Pio  comparisce  sulle 
medaglie  suI)ito  dopo  la  morte  di  Adriano:  e  le  feste  istituite  in  onore 
di  questo  sono  chiamate  Pialia.  Eckel,  VII,  36;  Merivale,  Vili,  262. 

1  Lampridio,  Alessandro  Severo^  43;  Amitiiano  Marcellino,  XXV,  1    17. 


CAf.  IV.]         EDUCAZIONE  E  PRIMI  UFFlCll  DI  ANTONINO.  093 

famiglia  originaria  di  Nemauso  {Nlmes)  nella  Narbonese, 
e  per  lui  le  Gallio  dettero  un  capo  all'Impero,  come  le 
Spagne  gli  avevano  dato  Traiano  e  Adriano.  Nacque  ai 
19  settembre  (839  di  Roma,  86  di  C),  a  Lanuvio  poco 
lontano  da  Alba,  di  padre  illustratosi  nei  pubblici  ufficii, 
e  di  madre  discesa  da  chiarissima  stirpe.  Anche  l'avo  era 
stato  due  volte  console  e  prefetto  della  città;  ed  egli  coi 
beni  della  sua  casa  fu  erede,  dell'integrità,  e  dei  puri 
costumi  aviti  e  paterni.  Fu  educato  nella  villa  paterna 
(li  Lodo  (Castel  Guido}  a  dodici  miglia  da  Roma,  sulla 
via  che  va  a  Civitavecchia,  nel  luogo  stesso  in  cui  poi 
sorse  un  palazzo,  divenuto  famoso  pel  soggiorno  di  lui  e 
di  Marco  Aurelio,  e  dove  tra  antiche  rovine  si  trovarono 
iscrizioni  e  più  pezzi  ragguardevoli  di  arte  vetusta*.  Ivi 
probabilmente  prese  quell'amore  dei  campi,  che  mantenne 
tutta  la  vita ,  e  che  lo  fece  rassomigliare  pei  semplici 
modi  ai  virtuosi  cittadini  antichi.  Entrato  poscia  nelle 
faccende  pubbliche,  fu  console  al  principio  dell'impero 
di  Adriano  (120  di  C,  881  di  R.),  andò  proconsole  in  Asia 
nel  128,  ove  lasciò  fama  singolare  di  saviezza  e  d'inte- 
grità; fu  uno  dei  quattro  preposti  da  Adriano  al  governo 
d'Italia,  e  a  Roma  fu  continuo  nei  consigli  del  principe, 
cui  in  ogni  cosa,  onde  fosse  richiesto,  dava  avvisi  mi- 
tissimi  -. 

Quando  Adriano  gli  aprì  il  suo  pensiero  di  inalzarlo 
coir  adozione  al  grado  supremo,  egli  chiese  tempo  a 
pensare,  se  gli  convenisse  pigliarsi  il  grave  peso,  così 
ricercato  da  altri.  Poscia  accettò,  e  secondo  le  prescri- 
zioni di  Adriano,  adottò  Marco  Aurelio,  figlio  del  fratello 
di  sua  moglie  Faustina,  e  Lucio  Vero,  figlio  di  quell'Elio 
Vero  che  vedemmo  morire  poco  dopo  la  sua  adozione  ^. 


i  Vedi  Ci.  Amati,  in  Giorn.  \rcad..  1623,  voi.  XVIII,  pag.  Cy-lOO;  Nibby,  Dinlorni  di 
lìomc,  II,  pag.  269  e  segg. 
■-  Capitolino,  Antonino  Pie  1-3. 
'i  Capitolino,  4. 

Vannucci  —  Storia  dell'  Itaha  antica  —  IV.  '  S7 


094 


SCARSE  LE  NOTIZIE  DI  LUI. 


[LiB.VII. 


Antonino  era  adorno  di  lettere  ,  bello  della  persona , 
d' indole  mitissima,  affabile,  generoso,  virtuosissimo.  Ma 
la  storia  che  disse  ogni  minuzia  dei  despoti,  ci  tramandò 
scarse  notizie  di  questo  principe  senza  modello,  perfetto 
(Vomii  virtù,   e   stimato   deono  del   nome   di   Padre  del 


Antonino  Pio  (Rifjhelti^  Camph'.,  I,  tav.  157i. 

genere  umano  K  Andò  perduto  il  libro  di  Dione  che  par- 
lava di  lui;  peri  l'elogio,  in  cui  a  Marco  Aurelig  pareva 
che  Frontone  avesse  ras;2fiunto  il  sommo  dell'eleganza  e 


i  ran<afli£v.  Vili,  -Iv 


Cap.  IV.]  RITRATTO  D-ANTONINO  NEI  RICORDI  DI  M.  AURELIO.  695 

dell'arte;  e  nelle  lettere  dello  stesso  Frontone  rimane 
solo  qualche  cenno  sui  santi  costumi  e  sulla  prudenza, 
sulla  frugalità,  sulla  innocenza,  sulla  santità  e  sulle  altre 
virtù,  per  cui  questo  gran  re  sovrano  di  tutta  la  terra 
e  del  mare  superò  ogni  altro  principe  *.  Onde  tutto  ciò 
che  sappiamo  di  più  particolare  è  nella  povera  biografìa, 
scritta  da  Giulio  Capitolino,  e  nei  Ricordi  di  Marco  Au- 
relio, il  quale  ,  facendo  il  ritratto  del  suocero  e  padre 
adottivo,  così  ne  ricorda  le  virtù,  da  lui  prese  a  modello. 
«  Io  imparai,  egli  dice,  dal  padre  mio  ad  esser  clemente, 
e  fermo  a  tutta  prova  nei  partiti  presi  dopo  accurata 
disamina.  Egli  non  traeva  vanità  da  quelli  che  il  volgo 
chiama  onori;  amava  il  lavoro  e  l'assiduità;  sempre  pronto 
ad  ascoltare  chiunque  avesse  da  proporre  qualche  cosa 
di  utile  al  comune:  niuna  considerazione  lo  distornava 
da  retribuire  a  ciascuno  secondo  il  merito -.'sapeva  usare 
a  proposito  la  severità  e  l'indulgenza:  pose  line  di  buon 
ora  agli  amori  dei  giovani.  Sentiva  modestamente  di  sé, 
e  voleva  stare  ad  uno  stesso  ragguaglio  cogli  altri....  Nei 
consigli  esaminava  le  cose  con  diligenza  e  coja  persistenza, 
e  per  deliberare  non  contentavasi  mai  dei  primi  pensieri. 
Costante  e  non  fastidioso  né  capriccioso  nelle  amicizie.' 
In  ogni  occorrenza  bastava  a  sé  stesso,  e  serbava  sere- 
nità di  volto.  Antivedeva  da  lontano  ciò  che  potesse  in- 
contrargli, e  provvedeva  senza  schifìltà  a  ogni  menoma 
cosa.  Bandì  le  acclamazioni  e  le  adulazioni  di  ogni  ma- 
niera. Teneva  sempre  in  pronto  quanto  era  necessario 
per  le  occorrenze  dello  Stato,  moderando  le  spese  ordi- 
narie, e  sopportando  di  buon  animo  i  larnenti  e  i  rim- 
proveri che  altri  per  ciò  gli  faceva.  Non  superstizioso  nel 
culto  reso  agli  Dei,  né  studioso  di  acquistarsi  il  favore 
degli  uomini  con  piacente]>ie,  non  curandosi  di  acquistar 
grazia  appo  il  popolo  con  le  larghezze  o  con  le  lusinghe, 

I  Frontone,  Epist.^  I,  HO,  128,  212,  II,  Q^,  111.  Ed.  Cassan,  Paris  1830. 


696  RITRATTO  D'ANTONINO  NEI  RICORDI  DI  M.  AURELIO.  [Lib.  VII. 

0  con  lo  imitare  i  modi  di  quello,  ma  in  ogni  cosa  era 
sobrio  sempre  e  saldo,  e  non  mai  altro  che  delicato  e 
gentile,  e  osservatore  della  convenienza  e  del  costume 
stabilito.  Delle  comodità  della  vita,  di  cui  la  fortuna  è 
larga  ai  suoi  pari,  usò  con  libertà  e  senza  fasto,  per  modo 
che  delle  presenti  ei  si  giovava  senza  farne  caso,  e  le 
assenti  non  desiderava.  Si  governò  sempre  in  modo,  che 
niuno  potò  mai  tacciarlo  di  sofista,  di  facitore  d'arguzie 
0  pedante;  ma  sibbene  passò  sempre  per  uomo  maturo, 
perfetto,  nemico  dell'adulazione,  capace  a  governar  sé 
medesimo  ed  altri.  Onorava  i  filosofi  veri,  e  non  faceva 
scherno  dei  falsi,  non  lasciandosi  nulladimeno  ingannare 
da  essi.  11  suo  conversare  era  sciolto,  la  sua  grazia  non 
istuccava.  Teneva  cura  del  proprio  corpo,  non  tanta  da 
parer  tenero  della  vita  o  damerino,  né  tanto  poca  da 
parere  trascurato,  ma  quanto  basta  per  non  avere  quasi 
punto  bisogno  di  medicine  o  simili  cose.  E  sovra  tutto  era 
ammirabile  quel  suo  cedere  senza  invidia  a  chi  avesse 
acquistato  abilità  in  qualche  cosa,  come  nell'eloquenza  o 
nella  conoscenza  delle  leggi  e  dei  costumi  de'  popoli  o 
altre  di  cotal  fatta;  e  lo  adoprarsi  insieme  con  essi,  perchè 
ottenessero  fama  ciascuno  nell'arte  in  che  primeggiava;  e 
quel  suo  fare  ogni  cosa  secondo  gl'istituti  dei  maggiori, 
senza  dare  a  divedere  che  avesse  nessun  intento  partico- 
lare, nò  anche  quello  di  voler  conservare  essi  istituti.  An- 
cora il  non  esser  né  randagio,  né  avventato,  ma  continuar 
volentieri  a  star  nel  medesimo  luogo  e  ad  occuparsi  delle 
medesime  cose;  e  dopo  passati  gli  accessi  del  dolor  di 
capo  ritornar  fresco  e  vigoroso  ai  lavori  soliti;  e  il  non 
aver  di  molti  segreti,  Ina  anzi  pochissimi,  e  di  rado,  e 
solamente  nelle  cose  di  Stato;  eia  prudenza  e  la  misu- 
ratezza nel  dare  spettacoli,  nell'intraprendere  opere  pub- 
bliche, nel  far  distribuzioni  ai  soldati  e  simili  cose;  sic- 
come uomo  che  riguardava  a  quello  che  conveniva  fare, 
e  non  alla  fama,  che  gli  sarebbe  venuta  dalle  cose  fatte. 


Gap.  IV.]  PRINCIPE  INTENTO  SOLO  ALLA  FELICITÀ  UNIVERSALE.  C97 

Non  al  bagno  fuor  d'ora,  non  la  smania  di  fabbricare, 
non  ricercatezza  nel  cibo  o  nella  tessitura  dei  panni  o 
tintura,  o  nell'appariscenza  dei  servi.  Le  vesti  che  por- 
tava in  campagna,  ordinariamente  erano  fatte  nel  villag- 
gio vicino.  Nulla  di  men  che  umano,  nulla  d'immiseri- 
corde,  nulla  di  violento,  nulla  di  non  temperato  ;  tutte 
le  cose  di  lui  pensate,  distintamente  avvertite,  con  pa- 
catezza, con  ordine,  con  vigore,  e  d'accordo  le  une  con 
le  altre,  come  se  le  avesse  premeditate  per  ozio.  Ed  a 
lui  si  potrebbe  applicare  ciò  che  vien  detto  di  Socrate, 
che  egli  poteva  astenersi  egodere  colà,  dove  a  gran 
parte  degli  uomini  manca  la  forza  per  l'uno  e  la  tem- 
peranza per  l'altro.  E  il  saper  reggere  con  fortezza  e  con 
sobrietà  ad  ambedue,  non  appartiene  se  non  a  colui  che 
]ia  r  animo  sano  ed  invitto  {°).  » 

Tutte  le  lodi  di  Antonino  si  comprendono  in  questa 
grandissima,  che  il  suo  regno,  con  quello  del  successore, 
fu  forse  il  solo  periodo  della  storia,  in  cui  i  governanti 
non  mirassero  ad  altro  che  alla  felicità  universale,  e  la 
cercassero  con  instancabili  cure,  stimandola  la  vera  ric- 
chezza del  principe. 

In  occasione  dell'  inalzamento  all'  impero  dei  doni  già 
offertigli  per  festeggiare  la  sua  adozione  rese  l'intero  al- 
l'Italia e  la  metà  alle  province  '.  Fece  larghi  donativi,  ma 
del  suo  patrimonio,  al  popolo  e  alle  milizie,  e  più  volte. 
in  appresso  ripetè  siffatti  congiarii  attestati  dal  suo  bio- 
grafo e  da  molte  medaglie  in  cui  presso  all'imperatore 
si  vede  la  Liberalità  con  tessera  e  cornucopia,  d'onde 
versa  monete  che  il  pubblico  accoglie  stendendo  le  mani 


(")  Ricordi  dell' imperatore  Marco  Aurelio  Antonino,  volgariz  za-mento 
con  note  tratto  in  f/rnn  2'>arte  dalle  scritture  di  Luigi  Ornato,  terminalo 
e  imbblicato  per  opera  di  (urolarao  Picchioni ,  Torino  1853.  lib.  I.  IG. 
Vedi  anche  VI,  30. 

1  Caiàlolino,   I. 


C9S 


LIBERALITÀ 


[L1B.VII. 


e  le  vesti  »  ;  e  il  ricordo  di  queste  largizioni  imperiali  si 
credè  figurato  nel  frammento  di  un  elegante  bassorilievo 


Antonino  in  bassorilievo  della  Villa  Albani  {Monum.  ined.  Istit.j  IV,   1). 

ove   Autonino   sta  in  sedia  curule  accompagnato   dalle 
imagini  dell'Abbondanza  e  di  Roma  ("). 


C)  Vedi  Blessig,  Bassorilievo  inedito  della  Villa  Albani,  in  Annal. 
Istit.  arch.,  1844,  pag.  155-160,  e  Monumenti  inediti^  voi.  IV,  tav.  4. 

Roma  in  coturni  militari  e  in  tunica  è  nell'atto  di  levarsi  il  balteo: 
il  quale  atto,  come  l'esser  senza  elmo,  sembra  allusivo  alla  pace  amata 
e  mantenuta  da  Antonino  nel  mondo,  e  attestata  essa  pure  dalla  storia 
e  da  molte  medaglie. 

1  Ca|)itolino,  4.  8  e  10;  Eckel,  Doctr.  Niim.  vet.^  VII,  pag.  17  e  segg.  ;  Cohen,  Monn. 
voi.  II,  Anton.,  n.   13,  174-198,  512,  513,  648-669. 


Gap.  IY.J  GIUSTIZIA  E  RELIGIONE.  CULTO  ALLE  TRADIZIONI.      69<) 

Rimproverato  dalla  moglie  Faustina  di  essere  poco  largo 
coi  suoi,  le  disse:  Stolta!  col  venire  all'impero  noi  per- 
demmo anche  la  proprietà  di  ciò  che  prima  era  nostro. 
La  dolcezza  della  sua  anima  benefica  gli  appariva  sempre 
sulla  serena  fronte.  Primo  de'  suoi  piaceri  era  il  far  bene 
altrui.  Come  da  privato  dava  in  prestanza  alla  più  pic- 
cola usura,  per  aiutare  quanti  pii^i  potesse  col  suo  patri- 
monio, da  imperatore  détte  i  suoi  beni  particolari  allo 
Stato ,  e  vendè  per  utile  pubblico  tutte  le  superfluità 
della  reggia,  e  bandi  il  lusso  di  corte,  e  visse  modestis- 
simo. Non  fece  mai  viaggi,  tranne  quelli  per  andare  alle 
sue  terre  in  Campania,  stimando  che  i  corteggi  princi- 
peschi, anche  se  molto  modesti,  tornassero  a  gran  danno 
dei  popoli  ^ 

•  Ogni  suo  studio  fu  nel  governare  con  giustizia  e  mi- 
tezza, e  perciò  una  epigrafe  lo  celebra  ottimo  e  massimo 
principe,  giustissimo  con  somma  benignità,  e  segnalato 
per  la  cura  posta  a  mantenere  le  pubbliche  cerimonie  e 
la  religione  ('■),  di  cui  avea  sentimento  profondo,  e  sfor- 
zavasi  di  ridestarne  la  reverenza  negli  animi,  come  atte- 
stano le  medaglie  che  spesso  lo  figurano  sagrificante,  e 
mostrano  in  pari  tempo  lo  studio  che  egli  poneva  nel 
fare  rivivere  le  vecchie  tradizioni  delle  origini  religiose 
e  civili  di  Roma,  sperando  di  ringiovanire  e  rafforzare 
l'amore  della  patria  morente  col  rimettere  sotto  gli  occhi 
del  popolo  Enea  giunto  nel  Lazio  coi  sacri  Penati ,  il 
sogno  di  Rea  Silvia  e  le  sue  avventure  con  Marte,  la 
lupa  allattante  i  gemelli  presso  al  fico  ruminale,  Romolo 
colle  prime  spoglie  opime,  il  ratto  delle  Sabine,  gli  an- 
elli di  Numa,  i  miracoli  dell'aufrure  Navio,  l'eroismo    di 


(")  Optuno  maximoque  principi  et  cuìn  siimma  benignitate  iustissimo 
oh  insignem  erga  caerimonias  puhlieas  curam  et  religionem.  Creili.  In- 
script.,  n.  844. 

V  Capitolino,  2.  ),  7. 


700  BUONO  E  VIGILE  GOVERNO  DEI  POPOLI.  [Lib.  VII. 

Orazio  Coclite  al  Ponte  Sublicio,  la  venuta  di  Esciilapio 
a  portar  la  buona  salute  ai  Romani,  e  Roma  difesa  dal 
sacro  Palladio  K  Usò  verso  lo  Stato  la  vigilanza  che  un 
padre  di  famiglia  pone  a  regger  sua  casa  ^.  Né  era  facile 
ingannarlo,  perchè  stava  attentissimo  alle  cose  dei  sud- 
diti, e  voleva  conoscere  da  sé  stesso  e  domande  e  lamenti, 
e  nulla  lasciava  in  facoltà  di  liberti  e  di  cortigiani.  Né 
ciò  vuol  dire  che  pretendesse  a  far  tutto  col  suo  pro- 
prio senno.  In  ogni  grave  faccenda  ricercò  sinceramente 
l'avviso  dei  Padri,  nelle  cose  di  diritto  consultò  la  sa- 
pienza dei  più  valenti  giureconsulti  come  Ummidio  Vero, 
Salvie  Valente,  L.  Volusio  Meciano,  maestro  di  diritto  a 
Marco  Aurelio,  lavoleno  Prisco  e  L.  Ulpio  Marcello;  e 
in  ogni  faccenda  chiese  consiglio  agli  amici ,  per  aver 
lume  a  cogUere  più  sicuramente  nel  segno:  e  dopo  aver, 
consultato  e  deliberato,  sicuro  del  fatto  suo ,  agiva  con 
fermezza  e  vigore,  e  rendeva  conto  al  pubblico  di  ogni 
provvedimento,  che  per  lui  si  prendesse  ^. 

Sceglieva  a  suoi  ministri  e  a  governatori  delle  province 
i  più  specchiati  cittadini,  né  li  mutava,  se  non  costretto 
da  essi.  1  rei  d' ingiustizie  punì  severamente,  e  lasciò  ai 
sudditi  libero  il  campo  alle  accuse.  Provvide  che  i  tributi 
fossero  riscossi  senza  violenza,  e  rifiutò  ogni  lucro,  che 
cagionasse  l'altrui  oppressione.  Abolì  il  premio  del  quarto, 
di  cui  godevano  gli  accusatori,  e  rese  le  confiscazioni 
più  rare:  e  fra  i  suoi  buoni  ordini  ricordasi  anche,  che 
saggiamente  provvide  agli  alimenti  pubblici,  e  che  fu  il 
primo  a  stabilire  che  non  vi  fosse  pena  a  non  accettare 
un  legato  ^. 


1  Eckel,  Doctr.  Num.  vet..  VH,  pag.  29-33;  Cohen,  Monn.  .  voi.  IT,  A:,\tonìn  .  n.  27, 
32,  121-123,  2SS-290,  292,  298,  376,  379,  392.  435,  4U,  417,  467,  751,  758,  817,  SIS,  820- 
.S22,  874. 

2  Aurelio  Vittore,  Epit ,  15;  Capitolino,  7. 

3  fapitolino,  Antonin..  6  e  12,  M.  Aureli  3;  Digest.,  XXXll,  78,  (ì,  XXXVI,  4,  15, 
XXXVII,  14,  17,  XL,  2,  5,  XL,  5,  42,  XLVIII,  2,  7.  2;  lenichen,  De  Prisco  javoleno 
iurisconsuìto  i)ìco>npara6t7i.,  Lipsiae  1731  ;  Siin-'din;.',  Uè  Saìvio  Aiurnio  Valente  emsque 
quae  in  Digesto  adsunt  fragmentis .  Lugduni  Datavoriim  1821. 

4  Capitolino,  5-S,  11. 


I 


Gap.  IV.]  BENEFIZI  E  MONUM.  NELLE  PROVINCE  E  IN  ITALIA.    701 

Per  opera  sua  fiorirono  le  province,  di  cui  conobbe  e 
governò  sapientemente  e  umanamente  ogni  faccenda  ^ 
Moltiplicò  i  cittadini  2,  e  a  favore  di  essi  tolse  via  l'odioso 
diritto  che  dava  al  fìsco  l'eredità,  quando  i  figli  di  un 
cittadino  romano  avessero  serbata  la  cittadinanza  del 
luogo  nativo  3.  A  Pallanzio,  in  Arcadia,  détte  immunità 
per  amore  della  tradizione ,  che  diceva  venuto  di  colà 
l'antico  Evandro  nel  Lazio.  Molti  luoghi  soccorse  colla 
pecunia ,  ristorò  città  subissate  dai  terremoti ,  costruì 
belle  e  utili  opere  in  Siria;  fóro  e  terme  a  Laodicea  ; 
selciata  Antiochia  di  pietre  molari  fatte  venire  dalla  Te- 
baide;  bagni  pubblici  a  Cesarea  di  Palestina,  a  Nicome- 
dia  di  Bitinia,  a  Efeso;  in  Eliopoli  splendido  tempio  a 
Giove,  contato  tra  le  meraviglie  del  mondo;  nuove  ma- 
gnificenze nella  Jonia,  nella  Grecia  e  in  Alfrica,  a  Car- 
tagine, a  Lambesa  e  altrove  '":  costruzioni  0  restaurazioni 
di  acquedotti ,  di  anfiteatri ,  di  strade  e  altre  opere  in 
più  province  d'Europa  accennate  dalle  iscrizioni  ^i  e 
forse  alcuni  dei  bei  monumenti  che  anche  oggi  si  am- 
mirano a  Nìmes  furono  inalzati  da  lui  per  amore  al  luogo 
da  cui  originarono  i  suoi  maggiori. 

In  Italia  ricostruì  i  porti  di  Gaeta  e  di  Terracina,  le 
terme  di  Ostia,  l'acquidotto  di  Anzio,  i  templi  di  Lanuvio  ^. 

A  Roma  inalzò  il  tempio  di  Adriano  ,  e  ne  compi  il 
Mausoleo,  ma  fece  poco  di  nuovo,  contento  a  restaurare 
la  Grecostasi,  il  grande  anfiteatro,  e  il  ponte  Sublicio  '. 
Gli  piaceva  di  risparmiare  la  pubblica  pecunia ,  ma   la 

1  Capitolino,  7;  Frontone,  I,  212. 

2  Grutero, /K.scr.j  pag.  lOS,  n.  1;  Cohen,  J/oh/ì.  Anton. ^  n.  309,  ove  nel  rovescio  della 
medaglia  è  la  leggenda  ampliatori  civiim. 

3  Pausania,  Vili,  43,  5. 

4  Pausania,  Vili,  13;  Capitolino,  9;  Maiala,  Chroìiographia  ^  pag.  3G7:  Renier,  In- 
scrij)tions  rom   de  l'Algerie.,  n.  28,  22,  2300. 

•"'  Corpus  Inscript.  latin.,  voi.  HI,  n.  7.30,  762,  3609,  5734,  5713. 

*5  Capitolino,  S.  Per  le  magnifiche  terme  di  Ostia  vedi  Canina,  in  Accadem.  rom.  d'ar- 
cheologia, 183S,  voi/  Vili,  pag.  270-271,  e  C.  L.  Visconti,  Escavazioni  di  Ostia.,  in  Aìinal. 
htit   areh.,  1857,  pag.  317  e  segg.,  e  Monum.  ined.  Istit.,  voi.  VI,  tav.  11. 

'  Capitolino,  8. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  H'.  88 


702 


^lONUMENTI  A  NIMES. 


[LiB.  VII. 


sua  economia  non  si  vuol  tacciar  d'avarizia.  Fu  scherzato 
sul  suo  costume  di  guardarla  troppo  per  la  sottile  in  ogni 
minima  cosa,  ed  era  chiamato  tagliatore  del  cumino  *,  il 
che  presso  a  poco  è  come  dire  che  il  valentuomo  avrebbe 
tagUato  in  quattro  parti  un  pisello.  Ma  in  queste  minuzie 


Anfiteatro  (Les  Aréìies)  e  tempio  (Maison  ccirrée)  di  Nimes. 
{Ménard  et  Perrot^  Ilist.  des  antiquités  de  la  Ville  de  Ntmes^  p.  2(5  e  16,  Nimes  1SI6). 

non  vi  era  danno  pei  sudditi ,  che  vedevano  alleggerite 
le  gravezze,  represse  le  violenze,  e  il  principe  dilettarsi 
in  passatempi  innocenti,  rallegrarsi  in  giuochi  che  non 
costavano  altrui  né  averi,  nò  sangue,  spendere  onestà- 


Dione  Cassio,  LXX,  3;  Giuliano,  /  Cesarù  13. 


Gap.  IV].  DONA  TRI,  SPETTACOLI,  CORTESIE.  703. 

mente  le  ricchezze  bene  acquistate,  parco  nei  monumenti 
di  lusso,  e  largo  nello  spendere  in  opere,  che  soccorres- 
sero ai  veri  bisogni,  e  alle  umane  sciagure.  Ne  rendono 
fede  le  opere  già  ricordate,  e  gli  alimenti  dati  alle  fan- 
ciulle ,  che  chiamò  Faustìniane  in  onore  di  sua  moglie 
Faustina,  e  i  soccorsi  in  occasione  di  rovine,  d'inonda- 
zioni e  d'incendii  a  Roma  e  nelle  province,  e  le  molte 
largizioni  al  popolo ,  cui  in  una  carestia  dette  grano , 
vino  e  olio  del  suo.  Perchè  gli  spettacoli  tenevansi  come 
parte  di  pubblica  felicità,  celebrò  con  gran  magnificenza 
i  Giuochi  Secolari,  per  festeggiare  l'anno  900  della  fon- 
dazione di  Roma,  e  in  altre  occasioni  fece  mostre  grandi 
di  leoni,  di  elefanti,  di  rinoceronti,  di  cocodrilli,  di  tigri 
e  ippopotami,  quantunque  anche  in  ciò  temperasse  le 
spese  soverchie,  massime  negli  spettacoli  dei  gladiatori 
e  dei  comici,  e  si  mostrasse  liberale  senza  prodigalità  , 
come  era  economo  senza  avarizia  ^  Per  serbare  le  pub- 
bliche rendite  a  opere  utili  tolse  anche  i  salarli  a  molti, 
che  li  godevano  in  ozio,  dicendo  esser  cosa  oltremodo 
vile  e  crudele  roder  lo  Stato  senza  far  nulla  per  esso  : 
e  perciò  a  un  Mesomede,  poeta  lirico,  menomò  la  pen- 
sione, ma  ad  altri,  che  utilmente  professavano  filosofia 
ed  eloquenza,  come  anche  ai  medici,  détte  premii,  onori 
e  immunità  in  ogni  provincia  *:  e  i  retori  Cornelio  Fron- 
tone ed  Erode  Attico  inalzò  all'  onore  del  consolato  ^. 

Anche  egli,  come  Traiano  e  Adriano,  non  stimò  di 
avvilirsi  usando  civiltà  e  cortesie  ai  cittadini,  coi  quali 
si  accumunava  ad  onesti  sollazzi  di  commedie,  di  conviti, 
di  cacce,  di  pesca:  e  al  pubblico  détte  facoltà  di  andare 
ai  suoi  bagni  ''. 

Dalle  gravi  cure  di  Stato  pigliava  riposo  nella  vita  ca- 


1  Capitolino,  Antonino  Pio^  8-12;  Aurelio  Vittore,  De  Caes.^  le 
»  Capitolino,  11;  Digest.  XXVII,  1,  6,  §  1  e  2. 

3  Frontone^  II,  68;  Creili,  Inscr.,  4409  e  4719. 

4  Capitolino,  7  e  11. 


ro4 


ANTONINO  E  FAUSTINA. 


[LiB.  VII. 


salinga  e  nei  diporti  delle  sue  ville  di  Lanuvio  e  di  Lo- 
rio  *,  quantunque  non  tutto  gli  andasse  a  seconda  in  sua 
casa.  Di  quattro  figli  avuti  da  Annia  Galeria  Faustina, 
due  maschi  e  una  femmina  morirono  presto,  e  gli  rimase 
solo  la  figlia  Faustina  Minore  sposata  a  Marco  Aurelio 
in  appresso.  La  moglie,  sorella  di  Elio  Vero,  favorito  di 


Faustina  Maggiore,  ino^^'he  di  Antonino  Pio  [Monrjes,  Icon    Rom  ,  l-\v    Kl,  n,  I). 

Adriano,  non  ebbe  né  il  temperamento,  nò  alcuna  delle 
qualità  del  virtuoso  marito.  È  ricordato  che  all'occasione 


Capitolino,  6  e  7 


Cai',  ir]  ANTONINO  E  FAUSTINA.  705 

di  una  congiura  ella  lo  eccitò  a  riserbare  la  benevolenza 
agli  amici,  e  a  punire  severamente  i  ribelli  *.  Egli  non 
lasciò  per  questo  la  usata  dolcezza:  ma  nel  resto  non 
riuscì  col  suo  esempio  a  distogliere  quella  donna  dalla . 
troppo  facile  e  libera  vita ,  e  ne  ebbe  inolte  amarezze 
che,  portando  l'oblio  e  l'indulgenza  all'eccesso,  tenne 
dolorosamente  racchiuse  nell'animo  senza  farne  lamento  ^. 
E  quando  ella  nel  terzo  anno  del  suo  impero  (141  di  C; 
894  di  R.)  fu  morta,  egli  scrisse  dolente  a  Frontone  che 
gli  sarebbe  stato  più  caro  viver  con  lei  negli  scogli  di 
Giaro,  che  senza  di  lei  nel  palazzo  imperiale  («).  Il  Senato 
fece  di  essa  una  Dea,  la  onorò  di  giuochi  Circensi  e  di 
tempio  sulla  via  Sacra  presso  al  Fòro  Romano,  le  die 
sacerdoti  e  statue  d'oro  e  d'argento  portate  a  processione 
nelle  feste  coi  simulacri  delle  Divinità  nazionali  ^.  Del 
tempio,  a  cui  venti  anni  dopo  fu  unito  anche  il  nome  e 
il  culto  di  Antonino  deificato,  veggonsi  ancora  al  loro 
posto  la  cella,  le  colonne  del  portico  e  gli  elegantissimi 
fregi  che  rimangono  una  delle  belle  rovine  di  Roma  ^. 

Antonino  fa  mite  anche  con  gli  altri  che  in  vari  modi 
gli  fecero  ingiuria.  In  una  gran  carestia,  preso  dalla  plebe 
a  sassate,  invece  di  andare  in  furori  e  rispondere  col 
ferro,  come  è  uso  dei  prin(iipi,  calmò  i  tumultuanti,  di- 
cendo loro  dei  provvedimenti  fatti  ad  alleviamento  di 
quella  sciagura^.   In   casa  di  un  ricco  domandò   d'onde 

{"')  Ita  se  res  habet.  Mallem,  meliercule,  Gijaris  cum  illa  quam  sine  illa 
in  Pnlaiio  vivere.  Frontone,  Epist.,  pag.  254,  ed.  Mai.  IMa  sembra  che 
poi  si  desse  pace  assai  facilmente.  Una  epigrafe  trovata  nel  secolo  pas- 
sato sulla  via  Prenestina,  dice  che  il  divo  Antonino,  dopo  morta  Faustina, 
visse  in  concubinato  con  Lisistrate,  liberta  di  lei.  Vedi  Novelle  letterarie 
Fior.,  I7S6,  pag.  186,  e  Henzen,  in  Creili,  Inscr.,  n.  5406. 

1  Vulcazio  Gallicano,  Avidio  Cassio^  10. 

2  Capitolino,  3. 

3  Capitolino,  C. 

4  Nibby,  Roma  antica^  II,  631-635;  Canina,  Edifi:!.  voi.  I,  p.  61-65,  e  tav.  23-25. 

5  Aurelio  Vittore,  Epit.j  15. 


706 


ANTONINO  MITE  ANCHE  COGLI  INGIURIANTI.     [Lib.  VII. 


avesse  avuto  alcune  belle  colonne  di  porfido:  il  ricco  gli 
rispose  che  in  casa  altrui  si  vuole  essere  muto  e  sordo, 
ed  egli  portò  in  pace  la  scortese  risposta  ^.  Quando  sotto 
.Adriano  andò  proconsole  in  Asia,  a  Smirne  aveva  preso 
stanza  in  casa  del  sofista  Polemone,  uomo  ricco,  fastoso, 
arrogante.  Il  quale,  tornato  di  viaggio  e  trovato  il  novello 


Tempio  di  Antonino  e  Faustina  {Da  Fotografìa). 

ospite,  menò  tanto  rumore,  che  Antonino  fu  costretto  di 
mezzanotte  a  sloggiare  e  cercarsi  altro  albergo.  Fatto 
imperatore,  Polemone  venne  a  corteggiarlo  a  Roma,  ed 
egli  non  mostrò  di  ricordarsi  di  quella  avventura,  se  non 
per  pigliarne  occasione  a  piacevoli  motti.  Lo  alloggiò  in 
bello  appartamento,  dòtte  ordine  che  ninno  potesse  slog- 


Caiiitolino,  11. 


Gap.  IV.]     UMANI  ORDINI  IN  TUTTO.  SERVI  E  CRISTIANI.  707 

giarlo;  e  quando  un  attore  si  richiamò  a  lui,  perchè  Po- 
lemone  presedendo  ai  giuochi  ohmpici  celebrati  in  Asia 
lo  aveva  cacciato  dal  teatro  di  mezzodì,  l' imperatore  ri- 
spose: Me  cacciò  egli  di  sua  casa  di  mezzanotte,  eppure 
lo  portai  con  pazienza  *. 

Di  due  cittadini,  che  per  ambizione  di  regno  cospira- 
rono contro  di  lui,  uno  fu  bandito  dal  Senato,  e  1'  altro 
si  uccise  di  propria  mano  :  ma  Antonino  vietò  che  si  fa- 
cesse ricerca  di  complici,  dicendo  argutamente  di  non 
voler  colle  troppe  indagini  scoprire  di  essere  odiato  da 
molti;  e  al  figlio  di  uno  dei  congiurati  fu  largo  di  prote- 
zione 2.  Risparmiò  a  suo  potere  i  supplizii,  serbò  fedel- 
mente la  promessa  di  non  uccidere  alcun  senatore,  e 
ripeteva  sovente  celi' antico  Scipione  esser  meglio  salvare 
un  cittadino  che  spegnere  mille  nemici  ^.  Argomento  di 
sua  grande  umanità  è  anche  il  motto  ai  ministri  di  corte, 
che  studiavansi  di  arrestare  il  pianto  di  Marco  Aurelio 
per  la  morte  del  suo  educatore:  Lasciatelo  esser  uomo, 
disse  Antonino,  perocc/iè  né  la  filosofia  né  l'impero  tolgon 
gli  affetti  ^. 

Anche  le  cure  che  prese  dei  servi  attestano  la  bontà 
del  suo  animo.  Oltre  alle  pene  ordinate  contro  i  loro  uc- 
cisori, nel  rescritto  a  Elio  Marciano  proconsole  della  Be- 
tica  richiamò  l'attenzione  e  l'aiuto  dei  magistrati  contro 
le  sevizie  e  le  ingiurie  infami  dei  crudi  e  sconci  padroni, 
provvide  che  ninno  fosse  spogliato  del  suo  diritto ,  mi- 
nacciò severamente  dii  eludesse  i  suoi  ordini,  e  pose 
regola  alle  accuse  e  ai  giudizi  ^. 

Fu  benigno  e  rispettoso  ai  Cristiani  di  cui  ammirava 
il  coraggio,  la  virtù  e  i  costumi  :  ed  è  detto  che  in  loro 

1  Filostrato,  Sophixt.^  I,  25,  3. 

2  Aurelio  Vittore,  Epit.j  15;  Sparziano,  7. 

3  Capitolino,  8,  9. 
i  Capitolino,  10. 

5  Gaio,  Instit.^  I,  53;  Giustiniano,  Instltut.^l,  8,  2;  Digest..  I,  6,  2,  e  XLVIII ,  2,  7, 
§  2-5. 


708  MOTI  GUERRESCHI  FACILMENTE  REPRESSI.       [Lib.  VII. 

favore  scrisse  lettere^  ai  Larissei,  ai  Tessalonicensi,  agli 
Ateniesi  e  a  tutti  i  Greci.  È  certo  che  ne  accolse  le  apo- 
logie scritte  da  Giustino,  filosofo  greco  di  Palestina,  il 
quale  coli' esame  delle  dottrine  e  cogli  argomenti  della 
ragione  difese  la  nuova  filosofia  del  Cristianesimo,  come 
è  certo  che  sotto  il  suo  regno  gli  adoratori  del  Cristo 
furono,  generalmente,  lasciati  tranquilli  *. 

Se  rispetto  ai  Giudei  mantenne  le  pene  crudeli  già 
ordinate  contro  quelli  che  per  aumentare  i  seguaci  del 
loro  rito  circoncidessero  gli  estranei  alla  stirpe  giudaica  ("), 
per  ogni  altra  cosa  usò  rigore  solo  nelle  estreme  neces- 
sità ,  e  lo  temperò  sempre  colla  sua  naturale  dolcezza. 
Ai  rei  di  maltolto  confiscò  i  beni,  ma  li  rese  ai  figliuoli 
purché  riparassero  ai  danni  cagionati  dalle  ruberie  dei 
parenti:  e  anche  le  sedizioni  dei  popoli  quietò  con  mo- 
derazione e  fermezza,  non  con  modi  crudeli  -. 

Antonino  amava  la  pace,  e  non  provocò  a  guerra  nes- 
suno. Si  accenna  con  poca  chiarezza  a  rivolte  e  a  moti 
guerreschi  in  Britanuia,  in  Germania,  in  Dacia,  tra  gli 
Alani,  tra  i  Greci,  tra  i  Giudei  e  tra  i  Mauri  nell'AlTrica, 
i  quali  in  generale,  furono  facilmente  .repressi  dai  legati 
imperiali  ^. 

Della  guerra  vittoriosa  sui  Brettoni  è  ricordo  anche 
nelle  medaglie  in  cui  si  vedono   figurati  Antonino   e  la 

(-')  Circumciderc  Iv.dneis  filios  suos  tantum  rescripto  Divi  Pii  per- 
mittitiir:  in  non  ciusdem  religionis  qui  hoc  fecerit  castrantis  pc^ena 
irrogatur.  Digest.,  XLVIII,  8,  11.  Quale  fosse  la  pena  per  chi  trasgre- 
disse la  legge  è  detto  nelle  Sentenze  di  Paolo  (V,  22,  3  e  4)  :  Civcs  ro- 
mani qui  se  iudaico  ridi  rei  servos  suos  circumcidi  patiiintur,  bonis 
ademptis  in  insidam  perpetuo  relegantur.  Medici  capito  puniuniur. 
ludaei,  si  alienac  nationis  comporofos  serros  circumcidcrint,  autde- 
poì'tantur,  aut  capjite  punivntitr. 

1  Dione  Cassio,  LXX,  3;  Apologia  di  S.  Giustino  filosofo  e  martire,  in  Opera  omn  ia 
Venetiis  1717,  pag.  41  e  seg^'- ;  Eusebio,  Hist.  Eccles.^  IV,  12,  13  e  26;  Orosio,  VII,  14 

2  Capitolino,  10  e  13. 

3  Pausania,  Vili,  43,  3;  Ca;itolino,  5. 


< 


Gap.  IV.] 


GUERRA  E  VITTORIA  IN  BRITAXNIA. 


709 


Vittoria  sopra  un  globo  con  una  corona  e  una  palma,  e 
la  Brìtannia  atteggiata  a  mestizia,  assisa  sopra  uno  sco- 
glio, e  appoggiata  a  uno  scudo  con  insegna  nella  destra 
e  asta  nella  sinistra  {").  Quinto  Lollio  Urbico  duce  di  essa 


Vittoria  sui  sollevali  J3i'itanni  (Cohen,  n.  493  e  500). 

e  noto  per  due  iscrizioni  di  Affrica  ^  clie  parlano  dei  suoi 
molti  uffìcii  militari  e  civili  e  degli  splendidi  premi  ripor- 
tati per  sue  prodezze  sotto  Adriano  nella  guerra  giudaica, 
mentre  il  biografo  imperiale  e  le  iscrizioni  britanniche 
ce  lo  mostrano  legato  di  Antonino  in  Britannia  ^ ,  ove 

(«)  Eckel,  VII.  p.  14;  Cohen,  Monnaies  frappccs  sous  Vempire,  II. 
Antonìn,  40G-r)0n.  pi.  XI:  Bruce,  The  roman  loall,  pag.  19  e  20.  Vedi 
anche  l'epigrafe  loci  Optirno  Maximo  et  Victoriae  victrici  prò  salute 
imperatoris  nostri,  posta  nel  Vallo  di  Antonino  da  'M.  Cocceio  'Firmo, 
centurione  della  seconda  legione,  in  Hilbner,  Inscript.  Brit.  lat.,  pag.  199, 
u.  1111. 


1  Renier,  lascriptions  romaines  de  l'Algerie,  n.  2319,  2320;  Henzen,  6500. 

2  Cruce,  loc.  ciC,  pag.  17  e^  IS  ;  II\ibner,  Inscrìpt.  Britann.  lat.j  n.  1041,  1125;  Capi- 
tolino, Anton.  Pio,  5. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  89 


rio   VALLO  DI  ANTONINO.  —  SOLLEVAZIONE  IN  EGITTO.  [Lib.  VII. 

dopo  la  repressione  dei  sollevati  Briganti  intese  a  frenare 
le  irruzioni  nemiche  con  nuovo  baluardo  di  terra  e  di 
pietre  edificato  in  Caledonia  dall'uno  all'altro  mare  sul 
più  angusto  istmo  dell'isola  tra  i  golfi  Glota  e  Bodotria 
{Clijdc  e  Forili)^  quasi  tra  Edimhnrcjo  e  Glasgow^  nel 
luogo  già  afforzato  di  presidii  da  Agricola  *. 

Quest'opera  che  détte  nuovi  e  piìi  larghi  confini  all'Im- 
pero in  Britannia  e  si  chiamò  Vallo  di  Antonino  esten- 
devasi  per  circa  40  mila  passi  romani  in  lunghezza,  cioè 
la  metà  del  Vallo  di  Adriano.  Ne  rimangono  anche  oggi 
più  tracce  da  cui  apparisce  composto  di  aggere  e  fossa 
con  torri  e  con  via  militare,  e  di  una  ventina  di  castelli, 
dieci  dei  quali  si  distinguevano  nel  secolo  scorso.  Dalle 
rovine  nominate  Graliam's  Dyl:c  vennero  fuori  parecchie 
iscrizioni  le  quali  ripetutamente  ne  attestano  che  gli  edi- 
ficatori della  nuova  barriera  furono  i  soldati  delle  legioni 
Seconda  Augusta,  Sesta  Vittrice  e  Ventesima  Valeria  Vit- 
trice  unitamente  a  loro  vessillazioni  e  centurie,  e  più 
coopti  ausiliarie.  Dalla  qual  cosa  è  chiaro  che  a  costruire 
e  difendere  il  nuovo  Vallo  Caledonio  furono  condotti  i 
presidii  del  Vallo  di  Adriano  e  dei  campi  adiacenti  -. 

In  Egitto  i  sollevati  uccisero  il  prefetto  Dinarco,  e  al 
dice  di  Maiala,  l' imperatore  stesso  stimando  la  sua  pre- 
senza necessaria  a  sedare  la  ribellione,  sarebbesi  recato 
colà,  contrariamente  al  detto  del  biografo  che  asserisce 
non  essersi  Antonino  mai  mosso  d'Italia  3,  Comunque 
sia,  il  nome  di  Antonino  si  trova  colà  nei  templi  a  Tebe, 
ad  Esneh,  e  nella  pianura  di  Denderah,  ove  anch' egli  è 
chiamato  Signore  del  mondo,  f^il^'^o  del  Sole,  Signore  dei 
dominanti  '\ 

La  fama  della  mite  virtù   del   principe  risonante  per 

1  Capitolino,  ìoc.  cit.  ;  Tacilo,  Agric.j  23. 

2  Iliibner,  Valium  Pii,  in  Inscriptioìies  Britanniae  latìnae,  jiag.  191-205,  n.  10SS-Uir>. 
Vedi  anche  Ilorsley,  Britannia  Romana,  London  1732,  pay.  15S  e  scs-g-. 

3  Maiala,  Chronographia,  p.  367.  ' 

"•  RosoUini,  Monum.  dell'Egitto  a  della  Nulia,  voi.  Il,  Monumenti  storici,  pag.  419-453. 


Gap.  IV.] 


RE  DATI  AGLI  ARMENI  E  AI  QUADI. 


711 


tutta  la  terra  fece  in  più  luoghi  il  medesimo  effetto  che 
la  fama  guerresca  di  altri.  Niuno  ebbe  mai  tanta  auto- 
rità sugli  strani.  Con  essa,  senza  bisogno  di  armi,  quietò 
le  contese  tra  principi  e  popoli,  détte  re  ai  Quadi,  agli 
Armeni  (")  e  ai  Lazi  abitanti  oltre  il  Fasi,  messe  accordo 


Jle  dati  agli  Armeni  e  ai  Qaadi  (Cohen). 

tra  i  Greci  e  gli  Sciti  della  Penisola  Cimmeria,  e  con 
una  sua  lettera  fece  desistere  il  re  dei  Parti  dall'assalire 
l'Armenia  nel  tempo  stesso  che  rifiutava  di  rendergli  il 
trono  d'oro  preso  già  da  Traiano.  Farasmane  da  se  stesso 
portò  a  Roma  i  suoi  omaggi,  e  rese  ad  Antonino  onori 
più  grandi   di  quelli  fatti   all'  imperatore  Adriano  ^   Gli 

{")  Ciò  è  attestato  «la  due  meilaglie  portanti  nel  iliritto  riinagiae  ili 
Antonino  e  nei  rovesci  le  epigrafi  rex  armeniis  datcs  s.  c.  (scnatus  con- 
sulto) e  REX.  QijADis  DATUS  s.  c.  e  l'imperatore  che  jione  la  tiara  sulla 
testa  del  re  dato  agli  Armeni,  e  stringe  la  mano  al  re  dei  Quadi.  Coben, 
Mann.,  II.  Anton.,  n.  75S  e  759. 

1  Capitolino,  Anloìi.  Plo^  9;  Dione  Cassio,  LXX,  7;  Eutropio,  Vili,   l. 


712  PACE  PER  23  ANNI.  GUASTO  DELLE  PULIZIE.     [Lib.  VIL 

mandarono  ambascerie  Indi,  Battriani  e  Ircani  chiedenti 
di  divenire  suoi  sudditi:  e  lo  storico  Appiano  vide  i  mes- 
saggi e  scrisse  che  l' imperatore  non  accolse  quelle  ri- 
chieste stimando  che  tale  amphamento  d'Impero  non  gli 
sarebbe  di  utile  alcuno  *. 

Cosi  il  suo  governo  mantenne  23  anni  di  pace  nel 
mondo.  È  vero,  che  i  provvedimenti  di  Adriano  avevano 
preparato  questo  riposo ,  ma  1'  opera  fu  compiuta  dalla 
virtù  d'Antonino.  Pure  non  vuoisi  tacere  che  da  questa 
lunga  pace  venne  anche  l'abbandono  della  disciplina  mi- 
litare, che  poco  dopo  fu  causa  a  nuovi  disastri,  e  agevolò 
le  invasioni.  Frontone  e  altri  ci  mostrano  le  legioni  del- 
l'Asia corrotte  in  lungo  ozio  e  in  lascivie.  In  Antiochia 
i  soldati  andavano  coronati  di  fiori,  erano  assidui  a  plau- 
dire  istrioni,  stavano  in  orgie,  fuggivano  le  insegne.  I 
cavalli  irsuti  per  incuria;  i  cavalieri  lisciati  cosi  che  non 
eravene  uno  con  braccia  e  gambe  pelose,  e  tutti  meglio 
vestiti  che  armati:  in  guisa  che  Leliano  Ponzio,  un  uomo 
grave  e  all'antica,  rompeva  le  loro  corazze  colla  punta 
delle  dita.  Le  selle  fatte  molli  da  piume  e  cuscini;  pochi 
capaci  a  montare  d'un  salto  a  cavallo;  gli  altri  soste- 
nentisi  appena  sui  piedi,  non  atti  a  far  ^vibrare  le  aste 
che  lanciavano  senza  ferza,  come  fiocchi  di  lana.  Dapper- 
tutto la  bisca  nel  campo,  i  sonni  lunghi  quanto  le  notti, 
e  le  veglie  passate  nel  vino  ^ 

Tali  erano  le  milizie ,  quando  finì  dopo  ventitré  anni 
AnnifiiRo- il  pacifico  reguo  di  Antonino  Pio.  Causa  alla  morte  del- 
G.Vuh.'  r  imperatore  fu  un'indigestione  di  cacio  delle  Alpi;  morte 
volgare,  che  potrebbe  farlo  accusare  di  intemperanza,  se 
non  sapessimo  che  alle  altre  virtù  unì  anche  la  sobrietà 
e  l'aborrimento  da  ogni  eccesso.  Sentendosi  aggravare 
raccomandò  la  cosa  pubblica  a  Marco  Aurelio  Antonino, 
suo  figlio  adottivo,  e  lo  designò  successore  facendo  tra- 

1  Aurelio  Viitorf,  Epit..  15;  Appiano,  Pr-aef..  7;  Dione  Cassio,  LXX,  6;  Capitolino,  0. 
■-  Frontono,  II,  I!)2;  Viilcazio  Giiliii^ano,  Aviilio  Cassio.  5. 


Gap.  lY.]  I\IORTE  E  APOTEOSI  DI  ANTONINO.  713 

sportare  presso  di  lui  la  statua  d'oro  della  Fortuna,  che 
soleva  sempre  stare  nella  camera  dell'imperatore.  Poi  al 
tribuno  dei  pretoriani  détte  per  motto  la  parola  equani- 
mità, e  finì  tranquillamente  nella  villa  di  Lorio  all'età  di 
73  anni,  pianto  sinceramente  da  tutti  ammiratori  della 
dolcissima  indole,  e  riconoscenti  degli  sforzi  fatti  da  lui 
per  la  felicità  del  genere  umano.  Ricordando  che  fu  quasi 
il  solo  dei  principi  che  non  mise  le  mani  nel  sangue  e 
negli  averi  dei  sudditi,  e  paragonandolo  a  Numa  per  la 
sua  religione,  celebrarono  la  pietà,  la  clemenza,  la  ge- 
nerosità e  i  puri  costumi  dell'  uomo  integerrimo  nella 
vita  privata  e  migliore  e  più  modesto  sul  trono  *,  del 
quale  anche  oggi  i  ritratti  ci  mostrano  la  serena  anima, 
la  semplice  dignità,  la  maestosa  dolcezza. 

Consacrato  e  fatto  divino  con  unanimi  voti,  ebbe  culto 
nel  tempio  già  eretto  a  sua  moglie  Faustina  con  giuochi 
Circensi,  e  ?>2LceTàoi\  àeiiì  Aurcliani  Antoniniani'^:  e  an- 
.che  a  Pozzuoli  fu  onorato  di  un  tempio  ^.  Marco  Aurelio 
e  Lucio  Vero,  suoi  figli  adottivi,  gli  dedicarono  una  co- 
lonna onoraria  nella  cui  base,  che  sola  rimane  nel  giar- 
dino annesso  al  Museo  Vaticano,  coli' epigrafe  dedicato- 
ria ("),  vedonsi  in  bassorihevo  soldati  a  cavallo  e  a  piedi 
correnti  intorno  al  rogo  per  festeggiare  la  deificazione 
del  principe  e  da  altra  parte  un  Genio  alato  che  porta 
lui  e  Faustina  all'Olimpo  (''). 

C^)  Divo  Antonino  Aug.  Pio  Antonimis  Aiiguslus  et  Ycriis  Aiigustns 
fila.  OrelH,  n.  848. 

(*)  Vedi  A'ignoli,  De  colwnna  imperaioris  Antonini  Pii,  Romae  1705: 
Slilobates  colwnnae  Antoninac  e  ruderibus  Camiti  Mariii  effossus  in 
tres  tabulas  distributiis ,  Romae  1708;  Piranesi,  Colonna  di  Antonino 
Pio;  Canina,  Edifizi,  voi.  Ili,  p.  127,  e  IV,  tav.  261. 

La  colonna,  alta  50  piedi,  fatta  di  un  solo  pezzo  di  granito  rosso  preso 

1  Capitolino,  Anlonin.  Pio.  12  e  13,  e  M.  Alerei.  7;  Dione  Cassio,  LXX,  5;  Eutropio, 
Vili,   1. 

2  Capitolino,  13;  Borgliesi,  Frawm.  di  Faxti  sacerdotali,  in  Opere,  voi.  Ili,  pag.  39S. 

3  Mommsen,  Inscript.  Regni  Neap.,  2517. 


[LiB.  VII. 


Deificaziono  di  Antonino  e  Faustina  (Righetti,  Campidoglio,  voi.  I,  tav.  .Ifil). 


Gap.  IV.]         RICORDI  DI  ANTONINO  NELLE  PROVINCE.  715 

In  molte  province  rimasero  ricordi  del  governo  e  della 
generosità  dell' o^^fmo  e  carissimo  principe  che  portò  la 
perfezione  umana  sul  trono. Dai  monti  Caledoni all'Atlante, 
dal  Danubio  al  Nilo  e  all'Eufrate  si  trovano  tracce  degli 
altari  e  dei  moltiplicai  monumenti  posti  dai  p^frticolari 
cittadini,  dai  soldati,  dalle  colonie,  e  con  pubblico  de- 
creto dalle  città  per  augurare  salute  e  per  celebrare  la 
virtù  e  i  benefizi  del  principe  (")  che  largo  a  tutti  del 
suo  amministrò  attentissimamente  il  patrimonio  comune, 
e  dopo  tante  liberalità,  lasciò  1'  erario  ricco  di  duemila 
settecento  miUoni  di  sesterzi*,  cioè  da  500  a  600  milioni 
di  lire. 

Rispetto  all'Italia,  oltre  alle  edificazioni  di  cui  toccammo 
di  sopra,  piìi  iscrizioni  monumentali  accennano  ciò  che 

dalle  cave  di  Egitto,  si  scavò  nel  1704  tra  le  macerie  di  Monte  Citorio 
dovo  stava  sepolta,  e  fu  rotta  e  adoprata  a  usi  diversi.  L'imagine  inteia 
di  essa  si  ha  nel  rovescio  della  medaglia  battuta  a  onore  del  Divo  Pio. 
la  quale  diamo  incisa  secondo  l'ingrandimento  del  Donaldson  {ArcJiitec- 
tura  JSiimismalica,  pag.  198). 

In  altra  medaglia  coU'epigrafé  Consecratio  è  figurato  il  rogo  di  Anto- 
nino in  forma  di  piramide  a  quattro  piani,  sulla  cui  cima  sta  1"  impera- 
tore in  quadriga  (Cohen,  Monn.,  II,  Antonin,  n.  44-49). 

{^')  Pei  monumenti  posti  a  lui  nelle  Spagne  vedi  Hiibner,  Inscrijif. 
Hispan.  latinae,  n.  187,  1167,  1168,  1170,  1283,  1532,  1643,2366,  23:^1. 
2517,  3236,  3412.  4057,  4089,  4494,  4605;  in  Atfrica,  Renier,  Inscript. 
de  r Algerie,  n.  17,  21,  1410,  1412,  1487,  1631,  1716,  1723,  1811,  2716, 
3501,  3660,  3S43,  4071,  4360;  Henzen,  5463,  e  Bull.  Istit.  arch. ,  1871. 
p.  238;  in  Egitto,  Mommsen,  Corp.  Inscript.  latin..  Ili,  additam. , 
n.  6025;  in  Siria,  ivi,  n.  131.  134,  189,  203,  e  Letronne,  Inscript.  dr 
VEgyptc,  II,  218:  in  Acaia,  jMomm«en,  ivi,  n.  501;  in  Tracia,  n.  730;" 
nella  Mesia  Inferiore,  n.  6167,  6168;  in  Dacia,  n.  860,  940,  1128,  1170, 
1299,  1416,  1448,  1576;  in  Dalmazia,  n.  1912;  in  Pannonia,  n.  3487.  4616, 
4618,  4641,  4649:  nel  Xorico,  n.  5054;  nella  Rezia,  n.  5770,  5906,  5912. 
5918  a,  5924;  in  Britannia,  Hiibner,  Inscr.  Britanniac  latinae,  n.  1088, 
1099,  1109,  Ilio  a.  1121,  1126,  1130-1133,  1133  a,  llc5-1137,  1140- 
1143;  nelle  Gallie,  in  Elvezia,  e  sul  Reno,  Oielli.  n.  203.  330,  843,  2322. 

1  Diona  Cassio,  LXXIII,  S. 


710  MON'OIENTI  D'ITALIA.  IL  SUCCESSORE  DI  A>;T0NIN0.  [Lib.  VII. 

egli  fece  per  decoro  e  utile  pubblico,  e  per  sollievo  delle 
umane  miserie,  e  i  ringraziamenti  e  le  lodi  che  n'ebbe 
a  Pozzuoli,  a  Baia,  a  Capua,  a  Formia,  a  Gaeta,  a  Ce- 
prano*;  a  Yolceio  (Buccino)  in  Lucania  2;  a  Compsu 
(Consa)  «città  degli  Irpini  e  nel  Sannio  a  Limosano  tra 
Campobasso  e  Trevento^;  a  Istonio  nella  Regione  Fren- 
tana^;  a  Scilacio  (Squillace)  sui  confini  della  Calabria 
Orientale  ^;  ad  Ascoli  Appulo,  e  a  Siponto  presso  Man- 
fredonia per  pubblico  decreto  dei  cittadini*;  a  Laurento 
nel  Lazio  per  aver  ampliato  e  conservato  i  privilegi  della 
vecchia  città  ' ;  a  Perugia  e  a  Cere  in  Etruria  ^.  Nel  Pi- 
ceno a  Cupra  Montana  e  in  altri  luoghi  sopravvissero  i 
ricordi  delle  sue  liberalità  e  delle  gentili  beneficenze  ai 
fanciulli  *. 

Fra  le  tante  opere  fatte  dal  buon  Antonino  con  animo 
schiettamente  amorevole  e  scevro  di  ostentazione  e  di 
vani  pensieri,  grandissima  e  ottima  è  quella  di  avere 
con  ogni  cura  educato  all'amore  degli  uomini  Marco  Au- 
relio suo  figlio  adottivo,  che  ora  gli  succede  nel  trono  e 
continua  a  rallegrare  i  mortali  coll'amore,  colla  virtù  e 
colla  sapienza,  degno  dal  principio  alla  fine  di  governare 
il  mondo  Che  Roma  pone  in  sua  mano. 

Anche  di  esso  ci  dà  scarse  notizie  la  storia:  i  ricordi, 
che  egli  scrisse  di  sé,  ci  fanno  comprendere  la  bontà  e 
la  grandezza  della  sua  anima:  le  lettere  di  Frontone  ci 
dicono  i  suoi  studi  e  costumi:  e  le  epìgrafi,  raccolte  e 
studiate  all'età  nostra,  rischiarano  alcun  poct)  i  suoi  fatti 
di  guerra,  e  le  sue  opere  a  benefizio  degli  uomini  'o. 

1  Mommsen,  Inscript.  Regni  yeap.^  n.  101,  21G1,  2190,  -JGIT,  2Gj3,  3593,  lOSO,  10S2,  6252. 
8  Mommsen,  ivi,  n.  217. 

3  Ilenzen,  n.  5162;  Bull.  Isti!,  arch.,  1S15,  p.  .50;  Ordii,  n.  812. 

4  Mominsen,  n.  5252. 

5  Ordii,  n.  136,  e  Mommsen,  loc.  cit.,  n.  6S. 
C  Mommsen,  n.  913  e  9i7. 

7  Nibljj-,   Viaggio  antiquario,  II,  261,  e  Ordii,  n.  l-'l 

8  Ordii,  n.  2531,  403S,  3092. 
!>  Ordii,  n.  89,  817,  3360. 

10  Vedi  Nòel  des  Vergers,  Sss«(  itu.r  Marc-Aurèlc,  d\:[irts  les  ìnont'.mtul^  e ii i ^j i  a iihi- 
ques,  Paris  1860. 


i 


Gap.  IV.] 


^lARCO  AURELIO. 


Per  lui  r  Impero  tornò  agli  Spagnuoli.  Era  della  fami- 
glia degli  Annii,  originaria  della  Betica,  d'onde  trasferitasi 
a  Roma  si  era  nobilitata  colle  grandi  magistrature.  Egli 


^larco  Aurelio  riceve  da  Roma  l'impero  del  inomlo  {Righetti,  Campidoglio,  I,  tav.  ICI). 

nacque  a  Roma  sul  Celio  (26  aprile  874  di  Roma,  121  di 
C.)  da  Publio  Annio  Vero  e  da  Domizia  Lucilla  (").  Dap- 


(^)  Co^ì  è  chiamata    anche    nei  Ricordi  del    figlio    (Vili,  25),    così  d.i 
VanRccci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  90 


718 


MARCO  AURELIO. 


[LiB.  VII. 


prima  si  chiamò  Vero  col  nome  del  padre  e  dell'avo,  e 
fino  dalla  fanciullezza  fu  caro  ad  Adriano,  che  per  la 
schietta  indole  lo  chiamava  scherzosamente  Annio  Ve- 
rissimo: nome  di  cui  egli  stesso  compiacquesi,  e  lo  ebbe 


Domizia  Lucilla  niiidro  di  M.  Aurelio  (Longpérierj. 

qualche  volta  nelle  medaglie  *.  Più  tardi ,  quando  fu 
adottato  dal  Pio,  prese  il  nome  di  Marco  Aurelio  An- 
tonino. A  sei  anni  Adriano  lo  ascrisse  all'  ordine  dei 
cavalieri,  e  a  otto  lo  fece  porre  nel  collegio  dei  Salii  y 
custodi  degli  anelli  di  Numa,  ove  egregiamente  condusse 
le  danze  e  fu  capo  dei  cori  e  maestro ,  e  compì  da  sé 
stesso  le  cerimonie  di  rito,  perchè  sapeva  a  mente  tutti 
i  carmi  Saliari:  e  dopo  aver  preso  a  quindici  anni  la 
toga  virile,  con  suo  grande  onore  fu  prefetto  delle  ferie 


Sjtarziano,  nel  cap.  primo  della  vita  ili.Diilio  Giuliano,  cosi  in  molte  iscri- 
zioni delle  figuline:  e  Domizia  Lucilla  è  il  suo  vero  nome,  datole  anche 
da  Giulio  Capitolino  al  cap.  6  della  vita  di  M.  Aurelio,  quantunque  o 
per  inavvertenza  di  questo  biografo,  o  per  errore  dei  copisti  si  chiami 
Domizia  Calvilla  al  pi'incipio  della  medesima  vita.  Vedi  Borghesi,  Fiiju- 
lina  (li  Domizia  Lucilhi,  madre  dell'imperatore  M.  Aurelio,  in  Giornale 
Arcadico,  1819,  voi.  I,  pag.  359-376,  e,  in  Opere,  voi.  IIL  p.  35-47. 

La  medaglia  che  ha  nel  diritto  Domizia  Lucilla,  e  nel  rovescio  il  gio- 
vane Marco  Auielio  a  cavallo,  e  dall'una  parte  e  dall'altra  le  epigiafi 
greche  coi  nomi  della  madre  e  del  figlio,  fu  battuta  a  Nicea  di  Bitinia. 
Vedi  Longpérier,  in  Revice  Numismatique,  1863,  pag.  242-250. 

J  Capitolino,  M.  Aurelio,  1;  Dione  Cassio,  LXIX  ,  21;  Nòel  des  Vergers ,  Essai, 
pag.  5.  S.  Giustino  indirizzò  l'apologia  ad  Antonino,  e  al  suo  figlio  Verissimo. 


Cah.  IV.] 


SUOI  PRIMI  STUDI. 


VJ 


latine.  Di  buon'ora  studiò  lettere  greche  e  latine  ;  ebbe 
particolari  maestri  di  leggi,  di  matematiche,  di  disegno, 
di  danza,  di  musica.  Nel  carteggio  tra  lui  e  Frontone  si 
vede  quanta  cura  ponesse  questi  a  farlo  un  oratore  per- 
fetto ,   e   come  il  principe  alle  gravi  cure  congiungesse 


7 


ifc^ 


Marco  Aurelio  giovanetto  {Iconogr.  liom.,  XLI,  2). 


sempre  gli  ameni  studi,  come  attendesse  alle  parole  e 
allo  stile,  come  corresse  dietro  alla  vecchia  moneta,  e 
facesse  estratti  di  libri  antichi,  e  fosse  tutto  nel  legger 
Gracco,  Ennio,  Scipione,  Catone,  Lucrezio  e  Sallustio,  e 
come  amasse  teneramente  il  maestro,  che  gli  insegnava 


720  MAESTRI  DI  ELOQUENZA  E  DI  FILOSOFIA.        [Lib.  VII. 

tutti  i  partiti  oratorii  *.  Ma  la  filosofia  fa  il  suo  grande 
amore,  e  da  essa  cercò  con  incredibile  studio  ciò  che 
giova  a  governare  e  a  rendere  onesta  la  vita.  A  42  anni 
mise  in  pratica  le  austerità  degli  stoici ,  e  ne  ebbe  la 
salute  alterata.  Pure  dei  filosofi  non  prese  1'  arrogante 
ispidezza:  si  serbò  grazioso  con  tutti,  virtuoso  con  gen- 
tilezza, verecondo  senza  timidità,  grave  senza  tristezza. 
I  suoi  maestri  onorò  vivi  e  morti,  gli  inalzò  alle  dignità, 
ne  conservava  i  ritratti  in  oro  con  quelli  dei  Lari ,  e 
sulle  loro  tombe  offriva  vittime  e  fiori.  Principali  tra  essi 
furono  Erode  Attico  per  F  eloquenza  greca ,  Cornelio 
Frontone  per  la  latina,  un  Alessandro  grammatico  greco, 
un  altro  Alessandro  platonico,  Claudio  Severo  peripate- 
tico e  gli  stoici  Apollonio  Calcedonio,  Sesto  di  Cheronea, 
nipote  di  Plutarco,  Claudio  Massimo,  Cinna  Catulo,  e  L. 
Giunio  Rustico,  gran  maestro  di  quelle  dottrine,  per  amore 
delle  quali  fu  messo  a  parte  di  tutti  i  pubblici  e  privati 
consigli  -.  Da  essi  fu  educato  alle  Virtù  morali  e  civili , 
e  nei  Ricordi  disse  degli  insegnamenti  di  cui  andava 
debitore  a  ciascuno.  Di  sopra  vedemmo  le  virtù  che  égli 
confessava  di  avere  appreso  da  Antonino  Pio.  Degli  altri 
parenti  e  maestri  egli  aggiunge  le  cose  seguenti  :  «  Dal 
mio  avolo  Vero  imparai  la  gentilezza  del'  costume  e  il 
non  adirarmi.  Dalla  fama  e  dalla  memoria  del  mio  ge- 
nitore r  esser  verecondo  e  forte.  Dalla  madre ,  1'  esser 
pio;  il  donar  volentieri;  l'astenermi  non  sol  dal  fare  il 
male,  ma  anche  dal  venirne  in  pensiero.  Ancora  l'esser 
frugale  nel  vitto,  e  allenissimo  dalle  usanze  dei  ricchi. 
Dal  mio  bisavolo ,  il  non  essere  andato  alle  pubbliche 
scuole  ;  1'  avere  avuto  dei  buoni  maestri  per  casa ,  e  il 
conoscere,  che  in  siffatte  cose  non  si  vuol  guardare  alla 
spesa.  Dal  mio  aio,  il  non  aver  parteggiato  per  gli  au- 

1  Frontone,  I,  110,  N8,  134,  201,  208,  211,  II,  16,  6»,  70,  108,  138. 

2  Capitolino,  iW.  A«jv/.,  I-i,  e  Pio.  10;  Dione  Cassio,  LXX,  1  e  35;  Frontone,  I,  20G  ; 
Filostrato,  So/!sti.  II,  1,  9;  Digesto.  XLIX,  1,  1,  3. 


i 


Gap.  IV.]  CIO'  CHE  MARCO  IMPARO'  PER  GOVERNARE  LA  VITA.  721 

righi  del  circo;  il  reggere  alla  fatica;  l'aver  bisogno  di 
poco;  il  saper  fare  da  me;  il  non  intromettermi  nelle 
faccende  altrui;  il  non  porger  facilmente  orecchio  ai  de- 
latori. Da  Diogneto  ("),  il  non  occuparmi  d'inezie;  il  non 
dar  fede  a  ciò  che  i  maghi  e  i  fattucchieri  dicono  intorno 


Erode  Attico  maestro  di  M.  Abr  In  ilconogr 


vjI.  IV,  r 


tav    CI  'j  n.  3). 


alle  malie,  allo  scongiurare  gli  spiriti  e  altre  cose  di  tal 
fa»tta....  il  patire  che  altri  mi  parli  francamente;  l'essermi 
dato  alla  filosofia;  l'avere  udito  primieramente  Bacchio, 

(^)  Era  filosofo  e  pittore.  Opcram   j^dnrjendo   suJj   magistro   Dioyncto 
dc'dit.  Capitolino,  M.  Aurei. ^  4. 


722  GIO'  CHE  MARCO  IMPARO'  PER  GOVERNARE  LA  VITA.  [Lib.  VII. 


poi  Tandaride,  e  Marciano  ;  1' avere  scritto  dialoghi  da 
ragazzo....  —  Da  Rustico,  l'esser  venuto  in  per^siero  che 
i  miei  costumi  avean  bisogno  di  correzione  e  di  coltura; 

ilnon  essermisviato 


-^^lf^Ì!X 


dietro  ad  un'ambi- 
zione di  sofista,  0 
scrivendo  su  mate- 
rie speculative ,  o 
declamando  ora- 
zioncelle  esortato- 
rie, 0  facendo,  per 
dar  nell'occhio  al- 
trui, l'uomo  austero 
e  benefico  ;  e  lo 
avere  abbandonato 
la  rettorica  e  la  poe- 
tica e  il  bel  favel- 
lare; e  il  non  pas- 
seggiare togato  per 
casa ,  e  altre  tali 
cose  ;  e  lo  scriver 
le  lettere  semplice- 
mente e  natural- 
mente, come  quella 
che  egli  scrisse  da 
Sinuessa  a  mia  ma- 
dre ;  e  il  non  serbar 
rancore  verso  le 
persone  che  si  son 
meco  adirate  e  lìii 
hanno  offeso,  e  rap- 
pacificarmi volen- 
tieri con  loro  tosto  che  elle  si  voglion  ricredere;  e  il  leg- 
gere con  attenzione,  e  non  contentarmi  di  capire  cosi 
all'ingrosso;  nò  assentire  troppo  di  leggieri  a  quel  che  i 


L.  Giunio  Rustico  filosofo  stoico 
[Icon.  Rom.,  tav.  XIV,  5). 


Gap.  IV.]  CIO'  CHE  ^^lARCO  IMPARO'  PER  GOVERNARE  LA  VITA.  723 

circostanti  dicono;  e  l'avere  avuto  contezza  dei  ricordi 
di  Epitetto,  ch'egli  mi  donò  di  suo  proprio  moto.  —  Da 
Apollonio,  la  libertà  dell'animo  e  la  fermezza  nel  propo- 
sito, senza  dar  mai  nulla  al  caso;  il  non  guardare  ad  altro 
mai,  né  anche  per  poco,  che  alla  ragione;  l'esser  sempre 
uguale,  nei  sommi  dolori,  nella  perdita  del  figlio,  nelle 
lunghe  malattie  ;  l'aver  veduto  ad  evidenza,  nel  vivo  esem- 
pio di  lui,  siccome  può  la  stessa  persona'  essere  gagliar- 
dissima ad  un'ora  e  rimessa....  e  l'avere  imparato  come 
convenga  ricevere  quelli  che  il  volgo  chiama  benefizii 
dagli  amici  senza  mostrarsi  loro  né  servile  né  ingrato. 
—  Da  Sesto,  l'amorevolezza,  l'esempio  del  governare 
da  buon  padre  una'casa;  e  il  concetto  di  vivere  secondo 
natura;  e  la  gravità  non  affettata;  e  l'indagare  con 
sollecitudine  quello,  di  che  gli  amici  hanno  uopo;  e  il 
sopportare  gl'ignoranti...,  e  il  sapersi  adattare  a  tutti, 
per  modo  che  il  conversare  con  esso  lui  era  più  dolce 
cosa  che  l'adulare  di  chicchessia,  ed  era  egli  nondimeno 
in  quello  stesso  punto  ed  appo  quelle  stesse  persone  in 
venerazione  grandissima;  e  la  chiarezza  di  mente,  e  la 
sagacità  con  cui  trovava  ed  ordinava  le  verità  filosofiche 
necessarie  alla  vita;  e  il  non  aver  dato  indizio  di  col- 
lera, né  d'  altra  passione ,  ma  essere  stato  ad  un'  ora  il 
più  impassibile  uomo  e  il  più  tenero;  e  il  dir  volentieri 
bene  d'altrui,  senza  menar  rumore  per  ciò;  e  la  molta 
dottrina  senza  che  paresse.  —  Da  Alessandro  gramma- 
tico, il  non  isgridare,  e  il  non  riprendere  ingiuriosamente 
chi  faccia  un  barbarismo  o  un  solecismo  o  un  cattivo 
accozzamento  di  suoni,  parlando;  ma  profferire  destra- 
mente ciò  che  quegli  avrebbe  voluto  dire,  per  modo  di 
risposta  0  di  conferma ,  o  come  volendo  esaminar  con 
esso  la  cosa,  non  già  la  parola,  o  per  qualsivoglia  altro 
modo  di  suggerimento  indiretto  ,  garbatamente.  —  Da 
Frontone,  quanta  invidia,  quanta  malizia,  quanta  simu- 
lazione sia  nella  tirannide.  E  siccome  questi,  da  noi  chia- 


724  CIO'  CHE  MARCO  IMPARO'  PER  CtOVRRNARE  LA  VITA.  [Lib.  VII. 

mati  patrizii,  son  cattivi  padri  anzi  che  no.  —  Da  Ales- 
sandro il  platonico,  il  non  dir  sovente  ne  senza  necessità 
a  nessuno,  né*  scriver  per  lettera,  eh'  io  sono  occupato, 
ne  contrarre  F  abito  di  disimpegnarmi  in  tal  modo  dei 
doveri  verso  le  persone  con  le  quali  io  vivo ,  allegando 
per  iscusa  le  faccende.  —  Da  mio  fratello  Severo,  l'af- 
fezione ai  domestici;  l'amor  del  vero  e  del  giusto;  l'avere, 
per  mezzo  di  lui,  avuto  contezza  di  Trasea,  d'Elvidio,  di 
Catone,  di  Dione,  di  Bruto,  ed  essere  venuto  in  pensiero 
d'un  reggimento  civile,  dove  la  legge  sia  una  per  tutti 
e  pari  i  diritti  di  ciascheduno,  e  di  un  governo  regio  che 
sovra  ogni  altra  cosa  tenga  conto  della  libertà  dei  gover- 
nati. Ancora,  quel  suo  tenor  costante  ed  uniforme  nel 
culto  della  filosofìa;  e  la  beneficenza,  e  il  far  parte  altrui 
volentieri  e  senza  risparmio  delle  proprie  sostanze  ;  e  lo 
sperar  bene;  e  l'aver  fede  nell'amicizia  degli  amici;  e 
quel  suo  non  infingersi  con  le  persone  quando  disappro- 
vava alcuna  cosa  in  loro,  e  il  non  aver  mai  avuto  biso- 
gno gli  amici  di  lui  di  andare  indovinando  che  cosa  egli 
volesse  o  non  volesse,  sondo  l'animo  di  lui  sempre  aperto. 
—  Da  Massimo,  il  contener  se  medesimo,  e  non  lasciarsi 
andare  in  nulla  malgrado  suo;  e  quella  temperatezza  di 
costume,  soave  ad  un  tempo  e  dignitoso;  e  l'eseguir 
prontamente  e  senza  querimonia  qualunque  cosa  gli  ac- 
cadesse di  dover  fare;  e  la  credenza,  che  tutti  avevano 
di  lui,  ch'egli  pensasse  tutto  che  diceva,  e  facesse  a  fin 
di  bene  tutto  che  faceva;  e  il  non  istupir  di  nulla;  non 
isgomentarsi  di  nulla;  non  esser  mai  nò  frettoloso,  nò 
tardo,  né  imbarazzato,'  né  sfiduciato,  nò  infingardo,  nò 
ripentito  del  consiglio  preso,  nò  sospettoso;  e  il  benefi- 
care e  il  perdonar  volentieri;  e  l'esser  veritiero;  e  il  pa- 
rer piuttosto  uomo  per  natura  incontaminato,  che  non 
per  arte  emendato;  e  siccome  nessuno  fu  mai  che  o  si 
credesse  dispregiato  da  lui,  o  ardisse  riputar  se  miglioro 
di  lui;  e  quel  suo  piacevoleggiare  a  proposito'.  » 

1  Marco  Aurelio,  Ricordi^  I,  I-Ij. 


Gap.  IV.l     MARCO  AURELIO  E  LUCIO  VERO  IMPE!l\TORI.  725 


Educato  fia  questi  studi,  e  nutrito  di  qii'^sti  pensieri, 
il  giovane  filosofo  dall'adozione  imperiale  fbbe  più  spa- 
vento che  gioia,  perchè  la  sua  mente  vedeva  chiaro  i 
mali  che  porta  seco  l'esercizio  del  supremo  potere.  Ma 
presso  alla  grandezza  non  mutò  modi,  e  fu  parco  come 
nella  casa  privata,  e  studiò  di  raggiungere  riaeah-  che 
aveva  nell'animo,  e  i  suoi  detti  e  fatti  e  pensieri  conformò 
alle  massime  del  padre  adottivo,  al  quale  |'i-estnva  ufficii 
affettuosissimi  ',  Questi,  dopo  la  morte  di  Adriaiio,  gli 
offri  in  moglie  la  sua  figlia  Faustina,  ma  euli  rispose  vo- 
lerci pensare,  e  non  la  sposò  che  più  tardi.  Dofx)  queste 
nozze  ebbe  la  potestà  tribunizia,  e  altri  uflìcii  d'aiitoi-ità 
e  di  onoranza,  e  crebbe  nell'affetto  e  nella  stima  del  Pio 
così  che  questi  non  fece  mai  nulla  senza  aveiiie  consi- 
glio con  lui:  e  con  lui  spesso  va  accompagnato  nei  voti 
e  nell'affetto  dei  popoli  sui  monumenti  d'ilaliu.  e  delle 
province  2. 

Alla  morte  del  Pio,  il  Senato  lo  gridò  imperatore,  ed 
egli  generosamente  divise  subito  il  comando  con  Lucio 
Vero,  suo  fratello  adottivo,  non  mai  messo  a  parte  dei 
pubblici  affari  dal  buon  Antonino  ^,  che  di  buon'ora  ne 
avea  conosciuto  il  carattere;  e  governò  insieme  con  lui, 
e  gli  fidanzò  la  figliuola  Lucilla,  e  in  quella  occasione  vi 
furono  gioie  di  doni  e  larghezze  ai  figli  e  alle  figlie  dei 
nuovi  cittadini.  E  insieme  uniti  si  vedono  nelle  medaglie, 
e  insieme  sono  chiamati  Dei  Olimpici  e  nuovi  Dioscuri 
nelle  iscrizioni  *.  Era  a  Roma  il  primo  esempio  di  due  im- 
peratori governanti  con  pari  autorità.  Ma  questa  divisione, 
che  può  aver  lode  di  generosa  virtù,  fu  politicamente  e 
moralmente  un  errore,  perchè  Lucio  Vero  era  uomo  brutto 

1  Frontone,  Epist.  ad  M.  Antonin.^  I,  5,  ed.  Cassaa,  vo!.  II,  60. 

-  Capitolino,  M.  Aurei.,   l-i;  Nòel.des  Vergers,  Essai,  p.  19-22. 

'■>  Capitolino,    Vero,  3. 

4  Capitolino,  M.  Awal. ,  7.  Vedi  Borghesi,  Medaglioni  di  M.  Aurelio  e  L.  Vero,  ecc., 
in  Ann'X'..  IsHt.  archeolog..  1833,  pag.  55,  e  in  Opere,  voi.  Il,  p.  4G1;  lay.us,  liecueil 
■  ranllquieès,  VI,  lyo. 

Van.nucci  —  Storia  dell'ItaHa  antica  —  IV.  DI 


(26 


FESTE  E  LARGIZIONI. 


LiB.  VII. 


d'ogni  vizio,  e  solamente  buono  a  fare  scandali,  e  a  dare 
impacci,  quantunque  nel  fatto  Marco  Aurelio  rimanesse 
il  solo  imperante,  e  Vero  non  pigliasse  dalla  suprema 
potestà  altro  ohe  la  licenza  a  ogni  sorta  di  vituperi!. 

Primi  atti  dei  nuovi  signori  furono  i  giuoclii  e  i  fune- 
rali solenni  in  onore  del  padre,  di  cui  l'uno  e  l'altro  dis- 


Lucio  Vero  iR'^hctlij  Campid.,  voi.  I,  lav.  10'2). 

sero  le  lodi  dai  Rostri.  Accrebbero  le  largizioni,  e  a  ogni 
pretoriano  promisero  20  mila  sesterzi,  e  un  proporzio- 
nato donativo  ai  legionarii  '.  E  il  nuovo  regno  cominciò 
lietamente:  il  popolo  era  allegro  dei  doni,  la  pace  durava 


capitolino,  M.  Aw.j  0  e  7. 


Cap.  IV.]  SCIAGURE  PUBBLICHR,  E  RIVOLTE  DI  POPOLI  E  RE.    727 

ai  confini,  e  Marc' Aurelio  continuava  a  cercare  dai  filo- 
sofi la  verità  e  il  modo  di  acquistarsi  il  pubblico  alletto.  E 
presto  ebbe  occasione  ad  esercitare  la  sua  virtù  nel  soc- 
correre ai  pubblici  mali,  perchè  una  grande  inondazione 
rovinò  case,  uccise  animali  e  portò  carestia.  A  queste 
sciagure  aggiungevasi  anche  che  il  fratello  insultava  al 
pubblico  dolore  con  ci-apule  e  dissolutezze  di  ogni  ma- 
niera. Poi  venne  la  guerra  già  prenunziata  da  Antonino 
nel  delirio  febbrile  delle  sue  ultime  ore. 

Vi  sono  cenni  di  moti  e  sollevazioni  nelle  Gallio,  in 
Germania,  in  Britannia,  e  nella  Spagna  invasa  dai  Mauri. 
Il  legato  Aufidio  Vittorino  andò  contro  i  Catti  irrompenti 
nella  Rezia  e  in  Germania.  Didio  Giuliano,  quello  stesso 
che  in  appresso  fu  imperatore,  respinse  dalla  Gallia  Bel- 
gica gli  assalti  dei  Cauci  abitatori  delle  rive  dell'Elba*. 
In  Britannia,  ove  agitavansi  i  barbari,  e  le  legioni  chie- 
devano a  imperatore  il  loro  capo  M.  Stazio  Prisco  Licinio 
Italico  2,  fu  mandato  Sesto  Calpurnio  Agricola,  il  quale 
frenò  i  Caledoni  e  i  soldati,  tenendosi,  a  quanto  sembra, 
nel  vallo  di  Adriano  ove  le  epigrafi  lo  ricordano  legato 
di  M.  Aurelio  e  di  Vero  3. 

Più  grossi  e  più  pericolosi  di  tutti  erano  i  moti  dei 
Parti  anelanti  sempre  ad  avere  in  loro  mano  l'Armenia, 
cui,  come  vedemmo,  anche  Antonino  Pio  avea  dato  un 
re  dipendente  da  Roma.  Se  Vologese  11,  uomo  pacifico, 
aveTa  frenato  gli  sdegni  dei  suoi,  Vologese  IH,  suo  suc- 
cessore sul  trono  dei  Parti,  cupidissimo  di  vendicare  le 
offese  patite  dalle  correrie  di  Traiano,  fatti  grandi  appa- 
recchi di  guerra,  mosse  contro  l'Armenia  non  preparata 
a  resistere.  Severiano,  legato  di  Cappadocia,  erasi  recato 
ad  occupare  la  città  di  Elegia  {Iliiljalt)  sulla  riva  sinistra 

'  Capitolino,  M.  Aur.,  8  e  22;  Sparziano,  Didio  Giuliano,  1. 

2  Henzen,  Inscript.,  n.  548S-,  Yiurghesi.  Historicorum  graecorum  excerpta  vaticana, 
in  Oper.,  Il[,  219.  Pei  fatti  di  Stazio  Prisco  vedi  anche  voi.  IV,  107  e  16S,  e  V,  STj. 

3  Henzen,  5S'n  ;  Briice,  The  Roman  Wall,  pag.  21,  214,  100;  IlUbner,  Inscript.  Britan. 
kit.,  n.  225,  758,  773,  771.  Vedi  anche  329. 


728  L.  VERO  PoSTO  A  CAPO  DELLA  GL'HaRA  DOXIEME.  [  Li».  VIE 

deir Eufrate,  ma  senza  la  forza  dei  consigli  e  delle  armi 
bisognevoli  a  far  testa   ai   nemici,  mosso  soltanto  dalle 
false  predizioni  dell'impostore  Alessaiìilro.  La  città  dopo 
tre  giorni  di  lotta  cadde  in  potere  dei  Parti:  Severiano 
rimase  ucciso  con  un'intera  legione,  il  re  d'Armenia  fuggi, 
e  anche  la  Siiia  fu  invasa,  e  messo  in  fuga  Atidio  Cor- 
neliano  governatore  imperiale  '. 
Anaid:i:--      All'annunzio  di  questi  disastri  furono  da  Iloma  pron- 
G.^c'io].' tamente  ordinate  le  forze  necessarie  al  ii[)aro:  e  Marco 
Aurelio  risoluto  a  non  muoversi  per  provvedere  dal  cen- 
tro a  tutte  le  necessità  dell'Impero,  d'accordo  col  Senato 
pose  al  supremo  comando  della  guerra  Partica  il  fratello 
per  trarlo  dalla  sconcia  sua  vita,  sperando  che  nelle  fa- 
tiche e  nei    pericoli   sentisse  di  esser  imperatore,  e  ne 
tornasse  migliore -:  e  per  assicurare  l'impresa  coll'opera 
di  uomini  [)rovati  e  lodati  nel  governo  dei  cartipi,  dòtte 
a  Lucio  Vero  per  principale  legato  Avidio  Cassio,  duce 
forte  e  sapiente,  e  rigido  osservatore  della  disciplina  an- 
tica;   e  altii    prodi  conduttori  di   legioni,   come   Marzio 
Vero  ^',  Fiuio  Saturnino,  Stazio  Prisco,  richiamato  dalla 
Britarinia  e  jiosto  al  governo  di  Cajipadocia,  M.  Claudio 
Frontone,  e  P.  Giulio  Geminio  Marciano,  ricordati  dalle 
iscrizioni  '*.  Ma  nulla  facevano  a  Vero  gli  esempi.  Il  suo 
viaggio  fu  un  seguito 'di  oscene  orgie.  Toltosi  agli  sguardi 
del  fratello   si  tulio  più   che  mai  nei   piaceri.  Attese  a 
crapule  e  a  cacce  in  Campania,  a  musiche  in  Corinto  e 
in  Atene,  passeggiò  voluttuosamente  la  Grecia  e  le  ma- 
rine dell'Asia  Minore.   Spinto   dai   suoi   cortigiani   andò 

1  Luciano,  Come  si  debba  scriver  la  storia^  §  21,  pag.  202,  ed.  [li.lot,  e  Alessandro. 
0  il  falso  profeta.  27,  [.ag.  330;  Dione  Cassio,  LX.Kl,  2;  Capitolino,  M.  AureliD ^  8,  e 
Vero.  6. 

2  Dione  Cassio,  l.XXf,  1;  Capitolino,  M.  Aurei..  8,  e   Ver..  :>. 

3  Dione  Cassio,  I.XXI,  11. 

*  Luciano.  Come  si  debba  scriver  ìa  starvi.  21;  Maffei,  Mus.  Vernn  .  2P,  8;  Creili, 
Inter..  Vyn.  Sfl'.S;  ll.nzen,  ivi.  ón8-51tiO;  Borghesi, /.te»  JiJOtii  <ii  S.-piiio.  in  Ann.  htit. 
arch..  1852,  ya.'^  37,  e  Oper..  voi.  V,  pag.  375;  Renier, /nsC)'t/)^  de  V Algerie,  n.  1S18; 
Corp.  Jriscript.  graee..  n.  b'J66. 


Gap.  IV, 


L.  VERO  E  SUA  MOGLIE  LUCILLA. 


r29 


fino  all'Eufrate,  poi  tornò  ad  Efeso  per  accogliervi  la 
sposa  Lucilla  mandatagli  colà  da  Marco  Aurelio  proba- 
bilmente per  ritrarlo  con  queste  nozze  dalla  sua  sconcia 
vita.  Ma  egli  era  infrenabile,  e  invece  di  esser  corretto 
dai  riguardi  dovuti  alla  sposa,  col  suo  malo  esempio  cor- 


Lucilla  moglie  di  Lucio  Vero  {Monges^  Icon.  Rom.j  tav.  XLIII, 


ruppe  i  costumi  di  lei.  Passava  in  delizie  gli  inverni  a 
Laodicea,  e  le  estati  ad  Antiochia  e  a  Dafne,  luogo  in- 
fame per  turpi  costumi,  ed  era  sempre  nel  giuoco,  nel 
vino,  in  amori  di  giovani,  fra  meretrici  e  commedianti, 


730  IL  FIERO  LEGATO  AVIDIO  CASSIO.  f  Lib.  VII. 

e  buffoni,  intento  soprattutto  a  curarsi  la  bionda  chioma*. 
Per  buona  ventui-a  Avidio  Cassio  con  la  sua  severa  vigi-, 
lanza  e  prodezza  teneva  in  dovere  gli  eserciti,  e  faceva 
testa  ai  nemici.  Questo  liero  uomo,  originario  di  Siria,  di- 
sceso per  parte  di  madre  dai  Cassii,  figlio  di  quell'Avidio 
Eliodoro  che  dalla  rettorica  pasbò  alla  prefettura  d'E- 
gitto {"),  sognava  di  Mario,  e  dei  fatti  e  delle  virtù  di 
altri  tempi.  Il  suo  biografo  narra  che  a  seconda  dei  tempi 
era  truce  e  mite,  religioso  e  spregiatore  delle  cose  divine, 
devoto  alla  crapula,  e  temperato  e  forte  a  sopportare  la 
fame,  ora  rotto  a  lussuria,  ora  casto.  Fuvvi  chi  lo  cliiamò 
Catilina,  ed  egli  godea  di  quel  nome,  e  augur,avasi  di 
spegnere  l'imperatore  dialogista.  È  detto  pure  che  fino 
dalla  puerizia  pensava  a  cacciare  dal  trono  Antonino  Pio. 
Giunto  al  comando  delle  milizie  portò  rigore  crudele  nei 
campi,  che  per  lui  videro  nuovi  supplizii.  1  soldati  rei  di 
furto  metteva  in  croce,  o  bruciava  o  allogava  nel  fumo: 
alcuni  incatenati  insieme  a  diecine  e  gettati  nel  mare  o 
nei  fiumi:  ai  disertori  tagliate  mani  e  gambe,  perchè  più 
della  morte  gli  pareva  efiìcace  1'  esempio  della  sciagura 
vivente.  Quando  comandò  sul  Danubio  fece  porre  in  croce 
una  schiera  di  ausiliarii,  corsi  a  combattere  senza  suo 
ordine,  quantunque  avessero  ucciso  tremila  Sarmati,  e 
riportato  ricca  preda.  E  poiché  per  l'immane  atto  si  levò 
a  sedizione  il  campo,  egli  corse  intrepido  in  mezzo  ai 
furenti  gndsindo:  Percuotetemi  se  ne  avete  l'ardire,  e  alla 

("')  Dione  Cassio,  LXXl,  22;  .Yulcazio  Gallicano,  Caboto,  1,  e  Letronne, 
Inseriptions  grecq.  et  latin,  de  l'Eyypte,  l,  pag.  1:^9-130,  il  quale  i-ife- 
risce  e  illustra  un'epigrafe  ricordante  questo  retore  Eliodoro  come  pre- 
fetto di  Egitto  nel  terzo  anno  dell'imperatore  Antonino  Pio.  Egli  è  pro- 
babilmente quello  stesso  Eliodoro  che  Adriano  tenne  un  tempo  per  suo 
segretario,  e  che  dal  retore  Dionisio  Milesio  fu  punto  col  motto:  L' im- 
peratore ti  può  dare  onori  e  'pecunia,  ma  non  ti  può  fare  oratore. 
Dione,  LXIX,  3. 

1  Capitolino,  il.  Aur..  S,  e  Vero..  4,  6  e  7. 


Gap.  IV.]  CORRERIE  E  VITTOT^IE  NEf  L'INTERNO  DELL'ASIA.       731 

indisciplina  aggiungete  il  delitto.  E  quelli  a  tanto  ardi- 
mento quietaronsi,  e  lo  temerono  percliè  non  aveva  te- 
muto *. 

Con  questi  modi  rimesse  la  disciplina  anche  tra  le  molli 
legioni  di  Siria,  e,  resele  atte  alla  guerra,  corse  contro 
Vologese,  lo  sconf^^se,  lo  volse  in  fuga,  passò  l'Eufrate, 
corse  la  Mesopotamia,  penetrò  nell'interno  dell'Asia;  e 
distrutta  al  nemico  la  reggia  di  Ctesifonte,  e  arsa  Se- 
leucia  sul  Tigri,  tornò  in  Siria  con  l'esercito  scemato  per 
fame  e  per  malattie,  ma  vincitore  '^.  Altri  valenti  duci  gli 
dettero  mano  nei  luoghi  vicini,  e  anche  in  Armenia  la 
guerra  fu  governata  felicemente  da  Stazio  Prisco  e  da 
Marzio  Vero,  e  si  compì  colla  presa  di  Artassata,  e  dopo 
cinque  anni  di  correrie  e  di  battaglie  fu  fatta  pace  coi 
Parti,  i  quali  pare  cedessero  la  Mesopotamia  ^■.  e  per 
questa  vittoria  il  nome  romano  andò  fino  alle  estremità 
orientali  dell'Asia,  e,  secondo  gli  storici  chinesi,  la  China 
vide  allora  per  la  prima  volta  un'ambasciata  romana,  aqduìkio 
che  all'imperatore  del  Celeste  Impero  recò  in  dono  denti 
di  elefanti,  corni  di  rinoceronti  e  scaglie  di  tartaruga''. 

Vero,  quantunque  avesse  atteso  solamente  a  delizie, 
senza  niun  pensiero  di  armi,  fu  lodato  come  grande  uomo 
di  guerra  dal  suo  maestro  Frontone  che,  chiamandolo 
restitutore  della  corrotta  disciplina,  ne  celebrò  la  militare 
sapienza,  e  lo  disse  uomo  forte  e  prode  .e  glorioso  guer- 
riero, e  raccoglieva  memorie  per  iscrivere  la  storia  di 
questo  eroe,  che  di  ciò  lo  pregava  colle  sue  lettere  •''.  E 
storie  laudative  e  gonfie  e  spropositate,  di  cui  si  burlò 
argutamente  Luciano  ^,  e  poemi  scrissero  di  lui  retori  e 

1  Vulcazio  Gallicano,  Cassio^  3  e  4  ;  Frontone,  II,  211. 

2  Dione  Cpsio    LXXI,  3. 

3  Capitolino,  3i.  Aurei..  9,  e  Vero,  7  e  8;  Dione  Cassio,  LXXI.  2,  e  Fragm.^  in  Rei- 
maro,  pag.  1201-1202;  Tiliemont,  Hist.  dts  empereurs^  II,  P'^^c-  353. 

*  Vedi  Nóel  des  Vergers,  Essai ^  pag.  58,   Conf.    Letronne,  in  Mém.  de  lAcad.  des 
Inscr.  et  Belles-Lettres,  nouv.  sèrie,  toin.  X,  p.  iST. 
5  Frontone,  Epist..  II,  178,  1S2,  18-1,  190,  lO-ì,  202,  218. 
<•  Come  si  debba  scriver  la  storia j  §  I,  2,  8,  10,  15-32. 


ma  939,  di 


732 


TRIONFO  DFI  DUE  IMPERATORI. 


[LiB.  VII. 


sconci  adulatori  greci  e  romani  *.  Egli  fu  gridato  tre 
volte  imperalore  dall'esercito,  e  prese  i  nomi  ài  Armenico, 
di  Partico  e  Medico,  i  quali  furono  dati  anche  a  Marco 
Aurelio,  che  da|)prima  gli  rifuitò,  quantunque  avesse  da 
lungi  provveduto  a  tutti  i  bisogni  della  guerra.  Il  Senato 
decretò  loro  anche  il  titolo  di  Padrhdella  patria,  e  il 
trionfo,  e  trionfarono  ambedue  sul  medesimo  carro  ove 
si  videro  anche  i  piccoli  ligli  e  le  figlie  di  Marco  ^. 
L.  Vero  conduceva  seco  dall'Asia  non  re  captivi,  come 


Annio  Vero  e  Conimodo  figli  di  Marco  Aurelio  (Icon.  Eom.^  tav.  XLII,  n.  8,  e  XI. IV,  n.  'ì). 

gli  antichi,  ma  trofei  degni  di  lui,  istrioni,  suonatori  di 
flauto,  prestigiatori  e  bufloni,  stati  suo  sollazzo  nel  campo 
e  colmati  di  onori  ^.  Portò  seco  anche  un'orribile  pesti- 
lenza, che  presa  dall'esercito  nelle  terre  dell'Asia,  venne 


1  Vedi  Philibort-^oniè,  De  Frontonianis  reliquiis,  Anibiani  1S53,  pap.  71,  e  scgg. 

2  Capitolino.  M.  Aurei..  \'2\  Ver.,  8.  Vedi  anche  Borglicsi.  Medaglioni  di  M.  Aurelio 
e  di  L.  Vero,  n^gli  Antxili  dell' Isliluto  di  Cotrii'poiuk'hza  archeologica,  1838,  pag.  55  ; 
Frontone,  II,  17  e  2(i0. 

3  Capitolino,    Ver.,  8.  Conf.  Frontone,  II,  220. 


Gap.  IV.]  PESTILENZA  A  ROiAIA.  ORGIE  DI  L.  VERO.  733 

con  esso  per  le  altre  province'  e  desolò  Roma  e  tutta 
Italia,  d'onde  passò  nelle  Gallie  e  in  Germania.  A  Roina 
morirono  le  genti  a  migliaia,  volgo  e  patrizi!,  poveri  e 
ricchi:  e  i  governanti  dovettero  pigliarsi  la  cura  di  sep- 
pellire a  pubbliche  spese  le  vittime,  che  pel  gran  numero 
giacevano  abbandonate  da  amici  e  parenti.  Marc'Aurelio 
non  risparmiò  niuna  curti  che  servisse  di  allievamento 
alla  grande  calamità,  e  ad  evitar  mali  maggiori  fece  leggi 
rigorosissime  sulle  sepolture  ^,  mentre  che  il  fratello  in- 
dillerente  in  mezzo  alla  strage  del  morbo,  continuava  la 
sua  sozza  vita,  spendendo  incredibili  somme  in  feste  e 
bagordi.  Emulò  nei  vizi  Caligola,  Nerone  e  Vitellio,  mutò 
la  reggia  in  taverna,  passava  le  notti  a  ubrisicarsi,  a  giuo- 
care  a  dadi,  a  correre  le  vie  con  turpi  compagni,  ad 
attaccar  brighe  per  bettole  e  per  lupanari  2.  Nella  son- 
tuosissima villa  che  pei  suoi  piaceri  edificò  lungo  la  via 
Clodia  in  Etruria  colla  solita  compagnia  d'istrioni,  di  ci- 
nedi e  di  vituperosi  liberti  dava  fondo  all'eredità  di 
Antonino.  Spese  sei  milioni  di  sesterzi  in  un  convito  di 
solo  dodici  commensali,  a  cui,  tra  le  altre  cose,  donò  i 
ricchi  vasellami  usati  alla  mensa,  e  i  servi  e  le  carrozze 
e  i  cavalli  destinati  a  ricondurli  in  città  ^.  Un  dì  invitò 
anche  il  fratello,  e  Marc'Aurelio  restò  cinque  giorni  in 
questo  luogo  d'infamia  attendendo  assiduamente  agli 
affari,  e  sperando  di  farlo  vergognare  colla  lezione  del- 
l'esempio. Inutile  era  ogni  dimostrazione  di  tal  fatta,  e 
questa  troppa  indulgenza  del  filosofo  fu  con  ragione  ac- 
cusata di  debolezza.  Ma  quantunque  Marc'Aurelio  ge- 
messe di  questo  solamente  in  segreto,  alla  fine  la  sover- 
chia contrarietà  di  costumi  minacciava  di  sciogliere  ogni 
legame,  e  di  portare  ad  aperta  inimicizia,  se  la  morte 
non  fosse  presto  venuta  a  toglier  gli  scandali. 

1  Capitolino,  M.  Aureli  13;  Orosio,  VII,  14. 

2  Capitolino,   Ver.^  4. 

3  Capitolino,    Ver.^  5. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  92 


734  GLI  IMPERATORI  CONTRO  I  BARBARI  NORDICI.  [Lib.  VII. 

Negli  ultimi  tempi  della  guerra  d'Oriente  erano  giunti 
a  Roma  frequenti  annunzi  di  incursioni  barbariche  lungo 
il  Danubio.  Dapprima  furono  frenate  coll'arte,  ma  ora  e 
in  appresso  arse  lunga  e  fierissima  guerra  mossa  simul- 
taneamente da  tutte  le  genti  dei  confini  settentrionali, 
in  parte  collegate  a  uno  sforzo  comune  contro  le  pro- 
vince soggette  all'Impero,  dall' lUirio  fino  alle  Gallie. 
Primi  a  venire  in  campo  furon  i  Marcomanni,  i  Quadi 
e  altre  genti  Germaniche  a  cui  rispondevano  gli  assalti 
degli  Sciti  e  dei  Sarmati  ("):  contesa  durata  molti  anni 
sul  Danubio  e  in  Pannonia,  non  bene  distinta  nei  magri 
racconti,  istoriata  nelle  mute  sculture  della  Colonna  An- 
tonina, e  ricordata  anche  da  un  arco  trionfale  scomparso 
da  più  di  due  secoli  (^). 

L'Impero  e  l'Italia  erano  a  grave  pericolo,  perchè  i  ne- 
mici mossi  alla  volta  di  Roma,  avevano  raggiunta  Aquileia. 
Quhìdi  grandissimo  il  terrore  per  tutta  Italia,  Marc' Au- 
relio per  calmare  gli  animi  fece  espiazioni  e  sacrifìcii  e 
preghiere,  e  cerimonie  di  ogni  sorte  ^  :  poscia  corse  al 

C)  Dione  Cassio,  LXXI,  11-12;  Capitolino,  il/.  A?<rt'?.,  2?.  I  nomi  degli 
assalitori  son  questi  :  Mai'comanni,  Quadi,  Narisci,  Ermunduri  [Germani); 
Latringi,  Burii,  lazigi,  A  stingi,  Cotini,  Dancrigi  [Sarmati);  Victovali, 
Sosibi,  Sicobati,  Rossolani,  Bastami,  Peucini,  Alani  e  Costoboci  [Sciti). 
Vedi  Greeuwood,  History  of  the  Germans,  I,  176,  in  Merivale,  Vili,  337. 

(*)  Nardini,  Roma  antica,  VI,  9;  Nibby,  Roma  antica,  voi.  I.  pag.  471- 
476;  Canina,  Edifici,  voi.  Ili,  p.  113-114,  e  IV,  tav.  245. 

L'arco  attribuito  a  Marco  Aurelio  a  causa  della  sua  imagine  ricono- 
sciuta nei  bassirilievi  sorse  sulla  via  Flaminia  nel  Corso  di  oggi,  e  pre- 
cisamente all'angolo  meridionale  del  Palazzo  Piano,  e  vi  rimase  fino  alla 
metà  del  secolo  decimosettimo.  «  Quest'arco,  scrive  il  Nibby,  stando  al- 
quanto obliquo  colla  direzione  attuale  della  via  del  Corso,  che  declina  a 
sinistra  da  quella  della  Flaminia,  ed  inoltre  stringendo  la  strada,  dava 
specialmente  incomodo  al  popolo  nella  grande  affluenza  del  Carnevale,  e 
perciò  Alessandro  VII,  che  principalmente  contribuì  a  fare  regolare  la 
via  del  Corso,  lo  fece  demolire  l'anno  1662.  » 

1  Dione  Cassio,  LXXI,  3;  Capitolino,  M.  Aurei.,  12,  13  e  11;  Ammiano  Marcellino, 
XXV,  4,  17. 


Gap.  IV.I   GLI  IMPERATORI  CONTRO  I  BARBARI  NORDICI. 


rSo 


riparo:  e  condusse  seco  il  fratello,  per  non  lasciarlo  in 
Roma  più  libero  nell^aue  orgie.  Passate  le  Alpi,  Vero 
attese  agli  usati  piacer^  ma  l'altro  provvide   si  energi- 


Arco  di  M.  Aurei 


;onie  vedevasi  nel  secolo  XVII3 (Ccxmna^  Edif.^  IV,  tav.  145). 


camente  alla  guerra,  che  in  breve  furono  liberati  i  confini, 
e  i  barbari  respinti  mandarono  messaggi  a  chieder  mercè. 
Marco  Aurelio  la  stimava  finzione,  ed  era  d'avviso  di 
spinger  la  guerra  più  avanti,  ma  perchè  Vero  era  stanco 
dei  campi,  e  sospirava  ai  piaceri  della  città,  afforzate  le 
frontiere,  e  provveduto  alla  difesa  dell' lUirico  e  dell'Italia, 
i  due  imperatori  mossero  alla  volta  di  Roma.  Fra  le  truppe 
riunito  infierì  di  nuovo  il  flagello  della  pestilenza,  contro 


rò6 


MESSAGGI  DEI  BARBARI. 


[LiK.  VII. 


il  quale  nulla  potè  neppure  Galieno,  chiamato  a  soccor- 
rervi  coir  eccellenza   dell'arte  ^à  (").  Giunti   presso  ad 


r-^--^  1  VT  A    f  ,'/fe:i --^i  /ri>^  }p 


Messaggi  doi  barbari  a  M.  Aurelio  (Righetti,  Campid.,  I,  tav.  165). 

C)  La    storia   tace    .sul   servizio   medico  dei  campi    romani:    ma 
documenti    provano,  che  al   tempo  di  Marco  Aurelio  lo  Stato  non  ci 


altri 
a  in- 


Cap.  IV.]  MORTE  DI  LUCIO  VERO.  737 

Aitino  (undici  miglia  sotto  a  Treviso),  Vero  morì  in  tre 
giorni  di  colpo  apoplettico.  Andò  voce  che  egli  avesse  annidi  ro- 
meditato  di  uccidere  il  fratello  per  pigliar  solo  l'Impero,  o.Vftìb^' 
e  che  questi  avvisatone,  lo  prevenisse  facendogli  dare  il 
veleno.  Ma  non  vi  è  prova,  né  probabilità  di  questo,  come 
delle  voci  corse  che  alla  morte  avessero  parte  Faustina 
e  Lucilla,  suocera  e  moglie  di  Vero.  La  causa  vera  erano 
stati  i  grandi  stravizii.  Marco  Aurelio  pose  l'indegno  fra- 
tello nel  mausoleo  di  Adriano,  lo  dichiarò  Dio,  gli  die' 
templi  e  sacerdoti,  e  istituì  feste  molte  in  suo  onore*. 

Dopo  le  quali  cose  rimasto  solo  padrone  di  tutto,  potè 
senza  impacci  attender  meglio  al  governo  del  mondo,  e 
fece  le  leggi  e  i  provvedimenti  che  resero  venerando  il 
suo  nome.  Alla  istituzione  degli  alimenti  dei  fanciulli,  già 
ricordata  piìi  volte,  détte  basi  più  larghe,  affidandone  la 
du^ezione  ad  uomini  rivestiti  di  più  larghi  poteri,  come 
consolari  e  pretori,   affinché  avessero   modo  a  far  bene 


differente  alla  salute  dogli  eserciti,  destinati  a  difender  T Impero.  E  le 
iscrizioni  dicono,  che  le  legioni,  le  coorti,  la  cavalleria  e  le  truppe  ausi- 
liarie e  l'armata  di  mare  avevano  lor  medici  propri  e  chirurghi  per  cu- 
rare le  malattie  e  le  ferite,  e  che  in  ogni  accampamento  eravi  un  capo 
(medicus  castrensis),  il  quale  dovette  avere  la  soprintendenza  generale 
del  servizio  medico  di  tutte  le  truppe.  Vi  furono  anche  medici  ordinariij 
medici  clinici,  medici  veterinarii  {medicus  iumentarius)  :  e  una  epigrafe, 
scoperta  a  Baia,  ricorda  un  Satrio  Longino  medico  a  doppio  soldo  {me- 
dicus duplicarius)  della  nave  che  aveva  nome  Cupido.  Vedi  Maffei, 
Mus.  Veron.,  pag.  CXX,  n.  4;  Marini,  ArvaL,  pag.  62  e  826;  Orelli, 
n.  448,  3506-3508,  3640,  4229,  e  Henzen,  ivi,  voi.  ili,  pag.  358,  n.  3506; 
Renier,  Inscript.  de  l'Algerie,  n.  506;  Nòel  des  Vergers,  Essai,  pag.  69- 
72;  Simpson,  Was  the  Roman  Army  provided  with  any  medicai  offi- 
cersì  Edimburg  1851,  trad.  nella  Gazete  medicale  de  Paris,  1857,  n.  12, 
16  e  18;  Aubertin,  Du  service  medicai  dans  les  armées  de  Vanti [uité, 
nelJournal  general  de  l'instruction  publique.  1861,  pag.  303,  3l7,  327; 
Lamarre,  De  la  milice  romaine ,  Paris  1863,  pag.  3S5,  e  segg.;  Briou, 
Du  service  de  sante  militaire  chez  les  Romains,  Paris  1866. 

1  Capitolino,  M.  Aurei.,  14,  15,  20;  Ver..  9,  10,  11  ;  Aurelio  Vittore,  De  Caes...  16. 


738  AMMINISTRAZIONE  DI  M.  AURELIO.  [Lib.  VII. 

maggiore*.  Fa  diligentissimo  a  render  giustizia,  e  a  questo 
fine  provvide  di  nuovi  magistrati  l'Italia,  che  era  sua 
cura  sollecita,  e  desiderava  si  popolasse  di  illibata  gio- 
ventù-.  Già  fino  dal  tempo  della  guerra  d'Oriente  ag- 
giunse un  quinto  giuridico  ai  quattro  posti  da  Adriano 
alla  cura  delle  cose  d'Italia,  e  per  aver  campo  più  largo 
alla  scelta  dei  magistrati  modificò  l'istituzione  col  pren- 
dere a  questo  uffizio  uomini  stati  semplicemente  pretori, 
mentre  prima  sceglievansi  nel  ceto  dei  consolari:  e  dalle 
iscrizioni  apparisce  che  détte  loro  anche  il  carico  di 
provvedere  all'annona  delle  regioni,  in  cui  dovevano 
render  giustizia  (").  Anche  in  mezzo  alle  guerre  l'impe- 

(")  Gli  studi  epigrafici  all'età  nostra  portarono  assai  luce  a  questo 
fatto .  di  cui  i  biografi  imperiali  dettero  un  inagrissimo  cenno.  Il  Bor- 
ghesi, e  altri  col  raffronto  delle  iscrizioni  fecero  conoscere  un  gran  nu- 
mero di  questi  giuridici,  e  ne  mostrarono  le  nuove  incombenze,  e  il'  modo 
con  cui  erano  distribuiti  per  le  undici -regioni,  in  cui  Augusto  aveva  di- 
viso r  Italia.  Da  queste  ricerche  ora  è  chiaro,  che  la  prima  regione  del 
Lazio  e  della  Campania,  e  la  settima  dell' Etruria  non  ebbero  giuridici, 
0  perchè  per  la  vicinanza  potevano  ricorrere  ai  tribunali  di  Roma,  o 
perchè  erano  in  parte  comprese  nel  raggio  delle  cento  miglia,  su  cui  si 
estendeva  la  giurisdizione  del  prefetto  della  città.  Sotto  un  solo  giuridico 
furono  riunite  la  decima  della  Venezia  e  1'  undecima  dalla  Transpadana, 
come  ad  un  solo  obbedivano  anche  l'ottava  dell'Emilia  e  la  nona  della 
Liguria.  Un  giuridico  ebbe  la  seconda  regione,  composta  dell'Apulia  e 
della  Calabria:  cosi  la  terza,  comprendente  la  Lucania  e  i  Bruzi:  e  ad 
un  altro  eran  sottomesse  la  quinta  regione  del  Piceno  e  la  sesta  dell'Um- 
bria. Rimaneva  senza  giuridico  solamente  la  quarta  regione,  composta 
dei  Frentani ,  Marrucini ,  Peligni,  Sanniti,  Sabini,  ecc.  Ma  il  Borghesi 
con  buon  fondamento  opinò,  che  questi  paesi  fossero  fin  da  principio  di- 
visi ti-a  i  giuridici  del  Piceno  e  d'Apulia.  Vedi  Orelli,  3177;  Tonini, 
Storia  di  Rimini,  I,  363;  Borghesi,  Iscrizione  onoraria  di  Concordia, 
in  Annal.  Istit.  archeolog.,  1853,  pag.  196-209,  e  Oper.,  Y,  pag.  383  e 
segg.  ;  Noel  des  Vergers,  Essai  sur  Marc-Aurèle,  pag.  44,  e  segg. 

1  Capitolino,  M.  Aureli  11;  Borghesi  in  Bullett.  Istit.  archeolog.^  18M,  pag.  125  e 
segg.  ;  Henzen ,  Tabula  alimene.  Baebian. .,  in  Annali  Istit.  archeolog.  ,  \8U,  pag.  39  • 
segg.;  e  Nòel  des  Vergers,  Essai^  pag.  41. 

!  Fr»«tone,  ed.  Cassan,  voi.  II,  130. 


Gap.  IV.]  GIUSTIZIA,  SENATO,  COSTUMI,  CIRCO,  DELATORI.  739 

ratore  passava  i  giorni  e  le  notti  a  esaminare  da  se  stesso 
le  cause:  le  pene  delle  leggi  alleviava,  quantunque  fosse 
inesorabile  contro  i  convinti  di  grandi  delitti.  Di  molte 
cose  détte  il  giudizio  al  Senato,  si  mostrò  in  ogni  fac- 
cenda di  guerra  e  di  pace  deferentissimo  ad  esso,  e  lo 
richiamò  a  dignità,  come  in  libero  Stato.  Era  assiduo  alla 
Curia,  e  per  le  adunanze  veniva  espressamente  fino  dalla 
Campania,  né  partivasi  mai  primachè  il  console  avesse 
sciolta  l'assemblea  colla  formula  :  Non  vi  riteniamo  piw. 
Padri  Coscritti.  A  molti  dei  senatori  affidò  nuovi  ufficii 
e  giudizi!,  per  farli  più  autorevoli.  Ripeteva  sovente:  È 
più  giusto  ch'io  segua  il  consiglio  di  tanti  e  tali  amici, 
che  tanti  e  tali  amici  la  volontà  di  me  solo  *. 

Anch'egli  tenne  con  sé  i  più  valenti  giureconsulti,  tra 
cui  ricordasi  particolarmente  Q.  Cervidio  Scevola  2,  per 
aver  lume  ed  aiuto  a  render  migliori  le  leggi.  Fece  or- 
dini per  riformare  i  costumi  rilassati  delle  matrone  ro- 
mane e  dei  giovani  nobili,  tolse  via  i  bagni  comuni  ai 
due  sessi,  frenò  la  licenza  teatrale  e  la  ferocia  del  Circo. 
Sul  che  merita  ricordo  un  provvedimento  di  umanità, 
che  poscia  si  converti  in  uso  costante.  Caduto  in  teatro 
un  funambolo,  egli  ordinò  di  porre  una  materassa  sotto 
alle  corde,  per  impedire  che  le  cadute  fossero  mortali: 
al  che  in  appresso  fu  sostituita  una  rete  distesa.  Con 
altri  ordini  mise  termine  alle  calunnie  dei  delatori,  e  non 
tenne  conto  delle  accuse  dirette  ad  impinguare  il  fìsco. 
Istituì  il  pretore  tutelare  a  patrocinio  degli  orfani.  Regolò 
meglio  le  iscrizioni  dei  nuovi  nati  nello  stato  civile,  ri- 
ducendo la  consuetudine  a  legge,  e  ordinando  che  ogni 
neonato  fosse  dichiarato  con  un  nome  dentro  trenta 
giorni  presso   il  prefetto  dell'erario  di  Saturno;  e  nelle 

1  Dione  Cassio,  LXXI,  0;  CD.pitolino,  M.  Aurei.  ^  10.  22  e  24  ;  Frontone,  Epist.^  I,  330, 
II,  90. 

2  Capitolino',  J\l.  Aurei.  11;  Digesto,  XXVIII,  6,  38,  3,  XXXVI,  1,  22;  Conradi,  De 
vita  et  scriptis  Q.  Cervidii  Scaevolae^  Lipsiae  1751. 


740  STATO  CIVILE,  ANNONA,  SOCCORSI,  UNITA  DELL' IMP.  [Lib.  VII. 

province  stabilì  conservatori  degli  atti  di  nascita,  affinchè 
i  sudditi  nel  caso  di  contese  in  materia  di  libertà  civile 
potessero  trovare  facilmente  i  loro  titoli.  Alforzò  la  legge 
delle  affrancazioni;  aggiunse  nuove  disposizioni  a  quella 
sulla  ventesima  delle  eredità,  e  provvide  alle  tutele  dei 
liberti,  alle  frodi  dei  testamenti,  e  alle  successioni  dei 
figli  negli  averi  materni  ("). 

Cure  grandi  per  ordinare  i  pubblici  alimenti  e  l'an- 
nona. Alle  città  d'Italia  in  tempi  di  carestia  fece  doni 
di  grano  sulle  provvisioni  di  Roma.  Alle  province  fu  be- 
nignissimo;  soccorse  ai  bisogni  di  molte  città,  le  ristorò 
dei  danni  patiti,  e  all'occorrenza  le  dispensò  dai  tributi 
e  condonò  i  debiti  arretrati  da  46  anni,  e  ne  fece  bru- 
ciare le  scritture  nel  Fóro  ;  frenò  gli  abusi  delle  esazioni, 
allargò  da  ogni  parte  la  cittadinanza  romana,  e  i  luoghi 
esausti,  come  le  Spagne,  rifornì  di  coloni.  Coi  suoi  par- 
ticolari decreti  sottomise,  al  dire  di  Frontone,  tutti  i  sud- 
diti a  una  medesima  legge,  e,  tolto  via  l'arbitrio,  coH'unità 
dell'amministrazione  studiò  di  compiere  l'unità  dell'Im- 
pero, e  di  ridurre  a  fatto  la  sua  idea  di  un  reggimento 
civile,  dove  la  legge  fosse  una  per  tutti,  e  pari  i  diritti 
dei  cittadini.  E  della  raggiunta  unità  parlò  il  greco  Ari- 
stide dicendo,  che  al  tempo  suo  non  vi  erano  più  stra- 
nieri, che  gli  onori  si  davano  ai  più  meritevoli  senza 
guardare  alla  patria,  e  che  l'amministrazione  dell'uni- 
verso era  come  quella  di  una  sola  casa  *. 

(«)  Capitolino,  M.  Aurei,  9.  10,  11,  12,  23;  Aurelio  Vittore,  De  Cflev.. 
16;  Frontone,  ed.  Cas.?an,  I,  154;  Trouip,  Disputatio  itiridica  de  proba- 
tionibus  familiae  apud  liomanos,  Lugduui  Batavorum  1837,  pag.  25,  e 
segg.  Una  epigrafe  mutilata  }>arla  del  primo  giuridico  della  Traspadana 
cui  2'irimo  iurisdictio  pupillaris  a  so.nclissimis  imperaloribiit  mandala 
est'.  Vedi  Borghesi,  Iscrizione  onoraria  di  Concordia,  u\  Annal.  Isti/, 
urcheolog.,  1853,  pag.  188,  e  Opcr.,  V,  p.  3>3. 

1  Dione  Cassio,  LXXI,  32;  Aurelio  Vittore,  De  Cassar.,  Ifi;  Capitolino,  M.  Aurei.  9, 
11,  17,  23;  Frontone,  ^tsf.  ad  M.  Caes.,  ed.  Mai,  pag.  16  e  17;  Aristide,  Orai,  in  Rom. 


Gap.  IV.]        GUERRA  AI  BARBARI  DI  NUOVO  IRRUENTI.  741 

Marc' Aurelio  era  tutto  in  questi  pensieri  di  rendere 
gli  uomini  felici  con  dolce  e  saggio  e  giusto  governo,  ma 
i  barbari  tornarono  presto  a  toglierlo  dalle  predilette  sue 
cure,  e  lo  tirarono  a  lunga  e  difficilissima  guerra  della 
quale,  come  delle  precedenti,  si  hanno  poche  e  scon- 
nesse notizie  *.  I  soliti  Marcomanni,  e  coi  Quadi,  e  lazigi, 
e  altre  genti  feroci,  correndo  di  nuovo  alla  volta  d'Italia, 
batterono  i  presidii  romani,  invasero  tutti  i  confini  del-  Annidi  ro- 
r  Impero  dalla  Pannonia  alle  Gallio,  e  giunsero  come  G.\'.ìr>/ 
prima  fin  sotto  Aquileia.  Per  colmo  di  sciagura  conti- 
nuava ancora  la  pestilenza,  e  mancavano  gli  uomini.  Bi- 
sognò ricorrere  a  straordinarii  partiti,  e  furono,  come 
dopo  la  rotta  di  Canne,  armati  schiavi  e  gladiatori;  con- 
vertiti in  soldati  i  ladroni  di  Dalmazia  e  Dardania,  e 
comprati  aiuti  germanici  contro  i  Germani.  E  quantunque 
la  storia  taccia  del  numero  delle  forze  usate  in  questa 
occasione,  dalle  iscrizioni  si  apprende,  che  delle  30  le- 
gioni armate  a  sostenere  l'Impero,  circa  la  metà  presero 
parte  alla  guerra  germanica;  cioè  100  mila  soldati  ro- 
mani con  altrettanti  ausiliari  2.  Anche  l'erario  era  vuoto, 
e  l'imperatore  per  non  mettere  nuove  gravezze  vendè 
all'incanto  nel  Fóro  Traiano  gli  ornamenti  imperiali,  i 
ricchi  vasellami,  le  vesti  preziose  di  sua  moglie,  e  le 
gemme  trovate  nel  tesoro  segreto  di  Adriano  ^.  E  prov- 
veduto del  bisognevole  e  indossate  le  armi  volò  contro 
al  nemico,  e  lo  respinse  oltre  i  confini;  ma  continuando 
il  pericolo,  fu  costretto  a  rimanere  più  anni  in  Pannonia. 
Confusi  e  oscurissimi  sono  anche  i  fatti  di  questa  guerra, 
in  cui  con  Marc'Aurelio  combatterono  CI.  Pompeiano, 
divenuto  marito  di  Lucilla  vedova  di  Lucio  Vero,  e  M. 
Basseo  Rufo  e  Macrino  Vindice-,  e  quel  Pertinace,  che 
poi  giunse  per  breve  all'Impero.  I  barbari  coi  quali  com- 

1   Dione  Caspio,  LXXI,  3,  7-21;  Caiitolino,  .V.  Aurei..  17,  2K  22,  21. 
"  Vedi  Noel  des  Vercers,  Essai j  pag.  7G-?I. 
3  Capitolino,  17. 
Van>;ucci  —  Storia  dell' Italia  antica  —  IV,  93 


742 


[LIB.VII. 


Marco  Aurelio  in  veste  militare  {Righelli,  Cam-pidoglio ,  I,  tav.  70). 


Gap.  IV. 


GIOVE  PLUVIO. 


r43 


batterono  fortemente  anche  le  donne,  messero  più  volte 
a  pericolo  le  legioni,  vinsero  battaglie,  e  uccisero  Vin- 
dice. Si  narrano  anche  portenti.  Un  dì  i  Romani,  messi 
in  mezzo  daiQuadi,  erano  a  pericolo  estremo,  rifiniti  dalle 
fatiche,  dall'ardore  del  sole,  e  dalla  sete:  quando,  dice 
Dione,  molte  nubi  raccoltesi  repentinamente  si  sciolsero 
in  grandissima  pioggia,  che  rese  vigore  agli  affranti, 
mentre  dall'  altro  canto  grandine  e  fulmini  piovendo  sui 


ì 


'  ;.  ! 


Giove  Pluvio  {Bartolo  Collimila  Antonin.^  tab.  15). 


barbari  li  misero  in  dispersione.  Fu  stimato  un  prodigio 
del  cielo,  da  una  parte  attribuito  ad  incanti  di  maghi, 
0  alla  protezione  di  Giove  Pluvio,  o  alla  virtù  dell'  impe- 


744  LEGIONE  FULMINANTE.  PACE  COI  BARBARI.       [Lib.  VII. 

ratore,  mentre  i  Cristiani  lo  dissero  miracolo  ottenuto  per 
le  preghiere  della  legione  melitina  composta  di  soli  se- 
guaci di  Cristo,  la  quale  perciò,  al  dire  di  Sifilino,  avrebbe 
avuto  dall'imperatore  il  soprannome  di  Fulminante.  Il 
fatto  d'una  pioggia  è  rappresentato  anche  nella  colonna 
Antonina  tra  i  bassirilievi,  che  portano  istoriate  le  guerre 
di  Marc' Aurelio  in  Germania.  Vi  si  vede  un  Giove  Pluvio, 
dalla  cui  lunga  barba  scorre  acqua,  cinto  di  fulmini,  che 
colpiscono  e  disperdono  gli  stupefatti  soldati  *.  Ma  quanto 
al  nome  di  fulminante  o  fulminata  è  ora^provato  esser 
falsa  l'origine  miracolosa  qui  ricordata,  perchè  nelle 
epigrafi  si  trova  una  legione  fulminante  ai  tempi  di  Nerva, 
e  più  indietro  anche  sotto  Nerone  2. 

Dopo  fu  continuata  più  gagliardamente  la  guerra:  su- 
perate genti  ferocissime,  e  strette  a  chieder  pace,  che 
alla  fine  fu  conclusa  a  condizione,  che  i  barbari  si  te- 
nessero sei  miglia  oltre  il  Danubio,  e  restituissero  i  pri- 
gioni, i  quali  fu  detto  sommare  a  150  mila,  cifra  che  posta 
per  vera  mostrerebbe  la  grandezza  dei  pericoli  corsi  dalle 
legioni,  e  darebbe  più  merito  al  duce,  che  riuscì  a  vin- 
cere anche  dopo  queste  perdite  enormi.  Egli  fu  gridato 
imperatore  per  la  settima  volta,  e  appellato  Germanico^  e 
poscia  trionfò  col  suo  figlio  Commodo,  già  ornato  del  ti- 
tolo di  Cesare,  Faustina  ebbe  il  nome  nuovo  di  Madre  dei 
campi,  cioè  delle  mihzie  ^.  1  duci  che  avevano  combat- 
tuto da  prodi  ebbero  l'onore  di  iscrizioni  e  di  statue  nel 
Fóro  Traiano,  nel  tempio  di  Antonino  e  in  quello  di  Marte 
Yendicatore  ^  Dopo  la  vittoria  il  principe,   continuando 

1  Dione  Cassio,  LXXI,  9-10;  Capitolino,  M.  Awel.,  21;  Clamliano,  De  sexto  consulat. 
Honorii,  vors.  310;  Eusebio,  Hist.  Eccles.^  V,  5;  Orosio,  VII,  15  ;  Tertulliano,  Apolo/j.^  5. 

2  Creili,  517;  Fea,  Iscrizioni  Tarquiniensi,  in  BuUet.  IstiC.  archeolog.^  1830,  pag.  19S  ; 
Letronne,  Statue  vocale  de  Memnon^  p.  119-120;  Borghesi,  Iscrizioni  rom.  del  Reno, 
in  Oper..  IV,  232-233;  Nòel  des  Vergers,  Essai,  pag.  93.  Conf.  Dione  Cassio,  LV,  23. 

3  Orolli,  Inscr.,  n.  866;  Cohen,  Monn.,  voi.  II,  pag.  59t,  n.  145,  e  pag  599,  n.  19J; 
Dione  Cassio,  LXX,  10;  Capitolino,  M.  Aureli  26. 

*  Dione  Cassio,  LXXI,  3;  Capitolino,  22;  Kellermann,  Vigil.j  42;  Borghesi,  Iscrizioni 
^iFuligno,  iaAnnal.  Istit.  archeolog.,  1816,  paj.  317;  Nòel  d«s  Vergers,  Eìsai,  pag.  88. 


Gap.  IV.]         MARCOMANNI  E  DACI.  PERICOLI  IN  SIRIA.  745 


nel  suo  benigno  costume,  rese  ai  provinciali  la  preda,  Anni  di  R( 
perchè  si  ripartisse,  a  risarcimento  dei  danni  sofferti,  tra  o.^a  n? 
gli  abitatori  dei  luoghi  ov'era  stata  la  guerra.  Pose  colonie 
di  Germani  siiUe  terre  dell'Impero,  e  alcune  fece  stan- 
ziare anche  in  Italia  *.  È  detto  che  aveva  anche  in  animo 
di  ridurre  a  provincia  i  paesi  dei  Marcomanni  e  de'  Sar- 
mati, e  dalle  testimonianze  delle  epigrafi  è  certo  che  i 
paesi  dei  Daci,  tenuti  fmqui  sotto  il  governo  di  cittadini 
stati  pretori,  furono,  sotto  Marc' Aurelio,  affidati  a  con- 
solari, come  è  certo  che  la  Dacia,  per  l' avanti  distinta 
in  Superiore  e  Inferiore,  trovasi  ora  divisa  in  tre  parti  2. 
Intanto  più  gravi  necessità  lo  chiamavano  altrove. 

I  moti  scoppiati  nelle  Gallio,  nelle  Spagne  e  in  Egitto, 
furono  di  leggieri  composti  ^  :  ma  grave  pericolo  parve 
minacciarsi  dalla  sedizione   di  Avidio  Cassio  in  Oriente. 

Era  quel  fiero  vincitore  dei  Parti  da  noi  ricordato  di 
sopra.  Posto  a  regger  la  Siria  tenne  il  governo  dell'ampia 
regione  situata  tra  l'Eufrate  e  il  monte  Tauro,  e,  come 
apparisce  da  Ammiano  Marcellino,  compresa  dai  Romani 
nel  nome  generale  di  Oriente  Q'). 

Di  là  egli  corse  in  Egitto  a  comprimere  i  moti  dei 
Bucoli  ^  e  da  quella  potenza  inalzò  l'animo  al  grado  su- 
premo, di  cui  da  lungo  tempo  gli  era  venuto  il  pensiero 
senza  aver  bisogno  di  essere  istigato  da  Faustina,  come 
a  torto  ne  corse  la  voce  confutata  dai  documenti  che  ri- 

('')  Ammiano  Marcellino,  XIV,  8,  5.  Vedi  Borghesi  {Burbuleio,  in  Opere, 
IV,  160-161)  il  quale  notò  che  quantunque  Dione  (LXXI,  3)  dica  che 
Cassio  presedè  a  tutta  l'Asia,  non  si  può  intendere  di  tutti  i  possessi  ro- 
mani di  quella  parte  del  mondo,  perchè  nel  medesimo  tempo  Marzio  Vero 
reggeva  la  Cappadocia,  come  successore  di  Stazio  Prisco,  e  neppure  della 
provincia  detta  propriamente  Asia,  in  cui  si  vedono  vari  proconsoli. 

1  Capitolino,  21,  22,  24. 

2  Henzen,  in  Creili,  Inscr.,  n.  6917,  6919,  6920,  e  Antichità  della  Trantilvania.  in  Bai'.. 
Istit.  arch..  1848,  p.  163;  Noel  des  Vergers,  Essala  p.  126-132;  Corp.  Inscr.  lai.,  IH,  p.  15). 

3  Dione  Cassio,  LXXI,  4;  Capitolino,  21  e  22;  Vulcazio  Gallicano,  6. 

4  Dione  Cassio,  LXXI,  4;  Capitolino,  M.  Aurei. ^  21. 


746  AUDACI  DISEGNI  DI  AYIDIO  CASSIO.  [Lib.  VII. 

ferisce  il  biografo  dell'audace  ribelle  K  Lucio  Vero,  quando 
lo  ebbe  per  suo  legato,  si  accorse  di  questi  disegni,  e  di 
Siria  scrisse  i  suoi  sospetti  al  fratello,  chiedendo  che 
Cassio  fosse  guardato.  Fra  gli  altri  lamenti  scriveva: 
«  Ogni,  cosa  nostra  gli  spiace,  si  procaccia  aiuti  potenti, 
mette  in  ridicolo  il  nostro  amore  alle  lettere,  te  chiama 
vecchia  filosofessa,  me  lussurioso  bulfone.  Vedi  qual  par- 
tito sia  da  pigliare  per  togliere  te  e  i  tuoi  dal  pericolo, 
che  vi  ha  nel  tenere  a  capo  degU  eserciti  gente  siffatta, 
cui  i  soldati  portano  tanto  amore.  »  Marc' Aurelio  rispose 
con  singolare  tranquilhtà  ricordando,  che  niun  principe 
uccise  mai  il  suo  successore  ;  che  se  gli  Dei  avevano  de- 
stinato Cassio  all'Impero  non  sarebbe  possibile  torlo  di 
mezzo,  e  che  se  non  doveva  regnare  precipiterebbe  da 
se  stesso  senza  bisogno  di  usargli  crudeltà.  Disse,  non 
potersi  trattare  da  colpevole  un  uomo  da  nessuno  ac- 
cusato, e  caro  ai  soldati:  avvertendo  anche,  che  nelle 
cause  di  maestà  passano  per  vittime  quelli  stessi  di  cui 
è  meglio  provata  la  colpa,  e  che  misera,  come  diceva 
Adriano,  è  la  condizione  de'  principi,  che  niuno  crede 
mai  minacciati,  se  non  quando  sono  spenti.  Onde,  con- 
cludeva, lasciamo  in  pace  Cassio,  duce  buono,  sevèro  e 
forte  e  sì  necessario  allo  Stato.  Quanto  a'  miei  figli,  alla 
cui  sicurezza  vorresti  che  io  provvedessi  colla  morte  di 
lui,  periscano  essi,  se  Cassio  meriterà  di  essere  amato  di 
più,  e  se  tornerà  utile  alla  Repubblica,  che  egU  viva 
piuttosto  che  i  figli  di  Marc'Aurelio  ^. 

Quindi  Cassio  rimase  libero  a  ordire  sue  trame.  Dive- 
nuto chiaro  per  le  imprese  di  Armenia,  di  Arabia  e  di 
Egitto,  e  rimasto  al  governo  delle  legioni  d'Oriente,  ebbe 
modo  a  preparare  la  rivolta.  Per  meglio  riuscire  fece 
correr  voce  che  Marc'Aurelio  fosse  morto,  o  usò  a  suo 
profitto  di  un  grido  sparso  da  altri,  e  pose  tra  gli  Dei 

1  Vulcazio  Gallicano,  Cassio,  9-11.  Conf.  Capitolino,  M.  Aurei.,  21. 

2  Vulcazio  Gallicano,  Cassio,  1  e  2. 


Gap.  IV.]         CASSIO  GRIDATO  DIPERATORE  E  UCCISO.  747 

il  supposto  defunto,  e  in  Antiochia  fece  dai  soldati  gri' 
dare  imperatore  sé  stesso.  A  quel  grido  risposero  i  suoi 
partigiani  in  Egitto,  in  Cilicia,  in  Giudea:  fu  riconosciuto 
da  più  re  forestieri,  e  fece  subito  atti  da  imperatore,  e 
in  una  lettera  scritta  al  suo  genero  dichiarò  che  si  era 
posto  a  quell'impresa  per  rimettere  in  vigore  la  severa 
disciplina  degli  avi,  per  liberar  l'Impero  dalle  violenze 
dei  ricchi  e  degli  avidi  di  ricchezza:  e  riconoscendo  che 
Marc' Aurelio  era  un  ottimo  uomo,  lo  rimproverava  che 
per  ambizione  di  clemenza  lasciasse  viver  tali,  di  cui  egli 
stesso  condannava  la  vita;  gli  rinfacciava  di  star  filoso- 
fando e  discutendo  sulla  natura  dell'anima  e  sull'onesto 
e  sul  giusto,  quando  più  vi  era  bisogno  di  pensare  allo 
Stato,  e  infierire  coi  supplizii  contro  i  proconsoli,  intesi 
solo  ad  arricchirsi  e  a  godere  *. 

A  Roma  questa  novella  fece  spavento.  Dicevasi  che 
l'usurpatore  verrebbe  a  metter  tutto  a  saccheggio:  e  il 
Senato  confiscò  i  suoi  averi,  e  lo  pose  fuori  della  legge  2. 
In  Pannonia  Marc'Aurelio,  appena  conclusa  la  pace  coi 
barbari,  dette  tranquillamente  ai  soldati  le  notizie  di  Siria 
dicendo  che  gli  doleva  soltanto  di  esser  tratto  alla  guerra 
civile,  e  da  uomo  cui  aveva  dato  tante  prove  di  affetto, 
e  cui  cederebbe  di  buon  grado  anche  l'Impero  se  così 
piacesse  agli  Dei,  al  Senato,  ai  soldati  e  al  popolo.  Quindi, 
mandato  avanti  Pertinace  colle  prime  schiere,  mosse  egli 
stesso  a  quietare  la  rivolta,  conducendo  seco  la  moglie 
Faustina,  e  Commodo  e  gU  altri  figliuoli.  Ma  prima  di 
giungere  in  Siria  seppe  per  via,  che  Clodio  Albino  gover- 
natore in  Bitinia  aveva  arrestato  la  defezione  degli  eser- 
citi, e  che  Cassio  era  stato  ucciso  da  uno  dei  suoi  cen- 
turioni. Allora,  dolente  del  sangue  già  sparso,  e  dell'aver 
perduta  l'occasione  a  esser  clemente  al  nemico,  non  dette 

1  Dione  Cassio,  LXXI,  22  e  segg.  ;  Vulcazio  Gallicano,  Cassio^  1 1  ;  Capitolino,  M.  Awf ., 
21  e  25. 

^  Vulcazio  Gallicano,  Cassio,,  7. 


748  PERDONO  AI  COMPLICI.  [Lib.  VIL 

ascolto  alla  moglie  Faustina  che  lo  esortava  a  infierire, 
e  volse  ogni  opera  ad  impedire  che  fosse  incrudehto  con- 
tro i  complici.  Belle  e  umanissime  furono  le  parole,  con 
cui  scongiurava  il  Senato  a  cessare  da  ogni  vendetta,  a 
non  uccider  nessuno,  a  richiamare  i  banditi,  a  render  loro 
gli  averi,  a  salvare  e  assicurare  gli  innocenti  figliuoli  di 
Cassio  e  lasciar  loro  metà  dei  beni  paterni,  e  la  facoltà 
di  aspirare  ai  pubblici  onori.  E  fu  fatto  come  egli  chie- 
deva. Bruciate,  senza  aprirle,  le  lettere  rivelanti  i  fautori 
di  Cassio;  salvata  la  vita  ai  soldati,  che  più  erano  intinti 
nella  congiura;  perdonato  alle  città  e  alle  province  più  fa- 
vorevoli alla  sommossa:  e,  con  esempio  più  singolare  che 
raro  in  una  causa  di  ribellione,  perirono  solamente  i  por- 
tati via  dal  primo  tumulto:  e  i  tribunali  non  sparsero 
sangue  *. 

Dopo,  l'imperatore  attese  a  riordinare  da  se  stesso  le 
province  turbate,  trattò  coi  re  venutigli  incontro,  ebbe 
ambasciate  dai  Parti,  e  a  tutti  dette  sicurezza  di  pace  ^ 
Ricordevole  che  Cassio  governatore  di  Siria  suo  luogo  di 
origine  avea  potuto  di  là  mettere  l'Impero  a  pericolo, 
ordinò  per  legge  che  ninno  fosse  mai  posto  al  supremo 
governo  del  paese  natale  3.  Agli  Antiocheni  fautori  del 
ribelle  dapprima  si  mostrò  molto  irato,  e  gli  privò  di  loro 
assemblee  e  spettacoli,  ma  poscia  rese  loro  ogni  cosa  *. 
Si  porse  in  più  luoghi  benefico,  e  agli  Smirnei,  presso  i 
([uali  trattennesi  ad  ascoltare  il  sofista  Aristide,  liberal- 
mente fece  restaurare  la  città  rovinata  da  un  terremoto  ^. 

È  detto  che  in  Palestina  noiato  dei  Giudei  graveolenti, 
e  sempre  inclinati  ai  tumulti,  uscendo  dalla  sua  naturale 
mansuetudine  esclamò  che  essi  erano  peggio  dei  barbari  *. 


1  Capitolino,  M.  Aurei. ^  21,  25,  e  Albin...  fi-,  V.  Gallicano,  Cassio j  S-IS;  Dione  Cassio, 
l.XXI,22-2S. 

2  Capitolino,  M.  Aur.^  26. 

3  Dione  Cassio,  LXXI,  31. 

■t  Vulcazio  Gallicano,  Cassio.  0;  Capitolino,  M-.  Aurei.,  25. 
5  Dione  Cassio,  LXXI,  32;  l-'iljstrato,  Sofisti.  II,  0,  2. 
fi  Ammiano  Marcellino,  XXII,  5,  4. 


Gap.  IV.]  M.  AURELIO  QUIETA  L'ORIENTE,  E  TORNA  IN  TRIONFO.  749 

In  Egitto  perdonò  agli  Alessandrini  le  lodi  che  dettero 
a  Cassio:  e  le  genti  plaudirono  alla  clemenza  del  prin- 
cipe mostratosi  cittadino  e  lìlosofo  nelle  scuole,  nei  tem- 
pli, in  ogni  luogo  ("). 

Ordinato  l'Oriente  venne  ad  Atene,  ove  a  mostrare  la 
sua  innocenza  nei  fatti  passati  entrò  con  animo  sicuro 
nel  tempio  di  Cerere  vietato  a  chi  non  fosse  senza  mac- 
chia, e  si  fece  iniziare  ai  misteri.  Alla  città  dette  privi- 
legi ed  onori,  e  per  utile  di  tutte  le  genti  vi  pose  mae- 
stri di  ogni  dottrina  con  grossi  stipendi  *. 

Poi  s'imbarcò  pel  ritorno,  e  giunto  a  Brindisi  nell'au-  AnnidiRo- 
tunno  prese. la  toga,  e  la  fece  pigliare  ai  soldati,  non  g.''c.'i7g^' 
permettendo  mai  che  essi  portassero,  in  Italia,  il  saio 
(sagum)  di  guerra.  A  Roma  feste  e  trionfi  e  maravigliosi 
spettacoli,  e  larghe  distribuzioni  alle  milizie  e  al  popolo. 
Ogni  cittadino  ebbe  otto  monete  d'oro,  in  memoria  degli 
anni  che  era  durata  la  guerra.  Di  più  l'imperatore  con- 
donò tutti  i  debiti,  che  i  cittadini  e  i  sudditi  avevano 
coll'erario  e  col  fìsco.  Continuò  pure  nelle  riforme  civili, 
e  quindi  erano  lietissimi  tutti  ^.  Il  suo  ritorno  a  Roma, 
il  trionfo  e  i  sacrifìcii  davanti  al  tempio  di  Giove,  e  i 
suoi  fatti  in  Pannonia,  si  vedono  anche  oggi  figurati  in 
antiche  sculture  sul  Carhpidoglio :  come  dura  l'epigrafe, 
che  ricorda  la  gloria  immortale  acquistata  per  aver  di- 
strutte 0  sottomesse  le  genti  più  bellicose  del  mondo  3. 

Ma  presto  egli  dovè  di  nuovo  lasciar  la  città  rallegrata 
anche  da  feste  e  liberalità  per  le  nozze  di  Commodo  con 
Crispina  fìgha  di  Bruzio  Presente.  I  barbari  non  curanti 

(")  Capitolino,  M.  Aur. ,  25-26.  Il  nome  di  M.  Aurelio  si  legge  anche 
ora  con  quello  di  L.  Vero  sopra  alcuni  monumenti  Egiziani,  e  specialmente 
sul  cornicione  del  piccolo  tempio  di  Pbilae.  Rosellini,  Monum.  dell'Egitto 
e  della  Nubia,  voi.  II,  Monumenti  storici,  pag.  453-454. 

1  Dione  Cassio,  LXXI,  31  ;  Filostrato,  Sofisti,  II,  1,  12,  II,  2,  II,  10,  4,  II,  11,  1. 

2  Capitolino,  27;  Dione  Cassio,  LXXI,  32. 

3  Vedi  Creili,  861,  e  Nòel  des  Vergers,  Essai:,  pag.  142. 

Vannucci  —  Storia  dell'  Italia  antica  —  IV.  9t 


r50 


[LiB.  VII. 


Gap,  IV.l  NUOVA  GUERRA  AI  BARBARI  IN  RIVA  AL  DANUBIO.    751 


dei  legati  posti  contr'essi  tornavano  a  infuriare  e  a  mi- 
nacciare in  riva  al  Danubio,  e  bisognò  correre  in  fretta 
alle  armi.  L'imperatore  chiese,  con  modestia  civilissima 
e  nuova,  permissione  al  Senato  di  usare  per  la  guerra  la 
pecunia  dell'erario,   dicendo  che  essa,  come  ogni  altra 


annidi  Ro- 
ma 931.  di 
O.C.  178. 


Crispina  moglie  di  Coniinoilo  [Monge:,  Icon.   Rom.^  XLV,  n.  2). 


cosa,  era  del  pubblico,  non  del  principe,  e  che  perciò  non 
poteva  usarsi  senza  licenza  del  pubblico.  Poscia  vibrò 
l'asta  di  Marte,  prese  gli  augurii,  e  partì  insieme  con 
Commodo,  già  investito  della  potestà  tribunizia.  Ebbe  a 
sostenere  forti  travagli  dai  barbari,  ma  alla  line  li  ruppe 


752  MORTE  E  ONORI  DIVINI  DEL  MODELLO  DEI  PRINCIPI.  [Lib.  VII. 

di  nuovo  in  una  grande  battaglia,  dopo  la  quale  fu  ac- 
clamato imperatore  per  la  decima  volta,  e  avrebbe  ridotto 
a  provincia  il  paese  nemico,  se  la  morte  non  sopravve- 
niva a  troncargli  ogni  disegno.  Vinto  dalie  fatiche  cadde 
infermo  a  Vindobona  {Vienna)  o  a  Sirmio,  e  in  breve 
morì  di  inedia,  o  di  peste,  o  di  veleno  ministratogli,  se- 
condo Dione,  dai  medici,  intenti  a  far  piacere  all'iniquo 
figliuolo  che  egli  avea  raccomandato  ai  soldati  e  agli 
amici'.  Prima  di  spirare  raccomandò  a  questo  di  provve- 
dere all'Impero,  e  al  paterno  e  al  proprio  onore,  com- 
AnnidiRo- pi^i^do  la  gucrra.  Fini  all'età  di  01  anno,  dopo  18  di  re- 
G.^afs'o!'' giio  S  coha  calma  che  aveva  avuta  sempre  nell'animo, 
colla  gloria  di  pacificatore  del  mondo,  e  di  imperatore 
maggiore  di  tutti  gli  imperatori  più  grandi  ("):  pianto 
dai  soldati,  dal  Senato  e  dal  popolo,  che  lo  avevano 
amato  come  padre  e  fratello  e  figliuolo,  e  concordemente 
lo  dichiararono  Dio  con  tempio  e  sacerdoti  2,  e  gli  posero 
una  statua  d'oro  nella  curia.  Fu  tenuto  come  sacrilegio 
il  non  averne  in  casa  l'imagine;  e  i  suoi  ritratti,  come 
quelli  del  Pio,  vedevansi  anche  su  tutte  le  tavole  dei 
cambiatori,  in  ogni  bottega,  a  ogni  finestra,  dipinti  0 
grossolanamente  modellati  in  argilla  e  scolpiti  ^'.  e  questo 
culto  durava  anche  un  secolo  dopo,  e  le  statue  di  Marco 
Aurelio  si  vedevano  tra  quelle  dei  Penati  e  dei  Numi  *. 
Ond'  è,  che  anche  oggi  molti  sono  i  ritratti  che  si  hanno 
di  lui. 
Per  le  terre  d'itaha  e  delle  province,  oltre  alle  tante 

(^)  Pacatori  orbis.  Orelli,  359.  —  Qìiod  omnes  omnium  ante  se  maxi- 
mor.  \mpii.  glorias  siipergressus  bellicosiss.  yentib.  dcletis  atque  subactis 
S.  P.  Q.  H.  Orelli,  861. 

1  Capitolino,  27  e  28;  Dione  Cassio,  LXXI,  33  e  31;  Erodiano,  lib.  I,  3. 

2  Capitolino  M.  Aureli  18;  Aurelio  Vittore,  Epit  ^  16;  Brunn,  Tempio  creduto  di  M. 
Aurelio  rappresentato  in  un  bassorilievo  di  Villa  Medici^  in  Annal.  Istit.  arch.^  1852, 
p.  333-315,  e  Monim.  ined.  Istit. ^  V,  40.  Conf.  Cavedoni,  in  Bull.  Istit.  arch..,  1853,  p.  141. 

3  Frontone,  ed.  Mai,  pag.  111. 

*  Capitolino,  18,  19,  27,  23;  Dione  Cassio,  LXXI,  31  e  31. 


Gap.  IV.]  M  0  N  U  ^I E  N  T  1 .  753 

iscrizioni  che  gli  augurarono  salute  appena  entrato  a 
parte  dei  pubblici  affari  ricordandolo  dapprima  col  padre 
e  poi  col  fratello  adottivo,  sopravvivono  ancora  molte 
memorie  delle  particolari  opere  sue,  e  piii  monumenti 
posti  in  ogni  regione  da  città,  da  cittadini  e  soldati  a 
onore  del  guerriero,  e  del  principe  beneficatore  ^,  e  pari 
a  Giove  nel  consiglio  e  nel  volto  ^. 

Solenne  monumento  delle  sue  imprese  guerresche 
sorge  sempre  a  Roma  la  Colonna  Antonina,  di  marmo 
lunense,  inalzata  a  ricordare  le  pugne  e  le  vittorie  sui 
barbari  nordici,  figurate  nei  bassiriUevi  che  la  rivestono 
dalla  base  alla  cima,  inferiori  sotto  il  rispetto  dell'  arte 
alle  sculture  della  Colonna  Traiana,  ma  importanti  come 
documento  di  quelle  guerre  oscurissime  ("). 

E  finalmente  stupendo  monumento  sopravvissuto  alla 
guerra  del  tempo  e  degli  uomini  dura  anche  oggi  sulla 
Piazza  Capitolina  la  grande  statua  equestre  di  Marco 
AureUo,  portento  dell'antica  arte  fusoria,  a  cui  Miche- 
langiolo  disse  che  manca  solo  il  movimento  per  appa- 
rire creazione  vivente. 

Gli  scrittori  sono  concordi  nel  celebrare  quest'uomo, 
che  prima  d'  ogni  altro  fece  una  divinità  della  Benefi- 
cenza, inalzandole  un  tempio  sul  Campidoglio  •'',  e  le  rese 
culto  vero  mostrandosi  benefico  in  ogni  occasione.  Fu 
y^  lodato  comiO  il  migliore  degli  imperanti,  buono  per  in- 

{"■)  I  bassirilievi  furono  incisi  dal  Bartoli  in  75  tavole.  Vedi  Columna 
Antoniniana  31.  Aurelii  Antonini  Augusti  rebus  gcstis  insignis  Ger- 
■manis  simul  et  Sarmalis  gemino  hello  devictis,  etc.  Vedi  anche  Nibby, 
Roma  antica,  II,  635-641,  e  Canina,  Edifici,  voi.  Ili,  p.  127-128,  e  IV, 
tav.  260. 

1  Vedi  Mommsen,  Inscript.  Regn.  Neap.  index  a  pag.  469,  e  Corp.  Inscript.  latin. ^ 
III,  pag.  1112-,  Ilùbner,  Inscript.  Hispan.  lat.,  p.  764,  e  Inscr.  Britan.  lat..  p.  333;  Re- 
nier,  Inscript.  de  l'Algerie,  n.  2S,  33,  34,  33,  89,  1414,  1415,  1417,  1419,  1193,  1494,  1595, 
1633,  1717,  1719,  1725,  2527-2529,  2917,  2921,  3662,  3823,  4072,  4391,  4393,  4396,  4397. 

2  E.  Q.  Visconti,  Iscrizioni  greche  Triopee.  II,  20,  pag-.  32. 

3  Dione  Cassio,  LXXl,  34. 


ro4 


LiB.  VII. 


Statua  eqnestre  di  ,M.  Aurelio  {Da  Folojrafia). 


Gap.  IV.]  STUDII  DI  ^I.  AURELIO.  755 

dole,  ■virtuoso  per  sentimento,  saviamente  temperato, 
superiore  a  tutti  i  principi  per  la  santità  dei  costumi; 
d'animo  forte,  costante,  imperturbabile:  non  fu  visto 
mai  mutar  sembiante  né  per  timore  né  per  letizia.  Guer- 
riero forte  e  destro  stette  come  antemurale  alle  pubbliche 
calamità,  e  impedì  che  l'Impero  andasse  a  fondo  con  ro- 
vinosa caduta.  Esercitò  il  supremo  potere  con  modesta 
sapienza,  schietto,  cortese,  generoso,  temperatissimo, 
come  magistrato  di  città  libera.  Fu  caro  a  tutti  per  gU 
allettamenti  dei  suoi  modi,  del  suo  aspetto,  della  sua 
voce,  del  suo  ingegno,  della  sua  eloquenza.  Solo  tra  i 
principi  onorò  egli  veramente  la  filosofia,  non  colle  pa- 
role e  colla  sterile  cognizione  delle  dottrine,  ma  colla 
dignità  dei  costumi  e  colla  bontà  della  vita  K 

Da  giovane,  come  vedemmo,  era  stato  amantissimo 
delle  eleganze,  e,  se  crediamo  al  suo  maestro  Frontone, 
a  22  anni  aveva  fatto  progressi  maravigliosi  in  ogni  sorta 
di  eloquenza,  intentissimo  a  studiare  gli  oratori  e  i  poeti 
antichi,  a  vestire  i  pensieri  con  arte,  con  chiarezza,  con 
precisione,  a  cercar  comparazioni  ed  imagini,  a  racco- 
glier sinonimi,  a  studiare  l'antico,  perclié  il  maestro  gli 
ripeteva  che  le  monete  nuove  spesso  sono  false  o  di 
piombo:  e  poscia  anche  tra  le  cure  di  Stato  trovava  il 
tempo  da  pensare  allo  stile  -.  Ma  presto  abbandonò  l'elo- 
quenza per  seguire  i  virili  studi  degli  stoici,  e  a  25  anni 
era  tutto  nelle  opere  di  Aristone,  da  cui  rallegravasi  di 
imparar  la  virtù,  ma  nel  vedersi  ancora  sì  lungi  dai 
virtuosi  modelli  arrossiva  e  s'indignava,  e  colla  privazione 
del  cibo  punivasi  di  non  essersi  ancora  bene  imbevuto 
di  quelle  pure  massime  e  di  quei  grandi  pensieri  ^.  A 
Roma,  in  mezzo  alle  faccende  politiche,  nei  viaggi,  tra 
i  pericoli  di  guerre  atrocissime,  egli  trovò  sempre  modo 

1  Krodiano,  lib.  T,  1;  Capitolino,  12;  Ai;r.4io  Vittore,  Epi(.^  16. 

■-'  Frontone,  ed    Cassan,  I,  110,  US,  171,  1S8,  SOI,  IL  16,  GÌ,  1C4,  13.',  I3>'. 

3  Frontone,  I,  2GS. 


756  FILOSOFIA  MORALE  E  CIVILE.  [Lib.  YIL 

a  speculare  le  verità  filosofiche,  e  filosofò  tutta  la  vita. 
In  procinto  di  partire  per  la  guerra  dei  Marcomanni, 
mentre  tutti  temevano  pericoli  da  quell'andata,  egli  per 
tre  giorni  di  seguito  disputò  tranquillamente  di  filosofia, 
ed  espose  al  pubblico  i  suoi  pensamenti  *.  E  nella  villa 
Albani  rimane  ancora  un  bassorilievo,  che  mostra  l'im- 
peratore nell'atto  di  indirizzare  al  popolo  le  sue  lezioni 
di  morale  ^. 

Nei  suoi  Ricordi  si  legge  che  alcuni  furono  scritti  in 
Carnunto  ('')  e  altri  in  mezzo  alle  guerre  dei  Quadi.  E  in 
questo  libro  è  intera  l'imagine  del  suo  animo  (''). 

Egli  seguita  le  massime  fondamentali  della  sapienza 
del  Portico,  e  i  suoi  precetti  rassomigliano  in  tutto  a 
quelli  di  Epitteto;  ma  questo  stoicismo  è  temperato  da 
una  nuova  dolcezza,  e  da  un  nuovo  amore  per  l'umanità. 

e*)  Caniunto,  (oggi  Petronell)  dapprima  colonia  e  poi  municipio  in 
Pannonia,  come  attesta  un'epigrafe,  fu  città  illustre  e  forte ,  sede  d' im- 
peratori e  quartiere  d"  inverno  a  due  legioni.  Della  sua  prisca  grandezza 
attestano  gli  scrittori,  e  gli  avanzi  di  un  arco  che  esiste  tuttora.  Fra  i 
suoi  ruderi  si  trovarono  molte  epigrafi,  una  delle  quali  ricorda  Diocle- 
ziano e  Massimiano,  coi  Cesari  Costanzo  e  Galerio.  Vedi  Labus,  Ara  an- 
tica scoperta  in  Hainburgo,  INIilano  1820,  e  Borghesi,  in  Giorn.  Arcad., 
voi.  VII,  pag.  378,  e  segg. 

(*)  In  un  nuovo  lavoro  furono  aon  ha  guari  esaminate  nuovamente  e 
coordinate  le  dottrine  metafisiche  e  morali  di  Marco  Aurelio,  e  vi  è 
mostrato  come  ad  esse  l'imperatore  informò  la  sua  vita,  studiandosi 
sempre  di  applicare  le  verità  filosofiche  al  bene  del  genere  umano.  Vedi 
E.  De  Suckau,  Elude  sur  Marc- Aur èie,  sa  vie  e  sa  doclrine,  Paris  1860. 
Sull'influenza  che  le  dottrine  filosofiche  ebbero  sulla  vita  e  sull'ammini- 
strazione del  principe  vedi  Robiou,  De  V influence  du  stoicisme  à  V epoque 
dcs  Flaviens  et  des  Antonins,  Rennes  1852,  pag.  228,  e  segg.  Egli  qual- 
che volta  mette  a  riscontro  M.  Aurelio  con  Seneca:  ma  il  confronto  delle 
dottrine  morali  dell'uno  e  dell'altro  fu  fatto  più  largamente  da  Arminio 
Doergens,  L.  Annaei  Senecae  disciplinae  moralis  cum  Anioniana  con- 
tentio  et  comparatio,  Lipsiae  1857. 

1  Vulcazio  Gallicano,  Cassio^  3. 

2  Ampère,  L'emjnre  romain  à  liome^  II,  p.  2U. 


Gap.  IV.]  FILOSOFIA  MORALE  E  CIVILE.  757 

Con  gii  Stoici  cerca  la  rettitudine  assoluta,  l'indipendenza 
da  ogni  cosa  esteriore,  dalla  stima  degli  uomini  e  da 
ogni  vanità  della  vita.  Continuamente  avverte,  che  si 
vuol  cercare  il  riposo  e  la  felicità  nel  conoscer  sé  stesso, 
nel  coltivar  degnamente  e  conservar  puro  e  render  per- 
fetto il  proprio  genio;  nel  conformarsi  all'ordine  univer- 
sale, nell'andare  per  la  via  più  corta,  che  è  quella  se- 
condo-natura, nel  non  deviare  per  altrui  dicerie,  nello 
star  fermo  come  scoglio  battuto  dai  flutti,  nel  non  es- 
sere angosciato  del  presente,  né  pauroso  dell'avvenire, 
e  finalmente  nel  dispregiare  la  morte  *.'La  filosofia  pone 
in  cima  a  tutti  gli  studi,  perché  essa  vuole  solamente 
ciò  che  vuole  la  natura  2,  e  custodisce  il  genio  interno 
così  che  egli  non  riceva  né  onta,  né  danno,  e  sia  supe- 
riore al  piacere  e  alla  pena,  e  non  operi  nulla  a  caso 
né  infintamente,  né  abbia  bisogno  mai  che  altri  faccia 
0  non  faccia  checchessia,  e  accetti  ogni  avvenimento  a 
lui  destinato,  siccome  cosa  che  gii  viene  di  colà  d'onde 
viene  egli  stesso:  e  soprattutto  poi  aspetti  serenamente 
la  morte,  siccome  nulla  più  che  dissoluzione  degli  ele- 
menti, di  cui  ogni  animale  è  composto,  e  non  come  un 
male,  perchè  non  è  male  nulla  che  sia  secondo  natura  3. 
Ma  sebbene  stimi  che  l'anima  si  debbo  concentrare  in 
sé  stessa,  il  sentimento  religioso  e  il  dovere  di  uomo  e 
di  cittadino  lo  portano  ad  abbracciare  il  mondo  esteriore, 
e  ad  inculcare  che  tutto  vuol  farsi  ad  un  fine,  che  è 
sempre  Dio  e  l'osservanza  delle  sue  leggi  e  il  bene  co- 
mune di  tutta  l'umanità.  11  culto  che  vuole  per  gli  Dei 
è  il  culto  della  virtù,  il  cui  sacerdozio  é  confidato  ^  ogni 
uomo  dabbene*.  Pensiero  principale  dell'uomo  sia  di 
aver  l'anima  giusta,  di  dire  il  vero  e  di  far  bene  altrui. 


1   Ricordi.  II,  9,  17,  III,  16,  IV,  3,  IS,    19,  VII,  59,  Vllf 
-  Ricordi.  V,  9. 
■■''  Ricordi^  lì,  17. 
<  Ricordi.  III,  4. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV. 


758  FILOSOFIA  MORALE  E  CIVILE.  [Lib.  VII. 

perchè  questa  è  la  cosa  per  cui  siamo  venuti  nel  mondo  *. 
Altrove  egli  dice  a  sé  stesso  :  Non  pensare  ai  fatti  altrui, 
se  non  con  un  fine  di  comune  utilità:  fuggi  ogni  pen- 
siero vano,  curioso  e  maligno,  e  non  conveniente  ad 
animale  socievole,  il  quale  non  si  compiace  nelle  imma- 
ginazioni di  godimento,  qual  eh'  ei  sia,  o  di  gara  o  d'in- 
vidia 0  di  sospetto.  Non  operar  mai  senza  relazione  al 
bene  della  società;  non  far  nulla  d'ingiusto  «e  di  antiso- 
cievole 2;  prendi  piacere,  e  ti  sodisfa  nel  passare  dall'una 
azione  sociale  all'altra,  nell' esser  buono  verso  di  tutti. 
Breve  è  la  vita,  e  l'unico  frutto  di  essa  è  la  santa  dispo- 
sizione dell'anima  e  le  opere  indirizzate  al  comun  bene, 
colle  quali  giovando  alla  società  gioverai  a  te  stesso. 
Obbedisci  a  Dio,  e  ama  e  benefica  gli  uomini  ^. 

Come  imperatore,  sebbene  abbia  l'idea  di  un  reggi- 
mento che  salvi  la  libertà  e  i  diritti  di  tutti,  avverte  se 
stesso  a  non  isperare  la  Repubblica;  di  Platone,  e  a  con- 
tentarsi ad  ogni  poco  di  progresso,  pensando  che  anche 
il  ridurre  questo  ad  eìTetto  non  è  piccola  cosa.  E  dispera 
di  mutare  le  opinioni  degli  uomini,  senza  di  che  non  è 
possibile  di  avere  se  non  schiavi,  che  gemono  e  s'infìn- 
gono d'obbedire  ^.  Dall'altra  parte,  sebbene  con  Platone 
ripetesse  che  le  città  fioriscono  quando  i  filosofi  regnano 
o  i  re  sono  filosofi  ^,  nei  Bicordi  pare  diffidi  della  propria 
filosofia,  e  nel  torrente  che  trae  seco  ogni  cosa  gli  ap- 
pariscono molto  piccoli  questi  uomini,  che  al  parer  loro, 
maneggiano  secondo  filosofia  gli  affari  di  Stato  ^.  Pure 
tutti  i  suoi  sforzi  sono  sempre  rivolti  a  far  quello  the  la 
ragione,  dell'arte  regia  e  legislativa  gli  suggerisce  per 
l'utilità  degli  uomini,  ed  è  pronto  a  mutar  partito,  quando 

•  Ricordi,  V,  1. 

2  Ricordi.  IH,  1,  5  e  7. 

3  Ricordi.  VI,  7  e  30,  VII,  31,  XI,  i  e  21. 

4  Ricordi.  IX,  29. 

5  Capitolino,  M.  Aurei,  27.  v 
e  Ricordi.  IX,  29. 


Gap.  IV.]  FILOSOFIA  MORALE  E  CIVILE.  759 

altri  venga  a  raddrizzarlo  e  a  rimuoverlo  da  ima  qualche 
falsa  opinione,  e  si  ammonisce  a  far  ciò  per  motivo  di 
giustizia  e  di  vantaggio  comune,  non  per  ragioni  parti- 
colari di  piaceri  o  di  gloria  *.  E  ad  ogni  istante  torna  a 
raccomandare  a  sé  stesso  la  giustizia,  la  temperanza,  la 
benevolenza,  la  schiettezza,  la  verità:  e  nulla  di  meglio 
reputa  nella  vita  che  la  giustizia,  è  l'operare  secondo  la 
retta  ragione,  e  il  fare  ogni  cosa  non  altrimenti,  che  se 
fosse  fatta  dalla  Giustizia  in  persona  ^.  Non  tiene  come 
utile  nulla,  che  possa  un  dì  sforzarlo  a  violar  la  fede,  a 
odiare  alcuno,  a  sospettare,  a  maledire,  a  simulare,  a 
desiderar  cosa  che  abbia  bisogno  di  pareti  e  di  velame  ^. 
Non  vuole  esser  né  tiranno,  nò  servo:  ammonisce  se 
stesso  a  non  essere  né  eroe  da  tragedia,  né  putta,  a  non 
cadere  nei  vizi  dei  Cesari,  a  non  imbrattarsi  in  corte,  e 
a  ricordarsi  sempre,  che  utile  suo  é  ciò  che  giova  a  Roma 
e  al  mondo  ^  E  ripone  la  prudenza  nell'operare  con  giu- 
stizia, e  la  buona  ventura  nei  buoni  moti  dell'animo, 
nelle  buone  volontà,  nelle  buone  azioni,  e  crede  che  bea- 
titudine voglia  dir  mente  buona  ^:  e  l'uomo  che  non  in- 
dugia a  porre  sé  nel  novero  degli  ottimi,  gli  apparisce 
come  un  sacerdote  e  ministro  degli  Dei,  che  «  diventa 
incontaminabile  ad  ogni  piacere,  invulnerabile  ad  ogni 
dolore,  inviolabile  ad  ogni  ingiuria,  insensibile  ad  ogni 
malizia,  sostenitore  in  campo  della  massima  delle  im- 
prese, quella  che  ha  per  fine  di  non  lasciarsi  abbattere 
da  nessuna  passione,  di  imbeversi  di  giustizia  sino  al 
fondò,  e  di  essere  sempre  disposto  ad  accogliere  con 
tutta  l'anima  quanto  accade  e  gli  vien  destinato  ^.  » 
Da  ultimo  egli  chiede  che  l'anima  sua,  fatta  buona  e 

1  Ricordi.  IV,  12 

2  Ricordi,  III,  6,  IV,  37,  XII,  21. 

3  Ricordi.  Ili,  7. 

i  Ricordi.  IV,  31,  V,  IG,  VI,  30  e  H 
■'  Ricordi.  IV,  37,  V,  36,   VII,  17. 
6  Ricordi.  Ili,  4 


760  FILOSOFIA.  MORALE  E  CIVILE.  [Lib.  VII. 

schietta,  gusti  quello  stato  che  è  tutto  dilezione  e  amore  *. 
E  in  alcuni  dei  Ricordi  altri  senti  spirare  una  dolce  aura 
di  pensieri  cristiani,  perchè,  oltre  ad  inculcare  l'amore 
disinteressato  del  prossimo  2,  predica  il  perdono  delle 
offese,  e  anche  la  benevolenza  e  la  beneficenza  agli  of- 
fensori, agli  ingiusti,  che  ci  sono  congiunti  per  comu- 
nanza di  mente,  derivata  in  noi  tutti  da  Dio  ^,  e  che  pec- 
cano malgrado  loro,  non  sapendo  quel  che  si  facciano  ("). 
'  Insomma  l'amore  del  vero  e  del  giusto,  l'indulgenza, 
la  dolcezza  e  la  bontà  splendono  in  tutta  la  filosofia  di 
Marco  Aurelio,  come  furono  le  guide  costanti  ai  pensieri 
e  alle  opere  di  tutta  la  sua  vita.  Pure,  mentre  cercava 
ardentemente  la  verità  e  la  giustizia,  nel  Cristianesimo 
non  vide  altro  che  una  lotta  ostinata  di  una  fazione  co- 

(«)  Ricordi,  XI.  18.  Conf.  S.  Luca,  Ecangel.  XXIII.  34:  Pater  dimitle 
illis:  non  cnim  sciunt  quid  faciunt.  Dal  coufrouto  di  qualche  passo  delle 
«dottrine  stoiche  e  cristiane  fu  da  più  d"uno  concluso  che  il  Cristianesimo 
a  questi  tempi  modificò  e  mitigò  lo  stoicismo,  ed  ebbe  grande  influenza 
negli  scritti  di  Seneca ,  di  Epitteto  e  di  Marco  Aurelio.  Vedi  Schmidt . 
Essai  historique  sur  la  société  civile  dans  le  monde  romain  et  sur  sa 
iransforniation  por  le  Christianisme,  Strasbourg  1853,  pag.  355,  e  segg.  : 
Fleui-y.  Saint  Paul  et  Scnèque,  Recherches  sur  les  rapports  du  philosophe 
atee  l'apótre,  et  sur  Vinfllration  du  Christianisme  naissant  à  travers 
le  paganisme ,  Paris  1853;  Robiou,  loc.  cit.,  pag.  145  e  203;  Nòel  des 
Vergers,  Essai  sur  Marc-Aurèle  d'après  les  moniiments  cpigraphiques, 
Paris  1860,  pag.  147,  e  segg.  Ma  non  è  troppo  probabile  che  il  Cristia- 
nesimo nuovo  ed  ignoto  potesse  in  pochi  anni  mutare  le  sentenze  d^i 
filosofi:  e  la  nuova  dolcezza  dello  stoicismo  meglio  si  spiega  dal  fatto, 
che  la  disciplina  della  setta  in  parte  era  mite,  in  parte  severa:  e  se  gli 
stoici  antichi  seguirono  le  dottrine  più  dure,  i  recenti  si  attennero  a 
quelle  più  umane,  per  non  rimaner  soli  col  pretendere  dagli  uomini  ciò 
che  non  era  possibile.  Vedi  Koenigsbeck,  De  stoicismo  Marci  Antonini, 
Kegimonti  Prussorum,  18G1  .  pag.  8,  e  segg.  Lo  stoicismo  screditato  da 
altri,  si  può  vedere  nobilmente  e  dottamente  difeso  dal  Denis ,  Histoire 
des  thèorics  et  des  idées  mor"Je^-  'Jt,ìs^  l'nnti'iuitr,  Pai-i<  l^.'O. 

1  Ricordi.  X,  1. 

2  Ricordi,  Vir,  13,  XI,  1. 

3  Ricordi,  II,  1,  Vii,  23,  XII,  23. 


Gap.  IV.]  MARCO  AURELIO  E  FAUSTINA.  761 

spirante  a  rovesciare  lo  Stato:  e,  quantunque  egli  abor- 
risse dal  sangue,  molti  Cristiani  furono  per  loro  credenze 
uccisi  dai  suoi  ministri  nelle  Gallio  e  nell'Asia  '. 

Quantunque,  come  dicemmo,  gii  scrittori  andassero 
unanimi  nel  celebrare  la  schietta  e  sovrana  virtù  del  fi- 
losofo, dell'uomo  e  del  principe  mandato  a  ristoro  del 
mondo  colpito  da  crudeli  flagelli  ^,  non  mancò  chi  ac- 
cennasse come  la  sua  bontà  qualche  volta  degenerò  in 
debolezza  colla  promozione  di  gente  non  buona  al  go- 
verno dei  pubblici  affari,  e  col  suo  contegno  verso  la 
moglie  e  il  figliuolo  destinato  a  succedergli. 

Di  Faustina  bella  d'aspetto,  come  anche  ora  si  vede 
dai  busti,  dalle  statue  e  dalle  medagUe,  e  non  degenere 
dai  costumi  materni,  fu  detto  che  davasi  a  gladiatori,  a 
marinari  e  a  commedianti,  e  che  induceva  il  marito  a 
inalzare  i  suoi  drudi  ai  pubblici  ufficii.  Gli  scandali  noti 
alla  città  e  presi  di  mira  anche  in  teatro  con  chiare  al- 
lusioni sono ,  con  poche  varianze  di  particolarità  e  di 
dubbi,  ricordati  concordemente  dagli  storici  quasi  con- 
temporanei, e  dai  biografi,  dagli  abbreviatori,  e  dai  sa- 
tirici che  scrissero  dopo  fino  al  secolo  quarto  ^:  e  la 
critica  storica  non  riesce  ora  a  mutare  sostanzialmente 
il  giudizio  venuto  dall'antichità  fino  a  noi  (''). 

(^)  Vedi  Renan,  E.ramen  di:  qiiclqnes  faits  relntifs  à  l'impératrice 
Faustine,  femme  de  Marc-Aurèle,  in  'Comptes  rendiis  de  V Acadcmie  des 
Inscri20tions,   18G7,  pag.  203-215. 

Eg'li  col  suo  solito  ai'ume  esamina  tutte  le  accuse,  discute  l'autorità 
degli  accusatori,  ricerca  le  ragioni  da  cui  furono  mossi,  nota  le  asser- 
zioni assolute  di  alcuni,  e  i  dubbi  e  ]o  esitazioni  di  altri,  e  tenta  di  di- 
fendere la  bella  Faustina  contro  gli  austeri  filosofi  cari  al  marito  «  non 
amati  da  lei  ardente  di  temperamento,  e  vaga  di  passatempi  e  di  feste. 
Da  tutta  questa  discussione  è  confermato  soltanto  che  essa  non  avvelenò  • 

1  Orosio,  VII,  15;  Eusebio,  Chron. 

2  Aurelio  Vittore,  De  Caesaribus,  Ifi. 

3  Dione  Cassio,  LXXI,  31;  Mario  Massimo,  in  Vulcazio  rrallicaao,  CassiOj  9;  Capito- 
Jino,  M.  Aurelio^  10,  23  e  29;  Lanipridio,  C'ommodo,  S;  Eutropio,  Vili,  7;  Aurelio  Vit- 
tore, De  Caesarib.^  IG;  Giuliano,  /  Cesari,  14. 


762 


MARCO  AURELIO  E  FAUSTINA. 


[  LiB.  VII. 


Il  venerato  imperatore,  l'onesto  ricercatore  del  vero, 


Faustina  moglie  di  M.  Aurelio  {MongeZj  Icon.  Rom.^  tav.  LXII.  n.  2). 

il  filosofissimo  *  che  vivea  più  colle  idee  che  cogli  uomini, 


Lucio  Vero  suo  genero,  e  non  fu  complice  della  rivolta  di  Cassio:  ma 
per  ciò  che  spetta  ai  disordini  coniugali  non  avvi  modo  a  provare  che 
siano  false  tutte  le  accuse.  E  anche  l'eloquente  autore  della  difesa  con- 
fessa che  Faustina  ebbe  dei  torti  esagerati  per  amore  di  parte  dagli  scrit- 
tori; e  notando  che  gli  altri  pure  ebbero  dei  torti  con  lei  conclude  che 
in  questo  caso  le  devoir  de  la  critique  est,  non  2jCis  de  prononccr  des 
nbsoluiions  inconsidérres,  mais  de  se  renfenner  dans  ces  jugements 
tempere s  de  «  pezit-ctre  »  où  rèside  bien  sotivent  la  vcrité. 

1  Giustiniano,  Cod.^  V,  17,  12. 


Gap.  IV.]  MARCO  AURELIO  E  FAUSTINA.  763 

dissimulò  0  ignorò  ciò  che  sapevano  tutti,  come  in  simili 
casi  accadde  tante  volte  ai  mariti?  La  dissimulazione  non 
sembra  ammissibile  coli' uomo  che  mentre  per  indole  e 
per  massima  filosofica  sempre  mostravasi  pronto  all'in- 
dulgenza per  le  debolezze  e  pei  fatti  altrui  *,  era  pure 
per  indole  la  schiettezza  in  persona,  e  per  essa,  come 
vedemmo,  fu  chiamato  Verissimo  :  e  più  verisimile  è  che 
il  correttore  dei  corrotti  costumi  delle  matrone  e  dei 
giovani  nobili  -,  ignorasse  le  vergogne  domestiche  (''). 

Comunque  sia,  egli  immerso  negli  studi  della  filosofia, 
e  nelle  gravi  cure  di  Stato  trovava  dolce  riposo  nella 
concordia  domestica,  e  la  mogli.e  amò  sempre  tenerissi- 
mamente (^),  credè  sempre  di  essere  amato  da  lei,  e  nel 
suo  libro  maraviglioso  di  verità,  di  onestà  e  di  schiet- 
tezza rese  grazie  agli  Dei  per  avergli  dato  si  docile  e 
affettuosa  e  semplice  donna  ^.  E  quando  l' ebbe  perduta 
nel  viaggio  d'Oriente,  la  pianse  con  molta  amarezza,  le 
eresse  un  tempio  alle  falde  del  Tauro  dove  era  morta, 
pose  una  colonia  nel  luogo  stesso  che  d'ora  in  poi  si 
chiamò  Faustinopoli  ;  istituì  altri  soccorsi  per  le  figlie  dei 
poveri,  chiamate  Nuove  Faustiniane  in  onore  di  essa:  e 
ne  scrisse  le  lodi  al  Senato  chiedendogli  onori  e  tempio 
per  lei.  Il  Senato  decretò  subito  onori  divini:  le  eresse 

C^)  A  ciò  contrasta  la  risposta  attribuitagli  quando  altri  lo  eccitavano 

ripudiare  la  indegna  consorte.  Egli  avrebbe  detto:  rimandando  la  mo- 

:glie,  bisogna  renderne  anche  la  dote,  cioè  Tlmpero:  Si  uxorem  dimitti- 

ìmuSj  readamus  et  dolem  (Capitolino,  19).  Ma  questo  motto  non  concorda 

col  suo  animo  disinteressato,  generoso,  integerrimo,  e  non  risponde  alla 

verità  storica,  perchè  Faustina  non  gli  portò  in  dote  l'Impero  a  cui  già 

lo  avea  designato  Adriano  coU'obbligare  Antonino  ad  adottarlo  per  figlio. 

(^)  Vedine  più  testimonianze  in  Frontone,  Epist.,  ed.  Mai,  Romae  1823, 

pag.  121.  125,  133,  135.  136,  141,  e  nelle  lettere  di  Marco  e  di  Faustina. 

in  Vuleazio  Gallicano,   Cassio,  9-11. 

i  Dione  Cassio,  LXXI,  31;  M.  Aurelio,  Ricordi,  IX,  12,  XI,  IS,  XII,  16,  ecc.,  ecc. 

2  Capitolino,  M.  Aurei,  23. 

3  Ricordi,  I,  17. 


764  MARCO  AURELIO  E  FAUSTINA.  [Lib.  VII. 

un'  ara  a  cui  dovessero  sacrificare  le  vergini  quando  si 
facevano  spose;  pose  a  lei  e  a  Marco  statue  d'argento 
nel  tempio  di  Venere  e  Roma  :  di  più  una  statua  d' oro 
a  Faustina  da  mettersi  nel  luogo  ove  ella  già  stava 
assisa  in  teatro,  tutte  le  volte  che  l'imperatore  inter- 
venisse allo  spettacolo,  con  ordine  che  intorno  a  quella 
imagine  sedessero  le  matrone  più  illustri  *.  E  quindi  la 
donna  che  gli  storici  dissero  d'infami  costumi,  nei  monu- 
menti officiali  diventò  venerabile  Dea.  Le  iscrizioni  la  ce- 
lebrarono Diva  (''):  e  nelle  medaglie  in  cui  ella  già  stava 
Augusta  colla  Pudicizia,  colla  Concordia,  colla  Letizia, 
colla  Fortuna  Muliebre,  coji  Giunone,  con  Venere  Genitrice 
e'Vittrice,  e  con  Cerere,  ora  sta  i)«ya  con  Venere,  colla 
Pietà,  coir  Eternità  e  con  Diana  Lucifera  che  la  porta  ne- 
gli astri  ^,  in  modo  simile  a  quello  che  vedesi  in  una  bella 
scultura  del  Campidoglio  in  cui  l'imperatrice  deificata  ap- 
parisce nell'atto  che  dal  rogo  ardente  s'inalza  al  cielo, 
sorretta  da  una  donna  alata  con  face,  mentre  l'imperatore 
seduto  l'accompagna  con  uno  sguardo  pieno  d'amore  (''). 
M.  Aurelio  si  porse  oltremodo  benigno  anche  a  Com- 
modo che  la  fama  disse  nato  dai  gladiatori  cui  Faustina 


(^)  Orelli,  Inscr.,  n.  867,  e  Henzen,  5472  a;  Mommsen.  Inscr.  Regni 
Xeap.,  n.  1093  e  1101.  Anche  nelle  iscrizioni  triopee,  Faustina  è  consa- 
crata da  Erode  Attico  qual  nuova  Cerere  accanto  all'antica.  Vedi  E.  Q. 
Visconti,  Iscrizioni  greche  TriopeC:.  Roma,  1794,  pag.  32  e  30,  Epigrafe 
seconda,  vers.  6  e  48. 

(«')  B&vio\\,Aclmi,-anda,  tab.  36;  Rossini,  .-Irc/u',  tav.  49;  Rijflietti.  Dc- 
■scrizione  del  Campidoglio,  voi.  1 ,  tav.  170.  Questo  bassorilievo  soprav- 
vissuto con  altri  alle  rovine  di  un  arco  di  M.  Aurelio  sta  ora  nel  secondo 
l'ipiano  della  scala  del  Palazzo  dei  Conservatori. 

11  personaggio  che  sta  in  piedi  presso  all'imperatore  può  essere  mi 
ministro  di  lui.  e  la  figura  seclente,  seminuda,  sul  suolo  si  volle  ivi  posta 
a  rappresentare  il  Genio  del  luogo  ove  Faustina  mori. 

1  Dione  Cassio,  I.XXI,  29-31;  Capitolino,  M.  Aw..  Sfi;  Sparziano,  Caracolla^  li. 
«  Cohen.  Mann.,  voi.  Il,  pap.  577  e  segg.,  n.  1-»,  12,  1  l-S-I,  3?,  38,  41,  60,  65-67,  SI, 
W,  lir>,  132,  145-160,  195,  215-217,  211. 


Cap.  IV.] 


APOTEOSI  DI  FAUSTINA. 


765 


faceva  copia  di  sé.  Oggi  la  critica  nega  questa  paternità 
adulterina  notando  che  nei  ritratti  di  Commodo  si  rav- 


Apoteosi  di  Faustina  mojlio  Ji  M.  Anrelia  {Righetti,  Cjmpid.,  I,  170). 

visano  le  fattezze  del  padre  legittimo,  attestate  fortemente 
anche  da  M.  Cornelio  Frontone  (").  Pure  il  truce  animo, 


C^)  Yidi  pìiUìilos  tuos  (Commodo  e  Annio  Vero)  ....  to.m  simili  facio 
libi  ut  niliil  òit  hoc  simili  siniilius.  Frontone,  Epist.  ad  Antonin.  imp., 
I,  3,  p.  131,  ed.  Mai,  llomae  1823. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  96 


766  TURPI  E  FEROCI  COSTÓII  DI  COiMlNIODO.         [Lib.  VII. 

i  bestiali   costumi  e  tutti  i  fatti  della  sua  vita  parvero 
dare  ragione  a  chi  lo  teneva  figliuolo  di  un  gladiatore. 

Fino  dalla  prima  puerizia  apparve  turpe  e  malvagio, 
e  cupido  di  mostrarsi  gladiatore  perfetto.  A  dodici  anni 
dette  a  Centumcelle  (Civitavecchia)  terribili  segni  del  suo 
animo  feroce,  perocché,  trovata  troppo  calda  l'acqua  del 
bagno,  ordinò  di  gettare  in  un  forno  il  servo  che  lo  avea 
preparato;  e  l'effetto  del  bestiale  comando  fu  impedito 
solo  per  l'accorgimento  del  pedagogo,  che  facendo  bru- 
ciare una  pelle  di  becco,  con  quell'odore  ingannò  e  sod- 
disfece il  crydele  fanciullo.  Anche  in  altre  occasioni  mo- 
strò animo  feroce  e  scelleratissimo,  su  cui  ninno  effetto 
ebbero  le  cure  del  padre  e  degli  educatori,  dei  quali  egli 
non  potè  mai  sopportare  i  più  onesti.  Quando  gli  furono 
tolti  quelli  che  favorivano  le  sue  turpitudini,  egli  ne  di- 
venne per  dolore  malato;  e  il  padre  ebbe  la  debolezza  di 
renderglieli:  e  allora  il  palazzo  imperiale  fu  convertito  in 
taverna  e  postribolo:  e  Comraodo  fu  continuo  tra  male 
donne  e  ruffiani,  e  giuocatori  e  gladiatori,  e  altre  lor- 
dure *.  Pure  Marco  Aurelio  non  mancò  di  inalzarlo  anche 
innanzi  tempo  a  tutti  gli  onori,  e  se  alla  fine  dei  suoi 
giorni  sentiva  rimorso  di  lasciare  imperatore  un  tal  mo- 
stro, non  comprendiamo  come,  invece  di  raccomandarlo 
ai  soldati,  non  lo  cacciasse  da  sé,  adottando  qualche 
virtuoso  cittadino,  come  già  aveva  fatto  il  Pio,  quantun- 
que avesse  propri  figliuoli.  L'aver  lasciato  erede  questo 
scellerato,  già  noto  per  tale,  che  disonorò  il  nome  reve- 
rito  degli  Antonini  è  grande  colpa  dell'imperatore  filo- 
sofo, che  sotto  ogni  altro  rispetto  avea  meritato  l'amore 
e  la  venerazione  del  genere  umano:  perchè,  come  giusta- 
mente fu  detto,  è  colpevole  delle  stragi  di  un  furibondo, 
chi  pone  il  ferro  in  sua  mano  ("). 

C)  Questa  colpa  di  M.  Aurelio  fu  spiegata  colle  sue  dottrine  filosofiche, 

1  I>ainpri(lio,  CommodOj  1  e  2;  Dione  Cassio,  LXXII,  1  ;  Capitolino,  3/.  Aurei. ^  1'^  l'7> 
19,  22,  27-,  Macrmo.  7;  Sparziauo,  Severo^  21. 


Gap.  IV 


COMMODO  IMPERATORE. 


767 


Appena  spirato  il  padre,  Coramodo,  in  età  di  19  anni, 
prese  senza  ostacolo  il  potere  supremo,  e  fece   tosto   il 


y 


,   p-SiS-»^         V  - 


Commodo  (Mongez^  Icon.  Rom.j  XLIV,  n.  5). 

contrario  di  ciò  che  il  morente  gli  aveva  raccomandato, 
e  senza  badare  alla  guerra  volse  ogni  pensiero  al  ritorno. 


per  le  quali  egli  credeva  che  i  vizi  sono  errori  ed  errori  involontarii,  e 
diceva  che  basta  istruire  il  preteso  colpevole,  a  cui  sempre  si  vuol  per- 
donare ,  aggiungendo  col  fatalismo  degli  stoici ,  che  necessariamente  vi 
debbono  essere  malvagi  o  insensati,  i  quali  per  lui  sono  tutt'una,  e  che 
non  bisogna  maravigliarsi  dei  fatti  loro  più  che  di  vedere  una  pianta 
di  fico  produrre  fichi  con  lattificio.  Ricordi,  IX,  42,  XI,  18,  XII,  16. 
Conf.  Robiou,  De  l'influence  du  stoicisme,  pag.  242. 


768  COMMODO  TRATTA  COI  BARBARI  E  TORNA  A  ROMA.  [Lib.  VII. 

Invano  i  consiglieri  paterni  lo  confortavano  a  liberare  i 
contini  dalle  minacce  dei  barbari,  e  a  non  abbandonare 
ad  un  tratto  i  frutti  raccolti  con  tanti  travagli.  Egli  ascoltò 
più  facilmente  i  compagni  delle  sue  dissolutezze,  che  fra 
gli  orrori  delle  terre  barbariche  gli  ricordavano  le  delizie 
d'Italia,  e  trattò  coi  Quadi  e  coi  Marcomanni.  Secondo 
alcuni  si  lasciò  imporre  la  legge  dal  nemico,  e  comprò 
la  pace  con  grosse  somme;  ma  secondo  Dione,  storico 
contemporaneo,  i  patti  furono,  che  i  nemici  dessero 
ostaggi,  rendessero  i  prigionieri,  pagassero  un  tributo 
annuale,  fornissero  truppe  ausiliarie,  e  non  si  adunassero 
se  non  una  volta  al  mese  alla  presenza  di  un  centurione 
romano,  né  facessero  guerra  ai  Vandah,  lazigi  e  Burli:  e 
quindi  furono  abbandonate  le  castella  costruite  al  di  là 
del  Danubio.  Nel  medesimo  modo  fu  trattato  anche  con 
altri  barbari,  e  12  mila  Daci,  già  espulsi  da  Traiano,  eb- 
bero terre  nel  loro  antico  paese,  e  furono  ordinati  a  di- 
fender l'Impero  *. 

Poi  fu  dato  con  ardore  incredibile  il  segno  della  par- 
tenza per  tornare  alle  italiane  delizie,  e  su  tutta  la  via 
le  genti  accorsero  in  folla  e  con  grandissima  gioia  a 
vedere  il  principe,  da  cui  si  aspettavano  ogni  bene,  re- 
putandolo di  animo  e  di  virtù  simile  al  padre.  Da  Roma 
gli  uscirono  incontro  patrizi  e  plebei  con  rami  d'alloro, 
e  gli  spargevano  il  cammino  di  fiori.  Egli  andò  a  offrir 
voti  in  tutti  i  templi,  salì  al  Campidoglio  in  trionfo,  e 
ringraziò  Senato  e  pretoriani  di  loro  fedeltà  ^. 

Poscia,  sebbene  alcuno  dica  che  sulle  prime  seguì  i 
buoni  consigli  degU  amici  del  padre,  non  troviamo  di  lui 
altro  che  hbidini,  e  crapule  e  sangue  e  imprese  di  gla- 
diatore e  cacce  di  fiere.  Nel  giorno  stesso  del  suo  trionfo 
teneva  dietro  a  se  sul  carro  un  cinedo,  cui  ad  ogni  tratto 
volgevasi  per  baciarlo  pubblicamente  ^. 

1  Lainpridio,  Commodo^  3;  Erodiano,  I,  fi;  Dione  Cassio,  I.XXII,  1-3. 
*  Erodiano,  I,  7;  Lampridio,  CommodOj  3. 
3  Laiiiiiridio,  3. 


Gap.  IV.]  GUERRE,  LIBIDINI^  E  CRAPULE.  76& 

Per  tutto  questo  brutto  e  sanguinoso  regno  di  13  anni 
le  province,  con  poclie  eccezioni,  rimasero  quiete.  I  moti 
dei  Mauri,  dei  Germani,  dei  Daci  e  dei  Sarmati  ricusanti 
obbedienza  furono  repressi  da  C.  Pescennio  Nigro  e  da 
Clodio  Albino  e  da  altri  legati  (929,  930,  935  di  Roma,  176, 
177,  182  di  C.)  e  dettero  a  Commodo  i  nomi  di  Sarma- 
tico  e  Germanico  ^ 

Girossa  guerra  solo  scoppiò  tra  i  Britanni,  che,  passato 
il  vallo  d'Adriano,  messero  a  devastazione  la  provincia 
romana:  ma  Ulpio  Marcello,  un  prode  duce  della  scuola 
di  Marco  Aurelio,  del  quale  parlano  più  monumenti  -,  li 
respinse  nelle  native  foreste  ^.  E  quindi  Commodo  salu- 
tato imperatore  per  la  settima  volta  e  chiamato  Britan- 
nico ("),  stupido  e  feroce  dalla  pace  ebbe  agio  a  volto- 
larsi tra  le  turpitudini,  a  cui  lo  tiravano  e  il  suo.  infame 
talento,  e  Perenne,  prefetto  dei  pretoriani,  un  tristo  che 
coir  intendimento  di  recare  ogni  cosa  in  sua  mano  lo 
eccitò  a  viver  tutto  ai  piaceri,  mentre  egli  si  piglierebbe 
ogni  cura  di  Stato  '\  E  Commodo  ne  fu  felicissimo,  e  si 
abbandonò  alla  più  sconcia  vita  del  mondo,  in  mezzo  a 
300  concubine  e  a  300  cinedi.  Passava  i  giorni  a  bere  e 
a  mangiare,  e  la  notte  correva  taverne  e  lupanari.  Stuprò 
Lucilla  e  le  altre  proprie  sorelle,  e  fece  laidezze  che  one- 
sta penna  non  può  descrivere.  Come  Nerone,  al  colosso 
del  quale  pose  la  propria  testa,  era  continuo  ^  ali' auri- 
ca) Per  le  medaglie  che  ricordano  questa  j^uerra  e  il  titolo  c!i  Bi'itan-  , 
nico  vedi  Bruca,  The  roman  Wall,  p.  2:^-23,  e  Cohen,  Monn.,  voi.  Ili, 
pag.  58-60,  n.  38-42,  46-51,  pag.  127,  n.  467-468,  e  pag.  1S2  e  183,  n.  836 
e  842. 

1  Dione  Cassio,  LXXII,  8;  Lainpridio ,  Commod.,  0,  S  e  13;  Capitolioo,  Albino^  6; 
Cohen,  Monn.^  voi.  Ili,  pag.  57-58.  n.  3;J-35,  36  e  37. 

2  Bruce,  The  roman  WalL  pag.  22  e  lU";  llubner,  Inscript.  ISritann.  Int.j  n.  336  e  501, 
e  couf.  963. 

3  Dione  Cassio,  LXXII,  S 

*  Dione  Cassio,  LXXII,  y;  Lanipridio,  5 
S  Lan.pridio,  17. 


770  BATTAGLIA  DEL  SOZZQ  PRINCIPE  NELL'ARENA.  [Lib.VII. 

teatro  e  al  circo,  a  guidar  carri,  a  uccider  fiere,  e  mas- 
sime a  fare  da  gladiatore,  pel  quale  ufficio  voleva  come 
pagamento  una  somma  valutata  a  200  mila  lire  per  giorno. 
È  detto  che  combattè  735  volte  nell'arena,  ed  ebbe  mille 
palme  per  aver  vinto  o  ucciso  altrettanti  reziarii.  Stando 
in  luogo  sicuro  era  valentissimo  a  perseguitare  le  fiere, 
a  uccidere  in  gran  numero  orsi,  leoni,  elefanti,  tigri, 
ippopotami,  rinoceronti,  struzzi  di  Affrica,  e  gli  animali 
più  rari  dell'Etiopia  e  dell'India.  La  gente  accorsa  allo 
spettacolo  ammirava  l'occhio  maraviglioso  dell'arciere,  i 
colpi  che  dividevano  in  due  parti  il  collo  allo  struzzo 
rapidamente  corrente;  e  applaudiva  a  queste  prove,  e 
lo  celebrava  come  il  più  forte  combattitore,  come  il  più 
destro  tiratore  di  frecce  *.  Ed  egli  chiamavasi  Ercole  Ro- 
mano, e  si  fece  rappresentare  colla  pelle  del  leone  sul 
capo,  colla  clava  e  coi  pomi  delle  Esperidi,  attributi  di 
Ercole,  come  è  attestato  dalle  medaglie,  e  da  un  busto 
di  squisito  lavoro  recentemente  scoperto  suU'  Esqui- 
lino  ("):  e  sorse  in  statue  equestri  e  pedestri,  armato  di 
lancia  in  atto  di  dar  la  caccia  alle  belve. 

(*)  Vedi  P.  E.  Visconti,  Commodo  rappresentato  come  Ercole  Romano, 
busto  sino  al  torace,  nel  BuUetiino  della  Commissione  archeologica  mu- 
nicipale, Roma  1875,  pag.  3-14,  e  tav.  1-2. 

II  dotto  archeologo  descrive  in  tutti  i  suoi  particolari  questa  singolaris- 
sima opera  d'arte,  e  pone  ogni  suo  studio  a  dichiarEyne  i  simboli  riferiti 
ai  fatti  e  alle  insanie  di  Commodo.  Il  busto  di  marmo  pentelico,  alto 
metri  1, 18  ha  le  braccia  e  le  mani,  e  si  estende  oltre  la  consueta  ragione- 
idei  busti  fin  quasi  al  mezzo  della  persona.  Posa  sopra  una  base,  omessa 
nel  nostro  disegno,  formata  da  uno  scudo  lunato  (la  pelta  delle  Amazoni) 
inchiuso  tra  due  cornucopia  che  s'intersecano,  e  nella  parte  inferiore  della 
loro  curva  tengono  compreso  il  globo  celeste,  ai  lati  del  quale  stanno  i 
fram.menti  di  due  Amazoni  allusive  al  nome  di  Amazonio  preso  da  Comraodo. 

Al  di  sotto  è  la  scritta  posta  dal  Municipio  per  ricordare  che  il  busto, 
ora  messo  in  Campidoglio  tra  le  sculture  raccolte  dagli  ultimi  scavi,  fu 
ritrovato  suU'Esquilino  ai  23  decembre  del  1874. 

Per  le  medaglie  vedi  Cohen,  Mann.,  voi.  HI,  Commod.,  n.  64,  364  e 
ó32-ry33. 

1  Lampridio,  H,  12;  Diono  Cassio,  LXXII,  10  e  19-,  Ero.liano,  I,  17. 


Gap.  IV.] 


COMMODO  IN  FIGURA  DI  ERCOLE. 


771 


Dione,  testimone  oculare,  scrive  che  una  volta  uccise 
100  orsi,  e  che  poi  combattè  da  gladiatore,  e  continuò 
14  giorni  di  seguito  in  queste  prodezze,  cui  senatori  e 
cavalieri   erano  costretti,  per  fuggire  la  morte,  ad   ap- 


-^^^x 


U 


Commodo  rappresentato  come  Ercole  Romano  {Bullelt.  Municip.^  1S75,  tav.  1). 

plaudire  e  a  gridare:  «  Ju  sei  il  Signore,  tu  il  primo , 
tu  il  più,  felice  di  tutti,  tu  solo  vinci  e  vincerai  sempre  *.  y> 
Queste  imprese,  come  tutte  le  altre  sue  opere  crudeli 
e  turpi,  volle  con  nuova  impudenza  che  fossero  registrate 
negli  atti  pubblici  2.  E  per  esse  prese  i  soprannomi  e  i 

1  Dione  Cassio,  LXXII,  17-21. 

2  Lampridio,  1  . 


772  TITTO  CAUSA  A  CONDANNE  E  RAPINE.  [Lm.  VII. 

titoli  di  Felice,  Germanico,  Sarmatico,  Massimo,  Britan- 
nico, Pacificatore  del  mondo,  Invincilnle,  Ercole  Romano, 
Padre  della  Patria,  Pio,  Amazonio,  Trionfatore,  e  a  più 
mesi  furono  dati  i  nomi  di  lui  :  Erculei  si  dissero  i  giorni 
in  cui  aveva  avuto  i  titoli  di  Cesare  e  di  Germanico;  Com- 
modiano  si  chiamò  il  senato,  da  lui  aborrito,  Commodiano 
il  popolo  romano,  Commodiano  il  palazzo,  Commodiano  il 
secolo,  CommocUana  la  flotta,  e  Roma  Commodiana  co- 
lonia di  cui  sulle  medaglie  si  asserì  fondatore  ("). 

Grandissime  furono  le  somme  disperse  nelle  orgie  e 
nei  divertimenti  dell'anfiteatro  e  del  circo.  Poi  gravezze 
e  uccisioni  di  ricchi  per  trovar  nuovi  denari.  Nel  suo  di 
natalizio  voleva  a  Roma  due  monete  d'oro  da  ognuno,  e 
5  dai  decurioni  di  ogni  altra  città.  Tutto  per -lui  fu  ven- 
duto; le  sepolture,  la  diminuzione  delle  pene,  la  sosti- 
tuzione delle  persone  condannate  a  perder  la  vita:  ven- 
duti governi  e  province.  Apponeva  delitti  ad  uomini  e 
a  donne:  uccise  per  la  nobiltà  della  stirpe,  per  l'eccel- 
lenza della  dottrina  e  della  virtù.  Contaminò  ogni  luogo, 
e  anche  i  templi,  di  stupri  e  di  sangue  ^  E  intanto  altri 
faceva  iscrizioni  e  dedicava  monumenti  agli  Dei  per  la 
salute  dell'orribile  mostro  2,  il  quale  nelle  medaglie  diceva 
so  stesso  datore  di  libertà,  celebrava  la  sua  pietà  e  la 
sua  provvidenza,  la  sua  felicità  superiore  a  quella  di  ogni 
altro  principe,  e  Roma  felice,  il  secolo  felice,  la  perpetua 
felicità  dei  suoi  tempi,  la  salute  del  genere  umano,  la 
sicurezza  e  la  letizia  del  mondo  ^. 

(«)  Dione  Cassio,  LXXIl,  IT.:  La^ipridio,  8,  9,  11,  14,  15  e  17;  Erodiano. 
I,  14;  Eckel,  VII,  126;  Cohen,  il/onn.,  fol.  Ili,  pag.  62-63,  n.  63-72,  ecc.; 
Orelli,  884  e  886.  In  un'altra  iscrizione  (Henzen,  5486)  Commodo  è  detto 
nobilLssiriius  oninìinn  et  fclicissimus  princip. 

»  Dion-;  Cassio,  LXXII,  7  e  K,;  Lampridio,  9,  10,  11  e  It. 

*  Vedi  l'epigrafe  greca  pubblicata  o  illustrata  tifile  Novelle  letterarie  Fiorent.,  1761, 
p.  483,  e  17SS,  p.  210. 

3  Cohen,  Monn.,  voi.  Ili,  Commod.,  pag.  59  e  segg.  n.  43,  85-SO,  178,  170,  187,  220- 
2??;  221-227,  236,  251,  .373,  -I21-12S,  505-509,  720,  730,  753-758. 


Gap.  IV.] 


I  FRATELLI  QULNTILII. 


r73 


Fra  le  innumerevoli  vittime,  singolare  è  la  storia  dei 
due  fratelli  Massimo  e  Condino  o  Condiano  Quintilii,  il 
cui  nome  si  ritrovò  nel  1828  anche  tra  le  grandi  rovine 
della  loro  villa  sulla  via  Appia,  a  poca  distanza  da  Roma(«). 


i#f 


Ruderi  della  Villa  dei  Quintilii  [Canina^  Edìf.,  VI,  36). 

Erano   celebri  per  dottrina,  per  eccellenza   nelle  armi, 
per  grandi  ricchezze,  e  soprattutto   per  una  rarissima 


(")  Era  poco  oltre  il  quinto  miglio  sulla  sinistra  tlell'Appia,  dove  si 
trovarono  frammenti  di  statue  e  altri  ruderi,  tra  cui  un'epigrafe  che  dice 
i  nomi  degli  antichi  padroni  :  //  Quintilioriim  Conclini  et  Maximi.  Vedi 
Nibby,  Dintorni  di  Roma,  voi.  Ili,  ediz.  2*,  Roma  1849,  pag.  724-734; 
Canina,  Esposizione  topografica  della  prima  parte  dell'antica  via  Appia, 
neg\\  Annali  dell'Istituto  di  Corrispondenza  archeologica,  1851,  pag.  275, 
ed  Edifizi,  V,  pag.  33-35,  e  VI,  tav.  3.5-37. 

Vannucci  —  .Sferici  dell'Ilaìia  aulica  —  IV.  97 


774  CASI  SINGOLARI  DI  SESTO.  [Lib.  VII. 

concordia  fraterna.  Insieme  sempre  agli  studi  georgici, 
agli  ufficii,  ai  piaceri:  insieme  godevano  loro  ricca  for- 
tuna: pareva  fosse  un'anima  sola  in  due  corpi.  Ambedue 
consoli  nel  medesimo  anno  (904  di  R.,  451  di  C.)  sotto 
Antonino  Pio,  furono  poscia  familiari  ed  amici  di  Marco 
Aurelio  e  guerreggiarono  contro  gli  Sciti,  e  insieme 
ressero  l'Acaia  e  poi  fa  Pannonia:  uniti  scrivevano  al- 
l'imperatore; ed  egli,  come  vedesi  dal  Digesto,  rescri- 
veva loro  in  comune.  Contro  Commodo  non  cospirarono 
mai,  ma  per  la  loro  virtù  vennero  in  sospetto  di  non 
esser  favorevoli  all'osceno  tiranno,  cupido  dell'amena 
villa  e  di  ogni  loro  possesso  :  e  proscritti  e  strangolati 
morirono  insieme  come  erano  vissuti.  Sesto,  figliuolo  di 
Massimo,  giovane  d'ingegno  e  di  dottrina,  era  allora  in 
Siria,  e  come  seppe  il  caso  del  padre  e  dello  zio,  te- 
mendo lo  stesso  per  sé,  cercò  scampo  simulando  la  morte. 
Levve  del  sangue  di  lepre,  montò  a  cavallo,  e  poco  dopo 
lasciandosi  cadere  vomitò  quel  sangue,  come  se  fosse  il 
suo  proprio,  e  fece  da  morto.  Gli  amici  indettati  gli  fe- 
cero i  funerali,  bruciarono  in  sua  vece  il  corpo  di  un 
ariete,  e  non  fu  più  parlato  di  lui.  Egli  andò  errando 
travestito  in  varie  maniere;  ma  alla  fine  corse  voce  che 
era  vivo,  e  se  ne  fecero  diligenti  ricerche,  e  molti  fu- 
rono uccisi  per  rassomiglianza  con  esso,  e  per  sospetto 
di  avergli  dato  asilo.  Non  si  sa  se  lo  trovassero  mai, 
nò  se  la  sua  testa  fosse  tra  le  tante,  troncate  e  portate 
a  Roma  col  nome  di  esso.  Il  certo  è  che,  dopo  la  morte 
di  Commodo,  uno,  tentato  dalla  bella  villa  e  dalle  grandi 
ricchezze  di  casa  Quintilia,  si  fece  avanti,  dandosi  per 
Sesto,  e  ne  richiese  l'eredità.  Somigliava  a  lui  nei  linea- 
menti del  volto,  ne  sapeva  bene  ogni  cosa,  e  rispondeva 
destramente  ad  ogni  domanda.  Ma  non  potè  reggere  a 
un'ultima  prova.  L'imperatore  Pertinace,  cui  era  noto 
come  il  vero  Sesto  avesse  familiarissimo  il  greco,  fatto- 
selo venire  davanti  gli  parlò  in  questa  lingua:  e  come 


Gap.  IV.]  UCCISIONI,  PESTE  E  CARESTIA.  775 

il  pretendente  la  ignorava,  rispose  a  rovescio,  e  si  chiarì 
un  impostore  *. 

Commodo  uccise  amici  e  nemici,  tristi  e  onesti,  chiari 
e  oscuri,  e  fu  più  atroce  contro  quelli,  cui  era  stato  più 
largo  di  onori  e  di  doni  ^.  Se  altra  volta  aveva  gettato 
al  fuoco  le  rivelazioni  offertegli  dal  segretario  di  Avidio 
Cassio,  ora  ne  fece  bruciar  vivi  i  figliuoli  perdonati  e  am- 
messi da  Marco  Aurelio  agli  onori  3:  e  accolse  ogni  accusa, 
e  la  città  nuovamente  fu  piena  di  delatori,  e  di  nuovo  fu 
delitto  la  virtù  e  la  sapienza,  e  cagione  di  morte  l'essere 
stato  amico  di  Marco  Aurelio.  Non  vi  ebbe  scampo  per 
ninno  di  quelli,  da  lui  chiamati  agli  ufficii.  Ad  ogni  mo- 
mento mutati  i  prefetti.  Nigro  rimase  in  carica  sei  ore; 
altri,  pochi  giorni;  e  parecchi  furono  spenti.  Principali 
fra  i  suoi  favoriti  furono  Perenne  e  Cleandro,  i  quali, 
ciascheduno  a  suo  tempo,  uccisero  a  loro  voglia,  sov- 
vertirono le  leggi,  volsero  le  altrui  condanne  a  proprio 
utile,  fecero  ricchissima  preda  delle  altrui  robe  ''. 

A  questi  flagelli  si  aggiunge  la  pestilenza,  che  spegneva 
a  Roma  duemila  persone  al  giorno,  ed  era  aiutata  da  fa- 
cinorosi, che  per  vaghezza  di  uccidere  ferivano  con  aghi 
avvelenati.  Si  destarono  incendii,  che  distrussero  botte- 
ghe e  case  private,  e  pubblici  edifizi,  tra  cui  i  templi 
sacri  alla  Pace  e  a  Vesta  ^.  Poi  venne  anche  la  carestiii, 
prodotta  da  incettatori  avari  o  cupidi  di  rivolgimenti  con 
cui  farsi  grandi.  Per  evitarla  si  era  apparecchiata  una 
flotta  affricana,  che  servisse  di  riparo  nel  caso  che  Ales- 
sandria  non   mandasse  più  grano  ^;  ma  non   produsse 

1  Dione  Cassio,  LXXI,  33,  LXXII,  5-7;  Lampridio,  Commodo  ^  1;  Filostrato,  Sofisti^ 
li,  1,  10-11,  II,  9,  2;  Digesto.  XXXVIII,  2,  16,  §  1;  e  Ateneo,  XIV,  GÌ,  che  cita  il  libro 
terzo  del  trattato  De  re  rustica^  scritto  dai  due  fratelli. 

2  Aurelio  Vittore,  Epit.  17. 

.  3  Dione,  LXXII,  7;  Vulcazio  Gallicano,  Cassio.  13. 

4  Dione  Cassio,  LXXII,  9  e  14;  Lampridio,  G,  11  e  13;  Erodiano,  I;  Aurelio  Vittore.,. 
Epit..  17. 

5  Dione  Cassio,  LXXII,  15  e  24;  Erodiano,  II,   i. 

6  Lampridio,  17. 


776  CONGIURE.  UCCISO  IL  PREFETTO  PERENNE.      [Lib.  VII. 

alcun  buono  effetto,  perchè,  quantunque  non  mancas- 
sero i  grani,  gli  amministratori  rapaci,  per  arricchire  sé 
stessi,  fecero  nascer  la  fame.  È  vero  che  Comraodo  po- 
scia uccise  gli  autori  del  male,  ma  contribuì  anche  a 
render  maggiore  la  penuria,  comandando  eccessiva  bas- 
sezza di  prezzi,  per  l'idea  che  il  secolo  commodiano  ren- 
desse imagine  del  secolo  d'oro  *. 

Anche  qui  è  luogo  a  ripetere  che  fa  meraviglia  come 
il  mondo  soffrisse  per  lunghi  anni  cosiffatta  ignominia. 
Non  mancarono  congiure  per  togliere  di  mezzo  il  feroce 
mostro,  ma  i  primi  tentativi  caddero  a  vuoto.  Cospirò 
prima  coi  suoi  amanti  Lucilla,  sorella  di  Commodo,  ge- 
losa di  Crispina  moglie  di  lui,  e  indignata  di  non  aver 
più  i  soliti  onori.  Quegli  che  prese  il  carico  della  ucci- 
sione, facendosi  davanti  all'imperatore  in  un  andito  an- 
gusto all'entrare  dell'anfiteatro  con  la  spada  sguainata, 
gli  disse:  Questo  a  te  manda  il  Senato.  Ma  il  tempo  per- 
duto a  parlare  dette  al  principe  modo  a  salvarsi,  e  l'as- 
salitore fu  preso  e  ucciso  con  gli  altri  complici,  e  Lucilla 
ebbe  esilio  e  morte  nella  infame  isola  di  Capri,  dove  po- 
scia fu  spenta  anche  Crispina,  rilegata  per  adulterio  -. 

Poi  nuova  congiura  contro  il  prefetto  Perenne,  che 
aveva  fatto  uccidere  tutti  i  cospiratori,  e  anche  il  collega 
Paterno  e  tutti  quelli,  su  cui  non  vi  erano  che  sospetti 
lievissimi.  Egli,  fatto  ricco  delle  altrui  spoglie,  credevasi 
il  vero  padrone,  usava  le  prede  a  corrompere  altri,  e 
mirava  al  grado  supremo,  secondato  in  questo  anche  dal 
proprio  figliuolo,  cui  aveva  fatto  dare  il  governo  delle 
armi  d'IUiria.  Ma  presto  pagò  colla  testa  gl'intrighi  e  le 
smoderate  ambizioni.  Dapprima  un  uomo  in  veste  di  fi- 
losofo cinico  fattosi  avanti  nell'anfiteatro  gridò  a  Com- 
modo del  pericolo  minacciatogli  dall'ambizioso  ministro. 
Poco  appresso  soldati  fuggiti  segretamente  d'illiria  por- 

•  Lampridio,  11. 

*  Dione  Cassio,  I.XXII,   1;  Lain]iriilio,  1,  5,  S. 


Cap.  IV.]    TUINIULTO  CONTRO  IL  SUCCESSORE  OLEANDRO.  777 

tarono  monete,  che  il  figlio  di  Perenne  aveva  battute  in 
suo  nome:  e  l'esercito  di  Britannia,  rimproverato  di  una 
sedizione,  mandò  1500  uomini  a  Roma  per  denunziare  il 
prefetto.  Allora  Commodo  spaventato  abbandonò  Perenne 
ai  soldati,  che  dopo  averlo  battuto  con  verghe,  gli  tron- 
carono il  capo,  e  gli  trucidarono  la  moglie,  la  sorella,  i 
figliuoli  ^ 

A  lui  successe  nel  favore  e  nell'ufficio  Oleandro,  ch& 
gli  aveva  dato  la  spinta  a  cadere.  Era  un  Frigio,  d'ori- 
gine schiavo,  il  quale  menò  sue  arti  sì  bene,  che  divenne 
cubiculario  di  Commodo,  e  col  farsi  strumento  di  sue 
laidezze  recò  in  propria  mano  ogni  faccenda.  A  sua  vo- 
glia uccideva  e  rubava:  vendè  la  dignità  senatoria  e  il 
patriziato  ai  liberti,  mercanteggiò  la  giustizia,  gli  ufficii 
militari,  i  governi  delle  province,  e  in  un  solo  anno  no- 
minò venticinque  consoli.  Della  moltissima  pecunia  cosi 
raccolta,  parte  usava  a  splendide  fabbriche  per  acqui- 
starsi il  favore  pubblico,  parte  dava  a  Commodo  e  alle 
sue  meretrici.  Ma  non  potè  raggiungere  l'ambito  favor 
popolare,  e  come  presto  sali,  presto  cadde  con  grande 
ignominia  per  una  sollevazione  di  popolo.  Venuta  la  ca- 
restia, ne  fu  data  la  colpa  alle  sue  ruberie  :  a  lui  recavasi 
la  cagione  di  ogni  male  presente,  e  la  plebe  gli  disse 
villania  in  teatro,  e  poscia  si  levò  apertamente  a  tumulto. 
Un  giorno,  nel  tempo  della  celebrazione  dei  giuochi,  gran 
numero  di  fanciulli  accorrono  nel  Circo  guidati  da  una 
vergine  di  alta  statura  e  di  terribile  aspetto,  e  levano 
feroci  grida,  per  le  quali  il  popolo  montato  in  furore 
esce  in  folla  dallo  spettacolo,  e  per  la  porta  Capena  e 
la  via  Appia  corre  in  cerca  di  Commodo  alla  villa  dei 
Quintini.  Colà  fanno  tumultuariamente  augurii  felici  al- 
l'imperatore, e  mandano  ogni  maniera  di  imprecazioni 
a  Cieandro,  e  ne  chiedono  la  morte.  Oleandro  lancia  su- 

1  Dione  Cassio,  I.XXII,  9;  Lampridio,  G;  Erodiano.  I,  8. 


778  CLEANDRO  UCCISO.  CONGIURA  DI  MATERNO.     [Lib.  VII. 

bito  una  schiera  di  soldati  contro  la  folla,  la  quale  non 
reggendo  all'urto  indietreggia,  e  fugge  a  Roma,  lasciando 
sulla  via  molti  morti  e  feriti.  Ma  le  cose  andarono  altri- 
menti in  città,  ove  il  popolo  afforzato  dalle  milizie  urbane 
salì  sopra  i  tetti,  e  con  una  terribile  tempesta  di  sassi 
forzò  i  cavalli  a  fuggire.  Dal  che  ripreso  ardimento  la 
turba  détte  la  caccia  ai  fuggenti,  e  tornò  più  violenta 
alla  villa  di  Commodo.  Questi  frattanto,  ignaro  di  tutto, 
stava  nelle  sue  stanze  occupato  in  libidini  :  ma  Oleandro 
non  potè  impedire  a  lungo  che  gli  giungesse  notizia  del 
pericolo,  che  lo  minacciava.  La  sorella  Fadilla  e  Marcia, 
la  più  amata  delle  sue  concubine,  corsero  piangenti  ai 
piedi  di  lui,  e  gli  dissero  del  furore  del  popolo,  dei  de- 
litti del  ministro,  e  della  morte  che  a  tutti  sovrastava. 
Commodo,  vile  com'era,  fu  preso  da  grande  spavento^ 
e  quindi  abbandonò  subito  alla  rabbia  popolare  Oleandro 
e  il  suo  figlio,  che  stava  in  educazione  alla  corte.  Il  fan- 
Anui di Ro- Giulio  fu  fatto  a  pezzi:  Oleandro  fu  trascinato  per  le  vie, 
G.Vrég/  e  la  tronca  testa  portata  a  ludibrio  sopra  una  picca:  cad- 
dero trucidati  anche  quelli  inalzati  da  lui  *. 

Due  anni  prima,  altra  congiura  si  era  volta  contro 
Commodo  stesso.  La  guidava  un  soldato,  disertore,  di 
nome  Materno,  il  quale  dopo  aver  con  molti  malandrini 
corso  le  Gallie  e  la  Spagna,  assalendo  villaggi  e  città, 
menando  incendii  e  ruberie,  e  liberando  prigioni  per  ac- 
crescer le  forze,  diresse  la  sua  gente  per  segrete  vie  alla 
spicciolata  verso  Italia,  coll'intendimento  di  pigliarsi  l'Im- 
pero. E  riuscito  di  entrare  coi  suoi  colatamente  in  Roma, 
si  apparecchiò  ad  usare  la  prossima  occasione  della  festa 
di  Cibele,  in  cui  i  cittadini  usavano  ogni  sorta  di  trave- 
stimenti. Suo  disegno  era  di  travestir  sé  e  i  compagni  da 
guardie  imperiali,  e  uccider  l'imperatore  in  mezzo  alla 
festa.  Ma  alcuni  dei  suoi  scoprirono  per  gelosie  il  segreto^ 

1  Dione  Cassio,  LXXIF,  10,  12,  13-,  Lamiiridio,  6  e  7;  Erodiano,  I,  1?. 


I 


Cap.  IV.]     COMMODO  "SPENTO  PER  CONGIURA  DI  CORTE.  779 

ed  egli  fu  sostenuto,  prima  che  giungesse  il  giorno  del 
fatto,  ed  ebbe  tronca  la  testa  coi  compagni,  su  cui  fu 
possibile  metter  la  mano  *. 

Commodo,  spaventato  da  questi  pericoli  andò  a  mag- 
giori atrocità,  e  alternò  più  che  mai  le  libidini  e  il  san- 
gue. Impossibile  dire  quante  furono  le  sue  vittime.  Dopo 
i  cittadini  più  ricchi  e  molti  consolari  e  senatori  uccisi 
di  veleno  o  di  ferro,  spense  tutti  i  prefetti  e  cubicularii, 
alle  cui  voglie  erasi  governato  fìnqui.  Spingeva  i  suoi 
sgherri  contro  il  popolo  agli  spettacoli,  quando  credevasi 
burlato  dai  plausi;  ordinò  una  volta  d'incendiar  la  città  -, 
e  continuò  in  questi  furori,  fino  al  giorno  in  cui  altri 
provvidero  a  se,  ordinando  più  destramente  la  uccisione 
di  lui. 

Nella  festa  di  Giano,  il  primo  dell'anno,  egli  aveva  di- 
visato di  uscire  solennemente  in  pubblico  dalla  scuola 
dei  gladiatori,  accompagnato  da  gladiatori,  e  vestito  e 
armato  com'essi.  Invano  Marcia,  prediletta  sua  concu- 
bina, e  Leto  prefetto  dei  pretoriani,  ed  Eclecto  cubicu- 
lario studiarono  di  levarlo  da  questo  pensiero.  Egli  ir- 
ritato da  tali  contrarietà  preparò  una  delle  sue  usate 
vendette,  e  scrisse  in  una  tavoletta  i  nomi  di  quelli  che 
destinava  alla  morte.  Vi  erano  molti  senatori,  due  con- 
soli, i  ricchi,  di  cui  voleva  pigliarsi  i  beni  per  farne  lar- 
ghezze a  gladiatori  e  soldati,  e  con  essi  erano  Marcia, 
Leto  ed  Eclecto,  e  tutti  quelli  che  lo  noiavano  coi  loro 
consigli.  Dopo  pose  la  tavoletta  sotto  il  capezzale,  e  si 
addormentò.  Mentre  dormiva,  un  fanciullo  amato  da  lui 
di  infame  amore  entrò  nella  camera,  e  avvenutosi  nella 
tavoletta  la  portò  via:  e  la  ventura  volle  che  cadesse 
nelle  mani  di  Marcia,  la  quale,  vedendo  che  non  era  da 
perder  tempo,  s'intese  con  Leto  ed  Eclecto,  e  trovarono 
modo  a  spegnere  il  mostro.  Stabilito  che  più  sicuro  era 

»  Erodiano,  I,  IO. 
2  Lampridio,  15. 


780        PUBBLICA  GIOIA  E  IMPRECAZIONI  AL  CADAVERE.  [Lip.  VIL 

usare  il  veleno,  Marcia  glielo  amministrò  in  una  coppa 
AtniOiRo- Ji  vino,  0,  sccondo  altri,  nel  cibo:  e,  come  temevasi  che 
tì.\\t92^'  la  scampasse  col  vomito,  lo  fecero  strangolare  dall'atleta 
Narciso.  Così  finì  a  32  anni,  dopo  13  di  regno,  l'ultimo 
degli  Antonini,  a  cui  lo  storico  Erodiano  dà  lode  del  più 
destro  arciere  del  suo  secolo  '. 

Come  se  ne  divulgò  la  notizia,  il  popolo  uscì  lieto,  im- 
precando al  mostro  con  ogni  sorta  di  contumelie.  11  Se- 
nato, che  era  stato  plaudente  e  tremante  dinanzi  a  lui 
vivo,  proruppe  in  grida  violentissime,  quando  lo  vide  ca- 
davere. Imprecò  al  nemico  pubblico,  al  carnefice  di  tutti, 
allo  spogliatore  dei  templi  e  dei  cittadini,  al-  tiranno  più 
crudele  di  Domiziano,  più  osceno  di  Nerone,  chiedendo 
fosse  trascinato  per  le  vie,  ne  fossero  abbattute  le  statue, 
se  ne  abolisse  la  memoria.  E  poiché  il  successore  lo 
aveva  fatto  seppellire  di  notte,  chiedevano  si  dissotter- 
rasse, e  si  trascinasse  nel  fango  {").  Ma  come  anche  ai 
più  tristi  non  mancano  mai  difensori,  un  altro  impera- 
tore più  tardi  pose  tra  gli  Dei  -  questo  infame  gladiatore, 
pasciuto  di  sozzure  e  di  umano  sangue,  questo  mostro 
con  aria  stordita  simile  a  quella  di  un  ebbro. 


C^)  Tutte  queste  imprecazioni,  che  occupano  più  pagine,  l'uronó  inserite 
negli  Alti  diurni,  o  come  oggi  direbbesi  nel  Diario  o  Giornale  di  Roma, 
ria  cui  le  copiò  Lampridio  alla  fine  della  vita  di  Commodo.  Vedi  anche. 
Dione  Cassio,  LXXIII,  2. 

1  Erodiano,  I,  17  ;  Dione  Cassio,  LXXIT  22. 

2  Vedi  Sparziauo,  Settimio  Severo^  11. 


CAPITOLO  V. 


L'Impero  nei  primi  due  secoli,  le  province  e  l'Italia  e  il  dispotismo.  — 
L'amministrazione  della  giustizia.  —  I  delatori.  —  I  soldati.  — ■  Cor- 
ruzione profonda.  —  La  filosofia  morale,  la  poesia  e  la  storia. 


'Uri  scrisse,  or  son  37  anni,  un  dotto 
libro,  inteso  a  far  conoscere  in  ogni  partico- 
larità le  miserabili  condizioni,  a  cui  il  dispo- 
tismo imperiale  ridusse  Roma,  l'Italia  e  il 
mondo  *.  A  quel  libro  debbe  ricorrere  chiun- 
que voglia  avere  intera  notizia  delle  umane 
sorti  in  questi  tempi  pieni  di  ineffabili  sciagure  e  di  ob- 
ì)robrii:  e  noi,  che  non  abbiamo  modo  ad  allargarci  troppo 
su  questa  materia,  e  non  vogliamo  rifare  il  già  fatto, 
dopo  avere  raccontato  le  opere  dei  primi  imperatori  strin- 
geremo in  breve  le  cose  più  acconce  a  mostrare  gli 
effetti  dei  nuovi  ordini  sulle  condizioni  degli  uomini  nei 
due  primi  secoli, 

L'Impero,  nel  secondo  secolo,  giunse  alla  sua  maggior 
grandezza,   che   si   calcolò  a  180  mila  miglia  quadrate  ^ 


'  Della  storia  e  della  condizione  d'Italia  sotto  il  governo  degli  imperatori  romanici 
iovanni  Battista  Garzetti,  Milano  1838,  3  voi. 
2  Gibbon,  Decline  and  Fall  of  the  Roman  Empirej  cap.  I. 
Van-nucci  —  Storia  dell'Italia  antica—  IV.  93 


782      ESTENSIONE  DELL'IMPERO  NEL  SECONDO  SECOLO.  [Lib.  VIL 

con  una  popolazione  di  120  o  130  milioni.  11  numero 
delle  province  fa  accresciuto  col  dividere  le  antiche,  o 
col  far  sudditi  i  paesi  alleati,  o  per  via  di  nuove  con- 
quiste. Sotto  Augusto  si  aggiunsero  le  due  Germanie,  le 
Alpi  Marittime,  la  Rezia,  la  Mesia,  le  due  Pannonie,  la 
Galazia  con  la  Licaonia,  e  la  Panfilia  con  la  Licia;  poi 
il  Nerico  e  la  Cappadocia  sotto  Tiberio,  la  Numidia  sotto 
Caligola,  le  due  Mauritanie  e  la  Giudea  sotto  Claudio, 
le  Alpi  Cozie  e  il  Ponto  sotto  Nerone,  la  Cilicia  Trachea 
e  la  Commagene  sotto  Vespasiano;  sotto  Domiziano  la 
Britannia,  cominciata  a  conquistare  ai  tempi  di  Claudio; 
e  la  Dacia,  le  due  Armenie,  l'Assiria,  la  Mesopotamia  e 
l'Arabia  sotto  Traiano.  In  questo  momento  l'Impero  si 
era  allargato  oltre  al  Tigri  e  fino  ai  lidi  del  Mar  Rosso, 
e  quindi  comprendeva  nell'Asia,  tutta  la  penisola  ba- 
gnata dal  Mediterraneo,  dall'Arcipelago,  dallo  Stretto 
dei  Dardanelli,  dal  mar  di  Marmara,  dal  Bosforo,  e  dal 
Mar  Nero  fino  alle  fonti  dell'Eufrate,  e  da  questo  fiume 
per  le  parti  settentrionali  dell'Arabia  fino  all'Istmo  di 
Suez  e  al  Mar  Rosso:  nell'AlTrica,  l'Egitto  e  le  coste 
settentrionali  fino  al  cominciar  del  deserto;  nell'Europa, 
la  Spagna,  il  Portogallo,  la  Francia,  e  tutti  i  paesi  al- 
l'occidente del  Reno,  l'Inghilterra  col  paese  di  Galles,  e 
parte  della  Scozia  fino  a  Edimburgo,  e  finalmente  i  paesi 
che  stanno  dalla  sponda  meridionale  del  Danubio  al  mare, 
e  la  Transilvania  per  qualche  tempo,  e  la  Moldavia  e  la 
Valachia  in  gran  parte  *. 

Il  vastissimo  Impero  ò  tenuto  soggetto  da  un  esercito 
permanente  composto  di  30  legioni,  a  ognuna  delle  quali 
è  assegnata  la  propria  provincia  ("),  e  da  armate  navali 


C)  Le  legioni,  che,  al  dire  di  Tacito,  sono  25  sotto  Tibeiio,  giungono 
a  30  sotto  Vitellio,  e  stanno  7  in  Germania,  1  nella  (iallia  Lugdunese.  3 

1  Garzetti,  lib.  Ili,  cap.  2,  §  8;  Naudet,  Des  changemens  opèréa  dans  toutes  les  par- 
tics  de  Vadminislri.(tion  de  l'empire  romain..  parlo  I,  pat'-  3;  Gibbon,  cap.  I. 


Gap.  V.]  FORZE  DI  TERRA  E  DI  ^lARE.  783 

stabilite  a  Miserie,  a  Ravenna,  in  Britannia,  in  Germania, 
in  Mesia,  in  Pannonia,  in  Siria,  in  Egitto,  delle  quali  ci 
lànno  importanti  novelle  le  epigrafi,  ricordando  i  nomi 
delle  navi  come  dei  loro  prefetti  e  minori  ufficiali  e  mi- 
liti, ivi  raccolti  dall'Italia,  dalla  Sardegna,  Dalmazia, 
Germania,  AITrica  edAsia("):  mentre  i  monumenti  del- 
l'arte ne  serbano  le  forme  e  gli  emblemi  (^). 

in  Britannia,  3  in  Spagna,  2  in  Dalmazia,  2  in  Pannonia,  3  in  Mesia. 
1  in  Affrica,  2  in  Egitto,  3  in  Giudea,  4  in  Siria.  Vedi  Borghesi,  in  Opere, 
ly,  pag.  217  e  240.  Anche  ai  tempi  di  Adriano  e  di  M.  Aurelio  si  ri- 
cordano 30  legioni  di  cui  si  conoscono  ora,  come  prima  i  nomi  e  le 
stanze.  Sparziano,  Adr.,  15;  Grutero,  513,  3;  Orelli,  3368;  Marquardt,  in 
Becker,  Roem.  Alterthilm.,  Ili,  2,  p.  356. 

(«)  Vedi  Orelli,  3593-3647;  Henzen,  6864-6903.  La  flotta  misenate,  che 
stanziava  in  parte  anche  ai  porti  Lucrino,  Puteolano,  Neapolitano,  Sor- 
rentino e  anche  in  altri  luoghi  della  Campania,  fu  largamente  illustrata 
da  Raffaele  Garrucci,  che  intorno,  ad  essa  raccolse  e  commentò  261  iscri- 
zioni. Classis  praeioriae  Misenensis  Piae,  Vindicis,  Gordianae  monu- 
menta, Neapoli  1852.  Delle  navi,  che  il  Lipsio  portò  al  numero  di  250, 
il  Garrucci  ha  raccolto  circa  70  nomi  (cioè  di  10  liburne,  di  47  triremi, 
di  10  quadriremi,  di  due  quinqueremi,  e  di  una  exereme)  tra  i  quali 
notiamo  i  seguenti:  Esculapio,  Aquila,  Clemenza,  Concordia,  Fede,  Giu- 
stizia, Nettuno,  Nereide.  Virtù,  Apollo,  Augusto,  Capricorno,  Cerere, 
Cupido,  Danuvio,  Diana,  Fortuna,  Ercole,  Giove,  Iside,  Gioventù,  Libertà, 
Lucifero,  Marte,  IMercurio,  Minerva,  Oceano,  Pace,  Partico,  Pietà,  Polluce, 
Provvidenza,  Reno,  Salamina,  Salute,  Sole,  Speranza,  Tevere,  Trionfo, 
Venere,  Zenone,  Annio  Municio,  Dacico,  Olivo,  Vesta,  Opi.  Sui  nomi  delle 
navi  vedi  anche  Gori,  Inscript.  antiq.  in  Etriiriae  urbib.,  tom.  Ili,  pag.  72 
e  segg.,  e  Cardinali ,  iV/emorfe  roìnane  d'antichità  e  belle  arti,  tom.  I. 
pag.  80-86,  e  Diplomi  militari,  pag.  7-15,  73-75,  282-285. 

Più  recentemente  F  illustre  archeologo  G.  B.  De  Rossi  portò  nuova  luce 
in  questo  argomento  pubblicando  e  illustrando  alcune  epigrafi  di  Centum- 
celle  relative  a  più  militi  delle  navi  che  ivi  ebbero  stazione  nel  Porto 
Traiano.  Vedi  Sepolcreto  scoperto  a  Civitavecchia,  in  Bull.  Istit.  arch., 
1865,  pag.  42-46.  Vedi  anche  Mommsen,  Inscr.  Regni  Neap.,  p.  145-154. 

e*)  Probabilmente  a  causa  del  nome  di  Cupido  sulla  nave  della  Colonna 
Traiana,  di  cui  diamo  il  disegno,  sta  dipinto  alla  prora  un  corteggio  di 
Amori  a  cavallo  a  Tritoni  armati  di  remi:  e  anche  la  prora  della  bireme 
imperiale,  di  cui  pure  diamo  il  disegno,  porta  per  emblema  un  Amore 
cavalcante  un  Ippocampo.  Vedi  Bartoli,  Colonna  Traiana,  tav.  25  e  33, 
«  Froehner,  pag.  li,  pi.  59  e  71. 


784 


LiB.  VII. 


Gap.  V.]  IMPERATORI  DISPOTICI.  785 

Dei  mezzi  usati  dagli  imperatori  a  governare  gli  uomini, 
sparsi  su  tanta  parte  di  mondo,  toccammo  in  più  luoghi. 
Ora  voglionsene  accennare  gli  effetti. 

In  generale  nel  governo  fu  tenuto  sulle  prime  il  si- 
stema introdotto  dal  fondatore  dell'Impero,  e  alcuni  sal- 
varono certe  apparenze,  ma  i  più  cupidi  di  dominazione 
non  guardarono  né  a  tradizioni,  né  a  leggi,  e  si  chiama- 
rono padroni:  e  Adriano  recò  quasi  ogni  cosa  in  poter 
suo  così,  che  allora  si  disse,  dove  era  l'imperatore  ivi 
essere  Roma  *.  E  le  cose  procederono  in  modo,  che  dove 
i  primi  imperatori  «  si  studiavano  di  nascondere  sotto 
nomi  civili  questa  lor  padronanza,  a  quei  dei  tempi  po- 
steriori non  pareva  di  poterla  ostentare  e  far  sentir  che 
bastasse.  Quindi  la  casa  del  principe  divenuta  corte  di 
re,  quindi  {jnù  tardi)  le  gemme  e  il  diadema  sulle  sue 
vesti  e  sul  capo,  quindi  la  maestà  del  nome  romano  con- 
centrata nella  sua  sola  persona,  quindi  uomini  liberi  di- 
venuti servidori  di  questa,  e  i  servigi  loro  elevati  a  di- 
gnità dello  Stato,  e  delle  prime  ;  quindi  all'erario  posto 
il  nome  di  largizioni,  quasi  l'imperatore  per  impulso  di 
liberalità  facesse  le  spese  del  suo  ^.  » 

In  generale  fu  detto  ^,  che  la  storia  di  Roma  dopo  la 
caduta  della  Repubblica  non  é  altro  che  la  storia  della 
sostituzione  del  regime  dispotico,  che  gravava  sulle  pro- 
vince, al  regime  di  libertà,  che  fece  la  gloria  e  la  potenza 
della  Repubblica:  e  quando  la  rivoluzione  fu  compiuta, 
l'Italia,  e  Roma  stessa  erano  divenute  province. 

Altrove  dicemmo  che  le  città  conservarono  loro  assem- 
blee, e  magistrati  e  consigU  municipali  regolati  con  leggi 
e  usi  diversi.  Ciò  é  chiaro  pei  documenti  noti  da  un 
pezzo,  e  per  quelli  nuovamente  scoperti.  La  tavola  la- 


1  Erodiano,  I,  G. 

2  Garzetti,  III,  1,  3. 

3  Laboulaye,  Essai  sur  les  lois  erbninelles  des  Romains  concernane  la  responsabililé 
xies  magistrats.  pag.   100-101,  Paris  1818. 


786  GOVERNI  MUNICIPALI.  [Lib.VII. 

tina  di  Eraclea  già  sapientemente  illustrata  dal  nostro 
Mazzocchi  ci  serbò  una  parte  della  legge  GiiiUa  Miinì- 
cipcde  ',  fatta  per  le  città  d'Italia  da  Cesare  ('*),  alla  quale 
ora  si  aggiungono  lo  statuto  che  egli  détte  alla  colonia 
Genetiva  dedotta  ad  Ursone  {Ossima)  nella  Spagna  me- 
ridionale dopo  la  vittoria  di  Manda,  conservato  in  parte 
nei  bronzi  scoperti  or  sono  cinque  anni  2;  e  le  leggi  di 
Salpensa  e  di  Malaga  (^),  tornate  a  luce  nel  1851,  ove 
si  vedono,  ai  tempi  di  DoQiiziano,  i  cittadini  divisi  per 


[^)  Mazzocchi,  Tab.  He  rad. ,  pag.  303  e  segg.  ;  Savigny,  Vermischie 
Schriften,  III,  pag.  279-412.  Dei  meriti  del  primo  illustratore  della  legge 
ragionò  ultimamente  con  acume  di  critica,  eoa  molta  chiarezza  e  con 
giustizia  distributiva  il  Prof.  Felice  Barnabei  ne'  suoi  Studi  degli  scritti 
di  Alessio  Simmaco  Mazzocchi  su  la  storia  di  Capiia  e  su  le  Tavole 
di  Eraclea,  Napoli  1874,  p.  48-64. 

La  tavola  latina  trovata  nel  1722  con  le  greche  di  cui  parlammo  a 
pag.  323  del  primo  volume,  sta  ora  nel  Museo  Nazionale  di  Napoli  e  fu 
recentemente  ripubblicata  da  T.  Mommsen  nel  Corpus  Inscriptionum 
laiinariim,  voi.  I,  pag.  119-125  col  titolo  di  Lex  Julia  Municipalis. 

(^)  Vedi  Rodriguez  de  Berlanga,  Estudios  sabre  los  dos  bronces  en- 
contrados  en  Malaga  ò.  fines  de  octubre  de  1851,  Malaga  1853;  Momm- 
sen,Di>  Stadtrechle  der  Intinischen  Gemeinden  Salpensa  und  Malaca 
in  der  Provinz  Baetica,  nel  volume  terzo  delle  Dissertazioni  della  R. 
Società  Sassone  delle  Sciente,  pag.  363-488,  Leipzig  1855;  Capei  nel- 
V Archivio  Storico  italiano,  nuova  serie,  1855,  tom.  I,  parte  2*,  pag.  5-21; 
-<}iraud,  Les  tables  de  Salpensa  et  do  Malaga,  2''  édition,  Paris  1856; 
Laboulaye,  Les  tables  de  bronze  de  Malaga  et  de  Salpesa ,  traduites 
et  annotces,  Paris  1856;  Zeli,  Leges  municipales,  salpensana  et  mala- 
citana,  Heidelbergae  1857;  Zumpt,  De  Malacilanorum  et  Salpensanorum 
legibus  municipalibus ,  in  Studia  romana,  Berolini  1859,  pag.  209-322; 
-Hùbner,  Inscriptiones  Hispaniae  latinae,  pag.  251-262,  Berolini  1869. 

•'  Epigrafe,  in  Furlanetto,  Lnpid.  Potov..  p.  SS. 

2  Vedi  Los  bronces  de  Osuna  que  puhiica  Manuel  Ilodrisjuez  de  lìcrlanga,  Malacac 
1s7:ì;  Hiibner  e  Motnmsen  ,  Lex  Colonine  luliae  Genetivae  Urbanorttm  sive  L'rsonis  , 
<lata  a  U.  C.  710,  in  Ephemeris  Epigraphica,  J8T1 ,  voi.  II,  jiap.  lOr-lSl;  Camillo  Re, 
Le  tavole  di  Oxsiina  illustrale^  Roma  1871;  Giraud,  Les  bronzes  de  Osuna,  in  Journal 
<(es  Savants^  1S71,  i>ag.  h:{'>-:Vm,  e  dello  stesso,  Les  bronzes  d' Ostina^  Bemarques  nou- 
velies,  Raris  1875. 


Gap.  V.]  GOVERNI  lAIUNICIPALL  787 

curie  e  adunati  in  assemblea  popolare  eleggere  lor  prin- 
cipali magistrati,  cioè  i  duumviri  amministratori  supremi 
e  giudici  delia  città  e  del  suo  territorio;  gli  edili  preposti 
alla  polizia  delle  strade,  degli  edilizi,  dei  mercati,  delle 
misure  e  dei  pesi,  delle  terme  e  dei  giuochi,  e  al  man- 
tenimento dell'ordine;  e  i  questori  custodi  della  pubblica 
fortuna.  Ivi  tra  molte  altre  cose  si  vedono  le  formalità 
dei  Comizi,  i  divieti  di  doni  e.  di  brighe,  le  pene  minac- 
ciate a  chi  tenti  di  impedire  o  turbare  le  elezioni,  le 
qualità  morali  e  civili,  e  le  garanzie  volute  nei  candidati, 
e  il  loro  giuramento  davanti  all'assemblea  cinque  giorni 
dopoché  furono  eletti  ("). 

Del  popolo  diviso  in  curie  è  parlato  da  piìi  iscrizioni 
nei  municipii  dell'Affrica  *.  Delle  elezioni  di  Pompei  at- 
testate amplissimamente  dai  programmi  elettorali  alla 
vigilia  della  sua  distruzione  dicemmo  al  principio  di  que- 
sto volume  2.  Di  elezioni  municipali  alla  metà  del  se- 
condo secolo  (157)  si  parla  a  Boville  quasi  sotto  le  porte 
di  Roma  3-.  e  a  Tergeste  (Tr^es^e)  ^,  a  Tufico  e  a  Sarsina 
nell'Umbria,  ad  Arezzo  in  Etruria,  e  nell'Italia  meridio- 


C^)  Il  candidato  debbe  provare  che  è  di  condizione  libera,  che  non  fu 
mai  condannato  dai  tribunali,  che  non  esercitò  mestieri  che  rendano  in- 
capaci ai  pubblici  ufficii,  che  ha  25  anni  di  età,  e  5  di  domicilio,  e  che 
possiede  quanto  è  richiesto  per  cauzione  di  ciò  che  farà.  L'eletto  giura 
davanti  all'assemblea  (jìro  contione)  per  Giove  e  pel  divo  Augusto,  e  pel 
divo  Claudio  e  pel  divo  Vespasiano  Augusto,  e  pel  divo  Tito  Augusto,  e 
pel  Genio  di  Domiziano  Angusto  e  per  gli  Dei  Penati,  se,  quodcumque 
ex  hac  lecje  exque  re  communi  rnunicipum  municipi  Flavi  Scifpensani 
censeat,  recte  esse  facturum,  neque  adversus  liane  legem  remce  com- 
munem  rnunicipum  eius  m,unicipi  facturum  scientetn  dolo  malo,  quos- 
que  prohibere  possit  prohibitiirum,  etc.  Lex  Salpens.  Riibr.  20. 

1  Renler,  Inscript.  Rom.  de  VMg.,  n.  fJl,  1130,  1525,  2871,  2902,  3090,  3161,  3727; 
llenzen,  712;)  f,  7120  fa.  Vedi  anche  Cod.   Theodos.j  XII,  5,  I. 

2  Vedi  sopra  pag.  15-17. 
■i  Creili,  3701. 

i  Corpus  Inscript.  latin.,  voi.  V,  n.  532. 


788  GOVERNI  MUNICIPALI.  [Lib.  VII. 

naie  a  Istonio,  a  Benevento,  e  a  Suessa  si  ricordano 
anche  consensi  e  decreti  di  plebe  {"). 

Le  asseìnhlee  popolari  in  cui  sta  il  potere  sovrano  delle 
città  sono  presedute  dai  duumviri  della  giustizia  i  quali 
preseggono  pure  il  Consiglio  dei  decurioni,  cioè  dei  cit- 
tadini piìi  facoltosi  e  più  ragguardevoli  per  le  magistra- 
ture esercitate  con  lode  ♦  ;  Consiglio  che  col  nome  di 
Curia,  e  di  Senato  specialmente  in  Italia  ^,  e  di  amplis- 
simo e  splendidissimo  ordine  ^,  sindaca  i  magistrati,  e  ne 
corregge  gli  abusi,  delibera  sui  lavori  di  utile  pubblico, 
provvede  con  suoi  decreti  a  tutti  gl'interessi  e  alla  pro- 
sperità del  Comune,  e  in  qualche  luogo  ha  anche  la  fa- 
coltà di  chiamare  alle  armi  le  milizie  civiche  per  difesa 
dei  minacciati  confini  (^). 

Le  iscrizioni  parlano  anche  di  2)i'incipi  dei  municipii  '% 
e  di  cittadini  principali  e  primati  ^. 

Non  potendo  entrare  in  particolari  sugli  ordinamenti 
municipali  di  cui  fu  scritto  variamente  da  molti  (''),  noto 


(«)  Bullett.  Istit.  ardi.,  1845,  p.  134;  Henzen,  7170;  Orelli,  2182,  2220, 
2603,  3763,  4047.  Vedi  anclie  i  numeri  3145,  5985,  6218  e  7183,  ove  si 
ricordano  i  tribuni  della  plebe  a  Pisa,  a  Teano,  a  Venosa. 

(&)  Finium  ieundorum  causa.  Lex  Colon.  lui.  Genet.,  cap.   103. 

Pei  tribimi  militum  a  popido  ricordati  in  venti  iscrizioni  di  Pompei, 
di  Avellino,  di  Corfinio,  di  Velletri,  di  Olevano,  di  Cere,  di  Verona  e  di 
Spagna,  e  non  creduti  eletti  dal  popolo  dei  munieipii,  vedi  Giraud,  Les 
hronzes  d'Osuna,  Paris  1875,  pag.  38-76. 

(c)  Sui  magistrati  e  su  tutto  il  regime  municipale,  oltre  alle  leggi  ci- 
tate di  sopra,  vedi  Res  Municipales ,  in  Orelli-Henzen,  Inscr.,  voi.  Il, 
pag.  149-226,  e  voi.  Ili,  p.  401-449;  Zumpt,  De  Quinqucnnalibus  Muni- 
c.ipiorum  et  Coloniarum,  e  De  Quatuormris  municipalibus ,  in  Commen- 
inlioncs  Epigr.,  Berolini  1850,  pag.  73-158  e  161-192;  Honzen,  Sui  jìretori 

>  Plinio,  Epht..  I,  19,  e  X,  83;  Corpus  Inscr.  lat..  V,  ',?,i. 

2  Lex  Julm  municipalis^  86,  109,  131;  Orelli-llenzen,  voi.  Ili,  index^  p.  ir>2. 

3  Orelli-Henzen,  n.  1180,  1181,  1180,  3721,  5721,  ecc. 

*  Grutcro,  472,  4;  Orelli,  37.08,  3759;  Corpus  Inscr.  lat.^V,   1893;  IIcnzon,7014;  Della 
Marmerà,   Voyage  en  Sardaione^  11,  489. 
5  Orelli,  2170,  2330,  3762.  3X00,  1009,  4125;  Henzen,  5001,  7013. 


