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Full text of "Storia del Montenegro del cavaliere Demetrio Milaković"

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STOEIA DEL MONTENEEO 



STIRIl 

DEL HOITEIEBO 



DEL 



Cavaliere Demetrio lilakoyic. 



Tradazione 

di 

€r. Aagosto Kaznaèié. 



BagusA 

4 

Carlo Pretaer Tip. Editore. 
1877. 




La proprietà letteraria è posta sotto la salvaguardia delle tìgenti legp. 



L' istoria d' un popolo valoroso, che imperterrito lotta da se- 
coli per la propria indipendenza, tra le ardue difficoltà oppostegli 
dal suolo che abita, dalle continue aggressioni che deve respinge- 
re, dai rancori d* incancreniti pregiudizii e da simpatie, talora più 
pericolose ancora, il quale nuUameno cerca di progredire nella via della 
civiltà, merita d' esser conosciuta e studiata. A tal fine intraprendem- 
mo a pubblicare la traduzione italiana della , Storia del Montenero^ 
delcay. Milakovié, coscienzioso lavoro, basato sopra documenti con- 
sultati finora da ben pochi. Ci servimmo d' un esemplare rettifica- 
to ed annotato dall' istesso autore; da qui alcune varianti col te* 
sto edito a Zara nel 1856. La narrazione giunge fino air anno 1833, 
in cui il vladika Pietro II Petrovié-NjeguS fìl consacrato in me- 
tropolita del Montenero. Se riescirà accetto il presente lavoro, ci 
proponiamo di completarlo coli' aggiunta degli avvenimenti seguiti 
sotto il governo di quest' ultimo dei vladika e dei principi secola- 
ri Danilo ed il regnante Nicola. H momento è propizio per la no- 
stra intrapresa ; possa quindi destare V interesse del pubblico, par- 
ticolarmente di quelli cui sta a cuore lo sviluppo delle nazionali- 
tà dei popoli sulla penisola dei Balkani, lo straziante lamento dei 
quali trovò un eco nel cuore di molti generosi I 

Gli Editori. 



n, CAVAIM DEMETRIO IIIAKOVIH 



}, 



il nome di Demetrio Milakovìé va collocato tra quelli degli 
uomini di superiore ingegno, che abbracciando coli' acume della 
loro mente intera Y estensione delle idee dominanti le diverse e*^ 
poche dello sviluppo dell' umana coltura, divengono i promotori 
della loro più ampia applicazione. Simili a quelle pietre che so- 
stengono la mole d' un grandioso edificio e ne costituiscono le fon- 
damenta, rimangono spesso inavvertite sotterra, lasciando le soddi- 
sfazioni della volgare ammirazione air eleganza dei pomposi ornati, 
che in seguito abbelliscono la fabbrica, che sopra di esse riposa. È 
riservato alla perspicacia dell' intelligenza il discendere col pensie- 
ro dalla svelta eleganza e dalla solidità della mole, al merito del- 
l' arte che la sostiene. 

Nato a Mestar d' Erzegovina ai 6 Novembre (25 Ottobre n. 
s.) del 1805, ancor bambino perdette il padre; nel 15, per fuggi- 
re dalla peste, che desolava la sua patria, colla vedova madre e 
con Giovanni suo fratello maggiore, fuggì a Ragusa, dove la fami- 
glia prese stabile dimora, dedicandosi Giovanni al commercio. De- 
metrio sciancato di un piede, per modo da rendergli penoso fin 
alla morte il moto dell' arto, quindi impossibile la vita affaccenda- 
ta del commerciante, scelse la carriera degli studii. Gli elementari 
percorse a Ragusa ; ventenne si trasferì a Neusatz, dove in tre an- 
ni assolvette privatamente i ginnasiali, sotto la direzione del rino- 
mato professore MagareSevió; a Pest frequentò il corso filosofico 
e passò quindi a Vienna per dedicarsi allo studio legale. Dotato 
di alacre ingegno, d' indefessa applicazione, fornito esuberantemen- 



vm 

te dì mezzi dal benemerito suo fratello Giovanni, che gli teneva 
laogo di padre, messo in relazione colle persone le più distinte 
per ingegno, che in queir epoca s' occupassero del rinascimento 
della letteratura serba, abbracciò con trasporto Y idea della rico- 
stituzione delle nazionalità, nello sviluppo della quale s' incomincia- 
va a sperare la salute della società, resa decrepita dai vecchi pre- 
giudizii e affranta dai vertiginosi eccessi delle rivoluzioni e delle 
carnificine, che avevano chiuso il XVIII secolo e colle quali aveva 
avuto principio il XIX. La lusinga di veder risorgere la propria 
narión^e, elevandola colla coltura al livello delle piìi civili, divenne 
lo stopo deir esistenza del' Milakovié, che dedicò a questa, con 
nobile abnégdtiione, tutte le sue forze intellettuali e fisiche. 

Per cooperare a così generoso divisamento, gli si otfrì propi- 
zia occasione quando nel 31 il conte Giovanni Vukotié passò per 
Vienna, recJatidosi dalla Russia nel Montenero. Stretta relazione 
con Demetrio, che colà sì trovava da un anno e mezzo, gli propo- 
se essergli compagno nel!' intrapreso viaggio. Chiunque, anche su- 
perficialmente, còùosca il genere di vita che il giovine studente 
poteva ripromettersi tra que* montanari, non esciti ancora dallo 
stato di barbarie, dove ed il rigore del clima e la mancanza di 
qualunque comodo della vita e le abitudini bellicose, si presenta- 
vano tanto poco favorevoli alla sua gracile salute e tanto opposti 
alle condizioni d' agiatezza, tra cui fin allora aveva vissuto, dalla 
sua risoluzione nelP accondiscendere all' esibizione dell' inviato russo, 
potrà facilmente diluire la forza del sentimento che lo spingeva ad 
approffittare d'ogni circostanza, per esser utile alla propria nazio- 
ne. Arrivato a Cetiiyei accettò il posto di segretario di quel go- 
verno. 

Quando nel 33 Y archimandrita di Cetinje, Pietro NjeguS II, par- 
tì per Pietroburgo per farsi consacrare metropolita del Montenero, 
desiderò d' essere accompagnato dal Milakovié, con cui nello stes- 
so anno ritornò in patria. Deve esser stato ritenuto da quel prin- 
cipe-vescovo ben prezioso 1' acquisto d' un uomo di tanto merito 
fra le inospiti rupi del Montenero! Fautore d' ogni ramo di coltu- 



j 



IX 

ra, particolarmente letteraria; poeta egli stesso tra i più distinti 
della nostra nazione, del che ci lasciò insuperati monumenti nelle 
originali produzioni della sua fervida fantasia, con espressione im- 
prontata di spirito geniale, non esitò di definire se stesso „per 
colto tra i barbari, per barbaro tra i colti, per contrabbando tra i 
principi." La compagnia del Milakovié doveva alleggerire il diflficile 
compito, cui era destinato dalla sua posizione, aiutandolo a spar- 
ger semi di coltura tra il suo popolo, per raggiungere lo scopo 
di assicurare la pace che gli si rendeva necessaria, per qualche 
tempo almeno, nel suo principato. 

I primi incarichi quindi affidati al Milakovié, furono di na- 
tura diplomatica. Ebbe parte nella rettificazione e delimitazione 
dei confini austro-montenegrini e nella pace conchiusa a Ragusa, tra 
il vladika ed Ali-pascià Rizvanbegovié d* Erzegovina. Nel 36 fu in- 
viato per la seconda volta in Russia, per trattare di interessi del 
vladika, il quale colà lo raggiunse neir anno seguente. Condotta a 
felice termine la missione, V imperatore Nicolò, per rimeritarlo, lo 
insigni dell' ordine di S. Vladimiro di IV. classe ed il vladika lo 
nominò a suo segretario personale. Il suo nome già vantaggiosa- 
mente conosciuto nel campo letterario perproduzioni pubblicate do- 
po il suo primo ritorno dalla Russia, gli meritò nel 42 la nomina 
di socio corrispondente del ^Druétvo Srpske Slovesnosti*^ di Bel- 
grado. 

Dopo la morte del principe-vescovo Pietro II, il si^p successore 
Danilo, assunto il principato secolare del Moutenero, partì noi 51 per 
Pietroburgo per esser riconsciuto come tale e condusse seco il Milako- 
vié, che al momento del ritorno venne regalato dall'imperatore Nicola 
con un prezioso anello in brillanti. Arrivato a Trieste, affranto dalle 
fatiche del penosissimo viaggio, senti urgente il bisogno di qual- 
che tempo di riposo tra i suoi congiunti e conoscenti. Il principe 
proseguì per Cetinje ed il Milakovic parti per Venezia, dove altre 
volte s' era trattenuto, in cerca particolarmente di documenti per 
la pubblicazione dell' «Istoria del Montenegro", con cui si occupa- 
va già da lungo tempo. Poi, stanco del soggiorno in terra stranie- 



X 

ra, si trasferi a Belgrado, rimaìiendovi per due anni e mezzo. De- 
sideroso però di convivere col fratello, al quale lo univano vincoli 
di speciale riconoscenza e tenerezza, abbandonò il gradito soggior- 
no nella capitale della Serbia, per fissare il domicilio a Ragusa, 
sua seconda patria, occupandosi esclusivamente di lavori letterari]. 
Vi rimase per circa tre anni. Senonchè quando, insieme ad altri 
suoi connazionali qui stabiliti, divenuto vittima d' infondati so- 
spetti della polizia, subi una perquisizione domiciliare delle sue car- 
te, sdegnato altamente perla sofferta ingiustizia, al prìncipare di 
Febbrajo del 58, abbandonando e le gioje della vita di famiglia 
ed i conforti dell* amicizia ed il mite e benefico clima di Ragusa, 
partì precipitosamente per Vienna, coir intenzione di tosto prose- 
guire per Pietroburgo. Ma la sua cagionevole salute, straordinaria- 
mente alterata da dopo il sofferto patema e dal viaggio nel cuore 
deir inverno di quel rigidissimo anno, lo costrinse a far sosta a 
Varsavia, dove gravemente ammalò. Riavutosi, nel Maggio si recò 
a Dresda, per compiere la cura intrapresa, divisando di passar poi 
qualche tempo a Parigi. Già aveva fissato il termine per la par- 
tenza, quando ai 1^27 Agosto 1858, fìni i suoi giorni a Dresda, nel- 
r età di 53 anni. Per le cure delP amorosissimo fratello, la sua salma 
riposa nel cimitero greco a Lipsia, ahi! troppo lontana dalla pa- 
tria, che piange la perdita di Demetrio Milakovié, come di uno tra 
i piti benemeriti suoi figli. 

A memoria della sua operosità letteraria, rimangono le se- 
guenti pubblicazioni: 

a) Grlice (Tortorelle), periodico annuo che dal 1835 al 39 si pub- 
blicava a Getinje nella stamperia del metropolita del Montenero. 
La massima parte degli articoli in esse contenuti, sortirono dal- 
la penna del redattore. 

b) Grammatica serba ad uso della gioventù montenegrina. Parte I- 
Vide la luce pure a Getinje nel 1838, nella stamperia del go- 
verno. Durante il suo ultimo soggiorno a Ragusa, s' occupò nel 
rifonderla interamente, estendendola a tutti i diversi dialetti slavo- 



XI 

meridionali, da lui ben conosciuti. Il manoscritto rimane tuttora 
inedito. 

e) Frolegomeni délV istoria universale per i fanciulli. Parte I ; 
traduzione dal russo dello Schleser. Editi nel 1839 a Cetinje, 
ristampati nel ^Magazin RrspUo-dalmatinski** per V anno 1860, 
per cura del protopresbitero prof. D. Giorg[io Nikolajevié. A 
questi è premessa un^ estesa biografia del defunto Milakovic, 
scritta dal redattore stesso del periodico, dei dati della quale 
mi sono servito nella compilazione dei presenti cenni biografici. 

d) La storia del Montenero^ pubblicata a Zara nel 1856, dalla ti- 
pografia dei fratelli Battara, la cui traduzione italiana offro ai 
lettori, pregandoli d^ essermi indulgenti nel lavoro intrapreso in 
lingua che non è la mia materna, ma soltanto di affezione, per 
esser quella della mia educazione scientifica. 

G. A» K. 



AVVERTENZA. 



Nel riportare le parole slave e turche, che così frequenti oc- 
corrono in questa storia mi sono attenuto alla nuova ortografia, 
oramai generalizzata tra gli Slavi meridionali che si servono del- 
l' alfabeto latino. 

Per gì' ignari di siffatta ortografia serva di norma che 
^ 6 e e dessi pronunziare come e in ceci 
e „ „ „ z „ razza 

9Ì r> n « g » raggio 

9 n » « g « ago 

y ;, n ;» gì » gU 

w; „ ;, « gn „ ogni 

s ff jf y, se ff scena 

^ „ ;, „ j francese (jeune) 

La lettera r ha in slavo il valore d' una vocale, fa perciò 

spesso sìllaba per se sola. 



PREfAZlONE. 



0, 



T son vent' anni eh' io aveva intrapresa nel MonU^nero la 
pubblicazione d' un periodico col nome di „Grl%ca^ (tortorella). 
Cinque annate ne videro la luce (1835-1839) ed in queste, fra le 
altre cosarelle, stampai anche un sunto della storia del Montene- 
ro, fino al 1830. Non posso negare che quel lavoro non riescisse 
né completo, né ridotto alla dovuta perfezione; qualunque 
fosse però, dei brani ne furono tradotti in tedesco, in francese, in 
italiano, in russo, e fors' anche in qualche altra lingua. É questa 
un evidente prova della brama che gli stranieri avevano d' ap- 
prendere le gesta dei prodi Montenerìni, brama che ben più viva 
dovrebbe essere in tutta la nostra nazione, alla quale in ispecial 
modo erano destinate le j^Chrlice^. Divenendo or queste di giorno 
in giorno più rare, ed essendo sconosciute alla massima parte dei 
Serbi, nìi decisi a pubblicare ora di bel nuovo, riunita in un volu- 
me, la suaccennata istoria. 

Questa edizione non è già una verbale riproduzione dalle 
j^Grlice^ ; quel lavoro fd per così dire rifatto in seguito ad un nuo- 
vo diligente confronto colle fonti alle quali era stato attinto e 
con altre opere isteriche degne di tutta fede; secondo queste 

fa in alcuni punti corretto, in altri aumentato, ed in molti com- 

1 



pletalo e ciò specialmente ìd grazia di molti documenti rinvenuti 
in vari archivi e finora sconosciuti alla nostra nazione. Di questo 
materiale farò cenno in appresso. 

Delle innumerevoli guerre e battaglie, che pel corso di ben 
più di 400 anni furono combattute fra Turchi e Montenerìni, feci men- 
zione e descrissi soltanto le più considerevoli e di maggior stori- 
ca importanza; fra tutte però, non ve n'ha una, che non s' appog- 
gi su qualche documento meritevole di fede. 

Degli altri avvenimenti di cui si tratta in questo libro, dif- 
ficilmente se ne rinverrà qualcuno non convalidato da irrefraga- 
bile testimonianza. 

Che la presente pubblicazione sia scevra di difetti, e che 
potrebbe venir completata, ed in alcuni luoghi essere più concisa, 
non vò nemmen dubitare ; sono convinto però che, tal quaF è, essa 
verrà benevolmente accolta dai lettori Serbi, ed in tal convinzio- 
ne mi raffermano le seguenti parole del serbico Orazio: „Chi è 
jyira i Serbia cui non sia di conforto^ consolazione e gioja il leg- 
^gere le gesta dei Serbi del Montenero, e che a tal lettura non 
^senta esultare il cuore di sentimento nazionale ?" 



Vienna 10 Maggio 1855. 



S. M. 



Breve rivista delle fonti consultate per la 

presente istoria. 

Queste „....«.,e.p.r..»i„.r,.« cu, .i ,.„..„. 

Vito per la pubblicazione di questo libro, ed in parte anche per 
le ^Grlice*, come già ebbi ad accennare nelle medesime. 

1. Il regno degli Slavi^ di Don Mavro Orbini. Pesaro 1601 in 
8. grande, di 473 pagine. Quest' opera è in generale di grande 
utilità per V istoria Serba, ed è da questa che presi per in- 
tero la storia della famiglia dei BalSié, di cui già prima ave- 
va dato un breve sunto 1' anno 1850 nel N. 101 della Gazzet- 
ta Serba. 

2. Srpski Spomenici. (Monumenti Serbi) pubblicati a Belgrado 
r anno 1850. Da questi, nella presente opera, come anche nel 
suaccennato N. della Gazzetta Serba, ho citato alcuni per con- 
validare la veridicità dell' istoria di Mavro Orbini, per quello 
che riguarda la stirpe dei Balàié. 

3. Bukopis Cmogorskog Vladike Petra L (^Manoscritto di Pietro 
L Vladika del Montenero) in due esemplari, Y uno dei quali 
non è che il primo abbozzo, sul quale poi venne elaborato 
r altro. Questo manoscritto si conserva nell' archivio scelto di 
Getinje e contiene 1' istoria del Montenero dalla sua origine 
fino al 1811; esso fii testualmente stampato nella Grlica del- 
l' anno 1835 (pag. 55-75 e 85-86) , questa volta però me ne sco- 
stai neir esposizione di quegli avvenimenti che confrontati con 
altre opere, degne di tutta fede, mi si presentarono pieni di 
manifeste contradizioni. 



4. n Campidoglio Veneto. Manoscritto di 4 voi. in foglio, che si 
conserva nella Marciana di Venezia, Vi si contengono gli stem- 
mi, le origini, la serie degli uomini illustri e gli alberi genea- 
logici delle più distinte famiglie ascritte al patriziato vene- 
to. — Con questo fu rettificato e completato alcunché risguar- 
dante la famiglia Crnojevié. 

5. Ljetopis CmogorshL (Cronaca Montenerina) che arriva al 1749. 
É assai mancante, non vi si fa menzione che di soli venticinque 
avvenimenti, citati tutti nella presente pubblicazione per nota 
a pie di pagina, per sancire la verità del testo. 

6. Istorija o Óemoj Gori. (Storia del Montenero) del Metropolita 
Montenerìno Basilio Petrovié, Mosca 1754. — Questa storia 
mi fu di vantaggio soltanto inquanto me ne servii nella Grli- 
ca del 1836 (pag. 42-46 e 52-53) nel descrivere le battaglie 
dal 1712-1750, quantunque ne avessi descritte alcune più am- 
piamente secondo la tradizione dei canti popolari. 

7. Storia della repubblica di Venezia delV Abbate Laugier. Ve- 
nezia 1767-69, in 12 voi. Anche di quest' opera mi servii e 
n *ebbi ajuto, ma debole, 

8. Istorija Crne Gore od iskona do novieg vremena. (Istoria del 
Montenero dai più remoti fino agli ultimi tempi) cioè fino al 
1788, di Simeone Milutìnovié da Serajevo, stampata a Belgra- 
do neir anno 1835. 

9. Kazivanje starih TrebjeSand iz arhiva srdara MaliSe i hape' 
tana BoSka Buéica-NikSica. (Racconti de vecchi Trebiesciani 
dall' archivio del serdaro Mnliàa e del capitano Natale Buéié- 
NikSié) Belgrado 1842. 

10. Zapiski morskago oficera. (Giornale di un offiziale di marina) 
di Vladimiro Bronewski, edito a Pietroburgo nel 1818 in 4 voi. 
e Pisma morskago oficera (Lettere di un offiziale di ma- 
rina), Pietroburgo 1825, in due parti, dello stesso autore. 
Da queste due opere del Bronewski, che ne fu testimonio ocu- 
lare, tradussi tutti i fatti guerreschi successi alle Bocche di 
Cattare e nei dintorni di Ragusa, dal"^ principio del 1806 alla 



fine di Luglio del 1807^ e li stampai nelle Grllce del 1837 
(pag. 41-52) e del 1838 (pag. 41-56). Ora piii diffusamente 
descrìssi gli stessi avvenimenti, sempre però servendomi delle 
stesse opere del succitato autore, ed in suo nome; e li esposi 
tali quali ci vengono da lui raccontati, ond' è che in molti 
luoghi si troverà scritto ^^la nostra armata* in luogo di „ar- 
mata russa* oppure la „ nostra armata alleata^ in luogo di 
erusso-montenegrìna.^ 

11. Protokól od 9viuh gvanUnih alctd % korespandencid Vìadike 
Cmogorskog o gavojevanju Bóke kotorske i u lyqj vcjenih do- 
gagjajà od Sept 1813 do hmca Maja 1814 god. (Protocollo 
degli atti ufficiosi e corrispondenze del Metropolita del Mon- 
tenero sulla conquista delle Bocche di Cattare e dei relativi 
fatti militari.) Da questo protocollo redatto allora nelle Bocche 
in lingua italiana, capitatomi casualmente fra le mani nel 
1837, tradussi e stampai alcunché nella „Grlica* del 1838 
(pag. 56-61); nella presente opera ne trassi ancor maggiore 
partito. 

12 Carske gramole. (Diplomi imperiali.) — Alcuni di questi diplo- 
mi sono stampati nella loro lingua originale nelle «Grlice,^ e 
precisamente in quella per V anno 1835: due manifesti del 
r Imperatore Russo Pietro il Grande, in data 3 Marzo 1711 
(pag. 76-85); ed in quella per Y anno 1836 un diploma dello 
stesso Czar Pietro, dei 9 Luglio 1715 (pag. 47-50); un mani- 
festo dcir Imperatore Giuseppe II, dei 17 Aprile 1788, (pag. 
61-63), nonché un altro di Caterina la Grande, dei 4 Marzo 
1788 (pag. 64-67). Questi e gli altri diplomi, riportati in quest' 
opera, sono tradotti in serbo. 

13. Bagna pisma i akta %g iàbrane arkive. (Diversi scritti ed atti 
dair archivio scelto) che furono in mia mano sin verso la fi- 
ne del 1851 '*') Da questo archivio sono stati stampati nella 



*) Qaando, nel 1884, il defanto Vladika Pietro II ordinò che fosse rovistato e 
rivedato P srchino di Ceti^je, scelse egli tatto quello che, a suo parere, 
vi si trovava di più importante; quindi ritenute presso di se alcune cose, 
come diplomi imperali ed altre dì maggior importanza, consegnò a me il 



6 

„GrIica'' del 1836 i seguenti documenti : Due lettere del mag- 
giore austriaco F. Vukasovié, scritte nel 1788, Y una agli abi- 
tanti di Bjelopavliéi e V altra a quelli di Piperi (pag. 67-69) ; 
una lettera del Vladika Pietro in datalo Giugno 1796 a Mah- 
mud-Pascià, Vizir di Scutari (pag. 70-71); una lettera dei ca- 
pi Montenegrini agli abitanti di Brda, dei 20 Giugno 1796 
(pag. 72-73), e finalmente il diploma della città di Budua 
al Vladika Pietro, in data U Luglio 1797 (pag. 77-78). 

14. AJcta i0 arMve MletaòJcp. (Atti dall' archivio di Venezia), ma- 
noscritto che fu parimenti in mia mano. Alcuni erano stati 
portati da Venezia nel 1847 dal Vladika Pietro II, ed altri mi 
furono comunicati nello stesso anno da un suo amico. 

Fra i materiali adoperati per V attuale pubblicazione debbono 
annoverarsi anche: 

15. Le „GrUce" nelle quali oltre a tutto quello che attinsi alle 
fonti sopraccennate, v' ha anche molto che riguarda la storia 
del Montenero e eh' io appresi o dalla viva voce di vegliardi 
dai canti nazionali. Cosip.es. si trova nella Grlica del 1836, 
la battaglia del 25 Nov. 1756 (erroneamente messa nel 1750) 
in cui i Montenerìni sconfissero i Turchi capitanati dal éaja 
del Vizir della Bosnia; la battaglia combattuta al tempo di 
Stefano il piccolo 1' anno 17C)8, tra il Beglerbeg di Romelia ed 
i Viziri della Bosnia e di Scutari da una parte, ed i Monte- 
nerini dall' altra (pag. 58-59); la devastazione del Montenero 
per opera del Pascià Mahmud BuSatlija nel Giugno del 1785 
(pag, 60) ; r assedio della fortezza di Spu2 per opera dei Mon- 
tenerini e delle truppe austriache sotto il comando del maggio- 
re Vukasovié nel 1788 (pag. 69); le battaglie contro H sun- 



resto, perche fosse conservato nella cancellerìa ; queUo poi che oltre a tut- 
to questo era rìmasto nelP archivio, fu riposto in due cofani, nei quali anche 
prima si custodivano copie di diversi scrìtti nel monastero di Getiige, don- 
de furono trasportati nel 1839 nel nuovo palazzo fatto fabbricare a Getiige 
dallo stesso Vladika. 



nominato Mahmiid Pascià Y lì Lagtio 1796 la prima, ed il 
22 Settembre dell' istess' anno la seconda (pag. 73-76). E 
nella Grlica del 1838 Y assalto alla fortezza di Elobuk del- 
l' armata Russa unita ai Montenerìni nel 1807 (pag. 55); 1' ag- 
gressione della Mora(a fatta dall' armata turca sotto Deli-Pa- 
scià il 17 Settembre 1820 (pag, 61-62). 

Mi sono servito nella presente mia opera anche di altre fon- 
ti, di cui sarà fatta menzione a suo luogo. Quelle di cui feci 
uso per la prima volta jln questa pubblicazione citerò a pie 
di pagina, come pure quello che precedentemente fu detto 
nelle Oriicey acciò il lettore possa vedere a primo colpo, quanto 
da quelle fil conservato, quanto vi fu cangiato e quanto vi fii 
aggiunto. 



INTRODUZIONE. 



)ecoDdo la testimonianza del greco imperatore e scrittore 
Costantino Porfirogenito (che regnò dal 945-959), i Serbi, di 
cointelligenza coli' imperatore Eraclio, si trasferirono da oltre 
ì monti Garpazii nella Macedonia circa V anno 636, donde, 
due anni dopo, trasmigrarono nelF antico lUirio fra i Bulgari 
ed i Croati, dopo di aver scacciati gli Avari. Da bel principio de- 
nominarono Serbia la lor nuova patria, dividendola tra loro in di- 
verse Provincie, che si chiamarono: Serbia propriamente detta, Bo- 
snia, Narenta, Zahulmia (Hum), Tribunia (Trebinje), Canali e Dio- 
elea (Dukija). Di questa Serbia primitiva erano confini : al nord la 
\J I Sava ed il Danubio ; all' est la Morata, V Ibar e la città di Basa 
(r attuale Novi-Pazar) ; al sud la Bojana colla città di Scutari ed 
air ovest finalmente i monti che s' estendono tra i fiumi Bosna 
e Vrbas e dalla sorgente di questo verso le foci della Cetina. fino 
al mare Adriatico. 

Ciascuna delle suddette provincie serbe aveva un proprio 
Zupano (Éupan), con a capo di tutti e quasi signore di tutti i 
Zupani e dell' intera nazione il gran Principe o gran Zupano del- 
la Serbia, il quale risiedeva nella Serbia propriamente detta, nella 
città di Desnica, sita sulla Drina, soggetto all' imperator greco 
qual supremo Signore del territorio; fino a che alla morte d' Era- 
clio (641) la nazione serba si sottrasse al dominio greco. 

Egli è probabile che, nei primi due secoli, i Serbi nell' Illi- 
rio vivessero in buona concordia tra loro, sottomessi alla suprema- 
zia del loro prìncipe a Desnica, ma in progresso si vede che i 
Zupani delle provincie continuamente si sottraessero all' autorità 



del supremo lor Zupano, e spesdo venissero tra di loro a sanguinosi 
conflitti per appropriarsi V autorità sovrana, e quindi accadeva ben 
spesso che vi fossero tante provincie e tanti signori indipendenti 
quanti erano i Zupani ; altre volte poi che taluno di questi eserci- 
tasse un' autorità sovrana su alcuni od anche su tutti gli al- 
tri Zupani. Queste frequenti contese e discordie intestine indebo- 
livano talmente lo Stato serbo, che or era assalito dai Bulgari, o- 
ra dai Greci, i quali lo devastavano, lo depredavano e lo riduce- 
vano a loro soletto. 

I Narentani per i primi si sottrassero air autorità del gran 
Zupano della Serbia e si costituirono indipend^ti, e nella prima 
metà del IX, secolo (tra V 836 e V 843) Kr^an, Zupano di Tre- 
binje, si proclamò qual principe indipendente e tali si mantennero 
i suoi due successori Hvalimiro e Gucimiro. Anche la Zahulmia e- 
ra governata nella prima metà del X. secolo (912-926) da un prin- 
cipe indipendente, potente e glorioso di nome Michele Yiàeslavié; 
e nella seconda metà dell' undecimo secolo (^1050- 1080) il più 
forte ed il più potente di tutti era il Gran Zupano di Dioclea Mi- 
chele Boislavov, il quale si denominò re serbo ed ottenne dallo 
stesso Romano Pontefice Gregorio YU le insegne competenti a 
tale dignità. lire Michele regnò pacifico e glorioso per interi tren- 
t' anni, risiedendo nella città di Duka. Alla sua morte, lasciò il 
trono a suo figlio Bodino, il quale scelse Scutari a sua residenza 
e si rese soggetti i Zupani di Bosnia e di RaSia. Il regno serbo 
a Dioclea non ebbe lunga durata. Intestine discordie e guerre, su- 
scitate poco tempo dopo, trassero tutta la nazione serba sotto il 
^ogo dei Greci. Finalmente Stefano Nemanja, discendente dalla 
famiglia dei Zupani di Dioclea e capostipite della nuova casa re* 
gnante, fondò un forte ed indipendente gran-Zupanato nella città 
di Basa. Nemanja figlio di Te§a zupano di Baàia (Rascia) nacque 
r anno 1114 a Zeta sulla Ribnica ed ebbe in retaggio le terre di 
suo padre, ma dovette combattere co suoi fratelli maggiori, Miro- 
slavo e Costantino, i quali volevano privarlo della successione. 
Riuscitone vincitore, divenne nel 1159 Gran-Zupano della RaSìa 



10 

e liberò dai Greci le Provincie serbe, e tra queste Dioclea sua 
patria, i» cui, come provincia integrante della Serbia, regnarono fe- 
licemente anche i suoi succesiori fino all' ultimo imperatore Urea 
il Giovane. 

Duklja (dagli stranieri conosciuta sotto il nome di Dioclea) 
denominata in seguito Zeta, formava la parte più meridionale del- 
le terre serbe neir lUirio. Il nome di Duklja le venne dalla sua 
più cospicua città detta Duka (cui i Greci appellavano pure Dio- 
clea), in cui ebbe i natali Y imperatore Dukljan (Diocleziano) che 
regnò dal 284-305. Questa città, le cui rovine sussistono tutt' og* 
gi, giaceva sulla foce della Zeta nella Moraòa, e precisamente do- 
ve questi due fiumi si congiungono. La provincia di Dioclea già 
da tempi remoti fu denominata Zeta o Zenta, e S. Savva (circa il 
1208) nella vita di S, Simeone suo padre, ne fa già menzione : 
„Ro2d*stvu jego bivSu v' Zetje na Ribnici** (essendo egli nato nel- 
la Zeta sulla Ribnica). 

Ancor prima che i Serbi si fossero stabiliti neir lUirio, la 
provincia che in seguito fu nomata Zeta, foimava parte di quella 
regione la quale, a testimonianza degli antichi scrittori stranieri, 
era conosciuta sotto il nome di Prevalìs o Prevalitania e come i 
nostri la chiamarono (p. es. Y archimandrita Raié, ed il Vladika 
del Montenero Pietro I) Prevaia. 

La provincia di Dioclea o Zenta aveva per confini verso Y an- 
tica Tribunia e Zahulmia (vale a dire Y odierna Erzegovina), le 
bocche di Cattare sopra Risano, quindi i gioghi che separano Gra- 
hovo da Cuca ed OnogoSt (Nikgiéi) da 2upa, finalmente il monte 
Javor ; verso la Serbia, i monti di Ragia sopra il lago Piava ; verso 
r Albania il fiume Drimac (Drinassi) e Scutari, quindi il fiume Bo- 
jana sino al mare e finalmente questo sino a Cattare. — In tal 
guisa era compreso in essa tutto 1' attuale Montenero *) 



*) Fino a questo panto tutto fu preso dalle ^Slavenske Drevnosti^ (Antichità 
Slave) originale boemo di P. I. Safàrik. e traduzione russa di 0. M. Bo- 
c^anski. 



11 

La Zeta dìvidevasi anticamente in superiore ed inferiore. Ze- 
ta inferiore sembra si chiamasse la sua regione marittima, cioè 
quel tratto di terra che si estende da Scutari a Cattare tra il ma- 
re, la riva destra del lago di Scutari ed i monti che separano le 
Bocche di Cattare dal Montenero; tutto il rimanente compreso tra 
i suaccennati confini, s' appellava Zeta superiore. Di tutta questa 
provincia, il nome di Zeta è rimasto presentemente soltanto a 
quella pianura che giace tra il lago di Scutari, i monti di Hóti, 
il fiume Ribnica ed il Montenero, e di questa stessa pianura quel 
tratto di campagna che si trova tra il Montenero ed i fiumi Zeta 
e Moraéa, chiamasi LjeSkopolje. 

La provincia della Zeta trae la sua denominazione dal fiume 
dell' istesso nome. Questo fiume è formato da due torrenti detti 
Perucica e OboStica, tutti due hanno la loro sorgente a PjeSivcì, 
il primo al disotto del villaggio di Povie ed il secondo al disotto 
di quello di Cerovo, e quando dopo un' ora di corso si riunisco- 
no di faccia al villaggio di DrenovStica, allora prendono il nome 
di Zeta, che da lì scorre per Bjelopavlici, attraversa la fortezza 
di Spu2 e bagnando il confine di Piperi mette foce nella Moraèa 
al disotto di Duka, sopra Podgorica ed il ponte di Vizir. *) 

Quantunque non si possa asserire con certezza in qual' epo- 
ca il Montenero abbia ricevuto 1' attuale suo nome, pure si può 
liberamente affermare che ciò sia avvenuto in epoca recente, es- 
sendo provato dagli eruditi, che col presente suo nome non ne 
vien fatto cenno da alcun scrittore né dell' antichità, né del me- 
dio evo. Ed in fatto noi vediamo che negli atti pubblici questo 
nome di Crna Gora (Montenero) non appare nenuneno all' epoca in 
cui n' erano principi i Cmojevié (1427-1499), denominazione pro- 
babilmente non ancora invalsa nella lingua del popolo, che con- 
servava quello di Zeta, finché le venne sostituito il nome di Crna 
Gora, da quello dei Crnojevié, e non già che questi prendessero 



*) Grlica 1885 pag. 65. 



12 

il loro, da quello del paese. Appoggiarsi, come alcuni fanno, suli' 
autorità di Mariano Bolica, nobile di Cattaro, che dopo percorso 
il Montenero ne diede relazione alla repubblica veneta in un ma- 
noscritto del 25 Maggio 1614, e sostenere che i Turchi fossero i 
primi a dare il nome di Montenero a questa provincia per i guai 
eh' ebbero a sopportare dai suoi abitanti, è mettere in bocca a 
Bolica cose da lui non dette ; dappoiché chiunque lesse e comprese 
Bolica, deve confessar meco che nel suo manoscritto di ciò non 
v' ha verbo. E non è che soltanto un'azzardata congettura la sto- 
riella fatta correre, che Stefano Gmojevié L, in difetto d' un co- 
gnome, assumesse quello del suo paese )iativo, chiamandosi Cmo- 
gorac (Montenerino) e che quindi questa denominazione si tramu- 
tasse in quella di Gmojevié* cognome assunto da Giovanni, suo fi- 
glio maggiore. Noi vedremo a suo luogo, nel seguito di quest' i- 
storia, come la famiglia Gmojevié esistesse anteriormente nella Ze- 
ta superiore e come già nel 1385 si schermisse dal riconosce- 
re la sovranità di Giorgio figlio di Straàimiro BalSié, e vedremo 
parimenti come il sunnominato Stefano, in un trattato coi Vene- 
ziani, si denominasse precisamente Gmojevié e non già Grnogorac. 
La storia antica fa menzione di molte città nella Dioclea e 
nella Zeta, tra cui oltre Duka già nominata, le principali sono : 
Rose (Roze^, un tempo città, distratta dai Saraceni circa Y 867, 
ora ridotta a poche case, che giace all' ingresso delle Bocche di 
Gattaro, le quali anticamente si chiamavano Seno di Risano (Sinus 
Rhizonicus). — Gattaro (Kotor), posto in fondo alle Bocche sei ore 
al sud-est di Rose. — Budua (Budva), assediata dai Saraceni contem- 
poraneamente a Rose ed a Gattaro circa V anno 867, che giace 
sul mare, lontana sei ore di cammino verso mezzodì da Gattaro. — 
Antivarì (Bar), sul mare, distante cinque ore circa di cammino al 
sud-est da Budua. — Dulcigno (Uéin), pure sul mare, lontano cin- 
que ore circa al mezzodì da Antivarì. — Scutari (Skadar) la Sco- 
dra dei Romani, discosto dieci ore di cammino per terra al sud 
est da Antivarì, giace non lungi dalla sorgente del fiume Boja- 
na, il quale scaturisce dal lago di Scutari, chiamato anticamente 



13 

lago Labeatico (lacus Labeatis). — 2abljak, residenza dei Craojevié 
dal 1427-1482, sul confine del Montenero, presso le foci della Mo- 
rata nel Iago di Scutarì e dista circa 8 ore per barca al nord 
da bcutari. — Podgorìca, al confine del Montenero, sulla riva si- 
nistra della MoraSa, ora borgata, anticamente città, fondata allo 
scorcio del X. secolo, al pari di Éabljak, da Tugomiro re della 
Dalmazia. — Budimlja, nella contrada di Has. — Daino (Danj), sol 
fiume Drìn, lontana circa 8 ore al sud-est da Scutari. — Drivasto 
(Drivost), egualmente sul fiume Drìn. 

Nella seconda metà del XIV secolo appartenevano ai signori 
di Zeta anche le seguenti città : Alessio (Lissus, LjeS^, allo sbocco 
del Drin, distante sei ore di cammino al sud da Scutari. 
In Alessio fu sepolto Giorgio Skender-Beg, poi quando i Turchi 
presero questa città, disotterrarono le sue ossa e se le divisero tra di 
loro per portarle addosso come amuleti. — Dùrazzo (Drai, Djrrac- 
chium), sul mare, lontano venti ore per terra al sud-ovest da Scu- 
tari. Cicerone rimase a Durazzo nel tempo del suo esilio. — Be- 
rat Belgrado degli Amanti, capitale della Mussakija. — Kanina, 
Dell' Albania inferiore. — Vallona (Avlon, Aulona), sul mare, gia- 
ce ventisei ore di cammino al sud-est da Durazzo, famosa per lo 
scontro colà seguito tra Cesare e Pompeo, avendo il primo in mi- 
ra di conculcare ed il secondo di difendere la libertà della patria. *) 
Eostur nella Macedonia. — Sono degne di menzione altre due 
città dell' antica Zeta cioè Spu2 e Medun, conosciute solamente 
nella più recente istoria. Spu2 giace sulla frontiera del Montenero, 
neir attuale Zeta in vicinanza di Bijelopavliéi e Medun nel distret- 
to di Kuéi, di cui, quantunque distrutto ai tempi di Ivan-Beg Cr- 
nojevié, rimangono popolati i dintorni, che preso da lui il nome, 
s' appellano anche oggigiorno Medun superiore ed inferiore. 

Essendo la Zeta rimasta senza interruzione sotto lo scettro 
dei Nemanja, noi qui narreremo brevemente le loro gesta. Di tut- 



*) Zapiski morskago oficera. V. II. pag 82. 