Gap.  V.]  GOVERNI  MUNICIPALI.  789 

soltanto  che  se  dapprima  le  città  più  privilegiate  ebbero 
(la  questi  ordini  eccitamento  a  gagliarda  e  utile  vita, 
presto  le  cose  mutarono  per  la  non  curanza  delle  leggi, 
e  per  la  facile  intromissione  del  governo  imperiale  nelle 
faccende  civili  dei  popoli  in  Italia  e  nelle  province. 

Fino  dai  tempi  di  Traiano  e  Adriano  s'incontrano  i 
curatori  e  i  legati  imperiali  mandati  sotto  nome  di  be- 
nefìcio a  finire  le  liti,  a  rivedere  i  conti  e  a  regolare  1(3 
spese  dei  municipii  e  delle  colonie  ^  Di  Adriano  sappiamo 
che  ordinò  fossero  rescissi  i  decreti  decurionali  a  nome 
deWutile  pubblico,  com'ei  l'intendeva  ^.  Era  il  primo  passo 
per  la  via  conducente  all'arbitrio  pessimo  di  tutti  i  go- 
verni. Il  pericolo  dell'arbitrio  verso  le  città  era  già  stato 
presentito  quando  sotto  Traiano  un  legato  imperiale  andò 
a  ordinare  lo  stato  delle  città  libere  nella  provincia  d'A- 
caia;  e  Plinio  si  credè  in  obbligo  di  ricordare  al  Commis- 
sario suo  amico  che  sarebbe  duro,  disumano  e  barbarico 
togliere  ai  Greci  l'ombra  di  libertà  che  loro  restava,  e 
turpe,  se  il  nuovo  ordinamento  si  mutasse  in  distruzione, 
e  la  libertà  in  servitù  ^.  E  che  i  timori  dell'onesto  e  li- 
berale cittadino  non  fossero  vani  lo  attesta  Plutarco,  il 
quale  tornato  a  finire  la  onorevole  vita  alla  sua  Cheronea 
trova  le  città  greche  soggette  in  tutto  ai  proconsoli  che 
con  un  cenno  possono  annullare  o  trasferire  da  uno  ad 
un  altro  l'autorità  dei  magistrati  civili;  vede  che  di  li- 
bertà non  rimane   se  non  quanto  agli  imperatori  piacer 

e  dittatori  dei  Municipii  antichi,  in  Annal.  Istit.  arch.,  1846,  pag.  253- 
267,  e  Intorno  alcuni  magistrati  municipali  dei  Romani,  ivi,  1859, 
pag.  193-226;  Giraud,  Le  regime  municipal  des  Romains ,  in  Bronzes 
d'Ostina,  pag.  77-101;  Duruy,  Dii  regime  municipal  dans  Vemp.  rom. 
aux  deux  premiers  siècles  de  nutre  ère,  in  Revue  historique,  1876, 
voi.  I,  pag.  39-66,  e  voi.  II,  pag.  3i2-371. 

1  Henzen,  6450,  6183,  6506;  Mommsen,  Corpus  Inscr.  lat.,  IH,  pag.  106-109.  Vedi  an- 
che sopra  pag.  671. 
8  Digesto,  \.,  9,  1  e  5. 
3  Plinio,  Epist.,  Vili,  24. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  99 


790  GOVERNI  MUNICIPALI,  [Lib.  VII. 

concederne:  e  i  magistrati  avverte  a  ricordarsi  che  essi 
governano  città  sottoposte  ai  proconsoli  e  ai  procuratori 
di  Cesare,  e  quindi  gli  esorta  a  metter  giù  ogni  superbia, 
e,  pel  bene  della  patria,  studiare  di  tenersi  amici  i  pa- 
droni, guardandosi,  legate  le  gambe,  di  non  sottoporre 
anche  il  collo,  e  di  non  rendere  il  principe  più  padrone 
di  quello  che  voglia  col  mettere  l'autorità  di  esso  in  ogni 
decreto,  in  ogni  consiglio  ed  uflicio:  e  conclude  che  al 
politico  e  all'uomo  di  sano  intelletto  non  resta  che  ado- 
prarsi  a  mantenere  la  concordia,  l'amicizia  e  la  quiete 
tra  i  cittadini,  poiché  la  fortuna  non  ha  lasciato  alla 
Grecia  altro  bene  *. 

Poco  dopo,  altri  discorrendo  delle  leggi  e  dei  diritti 
concessi  ai  municipii  e  alle  colonie  affermò  che  gli  uni 
e  le  altre  erano  andati  in  disuso  e  in  oblio  2.  Presto  i 
cittadini  fuggirono  gli  uflìcii  municipali  ridotti  a  titoli 
vani,  e  anche  nel  secolo  secondo  la  scarsezza  dei  con- 
correnti si  vede  ai  tempi  di  Adriano  che  con  suo  re- 
scritto costringe  a  riprender  l'ufficio  quelli  che  altra  volta 
lo  tennero  ^  e  più  che  mai  sotto  Marco  Aurelio  che  per 
supplire  al  difetto  obbliga  ad  esser  magistrati  i  cittadini 
che  la  legge  ha  resi  immuni^,  e  ammette  alla  curia  gli 
spurii,  purché  facoltosi  ed  onesti  ^  Nel  secolo  terzo  le 
assemblee  munici[)ali  furon  soppresse,  e  con  esse  scom- 
parvero le  più  importanti  franchigie.  1  magistrati  eletti 
dalle  curie  videro  la  loro  autoiilà  usurpata  in  gran  parte 
dai  ministri  dfl  principe,  e  ridotta  ai  minimi  termini:  i 
decurioni  già  amplissimo,  oncslissimo  e  splendidissimo  or- 
dine, allora  presi  solo  tra  i  nobili,  e  incaricati  anche  di 
riscuotere  le  pubbliche  tasse  divennero  servi  del  governo 
imperiale.  E  cosi,  calpestati  i  vecchi  statuti,  finirono  gli 

1  l'Iiilarcf»,  Insegnamenti  civili^  17,  18,  19  e  32. 

2  Gelilo,  XVI,  1^. 

S  Diopsl..  L,  1,  11. 
*  !/iiiPsl  ,  I.,  -1,  11. 
t  higesl..  ),,  2,  legg-.  3  e  4. 


Cap.  V.]         GOVERNO  DELLE  PROVINCE.  791 

splendori  delle  città  governanti  sé  stesse,  e  la  vita  dei 
Comuni  restò  quasi  spenta. 

Per  agevolare  il  governo  si  allargarono  le  comunica- 
zioni restaurando  le  vecchie  strade  e  aggiungendone  delle 
nuove  e  magnifiche  a  traverso  all'Italia  e  alle  province, 
come  già  più  volte  vedemmo  attestato  da  molte  iscrizioni. 
Alcuni  imperatori  studiarono  di  conoscrre  i  mali  dei  po- 
poli, e  intesero  ad  opere  di  pubblica  utilità,  e  concessero 
immunità  e  priviiegii:  ma  ne  questo,  né  i  provvedimenti 
dell'imperatore  Filosofo,  né  la  cittadinanza  estesa  poscia 
a  tutti  da  Caracalla,  fecero  prosperare  le  province,  né 
assicurarono  le  vite  o  le  robe  dalla  crudele  rapacità  dei 
tiranni.  Niun  provvedimento  valeva,  perchè  stabilito  che 
lo  Stato  era  cosa  propria  del  principe  divenuto  superiore 
a  ogni  legge,  e  non  lasciata  alcuna  garanzia  di  istituzioni 
ai  soggetti,  ne  veniva  di  conseguenza  che  i  fatti  di  un 
principe  buono  rimanessero  inutili  sotto  i  successoli  mal- 
vagi, che  nulla  avendo  per  sacro,  mettevano,  a  loro 
talento,  le  mani  nelle  robe  e  nel  sangue.  È  vero  che  la 
sorveglianza  di  un  potere  centrale  fortemente  ordinato 
dovè  essere  di  qualche  utile  alle  province,  e  che  ora  in 
molti  casi  era  più  facile  perseguitare  i  proconsoli  ladri; 
ma  é  vero  del  pari  che  il  governo  oppr-imeva  con  pesi 
gravissimi,  e  non  riusciva  a  dar  sicurezza,  perché  si  narra 
di  grandi  delitti  impuniti,  di  giovani  nobili  che  infestano 
e  insanguinano  di  notte  le  piazze,  di  prepotenze  di  l'icchi 
che  ferocemente  spogliano  i  loro  vicini,  e  si  vedono 
grosse  bande  di  ladri  desolarle  le  campagne,  sfor-zare  le 
case,  rubare  e  uccidere,  e  assalire  le  città  stesse  '. 

Ricor'dammo  le  opere  dei  pochi  imperatoi-i  che  volsero 
ogni  cura  al  bene  degli  uomini  :  e  vedemmo  Tibcr-io  e 
Sciano  contaminare  e  spogliare  e  uccidere;  e  Caligola  e 
Nerone  e  Vitellio  e  Domiziano  e  Commodo   profondenti 

>  Apuleio,  Metamorph..  II,  13,  III,  28,  IV,  6  e  segg.,  IX,  S  t  35. 


792  RAPINE  D'IMPERATORI  E  PROCONSOLI.  [Lib.  VII. 


i  milioni  dell'Impero  in  crapule,  e  in  oscenità  senza  nome, 
e  poscia  saccheggianti  le  province  per  rifarsi  dei  dispersi 
tesori.  Lo  stesso  Vespasiano  raddoppiò  le  gravezze,  ed  è 
detto  che  vendeva  gli  ufficii,  e  mandava  i  più  rapaci  al 
governo  per  trar  pecunia  dalle  condanne  *.  Vedemmo  le 
enormi  esazioni  dar  causa  a  guerre  e  a  tumulti.  Le  ra- 
pine di  Nerone  divennero  proverbio,  e  per  significare 
l'eccessiva  ricchezza  di  uno  fu  detto,  possedere  quanto 
Nerone  rapì  -.  Spoliazioni  di  imperatori,  crudeltà  di  pro- 
consoli e  oltraggi  di  soldati  narra  la  storia  in  Oriente  (''), 
in  AlTrica,  nelle  Spagne,  in  Germania,  in  Britannia  '.  Qua 
governatori  ingordissimi,  che  la  ricca  provincia  induce 
a  rubare;  e  superiori  e  inferiori  che  fanno  mercato  della 
giustizia  '%  e  che  si  tengono  il  sacco;  le  province  che  pa- 
tiscono corruzione  dai  giovani  mutanti  la  milizia  in  bor- 
dello, e  i  vizi  fatti  strumento  d'impero  anche  dai  capitani 
migliori  ;  altrove  fiere  querele  di  genti  contro  la  insazia- 
bilità dei  Romani,  e  i  barbari  delle  selve  Caledonie  gri- 
danti, che  impero  significa  rubare,  trucidare,  rapire  ^  E 
colla  storia  si  accorda  la  poesia  e  la  satira,  che  dicono 
di  città  spogliate  ^  e  di  province  che,  se  anche  vincitrici 
nei  processi  contro  chi  le  avea  derubate,  rimanevano  a 
piangere  i  patiti  danni,  mentre  i  ladri,  non  curanti  del- 
l'infamia, facevan  tempone  colle  rapine,  alla  barba  degli 

(«)  Seneca  {I)e  Ira,  II,  5)  riferisce  che  Yoleso  Messala  essendo,  ai 
tempi  di  Augusto,  proconsole  d'Asia,  in  un  eoi  giorno  fece  uccidere  tre- 
cento persone,  e  passeggiando  superbamente  tra  i  cadaveri,  quasi  avesse 
fatto  l'opera  più  bella  e  magnifica,  esclamava:  Oh  cosa  regia  che  e  questa! 
Tacito  {Ann.,  Ili,  68)  ricorda  il  senatoconsulto  fatto  contro  di  lui,  ma 
con  dice  a  qual  pena  fu  condannato. 

1  Svetonio,  Vespas..  16. 

2  Giovenale,  Sat..  XII,  129. 

3  Tacito,  Ann.j,  I,  59,  II,  15,  42,  54,  IV,  15,  XIV,  31,  3S;  Agric.  .  15;  Dione  Cassio, 
MV,  2,  3,  e  segg.;  Velleio  Patercolo,  II,  117. 

*  Kilostrato,  Vita  di  Apollonio  Tianeo.  V,  36. 
6  Tacilo,  Agric,  5,  6,  21,  30-32. 
«  Silio  Italico,  Panie. ^  XIV,  6S5. 


<Up  V.]  GRAVEZZE  SENZA  NUMERO.  793 

Dei  adirati;  e  ricorda  che  i  paesi  più  floridi  erano  per 
queste  ruberie  a  tale  ridotti,  che  nulla  più  vi  rimaneva 
da  potersi  rapire;  messe  le  ladre  mani  nel  povero  cam- 
picello,  nello  scarso  gregge,  e  anche  nel  sacrario  dei 
F_.ari;  e  nel  sangue  dei  socii  rotte  le  verghe  dei  feroci 
proconsoli,  che  a  guisa  di  arpie  distendono  per  tutto  gli 
adunchi  artigli,  senza  risparmiare  neppur  quelli  che  colle 
loro  fatiche  nutrono  Roma,  vivente  in  feste  e  spettacoli, 
e  senza  pensare  che  gli  oltraggi  possono  alla  fine  fare 
scoppiar  l'ira  compressa  in  quelli  cui  rimane  la  miseria 
t'  la  forza  *. 

Poi  gravezze  senza  numero;  oro  coronario  in  occasione 
(li  principi  nuovi,  o  per  nascite  o  adozioni  di  figli ^; 
tasse  sui  fondi  e  testatico  pagato  dalla  plebe  più  povera, 
dai  coloni  e  anche  dagli  schiavi,  ed  esatto  con  acerbis- 
simi modi  («);  tasse  sul  celibato  e  sull'orbita,  sull'affran- 
cazione degli  schiavi  e  sui  testamenti;  tasse  sotto  nome 
di  regali  nel  dì  natalizio  del  principe,  o  al  capo  d'anno  3, 
uso  mutato  in  legge  in  appresso  '';  dazii  sulle  merci  che 
passavano  da  un  luogo  ad  un  altro,  e  balzelli  sui  bestiami, 
>'  le  antiche  gabelle  del  sale;  e  tributi  di  opere  straor- 
ilinarie,  sordide  e  vili,  ordinati  nei  secoli  dopo  ^. 

Onde  crebbero  sì  i  mali  e  i  debiti  delle  città  e  dei  pri- 
vati, che  vari  imperatori  tra  i  buoni  dovettero  condonare 
più  volte  milioni  di  debito  ai  sudditi  incapaci  a  pagare^: 
e  nei  tempi  precedenti  a  Costantino  si  vedono  i  figliuoli 

("■)  Per  le  particolarità  più  importanti  di  questa  materia  toccate  nel 
.-ecolo  primo  e  secondo  dagli  scrittori,  e  meglio  schiarite  poscia  dalle 
leggi  dei  codici  Teodosiano  e  Giustiniano,  vedi  Gai'zetti,  lib.  Ili,  cap.  XI. 
S  68-73. 

1  Giovenale,  Sat,  I,  49  e  50,  VIU,  08-130. 

-  Sparziano,  Adriano.  0;  Capitolino,  Antonino  Pio.  4;  Eckhel,  VII,  pag.  6. 

3  Svetonio,  Aug..  57;  Tib..  31;  Calig..  42;  Dione  Cassio,  LVII,  8  e  17,  LIX,  24. 

4  Cod.  Theodos..  lib.  VII,  tit.  24,  legg.  1;  Cod.  lustin..  lib.  XII,  tit.  49,  legge  unica. 

5  Tacito,  Agric,  19,  32;  Aurelio  Vittore,  De  Caesaribus.  9;  Garzetti,  loc.  cit..  §  71. 
'•  Sparziano,  Adriano ^  T;  Dione  Cassio,  LXXI,  32. 


794  SFOGGIO  DI  MONUMENTI  E  MISERIA  IN  ITALIA.  [Lib.  VII. 

esposti,  venduti,  uccisi  diille  plebi  d'Italia  incapaci,  per 
l'esli'ema  miseria,  a  nutrirli:  donde  la  spopolazione  di 
pili  luoghi,  che  anche  nel  sscorìdo  secolo  era  stato  ne- 
cessario Impopolare  tras[)ortandovi  orde  di  barbali  ^ 

In  Italia,  come  nelle  province,  più  città  fauno  sfoggio 
di  teatri,  di  anfiteatri,  di  tem[)li  e  di  monumenti,  a  so- 
miglianza di  Roma,  di  cui  per  fasto  ripetono  i  nomi  ("). 
Mi  in  più  luoghi  si  vede  miseria  e  squallore:  e  le  città 
famose  nei  tempi  antichissimi,  Gabii,  Vti,  Cora,  Alba  e 
altre,  ei'ano  ora  mutate  in  miseri  e  desolati  borghi.  A 
tanta  miseria,  dice  Lucano,  siam  giunti,  che  in  tutto  il 
Lazio  iiou  nasce  più  tanta  gente,  che  basti  a  po|)olare 
le  sue  città  e  a  coltivare  i  suoi  campi.  Uua  sola  città  ci 
contiene:  le  itale  mòssi  si  coltivano  da  incatenati  lavo- 
ratori. Lo  case  rovinano,  e  ninno  corre  pericolo  da  quelle 
rovine.  Roma  ò  piena  di  figli  non  suoi,  e  della  feccia 
del  mondo.  Le  stragi  dei  campi  farsalici  ci  hanno  di- 
strutto -. 

Delle  città  italiche  poco  parla  in  questi  tempi  la  storia: 
e  appena  si  accenna  a  qualche  rissa  intestina,  e  a  qual- 
che zulla  tra  i  rapi  dei  municipii  e  le  plebi,  o  tra  gli 
abitatnii  dei  luoghi  vicini;  come  a  Pollenzia  ])resso  al 
Tanaro  sotto  Tdjeiio  ^,  e  a  Pozzuoli  e  a  Pompei  sotto 
Nerone ''.  A  Pozzuoli  la  plebe,  levatasi  a  tumulto  per  l'a- 
varizia dei  magistrati  e  dei  grandi,  infuria  con  sassi,  mi- 


C)  Tra  molti  e.«empi  citerò  i  Vichi  di  Rimini  i  quali,  come  attestano 
le  epiijrafi,  avevano  i  rionii  di  Aventino,  Celio,  Dianense ,  Esquilino , 
Gè  mulo,  Vefabro.  Viminale.  Vet'i  Nhi-Jì,  Sui  Vichi  entro  le  ci  tà  e  se- 
gna aweite  in  Rimino  a  lempo  de'  Romani,  nel  Giorn.  Arcnd. ,  H24, 
voi.  Wlli.  pig.  :3^8-37.^.  Vei  i  anche  Tonini,  Rinvni  acanti  il  principio 
dell'era  vuljare,  lumini    1848,  voi.  1,  pag.  2U(i-;^13. 

•  Coli    Ttiendox..  XI,  27,  1;  I.ait.Tnzio,  Institi  VI,  20;  Capitolino,  Marc'Aurelio^  22 

2  l.iic;ir....  pltursiil..  V1I,:3'J1  o  se^y. 

3  Sv^t.-iiio.    Tit,..  37. 

*  Tacilo,  Ann..  XUI,  48,  XIV,  17. 


I 


Cap.  V.l 


79'j 


Anfiteatro  di  Capiia  {Alcìno_,  Anfiteatro  Camnano.  tav."15). 


796 


POMPEI  E  I  SUOI  GLADIATORI. 


[LiB.  \H. 


naccia  incendii,  ed  è  repressa  dalle  milizie  col  supplizio 
dei  capi. 

A  Pompei  un  grande  edifizio  di  cui  rimangono  tuttora 
parecchie  colonne  era  quartiere  e  scuola  dei  gladiatori, 
come  sì  argomentò  dalle  armi  gladiatorie  ivi  scoperte, 
dalle  liste  dei  nomi  dei  combattenti,  con  accanto  il  nu- 


Qiiarliero  dei  gladiatori  a  Pompei  (Orerheck.  Pomp.^  jiag.  173). 

mero  di  loro  vittorie,  e  dalle  imagini  di  essi  rozzamente 
tracciate  sulle  pareti.  Qui  vedonsi  Asteropeo  Neroniano 
col  ricordo  delle  sue  centosette  corone,  e  Antigono  e 
Superbo,  due  gladiatori  liberti  in  atto  di  contrastarsi  la 
palma;  il  primo  glorioso  di  più  di  2000  vittorie,  l'altro  un 
apprendista  che  ha  vinto  solo  una  volta;  poi  Achille  so- 
prannominato l'Invitto'.  Qui,  come  altrove,  col  sangue 

•  Garnicei,  //  ludus  gladialorius  ovvero  Convitto  dei  gladiatoria  in  Questioni  Pom- 
peiane^   Napoli    1853,   vagr.  6  i;  sopg. ,   e  Gratti  de  Pompii,   l'aris  1850,   pag.  65-77, 

1.1.  IX,  XI  o.  xir.     . 


Gap.  V.l  SANGUINOSA  RISSA  NELL'ANFITEATRO  A  POMPEI. 


?97 


dei  gladiatori  si  celebrano  i  funerali  dei  cittadini  più  il- 
lustri, e  sulla  tomba  di  Scauro  nella  via  dei  sepolcri  si 
vedono  ancora  scolpite  queste  ferali  onoranze.  Ma  i 
grandi  e  rumorosi  spettacoli  ricordati  spesso  nelle  iscri- 
zioni sono  quelli  che  nell'Anfiteatro  si  danno  continua- 
mente dai  personaggi  più  ricchi  alla  città  amantissima 
delle  sanguinose  battaglie,  a  cui  anche  le  genti  vicine 
traggono  in  folla. 

/VtfMArvf  )^T-TCf/vvs   s^?t){E')(sm 


Rozze  iraagini  dei  gladiatori  sulle  pareti  {Garrucci^  Graffiti^  tav.  XI,  n.  2,  XII,  n.  1  e  ?). 

A  una  di  tali  feste  l'anno  812  (59  di  Cr.)  i  coloni  Pom- 
peiani e  i  Nocerini  vennero  a  parole,  a  improperii,  a 
sassate,  e  in  ultimo  ai  ferri.  Molti  Nocerini  furono  ripor- 
tati in  città  storpi  e  feriti,  e  molte  case  piansero  la  morte 
di  figliuoli  e  parenti.  La  plebe  Pompeiana  restò  vittoriosa, 
ma  non  ne  uscirono  allegri.  Gli  eccitatori  della  sedizione 
furono  puniti  di  esilio:  la  città  di  Pompei  ebbe  per  dieci 
anni  il  divieto  de'  suoi  cari  spettacoli  *:  e  se  nella  pittura 
graffita  rozzamente  sul  muro  nella  via  di  Mercurio  e  cre- 
duta allusiva  a  quel  fatto  uno  dei  combattenti  ostenta  la 


Tacito,  ìoc.  cit. 
Yannccci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV, 


798     ONORI  DELLE  CITTÀ  A  PRINCIPI  BUONI  E  CATTIVI.  [Lib.  VII. 

palma  del  trionfo,  l'epigrafe  posta  al  dì  sotto  dice  che  i 
Campani  perirono  coi  Nocerini  in  una  sola  vittoria  ('*). 

Le  iscrizioni  a  Pompei,  a  Ercolano,  e  in  altre  città 
registrano  i  voti  e  gli  augurii  dei  cittadini  e  dei  Comuni 
ai  principi  buoni,  e  anche   ai  cattivi;   celebrano,   come 


Anfiteatro  di  Pompei  {Overbeck,  Pomp.^  pag.  152). 

vedemmo,  Vespasiano  per  le  sue  opere  pubbliche;  Tito 
prode  e  benefico;  e  Galba  e  Nerva  restitutori  di  libertà; 
Adriano  per  le  sue  liberalità;  Traiano  fortissimo,  prov- 
videntissimo  e  ottimo  principe  ;  e  Antonino  Pio  e  Marco 
Aurelio  per  le  virtù  grandi  e  utili  al  mondo;  ma  cele- 
brano pure  la  libertà  di  Tiberio,  e  ricordano  le  pubbliche 
feste  e  i  voti  fatti  per  lui  nelle  colonie,  e  i  voti  per 
Claudio  e  per  Messalina,  e  per  Nerone  festeggiato  con 


C)  Campani  Victoria  una  cum  Nucerinis  peristis.  Bechi,  Museo  Bor- 
bonico, voi  VI,  tav.  C.  Conf.  Garrucci,  Graffiti,  pag.  15,  pi.  XXIX,  n.  6. 


Gap.  V.l  MONUMENTI  A  MAGISTRATI  E  LIBERALI  PATRONI. 


799 


solenni  spettacoli*;  ed  esaltano  il  trionfo  felicissimo  di 
Domiziano,  e  lodano  le  vittorie  di  Commodo,  e  lo  chia- 
mano il  più  nobile  di  tutti  i  principi  2. 

Le  città  stanziano  monumenti  ai  magistrati,  ai  liberali 
patroni,  e  ai  cittadini  larghi  di  conviti  e  di  giuochi  e  di 
altri  pubblici  beneficii  3.  A  Pompei  rimangono  moltiplici 
ricordi  degli  onori  resi  ai  cittadini  munifici  che  fecero 
la  città  più  adorna  e  più  lieta;  onori  del  biseUio,  larga 


Bisellii  a  Pompei  {Museo  Borhon.^  Il,  31,  e  Mazois^  Ridnes^  I,  21). 

e  splendida  sedia  nel  teatro  e  nella  curia,  onori  di  fu- 
nerali e  di  statue  nel  Fóro:  e  ad  Ei'colano  rimangono, 
tra  le  altre,  le  statue  equestri  de'  Balbi,  nobilissime  opere 
d'arte,  e  con  esse  i  simulacri  di  tutta  la  famiglia  posti 
nel  teatro  per  testimonianza  di  pubblico  onore  *.  Altri 
tramandarono  alla  posterità  i  nomi  dei  pantomimi,  dei 
commedianti  e  dei  danzatori  onorati  dalle  più  splendide 
città  d'Itaha  ^,  e  i  nomi  dei  cavalli  famosi  per  loro  velo- 


1  Orelli,  Inscr.,  686,  6S9,  690,  709,  732,  e  Ilenzen,  5406, 

2  Orelli,  769,  879  ;  Henzen,  5486. 

3  Muratori,  Thesaur.  Inscrijìt.^  p.  611,  4,  617,  6,  618,  1  e  3,  620,  1  e  2,  652,  2;  Orelli 
e  Henzen,  73,  77,  80,  81,  90,  2532,  2547,  2570,  6118,  6149,  6151,  6152. 

i  Vedi  Museo  Borbonico^  voi.  II,  tav.  3S-14. 

5  Muratori,  Thesaur.,  pag.  611-663;  Orelli,  2627,  2629,  2630,  2637,  2641. 


800 


FLAGELLI  D'ITALIA. 


[LiB.  VIL 


cita  nelle  corse  del  Circo  *,  e  dei  servi  e  delle  meretrici 
degli  imperatori  più  sconci  ^. 

Sovente  si  ricordano  i  flagelli  patiti  dalle  nostre  con- 
trade, che  spopolate  e  spogliate  dalle  guerre  civili  decad- 


Statua  equestre  di  M.  Nonio  Balbo  a  Ercolano  {Museo  Nazionale  di  Napoli). 

dero  ogni  di  più.  Ai  tempi  di  Tito,  di  Marco  Aurelio  e 
di  Commodo,  gravissime  pestilenze  spensero  uomini  e 
bestiami  a  migliaia,  disertarono  città  e  campagne,  le? 
/|iiali  prive  di  cultori,  si  coprirono  di  spine  ^.  Pestilenze 
0  stragi  e  rovine  nuove  poco  dopo  al  tempo  dell'anarchia 


1  Iscrizione  ili  Brescia,  in  Muratori,  625 

2  Orelli,  733,  735. 

3  Capitolino,  Vero^  8;  Orosio,  IX. 


(Jap.  V.]      MAL  GOVERNO,  CARESTIE  E  SPOPOLAMENTO.  801 

militare;  e  più  crudele  d'ogni  cosa  il  brutale  governo, 
che  uccideva  e  spogliava,  e  infamava  i  luoghi  più  ameni 
col  sangue  e  con  turpi  delitti.  Nerone  per  rifare  Roma 
più  bella  avea  saccheggiato  con  le  province  anche  l'Ita- 
lia *,  cui  Vespasiano  accrebbe  i  gravami  ^i  e  se  Nerva  e 
Traiano  mitigarono  la  rigida  legge  sulla  ventesima  delle 
•  redità,  altri  colle  eredità  arricchirono  l'erario  annullando 
i  testamenti,  in  cui  non  si  facessero  lasciti  al  principe  ^. 
K  anche  qui  gravi  sopra  quelle  di  tutti  le  miserie  del 
volgo.  Non  mancavano  carestie,  e  il  popolo  minuto  pativa 
la  fame,  mentre  le  signorili  mascelle  stavano  in  gozzo- 
viglia, e  gli  edili  sono  accusati  di  arricchirsi  rubando,  e 
di  esser  d'accordo  coi  fornai  per  tener  caro  il  pane  ''.  Il 
provvedimento  di  Traiano  ordinante,  che  per  aspirare 
agli  onori  occorresse  avere  almeno  un  terzo  del  patri- 
monio in  Italia  ^,  fu  causa  che  i  terreni  cadessero  tutti 
v.eWe  mani  dei  grandi.  Lo  spopolamento  è  attestato  dai 
i)arbari,  che  Marco  Aurelio  condusse  a  stanza  in  Italia,  e 
«lalle  terre  abbandonate,  che  Pertinace  distribuì,  perchè 
fossero  ridotte  a  cultura  ^.  Trascurata  per  turpi  guadagni 
Tagricoltura,  che  sola  era  atta  a  dare  innocente  ricchezza: 
1a  Terra  Saturnia,  ove  gli  Dei,  dice  Columella,  insegna- 
rono agli  uomini  la  cultura  dei  campi,  non  produsse  più 
le  cose  necessarie  al  mantenimento  dei  suoi  abitatori,  che 
non  poterono  più  vivere  senza  l'aiuto  dei  campi  di  oltre- 
mare e  delle  vigne  di  Grecia,  delle  Gallie  e  di  Spagna '. 
Delle  misere  sorti  d'Italia  parla  anche  il  provvedimento 
preso  dai  "principi  buoni  di  alimentare  a  pubbliche  spese 
in  ogni  città  i  piccoli  figliuoli  dei  poveri,  del  quale  fu 


i  T.'^.cito,  Ann.,  XV,  45. 

-  Zonara,  Annal.,  XI,  17. 

3  Svetonio,  Caiig..  3S;  Ner.,  32;  Dione  Gassio,  LIX,  15. 

<  Petronio,  Sati/ric^  U. 

'■  Plinio,  Epist..  VI,  19. 

>''  Capitolino,  M.  Aure!..  22;  Erodiano,  II,  i. 

'  Columella,  Praef..  1,  20. 


802  PUBBLICI  ALIIVIENTI  AI  FANCIULLI  D'ITALIA.     [Lib.  VII 

toccato  sopra  in  più  luoghi.  Era  opera  di  beneficenza  e 
in  pari  tempo  provvedimento  politico  inteso  a  incorag- 
giare i  matrimonii  legittimi,  a  favorire  e  accrescere  la 
popolazione  libera,  e  a  preparare  buoni  cittadini  e  sol- 
dati devoti  alla  patria  *. 

Oltre  ai  brevi  cenni  degli  scrittori,  attestano  il  fatto 
le  medaglie^  le  epigrafi  e  i  monumenti  dell'arte.  Piìi 
volte  vedemmo  le  pubbliche  largizioni  ai  tempi  della 
libertà,  e  poi  sotto  F  Impero  :  ma  quelle  miravano  sola- 
mente a  favorire  l'oziosa  plebe  di  Roma.  Nerva  fu  ii 
primo  ad  allargare  il  beneficio  in  nuova  maniera,  ordi- 
nando di  alimentare  a  pubbliche  spese  i  piccoli  figliuoli 
dei  poveri  per  le  città  d' Italia  (^),  e  provvedendo  così 
alla  tutela  di  essa,  come  è  detto  da  una  medaglia  in 
cui  r  imperatore  assiso  sopra  sedia  curule  stende  la  de- 
stra a  un  fanciullo  e  a  una  fanciulla  '^. 

La  benefica  istituzione  non  potuta  recar  pienamente 
ad  effetto  da  Nerva  morto  nell'anno  stesso  (di  R.  850, 
di  C.  97)  in  cui  ne  ebbe  il  pensiero,  fu  fortemente  or- 
dinata e  ingrandita  da  Traiano,  promotore  sollecito  di 
tutte  le  belle  e  nobili  cose.  Anche  dell'opera  sua,  oltre 
a  Plinio  e  a  Dione,  rendono  testimonianza  iscrizioni  (*) 
e  monete  in  cui  colla  scritta  alimenti  d'Italia  si  vade 
l'ottimo  principe  distribuire  soccorsi,  ora  accompagnato 
dalla  Liberalità  che  offre  spighe  a  un  fanciullo,  ora  fra 


{^)  Puellas  puerosque  natos  parentibus  egestosis  sumptu^niblico  per 
Italiae  oppida  ali  iussit.  Aurelio  Vittore,  Epit.,  12. 

(«>)  Plinio,  Paneg..  26-28;  Dione  Cassio,  LXVIII,  5;  Grntero,  1084,  7; 
Fabretti,  pag.  686,  n.  91;  Muratori,  230,  3.  Nell'iscrizione  di  Ferentino 
è  detto  che  colla  istituzione  degli  alimenti  provvide  aireternitù  della  sua 
Italia,  aelernitati  Italiae  suae  prospexit.  Orelli,  784.  Un'altra  iscrizione 
accoppia  la  munificenza  imperiale  alla  figliolanza  italiana.  Muratori,  230,  3. 

1  Plinio,  Paneg.,  26-28. 

2  Per  la  medaglia  colla  leggenda  tutela  Italiae  vedi  lOckhel,  VI,  107,  e  Cohen,  Mom^., 
voi.  I,  pag.  4717,  n.  121. 


€ap.  V.]       PUBBLICI  ALIMENTI  AI  FANCIULLI  D'ITALIA.  803 

madri  che  gli  conducono  i  piccoli  figli,  ora  in  atto  di 
rialzare  l' Italia  (?he  tiene  un  globo,  mentre  due  fanciulli 
inalzano  le  mani  al  munifico  soccorritore  ("). 

Finalmente  nell'arco  di  Benevento  vi  hanno  uomini 
(;he  portano  fanciulletti  sugli  omeri,  e  quattro  donne  con 
in  testa  corone  murali,  conducenti  quattro  fanciulle  verso 
Traiano,  le  quali  si  crederono  rappresentare  i  municipii 
•  V  Italia  soccorsi  col  beneficio  degli  alimenti  *, 

Ma  documenti  più  utili  e  preziosi  di  tutti  rispetto  alla 
istituzione  degli  aUmenti  e  al  modo  con  cui  fu  da  Tra- 
iano ordinata  e  assicurata,  sono  le  due  tavole  alimentarie 
trovate,  una  nel  4747  tra  le  rovine  dell'antica  Velleia 
non  lungi  da  Macinesso  nel  Piacentino,  e  l'altra  nel  1832 
a  Campolattaro  nel  Sannio,  dove  stettero  i  Liguri  Be- 
biani  e  Corneliani,  di  cui  fu  altrove  parlato  2. 

Di  ambedue  fu  scritto  molto  al  tempo  di  loro  scoperta 
*i  in  appresso  sotto  i  rispetti  filologici,  archeologici,  giu- 
ridici, economici  e  storici  Q).  In  esse  si  vedono  le  somme 

(«)  Eckhel,  VI,  425;  Cohen,  Monn.,  voi.  II,  pag.  5,  n.  13  e  14,  pag.  48- 
49,  n.  299-303,  e  pag.  60,  n.  373.  Talvolta  invece  dell'epigrafe  alimenta 
Italiae  vi  è  Resi,  hai.,  cioè  Restitutore  d'Italia. 

(*)  La  tavola  Bebiana  appartiene  al  quarto  consolato  di  Traiano  (854 
di  Roma,  101  di  Cristo):  la  Velleiate  fu  incisa  dopo  la  vittoria  sui  Daci. 
Xeir  intestatura  della  prima  è  detto  che  i  Liguri  Bebiani  obligarunt 
praedia  affinchè  per  la  liberalità  dell'ottimo  e  massimo  principe  pueri 
[mcllaeque  alimenta  accipiant:  e  la  Velleiate    s'intitola  obligatio  prae- 

diorum ut    ex    indulgentia  optimi   maximique    principis  Caes. 

Nervae  Traiani  Aug.  Germanici  Bacici  pueri  puellaeque  alimenta 
accipiant. 

Per  le  illustrazioni  e  pubblicazioni  di  esse  vedi  Borghesi,  Tavola  ali- 
mentaria Bebiana,  in  Bull.  Istit.  arch.,  1835,  p.  145-152;  Henzen,  Be 
tabula  alimentaria  Baebianorum,  in  Annal.  Istit.  arch.,  1844,  pag.  5-111. 
'■he  pubblicò  e  illustrò  dottamente  la  tavola  e  tutta  la  storia  degli  ali- 
menti; e  le  difese  e  correzioni  e  aggiunte  di   nuove   ragioni  e  iscrizioni 

1  Rossini,  Gli  archi  trionfali ,  onorarii  e  funebri  degli  antichi  Romani ,  sparsi  per 
"■'ma  l'Italia,  tav.  10. 

J  Vedi  sopra  voi.  I,  pag.  2G5,  e  voi.  II,  pag.  400. 


[LiB.  V]». 


Gap.  V.]       PUBBLICI  ALIMENTI  AI  FANCIULLI  D'ITALIA.  805 

date  da  Traiano  per  servire  coi  loro  frutti  di  alimento 
ai  fanciulli  dell'uno  e  dell'altro  Comune  fino  agli  anni  in 
cui  possano  guadagnarsi  la  vita  col  proprio  lavoro;  cioè 
un  milione  e  centosedicimila  sesterzi  ai  Velleiati,  e  quat- 
trocentonovemila  ottocento  ai  Bebiani.  11  capitale  è  dato 
in  prestanza  perpetua  assicurata  sopra  terreni  superanti 
da  dieci  a  dodici  volte  il  valore  di  esso.  Nel  contratto 
sono  nominatamente  rjotati  i  possidenti  che  ricevon  l'im- 
prestito,  e  le  somme  per  le  quali  si  obbligano  :  vi  sono 
tutti  i  nomi  dei  fondi  con  loro  siti  e  confini  e  valori  se- 
condo le  stime  scritte  nei  libri  del  censo;  le  usure  an- 
nuali che  ciascuno  debbe  pagare  a  prò  dei  fanciulli  sono 
del  cinque  per  cento  a  Velleia,  e  del  due  e  mezzo  a  Be- 
biano.  A  Vélleia  i  fanciulli  alimentati  colla  rendita  di 
55,800  sesterzi  sono  300,  cioè  263  maschi  legittimi,  35 
femmine  pure  legittime,  uno  spurio  e  una  spuria.  Nelle 
distribuzioni  mensuah  si  danno  16  sesterzi  ai  fanciulli 
legittimi  e  12  alle  fanciulle  ;  12  allo  spurio  e  10  alla 
spuria:  piccole  somme,  ma  bastanti  a  dar  pane  ai  po- 
veretti (^)  che  rimanevano  nelle  case  dei  loro  parenti,  nò 

dello  stesso  in  Bull,  Istit..  1847,  p.  8  e  segg.,  Annal.  1849,  p.  220-23'J, 
Bull.  Istit.,  1859,  p.  230-233,  e  1863,  p.  140-146;  Garrucei,  Antichità 
dei  Liguri  Bebiani  j,  e  le  altre  opere  di  lui  e  di  altri  citate  sopra  voi.  1, 
pag.  266;  Desjardins,  Z)<?  tabulis  alimentariis ,  Parisiis  1854,  il  quale  ri- 
pubblicò la  Velleiate  con  suoi  commenti  storici  e  geografici,  e  détte  una 
copiosissima  lista  dei  lavori  fatti  su  queste  due  grandi  iscrizioni;  e  final- 
mente Furlanetto ,  BecjV  istituti  di  pubblica  beneficenza  presso  gli  an- 
tichi Roraani  per  l'età  infantile  simili  a  quelli  dei  tempi  nostri,  Pa- 
dova 1857,  dissertazione  letta  all'Istituto  Veneto  nel  1845  e  rimasta 
inedita  fino  all'anno  suddetto. 

(")  «  Dalle  accurate  indagini  fatte  dal  Letronne  risulta  che  il  sesterzio 
al  tempo  di  Traiano  valeva  circa  20  centesimi  austriaci,  che  il  moggio 
romano  di  frumento  valeva  tre  sesterzi:  dunque  con  16  sesterzi  compc- 
ravansi  cinque  moggia  e  un  quinto  di  frumento ,  e  che  questo  moggio 
pesando  circa  20  libbre  nostre,  ogni  fanciullo  avea  piìi  di  libbre  100  di 
frumento  al  mese.  Sapendosi  poi  da  Seneca  {Epist.,  80,  7),  che  ogni  servo 
avea  dal  suo  padrone  cinque  moggia  di  frumento  e  20  sesterzi  al  mese, 
Van.nucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  101 


806  PUBBLICI  ALIMENTI  AI  FANCIULLI  D'ITALIA.    [Lib.  VII. 

erano  raccolti  in  particolare  istituto,  come  altri  erronea- 
mente pensò  *. 

Anche  i  privati,  tratti  dal  buon  esempio  di  Traiano, 
concorsero  in  più  luoghi  alla  benefica  opera.  A  Terra- 
cina  la  ricca  matrona  Celia  Macrina  lasciò,  in  memoria 
di  Macro  suo  figlio,  un  milione  di  sesterzi  perchè  col 
frutto  di  essi  fossero  nutriti  in  perpetuo  cento  fanciulli 
della  stessa  città  ;  e,  più  generosa  del  principe,  ordinò 
di  dare  20  sesterzi  per  mese  ai  maschi  e  16  alle  fem- 
mine, forse  perchè  a  Terracina,  prossima  a  Roma,  il 
frumento  era  più  caro  che  altrove  -.  E  Plinio  il  giovane 
nel  medesimo  intento,  sopra  un  suo  fondo  stimato  più 
di  mezzo  milione,  obbligò  sé  stesso  e  i  suoi  eredi  a 
pagare  ogni  anno  30  mila  sesterzi  per  gli  alimenti  dei 
fanciulli  di  Como,  ai  quali  legò  ancora  altri  300  mila 
sesterzi  nel  suo  testamento  ^. 

Fu  calcolato  che  con  questa  istituzione  Traiano  prov- 
vedesse al   nutrimento    di  300   mila   fanciulli  ('')  :  ma  il 

cioè  circa  il  doppio  di  ciò  che  davasi  ad  ogni  fanciullo  alimentario;  e 
dovendo  questa  mesata  servire  pel  vitto  e  vestito  del  servo  e  di  tutta  la 
sua  famiglia,  si  scorge  evidentemente  che  i  16  sesterzi  erano  più  che 
sufficienti  al  sostentamento  di  ogni  fanciullo.  »  Furlanetto,  Istit.  di  bene- 
ficenza, pag.  28-29. 

(*)  Francke,  Geschichte  Tralan.s  „  pag.  413.  Egli  supponendo  che  la 
istituzione  si  estendesse  uniformemente  per  tutti  i  luoghi  d'Italia,  dalle 
largizioni  che  Traiano  fece  al  piccolo  municipio  di  Velleia  argomenta  le 
somme  date  su  tutto  il  territorio  italiano,  e  calcola  il  capitale  di  questa 
magnifica  beneficenza  a  54,250,000  talleri,  (203,437.500  lire  italiane,  va- 
lutando il  tallero  a  lire  3,75)  producenti  una  rendita  di  2,712,500  talleri, 
colla  quale  sarebbe  stato  possibile  di  alimentare  300,000  fanciulli. 

1  Vedi  Ratti,  Stabilimenti  di  pubblica  beneficenza  degli  antichi  Romania  negli  Atti 
dell' Accad.  Romana  d'archeologia,,  1829,  voi.  IH,  pag.  391,  e  conf.  Ilenzen,  Tab.  alim. 
Baeb.,,  p.  30,  e  Furlanetto,  loc.  cit.^  pag.  45-17. 

8  Borghesi,  Iscrizione  alimentaria  di  Terracina j  in  Bull.  Istit.  arch...  1S39,  p.  153- 
ir,8,  e  Opere,  IV,  269-273. 

3  Plinio,  Epi.'st..  VII,  18;  Aldini,  Gli  antichi  marmi  Comensi^  Pavia  1831,  pag.  107, 
Borghesi,  Durbuleio^  in  Opere^  IV,  119;  Ilenzen,  Tab.  alim.  Baeb...  p.  13-17;  Momrasen? 
in  Ar-ft.  Istit.  arch.j  1851,  p.  42. 


Gap.  V.]       PUBBLICI  ALIMENTI  AI  FANCIULLI  D'ITALIA.  807 

calcolo  non  posa  su  solida  base,  e  non  regge.  Oltre  ai 
300  fanciulli  nutriti  a  Velleia  e  ai  5000  che  l' imperatore 
soccorse  a  Roma  coli' ammetterli  alle  ordinarie  distribu- 
zioni del  frumento  i,  non  abbiamo  altre  cifre.  Ad  ogni 
modo  è  certo  che  il  numero  dei  fanciulli  alimentati  do- 
vette essere  molto  notevole  perchè  di  essi  e  della  isti- 
tuzione si  trovano,  ora  e  poi,  frequenti  ricordi  epigra- 
fici per  le  città  di  ogni  parte  d'Italia;  a  Industria,  città 
dei  Liguri,  sulla  destra  del  Po,  forse  nel  luogo  dove  ora 
sorge  Casale  2;  a  Brescia  e  ad  Aquileia  3;  nel  Piceno 
a  Cupra  Montana,  a  Pesaro,  a  Osimo  *;  nell'Umbria  a 
Sestine,  ad  Assisi,  ad  Arna,  ad  Ameria,  a  Urbino,  ad 
Arimino  ^  ;  a  Pioma  ^  e  nelle  sue  vicinanze  a  Nepete 
(Nepi)  e  Faleria  7,  a  Ficulea  e  a  Nomento  ^,  a  Ostia 
e  a  Tivoli  ^,  a  Preheste,  a  Ferentino  e  ad  Anagni  ^^  ; 
neir  Italia  meridionale  per  le  regioni  dei  Bruzii,  in  Lu- 
cania, in  Apulia,  in  Campania,  nel  Sannio,  nei  Marsi  e 
Vestini,  a  Locri,  a  Compsa,  a  Siponto,  ad  Eclano,  ad  Avel- 
lino, ad  Abella,  a  Nola,  a  Napoli,  a  Suessula,  a  Capua,  a 
Caiazia,  a  Fondi,  ad  Allife,  a  Sepino,  a  Marrubio,  e  a 
Peltuino  {Civita  Ansidonia)  città  dei  Vestini  (-').  Sono  mo- 

(«)  :Mommsen,  Inscript.  Regni  Xecp.,  10,  202,  929,  1130,  1894,  1951- 
2454,  3552,  3610,  3903,  4151,  4771.  4940,  5491,  6036,  6037.  Per  le  iscri- 
zioni controverse  di  Taranto,  di  Nola  e  di  Belano  conf.  Muratori,  705,  l; 
Fabretti,  p,  61,  n.  357;  Henzen,  Tab.  alim.  Baeb. ,  pag.  35  e  64 ,  e 
Momrasen,  n.  1130,  e  Falsae  vel  suspectae,  p.  7,  n.  155,  e  p.  10,  n.  241. 

1  Wimo,  Paneg.,  23-28;  Fabretti,  pag.  189,  n.  437,  p.  235,  6iy  e  le  altre  iscrizioni  ci- 
tate dall' Henzen,  Tab.  alim.  Baeb.^  p.  2'i. 

2  Ricolvi,  Il  sito  dell'antica  città  d'Industria.,  pag.  1  e  segg.  ;  Orelli,  62. 

3  Grntero,  314,  12;  Orelli,  40S2;  Mommsen,  Corp.  Inscript.  lat.j  V,  SG5;  Henzen,  Tab. 
alim    Baeb.^  p.  35  e  13. 

4  Orelli,  S9,  3113;  Grutero,  812,  7;  Muratori,  230,  3;  Henzen,  Tab.  alim.  Baeb.  ^  pa- 
gine 13  e  3S. 

5  Orelli,  S17,  3360,  5005;  Grutero,  10S4,  7,  1092,  7,  1097,  2;  Muratori,  23S,  3;  Henzen 
loc.  cit.,  pag.  35  e  38. 

i5  Fabretti,  pag.  61,  n.  357,  e  713,  n.  3 ti. 

7  Grutero,  3!)5,  1;  Henzen,  Tab    alira.  Baeb.,  p.  16  e  35. 

f»  Orelli,  :;:\'\\\  .\.ma.ù,  Iscrizione  Nomentana^  in  Giorn.  Arcad.j  1S32,  voi.  50,  p.  32!. 

«  Muratori,  ItiOc,  2;  Grutero,  1097,  7;  Henzen,  in  Awial.  Istit.  ardi...  1819,  p.  223. 

l«  Grutero,  411,  1;  Orelli,  784,  4101. 


808  PUBBLICI  ALIMENTI  AI  FANCIULLI  D'ITALIA.     [Lib.  VII. 

numeriti  che  attestano  la  gratitudine  dei  beneficati  a, 
Traiano  e  ai  buoni  Antonini  che  continuarono  e  accreb- 
bero l'opera  sua:  e  più  che  altro  sono  ricordi  dei  mini- 
stri imperiali  e  municipali  preposti  al  go^^erno  e  alla 
distribuzione  degli  alimenti. 

Vedemmo  come  Adriano  allargasse  il  beneficio  degli 
alimenti.  Delle  fanciulle  Faustiniane  istituite  da  Antonino 
Pio  a  onore  di  sua  moglie  Faustina,  è  il  ricordo  anche 
in  una  medaglia  ^  ;  e  delle  nuove  Faustiniane  create  da 
Marco  Aureho  parla  elegantemente  un  bassorilievo  della 
Villa  Albani  tenuto  fra  le  più  graziose  opere  d'arte  ri- 
ferentisi  alle  cose  romane  ;  ove  Faustina  stante  sopra 
un  suggesto,  assistita  da  altra  donna,  stende  la  destra 
con  un  vaso  di  particolar  forma,  da  cui  versa  qualche 
cosa  che  debbo  esser  frumento  nel  grembo  di  una  fan- 
ciulla, la  quale  è  seguita  da, molte  compagne  in  variate 
attitudini,  e  colle  teste  acconce  nel  modo  usato  da  Fau- 
.  tina  Minore  -. 

Dell'amministrazione  degli  alimenti  di  cui  tacciono  gli 
?  crittori,  abbiamo  solamente  le  poche  notizie  che  stanno 
sparse  qua  e  là  per  l'epigrafi.  In  molte  città  si  vede  un 
questore  o  camarlingo  che  qualche  volta  è  la  persona 
.'stessa  che  ha  in  sua  cura  l'erario  municipale  ^.  I  que- 
stori obbediscono  ai  j^roai.ratori  posti  al  governo  degli 
alimenti  delle  varie  regioni,  come  nella  Transpadana, 
nell'Istria,  nella  Liburnia,  nei  Bruzii,  in  Calabria,  in 
Apulia  e  altrove  '•.  Tutti  costoro  dipendono  da  un  ma- 
gistrato supremo,  chiamato  forse  prefetto  degU  alimenti. 
Dopo  i  tempi  di  Traiano,  per  un  cambiamento  intro- 
dotto probabilmente  da  Marco  Aurelio,  i  procuratori  di- 

1  Eckhel,  VII,  IO;  Cohen,  Monn.,  voi.  II,  pag.  4:'.Z,  n.  108. 

-  Zoega,  Bassiriìievi  antichi  di  Roma^  pag.  151-157,  lav.  32-  e  3:?.  Vedi  anche  Winckel- 
iTiann,  Storia  dell'arte  jiresso  gli  antichi^  lib.  XII,  cap.  2,  Prato  1832,  voi.  III,  p.  HGG- 
s<5.S,  e  Ilenzen,  Tah.  alim.  Baeb.,  p.  20. 

3  Grutero,  1092,  7;  Muratori,  747,  n.  1  ;  Ilenzen,  Tah.  alim.  Baeb.,  p.  33-33. 

*  Grutero,  -102,  4,  Ul,  1  ;  Orelli,  3814-,  Mommsen,  Inscr.  Regni Nea-p.^  3610-,  Ilenzen,  ')y32. 


Gap.  V.J 


800 


810       STATUE  AGLI  IMPERATORI.  RELIGIONE  AUGUSTA.  [Lib.  VII. 

ventano  prefetti  degli  alimenti  ("),  si  scelgono  tra  i  cit- 
tadini di  dignità  consolare  e  pretoria  e  al  tempo  stesso 
hanno  la  cura  delle  vie  principali  d'Italia,  e  nella  circo- 
scrizione di  esse  sopraintendono  alla  istituzione  benefica', 
la  quale  a  malgrado  dello  studio  posto  dal  fondatore  per 
farla  stabile  e  sicura  dalle  rapine  dei  tiranni,  dopo  la 
scomparsa  dei  principi  buoni  è  dapprima  sospesa  pei 
l'abbandono  dei  fondi  obbligati,  poi  languisce,  e  per 
oscure  vicende  corre  alla  morte  2. 

Le  iscrizioni  ricordano  anche  parecchie  opere  pubbli- 
che, come  mura,  ponti,  acquidotti,  porti,  piazze,  vie,  ab- 
bellimenti di  anfiteatri,  e  di  città  intere  per  opera  di  pii- 
imperatori  3,  come  anche  dei  municipi!  e  dei  cittadini 
privati:  ma  da  altra  parte  si  vede,  come  nella  pubblic;; 
miseria  sparisse  l'antico  splendore,  di  cui  un  tempo  an-, 
darono  superbe  le  città  dell'  Italia  centrale  e  inferiori . 
Molte  statue  inalzarono  a  sé  stessi  e  a  loro  donne  gli  im- 
peratori a  Roma  e  nelle  altre  città:  molte  ne  sorsero  per 
opera  di  municipii  e  colonie  anche  in  Italia,  ove  puro 
fiorì  grandemente  la  religione  augusta  con  templi  e  sa- 
cerdoti augustali.  A  Pompei  rimangono  le  rovine  del 
tempio  creduto  d'Augusto:  e  ivi  si  chiamarono  auguste 
anche  la  Concordia  e  la  cieca  Fortuna  ''.  Altrove  templi 
anche  a  Tiberio,  e  ad  altri:  ma  spesso  le  statue  e  i  templi 
imperiali  più  che  ad  ornamento,  tornavano  a  danno,  per- 
chè continuò  ora  e  poi  1'  uso  di  prenderne  pretesto  ad 

{-')  Orelli,  2761,  3143,  3151.  3933;  Heiizen,  0-109,  6503.  Pure  i  procu- 
ratori non  cessano  al  tutto,,  come  vedesi  dairiscrizione  dell' Henzen  (6524  j 
che  parla  dei  tempi  di  Settimio  Severo. 

1  Vedi  Borghesi,  Sopra  un'iscrizione  del  Console  Burbuleìo,  in  Opere^  IV,  p.  18:.- 
ì:i7,  o  Osservazioni  intorno  ai  due  prefetti  alimentorum,  in  Bull.  Jstit.  arch.\  181 1, 
p.  120-127  ;  Ilenzen,  Tab.  alim.  Baeb.j.  p.  33-48;  Furlanetto,  loc.  eit.^  p.  31. 

2  Vedi  Henzen,  Tab.  alim.  Baeb.^  pag.  51-57,  e  Furlanetto,  Istit.  di  pubblica  bene/:- 
cenza.  pag.  15-18. 

3  Muratori,  Tliesaur.^  pag  441-157;  Orelli-Honzen,  Inscr.  j  voi.  II,  p.  (il  e  seg^^,  ■ 
III,  p.  310  e  segg. 

*  Guarini,  Fasti  duumvirali  di  Pompei.,  pag.  73  e  SS. 


r.Ap.  V.] 


L' IMPERATORE  PADRONE  DI  TUTTO. 


811 


accuse  *,  e  anche  sótto  gli  imperatori  cristiani  fu  reo  di 
maestà,  chi  avesse  venduto  o  fuso  o  rimosso  dal  luogo 
suo  una  statua  del  principe  ^. 
L' imperatore  da  Roma  comanda  a  sua  voglia  all'Italia 


Tempio  d'Augusto  a  Pompei  (Overbech,  Pomp.^  pag-.  lii 


e  alle  province,  e  a  niuno  rende  conto  del  fatto  suo.  Se 
dapprima  ciò  si  fece  a  nome  delle  leggi  antiche  e  del 
Senato,  e  coi  titoli  e  coi  poteri  repubblicani  che  il  prin- 
cipe raccolse  tutti  in  se  stesso;  poi,  massime  dopo  Ti- 
berio, il  principe  è  un  vero  monarca,  che  qualche  volta 
lusingando  le  vecchie  abitudini  con  vane  parole,  nel  fatto 
non  ha  altra  legge  che  la  sua  volontà,  nel  governo,  nel- 
l'amministrazione, nel  render  giustizia,  nel  disporre  della 

1  Sparziano,  Caracallaj  5. 

'-J  Tacito,  Ann..  I,  73,  III,  70;  Digest.,  XLVIII,  4.  4-7. 


812  AMMINISTRAZIONE  DELLA  GIUSTIZIA.  [Lib.  VIL 

libertà,  dell'onore,  della  roba  e  della  vita  dei  sudditi.  Ai 
fatti  di  atroce  tirannide,  che  abbiamo  ricordato  a  suo 
luogo,  voglionsi  qui  aggiungere  poche  considerazioni  sul- 
l'amministrazione della  giustizia,  che  è  il  più  sacro  fra  i 
doveri  di  ogni  governo,  come  il  più  sacro  fra  i  diritti 
dei  governati. 

I  nuovi  ordini  introdotti  nei  tribunali  erano  in  tutto 
conformi  all'indole  del  nuovo  governo.  Non  più  libertà 
alla  difesa  dei  rei,  né  la  lentezza  della  procedura  che 
sotto  la  Repubblica  dava  all'accusato  modo  e  agio  di 
provvedere  a  sé  stesso:  ma  forme  nuove,  brevi,  eccezio- 
nali. Tolti  via  i  provvedimenti  che  potevano  impedire 
all'accusa  di  seguire  il  suo  corso;  soppressa  l'interces- 
sione dei  tribuni;  introdotta  la  carcere  preventiva;  abolito 
il  diritto  di  volontariamente  bandirsi;  la  confiscazione 
fatta  compagna  all'esiUo;  le  pene  rese  arbitrarie;  la  tor- 
tura divenuta  wn  modo  di  prova  ordinaria,  e  usata  con 
servi  e  padroni;  la  medesima  procedura  fatta  generale 
per  ogni  causa  e  per  ogni  delitto,  e  le  pene  date  non 
dalla  legge,  ma  dalla  volontà  del  Senato  e  dal  capriccio 
del  principe  *. 

II  Senato  parve  essere  il  primo  potere  legislativo  e 
giudiciario,  e  davanti  ad  esso  vennero  infatti  quasi  tutte 
le  cause  di  maggior  importanza.  Giudicò  i  magistrati,  i 
rei  di  mal  tolto,  i  prevaricatori,  i  cospiratori,  i  rei  di 
maestà,  di  avvelenamenti,  di  omicidii,  di  calunnie  e  di 
molte  altre  cose.  E  quindi  parve  aver  tutto  in  sua  mano, 
e  lasciata  ogni  regola  antica,  riunì  in  sé  l'incarico  della 
formazione  dei  processi,  e  dello  statuire  la  pena  2.  Ab- 
bondano le  testimonianze  mostranti  le  enormità  di  questi 
giudizi  {"),  in  cui  uno  stesso  delitto,  ora  è  punito  d'una 

(")  Vedi  tra  gli  altri  il  processo  di  Silano  in  Tarilo,  Ann.,  Ili,  66-69. 

1  Laijoulaye,  Sur  les  loh  criminelles  des  Rom.^  pa;?.  408  e  segg. 

i  Plinio,  EpUt.^  IV,  9;   Tacito,  Ann.^  IH,  23,  63,  6fi,  XII,  22,  XIV,  i8;   Laboulay  ■, 


Gap.  V.]  AMMINISTRAZIONE  DELLA  GIUSTIZIA.  813 

semplice  nota  d'infamia,  ora  di  pena  capitale  *.  Continua 
la  mancanza  di  libertà  alla  difesa;  ninna  la  indipendenza 
dei  giudizi  serventi  a  voglie  tiranne,  alle  quali  il  Senato 
si  fa  ogni  giorno  più  brutto  strumento,  e  commette  scel- 
leratezze, e  immola  le  vittime  chiestegli  dalla  gelosia  e 
dalla  cupidigia  dei  despoti^:  condanna  quelli  che  aves- 
sero consultato  maghi  su  cose  di  Stato,  o  rimpianto  la 
morta  Repubblica;  condanna  anche  le  donne,  di  cui  fosse 
gelosa  la  moglie  di  un  principe,  e  in  più  casi,  come  in 
quello  famoso  di  Trasea,  non  fa  altro  che  registrare 
l'onnipotente  volontà  del  padrone. 

Dai  capricci  di  questo  dipendeva,  come  dicemmo,  ogni 
cosa.   Giudicava  insieme  col  Senato,  e   anche   senza  di 
esso;  arrestava  le  procedure  a  suo  grado  3^  riformava  le 
;^entenze,  mitigava  o  aggravava  la  pena,  e  da  sé  stesso 
i  toglieva  davanti  quelli  che  lo  avessero  offeso,   o  gli 
acessero  ombra.   Nei  tempi  di  Tiberio,  di  Caligola,   di 
Nerone,   di  Domiziano,   di  Commodo,   è  uno  spettacolo 
aliominevole,  in  cui  non  sai  se  più  grande  apparisca  la 
crocia  del  carnefice  o  la;  vile  pazienza  delle  vittime.  Quei 
nostri  divengono  pazzi  a  misura   che  mettono   le  mani 
nel  sangue,  e  non  vi  hanno  né  istituzioni,  né  uomini  ca- 
lcaci a  resistere  a  quella  furiosa  mania. 

11   Senato   tornò   indipendente   sotto   i   primi   principi 
aioni,  e  allora  ebbe  licenza  d'esser  giudice  giusto,  e  di 
indurre  rettamente  i  processi:  ma  anche  allora  l'accu- 
lato non  ebbe  altra  garanzia  che  la  moderazione  dei  giu- 
*lici  e  il  buon  volere  del  principe:  e  i  vizi  fondamentali 
lei  sistema  rimasero  sempre,  per  risorgere  e  infuriare 
:lì  nuovo  appena  il  trono  fosse  occupato  da  un  tristo. 
Vedemmo   le  mutazioni  che  fece  Adriano.  Per  quelle 


J  Tacito,  Ann.^  XIV,  28;  Plinio,  Epist..U,  11  -,  Giovenale,  ^ar.,  I,  47,  e  Vili,  98  e  segg. 
2  Plinio,  EpisC,  Vili,  14,  e  Paneg.,  76. 

■  Seneca,  De  Clem.^  I,  9;   Tacito,  Ann.^  IH,  70,  XIII,  43;  Svetonio,  Avg..  32  e  51, 

Tit.^  9. 

"V kìifivccì  —  Storia  dell' Italia  antica  —  IV .  hit 


814  .  INFAMIE  CRUDELI  DEI  DELATORI.  [Lib.  VII. 

novità  la  giurisdizione  del  Senato  passò  al  Consiglio  di 
Stato  preseduto  dal  principe,  il  quale  del  resto,  se  creando 
questo  Consiglio  faceva  sembiante  di  limitare  il  suo  po- 
tere assoluto,  nel  fatto  rimaneva,  come  prima,  libero  in 
ogni  suo  atto,  e  quindi  vediamo  più  volte  lui  stesso  e 
altri  in  appresso  giudicare  e  condannare  e  assolvere  e 
premiare  e  uccidere  e  di  tutto  disporre  a  loro  arbitrio 
senza  riguardo  alle  nuove  forme  *. 

Insomma,  con  poche  e  brevi  eccezioni,  la  storia  a  ogni 
pagina  dice  che  nulla  erano  le  leggi,  e  che  tutto  stava 
nelle  voglie  del  principe. 

Potentissimi  presso  di  lui  i  delatori,  accusanti  per  in- 
vidia, per  adulazione,  per  ingordigia  delle  altrui  spoglie; 
i  quali,  incoraggiati. e  premiati  di  ricchezze  e  di  ufìicii, 
furono  flagello  crudehssimo,  che  alla  città  tornò  gravo 
più  che  guerra  civile  2.  Questi  abominevoli  strumenti  del 
dispotismo  erano  avvisati  dal  principe  sulle  cose  da  ap- 
porre ai  destinati  a  perire  per  pigliarne  gli  averi,  ed  essi, 
cospirando  e  gareggiando  per  furore  di  guadagno,  e  non 
risparmiando  parenti  né  amici,  raccogliendo  parole  e 
gesti  e  sospiri,  facendo  da  agenti  provocatori,  calun- 
niando, inventando  scempiaggini,  uccisero,  esiliarono, 
spogliarono  tutti  i  migliori,  si  fecero  ricchi  colla  rovina 
di  grandi  famiglie  ^.  11  pretesto  di  crimenlese  non  lasciò 
scampo  a  ninna  virtù,  a  niuna  fama,  a  ninna  fortuna. 
Gli  schiavi  stessi  adoprati  come  strumento  a  rovinare  i 
padroni  *:  si  fece  processo  anche  ai  morti  per  confiscarne 
gli  averi:  e  ogni  pagina  della  storia  di  questi  tempi  mi- 
serissimi  parla  in  lugubri  note  del  perpetuo  terrore 
messo  nell'universale  dai  delatori,  come  poi  si  allieta  ri- 

'  Sparziano,  Adriano^  ì.i\  Dione  Cassio,  I,XXV,  8;  Capitolino,  Marco  Aurelio  j  2); 
Lampridio,  Alex.  Sev..  28  e  18;  Erodiano,  III,  8,  e  IV,  <■. 

2  Seneca,  De  Benef..  HI,  26. 

i  Plinio,  Epist.^  IV,  9;  Tacito,  Ann.^  I,  72-71,  li,  2T-3li,  III,  19,  VI,  3.  7  e  2:»,  XIV,  4S, 
XV,  ;j5;  Hixt..  IV,  42,  <•  Agric.  la;  Svetonio,  Domit..  12. 

<  Tacito,  Ann.,  II,  W,  >>  r'at.,  I,  2;  Minio,  Paner,.,   I? 


Gap.  V.]  MILIZIE.  815 

cordando  il  generale  entusiasmo  levatosi,  quando  Traiano 
e  altri  tolsero  l'abominevole  flagello.  Pure,  a  malgrado, 
delle  pene  che  colpirono  l'infame  genia  dei  calunniatori, 
l'accusa,  che  ai  tempi  della  libertà  fu  diritto  politico  usato 
da  tutti  i  più  ragguardevoli  personaggi,  rimase  contami- 
nata così  dai  sozzi  strumenti  della  tirannide,  che,  nei 
momenti  di  tregua  al  flagello,  niun  uomo  dabbene  volle 
più  usare,  anche  contro  i  veri  ribaldi,  di  quest'arme  in- 
famata; e  sotto  Nerva  e  Traiano,  quando  trattavasi  di 
spogliatori  di  province,  gli  accusatori  non  venivano  spon- 
tanei ai  tribunali,  e  bisognò  designare  le  persone,  che  per 
ufficio  attendessero  a  questa  faccenda  *.  Ma  i  delatori, 
già  puniti  e  sempre  maledetti,  tornano  fuori  al  sorgere 
di  nuovi  tiranni,  e  diventano  furiosi  così,  che  le  leggi  in 
appresso  li  chiamano  genia  esecrabile,  e  massimo  ma- 
lanno dell'umana  vita,  e  ordinano  di  perseguitarli  con 
atroci  supplizi  2. 

Potenza  grande  al  male,  e  maggiore  di  tutte,  fu  quella 
dei  soldati,  nelle  cui  mani  stavano  i  destini  del  mondo. 
Per  essi  durò  per  secoli  la  più  bestiale  delle  tirannidi 
esercitate  dagli  uomini. 

La  mihzia,  già  sacro  dovere  di  ogni  cittadino,  divenne 
ora  mestiere  di  lucro,  seguito  da  uomini  grossolani,  vio- 
lenti, feroci.  Spento  con  la  libertà  il  nobile  amore  e  il 
nobile  fine  delle  armi,  i  cittadini  si  ritirarono  da  esse, 
e  fu  mestieri  che  il  dispotismo  assoldasse  mercenarii  e 
stranieri,  e  quindi  truppe  intere  di  barbari,  che  alla  fine 
furono  rovina  e  morte  a  Roma  e  a  Italia.  Soldati  Ger- 
mani, Batavi,  Frisi  e  Suevi,  nei  primi  tempi  dell'Impero 
facevano  da  guardie  del  corpo  ad  Augusto,  a  Tiberio,  a 
Nerone:  poi  furono  disciolti  da  Galba:  ma  in  appresso 
altri  stranieri,  Batavi,  Frisi,  Caninefati,  Brittoni,  Elvezii, 
Bossi,  Traci,  Reti,  Norici,  Pannonii,  Baci,  Misii,  Sirii, 

>  Plinio,  Epist.,  Ili,   I,  VI,  29,  VII,  33,  X,  20;  Laboulaye,  Lois  o-iniin^  p.  437. 
2  Cod.  Theodos..  X,  IO,  I-I;  Cod   lustin..  X,  li,  1-6. 


^816  DISPOTISMO  SOLDATESCO.  f  Lib.  VII. 

-Afri,  Mauri,  ordinati  in  corpo  di  equiti  guardarono  la 
persona  del  principe  a  Roma  e  alla  guerra.  Vi  sono  militi 
pretoriani,  peregrini^  frumentarii  e  altri  vari  di  nome, 
serventi  al  mestiero  di  spie,  di  carcerieri,  di  carnefici,  e 
per  piacere  al  principe  che  li  paga  e  li  premia,  non  cu- 
ranti di  patria  o  di  leggi,  e  pronti  sempre  ad  opprimere 
i  cittadini  *.  Uno  degli  ufficii  delle  milizie  di  Roma  è  di 
assediare  i  palazzi  e  le  ville  dei  ricchi ,  di  ucciderli  o 
forzarli  ad  uccidersi,  affinchè  il  principe  dia  di  piglio  a 
loro  ricchezze  2.  Quindi  odii  ed  ingiurie.  Soldati  e  citta- 
dini si  ricambiavano  di  vicendevole  dispregio;  il  cittadino 
dispregiava  la  stupida  brutalità  del  soldato,  e  questi  la 
viltà  di  quello.  Le  milizie  battevano,  ferivano,  rubavano, 
né  vi  era  modo  a  scampo  0  a  giustizia.  Giovenale  ci 
narra,  come  sotto  questo  militare  dispotismo  tacessero 
tutte  le  leggi,  e  come  ogni  privilegio  stesse  a  favore  dei 
soldati;  e  mostra  come  i  cittadini  battuti  fossero  costretti 
a  dissimulare,  e  si  guardassero  bene  di  richiamarsene  al 
pretore,  e  di  mostrargli  i  denti  rotti,  il  viso  offeso,  e  gli 
occhi  malconci:  perchè  chi  perseguitasse  il  suo  aggres- 
sore aveva  per  giudice  un  villano,  passato  dalla  schiavitù 
alla  milizia,  e  se  ne  faceva  giudizio  nel  campo,  ove  tutta 
la  coorte  levavasi  contro  il  cittadino  offeso  per  render 
vana  l'accusa.  «  Vorrai  tu,  dice  il  poeta,  che  la  vendetta 
sia  più  grave  dell'ingiuria?  vuoi  tu  rischiar  le  tue  gambe 
contro  tante  migliaia  di  scarpe  armate  di  chiodi?  («).  E 
chi  vorrà  correre  nel  campo  fuori  di  Roma  per  deporre 
in  tuo  prò?  Un  testimone  si  ardito  da  dire  ho  veduto , 

(«)  Giovenale,  XVI,  25.  Di  questi  chiodi  o  bollette  il  satirico  fa  ricordo 
anche  al  verso  248  della  satira  terza,  ove  dice:  in  digito  clavus  miìii 
miliiis  haeret. 

1  Vedi  Henzeu  ,  Sugli  equiti  singolari  degli  imperatori  romani,  in  Ann.  Istit.  ar- 
cheolog.,  1850,  ^pag.  5-53,  e  Sui  militi  peregrini  e  frumentarii,  ia  Bullett.  Islit.  ar- 
theolog.j  1851,  pag.  113-121,  e  Naudet,  Sur  la  police  chez  les  Romains ,  2'  panie,  in 
Acadérn,.  det  Sciences  morales,  2*  sèrie,  tom.  VI,  pag.  7G3,  e  segg. 

2  Tacito,  Ann.,  XVI,  15;  Giovenale,  X,  15-18. 


Gap.  V.]  DISPOTISMO  SOLDATESCO.     •  817 

sarebbe  comparabile  ai  più  virtuosi  cittadini  antichi.  È 
più  facile  trovare  un  falso  testimone  contro  un  cittadino 
senza  difesa,  che  un  testimone  sincero  contro  l'onore  e 
la  fortuna  di  un  milite  armato  (").  » 

È  vero  che  esistevano  leggi  rigidissime  contro  i  sol- 
dati, ma,  quando  essi  furono  padroni  dell'Impero  e  del 
principe,  tornò  inutile  ogni  ordinamento,  e  più  d'un  im- 
peratore perì  per  aver  voluto  mantenere  le  leggi. 

Soldati  ora  timidi,  ora  feroci  e  correnti  alle  ingiurie  e 
alle  percosse  dei  duci;  legioni  cupide  di  interpretare, 
pÌLittostochè  di  eseguire  i  comandi,  procaci,  petulanti,  se- 
diziose, pronte  sempre  a  terribili  rivòlte  *;  eserciti  di  co- 
stumi e  di  lingue  discordi,  duci  e  legati  pieni  di  lussuria, 
di  povertà  e  di  misfatti,  intolleranti  di  principe  che  non 
fosse  turpe  e  ai  loro  servigli  obbligato  ^;  pretoriani  a 
Roma  raccolti  in  un  campo,  perchè  dessero  fiducia  a  sé 
stessi  e  timore  agli  altri;  legionarii  nelle  province,  pre- 
potenti e  licenziosi,  e  non  curanti  di  ragione  o  di  torto, 
intesi  solo  ai  propri  vantaggi,  facevano  e  disfacevano  a 
loro  voglia,  e  a  capriccio  inalzavano  chi  più  li  pagasse  ^. 
D'onde  la  necessità  nei  principi  di  porre  ogni  cura  in 
accarezzarli,  in  aumentarne  la  paga,  e  quindi  la  neces- 
sità di  sempre  nuove  spoliazioni  e  gravezze,  per  aver 
modo  ai  ricchi  donativi. 

E  così  le  armi  volte  non  a  difesa,  ma  a  strazio  della 
patria  divennero  sempre  più  aborrito  mestiere  da  cui  i 
cittadini  rifuggivano:  e  i  figliuoli  dei  conquistatori  del 
mondo  abbandonarono  ogni  forte  esercizio,  e  per  ozio 
si  sprofondarono  nell'abisso  della  corruzione,  e  dettero 

(«)  Giovenale,  Sat. ,  XVI,  7-3ó.  Vedi  anche  Apuleio,  Metani. j  IX,  30, 
dove  è  molto  significante  il  racconto  delle  violenze  di  un  legionario  di 
Macedonia  contro  un  povero  giardiniere. 

»  Tacito,  Hist.^  II,  12,  39  e  41,  III,  10,  11,  11;  e  Ann.^  I,  16  e  segg. 

2  Tacito,  Hist.^  Il,  37. 

3  Tacilo,  Hist.,  I,  5,  18  e  30,  II,  79-80. 


818  ESTREMA  CORRUZIONE  DEI  COSTUMI.  [Lib.  VII. 

facilità  ai  vinti  di  tornar  vincitori,  e  di  venire  a  far  le 
vendette   dei   patiti  mali   colla  desolazione   di  Roma  e 
d'Italia.  I  tiranni  lasciarono  al  popolo  re   solamente  la  # 
libertà  di  voltolarsi  nel  fango,  ed  esso  usò  tutta  la  turpe 
licenza,  quasi  compenso  di  sua  servitù. 

I  vizi  romani  in  questi  tempi  danno  alla  città  un 
aspetto,  che  mette  disgusto  e  spavento.  Il  palazzo  dei 
Cesari  è,  tranne  poclii  intervalli,  una  officina  di  veleni, 
un  postribolo  di  meretrici  e  cinedi,  d'onde  partono  sen- 
tenze di  morte  e  di  esilio  contro  ogni  ricco,  contro  chiun- 
que sia  meno  corrotto.  E  ad  orgie  furiose  si  danno  i 
grandi,  o  per  mala  natura,  o  per  obUare  se  stessi,  o  pei- 
togliere  i  sospetti  al  tiranno:  in  orgie  senza  nome  si 
gettano  le  donne:  e  la  plebe,  contenta  dei  doni  e  delle 
feste  imperiali,  applaudisce  ai  mostri,  che  empiono  la 
città  di  vituperii  e  di  sangue,  e  mostra  la  sua  vita  nel 
parteggiare  per  mimi,  per  ballerini  e  fazioni  circensi  ;  e 
solo  qualche  volta,  quando  sente  o  teme  la  fame,  dà  nelle 
furie  e  tira  sassate  contro  i  principi,  insorge  contro  i 
ministri,  e,  seguace  della  fortuna,  trascina  nel  fango  i 
caduti,  che  avrebbe  adorato  vincitori  *. 

II  lusso,  cresciuto  sul  fine  della  Repubblica,  al  comin- 
ciar dell'  Impero  andava  ad  incredibili  eccessi.  Dei  ricordi 
della  corruzione  sfrenata  ne  sono  piene  le  satire:  e  i 
libri  degli  storici  e  dei  filosofi  confermano  troppo  i  detti 
dei  poeti,  e  mostrano  come  questi  non  mentiscano  nella 
pittura  degli  sconci  costumi. 

I  ricchi,  non  avendo  più  modo  a  sfoggiare  in  ambizioni 
pubbliche,  più  che  mai  profondono  i  tesori,  salvati  dallo 
rapine  dei  tiranni,  in  ubriachezze,  in  delicatezze  di  cibi, 
in  profumi,  in  gemme,  in  case  splendide  d'oro  e  di 
marmo,  in  porpore  saturate  di  molta  conchiglia,  in  vesti 
seriche  che  non  difendono  né  il  corpo,  nò  il  pudor  fem- 

'  Giovenale,  Sat.^  X,  72  e  segg. 


Gap.  V.]  NUOVE  MOLLEZZE  DEI  RICCHI.  819 

minile,  in  rare  suppellettili  d'oro  e  d'argento  lavorate  da 
artisti  famosi,  in  tazze  cristalline  e  murrine  per  vomi- 
tarvi le  crapule,  nel  mettere  alle  orecchie  di  loro  donne 
il  valore  di  due  o  tre  patrimonii,  nell'avere  innumerabile 
turba  di  schiavi,  nel  costruire  terme  in  mare,  nel  piantar 
giardini  e  pomarii  e  selve  sui  tetti  e  in  cima  alle  torri, 
nell'ingrassare  il  corpo  e  render  l'animo  sonnolento  e 
corrotto,  nel  comprare  per  diecimila  nummi  una  triglia, 
nel  cercar  vanto  dal  profumarsi  due  e  tre  volte  al  giorno, 
e  nel  voltolarsi  tra  sconcissime  voluttà  ^  Hanno  portici 
e  case  capaci  di  popoli,  e  si  alte,  che  più  che  a  riparo 
sono  a  pericolo:  e  bagni  in  cui  gareggiano  di  splendore 
le  colonne  e  i  marmi  più  rari  e  le  gemme  disposte  con 
mano  industre.  D'argento  i  pavimenti  e  i  canali  per  cui 
scorre  l'acqua,  d'argento  i  vasi  in  cui  cade  2.  Cresciute 
smodatamente  le  ville:  piene  di  esse  le  rive  dei  mari, 
dei  laghi,  dei  fiumi  3. 

In  città  vivono  in  conviti,  tra  vino  e  profumi  e  mere- 
trici; hanno  le  dita  piene  di  anelli  con  sardoniche,  dia- 
manti, smeraldi,  e  diaspri*;  passano  la  mattina  a  far 
compagnia  alle  donne  mentre  si  acconciano  ^;  mutano 
colle  donne  le  vesti,  affettano  gesti  e  atti  che  li  mostrino 
femmine,  involgono  in  rete  dorata  i  crini  inanellati  con 
gran  leggiadria,  e  fatti  splendidi  con  molto  balsamo  as- 
sido (").  Molta  parte  del  giorno  consumata  fra  il  pettine 

(^)  Seneca,  Epist.,  122;  Giovenale,  Sat.,  II,  95  e  segg.;  Marziale,  li,  63, 
e  Vili,  77.  —  Attoniti  miramur  gcstus  eff'eminatorum,  quocl  a  natura 
sexum  viris  denegatum  muliebri  niotu  mcntianttir ,  dccipiant'juc  oculo,^ 
spcctantium.  Columella,  l,  Praef.,  lo. 

1  ^enecA,  De  Benef.^  IV,  6,  Vir,  d  \  De  v'U.  heal.^  11  cl7;  EpuL,  S<;,  SS,  !<i!,  Ili.- 122; 
Controv.^  Il,  9;  Svetonio,  Tib.^  31. 

2  Seneca.  Epist.  ^  86;  Conlror.,  U,  !)  ;  Plinio,  XXXIIT,  51;  Stozio  ,  Sih-..,  I,  5;  Mar- 
.;iale,  VI,  42. 

3  Seneca,  Epist.,  89. 

4  Marziale,  V,  Il  e  12,  XI,  59. 
-  Petronio,  Satyric...  11. 


§20 


NUOVp  MOLLEZZE  DEI  RICCHL 


[Lin.  VII. 


e  lo  specchio,  a  consultare  col  barbiere  sulle  pieghe  di 
ogni  capello,  a  farsi  radere  ciò  che  è  cresciuto  la  notte, 
a  render  liscia  la  pelle  con  pomice  e  gomma  delle  fo- 
reste dei  Bruzii  *,  a  fare   scommesse  nei  portici,  a  no- 


Lettiga  (Ginzrot^  Die  Wagen,  li,  25t). 


vellare  di  guidatori  di  bighe,  e  di  mimi,  a  discorrere  d'in- 
trighi, a  scrivere  e  leggere  bighetti  amorosi,  a  modulare 
lascive  canzoni,  a  correr  le  terme  e  i  luoghi  infami  tra 
schiavi  e  bagasce  2.  Altrove  procedono  in  superbi  cocchi, 
accompagnati  da  infemminiti  coppieri  3,  0  trasportati  da 


Seneca,  De  brev.  vit.,  12;  Giovenale,  IX,  14  e  95. 
:  Marziale,  Ilf,  63,  XT,  1  -,  Seneca,  De  brevit.  vil.^  12,  e  De  vit.  beat., 
Marziale,  X,  13. 


Gap.  V.]       IL  PENSIERO  DELLA  CUCINA  E  DEL  VENTRE.  821 

quattro,  da  sei  e  da  otti  belli  e  grandi  servi  di  Dalmazia 
e  di  Siria  sopra  cuscini  di  piume,  dentro  a  molli  lettighe, 
già  lusso  di  donne,  poi  diventate  lusso  e  mollezza  degli 
uomini  ('*);  delicati  cosi  che  la  più  lina  porpora  è  loro 
pesa  in  estate,  e  nel  caldo  hanno  bisogno  di  anelli  più 
leggieri  alle  dita  *. 

Grande  pensiero,  e  somma  delle  cure  sono  la  cucina 
e  il  veiltre.  L'animo  è  tutto  nel  delicato  convito,  nel 
pensare  come  sarà  preparato  dal  cuoco  il  cinghiale,  con 
quant'  arte  si  debbano  scalcare  gli  uccelli  dai  maestri 
educati  a  tal  uopo  (^),  nell'adunare  portenti  di  lusso,  nel 
trovar  cibi  rari  e  preziosi,  che  eccitino  l'ottuso  palato  e 
il  nauseante  stomaco  (''):  pesci  di  mari  lontani,  ostriche 

(«)  Cicerone,  Philipp.,  IT,  41;  Catullo,  X,  16;  Seneca,  Epist. ,  110,  e 
Suasor.,  7;  Svetonio,  Aug.,  29,  33,  43,  76.  78,  91,  94;  Tib.,  27,  30,  60, 
64;  Caliga,  27  e  58;  Claud.,  2,  10  e  2ó;  Ner.,  8  e  9;  Tit.,  10;  Dom.,  2 
e  8;  Giovenale,!,  32.  64  e  121,  III,  240,  VI,  351  e  477,  VII,  132,  X,  35; 
Marziale.  II,  81,  III,  46,  VI.  77.  IX,  3.  X,  IO,  XI.  98. 

La  lettiga  non  trovaf?i  figurata  sui  monumenti:  iria  coi  passi  degli 
autori  antichi  clie  la  descrissero  particolarmente,  altri  potè  rieomporne 
Fimagine  della  quale  diamo  il  disegno.  Vedi  Ginzrot,  Wagen  und  Fahr- 
■icerkc  dcr  Griechen  und  iìomer,  Miinclien,  1817,  voi.  II,  pag.  254,  tab.  6.5. 
{")  Seneca,  Epist.,  47;  De  vita  beata,  17;  De  brevit.  vitae ^  12;  Pe- 
tronio, Satyric,  59;  Giovenale,  V,  120-124,  XI,  136-141.  Columella,  I, 
Praef.,  5,  si  lamenta  che  non  vi  siano  scuole  di  agricoltura  e  che  ab- 
bondino conteminissimoruni  vitioriwi  offlcinas,  gulosius  condendi  cihos. 
et  luxuriosius  fcrcula  strucndi ,  capitiimque  et  capillorurii  concinna- 
tores.  E  Giovenale,  Sai.,  VII,  184-188,  dice  che  i  grandi  di  Roma  spen- 
devano grosse  somme  nel  cuoco  e  nel  pasticciei'e,  e  che  davano  pochi 
soldi  al  maestro  dei  loro  figliuoli. 

(f)  Ales  Phasìacis  petita  Colchis , 

Atquc  Afrae  volucres  placcnt  palato , 
Quod  non  sunt  faciles  :  at  albus  anser , 
Et  pictis  anas  enotata  pennis  j 
Plebeium  .sapit.   Ultimis  ab  oris 
Attractus  sQarus ,  atque  arata  Sjriis , 
Si  quid  naufragio  dcdit,  prohatiir. 

1  Giovenale,  Sat.^  I,  Ì7-29;  Marziale,  Xl,  59. 
Va:ì>-ucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  lnS 


822  VOLUTTÀ  DELLE  MENSE.  [Lib.  VIL 

di  lidi  ignoti,  peregrini  uccelli,   fiere  prese  con  molta 
strage  di  cacciatori  *. 

Alla  mensa,  dove  è  raccolto  il  fiore  delle  più  rare  de- 
lizie, stanno  sopra  letti  di  rose,  fra  drappi  tirii,  in  una 
nuvola  di  profurai,  fra  cori  di  bei  garzoni  e  fanciulle, 
che  cantano  lascive  canzoni  e  muovono  danze  imaginate 
a  risvegliare  la  languente  lussuria,  e  in  pubblico  fanno 
cose  più  sconce  di  quelle  dei  lupanari  -,  Sontuoso  è  l'ap- 
parato; credenze  intarsiate  di  testuggini,  deschi  intesti 
d'avorio,  letti  fulgidi  di  porpora  e  d'ostro,  piatti  d'oro 
e  d'argento,  vasi  preziosi  per  materia  e  lavoro,  tazze 
di  ambra  arricchite  delle  gemme,  che  altri  già  poneva 
alle  spade  ^;  bicchieri  con  forme  oscene  Q"),  e  pieni  di 
specchi  '^,  e  ad  imagini  oscene  conformati  anche  i  cibi  ^. 
Infinita  la  turba  dei  cuochi,  coppieri,  ministri,  e  "cinedi  ^. 
Belli  schiavi  di  Asia,  comprati  a  incredibili  prezzi",  e 
serventi  anch'essi  a  sconce  libidini^,  ministrano  i  cibi 
e  i  preziosissimi  vini,  che  poco  appresso  sono  cacciati 
via  dallo   stomaco,  e  vanno   in  terra  a  contaminare  le 

Mullus  iam  gravis  est.  Amica  vincit 
Uxaretn,  rosa  cinnamum  veretitr. 
Qìddquid  quaeriiur,   optimum  videtiir. 

Petronio,  Satyric,  93.  Conf.  Giovenale,  XI,  121,  e  segg, 

(")  In  poculis  libidines   caelare  invita  ac  per  ohscoenitates  biberc. 

Plinio,  XXXIII,  2.  E  XIV,  28:  Iam  vero  quac  vasa  adulteriis  caelata? 

tanquam  per  se  parum  doceat  libidinis  temulentia.  Ita  vina  ex  libidini; 

haiiriuniur.  —  Vitreo  hibit  ilio  Priapo.  Giovenale,  II.  95. 

1  Seneca,  De  vita  beata^  11;  De  provid.^  3;  Consol.  ad  Helv.^  9,  10;  De  Benef.,  IV, 
6,  De  brevit.  vitae^ì2\  Epist.^  89;  Persio,  IV,  17;  Lucano,  IV,  373-376. 

2  Seneca,  De  vj^  beat.^  11;  Gelilo,  XIX, '9;  Giovenale,  II,  110,  XI,  161  e  segg.;  Mar- 
ziale, V,  78,  VI,  71. 

3  Plinio,  XXXIII,  52;  Marziale,  IV,  39,  IX,  60,  X,  9S,  XII,  fiC;  Giovenale,  V,  30- C; 
Virgilio,  Aen.,  IV,  2rA-iO,=i. 

4  Plinio,  XXXIII,  45. 

T)  Petronio,  Satyric. j  60. 

C  Seneca,  Epist..  95,  23-21. 

'  Giovenale,  V,  56.  Vedi  anche  Plinio,  VII,  10  (15),  e  Svctonio,  Caes.,  47. 

s  Seneca,  De  brevit.  vit.^  12. 


Gap.  V.l  ONORI  AI  BEVITORI  E  ALL'EBBREZZA.  823 


gemme,  l'onice,  e  i  ricchi  mosaici,  di  cui  splende  il  tri- 
clinio 1.  Vomitano  per  mangiare,  mangiano  per  vomitare, 
dice  Seneca,  ne  degnansi  digerire  le  cose  cercate  con 
tanta  cura  per  ogni  terra  e  nell'ultimo  Oceano  ^.  Si  ubria- 
cano a  digiuno,  smaltiscono  l'indigestione  col  molto  su- 
dare nei  bagni  donde  son  tratti  via  mezzi  morti;  vanno 
ebbri  a  cena  3-.  e  dalle  notti  passate  in  queste  orgie 
escono  smemorati,  pallidi,  con  membra  tremanti,  e  dal- 
l'ebbrietà si  volgono  a  libidini  mostruose  (^).  D'onde  turba 
infinita  di  mali,  supplizio  della  lussuria  ''. 

Già  Marc'Antonio  aveva  scritto  un  libro  per  celebrare 
la  sua  ebbrietà;  e  sotto  Tiberio,  dice  Plinio,  era  stato  ti- 
tolo pei  sommi  onori  F  aver  continuato  a  bere  intrepi- 
damente più  giorni  e  più  notti.  -Molti  stimavano  il  vino 
come  la  più  cara  cosa  che  abbia  la  vita.  Tracannavano 
grandi  vasi,  come  ad  ostentazione  di  forza;  poi  vomito, 
e  poi  esercizi  e  bagni  caldi,  per  sudare  ed  eccitar  di 
nuovo  la  sete.  Era  giunta  l'ora  predetta  dell'ebbrezza 
avuta  in  onore,  e  del  reputarsi  a  virtù  il  superare  ogni 
altro  nel  bere  ^.  Si  cercò  e  si  ottenne  fama  di  eleganza  e 
di  lautezza,  e  l'ambizione  passò  dai  trionfi  al  furore  dei 
conviti  ^.  Fu  gloria  tenere  sempre  imbandite  più  tavole 
a  Baia,  bevere  i  vini  più  generosi  in  tazze  amatistine, 
ubriacarsi  di  Falerno,  e  di  Cecubo  gelato  entro  la  neve, 
e  mangiar  lo  storione,  cibo  che  i  poeti  di  corte  dicono 
degno  degli  Dei  e  dei  Cesari  '.  Le   cose   giunsero  a  tale 

(«)  Plinio,  XIV.  28;  Columella,  I,  Praef.,  16,  dice:  Noctes  libidìnibus 
et  ebrielatibus  j,  dies  ludo  vel  somno  consumimus,  ac  nosmetipsos  dii- 
cimus  fortunatos  quod  nec  orientem  .solem  videmus,  nec  occidcniem. 

1  Giovenale,  XI,  173;  Marziale,  XII,  50;  Seneca,  Eplsl.^  SG. 

2  Seneca,  Conno!,  ad  Helv.^  9;  Plinio,  XIV,  2S;  Svotonio,  ViCell.^  13;  Dione  Cassio, 
LXV,  3. 

3  Seneca,  Epist..  122;  Plinio,  XIV,  23. 

4  Seneca,  Epist..  95. 

5  Seneca,  De  Benef.^  I,  10. 

6  Seneca,  Be  brevit.  vitae^  12. 

7  Marziale,  X,  13,  49,  XII,  17,  XIII,  <:n. 


824  PATRIMONII  PROFUSI  IN  CONVITI.  [Lib.  VII. 

che,  secondo  alcuno,  Apicio  sarebbe  sembrato  uomo 
frugale  *.  Si  ricordano  uomini  che,  apprese  le  arti  della 
gola  alla  corte  di  Nerone  piena  di  stravizi  continuati  i 
giorni  e  le  notti,  si  erano  acquistati  fama  dei  più  raffi- 
nati ghiotti  del  mondo:  e  i  magnifici  apparecchi  e  le 
lautezze  di  altri  andavano  celebri  su  per  le  piazze,  ai 
teatri,  alle  terme  2. 

Molti  rovinò  sconciamente  questo  furore  di  conviti  3, 
ma  per  diminuita  pecunia  non  si  frenavano  le  smodate 
voglie,  e  i  più  spiantati  mangiavano  meglio,  e  volevano 
le  cose  più  rare.  La  satira  ricorda  cavalieri  che  avevano 
mangiato  anche  l'anello  e  400  mila  sesterzi  in  un  vaso 
d'argilla;  e  altri,  che  ridotti  agli  estremi,  fuggivano,  non 
vergognosi  dei  debiti,  ma  addolorati  di  lasciare  i  diver- 
timenti del  Circo  *,  e  a  Baia,  ricovero  di  ogni  lussuria, 
si  imbrancavano  cogli  ebbri  pei  lidi  e  pei  laghi,  echeg- 
gianti  di  lieti  suoni  ^. 

Con  pari  furore  che  le  ricche  mense  e  le  voluttà,  si 
cercano  le  ricchezze,  strumento  di  quelle.  La  cupidità 
della  roba  si  è  insignorita  degli  uomini  così,  che  non 
pare  che  posseggano,  ma  sian  posseduti*.  A  nulla  si 
guarda  per  raccoglier  fortuna.  Ogni  angolo  del  mondo 
frugato  per  raddoppiare  il  censo  tre  e  quattro  volte:  si 
vende  l'anima  al  lucro  ':  per  esso  oppressi  i  deboli,  spo- 
gliate le  province,  rubati  gli  Dei,  commesse  fraudi,  scel- 
leratezze e  turpitudini  di  ogni  sorte  ^.  La  pecunia  rovina 
la  città,  mette  alle  mani  padri  e  figliuoli,  mogli  e  mariti, 
aguzza  ferri,  mesce  veleni,  fa  meretrici  le  donne,  cui  le 
gemme  splendono  come  il  bene  più  grande  del  mondo  ^. 

1  Giovcnalp,  IV,  23. 

2  Giovenale,  IV,  137,  XI,  1-19. 

3  Seneca,  De  Benef.^  I,  10. 

4  Giovenale,  XI,  17-20,  42-55.  Vedi  anche  Seneca,  Epist.^  95. 

5  Seneca,  Epist.,  51. 

6  Plinio,  Epist.,  IX,  30. 

7  Persio,  Sat.,  VI,  75-80. 

8  Seneca,  De  Benef.^  I,  9;  Giovenale,  XIII,  150  e  segg. 
!>  Seneca,  De  Ira^  III,  32,  o  Consol.  ad  Helv..  16. 


Gap.  V.}  LE  RICCHEZZE  CERCATE  PER  LA  VIA  DEI  DELITTI.       825 

Per  la  pecunia  avuta  in  onore  l'orbita,  e  corteggiati  e  adu- 
lati i  ricchi  privi  di  eredi  *,  e  chiesta  nei  templi  la  morte 
dei  ricchi  parenti  ^.  Molte  le  vie  della  ricchezza,  e  brutte 
e  scellerate  nella  più  parte  ^.  Oro  a  sacca  guadagnano 
i  condottieri  delle  bighe  nel  Circo,  amore  e  delizia  di 
Roma,  che  li  fa  splendidi  d'ostro  '';  oro  dà  l'esser  confi- 
denti e  complici  di  grandi  delitti  ^.  Arricchiti  tutti  i  peg- 
giori 6:  molti  col  far  la  spia,  col  calunniare  e  frodare, 
col  mutare  il  nero  in  bianco,  col  falsificar  testamenti  ', 
col  gettare  ami  ai  morenti,  col  procacciarsi  eredità,  an- 
che per  via  di  prostituzione  di  figliuoli  ^,  col  render  false 
testimonianze,  coll'uccider  parenti,  col  vendere  il  corpo, 
coll'amoreggiare  le  vecchie,  collo  sposare  le  brutte,  spe- 
rando che  muoiano  presto,  collo  spogliare  le  amanti,  col 
fare  il  mezzano,  col  vender  fumo  nelle  case  dei  grandi, 
col  plaudire  agli  istrioni  favoriti  dal  principe  ^.  In  gran 
credito  è  la  massima,  che  hisogna  avere  e  non  importa 
del  come,  perchè  l'oro  da  qualunque  luogo  venga  ha 
sempre  odor  buono:  questo,  al  dire  del  satirico,  inse- 
gnano ora  le  vecchie  ai  bambini ,  questo  imparano  le 
fanciulle  prima  dell'abbici  ^O;  e  così  la  pensava  anche  l'im- 
peratore Vespasiano  ^K  Coi  delitti  si  acquistano  belli  ar- 
redi e  giardini  e  palagi  ^^^,  e  ciò  insegnano  anche  i  feroci 
esempii  di  corte  *^.  E  l'oro  turpemente  acquistato,  turpe- 

1  Plinio,  XIV,  1;  Seneca,  Consol.  ad  Marc.^  19;  Giovenale,  X,  202,  XII,  3  e  segg. 

2  Petronio,  Satyric.  SS;  Persio,  Sat.^  Il,  10  e  segg.  Conf.  Giovenale,  X,  23-26. 

3  Seneca,  De  Ira,  II,  8. 

4  Marziale,  IV,  67,  X,  50  e  74,  XI,  1. 

5  Giovenale,  III,  49-57;  Marziale,  VI,  50. 

6  Persio,  VI,  15. 

7  Tacito,  Ann.  .  I,  73,  VI,  8;  KUt.  ^  IV,  42;  Plinio,  Epi&t..  I,  5,  II,  20,  IV,  9,  VI,  2; 
Svetonio,  Domit.^  12;  Giovenale  I,  21  e  segg.;  Ili,  30;  Marziale,  XI,  66. 

8  Petronio,  Satyric.j  HO;  Seneca,  De  Benef.^  IV,  20,  e  VI,  3S. 

9  Giovenale,  I,  33,  IX,  27,  XIV,  212  e  segg.;    Marziale,  I,  11,  IV,  5  e  28  ,  VI,  50, 
Petronio,  Satyric.j  58;  Lampridio,  Aìess.  Severo,  67^ 

10  Giovenale,  XIV,  207. 

11  Svetonio,   Vespas.,  23;  Dione  Cassio,  LXV,  Il 

12  Giovenale,  I,  75. 

13  Tacito,  Aìin.,  XI,  1. 


826  LE  BRUTTURE  VEDUTE  DA.  SENECA  A  ROMA.    [Lib.  VII. 

mente  si  spende,  per  vincere  i  custodi  dell'altrui  moglie, 
per  adornare  la  druda  di  gemme  eritree,  o  per  mandarle 
a  uso  di  orinale  un  ricco  vaso  lavorato  da  Mentore  *,  per 
comprare  dal  marito  la  libertà  di  starsi  col  drudo,  per 
rapire  alle  altre  gli  amanti,  per  inalzare  statue  ai  vin- 
citori nelle  corse  dei  carri,  per  comprar  tutto,  perchè  a 
Roma  tutto  si  vende  ^  e  la  maestà  delle  ricchezze  è  san- 
tissima 3,  e  può  ciò  che  vuole,  e  mentre,  più  potente  di 
ogni  seduttore,  corrompe  padri  e  figliuoH,  dà  anche  fama 
d'ingegno,  di  lealtà  e  di  virtù  *.  I  poeti  ricchi  fanno  fu- 
rore, quando  declamano  versi:  gli  avvocati  ricchi  vincono 
tutte  le  cause:  coi  ricchi  stanno  gli  Dei  ^.  Al  ricco  è  per- 
messa ogni  cosa^;  il  povero  calunniato,  beffato  '. 

Per  le  strade,  ingombre  di  folla,  di  enormi  carri  e  di 
fango,  fragorose  di  giorno  e  di  notte,  pericolose  per  in- 
festazioni di  ebbri  bisognosi  di  risse,  e  di  ladri  che  ti 
spogliano  col  ferro  alla  gola  ^,  Seneca  ad  ogni  passo  in- 
contra scellerati,  avari,  prodighi,  impudenti,  fehci  per 
questi  vizi:  vede  uomini  che  vincono  in  mollezza  le  me- 
retrici, e  pongono  ogni  studio  in  trovar  nuovi  modi  da 
fare  ingiuria  alla  virilità.  Al  Fóro  turpi  liti  e  più  turpi 
avvocati,  accuse  contro  padri  e  madri,  magistrati  giudi- 
canti in  cose  di  cui  anch'essi  sono  rei,  testimoni  corrotti 
a  sostegno  di  male  cause,  e  i  cittadini  tutti  in  guerra 
tra  loro,  e  intenti  a  guadagnare  sul  danno  altrui,  odianti 
i  fehci,  dispregiatori  degli  infelici,  oppressi  dai  grandi, 
oppressori  dei  piccoli;  peggiori  delle  fiere  che  tra  loro 
son  placide  e  non  mordono  i  simili.  Non  vi  è  cosa,  dice 
il  filosofo,  che  non  si  faccia  per  un  lieve  piacere  o  van- 

1  Giovenale,  VI,  232;  Marziale,  XI,  11. 

2  Giovenale,  III,  183,  X,  322;  Marziale,  IV,  67,  e  V,  2ó. 

3  Giovenale,  I,  112. 

4  Giovenale,  III,  137  e  segg. 

5  l'etronio,  SatyriCs  137. 

«  Giovenale,  XI,  175  e  segg. 

7  Seneca,  De  Benef.,  I,  9  ;  Giovenale,  III,  145-155,  299-301. 

8  Giovenale,  III,  7  e  segg.,  239-218,  208-314;  Marziale  XII,  57. 


Gap.  V.]  SCONCEZZE  INAUDITE.  827 

taggio:  si  gareggia  di  nequizia;  l'innocenza  non  rara,  ma 
nulla;  non  fede,  se  non  quando  torna  conto;  impossibile 
contare  i  delitti,  cui  più  non  bastano  1  tribunali;  comuni 
gli  spergiuri,  i  furti,  le  frodi,  gli  incendii,  i  veleni,  i  ratti, 
gli  stupri,  e  tutto  apertamente  e  senza  ritegno  *. 

Non  potrebbero  decentemente  ripetersi  le  infamie 
dell'ebbra  libidine,  eccitata  con  arte  2,  e  dell'adulterio 
divenuto  cosa  ordinaria,  e  dei  molti,  pei  quali  pigliar 
moglie  non  significa  altro  che  sedurre  la  donna  altrui, 
quantunque  non  manchino  mariti,  che  si  vendicano  col 
bastone  e  col  ferro  ^.  Il  palazzo  dei  Cesari,  e  le  case  dei 
grandi  e  i  templi  stessi,  videro  turpitudini,  che  in  lingua 
onesta  non  trovano  nome.  Non  curata  la  educazione  dei 
figliuoli,  che  fino  dalla  più  tenera  età  sono  torti  per  male 
vie  dagli  schiavi,  dati  loro  a  maestri,  e  dagli  esempi 
stessi  dei  genitori  *.  Sono  ricordati  padri  corruttori  dei 
figli,  di  cui  vendono  la  gioventù  e  la  bellezza^;  uomini 
più  infami  delle  meretrici,  mariti  sconcissimi,  che  con  le 
gemme  fanno  tacere  la  moglie  ^;  altri  severi  ai  sembianti 
e  sozzi  cinedi  nel  fatto  ;  matrimonii  fra  uomini  e  uomini, 
fatti  sull-' esempio  di  Nerone  con  solennità  di  tede,  di 
velo,  di  cantici  nuziali,  di  dote  e  inviti  d'amici  ^;  e  i  nitidi 
adulteri  tenuti  in  grande  onore  dalle  matrone  ^.  Le  splen- 
dide case  turpi  per  foggio  di  libidini  nuove,  e  per  ob- 
brobrii,  divulgati  nel  vicinato  dai  servi  a  vendetta  di  loro 
dura  sorte  ^;  e  nobili,  che  davanti  alle  imagini  dei  glo- 

1  Seneca,  De  Ira,  II,  T-11  ;  De  Tranquillit.,  15,  e  Nat.  Qme&t.,  VII,  31. 

2  Persio,  VI,  71;  Giovenale,  IX,  134;  Marziale,  111,75,  VI,  71  ;  Petronio,  Sa^yne.^  130, 
e  Fragm.,  11. 

3  Seneca,  De  Benef.,  I,  9;   Consol.  ad  Helv.,  16;  De  Ira,  II,  8  e  10  ;   Giovenale,  X, 
310-326. 

4  Tacito,  Dialog.  de  Orai.,  23,  29. 

5  Musonio  Rufo,  in  Stobeo,  Semi.,  79. 

6  Giovenale,  II,  41-61. 

7  Tacito,  Ann.,  XV,  37;  Svetonio,  Ner. ,  2S  ;  Giovenale,  I,  62  e  7S,  II,  117-142;  Mar- 
ziale, XII,  12. 

8  Seneca,  De  Benef.,  I,  9;  Giovenale,  XI,  176. 

9  Giovenale,  IX,  70-120. 


828    TURPI  MATRONE,  TURPI  PRINCIPI,  TURPI  PATRIZI.  [Lib.  VII. 

riosi  avi  menano  vita  infame  nelle  crapule  e  al  giuoco, 
e  gareggiano  di  turpitudini  sulla  scena  e  nel  Circo  *. 

Delle  infamie  donnesche  è  pieno  ogni  libro.  Vi  sono 
matrone  che  si  danno  al  mestiere  di  meretrici  ^.  La  sa- 
tira parla  di  donne  che  si  dilettano  di  sucidi  schiavi,  di 
commedianti  e  di  lordure  plebee  ^.  E  anche  quelle  che 
non  vanno,  come  la  imperatrice  Messalina,  al  postribolo, 
studiano  solo  in  libidini,  ogni  lode  cercano  nella  bellezza, 
si  contaminano  in  faccia  di  lisci ,  cercano  le  vesti  che 
più  le  mostrino  nude,  e  a  lussuria,  non  ad  onesto  orna- 
mento, volgono  gli  studi  delle  lettere  :  e  di  loro  fecondità 
si  vergognano,  e  nascondono,  come  peso  indecente,  il 
tumido  ventre,  e  ne  spengono  il  frutto  ^\  E  in  tutto  ade- 
guano la  licenza  e  la  sfrontatezza  degli  uomini,  e  come 
essi  bevono,  si  ubriacano  e  vomitano  ^. 

Insomma  innumerabili  le  colpe  e  i  (Relitti:  turpi  prin- 
cipi, turpi  matrone,  turpi  patrizi;  prezzolati  sicarìi,  jjrte- 
fìci  e  mercatanti  di  veleni,  dei  quali  grande  laboratorio 
e  scuola  è  il  palazzo  dei  Cesari  ;  ogni  sorta  di  turpitudini, 
unite  a  crudeli  atti  di  sangue,  per  opera  di  uomini,  che 
dall'ebbrezza  e  dalla  lussuria  prorompono  a  uccisioni, 
e  non  passano  giorno  senza  qualche  grande  nefandità  *. 
E  anche  sotto  Vespasiano,  che  è  lodato  di  aver  posto 
riparo  alla  corruzione,  e  sotto  Traiano  e  gli  Antonini, 
continue  scmo  le  querele  delle  anime  oneste  contro  i  co- 
stumi effeminati,  brutali,  falsi,  buffoneschi,  taverneschi, 
tiranneschi,  il  più  gentile  dei  quali  pare  appena  tollera- 
bile all'imperatore  filosofo;  contro  la  gente  che  adula, 
che  presume  di  se,  che  tende  insidie,  che  ammassa  tesori, 


1  Soneca,  £/)!sr,  99;  Svrtonio,  Aug..  43;  Tib.^  35;  Dione  Cassio,  XLVIII,  20  e  33,  LF, 
22,  LUI,  1,  LIV,  26,  LVI,  25;  Giovenale,  Vili,  7-2(1. 

2  Svctonio,  Tib.^  35;  Tacito,  Ann..  II,  S5. 

3  l'etronio,  Satyric,  126. 

*■  Seneca,  Consol.  ad  Helv.^  16;  Controv.j  II,  15;  Gellio,  XII,  1. 
-'■.  Seneca,  Epist.j  95. 
6  Seneca,  Epht.j  ^d. 


Gap.  V.]  CITTA  E  PERSONE  RESISTENTI  ALLA  CORRUZIONE.       829 

che  desidera  la  morte  di  alcuno.  Grandi  anche  allora  i 
vizi  e  la  licenza  dei  tempi:  e  la  fede,  la  verecondia,  la 
giustizia  e  la  verità  si  dicono  partite  dal  mondo  *. 

Ammettasi  pure  che  siavi  sfoggio  di  colori  nei  tristi 
qijiadri,  che  di  questi  tempi  fanno  gli  storici,  i  poeti  e  i 
filosofi;  ma  anche  tolta  la  esagerazione  vi  rimane  sempre 
tanto  furore  di  tirannide,  tanta  corruzione  nella  reggia  e 
nelle  case  dei  grandi,  tanto  puzzo  di  lordure  e  d'infamia 
per  tutto,  che  mette  nell'animo  profondo  orrore.  E  questa 
città,  piena  di  luoghi  destinati  ad  esercitare  in  pubblico 
il  male  2,  apparisce  la  cloaca  del  mondo  ^,  e  mercato  di 
eloquenza,  di  leggi,  di  ambizioni,  di  lussurie,  e  di  vizi  di 
ogni  sorte  ^. 

I  principi  e  i  grandi  di  Roma  portavano  la  corruzione 
anche  fuori  di  essa,  e  noi  vedemmo  le  più  belle  contrade 
d' ItaHa  contaminate  dalle  crudeli  follie  e  da  tutte  le  im- 
periali nequizie.  Pure  le  regioni  lontane  da  Roma  con- 
servarono più  intero  costume,  e  Padova  e  Brescia  e  altri 
luoghi  dell'Italia  superiore  si  vedono  citati  come  serbanti 
molto  della  modestia,  della  semplicità  e  della  rettitudine 
antica  ^,  e  si  lodano  municipii  e  colonie  per  severo  co- 
stume ^,  e  si  ricorda  sempre  la  semplicità  dei  Marsi  e 
Sanniti,  e  di  altre  genti,  tra  le  quali  celebrasi  la  onestà 
delle  donne  ^  Ma  tutt'  altro  che  severo  costume  s' in- 
contra nella  molle  Campania.  Se  a  Pozzuoli  si  decretano 
onori  di  pubblici  funerali,  di  profumi  e  di  statue  a  una 
matrona  per  la  sua  maravigliosa  castità  ("),  questi  onori 

(")  Gaviac  JSI.  fil.  Marcianac  honcstae  fi  incomparabili  sanctae  nia- 

'  Marco  Aurelio,  Ricordi,  IV,  2S,  32,  V,  10;  Plinio,  Epist  ,  V,  8;  Giovenale,  T,  UT. 
-  Seneca,  De  Costant.j  Sap.,  6. 

3  Lucano,  VII,  405.  Conf.  Giovenale,  III,  61. 

4  Seneca,  Consol.  ad  Helv.,  6;  Petronio,  Satyric,  11  e  Fragra.,  ?3-,  Giovenale,  VII, 
14  e  segg. 

5  Plinio,  Epist.,  I,  11. 

'^  Tacito,  Ann.,  Ili,  55. 
'  Giovenale,  HI,  168  e  segg-.,  VI,  \Cy,. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  11 


830 


VENERE  FISICA  REGINA  A  POMPEI. 


[  LiB.  VI 


stessi  dimostrano  che  il  pudore  e  la  castità  erano  ivi  ec- 
cezione, non  regola.  La  Venere  Fisica  {")  stette  adorata 
regina  a  Pompei:  ed  ivi,  come  ad  Ercolano,  le  case  pione 


Uovini'  del  tempio  detto  di  Venere  a  Pompei  {Overbeckj  Pomp.j  [ifty.  1.0). 

di  delicatezze,  di  sconce  imagini,  di  lascivie  e  di  orgia, 
attestate  dalle  rovine,  ci  mostrano  anche  oggi  la  vita 
dei  voluttuosi  Campani. 

Gli  scrittori  sovente  oppongono  i  costumi  delle  province 

tronae Iluic   cura   oh  eximiiim  pudorem   et  admirabilem   casti^ 

tatemHn  matura  et  acerba  morte  intcrceptae  llcspuhlica  funus  publicum 
item  foleum  et  tres  statuas  decrevit.  Momrasen  ,  Inscript.  Regni  Neap., 
n.  2517. 

(<")  In  più  epigrafi  è  detta  Ve7tcre  fisica  Pompeiana  e  plagiaria ,  e 
invocata  propizia  e  onorata  di  offerte.  Vedi  Zangemeister,  Inscriptiones 
parielariae  Pompeianae ,  Berolini  1871,  n.  26,  538,  1411,  1520,  1538, 
1025,  1824,  1839,  1985,  24.57,  2487,  2776;  Moramsen,  Inscr.  Regni  Neap., 
2253;  Henzen.  in  Orelli,  n.  7294. 


Gap.  V.]  STUDIO  DELLA  SAPIENZA  E  AMOR  DELLA  MORTE.        831 

e  dei  poveri  a  quelli  dei  ricchi  cittadini.  I  vinti,  dice 
Giovenale,  non  sanno  ciò  che  si  fa  a  Roma,  e  hanno  bi- 
sogno di  venir  qui  per  apprendere  che  l'uomo  può  fare 
le  parti  di  donna  *.  Per  onore  dell'umana  natura  debbe 
dirsi,  che  anche  a  Roma  non  mancavano  uomini  e  donne 
di  severo  costume  e  di  intera  onestà,  contrastanti  coll'e- 
sempio  e  colla  parola  alla  crescente  corruzione.  Si  ricor- 
dano uomini  di  specchiata  innocenza,  probi  all'antica, 
di  gran  fede  e  schiettezza,  di  pura  coscienza,  di  illibata 
fama,  alieni  da  ogni  ambizione,  santissimi  in  casa,  inte- 
gerrimi nei  pubblici  ufficii,  modeUi  in  tutto  alla  gioventù; 
e  matrone  pudiche  e  severe,  e  specchio  di  pure  e  forti 
virtù  ^.  Ma  negli  animi  retti  è  tale  sgomento,  che  in  cima 
a  ogni  loro  pensiero  sta  la  morte,  come  solo  scampo  dal 
furore  del  dispotismo  e  del  vizio.  Quindi  vediamo  gli  studi 
di  molti  rivolti  a  imparare  e  a  prepararsi  a  morire. 

Al  cominciare  dell'Impero,  tolti  dall'eloquenza  e  dalle 
faccende  pubbliche,  state  palestra  alle  menti  e  ai  cuori 
più  alti,  gli  uomini  che  non  potevano  acquietarsi  all'ozio, 
che  senza  lettere  è  morte  e  sepoltura  dei  vivi,  si  dettero 
alla  coltura  dell'  animo,  contro  la  quale  non  eravi  forza 
di  tirannide:  e  prostrata  ogni  cosa,  rimase  in  piedi  lo 
studio  della  sapienza,  che  fu  precipua  cura  ai  migliori, 
e  sostenne  gli  animi  affranti,  ritraeridoli  dalle  tenebre 
della  servitù  ai  templi  sereni  di  cui  parla  il  poeta  ^.  Come 
Lucrezio  tra  le  stragi  delle  guerre  civili  cercava  quiete 
nel  proprio  animo  purgato  da  ogni  timore,  così  ora  ri- 
corrono al  medesimo  scampo  contro  altri  mali,  non  meno 
atroci.  E  nei  giorni  più  dolorosi  per  flagelli  di  tirannide 
e  pazienza  di  schiavi  si  ritraggono  tutti  in  sé  stessi,  me- 
ditano mestamente  la  morte,  e  nutriscono  nell'animo  la 


1  Giovenale,  K,  162-170. 

2  Plinio,  Epist..  I,  12,  li,  7  o  9,  ITI,  2,  3,  11  e  IH,   IV,  22,  V,  15,  VII,  19  e  31 ,  Vili, 
-23,  IX,  13. 

3  Seneca,  Epist-^  11  e  SS;  Lucrezio,  II,  S. 


832  •  BRUTTI  CIARLATANI  MERCANTI  DI  FILOSOFIA.   [Lib.  VII. 

forza  per  affrontarla  con  dignità.  Fra  tante  mostruose 
mollezze  vi  sono  uomini  di  ogni  grado  e  fortuna,  che  tutto 
di  si  liberano  colla  morte  dai  loro  mali.  Muoiono  per  sot- 
trarsi a  Tiberio  e  a  Nerone,  muoiono  per  ignavia,  per 
capriccio,  per  noia,  tutt' al  contrario  di  Mecenate,  cu- 
pido di  vivere  zoppo,  monco,  anche  in  croce  *.  Seneca, 
che  in  questi  tempi  fu  principale  tra  i  cercatori  della 
sapienza,  riprova  la  universale  libidine  di  morire,  e  chiama 
dementi  quelli  che  muoiono  per  timor  della  morte,  e  in- 
segna che  r  uomo  forte  e  sapiente  debbo  uscire  non  fug- 
gire dalla  vita;  e  si  duole  che  troppi  anche  fra  i  più 
generosi  siano,  fuori  dei  casi  estremi,  violenti  contro  sé 
stessi:  ma  al  tempo  medesimo  è  continuo  nelle  esorta- 
zioni a  non  temere  la  morte,  ad  averla  non  come  male, 
ma  come  strumento  di  libertà,  a  morire  onestamente, 
saviamente,  fortemente,  e  quando  lo  persuade  ragione  ^. 
A  Roma,  dove  da  ogni  luogo  concorre  la  gente  per 
procacciar  sua  ventura,  grande  è  il  numero  dei  ciarla- 
tani venuti  di  Grecia  e  di  Asia,  che  si  spacciano  per 
filosofanti,  e  sono  venditori  di  sofismi  e  di  inezie,  e  di- 
sonorano la  sapienza  colla  lingua  e  coi  fatti:  feccia  di 
tristi,  che  sotto  severo  sembiante  nascondono  cupidigie 
e  libidini,  e  professano  la  filosofia  per  guadagno,  e  vi- 
vono in  diletti  di  gola,  tra  meretrici  e  adulterii,  nelle 
taverne  e  alla  reggia.  Vagabondi  viventi  di  elemosina; 
grandi  faccendieri  si  cacciano  per  le  case  dei  ricchi,  esor- 
tano ai  vizi,  vantano  la  sapienza  del  bere  e  del  convi- 
vare,  adulano  e  fanno  la  spia.  Altri  ripongono  la  filosofia 
nella  barba  e  nel  pallio,  e  tenendo  cattedra  recitano  a 
mo'  di  commedianti,  cercano  plausi  coi  gesti  e  col  batter 
dei  piedi,  spaccian  sofismi,  vanno  a  caccia  di  vecchie 
parole,  insegnano  a  disputare,  non  a  vivere  3, 


1  Seneca,  Epi$t..  21  e  77. 

2  Seneca,  Epist.^  21,  26,  30,  70,  71,  76,  77,  ecc.,  De  Constant.  Sap.^  4,  8,  ecc. 

3  Seneca,  Epist.^  20,  29,  40,  18,  -19,  52,  75,  103,  De  Brevit.  vii.,  10-13;  Tacito,  Ann., 
XIV,  10,  XVI,  32;  Gelilo,  IX,  2;  Giovenale,  li,  1-15,  111,58-125;  Luciano,  A'i'i^ritìo.,  21-25. 


i 


Cap.  Y.]        filosofi  confortatori  nelle  sciagure.  833 

Ma  altri  sono  i  pensieri  e  la  vita  e  i  precetti  dei  veri 
filosofi,  celebrati  per  santità  di  costumi  e  per  altezza  di 
animo.  Parlano  libere  parole  ai  potenti,  insegnano  a  sof- 
frire tranquillamente  le  persecuzioni  della  tirannide,  e 
più  d'uno  aggiunge  ai  precetti  l'esempio.  Frequente  l'in- 
fluenza di  essi  sulla  vita  dei  cittadini.  Accolti  nelle  fami- 
glie, consacrano  ad  esse  tutta  l'opera  loro  ;  custodiscono 
l'innocenza  dei  figli,  ne  informano  coll'esempio  e  colle 
parole  l'animo  al  bene,  educano  a  seconda  dell'indole, 
della  condizione,  dell'età,  e  si  trattengono  coi  discepoli 
in  letterati  colloquii  *.  Alcuni  ricorrono  ad  essi  solo 
quando  la  fortuna  è  avversa.  11  ricco  lieto  di  buona  sa- 
lute, di  bella  moglie,  e  di  prosperi  figliuoli  non  cura  di 
altro;  ma  se  perde  fortuna,  salute  e  famiglia,  ricerca  dai 
filosofi  consolazioni  e  precetti  per  sopportar  la  sciagura  '^. 
Ed  essi  danno  conforti,  e  consolano  i  mesti,  dirigono  nelle 
cose  dubbie,  confermano  i  trepidanti,  insegnano  che  la 
sventura  è  l'occasione  della  virtù,  che  questa  sta  nel 
vincere  ciò  che  temono  tutti,  e  che  l'uomo  debbe  porre 
la  sua  ricchezza  nell'animo,  non  nel  patrimonio,  e  con- 
siderare la  virtù  come  il  solo  bene  della  vita,  porre  l'a- 
nimo al  di  sopra  delle  minacce  e  delle  promesse  della 
fortuna,  tollerare  tutto  con  lieto  cuore,  inalzare  pure 
le  mani  al  cielo,  chiedere  mente  pura,  e  ciò  che  ad  altri 
non  nuoce.  Insegnano  che  l'uomo  può  da  sé  stesso  uscire 
facilmente  da  ogni  servitù,  da  ogni  sciagura  3.  E  quando 
il  padrone  di  casa  delibera  se  debba  darsi  la  morte,  in- 
sieme agli  amici  è  chiamato  per  consiglio  il  filosofo,  e 
in  generale  si  sta  all'avviso  di  questo.  Egh  persuade  ad 
aspettar  con  forte  animo  l'ultima  ora,  accompagna  al  sup- 
phzio  quelli  cui  ha  insegnato  a  vivere,  e  ora  gli  aiuta  a 


1  Seneca,  E-pì&t.,  11,  25,  26,  27,  52,  91. 

2  Dione  Crisostomo,   Orat.,  27. 

3  Seneca,  Epist.^  12  e  lOS;  De  Provici.,  l-G;  Nat.  Quaest. ..  Ili,  praof. ,  l;{;  De  vita 
beata.,  22. 


834  I  SESTII,  SOZIONE,  ATTALO.  [Lib.  VII. 

morire  mostrando  loro  un  mondo,  nel  quale  l'uomo  dab- 
bene si  ride  dei  tiranni  e  di  loro  insensati  furori.  Trasea 
ascolta  con  sereno  animo  il  filosofo  Demetrio  nei  momenti 
estremi.  Musonio  Rufo  è  compagno  a  Rubellio  Plauto 
aspettante  la  morte.:  un  altro  filosofo  fa  il  medesimo  uf- 
ficio con  Cano  Giulio  condannato  nel  capo  da  Caligola  *. 
Altri  filosofavano  al  pubblico,  e  fra  questi  notiamo  Q. 
Sestio  Nigro  e  un  suo  figliuolo,  che  vissero  al  cominciar 
dell'Impero,  e  insegnarono  forti  e  virili  dottrine  vestite 
di  greche  eleganze,  e  fecero  una  nuova  scuola,  da  cui 
uscirono  anche  oratori  e  grammatici.  Loro  fine  era  di  cor- 
reggere i  guasti  costumi,  e  ritrarre  gli  uomini  dal  molle 
torpore.  La  virtù  raffiguravano  come  cosa  grande  e  su- 
blime, ma  pure  accessibile  a  tutti,  e  la  vita  come  una 
continua  battaglia  contro  la  fortuna,  e  la  crudeltà  e  la 
lussuria  ^;  usando,  a  quanto  sembra,  di  significare  i  pre- 
cetti con  figure  e  proverbi,  che  poscia  tradotti  e  tras- 
formati da  altri  presero  colore  al  tutto  cristiano  (").  Di 
questa  scuola  fu  pure  Sezione  d'Alessandria,  maestro  di 
Seneca,  ora  addetto  ai  Pitagorici,  ora  agli  Stoici,  dispu- 
tatore acre,  concitato,  animoso,  di  cui  rimangono  alcuni 
detti  sull'amore  fraterno  ^.  Al  medesimo  scopo  di  ritrarre 
gli  uomini  dalla  mollezza  mirava  Attalo,  egli  pure  stra- 
niero, uomo  d'animo  forte,  che  con  grande  eloquenza 
vituperava  le  voluttà  e  le  ricchezze,  e  chiamava  turpitu- 

(")  Vedi  G.  Corrado  Orelli,  Opuscula  Graecoriini  veteriim  sententiosa 
etmoralia,lÀ\)s\^e  1819,  voi.  1,  pag.  244-268,  e  aS^^^ì  enchiridion  latine 
versum  a  Rufino,  iu  Fragm.  philosophorum  graecorum,  ed.  Didot,  1860, 
pag.  523-531,  e  TeuiFel,  Gesch.  der  roemisch.  Literatur,  250,  8. 

1  Tacito,  Ann.^  XIV,  59,  XVI,  31;  Seneca,  De  TranquiUit.,  11,  Epist.^  77. 

2  Seneca.,  Episl.,  59,  73,  98,  108* De  Ira,  II,  36,  e  III,  36,  Nat.  Quaest..  VII,  32,  Con- 
trov..  Il,  praef.;  Quintiliano,  X,  1,  121;  Svetonio,  75e  c?a»-.  gramm.,  18;  Riitev,  Histoir e 
de  la  philosophie ,  voi.  IV,  Paris  1837,  p.  138;  Ilepke,  De  philosophis  qui  Romae  do- 
cuerunt  ad  M.  Aurelii  Antonini  imperium.  Berolini  1812,  pag.  11-45;  Aubertin,  De  sa- 
pientiae  doctoribus  qui  a  Ciccronis  morte  ad  Neronia  prindpatum  Romae  viguere. 
Paris  1857,  p.  59-62. 

3  Soaeca,  Epist..  49  e  108;  Stoboo,  Serm.,  81;  Iloplto,  loc.  cìt.,  pag.  47. 


I 


Gap.  V.]  PAPIRIO  FABIANO,  SENECA.  835 

dine  riporre  la  vita  beata  nell'oro,  e  vera  ricchezza  sti- 
mava il  contentarsi  del  poco.  Era  continuo  nel  gridar 
contro  i  vizi,  e  contro  il  fasto  e  le  mollezze  dei  grandi 
e  dei  re,  e  nel  lodare  la  sobria  mensa,  il  casto  corpo, 
la  mente  pura.  E  per  tutto  ciò  patì  la  persecuzione  di 
Sciano  K 

Al  popolo  dissertava  Papirio  Fabiano,  anch' egli  della 
scuola  dei  Sestii,  combattendo  impetuoso  contro  le  umane 
passioni;  ed  era  applaudito  con  alte  grida.  Uomo  egregio 
di  vita,  di  scienza,  di  eloquenza,  e  scrittore  elegante  di 
più  libri  di  filosofia,  e  di  cose  civili  e  naturali  2. 

Lucio  Anneo  Seneca  (750-818),  che  per  ingegno  e  dot- 
trina andò  più  alto  di  tutti  i  filosofi  e  moralisti  dell'età 
sua,  fu  uditore  di  Fabiano,  di  Sezione,  di  Attalo,  e  di  più 
cose  andò  debitore  a  questi  maestri,  come  a  tutti  i  fi- 
losofi greci,  nei  libri  dei  quali  trascelse  le  migliori  dot- 
trine, e  le  usò  a  suo  talento  volgendole  ai  bisogni  di 
Roma.  Era  nato  a  Cordova  da  quel  Seneca  che  stabilitosi 
a  Roma  ai  tempi  d'Augusto,  divenne  famoso  fra  i  retori, 
dei  quali  ci  trasmise  in  frammenti  le  vane  esercitazioni. 
Il  giovane  venuto  a  Roma  nella  sua  fanciullezza,  ed  edu- 
cato all'oratoria  e  alla  filosofia  coi  suoi  fratelli  Nevato 
e  Mela  che  poi  fu  padre  di  Lucano,  mostrò  subito  vivis- 
simo ingegno;  e,  inteso  a  cure  ambiziose («),  coll'eloquenza 
imparata  dal  padre  e  dagli  altri  declamatori  si  apri  la  via 
alle  cariche,  e  fu  senatore  ^  e  poi  console  (^)  e  uomo  di 

(")  Il  padre  scrive  di  lui  e  del  suo  fratello  Novato:  Fratribus  .... 
ambitiosae  curae  sunt,  foroque  se  et  honoribus  parant  in  quibus  ipsa 
quae  sperantur,  timenda  sunt.  Controv.,  II,  praef. 

(*)  Sul  consolato  di  Seneca,  posto  nell'anno  811  ,  vedi  Borghesi,  in 
Opere,  voi.  IV,  pag.  393-397. 

1  Seneca,  JVat.  Quaesti  II,  50,  Epist.^  63,  67,  72,  108,  HO,  e  Suassor..  2. 

2  Seneca,  Spisi. ^  11,  40,  52,  58,  100,  De  Brevit.  vit._,  10  e  14,  Controv.^  II,  praef.; 
Iloefig,  De  Papirii  Fabiani  vita  scriptisque^  Vratislaviae  1852. 

3  Seneca,  Consol.  ad  Helv.,  19,  Epist...  49,  98,  108;  Svetonio,  Ner.,  7. 


836 


SENECA. 


[LiB.  VII. 


corte.  Sotto  Caligola  corse  pericolo  di  essere  ucciso  dal- 
l'invidioso tiranno,  per  aver  difesa  maravigliosamente 
una  causa  in  senato  *.  Altrove  dicemmo  la  parte  eh'  egli 
ebbe  nelle  faccende  di  Stato,  come  maestro  e  consigliere 
di  Nerone,  e  della  morte  che  gli  détte  il  discepolo,  e 
che  egh  prese  con  virile  e  sereno  animo. 

Molte  cose  furono  détte  allora  e  in  appresso  sul  suo 
stare  alla  corte  piii  sconcia  del  mondo,  sugli  amori  suoi 
con  Giulia  di  Germanico,  con  Agrippina  e  con  vili  donne  ; 


Seneca  '{Moììr/ez^  Icoii.  Kom.^  pi.  XIV,  n.  1  e  2). 

sulle  sordide  usure,  sulle  ricchezze  accumulate  in  mag- 
gior quantità  di  quello  che  si  convenisse  alle  dottrine  che 
ei  professava,  e  suMusso  menato  in  sua  casa,  mentre  em- 
piva i  libri  delle  lodi  del  viver  frugale  e  della  povertà  ("). 

i^')  Tacito.  Ann.,  XII.  8,  XIII,  14  e  42,  XV,  60-G4;  Dione  Cassio.  LX, 
I.  TAI,  10,  LXII,  2  e  25.  Egli  po.?f=ecle va  300  milioni  di  sesterzi,  oquiva- 

1  Dinne  Cassio,  I,IX,  19. 


Gap.  V.]  SENECA.  837 

Non  tutto  ciò  che  fu  detto  contro  di  lui  vuoisi  ammet- 
tere senza  riserva,  perchè  le  più  di  queste  accuse  ven- 
gono da  uomini  che  gli  erano  acerbissimi  nemici  :  ma 
ve  ne  hanno  parecchie,  su  cui  non  può  cader  dubbio.  E 
queste  bastano  a  metterlo  in  contradizione  flagrante 
colle  dottrine,  e  a  macchiargli  bruttamente  la  vita.  Dalla 
sua  rilegazione  di  Corsica  scrive  alla  madre,  l'esilio 
non  essere  altro  che  una  mutazione  di  luogo,  non  to- 
gUere  i  beni  dell'animo,  e  potersi  anche  dalle  orride  re- 
gioni contemplare  il  sole,  la  luna,  e  le  stelle  *.  Ma  poi, 
per  esser  liberato  dall'  esilio  volge  basse  parole  a  Po- 
libio, tristo  liberto  arricchito  per  male  arti,  potente  al- 
lora alla  corte  di  Claudio,  e  lo  celebra  uomo  innocentis- 
simo,  frugale  all'antica,  gran  letterato,  benemerito  molto 
di  Omero  e  di  Virgilio,  valente  poeta,  oratore  capace  di 
far  passare  per  grandi  le  cose  piccole,  e  degno  di  nar- 
rare egregiamente  le  geste  di  Cesare  2.  E  come  loda  il 
liberto  per  averlo  intercessore  presso  al  padrone,  anche 
a  questo  e  alla  turpe  sua  Messalina  non  è  scarso  di  en- 
comii,  e  lui  chiama  consolazione  pubblica  di  tutti  i  mor- 
tali, benefico  custode  del  mondo,  specchio  di  clemenza 
e  di  sapienza,  e  mitissimo  dei  principi,  e  nume  indul- 
gentissimo,  di  cui  si  adorano  i  fulmini  anche  da  quelli 
che  ne  sono  colpiti;  e  conclude  pregando  tutti  gli  Dei 
e  le  Dee  e  la  Fortuna,  perchè  lo  lascino  lungamente  a 
soccorrere  ai  mali  del  genere  umano  ^.  Ma  poco  appresso, 
questa  grande  sapienza  e  clemenza  si  mutano  in  imbe- 
cillità e  crudeltà.  Seneca  per  opera  di  Agrippina,  divenuta 

lenti  a  più  di  .55  milioni  di  lire  italiane.  Ai  rimproveri  fattigli  su  queste 
enormi  ricchezze  egli  risponde  citando  Catone  Tlticense  che,  mentre  lo- 
dava la  povertà  di  Curio  e  di  Coruncanio,  possedeva  400  mila  sesterzi. 
De  vita  beata,  21. 

'   Consol.  ad  Helv.^  4,  6  e  9. 

2  Comol.  ad  Polyb..  22,  25,  26,  30,  37, 

3  Consol.  ad  Polyb.,  31,  32,  33,  36;  Dione  Cassio,  LXI,  10. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  105 


838  SENECA.  [Lib.  YII. 

moglie  di  Claudio,  è  richiamato  dall'esilio,  è  fatto  pre- 
tore, ed  entra  in  corte  maestro  a  Nerone  *.  Claudio  muore 
avvelenato  dalla  moglie,  ed  è  fatto  Dio  :  e  il  filosofo  al- 
lora non  gli  perdona  l'esilio,  e  con  acerbissima  satira 
inveisce  contro  lui  morto,  quanto  a  lui  vivo  si  era  colle 
adulazioni  abbassato  -.  Poi,  volgendo  ad  altro  segno  le 
lodi,  celebra,  con  intento  politico,  la  naturale  innocenza, 
la  mansuetudine,  la  misericordia,  la  umanità,  la  giustizia 
ed  altre  molte  virtù  di  Nerone  :  virtù,  dice  egli,  ammirate 
da  tutti,  e  che  fanno  beata  l'età  sua,  e  torneranno  a  vita 
nel  mondo  la  santità  dei  costumi  antichi  3. 

Non  sappiamo  se  veramente  Seneca  fosse  complice  di 
Nerone  nella  uccisione  di  Agrippina,  ma  è  certo  che  egli 
giustificò  il  matricida  in  senato,  e  aggravò  di  accuse  la 
donna ,  che  lo  aveva  richiamato  dall'  esilio  e  fatto  po- 
tente '•:  ingratitudine  che  turpemente  accresceva  i  con- 
trasti tra  i  fatti  e  gì'  insegnamenti ,  come  lo  stare  alla 
oscena  corte,  ed  esortare  altri  a  fuggire  dallo  splendore 
delle  aule,  e  dai  ritrovi  della  lussuria^;  raccomandare 
la  mediocrità  e  la  povertà  e  la  fuga  dalle  ricchezze  ac- 
quistate con  turpi  guadagni  e  colle  lacrime  altrui,  e  poi 
ingrossare  il  patrimonio  con  sordide  usure  6;  raccoman- 
dare concordia  tra  le  parole  e  la  vita  (") .  e  operare  in 

(")  La  filosofia  vuole,  egli  dice,  ut  ad  legem  suam  quisque  vivat,  ne 
oraiioni  vita  dissenliat  ....  Maximum  hoc  est  et  officium  sapientiae 
et  indicium,  ut  verbis  oliera  concordent.  Epist.,  20.  —  Haec  sit  propo- 
siti nostri  summa;  quod  sentimus,  loquamur  ;  quod  loquimur,  sentia- 
ìnus  :  concordet  sermo  cum  vita.  Ille  promissum  suum  irnplevit,  qui, 
et  cura  videas  illuni,  et  cum  audias,  idem  est.  Epist.,  75.  Altrove  loda 

1  Tacito,  Ann.,  XII,  8,  XIII,  11. 

2  Vedi,  De  morte  Claudìi  Caesaris  ludus..  o  Apocoìohyntoxis  (trasformazione  in  zucca), 
l'ione,  LX,  35. 

3  De  Clementina  I,  1,  2,  II,  2;  Nat.  Quaest..  VI,  S,  VII,  21. 

4  Tacito,  Ann.,  XIV,  7,  II. 

5  Ep'St.,  18  e  51. 

e  Tacito,  Aììn.,  XIII,  12,  XIV,  5.3;  Ttìoni  Cassio,  LX%  10,  LXII,  2;  Seneca,  De  vita 
Unta,  22,  Epist.,  25. 


Gap.  V.]  SENECA. 


modo  diverso  dalle  parole;  nelle  dottrine  ora  credere  alla 
vita  futura,  ora  al  nulla  *  :  e  anche  nell'arte  dello  scrivere 
contradire  alle  proprie  regole,  ed  empire  di  ornamenti, 
di  lisci ,  di  antitesi  e  di  declamazioni  il  discorso,  dopo 
aver  lodato  la  semplicità,  e  disapprovato  nelle  parole 
del  filosofo  ogni  ricercatezza  ("). 

Del  resto  belle,  nobili  e  umanissime  sono  le  dottrine 
di  cui  vanno  pieni  i  suoi  libri  e  soprattutto  le  Epistole, 
il  più  durevole  di  tutti  i  suoi  scritti  da  cui  i  contem- 
poranei e  più  generazioni  in  appresso  trassero  efficaci 
conforti  nelle  crudeli  traversie  della  vita.  Se  egli,  non 
addetto  esclusivamente  ad  alcuna  setta  e  vagante  libe- 
ramente per  tutte,  non  inventò  cose  nuove,  seppe  da 
ogni  campo  raccogliere  le  cose  migliori  e  applicarle  più 
largamente  al  governo  della  vita ,  senza  darsi  cura  di 
mettere  gli  altrui  pensieri  in  armonia  col  corpo  delle 
proprie  dottrine.  Tutti  gli  studi  rivolse  alla  correzione 
dei  costumi ,  e  cogli  stoici  fece  ogni  sforzo  per  com- 
battere e  richiamare  a  sanità  il  secolo  corrotto,  e  per- 
suadere agli  uomini ,  che  la  felicità  vera  sta  nei  puri 
diletti  della  sapienza  e  della  virtù.  A  questo  mirò  in 
tutti  i  suoi  scritti  morali ,  alcuni  dei  quali  andarono 
perduti^,  e  a  questo  ritorna  sovente  anche  negli  studi 
sulla  natura,  ove  dalla  considerazione  dei  fenomeni  na- 

quelli  qui  cum  dixerìnt  quid  faciendum  sii,  probant  faciendo  ;  qui  do- 
cent  quid  vifandum  sii,  nec  tmquam  in  eo,  quod  fugiendum  dixerini, 
deprehenduntur.  Epist.,  52. 

e*)  Epist,  75.  Sulle  contradizioni  di  Seneca  vedi  Gelpke  ,  Be  Senecae 
vita  et  moribus,  Bei'uae  1848,  il  quale  con  molti  fatti  e  confronti  tentò 
dimostrare,  che  egli  fu  più  cortigiano  che  filosofo,  e  che  Tacito  e  Dione 
non  lo  calunniarono.  Tra  i  suoi  difensori  primo  è  il  Diderot.  Vedi  anche 
Reinhardt,  Be  L.  A.  Senecae  vita  et  scriptis,  lenae  1816,  pag.  24  e  segg., 
e  Volquardsen,  Ehrenretiung  des  Seneca^  Hadersleben  1839. 

1  £pist.,  30,  54,  86,  104,  117. 

2  Vedi  Osann,  Be  L.  Annaei  Senecae  scriplis  quitusclam  deperditis.  specimen,  I-III, 
Gissae  1816-1848. 


840  SENECA.  [Lib.  VII. 

turali  fa  prova  di  elevarsi  alla  cognizione  di  Dio,  e  nella 
fisica  cerca  i  fondamenti  della  morale  *.  È  continuo  in 
esortazioni  a  fuggire  le  voluttà,  che  snervano  l'animo  2, 
a  cercare  il  sommo  bene  nell'onesto,  a  porre  in  cima  di 
ogni  pensiero  il  sapere  ciò  che  giova  alla  vita,  a  studiare 
il  modo  di  vivere  e  di  morire  degnamente  ^,  a  cercare 
la  dirittura  e  la  grandezza  dell'animo,  che  ninna  forza  0 
necessità  può  mutare  ^,  e  la  libertà,  che  viene  dalla  non- 
curanza della  fortuna,  dal  ventre  bene  educato,  e  dalla 
sottomissione  del  talento  alla  ragione  («).  Predica  il  guar- 
darsi dall'  ira ,  perchè  è  cosa  sconcia  e  bestiale  1'  uomo 
che  infuria  contro  all' altr' uomo  ;  predica  non  si  rechi 
danno  0  ingiuria  a  persona  ^i  e  raccomanda  il  far  bene- 
ficio a  quanta  più  gente  si  può,  e  anche  agli  ingrati:  e 
stima  il  bene  sempre  possibile,  perchè  non  avvi  tirannide 
capace  di  impedire  al  buon  cittadino  di  soccorrere  e  gio- 
vare agli  uomini  coll'opera,  coll'esempio,  colla  parola,  col 
virtuoso  contegno  •:  e  vane  essere  le  querele  sulla  brevità 
della  vita,  che  a  chi  sappia  usarla  dà  tempo  a  far  molto 
bene  "".  Ammira  come  spettacolo  degno  di  Dio  l'  uomo 
forte  in  lotta  colle  avversità,  e  sottomettente  ogni  cosa 
a  sé  stesso*:  e  loda  gli  stoici,  che  adoperano  virilmente, 
e  tentano  di  farci  superiori  ad  ogni  fortuna  :  umani,  mi- 
sericordiosi, intenti  al  bene  universale,  tranquilli  nelle 
disgrazie,  che  non  piangono  ma  soccorrono  al  naufrago, 
ospitano  l'esule,  aiutano  il  povero,  soccorrono  anche  ai 
nemici  *. 

e*)  De   vita  beata,  5.   yoW Epistola    \2'.\   dice:  Magna  pars  libertatia 
est  bene  moratus  venier. 

1  Nat.  Quaest..  I,  praef.  ,  III,  praef. ,  e  Epixf..  117. 

2  Epist.,  101 

3  Epist^  45,  f.8,  711,  71. 
*  Epist.,  31,  41,  6ò. 

5  De  Ira,  III,  3,  l,  5. 

6  De  Olio  Sap.,  3;  De  Tranquiìlit.,  3,  e  De  Beiiff.,  VII,  Z2 

7  De  Brevit.  vitae,  1. 

8  De  Provid.,  2;  Epist..  121. 

U  De  Constane.  .Sap.,  1-,  De  Cìeraentia.  II.  5.  6,  o  Ih'  Olio  Sap.^  28 


Gap.  Y.]  SENECA.  841 

Altrove  ci  occorrerà  di  citarlo  spesso  con  altri  a  prova 
dei  sentimenti  umani,  che  s'invigorivano  tra  le  ferocità 
dei  tiranni.  Ora  avvertiamo,  quanto  al  suo  scrivere,  che, 
se  sovente  egli  dà  in  gonfiezze  di  linguaggio,  in  affetta- 
zioni, in  arguzie,  in  epigrammi  e  in  esagerazioni  di  pen- 
sieri, talora  egli  scorre  anche  placido,  con  brevi  e  buone 
e  chiare  sentenze,  con  qualche  cosa  di  familiare  e  di 
candido,  e  senza  ambiziosi  ornamenti,  conforme  ai  pre- 
cetti dati  agli  amici  ^  Si  tempera  spesso  anche  nelle 
domande,  pensando  alla  debolezza  degli  uomini,  per  la 
quale  tutti  abbisogniamo  di  reciproca  indulgenza-.  Egli 
segue  uno  stoicismo  più  dolce,  e  le  dottrine  del  Portico 
tempera  con  quelle  di  Platone,  e  vantasi  eclettico,  e 
combatte  gli  amici,  e  cerca  la  verità  ad  ogni  porta,  e 
predica  con  ardore  ciò  che  reputa  buono,  e  gli  amici 
esorta  a  studiarsi  di  far  proseliti  al  vero  morale,  e  di 
tirare  quanti  più  possono  alla  sapienza  ed  alla  virtù  ("). 


{")  Sulla  filosofia,  sulla  morale,  sui  gusti  k-tterarii  di  Seneca  e  sul  suo 
modo  di  scrivere  vedi  Werner,  De  Senecae  philosophia j  Breslau  1825: 
B.  ten  Drink,  De  Senecae  eiiisque  in  philosophiain  ineritisi  Gandavi  1827; 
Herzog,  De  Senecae  philosophìa ,  Bernburg  1828;  Bòhmer,  De  Senecae 
latinitate,  Oels  1840;  Baarts,  Seneca  de  Deo,  Marienwerder  1848;  Martha. 
De  la  morale  pratiquc  dans  les  lettres  de  Séncque,  Strasbourg  1854,  e 
dello  stesso,  Les  moralistes  sous  l'empire  romain,  Paris  1865,  pag.  1- 
125;  Bolim,  Seneca,  und  sein  Werth  auch  fiir  unsero  Zeit,  Berlin  1850: 
Fickert,  Seneca  de  natura  Deorum,  Breslau  1857;  Doergens,  Senecae  di- 
sciplinae  moralis  cum,  Antoniniana  comparatio ,  hì^ìsìa.e  1857;  Hol/herr, 
Der  Philosopih  Seneca,  Rastatt  1858-1859:  Bernliardt,  Die  Anschauung 
des  Seneca  vom  Universum,  Wittenberg  1861;  Siedler,  Die  religiòs- 
sittliche  Weltanschauung  des  Seneca,  Fraustadt  1863;  Gréard,  De  Lit- 
teris  et  litterarum,  studio  quid  censuerit  L.  Annaei'.s  Seneca,  Paris  1867: 
Fleury,  St.  Paul  et  Scnèque,  Paris  1853;  Aubertin,  Etude  critique  sur 
les  rapports  supposés  entre  Séncque  et  St.  Paul,  Paris  1857,  e  1860. 
e  1870;  Boissier,  Le  christianisme  et  la  morale  de  Sénèque,  in  Rev.  d. 

1  Epist.,  75. 

2  De  Benef.,  I,  I  ;  Epist..  55  ;  De  Ira,  I,  1  « 


842  DEMETRIO  FILOSOFO  CINICO.  MUSONIO  RUFO.     [Lib.  VII. 

Vanamente  si  disputò  sulle  supposte  relazioni  di  Seneca 
con  San  Paolo  e  con  altri  Cristiani,  ma  con  ragione  per 
la  grande  somma  delle  sue  morali  dottrine  egli  fu  chia- 
mato il  moralista  per  eccellenza. 

Egli  fu  amico  e  grande  ammiratore  del  fdosofo  Deme- 
trio, un  Greco  povero,  ma  lodato  di  severa  dottrina,  e 
di  vita  conforme  ad  essa  :  e,  come  Trasea  lo  ebbe  con- 
fortatore nelle  ore  estreme,  Seneca  lo  teneva  attorno  a 
sé,  per  impararne  temperanza  tra  le  licenze  della  reggia. 
Demetrio,  venuto  da  Corinto  a  Roma  con  Apollonio  Tia- 
neo,  e  in  ultimo  bandito  da  Vespasiano,  era  di  quei  ci- 
nici, che  per  la  somiglianza  delle  dottrine  andarono  spesso 
confusi  agli  stoici.  Teneva  per  vano  passatempo  ogni 
scienza  che  non  serva  al  governo  della  vita  :  contava 
solo  sulla  forza  della  sua  anima,  aveva  per  nulla  le  cose 
esteriori,  sfidava  la  fortuna,  diceva  non  male,  ma  libera- 
zione da  molti  mali,  la  morte,  e  le  dicerie  degli  ignoranti 
aveva  per  nulla  (")  ;  non  precettore,  al  dire  di  Seneca, 
ma  testimone,  colla  sua  vita,  del  vero  :  acerrimo  combat- 
titore contro  tutte  le  passioni,  professò  la  scienza  della 
povertà  non  affettata,  né  ambiziosa,  ma  vera;  fu  nemico 
agli  adulatori,  rifiutò  i  doni  dei  principi,  pati  tranquillo 
l'esilio,  fu  esempio  e  rampogna  al  secolo  guasto  (^). 

Alla  pratica  della  vita  volse  tutta  la  filosofia  anche  C. 

deux  mond.,  mars  1871,  p.  40-71;  Baur,  Drei  Abhandlungen  d.  Ge- 
schichte  der  alien  Philosophic  und  ihres  YerhdUnisscs  z-um  Christen- 
thum,  Leipzig  1870  (pubblicato  da  Ed.  Zeller). 

e*)  Eleganter  Deraetrius  noster  solebat  dicere  j  eodem  loco  sibi  esae 
noccs  imperitoì'um ,  quo  ventre  redditos  slrepitus.  Seneca,  Epist.,  91. 

(6)  Seneca,  De  Benef..  VII,  I,  8-9;  De  vii.  beat.,  18;  Epist.,  20,  67  e  91  : 
De  Prov.,  3  e  5;  Nat.  Quacst.,  IV,  praef.  ;  Tacito,  ilnn.^  XVI,  34;  Svctonio, 
Yespas.,  13;  Stobeo,  Semi.,  8;  Arriano,  Comment.  de  Epici,  disput.,  I, 
25;  Filostrato,  Yita  di  Apollonio  Tianeo ,  IV,  25,  V,  19,  VI,  31,  ecc. 
Conf.  Tacito  il  quale  ricorda  {Hist. ,  IV,  40)  Demetrio,  come  difensore 
della  .spia  di  Barea  Sorano;  e  dice  che  difese  questo  reo  manifesto  am- 
biliosius  quam  honestius. 


Gap.  V.]  MUSONIO  RUFO  ED  EPITTETO.  843 

Musonio  Rufo,  cavaliere  romano,  nato  a  Volsinio  (Boi- 
sena)  in  Etruria.  Insegnò  a  Roma  sotto  Nerone,  patì  la 
prigione,  ebbe  l'esilio  e  i  lavori  forzati  al  taglio  dell'istmo, 
d'onde  tornò  in  tempi  men  tristi,  e  nella  guerra  civile 
tra  Vitelliani  e  Flaviani  entrò  fra  i  combattenti  a  dir  pa- 
role di  pace,  che  gli  furono  cagione  di  pericolo,  e  sotto 
Vespasiano  accusò  e  fece  condannare  l' accusatore  di 
Barca  Sorano.  Chiamava  alla  filosofia  uomini  e  donne, 
voleva  filosofassero  i  re  per  ben  governare,  faceva  filo- 
sofare i  villici  fra  le  faccende  dei  campi.  Filosofare  per 
lui  non  è  altro  che  praticare  l'onesto  e  il  dovere,  e  la 
filosofia  non  è  che  1'  aspirazione  a  vita  migliore  :  anzi 
stima  che  senza  filosofia  non  esista  virtù,  e  tiene  non 
esser  difficile  a  nessuno  il  giungervi.  Rigetta  il  vano  di- 
sputare dei  sofisti,  insegna  i  buoni  costumi  e  la  sem- 
plicità della  vita,  riprende  il  molle  vestire,  vieta  i  turpi 
amori  tra  gli  uomini,  e  1'  usar  con  donna  anche  libera  ; 
raccomanda  il  matrimonio,  vuole  che  il  filosofo  prenda 
moglie  per  vivere  secondo  natura:  combatte  l'egoismo, 
inveisce  contro  l'esposizione  dei  figliuoli,  e  chiede  a  tutti 
di  essere  umani  e  benefici'. 

Discepolo  suo  fu  Epitteto,.  nato  a  lerapoli  in  Frigia, 
dapprima  schiavo  ad  Epafrodito,  liberto  di  Nerone,  e  poi 
reso  a  libertà.  Filosofò  in  Roma  fino  al  bando,  che  a  tutti 
die  Domiziano  :  allora  si  ricoverò  a  Nicopoli  in  Epiro, 
ove  fece  il  maestro,  e  sopportò  con  stoica  fermezza  la 
estrema  miseria  e  le  altre  sciagure,  e  andò  celebrato 
per  nobile  indole,  pei  puri  costumi  e  per  modesta  vita, 
e  potè  vantarsi  di  esser  caro   agli  immortali  "^.  Arriano, 


1  Tacito,  Ann.,  XIV,  59,  XV,  71;  Htst.,  ITI,  81,  IV,  10  o  !0;  Plinio,  Epht..,  Ili,  11; 
Dione  Cassio,  LXII ,  27,  LXVI,  13;  Luciano,  Nerone,  o  del  taglio  dell'istmo;  Stobeo, 
Serm.,  1,  6, 17,46,  48,  56,  67,  71,  73,  75,  79,  84,  85;  Filostrato,  Vita  di  Apollonio  Tianeo, 
IV,  35,  46,  V,  19;  Gelilo,  IX,  2,  XVI,  1,  XVIII,  2;  Rit'.er,  loc.  cit..  pag.  165;  Niewland, 
De  Musonio  Rufo.,  Amstelodami  1783;  Venhnizen-Peerlkamp ,  C.  Musonìi  reliquiae  et 
apophfhegmatiij  Harlem  1822;  O.  Bernhardt,  Zu  G.  Musonius  Rufus,  Serau  1S63. 

2  Sui.la  alla  voce  'Eiiiy.Tqxor  ;  Gelilo,  II,  18,  XV,  11  ;  Spangenberg:,  Die  Lehre  Epik- 
iets,  Hanau  1819;  Grosch,  Dia  Sittenlehre  des  Epikt.,  Wernigerode  1867. 


844 


DOTTRINE  MORALI  DI  EPITTETO. 


[LiB.  VII. 


SUO  discepolo,  ne  raccolse  le  dottrine,  e  le  tramandò 
lino  a  noi,  e  coi  pensieri  più  notevoli  compose  il  Ma- 
nuale famoso.  Come  gli  altri  stoici,  anche  Epitteto  ri- 
volse tutta  la  filosofia  alla  morale,  e  ogni  studio  fece 
ausiliare  e  strumento  di  essa.  Non  è  qui  luogo  ad  ana- 


Marco  Aurelio  filosofo  stoico,  {Mongez,  Icon.  Rom.j  pi.  XLI, 


lizzare  le  semplici  e  nobili  massime,  con  cui  insegnò  a 
frenare  i  desiderii,  a  stare  in  guardia  contro  le  voluttà 
seduttrici,  a  purificar  l'anima,  a  perfezionare  la  ragione, 
a  combattere  pel  conseguimento  della  vera  libertà,  a  non 
far  male  a  nessuno,  a  beneficare  anche  i  nemici.  Diremo 


Gap.  V.]  PREDICATORI  SOFISTI.  845 

solo  che  i  suoi  principii  ebbero  grande  influenza  sullo 
spirito  dei  contemporanei  e  dei  posteri,  e  che  da  lui  di- 
rettamente venne  il  nobile  libro,  bello  di  alti  pensieri  e 
di  vigoroso  stile,  in  cui  Marco  Aurelio  depose  i  suoi  scon- 
forti, le  sue  speranze,  la  sua  fede  ardente,  i  rimproveri 
a  se  stesso,  e  le  cure  con  le  quali  studiava  di  eccitarsi 
al  bene,  di  nobilitare  la  sua  anima,  e  di  esser  utile  a 
tutti . 

Sotto  Vespasiano  e  Tito  e  Traiano  disputò  di  filosofia 
morale  Plutarco  di  cui  rimaser  gli  scritti  *,  e  il  suo  amico 
Favorino  di  Arli  discepolo  di  Dione  Crisostomo,  scrittore 
enciclopedico  unì  gli  studi  dell'etica  a  quelli  della  gram- 
matica e  della  sofistica,  pei  quali  ebbe  grandissima  fama  ^. 

Altri  correvano  il  mondo  parlando  in  pubblico  per 
piazze,  e  teatri  e  basiliche.  I  più  erano  sofisti  vani,  ar- 
roganti, libidinosi  ^,  che  presentavansi  in  aria  teatrale, 
con  manto  di  porpora,  colle  chiome  piene  di  profumi, 
incoronati  di  lauro  e  di  fiori.  Alcuni  procedevano  con. 
regio  fasto  su  carri  magnifici,  seguiti  da  schiavi  e  da 
cani.  Erano"  onorati  di  corone,  di  statue  e  di  ambascerie 
e  di  altri  pubblici  ufficii  dai  principi  e  dalle  città.  La 
gente  traeva  in  folla  ad  udirli  far  panegirici  delle  città, 
degli  Dei,  degli  eroi,  degli  imperatori,  dei  magistrati  :  e 
più  gli  ammirava,  quando  encomiavano  le  cose  più  ri- 
belli alla  lode,  come  le  zanzare,  le  mosche,  le  pulci,  la 
sordità,  la  cecità,  l'idropisia,  il  catarro,  la  febbre,  la  gotta, 
il  sonno,  la  negligenza,  il  fumo,  la  polvere  '►  :  e  di  Favo- 
rino è  ricordato,  che  con  dicerie  peregrine  e  ornate  lodò 

1  Vedi  Gréard,  De  la  morale  de  Plutarque^  Paris  1866. 

2  S.  Girolamo,  Euseh.  Chron.j.  ad  ann.  132;  Filostrato,  Sofisti^  I,  S  ;  GelHo,  I,  li),  II, 
26,  vili,  2,  XVIII,  7,  XX,  1;  Marres,  De  Favorirli  Arelatensìs  vita,  studiis ,  srriptia. 
Traiecti  ad  Rhenmn  {Utrecht)  1S53,  pag.  41,  62,  91,  ecc. 

3  Dione  Crisostomo,  Orai.,  4  e  12. 

4  Filostrato,  Sofisti,  I,  7,  8,  25,  e  Vita  di  Apollonio  Tianeo,  IV,  30;  Martha,  Les  so- 
phistes  rhèteurs,  in  Moralistes  sous  l'empire  romain,  Paris  ISGl,  pag.  270  e  segg.; 
Walch,  De  praemiis  veterum  sophistarum,  §  XII,  ecc.  ;  Talbot,  De  ludicris  apv.d  veteres 
laudationibus,  Parisiis  1S50,  pag.  73  e  123;  Graff,  De  Romanorum  laudationibus,  Dor- 
pati  1862,  pag.  33,  ecc. 

Van.nucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  106 


846  DIONE  CRISOSTOMO  MAESTRO  A  POPOLI  E  PRINCIPI.  [Lib.  VII. 

Tersite  e  la  febbre  quartana;  e  un  sofista,  che  poi  divenne 
filosofo  serio,  lodò  il  pappagallo  *.  Ma  altri  volgevano  a 
più  alto  scopo  l'eloquenza  e  l'ingegno,  e  tenevano  come 
dovere  religioso  predicare  anche  con  loro  pericolo  la  virtù 
e  la  morale  ai  principi  e  ai  popoli.  Fra  questi  filosofi  er- 
ranti merita  ricordo  particolare  Dione  Crisostomo  per  la 
singolarità  della  vita,  per  l'ingegno  e  pei  severi  costumi. 
Era  di  Prusia  in  Bitinia,  e  fu  sofista  dapprima.  Venuto 
a  Roma,  ove  capitavano  tutti,  fece  una  violenta  scrittura 
per  vendicare  un  nobile  personaggio  spento  da  Domi- 
ziano: e  quindi,  per  sottrarsi  alla  morte,  fu  costretto  a 
fuggire  e  ramingò  in  paesi  lontani.  Mendico  e  cencioso 
guadagnava  la  vita  con  opere  servili  2.  Alcuni  lo  presero 
per  un  vagabondo,  altri  per  un  sapiente  e  lo  consulta- 
vano: ed  egli  riflettendo  vide  la  propria  follia,  e  quella 
di  tutti  gli  altri  intenti  a  guadagni,  a  piaceri,  a  vanità  ^ 
e  si  convertì  alla  sapienza  e  alla  virtù,  e  se  ne  fece  ar- 
dentissimo  propagatore.  Portava  seco  solo  un'orazione 
di  Demostene  e  un  dialogo  di  Platone  *.  Era  tra  i  Geti, 
quando  si  sparse  la  novella  della  morte  di  Domiziano  e 
della  elezione  di  Nerva.  Le  legioni  romane  accampate  tra 
i  barbari  rifiutavano  il  giuramento  al  nuovo  eletto,  e  mi- 
nacciavano di  levarsi  a  tumulto,  quando  Dione,  salito  so- 
pra un  altare,  depose  i  suoi  cenci,  narrò  i  suoi  casi, 
disse  della  crudeltà  di  Domiziano  e  della  virtù  di  Nerva,  e 
colla  sua  eloquenza,  e  con  questo  colpo  di  scena  quietò 
la  sedizione,  e  li  ricondusse  al  dovere  ^.  Quindi,  cessata 
la  tirannide,  egli  potè  tornare  a  Roma,  e  vi  fu  caro  a 
Nerva  e  a  Traiano  ai  quali  parlò  libere  e  generose  parole. 
Mentre  usava  alla  corte  imprecò  all'adulazione,  come  al 
turpissimo  di  tutti  i  vizi,  e  disse  che  le  piacenterie  non 

1  Gelilo,  XVH,  12,  Marres,  loc.  cit..  pag.  53;  Filostrato,  Sofisti^  I,  7,  1. 

2  Filostrato,  Sofisti^  I,  7. 

3  DioD-^  Crisostomo,  Orat.,  Vi. 
*  Filostrato,  loc.  cit. 

5  Filosirato,  Sofisti.,  I,  7;  Dione,  Orat.,   15. 


Gap.  V.]  DIONE  CRISOSTOMO  IN  GRECIA.  IN  ASIA,  E  IN  EGITTO.      847 

si  volevano  temere  da  lui  parlatore  del  vero  anche  a 
rischio  della  sua  vita,  quando  tutti  credevano  necessario 
il  mentire  ^  Ai  principi  ricordò  il  dovere  di  esser  tem- 
peranti, pii,  giusti,  benefici,  di  aver  cura  degli  uomini, 
di  ispirare  rispetto  più  che  terrore  ^.  Dipinse  la  vita  soave 
dei  buoni  reggitori  dei  popoli,  e  l'odio  e  il  perpetuo  pe- 
ricolo dei  tiranni,  pasciuti  di  crudeltà  e  di  libidine,  con- 
taminatori delle  altrui  donne,  tormentatori  e  uccisori 
degli  uomini  liberi  ^.  E  continuò  poscia  a  correre  il  mondo, 
non  per  fare  ammirare  la  sua  eloquenza,  ma  per  inse- 
gnar giustizia,  umanità  e  sapienza  al  popolo  e  ai  grandi. 
Fu  tra  i  Greci,  e  tra  i  barbari,  ad  Atene,  a  Corinto,  a 
Rodi,  in  Asia,  in  Egitto:  dappertutto  intrepido  predicatore 
di  onestà,  sfidando  i  popolari  tumulti,  usando  ogni  arte 
per  farsi  ascoltare,  sopportando  con  animo  tranquillo  le 
ingiurie  dell'ignoranza,  consolando  gli  afflitti,  mostrando 
che  l?i  filosofia  è  tutta  nello  studio  del  bene,  e  dando  le 
sue  innocenti  lezioni  con  benevolenza  di  padre  e  di  fra- 
tello. Sulle  rive  del  Boristene  in  un  tempio  spiegò  alla 
folla  r  origine  del  mondo.  In  Grecia,  ai  giuochi  olimpici 
davanti  alla  statua  scolpita  da  Fidia,  parlò  mirabilmente 
degli  attributi  di  Giove,  e  con  un  commentario  poetico 
interpretò  il  pensiero  del  grande  artista,  mostrando  tutte 
le  virtù  del  Dio  che  respirava  in  quel  marmo  sublime. 
A  Tarso ,  a  Nicea ,  a  Prusia ,  a  Nicome.dia  e  nelle  altre 
città  greche  dell'  Asia  Minore  ,  gelose  e  contendenti  le 
une  con  le  altre,  disse  parole  di  pace,  quietò  le  discordie 
popolari  *•.  Più  perigliosa  tempesta  ebbe  a  sfidare  in 
Alessandria  ,  sentina  dell'  Europa  e  dell'  Asia  ,  ove  una 
immonda  turba  di  marinari,  di  cortigiane,  di  sofisti,  di 
ciarlatani ,  accorsi   da   ogni  paese ,   rendevano   sconci  i 

1   Orat.^  3. 

8  Orai.,  1,  2,  3,  4. 

3    Orni.,  47,  63. 

*  Orai.,  12,  33,  33,  10,  10,  IS,  ecc. 


848  DIONE  CRISOSTOMO,  E  APOLLONIO  TIANEO.      [Lib.  VII. 

pubblici  ritrovi,  prendevano  i  filosofi  a  fischi  e  a  sassate, 
impedivano  ogni  savia  parola ,  e  furiosi  nell'  amore  dei 
cavalli  venivano  nell'ippodromo  alle  risse  e  al  sangue  *. 
Dione  entra  un  giorno  fra  questa  turba  disordinata , 
mentre  assiste  alle  corse  dei  carri,  chiede  silenzio,  e  gli 
rispondono  con  grida  ingiuriose:  ma  egli,  non  curando 
gli  scherni,  continua  intrepido,  e  giunge  con  gran  fatica 
a  farsi  ascoltare.  Si  concilia  1'  attenzione  celebrando  lo 
splendore  della  città  e  la  bellezza  del  sito,  e  poi  libera- 
mente li  rampogna  degli  immodesti  spettacoli,  e  insegna 
decoro,  disciplina,  concordia  e  mansuetudine  alla  turba, 
contaminata  di  tutti  i  vizi  dell'universo  ^. 

Egli  sapeva  parlare  all'improvviso  meglio  di  ogni  altro, 
amava  i  discorsi  molto  fioriti,  e  per  le  sue  eleganze  fu 
soprannominato  Crisostomo;  era  grazioso  nelle  dispute; 
di  animo  mite  e  amorevole,  studioso  di  correggere  i 
guasti  costumi,  e  pronto  sempre  a  usare  le  amicizie  dei 
potenti  non  a  proprio  utile,  ma  a  sollievo  dei  filosofi  e 
dei  virtuosi  ("). 

Coi  medesimi  intenti  viaggiò  tutta  la  vita  Apollonio 
Tianeo  filosofo  Pitagorico  nato  a  Tiane  in  Cappadocia, 
il  quale,  dicendo  che  portava  con  sé  la  saggezza,  la 
temperanza,  la  modestia,  la  pazienza,  la  magnanimità, 
la  continenza  e  il  coraggio,  corse  la  Grecia,  l'Italia,  la 
Gallia,  la  Spagna,  l'Egitto,  l'Etiopia,  l'Asia  Minore,  la 
Persia  e  l'India,  per  apprendere  dai  savii,  per  istruire 
gli  ignoranti  nella  religione  e  nella  morale.  A  torto  fu 
detto   che  voleva  farsi  Dio.  Suo  intendimento  era  di  ri- 

{"■)  Pei"  altre  notizie  di  lui  vedi,  oltre  alle  sue  80  orazioni  greche  che 
ci  rimangono,  Plinio,  FypisU,  85  e  86  (82,  83)  che  lo  chiama  Dione  Coc- 
coiano;  Filoptrato,  Sofisti,  I,  7,  e  Vita  di  Apollonio  Tianeo,  V,  37,  38, 
40,  ecc.;  Snida  alla  voce  A:Vov  ;  Sinesio,  Dio,  vcl  do  ipsius  vitae  insti- 
tuio;  ^Martha,  Les  moralistes  sous  l'empire  romain,  pag.  292-314. 

1  Filostrato,  Vita  di  Apollonio  Tianeo,  V,  26. 

2  Vedi  lorazionc  32  ad  Aleccandrinos. 


Gap,  V.]  APOLLONIO  TIANEO.  849 

chiamare  la  religione  e  il  culto  alla  primitiva  purezza, 
e  di  persuadere  agli  uomini  che  a  Dio  piacciono  non  1 
sacrifizi  di  sangue,  ma  le  anime  pure.  Tutta  la  filosofia 
poneva  nella  religione,  e  la  religione  nel  commercio 
intimo  dell'animo  con  Dio.  Predicava  l'unità  di  Dio  e  l'im- 
mortalità divina  dell'  anima.  La  sua  prece  agli  Dei  era 
questa:  Concedetemi  che  mi  contenti  di  poco,  e  che  non 
abbisogni  di  nulla:  fate  che  la  giustizia  trionfi,  che  siano 
osservate  le  leggi,  che  i  sapienti  siano  poveri,  e  che  tutti 
gli  altri  arricchiscano,  ma  senza  frode.  E  dette  ai  poveri 
ogni  aver  suo.  Si  asteneva  dalle  donne,  dalle  carni,  dal 
vino,  e  si  nutriva  di  grossolani  cibi,  fuggiva  le  case  dei 
grandi,  e  usava  a  quelle  dei  poveri.  Con  animo  pio  e 
compassionevole  insegnava  la  benevolenza  e  la  carità,  e 
si  adoprò  ad  alleviare  le  sciagure  dei  popoli,  che  da  ogni 
parte  accorrevano  a  lui  pieni  di  venerazione.  Agli  Efesii 
ragionò  della  comunanza  dei  beni  e  dell'obbligo  di  aiu- 
tarsi scambievolmente,  di  gareggiare  nella  giustizia,  nel- 
r  educazione  dei  figliuoli ,  nell'  amore  della  patria.  Agli 
Ateniesi  rimproverò  le  danze  lascive ,  e  i  sanguinosi 
spettacoli  dei  gladiatori;  e  agli  Alessandrini  le  risse  del 
Circo.  Venne  a  Roma  due  volte;  dapprima  sotto  Nerone 
per  vedere  che  razza  di  bestia  fosse  un  tiranno:  e,  non 
timoroso  della  morte,  disse  libere  parole  a  Tigellino;  poi 
rimproverò  l'avarizia  di  Vespasiano,  lo  esortò  ad  essere 
temperante  e  sottomesso  alle  leggi,  e  a  tutti  i  potenti 
disse  aperta  la  verità  *.  Rimase  lungamente  ammirato 
come  benefico  e  grande  sapiente  e  profeta,  e  poscia, 
combattuto  per  le  magie  e  imposture  di  resuscitamenti 
di  morti  e  di  altri  miracoli  che  si  dicevano  operati  dalla 
sua  virtù.  Molto  fu  scritto  di  lui  in  varie  sentenze;  né 
gli  mancarono  le  lodi  di  qualche  scrittore   cristiano  ("): 

('-*)  Per  le  vite  di  lui,  oltre  ;i  <iUclla   romanzesca   che   ne  scrisse  Filo- 


>  Filostrato,  Vita  dì  Apollonio  Tianeo.  I,  13,  20,  21,  23,  27,  28,  3),  35,  II,  23,  3S, 
1,  3,  8,  21,  22,  27,  38,  40,  41,  V,  2:.,  20,  28,  36,  41. 


IV. 


850 


APOLLONIO  TIANEO. 


[  LiB.  Y] 


e  a  Roma  ebbe  sacri  onori  di  templi  con  imagini  po- 
stevi accanto  a  quelle  dei  buoni  imperatori  unitamente 
a  quelle  di  Abramo,  di  Cristo  e  di  Orfeo  ("). 


^^. 


Apollonio  Tianeo^FiSCOTJ^f) 

Questi  ed  altri  filosofi  colle  severe  dottrine,  confermate 
spesso  dall'austerità  della  vita,  collo  sdegnare  tutto  ciò 
che  non  è  la  libertà  dell'animo,  coll'esaltare  la  forza  in- 
vincibile dell'  uomo  dabbene ,  col  vituperare  la  viltà  dei 
malvagi,  collo  spregiare  le  mollezze  dei  grandi,  coli' op- 
porsi parlando  o  tacendo  al  dispotismo  imperiale  ,  col 
ridersi  dei  suoi  terrori,  col  rianimare  così  il  fuoco  sacro 


strato  a  richiesta  di  Giulia  Domiia  moglie  dell'imperatore  Settimio  Severo. 
vedi  Fabricio,  Biblioth.  graeca,  tom.  V,  pag.  563,  ediz.  di  Ilarless. 

(«)  Filostrato,  Apoll.  Tian.,  I,  5;  Dione  Cassio,  LXXVII.  18;  Vopisco, 
Aureliano,  24;  Lampridio,  Alessandro  Severo,  29;  Sidonio  Apollinare, 
Episi.,  YIII,  3;  Cassiodoro,  Chron.;  Ammiano  Marcellino,  XXI,  14,  5, 
XXIII,  16,  19;  Letronne,  La  statue  vocale  de  Memnon,  pag.  53-55  e  257. 

Nel  diritto  della  medaglia  che  diamo  incisa  è  il  nome  Apollonius 
Teaneus  attorno  al  busto  del  filosofo  rivestito  di  tunica  e  pallio.  Nel  ro- 
vescio sta  sopra  quadriga  un  Eliano  cocchiere  al  quale  la  leggenda  au- 
gura la  vittoria  nelle  corse  del  Circo:  ELIANE  NIKA.  Qui,  come  in  altri 
casi,  non  avvi  alcuna  relazione  tra  la  testa  di  Apollonio,  e  questa  figura 
del  rovescio,  che  ricorda  gli  spettacoli  in  occasione  dei  quali  si  conia- 
vano le  medaglie.  Visconti,  Iconogr.  greca,  pag.  156-159,  tav.  17,  n.  4. 


Gap.  V.]        GLI  STOICI  CUSTODI  DELL'  UMANA  DIGNITÀ.  851 

della  libertà  e  della  virtù,  salvarono,  in  tanto  irrompere 
di  bassezze  e  di  vizi,  la  dignità  dell'umana  natura. 

1  despoti  esiliano  e  uccidono ,  e  i  saggi ,  come  i  loro 
seguaci ,  sopportano  tranquilli  V  esilio  e  la  morte ,  e  in 
mezzo  alle  brutture  dei  tiranni  e  dei  servi  lasciano  qual- 
che argomento  di  ammirazione  e  di  conforto  alla  storia, 
la  quale  conserva  i  nobili  nomi  delle  vittime  perige  con 
fermo  animo  fra  i  tormenti,  e  celebra  anche  nobili  donne, 
che  nell'educazione  degli  stoici  trovarono  la  forza  a^  es- 
sere esempio  di  eroica  fedeltà,  e  di  amore  sublime  *.  E 
bello  veramente  è  questo  spettacolo  della  filosofia  la  quale 
alle  prese  coll'avversità  e  col  carnefice,  rimane  ultimo 
custode  della  dignità  e  della  ragione  e  sopravvive  alle 
leggi,  alle  istituzioni,  ai  costumi;  delle  varie  sètte  accor- 
dantisi  a  predicare  la  temperanza,  la  giustizia,  il  disprezzo 
del  mondo;  dello  stoicismo,  che  si  rinnova  e  s'ingran- 
disce nella  lotta  dello  spirito  contro  la  forza  brutale,  e 
divien  fede  ardente,  e  ha  i  suoi  devoti  e  i  suoi  martiri, 
e  si  fa  maestro  di  verità,  ed  è  tutto  inteso  a  medicare 
e  a  fortificare  le  anime,  e  sotto  austeri  sembianti  sente 
compassione  a  ogni  sciagura  umana. 

Dalla  profonda  e  universale  corruzione  di  questi  tempi 
uomini  di  parte  vollero  concludere  sulla  vanità  della  ci- 
viltà antica  e  sulla  impotenza  dell'  umana  ragione  :  ma 
altri  osservò  e  dimostrò  ,  che  gli  antichi  colla  ragione 
giunsero  a  farsi  idea  vera  degli  elementi  del  diritto  e 
della  società,  come  della  morale,  e  che  anche  all'ombra 
malefica  dei  Cesari ,  e  nel  sanguinoso  fango  imperiale , 
germogliarono  nuovi  principii  di  verità  e  di  giustizia  che 
prepararono  le  menti  alle  alte  dottrine,  per  cui  poscia 
si  rinnovellò  il  mondo  ^. 

E ,  per  accennare   alcuni  dei  principii  morali   sparsi 

t  Plinio,  Epist.,  ITI,  16,  VII,  19,  ecc. 

2  Vedi  Denis,  Histoire  des  théories  et  des  idées  morales  dans  l'antiquité^  Paris  1856, 
volume  secondo  a  pag.  55  e  segg. 


852    PRINXIPII  MORALI  NEGLI  SCRITTORI  DI  QUESTA  ETÀ.  [Lib.  VII. 

nei  libri  di  questa  età ,  prima  notiamo  che  l' idea  della 
città  universale  e  della  fratellanza,  vagheggiata  da  Cice- 
rone e  da  altri  più  antichi  di  lui,  ritorna  frequente  negli 
scrittori  dei  primi  due  secoli,  che  parlano  dei  diritti  del 
genere  umano,  dell'alleanza  sacra  che  la  natura  ha  posto 
tra  i  popoli,  del  sacro  amore  del  mondo,  e  della  paren- 
tela, e  della  comunità  universale  (").  Marco  Aurelio  rac- 
comanda di  conformarsi  alla  ragione  e  alla  legge  della 
repubblica  del  mondo,  più  antica  e  veneranda  di  tutte 
le  altre,  che  sono  come  altrettante  famiglie  di  essa,  e  di 
amare  il  genere  umano,  e  di  porre  in  cima  a  ogni  pen- 
siero il  maggior  bene  della  grande  città  *.  E  Seneca  ed 
Epitteto,  come  tutti  gli  stoici,  e  come  già  Socrate,  si 
dicono  cittadini  del  mondo  2. 

L'egualità  morale  e  naturale  degli  uomini,  già  soste- 
nuta dallo  stoicismo  antico,  è  ripetuta  con  più  forza  dagli 
stoici  recenti ,  i  quali  fanno  ogni  sforzo  per  ricondurre 
gli  uomini  ai  diritti  della  natura,  che  da  ninna  istituzione 
possono  esser  distrutti.  Quindi  le  proteste  contro  la  schia- 
vitù, come  immorale  e  contraria  alle  leggi  eterne,  che 
fecero  tutti  liberi  e  uguali:  quindi  mostrate  le  origini 
odiose  di  questa  istituzione  barbarica,  venuta  dalla  forza 
brutale,  e  fondata  sulla  iniquità.  Altri  in  molti  modi 
ripetono,  che  tutti  abbiamo  origine  uguale  e  nasciamo 
dal  medesimo  seme,  e  bevemmo  lo  stesso  latte,  ed  ugual- 
mente viviamo  e  moriamo:  che  nobiltà  sola  è  la  virtù, 
la  quale  accoglie  ognuno  senza  guardare  a  servi  0  in- 
genui, a  titoli,  a  condizioni,  a  fortune:  che  i  servi  hanno 

(«)  Stazio,  Thebaid.,  XII,  642;  Lucano,  IV,  189,  VI,  139,  Vili,  128.  K 
altrove  l'autore  della  Farsalia  (II,  383)  celebra  l'uomo  die  non  si  ciedo 
nato  per  sé,  ma  por  tutto  il  genere  umano.  Vedi  anche  Plutarco,  Bel- 
l'esilio, 5. 

»  Ricordi,  II,  10,  III,  11,  IV,   \,  i'D,  VI,  11,  VII,  :U  ;  Seneca,  De  h-a^  II,  ;>1  ;  De  Dencf.. 
IV,  18;  EDist .  '.):>. 
•i  Seneca,  De  viti  beala,  2);  Arriano,  Commentar,  de  Epict.  disput.,  I,  i). 


I 


Gap.  V.]  LA  FILOSOFIA  E  LA  SCHIAVITÙ'.  85^ 

anima,  la  quale  non  si  vende  né  si  compra,  e  rimane 
libera  sempre  :  e  quanto  a  dignità  sono  detti  superiori 
a  molti  padroni,  viventi  schiavi  alle  ricchezze,  ai  tiranni, 
al  corpo,  a  libidini,  a  cortigiane,  a  sozzi  cinedi  *. 

Quantunque  parecchi  provvedimenti  fossero  presi  a 
mitigare  le  dure  sorti  degli  schiavi ,  e  a  rifarli  uomini 
almeno  in  faccia  alla  legge ,  e  a  liberarli  dalle  immani 
crudeltà  dei  padroni  si  vedono  durare  i  trattamenti  fe- 
roci. Gli  schiavi  sono  in  tanta  moltitudine  nei  palazzi  dei 
grandi,  che  si  chiaman  gregge  e  j^lehe  della  casa  e  legioni, 
e  ci  vuole  un  nomenclatore  che  ne  ricordi  i  nomi  al  pa- 
drone ^.  Continua  il  commercio  degli  uomini  con  tutte 
le  sue  grandi  infamie  ^.  Si  vendono  e  si  comprano  molti 
fanciulli  per  uso  di  sconce  libidini  ^.  Venduto  un  uoma 
per  comprare  una  triglia  ^.  Plinio  parla  di  schiavi  colti- 
vanti la  terra  coi  piedi  in  catene  ^.  In  Columella  si  ri- 
trova ,  come  in  Ovidio',  il  servo  incatenato  alla  porta 
delle  case  dei  grandi,  i  quali  mentre  giuocano  tranquil- 
lamente 100  mila  sesterzi,  negano  al  servo  una  veste, 
che  lo  ripari  dal  freddo;  *.  Si  ricordano  schiavi  tenuti  in 
servigio  tutta  la  notte  digiuni  :  e  guai  se  fra  le  orgie  del 
padrone  sfugge  loro  una  parola ,  mentre  detergono  gli 
sputi  e  la  crapula  da  lui  vomitata.  La  verga  è  pronta  a 
punire  il  più  lieve  mormorio ,  e  da  essa  non  scampano 
neppure  le  cose  fortuite  ,  come  la  tosse  ,  gli  starnuti ,  i 
singhiozzi  *.    Vi   è   sempre   un   manigoldo   salariato   per 

1  Seneca,  Ejnst. ,  31,  11  e  47;  De  Benef.^  Ili,  is,  19,  20,  21.  23,  2.-! ;  De  Clementia ^ 
I,  18;  Controv.j  IH,  21;  Arriano  ,  Commentar,  de  Epicteli  dispiUatt.,  I,  13,  li,  10; 
Dione  Crisostomo,  Orai.,  10,  11  e  15;  Petronio,  Satyric..  71. 

8  Plinio,  XXXIII,  6  e  47;  Seneca,  De  Clementia,  I,  24;  De  Benef..  VII,  10;  De  Con- 
stara. Sap„  14;   De  vit.  beat.^  17;  Marziale,  VI,  2V,  e  Vili,  5. 

3  Quintiliano,  V,  12,  17.  Conf.  Svetonio,  Domit..,  7,  e  Marziale,  IX,  7. 

4  Seneca,  Epist.,  47;  Marziale,  I,  59,  V,  41;  Giovenale,  VII,  132. 

5  Marziale,  X,  31. 

6  Plinio,  XVIII,  1. 

7  Ovidio,  Amor.^  I,  G,  1;  Columella,  I,  praef.  10.  Conf.  Seneca,  De  Ira,  III,  .37. 

8  Giovenale,  I,  88-93. 

9  Seneca,  Epist.,  47. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  107 


854  SORTI  DEGLI  SCHIAVI  MEN  DURP.  [Lib.  VII. 

battere  *.  Sulla  porta  di  Trimalcione  sta  scrìtto  :  Cento 
bastonate  al  servo  che  esca  dì  casa  senza  permesso  *.  Vi 
sono  sempre  ergastoli ,  e  crude  prigioni  domestiche ,  e 
lìagelli  e  catene  e  rotture  di  gambe,  come  attesta  anche 
il  povero  Epitteto.  Alcuni  impiccati  col  capo  all'  ingiù , 
altri  per  le  braccia,  altri  impalati  3.  Apuleio  ricorda  servi 
scorticati,  e  legati  a  un  fico,  e  unti  di  miele  e  fatti  di- 
vorare dalle  formiche  ;  altri  mal  coperti  di  stracci ,  col 
dorso  impiagato  dalle  battiture,  coll'infamia  scritta  sulla 
fronte,  coi  piedi  nei  ceppi '^:  e  Giovenale  afferma  che  i 
servi  non  si  tengono  per  uomini,  e  si  mettono  in  croce 
per  capricci  di  donne  ^.  E  anche  due  e  tre  secoli  dopo 
occorrono  nuove  leggi  per  salvare  quei  miseri  dall'essere 
spenti  col  laccio,  precipitati  giù  da  dirupi,  avvelenati, 
lacerati,  arsi  a  fuoco  lento  «.  Pure  anche  in  questo,  come 
in  molte  altre  cose,  si  mutavano  i  sentimenti  e  le  idee, 
e  la  coscienza  pubblica  protestava  contro  le  atrocità  del- 
l'antica barbarie.  Ninno  osa  assalire  direttamente  questa 
piaga ,  che  corrompe  e  distrugge  il  mondo  sociale ,  ma 
le  leggi  hanno  di  già  menomato  la  potestà  del  padrone, 
di  cui  più  non  rimane  assoluto  il  diritto:  e  gli  scrittori 
raccomandano  la  dolcezza  coi  servi,  lodano  il  \ivere  fa- 
miharmente  con  essi  ',  e  alcuni  li  trattano  colla  umanità 
e  coi  riguardi  che  si  debbono  ad  esseri  umani  ^.  E  quando 
sotto  Nerone  si  vuole  rinnovare,  come  fu  altrove  narrato, 
Tatroce  giustizia  che  manda  al  supplizio  tutti  gli  schiavi 
della  casa  ove  sia  stato  ucciso  il  padrone,  la  città  si 
commuove  al  feroce  spettacolo,  la  plebe  leva   tumulto, 

I  Giovenale,  VI,  1?0;  Marziale,  IX,  93. 
-  Petronio,  Satyric.^  2-<. 

3  Plutarco,  Del  non  adirarsi^  K.;  Seneca,  ConsoK  ad  Move,  Ji»;  De  Ira.  IH,  32;  Df 
Comtanlia  Sap  ,  4. 
*  Apuleio,  Metamorph..  lib.  VII,  ?,  VIH,  22,  e  IX,  12. 
r.  Giovenale,  VI,  220-22:*. 

••  Cod.  Theodor.,  IX,  12,  1;  Cod.  lustin..  IX,  U,  1. 
7  Seneca,  De  Clem.,  1,  Is;  Epist..   17;  Columella,  I,  S. 
«  Plinio,  EpUt.,  IV,  li),  Vili,  IC. 


Gap.  V.]  LA  FAMIGLIA.  L'AMORE  E  LE  DuXNE.  855 

ed  è  necessaria  la  forza  armata  per  eseguire  V  orribile 
legge  ^  Il  che  prova  che  gli  uomini  si  fanno  più  umani, 
e  che  non  è  vano  il  predicare  dei  fdosofi.  Niuno  pensa  a 
ristabilire  l'egualità,  cioè  il  naturale  diritto,  ma  l'indica- 
zione del  male  e  le  proteste  contro  di  esso  sono  un  pro- 
gresso e  una  preparazione  al  rimedio. 

Anche  contro  i  profondi  disordini  della  famiglia ,  op- 
pressa dall'assolutismo  del  padre,  contaminata  da  turpi 
amòri ,  da  aborti ,  da  crudeli  esposizioni  e  uccisioni  di 
figli,  si  levano  i  filosofi  e  gli  altri  scrittori,  accusando  i 
mali,  invocando  i  diritti  della  natura,  celebrando  la  san- 
tità del  matrimonio  e  la  bellezza  dell'amor  coniugale,  di 
cui  cercano  i  severi  esempi  anche  tra  i  barbari  -.  Sen- 
tita la  vera  dignità  della  donna,  cui  chiedesi  la  purezza 
del  pensiero  e  del  cuore;  raccomandato  il  ritegno  severo 
nelle  azioni,  nei  gesti,  nelle  parole,  nei  segreti  pensieri  : 
chiesti  il  rispetto,  il  pudore  e  la  verecondia  agli  sposi  an- 
che nei  piaceri  legittimi  ^.  Né  l'amore  puro  è  al  tutto  in- 
venzione dei  moderni,  come  da  alcuno  si  crede.  Se  la 
Venere  dei  postriboli  e  della  taverna  è  la  Dea  celebrata 
dai  più  in  loro  orgie  ed  ebbrezze  di  sensi,  altri  rendono 
culto  alla  Venere  discesa  dal  cielo,  e  al  suo  bello  e  nobile 
figlio  ispiratore  di  mesti  e  profondi  pensieri:  e  di  ciò  ò 
documento  l'Amore  malinconico  squisitamente  figurato 
dall'  arte  '♦.  Anche  fra  le  oscenità  di  Petronio  un  liberto 
ama  per  causa  della  virtù,  non  per  diletto  carnale  («)  : 
e  per  questo   sentimento  Marzia  vuol  morire   moglie  di 

(")  Non  corporaliter  aiU  'propter  res  venerarias s/jd  ,,iagii;  quod 

bene  movala  fuit.  Petronio,  Satyric,  6L  Conf.  Plutarco.  Raijionam.  d'u- 
more^ 13.  e  Precetti  coniugali,  47.  e  Platone.  Leggi,  lib.  YIIL 

1  Tacito,  Ann..  XIV,   12-15. 

2  Seneca,  De  Benef..  IH,  10;  Valerio  Massimo,  II,  1,  IV,  S;  Stobeo,  Se>v/i..,  GT  e  6'J\ 
Plntarco,  Amor.  nat.  ;  Precetti  coniugali  ;  Tacito,  Germ.^  19. 

3  Musonio,  in  Stobeo,  Serm.,  6;  Plutarco,  Precetti  coningali.,  10,  15,  12,  l's  '"• 

4  Vt'di  Visconti,  Museo  Pio  dementino,  voi.  I,  tav.    12,  e  Autière.  L' histoire  ro- 
maìpe  à  Rome,  voi.  111.  p    3Ui. 


856 


Amore  malinconico  [Visconti^  Museo  P.  Clem. 


Gap.  V.]    LA  PROSTITUZIONE  COMBATTUTA  DAI  FILOSOFI.  857 

Catone  in  Lucano  \  e  Ama  non  vuol  sopravvivere  a  Peto, 
e  altre  danno  esempi  solenni  di  fedeltà  coniugale,  e  muo- 
iono per  la  incolumità  del  marito,  o  si  uccidono  per 
seguirne  le  sorti  2,  0  rimangono  in  perpetuo  lutto,  con- 
servando religiosamente  le  vesti  maritali  intrise  di  san- 
gue 3.  L'ideale  della  donna  anche  in  questi  tempi  è  posto 
nella  maternità  coi  suoi  austeri  doveri,  colia  sua  tenerezza 
grave  e  serena.  È  ricordato  alle  madri  il  sacro  dovere 
di  allattare  i  figliuoli,  e  Favorino  ha  su  ciò  un  tratto 
solenne,  che  contiene  i  germi  di  tutto  quello  che  fu  detto 
in  appresso.  Egli  chiama  offesa  alla  natura  l' affidare  la 
propria  prole  a  seno  straniero;  ricorda  che  le  mammelle 
furono  date  alle  donne  non  a  voluttà,  ma  per  nutrire  i 
figliuoli;  dice  che  commette  mostruosità  chi  per  mante- 
nere la  bellezza  fa  sparire  il  latte  e  dissecca  questo  sacro" 
fonte,  ahmento  primo  del  genere  umano:  e  a  questo  vi- 
tuperoso disordine  egli  reca  la  causa  prima  della  corru- 
zione dei  grandi  ^. 

Altra  causa  del  disordine  delle  famiglie  è  la  prostitu- 
zione, che  coi  facili  piaceri  corrompe  ogni  classe,  e  mette 
le  matrone  in  braccio  agli  schiavi,  e  i  vecchi  e  i  giovani 
fa  servi  di  avare  cortigiane  e  di  sozzi  cinedi.  1  filosofi  a 
nome  dell'  umanità  si  levano  fieramente  contr'  essa  ;  e 
Dione  Crisostomo  è  il  primo  ad  assalirla  come  istituzione 
legale,  dicendo  non  potersi  da  legge  permettere  il  turpe 
traffico  su  donne  e  fanciulli,  tenuti  prigioni  in  case  d'in- 
famia: e  non  la  vuole  tollerata  neppure  nei  servi,  degni 
di  rispetto  al  pari  d'ogni  altro  uomo;  e  combatte  coloro 
che  la  prostituzione  dicono  necessità  per  salvare  le  case 
oneste,  e  la  dichiara  invece  mezzo  facile  ad  allargare  la 
corruzione,  e  la  chiama  ulcera  che  rode  la  società  tutta 

1  Pharsal.^  II,  32,;  e  segg. 

2  Seneca,  Controv.,  Il,  13;  Tacito,  Ann..  VI,  29,  XVI,  33-31;  Plinio,  F.pisr..  Ili,  10; 
Dione  Cassio.  LX,  16. 

3  Tacito,  Ann.,  XVI,  10. 

4  Gelilo,  XII.  1. 


85S  MOGLI  E  MARITI.  [Lib.  VII. 


intera  *.  Epitteto  predicatore  continuo  dell'onestà  e  della 
purezza  dell' anima  vuole  che  l'uomo  non  trovi  bella 
ninna  donna  tranne  la  sua.  Musonio,  come  vedemmo,  non 
solo  vieta  i  turpi  commercii  tra  i  maschi,  ma  anche  tra 
uomini  e  donne,  quando  non  siavi  a  scopo  la  prole;  e 
Marco  Aurelio  ringrazia  Dio  di  non  essere  stato  allevato 
presso  la  concubina  dell'avo,  e  di  aver  serbata  casta  la 
sua  giovinezza  -, 

Riguardo  alle  donne  già  il  vecchio  Catone  notò  l'ingiu- 
stizia della  facoltà  data  al  marito  di  punire  fieramente  la 
moglie  infedele  senza  che  ella  potesse  avere  ragione  della 
medesima  colpa  commessa  da  lui  3,  e  Plauto  gridò  pubbli- 
camente in  teatro  contro  questa  disuguaglianza  di  pesi  e 
misure'*:  e  più  tardi  nel  secolo  terzo  Ulpiano  notava  la 
grande  iniquità  del  marito  dissoluto  che  vuole  pudica  la 
moglie  (").  Ora  Tacito  all'erma  che  se  le  donne  escono 
fuori  dei  termini  ò  colpa  dell'uomo  il  quale  dà  loro  malo 
esempio  e  le  lascia  in  preda  agli  altrui  desiderila  :  e  ai 
rigidi  censori  di  esse  altri  dice  che  sono  rei  di  infamie  più 
grandi  ^.  Gli  stoici  vogliono  la  moglie  compagna  non  serva 
al  marito,  perchè  se  tra  loro  vi  è  differenza  di  sesso  non 
avvi  inegualità  sotto  il  rispetto  morale,  e  la  donna  par- 
tecipa, del  pari  che  l'uomo,  alla  ragione  di  Giove  ':  e 
ricordano  che  se  i  coniugi  hanno  parti  diverse,  non  sono 
minori  quelle  assegnate  alla  moglie,  la  quale  col  marito 
ha  comuni  gli  interessi,  le  gioie,  i  dolori^. 

(j'^)  Po  iniqìium  ....  vidctur  ut  imdicitiaìn  vir  ab  u.rore  exigat  quatir 
ìpse  nnn  exhibeat.  Ulpiano,  Ad  le;/.  lui.  de  adultcr.  in  Digest.,  XLVIII. 
n,  13.  Vedi  anche  Plutarco.  Precelti  coniugali,  41  o  47. 

1  Orat.,  7. 

2  Ardano,  Commentar,  ile  Eplct.  dispute.  II,  1,  III,  7;  M.  Aurelio,  Ricordi,  I,  17. 
:'•  Oellio,  X,  2,3. 

•4  Plauto,  Mercat.,  IV,  r.,  :;-i:>. 
"'  Tacito,  Ann.,  Ili,  :M. 
fi  Giovenale,  Sat.,  II,  1-03. 

7  Vedi  Denis,  Hist.  dcs  Théories  el  lìcx  idées  moraìes,  voi.  II,  pag.  ÌOi. 
s  Squccsì,  De  Benef.,  II,  18;  Musonio,  in  Slobeo,  5t'r/;i.,  07,  6>  e  7n.  Vedi  anche  Plu- 
tarco, Precetti  coniv.goH,  lo  e  ?o. 


€ap.  V.]   DISPOTISMO  DEL  PADRE.  EDUCAZIONE  DEI  FIGLI.  859 


Del  pari  è  imprecato  alla  tirannide  del  padre ,  che 
secondo  la  legge  antica  può  vendere  e  uccidere  i  figli  : 
e  ai  padri  snaturati  Epitteto  ricorda  le  pecore  e  i  lupi, 
che  nutriscono  i  loro  nati:  e  nei  declamatori  si  ritraggono 
al  vivo  le  misere  sorti  dei  figli,  che  esposti  dai  padri  e 
caduti  in  crudeli  mani,  sono  dati  alla  prostituzione,  al- 
l'infamia, agli  ergastoli,  o  mutilati  e  straziati  in  molte 
guise  per  far  guadagno  sui  loro  mali  dalla  carità  pub- 
blica *.  E  altri  sono  pieni  di  rimproveri  ai  padri  che  cor- 
rompono i  figli,  e  di  ricordi  sul  dovere  di  rispettarli,  di 
bene  educarli,  affidandoli  non  a  mani  di  schiavi,  ma  a 
maestri  sapienti  e  onesti,  che  insegnino  prima  i  costumi 
e  poi  l'eloquenza  (''). 

Tutte  le  idee  più  umane  e  tutti  i  più  nobili  sentimenti 
si  trovano  ripetuti  e  inculcati  nei  libri  degli  stoici ,  da 
cui  passano  nei  versi  dei  poeti ,  nelle  narrazioni  degli 
storici,  nelle  declamazioni  dei  retori.  Dal  principio  che 
gli  uomini  partecipano  tutti  d'  una  stessa  mente  e  ori- 
gine divina,  si  trae  che  sono  nati  a  cooperare  l'uno  col- 
l'altro  al  bene  comune,  e  si  raccomanda  la  filantropia  e 
l'amore  universale,  e  il  non  far  nulla  che  non  abbia  re- 
lazione al  bene  comune ,  e  il  passare  dall'  una  azione 
sociale  all'altra  "^.  Contro  natura  e  contro  ragione  è  l'adi- 

(«)  PVinio,  Ejjist.,  11,  7,  III,  3;  QmniìUixno,  InstUu'.  orai..  1,  2.  Oiove- 
nale  si  distende  a  lungo  su  questo  arg-oinento  nella  satira  deeiuia^uaifa, 
dove  tra  gli  altri  si  leggono  questi  notevolissimi  versi: 
*V(7  dictii  foednni  visuque  liaec  limina  tangat 
Intra  quae  piier  est  Procul  hinc,  2ìyocul  inde  puellae 
Lenonum ,  et  cantus  jìornoctantis  para-siti. 
Maxima  dchetur  puern  recerentia.  Si  quid 
Turpe  paras,  ne  tu  pueri  contempseris  annos  ; 
Sed  peccaiuro  obstel  tibi  fdius  infans  (XIV,  41-40). 

1  Musonio,  in  Stobeo,  Serm.,  75;  An-iano,  Commentai-,  de  Efj^ct.  àisputf.^  I,  53;  Se- 
neca, Control-.^  V,  33. 

2  Marco  Aurelio,  Ricordi,  II,  I,  13,  IH,   I,  5,  IV,  3,  33,  V,  r,,  Ki,  VI,  7,  30,  VII,  13, 
55,  VIIT,  23. 


860  FILANTROPIA,  INDULGENZA,  PIETÀ.  [Lih.  VIL 

rarsi  l'uno  coli' altro,  e  ingelosire  e  invidiare,  e  odiare 
e  maledire  *.  L'anima  umana  fa  onta  a  sé  stessa,  e  ri- 
traesi  dalla  natura  universale,  quando  ha  avversione  a 
qualcuno  o  gli  si  volge  contro  per  nuocergli  ^.  Proprio 
dell'uomo  è  voler  bene  ai  congeneri,  e  porre  ogni  studio 
nell'aver  disposizioni  benevole,  e  nell'esser  utile  altrui  ^. 
L' indulgenza  è  la  virtù  che  più  conviene ,  anche  a  chi 
non  ha  bisogno  di  quella  degli  altri  *.  Si  vuole  ammonire 
amorevolmente  chi  erra,  e  studiar  di  correggerlo;  non 
far  mai  oltraggio  di  opere,  né  di  parole  ^;  vendicarsi  delle 
ingiurie  col  non  rassomigliare  a  chi  le  ha  fatte  ^;  odiare 
solamente  il  vizio,  e  anche  questo  con  temperanza,  affin- 
ché ,  secondo  il  detto  di  Trasea ,  T  odio  non  passi  mai 
all'uomo  ';  fare  il  bene,  e  non  cercare,  come  usan  gli 
stolti ,  che  altri  sappia  1'  opera  tua ,  o  te  ne  sia  reso  il 
contraccambio:  benevolenza  e  amore  verace  non  solo  ai 
parenti  e  agii  amici,  ma  al  genere  umano,  senza  riguardo 
a  ingenui  o  a  schiavi,  a  ingiusti,  a  ingrati,  a  disumani, 
anche  ngli  olfensori,  perchè  oflesero  travedendo  e  a  loro 
malgrado,  e  quindi  meritano  compassione  e  perdono  ^. 
La  pietà  è  celebrata  come  ottimo  dei  sentimenti,  come 
virtù  che  rende  sicurissimi  gli  uomini  ^,  e  dal  poeta 
stesso,  cui  era  musa  l'indignazione,  è  detto  che  le  la- 
crime dateci  dalla  natura  sono  la  parte  migliore  della 
nostra  coscienza  (").   Si   ammira  chi  soccorre  al  nemico 

{^)      .  .  .  •■ Mollissima  corda 

Hianann  generi  dare  se  Natura  fateiiir, 
Qtiod  lacrimas  dcdit  :  liaec  nostri  pars  opiima  senstis. 
Giovenale,  SaU,  XV,  131-133. 

1  Marco  Aurelio,  Ricordi,  IH,  7,  VI,  U!,  2r.,  VII,  21,  H?. 
*  Marco  Aurelio,  Ricordi,  II,  l'i. 

3  Marco  Aurelio,  Ricordi,  IV,  25,  37,  Vili,  1,  20;  Seneca,  De  Trar.(iuinU.,  3. 

4  Plinio,  Epi^t.,  Vili,  22. 

5  Marco  Aurelio,  Ricordi,  V,  27,  31. 

C  Marco  Aurelio,  Ricordi,  V,  :!3,  VI,  0. 

7  Plinio,  Eìnxt..  Vili,  22. 

8  Marco  Aurelio,  Ricordi,  VII,  13,  23,  20,  31,  52,  63,  'm,  73;  Seneca,   De  Benef.,  IV, 
S''),  VII,  32. 

9  Petronio,  Fragm  ,  12. 


Gap.  V.]        BENEFICENZA,  E  ORRORE  ALLA  VENDETTA.  861 

caduto  *;  si  ricorda  che  tutti  abbiamo  bisogno  di  perdono, 
di  compassione  e  d'  aiuto  :  che  si  vuol  prestar  culto  al- 
l'umanità, e  domare  lo  spirito  tirannico  che  è  dentro  di 
noi  2.  Seneca  nel  libro  dei  Benefizii  raccomanda  di  be- 
neficare con  modo  cortese  e  discreto,  per  non  umihare 
i  miseri.  Un'iscrizione  della  via  Appia  negli  ultimi  tempi 
della  Repubblica  o  al  cominciar  dell'Impero  parla  di  un 
uomo  huonb,  misericordioso,  amante  dei  poveri  if).  Poscia 
gli  scrittori  chiedono  pietà  pei  mendichi  ^  e  fanno  in- 
vettive contro  il  fasto  insolente  dei  ricchi,  che  insul- 
tano e  abbandonano  1  poveri  *  ;  e  Dione  Crisostomo  ci 
pone  davanti  il  povero  contadino ,  che  accolto  un  nau- 
frago, lo  ristora  di  vino  e  di  scelti  cibi  cercati  a  posta 
per  lui ,  e  poi  rimettendolo  in  via  gli  dà  la  veste  della 
propria  figliuola,  la  sola  che  abbia  in  sua  casa;  mentre 
il  ricco  dà  all'ospite  i  cibi  più  magri,  lo  rimanda  nudo, 
ed  è  povero  ogni  volta  che  si  tratti  di  beneficare,  a  cui 
non  gli  lasciano  modo  il  giuoco,  e  gli  sfarzi  in  addobbi, 
le;  donne,  i  cinedi  ^ 

Si  parla  con  orrore  della  vendetta,  e  anche  la  parola 
è  chiamata  inumana  ^.  Imprecato  alla  guerra,  flagello  del 
genere  umano,  e  agli  uomini  che,  più  feroci  delle  belve, 
empiono  il  mondo  di  sangue  e  di  servitù  per  procacciarsi 

(«)  Eos'pes  resiste,  et  hoc  ad  fjrumum  (tumulo)  ad  laevam  aspice  uhi 
continentur  ossa  hominis  boni  misericordis  amantis  pauperis.  Rogo  te 
vialor  monumento  huic  nil  male  facias.  Ateilius  Serrani  L.  Evhodus 
■margaritarius  de  Sacra  Via  in  lioc  monumento  conditus  est.  Yiatoì' 
vale,  ecc.;  Henzen,  in  Orelli,  Inscript.,,  7244,  e  iu  Annal.  Istit.,  ardi.. 
1852,  pag.  303-304  e  31L 

1  Plutarco,  Bell'utilità  dei  nemici^  '■). 

2  Seuecsi,  De  Ira,  I,  14,  II,  '.),  21-31,  III,  5,  li,  -.'9,  1:;;  De  Clera.,  I,  16;  VìnXMCo,  Bei 
non  adirarsi,  12  e  10. 

3  Seneca,  Controv.,  l,  1,  G,  II,  12,  i;!;  Excerpt.  ex  Uh.,  Ili,  I,  ecc.,  ecc.  ;  Quintiliano, 
Beclam.,  9,  10.  12,  13,  ecc. 

4  Giovenale,  Sat.,  Ili,  203-211. 

5  Dione  Crisostomo,  Orat..  7;  Giovenale,  Sat.,  I,  !)1,  e  VII,  71-7S. 

6  Giovenale,  Sat.,  XIII,  180  e  segg.  ;  Seneca,  De  I>-a,  II,  32. 

Vannucci  —  Sloria  dell' Italia  antica  —  IV.  lOS 


862  COMPASSIONE,  CLEMENZA  E  PERDONO.  [Lib.  VII. 

oro  e  voluttà  •:  vituperati  i  sanguinosi  spettacoli  dei 
gladiatori,  da  cui  le  genti  tornano  più  crudeli  e  inumane  ; 
riprovata  la  uccisione  dei  condannati  nel  Circo;  perchè 
se  essi,  dice  Seneca,  meritarono  di  essere  uccisi,  qual 
delitto  commettesti  tu  per  esser  condannato  alla  vista 
di  quel  supplizio  -?  Infine  si  protesta  contro  i  mille  tor- 
menti usati  a  strazio  degli  uomini  ',  e  contro  tutte  le 
crudeltà  dei  tiranni.  Si  chiede  che  i  reggitori  dei  popoli 
abbiano  per  prima  virtù  la  clemenza ,  siano  giusti  e 
umani,  tengano  per  proprio  ufficio  la  cura  degli  uomini  *: 
dapprima  correggano  con  miti  parole,  poi  con  pene  leg- 
giere e  mutabili,  e  non  a  sfogo  d'ira  pel  male  fatto,  ma 
a  difesa  contro  il  male  futuro,  e  le  pene  estreme  lascino 
solo  ai  casi  estremi.  Quando  il  bene  pubblico  vuole  la 
uccisione  di  un  uomo,  non  si  incrudelisca  contro  di  lui 
coU'esporlo  alle  fiere,  si  uccida  senza  le  torture  che,  se- 
condo il  detto  di  Trasea,  fanno  infami  i  giudici  e  i  tempi  ^ 
e  tolgono  ogni  moralità  alla  pena,  ogni  maestà  alla  giu- 
stizia. I  principi  imitino  gli  Dei,  che  perdonano:  la  dol- 
cezza gli  farà  più  autorevoli,  più  sicuri  dai  timori,  che 
sono  compagni  perpetui  ai  tiranni.  La  natura  non  vuole 
crudeltà  in  chi  comanda,  e  lo  mostrò  non  dando  aculei 
al  re  delle  api.  Non  mai  sicuro  il  re,  ove  niente  è  sicuro 
da  lui.  La  sola  inespugnabile  difesa  è  l'amore  dei  citta- 
dini. Le  pene  rade  e  men  feroci  rendono  minori  i  de- 
litti. La  crudeltà  non  è  cosa  né  da  principi ,  né  da  uo- 
mini, ed  empie  il  mondo  di  solitudine  e  di  squallore  *. 

Queste  ed  altre  sono  idee ,  e  non  fatti ,  ma  provano 
che  la  ragione  procede.  Da  altra  parte  gli  istituti  cari- 

1  Seneca,  Controv..  II,  9. 

2  Seneca,  Epist.  ^  7;  De  Ira,   I,  2;  De  Brevit.  vit.,  13-1 J;  De  Tranquill.   animi,  2; 
Dione  Crisostomo,  Orat.,  31. 

3  Seneca,  De  Ira,  III,  3;  Controv.,  II,  13. 

4  Dione  Crisostomo,  Otat.,  1,  2,  3,  4,  C. 

5  Tacito,  Ann.,  XIV,  48. 

C  Seneca,  De  Clem.,  I,  5,  6,  7,  11,  17,  19,  22,  2^;  De  Ira,  I,  5,  II,  11,  31  ;  Epht..  litr,; 
Oedlp.,  atto  III;  Dione  Crisostomo,  Orai.,  4,  0. 


Gap.  V.]        INFLUENZA  DELLA  FILOSOFIA  SUL  DIRITTO.  863 

tatevoli  a  prò  dei  fanciulli  indigenti,  di  cui  facemmo  pa- 
rola, mostrano  che  alcune  di  queste  idee  si  riducevano 
a  fatti,  quando  V  umanità  ebbe  qualche  tregua  dalla  fe- 
roce tirannide.  Anche  il  diritto  si  risente  delle  benefiche 
dottrine  dei  filosofi,  e  i  giureconsulti  accolsero  il  prin- 
cipio degli  stoici ,  che  gli  uomini  tutti  nascono  liberi  e 
sono  uguali,  e  ebbero  il  concetto  di  una  giustizia  eterna 
indipendente  dalle  leggi  umane  ,  e  conobbero  il  diritto 
naturale  come  ragione  eterna  del  giusto. e  dell'ingiusto: 
e,  quantunque  non  applicassero  sempre  gli  ammessi  prin- 
cipii,  tolsero  via  le  categorie  politiche,  sorgente  di  molte 
iniquità ,  riconobbero  la  civile  uguaglianza ,  sul  diritto 
naturale  fondarono  i  contratti  :  e  quanto  alla  schiavitù 
sentirono,  che  essa  era  un  diritto  contro  natura,  e  inchi- 
narono ogni  dì  più  a  tenere  gli  schiavi  come  uomini,  e 
sottomessi  al  diritto  comune  *. 

Siffatti  sentimenti  morali  si  ritrovano  nella  più  parte 
degli  scrittori  di  questa  età.  Noi,  non  avendo  spazio  a 
discorrere  particolarmente  di  tutti,  diremo  con  brevità 
dei  principali  e  delle  discipline  che  coltivarono,  conside- 
randoli massime  dal  lato  morale  e  civile,  e  lasciando  a 
chi  scrive  la  storia  letteraria  il  discorrere  largamente 
della  decadenza  del  gusto ,  che  ogni  giorno  apparisce 
maggiore. 

E  prima  di  tutto  accenniamo  come  influissero  sugli 
studi  i  primi  imperatori,  che  per  la  più  parte  erano  uo- 
mini nutriti  di  lettere  greche  e  latine,  e  alcuni  preten- 
devano anche  a  gloria  di  poeti,  di  storici  e  di  oratori. 

Tiberio ,  studioso  di  tutte  le  arti  liberali ,  aveva  fatto 
orazioni  fino  da  fanciullo  ;  compose  anche  versi  greci  e 
latini  e  dettò  un  commentario  della  sua  vita.  Era  scrit- 
tore purista,  e  affettato  e  oscuro;  aveva  stile  tristo,  come 
la  sua  anima ,    amava  gli  arcaismi ,   aborriva  le  parole 

1  Denis,  Hist.  des  théories  et  des  idées  morales^  11,  ^as.  100;  Forti,  Istituzioni  civiU^ 
I.  12G. 


864  GLI  IMPERATORI  E  GLI  STUDI.  TIBERIO.  [Lib.  VIL 

straniere,  e  quando  in  un  editto  gli  scappò  un  vocabolo 
di  non  pretto  latino  ,  ne  ebbe  disturbato  il  sonno  ,  e 
chiamò  a  consulta  gli  intendenti  di  queste  faccende.  Tra 
essi  C.  Ateio  Capitone  famoso  giurista  che  collo  sconcio 
adulare  disonorò  la  dottrina,  portando  la  sozza  piacen- 
teria  anche  nella  grammatica  disse  che ,  sebbene  non 
usata  da  altri,  quella  parola  sarebbe  ora  ammessa  da 
tutti  in  grazia  del  principe:  ma  M.  Pomponio  Marcello, 
linguista  implacabile,  rispose  che  Cesare  poteva  fare  cit- 
tadini gli  uomini,  non  i  vocaboli  *.  E  questa  fu  celebrata 
per  grande  libertà  di  parlare,  ed  è  detto  che  non  portò 
pericolo  alcuno  a  Marcello.  Ma  più  volte  male  incontrò 
ai  cultori  delle  lettere,  che  Tiberio  si  teneva  dattorno  per 
suo  sollazzo,  al  pari  degli  astrologi  e  dei  ministri  di  sue 
sconcezze.  Ai  grammatici  greci  dava  la  baia,  e  per  ve- 
dere come  si  cavassero  d'impaccio  domandava  loro,  chi 
fosse  stata  la  madre  di  Ecuba,  che  nome  avesse  Achille 
quando  andò  vestito  da  donna,  che  cosa  solessero  can- 
tare le  sirene:  e  dopo  le  beffe  venivano  le  uccisioni  e 
gli  esilii^.  Vietò  di  pubblicare  nei  giornali  il  nome  di 
un  valente  architetto,  autore  di  un  mirabile  ordigno,  e 
dopo  averlo  ammirato  e  premiato  di  pecunia  gli  dette 
l'esilio  e  la  morte  (");  mentre  ad  Asellio  Sabino  donava 
200  mila  sesterzi  per  un  dialogo,  in  cui  aveva  introdotto 
l'uovolo,  il  beccafico,  l'ostrica  e  il  tordo,  disputanti  su 
chi  fra  essi  fosse  il   miglior  boccone  ^.  Fece   esiliare  da 


(")  Dione  Cassio,  LVII,  21.  Nei  giornali  faceva  scrivere,  o  scriveva  egli 
stesso,  novelle,  ma  per  registrare  le  cose  cl«tte  contro  di  lui,  e  talora 
anche  le  cose  non  dette,  affine  di  apparecchiarsi  cosi  pretesti  a  vendette. 
Svetonio,  Tib.,  66;  Dione  Cassio,  LVII,  23,  e  LVllI,  25;  Le  Clero,  Des 
journaux  chez  les  Romains,  pag.  189. 

1  Svetonio,  Tib..  fi,  8,  (il,  ti",  70,  71  ;  Aug  ..  SG;  Domit.,  20;  T)e  illustr.  grammat..,  22  ; 
Dione  Cassio,  LVII,  15  e  17;  Tacito,  Ann...  Ili,  70,  XIII,  S. 

2  Svetonio,  Tib..  50,  70.  Conf.  Seneca,  Epist...  88,  5,  e  Giovenale,  VII,  2:»-23(). 

3  Svetonio,  Tib..,  12. 


Gap.  V.]  CALIGOLA.  865 

Seiano  Aitalo,  filosofo  stoico  eloqiientissimo  e  sottilissi- 
mo *,  e  da  qualunque  parola  scritta  contro  di  lui  prese 
occasione  a  dar  morte:  uno  pei  suoi  versi  fu  precipitato 
dalla  rupe  Tarpeia  ;  altri  strangolato  in  carcere  ;  altri 
condannato  per  aver  detto  male  di  Agamennone  in  una 
tragedia  ^  :  e  una  tragedia  con  allusioni  costò  la  vita  a 
Mamerco  Scauro  ^.  Cremuzio  Cordo  morì  per  aver  lodato 
Bruto  e  Cassio  nelle  sue  storie,  le  quali  furono  pubbli- 
camente bruciate  ^. 

Sotto  Caligola  continuano  le  persecuzioni  a  chi  pensa  e 
scrive,  ed  hanno  un  nuovo  eccitamento  nell'invidia  del 
principe,  che  vuole  essere  primo  di  tutti  in  ogni  cosa, 
e,  se  rimette  in  onore  Cremuzio  Cordo  e  T.  Labieno  e 
Cassio  Severo,  tenta  di  distruggere  le  opere  di  Livio  e  di 
Virgilio,  e  pensa  anche  di  abolire  i  poemi  di  Omero  per 
non  esser  da  meno  di  Platone  che  lo  bandì  dalla  sua 
Repubblica  ^.  Espertissimo  nel  latino  e  nel  greco,  e  fa- 
cile parlatore  ^,  rispondeva  improvvisamente  agli  oratori, 
e  ferocemente  sdegnavasi  quando  altri  lo  superasse  :  e 
Seneca  appena  scampò  da  morte  per  l' invidia ,  che  gli 
destò  colla  sua  eloquenza:  e  Domizio  Afro,  oratore  ce- 
leberrimo ,  non  si  salvò ,  se  non  ammirando  1'  orazione 
che  Cahgola  disse  contro  di  lui  ^.  Ordinò  gareggiamenti 
di  eloquenza  greca  e  latina,  costringendo  i  vinti  a  pre- 
miare i  vincitori,  e  quelli  che  fossero  più  dispiaciuti  ob- 
bligò a  cancellare  colla  lingua  lo  scritto,  se  non  vole- 
vano esser  battuti  o  erettati  nel  fiume  ^.  Bandì  un  retore 


1  Seneca,  Suasor.^  2. 

8  Dione  Cassio,  LVII,  ■>()  ;  Tacito,  Ann.^  VI,  ?,9;  Svetonio,  Tib..  61. 

3  Tacito,  Ann.^  VI,  29;  Dione  Cassio,  LVIII,  24. 

4  Tacito,  Ann.,  VI,  3J-:r>;  Svetonio,  Tib.,  01;  Seneca.  Consol.  ad  Marc,  I  ;  Dione  Cas- 
sio, LVII,  24. 

•"'  Svetonio,  Calig.,  31. 

6  Tacito,  Ann.,  XIIT,  .3;  Dione,  Excerpt.  Vatic,  in  Mai,  Scriptor.  veti,  nova  coUectio, 
tom.  II,  pag.  551;  Svetonio,  Calig.,  .">3. 

7  Svetonio,  Calig.,  53;  Dione  Cassio,  LIX,  19. 

8  Svetonio,  Calig.,  20. 


866 


CLAUDIO. 


FLiB.  VII. 


per  avere,  ad  esercizio  dell'arte  sua,  declamato  contro 
1  tiranni*;  uccise  il  filosofo  Giulio  Cano  2,  e  Lentulo 
Getulico  proconsole  per  dieci  anni  in  Germania  e  scrit- 
tore di  storie  e  di  poesie  3.  Giulio  Grecino,  padre  di 
Agricola,  chiaro  oratore  e  filosofo  e  scrittore  di  agricol- 


Claudio  storico  dell' Etruria  [Garruccij  Museo  Lateranense). 

tura,  si  guadagnò  per  queste  virtù  l'ira  del  principe,  e, 
perchè  non  volle  accusare  M.  Silano,  fu  ucciso  '*. 
Claudio,  che  da  giovinetto  aveva  atteso  sotto  la  scorta 


l  Dione  Cassio,  LIX,  20;  Giovenale,  VII,  201. 
*  Seneca,  De  tranquillit .  animi^  1 1. 

3  Svetonio,  Calig.^  S;  Dione  Cassio,  LIX,  22;  Plinio,  Epixt.,  V,  3;  Marziale,  I,  praof 

4  Tacito,  Aflrcic,  1;  Columella,  I,  1,  11,  II,  2  e  sogg.  ;  Plinio,  XIV,   I,  e  XVI,  90;  Se- 
naca,  De  Benef.^  II,  21  ;  Epist..  29. 


Gap.  V.]  CLAUDIO  ANTIQUARIO,  E  NERONE  POETA  FANATICO.    8G7 

di  Livio  agli  studi  storici  componendo  opere  in  greco 
e  in  latino,  e  poscia  ebbe  forse  l' onore  di  un  monu- 
mento dalle  città  etrusche  per  la  sua  storia  di  Etruria  {^), 
portò  l'erudizione  e  la  pedanteria  d'antiquario  sul  trono, 
e  mentre  le  mogli  e  i  liberti  gli  erapivano  la  casa  d'in- 
trighi e  di  turpitudini,  era  tutto  nelle  cure  dell'alfabeto, 
nello  scriver  decreti,  nel  dissertare  di  cose  antiche*. 
Pure  questo  erudito,  chiamato  parlatore  elegante  ^,  passò 
alla  posterità  col  nome  di  stupido,  né  ci  resta  cosa  che 
possa  dirci  in  che  egli  giovasse  alle  lettere.  I  frammenti 
che  ci  rimangono  degli  atti  pubblici  del  suo  tempo  con- 
servano le  lettere  trovate  da  lui,  notano  le  visite  rice- 
vute da  Agrippina,  e  parlano  della  fenice  portata  a  Roma 
ed  esposta  nel  comizio  per  ordine  dell'imperatore  ^. 

Andarono  celebri  la  mania  di  Nerone  per  le  gare  ora- 
torie e  poetiche,  e  le  sue  fatiche  di  citaredo,  e  i  plausi 
e  le  corone  che  ne  ebbe  a  Roma  e  sulle  scene  d'Italia 
e  di  Grecia.  Seneca  gli  compose  le  orazioni  da  recitare 
ai  soldati  e  al  Senato  ^:  poetuzzi  radunati  in  palazzo  gli 
facevano  o  gli  racconciavano  i  versi:  ed  egli  fieramente 
invidioso  ai  poeti  migliori  era  di  continuo  occupato  a 
empire  le  carte ,  a  fare  ammirare  fra  le  stragi  e  gì'  in- 
cendi la  sua  voce  e  il  suo  ingegno  di  artista  ^.  Si  ricor- 
dano suoi  versi  sulle  cose  troiane*,  cantici  e  versi  la- 

(")  Vedi  sopra,  voi.  I,  pag.  125,  n.  («),  gli  argomenti  addotti  a  far  cre- 
dere che  la  statua  mutilata,  di  cui  qui  diamo  il  disegno,  fosse  posta  sul 
monumento  eretto  nel  centro  della  città  di  Cere  in  onore  di  Claudio  isto- 
liografo  dalle  dodici  città  principali  di  Etruria. 

1  Tacito,  Ann.^  XI,  13,  Ile  21;  Quintiliano,  I,  7,  26;  Svetonio,  Claud.^  3,  40-12. 

2  Tacito,  A.nn.^  XIII,  3.  Conf.  Svetonio,  Claud.^  10. 

3  Plinio,  X,  2;  Solino,  XXXIII,  11;  Dione  Cassio,  LX,  33;  Le  Clerc ,  Des  journaux 
chez  les  Romains^  pag.  391  ;  Reasstn,  Disputatio  de  dmrnis  aliisque  Eomanorumaclis 
[lag.  27  e  31,  Groningae  1856. 

•»  Tacito,  Ann.,  XllI,  3;  Dione  Cassio,  LXI,  3. 
•■5  Tacito,  Ann.^  XIV,  16;  Svetonio,  Ner.,  52. 
6  Giovenale,  Vili,  221;  Dione  Cassio,  LXll,  l«J;  Servio,  Georg. ,  III,  36  ;  Ae»..,  V,37(). 


868  INGEGNI  SERVILI.  E  SPIRITI  INDIPENDENTI.        [Lib.  VII. 

scivi  e  satirici  *,  versi  da  cantar  sulla  scena  ^,  versi  per 
celebrare  i  capelli  della  sua  moglie  Poppea  ^,  ed  è  detto 
che  meditava  un  enorme  poema  sui  fatti  di  Roma  ("). 
Dopo  cena  si  tratteneva  anche  a  sentir  disputare  i  filo- 
sofi, ma  i  severi  cultori  della  sapienza  che  Agrippina 
gli  aveva  insegnato  a  temere  come  nemici  a  chi  regna 
furono  da  lui  imprigionati  o  banditi^:  e  chi  fra  tante 
crudeltà  sentiva  il  bisogno  di  vivere  tra  i  libri  davasi 
agli  innocenti  studi  grammaticali  ^. 

Sotto  questi  feroci  tiranni  vi  sono  scrittori  che  usano 
la  parola  a  divinizzare  Tiberio,  salute  della  lìatria,  e  ad 
esaltare  Sciano  <»,  e  poi  con  crescente  impudenza  di  lodi 
si  volgono  a  Domiziano  censore  santissimo,  modello  com- 
piuto di  ogni  virtù,  trionfatore  su  tutti  per  valore  di 
armi  e  per  gloria  poetica^:  ma  altri  ricordano  e  vitu- 
perano le  sue  scelleraggini  e  la  sua  codardia,  i  libri 
bruci'ati,  gli  autori  uccisi,  i  filosofi  cacciati  ripetutamente 
d'Italia,  e  con  parole  di  compianto  e  di  sdegno  vendicano 
le  vittime  del  calvo  Nerone  8,  come  quelle  di  Nerone  ci- 
taredo, e  dell'osceno  vecchio  di  Capri  ^. 

(«)  Giudicavasi  che  quel  poema  avrebbe  dovuto  avere  non  meno  di 
quattrocento  libri,  e  poiché  il  filosofo  Anneo  Cornuto  disse  che  niuno  lo 
avrebbe  letto  a  causa  della  soverchia  lunghezza,  Nerone  lo  fece  esiliare. 
Dione  Cassio,  LXII,  29. 

1  Svetonio,  Vitella  W.eDomit..  1;  Tacito,  A»?'-!..  XV,  19;  Plinio,  Epiat.,  V.  0;  j\Iar- 
ziale,  Vili,  7,  IX,  26. 

8  Svetonio,  Ner.j,  .38;  Dione  Cassio,  LXI,  20,  LXII,  IS;  Giovenale,  Vili,  2-20.221  ;  Fi- 
lostrato, Apollonio  Tianeo.  IV,  3!'. 

3  Plinio,  Hist.  Nat.,  XXXVII,  12. 

4  Tacito,  Ann.,  XIV,  16;  Svetonio,  IS'er.,  39  e  52.  Vedi  sopra  a  pag.  108-112. 

5  Plinio,  Epist.,  III,  5. 

6  Valerio  Massimo,  Pt-aef.,  e  V,  5,  3;  Velleio  Patercolo,  II,  91,  101,  127,  ecc. 

7  Quintiliano,  Instil.  Orat.,  IV,  proem.  3-1,  e  X,  1,  91;  Silio  Italico,  III,  607  e  segg., 
XIV,  686-688;  Valerio  Fiacco,  Argonaut.,  I,  12-11;  Stazio,  Achill.,  I,  11,  19;  ,Si7r.,  IV, 
I,  93-f>6,  ecc.,  ecc. 

8  Tacito,  Ap)-iC..  2;  Plinio,  fi^pis/.^  Ili,  \\\Paneg..  17;  Giovenale,  IV,  37;  Gelilo,  XV, 
11;  S.  Girolamo,  Etiseb.  Chron.,  ann.  S9  e  95. 

!•  Fannio,  in  Plinio,  Epist. ,  V.  :■;  Tacito,  Ann.,  VI,  1  e  6;  Svetonio,  Tib. ,  45  e  59 
Giovenale,  I,  155-156. 


Gap.  V.]    LA  DECLAMAZIONE  SUCCEDUTA  ALL'ELOQUENZA.        869 

1  primi  tempi  dell'  Impero  sono  il  secolo  d'  oro  della 
declamazione  e  della  rettorica.  Non  potendosi  più  par- 
lare in  pubblico,  si  declama  nelle  scuole  e  nelle  acca- 
demie e  ciò  che  prima  era  stato  esercizio'  preparatorio 
air  eloquenza  del  Fóro,  diviene  ora  vano  studio  di  stra- 
nezze, fatica  senza  scopo,  e  perdita  di  tempo  e  d'ingegno. 
Si  declama  non  per  vincere  una  causa  in  giudizio,  ma 
per  far  mostra  d'ingegno,  e  aver  plausi  da  chi  si  diletta 
di  tali  prove.  Si  discute  in  senso  contrario  sopra  finzioni 
con  sfoggio  di  argomenti,  di  divisioni,  di  descrizioni,  di 
entimemi,  di  colori,  di  sottigliezze  sofìstiche,  di  sentenze, 
sulle  ricchezze,  sulla  fortuna,  sui  vizi  del  secolo  *.  Le 
scuole  risuonano  di  pirati  incatenati  alle  rive,  di  tiranni 
ordinanti  ai  ligli  di  uccidere  il  padre,  di  sepolcri  incan- 
tati, di  mesciuti  veleni,  di  cadaveri  mangiati,  di  rapimenti 
di  donne,  di  mariti  malvagi.  False  idee,  false  cause, 
false  persone,  falsi  argomenti,  parole  ampollose,  discorsi 
faticosi,  artificiosi,  affettati  di  uomini  arroganti  che  di- 
spregiano Cicerone  e  Demostene,  e  si  tengono  piìi  fa- 
condi di  essi.  L'eloquenza,  già  signora  di  tutte  le  arti, 
ora  è  imprigionata  in  pochi  concetti  e  in  brevi  sentenze, 
si  nutre  di  chiacchiere,  si  adorna  da  mereti'ice,  si  veste 
della  feccia  del  favellare  comune,  e  si  impara  come  uno 
dei  più  sordidi  artificii.  Questi  uccide  colle  grida  i  ti- 
ranni, quegli  insegna  a  rimproverare  l'amhizione  di  Siila 
e  di  Annibale,  e  si  annoia  fieramente  nel  ripetere  ogni 
giorno  le  pedanterie  e  le  insulsaggini,  che  rendono  stolti 
i  discepoli,  e  guastano  la  ragione  e  l'arte  della  parola  ^. 
Altri  deliberano  se  possa  tagliarsi  l'istmo  di  Coiinto,  asciu- 
gar la  palude  Pontina,  fare  il  porto  di  Ostia:  lodano  o 
vituperano  uomini  illustri;  lodano  il  sonno,  il  fumo  e  la 
morte;  mostrano  vere  le  favole,  false  le  storie;  difendono 

1  Seneca,  CmUrov.^  I,  praef.  ;  II,  praef.  ;  IV,  praei. 

2  Tacito,  JUalog.  de  Orati. j  32  e  .35;  Petronio,  Satiirìc,  I-i';  Giovenale,  S.?/.,  I,  15-17, 
VII,  151-177,  X,  107. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica—  IV.  U9  . 


870  IL  RETORE  SENECA  E  I  DECLAMATORI.  [Ltb.  VII, 

una  parte  e  poscia  la  impugnano,  invertendo  i  ragiona- 
menti propri  e  degli  avversari,  e  sfoggiando  tutte  le  ar- 
guzie della  rettorica,  e  tutti  gli  argomenti  dei  bindoli. 
Anche  la  declamazione  ha  le  sue  feste,  come  le  ebbe  già 
la  grande  eloquenza.  In  certi  giorni  declamano  maestri 
e  discepoli:  i  più  valenti  si  sfidano,  e  in  una  medesima 
scuola  danno  spettacolo  agli  invitati,  che  applaudono  ai 
gesti,  alle  modulazioni  sceniche,  alle  ben  suonanti  sen- 
tenze, ai  ben  cadenti  periodi  ("). 

Seneca,  padre  del  filosofo,  stato  retore  in  sua  gioventìi, 
fu  da  vecchio  lo  storico  e  il  critico  di  questi  declama- 
tori, che  aveva  conosciuti  nella  piìi  parte.  Egli,  usando 
della  sua  portentosa  memoria,  che  davagli  modo  a  ri- 
petere fino  a  duemila  parole  nell'ordine  in  cui  le  avesse 
ascoltate  \  raccolse,  a  petizione  dei  figli,  le  aringhe  di 
più  di  cento  autori  dell'  età  sua,  le  ordinò  per  materie, 
notò  loro  pregi  e  difetti,  fece  i  ritratti  dei  retori  che 
popolavano  le  scuole,  e  poi  confessò  di  sentire  tedio  e 
vergogna  di  attendere  a  questi  studi  non  serii  (^).  Sen- 
tiva che  nelle  arguzie  e  nelle  affettazioni  dei  retori  si 
corrompeva  il  gusto  e  la  lingua,  e  in  questo,  come  nel 
lusso  e  nell'ignavia  dei  giovani,  trovò  le  ragioni  del 
morire  della  eloquenza  -. 

('')  Seneca,  Controv.,  I,  3  e  7,  II,  9  e  14,  l'ce.  Sui  declamatori  e  sui 
retoi-i,  corruttori  dell' eloquenza ,  scrisse  di  proposito  A.  Chassang,  I)e 
corrup^a  post  Ciceronem  a  declamatoribus  eloquentia,  Paris  1852.  Vedi 
anche  Van  der  Kloes,  De  praeceptorìbus  in  rhetoruni  scholis  apud  Rn- 
mnnos,  Traiecti  ad  Rhenum  1S40:  Wittich,  De  rhetoribiis  latinis  eormn- 
que  scholis,  Eisenach  1853;  Bonell,  De  mutata  sub  primis  Caesaribus 
elcqnentiae  romanae  cond'twne,  imprimis  de  rhetoriim  scholis ,  com- 
ynentatio  hisiorica,  Berlin  lb3G;  conf.  Graff.  De  Romanorìim  laudatio- 
nib'S,  Dorpati   1862,  pag.  63. 

(*)  lam  res  inrdio  est  ....  iam  2i>(det  quod  tandem  non  scriam  revii 
aqnm.  Scholistica  studia  levila'  tractata  d/lcclant  :  conirce.tata  et  pro- 
pius  adrnn  a.  fastidio  simt.  Contror..  V.  praef. 

t   Covti-nr.  ,  I.  pn-t'-r. 
2  Contfov.,  I,  I  raof. 


Cap.  V.]  QUINTILIANO  MAESTRO  D'ELOQUENZA.  871 

Petronio,  ricordando  e  riprovando  le  ampollosità  e  i 
falsi  ornamenti,  posti  in  luogo  delle  naturali  bellezze, 
assegna  più  cause  alla  corruzione  :  i  retori  costretti  a 
impazzire  coi  pazzi  e  a  dire  ciò  che  volevano  gli  sco- 
lari, per  non  veder  deserte  le  scuole;  e  anche  i  parenti 
smaniosi  di  spingere  innanzi  i  figliuoli,  e  non  curanti 
di  farli  convenientemente  istruire  (").  Altri  attribuì  gran 
parte  del  male  al  filosofo  Seneca,  che  andava  quasi  solo 
per  le  mani  dei  giovani,  e,  ricco  di  molte  e  grandi  virtù, 
era  anteposto  ai  migliori  pei  dolci  vizi  di  cui  abbon- 
dava ^  Invano  si  istituirono  cattedre  con  grossi  stipendi! 
di  centomila  sesterzi  e  si  elevarono  agli  onori  equestri, 
senatorii,  e  consolari  i  maestri  ^.  11  male  venuto  da  più 
profonde  cagioni  non  poteva  esser  guarito  dai  precetti 
dei  retori  che  molto  insegnarono  e  scrissero.  Tra  costoro 
stette  primo  M.  Fabio  Quintiliano  ,  nativo  di  Calagurri 
{Calaliorra)  nella  Spagna  Citeriore,  condotto  a  Roma  da 
Galba^;  figlio  di  padre  declamatore,  e  dapprima  decla- 
matore egli  stesso  e  oratore  giudiziario  ■%  poi  pubblico 
maestro  con  lauto  stipendio  per  20  anni  s,  e  da  ultimo, 
nel  riposo,  scrittore  dei  dodici  libri  àeW Istituzione  ora- 
toria che  giùnsero  a  noi  come  uno  dei  migliori  trattati 
degli  antichi  sull'arte  della  parola.  Uomo  di  dottrina  e 
di  gusto,  e  critico  acuto  pose  ogni  studio  a  risanare  l'e- 
loquenza corrotta,  la  richiamò  ai  severi  principii,  rimesse 
in  onore  i  grandi  modelli,  istruì  i  maestri,  insegnò  a  stu- 

(")  Petronio,  Satyric,  1.  Egli,  a  proposito  delle  strane  e  seonee  cose 
insegnate  dai  retori,  dice  che  i  giovani  qui  inier  haec  nutriuntiir  non 
iiiagis  sapere  possunt,  quaìn  bene  olere,   qui  in  culina  habitmif. 

1  Quintiliano,  X,  1,  12r.-131. 

2  Svetonio,  Vespas.^lS-^  Seneca,  Conlrov  ^  ll,praef.  ;  Giovenale,  VII,  197;  Filostraio, 
Sonati,  I,  22,  li,  32;  Capitolino,  Anton.  Pio,  11. 

3  S.  Girolamo,  Euseb.   Chron.,  ann.  06  e  SS  di  Cr.  ;  Ausonio.  Profess.  Dio'di(j..  1,  7. 

4  Quintiliano,  Instit.  Orai.,  IV,  1,  If/,  IV,  2,  S6,  VII,  2,  5  e  23,  IX,  2,  73.  11,  XI,  2, 
:;ì);  Giovenale,  V!,  280. 

'■>  Quintiliano,  Instit.   Orai.,  I,  proera.  ]. 


872  I  DUE  PLINII.  [Lib.  VII. 

dìare,  a  comporre,  mostrò  le  vie  per  giungere  all'eccel- 
lenza dell'arte,  disse  dell'indole,  della  virtù  e  dei  costumi 
richiesti  nel  buon  oratore  {").  Col  vecchio  Catone  ripetè 
che  l'oratore  è  un  galantuomo  perito  nel  ben  parlare  *, 
ed  ebbe  su  ciò  alti  e  nobili  pensieri  da  cui  discorda  cru- 
damente il  linguaggio  che  parlò  a  Domiziano.  Questi  lo 
insign'i  degli  onori  consolari,  e  lo  incaricò  d'istruirgli  i 
nipoti  2;  ed  egli,  di  animo  retto  nel  resto,  esaltò  brutta- 
mente l'ingegno  sovrano,  l'eloquenza  e  la  santità  del 
tiranno  ^,  con  menzogna  sconcissima  che  serviva  a  con- 
durre i  discenti  per  le  fangose  vie  dei  servitori  di  corte, 
non,  a  moralizzare  l'arte,  nò  a  confermare  la  definizione 
del  buon  oratore. 

Anche  Plinio  il  Vecchio  aveva  scritto  suU'  eloquenza, 
sforzandosi  di  educare  l'oratore  sino  dalle  fasce  e  di  ren- 
derlo perfetto*'.  E  il  suo  nipote,  Plinio  il  Giovane,  di- 
scepolo di  Quintiliano,  studiò  l'arte  con  grande  amore, 
détte  regole  ai  giovani  5,  difese  molte  cause  famose,  e 
fu  lodato  come  oratore  di  primo  ordine:  ma  ciò  che  resta 
di  lui  non  risponde  a  quelle  lodi  superlative,  e  mostra 
sempre  più  come  fosse  disperato  il  male.  Una  prova 
novella  del  cadere  della  eloquenza  è  data  da  lui  stesso 
nel  suo  famoso  Panegirico  a  Traiano,  pieno  a  sazietà  di 
turgidezze,  di  rotte  sentenze,  di  arguzie,  di  esagerazioni, 
e  della  allettata  ricerca  di  tutto  ciò  che  non  è  naturale. 


(<*)  Per  la  vita  e  per  le  dottrine  di  lui  vedi  Drie.^en,  De  M.  Fabii  Quin- 
tiliani  vita,  Ciiviis  1845;  Pilz ,  Qicintilianiis ,  fin  Lchrerleben  aus  dcr 
Roem.  Kaiser zeìt,  Leipzig  18G3;  Babucke,  De  Quiìitiliani  dncirina  et 
siudiis ,  capita  duo,  Regim.  Pi'UPsorum,  18f)6. 

1  Imtit.   0,-at.,  XII,  1,  1.  Conf.  II,  IT..  1. 

2  Giovenale,  VII,  197;  Ausonio,  Gratiar.  ardo  ^  ciì.  Biimnt  ,  i>.  2!M);  Quintiliano,  IV, 
Iiroem.  9.  '  *• 

3  Inxl't.  Orar.,  IV,  procm.  3-1,  e  X,  1,  ^'1.  Conf  Svotonio,  Domit.,  l'-i,  e  Giovenale, 
II,  29-:«. 

4  l'iinio,  EpiH..  Ili,  r.. 

r.  Plinio.  EpUt  ,  VI,  -20,  VII,  \>. 


Gap.  V.] 


L'ELOQUENZA  AI  TEMPI  DI  TRAIANO. 


!73 


Del  suo  lodato  che  non  frequentò  le  scuole  dei  retori 
sappiamo  che  ebbe  naturale  facondia,  e  in  più  incontri 
si  vede  che  la  sua  eloquenza  fece  mirabili  effetti.  Se 
nelle  faccende  civili  usò  più  volte  la  parola  degli  altri', 
nei  campi   parlava  spesso    alle  legioni,  e  coi  suoi  detti 


Allocuzione  di  Traiano  ai  soldati  (Barloli^  Colonna  Traiana,  tav.  S,  Froehner  ^  36)- 


converti  in  eroi  i  soldati,  gli  fece  pazienti  delle  lunghe 
fatiche  e  gli  condusse  alle  vittorie  sui  Germani,  sui  Daci 
e  sui  Parti.  Sebbene  non  dotto,  ristorò  colla  libertà  tutti 
gli  studi  quasi  spenti  dalla  tirannide  :  e  in  quel  rivivere 
di  ogni  buona  speranza  molto  si  parlò  e  molto  si  scris- 
se 2,  ed    ebbero  fama  parecchi  oratori  e  avvocati,  tra  i 

1  Dione  Cassio,  LXVIII,  7;  Giuliano,  I  Cesari ^  "j.  Conf.  Frontone.  Epist.  nd  L.  Ver,, 
I,  p.  ISl,  ed.  Mai,  Romae  18215. 

2  Plinio,  Paneg.  ,  47;  Epht..  I,  13,  ITI,  18,  IX,  13;  Giovenale,  VII,  1  e  segg.  ;  Hulle- 
iiian,  Oratio  de  litera>-um,  praesertiin  latinarum,  aptid  liomanos  xtudiii  j,  Nerva  Tra- 
iano imperatore,  Liigdimi  Raiavorum    185"^. 


>;74  IL  RETORE  M.  CORNELIO  FRONTONE.  [Lib.YII. 

quali  in  appresso  è  detto  principe  delia  eloquenza  ' 
Marco  Cornelio  Frontone,  numida,  cominciato  a  fiorire 
sotto  Adriano,  e  maestro  poscia  di  Marco  Aurelio,  che 
lo  ricompensò  di  nobile  alletto  e  delle  dignità  di  sena- 
tore e  di  console,  e  dell'onore  di  una  statua  in  senato. 
Era  uomo  di  dolci  e  puri  costumi,  di  animo  retto,  di 
cuore  nobile,  ricco  d'ingegno  e  di  elegante  dottrina.  Ol- 
tre i  ])rincipi  educò  molti  giovani  nell'arte  della  parola, 
e  dette  principio  a  una  nuova  scuola,  i  cui  seguaci  in 
appresso  si  chiamarono  Frontoniani  ^.  Dotto  delle  arti 
e  delle  ambagi  del  Fòro  difese  clienti  ed  amici,  e  citta- 
dini e  città,  fu  accusatore  veemente,  lodò  ampiamente 
gli  imperatori  e  tutta  la  imperiale  famiglia.  Gli  antichi 
ne  celebrano  il  gusto  squisito,  e  la  pura  e  graziosa  fa- 
vella: vantarono  le  sue  virtù  di  grande  oratore,  e  vi  fu 
anche  chi  lo  pose  alla  pari  con  Cicerone  (").  E  gran- 
dissime lodi  gli  détte  Angelo  Mai,  che  all'età  nostra 
ne  dissotterrò  molte  lettere  e  più  frammenti  della  sua 
eloquenza  (^).  Ma  questi   stessi  frammenti,   non   rispon- 

(")  Eumenio  nel  Panegirico  di  Costanzo,  cap.  14,  lo  chiama  eluquen- 
i.iao  roi'iianae  non  secundum,  sed  aliertim  dectis, 

('')  Vedi  il  dotto  commeutario,  De  vita  et  scriptis  M.  Frontonis  pre- 
messo ai  suddetti  frammenti,  stampati  per  la  prima  volta  a  Milano  nel 
1815.  Uno  scritto  più  recente  lo  giudica  con  termini  lontani  dalla  lode 
])indarlca,  come  dalla  acerba  censura,  e  dopo  avei-ne  narrate  le  vicende, 
le  qualità  dell'animo,  e  i  pregi  e  difetti  come  avvocato,  come  accusatore, 
come  panegirista,  storico,  scrittore  di  epistole,  precettore,  e  grammatico 
e  retore,  conclude  chiamandolo  virum  optiinum  dicendi  longe  non 
imperitum.  Philibert-Soiipè ,  Be  Frontonianis  reliquiis,  Ambiani  1853, 
pag.  125.  Su  Fi'ontone,  sulle  sue  lettere  e  sui  frammenti  vedi  anche 
Daunou  in  Journal  des  Savants,  1816,  pag.  27-35;  \{.oi\\,  Bemerchungen 
neber  die  Schriflen  des  M.  Corn.  Pronto,  und  ueber  das  Zeitaltcr  der 
Antonine,  Ni'irnberg  1817.  e  II  Racogliiore,  Milano  1820,  tom.  IX,  pag.  86, 
e  segg. ;  Zannoni,  \\e\V Antologia  di  Firenze,  lf-25,  voi.  17  a  pag.  101-125: 
Boissier,  La  jcunesse  de  Marc-Aurèle  et  les  lettres  de  Fronton,  in 
Rei-'U  des  deuo:  mondes,  I   avril,  1868,  pag.  671-698. 

1  Dione  Cassio,  LXIX,  18. 

-  Sidonio  Aiiullinare,  Epist.,  I,  1. 


Gap.  V.]     LA  LIBERTÀ  NEGLI  SCRITTI  MIGLIORI.  FEDRO.  875 

denti  alla  sua  antica  fama  oratoria,  ci  apprendono  come 
egli,  più  che  grande  oratore,  fosse  un  retore  che  inse- 
gnava a  declamare  in  lode  del  sonno  e  del  fumo,  della 
polvere,  della  negligenza  *  :  e  ad  andare  a  caccia  di  ima- 
gini  singolari,  di  arguzie,  di  antitesi,  di  inezie  e  di  vec- 
chie parole;  e  quindi,  sebbene  avesse  molta  e  scelta 
dottrina  e  ci  conservasse  parecchi  e  utili  ricordi  delle 
lettere  e  dell'arte  antica,  non  vedesi  come  coU'opera 
sua  potesse  tornare  a  vita  la  vera  e  la  grande  eloquenza, 
che  era  perita  irreparabilmente  colla  libertà  e  colle  agi- 
tazioni civili  2. 

Il  pensiero  della  libertà  si  ritrova  in  tutto  ciò  che  ha 
di  meglio  la  poesia  di  questi  tempi:  qui  mirano  l'apologo, 
il  poema,  il  dramma,  la  satira. 