14 

ti i sovrani serbi, il più celebre si fu Stefano Nemanja. Nel 1159 
egli divenne gran Zupanc» di Rascia e riunì tutte le Provincie del- 
l' antica Serbia, rendendole libere dai Oreci, cbe se le erano rese 
soggette. Nemanja conquistò inoltre molte terre e città greche, *) 
e cosi ampliò i confini del suo stato, nel quale venivano ad esser 
comprese le seguenti provincia: Y attuai Serbia, il Sirmio ed una 
porzione della Slavonia, la Dalmazia orientale, T Erzegovina, il 
Montenero, la Zeta, Y Albania ed una porzione della Macedonia. 
Nemanja fu battezzato primieramente a Zeta secondo il rito latino, 
trovandosi allora in quella provincia molti sacerdoti della chiesa 
occidentale, fu poi ribattezzato nella città di Rasa dal vescovo 
ortodosso e fu allora che prese il nome di Stefano. Espulse 
dal suo regno tutti quelli che non appartenessero al suo rito, spar- 
tendo i loro beni tra i poveri, eresse alcune chiese tra le quali la 
pili rinomata è quella di Studenica, più tardi chiamata la badia 
serhiana. Dopo d' aver regnato felicemente trentasei anni nella 
città di Rasa come gran Zupano, consegnò le redini del governo 



*) Il re primo-coronato (prvovjenéani) nella biografia di ano padre Nemaiga, 
narra come questi abbia gaerreggiato co' Greci e tolto loro le seguenti cit- 
tà : Srèdùc (Sofia), Stob (Stip), Zemln (8emlino), Velbluid, Èitomìtsk, Skùpàl 
(Skeplje), Lèdùsk nel Polog inferiore, Graduo, Prizrèn (Priserendi) e la 
rinomata città di Nié. Poi continua, essersi egli impadronito di Dioclea 
e deUa Dalmazia, patria de' suoi antenati e sua, vero suo retaggio, eh' era 
stato rapito dalla nazione greca, in cui i Greci avevano fabbricato delle 
città di modo che si annoverava fra le loro provincie. Queste città erano, 
Dan (Daino), Sardonikii, Drivost (Drivasta) Rosaf detto Skùdùr, Sva^^ Lù- 
cin, Bar (Antivari) e Kotor (Cattare). Tutte queste città, eccetto V ultima, 
furono distrutte da Nemaiga e gli uomini di sua nazione che ivi erano fu- 
rono risparmiati, assoggettandoli. £gli fortificò Gattaro, vi costruì il suo pa- 
lazzo, annientò tutto quello cho di greco v' era in quella provincia, di ma- 
niera che vi rimane neppur ricordanza del nome greco. — Anche S. Savva 
narra di suo padre Nemaiga: «E rìstaurò il rovinato suo patrimonio e ri- 
cuperò dal Litorale Zenta coUe città di Rabna e Piloti, daUa Grecia : Pat- 
kovo, tutto Hvostno e Podrim^je, Eostrc, Dr2kovìna, Sitnica. Lab, LipQan, 
Glboóica, Rgeke, Uàka e Pomoray^e, Zagrhita, Lèvòe, Bélica. — 



15 

al maggiore dei suoi figli e si recò a Studenica, dove vesti 1' abi- 
to monastico ai 25 Marzo 1195, prendendo il nome di Simeone. 
Dopo due anni si trasferì nel convento di Batoped sul monte A- 
thos, dove fabbricò il monastero di Hilendar, e vi morì li 13 Feb- 
brajo 1200 ; da li nel 1208 le sue ossa furono trasportate nel 
monastero di Studenica. Egli era sposato con Anna figlia di Borìsa 
bano di Bosnia, con cui ebbe tre figli : Stefano, Vukano e Rastko. 
n maggiore dei suoi figli, Stefano detto il „primo coronato** (Prvo* 
vjenòani Nemanjìé I.) gli succedette come gran Zupano, riceven- 
done il potere dal padre nel 1195, ma suo fratello Vukan (Volkan, 
Nemanjié II.) giunse a rapirglielo nel 1204, coir ajuto dei Magiari, 
e col consenso del Romano Pontefice Innocenzo III. e di Emerico 
rè d' Ungheria , si fece chiamare Rè serbiano e fil il primo che 
assumesse un tale titolo, I due fratelli contendenti si pacificarono 
nel 1205, cedendo ai consigli del loro minor firatello Rastko, 
che, col nome di Savva, erasi fatto monaco sul monte Athos, 
e Vukano restituì a Stefano il trono che gli aveva usurpato. Vu- 
kano si ritirò quindi nella Zeta e fabbricò nella Morata inferiore 
il convento che tuttora esiste, e dove si trova la sua tomba ed il 
suo pastorale, il che ci fa fede eh' anch' egli negli ultimi anni dì 
sua vita, avesse abbracciata la vita claustrale. Da Vukano, per 
parte di donne, ebbe orìgine la famiglia dei Bal&ié. *) — Savva, 
che (nel 1221) fii consacrato a Nicea quaF Arcivescovo della Ser- 
bia, incoronò nel 1222 suo fratello Stefano col diadema regale spe- 
ditogli da Roma. **) Stefano ebbe a sostenere delle aggressioni per 
parte dei Bulgari, dei Greci e dei Magiari, ma ebbe la fortuna di 
saper conservare le terre acquist{ite da suo padre. Gli fii di gran- 
de sostegno suo fratello Savva, che lo pacificò con Andrea II rè 



*) Anche il Cronista Serbo (V. Glasnik DraStva 8rpske Slovesnosti Voi V. 
pag. 48) dice, che da Vukano per parte di donne deriYarono i signori 
„delle dae Zete i quali si chiamavano BajoSi; e da loro per affinità ebbero 
^orìgine i Grnojevié,^ 
*^) É necessario di far osservare che in quel tempo Costantinopoli era in ma- 
no dei Latini i quali la tennero per 57 anni, cioè dal 1304 al 126L 



1 



16 

d' Ungheria, il piii acerrimo dei suoi nemici. Stefano guerreggiò 
anche col Enez Pietro, signore di Hum (Zahuimia), ed avendolo 
vinto, lo scacciò da quella provìncia, che diede a Badoslavo suo 
figlio ; e nominò poi Zupano di Popovo, di Prìmoiìe (tra Ragusa 
e Sabbioncello) e di Stagno, Andrea figlio di Miroslavo suo zio 
paterno. Alla morte di Badoslavo anche il principato di Zahulmia 
passò in potere di Andrea, e tanto egli che si denominava «Gran 
Principe della Zahulmia* (Knez veli Humski) quanto 1 sui figli 
Bogdano e Badoslavo, governavano la Zahulmia, quasi indipendenti 
dai rè della Serbia e stipulavano a loro beneplacito trattati coi 
Bagusei. '*') Il primo coronato rè Stefano eresse il monastero di 
2ièa ; egli morì nel 1228 e fh sepolto a Studenica nella tomba di 
suo padre Nemanja. Da sua moglie Eudossia, figlia dell' imperatore 
Greco Alessio III Gomneno, ebbe 4 figli: Badoslavo, Predisiavo 
(in seguito Savva U Arcivescovo della Serbia), Vladislavo ed Uro§. 
Morto il rè primo coronato, salì sul trono il figlio maggiore Ba- 
doslavo sopranominato il Butterato (Hrapavi, Nemaiyié III). Anche 
egli fa consacrato rè della Serbia a Pristina dall' Arcivescovo Sav- 
va e più tardi anche il papa Onorio lo fece incoronare da un suo 
legato. In soli sei anni di regno (1228-1234) conquistò una gran 
parte della Bulgaria, tolse molte Provincie ai Greci e riacquistò 
finalmente il Sirmio, che gli era stato tolto dai Magiari. Dopo 
queste gloriose imprese, Badoslavo incominciò a godere giorni quie- 
ti e tranquilli, senonchè tal sorte esser dovea per lui di breve 
durata ; sua moglie, figlia di Teodoro Lascari, imperator greco nel- 
r Asia Minore, lo ridusse a tale, da fargli quasi perdere 1' uso 
della ragione. Non avendo prole, si piegò alle istanze di suo fra- 
tello Vladislavo e g& cedette il governo, ritirandosi a Bagusa, alla 
qual Bepubblica donò l' isola di Lagosta. L' Arcivescovo Savva in- 
coronò anche Vladislavo (Nemaqié IV). Fu un sovrano che posse- 



*) Srbski Spomenici (Monumenti Serbiani) N 4, 15 e 20. 



17 

dette grandi ricchezze e molta gloria, sebbene non regnasse più di 
sei anni (1234-1240). Prese in moglie la figlia di Assenio, imperatore 
Bulgaro, dalla quale non ebbe prole. Fu il primo dei rè Serbi 
che incominciasse a far lavorare le miniere, facendo venire a tal 
uopo dei tedeschi. Sassoni, nei suoi stati ; ed arricchitosi immen- 
samente in tal guisa, introdusse nella sua corte il lusso come in 
quelle degli altri regnanti. I Greci e gli Albanesi eh* erano sotto 
il suo dominio, tentarono di scuotere il giogo, ma egli sedò quel- 
r insurrezione e nuoviemente li sottomise. Edificò in Erzegovina il 
convento di MileSevo, dove fece trasportare da Tmovo il corpo 
dello zio paterno S. Savva ed egli stesso fii colà seppellito dopo 
la sua nM)rte che segui nel 1240. A Vladislavo succedette sul tro- 
no suo fratello UroS I detto il Grande (Nemaiijié V), che regnò per 
ben 32 anni (1240-1272). Prese in moglie una francese, di nome 
Elena, figlia di Balduino II, che fu. Y ultimo rè latino di Costan- 
tinopoli. Subito nel secondo anno del suo regno irruppero i Tarta- 
ri dall' Ungheria nella Serbia. UroS non potè oppor resistenza al- 
le loro forze, quindi essi devastarono la Serbia e poscia si ritira- 
rono. Il restante di sua vita passò in continui rapporti coi Greci 
e coi Magiari. Uroè fu padre di due figli, Dragutino (Carlo) e Mi- 
lutin. A Dragutìn diede in moglie Caterina figlia del figlio di Be- 
la IV rè dell' Ungheria, promettendo in tale circostanza di abdi- 
care in favore di lui, E quando, seguito il matrimonio, rifiutò di 
mantenere la fatta promessa, Dragutin suscitò contro di lui i Ma- 
giari, e coir ajuto d' essi, riportata la vittoria di Gacko, lo depo- 
se dal trono nel 1272 e lo relegò a Durazzo dove nello stesso 
anno venne a morire affievolito e dall' età e dal cordoglio. Le sue 
ossa vennero in seguito trasportate nel monastero di Sopcéane da 
lai stesso fatto costruire. Dragutin (Nemanjié VI) fu un sovrano 
debole e di salute cagionevole. Tenne per soli tre anni (1272-1275) 
lo scettro della Serbia, che, coli' ajuto di suo suocero Stefano V. 
rè d* Ungheria, avea strappato a suo padre. Scorso questo tempo 
cesse il trono a Milutin suo minore fratello, di lui molto più ca*- 
pace, serbando perse il Sirmio, Braniòevo, Kuéevo e Maèva. Quin- 

2 



18 

di si trasferi a Maòva ch'avea avuto in dote dal suocero, passò 
poi nel Sirmio, dove, dopo d' aver vissuti santamente i suoi giorni 
e preso il nome di rè del Sirmio, morì nel 1317, lasciando un u- 
nico figlio di nome Vladislavo, che governò alcuni anni nelle Pro- 
vincie di suo padre con titolo di rè, Milutino o Stefano Uro§ IL 
(Nemanjié VII), denominato il santo rèdi Banjsko, resse la Serbia 
per lo spazio d^ interi 46 anni (1275-1321) e sostenne felicemente 
in questo tempo delle guerre [coi Greci, coi Bulgari e coi Ragu- 
sei, Conquistò dai Greci primieramente tutti e due i Polog, OvSje- 
polje, Skopje, Zljetova, e Pijanac, ed in seguito molte terre sul 
Danubio e sul Timok, nell' odierna Serbia, riunendole ai suoi stati. 
La maggior parte di queste terre aveva appartenuto già prima al 
regno di Serbia, ma sembra che i Greci le avessero conquistate 
dallo stesso Milutino o da qualcheduno dei suoi antecessori. Guer- 
reggiò anche coi Tartari, ma fii costretto ad impetrar da loro la 
pace. Milutino prese moglie due volte. La prima Elisabetta, 
figlia di Andrea III rè d' Ungheria, che gli diede un successore 
in Stefano, sopra nominato più tardi Deèanski ; morta questa, prese 
Simonide figlia di Andronico il maggiore, imperatore greco. Da 
questa gli nacque Costantino e desiderando la madre eh' egli sa- 
lisse sul trono alla morte del padre, ordì degli intrighi contro il 
figliastro Stefano, il quale viveva con sua moglie, figlia di Smi]|jac 
rè della Bulgaria, nella Zeta, il cui governo, assieme a tutte le 
sue città, gli era stato cesso dal padre. Riuscita la matrigna nei 
suoi intrighi, col render odioso il figlio al padre e col farlo esclu- 
dere dalla successione, Stefano mosse coi propri partigiani contro 
il padre, ma incontratolo alla testa della sua armata, depose le 
armi e chiese perdono. Milutino non si piegò alle preghiere del 
figlio, ma diede ordine che fosse accecato col ferro rovente. Senon- 
chè quelli eh' erano stati incaricati di eseguire una tale sentenza 
sul successore al trono, piii pietosi dell' ist^'sso padre, risparmia- 
rono a Stefano quest' orribile pena e gli bendarono gli occhi, fa- 
cendo mostra d' averla eseguita. Milutino esiliò allora Stefano a 



19 

Costantinopoli, dove questi portando òontinuamente la benda sugli 
occhi, visse per sette anni colla moglie e coi figli, Du§an e DuSi- 
ca, coi quali dopo, meno Du§ica morto a Costantinopoli, ritornò 
in patria. Milutino, a detta di Mavro Orbini, edificò quaranta tra 
chiese e monasteri, tra i quali quello di Banjska. Quando Milutino 
mori li 29 Ottobre 1321 nella sua capitale Nerodimlja, il suo cor- 
po fu seppellito nel convento di Banjska, dove fu in seguito trova- 
to dai monaci intatto ed in odore di santità. Gli succedette il suo 
figlio Stefano col nome di UroS III (Nemanjié Vili), più tardi co- 
nosciuto dalla nazione col nome di Deéanski, il quale dopo il ritor- 
no dair esilio, risiedette nella città di Budimlja nella provincia di 
Has. Regnò poco più di 15 anni (1321-1336), ma per consolidarsi 
sul trono dovette combattere Costantino suo fratellastro figlio di 
Simonide, che s' era proclamato rè e Viadislavo figlio di Dragu- 
tino. Anche Stefano contrasse due matrimoni, il primo con la figlia 
diSmiljacrè dei Bulgari, da cui nacquero Du§an eDugica, il secondo 
dopo d' esser rimasto vedovo, colla figlia di Vlajko Besaraba, vojvo- 
da della Yalachia, che gli portò in dote il banato di Sjeveria, terra 
fra il Danubio e 1' Aluta (Olta) al sad-ovest nella piccola Vala- 
chia. Da quésto secondo matrimonio venne alla luce suo figlio Sini- 
§a. Stefano combatté con felice successo i Bulgari (1330) ed i 
Greci (1331) ed a questi ultimi prese molte province, ed in que- 
ste le città di Veles (Kjuprili dei Turchi), Prosjek, Stip, ÒrjeSée, 
e Dobrun. Al buon esito di queste guerre contribuì il prode suo 
figlio Du§an, al quale in premio del suo valore diede il comando- 
sulle due Zete e su tutte le loro città, Stefano eresse il monaste- 
ro di Vi8oka Deéana, eh' é il più magnifico dì tutta la Serbia, 
donde gli venne il nome di Deéanski. Ebbe a combattere col fi- 
glio DuSan, il quale risiedeva a Scutari e gli si era ribellato; ma 
in questa guerra egli fu preso e fatto morire nella città di Zve- 
6ane agli 11 di Novembre dell' anno 1336. Il suo corpo fu tras- 
portato nel suo monastero di Deéani, dove anche presentemente si 
trova, e viene venerato dal popolo qual santo. Il rè Deèanski ce- 
dette ai Ragusei Stagno (Stou) e la penisola di Punta (Rat), ag- 



20 

giungendo quella porzione di terra che formava il litorale da Pre- 
vlaka, fino al loro stato; col patto che annualmente gli sborsasse- 
ro 500 ipperperi veneti. Riconfermò questa cessione con un se- 
condo diploma, facendo giurare ai nobili Ragusei „che conserve- „ 
„rebbero il clero Serbiano, per ufficiare le chiese che si trovava-» 
;,no a Stagno e sulla penisola di Punta." *) — Morto Deéanski 
salì sul trono suo figlio Stefano, altrimenti DuSan, sopranominato 
il Potente (Silni, Nemanjié IX), il quale s' ammogliò con Elena fi- 
glia di Giovanni Gantacuzeno, allora ministro e poscia imperatore 
greco. In vent' anni di regno (1336-1356) DuSan sostenne, quasi 
tutte con esito felice, tredici guerre coi Greci, durante le quali nei 
primi tre anni (1337>-1340) tolse loro tutta la Macedonia, la Tes- 
saglia, r Àcarnania, resistendogli soltanto Salonicchio. Conchiusa 
la pace ai 26 Agosto 1340 con Andronico il minore, imperatore 
dei Greci, gli restituì, quasi a titolo di regalo, la maggior parte 
delle terre conquistate, riserbandosi ed aggregando al suo regno 
le città di Ohrida, Prilip, Kostur, Strumica, Hlerin, ^leljeznac, Vo- 
den, Òermen, Averia, Serez, Trikala, Janjina e Hanina, Guerreg- 
giò pure col re d' Ungheria Lodovico I, quindi col Bano della Bos- 
nia, Stefano Cotromano, nipote per parte di figlia a Dragutino rè 
della Serbia, e rimase vincitore dell' uno e dell' altro. Riedificò 
nel 1343 Belgrado, distrutta nelle precedenti guerre. Coli' innalza- 
re pel primo una sede patriarcale nella Serbia, rese indipendente 
questa chiesa dalla supremazia del patriarcato dì Costantinopoli. 
Nel 1347 DuSan **) si proclamò imperatore della Serbia, della 



♦) V. Srpski Spomenìci N 87-39. - La repubblica di Ragusa già prima pagara 
2000 ipperperi all' anno ai rè di Serbia, per le vigne ed altri 'terreni che 
tenera entro ì contini della Serbia e questo si chiamava il ^Reddito Serbo„ 
(Srpski Dohodak) che hi seguito si pagava anche ai rè della Bosnia (Srpski 
Spomenici N. 8, 24, 31, 66, 81). 
**) É del tutto infondato V asserto di alcuni, essersi DuSan proclamato impera- 
tore già nel 1340. Per convincersi della falsità di tale opinione, basta gettare 
un occhiata ai Srpski Spomenici nei quali a pag. 50 num. 40, si scorge che 
ai 26 d' ottobre del 1346 Dnàano si firmava ancora ^Stefano Rè.** 



21 

Grecia e della Bulgaria, è suo figlio Uro§ rè della Serbia, quindi 
istituì r ordine di S. Stefano, e giusta gli usi bizantini creò le 
cariche di corte col seguente ordine di rango: il despota, il se- 
vastocrator, il cesare, il panhipersevastos ed il protovestiario *) 
e cosi di seguito, Frai personaggi che coprivano queste cariche fu- 
rono tra gli altri; VukaSin Mrnjayèevié che fu despota, 2arko De- 
janovié che fu sevastocrator, Vojhna cesare, Nicolò Buéa proto- 
vestiario. DuSano creò anche i suoi ministri e consiglieri intimi, e 
tra questi s' annoveravano il già menzionato despota VukaSin e 
suo fratello UgljeSa, il cesare Vojhna, i tre fratelli RasisaJié Braj- 
ko, Radoslavo e Branko, Tomaso Vojnovié e suo fratello Voislavo 
ecc. DuSano divise lo stato in Luogotenenze, alle quali prepose 
otto governatori con pieni poteri. Egli pubblicò un codice in cui 
si trovano in tutto 205 leggi, le quali, come opinano i giurisperiti, 
ci rimangono qual veridico e speciale documento del medio evo, 
e spirano i più nobili ed umani sentimenti. *^) Dobbiamo qui ri- 
cordare che i Greci contro di lui Invocarono V ajuto dei Turchi, 
con che diedero loro occasione di consolidarsi neir Europa. L' an- 
no 1356 mosse contro i Greci, coli' idea di conquistare Costan- 
tinopoli ed assoggettare alla Serbia tutta la Grecia, ma in Rume- 
nia lo colse la febbre, e lì finì improvvisamente i suoi giorni il 18 
Decembre 1356. Il suo cadavere fu trasportato in Serbia e sep- 
pellito nella chiesa di S, Michele Arcangelo, eh' egli medesimo a- 
vea fatto costruire sul fiume Bistrica presso alla città di Prizren, 
sua capitale. Fu il più grande ed il più potente dei sovra- 
ni della Serbia. Oltre alla Serbia, erano in suo potere tutta la 
Macedonia, Y Albania, V Epiro, la Tessaglia e la Grecia. Vivente 
ancora il padre Du§an, suo figlio UroS, sopranominato il Giovane, 



*) (xlasnik DruStra Srpske Slovesnostì. Fase : 5. pag. 299 > 300. 
**) Storia della nazione Serba del Davìdovìé, edita nel 1848 pag. 73. 



22 

(Nemanjié X.) s' ammogliò con Elena, figlia dell' ospo.iaro di Va- 
lachia e governò con titolo di rè nella vecchia Serbia, incoronando- 
si qual' imperatore, dopo morto il padre nel 1356. I luogotenenti 
governatori e, seguendo il loro esempio, gli altri grandi del re- 
gno, cominciarono a ribellarsi ed a negargli ubbidienza ed in breve 
tempo usurparono tutte le sue Provincie, proclamandosi quali si- 
gnori indipendenti. Vi furono molti di questi, che si scissero dall' impero 
Serbo, fra gli altri emergono principalmente i tre seguenti : Vuka- 
Sino Mrnjavéevié, Lazzaro Grebljanovié e Boislavo Vojnovié. Vu- 
k^àino risiedevi a Pristina governando tutti i luoghi circostanti, e 
nominando despota il proprio fratello UgljeSa, lo pose al coman- 
do di Drama, Sereza e delle terre circonvicine fino a Salonicchio ; 
Lazzaro reggeva la Maéva ed il Sirmio; e Boislavo Vojnovié 1' Er- 
zegovina. Frattanto i Greci s' appropriarono la Tessaglia. — In 
Bosnia regnava qual sovrano indipendente il bano Tvrdko, nipote 
di Stefano Kotromanovic. — Quando si frazionò in questo modo 
r impero serbiano, UroS rimasto privo di tutto, si rifugiò da Vu- 
kaéino, che gli concesse alcune terre, perchè gli fornissero un man- 
tenimento. Dopo di ciò si recò anche da Lazzaro Grebljanovié, ma 
non avendolo questi accolto come egli s' attendeva, ritornò da Vu- 
kaèino. Finalmente venne in uggia ad UroS il vivere sottomesso 
ai proprii sudditi e 1' andare accattando or da uno or dall' altro 
e decise di fuggire a Ragusa, ma VukaSìno avutone sentore, lo 
invitò ad una caccia ed ai 2 Decembre 1367 lo uccise nel piano 
di Kosovo; così nell' età di 29 anni finì 1' imperatore UroS, 
r ultimo della gloriosa dinastia dei Nemanja, che per due secoli res- 
se la Serbia con tanto valore. Il suo cadavere fu prima sepolto 
nella chiesa di Uspensko sopra N erodi mlje, presso la città di Pe- 
tric e dopo lungo tempo vennero trasportate le sue ossa a Sirmio 
nella FruSkagora, nel monastero di Jazak, dove tuttora riposano 
venerate dal popolo come quelle d' un santo. Anche UroS cedette 
alcune terre ai Ragusei, regalando loro quel tratto di territorio 
che s' estende dalla cima dei monti al disospra dei loro vigneti 
verso il mare, da Ljuta fino a Kurilo, e consegnò loro 1' isola di 



23 

Meleda. *) Già il padre di Nemaqa, TeSa, aveva regalata Meleda 
ai monaci di colà (1151), perchè godessero le rendite di quel- 
la isola che aveva posta sotto la protezione della repubblica di Ragu- 
sa, ma il rè Du§an (1350) aveva nuovamente incorporato Meleda 
alle Provincie della Serbia. **) 

Noia. Questa breve istoria dei Nemanja è ricavata da diverse 
fonti e particolarmente dal „61asnik druStva Srpske slovesnosti/ 



*) SrpBkì Spomenid N . 46 e 49. 
^*) Srpskì Spomenid N. 43. 



LA DINASTIA SII BALSA. 




tempi di Stefano DuSan il Potente, viveva un nobile ser- 
biano di nome Balsa (BalSa o BaoSa), nativo della Zenta, dal che 
tra la nostra nazione è conosciuto col cognome di Zeéanin. Da prin- 
cipio era signore di un solo villaggio ; poi quando alcun tem- 
po dopo, morto DuSano, i luogotenenti delle Provincie, p. es. Vu- 
kaSin Mrnjavéevié, Lazzaro Grebljanovié ed altri, incominciarono 
a staccare dall' impero Serbo le Provincie da loro governate, 
proclamarsi signori indipendenti ed a rapir 1' uno all' altro dei 
territorii, e ciò tutto vivente ancora UroS, allora Balsa, seguendo 
il loro esempio, assoggettò primieramente al suo dominio la città 
di Scutari, e quindi, coli' ajuto dei suoi tre figli, il rimanente del- 
la Zenta inferiore lungo il mare, precisamente fino a Cattare, di- 
venendo in tale maniera anch' egli signore indipendente. Dopo 
la morte di Balsa I (circa il 1360) i suoi figli Straèìmiro (Sraci- 
mir), Giorgio e Balsa estesero, i confini del loro dominio, conqui- 
stando la Zenta superiore nella quale è compreso il Montenero. *) 
I Cattarini che da tempi remotissimi godevano la propria 
autonomia, sotto la protezione della casa dei Nemanja, comincia- 
rono, a tempi dell' imperatore UroS, riponendo probabilmente in 
lui poca fiducia, a diffidare dei Balsa, e fecero loro comprendere 
che tutti preferirebbero la morte all' idea di riconoscerli per loro 
padroni. Ciò offese vivamente i Balsa che attesero soltanto una fa- 
vorevole occasione per sfogare la loro vendetta sui Cattarini, e 



*) Mavro Orbini pag. 286 • 287. 



25 

questa non loancò di presea tarsi in breve. Fio dall' anno 1S60 
il conte (knez) VoislaTO Voinovié aveva dichiarato la guerra ai Ra- 
gusei, *) Suo padre Voin, ancora air epoca del rè Stefano Deéan- 
skì, aveva, in premio dei suoi servigi, ricevuto ìsl feudo, per sé e 
per la sua discendenza, la maggior porzione deir odierna Erzego- 
idna. Voidavo aveva due fratelli, il maggiore Tommaso (che al 
par di lui era ministro alla corte ('i Duàano) ed Altomano il mi- 
nore, coi qaali alla morte del padre aveva diviso V eredità in e- 
guali porzioni, donde a lui aveva toccato quella paite di terra 
che giaceva al confine dello stato di Ragusa, dove erano Trebiiye, 
Canali e Draòevica. **) La summentovata dichiarazione di guerra 
per parte del conte Voislavo, dava molto pensiero ai Ragusei e li 
determinò nel 1361 a cercar V alleanza dei Gattarini contro il lo- 
ro nemico, pregandoli che gF impedissero 1' estrazione del sale 
per le sue provincie, e quando questi fecero vedere che ciò non 
si poteva effettuare senza sommo loro svantag^o, il senato di Ra- 
gusa spedi ì suoi bastimenti perchè distruggessero le loro saline. 
Sdegnati i Gattarini allestirono un armata e la congiunsero con 
quella del conte Voislavo e quindi unitamente irruppero sulle ter- 
re dei Ragusei. In tali angustie i Ragusei richiesero V ajuto dei 
Balsa, che volenterosi e ben lieti loro lo accordarono e calarono 
coli' armata ne' dintorni di Gattaro operando un diversivo, van- 
taggiosissimo pei Ragusei. ***) Quantunque poi lo stesso UroS fosse 
stato r intermediario a Onogosta (1362) della pace stipulata trai 
Ragusei da una parte e tra il conte Voislavo ed i Gattarini dal- 
l' altra, ****) pure da queir epoca in poi i Balsa vissero in continua 
discordia coi Gattarini, ed in amicizia colla Repubblica di Ragusa, 
la quale, dopo la morte dell' imperatore Uroé, mandò loro un am- 



*) Mavro Orbìni pag. 801 
•«0 W. pag. 201 - a02. 
♦•*) Id. pag. 301 - »03 
***•) Srpski Spomenici pag. 69 - 71. 



26 

basciatore colla preghiera che il dazio sulle merci che s' importasse- 
ro per Danj fosse condonato ai suoi mercatanti. I Balsa vi acconsen- 
tirono dando in favore dei Ragusei un diploma di privilegio (in 
data 17 Gennajo 1368). Questo incomincia colle parole : Noi Sracimi- 
ro, Gioirlo e Balsa ai nostri diletti fratelli ed amici, il Conte, 
Poge), i Giudici ed i Patrizii di Ragusa e termina con que- 
ste: E Aitto questo abbiamo scritto sotto Sirokibrod in Alessio, 
donde mossero Sracimiro e Gioito ed accamparonsi a Mati *) di- 
retti contro Carlo. **) 

Frattanto i Turchi passarono dall' Asia in Europa conqui- 
stando Adrianopoli (1361), cui Amurattel. scelse per sua residenza 
in Europa, Filippopoli, Dimotica ed altre. Poco dopo questo avve- 
nimento VukaSin Mmjavèevié, ucciso 1' imperatore Uro6, sali sul 
trono della Serbia (1367), ma non governò su tutte le provincia 
dell' impero di Dufiano, giacché quelli che s' erano eretti a signo- 
ri indipendenti né prestavano obbedienza ad UroS, non si assog- 
gettarono naturalmente nemmeno al regicida. VukaSino resse la 
Serbia per breve tempo, cioè per non interi quattr* anni ; assalito 
dai Turchi sotto il sultano Amuratte, li sconfisse e li ricacciò ol- 
tre il fiume Marica. Ma un altra armata turca attendeva i Serbi 
al di là del fiume, questa li sconfisse completamente e li costrinse 
alla fuga: molti furono tagliati a pezzi e molti s' annegarono nel 
fiume, tra cui UgljeSa e Gojko fratelli di VukaSino e con loro an- 
che il prode Hrelja. VukaSino riesci a salvarsi passando col caval- 
lo a nuoto il fiume Marica (26 Settembre 1371), ma venne poi 
ucciso dal proprio servo Nicolò Arsojevié. 

Fino a che regnò VukaSino, i Balsa vissero con lui in otti- 
me relazioni di amicizia, poiché sua figlia Milica era moglie a 
Giorgio Balsa, dalla quale però si divorziò alla morte del suocero, 



*) Mat Matya fiume dell' Albania, col nome del quale vengono anche ap- 

peUate le terre che ri giacciono intomo. - 
**) Srpski Spomenici pag. 78. 



27 

e sposò Teodora (sorella di DragaSa e Costantino, figli di 2arko 
Dejanovié, il quale sotto DuSaoo era stato sevastocratore e luogo- 
tenente in una parte della Macedonia), donna adorna delle più bel- 
le qualità e morali e fisiche. '*') 

Gessato di esistere VukaSino, i Turchi occuparono subito una 
porzione delle sue Provincie e di quelle di Ugiyeàa, nelle rimanen- 
ti rimase a regnare il suo figlio maggiore, del quale fanno sì glo- 
riosa menzione i canti del popolo nostro, Marco Kraljevié, che scel- 
se per sua residenza Prilip, facendosi proclamar rè. **) Regnò per 
breve tempo, giacché Lazzaro Grebljanovié, il quale sotto DuSano 
era stato luogotenente nel Sìrmio e nella Mai va, e che dopo la 
morte di VukaSino era stato eletto a rè della Serbia da un gran 
numero di magnati, gli rapi tutte le sue provincie. Ridotto ad una 
posizione così deplorabile. Marco si rifugiò dal Sultano Amuratte 
nelle cui armate dovette servire assieme ai propri fratelli, per sal- 
vare qualche parte delle sue terre. ***) 

Anche Grebljanovié dovette riconoscere Y indipendenza dei 
luogotenenti nelle loro provincie e non ritenere per sé stesso 
nemmeno tutto il territorio che avea conquistato del regno di Vu- 
kaSino, ma spartirlo invece con Nicola Altomanovié e coi Bal- 
sa. ****) Già prima d' allora Altomanovié era venuto al possesso 
di un vasto dominio. Succeduto neir eredità di suo padre Alterna- 
no e del suo zio paterno Tommaso, morto senza prole, aveva u- 
surpate anche le terre dell' altro suo zio Voislavo venuto a morte 
nel 1366, trucidando i di lui figli. 

Quantunque i Salsa, colla porzione loro toccata nella divisio- 
ne delle terre di VukaSino, avessero estesi non poco i loro confini, 
pure essi li trovarono ancora troppo angusti, quindi poco tempo 



♦) Mavro Orbini pag. 287. 
**) Glasnìk DraStva Srpske Slovesnosti Fase: V. pag. 188. 
»♦*) Mavro Orbini pag. 278. 
****) Davidovió. Istoria della nazione Serba 1848 pag. 79. 



28 

dopo si appropriarono tutta quella porzione deir Albania, che si 
estende fin dietro Vallona, e fu allora che vennero in possesso di 
Eanina *) e Berat, quindi tolsero a Marco Eraljevié Eostur, dando 
asilo e concedendo una porzione di territorio a suo fratello Ivani- 
6a, che df^siderava sottrarsi alla turca tirannia. Essi avrebbero 
conquistata anche quella porzione dell' Albania che rimane verso 
Durazzo, su cui governava Carlo Topija, ma temevano di ramma- 
ricare la propria sorella moglie al Topija, col quale dapprima era- 
no stati in dissensioni e guerre e poscia in stretta lega ed amici- 
zia. ^) Nel 1373 mori StraSimiro lasciando fama di buon sovrano 
e di uomo di ferma parola. Lasciò un figlio ancor giovine di no- 
me Giorgio. ***) 

Sentita dai Ragusei la morte di StraSimiro, invitarono tosto 
a Ragusa il suo fratello Giorgio I. che vi venne e riannodò (30 
Novembre 1373) con loro Y antica amicizia, riconfermando un van- 
taggiosissimo trattato di commercio e promettendo: „chè rimarebbe 
„Ioro amico tanto egli, quanto suo fratello Balsa ed il loro nipote" 
„il giovinetto Giorgio; ehè accorrerebbe sempre in ajuto loro e** 
„della loro città, dappertutto fin dove si estendesse il suo domi-'' 
„nio la sua influenza; che ove patissero danno i loro commer-'^ 
«cianti nel suo regno, sarebbe sempre pronto o a consegnare nel-" 
„le loro mani il reo. od a pagare V indenizzo, e finalmente che'' 
„non avrebbero da pagar dazii i quali non fossero stati in vigo-" 
;,re ai tempi dell' imperatore Stefano." ****) 

Nicolò Altomanovié molestava Tvrdko bano di Bosnia e Laz- 
zaro Grebljanovié, arrecando loro molti danni, levata quindi essi 



*) Nell'anno 1368 era Signore di Eaoìna e di Vallona un tale, di nome 
Alessandro, e Eefalia di Eanina nell'istesso anno era un certo Eastriot 
(V. Srpski spomenìci pag 76). Forse che questi era un proaro di Gioi^gio 
Eastriota Skender-beg. (?) 
**) Mavro Orbinl pag. 889 - 290 
♦♦♦) Id. pag. 288. 
*••*) Srpski spomenid pag. 78-79. 



29 

un armata nel 1374 lo sconfissero, lo fecero prigione e Lazzaro 
gli fece cavare gli occhi, quindi divisero tra di loro le sue Pro- 
vincie. Approffittando dì questa occasione, anche i Balsa s' appro- 
priarono di alcune terre dell' Altomanovié situate ai loro confini, 
cioè dì Trebinje, Canali e Draievica, ricovrando però V infelice 
Altomanovié fino alla sua morte. (1376.) A causa di questi tre luo- 
ghi nacque dissidio tra il bano di Bosnia ed i signori della Zen- 
ta. Sosteneva il primo che, essendo egli il discendente dei rè Ser- 
biaDÌ per parte di donne, gli toccassero di diritto non €olo quelle 
tre terre, ma anche la corona della Serbia , replicavano gli altri 
che quelle terre, come formanti parte dell'impero serbiano appar- 
tenessero a loro, prima come a bcjari dell' impero serbico, secon- 
do come a congiunti della casa Nemanja, discendendo il loro pa- 
pre per linea di donne dal rè Vukano (Nemanjié II), Non potendo 
in alcuna maniera venir ad un accomodamento tra loro, Giorgio 
Balsa ed il bano Tvrdko si recarono a Rngusa per vedere se i 
Ragusei avrebbero trovato modo di riaggiustarli, non venno-o pe- 
rò a capo di nulla e ciascheduno se ne ritornò a casa sua, lascian- 
do perplessi e costernati i Ragusei, "^ ai quali in appresso Gior- 
gio scriveva da Canali ; ^Esser libero ai loro sudditti di recar- ** 
„si in Bosnia o di ritornare a Ragusa, per quella strada che loro^ 
„ andasse meglio a genio, e che quando le cose tra lui ed il ba-** 
„no arrivassero a tal punto da doverla rompere, li farebbe avverti-" 
„ti, onde potessero liberamente restituirsi in patria, nella setti-** 
„màna che avrebbe seguito la dichiarazione di guerra." **) 

Le succitate tre località si staccarono dai Balsa nell' anno 
1378 e si unirono a Tvrdko, il quale due anni prima (1376) s'e- 
ra proclamato rè della Bosnia. Questo conucciò ì Balsa, i quali 
alla prow^^ta raccolsero un esercito dì 10,000 soldati, coi quali, con- 
giuntisi a Carlo Topija, passarono il monte di Onogo&ta e met- 



*) Mavro Orbmi pag. 291 
*^) Srpski Spomenici pag. 90. 



30 

tendo tutto a ferro ed a fuoco, s' addentrarono fino a Nevesinje 
donde ritornarono nella Zenta carichi di bottino. *) 

I Caitarini (i quali nell' anno ìstesso della morte di Uro§, 
avevano riconosciuto per loro protettore Lodovico I rè d' Unghe- 
ria) attaccarono nuovamente guerra (1371) colla repubblica di Ra- 
gusa. Questa guerra che, con grave danno e degli uni e degli al- 
tri, durò pili anni, costrìose finalmente i Gattarini ad inviare am- 
basciatori al rè Tvrdko, ricercando il suo ajuto contro i Ragusei, 
promettendo in compenso di sottomettere alla sua autorità Catta- 
ro e tutto il suo circondario. Tvrdko obliando i servigi prestatigli 
dai Ragusei in più occasioni, prestò ascolto volentieri alle propo- 
sizioni dei Cattarini e proibì severamente a tutti i Bosniaci, pena 
la vita, di vendere qualunque derrata ai Ragusei. Questa misura 
che provocò il risentimento dei Ragusei, li determinò a pregare 
Giorgio Salsa di innoltarsi colla sua armata nei contorni di Cat* 
taro, ch^ egli devastò tutti col fuoco e col ferro, **) e così costrìn- 
àe i Gattarini a far pace coi Ragusei. Nello stesso anno 1379, 
passò a miglior vita in Scutari Giorgio!. Balsa***), uomo sapien- 
te ed assai versato nelP arte strategica. 

Estinto Giorgio I. restò assoluto signore della Zenta Balsa 
IL Memore dell' antiche buone relazioni e dell' amicizia dei Ra- 
gusei coi sui fratelli e con lui stesso, rilasciò loro un diploma, da- 
tato da Ratac (20 Novembre 1380),****) In virtii alle espressioni 
di questo privilegio «si permetteva ai Ragusei di mercanteggiare** 



*) Mauro Orbini pag: 391 - 292 
♦♦) Id pag. 302. 
♦♦*) Id. pag. 292. 

***^) Ratac è un monastero con annessavi una chiesa, dedicata alla SS. Ver- 
gine, nella nabla di Antivari, fabbricati dall' imperatrice E lena e da sao 
figlio V imperatore (?) Urog Nemaiga. Appartenevano a questo menaste^ 
ro molte terre, particolarmente in Pastroviói, dalle quali ritirala i suoi 
proventi; ma da quando questo convento venne in mano al clero Latino 
quei di Pastroviói si rifiutarono a qualunque pagamento. Cosi scrive M. 
Bolica nella sua relazione. 



31 

nper tutte le sue terre, pagando il dazio anteriormente stabilito* 
jydi due danari, ed a Danj e sul fiume Kriva, quanto pagavano^ 
^vivente suo fratello Giorgio,*' *) 

V insurrezione eh' era scoppiata nel regno di Napoli air ar- 
rivo nella capitale del francese Duca d' Angiò, diede occasione a 
Balsa II d' impadronirsi di Durazzo '*'*) nell' anno 1383. Nello stes- 
so anno egli spedì contro i Gattarini, in ajuto dei Ragusei 3000 
dei suoi valorosi soldati, coir assistenza dei quali Michele Boba- 
lié ***) generale dell' armata navale ragusea, assediò Cattato e ne 
obbligò gli abitanti ad impetrar pace dalla repubblica di Ragù- 

Poco tempo dopo V armata turca invase le Provincie dei Bal- 
sa, sul confine di Berat, conquistandone una porzione. Appena 
ciò intese Balsa, senza curarsi di raccogliere un poderoso esercito, 
partì da Durazzo con soli 1000 cavalieri, per assalire con questi 
i Turchi. Essendo troppo preponderante V armata turca a quella 
di Balsa, lo supplicarono i capi di non dar battaglia prima di quel- 
lo che fossero arrivati dei rinforzi ; ma egli, fidando nel proprio va- 
lore, non volle dare ascolto ai loro saggi consigli, né ponderare le 
conseguenze del perìcolo al quale si esponeva e decise di venire 
ad uno scontro coir inimico. Il combattimento s' ingaggiò presso 
il fiume Bojana, Balsa fa sconfitto e perdette la vita nella batta- 
glia, sostenuta valorosamente, opponendosi con vigore co' suoi, qual- 
che tempo, all' urto dei nemici, che arrivavano a 5000 e dei quali 
molti trovarono la morte sul campo. Dalla parte di Balsa pari- 



*) Srpski Spomenìci pag. 85. 

*^) MaTFO Orbini pag. 292. 

*^) Molte delle antiche famiglie ragosee scrivevano diversamente i loro co- 
gnomi nelle dae lingue italiana e serba. Così p. es. nei „Srpski Spomenì- 
ci*' trovasi menzione delle famiglie Bobalié, Rastió, Gundulió e Lukare- 
vié, le quali in italiano si sottoscrìvevano: Bobali, Resti, Gondola e Lac- 
car!. 

****) Mavro Orbini pag. 305. 



32 

monti molti soccombettero, e tra questi il sno vojvoda Giorgio 
Hrvavèic, nonché Ivanià tìglio del re VukaSino. I Turchi tagliaro- 
no la testa di Balsa e la portarono a Hair-ed-din vezir che co- 
mandava nella Romania ed in una porzione della Macedonia *) 
conquistata già prima dal Sultana. Mavro Orbini sostiene che ciò 
sia avvenuto nell' anno 1383, ma sbaglia nel computo degli anni, 
giacché Balsa II era ancora in vita ai 24 Aprile 1385, nella qual 
data confermò a Tuzi, non lungi da Podgorica, ai Ragusei, per 
mezzo dei loro» ambasciatori, con un nuovo diploma tutti gli ante- 
cedenti loro rilasciati da Giorgio suo fratello e da lui stesso. (>,ue* 
sto diploma comincia colle parole: „Io Balsa per la grazia dì Dio 
Duca (cioè Vojvoda o Herceg) anche della città di Durazzo.* **) 
La repubblica di Ragusa in segno di gratitudine pei molti favori re- 
sile aveva aggregato questo Balsa ed il suo fratello Stragimiro al- 
r ordine dei suoi patrizi! vale a dire a nobili membri del Se- 
nato. ***) 

La morte del sunnominato Balsa II, accaduta verso la fine 
del 1385, fece proclamare a signore della Zenta, Giorgio II figlio 
di Stra§imiro, rinchiuso fin allora nella fortezza di Durazzo, per 
esseri mostrato insubordinato allo zio. cui si temeva non sbalzas- 
se dal governo, essendo molto svegliato di mente ma nello stesso 
tempo assai irrequieto. Alcuni della Zenta superiore e della fami- 
glia Grnojevié, rifiutarono da principio di prestargli ubbidienza, ad- 
ducendo per pretesto eh' essi riconoscevano per loro sovrano Tvrd- 
ko^ rè di Bosnia, ma Giorgio li sottomise in breve, facendo pu- 
nire esemplarmente alcuni dei caporioni. Alquanto dopo, per am- 
mansire i suoi personali nemici, prese in moglie la figlia del knez 
Lazzaro, chiamata Despa, vedova di SiSmano, rè dei Bulgari. ****) 



*) Mavro Orbini-pag. 292-293. 
^*) Srpski Spomenici pag. 87. 
•••) Mayro Orbini pag. 293. 
••♦•) Id, pag. 293. 



1» 
u 



33 

Ad esempio dei suoi antenati anche Giorgio diede ai Ragu- 
sei un diploma firmato sotto Scutari (27 Gennajo 1386) nel quale: 
^conferma loro i privilegi tanto dei signori serbianì, quanto quel-** 
;,li dì suo padre StraSimiro e degli zii Giorgio e Balsa, permet-** 
„ tendo che potessero liberamente trafficare per tutte le sue terre/ 
^pagando quel dazio che pagavano al tempo dell' imperatore Ste-^ 
;,fano, promettendo che se alcuna delle loro navi venisse a rom-** 
n persi sul mare o sui fiumi del suo regno e fossero involati ** 
«da qualcheduno gli oggetti salvati, egli pagherebbe il danno dal-** 
„]a sua cassa privata,^ In questo diploma egli si denomina: Io" 
Giorgio, fedele in Cristo Iddio Signore, Autocrata di tutte le Zen-* 
te e del Litorale.^ *) 

Nello stesso anno 1386 i Turchi invasero le provincie di 
Giorgio, facendogli grave danno, tanto neir Albania fino a Duraz- 
zo e più lungi nella Zenta inferiore, nei dintorni di Scutari, Anti- 
vari e Budua, quanto nella Zenta superiore fino ad Ostrogsul 
confine di OnogoSt; ma egli, quantunque con grande discapito, 
giunse a placarli e conchiudere la pace **) cedendo loro Eostur e 
Berat. ***) 

Oltre i Ragusei commerciavano nella Zenta anche i Venezia- 
ni, del che ci fii testimonianza uno scritto rilasciato da Giorgio 
alla repubblica di Venezia per mezzo del suo console residente a 
Dolcigno. Questa pergamena scritta in lingua italiana precisamen- 
te in dialetto veneziano, dice: ^In nome di Dio, ai 28 Febbrajo„ 
«deir anno 1388, in Dolcigno. — Noi Gioi-gio Stracimirov, Signo-" 
«re della Zenta, permettiamo a tutti i Veneziani abitanti in Dol-" 
«ci^no di liberamente trafficare, come era costume a' tempi dei" 
„miei antecessori; e quando fosse recato danno od a loro od alle*' 



*) Srpskì Spomenici pag. 88-89. 
**) Mavro Orbini pag. 295. 
*•♦) Ami Boué, Turquie d' Europe. Paris 1840 T. IV pag. 416. 

3 



34 

„loro mercanzie, nei miei stati fino a Danj o dovunque siasi sul-" 
„le nostre terre, promettiamo di risarcire ogni danno, che loro" 
;,fosse recato. Dietro espresso comando del suddetto Signore Gior-" 
„gio, io Elia Marinov scrissi questo di mio proprio pugno e per'' 
„ maggior sicurezza il Signore Giorgio v' impresse il suo sigillo'' 
„e conferma di suo pugno la presente scrittura." Appiè di questa 
pergamena sta aggiunto in serbo : „Io Signor Giorgio diedi ordì-" 
„ne che venga esteso questo scritto." *) 

In questa stessa epoca, quando i Turchi, assoggettatasi la 
Bomania, una porzione della Macedonia, la Tessaglia e la Grecia 
occidentale, si resero tributaria la Bulgaria, anche Lazzaro Gre- 
bljanovié si obbligò di pagare un tributo adAmuratte I, e di pres- 
tare un contingente all' armata ottomana, poi neir anno seguente 
(1376) trasferì la sua residenza a Prisirendi (Prizren) e salì il tro- 
no serbiano, proclamandosi imperatore dei Serbi ; ma per mode- 
stia non permise che lo si appellasse imperatore, bensì knez, quan- 
tunque sulle monete coniate al suo tempo, lo troviamo denomina- 
to anche rè. I Magiari, durante ancora Y impero di Uro§, si era- 
no impadroniti del birmio, di Belgrado e delle sue circonvicinan- 
ze; ma Lazzaro, dopo la morte (1382) di Lodovico rè d' Unghe- 
ria, riconquistò tutte queste terre e le riunì al suo stato, facendo 
distruggere Belgrado, perchè in seguito i Magiari non vi si anni- 
dassero. Per lunga pezza il knez Lazzaro visse in pace coi Tur- 
chi, ma quando rifiutò loro il tributo e le truppe ausiliarie, il sul- 
tano Amuratte mosse colla 'sua armata contro la Serbia. A testi- 
monianza dei nostri scrittori nazionali, quesf armata turca fu dis- 
trutta dal knez Lazzaro (1387) presso Toplice e Ploèanik, sul fiu- 
me Sitnica, vicino a Novi-Pazar. Leunclavio, secondo le istorie 
turche, ascrive questa vittoria dei Serbiani a Giorgio Kastriotta, 



*) L' originale si trova nelP archivio di Venezia ed una copia noli' archivio 
di Getinje. 



35 

sopranominato &kender-beg, che in qaelP epoca era signore di Scu- 
tarì e di tutta quella contrada, avo del poscia rinomato Giorgio 
Kastriotta/e sostiene che allora il Kastriotta fosse soggetto al Sul- 
tano. Queste parole di Leunclavio sono anche riportate dal nostro 
isterico Baie, *) ma egli stesso non presta loro fede, né infatti la 
meritano. Che se taluno dalle provincie serbe meridionali accorse 
in ajuto del knez Lazzaro, questo doveva essere, senza alcun dub- 
bio, Giorgio figlio di StraSimiro Balsa, Egli dominava in quel tem- 
po sopra Scutarì e sopra quelle contrade, e non già V avo di Gior- 
gio Kastriotta, del cui dominio in quelle Provincie non vien fatta 
neanche menzione da alcuno degli storici degni di credenza ; i quali ci 
narrano e ci provano invece, che il suo figlio, Giovanni Kastriotta, 
era signore d' una piccola porzione dell' Albania e che divenne 
dipendente dai Turchi non già nel XIV, ma bensì nel XV secolo; 
e che non furono giammai signori di bcutari né egli, né suo fi- 
glio r ultimo Giorgio Kastriotta, il quale é conosciuto col sopra- 
nome di Skender-beg, col quale non fu. mai denominato il suo avo. 
n sultano Amuratte irritato grandemente per aver perduta la 
battaglia presso Novi-Fazar, levata una nuova poderosa armata con- 
tro la Serbia, venne nel piano di Kosovo. Qui fu data (ai 15 Giugno 
1389) la fatale battaglia, in cui, per il tradimento di Vuk Brankovié, 
venne sconfitta intieramente l' armata serba ed in cui perdette la vita 
il knez Lazzaro. — Perì allora anche il sultano Amuratte L, cui suc- 
cedette Bajazette L suo figlio. B knez Lazzaro aveva in moglie Milica, 
del sangue dei Nemanja, da cui ebbe tre figli : Stefano, Vuko e Laz- 
zaro, e cinque figlie: Marina (Mara), Elena, Despa, Vukosava e 
Mileva. La prima si sposò (1363) con Vuko Brankovié ; la seconda con 
Nicolò de Gara, palatino d' Ungheria, e rimasta vedova (1386), in 



*) 1. Raift — Storia delle nazioni Slave. — Voi III. pag. 41-4J. 



36 

secondi voti con Sandal Hranié, gran vojvoda della Bosnia *); la 
tei^a, (OHie albiamo fià detto, con èi^mano rè dei Bulgari e do- 
po la sua morte con Giorgio figlio di StraSimiro Balsa; la quarta 
col vojvoda MiloS Obilié e la quinta divenne moglie del sultano 
Bajazette I. **) Lazzaro fabbricò il monastero di Ravanica, dove 
fa anche sepellito e più tardi il suo corpo fii trasportato a Rava- 
nica sulla FruSka-gora, dove tuttogiorno riposa intatto, in odore 
di santità, 

Giorgio Balsa non giunse in tempo per prender parte alla 
battaglia di Kosovo; egli e la sua armata, cammin facendo, udiro- 
no la dolorosa notizia di quella disfatta ; furono quindi costretti a 
retrocedere, maledicendo Vuk Brankovìé, il quale aveva tradito il 
proprio signore e la patria. ***) 

Dopo la battaglia di Kosovo il sultano Bajazette diede il go- 
verno (Iella Serbia all' imperatrice Milica ed al suo figlio Stefano 
Lazarevic, sotto condizione però : che lo riconoscessero quale supre- 
mo Signore, che fossero obbligati a dargli truppe ausiliarie, che 
gli pagassero tributo e che gli dessero in moglie la principessa 
Mìleva, cui sposò poco tempo dopo (1393). Bajazette non obliò in- 
teramente nemmeno Vuk Brankovié, ma gli diede il governo di 



*) Che Elena, seconda figlia del knez Lazzaro, vedova di Nicolò de Gara, 
non sia stata moglie di alcuno né dei Balsa, né dei loro figli , né di an 
talbano Strahinió, ma del vojvoda Sandal Hranié, ci fanno manìfiestamen- 
te conoscere tre documenti stampati n(*i Srpski Spomenici, il primo dei- 
Panno 1408 a pag. 117, il secondo del 1429 pag. 177 ed ii terzo del 1436 
pag. 208. — Nei primi due documenti si riscontra: — Elena del signor 
vojvoda Sandal e figlia del knez Lazzaro ; — nel terzo poi si leggono le 
seguenti parole: Come venne da noi a Ragusa la molto gloriosa e vene- 
rata nobile signora Elena, del molto venerato e glorioso signore Sandal 
grande vojvoda del regno di Bosnia, e figlia del molto glorioso e santa- 
mente defunto knez Lazzaro signore dei Serbiani. 
**) Mavro Orbini pag. 812-813, e I. Baiò; Istoria delle nazioni Slave voi UI* 

pag. 9-10. 
♦♦*) Grlica dell' anno 1835 pag. 66-57. 



37 

una parte di territorio; poi quando Vuk incominciò a soperchiare 
la sua suocera Milica, allora Baja/ette lo fece prendere» catturare 
e quindi morir di veleno (6 Ottobre 1398). Mentre dimorava a 
Costantinopoli, Stefa)io Lazarevié, o Stefano PAlto, che con tal 
nome è conosciuto tra il nostro popolo, ottenne dall' imperatore 
Greco il titolo e la corona di despota e quindi (1403) s' ammo- 
gliò con Elena Kantakuzeno, ma non ebbe prole. Egli riedificò Bel- 
grado, distrutta dal knez Lazzaro. Scorso alcun tempo (Il Novem- 
bre 1406) mori 1' imperatrice Milica monacatasi e Stefano Lnza- 
revié ascese il trono qual despota. Eresse il convento di Manassia 
nella Resava. Sostenne molte guerre non solo nelP interno contro 
i ribelli, ma anche all' estero coi Turchi e contribuì col suo aju- 
to alla vittoria riportata (1414) dal sultano Mehemed I., figlio di 
Bajazette, sopra suo fratello Musa. 

L' infelice battaglia di Kosovo non poteva non arrecare tri- 
sti conseguenze nelle Provincie sottomesse a Giorgio Balsa. Poco 
dopo, entro lo stesso anno 1389, le città di Durazzo e di Alessio, 
nella tema dei Turchi, si diedero ai Veneziani, *) né è noto se 
ciò avvenisse col consenso di Giorgio Balsa, ovvero ad insaputa 
di lui e contro la sua volontà. In seguito lo stesso Giorgio Bal- 
sa — nella lusinga di meglio difendere il suo stato dagli avidi ar- 
tigli dei Turchi e di rinforzare maggiormente 1' amicizia colla 
repubblica di Venezia, sola potenza che in queir epoca fosse ca- 
pace di loro resistere, — cedette nell' anno 1394 ai Veneziani 
anche Scutari sua residenza, col patto eh' essi in compenso, gli 
dessero la piccola città di Drivasto e gli pagassero annualmente 
mille zecchini.**) 

Di questo Giorgio si trova una moneta d'argento coli' iscri- 
zione: HI. Baise. S. Gorgi, cioè: Moneta di Giorgio di Stragi- 
miro Balsa. ***) 



«) Laugier T. V. pag. 94-95. 
♦•) Mavro Orbini, pag. 294 — Laugier T. V. pag. 96. — Verdizotti . Fatti 

Veneti. 
***) Glasuik druitva Srpske Bloyesuosti. Fase. Y. pag. 220. 



38 

A Giorgio IL, il quale nelF anno 1405 passò all' eternità, 
successe il suo figlio Balsa HI. i cui fratelli, Gojko ed IvaniS, e- 
rano morti vivente ancora il padre. *) Gli Scutarini, abborrendo i 
Veneziani loro nuovi padroni, consegnarono a Balsa la città di 
Scutari, Egli poco appresso s' impossessò dì quasi tutti i luoghi 
della Zenta, che appartenevano alla repubblica Veneta. Tosto che 
ciò venne a notizia dei Veneziani, inviarono un buon numero del- 
le loro galere armate con delle truppe, sotto il comando di Maria- 
no Caravelli, il quale, mettendo in opera piii il denaro che le ar- 
mi, condusse di tal modo le cose dei Veneziani, che a stento Bal- 
sa e sua madre, arrivarono a salvarsi dalla Zenta. Cosi i Venezia- 
ni, divennero padroni di tutta la Zenta inferiore e delle città di 
Dolcigno, Budua, Antivari, Scutari e Drivasto, nell' anno 1405.**) 

Non scorse lunga stagione e Balsa III. riapparì nella Zenta 
inferiore e subito gli si mostrarono propensi gli abitanti nei cir- 
condari di Scutari e di Dolcigno. A tal nuova il senato Veneto spe- 
dì tosto delle truppe nella Zenta, che furono interamente distrut- 
te da Balsa, il quale in seguito di tale vittoria, riconquistò una 
gran parte della Zenta, che era stata presa dai Veneziani. Vene- 
zia inviò nuove forze, ma la guerra andò così per le lunghe e di- 
venne talmente di peso alla repubblica, ***) da indurre il suo do- 
ge Michele Steno, nel mese di Novembre del 1412, a valersi di 
Sandal Hranié qualf^ intermediario e segnare di buon grado un 
trattato di pace con Balsa III., del seguente tenore: ^La signoria" 
;,di Venezia concede al potente signore Balsa Stracimirovié, figlio" 
;,del defunto Signor Giorgio di StraSimiro dei Balsa, Signore della* 
„Zenta ecc. nonché ai suoi successori, le città di Dolcigno e di" 
„Budua, con tutti i loro diritti, confini e territorio ; ed inoltre si" 
„ obbliga di pagare a lui ed ai suoi successori, mille zecchini ogni" 



*) Mavro Orbini, pag. 294. 

**) Laugier T. V, pag. 201-203. — Mavro Orbini pag. 294. 
♦♦*) Mavro Orbini pag. 294, — Laugier T. V. pag. 362-26S. 



39 

;,anno, come prima era solita pagare al potentissimo signor Gior-^ 
;9gio, suo padre; e che essa rimanga in possesso di tutti gli al-" 
^tri luoghi coi loro diritti, confini e pertinenze, vendutile o do-^ 
„ natile dal sunnominato suo padre Giorgio/ *) 

In onta a questo trattato di pace, la polìtica astuta dei Ve- 
neziani, nulla ritenendo per sacro, purché potessero, con qualsiasi 
mezzo, appropriarsi V altrui territorio per ingrandire il loro stato, 
si prevalse della femminile debolezza della vedova di Giorgio 
II. Balsa e la indussero a vender loro neir anno 1416, la città 
di Vallona. **) 

Presso Balsa III. sì trovava un suo congiunto per parte di 
donne, Stefano Grnojevié (Maramonte), il quale divenne in seguito 
signore del Montenero, nel quale, incominciò con lui, a regnare la 
dinastìa dei Grnojevié. In seguito alle persuasive di questo suo 
congiunto, Balsa raccolse un armata, con cui nel 1419 mosse con- 
tro Scutari e lo prese. *'^'^) Risaputosi ciò dal capitano del Golfo 
(cioè dal comandante la flotta Veneta nell^ Adriatico), Francesco 
Bembo, abbandonò ali* istante 1' intrapreso cannoneggiamento di 
Ttblìl e di Spalato, città ungheresi della Dalmazia, ed accorse col- 
la sua flotta sotto Scutari. Gli tennero dietro bentosto altri basti- 
menti di trasporto, che conducevano un armata capitanata da Ja- 
copo Dandolo ; ma i Serbi difesero cosi eroicamente Scutari, che 
riesci impossibile ai Veneziani d' impadronirsene. Dietro ordine 
della repubblica di Venezia, il suo ambasciatore presso la Porta 
ottomana. Bertuccio Diede, fii incaricato di ricercare V cyuto del 
Sultano il quale si trovava allora, colla sua armata, nella Tracia. 
U Multano gli accordò 8000 dei suoi soldati, come ausiliari con- 
tro Balsa, ma questi respingendo valorosamente le truppe alleate 



"*) V originale di qaest' atto si trova neU^ archivio di Venezia; ed una co- 
pia in quello di Geti^je. 
**) Verdizotti : Fatti Veneti. 
*•*) Mavro Orbini-pag. 294. 



40 

veneto - turche^ non s' appese, ma ritenne in suo potere la città 
di Scutari, *) 

Nel seguente anno 1420, Pietro Loredano, capitano d(4 gol- 
fo, si mise alla vela li 12 Marzo con una flotta di 15 galeoni 
armati e molte altre navi, sulle quali era imbarcato un poderoso 
esercito. Nel mese di Aprile, tolse agli Ungheresi nella Dalmazia, 
primieramente la fortezza d' Almissa (Omi6) e le isole di Brazza, 
Lesina e Curzola, quindi Traù e Spalato, dopo di che gli si as- 
soggettarono spontaneamente i Cattarini, dandogli ajuto contro 
Balsa. Loredano arrivò quindi sotto Scutari dove il Salsa aveva 
raccolte tutte le sue forze. S' ingaggiò il combattimento e toccò la 
peggio ai Veneziani, un infinità de' quali rimase morta sul campo. 
I vincitori fecero inoltre prìgionìeri molte compagnie di fanti e 
200 cavalli. Arrivata la nuova della sconfitta del suo esercito al 
senato di Venezia, spedì un rinforzo di arcieri e di cavalieri, 
onde con questi Loredano potesse, non solo misurarsi con Balsa, 
ma riuscirne vincitore. Questi soccorsi arrivarono così tardi, che 
Loredano non fu. in ist^ito da poter intraprendere alcunché col lo- 
ro ajuto **) e quindi i Veneziani stipularono la pace col Balsa 
neir anno 1421. Egli allora lasciò la Zenta per recarsi in Serbia 
presso il suo zio materno, il deipota Stefano Lazarevic, lasciando 
per suo luogotenente il sunnominato Stefano Crnojevic. Nel parti- 
re dalla Zenta,. Balsa aveva già contratta una malattia febbrile, 
alla quale soccombette nel mese di Aprile dello stesso anno, poco 
dopo il suo arrivo in Serbia, e Stefano Crnojevic, avuta notizia 
della sua morte, s' imbarcò tosto per la Puglia. ***) Con questo 
Balsa, che non ebbe che una sola figlia, di nome Elena, marita- 
ta col Herzeg Stefano, si estinse la dinastia dei Balsa. 



♦) Laagier T. V. pag. 413-414. 
♦♦) Laugier T. V. p. 426-427. 

*^**) Mavro Orbini pag. 294 — Queste notizie sulla famiglia Balsa, furono stam- 
pate, in succinto però, nel N. 101 della Gazzetta Serbiana dell' anno 1850- 



41 

Nulla poteva ricscìr più gradito ai Veneziaoi che Ift notizia 
della morte dì Balsa III., Y ultimo superstite di questa famiglia; 
essi subito dopo riconquistarono Drif asto, Aativari, Dolcigno, Ales- 
sio, Budua, e più tardi Scutari *) e tutta la Zenta inferiore. In 
seguito a ciò il despota Serbiano, Stefano Lazarevié, qual preten- 
dente alla successione di Balsa, eh' era figlio di sua sorella, fece 
marciar tosto un annata nella Zenta e ritolse ai Veneziani tutte 
le città e gli altri luoghi, rimanendo soltanto nelle loro mani Scu- 
tari, senza il suo circondario, Dolcigno e Budua. L* anno seguen- 
te il despota riprese la campagna contro Scutari, che senza dub- 
bio si sarebbe arreso, ove i Veneziani non avessero tirato dalla 
loro, a forza di denaro, alcuni della Zeuta ed alcuni Serbianì, ed 
ove i Pastroviéani non avessero abbandonato il loro signore Scr- 
biano, per unirsi ai Veneziani, che nel mese di Decembre aniva- 
rono a sconfiggere V armata del despota. Nel mese di Maggio del 
seguente anno 1423 il despota allestì nuovamente un armata con 
alla testa Giorgio Brankovié, suo nipote per parte di sorella e 
secondogenito di Vuko Brankovié, per tentare la riconquista del- 
l' antica capitale dei Balsa. Giorgio assediò Scutari e lo ridusse 
a così deplorabil partito, da costringere i Veneziani a firmare la 
pace col despota Serbiano, ad onta di tutte le truppe fresche che 
erano state inviate per mare in ajuto di bcutari e di tutti gli sfor- 
zi di quei di Pastroviéi, fautori dei Veneziani, per distorli da un 
tal passo. **) 

Neir anno 1425 poi, il despota Stefano cedette tutta la Zen- 
ta eh' era sotto il suo dominio, al summeutovato suo nipote Gior- 
gio Brankovié, col quale nel seguente anno i Veneziani riconfer- 
marono il trattato di pace, obbligandosi di pagargli ogni anno mil- 
le zecchini per il posseso di Scutari. Neil' Agosto del medesimo 



*) Laugìer T. V. 431 -432. 
**) Mavro Orbini, pag. 294-296. 



42 

anno Giorgio Brankovié colla moglie e coi figli venne dalla Serbia 
nella Zenta, dove s' incontrò con Stefano Crnojevié, cui un parti- 
to, formatosi tra quei di Zenta, aveva richiamato dalla Puglia, of- 
frendogli la sovranità della loro provincia. Essendo giunto il Crno- 
jevié dalla Puglia sopra una nave ragusea ed avendo sbarcato sot- 
to Pastroviéi, molti cercarono di approffittare d' una tale circo- 
stanza, per istigare Brankovié contro 1 Ragusei. Ma questi ultimi 
desiderando passarsela in buona armonia col Brankovié, signore 
della Zenta e futuro successore del despota, cercarono ogni strada 
onde averselo per amico e gì' inviarono per ambasciatori Maroje 
Resti e Marino Gondola, invitandolo a venir visitare la loro città. 
Brankovié accolse cortesemente gli ambasciatori di Ragusa, né 
punto badando all' inquietudine che gli aveva recata la venuta del 
Crnojevié, promise di aderire alle loro brame. Poco tempo appres- 
so colla moglie e coi figli s' imbarcò sulla nave spedita apposita- 
mente dai Ragusei per prenderlo, capitanata da Giorgio Palmotta 
e si recò a Ragusa, dopo aver dato un salvocondotto a Stefano Cr- 
nojevié. Reduce da Ragusa, Brankovié si fece sbarcare sopra Dol- 
cigno, poi dalla Zenta partì per la Serbia, conducendo seco da 
Drivasto il vescovo con alcuni altri compagni, che avevano ardito 
sollevarglisi contro. *) 



^) Mavro Orbini, pag. 295-296. 



LA DINASTIA DEI CRNOJEVIC. 



Stefano Lazarevié, despota della Serbia — non avendo suc- 
cessori di sua famiglia, che i fratelli gli erano stati uccisi molto 
tempo prima dai Turchi ed egli non aveva avuto figli — giunto a 
morte (1427), nominò a despota della Serbia il figlio di sua so- 
rella, Giorgio Brankovié, il quale in quel tempo aveva il governo 
della Zenta. Gli abitanti di questa, già da lungo tempo bramosi di 
aver per capo un indigeno, indipendente da ogni autorità stranie- 
ra, non vollero rimaner ulteriormente soggetti al Brankovié, il 
quale come despota della Serbia, doveva riconoscere la suprema- 
zia del Sultano ; e riconobbero invece e confermarono per proprio 
signore Stefano Grnojevié, col titolo di vojvoda, cui a tal fine, co- 
me abbiamo già narrato, aveano richiamato dalla Puglia. D de- 
spota Brankovié, durante tutto il suo regno, si ritrovò sempre in 
circostanze talmente sfavorevoli, che gli mancò il tempo per con- 
trastare il potere al Grnojevié, il quale d' altronde aveva maggio- 
ri diritti di lui sulla Zenta, primieramente come congiunto deiBal- 
sa e quindi per esser stato lasciato da Balsa IH., Y ultimo della 
sua stirpe, in suo luogo nella Zenta. 

Prima di accingerci a narrare le gesta dei Grnojevié, gettia- 
mo uno sguardo suU' istoria della nostra nazione nella Serbia e 
nella Bosnia. 

Aderendo al desiderio di Stefano Lazarevié, i capi della na- 
zione nella Serbia di imanime consenso confermarono (1428) per 
despota Giorgio Brankovié, conosciuto dal popolo col nome di Gior- 
gio Smederevac, il quale era allora in età di 60 anni. Nel suo 48vo 



44 

anno aveva condotto in moglie Irene, sorella di Giovanni e Co- 
stantino Paleologo, ultimi imperatori greci, dalla quale aveva avuto 
tre figli: Gregorio, Stefano e Lazzaro, e due figlie: Caterina (spo- 
sata nel 1430 col conte Ce^jski) e Marina. Giorgio, trovandosi po- 
sto tra due fuochi, cioè da una parte i Turchi, dall' altra i Ma- 
giari, acerrimi nemici tra loro, ambo i quali si disputavano le sae 
Provincie, fu costretto, per salvare il proprio stato, di parteggiare 
or per gli uni or per gli altri, e quindi, quando si vedeva ridotto 
alle strette, di cader in disgrazia ora delF una ed ora dell' altra 
parte. Per non perdere V amicizia dei Magiari, cedette loro Bel- 
grado col suo circondario, ed in compenso ebbe da loro alcuni be- 
ni neir Ungheria; per mantenere poi la pace coi Turchi, pagava 
loro non solo un tributo, ma si trovò costretto a dare in moglie 
la propria figlia Marina al sultano Amuratte II. (1435); né tutto 
ciò era bastante per i Turchi, per ben due volte (1440 e 1455) si 
trovò nella dura necessità dì abbandonare lo stato e di andar er- 
rando per il mondo, implorando soccorso. Nella prima sua fuga, si 
ritirò nella città di Antivarì, V unica che gli fosse rimasta fedele, 
donde pure giunse a cacciarlo la perfidia di Amuratte; da li si 
rifugiò a Budua, che dovette abbandonare per tema del Crnojevic 
della Zenti e recarsi a Ragusa, dove (ai 26 Luglio 1441) deposi- 
tò il suo tesoro, il quale consistente in vasellame d' oro e d' ar- 
gento ed in moneta effettiva, ammontava al valore di 200,000 du- 
cati. *) Vivente ancora Giorgio Brankovié, i Turchi piii volte de- 
vastarono la Serbia, distrussero molte delle sue città ed a torme 
ne strascinarono in schiavitù gli abitanti. Nella vecchia età di 89 
anni mori (1456) Gioito, nella sua residenza di Smederevo. Re- 
gnò dopo di lui, ma per breve tempo, Irene sua moglie. Fu avve- 
lenata (1457) da Lazzaro, il più giovane dei di lei figli. Questi a- 
vea divisato di far assassinare nello stesso giorno i suoi due fra- 



*) Srpskì Spomenici, pag. 227 - 2Sl. 



45 

telli maggiori Gregorio e Stefano (ai quali il sultano Amuratte, 
vivo ancora il loro padre, nveva fatto cavare gli occhi), ma essi, 
risaputa la trama del fratello, a tempo fuggirono. Gregorio si sal- 
vò presso i Turchi e Stefano passò dai Magiari, conducendo so- 
co molti Serbiani, coi quali si stabili nel Sirmio, dov^e in seguito 
si fece proclamare despota della Serbia. Lazzaro poco appresso se- 
guì neir eternità sua madre (1458) e sua moglie Elena, figlia di 
Tommaso Paleologo, despota della Morea, nativa greca, divenne des- 
pota della Serbia; poi quando i Turchi invasero il suo stato, si 
rifugiò anch essa nell' Ungheria. *) Da quest' epoca la Serbia ri- 
mase senza sovrano -e divenne interamente soggette ai Turchi, i 
quali trassero in schiavitù 20,000 dei suoi abitanti. 

Caduta la Serbia sotto il giogo turco, ne seguì in breve tem- 
po il destino anche la Bosnia, nella quale aveano dominato sette 
rè. H primo ed il più illustre di tutti fu Tvrdko, il quale, morto 
il suo zio paterno Stefano Eotromanovié (1357), divenne Bano del- 
la Bosnia. Egli seppe governare con tenta sagacia ed avvedutezza 
che, col consenso di Lodovico I. rè d' Ungheria, ottenne la coro- 
na e venne consacrato come rè della Bosnia nel monastero di Mi- 
leSevo (1376). Aveva soggetta, non solo la Bosnia, ma anche Y Er- 
zegovina e conquistò dai Magiari sul litorale della Dalmazia, Glis- 
sa, Ostrovica, Spalato, Traù, Sebenico, Lesina, Brazza, ed altre; 
e qual successore e presunto erede dei Nemanja percepiva dai Ra- 
gusei qual ^reddito serbiano^ 2000 ipperperi annualmente, e come 
reddito di Stagno, altri 500 ipperperi annui, che si pagavano anche 
ai suoi predecessori. Visse nelle migliori relazioni col knez Laz- 
zaro e gli fu alleato nelle guerre contro i loro comuni nemici. Ve- 
nuto a morte Tvrdko (1391), essendo privo di prole, gli succedet- 
te il figlio di suo fratello, Dabiàa, Queeti, temendo i Turchi, sot- 
tomise sé e la sua nazione a SigisnM)ndo rè d' Ungheria e regnò 



*) Elena aveva ana più gio?ane soreUa, di nome Sofia, moglie del granduca 
di Russia Ivan 111. Vasi^evié, il quale governò dal 1462 al 1606. 



46 

sotto la protezione di lui, promettendo di restituire, dopo morte, 
ai rè d' Ungheria il litorale Dalmate, che infatti riebbero qua- 
si per intero. A Dabiàa, che pure non ebbe prole, succedette sul 
trono (1396) Ostoja flrìstié, il quale (nel 1399) donò ai Ragusei 
quel tratto di litorale che, al disotto della penisola di Sabbioncel- 
lo, s' estende da Kurilo fino a Stagno. *) Poco dopo si ribellò ad 
Ostoja, Hrvoje figlio di Vukac Hrvatinié, nativo da Cattaro (non 
già da quello delle Bocche, ma da quello della Bosnia) ed impe- 
trò r ajuto dei Turchi, col quale conquistò una porzione della Bo- 
snia a rè della quale fu. posto Tvrdko Tvrdkovié, figlio naturale del 
rè Tvrdko, col patto che pagasse un tributo ai Turchi. Allora (cir- 
ca il 1413) i Turchi vennero per la prima volta nella Bosnia ed 
il Sultano collocò, nella parte superiore della medesima, un suo 
sangiacco di nome Isacco, il quale narrano che rimanesse uccìso 
in una battaglia contro il rè Sigismondo e così ritornasse al re- 
gno di Bosnia, anche la parte superiore di quella provincia. Agli 
intrighi del sunnominato Hrvoje Hrvatinié s' attribuisce V esser giun- 
ti i Turchi a far tributaria la Bosnia e V aver posti in essa due 
rè. Egli, air epoca del rè Tvrdko L, filil comandante della fortez- 
za di Jajac nella Bosnia, in seguito (1042) fa duca di Spalato e 
ricevette in regalo del rè Vladislavo di Napoli le isole di Brazza 
Lesina e Gurzola, poi, qualche tempo dopo, la fini malamente. Ab- 
bandonato dai Turchi, per i quali parteggiava, privato dai Cristia- 
ni di ogni carica e potere, si trovò forzato a ritornare a Cattaro, 
sua patria, dove finì di cordoglio e crepacuore (1415); ed il rè 
Ostoja per vendicarsi di lui anche dopo morto, abbandonò la pro- 
pria moglie Gruba e si congiunse ad Elena vedova di Hrvoje. 

Hrvoje aveva, oltre che un fratello, il knez Voisavo, anche 
un figlio di nome Balsa ed una figlia, la quale dalla madre fu da- 
ta in moglie a Stefano Simrakovié. Di Balsa figlio di Hrvoja cosi 
scrive il Luccari „I Ragusei (1416) non avendo per sicurtà ba-"" 



*) Srpski spomenici, N. 84. 



^ 



47 

„ stante la fede di Balsa figliuolo di Hrvoje, il quale prometteva'' 
;,loro eh' era per aver cura paiticolare della Repubblica; vinsero ** 
„con donativi Evren-pascià (beglerbeg di Ruoielia), il quale con** 
«tal mezzo abbandonò il proposto d' invadere coli' armata i loro** 
9Stati.^*)Nè altrove piùmai, per quanto sia almeno a mia cognizio- 
ne, né il Luccari né gli altri istorici ricordano che cosa awennis- 
se in seguito né del summontovato Balsa, né del suo zio paterno 
il conte Voisavo; si conosce soltanto che il figlio di Voisavo, ni- 
pote di Hrvoje, di nome Giorgio, risiedesse alcun tempo dopo (1434) 
a EreSevo nella Croazia turca e si facesse appellare Vojvoda delle 
regioni inferiori. **) 

Alla morte di Ostoja (1418) la nazione elesse in suo luogo 
per ré il suo figlio Stefano, ***) il quale breve tempo dopo (1424) 
passò air eternità; così Tvrdkovió rimase il solo signore della 
Bosnia. Decesso anche Tvrtkovié (1443) salì sul trono della Bo- 
snia TomaS, figlio secondogenito di Ostoja. Tomaà aveva per moglie 
Caterina, figlia del Herceg Stefano ; ma mostrandosi aderente ai 
Turchi, nemici giurati della fede di Cristo, dietro istigazione del 
rè d' Ungheria Mattia Corvino, fu strangolato (1460) dal suo fi- 
glio naturale Stefano Tomaéevié, che si proclamò ré in suo luogo. 
La regina vedova, Caterina, chiamò in soccorso i Turchi, perché le 
vendicassero il marito, ma quando questi, venuti nella Bosnia, la 



*) Luccari Giacomo. Bistratto degli annali di Ragusa. Ediz. di Ragusa 1790 
lib: III. pag: 189. 

**) Srpski Spomenici, N. 118. 

***) Molti narrano che nella Bosnia regnassero contemporaneamente tre rè: 
Tvrdko TTrdkoviÒ, Ostoja Hristió ed il suo figlio Stefano Ostoió, e che 
nel 1422 facessero patto tra di loro di dividersi la Bosnia, conservando 
ognuno il titolo di rè ; ma ciò non è da ritenere per verosimile, mentre 
Stefano Ostoió scrìveva in data dei 5 Marzo 1419: « Esser egli degna- 
mente pervenuto a regnare sulle provinole che appartenevano al suo pa- 
dre, il santamente defunto rè Ostoja" (vedi i Srpski Spomenici al N. 95, 
pag 135), il che prova patentemente che ai 5 di Marzo 1419 era già pas- 
sato tra i più il rè Ostoja, cui molti, senza verun fondamento fanno mo- 
rire appena nel 1435. 



48 

devastarono, lasciaméo però in pace Stefano Tomafievié, a patto 
che pagasse loro un anno tributo; allora Caterina, sdegnata egual- 
mente contro i Turchi e contro il figliastro, abbandonò la Bosnia 
e si recò a Roma, dove terminò i suoi giorni. Fino a che Toma- 
Sevié &L puntuale nel pagare il tributo a Mehmed IL, questi lo 
lasciò hi pace, ma appena egli non volle più saper del Sultano, i 
Turchi invasero tosto la Bosnia, la conquistarono per proprio con- 
to (1463) togliendo di vita TomaSevié, la cui moglie Marina, figlia 
del despota Lazzaro Brankovié, fuggì nella Croazia. *) Da allora in- 
comincia a computarsi l' epoca del soggiogamento dei Bosniaci, quan- 
tunque dopo breve tempo (1465) il rè Mattia riconquistasse dai 
Turchi nella Bosnia la città di Jajce ed alcuni altri luoghi, che 
rimasero per pili di mezzo secolo, sotto la corona Ungherese (fi- 
no air anno 1528). Dopo d' aver accennato un tanto, così di pas- 
saggio, sulla Serbia e sulla Bosnia, ritorniamo ora al nostro prin- 
cipale argomento, all' istoria cioè della dinastia dei Crnojevié. 

I paesi che riconoscevano per loro vojvoda Stefano, il primo 
Signore della Zenta dalla dinastia dei Crnojevié, erano i seguenti: 
a) r attuale Montenero coi suoi otto circondari, quattro nahie, cioè, 
e quattro brda ; b) quel tratto di terra che conserva tuttavia il 
nome di Zenta^ ed il quale comprende diversi villaggi, la borgata 
di Podgorica e le due piccole fortezze di Spui e 2ab]jak ; e) le iso- 
le std lago di Seutari Vrai^ina, Eom ed altre ; d) i contorni di 
Antivari e del litorale delF Albania un dì veneta ed ora Austriaca, 
le contee di Pastrovici^ Braici^ Maine^ Pobori, nonché il territorio 
di Orbàlj. I confini entro i quali sono compresi i luoghi sumnien- 
tovati, erano, se non forse piii estesi, al certo non più ristretti ai 
tempi del vojvoda Stefano Crnojevié. Egli conchiuse, (ai 6 Settem- 
bre 1456) nel monastero di S. Nicola suir isola di Vranjina, uni- 
tamente ai capi delle comuni della Zenta superiore, un trattato in 



•) Mavro Orbini, pag. 856 — 877 



49 

iscrìtto col Provveditore Veneto Giovanni BoHani. In questo s* ob- 
bligavano le comuni della Zenta auperiore di servire come ausilìa- 
rìi in tempo di guerra alla Veneta repubblica fino a Zadrìma ed 
Alessio fino a dove sarebbero arrivati i confini di lei, ricevendo 
quel soldo, eh' erano soliti ricevere air epoca dei Balsa. Tra le 
50 comuni della Zenta superiore che trovansi sottoscritte su quel 
trattato, vi sono le seguenti: PjeSivd^ Bjelopavlicij Paperi, Kuói^ 
(e nell* odierna Zenta) Podgorica, Grude, Berislavci^ Golubovci^ 
Grlj^ Daihabe^ Vi si trovano poi i nomi di alcune comuni, su cui, 
forse per esser scritte erroneamente con caratteri latini, non giun- 
si a ricavare notizie da alcuno, tra queste sarebbero per esempio, 
Maraguii, Hoieni, (forse Hoti che si trova presso KuCi?) Budo- 
tjesi^ Nihud, (potrebbe essere Nikèe nei Klinienti?) Stansici, e vi 
si trovano sottoscritti anche i BtiSati e così via. *) Neil' or men- 
tovato trattato vien ricordata anche la Krajina, Se si tratta del* 
V sXtaoXQ Èestanska krajina (contrada che si estende daCrnica fino 
a Scutari, lungo la riva destra del lago) essa dovette ricadere in 
mano dei Veneziani al tempo dell' istesso vojvoda Stefano Gmoje- 
vie, cui il BoUani in questo trattato da il titolo di gran*vojvoda. 
Se la repubblica di Venezia staccava dal dominio dei Cmo- 
jevic alcune terre appropriandosele, cionuUameno doveva permette- 
re che il metropolita di Getihje esercitasse il potere spirituale sul- 
le loro chiese di rito ortodosso, quand* anche assoggettate al suo 
governo. Doveva permettere inoltre che in queste terre apparte- 
nenti al suo dominio, quei della Zenta conservassero le proprie 
campagne ed esercitassero giurisdizione sugli abitanti sopra le lo- 
ro terre. Questo si comprova col surriferito documento in cui si 
leggono le seguenti parole: „Non potranno esercitar giurisdizione 
„ nelle nostre chiese né sacerdoti, né vescovi, né arcivescovi di ri- 
„to latino, ma dovranno dipendere da sacerdoti del nostro rito; né" 



*) L' atto originale trovasi nell' archivio di Venesia ed usa copia in quello 
di Cetinje. 

4 



50 

^vogliamo che Della Krajina e88e sieno sottomesse air afcivesco-'* 
„vo latino, ma bensì al metropolita della chiesa sorbiana. perchè" 
„il metropolita della Kraiina si denomina metropolita della Zen-" 
„ta, e spetta a lui il conferir gli ordini sacri ai nostri monaci ed'' 
„ai nostri sacerdoti secolari, né senza di lui potremmo passarce-" 
„la. Ilgualmente nessuno soggetto ad un feudatario (Proniaro) *y 
^potrà litigare col proprio padrone innanzi ad altri feudatarii, ma 
«quando taluno movesse lite con buone ragioni ad un vasallo di" 
^qualunque feudatario, gli sia lecito di farlo comparire dinanzi al" 
„ feudatario o vojvoda Araksone." 

Al tempo di Stefano Crnojevié vivevano nel suo vicinato, tra 
gli altri, due signori degni di memoria, i quali governavano due 
popolazioni, piccole per numero, è vero, ma grandi per valore. 
L' uno di questi appellavasi Herceg Stefano, Ancora il suo proavo, di 
nome Vuk Hrana, figlio del conte di Rudina, serviva alla corte del- 
l' imperatore DuSano, il quale in compenso della sua fedeltà e del 
suo esemplare valore guerresco, gli aveva donato molte terre, in 
aggiunta alla sua contea di Rudina, col permesso di poterle tras- 
mettere alla sua discendenza. Dopo la morte di Vuk Hrana (1359), 
suo figlio Vladko Hranié (chiamato anche Vukovié,) imitando il pa- 
dre nella bravura, meritò talmente la grazia e V affezione di Tvrd- 
ko primo rè della Bosnia, che questi lo scelse a capo dell' ar- 
mata che aveva spedita in ajuto (nel 1389) al knez di Serbia, 
Lazzaro, contro i Turchi. Dopo la battaglia di Kosovo, in cui fu 
distrutta V armata serbiana, Vladko ritornò in patria con pochi uo- 
mini che gli erano rimasti, poi, dopo alcun tempo, raccolse una 
nuova armata colla quale assalì i Magiari che molestiivano le Pro- 
vincie di Tvrdko, e li sbaragliò. In seguito aggredì con successo 
anche i Salsa, nemici di Tvrdko. Quaudo i Turchi invasero la Bos- 



*) Proniaro si chiamava il padrone della terra, sulla qnale vivevano i saoi 
coloni, che gli lavoravano le terre ed erano sua assoluta proprietà, perchè 
non potevano abbandonare le terre del padrone recandosi dove loro garbasse. 



61' 

ma e cominciarono a devastarla e metterla a fuoco, con 7000 uo- 
mini mosse contro di loro, quantunque fossero in numero di 1800Ó 
ed in due battaglie, la prima a Rudina e la seconda a Bileéi, tal- 
mente li sconfisse, che la maggior parte ne rimase morta sul cam- 
po, molti caddero prigioni, e ben pochi giunsero a salvarsi colla 
fuga. Per queste prove di fedeltà Vladko ottenne dal rè di Bosnia 
gran parte di quella provincia, che in seguito fu denominata Er- 
zegovina (Hercegovina), dove morì lasciando superstiti tre figli : 
Sandal, Vukac e Vuk. Anche Sandal, suo figlio maggiore, continuò 
a prestare molti impoilanti servigli ai rè di Bosnia, Ostoja Hris- 
tic e Tvrdko Tvrdkovié, e fu il loro braccio destro, per lo che non 
solo gli diedero il titolo di gran vojvoda della Bosnia^ ma pofiero 
anche sotto la sua autorità e governo molte città, contee (2upe) e 
terre col diritto di poterle vendere e regalare a suo piacimento. 
Marciò due volte a capo dell* armata contro Sigismondo rè d' Un- 
gheria, e se la prima volta (1410) perdette la battaglia, la secon- 
da (1411) non solo sconfisse i Magiari, ma li cacciò anche dalla 
Bosnia. Egli, come abbiamo già narrato, &l V intermediario della 
pace (1412) irai Veneziani e V ultimo Balsa, e poscia (1414) an- 
dò coir armata in ajuto di suo cognato Stefano Lazarevié, despo- 
ta della Serbia, contro Musa figlio del Sultano Bajazette. *) San- 
dal viveva in cosi stretta amicizia coi Ragusei, che (nel 1419) ce- 
dette loro, insieme col vojvoda Pietro Pavlovié, signore di Trebi- 
nje e di Popovo: „la contea di Canali, la fortezza di Soko, Vitalji-*' 
gUa, Gavtat (Ragusavecchia) ed Obod e quanto appartiene alla^ 
«contrada di Canali, da loro prima posseduta a porzione eguale.'*''^) 
Se la passava in buona armonia anche coi Veneziani e vendette 
loro la borgata di Ostrovica nella Dalmazia. "***) All' epoca sua 
(circa il 1413) il Sultano Mehmed I. collocò nella parte superiore 



*) Mavro Orbini, pag. 380- 882. 
**) Srpstó Spomenici, N. 96, 97 e 98. 
♦*♦) Ogledalo Ilirie 1842 V. IV. pag. 175. 