Frequenti  le  allusioni  satiriche  alle  tristizie  imperiali 
e  alla  tirannide  sono  nelle  piccole  favole  di  Fedro,  nato, 
come  egli  dice,  sul  monte  Pierio  ^,  ultimo  degli  scrittori, 
che  con  qualche  affettazione  e  con  gualche  segno  del 
gusto  che  cominciava  a  corrompersi,  conservò  fin  sotto 
Claudio  parecchie  delle  eleganze  e  delle  grazie  dei  tempi 
migliori,  e  fu  lodato  per  semplicità  non  triviale,  per  bella 
chiarezza,  e  per  virtù  di  lingua  e  di  stile,  in  quei  brevi 
racconti,  in  cui  adombrò  la  viltà  e  le  miserie  del  popolo, 
i  delatori  arricchiti  colle  spoglie  e  col  sangue  altrui,  i 
prepotenti  ministri,  e  gli  sconci  padroni  del  mondo,  e 
Tiberio  e  Seiano  ''.  E,  come  è  naturale,  gliene  incolse 
sciagura,  e  andò  incontro  a  un  giudizio,  in  cui  lo  stesso 
Sciano  faceva  da  accusatore,  da  testimone  e  da  giudice  ^. 

Piene  di  libere  e  austere  sentenze  sono  le  tragedie, 
dette  di  Seneca,  e  che  sembrano  potersi,  almeno  in  parte, 

1  Vedi  Epist.,  pag.  188,  361  e  segg.,  369  e  segg.,  della  prima  edizione  del  Mai. 

2  Tacito,  Diaìog.  de  Oralt..  36*  37,  ecc. 

3  Lib.  ili,  Prolog,  vers.   17. 

4  Vedi  fra  gli  altri  lu  ghi,  Fab.^  I,  2,  6,  15,  II,  7,  V,  1,  ecc. 

")  Lib.  Ili,  prolog.  Per  ogni  particolarità  vedi  Nisard,  Phéfire  ou  la  transition ^  in  Ktn.- 
d's  sur  les  Poèles  ìatins  de  la  décadence,  Paris  1S34,  voi.  I,  pag.  201-2G2. 


870  LE  TRAGEDIE  DI  SENECA.  [Lib.  VII. 

attribuire  al  filosofo,  massime  per  la  grande  rassomi- 
glianza di  sentimenti  e  di  idee,  che  vi  è  tra  queste  de- 
clamazioni in  versi  e  gli  altri  scritti  di  lui.  La  tragedia 
vera,  che  ha  il  suo  principio  vitale  nella  libertà,  non  po- 
teva fiorire  regnante  Nerone:  pure  anche  allora  si  fecero 
tragedie,  ma  destinate  a  leggersi  in  radunanze  di  amici, 
non  a  comparire  sulla  scena.  Mancano  affatto  di  arte 
drammatica,  di  verità  di  caratteri,  di  condotta,  d'azione, 
snaturano  i  personaggi  del  dramma  greco,  da  cui  pren- 
dono gli  argomenti  ('');  sono  piene  di  passioni  violente, 
di  descrizioni  e  declamazioni  pompose,  di  gonfiezze,  di 
antitesi.  Ma  hanno  bei  versi  e  nobili  sentimenti,  espressi 
talora  con  forza  e  splendore;  riflettono  tutte  le  idee 
stoiche  dei  tempi  di  Seneca,  descrivono  energicamente 
i  vizi  e  le  crudeltà,  ritraggono  la  virtù  in  nobili  e  mae- 
stosi sembianti,  e  la  fanno  amare,  ammirare  e  cercare 
anche  nella  oppressione.  Non  so  se  sia  vero,  come  altri 
pensò,  che  l'autore, avesse  in  animo  di  dipinger  Nerone 
nei  personaggi  di  Ercole  Furioso,  di  Atreo,  e  di  Egisto 
assassinante  Agamennone,  ma  è  certo  che  dappertutto 
ispirano  odio  per  gli  oppressori,  e  pietà  per  gli  oppressi. 
Come  Seneca,  a  malgrado  dei  suoi  molti  difetti,  si  leva 

e*)  Pei'  la  paternità,  per  la  critica  e  pel  carattere  di  queste  tragedie, 
e  pei  confronti  colle  opere  greche  da  cui  furono  tratte  vedi  NisarJ,  Lcs 
tragédies  diteci  de  Sénèque  ou  la  tragedie  en  manuscrit,  in  Études  sur 
les  poètes  latins,  voi.  I,  pag.  59-198;  Klotzsch,  De  Annaeo  Seneca  uno 
tragoediarum  quae  supersunt  auctore ,  Wittenberg  1802:  Richter.  De 
Seneca  tragoediarum  auctorc,  Naumburg  1862;  Boissier,  Les  tragrdies 
de  Sénèque  ont-elles  étr  reprcsentces?  Paris  ISGl;  Widal,  Etudes  sur 
trois  tragédies  de  Sénèque  (Troiane,  Ippolito,  Medea)  imitces  d'Euripide. 
Paris  1854;  Swalin,  De  Hippolgto  Senecac  fabula,  Holra  1857:  Kòliler. 
Senecae  tragoedia  quae  Oedipus  inscribitur  cum  Snphoclis  Oedipo  Rege 
comparata,  Neuss  1865;  Braun,  Der  Oedipus  des  Seneca  in  seinen  Be- 
ziehungen  zu  den  gleichnamigen  Stiichen  des  Sophocles  und  Euri- 
pideo- und  su  Statius  Thebais ,  in  Jihein.  Museurn ,  1867,  voi.  XXll, 
pag.  245-275. 


I 


Gap.  V.]  LUCANO.  877 

per  ingegno  singolare  su  tutti  gli  scrittori  dell'  età  sua, 
così  il  più  splendido  di  tutti  i  poeti  sotto  Nerone  è  M. 
Anneo  Lucano,  anch' egli  spagnuolo  d'origine,  nato  ni- 
pote di  Seneca  a  Cordova,  portato  a  Roma  nell'età  di 
otto  mesi,  istruito  dai  più  insigni  maestri,  tra  i  c[uali  si 
conta  Anneo  Cornuto,  educato  in  grazia  del  zio  alla  corte, 
poi  per  due  anni  agli  studi  d'Atene,  e  al  suo  ritorno 
fatto  questore  prima  del  tempo  legale,  e  ammesso  fra 
gli  amici  del  principe:  e  qui  egli  gareggia  con  luì  nel- 
l'arte poetica,  lo  celebra  nel  teatro  di  Pompeo  con  suoi 
versi  premiati  di  una  corona:  e  da  ultimo  cade  in  dis- 
grazia, patisce  persecuzione  o  pel  suo  troppo  vantarsi, 
o  più  veramente  per  l'invidia  dell'imperatore  poeta  fa- 
natico, e  si  mette  nella  congiura  dì  Pisone  nella  quale 
finisce  dopo  avere  in  breve  vita  (792-818  di  R. ;  39-65 
di  Cr.)  dati  molti  saggi  in  verso  e  in  prosa  del  suo 
fervido  ingegno  ("), 

A  Nerone  celebrato  nei  concorsi  accademici  fece  poi 
nella  Farsalia  encomii  cosi  fuori  di  modo  che  molti  nei 
tempi  passati  e  alcuni  anche  all'età  nostra*,  tennero 
come  ironie  quelle  sguaiate  e  sconce  parole  per  liberare 
il  poeta  da  una  grande  turpitudine,  e  per  meglio   com- 

(«)  Tacito.  Ann.,  XV,  49,  56,  57,  70,  XVI.  17;  Stazio,  Silv.,  II,  7;  Mar- 
ziale, VII,  21-2:?,  X,  64. 

Vi  .«ono  due  vite  antiche  di  lui,  una  breve  e  monca,  e  poco  favorevole 
al  poeta,  attribuita  a  Svetonio  ;  l'altra  prolissa,  intera  e  a  lui  favorevole 
forse  scritta  dal  grammatico  Vacca  clie  ne  commentò  le  opeie  nel  se- 
colo sesto.  Per  e.«se  vedi  Weber,  Vitae  Lucani  collectae ,  Marburg 
Cattorum  1856,  e  ReifFer.scheid,  Sceloni  prneter  Caesarum  libros  reli 
quiae ,  pag  50-52  e  76-79,  Lipsiae,  1860.  Del  Weber  vedi  anche  Lucani 
vita  per  annos  digesta,  Marburgi  1857- 1858,  e  De  suprema  Lucani 
voce,  jMaiburgi  1857.  Vedi  pure  Genthe,  De  M.  Ann.  Lucani  vita  e 
scripti'i,  Berolini  1859;  e  sulle  opere  minori.  Unger,  Quaestio  de  Lucani 
Heliacis,  Friedland  1858,  e  De  Lucani  carminum  7-eliquiis,  Friedland  1860 

1  Vedi  Matteo  Ardizzone,  Il  primo  libro  della  Farsalia  di  Marco  Anneo  Lucano  ira- 
dotto^   Palermo  1S71,   pagine  61  e  s-jig. 

Vanndcci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  110 


LUCANO.  [LiB.  VII. 


prendere  i  sentimenti  di  libertà  da  cui  è  governato  il 
poema,  perchè  altrimenti  non  è  possibile  accordare  col 
resto  i  versi  in  cui  egli  superando  stranamente  tutte  le 
adulazioni  dei  poeti  imperiali  dice  che  gli  orrori  delle 
guerre  civili  furono  comportabili  e  non  lamentabili,  per 
avere  aperta  la  via  alla  dolce  signoria  di  Nerone  *. 

Altri,  all'incontro,  negò  l'ironia,  stimando  che  Lucano 
lodasse  sinceramente  Nerone,  quando  al  cominciare  del 
suo  impero  si  comportava  da  uomo  onesto  e  da  principe 
giusto;  e  che  poscia,  quando  divenne  feroce  e  turpe  tv 
ranno,  il  poeta,  perseguitato  da  lui,  mutò  idee  e  pro- 
positi, e  détte  ai  suoi  versi  un  nuovo  e  contrario  indi- 
rizzo. Quindi  i  vituperii  detti  contro  la  casa  imperiale 
nella  continuazione  del  poema:  quindi  le  lodi  superlative 
a  Pompeo,  come  difensore  e  martire  della  libertà:  quindi 
l'odio  implacabile  a  Cesare,  fondatore  della  tirannide: 
lodi  e  odio  che  non  si  trovano  nei  primi  libri ,  scritti 
nel  tempo,  in  cui  accarezzato  e  fatto  questore  da  Nerone 
scriveva  con  altro  intendimento  delle  guerre  civili  ^.  Ma 
contro  tutto  ciò  vuoisi  notare  che  sostanzialmente  il  con- 
cetto politico  dei  primi  libri  non  diiferisce  da  quello  dei 
successivi  nei  quali  solamente  si  manifesta  più  aperta- 
mente e  con  violenza  eccessiva  («),  e  che  quindi  neppure 
da  questo  hanno.spiegazione  le  enormi  lodi  date  a  Nerone. 

Comunque  sia,  quest'opera  per  le  idee  e  pei  giudizi, 
come  per  lo  stile  e  per  la  composizione  poetica,  fu  esal- 
tata con  encomii  eccessivi,  e  avvilita  con  censure  acer- 
bissime. Tacito  ricorda  Lucano  con  Orazio  e  Virgilio  tra 
(juelli   che    potevano   fornire    ornamenti    all'  eloquenza  : 

C)  Fra  le  altre  cose  nei  primi  libri  è  chiara  la  sua  predilezione  per 
Rruto,  per  Catone  e  Pompeo  (li,  234  e  segg.,  453  e  segg. ,  519  e  segg. , 
732  0  segg.)  e  la  sua  avversione  per  Cesare.  Vedi  Teulfel ,  Gesch.  der 
ròm.  Litlerat,  286,  6. 

1  Pkarsal.,  I,  33-66.  Conf.  Virgilio,  Georg. ^  I,  Ì9S. 

•  Vedi  Freirae,  De  Lucan}  Pliarsalia^  Marburgi  Cattorum  18")!»,  pag.  12  e  segg. 


Gap.  V.]  LA  FARSALIA.  879 

Marziale  lo  chiama  gloria  del  romano  Elicona,  e  Stazio 
lo  antepone  a  Ennio,  a  Lucrezio  e  ad  Ovidio  *.  Poscia  da 
alcuni  la  Farsalia  fu  paragonata  all'Iliade  e  all'Eneide  ^i 
altri  affermarono  che  Lucano  non  è  poeta  ("),  che  non 
canta,  ma  latra  ^  e  declama  a  modo  di  gazzettiere  ^:  e 
Petronio,  che  gli  nega  la  qualità  di  poeta  epico,  forse 
contro  di  lui  scrisse  i  versi  che  ci  rimangono  sulla  guerra 
civile  ^. 

Lucano  aveva  alto  e  nobile  ingegno,  ma  guasto  dal 
cattivo  gusto  dominante  nelle  scuole  dei  retori,  e  dalla 
educazione  avuta  fra  le  lordure  di  corte.  Quindi  dà  spesso 
in  gonfiezze  di  espressioni  e  di  imagini,  in  frasi  sforzate 
per  amore  di  peregrinità;  declama,  è  soverchio  nelle  de- 
scrizioni, cerca  le  arguzie  e  i  falsi  splendori,  e  in  uno 
stile  spesso  nervoso,  ma  senza  elegante  armonia,  ha 
pezzi  che  non  sono  scritti  né  in  prosa  nò  in  verso.  In- 
vano gli  chiederesti  l'arte  sovrana,  che  narra  con  solenne 
semplicità  i  grandi  fatti,  che  mirabilmente  gli  aggruppa, 
e  tutto  fa  cospirare  all'  azione  principale ,  e  allo  svolgi- 

(^)  Quintiliano,  X,  1.  91:  Servio,  Ad  Aeìi.,  I,  382.  Marziale  (XIV,  194) 
facendo  parlare  Lucano,  a  quelli  che  dicono  non  esser  egli  poeta  ri- 
sponde che  il  suo  libraio  è  di  contraria*  opinione  :  Sunt  quidam,  qui  me 
dicunt  non  esse  poetmn;  Sed  qui  me  vendit  bibliopola  piitat.  Per  Lu- 
cano considerato  sotto  il  rispetto  dell'aite,  oltre  ai  critici  già  citati  vedi 
Nisard  che  a  lui  dedica  tutto  il  secondo  volume  (di  pag.  454)  dei  suoi 
Poètes  latins  de  la  dccadence;  Leloup,  De  poe^i  epica  et  de  Pharsalia 
Lifcani  j  Trier  1827;  Charpentier,  Elude  sur  la  Pharsale,  premesso  a 
una  ristampa  della  traduzione  del  Marmontel,  Paris  1865;  Ardizzone,  Pre- 
fazione, loc.  cit.  ;  Girard,  Un  poète  rcpublicain  sous  Neron,  in  Revue  des 
deux  mondes,  15  juillet  1875,  p.  423-444. 

1  Tacito,  Dialng.  de  Oratt.^  20;  Marziale,  X,  GÌ;  Stazio,  SU.,  II,  7,  75-7S. 

2  Preime,  loc.  cit.,  pag.  6,  e  Meusel  e  Buerger,  Disputalio  de  Lucani  Pharsalia, 
Ilalae  1767,  pag.  2,  e  segg. 

3  G.  Cesare  Scaligero,  Hypercritic,  cap.  6. 

4  Voltaire,  Essai  sur  la  poesie  èpiqice,  chap.   1. 

5  Petronio,  Sul.,  118.  Vedi  Moessler,  Commentatio  de  Petronii  poema/c  de  bello  ci- 
vili.  Vratislav'Iae  1S12,  e  dello  stesso,  Quaestionum  Petronianarum  specimen,  quo 
poema  de  bello  civili  cum  Pharsalia  Lucani  comparatur,  Ilirschberg  1857. 


LA  FARSALIA.  [  Lib.  VII. 


mento  di  essa.  Egli  manca  spesso  d'invenzione  poetica, 
non  cura  di  unità,  e,  contento  di  seguire  passo  passo  gli 
annali,  si  diffonde  a  descrivere,  e  fa  non  poema,  ma 
storia  (").  Ecco  in  breve  1'  ordine  della  sua  narrazione 
poetica,  che  si  apre  coli' imprecare  alle  guerre  civili,  di 
cui  sono  toccate  le  principali  cagioni.  Dapprima  ritrae 
l'indole  di  Pompeo  e  di  Cesare,  e  quindi  vediamo  questo 
al  passaggio  del  Rubicone,  non  ritenuto  dall' imagine 
della  patria,  invadente  Rimini,  ove  giunge  a  lui  Curione 
con  gli  altri  tribuni  fuggiti  da  Roma,  che  lo  eccitano  ad 
alfrettare  l'impresa.  A  queste  novelle,  lutto  e  spavento 
di  Roma  contristata  da  orrendi  presagi.  Fra  le  querele 
dei  soldati,  e  il  pianto  delle  doiine  e  dei  vecchi,  Bruto 
animoso  si  reca  dal  severo  Catone,  e  lo  conforta  a  di- 
fendere la  libertà  minacciata.  Pompeo  fugge  coi  Padri; 
e  Cesare,  cui  le  città  apron  le  porte,  vince  a  Corfìnio, 
e  caccia  il  Magno  da  Brindisi,  e  poi  vola  a  Roma,  e  ra- 
pisce il  pubblico  erario,  vanamente  difeso  dal  tribuno 
Metello,  e  ripassa  le  Alpi  e  corre  sotto  Marsilia,  rimasta 
fedele  a  parte  pompeiana:  e  qui  il  poeta  ò  lunghissimo 
nel  descrivere  assedio   e  battaglie  e  vittorie.  A  queste 


C)  Di  ciò  fu  rimprovei-ato  anche  dai  contemporanei.  Vedi  Petronio  , 
Satyric,  cap.  118.  Hecentemente  fu  confrontato  cogli  storici,  e  special- 
mente con  Cesare,  di  cui  segui  i  Commentarii,  e  fu  mostrato  .che  tenendo 
dietro,  a  modo  degli  annalisti,  alla  ragione  delle  cose  e  dei  tempi,  in  al- 
cuni fatti  fu  narratore  fedele,  e  ottimamente  espose  le  cause  private  e 
pubbliche  della  guerra  civile,  ma  più  spesso  per  amore  o  per  odio  di 
parte  adulterò  la  storia,  affermò  cose  false,  vestì  il  vero  di  finti  colori, 
tacque  le  cose  disonorevoli  ai  Pompeiani,  e  quelle  che  facevano  onore  a 
Cesare  e  ai  suoi,  e  col  fare  ingiuria  alla  verità  nocque  al  poema.  Vedi 
Mandon,  Quacnam  Lucano  fides  sii  adlùbenda?  Monspelii  1858;  Kortiim, 
Gcschtl.  Forsehìtngen ,  Leipzig  und  Heidelbei'g  1SG3;  Creizenach ,  Bie 
Aencis,  die  4  Eclogue  und  die  Pharsnlia,  Frankfurt  a  M.  18()4;  Schau- 
bach,  Lucan's  Pharsalia  und  ihr  Verhàltniss  zur  Geschichte,  Meioin- 
gen,  1859;  Baier,  Le  Livio  Lucani  in  Carmine  de  bello  cioili  auctore, 
Suidaiciae  (Schweidnitz)  1874;  Girard,  loc.  cit.,  pag.  432-443. 


Gap.  V.]  LA  PARSALI  A.  881 

succedono  le  imprese  contro  Afranio  e  Petreio  nella 
Spagna,  con  diffuse  descrizioni  delle  pioggie,  delle  inon- 
dazioni e  della  fame,  che  alla  fine  dà  vittoria  al  vinci- 
tore delle  Gallio;  pel  quale  sinistramente  procedono  le 
cose  in  lUiria,  ove  Yulteio,  fatto  prigione  dai  Pompeiani, 
induce  i  suoi  ad  uccidersi  di  propria  mano,  mentre  anche 
Curione  è  vinto  con  grande  strage  da  Giuba  nell'AIMca, 
a  proposito  della  quale  è  raccontata  la  storia  di  Anteo. 
Intanto  in  Epiro  Pompeo  è  gridato  dai  Padri  supremo 
duce;  si  decretano  premi  ai  molti  alleati,  di  cui  altrove 
è  la  rassegna,  e  si  manda  a  consultare  l'oracolo  di  Delfo 
sull'esito  della  guerra.  Di  qui  torniamo  in  Italia  a  vedere 
i  veterani  ammutinati  a  Piacenza,  e  ridotti  al  dovere 
dalla  potente  parola  di  Cesare,  il  quale  di  là  torna  a 
Roma,  si  fa  dittatore,  e  muove  rapido  a  Brindisi  e  al- 
l'Epiro, e  ardente  di  venire  alle  mani  si  accampa  presso 
al  nemico.  Ma  la  tempesta  ritarda  Antonio,  destinato  a 
condurre  le  altre  truppe  d'Italia,  e  Cesare  impaziente 
si  affida  a  una  nave  da  pescatore,  per  andare  a  pren- 
dere egli  stesso  gli  aiuti,  e  lotta  fieramente  colle  onde, 
che  lo  ributtano  al  lido.  Antonio  giunge  alla  fine,  e 
quindi  Pompeo,  vedendo  che  non  si  possono  scampare 
i  rischi  dì  campale  battaglia,  manda  con  misera  fuga  in 
salvo  la  moglie  Cornelia  a  Lesbo,  e  5i  apparecchia  alla 
pugna.  Si  appressa  il  momento  delle  ultime  prove.  Pom- 
peo è  accampato  sopra  Durazzo:  Cesare  lo  cinge  di 
mura  nel  campo:  a  una  parte  dà  travaglio  la  fame, 
all'altra  la  sete:  prove  ammirande  nei  due  campi,  e 
solenni  soprattutto  quelle  di  Scova,  che  lungamente 
sparge  la  morte  tra  i  Pompeiani.  Vincitori  ora  questi 
ora  quelli,  e  da  ultimo  Cesare,  ridotto  a  mal  partito, 
con  mal  consiglio  è  lasciato  fuggire,  e  seguitato  in  Tes- 
saglia Il  poeta  coglie  qui  il  destro  a  descrizioni  di  monti, 
di  fiumi,  di  città,  di  genti  e  costumi,  e  narra  a  lungo 
le  arti  infami  e  i  portenti  delle  maghe  tessale,  una  delle 


882  LA  FARSALIA.  [Lib.  VII. 

quali,  la  cruda  Erittona,  è  consultata  da  Sesto  figlio  del 
Magno,  e  gli  rivela  con  orrendi  incantesimi  le  sorti  fu- 
ture di  Roma.  11  libro  settimo  è  tutto  nella  scellerata 
battaglia  farsalica,  annunziata  da  feri  augurii,  affrettata 
dall'eloquenza  di  Cicerone,  che  a  nome  del  Senato  stringe 
Pompeo  a  romper  gli  indugi,  e  da  ultimo  combattuta 
con  sacrilego  furore.  Immensa  è  la  strage.  Avvi  il  pianto 
dei  cadaveri,  cui  è  negata  la  sepoltura:  orde  infinite  di 
belve  accorrono  a  pascersi  del  sangue  civile,  sparso  nella 
maledetta  campagna  ove  si  decidono  le  sorti  di  Roma 
e  del  mondo,  colla  morte  della  libertà,  col  trionfo  di  un 
uomo,  e  col  servaggio  di  tutte  le  generazioni  future. 
Nell'ottavo  abbiamo  la  fuga  di  Pompeo  a  Lesbo,  e  le 
ambasce  e  i  lamenti  di  Cornelia,  e  la  commozione  di 
Mitilene  all'  inusitato  spettacolo.  Poi  ro  e  senatori  rag- 
giungono il  duce:  si  disputa  lungamente  sul  partito  da 
prendere.  Pompeo  vuole  ricovrarsi  tra  i  Parti:  gli  altri 
avvisano  che  cerchi  asilo  in  Egitto,  ed  egli  veleggia 
alla  volta  del  Nilo.  Là,  avuta  contezza  di  questa  fuga, 
si  tiene  consiglio  di  satrapi,  e  il  re  Tolomeo,  seguendo 
l'avviso  di  chi  gli  dice,  non  dovere  i  re  serbar  fede  a 
chi  è  in  ira  alla  fortuna,  ordina  l'assassinio  dell'ospite: 
e  quindi  la  scellerata  uccisione  del  Magno,  le  disperate 
grida  della  moglie,  e  il  povero  rogo,  e  l'umile  sepolcro 
di  poche  arene  e  di  un  sasso.  Il  nono  libro,  apertosi 
coll'apoteosi  di  Pompeo,  ha  i  pianti  e  le  querele  di  Cor- 
nelia e  dei  figli,  e  l'elogio  funebre  detto  nel  duolo  uni- 
versale del  campo  da  Catone,  che,  raccolti  a  Corcira  gli 
avanzi  della  rotta  farsalica,  li  conduce  a  rinnovar  la 
guerra  sui  lidi  alTricani.  E  qui  il  poeta  più  che  mai  con- 
discende al  suo  piacere  di  descrivere.  Giardini  delle 
Esperidi ,  Giove  Ammone ,  Medusa ,  tempeste  di  arene  , 
Sirti,  serpenti  d'ogni  generazione,  che  uccidono  in  vari 
modi  i  soldati;  Psilli  e  loro  magiche  arti,  e  la  sete  con 
tutti   i    suoi    crudi   tormenti.   Mentre    Catone   corre   gli 


1 


Cah.  V 


LA  FARSALIA. 


883 


ardenti  deserti  di  Libia  coi  suoi,  travagliati  dagli  ani- 
mali, dalla  terra  e  dal  cielo,  Cesare,  saziato  dalle  stragi 
farsaliche,  corre  per  1'  Ellesponto  in  traccia  del  nemico 
fuggente,  visita  sulle  prode  Retee  la  tomba  d'Aiace  ("), 
ricerca  con  venerazione  le    macerie  della  superba   Ilio, 


Lo  tomlje  di  Aiace  e  di  Achille  (Schliemann). 


e  i  ricordi  degli  eroi  a  cui  non  fu  dato  salvarla,  e  ivi 
erge  un'ara  e  sacrifica  agli  Dei  tutelari  delle  Frigie  ro- 
vine, pregando  che  lo  aiutino  a  compiere  felicemente 
l'impresa.  Poscia,  sciolte  di  nuovo  le  vele,  approda  all'E- 
gitto, ove,  celando  l'allegrezza  del  cuore,  sparge  mentite 
lacrime  sul  teschio  dell'emulo.  11  decimo  libro,  nel  quale 
rimane  interrotto  il  racconto,  ci  presenta  Cesare  davanti 

(")  Phars.,  IX,  964  e  segg.  Per  le  tombe  di  Aiace  e  di  Achille  vedi 
Schliemann,  Atlas  des  antiquitcs  Troyennes,  Leipzig  1874,  pi.  177  e  178, 
e  Choiseul-Gouffier,  Yoijagc  pittoresqiie  de  la  Grece,  voi.  II.  pag.  276, 
pi.  26  e  27. 


S84  LA  FARSALIA.  [Lib.  VII. 

alla  tomba  d'Alessandro,  sulla  quale  sono  istoriate  rovine 
di  città,  campi  distrutti,  dolori  e  stragi  di  popoli,  (lumi 
tinti  di  sangue:  poi  l'incontro  del  guerriero  romano  colla 
bella  Cleopatra,  le  loro  lascivie,  le  pratiche  per  riconci- 
liarla al  fratello,  e  il  lieto  connubio  di  essi.  Quindi  la 
festa  nuziale  splendidamente  descritta,  con  le  gioie  del 
popolo  alessandrino,  le  musiche  e  le  pompe  e  i  regi  con- 
viti e  le  mollezze  e  il  fasto  egiziano.  Dopo  il  rumore 
della  festa,  a  Cesare  piglia  vaghezza  di  sapere  delle  cose 
più  singolari  di  Egitto,  e  il  sacerdote  Acoreo  gli  ragiona 
partitamente  delle  fonti  e  del  corso  del  Nilo,  e  delle 
cause  per  cui  cresce  ed  allaga  e  feconda  i  campi.  Ma  in 
questa  si  «eccita  la  guerra  dall'eunuco  Potino,  consigliere 
della  uccisione  del  Magno,  e  da  Achilia,  duce  supremo 
delle  armi  egiziane  congiuranti  contro  Cesare  e  la  regia 
druda.  Formidabile  oste  assedia  la  reggia:  e  Cesare 
scampa  da  pericolo  estremo  ardendo  le  navi  nemiche, 
riparandosi  all'isola  di  Faro,  e  combattendo  animoso 
contro  ogni  ostacolo. 

E  qui  si  arresta  rotto  il  racconto,  in  ogni  parte  del 
quale  si  sente  la  mancanza  delle  ultime  cure,  che  tol- 
gono il  troppo  e  il  vano,  che  temperano  i  primi  ardi- 
menti, che  accarezzano  la  forma,  e  danno  perfezione  ad 
ogni  opera  d'arte.  De'  suoi  difetti  molto  fu  detto,  e  molto 
può  dirsi:  e  prima  di  tutto,  che  sbagliò  prendendo  a 
eroe  del  poema  un  uomo  che,  specialmente  nell'ultima 
gueri'a,  non  fece  nulla  di  eroico:  può  dirsi,  che  l'alTcUto 
politico  non  di  rado  lo  indusse  a  calunniar  Cesare  a  cui 
nega  anche  le  virtù  di  sommo  guerriero,  e  a  declamare 
e  a  contradire  alla  storia:  ma  l'opera  sua,  che  nel  tutto 
non  è  quale  si  conviene  a  poema,  nelle  parti  è  ricca  di 
splendidi  versi,  di  belle  descrizioni,  di  eloquenti  arrin- 
ghe, di  vigorose  pitture,  di  caratteri  disegnati  con  felice 
ardimento,  di  nobili  alletti,  di  forti  pensieri.  Ardente  è 
in  lui  r  amore  della  libertà  e  delia  giustizia,  per  cui  ce- 


Gap.  V.]  AMORE  ALLA  LIBERTÀ  E  ALLA  GIUSTIZIA.  885 

lebra  il  santo  petto  di  Catone,  ricoverante  in  sé  la  virtù 
bandita  dal  mondo,  e  pronto  a  olTrirsi  olocausto  al  fu- 
rore degli  empi  ambiziosi,  cjuantunque  senta  che  per  la 
patria  non  avvi  più  scampo  *.  Il  poeta  ha  culto  per  tutti 
quelli,  che  alle  parti  della  cieca  fortuna  anteposero  le 
ragioni  dell'onesto,  ed  eloquentemente  impreca  alla  rab- 
bia civile,  maggiore  di  ogni  umana  scelleratezza,  e  ma- 
ledice ai  campi,  dove  si  combattè  per  un  uomo,  non  pel 
diritto.  A  ogni  tratto  torna  sui  mali  infiniti  della  guerra 
civile  agognata,  e  seguita  per  avere  impunità  nei  delitti, 
e  per  fuggire  l'inopia  mettendo  le  mani  nell'altrui  roba: 
uomini  venduti  per  trucidar  padri  e  fratelli;  stragi  di 
cui  piansero  i  pii  negli  Elisi,  ed  esultò  Catilina^;  e  che 
portarono  la  morte  di  un  popolo  e  la  desolazione  di  Roma 
e  d'Italia,  e,  più  grave  di  tutti  i  mali,  la  servitù,  traman- 
data anche  ai  tardi  nipoti,  innocenti  del  sangue  fraterno 
versato  negli  scellerati  campi  farsalici.  Egli  vede  la  libertà 
fuggire  spaventata  dalle  nostre  contrade  al  di  là  del  Tigri 
e  del  Reno,  e  lo  contrista  il  pensiero  che  sia  partita  per 
sempre  3.  Pure  sembra  confidare  nella  universale  con- 
cordia, e  la  invoca,  perchè  salvi  il  mondo  dalla  tiran- 
nide '*,  e  sostiene  che  il  diritto  non  può  essere  ucciso 
per  forza  di  armi  ^  da  quelli  che  credono  gli  Dei  non 
curanti  del  volgo,  solleciti  solo  dei  grandi,  e  il  genere 
umano  destinato  a  servizio  e  a  benefizio  di  pochi  '',  e  si 
augura  che  la  hbertà  torni  a  far  ludibrio  dei  crudeli 
ladroni,  che  la  servitù  ha  posti  sulle  are'.  Insomma, 
sotto  l'obbrobrioso  giogo  dei  Cesari,  Lucano  in  mezzo 
a  un  popolo  di  schiavi  cantò  il  regno  delle  lib-Tc  leggi. 


1  Pìuir.ia!.,  U,  3:10-3-22,  IX,  560-383. 

2  PharSid.,  VI,  7SS  e  segg. 

3  Pharsal.,  VII,   132,  632-ClO. 

4  PharsaK.  IV,  1S9. 
r.  Pharsal..  V,  30. 

G  Pharsal,  V,  310-313. 
~  Pharsaì.,  X,  25. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica 


S86  PERSIO  P0F:TA  DEGLI  STOICI.  [Lib.  VII. 

il  pensiero  delle  quali  tenne  vivo  l'ardore  della  sua  anima, 
e  fra  molte  declamazioni  gli  détte  accenti  di  grande  pas- 
sione e  di  vera  eloquenza,  in  questa  Farsalia  che  egli 
sentì  nata  a  vita  immortale  ("). 

Amico  a  Lucano  fu  Aulo  Persio  Fiacco  nato  di  famiglia 
equestre  a  Volterra,  e  perito  anch'egli  nel  fiore  dell'età. 
Venne  a  Roma  di  12  anni,  frequentò  grammatici  e  re- 
tori, presso  i  quali  conobbe  l'autore  della  Farsalia,  e  poi 
si  legò  di  grande  amicizia  ad  Anneo  Cornuto  filosofo 
stoico,  cui  fu  assiduo  compagno,  e  lo  ebbe  qual  padre, 
e  ne  prese  a  regola  della  vita  le  austere  dottrine.  Bello 
è  sentire  con  quanto  affetto  più  tardi  ringraziasse  il  mae- 
stro di  averlo  illuminato  coi  raggi  della  sapiente  ragione, 
e  nutrito  di  socratica  dottrina,  e  ridotto  al  diritto  cam- 
mino, mentre  il  secolo  guasto  tentava  di  travolgerlo  nelle 
sue  turpitudini:  ed  è  pure  bello  a  vedere,  che  il  poeta, 
mentre  rivela  la  gratitudine  dell'ingenuo  e  candido  animo 
in  questi  cari  ricordi,  addolcisce  il  suo  duro  eloquio,  e 
pigha  quasi  abito  nuovo  dal  gentile  argomento  *.  Venerò 
con  esso  gli  altri  uomini  più  lodati  di  integra  vita,  e 
nella  pratica  della  severa  virtù  degli  stoici  ebbe  per  dieci 
anni  a  guida  anche  Trasea  suo  parente,  da  cui  fu  ca- 
ramente diletto.  Era  un  giovinetto  bello  d'aspetto,  di 
dolcissimi  costumi,  di  verginale  verecondia,  sobrio  e  pu- 
dico, pio  alla  madre  Fulvia -Sisennia,  che  con  sollecita 
cura  lo  educò  nei  primi  anni,  alla  sorella,  alla  zia  e  al 
venerato  maestro  Cornuto,  al  quale,  morendo,  fece  dono 
dei  suoi  libri  e  di  molta  pecunia,  che  lo  stoico,  pren- 
dendo i  libri,  rese  agli  eredi  naturali  del  caro  discepolo. 
Mori  a  28  anni  (787-815  di  R.,  34-62  di  C.)  di  malattia 
allo  stomaco,  che  per  avventura  lo  salvò  dai  più  crudeli 

(") l'hars/'Ha  noshui 

Vii- et,  et  a  nuìlo  tcncbris  dn.mnabiiv.r  ceco  (IX.  085-080). 


Gap.  V.] 


PERSIO  POETA  DEGLI  STOICI. 


8S-; 


<ìestini,  riserbati  ad  ogni  anima  libera  sotto  Nerone,  e 


Persio  [Righelli^  ConìpMoyllo^  voi    I,  tav.  !0;. 


fu  sepolto  all'ottavo   miglio   della  via  Appia  dove  aveva 
i  suoi  fondi  ("). 
Compose  versi  in  lode  di  quella  Arria,  clie   si  uccise 


(")  Cosi  nella  vita  «li  lui  che  fu  attriljuita  a  Svctonio.  e  in-I  i itolo  'ìi- 
<'esi  tolta  dal  commentario  di  Probo:  Yita  Auli  Persi  Flacci  de  comen- 
tario  Probi  Valerti  suhlata.  Reitferscheid,  Svctoni  Tranquilli  ....  reti 
fjHÌae,  pag.  72-75  e  394-398.  Vedi  an'-he  de  Martini,  De  L.  Annc.eo 
Cornuto  philosopho  stoico,  Lugduni  Hatavorum  1825,  pai;-.  38-41,  e 
Hoitsfnia.  Dispjiiatio  histnricn  de  P.  Throsec  Poeto,  r.i-nnin'jac  1852 
l-aL!.  32. 


888  LA  MORALE  DELLE  SATIRE  DI  PERSIO.  [  Lib.  VIL 

per  incuorare  il  marito  alla  morte;  ma  era  tardo  allo 
scrivere,  e  lasciò  poche  cose,  la  più  parte  delle  quali  fu- 
rono da  Cornuto  soppresse  a  scanso  di  guai  *.  Nei  664 
versi,  componenti  il  piccolo  libro  di  Satire  che  ci  è  rima- 
sto, egli  ispirato  dall'antico  Lucilio  comincia  col  flagel- 
lare poeti,  oratori,  e  lo  stesso  Nerone,  e,  poeta  degli 
stoici,  tratta  in  poesia  le  austere  dottrine,  di  cui  altri 
dissertavano  nelle  scuole:  ed  è  sempre  mesto,  accigliato, 
iracondo,  parco  e  ruvido  nelle  parole,  e  spesso  contorto 
e  oscuro  per  noi.  Del  che  sono  causa  le  qualità  del  suo 
ingegno,  la  ricerca  della  soverchia  energia,  la  vaghezza 
di  apparire  profondo,  e  lo  studio  di  porre  molte  idee 
nel  più  stretto  spazio  possibile.  Pure  il  piccolo  libro  gli 
acquistò  molta  e  vera  gloria  ^,  e  al  suo  comparire  destò 
ammirazione,  e  tutti  se  lo  rapivano  («).  E  anche  oggi 
può  intendersi  questo  entusiasmo,  perchè  chi  abbia  pa- 
zienza di  studiare  attentamente  quel  libro,  tra  le  molte 
contorsioni  vi  trova  stile  nervoso,  e  felici  espressioni,  e 
tratti  vivissimi  e  degni  di  esser  mandati  a  memoria:  e 
trovato  il  pensiero,  che  sta  sotto  l'oscuro  dettato,  si 
ammira  la  pura  morale,  i  nobili  sentimenti,  l'odio  pro- 
fondo al  vizio,  e  quell'alto  amore  della  virtù,  in  cui  sta 
tutto  lo  stoicismo  di  Persio.  Egli  insegna  l'onestà,  da  lui 
praticata,  cerca  il  sommo  bene  morale  colla  severità  dei 
sapienti,  ha  culto  per  la  libertà  e  per  la  ragione,  sati- 
reggia fieramente  i  filosofi,  i  dissoluti  che  mettono  il 
sommo  bene  nel  ventre,  gli  ambiziosi,  gli  avari,  i  super- 
stiziosi, e  gli  scellerati  voti  fatti  in  segreto  agli  altari 
da  chi  per  libidine  di  ricchezza  anela  alla  morte  de'suoi. 
La  religione  pone  soprattutto  nel  cuore:  le  ricche  offerte 

C^)  Ediiiim  libriim  coìilinun    .ulrcri   homlnes   et   diripere   coeperiint. 
Persii  vita,  loc.  cit. 

1  Persii  vita,  loc.  cit. 

2  Q'iictiliano,  X,  1,  91. 


Gap.  V.]  GIOVENALE.  880 

dice  ingiuriose  agli  Dei,  quasi  si  credano  avere  1  brutti 
costumi  degli  uomini,  e  stima  che  un  tenue  olocausto, 
offerto  con  cuore  puro  e  con  petto  caldo  di  generosa 
virtù,  sia  più  accettevole  di  un  gran  sacrifizio,  fatto 
con  turpe  coscienza  *.  Egli  ritrae  malinconicamente  la 
corruzione  profonda  dei  tempi  neroniani,  e  ci  mostra  le 
idee  religiose,  morali  e  politiche  degli  stoici,  dei  suoi  pa- 
renti, dei  suoi  amici,  dei  suoi  maestri,  tutti  uccisi  o 
proscritti  dalla  tirannide  ;  le  idee  e  gli  affetti  di  quei  nobili 
e  forti  filosofi,  presso  i  quali  erasi  rifugiata,  come  in 
ultimo  asilo,  la  coscienza  del  genere  umano.  E  quindi  il 
suo  libro  può  essere  di  grande  aiuto  alla  cognizione  di 
questi  bruttissimi  tempi  ("). 

Con  ira  potente  e  con  ingegno  molto  più  ricco  i  brutti 
costumi  romani  furono  ritratti  e  satireggiati  da  D.  Giunio 
Giovenale,  delle  cui  particolari  vicende  sappiamo  con 
certezza  poco  più  di  ciò  che  ne  disse  egli  stesso,  quan- 
tunque parecchi  scrivessero  di  lui  in  antico,  e  molto  ne 
abbiano  disputato  i  moderni  ('').  Visse  per  quanto  sembra 

(")  Per  ciò  che  riguarda  la  filosofìa  stoica  nelle  Satire  di  Persio  vedi 
>>'i.?ard.  Perse  ou  le  stoìcisme  et  les  sto'iciens,  ìnPoètes  latins,  I,  201-262; 
Martha,  Un  poète  stoìcicn  à  Pome,  nella  Revue  des  deux  moìides,  lo 
septembre  1863,  pag.  291,  e  {•a.  Moralistes,  p.  125-190;  Ferraz,  De  stoica 
disciplina  apud  jpoetas  romanos,  Lntetiae  Parisiorum  1862,  pag.  107,  ecc.; 
Knickenberg,  De  ratione  stoica  in  Persii  satiris  apparente,  Mùnster  1867. 
Vedi  anche  Breuker,  A.  Persius  und  seinc  Zeil,  Mòrs  1866. 

(•^)  Per  ciò  che  fii  .scritto  della  vita  di  Giovenale  vedi  le  sette  piccole 
biografie  antiche  raccolte  da  0.  Jahn  nella  sua  edizione  delle  satire  cum 
scholiis  veterihiis,  Berolini  1851,  pag.  386-390,  e  Francke,  iS'a.'amen  cri- 
ticìim  luvenalis  vitae,  Altona  1820,  e  De  ■cita  luvenalis  quaestio  altera, 
Dorpat  1827;  Bauer,  Kritische  Bemerkungen  ueber  einige  Nachrichten 
aus  d.  Leben  des  luven.,  Regensburg  1833,  e  Pinzger  in  Jahn  Jahrhiicher,. 
1835,  voi.  XIV,  pag.  259-279;  B.  Borghesi.  Intorno  all'età  di  Giovenale 
in  Giorn.  Arcad.,  1847,  voi.  110,  pag.  185-216,  e  Opere,  V,  pag.  49-76; 
Sinnerberg,  De  temporibus  vitae  carminnmque  luvenalis  vite  consti tuen- 

1  Sat.,  ir,  10-75. 


890 


GIOVENALE. 


[LiB.VlI. 


dai  tempi  di  Claudio  a  quelli  di  Adriano  (800-883  di  R., 
47-130  di  C.)  e  fini  all'  età  di  circa  83  anni  secondo  al- 
cuni a  Roma,  e  secondo  altri  sulla  terra  d'esilio. 


Aquino  (Poliorania  Pittoresco^  1S3'),  pag.  \'~i). 


Era  nato  nell'antica  città  d'Aquino  ',  sorta  splendida 
e  popolosa  presso  al  luogo  in  cui  ora  sta  la  nuova  città 
erede  del  vecchio  nome,  dove  ancora  lo  ricorda  un'epi- 


dis,  Helsingloi-,-;  186G;  Tcullel,  Ge^ch.  dar  rum.  Lxlterat.,  Leipzig  1870, 
pag.  GG4-G65;  Tamagni,  Storia  della  letteratura  romana  continuata  da 
France&co  d'Ovidio,  Milano  1874,  pag.  418-420;  Vescovi,  Prefazione 
alle  satire  voltate  In  versi  italiani  e  annotate,  Firenze  187."):  h'riedlaen- 
•l<'i\  Be  luvenalis  vitac  temporibus,  Kònigsberg  1875. 


iovonp.le,  Sai.,  Ili,  31!'.  V.'iii  anche  sopra,  vul 


p.  231. 


Gap.  V.]  Ci  IO  VENA  LE.  891 

grafe  dedicatoria  posta  nel  tempio  di  Cerere  Elvina  K 
Nella  prima  metà  della  vita  frequentò  per  suo  passa- 
tempo le  scuole  dei  retori,  e  in  sue  declamazioni  consi- 
gliò, come  egli  dice,  a  Siila  di  tornare  a  vita  privata  per 
dormire  sonni  tranquilli  -.  Nella  citata  iscrizione  si  vede 
che  attese  anche  alla  milizia  e  fu  tribuno  della  prima 
coorte  dei  Dalmati,  la  quale  sappiamo  che  stette  per  più 
anni  in  Britannia:  ed  egli  afferma  anche  di  aver  visitato 
l'Egitto  di  cui  vide  la  ferina  barbarie,  e  ricordò  due  vi- 
cine città  battaglianti  ferocemente  per  fanatismo  di  re- 
ligione, e  un  cadavere  dei  vinti  straziato  e  bestialmente 
mangiato  crudo  dai  vincitori  ^. 

In  età  matura  si  détte  a  scriver  le  satire  e  per  causa 
di  esse,  sotto  colore  di  ufficio  miUtare  ebbe  l'esilio,  del 
quale  non  si  sa  con  certezza  ne  l'autore,  ne  il  tempo, 
né  il  luogo,  né  la  durata  («). 

Molte  le  dispute  moderne,  specialmente  in  Germania, 
anche  sull'  autenticità  dei  suoi  scritti  ('0-  Noi  tenendo 
per  autentiche  le  sedici  satire,  quantunque  guastate   in 

(")  Sidonio  Apollinare  {Car-m. ,  IX,  270)  lo  dice  esule  di  un  adirato 
istrione:  e  questo  istrione  si  tenne  generalmente  esser  Parise  (Vedi 
Sat.,  VII.  88  e  segg.)  potente  alla  corte  di  Domiziano.  L'esilio  è  posto 
sotto  Nerone  da  un  biografo  e  da  uno  scoliaste  {Sat.,  VII,  92),  da  altri 
sotto  Traiano,  da  qualcuno  sotto  Adriano,  e  -dai  più  degli  autori  negli 
ultimi  tempi  di  Domiziano:  ma  a  questo  contrasta  Marziale,  attestando 
{Epigr.,  VII,  24  e  91,  XU,  18)  che  il  suo  amico  Giovenale  negli  ultimi 
tempi  di  Domiziano  era  a  Roma.  Quattro  biografi  lo  dicono  esiliato  in 
Egitto,  e  due  in  Caledonia  sotto  il  pretesto  di  far  la  guerra  agli  Scoti. 
Secondo  alcuni  egli  muore  a  Roma,  secondo  altri  in  esilio:  e  tino  ne 
protrae  la  morte  fino  ai  tempi  del  buon  Antonino:  decessit  lonrjo  .senio 
confectus  exul  Antonino  Pio  imperatore. 

[^)  I  nomi  e  gli  argomenti  dei  demolitori  si  possono  vedere  nella  so- 
praccitata Prefazione  del  Vescovi  a  pag.  LVI  e  segg. 

1  Mommsen,  Inscr.  E:jni  Xeap.  j  1312:  Henzen  ,  ó'MK  Per  Cerere  Elvina  vedi  ancha 
Giovenale,  III,  320. 
•2  Sat.^  ],  15-17. 
3  Sat.^  XV,  31-'J2. 


892  PITTURE  DELLE  BRUTTURE  DI  RO:\IA.  [Lib.  VII. 

più  luoglii  per  opera  d' interpolatori  e  copisti,  e  quindi 
lasciando  da  parte  queste  contese,  e  considerando  il 
poeta  sotto  il  rispetto  dell'arte,  della  verità  storica  e 
della  morale  ("),  diciamo  che  anche  in  lui  vi  sono  decla- 
mazioni e  luoghi  comuni,  appresi  alle  scuole,  e  asprezze 
di  stile,  ed  esagerazioni  nelle  pitture  del  male:  ma  quelle 
Satire,  uscite  da  vena  abbondante  e  sapientemente  com- 
poste, mostrano  ingegno  creatore,  imaginazione  ricca  e 
potente,  animo  alto,  nobile  ira  contro  i  vizi  di  tutte  le 
classi,  e  dipingono  egregiamente  le  lordure  dei  tempi,  e 
sono  di  molta  importanza  alla  storia,  cui  danno  numero 
grande  di  ragguagli  minuti  sugli  usi,  sugli  scandali,  e  su 
tutta  la  vita  privata  della  Roma  imperiale.  La  vista  delle 
romane  brutture  eccita  la  bile  al  poeta,  ed  egli  non  ride, 
perchè  questi  non  sono  davvero  tempi  da  ridere,  ma  in- 
dignato mena  attorno  il  flagello,  e  percuote  gli  eunuchi 
che  prendono  moglie,  le  donne  che  si  espongono  mezzo 
nude  alle  lotte  del  circo,  i  liberti  che  avanzano  in  lusso 
i  patrizi,  i  causidici  fatti  ricchi  colle  delazioni,  gli  ar- 
ricchiti coir  avvelenare  i  parenti,  col  far  carte  false,  e 
col  rendere  servigii  notturni  alle  vecchie;  i  tutori  che 
hanno  spogliato  i  pupiHi,  i  ladri  delle  province,  i  ricchi 
che  profondono  il  patrimonio  in  cavalh,  le  donne  maestre 
nel   mescer   veleni  ai  mariti,  i    quali   prostituiscono   le 

(^)  Per  gli  studi  fatti  recentemente  su  Giovenale  sotto  questi  rispetti 
vedi  Nisard,  Etudes  sur  les  poètes  latins  de  la  décadence,  Paris  1834,  II, 
pag.  101-174;  Vòlker,  Juvenal,  ein  Lebens-und  Charakterbild j  Elberfeld, 
1851  ;  Martha,  La  Socicté  romaine- Juvenal,  in  Moralistes  sous  Vempire 
romain,  Paris  1864,  pag.  315— U2;  IMunding.  Veher  die  Salircn  des  Ju- 
venal in  religióse)'  und  sittlicher  Bedeutung ,  Rottweil  1865;  G.  Leh- 
mann,  Andquilafes  romanae  domcsticac  in  luvenalis  satiris  illustratae. 
Halle  1869;  Widal,  Juvenal  et  ses  satires,  Études  litléraires  et  mura- 
les, Paris  1869;  Boissier,  Juvi'nal  et  son  temps,  ìa.Iìev.  des  deux  mon- 
de s,  ^nin  1870,  pag.  141-174;  Doetscli,  Juvenal,  ein  Sittenrichter  seiner 
Zeil,  Leipzig  1874;  Strube,  De  rhetorica  luvenalis  disciplina,  Branden- 
Luig  1875. 


Gap.  V.]  PITTURE  DELLE  BRUTTURE  DI  ROMA.  893 

mogli,  e  accettano  l'eredità  dei  drudi;  i  suoceri  corrut- 
tori, le  nuore  vendute,  i  giovinetti  adulteri  prima  di 
spogliar  la  pretesta;  il  furore  del  giuoco,  gli  eccessi  della 
gola,  del  lusso  e  della  libidine,  le  perfidie,  i  desiderii 
sfrenati,  i  capricci  insolenti,  il  vizio  e  il  delitto  sotto 
mille  forme  diverse.  Qui  abbiamo  le  turbe  dei  clienti 
affamati,  che  empiono  gli  atrii,  e  invano  salutano  e  cor- 
teggiano per  una  sportula  i  sordidi  patroni.  Qua  filosofi 
ipocriti,  che  vivono  in  baccanali  e  si  fìngono  Curii,  e 
sotto  orrido  aspetto  celano  i  vizi  più  infami:  là  Greci 
intriganti  che  invadono  la  città,  uomini  agili  d'ingegno, 
audaci,  pronti  di  lingua,  professanti  tutte  le  arti  per  in- 
trodursi nelle  case  dei  ricchi,  ove  adulano  sconciamente, 
e  fanno  da  buffoni  e  da  spie.  Altrove  Giudei  mendi- 
canti, alloggiati  nel  tempio  e  nei  boschetti  di  Numa,  da 
cui  furono  cacciate  le  Muse.  Poi  magistrati  corrotti , 
imitanti  nel  vestire  la  mollezza  femminile;  i  cinedi,  che 
si  lamentano  degli  scarsi  guadagni  di  loro  faticoso  me- 
stiere; gli  sconci  parasiti,  che  pongono  la  suprema  fe- 
licità nel  vivere  a  spese  altrui,  e  sono  maltrattati  e  av- 
viliti dai  ricchi,  più  spregevoli  di  essi;  i  senatori,  che 
Domiziano  aduna  in  Alba  a  consulta  per  sapere  come 
debba  cucinarsi  un  gran  rombo;  le  arti  infinite  dei 
captatori  di  eredità;  la  misera  condizione  dei  professanti 
le  lettere,  e  i  poeti  ridotti  ai  più  vili  uffici  per  vivere; 
le  infamie  di  chi  spergiura  e  froda  e  ruba  e  nega  il  de- 
posito ;  la  vanità  dei  voti  umani;  la  insolenza  soldate- 
sca; i  poveri  spregiati  e  battuti;  il  popolo  folleggiante 
nelle  fazioni  del  circo;  e,  in  breve,  Roma  descritta  coi 
suoi  principi  e  cortigiani  e  clienti  e  patroni,  colle  orgie, 
colle  infinite  miserie  e  con  tutti  i  vizi  che  accompagnano 
la  tirannide  e  la  servitù. 

Parte  non  piccola  in  queste  satire  hanno  le  donne  e 
i  nobili,  orgogliosi  delle  imagini  e  delle  glorie  degli  avi. 
I  nobili,  che  Persio  ritrae  ignoranti,  superbi  di  loro  ric- 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  112 


894       I  NOBILI  E  LE  DONNE  NELLE  SATIRE  DI  GIOVENALE.  [Lib.  VII. 

chezze,  sconci  per  malattie  trovate  nel  vizio,  ricoprenti 
coll'oro  turpissime  cose,  usi  a  starsi  le  giornate  intere 
nel  letto  a  smaltire  la  crapula  delle  orgie  notturne  *, 
compariscono  siflatti  anche  in  Giovenale,  che  ce  li  mostra 
alle  crapule ,  al  giuoco ,  affogati  in  lussurie.  Rarissimo, 
egU  dice,  incontrare  uno  di  costoro  che  sia  onest'  uomo  : 
raro  fra  essi  il  senso  comune.  Dispregiano  la  plebe ,  e 
sono  costretti  a  domandarle  l'oratore  che  difenda  i  loro 
diritti.  Alcuni  falsificano  testamenti  davanti  alle  statue 
trionfali  degli  avi,  o  vanno  per  occulti  calli  la  notte  a 
insidiare  i  talami  altrui,  e  sono  tutti  in  cavalli,  e  spen- 
dono più  nel  cuoco  che  nel  precettore  dei  loro  figliuoli: 
altri  giacciono  tra  ruffiani  e  bagasce  per  le  taverne,  fanno 
da  buffoni  in  teatro  e  da  gladiatori  nel  circo  -. 

Le  donne  sue  sono  perdute  dietro  a  commedianti,  a 
gladiatori,  ad  atleti,  e  ad  eunuchi,  con  cui  non  vi  è  bi- 
sogno di  abortivi:  ubriache  menano  orgie  notturne  nel 
tempio  di  Iside,  ricetto  di  prostituzione.  Usano  canti 
magici  e  filtri  per  imbecillire  gli  sposi,  e  incantesimi  per 
destar  furori  lascivi.  Avvelenano  i  ligliastri,  fanno  strazio 
del  marito  che  le  ama,  gh  rovinano  la  roba  e  l'onore, 
e  poi  stanche  lo  lasciano  per  mettersi  in  braccio  di  altri. 
Orgogliosissime  quelle  che,  uscite  dalle  case  patrizie,  por- 
tano in  dote  i  trionfi  degli  avi.  Yi  sono  donne  che  tutto 
fanno  alla  greca:  in  greco  parlano,  si  adirano  e  sfogano 
gli  affetti:  vanno  in  succhio  alla  greca.  Le  novelliere 
corrono  portici  e  piazze,  si  cacciano  pei  ridotti,  fermano 
cittadini  e  stranieri,  discorrono  della  cometa,  della  guerra, 
della  politica.  Sanno  qual  matrigna  ami  il  figliastro  o  gli 
prepari  il  veleno:  sanno  la  cronaca  scandalosa  dei  va- 
gheggini, sanno  chi  amoreggi  la  vedova,  e  anche  altre 
cose  più  arcane.  La  sputasenno  loda  a  mensa  il  cantore 
di  Enea,   s'intenerisce   per  la  povera  Elisa,  paragona 

1  Porsio,  Sat..  Ili,  i?<  e  segg.,  58-59,  IV,  33-11. 

S  Giovenale  Sat.,  II,  113-158,  VII,  178-187,  e  Vili,  1  e  sogg. 


Gap.  V.]  CONFORTI  ALLA  VIRTÙ'.  895 

Omero  e  Virgilio,  fa  imo  strano  rumore  di  parole.  Di- 
sputa anche  del  sommo  bene,  e  per  giunta  è  purista,  e 
guai  al  marito  se  gli  scappa  un  solecismo.  La  ricca  si 
crede  lecito  tutto,  e  nulla  tiene  turpe,  quando  ha  il  collo 
adorno  di  smeraldi,  e  le  orecchie  di  grosse  gemme.  Col 
marito  ha  la  faccia  sozza  di  empiastri,  e  ogni  suo  studio 
è  nel  farsi  bella  pel  drudo:  per  esso  l'oro,  le  perle,  le 
splendide  vesti,  i  profumi  dell'India.  Tutte  consultano 
di  strane  cose  chi  fa  professione  di  predire  il  futuro.  Le 
ricche  vanno  a  donne  giudee,  e  ad  astrologi,  ad  auguri 
d' India  e  di  Frigia,  e  al  vecchio  Etrusco  sotterratore  dì 
fulmini:  le  donne  del  volgo  consultano  cerretani  di  piazza. 
Ma  le  plebee  almeno  soffrono  i  pesi  e  i  perigli  del  parto, 
e  le  fatiche  dell'allattare  e  allevare  i  figliuoli,  mentre  le 
ricche  bevono  medicamenti  per  non  partorire  *. 

Tutto  egli  dipinge  con  vivi  colori,  e  consacra  all'in- 
famia ogni  opera  iniqua,  aggiungendo  nobili  conforti  al 
bene.  Volge  crude  rampogne  e  severi  precetti  ai  parenti, 
che  coir  esempio  corrompono  i  figli  2,  Dice  la  vendetta 
piacere  di  inferma  e  misera  anima:  predica  la  rigida 
virtù  degli  stoici,  di  cui  l'aspro  sentiero  può  solo  guidare 
a  vita  tranquilla 3.  Rammenta  che  il  peccato  porta  sempre 
seco  la  pena,  che  il  reo,  anche  assoluto  dall'avaro  giu- 
dice, ha  nella  coscienza  la  condanna  e  il  rimorso  tormen- 
tatore, e  che  anche  il  solo  pensiero  della  colpa  fa  l'uomo 
colpevole*:  prescrive  di  chiedere  agli  Dei  mente  sana 
in  corpo  sano,  e  animo  non  pauroso  della  morte  ^;  si 
scaglia  contro  il  fanatismo  religioso  che  conduce  alle 
stragi,  e  riprova  quelli  che  non  rendono  servigio  a  chi 
non   è   di  loro  setta  ^.  Discorre  nobilmente   dell'  obbligo 


1  Sat.,  VI  dal  principio  alla  fine,  XI,  181-1S7    Conf.  Marziale,  I,  35,  II,   1,  3J,  IV 
Vili,  SI,  X,  63,  CS,  XI,  50. 

2  Sat..  XIV,  41-58. 

3  Sat,  X,  363-361,  XIII,  lSO-192. 

4  Sat.,  XIII,  1-1  e  192-207. 

5  Sat.,  X,  356-357. 

6  Sat..  XV,  1  e  segg.,  XIV,  103-101. 


896  AMORE  DEL  BUONO  E  DEL  BELLO.  [Lib.  VIL 

dell'educazione  dei  giovani,  e  benedice  alla  memoria  degli 
avi,  che  il  precettore  vollero  venerato  come  padre  dei 
loro  figliuoli,  e  tenevano  per  capital  delitto,  se  un  giovane 
non  si  alzasse  al  comparire  di  un  vecchio  *.  Alle  sfrenate 
libidini  di  Roma  oppone  i  puri  costumi  di  altre  genti  2, 
e  a  chi  divora  grossi  patrimonii  in  un  pranzo  insegna 
che  poco  è  necessario  a  viver  felici  3.  E  poteva  confor- 
tare col  suo  esempio  i  precetti,  perchè  visse  parco,  be- 
veva in  tazze  plebee  comprate  a  vii  prezzo ,  e  alle  sue 
modeste  cene  leggevasi  Omero  e  Virgilio,  senza  canti  ne 
danze  di  lascive  fanciulle  ^. 

Può  dirsi  che  per  amore  di  effetto  sceglie  spesso  i  più 
forti  colori,  e  carica  il  quadro  delle  orgie  e  dei  vizi  ro- 
mani; ma  non  è  vero,  come  altri  disse,  che  siaselo  un 
declamatore  d'ingegno,  e  un  uomo  indifferente  ai  vizi 
mostruosi,  di  cui  fa  la  satira.  Egli  ha  amore  ardente  al 
buono  e  al  bello,  e  odio  implacabile  al  male.  E  mentre 
con  dolce  malinconia  ricorda  lo  schiavo  che  sospira  alla 
madre  lontana,  alla  povera  capanna  e  ai  noti  capretti  ("), 
l'indigoazione  gli  detta  versi  ricchi  di  forti  bellezze ,  e 
questi  fanno  spesso  sentire  che  la  parola  parte  verace- 
mente dal  cuore ,  e  mostrano  lui  ispirato  ,  originale  ed 
eloquente  poeta. 

Settanta  esametri  stampati  la  prima  volta  come  antichi 
nel  1498  a  Venezia,  e  recentemente  condannati  come 
spurii  in  Olanda^,  e   difesi  come   antichi  e  autentici  in 

{")  Suspirat  loiigo  non  visam  tempore  matrem. 

Et  casidam,  et  notos  tristis  desidei'at  hacdos. 

{Sat.,  Xr,  L52-lo3). 

»  Sat..  VII,  2i)7-210,    XIII,  5r!-5?. 

2  Sat.^  III,  ICS-ITO,  VI,  IGG-I«0. 

3  Sat.,  I,  i:r.,  XI,  115,  ecc. 

4  Sat.,  XI,  01-180.  Tonf.  Kivio,  XXXIX,  C;  Marziale,  V,  78,  2r,-2><,  e  Macroljio ,  Sat.. 
II.  1. 

5  Boot,  Commentatio  de  Sulpiciae  quae  fertili-  satira..  Amsterdam   18C8,  negli  Atti 
dell'Accademia  dei  Paesi  Bassi.  Vodi  anche  Teuffel,  Gesch.  der  ròm.  Lilteratur.,  305,  fi. 


Cap.  V.]  SATIRE  DI  SULPICIA  E  DI  TURNO.  897 

Italia  *,  posero  tra  i  satirici  latini  anche  una  donna,  Sul- 
picia  matrona  romana  già  famosa  pel  suo  amore  al  ma- 
rito Galeno  celebrato  in  teneri  versi  ^. 

Quando  Domiziano  die'  bando  ai  filosoli ,  essa  lasciò  i 
versi  leggieri ,  e  in  altro  metro  domandò  ,  se  volevasi 
mutar  gli  uomini  in  belve  e  distrugger  l'Impero,  fondato 
colle  armi  e  retto  colla  sapienza;  e  pensava  di  partire 
dalla  città  desolata,  in  cui  era  gloria  e  felicità  l'ignoranza. 
Ma  la  Musa,  diletto  unico  della  sua  vita,  la  conforta  a 
star  di  buon  animo,  perchè  i  decreti  di  un  mostro  non 
possono  spegnere  la  luce  del  sapere  nel  mondo,  e  la  per- 
secuzione ricadendo  sul  capo  di  lui  farà  sì  che  perisca 
coperto  di  eterno  odio:  e  le  Muse  amiche  a  Roma  ri- 
marranno con  Egeria  nei  laureti  e  nei  fonti  di  Numa. 

Anche  Turno,  un  liberto  potente  alla  corte  di  Tito  e 
di  Domiziano  ^,  si  volse  con  grande  animo  alla  satira, 
e  per  quanto  può  argomentarsi  da  una  citazione  di  esso  '■ 
relativa  a  Locusta  già  infame  maestra  di  veleni  nel  pa- 
lazzo imperiale,  sembra  che  inveisse  contro  la  crudeltà 
di  Nerone  con  ardenti  e  nobili  versi,  i  quali  sono  ricor- 
dati con  molta  lode  più  volte  anche  nei  secoli  appresso  ("). 

(«)  Marziale,  VII,  97,  XI,  10;  Rutilio  Numaziano,  Iter.,  I,  603-604;  Si- 
donio  Apollinare,  Carm.,  IX,  206;  Lido,  De  niagistralibus,  I,  41;  Boisso- 
nade,  Sur  Turnus ,  Satirique  latin  à  l'occasion  d'un  passage  de  Lydus, 
in  Critiqiie  littéraire  sous  le  premier  empire,Va.YÌii  1865,  voi.  I,  pag.  320-325. 
pubblicato  dal  Colincamp  il  qiialn  a  pag.  125  nota  che  i  30  versi  contro 
i  poeti  dei  tempi  Neroniani  [Indignalio  in  poetas  Neronianorum  tem- 
porum),  creduti  antichi  dal  Wernsdorf  e  dal  Burmann,  non  sono  di  Turno, 
ma  di  I.  L.  G.  Balzac,  e  si  trovano  a  pag.  38  del  tomo  III  delle  sue 
opere  stampate  nel  1665  a  Parigi.  Su  ciò  vedi  anche  L.  Quicherat.  in 
Revue  de  Vinstruction  pullique,  Paris  1869,  pag.  341-345. 

1  Sulpiciae  Caleni  satira  recensuil  Dominicv.s  CaruttL  Augustae  TaurÌDorum,  Estr. 
dalle  Memorie  dell'  Accademia  delle  Scienze  di  Torino^  serie  H,  tomo  28. 

2  Marziale,  X,  35  e  3S  ;  Ausonio,  Idilli  XIU  in  fine;  SiJonio  Apollinare,  Carni. ^  IX, 
2-j8-259  . 

3  Schei,  ad  luvenal.,  Fiat.:,  I,  20. 

4  Schei,  ad  luvonal.,  Sat..  1,71. 


898  IL  SATIRICO  DI  PETRONIO  ARBITRO.  [Lib.  VII. 

Descrizioni  e  satire  di  costumi  sono  pure  i  romanze- 
schi racconti  di  Petronio  Arbitro  e  dell'  affricano  Apu- 
leio (").  Di  Petronio  non  sappiamo  nulla  di  certo  quanto 
alla  vita ,  né  è  chiarito  se  sia  quel  voluttuoso ,  che  ve- 
demmo maestro  delle  eleganze  alla  corte  di  Nerone  \ 
a  cui  in  qualche  parte  somigha  (*).  Comunque  sia,  il  Sa- 
tirico, scritto  come  la  satira  menippea  varroniana  {")  in 
prosa  mista  di  versi,  ha  graziose  narrazioni,  contaminate 
da  grandi  sconcezze,  e  notizie  importanti  sugli  usi  e  sulle 
istituzioni  del  tempo.  Vediamo  per  esempio  il  pretore  di 
Napoli  incaricato  della  polizia  sugli  abitanti  e  sui  fore- 
stieri, e  il  suo  littore,  che  inscrive  il  loro  nome,  la  patria, 
la  professione,  lo  scopo  dei  loro  viaggi  sopra  un  registro 
pubbHco,  e  visita  a  questo  fine  le  locande  della  città;  e 
le  guardie  e  il  procuratore  del  quartiere  accorrenti  la 
notte  a  quietare  i  tumulti  e  ad  estinguer  gU  incendi,  e 
il  pubblico  banditore  che  va  in  cerca  di  un  ragazzo  smar- 
rito, e  ne  dà  i  connotati,  e  promette  mille  nummi  di 
mancia  a  chi  aiuti  a  trovarlo  -.  La  scena  ora  è  a  Napoli, 
ora  a  Crotone.  Il  racconto,  che  viene  spesso  di  vena,  pro- 
cede disordinatissimo:  diresti  l'autore  ebbro,  come  i  suoi 
personaggi,  le  cui  buffonesche  e  stravaganti  avventure 
danno  occasione  a  descrivere  le  ridicolezze  e  i  grandi  vizi 

C)  Un  confronto  tra  essi  può  vedersi  in  Chassang-,  Hisfoirc  du  roman 
et  de  ses  rapports  uvee  l'histoire  dans  l'antiquitc  (jrecqiie  et  latine, 
Paris  1862,  pag.  104  e  segg. 

(^)  L'autore,  chiunque  sia,  ora  si  tiene  vissuto  ai  tempi  di  Nerone. 
Vedi  Studer,  Ueber  das  Zeitalter  des  Petronius  Arbiier,  in  Rhein.  Mu- 
seum,  1813,  voi.  II,  pag.  50-92  e  202-223;  BUeheler  nella  sua  edizione 
critica,  Berolini  18G2;  e  conf.  Reck,  The  age  of  Petronius  Arhiter , 
Cambridge  (America)  185G,  il  quale  Io  pose  ai  tempi  di  Augusto  e  di 
Tiberio. 

<^)  Pei  vei'si  sulla  guerra  civile  vedi  le  dissertazioni  del  ?»Ioessler  ci- 
tate sopra  a  pag.  879. 

1  Vedi  sopra  a  pag.  112. 

2  Salyric,  15,  7S,  90  e  'Jl. 


Cap.  V.]  IL  SATIRICO  DI  PETRONIO  ARBITRO.  899 

del  secolo.  Si  parla  di  morale,  di  filosofìa,  di  eloquenza, 
di  declamazione,  di  poesia,  di  poeti  fanatici,  e  di  ridicoli 
recitatori  di  epigrammi,  che  il  pubblico  piglia  a  sassate. 
Siamo  sempre  in  mezzo  a  giovani  discoli,  a  vagabondi,  a 
novelle  di  garbugli,  di  filtri  amorosi,  di  sconci  misteri,  di 
feste  priapee,  di  servi  m.inistri  a  lussurie,  di  zingari,  di 
vecchie  maliarde,  di  meretrici  furiose,  e  di  altre  lordure. 
Vi  sono  canti,  danze  e  tripudii,  che  ci  apprendono  orribili 
eccessi.  Trimalcione  tipo  dei  liberti  divenuti  opulenti  e 
potenti  per  via  di  sporcizie,  di  industrie  e  di  usure,  dice 
ai  suoi  commensali  :  «  un  po'  di  cervello  è  ciò  che  fa  gli 
uomini,  e  tutto  il  resto  è  quisquilia  :  ognuno  vale  quello 
che  ha:  siate  ricchi  e  sarete  stimati:  così  io  che  fui  rana, 
ora  son  re  K  »  La  sua  casa  splendida  di  marmi  e  capace 
di  mille  ospiti  offre  l'esempio  estremo  del  lusso  e  del  fasto 
dei  nuovi  ricchi.  Egli  misura  a  staia  i  quattrini,  copre 
il  mare  colle  sue  navi,  ha  un  popolo  di  servi,  e  tanti 
fondi,  quanti  ne  volano  i  nibbii.  Grossolano,  si  ubriaca, 
bastona  e  chiama  vipera  la  moglie  che  lo  aiutò  ad  ar- 
ricchire, ed  ella  chiama  lui  cane:  si  tiene  dattorno  schiavi 
liberati  dagli  ergastoli,  retori  e  poeti  affamati ,  e  mara- 
viglia tutti  coi  portenti  delle  sue  cene ,  alle  quali  parla 
disordinatamente  e  barbaramente  di  tutto,  e  dice  grandi 
spropositi,  e  i  suoi  convitati  lo  gridano  filosofo  superiore 
ad  ogni  altro.  Ivi  si  cantano  poesie;  egli  Omeristi,  una 
specie  di  comici,  recitano  squarci  dei  poemi  d'Omero.  Vi 
è  l'eloquenza  del  vino.  I  commensali  brilli  parlano  alle- 
gramente e  argutamente  in  lingua  plebea  con  proverbii 
e  solecismi  e  arcaismi  e  riboboli  -,  e  saltano  di  palo  in 
frasca,  contando  novelle  scandalose  di  amori  fra  le  pa- 
drone e  gli  schiavi,  e  aneddoti  di  spettacoli  e  di  gla- 
diatori. Vituperano  gli  edili ,  che  sono  d'  accordo  coi 
fornai  per  far  patire  la  fame  ai  poveri,  e  dicono  che  la 

1  Satyric,  75  e  77. 

2  Su  ciò  vedi  Ludwig,  De  Pelronii  Sermone  pleheio^  Lipsiae  1S70. 


000      APULEIO  ORATORE,  POETA.  MAGO,  FILOSOFO,  ECC.  [Lib.VH. 

miseria  viene  dalla  miscredenza;  e  increduli  essi  mede- 
simi narrano  che  una  volta  le  donne  andavano  a  pie 
nudi  e  coi  capelli  sparsi  a  chiedere  a  Giove  la  pioggia, 
e  tosto  pioveva  a  diluvio  :  e  che  si  curano  oggi  gli  Dei 
quanto  i  sorci,  e  quindi  le  campagne  languiscono.  Altri 
parla  della  letteratura,  che  non  dà  da  mangiare,  e  celebra 
come  più  profittevoli  le  arti  di  barbiere  e  di  banditore. 
Dicono  anche  molto  male  delle  donne,  esseri  del  genere 
(lei  nihhii,  cui  non  bisogna  far  bene,  perchè  è  come  but- 
tarlo nel  pozzo  K 

Lunga  e  sanguinosa  satira  contro  le  donne  è  pure  il 
romanzo  di  Lucio  Apuleio  -,  nato  a  Madaura,  colonia  ro- 
mana dell'Affrica,  e  fiorito  ai  tempi  degli  Antonini.  Studiò 
dapprima  a  Cartagine,  poi  ad  Atene  :  quindi  acceso  dal- 
l'amore d'ogni  sorta  di  studi  corse  per  dieci  anni  l'O- 
riente, la  Grecia  e  l'Italia;  attese  soprattutto  a  indagare 
le  religioni  dei  vari  paesi,  e  j^er  amore  del  vero,  e  2^er 
dovere  verso  gli  Dei  si  fece  iniziare  a  tutti  i  misteri. 
Consumato  l'aver  suo  in  viaggi  e  beneficenze  si  ridusse 
alla  patria  e  rifece  la  fortuna  coli' esercizio  dell'avvoca- 
tura e  collo  sposare  una  ricca  vedova  di  Oea  [TripoliJ 
molto  più  attempata  di  lui.  I  parenti  di  essa  gli  mossero 
causa,  accusandolo  di  aver  usato  sortilegi  e  magie  per 
ottenerne  la  mano.  Ma  egli  valentemente  si  difese  da- 
vanti al  proconsole  d'Africa,  e,  confusi  gli  accusatori, 
visse  lieto  degli  affetti  domestici,  onorato  di  statue  e  di 
ufficii  sacerdotali  a  Cartagine,  riverito  pei  trionfi  della 
sua  universale  eloquenza,  consultato  per  la  sua  fama  di 
mago  e  taumaturgo  ^,  ardente  fino  all'estremo  a  improv- 
visare e  scrivere  in  greco  e  in  latino,  in  prosa  e  in  verso 
opere  serie  e  scherzose,  speculazioni  filosofiche,  apparati 
rettorici,  orazioni,  elogi  ai  proconsoli,  storie,  dialoghi, 

l  Sal'jric.,  \:>. 

•  Metarnorphoseon ,  sive  de  ashw  aureo  lilri  XI. 

3  Angustino.   Epist.  13(!  e  138;  Lattanzio,  Dii'i«.  Instit..  V,  3. 


Gap.  V.] 


OPERE  UI  LUCIO  APULEIO. 


<.)01 


poesie  epiche  e  liriche,  satire,  commedie  e  tragedie, 
scritti  di  aritmetica  di  astronomia,  di  storia  naturale,  <li 
medicina,  di  musica  (^). 


Lucio 


Apuleio  (Righetti^  C'anq} 


id.,  I,  tav 


Di  tutto  ciò  rimasero  solo,  oltre  alle  Metamorfosi,  al- 
cuni  scritti  filosolici ,  e  1'  apologia  ,  e  più  estratti  delle 


{")  Fiorici.,  I,  9  e  .^egg.,  e  Apologia  sive  de  magia,  passim.  La  più 
parte  delle  notizie  della  vita  di  Apuleio  vengono  dalle  Floride  e  C.a.W Apo- 
logia. Vedi  Bos.scha,  Be  Appideii  vita,  scriptis,  codicibus  el  edilionibus, 
in  Appuleii  Oudendorpiani,  tom.  III,  pag.  504-582,  Liigduni  Batavorura 
1823;  e  Bétulaud,  Apulóe ,  de  sa  vie  et  de  ses  ouvrages,  nella  sua  tra- 
fluzione  francese,  Paris  1862,  nouv.  édition,  voi.  I,  pag.  I-XXXVII. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  )  :;{ 


902    IL  ROMANZO  DELL"  UOMO  TRASFORMATO  IN  ASINO.  [Lib.  VIL 

sue  orazioni  (Florida)  che  attestano  i  gusti  letterarìi,  le 
idee  religiose,  e  la  vita  sociale  e  morale  del  mondo  ro- 
mano al  tempo  degli  Antonini,  come  dei  grandi  disor- 
dini e  della  estrema  corruzione  sono  rivelazione  tristis- 
sima le  Metamorfosi,  romanzo  strano,  senza  disegno, 
senza  unità,  senza  carattere,  senza  verisimigiianza , 
scritto  in  lingua  ruvida,  barbara  spesso,  e  oscura  per 
abuso  di  neologismi  e  per  alTettazione  di  vecchie  pa- 
role, e  piena  di  gonfiezze,  e  corrotta  dall'uso  volgare  del 
parlare  affricano  *.  Vi  dominano  il  misticismo,  le  magie, 
e  r  odio  alle  donne,  cui  1'  autore  dà  solo  la  potenza  del 
male:  le  fa  streghe  e  mostri  di  scelleratezze.  Egli  narra 
le  strane  avventure  di  un  uomo,  mutato  in  asino  per  arte 
d'incanto,  e  nel  riferire  le  cose  da  esso  vedute,  passando 
da  uno  ad  altro  padrone,  ritrae  i  grandi  disordini  e  le 
orgie  e  i  delitti  di  questi  tempi.  Si  vedono  bande  di  ladri 
assalire  le  città  in  pieno  giorno:  giovani  delle  prime  fa- 
miglie, che  corrono  notturni  le  vie  ad  orgie  e  ad  assas- 
sinii;  viaggiatori  spogliati  e  uccisi;  famiglie  che  si  fanno 
guerra  a  mano  armata,  senza  che  i  magistrati  interven- 
gano; prepotenze  di  ricchi  che  spogliano  e  uccidono  i 
deboli,  e  mandano  bestie  nocevoli  sugli  altrui  possessi  a 
danneggiare  uomini  e  cose  2;  prepotenze  soldatesche; 
tristissime  condizioni  di  schiavi;  sacerdoti  infami  più  che 
bagasce,  i  quali  vendono  gli  oracoli  ai  contadini,  e  con 
astute  divinazioni  si  buscano  dagli  stolti  pecunia  e  buoni 
conviti;  portenti  di  maghe,  che  cogli  incantesimi  conta- 
minano i  sepolcri  e  ne  rapiscono  i  cadaveri  ;  delitti  com- 
messi per  impeto  di  furiosa  libidine;  arti  infmite  di  donne 
facinorose,  che  ingannano  e  disonorano  e  uccidono  i  ma- 
riti, matrigne  inique  ai  figliastri,  e  altre  indicibili  abomi- 

i  Vedi  Cavalin,  De  L.  Apuleio  scriplore  latino,  Lundae  18r>7,  pag.  21  e  òO ,  ecc.; 
KTdmunn,  De  Apuleii  etocutiodt' ,  Stendal  180J-,  Kretschniann,  De  latinitate  Apuleii  , 
K.inijrsberg  180;);  Koziol,  Der  SUI  des  L-  ApuleiuR  Fin  BMtrnn  zyr  KevOmK  (>e:i  xo- 
f/ennanlen  ofrikanischen  Laleins.  Wien  1872. 

2  fonf.  Giovt-nalp.  Snt..  XIV,  llO-ir.:.. 


Cap.  V.J  (ILI  EPIGRAMMI  DI  MARZIALE.  903 


nazioni.  E  a  tutto  quel  sucidume  si  mescolano  le  idee 
filosofiche  e  il  neo  Platonismo,  e  gli  intendimenti  morali: 
e  in  una  caverna  di  ladri  è  il  racconto  degli  amori  di 
Cupido  e  di  Psiche,  la  più  graziosa  novella  dell'anticliità 
che  altri  suppose  inventata  per  celebrare  e  raccomandare 
il  puro  amor  coniugale,  come  a  protesta  contro  le  immani 
sfrenatezze  del  secolo  ("). 

Lo  spirito  satirico  si  ritrova  anche  in  M.  Valerio  Mar- 
ziale, autore  di  oltre  millecinquecento  Epigrammi ,  pa- 
recchi dei  quali  sono  belli,  eleganti,  arguti,  chiari,  concisi, 
altri  mediocri  e  cattivi,  molti  osceni  oltre  modo:  docu- 
menti del  molto  ingegno  e  della  servilità  del  poeta,  e 
del  fango  tra  cui  cogli  altri  si  voltolò  lungamente.  Sono 
come  piccoli  quadri  di  genere^  che  accennano  il  lusso 
smodato  e  le  brutture  di  Roma,  e  hanno  storie  di  zerbini 
che  vogliono  passare  per  uomini  grandi,  di  zanzeri  pagati 
100  mila  sesterzi,  di  parasiti  usanti  ogni  sorta  di  adula- 
zioni per  avere  una  cena;  di  commedianti,  di  giocolieri, 
di  spie,  di  calunniatori,  di  barattieri,  di  meretrici  e  ruf- 
fiane, e  di  drude  legali,  che  hanno  fatto  dieci  volte  di- 
vorzio, e  che  sposano  tutti  gli  amanti  *.  Ma  tutte  queste 
ed  altre  sconcezze  egli  nota  e  satireggia  per  trovare  ar- 
guzia e  materia  da  ridere,  non  per  coreggere  il  male. 
Mentre  dichiara  che  tra  le  lascivie  dei  versi  serba  pura 
la  vita  (^),  nel  ritrarre  il  laidume  mostra  che  è  solito  a 
praticare  con  esso,  e  vi   si  avvolge  per  proprio  piacere 

(«)  Per  11'  Metamorfosi  ve<li  Goumv,  Be  Apuleio  fabularum  scriptore 
et  rhetore  j  Paris  1859;  Charpentier.  Apnlccj  hi  Ecrirains  latina  de 
r empire,  Paris  1859,  pai;'.  387-413;  Prowelt.  Apulre  philosophe  et  ro- 
ma ncAer ,  in  Revue  Britannique ,  dèe.  1873,  jia^.  273-304;  Jenniug,  De 
metamorphosibus  L.  Apuloii ,  tum  de  Apuleìi  eptisodiis,  tura  de  Ha 
locis   qui  e  Lucio  Pairensi  videntur  translaii  esxe,  I.ipsiae  1871. 

(*)  Lascivo.  ef!t  nnbiff  pagina,  vita  proba  c^'t ,  I.  T).  Conf.  VII,  55,  <^- 
XI,  15. 

1  Epigr.,  I,  \i'  -  50,  VI,  7,  e-  IX,  IC.  V<;(Ii  anche  Giovenale,  Sat..  VI,  2*). 


904  GLI  EPIGRAMMI  DI  ^MARZIALE.  [Lib.VII. 

e  ne  parla  per  dare  nel  genio  ai  lettori  *.  Pei  suoi  arguti 
versi  presto  ottenne  gran  fama  a  Roma,  dove  sui  23  anni, 
verso  il  Gì  dell'era  volgare  venne  da  Bilbili  sua  terra 
natale  nella  Spagna  Tarraconese.  Egli  stesso  ci  dice  che 
i  suoi  Epigrammi  gli  procacciarono  in  vita  gli  onori,  che 
altri  conseguono  di  rado  dopo  la  morte  -.  Per  essi  è  mo- 
strato a  dito  per  la  città,  e  dà  gloria  al  suo  secolo  e  al 
suo  luogo  natale  ^.  Alcuno  li  sa  tutti  a  memoria,  e  ne  fa 
la  recita  al  pubblico  *;  altri  gli  spaccia  per  proprii  ^:  ne 
sono  piene  le  botteghe  dei  librai  nell'Argileto  ^,  hanno 
plauso  alla  corte  ':  cercati,  recitati  e  lodati  in  tutta  la 
città,  nelle  Gallio  tra  le  dehzie  viennesi,  in  Britannia, 
negli  accampamenti  tra  le  brine  dei  Geti,  e  per  tutto  l'Im- 
pero in  ogni  luogo  dove  non  siano  orecchie  di  rustici  e 
barbari  Batavi*.  Pure  fra  tanta  fama  la  povertà,  a  quanto 
sembra,  non  lo  abbandonò  mai,  quantunque  per  aver 
denari  facesse  anche  gli  epitaffi  pei  morti  ^:  perchè  conti- 
nuamente si  duole  delle  sue  strettezze  e  delle  misere 
sportule  mendicate  con  grande  molestia  nelle  case  dei 
grandi  '°,  e  ripete  che  la  gloria  non  gli  toglie  il  vuoto 
alla  borsa:  dice  che  è  mal  vestito  e  gela  nel  verno,  fa 
suppliche  per  avere  una  toga,  e  tegoli  per  la  sua  povera 
casa;  chiede,  e,  senza  guardare  a  ripulse,  torna  a  richie- 
der denari;  e  poi  confessa  esser  meglio  fare  il  ciabattino, 
perchè  le  scarpe  danno  più  pane  che  i  versi,  e  chiama 
stolti  i  parenti  che  gl'insegnarono  le  lettere,  e  prega  che 
altri  non  segua  il  mal  consiglio  di  mandare  i  figliuoli  a 


1  Epigr.^  I,  -.V),  V,  Ki. 
«  Epigr.,  I,  2,  III,  !»:.. 

3  Epig;:,  IX,  i»S,  X,  io:;. 

4  Epigr.,  VII,  -.1. 

■''•  Epigr.,  I,  :'.((,  :v:ì,  :>:!,  :>!,  ><;,  r.->,  xii,  ';:; 

0  Epigr.,  I,   I  e  US,  XIII,  ::. 

-  Epigy..  IV,  27,  VII,  W. 

«  Epigr.,  V,  1.'!,  VI,  (11.  s-.',  VII,  Ss,  Vili,  (il,  IX,  ns,  X,  (/,  XI,  :!. 

9  Epigr. ,  V,  :ìI,  VI,  i>s,  •.'!!,  5-.',  OS,  Tf!,  VII,    1(1.  !)ii,  IX,  •-':i,  X,  .'U,  CI  e  fi:!,  XI,  l:!. 

10  Epi!>t..  I,  m,  II,  is,  w,  III,  T,  :ì^,  V,  1:;  <•  7-,  vili,   [■>.  X,  s-.>,  XII,  !»:',,  XIII,  :!. 


Gap.  V.]  SCOXCE  ADULAZIONI  A  DOMIZIANO.  905 

grammatici  e  a  retori  *.  Passati  34  anni  a  Roma  ^  tra  la 
povertà  e  la  viltà,  dopo  la  morte  di  Domiziano  si  provò 
vanamente  a  tentare  la  fortuna  lodando  Nerva  e  Traiano  ^  : 
e  quando  stanco  delle  brighe  cittadine,  dei  fastidi  della 
toga,  delle  acri  liti  del  tristo  Fóro,  degli  atrii  dei  superbi 
potenti  e  delle  noie  di  ascoltar  poeti,  grammatici  e  cau- 
sidici ''^  e  punto  da  amore  del  suolo  nativo,  volle  tornare 
alla  quota  vita  di  Bilbili  ^,  Plinio  dovè  somministrargli  il 
denaro  per  fare  il  viaggio  ^.  Né  se  ne  era  stato  dal  chie- 
dere umilmente  ai  potenti  e  a  Domiziano  ',  del  quale  lodò 
la  grande  mitezza,  dicendolo  più  benigno  di  Giove,  e  tu- 
tela e  salute  e  gloria  e  padre  del  mondo,  e  caro  a  Roma 
più  di  quello  che  mai  fosse  altro  principe,  e  cantando  i 
buoni  costumi,  la  rara  felicità  e  la  libertà  del  suo  secolo  *: 
chiamando  pudico  e  corettore  dei  pubblici  costumi  col 
santo  esempio  e  colla  santa  censura  colui  che  teneva  nel 
suo  letto  la  nipote  maritata  ad  un  altro';  e,  tra  molte 
altre  cose,  celebrandone  seriamente  le  prodezze  guerre- 
sche, e  i  ridicoli  trionfi  del  Reno  e  dell'  Istro  *",  e  i  con- 
viti comparabili  a  quelli  di  Giove  **,  e  il  celeste  ingegno 
poetico  e  la  grande  protezione  ai  poeti  ^^  smentita  dalla 
povertà  (")  e  poi  anche  dalle  ritrattazioni  del  lodatore  '•"', 

(^)  ^larziale  ebbe  da  Tito  il  rliritto  dei  tre  figliuoli  LOiifermatogli  da  Do- 

1  Epigr.^  I,  77,  V,  ir,,  VII,  :«!,  m,  <)?,  VI,  111,  s:?,  Vili,  21,  IX,  50,  X,  7.".,  VII,  r.:\  IX, 
71,  V,  TiO. 

2  Epigr..  X,  103  e  lOt,  XII,  :!1  e  31. 

3  Epigr.,  X,  0,  7,  31,  72,  XI,  4,  5,  XII,  5,  6,  8. 

4  Epigr.,  I,  50,  HI,  4,  V,  20,  X,  70,  XII,  2C,,  31. 

5  Epigr.^  X,  95,  XII,  dedic,  o  IS. 
C  Plinio,  Epist...  Ili,  21. 

7  Epigr.,  IV,  27,  VI,  10,  VII,  30,  Vili,  2S,  82,  X,  7:;. 

S  Epigr.,  II.  01,  V,  1,  8,  19,  VII,  5,  8,  56,  Vili,   1,  8,   11,  15,  31,  IX,  71. 

9  Epigr.,  VI,  4,  7,  45  e  91,  IX,  17;  conf.  Svetonio,  Dom.,  22;  Dione  Cassio,  LXVIt,  ::. 

10  Epigr.,  II,   2,   V,  19,  Vili,   1,  2,  51  e  05,  IX,  7;  oonT.  Tacito,  Agric,  39;    Plinio, 
Paneg^  IG;  Dione  Cassio,  LXVII,   1  e  7. 

11  Epigr.,  Vili,  50,  IX,  92. 

12  Epigr.^  V,  5,  Vili,  8. 

13  Epigr..  XII,  0  e  15. 


006  RECITAZIONI  PUBBLICHE  A  ROMA.  [Lm.  VII. 


comecché  ripetuta  nei  versi  di  tutti  i  poeti  di  corte,  e 
nelle  declamazioni  delle  pubbliche  recite  che  erano  le 
accademie  d'allora. 

Le  recitazioni  cominciate  intorno  ai  tempi  di  Augusto, 
si  facevano  in  pubblico  e  nelle  case  private.  Asinio  Pol- 
lione,  sdegnoso  di  intervenire  alle  grandi  e  volgari  adu- 
nanze, invitava  a  casa  gli  amici,  per  recitar  loro  i  suoi 
scritti  *.  Augusto  incoraggiò  l'uso  intervenendo  a  quelle 
letture  ("):  e  quantunque  gli  uomini  di  gusto  le  riprovas- 
sero, il  recitare  divenne  una  vera  mania.  Leggevasi  per 
le  piazze,  alle  terme,  nelle  case  private,  per  tutto:  si  re- 
citavano storie,  dialoghi,  orazioni,  ma  più  spesso  poesie, 
e  gli  uditori  applaudivano  furiosamente  ai  lettori  che  gli 
avevano  regalati  di  ricche  cene.  Orazio  si  doleva  delle 
letture,  come  di  un  danno  per  l'arte  2;  ma  erano  avida- 
mente ricercate  da  Ovidio,  che  nell'esilio  si  lamenta  di 

iniziano  (li,  91  e  92,  III,  95,  e  IX,  97)  che  gli  détte  anche  ([iialche  cena. 
e  il  vano  titolo  di  cavaliere  onorano  (V,  13  e  17,  IX,  50,  XII,  26).  e  la  di- 
gnità di  tribuno  (III,  95):  ma  non  consta  che  gli  donasse  il  magro  e 
ìninimo  fondo  rustico  con  la  villuccia  di  Nomento  {Mentana)  (II,  38,  V,  43, 
IX,  19,  X,  94;  vedi  anche  1,  106,  e  XIII,  119),  né  la  piccola  casa  che 
ebbe  in  città  {parvi  in  urbe  Lores...,  parva  in  urbe  domus,  IX,  19  e  98). 
Vedi  Brandt,  De  Martialis  poetae  vita  et  scriptis  ad  annorum  compu- 
lationem  dispositis,  Berolini  1853,  pag.  30,  ecc.  Sul  tempo  in  cui, pub- 
blicò gli  Epigrammi  è  da  vedere  Friedlaender,  De  temporibus  librorum 
Martialis  Doniitiano  imperatile  editorum ,  et  Silvaruin  Statii ,  Regi- 
raonti  1862. 

C)  Svetonio.  Aug.:,  89.  Recentemente  si  credè  di  avere  scoperta  la 
sala  semicircolare  destinata  a  queste  recitazioni  negli  orti  di  Mecenate 
fiull'Esciuilino.  Vedi  V.  Vespignani  e  C.  L.  Visconti,  Antica  sala  da  recita- 
zioni, ovvero  auditorio,  scoperto  fra  le  mine  degli  orti  mecenaziani 
sìiW Esquilino j  in  Bulleitino  della  Commissione  archeologica  munici- 
pale, Roma  1874,  pag.  137-173;  e  conf.  ISIau.  in  Bull.  Isùt.  ardi..  1874. 
l.ag.  141-144,  e  1875,  pag.  89-96. 

'  Seneca,  Contro'^.  Excerpt.,  lib.  IV,  praef.  ;  Weber,  De  poetarutn  Romanorum  re- 
ciiationibux.  Vimariae  18?S;  Gierig,  Excursus  I  in  Plinti  Epistolas,  toni.  II,  pag.  ÒHS; 
l 'riedlaender,  Moeurs  romaineSj  traci,  par  Ch.  Vogel,  Paris  ISTI,  voi.  IV,  pag.  70-7S. 

2  Sai.,  I,   J,  T.',,  ecc.;  Epist.,  I,  19,  37  e  segg. 


Gap.  V.]  RECITAZIONI  PUBBLICHE  A  ROMA.  907 

non  aver  chi  lo  ascolti,  e  lo  conforti  di  plausi  '.  Conti- 
nuarono poscia  con  più  ardore,  e  divennero  una- istitu- 
zione dello  Stato  promossa  dai  principi  per  regola  di 
buona  politica  ^,  e  si  fecero  ognora  più  frequenti,  e  noc- 
quero  sempre  più  alla  buona  cultura  degli  studi ,  come 
esercizi  di  vanità,  e  ostentazione  teatrale  di  gente  da 
poco  desiderosa  di  plausi  '.  Vi  andava  Claudio  *,  e  Nerone 
leggeva  e  ascoltava,  applaudiva  ed  era  applaudito  a  fu- 
rore ^.  Poscia  le  rivoluzioni  militari  non  lasciano  tempo  a 
questi  esercizi  sotto  Galba,  Ottone  e  Vitellio,  ma  si  torna 
a  leggere  più  che  mai  ai  tempi  di  Domiziano,  il  quale 
dopo  aver  simulato  gusto  pei  versi,  e  recitato  pubblica- 
mente *,  salito  sul  trono  istituisce  gare  e  premi  poetici  '. 
Si  recitano  tragedie  e  commedie,  versi  lirici,  poemi, 
orazioni.  Questi  legge  da  sé:  quegli  fa  leggere  le  cose  sue 
ai  liberti  ;  altri  offre  la  casa  a  chi  vuol  recitare  ^.  Ai 
tempi  di  Traiano  ,  Plinio  il  Giovane ,  che  recitava  agli 
amici  anche  per  più  giorni  di  seguito ,  era  lieto  che 
altri  attendessero  a  questi  esercizi,  e  ne  diceva  mirabili 
cose  ^:  ma  vediamo  in  lui  ricordate  anche  scene  ridi- 
cole, che  dicono  come  quelle  letture  dovessero  cadere 
in  dispregio,  e  nuocere  all'arte,  invece  di  aiutarla,  con 
quel  perpetuo  commercio  di  applausi.  Egli  narra  con 
indignazione  dei  lodatori  presi  a  nolo  nei  tribunali,  ove 
questa  infamia  uccise  l'eloquenza*®:  ma  al  tempo  stesso 

1  F..r  Ponto,  IV.   >,  :',1.:!S:   l'nst..  Ili,  1  I,  :■.!(. 

2  Vedi  Nisaid,  É^Mdes  de  moeurs  et  de  critique  sur  les  poòCes  latins  de  la  decadence^ 
Paris  ls:u,  voi.  I,  pag.  28G. 

3  Vedi  Hulleman,  De  Uterarum,  praesertim  latinarum  apud  Romanos  sludiis  Nerva 
Traiano  hn-peratore,  Lugduni  Batavorum  IsriS,  pap-.  12. 

i  Plinio,  Epist.,  I,  13 
5  Svetonio,  Ner.j  10. 
G  Tacito,  Hist.,  IV,  86;  Svetonio,  Domit.^  2. 

7  Svetonio,   Domit.^    l\   Stazio,   Silv.,   Ili,  :>,  2S,  ecc.,  IV,  2,  fii,  IV,  :>,  ^2;  Marziale, 
IX,  21. 

8  Plinio,  Epist.,  V,  3,  VI,  21,  Vili,  12,  IX,  M:  Marziale,  IV,  ti;  Giovenale.  I,  12-U, 
VII,  40. 

9  Plinio,  Epist..  I,  13,  V,  3,  9,  VII,  17,  VIII,  21. 
'0  Plinio,  Epi^t.^  II,  14. 


908  RECITAZIONI  PUBBLICHE  A  ROMA.  ;  Lib.  VII. 

si  sdegna  contro  quelli  che  alle  letture  non  applaudi- 
scono i-  superiori,  gli  inferiori,  gli  eguali  *.  Il  che  non 
sappiamo  come  potesse  giovare  alla  critica  e  all'  arte  -. 
Ma,  quantunque  si  sforzi  a  provare  che  ciò  faceva  l3ene 
agli  studi,  si  vede  dalle  sue  stesse  parole,  che  la  noia 
aveva  invaso  quei  luoghi,  e  che  i  più  ne  fuggivano  3. 
Da  altri  pure  sappiamo  che  il  senso  comune  si  rivoltava 
contro  questi  vani  esercizi.  Fino  dai  tempi  di  Nerone 
Persio  si  burla  dei  patrizi  plaudenti  a  poetastri,  e  det- 
tanti versi  dai  letti  di  cedro  in  mezzo  a  una  turba  di 
parasiti  che  batton  le  mani  '-.  Poscia  Giovenale  pone  tra 
gl'incomodi  di  Roma  la  frenesia  dei  poeti,  che  s'incon- 
trano a  turbe  e  opprimono,  anche  nel  mese  d'agosto,  con 
tragedie  e  poemi,  e  con  loro  rancide  novelle  di  Minotauri, 
di  Gorgoni  e  Scille;  e  si  burla  dei  ricchi,  che  prestano  ai 
recitatori  qualche  lurida  stanza,  ma  non  pagano  neppur  la 
spesa  dei  banchi  ^.  Dei  recitatori  molestissimi  si  fa  beffe 
anche  Marziale®:  e  le  letture  pubbliche,  dopo  aver  per- 
duta la  poesia,  cadono  anch'esse,  e  deplorabile  diviene 
la  sorte  dei  poeti,  impediti  dalla  fame  di  essere  originali 
e  indipendenti,  e  costretti  a  fare  il  fornaio,  il  bagnaiuolo 
e  il  banditore,  a  mettere  in  pegno  vesti  e  scodelle,  ad 
aggirarsi  famelici  per  gli  atrii  dei  grandi,  che  gli  ammi- 
rano e  lodano,  ma  profondono  l'oro  in  meretrici,  e  in 
comprare  e  nutrire  a  grande  spesa  leoni  domati  ". 

Fra  i  recitatori  delle  accademie  applauditissimo  era  chi 
più  lodasse  il  principe  e  i  suoi  cortigiani.  A  Napoli  fio- 
riva nel  secolo  secondo  un  poeta  più  volte  coronato 
fino   dalla   prima  gioventù    nei   pubblici  agoni,  maestro 

1  Plinio,  Epist..  VI,  17. 

2  Plinio,  Epist..  IV,  27,  Vili,  i:l. 

3  Plinio,  Epiat.,  I,  13. 

4  Sat..  I,  11-GS. 

5  Snt..  I,  2  e  segg..  17,  t>2.  13?,  Ili,  9,  VII,  :W-I7. 

6  Ejiigr.j.  1,  61,  II,  8S.  Ili,  18,  4»,  '15.  50,  IV,  0,  41,  01,  XI,  r.V,  XII,   IO. 

7  Giovenale,  St/;.,  VII,  3-12,  30  e  sciit'»  '2-87;  couf.  Il  old  ,  Le  Saleio  Basto    Poeta» 
Vratislaviae  1831,  pag   6  e  segg. 


Gap.  V.]  STAZIO,  E  LE  SUE  POESIE  INTITOLATE  LE  SEL\E.         900 

ivi  e  poi  a  Roma  di  poesia  e  di  eloquenza  greca  e  latina 
nelle  case  dei  grandi,  e  applaudito  per  un  poema  com- 
posto con  rapidità  d'improvvisatore  sul  disastro  del  Cam- 
pidoglio arso  nella  guerra  tra  Vitelliani  e  Flaviani.  Dieci 
anni  dopo  divisava  di  piangere  con  pio  canto  il  grande 
incendio  del  Vesuvio  distruttore  delle  vicine  città,  quando 
morì  placidamente  a  65  anni  '.  Egli  aveva  un  figliuolo, 
chiamato  Publio  Papinio  Stazio,  il  quale,  ricco  di  facile 
ingegno,  ed  educato  alla  scuola  paterna  2,  presto  si  mostrò 
improvvisatore  più  rapido  e  più  fecondo  di  lui.  Le  ade- 
renze del  padre  gli  aprirono  le  case  dei  maggiorenti,  a 
servizio  dei  quali  egli  pose  tutto  il  suo  ingegno  poetico 
nelle  Selve,  poesie  d'occasione,  scritte  rapidissimamente, 
piene  di  fiori,  di  imagini,  di  descrizioni  graziose,  di  effetti 
di  ritmo  e  di  stile,  ma  in  generale  spoglie  di  sentimenti 
veraci  e  valevoli  ad  alleviare  il  disgusto  che  viene  dal-' 
l'avvilimento  della  nobile  arte  dei  versi,  volta,  colla  esal- 
tazione di  servi  e  di  despoti,  a  confondere  ogni  idea  della 
morale  più  elementare.  Ivi  coi  suoi  affetti  domestici  cantò 
epitalamii  ai  ricchi,  rise  alle  loro  gioie,  pianse  ai  loro 
dolori,  ne  celebrò  i  pappagalli  e  gli  eunuchi,  le  ville 
piene  di  splendori  e  di  voluttà,  le  magnifiche  terme,  e  i 
platani  degli  ameni  giardini,  mettendo  per  essi  in  moto 
tutte  le  Ninfe  campestri  e  tutti  gli  Dei  dell'  Olimpo  '. 
Cantò  i  ministri,  i  servitori  e  i  favoriti  di  corte;  per  la 
salute  del  prefetto  di  Ptoma  carissimo  al  principe  fece 
muovere  Apollo  dalle  Alpi  in  cerca  dei  soccorsi  di  Escu- 
lapio  suo  figlio,  e  disse  i  Numi  stancati  dai  pubblici  voti  '»: 
e  a  Domiziano  dette  lodi  sconce  al  pari  di  quelle  che  gli 
profuse  Marziale.  Celebrate  la  bellezza  e  le  chiome  del- 
l'eunuco imperiale^,   celebrato   il  cavallo  e  il  leone   di 

1  Stazio,  Silv..  V,  3,  99,  U2-19t,  209  e  segg.,  253,  2ni. 

2  Stazio,  Sìlv.^  V,  3,  vers.  21.'!  e  segg. 

3  Stazio,  Silv.^  I,  2,  5,  li,  1,  2,  3,  4,  6,  III,  1. 

4  Stazio,  Silv.^  I,   1. 

5  Stazio,  Silv.^  Ili,  -J;  conf.  Marziale,  IX,  12,  13,  11,  17,  18,  37. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  HI 


910  ADULAZIONI  A  DOMIZIANO.  POEMI  EPICI.         [Lib.  VII. 

Cesare,  alla  cui  morte  piansero  popolo  e  Padri  *.  Poi 
inni  alle  grandi  prodezze,  alle  gloriose  vittorie,  agli  al- 
lori e  ai  trionfi  sui  Germani,  sui  Daci  e  sui  Sarmati  "^ 
pei  quali  meditò  e  cominciò  un'  epopea  (").  Domiziano 
sommo  dei  Duci,  maggiore  di  A.chille,  e  pari  a  Marte  3. 
Egli  Giove  Ausonio,  e  decoro  nuovo  del  Lazio  e  gran 
padre  del  mondo  *:  santi  i  suoi  costumi,  giuste  le  leggi  ^. 
È  un  Dio  mandato  da  Giove  a  reggere  in  sua  vece  la 
terra:  mai  non  vi  fu  reggitore  più  degno,  e  con  esso 
tornò  al  mondo  la  pietà  e  la  giustizia  ^.  11  poeta  adora 
il  suo  mite  genio,  lo  invoca  insieme  con  Apollo,  ed  è 
al  colmo  della  felicità  quando  alla  mensa  imperiale  può 
stargli  dappresso  e  ammirare  quella  serena  e  dolce 
maestà  che  neppure  colla  virtù  poetica  di  Omero  e  Vir- 
gilio potrebbe  degnamente  ringraziarlo  di  tanto  favore  '. 
Stazio  suonò  anche  la  tromba  epica,  cantando  in  dodici 
libri  la  feroce  guerra  fraterna  dei  due  figli  di  Edipo  sotto 
le  mura  di  Tebe,  e  prendendo  a  celebrare  le  imprese  di 
Achille  in  altro  poema,  di  cui  abbiamo  solamente  due 
libri.  Alla  Tebaide,  di  cui  la  materia  viene  verisimilmente 
da  Antimaco,  lavorò  dodici  anni  (^),  prendendo  l' ispira- 
zione dalla  tomba  di  Virgilio  trasformata  in  tempio,  e 


(-')  Silv.,  IV,  4,  94-98;  Theb.,  I,  17-22  e  31-32;  Achill. ,  I,  18-19.  Ne 
limangono  quattro  esametri  negli  scolii  a  Giovenale  (IV,  94)  pubblicati 
dal  Valla.  Vedi  Jahn  in  Rhein.  Mus.,  voi.  IX,  pag.  627. 

(*)  Bissenos  multum  vigilata  per  annos , 

(Theb.,  XII,  811). 

«  Silv.^  1,  1,  II,  ó, 

2  Silv.,  I,  2,  vers.  18(i,  III,  3,  117,  IV,  1,  ;!9,  IV,  7,  49,  V,  1,  SS,  1-28  e  133;  Thebaid.. 
I,  17-31. 

3  Silv.,  IH,  3,  15.\  IV,   l,  95-96,  V,  ?,  17G-180. 

4  Thebaid.,  I,  !>:>  ;  Silv.,  Ili,  1,  IS,  IV,  I,  17. 

5  SU,}.,  IV,  1,  25,  IV,  3,  IO. 
«  Silv.,  IV,  3,  Ì2f>,  V,  2,  91. 

7  SU:,  IV,  2,  r.  e  segg.,  V,  1,  il. 


Gap.  V.]  LA  TEBAIDE  DI  STAZIO,  E  LA  MODA  DELL'EPOPEA.       911 

seguendo  con  adorazione  le  tracce  della  divina  Eneade  (^) 
senza  speranza  di  poterla  emulare.  Giovenale  attesta  che 
il  canto  dell'amica  Tebaldo  alle  pubbliche  recitazioni  fa- 
ceva furore  f):  il  poeta  stesso  dice  che  la  gioventù  ita- 
lica la  studiava  e  la  imparava  a  memoria (<^):  e  l'ammi- 
razione l'accompagnò  per  più  secoli  *.  Ora  spenti  questi 
grandi  entusiasmi,  la  critica  nota  che  il  poema  non  bello 
per  composizione  ben  proporzionata  ed  armonica,  non 
riscaldato  da  affetti  profondi,  riboccante  di  fredda  eru- 
dizione mitologica,  e  di  amplificazioni  rettoriche,  e  am- 
polloso spesso  e  artificioso  e  affettato  nella  favella,  pure 
mostra  ricchezza  d'imaginazione  e  d'ingegno  poetico,  e 
coi  vizi  e  colle  virtù  del  suo  tempo  rimane  monumento 
notevole  della  decadenza  latina. 

La  moda  dell'epopea,  cresciuta  ai  tempi  di  Augusto, 
sotto  Nerone  e  Domiziano  passò  tutti  i  limiti,  e  fu  bur- 
lata da  Petronio,  da  Persio,  da  Marziale,  da  Giovenale. 
Piaceva  di  suonare  la  tromba  epica,  si  affettava  amore 
delle  bellezze  virgiliane,  ma  nessuno  aveva  né  l'animo, 
né  l'ingegno  di  Virgilio,  né  il  suo  sentimento  del  bello. 
Si  ricorreva  a  tutti  i  vecchi  luoghi  comuni,  e  si  facevano 
rapsodie  interminabili.  Nerone  tentò,  come  sopra  fu  detto, 

C")  Maronei  sedens  in  margine  templi 

Sumo  animurn,  et  magni  tumulis  adcanto  magistri. 

{Silv.,  IV,  4,  54-5Ó). 
Vive,  precor  :  nec  tu  divinam  Aeneida  tentai 
Sed  longe  sequere  et  vestigia  semper  adora. 

[Theo.,  XII.  81G-S17). 
(^)  Curritur  ad  voccm  iucundam,  et  carmen  amicae 

Thebaidos,  laetam,  fecit  curii  Statius  urbem , 
Prornisitfjue  diem,  tanta  dulcedine  captos 
Afpcit  ille  animos ,  tantaque  libidine  vulgi 
Auditur!  (Giovenale,  Sai.,  VII.  82-85). 

f^)  Itala  iam.  studio  discit  memoratque  iuventit^. 

{Thrh.,  XII.  815). 
1  Vedi  Dante,  Purg.,  XXI. 


(ÌLI  ARGONAUTI  DI  VALERIO  FLACCO. 


TLiB.  VII. 


un'Iliade,  e  divisò  un  poema  mostruoso  sulla  storia  di 
Roma.  Altri  tornavano  a  cantare  la  guerra  di  Troia,  i 
Giganti,  i  Sette  a  Tebe,  le  sciagure  di  Edipo,  la  cena  di 
Atreo,  Teseo,  Dedalo,  Icaro,  Telefo,  Achille,  Diomede, 
Oreste,  i  dolori  di  Niobe  e  di  Andromaca,  i  Centuari, 
Giasone  e  il  vello  d'oro  *.  Ai  tempi  di  Vespasiano,  C.  Va- 
lerio Fiacco  prese  a  rifare  largamente,  sulle  orme  di 
Apollonio  Rodio,  il  poema  degli  Argonauti,  e  con  imi- 
tazioni virgiliane  nello  stile  e  nella  favella  ricantò  la 
fatidica  nave  alla  costruzione  della  quale  presedette  Mi- 


La  nave  Argo  (Zoéga^  Bassirilievi,  voi.  I,  tav.  15). 

nerva,  e  ridisse  a  Roma  e  all'Italia  il  mitico  viaggio  dei 
vecchi  eroi  greci  alle  rive  del  Fasi  ("). 

(«)  Il  poema  è  dedicato  a  Vespa.«iano.  Solo  Quintiliano  rii;orda  onore- 

I  Vedi  Philibert-Soupò ,  Epopèe  Latine^  pag.  Ili  ,  112,  li:.;   \\i-\à.  De  Saleio  Basso 
poetai  pag.  5  e  segg. 


Gap.  V.]         SILIO  ITALICO  E  LA  SUA  GUERRA  PUNICA.  913 

Argomento  più  importante  a  Roma  e  all'Italia  era  la 
grande  guerra  di  Annibale  raccontata  epicamente  in 
17  libri  da  C.  Silio  Italico,  oratore  dapprima,  e,  secondo 
una  voce  corsa,  spia  volontaria  di  Nerone,  che  nell'ultimo 
anno  del  suo  impero  lo  inalzò  al  consolato  ;  poi  procon- 
sole lodato  dell'Asia,  savio  e  onesto  nel  favor  di  Vitellio, 
e  lavatosi  dalla  macchia  dell'antico  mestiere  con  onore- 
vole ozio,  alternando  lo  scrivere  e  il  conversare  dotta- 
mente coi  molti  visitatori,  cui  leggeva  per  esperimento 
i  suoi  versi.  Da  ultimo  si  ritrasse  e  morì,  varcati  i  75 
anni  (854  di  R.,  101  di  C),  in  Campania,  dove  ebbe  più 
ville,  tra  cui  quella  di  Cicerone,  piene  di  libri,  adorne 
di  statue  e  di  imagini  di  uomini  illustri  da  lui  venerati, 
massime  quella  di  Virgilio,  del  quale  ogni  anno  festeg- 
giava il  dì  natalizio,  e  a  Napoli  ne  visitava  religiosamente 
la  tomba  a  guisa  di  un  tempio  K 

Di  tutto  quello  che  scrisse  ci  rimane  la  seconda  Guerra 
Punica  in  cui  prendendo  la  più  parte  della  materia  da 
Polibio  e  da  Livio  seguì  storicamente  i  fatti  dall'assedio 
di  Sagunto  fino  alla  vittoria  di  Zama  e  al  trionfo  di  Sci- 
pione Affricano.  Marziale,  con  falsità  pari  a  quella  con 
cui  disse  Domiziano  pudico,  chiamò  Silio  oratore  e  poeta 
potente,  decoro  delle  sorelle  Castalie,  emulo  dei  sacri 
canti  di  Virgilio,  e  non  minore  di  lui:  ma  Plinio  con  più 
verità  disse  che  in  quei  versi  è  più  studio  che  ingegno. 
Nella  lunga  e  varia  e  terribile  lotta  in  cui  si  contende 
se  Roma  o  Cartagine  debba  avere  l' impero  del  mondo, 
Silio  ha  un  bello  e  grande  argomento  alle  mani,  ma  non 
ha   ingegno    poetico    capace  a  cavarne   un   poema.  Per 


volmente  l'autore  dicendo  (X,  1,90)  della  grave  perdita  fatta  per  la  sua 
morte.  È  incerto  il  luogo  ia  cui  nacque.  Marziale  (I,  62  e  77,  IV,  49, 
YIII,  16)  parla  di  un  Fiacco  poeta  di  Padova,  ma  non  pare  che  il  suo 
sia  il  nostro,  perchè  con  esso  non  fa  menzione  de.aii  Argonauti. 

1  Plinio,  Epist..  Ili,  7;  Marziale,  IV,  14,  VII,  03,  Vili,  66,  IX,  87,  XI,  49. 


914  SILIO  ITALICO  E  LA  SUA  GUERRA  PUNICA.       [Lib.  VIL 

supplire  alla  sua  sterilità  d'invenzione  saccheggia  l'arse- 
nale delle  vecchie  macchine  epiche,  spogUa  Omero  e 
Virgilio,  ma  non  è  destro  ad  appropriarsi  l'altrui,  e  colle 
sue  favole,  e  colla  sovrabbondanza  delle  digressioni  e 
descrizioni  erudite  spesso  riesce  a  cose  prosaiche,  .me- 
diocri e  noiose.  Come  1  poeti  del  tempo  suo  dà  non  di 
rado  nelle  stranezze  della  scuola  corrotta,  e  com' essi 
adula  sconciamente  i  potenti,  nò  si  vergogna  di  cantar 
grande  guerriero  Domiziano  ^,  nei  libri  in  cui  stanno 
Scipione  ed  Annibale  e  i  forti  combattitori  del  Trasimeno, 
di  Canne  e  di  Zama.  Ma  quantunque  poco  poeta  è  buon 
versificatore,  vince  i  contemporanei  per  eleganza  e  pu- 
rezza di  lingua,  e  per  assai  naturale  e  semplice  stile,  e 
declama  meno  degli  altri.  Si  leva  spesso  a  nobiltà  di  pen- 
sieri e  di  affetti,  ha  l'amore  del  bello  e  del  buono,  e  ce- 
lebra degnamente  i  forti  fatti  delle  antiche  genti  romane 
ed  italiche  nell'intento  di  ridestare  la  virtù  delle  nuove 
generazioni  corrotte  :  ritrae  con  verità  i  suoi  personaggi, 
e  dal  lato  storico  è  importantissimo,  perchè  ricco  di  eru- 
dizione recondita  sui  tempi,  sui  luoghi  e  sugli  uomini 
che  ci  pone  davanti:  e  se  molte  cose  piglia  da  Livio,  in 
altre  supplisce  alle  sue  omissioni,  e  descrive  bene  l'Italia, 
l'Affrica,  la  Sicilia,  la  Spagna,  e  ci  dà  particolari  notizie 
sugli  usi,  sui  costumi,  sulle  tradizioni  e  sulle  credenze 
dei  popoli  antichi,  intorno  ai  quali  in  più  incontri  la 
storia  anche  oggi  può  interrogarlo  utilmente  ("). 

C^*)  Per  ciò  che  spetta  alla  ferie  storica  di  Silio  vedi  Cosaek,  Quaostioncs 
Silianae,  Halle  1844;  We/cl,  De  C.  Sìlii  Italici  cum  fontibus ,  tinn 
cxemplis,  Lipsiae  1873;  Ileynacher,  Ueber  die  Quellen  des  Silius  Ita- 
licus,  Ilfeld  1874.  Un'analisi  critica  del  poema  è  in  Philibert-Soupè.  Elude 
sur  le  caractère  naiional  et  religieiix  de  l'epopee  latine,  pac:ine  153-174, 
Amiens  1851.  Recentemente  le  Puniche  furono  con  grande  amore  stu- 
diate in  Italia,  anche  sotto  il  rispetto  dell'arte.  Vedi  Oocioni,  Caio  Silio 
Italico  e  il  suo  2^ot?ma,  2*  edizione,  Firenze  1871,  nella  quale  sono  anche 
i  primi  quattro  libri  tradotti  in  versi  italiani.  La  1"  edizione  fi'a  uscita  a 
Padova  nel  1860  in  volume  di  mole  minore. 
1  Punic.^  Ili,  (Jir,J\29.  Vedi  ancho  XIV,  OsG-?ss. 


Cap.  V.]  MOLTI  POETI  E  POCA  POESIA.  915 

Mentre  Silio  Italico  narra  le  correrie  e  le  battaglie 
degli  antichi  invasori  e  difensori  d'Italia,  Caninio  Rufo 
celebra  epicamente  le  battaglie  e  le  vittorie  di  Traiano 
sui  Daci  *  ;  e  altri  corrono  in  folla  per  ogni  regione  poe- 
tica tentando  a  gara  tutti  i  metri  e  tutte  le  forme  del- 
l'arte.  Quindi  Giovenale  satireggia  la  universale,  insa- 
nabile malattia  dello  scrivere  ^.  Da  ogni  parte  piovono 
versi  a  diluvio:  versi  leggieri  di  uomini  gravi,  versi  di 
splendidi  cavalieri  3,  di  magistrati,  di  consolari  e  pro- 
consoli '";  versi  di  delatori  e  di  camerieri  di  corte  ^;  versi 
pei  ministri  imperiali  protetti  da  Apollo,  versi  per  le 
bestie  imperiali,  e  poscia  pei  Catoni,  pei  Bruti  e  pei  Cas- 
sii^:  poeti  opulenti  che  nelle  sontuose  ville  di  Tivoli 
scrivono  al  mormorio  dell' Aniene  7;  poeti  poveri,  strac- 
ciati, affamati  ^;  poeti  principi  e  imperatori  ^;  poeti  vecchi, 
poeti  giovani  *o,  poeti  ragazzi  coronati  nei  certami  capi- 
tolini istituiti  da  Domiziano  ('^). 

(«)  Un'iscrizione  d'Istonio  [Vasto)  ricorda  L.  Valerio  Pudente  fanciullo 
di  tredici  anni  coronato  tra  i  poeti  latini  nel  sacro  certame  di  Giove 
Capitolino  (Conf.  Stazio,  Silv.^  V,  3,  231,  e  Giovenale,  VI,  387)  con  una- 
nime sentenza  dei  giudici,  e  onorato  di  una  statua  nella  sua  patria:  Cla- 
ritate  ingenii  coronatus  est  inter  poetas  latinos.  Huic  plehs  universa 
nmnicipuni  Histoniensium  statuam  aere  collato  decrevit ,  Orelli,  2603, 
e  Moiiimseji,  Inscr,  Regni  Neap.,  5252.  Vedi  sopra  voi.  I,  pag.  254. 

Sopra  un  sepolcro  scoperto  nel  1871  a  Porta  Salaria  si  vide  una  co- 
rona e  r  imagine  di  alto  rilievo  di  un  fanciullo  togato  die  i^ecandosi 
verso  il  petto  la  mano  destra  tiene  nella  sinistra  un  volume  per  metà 

1  Plinio,  Epist.,  I,  3,  Vili,  4. 

2  Giovenale,  VII,  51-52. 

3  Plinio,  Epist.^  V,  3,  VI,  15. 

4  Plinio,  Nat.  Hist.,  VII,  18;  Plinio,  Epist.,  V,  :-:,  VII,  1. 

5  Giovenale,  IV,  53-55,  e  Schol.^  ivi;  Marziale,  V,  0,  XI,  1,  XII,  II. 

6  Stazio,  Silv.^  I,  4,  5S  e  segg.  ;  Marziale,  I,  7;  Plinio,  Epist..,  I,  17. 

7  Stazio,  Silv.^  I,  3,  23  e  99-101. 

8  Marziale,  1,  77,  III,  38;  Giovenale,  7,  72-73  e  80. 

0  Plinio,  Nat.  Ilist.^  I,  Praef.,  5;  Svetonio,  Tit.^  3;  Quintiliano,  X,  1,  91;  Sparziano, 
Adrian.^  -25,  El.  Ver.,  i;  Capitolino,  L.  Ter..,  2;  Frontone,  Exnst.  ad  M.  Cae$.,  pag.  37, 
53,  57,  58,  ed.  Mai,  Romae  1823. 

10  Plinio,  EpiiC.  Ili,  1,  IV,  27,  V,  17. 


916     SULP.  MASSIMO  IMPROVVISATORE  A  UNDICI  ANNI.  [Lib.  VII. 


Si  parla  di  Catulli,  di  Orazii,  di  Tibulli,  di  Properzii, 


Sepolcro  del  fanciullo  Q.  Sulpicio  Massimo  (C.  L.  Visconti), 

svolto  c  spiegato  iu  cui  è  vergata  una  leggenda  in  caratteri  greci;  con 
prolissa  scrittura  pur  greca  in  quanto  rimane  del  fondo  a  destra  e  a 
sinistra.  Dall'epigrafe  latina  posta  nello  spazio  sotto  alla  nicchia  si  vede 
che  il  monumento  fu  eretto  a  Q.  Sulpicio  Massimo  fanciullo  romano  chi-. 
all'età  di  imdici  anni,  cinque  mesi  e  dodici  giorni  in  altro  certame  poe- 
tico garreggiò  con  cinquantadue  poeti  greci,  e  in  quella  tenera  et;"i 
destò  maraviglia  coi  suoi  versi  estemporanei,  incisi  anch'essi  sul  monu- 
mento dagli  infelicissimi  genitori,  desiderosi  di  iiiostrare  che  non  avevan 
ceduto  ai  loro  afletti  eoi  troppo  esaltare  i  mei-iti  del  caro  figliuolo.  Quei 
versi  sono  una  esercitazione  rettorica  sulle  parole  che  avrebbe  potuto 
usar  Giovo  per  rimproverare  il  Sole  di  aver  affidato  il  suo  carro  a  Fe- 

tr,"'.>      Vpdi    H'^ir/.H.     S<-,.r!r.:    .:,U^rhi     ,-inrrV7,:;    nìl„     Porto    Sr,ì,r.;n,    in 


Gap.  V.]  LA  STORIA  SOTTO  L'IMPERO.  917 

di  Plauti,  di  Terenzi,  e  Menando  (").  Plinio  celebra  con 
grande  entusiasmo  i  nuovi  poemi  lirici  ed  epici,  le  elegie, 
le  commedie,  le  tragedie,  i  mimiiambi,  e  mai  non  finisce 
di  vantare  il  grande  abbondar  di  poeti,  le  tante  recita- 
zioni, il  maraviglioso  fiorire  degli  studi  ai  suoi  tempi  *. 
Pure  da  ciò  che  rimane  si  vede  che  la  vera  e  grande 
poesia  perseguitata  e  uccisa  dalla  tirannide  non  risorge 
ora  per  questo  grande  rumoreggiare  di  versi,  né  la  nuova 
libertà  può  ridestarla  ad  un  tratto,  perchè,  come  osservò 
il  grande  amico  di  Plinio,  è  più  facile  spegnere  che  ri- 
chiamare a  vita  gì'  ingegni  e  gli  studi  ^. 

Miglior  prova  fece  in  questi  tristi  tempi  la  storia:  e 
in  essa  troviamo,  anche  nella  decadenza,  un  grande  scrit- 
tore, l'ultimo  dei  liberi  ingegni  romani,  il  giustiziere  dei 
tiranni,  il  vendicatore  degli  oppressi. 

La  storia,  dice  Tacito,  finché  narrò  le  cose  del  popolo 
fu  scritta  con  eloquenza  pari  alla  libertà:  ma  colla  do- 
minazione di  un  solo  venne  la  mania  di  adulare,  e  quindi 
lo  sgomento  e  il  disparire  dei  grandi  scrittori.  La  verità 
fa  guasta  dall'ignoranza  delle  cose  pubbliche,  a  cui  ninno 
prendeva  più  parte,  e  dal  timore,  e  poscia  dall'odio  3. 

Bullett.  Istit.  Ardi.,  1871,  pag.  98-115;  C.  L.  Visconti,  Il  sepolcro  del 
fanciullo  Q.  Sulpicio  Massimo  nel  terzo  agone  Capitolino  coronato  tra 
l  p)oeli  greci,  Roma  1871;  Ciofi ,  Inscriptiones  latina  et  greacae  cum 
Carmine  graeco  extemporali  Quinti  Sulpicii  Maximi  in  cius  monumento 
nuper  reperto  ad  Portam  Salariam  adiecta  interpretalione  latina  cura 
notis,  Romae  1871. 

(«)  Plinio  Epist.,  I,  16,  VI,  15  e  21,  IX,  22;  Marziale,  Vili,  56  e  70, 
IX,  26.  L' iscrizione  di  Eclano  ricorda  M.  Pomponio  Bassulo  nuovo  tra- 
duttore e  imitatore  di  Menandro,  il  quale  cosi  parla  dell'opera  sua:  Ne 
more  pecoris  olio  trans fungerer  Menandri  paucas  vorti  scitas  fàbulas, 
et  ipsus  etiam  sedulo  finxi  novas.  Id  quale  qualest  chartis  mandatum 
diu.  Mommsen,  Inscript.  Regn.  Ncap.,  n.  1137,  e  Henzen,  5605. 

1  Plinio,  Spìst..  I,  IO  e  13,  IV,  3,  IS  e  27,  V,  3  e  17,  VI,  15  e  21,  VITI,  1,  ecc. 

2  Tacito,  Agric,  3. 

3  Tacito,  Ann..  I,  1  ;  Hist.,  I,  1. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  115 


918      SCRITTORI  DIVERSI.  POMPONIO  MELA  GEOGRAFO.    [Lib.  VJI. 

Si  citano  più  autori  di  storie  e  memorie  ai  tempi  di 
Tiberio,  di  Caligola,  di  Claudio  e  Nerone,  e  tra  questi 
oltre  al  sozzo  adulatore  Velleio  Patercolo,  già  ricordammo 
Cremuzio  Cordo,  e  Tito  Labieno  narratori  delle  guerre 
civili,  ridotti  per  causa  delle  loro  opere  a  darsi  la  morte 
quando  inferociva  Sciano.  Ad  essi  debbonsi  aggiungere 
Seneca  il  retore  che  per  la  testimonianza  di  un  fram- 
mento del  suo  illustre  figliuolo  scrisse  delle  guerre  ci- 
vili, e  dei  tempi  suoi*;  Aufidio  Basso,  forte  e  ottimo 
uomo,  scrittore  delle  guerre  civili  e  delle  guerre  germani- 
che (");  Brutidio  Nigro  declamatore,  ricordato  trai  delatori 
di  chi  avesse  violato  il  nume  di  Augusto  e  spregiato  la 
maestà  di  Tiberio,  amico  di  Sciano,  basso  intrigante,  scrit- 
tore mediocre,  anch'egli  narratore  della  morte  di  Cicerone 
e  della  esposizione  della  sua  tronca  testa  -;  Gneo  Lentulo 
Getulico,  amico  di  Sciano,  scampato  dai  delatori  sotto 
Tiberio,  proconsole  di  Germania ,  adulatore  di  Caligola 
in  un  suo  scritto  storico,  e  poscia  ucciso  da  lui,  perchè 
caro  ai  soldati  3;  M.  Servilio  Nomano,  console  sotto  Ti- 
berio nel  788,  scrittore  ai  tempi  di  Claudio,  lodato  sto- 
rico, famoso  nel  Fóro,  osservato  con  reverenza  filiale  da 
Persio,  morto  nell'  814  (61  di  Cr.)  sotto  Nerone  *. 

Ai  tempi  di  Claudio  del  quale  ricordammo  più  volte 
le  opere  storiche  si  vide  a  Roma  la  prima  cosmografia 
composta  da  Pomponio  Mela  nativo  di  Tingentera  (forse 


(«)  Seneca,  EpisU,  30;  Quintiliano,  X,  1,  103;  Tacito,  Dialog.  de 
Orati.,  23;  Plinio.  Nat.  Hist.,  VI,  9;  Plinio,  Epist.,  ITI,  5.  Saggio  del 
suo  sciivere  è  il  passo  sulla  morte  di  Cicerone,  riferito  nella  sesta  Sua- 
soria del  retore  Seneca. 

1  Vedi  Kiebuhr,  Ciceronis ,  Livii  et  L.  Senecae  fragmenta^  Roniao  1820,  pag.  103,  e 
Egger,  Examen  des  hislorieoìs  anc.  d'Aug.j  pag.  138. 

2  Tacito,  Ann.^  Ili,  60;  Giovenale,  X,  S3;  Seneca,  Sicasor.,  G. 

3  Tacito,  Ann.^  VI,  30;  Plinio,  in  Svetonio,  Calig.^  8;  Dione  Cassio,  LIX,  22. 

4  Plinio,  Nat.  Hist.,  XXXVII,  21;  Lehmann,  De  familiis  quibtisdam  romanis  Cnesa- 
rum  aetate  florentibus.  pag.  41,  Gottingae  1801;  VWnio,  Epist.j  I,  13;  Quintiliano  X,  1, 
102;  Tacito,  Ann..  VI,  31,  XIV,  19;  Svetonio,  Persii  vita. 


'Cap.  V.]    SCRITTI  DI  RUSTICO,  AGRIPPINA,  CORBULONE,  ECC.    919 

Algesira)  nella  Spagna  meridionale  ("),  il  quale  in  puro 
latino  descrisse  brevemente  e  con  buon  ordine  i  luoghi, 
e  toccò  acconciamente  i  costumi  dei  popoli. 

Dei  tempi  Claudiani  e  Neroniani  scrisse  Fabio  Rustico 
amico  di  Seneca ,  chiamato  da  Tacito  il  più  eloquente 
degli  scrittori  recenti,  e  da  un  ricco  contemporaneo  posto 
nel  suo  testamento  tra  i  più  egregi  cittadini  cui  faceva 
legati  *. 

Agrippina  madre  di  Nerone  lasciò  Commcntarii  della 
vita  sua  e  dei  suoi-;  come  Gneo  Domizio  Corbulone,  il 
prode  duce  fatto  morir  da  Nerone,  scrisse  delle  sue  im- 
prese nell'Asia  ^^  e  così  Svetonio  Paolino,  famoso  per  le 
sue  guerre  in  Mauritania  e  in  Britannia ,  lasciò  ricordi 
delle  cose  affricane ,  e  primo  di  tutti  i  duci  romani  a 
passare  l'Atlante  di  cui  raggiunse  le  cime  in  dieci  gior- 
nate, disse  delle  singolarità  di  quel  monte,  dei  deserti 
di  polvere ,  dei  luoghi  ardenti  anche  nel  verno ,  delle 
fiere  e   dei  barbari,  abitatori  delle   selve  e  dei  gioghi  K 

E  suir  Egitto  scrisse  un'opera  Claudio  Balbillo  che  ne 
tenne  il  governo  sotto  Nerone;  ottimo  e  sapiente  uomo 
ricordato  anche  sulla  statua  vocale  di  Mernnone  dalla 
poetessa  Balbilla,  e  in  una  iscrizione  dei  Busiritani  (^). 


{")  J\lela,  De  situ  orbisj,  II,  6,  e  III,  G.  Dei  pregi  e  della  lingua  del- 
l' opera  ragionò  recentemente  il  traduttore  italiano  Giov.  Francesco  Mu- 
ratori nel  discorso  preposto  alla  sua  traduzione,  Torino  1855. 

(*)  Tacito,  Ann.,  XIII,  22;  Letronne,  La  statue  vocale  de  Memnon , 
pag.  173,  e  Recherches  2^otir  servir  à,  l'histoire  de  VÉgijpte,  pag.  395. 
Seneca  {Nat.  Quaest.,  IV,  2,  12)  cita  quest'opera  a  proposito  dello 
spettacolo  di  una  battaglia  fra  due  truppe  di  cocodrilli  e  delfini  alla  foce 
più  grande  del  Nilo. 

1  Tacito,  Agric.^  10;  Ann.^  XIII,  20,  XIV,  2,  XV,  CI;  Laboulaye ,  Testament  de  Da- 
suìnius^  Paris  1845,  pag.  19. 

2  Plinio,  JVat.  Hist.,  VII,  6  (8);  Tacito,  Ann.^  IV,  53;  Stahr,  Agrippina  die  Mutter 
des  Nero^  Berlin  1867. 

3  Plinio,  II,  72,  V,  20,  VI,  8;  Held,  De  Gn.  Domitio  Corbulone,  Schweidnitz  1862. 
i  Plinio,  V,  1,  14. 


920  GLI  STUDI  STORICI  PROMOSSI  DA  VESPASIANO    [Lib.  VII. 

Dei  tristi  tempi  di  Nerone  scrisse  pure  M.  Cluvio  Rufc 
bel  dicitore  e  leale  storico  ("),  che  vide  e  narrò  anche  i 
tempi  di  Galba  e  di  Ottone,  e  dalla  Spagna  ov'era  pro- 
console raggiunse  Yitellio  a  Lione,  e  lo  segui  nel  viaggio 
di  Roma  (*). 

Come  testimone  oculare  dei  fatti  della  guerra  tra  i 
Vitelliani  e  Flaviani  è  citato  Vipstano  Messala,  tribuno 
della  settima  legione  Claudiana  che  combattè  personal- 
mente a  Cremona,  e  vide  e  scrisse  le  stragi  e  l'esterminio 
della  infelice  città:  uomo  prode,  di  grande  eloquenza,  e 
di  schietta  e  franca  natura,  il  più  onesto  di  tutti  quelli 
che  presero  parte  alla  guerra  *. 

Nulla  0  quasi  nulla  ci  rimane  di  tutti  costoro  e  di  altri 
che,  secondo  il  detto  di  Tacito,  nella  più  parte  falsarono 
il  vero  per  adulazione  o  timore,  viventi  i  tiranni,  e  per 
odio  quando  furono  spenti. 

Sotto  il  governo  di  Vespasiano,  quantunque  anch'egli 
bandisse  e  uccidesse  i  filosofi,  si  fece  ogni  sforzo  per  ren- 
dere alla  storia  la  sua  dignità,  e  fu  in  parte  riparato  al 
guasto,  che  la  viltà  aveva  fatto  nelle  iscrizioni  e  nei  mo- 
numenti. Furono  estratti  a  sorte  più  deputati,  che  met- 
tessero line  a  questo  disordine,  facendo  restituire  le  cosa 
che  aveva  rapite  la  guerra ,  ricercando  e  rimettendo  a 
lor  luogo  le  tavole  delle  leggi,  e  correggendo  i  fasti  e  i 

{^)  Vedi  il  suo  detto  in  Plinio,  Ejnsf.,  IX,  19. 

{»)  Tacito,  Ann.,  XIIL  20,  XIV,  2;  HisL,  I.  8  e  76,  II,  58  e  G5,  IV,  43: 
Svetonio,  Ner,  21;  Plutarco,  Ottone,  3;  conf.  Wiedemann ,  De  Tacito, 
Svetonio,  Fiutar cho ,  Cassio  Dione,  scriptoribus  imperatoriim  Galbae 
et  Othonis,  Berolini  \P-o7,  pag.  50  e  ^egg. 

Si  cita  anche  lo  scritto  dell'oratore  (Quintiliano,  X,  3,  12,  e  Tacito, 
Dialog.  de  Oratt.,  2)  Giulio  Secondo  che  con.e  segretario  di  Ottone  fu 
presente  a  Budriaco  (Plutarco,  Olt.,  9):  o  ricoi'dasi  come  ai  tcnij)i  di 
Traiano  un  Pompeo  Pianta  scrisse  la  guerra  tra  Ottone  e  Vitellio.  Vedi 
Schol.   Vali,  ad  luvenal.,  II,  99,  e  conf,  Plinio,  IX,  1. 

«  Tacito,  Hisl.,  Ili,  9,  IS,  2:.  e  23,  IV,  42,  e  Dialog.  de  Orati.,  11,  15,  23,  32,  ecc. 


Gap.  V.]  E  DA  LICINIO  MUOIANO.  921 

calendarii,  bruttati  dall'adulazione  dei  tempi  ('*).  Nel  Cam- 
pidoglio, ritolto  alle  rovine,  fu  ristabilito  il  pubblico  ar- 
chivio, che  aveva  arso  il  recente  incendio,  raccogliendovi 
in  tremila  tavole  di  bronzo  i  documenti  dispersi.  Furono 
fatti  ricercare  e  copiare  per  tutto  l'Impero  i  trattati,  le 
alleanze,  le  deliberazioni  del  Senato,  i  plebicisti,  e  altri 
documenti  autentici,  che  risalivano  quasi  al  principio  di 
Roma  *.  E  questo  fatto,  che  agevolava  gli  studi  del  pas- 
sato, pare  che  eccitasse  gli  scrittori  alla  ricerca  dei  do- 
cumenti originali,  di  cui  alcuni  di  fatto  si  vedono  citati 
nei  nuovi  storici. 

Di  più  C.  Licinio  Muoiano,  il  duce  che  ebbe  tanta  parte 
a  inalzare  Vespasiano  all'impero,  oltre  allo  scrivere  sulle 
cose  notevoli  da  lui  vedute  in  Oriente  (^),  fece  compilare 
nelle  biblioteche  una  raccolta  di  estratti  di  atti  pubblici 
e  di  lettere,  che  davano  nuovi  aiuti  alla  storia  -.  E  Plinio 
nella  sua  grande  opera  cita  più  volte  Muoiano,  ed  egli 
pure,  come  Tacito  e  altri,  per  mezzo  dei  nuovi  documenti 
affermano  cose  contraddicenti  alle  asserzioni  degli  antichi 
scrittori  ^. 

Plinio  il  Vecchio  (77G-832  di  Roma,  23-79  di  C),  mas- 
simo ornamento  di  Como  a  cui  preparò  nuova  gloria 
educando  alla  vita  onesta  e  ai  nobili  studi  Plinio  il  Gio- 

(")  Tacito,  Hist.>  IV,  40.  Pure  sembra,  come  fu  notato,  die  l'operazione 
non  riuscisse  compiuta ,  perchè  ciò  che  rimane  dei  Fasti  ha  ancora 
molte  delle  interpolazioni  che  volevan.-i  togliere.  Vedi  Egger,  Examen, 
pag.  226. 

(*)  Intorno  a  Muoiano  e  alla  descrizione  del  suo  viaggio  in  Oriente 
da  cui  Plinio  trasse  notizie  di  geografia,  di  storia  naturale  e  anche  cose 
strane  e  incredibili,  vedi  Borghesi,  Dei  tre  consolati  di  C.  Licinio  Mu- 
dano, in  Biblioteca  Italiana,  1840,  tom.  97,  pag.  12-20,  e  in  Opere, 
IV,  345-353,  e  Brunn,  De  C.  Licinio  Mudano,  Lipsiae  1870. 

1  Svetonio,  Vespas.,  8. 

'  Tacito,  Dialog.  de  Orali.,  37;  Le  Clero,  Des  journaux  chez  les  Romains,  pag.  IH; 
Egger,  Examen,  pag.  180. 

3  Vedi  Tacito,  Hi&t. ,  III,  72,  Porsena  dedita  urbe,  ecc.;  Plinio,  XXXIV,  r!9;  Sveto- 
nio, Tib.,  3. 


922 


[LiB.  VII. 


I  due  Plinii  nella  facciata  della  Cattedrale  di  Como  {Da  Fotografìa). 


Gap.  V.]  PLINIO  IL  VECCHIO.  923 

vane  suo  gentile  nipote  {"),  nei  tempi  flagellati  dalle  cru- 
deltà di  Nerone  avea  cercato  scampo  fra  gli  studi  ora- 
torii  e  grammaticali:  poi  sotto  1  Flavii  scrisse  venti  libri 
delle  Guerre  Germaniche  e  trentun  libro  delle  cose  di 
Roma,  continuando  colla  massima  accuratezza  le  storie 
di  Aufidio  Basso  fino  ai  tempi  di  Vespasiano  e  di  Tito  (''). 
Egli  fu  in  molti  ufficii,  militò  in  Germania  ove  compose 
un  libro  del  saettare  a  cavallo  (de  iaculatione  equestri): 
andò  procuratore  di  Vespasiano  nella  Gallia  Narbonese 
e  nella  Spagna,  e  sotto  Tito  comandò  la  flotta  stanziata 
a  Miseno,  ove  morì  a  56  anni,  vittima  del  suo  amore 
alla  scienza  che  lo  spinse  a  voler  vedere  troppo  da  vi- 
cino l'eruzione  del  Vesuvio,  da  cui  furono  distrutte  Er- 
colano  e  Pompei  K  Aveva  scritto  che  una  morte  subi- 
tanea era  l'ultima  felicità  della  vita,  e  a  lui  toccò  questa 
desiderata  ventura  -. 

Fra  le  guerre  e  gli  ufficii  vari  e  gravissimi,  egli  jìotè 
in  vita  non  lunga  comporre  molte  e  voluminose  opere, 
perchè  pronto  d'ingegno,  instancabile  nello  studio,  e  non 
bisognoso  di  lungo  sonno  e  desideroso  di  vivere  un  nu- 

(^)  Dei  (lue  Plinii  e  di  loro  patria  fu  disputato  nel  secolo  scordo  in  un 
grosso  volume  in  cui  sono  i  disegni  delle  due  statue  poste  a  loro  onore, 
verso  il  1480,  nella  fronte  della  cattedrale  di  Como,  dove  rimangono  a 
malgrado  della  guerra  dei  preti  che  già  vollero  toglierle  via.  mapsime 
quella  del  Vecchio,  tenuto  da  essi  come  ateo.  Vedi  Della  Torre  Rezzonieo^ 
Bisquisitiones  Plinianae,  Parma  1763,  voi.  I,  pag.  193. 

(*)  Plinio,  Nat.  Hist.,  I,  Praef.,  15  e  22,  e  lib.  II,  85  e  106,  e  Plinio 
il  Giovane,  Epist.,  III.  5  e  V,  8;  Quintiliano,  III,  1,  21,  XI,  3,  143;  Gellio. 
IX,  16.  Per  la  storia  Tacito  lo  cita  ai  tempi  di  Nerone  e  nella  guerra 
dei  Flaviani  e  dei  Vitelliani.  Annal,  XIII,  20,  XV,  53;  Hist,  III,  28:  e 
altrove  lo  allega  come  scrittore  delle  guerre  germaniche  [Ann.,  I,  69). 
Sugli  scritti  grammaticali  di  Plinio,  e  sui  frammenti  che  ne  rimangono, 
vedi  Alfredo  Sochttraueller,  Be  C.  Plinii  Secundi  libris  grammaticis^ 
Lipsiae   1858. 

1  Plinio,  Epist.,  ni,  5,  VI,  IG;  Svetcnio,  PUn. 

2  J\'at.  Hist.,  VII,  51. 


<)24  ENCICLOPEDIA  ROMANA.  [Lib.  VII. 

mero  più  grande  di  ore  con  questi  esercizi,  perchè  la 
vita  è  veramente  una  veglia.  Non  perdeva  un  momento: 
studiava  a  tavola,  al  bagno,  in  viaggio,  quando  gli  altri 
dormivano.  Leggeva  tutto,  dicendo  non  esservi  libro  cosi 
cattivo  che  in  qualche  parte  non  giovi.  Delle  sue  infinite 
letture  lasciò  IGO  volumi  di  estratti  *.  Dei  quali  studi  ci 
rimane  una  parte  nella  Storia  naturale,  opera  erudita, 
diffusa,  e  varia  quanto  la  natura  stessa:  dove  ridusse, 
com'egli  dice,  in  37  libri  ventimila  cose  degne  di  esser 
sapute,  tratte  da  oltre  duemila  volumi  dei  quali  citò  scru- 
polosamente gli  autori,  stimando  atto  di  benevolenza  e  di 
ingenuo  pudore  il  confessare  da  chi  tu  hai  imparato  2.  È 
uno  dei  monumenti  più  preziosi  che  ci  tramandasse  l'an- 
tichità. Non  tratta  solamente  ciò  che  ora  s' intende  col 
nome  di  storia  naturale,  ma  abbraccia  tutte  le  scienze, 
specialmente  rispetto  al  loro  uso  nella  vita  degli  uomini, 
ed  è  l'enciclopedia  romana,  e  l'inventario  della  civiltà  del 
suo  tempo.  Egli  raccolse  ogni  sorte  di  cose  senza  sepa- 
rare il  vero  dal  falso,  e  perciò  i  dotti  notarono,  che  come 
critico  e  naturalista  ha  poco  pregio  per  noi:  ma  è  di 
grande  importanza  come  narratore  di  usi  e  costumi  e  di 
particolarità  geografiche  che  da  lui  solo  s'imparano,  e 
come  storico  delle  antiche  arti  di  Grecia  e  d'Italia,  delle 
quaU  dice  le  origini,  i  progressi,  le  opere,  gli  autori  più 
celebrati,  e  i  loro  metodi  e  i  più  singolari  segreti  3.  Miste 
ad  errori  *  ci  dà  molte  buone  notizie  sulle  opere,  che  al 
suo  tempo  adornavano  Roma,  sul  suo  aspetto  esteriore, 
e  grandezza,  e  magnificenza,  sulla  superficie  della  città 

1  Vedi  Plinio,  JS^at.  Hist.,  I,  Praef.  ad  Tit.^  13-M,  e  Plinio  il  Giovane,  Epist.,  Ili,  5. 

2  Praef.t  Ice.  cit.,  13  e  16.  Vedi  anche  Brunn,  Le  aucto>-um  indicibus  Plinianis  di- 
^putatio  isagogica^  Bonnae  lsr)0;  Gehmichen,  Be  M.  Varrone  et  Isidoro  Characeno  €. 
Flinii  in  libris  chorographicis  auctoribus  primariiSj  Lipsiae  1^73. 

3  Vedi  lib.  XXXIII-XXXVI. 

*  Vedi  Brieger,  De  fontibus  librorum  Nat.  Histor.  PUnianae  quatcnus  ad  artem  pla- 
sticam  pernitent^  Grj-phiae  lsri7  ;  Wustmann,  Zu  Plinius  Kunstgeschichte .,  in  Rhein. 
Museum,  l.'^r.T,  Voi.  XXII,  p.  1-21;  Scnreiber,  Quaestionum  de  arli/ìcum  aetatibus  in 
Ptinii  Hisl.  Nat.  libris  relatis  specimen.,  Lipsiae  1872. 


Gap.  V.]        RICCHEZZA  DI  NOTIZIE,  E  STILE  DI  PLINIO.  925 

e  dei  sobborghi,  sui  Fòri,  sugli  acquidotti,  sui  portici, 
sui  palazzi,  sulle  colonne,  sulle  materie  da  costruzione, 
sulla  moneta,  sul  commercio,  sugli  unguenti  che  si  con- 
sumavano, sul  lusso  smodato,  sulle  classi  e  sugli  individui, 
sui  principi,  sugli  usi  e  sulle  sporcizie  di  corte,  sulla  cor- 
ruzione che  travagliava  l'Impero,  sulle  cause  della  gran- 
dezza e  della  decadenza  di  Roma,  sulla  proprietà  terri- 
toriale in  Italia  e  nelle  province ,  e  sui  latifondi  che 
rovinarono  e  queste  e  quella.  Egli  vide  memorie  storiche, 
lettere,  editti,  ogni  sorte  di  monumenti,  e  non  lasciò  in- 
dietro ninna  particolarità  riguardante  i  luoghi,  gli  uomini, 
i  tempi,  e  le  vicende  della  civiltà.  Neppure  tra  i  Greci 
niuno  aveva  tentato  un'impresa  sì  grande.  Egli  dicendo 
che  Vopera  era  nuova  per  le  Muse  romane,  sentì  e  notò 
le  difficoltà  di  condurla  in  modo  che  tornasse  dilettosa  ai 
lettori,  e  non  confortato  dalla  speranza  di  conseguir  que- 
sto intento  si  acquietò  nel  pensiero  di  giovare  alla  patria 
con  quelle  tante  notizie  raccolte  ^  Pure  in  piìi  luoghi 
anima  di  un  soffio  di  vita  l'arida  materia,  qualche  volta 
narra  vigoroso  e  conciso,  rallegra  le  sue  pagine  con  sin- 
golari aneddoti  storici,  le  riscalda  col  suo  amore  per  la 
scienza,  poi  grandi  uomini  e  per  gli  illustri  inventori,  e 
le  nobilita  con  belle  riflessioni,  in  cui  si  mostra  filosofo 
e  uomo  dabbene. 

Plinio  dedicò  la  sua  opera  a  Tito  (an.  di  Roma  830,  di 
Cr.  77),  e  morì  prima  di  lui,  né  ebbe  la  sventura  di  ve- 
dere i  crudeli  fatti  di  Domiziano,  che  oppresse  gli  ingegni 
e  bandì  ogni  arte  onesta. 

Come  in  tempi  sì  crudi  e  infesti  a  ogni  virtù  potesse 
prosperare  la  libera  storia,  lo  dicono  gli  esempi  di  Eren- 
nio Senecione  e  di  Aruleno  Rustico  ,. uccisi  per  avere 
scritto  la  vita  di  Peto  Trasea,  e  di  Elvidio  Prisco,  mentre 


I  Praef..  I,  <)-\ì. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  'US 


926  TACITO.  [Lib.  VII. 

si  bruciavano  i  loro  libri  nel  Fóro  K  Ma  spento  quel  mo- 
stro, con  Nerva  e  Traiano  comincia  anche  per  le  lettere 
una  nuova  èra  di  libertà  -,  in  cui  è  lecito  a  ognuno  sen- 
tire a  suo  grado,  e  dir  libero  il  suo  sentimento:  e  allora 
Tacito  e  Plinio  il  Giovane  scrivono,  e  coll'ardente  parola 
vendicano  gli  oppressi. 

C.  Cornelio  Tacito,  che  dicesi  nato  sulla  metà  del  se- 
colo primo  a  Interamna  {Terni)  dell' Umbria  ("),  studiò 
eloquenza  sotto  i  più  celebrati  oratori  ^,  e  alla  scuola  de- 
gli stoici  apprese  ad  aborrire  ogni  sentimento  servile,  e 
ad  armarsi  contro  le  sopravvegnenti  sciagure.  Di  buon'ora 
fa  amico  di  Plinio,  e  si  strinse  con  lui  nell'  amore  degli 
studi,  nel  culto  della  virtù  e  nell'odio  della  tirannide. 
Fino  da  giovane  salì  in  fama  di  valente  oratore  '*.  Ebbe 
i  primi  onori  pubblici  sotto  l'impero  dei  Flavii^:  e  se- 
dendo in  senato  sotto  Domiziano  vide  gli  esilii,  le  stragi, 
e  gli  ultimi  furori  del  mostro  ^.  Sotto  Nerva  fu  console 
(97  di  Cr.),  e  fece  solennemente  e  con  alta  eloquenza 
l'elogio  funebre  di  li.  Virginio  Rufo,  cioè  dell'  uomo  più 
magnanimo  dell'  età  sua,  il  quale,  dopo  aver  più  volte 
rifiutato  l'impero,  si  conservò  incontaminato  fra  tutte  le 

(")  Si  argomentò  nato  a  Terni  dal  sapere  che  di  qui  poscia  fu  nativo 
Timperatore  M.  Claudio  Tacito  che  tenevasi  suo  parente,  e  molto  si  ado- 
però a  fargli  onore.  Vedi  Vopisco,  Tacito,  10,  e  Floriano,  2,  e  Angeloni, 
Historia  di  Terni,  Roma  IG46,  pag.  42  e  segg.,  il  quale  tiene  per  fermo 
che  lo  storico  nascesse  a  Terni,  e  riferisce  le  vecchie  tradizioni  relative 
al  suo  sepolcro  e  ad  altri  suoi  monumenti.  Per  tali  particolarità,  e  per 
la  notizia  di  alcuni,  fra  i  tanti  che  scrissero  modernamente  di  Tacito, 
vedi  i  vcìieì  Studi  storici  e  morali  sulla  letteratura  latina,  Tovìno  1871, 
pag.  438  e  segg. 

1  Tacito,  Agric,  2  e  Vo;  Svctomo,  Domit.,  10;  Vììaìo,  Epist.,  I,5ell,  III,  11,  VII,  19; 
Dione  Cassio,  LXVII,  13. 

2  Tacito,  Agric.  3. 

:!  Dialog.  de  Orati.,  2. 

i  Plinio,  Epist..  VII,  20. 

t.  Tacito,  Ann.,  XI,  11  ;  ILst.,  I,  1. 

C  Tacito,  Agric,  45. 


Gap.  V.]  TACITO.  VITA  DI  AGRICOLA.  927 

vergogne  vedute  in  più  di  80  anni  *.  Nella  nuova  libertà 
Tacito  orò  insieme  con  Plinio  contro  i  più  grandi  ribaldi, 
stati  potenti  sotto  la  passata  tirannide  2,  e  negli  scritti 
consacrò  all'infamia  i  carnefici  e  i  delatori. 

La  prima  opera  storica  di  Tacito,  scritta  con  qualche 
colore  rettorico  al  principio  dell'impero  di  Traiano  ^,  fa 
la  Vita  del  suo  suocero  Agricola,  del  quale  vedemmo  già 
le  imprese  in  Britannia,  e  la  fine  sotto  Domiziano.  Con 
questo  scritto  pieno  di  affetto,  e  tenuto  per  capolavoro  e 
modello  della  forma  biografica  (''),  egli  consolava  il  suo 
privato  dolore,  e  rendeva  omaggio  alla  virtù,  raccontando 
gli  affetti  domestici,  i  severi  e  miti  costumi  dell'uomo, 
l'integrità  del  magistrato,  le  nobili  arti  e  le  geste  di 
guerra  dell'  illustre  cittadino  della  splendida  Colonia  di 
Fóro  Giulio,  della  quale  ci  parlano  anche  oggi  pia  rovine 
a  Fréjus.  Coi  fatti  particolari  del  suocero  narrò  le  mi- 
serie dei  tempi  con  una  profondità  di  pensiero  e  con 
un  accento  di  sdegno,  che  rivelavano  già  lo  storico  im- 
mortale di  Tiberio  e  di  Nerone.  La  biografia  fu  per  lui 
inalzata  alla  dignità  della  storia  in  quel  piccolo  libro,  che 
insieme  ad  un  uomo  di  alto  cuore  e  di  puro  animo  mo- 

(")  Vedi  \Valch.  Ueher  Tacitus  Agricola,  oder  die  Kunslform  dcr 
antiken  Biographie ,  nella  sua  traduzione,  Berlino  1828.  Non  ha  fonda- 
mento il  dubbio  sulla  sua  autenticità,  messo  avanti  dall'  Held,  Commen- 
tano de  Cn.  lulii  Agricolae  vita  qiiae  vulgo  Cornelio  Tacito  adsignatur, 
Suidnicii  1845.  Tra  quelli  che  disputarono  0  vanamente  fantasticarono 
sugli  intendimenti  di  questa  scrittura  gli  ultimi  di  cui  abbiamo  notizie 
sono  :  Hirzel,  Ueber  die  Tendenz  des  Agricola  von  Tacitus,  Tiibingen 
1871  ;  Junglians,  Ueber  Tacitus  Agricola,  Liineburg  1872;  Jaeger,  Quae 
ftdes  Tacito  in  Agricola  habenda  sii  exponitur,  deque  Consilio,  quo 
liber  ille  conscriptus  esse  videatur,  agitur,  Gòttingen  1874:  Andresen, 
Die  Entstehung  und  Tendenz  des  Taciteischen  Agricola,  Berlin  1874, 
«■   Literarisches  Centralblatt,  Leipzig  1875,  pag.  1338. 

1  Plinio,  Epist..  ir,  1,  Vf,  10,  IX,  If). 

2  Plinio,  Epist..  II,  1!. 

3  Tacito,  Agnc,  3. 


928 


LA  GERMANIA. 


[LiB.VII. 


Strava  a  Roma  il  popolo  britanno  coi  suoi  costumi,  colla 
sua  energia,  col  suo  fiero  amore  di  libertà;  così  che  an- 
che gl'Inglesi  d'oggi  tengono  quest'opera  come  la  prima 
pagina  di  loro  storia. 
Cosi  pure  introduzione  degli  Annali  germanici,  e  punto 


Rovine  di  Fóro  Giulio  a  Frèjus  (Le  Bas^  France^  voi.  2,  pi.  75). 

di  partenza  per  la  storia  di  altri  Stati  dell'  Europa  mo- 
derna fu  detto  il  discorso  sulla  Cxermania,  che  Tacito 
scrisse  subito  dopo  la  Vita  di  Agricola,  tra  il  secondo 
e  il  terzo  consolato  di  Traiano  (98-400  di  Cr.)  *.  Egli, 
dopo  avere  probabilmente  veduto  e  studiato  da  sé  stesso 
il  paese  quando  fu  per  quattro  anni  (89-93)  assente  da 


1  Tacito,  Germ. 


Coni.  Teull'el,  Gesch.  def  roin.  LlUerat.j  p,  081. 


l 


Gap.  V.]  LA  GERMANIA.  929 

Roma  *,  facendo  suo  prò  delle  opere  di  Cesare,  di  Plinio 
e  di  altri  2,  e  dei  ragguagli  portati  dai  mei'catanti,  dai 
duci,  dai  soldati  romani,  e  dai  prigionieri  di  guerra, 
raccolse  in  breve  e  profondo  discorso  tutte  le  più  impor- 
tanti notizie,  che  ebbero  gli  antichi  su  queste  mal  note 
regioni,  dicendo  la  natura  dei  luoghi,  le  sedi  dei  popoli 
vari  stanziati  tra  il  Reno  e  il  Danubio,  la  loro  educazione, 
le  istituzioni,  le  relazioni  sociali,  ogni  ordine  religioso 
e  civile,  i  puri  costumi  di  loro  donne,  e  i  giornalieri 
esercizi,  che  valevano  a  rendere  animosi  e  forti  quegli 
uomini  dagli  occhi  cilestri,  dalle  bionde  chiome  e  dalle 
grandi  stature:  e  in  pari  tempo  notando  con  parole  di 
sdegno  il  contrasto  tra  la  servilità  e  la  corruzione  ro- 
mana, e  gli  austeri  costumi  e  la  libertà  dei  Germani, 
coll'intendimento  di  rampognare  le  brutture  dell'età  sua, 
e  di  dare  anche  qui  quegli  insegnamenti  morali,  che 
sono  la  prima  e  più  nobile  qualità  di  ogni  suo  scritto. 
Ma  se  colse  il  destro  che  naturalmente  gli  si  offeriva 
a  sdegnose  allusioni,  non  si  vuol  credere,  come  altri 
opinò,  che  componesse  di  sua  invenzione  il  bel  libro 
collo  scopo  di  fare  una  satira:  egli  scrisse  per  mostrare 
a  Roma  quali  erano  questi  tremendi  nemici  di  cui  do- 
lorosamente presentiva  le  guerre  fatali  all'Impero,  e  pose 
tanta  cura  e  tanto  acume  nella  ricerca  del  vero,  che 
le  posteriori  vicende  e  gli  studi  delle  antichità  e  dei 
monumenti  germanici  mostrarono  e  mostrano  ancora 
la  rettitudine  e  la  esposizione  fedele  dei  costumi  e  delle 
cose  raccolte  in  questa  sapiente  opera  storica,  morale  e 
politica  C"). 

(")  Delle  moltissime  scritture  composte   con   intenti   diversi  sulla  Ger- 

1  Tacito,  Agric.^  15;  Borghesi,  Opere,  voi.  VII,  p.  321. 

2  Vedi  Tacito,  Germ.,  2S,  e  confronta  la  Germania  con  Cesare,  De  Bell,  gali.,  IV, 
1-3,  vi,  21-27.  Vedi  anche  Reischle,  De  locìs  qiiibus  TaciCus  et  Caesar  de  veteribus 
Germanis  inter  se  differiinl,  Kampten,  ISSI  ;  Kopke,  Zar  Queltenkritik  der  Germania, 
in  Deutschen  Forschungen,  p.  2l'3-226,  Berlin  1S59,  e  Brcuker,  Quo  iure  Sallustius  Ta- 
cito in  descrilendis  Germanorum  morihus  auctor  fuisse  putetur,  Coloniae  1870. 


030  GLI  ANNALI  E  LE  STORIE.  [Lib.  VII. 

Dopo  queste  brevi  scritture,  in  cui  fece  le  sue  prove, 
pose  mano  a  scriver  le  Storie  dalla  morte  di  Nerone  a 
quella  di  Domiziano  :  e  poscia,  rifacendosi  indietro,  com- 
pose gli  Annali,  che  dalla  fine  di  Augusto  andavano  al 
principio  di  Galba,  ed  erano  introduzione  e  complemento 
alle  Storie:  grandioso  lavoro,  che  abbracciava  circa  80 
anni,  e  descriveva  le  varie  fasi  della  rivoluzione,  per  cui 
fu  mutata  la  faccia  del  mondo.  Egli  ci  dà  la  storia  di  una 
tirannide  che  succede  a  libero  Stato.- La  vediamo  comin- 
ciare quasi  timidamente,  e  sotto  le  apparenze  della  li- 
bertà; poi  crescere  a  poco  a  poco,  farsi  gigante,  imper- 
versare, dar  di  piglio  negli  averi,  nell'onore  e  nel  sangue 
dei  cittadini.  Lo  storico  ci  conduce  alle  corti  dei  tiranni, 
piene  di  delitti,  di  libidini,  di  stragi;  poi  nei  campi  delle 
guerre  civili:  e  ci  mostra  l'Italia  spogliata  e  disertata, 
e  il  mondo  sossopra,  per  sapere  a  qual  mostro  debba 
servire.  Tacito,  che  sempre  vede  addentro  nei  nascon- 
digli del  cuore  umano,  si  mostra  acutissimo  nel  pene- 
trare la  chiusa  anima  di  Tiberio,  e  nel  rivelarne  i  terribili 
arcani.  Energicamente  ritrae  lui  e  i  suoi  successori,  cir- 
condati da  un  esercito  di  carnefici  e  di  spie,  e  forti  della 
universale  paura:  mirabili  di  concetto  e  di  arte  le  de- 
scrizioni dei  tempi,  in  cui  pare  che  la  ragione  e  il  diritto 
siano  scomparsi  sotto  il  flagello  della  forza  brutale.  Lo 
storico  geme;  ma  del  gemito  dei  forti,  che  è  una  prote- 
sta e  una  vendetta:  contempla  tristamente  il  dolore  e  i 

mania  citiamo  Rùdiger.  De  fde  hisfoyica  Tacili  in  Germania  descri- 
benda,  Yì'Q\h\x\Q  1823;  Barbv ,  De  Consilio  rpw  C.  Cornei.  Tacitus  li- 
hrwn  illuni  de  situ,  morihus  et popiilis  Germaniae  conscripserit  et  de 
fide  ei  tribucnda  ,  Berlin  1825;  Welter,  De  fde  Tociti  in  rebus  Ger- 
manorum ,  Monasterii  Gucstfalorum  1846;(  Muenscher,  De  Germania 
Taciti,  Marburgi  1857;  ]\Ialina,  De  Consilio  quale  Tacitus  in  scrihendo 
de  Germania  libro  seciitus  esse  videatur,  Deutscli  Crone  1860  ;  Baum- 
stark,  Urdeutsche  Staats alter thiimer  zur  schiitzenden  ErlOiiteritìig  der 
Germnnia  des  Tacitus,  Berlin  1873;  Geilroy,  Rome  et  Ics  barbares  ; 
Etiide  sur  le  Germanie  de   Tacite,  Pai  is  1874. 


€ap.  V.]       TACITO  GIUDICE  IMPARZIALMENTE  SEVERO.  931 

supplizi  della  città  una  volta  si  lieta,  e  con  la  eloquente 
parola  vendica  gli  sventurati  innocenti,  e  segna  di  eterna 
infamia  i  crudeli  oppressori. 

Sono  perduti  i  libri,  che  narravano  il  regno  di  Cali- 
gola e  i  principii  di  Claudio:  ma  poi  ritroviamo  l'impe- 
ratore pedante  in  preda  a  mogli  meretrici  e  a  tristi  li- 
berti, e  quindi  abbiamo  le  follie  e  le  mostruosità  di 
Nerone,  di  cui  solo  ci  mancano  i  casi  estremi.  Nelle 
Storio  succedono  i  fatti  e  le  guerre  di  Galba,  di  Ottone, 
(U  Vitellio  e  di  Vespasiano,  al  quale  rimane  tronco  il 
racconto,  e  ci  mancano  anche  le  cose  di  Tito  e  di  Do- 
miziano. 

Tacito  nel  fare  il  suo  doloroso  viaggio  per  questi  mi- 
seri tempi  si  riserbava  una  consolazione  all'animo  lun- 
gamente travagliato  dallo  spettacolo  della  tirannide  e 
della  guerra  civile.  A  conforto  dei  suoi  stanchi  anni 
aveva  divisato  di  scrivere  da  ultimo  i  felici  tempi  di 
Nerva  e  di  Traiano  *,  ma  pare  che  gli  mancasse  la  vita 
a  colorire  questo  disegno,  come  anche  a  tenere  la  sua 
promessa  di  scrivere  dell'impero  d'Augusto  ^. 

Pure  l'opera  sua,  quantunque  mutilata  e  incompiuta, 
rimane  un  capolavoro  sotto  il  rispetto  della  civile  mo- 
rale, come  dell'arte.  Se  egli  tutto  dipinge  con  neri  co- 
lori non  è  per  tristizia  di  animo,  ma  per  la  ragione 
chf^  gliene  danno  le  scelleratezze  dei  tempi:  se  diffida 
spesso  del  bene,  è  perchè  lo  incontra  tra  gli  uomini  ra- 
}'amente.  Ma  al  tempo  stesso  che  vitupera  con  fiere  pa- 
j  ijle  ogni  malvagità,  la  virtù  ricerca  con  alletto,  e  la  ce- 
lebra eloquentemente  appena  si  mostra.  Non  è  un  maligno 
commissario  di  polizia,  ma  un  giudice  imparzialmente  se- 
vero, governato  dall'amore  di  rendere  piena  giustizia  a 
tutti.  Dei  più  crudi  tiranni  non  tace  niuna  opera  buona: 
e  nel  giudicare  gli  stessi  nemici  di  Roma,  anche  quando 

1  Hist..  I,  1. 

2  Ann..  IH,  21. 


932  LE  FONTI  A  CUI  ATTINSE  LO  STORICO.  [Lib.  VII- 

commettono  una  grande  scelleratezza,  lascia  in  dubbio 
ciò  che  non  è  ben  provato  *. 

Molti  luoghi  ci  mostrano  le  lunghe  e  faticose  cure  da 
lui  poste  nella  ricerca  del  vero.  Cita  gli  atti  del  Senato 
e  gli  atti  diurni'^  o  giornali;  confronta  e  discute  le  storie 
di  Plinio,  di  eluvio  Rufo,  di  Fabio  Rustico ,  di  Vipstano 
Messala,  cita  Corbulone  e  Agrippina  3,  e  ad  essi  o  ad 
altri  autori  di  comraentarii  e  d'annah,  senza  ricordarli 
per  nome,  si  riferisce  più  volte,  e  con  essi  cita  le  cose 
sentite  dai  vecchi  's  ricorda  le  voci  popolari,  e  le  rigetta 
se  non  sono  sostenute  da  autori  sicuri,  o  se  hanno  faccia 
d'assurdi  ^.  Quando  non  ha  documenti,  o  trova  testimo- 
nianze discordi,  confessa  di  non  aver  modo  a  discernere 
il  vero,  sospende  il  giudizio,  cita  senza  nulla  affermare, 
0  dice  la  parte  a  cui  inclina  la  fama  ^.  Altrove,  riferiti 
gli  altrui  detti,  oppone  loro  le  proprie  ragioni  (''). 

{")  Jfisi.,  II.  37  e  101.  Per  la  ricerca  e  per  la  critica  delle  fonti  vedi 
tra  gli  altri  INIeierotto,  De  foniibus  quos  Tacitus  de  tradendis  rebus 
ante gestis  videaiur  secutus,  Lipsiae  et  Berolini  1795;  Boetticher.Xe.Ticon 
Tnciteum,  pag.  XIX-XXIIl;  Pi-utz,  De  foniibus  quos  in  conscribendis 
rebus  a  Tiberio  usque  ad  moriem  Neronis  gestis^  auctores  secuti  vi- 
dcantuv:,  Halle  1838;  Wiedemann,  De  Tacito,  Svetonio,  Plutarcho,  Cassio 
Dione,  script oribus  imperatorum  Galbne  et  Othonis,  Berolini  1857,  e  Die 
Qusllen  der  ersten  6  B.  von  Tac.  Annal.,  Cleve  1868;  Reichau,  De  fon- 
tiiim  deleciu  quem  in  Tiberii  vita  morihusqiie  describendis ,  Velleius, 
Tacitus,  Svetonius,  Dio  habuerunt,  Konigsberg  1865;  Borghesi,  Annota- 
zioni agli  Annali  e  alle  storie  di  Tacito,  in  Opere,  V,  287-305;  Karsten, 
De  Taciti  fide  in  sex  prioribus  Annalium  libris,  Utrecht  1868;  Clason. 
Plutarch  und  Tacitus  cine  Quellenunicrsuclmng ,  Berlin  1870;  Monuii- 
sen,  Cornelius  Tacitus  und  Cluvius  Rufus,  in  Hermes,  1870,  IV,  p.  295- 
316;  Nis?en.  in  lìhein.  Museum,  XXVI,  508-544. 

1  Hist..  IV,  co. 

2  Ann.,  Ili,  3,  V,   1,  XIII,  31,  XV,  7J,  XVI,  22. 

3  Per  Plinio,  Ann...  I,  69,  e  Hìst.,  Ili,  2S.  —  Cluvio,  Ann.,  XIII,  2(i,  XIV,  2.  —Fabio 
Rustico,  XIII,  20,  XIV,  2,  XV,  Gì.  —  Vipstano  Messala,  Hist.,  Ili,  2:.  e  28.  —  Agrip- 
pina o  Corljulone,  Ann.,  IV,  53,  e  XV,  10. 

<  Ann.,  II,  J^8,  III,  16,  V,  !),  XI,  27,  XII,  67,  XIII,  17,  XV,   11  e  73;  Hist.,  II,  101,  e 
III,  51. 
r.  Ann..  IV,   10  e  11. 
C  Ann.,  I,  SI,  V,  10,  VI,  7,  XIII,  20,  XIV,  •  . 


Gap.  V.]  MORALITÀ  DELLO  STORICO  E  STUDIO  DELL'ARTE.         933 

Sicuro  delle  sue  ricerche  e  della  sua  critica,  e  profes- 
sando di  dire  il  vero  di  tutti  senz'  amore  e  senz'  odio  *, 
con  libero  animo  celebra  ogni  grande  e  nobile  cosa,  ri- 
corda più  volte  r  amore  di  libertà  che  armò  i  barbari 
contro  la  prepotenza  di  Roma  2,  smaschera  tutti  gli  ipo- 
criti, vitupera  le  infamie  dei  despoti  e  non  risparmia  la 
viltà  degli  schiavi  che  baciano  la  mano  che  li  flagella: 
ammira  il  coraggio,  ma  non  ne  loda  la  inutile  ostenta- 
zione. Degli  stoici  medesimi,  tra  le  cui  dottrine  era  stato 
educato,  non  tace  le  diserzioni:  e  mentre  loda  Peto  Tra- 
sea,  Elvidio  Prisco  e  Labeone ,  ritrae  sdegnosamente 
quelli  che  alle  cene  di  Nerone  si  compiacevano  di  esser 
contemplati  in  volto  e  voce  severa  tra  le  voluttà  della 
reggia. 

Egli' sente  che  ha  un  doloroso  argomento  alle  mani, 
e  a  chi  lo  riprende  di  tornare  così  spesso  sulle  vergo- 
gnose miserie  e  sul  troppo  sangue  sparso,  risponde  che 
a  ciò  non  lo  stringe  odio,  ma  dovere  di  storico  ^.  E,  non 
mosso  da  brutte  passioni  né  da  amore  di  parti,  continua 
a  dispensare  con  equa  lance  la  lode  e  il  biasimo,  chia- 
mando al  suo  tribunale  piccoli  e  grandi,  imperatori  e 
filosofi,  imperiali  meretrici  e  liberti,  delatori  e  ministri, 
Senato  e  plebe,  e  invocando  su  tutti  il  giudizio  della 
posterità,  che  è  grande  conforto  all'  innocenza  infelice, 
e  terribile  minaccia  al  delttto,  anche  quando  tripudia  in 
sue  allegrezze  scellerate. 

Così  la  sua  parola,  0  lodi  0  maledica,  è  sempre  parola 
di  virtù  e  di  giustizia.  Così  egli  compie  il  sacro  dovere 
dello  storico,  ed  elevando  la  nobile  arte  ad  una  sublime 
moralità  si  rende  benemerito  del  genere  umano,  a  difesa 
del  quale  fa  risonare  la  sua  potente  voce  nel  mondo  ^ 
cangiato  dalla  tirannide  in  silenzioso  deserto. 

1  Hist.,  I,  1. 

2  Agric,  30;  Ann..  II,  8,  e  IV,  72. 

3  Ann..  XVI,  16. 

Vannucci  —  Storia  dell'  Itaìia  antica  —  IV.  117 


934  IL  DIALOGO  DEGLI  ORATORI.  [Lib.  VIL 

E  Ogni  studio  adoprò,  perchè  il  suo  dire  riuscisse  ef- 
ficace. Molto  osservò  e  meditò  i  casi  umani:  svolse  gli 
storici  antichi,  gli  oratori  e  i  poeti,  per  trovare  in  essi 
aiuto  a  ritrarre  la  vita  e  le  grandi  miserie  dei  popoli, 
com'  ei  le  sentiva.  Nei  piccoli  scritti  si  vedono  le  sue 
varie  prove  rispetto  allo  stile.  Il  Dialogo  sugli  oratori, 
composto  prima  d'ogni  altra  cosa,  col  florido  e  copioso 
linguaggio  attesta  i  suoi  studi  Ciceroniani,  mentre  da 
un  altro  lato  accenna  subito  lo  scrittore  morale  e  poli- 
tico il  quale  più  che  a  disputare  sulle  particolarità  del- 
l'arte mira  a  provare  il  decadimento  dell'eloquenza  (")  fino 
dal  regno  d'Augusto,  e  a  cercarne  le  cause  nella'  morte 

(")  Dopoché  il  Renano,  il  Lipsio  e  altri  mossero  dubbi  sull'autore 
vero  di  questa  scrittura,  per  più  di  tre  secoli  continua  ad  agitarsi  la 
disputa.  Ma  i  codici,  e  tutte  le  prime  edizioni  che  attribuiscono  l'opera 
a  Tacito,  e  la  somiglianza  che  è  tra  il  Dialogo  e  gli  Annali  e  le  Storie,  ecc., 
nelle  idee,  nei  sentimenti,  e  nei  principii  morali  e  politici,  come  in  una 
gran  parte  di  modi,  di  costrutti  e  di  formule,  sono  argomenti  di  molta 
importanza.  Fra  le  molte  dissertazioni,  scritte  anche  di  recente  su  questa 
controversia  letteraria,  citiamo  Eichstàdt,  De  dialogo  qui  inscribitur  de 
Oratoribus,  lenae  1839;Dupré,  Dialogum  de  Oratoribus  nec  QuintilianOj 
nec  cuivis  alii,  sed  Tacito  adiudicandum,  esse  censuit  ac  demonstrare 
tentavit,  Saint-Calais  1848;  Gutmann,  Dialogum  de  Oratoribus  non  Ta- 
cito  adiudicandum  esse,  Lutetiae  Parisiorum  1850;  Deycks,  De  dialogo 
Taciti  de  Oratoribus,  Monasterii  Westphalorum  1856;  Weinkauir,  De 
Tacito  dialogi,  qui  de  Oratoribus  mscribitur,  auctore ,  Kòln  1857,  il 
quale  fece  anche  un  amplissimo  indice  dei  modi  e  dei  costrutti  del  dia- 
logo, posti  a  confronto  con  quelli  delle  altre  opere  di  Tacito;  Tamagni, 
Saggio  critico  sopra  l'autore  del  dialogo  de  Oratoribus  (nei  B.endiconti 
dell'Istituto  Lombardo,  serie  2^  voi.  2'»,  pag.  187-200,  390-402,  482-492), 
il  quale  trattando  egregiamente  la  questione  sotto  tutti  i  rispetti,  ed  esa- 
minando gli  argomenti  esteriori  ed  intrinseci,  prova  colle  ragioni  dei 
tempi,  della  lingua,  delle  idee  e  delle  dottrine  che  l'opera  non  appartiene 
né  a  Quintiliano,  né  a  Plinio,  né  ad  altri,  ma  è,  come  porta  la  tradi- 
zione, scrittura  di  Tacito;  Wackermann ,  Dialogus  qui  de  Oratoribus 
inscribitur ,  quo  iure  Tacilo  abiudiceiur ,  Rostochii  1874.  Sui  pregi  e 
sull'arte  di  questa  opera  vedi  Krichenbauer,  De  aeconomia  libri,  qui  in- 
scribitur Dialogus  de  Oratoribus,  Olmutz  1855. 


Gap.  V.]  LO  STILE  E  LA  LINGUA  DI  TACITO.  935 

della  libertà,  nel  gusto,  nell'educazione  e  nei  costumi  dei 
tempi  imperiali,  tanto  mutati  da  quelli  dell'antica  Repub- 
blica. ì^eW Agricola  e  nella  Germania  con  qualche  ricordo 
Ciceroniano  apparisce  prevalente  il  far  Sallustiano  *,  e 
spicca  una  nuova  maniera  che  pronunzia  il  breve  ed 
energico  stile  delle  sue  grandi  opere,  viva  imagine  della 
sua  anima  fortemente  temprata.  Quando  la  tirannide  e 
la  paura  avevano  colla  morale  corrotto  anche  lo  stile 
degli  scrittori,  egli,  serbandosi  virtuoso,  preservò  anche 
i  suoi  scritti  dalla  corruzione  comune,  e  provò  splendi- 
damente la  verità  del  detto  dell'antico  Catone,  che  per 
esser  buono  scrittore,  prima  di  tutto  bisogna  essere  uomo 
onesto  2.  La  sua  hngua  prende  qualità  dalla  forza  e  dalla 
virtù  del  suo  cuore:  pure  non  è,  né  può  essere,  la  lingua 
elegante  e  spontanea  dei  tempi  migliori.  Lo  vietava  l'in- 
fluenza, a  cui  non  possono  sottrarsi  anche  i  più  sommi 
ingegni.  Egli  lottò  di  tutta  forza  contro  la  corruzióne,  ma 
questa  stessa  lotta  lo  tenne  in  siffatta  violenza,  che  la 
sua  lingua  e  il  suo  stile  non  poterono  non  averne  l'im- 
pronta. Lo  studio  delle  forme  più  brevi  e  più  forti  lo 
portò  sovente  a  troppo  ricercate  locuzioni,  a  modi  con- 
torti, ad  asprezze,  a  oscurità.  Ma  per  questa  medesima, 
via  egli  giunge  a  virtù  splendidissime,  e  spesso  riesce 
sublime  per  quella  concisione,  che  è  una  delle  più  sin- 
golari qualità  del  suo  ingegno.  Concepisce  fortemente  il 
suo  pensiero,  e  lo  disegna  a  grandi  tratti,  e  lo  manifesta 
intero  con  una  brevità  senza  pari.  Con  una  parola  sa 
fare  un  ritratto,  e  con  una  frase  ti  mette  il  fremito  e  il 
terrore  nell'anima.  Nel  tempo  stesso  che  in  alcuni  luo- 
ghi col  soverchio  ardimento  fa  sentire  la  decadenza  del 
gusto,  in  altri  è  creatore  di  modi  che  danno  nuova  energia 
alla  lingua,  e  nella  brevità  è  ricco  di  imagini,  di  traslati, 
di  colori  poetici,  e  di  tutta  la  magniloquenza  latina:  e 

1  Vedi  Teuffel,  Geseh.  der  ròm.  Litteratur^  pag.  681-682. 
«  Plinio,  Epist.,  IV,  7. 


936  DESCRIZIONI  E  QUADRI  LUGUBRI.  [Lib.  VII. 

se  sente  i  vizi  del  tempo  suo,  è  superiore  a  tutti  i  con- 
temporanei, e  per  diverse  virtù  emula  i  sommi  Greci  e 
Romani  *  :  e  fu  paragonato  a  Tucidide,  a  cui  somiglia  nel 
dipingere  i  personaggi  con  loro  natura  e  costumi,  ma 
nel  linguaggio  ha  qualità  e  forza  propria,  e  diversa  al 
tutto  dal  Greco  -. 

Profondo,  breve  e  arguto,  egli  dice  tutto  'perchè  vede 
tutto,  e  come  a  significare  i  segreti  pensieri  dei  tiranni, 
sa  trovare  i  colori  convenienti  a  dipingere  il  mondo 
esteriore.  Altri  notò,  come  il  sole  d'Oriente  sembri  ri- 
flettere la  sua  vivida  luce  sullo  stile  dello  storico  quando 
racconta  le  favole  di  Grecia  e  le  meraviglie  di  Egitto. 
All'  incontro  i  suoi  colori  sono  malinconici  e  tetri  tra  i 
misteri  delle  secolari  foreste,  e  sotto  le  nebbie  del  cielo 
germanico  e  all'aspetto  dell'addolorata  natura.  Terribili 
suoni  ha  quando  descrive  lo  spavento  dei  popoli  nelle 
grandi  sciagure,  quando  ripete  il  rumore  delle  battaglie 
e  lo  scroscio  delle  tempeste,  o  il  tumultuare  degli  eser- 
citi funestanti  i  campi  di  fraterne  stragi.  Le  belle  regioni 
d' Italia  a  un  tocco  del  suo  pennello  ci  offrono  quadri 
lugubri.  Le  pianure  dell'Eridano,  le  vie  di  Roma,  le  ma- 
gnifiche campagne  latine,  le  vaghe  rive  del  mare  di  Napoli, 
i  giardini  di  Miseno  e  di  Baia,  che  i  poeti  celebrarono 
come  stanza  del  canto  e  della  letizia,  in  Tacito  appari- 
scono pieni  di  squallore  e  di  tristi  memorie.  Egli  popola 
ogni  luogo  di  dolenti  imagini,  perchè  dappertutto  trova 
ferocie  di  tiranni  e  viltà  di  schiavi,  e  delitti.  Ma  l'arte 
sua  mira  sempre  al  fine  di  destare  nobili  sentimenti,  e 


1  Vedi  Wernicke,  De  elocutione  Taciti^  Thoruni  1829;  lunprelaussen,  De  Tacitei  ser- 
^monis  proprietate^  Kiel  1848;  Nipperdey,  nella  sua  edizione  degli  Annali,  Lipsiae  1851  ; 
Goebel ,  De  Tacitei  stili  colore  poetico ,  Berolini  1859  ;  Wòlfflin ,  Schriften  ueber  den 
taciteischen  Stih  etc,  in  Philologus,  1S66,  voi.  25,  p.  92-131  e  voi.  2G,  p.  92-1G6;  Zernial, 
Nonnulla  de  elocutione  Taciti,  Burg  1868;  Draeger,  Ueber  Syntax  und  Stil  des  Tacitus, 
Leipzig  18C8. 

«  Vedi  Roth,  Thucydidis  et  Taciti  comparatio.  Monachi  1812,  o  Wernicke,  toc.  cit.s 
pag.  7  e  segg. 


Gap.  V.]  TACITO  ULTIMO  DEI  GRANDI  SCRITTORI  ROMANI.  937 

va  sempre  a  conclusioni  morali,  o  discuta  delle  ragioni 
di  Stato,  0  narri  di  guerre,  o  descriva  Roma  spaventata 
dai  supplizi,  e  le  vie  deserte,  e  ogni  uomo  in  guardia 
dell'altro,  e  studioso  di  scansare  ogni  scontro,  ogni  di- 
scorso di  noti  0  d'ignoti;  e  pur  le  cose  mute  e  inanimate 
piene  di  sospetto;  e  al  passaggio  di  una  vittima  tutti 
fuggire  e  poi  tornare  indietro  per  tema  di  dar  sospetto 
coll'aver  mostrato  paura.  Ma  la  voce  della  verità  non 
può  essere  estinta  dalla  paura.  Le  vittime  gridanti  alto 
nell'universale  silenzio  protestano  contro  l'ingiustizia,  e 
turbano  la  quiete  ai  tiranni. 

Fu  rimproverato  di  cadere  spesso  nell'  oscurità  per 
soverchio  studio  di  concisione,  di  essere  qualche  volta 
più  ragionatore  che  narratore,  di  mettere  filosofia  e  po- 
litica dappertutto,  anche  nella  bocca  dei  barbari.  Pure 
gli  rimane  tanta  ricchezza  di  grandi  e  originali  bellezze, 
che  anche  dal  lato  dello  stile  è  più  singolare  che  raro, 
mentre  sotto  il  rispetto  civile  e  morale  forse  non  patisce 
confronto  in  tutta  l'antichità.  Gli  altri  possono  abbondare 
più  nei  pregi  esterni,  essere  più  puri,  più  eleganti,  più 
variati,  ma  ninno  è  più  profondo,  né  più  sottile  indaga- 
tore delle  ragioni  dei  fatti.  È  1'  ultimo  grande  scrittore 
di  Roma,  che  per  l'ultima  volta  fa  sentire  la  voce  so- 
lenne del  genio  romano:  è  un  repubblicano  che  scrive 
la  storia  della  tirannide,  nelle  brutture  della  quale  trova 
conforto  solamente  volgendo  lo  sguardo  al  passato.  L'ima- 
gine  di  Roma  antica  gli  sta  viva  nel  cuore,  e  ne  va- 
gheggia la  gloria,  la  possanza,  la  libertà.  La  severità 
degli  antichi  costumi,  il  senno  degli  ordinamenti  civili, 
la  fama  delle  battaglie  e  delle  rumorose  adunanze  del 
Fòro,  la  potenza  dei  consoli,  la  gloria  e  lo  splendore  del 
senato,  sono  perpetuo  desiderio  della  sua  anima.  È  vero 
che  non  è  uomo  da  pascersi  di  vane  speranze:  vede  che 
la  Repubblica  non  può  più  tornare,  e  quindi  ringrazia 
quelli  che  al  tempo  suo  associarono  un  poco  di  libertà 


938  SPECULAZIONI  POLITICHE.  [Lib.  VII. 

al  principato  *,  si  rassegna  dolorosamente  all'impero  di 
un  capo  supremo,  come  effetto  dell'ira  dei  Numi  (")  contro 
la  umana  tristizia,  come  necessità  delle  cose  in  tanta 
ampiezza  di  Stato  impossibile  a  governarsi  a  comune,  in 
tanta  difficoltà  e  corruzione  di  tempi,  e  con  uomini  in- 
capaci di  sopportare  tutta  la  servitù  e  tutta  la  libertà'^. 
Pure  l'anima  generosa  non  può  acquietarvisi  mai,  perchè 
quest'ordine  non  afforza  e  non  rassicura  le  minacciate 
sorti  di  Roma. 

Fu  detto  che  Tacito  invece  di  uccidersi,  come  Bruto 
per  non  vedere  il  nemico  vittorioso  e  la  morte  della 
Repubblica,  ha  il  coraggio  di  vivere  per  consolare  i  suoi 
amici  sopravvissuti,  per  ornare  di  lodi  i  morti,  per  isco- 
prire  tutte  le  vergogne  dei  vincitori.  A  ciò  debbo  aggiun- 
gersi che  mentre  egli  guarda  affettuosamente  al  passato, 
non  crede  che  ogni  cosa  antica  fosse  ottima,  e  si  con- 
forta pensando  che  anche  l'età  nuova  produsse  glorie  ed 
arti  degne  di  essere  imitate  dai  posteri,  ed  esorta  gli 
amici  a  godere  dei  beni  del  loro  tempo,  e  adoperarsi  al- 
l'utile pubblico,  ciascuno  nel  modo  che  può  3. 

La  Repubblica  vagheggiata  dal  severo  storico  era 
quella  degli  aristocrati  morti  a  Farsalia  e  a  Filippi;  ma 
se  amava  quegli  ordinamenti  e  quegli  uomini,  e  narrò 
partitamente  le  loro  fortune,  dei  patrizi  e  dei  senatori 
non  tacque  le  turpitudini  e  le  scelleratezze  infinite,  e  al 
tempo  stesso  lodò  altamente  gli  uomini  delle  classi  infe- 
riori, quando  risplendevano  per  virtù,  e  qualche  volta  i 
plebei  e  gli  schiavi  stessi  pose  sopra  questi  vili  aristo- 
crati *. 

(*)  Sulle  opinioni  religio*se  di  Tacito  vedi  i  miei  Studi  storici  e  mo- 
rali sulla  letteratura  latina^  Torino  1871,  pag.  486  e  gli  autori  ivi  citati. 

1  Agric.,  3. 

2  Hist.^  I,  16,  II,  38,  e  Ann..  XVI,  16; 

3  Ann.,  Ili,  58,  XVI,  43;  Dialog.  de  Orate,  41.  Conf.  Ann.,  Ili,  66,  e  Hist.,  I,  3. 
*  Ann.,  XIV,  60,  XV,  57;  Hist.,  I,  3,  IV,  50,  ecc. 


Gap.  V.]         amori  ARISTOCRATICI.  EGOISMO  ROMANO.  939 

In  un  luogo  disse  che  il  governo  popolare  si  accosta 
più  a  libertà,  e  quello  dei  pochi  a  regia  sfrenatezza  *,  ma 
teneva  i  soli  nobili  atti  ad  amare  e  a  reggere  gli  ordini 
liberi,  e  il  reggimento  misto,  cioè  temperato  di  popola- 
rità, di  aristocrazia  e  di  principato  gli  parve  piìi  facile 
a  lodare  che  a  mettere  in  ferma  e  durevole  pratica  2.  E 
altrove,  seguendo  i  suoi  amori  aristocratici,  si  scanda- 
lizzò che  Livia,  nuora  di  Tiberio,  sacrificasse  vergogno- 
samente sé  e  i  maggiori  e  i  posteri  a  un  adultero  mu- 
nicipale, a  Seiano  nato  a  Bolsena;  e  pose  come  parte  di 
pubblico  lutto,  che  una  donna  di  illustre  casata  fosse 
andata  sposa  a  tale  che  ebbe  l'avo  terrazzano  di  Tivoli  3. 
Erano  pregiudizi  dell'  egoismo  romano,  da  cui  neppure 
l'anima  elevatissima  di  questo  scrittore  sapeva  sottrarsi, 
e  a  causa  di  questo  egoismo  stimò  giusto  il  desiderare, 
per  la  salute  di  Roma,  la  distruzione  degli  altri  popoli, 
ed  esultò  alla  vista  di  60  mila  Germani,  spentisi  fra  loro 
in  guerra  civile,  e  chiese  agli  Dei  di  rinnovare  l'atroce 
spettacolo  ^,  quantunque,  come  fu  sopra  avvertito,  altre 
volte  rendesse  giustizia  a  coloro  che  insorgevano  per 
mantenere  0  ricoverare  la  libertà  della  patria  ('').  In  ciò 

C')  A  pag.  271-274  di  questo  volume  ricordammo  le  alte  lodi  che  Ta- 
cito détte  ad  Arminio  liberatore  della  Germania ,  e  notammo  che  il 
nome  dell'eroe  giunse  a  noi  glorioso  per  quelle  lodi  dell'onesto  e  impar- 
ziale scrittore  latino.  In  quella  occasione  demmo  anche  il  disegno  del 
monumento  che  la  libera  patria  preparava  al  liberatore  nel  luogo  della 
sua  vittoria  sulle  legioni  di  Varo.  Il  monumento  inaugurato  in  appresso 
fu  bella  e  grande  giustizia  all'uomo  che  si  disse  ucciso  dai  suoi.  La  selva 
di  Teutoburgo  muta  da  tanti  secoli  risuonò  allora  delle  gioie  e  dei  canti 
di  un  grande  e  libero  popolo.  Ma  in  quel  generoso  entusiasmo  era  nobile 
e  giusto  scrivere  la  perfidia  latina  sul  monumento  del  guerriero  che  dalla 
mensa  di  Varo  corse  a  sollevare  i  Germani  contro  di  lui,  e  lo  schiacciò 

1  Ann..  VI,  42. 
!  Ann..  IV,  33. 

3  Ann..   IV,  3,  VI,  27;  conf.  Kirsclibaum,  Quid  Tacitus  senserit  de  rebus  pulHcis , 
lenae  1857,  pag.  21  e  segg. 
*  Gemi..  33. 


940  TEMPERATI  E  UMANI  PENSIERI.  [Lib.  VII 

egli  sentiva  come  i  più  dei  suoi  concittadini;  ma  in  altre 
cose  inalzò  1'  animo  a  pensieri  generosissimi ,  amò  la 
verità  e  la  giustizia,  scrisse  per  ritrarre  altri  dal  male 
colla  paura  della  posterità  e  dell'infamia,  professò  per 
massima  le  dottrine  civili  e  la  morale  degli  stoici,  ma 
nell'applicarle  alla  vita  serbò  temperanza,  e  fuggi  e  scon- 
sigliò le  cose  estreme,  insegnando  esservi  una  via  mez- 
zana tra  l'ardire  imprudente  e  la  turpe  arrendevolezza, 
tra  lo  sfidare  inutilmente  i  tiranni  e  il  porgersi  strumento 
ai  loro  furori  *  :  e  nella  sua  imparzialità  lodò  quelli  che 
stando  coi  principi  tristi  si  astennero  dal  promuovere 
volontariamente  servili  sentenze,  e  temperarono  le  im- 
moderatezze degli  altri  2. 

Egli  fu  uomo  umanissimo  nella  vita  privata,  e  ne  è 
prova  anche  la  sua  stretta  amicizia  con  Plinio  il  Gio- 
vane, che  fu  un  modello  di  gentilezza  e  di  dolce  costu- 
me. Della  quale  consuetudine  serbano  ricordo  più  let- 
tere di  Plinio  stesso,  che  parlano  della  semplicità  della 
vita,  degli  onesti  diletti,  degli  studi,  dell'amore  dell'arte, 
e  dei  nobili  sentimenti  di  questi  due  uomini,  che,  diffe- 
renti d'ingegno,  furono  eguali  nell'amore  della  libertà, 
e  di  ogni  opera  egregia^,  ed  erano  accoppiati  dall'opi- 
nione pubblica  e  dalle  estreme  volontà  dei  morenti,  che 
ad  ambedue  insieme  lasciavan  legati  '\ 

C.  Plinio  Cecilio  Secondo,  nativo  di  Como,  vissuto  dal  62 
al  113  di  Cr.  incirca,  era  per  madre  nipote  di  Plinio  il 
Vecchio,  che  lo  adottò  per  figliuolo    e  pose  ogni   cura 

a  tradimento?  Sappiamo  benissimo  die  coi  dominatori  stranieri  i  popoli 
non  guardano  troppo  per  la  sottile,  ma  sta  bene  accusare  altri  di  slealtà 
quando  si  celebrano  le  glorie  dei  nostri  che  mentre  facevano  la  corte  al 
nemico  gli  saltarono  col  ferro  alla  gola? 

1  Ann.^  vr,  10,  22,  XIV,  12,  e  Agric,  42. 

2  Ann..  IV,  20,  VI,  10  e  27. 

3  Plinio,  Ejìist..  l,  6  e  20,  IV,  13  e  15,  VI,  9  e  16,  VII,  20,  33,  Vili,  7,  IX,  14  e  23. 

4  Plinio,  Epist.^  VII,  20;  conf.   Laboulaye,  Testament  de  Dasumius j  Paris  1815, 
pag.  17  e  18. 


r 


Gap.  V.]     PLINIO  IL  GIOVANE.  UFFICII  PUBBLICI  E  STUDI.  941 

perchè  fosse  ben  educato.  Corse  la  via  degli  onori  ai 
tempi  di  Domiziano,  di  Nerva  e  di  Traiano,  e  sotto  que- 
st'ultimo, a  cui  fu  carissimo,  salì  al  consolato  (100  di 
Cristo),  e  da  ultimo  andò  per  due  anni  (111  o  112  e  nel- 
l'anno appresso)  legato  imperiale  al  governo  della  Bitinia 
e  del  Ponto  ('').  Ma  gli  studi  erano  il  suo  grande  e  pre- 
cipuo amore,  e  nell'antichità  egli  porge  il  vero  modello 
dell'  uomo  di  lettere.  Studiò  1'  eloquenza  alla  scuola  di 
Quintiliano,  ebbe  familiari  il  retore  Niceta  e  i  filosofi 
Eufrate  e  Artemidoro  *,  e  visse  amicissimo  a  tutti  quelli 
che  coltivassero  le  lettere. 

A  14  anni  compose  una  tragedia  2,  a  19  fece  la  sua 
prima  entrata  nel  Fóro,  e  poscia  fu  avvocato  in  molte 
contese  criminali  e  civili,  trattò  cause  gravi  e  famose, 
aringo  contro  i  potenti,  difese  le  assassinate  province, 
orò  con  Tacito  a  favore  degli  Affricani,  e  al  principio 
del  regno  di  Nerva  accusò  arditamente  i  ribaldi ,  che 
avevano  infuriato  sotto  la  passata  tirannide  ^,  come  in 
suoi  libri  fece  la  vendetta  di  Elvidio  ^.  Sua   regola  era 

(«)  Riinane  l'epigrafe  testamentaria  già  posta  nelle  terme  di  Como,  edi- 
ficate da  Plinio,  la  qxiale  lo  ricorda  console,  augure,  legato  di  Traiano 
con  potestà  consolare  nel  Ponto  e  nella  Bitinia,  curatore  dell'  alveo  del 
Tevere  e  delle  ripe,  e  delle  cloache  della  città  ;  prefetto  dell'  erario  di 
Saturno,  prefetto  deirerario  militare  (pretore,  tribuno  della  plebe),  que- 
store dell'imperatore,  seviro  dei  cavalieri  romani,  tribuno  militare  della 
terza  legione  Gallica,  decemviro  a  giudicare  le  liti.  Vedi  Boarius,  Be 
Plinii  Secundi  testamentaria  inscriptione,  Mantuae  1T75;  Ordii,  1172, 
Mommsen,  in  Ann.  Istit.  arch.,  1854,  pag.  41,  e  neW Hermes,  \\\,  pag.  108- 
1 13,  ove  sono  anche  le  altre  iscrizioni  che  lo  riguardano  ;  e  Heuzen,  in 
Orelli,  voi.  HI,  pag,  124.  Vedi  anche  Plinio,  Epist,  I,  23,  III,  4  e  11,  IV, 
8,  V,  15,  VII,  11  e  16,  X,  8  e  2,  Paneg.,  92  e  95,  e  tutto  il  suo  carteggio 
con  Traiano. 

1  Plinio,  Epist.,  I,  10,  III,  11,  VI,  6. 

2  Epist..  VII,  4. 

3  Epist..  I,  5,  7,  IS  e  2"),  n,  H,  lU,  4,  IV,  9,  16,  17  e  21,  V,  8,  H,  20  e  21,  VI,  12,  18, 
5»  e  33,  VII,  6  e  33,  IX,  2  e  3. 

<  Epist..  VII,  30,  IX,  13. 
Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antita  —  IT.  11« 


942  ORAZIONI  E  VERSI.  [Lib.  VII. 

leggere,  scrivere,  meditare  di  continuo  per  poter  parlare 
quando  volesse.  Era  tutto  nei  partiti  dell'arte,  nell'empire 
le  orazioni  di  fiori  e  di  descrizioni  poetiche  per  piacere 
a  ogni  qualità  di  lettori  ;  le  ritoccava,  le  recitava  agli 
amici  per  averne  consigli  e  correzioni  *.  Amava  lo  stile 
abbondante,  e  su  ciò  avvi  una  sua  lunga  lettera  a  Tacito, 
ove  spinge  all'  estremo  la  lode  del  periodo  sonante,  in- 
gegnandosi di  provare  che  nell'abbondanza  sta  principal- 
mente il  pregio  delle  scritture  2.  Non  sappiamo  quello 
che  Tacito  gli  rispondesse,  ma  è  certo  che  i  suoi  con- 
temporanei lo  accusavano  di  dare  nell'esuberante  e  nel 
gonfio  3.  Il  che  ci  apparisce  anche  dal  Panegirico  a  Tra- 
iano, nel  quale  s' incontrano  la  gonfiezza  e  la  sover- 
chianza,  che  egli  stima  sublimità  e  copia  *,  e  le  antitesi, 
e  il  far  manierato,  e  lo  studio  eccessivo  delle  peregri- 
nità, degli  ornamenti  oratorii,  delle  arguzie  dei  concetti, 
e  l'affettazione,  e  la  dilfusione  che  stanca. 

Attese  anche  ai  versi,  e  ne  fece  d'ogni  qualità  e  d'ogni 
metro:  versi  in  villa,  in  viaggio,  a  cena,  al  bagno,  a  caccia, 
alla  guerra  ;  versi  eroici,  versi  leggieri  ^ 

Pensò  anche  di  scrivere  storie.  Molti  lo  esortavano  a 
ciò,  ed  egli  ne  vide  le  bellezze  e  le  difficoltà  6,  ma  non 
sappiamo  se  veramente  si  ponesse  a  tale  opera. 

Oltre  al  Panegirico  ci  rimangono  di  suo  solamente  le 
Epistole  che,  quantunque  un  po'  declamatorie  e  prive  della 
naturalezza,  che  è  la  virtù  prima  di  tali  scritture,  spesso 
sono  graziose,  e  argute  e  ricche  di  liberi  e  generosi  pen- 
sieri e  ci  mostrano  l'autore,  e  i  costumi,  gli  studi  e  tutta 
la  coltura  romana  all'età  di  Traiano.  In  esse  vediamo, 
l'uomo  alternante  la  vita  tra  i  pubblici  ufficii,  tra  1  ru- 

1  Episl..  I,  S,  III,  18,  V,  13,  VI,  29  e  33,  VII,  17,  IX,   I,  IO  e  28. 

2  Epist.,  I,  20. 

3  Epist..  I,  20,  V,  6  in  fine,  VII,  12,  IX,  26;  Macrobio,  Sat..  V,  I. 

4  Epist.,  IX,  26. 

5  Epist.^  IV,  14  e  18,  V,  3,  VII,  4,  Vili,  21,  IX,  10,  10  e  25. 
«3  Epist..  V,  8,  IX,  27. 


I 


Gap.  V.]  PLINIO  NELLE  SUE  LETTERE.  943 

mori  di  Roma,  tra  le  contese  dei  tribunali,  tra  i  diletti 
della  villa  e  gli  studi.  È  inesauribile  sul  discorso  dei 
suoi  versi,  delle  sue  orazioni,  dei  suoi  trionfi  oratorii  ^ 
Più  che  d'  ogni  altra  cosa  gli  cale  di  queste  faccende  , 
da  cui  aspetta  gloria  immortale  2.  Negli  ufficii  si  lamenta 
di  non  aver  quiete  a  far  versi,  a  scriver  lettere  ornate, 
né  può  persuadersi  che  degli  studi  siano  più  piacevoli 
i  governi":  e  fra  le  brighe  di  Roma  sospira  le  rive  del 
Lario,  piene  di  selve  e  di  silenzi  atti  allo  studio  ^.  Ebbe 
ville  a  Laurento  ("),  a  Tivoli,  a  Preneste,  a  Tuscolo,  in 
Etruria  al  pie  degli  Appennini  presso  Tiferno  {Città  di 
Castello)  e  due  splendide  sul  lago  di  Como,  da  lui  chia- 
mate Tragedia  e  Commedia.  Passava  l'inverno  a  Laurento, 
e  i  calori  estivi  in  Etruria,  scrivendo  agli  amici  della  sua 
vita  innocente,  de' suoi  diporti,  dei  suoi  esercizi  di  corpo  e 
di  ingegno;  celebrando  le  maraviglie  del  Lario,  le  fresche 
aure  tifernati,  i  tepori  laurentini  ^.  Veniva  a  Roma  a  leg- 
gere i  suoi  scritti,  e  ad  ascoltare  i  poeti,  che  erano  tutti 
amici  suoi  ^.  Lodava  da  sé  stesso  i  suoi  versi  e  le  sue 
orazioni  divine,  e  parevagli  eccellente  ogni  scritto,  in  cui 
si  parlasse  bene  di  lui.  Lodava  piccoli  e  grandi,  sdegnan- 
dosi contro  chi  non  fosse  largo  di  lodi  con  tutti,  e  fu 
ripreso  di  far  così  colla  speranza  che  gli  altri  lo  trattas- 
sero nel  medesimo  modo,  mosso  da  quell'ardente  sete 
di  fama  che  egli  stesso  confessa.  Molti  sono  quelli  chia- 
mati da  lui  ingegni  subUmi,  grandi  oratori,  grandi  poeti 
splendidi  ornamenti  del  secolo ,  i  quali  nella  più   parte 


(«)  Vedi  Marquez,  Belle  ville  di  Plinio  il  Giovane,  Roma  1796,  il  quale 
dà  la  pianta  della  villa  Laurentina  disegnata  e  largamente  illustrata. 

i  Epist,  I,  2  e  18,  II,  li,  14,  III,  4,  13,  18,  IV,  9,  16,  V,  8,  21,  VI,  18,  29  e  33,  IX,  23. 
s  Epist..  VI,  29,  IX,  3  e  25 
3  Epist..  I,  9  e  10,  Vili,  9, 
*  Epist.j  II,  8. 

5  Epist.,  1,0  e  22,  II,  8  e  17,  IV,  1    e  30,  V,  6  e  18,  VI,  21,  IX,  7,  36  e  40. 

6  Epist.^  I,  13. 


944  ANIDRE  DELLA  LODE,  ONESTÀ  E  BENEFICENZA.     [Lib.  VIL 

diventarono  presto  oscurissimi  *,  La  smania  della  lode  ec- 
cessiva apparisce  anche  in  ogni  pagina  del  Panegirico. 
Traiano  era  senza  dubbio  degno  di  encomio:  ma  il  pa- 
negirista lo  loda  soverchiamente ,  e  cerca  con  studio 
infinito  di  mostrarlo  ammirabile,  anche  per  cose  che  altri 
non  crederebbe  pur  degne  di  nota.  Questo  lodar  tutti,  per 
esser  lodato  da  tutti,  era  una  sua  gran  vanità,  che  può 
perdonarglisi,  perchè  la  compensavano  molte  virtù,  delle 
quali  pure  è  da  dolere  che  parlasse  troppo  e  con  vanità 
puerile. 

Rese  giustizia  anche  alla  virtù  dei  Cristiani  ^.  Ammirò, 
e  caldamente  celebrò,  tutti  gli  uomini  più  virtuosi  dell'età 
sua,  e  ne  propose  ad  esempio  ai  presenti  e  ai  futuri  l'o- 
nesto costume,  la  schiettezza,  la  fede,  la  santità,  la  pura 
coscienza,  l'integrità  nei  pubblici  ufiicii,  la  forza  nei  pe- 
ricoli, il  coraggio  nell'avversità,  l'amore  di  patria,  l'odio 
ai  tiranni  ^.  Fu  integerrimo  come  il  suo  padre  adottivo  (•*), 
e  pieno  di  sentimenti  umani  e  generosi.  Usò  il  favore 
imperiale  a  vantaggio  degli  altri  *,  protesse  i  giovani  ben 
promettenti,  e  li  raccomandò  alla  fama  ^.  Nella  ricchezza 
menò  vita  frugale,  amava  le  cene  abbondanti  di  discorsi 
socratici  ^,  e,  parco  per  sé-,  potè  esser  largo  e  benefico 
agli  altri.  Fece  a  sue  spese  un  tempio  a  Tiferno;  spese 
somme  ingenti  (più  di  3  milioni  di  sesterzi)  per  ador- 
nare Como  sua  patria,  per  farle  donativi  annuali,  per  co- 
struirne le  terme,  per  dotarne  la  biblioteca  che  inaugurò 
con  una  lunga  orazione  in  lode  della  città;  per  procu- 

(«)  Vedi  la   Vita  di  Plinio  attribuita  a  Svetonio. 

l  Spist..  I,  16,  II,  10  0  13,  III,  1,  15,  IV,  3,  19,  20  e  27,  V,  5,  8,  10  e  17,  VI,  11,  17  e 
21,  VII,  23  e  28,  Vili,  4  e  12,  IX,  3  e  8,  22,  28  e  33. 

*  Epist.,  X,  97. 

3  Epist..  I,  12,  II,  I,  7  e  9,  III,  1,  2,  3  e  li,  IV,  4,  17,  21  e  22,  V,  5,  15  e  17,  VI, 
10  e  21,  VII.  19,  21  e  31,  VIII,  5,  12  e  14,  IX,  13  e  19. 

*  Epist..  II,  9,  X,  4,  5,  6,  22,  23,  48,  49,  58,  59,  95,  96. 

5  Episl..  VI,  23. 

6  Epist.,  II,  4,  6,  III,  12,  IX,  17. 


Gap.  V.] 


GENEROSITÀ  E  UMANITÀ. 


945 


rare  pubblici  maestri,  per  aiutare  i  giovani  studiosi,  per 
nutrire  i  figliuoli  dei  poveri  *.  Dotò  di  50  mila  sesterzi 
la  figlia  di  Quintiliano,  per  gratitu- 
dine al  suo  antico  maestro;  ad  un 
amico  ne  donò  300  mila,  perchè  po- 
tesse esser  cavaliere  ;  ad  altri  con- 
donò debiti  e  fece  regali  ricchissimi, 
e  sovvenne  di  denaro  gli  amici  pro- 
scritti. Osservò  i  testamenti,  anche 
quando  non  regolari,  e  fatti  a  suo 
danno,  avendo  per  massima  di  ri- 
spettare più  della  legge  la  volontà 
dei  defunti.  Nel  difender  le  cause 
rifiutò  non  pure  qualunque  mercede, 
ma  ogni  dono  o  ricordo  -. 

Amò  i  suoi  schiavi,   e  concedeva 
loro  di  far  testamento.  Non  stimava 
né  sapiente,  ne   uomo,   chi  non  si 
addolora  delle  altrui  sciagure.  Rac- 
comandò la  liberalità  disinteressata, 
e  s'indignò  dell'enorme  cupidità  del 
suo  secolo.  Chiese  indulgenza  anche 
per  quelli  che  non  sono  indulgenti  ^. 
Insomma  fu  uomo  generoso  ed  one- 
sto, e  come  scrittore  stette  tra  i  migliori  del  tempo  suo, 
quantunque   come   gli   altri  trascorresse   ad  artifizi  e   a 
licenze,   che   guastavano  la   castità  e  la  sincerità  della 
lingua  ("). 


Plinio  console  ed  augure 

Aldini^  Gli  antichi  marmi 

Comensi^  tav.  3,  n.  1). 


[^)  Per  la  vita  di  Plinio,  pel  suo  carattere,  pel  suo  ingegno,  per  le  sue 
lettere  e  pel  suo  modo  di  scrivere,  vedi  Masson,  C.  Plinii  vita  ordine 
chronologico  digesia,  Amsterdam  1709;  Geìsler,  Le  Plinii  minoris  vita. 


1  Vedi  sopra,  pag.  SOO, 

*  Epist.,  I,  8,  19,  II,  1,  5,  16,  III,  6,  11,  IV,  I,  V,  II,  VI,  3,  IX, 
n72,  e  Henzen,  ivi^  voi.  Ili,  p.  124. 
3  Epist.^  V,  19,  VII,  32,  Vili,  16,  22,  2J,  IX,  30. 


Creili,  Inscript.» 


94G  S  VE  TONIO.  [Lib.VII. 

Egli  fu  amico  a  tutti  gli  uomini  più  notevoli  di  questa 
età,  e  tra  essi  amò  e  stimò  distintamehte  C.  Svetonio 
Tranquillo,  il  cronista  dei  Cesari,  dei  retori  e  dei  gram- 
matici. 

Di  quest'  uomo ,  che  con  tanta  cura  ricercò  e  scrisse 
le  più  minute  particolarità  di  tanti  altri,  quasi  ninno  ci 
détte  notizia.  Ond'è  che  non  sappiamo  precisamente  né 
quando  nacque  né  quando  morì.  Egli  ricorda  che  nasceva 
da  padre,  che  fu  tribuno  militare  e  combattè  a  Bedriaco 
nella  guerra  tra  Ottone  e  Vitellio  {'').  Plinio,  suo  amico, 
ne  loda  l'amore  agli  studi,  la  molta  dottrina,  la  probità 
e  i  buoni  costumi,  e  per  questi  pregi  lo  raccomandò  a 
Traiano ,  e  gli  fece  concedere  il  diritto  dei  tre  figUuoli 
e  l'ufficio  di  tribuno  militare,  che  egli  rinunziò  a  favore 
di  un  suo  parente  *.  Più  tardi  fu  segretario  di  Adriano, 

Breslau  1862;  Momrasen ,  Lebensgeschichie  des  jiingeren  Plinius,  ia 
Hermes,  1868,  III,  pag.  31-114,  trad.  in  francese  da  M.  Morel,  Étude  sur 
Pline  le  Jeune,  Paris  1871;  Lelimus,  Der  Charakter  des  jungern  Plinius, 
Soest  1776;  G\eYÌg,Leben,  ìnoralischer  Charakter  und  schriftstellerischer 
^\'erth  des  jiingeren  Plinius,  Dorthmund  1798;  Held,  Werth  der  Brief- 
sammhtng  des  jilng.  Plinius  in  Besug  auf  ròm,  Lit-Geschichte,  Breslau 
1833;  Cauvet,  Elude  sur  Pline  le  Jeune,  Toulouse  1857;  Grasset,  Pline 
le  Jeune,  sa  vie  et  ses  oeuvres ,  Montpellier  1865;  Tanzmann,  Be  C. 
Plinii  Caecilii  Secundi  vita,  ingenio,  moribus  quaestio,  YrQ.i\.^\9.v\&e  1865; 
Holstein,  Be  Plinii  ininoris  elocutione,  Naumburg  1862;  Lagergren,  Be 
vita  ed  elocutione  C.  Plinii  Caecilii  Secundi,  Upsala  1871;  Stobbe,  PZt- 
nius  Briefe,  in  Philologus,  1870,  pag.  381-389;  Kraut,  Ueber  Syntax 
und  Stil  des  jiingeren  Plinius,  Tiibingen  1873;  Render,  Ber  jiingere 
Plinius  nach  seinen  Briefen,  Tiibingen  1873;  Fabre,  Souvenirs  des  lettres 
de  Pline,  Clermont-Ferrand  1875. 

{"■)  Svetonio,  Otho,  10.  Svetonio,  ricordando  [Ner.,  57)  il  falso  Nerone, 
venuto  20  anni  dopo  la  morte  del  vero,  dice,  che  ciò  accadde  mentre  egli 
era  adolescente:  adolescente  me.  Dal  che  può  ricavarsi,  che  nascesse  al 
cominciare  del  principato  di  Vespasiano  o  poco  prima.  Vedi  Krause,  De 
fontibus  Svetonii,  Berolini  1831,  pag.  2,  e  Regent,  Be  C.  Soelonii 
Tranquilli  vita  et  scripiis,  Vratislaviae  1856,  pag.  2. 

'  Plinio,  Epist.,  Ili,  8,  X,  95  e  96;  Regent,  loc.  cit.,  pag.  5. 


Gap.  V.]  MOLTIPLICI  OPERE.  947 

e  perde  quell'ufficio  per  avere  trascurato  certe  forme  di 
etichetta  coU'imperatrice  Sabina  ^ 

Dapprima  aveva  fatto  l'avvocato  e  il  grammatico  -:  e 
di  grammatico  e  di  retore  serbò  sempre  i  gusti,  dilet- 
tandosi molto  dello  studio  minuto  sulle  parole,  e  sulle 
vite  degli  scrittori.  Rimangono  cenni  e  frammenti  di 
molte  sue  opere  storiche,  erudite,  grammaticali  e  scienti- 
fiche, tra  cui  notiamo  alcuni  tratti  che  sembrano  avanzi 
di  una  storia  delle  guerre  civili  di  Pompeo  e  di  Cesare, 
e  di  Antonio  e  di  Ottavio;  una  difesa  di  Cicerone;  tre 
libri  dei  re;  uno  dell' istituzione  degli  uffìcii,  o  delle  ca- 
riche di  corte  e  di  Stato  ;  più  libri  degli  spettacoli,  e  dei 
giuochi  greci  e  romani;  sull'anno  romano,  sulle  leggi, 
sui  costumi,  sulle  fogge  del  vestire;  ricerche  sulle  diffe- 
renze delle  parole;  sull'anno  romano;  studi  sulle  nature 
delle  cose  e  degli  uomini  ("). 

I  frammenti  dei  Grammatici  e  dei  Retori  che  ci  danno 
notizie  delle  scuole,  degli  studi,  della  lingua  e  delle  let- 
tere nei  primi  tempi  dell'Impero  facevano  parte  di  un'o- 
pera più  grande  sugli  Uomini  illustri,  in  cui  molto  pro- 
babilmente trattò  anche  dei  poeti,  degli  oratori,  degli 
storici  e  dei  filosofi  3. 

Fra  tanti  suoi  scritti  perduti  giunsero  a  noi  quasi  in- 
tere le  Vite  dei  primi  dodici  imperatori  da  Cesare  a  Do- 
miziano, dei  ciuali  con  stile  assai  puro,  semplice,  breve, 
chiaro  *  e  preciso,  narrò  i  molti  vizi  e  le  scarse  virtù,  le 

(^)  Per  tutto  ciò  vedi  Augusto  Reifferscheid ,  C.  Soetonii  Tranquilli 
praeter  Caesarum  libros  reliquiae,  Lipsiae  1860,  in  8°  di  pag.  565,  opera 
dottissima  e  capitale  su  questo  argomento. 

1  Sparziano,  Adrian.^  11. 

2  Plinio,  Epi&t.,  I,  13,  24. 

3  Vedi  Doergens,  Ueber  Svetons  Werk  De  viris  illustribus.  Etne  philologische  Stiidie^ 
Leipzig  1857  ;  Reifferscheid,  loc.  cit.^  pag.  3-144  e  363-425. 

<  Pei  pregi  e  difetti  del  suo  scrivere  vedi  Thimra,  De  usu  atque  elocutione  Caii  Sve-, 
tonii  Tranquilli^  Kònigsberg  1867;  'Ba^ge ,  De  elocutione  Caii  Svetonii  Tranquilli  ^ 
Upsaliae  1875. 


948  LE  VITE  DEI  DODICI  CESARI.  [Lib.  VIL 

orgie,  le  rapine,  le  immani  crudeltà,  il  lusso  dei  vestiti 
e  dei  cibi  e  degli  spettacoli,  descrivendo  l'ingegno,  l'animo 
e  il  corpo  di  ognuno  e  raccogliendo  un  numero  grande 
di  aneddoti  e  di  fatti  singolari:  in  breve  ritraendo  la 
reggia  con  sentimento  dell'onesto  e  del  vero,  e  con  ac- 
cento d'indignazione  contro  le  infamie  del  vizio,  ma 
spesso  mostrando  le  grandi  turpitudini  senza  velo,  e 
quasi  con  compiacenza. 

Fu  ripreso  anche  di  dividere  e  suddividere,  e  sminuz- 
zare troppo  le  Vite  dei  suoi  personaggi,  di  spezzare  la 
loro  vivente  unità,  d'isolargli  in  mezzo  al  teatro  del  mondo, 
in  cui  operarono,  di  non  narrare  mai  i  fatti  per  ordine 
cronologico,  e  di  riunire  le  varie  materie  per  generi  in 
particolari  capitoli,  senza  riguardo  alla  ragione  dei  tempi. 
D'onde,  oltre  alle  lacune  e  alle  ripetizioni  inevitabili,  e 
alla  mancanza  del  movimento,  che  nasce  dalla  succes- 
sione naturale  dei  fatti,  viene  anche  la  difficoltà  di  ri- 
trovare le  proporzioni  e  la  intera  figura  di  questi  esseri, 
così  divisi  in  tante  piccole  parti  '. 

Ma  non  pare ,  che  a  questo  fosse  volto  il  suo  animo. 
Egli  pose  ogni  studio  à  raccogliere  tutti  i  piìi  minuti  par- 
ticolari ,  fu  il  primo  a  tentare  la  biografia  aneddotica, 
attingendo  a  tutti  i  fonti  delle  notizie.  Vide  le  biblioteche 
pubbliche  e  private,  gli  archivii,  gli  atti  del  senato  e  del 
popolo,  i  giornali,  gli  atti  dei  principi,  decreti  di  ogni 
maniera,  genealogie,  atti  di  nascita,  testamenti,  orazioni 
funebri,  memorie,  raccolte  di  lettere,  autografi,  e  molti 
annalisti  ora  perduti  2.  E  dei  materiali,  che  ebbe  alle 
mani,  usò  attentamente  cosi  che,  sebbene  lo  studio  so- 
verchio di  brevità  lo  faccia  apparire  qualche  volta  oscuro 

1  Vedi  Epger,  Examen  des  historiens  d'Aug.,  pag.  2()8;  e  Wiedemann,  De  Tacito, 
Svetonio,  Plutarcho,  Cassio  Dione  scriptoribus  imperatorum  Qalbae  et  Othonis ,  P<- 
rolini  1857,  papr.  3». 

«  Svetonio  ,  Cnes..  fi;  Aug.  ^  5,  70,  94,  100  e  101;  Tib..  3,  5  e  73  ;  Calig.  .  8  e  3"; 
Cliud.,  11  e  41;  Vitell.,  1;  Vespas.,  8;  De  dar.  rhet.,  l,  ecc.;  Krause,  De  fontibus 
Svetonii^  pag.  7  e  segg. 


Gap.  V.]  AULO  GELLIO.  949 

e  negligente,  anche  al  paragone  dei  documenti  autentici 
pochi  altri  storici  possono  dirsi  più  precisi  di  lui  (").  Il 
che  ,  anche  in  mancanza  di  gravità ,  di  elevatezza  e  di 
vero  intelletto  dell'arte  storica,  è  un  raro  pregio,  che  ci 
rende  importantissimo  questo  rivelatore  dei  segreti  del 
palazzo  imperiale. 

Memorie  di  filosofi,  di  grammatici  e  retori  ci  lasciò 
Aulo  Gellio  nelle  Notti  Attiche,  che  sono  una  raccolta  di 
estratti  di  autori  greci  e  latini,  antichi  e  recenti,  fatta 
nelle  notti  invernali  quando  dimorò  per  sua  istruzione 
ad  Atene,  e  destinata  a  ricreazione  e  ad  ammaestramento 
morale  e  letterario  dei  suoi  figliuoli*.  Egli  fu  giudice  a 
Roma-  sotto  gli  Antonini,  ma  pare  non  gli  mancasse 
tempo  a  frucar  biblioteche,  e  a  conversare  coi  dotti  del 
tempo  suo,  fra  i  quali  ricorda  con  reverenza  Frontone, 
Favorino,  Erode  Attico,  il  filosofo  Calvisio  Tauro  di  Be- 
rito,  seguace  della  setta  platonica,  e  i  retori  Antonio 
GiuHano,  e  Sulpicio  Apollinare  suoi  maestri,  e  più  altri  3. 
Di  tutti  riferisce  aneddoti,  opinioni,  dottrine:  il  che,  unito 
agli  estratti  di  sue  molte  letture,  rende  il  libro  pieno  di 
notizie  importanti,  e  di  curiosità  storiche,  archeologiche, 
grammaticali  e  letterarie.  Vi  sono  curiosi  frammenti  di 
autori  perduti,  notizie  sui  costumi,  sulla  religione,  sul 
governo  e  sulla  mihzia  di  Roma  antica;  decreti  antichi 
e  leggi  romane,  confrontate  con  quelle  di  altri  paesi;  ri- 

(a-j  Egger,  Examen  des  historiens  anc.  d' Aug.,  pag.  275.  Citiamo,  tra 
gli  altri,  un  fatto,  in  cui  la  erudizione  moderna  ha  provato  l'esattezza 
del  biografo.  Egli  era  stato  accusato  di  errore,  per  avere  attiibuito  a 
Cammino  Scribouiano  il  gentilizio  di  Arrunzio ;  ma  a  torto.  Arrunzio 
»i  trova  nelle  iscrizioni,  e  Svetonio  ha  ragione.  Vedi  Borghesi,  negli  An- 
nali dell'  Istituto  di  corrispondenza  archeologica^  1850,  pag.  361. 

1  Notti  Att.^  praef. 

2  Notti  Att..  I,  22,  XI,  3. 

3  Notti  Att.,  II,  1,  2,  5  e  IG,  IX,  10,  X,  19,  XII,  1,  13,  XIH,  19,  XIV,  2,  XV,  1  ,  8. 
XVI,  13,  XVII,  8,  19,  20,  XVIII,  4,  5,  IO,  XIX,  S,  10  e  13,  XX,  i.  Vedi  auchc  Fried- 
laender.  De  Aldi  Gellii  vitae  temporibus^  liegimonti  1869. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV.  119 


950  AULO  GELLIO.  [Lib.  VII. 

cerche  fatte  con  curiosità  di  antiquario  sul  diritto  civi- 
le ♦;  discussioni  di  filosofia,  di  morale,  di  giurisprudenza; 
e  soprattutto  di  parole,  perchè  egli  era  specialmente  un 
grammatico  nel  significato  antico  della  parola.  Egli  ha  i 
gusti  e  i  vizi  del  tempo  suo,  in  cui  si  disputa  di  parole 
e  si  ricerca  l'erudizione  minuta,  e  si  vedono  magistrati, 
giureconsulti  e  filosofi  studiosissimi  della  origine  dei  vo- 
caboli e  di  loro  differenze  -..  Vi  sono  greggi  di  gramma- 
tici, arroganti  e  bruttamente  ignoranti  ascoltati  da  uomini 
gravi,  mentre  recitano  Ennio  e  Plauto,  o  interpretano 
qualche  oscura  parola  di  Catone  e  di  Nevio.  Anche  la 
festività  delle  mense  infestata  dalla  ispida  erudizione: 
anche  il  Fóro  invaso  dalle  ciance  grammaticali  3.  Si  vuol 
saper  tutto,  si  va  in  cerca  della  erudizione  che  non  eru- 
disce ma  oscura  la  mente,  e  con  molti  studi  spesso  si 
giunge  solamente  a  vanità,  a  miserie,  a  seccaggini.  Gelilo 
aveva  molta  e  vera  e  variata  dottrina  tratta  da  molti 
scrittori  greci  e  latini,  dei  quali  si  contarono  275  nomi 
nella  sua  opera.  Fu  indefesso  a  ricercare  le  origini  delle 
parole:  per  ogni  vocabolo  consultò  i  piìi  reputati  gram- 
matici, e  svolse  molti  volumi  ^,  e  si  mostrò  intendentis- 
simo  di  tali  questioni,  e  osservatore  sottile,  ed  espositore 
dotto  di  ciò  che  riguarda  le  forme,  le  figure,  le  termina- 
zioni delle  parole,  le  formule  proprie  di  ogni  disciplina, 
l'uso  e  il  discorso  degli  scrittori;  ma  alla  parte  filosofica 
della  grammatica  détte  poca  importanza,  e  passò  di  volo 
sulle  dispute,  se  le  lingue  siano  nate  dalla  natura  delle 
cose  0  dal  capriccio  degli  uomini,  se  valga  la  ragione  o 
l'arbitrio  sancito  dalla  consuetudine,  e  qual  sia  la  forza 
peculiare  e  la  nozione  generale  d'ogni  vocabolo  5.  Sulle 

1  Su  ciò  vedi  Giudea,  A.  Gellii  qiiae  ad  ius  pertinente  Roatoch  1813,  e  Dirksen,  negli 
Atti  dell'Accademia  di  Berlino  del  1851. 

*  J^olti  Alt.,  II,  26,  III,  19,  VII,  7,  XIII,  17,  XVIII,  G  e  7. 

3  Notti  Att..  I,  21,  II,  26,  III,  It»,  V,  8  u  21,  XllI,  30,  XV,  9,  XVI,  6,  XVIII,  4  e  7; 
Vogel,  De  A.  Geliii  vita,  studiis  j  scriplis  ,  narratio  et  iudicium,  Zittau  1860,  pag.  10 
«  segg. 

<  Vedi  Kretzschmer,  De  auctoribus  Gellii  grammaticis j  Griefswald  1800. 

S  Notti  Att.^  II,  25,  VII,  17,  X,  4,  XI,  3,  XIX,  8. 


Gap.  V.]  FRONTINO.  951 

etimologie  riprese  le  altrui  insulsaggini,  e  sovente  andò 
egli  stesso  a  nuove  insulsaggini.  Fu  lodato  pei  grandi 
sforzi  posti  a  mantenere  pura  la  lingua,  richiamandola 
all'autorità  degli  antichi:  nel  che  usò  più  giudizio  della 
setta  degli  antiquari,  che  capitanati  da  Frontone  prefe- 
rivano Catone  a  Cicerone,  Ennio  a  Virgilio,  Celio  a  Sal- 
lustio, Lucilio  a  Orazio  :  perchè,  quantunque  innamorato 
delle  vecchie  parole,  egli  temperò  saviamente  l'ammira- 
zione dell'antichità,  e  lodò  come  meritavano  i  grandi 
maestri.  E  l'opera  sua  quantunque  non  sistemata  in  al- 
cuna maniera,  è  preziosa,  perchè  ricca  di  cognizioni  di 
ogni  sorte,  e  ci  dà  modo  a  giudicare  degli  studi,  del- 
l'ingegno e  del  gusto  del  secolo  degU  Antonini,  di  cui 
perirono  quasi  tutti  gli  scritti  *. 

Alla  storia  romana  danno  luce  anche  gli  scritti  di  Sesto 
Giulio  Frontino,  console  tre  volte  ai  tempi  di  Domiziano 
di  Nerva  e  Traiano,  legato  e  vincitore  in  Britannia,  cit- 
tadino di  fama  specchiata,  uomo  modesto,  il  quale  vietò 
che  alla  sua  morte  gli  ponessero  un  monumento,  tenen- 
done vana  la  spesa,  perchè,  egli  disse,  la  mia  memoria 
durerà,  se  lo  meritai  colla  vita  ("). 

Valoroso  e  sapiente  duce  di  eserciti  compose  sulla 
tattica  un  libro  ora  perduto  del  quale  più  tardi  fece  suo 
profitto  Vegezio.  Rimangono  i  libri  degU  Stratagemmi 
raccolti  per  la  più  parte  dalla  storia  romana:  gli  estratti 
dei  libri  dell'  agrimensura  (gromatici)  e  la  ultima  opera 

("')  Vetuit  extrui  monumentum:  sed  quibiis  verbis?  Impensa  monu- 
menti supervacua  est:  memoria  nostra  durabit ,  si  vita  ■meruim,us. 
Plinio,  Epist.,  IX,  19. 

Dei  fatti  suoi  parlano  Tacito,  Agric,  17;  Hist.,V^,  39;  Plinio,  Epist, 
IV,  8,  V,  1;  Paneg.,  61;  Marziale,  X,  48  e  58.  Egli  stesso  parla  di  sé 
nella  guerra  di  Civile,  Siratag.,  IV,  3,  14.  Vedine  la  vita  scritta  da  Gio- 
vanni Poleni,  nella  sua  edizione  delle  opere,  Patavii  1722. 

l  Vogel,  loc.  cit.,  pag.  17,  22  e  segg.  ;  Fabre,  Aulus  Gellius  de  ìatinis  scriptoribus 
et  lingua  latina  quid  iudicaverit^  Andecavis  1848,  pag.  19  e  segg. 


952  FLORO  E  CURZIO  RUFO.  [Lib.  VII. 

degli  Acquedotti  scritta  ai  tempi  di  Nerva  quando  fu 
preposto  alla  cura  delle  acque  *,  nella  quale  raccolse  leggi 
e  senaticonsulti,  e  dette  preziose  notizie  su  queste  ma- 
gnificenze dell'architettura  romana. 

In  questi  tempi  cominciano  anche  gli  abbreviatori  di 
cui  apre  la  serie  Floro  vissuto  ai  tempi  di  Traiano  e  in 
appresso,  e  creduto  da  alcuni  una  stessa  persona  con 
quel  P.  Annio  Floro  retore  e  poeta  che  fu  in  commercio 
di  versi  coli' imperatore  Adriano  2.  Comunque  sia,  l'ab- 
breviatore  condusse  1'  opera  sua  dalle  origini  di  Roma 
fino  ai  tempi  d'Augusto,  coli' intento  di  fare  il  panegirico 
del  popolo  romano  ^,  di  cui,  come  già  aveva  fatto  Seneca 
il  retore  *,  rassomigliò  la  vita  a  quella  dell'uomo,  colle 
sue  divisioni  in  infanzia,  adolescenza,  giovinezza  e  vec- 
chiezza. In  tutto  questo  lavoro  egli  sente  molto  del  re- 
tore: e  se  in  alcune  parti  compendia  bene,  e  scrive  vi- 
goroso e  conserva  notizie  che  non  si  trovano  in  altri, 
più  spesso  declama,  e  abbonda  di  colori  poetici,  di  ar- 
tificii,  di  figure  e  di  ornamenti  puerili,  e  fa  errori  di 
tempi  e  di  luoghi,  e  rende  oscuro  il  racconto  (''). 

Ai  tempi  di  Claudio  si  pone  con  molta  probabilità  Q. 
Curzio  Rufo  (*),  che  narrò  le  imprese  di  Alessandro  Ma- 
gno con  stile  elegante,  e  spesso  soverchiamente  fiorito, 
in  tuono  declamatorio,  senza  critica  alcuna,  riferendo 
tutte  le  cose   che  trova  in   Clitarco  0  in   altri,  e  anche 

C»)  Vedi  Hausotter,  De  suspecta  Fiori  fide,  Lipsiae  1747;  0.  Jahn 
nella  prefazione  alla  sua  edizione  critica,  Lipsiae  1852,  e  Heyn,  De 
Floro  historico,  Bonnae  1866. 

(*)  Vedi  Curzio,  lib.  X,  cap.  9,  e  TeufTel,  loc.  cit.,  pag.  574-575.  Da 
altri  fu  posto  ai  tempi  di  Augusto,  da  altri  ai  tempi  dei  Flavii,  e  da  al- 
cuno anche  molto  più  tardi. 

l  Frontino,  De  aquaeductibus  urbis  Romaej  102. 

*  Sparziano,  Adr.  ^  16;  Mueller,  De  P.  Annio  Ploro  poeta  ^  Berolini  1S55,  pag.  5; 
Teuffel,  Gesch.  der  róm.  Literat.^  p.  700. 

3  Floro,  P)-aef.,  3.  Vedi  anche  S.  Agostino,  De  Ciò.  Dei..  Ili,  19. 

*  Lattanzio,  Divin  Instit.,  VII,  15. 


Gap.  V.]  GIUSEPPE  FLAVIO.  953 

ciò  che  non  crede  *,  e  con  errori  e  meraviglie  e  favole, 
che  fanno  il  suo  racconto  somigliante  a  un  rom0,nzo. 

Parecchi  anche  quelli  che  scrissero  in  greco  le  cose 
romane,  alle  quali  sotto  Vespasiano  détte  non  poca  parte 
delle  sue  opere  Giuseppe  Flavio,  narrando  le  guerre  giu- 
daiche e  la  distruzione  di  Gerusalemme.  Fuggito  dai  suoi, 
come  altrove  vedemmo  ^,  e  riparatosi  nel  campo  nemico, 
stette  presente  alla  rovina  della  città,  e  poi  condotto  a 
Roma  da  Tito,  e  colmato  di  onori  e  di  premi  3,  scrisse 
per  adulare  i  vincitori,  per  vituperare  i  connazionali,  che 
alla  cruda  dominazione  straniera  avevano  preferito  la 
molte  tra  le  rovine  della  terra  natale. 

Di  lui  ci  rimangono  in  greco  venti  libri  sulle  Anti- 
chità Giudaiche  e  sette  libri  di  Storie  sulle  guerre  che 
finirono  collo  sterminio  del  paese  e  colla  dispersione  dei 
Giudei.  Per  la  protezione  dei  Flavii  ebbe  facil  modo  a 
conoscere  le  relazioni  politiche  di  Roma  e  della  Giudea: 
potè  vedere  gli  archivii,  e  trarne  lettere,  decreti,  e  altri 
documenti  officiali.  Ma  la  critica  ha  or  dimostrato,  che  a 
malgrado  dei  suoi  documenti  non  possiamo  rassicurarci 
sulla  sua  buona  fede,  e  ha  rilevato  in  lui  grandi  inesat- 
tezze e  contradizioni  e  falsificazioni,  e  molta  ignoranza 
su  ciò  che  tocca  la  politica  e  gì'  interessi  di  Roma  K 

Egli  va  spesso  in  iperboli  per  i  suoi  usi  di  retore,  e 
corrompe  il  vero  per  difendere  la  trista  parte  che  fece 
contro  la  patria:  e  incerto,  come  fu  detto,  tra  il  Dio  dei 
suoi  padri  e  quello  di  Roma,  tra  la  pietà  che  vanta  pei 
Giudei  e  la  voglia  di  adulare  i  loro  carnefici,  finisce 
coir  apparire    uomo    senza  coscienza,   e    spoglio   affatto 


1  Vedi  lib.  VII,  cap.  8,  e  IX,  1  e  5;  e  conf.  Chassang,  Histoire  du  roman  et  de  ses 
rapporta  avec  l'histoire  dans  Vantiquité  grecque  et  latine^  Paris  1862,  pag.  313  e  segg. 

2  Vedi  sopra  a  pag.  459. 

3  Giuseppe  Flavio,  De  vita  sua.  40. 

4  Vedi  Krebs,  Decreta  Romanorum  prò  ludaeis  facta  e  losepho  collecta.  et  commen- 
tario historico.  grammatico,  critico  illustrata.  Lìpsi&e  1768;  Eggei,  Examen  des  histo- 
riens  anciens  d'Auguste.  Paris  1811,  pag.  189  e  segg. 


954  GIUSEPPE  FLAVIO.  [Lib.  VII. 

della  moralità,  che  è  la  prima  virtù  dello  storico.  Dopo 
essere  #tato  in  mezzo  alla  grande  oste  che  distrusse 
Gerusalemme,  fece  una  splendida  descrizione  dei  campi 
e  della  tattica  dei  Romani,  di  loro  armi,  esercizi,  disci- 
plina, e  ordini  e  usi  guerreschi*.  Ma  a  sommo  studio 
notò  solo  la  parte  bella  del  quadro,  per  togliere,  come 
dice,  ardimento  a  chi  pensasse  di  resistere  a  Roma,  e 
lasciò  da  parte  i  disordini,  le  violenze,  l'indisciplina  e 
l'anarchia,  che  altri  videro  nelle  legioni,  e  che  poscia 
furono  causa  di  rovina  all'Impero.  Per  piacere  ai  padroni 
passa  rapidamente  sugli  orrori  della  conquista,  e  narra 
senza  ombra  di  sdegno  tutti  i  crudeli  termini  usati  per 
vincere,  mentre,  quando  i  suoi  avversarli  politici  rispon- 
dono fieramente  colla  guerra  alla  guerra,  e  tentano  per 
ogni  via  di  salvare  l' indipendenza  nazionale  o  morire 
con  essa,  egli  abonda  di  interpretazioni  sinistre  e  di 
ire,  e  declama  e  fa  il  moralista  2. 

I  vincitori,  come  è  naturale,  accolsero  con  gioia  i 
suoi  libri,  e  li  posero  nelle  pubbliche  biblioteche.  Altri 
poi  lo  celebrarono  come  grande  scrittore  ponendolo  al 
pari  di  Livio  3.  Ma  all'  incontro  presso  i  Giudei  il  suo 
nome  rimase  odiosissimo  '\  Oggi,  lasciando  da  banda  le 
satire  e  i  panegirici,  può  dirsi  che  egli  è  scrittore  tal- 
volta elegante,  ma  che  non  può  in  niun  modo  parago- 
narsi ai  grandi  maestri,  e  che,  quantunque  in  molti 
luoghi  non  meriti  fede,  le  sue  opere  rimangono  uno 
dei  più  singolari  monumenti  per  la  cognizione  di  questi 
tempi. 

Nel  secolo  secondo,  quando  il  latino  cominciava  a  cor- 
rompersi e  a  dar  segni  visibili  della  barbarie  nascente, 
apparisce  sotto  gli  Antonini  un  nuovo  rifiorimento  delle 


1  Guerr.  Giud.^  Ili,  5. 

2  Vedi  Salvador,  Hist.  de  la  dominalion  romaine  en  Judée^  II,  181. 

3  S.  Girolamo,  Epist.^  XVIII,  35,  ad  Euìtochium,  De  custodia  virginitatit. 
*  Salvador,  ìoc.  cil. 


Gap.  V.]  STUDI  GRECF.  PLUTARCO.  955 

lettere  greche,  il  quale,  se  non  produce  opere  di  primo 
ordine,  dà  scritture  di  buono  stile,  e  fa  crescere  presso  i 
vincitori  il  credito  della  lingua  dei  vinti:  così  che  gl'im- 
peratori onorano  più  che  mai  gli  scrittori  greci,  e  lo 
stesso  Marco  Aurelio  detta  in  quella  lingua  i  suoi  Ri- 
cordi filosofici. 

È  vero  che  i  più  di  quegli  scrittori  e  oratori  e  filo- 
sofi, che  correvano  il  mondo  a  vendere  scienza  ed  elogi, 
erano  sofisti,  e  che  le  loro  false  dottrine  predominarono 
in  ogni  sorte  di  studi,  e  invasero  anche  la  storia*:  ma 
vi  furono  nobili  spiriti,  che  si  sottrassero  in  gran  parte 
alla  mala  influenza,  e  tra  questi  vuol  contarsi  Plutarco, 
a  cui  tanto  debbe  la  storia  di  Roma  e  d'Italia. 

Nato  a  Cheronea,  negli  ultimi  anni  di  Claudio,  venne 
a  Roma  a  tempo  dei  Flavii,  incaricato  di  affari  dalla  sua 
città  natale,  e  détte  pubbliche  lezioni  di  filosofia,  a  cui 
intervenivano  i  personaggi  più  gravi,  come  quell' Aru- 
leno  Rustico,  che  poi  fu  spento  da  Domiziano  2.  Non  si 
sa  quanto  rimanesse  in  Italia,  ma  è  probabile  che  allora 
raccogliesse  la  materia  alle  sue  opere  sulle  cose  romane, 
delle  quali  scrisse  più  tardi  quando  fu  tornato  a  Chero- 
nea, dove  ebbe  1'  ufficio  di  arconte  e  più  altre  cariche. 

Le  sue  Vite  i^arallele  dei  Greci  e  dei  Romani  sono 
note  ad  ognuno,  e  rimangono  libro  scolastico  e  po'polare, 
anche  dopoché  scrittori  di  certe  scuole  si  sforzarono  di 
dar  mala  voce  all'antico  biografo,  e  di  screditare  le  forti 
e  libere  virtù  repubblicane  da  lui  celebrate,  perchè  face- 
vano paura  alle  loro  povere  anime.  Quindi  non  c'intrat- 
terremo a  farne  lunghe  parole.  Ciò  che  importa  ripetere 
è  che  egli  prese  a  scrivere  degli  uomini  virtuosi  per  nu- 
trire con  quegli  esempi  l'amore  della  virtù  in  sé  e  negli 
altri  3,  e  che  fu  narratore  onesto,  amico  dell'umanità,  rac- 

•  Vedi  Luciano,  Come  si  debba  scriver  la  storia. 
-  Plutarco,  Della  curiosità^  15. 
3  Paolo  Emilio^  1. 


PLUTARCO.  [LiB.  VII. 


comandatore  della  giustizia,  e  della  dolcezza  non  pure 
coi  servi,  ma  anche  cogli  animali  senza  ragione  *,  e  ge- 
neroso maestro  di  tutti  i  nobili  e  gentili  affetti,  espressi 
sovente  con  maschia  eloquenza.  Se  nei  tempi  antichi 
abonda  di  fole,  nei  tempi  storici  è  ricco  di  erudizione,  non 
manca  di  critica,  e  non  lascia  di  confrontare  i  molti  autori 
che  ha  per  le  mani  ('').  Strana  cosa  ci  sembra  il  rimpro- 
vero, che  altri  gli  fa,  di  raccogliere  aneddoti,  che  hanno 
pure  qualche  valore  nelle  vite  degli  uomini,  e  di  raccon- 
tare i  prodigi  che  sono  ripetuti  presso  tutti  gli  storici  an- 
tichi. Più  giusto  è  notare  gli  errori  in  cui  cadde  per  la 
non  piena  cognizione  della  lingua  latina  (^).  Ma  questi 
ed  altri  difetti  sono  compensati  da  molte  virtù.  In  tristi 
tempi  di  schiavi  sente  la  grandezza  delle  antiche  repub- 
bliche, ammira  ed  esalta  la  virtù  di  ogni  gente.  Ritrae 
bene  i  grandi  uomini  nella  vita  privata  come  nei  pubblici 
fatti,  e  ci  dà  Roma  colla  sua  grandezza,  colle  sue  virtù, 
coi  suoi  vizi:  e  quindi  quelle  Vite  sono  uno  dei  più  ricchi 
fonti  della  storia  di  Roma,  sui  costumi  e  sulle  antichità 
della  quale  ci  porgono  curiose  notizie  anche  le  Questioni 

(^)  Egli  cita  250  autori,  di  cui  circa  80  ci  furono  per  la  più  parte 
rapiti  dal  tempo.  Vedi  Heeren,  De  fontibus  et  auctoritate  vitarum  Plu- 
tarchi,  Gottingae  1720.  Questa  questione  delle  fonti  di  Plutarco  fu  recen- 
temente ripresa  e  più  largamente  trattata  da  altri,  tra  i  quali  citiamo 
Haug,  Die  Quellen  Plutarchs  in  den  Lebenschreibiingen  der  Griechen 
neu  unfersucht.  Gekrònie  Preisschriff'tj  Tiibingen  1854;  Klapp,  De  vi- 
tarum Fiutar  che  arum  aucioribus  romanis,  Bonnae  1862;  Peter,  Ueber 
die  Quellen  des  Plutarch  in  den  Biographieen  der  Rómer,  Halle  1865. 
Vedi  anche  Ki-emer,  Inquisitio  in  consilium  et  moduni  quo  Plutarchus 
scripsit  viia.i  paraUelas,  Groniugae  1843,  e  Krause,  Commentationis  de 
Plularchi  Chaeronensis  vita,  part.  I,  Rinteln  1855.  Una  bella  e  sapiente 
monografia  di  Plutarco  scrisse  tra  noi  Silvestro  Centofanti,  la  quale  fu 
premessa  alla  edizione  delle   Yite  fatta  in  Firenze  Tanno  1845. 

(*)  Vedi  la  Vita  di  Demostene,  2,  e  quella  di  Catone  Maggiore,  7,  ove 
•gli  stesso  dice  di  non  conoscere  bene  il  latino. 

1   Catone  Mogijiore,  5. 


Gap.  V.]  APPIANO.  957 

romane,  e  altre  delle  sue  Opere  morali,  quantunque  in 
esse  egli  risenta  del  fare  dei  sofisti. 