52 



della Bosnia il suo sangiacco, di nome vojvoda Isak. Questi col- 
Tarmata turca (1420) vinse ed uccise il sunnominato vojvoda Pie- 
tro Pavlovié, il quale s' era ribellato al Sultano. *) Quando morì 
Sandal Hranic (1435) gli succedette nel vojvodato suo nipote, fi- 
glio di Yukac, Stefano Eosarié, il quale conquistò la città di Tre- 
binje **) da Kadosavo fratello del vojvoda Pietro Pavlovié e pro- 
babilmente nello stesso tempo si rese padrone di Popovo. L' im- 
peratore Federico ni. (1441) innalzò Stefano alla dignità di duca 
(Herceg), e da allora alla sua provincia venne il nome di Herce- 
govina, ossia ducato di San Savva, e Stefano Eosarié fu denomina- 
to duca Stefano. A causa del sale, sul quale voleva imporre un 
dazio, fii più volte in guerra coi Ragusei, saccheggiò e diede alle 
fiamme i dintorni della loro Città e si assoggettò la contrada di 
Canali, ed essi conquistarono a lui 1' isola di Veglia, distrussero 
le torri della città di Ocinje, situata allo sbocco del fiume Naren- 
ta, devastarono le terre poste nelle vicinanze di questo fiume, ma 
non giunsero mai ad impossessarsi della sua città di Almissa. Es- 
si gli fomentarono contro suo figlio Vladislavo, il quale, insorgen- 
do contro il padre, gli fece ribellare Mestar, Blaga), Poéitelj, Vrgorac e 
IjubuSki. Finalmente (1452) in seguito alle minaccie del Sultano 
Mehmed IL e di Vladislavo IV. rè d' Ungheria, Stefano fece pace 
coi Bagusei, i quali, in segno d' amicizia, lo ascrissero nel nume- 
ro dei loro patrìzii. Venne a morte (nel 1466) a Draéevica presso 
Castelnuovo nelle Bocche di Cattare e lasciò tre figli: Vladislavo, 
Vladko e Stefano, ed una figlia di nome Caterina cui, sua vita du- 
rante, aveva maritata a TomaS Ostoié rè di Bosnia. ***) 

L' altro signore i cui domini! confinavano collo stato del vojvoda 
Stefano Crnojevic, era il rinomato eroe Skender-beg. Non esistono 
autentici documenti per comprovare che il suo avo Giorgio Kastriot- 



**) Srpski Spomenici, pag. 146-146. 
**) Id. pag. 221. 
^ Mavro Orbinì, pag. 882-388. 



'V 



53 

ta, fosse signore di qualche territorio ; gV istorici ci rammentano 
bensì il padre di Skender - beg, Giovanni Eastriotta, li quale go- 
vernava una porzione delP Albania, e risiedeva nella città di Kro- 
ja (in albanese Eruja). Giovanni per lungo tempo s' oppose eroica- 
mente alla forza dei Turchi che lo aggredivano, ma alla fine (1413) 
si vide costretto, non solo a pagar loro un tributo, ma a conse- 
gnar anche in ostaggio i suoi quattro figli, il minore dei quali ave- 
va nome Giorgio (nato nel 1404). Questo &l educato da Amuratte 
IL nella sua corte e fatto passare air islamismo; e quand' ebbe 
dato straordinarie prove di coraggio e di valore nei tornei e nelle 
guerre, paragonandolo ad Alessandro il Grande, volle che fosse chia- 
mato Iskender-beg (prìncipe Alessandro). Dopo la morte di Gio- 
vanni Eastriotta (1432), Amuratte occupò di mano in mano tutte 
le sue terre, e quantunque Skender-beg facesse le viste di non ac- 
corgersene, aveva pur sempre presente la propria origine, e colta 
r occasione in cui Sibinjanin Janko (Ivan Hunyad) disfece i Tur- 
chi nella Bulgaria, (1443) Skender-beg si sottrasse alla loro vigilanza 
ed apparve neir Albania liberando la sua patria dal giogo straniero. 
Tutte le forze di Amuratte IL e di Mehmed n. non valsero a sot- 
tometterlo, né affievolì il suo coraggio, né il suo braccio per la no- 
tizia della presa di Costantinopoli per parte dei Turchi (1453), 
che egli sempre con eguale valore difese la sua patria fino al mo- 
mento in cui (1467) passò a miglior vita. 

Durante la vita di Stefano Grnojevié, le sue provincie non 
furono invase dalle armate turche, poiché i Turchi in queir epoca 
erano continuamente alle prese ora coi Greci nei contomi di Co- 
stantinopoli e Trebisonda, ora col despota Giorgio Brankovié, ora 
coi Magiari e finalmente coir invincibile eroe Giorgio Skender-beg. 
Alleato nelle guerre a Skender-beg era Stefano Crnojevié ***) e, 
giusta le parole del vladika Basilio, questi due combatterono uni- 
ti i Turchi per ben 24 anni, cioè fino al momento della morte di 



*) Grlica del 1885 pag. »7. 



54 



Skender-beg. Il Crnojevié non viveva in relazioni egualmente ami- 
chevoli né coi Veneziani né col duca Stefano. Che anzi in una bat- 
taglia con quest' ultimo, in cui il Crnojevié ebbe la peggio, cadde 
un suo figlio in mano del vincitore e per ricuperarlo dovette accet- 
tare condizioni di pace, per lui non troppo vantaggiose, dalla re- 
pubblica di Venezia. 

Le condizioni di questa pace furono dettate dal doge di Ve- 
nezia Francesco Foscari con atto pubblico, autenticato dall' appo- 
stovi sigillo in data 17 Luglio 1451 ed succinto sono le seguenti; 
«Che il magnifi($ vojvoda Stefano Crnojevié, sia e possa chiamar-" 

^si nostro capitano nella Zenta superiore , e noi gli con-" 

^fermiamo il suo diritto di successione, che possedeva prima e" 
„che attualmente possiede, ma col patto che non tocchi le terre" 
„di Cattaro né le altre delle città circonvicine, né quelle dei no-* 
^stri Soggetti ; gli confermiamo il diritto dei suoi dazii consueti" 
„e quello delle saline, dalle quali come di solito gli sia permesso" 
,,di estrarre il sale, accordiamo di far entrare e nominare lo stes-" 
„so vojvoda ed i suoi fratelli in ogni trattato di pace, che potre-" 
„mo conchiudere coir illustre Signore il despota della Bassia(Ser-" 
»bia) e cogli altri signori della Bosnia e dell' Albania; d' altronde" 
„r istesso vojvoda promette, eh' egli accorrerà colla sua gente in* 
«nostro ajuto ogniqualvolta ne potremo aver di bisogno, e quan-" 
,,do il nostro governo fosse per ricercargli ajuto di armati; seri-" 
„veremo e daremo ordine a tutti i nostri governatori a Cattaro" 
„e nella nostra Albania che nel caso di qualunque guerra, che pò-" 
«tesse avere il suddetto vojvoda, non dieno alcun soccorso né ri-" 
„fugio ai suoi nemici, ma che anzi sieno in ajuto a lui stesso ; ci" 
«daremo ogni premura per la liberazione del figlio dell' istesso" 
«vojYoda presso V illustre Signore duca di S. Savva, come se si" 
«trattasse d' un nostro nobile e cittadino ; concediamo che i suoi" 
«fratelli Jurasino e Coicino, con due altri dei. suoi nobili, riceva-" 
«no annualmente di paga da noi, quanto ultimamente percepiva" 
«ognuno di essi e che l' istesso vojvoda riceva dalla nostra cassa" 
„2i Cattaro seicento ducati di paga all' anno ; dall' altro canto è* 



55 

„ necessario che V istesso vojvoda procuri e cooperi, quasi si trat-" 
, tasse di affare suo proprio, che Grbalj e gli altri luoghi del cir-'' 
^condarìo di Cattare ritornino all' obbedienza e sotto la nostra'' 
, soggezione, come egli ha promesso di fare; e quando ciò sarà*" 
9 eseguito allora soltanto incomincerà a correre la paga a lui, ai** 
nSuoi fratelli ed agli altri due suoi nobili ; è necessario che Y i-' 
K stesso Vojvoda procuri e cooperi, quasi si trattasse di affare suo^ 
«proprio, che Grbalj e gli altri luoghi del circondario di Cattare,* 
;, dopoché saranno ritornati alla nostra obbedienza, rimangano an-^ 
«che nella nostra soggezione; e che, se taluno' dei detti luoghi ** 
«tenterà di emanciparsi dalla nostra dipendenza, egli muova col-^ 
«l'armata contro di loro e li riduca air ubbidienza poiché fino a** 
«che questi luoghi ci rimarranno soggetti, fino allora soltanto, co-^ 
«me é nostro costume, saranno sborsatele suddette paghe ; occor-** 
«re inoltre che il suddetto vojvoda Stefano riconosca e confermi** 
«tutte le suesposte condizioni e che giuri e prometta il loro adem-** 
«pimento per mezzo di pubblica scrittura, autenticata col suo si-" 
«gillo, nella quale dovranno esser esposte tutte le condizioni suac-" 
«cannate.** *) 

Qui nuovamente chiara trapela V avidità dellia repubblica di 
Venezia per le terre altrui. Non le bastava d' essersi impadronita 
delle più belle Provincie europee dell' impero Bizantino ; non le 
bastava d' aversi assoggettata la Dalmazia e Cattare, e d' aver 
preso, la massima parte con astuzia e con inganno, dai signori del- 
la Zenta le città marittime della Zenta inferiore e dell' Albania; 
ma essa gettò 1' avido suo sguardo anche sulla piccola, ma ferti- 
le terricciuola dei Crnojevié fino a Grbalj, il quale arrivava fino al 
mare, per appropriarselo ed impedir a quelli della Zenta 1' adito 
a quest' ultimo, ma per questa volta non riuscì completamente nel suo 
intento. Vedremo in seguito che Grbalj fu soggetto anche a Gio 



ik\ T _ 

) i*' atto originale trovasi nelP arcliivio di Venezia, una copia in quello di 
Cetiiye. 



56 

vanni Cmojeviéf figlio del saddetto vojvoda Stefano, prova evidcn* 
te eh' egli avesse accettate le surriferite condizioni di pace, con 
alcune modificazioni. Sarebbe stato desiderabile che in questo trat- 
tato fossero stati esplìcitamente nominati anche gli altri luoghi 
nel circondario di Cattaro, che la repubblica di Venezia aveva al- 
lora strappati dallo stato dei Crnojevió. 

Quanto riguarda il matrimonio del vojvoda Stefano Crnoje- 
vié, in ciò non vanno d* accordo gli storici. Mavro Orbi ni '^) pre- 
tende che Stefano fosse sposato a Volsava, figlia di Giorgio Sken- 
der-beg, e Barlet sostiene, con molto maggior verisimiglianza, che 
avesse avuto per moglie Maria, figlia di Giovanni Kastriotta, quin- 
di sorella di Skender-beg, I summentovati scrittori e con l(»ro il 
reverendissimo vladika Basilio, raccontano concordi che il vojvoda 
Stefano avesse due figli : Giovanni e Giorgio, che fosse sua resi- 
denza la fortezza di 2abljak, allo sbocco del fiume Morata nel la- 
go di Scutarì. Narrano che, allo scorcio del X secolo, Tugomiro 
rè della Dalmazia, fabbricasse 2abljak e che poi lo compisse e 
fortificasse il vojvoda Giovanni Cmojevié **) nella prima metà del 
XV. secolo; del quale si sa di certo che morisse in questa fortez- 
za e che fosse seppellito suir isoletta di Eomo, nella chiesa di 
Uspen, fatta fabbricare <la lui stesso. ***) Secondo tutte le proba- 
bilità, da questo Cmojevié venne il nome di Grnagora (Montenero). 

Non fanno cenno le istorie di quanto awennisse dei fratelli 
del vojvoda Stefano Grnojévié, ma la cronaca del Montenero narra : 
che Giovanni, suo figlio maggiore, denominato secondo il costume 
nazionale Ivan-beg, divenisse Signore della Zenta nell' anno 1471. ****) 



•) Mavro Orbini, pag. 888. 

**) Luccarì: Copioso ristretto degli annali di Ragusa. 1790 pag. 12 e 146. 
♦♦♦) Grlica dell' anno 1885 pag. 68. 
*•**) ,L' anno U71 divenne signore suUa Zenta l?an-beg Craojeyié.* 



57 

Il sultano Maometto II, iiubuManzito per la gloriosa con- 
quista dì Costantinopoli, di Suiederevo coli' ultimo rimasuglio del- 
la Serbia, dì TrQbisonda (1461), della Bosnia, e per aver tolto ai 
Veneziani, dopo la morte di 8kender-b%, il Negroponte (1470), 
progettò di nettare V Albani» dai Veneziani, che avevano occupato 
anche alcuni luoghi appartenenti a S)cender-beg, e, riescendoglì 
guesto, di estirpare fin V ultimo avanzo della libertà serbiana che 
ancora rimaneva nel mezzogiorno. A questo scopo quindi nell* an- 
no 1474 il Sultano inviò un' armata di 70,000 uomini con alla 
testa il Begler-beg di Bomelia, Suleiman-pascià. Al principio del 
mese dì Maggio si presentò innanzi Scutarì e cominciò ad inves- 
tirlo e quantunque per tre volte ne tentasse V assalto, non gli rie- 
sci d' impadronirsene, perchè lo difendevano eroicamente il ve neto 
capitano Antonio Loredano ed il vojvoda della Zenta, Giovanni Cr- 
nojevid *) Quando Suleiman-pascià comprese d' aver perduti inu- 
tilmente più di 7,000 dei suoi soldati, non compresi i feriti, alla 
metà del mese d' Agosto, ritirò 1' armata e lasciò Scutari in pa- 
ce. **) 

Anche prima di questo il vojvoda Ivan aveva combattuto 
in favore dei Veneziani e col suo coraggio e col suo valore avea 
dato prove di fatto di essere veramente amico della repubblica 
dal leone alato; ed in compenso il senato lo annoverò trai suoi 
patriziì ed il suo nome fu iscritto nel Libro d' oro tra gli altri 
veneti patriziì ed il doge Nicolò Marcello, che ai 24 Febbrajo del 
1473, giusta lo stile dei Veneziani ***) gli conferì il diploma di 
tale dignità così lo appella : Magnificus et potens Dominus Jua- 
nus Cemoevich^ dominus in pa/rtihus Xentae superioris oc Vojvo- 
da noster. ****) 



♦) Campidoglio Veneto. — Yerdizotti: Fatti Veneti. 
**) Laugier T. VII. pag. 249-262. 

***) 1 Veneziani incominciavano 1' anno col 1. di Marzo, quindi, secondo la 
nostra maniera di principiar 1' anno, il diploma di cui si parla è dei 25 
Febbrajo 1474. 
****) La copia di questo diploma trovasi a Cetinje. 



58 



Qoando nelF anno 1478 V armata turca* condotta dal sulta- 
no Mehmed in persona, cinse nuovamente d' assedio Scutari, ilyoj- 
voda Ivan rese di bel nuovo segnalati servigli alte repubblica ve- 
neta, piombando valorosamente sui Turchi per togliere loro le vet- 
tovaglie, ma con ciò attrasse sopra sé stesso grandi guai, giacché 
il Sultano Mehmed, accèso d' ira contro Giovanni, espugnò la for- 
tificata sua residenza di Èabljak insieme alle venete città di Ero- 
ja, Alessio e Dri vasto. Poi nel seguente anno 1479, avendo i Ve- 
neziani conchiusa la pace col Saltano, cedendogli senza alcuna ne- 
cessità Scutari, *) non cadde loro nemmeno in pensiero il loro pa- 
trizio ed alleato Giovanni Grnojevié e cosi Zabljak rimase in mano 
dei Turchi, e Giovanni lo riconquistò appena nel 1481 e ciò dopo 
la molle del Sultano Mehmed IL, accaduta nel mese di Maggio 
dell' istesso anno. **) ' 

Annotazione. Paolo Vitezovié, fa quanto dice il nostro 
istorico Raié) scrive nella sua cronaca che questo Mehmed (Mao- 
metto) II. in 30 anni di regno, avesse conquistati due imperi: 
quelli, cioè, di Costantinopoli e di Trebisonda, 4 regni, 20 Pro- 
vincie, e più di 200 tra città e borgate, e che per questo avesse 
il soprniiouie di Grande (Bujuk). 

Essendo padroni di Scutari, importava ai Turchi, di avere 
anche èlabljak e quindi nel 1482 lo assalirono con forze poderose. 
In tal frangente, ridotto alle strette, Ivan-beg ricercò 1' ajuto dei 
suoi confederati, i Veneziani, ma essi, senza troppe circonlocuzioni, 
gli risposero che nulla gli restava a sperare da loro, giacché per 
suo riguardo, perduto una volta Scutari, non avevano nessuna vo- 
glia di rompere il trattato di pace e di commercio che ai 16 Giù- 
gno del suddetto anno, avevano conchiuso con Bajazette II., suc- 
cessore di Maometto. Giovanni quando si vide abbandonato dai 



*) Laugier, T. VII. pag. 293, 286 e 309. 
**) Campidoglio Veneto. 



59 

Veneziani, comprendendo non esser capace da sé solo a sostenere 
^abljak contro le forze turche, lo evacuò *) — dopo avergli ap- 
piccato il fuoco — e si ritirò negli inaccessibili dirupi del Montene- 
ro, dopo aver delimitati, in queir istesso anno, i confini del suo 
stato da Antivari fino air Erzegovina, in riguardo a che stipulò 
un trattato coi capì della città di Cattare. **) 

Perduta ogni speranza nella repubblica di Venezia, Giovanni 
andò a chiedere soccorso dagli altri Stati italiani, lasciando in 
proprio luogo suo fratello Giorgio, detto V Arvanita, *♦♦) il quale 
eroicamente respinse i Turchi dui confini del Montenero, fino al 
ritomo di Giovanni. Giorgio V Arvanita aveva due figlie, Maria ed 
Angelina; la priora fa moglie di Radule, vojvoda della Valacchia 
(che governò dal 1462 al 1477) ; marito della secondogenita fa il 
despota Stefano Brankovié,il Cieco, secondo figlio del despota Gior- 
gio, ****) H despota Stefano, denominato il Cieco, era passato 
dal Sirmio nella Serbia per liberare dal giogo turco la sua nazio- 
ne; ma egli, non solo che vi fosse accolto, senza veruna manife- 
stazione di gìoja, ma si trovò costretto a dover fuggire dalla Ser- 
bia. Da lì si ritirò primieramente (1461) nella Zenta, dove, come 
abbiamo già accennato, prese moglie e quindi (1467) temendo i 
Turchi, abbandonò anche la Zenta e se ne andò in Italia, colla 
moglie e con due figli. Il nostro popolo ha in venerazione di san- 
ti tanto Angelina, cui da il nome di madre Angjelija^ quanto i due 
figli di lei, r arcivescovo Massimo ed il despota Giovanni e la 
chiesa ortodossa celebra la memoria di Angelina nel giorno 30 di 
Luglio. 

Ritornato Ivan nel Montenero dalla sua perigrinazione in I- 
talia, dove non aveva potuto venire a capo di nulla, comprese che 



*) H. Stieglitz. Ein Besuch anf Montenegro, a. 1841, pag. L. 
**) S. Milutinovié pag. 10-12. 
♦**) Grìica deU' anno 1835 pag. 68. 
•***) Id. dello stesso anno pag. 62. 



60 

non gli rimaneva altra via di salnte, che il fidarsi ueir ajuto di 
Dio, nel proprio valore ed in quello della sua nazione, nonché nel- 
l'inaccessibilità delle scoscese rupi del Montenero e nel tener forte, 
fino all' estremo, contro i Turchi *) i quali già (1483) avevano 
cacciato dall' Erzegovina i figli del Duca Stefano: Vladfslavo e Vlad- 
ko, e s' erano appropriati di quel poco di territorio eh' era loro 
ancora rimasto, cioè di Popovo, di Trebinje, di Castelnuovo e di 
Bisano. Fermo nel suo proposito, Giovanni, neU* anno 1484, co- 
minciò dal fabbricare a Cetinje una chiesa ed un monastero, so- 
pra un punto forte per naturai posizione, perchè servisse qual chie- 
sa metropolitana della Zenta e vi collocò per metropolita Visario- 
ne, **) il quale aveva prima la sua sede nel •convento di Bra- 
njina, da antichissimi tempi metropolitana della Zenta. Dopo ciò fe- 
ce edificare anche per sé stesso un palazzo a Cetinje, ***) dove 
trasportò la sua residenza, e poscia in riva al fiume Obod, il qua- 
le in seguito fii chiamato, come s* appella anche oggigiorno, il fiu- 
me dei Cmojevié, fabbricò una cittadella denominandola pure 0- 
bod ; fondò una tipografia ****) ed eresse un altra piccola "città 
cui appellò Soko, f) della quale si distinguono tuttavia le mu- 
ra, e fortificò finalmente tutte le gole ft) che potevano servire per 
la difesa del paese. 



^) Grlica deU' amio 1835, pag. 59. 

**) Grlica dell' anno 1885, pag. 59. La cronaca Montenerina „nell' anno 
1484 fabbricò l?an-beg la chiesa metropolitana di Getiige, dedicata^^^l- 
la natività deUa SS. Vergine.^ — Del monastero di CetiAJe cosi scrive 
il Boliza: Il conte Giovanni Gmojevié fabbricò il monastero di Geti- 
lye, piccolo è vero, ma bellissimo, in questo risiede il vescovo con 25 
monaci, e 40 loro allievi, parte monaci, parte secolari. 
•♦♦) S. Milutinovid, pag. 1 0. 
****) Grlica deU' anno 1885, pag, 61. 
t) 8. Milntinovi£, pag. 10. 
tt) Grlica del 1885 pag. 59. 



61 



I MoDtenerini vedendo tanto coraggiosa attività nel loro si- 
gnore, pronto a sacrificare la propria vita per mantenere la loro 
libertà, giurarono unanimi che rimarebbero sempre a lui fedeli 
difendendo la patria fino ali* ultima goccia del loro sangue 
e promulgarono dì comune consenso la seguente legge: „Cliè 
„in tempo di guerra coi Turchi, un Montenerìno non possa, senza" 
,,ordine del capo, abbandonare il suo posto e fuggirsene, pena la** 
„ perdita dell' onore e della riputazione trai gloriosi suoi fratelli e** 
^compagni; per il qual delitto lo si debba vestire da femmina ed'' 
^espellere dal paese dalle donne a colpi di connocchia proclaman-" 
„dolo qual vile traditore dei propri fratelli." *) 

Quando i Turchi intesero tutte le misure addottate dai Mon- 
tenegrini per la difesa, ristettero per qualche tempo dair aggredir- 
li con grossi eserciti, avendo già da prima sperimentato quanto 
fosse difficile e pericoloso il combattere tra rocce tanto scoscese 
e tra gole situate in mezzo a dirupi, con un popolo cui poco im- 
portava la vita, senza la libertà. **) 

Giovanni Crnojevié fu costretto per far fronte alle spese 
delle guerre coi Turchi, di dar in pegno ai Ragusei, per 
alcune migliaja di ipperperi ***) la contrada di Canali, da Debe- 
librjeg fino al bosco dei Frati. I nobili della città di Cattare, ri- 
tenendo per fermo che i Turchi s' avrebbero assoggettato tutto lo 
stato dei Crnojevié, fecero avvelenare col mezzo di un loro citta- 
dino, di nome DruSka, 72 dei nostri monaci nel convento del san* 
to Arcangelo Michele, fabbricato per voto da Stefano il primo-co- 
ronato rè della Serbia, sulP isola di Prevtaka, ****) nel fondo del- 
la pianura di Orba^. 



/ 



•) Grlica del 1885 pag. 69-60. 
**) Idem del 1885, pag. 60. 

***) F. M. Appendini, nella sua opera. ^NotiEie istorìco-crìtiche sulla repub- 
blica di Ragasa" tomo L, pag. 204, dice che 1' ipperpero di Ragusa, 
nel 1490 era un oncia d' argenta ovvero uno scudo. 
^•^•) Grlica deU' anno 1885, pag. 60-61. 



62 

Approffittando del momento di tregua daUe grandi aggressio- 
ni turche, Ivan-beg decise di dar moglie a Giorgio, suo figlio mag- 
giore e chiese per lui la mano di Elisabetta figlia di Antonio E- 
rizzo, patrizio Veneto, ma non ebbe la fortuna di veder arrivare 
la nuora nel suo palazzo. Quando il nuziale corteo ritornava da 
Venezia nel Montenero colla sposa, il che seguiva nell' anno 1490, 
Ivan-beg se ne moriva a Cetinje, *) dove giace sepolto nella chie- 
sa fatta edificare da lui stesso. ^*) 

Alcuni, tra cui il Luccari e S. Milutinovié, narrano che Ivan- 
beg avesse avuta per moglie Maria, figlia del duca Stefano e nel 
„ Campidoglio Veneto" gli si da per moglie Caterina, della patri- 
zia veneta famiglia Orio. Chiunque sia stata sua moglie, è cosa 
certa che abbia avuti due figli, i sunnominati Giorgio e Stefa- 
no, ***) i cui nomi trovansi registrati nei documenti del monaste- 
ro di Cetinje e ciò 1' ultima volta nell' anno 1495. 

Giorgio Cmojevié, che per diritto di primogenitura succedet- 
te a suo padre, s' occupò non solo della difesa dello stato, ma 
pur anche della conservazione della religione ortodossa. Del che è 
indubbia prova la tipografia, che si procurò da Venezia, nella qua- 
le, collocata nel locale già fatto costruire a tale effetto da suo 
padre, faceva imprimere libri liturgici, ****) i quali, per rassodare 
i credenti nella fede, faceva distribuire per tutta la Serbia. Tro- 
vansi anche al dì d' oggi dei libri stampati durante il regno di 
Giorgio Cmojevié vojvoda della Zenta ed appartengono alle più 
antiche edizioni con caratteri ciriliani. f) Il primo libro impresso 
per ordine di Giorgio, sotto il titolo di sOsmoglasnik** porta la 
data del 1494. ft) 



*) Campidoglio Veneto. 
"*) Grlica deU' anno 1835, pag. 62. 
Id. ibid. 
*••*) Id. pag. 64. 

t) Montenegro and die Montenegrìner. 1837, pag! 16. 
tf) 8. MUutinovie, pag. 22. - Grlica Àel 163S, pag. 61-62. 



68 

* 

Stefano il secondogeaito di Ivan-beg, noto tra il popolo sot- 
to il nome di Stanila; conduoendo seco alquanti Montenegrini, si 
recò a Costantinopoli dal Saltano Bajazette U. Invidioso di suo 
fratello, Stanila yi andò per impetrare dal Sultano delle truppe, 
per ridurre con queste in suo potere il Montenero, col patto che 
Bajazette lo lasciasse al governo dello stesso e della rimanente 
Zenta colla capitale Scutari; e eh* egli da sua parte avrebbe paga- 
to alla Porta un annuo tributo. H Sultano acconsenti alla richiesta 
di Stanila, alla condizione però che passasse air islamismo. Fosse 
per timore, fpsse per spontanea elezione, Staniàa aderì alla propo- 
sizione del Sultano ed unitamente ai Montenerini, che seco aveva 
condotti, abbracciò 1' Islam prendendo il nome di Skender-beg. 
Ottenuto dal Sultano il richiesto ajuto, étaniSa coi suoi compagni 
rinnegati e con alcune truppe turche marciò alla conquista del 
Montenero; ma arrivato a LjeSkopolje, trovò il fratello Giorgio 
che lo attendeva coi suoi Montenegrini, i quali sbaragliarono 
1' armata di StaniSa e fecero prigionieri molti dei Montenegrini 
rinnegati, i quali nuovamente si stabilirono nella loro antica patria 
mantenendosi però, essi e loro discendenza, nella religione musul- 
mana. Quando Stanila comprese che non vi era nemmeno speran- 
za di poter penetrare nel Montenero, si ritirò versa Scutari per 
risiedervi, avendogliela accordata il Sultano qual capitale della 
Zenta, ma i Scutarini rifiutarono di accettarlo ed egli allora fer- 
mò la sua dimora in un villaggio, chiamato BuSati, donde gli ven- 
ne il cognome di Bufiatlija *) col quale è conosciuta tuttora la 
sua famiglia. 

Che Stefano o StaniSa Crnojevié sia passato all' islamismo e 
che alcuni Montenegrini, i quali in seguito di bel nuovo abitarono 
il Montenero, abbiamo seguito il suo esempio, è cosa su cui non 
può muoversi alcun dubbio; che egli poi divenisse il capostipite 



*) Grlica dell' anno 1835. pag. 89-96. 



64 

della famiglia BaSatHja è un fatto, che non può venir dimostrato 
né confermato co>i irrefiragabili documenti. *) 

Giorgio Crnojevié, come già abbiamo accennato, aveva per 
moglie una nòbile veneziana. Nata nella bella Venezia, dove tras- 
corre la vita tra sempre nuove gioje, feste e continui divertimenti, 
non poteva rimaner soddisfatta della sua nuova patria, dove il suo 
tenero e sensibile cuore non poteva dimorar senza spavento, tra 
le continue aggressioni e minaccio d* invasione nel . Montenero per 
parte dei Turchi; pose quindi in opera le preghiere e le lagrime 
per ottenere dal marito, che trasferissero la loro dimora a 
Venezia. 

Fosse per accondiscendere alle preghiere della moglie, fosse 
per qualche altra resone, Giorgio si determinò a recarsi definiti- 
vamente a Venezia ; ed affidato, come ci narra il Vladika Pietro L, 
il potere temporale ed il proprio stemma al metropolita di Ceti- 
nje di queir epoca, raccomandandolo ai capi del popolo per loro 
signore in sua vece, partì dal Montenero, accompagnato fino a 
Cattare dal metropolita e da tutti i capi dei Montenerini. *'*') 

Non andando d' accordo alcuni istorici sui patricolari fino ad 
ora da noi esposti circa la famiglia dei Grnojevié, che confondono 
con quella dei Balsa, aggiungeremo a questo capitolo alcune note 
che serviranno a depurare il vero. 

Annotazione!. Neil' opera stampata a Zagabria nel 1 852 sot- 
to il titolo : — Archivio per V istoria degli Slavi Meridionali — ^Vol IL 
parte IL si trova una copia del testamento di Giorgio Grnojevié, 
figlio di Ivan-beg. Da questo testamento, steso a Milano in data 
22 Ottobre deir anno 1499 dalla nascita di Cristo, e 7008 dalla 
creazione del mondo, si rileva: 1) che Giorgio, la cui moglie si 
chiamava Elisabetta, il quale al finire del XV secolo si trasferì 



*) Appartenevano alla famìgUa dei BuSatlga i pas'cìà e vezirì di Scntari fino 
al 183Iy nel qual' anno Mastaj-pascià, V nltimo dei veziri di questa fa- 
miglia, &i cattorato e condotto a Costantinopoli come nemico del Gran- 
Sifpnore, poi graziato nel 1868, f& inyiato per vezir dell' Erzegovina. 

**) Grlica del 1836^ pag. 64-67. 



65 



colla sua famiglia dal Montenero a Venezia, era figlio di quel Gio- 
vanni Crnojevié, che ajutò i Veneziani nella difesa di Scutari con- 
tro r annata turca (U74 e 1478); 2) che all' istesso Giorgio, co- 
me pure al suo padre Giovanni, apparteneva non solo il territo- 
rio di Grbalj (relativamente al quale ì Veneziani avevano trattato 
col primo dei Crnojevié, il vojvoda Stefano), ma pur anche la con- 
tea dì Pastroviói; 3) che il fratello del sunnominato Giorgio fosse 
veramente passato air islamismo, prendendo il nome di Skender- 
beg; 4) che il suddetto Giorgio avesse non solo i figli Costantino 
e Salomone, ma anche delle figlie e delle sorelle, delle quali ulti- 
me una fosse sposata col padre di Trifone Buéa, cattarino. 

Annotazione II, Secondo le asserzioni del vladika Pietro I. 
e di S. Milutinovié e da quanto noi abbiamo di sopra esposto, tre 
soli della famiglia Crnojevié governarono nel Montenero, dopo la 
morte dell' ultimo dei Balsa, cioè a dire: il vojvoda Stefano, suo 
figlio Ivan-beg e Giorgio figlio di quest' ultimo. Che ciò sia il più 
verosìmile ce ne fanno fede non solo il testamento dì Giorgio 
Crnojevié, del quale abbiamo fatto menzione nella nota precedente, 
ma pur anche il - Campidoglio Veneto - in cui si trova così de- 
scritta la genealogia della famiglia Crnojevié: Stefano Crnojevié il 
signore del Montenero e di 2abljak aveva per figlio Giovanni. Di 
questo Giovanni, duca di 2abljak e signore del Montenero, era mo- 
glie Caterina Orio, da cui ebbe due figli: Giorgio e Stefano. 
Giorgio si ammogliò nell'anno 1490 con la figlia dì Antonio Erìz- 
zo e noir istesso anno mori il suo padre Giovanni. Che cosa sia acca- 
duto dì Stefano, il secondo figlio di Giovanni, di ciò lì non 
si trova memoria, ma si racconta che Giorgio reggesse il Monte- 
nero dopo la morte di suo padre, e che neir anno 1499 si trasfe- 
risse a Venezia colla moglie. Giorgio aveva tre figli: Costantino, 
Salomone (morto nell' Ungheria) ed Elia. Costantino nel 1530 pre- 
se in moglie la figlia di Mattia Contarìni (nel ^^Libro d' oro*' vie- 
ne denominata Maria), con cui procreò il figlio Giovanni. Questo 
fece due matrimoni ; la prima volta nel 1560 con la figlia dì 
Giambattista Alberti, la seconda con Orseta figlia di Gabriele Va- 

5 



66 



leresso. Ebbe un figlio di nome Vittorio, sposatosi nel 1590 con 
Siena figlia di Pietro Galvi^ dalla quale gli nacquero un figlio, 
Giovanni, ed una figlia, Faustina, maritatasi nel 1636 con Gasparo 
Lodovico Delfin. Giovanni, il figlio di Vittore, nacque nel 1596 e 
morì nel 1660. Egli non ebbe né moglie né figli, e con luì s' estin- 
se r illustre famiglia dei Crnojevic. 

Annotazione III. Il vladika del Montenero Basilio Petrovié, 
nella sua „ Storia del Montenero^ parlando della famiglia Gmojevié 
ed accessoriamente di quella dei Balsa, cosi si esprime: „Dopo la 
morte di Giovanni Crnojevié, primo duca del Montenero, che la- 
sciò un figlio, di nome Stefano, nella tenera età di tre anni, gli 
succedette Balsa figlio di Stracimiro, il quale in quel tempo era 
duca della Zenta. Eletto imperatore, dopo la morte del rè Vuka- 
§ino, il knez Lazzaro, alla sua elezione furono presenti tutti i ma- 
gnati della Serbia ad eccezione del sunnominato Balsa, il quale non 
voleva riconoscere il knez Lazzaro per autocrata e per supremo si- 
gnore dei Serbiani, e quindi il knez Lazzaro marciò per tre volte 
coir armata contro di lui, ma tutte tre le volte fiU vinto da Balsa. 
Invitto nelle battaglie, il Balsa in seguito, toccata l' età giovanile, 
fu vinto dalla potenza dell' amore, inspiratogli dalla leggiadra Ma- 
ria, figlia del knez Lazzaro, cui prese in moglie riconoscendo la 
supremazia del padre di lei. Balsa governò la Zenta finché perven- 
ne air età maggiore Stefano, figlio di Giovanni Crnojevié. Moglie 
di Giovanni era Maria, figlia di Giovanni Kastriotta, da cui nacque 
il suddetto Stefano. Venuto a morte nel 1421 il Balsa, divenne 
signore della Zenta e del Montenero lo stesso Stefano (I) Crnoje- 
vié, il quale in quello stesso anno si recò a Napoli, per intender- 
sela con quel rè e dopo di esservi rimasto per due anni, ritornò 
in patria nel 1423, Aveva in moglie Voisava, figlia di Giorgio Ka- 
striotta sopranominato Skender-beg, in compagnia del quale com- 
battè per ben ventiquattro anni contro i Turchi, riportando vitto- 
ria in sessantatre battaglie. A Stefano succedette suo figlio 
Giovanni (I) Crnojevié, unitamente a suo fratello Giorgio. Que- 
st'ultimo perdette nel 1450, sui piani di Cemovo nella Zenta, una 
battaglia contro il Sultano Mehmed, e nella stessa perdette la vi- 



67 

ta. Giorgio era sposato con Voìsava, figlia del knez Luca Dukagjin, 
dalla quale ebbe un figlio di nome Stefano ed una figlia chiamata 
Angjelija, moglie del despota Stefano Brankovié, il Cieco. Giovanni 
Cmojevìc s' era ammogliato con Maria figlia di quello Stefano, ba- 
no di Bosnia, con cui Giovanni aveva guerreggiato e con cui ave- 
va fatto la pace, dopo di avergli conquistato Risano, Draòevica, 
Canali, Trebinje e Popovo. Giovanni ebbe due figli : Giorgio e Sta- 
nila ed una figlia : Anna moglie di Radul-beg, vojvoda della Va- 
lacchia, Il primogenito di Giovanni, Giorgio, impalmò la figlia del 
doge di Venezia Mocenigo, ed il secondogenito cadde nelle ma- 
ni del sultano Mehmed n., che giovinissìmo lo costrinse ad ab- 
bracciare 1' islamismo, denominandolo Skender-beg IL Quando Gio- 
vanni Crnojevié vide 1' ingrandimento dell' impero turco, trasferì 
la sua residenza nel Montenero, sulP altipiano di Cetinje, dove 
stabilì anche la sede del metropolita. In queir epoca non v' era a 
Venezia chiesa di rito orientale ed i Veneziani permisero a Gio- 
vanni Crnojevié di fabbricarne una in onore di S. Giorgio, la qua- 
le tuttavia è tenuta dai Greci. Aveva un proprio palazzo a Vene- 
zia e morì in quello di Cetinje. Dopo di lui regnò suo figlio Gior- 
gio, il quale morì senza prole. Gli succedette il suo cugino per 
parte di padre, Stefano (II), figlio di quel Giorgio Crnojevié il 
quale, come già abbiamo narrato, perdette la vita nella battaglia 
che nel 1450 diede ai Turchi, Stefano ebbe per figlio Giovanni ♦. 
(E), il quale, dopo la morte del padre, governò il Montenero fino 
al 1516. In seguito divenne patrizio veneto (fu dunque questo 
Giovanni II quello che si trasferì a Venezia) ed ebbe in moglie 
Caterina Orio, dalla quale gli nacque il figlio Giorgio (II). Giorgio 
procreò tre figli: Costantino, Salomone ed Elia, Costantino finì i 
suoi giorni nell' Ungheria, ed ebbe per moglie una della famiglia 
Centanni, dalla quale gli nacque il figlio Giovanni, che s' unì in 
matrimonio con Orseta Valerio. Il figlio di questo Giovanni chia- 
mavasi Vittorio, marito di Elena Balbi, dalla quale gli nacque Gio- 
vanni, che acquistò fama nell' anno 1621. I Crnojevié governarono 



M 



68 



il Mon tenero fino air anno 1516, dalla qual epoca lo reggono in 
loro luogo i metropoliti." 

Pregiando degnamente il lavoro del reverendissimo Basilio, 
ma attenendosi alla verità, qual base essenziale della storia, biso- 
gna ingenuamente confessare che nelle surriferite sue parole, sono 
moltissimi gli errori che s' incontrano. Come abbiamo veduto egli 
scrive: che figlio di Stracimiro fosse Balia il quale, dopo riporta- 
te tre vittorie sopra il knez Lazzaro, prendesse per moglie la figlia 
di lui, r avvenente donzella Maria, e che in seguito a ciò ricono- 
scesse il knez Lazzaro qual suo supremo signore e che morisse 
nel 1421. Non espongono così il fatto né Mavro Orbini, né il no- 
stro istorico Baie, ma, narrando la cosa qual fu, cosi dicono : Fi- 
glio di StraSimiro era Giorgio, che avea per moglie la figlia del 
knez Lazzaro di nome Despa (Despina) vedova di SiSmano rè dei 
Bulgari. Ma essi non parlano né di battaglie tra il figlio di StraSi- 
miro ed il knez Lazzaro, né della supremazia di quest' ultimo su 
quello, anzi Mavro Orbini ci attesta che il knez Lazzaro vivesse 
in buona armonia coi Balsa; e che Giorgio StraSimirovié prendes- 
se le redini del governo alla fine del 1385, che morisse nel 1405, 
e che a lui succedesse suo figlio Balsa che finì di vivere nel 1421 
(e secondo alcuni nel 1422) sono fatti che si dimostrano con do- 
cumenti storici. Quindi il figlio di Stracimiro fu Giorgio e non 
^ Balsa, e con Giorgio e non già con Balsa era maritata la figlia 
del knez Lazzaro, e questa era Despa e non già Maria; poiché 
questa a testimonianza di patrii documenti erasi sposata fin nel 
1363 con Vuko Brankovic; e questo Balsa che morì nel 1421 (o 
1422), era il figlio di Giorgio Stra§imirovié e di Despa figlia del 
knez Lazzaro. 

Né il reverendo Basilio soltanto ma anche altri che vissero 
prima di lui, raccontano che Yoisava figlia di Giorgio Skender-beg 
fosse maritata con Stefano Cmojevic padre di Ivan-beg; ma cioè 
as^soiutamente impossibile. É conosciuto che Giorgio Skender-beg 
nascesse nel 1404. e che giovinetto fosse stato condotto dai Tur- 
chi per ostaggio, dal quale gli riuscì di liberarsi e di ritornare in 



69 

patria nel 144S, Ammettendo che a?esse preso moglie subito en- 
tro il primo anno della sua fìiga, con tutto ciò non avrebbe potu- 
to divenire suocero di Stefano Grnojevié. prima perchè questo, se 
pur non gli era maggiore in età, era certo suo coetaneo; seconda- 
riamente perchè Stefano Cmojevió nel 1451, otto anni dunque sol- 
tanto dopo la liberazione di Giorgio Skeoder-beg, aveva un figlio fatto 
prigioniero dal duca Stefano, come chiaramente apparisce dal trattato 
da lui conchiuso nello stesso anno 1451 col doge di Venezia. Fa mera- 
viglia come il reverendo Basilio, vescovo di rito orientale, unisca in 
matrimonio dei congiunti per sangue, dove ci narra che con Gio- 
vanni Cmojevió padre di Ste&no, fosse maritata la figlia di Giovanni 
Eastriotta sorella di Skender-beg, e quindi che con Stefiino figlio 
del sannominato Giovanni fosse maritata la figlia di Skender-beg, 
con che verrebbe ad essere che Stefano Cmojevió avesse presa in 
moglie la figlia del suo zio materno I In questo merita il più di 
fede Barlet, il quale racconta che Maria, figlia di Giovanni Kastriotta 
e sorella di Giorgio Skender-beg, fosse maritata con Stefano Cmo- 
jevió. Che poi Giovanni fosse stato il padre di questo Stefano, 
ciò, credo, non sia nemmen sostenuto da altri, eccetto che dal 
vladika Basilio. 

Né può essere che nelF anno 1450 cessasse di vivere Gior- 
gio firatello di Ivan-beg e figlio di Stefano Cmojevió. Narra lo stes- 
so reverendo Basilio, che il suddetto Stefano Crnojevió in compa- 
gnia di Giorgio Skender-beg combattesse contro i Turchi per *24 
anni, riportando vittoria in 63 battaglie; ci è noto che Skender-beg 
cominciasse a govemare nelle Provincie in cui era nato nel 1443 
e che morisse nel 1467, dal che risulta che egli reggesse e com- 
battesse contro i Turchi per 24 anni. E se durante tutto questo 
tempo, cioè fino al 1467, fosse compagno d' armi di Skender-beg 
Ste&no Cmojevió ed in conseguenza anche gli sopravivesse, allora 
non sarebbe possibile che suo figlio Giorgio morisse nell^ anno 
1450, vivente ancora suo padre, nel che si contradice V istesso 
monsignor Basilio, narrando in seguito che lo stesso Giorgio uni- 



70 

tamente al suo fratello Gìovanoi, succedessero nel regno al loro 
padre Stefano Cmojevié ; e che egli vivesse ancora nell' anno 1467 
apparisce dal precedentemente esposto. Se poi fosse maritata con 
Giorgio fratello di Ivan-beg, Voisava la figlia di Luca Dukagjino, 
questo è ben difficile a dimostrare, tanto più che altri, come a 
cagion d' esempio Mavro Orbini, scrivono che per lo stesso Loka 
Dukagjino fosse maritata la sorella del sunnominato Giorgio, figlio 
di Stefano Crnojevié, di nome Voisava. 

Egualmente non è possibile che Ivan-beg, in qualità di si- 
gnore del suo popolo, combattesse contro qualunque bano o rè 
della Bosnia. Chiunque conosce V istoria bosnese, non ignora co- 
me questa provincia sia caduta sotto la dominazione turca neir an- 
no 1463, quindi 8 anni prima di quello che incominciasse a gover- 
nare Ivan-beg, il quale, secondo la Cronaca Montenegrina divenne 
signore della Zenta Tanno 1471. Che egli ne conquistasse alcun 
territorio dell' Erzegovina, né che lo riunisse al proprio stato è 
fuor di dubbio ; giacché è noto che i figli del duca Stefano: Vla- 
dislavoe Vladkò, insino all' anno 1483 tenevano Popovo, Trebinje 
Gastelnuovo e Risano, nel qual anno anche questi luoghi caddero 
in potere dei Turchi. Inoltre é conosciuto come i Balsa (dall' an- 
no 1374 fino al 1378) combattessero e guerreggiassero per Tre- 
binje, Canali e Draèevica con Tvrdko, prima bano e poi rè della 
Bosnia, che era appellato anche Stefano, ed erroneamente il mon- 
signor Basilio trasferì questi fatti ad un epoca posteriore, ai tem- 
pi cioè di Ivan-beg. 

In quanto riguarda la genealogia della famiglia Crnojevié^ 
monsignor Basilio, appoggiandosi ad autori, che è forza lo confessi 
a me ignoti, s' allontana da quella descrittaci nel Campidoglio Ve- 
neto, in quanto egli asserisce : 1) Che a Stefano (I), Giovanni (I) 
e Giorgio (I) fossero succeduti immediatamente nel governo Ste- 
fano (II) e Giovanni (II) e che questo avesse per figlio Giorgio 
(II), (dei quali non vien fatta nenmieno menzione nel Campidoglio) ; 
2) Che Ivan-beg avesse per moglie Maria, figlia di un certo Stefano 
bano di Bosnia (e nel Campidoglio si asserisce invece esser stata sua 



71 

moglie Caterina Orio); 3) Che Giorgio, il figlio di Ivan-beg, fosse 
stato ammogliato colla figlia del doge veneto Mocenigo (e giusta 
il Campidoglio, gli fu moglie la figlia di Antonio Erizzo) ; 4) Che 
Giovanni (II) avesse per moglie Caterina Orio (ed il Campidoglio 
la fii invece moglie di Ivan-beg); 5) Che Costantino, Salomone ed 
Elia fossero figli di Giorgio (II) (ed invece secondo il Campidoglio 
sono i figli di Giorgio figlio di Ivan-beg); e 6) Che Giorgio figlio 
di Ivan-beg sia morto senza prole e che dopo di lui governassero 
nel Montenero Stefano II e Giovanni II; e che quest' ultimo Gio- 
vanni II abbandonasse il Montenero e si trasferisse a Venezia 
nel 1516 (nel Campidoglio troviamo invece che Giorgio figlio di 
Ivan-beg avesse avuto prole e che si fosse trasferito a Venezia nel 
1499), e che da queir epoca governano nel Montenero i metropo- 
liti come signori della nazione. 

Nella suaccennata genealogia della famiglia Crnojevié de- 
scrìttaci dal vladika Basilio è precisato d' ognuno d* essi che ab- 
bia avuto figli, quale di questi sia passato a nozze e con quale 
famiglia siasi imparentato per mezzo del matrimonio, soltanto che 
non viene menzionato Stefano II né Giorgio U, il che non è la 
più chiara delle cose. E quando aggiungeremo che in questa genea- 
logia sono confusi, il matrimonio di Giovanni I con quello di Gio- 
vanni II; che i figli di Giorgio I., figlio di Ivan-beg, contro la 
patente testimonianza del suo testamento, si fanno appartenere a 
Giorgio n, nipote del fratello di Ivan-beg, allora apparirà chiara- 
mente che sono individualità del tutto ideali e Stefano IL e Gio- 
vanni n. e Giorgio II, e che per intruderli nella famiglia dei Cr- 
nojevié Sl mestieri di allontanarsi dalla genealogia riportata nel 
Campidoglio Veneto, dietro cui fu forse anche raccappezzata. 

In quanto all' asserzione di monsignor Basilio, aver fabbri- 
cato Ivan-beg una chiesa di rito orientale a Venezia e di aver a- 
vuto un proprio palazzo in quella città, delle quali cose non fa 
cenno il vladika Pietro L, il quale scrìve invece che Giorgio fi- 
glio di Ivan-beg avesse una possesione (spahiluk) in Italia, ed un 
proprio palazzo in Ancona (vedi la Grlica dell' anno 1835 pag. 64) 



72 

tutto questo potrebbe molto più facilmente rìbbattersi con irrefra- 
gabili testimonianze, di quellochè confermarsi. 

Annotazione lY. Giacomo di Pietro Luccari (o meglio 
Lukarevié) raguseo, nella sua opera ^Copioso ristretto degli annali 
di Ragusa (edita per la prima volta in Venezia nel 1605 e per la 
seconda a Ragusa nel 1790), descrivendo i fatti della sua patria 
tocca brevemente in molti luoghi dei Salsa e dei Cmojevié e cosi 
si esprime: „Morto nel 1422 Balsa signore della Zenta, subito" 
„ Stefano, despota della Serbia, s' impadronì della medesima ed in-" 
„ vestì del governo di lei il suo nipote per parte di sorella, Gior-" 
„gio figlio di Vuk Brankovié; ma il popolo che abboniva la signo-" 
„ria dei Serbiani per la macchia del tradimento del padre di Gior-* 
„gìo procurarono condurre di Puglia Ste&no Cmogorac (da altri" 
„ detto Mauromonte) cugino di Balsa eh* era bandito. Il quale a*" 
„vuto r invito da quei di Zenta venne a Ragusa, da dove l' ottavo gior-" 
„no si fece trasportare in Albania. Conferiti i suoi disegni cogli ami-'' 
„(A s' impadronì di Dolcigno, Smokovica e di Crnagora, poste" 
„neir estrema parte della Slavonia. Si mise poi a molestar Zen-" 
„ta, ma diffidandosi deir impresa per avervi trovato maggior numero" 
;,di Serbiani nei presidii, che da principio non avesse pensato, "^ 
„o per immaginarsi che le genti d' Antivari fossero vicine, si strac-" 
„cò tosto dal combattere e si ritirò in Crnagora, tirando una cor-" 
^tina di muraglia grossa in 2abljak sul fiume Moraòa, e sul fine" 
„deU* anno 1423 pose cura a fortificare Smokovica e vi fece al-" 
„zare due castelli dalla parte del mare. Da questo Stefano ven-" 
„ne la famiglia dei Crnojevié che signoreggiò nel Montenegro fi-" 
,no air anno 1515. Voltò appresso Y armi a danno degli Alba-" 
„nesi : ma intendendo gli apparati che facevano i Turchi di den-" 
„tro, e Giovanni Castriotto Signor di Croja, attese di viver con" 
„ognuno in pace. „(pag. 144-145)*' Neil' anno 1483 i figli del du-" 
„ca Stefano : Vladko e Yladislavo, si salvarono dai Turchi a Ra-" 
„gusa, dove era la loro sorella Maria, alla quale, Y anno innanzi," 
„Ivan Cmojevié signor di Crnagora suo marito aveva ordinato" 
„che abitasse a Ragusa. „(pag. 195).'' 11 Sultano Selim sottomise" 



73 

„i Mamalucchi nell' anno 1517. ^(pag. 215.)" Selim andò appres-'' 
nSoBsdabaa Bostangjibas (in italiano, capo dei giardini regali) in^ 
^jSlavonìa, il quale tirando alla tratta Ivan Gmojevié signore di^ 
„Motiten^;ro ne' campi Cerno vski in Zenta, lo ruppe ed ammaz-** 
„zò e mandò Pietro suo figlinolo alla Porta, qual fò circonciso,*' 
^e gli fft imposto il nome di Skender, che viene a dire Àlessan-" 
„dro. Nel 1522 mandato da Soliman figliuolo di Selim soggiogò** 
,,la patria in utile de' Turchi cacciando Stefano fuori di casa.*^ 
,,Perchè morto Ivan Cmojevié, né assicurandosi custodire 2ab\jak** 
,,con alcune altre terre, Gregorio suo fratello fuggi in Ragusa, e" 
„ lasciò Stefano fratello di suo padre in Grnagora. Cosi la signo-** 
„ria che cominciò in Stefano I nel 1423, fini in questo Stefano," 
„che fìi rv di nome, ma VII in ordine dei signori di Grnagora** 
„r anno 1516. Dopoché Gregorio Gmojevió lasciò la Grnagora^ 
„Stra6imir Balsa che signoreggiava una parte di Zenta si salvò ** 
„dai Turchi a Ragusa e quivi morì, e mancò in lui la famiglia** 
„6alsa molto potente in ambedue le Zente, quaP ebbe principio** 
„ed origine da Balsa il vecchio, suddito e vasallo di Uro§ Nema-** 
„nja imperatore dì Serbia intomo gli anni 1367.** (pag. 221-222). 
Ghe Luccari poco conoscesse V istoria del Montenero, si argui- 
sce dal suo narrarci che signoreggiassero nel Montenero sette in- 
dividui della famiglia Grnojevié, quattro cioè di nome Stefano, un 
Giovanni, un Gregorio ed uno del quale egli stesso non sa dirci 
il nome; che questa famiglia governasse nel Montenero (si noti 
bene)^ fino all' anno 1515 ; che Giovanni Grnojevié (si rimarchi 
anche questo) nelF anno 1517 o ancora piik tardi morisse e che 
suo figlio Pietro passasse all' islamismo ; che Gregorio Grnojevié 
dopo la morte del suo fratello Giovanni, non essendo abile a di- 
fendere Èablljak, fuggisse a Ragusa lasciando nel Montenero il 
proprio zio paterno Stefano ; che dopo la fuga dal Montenero di 
Gregorio Gmojèvié„ anche Stra&imiro Balsa il quale signoreggia-^ 
„Ya in una parte della Zenta fuggisse a Ragusa dove anche vi* 
^Tnorìssc** ; che il suddetto figlio di Giovanni, il rinnegato Pietro 
(si noti) soggiogasse nel 1522 il Montenero cacciandone Stefano, 



74 

e finalmente che con questo Stefano avesse fine il governo dei 
Crnojevié (si noti bene) nelF anno 1516. Ammasso di continue 
contradizioni e di tal confusione da non potersene ricavar nulla 

di vero. 

Annotazione V. Anche iiei tempi recenti scrissero taluni 
suir istoria del Montenero, copiando, ben inteso, gli scrittori pre- 
cedenti ed aggiungendovi qualche cosa, ed alcuni introducendoci 
delle proprie invenzioni. Da tali favole non è salva purtroppo 
nemmeno V istoria dei Balsa e dei Cmojevié, ma di loro si rac- 
conta : Che il vojvoda di Spalato di nome Hrvoje figlio di Vuko 
Hrvoié, fosse signore anche di una parte détta Zenta ; che i si- 
gnori della Zenta BuUa e Stefano Cmqjevió, fossero figli dello 
stesso Hrvoje ; che Stefano Crnojevié, fratello di BaUa, fosse ban- 
dito dalla sua patria neW anno 1415 ; che questo Stefano Crno- 
jevié ritornato nel Montenero lo governasse lasciando dietro se 
tre figli : Giovanni, Giorgio e Pietro ; e che „il vezir Selim in 
seguito cìùsimsito'' Bostangji'baéa sbaragliasse nelVanno 1450 Ivan 
Crnojevié sul piano di Cernevo e che in quella battaglia perdes- 
se due fratelli: Giorgio che rimase morto e Pietro fatto prima 
prigioniero dai Turchi ed in seguito costretto ad abbracciar Y i- 
slamismo ; che Giorgio (secondo il Luccuri, Gregorio) figlio di Gio- 
vanni, il quale dopo la morte del padre governò il Montenero, non 
avendo prole abbandonasse nelV anno 1497 il Montenero e si re- 
casse a Ragusa donde partì per V Italia dove poi cessò anche di 
vivere. Se tutto questo si attribuisce al Luccari asserendo che 
egli lo dica nella sua storia di Ragusa cioè negli annali di Ra- 
gusa, bisogna credere che lo si faccia per scherzo e non già da 
senno, dopoché nell' Annotazione IV abbiamo veduto precisamen- 
te quello che scrive il Luccari sopra questo argomento. 

Così pure le non comprovate asserzioni: che Stefano (II) 
Crnojevié arrivasse ad una cagionevole vecchiaja ; che il figlio mag- 
giore di questo Stefano di nome Giovanni (II) governasse per bre- 
ve tempo il Montenero ; che poi il figlio di questo Giovanni, Gior- 
gio (II) reggesse pure per breve tempo il Montenero, e che egli 



75 

stesso oel 1516, ceduto il potor temporale al metropolita d' al- 
lora, si recasse dui Monttnero a Venezia, e che il figlio 
di CHavanni (2), Pietro il rinnegato, fatto prigioniero dai Turchi 
ancora nelV antto 1450 marciando alla testa dell' armata turca 
invadesse il Montenero neir anno 1522, ed altre simili, dico, so- 
no asserzioni che non solo non ribattono ma anzi meglio confer- 
mano quanto è stato da noi detto nell* Annotazione III, che cioè e 
Stefano II e Giovanni II e Giorgio II sono personaggi di pura in- 
venzione ; e provano che anche ai giorni nostri si fabbrica V isto- 
ria a proprio piacere e si conduce V acqua al proprio molino. 

Queste annotazioni non furono scritte con verun altro inten- 
to, di quello che per dimostrare esser basato sulla verità od al- 
meno avvicinarsele il piii presso possibile quanto noi più addietro 
abbiamo esposto sulla genealogia dei Crnojevic. 



60VERN0 TEOCRATlCa 

IBTRIFOLITI DI DIYBBSi CASATI. 



\lì 



fiorgìo Grnojevié, figlio di Ivan-beg, come ce lo prova il suo 
testamento, abbandonò il Montenero e si trasferì a Venezia sullo 
scordo del XV secolo. Da queir epoca la nazione Montenegrina 
incominciò ad esser governata dai metropoliti, il primo dei quali 
fu Vavila. Appena che egli prese le redini del governo, ordinò a 
tutti i capi della nazione di stare in guardia dai Turchi e dalla 
loro astuzia, ma nello stesso tempo anche di evitare di irritarli, 
per non attirare così lo loro armate sul proprio paese. Sangjak-beg 
(pascià) di Scutari, risaputo quanto era accaduto nel Montenero, e 
conoscendo aumentarsi in esso lo razza dei rinnegati, messa da 
parte Y idea di aggredire quel paese colle armi, incominciò di sop- 
piatto, col mezzo degli stessi rinnegati, a seminarvi la discordia 
e le scissure, nella speranza che questa via sarebbe sufficiente da 
sé sola a sottomettere il Montenero ai Turchi,*) Questa malizia 
turca causò grandi sciagure al Montenero, il quale se quella volta 
intieramente non cadde, lo si deve air immensa sollecitudine dei 
suoi vescovi che di tutto cuore s' affaticavano per il benessere della 
loro nazione rassodandola nella concordia e neir unione. 

Dal metropolita Vavila fino al vladika Danilo Petrovié-Njegofi 
governarono col Montenero i seguenti metropoliti: Germano, Paolo 
Basilio, Nicodemo, Romilio (circa il 1551), PahomieKomanin (1568), 



*) Grlica del 1885 pag. 67-68. 



77 

Beniamino (1682), Rufino NjegaS (1631), Mardario Korneóanin 
(1659), Rufino Boljevié (1675),*) Basilio Veljekrajski, Vissarione 
Baica (1689) e Sava Kalug]eri£ié da Oéinié (1695).*'*') 

Durante tatto il tempo in cui governarono i suddetti metro- 
• politi, durante cioè interi due secoli, quando appunto i Turchi in- 
cutevano il massimo terrore alle grandi potenze cristiane, conqui- 
stando ai Magiari Belgrado (1521) ai Cavalieri deir ordine di S. 
Giovanni T isola di Rodi (1522) alla repubblica veneta non sol- 
tanto la città di Durazzo (1501) e molte piccole isole nell' Arci- 
pelago greco, ma intera la penisola della Morea e del Peloponeso 
(1499-1540) e la città di Dolcigno ed Àntivari (1571) nonché le 
isole di Cipro (1570-1571) e di Creta ovvero Candia (1645-1669), 
e mentre in questo frattempo gì' infedeli distruggevano e metteva- 
no a fuoco ed a sacco quasi tutta la Dalmazia, all' infuori delle 
sue città marittime, la Lika e la Erbava con Udbina, la Slavonia 
il Sirmio« la Baéka, il Banato e massima parte dell' Ungheria, fa- 
cendola da padroni a loro beli' agio in questi paesi, in tutto 
questo frattempo, durante i due secoli cioè del governo dei metro- 
politi nel Montenero, e mentre la potenza della Porta Ottomana 
toccava al suo apogeo, finché sotto Vienna (1683) non incominciò 
ad impallidire V astro della sua gloria ;poco ci narra la storia 
sulle guerre dei Montenerini coi Turchi. Quel poco che qui e lì 
abbiamo potuto raccogliere da alcuni scrittori verremo qui ad espor- 
re per ordine. 



*) S. Milutinovió nella sua ^Storia del Montenero*^ a pag. 25 dice che il metro- 
polita Rufino Botjevié avesse ricondotto alla fede ortodossa Kuée (intenden- 
do parlare di Yasojevióì) Bratonoiiói e DrekaloTiéi che erano passati al ri- 
to latino per opera della Propaganda di Roma; ma il Boliza, il quale nel- 
V anno 1614 scrìveva sopra questi Inoghi, narra espressamente che ai suoi 
tempi Bratonoi&iéi e Yasojeviéi appartenevano alla chiesa orientale e 
Drekaloviói all' occidentale. Quindi Rufino Bo(jevió, il quale, giusta la testi- 
monianza dei documenti di Cetii\je, viveva nell* anno 1675 non aveva da ricon- 
durre al proprio rito che solo Drekaloviói, come anche difatti lo fece. 

**) Quei metropoliti accanto al nome dei quali sono marcati anche gli anni, 
li ho ritrovati cosi precisamente indicati nei documenti del monastero di 
Getii^e, ed ho messo i nomi loro con qnelP ordine con cui furono prima 
stampati nella Grlica dell' anno 1836 pag. 68-69. 



78 

Il pascià di Scutari (Sangjak-beg) Ali-beg Memibegovié, nipo- 
te dal lato fraterno di Feriz^pascià, che fu generalissimo delle ar- 
mate turche neir Ungheria, nel 1604 giunse a Podgorica e vi 
raccolse un esercito di 3000 soldati coi quali mosse contro ilMon- 
tenero; passato a guado il fiume Moraia entrò nel LjeSkopolje, ^ 
dove distrusse e diede alle fiamme i due villaggi di Stanjeviéi e 
di Gorica. Inoltratasi T armata turca fra i monti, i Montenerini l'atte- 
sero in un imboscata e talmente la sconfissero e misero in fuga, 
che r istesso pascià, ferito da una lancia, riesci con stento a sal- 
varsi vivo in grazia di ir agilità del suo cavallo. Furono tagliati 
a pezzi in questo scontro circa 100 dei suoi soldati, vi restò mor- 
to il luogotenente del pascià il prode àaban-éaja e ben pochi del- 
l' armata avrebbero trovato salute, se in loro ajuto non fosse soprav- 
venuta la notte. 

Giungendo alla Porta continui lamenti contro quei di Brda, 
che estesisi fino a Filippopoli, devastavano villaggi e borgate ed 
assalivano sulle stratie le caravane turche, il sultano Ahmet I spe- 
dì contro di loro, neir anno 1612 un pascià (il figlio di quel 
Mehmed-pascià che era stato ucciso nel Divano), cui era stata da- 
ta per pascialato la Bosnia capitale della quale era Banjaluka, *) 
dandogli il sangiaccato dell' Erzegovina per arpàluk^ col qual ter- 
mine appellano i Turchi l' avena. Arrivato il pascià a Podgorica, 
raccolse da diverse parti 25000 uomini e dopo aver tentato per 
ben tre mesi tutte le vie per poter daneggiare quelli di Brda, en- 
trò furtivamente a Bjelopavlici, appiccando il fuoco ad uno di quei 



•) Fino a che il vezir risiedeva a Bada (1541-1686) : stava a Baiyaluka il 
Begler-beg, governatore di tutta la Bosnia, il quale però dipendeva pri- 
ma dal vezir di Buda, quindi da quello di Temesvar; in seguito quando i 
Turchi perdettero tutta V Ungheria, la Bosnia ebbe un vizir indipenden- 
te, il quale negli ultimi tempi trasferì la sua residenza da Banjaluka a 
Travnik, qual punto centrale della Bosnia. (Vedi il ^Srpsko-Dalmatinski 
Magazln** per 1' anno 1848, pag. 75.) 



79 

villaggi ; ma nel ritorno lo inseguirono i valorosi Brgjani, che ta- 
gliarono a pezzi più di 300 cavalieri e s'impadronirono dei caval- 
li e delle loro armi. 

L' anno seguente (1613) fu inviato da Costantinopoli, contro 
gli stessi Brgjani, Arslan-pascià, al quale si congiunsero sette pa- 
scià e sette sangiacchi, quelli cioè di Prisirendi, di Peé, di Duka- 
gjin, di Haranié, di Elsaban, di Zadrim e di Scutari. L' armata 
che egli seco aveva condotta, con quella che gli si congiunse dai 
suddetti sangiaccati e quella che fii raccolta dagli altri punti, ascen- 
deva a 60000 uomini. Queste truppe rimasero inoperose per 24 gior- 
ni, dopo i quali, radunati 1 fanti ed i cavalieri, Arslan-pascià si 
mosse da Podgorica, entrò nel paese dei Klimenti e quindi a Vasojevi- 
éi, ma sconfitto ed avvilito dovette ritirarsi a Podgorica. Alla fine que- 
sta armata entrò a Bjelopavliéi, ma anche da lì dovette battere in 
ritirata e soffrir nuova sconfitta in un bosco chiamato Eosov-lug. 

Il più volte citato Boliza, il quale ci descrisse queste tre spe- 
dizioni, dice che in quel tempo si contassero 8027 Montenegrini 
atti alle armi e 3660 di quelli di Brda, e che molti di questi non 
fossero armati di lunghi schioppi, ma di lance, scudi e spade. 

Schiacciata la potenza ottomana sotto le mura di Vienna nel- 
Tanno 1683, la repubblica veneta decise di volgere a proprio van- 
^^gio questa favorevole occasione e vendicarsi dei Turchi ; quin- 
di nel susseguente anno 1684, stretta alleanza coir Austria e col- 
la Polonia, dichiarò la guerra alla Porta. In conseguenza di che 
neir istesso anno i valorosi Kotaranì sotto il loro capo Stojan Jan- 
kovié e dopo loro i Petropoljci, i Poljicani ed i Zadvarani, nonché 
molti altri Dalmati, diedero di piglio alle armi ed eroicamente es- 
pulsero dai loro luoghi i Turchi, i quali se n' erano impadroniti. *) 
^è passò molto tempo che non solo i Veneziani, sotto il loro glo- 
rioso capitano Morosini, cacciarono da tutta la Morea i Turchi, 



*) Korabyica Pigma Syetoga pò fra Andrei Eaòiéu, u Mletcih 1760, pug 482. 



80 

ma le armi austriache li sloggiarono dalla Lika, dalla Erbava^ dal- 
la Slavonia e da quasi tutte le Provincie dell' Ungheria. Frattanto 
neir anno 1687 il generale goyernatore di Zara,. Comaro, le- 
vò in Dalmazia un armata di 12000 uomini, colla quale tra- 
gittò nel golfo di Cattare, cinse d^ assedio Gastelnuovo e chiamò 
i Montenerini che gli venissero in ajuto contro i Turchi, etemi e 
naturali nemici del cristianesimo. Vissarione Baica, che in queir 
epoca era il vla<iika del Montenero *), spedì in ajuto dei Vene- 
ziani molti dei suoi Montenerini. Essi s' appiattarono nelle gole 
presso Eameno, e quando venne a passare per oolà Husein To- 
pal-pascià, che conduceva dalla Bosnia e dair Erzegovina 4000 
uomini per levar 1' assedio di Gastelnuovo, i Montenegrini piomba- 
rono addosso ai Turchi, li sconfissero e dispersero in modo che lo 
stesso Topal-pascia arrivò a stento a fuggir salvo da quel luogo. 
I Turchi perdettero sette bandiere e trecento uomini, le teste dei 
quali furono tagliate ed esposte alla vista di Gastelnuovo. Dopo- 
ché Oomaro tentò per ben tre volte V assalto della fortezza di 
Gastelnuovo, questa, incapace di resistere con una guarnigione di 
soli 1000 uomini, non avendo piil a sperare soccorso da veruna 
parte, nel mese di Settembre s' arrese ai Veneziani **) nelle cui 
mani (al pari di Risano ch^ avevano conquistato ai Turchi ancora 
nel 1649) rimase sempre fino alla caduta della repubblica. Si rac- 
conta che alcuni dei Montenerini, in compenso dell' ajuto prestato, 
ricevessero dal doge di Venezia delle medaglie d' oro e delle pen- 
sioni. ***) Nello stesso anno 1687 Suleiman, pascià di Scutari, con 
10000 uomini pose V assedio a Budua, ma il general Gornaro col- 



*) Cronaca Montenerina: ,neir anno 1685 Vissarione Baica, divenne ves- 
covo della Zenta.** 

♦♦) Laugier T. XII. p. 157-158. — Razgovor ugodni naroda Slovinskoga pò 
fra Andryi Kafiiòu. U Mleci 1801. pag. 237. — Vladika Basilio. - S. 
Milutinovié, pag. 26. — Grlica del 1888, pag. 88, 

♦**) S, Milutinovié pag. 26. 



81 

r ajuto delle popolazioni vicine, il che vuol dire coli' ajuto dei 
Montenegrini, lo costrinse a levarlo. *) 

Comprendendo la repubblica di Venezia di quanto soccorso 
le potessero essere i Montenegrini, si fece loro alleata nel seguen- 
te anno 1688 ed inviò loro molte armi; il generale Gomaro poi 
mandò in loro ajuto da Gattaro 1000 uomini, sotto gli ordini del 
tenente-colonnello Nicola Erizzo. Uniti a loro, i Montenegrini e 
quelli di Brda, molestarono immensamente i Turchi non solo nel- 
r Albania, ma anche nell' Erzegovina, Nel medesimo anno, prima 
che r armata veneziana, unita ai Montenegrini, prendesse Graho- 
vo, il tenente colonnello Erizzo Bevilacqua, alla testa dei Brgjani, 
respinse e sbaragliò un armata turca di 15000 uomini, che mar- 
ciava in ajuto di Grahovo. **) 

I Montenegrini rimasero anche negli anni seguenti gli allea- 
ti dei Veneziani contro i Turchi, anzi fu questa la principal cagio- 
ne, per cui irritato il suddetto pascià di Scutari Suleiman, raccol- 
to un esercito nel 1690 ***) entrasse nel Montenero e dopo una 
sanguinosissima battaglia, in vicinanza del monte Vrtijelka (lontano 
mezz' ora di cammino da Getinje), in cui rimase morto il glorioso 
eroe Bajo Pìvljanin con 60 dei suoi compagni, s' avanzasse fino a 



♦) Grlica del 1888, pag. 89. 

♦*) H. Stieglitz. Ein Besuch auf Montenegro. S. LI. e 67. 

***) Il vladìka Pietro I nella sua storia manoscritta del Montenero (vedi la 
Grlica per il 1835 a pag. 69-70) scrive che Suleiman, pascià di Scutari, nel- 
l' anno 1623, all' epoca del vladika Vissarione Baica,si spingesse fino a Getinje 
e distruggesse il monastero di lvan-beg;maè evidente che la data deiranno 
1623 fu messa per una svista, per un errore di penna. Abbiamo prove irre- 
fragabili esser ciò avvenuto più tardi; ed eccone le principali: 1) L^ istesso 
vladika Pit^tro ammette questo fatto ali* epoca del vladika Vissarione e raccon- 
ta come questi, dietro V invito della cessata repubblica veneta, avesse persua- 
so i Montenegrini di muoversi in ajuto dei Veneziani contro i Turchi, e che 
per questo i Turchi sotto Suleiman, pascià di Scutari, avessero rivolto le loro 
armi contro il Montenero ed entrando dopo una sanguinosa battaglia a 
Getinje, avessero distrutto il monastero fabbricato da Ivan-beg; con ciò lo 
stesso vladika Pietro ci attesta di aver erroneamente assegnata V epoca 
delP anno 1623 alla distruzione del suddetto convento, Mentre non poteva 

6 



82 : •:-;-:3 

Cetinje e distrusse dalle fondamenta non solo il monastero e la 
chiesa, ma puranche il palazzo che avea fatto fabbricare Ivan-beg. 
Vedendo i Turchi che non era possibile di sostenersi tra quelle ari- 
de e scoscese rupi, altro che di oziarvi e di gozzovigliarvi com' è 
loro costume, Suleiman-pascià abbracciò il partito di ritornare col- 
la sua armata a Scutari, lasciando però in potere dei rinnegati, 
cioè di que' Montenegrini che aveauo abbracciato Y islamismo, la 
piccola fortezza di Obod. Probabilmente Suleiman-pascià non 8i 



ignorare che dal 1573 al 1645, la repubblica di Venezia non fosse stata in 
guerra coi Turchi e che quindi non potesse aver avuto bisogno dalP ajuto 
dei Montenegrini contro di loro ; d' altronde gli deve esser stato ben noto 
che Vìssarione Baica, secondo le parole della Cronaca di Getiige, divenis- 
se Tladika appena nelP anno 1686 e che, giusta* la testimonianza dei do- 
I cumenti di Cetinje, fosse ancora in vita nell' anno 1689. 2.) L' istessa Oro- 
I naca del Montenero cosi si esprime, relativamente alla distruzione del sud- 
1 detto monastero: «nelP anno 1687 i Latini presero Gastelnuovo e nello 
/ stesso anno il vescovo Yissarione condusse nel monastero di Cetinje i La- 
( tini, cioè il provveditore ed il cavaliere, ed il vladika Yissarione fìl av- 
\velenato e mori. Dopo di che Suleiman, pascià di Scutari, raccolta una 
ipoderosa armata, venne a Cetinje: vi trovò nel monastero i Latini, che 
hasció liberi sulla parola e distrusse la chiesa.** 8.) Il vladika Basilio 
bella 8ua„ Storia del Montenero** racconta come i Veneziani s' imposses^ 
sassero di Castelnuovo coir ajuto dei Montenegrini, i quali nell' anno 1687 
posero in rotta tutta 1' armata che dalla Bosnia e dall' Erzegovina veniva 
in soccorso di Castelnuovo, e come, a cagione di ciò, V armata turca sot- 
to il comando del glorioso Suleiman, pascià d' Albania, entrasse più vol- 
te nel Montenero, facendovi grandissimi danni: e se il reverendo Basilio 
non parla in questo luogo della distruzione del suddetto monastero, egli 
stesso altrove, cioè in una supplica diretta al veneto senato, sì esprime 
chiaramente che fosse stato a causa dei Veneziani^ che nell' anno 1690 
Suleiman, pascià di Scutari, distruggesse il monastero di Ivan-beg a Ce- 
tinje. 4.) S. Milutinoviò nella sua Storia (pag. 26-27) narra come i Mon- 
tenegrini ai tempi del vladika Yissarione Baica, ajutassero i Yeneziani 
nella presa di Castelnuovo, sbaragliando Topal -pascià, e come poco tempo 
appresso, ancora sotto lo stesso vladika, Suleiman, pascià di Scatari, 
muovesse colP armata contro il Montenero e dopo la battaglia di Yrt^el- 
ka s^ inoltrasse fino a Cetinje e radesse al suolo il monastero ed il pa- 
lazzo fatto fabbricare da Ivan Crnojevié. — Da tutto questo chiaro appa- 
risce che Suleiman-pascià dopo V anno 1687 entrasse a Cetiiije e vi di- 
struggesse il monastero di Ivan-beg. 



83 

sarebbe inoltrato fino a Cetinje, nel cuore del Montenero, se da lì, 
prima ancora della battaglia, non fosse fuggito verso Gattaro, Zano 
Grbiiié con 1560 soldati, eh' erano stati spediti dalla repubblica 
di Venezia in ajuto dei Montenerini *) e se i rinnegati, Monte- 
negrini di nascita e Maomettani di cuore, non fossero stati in se- 
crete relazioni coi Turchi e non avessero favorito la loro intrapre- 
sa. **) Fino a quest' epoca i rinnegati non solo non avevano al- 
cun predomìnio sugli altri Montegrini, ma non erano loro nemme- 
no equiparati, giacché non v' ebbe esempio che un rinnegato fosse 
stato capo di un casato o di un villaggio; ma in seguito la cosa 
cangiò d' aspetto. Avendo in loro potere la cittadella di Obod, i 
rinnegati divennero i padroni del mercato sul fiume Crnojevié, fi- 
no al quale possono arrivare le barche dalla Turchia e con ciò 
incominciò il loro sempre maggior primato tra la nazione, primie- 
ramente perchè così potevano ricever ajuto dai Turchi dell' Alba- 
nia ogniqualvolta ne avèano di bisogno; ed in secondo luogo per- 
chè molti Montenegrini, per poter campare, avevano essenzialissì- 
mo bisogno di quel mercato. 



*) Grlica del 1835, pag. 69-70 
•♦) S. Milutinovié, pag. 26- 27. 



I VLADIKE NJE60S1 



DEI CASATO DEI PETROVIC. 




erso la fine del XVII secolo, morto il vladika Savva 06i- 
nic, *) i Montenegrini nella grande assemblea tenutasi a Cetinje, e- 
lessero per metropolita Danilo Petrovié, chiamato altrimenti, dal 
nome di suo padre, Scepòevié. Dair elezione di Danilo data una 
nuova epoca neir istoria del Montenegro. Ancor fanciullo abban- 
donò la casa paterna a Njegoài (donde più tardi fu anche appel- 
lato NjegoS) e venne nel monastero di Cetinje, dove, vestito Y a- 
bito di monaco, prese il nome di Danilo, in luogo di quello di 
Nicola. Non aveva compito ancora il suo ventesimo anno, quando 
nel 1697 **) fu eletto, ed, a quanto si narra, contro sua voglia, a 
vladika; e nel 1700 fu consacrato come tale nella città di Se(ujo 
neir Ungheria dal metropolita serbiano Arsenio III ***) Crnojevié. 
Questo patriarca Crnojevié, il quale nell' anno 1690, dietro 
invito dell' imperatore Leopoldo I., aveva suscitata la nazione ser- 
biana contro i Turchi e s' era trasportato in Ungheria con 37000 
famiglie serbe, era bensì montenegiino, nativo di Baice di Cetinje, 
ma non già della famiglia dei Crnojevié, e si fece chiamare col 



*) Cronaca Montenegrina„ neU' anno 1692 fu eletto per vescovo Savva Oòi- 

nié, e dopo aver occupata per tre anni la sede vescovile, se ne morì.** 
*^) Cronaca Montenegrina„ nelP anno 1697 si radunarono in assemblea i 
capi del Montenegrini a Cetioje ed elessero per loro vescovo e pastore Da- 
nilo Njegué Scepòevié. 
*♦*) Grlica del 1835, pag. 70. 



85 

loro nome, prima per conservare viva ancora la memoria di quei 
gloriosi principi del Montenero d* una volta e secondariamente per 
darsi in questo modo maggior importanza ed in faccia alla pro- 
pria nazione ed innanzi alla corte d' Austria. *) 

Il vladika Danilo ritornato appena dall' Ungheria al proprio 
posto a Cetinje, dove nel 1701 eresse una chiesuola**), aveva già 
divisato, ove gli si presentasse una propizia occasione, di liberare 
il Montenero dai rinnegati, i quali in breve tempo s' avevano 
arrogata un assoluta supremazia e s' erano dati una tal aria di 
superiorità, che era quasi sparita interamente ogni ombra di liber- 
tà, per i cristiani del Montenero. À vieppiù determinare Danilo a 
condurre a fine il suo proponimento, giovò, anzi a meglio dire gli 
diede 1' ultima spinta, il fatto che ora siamo per narrare; dal 
qual momento tutta la storia del Montenero e contemporanea e 
susseguente è strettamente collegata colla sua persona. Ecco il fat- 
to : Quei della Zenta, col permesso e sulla parola del pascià di Scu- 
tari, invitarono nel loro distretto il vladika Danilo perchè consacras- 
se una chiesa ; appena arrivato, i Turchi, nulla badando alla data 
fede, lo presero e lo condussero legato a Podgorica e gli avreb- 
bero fatto certamente subire il supplizio del palo, se, dietro le vi- 
vissime istanze di quei della Zenta, il pascià nella sua ingordigia 
ed avarizia non avesse promesso che lo lascerebbe libero, col ri- 
scatto di 3000 zecchini. I Montenerini e quelli della Zenta ne rac- 
colsero 2000; e presero a prestito gli altri 1000 da Savatia, me- 
tropolita deli* Erzegovina, il quale viveva allora nel monastero de- 
nominato Sawina, presso Castelnuovo nelle Bocche di Gattaro; e 
così redensero e liberarono il loro vladika. ***) 

Ritornato il vladika Danilo a Cetinje, chiamò a sé i più fidati 
capi dei Montenegrini e così parlò ad essi: ;,Voi vedete a qual 



*) S. MflutinoTió, pag. 33. 
**) Cronaca Montenegrìna: ^neU' anno 1701 fabbricò il vladika Danilo una 

chiesa dedicata aiP Assunzione.** 
***) S. Milutinovic, pag. 33-84 ; questo fatto è anche 1' argomento d^ un canto 

popolare. 



86 

partito è ridotto il Montenero da qaesti maledetti di rinnegati, e 
potete ben immaginare fino a qual punto macchinino di arrivare 
col tempo 1 Sono crudeli e velenose serpi, che a me non è più 
permesso di soffrire che annidino nel nostro seno, e se voi non 
liberate dal nostro paese questi scellerati maomettani, i quali non 
volessero abbracciare la fede di Cristo, vi dichiaro che non inten- 
do di essere più lungamente né vostro capo, né vostro pastore. 
Se volete ascoltarmi, vi esorto di liberare quanto prima il Monte- 
nero da questo incubo turco e di intraprendere eroici sforzi per 
ricuperare la libertà, che avete perduta.** I capi approvarono que- 
sto discorso, ed una notte, la vigilia del giorno di Natale (proba- 
bilmente nel 1702 o alla più lunga nel 1703) furono uccisi tutti 
i rinnegati, ai quali non riesci di fuggire ; i cinque fratelli Marti- 
novié, da Baica — il nido degli eroi — furono i primi angeli 
sterminatori. Ben pochi dei rinnegati, e questi impotenti, rimasero 
nel Montenero ; essi furono battezzati ed i loro discendenti an- 
che oggigiorno conservano cognomi turchi, come p. es. Muhadino- 
vic (da Muhadin); Àlijiéi (da Alija, Ali); Ramadanovié (da Rama- 
dan); Huseinovié (da Husein) e così di seguito. *) 

Liberatosi il Montenero dai rinnegati, incominciò il vladika 
a ristabilire la concordia e Y ordine tra la nazione e neil' anno 
1704 riedificò la chiesa e quindi anche il monastero, eh' era stato 
fabbricato da Ivan-beg e distrutto da Suleiman-pascià. **) Non 
passò molto tempo ed i Turchi dell' Erzegovina, nell' anno 1706 
assalirono il villaggio montenegrino Trnjine di Cuca, posto al con- 
fine.; ma i Montenegrini li attesero impavidi, li sconfissero e li 
respinsero talmente avviliti e svergognati, che quella battaglia è 



*) Grlica del 1835, pag. 70-72. Questo fatto è narrato molto dettagliata- 
mente nel canto popolare di cui abbiamo fatta menzione. 
•*) Grlica del 1835, pag. 75. — • Cronaca Montenegrina: „neir anno 1704 il 
vladika Danilo fabbricò un grande tempio, dedicato alla Natività della SS. 
Vergine, quindi riedificò anche il monastero e le case a LovCen ed a Ma- 
hinje. 



87 

rimasta proverbiale, essendovi caduti morti 157 Turchi, oltre i mol- 
ti prigionieri, tra cui 36 signori dei più cospicui. I Montene- 
grini non vollero né uccidere, né lasciar riscattare questi prigio- 
nieri, ma per maggior onta e scorno dei Turchi, cominciarono a 
darli in cambio per dei majali, richiedendone uno per testa ; al qual 
mercato dovettero concorrere finalmente anche i Turchi dell' Er- 
zegovina, risciittando in questa maniera i loro fratelli prigioneri.*) 

L' espulsione dei rinnegati dal Montenero, la permuta dei 
prigionieri turchi coi majali, sono indubbie prove che il vladika Da- 
nilo nutrisse piena confidenza in sé stesso e nella 8ua nazione, tal- 
mente da esser sicuro di respingere qualunque aggressione dai 
suoi confini ; le nuove circostanze che lo determinarono ad uscir 
in campo contro i Turchi, alimentavano in lui la speranza di po- 
ter allargare i confini del Montenero. 