Pochi  anni  dopo  Plutarco,  un  altro  Greco  di  Alessan- 
dria, Appiano,  si  volse  a  questi  studi  con  differente  di- 
segno, e  concepì  una  Storia  universale  in  nuova  maniera. 
Venuto  a  Roma  sotto  gli  Antonini,  vi  esercitò  per  la  sua 
patria  l'ufficio  di  avvocato  presso  il  tribunale  dei  Cesari: 
poi  per  mezzo  di  Frontone ,  suo  amico  e  compagno  di 
studi,  ottenne  la  carica  di  procuratore  imperiale  nella 
sua  patria  *,  e  allora  potè  darsi  tutto  al  suo  grande  la- 
voro, nel  quale,  lasciando  la  via  battuta  dagli  altri,  prese 
a  narrare  la  storia  interna  ed  esterna  di  Roma;  e  quella 
d' Italia  e  delle  province,  secondo  che  ciascuna  di  esse 
comparisse  in  campo  a  combattere  per  la  sua  libertà  2, 
La  metà  forse  del  suo  lavoro  è  ora  perduta.  Ci  riman- 
gono pochi  frammenti  della  storia  dei  re,  delle  cose  ita- 
liche, sannitiche,  e  galliche  e  siculo  e  numidiche:  e  i  libri 
sulle  cose  ispaniche,  sulla  guerra  di  Annibale,  sulle  pu- 
niche, siriache,  macedoniche,  sulla  mitridatica,  sulle  fac- 
cende d' Ihiria,  e  cinque  libri  sulle  guerre  civili.  Man- 
cano i  fatti  da  Augusto  a  Traiano,  le  guerre  di  questo 
coi  Daci  e  cogli  Arabi,  e  la  statistica  dell'impero,  che 
doveva  compier  l'opera  ^. 

Egli  ci  dà  poche  notizie  dei  fatti  e  degli  uomini  dell'età 
sua,  che  ricorda  solo  per  incidenza  ''.  Giudica  con  equità 
l'amministrazione  imperiale,  ammira  Roma  portata  al 
colmo  della  prosperità  e  della  bellezza,  e  vivente  sotto 
temperato  governo  al  tempo  degli  Antonini^:  ma  non  adula 
nessuno,  e  gl'imperatori  dice  che  veramente  sono  re  ^. 


1  Appiano,  Praef.j  15;  Frontone;  Episl.^  ed.  Mai,  Milano  1S15,  pag.  23-29,   126-450. 

2  Appiano,  Praef.j  14. 

3  Praef.  cit.^  15. 

4  Vedi  De  Reb.  Hisp.^  33;  De  Bell.  Civ.,  1,  .33,  II,  7,  41,  SO,  90,  V,  46,- ecc. 

5  Praef.,  7,  e  De  Bell.  Civ.,  IV,  16. 

6  De  Bell.  Civ.,  II,  7.  Per  Appiano  vedi  A.  W'csteraiann,   in  Paulj',  Real-Ene...  I,  2, 
pag.  1310-1345. 

Vanxucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV  120 


958  ^  DIONE  CASSIO.  [Lib.  VII. 

È  ripreso  di  anacronismi,  di  confusione,  di  oscurità, 
di  grossi  errori  geografici  *,  e  di  esser  troppo  avaro  di 
date,  di  non  conoscere  il  segreto  della  forza  e  della  debo- 
lezza delle  nazioni  combattenti  con  Roma,  di  non  vedere 
le  cause  vere  delle  guerre  civili,  di  non  avere  unità  lllo- 
sofìca,  di  non  saper  discutere  le  testimonianze  che  allega. 
Ma  sua  lode  è  di  sceglier  bene  gli  autori  da  seguitare, 
di  rimanersi  al  dubbio  quando  non  può  raggiungere  il 
vero,  e  di  mostrare  esattezza  e  buona  fede  e  candore, 
quando  le  reminiscenze  della  scuola  dei  sofisti  non  di- 
sturbano le  sue  qualità  naturali.  Ed  è  soprattutto  impor- 
tante nella  narrazione  delle  guerre  civili,  sulle  quali  ci 
ha  conservato  documenti  preziosi  ("). 

Ultimo  dei  Greci,  che  scrivessero  con  gran  larghezza 
delle  cose  romane,  fu  Dione  Cassio  Cocceiano,  nato  verso 
il  155  dell'era  volgare  a  Nicea  in  Bitinia,  e  vissuto  a 
Roma  ai  tempi  di  Commodo  e  dei  suoi  successori.  Fu 
senatore  e  console  due  volte,  e  sotto  Alessandro  Severo 
governò  l'Affrica,  la  Dalmazia,  l'Alta  Pannonia,  dove  ebbe 
a  lottare  con  suo  gran  pericolo  centra  la  insolenza  sol- 
datesca. Da  ultimo  tornò  al  suo  luogo  natale,  e  vi  mori 
vecchissimo  (^). 

(<»)  Vedine  le  prove  in  Eirger,  Examen,  pag.  243-261,  il  quale  con  gran 
cura  ha  confrontato  Appiano  con  gli  altri  scrittori,  specialmente  per  ciò 
che  riguarda  i  tempi  di  Augusto.  Conf.  Dominicus,  Be  Amnano  rerum 
romanarum  scriptore ,  Confluentiae  1844;  e  AVijnne,  De  fide  et  aucto- 
ritate  Appiani,  Groningae  1855. 

C>)  Dione  Cassio,  LXXX,  1,  4,  5;  Reimar,  De  vita  et  scriptis  Casòii 
Bionis,  nella  sua  edizione  greco-latina,  Hamburgi  1752,  voi.  II,  pag.  1533- 
1544;  Egger,  Bion  Cassius,  in  Examen  cit.,  pag.  280-311.  Vedi  anche 
L'  iscrizione  riguardante  lo  storico  Bione  Cassio  pubblicata  da  Barto- 
lomeo Borghesi  nel  Bidletlino  di  Corrisp.  archcolog.,  1839,  pag.  13G-138. 
Essa  torna  a  confermare  il  secondo  consolato  di  Dione  nell'anno  229  di 
Cristo.  Vedi  anche  Orelli,  1177,  e  Ilenzen,  5601   e  5002. 

1  Vedi  De  lieb.  Hisp.,  I,  7  e  10,  e  Niebuhr,  Leclures  on  the  Hiatory  of  Rome,  voi.  Ili, 
pag.  LXXV. 


Gap.  V.]  DIONE  CASSIO.  959 

La  parte  che  ebbe  alle  faccende  politiche  gli  détte  espe- 
rienza degli  uomini  e  delle  cose,  e  quindi  aiuti  molti  ed 
agevolezza  a  scrivere  istorie.  Cominciò  i  suoi  lavori  con 
un  racconto  del  regno  di  Commodo,  subito  dopo  che 
questi  fu  morto,  e  poscia  confortato  dalla  buona  acco- 
glienza fatta  a  quel  primo  tentativo,  pose  mano  alla  Storia 
generale  di  Roma ,  dall'  arrivo  di  Enea  in  Italia  fino  al 
regno  di  Alessandro  Severo.  Occupò  dieci  anni  in  ricerche, 
e  dodici  a  scrivere  la  grande  opera,  che  distendevasi  in 
80  libri,  e  che  ora  è  in  gran  parte  perduta.  La  parte 
meglio  conservata  è  quella  che  corre  tra  il  primo  trium- 
virato e  il  regno  di  Claudio.  11  racconto  delle  guerre  ci- 
vili è  più  largo  di  quello  elei  principato,  o  perchè  la  ma- 
teria si  porgesse  meglio  allo  scrittore,  o  per  la  difficoltà, 
come  egli  dice ,  che  vi  è  a  scrivere  esattamente  e  lar- 
gamente di  tempi  in  cui  tutto  si  fa  in  segreto  *. 

Egli  intese  meglio  d'ogni  altro  la  costituzione  di  Roma 
nei  suoi  vari  tempi ,  e  come  uomo  di  Stato  e  duce  di 
eserciti  badò  più  degli  altri  alle  cose  civili  e  guerresche, 
e  quindi  i  suoi  libri  sotto  questo  rispetto  meritano  molta 
attenzione.  Non  si  illuse,  come  altri,  sulle  finzioni  dei  go- 
verni precedenti  al  suo  tempo ,  né  credè  alle  commedie 
repubblicane  di  Augusto:  ma  male  legittimò  il  governo 
imperiale,  e  male  affermò  i  principi  sciolti  da  ogni  ob- 
bedienza alle  leggi  2. 

Con  una  ricca  raccolta  di  fatti,  derivati  per  lo  più  da 
buone  sorgenti  ("),  rese  grandi   servigi  alla  storia,  ed  è 

('*)  Vedi  Wilmans,  De  Dionis  Cassii  fontibus  et  auctoritate,  Beroliai 
1836,  e  tra  i  più  recenti  Fischer,  Be  fontibus  et  auctoritate  Cassii  Dionis 
in  enarrandis  a  Cicerone  post  mortem  Caesaris  ....  habitis  oratio- 
nibus,  Lipsiae  1870;  Christensen ,  De  fontibus  a  Cassio  Dione  in  vita 
Neronis  enarranda  adhibitis,  Berolini  1871  ;  Bottcher,  Ueber  die  Quellen 
des  Cassius  Dio  in  seiner  Darstellung  des  Biirgerhriegs  zwischen 
Caesar  und  Pompeius,  Haberstadt  1872;  Posner,  Qiiibus  auctoribus  in 
bello  Hannibalico  enarrando  usus  sit  Dio  Cassius,  Bonnae  1874. 

1  Dione  Cassio,  LUI,  19. 

*  Dione  Cassio,  LUI,  18.  Vedi  anche  sopra,  pag,  24. 


960  CORRUZIOiNE  DEL  GUSTO  E  BARBARIE.  [Lib.  VII. 

sventura  che  molti  de'suoi  libri  andassero  perduti,  e  che 
di  altri  non  ci  rimanga  che  un  magro  compendio.  Egli 
ebbe  grandissima  fama,  quantunque  non  fosse  né  elegante 
né  grave  scrittore  :  e  la  critica  con  tutta  ragione  gli  rim- 
provera oggi  di  essersi  dilettato  troppo  delle  ampUfica- 
zioni  sofistiche  e  delle  declamazioni  rettoriche,  di  avere 
ingombrato  il  racconto  di  noiosissime  aringhe,  di  essersi 
diffuso  in  cose  inutili  o  di  lievissima  importanza,  in  luoghi 
comuni ,  e  in  volgari  riflessioni  morali ,  e  di  mancare 
qualche  volta  di  esattezza  per  quella  avversione  alle  ci- 
fre, la  quale  lo  indusse  quasi  a  scusarsi  di  porre  la  data 
precisa  della  battaglia  di  Azzio  i. 

Dopo  di  lui  non  si  hanno  quasi  più  che  estratti,  e  po- 
vere compilazioni  e  compendii.  La  storia  dei  tempi  suc- 
cessivi sta  presso  che  tutta  nelle  miserabili  vite  degli 
Augusti,  scritte  per  la  più  parte  da  tristissimi  compila- 
tori in  tuono  declamatorio,  senza  critica,  senza  gusto, 
senza  ordine  di  fatti  e  di  tempi ,  senza  accuratezza  di 
ricerche,  senza  arte  di  composizione  o  di  stile.  L'eloquenza 
si  rifugia  in  insipidi  panegirici,  pieni  di  falsità,  spregevoli 
per  la  bassezza  dei  pensieri,  come  ridicoli  sotto  il  rispetto 
dell'arte.  Solamente  avvi  splendore  nella  letteratura  giu- 
ristica,  che  giunge  alla  sua  massima  altezza  nella  prima 
metà  del  secolo  terzo  con  Papiniano  ed  Ulpiano,  i  quali 
all'eccellenza  delle  dottrine  accoppiano  anche  le  bellezze 
dello  stile.  Ogni  altro  studio  cade  nell'abiezione  o  perisce. 
Ogni  opera  di  gusto  si  va  corrompendo  :  le  iscrizioni 
stesse  e  le  monete  sentono  l'influenza  barbarica:  la  bella 
lingua  di  Tullio  si  empie  più  che  mai  di  arcaismi,  di  neo- 
logismi, di  solecismi,  di  alterazioni,  di  modi  strani  e  vi- 
ziosi, e  la  barbarie  invade  le  lettere  prima  che  i  barbari 
corrano  a  prendere  stanza  nelle  nostre  contrade. 

»  Dione  Cassio,  LI,  1,  e  Egger.  loe.  cit.,  pag.  .S03. 


FINE   DEL   VOLUME   QUARTO   ED   ULTIMO. 


DEI  ClPimi  IL  fOLlE  iiTO 


LIBRO  VII. 
C  Impero  Romano  nel  primi  due  secoli. 


Gap.  I.  Augusto  lavora  destramente  tutta  la  vita  a  riunire  in  sé  solo 
ogni  potere  della  caduta  Repubblica,  e  sotto  apparenze  repubbli- 
cane costituisce  l'Impero.  —  Ordinamenti,  leggi  e  riforme  a  Roma, 
in  Italia,  e  nelle  province.  —  Nuovi  ordini  delle  milizie;  eserciti 
stanziali  e  guerre  per  istabilire  e  per  assicurare  i  confini  dell'Im- 
pero. —  II  popolo  pasciuto  e  divertito  applaudisce  al  felice  pa- 
drone, mentre  pochi  sospirano  invano  la  spenta  libertà.  —  Anche 
le  opere  immortali  delle  lettere  e  delle  arti  usate  come  strumenti 
d'impero.  —  La  poesia  e  la  storia  alla  corte.  —  I  grandi  monu- 
menti di  Roma.  —  Lusso  e  commercio.  —  La*  famiglia  imperiale, 
e  la  vecchiezza  e  la  fine  d'Augusto.  (Anni  di  Roma  725-767,  avanti 
Cristo  29  e  di  Cristo'  14)     . Pag. 

Gap.  II,  Gli  imperatori  della  casa  d'Augusto.  —  Tiberio.  —  Solle- 
vazione degli  eserciti  in  Pannonia  e  sul  Reno.  —  Imprese  di  Ger- 
manico. —  Governo  di  Tiberio  nei  primi  anni.  —  Germanico 
muore  in  Oriente.  —  Pubblico  lutto  e  vendette.  —  Politica  di  Ti- 
berio nelle  faccende  esteriori.  —  La  legge  di  maestà  e  i  delatori. 

—  Accuse  e  condanne.  —  Brutture  e  atrocità  del  Senato  adulante 
al  tiranno.  —  Sciano,  primo  ministro,  usa  la  sua  potenza  a  distrug- 
gere tutti  i  successori   all'Impero.   —    Grandezza  e  rovina  di   lui. 

—  Sterminati  anche  i  suoi  fautori.  —  Tiberio   carnefice  crudelis- 


962  INDICE  DEI  CAPITOLI  DEL  VOLUME  QUARTO. 

Simo.  —  Terrore  universale.  —  Sciolto  ogni  vincolo  di  umano 
consorzio.  —  INIorte  del  feroce  e  sozzo  tiranno.  —  Gli  succede 
Caligola.  —  Allegrezza  del  mondo.  —  Buon  principio  e  pessimo 
fine.  —  Gli  iiomini  straziati  e  rubati  da  un  pazzo  feroce  e  osceno. 

—  Profusioni  e  rapine.  —  Imprese  ridicole.  —  Caligola  si  fa  Dio. 

—  Ucciso  dal  pugnale  di  Cherea.  —  Vani  tentativi  per  restituire  la 
Repubblica.  —  Al  frenetico  succede  un  vecchio  tenuto   imbecille. 

—  Claudio  fatto  imperatore  dai  soldati.  —  Il  governo  in  mano  ai 
liberti.  —  Imprese  al  di  fuori.  —  Leggi,  riforme,  e  opere  pubbli- 
che. —  Atrocità  e  infamie  di  corte.  —  Messalina  e  Agrippina.  — 
Claudio  ucciso  di  veleno.  —  Impero  di  Nerone.  (Anni  di  Roma 
767-821,  di  Cristo  14-68) Pag.  240 

Gap.  III.  Anarchia  militare  e  guerra  civile.  —  Galba  vecchio  e  avaro 
ucciso  dopo  sette  mesi  di  regno  da  Ottone,  inalzato  all'impero  dalle 
milizie,  mentre  le  legioni  di  Germania  gridano  imperatore  il  sozzo 
Vitellio.  —  La  contesa  si  finisce  sul  Po.  —  La  parte  vitelliana  vince 
a  Bedriaco,  e  Ottone  si  uccide  di  propria  mano.  —  L'Italia  predata 
e  disertata  dal  furore  dei  vincitori  e  dei  vinti.  —  Orgio  di  Vitellio. 

—  Flavio  Vespasiano  gridato  imperatore  dalle  legioni  d'Oriente, 
dopo  la  fama  acquistatasi  nelle  guerre  contro  i  Giudei.  —  Guerra 
dei  Flaviani  e  Vitelliani  sul  Po.  —  Cremona  distrutta.  —  Roma 
in  preda  ai  Flaviani.  —  Vitellio  ucciso.  —  Onori  ai  vincitori.  — 
Elvidio  Prisco,  Muciano  e  Domiziano,  e  le  spie.  —  Grande  solle- 
vazione destata  da  Civile  nelle  Gallie  e  in  Germania.  —  Vespa- 
siano in  Egitto.  —  Gerusalemme  presa  e  distrutta  da  Tito.  — 
Vespasiano  a  Roma.  —  Provvedimenti  per  lùstorare  l'ordine,  la 
giustizia,  le  finanze,  i  costumi,  e  per  abbellire  la  città.  —  Tito 
triste  dapprima,  poi  delizia  del  genere  umano.  —  Calamità  pub- 
bliche. —  Grande  incendio  del  Vesuvio.  —  Roma  flagellata  dalla 
tirannide  di  Domiziano,  finché  un  ferro  non  toglie  dal  mondo  l'a- 
troce mostro.  (Anni  di  Roma  821-849,  di  Cristo  68-96)    ....  429 

Gap.  IV.  Breve  e  debole  impero  di  Nerva.  —  Traiano  prode  duce  e 
modello  dei  principi  cittadini.  —  Umano  e  sapiente  governo.  —  Im- 
prese di  guerra  sul  Danubio,  e  vittorie  sui  Daci.  —  Grandi  opere 
pubbliche.  —  Spedizione  in  Oriente.  —  Elio  Adriano.  —  Ordina- 
mento dell'Impero.  —  Gli  Antonini.  —  Antonino  Pio,  Marco  Aurelio, 
Commodo.  (Anni  di  Roma  849-945,  di  Cristo  96-192) 546 

Gap.  V.  L'Impero  nei  primi  due  secoli,  le  province  e  l'Italia  e  il 
dispotismo.  —  L'amministrazione  della  giustizia.  —  I  delatori.  —  I 
soldati.  —  Corruzione  profonda.  —  La  filosofia  morale,  la  poesia 
e  la  storia 781 


NOTA   DELLE  INCISIONI 

DEL  VOLUME  QUARTO 


Pog. 

Traiano  e  M.  Aurelio  (Cohen, 
Monn.,  voi.  li,  pi.  I,  n.  398, 
pag.  64 ,  e  pi.  IV,  n.  587, 
pag.  538)     .     ,     nel  Frontespizio 

Ritratti  di  Mecenate  e  di 
Agi^ippa 10 

Ruderi  della  Basilica  Giulia  se- 
condo gii  ultimi  scavi  ...     13 

Augusto  incoronato  di  quercia     19 

Veduta  delle  reliquie  dell'acqui- 
dotto  dell'Acqua  Vergine,  re- 
staurato da  Claudio      ...     28 

Il  suffragio  di  Minerva    ...     32 

Tempio  di  Marte  Ultore  nel 
Fòro  d'Augusto 34 

Ruderi  della  casa  di  Augusto 
sui  Palatino 36 

Rovine  del  ponte  d'Augusto 
presso  Narni 44 

Album  dell'edificio  di  Eumachia 
a  Pompei 46 

Programmi  per  le  elezioni  mu- 
nicipali a  Pompei     ....     47 

Porta  d'Augusto  a  Nlmes    .     .     55 

Pont  du  Card 58 

Parte  del  Palazzo  d'Augusto 
detto   anche  Torre  di  Pilato 


Pag. 

a  Tarragoua 59 

Il  Nilo 63 

Le  vie  munite 65 

Arco  di  Augusto  a  Rimini  .     .  67 

Rovine  di  Tingis 69 

Ara    di   Roma   e    d'Augusto    a 

Lione 72 

Tempio   di  Augusto  e   di   Livia 

a  Vienna 73 

Tempio    di    Giove   Olimpico  ad 

Atene , 74 

Statua  corazzata  d'Augusto .  .  83 
Ricordi    delle    insegne    romane 

riavute  <(ìai  Parti  ....  88 
Edificii  romani  d'Aosta.  Pianta 

della  città,  mura,  porta,  tea- 
tro, anfiteatro,  arco  d'Augusto  90 
Donnas.  —  Saint-Vincent  .  .  92 
Ruderi  del  trofeo   d'Augusto  a 

Torbia  sulle  Alpi  Marittime.  94 
Lo  stesso  trofeo   restaurato  da 

L.  Canina 95 

Arco  di  Susa 97 

Druso 99 

Medaglia  coU'arco  di  Druso  .  101 
Ruderi    dell'  arco    di    Druso    a 

Roma 102 


964 


NOTA  DELLE  INCISIONI  DEL  VOLUME  QUARTO. 


Pag. 
Statua  di  Druso  già  esistente  a- 

INIagonza 103 

Mecenate  vecchio 113 

Virgilio  del  Codice  Vaticano    .  117 

Scena  pastorale 120 

Bidone 126 

La  casa  detta  di  Virgilio  a  Brin- 
disi       130 

Scuola  di  Virgilio 132 

Orazio 134 

Villa  Sabina  d'Orazio  .  .  .  .138 
Giove  fulminante  i  Titani  .  .141 
Allegro  convito 144 

I  compagni  di  Ulisse  mutati  in 
bestie  da  Circe 148 

Tirteo 149 

Le  Grazie 150 

Biblioteca  d'Apollo  sul  Palatino 
restaurata  da  L.  Canina  .     .  151 

II  tempio  del  Dio  Clitunno  .  .150 
Sacrificio  agli  Dei  rusticali .  .  158 
Ruderi  deirantico  edificio  detto 

Villa  d'Ovidio   presso  a  Sul- 
mona   159 

Sepolcro  dei  Nasoni     ....  163 
Uccisione  di  Virginia  ....  169 
Reliquie  del  monumento  di  Mes- 
sala Corvino 173 

Statua  creduta  di  Antonio  Musa  177 
Dionigi  d'Alìcarnasso  del  Codice 

dell'Ambrosiana 179 

Giuba  li 182 

Architetto  in  antica  pittura  del 
Museo    Kircheriano    trovata 

nella  via  Appia 190 

Le  antichi  case  dei  barbari      .  101 
Veduta  delle  reliquie  del  teatro 
di   Marcello  su  cui   fu   edifi- 
cato il  palazzo  Orsini  .     .     .193 

l'anteon  d'Agrippa 195 

Il  mercato  degli  amori   in   pit- 


Pag. 

tura  di  Stabia 200 

Due  navi  mercantili  a  vela  nel 
Porto  di  Ostia  figurate  in  bas- 
sorilievo trovate  a  Porto  nel 
1863 204 

Vesti  trasparenti 206 

Alberi  dell'  incenso,  del  cinna- 
momo e  del  balsamo    .     .    .  208 

Livia  moglie  d'Augusto    .     .     .212 

Caio ,  Agrippina  e  Lucio,  figli 
di  Giulia  e  di  Agrippa      .     .  214 

Giulia  e  Tiberio,  busti  iugati  su 
cammeo  in  onice      .     .     .     .215 

Giulia  figlia  d'Augusto     .     .     .216 

Avanzi  della  casa  detta  di  Giu- 
lia nell'isola  Pandataria   .     .  218 

Antonia  madre  di  Germanico   .  220 

Il  primo  campo  di  ^'aro  come  è 
di  presente 227 

Distribuzione  delle  truppe  nel 
medesimo  campo       ....    ivi 

Trionfo  di  Tiberio  nell'insigne 
cammeo  di  Vienna  ....  230 

Agrippa  Postumo  in  moneta  di 
Corinto 231 

Tempio  di  Roma  e  d'Augusto 
ad  Ancira,  com'è  di  presente  234 

I\Iausoleo  d'Augusto  restaurato 
da  L.  Canina 236 

Apoteosi  d'Augusto      ....  238 

La  spada  di  Tiberio  e  due  bas- 
sirilievi  di  essa 242 

Statua  di  Germanico  figurato  in 
atto  di  parlare 246 

Le  città  asiatiche  soccorse  dopo 
i  danni  di  un  terremoto    .     .  251 

Tiberio 255 

Trionfo  di  Germanico,  con  Tu- 
snelda.  moglie  di  Arminio,  e 
Tumelico  suo  figlio       .     .     .  257 
Germanico    e   Agrippina   in   fi- 


NOTA  DELLE  LXCISIONI  DEL  VOLUME  QUARTO. 


965 


Pag. 
gura  di  Trittolenio  e  di  Cei'ero  260 
Busto  di  Germanico     ....  265 
Arco  di  Germanico  e  di  Druso 

a  Spoleto 267 

Monumento  di  Arminio  .  .  .  273 
Arco  trionfale  d'Orange  .  .  .  276 
Porta  ed  elevazione  interna  delle 

mura  del  Castro  Pretorio      .  284 
Druso,  figlio  di  Tiberio   .     .     .285 
Nerone  e  Druso,   figli   di   Ger- 
manico     287 

Agrippina  del  Museo  Capitolino  290 

Isola  di  Capri 292 

Rovine  della  Villa  di  Giove      .  294 

Il  .salto  di  Tiberio 295 

Urna  sepolcrale  di  Agrippina  .  299 
Faro  e  castello  di  Tiberio   nel- 
l'isola di  Capri 302 

Soldati  Pretoriani 303 

Tiberio  in  età  avanzata  .  .  .311 
Tiberio  e  Caligola  idealizzati  in 

antico  cammeo 314 

Medaglia  battuta  da  Caligola  in 

onore  di  Agrippina  .  .  •  .318 
La  torre  di  Caligola  a  Gessoriaco  330 
Ritratto  di  Caligola  .  .  .  .331 
Claudio  accolto   nel   campo  dei 

pretoriani 337 

Claudio  incoronato  di  quercia  .  343 

Trionfo  di  Claudio 347 

Ponte    Lucano    e    sepolcro    dei 

Plauzii 351 

Porto  e  Faro  di  Ostia      .     .     .  355 
Veduta  interna  della  Porta  Mag- 
giore coi  condotti  delle  acque 
Claudia  e  Aniene  Nuova  .     .  358 

Messalina :)03 

Agrippina  giovinetta  ....  367 

Claudio  deificato 373 

Nerone  giovane 377 

Britannico 380 

Vann'UCCi  —  Storia  dell'  Italia  antica  - 


Pag. 
Agrippina  madie  di  Nerone      .  386 

Poppea  Sabina 391 

Ottavia  moglie  di  Nerone     .     .  392 

Corbulone 398 

Antica  pittura  rappresentante 
un  luogo  sacro  ad  Apollo 
nella  Casa  aurea  ....  40.j 
Memoria  sepolcrale  scopei'ta  al 
quarto  miglio  della  via  Appia 
dove  accadde  la  morte  di  Se- 
neca     409 

P.  Trasea,  statua  a  Padova  nel 

Prato  della  Valle      .     .     .     .413 
Statua  in  abito  barbarico,  cre- 
duta di  Tiridate  d'Armenia  .  416 
Arco  trionfale  di  Nei'on<;  a  Roma  418 

Nerone  citaredo 422 

Nerone 426 

Gallxa 433 

Tempio  di  Vesta  in   moneta  di 

Vespasiano 438 

Ottone 444 

Rovine  del  teatro  di  Perento    .  448 
San  Silvesti'o  Falaerino    .     .     .  455 
Tempio  di  Venere  a  Pafo     .     .  460 
Beirut  dove  fu  l'antica  Berito  .  463 
Vespasiano      .......  467 

Vitellio  .........  472 

Il  giovane  Domiziano  ....  479 

Veduta  di    Gerusalemme    presa 

dalla  valle  di  Giosafat      .     .481 
Tito  in  atto  di   aringare  i  sol- 
dati      485 

Ruderi   del   recinto   del  tempio 

di  Gerusalemme 487 

Arco  di  Tito 490 

Trionfo  sui  Giudei  figurato  nei 

bassirilievi  dell'arco  di  Tito.  493 
Riedificazione     del    tempio     di 

Giove  Capitolino 498 

Ruderi  del  tempio  col  nome  «li 

IV.  121 


060 


NOTA  DELLE  INCISIONI  DEL  VOLUME  QUARTO. 


Pag. 

Vespasiano  a  Brescia   .     .     .  500 

La  Vittoria  di  Brescia     .     .     .  502 

Tito  imperatore 507 

Apoteosi  di  Tito 509 

Una  parte  delle  rovine  di  Pom- 
pei come  ora  si  vedono    .     .  512 
Cadaveri  Pompeiani     .     .     .     .513 
Veduta  delle  principali  reliquie 

delle  Terme  di  Tito  .  .  .514 
L'Anfiteatro  in  medaglia  di  Tito  516 
Veduta  del  Colosseo  .  .  .  .518 
Statua  loricata  di  Domiziano  .  523 
Giulia  figlia  di  Tito  .  .  .  .524 
Domiziano  coronato  col  titolo  di 

Germanico 528 

Arco  di  Domiziano 531 

Ruderi  del  tempio  di  Vespasiano  533 
Rovine  del  Fòro  Palladio     .     .  536 
Ruderi  dell'Anfiteatro  di  Domi- 
ziano nella  sua  villa  Albana.  537 
Domizia  moglie  di  Domiziano  .  544 

Nerva 547 

Rovina    d'Italica  dove    nacque 

Traiano 550 

Il  padre  di  Traiano      ....  551 

Traiano  imperatore 553 

Plotina  moglie  di  Traiano  .  .  556 
Traiano  Ottimo  principe  .  .  560 
Marciana  e  Matidia  .  .  .  .501 
Daci  pileati  e  chiomati  .  .  .  .565 
Le  insegne  dei  Daci     ....  .560 

Trofei  dei  Daci ixi 

Le  donne  dei  Daci  bruciano  vivi 

i  prigioni 507 

La  via  Traiana  lungo  il  Danu1)io 

presso  ad  Orsova  ....  560 
Cavalieri    Mauri   al   Campo    di 

Traiano 571 

Città  sul  Danubio  d"onde  le  le- 
gioni nmovon  contro  la  Dacia  .572 
Fei'iti   e   chirurghi    del    Campo 


Pag. 
Romano 573 

Ambasciatore  di  Decebalo  pro- 
strato davanti  a  Traiano .  .  574 
Sottomissione  di  Decebalo  .  .  575 
Ponte  di  Traiano  sul  Danubio  .  577 
Decebalo  uccide  sé  stesso  .  .  579 
La  testa  di   Decebalo  mostrata 

al  Campo  Romano  ....  ivi 
Traiano  trionfante  dei  Daci  .  582 
Il  Danubio  propizio  al  passo  dei 

Romani 585 

Teste  tronche  dei  Daci    .     .     ,  588 
I  Daci  fulminati  da  Giove    .     .    ivi 

Prigionieri  Daci 589 

Cavalieri   e    cavalli    coperti   di 

corazze  di  ferro 591 

Distribuzione    dei    donativi    ai 

soldati  più  prodi ,592 

Vittoria  Dacica 593 

Daci  supplicanti 594 

Assalto    dei  Daci   a  un  campo 

romano 595 

Sacrifizio    per   l' inaugurazione 

del  ponte  del  Danubio  .  .  .  ii;t 
Assalto  a  Sarmizegetusa  .  .  .  .596 
Emigrazione  dei  Daci  .  .  .  598 
Ruderi  del  Fòro  Traiano  .  .  599 
Fòro ,  Basilica  e  tempio  di 
Traiano,  in  medaglie    .     .     .  600 

Terme  di  Traiano 003 

Arco  d'Ancona 005 

Porto  Traiano  a  Ostia     .     .     .006 

^■ia  Ti'aiana 608 

Traiano 012 

Re  Parto 015 

Arco  di  Benevento 017 

Traiano  dà  un  re  ai  Parti  .     .  019 

Matidia 622 

Plotina  Fides  Augusta    .     .     .  020 

Adriano 028 

Monumenti  della  disciplina   l'i- 


NOTA  DELLE  INCISIONI  DEL  VOLUME  QUARTO. 


Pag. 
storata  da  Adriano  ....  G30 
Novecento    milioni    di    credito 
bruciati  per  sollievo  dei  de- 
bitori, in  medaglia  ....  G32 
Vallo  di  Adriano.  —  Sezioni  del- 
l'Aggere  presso  al  18°  miglio 
a  occidente   di   Newcastle,  e 
a  mezzo    miglio  a   occidente 

di  Carraw G41 

L'Aggere  a  Cawfields  ....  ivi 
L'Aggere  a  Down  Hill  .  .  .  iwi 
Altare  al  Genio  del  Vallo  .  .  643 
La   fossa   dell'Aggere  a  Lime- 

stone  Bank  presso  Chesters  .  644 
Ruderi  delle  stazioni  di  Ambo- 

glanna  e  di  Borcovicio      .     .  645 
Forma  generale  dei  castelli  mo- 
strata   dai   ruderi    di    Castle 

Niek 646 

Interno  del  castello  di  House- 
steads    presso    la  stazione  di 

Borgovioio 647 

Ricordi  delle  legioni,  delle  coor- 
ti, squadre  e  centurie  edifi- 

catrici  del  Vallo 650 

Altari  alla  Fortuna  Reduce ,  a 
Giove  e  al  Genio  del  Pretorio, 
e  alla  Fortuna  del  Popolo  Ro- 
mano   652 

Saggio    delle    opere    d'arte  dei 

soldati  del  Vallo 653 

Tombe  romane  a  Bremenio  .  .  654 
Pretorio  romano  a  Lambesa  .  656 
Arco  di  Adriano  ad  Atene  .  .  658 
Rovine  del  teatro  di   Bacco  ad 

Atene 601 

Ricordi  di  Adriano  sul  Libano  .  665 
Colosso  di  Meninone  ....  667 
Ruderi  del  tempio  di  Venere  e 

Roma 678 

Ristaurazione  del  tempio  di  Ve- 


Pag. 
nere  e  Roma   col    colosso  di 
Nerone  presso  all'Anfiteatro  .  678 
Mausoleo  di  Adriano  rappresen- 
tato nella   sua  intera   archi- 
tettura col   ponte   Elio  nella 

sua  fi'onte (')80 

Villa  Adriana.    Ruderi    del    pa- 
lazzo imperiale (582 

Teatro  e  Odeo ivi 

Sabina  moglie  di  Adriano     .     .  687 

Elio  Cesare 689 

Adriano  in  veste  sacerdotale    .  691 

Antonino  Pio 694 

Antonino   in    bassorilievo  della 

Villa  Albani 698 

Anfiteatro  {Les  Arénes)  e  tem- 
pio {Maison  carrée)  di  Nimes  702 
Faustina   Maggiore,   moglie   di 

Antonino  Pio 704 

Tempio  di  Antonino  e  Faustina  706 
Vittoria  sui  sollevati  Britanni .  709 
Re  dati  agli  Armeni  e  ai  Quadi  711 
La  colonna  di  Antonino  Pio  .714 
Deificazione  di  Antonino  e  Fau- 
stina   ivi 

Marco  Aurelio  riceve  da  Roma 

l'impero  del  mondo       .     .     .  717 
Domizia    Lucilla   madre    di  M, 

Aurelio 718 

Marco  Aurelio  giovanetto     .     .719 
Erode  Attico  maestro  di  M.  Au- 
relio     721 

L.  Giunio  Rustico  filosofo  stoico  722 

Lucio  Vero 726 

Lucilla  moglie  di  Lucio  Vero  .  729 
Annio   Vero    e    Conimodo    figli 

di  Marco  Aurelio     ....  732 
Arco  di  ]M.  Aurelio,   come  ve- 

devasi  nel  secolo  XVII      .     .  735 
Messaggi  dei  barbari  a  M.  Au- 
relio"   736 


068 


NOTA  DELLE  INCISIONI  DEL  VOLUME  QUARTO. 


Pag. 
Marco  Aurelio  in  veste  militare  742 

Giove  Pluvio 743 

Marco  Aurelio  trionfante  e  sa- 
crificante in  Campidoglio  .  750 
Crispina  moglie  di  Commodo  .  751 
Statua  equestre  di  M.  Aurelio  .  754 
Faustina  moglie  di  M,  Aurelio  762 
Apoteosi  di  Faustina  moglie  di 

M.  Aurelio 765 

Commodo 767 

Commodo    rappresentato    come 

Ercole  Romano 771 

Ruderi  della  Villa  dei  Quintini  773 
Due  navi  romane  figurate  nella 

Colonna  Traiana 784 

Anfiteatro  di  Verona  ....  795 
Anfiteatro  di  Capua  ....  ivi 
Quartiere      dei      gladiatori     a 

Pompei 700 

Rozze    iraagini    dei     gladiatori 

sulle  pareti 707 

Anfiteatro  di  Pompei  ....  708 

Bisellii  a  Pompei 700 

Statua    equestre    di   I\I.    Nonio 

Balbo  a  Ercolano  ....  800 
I  fanciulli  alimentarli  nell'art'o 


Pag. 

di  Benevento 804 

Le  nuove  fanciulle   Faustiniane 

di  M.  Aurelio 809 

Tempio  d'Augusto  a  Pompei    .  811 

Lettiga 820 

Rovine  del  tempio  detto  di  Ve- 
nere a  Pompei 830 

Seneca 836 

Marco  Aurelio  filosofo  stoico   .  844 

Apollonio  Tianeo 850 

Amore  malinconico      ....  856 
Claudio  storico  dell' Etruria      .  866 
Allocuzione  di  Traiano  ai  sol- 
dati      873 

Le  tombe  di  Aiace  e  di  Achille  883 

Persio 887 

Veduta  di  Aquino 890 

Lucio  Apuleio 901 

La  nave  Argo 012 

Sepolcro  del    fanciullo  Sulpicio 

Massimo 016 

I  due  Plinii  nella  facciata  delia 
Cattedrale  di  Como.     .     .     ,  022 

Rovine  di  Fréjus 028 

riiiùo  il  Giovane 045 


INDICE 

DEI    IVOIMI    E    DELIRE    OOSE 


Il  numoro  romano  indica  il  vulinne:  quello  arabo,  la  pa^'ina.  —  I  nomi 
g'eoo-rafici  (l'ordinario  sono  registrati  nella  forma  antica,  e  i  con'i- 
spondenti  nomi  moderni  in  carattere  corsivo  e  fra  parentesi.  I  numeri 
fra  parentesi  indicano  l'anno  di  Eoma. 


AB ACENO 


ACCADEIdA 


ADANA 


:  ■  {Tripi),  dimora  dei  Siculi, 

-'i«?  arr|He  medicinali,  I,  401. 
l.l/oM»),  fiume  del  Caucaso, 
ia  di  Pompeo  sugli  Albani  e 
iiazzoni.  111,  347. 
iiza,  dea.  TV,  229.  230;  in 
■rilievo  della  villa  Albani,  608. 
'■ittà  di  Tracia,  saccheggiata 
Itumani.  U,  472.  553. 
i  della  Focide,  portico  Adria- 
IV,  657. 

(presso  A'-elln),  cittadella 

pania,  1,278.  282;  cippi,  486: 

ione  alimentaria,  IV.  807. 

(Aveììino),  città  de^rli  Irpini, 

i;  iscrizione  dei  tribuni  mi- 

•  a  popvìo ,  IV,  787;   iscri- 

';   H.-  alimentaria,  807. 

Abiaùfiie,  presa  da  Traiano,  IV.  610. 

Ahi'io,   assediato  «la   FiUppo  Mace- 

"ir.iip.  II,  43:i. 
Ab:   l'i. mi  lacustri  deeli  antichi  ita- 
.  I,  38.  —  Vedi  Case. 
.  monte  nella  Selva  Nera,  IV, 

-  u\ ,  primi  abitatori  d' Italia . 
I.  '•',  ,  74,  75;  cacciano  dal  Lazio 
i  SicuU,  .527,  5.'il. 

Abramo,  sua  imasrine  a  Roma,  IV, 
870. 

Abrisio  o  -Vprusto  (Argìistn  .>) ,  città 
nella  Mafrna  Grecia,  I,  316. 

Abruzzo,  suoi  diversi  nomi,  I,  227. 

Acaia.  nome  della  Grecia  ribotta  a 
ppjvincia.  —  Vedi  Grecia. 

Acal.iiiilro,  (detto  Calandro,  Salnn- 
(Irri  e  Salandrefla) ,  fiume  della 
Siharitide.  I,  319,  322,  .323. 

Acaniani.  vinti  da  Flaminio,  n,  4.3.'5  ; 
e  da  Antioco  re  di  Siria,  444  ;  molti 
costretti  a  recarsi  a  Roma  per  es- 
sere giudicali,  485. 

Acamania,  non  fa  parte  della  prorin- 
cia  dAcaia,  H,  499. 


Ac'-ademia.  villa  di  Cicerone  presso 
al  lago  Licrino,  111,  724. 

Accone,  capo  della  congiura  dei  Car- 
nuti, ucciso,  m,  444. 

Accua  (presso  Arpi) ,  nella  Daunia , 


nanza  romana  senza  voto,  II ,  .")!  ; 
presa  da  Annibale,  366  :  quasi  dis- 
fatta dopo  la  caduta  di  Capua.  391  ; 
assediata  dagli  Italici,  HI,  181  :  e 
liberata  da  L.  Giulio  Cesare,  185  ; 
colonia  militare,  IV,  43. 

Acerronia  [Cerrona),  nella  Lucania, 
I,  294. 

Acerronia  Polla ,  uccisa  invece  di 
Agrippina,  IV,  384-3S5. 

Achei,  tentano  invano  di  fare  unita  e 
forte  la  loro  patria,  n,  429;  si  uni- 
scono a  Flaminio,  435;  vincono  i 
Macedoni  a  Corinto,  437  ;  scontenti 
di  Roma,  440  ;  respingono  Antioco 
da  Pergamo,  447  ;  aiutano  i  Romani 
contro  Perseo ,  470  ;  mille  di  loro 
trasportati  in  Italia,  48'>,  486  ;  dopo 
diciassette  anni  è  loro  permesso  di 
ripatriare,  493-494;  desiderosi  di 
vendicarsi  dei  Romani  si  sollevano, 
495-497  ;  tirano  a  sé  a  Beozia  e  la. 
Calcide,  497  ;  sconfitti  a  Scarfea  e' 
a  Leucoperfa,  497-498;  accolgono 
Mitridate,  DI.  232. 

Achei  FHioti,  dichiarati  liberi  da  Fla- 
minio, II,  438. 

Acheo,  capo  desìi  schiavi  rivoltati  in 
SiciUa,  UI.  39. 

Acheronte ,  citta  e  fiume  presso  Co- 
senza, I,  80. 

Acherontia  (Acerenza),  città,  I,  295. 

Achilia,  capo  delle  armi  egiziane,  va 
incontro  a  Pompeo  Magno,  III,  505. 

Achille,  sua  tomba,  IV,  fe3. 

Achille,  gladiatore ,  soprannominato 
l'Invitto,  IV,  79G. 

Acilia,  madre  di  Lucano,  denunziata 
dal  figlio  di  congiurare  contro  Ne- 
rone. IV,  4ij;. 


Va>-.nccci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV, 


A'ilio    Olabrione,    fatto   uccidere  da 

Domiziano,  IV,  524. 
Acilio   Glabrione    (Caio),    scrive    in 

greco  i  suoi  Annali,  U,  607. 
Acilio  Glabrione  (Manio),  console,  va 

in  Grecia  contro  Antioco  re  di  Si- 
ria, II.  444  ;  e  lo   vince  al   passo 

delle  Termopili,  445-446:  vota  un 

tempio   alla  Pietà,  446;   trionfa, 

450. 
Acilio  Glabrione,  decemviro,  figlio  del 

precedente,  dedica  il  tempio  della 

Pietà.  II,  44G-447. 
Acilio  Glabrione  (Manio),   corsole, 

inviato  nel  Ponto,  III,  343. 
Aciri,  detto  anche  Acheronte  {Acri), 

fiume  deUa  Siritide,  I.  322,  324. 
Acqua  Alsietina,  IV,  3.57. 
Ac'iua  Aniene  Nuova,  IV,  357-^8. 
Acqua  Aniene  Vecchia,  IV,  357. 
Acqua  Appia,  IV,  3.57. 
Acqua  Claudia,  IV,  357-358. 
Acqua  Giulia,  IV.  3".7. 
Acqua  Marcia,  IV,  357. 
Acqua  Tepula,  IV,  ^57. 
Acqua  Traiana  (Acqua  Paola),  IV, 

604. 
Acqua  Vergine,  IV,  28-29,  196,  357. 
Acque  Albule,  IV.  404. 
Acquedotti,  Il ,  291-293  :  IV,  28.  357, 

604. 
Aera  (Acr^,  città  nel  Bruzio,  I,  305. 
Aera ,  collina  in  Gerusalemme  ,  IV, 

481. 
Acradina  ,  quartiere  di  Siracusa ,  II, 

376,  382. 
Acragante  [San  Bifjio),  fiume  presso 

Agrigento,  n.  121. 
Acragas.  —  Vedi  Agrigento. 
Acre   (presso  Pnlazzolo)    in   Sicilia , 

grotte,  II,  100,  128;  colonia  greca. 

1 18  ;  rovine,  127  ;   soggetta  a  Ge- 

rone  secondo.  208. 
Acrocerauni  (monti),  m,  497. 
-Nerone,  capo  dei  Ceninesi,  ucciso  da 

Romolo,  I,  579. 
Adana,  città  di  Cilicia,  r'p  'polata  da 

Pompeo  coi  pirati.  III,  3.J3. 

m 


970 


INDICE 


ADERBALE 


ADRIANOPOLI 


AGRIGENTO 


Aderliale,  cartaginese,  vinto  a  Panor- 
mo,  a,  224;  difende  Drepano,  228; 
e  vince  ivi  i  Romani,  231,  232. 

Aderbale,  figlio  di.  Micipsa,  III,  103, 
104  ;  si  rifugia  a  Roma  per  ot- 
tener soccorso  contro  Giugurta, 
105;  ritorna  in  Numidia  ed  è  as- 
sediato in  Cirta,  105;  chiede  di 
nuovo  soccorso  a  Roma ,  105  ;  si 
,  arrende  a  Giugurta  ed  è  ucciso , 
lOG. 

Adi-e  (valle  dell'),  IH,  128,  131-132. 

Ad'ine,  suo  tempio  nella  grotta  di 
bVteleni,  IV,  686. 

Adozioni  simulate,  IV,  376. 

Aclraniitto,  città  dell'Asia  Minore,  ri- 
mane libera,  U,  453;  il  senato  è 
ucciso  da  Diodoro,  IH,  244. 

Admno.  genio  paesano,  suo  culto  in 
Si-^i;-:.    II.    107. 

Al':  ■  ;  :  <  ipi'riore,  1, 21  ;  città 
p  -  I  i;truschi,  126;  cen- 

I.         . 1.)  della  nuova  E- 

ti-  i: .:;,  1.::  .  dicevasi  fondata  da 
Tiijiiieile,  351;  colonia  romana,  li, 
90,  93,  269  ;  Adriano  vi  ha  l'utticio 
di  quinquennale,  IV,  671. 

Adria  {Atri),  sul  fiume  Vomano,  I,  227. 

Adri.ina  (villa)  (presso  Tivoli),  splen- 
dida di  opere  d'arte,  IV,  670,  681- 
r,;-i3,  688. 

Adiianali  (sacerdoti),  IV,  691. 

Adrianee,  varie  città  cosi  dette  dal 
nome  di  Adriano,  IV,  6C4. 

Adriaiiei,  giuochi,  IV,  661. 

Adriani,  loro  sede,  I,  225,  -227. 

Adriano  (A?ro),  I,  225. 

Adriano  (,Vrco  di),  IV,  658-659. 

Adriano  (Mausoleo  d')  (Cnstello  san- 
t\inyelo),  IV,  679-680,   691,  701, 

Adriano  (Portico  di)  ad  Atene,  lA',  660. 

Ailf  iano,  tempio  inalzatogli  da  Anto- 
nino Pio,  IV,  701. 

Adriano  (Vallo  di)  (Muro  dei  Pitti 
nel  Xorthiimberland  e  Cumber- 
Innd) ,  costruito  contro  i  Cale- 
donii,  IV,  640-647;  edificatori, 
C47-640;  anfiteatri,  bagni,  templi 
ed  altari  nel  Vallo,  651  ;  culto  asli 
Dei  romani  e  stranieri,  651-652; 
opere  d'arte  dei  soldati,  653-654; 
tombe.  r-,i. 

Adrinii  11  (i'wlili  1  Flioì,  cugino  di  Tra- 
'  ::i-ia    la    morte   di 

1  -'■;  combatte  nella 

1'  ;  -  ■  ■'■  •  iariea,  570;  nomi- 
i:  ;;..  :i!  -■r.yvnu  della  Siria,  621, 
ly.'l;  dolio  il  Piccolo  Greco,  624; 
sua  gioventù  e  primi  fatti,  624-625  ; 
sforzi  per  entrare  in  grazia  a  Tra- 
iano, Ci.-,;  imperatore  per  gli  aiuti 
ili  l'I  -MI  ':,''i-';27;  provvedimenti 
.•li:  '      :   :i  Impero, 

\  ;  doni,  62 

or'li:,,-,,M.'M'  ■.1--:ì  eserciti,  ( 
diseiiHiiia  militare,  630;  rifiuta  il 
titolo  di  Padre  deUa  Patria,  630; 
fa  guerra  ai  Sarmati ,  631  ;  con- 
giura contro  di  lui ,  631  ;  rimette 
all'Italia  e  alle  province  i  debiti 
arretrati ,  631-632  ;  studia  di  da- 
■  re  unità  all'Impero,  633  ;  amplia 
1  suoi  poteri,   633;  provvedimenti 


"•      '    ■  }•'•'''"  '  '"• neusa  le 

eriNlil.-i  d.'-li  i-noti.  CT^;  nobiltà 
e  titoli  nuovi,  635  ;  cura  delle  pro- 
vince, 635;  viag:;i  per  tutto  l'Im- 
pero, 636;  divisione  d'Italia.  G:J6; 
opere  pubbliche  in  Italia,  G:!6-637  ; 
monumenti  in  suo  onore,  637;  ce- 
lebralo restitutore  d' Italia  e  sal- 


vatore del  mondo,  637;  sue  libera- 
lità nelle  tìallie,  637-638;  provve- 
dimenti in  Germania  e  nelle  regioni 
del  Danubio,  638-639  ;  si  reca  nella 
Britannia  passando  probabilmente 
per  la  Batavia,  639;  guerra  coi 
Caledonii,  639-640;  contro  i  quali 
edifica  il  Vallo,  640-654;  continua 
i  suoi  viaggi  in  Spagna,  in  Afi'rica 
e  in  Grecia,  6^4-^57  ;  suo  arco  ad 
Atene,  tempio  di  Giove  Olimpico,  ed 
altre  opere  pubbliche,  658-660  ;  doni 
e  leggi  agli  Ateniesi  che  lo  adorano 
come  Giove  Olimpio  e  gli  inalzano 
statue,  660-661  ;  onorato  di  tempio  a 
Cizico,  661  ;  e  consacrato  a  Efeso, 
661  ;  viau:gi  nell'Asia  romana,  661- 
662;  e  nel  Ponto  Bussino,  662; 
guerra  agli  Alani,  663;  colonie  da 
lui  fondate,  663;  suo  amore  alla 
caccia,  663;  città  col  suo  nome, 
663-664  ;  opere  pubbliche  e  ricordi 
di  lui  in  Asia,  664-665  ;  iscrizioni 
sul  Libano,  665;  rappresentato  in 
sembianza  dell'Oriente  e  del  Sole, 
665;  si  reca  in  Arabia,  665-666;  e 
in  Egitto,  666;  rifa  il  sepolcro  di 
Pompeo,  666  ;  strada  lungo  il  Mar 
Rosso,  666  ;  sua  dimora  a  Tebe , 
6ò6  ;  visita  il  Colosso  di  Menino- 
ne, 667-668  ;  entra  trionfalmente  in 
Alessandria,  668  ;  beneficii  alla  città 
e  al  Museo,  669;  scandali  dei  suoi 
turpi  amori  per  Antinoo,  669-670, 
6S7  ;  ritorno  a  Roma,  670  ;  sue  in- 
gerenze nei  municipii,  671  ;  leg,gi 
e  giustizia,  editto  perpetuo,  e  di- 
ritto on...rario,  672  ;  provvedimenti 
a  ilif  sa  dei  servi,  673;  vietata  l'e- 
virazione ,  673  ;  alimenti  ai  fan- 
ciulli, 673;  contradizioni  del  suo 
carattere,  673-674;  ore  del  de- 
spota non  frenato  da  leggi ,  674- 
675  ;  suoi  studi  di  lettere,  "di  scienze 
e  di  arti,  675-676  ;  accolti,  invidiati 
e  perseguitati  i  sapienti,  676;  fa 
assassinare  ApoUodoro,  676-677  ; 
tempio  di  Venere  e  Roma,  677-679  ; 
ali  re  o|i,-re  pubbliche  a  Roma,  679; 
M,L  i-  '  :  -   -1    ponte  Elio,  680; 


;>!:j; 


luerr 


(TI  !  -  :-  ■  .  .  IMI  eostuini,  686- 
6.s;  .  .lUi  1  i:iuiiii-ie  alla  moglie 
Giulia  sabina,  i;s;-688;  figurato 
sottu  le  sembianze  di  Marte;  688; 
sua  malattia  e  crudeltà,  688;  adot- 
ta a  successore  Elio  Vero,  689;  e 
morto  lui  adotta  Antonino,  690  ;  sue 
crudeltà  negli  estremi  momenti, 
690;  sua  morte,  691  ;  deificato,  691, 
692;  sepolcro  e  tempio  a  Pozzuoli, 
C91,  trasportato  nel  suo  Mausoleo, 
691  ;  sua  vita  scritta  da  F.  Gre- 
gorovius,  692  ;  suo  tesoro  segreto, 

Adrianopoli,  nome  dato  a  più  città  in 
onore  di  Adriano,  IV,  657,  658,  664. 

Adrianotcre ,  città  presso  il  monte 
Olimpo  di  Misia,  IV,  663,  681. 

Adriatico  (Mare)  in  antico  copriva  la 
pianura  del  Po,  I,  21  ;  reso  libero 
dai  pirati.  II,  248. 

Adrumelo  (.'Ciisa) ,  colonia  fenicia  in 
Affri.a,  alleata  di  Cartagine,  II, 
327,  420,  421,  507;  porto,  513:  vi 
sbarca  G.  (issare.  III,  518;  paga 
una  imposizione  a  G.  Cesare,  :>26. 

Adu.atiei  (iVointir),  vinti  da  Cesare, 
m,  434-435. 

Adu.atuea  (Tonffres),  IH,  442,  443. 

Acca  (Troia),  sulla  Via  Traiana,  IV, 
607. 

Aes  nule,  II,  307. 

Aes  signiitum,  II,  307. 

Aesar,  nome  generico  di  Dio  in  etru- 


Aesica  (Grecit  Chesters),  IV,  644. 
Affile  (presso  Subiaco),  occupata  da- 
gli Ernici,  I,  231. 
Affrica,  una  parte  del  territorio  iVi 
Cartasine  diventa  provincia  f'n 
questo  nome,  II,  523,  542;  la  mei  a 
dell' Atfrica  romana  in  mano  di  sci 
possessori.  III,  II;  colonie  di  Ce- 
sare, 537  ;  e  di  Augusto,  IV,  00  ; 
sottomessa  al  regime  delle  provin- 
ce, 61  ;  vessazioni  per  causa  delle 
leve  militari,  77;  vi  stanziano  due 
legioni,  78;  sollevazione  di  Tar la- 
rinata,  274;  guerra  sotto  Claudio, 
344;  resta  fedele  a  Ottone,  412; 
opere  pubbliche  di  Antonino  Pio, 
701  ;  ricordi  di  lui,  715;  vi  staiizi.i 
una  legione,  783. 
Afi'rica  nova,  riunita  da  Cesare  alla 

provincia  d'Affrica,   IH,  526. 
Afrania,  oratrice,  lU,  706. 
Afranio  (Lucio),  poeta  comico.  II,  G4(i 
Afranio  (Lucio),   legato   di   Pompeo 
in   Spagna,  messo  in  fuga  n»!!- 
battagfia   del   Sucrone,    III,    2  - 
Pompeo  lo  lascia  in  Armenia,  :  i 
percorre  la  Siria,  Palestina  e  i 
nicia,  349;  in  Spagna,  si  arren 
a  Cesare  ed  è  lasciato  libero,  4S7, 
491-493;   consiglia  Pompeo  di  ri- 
tornare in  Italia,  501  ;  combatte  a 
Tapso,  519-520;  è  trucidato,  520. 
Afrodisio   (nel  Campo  lemiiii) ,    vil- 
laggio nel  Lazio,  I,  539. 
Agassa,   in  Tessaglia,   saccheggiata 

dai  Romani,  II,  485. 
Agatirno   (presso  il  Capo  Orlando), 

dimora  dei  Siculi,  II,  106. 
Agatocle ,   tiranno   di    Siracusa ,    le 
truppe   mercenarie   lo   elevano  al 
trono;   ed  è  vìnto  dai  Cartaginesi 
al  monte  Ecnomo,  II,  183  :  sue  vit- 
torie e  crudeltà  in  AlTrira,    184; 
ritorna  in  SiciUa,  vince  ad  .Vgri- 
gento,  e  mena  feroci  vendette,  185- 
18S;  riparte  per  l'Affrica,  è  vinto,  e 
fugge  in  Sicilia  dove  commette  nuo- 
ve crudeltà ,  186-187  ;   fa  pace  coi 
Cartaginesi,  186  ;  strìnge  alleanza 
con  gli  Apptili  e  Iapigi,  187  ;  sac- 
cheggia   Crotone   e   prende    Ippo- 
nio,"  187  ;  muore  di  veleno,  187. 
Agedinco  (tieii.':),  IH,  445,  447. 
Aggere  di  Servio  Tullio,  I,  605,  722. 
Aggere  del  Vallo  d'Adriano,  IV,  642, 

643. 
Agirio  {San  Filippo  d'Agirò) ,   di- 
mora dei  Siculi,  II,  106  ;  presa  dai 
Romani,  211. 
Agnano,  lago,  IV,  513. 
Agnone  ,  nell'Abruzzo,  iscrizione,  I, 

384-385,  486. 
Agobbio.  —  Vedi  Isuvìo. 
Agonale  (colle),  I,  666. 
Agone  Capitolino  (Concorsi),  IV,  537. 
Agricola.  —  Vedi  ("alpurnio. 
Agricola.  —  Vedi  Giulio  Agricola. 
Agricoltura  dei  popoli  più  antichi  d'I- 
talia, 1,  480-491,  764;  abbandonata, 
e   preferiti  i  prati  e  ì  boschi,  III, 
12-13;    limitato    il    numero    degli 
schiavi  da  usare  nella  cultura  dei 
campi,  19, 27  ;  scrittori  romani,  760  ; 
trascurata  durante  l'Impero,  IV, 
801. 
Agrigento  {Girgentt),  colonia  grecA, 
li,  118,  119;  sua  grandezza  e  splen- 
dore,  120-124;   retta   dal    tiranno 
Terone,  150;  caccia  il  tiranno,  161  ; 
e  aiuta  Siracusa  a  liberarsi,  161; 
presa  dai   Cartaginesi,  165;  aiuta 
Dionisio  contro  i  Cartaginesi,  I(i6  ; 
e  Dione  contro  Dionisio  il  giovane, 
178;  si  solleva  contro  .Vgatocle,  il 
quale  vi  riporta  una  grande  vitto- 
ria, 185-186  ;  caccia  il  presidio  car- 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


971 


AGRIPPA 


ALIMENTI 


taginese,  200  ;  assediate  dai  Romani 
che  vincono  i  Cartaginesi,  211-212; 
presa  da  Cartalone,  223  ;  Senato, 
27-1  ;  presa  da  Iniilcone,  379  ;  chia- 
mivasi  prima  Acragas,  38G;  è  con- 
segnata ai  Romani,  385-38G  ;  solle- 
vazione degli  schiavi,  III,  40;  i  suoi 
templi  derubati  da  Verre,  322. 

Agrippa  U ,  figlio  dell'  ultimo  re  di 
Giudea,  apre  ai  Romani  le  porte 
di  Tiberiade,  IV,  458  ;  favorisce  la 

■    proclamazione  di  Vespasiano,  462. 

Agrippa.  —  Vedi  Erode  Agrippa 

Agrippa  Postumo,  figlio  di  Giulia  e 
di  M.  Vipsanio  Agrippa,  IV,  214; 
adottato  da  Augusto,  220  ;  rilegato 
alla  Pianosa,  221  ;  visitato  da  Au- 
gusto ,  231  ;  fatto  assassinare  da 
Tiberio,  232,  243,  277-278. 

Agrippa  (Vibuleno),  cavaliere,  accu- 
sato si  avvelena,  IV,  307. 
grippa.  —  Vedi  Vipsanio  Agrippa. 

Agrippina  Maggiore,  figlia  di  Giulia  e 
di  Vipsanio  Agrippa,  IV,  214  ;  sposa 
di  Germanico,  230,  246;  nel  r.iinpo 
incuorai  paurosi  dell'invasione  delle 
orde  germaniche,  248  ;  odiata  da  Li- 
via Drusilla,  256,  287  :  prende  parte 
al  trionfo  di  Germanico,  257  ;  acco- 
glienze ad  Atene,  260  ;  dà  alla  luce 
Giulia,  260;  porta  in  Italia  le  ce- 
neri di  Germanico,  207  ;  accoglienze 
a  Roma,  267-268;  intercede  per 
Claudia  Pulcra,  289;  rifiuta  le  frutta 
ottertele  da  Tiberio,  290  ;  È  da  lui 
accusata,  297  ;  trasportata  all'isola 
Pandataria  vi  muore,  298  ;  il  fii;lio 
Caligola  ne  porta  le  ceneri  nel  Mau- 
soleo di  Augusto  e  istituisce  ese- 
quie annuali,  298,  299,  317,  318; 
suoi  Connnentarii,  910. 

Agrippina  Minore,  figlia  di  Germanico 
e  di  .\grippina  Maggiore,  IV,  366  ; 
moglie  di  Domizio  Ènobarbo  e  ma- 
dre di  Nerone,  367;  rilegata  dal  fra- 
tello Caligola,  323,  334,  3  i7  ;  richia- 
mata dallo  zio  Claudio,  367  ;  moglie 
di  Passi  no,  368  ;  e  poi  di  Claudio, 
366  ;  imperatrice  ambiziosa,  fi.'roce  e 
potente ,  3GS  ;  sue  trame  e  delitti , 
369  ;  fa  adottare  Nerone  a  danno  di 
Britannico,  370  ;  medita  l'uccisione 
di  Claudio,  371  ;  lo  fa  avvelenare, 
372  ;  e  Io  onora  di  un  tempio,  373  ; 
smaniosa  di  governare  ogni  cosa, 

378  ;  sua  guerra  contro  Seneca  e 
Burro,  consiglieri  di  Nerone,  378- 

379  ;  espulsa  dalla  corte  è  accusata 
di  cospirazione,  381-382  ;  e  di  ten- 
tativi d'incesto  per  tenere  a  sé  le- 
gato il  figliuolo,  383  ;  Nerone  tenta 
farla  annegare  nel  golfo  di  Baia, 
384;  salvatasi  è  uccisa  nella  sua 
villa  di  Bauli,  3S-,-386. 

Agro  pubblico,  I,  79G-707,  799. 

Agro  romano,  I,  794  ;  limitato  da  Ser- 
vio, 795-796. 

Agrone,  re  d'IIIiria,  II,  247. 

Agylla.  —  Vedi  Cere. 

Aiace,  sua  tomba,  IV,  883. 

Aisne,  sulle  sue  rive  sono  sconfìtti  i 
Bellovaci,  III,  452. 

Akilja,  rabbino,  anima  dell'insurre- 
zione dei  Giudei  contro  Adriano, 
IV,  684  ;  da  il  comando  a  Bar- 
cocheba,  684;  tratto  al  supplizio, 
685. 

Alahanda,  città  della  Caria,  venera 
Roma  qual  Dea,  II,  541. 

Alalia.  —  Vedi  Aleria. 

Alani,  devastano  l'Armenia  e  la  Cap- 
padocia,  IV,  6G3;  vinti  da  . -ornano, 
663  ;  moti  guerri'schi  repressi  sotto 
Antonino,  708;  invadono  l'Impero, 
734. 

Alatri,  città  degli  Ernici,  I,  231  ;  con- 


serva  l'indipendenza   municipale, 

II,  76. 

Alauda   {Atlodola),   legione  di  Galli, 

III,  4.55. 

Alba  negli  Elvii  {Afps  presso  Viviirrs). 
colonia  romana,  IV,  53;  diventa 
Alba  Augusta,  5ì. 

Alba  Fucense  o  Kucente  (Albf)^  città 
degli  Equi  o  dei  Marsi  sul  lago  l'u- 
cino,  I,  230  ;  colonia  romana,  II,  78, 
267,  268  ;  vi  muore  in  prigione  Per- 
seo, 400;  assediata  dagli  Italici,  III, 
180. 

Alba,  in  Liguria,  vi  è  ucciso  Scipione, 
figlio  di  Lepido,  III,  289. 

Alba-Longa  {Palazzola),  presso  il  la- 
go Albano ,  capitale  dei  Latini ,  I, 
539,  540,  545-547  ;  la  lista  dei  suoi 
re  e  inventata,  .565;  sue  colonie, 
565  ;  leggende,  566  ;  assalita  da  Ro- 
molo, 572  ;  lo  aiuta  contro  i  Sabini, 
579  ;  distrutta  da  Tulio  OstiUo,  590- 
594  :  nel  suo  territorio  sono  vinti  i 
Galli,  II,  33  ;  dichiara  che  non  può 
soccorrere  Roma ,  393 ,  394  ;  vi 
muore  in  carcere  il  re  Bituito,  III, 
94  ;  tempio  di  Minerva,  IV,  535  ; 
villa  Albana,  535-536;  anfiteatro 
di  Domiziano ,  ,536 ,  537  ;  ridotta 
a  un  borgo  desolato,  794. 

Albana  (arce)  {Rocca  di  Papa),  I,  547. 

Albani,  nel  Caucaso,  vinti  da  Pompeo, 

III,  347  ;  si  KoUevano  e  sono  nuo- 
vamente vinti  da  lui,  347;  soggio- 
gati da  t:anidio,  662  ;  chiedono 
amicizia  a  Roma,  IV,  84;  ricevono 
un  re  da  Traiano,  615. 

Albani  (villa) ,  bassirilievi ,  IV  ,  698  , 

808,  809. 
Albano  (lago),  suo  emissario,  I,  873- 

Albanò,  monte,  I,  526,  527,  535,  542, 
543,  547,  611,  866. 

Albi  (Ellja),  fiume  di  Germania,  IV, 
100,  221,  727. 

Albino,  procuratore  in  Giudea,  IV, 
456. 

Albino  (Lucio),  tribuno,  I,  782. 

Albino  Postumio.  —  Vedi  Postumio 
Albino. 

Albinovano  (Publio) ,  da  altri  detto 
Tullio  Albinovano,  governatore  ad 
Arimino,  uccide  i  colleghi  e  si  uni- 
sce a  Siila,  III,  257. 

Albio  Intemelio  (Ventimiglia),  stra- 
ziata dalla  flotta  di  Ottone,  IV,  445, 

Aliiucio  (L.),  autore  di  satire,  IO,  791. 

Albulate  (Vezzola  presso  Teramo), 
fiume,  I,  227. 

Alljum  a  Pompei,  IV,  45,  46,  47. 

Albunea,  ninfa  e  sibilla,  I,  379,  401. 

Alburno  {Monte  di  Postiglione),  mon- 
te in  Lucania,  I,  286. 

Alburno,  porto,  I,  291. 

Alburno   {Veres2}atak),   nella  Dacia, 

IV,  580. 

Albuzio  Silo  (C),  retore,  IV,  185. 
Alcantara,  avanzi  del  ponte  sul  Tago, 

IV,  610. 
Alcibiade ,    nella    spedizione   contro 

Siracusa,  II,  164;  sua  statua  nel 

Fòro  di  Roma,  300. 
Alece  {Alice) ,  fiume  nel  Bruzio ,  I, 

297,  304,  312. 
Aleria,  in  Corsica,  fondata  dai  Focesi 

col  nome  di  Alalia,  U,  239;  presa 

dai  Romani,  217  ;  colonia  romana, 

544. 
Alesia    (  AUse-Sainte-Reine)  ,  nella 

Cote  d/Or),  assediata  e  presa  da 

Cesare,  III,  448-451. 
Aleso,  dio,  I,  381. 
Aleso,  in  Sicilia,  città  libera,  11,273; 

Senato,  274. 
Alessandria  d'Egitto,  tumulti  per  la 


presenza  di  Cesare,  III,  509;  bi- 
blioteca incendiata,  511  ;  Cesare  vi 
si  difende  contro  Tolomeo,  511; 
assalita  da  Ottavio  ,  681  ;  presa, 
686  ;  seconda  metropoli  dell'Impero 
romano,  IV,  64  ;  sulla  via  mihtare 
dell'Oriente,  68;  presidio  militare, 
78  ;  emporio  conmierciale,  207  ;  vi- 
sitata da  Germanicij  senza  licenza 
del  principe,  262-26.3  ;  tumulto  fra 
i  Greci  e  Giudei,  333;  Vespasiano 
vi  fa  miracoli  per  acquistarsi  au- 
torità, 480;  Domiziano  vi  fa  co- 
piare i  manoscritti  per  le  bibliote- 
che di  Roma,  521  ;  accoglienze  ad 
Adriano,  668,  669  ;  Museo  ,  669  ; 
Marco  Aurelio  le  perdona  di  aver 
parteggiato  per  Avidio  Cassio,  749; 
timore  che  non  somministri  grano 
a  Roma,  775  ;  Dione  Crisostomo  vi 
rampogna  i  cittadini  degli  immo- 
desti spettacoli,  847-848. 

Alessandria  di  Troade,  città,  rimane 
libera,  U,  4.53. 

Alessandro ,  filosofo  platonico ,  mae- 
stro di  Marco  Aurelio,  IV,  720,  724. 

Alessandro,  grammatico  greco,  mae- 
stà, ,Ii  M.nren  Aurelio,  IV,  720,  723. 

AI.--.H.!r..,    i,,,,i.,.t.,re,  IV,  728. 

Al'  '   li'l  re  Perseo,  scri- 

.  : -Irati,  U,  490. 

Air-  ;i;;  !; ...  1 ,  j  1 ,  ,  di  Pìrro,  rimane  al 
governo  di  Locri,  U,  200. 

Alessandro  (Giulio),  legato  di  Traia- 
no, incendia  Seleucia,  IV,  618. 

Alessandro  Magno,  Cesare  davanti  al 
suo  simulacro.  III,  327,  328  ;  Pom- 
peo trionfando  indossa  la  sua  cla- 
mide ,  399  ;  Traiano  sacrifica  ai 
suoi  Mani,  IV,  618. 

Alessandro  Molosso,  re  di  Epiro,  sua 
alleanza  con  Roma,  II,  53;  muore 
presso  Pandosia  in  difesa  dei  Ta- 
rentini,  I,  305,  li,  188-189. 

Ale«--i!vlro  VI!  .  papa,  fa  demolire 
!    i!  ■'.  .1'  M  .-.n  AureUo,  IV,  734. 

.\1.  '       I  M  ne  della  Lucania,  I, 

A|..i:l'^   (Vw/, /',';,' netfliirpini,  I,  266. 

Alezio  (.V.  M,,,;a  di'Ua  Lizza  o  di 
Alizifi),  nei  Canini  Salentini,  1,337. 

All'aljeti  ilali.-i,  I,  472-473,  475. 

Alfabeto,  introdotto  in  Itafia  dal  Pc- 
lasgi,  I,  93  ;  etrusco,  480,  482  ;  eu- 
ganeo,  477;  latino  riformato  da 
Claudio,  IV,  354;  sabello,  I,  488; 
umbro,  476. 

Alfeno  Varo,  uomo  di  guerra,  acco- 
glie Virgilio,  IV,  118,  119. 

Alfeno  Varo  (P.)  di  Cremona,  giure- 
consulto, strumento  di  Augusto, 
IV,  30. 

Alfii,  famiglia  etrusca,  I,  484. 

Algarotti  (Francesco),  sua  critica  della  _ 
cronologia  romana,  I,  650. 

Algido,  monte,  I,  229,  527,  825,  828, 
866,  867. 

Aliarlo,  in  Beozia,  espugnata,  II,  472; 
crudeltà  dei  Romani,  552. 

Aliba.  —  Vedi  Metaponto. 

Alicia  e  Alide  (Salemi)  ,  città  dei 
Slcani,  II,  104  ;  presa  dai  Romani, 
211;  città  libera,  273;  rivolta  de- 
gli schiavi,  lU,  138. 

Alimenti  pubblici  pei  fanciulli  poveri, 
istituiti  da  Nerva,  IV,  548,  802; 
ordinati  e  resi  più  stabili  da  Tra- 
iano, 558,  802-803;  provvedimenti 
di  Adriano,  673  ;  accordati  da  An- 
tonino Pio  alle  fanciulle  dette  Fau- 
stiniane,  703,  716,808;  Marco  Au- 
relio ne  allarga  le  basi ,  737-738  ; 
Nuove  Faustiniane,  763,  808,  809; 
intenti  e  annninistrazione  della  isti- 
tuzione, 801-802,  808-810;  tavola 
Yelleiate  e  Bebiana,  803-805;  som- 


972 


INDICE 


ALISONE 


me  consacratevi  da  Traiano,  805- 
SOtì  ;  e  Hai  privati  a  Terracina  e  a 
Como,  8lW:  numero  dei  fanciulli 
alimentati,  80C-807  :  ricordati  nelle 
epigrafi  in  molte  città,  807;  de- 
cadenza e  line  delbi  istituzione , 
810. 

Alisene  [Elsen  o  Wesel).  fortezza,  in 
Germania,  IV,  99,  22i;,.22S. 

Allattamento  dei  fis-liuoU,  IV,  837. 

Alleati  italici.  —  Vedi  Italici.  . 

Allia  (Scann becchi) .  fiume,  I,  220, 
.t63  :  i  Romani  vi  sono  sconfitti  dai 
Galli,  890-891. 

AUife,  costruita  dai  Sanniti,  I,-255; 
rovine,  258;  presa  dai  Romani,  !I, 
r>',  74  ;  ì  Sanniti  sconfitti  ivi  in  una 
grande  battaglia,  70  ;  iscrizione  ali- 
mentaria, IV',  807. 

AUobrogi ,  soccorrono  Annibale ,  U, 
a38;  in  guerra  con  Roma,  III,  92; 
vinti  a  Vindalio,  93;  si  sottomet- 
tono, 04-93;  i  loro  ambasciatori 
scoprono  la  congiura  di  Calili- 
na  e  sono  arrestati,  380-382;  si 
ribellano  contro  l'oppressione  rr>- 
mana,  429;  latti  cittadini  romani, 
IV,  52. 

Allume,  IV,  206. 

Alonzio,  dimora  dei  Siculi,  li,  106. 

Alpe  Graia  (IHccofo  a.  Bernardo), 
li,  336,  3i7,  lU,  97,  IV,  91. 

Alpi,  passaggio  di  .-Vnnibale  e  dispute 
sulla  via  da  lui  tenuta,  li,  336-338; 
Roma  si  assicura  i  Iriro  passaggi, 
111.97:  S:ìI|,;.  ;  .  (ì;.Ii,:i  -1  :ipn'  una 


Alpi  Cwi. .  I  N  lU       .i.iN'^apro- 

Alpi  (Vi-ìl'Ì'.i,,-.  1\,  ',.ó. 

.\lpi  Marittime,  IV,  UiJ,  93;  ridotte  a 
pTOvincia,  782. 

Alpi  Trentine,  IV,  93. 

Alsio  (Pillo),  città  pi'lasgica,  I,  79; 
occupata  dagli  Etruschi,  130,  134; 
colonia  romana,  11,  93,  269. 

Aitino  (presso  J-rpf/i-o),  parteggia  per 
Vespasiano  ,  IV ,  464  ;  vi  muore 
Lucio  Vero,  737. 

Amatinio.  professa  a  Roma  l'epicurei- 
smo, Ili,  740. 

Amaseno  {Top/na),  fiume,  I,  232. 

Amasti  i,  palude  nello  sue  vicinanze, 
IV.  5IJ3. 

Ama/io.  fatto  uccidere  da  Antonio  e 
Dolabella,  111.  577. 

Amazzoni,  nella  battaglia  degli  Al- 
bani contro  Pompeo,  ìli ,  347  ;  fi- 
gurate in  bassorilievo  e  nel.grande 
vaso  di  Ruvo,  348  ;  Amazzone  scol- 
pita sulla  spada  di  Tiberio,  IV,  241, 
242  ;  e  sulla  base  del  busto  di  Com- 
modo,  770. 

Ambarri,  invadono  l'Italia,  I,  8S4. 

Ambiani  (Amieiis) ,  vinti  ila  Cesare , 
lU,  434. 

Arabiorige,  duce  degli  Eburoni,  III, 
442;  sorprende  le  legioni  romane, 
442;  eccita    alla    rivolia  i  Ncrvii  , 

442;  assedia  (Juiiii     i  ;.  i-i il  e 

vinto  da  Cesar,      i ,   - 1  ,  : .  i 

dalla  di  lui  vcml  :  -i  1 1 

Ambito,  leggi  per  pili]  ni  ..  MI,  ?,•,-;-  ;-,7, 


IV, 


IV,  643 


Amboglanna,  [UirdoswaleCj, 

Ambra,  IV,  202. 

Ambra  {Atnherloiicc),  nella  selva  Ap- 
duenna,  III,  444. 

Ambracia,  vittoria  dui  Romani  sugli 
Ktoli,  II,  450;  predata  da  Fulvio 
Nobiliore.  533. 

Ambracia  (seno  di),  UI,  670 

Ambroni,  81  uniscono  ai  Cimbri  e  Teu- 
toni, III,  122;  muovono  verso  llta- 
lia,  128;  distnitti  da  Mano  alle 
Ac<iue  Se«tie,  128-130. 


Amenofi  III.  innalza  il  Colosso  detto  di 

Memnonc,  IV,  666. 
Ameria,  citta  degli  Umbri,  1, 63  ;  iscri- 
zione alim  ntaria,  W,  8u7. 
Amerjola,  rovine,  I,  562:  sottomessa 
da  Tarquinio  Prisco,  599. 

.Vmesìa  Senzia,  oratrice.  III,  700. 
Amestratoo  Mitistrsto  (Vi^irt-ltii),  dì- 
mora  dei  Siculi,  II,  106  ;  Senato,  274. 
Amflssia  (all'imboccatura  del  Cornee), 

l,  316. 
Amiata  (monte) ,  bagnato  dal  mare, 
I,  20. 

Amicla  (presso  Terraciiifì) ,  città,  I, 
210-211. 

Amilcare,  cartaginese,  ucciso  a  Sira- 
cusa, II,  183. 

Amilcare,  cartaginese,  vinto  dai  Ro- 
mani a  Ecnomo.  II,  210;  chiuso  in 
carcere  dalla  mocrlie  di  .\ttilio  Re- 
golo, è  liberato  dai  Tribuni  del  po- 
polo. 227. 

Amilcare,  oai-taginese,  a  capo  dei  Galli 
e  Liguri  è  sconfitto,  II,  437. 

Amilcare  Barca,  cartaginese,  padre 
di  Annibale,  in  Sicilia,  II,  232-233; 
sua  pietà  verso  i  mi  rti,  2.33-234; 
prende  Erice,  234;  tratta  la  pace 
coi  Romani,  2<0  ;  vince  a  Carta- 
gine i  mercenai-ii  ribelli,  2't8:  gli 
estermina,  328  ;  la  guerra  alla  Spa- 
gna e  muore  annea.ato,  329. 

Amisia  (Ems),  fiume,  IV,  220,248,249. 

Amiso  (Sdinsiim),  nel  Ponto,  assedia- 
ta. III.  339  ;  visitata  da  Pompeo.  340. 

Amiterno  {S'nn  Vitthriuo),  rovine,  I, 
218-219:  diviene  prefettura,  II.  90; 
patria  di  Sallustio,  UI,  777.  778. 

-Vmmande,  freni  imposti  colla  legge 
Aternia,  I.  830. 

Anina,  divinità  dd  Sannio,  1 ,  385. 

Amnia  {Crok-Ir„>iil;),  fiume,  scmlitta 
di  Nicomedo  di  lìitinia.  III,  228. 

Amnistia,  III,  .371. 

Ainor ,  nome  misterioso  di  Roma,  I, 
574. 

Amor  di  patria,  I,  705  ;  del  mondo, 
IV,  832. 

Amore  malinconico,  figurato  dall'arte, 
IV,  855,  8.36. 

Amorgo,  isola  nei  mari  di  Grecia,  I\", 
279,  280. 

Ampelura  IZalatnn) ,  nella  Dacia,  IV, 
580. 

Amsanto,  lago  e  mofeta,  I,  203,  330, 
381. 

.\msanto,  valle,  I,  27-28. 

Amulio,  rovescia  dal  trono  di  Alba  il 
fratello  Numitore,  I,  568. 

Amulio.  pittore,  sua  Minerva  e  pitture 
nella  Casa  aurea,  IV,  403. 

.Vna  (Criiadiatifi) ,  fiume  di  Spagna, 
III,  294. 

Anacapri  (rupe  di),  IV,  293. 

Anagni,  capitale  degli  Krnici.  I,  231  ; 
riceve  la  cittadinanza  senza  suf- 
fragio, II,  76;  occupata  da  Pirro, 
190  ;  iscrizionealimeiitaria,  IV,  807. 

Anani,  si  stanziano  presso  il  Taro,  I, 
883. 

-Vnapo,  fiume  presso  Siracusa,  II,  370, 

Ana.ssila,  tiranno  di  Reggio,  li,  1.39. 
.anatomia,  studiata  dagli  Etruschi,  1, 

400. 
Ancaria,  Dea  protettrice  di  Eiesole,  I, 

381,  389. 
Ancario    (Quinto) ,    fatto   uccider   da 

Mario,  III,  217. 
Anelli  di  Numa,  I,  R8rt,  729;  IV,  718. 
Ancira  {Aìiporn),  in  (Jalazia,  ti>nipio 

n  if'.rnn  !•   id    Vneust.),  e  iscrizione, 


cere  Mamertino,  .597  ;  muore  felice 
e  onorato.  597-598. 

Ancona,  occupata  dai  Sabini,  I.  225; 
scavi,  225  ;  occupata  da  Cesare,  III, 
485:  Germanico  vi  s'imbarca  per 
l'Oriente,  IV,  259;  arco,  605;  porto, 
603. 

Andecavii  (Anjmi),  popolo  gallico,  IV, 
275. 

Andernach,  città,  deve  forse  la  sua 
origine  ad  un  presidio  romano, 
IV.  99. 

Andes  {Pietola),  presso  Mantova,  pa- 
tria di  Virgilio,  III,  036;  IV,  ■- 

Andrisco  o  Pseudo-Filippo,  si  spaccia 
per  figlio  di  Perseo  e  si  impadro. 
nisce  della  Macedonia.  II,  494  ;  i 
vinto  da  Cornelio  Scipione  Nasici 
in  Tessaglia,  494  ;  uccide  il  pretor 
Giovenzio  Talna,  495;  fe  ucciso  i 
Pidna  da  Q.  Cecilio  Metelbi,  495. 

Andronico.  —  Vedi  Livio  .\ndronico 

Aneroesto,  capo  dei  Galli  (;es.ati, 
249  ;  si  uccide  al  capo  di  Telamone 
232. 

Anfoo,  liberto  dì  Claudio,  IV,  342. 

.\nlìpoli,  citta  in  Macedonia,  II,  4» 
482;   creata  capitale  di   una  del 
quattro   confederazioni,  483  ;  festa 
celebratevi  da  Emilio  Paolo ,  48^ 
48i. 

Anfiteatro  di  Domiziano  nella  sua  vili 
Albana,  IV,  536-537. 

.-Vnflteatro  Flavio  (Colosseo),  inalzai* 
da  Vespasiano,  IV,  499;  continuati 
e  dedicato  da  Tito,  514-316;  com- 
piuto da  Domiziano,  516 
struzione,  517;  spettacoli  e  vicende 
517-318;  restaurato  da  .\Dtoaiii 
Pio.  701. 

Aniissa,  in  Grecia,  dilesa  dagli 
II.  447. 

Aneerona,  divinità  misteriosa,  I,  ' 

Angitola,  fiume  dei  Hruzì,  1,  297. 

Angizia,  sorella  di  Circe,  suo  cult 
sul  lago  Fucino,  l.  247. 

Angulo  {CMta  Sant'Aiioelo),  citi 
dei  Vesfinì,  I,  251. 

Aniceto,  prefetto  dell'armata,  sugg« 
risce  a  Nerone  di  affogar  la  madi 
Agrippina.  IV,  384  ;  e  accetta  dì  ui 
ciderla.  383-386;  accusa  Ottavia  < 
adulterio  e  sotto  nom^  di  band 
va  in  Sardegna,  392. 

Anicio  Ceriale,  scopre  la  congiut 
contro  Caligola.  IV,  Xìi  ;  propou 
un  tempio  al  Dio  Nerone,  410. 

Anicio  Gallo  (L.),  pretore,  va  in  Uli-  ' 
ria,  vince  Gonzio,  li,  477-478;  6 
trionfa,  487,  490. 

Anieue  o  Anio.  fiume.  I,  621,  228,  229, 
IV,  337,  527,  558;  cascateli.',  I. 
560-.361  ;  sulle  sue  rive  i  Romani 
vìncono  i  Sabini,  599;  i  Veieutì, 
869:    .'.  i  Galli     11    33. 

Anìiiiiiii    II'- Il  ili  il  I   jiiic  .1  iMistiidia 


in:; 


.pi'rc  di  paci!  e 
nula  Ostia.  .39.V 
iblicio  e  il  car- 


Aniia  (la  vecchia), 
il  p..iìolo  sul  M( 

Anna  I'.  i>  mi; : 


ili 


lioville,  soccorre 
ite  Sacro,   1,  7SÌ 

.li  l.l<l..i..v  ninfe 


Annali  .Massimi,  scritli  dal  l'out.'flce 
Massimo,  e  consultati  dagli  storici 
antichi,  I.  682-683.  II.  607. 

.Vnneo  Cornuto,  filosofo  stoico,  esilinin 
da  Nerone,  IV.  411,  868;   mi.- 
di    Lucano.  877;  e  di  Persio  " 
dal  quale   è  istituito  erede.  .'< 

Anueo  Lucano.  —  Vedi  Lucano 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


973 


ANNIBALE 


ANTISTIO 


Anneo  Mela,  fratello  di  Seneca  e  pa 
dre  a  Lucano,  si  uccide,  IV,  412. 
Anueu  Seneca  (Lucio).  —  'Vedi  Se- 
neca. 

Annibale ,  già  capo  dei  Cartaginesi 
alla  difesa  di  Agrigento,  vinto  da 
Duilio  nella  battaglia  navale  di 
Mile,  li,  215. 

Annibale,  cartaginese,  soccorre  Lili- 
beo  assediata,  II,  2.30.  232. 

Annibale,  figlio  di  Amilcare  Barca, 
sua  gioventii,  II,  330  ;  capo  dell'e- 
sercito cartaginese  in  Spagna,  331  ; 
assedia  e  prende  Sagunto.  331  ;  pre- 
parativi per  invadere  l'Italia,  3.33  ; 
var.^a  i  Pirenei,  334  ;  passa  il  Ro- 
dano, 335  :  e  dalle  Alpi  pi  imba  in 
Italia,  336-339:  espugna  Taurino, 
3tO;  vince  Cornelio  Scipione  al 
Ticino,  340;  e  alla  Trebbia,  341- 
342  ;  tenta  passare  l'Apennino.  ed 
è  impedito  dalle  intemperie.  343; 
dalla  Liguria  va  in  Etruria  e  la  di- 
serta. 344;  vince  al  Trasimeno  il 
console  Flaminio,  345-347;  trova 
resistenza  a  Spoleto,  348-349  ;  tra- 
versa l'Apennino.  va  nel  Piceno  e 
poi  nell'Apulia,  349-350;  fallitigli 
i  tentativi  di  battersi  con  Fabio 
Massimo,  va  nella  Campania,  fa 
scorrerie  nel  Sannio  e  in  Campa- 
nia, e  si  riduce  in  Apulia.  3"l-353; 
viiiMi  ;i  ,]]  r  :,,;  ,..  ■]-r:.T.'.  ;  soggior- 
1  'i         '  :;-'■:      _'>ierre  in 

I  Mi.|i  .  ■  ■  -  -  -:  .ii'campa 
Mii  ii.ii,  '._.  I  !i  11  ,v  ,.•  i:,\  i.iu  assalta 
t  uui.i.  oijy.  1-  r.'S|jiiiiu  anche  da 
Nola,  369,  372  ;  abbandona  i  San- 
niti e  va  ad  Arpi  in  .\pulia,  369; 
chiede  aiuti  fuori  d'Italia,  370;  sua 
alleanza  con  Filippo  di  Macedonia, 
370,  373;  accorre  in  aiuto  di  Capua, 
372  ;  torna  di  nuovo  nelle  parti 
orientali  d'Italia,  e  prende  stanza 
a  Salapia,  372  ;  fa  lega  con  Gero- 
nimo, tiranno  di  Siracusa.  374-375; 


la  Sicilia,  379;  caduta  Siracusa, 
continua  a  guerreggiare  nell'Italia 
meridionale,  386-387  :  suoi  tentativi 
per  disciogliere  l'assedio  di  Capua, 
387:  muove  contro  Roma  e  si  ac- 
campa nelle  sue  vicinanze,  .387-388  ; 
abbandona  Roma  e  Capua  e  va  nel- 
l'estremo Bruzio,  389;  sue  angustie 
e  sper  inze,  392;  continua  la  guer- 
ra .  394  ;  si  scontra  con  Claudio 
Mai-p-l'o  a  Xii'ìi;<;trone  e  a  Canu- 
p'  '  (      '       !      presso    Petilia 

I  i  1  !i-  'a  !  :1  i  e  Quinzio  Cri- 
Pia..  :.  :  '  a  (irumento,  399; 

uuii  ri;e-.  -  r..v.Ì5j  mandatogli  da 
Asdrubale  di  venirgli  incontro  nel- 
r Umbria,  399;  ha  notizia  della 
sconlitta  del  Metauro  e  si  riduce 
fra  i  Kruzi.  402;  non  può  impedire 
la.  presa  di  Locri,  410;  è  richia- 
mato a  Cartagine  a  difendere  la 
patria,  418;  ricordi  della  sua  cru- 
deltà in  It:dia,  419-420;  si  imbarca 
a  Crotone,  sbarca  a  Lepti  e  batte 
Massinissa,  420  ;  tenta  invano  di 
accordarsi  con  Cornelio  Scipione, 
420-421  ;  è  vinto  nei  campi  di  Zaroa, 
421;  va  a  Cartagine  a  persuaderla 
di  chieder  pace,  421-423;  s'impa- 
dronisce del  governo  della  citta, 
riforma  lo  Stato  e  prepara  nuova 
guerra,  442;  sentito  che  Roma  lo 
cerca,  si  rifugia  presso  Antioco,  re 
di  Siria,  e  lo  eccita  alla  guerra 
contro  i  Romani,  442,  444;  .\n- 
tioco  si  obbliga  di  consegn.arlo  ai 
Romani.  449;  fugge  presso  Prusia, 
re  di  lìitiiiia,  e,  seguito  anche  ivi 
dalle  minacce  di  Roma,  si  uccide, 


e  rimane  argomento  alle  declama- 
zioni dei  refori,  461-462. 

Annibale,  soprannoininatù  MonoiìiOr- 
co,  utficiale  di  Annibale,  U,  334; 
sua  lerocia,  420. 

Annibale,  schiavo  di  Jlezio  Pompo- 
siauo,  ucciso,  IV,  524. 

Annii,  famiglia,  IV,  717. 

Annio  Gallo,  va  contro  Cecina,  IV, 
443;  sconsiglia  Ottone  di  dar  gior- 
nata campale,  446. 

Annio  Milone  (Tito),  tribuno,  si  ado- 
pera per  il  richiamo  di  Cicerone , 
III,  421  ;  sostiene  Cicerone  contro 
Clodio,  471;  accusa  Clodio  di  vio- 
lenza, 471-472  ;  egli  stesso  è  accu- 
sato da  Clodio ,  472  ;  vince  e  uc- 
cide Clodio  a  Boville,  472  ;  si  sforza 
calmare  il  furore  del  popolo,  472; 
è  processato  e,  quantunque  difeso 
da  Cicerone ,  esiliato  a  Marsilia , 
474  ;  poi  con  Celio  Rufo  solleva  la 
Campania  ed  è  ucciso,  514. 

Annio  (Q.),  senatore ,  congiura  con 
Catilina,  UI,  373. 

Annio  di  Sezia,  ambasciadore  a  Roma 
chiede  che  ai  Latini  si  diano  di- 
ritti politici  uguali  a  quelli  dei 
Romani,  II,  44-43. 

Annio  Vero  (Publio),  padre  di  Marco 
Aurelio,  IV,  717. 

Annio  Vero,  tìglio  di  Marco  Aurelio, 
assiste  al  trionfo  del  padre,  IV,  732. 

Annio  Viniciano ,  cospirazione  per 
farlo  imperatore,  IV,  361  ;  si  uc- 
cide, 362. 

Aiiiiiù  da  Viterbo,  imposture  della  sua 
opera,  I,  183. 

Anno,  notato  anticamente  in  Etruria 
e  a  Roma  col  conficcare  un  chiodo 
nei  templi,  I,  452. 

Anno  della  confusione,  lU,  340. 

Anno  latino,  I,  458. 

Anno  legale,  ILI,  539. 

Anno  lunare,  I,  434. 

Anno  magno,  presso  gli  Etruschi,  I, 

Anno  solare,  I,  454-455. 
Anno.  —  Vedi  Calendario,  Era,  Secolo. 
Annona,   Emiliu  Lepido  promette  di 
ristabilirla  e  il  SeiiaTn  l'accorda, 

III,  2S8:  s.jprinteniieiiza  accettata 
da  Aususf.j,  IV.  22;  suoi  provve- 
dimenti, 29  ;  amministrata  dai  giu- 
ridici, 738;  cure  di  Marco  Au- 
relio, 740.  —  Conf.  IV,  301.  319, 
334,  356. 

Annone,  capo  dei  Cartaginesi  in  Si- 
cilia, vinto  dai  Romani  ad  Agri- 
gento, II,  212;  vinto  di  nuovo  a 
Ecnomo,  219;  e  sconfìtto  alle  isole 
Egati,  233. 

Annone,  autore  del  Periplo  dell'Af- 
frica tradotto  dai  Greci,  U,  325; 

Annone,  lasciato  da  Annibale  a  guar- 
dia dei  passi  delle  GaUie,  H,  334  ; 
fatto  prigiapiero  in  Ispagna  da 
Gn.  Cornelio  Scipione,  402. 

Anocitico,  divinità  in  Britanuia,  IV, 
652. 

Ansano  dei  Dau:.).  . a't a.  I.  ;;:,';. 

Ansano  Frentaiii     .'  1.2.33. 

Ansano  dei  Mai^     '     !  1,248. 

Ansere,  poeta  di  M     va'   a:      ili,  793. 

Anteio  (P.),  aerusauj  da  Nerone  si 
svena,  IV,  412. 

Antemne,  città  del  Lazio,  abitata  dai 
Siculi  e  poi  dai  Pelasgi,  I,  75,  .362, 
563,  577  ;  presa  da  Romolo,  579. 

Antenocitico ,  divinità  in  Britanuia , 

IV,  652. 
Anteo,  m,  292. 

Antichità  italiche  nell'Eneide,  IV,  126- 
128. 


Anti fonte,  poeta,  ucciso  da  Dionisio 
tiranno  di  Siracusa,  II,  173. 

Antigono,  gladiatore,  IV,  796,  797. 

Antigono,  re  dei  Macedoni,  alleato  di 
Demetrio  di  Faro,  II,  248. 

Antigono,  ultimo  dei  Maccabei,  fatto 
morire  da  Antonio,  IH,  662. 

Autillo,  littore  di  Opimio,  ucciso.  III, 
80. 

Antillo,  figlio  di  Antonio  e  di  Fulvia, 
ucciso  da  Ottavio,  III,  686. 

Antina  (Civitantino),  città  dei  Marsi, 
rovine,  I,  247-248. 

Antinoo,  amato  da  Adriano,  e  cele- 
brato da  Pancrate,  IV,  669,  687; 
si  annega  nel  Nilo,  669;  apoteosi 
e  culto,  670;  statue  e  templi  in 
suo  onore,  683,  690. 

Antinopoli  (Cìieikìi^Abcut),  fondata  da 
Adriano   in  onore  di  Antinoo,  IV, 

Antiochia,  nella  Siria,  IV,  68;  vi 
muore  Germanico ,  263 ,  264  ;  suo 
teatro,  462;  Traiano  vi  ristora  la 
disciplina  delle  legioni,  613;  ter- 
remoto, 613;  vi  ritorna  Traiano, 
621  ;  Adriano  si  fa  proclamare  im- 
peratore, 627;  acquidotti  e  bagni 
Adrìanei ,  664  ;  selciata  da  Anto- 
nino Pio,  701  ;  corruzione  delle  le- 
gioni romane,  712;  Lucio  Vero  vi 
passa  le  estati,  729;  vi  è  gridato 
imperatore  Avidio  Cassio,  747  ;  cle- 
menza di  Marco  Aurelio,  748. 

Antiocp  1,  re  dei  Commageni,  fa  pace 
con  Antonio,  III,  662. 

Antioco ,  re  dei  Commageni ,  sua 
morte,  IV,  258. 

Antioco  IV  Epifane,  re  dei  Comma- 
geni,  spogliato  del  regno  da  Ve- 
spasiano e  condotto  a  Roma,  IV, 
495. 

Antioco  m,  il  Grande,  re  di  Siria,  fa 
alleanza  con  Filippo  di  Macedonia, 
lì,  433;  fa  la  guerra  ai  Romani  in 
Grecia ,  441-444  ;  è  sconfitto  al 
passo  delle  Termopili  e  torna  in 
Asia ,  445-446  ;  tenta  di  impedire 
il  passaggio  dei  Romani  nell'Asia, 
447;  cerca  di  far  pace,  448;  è  dis- 
fatto a  Magnesia  del  Sipilo ,  448- 
449;  e  costretto  ad  accettare  du- 
rissima pace,  449  ;  muore  lapidato, 
449. 

Antioco  IV  Epifane,  tìglio  del  prece- 
dente, re  di  Siria,  dà  sua  figlia  in 
moglie  a  Perseo,  re  di  Macedonia, 
II,  468;  muove  alla  conquista  del- 
l'Egitto, 476;  alle  minacce  del- 
l'ambasciatore Popilio  desiste,  492; 
casa  edificata  pubblicamente  per 
lui  a  Roma  quando  vi  andò  come 
ostaggio  (Orelli ,  Onom.  Tuli.  . 
p.  42),  652  ;  suoi  lavori  al  tempio  ili 
Giove  Olimpico  ad  Atene,  IV,  6.39. 

Antioco  XIII  Asiatico,  re  di  Siria,  de- 
rubato da  Verre,  IH,  321. 

Antioco.  —  Vedi  Euno. 

Antioco  d'Ascalona,  maestro  di  Te- 
renzio Varrone,  III,  746. 

Antipatro.  —  Vedi  Celio  Antipatro. 

Aiitipatro  di  Tarso,  stoico.  111,  736. 

Àntipoli  (Antibo).,  colonia  della  Gallia 
Narbonese,  fondata  dai  Marsiliesi, 
li,  541;  assediata,  IIL  91;  riceve 
da  Cesare  il  diritto  del  Lazio,  IV, 
52  ;  vi  si  ritirano  i  Vitelliani,  443. 

Antislio,  pretore,  III,  619. 

Autistio  Labeone  (M.) ,  figlio  del  se- 
guente, giureconsulto,  resiste  al 
dispotismo  di  Augusto,  IV,  30- 
31  ;  beffato  da  Orazio,  142. 

Antistio  Labeone  (Q),  congiui-a  con- 
tro Cesare,  HI,  553;  dopo  la  bat- 
taglia di  Filippi  si  fa  uccidere,  533, 
630. 


974 


INDICE 


ANTISTIO 


ANTONIO 


APICIO 


Antistio  Publio,  senatore, 
Pompeo,  ucciso.  lU.  255. 

Anloiiia,  fortezza  di  Gerusalemme,  IV, 
4S\  ;  presa  <la  Tito,  485-484. 

Antonia,  figlia  di  M.  Antonio  e  dì 
Otta\ia.  sorella  d'Augusto,  moglie 
di  Druso,  lY,  220-221  ;  non  prende 
parte  alle  cerimonie  funebri  pel 
fislìo  Germanico,  268;  denunzia  a 
Tiherio  la  congiura  di  Seiano,  301  ; 
Caligola  la  fa  sacerdotessa  di  Au- 
eiistó,  317-318;  e  poscia  la  uccide, 
Ì521. 

Antonia,  figUa  di  Claudio,  IV,  390; 
non  acconsente  alle  nozze  con  Ne- 
rone, ed  è  uccisa,  393-394. 

Antonino  (Tito  Aurelio),  adottato  da 
Adriano  per  suo  successore,  IV, 
C90;  salva  molti  da  lui  condannati, 
C90,  691  ;  e  gli  edifica  per  sepolcro 
un  tempio  a  Pozzuoli,  C91  ;  ascende 
all'impero,  ed  b  soprannominato 
Pio,  692;  sua  nascita,  693;  educa- 
zione e  primi  ufflcii,  693;  adotta 
Marco  Aurelio  e  Lucio  Vero,  693  ; 
chiamato  Padre  del  genere  umano, 
C04;  suo  ritratto  nei  Ricordi  di 
Marco  Aurelio,  695-697;  intento 
solo  alla  felicità  universale ,  697  ; 
liberalità.  697-698;  giustizia  e  re- 
ligione. 699  ;  culto  alle  tradizioni, 
699-700;  buono  e  vigile  governo  dei 
popoli,  700;  benefizi  e  monumenti 
nelle  province  e  in  Italia ,  701  ; 
chiamato  tagliatore  del  cumino, 
702;  donativi,  703;  alimenti  alle 
fanciulle  dette  Faustinione ,  703; 
spettacoli  e  cortesie,  703;  amore 
per  sua  moglie  Faustina,  704-705  ; 
le  innalza  un  tempio  a  cui  poscia  è 
unito  anche  il  suo  nome,  705,  706, 
744;  mite  anche  cogli  ingiurianti, 
705-707  ;  umani  ordini  in  tutto,  707  ; 
provvedimenti  pei  servi,  707  :  beni- 
gnità verso  i  Cristiani  e  i  Giudei, 
707-708:  moti  guerreschi  repressi, 
708;  guerra  e  vittoria  in  Britannia, 
709:  Vallo  da  lui  fatto  costruire  in 
Cale<lonia.  709-710;  reprime  la  ri- 
volta d'Egitto,  710;  dà  re  agli 
Armeni  e  ai  Quadì,  711;  accoglie 
gli  omaggi  di  Farasmane,  711  ;  ri- 
ceve ambascerìe  dagli  Indi,  Bat- 
trianì  e  Ircani ,  e  rifiuta  dì  averli 
per  sudditi,  712  ;  mantiene  la  pace 
per  23  anni,  712;  sua  morte,  712- 
713;  apoteosi  e  culto,  713,  714; 
colonna  in  suo  onore,  713-715; 
suoi  ricordi  nelle  province.  715; 
monunieiili  d"  Italia,  715-716. 

Antonino  e  Faustina,  tempio  in  loro 
onore  a  Roma,  IV,  705.  700.  744. 

Antonio  (Marcu) ,  oratore .  si  salva 
dalla  reazione  dei  grandi.  III.  167  ; 
è  trucidato  nelle  stragi  di  Mario, 
217;  sua  eloquenza  lodata  alta- 
mente da  Cicerone,  099-700;  non 
scrisse  mai  nulla  per  poter  negare 
le  cose  dette,  707;  sue  difese  di 
Manio  Aquillio  e  dì  Yibio  Norbano, 
708. 

Antonio  (Marco),  figlio  dell'oratore  e 
padre  del  triumviro,  governa  male 
la  guerra  contro  i  pirati  Cretesi  e 
per  derisione  riceve  il  sopraimome 
di  eretico.  III,  331. 

Antonio  (C),  figlio  dell'oratore,  briga 
culi  Calihna  pel  consolato,  III,  372  ; 
eletto  con  Ci'erunc,  3CC;  sostiene 
la  Icffge  pei  figli  dei  proscritti  di 
Sill.u  combattuta  da  Cicerone,  375; 
va  rol!'e«ercito  contro  Catilina  e 
mmii  1,1  combatte,  388;  è  condan- 
nato, :wi. 

Antonio  (M.) ,  figlio  di  Antonio  ere- 
tico, tribuno,  si  oppone  al  decreto 


che  dichiara  Cesare  nemico  della 
patria.  Ili,  381  ;  cacciato  dalla  Cu- 
ria si  rifugia  al  campo  dì  Cesare, 
382  ;  lasciato  da  Cesare  al  governo 
d' Italia,  491.  497  ;  raggiunge  Ce- 
sare nell'  Epiro,  498  ;  governa  tur- 
pemente Roma  a  nome  di  Cesare, 
515:  ha  da  lui  in  dono  la  casa  e 
la  villa  di  Pompeo,  542;  tripudia 
e  lussureggia  coi  beni  dei  vinti, 
543  :  ebbro,  offre  a  Cesare  un  dia- 
dema. 547  ;  Cassio  propone  ai  con- 
giurati di  ucciderlo,  554-555  ;  trat- 
tenuto fuori  della  Curia  mentre  vi 
è  ucciso  Cesare,  558  ;  si  prepara  a 
Tendicarne  la  morte,  568  ;  e  tratta 
di  pace  coi  congiurati,  569;  fa  con- 
fermare dal  Senato  0i  atti  di  Ce- 
sare, 570  ;  usa  ai  suoi  fini  il  testa- 
mento e  i  funerali  di  Cesare,  571- 
574  ;  comanda  e  ruba  a  nome  del 
morto,  575  ;  tempei-amenti  col  Se- 
nato, 576-577  ;  conferisce  con  Bruto 
e  Cassio,  577;  e  si  afforza,  578  ;  sue 
minacce  ai  repubblicani,  581  ;  Ot- 
tavio, erede  di  Cesare,  gli  chiede 
i  tesori  rapiti,  584;  accordi  e  nuo- 
ve rotture  con  Ottavio,  585-586  ;  è 
assalito  da  Cicerone  con  la  prima 
filippica,  587  ;  sua  risposta,  588  ; 
■va  a  Brindisi  a  raccogliere  le  legioni 
e  torna  a  Roma,  588-589;  p.arte 
per  la  Cisalpina,  589;  assedia  De- 
cimo Bruto  in  Modena,  592  ;  scon- 
fitto a  Fòro  dei  Galli  e  a  Modena, 
fugge  oltre  le  Alpi,  597  ;  e  si  uni- 
sce a  Lepido,  599;  è  dichiarato 
nemico  pubblico,  60O;  muove  con 
Lepido  contro  Roma,  605  ;  fa  parte 
del  triumvirato  con  Lepido  e  Ot- 
tavio, 606;  entra  in  Roma,  editto 
di  proscrizione,  607-610;  sua  fe- 
rocia, 610;  insulti  alla  tronca  testa 
diCiceruiU',  G13;  v;i  a  Brindisi  per 
salpai'*'  '^1  -  li  f'i'  ia,  G17;  soc- 
corivN  ':  :-.iia,622; 
vittori-  i:  r  '.i-'-mi  a  Fi- 
lippi. I.-  .-  :;  .    '1  'Illa  madre 

le  ceucii  ,li  1,1  ui...  o:;i  ;  spartito 
l'impero  con  Ottavio,  va  .-i  scitto- 
mettere  l'Oriente,  G33;  im-Miiiro, 
amori  e  orgie  con  Cleoputi  ;i  ;i  Tar- 
so, 634  ;  va  con  lei  ad  Alessuiidria, 
634-635  ;  fa  uccidere  Arsinoe  e  To- 
lomeo Neotero,  635  ;  manda  i  suoi 
legati  contro  i  Parti,  e  si  appa- 
recchia a  tornare  in  Italia  trava- 
gliata da  nuova  guerra,  635;  Eno- 
barbo  gli  facilita  lo  sbarco,  641- 
64?  ;  tristo  incontro  con  la  moglie 
Fulvia  ad  Atene,  642  ;  assedia  Brin- 
disi e  conforta  Sesto  Poinpi'o  a  in- 
festare l'Italia,  642  ;  fa  p.-u-c  .i  Brin- 
disi con  Ottavio,  642-(;i:5;  sposa 
Ottavia,  643;  viene  a  Roma,  044; 
accordi  e  pace  con  Sesto  Pompeo 
al  Capo  Miseno,  647-649;  ritorna 
a  Roma,  649  ;  e  di  là  va  con  Ottavia 
ad  Atene ,  6.50  ;  nuove  rotture  e 
viaggi  per  nuovi  accordi  con  Otta- 
vio a  Brindisi  e  a  Taranto ,  650 , 
632  ;  parte  per  la  Siria,  652  ;  celebra 
ad  Atene  la  vittoria  di  Ventidio  sui 
Parti,  661-662  ;  fa  pace  con  Antioco 
di  Commagene,  662  ;  fa  venire  Cleo- 
patra in  Siria,  662  ;  guerra  ai  Parti, 
assedio  della  citta  ih  Fraate,  pace  e 
ritirata  sanguinosissima.  663-665; 
ebbro  d'amore  va  in  Egitto  con 
Cleopatra,  065;  si  vendica  di  Ar- 
tavasde  e  sottomette  l'Armenia, 
669;  trionfo  e  follie  ad  Alessan- 
dria. 670-671  ;  sue  offese  alla  pa- 
tria e  alla  moglie,  e  lotta  di  accuse 
con  Ottavio,  671-673;  ripudia  Ot- 
tavia, 674  ;  il  Senato  gli  togUe  il 


comando,  674  ;  forze  asiatiche  e  af- 
fricane  di  Antonio  contro  Ottavio 
riunite  in  Grecia,  675  ;  prime  rotte 
e  diserzioni,  676  ;  cede  ai  consigli 
di  Cleopatra  e  dà  battaglia  navale 
ad  Azzio,  676;  vedendo  fuggire 
la  regina  abbandona  la  battAglia 
e  fugge  con  lei  alla  volta  d'Affrica, 
677-678;  erra  pei  deserti  di  Libia, 
679  ;  è  impedito  di  uccidersi  e  con- 
dotto ad  Alessandria,  680;  ultime 
orgie  degli  amanti.  680  ;  chiede  ad 
Ottavio  di  poter  vìvere  privato  ad 
Atene,  680;  respinge  sotto  Ales- 
sandria gli  assalti  di  Ottavio,  681  ; 
vinto,  volge  il  ferro  in  sé  stesso, 
631  ;  sua  fine,  682  ;  b  seppellito 
con  Cleopatra,  684.  —  Proscrisse 
Verre  per  rapirgli  i  suoi  vasi  co- 
rintìi,  326;  rapi  la  villa  a  Varrone, 
748  ;  sua  unione  col  re  dei  Daci , 
IV,  567. 
Antonio  (Caio),  fratello  del  triumviro, 
pretore  nel  710,  IH,  576;  in  lotta 
con  M.  Bruto  per  la  Macedonia, 
595;  fatto  prigioniero,  619;  e  poi 
ucciso,  621. 
Antonio  (Lucio),  fratello  del  triumviro, 
tribuno  nel  710,  III,  576;  all'asse- 
dio di  Modena,  597  ;  d'accordo  con 
Fulvia  si  mette  a  capo  dei  malcon- 
tenti Italiani  e  muove  guerra  a  Ot- 
tavio, 636-638;  assediato  in  Peru- 
gia, 639  ;  si  arrende  per  fame,  639  ; 
è  graziato  e  mandato  proconsole 
in  Spagna,  640. 
Antonio  (Giulio),  figlio  di  M.  Antonio, 
triumviro,  console,  poi  drudo  di 
Giulia,  e  per  ciò  fatto  uccidere  da 
Augusto,  IV,  217. 
Antonio  Giuliano  (M.),  all'assedio  di 

Gerusalemme,  IV,  482. 
Antonio  Giuliano,  retore,  maestro  di 

Aulo  Gellio,  IV,  949. 
Antonio  Musa.  —  Vedi  Musa. 
Antonio  Primo.  —  Vedi  Primo. 
Antonio   Saturnino   (Lucio) .   coman- 
dante  delle   legioni   di  Germania, 
si  dichiara  imperatore,  b  battuto 
ed  ucciso,  IV,  542. 
Antou  {due  Alessandria),  nome  dato 
alla  capitale  romana  dagli  Annali 
Chinesi   che   ignorano  il  nome  di 
Roma,  IV,  210. 
Anxur.  —  Vedi  Terracina. 
Aiixia  {Anzi),  nella  Lucania,  rovine, 

I,  294. 
Anziati,  vinti  dal  console  Valerio  Cor- 
vino, II,  35  ;  loro  scorrerie  a  Ardea 
e  a  Ostia,  48;   spogliati   di   parte 
del  territorio  e  del  diritto  di  navi- 
gare, 50. 
Aimo,  citla,  occupata  dai  Volsci ,  I, 
238;  rnviiie.  239;    fa   parte   della 
leira  latina,  Gli  ;  ricordata  nel  trat- 
tato di  Roma  con  Cartagine,  727; 
presa  dai  Romani,  820  ;  minacciata 
(lai  Romani,  867  ;    si  arrenile  ,  H, 
14  ;  villa  di  Cicerone,  III.  12  ;  suo 
convegno  con  Bruto  e  Cassio,  579  ; 
colonia,  IV,  375;  acquidotto,  701. 
Anzo  (Porto  d'),  l,  239. 
Aosta  (Valle  d').  III,  97;  monumenti 
della  conquista  romana,  IV,  89-93. 
Apamcsi  di  Frigia  {Denais) ,  Nerone 
rimette  loro  cinque  anni  di  tributi, 
IV.  371. 
Apelle,  sue  tavole  nel  Fóro  d'Augusto, 

IV,  194. 

Apelle,  recitatore  di  tragedie,  IV,  322. 

Api  (Bue) ,  sedizioni   delle  città  egi- 

ziiuic   per  r  ouore  di  accoglierlo, 

IV,  066. 

Apicata.  ripudiata  dal  marito  Seiano, 

IV,  286;  si  uccide  30."). 
Apicio ,  insegna  a  cucinare  i  ghiri. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


975 


APINA 


ARCHIVIO 


III,  14  ;  professa  la  scienza  della 
cucina,  IV,  283. 
Apina  (presso  Afpi),  distrutta  da  Dio- 

Api.,la,\"-iitu  del  Lazio,  I,  542. 
Api. me,  sofista  egiziano,  IV,  176. 

ApnllincM,  „„,iife,  I,  280. 


.oli,  IV,  6.57. 
di),  IV,  261, 
•  1  fabbricato  da 
'1.  1"-?  ;  restau 


Apollodoro,  di  Damasco  ,  architetto 
del  ponte  di  Traiano  sul  Danubio, 
IV ,  577  ;  principale  autore  della 
Colonna  Traiana,  584  ;  per  ordine 
di  Traiano  edifica  l'Odeo  e  il  gin- 
nasio, 604  ;  costruisce  nuove  mac- 
rhine  di  f^uerra  a  richiesta«l'A- 
driaiio,  che  lo  esilia  e  lo  fa  assas- 
sinare, 676-677. 

Apollodoro,  di  Pergamo,  rettore,  IV, 
109, 

Apollofane ,  capitano  di  Sesto  Pom- 
peo, vince  Ottavio,  III,  635  ;  passa 
al  nemico,  656. 

Apollonia,  dimora  dei  Siculi,  II,  106  ; 
i  più  dei   suoi   abitanti  uccisi  da 

An-,ll,„-|,.,     IK-, 

Apoll-iii  1  (/■../--  -1  ritta  dell'Epiro, 
.-1^  I      niiii  e  liberata  da 

■Sul  !  II.  373;   Pompeo 

(Mm. n  -ì,  -,,  ,;r,rvi.  Ili,  436;  (>. 
presa  da  Cusan- ,  497  ;  Ottavio  vi 
attende  agli  studi ,  582  ;  il  figlio 
di  Cicerone  prende  ivi  C.  Antonio, 
619  ;  posta  sulla  via  Egnazia,  IV, 
68  ;  il  presidio  romano  resiste  agli 
insorti  Dalmati,  223. 

Apollonia,  città  della  Macedonia,  II, 
482. 

Apollonia  (OlubiirlK),  in  Pisidia,  IV, 
234. 

Apollonide  e  ApoUonidea ,  città  di 
Lidia,  presa  da  Aristonico,  II,  538  ; 
danneggiata  da  un  terremoto,  IV, 
251. 

Apollonio  ,  legato  ,  prende  a  tradi- 
mento Minucio,  capo  degli  schiavi 
in  Campania,  III,  137. 

Apollonio  Calcedonio,  stoico,  maestro 
di  Marco  Aurelio,  IV,  720,  723. 

Apollonio  Tianeo,  filosofo  pitagorico, 
suoi  viaggi,  IV,  848  ;  sue  dottrine 
filosofiche  e  religiose,  848-849; 
ammirato  per  la  sua  sapienza ,  e 
poscia  combattuto  per  le  magie  a 
lui  attribuite,  849;  templi  in  suo 
onore,  850. 

Appello  al  popolo,  consacrato  dalle 
XII  tavole,  I,  847. 

Appennino  ,  sua  natura  geologica  , 
I,  22. 

Appiano,  di  Alessandria,  ufficii  da  lui 
sostenuti,  IV,  9.57;  sua  Storia  uni- 
versale, 957-9.58. 

Appio  Claudio    —  Vedi  Claudio. 

.\ppio  Giunio  Silano  (C),  fatto  ucci- 
dere da  Messalina,  IV,  300. 

Appio  Massimo  Norbano  (Lucio),  vin- 
ce ed  uccide  Antonio  Saturnino, 
IV,  542  ;  battuto  e  ucciso  dai  Parti, 
618. 

Appuleio  Saturnino  (L.),  tribuno,  au- 
tore della  legge  Appuleia,  IH,  146; 
tristo  uomo  ,  eloquente ,  audace , 
prima  aristocratico,  poi  demagogo 
furioso,  149-150  ;  si  unisce  a  Mano 
ed  fe  rieletto  tribuno,  150  ;  sue  leg- 
gi, 151  ;  tutti  si  sollevano  contro 
di  lui  ed  è  ucciso,  154  ;  difensore 
degli  Italici,  162. 


Appuli,  I,  333,  357-359;  soccorrono 
Roma  nella  seconda  guerra  san- 
nitica,  II,  57  ;  si  uniscono  ai  San- 
niti, 58,  59  ;  e  alla  lega  itaUca,  172  ; 
alleati  di  Agatocle  ,  187  ;  abban- 
donano r  alleanza  dei  Romani , 
195. 

Aprile  (mese  di) ,  riceve  il  nome  di 
Nerone,  IV,  410. 

Apros,  in  Tracia,  colonia  romana,  IV, 
369.    ■ 

Apso,  (Beràtinos) ,  fiume  d' Illiria, 
ni,  498. 

Apta  .Julia  Vulgentiurn  {Apt  in  Pro- 
venza), colonia  romana,  IV,  53. 

Apuani,  vincono  il  console  Marcio  Fi- 
lippo, li,  459  ;  trasportati  nel  San- 
nio,  460. 

Apuleio  (Lucio) ,  sua  vita ,  IV,  900  ; 
sue  opere,  900-901  ;  scritti  filoso- 
fici, Apologia,  le  Floride,  901-902; 
il  romanzo  dell'  uomo  trasformato 
in  asino,  902-r03. 

Apulia,  l,  347,  337-339  ;  scorrerie  dei 
Galli,  893  ;  i  Romani  ne  occupano 
alcune  città ,  II ,  66  ;  le  più  delle 
sue  terre  confiscate  e  date  ai  sol- 
dati, 427;  i  pastori,  per  la  miseria, 
si  danno  a  vivere  di  rapina,  427  ; 
sottomessadaC.  Cosconio,  III,  190; 
eccitata  alla  rivolta  dagli  emissarii 
di  Catilina,  375  ;  parte  di  una  re- 
gione d' Italia ,  IV,  42  ;  veterani 
mandativi  da  Vespasiano,  495  ;  fa 
parte  di  una  delle  quattro  regioni 
sotto  Adriano,  636  ;  ha  colla  Ca- 
labria un  giuridico,  738. 

Apulo  (Carlsburg),  nella  Dacia,  IV, 
580. 

Aqvae,  e  poscia  Aurelia  Aquensis, 
\Jìoden-Ba0.en\  y  acque  termali, 
IV,  535. 

Aquce  Sextios  [Aix  in  Provenza),  H, 
541  ;  fondata  dai  Romani,  IH,  96  ; 
Mario  vince  ivi  i  Teutoni  e  gli 
Ambroni,  128-130  ;  colonia  romana, 
IV,  .53. 

Aqvarii,  IV,   28. 

Aquila,  città  nell'Abruzzo,  I,  218. 

Aquileia,  colonia  romana,  II,  2';7,  268, 
460,  IH,  97,  IV,  68;  emporio  del 
commercio,  202  ;  occupata  da  An- 
tonio Primo,  464  minacciata  dai 
barbari,  741  ;  iscrizione  alimenta- 
ria, 807. 

Aquilii,  congiurano  a  favore  di  Tar- 
quinio  il  Superbo,  I,  621  ;  difesi  da 
L.  Tarquinio  Collatino,  622. 

Aquilio,  poeta  comico,  II,  645. 

Aquillio  (Manio),  console,  vince  Ari- 
stonico, II,  539;  sottomette  l'Asia 
Minore  e  vi  stabilisce  il  governo 
romano,  539. 

Aquillio  (Manio),  probabilmente  figlio 
del  precedente  ,  collega  di  Mario 
nel  consolato  (633),  Ul,  142;  man- 
dato in  Sicilia  contro  gli  schiavi, 
142;  gli  vince,  e  uccide  Atenione, 
143  ;  processato  per  rapine ,  144  ; 
rimette  sui  troni  di  Bitinia  e  Cap- 
padocia  i  re  spodestati ,  227  ;  fa 
guerra  a  Mitridate,  227-228;  scon- 
fitto si  rifugia  a  Pergamo,  228; 
consegnato  a  Mitridate  è  crudel- 
mente ucciso,  229;  difeso  da  M. 
Antonio  nell'accusa  di  concussio- 
ne, 708. 

Aquilonia  dei  Caraceni  Sanniti,  I,  2.56. 

Aquilonia  0  Acuduniiia  (incerfo«ia), 
città  degli  Irpini ,  I,  264  ;  vittoria 
dei  Romani  sui  Sanniti,  II,  87. 

Aquinco  (Alt-Ofen,  Hud/i),  IV,  570; 
ara  inalzatavi  per  la  salute  di 
Adriano,  638. 

Aquinio,  cattivo  poeta,  HI,  811. 

Aquino ,  città  dei  Volsci,  I,  234-235  ; 


colonia  romana,  II,  268  ;  patria  di 
Giovenale,  890-891. 

Aquino  (Cornelio),  sconfitto  da  Ser- 
torio,  111,  294. 

Aquilani,  III,  424  ;  vinti  da  Messala, 
IV,  8.3. 

Aquitania,  pacificata  da  Vipsanio 
Agrippa,  m,  653;  riordinata  da 
Augusto,  IV,  53;  governata  da 
Giulio  Agricola,  526. 

Ara  Massima,  a  Roma,  I,  528-530  ;  in 
cendiata,  IV,  400. 

Ara  perugina,  I,  483. 

Ara  di  Roma  e  d'Augusto  a  Lione, 
IV,  71-73. 

Arabi ,  all'assedio  di  Gerusalemme, 
IV,  482  ;  vinti  da  Cornelio  Palma, 
601. 

Ai-abia,  donata  in  parte  da  Antonio 
a  Cleopatra,  III,  662  ;  soccorre  An- 
tonio contro  Ottavio,  675  ;  in  guer- 
ra con  Roma,  IV,  87,  201,  207; 
visitata  da  Adriano,  636,  665-666; 
provincia,  782. 

Arabico  (golfo),  IH,  680,  IV,  207. 

Arari  {.Saona),  fiume,  IH,  429,  IV,  53; 
Cesare  vi  raggiunge  gli  Elvezii  e 
distrugge  i  Tigurini,  UI,  431. 

Arato,  di  Grecia,  non  può  fondarvi 
durevole  libertà,  U,  429;  Sua  sta- 
tua, 542. 

Arausio  [Grange),  nelle  sue  vicinanze 
Annibale  passa  il  Rodano,  U,  335  ; 
vittoria  dei  Cimbri  sui  Romani,  Ul, 
125;  colonia  romana,  IV,  53;  arco 
trionfale,  HI,  427,  IV,  276-277. 

Arbella,  città  dell'Abiadene,  presa  da 
Traiano,  IV,  616. 

Arcagato,  figlio  di  Agatocle,  comanda 
l'esercito  d'Affrica,  U,  185;  è  uc- 
ciso, 186. 

Arcagato,  del  Peloponneso,  primo 
medico  in  Roma,  IV,  176. 

Archelaide,  in  Cappadocia,  colonia  ro- 
mana, IV,  369. 

Archelao,  duce  di  Mitridate,  UI,  227; 
vince  Nicomede,  228;  invade  la 
Grecia,  232;  aiuta  Arisfione  ad 
occupare  Atene,  234  ;  \into  a  De- 
metriade  e  a  Cheronea  ,  si  ritira 
ad  Atene,  234;  la  difende  contro 
Siila,  235  ;  è  vinto  da  Licinio  Mu- 
rena ,  236  ;  difende  inutilmerfte  il 
Pireo  ,  238  ;  vinto  a  Cheronea  si 
salva  a  Calcide,  239-241  ;  si  unisce 
a  Dorilao,  242  ;  vinto  a  Orcomeno 
si  salva  in  Eubea,  242-243;  tratta 
la  pace  con  Siila,  246-247. 

Archelao,  maestro  di  Cassio,  sue  pre- 
ghiere in  favola  di  Rodi,  III,  621. 

Archelao,  re  di  Cappadocia,  muore  a 
Roma,  IV,  258. 

Archia,  d'Antiochia,  poeta,  UI,  793. 

Archia,  di  Corinto,  fonda  Siracusa , 
U.  119. 

Archibio,  ottiene  che  le  imagini  di 
Cleopatra  rimangano  salve,  111,684. 

Archidamo,  da  Sparta,  chiamato  dai 
Tarentini  a  difenderli,  U,  188. 

Archimagiro ,  presidente  dei  cuochi, 
lU,  21. 

Archimede ,  respinge  colle  sue  mac- 
chine i  Romani  che  assediano  Si- 
racusa, U,  373,  378-379;  fe  ucciso, 
383-385;  suo  sepolcro,  385. 

Archippe  (Archipetra),  sul  Iago  Fu- 
cino, I,  247. 

Archita,  di  Taranto,  stratego,  disce- 
polo di  Pitagora,  U,  134-1.36  ;  man- 
da una  ambascieria  a  Dionisio  il 
Giovane  perché  lasci  libero  Pla- 
tone, 176. 

Architetti,  IV,  189,  190. 

Architettura  etrusca,  I,  416-430. 

Archivio  pubblico,  —Vedi  Tabulano. 


976 


INDICE 


ARCO 


ARIOBARZA.NE 


ARTE 


Arco  di  Adriano  ad  Atene,  IV,  G5S- 
659. 

Arco  di  Augusto  a  Rimini,  r\',  65.  67. 

Arco  attribuito  a  M.  Aurelio  a  Roma, 
IV,  734,  735:  bassorilievo,  764. 

Arco  di  Claudio  a  Roma,  IV,  3J5. 

Arco  di  Costantino  a  Roma,  IV,  609, 
618. 

Arco  Fabiano  a  Roma,  III,  94. 

Arco  di  (Germanico  e  di  Druso  a  Spo- 
leto, IV,  267. 

Arco  di  Tito  a  Roma,  IV,  489,  490; 
suoi  bassorilievi,  492. 

Arco  di  Traiano  a  Benevento,  IV, 
803,  804. 

Arconti,  ma?istrati  annuali  in  Sici- 
lia, U,  133. 

Ardea,  città  pelasgica,  1,  79,  381  :  ca- 
pitale dei  Rutuli ,  540-541  ;  asse- 
diata da  Tarquinio  il  Superbo,  616  ; 
ronchiude  una  tregua  per  15  anni, 
620;  fa  guerraaRomain  favore  ilei 
Tarquinia,  631  ;  ricordata  nel  trat- 
tato di  Roma  con  Cartagine,  727  ; 
respinge  le  scorrerie  dei  Galli,  893  ; 
pitture,  II,  311;  dichiara  che  non 
può  soccorrere  Roma,  393  ,  394  ; 
tempio  di  Giunone  dipinto  da  un 
irreco,  603. 

Ardti.-nna  {A.rdennes),  selva.  III,  444, 
IV,  275. 

Arduinna,  dirinifà  dei  Galli,  l\ ,  .')6. 

Are  il}i<"le).  fiume  dei  Bruzi,  1,297. 

ArcUite  (.Iries),  colonia  milit.ire,  IV, 

Arellio  Fusco,  retore,  IV,  185. 
Arco  d'.\lessandria,  filosofo,  IV,  109. 
Are!  a.  re  degli  Arabi  Nabatei,  chiede 

pire  a  Pompeo,  III.  349-350. 
Aroiusa  (mito  di),  II,  119-120. 
Arevaci,  tribù  dei  Celtiberi,  II,  532. 
Arezzo ,  una  delle  12  città  principali 
di  Etruria,  I,  123.  1  «  ;  sue  mura 
e  opere  d'arte,  152-153  ;  suoi  vasi 
fittili,  1.52.  444  ;  sulle  prime  non  si 
unisce  agli  altri  Etruschi  contro 
Roma ,   II ,   68  ;  vinta  a  Perugia 
chiede   pace ,  70  ;   assediata  dagli 
Etruschi  e  dai  Seiioni,  91  :  predata 
dai   Galli ,  251  :   Roma  vi  prende 
ostaggi  per  assicurarsi  da  una  ri- 
volta, 396  ;  soccorre  Cornelio  Sci- 
pione nella  guerra  d'Affrica,  410  ; 
•"■riipata  da  Cesare,  IH,  4S5  ;  ele- 
zi, ini  municipali,  IV,  787. 
Argc-Mlann,  città  nel  Bruzio,  I,  306. 
Argentino,  dio,  II,  310. 
Am-ntorato  {/Strasburgo),   IV,  C8, 

91,  98. 
.\rgileto,  contrada  ^i  Roma,  IV,  004. 
Argo  ,  visitata  da  Emilio  Paolo ,  U , 

482. 
Argo  Ippi'i,  detta  poscia  Argyrippa 
e  da  ultimo  Ai-pi,  città  pelasgica 
nell'ApuIia  Daunia,  I,  80  ;  rovine, 
3.">3:    dopo   la   battaglia  di  Canne 
si  unisce  ad  Annibale,  II,  363;  che 
vi  pone  i  suoi  quartieri  d'inverno, 
369! 
Ar'.'vrippa.  —  Vedi  Argo  Ippio. 
Ari.i  (liiusoppp),  suoi  scavi  a  Marza- 
lióllip,  I,  104  ;  la  sua  villa  conver- 
tita in  Musco  etrusco,  166. 
Arianna,  abbandonata  da  Teseo,  III, 

808-810 
Ari'ia  {La  Riccia),  nel  Lazio,  I,  381  ; 
tempio  di  Diana,  535  ;  rovine,  543  ; 
ossedìal.-i  da  Aruiitc,  Aglio  di  Por- 
sena,  629  ;  in  guerra  con  Roma  per 
i  T.irquiiiii.  C3I  :  riceve  la  cittadi- 
nanza senza  v.ito  nelle  assemblee, 
II,  ,50;    iiinnicipio   con   suffragio, 
'204  ;  Vitelliii  vi  si  trattiene  durante 
la  iruerra  coi  Flaviani,  IV,  468. 
Aricina  (valle).  III,  73. 
Arimino,  città  degli  Umbri,  I,  05;  co- 


lonia romana,  U,  93,  205.  248,  249, 
269:  occupata  da  Cesare,  III,  484, 
485  ;  le  sue  terre  promesse  ai  sol- 
dati, 607  ;  arco  di  Augusto  ,  IV, 
66,  67  ;  Fabio  Valente  vi  manda  le 
sue  truppe,  467  ;  che  sono  circon- 
date dai  Flaviani,  468;  i  suoi  vichi 
hanno  nomi  romani ,  794  ;  iscri- 
zione alimentaria,  807. 

Ariobarzane  Filoromeo,  re  di  Cappa- 
docia,  rimesso  sul  tcono  dai  Ro- 
mani, ni,  156;  cacciato  dal  trono 
da  Mitridate,  vi  e  rimesso  da  Siila 
e  di  nuovo  cacciato  da  Mitridate, 
226;  e  rimesso  da  Aquillio,  227. 

Ariobarzane,  re  di  Cappadocia,  è  fatto 
uccidere  da  Cassio,  III,  621. 

Ariovisto,  re  degli  Sveri,  bàtte  gli 
Edui,  III,  429;  vince  gli  Edui  e  i 
Sequani  collegati,  429-430;  vuol 
fondare  nelle  Gallie  un  impero  ger- 
manico ,  è  dichiarato  amico  di 
Roniii,  430;  si  rifiuta  di  obbedire 
alle  intimazioni  di  Cesare  ,  432  ; 
disfatto  da  lui  sul  Reno,  433;  poco 
dopo  muore,  433. 

Aristeo,  figlio  di  Apollo,  II,  102  ;  in 
Sardegna,  244. 

Aristide,  di  Locri,  niega  sua  figlia  a 
Dionisio  di  Siracusa,  II,  168. 

Aristide,  retore,  suo  Encomio  di  Ro- 
ma, IV,  25;  ascoltato  a  Smirne 
da  Marco  Aurelio,  748. 

Aristione,  occupa  Atene,  III,  233-234  ; 
vinto  a  Demetriade  e  a  Cheronea, 
.  234  ;  suo  contegno  durante  l'asse- 
dio di  Atene,  236-2.37  ;  ucciso,  238. 

Aristobulo,  re  dei  Giudei,  contende  il 
trono  della  Giudea  a  Ircàuo,  ed  i! 


Aristomache,  siracusana,  sposa  del 
tiranno  Dionisio,  II,  168. 

Aristone,  filosofo  stoico,  IV,  7.53. 

Aristonico,  figlio  naturale  di  Eumene 
II.  pretendente  del  regno  di  Per- 
gamo, II,  538;  sconfìtto  dagU  Efc- 
sii,  .538;  riconquista  il  regno  pa- 
terno, 538;  vinto  fa  trasportato  a 
Roma  e  strangolato,  ."39. 

Aristotele,  filosofo,  III,  742  ;  sua  ima- 
giiie,  743;  sostiene  la  schiavitù, 
23-24. 

Armata  navale.  —  Vedi  Flotta. 

Armenia,  Pompeo  le  impone  un  tribu- 
to, III,  346  ;  soggiogata  da  Canidio, 
662;  sottomessa  da  Antonio  660; 
chiede  un  re  ad  Augusto,  IV,  88; 
commercio,  207;  proclama  re  Vo- 
none,  258;  riceve  un  re  da  Gei^ 
manico,  261  ;  il  re  Artabano  cac- 
ciato, 312  ;    invasa   da   Vologcso, 

398  ;   cacciato  da  Corbulone ,  398- 

399  ;  parteggia  per  Vespasiano  , 
463;  pretesa  dai  Parti,  013;  Tra- 
iano dichiara  che  gli  appartiene, 
GÌ 3.  614  ;  ridotta  a  provincia  ro- 
mana, 015  ;  Adriano  ritira  da  essa 
le  truppe,  627  ;  e  le  permette  di 
eleggersi  un  re ,  628  ;  devastata 
dagli  Alani,  663;  Antonino  le  da 
un  re  e  impedisce  che  sia  assalita 
dai  Parti,  711  ;  invasa  dai  Parti, 
727-728;  accupafa  dai  Romani,  731; 
divisa  in  due  province,  782. 

Armenia  Maggiore,  data  da  Augusto 
a  un  nipote  del  re  Tigranc,  IV,  61. 

Armento ,  città  di  Lucania ,  scavi,  I, 
2«9. 

Armi,  usate  dagli  antichi  popoli  ita- 
liri.  I,  491-492. 

Armiiiio,  figlio  di  Sigimero,  cospira- 
zione I'  sollevazione  contro  i  Ro- 
mani, IV,  225;  distrugge  le  legioni 
di  Varo  nella  selva  di  Teutoburgo, 
226-227  ;  manda  la  testa  di  Varo  a 


Maroboduo,  228  :  capo  dei  parteg- 
gianti  per  l'indipendenza,  247  :  as- 
sedia lo  zio  Segeste,  247-248;  in 
guerra  con  Germanico,  248;  sol- 
leva i  Cheruschi,  248  ;  vinto  alla 
battaglia  di  Idistaviso,  249;  uno 
dei  capi  della  guerra  civile  in  Gei^ 
mania,  270;  vince  Mai-oboduo, 
270  ;  sua  fine,  271  ;  lodato  da  Ta- 
cito, 272  ;  monumento  in  suo  ono- 
re, 272-273,  939-940. 
Armorica,  sottomessa  da  P.  Crasso, 
HI,  435;  .si  leva  in  armi  ed  è  vinta, 
435;  riceve  soccorsi  dai  Britanni, 
439  si  solleva  di  nuovo,  442. 
Àrna  o  Arne  (vestigli  a  Civitefla 
d'Ama),  nell'Umbria,  I,  3S9;  iscri- 
zione alimentaria,  IV,  807. 
Amine  {Fiora),    fiume  di  Etruria,  I, 

146,  527. 
Arno  (valle  dell'),   prosciugata  dagli 

Etruschi,  I,  131. 
XrctCa.   {Croca   o    Crocchio),    fiume 

della  Magna  Grecia,  I,  313. 
Aromi  d'Arabia,  IV,  207. 
Arpi.  —  Vedi  Argo  Ippio. 
Arpinate  (selva),  HI,  727. 
Arpino,  città  dei  Volsci,  I,  234  ;  patria 
di  Mario  e  di  Cicerone,  23'.,  HI,  98; 
presa  dai  Romani,   II,   77  ;  ha  la 
cittadinanza  romana,  78;   villa  di 
Cicerone,  III,  12. 
Arpocrate,  liberto  di  Claudio,  IV,  342. 
Arria,  si  trafigge  ed  ofl're  il  pugnale 
a  Peto  suo  marito,  IV,  362,  415  ;  lo- 
data da  Persio,  887. 
Arria,   moglie  di   Trasea,   madre    di 

Fannia,  esiliata,  IV,  541. 
Arriano  (Flavio),    di  Nicomedin,    suo 
Periplo  del  Ponto  Bussino,  IV,  062  ; 
vince  gli  iVlani,  663  ;   discepolo  di 
Epitteto,  compone  il  di  lui  Manua^ 
Ir.  813-844. 
Arrii,  famiglia  cfrusca,  I,  484. 
Arrio  (Quinto),  i)retore,  vinc*  Crisso 
capo  dei  gladiatori,  III,  307  ;  vìnto 
da  Spartaco,  307. 
Arrunzio  (L.),  si  uccide,  IV,  .310. 
4rsace,  re  dei  Parti,  chiede  raimcìzia 

dei  Romani,  HI,  226. 
Arsia  (Selva  delia  Inswjherata),  sel- 
va presso  Roma,  I,  624. 
Arsinoe,  sorella  di  Tolomeo  Dionisio 
e   dì   Cleopatra,   fatta  prigioniera 
da  Cesare,  UI,  511;  ne   segue  il 
trionfo,  527;  ed  fe  uccìsa  da  Anto- 
nio, 635. 
Artabano,  re  di  Armenia,  rinfaccia  a 
Tiberio  le  sue  laidezze,  IV,  312  ; 
fe  costretto  a  fuggire  in  Scizia,  312. 
Artabano  Arsacide,  eletto  re  dai  Par- 
ti, IV,  258  ;  chiede  amicizia  a  Ger- 
manico, 262. 
Artabazo.  —  Vedi  Arfavasde. 
Artnssata,  città  d'Armenia,  IH,  341, 
IV,  261  ;  incendiata  da  Corbulone, 
39,S  ;  presa  dai  legati  di  M.  Aure- 
lio, 731. 
Artassia.  —  Vedi  Zenone. 
Artavasde  o  Artabazo,  re  dì  Armenia, 
festeggia  con  Orode  la  vittoria  su 
Crasso,  lU,  465  ;   dà  la  sorella  in 
moglie  a  Pacoro,  465  ;  aiuta,  An-' 
tonio  contro  i  Parti,  663  ;  e  poi  lo 
abbandona,  663,  665  ;  preso  a  tra- 
dimento da  Antonio  fe  condotto  in 
Egitto,    6'>9,    673;   e   uccìso    da 
Cleopatra,  680. 
Arte   ceramica   in   Etruria.  —   Vedi 

Va-i  liilili. 
Arie  fusoria  in  Etruria,  I,  430-432. 
Arte  giv.-a.  imitala  dagli  Etruschi,  I, 

442  ;  a  Roma,  II,  603-604. 
Arte  italica,  divisa  in  tre  periodi,  I, 

439-442. 
Arte  poetica,  II,  610. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


977 


ASDRUBALE 


ATENE 


Arte  ivmiana  e  latina.  II,  310. 

Art<'inidoro,  filosofo,  familiara  di  Pli- 
nio il  Giovane,  IV,  041. 

Artemidoro  di  Gnido,  retore,  tenta 
di  avvisar  Cesare  della  congiura 
contro  di  lui,  IH,  .5.5G. 

Artemisio  (valle  dell') ,  nel  Lazio,  I, 
.527. 

Artena ,  città  dei  Volsci ,  presa  dai 
Romani,  I,  8G7. 

Arti  in  Etruria,  I,  416-I-I-2. 

Artoce,  re  degli  Iberi  nel  Caucaso, 
vinto  da  Pompeo,  III,  347. 

Aruleno  Rustico ,"  ucciso  per  aver 
scritta  la  vita  di  Trasea,  IV,  540  , 
925;  arsi  i  suoi  libri,  .540;  ascol- 
tatore di  Plutarco,  955. 

.\runte,  figlio  di  Porsena,  sconfitto 
presso  Aricia,  I,  593,  629. 

.\^runtinii,  famiglia  etrusca,  I,  484. 

Aruspici,  in  Etruria,  I,  406;  411  ;  loro 
imposture,  751  ;  rimessi  in  vigore 
da  Claudio,  IV,  350. 

Aruspicina,  I.  460. 

Arvali  (fratelli),  s.icerdoti,  I,  411,  412, 
729,  740,  IV,  32,  370  ;  loro  carmi, 

I,  463-461,  II,  610. 

Arverni  {A,",':. i:,-  nl,ino  l'Ita- 
lia, I.  .■<^l  li.  i  i  '11  Roma, 
HI,  92-;)l      i:      :^  lilH-ri,  95: 

hanno  il  vr.v.,  n.i  mu  Galli,  429; 
si  sollevano,  445. 

Asclepiade,  capitano  delle  navi  di  Ca- 
risio ,  aiuta  Roma  nella  guerra 
italica.  III,  178. 

Ascuride  (Ezerò),  palude  di  Tessaglia, 

II,  473,  474. 

Asculo  Appulo  {Ascoli  in  Capitanata), 
rovine,  I,  356  ;  vittoria  di  Pirro 
sui  Romani,  II,  199  ;  presa  dai  Ro- 
mani, 205  ;  iscrizioni  ad  Antonino, 
IV,  716. 

Asculo  (Ascoli  Piceno),  I,  225  ;  scop- 
pio della  rivoluzione  italica.  III, 
170  ;  afforzata  dagli  Italici,  185  ; 
assediata  e  distrutta,  188-189;  oc- 
cupata da  Cesare,  485. 

.^.sdrubale,  capo  di  tutte  le  forze  car- 
taginesi, vieni-  a  Lilibeo,  II,  223. 

Asiinili.-ile.  iiniiss.ario  di  guerra  di 

Aiinili.Ue,   II,  :!34. 

Asdrulialc,  f.'enern  di  Amilcare  Barca, 
continua  la  pnerra  in  Spagna,  e 
fonda  Cartagine  Nova  ,  II ,  329  ; 
muore,  assassinato,  330. 

Asdrubale,  fratello  d'.^nnibale,  lascì.x- 
to  al  governo  della  Spagna.  II.  333  ; 
respinto  dagli  Scipioiii  e  impedito 
di  port.ar  soemrso  ad  .\nnihale.  e 
richiamato  a  Cartagine,  :ì'iT,  403; 
rimandato  in  Spagna,  e  battuto  da 
P.  Coni.  Scipione,  406-407  ;  pene- 
tra nella  Gallia  ,  397  ;  passa  le 
Alpi  e  assedia  Piacenza,  398  ;  av- 
visa Annibale  di  venirgli  incontro 
nell'Umbria,  309;  sconfitto  e  uc- 
ciso alla  battaglia  del  Metauro, 
400-401  ;  la  sua  testa  è  gettata 
nel  campo  di  Annibale,  402. 

Asdrubale,  figlio  di  Giscone,  coman- 
dante cartaginese  in  Spagna,  II. 
406  ;  alla  corte  di  Sifaoe,  408  ;  cui 
dà  in  moglie  sua  figlia  Sofonisba, 
e  lo  conduce  a  difendere  Cartagine, 
413  ;  il  suo  campo  è  incendiato  da 
Scipione,  ed  egli  si  salva  a  Carta- 
gine, 414  ;  è  sconfitto  ai  Campi 
Magni,  415;  ed  ucciso  dal  popolo, 

.\sdriibalp,  capo  dei  Cartaginesi  nella 
terza  guerra  punica,  II,  .507;  rac- 
eoglie  gente  nelle  campagne,  508- 
."09  ;  si  ritira  nell'acropoli  di  Car- 
tagine, uccide  Asdrubale,  nipo- 
te di  Massinissa,  e  mutila  crudel- 
mente i  prigioni,  515-516  ;  ridotto 


agli  estremi  si  arrende  vilmente  a 
Scipione,  maledetto  dalla  moglie  a 
dai  suoi,  519-520. 

Asdrubale,  nipote  di  Massinissa,  uc- 
ciso, li,  516. 

Asellio  Sabino ,  premiato  da  Tiberio 
per  un  suo  dialogo,  IV,  864. 

Asia,  provincia  romana,  sua  esten- 
sione, II,  539,  542  ;  sua  sorte  dopo 
le  vittorie  di  Siila,  III,  248  ;  lidi 
predati  dai  pirati,  330;  estorsioni 
dei  pubblicani,  335  ;  nuovi  ordina- 
menti di  Pompeo,  353;  paga  a  Cas- 
sio in  una  volta  il  tributo  di  dieci 
anni,  621;  e  ad  Antonio,  in  due 
anni,  quello  di  nove,  633  ;  infestata 
dui  Parti,  660;  colonie  e  provvedi- 
menti di  Augusto,  IV,  60-62;  co- 
lonie di  Vespasano,  495;  visitata 
da  Adriano,  636,  661-662  ;  che  vi 
pone  nuove  colonie,  663;  perdute 
ivi  le  conquiste  di  Ti'aiano,  627. 

Asia  Minore,  ambascerie  delle  città  a 
Rmn.i,  II,  44'i-.  le  vitl.irie  i-oniane 
e.-iiis:i  <U  selii.'ivit!!.  l'.-,'-l5:{;  è  a 
dis.Tezinni'  .li  U'.iii.i,  .MI  ;  invasa 
dai  l'aiti.  III.  i;:',-,  ;  .oannereio  con 
Roma,  IV,  206  ;  strade  costruitevi 
ila  Vespasiano ,  500  ;  visitata  da 
Traiano,  613. 

Asia,  nel  Bruzio.  —  Vedi  Ixia. 

Asiatico,  liberto,  crocifisso,  IV,  475. 

Asili ,  in  Etruria ,  1 ,  373  ;  furono  le 
origini  delle  città,  655;  privilegio 
dei  municipii  pei  cittadini  romani, 
II.  263  ;  pei  debitori  e  scellerati , 
tolti  da  Tiberio,  IV,  252. 

Asinio  (Erio),  marrucino ,  duce  degli 
Italici  rivoltati.  III,  175  ;  ucciso  da 
Mario,  185. 

Asinio  Gallo  (C.) ,  muore  in  carcere 
di  fame,  IV,  310. 

Asinio  PoUione  (C),  governatore  di 
Spagna,  III,  593-599;  tradisce  la 
repubblica  e  si  unisce  ad  Antonio 
ed  a  Lepido,  605  ;  nella  guerra  di 
Lucio  Antonio  sta  contro  Ottavio, 
638-639  ;  tira  Enobarbo  alle  parti 
di  Antonio  ,  641  ;  fa  conchiudere 
la  pace  di  Brindisi ,  643  ;  abban- 
dona Antonio,  ma  non  vuole  com- 
batterlo ,  674;  oratore,  703,  710; 
scrittore  di  versi,  790  ;  governatore 
della  Gallia  Transpadana,  accoglie 
Virgilio,  IV,  ILS;  riprende  Tito 
Livio  di  p.atavinit.à .  168  ;  lascia 
o-ni  nfll'io,  e  si  dà  acrli  .studi, 
172;  sua  stori.a  ArìW  euerre  civili, 
174;dil.4tant.-.UM|„.red-,irte,  174; 


Titi, 


sua 


Asola,  in  Sicilia,  gh  anda  ivi  tro- 
vata col  nome  di  Acheo,  III,  39. 

Aspasio,  retore,  biografo  di  Adriano, 
IV,  665. 

Aspreuate.  —  Vedi  Nonio  Asprenate. 

Asprenate  (L.),  impedisce  che  la  ri- 
volta d'Arminio  passi  oltre  il  Reno, 
IV,  228. 

Asse,  unità  monetaria,  II,  309  ;  asse 
semilibrale,  309;  asse  quadrnnta- 
l'io ,  310  ;  asse  sestantario ,  310  ; 
asse  unciale  ,  310  ;  asse  semion- 
ciale, 310  ;  asse  quartonciale,  310. 

Assemblee  a  Roma.  —  Vedi  Comizi , 
Curie,  Centurie  e  Tribù. 

Assemblee  municipali,  per  le  elezioni 
dei  magistrati  delle  città,  II,  264, 
IV,  45,  787,  788  ;  soppresse  nel  se- 
colo terzo  di  Cr.,  790. 

Assicurazione  ai  navigatori  per  il 
trasporto  del  grano,  FV,  356. 


Vajwucci  —  Storia  dell'Italia  antica 


IV. 


Assn-ia,  commercio  con  Roma,  IV, 
207  :  ridotta  a  provincia,  616,  782  ; 
Adriano  ritira  le  truppe,  627. 

Assisi,  iscrizione  alimentaria,  807. 

Associazioni  (CoUegia)  a  Corporazioni 
delle  arti  e  mestieri ,  loro  origine 
antichissima,  1 ,  375  ;  si  dissero 
istituite  a  Roma  da  Numa,  587: 
abolite  nel  690 ,  e  ristabilite  da 
Clodio,  III,  417;  abolite  di  nuovo 
da  Cesare,  538  ;  proibite  da  Traia- 
no, tranne  quella  dei  fornai ,  IV, 
564. 

Assona  (Aisne),  fiume,  vittoria  diCc- 
,  sare  sui  Belgi,  III,  4  54. 

Assoro  (Asaro) ,  dimora  dei  Siculi , 
II,  106. 

Asta,  in  Ispagna,  espugnata  dai  Ro- 
mani, II,  455. 

Astapa  (Estepa),  città  di  Spagna, 
presa  e  distrutta  dai  Romani ,  II, 
407-408. 

Astarte,  Dea  Siria,  adorata  nel  Vallo 
di  Adriano,  IV,  652. 


Astigi,  detta  Augusta  Firma  iEciJa), 
nella  Spagna,  IV,  60. 

Astingi,  invadono  l'Impero,  IV,  734. 

Astrologi.  IV,  895. 

Astronomia  degli  antichi  itali.ini,  I, 
45.3-454. 

Astura,  fiume,  j  Romani  vi  sbaraglia- 
no i  Volsci  e  i  Latini,  II,  49. 

Astura,  città  dei  Volsci,  villa  di  Ci- 
cerone, in,  611;  vi  ammala  Au- 
gusto, IV,  232;  e  Tiberio,  315. 

Asturi,  popolo  di  Spagna,  loro  solle- 
vazione, IV,  78  ;  sottomessi  da  Au- 
gusto, 85-87. 

Atace  {Aude) ,  fiume  e  paese  della 
Gallia,  III,  792. 

Atamani ,  si  uniscono  a  Antioco,  re 
di  Siria,  II,  444. 

Atedii  o  Attidii  (fratelli),  sacerdoti  in 
Umbria,  I,  412. 

Ategua,  in  Spagna,  combattimenti 
fra  Pompeiani  e  Cesai-e,  III,  531. 

Ateio  Capitone  (C),  giurista  di  corte 
e  console,  chiede  che  non  sia  tolta 
al  Senato  la  facoltà  di  punire,  IV, 
282  ;  sconcio  adulatore  dei  prin- 
cipi, 30,  864. 

Atella  (Pomiglione  fUtUtelln),  città 
della  Campania,  I,  27,8,  28?,  463; 
riceve  la  cittadinanza  romana  sen- 
za voto,  II,  51  ;  dopo  la  battaglia 
di  Canne  si  unisce  ad  Annibale , . 
364  ;  presa  dai  Romani,  391  ;  co- 
lonia militare,  IV,  43. 

Atei  lane,  farse,  I,  462,  487,  488,  II, 
316,  646-647,  III,  789. 

Atene,  richiesta  di  aiuto  da  Leontini. 
è  sconfitta  a  Siracusa,  II,  164;  i 
soldati  prigionieri  muoiono  nelli- 
Latomie,  173;  dopo  la  guerra  di 
llliria  accorda  la  cittadinanza  ono- 
raria a  Roma,  248  ;  sua  decadenza, 
429  ;  chiede  soccorso  a  Roma  contro 
Filippo  di  Macedonia,  432;  è  di- 
fesa dai  Romani,  433  ;  visitata  da 
Paolo  Emilio ,  482  ;  emporio  di 
schiavi.  Ili,  25-,  messa  in  mano  di 
Milli-I  li  :r'-:  ;i  ,  assediata  e 
previ  i-.'ì'^;   abbellita 

da  li  vte  di  Antonio 

e  Cl.-iii  ,  ,,  I.;  .  i.'Hiitada  Augu- 
sto, 1\,  1.1,  ii.;e...;;lienze  a  Germa- 
nico, 2.59-260  ;  furori  di  Gn.  Pi- 
sene, 261  ;  non  visitata  da  Ne- 
rone, 418;  Traiano  vi  riceve  gli 
ambasciatori  di  Cosroe,  613  ;  tea- 
tro di  Bacco,  624  ;  Adriano  vi  sver- 
na due  volte,  637  ;  arco  di  Adriano, 
tì5S-6.59  ;  la  città  nuova  detta  Adria- 
nopoli,  658-639;  Olimpieio  e  altri 


123 


078 


INDICE 


.TENEO 


ATTALO 


AUGUSTO 


rdiScii  ivi  eretti  da  Adriano,  65^ 
660;  che  Ti  fe  adorato  come  Giove 
e  onorato  di  statue,  660-661  ;  e 
fatto  arconte,  C71  ;  visitata  e  pri- 
vilegiata da  M.  Aurelio,  ~4^. 
Ateneo  o  Minervio  (punta  della  Cam- 
panella), promontorio,  I,  276,  III, 

Ateneo,  filosofo  peripatetico,  amico 
del  cospiratore  Murena,  IV,  176. 

Ateuione  di  Cilicia,  fatto  re  dagli 
schiavi  siculi,  III,  HO  ;  assedia  Li- 
libeo,  HO  ;  si  unisce  a  Salvie,  141  ; 
vinto  a  Scirtca,  141-U2  ;  succede 
a  Salvio,  142  ;  afforza  Macella,  143  ; 
sue  scorrerie  nel  territorio  dei  Ma- 
mertini,  143  ;  minaccia  Messina, 
143;  ucciso.  143. 

Atenodoro  di  Tarso,  stoico,  IV,  109. 

Atemo  (Pescai-a),  città  dei  Frentani, 
I,  253 ;  porto,  2.1. 

Aterno  {Pescara),  fiume,  I,  218,  22.5, 
242,  252,  IH,  172. 

.Vterno  (pianura  dell'),  I,  218. 

Ateste  (Este),  colonia  militare,  FV,  43; 
parteggia  per  Vespasiano,  464. 

Atidio  CÒrneliano,  governatore  di  Si- 
ria, messo  in  fuga  dai  Parti,  IV, 
728. 

.Milli,  famiglia  etrusca,  I,  484. 

.\tilio  (M.),  poeta  comico,  II,  645. 

.\tilio  Glìzio  .agricola  (P.)  di  Torino, 
governatore  di  Paunonia,  alla  pri- 
ma guerra  dacìca ,  IV,  570  ;  pre- 
miato, 575. 

.Vtilio  Regolo  (C),  console,  reprime  i 
Sardi,  lì,  250  ;  ritorna  in  Etruria 
e  muore  al  capo  Telamone,  2>2. 

.Vtilio  Regolo  (M.),  vince  i  Cartasinesi 
a  Tindari,  li,  218  ;  e  alla  battaglia 
di  Ecnomo,  219;  va  in  Aflrica, 
21f'-220  ;  vince  i  Cartaginesi ,  e 
p.^ne  sua  sede  a  Tunisi,  220-221  ; 
rifiuta  le  proposte  di  pace,  221  ;  è 
vinto  e  fatto  prigione,  222  ;  man- 
dato dai  Cartaginesi  a  Roma  a 
chieder  pace,  225  ;  consiglia  di  non 
Hccettaria,  e  muore  eroicamente, 
226-227. 

Atilio  Serrano  (C),  trucidato.  III,  217. 

Atina ,  citta  dei  Volsri ,  1 ,  235  ,  III, 
1C2;  presa 'dai  Romani,  n,  68; 
colonia  romana,  78,  268. 

Atina  {Atena) ,  città  della  Lucania, 
I,  294.     • 

Atinio  (C.),  pretore,  ucciso  in  Ispagna, 

Atinio  Labeone  (C),  tribuno,  tenta 
far  gettare  dalla  rupe  Tarpeia  il 
censore  Metello,  III,  60. 

Atiiitani ,  dell'  Epiro  settentrionale  . 
parteggiano  coi  Romani  contro 
gli  Il.iri,  li,  248. 

Atlante  (monte),  II,  .542,  IV,  715  ;  con- 
fine deirimpero  romano,  84,  345; 
visitato  e  descritto  da  Svetonio  Pao- 
lino, 919. 

Atra  (Kl  Hadr),  assalita  da  Traiano, 
IV,  620  ;  vi  i-  battuto.  620-621. 

Atrcbati  {Arras),  si  uniscono  ai  Nervi! 
e  sono  sconfiiti  da  Cesare,  HI,  434. 

Atri,  forse  colonia  etrusca,  I,  126. 

Atrio,  derivazione  di  questa  parola, 

I,  41'). 

Atrio  della  Libertà,  IV,  Ilo,  174. 
Atripaldu  {La  Civita),  città  degli  Ir- 

pini,  I,  264. 
Atro  {<ribel-Asot(d),  monte,  IV,  87. 
Attalici  (dinastia  di-gli) ,  suoi  tesori. 

II.  .537-.5:l8. 

Attillo  I.   re  di  Pergamo,  alleato  dei 

Romani  contro  Kilippo,  re  di  Ma- 

•  ftlonia,  II.  431-132. 
.\ll:ilo  li  Kiiomctorc,    fratello  di   Eii- 

iriene.  ir  ili  Pergamo,  onorato  dai 

Romani,  II,  491, 


Aitalo  III  Filometore.  figlio  d'  Eumene    | 
II,   lascia  il  regno  di  Pergamo  ai 
Romani.  II,    53'i;    Tiberio  Gracco 
propone  che  sia  distribuito  ai  cit- 
tadini, III,  55. 

Aitalo,  filosofo  stoico,  IV,  834;  esi- 
liato da  Sciano,  835,  865. 

Atte,  liberta,  amata  da  Nerone,  IV, 
379;  lo  seppellì -ce,  427. 

Atti  diurni  o  giornali,  IV,  165,  780, 
864. 

Atti  pubblici,  867. 

Attico.  —  Vedi  Curzio,  Erode  e  Pom- 
ponio Attico. 

Attilio.  —  Vedi  Atilio. 
tuari,  trib 
da  Tiberi 

Attubi  Claritas  Julia,  colonia  in  Spa- 
gna, IV,  60. 

Aufldena  {Alfidena),  capitale  dei  San- 
niti Caraceni ,  1 ,  256  ;  presa  dai 
Romani,  II,  79. 

Aufidio  (Gneo),  scrive  in  greco  una 
storia  romana,  HI,  766. 

Aufidio  Basso ,  storico  delle  guerre 
civili  e  delle  germaniche,  IV.  9IS, 
923 

Aufidio  Vittorino,  si  oppone  alla  ir- 
ruzione dei  Catti  nella  Rezia  e  in 
Germania,  IV,  727. 

Aufldo  {Ofanto).  fiume  dell'Apulia,  I, 
26.3,  347,  II,  356  ;  vittoria  del  pre- 
tore C.  Cosconio  sui  Sanniti,  IH, 
190. 

Aufina  (Ofena),  città  dei  Vestini,  I, 
251. 

Auguri.  I,  404-406.  411.  ,586,  74')-751  ; 
tempio  augurale,  408;  loro  dottri- 
ne, 749,  II,  .598. 

300-301 

Augusta,  figlia  di  Nerone  e  di  Poppea 
Sabina,  mit  .)r.  bambina  ed  è  di- 
chiarata Dei.  IV.  :!■•.{. 

Augusta    ^  ■     '.'       '      ■).  rapitale  dei 

Augusi,/'\    -  '■      1  .   IV,  .5.5. 

Augusta  1  iurii;  Il  1/  /.'f/1  in  Spagne!, 
IV,  6(1.  .         »    =      . 

Augusta  Firma.  —  Vedi  Astigi. 

Augusta  Nemetum  {Clermon^,  capi- 
tale degli  Arverni,  IV,  54. 

Augusta.  —  Vedi  Novioduno. 

Augusta  Praetoria  '  -i-^sta) ,  colonia 
mi.itare,  IV,  4J,  44,  89-91. 

Augusta  dei  Raurac.  {Augst  presso 
Jiasilea),  colonia  romana,  IV,  53, 
.55,  91. 

Augusta  Taurinoruin  {Torino),  colo- 
nia militare.  IV,  43,  44. 

Augusta  dei  Treviri  {Treves),  IV,  55; 
colonia  romana,  359. 

Augusta  Tricastiuorum  (presso  To- 
losa), IV,  55. 

Augusta  Vagiennoriun  (Saluzzo  e) , 
colonia  militare,  IV,  43. 

Augusta  dei  Vindelici  {Ausburno) , 
IV,  94,  95. 

Augustali  (sacerdoti),  IV,  91,  237,  250, 
251,  810. 

Augustani  (cavalieri).  IV,  388. 

Augusteo,  in  Alessandria  d' Egitto  , 
IV,  04. 


Augusto  imperai 
0.  Ottavio),  1 

.!■.■  (MiLiiiiai..  ]. l'ima 

di  Azia.    sor. 

''.     '  ■    1  1-  1  .-saiv 

adottato  da  i 

■-  1'  •  ,    III     .;  1  .    sua 

infanzia,  .582; 

(iiiiiiu  i  l■^.^^l•  pi-ellde 

cura  della  su 

a   educazione  ,    .582  ; 

morto  Cesare 

ritorna  da  Apollonia 

in.  Italia,  .5><2- 

-Mi:  visita  ed  acca- 

rezza   ('i.'..r..ii 

.     -,■<:(- -,84  ;    rinipro- 

vera  A  n  i . . .  1 1 . . 

h  ri.liiedei  tesori 

pat.-rn,    r,,i,l: 

-  1       i. Il' oro  si  fa 

i-.s-,;  accordi 

afforza,  e  p.artito  Antonio  resta 
padrone  di  Roma,  .589;  sostenuto 
da  Cicerone,  .590-591  ;  muove  con- 
tro Antonio  in  aiuto   di   Modena, 


a  Modena,  598;  si  sospettava  che 
avesse  ucciso  Irzio  e  avvelenata 
la  ferita  di  Pausa,  601  ;  intima  a 
Decimo  Hruto  di  non  dare  la  caccia 
ad  Antonio,  601;  vani  sforzi  del 
Senato  per  abbassarlo.  602:  fatto 
console  e  padrone  dal  soldati  muo- 
ve contro  RoiAa,  603;  entra  in 
città,  comanda,  ruba  e  condanna 
a  sua  voglia,  604  ;  fa  parte  cm 
Antonio  e  Lepido  del  triumvirato. 
605-60G;  sposa  Clodia,  nuT;  entra 
in  Roma;  edittn  di  p-.^-.i  •  m,>  , 
G07-6I0  ;  sua  for,  '  •  :  va 

Cicerone,    611  ;    k     i  )    nr , 

015-617;  va  aKi  -_  ii     -^  si.. 

Pompeo  e  si  ritii;i  a  l^,  imii.si,  i;l7  ; 
non  prende  parte  alla  batt.iglia  di 
Filippi.  623,  625;  feroce  coi  vivi  e 
coi  morti,  631  ;  suoi  accordi  con 
Antonio,  6:j:{;  torna  in  Italia, 
633;  e  vi  fonda  colonie  militari, 
6:i5;  k  minacciato  dai  suoi  soldati. 
*36  ;  in  guerra  con  Lucio  Antonio. 
637-638;  assedia  e  prende  Perugia, 
639;  stragi,  640;  invia  Mucia  a 
Sesto  Pompeo ,  641  ;  sposa  Scri- 
bonia,  641;  occupa  la  Gallia  e  la 
Spagna,  C41;  fa  pace  a  Brindisi 
con  Antonio,  642-843;  accordi  e 
pace  con  Sesto  Pompeo  al  Capo 
Miseno,  647-649  ;  ritorna  a  Roma, 
649  ;  reprime  le  sollevazioni  dei  po- 
poli gallici,  650  ;  ripudia  Scribonia 
e  sposa  Livia,  650;  muove  guerra 
a  Sesto  Pompeo  :  la  sua  flotta  è 
vinta  a  Cuma  e  distrutta,  650-652  ; 
trattato  di  Taranto  con  Antonio. 
652  ;  muove  con  nuova  flotta  rou- 
tro  la  Sicilia,  653  ;  sconfitto  da  De- 
niocare  e  da  ApoUofanc  è  salvato 
da  Messala  Corvino,  6S4-655;  pau- 
roso alla  battaglia  dì  Nauloco , 
6.56-657  ;  d-.'pone  Lepido  e  si  fa  pa- 
drone dell'Occidente,  659;  quieta  i 
soldati  tumultuanti,  6.59  ;  ritorna  a 
Roma  e  celebra  la  vittoria,  660  ; 
provvede  con  vigoroso  governo  al 
riposo  d' Rafia,  665-666 ;  guerra  in 
llliria  e  Pannonia,  667;  il  Porti.-o 
d'Ottavia  costruito  colle  spoglie  dei 
Dalmati,  067-668;  accusa  pubbli- 
camente .Antonio  e  gli  fa  togliere 
il  comaiulo ,  672-674  ;  appwecchi 
di  guerra,  674  ;  battaglia  navale  e 
vittoria  di  Azzio,  677-0"78;  a  ricor- 
do della  vittoria  fonda  Nicopoli  , 
679;  dà  assetto  alle  cose  di  Grecia, 
I!  di  Asia ,  e  torna  in  Italia  a  se- 
dare i  tumulti  dei  veterani.  t;T!i: 
va  in  Egitto,  non  risponde  ai  nus- 
saggi  di  Antonio,  ed  eccita  Cl.'..- 
patra  ad  ucciderlo,  679-681  ;  ii- 
spinto  sotto  Alessandria  da  Anto- 
nio, 681  ;  lo  vince,  681  ;  non  reilc 
alle  arti  di  Cleopatra,  682-6'<i; 
seppellisce  Cleopatra  con  Antonio. 
«84;  padrone  di  tutto  e  di  tutti, 
086;  uccide  Cesarione,  686-687  ;  al- 
tre vendette  di  sangue,  687  ;  asse- 
state le  cose  d'Egitto  torna  a  Roma. 
687  ;  trionfi  e  monumenti  della  vit- 
toria d'Egitto,  687-689;  sue  arti 
piT  fondare  la  nuova  potenza,  IV, 
8-9  ;  consigli  di  Mecenate  e  di 
Agrippa,  9-11  ;  imperatorp,  con 
autoriià  suprema.  12  ;  rilorma  il 
Senato,  12-15;  crea  nuove  famiglie 
patrizie,  16;  riforme  nell'ordine 
equestre,^6;  fa  il  censimento  dei 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


979 


AUGUSTO 


AUGUSTO 


AURELIO 


coaunedia  del  rinunziare  l'Impero, 
i:  ;  diviene  Au.LTUSto  e  si  fa  più 
1  "f' !i'i  1^:  l'i'.niato  di  quercie 
li  ni.  19;  va  arior- 

il:  I  ,  I  ,  ,'  a  guerreggiare 
in  Niiijui.  -I  depone  rundecimo 
ponsoiaio,  e  piirlia  la  potestà  tri- 
bunizia e  proconsolare,  20-21  ;  fa 
mostra  di  lasciar  ad  Agrippa  la 
potestà  suprema,  21  ;  rifiuta  il  ti- 
tolo di  Dittatore,  e  accetta  la  so- 
printendenza all'annona,  22  ;  va  in 
Oriente  a  ordinare  le  province,  22  ; 
si  fa  dare  la  potestà  consolare  a 
vita,  22  :  riprende  la  Prefettura  dei 
rostiiriii.  22  :  e  assume  l'utììcio  di 
l'oiiieii.-,'  Missiiiio,  22;  fa  ricon- 
luriiiare  oa  ui  df-eiinio  i  suoi  straor- 
diiiaii  |ioteii,  e  diviene  padrone  di 
tutto,  22-21  ;  suo  governo,  2-1  ;  crea 
un  Prefetto  urbano  permanente,  25  ; 
polizia  e  ordinamento  municipale 
di  Roma,  25-26;  di  ende  la  città 
dalle  inondazioni  del  Tevere,  26- 
27;  acquidotti,  27-2S;  annona,  29; 
leggi  a  sostegno  del  principato,  29- 
31  ;  riordinamento  dei  tribunali,  31  ; 
Mecenate  lo  chiama  carnefice,  32 ; 
riforme  religiose  usate  come  stru- 
mento politico,  32-34  ;  riforma  mo- 
rale, 35  ;  costumi  del  riformatore, 
35;  ordini  contro  i  celibi,  36-39; 
distinzioni  dei  cittadini,  40  ;  impo- 
ste sugli  schiavi,  40;  scoinparte 
l'Italia  in  undici  regioni ,  41-42  ; 
colonie  militari,  43  ;  opere  pubbli- 
che in  varie  citta,  44  :  t:overiio  dei 
iiiitiiiii|ii.  4".- 17  ;  ;;oveiiiù  delle  pro- 
vili.e,  .i-,-',ii;  le  \isita  tutte  tranne 
l'Afri, a  e  la  Sardciriia.  50;  fa  il 
eeiisimeiito  di  tutto  l'Impero,  .50- 
51  ;  provvede  ai  bisogni  dei  muni- 
cipi e  delle  colonie ,  51-52  ;  suo 
editto  aquario,  52  ;  nuovi  ordina- 
menti delle  -;:.;;i.  .  -.2--,:;  e  delle 
Spagne.  :.:-  lui  fon- 

date,   CO-  ;l  !  A  lirica  e 

l'Oriente.  '.1  ;  >■  in,  i  i.i  ;uo,lo  ecce- 
zionale l'Ki-'mu,  'ji-A  ;  strade  risar- 
cite e  fatte  di  nuovo  in  Italia,  64-67; 
e  per  tutto  l'Impero,  67-70  ;  ordi- 
namento delle  poste,  70  ;  sua  sa- 
],;,..,te  initriiitis'razione,  71;  ara 
iitii  !  1  ■  1  uduiio  a  lui  ed  a 
1;  :  !-  :  -upli  in  suo  onore 

III      ;  ■;    :.'-74;   suo  Ratio- 

"•    y:  •  '   ■'  iiim  totius  iiìv- 

ji'-r-','.  75;  contribuzioni  e  rapine 
iielh;  province,  75-78;  minacciato 
nella  vita,  77;  provvedimenti  per 
disciplinare  e  far  sue  le  milizie , 
7n-S0;  crea  l'erario  militare,  SO; 
e  si  fa  capo  di  tutti  gli  eserciti, 
82  ;  determina  i  confini  dell'  Im- 
pero, 84;  progetto  di  ridurre  la 
Britannia  a  provincia  romana,  84 
85  ;  guerra  contro  i  Mesi ,  Daci, 
Svevi,  Galli  e  Spagnoli,  85,  86  e 
567  ;  guerre  agli  Etiopi,  Garamanti 
e  Arabi,  87  ;  divide  tra  due  re  la 
Tracia,  87  ;  gli  Armeni  gli  chie- 
dono un  re,  88  ;  sì  fa  restituire  dai 
Parti  i  prigionieri  e  le  insegne 
militari,  88;  distruzione  dei  Sa- 
lassi. SO;  guerra  contro  i  Reti, 
Vindelici  e  Norici,  93-97  ;  trionfo, 
98;  guerre  in  Pannonia  e  in  Ger- 
mania, 98;  rende  gli  estremi  onori 
a  Druso  vincitore  dei  Germani, 
100  ;  leste  per  le  vittorie,  104-105  ; 
fa  obliare  coi  doni  la  libertà,  106- 
107  ;  satire  e  congiure  contro  di 
lui ,  107-108  ;  lodato  per  la  sua 
Clemenza  con  Cijuia,  108-109;  cul- 


tore e  fautore  degli  studi,  109;  suoi 
scritti  in  versi  e  in  prosa,  110;  bi- 
bUoteche  da  lui  fondate,  110-Ul; 
poeti  da  lui  favoriti,  115  e  segg.  ; 
chiede  ad  Orazio  che  gli  diriga  una 
epistola ,  144-145  ;  esilia  Ovidio , 
162,  187;  si  attribuisce  a  lui  lo 
splendore  letterario  del  suo  tempo, 
164-165  ;  storici  da  lui  favoriti,  165- 
175  ;  storia  aneddotica  del  principe 
e  della  corte,  183-184  ;  crudele  agli 
scrittori  e  agli  scritti,  184  ;  esilia 
Cassio  Severo,  187  ;  perseguita  la 
libertà  del  pensiero,  188  ;  lascia 
scrivere  solamente  i  suoi  lodatoli, 
189;  fa  Roma  più  adorna,  1S9;  re- 
staura e  rinnunva  fiiit.-..  in]  ■  (em- 

pliealtriiiiui •     i    '-it,;  dà 

liberta  ai  tu:  ai  di 

commercio.  J  I     .  :  _       !•  do- 

mestiche, 2  U  .  ;  . .  ^  [  : ,  _'  1 1  -  j  l;  ;  ma- 
rita la  figlia  Giulia  a  Claudio  Mar- 
cello, 213;  morto  MarceUo  la  fa 
sposa  ad  Agrippa,  214  ;  e  poi  a 
Tiberio,  215  ;  sue  cure  per  1'  edu- 
cazione di  essa,  215-216;  la  re- 
lega, pei  suoi  mali  costumi,  nell'i- 
sola Pandataria,  217  ;  e  poi  la  con- 
fina a  Reggio,  218  ;  adotta  Caio, 
e  Lucio,  e  Agrippa  Postumo,  e 
poscia  Tiberio,  219-220;  cade  in 
potere  di  Tiberio  e  di  Livia,  221; 
manda  Tiberio  contro  i  Germani, 
e  i  Pannoni,  e  i  D  Imati,  221-223; 
suo  sgomento  e  provvedimenti  do- 
po la  disfatta  di  Varo,  228;  assi- 
ste al  trionfj  di  Tiberio  e  Germa- 
nico, 229,  •?30  ;  eleva  Tiberio  a  suo 
collega,  •?31  ;  visita  Agr'ppa  Postu- 
mo relegato  alla  Pianosa,  251  ;  sua 
malattia  e  morte,  232  ;  suo  testa- 
mento, 233  ;  indice  delle  sue  geste 
nel  monumento  di  Ancira,  234-235; 
onori  funebri,  236  ;  mausoleo,  236; 
apoteosi,  236-23S  ;  la  sua  opera, 
239  ;  di  lui  Vedi  anche  U,  537,  III, 
34,  e  IV,  255-236  e  292. 
Augusto,  nome  usato  a  designare  i 

luoghi  consacrati,  IV,  18. 
Augusto  (Mausoleo  di),  IV,  193,  213, 

236,  268,  293,  318,  679. 
AiiL'usto  (tempio  di),   cominciato  da 
Tiberio   e  terminato   da  Caligola, 
IV,  '318;  a  Tarragoua,  655  ;  a  Pom- 
pei, 810.  811. 
Augustobona  (Troyes),   capitalo   dei 

Tricassi,  IV,  5">. 
Augustoduno.  —  Vedi  Bibracte. 
Augustonemauso.  —  Vedi  Nemauso. 
Augustoritum  {Limoges),  capoluogo 

dei  Lemovici,  IV,  .55. 
Aulerci,   popoli  gallici,   scendono  in 

Italia,  I,  884. 
Aulide  (porto  di),  in  Beozia,  II,  482. 
Aulinni,  ftmiglia  etrusca,  I,  484. 
Amasio,  monte  in  Afl'rica,  IV,  6.55. 
Aureliani   Antoniani   (sacerdoti),  IV, 

713. 
Aurelio  Antonino  (Marco),  detto  dap- 
prima M.  Annio  Vero,  adottato 
da  Antonino  Pio,  IV,  693  ;  dolore 
per  la  morte  del  suo  educatore, 
707;  designato  successore  all'Im- 
pero, 71'2^713;  dedica  una  colonna 
onoraria  ad  Antonino  ,  713  ;  suc- 
cede ad  Antonino,  716  ;  sua  nasci- 
ta, 717  ;  chiamato  da  Adriano  Ve- 
rissimo, 718;  sua  gioventù,  718; 
primi  studi ,  719  ;  maestri  di  elo- 
quenza e  di  filosofia,  720  ;  ciò  che 
ei.'li  imparò  per  governar  la  vita, 
720-724;  sposa  Faustina  Minore, 
725  ;  gridato  imperatore  dal  Sena- 
to, 725  ;  divide  il  comando  con  Lu- 
cio Vero,  725;  feste  e  largizioni, 
7'2G  ;  sciagure  pubbliche,  727  ;   ri- 


volte di  popoli  e  re ,  727  ;  pone  a 
capo  della  guerra  Panica  Lucio 
Vero,  728  ;  gli  manda  la  sposa  Lu- 
cilla, 729  ;  trionfa  con  Lucio  Vero, 
731  ;  suoi  provvedimenti  nella  pe- 
stilenza a  Roma,  733;  soggiorno 
nella  villa  di  Lucio  Vero,  733  ;  di- 
fende l'Italia  e  l'Impero  dall'inva- 
sione dei  barbari  nordici,  733-736  ; 
arco  attribuito  a  lui,  733-734;  ri- 
ceve i  messaggi  dei  barbari,  73D- 
736;  falsamente  accusato  di  aver 
avTelenato  Luci  ,  A'  :  ' '•  lo  fa 
seppellire  nel  ic  i  mo, 

e  lo  dichiara  Di'  :  _  i  l.i 

istituzione  dei;li     ,i  :.    ,  ;;-7.i.S; 


zia.  Senato,  costumi,  Cii-co,  dela- 
tori ,  739  ;  provvedimenti  per  lo 
stato  civile,  739-740  ;  per  l'annona, 
740;  soccorsi  alle  province,  740; 
colla  eguaglianza  delle  leggi  dà 
unità  all'  Impero ,  740  ;  guerra  ai 
bàrbari  di  nuovo  irruenti,  741  ;  re- 
sta più  anni  in  Pannonia,  741; 
vince  e  fa  pace  coi  barbari ,  744  ; 
appellato  Germanico,  trionfa,  744  ; 
colon'e  di  Germani  nell'  Impero , 
745  ;  suo  disegno  di  ridurre  a  pro- 
vincia i  paesi  dei  Marcomanni  e 
dei  Sarmati,  745;  affida  a  conso- 
lari la  Dacia,  745  ;  sedizione  di  Avi- 
dio  Cassio,  745  ;  tranqui  lo  giudizio 
sui  disegni  di  lui,  746;  muove  per 
la  Siria  a  combatterlo,  747  ;  .sua 
clemenza  pei  figli  del  ribello,  748  ; 
perdono  ai  complici,  748  ;  riordina 
le  province  turbate,  748-749  ;  ri- 
torna ad  Atene  e  visita  il  tempi,  i 
di  Cerere,  749;  sbarca  a  Brindisi, 
indossa  la  toga,  e  trionfa  a  Roma, 
749;  nuova  guerra  ai  barbari  in 
riva  al  Danubio ,  751  ;  li  vince  o 
muore,  752  ;  onori  divini,  tempio, 
sacerdoti,  statue  e  ritratti,  752; 
monumenti  di  lui,  75  i;  Colonna 
Antonina,  753;  statua  equestre, 
7.53,  7-54  ;  sue  virtù,  753-755;  studii, 
755-736;  filosofia  morale  e  civile 
nei  suoi  Ricordi,  7.56-761  ;  sua  de- 
bolezza, 761  ;  scandali  della  moglie 
Faustina,  761-763;  domanda  onori 
per  lei  al  Senato,  763-764  ;  sua 
benignità  per  Commodo,  764-766; 
sua  colpa  di  averlo  designato  per 
successore,  766-767;  filosofo,  845- 
846  ;  raccomanda  l'amore  del  ge- 
nere umano.  8.32  ;  sua  casta  giovi- 
nezza, 8'8  ;  scrive  in  greco  i  suoi 
RicOrtH,  955. 

Aurelio  (Q.),  trucidato  nelle  proscri- 
zioni di  Siila  pel  suo  podere  di 
Alba,  UI,  262. 

Aurelio  Cotta  (C),  fa  costruire  la  Via 
Aurelia,  li,  289. 

Aurelio  Cotta  (C),  va  in  volontario 
esilio  nel  663 ,  IfT,  167  ;  consolo 
nel  679,  propone  che  chi  fosse 
st.ato  tribuno  potesse  conseguire 
gli  altri  uffici,  316;  oratore,  701. 

Aurelio  Cotta  (L.),  console,  si  oppone 
inutilmente  alla  legge  di  Mario 
contro  i  brogli  elettorali,  IH,  101. 

Aurelio  Cotta,  vinto  da  Sertorio  in 
battaglia  navale,  IH,  294. 

Aurelio  Cotta  (L.),  pretore,  riforma 
i  tribunali.  III,  317. 

Am-elio  Cotta  (JI.) ,  console,  ìj  man- 
dato contro  Mitridate,  III,  336; 
battuto,  si  rinchiude  in  Calcedonia, 
331,  3:59. 

Aurelio  Oreste  (L),  console,  va  a  com- 
battere i  Sardi,  III,  68  e  70. 
I    Aurelio  Properzio  (Sesto),  sua  avver- 
1         sione  al  matrimonio,  IV,  140;  sue 
I  poesie,  153-157. 


INDICE 


AURELIO 


BEBIANO 


Aurelio  Scauro  (M.).  legato  fatto  pri- 
gioniero dai  Cimbri,  IH.  123  ;  è  uc- 
ciso, 123-12-». 

\uriii  a.  —  Vedi  Saturnia. 

Vurunca  (sulla  montagna  di  Rocca 
Monfina),  città  degU  Aurunci,  ro- 
vine. I.  2U-215. 

\urunci,  I,  209-210;  loro  sedi,  214- 
215;  sconfitti  dai  Sidicini,  si  riti- 
rano a  Suessa,  215  ;  in  guerra  coi 
Romani.  773,  778  ;  fugati  da  essi, 
II,  35;  fanno  parte  della  lega  la- 
tina contro  i  Sanniti,  44  ;  sotto- 
messi dai  Romani.  52. 

Aurunculeio  Cott^  (L.),  sorpreso  da 
Ambiorige,  lU,  442,  443. 

.\usona,  città  degli  Ausom,  I,  210; 
rovine,  212-213;  ripresa  per  tra- 
dimento dai  Romani,  li.  Ci. 

.VuBoni,  l,  203^213;  sottomessi  dai  Ro- 
mani, U,  52  ;  il  loro  nome  rimane 
spento,  ti7. 

Ausonia.  COSI  chiamata,  un  tempo, 
tutta  l'Italia,  I,  .")C,  210. 

Ausonio  (mare),  cosi  chiamato  il  mar 
Siciliano,  l.  210. 

Ausonio  burdigalense,  le  sue  due  pa- 
trie, U,  263. 

Vuspicii,  l.  748;  dati  alle  assemblee 
delle  tribù.  II,  598. 

.\ussimo  (Osimo),  occupata  da  Cesa- 
re III,  48'>;  iscrizione  alimenta- 
ria, IV.  807. 

Autronio  Pelo  (P.),  spogliato  del  con- 
solalo. Ili,  356;  sua  congiura  con 
Catilina,  XX,  372,  373. 

Av.xois  [Mont).  ad  Alesia,  III,  448. 

Avarico  (Bowcges),  assediata  e  presa 
da  Cesare,  III.  446. 

Aveia  (presso  Fossa),  città  dei  Ve- 
stini,  I,  251. 

Avcnio  (Avignone) ,  ha  da  Cesare  il 
diritto  del  Lazio,  IV,  52. 
tico   (Avenches),   t 
Ivezii,  IV,  91,  442, 

Aventiua,  selva,  I,  ."iSS. 

.\ ventino,  colle,  I,  .506-5^7,  572,  .573, 
595,  .596,  600,  604,  722-723,  780, 
830,  839,  III,  44,  81,  IV,  27,  110, 
174.  lf'2,  312. 

Averno  (lago),  nella  Campania,  I,  272, 
ni,  6.53,  IV,  402. 

Avìdìo  Cassio.  —  Vedi  Cassio. 

Avidio  Eliodoro,  retore,  e  poi  prefetto 
di  Egitto,  padre  di  Avidio  Cassio, 
IV,  7.i0. 

Avidio  Nigrlno  (C),  fa  restituire  al 
tempio  di  Apollo  a  Delfo  la  re- 
gione consacrata,  IV.  611. 

Avorio,  IV,  196,  201,  206,  207. 

.\\TOcati,  C  audio  ne  t.assa  le  merce- 
di, IV,  3'>3  ;  Nerone  stabilisce  il  loro 
stipendio,  IV,  376. 

Azezìo  (Rutigliano),  nella  Peucezia, 
1,  349. 

Azia,  rnaibe  di  Augusto,  IH,  .582,  583, 


abolire  la  legge  Cornelia  sulla  ele- 
zione dei  Pontefici,  360  ;  lasciato 
ila  Cesare  alla  di  lesa  del  Rodano, 
431  ;  manda  navi  in  Britannia  a 
Cesare,  441;  non  può  soccorrere 
Quinto  Cicerone ,  442  ;  uccide  In- 
ducioniaro,  e  vince  i  Treviri,  443; 
si  riunisce  a  Cesare,  447  ;  e  poi  lo  ab- 
bandona e  passa  ai  Pompeiani,  488  ; 
tratta  di  accordi  con  Vatinio.  49S  ; 
uij  ide  i  prigionieri  fatti  a  Durazzo, 
.MK);  spinge  Pompeo  u  dar  balta- 
glia,  .50.';  batte  Cesare  in  Affrica, 
51S;  alla  battaglia  di  Tapso,  519- 
520  ;  si  salva  in  Spagna,  b20,  530  ; 
a  Mundn  difende  invano  il  campii 
dei  Pompeiani,  532;  e  muore,  532. 


Azio  1/abieno  (Q.),  figlio  del  prece- 
dente ,  eccita  i  Parti  a  ribellarsi 
contro  Roma,  III.  6S0-661;  vinto 
e  ucciso  da  Ventidio,  681. 

Azio  Tullio,  capo  dei  Volsci,  fa  guei'- 
ra  a  Roma,  I,  791. 

Azio  Varo  (P.),  vince  e  uccide  Scri- 
bonio  Curione  in  Affrica,  III,  492  ; 
comanda  in  Affrica  il  navilio  dei 
Pompeiani,  517;  si  salva  in  Spa- 
gna, 520,  530;  umore  a  Munda, 
532. 

Azziano  (Celio),  accompagna  a  Roma 
le  ceneri  di  Traiano,  IV,  021  ;  tu- 
tore di  Adriano,  675. 

Azzio,  promontorio.  111,  676;  grande 
battaglia  navale,  677-678,  IV,  259. 

Azzio  0  Accio  (L.),  scrittore  di  ti  a- 
gedie,  II,  647  ;  il  suo  Tereo,  rap- 
presentato dopo  la  uccisione  di 
Cesare.  Ili,  581. 


Babilonia,  via  del  commercio  dell'.X.- 
sia,  IV,  207;  presa  da  Traiano, 
616;  che  ivi  sacrifica  ai  Mani  di 
Alessandro,  618. 

Babrio,  favolista,  non  è  certo  che  sia 
nato  a  Belano,  I,  263. 

Baccanali,  II,  588-593. 

Bacchete,  ninfa  etrusca,  scrive  le  dot- 
trine di  Tagete,  I,  403. 

Bacchilide,  poeta  alla  corte  di  Gei-o- 
ne  in  Sicilia,  II,  161. 

Bacco,  nei  monumenti  etruschi,  1, 391  ; 
culto,  490,  .502,  II,  588,  590,  592  ; 
feste,  IV,  6.57. 

Bacco  (teatro  di)  ad  Atene,  epigrafe 
in  onore  di  Adriano,  IV,  624-625, 
661. 

Bacio  (l'ultimo),  nei  monumenti  etru- 
schi, I,  .507-50^. 

Baden,  nell'Argovia,  IV,  441. 

Biiduenna  (selva),  in  Frisia,  IV,  277. 

Bagni,  Marco  Aurelio  sopprime  quelli 
.•u.iiiini  ai  (lue  sessi,  IV,  739. 

i;:i^t;i-!,-  ;v  ;.   ■■'   /-,  |-Mi,M'inAffrii-a, 


IV.  325; 


Baia,  i-ill  I     i.    ::-    .: 

ricoivl-        \    I     .,          ;  l'I;  ricovero 
di  <.^'lll ■-  :,  s-.'l. 

Baiaderu  ijiìm,u:i.  k  1,™  danze  si- 
mili a  ciucile  dipinte  nelle  tombe 
etnische  a  Tarquinia.  I,  .503. 

Balaro  (porto)  (presso  a  liagnara) . 
nel  Bruzio,  I,  301. 

Balbia,  nel  Bruzio,  I,  306. 

Balbilla  (Giulia),  poetessa .  sue  epi- 
grafi sul  colosso  di  Memnuiie,  IN', 
667-668,  919. 

Balbo,  presiede  alla  formazione  del 
catasto  universale,  IV,  51. 

Balbo  di  Ercolano.  —  Vedi  Nonio 
Balbo. 

Balbo  (teatro  di),  incendiato,  IV,  510. 

Balbo  (Cesare),  sue  opinioni  sulle  ori- 
gini italiche,  I,  192-193. 

Baleari  (isole),  vinte,  II,  536-.>37. 

Balezia.  —  Vedi  Vaicnzia. 


Balsamo,  IV,  207,  208. 
Balzelli.  —  Vedi  Imposizioni. 
Banca,  tenuta  a  nome  dello  Stalo  nel 

FOro,  II,  29. 
Banchi  dì  commercio  iu  Oriente,  IV, 

209. 
Bantia  (Santa  Maria  di  Bniiit),  città 

sui  limiti  della  Lucania,   I,  295: 

tavola  osca,  206,  486. 


Bantini,  ricordati  da  una  iscrizione, 
I,  293. 

Baodicea,  regina  degli  Iceni  in  Bri- 
tannia, si  ribella  a  Nerone,  IV,  39C- 
397  ;  sconfitta  si  uccide  dì  veleno, 
397. 

Bara  etrusca,  fatta  a  modo  di  navi- 
cella, I,  50S. 

Barba,  legato  nella  guerra  contro  Mi- 
tridate, in,  339. 

Barcino  (Barcellona),  IV,  .59. 

Barcocheba,  capo  della  sollevazione 
dei  Giudei  contro  Adriano ,  IV , 
684  ;  vince  Tinnìo  Rufo,  684  ;  scon- 
fitto, muore,  685. 

Bardelli  (Gius.),  suo  confronto  della 
lingua  sanscrita  colla  latina,  1, 471. 

Bardetti  (Stanislao),  crede  celto-ger- 
maniche  le  origini  italiche,  I,  190. 

Bardi,  loro  inni,  IU,  426. 

Bardulo  (Barletta),  città  nella  Peu- 
cezia, 1,  349. 

Barea  Sorano,  accusato  e  condannato 
a  morte,  IV,  413-415. 

Bario  (Bai-i),  città  nella  Peucezia,  I, 
34S-.349;  municipio,  IV,  411. 

Barra,  isola  a  Brindisi,  I,  348. 

Barthélemy,  suoi  epigrammi  sull'ori- 
gine troiana  di  Roma,  1,  647. 

Bartoli  (Pietro  Santi),  suoi  disegni 
della  Colonna  Traiana,  IV,  384. 

Basento,  fiume  nei  Bruzi,  I,  305. 

Basilica  di  Costantino  in  Roma,  IV, 
499. 

Basilica  Emilia,  HI,  407. 

Basilica  Giulia,  cominciata  da  O.  Ce- 
sare e  compiuta  da  Augusto,  IH, 
541,  IV,  12. 

Basilica  di  Traiano,  IV,  600. 

Basilicata.  —  Vedi  Lucania. 

Basseo  Rufo  (M.),  alla  guerra  contro 
i  barbari,  IV,  741. 

Basta  (Vaste),  nella Messapia,  rovine 
e  iscrizione  ivi  trovata,  I,  341. 


465  ;  passano  il  Danubio  e  vengono 
in  Tracia,  467  ;  trattative  con  Per- 
seo, 408;  lo  aiutano,  473;  si  uni- 
scono a  Mitridate,  III,  226;  chie- 
dono amicizia  a  Roma ,  IV ,  84  ; 
invadono  l'Impero,  734. 

Bastia  o  Bassia,  moglie  di  Papio  Mu- 
tilo, capo  degli  Italici  sollevati , 
in,  193. 

Baiavi ,  eccita^  a  rivolta  da  Civile , 
IV,  475;  conchiudono  la  pace  con 
Ceriate,  478;  ausiliari  alla  prima 
guerra  dacica,  570. 

Batàvia  (Olanda),  IV,  475;  visitata 
probabilmente  da  Adriano,  639. 


Batillo,  mimo,  IV,  113. 

Batino  (Tordino),  fiume  a  Teramo. 
I,  227. 

Bato  (Bato  Marco),  fiume  del  Bruzio, 
I,  297. 

Baione,  duce  in  Pannonia,  IV,  222. 

Baione,  capo  dei  Dalmati  ribelli,  IV, 
222. 

Battriani,  sorcurrono  Antonio  nella 
giii'rra  civile ,  III,  675  ;  chiedonn 
alleanza  ad  Augusto,  IV,  02;  loro 
coiniiiercio  con  Roma ,  209  ;  loro 
ambasciata,  210;  chiedono  ad  An- 
tonino di  divenire  suoi  sudditi,  71. 

Bauli,   villa   di   Agrippina,   IV,   381, 

Urlili  II  il, Hill  iliiiiostral'incertezza 
.1   I         I  I     I      HI  secoli  della  storia 

I  II         1    I  1    ;  !■  studia  gli  ordi- 

II  iiii.  liti  il.  I  -  .v,'i-no  di  Roma,  647. 
Hclii.mo,  nel  Sannio,  colonia  dei  Li- 
guri, I,  2<i5;   tavola  alimentaria, 
IV,  80:j-S05. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


BOVIANO 


Bebio  (Caio) ,  (ribuuo,  vieta  a  Giu- 
gurta  di  svelare  i  nobili  comperati 
da  lui,  m,  lOS. 

Bebio  (Lucio),  pretore,  ucciso  dai  Li- 
guri, II,  4.-,9. 

Bebio  (M.),  trucidato  da  Mario,  III, 
217. 

Bebio  Massa,  consigliere  di  Domizia- 
no, IV,  539. 

Becula,  in  Spagna,  vittoria  dei  Ro- 
mani su  Asdrubale,  II,  407. 

Bedriaco  (fra  Verona  e  Cremona), 
sconfìtta  degli  Ottoniani,  IV,  447, 
U20  ;  Vitellio  visita  il  campo,  4.51  ; 
i  Yitelliani  vi  sono  sconfitti,  463. 

Beleno,  divinità  dei  Galli,  IV,  56. 

Belgi,  vengono  a  patti  coi  Cimbri  e 
Teutoni,  III,  122  ;  nelle  Gallie,  424  ; 
insorgono,  433-434;  sono  sconfitti 
da  Cesare,  434;  si  sollevano  di 
nuovo,  442-443. 

Belgica,  provincia,  H',  53;  i  presidi! 
parteggiano  per  Vitellio,  441. 

Belisana,  divinità  dei  Galli,  IV,  .^6. 

Belli,  tribù  dpi  Celtiberi,  II,  .532. 

Bello  (prontontorio),  presso  Utica,  II, 
413. 

Bellona,  dea,  IV,  651  ;  suo  tempio,  U, 
294. 

BoUovaci  (Beauvais),  vinti  da  Cesare, 
HI,  434  ;  sconfitti  sulle  rive  dell'Ai- 
sne,  452. 

Belloveso,  biturige,  scende  coi  Galli 
in  Italia,  I,  8S4. 

Beltucadro,  nume  guerriero  nel  Vallo 
di  Adriano,  IV,  652. 

Benaco  [Lago  di  Garda),  lago,  III, 
803. 

Beneficenza,  tempio  edificatole  da  M. 
Aurel-o,  753. 

Benevento,  detta  per  l' innanzi  Male- 
vento,  ci'tà  pelasgica,  I,  80,  259; 
sue  origini,  2C0;  monumenti,  2G1  ; 
fondata  da  Diomede,  351  ;  vittoria 
dei  Romani,  II,  79  ;  colonia  romana, 
205  ;  messa  a  ferro  e  fuoco  da  .\ii- 
nibale,  352  ;  Sempronio  Gracco  vin- 
ce ivi  i  Bruzi,  i  Lucani  e  i  Carta- 
ginesi, 372  ;  le  sue  terre  promesse 
ai  soldati.  III,  607  ;  colonia  militare, 
IV,  43  ;  a  capo  della  Via  Appia , 
607  ;  e  della  Via  Traiana,  607  ;  arco 
in  onore  di  Traiano,  617;  elezioni 
municipali,  788. 

Beozia,  occupata  da  Flaminio,  II,  435  ; 
si  unisce  ad  Antioco,  re  di  Siria, 
444;  i  R.>i„uni  k  iinp.-discoiK.  di 
unirsi  ai  M.i'    'li'iii.    ìM  .   iii-li  ;  ilc-i 

suoi  CÌtl:i'i    .    .    I    :     I,   ;   i:      'i    K    '        ■     |"i' 

esseri'  ^    .  :  I  -         '  i  jli 

Achei  .-o,,-,-,,  ,  l;  ,,,,  :,,k  l-;-  ;m'- 
coglie  Mitridai.-,  Ili,  ■.':i.'  ;  :.Uar- 
rivo  di  Siila  ritorna  alla  parte  ro- 
mana, 234  ;  Siila  vi  distrugge  lo 
città  favorevoli  ai  barbari,  244. 

Herebista,  re  dei  Daci,  sue  scorrerie, 
IV,  .567-568;  cade  vittima  di  una 
sedizione,  568. 

Berenice  {Foul-Bay),  nel  seno  Ara- 
bico, IV,  207. 

Berenice,  regina  di  Calcide,  amica  di 
Tito,  favorisce  la  proclamazione 
di  Vespasiano,  IV,  462  :  viene  a 
Roma  ed  e  rimandata  da  Tito  in 
Giudea,  508. 

Bergamo,  città  degli  Orobii,  I,  66-67, 
la  sua  origine  attribuita  ai  Galli, 
Kbito,  cm-atore  impe- 


■lalo 


.  (;;- 


tare,  IV, 


isi-rizione  ui  unure  di  .Vdriano,  661. 
Bernardo   (Gran  San).  —  Vedi   Peu- 

nino  (monte). 
Br-rn.irdo  (Piccolo  San),   probabilità 


che  Annibale   lo  abbia  traversato 

scendendo  in  Italia,  II,  337. 
Bertaiii  (Antonio),  riferisce  V  etrusco 

al  sanscrito,  I,  482. 
Besidia  (Bisignano),  nel  Bruzio,  I, 

306. 
Betelem  (grotta  di),  convertita  in  tem- 
pio di  Adone,  IV,  683. 
Boterrc   (Beziers),   colonia   militare, 

IV,  .52;   si  chiamò  Julia  Beterra, 

54-55. 
Bethani,  tiene  gli  Etruschi  di  origine 

celtica,  I,  203-204. 
Beli  {frìiadalquivir),  fiume  nella  Be- 

tica,  U,  437,  UI.  294. 
Betica  {Andalusia),  provincia,  IV,  .58  ; 

strade  fattevi  da  Adriano,  655. 
Beulé ,  sua  narrazione  dell'  incendio 

del  Vesuvio.  IV,  513. 


Bi.ii,  i        !       Mrache  l'Etruria 

■  \  ■■  I    1  '        -i  i  principii  della 

Mi:i    .nil;:.,  I.   isr. 

Bibli,,-eca  di  .Alessandria,  II,  537,  lU, 
511;  d'Apollo,  sul  Palatino,  IV, 
151,  188;  del  tempio  di  Giove  Pa- 
nellenio,  ad  Atene,  660;  di  Como, 
inaugurata  da  Plinio  il  Giovane, 
944  :  nel  Fòro  Traiano,  600-601  ; 
presso  il  tempio  della  Pace,  in 
Roma,  499;  di  Pergamo,  II,  537, 
.53  S. 

Biblioteche,  IV,  110-111,  174,  187,  521, 
921. 

Biblns,  in  Siria,  iscrizioni  in  onore 
di  Adriano,  IV,  664. 

Bihracte,  capitale  degli  Edui,  {Avtun 
(I  Mont-Beauvray),  vittoria  di  Ce- 
sare sugli  Elvezii,  III,  431-432; 
mutata  in  .\u;;ust(jduuum,  IV,  54  ; 


alayud),  nella  Spagna  Tar- 
L>,  patria  di  Marziale,  IV, 


R.Ml^, 


904,  90' 
Bingio    (Bin'irn]. 

vi  sono    liili'i-  :    :     1'  •  '    '  I,    -177. 

Birsa,  acrfip   I         «  _  11,511; 

ruderi  d.li       ..'-'. 

Bisellio,  a  Vo.in^-i,  IN,  '/  :. 

Bisso,  IV,  2UG. 

Bitinia,  presa  da  Mitridate,  III.  226; 
lasciata  per  testamento  a  Roma, 
355,  336;  provincia  romana,  .3.53; 
commercio  con  Roma,  IV,  206; 
governata  da  Plinio,  56;?-564;  e 
p.)i  da  Clodio  Albino,  747. 

Bitinii,  alla  battaglia  di  Cheronea, 
III,  2:39. 

Bitter  (pres 

della  rivolta  giudaica, 

Bituito,  re  degli  Arverni,  vinto  dai 
Romani ,  preso  a  tradimento ,  e 
condotto  in  trionfo,  muore  in  car- 
cere, III,  92-94. 

Bitiirigi  (Berry),  incendiano  le  loro 
città.  III,  446  ;  vinti  e  dispersi,  4.52. 

Bizacena,  nell'Affrica  meridionale,  IV, 
655. 

Bizantini,  Claudio  li  allevia  dei  tributi 
per  cinque  anni,  IV,  348. 

liizanzio,  IV,  6<  e  260:  Vespasiano 
le  toglie  la  libertà,  495. 

Bizia;  numida,  rinforza  1"  esercito  dì 
Asdr.ibale,  II,  509. 

Blanda  (Maratea),  città  della  Luca- 
nia, I,  293. 

Blera  (Bìpda),  rovine  etnische,  I,  144. 

Bleso  (Giiniio),  duco  delle  legioni  in 
Pannonia,  IV,  244. 

Blossio,  di  Cuma,  maestro  dei  Grac- 
chi :  sua  devozione  a  Tiberio.  Ili, 
46,  58. 


Bocco,  re  di  Mauritania,  suocero  di 
(iiugurta,  combatte  con  lui  contro 
i  Romani  ;  vmto,  chiede  pace,  con- 
segna il  suocero  a  Siila,  e  ha  in 
premio  una  parte  della  Numidia, 
m,  116-117,  119-120. 

Hocco,  re  di  Mauritania,  figlio  del 
precedente,  parteggia  per  Cesare, 
m,  519  ;  muove  contro  Cirta,  519  ; 
Cesare  gli  ingrandisce  11  regno, 
.5-26. 

Bodotria  (For«t),  golfo,  IV,  526.  710. 

Bogude,  re  di  Mauritania,  fratello  di 
fiocco,  parteggia  per  Cesare,  HI, 
519;  il  c|u;de'  L'ii  ingrandisco  il 
ri>:;ii-.  "-' ;     - -./ril.uisce  alla  vit- 

Boi   11 /.   '  '■■"),   occupato 

d.-l  M,irM!,M<!ii  ..    \\.  ìli. 

Boi,  scendono  in  Italia  e  occupano 
Felsina,  I,  885;  sconfitti  al  lago 
Vadimone,  II,  91-92  ;  ritornano  in 
Etruria  e  sono  battuti,  92;  si  sol- 
levano all'  annunzio  che  le  terre 
dei  Senoni  sarebbero  distribuite  ai 
poveri  romani,  249;  minacciati 
dai  Veneti  e  dai  Galli  Cenoraani, 
249;promett'in  'i''"'':!'!  Xnnibale, 
336;  insorpr^ii  '  .■-:•-■  I; a.  e  so- 
no vinti,  457  usole 
Claudio  Mai-  --lano  i 
dintorni  .li   1-                 1  -  ,  -  ■oulìtti. 


,1,,,,  ,    r'  11-   ai  Cimbri  e 

ni  r,  Il  ,  Il  111  IJI  .  i-iiìigrano  nelle 
Gallif.  430  ;  vinti  a  Bibràcte  da  Ce- 
sare, prendono  stanza  fra  gli  Edui, 
431  ;  le  loro  terre  disertate  dai  Daci , 

Boiorige,  condottiero  dei  Cimbri,  III, 
121;  prende  e  uccide  M.  Aurelio 
Seauro,  12J;  ucciso  a  Vercelli,  134. 

Boia  o  Vola,  (Lugnano),  città  degli 
Equi,  I,  229  ;  presa  e  fatta  colonia 
romana,  864,  8!6;  vittoria  di  Ca- 
millo sugli  Equi,  II,  13. 

Bolani,  1,  527. 

Bolseiia.  —  Vedi  Volsinio. 

Bnmarzo.  —  Vedi  Polimarzio. 

Boijiilcare,  confidente  di  Giugurta,  IH, 
HI. 

Bon  (capo).  —  Vedi  Ermeo. 

Bona  Dea,  adorata  dasli  antichi  Ita- 
lici, I,  96;  misteri,  IH,  403. 

Bonna,  sul  Reno,  IV,  90:  sconfitta 
delU;  legioni,  476. 

Bononia.  —  Vedi  Felsina. 

Borcovicio  (Housesteads).  stazione  del 
Vallo  di  Adriano  in  Britannia,  I\ , 
645;  tracce  di  anfiteatro,  651. 

Borghesi  (B.),  suoi  studi  sulla  storia 
romana,  I,  6'71-675. 

Borghini  (Vincenzo),  sue  ricerche  sulle 
principali  città  d'Etruria,  I,  186. 

Boristene  (Dnieììer),  fiume,  IU;,226 

Boristene,  cavallo  di  Adriano.  IV  ,6*1. 

Bosa.  in  Sardegna,  antichi  ricordi.  II, 
245. 

Bosforo  Cimmerio  (Stretto  di  Caffa 
in  Crimea),  regno.  III,  223;  dato 
da  Claudio  a  un  discendente  di  Mi- 
tridate, IV,  349;  le  tribù  accettano 
l'alleanza  di  Traiano,  615. 

Bos  òro  Tracio  (Stretto  di  Costanti- 
nopoli), sua  violenta  apertura,  1, 
21-2?  ;  Mitridate  ne  diviene  padro- 
ne, III,  228. 

Bùstodori,  cartaginese,  muore  di  fame 
prigioniero  della  moglie  di  Attilio 
Regolo,  II,  2>7. 

Bostra  (Bosra),  sui  confini  d'Arabia, 
afforzata,  IV,  601. 

Botta  (Carlo),  poema  su  Veio,  I,  873. 

Uoviano,  costruita  dai  Sanniti,  I,  255  ; 
capoluogo  dei  Pentri,  2Ò7  ;  asse- 


982 


BOVIANO 


INDICE 


BRUTIDIO 


CALE 


It. 


diata  dai  Romani,  II,  63  ;  i  Sanniti 
vi  sono  sconfitti,  77  :  presa  dai 
Romani,  "9  ;  vi  si  riunisce  la  Dieta 
italica.  III,  1?0  ;  presa  e  sacche^- 
eriata,  193  ;  ripresa  da  Ponipedio 
Silonc,  193  -,  devastata  da  Siila.  266. 

Boviano  degli  Undecimani,  stanza 
della  undecima  legione,  I,  237. 

Bovine  (presso  alle  Frattocchie),  città 
del  Lazio,  ro\'iiie,  I,  543  ;  fa  guerra 
.1  Roma  per  i  Tarquinii,  6:$!  ;  pre- 
sa da  Coriolano,  791  ;  zuffa  fra  i 
seguaci  di  Milone  e  i  Clodiani.  Ili, 
4ÌÌ  ;  elezioni  municipali,  IV,  787  ; 
Vedi  anche  233,  47J. 

Bracarum  oppidum  {lìragp^,  IV.  60. 

Braciere  etrusco,  scoperto  a  Vulci, 
I,  432. 

Brad.ino,  nella  regione  Mctapontina, 
fiume,  1,  324. 

Bratuspantium,  capitale  dei  Bellovaci, 
IV.  54. 

Bremenio  (Higìi  Socheste)-),  lY,  654. 

Brennero,  monte,  IH,  131. 

Brenno,  titolo  con  cui  i  Galli  designa- 
vano i  loro  duci,  I.  890,  S0.->,  89G. 

BresccUo,  vi  si  uccide  Ottone,  IV, 
447-448. 

Brescia,  la  sua  origine  è  attribuita  ai 
Galli,  I,  ^;  colonia  militare,  IV, 
43  ;  rudm  del  tempio  cretto  da 
Vespasiano.  SUO-ìOl  ;  e  statua  della 
Vittoria,  501-"03;  iscrizione  ali- 
mentaria, 807-,  lodata  per  severo 
costume,  829. 

Brettoni.  —  Vedi  Britanni. 

Briganti  (lago  dei)  (Lago  di  Costan- 
za), IV,  1«. 

Briganti,  popoli  della  Britannia,  re- 
pressione della  loro  rivolta,  IV, 
710. 

Brindisi.  —  Vedi  Brundusio. 

Britanni,  soccorrono  le  tribù  dell'Ai'- 
niorica.  III,  439;  vinti  da  Cesare, 
.  440,  441;  e  da  Claudio,  IV,  345; 
nuove  sollevazioni  e  sconfitte  sotto 
Nerone,  346,  M\  39.V307  ;  minacce 
di  guerra,  627  ;  vinti  da  Ulpio  Mai-- 
cello,  769. 

Britannia  (isola).  III,  439  ;  .Vugusto  fa 
il  progetto  di  ridurla  a  provincia 
romana.  IV,  84-85;  commercio  con 
Roniii,  202  ;  vittoria  e  trionfo  di 
Claudio.  345-347  ;  i  presidii  di  que- 
sta provincia  parteggiano  per  Vi- 
tellio,  441  ;  Giulio  Agricola  accerta 
che  e  un'isola,  527;  visitata  da 
Adriano,  (!:«,  631;  guerra  e  vitto- 
ria sotto  Antonino  Pio,  70^-709  ; 
e  ricordi  di  esso,  715 ;  solleva'ioiii 
sotto  Marco  -Vurelio.  727;  provin- 
cia, 782;  vi  stanziano  tre  legioni, 
783  ;  e  un"  annata  navale,  783. 

lirilannico,  figlio  di  Claudio  e  di  Mes- 
salina, IV,  360;  a  suo  danno  Ne- 
rone fc  adottato  da  Claudio,  370, 
371  ;  Agr  ppina  lo  da  in  mano  a 
gente  venduta,  371;  Claudio  gli 
promeUe  la  toga  virile.  371;  fatto 
uccidere  di  veleno  da  Nerone,  380. 

B.-on/.o  (opere  in),  etrusche,  I,  431- 
432. 

Brucia  (presso  Nagy-Enyed],  nella 
Dacia,  IV,  .580. 

lirneteri,  sottomessi  da  Tiberio,  IV, 
•2:1  :  l.,n.  sedi,  226. 

liruiidosiu  {Iirindisi),  città  e  porto 
mila  Messnpia.  1,  3I4-'!4«;  emporio 
e  arsenale  di  Roma,  345;  fondata 
da  Uiomede,  351  ;  occupata  dai  Rv 
mani.  II,  205;  colonia  romana.  205  ; 
predata  dai  pirati.  111,  3.51  ;  Cice- 
rone vi  si  in  barca  per  la  Macedo- 
nia, 419;  e  vi  ritorna,  422;  vi  si 
ivca  l'uiupeo,  488  ;  vi  si  raccolgono 
le  truppe  di  Cesare,  495;  Antonio 


accoglie  le  legioni  che  tornano  di 
Macedonia  58S;  e  vi  chiama  Otta- 
vio, 617  ;  assediata  da  Antonio, 
G42  ;  pace  di  Antonio  con  Ottavio, 
G42-643  ;  vi  muore  Virgilio,  IV,  130  ; 
vi  sbarca  Agrippina  con  le  ceneri 
di  Germanico,  267  ;  tentativo  di 
guerra  serrile,  277  ;  accoglienze  a 
Vespasiano,  438-489  :  termine  della 
Via  Appia  e  della  Traiana,  607  ; 
liberalità  di  Traiano,  609  ;  vi  sbar- 
ca Marco  Aurelio,  749. 

Brutidio  Nigro ,  retore ,  narratore 
della  morte   di  Cicerone,  IV,  918. 

Brutulo  (Papio),  sannite,  si  uccide 
per  non  esser  cousegu.ito  ai  Ro- 
mani, II.  60. 

Bruzi.  loro  sedi,  I,  296-306;  loro  lin- 
gua, 485  ;  sono  costretti  a  chieder 
pace  ad  Agatocle,  II,  187  ;  sòrti  in 
nazione  indipendente  dominano  la 
parte  estrema  d'Italia,  188  ;  in  guer- 
ra con  Taranto,  188  ;  e  con  Turio, 
189:  aiutano  Taranlo  contro  i  Ro- 
mani, 191  ;  vinti  e  sottonìessi  da 
Roma,  201,  20J;  si  uniscono  ad 
.Vimiljale  dopo  la  battaglia  di  Can- 
ne, 36  i;  prendono  Crotone,  366; 
vinti  da  Sempronio  Gracco  a  Be- 
nevento, 372  ;  esclusi  dalla  milizia 
e  condannati  a  servire  i  magistra- 
ti, 426-427  ;  si  uniscono  alla  lega 
italica.  III,  172  ;  hanno  colla  Lu- 
cania un  giuridico,  IV,  73S. 

Bruziano    (seno)   (Golfo  di    Gioia) , 

I,  :JOO. 

Bruzio  (il),  I,  285-286,  2nG-'^05  ;  dan- 
neggiato da  Amilcare  Barca,  II, 
235;  fa  parte  di  una  delle  resrioni 
d'Italia  sotto  Au  ^usto,  IV,  42  ;  e 
sotto  Adriano,  636. 

Bruzio  (Capo  delle  Armi),  promon- 
torio, I,  305. 

Bruzio  Presente,  padre  di  Crispina 
moglie  di  Comniodo,  IV,  749. 

Bruzio  Sura.  lezato  del  pretore  di  Ma- 
cedonia, vince  a  Demetriade  e  a 
Cheronea  Archelao  e  Aristione,  III, 
2.34. 

Buca  (Petiìia),  città  dei  Frentani,  I, 
254. 

Buccone ,  maschera  nelle  Atcllane, 

II,  647. 

Bucoli  (i)  di  Egitto,  repressi  da  Avi- 
dio  Cassio,  IV,  745. 

Bulla  aurea,  I,  693. 

Bunseii.  ripruduce  gli  argomenti  di 
Si',,1  I-  .   -liM  ,  Il   teoria  dei  monu- 

:      I,    104. 

i  l>  .).  fa  venire  gli 
il...  I,  187. 

iii.i,  loro  nullità.  III, 
accarezzano  Clodio, 


Bu. 


490.  IV, 


392-393,  394  ; 
471. 

Buono   Evento,   divinità, 
6.52. 

Burli,  stanziati  presso  il  Tibisco,  in- 
viano ambasciatori  a  Traiano,  IV, 
.571-572;  invadono  l'Impero,  734; 
protetti  dalla  pace  di  Commodo, 
768. 

Burro  Afranio,  Agrippina  gli  fa  dare 
il  comando  dei  pretoriani,  IV,  371  ; 
governatore  di  Nerone,  374-378; 
sua  guerra  ad  Agrippina,  378-379; 
la  «sa  ina  accu'  ata  di  cospira- 
zione, 381-382  ;  suggerisce  che  Ani- 
leta  la  iiifi(l;i.  385  ;  manda  congra- 
1  il  I  1  11:  I  .\  iMiie  matricida,  357; 
•  il    iv  Nerone  citaredo, 

I  ivvelenare,  389. 

BllMii'MM,    !-.:.,■,   -11,..    IV,    ^19. 

Hiiss.MiM,  liiiijM'  in  Lucania,  I,  288. 
Bussenio,  cilta,  detta  dai  Greci  Pvxus 

(presso    l'ohcantro),    1,   288,  293; 

colonia,  II,  20",  427. 


Busta  Gallica,  nome  del  luogo  dove 
i  Galli  bruciarono  a  Roma  i  cada- 
veri dei  loro  compagni,  I,  893. 

Butroto  (iVofito),  fiume  presso  Locri, 
I,  313. 

Butunto  (Bitoiìto),  nella  Peucezia,  I, 
349. 


Cabala,  in  Sicilia,  battaglia  fra  i  (Car- 
taginesi e  Dionisio  di  Siracusa,  li, 

Cabani  (?),  fanno  guerra  a  Roma  per 
i  Tarquinii,  I,  631. 

Cabellio  (Cavailloìi).  nella  Gallia  me- 
ridionale, colonia  romana,  IV.  53. 

Cabiensi,  sacerdoti  delle  Ferie  latine, 
I,  .54J-549. 

Cabira  (Nihsar),  in  Asia,  sconfitta  di 
Mitridate,  IH,  :539. 

Cabiri,  Dei  misteriosi  di  Samotracia 
portati  in  Italia,  I,  87,  91-93,  96, 
98,  389,  :591,  IV.  261.  —  Vedi  Com- 
plici,  e  Consenti. 

Cabum  (Cavi  o  Cavo),  città  del  monto 
Albano,  I,  .549. 

Cacce  di  fiere,  IV,  105. 

Cacio  di  Bitinia,  IV,  206. 

Caco,  sua  morte,  I,  5-28-530. 

Cadurci  (Département  dii  Lot).  Ili , 
453. 

Canritum  tabulae,  II,  264. 

Caesaraugusta  (Saragozza),  IV, 


Calcino  (Ariifndolea),  fiume  della  Lo- 
cride  nella  Magna  Grecia,  I,  315, 

C&ieXB.  (Gaeta),  1,210,211;  preilata 
dai  pirati.  III,  331  ;  porto  ricostrui- 
to da  Antonino,  IV,  701. 

Caio,  nipote  di  .\ugusto,  IV,  77;  fi- 
glio di  Giul-a  e  di  Agrippa,  214  ; 
adottato  da  Augusto,  214;  va  in 
Oriento  contro  i  Parti,  219;  muore 
ferito  in  Licia,  219. 

Calabria.  —  Vedi  Messapia. 

Calacte,  città  di  Sicilia,  fondata  da 
Ducezio,  II,  163. 

Calagurri  (Calahnrra),  nella  Spagna 
Citeriore,  vittoria  di  Sertorio,  III, 
299;  resiste  disperatamente,  302; 
patria  di  Quintiliano,  IV,  871 

Calamazio  (Monte  Capaccio),  in  Lu- 
cania, I,  286. 

Calari  (Cagliari),  ricordi  delle  antiche 
genti  stanziate  in  Sardegna,  II , 
24'i;  punita  da  Cesare,  IH,  .526. 

Calazia,  detta  Caiazia  nelle  iscrizioni 
(Cniazzo),  città  dei  Sanniti  Cau- 
dini ,  I,  261,  2Sl  ;  in  potere  di  Ro- 
ma, II,  63;  ucciso  dai  Sanniti  il 
presidio  romano,  II,  76  ;  iscrizione 
alimentaria,  IV,  807. 

Calazia  (Le  Gallazze  presso  Madda- 
Inni),  città  della  Campania,  I,  278, 
281  ;  sta  con  Annibale  dopo  la  vit- 
toria di  Canne,  II,  364  ;  presa  dai 
Romani,  391  ;  Ottavio  ne  tira  a  si! 
i  veterani.  III,  .589. 

Calcedon'a,  in  Bitinia,  vittoria  di  Mi- 
tridate sul  console  Cotta,  III,  33S. 

Calcide,  nell'  Eubea ,  sorpresa  e  non 
potuta  tenere  dai  Romani,  II,  4:53; 
presa  o  presidiata  e  poi  lasciala 
libera  da  Flaminio,  43i,  441;  visi- 
tata da  Paolo  Emilio,  452  ;  si  luii- 
sce  agli  Achei  contio  i  Romani, 
497  ;  saccheggiata  e  cruJelmeute 
straziata,  472,  499,  .5.52. 

Calcidesi,  luoghi  da  essi  abitati  in  Ita- 
li.!. I,  310. 

Cale  o  Caleno  (Calvi),  città  degli  Au- 
.soni.   I,  210;  rovine,  212;  agro. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


CALEDONI 


CALPURNIO 


267,  269;  colonia  romana,  II,  52, 
53,   268;    dichiava  che    non   può 
soccorrere  Roma,  303,  394. 
Caled-ni    tV-M-fi  dn   Sesto  Calpurnio 

Cai.  •'■  .issalita  da  Giulio 

A-  1  ,       .';;  strade  al  monte 

'-■  limi'  ' ,  J-' -JiT  ;  girata  dalle 
navi  (li  Agricola,  527;  guerra  con- 
tro Adriano ,  639-640  ;  Vallo  di 
Antonino  Pio,  710. 

Calcia  (presso  a  Casacalenda],  l'occa 
dei  Krentani,  I.  2.'54. 

Calendarii,  Vespasiano  fa  correggere 
quelli  bruttati  dall'adulazione,  IV, 
921. 

Calendario,  Aniiternino,  I,  219  :  AUi- 
l'ano ,  238  ;  riformato  da  Numa, 
587  :  riformato  da  Flavio  col  se- 
S-narvi  1  giorni  fasti,  U,  278;  ri- 
formato da  Cesare,  III,  539-340. 

Caleno.  —  Vedi  Cale. 

Caletra,  città  d'Etruria,  I,  160. 

Calidio  (M.),  oratore.  III,  702,  703. 

Caligola  (Caio  Cesare),  figlio  di  Ger- 
manico e  di  Agrippina,  tenuto  as- 
sediato in  Germania  dalle  legioni 
sollevate,  IV,  246  ;  in  sua  gioventù 
.amato  dal  popolo,  301;  destinato 
a  succedere  a  Tiberio  ,  313-315  ; 
sospettato  di  aver  dato  veleno  a 
Tiberio,  313-316;  gli  recita  lora- 
zioue  funebre,  317  ;  proclamato  im- 
peratoi'e,  317  ;  rende  pietosi  onori 
alla  madre  e  ai  fratelli  spenti  da 
Tiberio,  317  ;  liberale  governo  nei 
primi  mesi,  318  ;  spettacoli  e  feste, 
318-319;  sua  malattia,  319-320; 
cambiato  in  bestia  feroce,  320  ;  uc- 
cisioni di  parenti  ed   amici ,    321  ; 


le  glorio.  :;j;  i.i  :  :•:',  .  -  -  i  - 
possibili.  :;-'"".  :  p  i~----:  i!  I  \if  ,- 
fale  sul  pMiiti-  ili  i;;iia  ,  :;-.'•-  ;>ij  ; 
dispersione  ili  tesori  in  edilìcii  e 
follie,  326;  rapine  in  Italia,  327; 
spedizione  e  buffonate  sul  Reno , 
328  ;  ruberie  nelle  Gallie,  329  ;  spo- 
.!jlie  dell'Oceano,  329;  minacciato 
dalle  legioni  del  Reno  torna  in 
Italia .  32'^-33n  ;  nuove  crudeltà, 
.330-351  ;  suo  ritratto,  .331-3.32 ;  met- 
te se  s.jpra  tutti  gli  Dei  ,  333- 
334:  congiure  coiitro  di  lui,  :!!!- 
335;  e  ucciso,  33";  ;  pensò  al  ta- 
glio dell'istmo  di  Corinto.  420; 
suoi  studi  e  persecuzioui  agli  .scrit- 
tori, 8<;.'5-366. 

Calippo,  d'Atene,  uccide  Dione,  li,  179. 

Callaici  (Galizia),  sottomessi.  II,  531. 

Callicrate,  di  Acaia,  traditore,  II,  486. 

Callife,  città  dei  Pentri,  I,  25T;  presa 
dal  console 'L.   Cornelio   Lentulo  , 

II,  57. 

Callipoli  (Gallipoli),  nei  Campi  Salen- 
tini,  I,  337;  colonia  greca.  II,  119. 

Callisto,  liberto  di  Claudio,  IV,  342, 
366. 

Calore,  fiume,  negli  Irpini,  1,  242, 
263,  264,  268,  287-2jS8. 

lalpo,  figlio  di  Numa,  I,  588. 

•  alpurni.a,  famiglia,  I,  581 

Calpurnia,  moglie  di  Giulio  Cesare, 
UI,  412,  5)4,  356,  573. 

Calpurnia,  matrona,  esiliata,  IV.  269. 

Calpurnio  Agricola  (Sesto),  frena  i  Ca- 
ledoni,  IV,  727. 

Calpurnio  lìestia  (L.),  console,  con- 
chiude turpe   pace  con  Giugurta  , 

III,  Iu7  ;  6  condannato,  109  ;  va  in 
esilio  volontario  dopo  la  uccisione 
di  Livio  Druso,  167. 

Calpurnio  Bestia  (L.),  congiura  con 
Catiliaa,  lU,  373. 


Calpurnio  Bibulo  (Ma  co),  collega  di 
G.  Cesare  nell'edilità.  III,  357;  e 
poi  nel  consolato,  407;  contrasta 
alle  leggi  agrarie  e  corre  pericolo, 
408-409;  sue  vane  resistenze,  410; 
pi'opone  che  Pompeo  sia  console 
senza  collega,  472;  comanda  il 
naviglio  di  Pompeo,  496  :  distrugge 
le  navi  di  Antonio  e  di  Caleno,  e 
muore,  497. 

Calpurnio  Crasso,  ucciso  per  cospira- 
z  one  contro  Traiano,  IV,  623. 

Calpurnio  Fiamma ,  salva  in  Sicilia 
l'esercito,  li,  218. 

Calpurnio  Pisone  (L.) ,  governa  male 
la  gueiTa  contro  Cartagine,  U,  509. 

Calpurnio  Pisone  (L.),  pretore,  bat- 
tuto dai  Lusitani,  II,  526. 

Calpurnio  Pisone  (C),  sconfitto  dai 
Celtiberi,  II,  453;  console,  avvele- 
nato dalla  moglie  e  dal  figliastro, 
.331. 

Calpurnio  Pisone  (L.),  ucciso  dai 
Tigurini.  Ili,  123. 

Calpurnio  Pisone  (C),  console,  con- 
trario all'  autorità  illimitata  che 
vuol  darsi  a  Pompeo  contro  i  pi- 
rati, III,  332:  combatte  le  leggi 
proposte  dal  tribuno  C.  Cornelio, 
33.3-336. 

Calpui-nio  Pisone  (Gneo),  congiura  con 
Catilina,  III,  33G;  mandato  alla 
pretura  di  Spagna,  336. 

Calpurnio  Pisone  (Lucio),  suocero  di 
Cesare,  eletto  console.  III,  412; 
comprato  da  Clodio,  418;  fa  tra- 
sportare al  Fóro  il  cadavere  di  Ce- 
sare, 573  ;  inveisce  contro  Antonio, 
581  ;  inviato  ad  Antonio  a  Modena, 
593. 

Calpurnio  Pisone  (Gneo),  governatore 
fl»!ì!i  Sii-in  .  r-  in--M'i'-:>t.'  di  sorve- 
L  ì«-i  ■'■  i,.-i.  ■.  n.-  .  ,  ,  .  ,  .  I  mastra 
■•r  l\      '-.  ■    ■j';i-262; 

'-■,•,■•(,,•  ,   i    ..rriine  di 

nl-li;iMil-.iriri'  l:i  mm:i  •,'  i:!;  attende 
la  sua  riiort-  della  cibale  è  incol- 
pato, 2t!3,  265;  ribelle,  è  vinto  e 
mandato  a  Roma,  265-266  ;  accuse 
contro  di  lui,  268-269  ;  sua  morte, 

Calpurnio  Pisone  (Marco) ,  figlio  del 
precedente,  IV,  269.* 

Calpurnio  Pisone  (Lucio),  abbandona 
sdegnato  la  Curia,  IV,  282. 

Calpurnio  Pisone  (L.),  pontefice,  ri- 
cordato come  rarità  di  uomo  chia- 
rissimo, finito  di  morte  naturale 
sotto  Tiberio,  IV,  307. 

Calpurnio  Pisone  (C),  Caligola  gli  to- 
glie la  moglie  e  lo  esilia,  IV,  324  ; 
pare  quello  stesso  che  poi  sta  a 
capo  della  grande  congiura  contro 
Nerone,  e,  scoperto,  si  svena,  403- 
401 

Calpurnio  Pisone  Frugi  (L.),  annali- 
sta, I,  638,  6S4,  li,  610;  console, 
combatte  gli  schiavi  rivoltati  in 
Si.ilia,  111,  40-41. 

Calpurnio  Pisone  Frugi  Liciniano  (L.), 
adottato  da  Galba,  IV,  433  ;  con- 
giura di  Ottone  contro  di  lui,  4'36- 
437  ;  è  fatto  a  pezzi,  438. 

Calvario  (monte),  statue  di  Venere  e 
Giove,  IV,  686. 

Calvisio  Sabino  (C),  comandante  la 
flotta  di  Ottavio,  è  vinto  a  Cuma, 
111,  630-631  ;  muove  in  soccorso  di 
Ottavio,  632. 

Calvisi"  Tiiiiivi,  lii.isiifo,  maestro  di 
\m\.,  (..Ih  .    I\  .  '.'!'). 

Cam  i!  niine  di   Terra- 

-       i  in  Sicilia,  II, 

ll>i.  1::      <;hm    Iiiunisio  contro  i 

Cartaginesi,  166;   e  Dione  contro 

Dionisio  il  Giovane,  178  ;  ò  presa 


dai  Romani:  218  ;  la  flotta  romana 
distrutta  ai  suoi  scogli,  232. 

Carnars.  —  Vedi  Chiusi. 

Camart  (capo),  presso  Cartagine,  II, 
512. 

Camasene,  sorella  di  Giano,  I.  379. 

Cambuni  (monti),  in  Macedonia,  li. 
473. 

Carneria,  fondata  dagli  Aborigeni  (ft-a 
Tivoli  e  Vicovaro),  1,  561  :  vinta 
e  riunita  a  Roma,  582  ;  sottomessa 
da  Tarquinio  Prisco,  599. 

Camerino  o  Camerta,  città  degli  Um- 
bri, 1,  65-66  ;  i  Galli  vincono  ivi 
una  legione  romana,  II,  81. 

Gamico  (Naro),  detta  reggia  di  Cocalo. 
in  Sicilia,  lì,  104. 

Camini,  assistenti  ai  sacerdoti,  I,  411. 

Camillo.  —  Vedi  Furio. 


32;  rovine,  525-526;  topografia, 
536-537. 

Campania,  I,  266-283  ;  presta  soccorsa 
ai  Sidicini  contro  i  Sanniti  ed  è 
vinta,  li,  38-31;  chiede  aiuto  a 
Roma  sottomettendosi,  39;  si  uni- 
sce ai  Latini  contro  1  Sanniti,  42, 
44  ;  si  arrende,  48,  .32  ;  ritorna  sotto 
la  dipendenza  dei  Romani ,  6i  \ 
danneggiata  da  Amilcare  Barca, 
233  ;  invasa  da  Annibale,  332  ;  dopo 
la  presa  di  Capua  è  ridotta  a  mi- 
serissimi  termini,  391  ;  sottomessa 
da  Siila,  III,  192  ;  eccitata  alla  ri- 
volta dagli  emissari!  di  Catilina, 
375;  Cesare  propone  di  distribuirne 
le  terre  ài  cittadini  poveri,  40S; 
sollevata  da  Rufo  e  Milone,  514  ; 
forma  col  Lazio  una  regione  d'I- 
talia, IV,  42  ;  devastata  da  trombe 
di  venti,  428  ;  Lucio  Vitellio  è  man- 
dato a  frenarla,  469,  473;  danni 
sofferti  dall'incendio  del  Vesuno, 
510, 511  ;  vie  restaurate  da  Traiano, 
609  ;  visitata  da  Adriano,  636  ;  fa 
p.arte  di  una  delle  quattro  regioni 
sotto-  Adriano,  636  ;  le  sue  città 
sono  soccorse  da  Adriano,  637  ; 
visitata  da  Antonino  Pio,  699  ;  non 
ha  giuridico,  738;  mollezza,  829. 

Campi  Cecubi,  in  Campania,  I,  267. 

Campi  di  Diomede,  in  Apulia,  I,  331. 

Campi  Elisi,  descritti  da  Virgilio  nella 
Campania,  I,  26,  270;  nei  monu- 
menti etruschi,  514-513. 

Campi  Flegrei,  in  Campania,  I,  23-27. 

Campi  Magni,  in  Affrica,  vittoria  di 
Scipione  II,  41,5. 

Campi  Putridi  (Pourriéres),  111,  l:J0. 

Campi  Salentini,  I,  335-340. 

Campi  Stellati,  in  Campania,  I,  267: 
devastati  dai  Sanniti,  II,  76. 

Campi  Taurasini,  negli  Irpini.  I,  265. 

Campidoglio,  difeso  contro  i  Galli,  I, 
892-895  ;  è  assaUto  da  Appio  Er- 
donio,  824  ;  afforzato  di  grandi  su- 
struzioni,  II,  10-11  ;  si  decreta  che 
nessun  patrizio  possa  abitarvi,  19  ; 
colpito  da  un  fulmine,  249  ;  pittura 
della  vittoria  di  Scipione  sull'Asia, 
604  ;  incendiato.  III,  252  ;  grande 
cdifizio  del  Tabularlo,  286  ;  abbel- 
lito da  Cesare,  337  ;  statua  in  onore 
di  lui,  533  ;  ornamenti  di  Augusto, 
IV,  192,  194;  magnificenze,   197; 

«.<.,,    J-:   I7:*«ii;«^r    j-ri\     jrj      j-re  . 


fatti  di  M.  Aurelio,  717, 
736,  749,  750,  7.34,  764,  765;  puli- 
blico  archivio  ristabilito  da  Vespa- 
siano, 921. 

Campo  detto  di  Annibale,  sul  Monta 
Albano,  I,  547. 

Campo  Marzio,  per  la  sua  origine  e 


INDICE 


CAMULO 


CAPITULO 


CARTAGINE 


destinazione,  pei  suoi  templi,  teatri, 
nionume  ti.  sepolcri  e  altri  Rranrli 
edìtizi.  I,  622.  HI,  281,  46»,  6?7,  68S, 
IV,  26,  It^-ire.  196,  198,  213,  236, 
253,  268,  604,  C70. 

Camulo,  Marte  dei  Galli,  IV,  '>6. 

Camuloduno  (Colch''ster),  capitale  dei 
Trinobanti,  presa  da  Claudio,  IV, 
345  ;  colonia  romana,  346,  360  ;  as- 
salita, 396.  .     . 

Omale  dal  lago  Avemo  ad  Ostia,  in- 
cominciato da  Nerone,  IV,  402. 

Canale  tra  la  Mosae  il  Reno,  lY,  348. 

Canale  tra  il  Nilo  e  il  mar  Rosso,  IV, 
610.  .       .  ^ 

Omdace ,  refrina  defrli  Etiopi ,  vinta 
dai  Romani,  IV,  87. 

Candelabro  del  tempio  di  Gerusalem- 
me, IV.  491,  492. 

Candidati  alle  elezioni  municipali,  1\  , 
787. 

Cane  trifauce.  in  Etruria,  I,  39.". 

Canidio  Crasso  (P.),  legato  di  .\ntoiiio, 
vince  gli  Iberi  e  jrli  Albani ,  IH , 
662-,  assiste  dal  lido  alla  batlaglia 
navale  di  Azzio,  676;  abbandona 
l'esercito,  678-679-,  ucciso  da  Otta- 
vio, 687. 

Canina  Lui^'i,  notò  1"  analofria  fra  i 
monumenti  etruschi  e  quelli  di  l/i- 
(lia,  I.  119;  suoi  studi  archeologici, 
678-679. 

Caninefati,  sottomessi  da  Tiberio,  IV, 
221. 

Caninio  Rufo,  suo  poema  sulle  guen-e 
dacichc,  IV,  .■>83,  915. 

Canne,  vii-o,  I,  :5:)6  ;  brxttafrlia  di  que- 


Cano  C,  ;:   >      ,  i   i'..,  ucciso  «la 

Calii'-li.  1\     ~'l    ^'•'i- 

(jinopo,  ruta  li  l'.LTiuo.  IV,  262. 

Cantabri,  loro  sollevazione,  IV,  78; 
vinti  e  sottomessi  dai  legati  dì 
Augusto.  8,")-87. 

Cantenna,  monte  in  Lucania,  I,  286. 

Canti  popolari,  composero  e  alterarono 
le  prime  storie,  I,  644  ;  sulla  anti- 
ca storia  romana,  663;  sui  primi 
re,  664;  sui  Tarquinii,  sulla  rivo- 
luzione, 665. 

Canti  dei  Sabini.  I,  464. 

("alili.  —  Vedi  Bardi,  Canzoni,  Carmi. 

Caiiuleio  (C),  tribuno,  fa  annullare 
la  legge  che  vieta  i  connubii  fra 
patrizi  e  plebei.  1,  854. 

C^iimsio  (Ca/iosa),  in  Ap.ilia,  fondata 
da  Diomede,  I,  3">1  ;  rovine,  3")3- 
:t'4;  iscrizioni,  355;   occupata  dai 

Il ani,  H,  66;  ricovera  i  soldati 

sr-riiintli  a  Canne,  358,  360;  scon- 
tiij  di  Claudio  Marcello  con  Anni- 
bale, 394;  pr  -  -Vi  li  l'iìin,  IH, 
181;  assoli:.!.  !•''  '"  "i«- 
Uràre  della  i  i  '  l  "-  1'''';  la 
città  era  su  li   \  .  ^    1 iiii7. 

lanzio  (K«t«),  iii  liia.uu.ia,  \i  sbarca 
Cesare,  III.  44". 

Canzoni  militari  dei  Volsci,  I.  464. 

Caoni  o  Choiii,  tribù  pelasgica,  1, 72, 80. 

Capena  (presso  J.i'prig nano),  1.  135  ; 
necropoli  etrusca,  139;  soccorre 
V.'if.  assediata,  871-872.  876;  presa 
dai  Romani,  880  ;  riceve  il  diritto 
della  cittadinanza,  II,  12. 

Capcna  (porla),  sepolcro  degli  Sci- 
pioni,  IH.  «i3. 

Capelli  (cirnmercio  dei),  IV.  202. 

Capitolili. I  (colle),  I,  528,  566,  605,  614, 
724,  IV.  .599. 

i;(pii..lÌM'i  (Giulio),  sua  biografia  di 
Antonino  Pio,  IV,  fiOS. 

I  iipiic —  Vedi  Ateio  Capitone. 

Capitone  Cossuziano,  premialo  per  le 
accuse  a  Trasea  e  a  Sorano,  IV. 
414,  415. 


Capitulo  (Il  Piglio) ,  luogo  degli  Er- 
nici,  I.  231.  ,.„.,. 

Capizìo  [Capizzi),  dimora  dei  Sicuh, 
n,  106. 

Cappadocia.  chiede  l'alleanza  romana, 
II,  492;  Ariobarzane,  rimesso  in 
trono  da  Roma,  IH,  156,  226,  227  ; 
aiuta  Antonio  contro  Ottavio,  67o  ; 
ridotta  a  provincia,  IV,  258,  782  ; 
Germanico  la  sgrava  di  alcuni  tri- 
buti, 261  ;  devastata  dagli  Alani, 
663  ;  governata  da  Stazio  Prisco, 
728. 

Caprasia,  nel  Bruz.io,  I,  30G. 

Capri  (isola  di),  rovine,  1,2,6-277; 
amenità  del  Uioj^o,  lY,  291-292  ; 
edifici i  .li  \iu'i-!  ',  '-'"i-:  e  di  Tibe- 


i;,;,,-       ,    /,         I.   iiiuulc,  in  Sicilia, 

1  ii.r  nazione  natalizia  di 

.Vu,...~.t>j,  1\-  ii'l,  230. 

Capsa,  città  della  Numidia,  incendiata 
da  Mario.  HI,  117. 

Capua,  detta  prima  Volturno ,  città 
etrusca,  I,  128;  capitale  della  Cam- 
pania, 278-281  ;  i  Sanniti  vi  fanno 
.strage  degli  Etruschi,  883;  vittoria 
dei  Sanniti  sui  Campani,  H,  38; 
perde  le  terre  dell'agro  Kalerno,  4S  ; 
<•  obbligata  a  pagare  una  pensione 
ai  cittadini  che  l'hanno  abbandona- 
ta, 48  ;  riceve  la  cittadinanza  roma- 
na senza  voto,  51  ;  i  Romani  fanno 
processo  ai  cospiratori  i  quali  si 
uccidono,  67  ;  Pirro  tenta  di  pren- 
derla, VM  ;  si  dà  ad  Annibale  dopo 
la  battaglia  di  Canne,  364  ;  uccisi 
dai  àttadini  i  Romani  hi  stan- 
ziati, 364  ;  sue  nioUez  e  e  deli/ie, 
364-365  ;  assediata  dai  Romani,  387  ; 
si  arrende,  389-390;  ferocia  del 
vincitore .  SPO-S^l  ;  Caio  Gracco 
pensa  di  ripopolarla,  HI,  77-78; 
rivolta  degli  schiavi,  137  ;  colonia 
romana,  410;  visi  rifugia  Pompeo 
col  Senato.  48G-4.S7  ;  Ottavio  tira 
a  si;  i  veterani,  589;  le  sue  terre 
promesse  ai  soldati.  607  ;  colonia 
militare,  IV,  43,  375;  tempio  di 
Giove,  290;  ricordo  di  Adriano, 
637  ;  iscrizione  ad  Antonino,  716  ; 
anfiteatro,  795;  iscrizione  alimen- 
taria, 807. 

Caracenì,  tribù  sannitica,  I,  244  ;  loro 
sedi,  256. 

Caracia  o  Caricia,  città  dei  Sanniti, 
1,  25G. 

Carattaco,  re  dei  Siluri  in  Britannia, 
preso  e  condotto  a  Roma,  IV,  346- 
347,  368. 

Carbina,  città  della  Messapia,  distrut- 
ta dai  Tarentiiii,  1,  316-347. 

Carburanceli  (grotta  di),  in  Sicilia,  II, 
104. 

Carcassona,  aiuta  P.  Crasso  contro 
gli  Ibeii,  III,  436. 

Carcere  preventiva,  introdotta  dur.an- 
tc  l'Impero,  IV,  812. 

i:arcere  Mamertino,  I,  .597,  HI,  386. 

Carcere  Tulliano,  I,  597,  HI,  386;  vi 
muore  Giugurta,  120. 

Carestia,  IV,  21,  703,  703,  77.5-776, 
777,  801. 

Caria,  data  in  parte  ai  Rodiani,  II,  452  ; 
unita  alla  provincia  di  Asia,  539. 

Carirl,.,  medico  di  Tiberio,  IV,  316. 

l'annate  (C.),  legato  di  Carbone,  non 
viene  a  soccorrere  il  giovane  Ma- 
rio, 111,250;  marcia  contro  Roma, 
2.58;  vinto  e  ucciso,  259. 

('.•irine,  contrada  di  Roma,  IH.  619. 
IV,  400. 


Carisio,  città  della  Eubea ,  presa  da 
Flaminio,  It,  435. 

Carità  (la)  del  genere  umano,  proda- 
nitita  da  Cicerone,  IH,  737. 

Carli  (Gian  Rinaldo),  sue  opinioni 
sulle  origini  italiche,  I,  190. 

Carmelo  (monte),  sacerdote  promet- 
tente r  impero  a  Vespasiano,  IV, 
462. 

Carmenta,  profetessa,  I,  .531. 

Carmentale  (porta),  1,  807-808;  ma- 
laugurata, 811. 

Carmi.  —  A'edi  Canti. 

Carmi  dei  fratelli  Arvali.  —  Vedi  Ai- 
vali. 

Carmi  bucolici.  II,  102. 

Carmi  Saliari,  IV,  718. 

Carmi  Tirreni,  I,  403. 

Carmione,  acconciatrice  deue  chiome 
di  Cleopatra,  IH,  674. 

Cameade,  filosofo  scettico,  a  Roma, 
lì,  .599-600. 

Carnefici,  lungo  le  vie  romane,   1\  . 

Camèllo,  presso  Arpino,  HI.  100. 

Gamia,  dea  di  Alba,  I,  381. 

Gamia  (la),    incorporata   alla   Gallia 

Cisalpina,  II.  256. 
Carnunto  {Pctronpll),   m  Pannoma, 

IV,  222,  570.  63T;   Marco  Aurelio 

vi  scrive  in  parte  i  suoi  Ricordi. 

756  ;  ruderi  della  sua  prisca  gran- 
dezza, 756. 
Carnuti  (rnys  Chnrtì-'"'^    »rnii,|ono 

in    Italia,   I,    881     ■    ""'i' 

dei  Galli,    IH,     >' 

442;  Cesare  prcnd.  i,     i 

gi,    443,    congiura:.:.,     IH  .    "^■^■'- 

dono   a   Geiiabo  i  Roinaiu  ,   444  . 

vinti  e  dispersi  col  ferro  e  col  tuo- 

co,  452. 
Caroùda,  "legislatore  di  Catania  e  di 

altre  città.  II.  l'28,  137-140;  si  uc- 

Cai-ontè,  etrusco,  1,  394-395,  513. 

Carope,  sùe  crudeltà  nell'Epiro,  Il , 
4S7. 

Carpazi,  monti,  IV,  !>65. 

Carpentoracte  lulia  [Carpentrus).  co- 
lonia romana,  IV,  53. 

Carpetania,  nella  Spagna  Tarraconc- 
se,  vittoria  dei  Romani  sui  Celti- 
beri,  II,  455. 

Carseoli  (Civita  Carenza  f),  città  de- 
gli Equi,  I,  229  ;  colonia  romana, 
II.  78,  267,  269;  dichiara  che  non 
può  soccorrere  Roma,  393,  394. 

Carsule  (Cnrsoli),  città  degli  Umbri, 
1,  65. 

Carta  del  mondo  romano,  IV,  50. 

t:artagine,  trattato  di  alleanza  con 
Roma,  I.  726-72>!,  772;  si  rnllcirra 
.■,,n  Hoi.ia  .Ielle  viti. irlo    sili    San- 


lui,  186;  I  :  -1  :ì  1  .  .:i  l'iri'o,  VV- 
200;  SI...  I  I       i:        "1  ,  pnui:i 

guerra  ].'  .  '  ■  .  ui.il,a  .lai 
Siracusani  :i-  ini:i  M.^miki.  210-. 
vinta  da  j^iipio  t  houli.»,  ^lo;  <" 
ad  Agrigento,  211-212;  a  Lipari  li 
prigioniero  Scipione  Asin.i.  .'r.. 
vinta  nella  battaglia  di  Mil.'.  ■-■15, 

e  nelle  acque  di  Tiudari,  21S  ;  s i- 

lltta  nella  battaglia  navale  di  Iv- 
nomo,  219;  assalila  dai  Romani  in 
Affrica,  21!*-221;  chiede  invano  la 
jiace,  221-222:  chiama  da  Sparta 
Santippo  e  vinco  e  fa  prigionicr.> 
Attilio   Regolo ,   222  ;    riporta   la 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


CARTAGINE 


CARTALONE 


CASTO 


guerra  in  Sicilia,  223 -,  sconfitta  a 
Panormo  invia  Attilio  Regolo  a 
Roma  per  chiedere  pace,  224-225  ; 
■vince  i  Romani  a  Drepano,  231  ; 
manda  in  Sicilia  Amilcare  Barca, 
232,  234  ;  è  sconfitta  alle  isole  B- 
gati,  235  ;  fa  pace  con  Roma,  2:»  ; 
messa  a  pericolo  dai  suoi  merce- 
nai-ii,  238  :  è  obbligata  a  cedere  a 
Roma  la  Sardegna,  23S-239;  trae 
la  sua  ori^'iiie  da  Birsa  fondata 
dai  Fenicii,  324  ;  colonie,  commer- 
i-ii,  trattati  e  conquiste,  325  ;  ordi- 
namenti politici ,  326  :  ricchezze, 
alleati,  sudditi,  eserciti  mercenari,  . 
327  ;  guerra  coi  mercenari,  328  ; 
alla  comiuista  di  Spagna,  320  ;  Ro- 
ma le  vieta  con  un  trattato  di  e- 
stendere  la  conquista,  330  ;  seconda 
guerra  punica,  333  ;  riceve  da  An- 
nibale le  notizie  delle  sue  vittorie 
nell'Italia  superiore  e  centrale,  350  ; 
invia  soccorsi  in  Sicilia ,  379-385  ; 
sgombra  l'isola,  386;  continua  la 
guerra  in  Italia,  38G-402  ;  e  in 
ispagna,  402-103  ;  vince  Siface,  403  ; 
ricupera  le  contrade  al  mezzogior- 
no dell'  Ebro,  404  ; 
Spagna,  4O7-40S  ;  no 
per  mare    1'  .-u-i  i\'i  . 


Aflr 


baie  e  Sifa.v   .  .^  ili 

prega  Silhc- .■)  -■.iiMiii', ■!;■.■  n  ^jn.--- 
ra,  414-415;  >•  sr.miìtv.i  ai  Lampi 
Magni,  415;  chiede  pace  a  Sci- 
pione, 417  ;  stipulata  una  tregua 
coi  Romani,  il  popolo  si  ribella  e 
la  viola,  417  ;  richiamati  Magone  e 
Annibale,  418;  sconfitta  a  Zama  , 
421  ;  durissima  pace,  422-423  ;  con 
cui  termina  la  seconda  guerra  pu- 
nica, 425-424  ;  Perseo  le  invia  una 
ambasceria,  468  ;  Annibale  si  impa- 
dronisce del  governo  e  tenta  muo- 
ver guerra  a  Roma,  442,  promette 
aiuti  ad  Andrisco.  495  ;  si  lagna  a 
Roma  degli  assalti  di  Massinissa, 
501-502  ;  terza  guerra  punica,  503 
e  seg.  ;  sconfìtta  da  Massinissa 
presso  ad  Oroscopa,  504  ;  tratta- 
tive con  Roma,  504-505  ;  dà  ostag- 
gi a  consegna  le  armi,  505-506;  si 
rifiuta  a  distruggere  la  città,  506; 
si  prepara  a  resistere,  507  ;  asse- 
diata vince  i  consoli  romani,  508- 
509  ;  sua  posizione  e  fortificazioni, 
510-512;  suoi  porti,  513-515,  516, 
517  ;  sua  popolazione,  515  ;  apre 
con  un  canale  una  nuova  uscita 
•  mari 
perde 
il  Cotone  e 'Birsa,  518-519;  fe  ri- 
dotta a  un  mucchio  di  ceneri,  519- 
520  ;  sul  sito  dell*  città  si  fa  pas- 
sare l'aratro,  522  ;  sua  necropoli , 
523  ;  una  parte  del  suo  territorio 
è  data  ai  re  di  Numidia,  l'altra  di- 
venta provincia  romana  col  nome 
d'Affrii-a,  523  ;  Caio  Gracco  vi  con- 
duce una  colonia.  III,  78,  80;  ri- 
popolata con  altra  colonia  da  Ce- 
i-are,  537;  colonia  d'Augusto,  IV, 

60  ;  risorge  a  nuovo  splendore,  60- 

61  ;  Nerone  vi  cerca  i  tesori  di  Di- 
done ,  405  ;  testa  di  una  via  co- 
struita da  Adriano ,  655  ;  opere 
pubbliche  di  Antonino  Pio,  701. 

Cartagine  Nova  (Cartagena),  fondata 
nella  Spagna  Tarraconese  da  A- 
.sdrubale,  II,  329;  espugnata  da 
Scipione,  406-407;  moneta  in  ri- 
cordo di  Nerone  e  Druso,  figli  di 
Germanico,  IV,  2S7-28S. 

Cartaginesi.  —  Vedi  Punici. 

Cariatone ,  comandante  della  flotta 
cartaginese,  prende  Agrigento  e  li- 


bera Drepano,  II,  223  ;  e  la  difende, 
228;  batte  a  Panormo  gli  avanzi 
della  flotta  romana,  233. 
Cartalone,  comandante  la  cavalleria 
di  Annibale,  II,  334  ;  dopo  la  bat- 
taglia di  Canne  va  a  proporre  a 
Roma  il  riscatto  dei  prigi'jnieri,  352. 
Carteia,  nella  Spagna  Betica,  strage 

dei  Pompeiani,  m,  532. 
Cartismandua,  regina  dei  Briganti  in 
Brittania,   consegna  ai  Romani  il 
re  Carattaco,  IV,  347. 
Carvento,  città   del  Lazio,  presa  dai 

Romani,  I,  866. 
Carvilio   Massimo    (Spurio) ,    console, 
assedia   Cominio,   n,    87  ;   vince   i 
Sanniti,  203,  285. 
Carvilio  Ruga  (Spurio),  dà  primo  l'e- 
sempio di  ripudiare  la  moglie,  I, 
761,  li,  303. 
Casa  aurea,  di  Nerone,  IV,  402-403  ; 
adornata  colle   spoglie  d'Italia  e 
dell'  Impero,  404  ;  Ottone  ordina  di 
compierla,  443;  rovesciata,  515. 
Casal  Rotondo,  sulla  via  Appia,  reli- 
quie  del   monumento   di    Messala 
Corvino,  IV,  173. 
Casci  Latini,  I,  527,  531. 
(  ase.  —  Vedi  Abitazioni,  Palazzi. 
■  Mr-ii  antichi  italiani,  I,  501-502. 
M  Iiarbari,  IV,  190-191. 
n  lische,  I,  418-410. 
i.  i  grandi,  IV,  108,  818,  819. 
;iiino  (Capvn  Niiov)),    città  della 
Campania,   1,    278,    281  ;    respinge 
Annibale,  II,  366  ;  Ottavio  vi  tira  a 
sé  i  veterani.  III,  580. 
Casino  {San  Germano) ,   antica  città 
dei  Volsci,  I,  236  ;  colonia  romana, 
li,  68,  78,  267,  268  ;  villa  e  uccellie- 
ra  di  M.  Terenzio  Varrone,  I,  236- 
237,  lU,  14,  15  ;   anfiteatro,  747. 
Casio  (monte),  in  Egitto,   sepolcro  di 

Pompeo,  III,  508. 
Casivellamio,  duce  dei  Brettoni,  vinto 

da  Cesare,  HI,  441. 
Casmene  {ScicH),  colonia  greca  in  .Si- 
cilia, II,  118;  rovine,  127. 
Casperia  {Aspra),  fondata  dai  Sabini, 
I,  221. 


Casperi 

plizii 

IV.  .-.1 

Cassio  i; 


rgafo  nella 


dele  rij;^ji;',  :  :'•-'    l     ■  -i-i '•■■  .•  ' 

torie   neir  ini^-!  ,       ■''    i'  \-   ■     TU 
governala  Siri  i    :  i  .  I   _  n 

a  comprimer  ■  ,   r  ,  :  r.      -, 

audaci  disegni,  TM      l'ìh'I:':!!-  il.i 
Lucio  Vero   e  da   Marco   Aureliii, 
746  ;  si  fa  gridare  imperatore,  746 , 
i'.   ucciso,    746  ;   Commodo   ne    fa 
bruciar  vivi  i  figliuoli,  775. 
Cassio  (Q.),  tribuno,  si  oppone  al  de- 
creto che   dichiara  Cesare  nemico 
della  patria,  IH,  481  ;  cacciato  dalla 
Curia,  si  ripara  al  campo  di  Cesa- 
re, 482. 
Cassio,  da  Padova,  esiliato  da  Augu- 
sto, IV,  107. 
Cassio  Parmense,  poeta,  congiura  con- 
tro Cesare,  III,  553  ;  si  unisce  alle 
flotte  di  Murco  e  Enobarho,  631  ; 
ucciso  da  Ottavio,  687  ;  suoi  versi, 
791. 
Cassio  Emina  Lucio,  suoi  Annali,  I, 

638,  ti,  610,  III,  764. 
Cassio  (Spurio),  console,  I,  772  ;  sua 
proposta  di  dividere  le  terre  pub- 
bliche, 801-802  ;  accusato  di  tradi- 
mento e  decapitato  innocente,  802- 
803,  805,  863. 


Cassio  Longino  (C),  censore,  pi-opone 
di  fabbricare  un  teatro  stabile,  II, 
626. 

Cassio  Longino  (Lucio),  pretore,  con- 
duce a  Roma  Giugurta,  III,  108. 

Cassio  Longino  (Lucio),  è  ucciso  nel 
paese  degli  AUobrogi  dai  Tiguriui, 
HI,  122-123. 

Cassio  Longino  (Lucio),  propone  che 
i  senatoi-i  condannati  per  infamia 
perdano  il  loro  grado,  IH,  147. 

Cassio  (Lucio),  pretore   dell'Asia,  III, 

227  ;  in  guerra  con  Mitridate,  228  ; 
tenta  invano  di  resistere  in  Frigia, 

228  ;  ripara  a  Rodi,  2:}2  ;  induce  i 
Marsi  a  prendere  le  armi  per  Siila, 
253. 

Cassio  Longino  (C),  proconsole  della 
Cisalpina,  vinto  da  Spartaco,  III, 
307. 
Cassio  Longino  (Lucio),  congiura  con 

Catilina,' UI,  373. 
Cassio  Longino  (C),  questore  di  Cras- 
so, fa  ripassare  l'Eufrate  all'eser- 
cito sconfitto  dai  Parti,  e  respinge 
i  nemici.  III,  460  ;  dopo  la  sconfitta 
farsalica  si  arrende  colle  sue  navi 
a  Cesare,  507-.508;  che  in  appresso 
lo  fa  suo  legato,  548  ;  indole  e  co- 
stumi ;  odia  Cesare  per  sue  parti- 
colari ragioni  e  congiura  contro 
di  lui,  .548;  sostiene  che  col  Ditta- 
tore si  debbono  uccidere  anche 
Lepido  e  Antonio,  .554  ;  ferisce  Ce- 
sare, .558;  confermato  al  governo 
della  Siria  destinatagli  da  Cesare, 
570;  conferenza  con  M.  Antonio, 
571  ;  toltagli  la  provincia  è  inca- 
ricato della  provisione  del  grano, 
578-579;  convegno  di  Anzio,  579; 
sue  lettere  ad  Antonio,  580  ;  mi- 
naccia Aiit.iiiio  ili  (lif.Mulersi  colle 
armi,  r.sl-:,-j:  mini.,  .ontro  Do- 
labelln.  :.'■  .  ,;   ,  ;,  ,i,,  alla  di- 

fesa d'Ii  I  I  ',  '  ,  .Ho  e  ono- 
rato con  P.rui.,  i!i  A-.  iir,  617-618; 
occupa  la  Siria,  619;  assedia  Do- 
labella  in  Laodicea,  e  Io  costringe 
a  darsi  la  morte,  619;  congresso 
con  Bruto  a  Smirne,  620  ;  sue  cru- 
deltà a  Rodi,  621  ;  fa  ucridei-e  il 
re  Ariobarzane,  621;  imiinni'  un 
tributo  all'Asia,  621  ;  si  rinnisc' 
con  Bruto  a  Sardi,  622;  sn.-  miv.,-, 
622;  ultimo  colloquio  con  Hruto  a 
Filippi,  624-1125  ;  vinto,  e  abbandu- 
nato  clai  suoi  si  fa  uccidere  da  un 
liberto,  62.5-6^27. 


accuse,  1S(:-1.S7  ;  esifiato,  187  ;  Ca- 
ligola permette  di  pubblicare  le 
sue  opere,  318,  865. 

Cassio  Cherea  (C),  tribuno  dei  preto- 
riani, congiura  per  uccider  Caligo- 
la, IV,  334  ;  e  gU  dà  il  primo  col- 
po, 335;  ne  fa  uccìdere  anche  la 
moglie'  e  la  flgUa,  .335;  si  stu<lia 
di  riaccendere  1'  amore  di  libertà, 
336,  3:«  ;  è  fatto  uccidere  da  Clau- 
dio, 338. 

Castanea  (Castellanela),  nella  Peu- 
cezia.  I,  349. 

Castel  d'Asso,  presso  Viterbo,  rovinio 
etnische,  I,  144  ;  edilizi!  sepolcrali. 


Castello  di  Sangro,  antiche  rovine,  I. 
256. 

Casto,  duce  della  rivolta  con  Sparta- 
co. Ili,  306;  vinto  e  ucciso  da  M. 
Crasso,  300 


Vannucoi  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV. 


124 


986 


INDICE 


CASTORE 


CAVALIERI 


CELE 


Casto 


eccita   Kanagoria  alla  rlljcl- 

lione,  III,  351. 
Castore  e  Polluce,  tempio,  II,  C2j,  IV, 

192,  535. 
Castra  Hannibalis ,     nella    Magna 

Grecia,  I,  316. 
I  astra  stativa  del  Vallo  di  Adriani-", 

IV,  644. 
castra  reterà  (XanW.i),   vittoria  di 

Cenale  su  Civile,  IV,  478;  rovine 

Castro  di  Minerva  (Ca«t/)o),  protet- 
trice dei  Salentini,  1,  339. 

Castro-Nuovo,  nel  Piceno,  colonia  ro- 
mana, n,  no,  93,  209. 

Castro  o  Campo  Pretorio,  IV,  283-2S4 

tTastro  Truentino,  nell'agro  Palmense, 

I,  226. 

Casuento  (Baseììto),  fiume  nella  Ma- 
sna  Grecia,  I,  321. 

Cat'afractarii,  soldati  coperti  di  ferro, 
IV,  590,  591. 

Catania,  colonia  greca,  U,  118,  110; 
rovine  deirantica  città,  128-129; 
riceve  leggi  da  Carouda.  137;  se 
jie  impadronisce  Dionisio,  I6G  ;  nelle 
nue  \-iciuanze  i  Cartaginesi  distrug- 
gono la  flotta  dì  Dionisio,  167  ;  Ti- 
nioleone  la  libera  dai  tiranni,  180; 
accogli»  Pirro,  200,  correrie -di 
Amilcare  Barca,  233  ;  senato,  274  ; 
colonia  romana,  IV,  60. 

Catasto  e  censimento,  d'origine  ctru- 
soa,  I,  693  ;  catasto  e  censo  del  re 
Servio  Tullio,  605.  708-709 ,  722  ; 
s..tto  la  Repul)lilica,  722,  II,  19, 
III,  60;  in  timo  T  Iinpiro,  comin- 
ri.ito  (la  Cesare  e  runipiuto  da  Au- 
irus'o,  IV.  16,  50-.52,  76.  104,  245; 
censimento  di  Claudio,  352  ;  nuovo 
i-atasto  di  Vespasiano,  494. 

Catilina.  —  Vedi  Sergio  Catilìna. 

Catino,  monte  presso  Tivoli,  I,  .561. 

Cato  (Kiriiiio),  senatore,  accusa  Scri- 
bonio  Libone,  IV,  280. 

Catone.  —  Vedi  Porcio  Catone. 

Catti  (>lsyia),  vinti  da  Druso,  IV,  100  ; 
(!orrerie  di  Germanico  nel  loro 
paese,  247  ;  nella  guerra  civile  ili 
Germania,  271  ;  \inti  da  Sulpioio 
Galba,  348;  saccheggiati  da  Domi- 
ziano, .528  ;  irrompono  nella  Rezia 
<■  in  Germania.  727. 

Catiialda,  capo  dei  Gotoni,  vince  Ma- 
r.iboduo,  IV,  271;  muore  relegato 
a  Fóro  Giulio,  271.   , 

Cattdo  Cinna,  stoico,  maestro  di  Marco 
AureUo,  IV,  720. 

Catulo  Lufazio.  —  Vedi  liUtazio  Cattilo. 

c;atullo  Messalino,  delatore,  lY,  .539. 

l'atuUo,  poeta.  —  Aedi  Valerio  Ca- 
tullo. 

Calurigi,  popoli  delle  Alpi  Cozic,  sof^ 
tomessi  da  Augusto,  IV,  96. 

Cauca,  in  Spagna,  si  arrende  ai  Ro- 
mani o  gli  abitatori   sono   uccisi , 

II,  526. 

Caucaso,  vittorie  di  Pompeo,  III,  347  ; 
di  Traiano  e  Adriano,  IV,  615,  662. 

Cauci  (Oldenbìirrj  e  Han>mver\  sot- 
tomessi da  Tiberio,  IV,  221  :  vinti 
da  Gabinio  Secondo,  348  ;  sono  re- 
spinti dalla  Gallia  Belgica,  727. 

Caudini,  tribù  sannitica,  I,  244;  loro 
sodi,  2.59. 

Cauilio  (.Irprtin),  I,  2.59;  sconfitta  dei 
Romani,  II,  60-62;  i  .Sanniti  vi  si 
lortiiioano ,  65;  e  sono  vinti  dai 
Romani,  08. 

Caulonia,  fondata  dagli  Achei  nella 
Magna  Grecia,  1,  310,  311,  31.5,  li, 
118;  caccia  i  Pitagorici,  1.52,  1.53; 
distrutta  dal  tiranno  Dionisio,  170- 
171. 

Causia,  cappello  barbarico,  II,  487. 


Cavalieri,  Tarquinio  Prisco  non   potè 


loro 


la  p^ 


lo    ali'..:i!i|-ii;.ii  i.      ,.'        -1     uniscono 

154  ;  voijUono  un  posto  distinto  in 
teatro,  354  ;  riforme  introdotte  da 
Angusto  in  quest'ordine,  IV,  16  ; 
fatti  uccidere  da  Claudio,  362  ;  Vi- 
teilio  proibisce  loro  di  dar  spetta- 
colo dì  sé,  453  ;  riforma  di  Vespa- 
siano, 494.  —  Per  ciò  ?he  a  cava- 
lieri fecero  come  appaltatori  delle 
rendite  pubbliche  :  Vedi  Pubbli- 
cani. 

Cavallo  troiano  (il).  III,  379. 

Cavea,  nel  teatro  antico,  II,  627. 

Cecidio,  plebeo,  riferisce  di  aver  udito 
una  voce  annunziatrice  dell'arrivo 
dei  GalU,  I,  890. 

Cecilio,  danzatore,  II,  033. 

Cecili^'.  MI   r  ,;,'  i.'     ii:iira  la  guerra 


Cecil 


di 


Cecilio  1,11.  iliaii.i,  sriiaiure,  e  un  suo 
fratello  del  medesimo  nome,  con- 
giurano contro  Cesare,  III,  552. 

Cecilio  Cornuto,  si  dà  la  morte ,  IV, 
280. 

Cecilio  Metello  (L.),  pretore  ucciso  dai 
tialli  sotto  Arezzo,  II,  91. 

Cecilio  Metello  (L.),  console  nel  503 , 
vince  Aderbale  a  Panormo  e  trion- 
fa, II,  224-225;  pontefice  massimo 
perde  la  vista  per  salvare  dalle 
fiamme  il  Palladio,  301. 

Cecilio  Metello  Celere  (Q.),  legato  di 
Pompeo  nell'Asia,  111,  340,  349  ;  pre- 
ture impedisce  che  sia  condannato 
Raliii'io.  3.59;  chiude  il  passo  degli 
Appennini  a  Catilina,  3S8  ;  com- 
batte la  legge  agraria  di  Flavio, 
404. 

Cecilio  Metello  Macedonico  (Quitito), 
prende  e  uccirt,.  .\iidrisr-o,  li,  495; 
nssiMiic-  il  ■■.ipr'i!Mi'.:!i:-  "li  M-ii-i'doni- 

Oi.     1-.  -'■        ■        ::'    :      I-    V'-       \.i.l'adi 

1 ■  -  .  "]•■'■'      I'"'  ;  vince 

Cnl  .,  ••   ,i  :    .  .     v:  .    prende 

Tl-Ir'  l:  .Mr^.a:i.  l:';  ,  i;i  ^uorra  ai 
Cultiljfii.  .528,  .532  ;  accusa  Tiberio 
Gracco,  lU,  .55;  censore  (023)  è 
minacciato  di  morte  dal  tribuno 
Atinio  Labeone ,  00  ;  piange  la 
morte  di  Cornelio  Scipione  Emi- 
liano fiuantuuque  suo  nemico,  66  ; 
è  stimato  uno  dei  più  virtuosi  e 
felici  mortali,  90;  oratore,  693. 

Cecilio  Metello  (Q.l,  figlio  del  Mace- 
donico, console  (Gii),  vince  le  isole 
Baleari  ed  è  chiamato  Balearico, 
II,  5:ìr,.  5.55. 

Cecili"  M.  i-ll  '  Cipr  Ilio  (C),  figlio  del 
Ma.-    :         ■     T:  .,,  :i  (1,42)  liei  bar- 


Cec 


>).  console 
l'.i'Ki  ed  è 
'  -•.  .    Ili, 


dcrsl,    111-1  l:  i    li      .  :    i/::i    coli' 

Mario,  11:ì-11ì     i i     i  .li.  116; 

abbandonai  i  i.      -      i   i     .    -  Ri.ma 

dove  trionlh  ci  -.pr  iiui li  Nu- 

midico,  116;  prepone  1' espulsione 
dal  senato  di  (ilaucia  e  di  Satui"- 
nino,  149;  contrapposto  a  Mario 
per  il  consolato,  150  ;  si  rifiuta  di 


giurare  le  leggi  proposte  da  Satur- 
nino e  ripara  a  Rodi,  152-153;  ri- 
chiamato dall'esilio,  155;  sua  ora- 
zione sulla  necessità  di  aumentare 
la  prole,  699,  IV,  37. 
Cecilio  Metello  Pio  (Q),  figlio  del  Nu- 
midicn.  in-tn--.  viii.-c  Pompeilio 
Silniie  I     •■        11!     VM  ;    richia- 

mato di'-  .  iLiulcr  Roma, 

213;  lii-_.  :,^  i_  ..:.,. -215;  si  uni- 
sce a  ^l.l.l.  ..■,1  ,  ,  1  rupa  la  Gallia 
Cisalpina,  257  ;  andato  contro  Ser- 
torio  è  costretto  a  fuggire  di  I,u- 
sitania,  294;  chiede  aiuti  a  Roma, 
296;  vince  Irtuleio  ad  Italica  e  a 


prei 


ab- 


a  la 

band al  Pi^.a.    ;i:,. 

Cecilio  Metello  Lrctico  (Quinto),  fa 
per  tre  anni  (686-688)  guerra  ai 
pirati  di  Creta  ed  ha  il  soprannome 
di  eretico.  HI,  331-332. 

Cecilio  Metello  Nepote  (Q.),  tribuno, 
strumento  di  Cesare,  111,  395  ;  pro- 
pone di  richiamare  Pompeo,  39.5- 
396;  deposto  dal  tribunato,  396; 
va  da  Pompeo  in  Asia,  396. 

Cecilio  Metello  (L.),  tribuno  nel  705, 
invano  resiste  a  Cesare  che  vuole 
il  pubblico  erario,  IH,  490. 

Cecilio  Stazio  (C),  di  Milano ,  poeta 
comico,  sue  commedie.  !  I.  638-639  ; 
incoraggia  Terenzio,  6 
ina,  fi  ■  ■■ 
I,  1.57, 

Cecina  (Alieno),  legato,  eccita  Vitellio  a 
farsi  imperatore,  IV,  440;  muove 
alla  volta  dei  monti  Pennini,  441  ; 
fa  strage  degli  Elvezii ,  441-442  ; 
e  giunge  al  Po,  442,  445  ;  respinto 
da  Piaceiua  è  battuto  presso  Cre- 
mona, 445-446;  governa  assieme 
a  Valente,  453;  fe  mandato  contro 
la  parte  flaviana,  465  ;  ha  in  animo 
di  tradire  Vitellio,  465;  è  dai  sol- 
dati incatenato,  465  ;  e  sciolto  va 
a  implorare  mercé  da  Antonio  Pri- 
mo, 466;  il  quale  lo  manda  a  Ve- 
spasiano, 466;  Vitellio  lo  spoglia 
del  consolato,  468;  congiura  con- 
tro Vespasiano,  505  ;  ed  fa  pugna- 
lato, .506. 

Cecina  (.A.ulo),  legato  di  Germanico, 
impotente  a  domare  la  sollevazione 
delle  legioni  del  Reno,  IV,  245  ;  re- 
pressione feroce,  246-247  ;  insegne 
Arminio,  248. 

Cecina  (Aulo),   scrittore  di  prodigii, 

III,  745. 

Cecina   Severo  (A.),  batte  i  Panuoni, 

IV,  223.       *• 

Cecino  (Cornee),  fiume  nella  Magna 

Grecia,  I,  315. 
Cecino  (Satriano),  città  nella  Magna 

Grecia,  I,  316. 
Cccubo,  sul  confine  della  Campania, 

presso  Gaeta,  vino,  IV,  823. 
Cedicio  (Lucio),  salva  gli  avanzi  delle 


Adrian-    n  !i     \-  ■        ;     l\  ,  '. 
Ceflsso.  un  I  ■    I"-.        ■•   ''■       '•    I    H 

Ceionin  e n  -.1..  \  .  i-  il,  )    --    \  ■ 

Elio  Cesare. 
Cele  Vibenna,  duce  degli  Klruschi,  a  : 
Roma,  I,  lìCtì;    figurato  nelle  pit- 
ture di  Tulci,  002-603;  ediflcalore 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


987 


CELERE 


CENSURA 


CIGOLANO 


secondo  il  Niebuhr,  di  Lucerum, 
C67. 

Colere,  delatore,  assalito  da  Musouio 
Rufo,  IV,  475. 

Celere,  ingegnere,  riedifica  Roma  in- 
cendiata da  Nerone,  IV,  402. 

Celeri,  guardie  a  cavallo,  I,  .580  ;  dap- 
prima destinati  a  guardia  del  re, 
poi  formano  la  cavalleria  delle  le- 

Celesiria,  donata  da  Antonio  a  Cleo- 

p.itra.  III,  C62. 
Celia  (Ceglie  di  Bari),  nella  Peucezia, 

1,349;  sulla  Via  Traiana,  IV,  607. 
Celibi,  leggi  e  ordini  contro  di  loro, 

Celio, 'colle  di  Roma,  I,  .507,  .ÌW,  504, 
500,  002,  GG7,  IV,  27,  174,  253,  373, 
400,  480,  408,  515.  717. 

Celio  {Ceglie),  città  nella  Messapia,  I, 

Celio    Antipatro   (L.) ,    storii-o    della 

guerra  d'Annibale,  III,  704. 
Celio  Rufo  (M.),  cac-i^iato  dalla  pretura 

solleva  la  Campania  ed  è  ucciso, 

III,  514  ;  oratore,  702. 
Celso,  congiura  contro  Adriano  ed  e 

ucciso  a  Baia,  IV,  031. 


da  Ottone,  439;  posto  fra  i  capi 
della  guerra,  442,  444  ;  insultato 
dai  soldati,  446  ;  sconsiglia  Ottone 
di  dar  giornata  campale ,  440  ; 
sconfìtto  a  Bedriaco,  447  ;  si  salva, 
4.51. 

C«Iso,  scrittore.  —Vedi  Cornelio  Celso. 

Celti.  —  Vedi  Galli. 

Celti,  cogli  Iberi  formano  i  Celtiberi, 
II,  453, 

Celtiberi,  loro  origine  e  costumi,  II, 
45:M54;  aiutano  Scipione  a  cac- 
ciare i  Cai'taginesi  e  poi  si  rivol- 
tano contro  i  Romani ,  45<  ;  loro 
vittorie  e  scuiuii.v  r."-!.7;  ecci- 
tati alla  riv  1  ■!  i  !  ,  ,  525; 
in  2uerra  ■■  ,i  i;  si  unì- 


scoii"  a  ^  .ri:i  :> 

Celti.-a,  li--:          !  :     (;;illie,  IV,  53. 

Cena  i     ,  i     "  ;-M3,  517. 

Cenrn   :     i  :    '     :  n.to,  IV,  419. 


Lene-  I  ;  tempi 

drliv  K.  |.  ,  .      .    h     :,;  !-:,;(;;   di 

].u."i".     !li  :i  :      •.  .,.:  ilt.-,. 'ritte  da 

^■.l^l  -■       . Meuippee,  757  ; 

ai  I'      !      :  _      li.  IV,  198;  con- 

\iii  il  i  :  .  ;.'?:  cena  di  Vi- 
telli, i      l'i  :-  IM      .     iivito    (li    Domi- 

■    ziaiiii.    :.!":  .1    I       ,  .  V.  li..    733; 

viilutta. li-li  :              ::-   :  ':  onori 

trimonii'i.V'iilì','-!.  s:  I  ■  '  .  ■'.iV'fri- 
malcione,  800. 

Cene  sabelle,  I,  493. 

Cenide,  promontorio  sullo  stretto  Si- 
culo, I,  304. 

Conide,  concubina  di  Vespasiano,  IV, 
407. 

Cenina,  città  del  Lazio^  abitata  dai 
Siculi  e  poi  dai  Pelasgi,  I,  7.5,  562, 
577  ;  presa  da  Romolo,  579. 

Cenisio,  monte,  IV,  96. 

Cenomanì,  scendono  in  Italia,  I,  884; 
insorgono  contro  Roma ,  e  sono 
sconfìtti,  II,  457  :  si  uniscono  ai  Ro- 
mani, 4.57. 

Cenone,  arsenale  e  porto  dei  Volsci, 
I,  238-239  ;  preso  dai  Romani,  820. 

Censimento.  —  Vedi  Catasto. 


Censori,  eletti   tra  i  patrizi  e  poi  an- 
i  plebei,  I,  857,  II,  31  ;  im- 
portanza dei  loro  poteri,  I,  859-861; 


che  tra  : 


disonesti,  II,  554. 


Centenio,  vinto  da  Annibale.  II,  3S7. 

Centoripa  (Centorbi),  dimora  dei  Si- 
culi, II,  106  ;  Agatocle  ne  uccide 
gli  abitanti,  183  ;  presa  dai  Roma- 
ni, 211  ;  città  libera,  273  ;   senato. 


^f^"■  '■'•-•},  accolgono 
i'.        ■    l'i'i  gli  piom- 


274. 


Centunii'.-;:  i'  .  '  "■■"/'?),  Traiano 
vi  siede  u.  inlnmak-.  IV,  002;  por- 
to. 0t)5-G0G,  783;  ricordi  dell'animo 
feroce  di  Conmiodo,  766. 

Centurie,  in  Efruria,  I,  365. 

Centurie,  istituite  da  Servio  Tullio, 
I  ,  G05 ,  709-710.  —  Vedi  Comizi 
delle  centurie. 

Cepario  (M.),  di  Terracina,  congiura 
«•on  Catilina,  III,  373  ;  è  stroz'zato, 
386. 

Cepione  (Fannio),  ucciso  por  trama 
contro  la  \ita  d'Augusto,  IV,  107- 
10». 

Coprano,  iscrizione  ad  Antonino,  IV, 
710. 

Cera  del  Ponto,  IV.  207. 

Cerauni  (monti),  dell'Epiro-,  III,  675. 

Cerbalo  (Ce)-6'fco),  fiume  d'Apidia,  I, 
356,  II.  350. 

Cerbero,  III,  SOI. 

Cere,  detta  prima  .\gylla  (presso  Cer- 


d'arti-.  1  ;"-ll.J,  i::;.  (.uiln-,  140- 
142,  4-28-4-20;  caccia  il  tiranno  Me- 
zenzio,  139  ;  predata  da  Tarquinio 
Prisco  ,  599  ;  vinta  da  Dionisio  , 
tiranno  di  Siracusa,  883;  rifugio 
alle  Vestali  nell'invasione  dei  Galli, 
892  ;  in  guerra  con  Roma,  II,  37  ; 
sfatua  in  onore  di  Claudio,  I,  125, 


IV, 

tempi, 
suffi-.i 


Dioiii 


,'lia    il 


nellri  L  '    .  !s.-ri. 

zione  .[(.'li'!   i':it  I   ;iii    viii IV, 

710;    trio.  ,ii,lili,,„  „  jinin'lo.'.^. 

Cei'eale  (Sesto),  all'assedio  di  Gerusa- 
lemme, IV,  482. 

Cereale  (Calamari  presso  Arpino), 
ni,  100. 

Cerere.  Pelasgia,  I,  88,  89,96,  379; 
nel  Sannio,  3S5;  nel  Lazio,  490  ;  in 
Sicilia,  li,  101-102  :  suo  culto,  107  ; 
a  Roma,  I,  730,  783-784,  IV,  704  ; 
misteri  in  Grecia,  740. 

Cerere  Elvina,  suo  tempio  ad  Aquino, 
IV,  891. 

Cerere  di  Enna,  rubata  da  Verro,  III, 

CeTkaa\B.  (CoUe-Aìtnele) ,   città  dei 

Marsi,  I,  248,  IV,  300. 
Cerilla  (Cirella  Vecchia),  nel  Bruzio, 

Cerrinio  Vazia  (Marco),  candidato  a 

Pompei,  IV,  40.  47,  48. 
Certia  {R'/mìot),  nella  Dacia,  IV,  580. 
Certosa  di  Bologna,  necropoli  etrusca, 

I,  167. 
Cerva  bianca   (la)   di  Sertorio ,   III , 

295,  298. 
Cervidio  Scevola  (Q.),  giureconsulto, 

IV,  739. 
Cesare.  —  Vedi  Giulio  Cesare. 
Cesare  (Lucio),  scrittore   di  prodigii, 

III,  745. 

Cesa«-e   (Lucio),   zio  d'.\ntonio,   pro- 
scritto, III,  008,  CIO. 
Cesarea  in  Afl'rica,  colonia  romana, 

IV,  369. 


Cesarea  in  Palestina,  colonia  di  Ve- 
spasiano, IV,  40(i;  festa  datavi  da 
Tito,  4.SS;  riconli  di  .-Adriano,  604; 
e  di  Antonino  Pio,  701. 

CesaricJnc,  tiglio  di  Cesare  e  Cleopa- 
tra, IH,  ^513:  Antonio  lo  associa  a 
Cleopatra,  670  ;  è  riconosciuto  nel 
tostaraento  d'Antonio  qual  figlio  ed 
erede  di  Cesare,  673;  ucciso  da 
Ottavio,  680-087. 

Cesare,  capo  dei  Lusitani,  II,  .520. 

Cesennia,  città  dei  Sanniti,  presa  dai 
Romani,  II,  77. 

Cesennio  ,  los-ato  ,  costretto  da  Voli> 
:;-,...-,  -,  r-.p;t.-,l-,i-,-.  IV,  390. 

l'i-      I     1  :  I.  >-  tribuno,  levato  di 

'■ i  •   '     ■■U-...  Ili,  .547. 

Ci  ..     |:  -  ;:i.  111,  SII. 

Ccsuui^i.  i.i..^.:.    a.  Caligola,  IV,  324. 

Cestio  G;iHu ,  governatore  di  Siria, 
vinto  dai  Giudei,  IV,  450-457. 

Ceiego.  —  Vedi  Cornelio  Cetego! 

Cetra  etrusca,  I,  46i. 

Cliàtillon,  in  Val  d'Aosta,  antichità 
romano,  IV,  91. 

Chelidone,  cortigiana  di  Verre,  III, 
319. 

Cheronea,  in  Beozia,  vittorie  romane 
sui  duci  di  Mitridate,  UI,  234,  240  : 
patria  di  Plutarco,  IV,  9.55. 

Chersonoso  (  Uret  sul  Mar  Nero),  cit- 
tà, III.  22.5,  351. 

Chersoneso 'd'Europa  (Tracio),  dato 
ad  Eumene  II  di  Pergamo,  II,  452. 

Chersoneso  Taurico  (Crimea),  III,  223- 
2-20. 

Cheruschi,  vinti  da  Druso,  IV,  100  ; 
sottomessi  da  Tiberio,  221  ;  solle- 
vati da  Arminio,  225,  248;  nella 
guerra  civile  di  Germania,  270, 
271  ;  re  dato  loro  da  Claudio,  348. 

Chiana  (valle  della),  prosciugata  dagli 

Etruschi,  I,  131. 
Chiare  e  Chiarissime,  titoli  dati  alle 


driano,  IV,  035. 

Chimera  d'Arezzo,  I,  153. 

Chinesi.  —  Vedi  Sei-i. 

Chio  [Scio),  rimane  libera,  II,  453; 
crudeltà  di  Mitridate,  HI,  244  ;  li- 
berata da  LucuUo,  244  ;  ottiene, 
per  la  sua  fedeltà,  privilegi  da  Ro- 
nm,  248;  marmo,  IV,  190. 

Chi.>.-.n.,le  ingrassate.  III,  14. 

Chiodi,  usati  a  contare,  I,  452. 

Chi.ido  tinnale,  I,  452. 

Chirurghi  militari,  IV,  572,  573,  737. 
—  Vedi  Medici. 

Chiusi  (  Caniars  e  Clusiv.-m),  città  prin- 
cipale etrusca,  I,  123,  133;  suo 
splencl...-.-  .  r  ..Ili  1".::  tombe  e 
vasi   il-.'.  I    :-  nuove  sco- 

perte. IT  ;.'  ';  .assalita 

dai    Cilii  •'    a   Roma, 

8S0:    \n     '   >  ■       il.    II,   251: 

sncciM-1.    ^  I    ijiierra  di 

Afl'ric.i.     :  i        .1  .il    Carbone 

Chone  (presso  Culrunui,  .  ,tta  pelasgi- 
ca,  I,  80.  310. 

Ciaccone  (Alfonso),  illustra  la  Colonna 
Traiana,  IV,  584. 

Cibele,  suo  culto.  Il ,  593-.595  ;  festa , 
IV.  778  ;  sacerdoti,  II,  451,  UI,  18- 
19;  tempio  a  Roma,  II,  603;  in 
Bitinia,  IV,  .563.  —  Vedi  Madre 
(grande)  dei  Numi. 

CihyTa:(Horzown),  città  dell'Asia  Mi- 
nore, IV,  251. 

Cicerone.  —  Vedi  Tullio  Cicerone. 


Ciclopi,  I,  87. 

t'icneo,  colle  a  Brescia,  IV,  500. 

Cicolano.  —  Vedi  Equi. 


988 


INDICE 


CIDNO 


CIPRO 


CLAUDIO 


i  iiliio  ITrrsus  Tchai),  fiume  in  Ciu- 
cia, IH.  634. 
Cidoiiia  [Khania  in  Creta),  espugna- 


ta, 


in  Etruria  il  Ge- 


Ci?no,  rappresenta  in  I 
nio  del  male,  I,  397. 
Cilicia.  nido  dei  pirati ,   III.  331  ;  as- 
saliti e  vinti  da  Pompeo,  331  ;  sot- 
tomessi dalle  truppe  di  Mitrid.ite, 
3:50;  provincia  romana,    353:    go- 
vernata da  Cicerone,   478;   aiuta 
Antonio  contro  Ottavio,  G75;    suo 
commercio  con  Roma ,   IV,   207  ; 
turbamenti  per  la  morte   del   i-e 
Filopatore,  258;  ridotta  a  provin- 
cia da  Vespasiano,  405  ;  pai-teggia 
por  Avidio  Cassio,  747. 
Ciucia  Trachea,  provincia,  IV,  782. 
Ciluii,  fami^'lia  etrusca  di  Arezzo,  I, 

484;  a  Roma,  IV.  111. 
Cilnio   Meceii!itp    (Ciioì,    ili    origine 
etrusca,  I.    l-'l     i'  .    n  lnudere  la 
pace  di  l;i'.  Il    •''■'■■    iuduce 

Antonio  .i  ^  '  '    ■  <\\  Ta- 

ranto COI  I  '■'  ...  '  ■-'  1.  pi-ime  i 
tumulti  scoppiati  a  Róin.i,  C.54;  ha 
il  governo  d' ItaUa  durante  la 
guerra  civile,  C?70,  IV,  41  ;  consi- 
glia Augusto  a  fondare  la  monai-- 
«hia,  tì-U;  scopre  la  trama  di 
1  .epillo  contro  Augusto,  107;  suoi 
antenati  e  vita,  111-112;  primo  mi- 
nistro d'Augusto,  112;  suoi  moUi 
e  singolari  costumi,  llS-113;  suoi 
scritti,  113-114;  in  cerca  di  loda- 
tori del  principato,  lU-U.ì;  suoi 
giardini  e  palazzo  suU'  Esquilino, 
il").  402,  9tHì:  presenta  Vii-gilio  ad 
Augusto,  118;  fa  amici  a  sé  e  al 
priiiiiiii'  i  poeti  Orazio  e  Propei^ 
iio,  1:ì';-13S.  153-1.-)4. 

Cilone,  capo  dei  Sollevati  a  Crotone, 
lì.  151. 

Ciluruo  (Chesters),  stazione  in  Uri- 
tannia.  IV,  645;  rovine,  651. 

Cimbri  e  Ivimri,  loro  lotte  coi  Galli , 
1 ,  884  ;  scendono  in  Italia  ,  885  ; 
loro  irruzioni,  UI,  121-122;  vin- 
cono i  Romani  a  Noreia ,  122  ; 
passano  in  Elvezia  e  invadono  le 
(ialUe,  122;  vincono  due  consoU , 
122-123;  vanno  in.  Spagna,  126; 
ritornano  in  Elvezia  e  nel  Norico, 
128;  invadono  l'Italia,  131-132; 
distrutti  a  VercelH,  133-134  ;  loro 
avanzi  nella  Gallia,  424. 

Cimi',  nell'Asia  Minore,  rimane  Ube- 
ra, II,  453;  rovinata  da  un  terre- 
moto e  soccorsa  da  Tiberio,  IV, 
251. 

Cimella  (presso  Xizzo),  sulla  via  Giu- 
lia Augusta,  IV,  05. 

Cimetra,  città  dei  Pentri.  I,  259. 

Ciminia  (Montayna  di  Vitrrbo),  sel- 
va, ntli-aversata  da  Q.  Fabio,  II , 
C9,  70,  71. 

Cimmeria,  penisola  (Crimen),  IV,  "II. 

cincinnato.  —  Vedi  Quinzio. 

(  incio  Alimento  (L.).  senatore,  scrive 
in  greco  gli  Annali  di  Roma,  I, 
(38,  II,  607,  fi0S-6u;). 

Cinea,  favorito  di  Pirro,  II,  193;  man- 
d.ito  a  Roma,  197-198. 

Cinga  (dnca),  fiume  di  Spagna,  III, 
491. 

Cinghiale,  insegna  militare  dei  GalU, 
HI.  427,  IV,  277. 

Ci^^'iUa,  fortezza  dei  Vestini,  I,  251  ; 
pn!sa  dai  Romani,  II,  58. 

Cingoli,  occupata  da  Cesare,  III,  485. 

Cinnamomo,  IV,  208. 

Cinocefali  (coUine  detU;  i)  (Teste  del 
Cnnr),  vittoria  di  Flaminio  sul  re 

Filippo,  li,  4:«;-4:n. 

Cinzia,  celebrata  da  Properzio,   IV, 


Cipro,  donata  da  Antonio  a  Cleop.i- 
tra.  III,  C62  ;  stragi  fattevi  dai  Giu- 
dei, IV,  618. 

Cipsela  (Ipsala),  città  di  Tracia,  IV, 
68. 

Circe  e  i  suoi  incantesimi,  I,  96,  IV, 
148. 

Circe  (mi)nto  di),  anticamente  circon- 


d.if... 

Circe!  i.  1      \    li.    sottomessa 

da   II      r  :    -  i|ii  rbo,  colonia 

roni  in  .  i  i.i:.  n  ;7 -.  fa  guerra 
a  Roma  in  lavuru  dei  Taruninii , 
631  ;  ricordata  nel  trattato  di  Roma 
con  Cartagine,  727  ;  presa  da  Co- 
riolano,  791  ;  si  rivolta  contro  Ro- 
ma, II,  14  ;  dichiara  di  non  poterla 
soccorrere,  393  ;  vi  è  confinato  l.«- 
pido.  III,  059;  visitata  da  Tiberio, 
IV,  315. 

Circeo  (Monte  Circeìlo),  promontorio, 
I,  238. 

Circio,  divinità  gallica,  suo  tempio, 
IV,  56. 

Circo.  —  Vedi  Giuochi. 

Circo  Flaminio,  IV,  100,  105,  111,  491. 

Circo  Massimo,  I,  .596,  600,  724,  IH, 
529-530,  609,  687,  IV,  105,  192,  400, 
491,  004. 

Circo  V.-.'i.  .111.1  i-iiinln.i  (1,>1).  IV.  401. 

Circuii.-  -:  .1      '  ,  -    '       IV.  GXt.  708. 

Cirenaio  :    .  -      111     1  .: 

Cimo.  -  ■   \ .  «Il   '  .'!  M.-a. 

Ciro  (Kitr),  liiiiiu-  nel  Caucaso,  III, 
347. 

Cirra  (sacro  campo  di).  IV,  419. 

Cirta  {f'rì.<stf'ntinri).ìì.  415;  assediata 
da  (;iMi."!rtr!  Ili  105;  si  arrende, 
ini;  .1:1.  -  ì  .1  ■  M.-.  11...  ne,:  vitto- 
ri.-i  .1'   Mi  II'    ._iirta.  117-118; 

C..I..II.     Il  il      .-ipitale  della 

Nuur.l.i  M'i  -.1  ii.i  aSizzio,  5-26; 
ric.nli  di  Adi-iaii.i.  IV,  657. 

Ciste  prenestine,  I,  554-556,  II,  311. 

Citerio,  nel  Hriizio,  I,  306. 

Citno  (Thcì'ìnia) ,  isola  greca,  IV, 
279. 

Città  aUeate  e  amiche  di  Roma ,  II , 
543. 

Città  federate,  II,  270. 

Città  italiche,  come  costruite,  I,  501- 
502. 

Citta  libere,  II,  270,  543. 

Cittadinanza  romana,  diritto,  II,  260, 
203  ;  i  sostenitori  della  legge  agra- 
ria nniponcron.i    di   darla  agli  al- 


]„., 

Il      .1  ili   p.'ir- 

_u.l..,    IV,    39; 

CI' 

ri.  .    j.  .     .    . 

LJi   usurpatori  di 

ini 

:  ;.  .'2  ;    estesa    da 

A.l 

i:in..    i,:i       .•! 

In-u-.ita  da  Marc^ 

rcli.),  7111;  <■ 

l.-it.-i  a  tutti  da  Ca- 

xlla,  791. 

Cittad 

ni,  pnncip.al 
inzioai   rich 

e  primati.  IV,  7.S8; 

dis 

amate  a  vita  da 

Au 

lusto,  40. 

Civica  Ceriale,  proconsole  d'Asia,  uc- 
ciso. IV,  524. 

Civile 

i'iandio,  sua 

gioventù  e  ind.)le. 

IV 

15.,f,vl    i  r...n,iani 
..     i:-.-IM     l.-Ute 

Civiltà  asiatica  in  Greci 


Cizico  (Uaì-Kiz),  metrop.>li  d.lllClle- 
spniito,  saccheggiata,  111,245;  as- 
sediala, 3:5G-3;}8;  tempio  ad  Adria- 


no, lY,  661  ;  restaurata  da  Adria- 
no, 664. 

Clampezia.  —  Vedi  Lampezia. 

Clanio  (Laf/iii)^  fiume  in  Campania,  I, 
269. 

Classi,  istituite  da  Servio  Tullio,  I, 
605,  709-712. 

Classico,  duce  dei  Treviri,  si  unisce 
a  Civile,  IV,  476;  assale  Ceriale, 
478. 

Clastidìo  (Castegf/io),  neUa  GalUa  Ci- 
salpina ,  vittoria  di  MarceUo  sui 
GalU,  II ,  253-254  ;  consegnata  ad 
Annibale,  340. 

Claudia,  figUa  di  Appio  Cieco,  sua 
feroce  superbia,  II,  303-304. 

Claudia  Pulcra,  cugina  di  Agrippina, 
accusata  di  maestà  e  di  adulterio, 
IV.  289. 

Claudia  Quinta,  vestale,  suo  miracolo, 
I,  640-641. 

Claudiano  (Gebel-Fattre) ,  monte  , 
cave  di  marmi,  IV,  611,  666. 

Claudn  (la  gente  patrizia  dei),  I,  816- 
817,  IV.  240-241. 

Cìmidii,  patrizii. 

Atta  Claudio  (Appio  Claudio  Sabino 
Regillense),  si  stabiUsce  a  Roma 
coi  SU..Ì  .-lieiiti  (cons..ile  nel  2.59).  I, 


Ita  conlro 

7.S1. 

del  prece- 


030, 


App.  CI-iH  I  i.-;.ilenel303), 

elett,.  ,1,  ...Hir...  1,  s:U  :  .sua  ti- 
rainiia,  S  r)-s:l7  :  sollevazione  per 
le  sue  violenze  a  Virginia  ;  è  i  '- 
prigionato  e  si  uccide,  838-839,  841- 
842,  851. 

Claudio  (M.),  esiliato  come  complice 
del  decemviro  nell'  altare  di  Vir- 
ginia, I,  838,  842. 

App.  Claudio  Crasso,  nipote  del  de- 
cemviro, si  oppone  alle  leggi  Li- 
cinie, II,  24;  creato  dittatore  (332), 
vince  gli  Ernici,  34. 

App.  Claudio  Cieco,  censore  (442), 
tiene  di  prepotenza  l'ufficio  per 
cinque  anni  contro  alle  leggi,  pone 
nel  senato  alcuni  figli  di  libertini 
e  dà  la  cittadin.anza  a  più  liberti, 
lì,  276-277,286;  sue  opere  pubbli- 
che. Via  Appia,  acquedotti,  tempio 
a  Bellonff,  I,  851,  II,  287-28S.  290- 
291;  oratore  e  scrittore  di  versi, 
287  ;  console,  combatte  gli  Etru- 
schi, 80;  vecchio  e  cieco  e. -cita  con 
forti  parole  a  continuai-  la  suerr.-i 
contro  Pirro,  197-198;  disser.i  che 
accieoò  per  avere  oltraggiato  la  re- 
ligione, 301. 

App.  Claudio  Caudex ,  fratello  del 
Cieco,  console  (490),  comincia  la 
prima  guerra  punica,  passa  in  Si- 
cilia, batte  il  re  Gerone,  e  i  Car- 
taginesi, ed  h  respinto  da  Egesta, 
II,'  210-211,  286. 

Claudio  Fulcro  (P.),  figlio  del  Cieco, 
(<!Onsole  nel  50.5),  sprezza  gli  au- 
guri ,  getta  i  polli  nel  mare,  ed  6 
sconfitto  a  Drepano,  II,  231,  300-. 
301;  nomina  a  dittatore  un  liberto 
ed  J!  condannato  a  pagare  un'am- 


cilìa  (540),  II,  :ì76-377  ;  console  (548) 

combatto  all'assedio  di  Capua,  557,, 

App.   Claudio   Centone,   legato  (584) 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


nella  guerra  contro  Perseo  è  bat- 
tuto in  Illiria,  II,  472. 

App.  Claudio  Pulwo  (console  nel  6I1Ì, 
combatte  i  Sjihissi  (  V'if  d'Aosta), 
III,  97;  su.M-r,.  ,1)  1  r,,  (.i-xcco, 
eletto  conihii      i   i -   (i  ■'■nzio- 

ne  della  l.-^_  [;i     ts.  53. 

x\pp.  Claudio  Puh  li  .  Mi-il"  (700), 
accusato  di  coi-ruzione  nelle  ele- 
zioni, III,  4G0;  augure  e  studioso 
di  necromanzia,  7-15. 

Appio  Claudio,  drudo  di  Giulia,  IV, 
217. 

Claudio.  —  Vedi  Clodin  P\ilcro  (P.), 

della  patrizia  gente  dei  Claudii. 

rlniidii  Mfircrlli.  plebei. 

Claudio  Marcello  (M.),  console  (.553  , 
539,  510,  511,  51(;).  vince  gl'Insubri 
e  sottMUictte  la  (lallia  Cisalpina, 
II,    253;    a  Clastidio    pi-ende    il  re 


le  spu-lic  a  (, 

love 

Feretri 

1,    254- 

255;    dupo    la 

SCOI 

atta  di 

Canne 

manda    p.^rte 

sua  lluli.i  :i  ::i 

•inii: 

(li  I;oi 

a.  350- 

:.i(J(l;    •     ;,,^MIn: 

il   '■ 

<  1 : 1  1 1  (  h  • 

ilell'e- 

SCI''"'-    : 

.  i'.  1  ■  re- 

sp.i,,       . 

.1.  372; 

in  hlMcco  1  ass 

:i77-:s/ 

I;  e  al- 

larga  la  guerra,  37!»;  batte  Ippo- 
crate,  379;  tenta  avere  .Siracusa 
per  via  dì  congiure,  e  di  un  as- 
salto   iinttMrii.i    'Isa-    ;.    1-1  prende 


Ani, 


aguato 


sili,  391  ;    è  ucciso    in 
presso  Petilia,  396. 

Claudio  Marcello  (M.),  figlio  del  pre- 
cedente (console  nel  58S),  vinto  dai 
Boi  riporta  vittoria  sopra  gli  In- 
subri, li,  457. 

Claudio  Marcello  (Marco) ,  console , 
tenta  pacificare  i  Ccltiheri,  li,  .525. 

Clauili.i  M;.i-.,ll  ,  ,M  1.  \r_  ,,..  ,1,  Ma- 
ri-..   ni   ad 


S...T.   ■    1  :  ■  .  hi  1-1  iiiiri-o  dai 

Clau.lhi  M  1  I  .  .11  ronsole  (703), 
nniH    ..li.      1.     Ili,  477. 

Claii.li..  \ln...,  .  ..  I  ronsole  (704), 
propone  il  11.  hi. uno  di  Cesare,  III, 
4.S0;  ordina  a  Pompeo  di  difen- 
dere la  patria ,  481  ;  e  ai  tribuni , 
amici  di  Cesare,  di  uscir  dalla 
Curia,  481-482. 

Cl.audio  Marcello  (M.) ,  figlio  di  C. 
Claudio  Marcello  e  di  Ottavia,  so- 
rella d'AuKusto,  III,  643;  fidanzato 
alla  figlia  di  Sesto  Pompeo,    (;49  ; 


l'i-'l't"   ''  '1     l'"P .'L'I. "•il..   .i;u 

poeti,  IV,  21:ì,  111,  (ii:i,  (iU. 
Claudii  Nernni. 

Claudio  Nerone  (C.) ,  vicepretore  al- 
l'assedio di  Capua,  II,  387  ;  caduta 
Capua  va  in  Spagna  e  si  lascia 
burlare  da  Asdrubale,  404  ;  console 
nel  547,  tiene  fronte  ad  Annibale 
in  Apulia  e  nel  Hriizio,  .397-399; 
pi-ciid"  i  messno-?!  di  Asdrubale  e 
coli  1,1.  r .',  i_.  li  .- I  marcia  corre  in 
aiui..  '1  li:.  -  iiii.itoreal  Metau- 
r..,  .         .    .  in.  «   il   nemico  e 

ti-i.iiii  .,  :;'i,i-|.il 

Claudio  Nerone  (Tiberio),  console  nel 
.552,  va  al  governo  dell'Affrica 
dopo  la  battaglia  di  Zania,  II,  421- 
422. 

Claudio  Nerone  (Tiberio),  padre  del- 
l' imperatore   Tiberio,   ha   un  co- 


mando in  Campania  e  fugge  per 
timore  di  Ottavio,  IH,  641;  marito 
di  Livia  Drusilla  che  gli  è  tolta  da 
Ottavio,  650,  IV,  211. 

Claudio  Nerone  Tiberio,  imperatore. 
—  Vedi  Tiberio. 

Claudio,  imperatore  (Tiberio  Claudio 
Nerone),  scemo  di  mente,  IV,  313  ; 
fatto  imperatore  dai  pretoriani , 
336-338;  sua  infanzia  e  gioventù, 
338-339  ;  imperatore  sciagurato  , 
erudito  e  balordo,  339;  misto  di 
crudeltà,  di  bontà,  e  di  paura,  340  ; 
suoi  giudi/i  senza  autorità  e  senza 
dec.ii-o,  :itl;  in  potere  dei  liberti, 
31-2-3I4:  irncrra  in  Affrica,  344; 
spcdizi.ii"  in  Hi'it-ii'ciri,  345;  pren- 
de il  II  •■ 1 1.  h  ...i,i,.,ì^  345;  ar- 
chi in  1  -  11''.;  trionfa, 
346;  ii..|.  ... .  jinania  e  in 
Orienl'j,  JIS,  ^j\.ji  no  delle  pro- 
vince, .349;  protegge  i  servi,  350; 
abolisce  i  Druidi,  350;  sue  pedan- 
terie d'antiquario,  351,  867  ;  rista- 
bilisce la  censura,  351-352  ;  censi- 
mento, 352;  editti  in  gran  quan- 
tità, 352-333;  provvedimenti  con- 
tro la  fame,  354,  336  ;  nuovo  porto 
di  Ostia,  354-336  ;  le  acque  Clau- 
dia   e    Aniene    X r.T-riS; 

emissario  del    i  l   ,  :.        ;;",,S- 

339;    sue    nn.-  .        ;    .  .     rii;i- 

to  da  Mess.-ilini  .  : ."-  ;  .1  ...in- 
giura  contro  ili  im,  :j.il  ,  e  ripu- 
diato da  Messalina  che  mentre 
egli  è  a  Ostia,  sposa  Silio.  302-363; 
Claudio   torna  e  fa  iiccidei-e   Silio 


adotta   X.'.-  .11.'  .'.  .!■ .,  ,li    1  ;rit,-in- 

nico,  370;  e  -li  da  in  moglie  la 
sua  figlia  Ottavia,  370;  promette 
a  Britannico  la  toga  virile,  371  ;  è 
ucciso  di  veleno,  372;  e  divinizza- 
to, 373;  sua  st,..i,.|  .rMlriiri.'i  .  I, 
123,  IV,  866-»;:  ,  ,    iit.ia 


.!,  !I07. 
rato   da 


Claudio  (;,    ,  ,    !  . 

Vespa-.  .....    1,.    i:  ■; 

Claudio   (I.  iiiiii.i  ili),   IV,  498;  rifatto 

da  Vespasiano,  515. 
Claudio  Balbino,  suo  scritto  suU'  E- 

gitto,  IV,  919. 
Claudio  Frontone  (M.),  nella  guerra 

Partica,  IV,  728. 
Claudio  Massimo,  stoico,  maestro  di 

Marco  Aurelio,  IV,  720,  724. 
Claudi. 1    Quadrigario    (Q.),    scrive   la 

-i.na   .Il   l!..in.a,  HI,  766. 
:     .         -  1  .ne ,    favorito   di   Ne- 

11  11  11  .  -.  .  1  ..  peripatetico,  maestro 
ili  Mni-co  Aurelio,  IV,  720,  724. 

Clauilio  Tosco,  suo  diario  metereolo- 
gico,  I,  4.39. 

Claudio  Unimano,  sconfitto  daViria- 

c  i..''i  a.   I^^^iuno  di),  IV,  rfi3. 

I  :  .  ...  '  /o  Si'idn).  citta  della 
|..,a  1     1     .    .1..  libera,  li,  453. 

iKan.ir...    ..a li    liela.    II,   1,59. 

Cloaiidr  ,  i  1  i-ii.  T  i.  .n'ito  di  Com- 
moili,  i\  ;::.  a  .ile  a  Perenne 
neirmli  .1.  |.i  a  i .  .,  777;  tumulto 
conti-..  .Il  Ha,  :;:-;rS;  ha  tron- 
cata la  testa,  77S. 

Clelia,  suo  eroismo,  I,  627-628;  Roma 
le  inalza  una  statua  equestre,  C38. 

Clelio  (Gracco),  guida  gli  Equi  con- 
tro Roma,  I,  825;  sconfitto  rimane 
prigioniero,  828. 


è  spento  da  Tiberio,  perché 
si  dà  pel  suo  padrone,  IV,  252. 

Clemenza,  raccomandata  dagli  stoici, 
IV,  862. 

Clemenza  (tempio  alla)  e  a  Cesare . 
Ili,  533. 

Cleone,  di  Cilicia,  capo  degli  schiavi 
sollevatisi  ad  Agrigento,  IH,  40  ; 
muore  a  Enna,  42. 

Cleonimo,  di  Sparta ,  chiamato  dai 
Tarentini  a  difenderli,  U,  189. 

Cleopatra,  figlia  di  Mitridate  e  moglie 
di  Tigrane  d'Armenia,  IH,  226. 

Cleopatra,  figlia  di  Tolomeo  Aulete . 
cacciata  d'Egitto,  IH,  505  ;  Cesare 
la  chiama  ad  Alessandria,  509;  e 
dà  a  lei  e  a  suo  fratello  il  governo 
dell'Egitto,  512;  amori  della  re- 
gina e  del  gran  capitano,  512- 
.513;  chiamata  a  Roma  da  Cesare, 
560-561  ;  impedita  dai  Repubblica- 
ni di  soccorrere  colle  sue  navi  i 
triumviri,  620;  amori  con  M.  An- 
tonio che  le  dona  regni  e  provin- 
ce. 634-635,  662,  665  ;  e  la  dichiara 
regina  dei  re,  670;  si  vanta  re- 
gina dei  sette  colli,  671;  Roma 
le  dichiara  la  guerra,  674;  ella 
segue  Antonio  e  lo  consiglia  a 
dar  battaglia  navale  ad  Azzio, 
676;  durante  la  pugna  fugge  colle 
sue  navi  in  Egitto  ove  è  seguita 
da  Antonio,  67.S  ;  e  si  apparecchia 
a  difendersi,  680;  ultime  orgie, 
6^*0;  oltre  segretamente  ad  Otta- 
vio scettro  e  corona,  680-681;  e 
gli  consegna  Pelusio,  681  ;  fe  riso- 
luta a  morire,  682;  Antonio  spira 
nelle  sue  braccia,  682:  è  impedita 
di  darsi  la  morte,  682;  tenta  in- 
vano di  vincere  Ottavio,  683;  e 
si  uccide,  684-685;  Ottavio  la  fa 
seppellire  con  Antonio.  684. 

Cleopatra  Selene,  figlia  di  M.  Anto- 
nio e  di  Cleopatra,  moglie  di  Giu- 
ba Secondo,  IV,  182. 

Cles,  nel  Trentino,  editto  di  Claudio 
ivi  scoperto,  IV,  352. 

Cleta,  città  del  Bruzio,  I,  307. 

Clienti,  I,  693,  697;  loro  doveri  versi 
i  patroni,  699-700. 

Clismo,  fortezza  sul  golfo  arabico, 
IV.  69. 

riit-iMiia  '7  ó'cioVoio),  città  dei  Fren- 

(  !i'  /..f.so),    città   degli 

(  lil  ..'  1   Ili  1.  .1..  .li  Bruto,  III,  628. 
Cliliinno    (/v   Tcii^-),   piccolo   fiume 

dell'Umbria,  I1.7.V76,  IV,  15.5-1.36; 

ruderi  del  tempio  a  lui  sacro,  155- 


M  1       I.  416-417,  726. 

a  13.  6.30.  724-726. 

11   Ih.   1.    t.nipio,  II,  625. 
,  s.nella  (h  P.  Clodio,  III.  403. 
,  sposa  di  Ottavio,  III,  607. 
.  —  Vedi  Lesbia. 

(('1.  dipo    1.1   sconfitta  di  Fi- 
ri  -■;  irii^.-.- -il!..  n..tte  di  Murco 


..a  .   M  .    .   .    1        a  a    1  .   in  Affrica, 

.a    .      1    .  al  ..    .    .1.1    l..-ill.a,    IV.   4:«. 

1  li   pretore,  vinto  da 

1  lai  11'.)  (della  patrizia 
al.  .li  1  I  luilii),  militando  in 
Asia  (.ISt)  sotto  il  suo  c.gnat.. 
L.  Lucullo  b  mandato  a  chi.  d.  re 
aTigranedi  con.segnar  Mitmlat  •. 
Ili,  430;  scontento  di  Liicull..  uli 
eccita  a  rivolta  le  truppe.  Mi; 
accusa  Catilina  delle   sue   rapine 


990 


INDICE 


CLODIO 


COLONIA 


COMO 


■li  Affrii-a.  372;  sul'  grandi  infa- 
mie e  amore?? iamenti  i-on  la  ino- 
fflie  di  t;esare,  e  scandaloso  pru- 
ri-sso,  -lOS-^tM:  ò  assoluto,  404; 
suo  tribunato,  suoi  furori,  e  sue 
le??i ,  41&-418;  accusa  Cicerone 
JHM-  la  morte  dei  Catilinarii,  e 
gì"  ini-i-ndia  e  depreda  la  casa  e 
le  ville.  418-419:  sue  enormezze, 
421  ;  vilipende  Pompeo,  421  ;  fii 
assalire  a  sassate  Cicerone  tor- 
nato dall'esìlio,  423:  assoluto  dai 
tribunali ,  461  ;  accarezzato  dai 
buoni,  471  ;  continua  i  suoi  furo- 
ri, 471:  tenta  impedire  che  Cice- 
rone rifabbrichi  la  sua  casa,  471  ; 
accusato  da  Annìo  Milone,  è  as- 
sclut...  4:2:  e  fatto  edile,  perse- 
4.-.,it,  :i  .  :  ;i  n,-mico,  472: 
!■  1.  !      "In  Bovine,  e 

il  MI  i   ■.         |i  rtuto  a  Roma 

i'  '■:,!..  ,:,,    •     ,li  rapine,  d"in- 


Clod. 


V       ,:i  i    (IX).   gOV.T- 

n:it   .  11!     n-rcsta  la   dc- 

f.v.      e    .:   .  ,  .ti.   IV.   747; 

ri^in  i 1  j.!   Il  il  I  Sarmati,  769. 

Clodio  .Sura  (!'.),  maiid.-ilo  a  Berga- 
mo! e  poi  a  Cimo  in  (jualità  di 
curatore  imperiali-.  IV,  671. 

Cluenzio  (L.).  sannite,  duce  degli 
Italici  rivoltati,  IH.  17.-,:  difende 
l'ompei.  ini-192;  e  ucciso  a  Nola, 
192. 

fluilie  t'osse  {Setf  Dissi),  I,  .'500,  S92. 

Clunia,  citta  degli  Arevaci  nella  Spa- 
gna Tarracouese ,  assediata,  HI, 
299. 

Clupea,  detta  anche  Aspis,  fortezza 
di  AflVica.  presa  dai  Romani,  li, 
219.  222. 

Ciusium.  —  Vedi  Chiusi 

Cluverio.  s^m  It'ilia  "nU'ioa.  1.  187. 

fluvia,  citta  deil'Irpini,  1.  26;;. 

tluvi..  Rufo  (M.).  storico,  IV,  920. 

Cucceiu  Firmo  (M.),  centurione  iu 
Britannia,  IV,  7U9. 

Cocceio  Nerva  {!,.),  prepara  la  pace 
di  Brindisi,  III.  612 

Cocceio  Nerva  (M.),  giureconsulto, 
accompagna  Tiberio  a  Capri,  IV, 
291  ;  muore  di  fame,  307. 

Cocceio  Nerva,  imperatore.  —  Vedi 
Nerva  (M.  Cocceio). 

Coridio,  nume  guerriero  in  Brit.-ui- 
iiia,  IV,  652. 

Cocinto  {Capo  Stilo),  promontorio 
nella  .Magna  Grecia,  1,  315. 

Codice  P.ipiriano  (il).  È  una  impo- 
stura. 1.  720. 

t.'.dcbide  {M/'iir/relia  e  Imerezia),  III, 
220. 

CoUazia  (presso  Apricenn),  città  del- 
l'Apulia,  I,  3.58. 

CoUazia.  città  del  Lazio,  I,  562,  563  ; 
sottomessa  da  Tarquiuio  Prisco, 
.'iflO;  formula  con  cui  si  arrese  a 
Roma.  796. 

Collegi  sacerdotali  in  Etruria,  I,  409- 
412.       • 

Collegia.  —  Vedi  Associazioni. 

Collegio  dei  poeti.  Ili,  789. 

Collina,  regione  di  Roma,  1,  605. 

i:ollina  (Porta),  a  Roma,  vi  sono 
vinti  i  dalli,  lì,  33;  vittoria  di 
Siila,  111,  2.59» 

Colofone,  cittji  della  Ionia  (rovine 
presso  a  TeUilleh),  presa  da  Ari- 
Moni.o.  II.  rai:  si  ribella  a  Mitri- 
il.ite.  III.  214:  liberata  da  L.  Lil- 
'ullo,  211:  oracolo  consultato  ivi 
da  (ierm.iiiico,  IV,  261. 

Colonia  Adriana,  nel  Norico,  ricorda- 
ta da  una  epigrafe  interpolata,  IV, 
639. 
Colonia  Agrippina  {Colonia),  sul  Re- 


Tun:; 
Petii: 


ni   ribellatosi ,    477-17S?  Traiano 

vi  riceve   1'  annunzio  della  morto 

di  Nerva,  .-)52. 
Colonia  Ciesarea  lllici  Augusta,  nella 

.Spagna  Tan-aconese,  IV,  59. 
Colonia   Elia  Mursa   (Eszrg) ,    nella 

Pannonia   Inferiore ,    fond.ita  da 

Adriano,  IV,  631. 
Colonia  Sarnense,  in  Affrica,  III,  526. 


IV,  5.')4. 

Colonia  Troiana,  nel  Lazio,  I,  532- 
539. 

Colonia  Zernensium,  nella  Dacia,  IV, 
580. 

Colonie,  origini  e  cause,  1,  .50,  51, 
224;  greche,  in  Italia,  11,96-132; 
loro  ordinamento,  132-133;  e  lotte, 
133:  introdotte  dagli  antichi  ita- 
liani. 2II4-.  pi-r  (|iial  foie,  ii;."):  de- 

di     Kmi,,'.'      .'    ",  ■.■■::)l 


me  giogo  SUI  vinti,  servivano  alla 
difesa  di  Roma,  268;  ed  erano 
trattate  duramente  se  rivoltavan- 
si,  269;  pagavano  un  censo  an- 
nuale, 271  :  loro  contegno  dopo  la 
presa  di  Capua,  3!)3;  le  colonie 
marittime  ordinariamente  esenti 
dal  fornire  militi.  3nS:  CaioGracco 

litari.  ■'■-'.:  I  'II'  <la  Cesare, 
.■.:57;  il  i       '  _li  abitatori, 

63.5-(;:;';  ■'  ■  -  .  '  ■  mai,  IV,  43, 
60;  ih  11  ■  [1- 1  '  .  '■■-■'  I  ;  dei  tempi 
di  (  i  -  di  Nerone, 

375;  lii  'M  in  ,;  ,,  II.-,;  di  Tra- 
iano 11  ;  II-  nelle  due 
Mesi.-  -\  .ì.  \!:. .010,663;  di 
M.-Pro    \iir.  Ii.i.   710,  7r-. 

e  .1  ,Mir.  \hi..irnia,  IV,  713-715,  734, 
:  1 1.  7 1:.   ::.'.. 

r.ii  iiiiKi  K.'L;L:iiia  (a  Catana  o  a  Ca- 
/,■„,„>).  1,  304, 

Coloina  rostr.ata,  di  C.  Duilio,  II, 
2U;-217,  30(). 

Colonna  T.aiana,  ricorda  il   trionfo 


5S4-,- 
.599  -. 

pellii 


I I     :  .li  I-;truschi.  I,  438-439. 

(     ,  '.    ili  .Vnlìteatro  Flavio. 

r  1  ,  .  -Il  M  limone.  IV,  202,  666: 
miru'oli  (l.dla  statua  vocale,  666, 
668:  visitato  da  .•Vdriano,'fi(!7-eHS; 
restaur.ito  da  Settimio  Severo,  668. 
—  Vedi  anche,  919. 

Colosso  dì  Nerone,  IV.  403;  poscia 
trasformato  in  Apollo,  515,  678; 
(>)mniodo  vi  pone  la  propria  te- 
sta, 709. 

Colosso  di  Rodi,  rialzato  da  Adriano, 
IV,  064. 

Combattimenti  in  onore  dei  morti , 
I,  511. 

Cometa,  e  .nipni--!  jv-r..  d,,|,o  la  morte 
di  e-  .  in  .;  i-^:.-,;  e  durante 
l'imp.  1     .||        :    ,.      IV,  390. 

Coininio  (  \     .,1  ,,   .  ,11,1  il, -li  Eijui,  I, 

22y-:':;u. 


Comiiiio  Cerilo,  città  dei  Sanniti 
Peiitri,  1.  259;  assediata  e  bru- 
ciata dai  Romani,  lì,  87;  risorge 
ed  é  presa  di  nuovo,  89. 

Cominio  (Ponzio),  sale  al  Campido- 
glio assediato  per  avere  il  decreto 
che  nomina  dittatore  Cammillo,  I, 
894. 

Comizi  delle  centurie  (Comitìa  cen- 
tvì-intn),  I,  710;  loro  adunanze 
nel  Campo  Marzio,  713-714  ;  per  la 
elezione  dei  consoli,  717;  giudica- 
no della  vita  dei  cittadini,  847  ;  li- 
berati dal  ì-ctiì  dei  romizi  curiati, 
II,  30;  ai-|iii-i.ni"  ili  "^illa  la  po- 
testà lu-i  ■  ■     '    li:    ::;. 

Comizi  coiis..  1  \     _  .1 

Comizi  dell.'  Il  ir  \i'  -l'I.''  furiata), 
condaiiiiaiio  ,i  moi  ii-  Manlio  Capi- 
tolino, 11 ,  17  ;  è  tolta  loro  ogni 
potestà  legislativa,  31. 

Comizi  del  popolo.  —  Vedi  Comizi 
delle  trihn 

(Jomìzì  dolli-  I  i-.iiii  i' ■■'  '  '  .  '".'.'i,- 

compost  i  1 .'  I  , .  ■  1 1 1  I  >;.■:.  I    I , 

814:  s.ii.i'.    .     r  —      !■_-,■. 

II.    2.S0;      |i    .  .;  ..LII.     lii- 


Ottavio.  Ili,  075;  turbamenfi  per 
la  morte  del  re  Antioco,  W.  258; 
sottoposta  a  un  pretore,  261-262; 
riunita  da  Vespasiano  alla  Gala- 
zia,  495;  provincia,  782. 

Commedia,  rappresenta  i  costumi  ro- 
mani. II,  ,579-589. 

Commedia  palliata,  II,  645-646. 

Commedia  togata,  11,  016. 

Commedia.  —  Vedi  Prologhi,  Teatro. 

Commedie  ,  scrittori  romani ,  111 , 
789, 

Crvinni.'nio  Ir.ntfali  tra  Roma  e  Car- 
tn  11,.  1  :ji;-7.«,  772,  lì,  325;  di 
1:    .,  ,     ì  \     ;  'I  ,'110. 

Con,  .1,1  .  r,-lio),  figlio  di  Mar- 
,  \  .;  Il  -iste  al  trionfo  del 
ji.  Ir,  l\  '.':!.  744;  lo  accompa- 
:;ihi  ii,.il:i  ^|i',iìzione  contro  Avi- 
ili  ,    1   ,~  1  ,      7  17;    sue   nozze  con 


lari  o  torna  a  Roma,  768;  e 
rioiifa,  708;  guerre,  769;  ricevo 
nomi  di  Sarrfiatico,  Germanico 
■  lì-it-ìmii'-  ,  700;  libidini  e  cra- 

.   I.    :,.'    1  ,tt  i;jlie  del  sozzo  pri'n- 


770-771  ;  "sopran- 


fe  spenti    |.i-r    ,-,.iigiuia  di  o.il.t 
77!)-7.Sll  ;    gioia    universale,    .bO 
poi  deilìcato,  780. 
Oli» '/lociV'iift  .(compagnia  dei),   HI 

(•..ln,.i     ■■  ■     unir,-.    I.   379. 

e I  ,   ,1.     lì    Orobii,  I,  66-67 

i;.     ,:  ,    <I  ,:,'li   Insubri,  II,  4.57 
,1,111,    il.i    ,liK    l'iinii,    IV,   921 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


991 


COMPLICI 


COPAIDE 


CORNELIO 


Wl)  :  contese  tra  essa  e  i  monta- 
friioli  regolate  da  QJaiiciio,  S-VZ  ; 
curatore  imperiale,  071  ;  benefi- 
cata e  adornata  da  Plinio  il  Gio- 
vaìip.  Rflfi.  941.  044,  945. 

Compii,  i.  ii^ii].-  dei  Caliiri  in  Etru- 
ri.-i.  1.  "i:-:<:.  :;s-,-:-;so. 

Compsa  (r,,,,sv(|.  .111,1  degli  Irpini,  I, 
264;  pr.-.i  dni  KMmani.  11,  72; 
riruri]..  d'Antonino,  IV,  71C;  iscri- 


f..M.l,  ,  ,         ,,   i:    I,  ,.   IV,  207,  208. 
Con.jMiii  ,  I  ,     ,  i|,  ,   ,i,.i   Galli   Gesati, 

li.  .4'>,   1-   laitn  prigione  al  capo 

di  Ti-l:im.,iR',  2.52. 
C.incordia,  IJea.  IV,  764;  tempio.  Il, 

24;    volato    da  Gueo  Flavio,  278- 
.     -279;    innalzato  da  Camiiiillo.  297. 

-  Vedi  anche.  III,  588,  IV,  192,  469, 

Concordia  Angusta.  IV,  810. 

Coiicor.;ii    deUWL'.jne    Capitolino.    — 


rnm;.i.,  ,ii  Perugia,  173-174. 
Congenziato   o   Congonneziaco,  figlio 

(I-I  re  Hituito,  i!  condotto  a  Roma, 

IH,  'J4-9.Ì. 
Conci rnecare.  II,  602. 
Congresso,  d'archeoIn<;ia  preistorica, 

tenuto  a  Bologna  nel  1871,   I,  49, 


16H. 
Coni^v  (InV    v.-ìmi,,.    dell'Italia  meri- 

Coiis.:  !!     ,,    I,,         :    .    in   Etrnria  ai 

Cons.iii  a  .,r  s,  ,:..;,  .capitale del Brn- 
zio,  I.  ::o.",,  Il,  1S8;  presa  dai  gla- 
diatori, IH,  306;  assediata  da  Sesto 
Pompeo,  042. 

('•nisigli.i  di  Stato,  ereato  da  Augu- 
sto, IV,  29;  rinnovato  da  Adriano, 
6:ì:{-i;:54,  814. 

Consilino,  nel  territorio  di  Caulonia, 
I,  air,. 

Consolato,  i  tribuni  chiedono  che  vi 
siano  ammessi  anche  ì  plebei,  i 
iiuali,  dopo  lunghe  e  fierissinie 
lotte,  l'ottengono,  I.  853-S"'>7,  II, 
22-24,  20,  28,  30;  Siila  richiama 
in  vigore  gli  ordini  antichi,  III, 

C.jnsoli^  hanno  potere  regio,  I.  717- 
71S:  i-l.'tti  lu-l  .oiiiizio  delle  cu- 
ri.'         TU  iti    in  quello   delle 

■  ■ -1  I  '     I  l.'lie  ottiene  che 

n;i  .   :i   M'assemblea  cen- 

tuii.iM  sul:  . mi  di  carica  pos- 
.■i.Mi.i  .■^■;.■la■  .-itali  dai  tribuni,  811; 
dapitrima  chiamati  pretori  o  capi- 
tani generali,  840  ;  loro  ufficio  e 
autorità,  li,  281-283;  Pompeo  i! 
latto  console  senza  collega.  III, 
473;  Augusto  si  fa  dare  potestà 
c-onsolare  a  \-ita,  IV,  22;  sottj 
Claudi.),  349. 

Contcnebra,  presso  Tarquinia,  rovine 
etnische.,  1,  144;  distrutta  dai  Ko- 
mani,  II,  13. 

('ontriliiizi.ini.  —  Vedi  Imposizioni. 

Conviti.   -  Vedi  Cene. 

Conviti  pubblici.  III,  18,  357,  528, 
534,  IV,  104. 

Coo,  is.da  deir.\sia  Minore,  si  ribella 
a  Mitridate.  III.  244;  vesti  traspa- 
renti. \\ .  JiiO;  feste  di  Pismie  per 
la  i,...it.-cli  („.nnanico,  20.5;  Clau- 
di., 1.-  da  imaiuiiira.  349. 

Coorte  pret.naa,  II,  .544. 

Coorti  di  guardie  notturne,  III,  600. 


Copaide,  lago  in  Beozia,  III.  243. 

Copino,  condottiero  del  Volci  Tecto- 
sagi,  vinto  da  Siila,  IH,  I2S. 

Coponii,  famiglia  etrusca,  I,  484. 

Cora  (Cori),  città  dei  Volsci,  1,  233  ; 
colonia»  dichiara  che  non  può  dar 
soccorso  a  Roma,  II,  393,  394  ;  ri- 
dotta a  un  borgo  desolato,  IV,  794. 

Coracesio  (AlaicCf,  fortezza  dei  pirati 
in  Cilicia,  presa  da  Pompeo,  HI, 
333. 

Corazza  etrusca,  scoperta  a  Orvieto, 

I,  431. 

Corbinati  (Corbinl)  fanno  guerra  a 

Roma  per  i  Tarquinii,  I,  631. 
Corbione  \Rocca  Priora),  città  degli 

Equi,  I,  229,5.52;  presa  da  Corio- 

lano,  791. 
Corcia   (Nicola),   sua   opinione   sulle 

origini  etrusche,  I,  204-205. 
Corcira  (Corfii),   liberata  dai   pirati. 

II,  248  ;  vi  canta  Nerone,  IV,  418  ; 
visitata  da  Vespasiano,  488. 

Cordo  Mucio.  —  Vedi  Mucio  Cordo. 


i  Pompeiani  e  Cesare,  531  ;  strage, 
532;  patria  di  Anneo  Lucano,  IV, 
877. 

Corfniio  (Prntimii).  città  dei  Peligni. 
I,  240  ,.-,,::  ,  ,,i|.,,  Roma,  111, 
170  :   ].   ■         ■  ,    .'.Ila  lega  ita- 

lica. 1  r  '  il  i:;-174;  riceve  il 
noni.'  .1.  II  .1:  .  .  ]7i;;  la  Dieta 
italica  e  irasiern.i  a  Boviano,  190; 
si  arrende  a  Cesare,  489;  trib.  mi- 
litum  a  poìmlo,  IV,  788. 

Corinna,  celebrata  da  Ovidio ,  IV, 
160. 

Corinto  ,  esulta  all'  annunzio  della 
vittoria  romana  in  Illiria,  II,  248  ; 
vittoria  degli  Achei  sui  Macedoni, 
437;    nresidiata  dai  K.i..,ani    438; 

i!     di. -li:. il'  Il   I      ii'.-L'       I   ;s        l,.|to    il 

presi. 1         I  11  .    ■      ,■      I  milio 

P<a..|..     1    .■  .1  ,  ,      1    ,.s,-m- 

blea    .!    _:,      \    \:         l'I        I    -..aiatO 


il... 


Come 


Cornelia.  ìu.,k1u  di  P..!,,].. .,  .Ma-no, 
III,  50i  ;  vede  la  sua  uccisione  e 
ne  raccoglie  le  ceneri,  506. 

Cornelia,  vestale,  sotterrata  viva,  IV, 
.522- 

Coriudiaii  .  i|.,,.,.  1  ■,u'vi>,ìt(i) ,  co- 
l..ni:.  .1       I    _         :    .  neli.ani,  1,20.5. 

Curn.-lii  ~  :|.  .  '•  i  grandigie  e 
sepol.T.,    Il,     i.i,-,-;.!-;.   Ili,  03. 

Cornelio  (C.),  già   questore  di  Pom- 


.da 


Coriulauo,  7'Jl. 
Cornelia,  figlia  del  primo  Afl'ricano 
e  madre  dei  Gracchi,  111,  4.5-40; 
educa  i  suoi  figli,  46-47  ;  creduta 
cnnplice  della  rnorte  di  Scipione 
Emiliano,  62;  induce  suo  figlio 
("aio  a  ritirare  la  legge  che  proi- 
bisce di  rieleggere  un  magistrato 
deponi..  .1  iliK.i,  1.,   ::   SI     ...rc.ir- 

reil    i:^,       ,.:•,,;■:■,;:       ,r,    dcl- 

l'Av.i,!  ,,,.-,  ;  ,        ,   vita 


di 


peo,  tribuno  nel6.S7,  leggi  da  lui 
proposte.  III,  355-3.56. 

Cornelio  (C),  congiura  con  C.atilina, 
III.  373. 

Cornelio  Arvina  (P.),  console,  condu- 
ce le  truppe  nel  Sannio,  II,  70. 

Cornelio  Balbo  (L.),  di  Gade.  vince  i 
Gararaanti,  IV,  87;  è  il  primo 
straniero  onorato  del  trionfo,  87  : 
suo  teatro,  196. 

Cornelio  Celso  (A.),  suoi  libri  sulla 
medicina  e  sulle  arti,  IV,  170-177. 

Cornelio  Cetego  (C),  console,  vince 
gli  Insubri  e  trionfa,  II,  457. 

Cornelio  Cetego  (C),  congiura  con 
Catilina,  IH,  373;  arrestato  con 
armi  nella  sua  casa,  381,  382:  e 
strozzato,  386. 

Corneli.,  Cetego  (M.).  oratore.  III,  093. 

Corneli.i  Cletego  (Publio),  già  cacciato 
da  Roma,  si  unisce  a  Siila,  III, 
2.52. 

Cornelio  Cinna  (Lucio),  eletto  console, 
III,  207-208;  chiama  in  giudizio 
Siila,  208  ;  propone  che  siano  ri- 
chiamati i  banditi  da  Siila,  e  ri- 
messe in  vigore  le  leggi  Sulpicie. 
208;  cacciato  da  Roma  solleva  l'I- 
talia, 20.S-209;  accoglie  Mario,  212  ; 
muove  contro  Roma.  214:  vi  en- 
tra e  la  empie  di  stragi.  210-218  : 
uccide  gli  sgherri  dì  Mario,  218; 
si  crea  console,  218;  governa  Ro- 
ma, 220;  raccoglie  armi  e  de- 
naro per  impedire  il  ritorno  di 
Siila,  250  ;  ucciso  dai  soldati  ri- 
belli, 251. 

Cornelio  Cinna  (L.),  figlio  del  prece- 
'  dente,  si  unisce  a  Emilio  Lepido, 
III,  288. 

Cornelio  Cinna  (L.),  pretore,  loda  gli 
uccisori  di  Cesare,  111,  .507;  é 
messo  in  fii?a  n  s:,.c«nti.,  570. 

Cornelio  (111:1:1   :i.i ii^iuracon- 

tro  Au-i:  1  .       ].   rdona  e  lo 

facoiis,,..    i\     r- 

Cornelio  e.  1-^^.  i,\  1  ti  il. uno  militare, 
uccide  Tolunni.i.  n^  dei  Veienti. 
I,  869. 

Cornelio  Cosso  (A.),  dittatore,  vinc 
i  Volsci  ai  campi  l'oiitini.  II,  13; 
cita   Manli.,   11,... .I:ii...    W. 

i'..rn.-li..  1  ,  ,,  ,     \       ,    ,n   ,,|,  .   va  a  dl- 

C. ini. -il..  1  ii.-.L.. Il    hiii.rto  e  fa- 

\..rilo  di  Mila,  arriccliisce  coi  beni 
dei  proscritti ,  111 ,  203  ;  assalito 
da  Cicer.nie,  204. 

Cornelio  Dol.ibella  (P.),  vince  i  Senoni 
e  probabilmente  i  Boi  al  lago  Va- 
diraone,  11,  91-92. 

Cornelio  Uolabella  (P.),  tribuno  ,-  ge- 
nero di  Cicerone,  empie  Roma  di 
sedizioni,  IH,  515;  ingiuria  la  ni.j- 
glie  di  M.  Antonio.  515;  ha  in 
dono  da  Cesare  le  ville  di  Pompeo. 
543  ;  corteggia  Bruto,  506  ;  propo- 
ne che  gU  idi  di  marzo  siaii.i  l'e- 
lebrati  comedi  11:11  ilii  .  d.  i!  .  .iit.i. 
507  ;  frena  i  in;  :  i  .1  ;:  ■  1  :.l... 
contro  gli  UCCÌ-Ì...I:  il    '  7.;; 

esaltato  da  Cicii- ■''■       i.-.  ide 

a  Smirne  Trebonio.  WXi-b'.'ù  :  iittti- 
vio  fa  abolire  la  sua  proscrizione, 
604;  assediato  in  Laodicea  si  uc- 
cide, 619. 

Cornelio  Dolabella  (P.),  figlio  del  pre- 
cedente, innamorato  di  Cleopatra. 

III.  08.3. 

Cornelio  Frontone.  —  Vedi  Frontone. 
Cornelio    Fusco ,  prefetto    ilei    preto- 
riani, parteggia   per  Vespasiano, 

IV,  404  ;  capò  della  fiotta  a  Ra- 
venna, 408  ;  sconfitto  ed  ucciso  dai 
Daci,  .529. 

Cornelio  Gallo  (C),   scrittore  di  eie- 


992 


CORNELIO 


INDICE 


CORNELIO 


CORNELIO 


gie,  e  poi  grovernatore  di  Egitto, 
ove  si  uccide,  IV.  62,  110;  amico 
a  Virgilio,  118,  119. 

Cornelio  Lentulo  (Lucio),  console, 
combatte  e  vince  i  Sanniti ,  II, 
5fi.  57;  va  in  Lucania  contro  Pirro, 
201. 

Cornelio  Lentulo  Lupo  (L.),  sostiene 
che  la  distruzione  di  Cartagine  e 
dannosa  a  Roma,  li,  .503. 

Cornelio  Lentulo  Cnis  (L.) ,  consule 
(705),  ordina  ai  tribuni,  amici  di 
Cesare  di  uscir  dallaCuria,  III,  4SI. 

Cornelio  Lentulo  (P.),  combatte  tra  i 
duci  contro  i  sollevati  Italici,  III, 
173;  trucidato  a  Roma  da  Mario, 
217. 

Cornelio  Lentulo  Clodiano  (Gneo) , 
console  nella  guerra  dei  gladia- 
tori, III,  30(3;  vinto  da  Spartaco 
nellWppennino  e  nel  Piceno,  307. 

Cornelio  Lentulo  Getulico  (Gneo) , 
proconsole  in  Germania,  scrittore 
di  storie  e  di  versi  erotici,  ucciso 
da  Caligola,  IV,  3;«,  866,  918. 

Cornelio  Lentulo  Spintere  (P.),  con- 
sole, propone  il  richiamo  di  Cice- 
rone,  111.  421. 

Cornelio  Lentulo  Spintere  (P.).  figlio 
del  precedente,  seguace  di  Bruto, 

III.  566. 

Cornelio  Lentulo  Sura  (P.) ,  pretore, 
già  cacciato  dal  senato,  congiura 
con  Catilina,  111,  372;  attira  nella 
congiura  gli  ambasciatori  AUo- 
brogi,  378,  379;  arrestato,  381: 
confessa  ed  fe  degradato,  382;  e*' 
strozzato,  383. 

Corneli  ■  Merula  (L.),  console,  tenta 
salvare  Roma  da  Mario,  ni.  213; 
e  non  riuscito,  si  kvioi.i    217 

CorMelioMet.-ll,.S.-,p;  .,,,•  1,1  .  ^i,,.-  r 
di' Pompe- 1.  è  n    i  1 

Pompeo.   III.  n  ' 

ga,475;  pr.ip,.),.- ,Ii  ^li.-hi  ,  i  ,  ,■  i  - 
sare  nemico  della  p.itrin  .  481  :  .i 
Ijirissa,  .501;  ha  il  comando  dei 
Pompeiani  in  Affrica,  517  ;  preso 
dalle  navi  di  Sizzìo  si  uccide.  .520. 

Cornelio  Nepote,  lodatore  eccessivo 
di  Pomponio  Attico,  III,  741  ;  no- 
tizie sulla  sua  vita  ,  784  ;  storia 
universale,  altri  scritti  e  suo  mo- 
numento a  Ostiglia.  785;  Vii'-  flr- 
ijti  ecclh-nti  riipiio.ii.  7S;-7.><8. 

Cornelio  Palma  (Aulo),  governatore 
di   Siria  e  vincitore  degli    .Vralii, 

IV,  601  ;  onorato  di  statua  da  Tra- 
iano, 603;  congiura  contro  Adria- 
no ed  fc  ucciso,  631. 

Cornelio  Rufino  (P.),  console,  cacciato 
dal  senato.  II,  304. 

Cornelio  Sabino,  tribuno  dei  preto- 
riani, congiura  contro  Caligola, 
IV,  3;}4;  lo  ferisce,  335;  non  vuol 
sopravvivere  alla  libertà,  3.J8. 

Cornelio  Scipione  Asina  (Gneo),  con- 
sole (494),  fatto  prigioniero  a  Li- 
pari, II,  21.5. 

Cornelio  Scipione  Barbato  (L.),  cx>n- 
sole  (456).  combatte  a  Volterra, 
II,  79,  vinto  a  Camerino  dai  Galli, 
81  ;  vincitore  nel  Sannio  e  in  Lu- 
cania: sua  urna  sepolcrale,  305- 
:«)6.  311.  402. 

Cornelio  Scipione  (I,.),  figlio  del  pre- 
cedente, vincitore  della  Corsica, 
II,  217,  .30.5,  402. 

Cornelio  Scipione  Calvo  (Gneo),  con- 
sole, 8«itt. «mette  là GalliaCisalpina. 
II.  2.53:  va  con  le  legioni  in  Spa- 
gna, 315:  battei  Cartaginesi  alle 
foci  deirKhru,  355;  fti  prigioniero 
Annone ,  ricaccia  i  Cartaginesi 
oltre  l'Ebro,  riprende  Saguuto, 
fc  disfatto  e  ucciso,  402-403.      • 


Cornelio  Scipione  (P.) ,  fratello  del 
precedente,  console,  muiA'e' alla 
volta  di  Spagna  e  jntro  Annibale, 
già  diretto  alle  Alpi,  II,  334;  non 
.rrrivato  a  tempo  per  combatterlo 
in  GaUia  viene  a  incontrarlo  nella 
pianura  del  Po,  ed  è  battuto  al 
Ticino  e  alla  Trebbia  e  si  ripara 
a  Piacenza,  335,  340-:ì42;  rag- 
giunge   il    fratello    in    Spagna, 

,  combatte  felicemente  d.ippriina  e 
alla  fine  è  con  lui  disfatto  e  uc- 
ciso. 402-403. 

Cornelio  Scipione  (Publio),  detto  poi 
.\n"ricano,  figlio  del  precedente, 
chiede  il  comando  di  Spagna  per 
vendicare  gli  uccisi,  II,  404-405; 
.■sua  nascita  e  costumi.  405;  al 
Ticino  salva  la  vita  del  padre,  405; 
sua  intrepidezza  a  Canne,  405; 
ottiene  il  comando  di  Spagna,  406; 
espugna  Cartagena,  406-407  ;  vince 
Asdrubale  a  Becnla,  397,  407; 
r.ii-cin  i  rni-tJiL'iiv^i  ili  Spagna  e 
v[  I  :,  \t:  I  ;,  .  ;,  -I  ■-.,  _  .  ,.  -illeanza 
'  '!'  ^^  I  'T-i  '-  .,  il  Italica 
<!''      -     ^  ;■   I     ,    I  M'ierani, 

■li'^  i  r:)!  n  li  ..,i:l  i  i.-.-,,  ,li  glo- 
ria e  (li  preda,  e  contro  l'opinione 
dei  vecchi  propone  di  cacciare 
Annibale  d'Italia  col  portar  la 
guerra  a  Cartagine,  409;  eletto 
console  col  permesso  di  passare 
in  Affrica  senza  dargli  le  forze 
necessarie  alla  impresa,  409-410; 
aiutato  dagli  Italiani  di  uomini  e 
d]arnii,  410:  toglie  Locri  ad  An- 
nibale, 410;  fc  riconosciuto  inno- 
cente delle  scelleratezze  ivi  com- 
messe da  Plcmitiio,  411:  p.nrte 
.l-ill-i  Si-iliT  p,,pV\fVri.-i,   flMI?- 


■IIK  •■  lì  iii-it-  111  i-ull.L  :.u.^„a.ic 
.li  Campi  Magai .  415  ;  ne.ga  la 
pace  domandata  da  Annibale  ao- 
i-orso  a  dif.Mider  la  patria.  421; 
grande  vittoria  di  Zama,  421  ;  ac- 
corda durissima  pace  a  Cartagine, 
421-422  ;  trionfa,  ed  ha  il  sopran- 
nome di  Affricano,  424  ;  accompa- 
gna il  fratello  Lucio  alla  guerra 
contro  il  re  Antioco  di  Siria,  448; 
va  contro  i  Boi,  4,58;  si  tiene  su- 
]>eriore  alle  leggi  e  governa  quasi 
sovranamente.  555-156;  sue  ele- 
„,„,..„  „  „,..,, ,,,:^j,,^  .556-.5.57,  560; 
■■"  '■  ì  '  ;  ■  ■'  ra  di  Porcio  Ca- 
'  '  iide   in   giudizio 

|>       '1     -  1  IH',  grandi  gesto,  e 

r'iilu'.  il  11 -11. lo  dal  tribunale  ,al 
t'ampidoglio  a  ringraziare  gli  Dei, 
.561;  sdegnando  di  comparire  da- 
vanti ai  triliuni,  va  a  Literno.  e 
ivi  finisce  in  volontario  esilio  i 
suoi  giorni,  .56?:  scrisse  in  greco 
le  sue  imprese.  609;  celebrato  con 
un  poema  da  Ennio.  615-616. 
inieli.i  Si-ipione  II'.),  figlio  del  prc- 
'«■Ili  |i..  I.',  degradato  dai 
1 1       N    scrive  in  greco 

'l'ii'ii  I  S'  ipi  111'  (Lucio),  detto  poi 
l'Asiaiir-o,  111  Spagna,  II,  407;  va 
col  fratello  in  Affrica,  413;  va  in 
Grecia  contro  Antioco  re  di  Siria 
e  poi  passa  in  Asia,  448;  disfà 
.\ntioco  a  Magnesia  del  Sipilo, 
448-449;  trionfa,  449-150;  prende 
il  soprannome  di  Asiatico,  450; 
veste  alla  greca.  557;  accusato 
per  opera  di  Porcio  Catone,  560; 
scusa  il  fratello  dell'assenza,  .562: 
ìi  condannato  dalle  tribù  a  forte 
ammenda  per  la  pecunia  presa  da 


Antioco,  353,  564  ;  Catone  Io  can- 
cella dalla  Usta  dei  cavalieri,  566; 
fa  dipingere  in  Campidoglio  la  sua 
vittoria  di  Asia,  604. 

Cornelio  Scipione  Emiliano  (P.);,  detto 
poi  Affricano,  protettore  di  Poli- 
bio intercede  per  la  liberazione  de- 
gli Achei  prigionieri,  II,  493;  e 
salva  il  Peloponcso  da  crudeli  trat- 
tamenti, 499;  spettatore  della  bat- 
taglia di  Oroscopa,  504;  all'asse- 
dio di  Cartagine  ripai-a  all'  inca- 
pacità dei  consoli,  508;  fe  nominato 
esecutore  testamentario  di  Massi- 
nissa,  508;  eletto  console  prima 
dell'età  ritoiii  i  .,i  A'i  i-i ,  .509- 
510:   salva    I  '  ;  510: 

delibera  di    ii  i    -ine  ed 

entra  in  Mej  !■  i  '.i"i;  ■  ^iniisce 
una  diga  per  rliuidei-e  i  uscita  dei 
porti.  516;  vince  in  mare  le  navi 
cartaginesi,  517;  si  impadronisce 
del  porto  esteriore ,  517  ;  vince  il 
campo  e  prende  la  città  di  Neferi, 
518;  assale  Cartagine,  518;  e 
prende  Birsa,  519;  versa  lacrime 
sulle  rovine  di  Cartagine ,  .520  ; 
rimanda  i  capolavori  che  Carta- 
gine aveva  rapiti  alle  città  greche 
di  Sicilia  e  di  Italia,  520-522;  ri- 
ceve il  nome  di  secondo  Affricano 
e  trionfa,  .524:  va  in  Spagna.  534; 
ristora  la  disciplina,  534  ;  devasta 
j  dintorni  di  Numanzia,  e  l'assedia, 
.534-535;  chiude  il  Douro,  535;  ot- 
tiene ostaggi  dà  Lutia  e  fciglia 
loro  le  mani,  ;535  ;  entra  nelle  ro- 
vine di  Numanzia  e  trionfa  solo 
di  un  nome.  5.35-53(5;  lodato  per 
la  sua  onestà,  552;  si  scandalizza 
il 'Ilr  In  '  i?i.ine  greca  data  ai  gio- 
I  ini,  602:  ebbe  a  maestro 
1  n.;  -,  amico  del  poeta  Tc- 

i  -  I  10;  la  sua  casa  frequen- 
i.it.i  il.i  ji  ioli,  da  eruditi,  da  giu- 
ivi-unsulii  e  da  storici,  651;  chiede 
agli  Dei  che  sia  conservata  la  loi^ 
tiina  romana,  III,  44;  sposa  una 
sorella  dei  Gracchi,  46;  impreca 
da  lungi  a  Tiberio  Gracco,  58-60; 
ritornato  di  Spagna  combatte  il 
trilmno  Carbone,  60-62  ;  il  popolo 
tumultua  contro  di  lui,  62  ;  è  tro- 
vato morto,  62-63;  funerali  cele- 
brati da  Tuberone,  II.  577;  qualità 
del  suo  animo  e  della  sua  mente, 
111,  63-66  ;  eccitò  a  piii  grandi  spe- 
ranze il  giovane  Mario,  100;  rac- 
comandò al  re  Micipsa  il  giovane 
Giugurta,  104  ;  sua  eloquenza,  693, 
694. 

Cornell  1  s.-ipi,,,!,.  Abiatico  (Lucio), 
V  nonn  , M  ,  ,  ,  ,  1  (i;71),  HI,  2.51; 
trir  ,   !  ,•  «abbandonato 

dall'  ,  iri,p|.,  jr. .'-2.53;  .''lascia- 
to M.iic  lu  11,. ho  a  Marsilia,  267. 

Cornelij  Scipione  Nasica  Corculo  (P.), 
nella  guerra  con  Perseo  prende 
le  cime  dell'Olimpo.  II.  478-,  i. 
combatte  a  l'idna  47n-4.<!n-  rom- 
batte  Andi-is.    ,     l-l      v,  ,,•.■    -nlli 

guerradilVi  :  i'^     -  ,,-,,. i,.. 

la  distruzion.'  .,!  '    i  ■l'ivin l;m- 

nosaaRoiiii.  ",ii;.  ..,  ,i|,|,  ,,i.- alla 
costruzione  di  un  teatro  stabile, 
626. 

Cortielio  Scipione  Nasica  (P.),  figlio 
di  Gneo  Scipione  Calvo,  riceve  a 
Ostia  il  simulacro  di  Cibele.  Il, 
594  ;  suà  familiarità  con  Ennio, 
61.5. 

Cornelio  Scipione  Nasica  Serapione 
(1*.) ,  sua  resistenza  alla  legge 
agraria  di  Tiberio  Gracco,  III,  .50, 
54  ;  capo  degli  uccisori  di  lui,  .57  ; 
e  mandato  in  Asia,  ove  muore,' 59. 


J 


DEI  ìNOMI  e  delle  COSE. 


93-3 


CORNELIO 


CORNELIO 


GRATI 


iolio  Siila  (I,.),  <:,nK  questore  di 
lario  premi.'  p:irle  al  cohibatti- 
leiito  (li  Cirli.  Ili,  UT:  sua  na- 
ira  e  suoi  stuili.  lls-ll!>-,  induce 
.ji-co  a  rniise^iiaj'-li  i;iu,?uTta, 
1!»:  si  giuria  ili  aver  terminata 
i  iuerra  iiuiniilira,  l.'O;  vince  i 
.,ìei  Teet(..sa-i  .  liS;  alla  batta- 
lia  di  Vereelli.  1:5:!-1:51  ;  contra- 
a  a  Mario  la  ^doria  ilella  guerra 
umidirvi,  155;"  nella  guerra  so- 
ale,  178;  vince  i  Marruoini,  185; 
d  to  pretore  muove  contro  i  San- 
iti,  1S(;-187;  distrua-ge  Stabia, 
11;  prende  Pompei.  102;  vince  L. 
lueuzio  a  Nola.  Vii:  sottomette 
.  Campania,  r.i-2;  iiieeudia  Eola- 
r.rro  r  lìamine  il 
t..    -■  -■:,■... il,.,  201; 

"::"   h  J-iSuI- 

,i  >    .iiipania  e 

LI  .i.M,    2U(l-207; 

i-Uiamuto  in  giu- 

'Asia,   208;  pro- 


l'.i2; 


stragi  civili,  2U7 
(lizio  parte  per 
pretore  in  Cilici 


226; 


ni 


234-238;  vino 
nea,  23!>-240;  celebra  la  vittoria, 
241;  va  contro  Valerio  Fiacco  e 
poi  torna  in  Grecia,  242  ;  vince  I)o- 
rilao  e  Archelao  a  Orcomeno,  242- 
243  ;  oonchiude  la  pace  con  Mitri- 
date, 246-247;  sue  lettere  minac- 
ciose al  Senato,  249-250  ;  approda 
a  Brindisi,  251  ;  si  rafforza  di  aiuti 
e  vince  Norbano  al  Volturno,  251- 


pionc, -JJ&Z-ZD3;  vince  u  giovane 
Mario  a  Sacriporto,  254-255  ;  va  a 
Roma  e  poi  a  Chiusi  cnutro  Car- 
bone, 255;  vince  a  Saturnia,  25G; 
impedisce  che  Ponzio  Telesino  si 
unisca  al  eiovane  Mario,  257-25S; 
accorre  a  Roma  e  sotto  le  mura  lo 
vince  in  gi-ande  battaglia,  'ir,S-2',:i  ; 
fa  uccidere  i  prigioni  nella  Villa 
Pubblica,  2C0;  proscrizioni,  2(il- 
2(i2  ;  arrichisce  colle  rapine,  263  ; 
fa  grazia  a  Ululi.,  (osare,  264; 
riempie  di  stradi  l'Italia,  ■2i>4-267; 
si  fa  nominare  iiittatore,  -'(iS  ;  trion- 
fa di  Mitridate,  2i;S  i  si  chiama 
friire  e  protetto  dit'ln  l'oflvun, 
2ii0  ;  rinnova  gli  ordini  antichi  e 
il  Senato,  271  ;  abolisce  la  censura, 
272  ;  riforma  il  tribunato,  le  assem- 
blee popolari,  il  consolato,  272-273  ; 
rinnova  la  legge  di  maestà,  273  ; 
sue  leggi  criminali  e  suntuarie, 
274  ;  sua  religione,  275  ;  rifabbrica 
il  t«mpio  di  (iiove  Capitolino,  275, 
viola  la  legge  sul  secondo  conso- 
lato, 277  ;  sua  favola  del  villano  e 
degli  insetti,  277  ;  sua  abdicazione, 
277-278  ;  impotenza  desìi  ordini  da 
lui  stabiliti,  278-270  ;  muore  a  Poz- 
zuoli, 280  ;  onori  funebri  a  Roma, 
281  ;  gli  ordini  da  lui  introdotti  gli 
sopravvivono,  285-280;  libera  uno 
schiavo  cha  ha  denunziato  il  pa- 
drone e  lo  fa  gettare  dalla  rupe 
'l'arpeia.  34  ;  suo  rispetto  per  Pom- 
peo, e  poscia  sua  avversione  per 
lui,  313.  314;  porta  via  le  colonne 
al  tempio  di  (iiove  olimpico  ad 
Atene,  IV, 0.50  ;  suoi  Oìnìnv'nturU . 
Ili.  204,  280,770-771;  scrittore  di 
versi  e  (li  commedie  satiriche,  780- 
700;  premia  un  cattivo  poeta  a 
patto  che  non  gli  faccia  più  versi, 

urnelio  Siila  (Fausto),  lìgho  del  Dit- 
tatore, ij  trucidato  in  Affrica,  III,  , 
520  ;  battuto  alla  scuola  da  Cassio, 


Cornelio  Siila  Felice  (Fausto) ,  sacer- 
dote Arvale  e  marito  di  Antonia, 
esiliato  a  Marsilia  e  ucciso,  IV,  390. 

Cornelio  Siila  (Publio) ,  gli  è  tolto  il 
consolato.  III,  S.JO;  congiura  con 
Catilina,  3,56,  372,  373;  Cicerone 
lo  fa  assolvere,  380. 

Cornelio  Siila  (Servio) ,  congiura  con 
Catilina,  HI,  373. 

Cornelio  Sisenna  (I<.),  oratore  e  sto- 
rico, III,  707-708. 

Cornelio  Tacito.  —  Vedi  Tacito. 

Corni  {Corani (\  fanno  guerra  a  Ro- 
ma per  i  Tarquinii,  I,  631. 

Corniculanì,  monti,  I.  .502. 

Corniculo  {Moiilirflli),  1,502;  sotto- 
messo da  Tarquinio  Prisco,  500. 

Cornificia,  sorella  di  (;ornilìcio,  au- 
trice d'epigrammi,  HI,  700. 

(Jornifioio,  amico  di  Catullo,  scrittore 
di  versi  d'amore,  HI,  700. 

Corni  fìcio  (Lucio) ,  si  salva  a  Taor- 
mina con  eroico  valore,  IH,  055. 

Coriiiacio  (Q.),  governatore  d'Affrica 
per  la  Repubblica,  vinto  da  T.  Se- 
stio.  III,  620  ;  si  unisce  a  Bruto  e 
a  Cassio,  620. 

Cornus  {rorchinfx),  in  Sardegna,  an- 
tichi ricordi,  II,  245. 

Cornuto  (.\nneo).  —  Vedi  Anneo  Cor- 
nuto. 

Cornuto  (M.),  pretore,  tenta  difender 
Roma  assalita  da  Ottavio,  III,  603- 
604. 

Corona  aurea,  IV,  82  ;  castrense,  val- 
lai-e,  murale,  navale,  civica,  H, 
318;  graminea,  354,  III,  132. 

Corporazioni  delle  Arti  e  mestieri.  — 
Vedi  Associazioni. 

Correttori,  magistrati,  IV,  42. 

Corruzione  romana,  11,  574-577  e  seg.  ; 
descritta  nelle  satire  di  Lucilio , 
654-055  ;    cresce    ai    tempi    d.dla 


inaudite,  82  7     !  ,  j;  i  turpi 

principi  e  t.n  |      ) ;  -s>0; 

e.;cezioni  di  .ii  '  >  f  ■  lo. Late 
per  severo  .■l.^!  ■  -ì  pit- 
ture delle  1)1- ',    ::  .      i    nelle 

Satire  di  (.i..Vinii.     ■  -:--   i, 

Corsica,  detta  (.imo  dai  i.reci.  isola, 
Stazione  navale  etrusca,  I,  130  ;  ta- 
glieggiata dai  Siracusani,  881  ;  cor- 
rerie romane,  11,  217;  posseduta 
dagli  Etruschi  e  poi  dai  Cartagi- 
nesi, 237;  ridotta  a  provincia,  230, 
542;  suoi  abitatori,  240;  conside- 
rata da  Roma  come  paese  stra- 
niero, 272;  si  ribella  ed  é  sotto- 
messa, 460;  Pompeo  la  libera  dai 
pirati ,  IH,  333  ;  esilio  di  Seneca, 
IV,  360  ;  parteggia  per  Ottone,  445. 

Corssen  ((Juglielmo),  suoi  studi  sul- 
l'etrusco, 1,  482. 

Corsula,  città  pelasgica  nell'Agro  Rea- 
tino, I,  76,  78. 

Cortigiane,  11,  5S5-.558,  111,  18,  10,  IV, 
253,  521,  828. 

C'ortoiia,  detta  anche  Corito,  cacciali 
gli  Pmbri  è  abitata  dai  Pelasgi,  1, 
78-79;  una  delle  città  principali 
di  Ktruria,  123,  133  ;  sua  antichità, 
1.52;  lampadario.  152,  519;  chiede 
pace  a  Roma,  11,  70. 

Cortuosa,  presso  Taniuinia ,  rovine 
etrusche,  I.  144;  distrutta  dai  Ro- 
mani, 11,  li. 

Coruncanio  (Caio),  ambasciatore  con 
Lucio  suo  fratello  in  Illiria,  fatto 
assassinare  da  Tenta,  lì,  217. 


Coruncanio  (Tiberio) ,  trionfa  degli 
Etruschi,  II,  02;  torna  a  Roma 
all'avvicinarsi  di  Pirro,  100  ;  primo 
maestro  pubblico  di  (iiritto,  e  pri- 
mo pontefice  massimo  tra  i  plebei, 

Corventani  (i),  fanno  guerra  a  Roma 

per  i  Tarcjuìnii,  1,  G31. 
Corvi,  macchine  navali,   li,   214-215; 

non  giovano  alla  battaglia  di  Dre- 

pano.  II,  231. 
Cosa  o  Cossa  (Ansedonia),  città  p(V 

lasgica   occupata   dagli   Etruschi 

Vulcenti,  I,  130,    146,   160;    mura 

ciclopiche,  rovine  e  necropoli,  100  ; 

colonia  romana.   H,   93,  269,  427; 

Emilio  Lepido  vi  è  sconfitto,   HI , 

280. 
C.jsa  o  (^ossa.  sulla  costiera  di  Amalfi, 

abitata  dai  Picentini,  I,  278. 
Cosano,  porto  di  Cosa  (Porf  Ercole), 

I,  100. 
Cosano,  promontorio  (MontargenUv- 


160. 


Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV. 


Cos<!  fatali  (le  sette],  I,  733-736. 

Cosroe,  re  dei  Parti,  mette  sul  trono 
d'Armenia  Exedare,  IV,  613  ;  chie- 
de a  Traiano  che  vi  nomini  Par- 
tamasiri,  613;  messo  in  fuga,  616; 
rimesso  sul  trono  da  Adriano,  628. 

Cossa.  —  Vedi  Cosa. 

Cossa,  città  della  Magna  Grecia  (Cas- 
sano ì),  occupata  dai  Sibariti  uni- 
tisi ad  una  colonia  ateniese,  I,  321. 

Cossinio,  legato,  ucciso  nella  guerra 
dei  gladiatori,  IH,  306. 

Cossura,  Cossyra  o  Cosyra  (Pantelle- 
ria), isola,  UI,  267. 

Costituzione  romana ,  cambiamenti 
veri  e  supposti  dopo  la  cacciata 
dei  decemviri ,  I,  840-841  ;  perfe- 
■/i..nnta,  H,  27.5-280. 

(  1.1  i/i.me  Sillana,  Pompeo  si  ac- 
•  a  distruggerla,  IH,  315-317. 

'  ■  i,  popoli  Sciti,  asealtan  l'Inr- 

p  ...,  IV,  734. 

Cistumi  e  usi  dei  popoli  italici,  I, 
489-521. 

Costumi  romani,  descritti  nelle  com- 
medie plautine,  H,  622-626;  e  nelle 
S'Iti rp_Meììippee  di  Varrone,  HI, 

I  . .1  i  .  le  degli  (Idrisi,  nella  Tracia 
..I  iemale,  fa  alleanza  con  Perseo, 
11,  468,  481. 

Colini,  popoli  Sarmati,  assaltan  l'Im- 
pero, IV,  734. 

C.jtisone,  re  dei  Uaci,  si  unisce  con 
M.  Antonio,  IV,  567. 

C.jtone  di  Etiopia ,  portato  a  Roma 
dalle  navi  di  Egitto,  IV,  206. 

Cotone,  porto  interno  di  Cartagine, 
li,  514,  518. 

Courgenay  (piano  di)  (presso  Poren- 
truy),  campo  di  battaglia  fra  Ce- 
sare e  Ariovisto,  IH,  433. 

Courmaveur,  detto  dai  Romani  Auri 
fodinae.  in  Val  d'Aosta,  IV,  92-93. 

Cozio  (Marco  Giulio),  regolo  alpino, 
cliiede  pace  ad  Augusto  e  gli  in- 
nalza mi  arco  a  Susa,  IV,  96-97. 

C.jzio  (Marco  l4iulio),  figlio  del  prece- 
dente, ha  da  Claudio  il  titolo  di 
re,  IV,  97. 

(Crasso.  —  Vedi  Licinio  Crasso. 

Crasto,  città  dei  Sicaiii,  II,  104. 

Crataide  (nolano),  flume  del  Bruzio, 
1,  297. 

('rate,  di  Mallo  in  Cilìcia,  dà  lezione 
di  lettere  grei'he  a  Roma,  11,  601. 

CrateBe  di  Napoli  (Golfo  di  Napoli), 
1,  277. 

Crati,  fiume  di  Sibari,  I,  305,  320,  321. 
322. 


125 


994 


INDICE 


CREAZIONE 


CRONIO 


DALMAZIA 


Creazione  del  mondo,  secondo  gli  E- 
truschi,  I,  38T-;J88. 

Credito  fn-atuito,  stabilito  da  Tiberio, 
IV,  313. 

Creditori,  loro  crudeltà,  I,  773-777.  — 
Vedi  Usure. 

Cremerà  {Fosso  di  Formello),  fiumi- 
cello  d'Etruria,  I,  134-!35,  807  ;  fa- 
moso per  la  disfotta  dei  Kabii,  809. 

Cremona,  colonia  romana,  II,  253, 267, 
260;  i  Galli  si  sollevano  contro  i 
coloni,  334  ;  in  potere  dei  Romani 
dopo  la  batta.slia  della  Trebbia, 
3<2;  assediata  dai  I.iq-itri  e  (ialli 
Cisalpini,  e  lihrr-ii  tini  Rniruii  , 
•157;  coloni.-!  mi'  -    -     IH   •:  '  ■    n,.lle 

sue  vioinaiiz •    IV, 

446,  447;  spnt  ,  ,,  ;,  -.iiiai^iri 
in  onore  di  Viti  ihu.  151  ,  vi  >i  riu- 
niscono i  Vitelliuni,  4(Jj  :  e  sono 
sconfìtti,  465-466;  rubata  e  arsa 
dai  Flaviani,  466-467;  Vespasiano 
la  aiuta,  467:  sue  straifi  descritte 
da  Vipstano  Messala,  S20. 

Cremonesi,  alla  battaelia  di  Pidiia  , 
II,  479. 

Cremuzio  Cordo  (.\.),  libero  stm-ico 
delle  guerre  civili ,  cade  viltinia 
della  tirannia  di  Tiberio,  e  poi  i- 
rimesso  in  onore  da  Caliirola,  HI, 
626,  IV,  188,  288,  318,  8t;5,  i)18. 

Crepereio  Gallo,  familiare  di  Asrrip- 
pina,  IV,  384. 

Creta  (isola),  sottomessa,  III,  3.ì3 

Creuzer ,  sostiene  che  gli  Etruschi 
trassero  la  loro  civiltà  dall'Asia, 
1,  193. 

Criniisa,  città  della  Magna  Grecia,  I, 
319. 

Crimiso.  in  sir-ilia,  ilftt.i  niirln-  Sra- 


scoi 


torio  nell.i  Matrna  lii ia.  1.  319. 

Crigpina ,  figlia  di  Bruzio  Presente , 
moglie  di  Commodo,  IV,  749  ;  ri- 
legata a  Capri  e  ivi  uccisa,  776. 

Crispino,  delatore  e  consigliere  alla 
corte  di  Domiziano,  IV,  521,  539. 

('risso ,  duce  con  Spartaco  nella  ri- 
volta dei  {jladiatori,  IH,  306;  vinto 
e  ucciso  ai  piedi  del  Gargano,  307  ; 
ai  suoi  funerali  Spartaco  fa  com- 
battere i  prigionieri  romani,  307. 

Cristianesimo ,  come  giudicato  da 
Marco  Aurelio,  IV,  760;  non  mi- 
tigò lo  stoicismo,  760. 

Cristiani,  accusati  di  aver  incendiato 
Roma,  IV,  401  ;  e  da  Nerone  cru- 
delmente straziati  ed  iicrisi ,  401- 
402;  perseguitali  da  Domiziano, 
.541;  come  giudicati  da  Plinio  in 
Kitiiiia,  564  e  944  ;  perseguitati  da 
Traiano,  623;  insultati  nella  vit- 
toria dei  Romani  sui  Giudei,  686  ; 
lasciati  tranquilli  da  Antonino  Pio, 
707-708  ;  legione  melitina,  744  ;  uc- 
cisi dai  ministri  di  Marco  Aurelio, 
760-761  ;  considerarono  Nerone  per 
l'Anticristo,  427. 

Cristo  (Gesù),  sua  nascita,  IV,  104  ; 
Adriano  pensò  di  porlo  tra  gli  Dei, 
683  ;  sua  imagine  a  Roma  accanto 
quelle  dei  buoni  imperatori,  SriO. 


Crilolao,  inflaiiimn  l-IÌ  V'ti.-i  '-"iifro 
Romani,  11.  4"'.  r  "  '  'm  hi  l 
guerra  a  Sp.n  -  i  i:  .  .  t<r, 
fc  vinto  a  Sr.-n  |.  I  ,n| ,  i'.) 

Critolao.  nioBOlò  i"  rir  iteli  .■,  ,i  K'.ii]: 
n,  599. 

Croce,  supplizio  degli  schiavi,  UI,  3( 

Croco  di  Cilicia  e  di  Licia,  IV,  207 


I  Cronio,  in  Sicilia,  battaglia  fra  i  Car- 
tairinesi  e  Dionisio  di  Sii-acusa,  11, 
167. 

Cronologia  etrusca,  I,  438. 

Crotalo  (Anciìiale),  fiume  nella  Ma- 
gna Grecia,  1,  31.'j. 

Crotone  ('•  /  -.  <•  .,  n.lia  :siaL'na  Gre- 
cia. I,  ;ì1i'  il.'  e  deca- 
diineiit  '  i:-  ■  :■  i_ora  ne  ri- 
forma le  ir^-i.  Il  .  Ili,  142,  149; 
distrugiie  .'Mbiiri,  1.  .«1,  H,  150;  si 
solleva  e  caccia  via  i  Pitagorici, 
151,  158;  che  poi  vi  ritornano,  153; 
fondata  dagli  Achei,  118;  sue  co- 
lonie, 96  ;  in  guerra  i;on  Dionisio, 
tiranno  di  Siracusa,  170  ;  è  da  lui 
assalita,  171-172;  presa  e  saccheir- 
giata  da  Agatocle,  187;  ridotta  a 
misero  stato,  188;  presidiata  dai 
Romani,  189,  200;  presa  dai  Bruii, 
366;  colonia  romana,  427. 

Crotonitide  (repubblica),  '  I,  311,  316- 
319. 

Crustumena  o  Crustunieria  (a  Tor 
S.  Oimaniii),  città  del  Lazio,  1, 
127,  562,  5C3,  577  ;  presa  da  Ro- 
molo, 579. 

i:tesifonte  (Al  Madain),  residenza  in- 
vernale del  re  dei  Parti,  IH,  464  ; 
presa  da  Traiano,  IV,  616;  il  quale 
ivi  dà  ai  Parti  un  re,  618  ;  distrutta 
da  Avidio  Cassio,  731. 

Cuculio,  nel  paese  dei  Marsi,  incau- 
t.it.ii-i,  I,  248,  249. 

Cueuinella  (la),  tumulo  a  Vulci,  I,  423. 

Culto,  primitivo  dei  popoli  ilalici,  I, 
412-413;  in  Etruria,  413-415. 

Culto  dei  morti.  —  Vedi  funerali. 

Cuma,  citta,  la  pili  antica  colonia 
greca  in  Italia.  I.  270i  l'>iiilala  d.ai 
Calcidesi  ;m  II.  '  e.  US.  II''.  aN- 
Sediata  .;■  '   ■;•        !i:   '    .      1.  ,  ,i,  I. 

senza  \Mr.,  il,  M  eM,,s  ■,  \  i  i  -mmì 
istituti  na/.i..iiaU,  271  ;  i-esta  fedele 
a  Roma  dopo  la  battaglia  di  ('.lu- 
ne, 364  ;  assalita  da  Annibale,  liiì'.ì  ; 
colonia  militare,  IV,  43;  scavi, 
mondo  niìdiebre,  199. 

Cuiiiano  (golfo),  vi  sono  sconfìtti  gli 
Etruschi  Campani,  1, 883  i  e  la  flotta 
d'Ott.ivio,  IH,  651. 

Ciiiiarn,  monte  credvito  il  Gran  Sasso 
,i'lt>il„i.  I,  •>ì\  226,  242. 

Cunei  il. -He  gra.liiiate  del  teatro,  II,  627. 

CiMiieiiiiiu,  .assalito  dai  Versi  di  Ora- 
zio, IV,  l:i(l. 

Cupra,  Dea  etrusca,  tempio  nel  Pice- 
no, IV,  637. 

Cupra  Marittima,  nel  Piceno,  occu- 
pata dagli  Etruschi,  I,  126. 

Cupra  Montnii.a.  nel  l'iia'nn,  oceupata 
dagli  Etriisehi,  1,  12(i  ;  rie.inli  delle 
liljeralita  d'Antonino,  IV,  716;  i- 
serizinii,.  ali ntaria,  ,S07. 

Cin.-I'.  ■     1,  '  '    :--,!.  IV,  28. 

(    il        ■  :,     .■_    -Tali,    IV,    26. 

(  in  I'    I,   ,  ..r      Ili,  IV,  671  e  789. 

(ni  ,t-ii  ili  II.    L'iaiuli  vie,  H,  306. 

Cure  (Oiri-csr),  fondata  dai  Sabini  e 
loro  capitale,  1,  221-223.  " 

Curia,  bruciata  dai  Clodiani,  lU,  472; 
la  nuova,  IV,  12. 

Curia  Giulia,  I,  409,  IH,  541. 

Curia  Ostilia,  I,  409,  594  ;  pitture,  li, 
604. 

Curia  di  Pompeo,  l,  409,  IH,  555,  538. 

Curia.  —  Vedi  Senato. 

(;uria.  Senato  dei  Municipiì,  II,  274  ; 
suoi  poteri,  IV,  78S  ;  vi  sono  am- 
messi gli  spurii  purché  facoltosi 
ed  onesti,  790. 

Curi.azii  e  Orazii,  loro  battaglie,  l, 
590-.592  ;  loro  supposto  sepolcro  ad 
Albano,  422,  593;  leggenda  com- 
posta sulle  tradizioni  greche,  I,  G45. 


Curie,  in  Etruria,  I.  305. 

Curie  a  Roma,  1,  366,  667.  —  Vedi 
Comizi  delle  Curie. 

Curip  (Q.),  congiura  con  Catilina,  IH, 
373  ;  svela  a  Fuhia,  sua  amica,  le 
trame,  376,  377. 

Curio  Dentato  (Manìo),  console,  vinca 
e  costringe  i  Sanniti  a  chieder 
pace,  II,  89;  sottomette  ì  Sabini, 
90  ;  console  la  seconda  volta,  vince 
Pirro  a  Benevento  e  trionfa,  201- 
202;  sue  severe  virtù,  285;  acque- 
dotto da  lui  costruito,  291  ;  fa 
sboccare  il  Velino  nella  Nera,  201  ; 
sua  villa,  558. 

Curiosi.  IV,  70. 

Curzio  (la.^'.i),  I,  580,  li,  625. 

Curzio  (M.),  romano,  la  leggenda  della 
voragine  è  composta  sulle  tradi- 
zioni" greche,  I,  645. 

Curzio  (Metto  o  Mezio),  sabino,  I,  580. 

Curzio  Attico,  accompagna  Tiberio  a 
Capri,  IV,  291. 

Curzio  Rufo  (Q.),  scrittore  delle  im- 
prese di  Alessandro  Magno,  IV, 
952-953. 

Cutilia  (lago  di),  detto  ora  Poz:ìo  di 
Ratiijìmno  o  Latignano,  I,  77-78, 
379. 

Cutilia,  città  pelasgìca,  nella  Sabina, 
I,  74,  75,  77,  78  ;  occupata  dai  Sa- 
bini, 219;  vi  muore  Vespasiano , 
IV,  506  ;  e  Tito,  518. 

Cutina  (Civiteìla  Cnsnnora),  fortezza 
dei  Vestini,  I,  251;  presa  dai  Ro- 
mani, U,  58. 


Daei,  detti  anche  Geti,  soccon-ono  An- 
tonio contro  Ottavio,  111,  675;  re- 
spinti olli-e  il  Danubio,  IV,  85;  ec- 
citati ad  assalire  i  Romani ,  222  ; 
invadono  la  Mesia,  529,  568;  vin- 
cono Cornelio  Fusco  ,  529  ;  sono 
sconfìtti  a  Tape,  529;  loro  costumi, 
565-566;  insegne,  566;  scorrerie, 
.566;  trofei,  566;  ferocia  di  loro 
donne,  567;  sotto  il  re  Cotisone, 
567;  vinti  da  Crasso,  567;  sotto  il 
re  Berebista,  .567-568;  insulti  ai 
Romani  sotto  il  re  Decebalo,  568  ; 
prima  guerra  con  Traiano,  .570- 
571  ;  vinti  da  lui  a  Tape ,  572  ; 
sottomessi,  573-574  ;  seconda  guer- 
ra dacica,  e  derinitiva  vittoria,  .578- 
579,  581  ;  le  guerre  daciche  nella 
('olonna  Trai-ina,  583-598;  ordinati 
a  difesa  dell'  Impero ,  768  ;  loro 
moti  repressi,  769. 

Dacia,  memorie  di  Traiano  sulle  sue 
guerre  daeiehe,  IV,  .5.')9;  confini, 
.m;:,  ,m;-<  .Iim-h.iiì  ilopo morto  Be- 
ri '  Intta  a  provincia  e 

il.       .  .1    II in  due  parti,  ,579- 

àsii  ii|i  .|.  .;  HI  ila  Tr.-iiano,  580; 
resa  Honda  di  nuova  cultura  e  di 
nuovi  cominercii,  .580-581  :  scopei^ 
te  archeologiche,  581  ;  ricca  di  mi- 
niere d'oro  e  d'argento,  581  ;  ri- 
cordi di  Traiano,  382-583  ;  lingua, 
.5S2-.583;  fu  detto  che  Adriano  in- 
tendeva di  abbandonarla,  627  ;  go- 
vernata da  Marzio  Turbone,  631 , 
638;  moti  guerreschi  repressi  sotto 
Antonino,  708  ;  ricordi  di  lui,  715  ; 
divisa  in  tre  parti.  Dacia  Apiilen- 
se,  Maluense  e  Porolissense,  580, 
745. 

Dafne,  presso  Anfiooliia,  soggiorno 
estivo  di  Lucio  Vero,  IV,  TIO. 

Dafni,  p.nstore  Siculo,  II,  102. 

Dalmazia,  conquistata  dai  Romani,  II, 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


995 


DAMASCO 


DECIO 


DIO 


511,  III.  07  :  vinta  .la  Ottavio,  667; 
•  guardata  da  due  legioni.  IV,  78, 
783  ;  si  ribella  ed  è  vinta  98  ;  suo 
commercio  con  Roma.  202  ;  solle- 
vazione repressa  da  Tiberio.  222, 
223;  vana  rivolta  delle  legioni  con- 
tro Claudio,  361  ;  rimangono  fedeli 
a  Ottone,  442  ;  ricordi  di  Antonino, 
715. 

Damasco,  al  confine  della  Palestina, 
IV,  601. 

Damocrito, eletto  stratego  dagli  Achei 
muove  guerra  ai  Lacedemoni,  II , 
495-496. 

Damotilo,  di  Enna,  ucciso  dagli  schia- 
vi. lU,  .39. 

Uanala,  castello  in  Galazia.  Ili,  .344. 


r  impero, 

Danubio,  liume.  II,  541,  IV,  68,  79.  84, 
85,  93,  98.  480,  .529,  .554,  .565,  .507, 
568,  571,  635,  715,  734,  744,  751, 
782. 

Daimbio  (ponte  sul) ,  fatto  costruire 
da  Traiano.  IV,  576-.577;  inaugu- 
razione, .594-596;  rovinato  da  A- 
driano,  628. 

Danubio,  Dio  del  fiume,  propizio  ai 
Romani ,  scolpito  nella  ('oloniia 
Traiana,  IV,  585. 

Danza,  presso  gli  Etruschi.  I.  502-504  , 
presso  i  Romani,  II,  316.  G02, 

Danze  agli  Elisi,  figurate  nelle  tombe 
etrusche,  I,  514,  515. 

Dardanì,  vinti  da  Perseo,  II,  472. 

Dardano,  città  della  Misia,  rimane  li- 
bera dopo  la  sconfitta  di  .Antioco, 
II,  453. 

Dardano,  scudiere  di  Bruto,  IH,  628. 

Dattilioteca  di  Mitridate.  Ili,  399. 

Daunia,  l,  3.35,  347,  3.50-357. 

Dauno,  principe  dTlliria,  l,  351. 

Dazii.  —  Vedi  Imposizioni. 

Dea  Augusta  (Die),  nella  Gallia  N'ar- 
bonese,  IV,  ."5. 

Dea-Dia.  protettrice  dei  campi,  I,  370. 

Dea  .Siria  (la  gi-ande),  1\',  652. 

Debiti,  causa  di  fiere  contose  fra  pa- 
trizi e  plebei,  II,  19-20;  provvedi- 
menti ai  mali  che  ne  derivano,  29^ 
30  :  annullate  le  crudeli  disposi- 
zioni delle  XII  Tavole.  31-32  ;  con- 
donati da  Marco  Aurelio  dopo  aver 
quietato  l'Oriente,  IV,  749.  —  Vedi 
Usure. 

Debitori  insolventi,  in  Etruria,  I,  372  ; 
loro  condizione,  775-777;  crudeltà 
delle  leggi  delle  XII  Tavole  contro 
di  essi,  849-851,  852-853. 

Decebalo,  capo  dei  Daci,  vince  i  Ro- 
mani, IV.  529,  .568:  stringe  pace 
con  Domiziano  facendosi  pagare  un 
tributo,  5;J0,  568;  Traiano  vuol 
cancellare  la  pace  (atta,  .565,  in- 
sulta l'Impero  romano.  568  :  invia 
ambasciatori  a  Traiano,  571,  572- 
573;  vane  trattative  di  pace,  573  ; 
vinto  si  sottomette  e  ottiene  la 
pace,  573-574  ;  incursioni  sulle  ter- 
re degli  amici  di  Roma.  578,  se- 
conda guerra  dacica,  .578  ;  prende 
a  tradimento  Longino.  578;  vinto 
si  uccide.  .570,  597  ;  la  sua  testa  è 
mandata  a  R<jnia,  579. 

Decemviri,  hanno  in  loro  mano  tutta 
l'autorità  dello  , Stato  mentre  com- 
pilano le  nuove  leggi.  1,  833  :  le 
pubblicano  e  sotim  approv.itt-,  x:;i; 
ne  sono  eletti  dii  nuc.vi  pei-  a^'- 
giungere  altre  le-:;i.  s:il-s:;."  ;  Ini-.. 
tirannide,  83.">-S::7  ;  .  n.-.-i.it,  <l,i  un.-i 
sollevazione  del  popolo,  8:J8-840. 

Decemviri  per  le  liti.  II,  307. 

Decidio  Saxa,  occupa  i  monti  presso 
Filippi,  UL  622. 

Decima.  —  Vedi  Imposizioni. 


Decio  Mure  (P.) ,  tribuno  militare , 
salva  r  esercito  romano  nei  ditli- 
cili  passi  deU'.Appennino,  IL  40-42  ; 
console,  muove  contro  i  Latini,  45- 
46  ;  si  sacrifica  alla  battaglia  del 
^'esuvio,  47. 

Decio  Mure  (P.),  figlio  del  precedente, 
prode  legato  di  Papirio  Cursore 
Ciintro  !  Snniiiti,  II,  74-75;  con- 
sol Il  F^ii.n,  Rulliano.  75;  cen- 
oni-. ,  Il  i  -tenitore  della  leg^e 
l '^  -"i  I  ■.  si  sacrifica  per 

I  r  ilo  alla  battaglia 

M-   -.■!.  Il:-    :■'    ^0-82. 

Deci..  Mniv  (IV).  figlio  del  precedente, 
console,  imitando  il  p.idre  e  l'av.i, 
si  sacrifica  alla  battaglia  di  .Ascoli, 
II,  198-109. 

Declamazione.  —  Vedi  Rettorica. 

Decluno,  divinità  di  Velletri,  I,  382. 

Decurie,  divisione  delle  tribù  a  Ro- 
ma, I,  697. 

Defiirioiii  ,  •api  dc-Ue  docurie  delle 
Iriiiu  :i  Km, .a,  I.  697. 

Di-'ciui  ini  (  I  Sin.iiiiri)  nei  raunicipii, 
II.  -ìrA:  lororoi.siglio,  IV,  788;  da 
ultimo  pi-i-si  solo  tra  i  nobili  e  in- 
(■ari,-ati  di  riscuotere  le  tasse,  790. 

Dlm'Uss,-.  dieci  a^si,  II.  300. 

Dedalo,  I,  87;  in  Sicilia,  IL  103;  in 
Sardegna,  244. 

Dee  Madri,  nel  Vallo  d'.Vdriano,  IV, 
646. 

Deijetnsius,  magistrato  di  Nola,  I,  366. 

Dèi  dei  campi,  fiumi,  laghi,  I,  379- 
380:  particolari  dei  pijpoli  italici, 
381-385;  degli  Etruschi,  :?85-400; 
n.azionali.  415:  provinciali,  415; 
custodì  della  porta  trionfale,  IV, 
401:  involuti,  1.407;  novensili, 
741-742  ;  sotterranei ,  adorati  nel 
Saiinio.  :?85:  vecchi  e  nuovi,  IV, 
G51;  delnUaggio,  652.  —  Vedi 
Geino. 

Deiotaro  ,  tetrarca  dei  Galati ,  vince 
le  truppe  di  Mitridate,  III,  336; 
Pt,mpeij  irli  ingrandisce  il  regno, 
3.-3. 

Delatori  a  Roma,  IH,  IS;  Cicerone  se 
ne  serve  per  iscoprire  la  congiura 
di  Catilina,  379  ;  loro  infamie  sotto 
Tiberio,  IV,  270,  288,  306-307; 
sotto  Vesp.nsiano,  475;  fatti  ven- 
dere e  bandire  da  Tito,  510  :  puniti 
da  Domiziano  al  principio  del  suo 
impero,  521  :  poi  ministri  delle  sue 
crudeltà,  539;  alcuni  sono  puniti 
da  Nerva,  548  ;  puniti  e  rilegati  da 
Traiano,  559:  Antonino  Pio  abo- 
lisce il  premio  del  quarto ,  700  ; 
Marco  Aurelio  non  tiene  conto 
delle  loro  accuse,  739;  loro  crudeli 
int'auiie  durante  l'Impero,  814-815. 

DelIVi  (Knstri),  città  della  Focide,  ora- 
.'lo  con.sidtatn  d.ni  Romani,  I,  615, 
616,  II,  :«l  :  visit.-ito  (la  Paolo  Etni- 
lio.  482:  spoirliato  per  adornare  la 
Casa  aurea  di  Nerone,  404,  419; 
Traiano,  fa  restituire  al  tempio  di 
Apollo  la  regione  consacrata,  611. 

Delfico  (Melchiorre),  sue  opinioni  sulle 
origine  italiche.  I,  191-192. 

Delia,  amata  <U  Tibullo,  IV,  157. 

Del  I  i/-'  .' .^^  ii  I  .Ielle  isole  Cicladi, 
I     n  li,  111,25;  distrutta 

,1:;   \iiT       !■,  ;  :: 

I)W  I   ;  I  II  di  Cassino.  I,3.«. 

II.  I  nt  I,   padre  di  Tar- 

;       I    1,        I      I,    .-,9,8. 

!  I.  ii  Tessaglia,  presi- 

ci ■:■  ■  Il  1  l:.  lini.  II,  438:  è  tolto 
il  jin-si.liii.  HI:  presa  dagli  F.toli, 
443:  vittoria  di  liruzio  Sura  sopra 
Archelao  e  Aristione  ,  III ,  2:}4  ; 
Bruto  si  impadronisce  delle  armi 
raccoltevi  da  Cesare,  619. 


Demetrio,  liberto  di  Cesare,  III,  542. 

Demetrio,  lìlosol'o  cinico,  bandito  da 
Roma,  IV,  504  ;  assiste  Peto  Tra- 
sea  condannato  a  morte,  415,  834, 
842;  amico  di  Seneca,  842;  sue 
di.lfrine,  842. 

Dernetri  i  di  Faro,  vinto  dai  Romani, 

II,  2.^8  ;  i  quali  poi  ordinano  a  Fi- 
lipp.i  di  Macedonia  di  cacciarlo  da 
se.  355. 

Dem.tri'i,  li-li"  .li  Filippo  re  di  Ma- 
redùiiia,  a  it  .  ili  .i.;t:iggio  ai  Ro- 
lli:.ni,  II,  1  ;7  :  1-1 -titu'to  al  padre, 
41<;  i  U. inani  lIÌ  promettono  di 
riconoscerli  1  p.tr  successore  al  trono 
paterno,  465  ;  arrestato,  muore  di 
veleno,  466. 

Demetrio  Sotere.  re  di  Siria,  consegna 
Andrisco  ai  Romani.  II,  494. 

Demiurgo,  Dio  massimo  degli  Etni- 
schi, I,  387. 

Democare,  liberto  di  Sesto  Pompeo, 
vince  nel  seno  di  Cuma  la  flotta 
d'Ott.avio,  III,  651  ;  si  fa  incontro 
ad  Ottavio,  652  :  vinto  da  Agrippa 
a  Mile,  6.54;  vince  Ottavio,  655; 
preso  alla  battaglia  di  Xauloco  si 
uccide,  6.")6. 

Demostene,  oratore,  IH,  695,  696.  697. 

Dempstero  (Tommaso),  suoi  studi  sul- 
l' Etruria,  I,  187. 

Denario,  moneta  d'argento  del  valore, 
di  dieci  assi,  II,  309,  310,  IV,  14. 

Denderah.  —  Vedi  Tentyra. 

Denundatfrres,  IV,  26. 

Dertona  (TortOìxa),  colonia  militare, 
IV,  43. 

nesifjnatori  al  teatro,  II,  629. 

Develto  (Zagrira).  in  Tracia,  colonia 
Flavia,  IV,  495. 

Diale  (sacerdote),  IV,  .537. 

Dialetti  greci  in  Italia ,  I,  477,  485  ; 
italici.  —  Vedi  Lingue  itali.he. 

Diali,  feste,  I,  412. 

Diana  (promontorio  di) ,  sulla  costa 
orientale  della  Spagna  Tarracone- 
se.  III,  295. 

Diana,  de.-i,  I,  741,  IV,  .56,  651. 

Diana,  tempio  sull'Aventino,  1,  604, 
"-,  603,  III,  81  ;  in.-endiato,  IV,  40O. 
a 

Diana 

Diana  Efesina,   sua  statua  e  tempi.), 

III,  230-231. 

Diana  Ijucifera,  IV,  764. 

Diana  Nem.jrense,  suo  tempio,  I,  513. 

Diana  di  Segeste,  II,  522. 

Diana  Tifatina,  III,  275. 

Dicearchia.  —  Vedi  Puteoli. 

Oidio  (T.),  trionfa  dei  barbari.  III,  98. 

Didio  (Tito),  nella  guerra  sociale.  III, 
178;  prende  Ercolano  e  vi  è  uc- 
ciso, 191. 

Didone,  regina,  adorata  qual  Dea  a 
Cartagine,    II,    512;  mìV Eneide . 

IV,  126,  128;  Nerone  ne  ricerca  i 
tesori  a  Cartagine,' 405. 

Diefenbach,  sue  opinioni  sulle  origini 
etrusche,  I,  204. 

Dieo,  muove  guerra  ai  Lacedemoni,  II, 
495,  406;  eccita  la  plebe  di  Corinto 
ad  uccidere  i  loro  rappresentanti, 
496  ;  dichiara  la  guerra  a  Sparta 
e  a  Roma,  497  ;  succede  a  Critolao 
e  si  rin.'hiude  in  Corinto ,  407  ; 
sconfitto  a  Leucoperta  fugge  a  Me- 
galopoli e  si  uccide,  498. 

Diespiter.  —  Vedi  Giove ,  padre  del 
giorno. 

Diflfusione  delle  prime  genti,  I,  .50-52. 

Dillio  (Vùcula),  duce  delle  legioni  del 
Reno,  assassinato,  IV,  476. 

Diluvi.!  di  Deii.-alione,  L  22. 


Dio,  dottrine  di  Cicerone,  III,  73;?. 


996 


INDICE 


DIO 


DOMIZIO 


Dio  Conso,  I,  577. 

Dio  Malo.  —  Vedi  Yedio. 

Dio  Termine,  I,  371,  613. 

Dio,  città.  —  Vedi  Diuiii. 

Diocle,  legislatore  a  Siracusa,  si  uc- 
cide, U,  140,  164-163. 

Diodoro ,  uccide  il  Senato  di  Adra- 
mitto,  ni,  244. 

Diofane  di  Slitilcne,  retore,  maestro 
dei  Gracchi,  III,  46;  fatto  morire 
in  un  vaso  ripieno  di  vipere,  58, 

Diosrene,  filosofo  stoico,  a  Roma,  U, 
599. 

Diogene,  cinico.  III,  753-734. 

Diogene  di  Babilonia,  stoico,  III,  736. 

Diogene ,  filosofo ,  fatto  battere  con 
verghe  da  Vespasiano,  IV,  .504. 

Diogene,  comandante  del  campo  car- 
taginese di  Neferi,  II,  517  ;  assalito 
e  vinto,  518. 

Diogneto,  filosofo  e  pittore,  maestro 
di  Marco  Aurelio,  IV,  721. 

Diomede,  argivo,  sue  leggende  nella 
Daunia,  1,  351-353. 

Dìomedee  (isole)  (Treìtiiti),  I,  351.— 
Vedi  Tremerò. 

Dione  di  Alesa,  in  Sicili.i,  salv.-i  il  suo 
patrimonio  pagami    \    1 1. ,  III,   :l  ' 

Dione  di  Siracusa,  '  1 ,  l  :    ;         |    r 

accendere   la   \li    -  i 

Dionisio  il  Giuvan  1  >    .    in n    . 

II,  176;  rende  la  libirui  :i  sini' li- 
sa, 178;  è  ucciso,  179. 

Dione  Cassio  Cocceio,  suoi  uffici,  IV, 
9.38;  sua  storia  generale  di  Roma, 
939-960. 

Dione  Crisostomo,  sofista,  suo  esilio 
da  Roma  e  sua  vita  errante,  I\', 
846  ;  quieta  le  legioni  che  i-iliiita- 
vano  il  giiir.\Mi.'iit,,  n  N.TV-.,  .^Irl; 
torna  .-i  U  '■.■.n  ni:  i  .  :■:.  .>,  \,  ,  ..,  ,■ 
diTralai.  -1  --ìT  ..,,',  r,, 
in  As-a  •■        •  _  i:         .     .    _  iia 

gli    Al.-^v„,.!v;l.       .!,_    i      ,    ,     i,'..:-!! 

Bpcttacùli,  X17-S-1S;  i„T  la  sua  .-1..- 
quenza  è  detto  Ciis.istom.i,  S4S; 
Plinio  lo  chiama  Di'iue  Cocceiaiio, 
8^18;  assai.'  la  prostituzione,  8.37. 

r)l..i.i_-i  (  ,,,.ri,;i  (Marianna),  studia  i 
1-  :  ^   !■  l.s-ici,  I,  IDI. 

Ili  11',  tiranno  di  Sira- 

'  .1  u.  ~  n.  rie  in  Ktruria,  I, 
j^si-.S-i-j;  generale  autocr.ate  a  Si- 
racusa, li,  ìii'i;  si  fa  tiranno,  e 
per  conquistar  la  Sicilia  muove 
guerra  ai  fartagim^si,  1GG-Ib7  ;  li 
vince  a  ("'.'■■■la  •■■!  .■  'l^-natto  a  Cro- 
ia gui'i  I  a  l;  __  ,1  iirio,  Ui.S- 
170;  .•  X  ,,  .  ii,„,ia  e  la- 
scia in  Iiliii  (  I  !  |.  ,  .;iici-i.  ITU  : 
è  ferito  a  H.^--i  i  :  - 
mentedellaviti'i  1  i  :  i 
Caulonia  e  Ipp.  ■  n  !  :  i  -  i  :  _ 
grandi  disegni  ■■  mi  i,.  ,  IT:  i. - 
rocc  anche  nella  i-ultina  di-li,-  l,-i- 
tere  ,  173-173  ;  muore  aborrito  da 
tutti,  173. 

Dionisio  il  Giovane,  figlio  del  jìr  ce- 
dente, tiraimo  <n  Sii  ■    ,  a.  Il    l::,_ 

176;  sue  gconi-i-// '.■.•:    ITT, 

è  cacciato  via  da  i  •  :,  .  i  j.  na 
a  Ix>cri,  178-17'.i;  iiiin-iia  -.  Mra- 
cusa  e  poi  ò  cacriuiu  e  nuion-  a 
Corinto,  180. 

Dionisio,  figlio  del  filosofo  Aréo  d'A- 
lessandria, IV,  109. 

Dioniiio  d'AlicaniasBo,  sue  opinioni 
sui  Tirreni,  I,  201  ;  suoi  studi  sul- 
le antichità  romane,  C:38;  sue  sto- 
rie, IV,  178. 

Dionisio  Milesio,  retore,  IV.  730. 

Dioscuriade  (/«ftion'ah),  sui  lidi  orien- 
tali del  Ponto  Kussino,  III,  2-23. 

Diritto,  8i  risente  delle  benefiche  dot- 
trine dei  lllosoll,  IV,  863. 


Diritto  agrario,  ha  la  sua  base  nelle 
leggi  Licinie,  II,  21. 

Diritto  d'asilo.  —  Vedi  Asili. 

Diritto  della  cittadinanza  romana.  — 
Vedi  Cittadinanza  romana. 

Diritto  rivile  delle  XII  Tavole,  I,  843; 
difficoltà  e  oscurità.  III,  729;  coi^ 
retto  e  supplito  dagli  editti  dei 
pretori,  IV,  29. 

Diritto  feciale,  proprio  delle  genti  ita- 
liche, I,  374  :  Roma  lo  prese  dagli 


,l|U.< 


574. 


jli  griuia,  IV,  32. 

Diritto  italico,  I,  843. 

Diritto  del  Lazio,  U,  2G0-2G1,  III,  539, 
IV,  52  e  638. 

Diritto  naturale,  accolto  dai  giurecon- 
sulti come  ragione  del  giusto  e 
deiringuisto,  IV,  Sta. 

Diritto  onorario,  IV,  C72. 

Diritto  patrizio,  I,  719. 

Diritto  plebeo,  I,  719. 

Diritto  jirivato  presso  i  popoli  italici, 
I,  37-Z;  dei  Romani,  8-22  ;  nelle  Xll 
Tavolo,  846,  847. 

Diritto  pubblico   nelle  XII  Tavole,  1, 


UT,: 


Ul, 


S4G. 


divisa 
Mo  da 


Cesare,  ■iiiH-i'M  ;    acquidotti  di  A- 

driaiio,  IV,  GG4. 
Dispotismo  degli  Imperatori,  IV,  783. 
Dittatore  municipale,  II,  264. 
Dittatori,    due  a  un  tempo;   uno   in 

citta,  l'altro  in  campo,  II,  368. 
Dittatura,  i  patrizi  se  ne  servono  per 

governare  le  elezioni,  II,  27-28 
Diiini,  citta  dì  Macedonia,  II,  474,  475, 

478. 
Divinazione  in  Etruria,  1,  400-401,  404, 

4.39;  combattuta  da  Cicerone,  IH, 

733. 
Divinità  etnische  a  Roma,  I,  741  ;  g,al- 

liche,  IV.  .56;  greche.  II,  .393;  sa- 
bine, I,  741;  roimuie,  II,  596. 
Diviziaeo,    ediio,    chiede    soccorso    al 

Senato  romano.  III,  430. 
Divoduni  (M^-lz),  nella  Gallia  Belgica, 

strage  lattavi  da  V.ilente,  IV,  441. 
Divorzio   presso    i   Romani,    I,   7C1; 

permesso    dalle  XII  Tavole,   847  ; 

li-equeiitc  anche  per   lievi  cagioni 

da  parte  dei  mariti,  ^I,   303,  .381, 

.382;    reso   più  diflScile  dalle  leggi 

d'Augusto,  IV,  37. 
Dodona  (oracolo  di),  nell'Epiro,  I,  93, 

iM.'hu-ll.    stolli  sili  iiiOMUineiiti  pela- 
li   i  ^     i'     '      v"  '':  '•-■■iielioD,..l,abeIla. 

ii      ,  ,,i  ■■,,■,■.,,     I,  G9S. 

li.iiiiitìlia,  i-ristiana  e  moglie  di  Flavio 
Clemente,  esiliata,  IV,  .341. 

Doiiiizia  Lepida,  madre  di  Messalina, 
IV,  365  ;  accoglie  il  nipote  Nerone 
orfano  del  padre,  367  ;  uccisa,  3G9- 
.■i70. 

Domizia,  sorella  dì  Domizia  I.epida, 
zia  di  Nerone,  sua  trama  contro 
Agri|ii>ina,  IV,  381  ;  fatta  uccidere 
da  Nei-iine,  3S9. 

Doiiii/ia  l.ongina,  figlia  di  Corbuloiie, 
lapiia  ila  Domiziano  al  mai-ito,  IV, 

I) 1  ■■  1  !■'!:'.  ■■  •<  'I  I  il',illa,  ma- 
lli-    .::  M         ■    -I      ,  ■    IV,  717-718. 

Don ...  ■!.  !■  ;,i.  ,11111,  desti- 
nata .Illa  ia,>rl.;  '  ai-iui-u  contro 
di  lui,  IV,  314. 

Domiziano,  figlio  di  Vespasiano,  IV, 
4G2;  ripara  in  Campidoglio  e  fugge 
travestito,   470;  salutato  Cesare, 


473  ;  ottiene  la  pretura  con  auto- 
rità consolare,  474;  intercede  pei 
delatori ,  473  ;  vuol  recarsi  a  re- 
primei-e  i  Galli ,  477  ;  arrivato  a 
Lione  è  impedito  di  accostarsi  al- 
l'esercito, 478-480;  va  a  Brindisi 
ad  incontrare  Vespasiano,  489  ;  as- 
siste al  trionfo  sui  Giudei ,  ■492  ; 
Tito  gli  perdona  le  ingiurie  e  le 
insidie  e  lo  tiene  a  parte  di  sua 
potenza,  510;  sale  al  trono,  519, 
520  ;  sua  triste  indole,  520  ;  accu- 
sato di  aver  affrettata  la  morte  a 
Tito,  520  ;  opere  pubbliche ,  520  ; 
provvedimenti ,  leggi  e  riforme  , 
.321  ;  principe  feroce,  astuto  e  ipo- 
crita, 522;  uccisioni  di  uomini  e 
donne,  523;  tiene  Giulia,  figlia  di 
Tito,  per  sua  concubina  e  la  fa 
morire,  524-525;  guerre,  525;  ri- 
chiama Giulio  Agricola  dalla  Bri- 
tannia,  527;  impresa  sui  Catti, 
528  ;  prende  il  nome  di  Germanico 
e  trionfa  di  bugiarde  vittorie,  .32.8  ; 
va  alla  guerra  contro  i  D.ici,  529; 
e  ritorna  a  Roma,  529;  6  sconfitto 
dai  Mareomaniii  e  dai  Sarmati , 
530  ;  conchiude  obbrobriosa  pace 
coi  Daci  pagando  un  tributo,  .3'30; 
prende  il  nome  di  Dacico,  530;  e 
mena  trionfo,  530;  monumenti  e 
menzogne  poetiche,  531-532;  vit- 
toria sui  Nasamoni,  532  ;  ediflzi  da 
lui  inalzati,  532-533;  vantasi  figlio 
di  Minerva.  .333;  Fòro  Palladio, 
.333.  -■'.-.■  -ilb  \lli.-ina,  .336;  coii- 
i-iir^i  'l.ll  \^  ■!!:  l'apitolino,  537; 
sp.i:  -  largizioni,  fe- 

ste .  ,1  ]  .1,1.  ,,  .-t:  delatori,  as- 
sassii.i  i  l.uU  iiu  .--uoi  coiiBiglieri , 
.339;  tiene  a  vile  il  Senato,  .340; 
persecuzioni  a  uomini  virtuosi,  a 
donne,  ai  filosofi  ,  ai  Giudei  e  ai 
Cristiani,  540-342;  rivolta  miUtare 
Contro  di  lui  in  Germania,  542;  va 
in  Germania  a  saziare  la  sua  cru- 
deltà, .34^;  accresce  lo  stipendio  ai 
soldati,  542  ;  odiato  da  tutti,  543  ; 
congiura  in  palazzo ,  544  ;  è  tic- 
ciso,  543;  e  seppellito  da  una  nu- 
trice, 543;  sconciamente  adulato 
da  Marziale,  905;  e  da  Stazio,  909- 
910. 

Domizio  (Lucio) ,  già  console ,  ucciso 
nelle  stragi  di  Mario,  III,  253. 

Domizio  .\frn.  or.itnre.  si  libera  dalla 
morte    i;a-_-i'n'l' ?i    vinto   dall' elo- 

(|Urn"i    lì!    (■•   il-'la,    IV,    325. 

Domi/i     I  ,       r,    ,  ,i).    vince   i  Boi 

al    la.        \,i..aa   .;..,    U,   91-92. 

Domizia  v.d'. lai.  ^u.aij),  sue  brighe 
per  le  elezioni,  111,4.39;  Cesai'e  lo 
mette  al  governo  dell'Asia  Minore, 
.308  ;  vinto  a  Nicopoli  da  Farnace, 
513. 

Domizio  Corbulone  (Gn.) ,  sottomette 
i  Frisoni  e  scava  un  canale  tra 
la  Mosa  ed  il  Iteno,  IV,  348;  ri- 
prende r  Armenia  e  sottomette  i 
l'aiti.  ;i,s-:;'i,i,  s'  u.aide  per  prdi- 
iie  ili   \   I  .1,,     I  i  ■  ;  -storia  delle  sue 

Domi/i-  1  M. .1,11  i'.  i-.iioil,  ennsoleiiel 


il  re  Bituito,  ;.i,  ...souis.e  la  via 
Domizia,  9G-97  ;  trioiilà,  97  ;  motto 
dell' m-alore   L.  Crasso   contro  di 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


997 


DOMTZIO 


BRAVA 


BDUI 


decreta  contro  le  scuole  dei  retori 
l.-itini,  695. 

Diimizio  Enobarbo  (Gneo),  proscritto 
da  Siila  e  ucciso  (673)  da  Pompeo, 
IH,  267. 

Di.mizio  Enobarbo  (Lucio),  proconsole 
in  Spagna  (674),  è  vinto  ed  ucciso  da 
Irtuleìo,  legato  di  Sei-torio,  III,  294. 

Dcmizio  Enobarbo  (L,),  battuto  (699) 
insieme  con  Catone  nel  Fòro  da 
Pompeo  e  da  Crasso,  HI,  463-,  con- 
sole (700),  accusato  di  brogli  per 
le  elezioni  dei  consoli,  460  ;  rinchiu- 
so in  Corfinio,  e  non  soccorso,  si 
arrende  a  Cesare,  489. 

Domizio  Enobarbo  (Gneo) ,  figlio  del 
precedente,  comandante  la  flotta 
repubblicana  ,  III,  617  ;  distrugjre 
nel  mar  Ionio  due  legioni  trium- 
virali, 627  ;  preda  i  lidi  dell'Adria- 
tico, 631  -,  impedisce  1'  arrivo  del 
grano  a  Roma,  637;  si  unisce  ad 
Antonio,  641  ;  e  gli  facilita  lo  sbar- 
co, 642  ;  «  messi),  a  torto  o  a  ra- 
gion». Ira  gli  uccisori  di  Cesare  , 
(542;  difende  Antonio  dalle  accuse 
di  Ottavio  e  parte  da  Roma ,  673  ; 
abbandona  Antonio,  676. 

Domizio  Enobarbo  (Lucio) ,  figlio  del 
comandante  della  flotta  repubbli- 
cana, succede  a  Druso  in  Germa- 
i,  IV,  102-1 
zio  Enobarh 
Agrippina  e  padre  di  Xeron 
367,  368. 

Douima  delle  età,  presso  gli  Etruschi, 

Donila  Fetia,  fata  siciliana,  U,  110. 
IKinnas,   nella  valle  d'  Aosta,  avanzi 
iiionumontaU  della  via  romana,  IV, 


condizione  in  Etruria, 


696;  I 
763  ; 


,i.762- 
ibiiina 


cuincMite  ditata,  .")82-5S:i;  tumulto 
delle  donne  conti-ii  la  leirge  Oppia, 
.'■)84-d8i  ;  nelle  commedie  di  Plauto, 
632  ;  loro  ferocia  con  le  schiave , 
III,  34-36  ;  oratrici,  706  ;  loro  lus- 
so ,  IV ,  208  ;  dichiarate  schiave 
quelle  che  si  prostituiscono  ai  ser- 
vi, 503;  l'ideale  della  donna  nelle 
Bpeculazioni  dei  filosofi  e  negli 
esempi  della  storia,  855,  857  ;  gli 
stoici  le  vogliono  compagne  non 
serve  ai  mariti,  8.18;  le  dònne  nelle 
Satire  di  Giovenale,  894-895  ;  prov- 
vedimenti di  Jlarco  Aurelio  per 
riformare  i  costumi  delle  matrone, 
739  ;  turpitudini,  828  ;  e  virtù,  831  ; 
le  matrone  romane  difese  da  Or- 
tensia, III,  616. 

Donno,  padre  di  Marco  Giulio  Cozio, 
regolo  delle  Alpi  Cozie,  IV,  96. 

Donusa,  piccola  isnla  nei  mari  di  Gre- 
cia, luogo  d'esilio,  IV,  279. 

Doride  (la),  regiune  presso  la  Caria, 
fa  parte  della  provincia  di  Asia, 
II,  539. 

Doride,  sposa  di  Dionisio  di  Siracusa, 
II,  168,  17.5. 

Dorilao  ,  duce  di  Mitridate,  III,  228  ; 
porta  soccorsi  ad  Ardielao,  242  ;  è 
sconfitto  a  Orcomeno,  242-243. 

Dosneno,  maschera  nelle  .\tell;ine,  II, 
647. 

Dote  (la),  U,  .582. 

Dottrina  dell'utile,  II,  .550,  .5.52. 

Drammi,  presso  i  Romani,  lì,  316; 
tolti  da  quelli  greci,  611.  —  Vedi 
Commedia. 


Orava,  fiume.  IV,  223. 

Drepano,  (Trapani),  11,99;  sede  dei 
Cartaginesi, 217  ;  assediata  dai  Ro- 
mani e  liberata  da  Cartalone,  223  ; 
nel  suo  porto  Claudio  Fulcro  è 
sconfitto  dai  Cartaginesi,  231  ;  pre- 
sa da  Lutazio  Catulo,  235;  in  pn- 
tere  dei  Cartaginesi  è  difesa  da 
Aderbale  e  da  Cartalone,  288. 

Orione,  colle  nella  Daunia,  I,  357. 

Dripetine,  figlia  di  Mitridate,  111,345. 

Drobete  (Turtu(-f;eveì'invlui],\a  Va- 
lachia.  IV.  .576. 

Druenziai/i.    1.   ;''inie  della  Gal- 

lia  Ni:  ;  '       1 

Oruid.'s-       !  i     I  _  -  i . 

Druidi.  Ili  i:.-i^i  .  .iliti  da  Clau- 
dio, IV,  .i.'io ,  rulli;!. ui  ili  Hritannia, 
e  vinti' da  Sveloiiiu  Paolino,  395- 
396  :  promettono  l'impero  del  mon- 
do ai  Transalpini,  476. 

Druidismo  (il),  combattuto  da  Augu- 
sto, IV,  ,56-.57. 

Dnisiana  (fossa),  IV,  99, 

Drusiane,  spade,  IV,  285. 

Drusilla  .  sorella  di  Caligola  ,  da  lui 
tolta  al  marito  e  tenuta  per  mo- 
glie ,  IV,  323  :  onori  divini  dopo 
morta,  323-324. 

Druso ,  figlio  di  Livia  Drusilla  e  fi- 
gliastro d'Augusto,  vince  i  Reti , 
IV,  93  ;  e  i  Vindelici,  93  ;  sue  im- 
prese in  Germania;  98-99;  vittorie 
e  morte,  100  ;  riceve  dal  Senato  il 
nome  di  Germanico,  100  ;  pubbliche 
onoranze,  100-103  ;  motto  prover- 
biale sulla  sua  nascita,  211. 

Druso,  figlio  di  Tiberio,  fa  l'orazione 
funebre  ad  .\ugusto,  IV,  235  ;  man- 
dato in  Pannonia  a  repiimere  la 
sedizione  delle  legioni,  245  ;  in  U- 
liria  e  Germania.  2.58:  visitato  da 
Germniiico.  2.5'.);  .Trro  di  (Vnuani- 


267  :   .  ■     /         '■       ■'  'l        I  "■  '    .    I 
270-2:1      -'I  i    iin'ui.'.    J--!-;--!:    1,1- 
ciso    di  velenii    dalla  moglie  e  ila 
Sciano,  286. 
Druso,  figlio  di  Germanico  affidato  da 
Tiberii.  .il    Senato,   IV.  3.S6  ;  mal 


Duce  io,  lai.  .  ".i  .-i  'm,  H,  1..2-163. 

Duello,  in  usu  Ha  i;li  Ijiibri,  I,  491. 

Duilio  (Caini,  .■onsi.le,  riporta  una 
grande  vittoria  navale  sui  Carta- 
ginesi a  Mite,  II,  215  ;  percorre  la 
.Sicilia  e  ritorna  a  Roma,  trionfa 
ed  è.  onorato  di  una  colonna  ro- 
strata, 216-217,  286. 

Duilio  (M.),  tribuno,  fa  decretare  che 
sia  arso  vivo  chi  lascia  la  plebe 
senza  Tribuni .  I,  840  ;  si  oppone 
a  nuove  accuse  contro  i  decem- 
viri, 842;  impedisce  la  rielezione 
dei  dieci  Tribuni  usciti  di  carica, 
854. 

Duilio  (Marco),  tribuno,  sua  legge  sul 
frutto  dei  capitali,  II,  29,  30. 

Duni  (Emanuele),  applica  le  dottrine 
ilei  Vico  alla  storia  e  al  diritto  ro- 
mano, I,  6,58-659. 

Duponilio,  due  .is^ì,  II,  309. 

Duraiidi  Hv'  i.n'. 


ioni  sulle 

ralcoli  sulla 

IV,  25. 

■  della  Valle 


Uuria  (i^  ..   ■  .'.  ;  i 

d'Austu,  UI,  97. 
Durio  (J)iiero  e  Dovrò),  fiume  di  Spa- 
i         ^'ua,   11,532;  chiuso  da  Cornelio 
Scipione  Emiliano,  535. 
Durocortoro  («(.'i/;is),  citta  della  Gal- 


lia  Belgica,  capitale  dei  Remi,  III, 
444. 

Duronia,  città  dei  Pentri,  I,  259. 

Durouia,  moglie  di  T.  Sempronio  Ru- 
tilo, 11,  590. 

Duruniii  (M.),  tribuno ,  combatte  le 
leggi  repressive  della  gola,  li,  577. 

Dunisfiiro  (.S•^7w^)•J«),  nella  Mesia  In- 
feriore, IV,  .570. 

Duumviri,  in  luogo  di  consoli,  nei  mu- 
nicipi, 11,  '264  ;  amministratori  della 
giustizia,  IV,  45,  61,  787,  788. 

Duumviri  navali,  creati  dalla  plebe, 
11,  32  e  212. 


Ebano,  portato  a  Roma  dall'India,  IV, 

201,  -207. 
Ebrietà,  celebrata,  IV,  823. 
Ebora   Liberalitas  Julia  (Evora),  in 

LUsitania,  IV,  60. 
Eboraco  (York),  sede  principale  del 

governo  romano  in  Britanuia,  IV, 

Ebro.  —  Vedi  Ibero. 

Ebroduno  (Einbrun),  città  della  Gal- 
lia  Narbonese  sotto  le  Alpi  Cozie, 
IV,  96. 

Ehuri  [Klioli).  in  Campania  nella  re- 
gione dei  Picentini,  rovine,  I,  277- 
278. 

Eburoni  {Paese  di  Liegi),  nella  Gal- 
lia  Belgica,  si  sollevano,  lU,  442  ; 
incendiati  e  saccheggiati  da  Cesa- 
re, 443. 

Eliu/iii.  rifiuta  di  essere  iniziato  ai 
I,,.'    n    ,11.   il.  .590-591. 

1-,1,  ,     ,  ,|i iiandante  della  ca- 

re,  alla  battaglia  del 
K   ,,,     .   I.  632. 

1         /  Il  iiellaDaunia,  l,  35C. 

Ili,  T.i6. 
,,i !.  1    Volsci,   I,  232;    fa 


Ecl.ano  {irrnll^  pie^s.,  Mirabella), 
città  degU  Irpiiii,  I,  '263-264;  in- 
cendiata da  Siila,  lU,  192;  sulla 
vi.i   .\ppia,    IV,  607;    ricordo   di 

AilrianM.  ir(7  ;  i-icriziime  alimenta- 

1,  :  .    lailuttore  di 

]_•,  ',.[..  .■ii!.h-iil-u'i"  'li  I  ■iiiiiiodo,  con- 
giura .•onli-u  di  lui,  IV,  779. 

Ecnomo  {l'oygio  di  Sant'Angelo),  m 
Sicilia,  i  Cartaginesi  vi  battono 
Ag.atocle,  II,  18:J;  e  più  tardi  i  Ri- 
mani vincono  in  battagUa  navale 
i  Cartaginesi,  219. 

Edessa,  di  Mesopotamia,  incendiata, 
IV,  618. 

Edilità  curule,  con  autorità  di  accu- 
sare davanti  al  popolo.  11,  '26  ;  vi 
sono  ammessi  anche  i  plebei,  31. 

Edilità,  causa  di  spese  incredibili,  III, 

Edili  plebei,  loro  origine  ed  umcio, 
l,  78.3-784;  eletti  dalle  tribù  plebee, 
813  ;  custodiscono  i  decreti  del  Se- 
nato, 840. 

Edili  municipali,  IV,  4.5,  787. 

Editili  perpetuo,  fatto  compilare  ila 
Adriano,  IV,  672. 

Educazione  dei  giovani  presso  gli  an- 
tichi popoli  italici,  1.  494;  educa- 
zione alla  greca  in  Roma,  II,  601- 
602;  lasciata  in  mano  dei  servi, 
.577-578,  IV,  859. 

Ediù  [,Saoiie-et-Loire  e  AVèrre),  in- 


998 


INDICI' 


EDULIA 


EISACH 


EMILIO 


vadono  l' Italia.  I.  S84  ;  alleati  di 
Roma.  Ili,  02;  ottengono  il  primato 
nelle  GalUe,  95,  429;  battuti  da 
Ariovisto,  429;  imiti  ai  Sequani 
sono  da  lui  vinti,  429-430;  Del  loro 
paese  prendono  stanza  i  Boi,  4.32  ; 
si  uniscono  a  Vercingetori^e,  44."), 
447;  ammessi  nel  Senato  romano, 
IV,  XXi\  chiamati  a  ribellione  da 
(iiulio  Sacroviro,  275-277. 
FAflin,  tassa  sui  conunestibili ,  IV, 

Kfesii,  sconfijTgono  Aristonico,  II,  538, 

Kloso,  città  <U  Lidia  nell'Asia  Minore, 
data  iid  Eumene  II,  di  Pergamo, 
lì,  4.52  ;  emporio  di  schiavi,  III,  25  ; 
vi  è  ucciso  Zenobio,  governatore 
di  Mitridate,  244  ;  Mitridate  vi  or- 
dina resterminìo  dei  Romani  e  Ita- 
liani, 2.30-231;  tempio  di  Diana, 
230;  rovinata  da  un  terremoto,  IV, 
251  ;  ba^ni  pubblici  costruiti  da 
.\ntonino  Pio,  701. 

Egati  (isole)  di  contro  a  Lilibeo,  vit- 
toria dei  Romani  sui  Cartaginesi, 
II,  235. 

Ege,  città  dell'Asia  Minore,  rovinata 
da  un  terremoto,  IV,  251. 

Egeria,  ninla  ispiratrice  di  Numa,  I, 


Egesta  (presso  Calntfifìiiii],  città  di 
.Sicilia ,  sua  parentela  con  Roma , 
I,  534;  edificata  da  Enea,  lì,  III- 
112;  in  suei-ra  con  Selinunte,  164, 
ir>5  ;  chiama  in  suo  aiuto  i  Carta- 
ginesi, 1(55  ;  estorsioni  di  Agatocle, 
l8ii;  respinge  Appio  Claudio,  210; 
presa  dai  Romani.  211;  liberata 
ila  Caio  Duilio,  210  ;  mutata  dai 
Romani  in  Segcsta.  cittii  libera, 
273;  Senato,  274. 

Kiinio  [Strif/tis],  città  di  Tess.aglia, 
sacchoErgiala  dai  Romani  dopo  la 
vittoria  di  Pidna,  II,  485. 

Egitto,  visitato  dai  commercianti  etru- 
schi, 1,  130;  invaso  dagli  Etruschi, 
881  ;  di\isi.>  da  Popilio  in  due  par- 
ti, II,  4n2-4'J3;  sotto  la  tutela  di 
Roma,  541  ;  iiidip(*dente  solo  di 
nome,  HI.  a54;  pretesa  eredità  di 
Roma,  358;  ridotto  a  provincia, 
C86;  ordìn.ato  in  modo  eccezionale 
da  Augusto ,  IV,  (i2-(j4  ;  vi  stan- 
ziano due  legioni  e  un'armata  n.i- 
vale,  78,  78:J;  visitato  da  Germa- 
nico, 2i;2;  resta  fedele  a  Ottone, 
442;  .li  tempi  di  Traiano  fe  soccorso 
di  grano  (la  Roma,  5,58;  rivolta 
dei  (liudei,  619;  sedizioni  delle 
città  per  accogliere  il  Hue  Api , 
eco  ;  visitato  da  Adriano,  C(!G  ; 
sollevazione  repressa  da  Antonino 
Pio,  710;  ricordi  di  lui,  715;  moti 
repressi,  745;  parteggia  per  Avi- 
dio  Cassio,  747  ;  perdono  di  Marco 
Aurelio,  749. 

Egnazia  e  Gnazia  (  rorc.?  a'Astnazzo 
presso  Fasano) ,  nella  Peucezia, 
rovine.  I.  .'{48;  sulla  via  Traiana, 
IV.  r,07-0ll8. 

Egnazii  (i  due),  padre  e  figlio,  pro- 
siritti  dai  triumviri ,  si  uccidono, 
111.  «O'.l-filO. 

Egnazio,  suo  poema  della  natura  delle 
cose.  111.  795, 

ICgnazio  (Mario),  sannite,  duce  degli 
Italici  rivoltuli.  Ili,  175;  prende 
Venafro.  181  ;  vince  !..  Giulio  Ce- 
sare, 185  ;  Bconfitlo  ed  ucciso,  IllO. 

Egnazio  Rufo  (Marco),  congiura  con- 
tro Augusto,  IV,  108. 

E^'oisriio  romano,  IV,  930. 

Egualità  naturale,  morale  e  civile  de- 
gli uomini,  IV.  8.52,  855  ;  ricono- 
sciuta dai  giureconsulti,  803. 

Eichelsteiu  {l'ietni  ((ella  ((uercic). 


creduta  avanzo  del  monumento  di 
Diuso  a  Magonza,  IV,  102. 

Eisach ,  fiume  nel  Trentino,  via  ai 
Cimbri  in  Italia,  III,  131. 

Elba,  fiume.  —  Vedi  Albi. 

Elba,  isola  del  Mar  Tirreno,  detta 
Uva  dai  Latini,  ed  Etalia  dai  Gre- 
ci, stazione  navale  etrusca,  I,  130  ; 
occupata  dai  Siracusani,  881. 

Elea.  —  Vedi  Velia. 

Elefanti ,  usati  da  Pirro  nella  batta- 
glia di  Eraclea,  II,  194-195;  con- 
dotti in  trionfo  a  Roma,  202  ;  nelle 
monete  della  gente  Cecilia  a  ricordo 
della  vittoria  di  Palermo,  225  ;  usati 
nella  guerra  d'Affrica,  IH,  518,  519, 
520  ;  con  candelabri  sulle  spalle 
rischiarano  la  via  a  Cesare,  530  ; 
portati  dall'  Egitto  a  Roma ,  IV, 
'200;  ftniamboli,  431. 

Elefantina  o  Mefantine ,  in  Egitto, 
isola  del  Nilo  e  citta,  termine  del- 
l'Impi'ni  romano,  IV,  .ST,  202. 

Elegia  (J/ù'J'ih).    in    .\rnienia.    occu- 
.  pata   da   Traiano,  IV,  013;    e  da 
Severiaiio,   727  ;   presa   dai   l'.irti, 
728. 

Elei,  si  uniscono  ad  Antioco  di  Siria 
contro  Roma,  li,  444. 

Eleusini  (misteri),  IV,  418,  0.57,  083. 

Elezioni,  fatte  a  Roma  coll'oro  e  colle 
armi,  HI,  459-400. 

Elezioni  municipali.  IV,  4",  787-78><  ; 
a  Pompei ,  40-47.  —  'Vedi  anche 
Pompei. 

Elia.  —  Vedi  Scupi. 

Elia  Capitolina,  —  Vedi  (ierusalemme. 

Elia  Petina,  moglie  di  Claudio,  ripu- 
diata, IV,  300,  .'ìfiO. 

Elicone,  servo  e  bufl'one  di  Caligola, 
IV,  322. 

Eliconie  (selve),  di  Grecia,  IV,  003. 

Elie,  pio  littà  cosi  dette  in  onore  di 
Adriano.  IV,  664. 

Elimi ,  vengono  d.tU'.Vsia  in  Sicilia, 
li,  111-113;  loro  lotte  coi  Greci, 
133. 

Elio,  municipio  a  Carnunto  {Pctrn- 
neìl),  presso  Sainbitrg  sul  Danu- 
bio, nella  Pannonia  Superiore,  IV, 
039. 

Elio,  liberto,  governa  Roma  nell"  as- 
senza di  Nerone,  IV,  419-420, 

Elio  Cesare  (L.),  detto  già  Ceionio 
Comniodo  Vero,  favorito  di  Adria- 
no, e  da  lui  adottato  a  successore, 
IV,  689,  7(M  ;  sua  gioventù,  mol- 
lezze e  brutture,  6S9-G90  ;  altare 
per  la  sua  salute  a  Magna  in  Hri- 
tannia.  049;  morte,  e  statue  e  tem- 
pli in  suo  onore,  690. 

Elio  Gallo,  sua  vana  impresa  contro 
l'Arabia,  IV,  87. 

Elio  Plauzio  Lamia  (L,),  Dom'ziano 
gli  rapisce  la  moglie,  IV,  .520;  e 
lo  ucci.lc,  .523. 

Elio  Preconino  Stilone  (L,),  di  Lanu- 
vio,  cavaliere  romano,  dottissimo 
granmi.-itico  e  critico,  anùco  del 
poeta  Lucili.,,  II,  (152;  maestro  di 
Varronc,  IH,  740,  749. 

Elio  Tuberone  IL,),  storico,  III,  770, 
—  Vedi  anche,  I,  038. 

Elio   Tuberotie   ((J.),    nei   fimtìrali   di 
Scipione  Einiliano,  11,577;  oratore,     , 
III,  O'M.  I 

Elio  Tuberone  fQ,),  stoico,   IH,  739. 

Eliopoli  {ìlnihrl:\,  in  Cclesiria,  grandi     i 
templi,  IV,  r,.\i.  701.  ! 

Kliopoli  (.Mntari,-h),  in  Egitto,  HI,  081 

Elisi.  —  Vedi  c:ampi  Elisi. 

Elitovio,  capo  dei  Galli,  I,  8S4. 

Elleporo  o  Eloro  {CiMipari) ,  fiume 
nella  Magna  Grecia,  I,  315. 

Ellesponto  [Stivtto  dei  Unvcianeìli), 
forlillcuto  da  Antioco,  li,  447, 


Elotiuenza  (1'),  a  Roma,  III,  691-692  ; 
definizione  dell'oratore  data  da  Ca- 
tone, U.  569,  IV,  872  ;  trecento  o- 
ratori.  III,  692;  studio  principale 
di  ogni  cittadino  cupido  di  potenza, 
693;  coltivata  come  arte,  CM,  eser- 
cizii  oratorii  dei  giovani,  005  ;  stu- 
di alle  scuole  d'.-Vtcne  e  delle  citta 
greche  dell'  Asia,  090  ;  traduzioni 
dal  greco  e  declamazioni,  697  ;  ac- , 
cuse,  697-098  ;  la  parola  sostegno 
a  tutte  le  ambizioni  e  passioni, 
698-099;  importanza  dello  studio 
della  eloquenza  romana ,  703-704  ; 
feste  oratorie,  704  ;  donne  oratrici, 
700  ;  cure  per  accrescere  il  pre- 
stigio della  parola,  706;  difensori 
onèsti  e  malvagi  ,  700  ;  cavilli  u 
brutture,  707  ;  artifizii  avvocate- 
schi, 708  ;  grande  libertà  di  parola, 
708-710;  facondia  canina,  invettive 
e  facezie,  710  ;  il  lìruto  di  Cii-ci-oiie, 
storia  (leU'cli.iincnza  iMinauri,  7-1  ; 
muore  i-nll.i  lihcrla.  IV,  1,S5;  cor- 
rotta nei  piimi  tempi  deU'inipei'O, 
e  succeduta  dalla  rettorica,  809;  ai 
tempi  di  Adriano,  873-874  ;  uccisa 
"  uiiali  dagli  ap;  ' 
Vedi  Rettorie 

Elori ,  siracusano,  salva  Reggio,  II, 
ICS-KiO  ;  (j  vinto  e  muore  a  Cau- 
lonia,  170. 

Eloro  [Abisso) ,  fiume  di  Sicilia  ,  II, 
106. 

Eloro  (presso  fUramsa)  ,  dimora  dei 
Siculi,  II,  106;  colonia  greca,  118; 
soggetta  a  Gerone  II,  '208;  presa 
d.i^  Marcello,  379, 

Elvezia,  invasa  dai  Cimbri  e,  dai  Teu- 
toni, III,  122  ;  colonie  di  Vespasia- 
no, IV,  493  ;  ricordi  di  Antonino, 
715. 

Elvezii,  emigrano  nelle  GaHie,III, 
430;  impelliti  sul  Rodano  da  Ce- 
sare passano  il  Giura.  130-431  ;  tra- 
versano il  paese  dei  Sequani,  431; 
vinti  a  Bibracte  da  Cesare,  e  ri- 
mandati al  loro  paese,  431-432  ;  uc- 
cisi e  predati  da  Cecina,  IV,  441- 
442. 

Elvidio  Prisco  ,  stoico  ,  esiliato  alla 
morte  di  Trasea  suo  suocero,  IV, 
415;  contradice  Vitellio,  453;  su.i 
indole,  474  ;  assale  Eprio  Marcello 
accusatore  di  Trasea,  474,  475  ;  pri-- 
tore,  comincia  la  riedificazione  del 
Caraiiidoglio,  497  ;  rimandato  in  i;- 
silio  e  ucciso  da  Vespasiano,  504  ; 
sua  vita  scritta  da  Erennio  Sene- 
cione, 540. 

Elvidio,  figlio  di  Elvidio  Prisco ,  uc- 
ciso, IV,  540;  vendicato  da  Plinio, 
941. 

Elvii  (  Vivnì-ais),  popoli  della  Gallia 
Narbonese,  IH,  93;  proscritti  da 
Pompeo,  290. 


l'ietu 


it").    fiume    neir  .\gro 

i,  I,  385. 
le   di  versi, 
nia  col  pre- 
lato da  Ca- 


vio  Sabino,  chiesto  edile  a  Poii 
IV,  45, 


ùnilio  Barbiila  (L.),  figlio  del  precc- 
di'nte  ,  marcia  dal  Sannio  contro 
Taiaiito,  11,  l'Jl  ;  ed  i;  costretto  a 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


EMILIO 


EPOREDIA 


in  Apuli 


10:5  ;   procon- 
,  UI3. 


Emilio  Lepido  Porcina  (Marco),  fe  ri- 
oliiainato  per  la  sua  imperizia  dal- 
l' assedio  (li  Pallanzia,  in  Spagna, 
e  condannato  a  pag-are  una  multa, 
II,  533;  oratore,  III,  603. 

Emilio  Lepido  (M.),  nominato  console, 
m,  286;  sua  indole  e  disegni,  280- 
287  ;  sue  promesse  agli  "oppressi 
dagli  ordinamenti  di  Siila,  288; 
muove  guerra  alla  parte  dominante, 
288-289;  vinto  ripara  in  Etruria, 
2S0;  (■  IjatUito  a  Cosa  e  muore  in 

^inlr.iii,    ,'--2'lO-.    suo    fi^'lio   Sci- 

y  '  I   Alba  in  'Liguria, 

2~  .  -  iMr  ,-asa.  IV,  106. 

Kmili-  l.,.^l  .  >M.rr,,),  figlio  del  pro- 
edente,  lascialo  da  Cesare  al  go- 
verno di  Roma,  UI,  491  ;  propone 
che  sia  data  a  Cesare  la  dittatura, 
404  ;  console  con  Cesare,  515;  Cas- 
sio propone  ai  congiurati  di  ucci- 
derlo, 554  ;  ucciso  il  Dittatore,  si 
prepara  a  vendicarlo,  5G8-569  ;  e 
tratta  di  pace  coi  liberatori,  .560; 
governatore  della  Narbonese,  .592  ; 
tradisce  la  Repubblica  e  l'afforza 
Antonio  sconlìtto,  598-509  ;  muove 
con  lui  contro  Roma,  605  ;  fa  parte 
del  triumvirato  con  Antonio  e  Ot^ 
tavio,  606;  editto  di  proscrizione, 
607-610  ;  insulti  e  rapine,  615-617  ; 
resta  al  governo  dì  Roma,  617  ;  da 
Antonio  e  da  t)ttavio  e  messo  da 
parte,  (i33  ;  gli  è  lasciata  l'Affrica, 
644;  inv.ade  la  Sicilia,  6.53,  654; 
alla  battaglia  di  Nauloco  ,  656  ; 
prende  Messina,  658  ;  intima  «  Ot- 
tavio di  sgombrare  la  Sicilia,  658; 
è  deposto  e  conlìnato  a  Circeii , 
dove  vive  molti  anni  serbando  fino 
air  ultimo  il  titolo  di  Pontefice 
Massimo,  659,  IV,  22. 

Emilio  Lepido  Paolo  (Lucio),  fratello 
del  triumviro,  e  comprato  da  Ce- 
sare, III,  467,  470  ;  edifica  la  basi- 
lica Emilia,  407-468;  proscritto  si 
salva  colla  fuga  a  Mileto,  608. 

Emilio  Lepido  (M.),  figlio  del  trium- 
viro, ucciso  per  aver  tramato  con- 
tro Augusto,  IV,  107. 

Emilio  Lepido  (M.),  congiura  contro 
l'alifrola  ed  è,  ucciso,  IV,  .334. 

Emilio  Mamerco  o  Mamercino,  ditta- 
tore, vince  i  Fidenati  e  i  Veienti , 

I,  870  ;  nella  seconda  dittatura  re- 
stringe da  cinque  anni  a  18  mesi 
lufficio  dei  censori,  I,  861. 

Emilio  Mamercino  (L.),  console,  de- 
preda il  Sannio,  li,  42. 

Emilio  Paolo  (Lucio),  console,  suoi 
contrasti  col  collega  Terenzio  Var- 
rone  sul  Iiiol'"  e  sul  tempo  da  com- 
battere Aniii'i'e  11,  ''---iryj  :  muo- 
re allabii"  ■_:!  ■  ^'i  i     .    ;■•,  357-3.58. 

Emilio  Pa'.l  .    :  "  ■lei  pre- 

cedente, pi  :  ,_  ;tM  dai  Lu- 

sitani, li  vili':  iJ  1  ui  all'-  battaglie, 

II,  4.55;  console,  assedialo  nel  campo 
dai  Liguri  Inganni  li  vince,  459; 
dopo  più  anni  di  vita  privata  i;  chia- 
mato a  far  guerra  a  Perseo,  sue 
virtù,  476-477  ;  suoi  provvedimenti 
militari,  477  ;  passa  il  monte  Olim- 
po, 478  ;  e  vince  a  Pidna,  479-480  ; 
e  Perseo  si  da  nelle  sue  maui,  481  ; 
visita  le  meraviglie  di  Grecia,  482  ; 
va  incontro  ai  legati  di  Roma,  482  ; 
annunzia  alla  Macedonia  e  all'lUi- 
ria  la  libert.n.  concessa  da  Roma, 
482-484  ;  feste  in  Anfipoli,  484  ;  sue 
ingiustizie  verso  gli  Etoli,  485-486  ; 
si  reca  uell"  Epiro   ove  commette 


educare  i  suoi  figli  nelle  discipline 
greche,  601  ;  nei  suoi  funerali  Te- 
renzio fa  rappresentare  gli  Adel- 
phi.  640. 

Emilio  Papo  (Lucio),  console,  fa  fronte 
ai  r>alli  ad  Arimino,  II,  251  ;  soc- 
corre r  esercito  romano  sconfitto 
in  Etruria,  251  ;  e  vince  i  lialli  al 
tapo  Telamone,  2.52;  entra  nella 
Gallia  Cisalpina  e  trionfa,  252-253. 

Emilio  l'robo  ,  copista,  supposto  au- 
tore delle  Vite  di  Cornelio  Nepote, 
III,  788. 

Emilio  Regillo  (Lttcio)  ,  distrugge  le 
navi  di  Antioco,  re  di  Siria,  presso 
il  promontorio  di  Mionneso ,  II, 
447;  trionfa,  450. 

Emilio  Scauro  (M.),  trionfa  dei  Carni 
e  dei  Tauri.sci,  III,  97  ;  principe  del 
Senato  inviato  in  Numidia  p.T  giu- 
dicare Giugurta,  106  ;  va  alla  guer- 
ra e  si  lascia  corrompere  da  Giu- 
gurta, 107-108  ;  si  fa  dare  l' inca- 
rico di  giudicare  gli  accusati  di 
corruzione,  109  ;  si  arma  contro  i 
demagoghi,  154  ;  si  salva  dalla  rea- 
zione dei  grandi ,  166  :  accusato 
d'ambito  da  Rutilio,  698;  sua  au- 
tobiografia, 770;  costruisce  la  via 
Emilia,  IV,  66. 

Emilio  Scauro  (M),  figlio  del  prece- 
dente, legato  di  Pompeo  in  Siria, 
P.alestina  e  Fenicia,  III,  349  ;  assale 
Areta  re  degli  Arabi  Nabatei,  349  ; 
suo  splendido  teatro,  IV,  196-197. 

Eininentissimn,  titolo  introdotto  da 
Adriano,  IV,  635. 

Emo  {.lintknn) ,  monte  della  Tracia, 
II,  465,  IV,  581. 

Empedocle  di  Agrigento  ,  divulga  le 
dottrine  pitagoriche,  II,  157  ;  suo 
poema  sulla  natura  delle  co.ir.  III, 


Emporin,  in   Affri. 


lille  rive  della 
Ilo  territorio  è 

i,  II,  .501. 

itià  greca  nel- 

I  Cart.-xginèsi,  U,  329; 


Emp'.ii.      ! 
la  s,,  '.u 

Roma  Ci ,  .  „. .,. 

vi  sbarca  Catone,  455, 

Enaria  {Ischia),  isola,  detta  Pitecusa 
dai  Greci,  abitata  dai  Calcidesi,  I, 
310  ;  vi  sbarca  Mario  fuggito  da 
Roma,  III,  211  ;  data  ai  Napoletani 
da  Augusto,  IV,  292. 

Enciclopedia  romana,  IV,  924. 

Ene.-i,  convertito  in  (Jiove  Indigete,  I  ; 
.534,  .538  ;  sua  venuta  nel  Lazio, 
.534  ;  luoghi  dov'  è  ricordato ,  .>J6- 
.530;  in  Sicilia,  li.  111;  Enea  e  Di- 
doiie  in  Nevio,  612  ;  nell'A'/iejrfe  di 
Virgilio,  IV,  126,  128-129. 

Engadina,  nei  Grigioni,  ricordi  roma- 
ni, IV,  94. 

Engio  (presso  GangtX  dimora  dei  Si- 
culi, II,  106. 

Eniochi,  nel  Ponto  Eussiiio,  rendono 
omaggio  a  Traiano,  IV,  615. 

Enipeo  (  yersalisi),  fiume  in  Tessaglia, 
III,  501. 

Enna  (CastfOginvonni) ,  dimora  dei 
Siculi,  U,  100,  107  ;  colonia  dei  Si- 
racusani, 118-127  ;  presa  da  Duce- 
zio,  163;  e  poi  dai  Romani,  218; 
saccheggiata  ed  empita  di  sangue, 
379  ;  insurrezione  degli  schiavi.  III, 
39,  40;  e  poi  da  P.  Rupilio,  42. 

Ennia  Nevia,  moglie  di  Macrone,  in- 
namora Caligola,  IV,  315  ;  ed  fe  uc- 
cisa da  lui,  321-:}22. 

Ennio  (Lucio),  accusato,  IV,  282. 

Ennio  (Q),  poeta  di  Rudia  (Riiflfje 
presso  Lrrce),  1,  342-343  ;  è  con- 
dotto a  Roma  da  Catone  e  non  fa 
guerra  alle  nuove  idee,  II,  615  ;  va 
alla  guerra  in  Etolia,  015  ;  sua  fa- 


miliarità cogli  Scipiom,  015;  suoi 
Annali  in  versi,  615,  617-618;  cele- 
bra con  un  poema  Scipione  Affri- 
caiio,  615-016  ;  muore  povero,  616  ; 
sue  commedie  e  tragedie ,  616  ; 
traduce  in  latino  i  libri  di  Eve- 
mero,  598,  616  ;  interpreta  ai  gio- 
vani le  opere  greche,  601  ;  forse 
maestro  di  Cecilie  Stazio ,  638  ; 
scrittore  di  satire,  CIO,  650. 

Elio  ilnn),  fiume  della  Rezia  e  del 
Norico,  IV,  93. 

Elio,  città  di  Tracia,  saccheggiata  dai 
Romani,  II,  485. 

Enobarbo.  —  Vedi  Domizio  Knobar- 
bo. 

Enomao,  duce  con  Spartaco  della  ri- 
volta dei  gladiatori.  III,  300. 

Enotria,  1,  72-74. 

F;nolridi  (isole),  1,  72-74,  292-293. 

Eiiotro,  condottiero  dei  Pelasgi,  I,  72- 
74. 

Entella  (presso  Rocca  cl'Entella),  in 
Sicilia,  sede  degli  Elimi,  II,  112- 
113. 

EoUde ,  fa  parte  della  provincia  di 
Asia,  II,  539. 

Eolie  {Isole  di  I.i/ìari) ,  gruppo  di 
isole  vulcaniche  al  settentrione 
della  Sicilia,  I,  22-23,  III,  054. 

Epafrodìto,  aiuta  Nerone  ad  uccidersi, 
IV,  420  ;  ucciso  da  Domiziano,  543. 

Epaminonda,  sepolcro  restaurato  da 
Adriano,  IV,  657. 

Epeur  (il  fanciullo),  in  specchio  etru- 
sco, 1,  391. 

Epicari,  liberta,  consapevole  della  con- 
giura contro  Nerone,  IV,  400;  sop- 
porta muta  e  imperterrita  la  tor- 
tura e  si  appicca,  407-408. 

Epicarmo,  poeta  comico  siciliano,  di- 
vulga le  dottrine  pitagoriche ,  II, 
157;  alla  corte  di  Gerone,  161. 

Epicide,  affricano,  induce  Geronimo 
di  Siracusa  ad  unirsi  ad  Annibale, 
II,  374  ;  alla  testa  di  Siracusa,  376  ; 
sventa  le  congiure  ordite  per  dar 
la.  ci  Ita  ai  Romani,  380;  andato 
ad  Agrigento  non  torna  più  a  Si- 
racusa, 382. 

Epicuro,  III,  740. 

Epicurei,  combattuti  da  Cicerone,  III, 
■  735  ;  sparsi  per  tutta  Italia,  740.  — 
Vedi  Filosofia. 

Epidamno.  —  Vedi  Dirracxhio. 

Epidauro    (Pidarro) ,    nell'Argolide  , 
Esculapio  fatto  venire  di  là  a  me- 
dicare i  Romani,  lì,  295;  ^^sitata 
da  Emilio  Paolo,  482. 
Epifania,    in   Cilicia ,   ripopolata  da 

Pompeo  coi  pirati.  III,  3:}3. 
Epigrafe  di  un  mercante  fallito,  1, 346. 
Epigrafi  in  versi.  III,  791. 

Epipoli,  quartiere  di  Siracusa,  II,  376, 
380. 

Epiro  si  dà  ai  Romani ,  II,  4.34  ;  si 
unisce  a  Perseo ,  473;  stragi  di 
Paolo  Emilio,  487;  provincia  ro- 
mana, 542  ;  vi  sbarca  Cesare,  III, 
497  ;  villa  di  Pomponio  Attico,  744  ; 
vi  sbarca  Agrippa,  675  ;  strade,  IV, 

Epitetto,  filosofo  stoico,  le  sue  dot- 
trine accoliti  e  portate  da  M.  Au- 
relio sul  trono,  IV,  72:3,  7.56;  sua 
nascita  e  vita,  IV,  843;  suo  Ma- 
nuale. 84(. 

Epona ,  dea  dei  cavalli  e  dei  muli , 
IV,  651. 

Eponina,  moglie  di  Giulio  Sabino,  suo 
grandi  prove  di  coraggio  e  di  af- 
fetto al  marito,  IV,  504-305;  uc- 
cis;i  da  Vespasiano,  505. 

Eporedia  (Ivrea),  colonia  Romana , 
HI,  97,  IV,  89;  parteggia  per  Vi- 
tellio,  442. 


1000 


INDICE 


EPRIO 


ESCULAPIO 


Epri.i  Marcello  (C),  delatore,  aceusa 
Trasea  e  Sorano,  IV,  414;  e  pre- 
miato, 415;  assalito  da  Elvidio 
Prisco.  474.  47.'j;  congiura  contro 
Vespasiano,  è  condannato  e  si  uc- 
cide, 505,  50G. 

Ktiua  (Vico  i/jue.ìse).  in  Campania, 
rovine,  1,  27.V276. 

Equi,  discesi  dagli  Osci  e  Sabini ,  I , 
217;  loro  sedi,  22S  e  sesg.  ;  detti 


lano  dato  a  gran  parte  del  loro 
paese,  229;  confinano  col  Lazio, 
527  ;  fanno  parte  della  lega  lati- 
na, 535,  611;  si  collegano  coi 
Volsci,  773;  in  guerra  coi  Ro- 
mani, 773,  779;  loro  correrie  per 
le  campagne  latine,  82n-'?21  ;  pren- 
dono la  rur.:,  ,l'i  Ti. -l'i.  .S25  : 
cacciati  toin.  ne  Ro- 

ma, 825;  s-n  -1  ■:  '  ■  innato, 
«28;  nuove  unni  >  .  >  -  -lurre, 
86.>-867;  e  inM.ncio.o  .  ..,iuo  Ro- 
ma, li,  12  ;  vinti  da  Cauiinillo,  13  ; 
quasi  distrutti,  36;  aiutano  i  San- 
niti, 75;  sono  sottomessi,  77-78. 

Kiiuiti,  a  guardia  della  persona  degli 
imperatori,  IV,  816. 

K(luizio,  schiavo,  supposto  figlio  di 
Tiberio  Gracco,  nominato  tribuno, 
UI,  15.3. 


.    via  Traiana,  IV,  607. 

l-;ra  dei  Seleucidi,  II,  443. 

Kra  denli  Spaenoli,  IV,  CO. 

Èra  volgari'.  IV,  101. 

Eraclea,  in  Grecia,  difesa  dagli  Etoli, 
li,  447. 

l'"raciea,  in  Macedonia,  ucciso  il  pre- 
sidio romano.  III,  98 

l->aclea  deU'Oeta,  città,  il  Senato  ro- 
mano ordina  i-he  esca  dalla  lega 
Achea,  II,  49G. 

Eraclea  del  Ponto  (EreVi),  aiuta  Ru- 
ma nella  guerra  so'-iale,  HI,  17.S  ; 
assediil:i  <\n  I  ii'-n!lo.  :i!'' 

Erade.-i  .li  ^niim  .Lt-.i  ,,rii,i;i  Ma- 
karri   1    Y      M  n         1    ..  /.'lisi, 

I,  :'..■!     ■  -  :  I  Ki- 

role,  II.  \"  '.  '  i'iii  (  ili  N-  iiiiuTile, 
126:  s. .rsa  .1:1  Iiail.-nnr,  :i7!l;  ri- 
volta degli  sihiavi.  III,  138-139. 

Eraclea  della  Siritide  (Policoro),  nella 
Magna  Gicria,  I.  31(1;  sede  delle 
grami,  .-l  n m  ■  ilelle  n-puMili- 
rhe    ,  Imia    di    T.-i- 


. lieta 


sfr 


R.j 


il. ili  da 
M.lcil- 
ii.J-324, 


«•manze  l'in  ■ 
mani,    li).|-l  ' 
Roma,  200;  .i  i  >  i 
Roma,  270;  S.  Il  11 
lustrate  dal  M.uì.j 
IV,  786. 

I-j-acleotide,  regione,  I,  311,  322-324. 

l-:raclide  di  Siracusa,  accusa  Dione  di 
ambire  alla  tirannide,  li,  179. 

]'>aclide,  figlio  di  Agatocle,  ucciso  in 
Affrica,  11,  186. 

Eraclio  di  Siracusa,  perde  il  suo  pa- 
trimonio perché  rifiuta  di  venir  a 
patti  con  Verre,  III,  319. 

I-;rate,  filosofo,  fatto  uccidere  da  Ve- 
spasiano, IV,  504.  • 

I'>ai'io,  llorido  durante  la  guerra  so- 
liale.  III,  178;  ricco  sotto  Traiano. 
ly,  5.59  ;  e  alla  morte  di  Antonino 

Erario  militare,  istituito  da  Augusto, 

IV,  80-S2. 
Erbesso  (presso   Girr/enti) ,  città  dei 

Si<»ni.  II,  104,  106. 
Erbesao  (presso  a  Siracusa),  dimora 


dei  Siculi,  II,  106  ;  presa  da  Claii- 
iflio  Man-elio,  379. 
■'.-Il  ipn-:.^^.  Xirosia),    dimora  dei 


J- 

181  ; 

presa  da  Tito  Didio,  191  ;  tempio 
alla  Madre  degli  Dei,  IV,  499;  ter- 
remoto, .'ilo  ;  seppellita  dal  Vesu- 
vio, 511  ;  siavi.  511;  onori  a  prin- 
cipi buoni  e  «attivi ,  79.S;  statue 
equestri  dei  liallji.  799,  800. 
Ercole.  ;ulMi-ati.  n.l  Sanili...,  1.  :«.">;  i- 

a    Cer.'.      ;^".      i!l     i.r    .l,...     liriii   u.i    .Il 

clava.     •     '       !—  ■■    ■      ni!       ,•  -  - 
priel.-i.   :  -  ■-     .   .     il     i    .-i"  ; 

doglio,  i'.i;  ;  iradi/.ioiu  nmi.-he.  Ili, 
292. 
Ercole,  culto  nel  Vallo  d'Adi'iaiio,  IV, 


(146. 


rV,'40O. 
Ercole,  tempio  a  Roma,  IV,  535. 
Ercole,  tempio  a  Tiburi,  I,  5.59. 
Ki-rnìc  Invitto,  altare  nel  Vallo  d"A- 


l-à !<■  Vincitore,  1.  528-530. 

Ercole  (porto  d)  (le  Forminole),  nel 
Hru/.io,  1,  300. 

Eri'te  (Monte  Prllegrino),  presso  Pa- 
lermo, Amilcare  Barca  vi  si  pone 
a  campo,  11,  233, 

Erculea.  —  Vedi  Taranto. 

l-'rculeo  (Capo  di  SpaHive>ito),  pro- 
montoi'io,  I,  305,  312. 

Erculei ,  si  dissero  i  giorni  in  cui 
Comiiiodo  prese  i  titoli  di  Cesare 
e  di  Germanico,  IV,  772. 

Erdonea  a  Evùouitx  (Orrloafi).  nell'A- 

Sulia  Datinia,  rovine,  1 .  35.")-:r)i:  ; 
opo  la  battaglia  di  t'aniie  si  imi- 
sce  ad  Annibale,  11.  :iij:i  ;  il  i|iiali- 
ivi  batte  il  pret..ie  r.iie..  l'ulvio  , 
387;  e  poscia  la  brucia,  394;  sulla 
■     Traiana,  IV,  607. 

sabino,    assale    il 
1,  821. 


]         iirrendc  a  Dionisio,  167  ;  i;  ripresa 

I  dai    Cartaginesi  ,    167  ;    presa    da 

Piiro,  200  ;  e  dai  Cartaginesi,  217  ; 

o.-iupata  dai  Romani,  232  ;  ripresa 

da  Amilcare  Barca,  231. 

Eriche  (presso  ColtogironeV  dimora 
dei  Siculi.  II,  106. 

Erinia,  divinità  dei  Marsi,  I,  383. 

Erineo,  nel  Uruzio,  1,  306. 

Brino,  divinità  dei  Marsi,  I,  382. 

Erisane,  in  Lusitania,  Yiriato  la  libe- 
ra dall'assedio,  II,  529. 

Eritre  (Ritri),  città  della  Ionia,  rima- 
ne Ubera,  lì,  453. 

Eritio.i  (Ma,-  Hoiiso).  III.  349,  IV, 
.^:,  li;;.  782;  confine  della  Pale- 
11  ni;  unito  al  Nilo  con  un 
;  .  ino. 

iiiiiii-iil  (iilolo  di),  riferito  ad  Ar- 
minio,  IV,  274. 

Erineo  (Capo  JìOii) ,  promontorio  in 
Affrica,  II,  219,  510  ;  la  fiotta  ro- 
mana volge  ivi  in  fuga  quella  car- 
(riL-iiirse,  223. 

i:n!  iin.-i'  di  Mitridate,  battuto  da 
I  !..   Hill.,  IH,  338. 

I  ;  iiuiii  1,  .  .iiiipagno  di  Orazio  Coclite, 
1,  Gi6. 

Ei-iiiiiiio  (Tito) ,  legato,  muore  alla 
battaglia  del  lago  Regillo,  I,  6:52. 

Ermocrate,  duce  di  Mitridate,  III,  336. 

Ermodoro,  efesio,  traduce  in  latino 
le  legai  greche  per  compilare 
quelle  "(Ielle  XII  Tavole,  I,  814; 
sua  statua  nel  Fòro,  II,  300. 

Ennogene  di  Tarso ,  storico ,  ucciso 
ila  Domiziano,  IV,  524. 

Ermunduri ,  grossa  tribù  germanica 
al  nord  della  Boe*»uV»,  caf  ciano  il 
I.jTo  re  Catualda,  IV,  271  ;  assaltati 
I-I.,in,ri..  731. 

Erni.i.  .^.^..-i  il.i-li  Osci  e  Sabini,  I, 
217  ;  |i..M  s.'.li.  2311-231  ;  al  confine 
.11  l.ii.ii..  ."127;  fan  parte  della 
I,  .1  !  I  11  i;ll:  trattato  con  Ro- 
I  ,  :"  i  1  il.  terre  sono  diser- 
1  11,  .1  1,1  1  un  .  S20;  soi^corrono 
l:  ,       1,  ,     li    Equi  e  i  Volsci, 


l'^rdonio   (Appio) , 


tagli 
vint.i 


1  .    297  ;  e  poi 

,u  298. 

•pre  Cicerone 

i-  .  per  avere 


Etruschi,  599 ;  Tarqiiinio  il  Supei-- 
bo  vi  sconfigge  i  Sabini,  611. 
l'^i-i'lria,  citta  dell'Isola  Eubca,  presa 

l'i:'  l'i  ,i'"'''"'  '"      '    i'i'     :ii.  rv,  854; 

l'ir-V.,,.     ,,:.!     ,i,    '     M,M|'|,''|1,    106. 

Ei-gi/io,  vilia-gi..  iH'U  .\piilia,  I,  35S. 

Erire  (Monte  San   Giuliano   presso 

Trapani),  tempio  a  Venere,   11. 

99;  sede  degli  Elimi,  111-112;  si 


all'; 


l'.i'.i  |i        giudeo,    consiglia 

1  1  iii.li,,   ni  .111  .Ilare  l' imperio,  IV, 

l-j'ode  Attico,  famoso  retore  sofista 
1 V,  658  ;  abbellisce  la  nuova  Atene, 
6.79;   inalzato    al    consolato,    703; 

,11,  ,  .1  ..  ili  Miivi,  Aurelio, 720, 721; 
.■  ,:i    \  n  ,  1,,  '11,.,  949. 

Eii.'i  11     r  lo  sulla  origino 

.1  Lii  l.i..,^  ili  I,  114-116;  fa  parte 
.lili.i  .:i.l..i.ut  .lUiiiese  fondatrice  di 
Turio,  321 ,  superiore  a  Tito  Livio 
per  lo  spirito   investigatore,   IV, 

Erote,  schiavo  di  Antonio,  si  uccide, 

111,  682. 
Ersilia,  concilia  Romolo  e  Tazio,  I, 

."^1  ;  fitta  divina  riceve  il  nome  di 

Eruci.i  (biro,  legato  di  Traiauo.  in- 
cendia Seleiicia,  IV,  618. 

Esaro,  limile  della  Magna  (ircia,  I, 
316,  317. 

Es.hilo,  poeta,  alla  corto  di  Gerone, 
II,  161. 

l'^s.hine,  oratore,  III,  69.5,  697. 

lOsculano  (Dio),  II,  310. 

Escul.ipio  (Dio),  fatto  venire  da  K\>  - 
dauro  a  Roma,  II,  295;  suo  tempio 
nell'isola  Tiberina,  adornato  di  pitr 
ture  greche  e  di  voti,  295,  296  ;  suo 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1001 


ETKUSCHI 


EXBDARE 


tempio  ad  Agrigento  derubato  da 
Verre,  III,  322  ;  altare  e  statua  nel 
Vallo  d'Adriano,  IV,  651,  653.  — 
Vedi  Esmun. 

Esepo  (Bokl'm),  fiume  della  Misia  in 
Asia,  III,  338. 

Esercito.  —  Vedi  Milizia. 

Esercito  urbano,  istituito  da  Servio 
Tullio,  I,  712. 

Eserciti  tumultuari,  II,  ■ISn. 

Esernia  (Isernia),  costruita  dai  San- 
niti, I,  255;  rovine,  258;  colonia 
romana,  II,  205;  gli  Esernini  alla 
battaglia  di  Pidna,  479  ;  nella  guer- 
ra sociale  cade  in  poter  dei  San- 
niti, III,  181;  vi  è  trasferita  la 
Dieta  italica,  192-193  ;  devastata  da 
Siila,  266. 

Esi  (Fiumesino),  fiume  del  Piceno,  I, 
225. 

Esmun  (Esculapio) ,  suo  tempio  a 
Cartagine,  U,  511-512.  —  Vedi 
Esculapio. 

Esneh,  in  Egitto,  ricordo  di  Antoni- 
no, IV,  710. 

Eso,  dio  delle  foreste  galliche,  III,  425. 

Esopo,  commediante,  IV,  199. 

Esperia,  antichissimo  nome  dell'Italia, 

I,  58. 

Esquilie  (Esc[uilinn),  colle,  I,  567,  605, 
722,  III,  207,  IV,  118,  400,  402,  514  ; 
casa  di  Virgilio,  418;  orti  e  pa- 
lazzo di  Mecenate,  115;  terme  di 
Tito,  515,  603;  terme  di  Traiano, 
603;  scavi  recenti,  115,  770. 

Esquilina,  regione,  I,  605. 

Esula,  negli  Equi,  colonia  romana, 
n,  269. 

Età  del  bronzo,  I.  40-49. 

Età  del  ferro,  1,  40-49. 

Età  della  pietra,  I,  3.")-49  ;  in  Sicilia, 

II,  104. 

Elalia.  —  Vedi  Elba. 

Eternità,  dea,  IV,  7i:4. 

Etico  Istro,  cosmografo  del  medio  (■\i), 
IV,  50. 

Etiopia,  alleata  di  Roma,  IV,  69,  87  ; 
mirra,  avorio  e  cotone  d' Etiopia 
portati  a  Roma  dalle  navi  d'Egitto, 
206. 

Etna,  antichità  di  questo  vulcano,  I, 
22-23;  eruzione,  874  ;  vi  sali  Adi-ia- 
no,  IV,  681. 

Etoli,  barbari  e  feroci,  li,  429  ;  alleati 
di  Roma  contro  Filippo  re  di  Ma- 
cedonia, 431  ;  si  mantengono  fede- 
li, 433;  combattono  ai  Cinocefali, 
437  ;  scontenti  che  Filippo  non  fos- 
se distrutto,  437-438,  440  ;  prendo- 
no Demetriade,  e  uccidono  Nabide, 
443  ;  nominano  Antioco,  re  di  Siria, 
loro  capitano  generale  ,  444  ;  vinti 
al  passo  delle  Termopili,  445-446; 
chiedono  tregua,  447;  si  difendono 
in  .Ambracia  e  sono  costretti  a  chie- 
der pare,  450  ;  in  guerra  coi  Tes- 
sali ;  463  ;  ostaggi  presi  dai  Roma- 
ni, 469  ;  ingiustizia  di  Paolo  Emi- 
lio con  essi ,  485-486  ;  soccorrono 
Siila,  III,  234. 

Etolia,  non  fa  parte  della  proNÌncìa 
d'Acaia,  II,  499. 

Ktriculo  (Lrittaricn),  nelBruzio,  I,  306. 

Ktruria  propriamente  detta,  vulcani 
spenti ,  I,  .33  ;  r-onfini,  città,  porti, 
potenza,  sepolcri  e  splendide  opere 
d'arte,  123,  129-161,  168-173;  con- 
fina col  Lazio,  527  ;  una  delle  un- 
dici regioni  dell'Italia  d'Augusto, 
IV,  42  ;  fa  parte  di  una  delle  quat- 
tro regioni  sotto  Adriano,  636  ;  non 
ha  giuridico,  738. 

Etruria  campana,  1, 128,  278  ;  distrutta 
dai  Sanhiti,  883. 

Etruria  circumpadana  *■  adriatica,  I, 
126-127;  necropoli,  162-167. 


Etruschi ,  loro  provenienza ,  1 ,  113, 
174;  opinioni  degli  antichi,  114-117; 
studi  moderni,  187-208  ;  confermata 
la   loro  origine  asiatica,    117-120; 


ti  'IH-   ;  ,   i:j     .     .  ,,  •   sono 

pente,  l.'J  .  il  ■  i.'.i'  .  la  lu'u  po- 
tenza fu  nell'Etruria  di  mezzo,  123; 
conquiste  sugli  Umbri,  125  ;  occu- 
pano la  pianura  del  Po,  126  ;  pos- 
sedimenti nel  Lazio,  127  ;  assog- 
gettano il  paese  (lei  \',,lsei.  12S;  si 
estendono  nella  Cini]]!  ini.i.  128;  so- 
stengono forti  li.iiii^iie  eoi  Lisuri, 
128  ;  città  da  essi  oeeupate  sul  Tir- 
reno, 130;  navigazione  e  commer- 
ci, 130-131  ;  opere  idrauliche,  131- 
132  ;  opere  d'arte,  132  ;  città  e  ro- 
vine etrusche,  133-174  ;  loro  modo 
di  seppellire,  168  ;  civiltà  e  gran- 
dezza, 175;  ordinamenti  politici  e 
militari  e  sistema  federativo,  175- 
179;  fortificazioni  delle  città,  179- 
180;  conquiste,  colonie  e  goveimo 
dei  vinti,  180-182  ;  dottrine  della 
fataUtà,  182  ;  loro  fine  eroico,  183  ; 
teocrazia,  363;  condizione  del  po- 
polo, 36.5-366;  costituzione  aristo- 
cratica e  timocratica,  366-359;  pos- 
sesso del  suolo,  370-371  ;  leggi  e 
ordini  interni,  372-374  ;  religione, 
376,    .387-388;    divinità     —    -~ 


406,  408,  460;  dottrina  dei 
mini;  406-409,  460  ;  sacerdoti,  409- 
412;  culto,  413-415  ;  arti,  416-442  ; 
arte  ceramica,  443-449  ;  la  scienza 
privilegio  dei  sacerdoti,  451  ;  astro- 
nomia, 453-454  ;  divisione  del  tem- 
po, 454  ;  sistema  di  numerazione, 
451-157 -,    e!-nno!o'_'ÌT.    458;    mete- 

renl.ej;  ,     (  .' ' ■.liiia,  460;  co- 

gni/) I-I  ;  libri  sacri, 

anieili  .  I-  ,  ielle,  462;  mu- 
sica, l'jl-l'is  ,  1,  I  ,,  -(7R-4S4;  ar- 
mi, 491-49-2  ;  e.,-    , ii-i    ri-,-496; 

donne,  497-11''  [     -",10 -.  a- 

bitazionì,  5III-'  '.  ::  .lan- 

za,  .502-.504;  e,,:,  ,  ,|, ,;  e  riti 

funebri,  504-.521  ;  aiutano  Romolo 
contro  i  Sabini,  .579  ;  in  guerra  con 
Anco  Marzio,  con  Tarquinio  Prisco 
e  Servio  Tullio,  595 ,  .599,  604  ;  soc- 
corrono Tarquinio  il  Superbo  con- 
tro Roma  e  sono  vinti  alla  selva 
Arsia,  623-624  ;  assediano  Roma 
guidati  da  Porsena ,  626-628  ;  ab- 
bandonano la  causa  dei  Tarquinii, 
629;  coi  Latini  e  Sabini  danno  ori- 
gine a  Roma,  690  ;  loro  istituzioni, 
usi,  civiltà,  religione  e  arti  traspor- 
tate a  Roma,  691-693  ;  negano  aiuto 
ai  Veienti,  870-871  ;  vinti  dai  Ro- 
mani ,  880  ;  loro  decadenza,  880  ; 
commerci  e  invasione  tentata  nella 
valle  del  Nilo,  881  ;  disfatti  presso 
Menfl,  881  ;  più  ainii  di  pace  e  poi 
nuova  guerra  con  Roma,  80.5-806  ; 
assaliti  dai  Galli ,  887-889  ;  nuove 
guerre  con  Roma  e  nuove  scon- 
fitte, II,  12-13,  36-37  ;  si  sollevano 
coi  Sanniti  contro  Roma ,  68  ;  as- 
sediano Sutri,  68-69  ;  sono  vinti  da 
Q.  Fabio  e  si  ricovrano  nella  selva 
Ciminia,  69;  perdono  a  Perugia, 
70  ;  nuovamente  battuti,  71  ;  e  scon- 
fitti al  lago  Vadimone,  71-72  ;  vinti 
coi  Sanniti  a  Sentino ,  79,  81-83  ; 
vincitori  del  pretore  Metello  ad  A- 
rezzo,  e  sterminati  e  sottomessi  al 
lago  Vadimone,  91-93,  196;  pa- 
(lioni  della  Sardegna  e  della  Corsi- 
ca, 237,  '249  ;  invasione  dei  Galli , 
251;  aiutano  Roma  contro  i  Galli, 


2ol  ;  patti  ottenuti  dai  Romani,  259  ; 
artisti,  311;  ai  sacrifizi  umani  in 
onore  dei  morti  sostituiscono  i 
combattimenti,  314  ;  devastati  dalla 
invasione  d'  Annibale ,  344  ;  ri- 
mangono fedeli  a  Roma  dopo  la 
battaglia  di  Canne,  363  ;  sospetti  di 
moti  a  favore  d'Annibale,  392,  396- 
397  ;  aiutano  Scipione  alla  guerra 
d'Affrica,  410  ;  invasione  dei  Ligu- 
ri, 458  ;  aderiscono  alla  lega  italica, 

III,  172  ;  Roma  reprime  i  loro  moti 
a  favore  degli  Italici,  185-187;  si 
uniscono  alla  parte  democratica 
romana,  2.50;  rapine  e  stragi  di 
Siila,  265-265  ;  tumulti  contro  i  suoi 
veterani,  288-289  ;  infestati  dai  pi- 
rati, .331  ;  eccitati  alla  rivolta  dagli 
emissarii  di  Catilina,  375;  accolgo- 
no con  festa  Cesare,  488. 

Etruschi,  stanziati  sul  Po,  cacciati  e 
vinti  dai  GalU,  I,  883-885  ;  cercano 
rifugio  sulle  Alpi  Retiche,  886. 

Ettore,  motto  di  Tiberio  agli  amba- 
sciatori di  Ilio,  IV,  286. 

Eubea ,  colonia  greca  in  Sicilia ,  II, 
119,  128. 

Eubea  (isola  d')  (oggi  Negrnponte) , 
presa  da  Flaminio,  II,  435  ;  dichia- 
rata libera,  438;  presa  da  Antioco, 
re  di  Siria,  444  ;  occupata  da  Mitri- 
date, m ,  232  ;  visitata  da  Emilio 
Paolo,  II,  482  ;   e   da   Germanico, 

IV,  260. 

Eufrate,  fiume,  li,  542,  IH,  464,  466, 
IV,  68,  78,  79,  84,  312,  399,  495. 
.551,  554,  613,  615,  616,  618,  627, 
715,  728,  729,  731,  745,  782. 

Eufrate,  filosofo,  familiare  di  Plinio 
il  Giovane,  IV,  941. 

Euganei,  loro  origine  e  sedi ,  I,  (;7  ; 
loro  lingua,  477. 

Euganei  (colli),  I,  34,  67. 

Eumachia  (edificio  di),  a  Pompei,  IV, 
45-46. 

Eumene  lì,  re  di  Pergamo,  riceve  dai 
Romani  la  più  parte  delle  spoglie 
di  Antioco  re  di  Siria,  II,  452  ;  de- 
nunzia ai  Romani  l'ingrandirsi  di 
Perseo,  e  questi  tenta  farlo  assas- 
sinare a  Delfo,  468;  malcontento 
dei  Romani,  476  ;  sbarcato  a  Brin- 
disi riceve  l'ordine  di  lasciar  l'Ita- 
lia, 491  ;  i  Romani  gU  voltano  con- 
tro suo  fratello  Attalo,  491  ;  fa  fab- 


ta  gli  schiavi  di  Sicilia ,  lU ,  38- 
39;  proclamato  re  col  nome  di 
Antioco,  39-41  ;  sua  morte,  42. 

Eunuchi,  commercio,  IV,  209. 

Eurialo,  castello  di  Siracusa,  II,  376; 
ceduto  a  tradimento  ai  Romani, 
380. 

Bussino  (Ponto)  (Mar  Nero),  III,  225, 
IV,  79  ;  via  conducente  da  esso  alle 
Gallio,  610;  le  popolazioni  si  di- 
chiarano pronte  ad  obbedire  a  Tra- 
iano, 615  ;  visitato  da  Adriano,  662  ; 
periplo  di  Arriano,  662. 

Evandro,  re  d'Arcadia,  leggenda  della 
sua  venuta  nel  Lazio,  I,  528,  531, 
566,  IV,  701. 

Evemero,  i  suoi  libri  tradotti  in  lati- 
no da  Ennio,  II,  598^616. 

Evento.  —  Vedi  Buono  Evento,  dio. 

Evirazione,  proibita  con  minacce  di 
morte  da  .\driano,  IV,  673. 

Evodo,  Uberto  di  Claudio,  capo  degli 
uccisori  di  MessaUna,  IV,  365. 

Exedare,  posto  sul  trono  d'Armenia 
da  Cosroe,  IV,  613. 


Vanncco!  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV. 


1002 


INDICE 


FABARI 


Fabari  o  Farfai-o  {Farfa),  fiume  dei 
Sabini.  I,  220. 

Kabbroni  ((Giovanni) ,  sue  opinioni 
sulle  origini  italiche,  I,  190. 

Kaberio,  già  segretario  di  Cesare,  fal- 
sifica le  sue  disposizioni.  III,  575- 
57C. 

Fabia,  moglie  di  Licinio  Stolone,  II, 
20-21. 

Fabiano  (Papirio),  (ìlosofo,  TV,  Saì. 

Fabii  (la  gente  patrizia  dei) ,  celebre 
per  suol  consolati  e  prodezze ,  I, 
805;  studia  di  riunire  plebe  e  pa- 
trizi, 806  -,  non  riuscita  ueU'  inten- 
to, va  a  far  da  sé  sola  la  guerra 
ai  Veienti,  807-808;  uccisi  al  Cre- 
merà, 809-810;  onori  alla  loro 
virtù,  811. 

l-'abii  (i  tre  fratelli) ,  inviati  ai  Galli 
a  Chiusi,  I,  8S9. 

Fabio  Cesone,  console  tre  volte,  I, 
803  ;  nella  guerra  etrusca  è  abban- 
donato dai  soldati ,  806  ;  insiste 
perché  sia  eseguita  la  legge  agra- 
ria, 806. 

l-'abio  (Marco) ,  console  due  volto .  I. 
805;  vince  gli  Etruschi  e  ricusa 
il  trionfo,  806. 

Fabio  (Quinto),  console  due  volte ,  I, 
805  ;  muore  al  campo,  806. 

labio  Dorsone  (C.) ,  esce  dal  Campi- 
doglio assediato  e  traversa  il  cam- 
po dei  Galli  per  fare  un  sacrifizio, 

Fabio  Ambusto  (M.),  suocero  di  Lici- 
nio Stolone,  II,  20. 

l'abio  Ambusto  (M.) ,  console  la  se- 
conda volta,  battuto  dagli  Etrusolii 
a  Taniuini.'i.  II.  :w. 

l''.aljin  ((.iM!i)  MiMiiio  RuUiano , 
vni.         ■  li    .'.S;    si  rifugia 

ai;  |i  i:^i  alla  vendetta 

(li    l' ipii  I  ■    '  i  .    ."n  ;    prende 

Luceri.'i,  i;ii  :  i'       ,■    1  ..iiilule, 

67;  vince  i  S  .    :  :         i.'  e  gli 

Etruschi  a  Sni:  I  '  '  f  i  Li  sel- 
va Ciminia.  '^i;  in  :U  1  iL-iischi 
e  Umbri  a  l'orujjia.  ;(i;  nominato 
proconsole  vince  nuovamente  gli 
Ktruschi  e  gli  Umbri,  71  ;  nomina 
dittatore  l'apirio  Cursore  ,  74  ; 
trionfa  per  aver  domata  l'Etruria 
e  va  nel  Sannio,  75;  vince  gli  Um- 
bri a  Mevania,  75-76  ;  vince  i  San- 
niti ad  Alti  fé,  76;  prende  parte 
come  console  alla  terza  guerra 
sannitica,  79,  80-81  ;  vince  a  Sen- 
tino  e  trionfa,  81-83;  censore  ri- 
ceve il  nome  di  Massimo,  279,  284. 

Fabio  Gurgite  (Q.),  Aglio  di  Q.  Fabio 
Massimo  RuUiano,  console,  fe  scon-" 
lltto  dai  Sanniti ,  e  aiutato  dal 
padre  accorso,  come  suo  legato,  al 
riparo,  II,  88  ;  detto  Gurgite  (ghiot- 
tone) per  gli  scialacqui  della  sua 
gioventii,  575. 

Fabio  Buteone  (M.),  dittatore  per  ri- 
fare i  senatori  nrcisi  da  Annibale 
a  Canne,  11,   > - 

Fabio  Massimv  ('.''  1'  'i"'  iiii- 
console,  vìm^-''  i  i  .    'ni    li     ;  i ,     J;- 

Chiara  la  gn.'n  ,.      m     i   .uLi^hm-  .i  , 

333;  dopo  la  r..iut  .l.-l  J.aM,M.-UM 
eletto  prodittatore  per  coniliattcìe 
Annibale  studia  di  evitare  le  gran- 
di battaglie,  351  ;  guerra  di  accor- 
gimenti e  d'insidie,  3.>2  ;  deluso 
da  Annibale  e  disapprovato  da  Ro- 
ma, 253  ;  col  tcmporcfjgiare  impe- 
disce la  rovina  d'Italia,  ed  e  ono- 
rato della  corona  graminca ,  254  : 


richiamato  al  romando  dopo  la 
i-otta  di  Canne,  3J9;  prende  stanza 
a  Teano  contro  Anrubale  e  diserta 
le  terre  sannitiche  ,  369  ;  prende 
Manduria  e  Taranto,  395;  si  op- 
pone al  partito  di  portare  la  guer- 
ra in  Affrica,  409  ;  accusa  Scipio- 
ne del  mal  governo  di  Locri,  411  ; 
geloso  e  nemico  di  lui  vincitore 
con  modi  diversi  dai  suoi,  554,  559. 
•'abio  Massimo  (cosi  detto  per  causa 
di  adozione)  Emiliano ,  figlio  di 
Emilio  Paolo  vincitore  di  Perseo, 
combatte  rri\  padre  nella  guerra 
di  Mac.MÌM„r, ,    II.   (-<«•   frena  Vi- 


figlio  .Ili  ;.-...  Mu.-e  gli.\r- 

raonuinentc',.  preuile  il  sopranno- 
me di  .\llobrogico,  e  inaUa  a  Roma 
r  arco  Fabiano,  HI,  9:3-94. 

Fabio  Massimo  Serviliano  (Q.),  pro- 
console, sconfìtto  da  Viriato,  11, 
528;  ridotto  agli  estremi  fa  pace 
con  lui,  529. 

Fabio  Pittore  (('.),  ilipinge  il  tempio 
della  S;,l II.   ,"i-.    :ì11,  GOS. 

Fabio  Pili !  il  I    ili-,  prosente 

alla  u ili.,  lie.-oiitru 

Apniliie,  II.  .1";  ■  nuuulato  al- 
l'oracolo HI  Hello  <lopo  la  rotta  di 
Canne ,  3tì0  ;  sci'ive  in  greco  gli 
Annali  di  Roma,  ed  e  il  padre  della 
.storia  romana,  607-608.  —  Vedi 
anche,  I,  638-639. 

Fabio  Adriano  (M.) ,  legato  di  Lu- 
cuUo ,  vince  Mitrid.ate  a  Cabira, 
III,  3:»;   e  poi  ti  vinto  a  Zela  da 


'1'    ■       :    i:n:.,    IH,   380. 

1  11.1  i  M  r-iiiMi,  scn.atore,  fatto  morire 
ila  Livia,  IV,  231. 

Fabio  Rustico,  storico,  IV,  919. 

Falirateria  nuova  (Falvalera),  città 
dei  Volsci,  I,  232-233;  rovine,  III, 
183. 

Fabratevia  vecchia  (Ceccano) ,  città 
dei  Volsci,  232-233. 

Fabretti  (Ariodante) ,  suo  Glossario 
italico,  I,  474-475,  484;  crede  che 
i  dialetti  italici  derivino  dalle  lin- 
gue ariane,  482. 

Fabretti  (Rafaele),  sua  illustrazione 
della  Colonna  Traiana,  IV,  .584. 

Fabriano.  —  Vedi  Sentino. 

Fabrizio  Luscino  (C),  console,  batte 
i  Lucani  e  i  Bruzi,  e  libera  Turio, 
II,  189;  sua  famosa  ambasceria  a 
Pirro,  196-197;  a  cui  denunzia  il 
medico  traditore,  199;  censore, 
caccia  dal  senato  Cornelio  Rufino, 
304  ;  per  le  sue  virtù  ha  tomba 
dentro  Ir   ìNiir;i   ili   K-nn.-i,  285. 

Fabrizio  v.     n;    n  i  .■onsiglicre 

di  Diiiiii   ,11       l\  ,     i-i. 

Faconrii"  .   i,-.m  ^   III,  710. 

Fadilla,  sorella  di  Coiiiinodo,  IV,  778. 

Falacrine  (nella  Valle  di  Falacriyir), 
fondata  dai  Sabini,  I,  221  ;  patria 
di  Vespasiano,  IV,  4.">4. 

!■  il  1 -lo,  divinità  dei  Sabini,  I,  283.  _ 

r  1  NILI  macedone,  alla  battaglia  dei 
'  retali,  II,  436;   e  a  quella  di 


479. 


y.iì. 


II. 


US-l.V       li     'Il  1     1    -'    ili     '■■■on/i 
traspio  1-1  !■       '  ' 

Falerii  o  l  .ii.  .  ,  .  i  ,,,  .i  ;  -  ,  /  -.■.i- 
Stellaa"-  i  '-.,.;.  .U"  Y-  di  l<n,.. 
ci),  citta  abit.ita  dai  Siculi  e  poi  d.'i 
Pelasgi,  I,  75;  tempio  di  Giunone 
75;  una  delle  città  principali  d 
Etruria.  123;  rovine,  136-138;  ri- 


cordo di  Adriano,  IV,  637  ;   iscri- 
zione alimentaria,  807. 

Falerno  (agro),  I,  267,  269  ;  vi  si  ri- 
fugiano i  (jalli,  II,  33;  devastato 
dai  Sanniti,  77;  vino,  IV,  823. 

Falisoi  (i),  loro  sedi,  I,  135  ;  vinti  dai 
Romani,  138  ;  soccorrono  Veio  as- 
sediata, 871-872,  876  ;  vinti  da  Cam- 
mino, 880  ;  ricevono  il  diritto  di 
cittadinanza ,  II,  12  ;  dì  nuovo  in 
guerra  con  Roma,  37  ;  chiedono 
l'alleanza  Romana,  42  ;  guerra  di 
sei  giorni,  237. 

Falleri.  —  Vedi  Falerii. 

Falterona,  offerte  votive  ivi  trovate , 
I.  413. 

Fame.  —  Vedi  Carestia. 

Famiglia  (la),  in  Etruria.  1,373;  no- 
mi di  famiglie  nelle  epigrafi  etru- 
sohe,  484  ;  ordinamento  ilispotico 
della  famiglia  romana ,  695-697  ; 
potestà  assoluta  del  marito  e  del 
padre,  696,  760-761,  845,  847,  II, 
582,  IV,  859;  matrimonio  e  suoi 
modi  diversi,  I,  761-762 ,  II,  582  ; 
vietato  e  poi  concesso  tra  patrizi 
e  plebei,  1,  853-855  ;  ordini  di  Au- 
gusto contro  il  celibato,  IV,  37  ; 
ìnogli  e  mariti,  II,  581-582  ;  tiran- 
nide della  moglie  riccamente  do- 
tata, 5S2-583;  profondi  disordini 
combattuti  dai  filosofi,  IV,  855, 
857  ;  reclami  contro  il  marito  dis- 
soluto che  punisce  la  moglie  infe- 
dele, 858. 

Fanagoria,  città  sul  Bosforo  Cimme- 
rio, III,   225;  si  ribella,  351; 
grafi  greche,  IV,  662. 

l".;:i-iulli   poveri.   —   Vedi   Alimenti 


epi- 


ilici. 


Fanelli  (Ferdinando),  di  Sarteano, 
sua  collezione  di  vetri  etruschi,  I, 
434. 

Fannia,  figlia  di  Trasea,  vedova  di 
Elvidio  Prisco,  esiliata  per  la  ter- 
za volta  da  Domiziano,  IV,  !>41. 

Fannio  (C),  console,  genero  di  Caio 
Lelio,  storico,  III,  764. 

Fannio  (L.),  conchiude  il  trattato  tra 
Mitridate  e  Sertorio,  IH,  300  ;  in- 
viato come  consigliei-e  al  re,  .335  ; 
chiede  pace  aLucullo,  e  la  ottiene, 
340. 

Fannio  Strabone  (Caio),  console,  ab- 
bandona Caio  Gracco,  III,  79. 

Fanum  Fortunae  (Fano),  città  degli 
Umbri,  I,  65  ;  occupata  da  Cesare, 
HI,  485;  opere  pubbliche  fatte  ivi 
da  Augusto,  IV,  44. 

Faonte,  liberto,  offre  rifugio  a  Ne- 
rone cercato  a  morte,  IV,  425. 

Farasmane,  re  degli  Iberi,  eccita  alla 
rivolta  gli  Alani,  IV,  663  ;  viene  a 
Roma,  663. 

Faràsmanc,  re  dei  Parti,  rende  omag- 
gio in  Roma  ad  Antonino,  IV,  711. 

l''arina  (capo),  in  Affrica,  II,  510. 

Farnace,  figlio  di  Mitridate,  si  mette 
alla  festa  dei  ribelli,  IH,  351  ;  con- 
segna il  cadavere  del  padre  a  Pom- 
peo, 3.53;  il  quale  gli  dà  il  regno 
del  Bosforo,  3.53;  vince  Doniizio 
Calvino  a  Nicopoli,  513  ;  è  vinto 
da  Cesare  a  Zela,  513  ;  e  persegui- 
tato fino  al  Bosforo,  513. 

Faro  (isola  di),  imita  alla  qittà  di 
Alessandria,  III,  511,  512. 

Faro  (detta  ora  Hvnr  dagli  Slavi  <■ 
Lisina  dagli  Italiani),  isola  presso 
le  coste  dell'Illirico,  patria  del  tra- 
ditore Demetrio,  li,  248,  355. 

Farsalla  o  Parsalo  (Fersala),  città  di 
Tessaglia  sulla  riva  sinistra  del- 
l'Enìpeo,  III,  .501  ;  vittoria  di  Cesare 
su  Pompeo,  .502-503. 

Fasti  etruschi ,  I,  461-462  ;   d«Ile  Fé- 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1003 


FATI 


FENESTELLA 


FILOPATORE 


l'ie  Latine,  548;  di  Verrio  Fiacco, 
M-i  ;  Vespasiano  fa  correggere 
fliielli  bruttati  dall'adulazione,  IV, 
020-921. 

l'ati,  loro  altare  nel  Vallo  di  Adria- 
no, IV,  652. 

Fatua,  battuta  a  morte  per  aver  be- 
vuto vino,  I,  493. 

Fauna,  divinatrice,  moglie  di  Fauno, 
I,  401. 

Fauni,  antichi  Dei  e  poeti,  I,  530-531. 

Fauno,  mitico  istitutore  dei  popoli,  I, 
5:i  ;  re ,  e  vate  dei  Prischi  Latini, 
528 ,  740  ;  suo  oracolo  sulla  via 
Ardeatina,  542. 

Fausta,  lìglia  di  Siila,  moglie  di  T. 
Miloiie,  auKu-eagiata  d.'i  Sallustio, 
ni.  777. 

l'ansiìin;).!.'      r.iii.'iwll.v    IV.    7(53;    in 


Pio,  mo-lii'  .Il  M.uTn  .Viirilio,  IV, 
701,  725;  falsamente  accusata  ili 
aver  fatto  morii-e  Lucio  Vero,  737; 
detta  Madre  dei  Campi,  744;  ac- 
compagna Marco  Aurelio  nella 
spedizione  contro  Avidio  Cassio, 
747;  e  lo  esorta  ad  infierire  contro 
i  ribelli,  74S  ;  suoi  scandali,  761- 
7(J3;  esame  delle  accuse  fatto  da 
K.  Renan,  7i;l-7G2;  sua  morte,  763; 
apoteosi,  statue  e  tempio,  763-765; 
iiiadre  di  Coinnindo,  764-765  ;  nuove 
Faustiuiaue  in  suo  onore,  808,  809. 
lustiii.jpc.li,  in  l'.ippadocia,  fondata 
d.i  M.  .Viii-.'lio  in  onore  di  Faustina 


Romolo  e  Remo, 


compagna  Marco  Bruto  al  Fòro, 
566;  al  convegno  d'Anzio,  570. 

Favorino,  di  Arti,  sofista,  suo  disac- 
cordo con  Adriano,  IV,  676  ;  scrit- 
tore enciclopedico,  845, 846  ;  ricorda 
alle  madri  il  sacro  dovere  di  allat- 
tare i  figliuoli,  857;  maestro  di 
Aulo  («'Ilio,  949. 

Fazani.i  (/■V;;(<//),  regione  nell'inter- 
no deir.Vll'rir.i,  aperta  da  Cornelio 
H'illio,  IV,  S7. 

Fc.'irii  (rundotti),  ad  Agrigento,  II,  122. 

Fi'liliraio,  da  che  deriva  questo  nome, 
I,  415. 

l'elle,  liberta  dì  Giulia,  si  uccide,  IV, 
217. 

IVciali,  sacerdoti,  I,  374,  411,  586; 
rito  fei'iale  ,  374-37.')  ;  istituzione 
attribuita  ad  Anco  Marzio,  .589. 

Fede,  divinità,  I,  741  ;  suo  culto,  767- 

Fede  punica,  II,  524. 

Fede  romana,  monumento  innalzatole 

dai  Locresi,  II,  411. 
Federazioni  degli  antichi  popoli  itn- 


365. 


l'edro,  sue  Favole,  IV,  875. 

Felice,  liberto,  si  arricchisce  nel  go- 
verno della  (iiudea,  IV,  342,  4.56. 

Fclsina,  poi  Bunonia  (Uolotjna),  una 
delle  citta  principali  degli  Etru- 
schi, 1.  126  ;  scoperte  etrusche  nei 
suoi  dintorni,  162-167:  e  nella 
cilla,  167;  occupata  dai  Boi  che  le 


danno  il  nome  di  Bononia,  885; 
coliinia  romana,  II,  267,  268,  460  ; 
saccheggi<ata  dai  Boi,  458  ;  presa 
da  Ir/io  e  da  Ottavio,  III,  .597; 
socc.irs.i    il;i    N.Ti.iii-    ilupo  un  in- 

ili    lI    •   I  .'     n     .     \    '    ;  1  ..     I  „■. 

Fencst.',:      l    ..  -.-i  .  IV,  181. 

Fenicr,  ii-ri  ii:i    i  \ì  niri.    IW  .S67. 

Fenici,  loro  sedi  e  coinmci-ci  in  Sici- 
lia, II,  113-117;  loro  presenza  in 
Sardegna,  II,  242. 

Fenicia,  visitata  dai  commercianti 
etruschi,  I,  i;iO  ;  percorsa  da  Pom- 


peo,  III,   349;    provincia 
353  ;  donata  da  Antonio  a  Cleopa- 
tra, 662. 
Fenio  Rufo,  prefetto    dei   pretoriani, 
IV,  3S9;  congiura  contro  Nerone 


idei.' 


I  -,,•  (  1  ,/.>/,„,)),  città  di  Tessaglia, 

I  Iva  e  valle)  presso  Mn- 

I  .  ìljm  delle  adunanze  della 
ir,  ,   ;  r  ■,  ,     I,  --;;,.  .542,  li,  43. 

l'i'iTtiii  ,  ,  1/  -,.  città  degli  Bir- 

illi I.   :     -'   1  i-a  dai  Volsci,  e 

dai  K.  IMI  11,1  nm  .sri  in  potere  de- 
gli Ei-nii-i,  8(;i;;  presa  più  volte  dai 
Romani,  li,  34  ;  conserva  l'indipen- 
denza municipale,  79;  scena  alle 
commedie  romane,  64?». 

Ferentino,  citta  degli  Irpini ,  l ,  266  ; 
presa  dai  Romani,  H,  79. 

Ferentino  o  Ferente  (presso  Viterbo), 
i-ovine  etrusche  e  romane,  I,  150, 
IV,  448-449. 

Ferento  o  Forento,  città  nell'Apulia 
Uaunia,  rovine,  I,  295,  206  ;  occu- 
pata dai  Romani,  li,  ù6. 

Ferie  Latine,  sul  monte  Albano,  l, 
53.-.,  5I7-M!i,  i;ll. 

Fermn.  —   \r,l.  Firmo. 

Feronailr,  hli.Mln.Ii  i'l,-iudio,  IV,  342. 

Fer'iiii.'i.  Mhi  lciii|ii.i  ai  piò  del  monte 
S.ir.aia-,  I,  l:'i.s-i:;'i  ■    I  lea  in-ntottrice 

lai.i   .\:,   |iia  |...|-ri  -r-iliri.  l.s:),  3S.3- 

FeiT.ai-i  '..ui.l  ,■  ,lr    -li    rmhri  di 

Fai'n!".!.'!   !■    '        l\     Jo7. 

FVrrihi  1  iMiiih.ri  .|iim-are  pel  colos- 
so dAruiim..,  IV,  272. 

Fescenuia  (Gallese  e),  abitata  dai  Si- 
culi e  poi  dai  Pelasgi,  I,  75  ;  città 
etrusca,  138,  463. 

Fescennini  (versi),  I,  138,  li,  610,  6.50. 

Feste,  religiose  dei  primitivi  italiani, 

I,  412-413;  in  Etruria,  415,  502; 
religiose  e  civili  a  Roma,  755,  7.56, 

II,  316,  IV,  104.  —  Vedi  Giuochi. 
Feste  del  Dio  Teniiine,  1,  587. 
Feste  Laivnt.ali,  1,  572. 

Feste  Liipeivali,  I,  412,  .572,  729,  7.30. 

Feste  di  Pale  o  l'alilie,  I,  412,  730. 

Feste  Tesmoforie,  1,  8S. 

Feti-Islam,  in  Servìa,  ponte  di  Traia- 
no ivi  presso,  IV,  .576, 

Fibreno,  fiume  nei  Volsci,  I,  232,  III, 
727,  728. 

Ficana  (Dragoncello) ,  città  del  La- 
zio, I,  542  ;  distrutta  da  Anco  Mai"- 
zio,  595. 

Fico  ruminale,  I,  569,  .571,  572,  lì,  297. 

Ficoroni  (Francesco),  cista  prenestina, 
da  lui  scoperta  e  illustrata,  I,  554- 
.555. 

Ficulea  o  Ficulnea  (sui  colli  della  Co 
sarina),  abitata  dai  Siculi  e  poi  dai 
Pelasgi,  I,  75  ;  nel  Lazio,  ,562-r,63  ; 
sottomessa  da  Tarquinio  Prisco, 
.599  ;  iscrizione  alimentai-ia,  IV,  807. 

Fideiie,  nel  Lazio,  presa  d.agli  Etru- 


schi, I,  127;  colonia  latina,  563; 
vinta  e  riunita  a  Roma,  582  ;  messa 
a  sacco  da  Anco  Marzio,  595  ;  Tar- 
quinio il  Superbo  vi  sconfigge  i 
Sabini,  611  ;  sue  guerre  con  Roma, 
869-870,  II,  36  ;  rovina  dell'anfitea- 
tro, IV,  296. 

Fidia,  sua  statua  di  Giove,  IV,  847. 

Fidio,  divinità  sabina,  I,  385. 

Fiesole,  città  etrusca,  I,  125;  rovine, 
1.53;  fortificazioni,  179;  culto  di 
Ancaria,  381  ;  vittoria  dei  Galli  con- 
tro i  Romani,  li,  251  ;  si  solleva 
contro  i  veterani  di  Siila,  111,  288; 
campo  dei  Catilinarii,  379. 

Figli.  —  Vedi  Famiglia. 

Pila,  fortezza  di  confine  in  Macedd- 
nia,  li,  475. 

Filadelfeia,  citta  della  Lidia,  r>ivinata 
da  \m  icna-inot..,  IV,  251. 

Fihadellia  (liuhbiUh-Auiinoii) ,  citta 
di  Palestina  nel  distretto  della  Pe- 
rca, all'orzata  ai  tempi  di  Traiano, 
e  poscia  diveimta  tlorida  e  popo- 
losa, IV,  601. 

Filantropia,  raccomandata  dagli  Stoi- 
ci, IV,  859-860. 

Filetero,  eunuco,  fondatore  della  po- 
tenza dei  re  di  Pergamo,  11,  452. 

Filippi,  città  di  Macedonia,  suo  sito  e 
rovine ,  HI ,  622-623  ;  battaglia  e 
sconfitta  dei  repubblicani  contro  i 
triumvirali,  625-627,  631. 

Filippo  V,  re  di  Macedonia,  obbligato 
dai  Romani  a  cacciar  Demetrio  di 
Faro,  II,  355  ;  fa  alleanza  con  An- 
nibale, 370  ;  muove  in  suo  aiuto  ed 
è  sconfitto  ad  Apollonia,  373;  ri- 
chiesto di  soccorso  da  Siracusa, 
380;  tenta  sottomettere  la  Grecia, 
430;  sue  crudeltà  e  perfidie,  431; 
vinto  dai  Romani  nell'Epiro  quan- 
do si  apparecchia  a  soccorrere  An- 
nibale, 431  ;  in  guerra  con  Roma, 

431  ;  è  costretto  alla  pace  ,  432  ; 
manda  a  Zama  aiuti  ad  Annibale, 

432  ;  minaccia  Atene,  432  ;  assedia 
Abido,  433  ;  va  contro  i  Romani  ad 
Apollonia,  433  ;  vinto  da  Flaminio, 
si  ritira  in  Tessaglia,  434;  perde 
l'alleanza  dei  Greci  ed  è  sconfitto 
da  Flaminio  ai  Cinocefali,  435-437  ; 
6  costretto  a  dura  pace,  437;  in- 
sultato da  Antioco,  re  di  Siria,  re- 
sta fedele  ai  Romani  444  ;  «  li  aiuta 
a  passare  in  Asia,  448;  impedito 
da  essi  di  accrescere  il  suo  territo- 
rio, 464  ;  si  prepara  a  nuova  guerra, 
464-465;  i  Romani  destano  odio 
mortale  fra  i  suoi  figli,  465  ;  muo- 
re, 466. 