Fin dall' anno 1700 aveva divampato la guerra tra Pietro 
il Grande imperatore delle Russie e Carlo XII rè di Svezia. Per 
lungo tempo la fortuna arrise a Carlo, poi V abbandonò, accordan- 
do i suoi favori allo Czar. I Russi nel 1709 disfecero talmente 
gli Svedesi a Pultava, che Carlo XII si vide costretto a fuggi- 
re sul territorio turco, implorando ajuto dal sultano Ahmed III. 

Dietro le insinuazioni di Carlo, la Porta ottomana intimò la 
guerra alla Russia, verso la fine del 1710. Trovandosi allora a 
servizio della Russia il conte Savva Vladisavié, nativo dall' Erzegovi- 
na jl quale ben conosceva ed il vladika Danilo ed il Montenero, propose 
a Pietro il Grande che ricercasse l' ajuto degli Slavi meridionali, partico- 
armente dei Montenegrini, insieme ai loro fratelli dell' Erzegovina 
e il inducesse ad assalire le finitime provincie turche, operando in 
tal modo una diversione dalla guerra colla Russia, per i Turchi del- 
l' Albania e dell' Erzegovina. In seguito a ciò, 1' anno 1711, 
arrivarono nel Montenero, come inviati della Russia, il colonnello 



) Grlic» del 1835, pag. 72-7§. Un canto nazioDale racconta anche questo fat- 
to. 



88 

Michele Miloradovié, nato pure nell' Erzegovina ed il capitano I- 
van Lukaòevié da Podgorica, con proclami di Pietro il Grande 
diretti al vladika Danilo ed al suo fratello il knez Luka Petro- 
vic*). In questi proclami, in data 3 Marzo 1711, così si esprimeva 
lo Czar Pietro : 

„I barbari Turchi, persecutori della chiesa di Cristo e della" 
^nazione ortodossa, ingiusti usarpatoridi molte Provincie e terre," 

„ distruttori di molte chiese e monasteri vedendo che Noi" 

^desideriamo il bene del popolo cristiano, e che, coli' ajuto del-" 
^r Altìssimo, facciamo progressi nella guerra, temendo che ri-" 
«prendissimo da loro i territori che ingiustamente usurparono/ 
„e dessimo ajuto ai cristiani, che gemono sotto il loro giogo," 
„per queste ragioni, dico, i barbari, alleatisi coli' eretico rè di" 
„ Svezia, senza alcun motivo né pretesto che Noi avessimo lor" 
«dato, e' intimarono la guerra e rinchiusero in prigione il No-" 
;,stro ambasciatore, residente in Costantinopoli; divisando di sog-" 
„giogare anche il rimanente della greggia di Cristo. Per queste" 
„ ragioni, in riflesso della loro ingiustizia e delle persecuzioni che" 
„ fanno soffrire ai cristiani, invocando Iddio in ajuto, siamo sta-" 
„ti costretti di metter in piedi non solo il nostro esercito, ma" 
;,anche quelli delle potenze nostre alleate, per non soltanto poter-» 
„ci opporre nella prossima primavera coir armata agli infedeli nostri" 
«nemici, ma benanche per poterli aggredire con poderosa arma-" 
„ta nel cuore del loro impero e liberare così, concedendolo Iddio, 
„gli oppressi cristiani ortodossi dal loro giogo, alla qual guerra" 
;,Noi sacrifichiamo fin 1' ultimo Nostro obolo e ci mettiamo in" 
«persona a capo del nostro affezionato ed esperimentato esercito" 



*) Grlica jpel 1836, pag. 78-74. La cronaca Montenegrina «nell* anno 1711 ar- 
rivò da Mosca nel Montenero Michele Miloradovié con proclami di Pietro 
il Grande al vladika Danilo ed ai Montenegrini, per gran sciagura del mo- 
nastero e dei Montenegrini, i quali allora incominciarono a fare deUe incar- 
sìoni contro le città turche.^ 



89 

^contro il nemico della religione. Ognuno nel cui petto cristiano*^ 

;, batte un cuore generoso, sincero ed eroico è tenuto di vincere** 

„ qualunque timore e difltìcoltà, e non solo combattere, inn spar-" 

„gere fin Y ultima goccia del proprio sangue per la chii^sa e per" 

^la fede ortodossa, come Noi siamo pronti a farlo con tutte le" 

^nostre forze. Essendo Noi convinti dall' istoria che gli antichi" 

^vostri rè, despoti, principi e gli altri signori erano ritenuti" 

„per gloriosi (slavni), non solo per esser essi della nazione slava," 

„ma per essersi fatti conoscere in tutta Y Europa col valore delle" 

„armi, fino air epoca in cui furono soggiogati ingiusta-" 

„ mente dalla tirannide dei Turchi; troviamo ben giusto che" 

„voi pure in questo momento, concedutoci da Dio, ricordandovi" 

,dei sunnomati vostri antenati, rinnoviate la vostra antica gloria," 

«congiungendovi colle nostre forze e che armandovi con noi con-" 

;,tro r inimico comune, combattiate per la fede e per la patria,* 

„per r onore e per la gloria vostra, e per la libertà ed indipen-" 

„ danza vostra e dei vostri posteri. D' altronde chi tra voi in" 

«questa giustissima guerra si muoverà in ajuto dei cristiani, avrà" 

„ primieramente guiderdone dal misericordioso Iddio, e quindi la" 

«grazia Nostra, nonché dei compensi; mentre ognuno riceverà" 

«premio da Noi giusta i suoi meriti ed i vostri desiderii, poiché* 

^per Noi non ci riserbiamo altra gloria, che sola quella di poter 

„ liberare dall' oppressione degli infedeli i popoli cristiani delle" 

^vostre parti, di poter nuovamente rialzare le chiese ortodosse e" 

„rieriggere la Croce venerata. Così se unitamente e ciascheduno* 

„per quanto la sue forze il comportino, avremo lavorato combat-" 

„ tendo per la fede, allora sarà reso maggiormente glorioso il no-" 

j,me di Cristo, e gli infedeli seguaci di Maometto saranno ricaccia-" 

„ti nella loro antica patria, nei petrosi deserti dell' Arabia." 

Subito dopo r arrivo degli inviati nel Montenero, il vladika 
raccolto in assemblea il popolo, pronunciò il seguente discorso: 
„ Diletti fratelli Montenegrini, noi sempre abbiamo inteso di avere 
Iddio solo sa dove, in un paese lontano dell' oriente, un imperato- 
re ortodosso, ed abbiamo desiderato ognora di aver notizie di lui 



90 

e del suo impero ; ma essendo noi rinchiusi da ogni parte tra que- 
sti monti, non abbiamo potuto risaper da alcuno notizie di lui. Ci 
sembrò fino ad ora eh* egli non potesse aver contezza dì noi, pic- 
colo pugno di gente, racchiuso tra serpi e scorpioni, e che non 
potessero giungere fino a noi dei suoi inviati ; ed ecco che oggi, 
ne sieno rese grazie a Dio, vediamo suoi ambasciatori, abbiamo 
nelle nostre mani i suoi imperiali diplond, e questi inviati, dico, 
non sono già degli stranieri, ma nostri fratelli serbiani ed essi ci 
narrano che Pietro il Grande sia 1* imperatore e V autocrata di 
tutte le Russie e che il suo impero, benedetto da Dio, sia il più 
esteso e il piìH potente di tutti gli imperi della terra. Egli combat- 
te i Turchi, né agogna ad altra gloria, che a quella di ricupera- 
re le chiese di Cristo ed i conventi, di rialzare su di esse la ve- 
neranda Croce e di liberare il popelo cristiano dal tremendo giogo 
dei Turchi. È nostro obbligo di pregare che Iddio sia propizio al- 
le sue imprese, nonché di brandire noi pure le armi ed assecon- 
dandolo muovere contro il comune nemico. Noi siamo congiunti 
ai Russi per comune nazionalità e religione, deh ! potessimo appros- 
simarci a loro anche per vicinanza di confine 1 Armatevi dunque, 
Montenegrini miei fratelli, io stesso non risparmiando ne vita 
né sostanze, sono pronto a venire con voi, in servizio dell' impe- 
ratore cristiano e della nostra patria, pregando il misericordioso 
Iddio, che sia il nostro sostegno ed il nostro condottiero." *) Dopo 
di che furono Ietti pubblicamente gì' imperiali diplomi. 

I Montenegrini accolsero con trasporto V appello dell' im- 
peratore e tra canti e spari di gioja ritornarono da Cetinje alle 
loro case, ed ognuno s' accinse ad acquistare per proprio conto 
col proprio danaro, alquanta polvere e piombo.**) Intanto ilvladika 
e Miloradovié trascrivevano i manifesti imperiali e scrivevano lettere, 
per spargerle per tutte le confinanti Provincie turche, chiamando 



♦) Grlica del 1835, pag: 73-76. 
**) Grlica del 1836, pag. 41. 






91 

alle armi tutti i cristiani della chiesa orientale, perchè si unissero 
ai Montenegrini e di concerto aggredissero i Turchi. 

Acciò si conosca la forma della quale il vLidika e Milorado- 
vié si servivano nei loro scritti per incitare i finitiuii cristiani con- 
tro i Turchi, riportiamo qui alcuni squarci di tali lettere. Eccitan- 
do i TrebjeSani *) ad assalire la città di OiiogoSt, il vladika in un 
suo scritto dei 15 Luglio cosi si esprime: „Se amate Cristo, in'' 
,,nome del sangue da lui versato soprala croce per la nostra sa-** 
„lute ed in nome deU' amore della santissima sua madre, che vi" 
„sia in ajuto ed interceda per voi nel giorno dell' ultimo giudizio,* 
«sorgete a versare il vostro sangue, né procrastinate a dar assalto** 
„alla città, che non v' è luogo ad indugiit^ Ed in un altro procla- 
ma scritto nello stesso giorno sul monte Lovèen, dice: «Entro u-" 

«na settimana sia la città in vostro potere Vendendo le*" 

«nostre suppellettiU d' oro e d' argento, raccoglieremo un armata* 
„e ci azzufferemo cogli Albanesi a prò della nostra nazione in-* 

«felice, desolata e sofferente per fame Scrivendo queste* 

«parole le bagna di lagrime il vladika Danilo, accorato e dolente,'' 
«desideroso di sacrificare la propria vita per Cristo, cioè a dire* 
«per la propria nazione." 

Miloradovié trascrivendo questo proclama vi aggiunge: »So-" 
«no molte le settimane in un anno, ma fate in modo di aver en-* 
ntro la prossima nelle vostre mani la città con la guarnigione" 
«turca , ... Ho inviato quest' oggi mille prodi, perchè si az-" 

«zuffino cogli Albanesi Conquistate la città dai Turchi e" 

«consegnatela a noi, io risiederò in essa in vostra compagnia ..." 
n • . . , Qui è già pronta tutta V armata. Non temete, vi giuro* 

«in nome di Dio, di non tradirvi Attaccate e procurate* 

;,di aver nelle vostre mani il capitano Kumrija. In nome della san-* 
«tissima Vergine, impadronitevi della città e rimanete all' erta, nè^ 



') Trebjesa è un villaggio nelP Erzegovina, discosto circa mezz' ora di cam- 
mino da OnogoSt, verso oriente. 



92 

„ state a muovervi fidandovi sulla parola, perchè non vi tragga-^ 
;,no in inganno, giacché i Latini hanno informato il capitano Eu-'' 
„mrijadi tutte le mie mosse .... Giunsero tra noi il conte (knez)" 
;;di Bjelopavliéi e quello di Piperì, e siamo andati d' accordo, se" 
„ Iddio ci da salute, di assalire nella settimana la fortezza diSpuz.^ 
r, ' ' ' Scrissi contemporaneamente a Grahovo ed a Rigjane, es-" 
„si pure sono pronti." ♦) 

In seguito a questi proclami, allegri e giulivi diedero di pi- 
glio alle armi i Ze£ani e tutti i cristani dell' Erzegovina delle par- 
ti prossime al Montenero, ai quali si unirono ed i Montenegrini e 
quei di Brda; bruciando le case dei Turchi nei contorni di Oqo- 
goàt, Spu2, Podgorica e Éabljak, costringendo i Turchi a rinchiu- 
dersi nelle fortezze, donde non ardivano muover passo. Ma nel 
momento in cui si attendeva che i Turchi sarebbero stati costret- 
ti di consegnar le loro piazze forti ai Montenegrini, giunse avviso 
dalla Russia al vladika che lo czar Pietro, trovatosi alle strette 
ed in angustie colla sua armata, aveva dovuto con proprio disav- 
vantaggio stringer la pace col gran-vezir sul Pruth; e che quindi 
i Montenegrini dovevano ritirarsi tra le loro montagne, come infat- 
ti fecero con sommo rancore. Rimaneva per consolazione e sollie- 
vo del vladika il pensiero di aver almeno agito conforme al de- 
siderio dello Czar russo, coir impedire agli Albanesi ed a quelli 
d' Erzegovina di unirsi alla rimanente armata turca a danno dei 
Russi. **) Miloradovié si trattenne ancora per lunga pezza nel Mon- 
tenero, donde partì per la Russia nel mese di Aprile del seguente 
anno 1712, consegnando prima ai Montenerini nella skupètina a 
Cetinje un suo scritto ***) in cui prometteva — mari e monti. 

Per le cause suaccennate, nel trattato di pace, conchiuso sul 
Pruth ai 12 Luglio del 1711, non potè esser fatta menzione del 



♦) Narrazione dei vecchi Trebjeàani, pag. 117-120. 
**) Grlica del 1886, pag. 41-42. 
♦♦♦) S. Milutinovié pag. 56-57, 



93 

Montenero, quindi il sultano Ahmet divisò di sfogare tosto il suo 
sdegno contro i Monteneriai, che avevano osato aggredire le città 
turche, tn conseguenza fu dato ordine al seraskier Ahmet-pascià, 
di muovere entro V autunno con un poderoso esercito contro il 
Montenero e di metterlo a ferro ed a fuoco ; ma sopraggiunto pre- 
coce r inverno, durante il quale malvolentieri entrano in campa- 
gna i Turchi, ed il quale è cosi poco propizio alle spedizioni con- 
tro il Montenero, appena nel seguente anno 1712 al principiar del- 
l' estate, giunse il sera&ikiere con 50000 uomini a Podgorica, da 
dove, nel mese di Luglio, passata la Zenta, mosse verso il Mon- 
tenero. Appena ciò intese il Vladika, chiamò a sé tutti i capi del 
paese per intendersela con loro, quindi radunata alla presto una 
sufficiente armata, mosse contro i Turchi sino al fiume Margulja. 
Colà giunto, divise in tre corpi 1' esercito : il primo capitanato da 
Janko Gjuragkovié, sì diresse alla dritta, per rimanere in im- 
boscata sul monte Pr2nik ; il secondo, sotto gli ordini di Vuk Mi- 
èunovié, alla sinistra, perchè rimanesse appiattato sotto le alture 
di Vrana ; e col terzo tenne egli stesso il centro alquanto all' in- 
dietro, per ricevere 1' urto dell' esercito turco. Ma tre giorni do- 
po prese queste posizioni, venne ragguagliato che il seraskiere a- 
veva fatto sosta presso il fiume Vlahinja, per dar riposo alla sua 
annata. Il vladika decise allora di non più attendere 1' inimico, ma 
tosto la notte seguente, dato ordine di marcia alla sua armata, 
all' albeggiare improvvisamente venne addosso ai Turchi, i quali 
dato dì piglio alle armi, ofrirono vigorosa resistenza, finché sbu- 
cando dalle loro imboscate ì corpi di GjuraSkovié e dì Miéunovìé, 
diressero un vivissimo fuoco contro i medesimi. Trovatisi cosi pre- 
si air improvvista, 1 Turchi si diedero alla fuga, ma in mezzo a 
quello scompiglio, non seguendo nel ritirarsi la strada per cui e- 
rano venuti, si trovarono circondati da foltissimi boschi sopra un 
terreno paludoso, dove i Montenegrini terrìbilmente li sconfissero. 
Riesci a stento allo stesso seraskiere di fuggire da colà ed aver 
così salva la vita. In questa battaglia rimasero morti circa 300 
Montenegrini, trai quali Janko GjuraSkovic; molti furono i feriti e 



94 

tra questi lo stesso vladika Danilo; innumerevoli poi furono i Tur- 
chi che caddero, cosichè da quel giorno rimase al luogo del com- 
battimento il nome di Carev Laz. Se si vuol prestar fede a quan- 
to si narra, perirono più di 20000 Turchi, ai quali i Montenerini 
tolsero, oltre le armi preziosissime ed i vestiti, ottantasei bandiere. *) 
Questa fortunata vittoria serba, la più splendida certamente di quan- 
te ci è conservata memoria e neir antica e nella moderna istoria 
del Montenero, fu riportata il 29 di Luglio. ♦*) 

Risaputa eh' ebbe il sultano Àhmet la disfatta della sua ar- 
mata nella suaccennata battaglia, avvampò d' ira e di vendetta e 
decise di lavare agli occhi deir universo V onta arrecata alle armi 
ottomane, assoggettandosi il piccolo sì, ma valoroso Montenero, a 
prezzo di qualunque perdita d' uomini. A tale effetto, nel 1714, 
inviò contro il Montenero Numan-pascià òuprilié, chiaro per na- 
scita e per valore, alla testa di più di 100000 soldati. Nel mese 
di Settembre Cuprilié giunse ai confini del Montenero dalla parte 
dell' Erzegovina, ma sapendo quanto fosse difficile il combattere 
tra quelle gole e quanto poco calcolo facessero i Montenerini del- 
la lor vita, quando si tratti di difendere la fede, la patria e la 
libertà, mise in opera lo stratagemma turco del vile inganno. Man- 
dò messaggi al vladika ed ai capi dei Montenerini assicurandoli 
che, giusta gli ordini ricevuti dal sultano, desiderava entrar in 
trattative con loro per poter conchiudere una pace, che fosse di 
loro vantaggio, ricercando, sulla sua fede di buon Turco, che gli 
inviassero per intendersi alcuni dei più cospicui tra i loro capi, 
coi quali potesse condurre a termine le negoziazioni e stabilire 
conseguentemente la pace. I Montenerini, confidando nella parola 
e nella pretesa buona fede del Cuprilié, inviarono al suo quartiere 



*) GrUca del 1886, pag. 42-43. 
**) Cronaca Montenegrina: ^NeU' amio 1712 ai 29 di Luglio i Montenegrini 
tagliarono a pezzi i Turchi a Carev -Laz." Se la nostra nazione non tra- 
lascia di far argomento dei suoi canti popolari fin le più piccole scaramuc- 
ce avute coi Turchi con qualche vantaggio, è ben naturale che vi debba 
essere qualche canto che etemi la memoria di questa giornata. 



95 

37 dei loro capi, ma, appena giunti egli li fece rinchiudere, quin- 
di d' improvviso con tutte le sue. forze irruppe nel Montenero. 
Non ostante questo vile tradimento, i Montenegrini afiErontarono 
r inimico e gli opposero • eroica resistenza ; ma per esser a forze 
impari col nemico, e per aver loro mancato dopo poco le munizio- 
ni, furono messi in rotta e la massima parte fuggirono disperden- 
dosi pei monti, o ritirandosi sul vicino litorale delle Bocche. Al- 
lora i Turchi invadendo in gran parte il Montenero, devastarono e 
bruciarono molti villaggi e chiese; raserò al suolo il convento e la 
chiesa di Cetinje, fabbricati dal vladika Danilo ; condussero in schia- 
vitù móltissimi, particolarmente donne e fanciulli ed impiccarono i 
capi eh' erano stati mandati per le trattative. Glorioso e trionfan- 
te per aver devastato il Montenero, calpestando la lealtà e 1' ono- 
nore, mettendo in opera 1' abbiettezza dell' inganno, Cuprilié pas- 
sò colle sue orde il litorale delle Bocche, dirigendosi verso 1' Al- 
bania, dove riunita la sua armata a quella capitanata dal gran-ve- 
zir Ali-pascià, lo ajutò nell' impresa di togliere la Morea al doge 
di Venezia. *) 

Appena che i Turchi abbandonarono il Montenero, gli abi- 
tanti lasciarono i loro nascondigli e cominciarono a riedificare le 
loro case sulle ceneri delle distrutte, ma mancanti di mezzi con 
cui rimettere la chiesa, inviarono nel seguente anno il loro vladi- 
ka in Russia, nella speranza di ottenere qualche soccorso, né s' in- 
gannarono. Pietro il Grande, conscio di essere stato la causa dei 
danni sofferti dai Montenegrini, spedì ai suoi alleati alcuni regali, 
accompagnandoli con due lettere in data 19 Luglio 1715, nelle 
quali così si esprimeva: „Ci è noto come voi, essendoci uniti e 
per fede e per lingua, dietro nostro invito, deste di piglio alle ar- 



*) Grlica del 1886, pag. 43 e 45. — Cronaca del Montenero: „Nell' anno 1714 
arrivò il Vizir Óupijelió con 120 mila uomini, devastò ed incenerì il Mon- 
tenero ed abbatté la chiesa ed il convento di Getiige.^ Questo fatto ha il 
suo canto nazionale. 



96 

mi, durante V ultima nostra guerra col sultano dei Turchi nel- 
Tanno 1711 e con quanto coraggio e gloria avete combattuto il 
comune nemico del cristianesimo. Ci è noto che, dopo firmata 
con Noi la pace, il Sultano abbia fatto marciare un esercito nelle 
vostre Provincie, il quale tagliò a pezzi molti della vostra nazio- 
ne, molti fece schiavi, distruggendo e dando alla fiamme le chiese 
' ed i conventi. Venuti a giorno di questo, vi abbiamo commiserato 
con cristiana carità, ordinando che subito in tutte le chiese ed i 
conventi del Nostro impero ortodosso, sieno fatte pubbliche preci 
per coloro, che soffrendo per la fede di Cristo, ricevettero la pal- 
ma del martirio. A voi poi, o prodi guerrieri, cui rimase salva la 
vita e che con tanto fervore accorreste alle armi durante la guerra, 
per spirito di cristianesimo e comunità di fede con Noi, abbiamo 
voluto tributare, col mezzo del presente scritto, un pubblico elo- 
gio, ringraziandovi dell' ajuto che in questa circostanza avete pre- 
stato a Noi ed a tutto il Nostro impero. Quantunque, a cagione 
dell' attuale nostra lunga guerra coli' eretico rè di Svezia, non sia- 
mo per ora in grado di tributarvi un compenso proporzionato ai 
vostri meriti ed ai servizii resici, pure in contrassegno della No- 
stra benevolenza, mandiamo, col mezzo del reverendissimo Danilo 
NjegoS Séepèevié, metropolita della Skenderia e di Primorje, ai 
vostri capitani 160 medaglie d' oro colla Nostra effigie e 5000 ru- 
bli in danaro, in sovvenzione a coloro che in tale circostanza sof- 
fersero e patirono maggiormente; ed altri 5000 consegnammo allo 
stesso metropolita, perchè soddisfaccia ai debiti incontrati nella 
predetta occasione e rifabbrichi le distrutte chiese e conventi del- 
la sua diocesi* In seguito, appena avremo conchiusa una pace van- 
taggiosa e saremo liberi dalle esorbitanti spese di guerra, non tra- 
lasceremo di meglio ricompensare colla Nostra grazia imperiale i 
vostri fedeli servizii. — Abbiamo ordinato che dal nostro tesoro 
sieno dati al metropolita Danilo dei vasi sacri, nonché dei para- 
menti arcivescovili e sacerdotali ed i libri necessarii alla chiesa per 
la santa liturgia. Concediamo pure che sieno assegnati ogni trien- 
nio 500 rubli al monastero di Cetinje. Essendo Noi presentemen- 



97 

te in pace col Sultano e desiderando mantenerci fedelmente per 
parte Nostra in tale relazione, consigliamo voi pure a non rom* 
perla coi Turchi; ma quand* essi nuovamente sorgessero contro 
Noi e contro il Nostro impero (il che nelF epoca presente non ci 
sembra attendibile), desidereremo che allora voi pure, come popolo 
a noi congiunto e per fede e per nazionalità, accorriate in ajuto 
delle Nostre armi, E vi promettiamo la Nostra imperiale benevo- 
lenza e ricompensa, né la Nostra gratta sarà per mancarvi mai 
in appresso." 

Danilo, ritornato in patria nel 1716 dal suo viaggio in Rus- 
sia, raccolse tosto in assemblea i Montenegrini, prelesse loro i di- 
spacci imperiali e distribuì i regali. Il che inteso dai Turchi loro con- 
finarii, cominciarono a turbarsi, prevedendo che i Montenerini, en- 
comiati e regalati dallo czar moscovita, avrebbero cercato di ven- 
dicarsi /del tradimento del Cuprilié; e perchè una tal supposizio- 
ne non si avverasse, stabilirono di attaccare un momento prima 
il Montenero, in modo da far passare ai suoi abitanti la voglia 
di pensare alla riscossa. Infatti entro lo stesso anno i due Cengió, 
pascià d' Erzegovina, uniti al beg Ljubovié, raccolsero un armata 
con cui aggredirono il villaggio Trnine di Cuca. Quei di Trnine 
implorarono ajuto e lo ricevettero pronto, non solo dagli altri di 
Cuca, ma paranco da quei di Bjelice, dai Òevljani e dai Velesto- 
vcì, i quali valorosamente vennero alle mani coi Turchi che, dopo 
un sanguinoso conflitto, indietreggiarono; ma i Montenegrini li in- 
seguirono facendone strage in mille maniere, tagliando molti a pez- 
zi, facendo prigionieri tutti i due i Cengié col Ljubovié, oltre altri 
70 turchi, i quali tutti furono condotti vivi a Òevo. I Montenerini 
avevano divisato di lasciarli liberi mediante riscatto, ma MojaSa 
Gjukanovié, vedova del knez di Òevo, li distolse, così arringando- 
li : „ A che risparmiare codesti Turchi e non tagliarli a pezzi ? Non 
vi ricordate forse, come due anni or sono, supplicaste per il ri- 
scatto dei vostri fratelli il maledetto vezir Òuprilié, né ve lo con- 
cesse ma invece furono tutti appiccati? Né que' vostri fratelli e- 
rano stati fatti prigionieri valorosamente come questi Turchi da 

7 



98 

voi, furono invece le vittime d' un tradimento I Vi sieno presenti 
le sventurate vedove montenerìne ed i loro stenti per sostenere le 
loro famiglie, senza il marito!' Air udir tali rimproveri da una 
donna, i Montenerini, abbandonata Y idea del riscatto, uccisero ed 
i Cengié ed il IJubovié e tutti gli altri prigionieri Turchi, per ven- 
dicare i loro fratelli fatti morire a tradimento dallo spergiuro Cu- 
prilié. *) 



Frattanto i Turchi, come già dicemmo, avevano conquistato 
ai Veneti tutta la Morea, e ciò dal mese di Luglio alla metà 
d' Agosto del 1715, rompendo in tal guisa il trattato di pace di Ear- 
lowitz, conchiuso tra la Porta e l'Austria nel 1699; nel qual trat- 
tato la Porta aveva riconosciuto e confermato il possesso della 
Morea alla repubblica di Venezia, Offesa V Austria da quest' in- 
frazione della pace da parte idegli Ottomani, nel 1715 intimò la 
gwrra al sultano Ahmet III, ed accorse in ajuto dei Veneziani, 
n principe Eugenio, generalissimo delP armata austrìaca, sconfisse 
le truppe, capitanate dal gran-vezir, presso Varasdino nel 1716, 
s^ impossessò di Temesvar, cacciò i Turchi dal Banato; ed i Ve- 
neziani dal canto loro riportarono anche alcune vittorie sulF ini- 
mico. Questo felice progresso delle armi cristiane incitò, senza 
dubbio, il vladika Danilo a prender parte a questa guerra. Un al- 
tro motivo ancora e di sommo rilievo, lo deve aver determinato 
ad un tal passo. Da tempi antichissimi appartenevano alla sua 
giurisdizione spirituale (come ce lo attesta la bolla direttagli dal 
patriarca Crnojevié) non solamente il Montenero e con esso le 
Brda: Bjelopavliéi, Piperi, Kuèi, Vasojeviéi e Bratonoiiéi, ma ben- 
anco la Zenta nelP Albania turca e le sue città : Podgorica, 2a- 
bljak, Scutari, Dolcigno ed Antivari; come pure nelle Bocche di 
Cattare: Pastroviéi, Grbalj, Ertole e LuStica con tutti i sobborgiii, 



*) Grlìca del 1836. pag. 50-51. — Anche questa battaglia, fu argomento ad 
uno dei caDti nazionali. 



S9 

villaggi e parrocchie che appartengono ai suddetti luoghi,*) o per 
dirlo più concisamente, apparteneva alla sua giurisdizione tutta 
r antica Zenta. 

fino a che il patriarca serbo risiedeva a Peé, fino allora nella 
8iia qualità di ^Arcivescovo ortodosso di Peé e di tutta la Serbia 
e Bulgaria, del litorale Dalmato e della Bosnia, e patriarca di 
tutte le province al Danubio e dell' intero Ulirio^ esercitava la 
sua giurisdizione spirituale, anche sotto il governo veneto, in tut* 
te le Bocche egualmente che nelle parti montane della Dalmazia; 
ed in queste parti, all' epoca del dominio veneziano, la popolazio- 
ne greco-orientale viveva sotto la giurisdizione spirituale dei ri- 
spettivi loro vescovi, che erano consacrati dal summentovato pa- 
triarca. Quando poi la sede patriarcale venne trasferita da Peé 
nell' Ungheria, i Veneziani non permisero V ingerenza né al pa- 
triarca serbo, né ai suoi vescovi nelle chiese ortodosse della Dal- 
mazia, e da allora quella popolazione rimase priva del suo pasto- 
re. In s<^ito a ciò V alto clero latino si arrogò in Dalmazia una 
certa giiÀrisdizione sulle chiese e sul clero ortodosso, la quale con- 
sisteva Hl ciò : a) che avessero diritto della vìsita delle chiese e dei con- 
venti ortodossi ; b) che ogni ecclesiastico greco-orientale, prima di 
esser consacrato sacerdote, dovesse ottenere V assenso dal Ponte- 
fice di Roma: e) che ogni sacerdote greco-orientale fosse obbli- 
gato di recitare, alla sua consacrazione, il simbolo della chiesa 
occidentale, innanzi ad un vescovo romano-cattolico. **) 

Né le cose andavano meglio, o almeno si cercava che non vi an- 
dassero, per gli ortodossi serbi nelle Bocche, di quello che per quelli 
della Dalmazia, e di ciò ne fa fede Y istesso vladika Danilo, il quale in 
una sua lettera dell' anno 1717 indirizzata ad un suo amico, che 
si trovava a Venezia, così si esprime :„ Qui regna grande agita- 



*) S. Milutinovié, pag. 30-82. 

**) Vedi V almanacco Serbo-Dalmato, del Dr. T. Petranovió, per V anno 1836, 
pag. 101-102. 



100 

zione e guerra riguardo alla chiesa ed alla religione, né possiamo 
comprendere se ciò segua per ordine espresso della Signoria Te- 
nota, se dipenda dall' arbitrio di qualche particolare; interessa- 
tevi perchè sia fabbricata la chiesa a Budua e che ad ognuno sia 
permesso il libero culto come nell' impero**. *) Queste ingiuste ves- 
sazioni della nostra nazione e della nostra fede dovettero deter- 
minare il vladika Danilo a cercar mezzo di ricuperare la sua spi- 
rituale giurisdizione sulle proprie chiese e sul proprio gregge non 
solo nelle Bocche, ma ancora nelF Albania turca, quando questa 
rimanesse sotto il dominio veneto. A tàV effetto dovette entrare in 
trattative colla repubblica veneta, per attirarla, a qualunque .costo, 
ad essergli favorevole. Sulle prime non volle farlo in proprio no- 
me, uè in quello dell' intero popolo Montenegrino; ma a tal fine, 
nonché per altre occorrenze del paese, per intendersela sui patti 
di un alleanza contro i Turchi, spedì a Venezia alcuni inviati a 
nome soltanto della nahija di Eatun. 

Arrivati a Venezia gì' inviati montenegrini, il Senato li ac- 
colse benignamente dando ascolto alle loro proposte accettan- 
dole quasi tutte, e Giovanni Gomaro, doge d' allora, diede loro 
una Ducale, in data 18 Marzo n. s. 1717, in cui dichiarava che 
per i comuni del Montenero, che avevano spedito i loro deputati 
a Venezia, era stato deciso nel senato quanto appresso: 1) Che 
per quanto concerneva 1' esercizio del culto nella chiesa di S. Lu- 
ca a Gtettaro, si dessero le necessarie disposizioni al provveditore 
di colà, acciò, per quanto fosse possibile, si soddisfacesse ai loro 
desiderìi; 2) Che non fossero obbligati a pagare verun dazio per 
i loro prodotti indigeni, importati nei domini veneti ; 3) Che si 
eleggessero un governatore e due srdari, coli' appuntamento men- 
sile di venti ducati (d' argento) per cadauno, quattro knezi col- 
V assegno di dieci ducati ed altri otto con quello di cinque; e che 
oltre a ciò, fossero loro aggiunti 24 soldi della milizia, calcolando 



*) Ganti del Montenero e dell' Erzegovina, raccolti da Cabro 6o|kovié. 18S8, 
pag. 63 



101 

ognuno a 24 lire; e che tutto ciò continuasse a venir loro pagato 
dal tesoro di Venezia, colla clausola che le paghe dei srdari in 
tempo di pace, verrebbero commisurate sul piede, che sarebbe sta- 
to addóttato per tutte le altre provincia ; 4) Che per poter sorvegliare 
6 tener sicuro il proprio territorio dalle incursioni del nemico, po- 
tessero metter in piedi ancora una compagnia, che aggiunta alle 
altre due, già state permesse a quel popolo, '*') ne costituisse tre, 
formate tutte di Montenegrini, lasciando loro il diritto di sceglie- 
re a proprio arbitrio gli ufficiali; ma che il soldo tanto per i 
graduati quanto per i gregari!, fosse sborsato soltanto in tempo 
di guerra e di marcia ; 5) Che, perchè fossero in grado di difen- 
dere le province soggette a Venezia, sarebbero loro dati 300 fuci- 
li ed una certa quantità di polvere e di palle; 6) finalmente che 
si procurasse e fosse loro data una conveniente quantità di grano. 
Come si vede dall' or citato decreto, i Montenegrini ottenne- 
ro un significante ajuto dal governo veneto e trovarono in lui un 
ben valido appoggio. Non rimase però con questo soddisfatto li 
più ardente desiderio del vladika Danilo. Non solo non fd confer- 
mata la sua giurisdizione spirituale sulle Bocche, ma nemmeno 
venne assicurata ai greci-orientali in quelle parti, la piena libertà 
del culto. Il vladika sperava di poter ottenere anche questo, in al- 
tra più propizia occasione. Desiderava che frattanto i Montenegri- 
ni coi fatti, dimostrassero il loro attaccamento alla repubblica ve- 
neta. Né tai*dò ad offrirsegli una favorevole circostaza, eh' egli non 
si lasciò sfuggire. NelF autunno di queir istesso anno mosse dal- 
la Dalmazia verso Antivari d' Albania V armata veneta, capitana- 
ta da Alvise Mocenigo, governatore generale della Dalmazia. A 
questa si congiunse il vladika Danilo coi suoi Montenegrini. **) Appe- 
na che r annata riunita apparve in quelle parti, gli abitanti dei 



^) Probabilmente doveva esistere un decreto a questo proposito; ma non m' è 

conosciato. 
**) Cronaca Montenerina : ,In questo anno 1717, andò il vladika Danilo ed 
ì Montenerinl ad Antivari, ma inutilmente, tol generale Mocenigo.* 



102 

dintorni di Antìvari le si unirono, più per moto spontaneo, di 
quello che costretti dalla forza; e la guarnigione rimanta assedia- 
ta nella città, non ardiva nemmeno tentare delle sortite. Moceni- 
go attèndeva le munizioni ed i cannoni, che dovevano venir tra- 
sportati dai bastimenti, ma questi, a causa dei venti contrarli, tan* 
to ritardarono, che nel frattempo, ai 16 d' Ottobre, il seraskiere 
dell' Albania accorse con 30000 soldati in ajuto della città e si av- 
vicinò alle armate alleate. Quando s' avvide il Moceni go che i suoi 
progetti erano stati distrutti dal cado, cui egli non si poteva op- 
porre, levò r assedio dalla città, e senza esser menomamente mo- 
lestato dair inimico, ritornò coir armata alle Bocche"^) ed i Mon- 
tenerini alle loro case. 

Senza attendere che fosse terminata quella guerra colla Tur- 
chia, tosto nel seguente anno si recò a Venezia il vladika Danilo 
e con lui alcuni capi delle nah^je di Rijeka e di Cmica. Chiedeva 
dal veneto senato nuovi ajuti per il suo popolo, e per sé la giu- 
risdizione spirituale sulle chiese e sulla popolazione ortodossa del- 
le Bocche. Il senato gli accordò e T uno e V altro, come ce ne 
fanno fede due decreti del summentovato doge Cornaro. Nei primo 
di questi, in data 12 Maggio n. st 1718, cosi si esprime: „ Ponde- 
rati Del senato i vostri desiderii abbiamo stabilito : 1) Che possia- 
te esercitare la vostra giurisdizione spirituale nelle parti e nei 
luoghi che nella presente guerra vennero in potere della repubbh- 
ca e che vi sia libero Y esercizio del culto greco-serbo, dandovi 
inoltre facoltà, non solo di ristaurare le chiese che fossero state 
distrutte, ma anche edificarne delle nuove in tutti i luoghi appar- 
tenenti alla vostra giurisdizione spirituale ; 2) Che venti dei Ene- 
zi che governano nelle comuni di Bijeka e di Cmica, ricevano 
nìensilmente, vita durante, il soldo di cinque ducati (d' allento), 
che verranno sborsati dalla cassa di Cattare ; 3) Che sia esente 
ogni abitante delle suddette due nahije, dal pagar dazio sui pro- 



♦) Laugier T. XII, pag. 316. 



108 

dotti indigeni, che volesse importare nel nostro territorio, e 4) 
Che sieno loro dati 400 focili ed altrettante spade air albanese/ 
E nell' altro decreto dei 4 Giugno n. st. dello stesso anno, 
ecco le parole dello stesso doge Gomaro: , Dietro nuova istanza 
del vescovo Danilo, fii deciso nel senato : che al suddetto vescovo 
di Cetiiqe e della Skenderia, nonché ai suoi successori, resti con- 
fermata la giurisdizione, a senso del decreto del 12 Maggio del 
l'anno corrente; che ai nostri sudditi di religione greco-serba, ap- 
partenenti alla sua diocesi nelle nostre Provincie, tanto di vecchio 
che di nuovo aquisto, sia permesso di riconoscerlo per loro vesco- 
vo e pastore. Ove poi seguisse che le armi della repubblica ri- 
conquistassero i possedimenti nelF Albania, i sudditi che appartenes- 
sero alla sua ^arhia^ di religione greco-serba, dovrebbero a lui 
sottomettersi nello spirituale, senza turbare la giurisdizione degli 
altri vescovi ; e che egualmente le chiese di sua religione, da lui 
dipendenti, non vengano molestate da alcun altro vescovo, né la- 
tino, né greco, né serbiano, e che sieno libere da qualunque im- 
posta; ma che però nei paesi di vecchio aquisto, non possano 
erigersi nuovi fabbricati, né per chiese, né per monasteri. In riguardo 
poi alle visite canoniche, che veirebbero dati i necessari ordini al 
governatore generale della Dalmazia, perchè desàe relazione 
se nelle terre di vecchio aquisto, spettanti alla diocesi del sum- 
menzionato vescovo di Skenderia, od egli stesso o taluno dei suoi 
delegati fosse venuto prima in visita canonica, colla sanzione e col 
beneplacito del Senato. *) 

Dopo di aver ottenuto dalla repubblica veneta tutto ciò che 
aveva dimandato, il vladika Danilo coi primati delle nahije di Ri- 



*) Gli orìgÌBali di tutti tre i sopracitati decreti, sono scritti su pergamena e 
da ognuno pende un sigiUo; erano custoditi sotto chiave dal defunto vladika 
Pietro II P. Njegoi, il quale me li comunicò, dandomene copia in lingua i- 
taliana. — Né solamente le nahye del Montenero, ma anche quelle di Br- 
da ricevano in queU' epoca le munizioni di guerra dalla repubblica veneta, 
per la quale versavano il loro sangue, contro i Turchi. Uno di tali decreti 
dei Veneziani a quelli di Ku£i, fio potifto leggere in copia. 



104 

jeka e di Crnica si restituì soddisfatto in patria, dove attendeva 
soltanto una propizia occasione per condurre contro i Turchi i suoi 
Montenegrini, congiungendosi colle armate venete. Il momento non 
tardò a presentarsi. Il celebre maresciallo Schulenburg (che al 
servizio di Augusto II, Elettore di Sassonia e rè di Polonia ave- 
va combattuto contro Carlo XII rè di Svezia, e nel 1711 era en- 
trato al servizio veneto), aveva condotto V armata di terra da Cor- 
fù neir Albania. Nel mese di Luglio si uni a lui il vladika Dani- 
lo, alla testa dei Montenegrini, ed assieme posero Y assedio a 
Dolcigno. *) Innalzate le trincee e collocatevi due batterie, Schu- 
lenburg prese a battere la città coi cannoni ed in breve ne 
guastò tutti i fortilizii. Il poderoso esercito turco, che s' era 
accampato non lungi da quello degli alleati, li assaltò d' improvvi- 
so; ma dopo un accanito combattimento, che durò intere sette o- 
re, i Turchi furono costretti a ritirarsi, lasciando sul campo più 
di mille morti. Poi, appunto quando Dolcigno stava per arrendersi, 
il senato veneto mandò ordine allo Schulenburg di sospendere le 
operazioni, in seguito al trattato di pace conchiuso a Passarowitz 
ai 9 di Luglio. Il maresciallo fece annunziare coir araldo ai Tur- 
chi la pace firmata, ma essi non vollero prestarvi fede. La dimane 
4 Agosto n. st, imperversò .un fortissimo uragano, il quale ruppa 
spinse in alto mare, tutti i legni veneti eh' erano presso la co- 
sta. Schulenburg si trovò alle strette; non gli era concesso di po- 
tersi rimbarcare e diffettava di vettovaglie. Per buona sorte, dopo 
alcune ore, cessò il temporale e le navi, eh' erano state staccate, 
poterono riaccostarsi alla spiaggia, prima deir oscurità. Nella not- 
te seguente il maresciallo coir armata si mise sulle mosse, ma 
rapidamente venne inseguito dai Turchi, che incessantemente lo 
molestavano. Allo spuntar del giorno si trovò circondato da ogni 
parte dall' inimico ; allora egli, disposte in colonne serrate tutte le 



*) La Cronaca Montenegrina : ^ìieìT anno 1718 il vladika Danilo andò a Ve- 
nezia e nello stesso anno i Montenegrini mossero con lai contro Dolcigno, 
ma inutilmente, gli uragani distrussero V armata del principe^. 