Filistine  (fosse),  fatte  dagli  Etruschi 
nel  delta  del  Po,  I,  131. 

Filisto  ,  storico  ,  esiliato  da  Dionisio 
il  Vecchio,  tiraimo  di  Siracusa,  II, 
175;  è  richiamato  da  Dionisio  il 
Giovane,  176  ;  ucciso.  178. 

Filocari,  capopopolo,  eccita  i  Taran- 
tini a  soimnergere  le  navi  romane, 
II,  190. 

Filodemo,  argivo,  cede  ai  Romani  Bu- 
rlalo, castello  di  Siracusa,  II,  380. 

Filolao  da  Crotone,  discepolo  di  Pi- 
tagora, II,  154. 

Filologo  o  Filogono ,  liberto,  scopre 
ai  sicarii  Cicerone,  III.  612. 

Filone,  Giudeo  d'.\lessandria,  IV,  180  ; 
capo  dell"  ambasciata  spedita  dai 
Giudei  a  Caligola,  33:1-334. 

Filone,  retore,  suo  panegirico  di  .^- 
driano,  IV,  6:4-665. 

Filonide,  buffone,  insulta  nell'assem- 
blea ili  Taranto  gli  ambasciatori 
romani,  II,  191. 

Filopatore,  re  di  Cilicia,  sua  morte,  IV, 


1004 


INDICE 


PILOPEMBNB 


FRBQENE 


Filopemene.  chiamato  l'ultimo  de"  Gre- 
ci. II,  -129-4:50  ;  sua  morte,  -163-464  ; 
e  sua  statua,  542. 

niosofia  (la)  dei  Romani  negli  scritti 
di  Cicerone,  lU  ,  73S-739;  filosofi 
oreci  a  Roma,  II,  599;  rimandati 
al  loro  paese,  601  ;  messi  in  burla 
da  Plauto,  6*4  ;  filosofi  banditi  da 
Nerone,  IV,  411;  da  Vespasiano, 
504  ;  e  da  Domiziano,  541  ;  i  segua- 
ci di  Epicuro,  m,  735,  740-741,  795 
e  segg.;  ciarlatani  che  si  spacciano 
per  maestri  di  sapienza,  IV,  SS  ; 
nobili  filosofi  confortatori  nelle 
sciagure,  833-834  ;  massime  fonda- 
mentali degli  stoici  accolte  da  Ci- 
cerone chene  confuta  le  preten- 
denze soverchie,  IH,  736  ;  essi  sono 
ì  cittadini  più  virtuosi ,  739  ;  sa- 
tireggiati da  Orazio,  IV,  142-143; 
custodi  dell'umana  dignità,  850  e 
segg.  ;  influenza  delle  loro  dottrine 
sul  diritto,  863;  lo  stoicismo  e  il 
cristianesimo,  760;  la  filosofia  mo- 
rale e  civile  in  Cicerone ,  III,  723- 
73S;  in  M.  Aurelio,  IV,  756-761  ;  e 
in  Seneca,  839  e  segg. 

Pilosseno,  poeta,  imprigionato  da  Dio- 
nisio, tiranno  di  Siracusa,  II,  173. 

Filostrato,  sua  vita  di  Apollonio  Tia- 
neo,  IV,  849-850. 

Piloterà,  porto  e  città  di  Egitto  sul 
Golfo  Arabico,  IV,  611. 

Pirmani,  alla  battaglia  dì  Pidna,  n, 
479. 

Firmo  (Ferino),  nel  Piceno,  I,  225; 
colonia  romana,  II,  93,  269;  libe- 
rata dall'assedio  dei   Socii  Italici, 

III,  185  ;  colonia  militare,  IV,  43  ; 
opere  pubbliche  fatte  ivi  da  Au- 
gusto, 44. 

Piscello,  monte  dei  Sabini  nell'Appen- 
nino, I,  2-20. 

Fisco  (avvocato  del),  creato  da  Adria- 
no, IV,  634. 

Fiume  Tolomeo,  canale  tra  il  Nilo  e 
il  Mar  Rosso,  chiamato  poscia,  fiu- 
me Traiano,  IV,  610. 

Piume  Traiano.  —  Vedi  Fiume  Tolo- 
meo. 

Placco,  pretore  di  Numidia ,  battuto 
dai  Jsasamoni  e  poi  vincitore  di 
essi,  IV,  532. 

Placco,  poeta  di  Padova,  IV,  913. 

Placco  (L.) ,  legato  ,  va  con  Pompeo 
nel  Caucaso,  III,  346. 

Flamini,  sacerdoti,  I,  586. 

Flaminio.  —  Vedi  Quinzio  Flaminio. 

Flaminio  (Caio),  tribuno,  propone  di 
dividere  fia  i  poveri  le  terre  dei 
Senoni,  II,  249;  console  vince  gli 
Insubri  e  trionfa,  253;  dà  il  suo 
nome  alla  via  da  Roma  ad  Arimi- 
no, 289;  muove  ad  Arezzo  contro 
Aimibale,  343  ;  e  cade  sconfitto  alla 
battaglia  del  Trasimeno,  313-347. 

Flavia  (gente),  tempio  inalzato  ad  essa 
da  Domiziano,  IV,  .532. 

Flavia  Domitilla,  moglie  di  Vespasia- 
no, IV,  503. 

Flavia  Ncapolis  ,  in  Palestina,  IV, 
496. 

Flavia  Pacensis,  colonia  in  Tracia, 

IV,  495. 

Flavia  Sirtniatium,  colonia  a  Sir- 
mio  in  Pannonìa,  IV,  495. 

l-'laviali  (sacerdoti),  IV,  ."37. 

Flavio  (Gii. -fO  lil,..i-i(.  .•  s.-rivano,  svela 
al  l'"|'  Il  I  ri  ihI.-  giudizi.irii-, 
II,  "J;:  '  l'I  'Il  I  il  Calend.ario 
«-•oli-   :,  ,  ,,  .!,  I   i,rs  fasti, r:s\ 

eleti-i  i.i!,ì;i,  ,  ,  ,1  ,,iii,.  curule,  278; 
vola  un  t.-iiipio  alla  Concordia,  278- 
279. 

Flavio  (li.),  tribuno,  sua  legge  agra- 
ria, UI,  -«04. 


Flavio  (M.),  aiuta  Cesare  nella  rifor- 
ma del  Calendario,  III,  339. 

Flavio  Clemente,  cristiano  e  cugino 
di  Domiziano,  esiliato,  IV,  541. 

Flavio  Fimbria  (C),  uccide  il  pontefi- 
ce Q.  Muzio  Scevola,  111,  219;  le- 
g.ito  di  Valerio  Fiacco  in  Grecia, 
242  ;  si  ribella  contro  di  lui,  lo  uc- 
cide e  vince  Mitridate,  245  ;  chiede 
invano  aiuti  a  Lucullo,  245;  ripren- 
de gran  parte  dell'Asia,  246;  non 
riesce  ad  indurre  i  soldati  a  com- 
battere contro  Siila,  247-248;  va 
a  Pergamo  e  si  uccide,  248. 

Flavio  Placco,  senatore,  amico  di  Ti- 
berio Gracco,  III,  56. 

Flavio  Sabino ,  nominato  dai  soldati 
prefetto  di  Roma,  IV,  439;  si  fa 
capo  dei  Flaviani,  469;  è  battuto, 
470  ;  si  salva  in  Campidoglio,  470  ; 
sua  morte,  470. 

Flavio  Sabino ,  ucciso  da  Domiziano 
suo  cugino,  IV,  523,  523. 

Flavio  Subrio,  tribuno  di  una  coorte, 
congiura  contro  Nerone,  IV,  406; 
e  impedito  da  Fenio  Rufo  di  <ic- 
cidere  Nerone,  407  ;  sua  intrepida 
morte,  409-410. 

Flaviobriga  (probabilmente  a  Portu- 
galete),  sulle  coste  della  Spagna 
Tarraconese,  IV,  495. 

Flaviopoli  di  Bitinia ,  detta  anche 
Crateia,  IV,  496. 

Flaviopoli  di  Cilicia  [Ushah),  IV,  496. 

Flevo  (lago)  (Zuiclersee),  IV,  99, 
100. 

Flora,  la  dea,  I,  383,  383,  490,  741. 

Flora,  nome  di  Roma,  I,  574. 

Floro,  abbreviatore,  da  alcuni  credu- 
to una  stessa  persona  con  P.  Annio 
Floro,  retore  e  poeta,  IV,  9.52  ;  suo 
compendio  della  storia  romana,  952. 

Floro  (Gessio),  procuratore  in  Giudea, 
rv,  456  ;  manda  truppe  a  Gerusa- 
lemme, 436. 

Floro  (Giulio),  treviro,  sua  rivolta,  IV, 
275  ;  si  uccide,  275,  277. 

Flotta  romana,  quando  costruita.  II, 
212-214  ;  prima  grande  vittoria , 
215-216  ;  luoghi  dove  stanziava 
sotto  l'Impero,  IV,  .53,  79,  783; 
Commodiana,  772;  affricana,  775. 
—  Vedi  Navi. 

Flotta  di  Miseno,  si  ribella  a  Vitellio, 
IV,  469. 

Focensi,  dichiarati  liberi,  II,  43S. 

Fondi  (monti  di),  IV,  296.  —  Vedi 
Pundi. 

Fontana  di  Mario  (presso  Aix),  iu 
Provenza,  III,  ISO' 

Fontana  (Domenico),  architetto,  suoi 
restauri  alla  Colonna  Traiana,  IV, 
586. 

Fonteio  Capitone  (I..) ,  fatto  uccidere 

l'..i;t  i.  -.  :n  '  ilrù,-  sorgenti,  I,  330. 

1'  '1    !i     '        !  :       —  Vedi  Caudio. 

1  '■'  :  r:  •  MnlatU  Gaeta),  città 
il'-li  Viiv.ì,,,  1,  210,  211;  riceve 
la  rittudinanza  romana  senza,voto, 
U,  51;  iscrizioni  ad  Antonino,  IV, 
716. 

Permiana,  villa  di  Cicerone,  I,  213,  III, 
12,  612. 

Formule  giudiziarie,  II,  277. 

Fornai,  la  loro  associazione  b  rispet- 
tata da  Traiano,  IV,  rifì4. 

Fòro  romano,  aduni-it  .  ili  .■'.l-.nni'  i> 
di  statue,  II,  2'M-  ' i'   '•  ■    i  ili 


Canne,  362;  : 
111,  4IÌ.S;  sl.-itii 
della  L'iMinl-  I 

nell'i...- 

Furo  d'Ali  11 

so  r.i'i'i,  MI 


Fóro  d'Augusto,  IV.  33,  187,  193-194  ; 
restaurato  da  Adriano,  679. 

Fòro  Boario,  I,  528,  607,  608,  H,  249, 
604. 

Fòro  Cassio  {Vetralla),  in  Etruria, 
rovine  etrusche,  I,  144. 

Pòro  di  Cesare,  III,  541. 

Fòro  Cornelio  {Imola),  III,  597. 

Pòi-o  dei  Galli  {Castelfranco),  scon- 
fitta di  Antonio,  III,  597. 

Fòro  Giulio  (Frèjus) ,  nella  Gallia 
Narbonese,  III,  598  ;  colonia  roma- 
na, IV,  52, 53  ;  stazione  d'in  grande 
armamento  navale,  53,  79  ;  patria 
di  Giulio  Agricola,  525,  927,  928. 

Fòro  Olitorìo  a  Roma,  II,  294,  446. 

Fóro  Palladio  e  Transitorio,  detto  an- 
che Fòro  di  Nerva,  IV,  535,  536, 
548,  603. 

Fòro  Popilio,  in  Campania,  colonia 
militare,  IV,  495. 

Fóro  Traiano,  ridotto  come  è  oggi, 
IV,  586  ;  sua  edificazione  sul  dise- 
gno di  ApoUodoro,  598-600,  604  ; 
suoi  monumenti,  600-601  ;  autori 
che  ne  trattano,  601  ;  arco  decre- 
tato a  Traiano  dal  Senato ,  617- 
G18  ;  iscrizioni  e  statue  ai  duci  piit 
prodi,  744.  —  Vedi  anche,  IV,  631- 
632  e  741. 

Fòro  Traiano ,  in  Sardegna.  —  Vedi 
Ilypsa. 

Fòro  Voconzio,  nella  Gallia  Narbo- 
nese, III,  599. 

Fortinei  (!),  fanno  guerra  a  Roma 
per  i  Tarquinii,  1,  631. 

Fortuna,  dea  protettrice  di  Arne  nel- 
l'Umbria, I,  3S9. 

Fortuna  ,  suo  oracolo  ad  Anzio ,  I, 
401. 

Fortuna,  a  Prenesle,  oracolo,  I,  401  ; 
rovine  del  tempio,  553,  5.59  ;  ador- 
nato da  Siila, 
in  versi,  791. 


nato  da  Siila,  111,  260, 275  ;  risponde 


Fortuna,  altare  nel  Vallo  di  Adriano, 
IV.  631. 

Fortuna,  statua  d'  oro  nella  camera 
degli  imperatori,  IV,  713. 

Fortuna.  —  Vedi  Norzia. 

Fortuna  Augusta,  altare  nel  Vallò 
d'Adriano,  IV,  649;  a  Pompei,  810. 

Fortuna  Equestre,  tempio,  II,  603. 

Fortuna  (la  Forte),  I,  741  ;  suo  tem- 
pio, 11,  '294. 

Fortuna  Muliebre,  IV,  764  ;  tempio,  I, 
792. 

Porl.uia  del  Popolo  Romano ,  nel 
Vallo  d'Adriano,  IV,  651. 

Fortuna  Reduce,  nel  Vallo  d'Adriano, 
IV,  651. 

Fortuna  Salute,  adorata  a  Ferentino, 
I,  389. 

Fortuna  Vergine ,  tempio  nel  Fóro 
Boario,  I,  607-608. 

Fortuna  Virile,  tempio  in  Roma,  I, 
607-608. 

Fortunate  (isole).  III,  292. 

Foruli  (Civito  Toimnasa),  fondata  dai 
Sabini,  I,  221. 

Fosco,  ucciso  da  Adriano,  IV,  688. 

Fraata,  città  capitale  dei  Parti,  asse- 
diata da  Antonio,  III,  663-664. 

Fraate,  re  dei  Parti,  III,  349;  in 
guerra  con  Antonio,  663  ;  fa  pace 
con  lui  e  non  la  mantiene,  664. 

Frascati,  sepolcro  di  Lucullo,  III,  769. 

Fratellanza  (idea  della),  IV,  852. 

Fregelli- ,  città  dei  Volsci ,  rovine 
(presso  Ceprann),  I,  234  ;   colonia 

1 lana,  li,  .53,  5">,  78,  268;  stragi' 

lattavi  dai  Sanniti,  65-66;  presa 
il.i  li. .11. ani,  68;  presa  da  Pirro, 
1  '.;    ilisirutta  da  L.  Upimio,  III, 

1      I  MN'carese),  nel  Lazio,  città 

l'I  )  i^Ljii.a,  1,  79;   ocoupat-a  dagli 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1005 


PRENTANI 


FULVIA 


GALAZIA 


Etruschi,  IS-l;  colonia  romana,  U, 
P3,  269. 

Freiitanl,  discesi  dagli  Osci,  I,  217; 
loro  sedi.  242-241,  252-254;  sotto- 
messi a  Roma,  II,  78  ;  a  cui  resta- 
no fedeli  dopo  la  battaglia  di 
Canne,  36! ;  fanno  parte  della  lega 
italica.  III,  171  ;  e  di  una  regione 
d'ItaUa,  IV,  42. 

Frentone  (Fortore),  fiume,  I,  218,  242, 
252,  347  ;  suo  porto,  254. 

Kréret,  sue  opinioni  sulle  origini  ita- 
liche, I,  189  ;  sostiene  la  certezza 
dell'antica  storia  romana,  G46. 

Fresilia,  citta  dei  Marsi,  I,  248. 

Frcya,  sorella  e  moglie  di  Odino,  di- 
venuta poi  Diana  Arduina,  UI,  444. 

Frìgia,  in  Asia,  II,  451  ;  suoi  marmi, 
IV,  206. 

Frigia  Maggiore,  data  ad  Eumene  II, 
di  Pergamo,  II,  452;  tolta  a  Mi- 
tridate, III,  225. 

Frigia  Minore,  data  ad  Eumene  II,  di 
Pergamo,  II,  452  ;  fa  parte  della 
provincia  di  Asia,  539. 

Frigii,  alla  battaglia  di  Cheronea,  III, 

Frisii  0  Frisoni  [Olandesi),  vinti  da 
Druso,  IV,  100  ;  si  sollevano  sotto 
Tiberio,  277;  vinti  da  Corbulone, 
.348. 

Froehner  (W.) ,  illustra  splendida- 
mente la  Colonna  Traiana,  IV,  586 

Frombolieri,  III,  168. 

Frontone  Aterio,  all'assedio  di  Geru- 
salemme, IV,  482. 

Frontone  Cornelio  (Marco),  numida, 
retore,  maestro  di  Marcj  Aurelio  e 
suo  c.irtec'u'io  con  lui,  IV,  71'1.  72H, 
723-724,  S74  ;  ccl.'hra  L.  V.'i-o  cr.i.i.. 
prode  guerriern,  7:il  ;  da  iiriiifipi.i 
a  nin  nuova  SfUula,  874;  suui  pre- 
.j]   ,,  ,li.,..fi,   v7-  ;    elogio  di  Autu- 

ii '■•I     I"'  nsole,  703;  mae- 

:■',       ,i     , liio,  949. 

Fro  1  ,   I    ,  -I  Volsci,  I,  2.32. 

Fnual!!:!  il  ,li  l'itìi-hi  popoli  italici, 
I,  493. 

Prugi  (Tittio),  all'assedio  di  Gerusa- 
lemme,  IV,  482. 

Frumentririi,  militi,  IV,  70,  816. 

Ftia,  madre  di  Pirro,  re  d'Epiro,  II, 
191. 

Fucino,  lago  [Lago  di  Celano),  I,  230, 
245;  vittoria  di  Pompedio  Silone 
sul  console  Porc'o  Catone,  III,  190  ; 
emissario  fatto  da  Claudio.  IV,  358- 
359  ;  provvedimenti  di  Traiano , 
609  ;  nuovi  lavori  di  Adriano,  637  ; 
prosciugamento  di  A.  Torlonia,  359. 

Fufidio  (Lucio),  pretore,  \into  da  Sep- 
torio  sul  Beti,  III,  294. 

Fiiflo  Galeno  (Q.j,  pretore  (695),  III, 
195;  le  sue  n.ivi  sono  distrutte  da 
Bibulo,  497  ;  raggiunge  Cesare  nel- 
l'Epiro, 498  ;  salva  la  vita  a  Var- 
rone ,  748  ;  propone  che  Marco 
Bruto  sia  costretto  a  lasciar  I'  e- 
sercito,  .595;  vuol  mandare  Cice- 
l'One  a  Modena,  596  ;  nella  guerra 
di  Lucio  Antonio  contro  Ottavio, 
638-639;  sua  morte,  641. 

Fulcinio  Trioue  (L.),  delatore,  parteg- 
gia per  Sciano,  IV,  301. 

Fulginio  (Fnli'jito),  città  degli  Umbri, 
i,  65  ;  assediata  da  Agrippa ,  III, 
639. 

Fulguratiiri,  sacerdoti,  I,  411. 

Fulmini  (dottrina  dei),  in  Etruria,  I, 
406-409,  460. 

Fulsule  (Mnntefusco) ,  citta  degli  Ir- 
pini,  I,  2(16. 

Fulvia ,  amica  di  Q.  Curio ,  svela  a 
Cicerone  le  trame  di  Catilina,  III, 
.376,  377. 

Fulvia,  dapprima  moglie  di  Clodio  e 


poscia  d'Antonio ,  .imbiziosa  e  fe- 
roce eci-ita  .Antonio  alle  rapine, 
III,  .■>7(i,  .58-(,  607;  crudeltà  contro 
i  proscritti,  610;  insulta  la  testa  di 
Cicerone,  613-614  ;  respinge  Orten- 
sia e  le  matrone  romane,  616  ;  di- 
segna di  rovesciare  Ottavio ,  636- 
637  ;  va  con  Lucio  Antonio  a  Fre- 
nesie, 6-37  ;  assediata  in  Perugia, 
039  ;  va  a  Brìndisi  e  in  Grecia,  641  ; 
incontro  col  marito,  641-642  ;  muo- 
re, 642,  643;  madre  di  Giulio  An- 
tonio, IV,  217. 

Fulvia  Sisennia,  madre  di  Persio 
Fiacco,  IV,  8S6. 

Fulvio  (Gneo),  console,  vince  nel  San- 
nio,  II,  79  ;  fratello  di  un  censore 
degradato,  .568. 

Fulvio  Centumalo  (Gneo),  console,  vin- 
ce gli  miri.  II,  247-24S. 

Fulvio  Ccutunialo  ((;neo),  sconfitto  da 

Fulvio  1  '  !  I 1  pi-etore,  sconfit- 
to .1  la-donea,  II,  :387. 

Fulvio  1  ,  M  ,1  amico  dei  Grac- 
clii,  M      l'.secuzione  della 

l-L  III,  .")9;   sospettato 

< I'  !       rte   di  Scipione 

liii;)      II'-'  iMile,  propone  di 

il.iii-  li  I  iir  iiluriii/.a  agli  alleati, 
67  ;  viure  i  Salluvii  e  i  Voconzii, 
67,  91-92  ;  a'  sostegno  della  parte 
di  C.  Gracco  chiama  gli  schiavi  a 
libertà,  si  afforza  sull'Aventino  ed 
è  ucciso  coi  figli,  81. 

Fulvio  Fliicco  (Q.) ,  console  ,  assedia 
Capua,  11,387;  accorre  alla  difesa 
di  Roma  iniiiacciata  da  Annibale, 
l'i^^  in-,  iiilp  e  i)i;a  o  la  tratta  fero- 
ii  :ii  ;i  I-  -i]  :  attira  a  sé  gli 
ir|i; .li     lini,  394. 

Fulvi'  i  1,1  .  <  ,'.'.,, ili..) ,  avvelena  C. 
l  aliMiriài.j  l'liulic,  per  ottenere  il 
consolato,  II,  551. 

Fulvio  Irpino,  insegna  ad  ingrassare 
le  chiocciole,  III,   14. 

Fulvio    X.jbiliore  (M.l.  console,  vince 


615. 


Catilina,  111,  373  ;  .■,,nsi..lL,  sconfìtto 

dai  Celtiberi,  II,  52.5. 
Funamboli  nel  teatro  romano,  IV,  739. 
Fundania,  moglie  di  Terenzio  Varro- 

ne,  III,  760. 
Fundanio  (Caio),  rifiuta  ad  Amilcare 

Barca   la  tregua  per   seppellire  i 

morti,  II,  234. 
Fundanio  (Caio) ,   poeta  comico  ,  IV, 


schi,  !,  504-.521  ;  presso 
7.56-758,  II,  316-317  ;  le  XII  Tavole 
ne  vietano  la  soverchia  pompa,  I, 
845. 

Fundi  {Frjiidi),  ciltà  degli  Ausoni,  I, 
210.  Ji  I  .  il'  I  II  ritt.adinanza  ro- 
llini 11,  51  ;  si  ribella 
i.  M  ,  I  ■  It.  .inani ,  54  ;  mo- 
nili,iiniu  :iii  .  l''"lii'ita,  IV,  309;  i- 
scri/i..n,.  aliiiieiitari.a,  807. 

Furconio  (Civitn  di  liagno),  città  dei 
Vestini,  I,  251. 

Furie,  I,  394,  III,  XOI  ;  bosco  snero 
ad  esse,  3S. 

Furina,  dea,  I,  382. 

Furio,  console,  assediato  nel  suo  cam- 
po dagli  Equi,  I,  820. 

Furio,  leg.ato  del  pretore  P.  Varinio 
Glabro,  ucciso  nella  guerra  dei  gla- 
diatori, m,  306. 

Furio  (Aulo),  di  .\nzio,  scrive  in  versi 
la  storia  della  guerra  Gallica,  III, 
792. 


Furio  Bibaculo  (M.),  cremonese,  suoi 
epigrammi  contro  Cesare,  III,  791, 
792. 

Furio  Camillo  (Marco),  dittatore,  pren- 
de Veio,  I,  875-878;  suo  trionfo, 
879  ;  va  in  esilio,  880  ;  coi  cittadini 
di  Ardea  respinge  le  scorrerie  dei 
Galli,  893  ;  è  fatto  dittatore,  894  ; 
salva  Roma,  895-897  ;  vince  ì  Vol- 
sci, gli  Equi,  gli  Etruschi,  ecc.,  e 
torna  a  Roma  in  trionfo.  II,  12-14  ; 
creato  dittatore  per  impedire  l'ap- 
provazione delle  leggi  Licinie,  23  ; 
creato  dittatore  per  rifiutare  l'im- 
perio al  console  plebeo,  24  ;  vota 
un  tempio  alla  Concordia,  24  ;  vin- 
ce i  Galli  presso  Alba,  33. 

Furio  Camillo  (Lucio),  sua  statua  e- 
questre  nel  Fóro,  II,  300. 

Furio  Camillo  Arrunzio  Scriboniano 
(M.) ,  sua  rivolta  contro  Claudio, 
IV,  361;  si  uccide  a  Lissa,  361. 

Furio  Filo  (Lucio),  console,  alla  guer- 
ra di  Spagna,  II,  r,33. 

Furio  Purpureone  (L.),  pretore,  libera 
Cremona  e  vince  i  Liguri  e  i  Galli 
Cisalpini,  U,  4-)7. 

Furio  Saturnino,  nella  guerra  Partica, 
IV,  728. 

Furio  (traforo  del).  —  Vedi  Intercisa. 

Furto,  pene  stabilite  dalle  leggi  delle 
XII  Tavole,  I,  849. 

Futri,  divinità  del  Sannio,  I,  3^. 


Gabii [Pantano .  r. .  '  ,  ' -, ,  '',  .-itt.-V del 
Lazio,  monuiii  I,  "(;3- 

564;  resisto  •.»"  1       luinio 

il  Superbo,  HI-  ...  \.ii  a  ul  'ra- 
dimento  ,  U12-i:i.: ,  a....^hc  Tar- 
quinio  cacciato  da  Roma ,  C20  ;  e 
combatte  per  lui,  631  ;  invasa  dagli 
Equi  e  dai  Volsci,  821;  resta  fe- 
dele a  Roma,  II ,  14  ;  ricordo  di 
Adriano ,  IV,  037  ;  ridotta  a  un 
borgo  desolato,  794. 

Gabinio  (Aulo) ,  tribuno ,  propone  di 
dare  a  Pompeo  autorità  illimitata, 

III,  330,  332  ;  legato  di  Pompeo  in 
Siria,  349;  eletto  console,  412  ;  com- 
prato da  Clodio,  418;  assoluto  del- 
l'accusa dì  maestà  per  la  protezione 
dei  triumviri,  461  ;  è  condannato 
per  concussione  e  briga,  461  ;  scon- 
fitto nell'Illirico  dai  nemici  dì  Ce- 
sare, 497. 

Gabinio  Capitone  o  Cimbro  (P.),  con- 
giura con  Catilina,  III,  373;  è  ar- 
restato. 381  ;  e  strozzato,  386. 

Gabinio  Secondo   (P.),  vince  i  Cauri, 

IV,  348. 

Gabino  (lago),  I,  .563. 

Gabio  (Torri),  nella  Sabina,  I,  223. 

Gadara  [Om-Keins),  città  di  Siria, 
tenuta  dai  Giudei,  patria  di  Me- 
nippo.  III,  7.52  ;  incendiata  da  Ve- 
spasiano, IV,  4.58. 

Gade  [Cadice),  nella  Spagna  Betica, 

S resa  dai  Romani,  li,  407;  alleata 
i  Roma,  543;  riceve  leggi  da  G. 
Cesare,  III,  405;  respinge  Varrone, 
493;  detta  Aui/i'sta  ìirbs  Jvlia 
Oadiatana.  IV,  60  ;  da  essa  muove 
la  via  per  Tarragona,  68. 

Gaeta.  —  Vedi  Caieta. 

Galarina  [Gagliano),  dimora  dei  Si- 
culi, II,  106. 

Calati,  loro  origine,  II,  451  ;  sconfitti 
e  sottomessi  dai  Romani,  451  ;  com- 
battono a  Cheronea,  HI,  239;  ripo- 


Vannucci  —  Scoria  dell'Italia  antica 


126 


1006 


INDICE 


GALBA 


Ilio  contro  Ottavio,  675  ;  unita  da 
Vespasiano  alla  Commasene,  IV, 
495;  forma  con  la  Licaouia  ima 
provincia,  782. 

Galba  imperatore  (Servio  Sulpicio).  re- 
spinse i  Germani  invadenti  la  Gal- 
li», iV,  328;  vince  i  Catti,  348;  go- 
vernatore dì  Spa<rna,  eccitato  da 
Giulio  Vindice  a  liberar  il  mondo 
da  Nerone,  423  ;  eletto  imperatore, 
429,  431  ;  ufficii  sostenuti  nella  sua 
Roventi!,  431  ;  si  reca  lentamente 
a  Roma,  431  ;  crudi  e  sanguinosi 
principii,  431-432  ;  governo  dei  fa- 
voriti e  brutture  di  corte,  432;  de- 
bole e  incapace  a  reggere  l'impe- 
ro, 433  ;  odiato  dai  soldati  per  la 
sua  avarizia,  434  ;  elegge  a  succes- 
sore Calpurnio  Pisoue,  435;  nuovi 
odii,  435-43(5;  congiura  di  Ottone 
contro  di  luì,  436-437  ;  e  ucciso 
nel  Furo,  438. 

Galba,  familiare  di  Ottavio  assalito 
dai  versi  d'Orazio,  IV,  i:56. 

(ialeno,  chiamato  a  soccorrere  col- 
Tarte  sua  contro  la  pestilenza,  IV, 
736. 

Galeria,  moslie  dì  Vitellio  ,  sua  mo- 
destia, IV,  453. 

Galeso,  tìume  presso  Taranto,  I,  328. 

Galgaco,  capo  dei  Caledoniì.  sconfitto 
al  monte  Grarapio,  IV,  527. 

Galli,  loro  origine,  I,  883-884  ;  cac- 
ciati dai  Kimri  invadono  l' Italia, 
e  vincono  gli  Etruschi  stanziati  sul 
Po,  884  ;  si  uniscono  agli  Insubri, 
884  ;  loro  ferocia ,  armi ,  usi  di 
guerra  e  rapine,  88G-8S7  ;  scorre- 
rie nella  Magna  Grecia,  887  ;  pas- 
sano in  Etruria,  887-889  ;  assediano 
Chiusi,  889;  marciano  alla  volta 
di  Roma,  890;  vincono  i  Romani 
suU'Allia,  890-891  ;  entrano  in  Ro- 
ma e  la  incendiano,  891-S93;  as- 
saltano il  Campidoglio,  893  ;  loro 
scorrerie  nel  Lazio  e  in  .\pulia,  893; 
respinti  da  Cammino,  893;  tenta- 
no sorprendere  il  Campidoglio,  894- 
895;  costringono  i  Romani  a  ve- 
nire a  patti,  895  ;  sono  messi  in 
fuga  da  Cammino,  895-896  ;  cause 
del  loro  ritiro,  896-897  ;  minaccia- 
no nuovamente  Roma  e  dì  nuovo 
son  vinti,  II,  33;  altre  scorrerie 
contro  Roma,  3:J-34  ;  un'  orda  di 
essi  si  unisce  agli  Etruschi,  80-81  ; 
e  sono  sconfitti  a  Sentine,  81-83; 
s'accordano  con  Dionisio  di  Sira- 
cusa e  disertano  il  Lazio,  168  ;  An- 
nibale cliìede  loro  aiuto,  333;  e 
coll'oro  e  colla  forza  li  fa  suoi  a- 
loici.  3'?4  ;  Perseo  trascura  dì-  va- 
lersi del  loro  aiuto,  476  ;  aiutano 
Roma  nella  guerra  sociale.  III,  178  ; 
tesare  muove  alla  loro  conquista, 
424  ;  soccorrono  Vercingetorige 
assediato  in  Alesia,  450-451  ;  sono 
sconfìtti  e  sottomessi  da  Cesare  , 
4.51-4.53  ;  si  rib.Mlano  s.jtto  Tiberio, 
IV.-.'T-,    M  -.,11  •.    n..    .:,.:■    N.r.ne. 


44> 


iper< 


476  ;  loro  gare  per  la  capitale  del- 
rimp<.-ro,  477;  ausiliari  alla  prima 
guerra  dacica,  .570;  figurati  nella 
Colonna  Traiana,  .587. 
Galli  Cenomani,  parteggiano  pei  Ro- 
mani   contro    ì    Boi.  II,  249,  251  ; 


Roma,  11,  248-250:  entrano  in  E- 
truria,  251  ;  vincono  alla  cosi  detta 
battaglia  <li  Fiesole,  231  ;  e  sono 
disfatti  al  capo  di  Telamone,  252; 


si  sollevano  contro  i  colom  di  Pia- 
cenza e  Lìeiii-'iia.  33-1;  prnnu'itn. 
noaiui'j  al  A:!:.i'.  ile.  :;  :",-  ;  M  .  ,|.,- 
po  il  co:./  •.,•  ,  ,■  .  .1  I.  ■  .  .., 
ingrossr  ,    :|  :   - 

no  il  pri--  -:-'■  I  ■   -'  ';'.  '     .i;;!- 

tono  Asdrubale,  308;  .alla  batl.i- 
gUa  del  Metauro,  400-401  ;  in  guerra 
con  Roma,  4-57-458  ;  minacciano  di 
sollevarsi  durante  la  guerra  itali- 
ca, III,  186;  eccitati  alla  rivolta 
dagli  emissarii  di  CatUina,  375  ;  aiu- 
tano Cesare  nei  suoi  disegni,  484. 

GalUa  Belgica ,  vinta  da  Cesare,  111, 
435  ;  si  solleva  contro  le  legioni  po- 
stevi a  guardia,  441  ;  assalita  dai 
Cauci,  IV,  727. 

Gallìa  Celtica,  diminuita  e  chiamata 
Lugdunese,  IV,  53. 

Gallìa  Chiomata  o  Coniata,  provincia 
romana.  III,  454  ;  censo  ordinato 
da  Augusto,  IV,  52  :  mutazioni  in- 
trodottevi, 53;  dedica  ad  Augusto 
e  a  Roma  un'ara.  71-73  ;  i  suoi  cit- 
tadini ammessi  al  Senato  romano. 


Gallia  Cisalpina,  considerata  da  Ro- 
ma    culi/'-     |.i,-,      -Il  ;:::,;■,,,    1  I.     ■,>:■,•  -, 

dopo   1  1  _  1 

cade   in  p   '  -i       !■  .1-' 

provili'- VI    !    i   :l  r.  I    .      ',i!  .  :    I  .;   l 

da  Cecilio  MelL-ll<j  Più,  III,  -.',57  ;  ri- 
ceve da  Cesare  la  cittadinanza  ro- 
mana, 493;  cessa  di  essere  pro- 
vincia, 633. 

Gallia  Cispadana ,  una  delle  undici 
regioni  d'Italia,  IV,  42. 

Gallia  Lugdunese,  stanza  di  una  le- 
gione, FV,  782.  —  Vedi  Gallia 
Celtica. 

Gallia  Narbonese,  eccitata  alla  rivolta 
da  Q  Sertorio,  III,  295;  ripresa  da 
Pompeo  Magno,  296;  le  truppe  ro- 
mane vi  svernano,  299  ;  lasciata  da 
Augusto  nei  limiti  antichi,  IV,  53  ; 
ara  a  lui  posta  a  Narbona,  71-72  ; 
cittadinanza  data  da  Adriano  a 
molte  città,  638. 

Gallia  Togata,  I,  56  ;  comprendeva  la 
provincia  gallica  cisalpina  e  la 
transpadana,  II,  256. 

Gallia  Transalpina,  invasa  da  Asdru- 
bale, II,  398;  e  dai  Cimbri  e  Teu- 
toni,  m,  122;  suoi  confini,  423; 
divisa  in  tre  parti  da  Cesare,  4-23- 
424  ;  suoi  abitatori  e  costumi,  424  ; 
religione,  425  ;  governi  e  istituzioni 
delle  tribù,  426-427  ;  mancanza  di 
unità  politica,  428  ;  gare  interne  e 
invasioni  straniere,  42S-429  ;  vinta 
e  piena  di  rovine  e  di  sangue,  452- 
4.53  ;  modi  usati  per  assicurare  la 
conquista  ,  453-454  ;  monumenti 
della  civiltà  romana,  4.55;  riordi- 
nata   da    Ali-usto.    IV.  -20.  52-57; 

strade,  i;<  ;    r.ni   ;.,■  .,  r^l,,:  si-,ni.   77 

comiii'-i ,    '  I  ;     .      -■'-,' 

fattovi  ri     .,  ,   ji-, 

bata  dri  i  i;  u  'i  i,  ;."■  I  :.Mi-lv'  :;ìì— 
lisce  il  .-ulto  d.-i  Druidi,  :J.5li-.  sotto 
l'impero  di  Galba,  431  ;  unita  con 
una  via  al  Ponto  Bussino,  610;  vi- 
sitata da  Adriano  che  dà  a  più 
città  il  diritto  del  Lazio,  636,  638  ; 
ricordi  dì  .intonino,  715  ;  invasione 
dei  barbari.  741;  moti  repressi, 
745  ;  sollevazioni  sotto  Marco  Au- 
relio. 7-27  ;  pestilen7.a,  7-J3. 

Gallia  Transpadana,  una  delle  regioni 
d'Italia,  IV,  42;  riunita  colla  Ve- 
nezia sotto  un  solo  giuridico,  73S. 

Gallie.  —  Vedi  Gallia  Transalpina. 

tìalliiie,  loro    allevamento.  111,  13-14. 

Galliune  (Giuiiio),  retore,  IV,  185. 

Gallione,  fratello  di  Seneca,  suo  motto 
per  l'apoteosi  di  Claudio,  IV,  373. 


Gallo  (il),  simbolo  dei  discendenti  dei 

C-lti.  Ili,  4-28. 
1.  .11  -1  ,;\   i;i    — Vedi  Galazia. 
.     ;  .    :  .  i.'irgite,  U,  .575. 

1 .1  .vanni),  metodo  da  tenere 

!     1  ■  studio    dei   dialetti  italici,  1, 

4S.-i-4>;4. 
Gamala,  città  di  Galilea,  assediata  da 

Vespasiano,  si  arrende ,  IV,  4.58- 

459. 
Gamiico,  duce  della  rivolta  con  Spai^ 

taco,  IH,    :»6  ;  vinto   e   ucciso  da 

Crasso,  309. 
Garamanti,  ncU'  interno  dell'Atfrìca, 

chiedono  alleanza  ad  Augusto,  IV, 

02  ;  vinti  da  Balbo,  87. 
fiard  (ponte  del),  IV,  57,  58. 
Gargano,   promontorio,   iiell'Apulia 

Daunia,  I,  350,  351,  3.57,  HI,  307. 
Gargano,  città,   fondata  da  Diomede, 

I,  351. 
Garofani  dell'India,  IV,  207. 
Garrii. -.-i  (Raliaelet.  illustrazione  della 

il.  r  I    I  ::-.:.■!.. ..    IV.   78:J. 

Gai  il  '  1.  liuine  della  Gal- 
li... .      r;.l-  ...    :.  ,   111,  424. 

Gai'  '.!;..  suo  libro  sulle  con- 

1  .1  Italia  sotto  gli  imperatori, 

'-  -  !  .letto  il  Lucrezio  in  prosa 
.li  .  lo  decimosettimo  in  Fran- 
oi.-i.  111,  S(X). 

Gauganiela,  in  Asia,  occupata  da  Tra- 
iano, IV,  616. 

Gaulo  (isola  di  Gozzo),  colonia  fe- 
nicia, lì,  117. 

Gauro  (monte),  in  Campania,  presso 
ai  laghi  Averno  e  Lucrino,  vittoria 
dei  Romani  sui  Sanniti,  II,  39-40. 

Gaurini  (monti),  I,  267. 

Gaza  (.Ijio/i).  una  delle  più  antiche 
citta  di  Palestina,  ricordi  di  Adria- 
no nelle  monete,  IV,  664;  venduti 
ivi  i  prigionieri  Giudei,  686. 

Gela  (Fiuiiìe  di  Terraiiova) ,  in  Si- 
cilia, II,  127. 

Gela  (presso  Terranova),  colonia  gre- 
ca, II,  118;  rovine,  126;  retta  da 
tiranni,  159  ;  aiuta  Siracusa  a  farsi 
libera,  161  ;  soccorre  Dionisio  con- 
tro i  Cartaginesi,  166;  aiuta  Dione 
contro  Dionisio  il  Giovane,  178  ;  si 
solleva  contro  Agatocle,  185. 

Geli  (William),  studi  sui  monumenti 
pelasgici,  I,  102. 

Gellìo  (.\ulo),  storico,  I,  638,  III,  764. 

Gellio  (Aulo),  le  sue  Notti  Attiche , 
IV,  949-951. 

Gellìo  Egnazio,  conduce  i  Sanniti  in 
Etruria,  II,  80  ;  muore  alla  batta- 
glia dì  Semino,  83. 

Gellio  (Gneo),  storico,  III,  764. 

Gellio  (Lucio),  console,  nella  guen-a 
contro  i  gladiatori.  III,  .306;  vinto 
da  Spartaco  nell'  Appennino  e  nel 
l'I. ■.11..,  ;-ì07. 

I     1  !     ^11/ io),  duce  sannite,  rimasto 

,..;_    ..:.i.T0,    II,    77. 

I  >;  :>  Ili-anno  di  Gela,  spegne  la 
liberta  a  Siracusa  e  soccorre  .Spar- 
ta e  Atene  contro  i  Persiani,  11, 
159  ;  vince  ì  Cartaginesi  alla  gioi^ 
nata  d'Imera  e  poi  muore  celebrato 
per  le  sue  opere  dì  guerra  e  di  pa- 
ce, 160. 

Gemme,  amate  sfrenatamente  a  Ro- 
ma, IV,  199-200  ;  tratte  con  grande 
spesa  dalle  coste  affricane ,  dal- 
l'Arabia e  dall'India,  201,  207. 

Gemme  incise,  etruschc,  I,  432. 

Gemoiiie,  IV,  298,  304,  317. 

Geiiali.)  (Orlènn.i),  emporio  dei  Car- 
nuti sulla  Loira,  nella  Gallìa  Lug- 
dunese. Ili,  444  ;  distrutta  da  Ce- 
sare, 445-446. 

Genetn,  divinità  del  Sannio,  I,  385. 


DEI  NOMI. E  DELLE  COSE. 


GENETIVA 


GERMANICO 


1007 


GIOVANNI 


Genetiva  (colonia),  dedotta  da  Cesare 
ad  rrsoiie  (Ossv.na),  nello.  Sva.ma. 
lietica,  IV,  786. 

Clenii  dol  bene  e  del  male,  in  Etrui'ia, 

I,  395-398  ;  domestici,  I,  738. 
(Senio  di  Au°:usto,  culto,  IV,  33,639. 

, Genio  degli  accampamenti,  altare  nel 

Vallo  di  Adriano,  IV,  652,  633. 
Genio  delle  coorti,  altare  nel  Vallo  di 

Adriano,  IV,  6-.2. 
Genio  dell'Imperatore  e  delle  insegne, 

altare  nel  Vallo  di  Adriano,  IV, 

652. 
Genio   del  loco,  altare  nel  Vallo  di 

Adriano,  IV,  652. 
Genio  del   popolo   romano,   divinità, 

III,  197-200. 

'Senio  delle  possessioni,  adorato   nel 

Sannio,  I,  335. 
Genio  del  Pretorio,  altare  nel  Vallo 

di  Adriano,  IV,  651,  6.52. 
(renio  del  Senato,  II,  282. 
Genio  del  Vallo  di  Adriano,  IV,  Giì- 

tu-.i. 

Gennarelli  (Achille),  ristampa  le  opere 
di  Emanuele  Duui,  I,  658. 

(ient.i  preistoriche,  I,  40-49. 

Genti  o  casate  a  Roma,  loro  origine 
secondo  il  Nieljuhr,  I,  667,  697-698. 

Genua  {Genovrr).  città  primaria  della 
I.isuria.  nel  Seno  Linarustico  (Golfo 
di  (renova),  rovinata  da  Magone, 

II,  418. 

(Jcnucio  (C),  console,  vince  a  Re»io 
la  legione  Campana  ribelle,  II, 
204. 

Genucio  (Gneo) ,  tribuno  ,  ucciso  per 
aver  chiesto  l'esecuzione  della  leg- 
ge agraria,  I,  812. 

Genucio  (L.) ,  console  plebeo  vinto 
dagli  Ernici,  II,  34. 

Genusio  (Ginosa) ,  nella  Peucezia,  I, 
349. 

Genzio,  re  degli  lUiri ,  sue  trattative 
con  Perseo ,  II ,  408 ;  lo  so.-coire, 
473  ;  imprigiona  gli  ambasciatori 
Komaui,  476;  ó  vinto,  478;  con- 
cliitfo  a  Roma,  487;  menato  in 
trionfo  e  tenuto  prigioniero  a  Igu- 
vio,  490. 

(ieomori,  proprietari  delle  terre  in 
Sicilia,  cacciati  e  spodestati,  II, 
1.58. 

Gerasa  {DJerdscìi),  città  di  Palestina, 
sul  confine  orientale  della  Perea. 
afforzata,  IV,  601;  rovine,  601. 

Gergovia  (presso  ClermonUFerrand), 
HI,  445  ;  vittoria  di  Vercingetorige 
su  Cesare,  447  ;  Augusto  ìe  toglie 
il  grado  di  capitale  degli  Arverni, 

IV,  .54. 

Germani,  chiamati  dai  Sequani  con- 
tro gli  Edui,  III,  429,  439  ;  sconfitti 
da  Cesare  sulla  sinistra  del  Reno, 
4  J7  ;  riparano  nelle  loro  foreste  e 
Cesare  li  cerca  invano,  443;  in 
guerra  con  Druso,  IV,  98-100; 
resi  tributari  da  Tiberio,  103;  ten- 
tano iiivadc-r  le  (iallie  e  sono  re- 
spinti, 328;  barriera  inalzata  a  im- 
pedire ohe  si  avvicinasst-ro  al  Re- 
no, .551-555;  ausiliari  alla  prima 
iruerra  rlaci.-a,  570;  figurati  nella 
ColoiiDa  'l'i-aiana,  587;  assaltono 
l'Imp.-ro,  7:il  ;  aiuti  germanici  corii- 
lirali  entro  i  (Sermani,  741;  M. 
Aurelio  li  vince  e  f.i  pace  con  loro, 
744;  moti  repressi.  769. 

Germania,  ferocie  proconsolari,  IV, 
78;  commercio  con  Roma,  202; 
scorrerie  di  Tiberio,  229;  solleva- 
zione delle  legioni ,  244 ,  245-247  ; 
correrie  di  Germanico,  247-248; 
battaglia  d'Idistaviso,  249;  guerra 
civile,  270-271  ;  moti  sotto  l'impero 
di  Nerone,  398;  eccitata  a  rivolta 


(l.n  Civile  (:5:  rivolta  militare  Con- 
tici' mi  i L' ,  fraiano  com- 
pilili MI  .  551  ;  e  vi  raf- 
1 'iv  ||ii;  :.',i  ;  visitata  da 
.■\'lri  in  i ,  li  :  ;  !i.'  le  dà  un  re, 
(;:{■<;  miti  cui-m-sc-hi  repressi  sotto 
-intonino  Pio  ,  708  ;  irruzione  dei 
Calti,  727  ;  sollevazicine  sotto  Marco 
Aurelio,  727;  pestilenza,  733;  di- 
visa in  du  •  province,  782:  vi  stan- 


7.S2  ; 


ar- 


mata 


Re 


Dni«o.  adottato 
,'11  ;  sue  prmlezze 


dei 


DalMi.iti.  2.'i-.':;ii;  .oiis-.le.  230; 
sposa  Ai,'rippina  e  va  iu  Germania, 
2311-2:51  ;  occupato  nel  fare  il  censo 
di'lle  Gallie,  243;  accorre  a  repri- 
meie.  la  sedizione  delle  legioni  del 
Keii.i.  215:  che  vn^iliono  dargli 
ri),i|-r.  -:i:.-JM  t.ni  I  Irridersi, 
2li:      |.  .        ■     -iilvo  la 

m"^!:.'  -  i:  ■■-  '  ■  -■!  .  I  •  ii-nta  la 
repri'-vi..i,.'  f-'u,-  ■  :  |  :- .'  i:  ;  .-oiTe- 
rie  in  (ti'rmaiiia,  247  ;  libera  .Sege- 
ste  assediato  dal  nipote  Arminio , 
248;  rende  gli  estremi  uffici  alle 
insepolte  ossa  delle  legioni  di  Varo, 
248;  insegue  Arminio,  248;  lo  vin- 
ce a  Idistaviso  e  vendica  Varo,  249  ; 
è  richiamato  a  Roma,  249  ;  odiato 


erio  e  da  Li 


,  2.56;  trionfa 
257;  destinato 
nte,  25?-259: 
iianza  di  Gneo 


isone  a  1 

!.■:      :  .1        .   ■:,!   re  al- 

,'i;i  .  :  '  III  e  iiii.ndocia. 

il  ;  tratta 

■  Mi   I'ai-(i,   Ji^.';  riordi- 

nile   province,  261-262; 

sonliiii  (> 

1  odio  di  Pis.in.',  262; 

:iL'::in    111 

E/.ito,  2(i2;   rimprove- 

ri K,  |N.L-."isere  entrato 

1    \  :          Ih 

ui Liala  in  Antio- 

.1  lipv    l'amicizia   di 

isoiie.  -,'•. 

;  muore  per  male  arti 

lutto  e  lodi  dei  popoli,  264-265; 
lutto  pubblico  a  Roma  e  in  Italia 
al  giunger  dell'urna  funebre,  266, 

268. 

Germisara  (presso  Csihmó),  nella  Da- 
cia, IV,  .580. 

Gerone  I,  tiraun..  di  Siracusa.  II,  161. 

Gerone  II,  v  ili  -m)  i-i-  11.  208; 
vince  i  Mani  i  liattuto 

da  .\ppii'  I  I    ;  I:       :l  irrende 

ed  è  ricMiin      1.1  -iracusa, 


a  Roma,  :il-.' ;  aiuta  il  console  Tibe- 
rio Sempronio  Longo  contro  i  Car- 
taginesi ,  341  ;  aiuta  Roma  contro 
Annibale  e  le  manda  in  dono  una 
Vittoiia  d' oro,  355  ;  muore  dopo 
54  anni  di  regno,  373-374. 

l5erone,  di  ('ibira,  artista  greco  al  ser- 
vizio di  Verre,  IH,  32Ó. 

Geroni  no,  tiranno  di  Siractisa ,  par- 
teggia per  Annibale  e  dichiara  la 
i.'ueria  a  Roma,  II,  374 ;  ucciso  da 
un  soldato,  375. 

(ieronio  (presso  /.mino),  nell'agro 
Frentano,  I,  254  ;  vi  prende  stanza 
Annibale,  II,  :«3. 

Gerusalemme,  presa  a  viva  forza  da 
Pompeo,  IH,  349;  il  suo  tempio  è 
derubalo  da  Cassio,  HI,  464;   tu- 


multi o  n>;s,.|,il.l...-  p.M-  l'indipen- 
denza ni  in  i'i'.-  l\  |-,;;  si  ribella 
e   u  I  i  -      !    Il    niinani,    45'i  : 

soni  II  iia,  457;  vi  ri- 

parali -  1  p'  I  ,  \i-iiiti  allo  prime 
batta^'li^^  4.59  :  resiste  a  Vespa- 
siano, 4.59  :  in  preda  alla  anarchia, 
alla  pestilenza  e  alla  fame,  4S0  ; 
sue  fortificazioni,  481-482;  asse- 
diata e  presa  da  Tito,  482-487; 
il  (juale  vi  pone  un  presidio,  488  ; 
ricordi  di  Adriano  nelle  monete, 
664:  detta  Elia  Capitolina,  684; 
tempio  posto  da  Adriano  a  Giove 
dove  sorgeva  quello  del  Dio  dei 
Giudei,  684.  —  Vedi  Sion. 

Gesati,  dalle  rive  del  Rodano  passano 
in  Italia  per  aiutare  i  Boi  contro 
i  Romani,  II,  249. 

Gessoriaco  (Uotdogne),  torre  di  Cali- 
gola, IV,  329 ,  330.  —  Vedi  anche, 
68  e  345. 

Geti  (Bulgaria  e  Romeli"),  i  Daci 
erano  di  loro  stirpe,  IV,  565.  — 
Vedi  Daci. 

Getuli,  popoli  deH'.iffrica  occidentale 
fra  la  catena  dell'Atlante  e  il  gran- 
de bacino  del  fiume  Nigif,  alleati 
di  Giugurta,  III ,  116;  vinti  da  Ma- 
rio, 117;  si  ribellano  e  si  vol- 
gono a  Cesare,  519. 

Getulia,  la  sua  porpora  pttHata  a 
Roma  dalle  navi  di  Egitto,  IV, 
206. 

Ghiande  missili,  IH,  39,  40,  142,  16.<, 
18S,  639,  640. 

Ghiri,  ingrassati,  IH,  14. 

Giaffa,  citta  di  Galilea ,  strage  nella 
guerra  di  Vespasiano,  IV,  458;  il 
padre  di  Traiano  combatte  da  pro- 
de all'assedio,  550. 

Giani,  archi  di  transito,  I,  745. 

Gianicolo,  colle,  I,  528,  588,  596,  605, 
626,  IH,  214,  IV,  198,  604. 

Giano,  deificato,  I,  .53,  96;  da  alcuni 
scrittori  confuso  con  Noè,  186-187  ; 
il  più  antico  Dio  nazionale,  378- 
379,  528  ;  adorato  a  Faleria,  a  Te- 
lamone e  a  Volterra,  I,  389;  a  lui 
sono  attribuite  le  istituzioni  più 
antiche,  530;  i  miti  narrano  che 
fabbricò  una  città  dove  è  Roma, 
.566  ;  Dio  degli  Dei,  744  ;  suo  culto 
a  Roma,  745  ;  detto  Gemino ,  Bi- 
forme, Bifronte,  Padre  Matutino, 
Quadrifronte ,  745  ;  feste  in  suo 
onore,  746,  IV,  779. 

Giano,  suo  tempio,  chiuso  sotto  Xuma, 
587;  chiuso  tre  volte  sotto  Augu- 
sto, m,  688,  IV .  103-104  ;  rifatto 
da  Domiziano,  535. 

Giapidi,  popoli  d'Uliria.  —  Vedi 
lapodi. 

Giardini,  IV,  197.  —  Vedi  Orti. 

Giardini  del  Cirio  Vali'ano.  —  Vedi 
Circo  Vaticano. 

Giaro  (/Km),  una  delle  isole  Cicladì, 
triste  scoglio  destinato  ad  esilio 
sotto  l'Impero,  IV,  279,  705. 

Ginnasio  Adrianeo,  ad  Atene,  IV,  660. 

Giora  Simone,  anima  e  capo  della  re- 
sistenza dei  Giudei  ai  Romani,  IV, 
481  :  difende  il  tempio  di  Gerusa- 
lemme. 481;  e  Sion,  486;  serbato 
al  trionfo,  487,  4'f>  ;  ucciso,  492. 

Giordano,  fiume.  IV,  459  ;  la  sua  ima- 
gine  e  portala  ia  trionfo  a  Roma, 
492. 

Giorni,  notati  con  pietre,  I,  453. 

Giorno  civile,  quando  incominciava 
presso  gli  Etruschi,  I,  454. 

Giotap.ata.'citta  di  Galilea,  vinta  per 
tradimento  da  V.spasiano,  IV,  458. 

Giovanelli  (Benedetto) ,  sue  opinioni 
sull'origine  degli  Etruschi,  I,  203. 

Giovanni  di  Gisiala,  ripara  in  Geru- 


1008 


INDICE 


GIOVANNI 


GIOVENALE 


GIULIO 


salemme  coi  Giudei  sopravvissuti 
alle  prime  battaglie,  IV,  -459  ;  anima 
e  capo  della  resistenza  ai  Romani, 
481  ;  difende  la  fortezza  Antonia, 
483-484  ;  e  il  tempio,  434  ;  e  i  ba- 
luardi di  Sion,  486  :  condannato  a 
perpetua  prigione,  487. 

Giovanni  (San),  rilegato  da  Domiziano 
a  Patmos,  IV,  541. 

Giove  (il  padre),  I,  490;  culto  anti- 
chissimo a  Roma ,  729  ;  sculto  da 
Vidia,  II,  482,  IV,  847;  allusione 
alla  sua  morte.  II,  598  ;  fulminante 
i  Dari  nella  Colonna  Traiana,  IV, 
587, 588  ;  statua  sul  monte  Calvario, 

Giove  Anxuro,  I,  381. 

Giove  Appennino,  I,  384,  IV,  92. 

Giove  Arcano,  I,  381. 

Giove  Augusto,  IV,  651. 

Giove  Cacuno,  adorato  dai  Sabini,  I, 

Giove  Capitolino,  IV,  530,  ,537,  663; 
tempio,  I,  409,  61)0,  613,  614-615, 
724,  lì,  296-297,  IV,  388,  488,  492, 
498,  749;  arso  più  volte,  è  riedifi- 
cato da  Siila,  HI,  275-276;  da  Ve- 
spasiano, IV,  498  ;  e  da  Domiziano, 
470,  534;  statua  colossale  sul  cul- 
mine, lì,  88,  297. 

Giove  Custode,  tempio,  IV,  534. 

Giove  Dodoneo,  IV,  660. 

Giove  Dolicheno,  IV,  651. 

Giove  Eleuterio  (Liberatore),  statua 
a  Siracusa  liberata  dal  tiranno 
Trasibulo,  II,  161,  162  ;  ad  Atene, 
429;  tempio  sull'Aventino,  rV,  192. 

Giove  Elicio,  I,  742. 

■Giove  d'EUopoli,  IV,  651  ;  tempio,  701. 

tiiove  Feretrio,  1 ,  579,  II,  254  ;  tem- 
pio. IV,  192. 

Giove  Foniaio,  tempio,  I,  896. 

Giove  Giulio,  lU,  533. 

Giove  Imperatore,  la  sua  statua  è  ru- 
bata da  Verre,  UI,  323. 

Giove  Indigete.  —  Vedi  Enea. 

Giove  Invitto,  I,  743. 

Giove  Laziale  o  Laziare,  I,  381  ;  tem- 
pio sul  monte  Albano,  1,  535,  547- 
549,  611.  —  Vedi  Latino. 

Giove  Liberatore.  —  Vedi  Giove  Eleu- 
terio. 

Giove  Lucezio,  I,  380. 

Giove  Olimpico,  tempio  ad  Atene,  IV, 
74,  659. 

Giove  Ornano,  tempio  nella  Magna 
Grecia,  II,  153. 

Giove  Ottimo  Massimo,  I,  742,  IV,  651. 

Giove  Panellenio,  tempio  ad  Atene, 
IV,  660. 

Giove  Pico,  I,  96. 

Giove  Pluvio,  a  Canusio ,  I,  355  ;  e 
nella  Colonna  Antonina,  IV,  743, 
744. 

Giove  padre  del  giorno  (Diespiter), 
I,  380,  385. 

Giove  Predatore,  II,  294. 

Giove  Sole,  tempio,  IV,  666. 

Giove  Statore,  I,  742  ;  suo  tempio,  n, 

294,  378;  incendiato,  IV,  400. 
Giove  signore  delle  tempeste  divine, 

adorato  dai  presidi!  romani  di  Af- 
frica, IV,  656. 

Giove  Terminale,  I,  .371,  733. 

Giove  Terribile,  I,  784. 

Giove,  detto  Tinia  e  Tina  dagli  Etru- 
schi, I,  388-389,  408-407. 

Giove  Tonante,  IV,  56,  533  ;  tempio, 
88,  192. 

Giove  Trebulano,  nome  dato  ad  A- 
driano,  IV,  6.37. 

Giove  Vindice,  IV,  410. 

Giove  Vittore,  II,  294. 

Giove.  —  Vedi  Zeus. 

Giove  (villa  di),  a  Capri,  IV.  293-294, 

295.  309. 


Giovenale  Giunio  (D.),  nato  ad  Aqui- 
no, I,  234  ;  scarse  notizie  della  sua 
vita,  IV,  889-891  ;  esilio,  891  ;  sa- 
tire, .892  ;  pitture  delle  brutture  di 
Roma ,  892-893  ;  nobili  e  donne  , 
893-895;  conforti  alla  virtù,  895; 
amore  del  buono  e  del  hello,  896; 
si  burla  dei  recitatori,  908. 

Gioventù,  dea,  I,  708;  tempio,  IV, 
192.  " 

Giuba  I,  re  di  Numidia ,  con  Azio 
Varo  sconfìgge  Curione,  III,  492  ; 
unisce  le  sue  alle  truppe  dei  Pom- 
peiani, 517-518;  distrugge  le  città 
sospette  di  favorire  il  nemico,  519  ; 
dopo  la  disfatta  di  Tapso,  519-520  ; 
uccide  duellando  Petreio,  e  poi  si 
fa  uccidere  da  un  servo,  520. 

Giuba  II,  re  di  Mauritania,  figlio  del 
precedente,  condotto  prigioniero  a 
Roma,  e  poi  rimesso  sul  trono  pa- 
terno, III,  527,  IV,  61  ;  scrittore  di 
più  opere  in  greco  e  latino,  182. 

Giubellio  Taurea,  capuano,  rimpro- 
vera al  console  Fulvio  le  sue  cru- 
deltà e  si  uccide,  U,  390. 

Giudacilio  (C),  di  Ascoli ,  duce  degli 
Italici  rivoltati.  III,  175  ;  corre  vit- 
torioso la  Lucania  e  l'Apulia,  181  ; 
inette  in  rotta  Pompeo,  183  ;  pene- 
tra in  Ascoli,  uccide  gli  amici  di 
Roma  e  si  avvelena,  1.S9-190. 

Giudea  e  Palestina,  corsa  da  Pompeo, 
III,  349  ;  donata  in  parte  da  An- 
tonio a  Cleopatra,  662;  soccorre 
Antonio  contro  Ottavio,  67.">  ;  de- 
rubata dai  proconsoli  IV,  77  ;  in- 
sanguinata da  Quintino  Varo,  224  ; 
chiede  allieviamento  dei  tributi , 
258;  spogliata  dal  liberto  Felice, 
342;  vinta  da  Vespasiano,  458  e 
segg.  ;  e  da  Tito,  480  e  segg.  ;  re- 
sta fedele  a  Ottone,  442:  infestata 
dagli  Arabi ,  601  ;  governata  da 
Lusio  Quieto  ,  620  ;  sollevazione 
sotto  Adriano,  627  ;  visitata  d.i  lui. 
636  ;  colonie  adrianee,  663  ;  ridotta 
a  deserto ,  686  ;  provincia  presi- 
diata da  tre  legioni,  782,  783. 

Giudei,  in  guerra  con  Sosio,  lesalo 
di  Antonio,  III,  662;  rifiut.inn  di 
adorare  Caligola,  IV,  333;  timuilto 
in  Alessandria,  333-334;  prigio- 
nieri al  taglio  dell'istmo  di  Corin- 
to, 420  ;  cause  della  loro  solleva- 
zione ,  455-456  ;  vincono  i  soldati 
romani  a  Gerus.ili'mui.-.  4.V;.  met- 
tono in  l'ii-  I  '    ■^n-  I .  lU -,   l'i  :-  i:,7  ; 

fendOlh.':::  :,..::        -       1.    ,       ■      r        lS.>- 

486;  disp.i.M  11.1  11 i-,   l^:  ,  ,•  .^,- 

bligali  u  p:i-rirc  \in  triliulo  aiiiiMO, 
al  tempio  di  Giove  Capitolino,  48S: 
loro  odio  a  Tito,  519  ;  perseguitati 
da  Domiziano,  541;  loro  ribellioni 
e  disfatte  nella  Cirenaica,  a  Cipro, 
in  Egitto,  e  Mesopotamia,  618-620; 
proibita  da  Adriano  la  circonci- 
sione, si  sollevano  e  sono  distrutti, 
683-686  ;  comprano  il  permesso  di 
piangere  una  volta  l' anno  sulle 
rovine  di  Gerusalemme,  686;  An- 
tonino Pio  mantiene  le  pene  contro 
la  circoncisione  degli  ' 


■giano  per  Avidio  Cassio,  747 
ritenuti  da  Marco  Aurelio  peggio 
dei  barbari,  748. 
Giugurta,  mandato  da  Micipsa  all'as- 
sedio di  Numanzia  cogli  aiuti  affri- 
rani,  II,  534,  111,  101  ;  .idottato  da 
Micipsa  come  tiglio  eredita  una 
parte  della  Numidia,  104  ;  fa  ucci- 
dere lempsale  e  muove  guerra  ad 
.Vderbale,  105  ;  non  contento  della 
parte  assegnatagli  diU  Senato  ro- 


mano assedia  Aderbale  in  Cirta, 
105:  compra  i  romani  andati  a 
giudicarlo,  103 ,  fa  uccidere  Ader- 
bale, 106;  conchiude  la  pace  con 
Calpurnio  Bestia,  107  ;  viene  a  Ro- 
ma, 108;  fa  assassinare  Massiva, 
108;  ritorna  in  Affrica,  108-109; 
vince  i  Romani  e  fa  la  pace  con 
Postumio  Albino,  109;  tenta  inu- 
tilmente di  corrompere  Q.  Metello, 
110;  è  da  lui  vinto,  110;  libera 
Zama  assediata,  111  ;  indotto  da 
Bomilcare  domanda  pace,  ma  poi 
ricusa  di  arrendersi,  111-112;  ri- 
dotto agli  estremi,  116;  si  unisce 
ai  Getalì  e  ai  Mauri,  116-117;  vinto 
a  Cirta,  1 17  ;  tradito  dal  suocero 
Hocco  è  consegnato  ai  Romani , 
119;  condotto  a  Roma  in  trionfo 
muore  nel  carcere  Tulliano,  120. 

Giulia,  moslie  dt  Caio  Mario  e  zia  di 
Cesare,  ìli,  114. 

Giulia,  figlia  di  Cesare,  moglie  dì 
Pompeo,  III,  407,  476. 

Giulia,  madre  di  Marco  Antonio,  si  ri- 
fugia presso  Sesto  Pompeo,  UI,  641. 

Giulia,  lìglia  di  Augusto  ,  IV,  211  ; 
sposa  il  giovinetto  Claudio  Mar- 
cello, 213  ;  vedova,  sposa  Agrippa, 
214;  e  poi  Tiberio,  215;  cure  di 
Angusto  per  la  sua  educazione. 
215  ;  sue  orgìe,  216-217  ;  relegata 
all'isola  Pandataria,  217  ;  confina- 
ta a  Reggio  vi  muore,  218,  278. 

Giulia,  lìglia  della  precedente  e  di  A- 
grippa  ,  IV,  214  ;  muore  rilegata 
nell'isola  di  Tremiti,  219. 

Giulia ,  figlia  di  Germanico  e  di  A- 
grippina,  IV,  260. 

Giulia,  moglie  di  Nerone  figlio  di  (ier- 
nianico,  IV,  297. 

Giulia ,  sorella  di  Caligola ,  esiliata, 
IV,  323,  334,  367  ;  fatta  utcidere  da 
Messalina,  360. 

Giulia ,  figlia  di  Druso  figliuolo  di 
Tiberio!  fatta  uccidere  da  Messa- 
lina, IV.  360. 

Giulia,  figlia  di  Tito,  disonestata  da 
Domiziano,  IV,  520,  524  ;  sposa  di 
Flavio  Sabino,  524  ;  concubina  di 
Donùziano,  525  ;  che  la  fa  morire. 


.525. 

Giulia  Aurunculcia,  celebrata  in  un 
inno  di  Catullo,  III,  807. 

Giulia  Doinua,  moglie  dell'imperatore 
Settimio  Severo,  fa  scrivere  a  Fi- 
lostrato la  vita  di  Apollonio  Tia- 
neo,  IV,  850. 

Giulia  Procilla,  madre  di  Agricola, 
uccisa,  IV,  5-25. 

Giulia  Sabina,  figlia  dì  Matidia,  sposa 
Adriano,  IV,  626;  lodata  dal  mu- 
nicipio dì  Gabìi,  637;  consacrata 
con  Adriano  a  Efeso,  661  ;  visita 
il  colosso  dì  Meninone,  667-668  ;  ri- 
cordata suir  obelisco  del  Pincio, 
670  ;  aillitla  da  Adriano  con  trat- 
tamenti servili,  687;  «uà  fine,  688; 
figurata  sotto  le  sembianze  di  Ve- 
nere, 6.'<9. 

Giuliano  (Didìo),  poscia  imperatore, 
respinge  dalla  Gallia  lielgica  i 
Cauci,  IV,  727. 

Giulio  (porto),  presso  Baia,  HI,  653. 

Giulio  Agricola  (Gneo),  sua  gioventù, 
IV,  525;  Tacito  ne  narra  la  vita, 
525, 927  ;  governatore  in  Britannia, 
526  ;  reprime  gli  Ordovici  e  assale 
la  Caledonia,  526  ;  e  vince  al  monte 
Grampio,  527  ;  prende  le  Orcadi , 
527;  richiamato  a  Roma  ha  gli 
■  mori  trionfali,  527  ;  rimane  incerto 
come  finisse  la  vita,  .527  ;  gli  .*  at- 
tribuita la  edificazione  del  Vallo, 
647  ;  luoghi  da  lui  afforzati  in  Ca- 
ledonia, 710. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1009 


GIULIO 


GIULIO 


GIULIO 


fiiulio  Celso,  <riureconsulto,  IV,  GT2. 

Giulio  Cesare  (Caio),  fratello  di  Lucio, 
ucciso  nelle  stragi  di  Mario,  III, 
217. 

Giulio  Cesare  (C),  non  ripudia  la 
moglie,  e  prr  int.Tcì'Ssiune  delle 
Vestali  (■  Ci^p.i;;  ,:il  .  ■'  .  ^illa.  III, 
264;   nòli     ;    ,  ,  ;,,iiio  Le- 

pido, 2.SS .      ;     ].  j,    ,.,-,  inge- 

gno e  disr-         .   -  ;.  Ita  Pom- 

peo a  n-i]-;  1'  antico 

potere,  :t,'s  ,  .■   nitorità 

jllimitat.i  f,.:  !  I  ,  ,,  '  :;:',2  ■  so- 
stiene la  kL'_  M  ,  ;i:ì;  con- 
g'.'in  '•'!■•.:  •       ■.:,i;  ;  eletto 

f.ì':''  I  suoi  de- 

ll t      .  .  :  ■   i    il      -il  Mario, 

;ì:.7-  ./.-■ ,  |i, .  - ,.  .;.•  u  n  .i.nuale  inca- 
rioa'.ij  <ii  pui.ui.  i  .,1.  .li  ,i,  :;.",,S;  con- 
danna il  senatore  Kaljirio,  359- 
360;  nominato  Pontefice  Massimo 
e  pretore,  3fi0  ;  contrario  alla  ele- 
zione di  Cicroiii'  al  .-onsolato  , 
3(;7  '"-il.  tMt  '  lìi  -•  '-1M  I/ione  con 
r.it     li       ::'.    •   .  iMipi'disce 

morte  ai  rini^nurati  e  pnipone  l'e- 
silio e  la  con  lisi-azione  dei  beni , 
383  ;  minacciatu  nella  vita,  384-385  ; 
sua  complicità  con  Catilina,  389- 
390;  propone  con  Cecilio  Metello 
di  richiamare  Pompeo  Magno  dal- 
l'Asia, 306  ;  deposto  dalla  pretura, 
396;  è  rimesso  nella  sua  carica  e 
va  in  Spagna,  397  ;  ripudia  la  mo- 
glie e  non  fa  testimonianza  contro 
Clodio ,    -103  ;    torna  vittorioso    di 


r  .i..M,407; 
.1.  M-llU;  altre 
el  popolo  e  delle 
letto  al  governo 
delle  Gallie,  412  ;  studia  di  trarre 
alla  sua  parte  Cicerone,  416;  fa- 
vorisce l'elezione  di  Clodio  al  tri- 
bunato, 417  ;  muove  alla  conquista 
delle  Gallie  narrata  nel  suoi  Corn^ 
mentarii ,  423;  va  a  Ginevra  e" 
impedisce  il  passo  agli  Elvezii , 
430-431;  torna  in  Italia,  prende 
altre  cinque  legioni  e  ripassa  le 
Alpi,  431;  vince  a  Bibracte  gli 
Elvezii  e  i  Boi,  431-432;  intima 
ad  Ariovisto  di  non  chiamare  più 
gente  da  Oltre  Reno,  e  di  ren- 
dere agli  Edui  gli  ostaggi,  432; 
occupa  Vesonzione ,  432  ;  infonde 
coraggio  ai  suoi  soldati  e  vince 
Ariovisto,  433;  vince  i  Belgi  sul- 
l'Assona,  434  ;  e  le  altre  tribù,  434  ; 
vittoria  sui  Nervii ,  434  ;  e  sugli 
Aduatici,  434-435;  sottomissione 
dei  Veneti,  Unelli  e  Aquitani,  436  ; 
fa  strage  dei  Germani  sulla  sini- 
stra del  Reno,  437  ;  costruisce  un 
ponte  e  passa  il  Reno,  437-438; 
sbarca  nell'isola  di  Britannia,  439; 
vince  i  Brettoni  e  ritorna  nelle 
Gallie  ,  440  ;  sbarca  di  nuovo  in 
Britannia,  440-441  ;  vince  Casivel- 
launo,  441  ;  abbandona  la  Britan- 
nia, 441  ;  libera  Quinto  Cicerone  e 
vince  Ambiorige,  442-443  ;  diserta 
le  terre  dei  Nervii ,  443  ;  prende 
ostaggi  dai  Carnuti  e  dai  Senoni, 
443  ;  sottomette  i  Meuapii,  443  ; 
fa  un  ponte  e  passa  di  nuovo 
il  Reno,  413;  si  vendica  degli  E- 
buroni,  443-444  ;  accorre  a  doma- 
re l'insurrezione  promossa  da  Ver- 
cin»etoriga  ,,  445  ;  prende  Vellau- 
noduno,  44Si   distrugge   Genabo , 


445-446;  prende  Novioduno,  446; 
assedia  e  prende  Avarico,  446  ;  6 
vinto  da  Vercin^etorige.  447  ;  si 
unisce  a  Azio  Labieno,  447  ;  si  vol- 
ge con  tutte  le  sue  forze  a  Veson- 
zione, 447  ;  incontra  Vercingetori- 
ge,  lo  vince  e  lo  caccia  ad  Alesia, 
44S  ;  stringe  la  città  con  opere  di  of- 
fesa e  di  difesa,  448-449  ;  è  assalito 
da  Vorcingetorige  e  dai  Galli  venu- 
ti in  di  lui  soccorso,  450-451  ;  ripor- 
ta su  tutti  splendida  vittoria,  451  ; 
fa  incatenare  Vercingetorige  datosi 
nelle  sue  mani,  451  ;  vince  i  Car- 
nuti, i  Biturigi  e  i  Bellovaci,  452; 
a  Usselloduno  fa  tagliare  le  mani 
ai  nemici  arresi,  453  ;  modi  usati 
per  assicurare  la  conquista,  453- 
451:  vittori,,  p  pr-,.li'_--i  di  Inrza  e 
d'iiiLT'i:-       !•■:■  ■■       ■•     il.lati, 

457  ,  !  .  I         1         .  >  r.'nza 

cn-ii  .1.1.  l'I,  .i.,.i. ..  I  „;  _|,  ,1  pro- 
ro-atu  il  ^jv.ruij  Jcliu  i.a.lie,  464; 
compra  i  cittadini  con  doni,  466- 
467  ;  abbaglia  il  popolo  con  la  di- 
vina liberalità  ,  46S  ;  è  lodato  e 
sostenuto  da  Cicerone ,  469-470  ; 
suo  odio  a  Pompeo,  475;  motivi  e 
pretesti  alla  guerra  civile ,  475- 
477;  chiede,  assente,  il  conso- 
lato ,  478  ;  è  sostenuto  dal  con- 
sole EmiUo  Paolo  e  dal  tribuno 
Curione,  479-480  ;  da  Ravenna  fa 
nuove  proposte  al  Senato,  481;  fe 
dichiarato  nemico  della  patria  se 
non  lascia  l'esercito  e  le  province, 
481-482;  accoglie  i  tribuni  fuggiti 
da  Roma,  e  muove  contro  di  essa, 
482  ;  sua  ambizione  tirannica,  483  ; 
marcia  alla  volta  di  Arimino,  484  ; 
passa  il  Rubicone,  485  ;  occupa  va- 
rie città  e  ordina  leve  nel  Piceno, 
485;  suoi  fautori  in  Roma',  486; 
marcia  trionfale,  488  ;  prende  Cor- 
finio,  489;  raggiunge  Pompeo  a 
Brindisi  dove  tenta  rinchiuderlo, 
489-490  ;  padrone  d'Italia  e  di  Ro- 
ma, 490  ;  s' impossessa  del ,  pub- 
blico erario,  490-491  ;  parte  contro 
i  nemici  di  Spagna,  491  ;  vince  le 
legioni  di  Spagna  ed  espugna  Mas- 
silia,  491-494  ;  nel  ritorno  a  Ro- 
ma seda  il  tumulto  della  nona  le- 
gione in  Piacenza,  494  ;  prima  dit- 
tatura, 494  ;  provvedimenti  econo- 
mici e  politici,  494-495;  dopo  un- 
dici giorni  depone  la  dittatura,  495  ; 
suo  esercito,  496  ;  s'imbarca  a  Brin- 
disi, 497  ;  blocca  Pompeo  a  Duraz- 
zo,  498  ;  ed  è  vinto  da  lui,  499  ;  fug- 
ge in  Tessaglia,  499  ;  è  raggiunto 
a  Farsalia  da  Pompeo,  501  ;  gran- 
de battaglia  e  vittoria,  502-503; 
sua  clemenza  coi  vinti,  504  ;  nel- 
l'Ellesponto intima  a  Cassio  di  ar- 
rendersi colle  sue  navi ,  508  ;  va 
nell'Asia  Minore,  508  ;  e  in  Egitto 
ove  trova  la  testa  del  Magno,  508  ; 
ad  Alessandria  protegge  Cleopa- 
tra e  per  essa  si  mette  a  perico- 
losissima guerra,  509-511;  vince 
sul  Nilo  il  re  Tolomeo,  511  ;  dà  il 
governo  dell'  Egitto  a  Cleopatra 
e  al  fratello ,  512  ;  suoi  amori 
colla  bella  regina,  512-513;  guerra 
contro  Farnace,  nel  Ponto  :  veni, 
vidi,  vici,  513  ;  per  la  Grecia  e  l'Il- 
lirico torna  in  Italia,  514  ;  è  dichia- 
rato padrone  di  tutto  e  di  tutti, 
515  ;  quieta  le  contese  di  Roma  e 
si  fa  console,  515;  seda  la  rivolta 
delle  legioni  in  Campania,  516  ;  va 
in  Affrica  contro  i  nemici  vinti  a 
Farsalia,  518  ;  è  battuto  da  Labie- 
no e  Petreio,  518;  vince  i  Pompeiani 
a  Tapso,  519-520  ;  scrive  VAntica- 


Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV, 


tone,  524;  riordina  l'Affrica  e  ne 
dà  il  governo  a  Sallustio,  526  ;  nel 
ritorno  punisce  di  gravi  multe  i 
Sardi  fautori  dei  Repubblicani , 
526  ;  onori  e  trionfi  a  Roma,  527  ; 
largizioni  e  feste  d'ogni  maniera, 
528-530  ;  accorre  in  Spagna  a  com- 
battere i  Pompeiani,  531  ;  battaglia 
e  vittoria  di  Munda,  531-532  ;  pro- 
clamato dittatore  perpetuo.  Pater 
patriae  e  Dio,  533;  trionfa,  533- 
534  ;  studi  per  mantenere  la  nuova 
potenza,  534  ;  volge  a  uso  monar- 
chico 'e  istituzioni  della  Repubbli- 
ca, 535-536  ;  distribuzioni  di  terre, 
e  colonie,  537  ;  giustizia,  leggi  sul 
lusso  e  per  le  province,  538  ;  riforma 
del  calendario,  539-540;  abbelli- 
menti di  Roma,  540-541  ;  altri  gran- 
di disegni,  541  ;  sua  clemenza,  542  ; 
brutture  dei  suoi  fautori,  543;  suoi 
nemici,  545-546;  la  corona  di  re  e 
la  congiura  contro  di  lui,  547-554  ; 
sospetti,  554  ;  gli  idi  <fi  marzo,  555- 
556  ;  alla  Curia  di  Pompeo,  558  ;  e 
ucciso,  558-560;  lodi  e  censure, 
560;  la  sua  dominazione,  561  ;  giu- 
dizio di  N.  Machiavelli ,  562  ;  suo 
testamento,  571-572  ;  suoi  funerali, 
572-574;  apoteosi,  574-575;  sue 
cure  per  la  educazione  di  Ottavio, 
582  ;  oratore,  702-703  ;  fa  restituire 
la  villa  a  Terenzio  Varrone,  748  ; 
grande  negli  scritti  come  nei  fatti, 
772-773  ;  sue  poesie,  773  ;  VAnticor 
tone,  773;  scritti  grammaticali  e 
lettere  ,  773-774  ;  Commentarii 
delle  guerre  gallica  e  civile ,  774- 
773  ;  grande  semplicità  ed  eleganza 
di  stile,  776-777  ;  mette  in  voga  i 
mimi,  789  ;  forza  il  cavaliere  La- 
berio  a  rappresentarli  sulla  scena, 
789;  inizia  il  censimento  di  tutto 
l'impero,  IV,  50;  ordina  di  levare 
la  misura  geografica  di  tutto  il 
mondo  romano,  50  ;  riforme  da  lui 
introdotte  nelle  Gallie,  52  ;  ha  il 
pensiero  di  frenare  le  invasioni 
dei  Daci,  567;  schiavo  fatto  ucci- 
dere per  aver  imbandito  ai  convi- 
tati pane  differente  dal  suo,  HI, 
34  ;  suo  tempio,  IV,  192. 

Giulio  Cesare  (Lucio),  console,  duran- 
te la  guerra  sociale,  IH,  178  ;  stu- 
dia di  penetrare  dalla  Campania 
nel  Sannio,  179;  è  battuto  e  co- 
stretto a  ritirarsi  a  Teano  ,  182  ; 
libera  Acerra  assediata  da  Sanniti 
e  Lucani,  185;  propone  che  sia  da- 
ta la  cittadinanza  agli  alleati  ri- 
masti fedeli,  186;  trucidato  nelle 
stragi  di  Mario,  217. 

Giulio  Cesare  Strabene  (C),  oratore, 
III,  700;  autore  di  tragedie,  791. 

Giulio  Frontino  (Sesto),  console,  suo 
libro  perduto  sulla  tattica,  IV,  951  ; 
gli  Stratagemmi,  i  libri  dell'Agri- 
mensura e  degli  Acquedotti ,  951- 
952. 

Giulio  Geminio  Marciano  (P.),  nella 
guerra  Partica,  IV,  728. 

Giulio  Grecino,  senatore,  padre  di  A- 
gricola,  ucciso  da  Caligola  per 
avere  rifiutato  di  accusare  M.  Si- 
lano, IV,  321,  525  ;  filosofo  e  scrit- 
tore di  agricoltura,  866. 

Giulio  Igino  (C),  liberto  d'Augusto, 
suoi  scritti,  IV,  187-188;  è  rimos- 
so dalla  direzione  della  Biblioteca 
d'Apollo,  188. 

Giulio  Retico  (C),  centurione  in  Bri- 
tannia, IV,  651. 

Giulio  Sabino  Lingono ,  bastardo  di 
G.  Cesare,  si  unisce  a  Civile,  IV, 
476  ;  battuto  scompare ,  477  ;  sco- 
perto e  condotto  a  Roma  è  ucciso, 

127 


1010 


INDICE 


GIULIO 


GIUSTIZIA 


505;  suo  figlio  è  accolto  da  Plu- 
tarco, 505. 

Giulio  Secondo,  oratore  e  storico,  IV, 
920. 

Giulio  Severino,  tribuno  militare  m 
Britanuia,  lY,  651. 

Giulio  Severo,  chiamato  dalla  Britan- 
nia  a  reprimere  la  sollevazione  dei 
Giudei,  IV,  684  ;   sue  vittorie,  685. 

Giulio  Vestino  (Lucio),  preside  delle 
biblioteche  di  Roma,  messo  da  A- 
driano  a  capo  del  Museo  d'Ales- 
sandria, IV,  669. 

Giulio  Vindice  (C),  vicepretore ,  sol- 
leva le  Gallie  contro  Nerone,  IV, 
421-422  ;  ed  esorta  Galba  a  liberar 
il  mondo  da  Nerone,  423  ;  suo  ab- 
boccamento con  Virginio  Rufo, 
424;  si  uccide,  424. 

(iiunia  Calvina,  esiliata  da  Agrippina, 
IV,  369. 

tiiunia  Silana,  sua  trama  contro  A- 
grippina,  IV,  381. 

Giunio  Bruto  (L.).  leirgomla  dell.-i  sua 
origine  e  di'lli  -  m  'ì.  -  ~i  ipi.litn, 
I,  615-616;   .   .  i;l5- 

616;veiidica  I  I  :-  1  ';  pri- 

mo console  di-ll.i  ii^  ihhìhìp  i  .  liiO; 

accolto  come  iliK'nUni  i-  ii:u  snidati, 

619-620  ;  non  vuole  che  si  rendano 
i  beni  ai  Tarquinii,  620  ;  i  suoi  ti- 
gli congiurano  a  favore  dei  Tar- 
quinii, 621  ;  li  condanna  a  morte, 
621  ;  va  contro  i  Tarquiniesi  e  Ve- 
ienti,  623  ;  si  batte  con  Arunte  Tar- 
quinio,  resta  ucciso  sul  campo  ed 
è  onorato  di  pubblico  lutto,  623- 
624;  suo  ritratto,  625. 
Giunio  Bruto  (Lucio),  conduce  la  pie 


ili,  289  ;  vinto  a  Modena  è  fatto 
uccidere  da  Pompeo,  989. 
Giunio  Bruto  (Mar^.i  i',.n.>io  di  Ca- 
tone, sua  indi!.-  Ili  "iW-".lo-,  al 
governo  delli  i  i  '  i  :  i.  .ì49; 
pretore  url.-m         r  ;      Cesa- 

re dell'  ucrisioi  ,  ,!,  \l  M  libello, 
549;  capo  della  i-oiigiur.i  contro 
Cesare,  550;  si  oppone  all'uccisio- 
ne di  M.  Antonio,  555  ;  uccide  Ce- 
sare, 558-560  ;  non  riesce  a  trat- 
tenere ed  arringare  il  Senato,  556  ; 
va  al  Fòro,  56G  ;  spiega  le  ragioni 
dell'uccisione,  568  ;  torna  al  Cam- 
pidoglio e  si  prepara  a  difendersi, 
568  ;  tratta  di  pace  con  Antonio  e 
con  Lepido  ,  569-570  ;  confermato 
al  governo  della  Macedonia,  570; 
sua  conferenza  cou  M.  Antonio, 
.■j/?;  toltagli  la  provincia  e  inca- 
ricato della  provvisione  del  grano, 
578-579;  convegno  di  Anzio,  579; 
va  a  Nisida  e  a  Velia.  Ì579-580  ;  sue 
lettere  ad  Antonio,  580  ;  dà,  come 
pretore,  giuochi  al  popolo,  581  ;  mi- 
naccia Antonio  di  difendersi  colle 
armi,  581-582  ;  suoi  buoni  successi 
in  Oriente,  593;  i".  richiamato  alla 
difesa  d'Italia,  603  ;  onorato  ad  A- 
t«ne,  617-619  ;  apparecchi  di  guer- 
ra in  Grecia  e  in  Macedonia,  610; 
congresso  a  Smirne,  620;  prende 
Xanto,  621  ;  sottomette  la  Licia  e 
si  mostra  benigno  ai  vinti,  621  ;  si 
riunisce  con  Cassio  a  Sardi,  622  ; 


624-625;  alle  ti:itta<rlie  di  Filippi, 
625-027:  i'.!  imi  -u  no  dai  soldati 
si  ui-ri.]  .,_■  ,  i  riti-atti,  629- 
630;    l'I  ,  :,  ire  la  testa 

al  SU'.  .  Mi  I  ,,!■,.  e  uiinuio  manda 
a  sua  iiiaiire  le  L-cneri,  031  ;  ora- 
tore, 703  ;  scrisse  sulla  virtù,  738  ; 
stoico,  739. 

Giunio  Bruto  Albino  (Decimo),  legato 
di  Cesare  nelle  Gallie,  vince  colla 
(lotta  i  Veneti,  III,  436;  espugna 
Marsilia,  491  ;  congiurato  contro 
Cesare,  551  ;  lo  induce  a  recarsi  alla 
Curia,  556;  trattiene  M.  Antonio 
fuori  della  porta,  558  ;  ferisce  Ce- 
sare, 558  ;  confermato  nel  governo 
della  Cisalpina  datogli  dal  Ditta- 
tore, 570;  adottato  per  figlio  nel 
testamento  di  Cesare,  in  mancanza 
di  Ottavio,  571  ;  nella  Cisalpina  si 
apparecchia  a  fare  ogni  sforzo  per 
salvare  la  Repubblica,  578;  asse- 
diato in  Modena  da  Antonio,  592  ; 
respinge  gli  assalti,  596  ;  soccorso, 
vince  Antonio,  598  ;  onori  a  lui  de- 
cretati, 600,  602  ;  preso  ad  Aquileia, 
al  ritorno  di  Antonio,  gli  è  tron- 
cata la  testa,  G05. 

Giunio  Bruto  Damasippo  (Lucio),  pre- 
tore, per  ordine  del  giovane  Ma- 
rio uccide  in  Roma  i  fautori  di 
Siila,  IH,  255;  con  Ponzio  Telesi- 
no  marcia  contro  Roma,  258  ;  uc- 
ciso sotto  le  mura,  259. 

Giuuio  Bubulco  (C),  console,  duce  dei 
cavalieri  sotto  Papirio  Cursore,  li, 
74. 

(iiunio  Graccano  (C.) ,  suo  trattato 
della  potestà  e  del  diritto  dei  ma- 
gistrati, UI,  764,  765. 

Giunio  (!)  Norbano  (Caio),  nominato 
console,  III,  251  ;  vinto  da  Siila  al 
Volturno ,  si  ritira  a  Capua ,  2,52  ; 
fugge  a  Rodi  e  si  uccide,  2.57,  267. 

Giunio  Penno  (M.) ,  tribuno,  propone 
di  cacciare  da  Roma  tutti  i  non 
cittadini.  Ili,  C7. 

(M  )  ,     .-rnnto    dittatore 


,  perde  per 
occupa 


22- 


Giunio   P- 

dopo  1,1 

camp:! 
Giunio  l'n 

una  tiii 

F-rice  e  si  uccide,  II,  232, 
Giunio  Rustico  (L.),  stoico,  maest 

di  Marco  Aurelio ,  IV ,  720     — 

723. 
Giunio  (t)  eretico  Silano,  governatore 

di  Sina,  IV,  259. 
Giunio  Silano  (M.),  propretore,  va  con 

Scipione  in  Ispagna,  II,  406,  407; 

e  vi  rimane  al  comando,  408. 
Giunio  Silano  (D.),  designato  console, 

III,  376  ;  chiede  che  i  congiurati 
catilinarii  siano  pmiiti  coU'estremo 
supplizio,  3S3. 

Giunio  Silano  (Marco),  console,  scon- 
fitto nelle  Gallie  dai  Cimbri  e  dai 
Teutoni,  III,  122. 

Giunio  Silano  (C),  suo  processo,  IV, 
812. 

Giunio  Silano  (M.),  ucciso  da  Caligola, 

IV,  321. 

Giunio  Silano  (L.),  costretto  da  Asrrii)- 
pina  ad  uccidersi,  IV,  369,  :i7S. 

Giunio  Silano  (M.),  fratello  del  proce- 
dente, proconsole  d'Asia,  fatto  mo- 
rire di  veleno  da  Agrippina,  IV,  37S. 

Giunio  Silano  Torquato  (D.) ,  ucci.so 
da  Nerone,  IV,  411. 

Giunio  Silano  Torquato  (L.),  nipote 
del  precedente,  ucciso  da  Nerone, 
IV,  411. 

Giunone,  nella  trinità  Capitolina,  I, 
742  ;  genio  femminino,  743. 


Giunone ,  tempio  a  Roma  restaurato 
da  Domiziano,  IV,  533. 

Giunone,  tempio  ad  Ardea,  dipinto  da 
un  greco,  II,  603. 

Giunone,  tempio  ad  Atene,  IV,  660. 

Giunone,  tempio  in  Argo,  IV,  637. 

Giunone,  oracolo  a  Veio,  I,  401. 

Giunone  Cupra,  adorata  in  Etruria, 
I,  381,  380. 

Giunone  Curite  e  Quirite,  adorata  dai 
Sabini,  I,  383  ;  e  a  Faleria,  in  E- 
truria,  3S9. 

Giunone  Gabina,  tempio,  I,  563-564. 

Giunone  Lacinia,  tempio  sul  promon- 
torio Lacinio,  I,  316-317,  III,  657  ; 
iscrizione  di  Annibale,  lì,  419. 

Giunone  Lanuvina,  I,  386. 

Giunone  Lucina,  tesoro,  I,  708. 

Giunone  Pupluna  o  Populona  o  Na- 
zionale, adorata  a  Populonia,  1, 
389;  e  a  Teano  dei  Sidicini,  412. 

Giunone  Regina,  protettrice  di  Veio, 
I,  876  ;  trasportata  a  Roma,  878  ; 
sagrifizi  delle  matrone ,  II ,  397  ; 
tem.pio  a  Roma,  603.  IV,  192. 

Giuochi,  nelle  feste  degli  Etruschi,  I, 
502  ;  in  onore  dei  morti,  511  ;  giuo- 
chi circensi  di  Cesare  edile.  III, 
357  ;  per  la  inaugurazione  del  tea- 
tro di  Pompeo,  476;  in  onore  di 
Cesare,  529-3:50  ;  in  onore  di  Dru- 
so,  IV,  101  :  in  onore  di  Faustina, 
703;  e  di  Antonino,  713,  726;  la 
ferocia  del  Circo  frenata  da  M. 
Aurelio,  739. 

(iiuochi  florali,  II,  303. 

(iiuonhi  giovenali  di  Nerone,  IV,  388. 

Giunchi  istmici,  II,  438. 

(ii;i  chi  Neraei,  II,  440,  IV,  637. 

Giuooui  Olimpii,  IV,  661. 

(Huochi  Panelleuii,  IV,  (lill. 

Giuochi  pubblici  a  U  .i  i  i  i  »  m  l  i  i  i- 
chi  del  Circo,  II,    i  ;      i  hi 

di  Flora,  312-:>l  l  il  . 

onorarli,  314  ;   vnivi.    ;l  i  ,    |i  u  ui 
dai  sudditi  delle  pmvmce.  .">!,). 

Giuochi  secolari,  celebrati  da  Augu- 
sto, IV,  33;  da  Claudio,  .537;  da 
Domiziano,  537  ;  e  da  Antonino  Pio, 
703. 

Giuochi.  —  Vedi  Ludi,  Spettacoli. 
«Giura ,  monte ,  passato  dagli  Elvezii, 
m,  431. 

Giuridici,  posti  da  Adriano  e  da  M. 
Aurelio  al  governo  d'Italia,  IV,  636, 
738. 

Giuseppe  Flavio,  narratore  della  sol- 
levazione dei  Giudei,  IV,  4.37  ;  tra- 
disce i  suoi  e  aiuta  la  conquista 
romana,  459;  mandato  da  Tito  a 
consigliare  la  resa  di  Gerusalem- 
me, 482-483;  esorta  nuovamente 
ad  arrendersi,  484  ;  sua  descrizione 
del  trionfo  sui  Giudei,  490  ;  suoi  li- 
bri della  Gìierra  Giudaica  e  delle 
Antichità  Giudaiche.  953-954. 

Giustino ,  compendiatore  di  Trogo 
Pompeo,  IV,  181. 

Giustino,  filosofo  greco,  difende  la 
nuova  filosofia  del  Cristianesimo, 
IV,  708. 

(iiustizia,  presso  i  primitivi  popoli  Ita- 
lici, I,  372,  374  ;  a  Roma  dapprima 
amministrata  dai  Re,  701  ;  e  poi 
dai  consoli,  718;  il  padre  giudice 
ilella  famiglia  romana,  696  ;  proce- 
dura stabilita  dalle  XII  Tavole, 
847  ;  magistrati  preposti  alla  giu- 
stizia, 11,  26,  307  ;  le  formule  giu- 
diziarie svelate  al  popolo  da  Gneo 
Flavio.  277;  commissioni  perma- 
nenti {quaestionrs  perpetuae)  di 
giudici,  .554,  III,  271  ;  legge  Cassia 
sul  voto  segreto  dei  giudizi!  popo- 
lari, 66;  potestà  giudiciaria  nelle 
XII  Tavole,  I,  847  ;  tolta  ai  sena- 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1011 


QIUTURNA 


tori  e  data  ai  cavalieri  da  C.  Grac- 
co, III,  73-76;  legge  Servilja  giu- 
diciaria  per  restituirla  ai  senatori, 
1-15  ;  resa  da  Siila  al  Senato,  271  ; 
divisa  tra  i  senatori  e  i  cavalieri 
da  Cesare,  53S  ;  riforme  di  Siila , 
274  :  e  di  Pompeo,  317  ;  fondamento 
assoluto  della  giustizia  imliouto  da 

Cicerone,  730;"  l:i  -'.n  i;  i  i   I  !.■ 

primi  secoli   dell'  li    i 
IV,  31-32, 27!<-28>.:'  _'      :il- 

342,  349,  350,  :i:,;.  .;m.  i  I.,  ..1.1- 
506,  508,  509,  Sii,  .Mii,  r,t7,  .-..-/i, 
575,  C02,  623,  iXÌ-'-iiU,  tW,  707, 
738-730,  812-814  ;  la  giustizia  d'I- 
talia affidata  a  fimiue  ffiuridici, 
738.  —  Vedi  an.-lie  Lei,'ge,  Pretori 
e  Tribunali. 

r.iuturna,  dea,  I,  380. 

niuvenzano,  fiume  del  Lazio,  I,  527. 

(liuvenzio,  poeta  comico,  li,  645. 

(iiuvenzio  Laterense  (M.),  legato  di 
Lepido,  si  uccide,  IH,  599-600. 

(iiuvenzio  Talna,  pretore,  ucciso  in 
Tessaglia,  li,  495. 

(iladiatnì-c  moribondo,  II,  603. 

(iladiatori,  eijmhattimenti  di  sangue 
per  divertire  i  banchettanti,  I,  281  ; 
per  onorare  i  morti,  II,  314-316, 
IV,  726;  per  rall<>;-rare  i  trionfi  e 
tutte  le  pubbliche  T'ste,  111.  520-530, 
IV,  105,  318,  416,  451,  516-517,  5.35, 
.538,  587  ;  loro  rivolta  sotto  la  con- 
dotta di  Spartaco,  vittorie  e  scon- 
fitta, III,  .303-310  ;  scuola  e  quartiere 
a  Pompei,  IV,  706-797;  Adriano 
vieta  di  vendere  uomini  per  questo 
mestiere,  673  ;  i  feroci  spettacoli 
riprovati  dai  filosofi,  862  ;  un  gla- 
diatore sul  trono  del  mondo,  768, 
770,  771,  779. 

Glareano,  suoi  dubbi  sulle  asserzioni 

d.-^r,    M.iri.  1     .-Hilirlli,   I,  643. 

Gli !  -usato  di  aver  av- 

vi :  :  ,     :   .  .  I  .liPansa,III,  601. 

Glot.i  e  '/.'-),  uMiti,  in  Britannia,  IV, 
.526,  710. 

Gnazia.  —  Vedi  Egnazia. 

Gnosso,  nell'isola  dì  Creta,  espugnata 
da  Metello,  lU,  332. 

(iùla  (vizio  della),  leggi  repressive, 
II,  576. 

Goletta,  in  Affrica,  II,  512. 

Goinrt  (Episkopi),  città  di  Tessaglia, 
lì,  470  ;  si  dà  a  Flaminio  senza  re- 
sistenza, 435. 

(ioryia,  maestro  di  nuova  eloquenza 
sofistica,  II,  128. 

Gorgone,  divinità  infernale,  I,  392. 

Gori  (Ant.  Fr.),  suoi  studi  suU'Etru- 
ria,  I,  187-188;  illustrazione  della 
Colonna  Traiana,  IV,  583. 

Gotoni  (i),  tribù  germanica,  IV,  271. 

t  Governatori  delle  province  imperiali, 
IV,  48-49. 

Gozzadini  (Giovanni),  sue  scoperte  ar- 
cheologiche a  Villanova,  1 ,  163  ; 
e  a  Marzabotto  nella  villa  di  Giu- 
seppe Aria,  164-166. 

Gi-accu,  scrittore  di  tragedie  ai  tempi 
di  Augusto,  IV,  1.53. 

Gracchi.  —  Vedi  Sempronio  Gracco. 

(Iraliaiìi's  Dyhe,  rovine  del  Vallo  di 
Antonino,  IV,  710. 

(irampio  {Grampia>is),  monte,  scon- 
fitta dei  Caledonii,  IV,  527. 

(iranico  {Khodslut-son),  fiume  nell'A- 
sia Minore,  HI,  338. 

Granio,  capo  della  colonia  di  Poz- 
zuoli, strangolato  per  ordine  di 
Siila,  III,  280. 

Granio  Liciniano,  annalista  romano, 
scoperto  dal  Pertz,  III,  768. 

Gravisca  (presso  Cometa),  città  di 
origine  pelasgica,  I,  79;  occupata 
dagli  Etruschi ,   130,  144  ;   colonia    i 


romana,  II,  267  ;  colonia  militare, 
IV,  43. 

Greci  in  Italia,  I,  307;  loro  memorie 
e  reUquie  di  eroi,  307-.3I0;  colonie, 
310  ;  nella  Magna  Grecia,  311-3.32  ; 
in  Italia  e  in  Sicilia,  li,  96-132; 
lotte  coi  Siculi,  cogli  Elimi ,  coi 
Cartaginesi  e  coi  primitivi  abita- 
tori d'Italia,  rrv  ;  .;  :  li  .ri.  134- 
156;  maestii     '  .  .    ri  e  di 

corruzione  ,11  1:  ..  -.■,7,.'j74, 

585;  di  nun,-  ,  r..,!,,,/.  .  :''l-.596; 
di  filosofìa,  di  l.-iiL-if,  d  arii,  di  sto- 
ria, di  poemi  e  di  drammi,  598-648. 

Grecia,  sue  antiche  relazioni  con  Ro- 
ma, I,  752;   in  guerra  con  essa, 

II,  387  :  decaduta  e  corrotta,  428- 
429  ;  fa  coi  Romani  guerra  a  Fi- 
lippo di  Macedonia,  434-437  ;  con 
un  decreto  di  Roma  è  dichiarata 
libera,  438;  ma  resta  soggetta, 
439-441  ;  nella  guerra  di  Antioco 
sta  contro  i  Romani,  441-447  ;  im- 
potente e  discorde,  463-464  ;  spera 
che  Perseo  la  liberi,  468  ;  mali 
trattamenti  dei  Romani,  472;  sue 
sciagure,  493;  perde  il  suo  nome 
e  diviene  provincia  romana  col 
nome  ili  Ai\-iia.  499-500,  542  ;  cause 
diMI.-i  f!-i  r-niiitn  "."11,  '  i-iiiserva 
al. 'il       ,'    '     ',  _  .  '       ,         ..'(Udini 

.TI. ir  i,  ,1   ,       r  ,         \iiiri,late, 

III,  V  ,;^:  ::         ,         ;  .li  Che- 


b'f7  ;  frequentata  dai  giovani  ro- 
mani per  apprendervi  l'eloquenza, 
695  ;  colonia  d'Augusto,  IV,  60  ; 
odio  contro  i  Giudei,  333  ;  viaggio 
di  Nerone  e  immunità  concesse  da 
lui,  418-420;  Vespasiano  le  rito- 
glie la  libertà,  495;  visitata  e  fa- 
vorita da  Adriano,  657-661  ;  opere 
pubbli.  11.'  .11  Ani. .uhi  .  Pi.i,  701, 
■    -  I.    I  '  ■    .    ,.     -,,i.  708. 


Gre.' 


iiri-icol- 


pru^pcj.ui,    .:i..a,t  e  l.;,e' la,  332; 

scorrerie  dei  Galli,   887  ;  dopo  la 

guerra  di  Annibale  il  suo  nome 

scompare,  II,  426. 
Grecia  Minore,  I,  311. 
Grecomania,  combattuta  da  Cicerone, 

III,  738  ;  e  satireggiata  da  Giove- 
nale, IV,  894. 

Grecostasi,  nel  Fòro  romano ,  desti- 
nata ad  accogliere  gli  ambasciatori 
stranieri,  I,  752  ;  tempio  alla  Con- 
cordia ivi  posto  da  Gneo  Flavio,  II, 
279;  restaurata  da  Antonino  Pio, 

IV,  701. 

Gregorio  (San),  secondo  la  leggenda 
implorò  la  salvazione  di  Traiano, 
IV,  623. 

Gregorovius  (F.),  sua  vita  di  Adriano 
IV,  692. 

Griu-ioni  (cantone  dei),  nel  paese  dei 
Reti,  ricordi  romani,  IV,  94. 

Grotefend,  sue  opinioni  sulle  origine 
■    italiche,  I,  201-202. 

Grotta  del  Diavolo  al  Capo  di  Leuca, 
stazione  preistorica,  I,  3.39.  340. 

Grotte,  usate  per  abitazione  in  Sici- 
lia, II,  103-105  ;  nella  rupe  in  Val 
d'Ispica,  105-106. 

Grumento  (Saponara),  città  della  Lu- 
cania, creduta  di  origine  pelasgi- 
ca, I,  80  ;  rovine,  294  ;  Aimibale  è 
vinto  ivi  da  Claudio  Nerone,  II, 
399  ;  presa  dagli  Italici,  III,  181. 

Grumo,  città  nella  Peucezia,  I,  349. 

Guiirini  (Raimondo),  suo  dizionario 
osco-latino,  I,  486. 


Guarnacci  (Mario),  crede  che  gli  E- 
truschi  fossero  maestri  (di  civiltà 
anche  ai  Greci,  I,  189. 

Guerra,  la  grande  arte  di  Roma,  I, 
764-765. 

Guigniaut,  sue  opinioni  sulle  origi- 
ni italiche,  I,  201,  207. 

Gulussa,  figliuolo  di  Massinissa,  com- 
batte pei  Romani  contro  Cartagi- 
ne, II,  508,  509;  con  Scipione  E- 
rniliano  prende  il  campo  di  Neferi, 
518. 

Gurguri,  monti  nell'Agro  di  Rieti,  I, 
220. 

Guruli  Vecchia  (Pa<iria),  in  Sardegna, 
ricordi  delle  antiche  genti  stan- 
ziate nell'isola,  li,  245. 

Gutta,  di  Campania,  uno  dei  duci  dei 
rivoltati  Italici,  III,  175  ;  venuto  in 
soccorso  del  giovane  Mario,  237  ; 
muore  combattendo  sotto  le  mura 
di  Roma,  259. 


Habitancum   o  Habitancium  (Risin- 

gham),  in  Britannia,  IV,  648,  651. 
Hadriani  (presso  Beidjik),  in  Bitinia, 

IV,  663. 
Halm,  suoi  versi  in  lode  di  Arminio, 

IV,  274. 
Hamii  (gli)  di  Siria,  nel  Vallo  di  A- 

driano  in  Britannia,  IV,  652. 
Hellex,  torrente  in  Val  d'Aosta,  IV, 

91. 
llenzen  (Guglielmo),  suoi  dotti  studii 

sulle  epigrafi  latine,  I,  681-682. 
Herodion ,    fortezza   in   Giudea,  IV, 

459,  488. 
Hieraso  (Pnith) ,  fiume  della  Dacia, 

IV,  565. 
Horta,    dea ,   adorata  a  Ocricoli  e  a 

Sutri,  I,  389. 
Ilypsa  (Fordungianus),  in  Sardegna, 

prende  il  nome   di  Fòro  Traiano, 

IV,  609. 
Hvrcanum  (mare)  (Mar  Caspio),  IV, 
'615. 


lamppli  (presso  Vogdhdni),  nella  Fo- 
cide,  abbellita  da  Adriano,  IV,  6.57. 

lanuale  (porta).  I,  745. 

lapige,  tìglio  di  Licaone  d'Arcadia, 
dà  il  suo  nome  alla  lapigia,  I,  334. 

lapigia  (Terra  d'Otranto,  Terra  di 
Bari,  Puglia,  ecc.),  vecchie  lez- 
gende,  I,  334-335. 

lapigii,  tribii  pelasgica,  I,  72  ;  alleati 
di  Agatocle,  II,  187. 

lapigii,  i  tre  promontorii  (Capo delle 
Castella ,  Capo  Rizzuto  ,  Capo 
delti  Cimiti),  I,  313-316. 

lapigio  o  Salentiho ,  promontorio, 
(Capo  di  Leuca),  I,  316,  338;  leg- 
genda, 339. 

lapodi,  0  lapidi,  Giapidi,  popolo  d'Il- 
liria,  al  settentrione  della  Dalma- 
zia, II,  541  ;  vinti  da  Ottavio,  III , 
C67. 

latro  (lantra),  fiume  della  Mesia,  tri- 
butario del  Danubio,  IV.  .581. 

lavoleno  Prisco,  giureconsulto,  IV, 
700. 

lazigi ,  popoli  nomadi  di  stirpe  sar- 
m.atica,  in  parte  sottomessi  da  De- 
cebalo,  IV,  .578;  assaltano  l'Im- 
pero, 734,  741  ;  protetti  dalla  pace 
di  Commodo  coi  barbari,  768. 

Iberi  d'Aquitania,  111,  424  ;  vinti  da 
P.  Crasso,  436. 


10  12 


INDICE 


IBERI 


ILISSO 


INTERPROMIO 


Iberi  del  Caucaso,  vinti  di  Pompeo, 
IH.  347  ;  soggiogati  da  Canidio, 
662;  chiedono  l'amicizia  di  Roma, 
IV,  84;  accettano  l'alleanza  di 
Traiano,  615. 

Iberi  di  Spagna,  coi  Celti  formano  i 
Celtiberi,  U,  453;  soccorrono  gli 
Iberi  d'Aquitania  contro  i  Ro- 
mani, III,  436. 

Ibcro  (Ebro),  uno  dei  più  grandi  fiumi 
di  Spagna,  vittoria  dei  Romani  sui 
Celtiberi,  U,  455. 

Ibla  Maggiore  (presso  a  Paterno),  di- 
mora dei  Siculi,  II,  106. 

Ibonio.  —  Vedi  Vibino. 

Ibrea,  oratore,  presa  Antonio  di  al- 
leviare le  sorti  dell'Asia,  HI,  633. 

Icona  (presso  il  promontorio  Pa- 
chino), dimora  dei  Siculi,  lì,  106. 

Iccara  (presso  Cai-lrà) ,  in  Sicilia, 
H,  104. 

Icelo,  liberto,  annunzia  a  Galba  che 
è  eletto  all'  impero,  IV,  430-431  ; 
ha  il  nome  di  Marziano,  432  ;  osteg- 
gia l'adozione  di  Ottone,  433  ;  giu- 
stiziato, 439. 

Iceni  (Norfolk  e  Suffolk),  tribii  indi- 
gena della  Britannia,  si  sollevano 
contro  Nerone,  IV,  396. 

Icilio  (L.),  tribuno,  ottiene  per  legge 
che  le  terre  dell'Aventino  sian 
date  gratuitamente  ai  plebei  (lex 
de  Aventino  publicando),  1,  830; 
promesso  sposo  a  Virginia,  fa 
sollevare  ì  soldati  contro  i  decem- 
viri, 838-839;  rieletto  tribuno,  840; 
si  appella  al  popolo  perchè  sia 
concesso  il  trionfo  ai  consoli  Ora- 
zio e  Valerio,  854. 

Icilio  Ruga  (Caio),  uno  dei  primi  tri- 
buni della  plebe,  I,  782. 

Icnusa.  —  Vedi  Sardegna. 

Idea  (la  gran  Madre),  altera  la  reli- 
gione romana,  lì,  302. 

Ideo  (antro),  in  Frigia,  II,  593. 

Idi,  divisione  del  mese  in  due  parti, 

I,  454. 

Idi  di  marzo,  famosi  per  la  xiocisione 
di  Cesare,  HI,  555-559,  .507. 

Idistaviso,  sulla  destra  del  Visurgi 
CVVeier),  vittoria  di  Germanico  so- 
pra Arminio,  IV,  249. 

Idomeneo  Cretese,  occupa  i  Campi  Sa- 
lentini,  I,  335,  338,  339. 

Idro  ,  flumicello  presso  Otranto,  I, 
344. 

Idrunto  {Otranto),  città  della  Mes- 
sapia,  I,  343-314. 

Iduiuei,  vinti  da  Pompeo,  IH,  319. 

legio,  duce  degli  Italici  sollevati,  HI, 
175. 

lempsale.  figlio  di  Micipsa,  III,  103- 
104  ;  fatto  uccidere  da  Giugurta, 
105. 

lempsale,  re  di  Numidia,  HI,  211. 

lerapoli  (rorine  a  Pambuh-Kalessi), 
in  Frigia,  fra  i  fiumi  Lieo  e  Mean- 
dro, patria  di  Epitteto,  IV,  843. 

lerocesarea,  città  dell'Asia.  IV,  251. 

lezia  0  Iota  (Iato),  città  dei  Sicaui, 

II,  104. 

Iguvio  [Ayobbio  e  (hibbio),  città  de- 
gli Umbri,  1,65;  Genzio,  re  d'Il- 
liria,  vi  sta  in  prigione,  li,  400; 
occupata  da  Cesare,  HI,  485.  — 
Vedi  Tavole  Eugubine. 

Uerda  (LerUìa),  nella  Spagna  Tar- 
raconcse,  IH,  294,  491.  -19.'. 

Ilia  (Calonato),  fiume  della  Magna 
Grecia,  I,  316,  319. 

Ilia.  —  Vedi  Kea  Silvia. 

Ilio,  distrutta  da  Fimbria,  IH,  245; 
privilegiata  per  la  sua  fedeltà,  11, 
453,  HI,  24S;  cuna  di  Roma,  IV, 
201;  suoi  ambasciatori  a  Tiberio 
per  condolersi  della  morte  di  Dru- 


so,,286;  liberata  di  ogni  gra- 
vezza da  Claudio,  318-349;  e  da 
Nerone,  370. 

Hisso,  fiume  ad  Atene,  IV,  658. 

Illiria  e  Illirico,  il  legato  Appio  Clau- 
dio vi  è  battuto,  lì.  472  ;  Perseo 
ne  prende  parecchie  città,  472;  di- 
chiarata libera  dai  Romani  e  di- 
visa in  tre  parti,  484;  stragi  e 
distruzioni ,  487  ;  provincia  ro- 
mana, 542;  invasa  dai  barbari,  HI, 
121;  si  oppone  al  passaggio  dei 
Cesariani,  497;  sottomessa  dai  le- 
gati di  Cesare,  514  ;  soggiogata 
da  Ottavio,  667  ;  colonie  di  Augu- 
sto, IV,  60;  commercio  con  Ro- 
ma, 202;  infestata  dai  Daci,  508; 
difesa  da  M.  Aurelio,  735. 

Illirici,  loro  scorrerie  in  Italia,  I, 
216;  e  piraterie,  lì,  247. 

Illitia-Leucotea,  adorata  a  Cere,  I, 
389. 

llliturgi  (presso  Andvjar),  città  di 
Spagna  sul  Beli,  presa  e  incen- 
diata dai  Romani,  II,  407. 

Uva.  —  Vedi  Elba. 

Imaohara  (Troina),  dimora  dei  Si- 
culi. 106;  Senato,  274. 

Imagini,  dei  membri  delle  grandi  fa- 
migfie  romane  raccolte  religiosa- 
mente negli  atrii  delle  case,  II, 
316-317;  degli  uomini  illustri  gre- 
ci e  latini  conservate  da  Terenzio 
Varrone,  111,  751. 

Imella  (Imelle),  fiume  dei  Sabini,  I, 
220. 

Imera,  colonia  greca  in  Sicilia.  II, 
118;  origine  e  vicende,  131-132; 
retta  dal  tiranno  Terillo,  159  ;  vit- 
toria di  Gerone  sui  Cartaginesi, 
160  ;  aiuta  Siracusa  a  farsi  libera, 
101;  presa  dai  Cartaginesi,  165; 
aiuta  Dionisio  contro  i  Cartagi- 
nesi, 166;  sua  statua  trovata  a 
Cartagine,  520. 

Imera.  —  Vedi  Terme  Imerensi. 

Imetto  (marmo  del  monte),  nell'Atti- 
ca, IV,  196. 

Imilcone,  cartaginese,  viene  in  Sicilia 
a  combattere  Dionisio  di  Siracusa, 
II,  107. 

Imilcone,  c,-ii-t.iginese,  (lifumle  I.ilibeo 


Imilcoiii- 
lun- 

Imilcoiii 
dea  - 


muore   di   pestilenza  a  Siracusa, 
382. 
Imilcone  Famea,  capo  della  cavalleria 
cartaginese,  si  unisce  ai  Romani, 

II,  508. 

Imperatore,  titolo  indicante  l'autorità 
suprema,  IV,  12,  10-17,  82. 

Imperatori,  pongono  statue  a  sé  stessi 
e  a  loro  donne,  IV,  810-811  ;  pa- 
droni di  tutto,  811-814;  loro  in- 
fluenza sugli  studi,  8:i'3-868. 

Imperio,  dominio  assoluto  nelle  pro- 
vince, 11,  275. 

Imperlo,  titolo  di  potere  supremo, 

III,  535. 

Impero  Houi.-uii),  sua  l'.mdazione,  IV, 
7-8;  '■ V-  .  L'ii.iii  da  Augu- 
sto, SI  ;  hi  I  '  i  Mi  li  antichi 
conlliii  ■•  :  \  ii  i'  '..'7;  il  quale 
studi.i  ri     , ,     ,1    .        |.:ii   unito  con 

estun^  ni  ,  si'colodel- 

l'èrri  \    :  71-;-.'    numero  del- 

le pr..M  ,         :-  '     r    ,,i„i.  782. 

ImpOSizi'iii:  'I   i.-li      ']:-_"ilf 

tributi  .      I    .       i   -    <■■-'■'  ri 

Servii,  I  u  ■!  r    I     :-■    :"  '    |.  .     . 
Roma   '1...   <    n./)!.;    ii.il-  :  '     7  '17 
province,  11,  Z'A-:::,  d-cnii'.  i'jl7. 


raccolte  pagate  iu  Sicilia,  272; 
tassa  graduata  sulla  proprietà  per 
la  guerra  di  Annibale,  371;  bal- 
zelli straordinari!  sulle  province, 
345;  imposta  prediale,  345;  impo- 
ste stabilite  da  C.  Gracco,  HI,  75; 
tasse  per  la  guerra  contro  i  Re- 
pubblicani, 617;  sulle  porte,  sulle 
finestre,  sui  cammini,  sui  tegoli, 
sulle  eredità,  sulle  meretrici,  ecc., 
IV,  39-40  ;  gravissime  sotto  Augu- 
sto, 75-76;  contribuzione  fondia- 
ria, 76;  imposta  sulle  eredità  a 
favore  dell'  erario  militare  ,  81  ; 
tasse  di  Caligola,  327;  imposte  e 
dogane  sotto  Nerone,  375;  di  Ve- 
spasiano sulle  latrine  e  sui  ladri 
pubblici,  ecc.,  496-497  ;  diritto  della 
ventesima  sulle  eredità  mitigato 
da  Nerva  e  Traiano,  53S-.559,  801  ; 
gravami  senza  numero,  793. 

Inarime  (isola  d'Ischia)  già  unita 
all'isola  di  Precida,  I,  20.  —  Vedi 
Enaria. 

Incenso  d'Arabia,  IV,  207-208. 

Incitato,  cavallo  di  Caligola,  IV,  325- 
333. 

Incredulità,  li,  598. 

Indara,  città  dei  Sicani,  II,  104. 

India,  commercio  e  relazioni  con  Ro- 
ma, IV,  201,  207,  209. 

Indiani,  chiedono  dì  essere  alleati 
di  Augusto,  IV,  61,  84;  e  sud- 
diti di  Antonino  Pio,  712. 

Indibile,  capo  di  tribù  in  Spagna,  si 
unisce  ai  Romani,  II,  407. 

Indo  (Sind  o  fUtìdhti),  fiume,  via  delle 
merci  dell'Asia,  IV,  207. 

Indo  (Giulio),  treviro,  nemico  di  Giu- 
lio Floro,  lo  combatte  a  favore  di 
Roma,  IV,  275. 

Indovini,  cacciati  d'Italia  da  Vitellio, 
IV,  453. 

Xnduciomaro,  treviro,  duce  dei  Belgi, 
III,  442  ;  ucciso  da  Labieno,  443. 

Industria  (Casale  ?),  eittà  dei  Liguri, 
iscrizione  alimentaria,  IV,  807. 

Inessa  (presso  Licodia),  dimora  dei 
Siculi,  II,  100. 

Inguiomei'o,  zio  d' Arminio,  vinto  ad 
Idistaviso,  IV,  249;  geloso  del  ni- 
pote, diserta,  270. 

Inico,  città  dei  Sicani,  II,  104. 

Insubri,  si  uniscono  ai  Galli,  I,  8S4- 
885  ;  alleati  dei  Boi  contro  i  Ro- 
mani, II,  249;  vinti  suU'Adda  e 
forzati  a  rimettersi  alla  discre- 
zione del  Senato,  253  ;  danno  aiuto 
ad  Annibale,  330,  340;  insorgono 
contro  Roma  e  sono  vinti,  457  ; 
sollevano  il  territorio  di  Como,  457  ; 
sconfitti  presso  Milano,  458. 

Insubria,   dapprima  chiamata  Isoin- 

bria  dagli  Umbri,  I,  65,  884. 
Jnteramna  (Terni),  città  degli  Um- 
bri, I,    65  ;    creduta   patria   dello 
storico  Tacito,  IV,  925. 

Interamna  del  Liri  (presso  Casino), 
città  dei  Volsci,  rovine,  1,  237;  co- 
lonia romana,  II,  08,  78.  267, 
208  ;  saccheggiata  dai  Sanniti,  84  ; 
dichiara  che  non  può  soccorrere 
Roma,  393,  .394. 

Interamnia  nel  Bruzio   (presso  Alto- 


monte), 


306. 


Interamnia  Frentana  (Termoli),  I, 
27,4. 

Interamnia  Pretuzia  (Teramo),  ro- 
vine, I,  227. 

Intercisa,  traforo,  detto  ora  Pa-iso  del 
Fin-Io.  nella  via  Flaminia,  11,  290. 

Iiitrrn.-ivi  (Antrodoco) ,  tra  Rieti  e 
^    ìli   iiKi,   fondata  dai  Sabini,  I, 

l.u  ,  iHMinio  (presso  San  Valentino), 
cuui  dui  Marruciui,  1,  252. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1013 


INTERRÉ 


ISCRIZIONI 


Interré,  III,  2(?7. 

Interregno,    dopo   la   morta   di   Ro- 
molo, I,  385. 
Interstita,  di\inità  del  Sannio,  I,  385. 
lol,  sulla  costa  settentrionale  dell'Af- 
frica, detta  poi  Cesarea  in  onore 
di  Augusto,  colonia  di  Claudio,  IV, 
369. 
lolao,  conduce   una   colonia  in  Sar- 
degna. Il,  -zu. 
Ionia,  regione  dell'Asia  Minore,  abi- 
tata dai  Greci  Ioni,  data  ad  Eume- 
ne U  di  Pergamo,  U,  452  ;  fa  parte 
della  provincia  d'Asia,  539  ;  opere 
pubbliche  di  Antonino  Pio,  IV,  701. 
loppe,  in  Giudea,  presa  da  Vespasia- 
no, IV,  458. 
Ippocrate,  tiranno  di  Gela,  II,  159. 
Ippocrate,  affricano,  induce  Geronimo 
di  Siracusa  ad  unirsi  ad  Annibale, 
li,  374  ;   solleva  Leontiiii    contro 
i  Romani,  375  ;  alla  testa  di  Sira- 
cusa, 376-,   è  battuto   da   Claudio 
Marcello,  379  ;  muore  di  pestilenza 
a  Siracusa,  382. 
Ippona  (Bona)^  in  Affrica,  colonia  fe- 
nicia, alleata  di  Cartagine,  II,  327  ; 
nel  suo  golfo  si  uccide  Q.  Metello 
Scipione  vinto  a  Tapso,  HI,  520. 
Ipponio,    detta  poi  Vibona  Valeuzia 
{Monteleone),   nel  Bruzio,  rovine, 
1,  299;  colonia  dei  Locresi,  U,  9ii; 
distrutta  da  Dionisio  di  Siracusa, 
171  -,  presa  da  Agatocle,  187  ;  e  dai 
Bruzi,  188;  colonia  romana,  chia- 
mata Vibona  Valenzia,    205,    267, 
2fiS,  427  ;  le  sue  terre  promesse  dai 
triumviri   ai  soldati  della   suerra 
civile,  lU,  607. 
Ipsa  {Drago),  fiume  in  Sicilia  presso 

Agrigento,  II,  121. 
Ipsa  (Belice),  fiume  in  Sicilia  presso 

Selinunte,  II,  124. 
Ipsicrazia,  concubina  di  Mitridate,  III, 

345. 
Ii-a ,    acconciatrice    delle  chiome    di 

Cleopatra,  UI,  674. 
Irca,  città  degli  Ircani,  IV,  251. 
Ircani  (presso  il  Mar  Caspio),    chie- 
dono ad  Antonino  di  divenire  suoi 
sudditi,  IV,  712. 
Ircano,  contende  il  trono  giudaico  ad 

Aristobulo,  UI,  349. 
Irpi,  schiatta  sacerdotale  sul   monte 

Soratte,  I,  410,  411. 
Irpini,  discesi  dagli  Osci,  I,  217  :  loro 
sedi,  242,  243-244,  262-266  :  si  uni- 
scono a  Fulvio  Fiacco,  II,  394  ; 
entrano  nella  lega  Italica,  m,  171  ; 
parte  di  una  regione  d'Italia,  IV,  42. 
Irrio,  noto  per  i  suoi   vivai  di  pesci, 

III,  14. 
Irtuleio  (Lucio),  questore  di  Sertorio, 
III,  294  ;  vince  e  uccide  L.  Domi- 
zio   Enobarbo,    294;    vinto   a  Ita- 
lica, 297:  sconfitto  e  ucciso  a  Se- 
gosa, 297. 
Irzio  (Aulo),  console.  III,  592  ;  muove 
contro   Antonio  in   aiuto   di  Mo- 
dena, 596  ;  prende   Bologna,  .597  ; 
vince   Antonio    a   Fóro  dei  Galli, 
597  ;  muore  sotto  Modena,  598  :  so- 
spetto che   fosse  ucciso  da  Otta- 
vio, 601  ;  storico,  776. 
Isara  {Isére).  fiume  della  GalUa  Nar- 

bonese,  UI,  600. 
Isaura,  città  dell'Asia   alle    falde  del 
Tauro ,  vittoria  di   Servilio  Vazia 
sui  pirati.  III,  331  ;  sottomessa  dalle 
truppe  di  Mitridate,  336. 
Ischia.  —  Vedi  Enaria  e  Inarime. 
Iseia,  isola  pr.-sso  le  coste  della  Lu- 
cania I,  2'>2-2'>3. 
Isc.-Lzioni  etrusL-he,  I,  4S2-4S4. 
Iscrizioni  eufranoe,  I,  477. 
Iscrizioni  niessapiclie,  I,  311-342. 


Iscrizioni  osche,  I,  485-486. 

Iside  di  Solunto,  II,  116. 

Iside,  tempio  a  Roma,  IV,  490;  di- 
strutto da  un  incendio,  510;  or- 
gie  notturne  di  donne,  894. 

Isocrate,  oratore.  III,  722. 

Isola  Tiberina,  leggenda  sulla  sua 
formazione,  I,  622. 

Isombria.  —  Vedi  Insubria. 

Ispala  Fecenia,  cortigiana,  rivela  il 
segreto  delle  turpitudini  dei  Bac- 
canali, II,  58S,  590,  591. 

Ispali  {Siviglia),  nella  Spagna  Betica, 
strage  dei  Pompeiani,  III,  532. 

Ispello  (Spello),  città  degli  Umbri,  I, 
65;  cclonia  militare,  IV,  495. 

Ispellati,  IV,  155. 

Ispica  (Val  d'),  in  Sicilia,  II,  105-106. 

Issa  (Lissa),  isola  presso  la  spiaggia 
UUrica,  abitata  dai  Pelasgi.  I,  76, 
78;  liberata  dai  pirati,  U,  248;  vi 
si  uccide  Cammillo  Scriboniano, 
IV,  361. 

Istituto  di  Corrispondenza  archeolo- 
gica in  Roma.  Annali  e  Bullet- 
ìino,  raccolta  di  dotte  ricerche  sui 
monumenti  pelasgici,  I,  102  ;  e  su 
tutta  l'antichità  greca  e  romana. 
679,  6,S1. 

Istonio  (  Vasto),  città  dei  Frentani,  I, 
254  ;  elezioni  municipali,  IV,  788  : 
iscrizione  al  fanciullo  poeta,  915. 

Istria,  si  rivolta  ed  è  sottomessa,  II, 
460  :  fa  parte  d'una  regione  d'Ita- 
lia, IV,  42  ;  commercio  con  Roma, 

Istrioni,  1,  462  ;  cacciati  di  Roma  da 
Tiberio,  IV,  252;  richiamati  da 
Caligola,  322;  potenti  sotto  Tra- 
iano, 622. 

Itacesie  (Brace,  Prace  e  Torricella), 
isole  presso  le  coste  del  Bruzio,  in 
faccia  a  Vibona,  I,  300. 

Italia,  rivoluzioni  fisiche  del  suolo,  I, 
17;  invasioni  del  mare,  1^^22  ;  vul- 
cani, 22-oJ  ;  sc'iperie  preist'jriche, 
35-19  ;  prime  trarce  dell'  nomo , 
47-19  ;  ditt'usioue  delle  prime  gen- 
ti, 50-52;  nomi  diversi  dati  al- 
la penisola,  54-56,210;  Aborige- 
ni, 57  ;  diversità  delle  prime  genti 
italiche,  58;  Liguri,  59-62  ;  Sicani 
e  Siculi,  62-63  ;  Umbri,  63-60  ;  O- 
robi,  66  ;  Euganei,  67  ;  Veneti,  67- 
68;  Pelasgi,  69-112;  religioni  pe- 
lasgiche  e  italiche,  94-98  ;  Etruschi, 
113-183;  principali  opinioni  sulle 
origini  italiche  e  specialmente  etru- 
Eche,  185-208;  Osci,  209,  215-216; 
Ausoni,  209-213;  Auniuci,  209-210, 
214-215;  S:,   i,,:.  ei-;;:5:  E^ui,  228- 


2311:  Er 


231- 


24I;Sai.i;i'  :!,-.;  I  --.,  ,"i2,266; 
Marsi,  2t.V:l-:  i'  .-..i.  249-250; 
Vestini,  25o--'51  :  .M:irrucini,  251- 
252  ;  Frentani,  252-254  ;  Sanniti  Ca- 
raceni,  255-256  ;  Sanniti  Pentri,  257- 
259;  Sanniti  Caudini,  259-262;  Ir- 
pini. 262-266  ;  Liguri  Corneliani  e 
Bebiani,  2'i5  ;  Campani,  266-283  ; 
Sidicini,  283  ;  Lucani,  284-296  ;  B.  u- 
zi,  296-:»')  ;  Magna  Grecia  e  co- 
lonie greche  in  altre  regioni  ita- 
liche .  307-332,  11,  96,  117,  118, 
1  «-156  ;  Salentini ,  1 ,  335-340  ; 
Messapi,  341-:il7  ;  Peucezi,  348-350  ; 
Dauni,  350-357;  Appuli,  3.57-3.59; 
religione  e  ordinamenti  civili  de- 
gli antichi  popoli  itaUci ,  364-416  ; 
le  ani  in  Etruria,  416-449;  le  scien- 
ze, 451-461  ;  la  storia  e  la  poesia 
461-464  ;  musica,  464-4G8  ;  lingue, 
468-189  ;  costumi  e  usi,  489-.521  ; 
invasa  dai  Galli,  884-885  ;  sotto  Tim- 
perio  di  Roma  dall'Alpi  allo  Stretto 
Siculo,  II,  256  ;  sue  condizioni  do- 


po la  conquista  romana,  257-258; 
ordini  e  gravami  diversi,  271-272  ; 
divisa  in  quattro  regioni,  306  ;  in- 
vasa da  Annibale,  336  e  segg.  ;  re- 
sta fedele  a  Roma  dopo  la  batta- 
glia del  Trasimeno,  355  ;  offre  aiu- 
ti a  Scipione  per  la  guerra  d'Af- 
frica, 409-110;  dopo  la  guerra  di 
Annibale  ,  425-127  ;  rovinata  dai 
latifondi.  III,  12,  16;  invasa  dai 
Cimbri,  131-135;  sue  tristi  sorti 
sotto  Roma,  157-159  ;  figurata  sul- 
le monete ,  176  ;  piena  di  stragi, 
264-269  ;  in  potere  di  Cesare,  490- 
491  ;  travagliata  da  sedizioni  per 
opera  dei  Cesariani,  514  ;  terrore 
all'arrivo  d'Ottavio,  635  ;  ruberie 
dei  suoi  soldati,  636;  fame  e  tu- 
multi, 637;  desolata  dalla  carestia  e 
dalla  peste,  IV,  21  ;  sue  sorti  nelle 
guerre  civili,  41  ;  estesa  dallo  Stret- 
to di  Sicilia  fino  al  piede  delle  Al- 
pi, 41  ;  scompartita  da  Augusto  in 
undici  regioni,  41-42  ;  governo  del- 
le regioni,  42  ;  tributi,  42-43;  spo- 
gliata dai  coloni  imperiali,  43; 
la  sua  forma  dipinta  nel  tempio 
della  Dea  Telliire,  50;  vie,  64- 
67  ;  nei  primi  anni  del  governo  di 
Tiberio  252;  rapine  di  Caligola, 
327  ;  straziata  da  Ottone  e  da  Vi- 
tiUio,  450;  tranquillità  ristabiUU 
da  Vespasiano,  499;  pestilenza 
sotto  l'impero  di  Tito,  510  ;  Adria- 
no le  rimette  i  debiti  arretrati, 
631  ;  divisa  da  lui  tra  quattro  con- 
solari. 636;  opere  pubbliche  di 
Adriano,  637;  e  di  Antonino  Pio, 
701;  pestilenza,  733;  minacciata 
dai  barbari  nordici,  734;  difesa 
da  Marco  Aurelio,  735;  alla  giu- 
stizia nelle  sue  regioni  presiedono 
cinque  giuridici,  738;  le  condizioni 
italiche  sotto  l'Impero  narrate  da 
G.  B.  Garzetti,  781;  sfoggio  di 
monumenti  e  ai  miseria,  794  ;  pe- 
stilenze, 800-801;  mal  governo, 
carestie  e  spopolamento.  801  ;  pub- 
blici alimenti  ai  fanciulli,  801-810; 
corruzione,  821-&30. 
Italia  meridionale,  si  solleva  in  fa- 
vore di  Annibale  dopo  la  batta- 
glia di  Canne,  II,  363;  sta  con 
Roma  contro  la  lega  italica.  III, 
172;  disertata  da  Siila,  266;  oc- 
cupata da  Spartaco,  306. 
Italia  settentrionale,  risponde  in  par- 
te all'  appello  di  Cinna  e  di  Car- 
bone, in,  250. 
Italica,  città  dei  Pelignì.  —  Vedi  Cor- 

flnio. 
Italica  (presso  Sir^iglia),  colonia  fon- 
data da  Scipione  Affricano,  II,  408  ; 
vittoria  di  Metello  sopra  Irtuleio, 
III,  297;  resp  .-  T  :  r.7i  i  Var- 
rone,  493-  v        •    '     l  ■'.  IV, 

549;  rovine  _       I     ^"nti- 

ponce.hi':*-:,'      Y  .  Villano, 

624;  colmala  .11  .i....  uu  lui,  655; 
che  vi  ha  rufiioio  di  quinquenna- 
le, 671. 
Italici,  ingrossano  la  plebe  di  Roma, 
III,  17  ;  vien  loro  offerta  la  citta- 
■  dinanza  romana  invece  della  di- 
stribuzione delle  terre,  66-67,  77  ; 
loro  triste  sorti,  157-159;  studi 
per  avere  la  cittadinanza  romana, 
160-161;  oppositori  alla  legge  a- 
graria,  161  ;  tacciati  da  Roma, 
163;  cospirano  e  si  armano,  168; 
scoppio  della  rivoluzione,  170  ;  le- 
ga italica,  171-172;  assediano  Alba 
sul  lago  Fucino,  180;  e  Pinna, 
181  ;  loro  \'ittorie  e  sconfitte,  181- 
186  ;  chiedono  aiuto  a  Mitridate, 
187;   sconfitti   ad  AscoU,  187-190; 


1014 


INDICE 


LAURENTO 


\-ÌDti  ì  Piceni,  Vestirli,  Peligni, 
Marrucini,  Marsi.  190  ;  nella  Cam- 
pania e  nel  Sannio,  191-1^  ;  seon- 
ritti  a  Teano  si  sottomettono,  193- 
1!M;  si  uniscono  a  Cinna,  209-216; 
e  poi  a  Emilio  Lepido,  288. 

Italico,  nipote  di  Arminio,  dato  da 
Claudio  per  re  ai  Cheruschi,  IV, 
348. 

Italioti,  tribù  pelasgica,  I,  72. 

Italo,  re  o  duce  mitico  degli  antichis- 
simi ItaU,  I,  5:^-56. 

Itucci ,  VirtKS  Julia  (presso  Valen- 
zuela).  colonia  nella  Spagna  Be- 
lìca,  IV,  60. 

Iturei,  abitatori  di  un  distretto  di  Pa- 
lestina, vinti  da  Pompeo,  III,  3t9; 
condotti  da  Traiano  a  ripopolare 
la  Dacia,  IV,  580. 

Inlin  Anglista  Apoìlinafium  Reio- 
rum  {Riez  nel  dipartimento  delle 
Basse  Alpi),  colonia,  IV,  5^. 

Julia  Jieterra.  —  Vedi  Bcterre. 

Julia  Valentia  {Valence),  nella  Cal- 
ila Narbonese  ,  colonia  romana, 
IV,  53. 

lulinm  sidus,  simbolo  dei  Cesariani, 
III,  649. 

luvavo  (S(Uisbicrgo)^  nel  Nerico,  IV, 
638. 

Ivica ,  detta  Ebuso  in  antico  ,  isola 
presso  le  coste  orientali  della  Spa- 
gna Tarraconese,  III,  295. 

Ixia  o  Asia  nel  Bruzio  (Carolei),!.  306. 

Izio  (porto  d')  (a  Boviogne  e  secondo 
altri  a  WmfoiO,  UI,  439,  440. 


Kabbala,  attribuita  ad  Akiba,  IV,  684. 

Karnak.  —  Vedi  Tebe. 

Koch,  sue  opinioni  sulle  origini  etru- 
schi, 1,  204. 

Kulumbacz  (nella  Serma),  vestigli 
della  via  Traiana,  IV,  568. 

Kimri.  —  Vedi  Cimbri. 


Labeone.  —  Vedi  Antistio  Labeone 
e  Atinio  Labeone. 

I.aberio  (D.),  cavaliere,  scrittore  di 
mimi,  HI,  789  ;  forzato  da  Cesare 
a  rappresentarli  sulle  scene,  530, 
789-790. 

Ijilierio  Massimo  (Manio),  governa- 
tore nella  Mesia,  alla  prima  guer- 
ra dacica,  IV,  571  ;  fa  prigioniera 
la  sorella  di    Decebalo,   573;  pre- 

LallicO    e"  /'•'")     ,.    ■■     I       M    ■'.     ■'  :A::     '- 

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Roma  a  :  :■.•  iv  ^l-i  I  ■ --'liii  ur.,  >■  ;l  . 
prtfsa  (la  (  on.il.-ui'j,  ^al;  cuI.ìihh 
romana,  8t^,  860,  11,  267  ;  nella 
guerra  dei  Volsci  resta  fedele  a 
Roma,  14. 

I,.ibieno.  —  Vedi  Azio  Labieno. 

Labieno  (Tito),  retore,  IV,  185;  chia- 
mato Rabieni)  pel  suo  «lire  rab- 
bioso, 186;  suoi  scritti  arsi,  186, 
187  ;  si  seppellisce  vivo ,  186  ;  ri- 
messo ili  onore  da  Caligola,  colla 
licenza  di  publilicare  le  sue  opere, 
318,  8(ri  ;  sua  Storia  delle  guerre 
civili,  918. 

Lacedemoni,  premiati  da  Augusto  per 
le  accoglienze  fatte  a  Livia,  IV, 
61.  —  Vedi  anche  Spartani. 

I«icero,  ingegnere,  costruisce  il  gran 
ponte  sul  Tttgo,  IV,  610. 


Lacinio  (Capo  delle  Colonne),  pro- 
montorio nella  Magna  Grecia  pres- 
.   so  Crotone,  I,  Z\&^ 

Lacone  (Cornelio),  favorito  di  Galba, 
suo  governo,  IV,  432  ;  osteggia 
l'adozione  di  Ottone,  433  ;  esiliato 
e  ucciso,  439. 

Lacone  Greciuo,  prefetto  delle  guar- 
die notturne,  IV,  302. 

Lafrenio  (T.),  duce  degh  Italici  rivol- 
tati, 111,  175  ;  mette  in  rotta  Pom- 
peo Strabone,  183;  ucciso  a  Fermo 
in  battaglia,  185. 

Lagaria  (a  Nogara  o  a  Castrovilla- 
r>),  città  della  Magna  Grecia,  1, 
322. 

Laguna  di  Venezia,  sua  estensione  in 
antico,  I,  21. 

Lamaco,  nella  spedizione  degli  Ate- 
niesi contro  Siracusa,  li,  164. 

Lambaesa  o  Lambaese  (  Lambessa 
nella  proìincia  &  Costnntina)  , 
città  della  Numidia,  iscrizioni,  pre- 
torio, acquidotti  e  altre  rovine  ro- 
mane, IV,  655-636;  opere  pubbli- 
che di  Antonino  Pio,  701. 

Laraeto  (Laniato),  fiume  nel  Bruzio, 
I,  297,  298. 

Lamezia  [Santa  Eufemia),  nel  Bru- 
zio, I,  298. 

Lamezio  [Capo    Suvero),   promonto- 

Larnia  iZititni'),  in  Tessaglia,  difesa 
dagli  Etoli,  lì,  447. 

L,amie  (tre),  altare  nel  Vallo  di  Adria- 
no, IV,  6.52. 

Lainpete  {Capo  Lamantia),  promon- 
torio nel  Bruzio,  1,  298. 

Lampezia  o  Clampezia,  nel  Bruzio, 
I,  298. 

Lamponio  (M.),  lucano,  duce  degli 
Italici  rivoltati,  HI,  175;  con-e  vit- 
tnric.so  hi  Lucania  e  l'Apulia,  181; 
tu'  I  'Il  -         ip're  il  giovine  Ma- 

Laii  I    \ ir.itocle  e  sposa  di 

L:ui' I    I  II,    ^iii.ndo),   dimostra 

I  .  '  I  .iiitica  storia  Ro- 

Lai,.  .     i|i.,i.-    .    1^  mei',  iberiche  e  a- 

Laugubardi ,  tiil)U  germanica  sulle 
sponde  dell'Elba,  sottomessi  da  Ti- 
berio, IV.  221. 

Lancùlirifa  (»]\r  foci  del  Togo),  città 
ili  I  111'  lini,  assediata  e  liberata 
.il   -    .1    1         ili.  ■,>'.)4. 

Lann.i  ',  '■  /  "(/«'a),  nel  Lazio, 
si  ilr-i  i-.,.i  ,t  ,  (l:i  Diomede,  1,  351  ; 
rovine.  54:j;  la  guerra  a  Roma  a 
favore  dei  Tarquinii,  631  ;  Cammino 
vi  vince  i  Volsci,  II,  13;  si  rivolta 
I  intro  Roma,  14  ;  riceve  la  citta- 
1  Hill,  a  senza  voto  nelle  assem- 
^||  municipio  con  suft'ragio, 
J  i  I  it u re,  31 1  ;  uccisione  di  Clo- 
1  111.    472;    culto   di    Antinoo, 

l\      '.;•'       |iiln,i    .11    Al, I., nino    Pio, 

mi:       11   .li;,    :■'!     ■.  n|,ii,  701. 
LaiL'i     I    ,i_  ,  1     ì,    -lilla    liii- 

Lairi;,',,,,,',^),  u'uu.c  1,1  Lu,  .u.ia,  I,  288, 
2;«. 

I-ao  [Sralen),  città  della  Lucania,  I, 
2n3;  colonia  di  Sibari,  lì,  96,  118; 
i  Turii  vi  sono  sconfltti  dai  Lu- 
cani, 169. 

Laodicea  di  Frigia  (Eshi  JJissar),  sul 
fiume  Lieo,  III.  228;  consegna 
Quinto  Oppio  a  Mitridate.  229  ;  an- 
fiteatro inaugurato  dal  padre  di 
Traiano,  IV,  S.'iO. 

Laodicea  di  Siria  {I.ndihieh),  asse- 
diata e  presa  da  Cassio,  IH,  619; 
Kóro  e  terme  di  Antonino  l'io,  IV, 


701  ;  residenza  invernale  di  L.  Ve- 
ro, 729. 

Larcher,  risponde  al  Levesque  sulle 
questioni  dell'origine  di  Roma,  1, 
648. 

Larenzia  (Acca),  moglie  di  Faustolo, 
I,  571,  572. 

Largizioni  pubbliche,  congiarii,  do- 
nativi, ai  tempi  della  Repubblica, 
m,  18,  72,  75,  101,  528,  537;  sotto 
l'Impero,  IV,  17,  106.  253,  558,  575, 
581,  592,  697-698,703,  726,  749,  785, 
802. 

Lari  e  Penati,  I,  398-400,  738-740  ;  sa- 
cerdoti dei  Lari,  IV,  26  :  culto  ri- 
messo in  onore  da  Augusto,  33; 
tempio,  192. 

Lari  Transmarini  (tempio  dei),  II, 
603. 

Larino,  città  dei  Frentani,  rovine,  1, 
254. 

Larissa,  più  città  e  fortezze  pelasgi- 
che  con  questo  nome,  I,  71,  80, 
198. 

Larissa  {Campo  delle  pietre),  nella 
Campania,  I,  79  ;  detta  dai  Ro- 
mani Fòrum  Popilii,  269. 

Larissa,  nella  Tessaglia,  vittoria  di 
Perseo  su  Licinio  Crasso,  II,  470. 

Larunda,  madre  dei  Lari,  I,  384,  741. 

Larve,  in  Etruria,  I,  400. 

Larzio,  compagno  di  Orazio  Coclite, 
I,  626. 

Laferano  (Plauzio),  console  designa- 
to, congiura  contro  Nerone,  IV, 
406  ;  scoperto,  407  ;  sua  morte,  409. 

Latifondi,  rovina  d'Italia,  I,  797,  III, 
10,  12,  16. 

Latine  (ferie),  sul  monte  Albano,  I, 
413,  535,  .547-548. 

Latini,  discendono  dagli  Osci,  I,  217  ; 
col  nome  di  Aborigeni,  e  di  Casci, 
e  di  Prisci  Latini  prendono  stan- 
za sulle  rive  del  Tevere,  .527-528  ; 
loro  confederazioni,  535;  si  aduna- 
vano nella  selva  di  Ferentino,  542, 
599  ;  sconfìtti  da  Anco  Marzio,  595  ; 
e  da  Tarquinio  Prisco,  .599  ;  lega 
latina,  604;  resa  più  stretta  da 
Tarquinio  il  Superbo,  611;  si  ac- 
cordano per  rimetterlo  in  trono, 
630-631  ;  e  sono  sconfìtti  al  lago 
Regino,  630-633  ;  coi  Sabini  ed  E- 
truschi  danno  origine  a  Roma, 
690;  trattato  con  Roma,  772-773; 
soccorrono  Roma  minacciata  da- 
gli Equi  e  dai  Volsci,  866;  e  l'aiu- 
tano all'iissedio  di  Veio,  875  ;  aiu- 
tano i  Volsci  contro  i  Romani,  II, 
12-14:  alla  battaglia  di  Pidna, 
479;  loro  arti  e  sforzi  per  otte- 
nere la  cittadinanza  romana.  III, 
160  ;  fedeli  a  Roma  durante  la 
guerra  sociale,  178;  privilegiati 
del  diritto  dei  Quiriti  oa  Claudio, 
IV,  336-3.57. 

Latinio  Laziare,  senatore ,  sue  insi- 
die contro  Tizio  Sabino,  IV,  297. 

Latino  (il  re),  scompare  dopo  una 
battaglia,  I,  582;  ed  e  poscia  dei- 
ficato col  nome  di  Giove  Laziale, 
.528  ;  suo  tempio,  535,  547,  548. 

Latomie,  carceri  scavate  nelle  rupi 
a  Siracusa,  II,  173-174. 

Latrine  pubbliche  a  Roma,  IV,   496. 

Latriiigi,  popoli  Sarmati,  assaltano 
l'Impero,  IV,  734. 

Laurento  (paludi  di).  III,  207. 

Laureiito  (presso  il  casale  di  Capo- 
rott'i).  città  del  Lazio,  1,536-537; 
spopolata  e  riunita  a  Lavinio,  540  ; 
citta  vicine  ad  essa,  542  ;  sede  dei 
primi  re  del  Lazio,  563;  fa  guerra 
a  Roma  in  favore  dei  Tarquinii, 
631  ;  ricordata  noi  trattato  di  Roma 
con  Cartagine,  727;  dopo  la  scoii- 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1015 


LAVINIO 


LEGGE 


LEGGI 


futa  (Iella  lega  latina  non  è  punita, 
II,  50  ;  culonia  militare,  IV,  43:  i- 
scrizione  ad  Antonino  ampliatore 
della  vecchia  città,  716  ;  villa  lau- 
rentina  di  Plinio  il  Giovane,  943. 

Lauro-Laviiiio,  comune  formato  da 
Lavinio  e  da  Laurento,  1,  540. 

l.auroiie  (probabilmente  Laury),  città 
della  Spagna  Tarraconese,  espu- 
gnata e  incendiata  da  Sertorio,  IH, 
297. 

Lautule  (presso  Terracinn),  ì  Roma- 
ni vi  sono  sconfitti  dai  Sanniti,  li, 
67. 

Lavico.  —  Vedi  Labico. 

Lavinio  {Pratica),  città  del  Lazio, 
tempio  per  1»  feste  latine  ivi  presso, 

I,  535:  metropoli  religiosa  dH  La- 
tini, 538-540;  sp..p..i-it->  ^  vin-iti 
a  Laurento,  540;  '  i  1 1  . 
del  Lazio,  565;  i  i  i  l; 
per  ITarquinii,  CI  |  - 
riolano,  791:   resi--      n  i;   :;, n 

II,  48;  ricordi  di.\driaii.>,  IV,  r>:!7. 
Lavino,    fiume   presso   Bologna,  111. 

606. 

Lazi,  tribù  della  popolaJione  indigena 
abitatrice  dei  dintonii  del  Cau-asi., 
hanno  un  re  da  Aiit  .nino.  IV.  711. 

Lazio,  vulrani  spenti  I.  JO  ;  sin.ì  r..n- 
fini.  525-.V26  ;  primi  nliitafiri.  .".27; 
tradizioni  mitiche,  ,")2.S-.531  ;  Si.-u- 
li.  Aborigeni,  Osci  e  Pelasgi.  531  ; 
colonia  Troiana  condotta  da  Eu.'a, 
,532-534  ;  confederazioni  latine,  .53^); 
topografia,  536-566;  predato  d.ii 
Sabini,  866;  rinnova  la  sua  al- 
leanza con  Roma,  li,  36;  studia 
di  sottrarsi  al  giogo  di  essa,  42- 
43;  lega  latina,  4.3-44;  vinta  al 
Vesuvio,  47;  a  Tritano,  48;  e  al 
fiume  Astura,  49;  è  sottomessa  e 
sciolta  la  lega,  49-52  ;  disertato 
dai  Galli,  168;  dopo  la  battaglia  di 
Canne  rimane  fedele  a  Roma,  363  ; 
Mario  gli  chiede  aiuti  contro  Giu- 
gurta.  III,  115;  forma  colla  Cam- 
pania una  regione  d'Italia,  IV, 
42;  non  ha  giuridico,  738;  mise- 
ria e  desolazione,  794. 

Lesati  romani,  prepotenti  e  feroci 
an.'he  coi  socii  Italici,  III,  1.58: 
abuso  di  questo  titolo  per  viaggia- 
re a  spese  pubbliche  combattute) 
da  Cicerone,  158,  370. 

Legati  nelle  province,  IV,  48. 

Legazioni  libere.  III,  158. 


Sanniti,  II,  8.V87  ;  legioni  romane  : 
Fulminata,  IV,  744;  Italica,  465; 
Melitina,  744  ;  Rapace,  465  ;  si  sol- 
levano in  Pannonia,  244-245  ;  e  in 
Germania  245-246;  feroce  repres- 
sione, 247;  ridotte  a  25  da  Augu- 
sto, 78  :  come  distribuite,  78  ;  era- 
no 30  nel  secondo  secolo  dell'Im- 
pero, 783  ;  province  dove  stanzia- 
vano, 783-784. 

Legioni  d'Oriente,  disposte  a  rivolta, 
IV,  461;  fanno  imperatore  Vespa- 
siano, 462  ;  Traiano  ne  ristora  la 
disciplina,  613;  corrotte  dal  lun- 
go ozio,  712. 

Legioni  del  Reno,  si  .sollevano  contro 
Nerone,  IV,  424;  e  contro  Galba, 
434  ;  marciano  alla  volta  d' Italia, 
439  ;  danno  1"  impero  a  Vitellio, 
440;  in  anarchia,  476;  battute  a 
Bonna,  a  Magonza  ,  a  Novesio  , 
476  ;  Ceriale  perdona  a  quelle  ri- 
bellatesi, 477-478. 

Legge  agraria.  —  Vedi  Leggi  agra- 

Legge  Appuleia,  nvaiestatis,  di  lesa 
maestà  della  Repubblica,  UI,  146. 


Legge  Afernia,  de  multa,  sulle  mul- 
te, 830. 

Legge  Aurelia,  indiciaria ,  riforma- 
ta da  Augusto,  IV,  31. 

Legge  (la  prima),  contro  le  brighe 
patrizie  nelle  elezioni,  1,  864. 

Legge  Calpurnia,  derepetvndis,sìi\\e 
concussioni  dei  magistrati ,  Il , 
554. 

Legge  Canuleia,  sui  connubii  tra  pa- 
trizi e  plebei,  I,  854-855. 

Legge  Cassia,  tabellaria ,  sul  voto 
segreto  nei   giudizi    popolari,  III, 


Legge  Cincia,  de  donis 

bus,  vietante  ogni  sorte  di  rimu- 
nerazione ai  patrocinatori  delle 
cause.  II,  558. 

Ton-jn  ni'ia.  svmtuftria ,  estesa  a 
'--  .   1  l'Mia,  II,  576. 

!  I'     :   i.  contro  chi  lasci  la  ple- 

I  tribuni,  e  tolga  di  mezzo 
:   -li|'  11  i  al  popolo,  I,  840. 

Leg-e  Fannia,  svmtua>-ia,  per  fre- 
nare le  spese  soverchie  dei  con- 
viti a  Roma,  II,  576. 

Legge  frumentaria  di  Caio  Gracco, 
III,  75. 

Legge  Gabinia,  tabellaria ,  dei  voti 
scritti  su  tavolette  per  la  elezione 
dei  magistrati.  III,  .59. 

Legge  Geronica,  del  re  Gerone  di  Si- 
racusa. II,  373. 

Legare  Giulia,  de  ciritaU^  socinrum, 
sulla  cittadinanza  agli  Italici  al- 
leati rimasti  fedeli.  III,  186,  194. 

Legge  Giulia,  de  maritandis  ordi- 
nibv.s,  IV,  36. 

Legge  Giulia  municipale,  IV,  786-787. 

Legge  Icilia,  de  Aventino publican- 
do,  I,  830. 

Legge  di  maestà,  sotto  la  Repubblica, 
III,    146,  273,  IV,  278;  di  Cesare, 

III,  538;  sotto  Augusto,  IV,  21, 
184;  sotto  Tiberio,  278;  abolita  da 
Tito.  509;  e  da  Traiano,  559. 

Leggo  di  Mario,  per  impedire  la  sol- 
lecitazione dei  suffragi.  III,  101. 

Leggo  Menia,  contro  il  veto  delle 
curie  patrizie  nelle  elezioni,  II,  31, 
280. 

Legge  municipale  di  Malaga,  IV,  785- 

Legse  municipale  di  Salpensa,  IV, 
'783-787. 

Leggo  Ogulnia,  per  la  elezione  dei 
plebei  al  pontitìcato  e  all'augu- 
r.ato,  II,  280. 

Legge  Oppia,  sumtuaHa,  a  limita- 
zione del  lusso  muliebre,  II,  371  ; 
abolita,  583-585. 

Legge  Orchia,  sumtuaria,  per  limi- 
tare il  lusso  delle  mense,  e  il  nu- 
mero dei  convitati,  II,  576. 

Legge  Papia  Poppea,  contro  i  celibi, 

IV,  36-38,  140,  356. 

Legge  Papiriae  gius  civile  Papiriano, 
fe  un'impostura,  I,  720. 

Legge  Pedia,  contro  gU  uccisori  di 
Cesare,  III,  604. 

Legge  Petelia,  de  a>nbitu  ,  contro  i 
plebei  concorrenti  al  consolato, 
II,  28. 

Legge  Petronia,  a  protezione  degli 
schiavi,  IV,  376. 

Legge  Plauzia,  de  ri,  contro  chi 
turbi  con  armi  l'ordine  pubblico, 
IH,  201. 

Log-e  Publilia  (del  tribuno  Publilio 
Vulerone),  per  la  elezione  dei  tri- 
buni e  degli  edili  plebei  nell'as- 
somhloa  delle  tribù,  I,  787,  812-814. 

Leggo  regia,  de  iinperio  principis, 
tenuta  come  titolo  legale  del  po- 
tere assoluto,  IV,  23-W.  —  Conf. 
IV,  473,  474  in  nota. 


Legge   Scantinia ,    contro  le  libidini 

infami,  IV,  521. 
Legge  Sempronia,  de  capite  civium, 
(di  C.  Sempronio  Gracco),  violata 
colla  condanna  dei  seguaci  di  Ca- 
tilina,  HI,  385. 

Legge  Servilia,  iudiciaria,  (di  Ser- 
vino Cepione),  IH,  145. 

Legge  Terentilla,  chiedente  leggi 
scritte  e  uguali  per  tutti,  1,  822, 
824,  830-831. 

Legge  Toria,  sull'agro  pubblico.  III, 
102. 

Legge  Trebonia,  chiude  le  porte  del 
tribunato  ai  patrizi,  I,  8o4. 

Lesge  Valeria  (di  L.  Valerio  Fiacco), 
sui  debiti.  III,  221. 

Legge  Voconia ,  suU'  eredità  delle 
donne,  intesa  a  impedire  che  in 
loro  mano  si  accumulassero  molte 
ricchezze,  II,  581,  582. 

Leggi,  a  Roma  erano  ignote  ai  plebei 
e  non  uguali  per  "tutti,  1,  822; 
esposte  nel  Fòro  le  antiche  ritro- 
vate dopo  l'incendio  dei  Galli,  II, 
11-12;  commentate  da  Cicerone, 
IH,  731. 

Leggi  agrarie,  loro  indole,  I,  799-800; 
Spurio  Cassio  ucciso  per  esse,  1, 
802;  vane  promesse  del  Senato, 
803;  vane  e  pericolose  domande  di 
altri,  806,  812  ;  divisione  dell'  A- 
ventino,  830  ;  contrasti  violenti, 
864  ;  limitazioni  al  possesso  del- 
l'agro pubblico,  II,  22-24,  29  ;  legge 
di  Tiberio  Gracco,  III,  49-,52  :  ótte- 
iHila  ruUa  violenza,  53;  ostacoli 
all'esecuzione,  54:  eseguita  con 
mirabili  eH'elti ,  60;  contrastata 
dai  soci  Italici  e  lasciata  sospesa, 
61,  66-67:  riconfermata  da  Caio 
Gracco,  72  :  distrutta  dalla  reazio- 
ne dei  nobili,  102;  rimessa  in  cam- 
po dal  tribuno  L.  Filippo,  147;  leg- 
ge agraria  proposta  da  Rullo,  367- 
369  ;  e  da  Flavio,  404  ;  legge  agra- 
ria di  Cesare,  408-410,  465. 

Leggi  Cornelie  (di  Siila),  'inaiestatis , 
Ut,  273,  461  ;  sulle  elezioni  dei  pon- 
telìci,  273,  360;  de  iùdiciis,  de 
iniv.riis,  numaria,  de  repetun- 
dis,  de  sicariis,  testamentaria  o 
de  falsis,  de  renefìciis,  271-274. 

Leggi  delle  XII  Tavole  t,  369,  653, 
654.  83.3-8.36;  loro  origine  greca  o 
romana,  842-844:  principio  e  fon- 
damento a  tutta  la  civile  giuri- 
sprudenza, 845-853:  non  pare  che 
punissero  le  ingiurie  dette  in  giu- 
dizio, UI,  709. 

Leggi  di  Caio  Gracco,  III,  71-72. 

Leggi  Licinie,  sui  debiti,  sul  possesso 
dei  beni  pubblici,  e  sulla  dignità 
del  consolato  da  accordare  ai  ple- 
bei, II,  21-24,  31,  32,  275,  III,  12, 
e  48. 

Leggi  Manille,  per  dare  pieni  poteri 
a  Pompeo,  e  per  la  confusione  dei 
suffragi!  nelle  elezioni,  de  cmifu- 
sione  stifTragiorum  o  de  liberti- 
noruni  stiffragH.i,  HI,  343,  355. 

I^eggi  Orazie  Valerle,  I,  840. 

Leggi  Ortensie,  a  conferma  di  tutti 
i  diritti  conquistati  dal  popolo, 
li,  280. 

Leggi  Porcie,  de  capite  ciriuni,  vie- 
tanti di  battere  e  di  uccidere  i 
cittadini  romani,  II,  .5.57-558;  vio- 
late nella  condanna  dei  Catilinarii, 
IH,  385. 

Leggi  Publilie  (di  Q.  PubliUo  Filone), 
sui  plebisciti,  e  sul  veto  dei  comizi 
curiati,  II,  30.  280,  HI,  272,  284. 

Leggi  regie,  1,  719-720. 

lieggi  rodianfl.  —  Vedi  Leggi  d'Au- 
gusto. 


1016 


INDICE 


LEGGI 


LICINIO 


Leffoi  sacre  di  Anco  Marzio,  I,  595. 

Le^li  Sulpicie,  DI,  204-206;  aboUte, 
207  •  China  propone  che  siano  ri- 
messe in  vigore,  208 

Legsi  suntuarie,  U,  Sii,  5/b,  5aj-D»o, 

Leo'-'i'a  tutela  della  vita  e  della  li- 

"bertà,  n,  30. 
Le-gi  di  Cesare,  in,  408-411,494-495, 

Leg.'i  di  Adnano,  IV,  671-673. 
Lejrgi  di  Antonino  Pio,  IV,  707. 
Le<"»i   d' Augusto ,    a    sostegno    del 
"principato,    IV,  29-30;  sulla   pro- 
prietà territoriale,  51  ;  per  l'ordi- 
namento d'Italia,  di  Roma  e  delle 
Srovince,  41  e  segg.  ;  le  leggi 
iane  sul  commercio  rese  -  ■•' 
a  tutto  l'Impero,  209. 
Leggi    di  Marco   Aurelio,   IV,  733, 

737-740. 
Leggi  di  Domiziano,  IV,  521. 
Lelgi  di  Nerone,  IV,  37J-37C. 
Leggi  di  Nerva,  IV,  548. 
Leggi  di  "■'      ''    "'   """ 
Le?Si  d^  ,       ., 

Leggi  di  Vespasiano,  per  la  nfonna 

dei  costumi,  IV,  505. 
Legnami  da  costruzione  nel  Ponto, 

IV,  207. 
Leida.  —  Vedi  Lugduno  dei  Batavi. 
Leliano  Ponzio,  IV,  712. 
Lelio  (Caio),  legato  e  amico  di  P.  Sci- 
pione, comanda  in  Ispagna  la  flot- 
ta, II.  406  ;  alla  espugnazione  di  Car- 
tagena,  406-407.   porta   a   Roma 
le  novelle   della  vittoria,  407;  ri- 
torna di  Spagna  a  Roma  con  Sci- 
pione, 408;  va  con  lui  alla  guerra 
di  Affrica.  413. 
Lelio  (Caio),  detto  il  Sapiente,  figlio 
del  precedente,  nella  terza  guerra 
punica    combatte    alla   presa    del 
rampo  e  della  città  di  Neferi,  II, 
518;  entra  nel  Cotone,  518;  fami- 
liarissimo   di  .Scipione  Emiliano , 
651.  652;   meditò   di  riparare   al 
soverchio  crescer  dei  servi,  III,  44  ; 
arguto  oratore,  693-694. 
Lemano  [Lago  di   Ginevra),  III,  92, 

95,  123. 
Lemno   {Stilimene),   una  delle   più 
grandi  isole  del  mare  Egeo,  \itto- 
ria  di  LucuUo  su  Mitridate,  III,  339. 
Lemuri,  in  Etruria,  1,  400. 
Lenoni,  lì,  .596,  IV,  673. 
Lenormant,  sue  opinioni  sulla  ci\i!tà 

etrusca,  I,  118. 
Lentulo  (un),  tiene  a  Capua  scuola  e 

deposito  di  gladiatori.  III,  304. 
Leone,  simbolo  dei  Pompeiani.  HI,  648. 
Leone  di  Cheronea,  III,  241-242. 
L«oni,   portati   a    Roma  dalle   navi 

d'Egitto,  IV.  206. 
Leontini  {Lentini),  sede  dei  Siculi, 
II,  107:  colonia  greca,  118,  119, 
128;  sotto  il  tiranno  Panezio,  158; 
assalita  dai  Siracusani  chiede  aiuto 
agli  Ateniesi,  163-164  :  Dionisio  ne 
trasporta  gli  abitatori  a  Siracusa, 
166;  Tiraoleone  la  libera  dai  ti- 
ranni, 180;  si  dà  a  Pirro,  200; 
Botto  Gerone  Secondo,  208  ;  presa 
da  Claudio  Marcello,  375. 
Leopardi,   portati  d'Egitto  a  Roma, 

IV,  206. 
Lepido  (Larcio),  all'assedio  di  Geru- 
salemme, IV,  482. 
Lepsius  (Riccardo),  suo  opinioni  sulle 

origini  italiche.  I,  196-201. 
Lepti  (la  Piccola),  colonia  fenicia,  al- 
leata di  Cartagine,  II.  327,  507; 
vi  sbarra  Annibale,  420;  accuglic 
G.  Cesare,  III,  518;  e  gli  paga 
una  imposizione,  .526. 
Lesbia,   cantata  da  Catullo,  HI,  803, 


812,  813  ;  il  suo  vero  nome  era 
Clodia,  806. 

Lesbo  (detta  poi  Mitilene  o  Meteìino 
dal  nome  della  città  principale), 
isola  del  mare  Egeo ,  presso  la 
costa  della  Misia,  IV,  260. 

Letizia,  dea,  IV,  764. 

Leto,  prefetto  dei  pretoriani,  desti- 
nato a  morte ,  congiura  contro 
Commodo,  IV,  779. 

Letorio,  tribuno,  forte  aiutatore  alla 
legge  di  Publilio  Volerone,  I,  813. 

Letorio  (P.),  amico  di  Caio  Gracco, 
sua  morte.  III,  83. 

Letti  funebri,  I,  429. 

Lettiga,  IV,  620,  821. 

Lettine,  fratello  di  Dionisio  tiranno 
di  Siracusa,  accoglie  i  Turii  scon- 
fitti, 11,  170. 

Leuca  (cajio  di).  —Vedi  lapigio,  pro- 
montorio. 

Lcuca  (Santa  Maria  di  Letica),  nei 
Campi  Salentini,  I,  338,  339. 

Leucade  {Santa  Maìir-a),  presa  d'as- 
salto da  L.  Quinzio  Flaminio,  II, 
437  ;  presa  da  Agrippa  prima  della 
battaglia  di  Azzio,  lU,  676. 

Lence,  città  presso  Smirne,  II,  538; 
assediata,  538-539. 

Leucoperta,  all'entrata  dell'Istmo  di 
Corinto,  L.  Mummio  vince  ivi  Dieo, 
II,  497-498. 

Leucopetra  {Punta  della  saetta),  pro- 
montorio del  Bruzio,  1 ,  305,  III , 

Leucosia  {Tsola  Piana),  presso  le 
coste  di  Lucania,  all'estremità  me- 
ridionale del  Golfo  di  Pesto,  I,  291- 

lieucotea,  dea  protettrice  di  Pyrgi, 

I,  389. 
Leutarnia   {Aldibonaf),   citta   della 

Magna  Grecia,  I,  321. 
Leuternia  (presso  il  Capo  di  Leuca), 

spiaggia,  I,  339. 
Levesque  (Pietro  Carlo),  sostiene  l'in- 
certezza dell'orìgine  di  Roma  come 

fe   narrata   dagli   storici    antichi, 

I,  648. 
Ijevio,  scrittore  di  versi,  IH,  790. 
Libano,  monte  di  Siria,  111,  349,  IV, 

373  ;  iscrizioni  di  Adriano,  IV,  665. 
Liberali  (solennità),  in  onore  di  Libero 

o  Bacco,  HI,  531. 
Libero  Padre,  1,  512. 
Libertà,  tempio,  lU,  44,  419,  533. 
Libertà   pubblica  ,    monumenti ,    IV, 

304-305. 
Liberta  di  parola,  sotto  Tiberio,  IV, 

25.-)-2.5fi. 
Liberti,   finii,,.) ;■  .ìjMtn.  III.   17; 

potenti  ^   n  ,  r;  ,  ,,ii  ..  IV,  342-344, 

349;  r^'  ì  N.n.iie,37i;. 

Libia,  abla;  _    i        ,   II,    \**\\ 

respiiiL'e    s,  :  t    ri  .     ili.  :\'A\    aiuia 

Antonio   contro  ott.ivio,   HI,  675; 

vi  approda  Antonio,  079  ;  marmi , 

IV,  206. 
Libia   Cirenaica ,   stragi    fattevi   dai 

Giudei,  IV,  618. 
Libico  (mare),   Pompeo  lo  libera  dai 

pirati.  111,  3:J3. 
Libisusa,  detta  FOroaugustana  (pi-esso 

Cuen/;a),  nella  Spagna  Tarracone- 

se,  IV,  .59. 
Libitina  (tesoro  dì),  I,  708. 
Libri  acherontici,    degli  Etruschi,  1, 

403,  510. 
Libri  aruspicìni,  1,  403. 
Libri  augurali,  1,  748. 
Libri  fatali,  I,  403. 
Libri  fulgurali,  1,  403,  406. 
Libri  reconditi.  I,  403. 
Libri  rituad,  degli  Eiruschi.l  I,  366, 

372-373. 
Libri  sibillini  a  Roma,  I,  615, 749, 732  ; 


si  decreta  che  siano  custoditi  da 
dieci  persone,  la  metà  delle  qu<ali 
plebea,  li,  24  ;  consultati  al  mo- 
mento della  sollevazione  dei  Galli, 
249;  loro  responsi  in  altre  occa- 
sioni. 293,  451,  .594,  IH,  547;  con- 
servati da  Augusto  nel  tempio 
d'Apollo,  IV.  32. 

Libri  tag«tici,  I,  403. 

Libumi,  tribù  dell'Illirico  settentrio- 
nale ,  loro  scorrerie  in  Italia,  I, 
216  ;  vinti  da  Ottavio,  IH,  667. 

Laburno  (/<?  Serre),  monte  dei  Fren- 
tani,  I,  254. 

Licaonia,  provincia  dell'Asia  Minore, 
data  ad  Eumene  U  di  Pergamo  , 
II,  4.52  ;  con  la  Galazia  forma  una 
provincia,  IV,  782. 

Licia,  sulle  coste  meridionali  dell'Asia 
Minore  ,  una  parte  è  data  ad  Eu- 
mene Il  di  Perg.imo,  l'altra  ai  Ro- 
diani,  II,  452  ;  che  poi  debbono  ri- 
tirarne i  presidii,  492  ;  ottiene  pri- 
vilegii  per  la  sua  fedeltà  a  Roma, 
HI,  248  ;  sottomessa  da  Bruto,  621; 
spogliata  della  libertà  da  Claudio, 
IV,  348  ;  e  da  Vespasiano,  495  ;  vi- 
sitata da  Traiano,  613  ;  provincia 
con  la  Panfilia ,  782  ;  manda  a 
Roma  il  suo  croco,  207. 

Licinia,  moglie  di  Caio  Gracco,  spo- 
sliata  della  sua  dote,  HI,  84. 

Liciuii,  famiglia  etrusca  di  Arezzo, 
I,  484. 

Licinio ,  procuratore  e  ladro  della 
Gallia,   assoluto  da  Augusto,  IV, 

Licinio  (Caio),  tribuno  della  plebe, 
I,  782. 

Licinio  Calvo  (C),  poeta  e  oratore , 
amico  di  Catullo  e  nemico  di  Ce- 
sare, UI,  545,  702,  703,  810-811; 
suoi  epigrammi  contro  Cesare, 
812;  sua'morle,  813. 


la  vittoria  di  l'idna  al  -popoli 
follato  nel  Circo,  II,  480. 

Licinio  Crasso  (Lucio),  oratore,  amico 
d.l  poeta  Lucilio,  II,  652 ;  accusa 
C.  Papirio  Carbone,  HI,  84  ;  so- 
stiene la  legge  Servilia  intesa  a 
remiere  al  Senato  la  potestà  giu- 
diziaria, 145;  console,  ordina  un 
sindacato  sulla  cittadinanza,  163; 
censore,  combatte  l'insegnamento 
dei  retori,  695;  sommo  oratore, 
lodato  da  Cicerone,  699-700;  so- 
stenitore e  combattitore  delle  me- 
desime cose,  707  ;  invettive  e  sar- 
casmi, severità  e  urbanità,  710; 
sua  splendida  casa  sul  Palatino, 
IV,  196  ;  suo  motto  contro  Gn.  Eno- 
baibo,  378. 

Licinio  Crasso  (M.),  triumviro,  sue 
grandi  ricchezze,  IH,  11-12;  si  uni- 
sce a  Siila,  251  ;  ecombattc  contro 
i  Mariani  sotto  le  mura  di  Roma, 
2.30;  la  sua  gr,inde  fortuna  comin- 
ciata coi  beni  dei  proscritti  da  Siila, 
2*53;  pretore,  comanda  nella  guerra 
contro  Spartaco,  e  lo  vince  e  lo  uc- 
cide, 308-310;  fa  crocifiggere  sei- 
mila gladiatori,  310  ;  nominato  coii- 
.sole,  310;  triumviro,  sua  indole, 
31.3-311;  ;  cospira  per  uccidere  il 
Sennto  e  i  consoli,  356  ;  contrasta 
.ill'el.v.ione  di  Cicerone  al  conso- 
l.ito,  :iGt;;  nominato  tra  i  complici 
(li  Catilina,  375;  avvisa  Cicerone 
che  la  sua  vita  corre  pericolo,  378  ; 
Ci -erone  impedisce  che  si  proceda 
contro  di  lui  per  la  congiura,  383; 
sua  complicità  con  Catilina,  389- 
3!K)  ;  fe  uno  dei  buoni  di  Roma,  393  ; 
dà  malleveria  ai  creditori  di  Ce-  ,' 
sare,  379  ;  si  allontana  da  Roma 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1017 


LICINIO 


LICINIO 


LIPSIO 


tc'inenclo  l'iirrivo  di  Pompeo,  '.i'.l'  \ 
si  fa  sotteiiiture  ili  Clodio,  404; 
primo  triumvirato  con  Cesare  e 
l'ompeo,  405-406;  va  alle  coufe- 
ronze  di  Luca,  4G3  ;  fatto  console, 
403;  prende  per  sua  provincia  la 
Siria,  464  ;  va  allaguen-a  dei  Parti, 
464  ;  e  scoiilitto  e  ucciso,  465-4G6. 

Lii-inio  Crasso  (M.),  vince,  la  Mesia, 
IV,  Sr,;  trionfa  dei  Daci,  567. 

Lieiiiio  Crasso  (Pul)lio)  ,  console,  è 
vinto  da  Perseo  a  Larissa  e  ri- 
tìnta la  paee,  li,  470-471  ;  deruba 
le  città  di  Ueozia,  472,  552. 

Licinio  Crasso  (P.),  nella  guerra  so- 
ciale, III,  178;  vinto  da  Lamponio 
a  Grumento,  181  ;  trucidato  nella 
proscrizione  di  Mario  e  di  Cinna, 
217. 

Licinio  Crasso  (P.),  figlio  del  trium- 
viro, legato  di  Cesare  nelle  Gallie, 
sottomette  l'Armorica,  III.  4:55; 
vince  e  sottomette  gli  Iberi  d'Aqui- 
tania,  430;  vinto  dai  Parti  si  fa 
uccidere,  4C4. 


50; 


Gracco,  IH.  1^  ■  Ini  ih 
secuzioiie  ^i'  !i  i 
console  (i;-'  i  \iislonico, 
e  vinto  e- •■  l'tnti.  |.r,_'i sita  uc- 
cidere, lì,  .'.:ìs-:,:_!:i  .  rieiM,  eloquente, 
dotto  di  leggi,  53!(. 

I.ieinio  Imhriee,  poeta  comico,  lì,  645. 

Licinio  LucuUo  (L.),  avo  del  vincitore 
di  Mitridate,  console  (603),  va  in 
Spagna,  fa  guerra  senza  decreto 
del  Senato  ai  Vaccei,  e  da  vero 
ladrone,  contro  i  patti,  uccide  gli 
aliitatori  di  Cauca,  II,  525-526,  555. 

Lieiiiio  LuoMllii  (L.).  tìglio  del  feroe<. 
ladrone  di  Sp:i^'na,  pretore,  prende 

pania,  IH,  Vii:  mandatola  Sicilia 
vince  gli  schiavi  a  Scirtea,  141-142  ; 
non  riesce  a  prender  Triocala,  la- 
scia la  Sicilia,  ed  è  condannato  a 
vma  multa,  142. 
Licinio  LucuUo  (Lucio),  legato  e  am- 
miraglio di  Siila,  i;  spedito  di  Gre- 
cia a  Rodi  e  in  Egitto  a  procac- 
ciare una  llotfa,  IH.  230,  244;  vince 
le  navi  .li  Ali-,  '.  ..-,  :il;  rifiuta 
di   aiut.M-    1  ,t:i,   Mitri- 

date, 2r.  :   I  r.   -  ,1  i  in  Asia, 

247:  dM,,o   /li:  ,,-i.;atn  di 

ra,  248;  l'i  :  i  irl...n  ;.  1'  •■  ii  -  • 
chiesti  sm,  ,  :    I  i,_i' 

e    studi    -      .  :l-     -    i;       '  -   >■ 

mandato  r  M        :  ;;  ,  .;;o ,  li- 

bera  Ca!'  ■   i   :  :.  da,    3:3'.;; 

vince  e  I  ;_  M  '  a  Cizico, 
3.38;  aJtp      'i  '1     [-■'•  maree 

per  terr.i,  :;:;--;;:',  i.i.tte  freno 
alle  estorsioni  dei  publdicani,  340  ; 
vince  Tigrane  re  di  Armenia,  340  ; 
occupa  Tigranocerta,  341  ;  vince 
di  nuovo  Tigrane  ed  espugna  Ni- 
sibi,  341-342;  ripassa  T  Eu/rate, 
342;  rivolta  nel  suo  campo,  342; 
è  richiamato  a  Roma,  343;  suo 
iiieontro  a  Danala  con  Pompeo,  3 14  ; 


ero,  769. 
Licinio  liucullo  (M.),  fratello  di  Lucio, 
si  unisce  a  Siila,  IH,  251  ;  vince  i 
Mariani  a  Piacenza,  257. 


Licinio  Macro  (C),  tribuno,  eccita  il 
popolo  a  richiedere  gli  antichi  di- 
ritti, 111,  317  ;  scrittore  della  sto- 
ria di  Roma  I,  638,  III,  767. 

Licinio  Mudano  (C),  uomo  molle  e 
forte  a  seconda  ilei  casi.  IV,  461  ; 
eccita  Vespisi  in-  i  i»;  ;p1  r  l'im- 
pero, 462  ;  ]  '  I  t  urbe 
in  Antioehi  I  I  !)  M  Italia 
contro  Vitelli  .  [  .  :  i  .  i  'n  le  in- 
segne trioni  II      1,1  _iiifac- 


475;  faciHl.r 
Primo,  47".  ;  u 
Galli  sollevali, 
e  impedisce  a 
starsi    ali'eser 


arriva  a  Lione 
iziano  di  acco- 
478-179;  va  a 
Brindisi  ad  incontrare  Vespasiano, 
489  ;  vende  la  giustizia,  496  ;  tur- 
pemente vizioso,  503;  modi  arro- 
ganti con  Vespasiano,  504  ;  descri- 
zione del  suo  viaggio  in  Oriente, 
921  ;  fa  compilare  per  le  biblio- 
teche un  estratto  degli  atti  pub- 
blici, !«1. 

cinio  Murena  (Lucio) ,  legato  di 
Siila,  vince  Archelao  ad  Atene,  III, 
236  ;  combatte  intrepidamente  a 
Cheronea,  240,  lasciato  da  Siila  al 
governo  dell'Asia  romana,  248; 
assale  Mitridate,  335,  339. 

cinio  Murena  (L.),  figlio  del  prece- 
dente, console  (692),  ìli,  376  ;  salva 
Catone  dalla  folla  infuriata  ai  co- 
mizii,  396. 

icinio  Murena  (A.),  detto  Terenzio 
Varrone  Murena  per  causa  di  ado- 
zione, sottomette  i  Salassi  (Val 
d'Aosta),  IV,  89;  ucciso  per  trama 
contro  la  vita  di  Augusto,  107. 

icinio  Nerva  (Publio),  pretore,  ri- 
mette in  libertà  molti  schiavi  -n 
Sicilia,  III,  13S;  vince  Dario  capo 
di  essi,  138;  vinto  al  monte  Ca- 
priauo,  138-139;  e  a  Morganzia, 
139. 

icinio  Proculo,  prefetto  dei  preto- 
riani ,  muove  alla  guerra  contro 
Yitellio,  IV.  444  ;  fomenta  la  ge- 
losia fra  i  capi,  446:,  \^^ol  dar 
giornata  campale  ai  Vitelliani, 
447  ;  si  salva  sostenendo  di  aver 
tradito  Ottone,  451. 

icinio  Stolone  (Caio),  tribuno,  ir,  20; 
propone  le   lei.'gi    sui   debi  ' 
beni    dello    Str"-    -  -"-    - 


lilla   elezione 


?ge 


Orobii,  1,  66-67. 

Licisco,  capo  degli  Etoli  partigiani 
di  Roma,  II,  485. 

Lieo  (Tchorouk  Sou),  fiume  di  Fri- 
gia, IV,  551. 

Licorta,  amico  di  Filopemene,  II,  464  ; 
padre  dello  storico  Polibio,  605. 

Lieto,  una  delle  più  notevoli  città  del- 
l'isola di  Creta,  espugnata,  IH,  332. 

Lidia,  regione  ii.ll:i  p:irt.-  occiden- 
tale dell'Asi;i  Minore,  sr.l,-  primi- 
tiva degli  Ktiii-rhi.  I,  111-119;  fa 
parte  della  provincia  d'.Vsia,  li , 
.539. 

Ligario  (Q.),  pompeiano,  esiliato  da 
Cesare  e  difeso  da  Cicerone,  III, 
553  ;  congiura  contro  Cesare,  553. 

Ligdo ,  eimuco ,  porge  il  veleno  a 
Druso  figlio  di  Tiberio,  IV,  286. 

Ligeri  [Lnire),  fiume  della  Gallia 
Lugdunesc,  111,  4:J5. 


Liguria,  considerata  da  Roma  come 
p.aese  straniero.  II,  272  ;  Magone 
vi  si  trattiene  due  anni  per  muo- 
vere contro  Roma,  418  ;  una  delle 
regioni  d'Italia  sotto  Augusto,  IV, 
42;  disertata  dalla  flotta  di  Ottone, 
445,  450  ;  riunita  coH'Emilia  sotto 
un  solo  giuridico,  738. 

Liguri,  loro  origine  e  terre  da  essi 
occupate,  1,  59-62;  i-espinti  al  dì 
là  drlli  \l  i^i;,  iLmlIi  i:in,s,-lii  , 
12S;    l..        ,  ii:-i;-;      vinti 

da  l'^ii,    .   M         ,,,  •    Il     Ji:  ■   lioma 


con  I, I  i,  .   >.-,i,i.i   ,  l 'i  ,  ■•  n/.a, 

invadono  1'  l.iiai.,É.  ,;  .i;,;„  iliaiio 
Pisa ,  4.5S  ;  loro  prodigiosa  resi- 
stenza, 4.59-460;  alla  battaglia  di 
Pidiia,  479;  sulle  rive  del  Rodano 
e  sulle  coste  di  Provenza,  424. 

Liguri  Apuani,  trasportati  nel  Sau- 
nio,  |I,  263. 

Liguri  Comeliani  e  Bebiani,  I,  265; 
loro  colonia  nel  Sannio,  II,  460, 
IV,  803. 

Liguri  Oxibii  e  Deceati ,  assediano 
Nicea  e  Antipoli,  111,  91  ;  vinti  dai 
Romani,  91. 

Liguri  Taurini,  IV,  96. 

Ligustino,  della  tribù  Crustumiiiia, 
sua  povertà,  III,  10. 

Lilibeo  (Marsala),  resiste  a  Pirro.  II, 
200;  sede  dei  Cartaginesi,  217;  e 
assediata  e  bloccata  dai  Romani, 
228-235  :  assediata  da  Atenione  re 
degli  schiavi.  III,  140;  vi  sbarca 
Lepido,  054. 

IJmosano  (tra  Campobasso  e  Tre- 
vento),  iscrizione  ad  Antonino,  IV, 


Linfa,  divinità,  I,  490. 


Linguri 
Lingua 
Lingu.i 


c^llo  ..tn.ho  .1,1  ^ix.o.l.weiic  più 
eulta  ed  elegante,  II,  6U5. 

Lingua  dei  Liguri,  I,  477-478. 

Linsjua  dei  Messapii,  I,  341,  478. 

l.iii-ua  osca.  1.  477,  485-489,  531. 

I.iii.ii  I  ,1.  1   1'.  l.issi.  I,  475. 

I       -   .  I      I         I.   I.  488. 

I       _        .^    ,    -    nini,  l,  487-48,<«. 

I,:.,_iri.    -  i!,s    ,'it:i,    1,   469-471. 

Lingua  degli  Umbri,  'L  476-477;  ap- 
partiene agli   idiomi   di   famiglia 
osca,  485. 
Lingua  dei  Veneti,  477. 
Lingua  volsca,  I,  485. 
Lìngue  indo-europee,  I,  469-470,  485  ; 
ad  esse  vien  riferito   l'etrusco,  I. 
482. 
'     Lingue  italiche,  I,  468,  471-475 ,  488- 

489. 
•    làno,  portato  a  Roma  dalle  navi  d'E- 
gitto, IV,  206. 
'     Lione.  —  Vedi  Lugduno. 
i    Lipari,  isola,  Cornelio  Scipione  vuol 
sorprenderla  ed  6  fatto  prigionie- 
I  ro,  li,  215  ;  scontro  navale  dei  Ro- 

mani coi  Cartaginesi,   217;  presa 
dai  Romani,  223,  224.  —  Vedi  Eolie, 


Vannucci  —  Storia  dell'  Italia  antica  —  IV. 


1018 


INDICE 


LIRI 


LIVIO 


LUCILIO 


I.iii  lOnrialiano),  fiume,  I,  213-2H, 
23-2,  268,  HI,  210,  727,  728,  IV, 
aw  vittoria  degli  Italici  su  L.  Ru- 
tilio  Lupo,  III,  182. 

Liside,  discepolo  di  Pitajrora,  autore 
dei  Versi  ni' rei,  II,  147-148;  edu- 
catore di  Epaminonda    153. 

Ijsimachia  (Papndhates)  c,tta.  dE- 
tolia,  data  ad  Eumene  II  di  Per- 

Lisi^Sè.  Uberta,  concubina  di  An- 
tonino Pio,  IV,  705.  ,„.,.. 

I.isso  [Alessio  o  Lescì>),cM^  d  Illiria 
alle  Foci  del  Drilo  (Drm),  II,  248. 

Lisso,  in   Affrica,  colonia   romana. 

Liste.'  neTpaese  dei  Sabini,  metropoli 
dei  Pelassi  Aborigeni,  1   77.  ,8. 

I  ;t  .,.,>.    (  '     '  •  (nmpania.  1, 

20^  ,;.„■-  ,.,:-:■:..  11,  207,427; 
Senipr.n,i..  Orar.-.,  vi  pone  il  cani- 
no 360:  vi  muore  in  volontario 
é'silin  Scipione  Affricano,  562  :  pre- 
sa dagli  Italici.  Ili,  181;  colonia 
militare,  IV,  43. 

Littori,  d-origine  etrusca,  I,  C93  ;  ar- 
mati di  fasci,  83.).  .     •    ■■ 

Liverogno.  in  Val  d'Aosta,  ruderi  di 
mi  P'  ut-  r-.in-i'i..    TV.  '1K 

Livia     I':'i     :!!■■  '■ '<■■     ''',      '"'■'■'   ' 

Ciano,     \-      .•.   1  .--    •    I  i    'i  •  ■ 

ventf  il  piiin  '  I  ,,  .'.  1  \  .  .1  ■ 
adorna  i  t.  :.  |.,  ■  ,  1:  ;  •••|- 
Viennainnnl  !  i  musto 
un  tempio.  ::-:  :  ^^  Augu- 
sto ad  esser  i,,'-  n  '  ■  '"  i-  l'.'»' 
ricordata  nella  storia  aneddotica 
del  principe,  183-184  ;  sua  ambi- 
zione. 211-212;  scaltrissiraa  a  dis- 
si inulaiv.g. veni. t  a  sua  voglia  Au- 
.,,1^,.,     -.]  ;      .  ;I  ,i  ,1-1    , '    '■  f'cUa 

:■..,',        '  ■!  ,  ■  I  .'■  ■■  :  ,n>.rte 


d...n;ii:i  d.l  ii:;lM'  l-t-  r,...  ■:■< 
via  Dnisilla  (p.ii-ti^o  di).  IV, 
via  MeduUiua,    moglie  di  Cla 

IV,  360. 
Viano  (Claudio),  prefetto,  alla  j 

L'uerra  darica.  IV,  570;  invi 

Decebalo,  573. 
villa,  moglie  di  Druso  figlio  f 


di  fa- 


,305. 


Livio  (Tito),  afferma  che  i  Reti  tras- 
sero la  loro  origine  dagli  Etnischi. 
1,  120;  riferisce,  senza  voler  con- 
futarle, le  favole  poetiche  sui  prin- 
cipii  di  Roma,  035-637;  criticato  e 
r-.irrelto  da  Lorenzo  Valla,  643; 
sue  storie.  IV.  16.5-166;  fonti  alle 
'luali  attinsi ,  1,  6K3.  IV.  166-167;  (■ 
superat'i  da  Erodiito  per  Io  spirito 
investigatore,  107;  narratore  im- 
pareggiabile, 167-1G8;  ripreso  di 
pritiiiiint,'.  168;  considerale  cose 
li  li  colo  lato  della  grandezza  di 
Uoiiin.  160;  ha  altissima  fama  an- 
■  lii-  in  vita.  170;  libri  e  frainnienli 


rimasti,  170;  Suo  giudizio  sulla 
morte  di  Cicerone,  170-171  ;  con- 
forta Claudio  a  scrivere  storie,  171, 
330;  Caligola  volle  distruggerne 
le  opere,  324,  865. 

Livio  Andronico,  greco  di  Taranto, 
suoi  drammi,  lì,  316;  suoi  inni, 
397  ;  interpreta  ai  giovani  le  opere 
greche .  601  ;  traduce  l'Odissea  e 
le  tragedie  greche,  610-611. 

Livio  Dentre  (M.).  pontefice,  consacra 
Decio  alla  battaglia  di  Seutino,  II. 
82. 

Livio  Druso  (M.),  tribuno,  fa  mostra, 
per  conto  del  Senato,  di  vincere 
in  liberalità  Caio  Gracco,  III.  78- 
79  ;  console,  ricaccia  gli  Scordisci 
al  di  là  del  Danubio,  e  trionfa.  98. 

Livio  Druso  (M.),  figlio  del  preceden- 
te, campione  degli  Italici,  III,  163- 
165;  sue  leggi,  165  ;  è  assassinato. 
e  le  sue  leggi  sono  abolite  dai  no- 
bili, 167. 

Livio  Dni«-  riThllniM  (Lucio),  pa- 
di-eili  I  :        1-  ;    '       ,|.i,,r,  la  rotta 


vio  Salinature  (Marco) ,  nominato 
console,  II,  397  ;  va  nella  Gallia 
Cisalpina  contro  Asdrubale,  308; 
i-Mi  Claudio  Nerone  lo  vince  al 
\[.  i.iiiio,  400-401;  e  trionfa,  401. 
-1.  in  Grecia,  dichiarati  liberi, 


r),  detta  Kpizefirii,  sulla 


dai  G: 
118;  1, 
133;  vì;ì 
gra,  I. 
Zaleur, 
152;  Il 
spogli-li 
cadul.i 
sidial:i 
Pirro.  1 
dro  li-1 
Rom.-iiii 


roce  L'MVii  11-  ili  I  '1   iiiiiii-.   1  l'I-  Il  I  ; 

ara  Lon-csc    411-112;    isrn/,i,.ne 

alimentaria,  IV,  807. 
I.ocride,  repubblica,   I.  311  ;  territo- 
rio, 312-315  ;  danneggiata  da  Amil- 

care'H.arca,  II,  233. 
Locusta,  avv.'len.itrii'e  .    prepara   un 

veleno  .i  Cl.iuilio    imperature,  IV, 

.372  ;  avvelena  Britanni. -o,  3S0-:iSl  ; 

prepara  il  veleno    a  Nerone,  42'); 

ricordata   nelle   salire   di  Turno, 

897. 
Locuzio,  dio,  I,  800. 
Lodi,    creJuWdi   origine   gallica.  I, 

Lollia  Paolina,  carica  di  gennne,  frut- 
to delle  ladronerie  del  marito,  IV, 
77  ;  Caligola  la  rapisce  al  marito, 
324;  proposta  per  moglie  a  Clau- 
dio, 366;  esiliata  e  fatta  uccidere 
da  Agrippina,  360. 

Lollio,  saiHiit.',  trilla  di    ridestare  la 

LolÌo'(Ì.''l  "  :■  ;:  1'  '  '  i  1  r  '  "'Hi 
guerr; i:  -   M/i  ■:  -^      Mi     ;|'i 

Lollio   (_M.),    -■!■     .;l.i:-i..,ii   11 1.I.-, 

tulo  da  essi,  98. 
Ldlio  rrbi.n  (Quinto),    nella  guiTra 
giudai^-a.  IV,  685;  legalo  imperia- 


le, reprime  la  sollevazione  in  Hri- 
tannia.  709  ;  costruisce  il  Vallo  di 
Antonino,  710. 

Londinio  (Londra),  IV,  397. 

Loiigano  {Fiume  di  Santa  Lucia  o 
Piume  di  Castroreale  ?),  in  Sicilia . 
non  lungi  da  Mile,  vittoria  di  Ge- 
roiie  II  isui  Marmertini,  II,  209. 

Longino,  comandante  di  una  legione, 
preso  a  tradimento  4a  Decebalo, 
si  uccide.  IV.  578. 

Longula  {Buon  Riposo) ,  città  dei 
Volsci,  I,  2;J7;  presa  dai  Romani, 
788  ;  ripresa  da  Coriolano.  791  ; 
vittoria  dei  Romani  sui  Sanniti. 
II,  74-75. 

Lorarii,  servi  destinati  a  battere  gli 
altri,  UI.  31-32. 

Lorio  o  Laurio  {Castel  Guido),  sulla 
via  Aurelia  a  12  miglia  da  Roma, 
villa  di  Antonino  Pio.  IV,  093,  704  ; 
che  vi  mori,  713. 

Luca  (Lucca),  città  d'Etruria,  colo- 
nia, li,  460  ;  conferenza  dei  trium- 
viri, III,  403;  vi  accorrono  i  citta- 
dini Romani  a  fare  la  corte  a 
Cesare,  460. 

Lucani,  soccorrono  Roma  nella  se- 
conda guerra  sannilica,  II,  57  ;  si 
uniscono  ai  Sanniti  e  sono  vinti. 
.57-.5S;si  uniscono  a  Dionisio  ili 
Siracusa  contro  i  Greci.  lOi^lOO; 
invadono  il  territorio  di  Turio  e 
viin-ono  a  I.n,  169-170;  si  impa- 
droniscono Ili  Pesto,  188;  in  guer- 
ra con  Taranto.  188;  e  con  Turio, 
180  ;  aiutano  Taranto  contro  i  Ro- 
mani, 191  ;  si  uniscono  a  Pirro, 
195;  vinti  dai  Romani,  200;  e  sot- 
tomessi, 203;  dopo  la  battaglia  di 
Canne  si  uniscono  ad  Annibale, 
303  ;  vinti  da  Sempronio  Gracco  a 
«enevento.  372;  multi  di  loro  si 
uniscono  a  Fulvio  Fiacco,  394  ;  si 
uniscono  alla  lega  italica,  III,  172  ; 
e  a  Ciniia,  209;  e  alla  parte  de- 
mocratica romana,  250. 

Lucania,  regione  dell'Italia  meridio- 
nale, I,  284,  280-296;  invasa  <lai 
Sanniti,  li,  70;  fa  parte  di  una 
delle  unilici  regioni  d'Italia  sotto 
Augusto,  IV,  42;  e  poi  di  una 
delle  quattro  sotto  Adriano,  636; 
ha  i-oi  Hruzi  un  giuridico,  73S. 
Lucano  (M.  Amico),  poeta,  congiura 
contro  Nerone,  IV,  400;  scoperto 
deminzia  la  madre.  407;  sua  mor- 
te coraggiosa,  409  ;  sua  vita,  877  ; 
enormi  lodi  date  a  Nerone.  878  ; 
encomii  e  censure  alla  sua  Far- 
salia,  878-S79;  suo  ingegno,  879- 
880;  andamento  del  poema,  880- 
884;  pregi  e  difetti,  884;  amore 
alla  liberta  e  alla  giustizia.  88.V88C. 

I, neccio  (L.).  pregato  da  Cicerone  a 
comporre  la  storia  del  di  lui  con- 
solato, 111,  392  ;  competitore  di  Ce- 
sare al  consolato,  407  ;  narratore 
della  guerra  sociale,  708. 

Laceri,  terza  tribii  romana,  I.  667- 
608  ;  loro  ammissione  ai  diritti 
delle  altre  tribù,  705. 

Lucerla  (Lucerà),  in  Apulia.  rovine, 
1,  355  ;  presa  dai  Romani.  II.  00  ; 
ripresa  dai  Sanniti,  60;  fc  asse- 
diala e  si  arrende,  66;  si  solleva 
ed  e  ripresa,  07-68;  colonia  ro- 
mana, OS.  207  ;   battaglia    data  ni 


84. 


Lu.ezio,  dio,  I,  385. 

Lucilio,  salva  Bruto  alla  battagli 

Filippi,  III.  627. 
Lucili.)    (Caio),   di    Suessa   Auru 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1019 


LUNI 


poeta  satirico  ,  II ,  6.'3fl  ;  prende 
parte  alla  guerra  di  Numanzia, 
()51;  familiare  di  Scipione  Emilia- 
no, 651  ;  sua  vita  e  sue  satire,  052- 
656. 

Lucilio  Balbo  (Q),  stoico.  III,  733. 

Lucilio  Basso ,  capo  della  flotta  di 
Ravenna,  IV,  465. 

Lucilla,  figlia  di  Marco  Aurelio,  sposa 
Lucio  Vero,  IV,  725  ;  lo  raggiunge 
a  Efeso,  729;  ed  è  guasta  dai  co- 
stumi di  lui,  720  ;  falsamente  ac- 
cusata di  aver  fatto  morire  il  ma- 
rito, 737;  moglie  di  CI.  Pompeiano, 
7Jr,  stiipiat^i  da  Commodo,  769 ; 
.M^piivi  routPi  di  lui,  776;  esiliata 
:i  (■:.pi-i   M  muMi-e,  776. 

Lucili,  li-lio  di  liiulia  e  di  Agrippa, 
IV,  214  ;  adottato  da  Augusto,  214  ; 
va  nelle  Gallie  e  nelle  Spagne,  210  ; 
muore  improvvisamente  a  Marsi- 
na, 219. 

Lucrelile  (Monte  Gemiaró),  monte  nel 
paese  dei  Sabini  al  di  sopra  di  li- 
voli,  I,  .527,  .501. 

Lucrezia,  moglie  di  Lucio  Tarquinio 
Collatino ,  oltraggiala  si  uccide, 
I,  616-617,  623,  6132. 

Lucrezio,  padre  di  Lucrezia,  la  ven- 
dica, I,  017  ;  consiglia  Collatino  a 
dimettersi  dall'  ullicio  di  console, 
I,  622. 

Lucrezio  (C),  pretore,  sue  crudeltà  a 
Calcide,  ad  Aliarlo  e  a  Tebe,  Il , 
472,  552-553. 

Lucrezio  Caro  (Tito),  sua  vita ,  III, 
704  ;  seguace  d'Epicuro,  705,  799  ; 
il  suo    poema  Della  natura  delle 


IV,  3S5. 

Lucrino,  porto,  IV,  783. 

Lucro,  dio,  II,  310. 

I.uridlane.  specie  di  l.am-e,   IV,  .523. 

LucuU.j.  —  A<ìi   I  iiii.i  I  I.n.-uUo. 

Lucumoiir.   ,      _  m.  ino  degli 

Etrus.'lM.    11:  .0 

I.vcus  A,ì!i'f'  "  '  •  ;.  "  ilhi^gio  sul- 
la costa  occideiitale  del  l.-igo  Fuci- 
no), antiche  rovine,  I,  247. 

Lucus  Augusti  (ìhc),  nel  paese  dei 
Voconzii  nella  Gallia  Narbonese, 
IV.  .55. 

I.MiIi  Mr-;il,nsi,  II.  .504. 

I.lMli   .■.iinaiii,   lì,   :!11. 

Ludi  s.eiii.-i.   11,  311,  310. 

Ludi.  —  Vedi  (tÌuocIiì. 

Luerno  0  Luerio,  ricchissimo  re  degli 
Arverni,  IIL  92. 

Lugdunese  (Linnese) ,  provincia  ,  i 
presidil  parteggiano  per  Vitellio, 
IV,  441. 

Lugduno  {Lione),  nel  territorio  dei 
Segusiani,  fondata  dal  proconsole 
Fianco,  IV,  53;  colonia  militare, 
Ij3  ;  sede  dei  governatori  delle  tre 
Gallie,  54  ;  suo  splendore,  54  ;  capo 
della  via  delle  Alpi  Graie,  GS,  91  ; 
ara  di  Roma  e  d'Augusto,  71-73  ; 
presidio  militare,  78;  giuochi  cele- 
brati ivi  da  Caligola,  329;  luogo 
natale  di  Claudio  imperatore,  353  ; 
accoglie  Valente  ,  441  ;  vi  arriva 
Mudano  con  Domiziano,  479. 

Lugduno  dei  Batavi  (Leida),  IV,  68, 
99. 

Lu.gduno  dei  Radunati  (Knint-Ber- 
Irnnd  r!r  cvi.,..,i/,,./"<V  in  Aquita- 
nia  nrl  1  -  ■  -  t  :.-  m:,u.  dei  Pi- 
renei, 1   II.!  I      :  i'  '.,  IIL303. 

Luna,  a.l-i      i    :  .  1,    I,  383;    e 

a  Luni,  :,:.•-  '   J'    ,    ;il. 


Luni,  città  e  porto,  emporio  princi- 
pale degli  Etruschi,  rovine,  I,  128- 
130  ;  sulla  via  Emilia,  IV,  06. 

Lupa  romana.  II',  311  ;  coi  gemelli 
posta  nel  Pòro,  ora  in  Campido- 
glio ,  297-299  ;  sforzi  degli  Italici 
perchè  il  toro  sabellico  schiacci  la 
lupa  romana.  III,  177,  183,  2.58. 

Lupazia  (Altamura),  nella  Peucezia, 
I,  349. 

Lupercali.  —  Vedi  Feste  Lupercali. 

Lupia  (Lecce),  detta  Licia  e  prima 
Sibari,  città  della  Messapia,  I,  342  ; 
al  suo  porto  sbarca  Ottavio,  III, 
583. 

Lupo,  governatore  remato  in  Egitto 
vinto  dai  Giudei,  IV,  019. 

Luppia  (Lippe),  fiume  di  Germania, 
tributario  del  Reno,  IV,  101,  221, 
220. 

Lusio  Quieto  (  Q.)  ,  condottiero  dei 
Mauri  alla  prima  guerra  dacica, 
IV,. 570;  premiato,  .575;  nella  guer- 
ra d'Oriente  riprende  Nisibi  e  in- 
cendia Edesfa,  IJIS;  in  Mesopota- 
mia  fa  macello  dei  (iludei,  020; 
va  legato  augustale  in  l'alestina, 
020  ;  congiura  contro  Adriano,  031  ; 
ed  è  ucciso,  631. 

Lusitani  (Portoghesi),  vincono  i  Ro- 
mani e  poscia  sono  sconfitti ,  II, 
4.55;  si  sollevano  contro  i  Romani, 
526  ;  uccidono  il  pretore  Calpur- 
nio  Pisene  e  vincono  Lucio  Mum- 
iiiio,  .520 1  ciistx-etti  alla  pace  da 
Solili  il  li.il'ii  sono  divisi  e  uc- 
ri-      " .'  iiiuano   la   guerra 

e  i|.r  :  .  1  .:  ;  -,  iato,  52S-.5-29;  col- 
li ,  HI,  1',..  perdono  l'indi- 
]'  '.'■'.  I  ."ili  .  MMin  sottomessi,  e 
•■■■-.  ■  Il  ,,iill.-  iiv.-  lini  Mediter- 
iiilaii.i  \'.al.Miz.'i.  5;l  ;  chia- 

il, I-I.  lapo  1,1   Si-rtorio,  111, 

Z    ■-:'■•:,,   vuoi  ili   r-sar.-.  405. 


Lusilai.ia  li'.   / 

l.-Ue  tre 

province  il   r 

r 

.  5S  ;  SI 

si.llevaconi 

'■,,  .     1  : 

;  ponte 

sul    Tago    iii-ti 

r.M  .•111 

incorso 

1  ;  strade 

i  Adria- 

Lusso,  in  Etruria,  I,  400-.50I  ;  a  Ro- 
ma vietato  nei  funerali  dalle  XII 
Tavole,  757,  846  ;  lusso  delle  vesti, 
delle  mense,  dei  cocchi,  ecc.,  fre- 
nato vanamente  colle  multe  dal 
censore  Catone,  li,  560  ;  e  da  al- 
tri, 371,  570.  Ili,  274,  538,  IV,  253, 
.503;  incredibili  eccessi  al  comin- 
ciare dell'  impero,  198-199,  818- 
810. 

Lutazio  Catulo  (Caio),  console,  si  im- 
padroiisce  di  Drepaiio,  li,  235;  a 
vince  i  Cartaginesi  alle  isole  Egati, 
235,  2^6. 

Lutazio  C.atulo  (Quinto),  collega  di 
Mario  nel  consolato,  abbandona 
ai  Cimbri  la  valle  dell' -Vdige,  III, 
131;  è  raggiunto  da  Mario,  133; 
combatte  a  Veicelli,  133-134;  e 
trionfa  l'Oli  M  II  11.  I".  \itiiniadei 
furori  di  Mi  1       .  r  m-atore 

dotto  e  Si  I  11  ore  ele- 

gante d,-i  II    ,  lii  1        I  -  .1. solato, 


dÌrè"che'M'i 

a  Pompeo.  '■'.■'..  Ili.  Ili..    ,1  -  - 

Manilla,  313.  JliIi,  .1  il  ir.ninu  di 
Giove  Capitolino,  275;  culto  di  let- 
tere, parlatore  purissimo,  integro 
e  sapiente  nel  governo  civile,  280, 
315. 


sol" 


Lutezi; 


I     II,  ■J3i;-237. 

la  di  Azio  L;i- 

bieuu  ...1.  l',u;Sii,  lU,  447. 
Lutia,  citta  degli  Arevaci  nella  Spagna 
Citeriore  o  Tarraconese,  dà  ostaggi 
a  Scipione  Emiliano,  II,  535. 
Lutorio  Prisco,  ucciso  in  carcere  pei 
suoi  versi  in  una  malattia  di  Dru- 
se, IV,  281. 


M 


Maarbale,  comandante  della  cavalle- 
ria di  Annibale,  II ,  334  ;  dopo  li 
battaglia  di  Canne  consiglia  Anni- 
bale a  piombare  su  Roma,  358-3.50. 

Macalla.  —  Vedi  Petelia. 

M.acare,  re  del  Bosforo  e  figlio  di  Mi- 
tridate, chiede  l'amicizia  di  Rom:i, 
IH,  310;  si  uccide,  350. 

Macco ,  maschera  delle  Atellane ,  II, 
047. 

Macedonia,  è  spodestata  da  Flaminio, 
II ,  440  ;  regno  ,  confini  e  popoli, 
473  ;  percorsa  dalle  lesioni  romane, 
475  ;  si  arrende,  480  ;  dichiarata 
libera  dai  Romani  e  divisa  in  quat- 
Tro  1-1  inf'derazioni,  483-484  ;  crudel- 
t:i  di'i  vincitori,  485;   in  potere  di 

Anilris- pili  di  un   altro    Pseu- 

doiiliiiii  I ,  I  I-I"  lidotta  a  pre- 
disi 1.  i;i  1:1  ,.  ila  Mitridate, 
234  ;  .  Il,  I  :i  11  I  I  1  Antonio  e  .\1. 
Bruto,  :,'.!■>  .  1  uluuii.-  cl'.iugusto,  IV, 
00  ;  strade,  08  ;  disegni  dei  Pan- 
noni  e  Dalmati  sopra  di  essa,  222  ; 
infestata  dai  Daci,  .508. 

Macella ,  in  Sicilia ,  presa  d"  assali  1 
da  Caie  Duilio,  II,  210;  afforzala 
da  Atenione  re  degli  schiavi.  111, 
143. 

Macheronte,  fiirlez/a  in  tiiudea,  resi- 
ste a  Vesp;isi;ii;ii,   I\  .    ro,  -|,ss. 

MachiaveUi  (Nii  '  -  :  ili  nar- 

razione di   l.i       1         I  ■  iiitli'lle 

di  Roma,  1,  oi'i-il-':  -i  ■  -nnlizii 
su  Cesare,  III,  5c;2. 

Macrina  (Celia),  suo  Isi-scito  per  ali- 
mentare i  fanciulli  di  Terraciua, 
IV,  800. 

Macrino.  —  V.-iii  Alitiin  -. 

Macrino  Vindi'     ,    1'  ■<       nitro 

i  barbari,  l\      ,  1 1  1        .  I3. 

Mactorio,  dimn  1  •'.  .         ..     n.  lou. 

Madaura  0  Medaiu.i,  .  .li.i  d.  ll;i  -Nu- 
midia,  colonia  romana,  patria  di 
Apuleio,  IV,  900. 

Madre  (la  grande)  dei  Numi ,  nome 
dato  a  Cibele,  lì.  594;  monumenti 
del  suo  culto,  ;595;  suo  tempio  a 
Roma,  IV,  192;  e  ad  Ercelano,  499. 

Madri,  dee,  nel  Vallo  di  Adriano,  IV, 
052  ;  madri  campestri,  domestiche, 
tramarine,  di  tutte  le  genti,  6.52. 

Maestro  della  cavalleria,  é  ammesso 
a  questo  ufficio  un  plebeo,  II,  31. 

MaH'ei  (Scipione),  suoi  studi  sulle  ori- 
gini italiche  ed  etruschc,  I,  188; 
sostiene  che  Roma  è  più  antica  di 
quello  che  dicono  le  storie,  C49- 
050  ;  crede  che  i  Veneti  si  setto- 
,,„.f. ,...,.,.,,  a  Roma  con  volontaria 


Maghi  sabini,  I,  .■«2-383. 

Magia  Polla,  madre  di  Virgilio,  IV, 


Magio  (L.),  emigrato 


1020 


INDICE 


MAGISTRATI 


MAMEBZIO 


MARCIO 


zia  il  trattato  fra  Serforio  e  Mi- 
tridate, III,  300  ;  mandato  da  Ser- 
torio  come  consigliere  al  re,  335 , 
cliiede  e  ottiene  pace  da  Lucullo, 
■M). 

Mag-istrati  degli  antichi  popoli  itali- 
ci, I,  360-309. 

Magistrati  romani ,  ventili  e  rapaci, 
U,  551  ;  avviUti  da  Cesare,  III,  536. 

Maoistri  vicorum,  IV,  26-27. 

Magna  (CM-voran),  stazione  nel  Vallo 
ài  Adriano,  altare  alla  Fortuna 
Augusta,  IV,  049;  e  alla  grande 
Dea  Siria,  652. 

Magna  Grecia.  —  Vedi  Grecia  (Ma- 
gna). 

Magnesia  del  Sipilo  (Manissa),'m  Li- 
dia, vittoria  dei  Romani  sopra  An- 
tio.o  r.'  di  Siria,  li,  .ItS-tJ'J;  ri- 
mili.' -i'..  :  i,  i:.  ;     :  _!■;/:.'  uri  bas- 

MaL'ii"/-     ,  >    •    :  --i    -'  i'm;i  del 

"Mi'. :i:.:i'o.;.i. /,-/;.'...  ■  ,,i,  11,1  Ionia, 
picniiati  <■  '.uuruti  eia  Mila  per  la 
loro  fedeltà  a  Roma,  III,  248. 

Magneti,  in  Tessaglia,  dichiarati  li- 
beri, II,  438. 

Magone,  cartaginese,  viene  in  Sicilia 
a  combattere  Dionisio  di  Siracusa, 
lì,  167. 

Magone,  cartaginese,  suoi  libri  sull'a- 
gricoltura tradotti  in  latino,  II,  325. 

Magone,  fratello  d'Annibale,  II,  334  ; 
alla  battaglia  della  Trebbia,  342  ; 
passa  con  .\nnibale  inEtruria,  341  ; 
dopo  la  vitlóiia  di  ('amie  va  a 
(■;iri;i-ii-  :i  ,1, .,..!,,.■  ■liuti,  365; 
in  1   |.      :.  I,    r  .,     l;    :•   ii-i  \\e- 

IV    .:     1    i.  :-•  .     '  I.i^-iiria, 

menti  0  \:i  a  socrm-rer  Cartagine, 

41S,  457. 
Magone,  schiavo  di  MezioPomposiano, 

ucciso,  IV,  .524. 
Magonza.  —  Vedi  Mogoiuiaco. 
Mai   (Angelo) ,    scopre    e   pubblica    i 

frammenti  di  Cornelio   Frontone  , 

IV,  874. 
Maiella,  monte,  fri  i  P.  li-i.i,  M.irru- 

cini,  Kreiitairi  ■    -    ir   i  :     I    -M2. 
Maio,  dio  proti  11   1,  .      i         i...  i,  :581. 
Malara   {Mnh:  ,  i      ,  ,    ,,.  aella 

.Sp.-i-ns  l; I,,  ,      ,;i       IV,  61; 


Mal.-uii.       W'  1     ',     ..  1,307. 

Malaniu'  i^miiui  ....  :  ;i  ,  ,  .uitagna 
PÌSt..ii-se,     >.,|.|i !■  ,    della 

battaglia  di  i   .   :         il!     >". 

Malchino,  fu  .i     i  ,  ,  ,jy^._ 

stonomeUi:i/i  i  mi  i  .  M.  L-.-iiate, 
IV,  136. 

Maleoto,  re  dei  Pelasgi,  I,  "9. 

Mnlevento.  —  Vedi  Benevento. 

Mallio  (C),  com.indu  la  rivolta  dei 
Catiliiiarii  in  l'in.i;  i  HI.  lìTi;;  ha 
il  suo  caiiiiii.  i  1Ì70. 

Mallo,  import.iii'  '  il    i,i.  pa- 

tria <lel  grunilii  ilh  ,1  :  ,1,  II,  COI; 
ripopolata    da  l'uiuuro  *-in    pirati, 

111.  -.m. 

Munirli,  lainiglia  romana  che  vanta- 
vasi  discesa  da  Num.a,  I,  .588. 

Mainerco  Scauro,  scrittore  di  trage- 
die, fatto  uccidere  da  Tiberio,  IV, 
8'i5. 

Mamers.  —  Vedi  Marie. 

Mamertìni,  fieri  ladroni,  emigrati  dal 
Sannio  e  accoMi  a  Messina,  ucci- 
dono gli  ospiti  e  s'impadroniscono 
d.dla  citt.'i,  I,  384.  11,  204.  209; 
ai.iiaiio  U.-ggio,  204  ;  vinti  da  Gi- 
ii'ii.     ^M...ndii   di    Siracusa,   209; 

••Oli' !■ : ni,    209-210;    il 

l"i-'  1'  :  >  In.  ■■■I  a  guasto  da 
Al.-iii   n.    M-  d.-h  schiavi,  lU,  143. 


Mamerzio,  Mamcrzia  o  Mamerta  (Op- 
pi(l.o),  città  dei  Bruzi,  I,  306,  3H4. 

Maiiiilio  (Ottavio) ,  dittatore  di  Tu- 
sculo ,  1 ,  610  ;  muove  contro  Ro- 
ma in  aiuto  di  Porsena,  626  ;  ec- 
cita i  Latini  a  favore  di  Tarquinio 
il  Superbo,  630  ;  ucciso  alla  batta- 
glia del  lago  Regino,  632. 

Mamilio  Limetano  (C),  tribuno,  fa 
giudicare  coloro  che  avevano  coii- 
chiusa  la  pace  con  Giugurta,  III, 
109. 

Mamurra,  di  Formia,  favorito  di  Ce- 
sare, sua  casa  fatta  splendida  colle 
spoglie  dei  Galli,  IV,  197. 

Manastabale,  figliuolo  di  Massinissa, 
■  U,  508. 

Mancia  (Elvio),  dì  Formia,  rimprovera 
a  Pompeo  Magno  le  sue  crudeltà, 
III,  313. 

Mancipium.  I,  797. 

Mandonìo,  capo  di  tribù  in  Spagna, 
si  unisce  ai  Romani,  II,  407. 

Mandubii  (Còte  d'Or),  popolo  della 
Gallia  Lugdunese,  III,  448. 

Manduco,  maschera  nelle  Atellaiie, 
II,  647. 

Manduria,  nel  territorio  dei  Salenti- 
ni,  rovine.  1,  .333  ;  presa  da  Fabio 
Massiiu.i,  II,  39.-,. 

Mani,  I,  400,  740.  IV,  652. 

Mania,  dea,  madie  dei  Lari,  I,  376, 
741. 

Manica  (mare  della),  III,  439. 

Manilio,  poeta  degli  astri,  IV,  133. 

Manilio  (C),  tribuno,  propone  che 
Pompeo  sia  fficandato  contro  .Mitri- 
date, HI,  343;  sua  legge  sulle  ele- 
zioni, 354,  335. 

Manilio  (M.mio) ,  ciuisulc,  parte  per 
l'Atlrir  ,.  II.  ,-,ii-,  l.iitutn  dai  Car- 
tagini-  I:  .   :        --.  salvato  da 

Scipi...-.     1      ,  :    ,:    .       MS. 

Mauio,  ei-i  II  li  uv  ili  1  iiUia  alla  guer- 
ra, l'atto  uccidere  da  Antonio,  111, 
643. 


ili  liberl.-i, 
litato  dalla 


ire,  favorevoli 


rupe    I      ; 
Manlio  (l'Ili. Il  .,, 

alla  plebe,  II.  2:;. 
Manlio  (Tito),  pretore  di  Sardegna, 

vince  i  Sardi  e  i   Cartaginesi,  lì, 

370. 
Manlio  Acidino  (I-.),  vince  i  Cclliberi 

e  ne  riporta  ricca  preda ,  H ,  455, 

4.76. 
Manlio  M.-issimi.  (Glie..),  cnisnle,  sua 

ininlii-i/l:i    '"11    ','.  S'  rxili'i  r.-|iiii:ii-, 

IH,  l:i-l.'-.      .    .,   11..  .,.1   \,  .  ..,: 

125-.  li;.  .  .        '  .  .  .1  ..   .     .1..     l:,, 

ManUo   'l  ..i  .|i  ii"   {  \  >     .m ■iii,.ii.i 

807.  ' 

Manlio  Toniuato  (L.) ,  console,  parla 
in  favore  di  Calilina  accusato  di 
rapine  nell'Affrica,  HI,  372. 

Manlio  Torquato  (T.),  questore  del 
console  Pausa,  HI,  601. 

Manlio  Toniuato  Imperioso  (Lucio), 
caccia  il  figlio  di  casa  perché  non 
facondo,  IH,  695. 

Manlio  Toniuato  Imperioso  (Tito) , 
console,  uccide  un  Gallo  gigante, 
li,  33-31  ;  prende  Priverno,  35  ;  si 
oppone  alle  dninaride  della  li-^^.i 
latina,  I.-,:  iniii.ve  .niiln.  i  Latini, 
45;  cndaiiiia  a  nn.rle  suo  ll^'li.. 
per  aver  loiubaltulo  contro  i  siinì 


ordini,  46  ;  vince  i  Latini  al  Vesu- 
\iu,  47;  e  a  Tritano,  48;  durezza 
dei  suoi  comandi,  284. 

Manlio  Vulsone  (G.),  console,  inviato 
nell'Asia  Minore,  li,  450-rl51  ;  per- 
corre la  Panlilia,  la  Pisidia  e  la 
Frigia,  451  ;  vince  i  Calati ,  451  ; 
trionfa,  452;  dopo  aver  fatto  la 
guerra  senza  decreto  del  Senato, 
555. 

Manlio  Vulsone  (Lucio),  console,  vince 
i  Cartaginesi  a  Ecnomo,  11,  219; 
richiamato  d'Affrica,  220. 

Mantiuea  (Paleopoli),  una  delle  più 
antiche  e  potenti  città  di  Arcadia, 
abbellita  da  Adriano,  IV,  6.57. 

Manto,  divinità  etrusca,  protettrice 
di  Mantova,  I,  389,  392. 

Mantova,  citta  etrusca,  1 ,  126  ;  fon- 
dala da  Tarconte,  127;  popolazione 
mista  dì  razze  diverse,  181  ;  resiste 
ai  Galli,  886. 

Manumissione  dei  servi,  HI,  Z6-Zi. 

Maria  del  Popolo  (chiesa  di  santa), 
edificata  per  cacciar  via  lo  spettro 
di  Nerone,  IV,  427-428. 

Slariana,  in  Corsica ,  colonia  Roma- 
na, IL  544. 

Marcelliani  (Francesco),  di  Orhetello, 
suoi  scavi  a  Succosa,  1,  160. 

Marcello.  —  Vedi  Claudio  Marcello. 

Marcia,  concubina  di  Commodo,  IV, 
778;  destinata  a  morte,  congiura 
contro  di  lui,  779;  e  lo  avvelena, 
780. 

Marciana ,  sorella  di  Traiano ,  sue 
virtù,'  IV,  561. 

Marciano  (Elio),  proconsole  della  Be- 
tica,  IV,  707. 

Marcianopoli  (Praicady),  nella  Me- 
sta Inferiore,  IV,  561. 

Marci na  (rietct),  città  etrusca  nell'I- 
talia meridionale,  I,  128,  278. 

Marcio  (Anco).  —  Vedi  Anco  Marzio. 

Marcio,  i-.accoglie  gli  eserciti  dei  due 
Scipioiii  sconfitti  in  Ispagna,  11, 
403;  porta  a  Roma  lo  scudo  di 
Asdrubale,  404. 

Marcio  (Quinto) ,  pretore  di  Cilicia, 
HI,  343. 

Marcio  Censorino  (C),  legato  di  Car- 
bone, non  riesce  a  soccorrere  il 
giovane  Mario,  HI,  250;  muove 
contro  Roma,  238;  vinto,  è  ucciso, 
259. 

Marcio  Censorino  (Lucio),  console, 
parte  per  l'All'rica,  li,  .505;  chiede 
la  distruzione  di  Cartagine  ,  .506  ; 
battuto  dai  Cartaginesi  assediati, 
.508, 

Marcio  Filippo  (L.),  tribuno,  rimelle 
in  campo  la  legge  agraria  ,  111, 
147  ;  console,  messo  in  prigiuie  d.i 
Livio  Druso,  106-107;  abolisc.'  le 
lej.';;i  di  Druso,  Kìf  ;  si  unisce  a 
Siili,  J.'il  :  difende  Pompen  in  tii- 
II  II-,  2.52;  persuade  di  lesisieiv 
I  .|Miiii,  2.S9;  accu.sato  da  I.,  l 'ras- 


Marcio  1' 
del  pre 

gli  rai 


nitri 


Ma.edoiiia,  per  acquistar  tempo 
traila  di  pace  con  Perseo  e  si  van- 
ta di  averlo  in^animlo,  470  ;  con- 
sole di  nuovo  vince  Perseo  al  mon- 
te olimpo,  473,  474  ;  e  corre  la  Ma- 
cedonia, 475. 
Marcio  Rutilo  (Caio),  primo  dittatore 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1021 


MARIO 


MASSINISSA 


plebeo,  V 
immolati 


priiciom  i-omam 
^JIlSl'le,  ferito  iiel- 


Mardo  Rutilo  (c..).  Colisa 

la  guerra  fonti-o  i  Sanniti,  li.  71. 

Marcio  Tremulo  (Q.),  vince  gli  Erni- 
ci,  U,  ~(i  ;  sua  statua  equestre  nel 
Foro,  300. 

Marcomani,  sotto  Maroboduo  forma- 
no un  grosso  reame  in  Boemia, 
IV,  222;  (liminviito  poscia  per  più 
diserzioni  causate  dal  tradimento 
del  despota  dopo  la  sconfitta  di 
Varo,  e  sfasciato  da  Catualda  re 
dei  Gotoni,  270-271  ;  battono  Do- 
miziano, 530  ;  confinano  coi  Burii, 
571  ;  assaltano  ripetutamente  l'Im- 
pero, 73-J,  741  ;  M.  Aurelio  medita 
<li  ridurre  il  paese  a  provincia, 
745  ;   fainio   pace   con  Commodo, 

7e8. 

Mardione,  eunuco  di  Cleopatra,  III, 
C74. 

Marecchia  (ponte  sulla),  cominciato 
da  .\ugusto  e  compiuto  da  Tiberio, 
IV,  CU.  Il  fiume  in  antico  chiama- 
vasi  Arimino,  e  détte  il  suo  nome 
alla  città. 

Maremma  toscana,  opere  idrauliche 
fattevi  dagli  Etruschi,  I,  131-132  ; 
popolata  al  loro  tempo  da  molte 
e  fiorenti  citta,  150. 

Mares,  fondatore  degli  Ausoni,  I,  212. 

Maresea,  fìumicello  sulla  mont:igna 
Pistoiese,  vittoria  su  Catilina  {?), 
Ili,  389. 

Mariane  (fjsse),  alle  f jci  del  Rodani, 
IH,  128. 

Marica,  ninfa,  onorata  a  Minturna,  1, 
212,  381. 

Mario  (Caio),  sua  nascita  e  origine, 
I,  235,  IH,  08-100;  suoi  principii 
e  natura,  100;  latto  triiiuno  urt.i 
nobili  e  plebe,  lOn-lol  :  va  propre- 
tore in  Ispagn;i  .  1".'  ].■_  it  i  .h 
Metello   nella   un-  i,     - 

gurta,  HO;  si  di  ini.n  ili'  .  :< 
diZama,lll;r^'s|iiii-'i.M.._Miri  ,.|  i 
Sicca,  112  ;  sue  virtù  militari,  113  ; 
chiede  a  Metello  di  ritornare  a 
Roma,  113;  sua  nimicizia  con  lui, 
113-114;  va  a  Roma  ed  é  eletto 
console  per  comandare  la  guerra 
in  Affrica,  114;  suoi  discorsi  con- 
tro i  nobili,  e  apparecchi  di  guer- 
ra, 114-115;  torna  in  Affrica,  pren- 
de Capsa,  e  vince  Giugurta  a  Cir- 
ta,  116-118;  manda  .Siila  al  re  Bec- 
co per  indurlo  a  consegnargli  Giu- 
gurta, 119;  trionfa.  120;  rieletto 
lonsole  parte  per  la  CJallia,  120 ; 
aggiierisce  i  soldati,  127-128;  di- 
strugge i  Teutoni  e  gli  Ambroni 
.ille  Acque  Sestie,  128-130  ;  e  fatto 
'onsole  per  la  quinta  volta,  131  ; 
l'itorna  in  Italia  per  far  fronte  .ai 
Cimbri,  133;  e  li  distrugge  a  Ver- 
ceUi,  133-134  ;  trionfa,  135  ;  cele- 
brato come  salvatore  della  patria, 
130;  inetto  e  tristo  uomo  di  St.ato, 
147-148;  per  essere  nominato  con- 
sole la  sesta  volta  si  unisce  con 
fcilauciaecon  Saturnino,  148-1.')0; 
giura  le  leggi  proposte  da  Satur- 
nino, 152-153  ;  vince  i  suoi  amici 
demagoghi ,  154  ;  odiato  da  tutti 
parte  per  l' Asia,  155  ;  al  suo  ri- 
torno trova  Siila  più  grande,  155; 
sue  promesse  agli  Italici,  162  ;  nel- 
la guerra  sociale,  178;  sconsiglia 
Rutilio  Lupo  di  dar  battaglia  ai 
Marsi,  182;  evita  di  battersi  con 
gli  Italici,  184-185;  uccide  Erio 
Asinio,  185;  suo  odio  verso  Siila, 
202-203  ;  lo  accoglie  in  sua  casa, 
20.V20G;  si  oppone  a  lui  che  as- 
sale Roma,   e  fugge,  202-207  ;  di- 


ehiarato  m-mieo  pubblico,  207  ;  sua 
fuga  e  avventure,  I.  212,  III,  200- 
211;  ritorna  in  Kalia.  212;  fitto 
proconsoli,  da  (Muna,  212;  muove 
ciintro  Roma,  214  ;  vi  entra  e  com- 
mette orribili  stragi,  21G-218;  si 
crea  console  per  la  settima  volta, 
218  ;  suoi  terrori  e  sua  morte,  218- 
220  ;  le  sue  reliquie  gettate  nell'A- 
nio,  262,  281  ;  suoi  trofei  rialzati 
da  Cesare,  357. 

Mario  (C.),  figlio  del  precedente.  III, 
211;  seguace  del  padre  nell'esilio, 
212;  nominato  consol...  2.53;  af- 
forza Prenesl.'  ed  e  vinto  da  Siila 
a  Sacriporto  .  2rjt-2j.5;  ordina  a 
Bruto  Daniasippr.  di  ucilere  i  fau- 
tori di  Sill:i  ■?","■  (ì  p  la  resa  di 
Prene^t'  -:    '•    >:      -i   i-      -Vi. 

Mario  (Mar- •!       -■  mandato 

Cuui.'  i:ui.i.i;i:::..ii.  ì  i  ^.'rlorio  a 
Mitridate,  HI,  IjXj  ,  Ijutsuio  da  Lu- 
cuUo,  338  ;  i-'  da  lui  fatto  uccidere, 
339. 

Mario  Gratidiano  (M.),  ucciso  orri- 
bilmente nelle  proscrizioni  di  Sii- 
la, m,  201-262. 

Marionette  nei  templi,  muoventisi  per 
interessi  sacerdotali  e  politici,  I, 
609. 

Man 

197,  205,  20G. 

Marmo  augusteo,  IV,  103. 

Marmo  tiberiano,  IV,  193. 

Marmore  (cascata  delle),  presso  Tei^ 
ni.  II,  291-293. 

Maroboduo,  capo  dei  Jlarcomani,  fon- 
da un  potente  reame  (in  Boemia), 
IV,  222;  tratta  a  jjiusti  patti  con 
Tiberio,  222  ;  Arminio  gli  manda 
la  tronca  testa  di  Varo  per  ecci- 
tarlo a!  evarsi  in  armi,  228;  egli 
invec  la  manda  ad  Augusto,  228; 
un  .  d  I  ip;  d -Ila  guerra  civile  in 
vinto  da  Arminio, 
.:  I    !  Il  Tiberio,   270- 

::i  .  .'      '  .iiualda,    271;  ot- 

M:ir-   -  Il  '    '  di'  .Uonte- 

/"■  '•    d        ■       :■:.  rovine, 

I.  JMi     pi'.  -1  di.  1  I  ,;i  ',  ,  Marcello, 

II,  -V.H. 

Maroni,  magistrati  degli  Umbri,  1, 309. 

Marrubio  o  Marruvio  (San  Benedetto), 
sulla  riva  orientale  del  lago  Fuci- 
no ,  capitril  ■  d'i  Mi.r  i.  I,  247; 
iscrizione     I-  : ■     IV,  ,S07. 

Marrucini,  di-  i.   I,  217: 

loro  sedi.  .i:-.;:.  :.:-.:,.';  sotto- 
messi a  Uji.i...  11.  :.-, .  .luiangono 
fedeli  dopo  la  battaglia  di  Canne, 
:;63  ;  aiutano  Scipione  per  la  guer- 
r.a  di  Afl'i-ica,  410  ;  combattono  a 
l'idiia,  17:1  ;  entrano  nella  lega  Ita- 
li'-.i.   Ili     1:1  ;    -i.Mi  di  Mirio  e  da 


Marruvio,  città  pelasgica  nella  Sabi- 
na, I,  77,  78. 
Marsi,  disevsi  dagli  Osci,  I,  217;  loro 

srdl.  ?i:-:il.  u<i''  li.  l'i  r  incanta- 
li. '    :  I  ■-  ■  1:  ,  .    ■   .   ;  i:-.'is;  aiu- 


Marsi,  in  Germania,  IV,  226  ;  coire- 
rie  di  Germanico  nel  loro  paese, 
[Westralia),  247. 

Marsica  (guerra).  —  Vedi  Italici. 

Marta,  maga  di  Siria,  accompagna 
Mario  nelle  sue  spedizioni,  111,113 

Marte,  dio,  I,  386-387  ;  mese  a  lui  sa- 
cro, 387  ;  oracolo  nella  Sabina,  401; 
protettore  di  Roma,  740;  culto, 
729;  U,  11,  600,  IV,  34,  84,  744; 
Marte  dei  Galli,  56;  adorato  dai 
Sabelli  col  nome  di  Mamers  ,  I , 
38(  ;  Marte  Guerriero,  741  ;  Mili- 
tare, nel  Vallo  di  Adriano,  IV, 
651;  Marte  Quirino,  I,  384,  741; 
.Silvano,  740  ;  Ultore  o  Vendicatore, 
IV,  33,  34,  84,  192,  744:  la  sua 
asta  vibrata  da  M.  Aurelio,  751. 

Martelli  (Felice),  suoi  studi  sugli  an- 
tichi Siculi,  I,  192. 

Marnilo  Epidio  (C),  tribuno,  levato 
d'ufficio  da  Cesare,  III,  547. 

Marzabotto,  necropoli  etrusca,  ricca 
di  belle  opere  d'arte  illustrate  «la 
G.  Gozzadini,  I,  164-167,  434,  465. 

Marzi  (grotta),  a  Tarquinia,  adorna 
di  belle  pitture,  I,  503-504. 

Marzia,  moglie  del  senatore  Fabio 
Massimo," IV,  231. 

Marzia,  figlia  di  Cremuzio  Cordo,  oc- 
culta gli  scrini    'ri  p,dr.',   IV,  2SS. 

Marziale  (M,  Vul  1  -    .ii,-n„i- 

ìiii  cercati .  din,  IV, 

903-904;  sua  |  I     Munce 

adulazioni  al  i-.-OOG; 

urtici  e  onori       1  ■  1  1  bell'e 

dei  recitatoli  i    :n>^. 

Marzio  CoriolaiM  ,>  n^  11  .  m  dio  di 
Corion,  I,  7.>.,  v.,.,1  ii.^licre  di 
mezzo  i  tribuni  e  allumare  la  ple- 
be, 789  ;  condannato  dai  voti  delle 
tribù,  fugge  ti-a  i  Volsci,  I,  790  ; 
fa  guerra  alla  patria  e  si  accampa 
alle  Fosse  Cluilìe,  791  ;  cede  alle 
preci  materne,  792;  è  ucciso  dai 
Volsci,  792. 

Marzio  Turbone,  legato,  schiaccia  in 
Egitto  la  rivolta  dei  Giudei,  IV, 
619-620  ;  legato  di  Adriano  al  go- 
verno della  Dacia  e  della  Panno- 
nia,  631,  038;  perseguitato,  675. 

Marzio  Vero,  nella  guerra  Partica, 
IV,  728;  vince  in  Ai-menia,  731. 

Maschere ,  nelle  farse  Atellane,  II, 
647. 

Massada,  fortezza  in  Giudea,  resiste 
a  Vespasiano,  IV,  459,  488. 

Massico,  monte  in  Campania,  I,  267, 
269. 

Massilia  (M,i,->:ill.<\  .l.dta  M.issalia 
dai  Greci,  n.^ll  1  '  i  din  a  ili.nese, 
antichissimi             i  1^  ma,  H, 

541;  fondai  I  n  i  '1  .  1  lticm, 
111,90-91:  sue  .m1 'I  sua  po- 
tenza e  cultura.  HI  ;  sua  alleanza 
con  Roma,  91;  chiede  soccorso  a 
Roma  contro  i  Liguri  e  i  Salluvii, 
91-92  ;  Pompeo  le  .accresce  il  terri- 
torio, 296;  vi  è  confinato  Milone, 
474;  assediata  dai  legati  di  Cesare, 
491,  492:  si  arrende,  493-491  ;  sce- 
isto. 

Agrippa 

lungo  le  rive  del  Rodano,  68;  vi 
muore  Lucio  Cesare,  219  ;  vi  é  uc- 
ciso Fausto  Siila.  3"0. 

•Kld        I  ,  _       ■      ,  oì'ro- 


1022 


INDICE 


MASSIVA 


MEDICINA 


MESSANA 


fe  restituito  nel  suo  regno,  422,  423  ; 
invia  soccorsi  per  la  guerra  con- 
tro Filippo  re  di  Macedonia,  4:!3-, 
gli  È  vietato  di  venir  a  Roma,  491  ; 
sue  rapine  a  danno  dei  Cartagi- 
nesi, 501-502;  assedia  Oroscopa  e 
vince  i  Cartaginesi,  503-504  ;  mo- 
rendo nomina  Scipione  Emiliano 
suo  esecutore  testamentario,  50S. 
Massiva,  nipote  di  Massinissa,  fatto 
assassinare  da  Giugurta,  III,  lOS. 
Mastarna.  —  Vedi  Servio  Tullio. 

Mateola  i.Vatera),  nella  Peucczia,  I, 

:J4!1. 
Maternità,  IV,  857. 

Materno,  congiura  contro  Commodo, 

IV,  778  ;  ed  è  ucciso,  779. 
Matidia,  figlia  di  M.u-ciniia,  pia  e  be- 
nefica,   IV,    :.-.\  .    ,:.       iup:i-n.T    a 
Roma  le   cei  >  1       •        i;21; 

madre  di  Gi^  l      - 

Matiene,  una  voìm  h,!m   ii  r  i.  .ittà 

pelasgica  ncli.-i  .vaìiina,  1,  7  7. 
Matino,  città  delia  l)auuia,  I,  3.57. 

Matrai,  nel  Trentino,  anticaglie  etru- 
sche  scoperte  in  questo  villaggio, 
I,  120. 

Matrona  (Af'ìDm),  fiume  della  Gallia 
Lugdunese,  111,  424. 

Matrona.  —  Vedi  Donne. 

Matrino  o  Macrino  (Piomba),  fiume 
del  Piceno,  I,  225,  227-228. 

Matrino,  emporio  degli  Adriani ,  I, 
227. 

Matuno,  divinità  nel  Vallo  di  Adria- 
no, IV,  C52. 

Matula  (tempio  di),  nel  porto  di  l'irgi, 
predato  da  Dionisio,  tiranno  di  Si- 
r.ir.usa,  I,  883:  tempio  a  Roma, 
HI,  G8. 

Mauri,  alleati  di  Giugurta  contro  i 
Romani,  III,  116-117;  passano  con 
Sertorìo  in  Lusitania,  293  ;  seguono 
Tacfarinata,  IV,  274;  alla  prima 
guerra  dacica,  570  ;  sollevazione 
sotto  Adriano,  027;  moti  guerre- 
si;hi  cojiipressi  da  Adriano,  G55  ; 
e  sotto  Antonino,  708;  invadono 
la  Spagna,  727  ;  moti  repressi  sotto 
Comniodo,  769. 

Maurico,  fratello  di  Arulenno  Rusti- 
co, esiliato.  IV,  541. 

Mauritania,  divisa  in  due  province  ro- 
mane, IV,  782;  strade,  69. 

^(auritania  Cesariana,  345. 

Mauritania  Tingitana,  345. 

Mausoleo  d'Adriano.  —  Vedi  Adriano 
(Mausoleo). 

Mausoleo  d'.Vugusto.  —  Vedi  Augusto 
(Mausoleo). 

Mazio  (Gneo).  sri'.i.i.-  di  iiiliui  111, 
780;  e  tradwi-  .;■    .:   1,  '        ,  ,  ::i2. 

Mazzocclii    (Al -  suoi 

studi  sulle  IMI- ini     uv,    I.  1S8; 

illustrazione  filile   l.ivulc  di   ICra- 
clea,  324,  IV,  78(J. 

Mazzoldi  (.Vngclo),  vuole  che  gli  Ktru- 
schi  abbiano  dato  la  civiltà  al 
mondo  antico,  T,  hSO. 

Mi-cenate.  —  Vedi  Cilnio  Mecenate. 

Med;ima.  —  Vedi  Medma. 

Mi-iMix  Tuticìis,  magistrato  suprcino 
degli  Osci,  I,  366,  3G9. 

Medi,  chiedono  amicizia  a  Roma,  IV, 
SI. 

Meilia,  soccorre  Antonio  contro  Ot- 
tavio, III,  675. 

M'-iiinm  [Acl)  (ilehadia),  nella  Dacia, 
ly.  ,580. 

Mi'dici ,  un  tempo  tenuti  a  Roma  in 
pochissimo  conto,  III,  71.";  poi  0- 
norati  e  lar -i  --  m.^  |.  li  ,  IV, 
176-177;  ni.-.ji.  ,  .:    .        ,      I    :      ,,n- 

vilegiati  di  im r!  ,    '.ilri.nio 

076;  e  da.\r,i     ,,,..  I,  .    ;  •:  .  loro 
servizio  negli  «ani m,  ',ò<j-y.il. 


Medicina,  studiata  dai  sacerdoti  etru- 
schi, I,  461. 

Mediolano  (Milano),  fondata  dagli 
Umbri,  capitale  dell' Insubria,  1, 
65  ;  origini  di  essa  secondo  il  Mo- 
rigia,  1S6  ;  secondo  altri  ebbe  ori- 
gine dai  Galli,  886  ;  presa  dai  Ro- 
mani, II,  253  ;  onora  di  una  statua 
Bruto  governatore  della  Gallia  Ci- 
salpina, III,  549;  vi  studia  Virgilio, 
IV,  117;  parteggia  per  A'itèllio , 
442. 

Mediterraneo  (Mare),  per  l'apertur.i 
violenta  del  Bosforo  invade  le  ter- 
re, I,  22;  infestato  dai  pirati.  III, 
330-331;  liberato  da  Pompeo,  331. 

Medma,  detta  anche  Medama  e  Mesnia 
(Rosarno],  città  dei  Bruzi,  I,  300- 
301  ;  di  origine  greca,  310  ;  colonia 
dei  Locresi,  ÌI.  Wf 

Medullia  (S.  Angelo  in  Capoccia) , 
città  del  Lazio ,  rovine,  1 ,  562  ; 
vinta  da  Anco  Marzio,  596  ;  e  da 
Tarquinio  Prisco,  599. 

Mefite,  dea,  I,  380. 

Mefula,  città  pelasgica  nella  Sabina, 

I,  76. 

Megallide,  di  Ernia,  uccisa  dalle  schia- 
ve, HI,  30. 

Megalopoli  [sinanu),  capitale  della 
confederazione  d'Ai'cadia,  vi  si  uc- 
cide Dico,  II,  498. 

Megara,  cosi  chiamata  la  parte  nuova 
di  Cartagine,  II,  512  ;  occupata  da 
Scipione  Emiliano,  515. 

Megara,  sede  dei  Siculi,  II,  107  ;  co- 
lonia greca,  118,  127;  sotto  Gerone 
Secondo,  208;  presa  a  forza  da 
M.-irCilIo,  370. 

M'olii    (!:    l'I.    i:i,   presa  da  Cecilio 

M  A      -tiiniti  Caudini,  1,262. 

.Mr  !  i  :S|.iii!...,  spento  dai  patrizi,  I, 

Melita  (Malta),  isola,  colonia  fenicia, 

II,  116-117:  vinta  col  presidio  Car- 
taginese da  Tiberio  Sempronio 
LÓngo,  341. 

Melitea,  città  della  TessagUa,  sulla 
sinistra  del  liume  Eiiipeo,  III,  242. 

Melpi  {Melfi),  fiume  dei  Volsci,  I,  232, 
234. 

Melpi,  fiume  di  Lucania,  I,  288,  293. 

Melpo ,  città  etrusca  nella  pianura 
del  Po ,  1 ,  126  ;  distrutta  dai  Se- 
noni,  127. 

Meiiimio  (Caio),  tribuno,  forza  il  Se- 
nato a  dichiarare  guerra  a  Giu- 
gurta, 111,  107;  combatte  la  pace 
conchiusa  con  esso,  107-108;  inti- 
ma a  (tiugurta  di  svelare  coloro 
che  si  lasciarono  comperare  da 
lui,  108;  assassinato,  153-154  ;  ora- 
tore, a!)s-(;90. 

Memmio  (I.  :  1  ■,  p  ri  ■  alla  batt.iglia 
del  Tni:  I      ,      ,1  I     ,  I     III,  298. 

Meiuini'pi"  I    lirigheper 

le    de/. ,    ili  ,     ir  I .    pretore  in 

Bitiicia  ,  u.e  !..  . e  (..iiipagno  Ca- 
tullo, SU5;  scrittore  diversi,  790; 
amico  di  Lucrezio  che  gli  dedico 
il  suo  poema,  805. 

Menimio  Regolo,  console,  IV,  302. 

Meinuone.  —  Vedi  Colosso  di  Meni- 
none. 

Meninone,  storico  di  Eraclea,  III.  I7S. 

Mena  (ablii-evi.'i/ioiie  di  Men^Mloro).  li- 
Ijerto  di  N-  '•'  I  '"iiiii..  .   Ili,  (;i;  ;  -Il 

P™P '      ■■:■■';'     ''    '    "^'   •■'  ■  '^' 

e  di  Oli        -  :;  -i      ■      .  I  •      

649;    (l.-id      ■  ■        r I I    r    ler,hr 


Meiiandr 
643- 


comico   greco  ,  II , 

Mcnapii  (tra  il  Reno  e  la  Schelda), 
sottomessi  da  Cesare,  lU,  443. 

Mendicanti  a  Roma,  III,  17-18. 

Mene  (Mineo),  detta  dapprima  Nee , 
dimora  dei  Siculi,  II,  106;  trasfe- 
rita al  piano  da  Ducezio,  162. 

Menecina,  nel  Bruzio,  I,  306. 

Menecrate,  liberto  di  Sesto   Pompeo, 

III,  647;  alla  battaglia  navale  di 

Cuina  si  uccide,  651. 

Menenio  (Lucio),  tribuno  ,    sua   legire 

sul  frutto  dei  capitali,  II,  29,  30. 

Menenio  (T.) ,  console ,  accusato  di 
aver  tradito  i  Fabii  si  lascia  mo- 
rire di  fame,  I,  811. 

Menenio  Agrippa ,  senatore  ,  pacifica 
con  promesse  la  plebe  rifugiatasi 
sul  Monte  Sacro,  I,  781-782;  suoi 
funerali,  784. 

Menio  (C),  console,  sbaraglia  i  Vol- 
sci, e  i  Latini  al  fiume  Astura,  II, 
49;  statua  equestre  in  suo  onore 
nel  Fòro,  300. 

Menio  Agiippa  Camerinate  (M.),  pre- 
fetto della  fiotta  Britanica  nella 
guerra  coi  Caledonii,  IV,  640;  ri- 
cordato nel  Vallo  di  Adriano,  649. 

Menippo,  di  Gadara,  in  Siria,  cinico, 
suoi  scritti.  III,  752. 

Menisco,  capitano  delle  navi  di  Mileto, 
aiuta  Roma  nella  guerra  contro 
gli  Italici,  IH,  178. 

Meno,  fiume  in  Germania,  IV,  221,  55  (. 

Mensa  d'  oro  del  tempio  di  Gerusa- 
lemme, IV,  491,  492. 

Mense.  —  Vedi  Cene. 

Mercenari.  —  Vedi  Milizie  mercenarie. 

Mercurio,  in  specchio  etrusco,  I,  391  ; 
in  GalUa,  IV,  56;  culto  e  simula- 
cro nel  Vallo,  di  Adriano  ,  646  , 
653. 

Merico,  spaglinolo,  tradisce  Siracusa, 
II,  3S2. 

Merino,  città  della  Daunia,  I,  357. 

Merula,  fa  venire  Noè  in  Italia,  I,  186. 

Mesague,  fra  i  Messapii,  liberalità  di 
Traiano,  IV,  609. 

Mesi,  varietà  della  loro  durata,  I,  454  ; 
ridotti  a  dodici  da  Numa,  587. 

Mesia  (selva),  presso  Roma ,  I,  595. 

Mesia  (Bulgaria  e  Servia),  vinta  da 
M.  Crasso  e  guardata  da  due  le- 
gioni, IV,  78,  85:  conquistata  e 
fatta  tributaria  sotto  Tiberio,  312  ; 
resta  fedele  a  Oti  ih  iij  iii\i<a 
dai  Sarmati  e  l);ii  i    i   "  ■   ■; . 

sedi   delle    legioni  1      i  i  i  i, 

.570-571;  colonie  di    I  i  il  m Ila 

Mesia  Superiore  e  iiell' Infeii.jn-, 
5S1  ;  guerra  di  Adriano  ai  Sarma- 
ti, 631  ;  ricordi  di  Antonino  Pio, 
715  ;  provincia,  782  ;  stanza  di  tre 
legioni  e  di  un'armata  navale,  783. 

Mesma.  —  Vedi  Medina. 

Mesomede,  poeta  lirico,  IV,  703. 

Mos.ipotamia.  Crasso  vinto  nei  de- 
si'ii  di  p-'-i.  Ili,  iCti;  percorsa  e 
I  !"      '   r    ;' I    d.a   Traiano  .  iV, 

;i     .  ;  ,      .  '  ,     alibiuidonala    da 

CasMu,  7,11  ;   ceduta  dai   Parti  ai 
Koiiiani,  731  ;  provincia,  782. 
Messala  o  Messalla.  —  Vedi  Valerio 

Messala. 
M       liii  1  Valeria,  moglie  di  Claudio, 
niimgim  al  trionfo,  IV,  ,3J6; 
111  amie    di    ferocia  e  di  mo- 
li  SI  libidine,  350-302;  ripudia 

(  l.uidio    e    sposa    Caio    Silio   suo 
amante,   362-363  ;  orgie  di  nozze, 
3ti4  ;    uccisa,   365  ;   encomiata  da 
Seneca,  837. 
Messana  o  Messene  [Messina),   detta 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1023 


MBSSAPIA 


MITRIDATE 


prima  Zanr-le,  li,  00.  sede  dei  Siculi, 
107;  colonia  greca,  118,  HO;  sue 
origini ,  129  ;  retta  dal  tiranno 
Scile,  159  ;  distrutta  dai  Cartagi- 
nesi, 167  ;  battaglia  di  questo  nome 
fra  i  Cartaginesi  e  Dionisio  di  Si- 
racusa, 167;  Timoleone  la  libera 
dai  tiranni,  180;  stragi  di  Agato- 
cle,  183;  occupata  ferocemente  dai 
Maniertini,  204.  SOS,  209;  assediata 
ih\\  Cai-taL-inisi ,  210:  è  liberata 
d.1  AppÌM  Claudio,  210-211;  città 
federata,  27:5;  Senato,  274;  asse- 
diata dagli  s.hiavi,  in,  40;  mi- 
nacciata da  Atenione,  143  ;  preda 
dei  vincitori  e  dei  vinti  nella  guer- 
ra civile,  G58. 

Messapia,  detta  poscia  dai  Romani 
Calabria,  1.  3ll-::;t7;  dialetti  e  usi 
greci  di  tv\r«:,  r  _i  ,,i,..  313;  fa 
parte  di  un  i  .1.  Il'  !in  li  'i  regioni 
d'Italia  s.tt'.  Anijust  I  e  di'una 
delle  (|Uatir  >  s.tto  Adriano,  IV, 
42 ,  C/.V,  :  viti-rani  mandativi  da 
V.'spasiaiio,  40.7  ;  retta  colla  Apu- 
lia  da  un  giuridico,  738. 

Messapii,  o  Calabri,  I,  33.5  ;  loro  sedi, 
341-317;  lingua,  341,  478;  combat- 
tuli  da  Diomede  in  vaso  pugliese, 
3.y2-3"i3;  in  guerra  con  Taianfo, 
II,  188  :  alla  quale  poi  danno  aiuto 
contro  Roma,  191  ;  sottomessi  dai 
Romani,  201. 

Jleta  sudante  dell'Anfiteatro  Flavio, 
IV,  51.-). 

Metabo,  tiranno  dei  Privernati,  I.  369. 

>letaponti?ia,  repubblica,  I,  311  ;  re- 
gione. 324-321Ì. 

Metaponto  {Torre  di  Mare),  detta 
anche  Aliba,  nella  Magna  Grecia, 
I,  311  ;  prosperità,  splendori  e  ro- 
vine, 324-326;  sue  origini  greche, 
326,  II,  96:  colonia  degli  Achei, 
118;  caduta  in  misero  stato,  88: 
presa  da  Annibale,  387;  e  poscia 
dai  gladiatori ,  III ,  306  ;  ultimo 
asilo  a  Pitagora,  I.  326,  II,  151. 

Metaponto  (porto  di)  (Lago  di  Santn 
Pelagina),  I,  326. 

Metauro  (.Varrò  e  Petrace) ,  fiume 
nel  Brucio,  I,  297,  301. 

Metauro,  fiume  dell'Umbria,  II,  398  : 
battaglia  di  questo  nome,  400-401. 

Metauro  (Gioia),  città  del  Bruzio,  I, 
301. 

Metelia,  moglie  di  Siila,  arricchisce 
C)i  beni  dei  proscritti ,  111 ,  262  ; 
suoi  funerali,  274. 

Metflh,.  —  Vedi  Cecilio  Metello. 

Metereoloi'ia  et'rusca,  I,  459-460. 

Meiulo  (Mottlùifi  o  Metìiko),  capitale 
dei  Giapidi  sulla  frontiera  della 
Pannonia ,  presa  da  Otta\io,  111, 
C67. 

Mevania  {[!rvn'/,i'A,  città  dell'Um- 
bria ,  1 ,  6".  ;  gli  Umbri  sconfitti 
ivi  da  Fabio,  II,  75;  celebrata  da 
l'roperziu,  l\.  L"). 

Mezenzio,  tiranno  di  Cere,  I,  130, 
369. 

Mezio  Caro,  consigliere  di  Domiziano, 
IV,  .5.39. 

Mezio  Fuffezio,  dittatore  degli  Albani, 
I,  590;  tradisce  i  Romani,  593;  e 
squartato,  594. 

Mezio  Pomposiano,  latto  console  da 
Vespasiano,  IV,  504  ;  e  fatto  ucci- 
dere da  DomÌ7Ì.iiio,  523. 

Me.'io  Tarpa,  .ritico  letterario  alla 
ó.rle  ili  Au-u-to,  IV,  153. 

Mioali  (Giuseppe),  sue  opere  sull'Ita- 
lia antica,  1,  14-15  ;  sue  opinioni 
sulle  cause  della  civiltà  etrusca , 
175-182  ;  e  sulle  origini  italiche , 
190. 

Micipsa,   figliuolo  di  Massinissa,  lì, 


508;  re  di  Xumidia,  in  grazia  di 
Caio  Gracco  offre  di  mandar  grano 
ai  soldati  romani  in  Sardegna, 
III,  70  :  morendo  lascia  il  regno 
ai  suoi  figli  e  al  nipote  Gìugurta, 
103-104. 

Miele  di  Grecia  e  del  Ponto,  portato 
a  Roma,  IV,  205,  207. 

Milano.  —  Vedi  Mediolano. 

Mile  (Milazzo),  colonia  grecA  in  Si- 
cilia, II,  119,  1-29;  vittoria  navale 
dei  Romani  sui  Cartaginesi ,  215  ; 
e  di  Agrippa  su  Democare ,  III , 
654,  655. 

Miliade  ,  montuosa  regione  dell'Asia 
Minore  al  settentrione  della  Licia, 
data  ad  Kumene  II  di  Pergamo, 
II,  4.52;  non   fa   parte    della  pro- 


Milliaiio  luri  i 


I  romano  1% 


-493 
12 
alla 


1  1 1 ^P- 

te  -  Il  /lali 

1\  "^  Il  liiìti  il  it  da  Auju- 
'.t  3  78-79  loro  f  r/ 1  79  allat- 
tate con  piiMltgi  e  fienale  e  in  ti 
M,ia  disci])lin  1  79-80  duiatadel 
servizio ,  80  ;  stipendio  e  ricom- 
pense, 80  ;  riordinate  sotto  Clau- 
dio, 344;  loro  corruzione  ai  tempi 
di  Domiziano,  529;  che  ne  accre- 
sce lo  stipendio  di  un  terzo,  542; 
riordinamento  di  Adriano ,  629- 
630  ;  guaste  dalla  lunga  pace  sotto 
Antonino  Pio,  712  :  la  milizia  me- 
stiere di  lii'To  dursinte  1"  impero, 
81.5-816;  rlÌM,Mii,.„  ,  -..I. inesco, 
816-817.  —  \  I     J 

Milizie  merce,  n         :  11,4.30. 

Milizie  mercona:;  .  i  i  ^,  j  i  ;iceiate 
via  da  Timoleone,  lì,  l.Sl  ,  elevano 
al  trono  di  Siracusa  Agatocle, 
181-183  ;  si  rivoltano  contro  i  Car- 
taginesi, 328. 

Milone,  l'atleta,  discepolo  di  Pitago- 
ra. II,  150. 

Milone ,  lasciato  da  Pirro  a  guardia 
della  rocca  di  Taranto,  li,  202,  203. 

Milonia  Cesonia,  moglie  di  Caligola, 
uccisa,  IV,  335. 

Slilvio  (ponte)  (Ponte  Molle),  nella 
sua  forma  antica.  III,  290  ;  arco  e 
statue  ad  Augusto  per  la  restau- 
razione della  via  Flaminia,  IV,  tìli. 

Mimi ,  specie  di   farse ,  lì ,  646 ,   111, 

Minerva,  adorata  dai  Sabini,  1 ,  383  ; 
e  dagli  Etruschi  a  Faleria,  389; 
protettrice  degli  oliveti,  490  ;  dea 
della  mente,  I,  742-744  ;  tempU  a 
Ruma,  III.  .30S.  IV,  v:>ì.  .535;  ad 
Alba,  .535;  t  •  ■■,  ■  ,  >.  ,  i-a  de- 
rubato da  \  J.'-Ì23; 
Minerva  1!.:  '■  '  .  Gal- 
li, IV,  56;  l'I  I-  '  I.  >i  lliese, 
HI,  3.38;  pruleltnee  di  Alelic,  II, 
4.S2,  48);  .Minerva  Santa,  altare  e 
simulacro  nel  Vallo  di  Adriano, 
IV,  651,  653,  654  ;  Minerva  dipinta 
da  Amulio,  403. 

Minervio,  promontorio.  —  Vedi  Ate- 
neo, pi'iimontorio. 

Miiiicej  Natale,  premiato  dopo  la  pri- 


Miuoa,  in  Sicilia,  detta  prima  Maka- 
ra.  —  Vedi  Eraclea  di  Sicilia. 

Minturna  (presso  il  Liri),  città  degli 
Ausoni,  I,  210  ;  rovine,  212  ;  ribel- 
lata e  ripresa  a  tradimento  dai 
Romani,  II,  67  ;  colonia  romana, 
81,  268;  ricovero  di  Mario,  III, 
209-210  ;  colonia  militare,  IV,  43  ; 
acquidotto,  499;  Adriano  vi  ha  l'uf- 
ficio di  duumviro,  671. 

Minucio  Basilo  (L.),  legato  di  Cesare 
nelle  Gallie,  IH,  551;  congiura 
contro  di  lui,  551. 

Minucio  Esquilino  Augurino  (L.),  con- 
sole, è  bloccato  nel  suo  campo  da- 
gli Equi,  I,  825,  828. 

Minucio  Rufo  (M.),  comandante  della 
cavalleria  di  Fabio  Massimo  dit- 
tatore, II,  351  ;  riceve  1'  ordine  di 
non  avventurarsi  a  battaglia,  353  ; 
gli  è  data  autorità  eguale  a  quella 
del  Dittatore,  353;  è  salvato  da 
Fabio  Massimo,  354  ;  muore  a  Can- 
ne, 3.58. 

Minucio  Ruf)  (M.),  trionfa  dei  bar- 
bari nordici.  III,  98. 

Minucio  Termo  (Q.),  console,  non  osa 
assalire  i  Liguri  che  assediano 
Pisa,  II,  458. 

Mionneso  (Hypsilibovnos),  promon- 
torio sulla  costa  della  Ionia ,  fa- 
moso per  la  vittoria  navale  di  L. 
Emilio  Regillo  sopra  Antioco,  Il , 
447. 

Mirone,  liberto  di  Claudi.!,  IV,  342. 

Mirra  ile!lK_/!'.  i;:' Arabia  e  del- 
l'Oroh'       W  .   :     .   JiT,  208. 

MischeiM.  1      -     uii.  II,  104. 

Misen.i,  pi-  i;i  T  ri  i  e  ritta  nella  Cam- 
pania, I,  272  ;  predati  dai  pirati, 
III,  3:51  ;  pace  tra  Sesto  Pompeo, 
e  Ottavio,  e  Antonio,  647-649;  vi 
stanzia  un'  armata  navale,  IV,  79 , 
783;  vi   muore   Tiberio,  315. 

Misia,  nell'Asia  Minore,  data  ad  Eu- 
mene II  di  Persamo,  II,  452  ;  fa 
parte  della  provincia  di  Asia,  539  ; 
colonie  di  Adriano,  IV,  663. 

Mistia,  sul  territorio  di  Caulonia  nella 
Magna  Grecia,  I,  315. 

Misura  geografica  del  mondo  Roma- 
no, IV,  50. 

Miti  del  mondo  antico  sui  vasi  fittili, 
I,  444. 

Miti  poetici  del  secolo  d'oro,  I,  53. 

Mitilene  (Mitylen  e  Castro),  città 
principale  dell'  isola  di  Lesbo,  nel- 
r.\sia  Minore,  fatta  libera  da  Pom- 
peo, 111,  397  ;  il  quale  vinto  a  Far- 
salia  si  riunisce  ivi  alla  moglie 
Cornelia,  ,504. 

Mitra,  dio,  altare  nel  Vallo  di  Adria- 
no, IV,  651. 

Mitridate  Evergeto,  re  del  Ponto,  al- 
leato di  Roma,  ucciso  a  Sinope, 
III,  222. 

Mitridate  VI,  Eupatore,  re  del  Ponto, 
figlio  del  precedente ,  si  prepara  a 
lottare  con  Roma,  III,  183  ;  gli  Italici 
gli  chiedono  aiuto,  187;  sue  avvei\- 
ture,  forza  e  prodezze,  222-223  ;  fe- 
roce di  animo  e  studioso  di  veleni. 
224  ;  odio  ai  Romani  e  apparecchi 
alla  guerra,  225  ;  sue  conquiste  e  de- 
litti, 225-226  ;  vani  reclami  di  Roma, 
227;  trattative  e  minacce,  227; 
muove  guerra  a  Roma,  227  ;  sue 
vittoi-ir,  ::>  1.  ■  Hm  .  :,  -  -  ilva- 
tore  il        \  ::  '         !      -       r.liiia 

de'uAM  I,  :.  -,  ,.',  ,.  .,.,  .'  .  .li'u... 
di,  iui.i.ie  1.1  eneo. a,  l.ii  .  .Mie  cru- 
deltà nellAsia,  244  ;  vinto  da  Fim- 
bria ripara  a  Pitane,  245  ;  fa  pace 
con  Siila,  246-247,  335  ;  suo  trat- 
tato con  Sertorio,  300,  335;  ass.a- 


1024 


INDICE 


MITRIDATE 


MORTE 


NAPIZIA. 


lito  da  Murena  resiste,  335  ;  irrom- 
pe ili  Biliniu  e  PaUagoiUa,  3:36; 
vinre  a  Calcedonia,  336;  assedia 
Cizico  ed  li  vinto  da  Lucullo,  336- 
338  ;  cacciato,  è  battuto  all'  Esepo 
e  al  Granico,  3:J8;  vinto  a  Cabira 
si  rifugia  in  Armenia ,  339-3^0  ; 
aiuta  e  consiglia  Tigrane,  3^1; 
passa  nel  Ponto,  342  ;  vince  Fabio 
e  Triario,  342  ;  è  vinto  da  Pompeo 
a  Nii-..noli.  345;  fu;:?.'  n  Sinoria, 
345;  vui:,  Ar,n.,:i:i  '■^r.-M-::  f.i?- 
se  a  1>  '  :       'l-  i  :i-=iIO 


nel  i.ù 
disoL. 


suoi  rii'urili  a  Pauticapea,  352  ;  6 
seppellito  a  Sinope,  353. 

Mitridate  di  Pergamo,  soccorre  Cesare 
nella  guerra  Alessandiina,  III,  511  ; 
ed  e  da  lui  nominato  re  del  Bosfo- 
ro, dopo  aver  vinto  Farnace,  513. 

Mitridatide,  figlia  di  Mitrid.ite  VI,  re 
del  Ponto,  111,  3Jl. 

Mittistrato .  sul  fiume  Aleso  in  Sici- 
lia, presa  dai  Romani,  II,  218 

>Inest«re,  pantomimo,  IV,  322;  amato 
da  Messalina,  3'32;  ucciso,  364. 

Modena.    -  V-Ii  Mu;mi:i. 

Moglie.  _    \  1        i_;in. 

Mogon^i  i  ipo  della  via 

ciata  prubaijihiiL-au-  ila  uno  dei  ca- 
stelli di  Druso,  ;j8  ;  il  quale  vi  ebbe 
un  sepolcro  onorario,  101  ;  spada 
di  Tiberio  ivi  trovata,  241-242  ; 
sconiìttfi  ili'll»  !»o-i"!ii  romane,  476; 
poni'-  "!'  i;.  ■  ■■    '.'-. 

Molini  -Il  il  III.  .31. 

Momin-.        1       !  i  studi  sulla 

linL'u:i  1.    I7.S;    sull'O- 

sco,   l-'.-i-:  ^1  ii-ia  romana, 

tìSO-c.s]  il  ,  .  I-  dell'  editto 
aquaii  >  IV,  I.-.2. 

Monaf.l.'v'- ■•  i-  1-  Il  in  Hritannia, 
vinta  da  .Svvtoiii..  Paolino,  IV,  395- 
396  ;  lasciata  dopo  la  prima  con- 
quista, e  ripresa  da  -•Vgricola,  526. 

Monarchia  universale,  IV,  89. 

Mondo  muliebre,  I,  555-556;  sue  de- 
lic.atez?c,  IV,  199. 

Monete  romane,  di  bronzo,  li,  30T- 
310;  d'oro,  309-310  ;  d'argento,  310. 

Monitor  jMjsticvs,  III,  TOfi. 

Monte  Citorio,  sorto  dalle  rovine  del 
Teatro  di  Tauro.  IV.  VM):  ruderi 
della  colonna  di  Antonino  Pio,  71.1. 

Monte  di  Fiore,  via  di  Koma,  stazio- 
ne della  settima  coorte  dei  Vigili, 
IV,  27. 

Monte  Giovi,  in  Toscana,  I,  413. 

Monte  Sacro,  vi  si  ripara  l'oppressa 
plebe  romana  e  vi  ottiene  con  un 
trattato  le  prime  sue  libertà. ,  I  , 
780-786;  nuov.a  ritirata  colà,  dopo 
la  uccisione  di  Virginia,  839. 

Molile  Summano  o  Monsummano,  I, 
413. 

Monticelli  (presso  San  Germano),  vil- 
la di  M.  Terenzio  Varrone,  III,  747. 

Monumenti  storici  scritti,  1,  fi85-G8(!. 

Morale,  dottrina  di  Cicerone,  111,  735  ; 
principii  degli  scrittori  dei  primi 
due  secoli  dell'  Impero  ,  IV,  851- 
X.52. 

Morell  (.\ndrea),  suoi  disegni  della 
Colonna  Traiana,  IV,  .585. 

Mor^'.tnzia.  —  Vedi  Murganzia. 

Mor;,'eti,  tribù  pelasgica  dell'Italia 
iiiuridionale,  I,  72. 

Moria,  collina  in  Gerusalemme,  IV, 
4.'<l . 

Morigia,  Bue  opinioni  sull'origine  di 
Milano,  1,  186. 

Moriiii,  popolo  della  Gallia  Belgica. 
IV,  é. 


Morte  (la  pena  di) ,  combattuta  da 
Giulio  Cesare,  III,  383. 

Morte  (amore  della),  IV,  831-832,  833- 
334. 

Mosa  (Me^'sé),  fiume  della  Gallia  Bel- 
gica, IV,  34S. 

Mosella  (iloselle),  fiume  della  Gallia 
Belgica,  IV,  275. 

Mostene,  città  della  Lidia,  rovinata 
da  un  terremoto,  IV,  251. 

Motica  (ìlodiea),  dimora  dei  Siculi, 

II,  106. 

Mozia  (f;an  Pantaleo),  isola  e  città 
in  Sicilia,  sede  dei  Fenicii,  II,  113- 
114,  116;  assediata  da  Ducezio, 
163;  assediata  e  vinta  da  Dionisio 
il  Vecchio ,  lCfi-167  ;  ripresa  dai 
Cartaginesi,  167. 

Mucia,  madre  di  .Sesto  Pompeo,  va  a 
pregarlo  di  pace  da  parte  di  Ot- 
tavio, IH,  641,  647,  648. 

Mucio  Cordo,  edile  del  popolo,  III, 
195. 

Mucio  0  Muzio  Scevola  (C),  tenta  di 
uccidere  il  re  Porsena,  1,627-628; 
leggenda  composta  sulle  tradizioni 
greche,  645. 

Mucio  Scevola  (Publio),  ronsole  o  siu- 

reconsulto,  ami li  Til.  rio  c.,-.!.-- 

ro.  III,  48;  riiinl  •  ■'!  !  .  _'!  -io- 
lenza  contro  li'  i'  .  -  :  1'  >i 
approva  i  suoi  u         :  i    v- 

Muno  Scevola  (Quino.,,  Ul-io.  1'  Au- 
gure, si    arma  contro    Sai  umilio, 

III,  154;  difende  Manio  dichiarato 
nemico  pubblico,  207  ;  stoico,  739. 


sui  Pompeiani,  111,531-532;  espu- 
gnata, 5:S. 

Muniripii,  varie  sorti.  II,  262;  privi- 
legii,  263;  magistrati,  264;  ordi- 
n.imenti  di  Cesare,  111,  5:18;  loro 
governo  sotto  Augusto,  IV,  45  ;  e- 
lezioui,  45-47;  loro  regime  sotto 
eli  imperatori,  785-787  ;  magistra- 
ti, 788-789  ;  assoggettati  all'arbi- 
trio imperiale,  789-791.  —  Vedi  As- 
semblee municipali. 

Mura  ciclopirhp.  I,  .S0-S4,  scoperte  e 
studiate  dal  Petit-Radel  e  <la  altri, 
lOl-loi  ;  dispute  sulla  loi-o  auticlii- 
tn.  101;  nof,  .lolle  piin.-iiKili  co- 
sti-07!.'iii  i-iiO'"loii,>  nel  Museo  Pe- 
l:l-_ii    .   ili    l'I-...    104-110. 

Muri  I  I  I.ucauia,  I.  293. 

Mn.'i  .      \    I        :    -lo;. 

Miii-Lii,  I  I-:,,''  Maria  P,  Morga- 
rir .-'),  tortezza  dei  Sanniti  Peutri, 
I,  259  ;  presa  dai  Romani,  II,  79. 

Murganzia  o  Morganzia,  città  di  Si- 
cilia, II,  106;  presa  da  Ducezio  , 
103;  aiuta  i  Siracusani  contro  i 
Romani,  379  ;  assediata  da  Salvio 
re  degli  schiavi,  III,  139. 

Murseusi,  abitatori  di  EliaMursa  nella 
Panuonia  Inferiore  IV,  639. 

Musa  (Antonio),  medico  d'  Augusto, 
onorato  di  statua,  IV,  177-178. 

Miisarna  (presso  Viterbo),  I,  162. 

Museo  Capitolino  a  Roma,  IV,  474. 

Museo  Casuccini  a  Chiusi,  I,  1.54. 

Museo  etrusco  a  Firenze,  collezione 
di  vetri.  I,  434. 

-M,is,.n  pplascrio,.  ,li  PnriL'i.  T.  104-110. 

;  ■.    I\  .    111.       '■i  '■•  Ilo  a  lavo- 


sulla  rio,.                  li:     1.,;,  f  .'it 

iiio  ..    I.'ii,  ,i-~:ilo  (  ,  Ino  Colatore, 

da  Finiiii    ■   1     :  Il  ■   ■  il.'  ili  M.-irio. 

•IT,-,;  .-.ssiste  Kubellio  Plauto,  834; 

■,'19;  tiu         •           1    ,     p ioscrizione 

sua  nas.-ita  e  vita,  843;    sue  dot- 

del siio            1           ...  oratore  e 

trine,  843. 

dotto    giuri      :.,     Tri      ;jS. 

Musulaui  tribù  dell'Affrica,  IV,  274. 

Mu--in  Scevola  (Q,),  scrittore  di  versi. 

Mulina  (Modena,),  edificata  sopra  una 
palude,  I,  21;   città  etnisca,  126; 

III,  790. 

MQlIer  (Odof.'edo),  sue   opinioni  sulle 
origini  etnische,  I,  19ti,  197. 

colonia  romana,  II,   267,460;   in 

potere  dei  Romani  dopo  la  batta- 

M^Ua. ammenda,  1,  372. 

gli:!  d.  Ila  Trebbia,  342;   sconfitta 

Muniinio,    scrittore  di   Atellaue ,    IH. 

■  li  i  r.  li,  458  ;  presa  dai  Liguri,  460  ; 

780. 

X  il  0  1  il  di  Pompeo   su  M.  Giunio 

Mumrnio,  Incrato  di  M.  Crasso  è  vin- 

liioio,   Ul,  289;  vittoria  di  Spar- 

to   ili    S,,,,-t-,r-o.   HI,  30S. 

ino,,  su  Cassio  Longino,  :107;  asse- 

M'ì            II    1        ,  i-onsole,  assedia  Co- 

diata  da  Antonio,  592,  596;    libe- 

1      Hho  presso  Leucope- 
1                     II  .li'iristmo,  li,  497- 

rata,  598. 

Mutine,  inviato  di   Annibale,  solleva 

1      ,      1     1     ,__!     i-.irinto,  498-499; 

la    Si,Mli:i,    II     .385;    consegua   ai 

Ro,„:,„i.\i:n-,iiilo,  385-386;  È  fat- 

■Il             'i       il     '       -..U  col  so- 

ti,  ,i(i:i,liiio  :■  .mano,  386. 

1          ,            ,:    \    1       .    1  II:  vinto  e 

Mutui.  r:,i.,ie  ili  Nni, lidia,  vittoria   di 

\  iir  II  .,  ■         1   .    .  .hi   ,  :,n\. 

M,t,ll,i  su  Giiiuiirta,  III,  110. 

Munazia  1  •;  .  ■     o,       .         m-  il:  (  ■iilniir- 

Miiziaii,,  ((iii-,)lamo),suoi  disegni  della 

nio  P.s   II     1,     .  .                         Ii- 

Colonna  Traiana,  IV,  584. 

201;  in,'olj,-ii,i  -I.  li'i  i,:iiiir  ,1.  1.,'r- 
manico,  2(;:i.  ii'A\  ritorna  a  llomn, 
268:  separa  la  sua  causa  da  quella 
del  marito,  270;  finisce  di  propria 
mano,  270. 

Munazio  Fianco  (L.),  governatore  del- 
la Gallia,  HI,  592  ,  .598  ;  si  muove 
per  soccorrere  Decimo  Bruto,  599  ; 
passa  r  Isara,  600  ;  si  unisce  ad 
.Vntonio  e  a  Lcpiito,  605  ;  all'asse- 

"■  ""erugia,   f 

'  esercito, 
Antonio  e  si  reca  a  Roma,  673  ;  già 
buOone  alla  corte  di  Clitopatia , 
(i73;  amiro  d'Orazio,  C73-674  ;  pro- 
pone che  ad  Ottavio  sia  dato  il 
nome  di  Augusto,  IV,  18;  fonda- 
tore di  Lugduno  e  di  Augusta  dei 
Rauraci,  .53. 

Munda  (tra  Malaga  e  Ro>KÌa),  nella 
Spagna  Betica,  vittoria  di  Cesare 


Muzio.  —  Vedi  Mucio. 

Myos  Oniios  {AOo)'so)ner),  porlo  sul 

(ó.ll'o  .Vrabio,,,  lY.  207. 
Myiina .    ,ilià   doll'Asia,    sulla   costa 
"  ocidonlalo    (lolla    Misia,    figurata 

sul    li,issoriliov,j    di    Pozzuoli,  IV, 

2.11. 


poi,,  iloll   \r:,l,i:,   IVtrea,   IV,    111)1, 
Nal,iii       1,1  ,11 li    Sparla,  tradisce 

I  11  1  ;i  I  ,1.  M  I     .1  ,ina,  li,  435;  reso 

Ir  I     :  i      i;   ina,  440;   ucciso 

,l:,,,'ii  Irli. Il    4i:;. 
Nat'tià   (lago   di),   in   Sicilia,   11,  109- 

110. 
Napizia  (il  PÌ3Z0),  nel  Bruzio,  I,  299. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1025 


NERONE 


Napoca  {Kolsi-ar  o  Klaunsenbui-ff), 
nella  Dacia,  IV,  580. 

Napoleone  I,  suo  giudizio  di  Anniba- 
le, li,  339. 

Nar  (Nera),  fiume  dell'Umbria,  I,  220, 
II,  78,  2!ll-293,  IV,  44. 

Nai'li-'Hi  •  \ii  '•  ■"  ,11') ,  detta  Nnrbo 
M  I  imi,  commerciante 
III  .',:.  Ili,  95  ;  colonia 
li  ìnla  capitale  della 
e  .e  massimo  em- 
Y  '  :  1  il  quei  luoghi,  II, 
.MI  il  I  "'  <  I  1'.  Crasso  con- 
ti" _ li.  .olonia  militare, 

I\  ,  :ji  .  Au_i..-iu  \i  tiene  l'assem- 


Narbonese  (provincia).  III,  93.  —  Vedi 
Gallia  Narbonese. 

Narciso,  atleta,  strangola  Commodo, 
IV,  780. 

Narciso,  liberto  e  segretario  di  Clau- 
dio, IV,  343,  3".5  -,  presiede  ai  la- 
vori deli'.-iM.-v,  :i  ,  .■•.A  \:ru,  Fucino, 
3.58;  SCOI •  In   Messa- 

lina ha  ^p  -         '  ;-:;;4;   ta 


ise,;.'ii 


Brit,-i 


.u.il  che 
lìc  Elia 
tamente 
Mirire  in 


Nardo  delle  Gallic  e  d'  Assiria,  por- 
tato a  Roma,  IV,  2U2,  207. 

Narisci,  germanica  tribù  de^li  Svevi, 
assaltano  l'Impero,  IV,  734. 

Narnia  (y'arni),  città  degli  Umbri, 
detta  dapprima  Nequino,  I,  G5  ; 
sotto  la  prote/.i.ine  del  dio  Visi- 
diaiio.  :«1  :  presa  e  colemizzata  dai 


1   i-he  non 

;ii:i,   394; 

I  .  - iicupata 

ia  dell' im- 


Nasonii  (L.),  pompeiano,  aiutalo  da- 
gli abitanti  di  .Sulci  in  Sardegna, 


V  p'inpeiano,  congnira 


Natale  (Antonio),  cavaliere,  denunzia 
Calpuniio  Pisene  e  Seneca,  IV, 
407. 

Natale  (Vincenzo),  suoi  studi  sui  Pe- 
lasgi,  I,  192. 

Natio,  dea  dei  parti  ad  Ardea,  I,  3?I. 

Nauloco  [Bagni  tra  Milazzo  e  Mes- 
sina) ,  sulla  costa  settentrionale 
della  Sicilia,  celebre  per  la  vittoria 
di  Airrippa  sopra  Sesto  Pompeo, 
III,  G-.G. 

Naumachie,  IV,  105. 

Naupatto  {Lepanto),  città  e  porto 
sulla  costa  settentrionale  di  Co- 
rinto, difesa  dagU  Etoli,  II,  447. 

Nauporto  (Ober  Laibacìi),  sul  piccolo 
liunie  del  medesimo  nome,  nella 
Paiirioiiia  Superiore,  IV,  222. 

Navi  antiche ,  etrusche ,  I,  882  ;  le 
prime  navi  da  guerra  romaue,  II, 
213-214  ;  figurale  nella  Colonna 
Traiana,  IV,  .58').  781;  loro  nomi, 
7X5.  —  V.'ili  l'Intta. 

.N:ivi    d-i    r:,i> I    |i    r:i    .li    ToZZUoli, 

I.  ::.'  ,  ,ii  .  i  ,  :  I  ■;  ,'■'!  .  porta- 
ti!. .  .il  !  ,•.  .  .  .I.li/ie  del 
lil.iil'l.i,    Jiil-Jii'i       liir  .1.    '1     ,iccor- 


dati  da  Claudio 


Caligola.  326. 

Navio,  augure,  statua 

m  suo  onore 

nel  Fòro,  li,  30i>. 

Naziulii  ,,;,.,,,.„..,.;.,  . 

,    nell'Apulia 

Neapiih     ■>                ■     :■, 

a  fra  tre  era- 

teiM     i.            !.    :  1     il 

Ita  Palepolie 

II,  .54;   Pale- 

piil'i    1       ,    1      .,       -  ,1 

■idesi,  I,  310, 

Il    'Il       .  1 .     .......  \ 

rgilio,  I,  275, 

IV.    1  .1  ,    .. 

.-.i    Sanniti    a 

lar.-  s.  ..n,  i  n-   |. 

-■'•  '  '  -"iipano 

e    Falerno.    Il        !-  . 

..  /:i  con 

loro,  .5t)-o.  .  I  i  _  I,  1 1  I  .  Pirro 
tenta  vanaiuriiie  di  pi -uderla , 
196;  ha  il  diritto  di  asilo,  263; 
obbligata  a  fornir  navi  da  guerra, 
270  ;  conserva  i  suoi  istituti  nazio- 
nali, 271  ;  aiuta  Roma  contro  An- 
nibale, 355  ;  rimane  fedele  dopo  la 
battaglia  di  Canne,  364  ;  respinge 
due  volte  Annibale ,  366  ;  sta  con 
Roma  contro  la  lega  Italica,  III, 
172;  vi  studia  Virgilio,  IV,  117; 
Nerone  vi  canta  in  teatro,  394  ; 
flagellata  da  un  terremoto,  510  ; 
Adriano  demarco  della  città,  671  ; 
poit-i    rn-1    t:-,-;    ,!ri    suerra,783; 


nell  Apu- 


Neap'jli  i.S!!.i.'.!  XI". Il  di  Xabui).  in 
Sardegna,  antichi  ricordi,  II,  245. 

Neapoli ,  quartiere  di  Siracusa ,  li, 
3/6,  380. 

Nearco,  tiranno  di  Elea,  II,  1.'33. 

Necromanzia,  III,  745. 

Necropoli  antiche  dei  colli  Albani, 
del  lago  Maggiore,  e  di  Villanova 
nel  Bolognese,  I,  47. 

Nee.  —  Vedi  Mene. 

Neeto,  fiume  della  Magna  Grecia,  I, 
316. 

Neeto  (Noto) ,  dimora  dei  Siculi .  II, 
106;  colonia  greca,  118;  sotto  Ce- 
rone Secondo,  208;  città  federata, 
273. 

Neferi,  città  d'Affrica  e  campo  dei 
Cartaginesi,  all'estremità  del  lago 
di  Tunisi,  presa  dai  Romani ,  li, 
508,  518. 

Nemauso  (Niines),  privilegiata  da  Ce- 
sare del  diritto  del  Lazio,  IV,  52; 
colonia  romana,  53;  detta  Augu- 
stonemauso ,  55  ;  ruderi  dell.a 
porta  d'Augusto ,  53  ;  acquidotto, 
57  ;  sulla  strada  di  Agrippa  con- 
ducente a  Narbona,  68;  cacio  lo- 
datissimo,  202  ;  tempio  inalzato  da 
Adriano  a  Plotina,  638;  luogo  or - 
ginario  della  famiglia  di  Antonino 
l'io,  693  ;  Anfiteatro  e  tempio 
(Maison  carrée),  701,  702. 

Nemei.  —  Vedi  Giuochi  Nemei. 

Nemesi,  amata  da  Tibullo,  IV,  137. 

Nemesi  etrusca,  I,  436. 

Nemi  (lafio  di),  I,  543. 

Nemi,  citta  del  Lazio,  tempio  a  Diana 
(nel  lungo  detto  il  Giardino),  I, 
513-545. 

Nemorense  (re),  sacerdote,  I,  545. 

Neottolemo  ,  duce  di  Mitridate ,  III, 
227  ;  vince  Nicomede,  228. 

Nepesini,  I,  133. 

Nepete  (Nrpi),  città  etrusca,  I,  13.5- 
136  ;  sottomessa  dai  Romani,  8S0, 
II,  13;  colonia  romana,  19,  269;  di- 
chiara che  non  può  soccorrere 
Roma,  393,  394  ;  iscrizione  alimen- 
t.aria,  IV,  807. 

Nequino.  —  Vedi  Narnia. 

Nera,  fiume.  —  Vedi  Nar. 


Nerazio  Prisco,  giureconsulto,  IV,  672. 

Neriene,  dea  dei  Sabini.  I.  383;  mo- 
glie di  Marte,  384;  dea  deUa 
Forza,  741. 

Nerito  o  .Ncreto  (Nardo),  città  dei  Sa- 
lentini,  I,  333,  337. 

Nerone,  figlio  di  Germanico,  affidato 
da  Tiberio  al  Senato,  IV,  286  ;  mal 
animo  di  Tiberio  contro  di  lui, 
287  ;  gelosie  c/)ntro  il  fratello  Dru- 
EO,  297  ;  accusato  da  Tiberio,  298  ; 
esiliato  a  Ponza  vi  muore,  29Ì9; 
Caligola,  suo  fratello,  ne  raccoglie 
le  ceneri,  317. 

Nerone  (riurli.i  rr-'r^-n  Aiig-icin  Ger- 

sua  n:i-    .1  :,   ;  \         .:  i.  !..    .:.    l'r;- 

spo  V::-  ..  ,....  ^.,  .    ,.. il-. _,...,    ::-A; 

testilaulil,..   rijliU'J     1.1.    /i.l     Ijiililizia 

Lepida  che  lo  educo.  3i;9,  370  ;  e 
adottato  da  Claudio,  370  ;  che  gli 
dà  in  moglie  la  figlia  Ottavia.  .370: 
colmato  di  onori.  37U  ;  laririzir.ni 
fatte  per  sua  i;,t  i  . -si  •.  .  nTti- 
371  ;  proclain  li  ;72  ; 

recita  l'orazii  i.i    i  nire 

di  Claudio,  372-:;:  i  i  rnni  .n.in  il,a 
suo  governo.  374-37S;  diseurdia 
colla  madre,  379;  suoi  amori,  379; 
fa  avvelenare  Britannico.  380  ;  al- 
lontana da  sfe  la  madre  Agrippina. 
381;  e  la  fa   .  s.i      :,  ■  n  ;,  ,ea 

di  cospirazi<jii.         I-  ■  r- 

gie,  3S2;  resi.    |  .  .1  ii- 

l'amor  di   Pipii  ■        :    __'i    la 

madre,   3S3-:M  n,,- 

garla.  384;    f.il  n  _  i    .  nto 

fa  adoperare  i I  :  ,  -  .-  ].iib- 
bUci  plausi  al  11.   ■  :  ,  -iia 

prima  educazion.-,  >:,  ..itureiln, 
istrione,  auriga,  38S  ;  poeta,  38*- 
389;  fi  uccidere  la  zia  Bomizia, 
389;  e  avvelenare  Burro,  389;  dis- 
grazia di  Seneca.  .389-'i90;  fa  uc- 
cidere Rubellio  Plauto,  390;  e  Cor- 
nelio Siila  Felice,  390;  ripudia  Ot- 
tavia e  sposa  Poppea,  .3'!0  ;  caccia 
Ottavia  in  Campania  e  poi  la  ri- 
chiama a  Roma,  391  ;  e  la  fa  ac- 
cusare ed  uccidere  ,  392  ;  con  un 
calcio  uccide  Poppea,  393;  e  le 
dedica  un  tempio.  393  :  iKcide  Anto- 
nia che  non  vu"lr-  T-.n-rc-it-re  alle 
nozze  con  lui  .il  :i  -ttt  lia 
Messalina,   llfll     ;    '     i  .   i  i.n 

Sporo.     394;    HI  r_,e. 

394;  canta  a  N   [i  l  :     i    .ni..! 

e  medita  un  vi  IL'- 1  i      ii; 

guerra  in  Brita;.  ^  oile- 

vazione  della  r.L  l  i  ii'ii- 
397  ;  sottomissi.i,.'  .ì.  i  l'ui:.  ii'S- 
399;  fa  incendiare  K.,ma.  :i!i9-lUll; 
e  ne  dà  colpa  ai  cristiani  che  fa 
crudelmente  straziare  e  uccidere, 
401-41)2;  riedifica  Roma,  402;  casa 
aurea,  l'i-'-  I  'I  pi  .  ò  -i  -io  .  rijiine 
e  ucei^  ..     ,  I  .  I-  I  .".  _  i-.n- 

tro  eh  I  I  I     -I  .      1. li- 

merò  ■_    ;ii  .:-•   ili     •  ,1!   in  ■      I  il-llll; 

a  Trasca  Peto  e  a  IJarea  Sora- 
no, 413-414;  sue  accoglienze  al 
re  Tiridate,.  415-417;  disegni  di 
guerra,  417;  viaggio  istrionico  in 
Grecia,  417;  vittorie  nei  giuochi, 
rapine  e  uccisioni,  419;  spoglia  l'o- 
racolo di  Delfo,  419  ;  ordina  a  Cor- 
bulonc  di  uccidersi,  419;  intra- 
prende il  t.nglio  dell'  istmo  di  Co- 
rinto, HO  ;    suo    ritorno   trionfale 


Italia,    42 


dazione  nelle 
122  ;  sue  pau- 

m  fuga,  425; 

1-127;  tenuto 

ilii   e  .amori 

<  I  mone,  443; 


Storia  dell' Ilulia  antica  —  IV. 


1026 


INDICE 


NICOMEDIA 


NORZIA 


poeta  fanatico  ,  867  ;  suo  poema 
sui  fatti  di  Roma.  868:  sue  perse- 
cuzioni ai  severi  cultori  della  scien- 
za, SC8;  nelle  tragedie  dì  Seneca, 
876;  enormi  lodi  dates:li  da  Luca- 
no, 877-878;  legge  ed  e  furiosa- 
mente applaudito  nelle  pubbliche 
recitazioni,  907  ;  suoi  poemi  epici, 
911-912. 

Nerone  (falso),  IV,  046. 

Xeroni  (falsi),  IV,  43). 

Nerulo  {Rotoyida),  città  della  Luca- 
nia, I,  293  ;  presa  dai  Romani,  II, 


zion.  ,!i  Iru.i,  ,,  -1-  ,  ,.,nre.  540; 
chiese  a  Traiano  ehe  vendicasse 
r  insulto  fattogli  dai  pretoriani, 
.552;  prese  il  nome  di  Germanico, 
5"j2;  teiiijiio  inal/atnffli  da  Traia- 
u<i.  <iii  ;  ,  .-i.  -..  il  )..[,,■■;.  ;m  ilei  pub- 

l.li.-i     ,    ■    :    I     .,'1     'i:      !    ,■:     ii:1;l     SI12. 

Ner^i  r  ■  /;  •  '  ■  !  ii„dra 
Or,.;.l.,h  ,.  ...  „,:ri:  .  ih-iruui  da 
Cesare  ailasabi  [S„,nb,-a),i\\,i-ii\ 
si  sollevano,  442  ;  Cesare  diserta 
le  loro  tèrre,  443. 

Nessi,  I,  775. 

Nestore,  filosofo  di  Tjirso,  educatore 
del  giovinetto  Marcello,  IV,  110. 

Nettuno,  portico,  edilìcato  da  Agrip- 
pa, IV,  196  ;  il  tempio  di  Roma 
distrutto  da  un  incendio,  510  ;  ba- 
silica restaurata  da  Adriano,  679; 
suo  colosso  a  Civitavecchia,  605;* 
altare  e  simulacro  nel  Vallo  di 
Adriano,  651,  653  ;  tempio  a  Man- 
linea  riedificato  da  Adriano,  6.57. 

Nevio,  poeta,  la  sua  commedia  Cla- 
stidiioii  ha  per  argomento  la  vit- 
toria di  questo  nome,  li,  253  ;  sua 
cronaca  in  versi  delle  guerre  pu- 
niche. 611-012;  suoi  drainmi,  612- 
614  ;  carcerato  e  poi  esiliato,  614  ; 
suo  epitatrio,'  614-615. 

Kczio  (Torre  di Ne~i(i),  nella  Peuce- 
zia,  I,  349. 

Nibby  (Antonio),  suoi  sfudii  sulla  to- 
pografia e  sulle  antichità  di  Roma 
e  del  Lazio,  I,  077  ;  suoi  calcoli 
sulla  popolazione  di  Roma,  IV,  25. 

Nicànore,  figlio  di  Aree,  filosofo  d'A- 
lessandria, maestro  d'Augusto,  IV. 
109. 

Nicea  {Nizza),  colonia  fondata  dai 
Marsiliesi,  II,  541  ;  nssidiata  dai 
IJguri,  111,91;  capo  della  via  Giu- 
lia Augusta,  IV,  95. 

Nicea  (Lsiiik),  splendida  città  di  ISiti- 
nia,  teatro,  IV,  5G3  ;  di.sc ordie  po- 
polari (|uietate  da  Dione  Crisosto- 
iiio,  817;  restaurata  da  Adriano, 
664;  medaglia  in  onore  di  Uoinizia 
Lucilla,  718;  patria  dello  storico 
Dione  Cassio,  958. 

Nii-ea  in  Corsica,  fondata  dagli  Etru- 
schi, 11.  240. 

Nii-eta,  retore,  familiare  di  Plinio  il 
Giovane,  IV,  941. 

Nicia,  nella  spedizione  dogli  Ateniesi 
contro  Siracusa,  II,  104. 

Nieulao  Damasceno,  storico  parziale 
e  adulatore  d'Augusto,  IV,  180. 

Nicoineili'  li,  re  di  Bitinia,  rifiuta  di 
dare  il  contingente  richiesto  a  Ma- 
rio peiihe  derubalo  dei  suoi  sud- 
diti d.ii  pubblicani.  III,  138. 

Nieoniede  III,  re  di  Bitinia,  cacciato 
via  da  Mitridate,  III,  220-227  ;  ri- 
iiiesBo  sul  trono  da  Manio  A(|uil- 
lio,  assale  il  Ponto,  227;  aiuta  i 
Romani    contro    Mitridate,    228; 


sconfitto  si  rifugia  in  Italia ,  228  ; 
sue  sporcizie  con  Cesare,  528. 
Nicomedia  {Isnikinid  o  Is,iìid\^  città 
capitale  della  ] '.ri   ii    -i     N  .jiita 
da  Fimbria.  HI     :  r.  :  ,  ,ial 

fuoco,  4V,  5';:;:   ì.     '■       i     \   li  Ilio, 
storico  di  .\lr--        '      M    ^  I    I.  i;  ;.;  ; 


Dio 


.,  701  ;  di- 
luenza  di 


Nìcopoii  yDrrrtki),  m  Cappadocia  o 
Armenia  Minore,  l'ondata  <la  Pom- 
peo a  ricordo  della  sua  vittoria  su 
Mitridate,  IH,  315;  vittoria  di  Far- 
nace  su  Domizio  Calvino,  513. 

Nicopoli  (a  tre  miglia  da  Prevesa , 
sorta  dalle  rovine  di  essa),  nell'E- 
piro, fondata  da  Ottavio  a  ricordo 
della  vittoria  di  Azzio,  HI,  679. 

Nicopoli  (Nikvp),  nella  Mesia  Infe- 
riore, edificata  da  Traiano,  IV,  581. 

Nicopoli,  cortigiana,  lascia  suo  erede 
Siila,  in,  119. 

Nidda,  fiume,  in  Germania,  IV,  55*. 

Niebuhr  (Bertoldo  Giorgio),  sue  opi- 
nioni sulle  origini  italiche,  l,  193- 
195  ;  sulla  origine  dei  Sabini  e  de- 
gli Osci,  217;  rifa  la  storia  dei 
primi  tempi  di  Roma,  660-362  ;  co- 
nobbe gli  scritti  del  Vico ,  662  ; 
credi;  che  l'antica  storia  non  sia 
che  la  raccolta  di  canti  popolari, 
653-865  ;  sue  opinioni  sugli  ele- 
menti di  Roma  e  sulla  sua  origi- 
ne, 66(;-S(i8;  pregi  della  sua  sto- 
ria, 669-070. 

Nigidio  Figulo  (P.),  senatore,  amico 
di  Cicerone  e  suo  aiutatore  a  sco- 
prire la  congiura  di  Catilina,  cac- 
ciato d'Italia  da  Cesare ,  III,  74 1  ; 
poligrafo  con  fama  di  mago  e  col 
nome  di  Pitagorico,  744. 

Nigrino,  congiura  contro  Adriano  ed 
È  ucciso  a  Favenzia,  IV,  631. 

Nigr'o  Turranio,  Varrone  gli  dedica  i 
"libri  dell'Agricoltura,  III,  760. 

Nilo,  fiume,  vittoria  di  Cesare  su  To- 
lomeo Dionisio,  IH,  511;  Cesare 
meditò  di  cercarne  le  fonti,  513; 
vinto  dal  Tevere,  sua  imagine  a 
Roma,  IV,  6-2-63  ;  le  sue  cateratte 
confine  dell' Impero,  RI;  pereurso 
da  ("■frirniri-i.  ?i;.'  .  '■  unii'  Ira  esso 
eilMa     l:    -  Il   .  !  I    \ 1  ii„la 


a  Ce 


nel  Vali     ili  .V.Im.ii.ii.  IV,  052.65 
Ninfeo  (.Ym/V(),  liunie   dei   Volsei , 

232. 
Ninfidio  S.ibino,  liberto,  prcfs'tto  di 

Pretorio    sullo    Nerone,   IV,   41i 

trac   i  |iri  iiiriaiii  alle  ii.arli  di  fla 


Nino  (pn.i.    Villini 
sugli  ineaiitalor 


174;   e  sulla  villa  d'Ovidio  presso 

a  Sulmona,  IV,  l",!). 
Nisibi  (.v;>/'-:  "i   .  i|ri all'  della  Migdo- 

nia,  evji  !  I  I    ,.  allo.  III.  341  ; 

presa   11  I    II      I       I  \  .  615-310;    e 

da  laiM.i  i.ii,i,-iM    i.is. 
Nisida  (i.si.l.M,    iMu^;..  il    in-omont  irio 

di  Posilipo,   detta  Nesix  dai  Greci 

e  dai  Latini,  III,  579-580. 
Nissa,  figlia  di  Mitridate,  111,  .351. 
Niziobrigi  (paese  dei)    (Agennit]^    in 

A<iuilanìa,  sulla  Garonna,  III,  121. 
Nobili  plebei,  in  lolla  colla  plebe,  III, 

9  ;  loro  smisurata  ricchezza,   IO  ; 


si  oppongono  alla  legge  agraria 
di  Tiberio  Gracco,  49-50;  i  nobili 
e  la  nobiltà  nelle  Satire  di  Giove- 
nale, IV,  893-894.  —  Vedi  Patrizii. 

Nobiltà,  Adriano  divulga  l'uso  di  dar 
titoU  di  uffici!  non  "sostenuti ,  IV, 
635. 

Noè,  confuso  dagli  scrittori  con  Giano, 
I.  180-187  ;  e  fatto  venire  in  Italia, 
187. 
)èl  de 
origini  etrusche, 

Nola,  città  di  origine  etrusca,  I,  12S; 
presa  dai  Sanniti,  883;  una  dello 
più  popolate  e  fiorenti  citta  della 
Campania,  278,  282;  vasi  fittili,  444  ; 
ripresa  dai  Romani,  II,  6S  ;  respin- 
ge più  volte  Annibale,  366,  30'1, 
372  ;  sta  con  Roma  contro  la  le^a 
italica,  III,  172;  presn  dai  soeli  ita- 
lici,  181;  l'eseia,!.'  .1,  i  :  ..^ai. 
distrutto  ivi  da  Si  i     i    :  i  i 

resiste  lungamei  11'        I;  il. 

206,  209;  e  poi  ri.  J-r.  ,  iii.-.i 
dai  gladiatori,  306;  tempio  ad  Au- 
gusto ivi  morto,  IV,  232,  233,  237, 
290  ;  colonia  militare,  495  ;  ricordo 
di  Adriano,  637;  iscrizione  alimen-' 
tarla,  807. 

Nolani,  accorrono  alla  difesa  di  Na- 
poli, II,  55. 

Nomenclatore  degli  schiavi,  IV,  85$. 

Nomentani,  fanno  guerra  a  Roma  per 
i  Tarquinii,  I,  631. 

Nomento  (Mentana),  città  del  I^azio 
sul  confine  dei  Snbini,  I,  562;  sotto- 
messa di  T-ii-TMiii"  Priseo,  599;  ri- 
ceve l.'i  'l'I'  Il  i.vi'i    ^   a/a  suft'ra- 

gio.  Il,  :.a      I        .  a  suffragio. 


Ni     II 


454. 


Niiii.i.  Il  I  :^'i  nel  Fòro  dai  soldati  di 

Mariii,   III,  l.-iO. 
Nonio,  senatore  proscritto  da  M.  An- 
tonio, IV.  199. 
Nonio  .\sprenate,    amico   d'Augusto, 

accusato   da    Cassio    Severo,    IV, 

187. 
Nonio  Balbo  (M.),  sua  statua  equestre 

e    sua   famiglia  a   Ercolafio,    1\', 

799-800. 
Nora,  in  Sardegna,  antichi  ricordi,  II, 

245. 
Norba  (presso    Conversano),    nella 

Peucezia,  I,  319. 
Norba  (Norma),    città    dei  Volsei  .  I. 

233;  mura  ciclopiche,  SU.  liv;.  io;  ; 

assediata   e  presa  per    tradiinenio 


n-bo,  edilizi  sep" 
123,  4i6. 

nella  Slirin).    e; 


Nnriri,  ira    il   |i;uiuMn  e  W  Alpi,  I\, 

Norico  (comprendente  ì'Alla  e  ««w/i 
Aunlrin,  la  più  parte  della  Stirin 
e  della  Cnrinzia.  alcuni  tratti  de'l  i 
Ctiruinìn.  liaviera  e  Tirato,  e  il 
territcìrio  iì\  Srtìi^burgo) ,  invaso 
dai  Cimbri  e  dai  Teutoni,  IH,  l?l  ; 
comiiiereio  con  Roma,  IV,  202; 
ricordo  di  Antonino, 


eia,  782 


prov 


Nor^.ia  0  Portima,  dea  in  Etruria. 
381  ;  protettrice  di  Volsinio,  3S9 


DEI  iNOMI  E  DELLE  COSE. 


1027 


NUMITORE 


ORAZIO 


tt 


Novara,  origine  di  essa  attribuita  ai 
Galli,  I,  Sljlj;  patria  del  declama- 
tore AlbrWroSilo,  IV,  185 ;  parteg- 
gia per  Vitellio,  442. 

Nevato  (Giuiiio),  multato  per  ingiurie 
da  Augusto,  IV,  107. 

Novensidi  o  Novensili ,  divinità  Sabi- 
ne, I,  333. 

Novesio  (A'eMM),  vi  sono  sconfitte  le 
legioni  del  Reno,  IV,  476. 

Novi,),  scrittore  di   Atellane,  II,  64G, 

III.  780. 

-Novi.jiliMio  [Sancerre),  oppido  dei  Bi- 
turi-i.  ])rcso  da  C.-s.-»,v,  III,  44G. 

X.,VÌo,lllln-.    (X-.-'-V    ^-pi-ù.lr,   degli    E- 

.Ini  s„l     I  II.        I    _  ■l.,.ire),   m- 

'■.■M.li:i'..   .!         I  .  ,   IH,  447. 

.\mv;..i1iiiio    (    ■.. ,  .  .   militale    dei 

SiiL'S.si.jiii,  ii.i  il  li., Hi.  di  Aiuji'Ma. 

IV,  54. 

Niibia,  visitata  da  Adriano,  IV,  CCG. 
Nuceria  (Nocera),   città  degli  Umbri, 

Nucèria  Alfatorna  iXnrera  dei  Pa- 
glini), pn/sso  il  .Sariio  in  Campa- 
nia, tenuta  clasli  Etru-i.'hi.  I,  12S; 
l'ondata  dai  Pi_'lasgi,  -.'HJ-iSS  ;  pre- 
sa dai  Sanniti,  883  ;  rivoltata  con- 
tro Roma,  Il ,  67  ;  sottomessa  da 
Q.  Fabio,  75;  presa  e  incendiata 
da  Annilial,),  366;  qn-isi    distrutta 


607; 


iri    in    premio    ai    soldati, 
jlonia  militare  di  Augusto, 


IV,  43;  riaforzata  sotto  Nerone, 
373  ;  terremoto  ai  tempi  di  Tito  , 
510;  sanguinosa  rissa  dei  suoi 
cittadini  coi  Pompeiani,  797. 

Nurna  (la  reggia  di),  incendiata,  IV, 
400. 

Numa  Pompilio,  eletto  re,  I,  585  ;  isti- 
tuzioni religiose  da  lui  introdotte 
in  Roma,  586-587;  pace  univer- 
sale, 587;  sua  morte,  588. 

Numanzia  (presso  Soria),  nella  Spa- 
gna Tarivi.-,, iiese  ,  capitale  degli 
.\ievaci,  II,  .",32  ;  assediata  respinge 
i  Romani,  ', :!2  ;  fa  paci;  r.jn  Q. 
Pompei,,.  -::-;  resiiin----  il  ,  ,,,i=r,i,. 
M.  p,.i.,ll,  '  •  ■  :: 
C.  Ostil,-    \l 

533;    a-.s,-.;,  .:  ,  ,,.,     --•  ,,,, 1,.,,,- 

liano,  53.",-.',.;i;,  .>iiu  ,  r,,,.:;i,  i.n,.,  .".„;i;. 

Numeri  etruschi,  I,  452-455;  sistemi 
di  numerazione ,  456  ;  numeri  mi- 
steriosi, 436-457  ;  numero  perfetto, 
457. 

Numerio ,  uno  dei  duci  degli  Italici 
rivoltati.  III,  173. 

Numerio  Attico,  premiato  per  aver 
veduto  r  anima  di  Augusto  volare 
al  cielo,  IV,  23(1-2.37. 

Numi.  —  Vedi  Dei. 

Numi  imperiali,  IV,  651. 

Numicio  {Rio  Torto),  liume  nel  La- 
zio, I,  379,  527,  536,  540  ;  sue  ac- 
([ue  sacre,  539. 

Numidi ,  alleati  dei  Romani  contro 
Cartagine,  II,  221. 

Numidia  {corrispondente  in  gran  par- 
te al  paese  ora  chiamato  Algei-ii 
sulla  està  settentrionale  dell'Af- 
frica), sua  estensione.  III,  103;  in 
guerra  cu  R,,ma,  107-120;  mar- 
mi. IV.  2iir.  ;  strada  da  Cartagine 
a  Teveste,  Ii55  ;  provincia,  782. 

Numisio   di   Cii',-eii,    ambasciatore  a 
R,)nia,  li,  44-15;  chiede  aiuto  alle 
i  Romani,  47-48. 


(  .Vi' 


ibale  con  Clau- 


Numitore,  1,  5';S. 

Numitoriu  (C),  trucidato  iifUe  stragi 
di  Mario,  III,  217. 

Nummio  Costante  (C),  nella  guerra 
giudaica,  IV,  685. 

Nuraghi  di  Sardegna,  illustrati  da 
G.  Spano,  II,  240-241. 

Nurse  (Nesce  ?) ,  città  degli  Equi,  I, 
229,  230. 

Nursia  (Xorri'i,  nella  parte  superiore 
d,'ll:i  \,i','  ,1.  :|  1  \r,-a,  al  pie  dei 
.1/,'  '■  '  '  ",'|,  occupata  dai 
Si  :,:  I  ;:l  ':;;  ditene  preffet- 
tur,.  li.  'I.  |,.iiia  di  Q.  Sertorio, 
111,  i-Hi  :  sira/i;ii:i  nella  guerra  tra 
Luci.j  Aiit,jiii,j,  e  tltlavio,  6.3S;  ri- 
ordo  di  Adrian,,,  IV,  637  ;  patria 
di  Vespasia  Polla,  madre  di  Ve- 
spasiano, 4-,4. 


Dario,  capo  degli  schiavi  Siculi,  vinto 
dal  pretore  Licinio  Nerva,  III,  1.34. 

Obelischi,  I,  300,  IV,  192  ;  eliopolitani, 
portati  a  Roma,  111,  638;  obelisco 
del  Pincio,  IV,  670. 

Oblaco,  duce  dei  Frentani,  l,  2,54-2.33. 

Occhio  umano,  simbolo  di  Osiride  e 
di  Bacco,  IV,  205. 

Ocello  Lticano,  discepolo  di  Pitagora, 
II,  154. 

Oche  (le)  sacre  a  Giunone,  salvano  il 
Campidoglio,  I,  891;  onori  loro 
resi,  895. 

Oche,  ingrassate.  III,  14,  391. 

Ocinaro.  —  Vedi  Sabato. 

Ocriculo  {OCricoli),  città  degli  Umbri 
sulla  via  Flaminia,  I,  65  ;  occupata 
dai  Flaviani,  IV,  471. 

Octoduro  (Martigyiy  nel  Vallese)  , 
sulla  riva  sinistra  del  Rodano,  vit- 
toria di  Sulpicio  Galba  sugli  alpi- 
giani, III,  435,  IV,  91. 

Odeo,  inalzato  da  Domiziano,  IV,  532  ; 
di  Traiano,  604. 

Oeq.  (Tripoli),  città  d'Affrica  nel  di- 
stretto delle  .Sirti,  IV,  900. 

Oesco  (Gicen),  nella  Mesia  Inferiore, 
colonia,  IV,  581. 

Oeta,  giogaia  di  monti  in  Tessaglia, 
II,  445. 

Ofelia,  principe  di  Cirene,  aiuta  Aga- 
tocle,  e  questi  lo  fa  uccidere,  II, 
184. 

Offerte  votive  degli  antichi  Italici, 
L  413-414. 

Ofillio  (Aulo),  familiarissimo  di  Ce- 
sare, giureconsulto ,  strumento  di 
Augusto,  IV,  30. 

Ogradina,  villaggio,  epigrafe  che 
ricorda  la  via  Traiana  lungo  il 
Danubio,  IV,  56S. 

Ogulnii  (Gneo  e  Quinto),  tribinii,  dan- 
no alla  plebe  il  diritto  dei   sacer- 


Olbii 


i-:^i 


0  ;  edili,  ornano 
ìm,  nel  F.-.r,,  il 
,  e  dei  giiin-Ui, 
uubascialore  in 
:ui-o,  236,  29.3. 
Il  .Sardegna,  ro- 
■    II,  243,  24- 


vine  e  antichi  i 
Olbia,    città   greca    della    Sarmazia 

europea ,   aggiunta    da   Mitridate 

al  „,,,,  ve.jii,.  d..l  Ponto,  lU,  225. 
Olcn..,  ,M  ,  ,  '.  ■,  l'',inpei,  IV,  45. 
Olen     ,  ,trusco,  I,  614. 

Olevii,  I  -    '■■•     <■'  ili  Tivoli,  triù. 

,„,'./ ,."J'  ''"■  IV,  788. 

Oliganhia ,    eausa    della   decadenza 

romana.  III,  8-10. 
Olimpia  (villaggio  di  finn  Giovanni), 

nell'EIide,  visitata  da  Kmil  io  Paolo, 


II.  4S2  ;  spogliata  da  Nerone  per 
ad.irnare  la  Casa  ain-ea,  IV.  401. 

Olimpieio.  —  Vedi  (jiove  Olimpico, 
tempio  ad  Atene. 

Olimpi).  —  Vedi  Giuochi  Olimpii. 

Olimpo  di  Misia  (Kesclivìk  Dagli) , 
neir.\sia  Minore,  monte,  II,  451  ; 
selva,  IV,  663. 

Olimpo,  monte  della  Tessaglia,  U, 
473,  474,  478. 

Olio,  Adriano  ne  regola  il  commer- 
cio in  Grecia,   IV,  600. 

Olio  cedrino,  206. 

Ollsipo  Felicitas  Julia  (Lixhnnn),  in 
Lusitanìa  sulla  riva  destra  del  Ta- 
go,  IV,  60,  6S. 

Olondico  0  Salondico,  eccita  i  Celli- 
beri  alla  rivolta  ed  e  ucciso.  II, 

Oltaco,  re  dei  Colchi ,  condotto  in 
trionfi  da  Pompeo,  III,  .399. 

Olumbria ,  nome  delie  regioni  occu- 
pate d.i-li  Imbri  tra  gli  Appen- 
nini  ,■   il    ni.,1-    I    ,-:,'ni,.   I,  65. 

Omeristi      ,  ,,,  -i,  IV,  89.1. 

Omer,,,  ,  listru^scrne  i 

poemi.   I^■.    ::l     ■    -, 

Omonimi.di  p,-i,-,  .  .i.  |,-|,  i;  ,,,  Spa- 
gna e  in  It.-ilM     I     Ili-!!.' 

Omphace,  città  ,l      s  i;     i  ,| 

Oncia,  dodicesini:,  ,.,,i,  ,|  :[,.,,.  |[ 
309. 

Onomasto,  liberto,  congiura  con  Ot- 
tone contro  Galba,  436. 

Onore  e  Virtù,  tempio,  II,  29.5,  .597, 
603  ;  riedificato  da  Vespasiano,  IV, 
498. 

Onorio  (Giulio),  cosmografo  del  medio 
evo,  IV,  .50. 

Opere  sceniche  etrusche,  I,  462. 

Opicare,  1,  435. 

Opici.  —  Vedi  Osci,  I,  209. 

Opimio  (Lucio),  distrugge  Fregelle,  III, 
67,  161;  console,  80;  accusa  Caio 
Gracco,  80;  dittatore,  80-83;  sua 
crudeltà  contro  i  seguaci  di  Caio 
Gracco,  83  ;  difeso  dà  Papirio  Car- 
bone, 84;  fa  un  tempio  alla  Con- 
cordia, 84  ;  va  in  Numidia  e  si  la- 
scia corrompere  da  Giugurta,  105  ; 
è  esiliato,  109;  e  muore  in  esilio, 
85. 

Opinatnres,  IV,  70. 

Opitergio  (Oderzo),  città  della  Vene- 
zia tra  i  fiumi  Plavis  (Piave)  e  Li- 
quentia  (Livenza),  parteggia  per 
Vespasiano,  IV,  464. 

Oppido,  nella  Lucani,!,  1,  295. 

Oppio,  salva  suo  padre  proscritto,  Ilf, 
609. 

Oppio  (C),  suo  libro  per  negare  che 
Cesarione  fosse  figUo  di  Cesare,  III, 
687;  storico,  776. 

Oppio  (Quinto),  in  guerra  con  Slitri- 
date,  III,  2i8  ;  lascia  la  Panfilia  e 
ripara  in  Laodicea  di  Frigia,  228  ; 
consegnato  a  Mitridate,  è  condotto 
per  dispregio  in  giro  per  l'Asia  e 
poi  riposto  in  libertà,  229. 

Oppio  (Spurio),  decemviro,  I,  837;  si 
uccide,  842. 

Oppio  Sabino,  ucciso  dai  Daci,  IV, 
529. 

Ops,  Opi,  dea  della  Terra,  I,  215  ;  mo- 
glie di  Saturno,  378  ;  e  adorata  in- 
sieme con  esso,  730;  culto  portato 
a  Roma  dagli  agricoltori  sabini , 
741  ;  tesori  ammassati  da  Cesare 
nel  tempio  di  lei.  III,  575. 

Ora.  —  Vedi  Ersilia. 

Oracoli  italici,  I,  401. 

Oratori. —  Vedi  Eloquenza. 

Orazii,  leggenda  composta  sulle  tra- 
dizioni greche,  I,  643.  —  Vedi  Cu- 
ri azii. 

Orazio  B.irbato  (M),  I,  8.36;  sostiene 


102S 


INDICE 


ORAZIO 


ORIGINI 


OTTONE 


la  causa  della  libertà  contro  i  pa- 
trizi, s;i'' ;  eletto  console,  840  ;  vino* 
sii  Equi  e  i  Sabini  e  trionfa.  Sài. 

Orazio  Coclite,  arresta  sul  ponte  Su- 
blicio  il  nemico,  I,  G2'>6i7  ;  Roma 
lo  ricompensa  e  lo  onora  di  una 
slama  di  bronzo  nel  Fòro,  628-629, 
ir,  300. 

Orazio  Fiacco  (Quinto),  suo  giudizio 
su  Lucilio,  II,  653;  amico  di  Mu- 
nazio  Planco,  III,  673-67-1  ;  celebra 
la  solennità  sscolare,  IV,  33  ;  sua 
nascita  e  indole  cortigiana,  133- 
J31;  primi  studi,  134-133;  soldato 
di  lìrutn  p  tribiinn  di  uni  leirione 
a  Filippi     III.  i-.I'l    TV,   VA-;  primi 


Au-ii 


137.  li  :    !  Il  villa  Sabi- 

na, l'.:-!  -     i  M    vnate,  ISS- 

ISI; inni  •  1  .\'i.'i-'>'.  l.W;suacor- 
ruzi.jni'.  Ilo;  SUI  religione,  140- 
11»;  mette  in  ridicolo  gli  stoici, 
142-143;  maestro  di  mollezza  e  di 
voluttà,  143-144;  inai  sft.;ri  ,  loili 
ai  felici,  lettiMvi  i  1  An^ii  i  ,  1(1 
poeta  lirico,  1  li  i        i  - 

riche,  146;    ;,V  i  i     1 

irUStO    0    di    ]>M,-i    I        II.        -,      I       l;:- 

dole   d.'llT    <!■:•■■  .'.  '  .    111- 

147;  l-   I        '  ■      •'     '   "line 

monili     I  17-1  ;■:  p     ■         -    p  .■nii', 

squisii-i  il''   iu- 


bliche,  OO'J. 
Orbilio  Pupillo,  di  Benevento,  maestro 

di  Orazio,  I,  261. 
Orbitanio,  (lasd'lln  di  Ducrnta),  c'Mb. 


Orcadi 
pie- 


entri. 


ii'.'i„it:i  set- 
iiniialiarba- 
Vgricola,  IV, 


ra,  prese  uà 
.527. 

Orchestra,  nei  teatri  antichi,  II,  627. 

Orcomeno  (Kalpciki),  antica  città 
d'Arcadia,  il  Senato  romano  ordi- 
na che  esca  dalla  lega  Achea,  II, 
406. 

Orcomeno,  in  Reozia,  vittoria  di  Siila 

SU  I>..ril: Arrh..I.-,a  duci  di  Mi- 

trid.-it.'.   Ili     JlJ-Ji; 

Ordeoni-    II'        .    \-       ■    il.i  Galha  a 

IV,  -l::!.  1  :i  .  •■  r.iii-tnil'e  a  frel 
narle,  430;  Kiiento  dai  soldcati,  476. 

Ordine  equestre.  —  Vedi  Cavalieri. 

Oi-Jline  toscano,  inventato  dagli  Etru- 
schi, I,  417. 

Ordovici  (nel  paese  di  Galles ,  ecc.), 
popolo  sulla  costa  occidentale  della 
Jlnlannia  Romana ,  repressi  da 
Oiulio  Agricola,  IV,  526. 

Orecchio  di  Dionisio,  II,  173-174. 

Orelicerie  etrusche,  I,  434-436. 

Oreste  (porto  d')  (porto  liaraooso), 
nel  Hruzio,  I,  301. 

Orestilla  (Aurelia),  moglie  di  Catiliua, 
III,  370-rj71. 

Orestilla  (Livia),  rapita  da  Caligola 
al  marito,  e  poi  esiliata,  IV,  324 

Orfeii,  .sua  imagine  a  Roma,  IV,  850. 

Orgie  r..inane,   II,  ,576,  .500-592. 

Oria.  —  Vedi  l'ria  Messapica. 

Orico  (ICi-irho),  nell'Epiro,  si  dà  a  Ce- 
sar...  Ili,  407. 

Orienti!  (province  d'),  ordinate  da  Au- 
gusto, IV,  22;  stanza  di  quattro 
legioni,  78;   parte  dell'Asia  com- 


presa  dai    Romani    sotto    questo 

nome,  745. 
Origini  italiche,  I,  lì;    st'idi   antichi 

e    moderni,    12-14  ;     opinioni    dei 

principali  scrittori,  183-2)8. 
Origini  di  Roma  (scrittori  delle) ,  II, 

007. 
Ornamenti    nelle  tombe  etrusche,  I, 

517-318. 
Oro  dell'India,  IV,  207. 
Orobii,   tribù  della  (ìallia  Cisalpina , 

loro  origine  e  sedi,  I,  66. 
Croie,  re   dei   Parti,    in   guerra   con 

Rom.a,  111,  464,  465. 
Oroese,  re  degli  .\lbani  nel  Caucaso, 

ch'e.Ie  pace  a  Pompeo,  III,  347. 
Oroscopa ,    in    Affrica ,   assediata   da 

Massinissa  il  quale  vince  ivi  i  Car- 
taginesi, li,  501. 
Orsova,  nella  Servia,  vestigli  della  via 

Traiana,    IV,    568-360;    ponte    di 

Traiano  nelle  sue  vicinanze,  376. 
Orra.  —  Vedi  Uria. 
Orla  o  Ortano  lOrle),  città  etrusca, 

l,  1.33. 
Ortani,  1,  1.33. 
Ortensia,  figlia  dell'oratore  Ortensio, 

rl.ii|iu'nl~e  difenditrice  delle  m<iti"o- 

II     il  illr   rapine  dei  triumviri,  IH, 

ir;  '  ;  (Lucio),  comandante  la  flotta 
li'  il  I  :.;iii'rra contro  Perseo,  li,  472; 
Mii- 1  rudeltà  e  uccisioni  ad  Alidera, 
53  i. 

Ortensio  (Quinto),  dittatore  plebeo,  II, 
280. 

Ortensio  Orini.'  I()<ùnt'^.  difende  Pom- 
peo in  irli. UT,  .'    Ili    J-..';  cnihat- 


Ortcnsio  (,iri:ilu  (Q.),  ii-lio  del  prece- 
dente, ucciso  da  M.  Antonio  a  ven- 
detta del  fratello  Caio  fatto  ucci- 
dere da  lui,  III,  631. 

Orti  di  Asinio  Pollione,  IV,  174. 

Orti  di  I.ucuUo.  —  Vedi  Licinio  Lu- 
cullo  (L.). 

Orti  di  Mecennfe.  —  Vedi  Cilnio  Me- 


iitani,  I,  2.53. 
isca,  I,  169-172. 
,'ica  nella  Sabi- 


217 


,  ,  si'di,  215-216;  si 
!  -  il  Illirici,  216  ;  loro 
pupoli  discesi  da  essi. 


Osci,  nel  Lazio,  I,    531. 

OsciHìim,  giuoco  boschereccio,  I,  413. 

Ospitalità,  I,  494,  495. 

Ossa  {Kissavo),  monte  della  Tessaglia, 

II,  470. 
Ostia  ,  fondata  da  Anco   Marzio  alle 


getti  di   Nerone  e  dei  suoi  ingc 
gneri,  402  ;  colonia  militare,  493 


terme  ricostruite  da  Antonino  Pi.i, 
701;  iscrizione  alimentaria,  807. 

Ostiglia,  piccola  città  de'Ha  Gallia  Ci- 
salpina sulla  riva  sinistra  del  Po 
creduta  patria  di  Cornelio  Nepotei 
HI,  781;  vi  si  accampa  Cecina, 
IV,  465. 

Ostilia  (Quarta),  avvelena  il  suo  ma- 
rito Pisone,  II,  551. 

Ostilio  Mancino  (Aulo) ,  console,  in 
Macedonia  alla  guerra  di  Perseo, 
H,  472. 

Ostilio  Mancino  (Caio),  console,  ab- 
bandona l'assedio  di  Numanzia  e 
colto  alle  insidie  fe  costretto  iid 
accettare  la  pace,  II,  532-533:  il 
.Senato  non  riconosce  la  pace  e  lo 
consegna  nudo  e  legato  ai  Numaii- 
tini  che  non  lo  vogliono,  553. 

Ostilio  Mancino  (Lucio)  ,  preposto 
alla  flotta,  governa  male  la  guerra 
contro  Cartagine,  II,  509  ;  liberato 
da  Scipione  Emiliano,  e  rimandato 
a  Roma,  510. 

Ostio,  scrive  in  versi  la  guerra  del- 
l'Istria, III,  791-792. 

Ostorio  Sabino ,  accusa  Trasea  e 
Sorano,  IV,  414  ;  k  premiato,  413. 

Ostorio  Scapula  (M.),  console,  accu- 
sato sotto  Nerone  si  uccide,  IV, 
412. 

Ostorio  Scapula  (P.),  fonda  a  Camii- 
loduno  una  cnlnnia  romana,  IV, 
3(0  ;  vince  l'.iralta,',,,  :'.4r. 

Ottavia,  sorella  ili  ottavi,,,  veil,.va  .li 


;iainl 


Ma 


tonio,  IH,  643  ;  e  1.,  induic  a  far 
con  Ottavio  il  trattato  di  Taranto, 
632  ;  maltrattata  dal  marito,  668  ; 
e  ripudiata,  674. 

Ottavia  (Portico  d'),  costruito  da  Ot- 
tavio, IH,  667-668. 

Ottavia,  figlia  di  Claudio  e  di  Messa- 
lina ,  IV ,  330  ;  moglie  di  Nerone, 
370;  assiste  alla  morte  di  Britan- 
ni." Il',  n|.  iliata  da  Nerone , 
:;'u  i    ire    da   Poppea, 

:i"u      I  1    in  Campania  e 

1"'   I     '    '    1  Ivuna,  391;  fatta 

lu  1    ili   riu  e  uccisa,  392. 

Ottin  1      ,  \    ,|i  .Augusto. 

Olt  i\  1       ,  I  I    i,,rL'  nella  guerra 

.',,11  il  ,  )  '  , .  iss.ile  colla  flotta 
i  li,U  .li  .Mac.-,l.....ui,H,  477;  trionfa, 
4,S7,  490. 

Ottavio  (Gnco) ,  console  con  Cinna , 
IH,  20,S;  si  oppone  alle  proposte 
,lel  ,..,|!,.,_r,,  .>n,v!:  tenta  salvare 
K ,     '1  ;     ,'  ii'-,is.,,  217. 

Otta'.  I  '     M  I     l'imo,  pone  il  veto 

Hill  ■■-  I  I     I  proposta  da  Ti- 

li.ii ,'     . ,  HI  ,  31  ;  destituito, 

Ottavio  (M.),  comanda  in  Affrica  il 
navilio  dei  Pompeiani,  III,  517. 

Ottulu-..,    ni 'se,    Domiziano   gli   dà  il 

limili  i  .   Il  '.    IV,   .332.       . 

Ott Il       '1'         Il  nato  da  Nerone. 

1\  :  '  III  I  li  l>,ippea  Sabina, 
.'Il  .  i',iat,.re  di  Lusi- 


ilriiic.i,  M<-  sua  vita, 
detti,  449. 
Ottone   Tiziano   .^alvio   (I 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1029 


OTRICOLI 


PALINURO 


1  1 1  ,M' .  !•:;    !•   :  ■■  '   s  ._        ■ 

h',Z\  luu  .  i    .       -     — 

trattu  iii'l  ■   I'    •■  ■  ,,    I  .1 

le  sue  ■<y: .1:.. 

teche,  1S7  ,  -ran.lc    aUKii-re    d-llo 
pubbliche  recitazioni,  !l0fi-0o7. 

Ovinio  (Quinto) ,  senatore  romano , 
soprainlendente  al  lanificio  di  Cleo- 
patra, ucciso  da  Otta-vio,  HI,  687. 

Ovio  Faccio,  sacerdote  sannite,  II, 
84-85. 

O.iinta,  fig'lio  di  Giugurta,  preso  da 
Papio  Mutilo  e  rivestito  delle  in- 
segne ragie.  III,  181-1S2. 


Pace,  tempio  inalzalo  da  Vespasiano, 
IV,  499;  incendiato,  77.5. 

Pacoro,  figlio  di  Orode  re  dei  Parli, 
III,  465;  vinto  e  ucciso  da  Venti- 
dio  legato  di  M.  Antonio,  661. 

Pacquio  Proculo,  candidato  a  Pom- 
pei, IV,  46. 

Pacuvio  (Marco),  di  Brindisi,  pittore 
e  poeta  tragii^o,  1,  345;  dipinge  il 
tempio  di  Ei-cole  a  Roma,  II,  61)1; 
sue  tragedie,  617;  scrittore  di  sa- 
tire, 650. 

Pacuvio  (Sesto),  tribuno,  consacra  sé 
stesso  ad  Augusto,  IV,.  19-20. 

Padova,  detta  Patavium  dai  Romani, 
principale  città  dei  Veneti,  I,  63  ; 
parteggia  per  Vespasiano  ,  IV  , 
464  ;  lodata  per  severo  costume, 
829. 

Padre.  —  Vedi  Famiglia. 

Padre  Patrato,  capo  dei  Feciali,  I, 
374. 

Padri  delle  genti  minori,  I,  705. 

Padusa,  ramo  meridionale  del  Po,  I, 
885. 

Pallagonia,  regione  dell'Asia  Minore, 
ridoti.T  in  sua  potestà  da  Mitridate, 
111,  22;;  provincia  romana,  353; 
aiuta  Antonio  contro  Ottavio,  675. 

Pàfo  (KuhUi  o  Ko.itthlia),  città  del- 
l'isola di  Cipro,  santuario  di  Ve- 
nere PaMa,  IV,  460. 

Palatina,  iv-i  ,i;  ■.   I    'M-, 

Palatino,    .,,         i      ,.  ,  :,  ."..il,  572, 

•573,  (iun.  ',:i       ., l'I.   IV,   17, 

3-,,  36,  is:,  1':.  1'-;.  I  'T.  2:i9,  326, 
400,  4U.'. 

Palatium,  città  pelasgica  nella  Sabina, 
I,  76,  78. 

Palazzi  a  Roma,  loro  splendore,  IV, 
197.  —  Vedi  Case  dei  grandi. 

Palazzo  del  principe,  Adriano  ne  or- 
dina gli  uflìeii,  IV,  634. 

Pale,  dea  dei  pastori  e  dei  greggi,  I, 
379,  7.J0  ;  sue  feste  celebrate  nel 
di  natalizio  di  Roma,  575. 

Palepoli.  —  Vedi  Neapoli. 

Palestina.  —  Vedi  Giudea. 

Palestrina.  —  Vedi  Frenesie. 

Faticano,  sua  medaglia.  III,  704. 

Falice,  antica  città  di  Sicilia,  edificata 
da  Ducezio  a  onore  dei  Palici,  li, 
162-163. 

Palici  (i  due  fratelli),  numi  dei  Sicu- 


li, loro  culto,  II,  lOr-IlO;  santua- 
rio, III,  138,  140. 
Palinuro  (capo  di),  sulle   coste  della 
Lucania,  I,  293. 

Palladio  (il  sacro),  custodito  nel  tem- 
pio di  VesI.i  I  ',  ;  ,  I  I  i<;|i  jrtàto 
da  Troi.-i.  :;-;.:  ■  .  .U  Me- 


dio 


400. 


ne,  IV, 


Fallano,  fortezza  dei  Frentani,  rovine, 

I,  253. 

Fallante.  liberto  e  ragioniere  di  Clau- 

.!:  •    IV    't-^-     ; -.ri  decretatigli  dal 

I   -    M     iM.luce  Claudio  a 

;i   •         li  \_'i'ippina,  stata 

I  I    1,  i  :  I  ,     :;;    :;ì7;    fa  adottare 

.\  V  jiie  .1:1.   i.l.iu'Uu,  370;  sostiene 

Airripiiiiia  contro  Seneca  e  Burro, 

378  ;  gli  k  tolto  il  maneggio  delle 

finanze,  379, 

Pallanzia    {I',afnri'f.),    nella   Spagna 


1-1   \: 


Fall. 


T'-iyl'l    .'    :-    ;  '  -,-../.',■,)      Miitichis- 

sim.i  i-itt.i  ili  .Irradia  ,   riceve  im- 
munità da  Antonino  Fio,  IV,  701. 
Palma,  città  dell'  Agro   Falmense,  I, 


Palio   .,  .  I.   ,'-■-. 

Paliii.o.,,.   I.,  i     _: 

Paliiiiia  {lnJ-„u,,i,  .  in.t  dilla  .Siria, 
IV,  207. 

Palmireni,  ripopolano  la  Dacia,  IV, 
.580. 

Palude  Caprea  a  Roma, 

' VAzow], 

"'' 

Paludi  Galliche,  tra  Ravenna,  Aitino 
e  Aquileia,  I,  21. 

Paludi  Pontine.  —  Vedi  Pontine  (Fa- 
ludi). 

Pancrate,  ammessi  al  Museo  d'Ales- 
s;u..lri'i.    IV,  r;.;'l. 

Panel  l'I  ,  .'  r  /  ;c,ie)  ,  isola  dei 
\  il  :  Il  I  \1  Tirreno,  poi  infl- 
uì- p  ■!■  I-  ili'  "ili  imperiali,  I,  238, 
IV.   .'i;,  ,'IS,  2..S,  392. 

Pandosia  dei  Bruzi  (Mendicino),  pres- 
so Cosenza,  città  pelasgica,  I,  72, 
80  ;  vi  muore  Alessandro  Molosso, 
305-306;  colonia  di  Crotone  ,  li, 
96. 

Pandosia,  nella  Jlagna  Grecia,  al  di- 
sopra di  Eraclea  (in  vicinanza  di 
AngJoJia),  I,  306,  322. 

Fanellenii.  —  Vedi  Giuochi Panellenii. 

Fanezio,  tiranno  di  Leontini  in  Sicilia, 
II,  1.58. 

Fanezio,  stoico  ,  nega  l' immortalità 
dell'anima,  599;  familiare  di  Sci- 
pione Emiliano,  651  ;  détte  a  Cice- 
r.jne  l'argomento  al  libro  degli  U- 
f.z.-i.  Ili,  737. 

Paoli!  .:!:i  costa  meridio- 

fi  I  1-6,11,  451;  al- 

Ir  I    :  ;  abbandonata 

ili  .    provincia  ro- 

Pangeo  (l'ti;iari),  monte  di  Macedo- 
nia, III,  622. 
Pannoni,  ribellati  e  vinti,  IV,  9?. 
Panni. oi.i  (est,. ^.1   liinco  iIDnnubioda 


■,  il  I  lOj  ;iri  i.Im:i:.i.-  orien- 
.l.ir  r,iijìiPrùi  e  St'i'-nnia,  e 
e  della  Croaii'a  e  della  floxniV?), 
,'ìogata  in  parte  da  Ottavio, 
667  ;   sollevazioni   represse  da 


IV,  222;   sedizi. 


delle 


legioni,  244-245;  i-imrine  f,.,lele  a 
Ottone,  442;  i  il  .  ,  1,  \-  ihm.iiio, 
495;  e  di  Tru  i  i  sioni 

dei  Daci,   -51  ;T  I   ^inni 

poste  ivi  a  pre^'i:  ',  ."iTi  -  -  i-riiata 
da  Marzio  Tiiiboiie,  631,  638;  ri- 
cordi di  Antonino  Fio,  715;  invasa 
dai  barbari,  734,  741  ;  M.  Aurelio 
vi  rimane  più  anni,  741  ;  partita 
in  due  province.  Superiore  e  Infe- 
riore, 782. 
Panormo  (Palenno),  sede  dei  Feni- 
ci! in  Sicilia,  II,  113,  115;  presa 
dai  Romani,  22:3  ;  vittoria  di  Ceci- 
lio  Metello  contro  A<lerbale,  224  ; 
città  libera,  273  ;  Senato,  274. 


Pantelleria.  —  Vedi  Cossura. 

Panteon  d'Agrippa,  IV,  195,  196  ;  in- 
cendiato, 510  ;  restaurato  da  Adria- 
no, 679. 

Panticapea  (7i.>/-r  .  nvi  rimii' città 
greca    nel    '  ii  l     ii-ico, 

presa  da  Miti;  Il  .  r,  :  che 
alla  fine  dispr  n  i  ine  ni  vio- 
lentemente la  vita,  350,  351  ;  ri- 
cordi di  lui,  352  ;  epigrafi  del  re 
Tiberio  Giulio  Sauromate,  IV,  662. 

Pantomimi,  a  Roma,  II,  316;  cacciati 
e  poi  richiamati  da  Traiano,  IV, 
622. 

Panvinio  (Onofrio),  suoi  studi  sulle 
origini  dei  popoli  dell'  alta  Italia, 

Paolino  (Svetonio).  —  Vedi  Svetonio 
Paolino. 

Paolo.  —  Vedi  Emilio. 

Paolo  (Lucio),  congiura  contro  Au- 
gusto, IV,  108. 

Paolo  (San),  supposte  relazioni  con 
Seneca,  IV,  841,  842. 

Paoni,  loro  allevamento  e  costo,  IH, 
13. 

Papii,  famiglia  etrusca,  I,  484. 

Fapinio,  tribuno  dei  pretoriani,  con- 
giur,a  contro  Caligola,  IV,  334-335. 

Papinio  Stazio  (Publio) ,  poeta ,  sua 
descrizione  della  villa  di  Manlio 
Vopisco  a  Tiburi,  I,  559-560;  sue 
poesie  intitolate  le  Selve.  IV,  909  ; 
adulazioni  a  Domiziano ,  909-910  ; 
poemi  epici,  910  ;  la  Tebaùle,  910- 
911. 

Papio  (C),  tribuno,  fa  cacciare  di 
Rom.-i    -li   sf,-,MÌ.TÌ,   IH.   :C.-.. 

Papio  Mo'il  .  ic  I,    .  iiiiiiiii     iiiiiiiiri.ato 


iide 


Ercolaiiii  e  Pompei ,  181  ;  fa  pri- 
gione Oxinta,  181-182;  vinto  da 
Siila,  192  ;  è  poi  proscritto,  192  ;  ■ 
e  respinto  dalla  moglie  si  uccide, 
193. 

Papio  Mutilo  (M.) ,  console ,  che  col 
collega  Q.  Poppeo  Secondo  détte 
il  nome  alla  legge  Papia  Poppea, 
IV,  38. 

Papirio  (Caio),  console,  sottomette  i 
Corsi,  lì,  239. 

Papirio  (Lucio),  usuraio,  sua  crudeltà 
e  libidini,  li,  31-32. 

Papirio  (Marco),  6  insultato  da  uu 
Gallo  ed  ucciso,  I,  893. 

Papirio  Carbone  (C),  tribuno,  amico 
e  poi  traditore  dei  Gracchi,  sue 
leggi  liberali.  III,  59;  combattuto 
da  Scipione  Emiliano ,  60-JI  ;  e 
creduto  complice  della  morte  di 
lui,  62;  difensore  del  console  Opi- 
mio,  84  ;  valente  oratore  e  tristo 
cittadino,  694. 

Papirio  Carbone  .\rvina  (C),  figlio  del 
precedente,  dà  la  cittadinanza  allf 
città  federate,  III,  194  ;  ucciso  per 


1030 


INDICE 


PAPIRIO 


PARTICI 


PELIGNI 


ordine  di  Mario  da  Damasippo, 
255. 

Papirio  Carbone  (Gneo),  console,  sron- 
tìito  dai  Cimbri  a  Norcia,  III,  121- 
122. 

l'apirio  Carbone  (Gneo),  tre  volte  con- 
sole ,  duce  della  pai-te  Mariana, 
muove  contro  Roma,  HI,  214  ;  go- 
verna la  città  con  Cinna,  220  ; 
raccoglie  armi  e  denaro  per  impe- 
dire il  ritorno  di  Siila,  250;  resta 
solo  al  governo,  231  ;  impedisce 
che  sia  tolto  il  patrimonio  a  Pom- 
peo, 2.52  ;  fa  leve  nella  Gallia  Ci- 
salpina e  in  Etrurla,  253;  rieletto 
console,  253  ;  battuto  più  volte,  si 
ripara  a  Chiusi,  253-254  ;  e  la  di- 
fende contro  Siila,  256;  rotto  a 
Favenzia,  257  ;  si  ripara  in  Affri- 
ca, 257-.  "• '■.  p--;-.  ■•  fatto  ucci- 
dere .la  !■     ,  ;■         .-  -. 

Papirio  (';n      :       1   .  't^ic   della 

prima  ;.'!.  ;;:-,,:  ,  ilitt.atore, 
muove  o.'i.'.rj  i  !:t.M.i::  •poi  torna 
a  Roma  a  prender  meglio  gli  auspi- 
cii,  II,  .58;  fierissimo  con  Q.  Fabio 
che  contro  i  suoi  ordini  combatte 
i  nemici,  58-59  ;  odiato  dai  soldati 
per  la  sua  durezza,  59;  vince  i 
Sanniti  e  trionfa,  59  ;  chiamato 
con  Q.  Publilio  Filone  a  riparare 
Tonta  delle  Forche  Caudine,  63, 
285;  corre  l'Apulia  e  prende  Lu- 
cerla, 66;  dittatore,  vince  i  San- 
niti a  Longula  e  ne  mena  un  gran- 
de trionfo,  74-75. 

Papirio  Cursore  (Lucio) ,  figlio  del 
precedente,  console,  vince  i  San- 
niti ad  Aquìlonia  e  trionfa,  n,  87- 
•  88  ;  console  di  nuovo  con  Sp.  Car- 
vilio,  vince  i  Sanniti ,  Lucani  e 
Bruzi,  203;  e  s'impadronisce  di 
Taranto,  204  ;  ad  Aquilonia  espose 
l'augure  ai  colpi  nemici,  301. 

Papirio  Cursore  (Lucio),  censore  con 
Curio  Dentato,  11,  201. 

Papiro  d'  Egitto,  r\',  206. 

Pappo ,  maschera  delle  Atellane,  Il , 
647. 

Parafulmini,  I,  4fiO. 

Parche  (madri),  IV,  652. 

Paride,  istrione,  e  liberto  di  Domizia, 
acci 
IV, 

Paride ,  istrione ,  ucciso  da  Domi- 
ziano, IV,  522  ;  creduto  autore  del- 
l'esilio di  Giovenale,  891. 

Parisade,  ultimo  re  del  Bosforo  Cim- 
merio, III,  22.5. 

Parisi!  (i),  vinti  da  Azio  Labieno,  III, 
447. 

Parma,  città  otrusra,  I,  126;  colonia 
rom.^na,  11,  267,  268,  460. 

Parmenide ,  legislatore  di  Elea  ,  II  , 
153. 

Paropo  (Cnìlnsano),  dimora  dei  Si- 
cuh,  II,  106. 

Partamasiri ,  Cosroe  chiede  a  Tra- 
iano che  sia  posto  sul  trono  d'Ar- 
menia, IV,  613;  Traiano  gli  intima 
di  presentarsi  a  lui ,  613-614  ;  si 
reca  al  campo  romano  ed  è  uc- 
ciso, 614  ;  ricordato  da  una  meda- 
glia, 614,  615. 

Partamaspate,  nominato  re  dei  Parti 
da  Traiano,  IV,  618. 

Partenope.  —  Vedi  Neapoli. 

l'artenope  (.Son  Stefano),  piccola  isola 
dei  V..IS.-Ì  nel  Mar  Tirreno,  I,  238. 

Parti,  prima  loro  ambasceria  a  Roma, 
IH,  15'i;  Pompeo  non  osa  di  aper- 
tamente combatterli ,  349  ;  vin- 
cono eil  uccidono  Crasso,  464-466  ; 
disegni  di  Cesare  contro  di  essi , 
.'>41  ;  invadono  l'Asia  Minore,  635  ; 
Vinti  da  Ventidio,  660-6C1-,  vincitori 


di  M.  Antonio  ,  662-665  ;  restitui- 
scono ad  Augusto  le  insegne  di 
Crasso,  IV,  88;  cacciano  il  re  Vo- 
none  ed  eleggono  Artabano,  258; 
chiedono  di  rinnovare  1'  amicizia 
con  Roma,  262  ;  richiamati  da  Ti- 
berini al  rispetto  (li  R.uiia,  312; 
rhl.'.l  .il  ■    ,T.i,i.-i,-.:i  ;i  .  -ili-ola,  319  ; 


in  trono  Cosroe,  628,  e  li  tiene  a 
sé  amici,  662  ;  Antonino  Pio  li  fa 
desistere  dall' assalire  l'Armenia, 
711  ;  tentativi  per  riconquistare 
r.\rnienia,  727  ;  prendono  Elegia, 
727-728  ;  vinti  da  Avidio  Cassio, 
731  ;  mandano  ambasciate  a  M. 
Aurelio,- 748. 

Partici  (spettacoli),  in  onore  di  Tra- 
iano, IV,  621. 

Partini,  popolo  dell'Illirico  nelle  vi- 
cinanze di  Epidamno,  parteggia- 
no coi  Romani  contro  gli  lUiri,  11, 
248. 

Pascoli,  limitati  dalla  legge  Licinia, 
III,  49;  Cesare  ordina  che  alla 
custodia  dei  greggi  si  occupi  un 
terzo  di  uomini  liberi,  5.37. 

Passieno  (Crispo),  oratore ,  istituisce 
suo  crede  Nerone  ed  è  fatto  mo- 
rire dalla  moglie  Agrippina,  IV, 
:368. 

Patana  Fidia,  adorata  nel  Sannio,  I. 
385. 

Patavissa.  —  Vedi  Potaissa. 

Paterno,  prefetto  di  Commodo,  fatto 
uccidere  da  Perenne,  IV,  776. 

Patmos,  una  delle  isole  Sporadi  nel 
Mare  Egeo,  IV,  541. 

mires  conscripti,  I,  716. 

Patria  di  diritto  e  patria  naturalo  , 
Il .  263. 

Patricii  o  Patrizii ,  in  Etruria  e  a 
Roma ,  1 ,  378,  697  ;  loro  diritti 
e  doveri  sotto  la  costituzione  di 
Servio  Tullio,  708-712;  loro  pre- 
valenza, 713-714;  la  cacciata  dui 
Tarquinii  fc  fatta  nel  loro  inte- 
resse. 716-718:  l'autorità  rim.a- 
„e  iiell-  l.-.r,  mani    710  ■    ,.  „p,,n- 


Munte  Saero,  781  ;  si  appropriano 
i  beni  pubblici,  797;  promettono 
la  divisione  delle  terre,  801-803; 
e  continuano  nella  loro  slealtà, 
804  ;  fanno  assassinare  i  tribuni , 
812;  non  vogliono  che  le  leggi 
jieno  eguali  per  tutti,  822-823; 
loro  violenze  ,  829  ;  sono  costretti 
ad  approvare  la  legge  Terentilla, 
831  ;  sostengono  di  aver  diritto  a 
compilare  le  nuove  leggi,  833  ;  fa- 
voriscono i  secondi  decemviri  , 
8(9;  rifiutano  il  trionfo  ai  consoli 
Valerio  e  Orazio,  834  ;  sono  esclu- 
si dal  tribunato ,  854  ;  vogliono  a 
gì!  stessi  riserbata  la  dignità  con- 
solare, 856  ;  istituiscono  i  tribuni 
militari ,  i  questori  e  i  censori , 
856-8,59;  loro  violenze  e  astuzie 
per  conservare  il  potere,  861- 
864  ;  cercano  dì  trar  profitto  dalla 
presa  di  Velo,  879;  aspettano  as- 
sisi nel  F6ro  i  Galli  e  son  truci- 
dati, 892,  893;  si  oppongono  alla 


proposta  di  abban<lonare  Roma 
arsa  dai  Galli,  li,  8;  nuovi  sforzi 
per  togliere  ai  plebei  i  loro  diritti, 
15;  si  ..|ii.  .,:;;■  Il-  alle  leggi  pro- 
posi. I  .n.lune,  22-24; 
diluii  '  '  '  '  ita  consolare, 
creali  ,i  im.'iim  .d  accrescono  i 
poteri  degli  edili  euruli,  26-28; 
cercano  aiuto  fra  gli  artigiani  e 
libertini  contro  i  plebei,  276-277  ; 
la  loro  resistenza  è  vana,  278; 
alla  fine  del  sesto  secolo  delle  pri- 
mitive famiglie  rimangono  cirea 
cinquanta,  HI,  9;  combattono  e 
uccidono  C.  Gracco,  78  e  segg.  ; 
flagellati  dai  discorsi  di  Mario, 
114-115;  nuova  famiglie  patrizie 
create  da  Augusto ,  IV  ,  16  ;  da 
Claudio,  352;  e  da  Vespasiano, 
494. 

Patrono,  suoi  doveri  verso  il  elien'.e, 
I,  699-700. 

Pauna,  città  d«gli  Irpini,  I,  266. 

Pavia.  —  Velli  Tieiim. 

Paxaw-u-:  1    ;,  ;  ,  ,.  i:,.i„ìo:,\  IV,  60. 

Pecuiii.i     il   1  1  11,  310. 

Pedana   1 1       i     ,.  territorio   di 

P,.,ll,       II.     .//:,■.,.     .:1.       1,      .553. 

Pedani,  minio  ^-uerra  a  Roma  per  i 
Tarquinii,  I,  631. 

Pedanio  Secondo,  prefetto  di  Roma, 
trovato  spento  in  sua  casa,  IV, 
370. 

Pedicoli,  popolo  della  Apulia  Peuee- 
zia,  I,  348. 

Pedio  (Quinto),  nipote  d' Ottavio,  sua 
legge  contro  i  nemici  di  Cesare, 
HI,  604;  fa  abolire  il  decreto  che 
dichiarava  Antonio  e  Lepido  ne- 
mici pubblici,  605. 

Pedo  [Gallicano)^  città  del  Lazio,  1, 
553  ;  presa  da  Coriolano,  791  ;  vit- 
toria sui  Galli,  II,  33;  presa  da 
Cammino,  49  ;  ammessa  alla  citta- 
dinanza senza  sufl'ragio  nelle  as- 
semblee, 50;  privilegiata  del  suf- 
fragio, 264. 

Pedone  Albinovano,  poeta,  IV,  152. 

Pelagonia,  creata,  dopo  la  conquista 
romana,  capitale  di  una  delle  quat- 
tr.j  confederazioni  della  Macedo- 
nia, II,  483. 

Pelasgi ,  loro  difTiisione  in  ,\sia  e  in 
Eiuvipn  ,  I.  'V'-T"-    Vi-n  •-■CMMla  in 

Ilaln      -|     -(       _.i    Ti-  .MI    -1. e,| 


.Irli.  IMI  pelasgiehe  coi  numi  di 
•ilii ,  .  Illa  !li  paesi  vicini  ,  78; 
1  un  di  juesi  e  popoli  in  Spa- 
na .  Il,  lialia,  111-112  ;  monu- 
inenli  pelasgici,  80-84,  101  ;  religio- 
ne, 84-87,  88,89,  90-98;  industrie 
e  arti,  87;  agricoli  vira,  88-89;  Ui- 
miglia,  società  e  civiltà,  89-90; 
sono  percossi  da  inauditi  flagelli, 
98;  loro  dispersione,  99-100,  216; 
opinioni  degli  scrittori  sulla  loro  o- 
rigins,  192,  194,  195,  196-203,  205  ; 
loro  culto  alle  forze  della  natura, 
376;  lingua,  141,  475;  loro  ricordi 
nel  Lazio,  531. 


d.ato  alla  Grecia, 


ntate 


-1,1,  lii  ,,  1  ,;,i_li  osci,  I,  217; 
.irò  ,s..li,  :i.',  Jll,  249-250;  aiu- 
aiio  i  .Sanniti,  11,  75;  sottomessi 
i  Roma,  78;  assaltano  i  Sanniti 
■educl  dalla  sconfitta  di  Sentino, 
<3  ;  rimangono  fedeli  dopo  la  rotta 
Il  Canne,  .303;  aiutano  Scipione 
)er  la  guerra  di  Affrica,  410;  alla 
►attaglia  di  Pidna,  479,  480;  en- 


DEI  ìNOMI  e  delle  COSE. 


1031 


PELIGNI 


PICCIONI 


trauo  nella  lega  italica,  III,  171  ; 
sottomessi,  190;  parte  di  una  re- 
gione d' Italia,  IV,  42  ;  non  hanno 
un  giuridico  proprio,  733. 

Felina,  dea  dei  Peligni,  I,  332.     ' 

Fella  (reliquie  a  Neohhori),  capitale 
della  Macedonia,  ultimo  rifugio  di 
Ferseo,  il,  480;  fatta  capitale  di 
una  delle  quattro  confederazioni, 
483. 

Pelli  portate  d'Oriente,  IV,  207. 

Pellicce  di  Scizia,  IV,  202. 

Peloponneso,  salvato  da  crudeli  trat- 
tamenti per  gli  uftì  ;ii  dello  storico 
Poliliio,  11,  V.f9. 

l'cloro  (rap  .),  1,  30(. 

r.-Ha  dell.'  Aiin'oni,  IV,  770. 

Pi'ltuiiio  (Civit-i  Ansidonia  presso 
Prat'i),  citta  dei  Vestili),  I,  251  ; 
iscrizione  alimentaria  ,   IV ,  807. 

Pelusio  (Tineh  presso  Damietta),  cit- 
tà sul  ramo  più  orientale  del  Nilo, 
Tolomeo  Dionisio  vi  raccoglie  le 
sue  uavi,  505  ;  chiave  dell'  Egitto, 
681. 

Penati  (i),  1 ,  97  ,  538 ,  539-340  ,  586 , 
615,  733,  737-738  ;  loro  tempio,  IV, 
192  ;  arsi  nell'incendio  di  Nerone, 
400.  —  Vedi  Lari. 

Pene  uguali  per  disuguali  delitti  nelle 
XII  Tavole,  I,  848. 

Peneo  (Snta'ubi-ia),  fiume  principale 
della  Tess:i.;;lia,  II,  470. 

IVnniiiii  (monte)  (Gran  San  Bernar- 
(Ij),  I,  381,  IV,  91,  92,  441. 

Pentri ,  tribù  sannitica ,  I,  244  ;  loro 
sedi,  257-259  ;  rimangono  fedeli  a 
Roma  dopo  la  rotta  di  Canne,  II, 
361. 

Perdono  ,  raccomandato  dagli  stoici, 
IV,  862. 

Perca,  parte  della  costa  di  Cnria,  non 
fa  parte  della  provincia  di  Asia, 
li,  539. 

l'ercgriiii,  militi,  IV,  816. 

l'erenue,  prefetto  dei  pretoriani ,  ec- 
cita Commodo  alle  turpitudini,  IV, 
709  ;  favorito  dall'imperatore,  775  ; 
congiura  contro  di  Ini,  776;  mira 
all'  impero  ,  776-777  ;  ha  troncato 
il  capo,  777. 

l'rrffttissi„io  .   titolo   introdotto   da 


ivriri...  .iraiMiv.  III.  695. 

l'eriiii..  [Kaki  F.rr.iH),  città  di  Tracia, 

sulla  Prop.jiitide,  IV,  68,  260. 
1 '.■ripolio  (Limmana)  ^  nella    Magna 

i;rei:ia,    fortezza   dei   Locresi,'!, 

:;u-:3n. 

IV  il /Lilio  .  esamina   le   contradizioni 

.1'  i   V.      !u   1  ,.-.,nti,  1,  643-641. 
I ''  I  ì    ii'isameute  a  Roma, 

l'i:]'  :::i  .  i  1  ■  _' ilo  del  cousole  Lupo 
nella  guerra  sociale.  III,  178. 

Perperna  (Marco),  console,  vince  Ari- 
stonico  ,  II ,  53T  ;  muore  prima  di 
ritornare  in  Italia,  531. 

Perperna  Ventone  (Marco),  seguace 
della  parte  Mariana,  pretore  in 
Sicilia,  vinto  da  Pompeo,  III,  267; 
si  iniis'-,;  a  M.  Emilio  Lepido,  2.3S  ; 


Perrebi,  abitatori  della  Tessaglia,  tra 
l'Olimpo  e  il  Peneo,  dichiarati  li- 
beri da  Flaminio,  lì,  438. 

Perseo ,  figlio  di  una  cuncubina  di 
Filippo  V  re  di  Macedoni-i,  II, 
46 >;  sue  ti-ame  contro  al  fratello 
Demetrio,  43:;  ;  sale  al  trono,  sua 
indole  e  suo  odio  ai  Romani,  467; 
si  apparecchia  alla  guerra  e  strin- 
ge alleanze,  468  ;  è  accusato  di  aver 
voluto  far  assassinare  Eumene  di 
Pergamo ,  46S  ;  in  guerra  con 
Roma,  4S');  abbandonato  dagli  al- 
leati ,  469  ;  tratta  di  pace,  470  ; 
vince  Licinio  Crasso  a  Larissa  e 
domanda  pace  ,  471  ;  ritorna  con 
successo  alle  armi  .  471  ;  rifa  le 
alleanze  e  caccia  i  Romani  dalla 
Macedonia  ,  472-473  ;  e  ne  muni- 
sce i  passi,  473-474  ;  vinto  al  monte 
Olimpo,  lascia  senza  presidio  la 
valle  di  Tempe,  474-475  ;  si  ritira 
a  Pidna  dove  fe  sconfitto,  478-480  ; 
si  ripara  a  Fella,  poi  va  ad  Anfl- 
poli  e  di  là  in  Samotracia,  430; 
tratta  di  pace  con  Emilio  Paolo  , 
e  poi  si  dà  al  vincitore,  431  ;  con- 
dotto a  Roma  e  menato  in  trionfo, 
487-183  ;  muore  in  prigione  ad  Alba 
Fuceiise,  490. 

Persia,  su  j  commercio  coU'Occidente, 
IV.  207. 

Persico  (golfo),  IV,  616. 

Per.sio  Fiacco   (Aulo) ,  satirico  ,  sua 

vita,    IV.    8S;-SS7;    poeta    degli 

■■^t      i      >-T     ,.    iiMjrale  delle    sue 

•    ■-  si   burla   dei  pa- 

ti'i       1'  M  poetastri,  903. 

Pei-tiii:r  |iMi  liii|irratore, allaguerra 
corneo  1  bai-oan  ,  IV,  741  ;  man- 
dato in  Siria  contro  Avidio  Cas- 
sio, 747  ;  non  si  lascia  ingannare 
da  un  falso  Quintilio,  774-775. 

Perusia,  una  delle  citta  pi-infipnli  .li 

Eiruria,  I,  123.  1'.;     " 

etnischi  scoperti,  r    -,    :    ;  :   -     I 
statua  dclI'Arrinj-:  il  ,,- 


■hi,  83; 


ili  Alili,  a.  4IU;  assdliata  da  Ot- 
tavio, atfamata,  insanguinata  e  in- 
cendiata, III,  639-640  ;  colonia  mi- 
niare. IV,  43;  iscrizione  ad  Anto- 
nino Pio,  716. 

Pesaro.  — ■  Vedi  Pisauro. 

Pe.scennio  Nigro  (C),  reprime  i  moti 
dei  barbari  settentrionali  ,  IV , 
769  ;  sotto  Coininodo  è  prefetto  per 
sei  ore,  775. 

Pesci,  mantenuti  in  \ivai,  IH,  14. 

Pessiiiimic,  citta  ]iriiicipale  dei  To- 
li„,,,l„.i  „..|!.,  i;  .la.in.  i  sacerdoti 
ili  I  ■'"■'-  '  '.  •li  .li  '  -a  vatici- 
■  n     .        •.   ''  ■  II,  451. 

PCM:  i:    ■  IMHa,  I, 

n;I  ■  :  -  .  -'  .  .:  J  ^05,  HI, 
■Jl  I     r,     :i     I   ■     M       MI,  733, 

Pfxl  .         ■:      ..     I    i  .  la  Posi- 

li _ ,     .  li   cvine  di 

t.  j.  ,  i  -  .'l'I  ;  l'ululata  dai 
1 .1  I  aia  di  Sibari,  II, 

'.<..  lis  ;  ,.  -dei  Lucani,  188; 
.■..I  111  I  r  11!  Ili  I  -.'(ij;  obbligata  a 
l^jriui-e  navi  (la  guerra,  270;  si  of- 
fre pronta  a  soccorrere  Roma  con- 
tro Annibale,  35). 

Petelia  o  Fetilia  Lucana,  I,  291  ;  nei 
suoi  monti  si  ripara  Spartaco.  Ili, 
309. 

Petelia  o  Petilia  (S'ironr/oli),  detta 
anche  Macalla,  citta  della   Magna 


I,  291,  319;  sua  eroica  resistenza 
ad  Annibale,  II,  367-363. 

Petelio  Libane  (M.),  console  col  col- 
lega Sulpicio  Longo,  vince  i  San- 
niti presso  Caudio,  II,  68. 

Petilio  Ceriate  (Q.) ,  respinto  e  rotto 
presso  Roma  dai  Vitelliani,  IV', 
471;  i;  mandato  a  reprimere  i  Galli, 
477;  vince  Valentino  a  Rigodulo, 
477;  perdona  alle  legioni  ribella- 
tesi ,  477-478  ;  sottomette  Civile , 
478;  impedisce  a  Domiziano  di 
accostarsi  all'esercito,  4r9. 

Petit-Radel,  suoi  studi  sui  Pelasgi,  I, 
81,  102-104,  192:  ne  .scopre  le  co- 
struzioni in  Italia,  101;  fonda  a 
Parigi  il  Museo  pelasgico,  104-110  ; 
suoi  confronti  fra  i  nomi  delle  citt.-i. 
e  popoli  di  Spagna  con  quelli  di 
Italia,  111-112. 

Peto  Cecina ,  si  uccide  eccitato  da 
Arria  sua  moglie,  IV,  362. 

Feto  Trasea.  —  Vedi  Trasea. 

Petovione  (Pettou),  nella  Pannoni.a 
Superiore,  sulla  Orava,  colonia  di 
Traiano,  IV,  554;  stanza  di  una 
legione,  570. 

Petra,  Petrino  0  Petrea  {PptraliH), 
dimora  dei  Siculi,  II,  103  ;  presa 
dai  Rom.ani,  223. 

Petra  {WnfU-Mi'sa),  capitale  del  re 
degli  Arabi  Nabatei,  IH,  349;  af- 
forzata, IV,  601;  rovine,  601;  ri- 
cordi di  Adriano,  616. 

Petreio  (Gneo),  di  Atina.  centurione, 
salva  una  legione  nella  Valle  del- 
l'Adige, IH,  132,  162. 

Petreio  (Marco),  vince  Catilina  nell'ai 
ero  pistoiese.  111,  338-380;  coman- 
da con  Af.-ani  in-sp-ic-na.  .(87  ;  si 
arrende  a  ('  ^  "  i  r  --iato  li- 
bero, 491-1'  I  ■  .litro 
Cesare  in  Aili.  ,  1-  .  .uu".l.are 
sua  fine  dopo  l.i  bcjiu.ua  .li  lapso, 
519-520. 

Petronio,  congiura  contro  Cesare  ed 
è  ucciso  ad  Efeso  da  M.  Antonio, 

III,  553. 

Petronio  (Caio),  governatore  d'Egitto, 
vince  gli  Etiopi,  IV,  87. 

Petronio  (Caio),  accusato  sotto  Ne- 
rone di  essere  stato  amico  a  Sca- 
vino, IV,  412;  sua  morte  singola- 
rissima. 412-413.  -        _  _ 

Petronio  (P.),  governatore  di  Sina, 
temporeggia  nel  far  eseguire  ai 
(iiudei  l'ordine  di  adorare  Caligo- 
la, IV,  333  .   . 

Petronio  Arbitro,  autore  del  Satirico, 

IV,  89f^900. 

Petronio  Urbico  (Quinto),  di  Brescia, 
prefetto  di  coorte  in  Uritannia,  IV , 

Pe«cfzia  (n^lla  Terra  di  Bari),  I,  72, 

347.  :-H*-r.ii 
Peucc/i.    1     ;■■.     '■!-- ■■"■"■,,  ,      .  ,  ., 
Peu,.,vi  .  1     '  I  1  relas;;i,I,  (2. 

Peucini,  |.   !■   I  i'..taton  dell'i- 

sula  1'    .        ;    i  I    M.sia   Inferiore, 

assaltano  riinp.'ro.  IV,  734. 
*>hallo,  cullo.  I,  94-95. 
Philae,  in  Egitto  sopra   la  cateratta 

di  Siene,  ricoidodi  Marco  Aurelio, 

IV,  749. 
Piacenza.  —  Vedi  Placcnzia. 
Pialla,  feste  in  onore  di  Antonino  Pio, 

Piano  di  Giove,  sul  Gran  S.  Bernar- 
do, IV,  92. 

Pianosa.  —  Vedi  Planasia. 

Piastre  di  piombo ,  usale  a  scrivere 
il  nome  dei  nemici  consacrati  ai 
Numi  infernali,  IV.  263-264. 

Picchio,  uccello  profetico,  I,  96. 

Piccioni,  loro  allevamento  e  prezzo, 
III,  13. 


1032 


INDICE 


PICENI 


PISA 


PLEBE 


Piceni,  discesi  da?li  Osci,  I,  217  ;  fan- 
no pane  della  lega  italica,  III,  171  ; 
sottomessi,  190. 

Piceno,  regione  dell' Italia  centrale 
suirAdriatico ,  colonia  sabina ,  I , 
225  ;  sottomesso  a  Roma ,  n,  205  ; 
parteggia  per  Siila,  UI,  250;  sol- 
levato da  Pompeo,  252  ;  rimane  fe- 
dele a  Roma  dopo  la  rotta  di  Canne, 
363;  eccitato  a  rivolta  dai  Catilina- 
rii,  375  ;  una  delle  undici  regioni  d'I- 
talia, IV.  42  ;  Cesare  vi  ordina  leve 
e  vi  è  accolto  con  festa,  4S5,  48-!; 
le  marine  occupate  da  Fusco,  468; 
parte  di  una  regione  sotto  Adria- 
no, 636;  ha  coU'lnsubria  un  giu- 
ridico, 738. 

Picentini,  trasportati  dal  Piceno  nel- 
la Campania,  I,  278;  confederati 
con  Roma,  II,  7S. 

Picenzia  (Vicenzn),  città  dei  Picen- 
tini nella  Campania  sui  contini 
della  Lucania,  I,  278. 

Pico,  vate  dei  l'rischi  Latini,  X,  53, 
523,  740. 

Pidna,  città  di  Macedonia,  battaglia 
di  questo  nome,  II,  470-180;  An- 
drisco  vi  è  preso  e  ucciso,  495.   . 

Piei-ia,  distretto  di  Macedonia,  II,  474, 
475. 

Picrio,  monte  nei  confini  della  Mace- 
donia e  della  Tessaglia ,  ove  nac- 
que Fedro,  IV,  875. 

Pietà,  concetto  che  ne  avevano  i  Ro- 
mani, 1,  705,  IV,  8C0;  dea  onora- 
ta di  tempio,  III,  44  0 ,  603,  IV, 
764. 

Pietra  Roia  (montagna  di),  parte  del 
Malese,  I,  18. 

Pietre  preziose    —  Vedi  Gemme. 

l'itn  Horatia,  I,  rSì. 

Pilade,  commediante  ai  tempi  d'Au- 
gusto, IV,  105. 

Pilade,  pantomimo,  amato  da  Traia- 
no, IV,  622. 

Pilato,  governatore  della  Giudea,  IV, 

Pinarii.  schiatta  sacerdotale  nel  La- 
zio, I,  411;  che  vantavasi  discesa 
da  Numa,  5S0. 

Pindaro,  sue  odi  in  onore  del  tiran- 
no Gerone,  II,  161. 

Pinete,  duce  in  Pannonia,  IV,  222. 

Pinii.i  iCn-iii'  r'(  ;'<?<ine),  capitale  dei 
\r  luii  i,  .'".l  ,  assediata  dagli  I- 
.,  Ili,  181. 

l'in  ,  li  ,  \  iii>  gli  dedica  i  li- 
Iri  .1.  ,1    \.        ..:iMr:i,  III,  760. 

l'ipenio    —    '.  ■   .     !'■    ■,    riMi 

Pirati,  (li  1  .;.   I       I    !  "li  delle  ac- 

que !•  il'  I  !  !  M'  ■liicrraneo, 
III,  :ì:ìii-,:  ,1  .  m  i  ,<  r  .  ^li  sforzi 
dei  Rumniii  conno  .li  essi,  331; 
Pompeo  li  vince,  e  li  trasporta  ad 
abitare  luoghi  spopolati,  333;  al- 
leati di  Mitridate,  335,  336. 

l'ire,  citta  degli  Ausoni  presso  al  Li- 
ri,  I,  210,  212. 

Pirenei,  passaggio  d'Annibale,  II,  334  ; 
trofei  di  Pompeo,  III,  302. 

Pireo,  distrutto  da  Siila,  III,  238. 

Pirgi  [Santa  Severa),  città  pelasgica, 
sulla  costa  di  Etruria  a  34  miglia 
(la  Roma,  I,  79  ;  occupata  dagli 
Etruschi,  130;  il  suo  porto  preso 
da  Dionisio  di  Siracusa,  883  ;  colo- 
nia romana,  li,  93. 

Pirro,  re  d'Epiro,  chiamato  dai  Ta- 
reiitini  a  loro  .luce  contro  i  Ro- 
mani,  11.    l'I-l''  ; ,    Mii  ■•■   I  Ili  mi   ■! 

Kracli'.-i    l''l-  1  '  .         II'! 

ta  .li  K'ii  'I  :  Il  I  ''  I  .1  I 
a  Tarimi'  ,  I  ..  ,  :"  .,'_i  •■  Kn'i./.- 
ambasciai.. le  e  manda  (  ima  a  K..- 
ma,  lOTi-lOU  ;  vince  alla  battagUa 
d'Ascoli  e  fa  tregua   con  Rom-T , 


199  ;  va  in  Sicilia  per  liberarla  dai 
Cartaginesi,  199-200  ;  vorrebbe  re- 
carsi in  Aifrica  ed  fe  costretto  a 
lasciare  la  Sicilia,  200;  ritorna  a 
Taranto,  201  ;  è  sconfitto  a  Bene- 
vento, 201-202;  lascia  l'Italia  e 
muore  ad  Argo,  202-203. 
Pisa,  .-itt.i  pelas;.'ir;i,  1,  79;  etrusca, 
l'jr. ,  i  'ihi'  I  iiil't'-i  da  Tarconte, 
III  I    I  I   '    li  Liguri,  lì,  4.58;; 

ri]  l'Ili ,  "tribuni  della 

Pisauro  {Prsriro),  città  degli  Umbri, 
I,  65  ;  colonia  romana,  II,  267-268, 
460  ;  occupata  da  Cesare,  III,  485  ; 
iscrizione  alimentaria,  IV,  807. 

Piscine  dei  ricchi  Romani,  III,  14-16, 
394. 

Pisidia,  provincia  dell'Asia  Minore, 
n,  451. 

Pisidii,  sottomessi  dalle  truppe  di  Mi- 
tridate, III,  336. 

Pisistrato,  suoi  lavori  al  tempio  di 
Giove  Olimpico  ad  Alene,  IV,  659. 

Pisonp,   —  V,.ili  C-ilpuniio  risone. 

Pistul.'si  (l'-.i-iiMii"'.   illiiMi'  I   l:i   Colon- 


Pit;i 


ni  ;  iiiiii.  M.i  — I  .'  '-'ii'li.  II-';  sue 
dottrine  religi.ise,  iii.ir.ili  e  politi- 
che, 143;  riforma  dei  costumi,  144  ; 
istituto  pitagorico ,  145-146  ;  in- 
tenti morali  e  civili,  146-148;  sua 
autorità  a  Crotone  e  suoi  nemici, 
149  ;  ultimo  asilo  e  morte  a  Meta- 
ponto ove  la  sua  casa  fu  conver- 
tita in  un  tempio,  I,  326,  328,  II, 
151  ;  rimane  venerato  nel  mondo, 
1.52  ;  sua  statua  nel  Fòro  romano, 
300. 
Pitagorici,  II,  U.5-146,  148-149;  uccisi 
nella  sollevazione  di  Crotone,  151  ; 
e  altrove,  152  ;  si  riparano  in  Gre- 
cia, 153  ;  e  poi  ottengono  di  ritor- 
nare in  Italia  dove  si  rendono   il- 


Pite. 


■  Vedi 


Pitino  (presso  Aquila),  città  dei  Sa- 
bini, I,  223. 
Pito,  difensore  di  Reggio,  fe  fatto  uc- 
cidere da  Dionisio  tiranno  di  Sira- 
cusa, II,  171. 

■  vasi  fìttili  e  nel- 

.li  Cere,  di  Tar- 

i   \iil  i.  ili   Or- 

.  I,  154- 

i:    i  "   T'ii-i-sis, 

I  l'iiinpei. 


co  nel  tempio  ilellii  I.ÌIh-i'Ih,  III,  44. 

Pixunte,  (Capo  degl'Infrischi),  pro- 
montorio m  Lucania,  I,  293. 

Piacentini  (I'i(tcrntini),  alla  battaglia 


nomani,  457  ;  correrie  e  .■u^salti  dei 
Liguri,  458;  vittoria  di  M.  LucuUo 
sui  Mariani,  111,  257  ;  BOllcvazionc 


della  nona  legione  contro  Cesare, 
494  ;  Cecina  assalta  la  città  ed  è 
respinto,  446;  l'Anfiteatro  distrut- 
to, 450. 

Placido  (Giulio),  tribuno  di  coorte, 
scopre  Vitellio  nascosto,  IV,  472. 

Planasia  (l'innosa),  piccola  isola  del 
Mar  Tirreno,  poco  lungi  dall'Elba, 
Agrippa  Postumo  vi  è  rilegato  .la 
Augusto,  e  ucciso  poi  da  Tiberio, 
IV,  221,  231,  243. 

Plancio  (Gneo),  questore,  accoglie  l  i- 
cerone  esule,  IH,  419. 

Platone,  visita  la  corte  di  Dionisio  il 
Vecchio  tiranno  di  Siracusa,  e  vi 
corre  pericolo,  II,  173;  torna  alla 
corte  di  Dionisio  il  Giovane,  e  a 
gran  pena  riesce  a  salvarsi,  176. 

Platorio  Nepote  (Aulo),  propretore  in 


di  Adriano,  649. 

Plauto,  poeta  comico,  di  Sarsina  nel- 
l'Umbria, I,  66;  sua  vita,  II,  620- 
622;  numero  delle  sue  commedie, 
021  ;  trae  dal  greco  gli  intrecci  e 
poi  li  modilica,  622  ;  dipingendovi 
la  vita  romana,  622-626  ;  suo  scopo 
è  di  far  ridere  il  pubblico,  631  ;  al- 
lusioni satiriche,  631-332  ;  perso- 
naggi delle  sue  commedie,  632  ; 
dipinge  il  vizio  con  intendimento 
morale,  633;  aiuta  Catone  nella 
riforma  dei  costumi,  633-635  ;  sua 
arte  drammatica,  635;  sali  e  motti 
arguti,  636-tì37  ;  sua  lingua,  637  ; 
confrontato  con  Terenzio,  641. 

Plauzii  (famiglia  dei),  loro  sepolcro, 
IV,  .351,  3.52. 

Plauzio  (Aulo),  governatore  delle  Gal- 
lie ,  sua  spedizione  in  Uritannia 
ove  resta  al  governo  dei  vinti,  IV, 
345. 

Plauzio  (Caio) ,  pretore ,  vinto  due 
volte  da  Vinato,  II,  528. 

Plauzio  Novio,  .-irtelii-e  della  cista  sco- 


cittadinanza  agli  ascritti  alle  citta 
federate.  III,  194. 

Plauzio  Silvano  Eliano  (Ti.),  ponte- 
fice, pone  la  prima  pietra  per  la 
riedilicazioue  del  Campidoglio,  I\', 
497. 

Plebe  e  plebei  di  Roma,  dapprima 
non  hanno  parte  alcuna  nelle  pub- 
bliche faccende,  1,  701,  704  ;  loro 
origine  dai  vinti  delle  città  latine, 
703  ;  fatti  cittadini  dal  re  Servio, 
706-712  ;  in  lotta  continua  coi  pa- 
trizi per  la  conquista  dell'egualità 
dei  diritti,  718,  719,  774,  777-778; 
oppressi  dai  creditori  e  triidili  in 
ogni  promessa  si  ritirano  sul  Mun- 
te prime  loro  libertà  e  il  modo  .li 
.conseguire  le  altre,  778-788;  con- 
dannano all'esilio  Coriolano  loro 
Aero  nemico,  790  ;  contese  violenti 
per  aver  parte  alle  terre  pubblicjlie 

usurpili'     lini     |i.i!ll.'ì,    Tl'l'-^ol  ,    ot- 


ele 


vuole  leggi  uguali    per   lutti,  822- 
S23,  829,  831  ;  la  rivoluzione  con- 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1033 


PLEMINIO 


PLUTONE 


fro  la  tirannia  dei  decemviri  con- 
l'ernia  i  diritti  plebei ,  SW,  S  IO  ;  i 
pleliisoiti  resi  ohhli'j-t  rii  ..-i- fit- 
ti, S-tO,  li,  3i)-:ìI  ,  .  '  ■[.. 
.■incessa  dalle  .\  !  I    1               i       ,■  ; 


loltu 


II,  1.) 
M-asv 


tra  plebe  e  patri 
ritto  di  elezione  ■ 
tare  con  potesti 
856;  contese  p.r 
supreme,  ,Si;:5-si;.~, 
terre  di  \^  n    ST' 

dalla  iiiv:,   1 ' 

distribn/i- 
Pontini  1,   I  ' 

lato,    2>-:-  .    '     ■!-,!   •   .1,1  -r   ,n;i-i-tl':i- 

tiire  e  il.-l  .  |.-  '  .•,  ^,i  i  ,,■  -  ]•  ■- 
litica,  Ij'i-  ;l,    ■::'■     :-  ,      ;   •■  ■    .- 

nobili  miM.l,    ili,   H  ;    rsirri,,,    hum.- 

ria  della  iìIcIib  .he  lurn.a  la  n.ai;- 
Sior  parte  della  popolazione  di 
Roma,  10,  16-17  ;  sua  vita,  18-19  ; 
nuove  lotte,  147  ;  distribuxioni  di 
terre  fatte  da  Cesare  alla  plebe, 
.537;  che  si  fa  devota  a  lui  e  al 
dispotismo,  567. 

l'ieminio,  ucciso  nelle  proscrizioni  di 
Siila,  IH,' 262. 

Pleminio  (Q.),  feroce  governatore  di 
Locri,  II,  410,  411. 

Plenina  IPiwiella),  città  deiVestini, 

I,  231. 

Piera  (Gravina),  nella  Peucezi.a,  1, 
349. 

Plestina  {Pe.icnsseroli  ?  ) ,  città  dei 
Marsi,  I,  248. 

Pleurone  (presso  Missolinioi),  città 
dell'  Etolia,  il  Senato  Romano  or- 
dina che  esca  dalla  lega  Achea, 

II,  496.     ■ 

Plinio  Cecilio  Secondo  (C),  detto  il 
Giovane,  sua  patria,  IV,  921-923  ; 
nipote  e  tìglio  adottivo  di  Plinio  il 
Vecchio,  940  ;  grande  .^mico  di  Ta- 
cito, 940:  uffi-ii  pubblici  e  studi, 
!111  -,  l'.ìiH>i.'iiir.,  a  Traiano,  560- 
.5i;,',  i;->l-i;j2,  >;72,  912,  944;  gover-. 
int'i!-,-  in  Ditinia,  e  carteggio  con 
TiMiiuin,  .5i;.l,  .5i;4;  sua  epigrafe  te- 
stamentaria nelle  Terme  di  Como 
da  lui  edificate,  941  ;  Orazioni  e 
versi,  942  ;  Epistole,  942-944  ;  ville, 
943  ;  gran  promotore  delle  pubbli- 
che recitazioni,  907-908;  eccessivo 
amor  della  lode,  943-944  ;  onesto, 
umano  e  largamente  benefico  ai 
privati  e  al  pubblico,  806,  905,  944- 
946. 

Plinio  Secondo  (Caio),  il  Vecchio,  di 
Como,  IV,  921-922;  scritti  sulla 
grammatica  e  sulla  eloquenza,  868, 
.S72  ;  storia  delle  Guerre  germani- 
che e  delle  cose  di  Roma,  983  ; 
vita  operosissima  tra  i  pubblici  uf- 
lìci  e  gli  studi,  923;  sua  Storia 
naturale,  924-925  ;  sua  morte  nel- 
lincendio  del  Vesuvio,  511,  513, 
923,  925. 

Plistia  o  Plistica ,  città  dei  Caudini, 
I,  262  ;  amica  dei  Romani,  assedia- 
ta e  presa  dai  Sanniti,  II,  67. 

Plotina,  moglie  di  Traiano,  sua  virtii 
e  suo  ritratto,  IV,  5-55,  536,  561  ; 
mette  in  guardia  l'imperatore  con- 
tro i  procuratori  imperiali,  .562  ; 
trasporta  a  Roma  le  ceneri  di  Tra- 
iano, 621  ;  fa  eleggere  imperatore 
Adriano,  626-627;  tempio  di  lei  a 
Nemauso,  638. 

Plozio  (L.),  candidato  a  Pompei,  IV, 
46. 

Plozio  (Lucio),  poeta,  IH,  793. 

Plozio  Tucca,  poeta,  eletto  a  correg- 
gere e  pubblicare  VEiieide.  IV, 
152. 

Plutai-co,  di  Cheronea,  non  crede  alle 


meravigliose  origini  di  Roma,  I, 
(139  ;  accoglie  in  sua  casa  il  figlio 
di  Giulio  Sabino  ucciso  da  Vespa- 
•siano,  IV,  503;  suoi  scritti  di  eti- 
ca, 843  ;  maestro  di  filosofìa  a 
Roma,  955  ;  sue  Vite  pavaliele. 
'.  )r).5-fi5rt  :  questioni  romane  e  opere 

I  -iiatore  dei  morti,  I,  514. 

I'  '  .  '.  iiivori  idrauUci  fattivi  da- 
-li   l,t;  i^.-hi,  I,  131. 

l'uc-iiii  stòrici,  epici,  didattici.  III, 
792. 

Poesia  (la)  a  Roma  negli  ultimi  tem- 
pi della  Republilira,  111,  7.^8-814. 

TV.. li.    ;,;    t-nipi    ,1    All.uM.,,     IV,    11,5- 

■    I     -  1  1    .       uri  primi 

i  .•   '^  ••    !•  '!.  ,  !•  i:.  -    -i:.-r)i7. 

'■'--■"   '--1'^^    •-V'-'- ■^'■),  se- 

|Mj|.ri  eirusrhi,  1,   134.  4-^7- 

Polemune,  sofista,  IV,  6.58;  amico  di 
Adi-iano,  celebra  con  sua  orazione 
r  Olirapieio  di  Atene  inaugurato 
dall'imperatore,  659  ;  sue  relazioni 
con  Antonino  Pio,  706-707. 

Polibio,  storico,  trasportato  in  Italia 
ottiene  cogli  altri  Achei  il  per- 
niess.i  ili  ripatriare,  11,493;  salva 
il  l'I'iiiiiu  .'  ilai  mali  tratta- 
ni  1    '  lotte  della  Grecia 

pii  I  lu-istocrati,  500; 

ii^ii  .1     :       -iilio  e  della  ro- 

vii.'i    :    1   .  1  .  _    ,  ,  :.]:,.  :._M  ;  salva 


Mirra  la 
Il  iniria,  603- 
iiiiii-ux-  di  Sci- 
li;, 631. 

stro  di  Claudio, 
idere  da  Messa- 
li.'^.-n.-.'a,  837. 
'Ili    1"  riilonali 


idui-i  r..maiii.  IV.  397;  governa 
e  ruba  e  insanguina  Roma  nell'as- 
senza di  Nerone,  419. 

Polifemo  ,  figliuolo  di  Nettuno  ,  Il , 
99-101. 

Poligrafi  romani,  IH,  744-7G2. 


Poi 


Polii 


133  ; 


Il  '.  il),  tenta  il  taglio 
■  111;  ■  •    '.   '■    ■info,  IV,  420. 

Polipi  —   '.     il   l'reneste. 

PoliMiaii,'.  1,1.1  1.1  Ili. -Ile  navi  di  Cla- 
zoniciie,  .nula  lloiua  nella  guerra 
italica,  IH,  178. 

Politica  dei  Romani,  I,  769-770. 

Politorio  Jalla  Torretta  presso  il  ca- 
sale di  Decimo),  città  del  Lazio, 
I,  542  ;  distrutta  da  Anco  Marzio, 
.595. 

PoUenzia,  città  dei  Liguri,  presso  la 
conrtuenza  del  Tanaro  e  della  Stu- 
ra, rissa  intestina,  IV,  794.        • 

Politone  (Vedio),  getta  i  servi  in  pa- 
sto alle  murene.  III,  32. 

Pollizio,  città  dei  Marrucini,  I,  232. 

PoUusca  (Casal  della  Miindrin),c\{- 
tà  dei  Volsci,  I,  237  ;  presa  dai  Ro- 
mani, 788  ;  ripresa  da  Coriolano, 
791. 

Polluzia  0  Pollitta,  vedova  di  Rubel- 
lio  Plauto,  si  svena,  IV,  411-412. 

Pomerio,  allargato  da  Claudio,  IV, 
316;  e  da  Traiano,  603;  Adriano 
ne  fa  ristabilire  i  termini,  679. 

Pommereul,  generale  francese,  pensò 
di  trasportare  a  Parigi  la  Colonna 
Traiana,  IV,  586. 


Pompea  Paolina ,  moglie  di  Seneca, 
si  svena  per  morire  con  lui ,  IV, 


PoMipedio,  senatore,  congitu-a  contro 
Caligola,  IV,  334-333. 

Pompedio  Silone  (Q.),  capo  dei  Marsi, 
forma  il  disegno  di  fare  un  colpo 
su  Roma ,  III ,  165-166  ;  agitatore 
degli  Italici,  168  ;  nominato  da  essi 
console.  174,  179;  inganna  e  vince 
iì.  ServiHo  Cepìone,  184;  provoca 
inutilmente  Mario,  184-185;  vince 
il  console  Lucio  Porcio  Catone,  190; 
vinto,  si  ripara  nel  Sannio,  191; 
riprende  Boviano,  193;  è  vinto  a 
Teano,  194. 

Pompei  o  Pompeia,  in  Campania, 
città  di  origine  etrusca  ,  1 ,  128  ; 
rovine,  275;  presa  dai  Sanniti . 
883  ;  e  poi  dagli  Italici ,  III,  181  ; 
difesa  da  L.  Cluenzio  191  ;  e  presa 
da  Siila,  192;  villa  di  Cicerone, 
12;  album,  IV,  45-46;  elezioni 
municipali,  46-47,  e  787;  i  fac- 
chini di  Pompei  e  Augusto  ,  .52  ; 
Vespasiano  restituisce  al  pubblico 
i  beni  invasi  dai  privati,  500;  ter- 
remi.tó.sio;  i-,  ritta  seppellita 
dal  \i  nvi.,  .MI  iravi  e  rovine, 
311-il  'l't.  a  populo. 

78<:  '■.'    -iailiatori,  796; 

santini,. .-.  ,  i  -  i.  a.HI' anfiteatro 
coi  Nijcerini,  TM.  796-7.18;  ha  per 
dieci  anni  il  divieto  di  dare  spet- 
tacoli neir  anfiteatro  ,  797  ;  onori 
a  principi  buoni  e  cattivi,  798-799; 
onori  resi  ai  cittadini,  799;  tem- 
pio d'Augusto,  810,  8U  ;  Venere 
Fisica,  830. 

Pompeiano  (CI.) ,  marito  di  Lucilla , 
alla  guerra  contro  i  b.arbari,   741. 

Pompeioliti.  (li  Cilii-ia,  III,  312. 

Pompeii.pnli  {M,--rtlv),  in  Cilicia , 
t'ondata  dagli  .V.hi'i  e  dai  Rodiotti 
col  nome  di  Soli,  111,334;  spopo- 
lata da  Tigrane  d'.irmenia ,  334  ; 
ripopolata  ed  abbellita  da  Pom- 
peo, da  cui  prese  il  nome,  334; 
vi  e  confinato  Vonone,  IV,  252. 

Pompeo,  senatore,  accusa  Tiberio 
Gracco  di  voler  farsi  tiranno,  IH, 


Pompeo  (Gneo)  detto  Magno ,  salva 
suo  padre  dall'  odio  dei  soldati , 
111,  214;  citato  in  tribunale  per 
togliergli  il  patrimonio  ,  252  ;  se- 
gue la  parte  di  Siila,  252  ;  solleva 
il  Piceno ,  252  ;  si  unisce  con  tre 
legioni  a  Siila,  253;  vince  l'eser- 
cito d'Etruria,  257;  vince  il  pre- 
tore  Perperna  in  Sicilia ,  267  ; 
passa  in  Afliricà  e  trionfa ,  267  ; 
vince  Emilio  Lepido  e  Giunio  Bruto, 
289;  nominato  proconsole  nella 
.Spagna  Citeriore  ,  296  ;  riprende 
la  GalUa  Narbonese,  296  ;  è  bat- 
tuto da  Sertorio  a  Laurone,  297; 
vince  Perperna  ed  Erennio  ,  297  ; 
battuto  e  ferito  sul  fiume  Sucrone, 

298  ;  e  nel  piano  del  Turia ,  298  ; 
Sertorio  gli  fa  levare  l'assedio  di 
Pallanzia  e  lo  vince  a  Calagurri , 

299  ;  scrive  al  Senato  che  se  non 
manda  pronti  .aiuti  porta  la  guerra 
in  Italia  ,  .300  ;  vince  Perperna 
e  fonda  Lugduno  dei  Radunati  , 
302-303;  ritorna  in  Italia,  303; 
vince  una  bandi  di  gladiatori  e  si 
dà  il  vanto  di  aver  schiantata  la 
ribellione,  310  ;  nominato  console, 
trionfa,  310;  gode  il  favore  del 
popolo,  310;  suoi  ritratti,  311  ; 
sua  indole  e  studi,  312;  Siila  gli 
dà  il   nome  di  Magtio ,  312-313  ; 


Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV, 


130 


1034 


INDICE 


POMPEO 


POPILLIO 


falti  della  sua  gioveiitu.  313  ;  sua 
truiielta,  313  :  prima  sostenitore  di 
Siila,  poi  suo  uemico,  313-314  ;  sì 
iiccinge  a  demolire  la  costituzione 
Sillana,  315  ;  sue  riforme  nel  tri- 
bunato e  nei  tribunali,  316-317; 


330:  investito  di  autorità  illimitata 
ctìntro  i  pirati,  330,  332  ;  dai  quali 
presto  libera  i  mari ,  333  ;  prende 
Oiracesio  e  trasporta  i  pirati  in 
luoghi  spopolati,  333;  fonda  di 
nuovo  ed  abbellisce  Pompeiopoii , 
334  :  nominato  al  eoverno  dell'A- 
sia ,  343-344  ;  suo  incontro  a  I)a- 
nala  con  LucuUo,  344;  vìnce  Mi- 
tridate a  Xicopoli,  345  ;  impone  un 
tributo  a  Tigrane,  re  di  Armenia, 
346;  e  arresta  il  di  ;ui  tìglio  ri- 
belle, 346;  vittorie  sugli  Alljani  e 
Iberi  del  Caucaso,  347:  prosile 
fìerusalemme  e  fa  piÌLrioni.  io  Ari- 
stobulo,  349;  costriii;:  •  alla  pac; 
Areta,  re  degli  Aralii  A'abatoi.  :5)!i- 
350;  suoi  ordinamenti  nell'Asia, 
353  ;  sua  amicizia  per  Cicerone , 
362  ;  dà  la  libertà  ai  cittadini  di 
Mitìlene,  397  ;  sbarca  a  Brindisi  e 
licenzia  l' esercito  ,  398  ;  trionfa  , 
39S-401  ;  sua  decadenza,  401;  fred- 
dezza con  Cicerone ,  402  ;  è  chia- 
mato Sampsiceramo ,  402:  sì  fa 
sostenitore  di  Clodio ,  402-404  ; 
primo  triumvirato  con  Cesai'e  e 
Grasso,  405-406;  è  fischiato  al 
teatro ,  406-407  ;  prendo  in  moglie 
la  liglia  di  Cesare,  4li7;  risponde 
alle  invettive  di  Bibulo  ,  410  :  fa- 
vorisce l'elezione  di  Cesare  al  go- 
verno delle  Gallic,  411  ;  favorisce 
l'adozione  di  Clodio,  417;  abban- 
dona co<lardaiuente  Cicerone  ac- 
cusato, 410;  favorisce  il  suo  ri- 
torno ,  421-422  :  è  fatto  padrone 
della  terra  e  del  mare ,  4(i2  :  va 
alle  conlerenze  di  Lucc;i ,  463  : 
fatto  console,  463;  prende  per  sé 
l'Affrira  e  la  Spagna .  464  ;  so- 
stiene T.  Annio  Milone,  472  ;  fatto 
cxmsole  senza  collega  .  473  ;  no- 
mina a  collega  suo  suocero,  474  ; 
fa  processare  Milone,  474;  sue 
leggi,  474-475  ;  suo  odio  a  Cesare, 
475  ;  teatro  da  lui  edificato  ,  475- 
476;  motivi  e  pretesti  alla  guerra 
civile,  475-479;  dichiara  a  parule 
di  essere  pronto  a  lasciare  il  co- 
mando, 4S0  ;  si  prepara  a  difender 
Roma  da  Cesare ,  482  ;  per  farsi 
padrone  di  ogni  cosa,  483  ;  all'an- 
nunzio del  passaggio  del  Rubicone 
liigge  col  Senato  a  Capua ,  486- 
4S7  :  suoi  errori ,  487-488  .  va  a 
Hrìtidìsi  e  si  prepara  a  passare 
nell'Epiro,  4S8.  489;  parte  segre- 
tamente d'ItJilia,  490;  sue  forze, 
495-496;  è  bloccato  da  Cesare  a 
Durazzo,  498;  e  lo  vince,  >490  ;  ilop.. 
'•onsigli  diversi  lo  insegue ,  500- 
.501;  e  a  Farsalia  fe  disfatto  daini, 
501-.'J03;  cerca  rifugi.,    in  Ki^ino. 

.504-505;  e  vitn.v;,   ; m.      j.; 

SU'  sepolcro  ail  .',        i  ,-    i: 

confisca/ione  dii  i    ■ 

milioni   di    dcii-nn       7;  .    \iliiaiii 
•ifa  il  sepolcro   in 


G66. 


IV, 


Pompeo  (Gneo) ,  figlio  maggiore  del 
Alagno,  ripara  in  Spagna,  III, 
ri20  ;  ed  ha  il  comando  supremo 
dei  Pompeiani ,  530  ;  sua  grande 
energia  e  ferocia,  531  ;  sconfitto  a 
Munda,  .531-532;  ferito,  muore, 
.5:52. 

Pompeo  (Q),   concole,  assedia  Nu- 


iiianzia 

spinto,  II,  532;  fa  pace  coi  JSu- 
iiiantini  e  a  Roma  nega  di  averla 
ronchiusa,  .532. 

Pompeo  (Sesto),  nella  guerra  sociale 
si  abbocca  con  P.  Vezio  Scatone, 
duce  dei  Marsi,  III,  187. 

Pompeo  (Sesto) ,  figlio  di  Pompeo 
Magno.  Ili ,  504  ;  dopo  la  disfatta 
di  Afl'rica  si  ^alva  in  Spagna,  520, 
.530  ;  e  vinto  a  Munda  si  salva  fra 
i  (fltibeii,  531  ;  >I.  Antonio  pro- 
pone che  sia  richiamato  dal  ban- 
do ,  577  ;  il  Senato  gli  dà  il  co- 
mando dei  mari ,  602  ;  signore  di 
Sicilia  e  dei  mai'i  respinge  Q.  Sal- 
vidieno  Rufo  ,  617  ;  e  rart'orzato 
dalle  navi  di  Murco,  631  ;  impedi- 
sce r  arrivo  del  grano  a  Roma  , 
637  ;  assedia  Turio  e  Cosenza , 
642;  s\ir/i  stilili  e  sua  vita,  645: 
v,.7it:n  r_'-.i  .;;  Xcltmio,  G46;go- 
A  ,  ■  ^I  I  -  ,  -i  e.  liberti,  647; 
'.  i  ,  i'  '  |iT-o  con  Antonio 
I    '     ]<■•    Miseno ,  647- 

I  !  --  ■  ilia,  649;  la  sua 

II  n  <  ''■■  iviii  a  Cuma,  6.50- 
I  'I  i       Mia  a  far  sacrifizi 

I  N  .  ■  "uiitto  da  Agrip- 

pa  -  N  :Ui,  „  !  ;.J  ;  ripara  a  Mes- 
sina, ijJT  ;  lugye  nell'Asia  Minore, 
657;  è  uccisola  Mileto  ,  657  ;  sua 
indole,  657-658. 

Pompeo  Falcone ,  premiato  dopo  la 
prima  guerra  dacica ,  IV,  575. 

l'ompeo  Pianta,  storico  della  guerra 
tra  Ottone  e  Vitellio,  IV,  920. 

Pompeo  Rufo  (Q.),  fatto  console  con 
Siila,  III,  201  ;  riesce  a  fuggire  dal 
tumulto  elei  Fóro,  205  ;  poi  ucciso, 
SOS. 

Pompeo  Strabone  (tiiieo),  nella  guerra 
S(;ciale,  111,  178;  rotto  nel  Piceno, 
183;  muove  contro  .\scoli ,  185; 
eletto  console,  va  nel  Piceno,  186; 
vince  Vezio  Scatone,'  187,  asse- 
dia, prende  Ascoli  e  trionfa.  188, 
189;  fa  uccidere  Pompeo  Rufo, 
208;  richiamalo  dal  Piceno  a  di- 
fendere Roma,  213;  suo  figlio, 
Pciiipeo  Mauiin.  1,1  salva  dall'odio 
.In    -.:.!-•,     -,'ll;    ■  -|..,-n    -.'11-215. 

Punì].  ..     iv,,  .1  ..',ì.     .li  Aru- 

l.i::       l:  ;   ■  I    .■    .    IV,  541.     , 

Poi-jip-;.;.    I  i.Hi.:,  I   .  ii'u^.M.  1.  484. 
I     P.jmponii,  l'anii^;lia  !-.jmana,    I,  .588. 

l'omponio  (L.),  da  Bologna,  scrittore 
I  di  Ateliane,  II,  646,  III,  789. 

Pomponi"  (M.).  amic.j  di  Caio  Gracco, 

Poinp'  ,  "  ,-■.:..  ::^  ,,  ,  ,!i  Tiberio 
Sm,  ,  '  -     .  il.  11,341. 

Pomi.'ni  ..\ii!.-  .  I  it,,,.  .tuilia  di  es- 
siTi-  .ami.;.' (Il  timi,  Lil.  .i'J.i  ;  dopo 
la  vittoria  di  Uurazzo  i  Pompe- 
iani vogliono  divìdersi  i  suoi  beni, 
.".DO:  cpiciiro).  741:    sua   indole  e 

•■•- i    7)1-7)2  •  In  il  si.pr.anno- 

'■    \<'-   '    71-       -i ,1   eili- 

t ■   -    .  ■    '•     .:,   I    ;    ,T.MU-.   742- 

."  I  ■  '  ;  ;        iirerchc 

■■Hi:-  ....  ■Lii,.'  ij. .■],.;  ^raii'li  lainiglìe 

i.  7l:j-7M;    epigrafi     agli 

I        Ili  I  lustri,  744;  narratore  in 

In    .:oiisolato    di  Cicerone, 

:  r,    ;  :  1 . 

Pouipoiii.j  Uassulo  (M.),  commedio- 
grafo, e  magistrato  a  Kclnno.  I, 
264;  traduttore  e  imitatore  di  Me- 
nandro,  IV,  917. 

Pomponio  Marcello  (M.) ,  linguislJi , 
IV,  864. 

Pomponio  Matone  (Manio) ,  console , 
vince  i  Sardi,  II,  2:{9. 

Pomponio  Mela,  sua  Cosmografia,  IV, 
918-919. 


Pompiiiiin  Secondo  (P.),  scrittore  di 
tragedie.  IV,  :J53. 

Ponte  Efio  {Potile  Sani'  Angelo),  in 
Roma,  IV.  680. 

Ponte  FI-  I  »  ■■  ■■■(•"/■v  in  Britannia. 
IV,  i.n     ,:--  :i  ■    •■v.» 

Ponte  M  ,        ■      i/.,/V),  sul  Te- 

vere p...  .   I.    :„ii,  111,280,  290. 

Ponteticc  M.i>;i..ij,  scrive  negU  .-l-i- 
niM  giorno  per  giorno  là  storia 
olficiale,  II,  607. 

l'ontefici.  capi  supremi  della  religione 
(prima  4,  poi  8,  e  poi  15  e  16), 
istituiti  da  Ninna,  I,  5SG;  ammes- 
si all'  uflicio  anche  i  plebei  dalla 
legge  Ogulnia,  II,  280;  eletti  por 
la  legge  Domizia  dal  popolo ,  III, 
147  :  a  cui  è  tolto  questo  diritto 
da  Siila  con  la  legge  de  fincerdo- 
tiis.  273. 

Ponti  Lunghi,  via  sulle  paludi  tra  il 
Reno  e  il  Wisurgi  (  Wrscr).  IV,  248. 

Pontici ,  alla  battaglia  di  Cheroiiea  , 
IH,  2:J9. 

Pontidio  (C),  uno  dei  duci  degli  Ita- 
Ici  rivoltati.  111,  175. 

l'ontìne  (Paludi).  I,  19,  231,  237.  \\. 
607. 

Pontini  (Campi),  vit'oria  di  Cornelio 
Cosso  sui  Volsci,  11,  13. 

Pontino  (Agro),  distribuito  ai  plebei 
romani,  li,  19  ;  vi  sono  vinti  i  Gal- 
li, 33. 

Ponto  (regno  del).  III.  225-226;  pro- 
vincia romana,  351.  iv.  37.5,  782; 
soccorre  M.  Antonio  contro  Otta- 
vio, III,  675;  alimenti  dati  da  que- 
sta regione  al  commercio ,  IV, 
207  ;  invasione  dei  Daci,  .567. 

Ponto  Bussino.  —  Vedi  Bussino 
(Ponto). 

Ponzia ,  una  delle  isole  Enotridi  , 
presso  a  Velia  in  Lucania,  I,  292- 
293. 

l'onzia  (/>oi(i'(),  is.ila,  appartenente 

ai  Volsci,  nel  mar  Tirreno,  I,  237. 

238  ;  colonia  romana,  II,  68,  267  ; 

vi  muore  Nerone,  figlio  di  Germa- 

I  nico,  di  fame  e  di  ferro,  IV,  290. 

I    l'onzie,    isole,   (Svetonio,  Calig.,  15, 

Dione,  LIX,  22) ,  piene  di  esilii  e 

i  di  sangue  sotto  Tiberio  e  Caligola, 

I  IV,  279,  367. 

Ponzio  .aquila,  tribuno,  congiura 
contro  Cesare,  III,  552;  muore  alla 
guerra  di  Slodena,  553. 
I  Ponzio  Erennio,  .Sannite,  I,  487. 
I  Ponzio  (Caio) ,  figlio  del  precedente  . 
I  capo  dei  Sanniti,  II,  .58;  vince  i 
j  Romani  alle  Forche  Caudine,  .58- 

62  ;  lascia  lìberi  i  vinti  purché  pas- 
sino sotto  il  giogo,  62-63;  ricusa 
di  ricevere  i  consoli  consegnatigli 
(la  Km  i  p-  r  j-  ii.iieiv  il  trattato 
(li  '  -  -i  vinto  dai  Ro- 

iiKiin  i     i.        ii'e  Slitto  il  gioL'o 


Kuii 


dà 


decapitalo  a  Roma,  88-89. 

Ponzio  Telesìno,  Sainiite,  duce  degli 
Italici  rivoltati.  IH,  175;  si  unisce 
a  Ciniia  nic--itivo  da  Roma,  209; 
c.'ii.li.-ei  ^  lihiti  -  mitro  Siila,  253; 
•  chi  i   i   -  ■:.■  li  :riovane Mario 

in  l'i  I  ..".:     impedito,  marcia 

ai-dil,i-,i.  it,  ,n,,ip.  Uinna,  2.57;  e 
liiiìs.-e  all'  eroica  battaglia  della 
Porta  Cullina,  259. 

Ponzio  Telesìno.  Sannite,  fratello  del 
precedente,  duce  degli  Italici  rivol- 
tati, 111,  175:  caduta  Preneste  fi- 
nisce in  duello  col  giovane  Mario, 
259. 

Popillio  Lenate  (Caio),  intima  ad  An- 
tioco di  rinunziare  alla  conquista 
dell'Egitto,  II,  492. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


103" 


POPILLIO 


POTINO 


II, 


:iì. 


PopiUio  Lenate  (Marco),  fa  la  guerra 
ili  Liguria  senza  decreto  del  Se- 
nato, II,  5.ìr,. 

PopiUio  Lenate  (P.),  console,  feroce 
persecutore  degli  amici  di  Tiberio 
(rracco,  III    .58,  72,  80. 

l'opilUo  Lenate,  senatore,  avvei-te 
Bruto  e  Cassio  che  la  trama  non 
poteva  più  tenersi  celata,  IH,  55(5  : 
intrattiene  Cesare  a  colloquio  pri- 
ma che  venga  ucciso,  558. 

Popolazione,  i  cittadini  romani  dimi- 
nuiti di  un  sesto  durante  la  prima 
.  punica,  II,  2:^7  .  popolazione 


Il    H  .in 


ili  Al 


tiarli:iri  in  liiilia  p''r  supplire  alio 
spopolamento,  fcOl.  —  Vedi  Censi- 
mento. 

Popolo  fondo,  ir,  Si;?. 

PoppeaSaliinn.  litn  ì.cr-i,l,,re  daSIes- 
saliua,  IV    ■:■■<<.    ■'::    :s.'. 

Poppea  Snljiii  :  _  i  :  l  .!  pivceden- 
te,  druda  il.  :  i  n  .  i\.  :iS2-3S3  ; 
vuól  esscriiL-  l:i  urj-:ie,  :3s3  ;  ed  è 
sposata,  390  ;  fa  accusare  Ottavia, 
3!i(l-3>2;  il  popolo  abbatte  le  sue 
Ki.ihu'.  3i11:  si  fa  recare  la  testa 
.Il  iiit.ivia,  392;  superbia,  e  lusso 
,    i'  I  ,■  I  ,.    ;''  ;  .    11  ••:-  .   .i,    Nerone 


Populnl 
I,   1:5 


sricoltore 
Roma,  e 
-Massi- 


vaio 


1 ,  j    i       _   '.  e  i-iia  au- 

1      r,  .-.51,559; 

r.'L'ij  ii.;lla  guerra 

V  ,:  1.1  belle  prodezze 

I        ■  porta  aRoraa  la 

1  :    lia,  4<5-416;  cen- 

"Tr     u.  Il  i  licrarnente  il  lus- 

.  mali  eosluini  ed   &  onorato 

a  statua  dal  popolo,  565-567  ; 

l    la    basilica  Porcia  ,    566  ; 

i  d'ufficio.  Continua  la  censu- 

i  motti  arguti  e  noU'eloqueu- 

17  ;  fino  ai  suoi  giorni  estre- 


iiu'  per  la  li- 
isionieri,  493; 
ai  fìlosolì  Cre- 
ato   arbitro   a 


lano  , 


693.  7 

origin 
coluir 


l.iiia.j  s.aillore  di 
•il,  .j69-5TÙ,  III,  C92, 
i    studi    greci  e  sua 

.570;  scritti  di  agri- 
■rra  .  di  morale,  di 
:i     III,  760;  il  libro 

;  ^  Ili  romane  e  i- 

''!■.  condusse  En- 

1    iMloue  aiuto  nel- 

'iiii  I   le  i.ir.ve  idee, 

/,   1    -.  ili    liiillusso 

:.:j-"ì::;     .lato  al 

invili  ai  ■■aiiilii    COl- 


.-jO;  fortilìcazionì  di 
occorre  Scipione  per 
a  iuerra  di  .\flVica,  II,  410;  di- 
eia  (p'asili'c.a),  edificata  nel  Fòro 
la  M.  -Porcio  Catone  Censorio,  II, 

eia'   iiion-lie  di  Marco  Giunio  Bru- 
.,,  HI.  -"."..  .^.-^S.  ."9;  sua  line,  630.     , 

, ,  1   11  .11:     I    I.  eonsole,  sconfitto 
1    _,    -        ':     1    III,  98. 

.    ,  I    .in),  eletto  console    I 

V  e  ,1,1  r     1  M  irsi.  Ili,  186;  battu- 
..  ila  Poiapedio  Silone  ed   ucciso,     ! 
90-191. 
ei.,  l'atjne  Cen.sorio  (M.),  nato 


servi,  31). 
Porcio  Catone  L'ticense  (M.),  proni- 
pote dell'antico  Censore,  da  fan- 
ciullo nega  a  Pompcdio  Silone  di 
intercedere  a  fiivorc  degli  Italici, 
in,  IfiR;  e  poi  protesta  contro  la 
tirannide  di  Siila,  264  ;  sua  natura, 
363-364  ;  Sostiene  e  ottiene  la  pena 
di  morte  pei  seguaci  di  Catilina, 
384;  inutile  la  "sua  fiera  probità, 
394;  tinbuno  del  popolo,  394-395: 
si  oppone  fieramente  al  richiamo 
di  Pompeo  dall'Asia,  39.-)-39G  ;  com- 
li.atte  la  legge  agraria  dì  Flavio, 
404;  predice  mali  estremi  del  pri- 
mo triumvirato,  406;  combatte  la 
legge  agraria  di  tViulio  Cesare , 
498;  e  arrestato  e  poi  rimesso  in 
libertà,  409;  combatte  nuov.amente 
ìa  IcL'-e  e  poi  la  giura,  409-410; 
e.iuii  1  il  V  r',  Mr.iio  di  Cesare  al 
u-e  r  '  '  '  llii',  412;  È  man- 
,]i...         .  -Il  Cipro,  417;  i- 

sr..lii  I    ,  -lite    profusioni 


i.  461; 

i,  4113; 

untile 

468; 

'  iiiipeo 


turpe  iiu  T 
è  ferito  m  il 
escluso  d.iì 
ìa  sua  opp 
sostiene  la  p 
sia  fatto  i 
473;  difenil 


giudizi 
grande 


li  coll- 
ii co- 
l.a  di- 


Porcio  Catone  (.M;u-  .),  h.li-  il.'l 
cedente,  muore  coinbatteudi 
temente  a  Filippi,  III,  627. 

Porcio  Latrone  (M.),  retore,  IV, 
186. 

Porcio  Leca  (M.),  congiura  con 
lina.  III,  373,  378. 

Porcio  Licino,  scrittore  di  versi 
790,  793. 

Porcio  Licino  (Lucio),  pretore,  II, 
alla  battaglia  del  Metauro, 
401. 

Porco,  tipo  posto  a  dispregio  de 
giudaici  rimpelto  alla  grott 
betélcm  e  sopra  le  monete.  IV, 


185- 

Cati- 

,  III, 

,.398; 
400- 


Porolissuni  (Mojomcì),  nella  Dacia, 
IV,  580. 

Porpora,  portata  a  Roma  dall'Asia  e 
dall'Affrica,  IV,  201,  205,  206. 

Porrim.a,  divinatrice  italica,    I,  401. 

Porsena,  lucumone  di  Chiusi,  miiove 
contro  Roma  e  la  assedia,  I,  626- 
628;  ahbondona  la  causa  dei  Tar- 
quiiiii  e  si  fu  amico  ai  Romani. 
029  ;  suo  sepolcro  a  Chiusi,  1.54. 
419-422,  592. 

Porta  infernale,  figurata  in  sepolcro 
etrusco,  I,  514. 

Porta  di  Ferro,  sul  Danubio,  epigra- 
fe che  ricorda  la  via  Traiana,"l\', 
568-569. 

Porto,  città  presso  Ostia,  IV,  3.56. 

Porto  di  Claudio  e  Traiano  a  Ostia, 
IV,  355,  606. 

Poside,  eunuco,  liberto  di  Claudio, 
IV,  342. 

Posidonia.  —  Vedi  Pesto. 

Posidoniate  (seno)  {Golfo  di  Salerno), 
I,  277. 

Posidonio  di  Apamea,  filosofo  stoico, 
maestro  di  Cicerone,  suo  ritratto, 
lU,  ;«l-36-2,  736. 

Posilipo  (colli  di),  I,  273. 

Possessi  (grandi).  —  Vedi  Latifondi. 

l'ossesso,  I,  797. 

Possesso  (il)  del  suolo.  —Vedi  Pro- 
prietà della  terra. 

Poste,  ordinamento  introdotto  da  Au- 
gusto, IV,  70;  riordinate  da  Tra- 
iano, 609;  e  da  Adriano,  671. 

Postumio  (L.),  ambasciatore  romano 
a  Taranto,  li,  190-191. 

Postumio  (Marco),  di  Pirgi,  pubblica- 
no bandito  per  le  sue  frodi,  il, 
546. 

Postumio  (Q.),  senatore,  fatto  ucci- 
dere da  Antonio,  III,  676. 

Postumio  Albino  (.\.),  scrive  in  greco 
gli  Annali  di  Roma,  11,  607. 

Postumio  Albino  (X.) ,  sconfitto  da 
Giiigurta,  conchiude  una  pace  in- 
fame, JII,  109. 

Postumio  Albino  (A.),  nella  guerra 
sociale  reca  soccorsi  a  Siila.  III. 
191  ;  i!  ucciso  dalle  truppe  tumul- 
tuanti, 192. 

Postumio  Albino  (L.),  console,  \ince 
gli  miri,  II,  247-248  ;  pretore,  è  tru- 
cidato dai  Galli  presso  il  Po,  a59. 

Postumio  Albino  (L.),  console,  impo- 
ne ai  Prenestini  di  preparai-gli 
l'alloggio,  III,  1.58. 

Postumio  Albino  (Spurio) ,  console, 
sconfitto  alle  Forche  Caudine,  11, 
60-62. 

Postumio  Albino  (Spurio),  denunzia 
al  Senato  le  turpitudini  dei  bac- 
canaU,  li,  591-592. 

Postumio  Albino    (Spurio) ,  console, 
fa  la  guerra  a   Giugurta,  e  si  la- 
I  scia  comprare  e  ingannare  da  lui 

ed  1!  condannato.  III.  lo9. 

Postumio  Albo  Regillense  (Aulo),  dit- 
,         tatore  ('258),  e  vincitore   dei  Lati- 
ni alla  battaglia  del  Ingo  Regillo, 
I         I.  6,32. 

1    Postumio  Megello  (Lucio),  condannato 
1         a  grossissima  ammenda  per  aver 
!         occupato  i  soldati  a  coltivar  le  sue 
terre,  II.  304. 

Postumio  Modesto  (P.),  chiesto  quin- 
quennale a  Pompei,  IV,  46. 

Posverta,  divinatrice,  I,  401. 

Potaissa  o  Patavissa  (  r/ioi-rfn),  nella 
Dacia,  IV,  .580. 

Potenzia  {PotCììza),  nella  Lucania,  I. 
294-295. 

Potenz'ta  {Potenza),  nel  Piceno,  co- 
lonia romana,  II,  460. 

Potino,  eunuco,  potente  alla  corte  di 
Egitto,  III,  674. 


1036 


INDICE 


POTIZI 


PRIFERNO 


Potizi,  schiatta  sacerdotale  nel  Lazio, 

Pouilly,  dimostra  l'incertezza  dell'an- 
tica storia  romana  composta  sulle 
tradizioni  greche,  I,  645. 

Poveri,  ammessi  nelle  legioni  da  Ma- 
rio, III,  115-116.  —  Vedi  Plebe. 

J'ozzo,  prigione  degli.schiavi,  IH,  30. 

Pozzuoli.  —  Vedi  Puteoli. 

Prasutago,  re  degli  Iceui,  suo  testa- 
mento, IV,  SOtJ. 

Prefetto  degli  alimenti,  IV,  808-SlO. 

Prefetto  dell'annona,  IV,  29. 

Prefetto  augustale,  in  Egitto,  IV,  62. 

Prefetto  del  pretorio,  sotto  Adriano 
si  ingerisce  nelle  cose  civili,  IV, 
634.  .     ,.    . 

Prefetto  urbano,  ai  tempi  di  Augu- 
sto, IV,  25. 

l'refetto  dei  vigili,  IV,  27. 

l'rcfettura  dei  costumi,  I\,  '22,  31. 

Prefetture,  li,  2C9, 

Preneste  (Palesi. 


clan 


Lazio, 
.fané, 
-gi'tti 


iL-_;;ua  con 
parie  del 
privilegic 


chiamata 
necropoli,  I.  1" 
d'arte  scavati 
gli  Kqui  e  (l:u  >  ■  i 
dai  Romani,  U,  U  \  m 
Roma,  34;  privata  t 
suo  territorio,  50  ;  ha 
di  dare  asilo  ,  263  ;  afforzata  dal 
giovane  Mai-io,  III,  254  ;  assediata 
«la  Lucrezio  Ofelia,  255  ;  si  arren- 
de ed  è  saccheggiata,  259.  264-265  ; 
tempio  della  Fortuna,  269-270  ;  Ca- 
tilina  disegna  di  sorprenderla,  3'8  ; 
occupata  da  Lucio  Antonio,  637  ; 
iscrizione  alimeutaria ,  IV,  S37; 
villa  di  Plinio  il  Giovane,  943. 

Prenestina  (arce)  [Castel  S.  Pietro), 
I,  553. 

Prenestinc  (sorti).  I,  553,  II,  301. 

Prenestini ,  1 ,  527  ;  fanno  guerra  a 
Roma  per  i  Tarquinii,  6:51  ;  minac- 
ciano Roma  e  sono  sconfitti  sul- 
l'AUia,  II,  14;  resistono  ai  Ro- 
mani, 48  ;  sconfitti  a  Pedo,  40. 

Presenteio  (Publio),  duce  degli  Ita- 
lici rivoltati.  III,  175;  vince  P.  Ru- 
tilio  Lupo,  181. 

Presidi ,  posti  al  governo  delle  fac- 
cende civili  nelle  provin'^p,  IV,  49. 

Presidii  militiri,  IV    7^ 

Pretore,  miiiisir -  i  '  ii-n/ia  e 
capo  della  ini  :  ''■  an- 

che tra  i  po)!  :  I  -  i  I  ;.-',  U, 
264;  creat.j  i-r  i  uininiiiai-  la 
giustizia  a  Roma  {pmetor  vrba- 
iius) ,  ove  dapprima  e  preso  solo 
tra  i  patrizi ,  26  ;  e  poi  anche  tra 
i  plebei,  31. 

Pretore  peregrino  ,  giudice  dei  fore- 
stieri, II,  306-307. 

Pretori  municipali,  II,  264,  IV,  26,  45. 

Pretori  al  governo  delle  province,  con 
supremo  potere  civile  e  militare , 
lì ,  273 ,  307,  544-545  ;  accresciuti 
(Ino  a  otto  da  Siila  (e  poi  fino  a 
sedici  da  Cesare),  III,  274  ;  obbli- 
gati n  piMili'-nr.  1..  regole  di  loro 
aiaiii,:,.  •  ■.",;  suppliscono 

e  .-..!.  !.,  eduli  il  di- 

ritio  .  ..  ,       ,',.,:■' 

Pretoriai...  a  imciUi..  della  città,  IV, 
27;  privile;,'iali.  .SO;  hanno  in  loro 
mano  l' Impero,  82  ;  raccolti  in  un 
«anipo  lortillcato  (  Castro  preto- 
rio), 2&3-28I  :  pai-tesTiTiatio  per  Se- 
inno  ,  301.  :5'i:;  i-.n.i,  .  i,,i|i,-i-atore 
Claudio,3*^:;:-  l  Nerva 

la  morte   de,  ,  i  .mi- 

ziano,  .549;  piii;i!)  At  1  i  :i  ii.,  ."jS; 
causa  di  tenere  a  tutti,  S16,  817. 

Prctuziani,  tribù  del  Piceno,  loro  se- 
di, I,  225,  227. 

Pretuziano  (agro),  1 ,  225,  227. 


Priferno  (presso  Asserii) ,  citta  dei 
Vestini,  I,  251. 

Prigionieri,  come  trattati  dai  Roma- 
ni, II,  490. 

Prillo  (lago)  {padule  di  CastioliO'ie), 
in  Etruria,  1,  159. 

Primavera  sacra,  1,  51,  224,  lì ,  351. 

Primo  (Antonio),  soprannominato 
Becco ,  tribuno  ,  sua  indole ,  IV, 
464  ;  parteggia  per  Vespasiano  , 
464;  invadevi' Italia  e  ferma  la 
sede  di  guerra  in  Verona,  464; 
vince  i  Vitelliani  a  Bedriaco  e  a 
Cremona,  465-466  ;  calpesta  l' Ita- 
lia ,  468  ;  offre  patti  a  VitcUio , 
469;  occupa  Roma,  471;  ha  la  su- 
prema potenza,  473;  e  le  insegne 
consolari,  474  ;  cade  in  disgrazia 
e  sparisce,  475. 

Principe  del  Senato,  IV,  16. 

Principi  dei  ninnicipii,  IV,  783. 

Prisci  Latini.  —  Vedi  Latini. 

Privernati ,  loro  scorrerie  nei  campi 
Romani,  II,  35. 

Priverno  (monte  di),  bagnato  dal 
mare,  I,  19. 

Priverno  (Pijierìiii).  città  dei  Volsci, 
L  231  •.  rr'--i  .1-ii  lìninani,  II,  35; 
privata  !:  ;  '  '  '  '"  t'Tritorio, 
50;  ri.l.  I  :  si  ribella, 

è  soltuiii  -1  .  .  _  li  Roma  col 
benelici^y  viti. a  i  .ua.iiuanza,  54. 

Proca,  re  di  Alba,  1,  568. 

Processioni  funebri ,  figurate  nei  se- 
polcri etruschi,  I,  509-510. 

Procida  (isola  di),  detta  Prochyta 
dagli  antichi,  già  unita  al  conti- 
nente, I,  26. 

Procilio,  storico,  IH,  770. 

Proconsoli,  cominciano  con  Q.  Publi- 
lio  Filone,  II,  56-57;  governatori 
e  ladroni  delle  province  sotto  la 
Repubblica,  .544-545;  e  sotto  l'Im- 
pero ,  IV,  252 ,  789  ,  791-792  ;  po- 
testà proconsolare  di  Augusto,  20- 
21.  —  Vedi  Province. 

Proculeio  (C.) ,  ufficiale  di  Ottavio 
impedisce  a  Cleopatra  di  uccidersi, 

III,  682. 

Proculo,  imitatore  di  Callimaco,  IV, 
153. 

Procuratori,  o  ragionieri,  destinati  a 
riscuotere  le  rendite  delle  provin- 
ce, IV,  49. 

Procuratori  degli  aliinentì ,  IV,  SOS. 

Proemi  degli  antichi  scrittori ,  111 , 
780. 

l'rofessori  di  eloquenza  greca ,  loro 
stipendio,  IV,  497. 

Profumi,  IV,  201,  205,  207,  208. 

Prologhi  delle  commedie,  II,  630. 

Prometeo ,  imagine  della  civiltà  na- 
scente, I,  87  ;  nelle  Satire  di  Var- 
rone.  III,  756. 

Properzio.  —  Vedi  Aurelio  Properzio. 

Propontide  {More  di  Marmara),  HI, 
336;  Stretto,  IV,  260. 

Propretori,  al  governo  delle  provin- 
ce, II,  544. 

Proprietà  della  terra,  consacrata  dalla 
religione  in  Etruria,!,  370;  a  Ro- 
ma. 794,  798,  800  ;  assicurata  dalle 
leggi  delle  XII  Tavole,  849. 

Proquestori  municipali ,  IV,  4,5. 

Proscrizione  (tavole  di),  III,  261;  editto 
di  proscrizione  dei  triumviri.  111, 
607-010. 

Proserpina  ,  regina  degli  Inferi ,  1 , 
299,  511,  514,  11,  101;  protettrice 
di  Cizico,  HI,  .338. 

Prostituzione,  combattuta  dai  fllosoll, 

IV,  857-858. 

Protogene ,   servo  di    Caligola,    IV, 

.331. 
Province,  come  trattate  da  Roma,  II, 

272-273;    apparenze   di  libertà   e 


servitù  dappertutto ,  274  ;  ordina- 
inenti,  543;.  governatori,  544-545; 
pubbliche  gravezze,  545-547  ;  prov- 
veditùenti  di  Caio  Gracco,  III,  77, 
78;  leggi  di  Siila,  273;  e  di  Cesare, 
411,  538  ;  province  senatoriali  e  im- 
periali sotto  Augusto,  IV,  48  ;  spo- 
siate, 76-78;  nei  primi  tempi  di 
Tiberio ,  252  ;  sotto  Claudio ,  349  ; 
buon  governo  sotto  Traiano,  -.62, 
263  ;  cure  di  Adriano  che  le  visita 
tutte  ,  631 ,  635  e  seg.  ;  fioriscono 
per  opera  di  Antonino  Pio ,  701  ; 
loro  numero  nel  secondo  secolo 
dell'  Impero ,  782  ;  loro  governo  , 
791  ;  rapine  d' imperatori  e  pro- 
consoli ,  791-793  ;  gravezze  senza 
numero,  793. 

Prusa  (Brussa),  città  di  Bitinia,  IV, 
563;  patria  di  Dione  Crisostomo  . 
che  colla  sua  eloquenza  vi  calma 
le  popolari  discordie,  846,  847. 

Priisia,  re  di  Bitinia,  acconsente  a 
consegnare  Annibale  ai  Romani . 
II,  461  ;  prende  in  moglie  una  so- 
rella di  Perseo,  468  ;  e  stringe  più 
viva  alleanza  con  esso,  476;  sue 
bassezze,  491. 

Pseudo  Filippo.  —  Vedi  Andrisco. 

Pseudo  Filippo ,  tenta  occupare  la 
Macedonia  ed  i'  ucciso.  11,  495. 

Pseudo  Nerone.  —  Vedi  Nerone  (falso). 

Publicani,  flagello  delle  province,  11, 
54.5-547  ;  si  burlano  degli  Dei  e 
delle  immunità,  599;  portano  via 
rijiiie  schiavi  i  sudditi  del  re  Ni- 
,■  .■...■■ir  Ji  l;  li.iia,  IH,  13^;  lor.. 
,  ,  :  :s;..ni  in  .\sia,  3i.->, 
:;i  ;  -  I  :  !..  nia  delle  proviii- 
.  . .  ; .:-  ; .  ; .  ir..iiati  da  Lucullo, 
lìtn  ,  peisc-iiilati  da  Catone,  394  ; 
compagnie  di  cavalieri  riscuotitori 
delle  pubbliche  rendite,  IV,  250; 
loro  tariffe  fatte  pubblicar  da  Ne- 
rone, .'575. 

Piiljlicio  C'erto,  senatore,  fa  da  sgher- 
ro, IV,  .540. 

l'iit.lili.1  Filone  (Q.) ,  dit^tatnre  ,  leg-i 


j,  ...  .   ...  ,    .     .a.a.o.Uu    a    npar.u.; 

I  .>iit:i  palila  alle  Forche  Caudine, 

li  !  ;  va  nel  Sannio  e  in  Apulia,  G-i. 
Piihlili.i  Volerone,  tribuno,  chiede  che 

i  tiiluini   e    gli   edili    sieno   eletti 

dalle  tribù  pleliee,  I,  812-814. 
Publio    (Gaio),   sfugge   alla   hbidine 

(h'U'usuraio  Lucio  Papirio,  11,  31. 
Pudiiizia,  dea,  IV,  764  ;  due  templi  a 

Roma,  lì.  '303. 
Punici,  loro  venuta  in  Sicilia,  II,  117. 

—  Vedi  Cartagine. 
Punico,  capo  dei  Lusitani,  II,  ."26. 
Puteolano  (Porto),  grande  emporio  del 

mondo,  I,  272,  IV,  203,  232,  334, 

Puteoli   {Posziioìi),   detta   in  antico 

Dicearchia,  f)ndata  dai  Calcidesi,  , 

I,  272-273,  310;  colonia  romana, 

II,  267,  427  ;  villa  di  .Siila,  III,  279; 
avanzi  della  villa  di  Cicerone,  724  ; 
colonia  militare,  IV,  43,  495;  col 
cognome  di  Nerone ,  375  ;  monu- 
mento a  Tiberio,  250;  sepolcro  e 
tempio  ad  Adriano,  691  ;  tempio  e 
iscrizioni  ad  Antonino  Pio  ,  713  , 
716;  tumulto  di  plebe,  794,  796; 
onori  pubblici  a  una  matrona  per 
la  sua  castità,  829-830. 

Pyxus.  —  Vedi  Hussento. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1037 


QUADI 


atriNZio 


BBMI 


Qua.ài  {Moravia),  m  guerra  coi  Ro- 
mani, IV,  530;  confinanti  coi  Bu- 
rii,  571  ;  Antonino  dà  loro  un  re  , 
711  ;  assaltano  l'Impero,  734,  741  ; 
combattuti  da  M.  Aurelio  e  dispersi 
da  Giove  Pluvio,  713;  fanno  pace 
con  Comrnodo,  768. 

Quadrante,  quarta  parte  dell'asse.  II, 
30''. 

Qu.nilriremi,  navi  da  guerra,  II,  213. 

Qi'ii'-stioiies perpetuae.  —  Vedi  Giu- 

Quatuurnri  municipali,  IV,  45. 

Quercia  (la)  sacra  di  Dodona,  I,  03. 

Qui'rriuetulani,  nel  Lazio,  fanno  guer- 
ra a  Ruma  per  i  Taniuinii,  I,  631. 

Questori,  I,  857,  861  ;  se  ne  nominano 
quattro,  due  dei  quali  plebei,  865; 
portati  da  otto  a  venti  da  Siila, 

III,  273-274. 

Questori  degli  alimenti  pubblici,  IV, 

808. 
Questori  municipali,  IV,  787. 
Questori  preposti  alle  regioni  d'Italia, 

II,  306;  e  a  quelle  di  Roma,  IV, 
26. 

Questori   per  le   spiagge   marittime, 

IV,  42. 

Quinario,  moneta  d'argento  del  valore 
di  cinque  assi,  II,  309,  310. 

Qiiincusse,  cinque  assi,  II,  309. 

(jiiiiviì'aVi-ia;  feste  di  Minerva,  IV, 
535. 

Quin'in.'niinli.  censori  nei  Municipii, 

'JM  !    ,  ,1  (laguerra,II,  213. 

>>  ..■  ^ise  di  luglio,  chia- 

itiit  .  i;.  ',,,  HI  onore  di  Cesare, 

III.  533. 

Quintilia,  amica  di  Licinio  Calvo,  III, 
811. 

Quintiliano  (M.  Fabiu),  maestra  d'e- 
loquenza, IV,  STI.  Si  >  I-ri:,,  i,,,„. 
oratoria,  871  ;    mi      :  ','  ; 

esaltabruttameiii.il        '  -:_■; 

maestro  di  Plini"  ili.;/::,  ili  ; 
che  gli  dota  la  li;.'iia.  !.Uj. 


lori 


illa,  IV, 


Quiutilio  (Coiidiuu  o  Condiano),  sua 
vita  ed  ulBcii,  IV,  773-774-,  ucciso 
da  Commodii,  774. 

Quintilio  (Massimo),  sua  vita  ed  uffi- 
ci!, IV,  773-774;  ucciso  da  Com- 
rnodo, 774:  padre  di  Sesto.  774. 

Quintilio  (SCSI...).  lii;lio    di    Massim.i. 

(jiiintili..  \   ::        !■ 

IV,  77.  -.-Jl      ,-•_.. 

225;  cospirazione  e  sullevaziune  di  : 
Arminio,  225  ;  sconfitto  nella  selva  i 
di  Teutoburgo,  226-227  ;  si  dà  la 
morte,  227;  la  sua  testa  è  man-  I 
data  a  Maroboduo,  228;  e  da  que-  1 
sto  ad  Augusto,  22S;  sono  ricupe- 
rate le  sue  aquile,  258.  I 

Quinziano  Afranio ,  senatore  ,  con- 
giura contro  Nerone,  IV,  406; 
scoperto,  407  ;  sua  morte,  409. 

Quinzio  (L.),  legato  di  Crasso,  vinto 
da  Spartaco,  III,  309. 

Quinzio  Atta  (Tito),  poeta  comico,  lì, 
646. 

Quinzio  Attico  (C),  console,  si  salva 
dai  Vitelliani  col  dire  di  aver  in- 
cendiato il  tempio  dì  Giove,  IV , 
470. 

Quinzio  Capitolino  (T.),  escluso  dal 
secondo  decemvirato,  I,  835. 

Quinzio  Capitolino  Barbato  (T.),  con- 
sole, trionfa  dei  Volsci,  I,  820. 


Quinzio  Cincinnato  (Lucio),  console, 
I,  824;  dittatore,  825,  863;  salva 
la  patria  e  torna  al  suo  campicel- 
lo,  827-828;  per  le  arti  di  Appio 
Claudio  non  e  eletto  decemviro, 
8:34-835. 

Quinzio  (Cesene),  figlio  di  Cincinnato, 
citato  avanti  l'assemblea  delle  tri- 
bù, fugge  in  Elruria,  I,  823-824, 
827. 

Quinzio  Cincinnato  (T.),  vince  i  Pre- 
nestìni,  II,  14. 

Quinzio  Crispino  (L.),  pretore,  scon- 
fitto dai  Celtiberi  e   Lusitani,  II, 

Quinzio  Flaminio  (Lucio),  fratello  del 
seguente ,  prende  d'assalto  Leu- 
cade,  II,  437  ;  tolto  dalla  lista  dei 
Senatori  con  nota  di  crudele  libi- 
dine, 565-556. 

Quinzio  Flaminio  (Tito),  console,  va 
contro  Filippo  di  Macedonia,  II, 
433-434  ;  lo  vince  ed  occupa  l' E- 
piro,  434  ;  si  impadronisce  di  qua- 
si tutta  la  Grecia,  4.34-435;  vince 
Filippo  ai  Cinocefali ,  436-437;  e 
gli  accorda  dura  pace,  437;  con 
un  decreto  fa  dichiarare  liberi  i 
Greci,  439  ;  ed  e  con  gran  festa 
sahitato  liberatore  da  tutti,  438- 
I"'  .  \\  1  ?■  p.'r  ordinarne  lo 
Sm        I  ]  :i  K.ima  e  trionfa, 

ili       ,  iivcia,  443;  inter- 

c.  .i  |..  I  I  -  11. -.cordata  tregua 
a.^ii  lii.jli,  14; .  minaccia  Prusia, 
re  di  Bitiiiia,  per  aver  dato  asilo 
ad  Annibale,  461. 

Quinzio  Penno  Capitolino  Crispino 
(T.V  i-..iis.il.'.    iicpìs.)  nella  guerra 


Quii-i;n..    •'!  .    ■-i,siir,..iito,  IV,  104. 

Quiriii.j.  lìiviiiità.  culto,  I,  729,  741; 
e  tempio,  II,  294,  IV,  192.  —  Vedi 
R.:.in.;lo. 

Quirio.  città  dei  Quiriti  sul  colle  Ago- 
nale secondo  il  Niebuhr,  I,  666-667. 

Quiriti.  I,  582. 


poeta    epi'-o    della  battaglia 

/i...  IV    I-.2-1.53. 

1    .    .,.    ■■  ,.•,..  porta  in  trion- 

:.    -   fi  mino,  III,  154- 

I,  ibieno  di  quella 


1'   -  Il    .-.11. 

l;  :  :  1  I  iii.i.  cos'i  detto  dal  nome  di 
Livia,  moglie  d'Augusto,  IV,  193. 

Raninensi ,  una  delle  tre  primitive 
tribù  di  Roma,  I,  667. 

Raoiil  Ruchette,  sua  opinione  sull'o- 
rigine degli  Etruschi,  I,  HO. 

Rascupoli,  capo  dei  Traci,  III,  622 

Raseiii,  non  e  provato  che  da  essi 
disccndan.-i  gli  Etruschi,  1, 120-121  ; 
iipiiii  .'li  "'i!  !!  iii>,  122;  e  sulla  o- 
riir:       .il   .    ■■     l'.M-OOO. 

Rat:   .;        K  l.vc),  sul  Danu- 

1.:  ..  ;,  !  .M  ;  -uperiore, Colonia, 
IV,  .VI, 

natili, iti.rnon  o  lìrrviarivm  totìt'S 
iiiìperii  di  Augusto.  IV.  7.5. 

Rauilio  (Campo) ,"  o  Campi  Raudiì , 
nella  Gali. a  Cisalpina,  presso  Ver- 
celli ,  ove  Mario  distrusse  i  Cim- 
bri,  III,  133. 

Rauraci,  tribù  elvetica  (nel  cantone 
di  Basilea) ,  emigrano  nelle  Gal- 
lie.  III,  430. 


Ravenna,    occupata   dagli   Umbri,  I, 
65;    credesi   fondata  dai  Pelasgi, 
79  ;  ivi  si  riparano  presso  Cesare  i 
tribuni  cacciati  da  Roma,  IH,  481, 
484  ;  stazione  di  un'armata  navale, 
IV,  79,  783. 
Re  di  Roma,  suoi  poteri,  I,  701  ;  ve- 
niva proposto  dal  Senato  ed  eletto 
dalle  Curie,  702-703. 
Rea  Silvia  o  Illa.  I,  5G8-569,  571. 
Keate  (Rieti),  sede  dei  Pelasgi,  I,  74; 
occupata  dai  Sabini,  219,  221,  223; 
diviene    prefettura,  II,  90;  patria 
di  M.  Terenzio  Varrone,  III,  746; 
colonia  militare,  IV,  495  ;  la  disse- 
ro   fondata   da  un  compagno   di 
Ercole,  .503. 
Reatina  (pianura),  I,  220. 
Recita/ioni    pubbliche,  a  Roma,  IV, 

906-907. 
Redicolo  (il  Dio),  detto  anche  Tutano; 
e    tenuto  salvatore    di  Roma,  II, 
389:  suo  tempio,  389. 
Reggini,  del  Bruzìo,  vincono  i  Greci 

ai  fiume  Sagra,  II,  133. 
Reggino  (promontorio)  {Capo  Piita- 
ro  o  la  Punta  di  Calamizzi  se- 
condo altri),  I,  305. 
Reggino  (Asproì)wnte),  vertice  e  sal- 
to, nel  Bruzio,  I,  285,  :J04. 
Reggio,  citta  del  Bruzio  (Catabi-ia) , 
fondata  dai  Greci,  famosa  di  studi 
e  di  belli  edilizi,  I,  304,  310,  II,  96, 
118,  119;  riceve  leggi  daCaronda, 
137:  retta  dal  tiranno  Anassila,  159; 
in  guerra  col  tiranno  Dionisio,  168  ; 
salvata  da  Elori,  169  ;  saccheggi.a- 
ta  e  insanguinata  da  Dionisio,  171  ; 
ridutta  -i  iow.'!-o  stato,  188;  stra- 
ziai .  .'  I  :  I  !.  ji.iie  Campana, 
Ki;:.  1  -r  .  p  i. -re  dei  Roma- 
ni. , .  I  1  .  .1  'i-nir  navi  da 
gli, -ni.  J7ii.  .  ...i.-rva  i  suoi  isti- 
tuti nazionali,  271  ;  fedele  a  Roma 
contro  Annibale,  3ì6-:iC7  ;  e  contro 
la  lega  italica.  III,  172  ;  promessa 
dai  triumviri  in  premio  ai  soldati 
della  guerra  civile,  607;  confino 
di  Giulia  d'Augusto,  IV,  218  ;  sta- 
zione per  le  navi  frumentarie  co- 
minciata ivi  da  Caligola,  325. 
Regino  (lago)  {Tenuta  di  Pantano), 
battaglia,  I  ,  631-633  ;  Livio  non 
cuuusce  r  anno  in  cui  fu  data,  I, 
6i7. 
Reu'iuni  d'Italia,  U,  306,  IV,  41-42, 

'73'<. 
Regioni  di  Roma,  nell'  ordinamento 
di    Servio   Tullio ,   1 ,  706-707  ;  ai 
tempi  d'.\ugusto,  IV,  '26. 
Regolo.  —  Vedi  Atillo  Regolo. 
Regolo  (M.),  iniquissimo    delatore  e 
consigliere  di  Domiziano,  IV,  475, 
539. 
Religione,  degli  antichi  popoli  italici, 
I,   364,   3;8-385;    degli    Etruschi. 
•387-415;  culto  dei  morti  in  Etru- 
ria  e  a   Roma,  .505-520;   ordina- 
menti religiosi  di  Numa,  586,  594  ; 
la  religione    romana  ispirata  dal- 
l'utile, 728-729  ;  Dai  dei  pastori  e 
degli   agricoltori,   730-732  ;  Vesta, 
733-734;   Palladio,    Penati,    Lari, 
Trinità  Capitolina,  Marte,  Giano, 
735-746  ;  oracoli,  religione  e  poli- 
tica, 750-752  ;  Numi  stranieri,  7.53  ; 
decadenza,  II.   303-301  ;    riti  stra- 
nieri, 302;  incredulità,  596;  rifor- 
me d'Augusto,  IV.  32-34. 
Religione  augusta.  IV,  810. 
Religione  dei   Druidi.    —  Vedi  Drui- 
dismo. 
Remi   {Reimn),    popoU   della  G.allia 
Belgica,  tra  la  Matrona  [ìlama) 
!■  la  Musa,  si  uniscono  ni  Romani, 
III.  434,  445  ;  rivolta,  IV,  477. 


103X 


INDICE 


KEMO 


KODIANI 


Remo,  sua  leggenda,  I,  56^)73. 

Reiiioria,  luog-o  sull'Aventino  ove  Re- 
mo prese  gli  augurii,  I,  572. 

Reiiiiuia.  villaggio  sul  Tevere,  secon- 
.)u  il  Niebulir,  1,  666. 

H.Mnii  (Krnesto).  suoi  <!tudi  sulle  cau- 
...  ,ieii-)  <,l1i..,-„7K'I).>  L'i'idaica,  IV, 
;  ,--r.^    ,  ,   i,,,.  ,;,  !:,     .Tiise  contro 

l:  ■;■■■.         -  ''     \  .-usto,  rs', 

:■.  ,  ,,.•.■:■. -.ini  ■  .1,1   .'vlriaiio,  634. 

K.ji...  fmiiM-  (Iella  'i.illia  Cispadana, 
wlebre  pel  convegno  dei  triumviri, 
avvenuto  in  una  isoletta  di  esso 
vicino  a  Bologna,  III,  COS. 

Reno,  fiume,  confine  tra  Galli  e  Ger- 
mani, III,  423,  424;  ponti  e  pas- 
.saggi  di  Cesare,  437-438,  443;  vi 
stanziano  otto  legioni  e  una  flotta, 
IV,  78,  79;  contine  dell'Impero, 
S4  ;  ricacciati  al  di  IiiSvevie  Ger- 
mani, S5;  spedizione  di  Caligola, 
:t2S  ;   c.inal,'    tra    esso    e  la  Mosa 


K.Mi  .,  Rezii,  l.jr.j  sedi  e  costumi,  IV, 
'.i:ì;  vinti  da  Druso,  <Ì3.  Pt  ;  assal- 
t.mo  gli  Elvezii,  441.  —  Vedi  Ra- 
seui  e  Rezia. 

Reliaria.  —  Vedi  Ratiaria. 

Retori,  screditati  e  combattuti,  III, 
<;!>5;  retori  e  declamatori  ai  tèmpi 
■1  Augusto,  IV,  )8r)-187;  premiati 
di  inmiunità  da  .\dnano,  C7fl;  lo- 
ro aringhe  raccolte  da  RiMieca, 
«70. 

Rottorica.  i  primi  tempi  dell'Impero 
sono  il  suo  secolo  d'oro,  IV,  869- 
870. 

'Rnia.  {Grigioni  e  Tiralo ,  e  alcune 
parti  settentrionali  della  I,o,/i  6a>^ 
flirt) ,  provincia  romana ,  IV,  94  , 
782;  commercio  con  Roma,  202; 
lisurata  sulla  spada  di  Tiberio  , 
242  :  parteggia  per  Vitellio ,  441  ; 
ric-.rdi  di  Antonino,  71.5;  invasa 
dui  Catti,  727. 

Rezii.  —  \  edi  Reti. 

Kii-.-hez/e.  cercate  a  Roma  per  la  via 
dei  delitti,   IV,  !-2l-82->. 

Rieei  (Neniesio),  studii  sulle  orisini 
dei  lVla.s-i.  I,  10.'. 

ItigMdiilu  (Riol),  sulla  Mosella.  vi  so- 
no battuti  i  Treviri,  IV,  477. 

Riiuini.  —Vedi  Ariniino. 

KiMdaeo  ^roÌKaithch).  Ilmne  dell'.\- 
sia  Muiore  nella  provincia  dell'El- 
I. ■?]!.. ntii ,  vittoria  di  I.ucuUo  su 
Mitridate,  IH,  .338. 

l:  :i.li...  (valle  del|,  IV,  663. 

lùii  Ir  ciiri,  presso  gli  Etruschi,  I, 
"'-  '1  :  pr';«o  i  Romani.  706- 
■    ■  '       1    '  i  morti,  519-520. 


Itv 


Il  greca  sulla  costa 
,:i.i.  larraconese,  ricorre 
i;jntro  i  Cartaginesi,  li. 


Uodano.  jliimc,  passaggio  d'Annibale, 
I'.  333;  difeso  da  Cesare  contro 
gli  KIvezii,  IH,  431;  j  barcaioli 
;;rali  ad  Adriano,  6:i8. 

Rodi,  chiede  soccorso  a  Roma  contro 
lil'ppo  (li  Macedonia,  II,  432,  433  ; 
n"ii  fa  parte  della  provincia  d'A- 
sia, .-,30;  Colosso,  .'>41;  accoglie  i 
Koiiiani  scampati  all'estcrmiiiio  or- 
dinato (la  Mitridate,  HI,  231-232; 
respinge  Mitridate,  232  ;  vinta  e 
straziat.i  da  Cassio.  621;  frequen- 
tata dai  giovani  Romani  per  lo 
studio  deirelotjuenza,  096  ;  visita- 


ta da  Vespasiano,  IV,  4'ì8;  e  poi 
privata  della  libertà,  495 ,  Adria- 
no fa  rialzare  il  Colosso,  664. 

Rodiani,  ricevono  da  Rjma  una  par- 
te della  Licia  e  della  Caria,  lì,  452  ; 
minacciati  di  guerra  dai  Romani, 
491-192;  difesi  da  Catone,  568; 
premiati  di  privile-ri  per  la  loro 
fedeltà,  IH,  248  ;  fatti  liberi  da 
Nei-one,  IV,  371. 

Roma  e  gli  Italiani,  I,  16,  17;  tradi- 
zioni sulla  sua  origine,  566;  no- 
me, 5G7-568;  nome  volgare,  sa- 
cerdotale e  arcano,  574,  UI,  791; 
la  leggenda  di  Romolo  e  Remo,  I, 
."567-573  ;  fondata  da  Romolo ,  574  ; 
Roma  quadrata ,  574  ;  Valentia , 
574  ;  il  di  natalizio,  .574-,576  ;  pri- 
mi abitatori,  .576-577  ;  mancanza 
di  donne  e  ratto  delle  Sabine, 
577-579;  assalita  dai  .Sabini,  580- 
581  ;  fa  la  pace  -e  si  unisce  con 
loro ,  581  ;  soggioga  Cameria,  Fi- 
dcne  e  Velo ,  582  ;  morte  di  Ro- 
molo ,  583-584  ;  interregno  ,  585  ; 
Numa,  585-588;  Tullio  Ostilio, 
.588;  distruzione  di  Alba,  .594; 
guerra  ai  Sabini,  594  ;  Anco  Mar- 
zio, 595-.59S  ;  guerre  contro  i  La- 
tini, Volsci,  Sabini  ed  Etruschi, 
595;  Tarquinio  Prisco;  .598-600; 
vittorie  sui  Latini,  Sabini  ed  Etru- 
schi, 599  ;  Servio  Tullio.  601-608  ; 
guerra  cogli  Etruschi,  COI  ;  Roma 
metropoli  della  lega  latina,  604; 
nuove  mura  e  allargamento  della 
città,  605  ;  divisa  in  4  regioni,  605  ; 
Tarquinio  il  Superbo,  609;  lega  più 
stretta  coi  Latini,  611:  guerre  ai 
Saliini  ,  Volsci  e  ai  Gabini ,  611- 
613;  le  cloache  compiute,  613; 
tempio  di  Giove  Capitolino  e  pre- 
sagio .sulla  fortuna  di  Roma,  613- 
615;  .^sselrn.  di  .Vrdea,  616;  morte 
(l'Iti  111  T '1  I-.  zia  ,  vendicata 
.■  ;  M  re,  617-619; 
.  .  ;  u  111  libertà,  621; 
viii.iM  ,  ,1.1,1  ,\,i,  Arsia.  contro 
i  T.ir.|iurii.-.-.i  e  Vei(!nti  fautori  di 
Tarquinio  il  Superbo,  624;  asse- 
diata da  Por.sena,  626-628;  con- 
chiude con  lui  un  trattato,  629; 
nuova  congiura,  630;  vittoria  sui 
.Sabini,  6.30;  e  sui  Latini  al  lago 
Regino ,  6.30-!;32  ;  la  repubblica"  è 
salva  ,  633-634  ;  incertezze  degli 
storici  antichi,  63.5-639  ;  dubbi  mo- 
derni, 639-640;  divinazioni  e  illu- 
strazioni della  critica  nuova,  640- 
647;  antichità  di  Roma,  648-650: 
sue  m-igini  secondo  il  Niebuhr, 
«iir,-.;?!  'iiiip  .sia  di  elementi 
III;  i  ■  i  1  1-Hruschi ,  690- 
OVI  1  .  I  ._  1  i  lievito,  720;  po- 
li li  .  I  li  di  Servio  Tul- 
li '  '  Il  :,'.':  e  monumenti, 
T.'l  .           I           ,  :..:nizaconCarta- 


con  l(jro ,  811;  messa  a  pericolo 
dalle  correrie  dei  Sabini,  dei  Vol- 
se! e  desìi  Iviui,  820-821  ;  minac- 

iiii  I  .1  11  -il.: diigli  Kqui,  825  ; 

mI  il  I  .     ,  milito,  828;  invia 

in,  Il  Ci-ecin,  832-833, 

Sii ,  1  II  III   I    lIi  Kqui  e  coi  Vol- 


sci ,  863-867  ;  contese  coi  Fidenati 
e  Vejenti .  869-870  ;  assedia  Velo , 
,S71-878;  fa  gueiTa  agli  Etruschi, 
880  ;  sconfitta  dai  Galli  suir.\llia, 
890-891  ;  presa  e  incendiata  da 
essi  e  liberata  da  Cammino,  891- 
897  ;  rieditìcata,  II,  8-10  :  e  affor- 
zata da  nuova  cerchia  di  mura  , 
11,  15;  vince  i  vicini  insorti  e  ri- 
stabilisce gli  antichi  confini,  12- 
14  ;  pestilenza  e  inondazione  ,  26  ; 
vince  ripetutamente  i  Galli,  :i3- 
34  ;  costringe  ad  arrendersi  i  Ti- 
burtini,  34  ;  sottomette  gli  Ernici, 
34  ;  e  in  guerra  coi  Volsci ,  35  ; 
cresce  di  territorio  e  di  forza ,  35- 
:56  ;  guerra  contro  Tarquiniesi,  Fa- 
lisci  e  Ceriti,  36-37;  prima  guerra 
nel  Sannio,  38-41  ;  accorda  la  pace, 
42  ;  sue  prepotenze  cogli  alleati , 
42-43;  guerra  contro  la  lega  la- 
tina, 44-49;  sottomette  il  Lazio,  e 
ì  Volsci,  gli  Ausonii,  Aurunci,  Si- 
dicini  e  Campani,  49-52  ;  alleanza 
con  Alessandro  Molosso  re  di  Epi- 
ro, 53  ;  doma  Priverno  e  Pondi,  54  ; 
.seconda  guerra  sannitica,  54-59: 
fa  tregua  coi  Sanniti ,  poi  li  scon- 
figge, 59-60;  è  vinta  alle  Forche 
Caudine,  60-63;  rompe  il  trattato  di 
Caudio,  63-65  ;  continua  la  guer- 
ra, 65-68;  anche  contro  gli  Etru- 
schi collegati  ai  Sanniti ,  68-72  ; 
vittorie  nel  Sannio  e  in  Etruria, 
74-76  ;  accorda  pace  durissima  ai 
Sanniti,  76 ;  sottomette  gli  Equi, 
i  Marsi ,  i  Marrucini ,  i  Peligni  e 
i  Frentani,  77-78  ;  colonie  sui  vinti, 
78  ;  terza  guerra  sannitica,  78-80  ; 
vince  a  Sentino,  81-83;  e  ad  Aqui- 
lonia,  87  ;  fine  della  terza  guerra 
sannitica,  88-89;  sottomette  i  Sabi- 
ni, gli  Umbri,  gli  Etruschi,  i  Senoni 
e  i  Boi .  90-93  ;  pone  colonie  in  E- 
fruria,  in  Umbria,  nel  Piceno,  93; 
suoi  progressi  nell'Italia  Inferioi-e, 
189  ;  manda  Fabrizio  a  difendere 
Turio,  189;  provoca  Taranto,  i 


sue  navi  vc:i 
chiede  rip.ir 
e  gli  ambagi- 
190-191:  ili' 


IPO; 


nuaie  la  giien-.i ,  197-1!'S  :  vinta 
alla  battaglia  d',\scoli  manda  Fa- 
brizio in  .\pulia  e  fa  tregua  con 
Pirro,  199;  sue  vittorie  nella  bassa 
Italia,  200-201  ;  manda  due  eserciti 
contro  Pirro  reduce  dalla  Sicili.a 
e  lo  vince  a  Benevento  ,  201-202  ; 
sottomette  ì  R.iiiniii,  i  Lucimi  e  i 
liriL-i,   Oli',  .■  1  AT,.--:i||-,   '^Hleatini 


tiorie 
■iiisce 
viiKie 
211- 


i:        :m-     I,, ,1     -.11    I.  :;i8; 

., 1  1  ,irl:i..nii.M  :i  Vy iii..219; 

e  VII  ili  AlVricii ,  219-221  ;  Attilio 
Regolo  i)  sconfitto,  228  ;  fa  nuova 
llottn  che  va  in  Affrica  «  al  ri- 
torno (•  distrutta  da  una  tempesi.a, 
222-223;  la  guerra  torna  in  Sici- 
lia. 223;  vittoria  su  i  Cartaginesi 
a  Panornio ,  224  ;  per  consiglio  di 
Attilio  Regolo  rifiuta  la  pace  chie- 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1039 


23(j;  brev 
2:37  ;  niii-i 
Sai-<l<>-i)n. 


roi-da 

;  ^uer- 
(  isal- 
Iiisu- 
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p        I    Ca 

ima ,  :{!)ii- 

slor/.i   ,,f 

i-nutil 

e  la  sue 

■ipreiul 

impellisela 

che  Asilrubale  si  unisca 

ail  Annibale,  n:i7 

JO          lo       ce 

al  Melali! 

0,  -luo- 

vittorie  di 

Spa|.Mn 

111        1 

jiei-  iiiezz. 

1             ri 

in  AltVici 

.    1 1  ■'- 1 

P 

a  Zama,  . 

a  Cariasi 

[•-  -    II, 

'1     i 

■omla 


a  !'i,::>|,  ,:,    \:  ,     ,;    :,■,  ,  .131. 

•l:;:;-    ...■■,,.;,    l;i    i.n.i;,.    -)  ;I-|:G;    e 

vince  Filippi!  ai  lanocpfali ,  -ISfi- 
437  ;  dichiara  con  un  decreto  li- 
beri i  Greci,  4:58  ;  ma  li  tiene  a  sfe 


(40;  ancrr 

■i    in-!i; 


An- 


-l<9; 


I-.M53 

1  r,-iti- 
•   Inaili    ; 

acae';^     i 


Acliei,  -105 
nica  ,  finii 
Cartagine  , 


abl 


pio  del  \  li  M 

sidenti  non  l 

12;  elementi 

lazione,  IG-IH 

vi,  24,  2C-27  ; 

in  Sicilia,  40- 

suU'Aventino.  81-S3  :  soccorre 

silia  e  vince  i  Liguri ,  90-91 

Salluvii,  01-;i-.'-.  prim-ipii  dulia 

quista  -I.  i|'.   ',•,  [I,,,  -•-■!:      ,1 

paili-M,,..-      ...    ,.         ,1     ,      ,  M 


batta 


.-hi, 


seconda  Lii..ri  1    -      ■  , 

137-14:(;  sedi/:..: 

vinta,  151-làr.  : 

nella  guerra   s.    .    ;.     .  li  ilici, 

170-194;    comi, li    1:  - Iella 

forza  brutale,  2iiu-;iì1  ;  ^^u.i  1  :i  .'i- 
vile  di.Cinna,  208-209;  0  assedia- 
ta da  tjuattro  eserciti.  21(-31.">; 
preda  di  Mario  e  di  Ciana,  ih'i- 
220;    iiilinia    a   Mitridate    di  stare 

nei   S11..1     ■  I I    .':i;--;-Z7;  guerra 

con  li  ::.-::"  • -sterminio  dei 
Roinriiii       I.  llAsia.    230- 

231;  Sili: I     ,•:;(;    assedio 

d'Atene,  2:M-,'  :-  ■    .ni.  di  iIil- 

ronea,  240;    .'   .     <  ■       1  Jl-,'- 

243;  pace  con  Mi  .  'ii.-,M7; 
Koma  in  gueri-.i  .  1  .Siili  r.ì-::A: 
strage  dei  l'autori  di  Siila,  2.>.j  ; 
gran  battaglia  sotto  le  mura,  23»- 
239;  proscrizioni,  261-264  ;  e  costi- 
tuzione di  Siila,  271-277;  guerra 
contro  Emilio  I,.'p;ili.  •,'^r'-?in  :  e 
contro  Q.  Seri'"  ì  1:  ^.  n  .  -^'Xì- 
302;  in  guen-.i  .1  1  ..  n  1  :;i):i- 
310;  guerra.  ,11  ,.  1  >  i  .  ii  1  .h'ono 
a   Roma    1..   ...1  .  ,.,.,1:,  ..olle 

di   Milr  .1  ..  ,,-:;.'        '    ,   ,"  „'.     ,ii 

Pomp -Il     Muri. III...    ..     ri;,i.Llie    e 

nel  Caucasii,  :ì.|,5-:M7:  le  armi  ro- 
mane in  Siria,  in  Giudea  e  in  Ara- 
bia, 349-350  ;  fine  di  Mitridate,  3.")1  ; 
confini  del  iloininio  di  Roma,  353- 

3.54;.  i-i_,u  I  .1)1  I, dina,  375-389; 
trioni.!  .  l 'ni,  |i,  l'K-lOl  ;  Cesare 
in  Sp  1  ,1  .  Il,  |i,  I  ,1,1  triumvirato, 
40(i:   In  ,  ,  ,      ■  1   ilio,  417-421; 

C'ìni|ii:      I   .1  '  .    ;ìi..    e    feste  per 

le  Mit  I        ,    i     marchia.  458- 

4i;2  ;  ,1  ria  coi   Parti, 

464-ti,,.  Il,,,,  ,1,,  Clodiani,  472  ; 
Pompeo,  .jii-.jluscn/a  collega,  473; 


cifore,  -j:  ....,,  :.       :ì  ;  ,,.|,ii 

della    ni.        .-.  i  .  ■    :  ,,i  ,   ,  ,m,.. 

spavenn.  <■  ;.ii,-i|.,.i,i;i  .|,,ji  ,  1  ,,,...i. 
sione  di  Cesare,  5(,(1-57J  ;  ^-m-rra 
civile,  .592-.599  ;  teste  per  la  vittoria 
di  Modena,  COO-ó'Ol  ;  costernazione 
all'avvicinarsi  di  Ottavio,  603  ;  pro- 
scrizion,.  .  i,  _i  ,',  i  triumviri. 
;W  e  -  -  .,  .    '   .ii'iglie  della 


per  ir  Mii 
polazioii 

lordici 'r':  I  ,  ,, 
e  pretoriani  a 
27  ;  difesa  da 
Tevere,  27-2;<  ; 

f;sìifp"''l"''r";'' 
105;  1,1 11  I  , 

107  ;  ii-iii  ,'., 
terrila  ,!  1   1 


la  moi  li  <ii  : 
ìiniilto  per  l.c 
ba,  437;  in  | 
e  alla   licenza 


vittori, 
moiiuu 
e  di  .\ 
secoli, 
della  t 


leste  per  \l,'.r.  .  \,  r,.!,..  r-.I.ice 
dall'Oriente,  719;  ai-io;;lieijze  a 
Commodo,  768;  pestilenza,  iiicen- 
dii  e  carestia,  775-776  ;  Roma  Com- 
modiana,  772. 

)ma  (la  Dea),  I,  765,  II,  411,  IV, 
224,  229,  230,  632;  suo  tempio,  192. 
—  Vedi  anche  Venere  e  Roma, 
(empio 


11-112; 
lano,  IV, 


Roma  m  statua,  IV,  677;  e  in  bas- 
sorilievo ilella  villa  Albani,  I,  698. 

Romagnosi  (Giovandomeiiico),  fa  ve- 
nire la  civiltà  italica  dalla  Mauri- 
tania, I,  190-191. 

Romania,  linguaggio  dei  Valachi,  IV, 
582-583. 

Homechio  (Hnmechi /),   nella  Magna 


Rumili 


315 


''-.573;  fonda  Roni.n, 
i  apre  un  asilo,  .576  ; 
I-alto  delle  Sabine, 
Il  dui  Ceninesi,  An- 
ii'-iumerii,  579;  fa  la 
ini.  .581  ;  e  regna  con 


1040 


INDICE 


ROMULEA 


RUTILIO 


SALLUVU 


Tazio,  5S1-5S2  :  vince  quei  di  Ca- 
ineria,  i  Fi.leuati  e  i  Veienti  582  ; 
n.viso,  scompare  e  diveiiU  il  dio 
Quirino,  583;  sua  apoteosi,  5>4  ; 
favole  moderne  sulla  sua  ongine, 
64J-645  ;  che  si  riscontrano  nelle 
tradizioni  gi-eche,  64">. 

Romulea,  città  degli  Irpini.  I,  21.0; 
presa  dai  Boinam,  U,/^.  _ 

Uosa  (Gabriele),  sue  opinioni  sulle 
origini  itaUchc,  I,  in2.  . 

Rosa  (Pietro),  suoi  scavi  sul  Palati- 
no, 1,  GTn.  .        ,„ 

Roselo  (Quinto),  famoso  comico.  III, 

Roselo  Amerino  (Sesto),  sua  fortuna, 
III,  263. 

Roselo  Ottone  (Lucio),  tribuno ,  la 
assegnare  per  legge  un  posto  di- 
stinto in  teatro  ai  cavalieri ,  IH, 
XA    il  1  ^     ■;     '  .  .[■•'ue,  3/0. 

RoSSfll''.  ^    ''"   i:;-'ll.-. 

Rossi    il'  '  '1    studi    sulle 

,;,.;„„/,   ;t     ;    ^,      I.  ■.•ii.VJO". 

Rossi  (G.  li.  d.l,  SI...  ^-iudizio  sulla 
scienza  di  Kartolonieo  Borghesi,  I, 
673-674  ;  suoi  studi  epigrafici,  681  ; 
sepolcreto  di  Civitavecchia,  IV,  783. 

Rossolani,  tribù  tra  il  Dniejìer  e  il 
Don,  tratti  alla  sua  parte  da  Mi- 
tridate, III.  226  ;  fanno  guerra  ad 
Adriano,  IV,  631  ;  e  assaltano  l'Im- 
pero ai  tempi   di  Marco  Aurelio , 

Rostri  delle  navi  di  Anzio,  portati  a 
Roma  e  appesi  nel  Fóro,  danno  il 
nome  al  suggesto  degli  oratori,  II, 
.■>0-5r,  colonna  rostrata,  216-217, 
300  ;  imagini  e  inideri  dei  Rostri 
del  Fòro,  III,  704,  705. 

Rubellio  Plauto  (C),  accusato  di  co- 
spirazione contro  Nerone,  IV,  3S1, 
38-2  :  rilegato  in  Asia  e  fatto  ucci- 
dere, 390;  assistito  dal  filosofo  C. 
Musonio  Bufi,  sr?l. 

Rubi  (iÌ!»ro),  ne!r\ii  ili  i  r  n.  .zia.  I, 
340;  sepokii   ■  r      >  ,  350; 

sulla  via  Ti-a.      i     i\         . 

Rulii.-one  (V,-:,         ■■         rninii- 


ccllo 


ed 


a,  passato 

delle  cose 
fra  i  Parti 
i,  IV,  308. 

nel  Lazio 

532-533. 

Peucezia, 


Rùck,  ! 

d.Ml 

Ruda  -  l: 

I,  :i4n. 

Rudia  {Rugge  presso  Lecce),  città 
della  Messapia,  rovine  di  mura  e 
di  tombe,  I,  342-343  ;  patria  di  En- 
nio, 015. 

Rull'rio,  città  dei  Pentri,  1,  259;  pre- 
sa dal  console  I<.  Cornelio  I^entulo, 

II,  .57. 

Rufo  (Cesezio) .  ucciso  nella  proscri- 
zione dei  triumviri.  III,  610. 

Rufo  (Luiio) ,  assassino  di  Tiberio 
Gracco,  III.  57. 

Rupilio  n'u'.linV  ^r^.,<,!,. .  t.-n-r.na  la 
gu.M-i-'   '     V--    ■    \    -     ifii.  ni 


Rusellc  .,  Uu,,;>^;...  ;ii.i..-.  (,.  vi"(o), 
citta  euusca,  I,  12."i;  rovine  delle 
sue  torli  mura,  159,  178,  179;  so.- 
eorre  Scipione  per  la  guerra  di 
Affrica,  II,  410. 

Rusicade,  porto  di  Cirta  in  Numidia, 
ricordi  di  Adriano,  IV,  G">7. 

Ruspina,  in  Affrica,  presso  la  piccola 
I.tpti,  Cesare  vi  si  afforza,  III,  518. 

Rutilìo  Lupo  (Publio),  console  durante 
la  guerra  sociale,  IH,  178;  difende 
le  terre  sabine,  179  ;  Tinto  da  Pre- 


senieio,  181;  vinto  e  ucciso  da 
Vezio  Scatone  sul  Liri,  182. 

Rutilio  Rufo  (P.),  giureconsulto,  fa- 
miliare di  Scipione  Emiliano,  II, 
C51  ;  legato  di  Metello  nella  guerra 
nuraidica,  IH,  110,  116;  console 
(648)  obbliga  i  giovani  a  non  usci- 
re d'Italia  minacciata  dai  Cimbri, 
125;  oratore  austero  e  sdegnoso 
di  ogni  artifizio  per  coramovere  a 
suo  prò'  il  tribunale,  698,  708; 
stoico,  739,  770;  morto  in  esilio  a 
Smirne,  scrittore  di  storie  e  della 
sua  vitiv,  770. 

Rutuli,  I,  527;  loro  territorio,  540; 
guerra  con  Tarquinio  il  Superbo, 
616. 


Sabaria  [Sleiii  am  Ange,-),  nella  l'an- 
nonia  Superiore,  colonia  di  Clau- 
dio, IV,  369. 

Sabatino  (lago)  (Lago  di  Braecian'j), 
IV,  604. 

Sabato  o  Ocinaro  (Savuto),  fiume  del 
Rruzio,  1,  297. 

Sabato,  fiume  del  Sannio,  I,  242,  263, 
26S. 

Sabi  (Sambra),  fiume  della  Gallia 
Helsica ,  vittoria  di  Cesare  sui 
Nervii,  111,  431. 

Sabina  (regione),  I,  74. 

Sabine  (ratto  delle),  dà  origine  al  nia- 
tri.iionio  romano,  1,  (;il7. 

Sabini,  di--.  :rl-i  -I  i::!:.'--;    T     -MT; 

o  dasli  |-            -!"  '    '  ■     -'!■<- 

223;..:.    ...      ..  .    ;i  .    i:      ■..    Jl:); 

e  altr.>  .  .n,-,  ,i.'..|   .  >.  :■      ::\     i...... 

costumi  0    pi.iiM.  ':  ',''  :  \     l  .r.. 

colonie  nel  l'i.  .l'I 

Sannio.   242--.' :i  n                   ri, 

382-384;  loro  .   .  ;  .1     ....^.la, 

487-t8-*-   r\ii'.:;     .    .  ii_.ii;^   um  l'ssi 

■•oFk  :  i  '  1 IV  l'olt  I-ag- 
gio del: :  :i77--.81;  e 

pace  e  ma. jur  ..::  K  nia.  ."iSl  ;  lo- 
ro valore  e  IVuj.il.t.i.  t!':i;  vinti 
da  Anco  Mar/i...  .'.'1.'' ;  ••  'la  T.ir- 
quinio  Prisco,  5'i'' .  r  i.loiiaii/.'  m-l 
tempio  di  Diana  siiH.-Vvenliii..,  dot; 
sconfitti  a  Ereto  e  a  FiJeiie  da 
Tarquinio  il  Superbo,  611-612; 
coi  Latini  ed  EIrusclii  danno  ori- 
gine a  Roma,  690  ;  loro  riti  reli- 
giosi venuti  a  Boma,_  COP,  nur.ve 
guerre  coi  Romani,  773,  77.S,  779  ; 
correrie  per  le  campagne  latine, 
819-«20;  minacce  a  Roma,  .s>,-,, 
836  e  seg^.  ;  predano  il  Lazio,  ,S(;il  ; 
sottomessi  da  Roma,  li ,  S9-'J0  ; 
alla  quale  danno  aiuti  c.inti-o  i 
(ialli,  251  ;  fedeli  dr.po  la  t.aifac:lKi, 
di  Canne,  363;  s  ,  ■.■■.■•''■"i..  ^..i;.  .._ 
ne  per  la  gui'i-r  .    ''■'■    ^  '^'  "        ' ." 

fanno  parte  di ■  -     '  <    .i  h   - 

lia,  IV,  42;  scn/  .  i.;  !■■  l  .;:d. 
co,  738. 

Sabino  (Agro),  I,  220. 

Saho,  dà  il  nome  alla  gente  sabina, 
I,  217,  219  ;  detto  anche  Padre  Sa- 
bino, 383;  adorato  anche  dajcli 
Umbri,  384. 

Sacralissinxo,  titolo  del  principe  in- 
trodotto ai  tempi  di  Adriano,  IV, 
633. 

Sacrifizi  domestici,  I,  7óG. 

Sacrifizi  di  vittime  umane,  presso  gli 
antichi  popoli  italici,  I,  376;  a  o- 
nore  dei  morti  in  Etruria,  510  ;  e 
a  Roma,  II,  314  ;  aboliti  (657)  per 
Senato  consulto.  III,  201;  rinnova- 
ti nelle  feste  pel  trionfo  di  Cesare, 


530  ;  aboliti  nelle  Gallie  da  Augu- 
sto, IV,  56;  e  da  Claudio,  330. 

Sacrifizio  Laziare,  1,  547. 

Sacriporto  (Pimpinara),  nel  Lazio, 
vittoria  di  Siila  sul  giovane  Ma- 
rio, Ul,  254-255. 

S.acroviro  (Giulio),  eduo,  sua  rivolta, 
IV,  275;  reca  in  suo  Rotere  Au- 
gustoduno,  275;  vinto  da  C.  Silio, 
276  ;  si  dà  la  morte,  276  ;  il  suo 
nome  ricordato  sull'Arco  d'Oran- 
ge,  277. 

Sagra  (Alai-o),  fiume  della  Magna 
Grecia,  battaglia  tra  LrfDcresi  e  Cro- 
toniati,  I,  312,  U,  133. 

Sagro  o  Saro  (Sangro),  fiume  del  San- 
nio, I,  242,  252,  256. 

Sagunto  (Mwviedvo),  città  greca  nel- 
la Spagna  Tarraconese,  ricorre  a 
Roma  contro  i  Cartaginesi ,  II , 
r;,'.i  -  .  V  ;;ti  e  presa  da  Anni- 
II  1  ine,  331-333. 

Sain:-\  :  I  I  v.il  d'Aosta,  rovi- 
!..    o  i.  I   i romano,  IV.  91,92. 

Sai.'  (■■..<., I,    .iljiio    di  guerra  ,  III, 

183,  iV,  749. 

Sakali,  cosi  chiamati  i  Siculi  nella 
grande  invasione  dell'Egitto,  II, 
103. 

Salapia  (presso  il  Lago  di  SaJfii),  nel- 
r.4pulia  Daunin,  I,  356;  si  unisce 
ad  Annibale  dopo  la  battaglia  di 
Canne,  II,  363;  il  quale  prende 
ivi  stanza  372  ;  presa  da  Marcello, 
394;  incendiata  dai  Romani  nella 
guerra  sociale.  111,  190. 

Salaria  (porta),  sepolcro  del  poel:i 
fanciullo,  IV,  915. 

Salarli,  ridotti  da  Antonino  Pio  a  co- 
loro che  li  godevano  in  ozio,  l\. 
703. 

Salassi  (nella  Valle  d'Aosta),  vinti 
dai  Romani,  III,  97  ;  domati  da 
Messala,  667  ;  distrutti  da  Varrone 
Murena  e  venduti,  IV,  89. 

Salduba  (S!arag:>zz'i),  nella  Spagna 
Tarraconese,  sulla  riva  destra  del- 
lEbro,  detta  noi  Caesaraugusta, 
IV,  59. 

Salentini,  nella  lapigia,  I,  334-340; 
aiutano  i  .Sanniti,  li,  75  ;  vinti  dai 
Romani,  200;  e  sottomessi,  205  ; 
fanno  parte  di  una  regione  d'Ita- 
lia, IV,  42. 

Salerno,  in  Campania,  nel  territorio 
tenuto  poi  dai  Picentini,  I,  277;  co- 
lonia romana,  II,  267  ;  presa  dagli 
Italici,  IH,  181. 

Salii  (fratelli),  sacerdoti,  I,  411,  586, 
729-730;  loro  cai-me,  II,  610,  IV, 
266;  e  collegio,  718. 

Sallenzia  o  Salente  (Solete  ?),  città 
dei  Salentini,  a  12  miglia  da  Ler- 


i:overi 

L;.iven 
...luto  (1 


considerato  sotto  il  rispetto  mora- 
le, 783-784. 

Sallustio  LucuUo ,  legato  in  Britan- 
nia,  fatto  uccidere  da  Domiziano, 
IV,  523.    , 

Salluvii,  detti  anche  Salii,  nella  Gal- 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1041 


SALONA 


SANTA  MARIA 


SATURNO 


Ila  Narbonese,  scendono  in  Italia, 
I,  885  ;  in  guerra  con  Roma,  III, 
G7  ;  vinti,  91-92  ;  si  ribellano,  186. 

Salona,  in  Dalmazia,  sul  mare  Adria- 
tico, IV,  223. 

Salondiro.  —  Vedi  Olondico. 

Snloniria^  m'.'_'!'.-  'li  r-'-hn,  IV,  4ir,. 

S:il]iiMi'^:i  fi  < '!;■  -'1    '<■••■■<  ^pasnaBe- 


s.-ai-i 


,  125  ;  in 


Salto  di  Tiberio  a  (apri,  IV,  295. 

Salute ,  divinità ,  I,  7-11  ;  tempio,  II, 
294,  295,  311. 

Salvidieno  Orfito ,  ucciso  da  Domi- 
ziano, IV,  524. 

Salvidieno  Rufo  (Q.) ,  assale  Sesto 
Pompeo,  ed  e  costretto  a  ritirarsi, 
III,  617;  legato  d'Ottavio  contro 
Lucio  Antonio,  63S-639;  spento  da 
Ottavio,  (J43. 

Salvio,  re  degli  schiavi  in  Sicilia,  col 
nome  di  Trifone,  III,  139;  assale 
Morganzia  e  vince  Licinio  Nerva, 
139;  fissa  la  sua  sede  a  Triocala, 
140-141;  e  si  unisce  ad  Afenione, 
141;  vinto  a  Scirtea,  141-142. 

Salvio  Aburnio  Valente ,  giurecon- 
sulto, IV,  700. 

Salvio  Cocceiano  ,  fatto  uccidere  da 
Domiziano,  IV,  .523. 

Salvio  Giuliano,  giureconsulto,  com- 
pila reditto  perpetuo,   IV,  672. 

Samarobriva  {Amiens) ,  città  degli 
Arnbiani  nella  Gallia  Belgica,  sul 
fiume  Samara  {Somme),  111,  442. 

Sarnliucu  ,  m.-f-'iiina  da  guerra  ,  U  , 
:f77. 

Sanir  (frf,i'n,ii"),  rapitale  dell"  isola 
Cffallpuia,  L'Ii  abitanti  sono  sot- 
luMiessi  e  venduti  dai  Romani,  li, 
450. 

Samo ,  isola  dell'Asia  Minore ,  presa 
da  Aristonico.  II,  .538  ;  emporio  di 
«chiavi,  HI.  •>',:  f.'st-  di  Antonio 
e  (li  CI...]!  Il  I  I  '-'>  -li  iL'Iiata  della 
litieri:.  li  I    ■  .    ,1  1     IV,  49.Ó. 

Saiiins;it:i  ■         ,  .v-r(),  forte 

citta  ili  ^ir'i  iiiutii:.;  ili'lla  Com- 
magene,  asscdi.ata  da  M.  Antonio, 
HI,  662;  presa  sotto  Vespasiano, 
IV,  495;  occupata  da  Traiano,  613. 

Samotracia  (Sam,othraki).,  isola  nella 
parte  settentrionale  del  Mar  Egeo, 
centro  in  Oriente  della  religione 
pelasgic.a,  I,  90-92,  94,  98,  IV,  261  ; 
il  re  Perseo  vi  cerca  asilo,  II,  480- 
481. 

Sampsiceramo  ,  sopranomc  dato  a 
Pompeo  Magno,  III,  402. 

Sanco,  divinità  umbra,  I,  217,  219, 
741  ;  dicevasi  fosse  stato  re  dei 
Sabini,  219. 

Sandali  tirreni.  I,  499-500. 

S.ingario  (Sahanja  o  Sakari),  uno 
dei  principali  (iumi  dell'Asia  Mino- 
re, II,  451  ;  Manio  Aquillio  vi  è 
scontitto.  III,  228. 

Sannio  ,  occupato  da  colonie  sabine, 

I ,  242-243  ;  scorrerie  d'Annibale  , 

II ,  352  ,  r}53  ;  disertato  -da  Fabio 
Massimo ,  369  ;  le  sue  terre  con- 
fiscate e  distribuite  ai  soldati , 
427  ;  messo  a  ferro  e  tiamnie  da 
Siila,  IH,  193,  266  :  veterani  man- 
dativi da  Vespasiano,  IV,  495;  fa 
parte  di  una  delle  quattro  regioni 
sotto  Adriano,  636  ;  ricordi  di  esso, 
637. 

Sannio,  città  supposta  presso  le  fonti 
del  Volturno,  I,  256. 

Sanniti,  discesi  dagli  Osci,  I,  J17  ; 
loro  sedi,  242;  tribù  e  confedera- 
zioni, 243-245,  255,  262,  266  ;  loro 
Dei  protettori ,  384-385  ;  distrug- 
gono   la   domioazione   etrusca  in 


Campania  ,  883  ;  loro  colonie  ,  II , 
38;  prima  guerra  con  Roma,  38- 
41  ;  chiedono  pace,  42;  sollevano 
Priverno ,  Fondi  e  Formia  contro 
Roma ,  54  ;  e  Napoli ,  54-55  ;  se- 
conda guerra  sannitica,  55-59; 
tregua  coi  Romani,  59;  ritornano 
in  campo  e  sono  sconfitti ,  59-60  ; 
nominano  loro  capo  Ponzio  Tele- 
sino  ,  60  ;  vincono  i  Romani  alle 
Forche  Caudine  ,  60-63  ;  rotto  dai 
Romani  il  trattato  di  Caudio,  62- 
65;  continua  la  guerra,  65-68; 
sono  aiutati  dagli  Etruschi,  68-72; 
sono  vinti  a  Longula,  74-75  ;  e  ad 
Allife,  76  ;  uccidono  le  guarnigioni 
di  Calazia  e  di  Sora,  76;  sono 
sconfitti  e  ottengono  durissima 
pace  ,  76-77  ;  si  sollevano  ed  en- 
trano in  Lucania,  78;  terza  guer- 
ra sannitica,  79;  si  uniscono  agli 
Etruschi,  79;  e  sono  vinti  a  Sen- 
tino,  81-83;  sconfìtti  ad  Aquilonia. 
87  ;  vincitori  sotto  gli  ordini  di 
Ponzio  Telesino  ,  poi  vinti ,  e  co- 
stretti a  chieder  pace,  89  ;  in  guer- 
ra con  Taranto ,  188  ;  a  cui  poi 
danno  aiuto  contro  i  Romani,  191  ; 
si  uniscono  a  Pirro,  195;  vinti  e 
sottoiiie.ssi  da  Roma,  203-204; 
stanno  con  Annibale  dopo  la  bat- 
taglia di  i'aiini%  :«:!;  abbandonati 
daMui,  ■.',i,:i:  ■  .ii.ii  iti  ni  a  Pidna, 
479;  faniin  |    :  i-  i   -  i  Italica, 

III,  171;  s.         I-I  i!     I  iiin,  190; 

si  iiiii^i-iiii  .       1  ,  '  '     lespinti 

i  |i  I  li    '■:  ,  Jl:'  ;  uniti 

■j:i'i     l'i    I      _  .  -1  >.il:i,253Ì 

viini    I    -  Il  I  ,| J.M-::,:.;  e  alla 

l'iji  tai,.jiiiji,i,  i..o-:.'j'.i,  laiaiij  parte 
di  una  regione  d'Italia,  IV,  42; 
ricordati  per  la  semplicità  de'  loro 
costumi  nella  corruzione  dell'  Im- 
pero, 829. 
Santa  Maria  in  Falleri,  città  d'Etru- 
ria,  sòrta  dalle  rovine  di  Falerii  o 
Falisoa,  ruderi  di  mura  etrusche, 

I,  138. 

Santippo,  di  Sparta,  chiamato  a  duce 

dai  Cartaginesi  vince  Regolo,  II, 

222. 
Santoni  [Saintottge),  tribù  d'Aquita- 

nia  presso  l'Oceano,  III,  430. 
Sardegna  (isola  di),   stazione  navale 

etrusca,  I,  130;   correrie   romane, 

II,  217;  posseduta  dagli  Etruschi 
e  poi  dai  Cartaginesi,  237,  244;  ce- 
duta ai  Romani  e  ridotta  a  pro- 
vincia, 2:?8-239;  monumenti  anti- 
chi e  idoli ,  240-242  ;  chiamata 
Ichnusa  e  Siin.lalliiii.  •! Vi  :  domi- 
nazione rniiii 'i  'Il  I  lidi  e  usi 
antichi,  '.T-  i  i  :  ita  da 
Roma  conii    :    ■          '           r.,  272; 


307; 


rivolta  repr.-n^a  d,a  T.  M.uilio,  370; 
da  vettovaglie  pi'r  la  guerra  con- 
tro Filippo  di  Maivrloiiia,  433;  pro- 
vincia rumana,  512;  nun  ha  citta 
libere,  .543;  libeiata  dai  pirati, 
III,  333;  la  sua  furiiia  dipinta  in 
una  tavola,  IV,  .5(1;  parteggia  per 
ottone,  445;  strade  rifatte  da  Ve- 
spasiano, 499;  ricordi  di  Traiano, 
t09. 

.Sardi,  prendone  parte  .alla  tentata  in- 
vasione dell'tlgitlo,  11,240  ;  repressi 
da  C.  Attilio  Regolo ,  2.50  ;  .si  ri- 
bellano e  sono  sottomessi  e  ven- 
duti, 460;  nuova  ribellione  e  sotto- 
missione, HI,  68. 

Sardi  (Sart).  capitale  della  Lidia,  si 
ribella  a  Mitridate,  III,  244;  fla- 
gellata da  un  terremoto,  IV,  251. 

Sardi  PcUiti,  II,  iti. 


Vannucci  —  Stofia  dell'Italia  antica  —  IV. 


Sardica,  in  Illiria.  II,  240. 

.Sardici  dell'Adriatico,  II,  240. 

Sardo  Padre,  II,  243-244. 

Sardonici  (monti),  nel  paese  dei  Li- 
burni,  II,  240. 

Sargezia  (Streìil),  fiume  della  Dacia, 
IV,  579. 

Sarissa,  arme  dei  Macedoni,  II,  436. 

Sarmadio  (presso  Muro) ,  città  della 
Messapia,  I,  342. 

Sarmati,  detti  anche  Sauromati,  si 
uniscono  a  Mitridate,  lU,  226; 
chiedono  amicizia  a  Roma,  IV, 
84  ;  eccitati  ila  Pannoni  e  Dalmati 
ad  assalire  i  Romani  sul  Danubio, 
222  ;  fatti  ricacciare  da  Vespasiano 
oltre  il  Danubio,  480;  uccidono 
una  legione  di  Domiziano,  530; 
invadono  coi  Daci  la  Mesia,  568; 
figurati  nella  Colonna  Traiana, 
587  ;  offrono  la  loro  alleanza  a 
Traiano,  615;  minacciano  e  muo- 
vono guerra  ad  Adriano,  627,  631  ; 
loro  moti  repressi.  769. 

.Sarmazia  europea  (Polonia,  Galli- 
zia,  Lituania,  Estonia  e  Russia 
occidentale) ,  Marco  Aurelio  ebbe 
in  animo  di  ridurla  a  provincia, 
IV.  745. 

Sarmizegetusa  {Varhely  in  Transil- 
vania),  capitale  della  Dacia,  presa 
da  Traiano,  IV,  572  ;  espugnata 
di  nuovo  e  incendiata  da  lui,  578, 
596-597;  prende  il  nome  di  Colo- 
nia Ulpia  Traiana  Augusta  Dacica 
Sarini?,-L'efusa,  ."SO. 

Saronii  II  :  i~  :■'■  ''  r  "'1,  golfo  nella 
Gr.'.i  -     I  ,         ;      IV,  420. 

SarsiiKi  I   _      I      'li,  1,  66;  pa- 

tria ili  Il     1,  Il   •!-  1 ,  elezioni  mu- 
nicipali, 1\  ,  ;.s;. 

Sassoferrato.  —  Vedi  Sentino. 

Saticula  (Sant'Agata  elei  Goti),  città 
dei  Sanniti  Caudini,  I,  262  ;  presa 
dai  Romani,  II,  67  ;  colonia  roma- 
na, 68;  presa  da  Fabio  Massimo, 
369. 

Satira  romana,  II,  649-656,  HI,  545- 
546,  752-7.58,  790,  791,  811-813,  IV, 
107,  135,  136,  146,  147,  184,  886- 
903. 

Satiro,  condottiere  degli  sciavi  Si- 
culi, III,  143. 

Satricensi  o  Satrieani ,  abitatori  di 
Satrico,  fanno  guerra  a  Ruma  per 
sostenere  i  Tarquinii,  I,  631;  aiu- 
tano i  Sanniti,  II,  65. 

Satrico  (Conca),  città  dei  Volsci,  I, 
2i7 ;  presa  da  Ct riolano,  791  ;  vit- 
torie di  Cammino  sui  Volsci,'  II, 
13;  incendiala  dai  L.atini;  colonia 
romana,  19,  267;  riediiicata  dagli 
Anziati,  ripresa  dai  Romani,  e  bru- 
ciata di  nuovo,  35  ;  risorta  e  bru- 
ciata per  l'ultima  volta,  66. 

Satrio  Longino,  medico  della  nave 
Cupido,  IV,  737. 

Satureia,  regione  nei  dintorni  di  Ta- 
ranto, 1.  328. 

Satureio  (Publio),  assassino  di  Tibe- 
rio Gracco,  IH,  57. 

Saturnia,  nome  dato  alla  penisola 
Italica,  I,  54,  378,  531),  IV,  801. 

Saturnia,  in  Etruria.  detta  dapprima  , 
Aurinia,  avanzi  di  cfjstruzioiii  ci- 
clopiche, I.  54;  fiindat.a  dai  Pe- 
lasgi,  79  ;  tenuta  una  delle  princi- 
pali iriltà  .lell'Etruria,  125;  rovine 
nella  valle  dellAlhegna,  160;  co- 
lonia romana.  II,  268;  Siila  vince 
ivi  Carbone,  III,  2.56. 

Saturnii  (versi),  I,  530-5.?l,  II,  610, 
611.  650,  III,  791. 

Saturnio,  colle,  I,  528,  566,  576;  ù 
preso  dai  Sabini,  .580. 

Saturno,  Dio,  I,  53-54,  37«,  389,  780, 

131 


1042 


I  N  D  I  CE 


SATURNO 


SCILLEO 


SEMPRONIO 


741  ;  sua  morte.  II,  598  ;  tempio  a 
Roma.  I,  730,  III,  490;  destinato 
a  custodia  del  pubblico  erario,  II, 
237. 

Saturno,  re,  I,  528,  S30,  56G, 

Saulcy  (de),  sua  opera  sugli  ultimi 
eiórni  di  Gerusalemme,  IV,  487- 
488. 

Sauromati.  —  Vedi  Sarmati. 

Sava,  àume  della  Paimonia,  detto 
.■SoPUi  dai  Latini,  UI,  667,  IV,  68, 
223. 

Scaligeri  (gli),  loro  dubbi  sulle  as- 
serzioni degli  storici  antichi,  I,  643. 

Scamandro.  —  Vedi  Crimiso. 

Scaptiensi  o  Scaptini ,  abitatori  di 
Scapila  (Passerano)  nel  Lazio, 
fanno  guerra  a  Roma  per  ì  Tar- 
quinii.  I,  631. 

Scardeonio  (Bernardino),  fa  popolare 
la  Venezia  dalle  colonie  condotte 
da'  figU  di  Noè,  I,  186. 

Scarfea,  città  della  Locride  orientale, 
vittoria  di  Cecilio  Metello  su  Cri- 
tolao,  U,  497. 

Scauro.  —  Vedi  Emilio  Scauro. 

Rcauro,  sua  tomba  a  Pompei,  IV,  797. 

Scevino  (Flavio),  senatore,  congiura 
contro  Nerone,  IV,  406  ;  imprigio- 
nato, denunzia  i  complici,  406-407  ; 
sua  morte,  409. 

Scevola.  —  Vedi  Mucio  Scevola. 

Schera,  citta  dei  Sicani,  li,  104. 

Schiavi,  disposizioni  a  loro  riguardo 
contenute  nelle  Xll  Tavole.  I,  848; 
destinati  alla  coltivazione  dei  cam- 
pi, UI.  19-30;  e  ad  altri  uffici,  20- 
23  ;  loro  numero.  24  ;  e  commercio, 
24-25  ;  loro  mercato  a  Roma,  25  ; 
loro  prezzi,  25-26;  mah  tratta- 
menti, 27  ;  servi  comic-,  27-29  ;  te- 
nuti come  cose,  28,  30  ;  gastighi  e 
supplizi,  30-36  ;  manumissione,  36- 
38;  loro  cospirazioni  e  tumulti,  38; 
prima  guerra  servile  in  Sicilia,  38- 
42;  più  di  20  mila  sono  crocifissi, 
42  ;  crescono  di  numero  pei  prigio- 
nieri fatti  a  Vercelli,  137  ;  rivolte, 
dì  Nuceria,  di  Capua  e  delle  mi- 
niere dell'Attica,  137  ;  seconda  guer- 
ra servile  in  Sicilia,  137-144  ;  ri- 
volta di  Spartaco,  305-310  ;  senato- 
consulto  Sllanlano  contro  gli  ucci- 
sori del  padroni,  IV,  40,  377;  tasse 
poste  da  Augusto  sulle  vendite  de- 
gli schiavi,  40,  81-Je  ;  tolti  via  da- 
gli eserciti,  79  ;  tentativo  di  guerra 
servile  sotto  Tiberio,  277  ;  protetti 
da  Claudio.  S'iO  ;  il  senatoconsulto 
Silanìauo  confermato  ed  eseguito 
«la  Nerone.  376-377  ;  provvedimenti 
di  Adriano  a  protezione  dei  servi, 
673;  e  di  Antonino  Pio,  707:  as- 
segno pel  \itto  e  vestito.  805-806  ; 
trattamenti  feroci,  853-854  ;  leggi 
a  loro  difesa,  854-855. 

Schiavitù,  sua  origine.  III,  2!  ;  soste- 
nuta da  legislatori  e  filosolì ,  23- 
24;  niuno  osa  combatterla  aperta- 
mente, 36;  pericoli,  44;  la  neces- 
sità della  schiavitù  combattuta  da 
Cicerone,  737  ;  proteste  dei  filosofi 
posteriori,  852,  8'J3. 

Schlegel  (Augusto  Guglielmo) ,  sue 
opmioni  sulle  origini  italiche,  1, 
I'J5. 

Scidro  {Sapri),  città  della  Lucania , 
I,  203;  colonia  diSibari,  II,  06,  118. 
Scienze  occulte.  III,  744-745. 
Scilaceo  (seno)  {golfo  di  Snuillace)., 

Scilacio  o  S>'ìllezio  {Squillare),  colo- 
nia greca,  1,  310,316,  II,  119;  iscri- 
zione ad  Antonino,  IV,  710. 
Scilla,  inostr.i  nnrino,  I.  301-:ì03, 
S»Jlla  (slretlo  di) ,  111,  050^552. 


Scllleo  (scogUo).  I,  301.  303. 
Scilletica.  repubblica,  L  311,  315-316. 
Sciluro.  re  degli  Sciti,  HI,  225. 
Scipione.  —  Vedi  Cornelio  Scipione. 
Scirtea  ( presso  Sambtwa),  citta  del 
Sicani,  II.  104  ;  vittoria  di  L.  Lu- 
cullo  sugli  schiavi  ribelli,  lU,  141- 
142. 

Scile,  tiranno  di  Messina,  U,  150. 

Sciti,  alla  battaglia  di  Cherunea,  III, 
239;  si  uniscono  a  Mitridate,  350, 
351  ;  chiedono  alleanza  ad  Augu- 
sto ,  rV,  62  ,  84  ;  loro  commercio 
con  Roma,  202  ;  Antonino  gli  mette 
d'accordo  col  Greci  della  Penisola 
Cimmeria,  711. 

Sciti  Tauri,  ladroni  del  Chersoneso 
Taurico  {Criniea),  HI,  •.i25. 

Scola ,  nel  Portico  d'  Ottavio .  desti- 
nata a  geniali  convegni.  III,  667. 

Scordisci ,  sconfiggono  i  Romani  e 
passanti  in  Macedonia  e  Tessa- 
glia, lU,  9S  ;  sono  ricacciati  al  di 
ia  del  Danubio,  98. 

Scotussa  (Supli) ,  in  Tessaglia  ,  II , 
436. 

Scribonia,  sorella  di  L.  Scrlbonio 
Llbone ,  moglie  di  Augusto ,  III , 
641,  IV,  21Ì;  ripudiata,  ni,  650; 
accompagna  la  figlia  Giulia  nel- 
l'esilio dell'isola  Pandataria,  217. 

Scri'ooulo  Curione  (C),  pretore  (633), 
oratore.  111,  699. 

Scrlbonio  Curione  (C),  figlio  del  pre- 
cedente, oratore.  III,  701  ;  procon- 
sole di  Macedonia,  fa  prova  d' in- 
vadere la  Dacia,  IV,  579. 

Scribonio  Curione  Minore  (C),  figlio 
del  precedente,  tribuno  (704),  so- 
stiene Cesare  nella  sua  domanda 
del  consolato.  III,  479-480;  pro- 
pone che  anche  Pompeo  abdichi , 
480;  cacciato  da  Roma  va  a  Ra- 
venna da  Cesare ,  481  ;  disfatto  e 
ucciso  in  Affrica,  492;  oratore, 
703. 