105 

sue truppe, si apri felicemente una strada fino al mare, dove 
s'imbarcò con tutta V armata e con tutti gli attrezzi di guerra, e 
partì per Cattaro, *) ed i Montenegrini si ritirarono tra le loro 
inaccessibili rupi. L' ajuto montenegrino così ad Àntivari come a 
Dolcigno ascendeva a più di 5000 combattenti. **) 

Quanto utile era stata per Y Austria la pnce di Passurowitz, 
altrettanto era dannosa per la repubblica veneta. La prima vi a- 
veva avvantaggiato la Valacchia fino al fiume OIU), Temesvar col 
Ballato, Belgrado colla maggior parte della Serbia, nonché una 
porzione della Bosnia; la seconda al contrario dovette cedere per 
sempre la Morea ai Turchi, e come ben meschino compenso le si 
concedeva la piccola fortezza d* Imoski neir Erzegovina, ed altre 
cinque o sei fortezze e villaggi di poca importanza nella Dalma^ 
zia e neir Albania, aggiungéAdovi Grbalj, il quale non aveva mai 
riconosciuto la dominazione turca, ma si teneva coi Montenegrini, 
combattendo i Turchi unitamente a loro. 

Quantunque da quesf epoca la repubblica veneta, declinando 
qualunque ingerenza nelle guerre e decadendo dall' altezza del suo 
potere e della sua gloria, passasse in pace i suoi giorni fino air 
ultima sua caduta, pure, per circa 30 anni, non interruppe le sue 
nmichevoli relazioni coi Montenegrini, ma puiitualmente per lungo 
tempo pagò loro i soldi convenuti nei decreti da noi sopra citati, 
anzi confermò gli stessi, primieramente ai 20 Febbrajo del 1720 
s. yen. e quindi ai 21 Novembre del 1721, per mezzo del suo can- 
celliere a Cattare Giovanni Francesco Palina; né per tutto il tem- 
po che le rimase d' esistenza, impedì mai ai vescovi del Montene- 
ro la loro spirituale giurisdizione sui suoi sudditi ortodossi nelle 
Bocche. Con tale procedere essa mirava particolarmente ad assicu- 
rarsi più facile e più c«to il possesso delle tre comunità monte- 
negrino di Maine, Pobori e Braiéi, che erano rimaste sotto 



*) Laugìer, T. Xn, pag. 321-823. 
*"*) Grlica del 1886, pag. 51-62. 



106 

domioazione di lei nel summentovato anno 1718. Collo staccarsi di 
queste comuni, il Montenero perdette la sua immediata comunica- 
zione col mare. 

Sperava il vladika Danilo che almeno dopo la pace di Pas- 
sarowitz, il Montenero sarebbe rimasto in pace e ch'egli quindi 
avrebbe passato tranquillamente il rimanente dei suoi giorni; die- 
de principio adunque alla costruzione di alcuni edifizii, tra cui il 
più ragguardevole era la chiesa, che fabbricò a Cetinje, *) nel 
1724, coi materiali del distrutto monastero. Ma tra le sue pacifi- 
che occupazioni nelF interno, vennero nuovamente a molestarlo i 
Turchi. Nel 1727 il beéir-pascià Cengié, desideroso di vendicare i 
suoi congiunti, stati uccisi a Cevo, raccolse alquanta truppa nel- 
r Erzegovina e con questa aggredì il Montenero, donde ritornò scon- 
fitto ed avvilito. È vero che in questa spedizione giunse a fug- 
girsene salvo, ma, dopo alcuni anni, i Russi lo uccisero nella bat* 
taglia di Oèakow. **) Topal-Osman-pasdà, begler-beg di Romelia, 
raccolto un esercito in Macedonia ed in Albania, assalì nel 1732 
quelli di Piperi, i quali, coir ajuto di quelli di Kuói, riportarono 
sopra di lui una segnalata vittoria. Secondo le asserzioni del vla- 
dika Basilio era tradizione tra il popolo, che Iddio avesse operato 
un miracolo nel momento in cui si scontrarono le armate, poi- 
ché i cristiani videro innanzi a loro un uomo montato sopra un caval- 
lo bianco, rassomigliante al grali martire S. Giorgio, il quale at- 
teri i Turchi di modo, che Topal-Pascià fuggì solo da Podgorica. 
Egli perì in seguito nella campagna contro i Persiani. ***) 



*) La Cronaca Montenegrina : «NeU' anno 1724 il rladìka Danilo fabbricò 
~ a Getiige una chiesa dedicata alP Annunziazione della SS. Vergine, nonché 
una casa a ICi^'stoije (monte a Lovòen) ed un altra a Stanjevi<$i e nel 
villaggio di Dobro un iga ed un arniajo.'' — La summentoyata chiesa 
quantunque fosse stata abbruciata in seguito, fu nondimeno rifabbricata. 
È congiunta col monastero ed è la cattedrale, dedicata, come per 1' io- 
nanzi, aU' Annunziazione. 
••) Grlica del 1836, pag. 52. 
•♦♦) Id. ibid. 



107 

n vladika Danilo non trascurò frattanto di regolare T ammi- 
nistrazione intema del paese. Ancora nel 1718 aveva installato un 
governatore ed alcuni srdarì e knezi, perchè decìdessero delle liti 
e mantenessero V ordine tra il popolo, istituziont» che si manten- 
ne per tutto il corso della vita di lui. 

Dopo lunghi ed indefessi travagli per il bene della sua pa- 
tria, rìstauratore della libertà dei Montenegrini e gloria della sua 
nazione, il vladika Danilo passò a miglior vita al principio del- 
Tanno 1735« '*') Le sue gesta, or da noi brevemente accennate, fan- 
no testimonianza eh' egli fosse eccellente e benemerito qual ve- 
scovo, saggio qual principe, ed, all' occorrenza, avveduto politico, 
valoroso eroe, attaccato di cuore e d' anima alla patria. È per 
suo merito che governa oggigiorno nel Montenero la famiglia Pe- 
trovié-NjegoS ; egli Gì il primo che attirasse Y attenzione della gran- 
de Russia sul Montenero, che ai giorni nostri divenne poi un prin- 
cipato secobrizzato. 

Dopo Danilo succeddette nel governo suo nipote, Sawa Petro- 
vié-NjegoS, cui il patriarca serbiano Moise Curia, aveva consacra- 
to vescovo, ancora nel 1719, quando s' era recato nel Montenero. 
Subito al principio del suo governo, nell' anno 1736, Sawa edi- 
ficò una piccola chiesa a Stanjeviéi. *♦) 

A cagione dei Tartari della Crimea, che invadevano i limi- 
trofi paesi russi, devastandoli ; Y imperatrice Anna Ivanowna, dichia- 
rò la guerra alla Turchia nel 1736. In questa occasione Y impera- 
tore Carlo VI, quale alleato della Russia, mosse il suo esercito 
contro i Turchi. Nel seguente anno 1737 gli Austriaci conquista- 
rono Nifi ed U2ice e posero Y assedio a Vidino ed il maresciallo 
russo Miinich, sopranominato dai Russi il falcone^ prese Oéakow 



*) Griìca dtl 1836, pag. 58. La Cronaca Montenegrina; „Morì il vladika Da- 
nilo agli 11 Genn^'o dell' anno 1785. 
**) La Cronaca Montenegrina: NelPanno 17S6 il vladika 8avva eresse a Sta- 
Qjeviói una chiesa, dedicata alla SS. Trinità, unendovi un monastero. 



108 

e Hotin colla Moldavia. Frattanto il patriarca serbiano Araenìo IV 
Jovanovié, dietro appello delP imperatore Carlo, sollevò buon du- 
mero di Serbiani contro i Turchi ; ma questi, non solo sconfisse- 
ro i Serbi talmente, che il patriarca potè a stento fuggire con 
pochi de^ suoi su terra tedesca, ma ripresero anche agli Austria- 
ci Nifi ed U2ice. Nel frattempo avevano dato di piglio alle ar- 
mi anche molti Montenegrini di Brda, da Euii, Vasojeviéi, e Pi- 
peri ed unitisi alla tribik dei Klimenti> avevano tolto ai Turchi : 
Novi-Pazar, Bo2ai, Bjelopo](je, Peé, P^akovac e Prizren. A loro s' e- 
rano congiunti anche i Turchi di Has, dalle città di Piava e 6u- 
sinje, promettendo che sarebbero passati al cristianesimo. Quei di 
Brda combatterono pure coi Turchi nella contea di Dragaòevo, ma 
inutilmente, essendo loro mancati gli ajuti ed i rinforzi promessi 
dal comandante dell' armata austriaca, il maresciallo Seckendorf. 
Quando nel seguente anno 1738, il bano della Croazia, Giuseppe 
Esterhàzy, assali i Turchi della Bosnia, i Montenegrini e gli £r- 
zegovesi avevano prese le armi, tentando di congiungersi coi Croa- 
ti, ma furono impediti dal pascià della Bosnia, Hekimzabe (fi- 
glio di Dokmor) Ali-pascià, il quale accorse coli* armata neir Erze- 
govina, fece tagliare a pezziì caporioni dell' insurrezione e cominciò 
ad opprimere il popolo più tirannicamente che per T innanzi. Le 
sfavorevoli circostanze costrìnsero V Austria ed insieme la Rus- 
sia a stipulare la pace coi Turchi a Belgrado il 1. Settembre del 
1739. L' Austria restituì ai Turchi Belgrado colla Serbia e colla 
Valacchia, *) conquistate 20 anni prima; e la Bussia, quantunque 
nulla avesse perduto, non avvantaggiò nemmeno di nulla, non fa- 
cendo conto delle sue vittorie e dei suoi sacrifizii. 

Nel summentovato anno 1739 i Turchi, sotto il comando di 
Hudarevdì-pascià Mahmudbegovié, attaccarono Ku£i, ma furono re- 



') I. Raió. Storia deUa nazione SlaYa. T. lY. pag. 188-198. 



109 

spinti e 70 dei più cospicui Turchi perdettero la vita in un forti- 
no, al quale era stato appiccato il fuoco. '*') 

Dalla morte di Pietro il Grande (1725), nessun Montenegri- 
no s* era recato in Russia per ricevere V elemosina da lui desti- 
nata per il monastero di Cetipje, quindi il vladika Savva intrapre- 
se un viaggio per Mosca nel 1742. Fft ricevuto benignamente dal- 
l' imperatrice Elisabetta, che lo regalò generosamente, come ci fu 
fede un suo manifesto indirizzato in tale circostanza ai Montene- 
grini. Fra le altre cose che si contengono in quel documento, data- 
to del 1744, vi sono le seguenti espressioni: „In virtù dell' impe- 
riale Nostra graziosissima benevolenza, per V afifezione dimostrata 
anteriormente dai Montenegrini a Sua Maestà imperiale V . Augu- 
stissimo Nostro genitore, di santa e sempre gloriosa memoria, vi 
vengono regalati dalla Nostra cassa, e spediti col mezzo del re- 
verendissimo vostro metropolita Savva, quale sussidio per la ripa- 
razione della vostra santa chiesa e convento, tre mila rubli in 
danaro, allo stesso metropolita vengono sborsati altrettanti, qual 
saldo dell' accordata elemosina al monastero di Cetìnje, per tutte 
le annalità arretrate fino al 1748; collo stesso mezzo vengono in- 
viati nel Montenero gli abiti arcivescovili ed i necessarii apparati 
per sacerdoti e per diaconi, come pure il vasellame d'argento per 
la chiesa ed un suffidente numero di libri litui'gici; oltreché al 
metropolita ed ai suoi compagni, si accordano 1000 rubli per le 
spese del viaggio di andata e ritomo. Speriamo che tutto questo 
sarà da voi ricevuto con gratitudine, d' altronde la Nostra grazia 
imperiale a vostro riguardo non sarà mai per venir meno.** 

Nel suo ritomo dalfa Russia, il vladika passò per Berlino, 
dove ricevette in dono dal rè di Pmssia, Federico il Grande, una 
croce vescovile d' oro. **) Reduce nel Montenero, per accondiscen- 
dere al desiderio di tutto il popolo, nominò per coadiutore e suc- 



*) Grlica del 1886, pag. 63. 
**) 8. Miiutinovié, pag 111. 



no 

cessore il suo cugino Basilio PetroYÌé-Njego§ e lo inviò dal patriar- 
ca serbiano in Ipechia (Peé), Atanasio Gavrilovié, perchè presso 
di lui facesse gli studii. Basilio, dopo di esser rimasto a tale sco- 
po per diversi anni dal suddetto patriarca *), nel 1750 fu da lui 
consacrato vescovo, col titolo di metropolita della diocesi diSken- 
deria e delle provincie marittime e dì esarca della cattedra del 
patriarcato sloveno-serbo d' Ipechia. **) 

Nello stesso anno, poco prima del ritomo in patria del vla- 
dika Basilio, ì Turchi della Bosnia e dell' Erzegovina attaccarono 
i confini del Montenero, ma sconfitti, dovettero ben presto retro- 
cedere. ***) 

Reduce in patria, il vladika Basilio assunse tosto il gover- 
no degli a£fari pubblici, e Savva, d' indole troppo mite e pacifica, 
si ritirò nel convento di Stanjeviéi, occupandosi d* economia. ****) 
11 potere che i capi esercitavano sul popolo, all' epoca del vladika 
Danilo, s' era di molto indebolito. Essendo diviso il popolo in tri- 
bù ed in casati, riteneva che veruno, che non ne facesse parte, a- 
vesse diritto di giudicarlo e punirlo delle sue trasgressioni. Fre- 
quentissimi quindi gli odii tra le famiglie, le rapine, gli spogli, le 
uccisioni e le vendette di sangue. Il vladika Basilio decise di por 
freno a tanti disordini, istituendo dei tribunali. Membri di questi 
gindizii erano i srdari ed i kuezi, i quali, in alcuni circondarii 
nei quali mancavano, furono da lui nominati e fu loro preside in 
queir epoca il distinto Stano (Stanislao) Badonié da Njeguà. f 
Egli era prima soltanto srdaro, ma Vukota Vukotié da Cevo gli 
cedette la carica di governatore, prendendo in cambio il posto 
di lui e 100 zecchini in aggiunta. 



•) S. Milntinoyió, pag. 78. 
**) Grlica del 1886, pag. 54-65. 
♦••) Id. pag. 53. 
•♦*♦) Id. pag. 66. 

t Viaggio di A. N. Papow nel Montenero. Pietroburgo 1847, pag. 91. 



IH 

Nella fiducia che questi capi, in compagnia del vladika Sav- 
va, sarebbero stati capaci di mantenere la soggezione e la concor- 
dia tra il popolo, il yladika Basilio nel 1752, partì alla volta del- 
la Bussia, per la nota elemosina del monastero di Cetinje e per 
altri importanti interessi del suo popolo. L' imperatrice Elisabetta 
lo accolse graziosamente, regalandolo esuberantemente di denaro, 
di un abito arcivescovile, di apparati ecclesiastici per sacerdoti e 
per diaconi, di libri liturgici e di una teca con reliquie (panagi- 
ja) adoma di preziosissimi brillanti. Questi doni furono accompa- 
gnati da un diploma imperiale di data 8 Maggio 1754. Lo stesso 
vladika Basilio in uno scritto, confessa di aver ricevuto quella vol- 
ta dall^ imperatrice, in danaro contante, molto pili di 5000 zec- 
chini. *) 

Con questi regali, splendissimi per que^ tempi, il vladika Ba- 
silio affrettò il suo ritomo in patria, per far lieto il popolo di tan- 
te grazie delP imperatrice ; ma, con suo immenso sconforto e do- 
lore, trovò tra i Montenegrini la massima scissura. Alcuni dei 
capi s' erano inimicati tra loro ed avevano suscitato tra il popolo 
tanta discordia che si trovarono alcuni apostati, la cui viltà arrivò 
a tale, da recarsi nel 1754 dal vezir della Bosnia, Mehmed-pascià 
e da li a Costantinopoli, promettendo al sultano eh' essi sottomet- 
terebbero all' autorità di lui il Montenero, i cui abitanti spon- 
tanei pagherebbero un tributo alla Porta. Il sultano Osman III si 



*) Nel suddetto scritto il vladika Basilio rende conto deU' aso fatto di quella 
somma raccontando di aver distribuito tra i Montenerini, Primorci, Ze£ani 
e Brgjani 2000 zecchini; di averne spesi 670 per la nuova chiesa di Maine 
e per altre fabbriche; di ayeme sborsati 520 per soddisfare ai debiti in- 
contrati dal monastero negli anni di carestia; 500 per P aquisto di nuove 
campagne, e di aver spesi per il viaggio d' andata e ritomo 1600 zecchini. 
A ciò seguono immediatamente qveste parole : „Da quando ritomai dal- 
la Russia non ricevetti da veruno alcun denaro, e quel di' è peggio ancora 
alcuni , • . . tentarono di calunniarmi innanzi al vezir deUa Bosnia 
e presso la sublime Porta a Costantinopoli, qual sovvertitore del Montenero, 
per il qual motivo dovetti spender molti danari per render vani i loro ten- 
tativi. Questo scrìssi io vladika Basilio, neU' anno 1756 ai 2 Marzo nel 
miserabile convento di Cetii\je.^ 



112 

lusingò allora che si avrebbe fiiciiinente assoggettato il Montenero, 
coir ajuto di alcuni traditori, impresa che non era riugcita alle 
premure dei suoi predecessori colla forza dell' armi; ed infatti vi 
sarebbe anche pervenuto, quando il vladika Basilio non V avesse 
impedito. Ritornò egli oppoi-tunamente in patria nel 1755, e non 
risparmiò né alcun travaglio, né le sue sostanze fino all'ultimo o- 
bolo, per riconciliare i capi tra loro e ricondurre V unione tra il 
popolo. 

Quando il sultano s' accorse che i suoi progetti erano stati 
sventati, per opera del vladika Basilio, ordinò al vezir della Bo- 
snia di cercar modo e maniera come, o colle buone o colle cattive, 
ridurre il Montenero alla soggezione della Porta ottomana. In se- 
guitò a questo il vezir suddetto nel 1766 indirizzò uno scritto al 
vladika Basilio, intimandogli di pagare il tributo dovuto dal Mon- 
tenero, minacciandolo in caso contrario, d* un invasione a mano 
armata. Tale intimazione offese al vivo il vladika, il quale, quan- 
tunque mancasse e di denaro e di munizioni, rispose al nemico in 
tuono risentito e beffardo. Il vezir di Bosnia spedi allora un suo 
luogotenente, con 40000 uomini tra Bosniaci ed Erzegovesi, per- 
ché devastassero ed incendiassero il Montenero e lo costringesse- 
ro a pagare il tributo. I Montenegrini attesero V armata turca sul 
confine, di fronte ad OnogoSt Le si opposero valorosamente per 
quindici giorni, poi furono costretti a ritirarsi, avendo esaurite tut- 
te le munizioni e non potendosene provvedere da alcuna parte, 
giacché il senato veneto tem^ndx) i Turchi, che potevano facilmen- 
te aggredire i suoi mal difesi possedimenti, aveva proibito la ven- 
dita della polvere e del piombo ai Montenegrini. I Turchi avanza- 
rono quindi fino a Cavo, che saccheggiarono ed incenerirono, e co- 
là s' accamparono. Quando la disperazione dei Montenegrini ave- 
va toccato il colmo, un benefattore serbiano dalle Bocche (peccato 
che non se ne conosca il nome!) mandò loro di soppiatto alcune 
migliaja di cartatucce. Rinvigoriti dall' inatteso ajuto, i Monteneg- 
rini air alba dei 25 Novembre attaccai*ono improvvisamente i Tur- 
chi, che spaventati e scompigliati si diedero alla fuga,abbandonan- 



118 

do a Cevo le tende, i bagagli e le inanizioni. I Montenerini non 
vollero loro permettere una quieta ritirata, ma inseguendoli li 
perseguitarono con un fuoco ben nutrito, fino a Brogjanci, presso 
Onogoèt, donde ritornarono appena a notte avanzata. In questo 
scontro perdettero la vita molti Turchi e sarebbe rimasto sul cam- 
po anche il luogotenente del vezir, se i suoi sulle spalle non lo 
avessero trasportato ferito fino ad OnogoSt *) Questo fatto incusse 
tanto rispetto ai Turchi per il vladika Basilio, che lui vivente, 
quand' anche si trovava air estero, non ardirono più mai d' attac- 
care il Montenero. 

Conoscendo che non vi poteva essere regolare organizzazione, 
né retta amministrazione giudiziaria senza coltura, il vladika Ba- 
silio con quindici giovanetti montenegrini e con quattro dei loro capi, 
partì per Pietroburgo. Colà arrivato, collocò questi fanciulli in un 
istituto, acciò apprendessero dallo studio a divenir utili alla loro 
patria; **) poi nel 1758, dopo ricevuti alcuni regali dall' impera- 
trice Elisabetta, ritornò nel Montenero coi suddetti capi, ad eccezio- 
ne del governatore Stano Radonié, che morì a Pietroburgo. Dopo 
ciò il vladika Basilio visse ancora parecchi anni tra i Montene- 
grini, e quantunque non gli riescisse di procurar loro qualche im- 
portante sovvenzione dalla Russia, pure si rese molto benemerito 
col mantenere tra loro la concordia. Fece un viaggio a Venezia 
tentando di ottenere dal senato il soldo già accordato ai capi Mon- 
tenegrini, ma le sue premure non furono coronate da felice suc- 
cesso. 

Intraprese noi 1 765 di bel nuovo un viaggio in Russia che fu il 
terzo e V ultimo, per complimentare V imperatrice Caterina II, a- 
scesa sul trono, e per impetrare da quella corte qualche sussidio 
pecuniario per poter introdurre un governo regolare e per istituire delle 



*) Grlica del 1836, pag. 53-64 Esiste un canto nazionale che celebra questo 

scontro. 
•*) S. Milntinovid, pag. 90. 

8 



114 

scuole popolari ; nonché per riprendere i giotani Montenerini, ri- 
masti a fare i loro studii; *) ma breve tempo dopo il suo arrivo, 
nel 1766 ammalò e morì a Pietroburgo **) ai 10 di Marzo, nel- 
r età di 57 anni. Erano presenti alla sua morte il suo nipote, al- 
lora diacono, Pietro Petrovié NjegoS, ed un vecchio monaco da 
Maine; tutti due in queir istesso anno ritornarono dalla Russia 
nel Montenero, riportando tutti gli effetti rimasti del defunto, tra 
cui trovavasi una mitra arcivescovile cogli abiti sacerdotali, rega- 
latigli dall' imperatrice Caterina, e furono accompagnati da due 
officiali russi. ***) 

Verso r autunno del 176T, nel litorale delle Bocche, comin- 
ciò a buccinarsi di uno strano individuo, conosciuto sotto il nome 
di Stefano il Piccolo, sedicentesi Czar delle Russie. Due anni in- 
nanzi, spacciandosi per medico, aveva costui viaggiato per tutto il 
Montenero, informandosi sul genere di vita e suoi costumi dei 
Montenegrini, nella qual occasione potè convincersi del loro attac- 
camento alla Russia. Fermò quindi la sua dimora in vicinanza del- 
la città di Budua, nel comune di Maine, dove per lungo tempo 
condusse povera vita, senza attirarsi la pubblica attenzione. Al 
principio del 1767 le sue mediche imposture gli aprirono 1' acces- 
so in casa di un tale Vuk Markovic di Maine, che, cagionevole 
di salute in quel tempo, ricorse alle sue cure. Da lì incomincia- 
rono a spargersi sul conto di Stefano delle vaghe dicerie colle 
quali si cercava di far supporre che, sotto quegli abiti da mendi- 
co, potesse celarsi un personaggio di alta distinzione ed importan- 
za. 

La mania per le novità, quand' anche assurde, che tanto 
facilmente s' insinua nella mente del volgo, fece credere agU abi- 



*) S. Milutinovió, pag. 91. 

**) Grlica del 1836, pag. 66. 

*♦*) S. Milutinovié, pag. 92-93. 



115 

tanti delle tre comuni di Maine, Pobori e di Braiéi, che, sotto il 
pseudo-medico, potesse nascondersi lo czar delle Russie Pietro UI, 
deposto dal trono e morto nel 1762. A fomentare questa creden- 
za tra il popolo si dava particolar premura un certo Marco Ta- 
Dovié, capitano di Maine, che garantiva colla propria vita, esser 
veramente Stefano, lo czar delle Russie. Il volgo prestava piena 
fede alle sue parole, perchè il Tanovié godeva molta fiducia qua- 
le capo del comune, e perchè, essendo stato in Russia col defunto 
vladika Basilio, aveva avuto occasione di conoscere personalmente 
Pietro, mentr'era ancora principe ereditario. Avvalorova le asser- 
zioni del Tanovié nell' opinione del popolo, un ritratto dello czar 
Pietro III, che si conservava nel monastero di Maine e che aveva 
grandissima rassomiglianza colle fattezze di Stefano il Piccolo. In 
breve la notizia si divulgò per tutte le Bocche di Cattare e nel 
Moutenero ; e gli abitanti del canale, ad insaputa del governo ve- 
neto, gli spedirono in dono uno stemma imperiale ed uno scettro, 
i capi Montenerini vennero palesemente a tributargli omaggio, 
e quelli di Brda, di Bjelopavlici, di Piperi, di Ku6i e di alcuni al- 
tri distretti, gli presoitarono in dono dei montoni e del burro, I 
Montenegrini gli esternarono in quest* occasione il desiderio di po- 
ter udire dalla sua bocca chi egli veramente si fosse, al che rispo- 
se: che si sarebbe allora palesato, quando i loro casati scissi 
in quel momento da discordie e risse, si fossero solennemente 
pacificati nell'assemblea generale. 

Il 20 Settembre circa, V assemblea si raccolse ma, o volesse- 
ro mettere alla prova Stefano il Piccolo, o fossero insinuazioni del 
vladika Savva, non si conchìuse già la pace, ma solamente una 
tregua fino al giorno di S. Giorgio. Fecero parte di quest'adunan- 
za, tra gli altri capi, i sunnominati Vuk Markovié e Marco Tanovié, 
il primo come cancelliere e V altro come ajutante di Stefano, in 
quaUtà di deputati delle tre comunità del litorale. I Montenegrini 
inviarono una deputazione di alcuni tra i loro capi, unitamente al 
Tanovié, a Stefano il Piccolo per fargli conoscere la presa delibe- 
razione. Ma quando egli riseppe quanto era stato stabilito, lace- 



116 

rato sdegnosamente il foglio che glielo annunziava, lo calpestò, 
rispondendo ai deputati aver egli imposto la pace e non già una 
tregua, che quindi in seguito non sperassero da lui né consìgli né 
comandi, quand'osassero menomamente modificare quanf egli or- 
dinasse e decretasse. 

Il popolo il quale (eguale in questo dapertutto) resta sempre 
terrorizzato da coloro ai quali egli non arriva ad imporre, smesse 
della sua protervia a quest' albagioso procedere del sedicentesi 
czar e cominciò ad apprezzar vie maggiormente Stefano. Frattan- 
to il vladika Savva, cui stava a cuore che i Montenegrini ricono- 
scessero per suo successore il nipote di lui Arsenio Plamenac, si 
recò a visitar Stefano, interessandolo a volerlo secondare in que- 
sto progetto, con che accrebbe l'importanza di lui agli occhi dei 
Montenerini, Stefano, accortosi di ciò, scrisse loro tosto una lette- 
ra imponendo recisamente che si radunassero nuovamente in assem- 
blea per conchiudere la pace, mettendo in dimenticanza le passa- 
te mutue offese, o si trattnsse di spogli, o di rapine, o di ferimen- 
ti, di omicidii; raccomandando loro nell* istesso tempo, di rico- 
noscere per loro futuro vladika Arsenio Plamenac. I Montenegrini 
eseguirono quanto Stefano aveva impósto e tenuta l'assemblea, gli 
inviarono a Maine una deputazione di 60 dei loro capi, perchè 
a nome di tutta la popolazione del Montenero e di Brda 
lo riconoscessero quale imperatore delle Russie e loro signore. 
Egli accolse con benevolenza i deputitti, approvò le deliberazioni 
prese nell' assemblea, raccomandando loro di conservare tra il po- 
polo la pace, la concordia ed il buon governo, colla promessa che 
tra non molto avrebbero inte&o da lui stesso, chi egli veramente 
si fosse. Da tutto il suo discorso non trapelò punto né che ago- 
gnasse al titolo d' imperatore, né che lo rifiutasse. Breve tempo 
appresso, pochi giorni dopo la festa di S. Demetrio, si rifuggiè 
nel Montenero 1' tiltimo patriarca serbo, Basilio Yrkié. Era stato 
deposto dai Turchi, dopoché i Greci avevano comperato il diritto 
del patriarcato della Serbia, e si voleva mandarlo in esilio, senon- 
chè egli, accortosene, fuggì. Fu accolto con gioja da Stefano, il 
patriarca consacrò per vescovo Arsenio Plamenac. 



117 

La repubblica di Venezia, temendo che tutti gli abitanti del- 
le Bocche, per la maggior parte Serbiani ortodossi, non aderissero 
al sedicentesi czar, per opporre un argine, mandò il suo governa- 
tore generale della Dalmazia a fissare la residenza a Cattaro. Ar- 
rivatovi, fece chiamare innanzi a sé alquante persone delle sunno- 
minate tre comunità litoraU, dando loro ordine, che senza indugi! 
facessero allontanare dalle province venete l'impostore e ritornas- 
sero poscia a Cattaro, dove sarebbe loro concesso il perdono di 
tutto il passato. Quantunque nessuno delle suddette tre comunità 
ubbidisse a questa intimazione, pure essa giovò molto per le altre 
comuni delle Bocche, molti capi delle quali arrivarono a Cattaro, 
dichiarando di esser pronti a sottomettersi e ad ubbidire in tutto 
al governo veneto, loro legittimo padrone. 

Verso la metà del mese di Qennajo 1768, Stefano il Piccolo 
si trasferì a Cetinje dove, radunato tutto il popolo del Montenero 
e di Brda, si proclamò quale imperatore delle Bussie, Pietro III, 
dichianuido però di non \oler esser chiamato in appresso impera- 
tore, ma sibbene Stefano, non assumendo infatti in tutti gli atti 
ufficiosi altro titolo, che quello di Stefano, piccolo coi piccoli^ buo- 
no coi huoni^ cattivo coi cattivi. Dopo alcuni giorni si recò, uni- 
tamente ai capi del popolo, nel monastero di Stanjeviéi, donde 
cacciò tutti i monaci, e pose sotto custodia il vladìka Savva, pren- 
dendogli cento montoni, sotto pretesto eh' avesse nascosto molta 
parte del danaro mandato dalla Bussia ai Montenegrini; ma qual 
vera cagione dell' arresto si riteneva una lettera intercettata del 
vladika ad un s«o falso amico, nella quale diceva esser Stefano 
il Piccolo, un bugiardo ed un impostore. I Montenegrini non solo 
non si mossero a compassione della disgrazia del loro vladika, ma 
lo accusarono invece che nelF anno della fame 1741, avesse com- 
perate alcune loro terre a prezzo vilissimo. Intesi questi lamenti, 
Stefano si recò personalmente sulle terre indicategli, ed avendo 
i capi riconosciuto eh' esse valessero molto più del prezzo per es- 
se sborsato, le restituì ai primi possessore e condannò il vladika a 



118 

perdere il denaro della compera. Ai primi di Marzo il vladika fu 
liberato dall' arresto. 

Stefano risiedeva abitualmente a Maine, nella casa del surri- 
cordato Vuk Markovié, dove teneva alcune guardie, e soltanto di 
tratto in tratto si recava nel Montenero, trattenendovisi per bre- 
ve tempo. Rìesciva incomoda ai Veneziani la sua dimora sul loro 
territorio, temendo particolarmente che i Turchi non ne facessero 
loro una colpa. Non ardivano di cacciarlo colla forza, per paura 
di produrre così una sollevazione nelle Bocche, ma col mezzo dei 
loro impiegati, gli mandavano delle cortesi sollecitazioni, pregando- 
lo di allontanarsi dal loro territorio, per liberarli da qualche scia- 
gura. 

Sia per accondiscendere alle preghiere dei Veneziani, sia per 
qualche altra ragione, ai 12 d' Aprile, Stefano abbandonò Maine 
trasferendo il suo domicilio a Cetinje, donde dopo alcuni giorni 
passò a Njegos allogandosi nella casa del governatore Giovanni di 
Stanislao Radonié. Colà continuamente era visitato dai capi del 
paese, cui dava consigli sulle piii interessanti pubbliche faccende, 
pronunziando delle sentenze e tenendo a sua disposizione una guar- 
dia di diciotto uomini, esecutori de' suoi comandi. Fu da lì che die- 
de r ordine, eseguito alla fine del suddetto mese, di fucilare e 
poscia impiccare un tal Sujo Radanovié, da Cetinje inferiore, che 
aveva ucciso in rissa il proprio fratello ; da quel luogo Stefano il 
Piccolo comandò, che rasente la pubblica strada, che conduce al 
mercato di Cetinje, fossero sparsi dieci zecchini i quali, quantun- 
que vi rimanessero lungo tempo, non si trovò chi osasse di toc- 
carli; *) da quel luogo egli pubblicò diversi altri ordini, nei qua- 
li raccomandava alla popolazione la concordia e la sincera ami- 
cizia coi sudditi Veneziani loro limitrofi, minacciando i trasgresso- 
ri di multe e pene adequate. Proibì inoltre che nelle domeniche 



•) Grlica del 1836, pag. 57. 



119 

e nelle altre feste i Montenegrini si recassero al mercato di Cat- 
taro, com* era anteriormente costume. 

Finché Stefano risiedeva a Maine, i Tnrchi dell* Erzegovina 
e deir Albania, non s' occupavano gran fatto di lui, essi avevano 
solamente proibito che si vendessero vettovaglie e munizioni ai 
Montenegrini ed ai firgjani; ma dair epoca in cui si trasferì nel 
Montenero si diedero le mani attorno, incominciando a restaurare 
le fortezze, provvedendole di vettovaglie, di munizioni e di truppe. 
Gli agà di Antivari, di Dolcigno, di ^abljak di Podgorica e di 
Spu2 fecero rimostranze in iscrìtto al divano di Costantinopoli, per 
mezzo del pascià di Scutari, fecendo vedere che si trovavano in 
grande pericolo e bisognosi di ajuto e di truppe, a causa di Ste- 
fano, pronto a sollevare i rajà delle vicinanze del Montenero. In 
questo istesso senso scrissero a Costantinopoli anche gli agà delle 
fortezze dell' Erzegovina : NikSic, Kljuè (a Gacko), Klobuk e Tre- 
binje. Anche Giustiniani, ambasciatore veneto a Costantinopoli, 
dietro incarico del suo governo, che voleva allontanare qualunque 
dubbio del sospettoso divano, circa la sua cointelligenza coi Mon- 
tenegrini, per una rivolta dei rajà, rappresentava al Sultano, col 
mezzo del gran-vezir, che la presenza nel Montenero di Stefano 
il Piccolo, sotto titolo d' imperatore delle Russie, poteva cagiona- 
re alla Turchia degli imbarazzi nell' Albania e neir Erzegovina. 

Queste rimostranze diedero pretesto a Mustafà III, sultano 
saggio ed intraprendente, a dichiarare la guerra al Montenero. Su- 
bito neir estate cominciò a raccogliersi V armata e tostochè si 
credette bastantemente forte, alla fine d' Agosto attaccò da tre 
parti il Montenero : il vezir della Bosnia, Suleiman-pascià, con 
20000 uomini dalla parte di NikSiè; il Beglerbeg di Romelia con 
altri 20000 uomini dalla parte di Podgorica ; il pascià di Scutari, 
Mehmed BuSatlija, coi due pascià di Duka^jin e di Gjakovica, con 
27000 uomini dalla parte di Plavnice. S' ingaggiò una battaglia 
sanguinosissima, i Turchi attaccavano i Montenegrini con tutta la 
loro forza, ma questi colla loro abilità, valorosamente si oppone- 
vano, respingendoli dappertutto e sbaragliandoli. La mischia si 



120 

protrasse per lungo tempo, perdendo i Turchi sa tutti i punti, sol- 
tanto verso la fine i Montenegrini furono costretti di abbandonare 
il campo ; ed allora il vezir della Bosnia col Begleberg di Ro- 
melia entrarono colla loro armata a Cevo, dove posero il loro ac- 
campamento, dando alle fiamme Bjelopavliéi, PjeSivci e Bjelice ; ed 
il pascià di Scutarì irruppe a Cruice, appiccandovi il fuoco. *) 

Ad onta che 1' armata turca fosse forte di 100000 uomini» 
per lo meno, come pretendono gli storici veneti, di 67000; e 
che i Montenegrini, unitamente a quelli di Brda, non avessero potuto 
mettere in campo piiì di 10 a 12000 combattenti, avrebbero pure 
superato la forza numerica col valore e col vantaggio delle posi- 
zioni ed avrebbero riportato vittoria completa, quando non fossero 
mancate loro le munizioni, la cui importazione nel Montenero era 
stiita proibita dai Veneziani. La repubblica veneta non solamente 
per timore dei Turchi, ma qual potenza neutrale, avea dovuto proi- 
birne r esportazione dal suo territorio, come pure, temendo la ma- 
lafede turca, dovette guarnire di truppe tutto il confine delle Boc- 
che, dall' Erzegovina fino all' Albania turca, **) 

I Turchi sapevano in quale miserando stato " si trovasse il 
Montenero, sprovveduto di munizioni e speravano che intero si sa- 
rebbe arreso, senza più colpo ferire. In questa lusinga il Begler- 
beg mandò a dire ai capi di Cetiiye e di Njegoèi, che quanto pri- 
ma gli facessero aver vivo nelle mani Stefano il Piccolo, ma gli 
risposero : che Stefano era perito nella battaglia coi Turchi ed in 
prova gì' inviarono il suo cavallo stellato. ***) Irritato da questa 



•) Grlica del 1836, pag. 68. 

**) Chiunque ha approfondita la storia della repubblica veneta di qnel tem- 
po, avrà potuto convincersi quanti riguardi usasse allora coi Turchi e 
quanto li temesse ; non solo per non perdere le Isole Jonie, ultimo ri- 
masuglio delle sue conquiste neli' Oriente, ma perchè non trovassero pre- 
testo di toglierle quelle fortezze utìV Albania e nelle stesse Bocche di 
Cattare, che ancora rimanevano in suo potere. 

♦•*) Grlica del 1836, pag. 59. 



121 

risposta, il Begler-beg rispose che preparassero per lui e per le 
sue truppe gli alloggi a Cetii^e ed a Njegofi, dove avrebbe saputo 
rìtrovere il sedicentesi re Moscovita. 

Non V* era alcuna apparente probabilità di sMiute por il Mon- 
tenero, primieramente perchè i Tnrcld avevano divisato di soggio- 
garlo interamente ad ogni costo, ed in secondo lu<»go perchè i Mon- 
tenegrini erano assolutamente mancanti di munizioni; quando alcu- 
ne impreviste circostanze fecero cangiar di aspetto alla situazione. 
Ai 2 di Novembre un fulmine scoppiato suir accampamento vene- 
to presso Budua, fece saltar in aria i magazzeni delle loro muni- 
zioni ; ed un altro che nello stesso giorno scoppiò nel campo del 
pascià di Scutari spaventò talmente le truppe turche che atterrite 
da questo celeste flagello, cominciarono a disperdersi. Un altra fe- 
lice circostanza venne in ajuto dei Montenegrini, che riescirono di 
predare un convoglio di munizioni turche, dirette ai veziri a Cevo. 
Riflettendo sulF accaduto il Begler-beg ed il vezir della Bosnia, e 
vedendo imminente ormai la stagione invernale, rinunziarono al pro- 
getto di proseguire in traccia di Stefano il Piccolo, e ritirarono 
r armata da Cevo, inseguiti dai Montenegrini, che riportarono su 
di loro un importante vittoria. *) 

Narrano alcuni che Stefano non fosse nemmeno presente a 
questa battaglia, ma che sì nascondesse, appena risaputo che i Tur- 
chi s' avvicinassero al Montenero. Altri sostengono, ed è più verosi- 
mile, che combattesse contro i Turchi, ma che, quando quelli del- 
r Erzegovina superarono le trincee, eh' egli stesso avea fatto co- 
struire sotto il monte Ostrogper trattenere T inimico, si sottraesse 
colla fuga. Si ammetta qualunque di queste due versioni, è certo 
che non si diportasse valorosa^iente còme guerriero e che dopo 



*) Orlica del 1836, pag. 59— Vi sono due canti sa questa vìttorìa, che difieri- 
scono di molto V uno dall' altro. 11 primo si trova nelP ^Istoria del Monte- 
nero' di S. Milutinovió a pag. 96-100, e questo è P autentico ed il vero; 
r altro nell' „Ogledalo Srpsko" sotto il numero 24, è d' invenzione re- 
cente; e dove si scosta dal primo, non merita alcuna credenza. 



122 



questo fatto, si ritirasse presso un monaco nel villaggio di Gra- 
gjani, dove passò interi nove mesi. 

Dopo la sunnominata battaglia, il senato veneto fece arresta- 
re e porre in carcere alcuni dei caporioni delle tre comunità, da 
noi più volte ricordate, le quali nel 1718 erano state staccate dal 
Montenero e riunite alle province venete, e che avevano abbrac- 
ciato il partito di Stefano il Piccolo. Dietro le fatte investigazioni, 
due di questi furono condannati a morte, gli altri poi cacciati in 
bando ed abbruciate le loro case. *) Oggigiorno ancora si vedono 
in cima a Maine le mura della casa incendiata, in cui Stefano eb- 
be la sua residenza. 

Dalla pace di Belgrado, per circa 30 anni, quantunque 
non passasse la miglior intelligenza fra i due stati, pure non si e- 
ra venuto ad aperta guerra tra la Russia e la Turchia. Quantun- 
que la Porta gliene avesse dato più volte Y occasione col permet- 
tere che i Tartari della Crimea infestassero le provincie meridio- 
nali della Russia, pure T imperatrice Caterina, avendo rivolto tutta 
la sua attenzione all' organizzazione intema dell' impero ed alla 
Polonia, evitava di devenire ad un aperta rottura col Sultano. Ai 
Turchi non quadrava menomamente V ingerenza della Russia ne- 
gli affari della repubblica polacca, per questo motivo e più anco- 
ra per le istigazioni dell' ambasciatore francese, il conte di Verge- 
nes, il sultano Mustafà III nel 1768 dichiarò la guerra alla Rus- 
sia, che gli venne a costare tanto cara. Da queir epoca la Porta 
ottomana, fino allora formidabile per tutta 1' Europa **), cominciò 
a decadere dalla sua potenza. 