Scribonio  Druso  Llbone  (L.),  accusato 
di  cospirazione  sotto  Tiberio ,  si 
dà  la  morte,  IV,  280. 

Scribonio  Llbone  (  L.  ) ,  suocero  di 
Sesto  Pompeo  ,  lU,  641 ,  IV,  211  ; 
lo  induce  a  far  la  pace  del  Capo 
Miseno,  UI,  048;  scrittore  di  An- 
nali, 770. 

Scribonio  Proculo,  proconsole,  fatto 
uccidere  da  Nerone,  IV,  419. 

Scribonio  Rufo  ,  proconsole  ,  fratello 
del  precedente,  fatto  uccidere  da 
Nerone,  IV,  419. 

Scrinia,  destinati  a  riporvi  gli  atti 
e  1  decreti  del  principe,  IV,  634. 

Scrittori  servili,  e  spiriti  indipendenti 
durante  l'Impero,  IV,  868. 

Scrittura ,  nota  ai  soli  sacerdoti ,  I , 
452  ;  portata  in  Italia  dai  Pelasgi, 
461. 

Snrobes,  trabocchetti.  111.  449. 

Scucio  di  Minerva,  piatto  iiubandito 
a  VI  telilo.  IV,  454. 

Scultura  etrusco,  I,  417,  429,  430-432. 

Scuola  antica  (la),  11,  578. 

Scuola  di  Virgilio,  IV,  132. 

Scupi  (  Uskiib),  nella  Mesia  Superiore, 
prende  il  nome  di  Elia,  colonia 
Romana,  IV,  639. 

Scure  Amazonia,  ly,  242. 

Scutari  (Scodra),  capitale  degli  liliri, 
U,  247. 

Sebeto,  fiume,  detto  Sepelthus  in  an- 
tico, I,  274. 

Secolare  (solennità),  celebrata  da  Au- 
gusto e  cantata  da  Orazio,  IV,  33  ; 
celebrata  da  Antonino  Pio  l'anno 
900  di  Roma,  703. 

Secolo  Commo<Ilano.  IV.  772.  776. 

S<;colo  etrusco,  1,  455,  458-459. 


Segeda,  città  di  Spagna,  U,  525. 
Segesta.  —  Vedi  Bgesta. 
Segeste ,  zio  d'.\rmimo  ,  denunzia  a 
Quintilio  Varo  la  cospirazione  dei 
Germani .  IV.  225  ;  ca{>0  dei  se- 
guaci delle  armi  straniere .  247  ; 
chiede  aiuto  a  Germanico  contro 
Arminìo,  247. 
Segovia  ,  nella  Spagna  Tarraconese, 
vittoria  di  Q.  Metello  sopra  Irtu- 
leio,  m,  297. 
Segusione  {Suso) ,  a  pie  delle  Alpi 
Cozie ,  IV.  96  :  arco  in  onore  di 
Augusto,  96,  97. 
Sciano  Elio,  acquista  un  eunuco  per 
50  milioni,  IV,  209;  mandato  in 
Pannonia  a  reprimere  la  solleva- 
zione delle  legioni,  245;  sua  vita, 
283  ;  primo  ministro  di  Tiberio , 
283-284  ;  trame  c->ntro  la  famiglia 
imperiale,  284;  ripudiala  moglie, 
286  ;  corrompe  la  moglie  di  Druso 
e  lo  avvelena,  286;  congiura  con- 
tro la  casa  di  Germanico,  287; 
chiede  a  Tiberio  in  moglie  Li- 
villa,  288-289;  lo  eccita  ad  allon- 
tanarsi da  Roma,2S9;  fa  avvisare 
Agrippina  di  guardarsi  da  Tibe- 
rio, 289-290;  accompagna  Tiberio 
a  Capri,  291  ;  lo  salva  da  una  ro- 
vina in  Campania,  296;  ritorna  a 
Roma  ,  296  ;  eccita  gelosie  e  odii 
fra  Nerone  e  Druso ,  297;  liberato 
dagli  emuli  fe  padrone  di  ogni  co- 
sa, 300  ;  sua  congiura  contro  Ti- 
berio ,  301-303  ;  Condannato  e  uc- 
ciso ,  301  ;  uccisi  gli  aulici  e  pa- 
renti di  lui,  305. 

Seleucia,  citta  di  Siria,  IV,  2'',3. 

Seleucia  ,  sul  Tigri ,  111,  464  ;  Incen- 
diata dai  legati  di  Traiano ,  IV, 
616;  e  da  Avldiu  Cassio,  731. 

Seleucidi  (la  monarchia  dei),  li,  428, 
429. 

Seliuo  (Hddiuni) .  fiume  in  Sicilia 
presso  Selinunte,  II,  124,  126. 

Sellnuute,  in  Sicilia,  colonia  greca, 
li,  118,  119,  128;  suoi  splendori, 
suoi  templi  e  sua  distruzione,  124- 
125;  rovine  recentemente  illustra- 
te, 1-26  ;  muta  Siracusa  a  liberarsi 
dalla  tirannide ,  161  ;  in  guerra 
con  Egesta,  164,  165;  presa  dai 
Cartaginesi ,  165  ;  aiuta'  contro  di 
e-ssi  il  tiranno  Dionisio ,  166  ;  gli 
abitatori  trasportati  a  Lilibeo  dai 
Cartaginesi,  238;  veduta  delle  ro- 
vine. 229. 

SeUnunte  {Seìiiuii).  in  Cilicia .  vi 
muore  Traiano,  IV,  621,  627. 

Semionda,  ventiquattresima  parte  del- 
l'asse, II,  309. 

Semiro  {SirneTn),  fiume  della  Magna 
Grecia,  I.  315,  316. 

Semisse,  meta  dell'asse,  U,  309. 

Senipronia  ,  moglie  di  Scipione  Emi- 
liano ,  sospetta  complice  della  di 
lui  uccisione  ,  HI ,  62  ;  soreUa  dei 
Gfacchi,  153. 

Sempronia,  cortigiana,  amica  di  Ca- 
tilina,  lU,  373.    . 

Sempronia  (Basilica),  edificata  da  Ti- 
berio Sempronio  Gracco  ,  padre 
dei  tribuni,  HI,  4.5. 

Sempronio  Asellione  (P.),  tribuno  mi- 
litare a  Numanzia,  I,  638-,  sua  sto- 
ria, III,  764-765. 

Sempronio  Gracco  (Clio),  parenti, 
oduc-uione  ,  maestri ,  «ludi ,  elo- 
quenza, III,  44-17  ;  nominato  com- 
missario per  eseguire  la  legge  a- 
graria  ;  53  ;  sospettato  complice 
della  uccisione  di  Scipione  Emi- 
liano, 62  ;  si  oppone  alla  proposta 
di  c.nc'iare  da  Roni;i  i  iiun  ril- 
tadiui,   67;   si   prepara   a  vendi- 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1043 


SEMPRONIO 


SEMPRONIO 


SENATORI 


care  il  fratello  ,  67  ;  i?  nominato 
questore  in  Sardegna,  08;  ritorna 
a  Koma  e  si  di  tende  dalle  accuse 
dei  nobili ,  70-71  ;  sua  eloquenza , 
70-71;  eletto  tribuno,  71;  assale  i 
carneflci  del  fratello  Tiberio  ,  71  ; 
sue  riforme  per  salvare  la  Repub- 
blica ,  72  ;  propone  che  si  ribassi 
il  prezzo  del  frumento  e  si  co- 
struiscano pubblici  frranai ,  72  ; 
altri  lavori  pubblici,  72-73;  nuove 
colonie ,  73  ;  provvedimenti  per  la 
mUizia,  7-t;  largizioni  al  popolo, 
75  ;  imposte  ,  75  ;  dà  la  potestà 
giudiziaria  ai  cavalieri  ,  75-76  ; 
leggi  per  gli  alleati  Italici,  7i>77  ; 
provvedimenti  per  le  province,  77; 
conduce  una  colonia  a  Cartagine, 
78;  abbandonato  dalla  plebe  non 
è  rieletto  tribuno,  79  ;  accusato  per 
la  colonia  di  Cartasine,  80  ;  si  di- 
fende sull'Aventino,  80-81;  si  fa 
uccidere  dal  servo  rimastogli  fedele 
tino  all'estremo,  83;  onorato  di 
statue  dal  popolo  ,  85  ;  vituperato 
col  fratello  Tiberio  dai  nobili,  86; 
e  con  lui  vendicato  dalla  critica 
storica,  87-88;  oratore,  694. 
Sempronio  Gracco  (Tiberio) ,  coman- 
dante della  cavalleria  (538) ,  poco 
dopo  la  rotta  di  Camie,  II.  :!;3; 
console  (539),  pon.  il  -i  p  >  T.i- 
terno  e  respiin,'t-  \     •■  ■■  ]      1     •  u- 

ma,  369;  batte  yr i:  '  ■ 

Bruzi,  Lucani  .-  "  :  -.i.  -  --, 
e  da  libertà  agli  .-.  !i:a.i  s;a'.i  •■  jn 
lui  a  quella  battaglia.  Iti,  41;  fi- 
nisce preso  a  un  aguato  e  ucciso 
dai  Cartaginesi  in  Lucania ,  Il , 
387. 
S.-inpr.jiiio  l'.vicco  (Tiberio),  padre 
,lpi  ,lii-  iiil.uni,  tribuno  (.567 1  , 
\i,'a  'Ih'  S'ipione  Aft'ricano  sia 
coM'iaiinato  nssente.  Il,  562;  e  cjie 
il  suo  fratello  (l'Asiatico)  sia 
carcerato  ,  .564  ;  pretore ,  vince  i 
Celtiberi,  si  porge  umano  ai  vinti 
e  studia  di  unirli  a  Roma  con 
buone  leggi ,  456  ,  524  ;  due  volte 
console  (577,  591) .  severo  censore, 
vincitore  dei  Sardi  e  due  volte 
triontante  ,  III,  45;  otfre  a  Giove 
l'imagine  della  s^ardegna  coi  si- 
mulacri del'e  pugne  ivi  da  lui 
combattute,  IV,  50. 
Sempronio  Gracco  (Tiberio),  parenti, 
educazione  ,  maestri ,  studi ,  elo- 
quenza, III,  44,  47  ;  sua  vita  mili- 
tare ;  sale  il  primo  di  tutti  sulle 
mura  di  Cartagine,  47  ;  questore  in 
Ispagna  giura  la  pace  coi  Nuuian- 
tini,  U,  .533,  III.  47;  eletto  tribuno, 
48;  richiama  in  vigore  la  legge 
agraria ,  48-50  ;  la  sostiene  con 
eloquenza,  50-51  ;  trova  resistenza 
nel  tribuno  Ottavio,  51  ;  e  ne  pro- 
pone la  destituzione  51-52  ;  la 
legge  è  approvata,  53;  nominato 
commissario  per  eseguirla,  53;  prò 
pone  altre  leggi,  54-55  ;  è  accusato 
dai  grandi,  .55;  si  presenta  per  es- 
sere "rieletto  tribuno,  rs  ;  è  assas- 
smalo  e  gettato  nel  Tevere  ,  57  ; 
onorato  dal  popolo  e  vituperato 
dai  nobili,  85,  86;  oratore,  694. 
Sempronio  Gracco,  drudo  di  Giuha, 

IV,  217. 
Sempronio  Longo  (Tiberio) .  console, 
va  con  160  na\i  in  Sicilia  a  mi- 
nacciare l'Aflrica,  II,  334;  sue  im- 
prese, 311  ;  è  richiamato  in  Italia 
e  si  unisce  a  P.  Cornelio  Scipione 
alla  Trebbia,  341  ;  dove  è  sconfitto 
da  Annibale,  341-312;  si  ritira  a 
Piacenza,  342  ;  vince  i  Cartaginesi 
in  Lucania,  369. 


Sempronio  Rutilo  (Tiberio),  vuole  ini- 
ziare il  figliastro  ai  Baccanali,  II, 
590. 
Sempronio  Sofo  (P.),  plebeo,  avver- 
sarlo di  Appio,  II,  286. 
Sempronio  Tuditano  (C),  proconsole, 
sconfitto  ed  ucciso  in  Spagna,  II, 
455. 
Sempronio  Tuditano  (  C.  ) ,  console 
(625) ,  incaricato  di  giudicare  le 
contese  per  la  ripartizione  delle 
terre.  III ,  61  ;  vincitore  degli  Illi- 
rii ,  765  ;  scrittore  di  storie  ,  764 , 
765. 
Senarco,  filosofo  Peripatetico,  ono- 
rato da  Augusto,  IV,  176. 
Senato,  1,  701  ;  proponeva  alle  Curie 
il  re,  703  ;  suoi  diritti,  704  ;  rimane 
quasi  lo  stesso  anche  sotto  la  Re- 
pubblica, 716;  i  suoi  decreti  con- 
servati nel  tempio  di  Cerere,  840  : 
stabilisce  di  distribuire  le  terre 
dell'agro  Pontino,  II,  19;  privato 
del  veto,  280;  suoi  poteri,  281- 
28 J;  sua  fermezza  e  provvedimen- 
ti all'annunzio  della  sconfitta  del 
Trasimeno,  350-351,  355  ;  approva 
le  crudeltà  dì  Fulvio  a  Capua,  391  ; 
dichiara  liberi  i  Greci,  438;  ri- 
duce la  Macedonia  a  provincia, 
495;  ordina  che  Sparta  ed  altre 
città  siano  separate  dalla  lega 
Achea,  496  ;  disapprova  gli  atti  di 
ferocia  e  perfidia  quando  sono  di 
ostacolo  alla  vittoria,  553  ;  non 
ricAiirtsc  la  cnpitiilazione  delcon- 
sn;,'  ii-t  :,  ,  \i  1  ir  ino  e  lo  rimanda 
:u      -  :  '  (3  ;   vuole   che  i 

(  .  :  Milano  a  discrezio- 

11-.  r.Ji  p!  -  rive  le  feste  di 
Baccii,  .502;  per  le  lunghe  guerre 
esercita  come  una  dittatura  per- 
petua ,  III,  8  ;  respinge  1'  offerta 
del  re  Micipsa  di  mandar  grano 
in  Sardegna,  70;  spogliato  della 
potestà  giudiciaria  da  C.  Gracco, 
75;  si  lascia  corrompere  da  Giu- 
gurta,  105  ;  manda  legati  in  Nu- 
niidia,  105  ;  dichiara  la  guerra  a 
Giugurta,  107  ;  vieta  di  ritenere 
in  servitù  gli  uomini  liberi  nei 
paesi  alleati,  138  ;  Servilio  Cepisne 
propone  che  gli  sia  restituita  la 
potestà  giudiciaria,  145;  Appuleio 
Saturnino  gli  impone  di  giurare 
le  leggi  cinque  giorni  dopo  il  vo- 
to del  popolo,  151  ;  si  arma  contro 
i  demagoghi,  154  ;  spaventato  dal- 
le lettere  minacciose  di  Siila,  249- 
250  ;  nomina  L.  Valerio  Fiacco 
interre,  2G7;  nomina  Siila  ditta- 
ti r-.  J'i^  r  II  i-vato  daSilla  riac- 
I  ,         I  I  giudiciaria,  271; 

1  li  privilegio  esclu- 

s  M  .i;-;i-  .,'".;  congiura  a  suo 
danno,  :j  )o  ;  de.  reta  pubbliche  gra- 
zie a  Cicerone,  382  ;  ricusa  di  di- 
stribuire le  terre  ai  veterani  di 
Pompeo,  402:  pubblicazione  dei 
suoi  atti  ordinata  da  Cesare,  41 1  ; 
fugze  a  Capua  con  Pompeo,  486  ; 
decreta  40  giorni  di  feste  per  le 
vittorie  di  Cesare  e  lo  esalta  con 
onori  divini,  527  ;  altri  decreti  ser- 
vili in  onore  di  Cesare  vincitore 
in  Spagna  ,  5'32-533  ;  accresciuto 
di  numero,  535;  e  avvilito  da  Ce- 
sare ,  546  ;  conferma  gli  atti  di 
Cesare ,  .570  ;  temperamenti  con 
M.  Antonio  .  576-577  ;  gli  dichia- 
ra la  guerra ,  592-593  ;  dichiara 
la  guerra  a  Dolabella ,  .596  ;  e 
nemico  pubblico  Antonio  ,  600  ; 
vani  sforzi  per  abbassare  Ottavio, 
602  ;  fa  atterrare  le  statue  di  An- 
tonio e  gli  toglie  il  comando,  674  ; 


tore.  IV,  12;  riformato  da  Ottavio 
12-15,  29  ;  dà  ad  esso  il  nome  di 
Augusto ,  18  ;  fa  opposizione  ad 
Augusto  per  la  creazione  dell'era- 
rio militare,  81  ;  Augusto  vieta  la 
pubblicazione  dei  suoi  atti,  165  ; 
ordina  i  funerali  d'Augusto,  235- 
2:J6  ;  in  mano  di  Tiberio,  254  ;  sua 
viltà  281-283  ;  celebra  l'uccisione 
di  Seiano,  304  ;  ucciso  Caligola  si 
oppone  alla  proclamazione  di  Clau- 
dio imperatore,  336-338;  accetta 
l'elezione,  33S;  decreta  onori  al 
liberto   Pallante,  343-344;  afforza 


l'imperatore  e  indebolisce  sé  stesso, 
349  ;  Claudio  vi  ammette  i  provin- 
ciali, 352-353  ;  fa  togliere  da  ogni 


luogo  le  effigie  di  Messalina,  365- 
366  ;  liberta  dategli  da  Nerone  nei 
primi  anni  del  suo  governo,  374; 
ringrazia  Nerone  perché  ha  ucci- 
so la  madre,  387  ;  e  per  altre  uc- 
cisioni, 390;  decreta  grazie  agli 
Dei  per  aver  salvato  Nerone,  410  ; 
decreta  onori  a  Nerone  pei  buoni 
successi  d'Oriente,  417  ;  condanna 
a  morte  Nerone,  425  ;  allegrezze 
per  la  uccisione  di  Galba  e  per  la 
proclamazione  di  Ottone,  439  ;  o- 
nori  a  Vitellio,  450  ;  proclama  imr 
peratore  Vespa-siano,  473;  rifor- 
mato da  Vespasiano,  494  ;  plaude 
all'-  Ir  ;_:■!.:-  i-:'irie  di  Domizia- 
1111.  ".  .  Ti  ai  furori  di 

1) :  -    l'i  ;  e  appena  uc- 

ciso-I: ti  il.  i-t  r- !••  statue,  .545; 
acc.jtrlie  CI  ,11  entusiasmo  l'adozione 
di  Traiano  fatta  da  Nerva,  5.52; 
Traiano  gli  lascia  piena  libertà, 
.557  ;  approva  la  pace  con  Dece- 
balo,  .574  ;  e  poscia  lo  dichiara 
nemico  di  Roma,  578  ;  decreta  a 
Traiano  l'arco  di  Benevento  e  un 
altro  nel  Fòro  Traiano,  617;  con- 
ferma la  proclamazione  di  Adria- 
no ,  627  ;  Adriano  promette  di 
non  uccidere,  .senza  ordine  del  Se- 
nato, alcun  senatore,  631  ;  decade 
sotto  Adrian. I.  t;33  ;  è  diviso  in 
tre  iiliii'.  Ir'".:  MI.. 1  condannare 
la  11  \  li  imo  ed  è  impe- 

diti.  :      ,  ,  ..111  ;  deificaFau- 

stiiii  M  i.l:  !■  ■-  i.i.j-lie  di  Antonino 
l'i.i,  7o."it  grida  imperatore  Marco 
Aurelio,  725  ;  richiamato  a  dignità 
da  Marco  .Aurelio,  739  ;  pone  fuori 
della  legge  Avidio  Cassio,  747  ;  de- 
creta onori  divini  a  Marco  Aure- 
lio, 752  ;  e  a  Faustina  Minore,  7(3- 
764;  ha  il  nome  di  Commodiano, 
772  ;  sue  imprecazioni  a  Commodo 
morto ,  780  ;  sotto  l' Impero  ha  le 
apparenze  d'essere  il  primo  potere 
legislativo  e  giudiciario,  812  ;  re- 
gistra r  onnipotente  volontà  del 
principe,  813;  è  indipendente  sotto 
)  principi  buoni,  813. 
Senato  dei  municipi.  —  Vedi  Curia. 
Senatori,  governano  durante  l'inter- 
regno per  la  morte  di  Romolo,  I, 
585;  aumentati  di  numero  da  Tar- 
quinio  Prisco,  600  ;  esiliati  e  uccisi 
da  Tarquinio  il  Superbo,'  610  ;  loro 
origine  e  numero  secondo  il  Nie- 
buhr.  668;  portati  a  novecento  da 
Cesare,  111,  .535;  non  possono  as- 
sentarsi d'Italia  senza  licenza  del 
principe ,  IV  ,  349  ;  trentacinque 
fatti  uccidere  da  Claudio,  :JU2  ; 
Nerone  vieta  di  dar  loro  mercedi 
per  la  difesa  delle  cause,  376;  A- 
driano  vieta  loro  di  pigliar  tributi 


1044 


INDICE 


SENECA 


SEPOLCRO 


SERVILIO 


in  appalto,  672  ;  senatori  uccisi  da 
lui,  6S8. 

Seneca,  retore,  padre  del  filosofo,  IV, 
835;  storico  e  critico  dei  decla- 
matori, 870  ;  narratore  delle  guer- 
re ci\ili,  918. 

Seneca  Anneo  (Lucio),  filosofo  ,  sua 
nascita  ,  IV,  385  ;  sotto  Caligola 
corre  pericolo  di  morte,  325,865; 
fatto  esiliare  in  Corsica  da  Mes- 
salina, 360;  maestro  di  Nerone, 
370;  compone  l'orazione  funebre 
recitata  da  Nerone  in  onore  di 
Claudio,  373-37-1  ;  governatore  di 
Nerone,  371-378;  sua  guerra  ad 
Agrippina,  378-379  ;  ha  parte  dei 
beni  di  Britannico,  381  ;  difende 
Burro  dall'accusa  di  cospirazione 
con  Agrippina,  381-382  ;  è  ciiiama- 
to  da  Nerone  per  consigliarlo  sul 
modo  di  uccider  Agrippina,  385  ; 
fa  l'apologia  del  matricida,  3'^  ; 
costretto  a  lodar  Nerone  citaredo, 
3S8  ;  sue  ricchezze ,  389  ;  cade  in 
disgrazia,  389-390;  la  sua  avarizia 
posta  tra  le  cause  della  rivolta  dei 
Uritanni,  395;  denunziato  di  con- 
giurare contro  Nerone,  407;  morte 
incontrata  con  animo  forte  e  sereno, 
•IDS,  8:J6;  sepolcro  attribuito  a  lui, 
4US-109;  confrontato  «ome  filosofo 
con  Marco  Aurelio,  756;  brutture 
da  lui  vedute  a  Roma ,  826-S27  ; 
riprova  la  universale  libidine  di 
morire,  832;  uffici  sostenuti,  835- 
S3H  ;  suoi  amori,  ricchezze  e  lusso, 
836-8:57  ;  accuse  contro  di  lui,  837  ; 
esiliato,  encomia  Polibio,  Messa- 
lina e  Claudio,  837;  morto  Claudio 
inveisce  contro  di  lui,  838;  lodi  a 
Nerone ,  838  ;  sue  coutradizioni , 
8:3S-839;  Epistole,  839;  sua  filo- 
sofia e  morale,  839-841  ;  suo  modo 
di  scrivere,  841  ;  supposte  relazioni 
con  San  Paolo ,  842  ;  compone  a 
Nerone  le  orazioni,  867;  accagio- 
nato di  avere  contribuito  alla  cor- 
ruzione dell'  eloquenza ,  871  ;  su» 
tragedie  piene  di  declamazioni,  di 
gonfiezze  e  di  antitesi.  875-976. 

Seno  Ctallia  o  .Sena  Gallica  (Sini- 
gaUin) ,  città  desìi  Umbri ,  cosi 
detta  dei  Galli  Senoni,  I,  65,  8S6  ; 
colonia  romana,  II,  93,248, 269, 398. 

Senofonte  e  i  suoi  Diecimila,  IV,  662. 

Senofonte,  medico  di  Claudio,  IV,  319; 
e  suo  avvelenatore,  372. 

Senoni  (Galli) ,  si  stanziano  presso  a 
Ravenna ,  1 ,  885  ;  scendono  in 
Etruria,  887-889;  vinti  dai  Ro- 
mani, II,  90-91. 

Senoni  nella  GalliaLugdunese  (.9erts), 
si  sollevano.  111,  442  ;  Cesare  pren- 
de da  loro  ostaggi.  111,  443;  loro 
con^iiir.-i,  414. 

Sentiri.  (/•••'' ■•',-■;  '■■  ^  ••:•'- fnrrato), 
,   ••      .'   _  :    I  ,  !,'>:.    grande 

^^  ■'■.'.     :   ,    i;  .•   •,    ,       ,_■]-,    Etru- 

ì-  :.    '    -  i:     ■■!-  ^     presa  e 

lni.^:^:a.i  i..l.,i  ^u.  li,,  di  Ottavio 
e  di  L.  Autuiiiù,  III,  G38. 

Senzio  (Gueo) ,  governatore  di  Siria, 
IV,  205. 

Senzio  .Saturnino  (C),  legato  di  Ti- 
berio rontro  Maroboduo,  IVj.222. 

Senzio  Saturnino  (Gneo)  ,  console  , 
propone  di  <inorare  Cherea  ucci- 
sore ili  Caligola,  IV,  336. 

Sepino,  citta  dei  l'entri,  I,  2.57  ;  iscri- 
zione alimentaria.  IV,  8U7. 

Sepolcri  ctrusfhi,  1.  1C7-169,  419-430, 
504,  510,  516-521;  ornati  dì  vasi 
fittili,  448. 

Sepolrri.  —  ViMli  Tombe. 

Sepolcro  di  .\diiatio.  —  Vedi  Adria- 
no (Mausoleo  d) 


Sepolcro  d'Augusto.  —  Vedi  Augu- 
sto (Mausoleo  d"). 

Sepolcro  di  Nerone,  IV,  227,  428. 

Sepoltura  (vari  modi  di)  presso  gli 
Etruschi,  I,  516-517. 

Sepolture,  leggi  di  Marco  Aurelio,  IV, 
733. 

Septem  Aquae ,  città  pelasgica  nella 
Sabina,  I,  77,  78. 

Septi  (i),  restaurati  da  Adriano,  IV, 
679. 

Sequana  (Senna),  uno  dei  più  grandi 
fiumi  della  Gallia,  111,  424,  435. 

Sequani  (Franca  Contea),  chiamano 
i  Germani  contro  gli  Edui,  III,  429  ; 
Ariovisto  prende  due  terzi  delle 
loro  terre,  429  ;  uniti  agli  Edui 
sono  da  lui  vinti,  429-130  ;  permet- 
tono agli  Elvezii  di  passare  pel 
loro  paese,  431. 

Serapéo,  in  Alessandria  d'Egitto,  IV, 
64. 

Serapide  (Grande),  IV,  666. 

Serapide,  tempio  ad  Alessandria,  IV, 
480  ;  a  Roma,  510,  5:i5. 

Serapione,  consegna  Taormina  ai  Ro- 
mani, III,  42. 

Sergio  Catilina  (Lucio),  ministro  dei 
furori  di  Siila,  III,  262  ;  sua  prima 
congiura  per  uccidere  il  Senato, 
356;  assoluto  come  sicario  da  G. 
Cesare,  359  ;  sua  perversa  natura, 
370-371  ;  uffici  da  lui  sottenuti  o 
ambiti,  372  ;  suoi  compagni  e  stru- 
menti al  male,  373;  convsgni  e 
riti  atroci  dei  congiurati,  374  ;  pre- 
parativi per  la  rivolta,  375  ;  chiede 
invano  il  consolato,  376;  solleva 
l'Etruria  e  stabilisce  la  rivolta  in 
Roma,  376-377  ;  assalito  dalla  elo- 
([uenza  di  Cicerone,  378;  fugge  tra 
i  Sollevati  in  Etruria,  379;  vinto  e 
ucciso  nell'agro  Pistoiese,  388-389; 
studi  sulla  congiura,  390. 

Seri ,  abitatori  della  Serica  (  posta , 
come  generalmente  si  crede,  nel- 
r  angolo  boreale  occidentale  della 
China  ) ,  ai  tempi  di  Augusto 
chiedono  amicizia  a  Roma,  IV, 
84,  210  ;  commercio  con  Roma, 
201,  207;  ambasceria  romana  ad 
essi  sotto  l'impero  di  M.  Aurelio, 
731. 

Seria  Fama  lulia,  città  della  Spagna 
Betica,  IV,  60. 

Serifo  (Serpho),  isola  del  Mar  Egeo, 
IV,  187. 

Serpente  del  Dio  Esculapio,  II,  295. 

Serpente  di  smisurata  grandezza,  in- 
contrato dalle  legioni  in  Atfrica, 
II,  220. 

Serpenti,  insegne  dei  Daci,  IV,  566. 

Serra,  monte  n«gli  Irpini,  I,  18. 

Sertorio  (Quinto),  si  salva  dalla  scon- 
fitta di  Arausio,  III,  125;  non  ij 
lieto  dell'  arrivo  di  Mario ,  212  ; 
muove  contro  Roma ,  214  ;  uccide 
gli  sgherri  Mariani,  218:  va  al  go- 
verno di  Spagna,  250,  291  ;  consi- 
glia Scipione  a  non  trattare  con 
Siila,  253;  ì;  cacciato  di  Spagna, 
267,  292  ;  sua  nascita  e  gioventù, 
290-291;  tribuno  militare  e  poi 
questore  nella  Gallia  Cisalpina, 
291  ;  sue  prodezze,  e  umana  e  no- 
bile indole,  291  ;  prime  avventure 
nelle  Spagne  e  nell'Afl'rica,  201- 
292;  chiamalo  dai  Lusitani  si  fa 
loro  capo ,  292-293  ;  sue  vittorie 
sui  duci  romani,  294  ;  suoi  intenti 
civili  e  politici,  294-295;  è  raffor- 
zato da  Marco  Perperna,  297  ;  as- 
sedia Laurone  e  vince  Pompeo , 
297;  battaglie  del  Sucrone  e  nel 
piano  del  Turia,  298;  sue  guerri- 
glie, 299  ;  suo  trattato  col  re  Mi- 


tridate, 300,  335  ;  vorrebbe  deporre 
le  armi  per  ripatriare,  301  :  vende 
e  uccide  i  giovani  in  educazione  a 
Oscji,  301  ;  è  tradito  da  Perperna 
ed  ucciso,  301-302. 
Sertorio  Macrone  (Ne\io),  investito  da 
Tiberio  tl.-I .-  'iiriMiì.i  rli-i pretoriani. 
IV,    -.'.«■!  .  _         Il    lettera   di 

Tiberi  .  '         :  Seiano,  302- 

303;  s  .  .  s,  ,  .i.oeceita  Ti- 

berio alic  ^;::Lj;i,  Ju.;  ;  accompagna 
Tiberio  in  Campania,  313;  pro- 
tegge Caligola,  315;  fa  affogare 
Tiberio,  316;  si  uccide  per  ordine 


Serviano,  cognato  di  Adriano,  da  lui 
ucciso,  IV,  688. 

Servilia,  madre  di  Marco  Bruto,  al 
convegno  di  Anzio,  111,  579;  gem- 
ma regalatale  da  Cesare,  IV,  199. 

Servilia,  figlia  di  Sorano  Barca,  ac- 
cusata col  padre,  IV,  414-415. 

Servilia,  madre  di  Vitellio,  sua  bontà 
e  morte,  IV,  453. 

Servilio  (Caio),  pretore,  mandato  in 
Sicilia  contro  gli  schiavi,  è  pro- 
cessato ed  esiliato.  III,  142. 

Servilio  (P.),  console,  calma  con  suo 
editto  la  plebe,  1,  778. 

Servilio  (Q.),  proconsole,  va  ad  Ascoli, 
e  con  sue  ingiurie  e  minacce  pro- 
voca lo  scoppio  della  rivoluzione 
italica,  IIJ,  170. 

Servilio  Casca  (Caio),  congiura  con- 
tro Cesare,  III,  5.52. 

Servilio  Casca  (P.),  senatore,  congiura 
contro  Cesare,  552  ;  corre  pericolo 
di  svelare  la  trama,  556  ;  ferisce 
primo  il  Dittatore,  558. 

Servilio  Cepione  (Gneo),  spedito  sulle 
coste  d'Italia  per  minacciare  i  Gre- 
ci. II,  473. 

Servilio  Cepione  (Q.),  rompe  la  pace 

Eiurata,  e  saccheggia  le  terre  dei 
usitani.  II,  529;  fa  assassinare 
Viriate,  529-531;  non  ha  onore 
dalla  vittoria,  531. 

Servilio  Cepione  (Quinto),  figlio  del 
precedente,  console,  propone  di  ren- 
dere ai  senatori  la  potestà  gìudì- 
ciaria.  III,  145;  andato  nella  Gal- 
lia Narbonese,  prende  a  tradimento 
Tolosa  e  ruba  il  tesoro  del  tempio 
di  Apollo,  123,  146  ;  sua  inimicizia 
con  Gneo  Manlio  Massimo,  123- 
125;  sconfìtto  ad  Arausio,  125; 
processato  ed  esiliato,  125,  146- 
147. 

Servilio  Cepione  (Q  ),  nella  guerra  so- 
ciale, III,  178  ;  vinto  e  ucciso,  183- 
1,S4. 

Servilio  Gemino  (Gneo),  mandalo  ad 
Arimino  contro  Annibale,  11,  313  ; 
la  sua  cavalleria  è  sconfitta  nel- 
l'Umbria, 347  ;  unisce  il  suo  eser- 
cito a  quello  di  l-'abio  Massimo, 
351  ;  muore  alla  battaglia  di  Canne, 
358. 

Servilio  i;irni,i,-i  ic,  \  di^t.! demagogo 
di  c.-is:i  I  II  n  -  II,  I  (i-ibuno,  au- 
tore .1.1  1  _  _  '  ..  I  iissione.  Ili, 
147;  M)  I  II:  I  I  II.,  si  unisce  a 
Mario  .il  ■  1  M  .  jo-.-tore,  1.50; 
aspira  ni  c..Msolato.  e  uccide  C, 
Meramio  suo  competitore,  153-1.54. 

Servilio  Isaurico  (P.),  creato  console 
con  Giulio  Cesare,  III,  495. 

Servilio  Noniano  (M.),  lodato  storici, 
e  oratore,  IV,  918 

Servilio  Rullo  (P.) ,  tribuno,  autore 
di  una  legge  agraria  combattuta 
da  Cicerone,  IH,  367-369. 

Servilio  Vazia  (Publio),  proconsole, 
vince  i  pirati  e  prende  il  sopran- 
nome di  Isaurico,  III,  331. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1045 


SERVIO 


SIBARITIDE 


SINOPE 


Servio  Sulpicio,  libera  Pompeo  chiuso 
in  Fermo,  III,  185. 

Ser\io  Tullio,  carcere  da  lui  costrui- 
to, I,  597  ;  racconti  diversi  sulla 
sua  origine,  601-602;  dagli  Etru- 
schi e  chiamato  Mastarna,  602; 
eletto  re,  603-604  ;  fa  guerra  agli 
Etruschi,  604;  fortitica  ed  amplia 
Roma,  605;  sue  riforme  politiche, 
606-607;  è  ucciso,  608-609;  costi- 
tuzione da  lui  data  al  governo  di 
Roma,  706-715  ;  altri  ordinamenti, 
715  ;  cinge  di  mura  la  città,  722. 

Sestante,  sesta  parte  dell'asse,  li,  309. 

Sesterzio,  moneta  d'  arsento  del  va- 
lore di  due  assi  e  mezzo  .  II ,  309, 
310  ;  riduzione  al  valore  della  no- 
stra moneta,  IH,  454  ;  suo  valore 
nei  due  primi  secoli  dell'  Impero, 
IV,  14,  805. 

Sestia ,  suocera  di  Vetere,  si  svena, 
IV,  412. 

Sestile,  mese,  riceve  il  nome  d'Augu- 
sto, IV,  20. 

Sestilia,  madre  di  Aulo  'Vitellio,  IV, 
440. 

Sestine,  ncU"  Umbria,  iscrizione  ali- 
mentaria, IV,  ,Sii7. 

Sestio  (Lucio),  console,  IV,  20. 

Sestio  (P.),  tribuno,  si  adopera  pel 
richiamo  di  Cicerone,  III,  421. 

Sestio  (T.),  legato  di  Ottavio,  vince 
Q.  Corniflcio,  III,  620. 

Sestio  Calvino  (Caio),  console,  vince 
i  Salluvii,  m,  92;  dà  il  suo  nome 
ad  Aqiuie  Sextiae,  90. 

Sestio  Laterano  (L  ),  tribuno,  collega 
di  Licinio  Stolone,  U,  20-24  ;  pro- 
clamato console,  24. 

Sestio  Nigr  j  (Q.),  e  un  suo  figliuolo, 
fìlosoa,  IV,  834. 

Sesto  di  Cheronea ,  stoico ,   nipote  di 
,     Plutarco,  maestro  di  Marco  Aure- 
lio, IV,  720,  723. 

Seta  della  China  a  Roma,  IV,  210. 

Setini,  abitatori  di  Sezia  (Sezze)^  nei 
Volsci,  fanno  guerra  a  Roma  per 
i  Tarquinii,  I,  631. 

Setlocenia,  Dea,  adorata  nel  Vallo  dL 
Adriano,  IV,  652. 

Settembre,  mese,  Domiziano  gli  dà  il 
nome  di  Germanico,  IV,  532. 

Settimana  presso  gli  Etruschi,  I,  4'J4. 

Settimio,  già  centurione  di  Pompeo 
lo  uccide.  III,  505-506. 

Settimio  Severo  ,  imperatore  ,  detto 
a  torto  edificatore  del  Vallo  di 
Adriano,  IV,  647  ;  restaura  il  Co- 
losso di  Memnone,  668. 

Settimuleio  ,  di  Anagni  ,  empie  di 
piombo  il  cranio  di  Caio  Gracco , 
III,  83. 

Severiauo,  legato  di  Cappadocia,  oc- 
cupa Elegia  ,  IV  ,  727  ;  è  ucciso , 
728. 

Severo  (nei  monti  di  Cantalice),  mon- 
te in  Sabina,  I,  220. 

Severo  ,  ingegnere  ,  riedifica  Roma 
incendiata  da  Nerone,  IV,  402. 

Sextio,  nel  Bruzio,  I,  306. 

Sezia  [Sezze),  città  dei  Volsci,  I,  233  ; 
colonia  romana ,  II ,  19  ;  dichiara 
che  non  può  soccorrere  Roma , 
393,  394  ;  città  latina  ,  646  ;  presa 
da  Siila,  III,  254. 
Sezia  (monte  di) ,  bagnato  dal  mare, 

I,   19. 
Sfinge,  usata  come  sigillo  da  Ottavio, 

Sibari  {Coscile),  fiume  della  Magna 
Grecia,  I,  320,  322. 

Sibari,  nella  Messapi.i.  —  Vedi  Lupia 
detta  Lici.i  e  anche  Sibari. 

Sibari,  città  della  Magna  Grecia,  fon- 
data dai  Greci,  1,310;  U,  9tì,  118; 
opulenza   e  potenza,   1 ,  320  ;  sue 


mollezze  e  rovine ,  321  ;  sue  colo- 
nie ,  II  ,  96  ;  accoglie  le  leggi  di 
Zaleuco,  137  ;  sua  lussuria,  140-141; 
il  popolo  si  solleva  contro  l' ari- 
stocrazia, 149-150,  158  ;  è  distrutta 
dai  Crotoniati,  150, 

Sibaritide,  repubblica,  1 ,  311  ;  terri- 
torio, 319-321. 

Siberena  (  Santa  Severina  ) ,  nella 
Magna  Grecia,  I,  319. 

Sibilla,  monte,  I,  242. 

Sibilla  di  Cuma,  I,  401: 

Sibilla  di  Tiburi ,  1 ,  401  ;  tempia  di 
essa,  559. 

Sibille  (le  tre),  <ina  delle  più  antiche 
opere  dell'arte  romana,  li,  299. 

Sicambri,  dapprima  sulla  ripa  destra 
del  Reno  ,  non  veduti  da  Cesare , 

III,  438,  443;   vinti  da  Agrippa, 

IV,  98;  trattati  perfidamente  da 
Tiberio  e  trasportati  sulla  riva 
sinistra  del  Reno,  103. 

Sicani,  loro  origine  e  dimore,  1 ,  62  ; 
primi  abitatori  della  Sicilia  ,  II , 
104  ;  accolgono  amorevolmente  gli 
Elimi,  111. 

Sicca  (KelT),  città  dell'  Afi'rica  nella 
Numidia,  Mario  respinge  da  essa 
Giugurta,  III,  112. 

Sichem,  in  Palestina,  IV,  493. 

Sicilia  ,  staccata  dal  continente  ita- 
liano ,  I,  17-18,  303;  chiamata 
dapprima  Trinacria  e  Triquetra , 
62 ,  II ,  96  e  segg,  ;  e  poi  Sicilia, 
dai  Siculi  qui  venuti  dal  Lazio,  I, 
62 ,  75  ;  dopo  la  battaglia  delle 
isole  Egati  .  passa  sotto  la  domi- 
nazione di  Roma ,  II ,  236  ;  prima 
provincia  romana ,  237  ;  come  or- 
dinata, 272-274,  542,  543;  ammi- 
nistrata da  un  pretore,  307;  dopo 
la  caduta  di  Siracusa,  continua  la 
guerra  ai  Romani ,  385  ;  i  quali 
la  sottomettono,  3S6  ;  dà  vettova- 
glie per  la  guerra  contro  Filippo 
di  Macedonia  ,  433  ;  le  sue  terre 
in  mano  a  pochissimi ,  HI ,  11  ; 
travagliata  da  due  guerre  servili, 
38-43,  137-143;  saccheggiata  da 
Verre,  319-324;  Pompeo  la  libera 
dai  pirati,  433;  colonie  di  Augu- 
sto, IV,  60. 

Sicinio  (L.),  tribuno,  ucciso  per  aver 
voluto  rendere  ai  tribuni  l' antica 
potenza.  III,  316. 

Sicinio  Belluto  (L.),  conduce  la  plebe 
sul  Monte  Sacro,  I,  780  ;  tribuno, 
782. 

Sicinio  0  .Siccio  Dentato  (L.) ,  detto 
r  Achille  romano  ,  eletto  tribuno, 
fa  approvare  la  legge  Terentilla, 
1 ,  831  ;  va  contro  i  Sabini  ed  è 
assassinato,  837-838,  841. 

Sidone  (  Vasilikd)^  città  del  Pelopon- 
neso, visitata  da  Emilio  Paolo,  II, 
482  ;  vi  muore  Fulvia ,  moglie  di 
M.  Antonio,  III,  642. 

Sicobati,  popoli  Sciti,  assaltano  l'Im- 
pero, IV,  734. 

Sicori  (Sagre)  ,  fiume  della  Spagna 
Tarraconese.  Ili,  491. 

Siculi,  loro  origine  e  dimore,  I,  62-63  ; 
cacciali  dai  Pelasgi,  abbandonano 
il  Lazio  e  passano  nell'  isola  che 
da  essi  si  chiama  Sicilia,  75,  527, 
531  ;  loro  sedi.  II,  104-107;  cac- 
ciati di  Siracusa,  119;  loro  lotto 
coi  Greci  in  Sicilia ,  133  ,  162  ;  in 
gran  parte  sottomessi  dai  Siracu- 
sani ,    163  ;  prendono   parte   alla 


Side  (Esh;/  Adiilia).  città  sulle  coste 
della  Panfilia,  emporio  di  schiavi, 
III,  25. 

Sidicini,  in  Campania,  ricordi  di  loro 


autonomia  e  grandigie  ,  I  ,  283  ; 
vincono  gli  Aufunci,  215;  chiedono 
soccorso  ai  Campani  contro  i  San- 
niti, II,  38;  si  uniscono  ai  Latini, 
42,  44  ;  vinti  da  Valerio  Corvo,  52. 

Siene  (Assouan),  all'estremità  meri- 
dionale dell'  Egitto  ,  IV  ,  68  ;  ter- 
mine dell'Impero  romano,  262. 

Siface,  capo  di  una  parte  della  Nu- 
midia ,  fa  guerra  a  Cartagine  ed 
è  vinto ,  II ,  403  ;  stringe  alleanza 
coi  Romani,  408;  prende  in  moglie 
Sofonisba  e  difende  Cartagine  , 
413;  il  suo  campo  è  incendiato, 
414;  è  sconfitto  ai  Campi  Magni 
e  poi  fatto  prigioniero  ,  415  ;  si 
vendica  di  Sofonisba  ,  415-416  ; 
muore  prigioniero  a  Roma,  417. 

Sifare  ,  ucciso  da  Mitridate  suo  pa- 
dre, III,  351. 

Sifeo  (presso  Castrovillari),  città  dei 
Bruzi,  I,  306. 

Sifllino  (Giovanni),  compendiatore  di 
Dione  Cassio,  IV,  .374. 

Sigimero ,  principe  dei  Cheruschi  e 
padre  di  Arminio,  IV,  225. 

Signia  (Segni),  grandi  mura  ciclopi- 
che, I,  83;  città  dei  Volsci,  233; 
sottomessa  da  Tarquinio  il  Super- 
bo e  aff'orzata  da  una  colonia,  612. 

Sigonio,  contribuisce  a  schiarire  le 
origini  italiche,  I,  186  ;  suoi  dubbi 
sulle  asserzioni  degli  storici  an- 
tichi, 643. 

Sigus,  in  Affrica,  ricordo  di  Adriano, 
IV,  6,57. 

Sikler,  impugna  la  teoria  dei  monu- 
menti ciclòpici,  I,  104. 

Sila,  nel  Bruzio,  I,  28a--2S7. 

Silaro  (Sele) ,  fiume  tra  la  Campania 
e  la  Lucania,  1,  268,  278,  287. 

Sileno,  storico  greco,  scrittore  delle 
guerre  di  Annibale,  II,  419. 

Silio  (C),  vince  Sacroviro,  IV,  276; 
tratto  a  morte  da  Sciano  pel  suo 
afl'etto  a  Germanico,  288. 

Silio  (C.) ,  figlio  dei  precedente  ,  fc  il 
giovane  piU  bello  di  Roma ,  IV, 
362  ;  amato  e  sposato  solennemente 
da  Messalina ,  moglie  di  Claudio , 
e  ucciso,  362-364. 

Silio  Italico  (C.) ,  sua  vita  ,  IV,  913  ; 
il  suo  poema  sulla  Gìterra  Pu- 
nica, 913-914. 

Siila.  —  Vedi  Cornelio  Siila. 

Siluri,  tribii  della  Britannia,  nel  paese 
di  Galles,  e  nella  contea  di  Mon- 
mouth.  IV,  346. 

Silvano,  adorato  ad  Alsio,  I,  389;  bo- 
sco a  lui  sacro,  413  ;  sacrifizi,  730  ; 
culto  nel  vallo  di  Adriano,  IV, 
645;  Silvano  Invitto,  652. 

Silvio  (Garagnone),  nelI'Apulia  Peu- 

Simboli  orientali ,  che  si  riscontrano 
presso  gli  Etruschi,  I,  118-119. 

Simboli,  cioè  consiglieri ,  magistrati 
a  Turio,  II,  133. 

Simeto  (Giarretla) ,  fiume  di  Sicilia, 
II,  108. 

Rimoenla.  —  Vedi  Crimiso. 

Simone  (L.  G.  de),  suoi  scavi  a  Ru- 
dia  presso  Lecce,  I,  343. 

Simoniue,  alla  corte  di  Geronc,  II, 
161. 

Singara,  in.Mesopotamia  ,  presa  da 
Traiano,  IV,  615. 

Singiduno  (Belgrado) ,  nella  Mcsia 
Superiore,  IV,  68,  570. 

Sinonia  (Zannane) ,  isola  dei  Volsci, 
I,  238. 

Sinope.  —  Vedi  Sìnuessa. 

Sinope  (ffinub),  nella  Pafiagonia  sulle 
coste  dell'Eussino,  reggia  di  Mi- 
tridate, III,  222 ,  224  ,  225  ;  asse- 
diata da  Lucullo,  339;  Pompeo  vi 


1046 


INDICE 


SINORIA 


SPEZIA 


fa  seppellire  Mitridate,  353  ;  acqui- 
dotto,  563. 

Sinopia,  castello  sul  confine  dell'Ar- 
menia Minore  e  Macrs^ore,  rifugio 
di  Mitridate,  in,  345. 

Sinuessa,  detta  dai  Greci  Sinope  (Mon- 
dragone),  nella .  Campania  ,  I, 
26S-269  ;  colonia  romana  ,  II ,  81 , 
2r,8j  bagni,  vi  si  uccide  Tigellino, 
IV,  443  r  a  capo  dalla  via  Domi- 
ziana,  520. 

Sion,  alta  città  di  Gerusalemme,  IV, 
4SI  ;  presa  da  Tito,  4St>. 

Siponto  (da  cui  sorse  poi  Manfredo- 
nia)^ nell'Apulia  Daunia,  creduta 
città  pelasgica,  I,  80  ;  si  disse  fon- 
data da  Diomede  ,  351 ,  356,  357  ; 
colonia  romana,  li,  427  ;  presa  da 
M.  Antonio,  III,  642:  ricordo  di 
Antonino  Pio ,  IV,  716  ;  iscrizione 
alimentaria,  807 

Siracusji,  sede  dei  Siculi,  II,  107  ;  co- 
lonia greca,  11S-U9;  la  più  gran- 
de delle  citta  ereche  in  Sicilia , 
splendida  di  monumenti.  110-120; 
centro  dei  Pitajrorici ,  1.57  ;  scon- 
volta dalla  rivoluzione  sociale,  158  ; 
occupata  dal  tiranno  Gelone.  15!*- 
160  ;  e  poi  da  Cerone  e  da  Trasi- 
bulo,  161  ;  il  quale  è  cacciato,  161  ; 
inalza  una  statua  a  Giove  Eleu- 
terio  ,  161  ;  sottomette  molte  città 
dei  Siculi,  163;  si  rivolge  contro 
Leontini ,  163  ;  vince  gli  Ateniesi 
accor.^i  in  aiuto,  164  ;  sua  potenza, 
e  leggi  di  Diocle  ,  164  ;  assediata 
dai  Cartaginesi ,  167  ;  sotto  il  ti- 
ranno Dionisio  il  Vecchio ,  16.5- 
175;  e  sotto  Dionisio  il  Giovane, 
17«;-178,  180;  Dione  la  restituisce 
a  Ibert.i,  178;  travagliata  daira- 
narchia  e  da  oscuri  tiranni,  è  li- 
berata da  Timoleone,  179-181  ;  suo 
teatro.  181-1.S2;  sotto  il  tiranno  A- 
gatucle,  183  e  segg.  ;  accoglie  Pirro 
con  festa,  200;  sotto  Gerone  se- 
condo, 208,  211;  aiut.i  i  Cartasri- 
nesi  nell'assi'tli  .  dì  \\f":-::".  210; 

abbellita    e  ili-  -- i  ne, 

373-374  ;  sott.j  I     ■  Tin- 

ge alleanza  ■■r.,    ...  ;:  l-:;75; 

in  guerra  cju  i;'!;i:i,  J7.j-j7(j; 
suoi  quartieri  e  porti,  376;  di- 
fesa da  Archimede  nell'  assedio 
dei  Romani ,  377-379  :  congiure  a 
suo  danno  e  assalto  notturno , 
380  :  rivoluzioni  cittadine  ,  382  ; 
tradita  cade  in  poter  dei  Romani, 
382;  crudeltà  del  vincitore,  38:}; 
saccheggiata  da  Verre  ,  111 .  322- 
;J23,  colonia  di  Augusto,  IV,  f.O. 

Siracusani,  si  impadroniscono  dell'i- 
sola dell'  Elba,  1 ,  8^1  ;  e  taglieg- 
fiano  la  Corsica,  881  ;  scorrerie  in 
:truria,  881-8S3. 

Sirene,  ricordi  di  esse  nei  dintorni  di 
Napoli,  1,  273;  e  a  Capri.  IV,  262. 

Sirenuse  (  scogli  detti  Galli  ) ,  isole 
tra  la  punta  della  Campanella  e 
Amala,  I,  273. 

Siri  (Sinno),  fiume  della  Magna  Gre- 
cia, I,  322,  331. 

Siri,  città  della  Magna  Grecia,  fon- 
data dai  Greci,  sul  fiume  del  me- 
desimo nome,  combattuta  e  deva- 
stata dai  Tarentini  e  dai  Turii , 
I,  310.  322,  II,  119, 

Siria,  indebolita  dai  Romani,  II,  TA\  ; 
corsa  da  Pompeo,  III,  3«;  pro- 
vincia romana  ,  351  ;  ilerubata  da 
Crasso,  464  ;  impoverita  da  Quin- 
tino Varo,  IV,  77,  224;  chiede  le 
siano  alleviati  i  tributi,  25S,  259; 
resta  fedele  ad  Ottone,  442;  e  poi 
volgesi  a  Vespasiano  proclamato 
imperatore  dalle   legioni  poste  ivi 


a  presidio,  461,  4C2;  governata  da 
Adriano,  e  poscia  visitata  e  coloniz- 
zata da  lui  imperatore,  621 ,  636, 
663,  664;  opere  pubt>Uche  e  ri- 
cordi di  Antonino  Pio,  701,  715; 
invasa  dai  Parti,  728  ;  respìnti  dai 
Komani,  731  ;  retta  da  .\vidio  Cas- 
sio ,  745  ;  legioni  stanziatevi ,  78 , 
783. 

Siritide,  repubblica,  I,  311  ;  territorio, 
322-324. 

Sirmio  (Mitroritz),  nella  Pannonia 
Inferiore,  IV,  223;  colonia  Flavia, 
405  ;  fu  detto  che  vi  mori  M.  Au- 
relio. 752. 

Sirmione,  penìsola  nel  lago  di  Garda, 

III.  803,  804. 

Siro  (Publio) ,  scrittore  di  mimi ,  III, 

789-790. 
Sirpio,  città  dei  Pentri,  I,  259. 
Siscia  (Sziszek),  nella  Pannoni^  Su- 
periore, IV,  496. 
Sisifo,  III,  801. 
Sizzio  (P.),  di  Nuceria,  nella  guerra 

d'.Aftrica,  III,  519-520. 
Smindiride,  cittadino  di  Sibari,  I,  321. 
Smirne,  città  di  Lidia,  rimane  libera 

dopo  la   sconfitta  di  Antioco,   II, 

453  ;  si  ribella  a  Mitridate,  HI,  244  ; 

congresso  dei   Repubblicani,  620  ; 

acquidotto,    550;    Ginnasio,    664; 

restaurata  da  M.  Aurelio,  748. 
Sociale  (guerra).  —  Vedi  Italici. 
Socii  italici.  —  Vedi  Italici. 
Sodi  di  Roma.  II,  2G1. 
Socrate,  vilipeso  da  Catone,  II,  601. 
Socrate   Cresto,   posto  da  Mitridate 

sul  trono   della  Bitinia,  111,  227; 

è  da  lui  fatto  uccidere,  227. 
Sofisti,    Adriano   dà   loro  immunità, 

IV,  676  ;  predicatori  erranti,  845- 
846.  —  Vedi  Filosofia. 

Sofonisba,  moglie  di  Siface,  U,  413; 
Io  eccita  alla  guerra  contro  i  Ro 
mani,  415;  vinto  da  Scipione  il 
marito,  sposa  M.issinissa,  415:  e 
per  non  cadere  in  mano  ai  nemici 
prende  il  veleno.  416. 

Soldati.  —  Vedi  Milizie. 

Sole,  adorato  dai  Sabini,  1,383;  cul- 
to, 741  ;  tempio  in  Roma,  IV,  410. 


Sole  Apoll 
Vallo  d 

Soli.  —  V. 

SùlunU^Jsi 
ciliaTsi 
115, 


Inv 


iltan    nel 


Sontia  (SaJiirt),  città  della  Lucania, 
I,  294. 

Sora  (isola  di).  III,  727.  728. 

Sora,  sul  Liri,  città  dei  Vol.'ici ,  I, 
2.Ì4  ;  presa  dai  Romani,  II,  :Ci,  3S  ; 
si  rivolta  ed  è  ripresa  ccd  tradi- 
mento, 67;  il  presidio  romano  uc- 
ciso dai  Sanniti,  76;  ritorna  in 
potere  dei  Romani,  77  :  colonia 
romana,  78,  267,  268;  colonia  mi- 
litare. IV,  43. 

Sorano,  Dio,  I,  381. 

Soratte  [Monte  Sani'  Oreste),  monte 
di  Etruria  tra  Falerii  e  il  Tevere, 
forse  fu  un  tempo  circondato  dal 
mare,  I,  20,  .'i81. 

Sordi  [HoussiUon),  popolo  della  Gal- 
lia  Narbonese,  111,  !r>. 

Sorrento,  citta  della  Campania,  te- 
nuta dagli  Etruschi,  I,  128;  ebbe 
il  nome  da  una  Sirena ,  273,  276  ; 
ricordo  di  Adriano,  IV,  637;  porto 
con  armata  navale,  7W. 

Sorti  prenestinc.  —  Vedi  Prenestine 
(.sorti). 

Sorti  Virgiliane,  IV.  625. 

Sosia,  moglie  di  C.  Silio,  esiliata j)er 
l'amore  che  le  portava  Agrippma, 
IV    288. 


Sosibi,  popoli  Sciti,  assaltan  l'Impero, 
IV,  734. 

Sosilo,  storico  greco,  scrittore  delle 
guerre  di  Annibale,  II,  419. 

Sosio  (Caio),  legato  di  Antonio,  com- 
batte contro  i  Giudei,  III,  662; 
difende  Antonio  contro  le  accuse 
di  Ottavio  e  lascia  Roma,  673. 

Sosigene  Alessandrino,  aiuta  Cesare 
nella  riforma  del  Calendario,  III, 
.539. 

Sozione  dWlessandria,  filosofo,  mae- 
stro di  Seneca,  IV,  834.  835. 

Sp.igne ,  cioè  Citeriore  (poi  Tarraco- 
nese)  e  Ulteriore  (Betica  e  Lusi- 
tania),  IV,  58;  sforzi  dei  Cartagi- 
nesi per  ridurle  tutte  in  loro  potere 
11,  32''-331  ;  guerra  tra  essi  e  i  Ro- 
mani, 397,  402-408;  i  Cartaginesi 
cacciati,  408  'guerre  continue  degli 
Spagnuoli  contro  i  nuovi  padroni, 
4d3  e  segg.,  524-537;  rapine  dei 
pretori  e  proconsoli,  456;  Spagna 
Citeriore  e  Spagna  Ulteriore,  pro- 
vince, 542;  Mario  mette  freno  ai 
ladroni.  III,  102;  invasione  dei  Cim- 
bri e  dei  Teutoni ,  126  ;  guerra 
contro  Roma  sotto  gli  ordini  di 
Sertorio,  293-302;  vittorie  di  Ce- 
sare contro  i  Lusitani,  405  :  contro 
i  Pompeiani,  491-494,  .530-532;  e 
colonie  di  lui,  537;  guerre  e  rior- 
dinamenti di  Augusto,  IV.  20,  57- 
60,  S5-S7;  strade,  68;  crudeltà  e 
rapine  dei  governatori,  78;  com- 
mercio con' Roma,  202-203;  solle- 
vazioni contro  Nerone ,  422-423  ; 
colonie  di  Vespasiano,  495  ;  e  di- 
ritto del  Lazio  accordato  da  lui, 
495;  visita  di  Adriano,  6.36.  655; 
ricordi  di  Antonino  Pio,  715  ;  in- 
vasione dei  Mauri,  727  ;  nuovi  co- 
loni mandativi  da  M.  Aurelio,  740; 
moti  repressi,  745  ;  vi  stanziano  tre 
legioni,  783. 

Spagnuoli,  alla  battaglia  del  Metauro, 
II,  400. 

Spano  (Giovanni),  illustratore  del  Nu- 
raghi di  Sardegna,  II,  241. 

Sparta,  aiuta  Siracusa  assediata  dai 
Cartaginesi,  II,  167  ;  nell'  anarchia 
e  poi  nelle  mani  di  un  tiranno, 
429;  chiede  di  uscire  dalla  lesa 
Achea,  496  ;  in  ffiierra  cogli  Achei, 
497;  accoglie  Mitridate,  111,232; 
non  visitata  da  Nerone  per  pa 
di  Licurgo,  IV,  418. 

Spartaco,  si  fa  capo  dei  gladiatori 
rivoltati,  III.  304  ;  sue  vittorie,  306- 
308;  tratta  coi  pirati  per  passare 
in  Sicilia,  308;  fe  inutilmente  rin- 
chiuso nella  penisola  di  Reggio, 
309;  si  ritrae  nei  monti  di  Petelia, 
309  ;  e  vinto  e  ucciso  da  Crasso, 
309-310. 

Sparziano,  ricorda  le  contradizioni 
del  carattere  di  Adriano,  IV,  674. 

Specchi  mistici,  nei  sepolcri  etruschi, 
I,  517. 

Speculalores,  IV,  70, 

Speranza,  suo  tempio,  II,  294, 

Spese  pubbliche,  ai  tempi  di  Augusto 
e  .b   Ve=p<i«;.,„-i,  IV,  75. 

Speli  -.,,  !  ,1.1  II.-,.,  e  dell'Anfiteatro, 
1.  '.  ti  1  !-  .II'.  ;  per  le  vittorie 
'  I  ;  1 1 1 ,  -  .    ,  e  di  Cesare,  529- 

.':■•'.  "•  ::;,  ^ -f  ■  l'Impero,  IV,  104- 
10-.,  346  ,358-3,59.  415-410,  516, 
.535-538,  581-582,  631,  703.  770-771  ; 
a  Pompei,  797-798;  gli  spettacoli 
immodesti  e  sanguinarli  vituperati 
dai  filosofi.  848,  862.  —  Vedi  Giuo- 
chi, Teatro, 

Spettacoli  Partici,  —  Vedi  Partici, 

Spezia  (golfo  della),  porto  di  Luni,  I, 
129 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1047 


SPEZIERIE 


STICKEL 


SUTRI 


Spezierie  dell'India,  portate  a  Roma, 
IV,  207. 

Spie.  —  A'edi  Delatori. 

Spina,  città  pelasgica  alle  foci  del  Po, 
I,  7-1,  79,  3.J1. 

Spoleto,  città  degli  Umbri,  I,  G5;  co- 
lonia romana,  II,  93,  269;  resiste 
ad  Annibale,  34S-3-19;  rotta  della 
parte  Mariana,  III,  237;  arco  in 
onore  di  Germanico  e  Druso ,  IV, 
2(!6,  267. 

Sporo,  eunuco,  Sue  turpi  nozze  con 
Nerone,  IV,  394  ;  assiste  alla  morte, 
di  lui,  426. 

Spurinna  (Vestricio),  va  contro  Ce- 
cina ,  IV ,  445  ;  e  lo  respinge  da 
Piacenza,  446. 

Spurio  (M.),  pompeiano ,  congiura 
confr.i  Celare,  III,  "jl. 


.dl'iucendio 


.-ili. 


Stadio  [Pinzza  Navona),  fatto  a  Ro- 
ma da  Duiiiiziano,  IV,  532. 

Statilia  Messalina,  sposa  Nerone  che 
le  ha  ucciso  il  marito,  IV,  394. 

Statilio  (L.),  congiura  con  Catiliua, 
III,  373  ;  È  arrestato,  381  ;  e  stroz- 
zato, 3S6. 

Statilio  Tauro  (M.),  rovinato  dalle  sue 
molte  ricchezze  desiderate  da  A- 
grippina,  IV,  369. 

Statilio  Tauro  (T.),  muove  con  una 
Il  .i  ;i  .    ,,u  ■  ::.  -;i.-ilia,  HI,  653-654; 

- 1 1 '    ■  ,  1  .attaglia  di  Azzio, 

-.:-.         :  iti'o,  IV,  196. 


798. 


imprescrittibili, 


Stato  Civile,  provvedimenti  di  Marco 
Aurelio  per  la  iscrizione  dei  neo- 
unti,  IV,  7SO-7tO. 

St.ii    m;  I    .(    ■/      1,    liei   territorio   di 

\  :•'  etrusche,  I,  150. 

St:ii  .  1,  430-431. 

'  'nelle  case  dei  grandi,  197;  agli 
imperatori,  810-811. 

Statue  mobili,  nei  templi,  I,  609. 

Stazio  (Cecilio) ,  poeta  comico.  — 
Vedi  Cecilio  Stazio. 

Stazio.  —  Vedi  Papiuio  Stazio  (Pu- 
blio), poeta. 

Stàzio  o  Papio,  Sannite  proscritto, 
incendia  la  sua  casa  e  muore 
neU-incendio,  III,  609. 

Stazio  Murco  (L.) ,  comandante  la 
flotta  repubbUcana,  lU,  617;  di- 
strugge nel  mare  Ionio  due  le- 
gioni triumvirali,  627;  si  uni- 
sce alle  navi  di  Sesto  Pompeo  , 
631  ;  da  cui  è  ucciso,  647. 

Stazio  Prisco  Licinio  Italico  (M.), 
chiesto  imperatore  dalle  legioni  di 
Britannia,  IV,  727;  posto  al  go- 
verno di  Cappadocia,  728;  vince 
in  Armenia,  731. 

Stecadi  (Hyéres) ,  isole  dei  Marsi- 
gliesi, presso  le  coste  della  Gallia 
Narbonese,  Fabio  Valente  vi  è  fatto 
prigioniero,  IV,  468. 

Stefano  ,  liberto ,  uccide  Domiziano, 
IV,  544-545. 

Stele  funerarie,  I,  168-169. 

Stellate  (Agro). —Vedi,  Campi  Stel- 
lati. 

Stertinio   (Quinto),    medico,   IV,  177. 

Stesicoro,  poeta,  suo  magnifico  monu- 
mento a  Catania  dove  mori,  II,  128; 
statua  ad  Imera,  131;  ti  ovata  a 
Cartagine,  320. 

Steub  (Lodovico),  sue  opinioni  sul- 
rorisjine  degli  Etruschi,  I,  202-203. 


Stickel,  suoi  studi  sulla  lingua  etrusca, 
I,  480-(ì<l. 

Stile  Asiatico  nell'eloquenza,  111,696. 

Stile  toscanico,  I,  440-442. 

Stilicone,  detto  a  torto  edificatore  del 
Vallo  di  Adriano,  IV,  647. 

Stintalo,  lago  in  Arcadia,  IV,  657. 

Stipeiidii.  —  Vedi,  Av\'ocati,  Medici, 
Milizia,  Salarli. 

Stoeui,  popolo  delle  Alpi,  vinti  dai 
Romani,  III,  97. 

Stoffe  di  Coo  portate  a  Roma,  IV,  205. 

Stoici.  —  Vedi  Filosofia. 

Storici  e  AnnalisU  dei  tempi  più  an- 
tichi, II,  607-611  ;  degli  ultimi  tempi 
della  Repubblica,  IH.  763-788;  sotto 
l'Impero,  IV,  165-17.5,  17S,  180-184, 
917-918;  sludi  storici  promossi  da 
Vespasiano  e  da  Mudano,  920-921. 

Storie  romane,  verità  e  falsità  degli 
antichi  racconti,  I,  686-688. 

Storione,  detto  cibo  degno  degli  Dei 
e  dei  Cesari,  IV,  823. 

Strabone,  geografo  ,  suoi  scritti,  IV, 
179-180. 

Strade.  —  Vedi  Vie. 

Stranieri,  II,  261  ;  cacciati  per  legge 
da  Roma,  III,  355. 

Strategi ,  nelle  colonie  greche  di  Si- 
cilia, II,  133. 

Stratone,  maestro  di  rettorica,  aiuta 
Bruto  ad  uccidersi,  IH,  629 

Stratonica,  madre  di  Sifare,  III,  351. 

Stratonicea  di  Caria  (Eski-Uissar), 
vittoria  dei  Romani  sopra  Ai-isto- 
nico,  U,  339. 

Strenne  del  capo  d'anno,  I,  746-748. 

Strimene  (Stnnna) ,  fiume  di  Mace- 
donia, II,  480,  HI,  623. 

Struzzo,  simbolo  del  Genio  del  male 
in   Ftrii"--i.   I.  ■'.":. 

Stm-iM     •  !'  :   M c'  1     I,  347. 


Sul. li' :      '  '   :  I  .lineato   da  Anco 

M:i  I         :      '7  ;  difeso  da  Ora- 

zi-,  i.-ii...  I.:.;-,  restaurato  da 
Antonino  l'io,  IV,  701. 

Subuli.  —  Vedi  Tibicini. 

Suburrana,  una  delle  quattro  regioni 
in  cui  Roma  fu  divisa  da  Servio, 
I,  605. 

Succosa  (presso  Orbetello) ,  scavi , 
I,  160. 

Sucrone  (Xucar),  fiume  nella  Spagna 
Tarraconese  ,  vittoria  di  Sertorio 
su  Pompeo,  HI,  298. 

Suellio  ,  chiesto  giudice  a  Pompei , 
IV,  46. 

Suessa  Aurunca  (Sessa),  città  prin- 
cipale degli  Aurunci ,  1 ,  214-215  ; 
colonia  romana,  II,  68,  78,  267, 
268,  393;  patria  del  satirico  C.  Lu- 
cilio ,  651  ;  municipio  ,  IV  ,  637  ; 
elezioni  municipali ,  e  decreti  di 
plebe,  788. 

Suessa  Pomezia,  capitale  dei  Volsci, 
1 ,  237  ;  vinta  e  perduta  da  Tar- 
quinio  il  Superbo,  611-612. 

Suessioni  iSoissons),  nella  Gallia  Bel- 
gica, vinti  da  Cesare,  III,  434. 

Suessula  (Sessoln)  ,  città  della  Cam- 
pania ,  1 ,  279 ,  281  ;  vittoria  dei 
Romani  sui  Sanniti,  II,  41  ;  riceve 
la  cittadinanza  romana  senza  suf- 
fragio, 51  ;  iscrizione  alimentai-ia, 
IV,  807. 

Suffeno,  cattivo  poeta,  HI,  811. 

Suffeti  ,  0  giudici ,  magistrati  carta- 
ginesi, H,  326. 

Sufi'ragi  inviati  a  Roma  per  via  di 
schedo  sigillate  ,  IV  ,  23  ,  45  ;  il 
sullVagi.)  di  Minerva,  31-32. 

Sulti  [S'anf Antioco) ,  in  Sardegna, 


antichi  ricordi  ,  II ,  245  ;  multata 

da  G.  Cesare,  UI,  227. 
Sulca  {Sorga),    fiume  della  Gallia 

Narbonese,  IH,  93. 
Sulmona  ,  città  dei  Peligni ,   I  ,  219  ; 

patria  di  Ovidio.  250,  IV,  13^,  1.59. 
Sulmona  (Serìiioìì.eta),  citta  dei  Vol- 
■    1,  233. 


di  satire, 

Sulpicio  (Servio) ,  scrittore  di  versi  , 
HI,  790. 

Sulpicio  Apollinare ,  retore  ,  maestro 
di  Aulo  Gelilo,  IV,  949. 

Sulpicio  Blito,  autore  di  storie,  III,  770 

Sulpicio  Galba  (i  ..  .  p  i.'.  ■■ .  con- 
dannato per  t"  \  in- 
cere dall'oro  .1.        I-        ■    'il    109. 

Sulpicio  Galba  (l'm.li  ..  ...  -.jì-,  in- 
duce il  popolo  ad  ap[in)\:ile  la 
guerra  contro  Filippo  re  di  Ma- 
cedonia, II,  432-133. 

Sulpicio  Galba  (Servio),  console  (610\ 
costringe  alla  pace  i  Lusitani ,  li 
trasferisce  in  tre  contrade  diverse, 
e  li  uccide,  li,  526;  accusato  an- 
che da  Catone ,  si  salva  col  farsi 
abietto  alla  presenza  del  popolo , 
553,  569;  oratore,  HI,  693. 

Sulpicio  Galba  (Servio),  legato  di 
Cesare,  sì  apre  una  via  per  le  Alpi 
tra  la  Gallia  e  l' Italia  ,  HI ,  435; 
congiura  Culli!  i  es  .r  :,'-l.  552; 
narratore  d.  Il  ■'  ro 

dei  Galli  a  .  u;  p  ,  ■'■''■ 

Sulpicio  Longo  n  :  ....  i  i.i'za 
volta  (440),  vinco  i  .vaanili  a  Cau- 
dìo,  U,  68. 

Sulpicio  Massimo  (Q.),  fanciullo  im- 
provvisatore, suo  sepolcro  a  Porta 
Salaria,  IV,  913-917. 

Sulpicio  Patercolo  (C.) ,  trionfa  dei 
Sardi,  H,  217. 

Sulpicio  Rufo  (Publio),  tribuno  (666), 
grande  ..r.nt.)re.  HI.  203;  sua  in- 
dole. ■:».'.-■:  il  M:  I.,.  it. ..!.•, k  pas- 
sioni   .Il    M'    :         --I  -      --    1'" 

PM1'-'    ^  ■'_^\'7-  ■  ^^^^    j^^^;  '.  Il'-'  '^ 

Sulpicio  Rufo  (Servi..),  ambasciatore 
ad  Antonio  a  Modena  (711),  HI, 
593;  oratore  e  giurista  dottissimo, 
702,  728;  suoi  scritti,  729;  stoico, 
739. 

Sulpicio  Saverrione  (  P.)  ,  console  , 
contro  Pirro  alla  battaglia  d'  A- 
scoli,  II,  198-199.  _ 

Summano,  diviniUi  dei  Sabini  e  degli 
Etruschi ,  I,  383;  autore  dei  ful- 
mini notturni,  741. 

Suna  ,  città  pelasgica  nella  Sabina  , 
I,  76,  78. 

Sunio  (Capo  Kolnnnes),  promontorio 
sulle  coste  meridionali  dell'Attica, 
preso  dai  servi,  HI,  137. 

Suovetaurilia.  IV,  596. 

Superbo  ,  gladiatore  a  Pompei ,  IV  , 
796,  797. 

Superequo  (Caste! vecchio  Subeqyio) , 
citta  dei  Peligni,  1,  249. 

Superstizioni  dei  popoli  Italici  ,  1  , 
490;  superstizioni  e  incredulità  a 
Roma,  II,  5 '8;  superstizioni  egi- 
ziane bandite  da  Augusto,  IV,  K. 

Susa.  —  Vedi  Se.gusione. 

Susa,  nella  Partia.  IV,  616. 

Sutia,  dimora  dei  Siculi,  U,  106. 

Sutri ,  città  fondata  dai  Pelasgi  e 
occupata  dagli  Etruschi,  1, 135-136; 
suo  anfiteatro,  136;  protetta  dalla 
DeaNorzia,  381  ;  vinta  dai  Romani, 
880;  Cammino  vince  ivi  due  volte 
gli  Etruschi  ,  II  .  13  ;  colonia  ro- 
mana. 19,  269,  393;  assediala  dagli 
Etruschi  che  vi  sono  scoulUti  d^ 
Fabio,  68-69. 


1048 


I  x\  D  I  C  E 


SUTRINI 


TARTARO 


Sutriiii  (i),  I,   135. 

Svetonio  Paolino  (C),  reprime  ì  moti 
dei  Mauri,  IV,  SU-Sió:  e  la  sol- 
levazione dei  Britanni  e  dei  Druidi, 
IV,  395-397  ;  muove  contro  Vitellio, 
■4-<-»  ;  vince  Cecina ,  446  ;  insultato 
dai  soldati,  446:  sconsiglia  Ottone 
dal  dar  giornata  campale  ,  446  ; 
sconfìtto  a  Bedriaco,  447  ;  si  salva 
sostenendo  di  aver  tradito  Ottone, 
451  ;  suoi  ricordi  dell'Affrica  e  del 
monte  Atlante.  619. 

Svetonio  Tranquillo  (C),  segretario 
di  Adriano,  allontanato  dalla  cor- 
te ,  IV ,  6S8  ;  scarse  notizie  della 
sua  vita,  94(j-947  ;  moltiplici  opere, 

947  ;  le  Vite  dei  dodici  Cesari,  947- 

948  ;   vita  di  Lucano  a  lui  attri- 
buita, 877. 

Svevi ,  vanno  nelle  Gallie  con  Ario- 
visto,  III,  429;  e  sono  vinti  da 
Cesare,  433;  che  poscia  gli  cerca 
invano  oltre  il  Reno,  438;  ricac- 
ciati oltre  il  Reno  ai  tempi  d'Au- 
gusto ,  IV ,  85  ;  sotto  Maroboduo, 
870. 


Taberne  (le  vecchie) ,  del  Fòro ,  li , 
625. 

Tahor,  monte  di  Galilea,  IV,  439. 

Tabularlo,  grande  archivio  delle  leggi, 
edificato  da  Catulo  sul  Campido- 
glio ,  III ,  286  ;  prospetto  del  por- 
tico verso  il  Fòro,  287  ;  dopo  l'in- 
cendio dei  Vitelliani ,  restaurato 
da  Vespasiano  e  rifornito  dei  do- 
cumenti distrutti ,  IV,  497,  921. 

Taburno,  monte  presso  .<f.  Agata  dei 
Goti,  nel  paese  dei  Sanniti  Cau- 
dini, I,  242,  243,  262. 

Tacche  ,  fatte  nel  legno  per  contare, 
I,  452. 

Tacfarinata,  numida,  sua  sollevazione 
e  morte,  IV,  274-275. 

Tacita,  madre  dei  Lari,  I,  741. 

Tacito  (C.  Cornelio),  storico,  console 
sotto  Nerva,  IV,  548;  sua  patria 
e  uftìcii,  926;  suo  elogio  funebre, 
di  L.  Virginio  Rufo,  92G;  Vita  di 
AgricoUì.  525,  927-928;  La  Ger- 
ìmmia,  928-930;  gli  Annali  e  le 
Storie.  930-931  ;  giudice  imparzial- 
mente severo,  931  ;  fonti  alle  quali 
attinse,  932;  moralità  dello  sto- 
rico ,  933  ;  il  Dialogo  siigli  Ora- 
tori, 934  ;  Io  stile  e  la  lingua,  935  ; 
descrizioni  e  quadri  lugubri,  936- 
937;  ultimo  dei  grandi  scrittori 
romani ,  937  ;  speculazioni  politi- 
che, 937-938;  amori  aristocratici 
ed  egoismo  romano,  938-939;  tem- 
perati e  umani  pensieri,  940;  sua 
amicizia  con  Plinio  il  Giovane, 
940. 

Tagete ,  il  prodigioso  fanciullo  etru- 
sco ,  I,  96  ;  sua  nascita  ,  401-402 , 
403-404;  sue  dottrine,  402-404. 

Tago,  fiume  di  .Spagna,  vittoria  dei 
Romani  sul  Celtiberi,  II,  4.")5;  ma- 
gnifico ponte  costruitovi  da  Lacero, 
ingegnere  di  Traiano,  IV,  «10. 

Tala,  importante  città  di  Numidia, 
presa  da  Q.  Cecilio  Metello,  III,  116. 

Taiiiapiii  (Cesare),  dimostra  che  il 
Dialogo  siigli  Oratori  b  di  Ta- 
cito, IV,  934. 

Tamaro ,  fiume  del  Pannio  tributa- 
rio del  Calore,  1 ,  242 ,  268. 

Tamesa  e  Tarnesì  (Tamigi),  HI,  441, 
IV,  345. 

Tanagro  (Negro),  (lume  della  Luca- 
ni», I,  287-288. 


Tanai  (Don),  fiume,  limite  tra  l'Asia 

e  r  Europa,  111,  226. 
Tanai ,    città   alle  faci  del  fiume  del 
medesimo  nome,  emporio  di  schia- 
vi, III,  25. 

Tanaquilla,  sue  predizioni,  I,  373; 
moglie  di  Tarquinio  Prisco ,  598  ; 
aiuta  Servio  Tullio  a  farsi  re, 
603-604. 

Tanusio  Gemino,  suoi  Annali  in  brutti 
versi.  Ili,  292,  811. 

Tape,  i  Daci  vi  sono  sconfitti  da  Ter- 
zio  Giuliano,  IV,  529  ;  e  poscia  da 
Traiano,  572. 

Tappeti  babilonesi  e  persiani,  IV,  201, 
207. 

Tapso,  colonia  greca,  in  Sicilia,  II, 
118,  128. 

Tapso  {Demass),  città  marittima  del- 
l'Affrica Propria,  nella  Bizacena , 
II,  507  ;  famosa  per  la  vittoria  di 
Cesare  sui  Pompeiani,  HI,  519- 
520  ;  multata  fortemente  dal  vinci- 
tore, 526. 

Tarani,  divinità  dei  Galli,  IV,  56. 

Tarante  ,  figliuolo  di  Nettuno  ,  dà  il 
suo  nome  a  Taranto,  I,  327. 

TarantQ.  detta  anche  Erculea,  fon- 
data dai  Greci,  I,  311,  II,  ^,  118; 
sue  origini ,  1 ,  327  ;  sito  ,  monu- 
menti, ricchezze  e  delizie,  328  ;  po- 
tenza e  caduta,  329-331  ;  eccita  Na- 
poli alla  guerra  contro  Roma,  II, 
55  ;  e  gli  Etruschi  e  Umbri  a  vendi- 
carsi della  disfatta  di  Sentino,  90- 
91  ;  fonda  Eraclea,  96  ;  caccia  i  Pi- 
tagorici, 152;  sua  prosperità  e  mol- 
lezza, 188;  in  guerra  coi  Messapi, 
Lucani,  Bruzi  a  Sanniti,  188-189; 
si  oppone  ai  progressi  di  Roma , 
189;  sommerge  alcune  navi  ro- 
mane e  saccheggia  Turio  ,  190  ; 
insulta  gli  ambasciatori  romani , 
190-191  ;  chiama  a  suo  duce  con- 
tro i  Romani  il  re  Pirro,  191-199; 
il  quale,  battuto,  parte  lasciando  a 
Taranto  un  presidio ,  201-202  ;  la 
,  città  chiede  aiuto  ai  Cartaginesi  e 
cade  in  potere  dei  Romani ,  204  ; 
obbligata  a  fornire  navi  da  guer- 
ra ,  270  ;  conserva  i  suol  istituti 
nazionali,  271  ;  presa  da  Annibale, 
387  ;  ripresa  coll'arte  di  Fabio  Mas- 
simo, 395  ;  C.  Gracco  pensa  di  ri- 
popolarla, III,  77-78;  trattato  tra 
Ottavio  e  Antonio,  652;  colonia 
rafl'orzata  dà  Nerone ,  IV,  375  ; 
sulla  via  Appia,  607. 

Taras,  flumicello  vicino  a  Taranto, 
1,  327. 

Tarconte,  I,  109  ;  dà  principio  a  Tar- 
quinia e  fonda  Mantova ,  127 , 
401  ;  eroe  principale  della  mitolo- 
gia etrusca,  143,  402. 

Tarentina,  repubblica,  I,  311;  regio- 
ne, 326. 

Targina  (racJnn),  fiume  della  Ma- 
gna Grecia,  1,  315.  316. 

Tarìcheà ,  città  di  Galilea ,  vinta  da 
Vespasiano,  IV,  458,  550. 

Taro ,  fiume  della  Gallia  Cispadana , 
traversante  la  via  Emilia  a  po- 
nente di  Parma,  I,  885. 

Tarpeia,  suo  tradimento,  I,  580. 

Tarpeia  (rupe),  IV,  470. 

Tarpeio,  colle,  I,  566,  .597,  GOO,  613. 

Tarquinil,  Tarquinia  (presso  Cor- 
neto),  fondata  dai  IVlasgi,  I,  79; 
una  delle  città  principali  d'Etru- 
ria,  123,  133;  figurata  in  un  basso 
rilievo ,  12:5-133  ;  fondata  da  Tar- 
conte, 127  ;  tombe,  143-144  ;  nuove 
scoperte,  173  ;  necropoli,  426,  428, 
429  ;  danze  mistiche  della  grotta 
Marzi,  503-504  ;  Camera  detta  del 
Morto,  507  ;  manda  ambasciatori 


a  Roma  in  favore  di' Tarquinio  il 
Superbo  ,  G20  ;  muove  guerra  a 
Ruma  ,  623  ;  ed  è  vinta ,  623-624  ; 
scorrerie  di  bande  Tarquiniesi  per 
far  diversione  all'assedio  di  Veli , 
872;  in  guerra  con  Roma,  II,  36- 
37;  soccorre  Scipione  per  la  guer- 
ra d'Affrica,  410. 

Tarquinil,  loro  tomba  a  Cere,  I,  142. 

Tarquinio  (Arunte),  fratello  del  Su- 
perbo ,  ucciso  da  questif  e  dalla 
moglie,  I.  608. 

Tarquinio  (Arunte),  figlio  di  Tarqui- 
nio il  Superbo,  spedito  a  Delfo  con 
Bruto,  I,  615,  616;  si  batte  con 
L.  Giunio  Bruto  e  restano  entrambi 
uccisi ,  623  ;  Floro  attribuisce  a 
lui  l'ingiuria  fatta  a  Lucrezia,  623. 

Tarquinio  .(Lucio)  Collatino  ,  marito 
di  Lucrezia,  I,  616;  la  vendica, 
617-619;  nominato  console,  619; 
consiglia  di  restituire  1  beni  ai 
Tarquinil,  eco  ;  si  oppone  alla  sen- 
tenza contro  gli  AquiUi,  622;  si 
ritira  a  Lavinio,  622. 

Tarquinio  (Lucio)  Prisco,  eletto  re. 
I,  598-599;  sue  vittorie  sui  Latini, 
Sabini  ed  Etruschi.  599;  sue  opere 
civili,  600;  fe  ucciso,  600. 

Tarquinio  (Lucio)  il  Superbo,  uccide 
il  re  Servio  Tullio.  I,  C08;  sua 
tirannide,  609-610;  cerca  aiuti  al 
di  fuori,  610;  fa  morire  Turno  Er- 
donio,  610-611;  capo  della  lega  la- 
tina, 611;  fa  guerra  ai  Sabini,  ai 
Volscl  e  aiGabini,  611-613;  opere 
civili,  613, 61.5;  presagi  di  sciagure, 
615-616;  assedia  Ardea.  616;  è  cac- 
ciato da  Roma.  619  ;  cerca  aiuti, 
620  ;  fa  chiedere  di  poter  tornare  a 
Roma  e  domanda  la  restituzione 
dei  suoi  beni,  620;  congiura  a  suo 
favore,  621  ;  fe  negata  la  restitu- 
zione dei  suoi  beni,  662;  chiede 
aiuto  agli  Etruschi,  622  ;  che  sono 
sconfitti,  624  ;  fe  soccorso  da  Por- 
sena,  626;  11  quale  poi  lo  abban- 
dona, 629  ;  nuove  cospirazioni . 
630;  lo  aiutano  invano  i  Sabini. 
630  ;  e  i  Latini  sconfitti  al  Iago  Re- 
gillo,  630-632;  dove  egli  fe  ferito, 
632;  muoreaCuma.  634;  abolisco 
la  costituzione  di  Servio  Tullio, 
715;  1  libri  Sibillini  da  lui  posti 
sul  Campidoglio,  752. 

Tarquinio  (Sesto),  figlio  di  Tarquinio 
il  Superbo,  I,  612;  diventare  diGa- 
bii.  613;  disonora  Lucrezia,  617; 
proscritto  da  Roma,  619;  ucciso  alla 
battaglia  del  (ago  Regillo,  632. 

Tarquinio  (Tito),  figlio  di  Tarquinio 
il  Superbo,  I,  615,  616-617.  619  ;  fe 
ucciso  alla  battaglia  del  lago  Re- 
gillo. 632. 

Tarquizio  (Lucio) ,  maestro  della  ca- 
valleria, I.  827. 

Tarracona  (Tarragona),  nella  Spa- 
gna Citeriore,  II,  403.  406,  407  ;  Au- 
gusto vi  cade  ammalato,  IV,  20; 
capitale  della  Spagna  Tarraconese, 
che  ebbe  il  nome  da  essa,  e  gene- 
rale metropoli  delle  altre  provin- 
ce ,  58  ;  palazzo  di  Augusto .  59  ; 
riunita  con  una  grande  strada  a 
Lisbona,  6S;  Adriano  vi  passa  un 
inverno,  665. 

Tarraconese  (provincia),  IV,  .58; 
provvedimenti  di  Adriano,  655. 

Tarso,  città  principale  della  Cilicia, 
caricnta  di  enormi  gravezze  da 
Cnssio,  III,  619;  incontro  di  Cleo- 
jiatra  e  di  Antonio,  634  ;  Dione 
Crisostomo  vi  quieta  lo  discordie 
popolari,  IV,  817. 

Tartaro  (paludi  del),  tra  Y Adige  e  il 
Po  presso  Ostiglia,  IV,  465. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1049 


TARTARUGHE 


TERENZIO 


Tartarughe  delle  coste  africane  por- 
tate a  Roma,  IV,  201,  -207. 

Taruzio  ([,.),  Firmano  (da  Fermo), 
astrologo ,  III,  74.5. 

Tasse.  —  Vedi  Imposizioni. 

Tassile,  duce  di  Mitridate,  III,  330. 

Ta-thins  (cioè  grandi  Ckùiefi).,  nome 
dato  dai  Chinesi  ai  Romani ,  IV, 
210. 

Taurasia  (rai/rnst) ,  città  degli  Ir- 
pini,  I,  2tì3. 

Tauriana.  —  Vedi  Tauroento. 

Taurica  {la  penìsola)  {Crimea),  III, 
225. 

Taurini  {Torino),  la  loro  opulentis- 
sima città  espugnata  da  Annibale, 

II,  240. 

Taurisci,  vinti  dai  Romani  ,  IH,  07; 
il  loro  paese,  detto  poi  Norico,  in- 
vas.)  dai  Cimliri  e  dai  Teutoni , 
121;  e  disertato  dniDaci,  IV,  ."6S. 

Tauro  ,  una  delle  più  grandi  catene 
di  monti  dellWsia  Minore  ,  occu- 
pato dai  pirati.  Il,  333 ,  Roma  fa 
sentire  fino  ad  esso  la  sua  domi- 
nazione, 541;  trionfato  da  Venti- 
dio  ,  IV ,  7e'J  ;  tempio  in  onore  di 
Faustina,  posto  da  M.  Aurelio 
alle  sue  falde,  763. 

Tauroento  o  Tauriana  {Traviano), 
nel  IJruzio,  rovine,  I,  301. 

Tauronienio  {T<(ormi,i,n)  ,  sede  dei 
Si.'uli,  II,  107;  rovine  dell'  antico 
feati-o,  129,  130  ;  straffi  di  Agato- 
cle,  IS3  ;  sbarco  di  Pirro,  200  ;  sotto 
Geroiie  secondo,  208;  città  fede- 
i-ata,  273  ;  occupata  dagli  schiavi, 

III,  41-12  ;   colonia    di    Augusto  , 

IV,  <10. 

Tauruno  {Semlino  di  faccia  a  Bcl- 
'irado),  nella  Pannonia  Inferiore, 
IV,  OS. 

Tavola  di  Banzia.  —  Vedi  Bantia. 

'l'avola  alimentaria  Bebiana ,  1 ,  263- 
266. 

Tavola  Iliaca,  I,  543,  733. 

Tavole  (Dodici).  —  Vedi  Leggi  delle 
dodici  Tavole. 

Tavole  Eugubine  e  loro  interpreti,  I, 
476-477,  483. 

Tavole  di  Eraclea,  I,  323-324. 

Taziensl ,  una  delle  prime  tribù  di 
Roma,  I,  6fi7. 

Tazio  (Tito),  duce  dei  Sabini,  I,  579- 
5S0;  fa  la  pace  coi  Romani  e  re- 
gna Cini  Romolo,  581-582;  muore 
assassinato,  582. 

Teano  o  Teate  Appulo  {Coppe  di  Ci- 
'itf),   1.  358-3.59;    occupata   dai 


Ri. mani,  II,  6(5; 


iito  Pom- 


peu 


Silo 


in  Caiàiiii        I  -  ;  vittoria 

d<-i    Sano.  ,  ili-   Cam- 

pani, II,  :f>  ,  'ol "Illa  loiiiana,  78; 
268;  quartler  genernlc  del  dittix- 
tore  Giimio  Pera,  333;  campo  di 
Fabio  Massimo  ,  369  ;  Siila  vi  in- 
.ganna  e  disarma  L.  Scipione,  III, 
252;  colonia  militare,  IV,  43;  ri- 
i;ordo  di  Adriano ,  637  ;  tribuni 
della  plebe,  788. 

Teate  {Chieti),  città  dei  Marrucini,  I, 
251-252. 

Teate  Appulo.  —  Vedi  Teano. 

Teatro.  —  Vedi  Opere  sceniche  etru- 


schi' 


clic  il  teatro  ronijuio  non  pm- 
gredi,  648;  licenza  teatrale  sotto 
Nerone,  IV,  3S2.  —  Vedi  Atei- 
lane,  (Commedie,  Drammi,  Mimi, 
Pantomimi. 

Teatro  di  Marcello,  IV,  192,  193. 

Teatro  di  Pompeo,  IV,  416-417,  510. 

Teatro  di  Traiano,  distrutto  da  .Adria- 
no, IV,  604. 

Tebe  di  Beozia  ,  presa  non  inganno 
da  Flaminio,  II,  435;  venduti  come 
schiavi  i  seguaci  di  Perseo,  472; 
presa  da  Metello,  497;  trattata 
crudelmente  dai  Romani,  499,  552. 

Tebe  di  Egitto  {Karnak),  iscrizione 
recentemente  illustrata,  I,  881  ;  ro- 
vine visitate  da  Germanico,  IV, 
262;  soggiorno  di  Adriano,  666; 
colosso  di  Memnone,  666  ;  ricordo 
di  Antonino  Pio,  710. 

Tectosagi.  —  Vedi  Volci  Tectosagi. 

Tegiano  (Diano),  città  della  Lucania, 

I,  294. 

Telamone  (capo  di) ,  disfatta  dei 
Galli,  II,  252. 

Telamone,  sulla  costa  d'Etruria,  tra 
il  monte  Argentario  e  la  foce  del 
lìume  Ombrone ,  occupata  dagli 
Etruschi,  1, 130  ;  città  e  porto,  159  ; 
vi  sbarca  Mario,  III,  212. 

Telchini,  I,  87,  91. 

Telesia  (  Telese) ,  nel  Sannio  ,  nome 
creduto  pelasgico ,  1 ,  80  ;  fondata 
da  una  colonia  Sabina,  255  ;  città 
dei  Sanniti  Caudini ,  262  ;  presa 
da  Annibale  ,  II ,  332  ;  presa  dai 
Romani ,  372  ;  devastata  da  Siila, 
III,  206. 

Teli,  capo  della  sollevazione  di  Sibari, 

II,  1.50. 

Tellene  (alla  (iio.ilra),  città  del  La- 
zio ,  abitata  dai  Siculi  e  poi  dai 
Pelasgi ,  1 ,  73 ,  542  ;  distrutta  da 
Anco  Marzio,_593. 

Tellenii,  fanno  guerra  a  Roma  per  i 
Tarquiniì,  I,  631. 

Tellure,  Dea,  I,  490,  IV,  .50;  tempio, 

III,  570. 

Telniisso  (rovine  a  Myes  o  Meis),  in 
Licia,  data  ad  Eumene  II  di  Per- 
gamo, II,  452. 

Ternesa.  —  Vedi  Tempsa. 

Temnos,  città  dell'  Bolide ,  nell'  Asia 
Minore,  danneggiata  da  un  terre- 
moto, IV,  251. 

Tempe  (valle  di),  in  Tessaglia,  II,  437, 
474;  fe  abbandonata  da  Perseo,  475. 

Tempeste  ,  tempio,  II,  295,  III ,  306  ; 
tempeste  divine,  IV,  6.56. 

Tempi  preistorici,  I,  33-49. 

Tempio  augurale,  I,  407-400. 

Tempio  dedicato  a  Traiano  da  Adria- 
.         no,  IV,  G19. 

Tempio  di  Gerusalemme  ,  IV  ,  4SI  ; 
difeso  da  Simone  Giora,  484  ;  in- 
cendiato, 486;  ruderi,  487;  le  sue 
spoglie  portate  a  Roma,  491-492  , 
499. 

Templi  etruschi ,  loro  forma,  I,  409, 
418. 

Templi  a  Roma  ,  li ,  279  ,  293-295  ; 
restaurati  e  inalzati  da  Augusto , 

IV,  32-3'ì ,  192  ;  ediflcatl  in  onore 

di  lui  li  ■:'-  |i!.  .l'i  ■■,  7:-7i .  iriiipii 
ricili  .:     '.  r'-<-(n9; 


costruzione  prov- 
11,  026;  sua  for- 
ilistinti  pei  Sena- 
li.  627,  III,  354; 
rili.  llJS-C-Ji)-  p,-,,- 


691,  7lJl', 


chi  popoli  italici,  I,  454. 

■rciiqi^a  CI  Teiiicsa  iTirrt'dcl  Pina' 

.'-■■   1 '■  ,-   iM  I   Ki-u/.io,   I,  29S; 


le  diviso  presso  gli  anti- 


Tened'i,  nell'.Vsia  Minore  all'ingresso 
dell'Ellesponto,  vittoria  di  Valerio 
Triario  sulla  dotta  di  Mitridate,  III, 
340. 

Tenteri,  tribii  Germanica  sulla  rive 
del  Basso  Reno ,  sconfitti  da  Ce- 
sare ,  III ,  437  ;  vinti  da  Agrippa, 
IV,  98. 

Tentyra  {Denderah),  in  Egitto,  nella 
sua  pianura  6  ricordato  il  nome, 
di  Antonino  Pio,  IV,  710. 

Teocrazia  in  Oriente,  I,  362  ;  in  Etru- 
ria,  363 ,  387  ;  in  Roma  moderna, 

Ti^ó'''i  ■     p.,ri,    IV,   119. 

■1      !  ' ,  maestro  di  retto- 

il       M,  IV,  243. 

'I.n,i,,Mi  \  h'if'i)  ,  sulla  costa  del 
(hiTsnneso  iaurico.  III,  225;  sì 
rivolta  contro  Mitridate,  351. 

Teodosio,  detto  erroneamente  edifica- 
tore del  Vallo  di  Adriano,  IV,  647. 

Teodoto  ,  pittore  greco  ,  burlato  da 
Nevio,  II,  603-604. 

Teodoto  ,  retore  greco  ,  propone  die 
sia  ucciso  Pompeo  Magno,  III,  505. 

Teodoto,  nel  censo  d'.\ugusto,  misura 
le  regioni  Settentrionali  dell'  Im- 
pero, IV,  50. 

Teognide,  poeta,  II,  128. 

Teramo.  —  Vedi  Intcr.urmia. 

Terentillo.  —  Veili    In-,  n/m    \r    i.    . 

Terenzia,  moglie  ili  i  ,  1:1   ,;^.'. 

Terenzia,  moglie  ili    -l  i,..- 

reggìata  da  .\u_  I  1  '  l\,  ;".  ili; 
lodata  da  Orazio,   V.v.K 

Terenzio  (Publio),  cartaginese,  poeta 
comico,  incoraggiato  da  Cecilio 
Stazio,  ir,  639-C40;  sue  commedie, 
640;  vì«in  la  fJn-'ia  .•  vi  ni-iorc, 
640;  ■■'■'  '  ■  •-' "■■    ]'<::-<■■    i:ll; 


642; 


Mimi,  646;  Tragetln,  i-r:- l'I  ,  i-  i-    ^  -mi  il  Ih  I  ■■:■•:•<. 

Vannucci  —  Storia  dell'Italia  antica  —  IV, 


scere  ai  Romani,  con  hnguaggio 
più  decente,  le  commedie  di  Me- 
nandro,  643-645;  familiare  di  Sci- 
pione Emihano,  651. 

Terenzio  Arsa  (C),  detto  Terentill", 
tribuno,  propone  che  le  leggi  siano 
eguali  per  tutti,  I,  822. 

Terenzio  Lucano  (Publio),  senatore, 
adotta  per  figUo  Publio  Terenzio, 
poeta  comico,  II,  640. 

Terenzio  Vairone  (C),  figlio  di  un 
beccaio,  console,  suoi  contrasti 
col  console  L.  Emilio  Paolo,  II,  333- 
356;  dà  battaglia  ad  Annibale  a 
Canne,  è  sconfitto  e  si  salva  a  Ca- 
nusio,  356-338;  ritorna  a  Roma 
per  sottomettersi  al  giudizio  del 
Senato,  .361  ;  ha  poscia  altri  ono- 
revoli uflìci,  sol  ;  guarda  con  due 
legioni  l'EIruria,  308. 

Terenzio  Varrone  (Marco),  sua  villa 
presso  Casino,  I,  236-237  ;  e  sua 
uccelliera,  III,  14  ;  comanda  due 
legioni  nella  Spagna  Ulteriore , 
491  ;  abbandonato  da  una  sì  ar- 
rende a  Cesare  coU'altra,  493  ;  sue 
poesie,  731-7.52,  790;  le  Satire  Me- 
ni^pee,  732-758  ;  ì  libri  della  itn- 
gua  fa()',i<(.  75.S-760;  tr.atlato  del- 
l'A^/v'ci-.'f-  ■  ',  7'-'t--';i  ;  scopo  mo- 
rale e  -!  '  '  n:  ritti,  761-7(>2: 
celeliiMi  il  ili  i  LI  liso  erudito, 
762-70-      I  I    ■   I"  r  eccellenza, 

745;    -  1     ;  I  >:    catalogo 

delle      I  :  1    -7  IO;  scrittore 

encic|ii|'  il  :i'-;.ii;  Logisto- 
rici.  7    '        I  li lOlogiche  e 

stori'li'     :    1  \    >'  del  popolo 

roinunn  e  liioj,;ifr  degli  uomini 
illustri,  751;  studii  filosofici,  751. 
l'erenzìo  Varrouo  Murena.  —  'Vedi 
Licinio  Murena  (A.). 

132 


1050 


INDICE 


TEBENZIO 


TIBERIO 


Terenzio  Vai-rone  (P.),  detto  Atacino, 
suoi  versi,  IH,  732. 

Tergeste  {Trieste),  elezioni  munici- 
pali, IV,  7S7. 

Terillo,  tiranno  di  Imera  in  Sicilia, 
D,  159. 

Terina  {Xocer(i\,  nel  Bnuio,  I,  298; 
d'origine  greca,  310;  colonia  di 
Ootone,  n,  96;  presa  dai  Bruzi, 
1S8. 

Tcrinea  o  Ligea  (Pietra  della  Nave 


Termanzia,  città  degli  Arevaci  nella 
Spagna  Tarraconese,  II,  532;  as- 
sediata respinge  i  Romani.  532. 

Terme  di  Agrippa,  ni,  669,  IV,  19.'>  ; 
incendiate  ai  tempi  di  Tito,  510  ; 
restaurate  da  .\driano,  679. 

Tenne  di  Benevento,  IV,  261. 

Terme  di  Tito,  IV,  514,  515,  603. 

Terme  di  Traiano  in  Roma  (presso 
la  chiesa  di  S  Martino),  IV.  603. 

Terme  Iinerensi  {Termini),  orione, 
II,  132;  quattromila  Romani  ivi 
uccisi,  217  ;  presa  dai  Romani,  224  ; 
Senato,  274;  colonia,  IV,  60. 

Termine,  Dìo,  I,  732-733,  769,  IV,  629. 

Termopili  (passo  delle),  vittoria  dei 
Romani  sopra  Antioco  re  di  Siria, 
II,  4)5. 

Terone,  tir.inno  di  Aerigcnto,  II,  la9  ; 
aiata  Gelone  a  vincere  i  Cartagi- 
nesi, 100. 

Terrarina,  detta  Aitxw  nella  lingua 
dei  Volsoi,  I,  238;  Giove  Anxui'O, 
Dio  del  luogo,  il  quale  forse  le  dio 
il  nome ,  381  ;  rovine  attestanti 
l'antico  splendore,  239-241  ;  ricor- 
daUt  nel  trattatM  <U  Roma  con 
Cartasinc,  727-.  fr-  ■  'Ir,  K  in  mi. 
S«7,  872;    coir.,,:  ,       .     1 1    M 

207,268;  vie  u-         i  I  :  :- 

ma.  IV,  631  :  p  il  >  -t,i,i;  iM 
Antonino  Pio,  UH:  alimenti  ai 
fanciulli,  810. 

l'erre  dei  vinti,  comiscatc  e  alienate, 
li,  545  ;  terre  distribuite  da  Cesare 
alle  milizie  e  alla  plebe,  III,  3.56. 
:r)7  ;  loro  prezzo  accresciuto  sotto 
Traiano,  IV,  562-563  ;  cadono  nelle 
mani  dei  grandi,  801.  —Vedi  Pro- 
IMi'fa  (Iella  terra. 
I    !  iviMiue  (le),  ricordi  dei  tempi  prei- 

li-i.  1,  40,  40. 
ierni.i^.ti   in   Italia   e    in   Sicilia,  I, 
S71-S75;   nell'Asia,    IV,    250-251; 
sotto  Nerone,  510. 

TertuUa  o  Terzia,  sorella   di  Marco 
Bruto  e  moglie  di  Cassio,  al  con- 
vegno d'Anzio,  III.  .579. 
Terzio  Giuliano,  vince  i  Daci  a  Tape, 
IV,  529. 

Teseo,  suo  abbandono  di  Arianna  ce- 
lebrato da  CituUo  e  figurato  dal- 
l'arte, III,  808-810. 

Tesmoforie.  —  Vedi  Feste  Tesmoforie. 

Tesoi-etto  etrusco,  I,  436. 

Tespia  in  Beozia,  spogliata  da  Ne- 
rone per  adornare  la  Casa  Aurea, 
IV,  404  ;  epigrafe  in  lode  del  cac- 
ciatore Adriano,  603. 

Tessaglia,  di'-hiar.ita  libera  da  Khi- 
uiinio.    11,    H>'-    i"    '-"i^'i-rn     ■■■■■--li 

Ktoli.  ■)':;■    I  i: 1  V    ["■■■'■'■'  "'  ■ 

osta;.-'!     i.  '     1        ■  :     :   '    'i  '     - 

invasi!  4  -_li  ^'ror'l;  i.  Ili ,  ''-^ ,  ■;  ■  - 
corre  Siila,  -.'iiO  ;  le  citta  prcs.'  ivi 
ila  Antioco  sono  riprese  dai  Ro- 
mani, 444  ;  vi  si  ripara  Cesare,  499  ; 
non  fa  parta  della  provincia  d'A- 
caia,  499. 
lessalonica  {Satonicfo).  creala  capi- 
tale di  ima  delle  iiuattro  confede- 
razioni  delUi  Macedonia,  lì,  483; 


arco  in  onore  dei  vincitori  di  Bruto 
e  di  Cassio,  III,  632;  sulla  via 
Einazia,  IV,  63. 

Tessere  teatrali,  U,  628-629. 

Testamenti,  non  più  sicuri  sotto  Do- 
miziano, IV,  539;  resi  liberi  da 
Traiano,  5"i9. 

Testatico,  II,  545. —Vedi  Imposizioni. 

Testrini  (presso  Amiterno  nel  terri- 
torio di  Viglinni)),  I,  219  ;  fondata 
dai  Sabini,  221. 

Teti,  sue  nozze  con  Peleo,  cantate  da 
Catullo  e  figurate  dall'arte.  III, 
807-808. 

Tetrico  {Termineìlof),  monte  del- 
l'Appennino in  Sabina,  I,  220. 

Teuta,  regina  d'niiria,  in  guerra  con 
Roma,  II,  247;  è  resa  tributaria, 
248. 

Teutate,  divinità  dei  Galli,  IV,  56. 

Tcutobodo,  duce  dei  Teutoni,  III,  121  ; 
condotto  da  Mario  in  trionfo  a 
Roma,  135. 

Teutoburgo  (selva  di),  nella  Germania 
occidentale,  ove  Arminio  distrusse 
le  legioni  di  Varo,  IV,  225-227, 
248,  271-272. 

Teutomalio,  re  dei  Salluvii.  vinto  da 
C.  Sestio  Calvino,  si  salva  fra  gli 
Allobrogi,  UI,  92. 

Teutoni,  loro  irruzione,  IH,  121-122; 
vi,i.-on.i  i  Rnm.nni  :i  Nm-eia.  122: 
,,i..  ,'!.,    ,1   1  ,-  I  I   "    I  iva.lono  lo 


da  Mario  ad  Acq  ir  s  ■:       l.'^i;'. 

Tevere,    Thybris,    T>  / 

Tibris,   I,  526,  .".li'.,  '         - 

menti,    .-)69  ;    sal\.'l  !i    i:    ii-  .1- 

'  -ll'atl'or- 

•    ■. .1      •        ■     '      alveo  al- 

i  ,  ■._:,!, ,,,M'--^  ■  '"  ^  i-iisto,  IV, 
■,',S;  siranpanicnni  .on  strage  di 
unniiui  e  case,  443;  nuova  via  al 
mare  apertagli  da  Traiano,  606. 

Texier.  sue  scoperte  nell'Asia  Mi- 
nori-   I    HO. 

Timi-  n  I  -'H  '  ili  '/,-;,v^(rto  in  Sar- 
.1.,     ,       MI     ;      r.oi-Ui,  II,  245. 

'Ih.  li  ,     .  ;  f'-ny) ,  città  ma- 

liii-iiii  J'-ll  i  Ki'H'-ena  nell'Affrica 
Pi-iipiia,  colonia  di  Adriano,  IV, 
0".5. 

Thensa,  carro  sacro  simbolo  dell'apo- 
teosi, IV,  .561. 

Theveste  (  Tebe/ma) ,  in  Numidia,  ri- 
cordi di  Adriano,  IV,  055,  657. 

Thiersch  (Federico),  sostiene  che  gli 
Etruschi  traessero  la  loro  civiltà 
dall'Asia,  I,  195. 

TianaiA'iJ  Hi^sar),  iii.Cappadocia, 
patria  di  Apollonio  Tianeo,  IV,  848. 

Tiatira,  importante  città  della  Lidia, 
presa  da  .\ristonico,  II,  538  ;  campo 
di  Eimbria,  IH,  247. 

Tiberiade  (lago  di),  IV,  458. 

Tiberiade,  città  primaria  di  Galilea, 

,„.,...,    ,].,    v..<pi'=i- ,    IV,    458; 

(;:,i.|.M    II-  i.i    ,1.  ■  .-1  ,■  .,    .|.-,S;   ri- 

'■,.;:,,    h  .    .     :,,    M.rf,.,  664; 

,1  ,     ,;         ,     ,  .     .  '  nulla    dei 

,,    ,        ,   .;,in,    \.v,,,  •.',  r,y.i. 

Il',   .i:   I   iis.iia),    si'iii'   di  Ksculapio , 

Il    ,'        .':I0;  esposizione  dei  serW 

111    IV,  35).  —  Vedi  Isola  Ti- 

Tibci'io   imperatore  111   , m    i    anli,, 
Nerone),  figlio  di  1       •   in       il  i 
figliastro  d'Auguri   .    Ni    ,,  1 1     l\ 

93;    fanciullo,  va  i-.inimu,!  .  ,,i  mhh, 

212;  con  Druso  vm.e  i  Heii  e- 
Vindelici,  93;  vittorie  in  l'annonia 
e  Dalmazia,  98;  assiste  in  Conna- 
nia  Druso  morente ,  e  ne  accom- 


pagna il  cadavere  a  Roma,  lOU; 
rende  tributari  i  Germani  e  tratta 
perfidamente  i  Sicambri,  103;  ri- 
Ijudia  Vipsania,  e  sposa  Giulia 
liglia  d'.\ugusto,  215;  si  ritira  a 
Rodi,  219;  dopo  la  mort?  di  Caio 
e  Lucio  ritorna  a  Roma,  219  ;  è 
adottato  da  Augusto,  219  ;  il  quale 
lo  obbliga  ad  adottare  Germanico, 
220;  preso  per  compagno  all'im- 
pero da  Augusto,  221  ;  sue  imprese 
jn  Germania,  221  ;  divisa  di  assa- 
lire Maroboduo  ed  è  costretto  a 
trattare  a  giusti  patti,  222;  sue 
vittorie  in  Pannonia  e  Dalmazia, 
223  :  conduce  nuove  legioni  sul 
Reno,  229  ;  attende  a  restaurare 
la  disciplina,  229  ;  trionfo  sui  Pan- 
noni  e  sui  Dalmati ,  2.'9-230  ;  col- 
lega di  Augusto  nel  potere  supre- 
mo, 231  ;  parte  per  1'  Uliria  ed  è 
richiamato  per  la  morte  di  Augu- 
sto, 232  ;  orazione  funebre  in  lode 
di  Augusto,  235  ;  elevato  al  trono, 
241  ;  sua  vita,  241  ;  sua  spada,  241- 
242;  indole,  studi  e  costumi  del 
nuovo  principe,  212-243;  chiamato 
dai  soldati  Biberio  Caldio  Merone, 
243;  fa  assassinare  Agrippa  Po- 
stumo, 243;  rifa  la  commedia  del 
non  volere  l'impero,  244  ;  non  va  in 
Germania  a  reprimere  le  legioni  ri- 
bellate, 250  ;  suo  governo  nei  primi 
anni,  2")0;  soccorsi  alle  città  rovina- 
te da  terremoti,  250-251  ;  prov%edi- 
menti  per  le  province  e  per  l'Italia, 
252  ;  temperanza  nel  denaro,  252  ; 
soccorsi  ai  p.)veri,  252-253  ;  freni  al 
lusso  e  ài  costumi,  253;  comizi  e 
giustizia,  254  ;  fa  impiccare  un  cit- 
tadino chiedente  la  sua  parte  dei 
lasciti  di  .\ugusto,  2.55-256  ;  paure, 
esitanze,  odii  e  tristizie,  256  ;  man- 
da Druso,  suo  figlio,  in  Illiria  e 
Germania,  258;  destina  Germanico 
a  ricomporre  1'  Oriente ,  258-259  ; 
rimprovera  Germanico  per  essere 
entrato  in  Alessandria,  262-263; 
ordina  che  siano  resi  gli  ultimi 
onori  a  Germanico  morto  in  Siria, 
267-268  ;  abbandona  alla  sua  sorte 
Pisene,  accusato  di  averlo  avvele- 
nato, 269;  premia  gU  accusatori, 
270;  ricusa  l'offerta  di  far  avve- 
lenare .\rminio ,  271  ;  sollevazione 
di  Tacfarinata  in  Aftrica,  274- 
275;  rivolte  dei  Galli,  275-277; 
Traci  e  Frisi,  277  ;  tentativo  di 
guerra  servile,  277;  sua  ferocia, 
277-278;  flagello  della  legge  di 
maestà,  278;  premii  ai  delatori, 
278-280  ;  accuse  e  condanne,  281  ; 
sua  impassibi;ità  alla  morto  del 
figlio  Druso,  286-287  ;  suo  mal'ani- 
nio  contro  i  figli  di  Germanico, 
287  ;  rifiuta  a  Seiano  la  mano  di 
Livilla,  289;  è.  eccitato  da  Seiano 
ad  allontanarsi  da  Roma,  289; 
condanna  Claudia  Pulcra,  289;  è 
sospettato  che  volesse  av\'elenare 
Agrippina,  2110;  va  a  Capua  e  a 
Nola,  "290;  cause  della  sua  par- 
tenza da  Roriia,  291;  invidia  e  in- 
gratitudine contro  sua  madre,  291  ; 
si  nasconde  a  Capri,  291  ;  e  la  ab- 
beliisce.  293-294  ;  il  Salto  di  Ti- 
/«■rw.295;  sue  crudeltà,  g95-296  ; 
|ir-Mvvede  al  disastro  di  Fidene,  296  ; 
il\  Il  .  ili  Seiano  nella  rovina  di 
Il  1  I  Ila  in  Campania,  296;  la 
I  ,  ,,|.  I,  li/.io  Sabino,  297;  accusa 
,■  Il  iii,.rii-e  Agrippina,  Nerone  e 
Diaiso,  297-299;  sospetti  e  arti 
contro  Seiano,  300  ;  scopre  la  con- 
giura del  ministro,  301  ;  e  ordina 
che  sia  ucciso,  302-304  ;  il  Senato 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1051 


TIGRANE 


TOLEMAIDE 


!SÌ\  offre  il  nome  di  Padre  dello 
Patria.  304;  hi  u'^ciderp  irli  amie 
e  parenti  ili  S.'i:iiin    :^iri    iinm.'iis 


pecunia  lapiia,  'il-ì-'ìl'ì;  sun  iii:i- 
lattia  e  morte,  315-31G  ;  onori  fu-  . 
nebri  a  Roma.  317  ;  lodato  da  Ca- 
ligola, 323;  disegna  di  farcia  via 
strate^ca  lungo  il  Danubio,  5G8; 
scrittore  purista,  863-8G4  ;  premii 
e  persecuzioni  agli  scrittori,  864- 
8G5. 

Tiberio  Alessandro,  giudeo  rinnegato, 
iroveriiatore  di  K^ilto  fa  procla- 
mare Vespasiano  impi-rature  dalle 
li-'iùui,  IV.  mi  ;  uiìi.iale  di  Tito 
all'assedio  di  Gerusalemme,  482. 

Tiberio  Gemello,  nato  da  Druso  fi- 
glio di  Tiberio,  lasciato  erede  da 
Tiljerio,  IV,  313-315  ;  obbligato  da 
t^aligola  a  uccidersi,  321. 

l'ilìerio  liiulio  Saiu-omate  ,  re  dei  re 
di  tutto  il  B.isfjro,  IV,  062. 

Til)icini  u  Subuli  iu  Etruria,  1,46.5-467. 

Tihisro  (7'/i<'iM),liume  tributario  del 
Dauul.io  nella  Dacia,  IV,  565,  .578. 

Tilnscuni  (presso  Karnnsebes),  città 
nella  Dacia,  IV,  580. 

Tibulfj  (.Vlbio),  unico  nel  non  piegarsi 
ai  polenti,  IV,  137  ;  sue  Elegie,  157- 
15S. 

Tiburi  (Ki'oZi) ,  città  del  Lazio,  I, 
.526,  553;  origine,  monumenti  e 
ville.  5.56-561  ;  vittoria  dei  Romani 
sui  Galli.  II ,  33  ;  priv.ata  di  parte 
del  suo  territorio,  50;  ha  il  privi- 
legio di  asilo,  263  ;  iscrizione  ali- 
i„.-Mtn,-in,  IV,  407;  villa  di  Plinio     | 


-I  air.vMl   11  '    <  Roma,   U,  34;  re- 

.sistono  ni  Romani,  48;  sconfìtti  a 

Pedo,  40. 
Tiburto   0   Tiburno,   eroe  fondatore 

.li  Tihuri,  I,  550. 
Tirile,  ciuartiere  di  Siracusa,  lì,  376, 

'1  iciila,  scrittore  di  versi.  III,  700. 

Ticino,  fiume  presso  rnv/rt.  Annibale 
vince  ivi  i  Romani,  II,  310. 

Ticino  (Pavia) ,  fondata  d,ai  Li;;uri  , 
I,  60,  IV,  9G;  altri  attribuir. .n.i  la 
sua  origine  ai  Galli.  I,  jSSB.  4^<^t»^ 

Tifata  (monte  di  S,(,i  Mccolrt),  monte 
o  serie  di  monti  o  colli  presso  Ca- 
pua,  I,  268,  281;  campo  di  Anni- 
bale, li,  360  ;  vittoria  di  Siila  sopra 
Norbano,  HI,  252. 

Tiferno  (Biferno),  fiume  del  Saunio, 
1,  242,  252. 

Tiferno  (parte  del  Matese),  monte,  I, 
242. 

Tin-rno,  città  dei  Pentri,  I,  2.59;  scon- 
fitte dei  Sanniti,  II,  77.  70. 

Tiferno  (Citta  di  Castello),  nell'Um- 
bria, I,  65  ;  villa  di  Plinio  il  Gio- 
vane, IV,  043;  tempio  fatto  co- 
struire da  lui,  944. 

Tifoni,  animali  chimerici,  figurati  nelle 
tombe  etrusche,  I,  437. 

Tigellino  (Sofonio),  nominato  da  Ne- 
rone capo  dei  pretoriani,  IV,  380  ; 
fa  uccidere  Rubellio  Plauto  ,  300  ; 
rinfacciato  da  una  ancella  di  Ot- 
tavia ,  301;  bamii.'tto  .la  hii  im- 
parato a  Neron.v  ;'i|  .  i-^  t  r. 
Petronio,  412  ;  .  ,■ 
messo  da  paiae,  i  '  ,■  fin  o.. 
da  Galba,  431,  i  im.,  im-iì-.  .la 
Ottone,  443. 

Tigellio,  cantore  e  familiare  di  Ottavio, 
assalito  dui  versi  di  Orazio,  IV,  l'ili. 


Tigrane  il  Vecchio ,  re  di  Armenia  , 
alleato  e  Erenero  di  Mitridate,  IH, 

■.'-?(■,■   lo    ti. Mie   Oliasi    pi-i.'i.iniero, 

;|o       n-n   a    il.    .      :,-    ,•    r,rlo    ai    Ro- 

i    '  l.iicullo, 

,  ■       \i.>i-;date, 

.111        Mlll..     .!i     an  :.    .    .la     Lil.'UllO, 

:;il  ;  rilà  lV>Ri-iv;iio.  342  ;  mette  una 
taglia  addosso  a  Mitridate,  346  ;  si 
accorda  con  Pompeo  pagando  un 
tributo,  346. 

Tigrane  il  Giovane,  figlio  del  prece- 
dente ribelle  al  padre,  ripara  pres- 
so i  Parti.  HI,  346  ;  si  presenta  a 
Pompeo  .  346  ;  il  quale  lo  destina 
a  re  della  Sofene,  346  ;  poi  lo  ar- 
resta, 3*6  ;  e  da  ultimo  lo  conduce 
iu  trionfo,  308. 

Tigrane.  di  Cappadocia,  amico  di  Ro- 
ma, fatto  re  d'Armenia  da  Corbu- 
lone,  IV,  390  ;  6  cacciato  dai  Parti, 
309. 

Tigranocerta,  capitale  deirArmeni.a, 
presa  da  Lucio  LucuUo,  HI,  341  ; 
si  arrende  a  Corbulone,  IV,  398. 

Tigri .  fiume  dell'.Asia ,  IV,  554 ,  616, 
618,  627,  782. 

Tiffurini,  popol.j  elvetico,  si  uniscono 
"ai  (il, r. ri  .  1,  I.  111.^11,111,  122;  nel 
pi.  .  I   lirogi    vincono   i 

R  ;  -   -1    ; .  emigrano  nelle 

(.1111.-  .  1  ;  '  .1  siiMitti  da  Cesare 
sull'Aran,  -iH. 

Tillio  Cimbro  (L.),  congiura  contro 
Cesare,  III,  552  ;  finge  di  supplicarlo 
in  favore  di  suo  fratello  e  dà  il 
seguale  della  uccisione,  .558  ;  con- 
fermato al  governo   della  Bilinia, 

Timageiie  ,  greco  malèdico  ,  scrittore 
di  storie,  cacciato  dalla  corte  da 
Augusto  e  accolto  da  Asinio  Pol- 
lioiie,  IV,  175. 

Timeo  (la  Locri,  discepolo  di  Pita- 
gora, II,  133-154. 

Timoleone,  di  Corinto,  rende  la  libertà 
alla  Sicilia,  li,  180  ;  vince  i  Carta- 
ginesi al  Crimiso,  180;  muore  ono- 
rato a  Siracusa,  181. 

Tindari  (presso  Patti),  in  Sicilia,  co- 
lonia greca,  rovine,  H,  129,  131  ; 
hattaglia  navale ,  218  ;  presa  dai 
Romani .  223  ;  Senato,  274  ;  presa 
.la   \  grippi.  Ut,  6.53;   colonia  di 

riii_        :      I  i'  /''.lira  o  Tarifa), 

il  i  I  -|.  !_,,  .  Iifti.ia,  patria  di 
l'ùi.i|.oi.iu  .Maa,  1V,'918. 

Tingi  (Tauijer),  nella  Mauritania 
Tingitana,  visitata  da  Q.  Sertorio, 
HI,  292;  sulla  via  conducente  a 
Cartagine,  IV,  69. 

Tinia  e  Tina.  —  Vedi  Giove ,  detto 
Tinia  dagli  Etruschi. 

Tinnio  o  Tineio  Rufo,  governatore 
della  Giudea,  sconfitto  da  Harco- 
cheba,  IV,  684. 

Tiora,  città  pelasgi.;a  nella  Sabina,  I, 
77,  78. 

Tiranni,  idee  degli  antichi  sulla  loro 
uccisione,  IH,  563-564. 

Tirannicidi,  HI,  563-564;  loro  ima- 
gini,  617,  618. 

Tiriiiate  ,  fratello  di  Vologeso ,  cac- 
ciato d'jVrmenia,  IV,  398;  si  sot- 
tomette a  Corbulone  ,  309  ;  si  ob- 
bliga di  venire  a  riprendere  la  co- 
rona dalle  mani  di'  Nerone ,  309  ; 
prandi  accoglienze  a  Roma,  41.5- 
417;  sua  morte,  613. 

Tirii,  f.nidano  Cartagine,  II,  324. 

Tirio  o  Turio  dei  IJruzi  (Tiriolo),  I, 
307;  vi  fii  trovjito  il  testo  del  .Se- 
nato-consulto contro  i  Baccanali , 
li,  502. 

Tiro  (.Su--),  famosissima  città  di  Fe- 


nicia, suo  porto,  H,  513;  merci 
portate  di  la  a  Roma,  IV,  207. 

Tirone  (Sabino),  scrittore  di  oriicul- 
tura,  IV,  115. 

Tirreni,  opinioni  degli  scrittori  sulle 
loro  oriiini,  I,  lOti,  201,  20.5.  — 
Vedi  Etruschi. 

Tirrenia ,  nome  dato  all'  Italia  occi- 
dentale.  I,  36,  57,  122. 

Tirreno  (mare),  Pompeo  lo  libera  dai 
pirati,  IH,  333. 

Tirteo,  p.jeta  eccitatore  alle  pugne, 
ammirato  da  Orazio,  IV,  140. 

Tisca ,  regione  d'Affrica ,  tolta  da 
Massinissa  ai  Cartairinesi,  II,  502. 

Tisia,  nel  Bruzio,  I,  307. 

Tisippo ,  feroce  capo  dei  partigiani 
di  Roma  in  Etolia,  U,  485. 

Tissa,  dimora  dei  Siculi,  li,  108. 

Titinio,  poeta  comico,  II,  646. 

Tito,  figlio  di  Vespasiano,  va  col 
padre  contro  i  Giudei ,  IV,  4.57  ; 
sua  prodezza  a  Gamala  e  a  Tari- 
chea  ,  459 ,  550  ;  viaggi  in  cerca 
di  buone  venture,  4ii0-461;  amato 
da  Berenice ,  462  ;  ha  il  governo 
della  Giudea .  464  ;  fatto  console  , 
473  ;  è  mandato  ad  espugnar  Ge- 
rusalemme ,  480  ;  la  assedia  e  ia 
strazio  dei  prigionieri  ,  482-483  ; 
prende  la  fortezza  Antonia,  484; 
incendia  il  tempio  ,  486  ;  occupa 
Sion,  486-487  ;  feste  per  la  vittoria 
a  Berito  e  a  Cesarea,  488  ;  ritorna 
a  Roma ,  488  ;  accolto  lietamente 
dal  padre  e  messo  a  parte  di  tutti 
gli  uflici  della  p.:ti-n7a   imprTÌ.ale, 

489;  trionfa  <',■  '■:  :  '   i.  48.9- 

402;  fitto  ..li  :  p  .1  .  404, 
.503;  mercaii'L-_  .1  pub- 
bliche, 497;  i.i  iiu^ualai'j  Ceci- 
na, 506;  succede  .ài  padre  nel- 
r  Impero  ,  506  ;  sua  gioventù  e 
suoi  studi ,  507  ;  non  buono  pri- 
ma di  l'ssei-e  imperatore,  ,50S  ;  deli- 
zia ile:  :;.  in  iv  i,.„ ilii' .11.1,509; 

P'-' -    r„-elo 

ti.ai.    :i  li.   ■  ■  .      p  .  I.  510; 

granili  .'ili;  m  Ti  piiVi,r,,-| -.-orse 

da  lui,  510;  liiaietica  i  danneggiati 
dal  Vesuvio,  513-514  ;  monumenti, 
514;  terme,  514,  515;  dedica  l'anll- 
teatro  Flavio,  515-51G  ;  malattia  e 
morte,  518-519,  520  ;  compianto  da 
tutti ,  510  ;  meno  che  dal  Giudei , 
519;  leggenda  di  Tito  pi-esso  di 
quesli.  519. 

Titoli,  introdotti  .la  A.lr.fin.i.  IV,  6-33. 

Titti,  tribù  de''  e  .  :t.ii  i      II    :.;■.'. 

Titurio  Sabino  -M  '   -are, 

vince  gli  In  .      Il      1  1  preso 

da  Ambiori!.'    .    u     is  ..   li:    143. 

Tizii ,  fratelli  ,  incaricati  della  cura 
del  culto  sabino,  I,  729. 

Tizio,  divorato  dagli  avvoltoi.  III, 
801. 

Tizio ,  ufficiale  di  Antonio ,  uccide. 
Sesto  Pompeo,  HI,  657. 

Tizio  (M.) ,  diserta  da  Antonio  e  si 
reca  a  Roma,  IH,  673. 

Tizio  (P.),  tribuno,  fa  approvare  l'u- 
surpazione dei   triumviri,  HI,  007. 

Tizio  Sabino,  cavaliere  romano ,  uc- 
ciso perché  amico  alla  famiglia  dì 
Germanico,  IV,  297. 

Tizzoro  (campo  di) ,  sconfitta  «li  Ca- 
tilina,  IH,  380. 
ilemo ,  artisff 
Verre,  HI,  320. 

Tmolo,  città  di  Lidia  sul  monte  del 
medesimo  nome,  IV,  2"1. 

Toante  d'  Etolia,  Antioco  re  di  Siria 
pattuisce  di  consegnarlo  ai  Ro- 
mani, II,  449. 

Tftga  ricamata  d' oro,  IV,  82. 

Tolemaide  di  Fenicia  (S.  Giovanni 


1052 


INDICE 


TOLENO 


TRAENTO 


TREMELLIO 


d'Acri),  colonia  romana,  IV,  369; 
Vespasiano  vi  raduna  le  truppe 
destinate  contro  i  Giudei,  457; 
ricordi  di  Adriano  nelle  monete, 
GG4. 

Tolcno  ITirrano),  detto  per  falsa  le- 
zione anche  Telonio  e  Telone,  fiu- 
me tributario  del  Velino,  III,  183. 

Teleria ,  città  del  Lazio  (a  Valmrm- 
tone  o  a  Zogarolo) ,  1,  527  ,  553  ; 
fa  ffuerra  a  Roma  per  i  Tarqui- 
nii,''C31. 

Tolero.  —  Vedi  Trero. 

ToUa  (presso  Civitavecchia),  sepolcri 

»     etruschi,  I,  172. 

Tolomei  di  Egitto  ,  alleati  di  Roma , 
II,  42». 

Tolomeo  Apione ,  re  della  Cirenaica, 
lascia  erede  Roma,  III,  157. 

Tolomeo  Aulete,  re  d'Egitto,  cacciato 
dai  sudditi  e  rimesso  in  trono  da 
Gabinio,  III,  4G1,  511;  suo  testa- 
mento, 505. 

Tolomeo  Dionisio,  re  d'Egitto  e  fra- 
tello di  Cleopatra,  III ,  505  ;  vìnto 
da  Cesare ,  muore  affogato  nel 
Nilo,  511. 

Tolomeo  Filadolfo ,  fondatore  della 
biblioteca  di  Alessandria,  III,  511. 

Tolomeo  Neotero,  fratello  e  marito 
di  Cleopatra,  messo  con  lei  al  go- 
verno dell'  Egitto  da  Cesare  ,  III , 
512  ;  uccìso  da  Antonio,  G35. 

Tolosa ,  città  dei  Volci  Tectosagi,  si 
ribella  ed  è  presa  e  derubata  da 
Q.  Servino  Cepione,  III,  123  ;  aiuta 
V.  Crasso  contro  gli  Iberi ,  436. 

Tolunnio ,  re  dei  Veìenti  ,  ucciso  ,  I , 
800,  871. 

Tombe  puniche.  II,  .522,  523. 

Tomi  (Kùstendje) ,  nella  Scizia  ri5- 
mana  del  Ponto,  IV,  C8  ;  esilio  di 
Ovidio,  162,  103:  epigrafe  in  ono- 
re di  Adriano,  G02-6S3. 

Tortyiio  (C),  tutore  di  Ottavio,  pro- 
scritto, lU,  608. 

Torbia  (sopra  Jl/o.c/.  ,  .  /,  ,'■  _ 
■na),  nella  sommii  '  :  1  ii  ,  ^l  - 
rittimc,  trofei  di  Am^  ,        [  \ 

Torio,  tribuno,  con ^  n    l._j, 

le  usiirp.azioni  dei  ri.-chi.  Ili.  Wl. 

■'■■rio,  1,'^-ato  di  Cecilio  Metello  in 
spairna.  è  sconfitto  e  ucciso  sul- 
l'Aiia,   HI,  20). 

■i-.M-l-'M    (\l,...-,„rlrnì.    suoi    gr.-indi 


Toro  SabellicK,  111,  177,  183. 

Tortura,  usata  coi  servi,  IV,  .376, 
377  ;  sotto  r  Impero  diviene  modo 
di  prova  ordinario  con  servi  e 
padroni.  812. 

Tougeni ,  Elvezii  tra  i  laghi  di  Z>i- 
ngn  e  di  Costanza,  sì  uniscono 
ai  Cìml>ri  e  ai  Teulcni,  111,  122. 

Trabea,  pnrr.  .   .mpM,  II,  rir,. 

Traci,  alla  i  :  ■  :.  .:  l'nhia,  U, 
479  ;  uniti  i    ..irrono 

lino  alK'  \  ìm  mi  •  Illa  batta- 
glia di  11,.  ,        : 

Tracia,  n.ir,  ■  ,  ,  i.^  ,  Minnalc  o- 
rientali-  .1  ,  I  :  ,.  ,  :  m  liuvsla  ili 
aiuto  ila  i  il.ii|i  .  ii     M    .  .  .I.ni.-i.  U. 

aiuta  Antonio  colili  I.  '  '        ,,    i,: 
strade,  IV,  68;  ,Ip  i  i 

tra  due  re,  87  ;  i  imIì  ,  ,  ,,,,  ,,  i  , 
sotto  Tiberio.  277.  ii.l.,ii..  a  ,.,.,- 
vincia  romana  sjttu  Claudio,  -.H'J  , 
colonie  di  Ve.spasiano  ,  405;  inva- 
sioni dei  Daci,  567;  ricordi  di  An- 
tonino Pio,  715. 
Tradizioni  mìtiche,  che  ricordano  an- 
tichi fenomeni,  I,  20-31. 


Traento  {Trionfo),  fiume  della  Ma- 
gna Grecia,  I,  319;  battaglia  tra 
Crotoniati  e  Sibariti,  321. 

Tragedia  latina,  II,  612,  616,  647-649, 
HI,  791,  IV,  116,  160,  174,  875-876. 

Traiana  (colonna).  —  Vedi  Colonna 
Traiana. 

Traiana,  fortezza  sul  Meno,  IV,  554. 

Traiana ,  fossa  dal  Tevere  al  mare , 
IV,  606. 

Traiano  (Ulpìo) ,  padre  dell'  impera- 
tore, ufnci  militari  e  civili,  e  ono- 
rificenze, IV,  530-551  ;  deificato  dal 
figlio,  551. 

Traiano  (M.  Ulpìo),  adottato  da  Nerva 
gli  succede  all'impero,  IV,  ."49, 
552  ;  tirocinio  e  primi  governi,  551  ; 
comprime  le  sedizioni  dell'  Alta 
Germania,  .551;  vendica  Nerva, 
552  ;  raft'orza  l' impero  in  Germa- 
nia. 552,  554  ;  scarse  e  non  chiare 
notizie  dei  fatti  suoi,  553  ;  colonie 
!■  fortezze  sul  Danubio  e  sul  Reno, 
."i")4-.")5'>  ;  dopo  due  anni  ritorna  a 
Roma  ed  è  accolto  con  festa,  555  ; 
modello  del  prìncipe  cittadino, 
.5.55-536 ;  non  sospettoso,  né  fa- 
stoso, né  ambizioso,  5.57  ;  suo  be- 
nefico e  provvido  governo  ,  558  ; 
giustizia  e  denaro  pubblico,  5.59; 
ha  il  titolo  di  Ottimo  ,  559,  623  ; 
sue  memorie  sulle  guerre  dì  Dacia, 
5.59,  583;  il  Panegirico  di  Plinio, 
.5G0-.562  ;  governo  delle  provìnce, 
5G2  ;  freni  alle  brighe  ,  562  ;  suo 
carteggio  con  Plinio  governatore 
in  Bitinia,  563;  sua  grande  opero- 
.sità,  563-564;  persecuzione  ai  Cri- 
stiani e  alle  Associazioni ,  564  ; 
vuol  ridurre  la  Dacia  a  provincia, 
.565,  568-,  via  Traiana  lungo  il 
Danni. lo.  f=,(lS-570  •  f  m-/»  n-\te  con- 


I  II  I  a]!..  ,   %::      iirriiflr    Sar- 

■  I  .  .572  ;  vane  trattative 
i:  |i  1  .  .".72-573;  vince  Decebalo, 
-  '  I  '■  gli  detta  la  pace,  .574; 
i.rna  a  Roma  trionfante  e  prende 
il  nome  di  Dacico,  574-575;  f.i  co- 
struire il  ponte  sul  Danubio,  576- 
.577;  seconda  guerra  dacica,  .578; 
riprende  Sarmizegetusa,  578-579; 
riduce  la  Dai  -  a  |,r..x  la.ia  ,  ,579- 
.580;  lanpoi.,,;,  |„  :,  ,:,  ,, .ionie, 
.5.S0;  pre.1.-,  •:  ■  ..  ,  l.,.i,  .581- 
.582;rironli.i  a  ,i.Ma,..VS.'-583; 
sni;  l'i"  !.■  I  nr  ncll.a  i.-ulonna 
'l'iai!  lóro   Traiano, 

.'■  •'<-■  .  MI -li  Arabi,  COI; 
•^■'■•'  I  a,  (;02;  chiamato 
.■11.  !i  -  '  .1  11. lo.  602;  edilìzi 
1,.  1103-604;  Circo 
Ma-    1.1  ...  .1    .  lotto  dell'Acqua 

II  il  1  |i  I  ti  di  Ancona  e 
di  I  i\  I  i  .  !i,  1  ,  (105;  porto  dì 
().<ti.a,  (lo.;-,  vir  restaurate  e  co- 
struite di  nuovo,  007-009;  riordina 
li'  poste,  009;  Fòro  Traiano  a  llypsa 
in  Sardegna,  609;  il  ponte  sul  f  ago 
e  il  canale  del  Nilo,  010  ;  provve- 
dimenti presi  pel  tempio  di  Apollo 
;i  Delfo,  Oli  ;  spedizione  in  Oriente, 
'lU-fd:',;  di.hi;u-a  iln-  IWrmenia 
■'il I.'    .1.    lai  .    ài  1,    M.aive   ad 


.Vniieniu,  ol.i,  mlnnri.  .-i  l'art ama- 
siri  di  presentarsi  a  lui,  613;  lo 
accoglie  ai  confini  di  Armenia, 
613-614;  e  lo  fa  uccidere,  614;  fa 
sentire  la  sua  potenza  a  tutte  le 
genti  dal  Caucaso  fino  al  Mar 
(.'aspio,  C13  ;  si  salva  dal  terremoto 


di  Antiochia,  613;  invasione  della 
Partia,  615-616  ;  salutato  Partico, 
016;  riduce  a  provincia  l'Assiria 
e  assale  Ctesìfonte,  616;  rivolte 
dei  popoli  in  Asia  e  in  Affrica, 
618;  dà  un  nuovo  re  ai  l'.irti,  618, 
619;  sua  ritirata,  620;  vinto  ad 
Atra,  620-621  ;  ritorna  ad  Antio- 
chia, 621;  muore  a  Selinunte, 
sulla  costa  occidentale  della  Ciu- 
cia, 621  ;  le  sue  ceneri  sono  sep- 
pellite nella  base  della  Colonna 
Traiana,  621  ;  deificato  e  celebrato 
con  spettacoli  Partici ,  621  ;  qua- 
lità dell'uomo  e  del  prìncipe,  622  ; 
consacrazione  della  sua  virtù  nel 
medio  evo,  623-624  ;  ordina  e  in- 
grandisce il  beneficio  dei  pubblici 
alimenti  ai  fanciulU  poveri ,  802- 
806;  sua  eloquenza,  873;  ristora 
colla  libertà  tutti  gli  studi,  873; 
suo  tempio,  600. 

Traile  (Gnzel  Hissar) ,  città  della 
Caria  nell'Asia  Minore,  data  ad 
Eumene  II  dì  Pergamo ,  li ,  452  ; 
si  ribella  a  Mitridate,  HI,  214. 

Transitoria ,  casa  costrutta  da  Ne- 
rone, bruciata,  IV,  402. 

Trapezunte  (Trebiswida) ,  città  del 
Ponto,  IV,  68;  porto  costruito  da 
Adriano,  002. 

Trasea  Peto  (P.),  abbandona  il  Senato 
quando  esso  ringrazia  Nerone  di 
aver  uccisa  la  madre,  IV,  387; 
accusato,  413-414  ;  sua  morte,  415  ; 
sua  vita  scritta  da  Aruleno  Ru- 
stico, 540;  assistito  negli  estremi 
momenti  dal  filosofo  Demetrio,  834  ; 
parente  e  amico  dì  Persio,  880. 

Trasibulo,  tiranno,  è  cacciato  da  Si- 
racusa, II,  161. 

Trasiilo,  astrologo  di  Tiberio,  IV, 
309,  '310. 

Trasimeno  (lago),  battaglia  di  questo 
nome  presso  Tuoro,  II,  345-347. 

Treba  o  Trebia  [Trevi),  città  degli 
Equi,  sulla  destra  dell' Aniene,  I, 
229-230  ;  prosa  da  Coriolano,  791. 

Trebellio  (L.),  si  oppone  a  Dolabella, 

Trebia  (  Trevi) ,  città  dell'  Umbria , 
tra  Folirino  e  Spoleto,  I,  65. 

Trebia  (Trebbia),  fiume  nella  Gallia 
Cisalpina,  IV,  636;  famoso  per  la 
vittoria  dì  Annibale  sui  Romani, 
li,  .341-342. 

Trebonio  (Caio),  legato  di  (tesare  nelle 
Gallie,  espugna  Marsilia,  III,  491 , 
governatore  dì  Spagna,  551  ;  fatto 
console  da  Cesare,  congiura  con- 
tro di  luì,  .552;  trattiene  M.  Anto- 
nio mentre  i  congiurati  uccidono 
Cesare,  .558  ;  confermato  al  governo 
dell'  Asia ,  570-571 ,  ucciso  a  Smir- 
ne da  Dolabella,  .505-596  ;  autore  ili 
versi  satirici,  791. 

Trebonio  (Lucio),  tribuno,  esclude  dal 
tribunato  i  patrizi,  I,  8".4. 

Trebula  {Treolie),  città  della  Cmi- 
panìa  e  in  origine  probabilinenie 
del  Sannìo,  1,  278;  ricevi^  la  lit- 
tadinanza  romana ,  II ,  78  ;  presa 
da  Fabio  Massimo  ,  309  ;  Adriano 
diviene  il  suo  genio  tutelare,  IV, 
037. 

Trebula  ,  città  pelasgica ,  in  Sabina, 


-78. 


Trebula  Mutuscà  o  Mutuesca  (Mon- 

telcone),  città  dei  Sabini,  I,  78. 
Trebula   dei    Suffenati  (Montorio) , 

città  dei  Sabini,  I,  78.      , 
Tremellio  Scrofa,  questore  di  Crasso, 

vinto  da  Spartaco,  III,  309. 
Tremellio   Scrofa   (Lucio),  questore, 

prende  e  uccide  il  secondo  Pseudu- 

filippo,  II,  495. 


DEI  NO]\II  E  DELLE  COSE. 


1053 


TREMERÒ 


TULLIO 


Tremerò ,  una  delle  isole  Diomedee, 
presso  le  enste  d'Apuliu,  dette  ora 
dt  Tr,-.,-,'i.  ;.,.,_,,  ,1  ...ilio  della 
seeoH.I:.   ...  I      .1     i\,  219. 

Trero   o   T.  :      .  ..iituso  col 

Toleno  I.  1 .  l.jiii...  im ].■!  Volsci, 

tributario  del  Liri,  1,  ^.i,',  -234,111, 
183;  vittoria  degli  Italici  rivoltati 
sul  console  P.  Rutilio  Lupo ,  182, 

m. 

Tre\-i-nto  {Triffiìtn),  ritta  deiPentri, 

1.  2.5-). 
Trevi   (f.jiit.an.a  di),  IV.  i'). 
Treviri  (  Trca'x),  nella  Callia  Belgica, 

III,  4:57;  vinti  da  Labieuo,  443; 
non  si  uniscono  à  Vercingetorige, 
44.5  ;  repressi  ai  tempi  di  Augusto, 

IV,  85  ;  rifugio  di  Agrippina  nella 
rivolta  delle  legioni  del  Reno,  24C  ; 
ardenti  fautori  di  Vitellio,  441  ;  ec- 
citati a  rivolta  da  Civile  si  dichia- 
rano liberi,  476  ;  battuti  a  Bingio 
e  a  Riffodulo,  477;  vincitori  di  Ce- 
ri'il..,  i.  |i..i  ^..MiHìtti  da  lui,  478. 

Tre/,  i;.  ./.■  '  ...'..  .icirArg'jlide,suo 
-.  I  .  .     1     '       .    :    i|.ed;iiieiit.i    al  ge- 

Ti'i  M         !:     _  .'     '  -.-     r.vì'ello  di 

\r    ,    ..  .•  .     '\      (Ó3. 

Tri I         ,  1     :  -.      I     :...na,  60.-); 

I.i  ...II.  ..  :   .\iebuhr , 

'■'I  .    urbane  e 

!■■•■■   <     .....      -  .'  .     707  ;  au- 

!..  1  ..[Ue    dopo 

1;.  ....irriì-t.,  .i-  Il  il,  ,,  II,  13,  36, 
.■(>,  7S,  2.")7,  2^:5;  i  iiuuvi  cittadini 
esclusi  da  esse ,  e  rilegati  in  otto 
o  dieci  tribù  a  parte.  III,  IO.";. 

Tribuni  dell'  erario.  III,  317-318. 
•ibuni  militari  conpotest 
I,  85.5-8.iC,  864,  II,  22. 

Triliuui  militari  creati  dalla  plebe,  II, 
32  ;  tribuni  milituni  a  l'Opuln  , 
IV,  788. 

Tril)uni  della  plebe,  loro  origine, 
numero  e  ufficio,  I,  782-783;  vi- 
c-ende  e  cambiamenti  del  tribuna- 
li!, 786-788;  chiedono  l'esilio  per- 
petuo di  Coriolano,  790;  propon- 
gono le  leggi  agrarie  ,  794-804  ; 
.■ir<|uÌ9tano  il  dìritt  1  di  citnrc  ì  con- 


i;     I  :,iibii  eche  i  plebei 

I .i     '■  .       .'  consoli,  854-S55; 

in  :   ii:itrizi  per  render 

:i.  .■  1               ..   1.     ■i|ii'erae  ma- 

-     !.  .  '  >                   .la  divì- 

:-i I  1.  .  I    r      ..I    ■■>..    ..  >^79;au- 

1..m::.  .1     .    |.      !  '.       ■   ■<-::<:i  ;   loro 

<  "  ..  ì  ,  :;;  "  .  .  .  .  Il  i|uasida 
Ni:i  .,   y,  :  i   :  1.1  Ica  di- 

temi.i  .,  .  !■  ..Mi...  .  ;:  ,-  .i  7  ;  jiotestà 
lnl„u,iiia.U:>;ai„<p,.,..il.,n,  IV,  21; 
iutercessiuiie  soppressa,  812. 

Tribuni  della  plebe  nei  municipii,  IV, 
78S. 

Tribuni  di  regione  in  Roma,  IV,  2fi. 

Tributi.  —  Vedi  Imposizioni. 

Trica  (presso  Arpi).  nell'Apulia  Dau- 
nia,  città  proverbiale  per  la  sua 
piccolezza,  I,  353. 

Triclinio,  mensa  romana,  lusso  e  vo- 
luttà di  esso,  IV,  822-823. 

Tricrini  (!),  fanno  guerra  a  Roma  per 
i  Tarquinii,  I,  631. 

Tridento  (r-Y'/ìfo),  invano  difesa  da 
().  Luta/io  Catulo  contro  i  Cimbri, 
111,  131  ; 


f  polazioni  soggette  a  quel  munici- 

pio, IV,  252. 

Trieute,  terza  parte  dell'asse,  II,  30n. 

Trifauo,  presso  Sinuessa,  vittoria  dei 
Romani  sui  Latini,  II,  48. 

Trifone.  —  Vedi  Salvio. 

Trimalcione.  nel  fiatirico  di  Petronio 
Arbitro,  IV,  899. 

Trinachia,  dimora  dei  Siculi,  II,  100; 
distrutta  dai  Siracusani,  !(',:!. 


Trinobanti  (Hertford  e  EsxexY  tribù 
dei  Brettoni,  IV,  345  ;  si  ribellano 
a  Nerone,  39G. 

Tjidcala  (presso  Caltabellotta),  in  Si- 
cilia, li,  104  ;  capitale  dei  servi  ri- 
bellati, HI,  140-141  ;  assediata,  142. 

Trionfi  etruschi,  I,  691,  693. 

Trionfo  a  Roma  nei  tempi  imperiali, 
.augusto  non  concede  quesl'  onore 
che  ai  suoi  parenti  o  amici,  IV,  82  ; 
ornamenti  trionfali,  82  ;  trionfo  sui 
Giudei,  4S9-193. 

Triopee  (iscrizioni),  IV,  7C4. 

Tripode  etrusco,  scoperto  a  Vulci,  I, 
432. 

Tripondio,  tre  assi,  II,  309. 

Triquetra.  —  Vedi  Sicilia. 

Trittolemo,  inventore  dell'  aratro,  I, 
88,  IV,  260. 

Triumvirato  di  Pompeo,  di  Cesare  e  di 
Crasso,  III,  40(i,  463,  756;  di  An- 
tonio, di  Ottavio  e  di  Lepido,  606. 

Triumviri  capitali,  II,  30(3. 

Triumviri  monetali,  11,  307. 

Triumviri  notturni,  II,  307. 

Trivico  (presso  Ariano),  nel  paese  de- 
gli Irpinì,  I.  2C4. 

Troade,  acquidotti  di  Adriano,  IV,  664. 

Troesrni  {Iglitzn),  nella  Mesia  Infe- 
riore, IV,  570. 

Trofei  di  Mario,  III,  135-136. 

Trofimo,  fonda  a  Roma  il  Collegio  dei 
devoti  Nurninis  Dominorum,  IV, 
489. 

Trogilo,  porto  di  Siracusa,  II,  376, 
380. 

Trogo  Pompeo.  s,„,  >;t„ri..    IV.  181. 

Troia,  sua  cjloin  .  ..  I  I  i  i  .,  I.  532- 
333;   credei!/.    ..   .    i:  n    di  di- 

scendere d.i  .  .-      i 

Trojanovgrad.  i.,   -.i',  :      I\.  .'.S3. 

Trombe  tirreniche,  1.  4iM. 

Tropea,  nel  Bruzio,  I,  3U0. 

Trossulum  (Trosso),  nel  territorio  di 
V.ilsini'j,  rovine  etrusche,  I,  130. 

Trntil  .  i.-.i.-'.  !    .  (Il  .  l'i.idatodai  Dori 


Tr. 


comune    ui 


Truento  ^J,-o„ln,,  li. une,  I,  225-226. 

Truento  (Cirihi),  citta  dell'Agro  Pai- 
mense,  rovine,  I,  226-227. 

Truppe    —  Vedi  Milizie. 

Tuberone.  —  Vedi  Klio  Tuberonc. 

Tucci  detta  Augusta  Gemella  (iV/ai-to.?), 
nella  Spagna  Betica,  IV,  60. 

Tucidide,  storico,  fa  parte  della  colonia 
Ateniese  fondatrice  di  Turio,  1, 321. 

Tuderte  (  Todi) ,  città  degli  Umbri , 
1 .  65  ;  statua  detta  del"  Guerriero 
ivi  trovata,  64,  431. 

Tul'ico,  nell'Umbria,  elezioni  munici- 
pali, IV,  787. 

Tuie  (Mainlaiid  o  Islanda?),  isola 
dell'  Oceano  settentrionale,  veduta 
da  Giulio  Agricola,  IV,  .527. 

Tullia,  figlia  di  Servio  Tullio ,  passa 
col  carro  sopra  il  cadavere  del  pa- 
dre, I,  CU8-609. 

Tullio    Cicerone   (Marco),    nato    ad 


Arpino,  I,  235;  prende  parte  alla 
guerra  contr.j  gì  Italici  s.jtto  .Vsco- 
li.  III,  187;  ..i-.-.i.'.  .u:..'_-_ .osa- 
mente le   viiiii,.  I.      1       .  Il  di 

nobili  suoi  fan.  1 1,  i.'i  -o^iieiie. 
come  pretore  .  l.i  le;,':,'e  Manilla , 
:i43-344  ;  difende  le  leggi  proposte 
da  C.  Cornelio ,  355  ;  difende  Ra- 
birio  e  il  Senato,  .359  ;  suo  poema 
su  Mario  ,  360  ;  primi  saggi  ora- 
torii,  301  ;  suoi  studii  in  Grecia  e 
in  Asia,  .361  ;  primi  ufiìci  pubblici, 
302  ;  sua  amicizia  per  Pompeo , 
:ì62  ;  sua  indole,  362-363  ;  inteso  a 
unire  libertà  e  umanità,  364;  si 
studia  conciliare  le  parti  contrarie, 
365  ;  nominato  console  ,  366  :  sue 
orazioni  conir.j  la  let'ge  agraria 
di  Riill  ..  ;."-  ■■  .|.  azioni  conso- 
lari   e    |...!  ,     ;  ,     ;    solo    si    Op- 


nosce  1  dise^ 
Ottiene  aut. 
impedisce  e! 


dal 


su  Pompea ,  401  ;  e  sua  freddezza 
con  esso ,  402  ;  fa  testimonianza 
contro  Clodio,  403  ;  e  si  trova  com- 
promesso, 404;  sostiene  la  legge 
agraria  di  Flavio,  404  ;  chiama  co- 
spirazione di  tiranni  il  primo  trium- 
virato, 406  ;  ondeggiante  tra  paure 
e  speranze,  413;  lascia  Roma  e 
va  a  Tua-  .1.1,  tlt:  <;i  dà  alla  filo- 
sofia. .  ì  ',.  ,  .  ir,;  ritorna 
allelM  _  :  :  .  ...  41,5-416:  ri- 
fiutar          .,  .       uè,  416;vitu- 

peiii  1  uiaia.ii;,  :la,  accusato  per 
la  morte  del  Catilinarii,  418;  fugge 
ed  e  condannato.  419;  va  in  Mace- 
donia, 419  ;  sue  angoscie  nell'esilio, 
420  ;  richiamo  e  ritoi-no  trionfale, 
421-422  ;  ringrazia  del  beneficio , 
si  stringe  a  Pompeo  e  parla  a  di- 
fesa della  sua  casa,  422;  è  fatto 
.assalire  a  sassate  da  Clodio,  423  ; 
sostiene  la  proposta  che  sia  data 
a  Pompeo  autorità  illimitata,  462; 
caldissimo  lodatore  di  Cesare,  469  ; 
ragioni  di  .{U'slo  c.auibiamento  di 


47.)- 


474  ;.s.i.v  ,:;.,•,..  a, ,  a,  i_i„,  ..,.  4;.S  ;  al 
ritorno  trova  Ruina  in  pericolo 
per  r  ambizione  di  Cesare  e  di 
l'ompeo,  478-479  ;  espositore  fedele 
delle  intenzioni  di  Pompeo,  483; 
suo  giudizio  sulla  fuga  <li  esso  , 
487  ;  parie  da  lui  seguita  durante 
la  guerra  civile  ,  544  ;  suoi  dolori 
e  lamenti,  545;  non  consigliere  né 
consapevole  della  congiura  contro 
Cesare,  553-5.54,  555;  loda  i  tiran- 
nicidi ,  .565  ;  va  con  Bruto  al  Fò- 
ro ,  566  ;  e  lo  sconsiglia  d.il  trat- 
tare di  p.ace  con  Antonio  e  con 
Lepido,  569;  parla  in  favor  della 
pace,  .571:  esalta  Dolabella,  577; 
convegno  d'Anzio,  579;  è  visitato 


1054 


INDICE 


TULLIO 


TUMELICO 


USTTRA 


a  Clima  da  Ottavio,  583-584  ;  vuol 
partire  per  la  Grecia  e  ritorna  a 
Kojr.a,  5S- -5S7  ;  comincia  la  guerra 
ili-lle  Filippicìie  contro  Antonio  , 
"iS7-588;  si  stmlia  di  trarre  Otta- 
vio a  sua  pai-le,  5'JO;  nuove  f'jiip- 
piche.  591-5r>3,  595,  596,  GOO; 
grande  energia  nei  suoi  giorni 
estremi,  591-595  ;  fa  decretar  feste 
per  la  vittoria  di  Modena ,  600  ; 
eccita  Bruto  e  Cassio  a  tornare  in 
Italia,  6-20 ;  sue  ambigue  parole 
contro  Ottavio,  602  ;  tenia  difendere 
Roma  iissalita  da  lui,  603  ;  fugge, 
604  ;  i  triumviri  deliberano  "che 
sia  trucidato  ,  607  ;  sua  uccisione, 
611-613;  martire  nobilissimo  della 
Repubblica,  614  ;  la  sua  uccisione 
giudicata  da  Tito  Livio,  IV,  170; 
Oratore,  sue  traiiii/ioni  di  Demo- 
stene e  di  Ks.-liu,.'.  111.  ';:i:;  i.ididi 
Antonio  e  di  ■  r  i  .  c'.ig. 

700;  emulo   •'.■  Tu,"  ;  si 

gloria  diaver  il  :  ■  N  li.  i  :-.  l'ia.'co 
in  modo  che  non  si  vi'ilosse  il  vero, 
707;  suoi  motti,  710  ;  pieghevolezza 
dell'anima  sua,  711;  suoi  grandi 
studii  delle  dottrine  e  dell'arte, 
711-712;  massimo  degli  avvocati, 
712-713;  la  Miloniana,  714  ;  gran- 
de oratore  politico,  714;  la  Mar- 
celliana.  714  ;  le  CntUùiarie  e  le 
filippiche,  715  ;  affetto,  dialettica 
e  splendore  di  stile,  715;  è  il  piti 
perfetto  degli  oratori  romani,  716- 
717;  sue  opere  didattiche  sull'e- 
loquenza, 717-71S;  i  libri  Dell'O- 
ratore, 71S-721  ;  il  Brvto,  721-722  ; 
studioso  di  Isocrate,  722-723  ;  sue 
Leltere,  723  ;  scrittore  politico,  723; 
i  libri  Della  Repubblica,  724-727  ; 
i  libri  Delle  Leggi,  727-731  ;  scrit- 
tore di  lìlosofla,  731-732  ;  libri  i)«" 
Pini.  132;  trattato  Degli  Vfizii. 
732-735;  le  Questioni  Tusculane, 
732;  la  Natura  degli  Dei,  733; 
la  Divinazìoìie,  733  ;  storico  degli 
altrui  pensamenti,  734-735;  mora- 
lista, 735-737;  ci.mbritle  la  avvi-.j- 
mania,  738;  .>|..  !■!■  si,,  M,,.',  ::i  ; 
non  credeva  n  i    i   - 

cipii  di  RoMi  I.  :       :  i       i 

versi.  III,  7:'.';  •;■:-::..  .iv  .i.  ,  /,- 
'i)0,»eìiie  dei  i-,ii,iiistiri  di  Aratn, 
7'.>2  ;  poema  in  lude  di  Cesare, 
793;  storia  dei  poeti  inversi,  793; 
ritrovò  il  sepolcro  di  Archimede  a 
.Siracusa,  II,  385;  suo  giudizio  sui 
Oracchi,  III  ,  47,  «6;  sue  ville  a 
Kormia,  1,  213  ;  ad  Anzio,  a  Pom- 
pei,  ecc.,  Ili,  12;  a  Tuscolo,  I, 
.".."0,  III,  414,  415,  418;  a  Cuma,  724  ; 
ad  Arpìno,  728. 

Tullio  Cicerone  (M.)  il  Giovane,  figlio 
«leir  Oratore  ,  fa  prigioniero  Caio 
Antonio,  m,  6I'J;  si  unisce  alle 
llotte  di  Murco  e  di  Knobarbo, 
(31  ;  grande  tracannatore  di  vino, 
IV,  673. 

Tullio  Cicerone  (Quinto),  fratello  del- 
l'Oratore, si  unisce  a  Cesare  nel 
fombattere  la  pena  di  morte  ai 
Catilinarii,  III,  '383  ;  corre  pericolo 
di  essere  ucciso  per  ottenere  il 
richiamo  del  fratello,  422;  legato 
di  Cesare  nelle  (iallie,  si  trova  a 
pi;ricolo  estremo  da  cui  lo  libera 
l'arrivo  di  Cesare,  442-143;  costumi 
elettorali  da  lui  descritti,  450:  pr.>- 
srritto  e  ucciso,  fili;  iiell<>  (l.iUio 
scrisse  quattro  tragedie  in  siili.i 
giorni,  7.'»1  ;  e  descrisse  in  v.i  si  la 
spedizione  nella  ISritannia,  70.'(. 

Tullio  Senecione,  ucciso,  per  la  con- 
giura entro  Nci-one,  IV,  4U7,  409. 

Tulio  Ostiliu,  eletto  re,  1,  588  ;  guerra 


contro  Alba,  590  ;  guerre  ai  Sabini, 
594  ;  muore  fulminato,  595. 

Tumelico,  tìglio  di  Arminio  e  di  Tu- 
snelda,  condotto  in  trionfo  da  Gei'- 
manico,  IV,  257. 

Tumulto,  eserciti  tumultuari,  II,  458, 
459,  HI,  .593. 

Times  (TnniH),  .-Vttilio Regolo  vi  pone 
sua  sede,  II,  221  ;  suo  lago,  514-515. 

Tungrì  (Tongres),  nella  Gallia  Bel- 
gica, si  gridano  liberi,  IV,  476. 

Tureno  (Trani),  città  nella  Peucezia, 
I,  349. 

Tinia  (Guadalaviar),  fiume  della 
Spagna  Tarraconese,  vittoria  di 
Sertorio,  lU,  298. 

Turio  (Tarì-ana ?),  nella  Magna  Gre- 
cia ,  fondata  da  una  colonia  Ate- 
niese e  dai  cittadini  di  Sibari,  1, 310, 
321-322,  II,  96,  118,  151;  accoglie 
le  leggi  di  Caronda,  137  ;  in  guerra 
coi  Lucani  è  sconfitta  a  Lao,  169- 
170;  una  tempesta  la  salva  da 
Dionisio  tiranno  di  Siracusa,  172  ; 
chiede  aiuto  ai  Romani  contro  i 
Lucani  eBruzi,  ed  è  liberata,  189; 
saccheggiata  dai  Tarentini ,  190  ; 
colonia  romana,  267-268,  427  ;  pre- 
sa da  Annibale,  387  ;  e  dai  gladia- 
tori, III,  306;  sollevata  da  Rufo  e 
Milone ,  514  ;  assedi.ita  da  Sesto 
Pompeo,  642. 

Turno,  suri  rp-'ri  in  .Vrdm.  I,  .^10; 
nell'Kii.i  '     ,!■    \  -_   -       i\     I  ."i. 

Turno,  Id-      ,  ^  :  .     l\  .   ■": 

Turno  Hrdi.  il  ■.  ■..    '..  ■■      ■  .  ■■- irj 

da  Tarnu.uiu  U  .^„lulL^  1,  olu- 
611. 

Turoni  (Tov.raine),  nella  Gallia  Lug- 
dunese,  IV,  275. 

Turpilio,  prefetto,  decapitato  da  Me- 
tello, III,  160. 

Turpilio  (Sesto),  poeta  comico,  II,  645. 

TuruUio  (P.),  senatore,  congiura  con- 
tro Cesare,  ed  a  fatto  uccidere  a 
eoo.  HI,  553,  631. 

Tuscania  (Toxcmiella),  città  di  Etrii- 
ria  sul  liume  Marta,  I,  133  ;  nccro- 
pnli,  144,  429. 

1  :i^  I    —  Vedi  Etruschi. 

I  !  i  mei  monte  sopra   Frascati), 

ì  I  ti.i  dal  Dio  Maio,  I,  381; 
i  i'  delle  mura,  del  teatro  e 
<ii  .-litri  monumenti,  549-552;  fa 
guerra  a  Roma  per  i  Tarquinii, 
6:U  ;  invasa  dagli  Equi  e  dai  Vols.-i, 
821;  presa  d.ngli  K'i"',  ''2">,  8  i7  ; 
fedelp    :i    R^riVì    d-"-    -n-rvi    d.-i 

Vnlsci.     li.      I   !        ■■     ! i    >1     ■    :    ■    id   - 


.     ■   :,.      :.:     ,  .:-;  villa  di  Cicei-oiio, 
i:ì     i:     !    i-i!    ;  e  di  Plinio  il  Gio- 

q  11-11,1.1  ,.  ii^lM  di  Segesto,  rapita  da 
.\rmiiiio,'lV,  225,  247;  prigioniera 
di  (ìermanico  ,  248 ,  272  ;  menata 
in  trionfo,  2.57. 

Tutano  (Dio).  —  V.-di  Ridiclo. 

Tutore,  dui  -■  ■!.  i  'l  '.viri     -i  iM.i-.-.'  a 

Civile,    i  \  ,     il    .  '       !••  ■     .1     1  .:■■■:  I    •    . 

477;  as-  •  ••  .       ,  .  i  •  ..    i  i  ■  >  n     I   n 

Tutulo,  I.''!!'  M  ,  ,1  -,     ,;i,'i,  ■ •n-M- 

si-he,  1,  -.M. 


Ibii ,  tribii  germanica  sul  Reno,  IV, 
308;  si  dichiarano  liberi,  476. 

Uccelli  (P.),  sue  opinioni  sulle  origini 
italiche,  I,  205. 

Uccelliere  di  Varrone  e  di  Liicullo, 
III,  13-14. 


Uessa,  città  dei  Sicani,  II,  104. 

Uffugo  (Montalto),  nel  Bruzio,  I,  306. 

Ulpia  (Laaenburgy  citta  fondata  da 
Traiano,  IV,  554. 

l.'lpia  Traiana.  colonia  a  Petovione 
(Pettau)  nella  Pannonia  Superiore, 
IV,  .554. 

Ulpio  Marcello,  vince  i  Britanni,  IV. 
709. 

Ulpio  Marcello  (L.),  giureconsulto,  IV, 
700. 

Ulubra,  città  latina,  li,  646. 

Umbreno  (P.),  attira  nella  congiura 
di  Oatilina  ?li  ambasciatori  AUo- 

•    brogi.  III,  3a0. 

Umbri ,  loro  origine  e  sedi  in  Italia., 
I,  63-66;  guerra  coi  Pelasgi,  75; 
vinti  dagli  Etru  chi,  l'25;  loro  lin- 
sua,  476-477;  cacciati  dai  lidi  del- 
ÌAdrialico.  SS5  ;  uniti  affli  Etru- 
schi sono  \iiiii  d.ii  K  inani  a  Pe- 
rugia, 11.  :"  i  1  II  Mi  a  Mev.a- 
nia,  7.5-7 11  li  Ki ruschi, 
SO;  e  siiHii  -.  u:  tu  .1  '-.■mino,  81- 
83;  tentano  iiiulilinente  di  insor- 
gere, 90-91  ;  sottomessi  dai  Roma- 
iii ,  92  ;  alleati  di  Roma  contro  i 
Galli ,  250,  251  ;  soccorrono  Sci- 
pione per  la  guerra  di  Atfrica, 
410;  aderiscono  alla  lega  Italica, 

III,  172. 

Umbria,  1,  65-66;  fedele  a  Roma  dopo 
la  rutta  di  Canne,  11,  303  ;  eccitata 
a  rivolta  dagli  emissarii  di  Cati- 
liiia.  III,  3/5;  una  delle  undici 
regioni  d' Italia  sotto  Augusto,  IV, 
42;  occupata  da  Cornelio  Fusco, 
468;  fa  parte  di  una  delle  quattro 
regioni  sotto  Adriano,  636;  ha  col 
Piceno  un  giuridico,  7iJ8. 

Uniniidia  Quadratilla,  matrona,  co- 
struì a  Casino  un  antiteatro  e  un 
tempio,  HI,  747. 

Immidio   Vero,    giureconsulto,   IV, 

Unelli  (nella  penisola  di   Coteatin  in 

S(iriannfHii) ,  vinti   da  Q.  Tituriu 

Sabino,  III,  436. 
Uiigui-nti.  —  Vedi  Profumi. 
rum  del  serpente,  talismano  drui- 

diio,  IV,  S.'jO. 
Urliiiio.  nell'Umbria,  vi t  ucciso  Fabio 

V.ilcnte ,  IV ,  468  ;    iscrizione  ali- 

mintaria,  807. 
1  iva  o  Orra  Locrese  {Palazii  o  Coii- 

doianiii),  nella  Magna  Grecia,  I, 

nlà. 
l';"jMl 'irri  .  c!ii-nn?.1a  in  giudizio  da 

I     .   M] l'ialine,  IV,  282. 

Ir-         I    I      1    I  1  II,  moglie  dì  Clau- 

■,11    ,    r  ,1  ,.i„ii  I.    IV,   300. 

l'ili  1^1.11  J,  a  puiiraite  del  Gargano, 
I,  35S. 

Uria,  0  Iria,  o  Irlo,  o  Ureia  maritti- 
ma, città  deir.\pulia,  I,  358. 

Uria,  detta  Yiia  e  poi  Orra  {Oria), 
sede  dei  re  di  Messapia,  I,  341-342, 
358  ;  sulla  via  Appia,  IV,  607. 

Urne  cinerarie  ctrusche,  I,  510,  510. 

risento    {Orso    M(rrso    o  Contursi}, 

in    l.iM-  mia.    1.    2i«. 

l     -,  I   ,  Ila  Spagna  Betica, 

,   ,1       .     !\     :  -  i  ;  statuto  muiiici- 
,ri,,    ,     ,,-,rM,i  ,   i„.i  bronzi,  786. 

italiche,  1,  iOi. 
Usipeti,  tribù  germanica,  sconfitti  da 
Cesare,  IH,  437  ;  vìnti  da  Agrippa, 

IV,  98. 

Usselloduno  (Pi'.v  ri'/«o?u),  città  dei 
Cadurci  {Cahors)  nell' Aquitania, 
Cesare  fa  tagliare  lo  mani  a  tutti 
i  nemici  arresi.  III,  4.".3. 

l.'stica,  nella  Sabina,  villa  d'  Or.azio, 
IV,  137,  138. 

Usura  unciaria,  I,  774-775. 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1055 


USURAI 


Usurai,  loro  crudeltà.  Il,  15-16;  giu- 
dicati da  Plauto,  III,  11;  Claudio 
vieta  loro  di  prestare  ai  figliuoli 
di  famiglia,  IV,  353;  perseguitati 
da  Vespasiano,  503. 

Usure,  I,  764;  frenate  dalle  leggi 
delle  XII  Tavole,  852  ;  abolite,  II, 
30;  provvedimeuti  di  Tiberio,  IV, 
312. 

T'sus,  I,  797. 

Utente  o  Uti  {Montone),  tiuine  della 
Gallia  Cisalpina,  I,  885. 

rti'-a,  Tii'lla  costa  settentrionale  del- 
r.\n  li.  a,  presa  da  Agatocle  tiranno 
di  Siracusa,  II,  184;  colonia  feni- 


sediat:i 


^egg.  ; 

porto, 
M'ia  di 
-ne,  111, 
I  L'gere , 

i,'526; 


IJxariia  (,0sm'1),  nella  Spagna  Tarra- 

conese ,    sua   disperata  resistenza 

ai  Romani,  IH,  302. 
Uxeuto  (U'jciento),  città  dei  Salentini, 

I,  337. 
Uocnnum ,  multa  pagata  dai  celibi , 

IV,  38. 


■lyjah) ,    emporio 
iiriiidia,  occupala 
i.llo.  III,  110. 
'  ,  scrittore  della 


Vacuna,  Dea  dei  Sabini,  I,  383. 
Vada  Sabatia  o   Sabata  (VruUi),   in 

Liguria,  111,  .508;  a  capo  della  via 

Emilia,  11,  2811,  IV,  66. 
Vadinione  (detto    Lago  di  Bassano), 

lago,   sconfitta   degli  Etruschi,  lì, 

71-72;     vittoria    dei    Romani    sui 

Bui,  ni. 


OHI,  press., 
Iella  scn,,,i 
ente   {Faln 


luogo 
1,  389. 
impe- 


ve  per  la  via  delle  (.alili'  verso  Je 
Alpi  Cozie,  441;  l'esercito  si  ri- 
volta contro  di  lui  e  poi  lo  porta 
in  trionfo,  446;  governa  insieme 
con  Cecina,  (."iS;  6  mandato  con- 
tro la  parte  Flaviana,  465;  non 
soccorre  i  suoi,  si  imbarca,  è  preso 
ed  ucciso  in  prigione  a  Urbino , 
467-168. 

V.alentia,  nome  di  Roma,  I,  574. 

Valentino,  duce  dei  Treviri,  battuto 
a  Rigodulo,  IV,  477. 

Valenza  (  Valencia) ,  nella  Spagna 
Tarraconese,  fondata  dai  Lusitani, 

II,  .531  ;  presa  dai  Romani  e  di- 
strutta, m,  2!W,  299. 

Valenzia  o  Balezia  (presso  San  Pie- 
tro Veriìotico  ?),  nella  Messapia, 
I,  316. 

V.alcrii,  uccisi  alla  battaglia  del  .lago 
Regillc,  I.  632. 

Valeri",  poeta  comico,  lì,  645 

Valerio  (1,.),  tribuno,  combatte  la  leg- 
ge (_lppia,  11,  .-jSI. 

Valerio  (Quinto),  di  Sora,  scrive  in 
versi  di  cose   religiose   e  arcane, 

III,  7!U  ;  punito  di  morte  per  avere 
rivelato  U  nome  occulto  di  Ro- 
ma, 791. 


Valerio  Anziate,  scrittore  prolisso 
della  .storia  di  Roma,  I,  638,  III, , 
766-767. 

Valerio  Asiatico  (P.),  congiura  contro 
Caligola,  IV,  334,  335,  33  !  ;  fatto 
uccidere  da  Messalina,  3S2. 

Valerio  Catone  (P.  ?),  scrittore  di 
versi  d'amore.  III,  7'00;  gli  sono 
attribuite  le  Dirne,  7!10. 

Valerio  Catullo  (Caio)  ,  epigrammi 
(■.mtro  Cesnre,  111,  .545-546;  sua 
vita,  803-SO5  ;  sue  poesie;  80.5- 
.><11;  polilirii  di  ci)igrammi,  812; 
sua    morte,   S12;    pittore   dei    co- 


Valerio  Corvo .. 
uccide  un  i 
vince  i  Vois 


-814. 


imiove 

•■oufro  i  Saiiiiii;,  :;''  ;  ii  '.iu.-e  al 
monte  (iauro,  40  ;  e  a  Sue>^sula, 
41-4Ì  ;  vince  i  Sidicini  e  gli  Ausoni 
ili  (ale  ,  52  ;  legato  di  L.  Papirio 
Cuisore  contro  i  Sanniti,  74-75; 
riconferma  la  legge  dell'appello  al 
popolo,  280;  eroico  guerriero,  ed 
esempio  di  ogni  pubblica  e  privata 
virtii,  284. 

Valerio  Edituo,  scrittore  di  versi,  III, 
790. 

Valerio  Placco  (C),  suo  poema  sugli 
Argonatiti,  IV,  912. 

Valerio  Fiacco  (Lucio)  chiama  M. 
Porcio  Catone  a.  Roma,  II,  558  ; 
nominato  console  con  esso,  565. 

Valerio  Fiacco  (Lucio),  eletto  console 
con  Maiio,  III,  150  ;  console  con 
Clima,  220;  sua  legge  sui  debiti, 
221  ;  va  in  Grecia  e  in  Asia  per 
togliere  a  Siila  il  comando,  242  ; 
è  ucciso  da  Fimbria,  245. 

Valerio  Fiacco  (Lucio),  nominato  in- 
terré per  crear  Siila  Dittatore,  III, 
267. 

Valerio  Fiacco  (Lucio),  difeso  da  Ci- 
cerone, e  ,  tiuantunciue  reo,  l'atto 
assolvere.  III,  707. 

Valerio  Levino  (M.),  pretore,  libera 
.'Vpollonia  dall'assedio  e  costringe 
Filippo  di  Macedonia  a  fuggire,  II, 
373;  va  in  Sicilia,  385;  console, 
dopo  la  presa  di  Capua  propone 
ai  senatori  di  offrire  l'oro  e  l'ar- 
gento alla  patria  per  continuare 
la  guerra,  393. 

Valerio  Levino  (P.),  console,  è  man- 
dato in  Lucania  contro  Pirro,  li, 
19 {-194;  e  sconfitto  a  Eraclea  e  si 
rifugia  in  Apulia,  194-196;  impe- 
disce a  Pirro  di  prendere  Capua  e 
Napoli,  193;  minaccia  di  assalire 
alle  spalle  Pirro  vicuio  a  Roma,  196. 

Valerio  Massimo  (Manio),  dittatore, 
I,  779;  si  attribuisce  a  lui  di  aver 
riconciliata  la  plebe  ritiratasi  sul 
Monte  Sacro,  781. 

Valerio  M.nssiin..  (M  ),  censore  (447): 

■  fa  .'-sii  inr.  IMO  i:h1,'  frale  quali 
ri:.ì>  I  \alecia,  II,  289. 

Vallai..  .   i\!  I  ,  censore,  pro- 

poli.- .1;  I  i:.'i.ra.:iir  uu  teatro  sta- 
bile. 11.  62fi. 

Valerio  Messala,  nella  guerra  sociale, 
HI,  178. 

Valerio  Messala  Barbato  (M.),  padre 
di  Messalina,  IV,  330, 

Valerio  Messala  o  Messalla  Corvino 
(M.),  alla  battaglia  di  Filippi,  III, 
6'25  ;  si  arr.'iide  ai  vincitori  e  po- 
scia .  r,,'.a;t.  rei-  essi,  (530-G31  ; 
salv  I  (  I  •■,  ,  -,-,  ,  doma  i  Sa- 
las-i  .  ,  .  .  .augure  escrit- 
tor.  oi  [.,  .  :i_.,  :  i:. ;  trionfa  degli 
Alimi. ,m.  P. .  .. ,  Cv'lebrato  da 'ri- 
bullo,  157;  amico  d'Ovidio,  160; 
((uando  vede  spenta  la  liberta , 
si  ritrae  dai  pubblici  ufQcii  e  si  da 


tutto  agli  studi,  172;  oratore.  III. 
703;  scritti  storici,  grammaticali 
e  poetici,  IV,  172-173,  790;  suo 
sepolcro,  173. 

Valerio  Messala  Voleso  (L.),  procon- 
sole d'Asia  al  tempo  d'Augusto, 
sue  atrocità,  IV,  792. 

Valerio  Messalino  ,  figlio  dell'  oratore 
Messala,  vince  i  Dalmati,  IV,  223 

Valerio  Aurelio  Cotta  Messalino,  fra- 
tello del  precedente,  adottato  nella 
gente  Aurelia,  insegna  ad  arro- 
stire le  palme  dei  piedi  delle  oche, 
IV,  173;  credesì  che  compiesse  il 
sepolcro  del  padre  sulla  via  Ap- 
pia,  173. 

Valerio  Polito  (L.),  sostiene  la  causa 
della  libertà  contro  la  tirannia  dei 
decemviri,  I,  830,  839  ;  eletto  con- 
sole, SIO  ;  vince  con  M.  Orazio  Bar- 
bato gli  K(iiii  e  i  .Sabini  e  trionfa 
a  malgrado  dei  grandi,  8)4. 

Valerio  Pubiicola  (Publio) ,  vendica 
Lucrezia,  1,  017  ;  nommato  con- 
sole, 619;  va  alla  guerra  contro 
gli  Etruschi,  623;  e  li  vince,  624; 
celebra  i  funerali  di  Bruto,  624  ; 
fabbrica  una   casa  sulla   Velia  e 


Valerio  Pubiicola  (P.),  figlio  del  pre- 
cedente ,  console  (294) ,  promette 
che  la  legge  Terentilla  sarà  ap- 
provata, libera  il  Campidoglio  oc- 
cupato da  Erdonio  e  muore  nella 
battaglia,  1,  .s:4. 

Valerio  l'u  i.  m..  .1  ..  inii-iullo  coro- 
nato 1 .  :.   i   ;.       .    ;  \     "15, 

Valerio  1 1 .    ,  ,       .  ;,  _nio  di  l.u- 

cullo  iiriia  ^0.  ii-i  ..i.ind.uica.  III, 
.339;  vmci:  a  1  Laido  1  ultima  fiotta 
di  Mitridate.  34U;  poi  e  disfatto 
a  Zela  da  Mitridate,  3 .2. 

Valgio  Rufo  (Caio),  console  e  poeta, 
IV,  152. 

Valla  (Lorenzo),  sue  critiche  ai  rac- 
conti di  Livio,  I,  643. 

Vallo  di  Adriano.  —  Vedi  Adriano 
(Vallo). 

Vallo  di  Antonino,  in  Caledonia,  IV, 
709,  710. 

Vallo  di  Traiano  sul  Reno,  probabil- 
mente prolungato  da  Adriano,  l'V, 
638. 

Vanaunti,  divinità  nel  Vallo  di  Adria- 
no, IV,  652. 

Vandali,  protetti  dalla  pace  di  Com- 
modo coi  Barbari,  IV,  768. 

Vargunteio  (L.) ,  senatore,  congiura 
con  Catilina,  IH,  373. 

Varia  (  Vicovaro),  città  degli  Equi,  I, 
229;  limite  del  territorio  latino, 
527. 

Varinio  Glabro  (P.) ,  pretore  ,  nella 
guerra  contro  Spartaco,  III,  306. 

Vario  (Quinto),  tribuno,  fa  dichiarare 
traditore  chi  avesse  favorito  i  di- 
segni degli  Italici,  III,  167. 

Vario  Rufo  (Lucio) ,  poeta  epico  e 
tragico,  IV,  116;  eletto  a  correg- 
gere e  a  pubblicare  l'Eneide,  1.52. 

Varo.  —  Vedi  Azio  Varo. 

Varo.  —  Vedi  Quintilio  Varo. 

Varrone    —  Vedi  Terenzio  Varrone. 

Vasi  cinerarii,  nelle  tombe  etrusche, 
I,  516,  513. 

Vasi  fittili,  dipinti ,  I,  438-439  ,  442- 
414;  etruschi,  446;  greci,  446,  11, 
127,  IV,  205  ;  italo  greci ,  I,  44«, 
448  ;  diversità  di  stili ,  di  forme  e 
d'  usi,  447-449;  loro  nomi  diversi, 
449-451;  di  Arezzo,  1,52,  144;  di 
Canusio ,  'iól  ;  di  Cere,  155,  44 1  ; 
ti-ovali  alla  Certosa  di  Bologna  , 
168,  169;  di  Chiusi,  155,  444;  di 
Mariabotto,  164-166  ;  di  Nola,  444  ; 


1056 


INDICE 


"VESONZIO 


di  Orvieto,  171;  di  Ruvo,  350; 
dì  Tartiuinia,  414:  di  Veio,  414; 
di  Villaiiuva,  16:}  ;  di  Volterra,  441  ; 
di  Vulci,  141,  444,  44.S. 

Vasio  (  Vaisnn) .  città  dei  Vocoiizii 
nella  Gallia  Narbonese ,  detta  lu- 
lia  Aususta  Vocontiorum,  IV,  55. 

Vaso  di  Mitridate,  111,  393. 

Vaso  di  Ruvo,  detto  delle  Amazzoni, 
I,  448-440. 

Vati ,  derivazione  di  questa  parola, 
I,  531. 

Valica,  villaggio  posto  dal  Niebuhr 
sulla  riva  destra  del  Tevere,  1,  C6G. 

Vaticano  (valle  del),  IV,  453. 

Vatiiiio  (P.),  insiuria  il  console  Cal- 
purnio  Bibulo,  HI,  409,  410;  pro- 
pone che  sia  dato  a  Cesare  il  go- 
verno della  Cisalpina  e  dell'Illirico, 
413;  Dominato  pretore,  464;  difeso 
da  Cicerone,  470-471  ;  tratta  di  ac- 
cordi con  Labieno,  498;  messo  al 
governo  d'Illiria,  619;  dedito  alla 
necromanzia  ,  745  ;  accusato  da 
Licinio  Calvo,  811;  console,  812. 

Veamìnii,  popoli  alpini,  IV,  96. 

Veote  {Wight),  isola  britannica  as- 
soggettata da  Vespasiano,  IV,  454. 

Vcdio,  o  Dio  malo,  divinità  dei  Sabini, 
1,  ;}83,  392,  741. 

Veienti ,  vinti  da  Romolo  ,  1 ,  582  : 
mandano  ambasciatori  a  Roma  a 
favore  dei  Tarquinii,  620  :  muovono 
guerra  a  Roma,  623;  e  sono  vinti, 
623-624  ;  uccidono  i  Fabii  al  Cre- 
merà, 809  ;  minacce,  guerre  e  tre- 
gue con  Roma,  809-811,  869,  870; 
oliiedono  invano  gli  aiuti  delle  città 
etnjsche,  870  ;  ricevono  il  diritto 
della  cittadinanza  romana,  II,  12. 

Vcii,  Veio  (Isola  Farnese),  una  delle 
principali  città  di  Etruria,  I,  123; 
rovine,  133-134;  necropoli,  428, 
429;  predata  da  Tarquinio  Prisco, 
.599  ;  assediata  dai  liomani ,  871- 
876;  distrutta,  878;  le  sue  terre 
divise  fra  la  plebe  romana,  879; 
proposta  di  emigrare  da  Roma  a 
Veio  d.jpo  l'incendio  dai  Galli,  II , 
7-8;  ina  prevale  il  partito  contrario 
e  si  intima  di  ritornare  a  Roma  a 
coloro  che  erano  andati  ad  abi- 
tarvi, 10;  ridotta  a  un  borgo  d&- 
solato,  IV,  794. 

Velabro,    vico  di   Roma  sul  Tevere 

Fresso  l'Aventino,  1 ,  569,  li,  625, 
V,  400. 

Velario,  III,  .530. 

Velia,  detta  dapprima  Elea,  {Antica- 
vellu) ,  in  Lucania ,  fondata  dai 
Greci,  I,  28^.  292,  310  ,  11,118,  119  ; 
rovine,  I,  292  ;  riceve  leggi  da  Par- 
menide e  da  Zenone  Eleatc,  li,  153. 

Velini,  poi-ti,  I,  292. 

Velino,  fiume  dei  Sabini,  1,218,  220; 
fatto  sboccare  nella  Nera  da  Ma- 
nio  Curio  Dentato,  II,  291-293. 

Velino,  monte  dei  Marsi,  I,  242,  245. 

Velìterni ,  fanno  guerra  a  Roma  per 
i  Tarquinii,  I,6:}1  ;  predano  i  campi 


11,    34-35;    resistono    a 


4S. 


\  .  Vi  .  I  VHletvt),  citta  dei  Volaci,  1, 
,  ;  ;  assediata  (la  Anco  Marzio, 
yj:> ,  pre.sa  da  Cincinnato,  II,  14  ; 
privata  di  parte  del  territorio  e 
demolite  le  mura,  50  ;  trib.  mili- 
tum  a  populo,  IV,  788. 

Vellaunoduuo  (Trigitéres),  citlà  dei 
Senoni  nella  Gallia  Lugduncse, 
presa  ila  Cesare,  III,  445. 

Velleda  ,  profetessa  ,  predice  vittoria 
ni  Germani,  IV,  477;  Ceriale  la 
induce  a  ispirar  pace  ai  Germani, 

V.  iieia  (presso  Macinesso  nel  Fia- 


cenlirw),  sepolta  da  uno  scoscen- 
dimento di  terreno,  1,  34;  tavola 
alimentariadi  Traiano,  IV,  803-805. 

Velleio  (C.) ,  senatore ,  epicureo.  III, 
740. 

Velleio  Patercolo  (C),  storico,  adul.i- 
tore  e  gloriScatore  della  tirannide, 
IV,  188-189,  918. 

Venafro,  città  della  Campania,  I,  27S  ; 
si  disse  fondata  da  Diomede,  351  ; 
presa  dagli  Italici,  III,  181  ;  acqui- 
dùtto  costruito  da  Augusto,  IV,  52. 

Vendetta,  ricardata  con  orrore  dagli 
stoici,  IV,  861;  piacere  di  inferme 
e  misere  anime,  895. 

Venere,  culto  nella  Campania,  I,  382  ; 
protettrice  degli  orti,  490;  statua 
della  Galleria  degli  Ufìzi  a  Firenze, 
III,  658;  simulacro  nel  Vallo  di 
Adriano,  IV,  653  ;  statua  sul  monte 
Calvario  ,  6SS  ;  Venere  Ericina , 
tempio ,  II ,  100  ,  603  ;  Venere  Fi- 
sica, regina  a  Pompei,  IV,  830  ; 
Venere  Genitrice,  tempio.  III,  541, 
.561,  IV,  199,  764;  Venere  Parta, 
460  ;  Venere  e  Roma  ,  tempio  co- 
struito da  Adriano  ,  677-678  ;  Ve- 
nere Vincitrice,  I,  279,  IV,  764. 

Veneti,  vcimti  dalle  coste  d' Illiria  in 
Italia,  I,  67-6S;  loro  lingua,  477; 
parteggiano  pei  Romani  contro  i 
ISoi,  II,  249,  251;  sottomessi  a 
Ruma,  255. 

Veneti  dell'  Armorici  {.Vorbihaìi)  , 
vinti  da  Cesare,  III,  436  ;  loro  com- 
mercio coi  Brettoni,  439. 

Venezia,  sottomessa  a  Roma,  II,  255  ; 
riceve  il  nome  di  Gallia,  256  ;  fa 
parte  di  una  regione  d'Italia,  IV, 
42  ;  riunita  colla  Transpadana  sotto 
un  solo  giuridico,  73*. 

Vennonio.  storico.  III,  764. 

Ventidio  (P.),  duce  degli  Italici  rivol- 
tati, 111,  175;  mette  in  rotta  Pom- 
peo Strabene,  183. 

Ventidio  Hasso  (P.),  condotto  fan- 
ciullo in  trionfo  dopo  la  vittoria 
di  Ascoli,  III,  190;  legato  di  M. 
Antonio  lo  raiiiuriE:!!  con  tre  le- 
rinninr'in  ■'■■n  ?,-:y"\n  (Inllia,  598; 

1.    !'■_■:  .:      I         \;;'     ì:]m  fontro 

I  '!  ,  :■-  ,         .     |,  .     ,    raduta 

1.11 , .  u.i  ■..■.a.  i.iUi.,;;.^;u  .  astrense, 
pretoi-e,  console,  pontefice,  e  primo 
trionfatore  dei  Parti,  601-562. 
Venusia  (  Venosa)  ,  sui  confini  del- 
l'Apulia  e  della  Lucania,  rovine, 
I,  295-296  ;  si  disse  fondata  da  Dio- 
mede, 351  ;  colonia  romana,  li,  89  ; 
accoglie  i  Romani  sconfitti  a  Can- 
ne, 358  ;  presa  dagli  Italici,  IH,  ISl  ; 
ripresa  da  Metello,  191  ;  promessa 
dai  triumviri  come  premio  ai  sol- 
dati della  guerra  civile,  607  ;  pa- 
tria d'Orazio,  IV,  134;  sulla  via 
.\piiri.  Ir-  _  1  :ii  i:ii  (I  -Ila  plebe  ri- 


Veraii,  I    , j  i.  111,745. 

Ver.-i'  M.  ri  .1  ,i,  il  :  ,  .  i.iì;.  I  isalplna, 
criMloia  o<  on:;.[i.-  ^-al.ca.l,  88ì  ; 
vittoria  di  Mario  sui  Cimbri ,  HI , 
1:33-134;  parteggia  per  Vitellio , 
IV,  442. 

Vercingetorìge,  solleva  la  Gallia  cen- 
trale, III,  415  ;  propone  di  bruciare 
le  città  e  i  villaggi,  446;  consiglia 
di  distruggere  Avarico,  447  ;  vince 
(tesare  a  Gergovia,  417;  battuto 
da  Cesare  si  ritira  ad  Alcsia,  448  ; 
e  la  difende  lino  agli  estremi,  450; 
riceve  soccorsi  dai  Galli  e  assale 
(tesare,  450-451  ;  fc  vinto  e  per  sal- 
vare la  città  si  consegna  al  nemico, 
451  ;  fc  incatenato,  poi  condotto  in 
trionfo  e  fatto  morire,  451,  627. 


Yereto  {Sartia  Maria  di  Vei-alu  pres- 
.    so  i  villaggi  di  Rogffiano  e  di  Sai' 
ve),  città  dei  Salentini,  I,  337-338. 
Verge,  nel  Druzio,  I,  306. 
Vergiliano    Pedone    (M.),    console. 

muore  ad  Antiochia,  IV,  615. 
Vergobreti,  giudici  nelle  Gallie,  111, 

Vermina,  lìgliuolodi  Sifice,  vinto  ila 
Scipione,  II,  421. 

Verna,  divinità  dei  Sanniti,  I,  385. 

Vero  (Lucio),  figlio  di  Vero  Elio  Ce- 
sare, adottato  da  Antonino  Pio, 
IV.  693;  Marco  Aurelio  divide  con 
lui  il  comando,  725  ;  sposa  Lucilla 
figlia  di  Marco  Aurelio,  725;  brutto 
d'ogni  vizio,  725-726;  feste  e  lar- 
gizioni, 726;  posto  a  capo  della 
guerra  Partica,  728  ;  il  suo  viaggio 
è  un  seguito  di  orgie,  728  ;  va  fino 
all'  Eufrate  e  torna  ad  Efeso  ad 
accogliervi  Lucilla,  729  ;  sua  scon- 
cia vita ,  729-730  ;  lodato  come 
guerriero  da  Frontone  e  da  altri , 
731-73Ì;  trionfi  con  Marco  Aurelio, 
732  ;  porta  dall'Asia  la  pestilenza  a 
Roma,  732-733;  orgie  nella  sua 
villa,  733;  va  con  Marco  Aurelio 
contro  i  Barbari,  735  ;  suoi  sospetti 
sui  disegni  di  Avidio  Cassio,  746  ; 
muore  ad  Aitino  ed  fc  deificato,  787. 

Veroli,  citta  degli  Ernici,  I,  231. 

Veromandui  (  Vermandois),  nella  Gal- 
lia Belgica,  si  uniscono  ai  Nervii 
e  sono  sconfitti  da  Cesare,  IH,  434. 

Verona ,  creduta  di  origine  callica  , 
I,  886;  patria  di  Catullo,  HI,  803; 
colonia  militare,  IV,  43  ;  occupata 
da  Autonio  Primo,  461,  465  ;  an- 
fiteatro, 795. 

Verre  (C),  questore  di  Carbone,  rulja 
la  cassa,  e  passa  alla  parte  di 
Siila,  HI,  257  ;  legato  di  Dolabella 
in  Cilicia,  318;  sue  infamie  nel- 
l'Asia, 318-319;  pretore  a  Roma, 
319;  sue  scelleratezze  e  ruberie 
in  Sicilia,  319-  324  ;  accusato  da 
Cicerone  si  sottrae  andando  in  esi- 
lio, 324  ;  ritorna  ed  e  proscritto 
da  Marco  Antonio ,  324  ;  difeso 
contro  i  Siciliani  da  Ortensio,  702, 
707. 

Verrio  Fiacco,  di  Preneste,  famoso 
grammatico,  IV,  110. 

Verruca  o  Verrugine  (sul  Colle 
Ferro),  città  dei  Volsci,  I,  2.32; 
presidiata  dai  Romani,  866;  per- 
duta  e  ripresa,  866. 

Versi  aurei  di  Pitagora,  composti 
dal  suo  discepolo  Liside,  II ,  147- 
148,  287. 

Versi  erotici.  Ut,  790. 

Versi  Fescennini,  I,  463. 

Versi  Saturnii,  I,  463. 

Vertunno,  Dio  etrusco),  prolettore  di 
Volsinio  ,  1 ,  389 ,  391  ;  a  Roma  , 
742,  744. 

Verula  (  VeroJi),  citlà  degli  Ernici,  I, 
231  ;  conserva  rindipendeiiza  mu- 
nicipale, II,  70. 

Verulamio  (Ohi  Verula,n ,  presso 
St.  Alban-s),  in  Hritaniiia,  muni- 
cipio rovinato  dai  Brilanni  ribel- 
latisi, IV,  396. 

Vcsbula,  (Marmosedio),  città  pela- 
sgica  in  Sabina,  I,  76,  78. 

Vescellio,  città  degli  Irpini,  I,  266. 

Vescia  [Demanio  di  Sessa),  citlà  de- 
gli Ausoni,    I,  210,  212;  ribellal.i. 
e  ripresa  dai  Romani,  li,  67;  co- 
lonia rom.ana,  III,  268. 
Vescio,  divinità  del  Sannio,  I,  3<5. 
Veseri  (Acqua  della  Foce),  fiumicello 

in  Campania,  II,  46-47. 
^  esonzio  o  Vesonzione  {Besani;on) , 
nella  Gallia  Belgica,  città  capitale 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1057 


VESPASIA 


VETERA 


VIENNA 


dei  Sequani,  occupata  da  Cesare,  III, 
4(2,  447;    disfatta  da  Giulio  Vin- 
dice. IV,  424. 
Vespasia  Polla,  madre  di  Vespasiano, 
IV,  4-,l. 

Vespasiano  (Tito  Flavio),  tiene  fedele 
la  Giudea  a  Ottone,  IV,  442  ;  sua 
nascita,  454;  sua  irioventii,  454; 
imprese  in  Germania  e  in  Bri- 
tannia,  454;  sua  indole,  4.55;  è 
mandato  a  reprimi-re  la  solk-va- 
zione  dei  Giudei.  1''..  r,7-r.^;  r 
sottomette  quasi 
459;  manda  TitM  ■<; 
4fi0;  ftitto  imperali:  i  i  -o.  n, 
462;  tiene  adun.-xnza  a  1; 'ntrj,  li;:;: 
apparecchi  di  armi,  4i;;i  .  va  in  E:,'it- 
to,  464  ;  e  rivestito  dal  Senato  .lel- 
l'autorità  imperiale,  473  :  i.'.jv,riia 
dall'Egitto,  4S0;  fa  ricacciare  oltre 
il  Danubio  i  Sarmati ,  4.S0  ;  riceve 
un'ambasciata  dal  re  dei  Parti,  480  ; 
dicerie  dei  miracoli  fatti  per  ac- 
quistar.si  autorità,  480  ;  invia  grano 
a  Roma,  480  ;  manda  Tito  a  espu- 
gnare Gerusalemme,  480;  va  a 
Rodi,  in  Grecia  e  a  Corcira,  488  ; 
accoglienze  fattegli  a  Brindisi , 
488-489  ;  a  Roma  è  salutato  Sal- 
vatore, 489  ;  accoglie  festevolmente 
Tito ,  vincitore  iji  Gerusalemme  , 
e  Io  fa  suo  compagno  in  tutti 
gli  uffici,  489;  trionfa  con  lui  della 
Giudea,  489-492  ;  riordina  lo  Stato, 
492-494;  ristora  le  finanze,  4!'4- 
495  ;  ricompensa  i  veterani ,  495  ; 
nuove  industrie  per  empire  l'era- 
rio, 493-497;  spese  in  opere  utili 
al  pubblico,  497;  contribuisce 
alla  riedificazione  del  Campi  JoetIìo, 
497-498  ;  e  dei  templi,  498-501;  ri- 
f  jrmatore  dei  costumi ,  503  ;  lodi 
di  clemenza ,  504  ;  persecuzione  ai 
filosofi,  .504;  fa  uccidere  Giulio 
.•Sabino  ed  Eponina.  .".01-5  Ì5;  cjn- 
giura  contro  di  lui. 
.".06;  .sue  qualità, 
zatogli  daDomizi  > 
motore  de;,'li  stmli  -'  .  t_     i 

Vesta,  Dea,  T,  89-90,  07;  .aik.rat.i  dai 
Pelassi  ,  384  ;  suo  culto  a  Roma  , 
73J-735,  742;  tempio  ,  588  ,  73 1 , 
incendiato,  U,  301,  IV, 
rappresentata  da  una 
pura  fiamma,  I,  748  ;  Augusto  ri- 
mette in  onore  il  suo  culto,  IV,  33. 

Vestali,  istituite  da  Numa,  I,  .583  ; 
aumentate  di  numero  da  Tarquinio 
Prisco,  600;  tutte  le  tribù  romane 
vi  sono  rappresentate,  735;  du- 
rante r  invasione  dei  Galli  sì  ri- 
fugiano a  Cere,  892  ;  punite  per 
aver  mancato  ai  loro  voti,  II,  362  ; 
Augusto  vi  ammette  con  legge  le 
figlie  dei  liberti,  IV,  34  ;  punite  da 
Domiziano,  521,  522. 

Vesti  degli  Etruschi,  1,499-501,  515; 
a  Roma,  693;  vesti  dì  Coo,  IV,  206  ; 
dei  Persi  e  dei  Seri,  207. 

Vestini ,  discesi  dagli  Osci,  I,  217  ; 
loro  sedi,  242-244,  250-251  ;  si  uni- 
scono ai  Sanniti  contro  Roma ,  e 
Sem  vinti,  II,  58;  fedeli  a  Roma 
dopo  la  sconfitta  di  Canne,  363; 
alla  battaglia  di  Pidna,  479  ;  fanno 
parte  della  lega  italica.  III ,  171  ; 
sottomessi,  190;  parte  di  una  re- 
gione d'italia,  IV,  42. 

\ esulo  {Miiiiriso),  monte  delle  Alpi, 
IV.  '.II-,. 

\eMivii),  suoi  antichissimi  incendi!, 
I,  J?..  battaglia  dei  Romani  contro 
i  Latini,  11,  46-47;  occupato  dai 
gladiatori  rivoltati  con  Spartaco, 
HI,  306;  incendio  sotto  l'impero  di 
Tito,  IV,  510-513. 


43S; 


Velerà.  —  Vedi  Castra  Velerà. 

Veterc,  padre  di  PoUuzia,  si  svena, 
IV,  411-412. 

Veterinarii,  IV,  737. 

Vetilio  (Caio),  pretore,  vinto  e  ucciso 
da  Viriate,  II,  528. 

Vetro,  lavori  etruschi,  I,  432-434  ;  ve- 
tro portato  a  Roma  dalle  navi  di 
Egitto,  IV.,  206. 

Vettona  {Bettona),  città  degli  l'nibri, 
I,  65. 

Vettoni ,  in  Lusitania,  si  tniiscono 
agli  altri  Lusitani,  contro  i  Ro- 
mani, II,  5-26. 

Vetiilonia,  una  delle  città  principali 

di  Ftniria,  I,  123;   figurata  in  un 

bassorilievo,  123;  si  ignora  il  luogo 

ove  sorse,  161,  173.  - 

Veturia,  madre  di  Conciano,  I,  792. 

Veturio  Calvino  (T.) ,  console  (133), 
sconfitto  alle  Forche  Caudine,  II, 
60-62. 

Vezii ,  famiglia  etrusca  dì  Chiusi ,  I, 
484. 

Vezio  (L.),  strumento  di  Cesare,  ar- 
restato e  ucciso.  III,  410. 

Vezio  Cerrinio  Felice  (Aulo),  chiesto 
edile  a  Pompei,  IV,  45. 

Vezio  Minucio  (Tito) ,  cavaliere ,  si 
mette  alla  testa  deg:Ii  schiavi  in 
Campania,  e,  preso,  si  uccide ,  ni , 
137. 

Vezio  Scatone  ,  marsico  ,  duce  degli 
Italici  rivoltati ,  IH ,  175  ;  vince 
P.  Rutilio  Lupo  sul  Liri ,  182  ;  im- 
pedito di  recarsi  in  Etruria  si  rac- 
cogUe  sotto  Ascoli,  187  ;  sue  trat- 
tative coi  nemici,  187  ;  fe  sconfitto, 
e  caduto  prigione  è  ucciso  da  un 
servo,  187-lSS. 

Vezio  Valente ,  medico  alla  corte  di 
Claudio,  IV,  364. 

Via  Annia,  IV,  66. 

Via  nella  Valle  d'Aosta,  IV.  91-92. 

Via  .Vppia,  costruita  dal  censore  Ap- 

]'.  ■  '    ■"'•  ''.■■  '  I I.  sei,  li,  287- 

i      :ii  da  C.  Gracco, 
Il  i     ^  ■  '  dai  pirati,  331; 

■1'  0  <li  l'in  '.,  IV,  100;  monu- 
mento dì  .M.  Messala  Corvino,  173  ; 
pittura  figurante  un  architetto, 
190  ;  villa  di  Seneca,  408  :  restauri 
iiitti  alla  via  da  Vespasiano,  499  ; 
e  da  Domiziano,  520 ,  selciata  da 
Traiano ,  607  ;  nuovo  tronco  di  essa 
fatto  da  lui,  607-609;  restaurata 
da  -Adriano,  637  ;  ruderi  della  villa 
dei  Quintini ,  773 ,  777  ;  epigrafe 
dell'uomo  misericordioso,  861  ;  se- 
polcro di  Persio,  887. 

A'ia  Aquilia,  I.  304. 

Via  Augusta,  IV,  66. 

Via  Aurelia,  I,  160,  II,  2S9,  IV,  438. 

Via  Cassia,  IV,  607;  restaurata  in 
parte  da  Adriano,  636. 

Via  Claudia  o  Clodia,  IV,  607,  733. 

Via  Collatina,  IV,  28. 

Via  da  Colonia  a  Nìniega,  costruita 
da  Traiano,  IV,  555. 

Via  Domizia,  HI,  97. 

Via  Domizìana,  IV,  520. 

Via  Egnazia,  IV,  68. 

Via  Emilia,  IV,  66. 

Via  Flaminia,  II,  289-290,  IV,  66,  163, 
164,  345,  471,  734. 

Via  Giulia,  rifatta  da  Adriano,  IV, 
636. 

Via  Giulia  Augusta,  IV,  66,  95. 

Via  Labicana,  IV,  a5S. 

Via  Latina  ,  Il ,  288  ;  restaurata  da 
Domiziano,  IV,  520. 

Via  lungo  il  Mar  Rosso,  costruita  da 
Adriano,  IV,  666. 

Via  di  Pelusio,  IV,  666. 

Via  dal  Ponto  Bussino  alle  Gallie, 
costruita  da  Traiano,  IV,  610. 


Via  Prenestina,  rv,  358,  705. 

Via  Sacra,  II,  625,  UI,  94,  IV,  192, 
515,  677,  705.  , 

Via  Salaria,  lì,  2^8,  IV,  471,  609. 

Via  Scellerata,  I,  608-609. 

Via  Scironia,  IV,  6.57. 

Via  Traiana  lungo  il  Danubio,  dise- 
gnata da  Tiberio  ,  IV ,  .568  ;  ese- 
guita da  Traiano ,  568  ;  epigrafe 
che  la  ricorda,  56S-570. 

Via  Traiana  Freiitana,  IV,  607. 

Via  Traiana  pei  Salcntinì  e  Bruzii , 
IV,  607. 

Via  nova  Traiana  ,  da  Benevento  a 
Brundusio,  IV,  607. 

Via  Traiana,  imovo  tronco  dell' Appia, 
IV,  607-609. 

Via  Valeria,  II,  289;  restaurata  e 
prolungata  da  Claudio,  IV,  360. 

Viaggio  all'altro  mondo,  figurato  nei 
sepolcri  etruschi,  I,  513-514. 

Vibino  0  Ibonio  {Bovino),  nella  Dau- 
nia,  I,  356  ;  campo  di  Ainiibale,  II, 
350. 

Vibio  Norbano  (C.) ,  tribuno ,  accusa 
Q.  Servilio  Cepione,  III,  146  ;  ac- 
cusato di  sedizione,  è  assoluto,  146  ; 
difeso  dall'oratore  M.  Antonio,  708. 
ole,  HI,  5;>2, 
Fòro  dei  Galli, 
muore,  597  ;  sospetto  che  Ottavio 
gli  facesse  avvelenare  la  ferita, 
601-602. 

Vibio  Sereno,  accusato  dal  figlio,  è 
esiliato,  IV,  280. 

Vibio  Virrio,  senatore  di  Capua,  per 
non  cadere  in  mano  dei  Romani, 
si  avvelena  con  altri  senatori,  li, 
_  390. 

Vlbona  Valenzia.  —  Vedi  Ipponio. 

Vicenza,  credut.a  dì  origine  gallica, 
I,  883;  parteggia  per  Vespasiano, 
IV,  461. 

Vici,  suddivisioni  delle  regioni  di 
Roma,  IV,  26. 

Vici  o  Vichi  di  .^rimino,  con  nomi 
romani,  IV,  794. 

Vico  (Giovanni  Battista),  crea  la  filo- 
sofia della  storia,  I,  651-652;  la 
applica  alla  storia  romana,  652- 
653;  che  è  il  riepilogo  di  tutte  le 
storie ,  654  ;  1'  origine  di  Roma  , 
654-655;  e  la  conquista  dei  diritti 
civili  e  politici,  655-657  ;  monu- 
mento erettogli  a  Napoli  nel  1861 , 
658  ;  le  sue  idee  tradotte  in  poesia 
dal  Ballanche,  060. 

Vico  Tosco  a  Roma  {Via  dei  Fenili), 
I,  091;  statua  di  Vertunno ,  744; 
stanza  di  beccai ,  fornai  e  vendi- 
tori al  minuto,  II,  625;  detto  an- 


Vico  Unguentario.  —  Vedi  Vico  Tosco. 

Victovali,  popoli  Sciti,  assaltan  l'Im- 
pero, IV,  731. 

Vicus  Augusti  {Aovste),  nella  Gallia 
Narbonese,  IV,  55. 

ViCì'.i  pntricinx.  a  Roma,  I,  605. 

Vidvriioii  ,  nmlta  pagata  dalle  ve- 
dove, IV,  38. 

Vie,  migliorate  da  C.  Gracco,  HI,  73; 
risarcite  e  costruite  da  Augusto, 
in  Italia,  IV,  64-67  ;  nel  resto  del- 
l' Impero  romano,  67-70  ;  fatte  da 
Adriano  nelle  Spagne  e  in  Affrica, 
055  ;  estese  per  tutto  l' Impero,  731 . 

Vie  consolari,  IV,  67. 

Vie  d'  Italia,  ai  tempi  di  Traiano,  IV. 
007. 

Vie  munite,  IV,  04-05. 

Vie  in  Spagna,  IV,  653. 

Vie  Traiane,  piccoli  rami  delle  vie 
('lodia  e  Ciissia.  IV,  mi. 

Vienna,  c.ittJi  degli  Allobrogi  nella 
Gallia  Xarbonese.  IV,  53,  68  ;  tem- 


Vannucci  —  Storia  dell'  Italia  antica  —  IV. 


13:? 


1058 


INDICE 


VIGILI 


VIPSTANO 


pio  in  oiioiv  di  Aufrusio  i-  Ji  Livia, 
72-73;  sulla  via  dalle  Alpi  Graie  a 
Lugduno.  01  ;  accoglie  Valente,  441. 

Vigili  o  guardie  notturne,  IV,  27; 
loro  stiuioni,  27. 

Villa  Pubblica,  IH,  260,  261. 

^"illanova,  presso  Bologna,  neci'opoli 
etnis'-a.  s'-npeiia   e  ill.istrata   da 

■VUli'iMi-  in   Vr:l  <i  A'^t  i.   ricordo  di 

S.i.-er<I..ti  Au-«st.ili.  IV,  91. 
Ville  romane,  loro  ma;;niiicenza,  III, 

13,  IV,  819. 
Villio  (C),  seguace  dei  Gracchi,  fatto 

morire  in  un  vaso  ripieno  di  vi- 
pere, III,  .">R. 
Vilumbria,  nome  dei  luoghi  occupati 

dagli  l'iiiliri  sul  mare  Adriaticoi 

1,  65 
^■inlinacio  (Koslolatz),  fortezza   ro- 
mana nella  Mesia  Superiore .  IV  . 

.570,  571. 
Viminale,  colle,  I,  .■:G7,  603,  IV,  27, 

■100. 
Vindalio  (Vedi;>i''s),  città  della  Gallia 

Narboiiese,   vi   sono   sconfitti    gli 

AUobrogi.  Ili,  03. 
Viiidelici,  loro  sedi,  IV,  03;  vinti  da 

Druso  e  Tiberio,  03-01. 
Vindelicia  (parte  della  Sì-i::.rr(t .  del 

ìladen,  del  YCtrtenbern ,  della  Uti- 

rifra  e  del  Tiralo),  IV.  242. 
Vindicio,  schiavo,  denunzia  la  con- 

;;iiira  a  favcirediTarquinio  il  Su-. 

perbo,  I,  621. 
V  indobona  (Vienna  iiAvst>'in),  nella 

Pannonia  Superiore.  IV,  .")70,  752. 
Vindolana(C/i''«t<'i-/io^/'),  stazione  del 

Vallo  di  Adriano  in  IJritannia,  IV, 

HM. 
vir„)An.«cM  (  ■\\'/i"'/><-;i    nel    Cniìtone 

,ii    1    .  1      <ittà  degli  Elvezii , 

\     ;•  Kiano  nelle  iscri- 


20:.. 


1,   IV,  201-2 


Vinio  Rufino  (Tito),  anntinzia  a  Gal- 
ba  che  è  eletto  all'  impero ,  IV , 
431  ;  suo  governo  sotto  Galba,  432  ; 
favorisce  l'adozione  di  Ottone,  43'  ; 
ucciso,  439. 

Vipsania,  ripudiata  da  Tiberio,  H', 
215. 

Vipsanio  .Agrippa  (Marco),  confu-ta 
Ottavio  a  fir  vendetta  .li  Cesare. 
lU,  583,  6.53:  e  lo  aiuta  nella 
guerra  contro  Lucio  Antonio,  637- 
639  ;  assetila  Fulginio,  639  ;  toglie 
l'esercito  a  Plance,  641  ;  pacifica 
l'Aquitania,  653;  grandi  apparecchi 
navali  contro  .Sesto  Pompeo,  653; 
va  in  Si.Mli=i    cnt.-,,    .li    loi.  <r,J  : 


657;  prende  Messina,  r>7t^\  all'.-is- 
sedio  di  Metulo  ,  667  ;  abbcllis.-e 
Koma,  669  ;  in  guerra  cuntru  An- 
tonio, 675;  sbarca  neiri:]>iro,  (•.7"., 
vincitore  a  CoriiU",  l'i.  pin'l- 
Lcucade,  676;  mh 
taglia  di  Azzio,<;7T-   :  ,  i 

a  sedare  i  tuniuln  Hn  ...  i.  j  ani 
i>79;  cousiu'lia  AuguMo.h  iistiiuirc 
la  Repubblica,  IV,  9-11;  collega 
d'Augusto  nel  consolato  e  nella 
censura,  16;  lo  fa  proclamare 
principe  del  senato,  l'j  ;  Augusto 
fa  mostra  di  lasciargli  la  potestà 
suprema,  21  ;  soprintende  agli  ar- 
qiiidotti,  28;  conduce  incitili  l'A.-- 
qua  Vergine,  28  ;  comincia  la  carta 
del  mondo  romano,  50  ;  suo  acque- 
•lotto  a  Niraes,  57:  grandi  strade 
.la  lui  costi-uite,  68;  sue    vittorie 


nelle  Gallie,  85;  viji.;e  i  Cautabri, 
!<6-S7  ;  e  i  Pannoni  e  i  Dalmati,  OS; 
monumenti  da  lui  inalzati,  195-100: 
torna  a  Roma  dopo  la  morte  di 
Marcello,  214  ;  Sposa  Giulia,  figlia 
d' .\Hgusto ,  214;  sua  morte,  214. 

Vipstano  Messala,  tribuno  della  le- 
gione Claudiana,  sua  descrizione 
delle  stragi  di  Ciemona,  IV,  920. 

Virbio,  Dio  di  -Vricia,  I,  381. 

Vir:;\lin  Marone  (P.) ,  notizie  fisi- 
l'-lip    di    K   Tn-i  r  .1-!   T-17'  .    i!a  Ini 

,,.  .  .     ^      ,        .  !        -y.,,   ..       ,,,,1     ,1^,_ 


scita,  IV,  117;  sludi,  117;  spo- 
gliato dei  beni  paterni  e  poi  ri- 
storato, 118;  la  Bvcolicn  ,  118- 
120;  la  <Tm,-./.V-.. .  12(>-1'.'2.  708; 
lodi  ai  siii.i  pr  ,1  .,;  .  Ij:;.  V  E- 
.lei'l.e.  12:;-1  :  i  i  ,  ;  ;t'i  po- 
litico, 121.  i  '  a  \ii-gi- 
liana,  12V1J  ;  ,.■  ',f  .t,-,liche 
nelVKnffi'/e.  12';-1-,'S  ;  pli  .tuì  ita- 
lici, Roma,  Enea  e  Augusto,  128  ; 
Knea  e  Turno,  128:  stile  e  affetti, 
120-130;  SUI  morte  a  Hriiulisi , 
l.'W;    -I..    ■.,  Il  ,1,  r  ,    :,     X:n,  ,Ii  .    131  ; 


I.ei-  iiiag..,  1.;;.  iHil.lj!,,  ,,/.i„iie  del- 
l'Kiieide,  152;  Caligola  tenta  di 
distruggerne  le  opere,  865 

Virginia,  è,  uccisa  dal  padre,  I,  8:58- 
839,  IV,  168-169. 

Virginio,  tribuno,  Jiccusa  Cesone  di 
lesa  repubblica,  I, 


Virginio  (Lucio),  ritorna  dal  campo 
per  salvare  la  figlia  Virginia,  I, 
8,38;  la  uccide,  e   fa  sollevare  i 


soldati  contro   i   decemvi 
eletto  tribuno,  840. 

Virginio  Flavo,  maestro  di  eloqueitza, 
esiliato  da  Nerone,  IV,  411. 

Virginio  o  Verginio  Ruf  >  (L.) ,  capo 
delle  legioni  in  Germania .  suo 
.ibboccamento  con  Giulio  Vindice  a 
Vesonzio,  IV,  424  ;  gridato  impera- 
tore, ricusa,  424;  (ialba  lo  toglie 
dall'esercito  di  Germania,  431  ;  ri- 
fiuta di  nuovo  r  impero  offertogli 
lini  ^.i|ri:iti  .  (l'I:  console  sotto 
\  M-      I       II   ne  recita  l'e- 

Viri.UM  :..  Il-  .1  -  ìi.lettaealiberfà 
i  l,u,.i.uii,  MM  iiiilole  e  virtù,  11, 
.">2(i-52S;  vince  più  duci  romani, 
.■■)28  ;  frenato  da  Q.  Paljio  Massimo 
Kmiliano,  chiama  a  guerra  i  Cel- 
tiberi,  528;  vince  Serviliano  e  fa 
p.ace  con  lui,  520;  i  Romani  rom- 
pono la  pace  e  lo  fanno  uccidere 
a  tradimento,  .529-.531. 

\iridi>maro,  re  dei  Galli ,  ucciso  da 
M.  Claudio  Marcello,  li,  254. 

\iriplaca.  Dea,  suo  tempio  a  Roma, 
II.  303. 


\  ,,  |,   .    -  \.  li  dunre  e  Virlu 

\,s,l,i'.'     1         I       l'.'i  l>i-uidi.  111,  42.'-.. 

\isni,  !  I,  .  '  ;  iiiuii),miracolo  di 
iliii  !,  .  i  :  |i.  .icll'archeologia 
:<\  > |.  ..   I.  ..:.-)-677. 

Vis.iitii.m  (/,....  ..-'/),  nel  territorio  di 

ll'iUi'Ha.  rovine  etrusche,  I.  l-'iO. 

Visidiano,  Dio  protettore  di  Nanni, 
l,  381. 

Visurgi  { Wesnr) ,  fiume  in  Germa- 
nia, IV, -100,  221,  248,  249. 

Vii"  iniinitabitr  (la)  di  Cleopalr.i  e 
■A  Antonio,  III,  634,  680. 


Vitalia,  nome  dato  dapprima  all'estr.?- 
mità  meridignale  d' Italia,  I,  m. 

Vitellia ,  città  degli  Equi ,  1 ,  220  ; 
presa  da  Coriolano,  791  ;  colonia , 


Vitellii,  congiurano  a  favore  di  Tar- 

quinio  il  Superbo.  I,  621. 
Vitellio  (A, il  ,V   IO  :.   I  Ilo  ,!■!  '-.  ,11. a  al 


IV, 

dallo 


itOP 


giovi-ula  e  >uo  imi. .le,  -I-IO;  tenta 
accordi  cuu  Ollone,  442;  morto 
Ottone  muove  alla  volta  di  Roma, 
451  ;  rapine ,  orgie  ,  voracità  e 
immanità.  451-452;  suo  gover- 
no ,  453-4"4  ;  ordina  di  opporsi 
ai  Plaviani,  465;  sue  paure  alla 
notizie  della  disfatta  di  Cremona. 
468:  va  a  camp.>  uell"  Prabria,  46,S- 
460;  ^ii  1  ,101  ^|.:/i  per  lasi-iar 
riiii|.  ■  r    '  salvare  Flavio 

Sabio  1  '  I  I  1  invano  di  ftig- 
gire,  1. 1  -  li  1  ir  ,  .ai  ucciso,  472- 
473. 
Vitellio  (Lucio) ,  padre  dell'  impeia- 
tore  Vitellio,  conduce  le  legioni 
sull'Eufrate,  IV,  312;  valente  .uo- 
vernatore  di  Siria,  361;  scoiu-io 
adulatore  di  Caligola  e  di  Messa- 
lina, 3S1  ;  induce  Claudio  a  .«po- 
sare la  nipote  .\grippina,  366. 
Vitellio  (Lucio),  fratello  dell' iinp.'- 
ratore,  sua  ferocia,  IV,  453,  4.!S; 
mandato  a  frenar  la  Campania . 
460;  si  dà  in  mano  ai  Flaviaui  ed 
è  spento.  473. 
Vitellio  (Publio),  prefetto  del  fesor.. , 

complice  di  Sciano,  IV,  301, 
Vitruvio   Pollione,    architetto,    suoi 
precetti  d'architettura,  IV,  180-191. 
Vittime  umane.  —  Vedi  Sacriflzii. 
Vittoria,  Dea,  suo  tempio,  II,  204,  I\  , 
498,  709;  Vittoria  d'oro  donata 
da  Gerone  di  Siracusa  e  posta  sul 
Campidoglio,  II,  355;  statua  tra- 
sferita da  Taranto  a  Roma,  IV, 
12;  statua   di   Brescia,   .501-502: 
Vittoria   Augusta    nel    Vallo    di 
Adriano,  652,  653;  Vittoria  Dacica 
nella  Colonna  Traiana,  503. 
Vocezio  [Bopzberff),  monte  di  Elvezia, 

IV,  441. 
Vocouio  ,    legato    di    Lucullo    nella 
guerra  contro  Mitridate,  III,  339. 
Voconzii  [Delfi liuto),  nella  Gallia Nar- 
boiiese, vinti  dai  Romani,  III,  91- 
92;  federati  di  Roma,  95,  IV,  .52. 
Volcazio  Sedigito,  scrittore  di   versi 

,         sui  poeti,  III,  793. 

I    Volci  Arecomici  (Bassa  Lino m adora). 

I  contrastano   invano    ad    Annibale 

I  il  passai: -i.i  del  Rodano,  II,  335; 

I  fanno  parte  della  Provincia  Nar- 

:  bonesc.  111,  0.-,  ;  pr.jscritti  da  Poin- 

1  peo  Magn.i.  20(;. 

'    Volci  Tectosa^i    i  1'.  '    /    ..  ,.    ..'..o  '., 

alleati  di  Hon:       m      '■     r 

prigioniero   il  i  ano 

Tolosa,  123;  n .1     -ola,    ijs 

[     Volnio,  etrusco,  scntlore  (il  Ua:;T.lir, 
I,  462. 
Vologese  I,  re  dei  Parti,  invadi'  l'.Vi- 

i         mènia,  IV,  308;  fc  cacciato   .•  si 
sottomette,  309. 

I    Vologese    II,  re    pacìfico,   frena  gli 
s.tegni  dei  Parti  contro  Roma,  IV, 

I  727. 

I    Vologese  IH.  re  dei  Parti,  muove  con- 

j  tro  l'Armenia  e  vince  il  legato  Se- 

verianu,  IV,  727-728;  sconfitto  da 

I         Avidio  Cassio,  731. 

Volsci,  assoggettati  dagli  Etruschi, 
I,  128,  dis.:csi  dagli  Osci,  217: 
sedi,  231-241  ;  prodezza  e  potenza. 


241:    loro 


canaloni  militari ,    464 


DEI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


1050 


VOLSINIESI 


VOLUSIO 


ZINZALUSA 


fanno  parte  de 


.•?a  lafii 


3  pa 
vinti   da  Anco  >!-> 
Tarquinio   il   ^i:]i        ■     -i  '     :    - 
cogli  Equi,   77:  im- 

mani ,  773,  777-7  :-:  -   - 

831,  866-S67,  S7-,  Il  i: .  M:r;  .\-, 
Cammino  e  da  Cornelio  Ci.sscp,  l.'J- 
1-1;  non  (anno  più  resistenza  a 
Roma,  36  ;  entrano  nella  lega  la- 
tina contro  i  Sanniti,  41;  il  loro 
paese  e  sottomesso  dai  Romani,  5i. 

ilsiniesi,  battuti  dai  Romani,  I,  14tì, 
149. 

)lsinio  [Bolsetìo),  ima  delle  princi- 
pali città  di  Kliui  li ,  I.  1?;:  -u  ' 
splendore  e  e:  i.iMti  II"-!'/'  ■  :lr 
alla  Dea  Nor/ii  i  >  : 
Voltumna,  87(i  m  _  ■  i  i  '  n  1:  - 
ma,  880;  spo-lii  1  .  .ìi-m  ,;:  i  il.a 
Romani, 


Mu 


Rii 


Volta,  inventata  dauii  Ktru-clii,  I.  llC. 

Volterra,  una  delli-  citta  piiiiciiiali 
di  Etruria,  I,  12:1,  1X5;  rc.vine  e 
monumenti ,  155-157  ;  porta  del- 
l' Arco,  15S,  416,  417;  nuove  sco- 
perte, 173;  fortificazioni,  170;  tom- 
be, 4;9;  combattuta  da  L.  Cornelio 
Scipione ,  II,  79  ;  dà  socroi  si  per 
la  guerra  di  Affrica,  410;  asse- 
diata da  Siila,  dopo  due  anni  si 
arrende.  III,  263  ;  patria  di  Persio 
poeta  satirico,  IV,  886 

Voltumna,  Dea  di  Volsinio,  I,  381; 
tempio,  I,  870,  II,  12. 

Volturno,  Dio,  I,  381. 

Volturno,  fiume  nel  Sanuio  e  in  Cam- 
pania, I,  268;  vittoria  di  Siila  su 
Norbano,  III,  232. 

Volturno  {Castelvolturno),  città  fon- 
data dagli  Etruschi,  I,  269;  colo- 
nia romana,  II,  267  ,  427  ;  colonia 
raiUtare,  IV,  43. 

Volturno.  —  Vedi  Capua. 

Volunnia  ,  madre  di  Coriolano  ,  I , 
792. 

Volunnio  (P.) ,  si  rifiuta  di  aiutare 
Bruto  ad  uccidersi,  III,  628. 

Volunnio  Fiamma  L.,  console,  vince 
in  Etruria  con  Appio  Claudio,  li, 
80;  in  qualità  di  proconsole  va 
nel  Sannio,  80-81  ,  probabilmente 
prese  parte  alla  battaglia  di  Seu- 
tino,  82. 

^■olusio,  poetastro ,  ricoj'dato  da  Ca- 
tullo, III,  792. 


.liisioMeciano  {!>.),  maestro  di  di- 
riih,  n  Maiv,,  Aurelio,  IV,  700. 

:.  imi  il, -li  Adriani.  Pretu- 
1,1  •  I'  III, .usi.  I,  225,  227,  228. 
1  arti,  è  cacciato  dal 
tinnì.  l\  ,  ,',",><;  fatto  re  dagli 
-\rmuni,  2.5S;  custodito  con  l>om- 
pa  regia  dal  governatore  di  Siria, 
258  ;  i  Parti  chiedono  che  sia  cac- 
ciato di  Siria,  262;  e  confinato  a 
Pompeiopoli,  262  ;  e  ucciso  per  amo- 
re dei  suoi  tesori,  262,  313. 
ilcanale,  tempio  e  area  sacra  a 
Vide  ano  a  Roma  presso  il  Comi- 
ci ■   I,  i;20. 

ni  I    tinti  in  Italia,  I,  24-34. 
adorato  a  Perugia  e  a  Po- 
in,!   „i,i.  I,   389;  portato  a  Roma 


I  ulcano 


(isole  di) ,  isole  del  Mar 
'lirreno,  dette  anche  Eolie  in  an- 
tico, e  of,'gi  isole  di  Lipari,  II,  341. 

Vulceio  o  Volceio  (presso  Buccino)^ 
nella  Lucania,  I,  294;  iscrizione 
ad  Antonino  Pio,  IV,  716. 

Vulcenti,  vinti  dai  Romani,  I,  140, 
149. 

Vulci,  una  delle  città  principali  di 
Etruria,  I,  123,  133;  figurata  in 
un  basso  rilievo,  123,  133;  rovine 
e  scoperte  mirabili,  146-148  ;  vasi, 
M9;  nuove  scoperte,  173,  394; 
sepolcro  con  aspetto  di  tempio , 
423  ;  necropoli,  429  ;  colonia  greca 
di  fabbricanti  di  vasi,  447  ;  tomba 
.■  ;!■  [ili'iii'i  di  Cele  Vibenna  e 
\'  I   •  Ile  fazioni  etrusche, 

11.       Il  ;       I      Ita  sottomessa    dai 

Vulua'.'i..'..  \".jlnu-c;o  (T.).Crotoniate, 
arrestato  cogli  ambasciatori  Allo- 
brogi ,  III ,  381  ;  assicurato  della 
impunità  rivela  la  congiura  di 
Catilina,  381-38.'. 

Vulture  (monte),  vulcano  spento,  sui 
confini  della  Apulia  e  della  Luca- 
nia, I,  27-28,  295. 


w 


Vi'achsHiuth ,  sue  opnuoni  sulle  ori- 

■j\m  italiche,  I,  195-196. 
Wm1;uisUì  (Taddeo),  crede  i  primitivi 

ii.aliaiii  di  origine  slava,  I,  201. 


Xaido  (rovine  presso  il  villaggio  di 
Knonih),  citta  capitale  della  Licia, 
resiste  a  Bruto  ed  è  incendiata , 
III,  021. 


/aleuco,  legisl.itore  di  Locri,  I,  313. 
.114  ;  II,  1.34-137  ;  le  sue  leggi  pa- 
raffonato  con  quelle  di   Caronda , 

II,  137-l:«,  140. 

Zaiiia  {Jannt),  città  di  Numidia,  .as- 
sediata dai  Romani  è  liberata  da 
(iiugurta,  UI,  111  ;  premiata  e  ono- 
l'ata  da  Cesare  perché  avversa  ai  ■ 
Repubblicani,  526  ;  colonia  di  A- 
driano,  IV,  655. 

Zama  (campi  di),  Annibale  vi  è  vinto 
da  Scipione,  IL  421. 

Zancle.  —  Vedi  Messina. 

Zara,  II,  541. 

Zefirio  (Capo  Bruzzanó),  promonto- 
rio nella  Magna  Grecia,  I,  312. 

Zela,  nel  Ponto,  vittoria  di  Mitridate, 

III,  342;  vittoria  di  Cesare  sopra 
Farnace,  annunziata  colle  parola  : 


i-itU, 


513. 


Zelanti ,  cosi  chiamati  i  Giudei  più 
caldi  amatori  dell'  indipendenza 
nazionale,  IV,  456  ;  fanno  macello 
dei  loro  avversarli  e  giurano  di 
non  cedere  ai  Romani,  480-481. 

Z,.nol,in  .  Movcrn.ntorc  di  Mitridate, 
il.Ti-.i   'III    |-'!--i  ,     I  r.'rlt  ii'i    ciutru 


Ai'ri;,.     IV,  -103. 
Zenodoto,  greco,  nel  censimento  d'.\u- 

gusto  misura  l'Oriente,  IV,  .50. 
Zenone,    tìgUo   di   Polemone   re   del 

Ponto ,  "fatto  re  di  Armenia  col 

nome  di  Artassia,  IV,  261. 
Zenone  Eleate,  dà  leggi  ad  Elei,  ed 

è  ucciso.  II,  153,  134. 
Zeus,  Giove  Pelasgico,  I,  84-86,  90. 
Zeusi,  pittore,  sua  patria,  I,  323-324. 
Zinzalusa,  caverna  nel  paese  dei  S.a- 

lentini,  I,  340. 


AGGIUNTE  E  CORREZIONI 


VOLUME  PRmO. 


Pagina 

Linea 

:m 

7 

65 

24 

136 

13 

152 

8 

232 

3 

237 

2 

239 

ultima 

256 

6 

» 

8 

262 

10 

278 

15 

334 

nota  («) 

404 

nota  («) 

539 

1 

580 

5 

638 

nota  (*) 

044 

5 

684 

16 

778 

14 

779 

10 

780 

8 

814 

nota  C') 

820 

7 

825 

29 

844 

nota  (^) 

870 

5 

894 

19 

Yelleia 


Arimino 

Falisea 

Cortona  {Carilo) 

Trero  o  Toleno  o  Telonio 

Cassino 

Sul  porto  .  .  .  oniano 

Saro 

Alfedena 

Plistia 

Cossa 


Braun.  Tages  und  des 

Hercules 
COLONNA  TROIANA 
Curzio 

Licinio  INIacro 
Giusto  Lipsie 
Pisone 
Servilio 
Marco  Valerio 
di  un  Sicinio  Belluto  e 

(li  un  Giunio  Bruto 
Inhe 
Quinzio 
Minucio 
Hermodori       ephesii 

(columna) 
Mamerco  Emilio 
Un  Fabio 


rjiji:  VftUeia,  stazione  preistorica,  come 
dimostrano  i  rozzi  vasi,  e  altri 
oggetti  ivi  trovati.  (Pigorini, 
Oggetti  preistorici  dei  Liguri 
Yeieiali,  Parma  1874). 
»     Arimino,  Urbino. 

Falisca,  Falerii. 

Cortona  detta  anche  Corito. 

Trero  o  Tolero. 

Casino. 

Sul  porto  Neroniano. 

Sai'o  0  Sagro. 

Alfìdena. 

Plistia  0  Plistica, 

Cosa  0  Cossa. 

Plinio  (III,  16,  4)  chiama  lapigio  il 
promontorio  Salentino  che 
oggi  è  il   Capo  di  Letica. 

Braun  ,  Tuges  und  Werhe  des 
Hercules,  ecc. 

COLONIA  TROIANA. 

Metto  0  Mezio  Curzio. 

C.  Licinio  Macro. 

Giusto  Lipsio  (Rubens). 

L.  Calpurnio  Pisone  Frugi. 

P.  Servilio. 

Manio  Valerio  Massimo. 

di  L.  Sicinio  Belluto  e  di  L.  Giu- 
nio Bruto. 

Ihne. 

T.  Quinzio  Capitolino  Barbato. 

L.  INIinucio  Esquilino  Augurino. 

Hermodori  Ephexii  (statua). 

Kmilio  Mamerco. 
C.  Fabio  Dorsoue. 


Pagina 

Linea 

34 

23 

37 

5 

56 

23       1 

57 

21       ( 

VOLUME  SECONDO. 


Plauzio 
Marco  Rutilio 

Lucio  Cornelio 


leggi:  C.  Plauzio  Proculo. 
»     C.  Marcio  Rutilo. 

»     Lucio  Cornelio  Lentulo. 


AGGIUNTE  E  CORREZIONI. 


1061 


Pagina 

Linea 

24 

Vetui'io  e  Postumio 

ler/gi 

60 

T.  Vetui'io  Calvino  e  Spurio  Po- 

stumio Albino. 

67 

7 

Plistia  .  .  .  (lei  Marsi 

» 

Plistia  .  .  .  dei  Caudini. 

» 

nota  («) 

Delecta 

» 

Delela. 

08 

'■• 

Sulpicio  e  Petelio 

^' 

e.  Sulpicio  Longo  e  M.  Petelio 
Libone. 

74 

33 

un  Decio 

» 

M.  Decio  Mure  ,  figlio  dell'  eroe 
del  Vesuvio. 

82 

15 

sacerdote  Livio 

» 

pontefice  M.  Livio  Dentre. 

HO 

3 

Eubea 

^^ 

Eubea,  divenuta  poscia  per  opera 
di  Gelone  una  fortezza  di  Si- 
racusa (Strabene,  VI,  2,  X,  1). 

150 

21 

Crotonati 

» 

Crotoniati. 

207 

IO 

dicesse 

» 

dolesse. 

208 

26 

Elori 

>> 

Eloro. 

215 

2 

Cornelio  Scipione 

» 

Gneo  Cornelio  Scipione  Asina. 

235 

17 

Caio  Lutazio 

» 

Caio  Lutazio  Catulo. 

230 

29 

Lutazio 

» 

Q.  Lutazio  Cercone. 

248 

9 

fiume  Lisso  {Alessio) 

» 

città  di  Lisso  {Alessio  o  Leseli) 
alle  foci  del  fiume  Drilo(D/-in). 

278 

26 

L.  Cornelio  Scipione 

» 

P.  Cornelio  Scipione  Barbato. 

280 

0 

da  un  Valerio 

» 

da  M.  Valerio  Corvo. 

286 

29 

Sempronio 

» 

P.  Sempronio. 

288 

11 

Salara 

» 

Salaria. 

289 

8 

Valerio 

» 

M.  Valerio  Massimo. 

295 

14 

dall'  Epiro 

» 

da  Epidauro. 

304 

II 

Lucio  Postumio 

» 

Lucio  Postumio  Megello. 

340 

34 

Tiberio  Sempronio 

Tiberio  Sempronio  Longo. 

359 

10 

Postumio 

» 

L.  Postumio  Albino. 

366 

12 

Nuceria,  Alfaterna 

» 

Nuceria  Alfaterna. 

373 

6 

Valerio  Levino 

» 

M.  Valerio  Levino.  Cosi  a  pag.  385, 
linea  25. 

387 

6 

Gneo  Fulvio 

■0 

Gneo  Fulvio  Fiacco. 

398 

12 

Porzio 

» 

Porcio  Licino.  Cosi  a  p.  400,  lin.25. 

431 

18 

Madedonia 

» 

Macedonia. 

435 

2 

Gonfi 

» 

Gomfi. 

» 

5 

Caristio 

» 

Caristo. 

453 

6 

Eritrea 

» 

Eritre. 

458 

16 

Minucio 

» 

<^.  Minucio  Termo. 

470 

8 

IVIarcio  Filippo 

» 

Q.  Marcio  Filippo. 

478 

31 

Fabio  Massimo 

>> 

Q.  Fabio  Massimo  Emiliano. 

480 

11 

Licinio  Crasso 

>> 

Caio  Licinio  Crasso. 

492 

23 

Caio  Popilio 

» 

Caio  Popillio  Lenate. 

497 

34 

Leucoperta 

» 

Leucopetra. 

502 

5 

70  città 

» 

.')0  città. 

509 

2 

Lucio  ?vIancino 

» 

Lucio  Ostilio  Mancino.  Cosi  a  pa- 
gina 510,  linea  17. 

539 

•      16 

Perea 

» 

la  Perea. 

541 

11 

Antibo 

>, 

Antipoli  {Antibo). 

552 

II 

Licinio 

» 

P.  Licinio  Crasso. 

555 

4 

Popilio 

» 

M.  Popillio  Lenate. 

590 

21 

T.  Sempronio  Rutilo 

» 

Ti.  Sempronio  Rutilo. 

601 

20 

Malie 

>. 

Mallo. 

1062 


AGGIUNTE  E  CORREZIONI. 


VOLUME  TERZO. 


Pagina^ 

Linea 

44 

31 

vincitore  con  essi  a       leg 
Lucerla 

gi  : 

vincitore  con  essi  presso  a  Be- 
nevento. 

50 

32 

"Sì.  Flavio  Fiacco 

V. 

Flavio  Fiacco. 

58 

2 

Popilio 

» 

Popillio.  Cosi  a  pag.  72.  Un.  3  e  5, 
pag.80.1in.4epag.5o6,lm.30. 

02 

29 

Fulvio 

)■• 

]Marco  Fulvio  Fiacco. 

84 

4 

Papiro 

^> 

Papirio. 

104 

9 

Scipione 

Scipione  Emiliano. 

123 

4 

Popilio 

» 

Popillio  Lenate.  Cosi  a  paa-.  558. 
linea  8. 

» 

8 

Tectosagi 

>^ 

Volci  Tectosagi. 

127 

12    • 

in    durò 

indurò. 

154 

9 

principe  del  se,  Qneato 
Mucio  Scevola, 

principe  del  senato  e  Q.  Mucio 
Scevola. 

163 

21 

quan  donj 

>•> 

quando  fu. 

178 

14 

M.  Licinio  Crasso 

P.  Licinio  Crasso. 

179 

21  e  25 

Rutilio 

L.  Rutilio  Lupo. 

183 

27 

la  pongono  sul  Toleno 
{Sacco) 

la  pongono  sul  Toleno,  detto  con 
falsa  lezione  anche  Telonio  o 
Telone,  identificato  col  Tu- 
rano, piccolo  fiume  che  si 
scarica  nel  Velino,  non  lungi 
da  Rieti ,  e  non  ha  che  l^ar 
nulla  col  Liri.  L'opinione  più 
probabile  è  che  il  fatto  acca- 
desse sulle  rive  del  Tolero 
(Sacco),  il  quale  ecc. 

251 

14 

Caio  Norbano 

V> 

C.  Giunio?  Norbano. 

2.V2 

B 

Lucio  Ortensio 

» 

Q.  Ortensio  Ortalo. 

257 

0 

LucuUo 

>. 

M.  Lucullo. 

263 

7 

Roselo 

» 

Sesto  Roselo  Amerino. 

319 

10 

rubò  40  milioni  di  se- 
sterzi, 11,250,000  lire 

f 

rubò  40  milioni  di  sesterzi  . 
8,183,333  lire. 

354 

24 

400  mila  sesterzi  (  107,560 

li.e) 
da  più  parte 

>' 

iOO  mila  sesterzi  (81.333  lire). 

441 

32 

,> 

da  più  parti. 

489 

0 

Gneo  Domizio  Enobarbo 

» 

Lucio  Domizio  Enobarbo. 

506 

31 

L.  Cornelio  Lentulo 

>^ 

P.  Cornelio  Lentulo. 

031 

4 

Clodio 

» 

C.  Clodio. 

007 

22 

Messala 

>. 

AI.  N'alerio  Glossala  Corvino. 

078 

12 

Tenario 

Tenaro. 

093 

20 

M.  Emilio  Lepido 

» 

M.  b^milio  Lepido  Porcina. 

703 

2 

]\L  Valerio  INIessala 

M.  Valerio  I\I('ssala  Corvino. 

739 

27  fr28 

Rutilio  Rufo  .  .  .  Sei- 
vio  Sulpicio 

>» 

P.  Rutilio  Rufo  .  .  .  Servio  Sul- 
picio Rufo. 

745 

9 

L.  Taruzio  da  Fermo 

L.  Taruzio  Firmano  (da  Fermo). 

» 

nota  2 

Sollistimun 

Sollistimum. 

764 

5 

Fabio  Massimo  Serviliano 

Q.  Fabio  Massimo  Serviliano. 

767 

7 

L.  Licinio  Macro 

» 

C.  Licinio  INIacro. 

770 

27 

un  Sulpicio 

» 

Sulpicio  l^lito. 

AGGIUNTE  K  CORREZIONI 


1063 


gin  a 

Linea 

70U 

li 

(_'.  iAIemuiio 

>> 

i:5 

l'orcio  Licinio 

791 

'.) 

L.  Cesare  Strabonc 

807 

7 

Giulia 

leggi:  G.  ^Jemiiiio  Geiuello. 
»     Porcio  Liciuo. 
»     C.  Giulio  Cesare  Strabene. 
»     Giulia  Aurunculeia. 


VOLUME  UUAKTO. 


Pagina 


19 

,s 

43 

5  9 

00 

2'J 

61 

5 

68 

9 

» 

19 

89 

17 

108 

7 

130 

9 

Ilo 

28 

ir)3 

nota  (^) 

173 

7 

•2-1-2. 

is 

•Zi-Ò 

16 

226 

35 

259 

9 

271 

16 

280 

■2 

369 

4 

» 

penult. 

378 

15 

381 

oo 

478 

12 

521 

22 

563 

1 .) 

570 

12 

... 

18 

615 

7 

636 

16 

637 

8 

657 

16 

Viòcunli,  Icon.  Rom.,  leggi. 

-\!iuturno  » 

Seriae  Fama  lulia  » 

le  due  Mauritanie  al-  » 

tre  regioni 

a  Leida  >^ 

Tauruno  {Tzeruinlia)  » 
Terenzio  ^'ar^onc  Murena    » 


Plauto  Rul'o 

Cupennio 

Luciani 

Procolo 

Va!ei-io  Mcs?alino  Colta 

Carnunto  (Altenbut-g) 

Apollonia    [Polino)   e 
Sirmio  (Sirmich) 
im  Jahreg  nach  Chr. 
eretico  Silano 
Ermonduri 
Libone 

L.  Giunio  Silano  (Torquato) 
Cesarea,  e  a  Jol 
già  spento  da  lei 
Giulia  Silana 
e  Castra  \'etera 
legge  Scantina 
uscito  dal  consolalo 
Prusia 
(presso  Allenburg) 


L.  Licino  Sura 

Enocliii 

quattro  consolala 

a  Lavinia 

a  lampoli  nella  Focide, 
il  tempio  sacro  ad 
Apollo;  e  ad  Abe 
un  portico  chia- 
mato Adrianeo 


Mnngc:,  Icon-  K'jiiì. 

]\linturna. 

Seria  Fama  lulia. 

le  due  Mauritanie  e  altre 


•ei;ioui. 


a  Lugduno  dei  Datavi  {Leida). 

Tauruno  {San litio). 

Aulo  Licinio  ^lurena  detto  Teren- 
zio Varrone  Murena  pei-  causa 
di  adozione. 

Plauzio  Rufo. 

Cupiennio. 

Lanciani. 

Proculo. 

M.Valerio  Aui'clioCottaMessalino. 

Carnunto  (picsso  Haimhwg  tra 
Altenbuì-g  e  Petronell). 

Apollonia  {Palina)  e  Sirmio  {Mi- 
trovitz). 

hn  Jahre  9  nach  Ch>'. 

Giunio?  eretico  Silano. 

Ermunduri. 

L.  Druso  Libone. 

L.  Giunio  Silano. 

Cesarea  già  JoL 

già  spinto  da  lei  ad  uccidersi. 

Giunia  Silana. 

a  Castra  Vetera. 

legge  Scantinia. 

]iiii  anni  dopo  il  suo  consolalo. 

Prusa. 

(presso  Hahnhurg  ecc.  come  sojìra 
a  pag.  222).  Cosi  a  pag.  639. 
linea  8  e  pag.  756,  linea  17. 

L.  Licinio  Sura. 

Enioclii. 

(juattro  giudici  consolari. 

a  Lavinio. 

ad  Abe  nella  Focide,  il  tempio 
saci'O  ad  Apollo;  e  a  lampoli 
un  poi-tico  chiamato  Adrianeo. 


1064 

AGGIUNTE  E  CORREZIONI. 

Pagina 

Linea 

710 

29 

nella  pianura  "■  Dea-      leggi 

derah 
Aggiungi 

nella  pianura  di  Tentvra  (Bende- 
rah). 
■  Vi  è  ricordo  anche  di  un    monu- 

716 

nota  3 

mento    dei    Bergamaschi    ad 

Antonino  :  RespKblica  Bergo- 

ìnatiiim  oplimo  principi.  Vedi 

Finazzi,  Le  antiche  lapidi  di 

Bergamo,  pag.  63 ,  Bergamo 

1873. 

837 

3-2 

40O  mila  sesterzi            leggi 

•  400  volte  centomila   sesterzi ,  os- 
sia 40  milioni  di  sesterzi,  e- 
quivalenti    a     8,183,333    lire 
italiane. 

920 

33 

Budriaco                                  » 

Bedriaco.                                                       i 

1010 


Pagina      Colonna 


995 
1002 


INDICE  DKI  NOMI  E  DELLE  COSE. 


alla  fine  dell'articolo  Dieo:  Leucoporta,  leggi:  Leucopetra. 
all'articolo  Fabio  Massimo  Serviliano  (Q.),  aggiungi:  della  gente 

Servilia ,    adottato   in    quella    dei   Fabii ,    console  nel   612; 

scrittore  di  Anìiali,  III,  764. 
alla  linea  30:  Leucoperta,  leggi:  Leucopetra. 


FINE. 


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