Al principio dell' anno 1769 la Russia cominciò i suoi pre- 
parativi, per opporsi alla Porta. In questo tempo il conte A, G. 
Orlow, che si ritrovava in Italia per oggetto di salute, rilevò che 
non solamente i Serbi della Dalmazia e delle Bocche, soggetti a 



•) S. MUutinovié, pag. 100. 
^*) Storia deUa Russia di N. Ustrjalow, 



123 

Venezia, ma anche tutti i greci dcir Arcipelago, soggetti ai Tur- 
chi, fossero malcontenti dei loro governi e che i Montenegrini fos- 
sero sempre pronti ad allearsi a qualche potenza cristiana, per 
combattere i Turchi. Riferendo questo alla sua corte, Orlow ester- 
nava il parere che sarebbe cosa ben fatta il rivolgere V attenzione 
su questi popoli ed approi&ttarne a proprio vantaggio nelle pre- 
senti circostanze, offerendo i propri! servigi qualora si mandasse 
una flotta con delle truppe neir Arcipelago. In seguito a tale rap- 
porto venne spedito nel Montenero il principe G. V. Dolgoruki, con 
un manifesto imperiale. Trattenutosi per qualche tempo in Italia, 
sotto il nome di BarSikow negoziante, sbarcò ai 31 di Luglio pres- 
so Spizza (tribù nel distretto di Antivari, presso il confine del 
Montenero). In sua compagnia erano tre ufficiali di stato maggio- 
re : Lecki, Herzdorf e Rosenberg, un capitano nativo dal Montene- 
ro di cognome Plamenac, il secretarlo Milowski, il conte Vojnovié 
da Gastelnuovo, allora suddito veneto, in seguito vice-ammiraglio 
comandante della flotta nel mar Caspio, due sottoufficiali della 
guardia, due servitori e ventisei Serbiani, eh* egli avea raccolti in 
Italia. In loro compagnia con alquanto denaro, medaglie, pezze di 
panno, polvere (circa 50 some) e piombo (circa 100), il conte 
Dolgoruki con una numerosa scorta di Montenegrini, la sera stes- 
sa di quel giorno, arrivò a Crnica *) ed ai 5 d' Agosto giunse a 
Cetinje, dove tutti i capi Montenegrini (antecedentemente avverti- 
ti del suo arrivo e lì venuti per tener V assemblea) lo accolsero 
come meglio sapevano^ e potevano. 



*) Lo stesso coute Dolgomki così si esprime nelle sue memorie: '^Noi vi por^ 
tammo denaro, medaglie, polvere, piombo ed altro.^ Ed il Provveditore di 
Gattaro Gigogna cosi scrìve al Doge, in data 16 Agosto 1769; »Agli undici 
di questo meso (31 Luglio secondo il nostro calendario) sbarcarono presso 
Spizza alquanti stanieri, che si dicono Bussi, e portarono un enorme quan- 
tità di bagagli, polvere, piombo e sacchi di denaro. Devono esserci stati cir- 
ca 100 barili di polvere e 100 some di piombo Neil' i- 

stesso giorno discesero alla marina presso Spizza, circa 600 Montenegrini 
con animali da soma, per trasportare da li la polvere, il piombo ed il rimanente. 



124 

Il giorno seguente e precisamente nella festa della Trasfigu- 
razione, innanzi a tutta 1' assemblea fu letto il manifesto imperiale 
che tradotto suona come s^ue: 



NOI CATERINA SECONDA 
Per la grazia di Dio imperatrice ed autocrata di tutte le Eussie 

ecc. ecc. ecc. 



„Ai reverendissimi metropoliti» arcivescovi, vescovi ed a tutte 
le altre dignità ecclesiastiche ; ai nobili, onorevoli e valorosi knezi, 
vojvode, srdari, arambascià, capitani, armatori ed a tutti gli altri 
capi militari e civili, come pure a tutte le cristiane comunità del- 
l' ortodossa nazione greca e slava, nostri correligionarii della san- 
ta chiesa orientale, ed a tutti voi altri, di qualunque ordine e ce- 
to, augurandovi gloria, prosperità ed ogni altro divino favore, ma- 
nifestiamo con questo imperiale diploma, la Nostra alta grazia e 
benevolenza," 

• 

„ Dagli avvenimenti passati, nonché da quelli dei tempi pre- 
senti, è noto ed a Noi ed al mondo intero, con quanto valore e 
con quanto zelo gli ortodossi greci e slavi abbiano difeso e di- 
fendano tuttavia la loro fede e Y antica libertà, loro avito retag- 
gio; e quali orrende offese, persecuzioni e travagli debbano sop- 
portare, quasi ogni giorno, dagli empii Maomettani, etemi nemici 
della religione cristiana. Non passa dì in cui, per odio alla reli- 
gione ed alla fede, non si versi a torrenti il sangue dei Nostri e 
vostri fratelli in Cristo, vostri compatriotti ; ed in cui anche pre- 
sentemente, ora in un luogo, ora in un altro, non venga profana- 
to devastato qualche tempio destinato al culto di Cristo Nostro 
Salvatore. Riflettendo a queste angustie da voi eroicameute soffer- 
te, si spezza il Nostro filantropico cuo^e, fervente e colmo d' a- 
more per la vera fede; eccitati dal pio desiderio di rimuovere e 
stornare una volta per sempre queste vostre sciagure, vogliamo e 
desideriamo prestarvi, o popoli ortodossi greci e slavi, la Nostra 



125 

valida protezione e mettere in opera tutti i mezzi e tutte le for- 
ze che la provvidenza delP Altissimo concesse al Nostro impero, 
il quale ha comune con voi la religione, per liberarvi dalle fauci 
dell' orrenda miseria e dall' oppressione dei barbarì.** 

,,Noi presentemente siamo in aperta guerra colla Porta otto- 
mana, guerra che ci fu da essa intimata, infrangendo la fede giura- 
ta e rompendo i sacri patti d' un etarna pace ; ciò soltitnto per- 
chè Noi, colle Nostre premure e colla Nostra protezione, siamo 
riesciti ad ottenere che i Nostri fratelli ortodossi defila chiesa orien- 
tale, dimoranti nella a Noi finitima repubblica di Polonia, ottenes- 
sero i diritti ed i privilegi, basati sulle leggi e sui trattati col 
Nostro impero e fossero equiparati ai romano-cattolici, il che pre- 
potentemente e vergognosamente loro veniva negato; qualificando 
la Porta questo Nostro procedere, impostoci dalla giustizia e dai 
Nostri doveri quali custodi della Chiesa di Cristo, come un tenta- 
tivo alla libertà di quella repubblica, quasiché la equiparazione 
nei diritti tra concittadini, potesse recarle qualche nocumento/ 

„I1 Nostro valoroso esercito ben organizzato, provvisto ab- 
bondantemente di tutto ed abituato alle vittorie, s'è già raccolto 
sul confine turco e quando avrete ricevuto questo Nostro imperia- 
le manifesto, diviso in due poderose armate, si troverà diggià alle 
prese col Nostro comune nemico." 

^Essendo la giustizia interamente dalla parte Nostra, ed 
avendo per indivisibili difensori delle Nostre armi la santa chiesa 
e la religione, attendiamo con fiducia che la benedizione dell' Al- 
tissimo, il quale dirigge la pace e la guerra, accompagni sempre 
le Nostre armate, e che coroni con un glorioso e felice successo 
tutte le Nostre imprese, le quali tendono unicamente ad onore e 
gloria sua. E voi popoli ortodossi greci e slavi, se desiderate scuo- 
tere e calpestare V oppressivo giogo degl' infedeli, se volete innal- 
zare per voi e per i vostri successori la chiesa di Cristo sopra 
una solida base e renderla stabilmente sicura per Y avvenire, se 
volete non solamente garantire gli avanzi della vostra secolare e 
preziosa libertà, ma estenderli fino a queir alto grado che si con- 



126 

viene agli antichi conquistatori e dominatori della maggior parte 
del mondo, in allora conosciuto, da cui derivate per stirpe, per 
lingua e per valore, eccovi ora la migliore e la più propizia oc- 
casione, cui se adesso lasciaste sfuggire, non vi si presenterebbe 
forse pili mai in avvenire, per raggiungere questi tre punti capita- 
li della vostra rigenerazione e felicità, sotto V influsso dei progressi 
delle Nostre armi in queste parti dell' impero nemico e sotto Y e- 
gida della Nostra protezione nella stessa vostra patria.^ 

„L' esito è ora nelle vostre mani e dipende precisamente da 
voi stessi. Invocate Dio con fiducia e con speranza ed unitevi tra 
di voi, giurando scambievolmente di esser concordi, poi piombate 
immediatamente addosso al Nostro comune nemico, uniti di cuore 
e di forze, allargando ed estendendo le vostre conquiste e le vo- 
stre vittorie fino alla stessa Costantinopoli, capitale deir antico im- 
pero greco e gloriosa per le sacre reliquie, che invocano dal cielo 
il giorno della vendetta 1 Cacciate da colà gli avanzi degV infedeli 
e tutta la loro empietà, rendete libera la religione ortodossa in 
quella città destinata per essa! Spetta a voi questa gloria e T Al- 
tissimo sarà vostro invisibile ed invincibile condottiero I II momento 
propizio è r attuale, perchè tutte le poderose forze degl' infedeli 
saranno allontanate dalle vostre parti e dirette contro di Noi, che 
con tutti i mezzi concesseci da Dio, daremo loro ben da fare. 
Oltreché tanto sul continente, quanto nelle isole dell' Arcipelago, il 
numero degli infedeli è superato di molto da quello dei cristiani i 
quali, senza dubbio, di buona voglia e con entusiasmo si uniranno 
a voi, aumentando assai le vostre forze colle loro persone e coi 
loro averi. Noi a tutti vi promettiamo il Nostro ajuto ed il No- 
stro appoggio, per quanto lo comporti la lontananza, e vi designia- 
mo inoltre un illustre condottiero, di piena fiducia, di provato co- 
raggio ed esperienza, il quale è eccitato da calda fede e pietà 
per assumersi questo incarico di tanto interesse per la chiesa orto- 
dossa, egualmente che gli altri abili ufficiali posti sotto i suoi or- 
dini." 



127 

„ Frattanto vi assicuriamo, nella forma la più sacra e la piii 
solenne, che d^ora innanzi per sempre riconosceremo per fedeli e 
veri alleati del Nostro impero tutte quelle popolazioni che nella 
presente guerra s'uniranno a noi per il comune vantaggio, libertà 
e prosperità; e Noi per tale loro cooperazione nello stipulare 
un trattato di pace, non trascureremo dMnserire un articolo, che 
loro garantisca completa sicurezza ed ad altre vantaggiose coudi- 
zioni, nonché piena libertà religiosa. ** 

„La santità della Nostra imperiale parola, con cui convali- 
diamo questa Nostra promessa, può servirvi di sicuro ed indubbio 
pegno, nazioni ortodosse greche e slave, che sarà mantenuta, 
perch'essa giammai non viene a meno, né si lascia interpretare 
ambiguamente.^ 

n Perchè possiate prestare piena fiducia a tutto quanto è con- 
tenuto in questo Nostro imperiale manifesto, abbiamo ordinato che 
sia munito del Nostro sigillo di stato, e datato dalla Nostra città 
capitale di S. Pietroburgo ai 29 di Gennajo dell' anno 1769, setti- 
mo del Nostro regno. 



Per graziosissimo decreto 
di Sua Maestà Y Imperatrice 



^Oolite N. Panin m. p.'' 
,,Principe Alessandro Oolioin m. p. 

(L. S.) 



I Montenegrini, che già non se la passavano in buoni armo- 
nia coi Turchi, accolsero con immensa soddisfazione e giubilo que- 
sto manifesto dell' imperatrice Caterina. Per aderire al principe 
Dolgorukiy i capi, a nome di tutto il popolo, giurarono fedeltà al- 



128 

r imperatrice di tutte le Russie, '*') come pure di esser pronti sem- 
pre ed in ogni momento a spargere il loro Sangue per la religio- 
ne di Cristo, purché fossero provveduti del necessario per la guer- 
ra. Dopo di ciò fu letto un altro proclama. In questo la corte di 
Russia dichiarava che Stefano il Piccolo fosse un impostore e che 
non lo si dovesse riconoscere quale imperatore. I capi promisero 
pure di abbandonar Stefano (che continuava a rimanere a Gragja- 
ui) e di non volerne più sapere di lui, ma di ubbidire soltanto 
agli ordini che verrebbero loro impartiti dal principe Dolgoruki. 
Questi, pienamente soddisfatto encomiò i capi e distribuì loro al- 
quanti zecchini, ed essi contenti e felici passarono gran parte del- 
la notte, banchettando e cantando tra spari di gioja. 

La dimane, mentre ancora il principe Dolgoruki si trattene- 
va nella sua stanza gongolante di gioja per aver compito con tan- 
ta facilità e buona riuscita Y affidatagli missione, si fecero udire 
delle fucilate sul monte Zagrablje, situato in vista di Getiiye. I 
capi, che sedevano dinanzi al convento, air udirle avevano dato di 
piglio alle armi, quando si presentò ai loro sguardi Stefano il Pic- 
colo montato a cavallo, il quale accompagnato da alcuni Montene- 
grini Scendeva al piano. Scaricate le loro armi, i capi gli volarono in- 
contro gridando a tutto fiato : ^Oh noi felici ed oggi e sempre ! Ecco 
giunge il nostro principe 1" — - Dolgoruki stupefatto di questo im- 
provviso cambiamento nelle idee dei capi (che manifestava aperta- 
mente quanto profonde radici avesse il loro attaccamento ed amo- 
re per Stefano), montò su tutte le furie e quando entrarono nella 
sua stanza unitamente a Stefano, si sfogò in rimproveri, rinfac- 
ciando loro di aver giurato fedeltà il giorno innanzi all' imperatri- 
ce russa ed ubbidienza agli ordini del suo inviato e di calpestare 
oggi i prestati giuramenti^ riconoscendo un vagabondo per loro 



*) yLa notte stessa ed alP indomani si raccolsero i Montenegrini. Fu loro let- 
to, nel loro idioma, il manifesto, ed essi devennero al giarame^tP di fedeltà 
alla nostra imperatrice.^ Memorie del principe 6. Y. Dolgoruki. 



129 

signore, A queste parole uno degli astantì soggiunse: „0 forse non 
è questi l'imperatore delle Russie? „Dolgoruki rispose: «Appunto 
è questa la sua colpa di essersi arrogato un nome cosi sacrosan- 
to, ** e biecamente fissando Stefano, gli disse: „ Confessa in presen- 
za di tutti che tu né sei russo» né hai mai veduta la Russia.^ 
Stefano spaventato, rispose eh' egli mai non s' era spacciato per 
imperatore delle Russie. Allora due o tre tra i capì, che avevano 
mal animo contro di lui, perchè li avea antecedentemente vessati, 
gridarono che si dovesse ucciderlo; ma Dolgoruki non volle permet- 
terlo e levatagli la sciabola, lo rinchiuse in una stanza vicina al- 
la sua. 

I più intelligenti tra i capi compiangevano grandemente Ste- 
fano e temevano per la sua vita. Essi così ragionavano tra di lo- 
ro: Dolgoruki è uomo di senno, ma oggi o domani egli ci abban- 
dona, qual sia il vladika Savva lo sappiamo, non è uomo da farci 
né bene né male; quando saremo rimasti privi anche di Stefano, 
rimarremo assolutamente senza capo, rinasceranno le discordie, si 
verserà nuovamente sangue fraterno e così operando faremo cosa 
grata ai Turchi, che già tendono alla nostra mina e che, potendo- 
lo, vorrebbero vederci tutti spacciati. Stefano, chiunque egli si sia, 
tale qual' è, ci conviene meglio d' ogni altro. Egli sa mantener tra 
noi la pace e la concordia, egli è capace di difendere gP innocen- 
ti e di punire i colpevoli; finché esiste tal ordine di cose tra di 
noi e finché ci restano le nostre rupi, ì nemici possono bensì as- 
salirci e bruciare le nostre case, ma assoggettarci e rimanere tra 
noi, vivadiol non lo potranno giammai. 

Quando Dolgoruki si assicurò dell' obbedienza dei capi alle 
sue disposizioni, distribuì loro 400 zecchini ed alquante munizioni, 
li licenziò alle case loro, colla promessa di ritornare ad una sua 
chiamata per ricevere i suoi ordini, raccomandando loro frattanta 
di cogliere qualunque occasione per attaccare guerra coi Turchi lo- 
ro limitrofi. 

Alla suaccennata assemblea a Cetinjeera presente il patriar- 
ca della Serbia, tenuto da Dolgoruki in grande stima; il vladika 

9 



130 

Sayya non v' intervenne, fingendosi malato nel monastero di Sta- 
iqevié. 

Air udire quanto seguiva nel Montenero ed al risapere che 
a Cetinje ed a Crnica si preparassero cartatucce per V armata, si 
sbigottirono i comandanti Turchi nell' Erzegovina e nelV Albania 
e collocarono dei panduri lungo tutto il tratto del confine del Mon- 
tenero, approvigionando le fortezze con munizioni da guerra. Di 
tutte queste misure che si prendevano dai Turchi, poco calcolo fa- 
cevano i Montenegrini. Anzi con molta maestria facevano delle 
scorrerie nei paesi turchi, devastandoli e riportando del bottino, 
spesso attaccavano delle scaramucce coi panduri, tagliando a pezzi 
qualche Turco, assecondando cosi il desiderio dell' inviato russo, 
che regalò 100 cecchini ad ogni distretto. 

Già volgeva il terzo mese dall' arrivo del principe Dolgoruki 
nel Montenero e la flotta russa, che gli era stata promessa dal 
conte Orlow, non compariva ancora nelle acque dell' Arcipelago. 
Quantunque ciò lo turbasse moltissimo, sri consolava colla sicurez- 
za di aver condotto a felice esito la sua missione nel Montenero. 
S' era assicurato coi proprìi occhi che la guerra fra la Turchia ed 
il Montenero era già ingaggiata, s' era accertato che dall' Albania 
e dair Erzegovina non potevano muover truppe verso la Russia 
e gli stessi Bosniaci riconoscevano di aver il nemico alle porte di 
casa. *) 

L' inverno imminente costrinse Dolgoruki a pensare alla par- 
tenza. Spedì prima il conte Vojnovié, perchè secretamente noleg- 
giasse comperasse qualche bastimento nelle Bocche; poscia li- 
berò dall' arresti Stefano il Piccolo, dandogli il brevetto d' ufficia- 
le dello stato maggiore russo col competente uniforme; gli con- 
segnò quindi quanto era rimasto di polvere, di piombo, di panni, 



*) „I pascià dei paesi cireovincini al Montenero non si recarono aU' annata; 
perfino i Bosniaci si sottracTano, col pretesto che avessero il nemico ai lo- 
rd confini." Memorie del principe G. Vi Dolgoruki. 



131 

nonché del denaro, lasciaudo un suo manifesto al popolo, con cui 
investiva Stefano del governo del Montenero. *) AH' imbrunire del- 
la notte del 13 Ottobre, Dolgoruki col suo seguito, in compagnia 
del patriarca della Serbia e di Stefano il Pìccolo, partirono dal 
Montenero ed entro la notte giunsero a Grbalj alle rive del mare, 
in una località chiamata Jaz, dove coir albeggiare del dimani 
s' imbarcarono, dirigendosi tutti verso la Russia, air infuori di 
Stefano, che ritornò nel Montenero. 

Dopo la partenza del principe Dolgoruki, Stefano riprese il 
suo potere sui Montenegrini e cominciò a governarli meglio anco- 
ra di prima, provveduto com' era di mezzi, quantunque meschini. 
Le strade del Montenero erano allora in pessimo stato, come lo 
sono anche al presente, ed egli cominciò a far riattare alcune. Nel 
mese di Giugno 1771, facendo saltar in aria, a forza di mine, dei 
macigni, per fabbricare una strada verso Grnica, si accostò incau- 
tamente ad una mina, che, scoppiando in queir istante, gli arrecò 
62 ferite. Quando vennero colà, per collocarlo sopra una barella 
e trasportarlo nel convento di Vréele, narrano eh' egli tranquilla- 
mente cantasse. **) In breve rimarginarono le sue ferite, ma, co- 
me raccontano le relazioni venete, rimase cieco d' un occhio e di- 
fettoso in una mano ed in tutti due i piedi. 



*) „Qaindi liberai dagli arresti Stefano il Piccolo, gli diedi un brevetto di 
ufficiale russo facendogli indossare il nostro uniforme, gli consegnai la poi- 
vere, il piombo, il panno ed il resto che avevamo sbarcato, lasciando nn 
ordine in iscritto con cui lo investivo del Governo del Montenero — Memorie del 
principe G. V . Dolgoruki. — In quest' epoca Voltaire fece menzione dei Monte- 
negrini, rimproverando con loro V £uropa. Le sue parole, per quanto me 
ne possa sovvenire dall' averle lette in una traduzione russa, cosi suona- 
no: La patria di Temistocle e di Milziade, sogguardando da lontano le 
aquile di Caterina II, scuote le sue catene e non arriva a spezzarle. £ 
che? non v' ha dunque in Europa una nazione, all' infuori d' un pugno 
di Montenegrini, simili ad un formicolsgo, che presti il suo ajuto a Cate- 
rina? 

**) S. Milutinovié, pag. 107. 



132 

In quesf epoca i Ragusei si trovavano in grande apprensio- 
ne. Avevano assai disgustato il conte Orlow, quando nel preceden- 
te anno bloccava le isole deir Arcipelago ed incendiava la flotta 
turca a Cismé. Aveva minacciato i deputati ragusei speditigli a 
Livorno, di venire con una flotta a distruggere la loro città. I Ra- 
gusei si lusingarono che Stefano il Piccolo, confermato da Dolgo- 
ruki a governatore del Montenero, potesse esser loro utile presso 
i Russi; udito quindi il lagrìmevole suo stato, gli mandarono in 
dono molto caffé, zucchero, candele di cera, rosolio, confetti, non- 
ché un abito ricamato in oro ed un elegantissima portantina, che 
valeva non meno di 60 zecchini. Seduto in questa, sortiva di trat- 
to in tratto a passeggio, come i dittatori romani nella nella lor 
sedia curale. 

Lo stato cagionevole della sua salute impediva a Stefano di 
poter visitare la provincia e di provvedere all' ordine, quindi per- 
chè non rimanesse inceppata la pubblica amministrazione, nell'i- 
stesso anno 1771 egli creò un tribunale composto di 12 tra gli ot- 
timati. Alcuni di questi risiedevano presso di lui nell' amena Cr- 
nica, giudicando unitamente le liti che insorgevano tra il popolo, 
gli altri giravano il paese ogni qual volta era di bisogno. Essendo 
desideroso di conoscere su quanti Montenerini atti alle armi potes- 
se calcolare in caso di guerra, inviò cinque commissarìi con un 
monaco i quali, girando da villaggio in villaggio, facessero il cen- 
simento della popolazione. NelP intento di tener a bada i Turchi 
perchè non movessero contro i Russi, fece credere al popolo che 
tra non molto sarebbero arrivate delle truppe russe nel Montene- 
ro, ed ordinò quindi che, neir istesso anno 1771, si desse mano a 
fabbricare a Grnica, nella località di Vir presso il lago di Scutari, 
un grande casamento, destinato per gli alloggi degli ufficiali del- 
l' armata russa. 

Così Stefano il Piccolo governando i Montenegrini, risiedendo 
a Grnica, e tenendo continuamente in allarme i limitrofi Turchi, 
trascorse la vita fino air anno 1774; nella qual' epoca nel 
mese di Maggio fiì proditoriamente assassinato nottetempo da 



133 

un Greco, che s' era collocato in servìzio presso di lui, istigato a 
tal delitto, mediante danaro, dal vezir di Scutarì, Mehmed-pascià 
BuSatlija. *) 

Stefano il Piccolo era di statura ordinaria, di avvenenti fat- 
tezze, bruno di colorito, neri i capelli i mustacchi e gli occhi; al 
suo arrivo nel Montenero toccava circa 30 anni. **) Dietro le re- 
lazioni venete, all' interrogatorio del principe Dolgoruki, confessò 
di essere dalmata, della famiglia Rajievié. Dolgoruki nelle sue me- 
morie dice, che Stefano fosse un uomo distinto e di molta vaglia, 
nativo dalla Bosnia e che 1' archimandrita Teodosio Markovic V a- 
vesse indotto a spacciarsi per imperatore delle Russie. Questo ar- 
chimandrita, nativo di Maine, era stato un tempo in Russia, ed è 
molto probabile che, di cointelligenza coi più ragguardevoli capi 
Montenerini, conoscendo V inettitudine al governo del vladika Sav- 
va, inducesse Stefano a rappresentare la parte d' imperatore rus- 
so. 

L^ asserzione di alcuni, che Stefano il Piccolo fosse leggero, 
puerile, volgare e che non s' intendesse affatto di politica, non si 
potrebbe ammettere che con somma difficoltà. Quando Stefano non 
fosse stato il più intelligente tra tutti i Montenegrini in quell'e- 
poca ed il più idoneo a reggere il popolo, nò Dolgoruki avrebbe 
lasciato nelle sue mani il governo, né i Montenegrini, almeno do- 
po d' aver risaputo che egli non fosse 1' imperatore, lo avrebbero 
riconosciuto per loro principe. Quegli stessi che lo caratterizzano 
come debole, non possono negare che, durante il suo governo, non 
ci fosse esempio che a taluno fosse rubato un capo di bestiame; 
immaginarsi poi se avrebbe tollerato maggiori delitti. Arrivar a 
tanto, con una nazione libera sì, ma prepotente e sempre con' ar- 
mi addosso, come lo è la Montenegrina, ed arrivarvi senza mezzi 
pecuniarii, dimostra capacità intelligenza e molta fermezza di ca- 



*) S. Milutinovié, pag. 107-108. 
^) Id. pag. 108. 



134 

rattere. I Veneziani furono al caso di giudicare, meglio d' ogni al- 
tro, Stefano il Piccolo. Essi ebbero molte relazioni con lui e quan- 
tunque non gli sapessero perdonare le umiliazioni, che a causa 
sua, ebbero a sofiErire dai Turchi, tuttavia, ancor sua vita durante, 
così di lui scrivevano al senato : „ Dai suoi discorsi traspira sempre 
pace, concordia ed equità, è affabile nel tratto, le sue risposte so- 
no pronte e sagaci, la mente sempre limpida e non manca di buo- 
ne idee sul governo di una provincia.'' Con tali requisti, anche 
senza spacciarsi per czar delle Russie, poteva ottenere la supre- 
mazia su quel popolo, in queir epoca. *) 

Nello stesso anno e nello stesso mese in cui morì Stefano 
il Piccolo ed il vladika Savvà aveva riprese le redini del governo, 
cioè nel Maggio del 1774, Mehmed-pascià Bugatlija, con 30000 uo- 
mini, aggredì quei di Euòi, distrusse ed abbruciò molte delle lo- 
ro case e predò molto bestiame, ma nello scontro lasciò sul cam- 
po più di 1000 uomini; **) ritornò allora a Scutari con perdite maggio- 
ri assai dei riportati vantaggi. 



Le splendide vittorie riportate dai Russi e per mare e per 
terra sui Turchi, costrinsero la Porta a conchiudere la pace ai 10 
di Luglio del 1774, nel piccolo vilaggio di Kuéuk-Kajnargji, non 
lontano da Silistrìa. In questo trattato di pace la Porta si obbli- 
gava di riconoscere come indipendenti i Tartari della Crimea, del 
Bug (nella Bessarabia) e del Kuban ; di cedere alla Russia Azow, 
Kerò, Jenikalè e Kimburg; di permettere libero il passaggio ai 
bastimenti mercantili russi, dal Mar Nero nel Mediterraneo; di 



*) Sopra Stefano il Pìccolo, avevo già stampato neUa mia Grllca deU' anno 
1836, a pag. 55-59; le notizie che qui reco sono prese, parte dai rapporti 
dati dai provveditori veneti di Gattaro al senato e parte dalle memorie del 
principe G. V. Dolgoruki. Sono quindi attinte a fonti veridiche e la verità 
è la base della storia. 

♦*) Grlica del 1836, pag. 59-60. 



135 

concedere ai sudditi russi nella Turchia, tutti i diritti delle Dazio- 
ni le più favorite; di dare una generale amnistia a tutti i sud- 
diti greci e slavi della Porta; di riconoscere il diritto della prote- 
zione russa sui cristiani e sulle loro chiese nella Turchia; di de- 
portarsi con moderazione nella Moldavia e nella Vallachia; di non 
ingerirsi negli affari della Polonia; di riconoscere i sovrani della 
Bussia per imperatori, e di pagare a titolo di spese di guerra, 
4500000 rubli. — Con questa pace che prese il suo nome da Kaj- 
nargji, non solo la Russia, ma tutti i cristiani della Turchia ot- 
tennero dei grandi vantaggi ; e se anche i Montenegrini non vi ri- 
trassero alcun utile particolare, essi furono soddisfatti colla certez- 
za che tutto il mondo avrebbe riconosciuto che durante la guerra 
che diede origine a questa pace, anch' essi avessero sostenuto una 
parte, tenendo a bada ai loro confini le armate turche dell' Alba- 
nia, deir Erzegovina e dell' istessa Bosnia, non permettendo cosi 
loro di muoversi a danno dei Russi. 



Dopo la morte del vladika Savva;, accaduta nel 1782, diven- 
ne vladika del Montenero, suo nipote 1' archimandrita Pietro Pe- 
trovié NjegoS. *) Abbiamo già ricordato come si fosse recato in 
Russia col defunto vladika Basilio. Dopo la morte di Stefano il 
Piccolo ajutava negli affari pubblici il vladika Savva, suo zio, il 
quale, sua vita durante, lo avrebbe consacrato vescovo, ove gli si 
fosse offerta una propizia occasione, giacché il vladika Arsenio 
Plamenac, che ancora viveva a risiedeva a Crnica, mancava d* ogni 
idoneità necessaria per governare uno stato, ed era d' altronde 
talmente infermiccio, che fini i suoi giorni poco dopo del vladika 
Savva. *) 



*) Grlica del 1836, phg. 60. 
**) S. Milutinovié, pag. 100. 



136 

Per accondiscendere al desiderio dei Montenegrini, T archi- 
mandrita Pietro nel 1782 abbandonò la patria, per farsi consacra- 
re vescovo. Avrebbe desiderato di recarsi a tal fine in Russia, ma 
r ambasciatore russo a Vienna principe Golicin, gli negò il pas- 
saporto; allora si recò a Earlowitz, dove il metropolita MoisèPut- 
nik, dopo ottenuto il permesso dair imperatore Giuseppe II, lo 
consacrò solennemente come arcivescovo *), ai 14 Ottobre 1784. 

Ritornando da Earlowitz a Vienna, il neoconsacrato vladika 
Pietro, ruminava sul modo di procurarsi della polvere e del piom- 
bo, per trasportarli seco nel Montenero, giacché gli era pervenuta 
notizia che Mahmud-pascià, o, come veniva chiamato in quelle par- 
ti, Rara - Mahmud - pascià BuSatlija, **) vezir di Scutari, divisasse 
di aggredire il Montenero. Neil' anno 1784 egli era succeduto nel- 
la carica di vezir a suo padre, il summenzianato Mehmed-pascià. 
Siccome il padre, molti anni prima della morte, s' era ribellato al 
Gran Signore suo legittimo sovrano, cosi anche il figlio visse sem- 
pre in ostilità colla Porta, considerandosi qual prìncipe assoluto ed 
indipendente, per il qual njiotivo il Sultano spedì più volte contro 
di lui delle truppe, ma senza verun successo. 

Mancando di denari per aquistare le desiderate munizioni, il 
vladika Pietro scrisse a èklov, all' insigne e ricchissimo serbiano, 
il generale Simeone Zorié, col quale aveva già prima fatto cono- 
scenza in Russia, manifestandogli i suoi bisogni ed il pericolo in 
cui versava il Montenero e supplicandolo per un sussidio pecunia- 
rio. Zone gli rispose che venisse da lui a èklov, dove lo avreb- 
be ajutato per quanto gli fosse possibile. Giulivo il vladika si af- 
frettò dal suo connazionale ed antico conoscente, ma dopo di aver 
passati presso di lui parecchi mesi, non ricevendo verun soccorso, *) 
partì per Pietroburgo, nella sicura speranza di ricevere sussidii 
dalla gloriosa imperatrice Caterina II. Disgraziatamente il vladika 



*) S. MUatinovló, pag. 110. 
♦*) Id. pag. ni. 
♦♦) Id, ibid. 



137 

non ottenne nemmeno li quanto bramava, ma invece vi trovò inat- 
tese mortificazioni. Per ordine del protetto dal capriccio della sor- 
te, prìncipe Potemkin, il quale, a cagione di una sua privnta ini- 
micizia col generale Zorié, aveva in odio tutti i Serhiani, come ce 
lo attesta S. Milutinovìé, fu intimato al vladika di abbandonare 
entro 24 ore Pietroburgo e la Russia, e ciò per sempre. 

Si trovava col vladika a Pietroburgo in qualità di suo se- 
gretario, il prete cattolico don Francesco Dolci, noto allora per 
i suoi talenti ed in seguito per le sue disgrazie. *) A costui pro- 
poneva il Potemkin di rimanere in Russia, dove colle sue cognizio- 
ni avrebbe fatto fortuna, alla qual lusinghiera proposizione il Dol- 
ci rispose arditamente: ^Ella desidera la mia fortuna? Ebbene, a- 
juti il vladika del Montenero e la mia fortuna è bella e fatta." 
Al che il Potemkin non volle nemmeno rispondere, ma si strìnse 
nelle spalle. 

Mentrechè il vladika girava per il mondo cercando inutilmen- 
te degli ajuti, seguirono dei dìssidii nel Montenero; i capi, in luo- 
go di mantenere la concordia e 1' ordine tra il popolo, s' inimi- 
carono e se la ruppero tra di loro. 11 vezir di Scutarì Mahmud-pa- 
scià, venendo a cognizione di queste discordie tra i primati, sapen- 
do che da lungo tempo il paese era rimasto senza prìncipe, ap- 
proffittò dell' occasione a proprio vantaggio, Neil' anno 1785 mi- 
se in piedi un armata di Albanesi a lui soggetti ; con questa nel 
mese di Giugno, passando per le nahije di Ijegko e Rijeka, giun- 
se in Luglio fino alla pianura di Cetinje, dove distrusse ed ab- 
bruciò il convento. Mise egualmente a ferro ed a fuoco nella na- 
hìja di Eatun: Òevo, Velestovo, Bjelice, Cekliéi e Bjeloài ed aNje- 



*) Nato a Ragosa, era fratello dell' eradito francescano Fra Sebastiano Dolci 
(Slade). Non mi venne dato dì emire il motiTO, che lo spingesse ad accettare 
il posto di segretario del vladika del Montenero, per quanta pena mi fos- 
si data per ottenere deUe dettagliate notizie sul sao conto. 

N. d. T. 



188 

gofi impose una contribuzione di guerra di 1700 zecchini. *) Di 
questa sua entrata nel Montenero, Mahmud-pascià diede notizia al 
provveditore veneto di Cattare e questi, in nome della repubblica, 
si congratulò con lui della riportata vittoria ; e, dietro sua istan- 
za, gr inviò delle provvigioni da bocca a Cetinje. 

Alcuni giorno dopo, il vezir colla sua armata abbandonò la 
pianura di Cetinje, e con essa, passando per Lov£en, discese sul 
territorio veneto, pernottando a Braiéi, dove diede fuoco a parec- 
chie capanne, e dirìgendosi la dimane per Pastroviéi, dopo di a- 
ver arrecato molti danni e molestie agli abitanti, che furono co- 
stretti a rifugiarsi a Budua, ritornò in Albania, **) poco curando la 
vendetta veneziana e V ira del Sultano per i danni apportati a 
Braid ed a Pastroviéi. 

Si dice che tre o quattro dei capi Montenegrini, sia male- 
detta la loro memoria I conducessero nel Montenero il vezire di 
Scutari, ***) il quale sottomise al suo potere più dellac metà del 
loro paese. ****) 

In questo miserando stato ritrovò il vladika il Montenero, 
quando vi fece ritorno nelP autunno del 1786. Egli dovette addos- 
sarsi un peso eguale a quello eh' era già stato sostenuto dal vla- 
dika Danilo e dimostrò coi fatti di essere stato degnamente eletto 
a succedere a questo glorioso suo predecessore. 

Appena ritornato nel Montenero, il vladika Pietro spese più 
di un anno per ridestare nuovamente tra i suoi connazionali lo 
spirito di concordia e di unione; viaggiava continuamente e notte e 
giorno visitando tutte le tribii, tutti i casati, ognuno degli ottima- 
ti, rimproverando loro la discordia, per cui, senza verun bisogno, 
senza guerra e senza sangue, avevano vergognosamente ceduto e 
s' erano sottomessi ad un vezir ribelle, nemico giurato dei cristiani ; 



* Grlica del 1886, pag. 60. 
•♦) Id. ibid. 
***) Id. ibid. 
**»♦) S. Milutinovié, pag. 112. 



139 

insegnando loro nelP istesso tempo di rifiutare il tributo e di ne- 
gar sommissione ai Turchi, unendosi nuovamente e giurando di non 
tradire T indipendenza della patria, quando questa venisse nuova- 
mente aggredita dai Turchi. Il popolo che amava il suo vlidika, 
ubbidì alle sue insinuazioni e negando qualunque dipendenza e sog- 
gezione ai Turchi, proclamò lìbera di bel nuovo h patria ; ed il 
vladika riedificò nuovamente la chiesa ed il monat^tero, distrutti dal 
BuSatlija. Così risorse splendido e glorioso il serbiano Israele. *) 



Il convegno in Crimea di Caterina la Grande coli' imperato- 
re Giuseppe II (1787), diede molto pensiero ai Turchi. Il Divano 
sospettava che in tale incontro si fosse trattato di espellere i Tur- 
chi dair Europa, costituendo un nuovo impero greco, con a capo 
uu nipote di Caterina, di formare un principato indipendente della 
Moldavia, della Vallachia e della Bulgaria, sotto il nóme di Da- 
cia, riunendo poi all' Austria le altre Provincie turche. Tocco al vi- 
vo da questa supposizione ed istigato dal gabinetto di Londra, il 
sultano Abdul-Hamìd decise di scongiurare il pericolo, dichiarando 
la guerra alla Russia (13 Agosto) ; e l' Austria, quale alleata della 
Russia, dal suo canto intimò la guerra alla Porta (29 Gennajo 
1788). Le alleate due potenze cristiane, stabilirono d' inviare nel 
Montenero dei loro incaricati, per persuadere i Montenegrini di at- 
taccare i Turchi loro confinarii, costringendo in tale maniera 1' ar- 
mata ottomana a rimaner divisa. Quindi nel mese di Maggio del 
1788, arrivò nel Montenero il maggiore austriaco Filippo Vukaso- 
vi6, col suo compagno Lodovico Fernet, conducendo seco 400 sol- 
dati e portando denari (circa 100000 zecchini), vettovaglie, alcu- 
ne munizioni ed un manifesto dell' imperatore Giuseppe II, di data 
17 Aprile dell' anno suddetto. **) 



*) S. MilutinoYió, pag, 111-112. 
*♦) Grlica del 173«, pag. 60-61. 



140 

Nel suddetto manifesto V imperatore Giuseppe faceva cono- 
scere esser sua intenzione di liberare le nazioni dalla tirannide tur- 
ca, di ridonar loro la cristiana libertà facendoli compartecipi di 
tutti i diritti, prerogative e privilegii di cui godevano i felici sudditi 
del suo impero; raccomandava ai Montenegrini di acc(^liere ami- 
chevolmente i suddetti suoi ufficiali Vukasovié e Fernet, di pre- 
star piena fede a quanto avrebbero esposto in suo nome, di agire 
dietro i loro consigli e di prestar loro ajuto. *) 

I Montenegrini, desiderosi di accorrere in soccorso dei loro 
limitrofi fratelli cristiani, per ajutarli a scuotere il giogo musul- 
mano, sotto il quale da lungo tempo gemevano e sperando di po- 
ter estendere in questa circostanza i confini della loro provincia, 
dichiararono al Vukasovié che per una così meritoria impresa, era- 
no pronti a spargere ed il proprio sangue e vieppiil quello dei lo- 
ro nemici. All' incontro il vladika Pietro non divideva con loro 
le vedute circa V intraprendere una guerra coi Turchi; primieramen- 
te perchè ancora non aveva ricevuto sul proposito verun appello 
dalla Russia, in secondo luogo perchè non intravedeva verun van- 
taggio per il Montenero da questa guerra. Mentre il vladika indu- 
giava di accondiscendere all' invito dell' imperatore Giuseppe, 
l'ambasciatore russo presso la repubblica di Venezia, Alessandro 
Mordvinow gli annunziò, che la Russia di cointelligenza coli' Au- 
stria era prossima a mettersi in campo contro la Turchia, Subito 
dopo giunse il colonnello Tutolmin, apportatore dì un manifesto del- 
l' imperatrice Caterina, con cui richiedeva il soccorso montenegri- 
no nella guerra coi Turchi, e di una lettera del generale Zaborow- 
ski, scritta li 1 1 Maggio 1 788. Affari importantissimi avevano trat- 
tenuto Zaborowski per un tempo indeterminato a Pietroburgo, in- 
viava frattanto col colonnello Tutolmin, il proclama imperiale ed una 
teca con reliquie che l' imperatrice aveva mandata col suo mezzo 



*) Grlica del 1836, pag. 61-63. 



141 

al vladika. Questo regalo era mandato qual contrassegno della di- 
vina benedizione, nell' intraprendere una guerra a gloria del suo 
santo nome ed in difesa della religione e della patria. *) 

Nel ricevere il manifesto ed il dono dall' imperatrice delle 
Russie, il vladika e tutti i capi, in nome del popolo Montenegrino, 
promisero a Tutolmin che avrebbero combattuto con trasporto, per 
quanto lo permettessero le loro forze, il comune nemico del cri- 
stianesimo. Assicuratosi Tutolmin del felice successo della sua mis- 
sione, dopo di aver raccomandato ai Montenegrini di ubbidire in 
tutto al Vukasovié, ritornò in patria. **) Ecco la traduzione del 
succitato manifesto imperiale: 

„NOI CATERINA SECONDA 
Per la grazia di Dio imperatrice ed autocrata di tvUe le Russie 

eco, ecc. ecc.^ 



„Ai Beverendissimi Metropoliti ed agli altri dignitarìi eccle^ 
siastici ed a tutto il clero, ai distinti, onorevoli ed a Noi affezio- 
natissimi governatori, capi, vojvode, knezovi, nobili, nonché a tutti i 
gloriosi e prodi abitanti del Montenero ed agli altri loro connazio- 
nali la Nostra imperiale grazia e benevolenza.^ 



„yi è già noto lo sleale ed audace procedere con cui l'im- 
placabile nemico della croce del Signore, Ci ha intimato nuovamen- 
te la guerra, e v' è pur noto come Noi fummo costretti ad oppor- 
gli le Nostre armate e per terra e per mare, in difesa della chiesa 
ortodossa e per vendicare la dignità dell' imperiale Nostra corona.* 



*) OrUca del 1886 pag. 63-64. — 8. MUntinovié, pag. 116.118. 
*♦) Id. pag. 64. 



142 

„In attesa che la Nostra flotta e le Nostre truppe di sbarco, 
sotto il comando del Nostro ammiraglio Greig *), sieno giunte nel 
mare Mediterraneo e nelle parti adjacenti, per distruggere il No- 
stro nemico, per sottrarre i popoli cristiani al giogo degli infedeli 
e per garantire la libertà e la sicurezza di coloro i quali tuttavia 
resistono ai barbari, col valore ch'hanno in retaggio dai loro mag- 
giori, abbiamo inviato in Italia via di terra, il nostro luogotenen- 
te-generale Zaborowski, munendolo delle Nostre credenziali ed istru- 
zioni perchè non solo provveda a tutti i bisogni della Nostra ar- 
mata, ma perchè s'informi bensì di tutte 1 desiderii e di tutti i 
bisogni dei cristiani di codeste parti, soddisfacendoli ed alleyiando- 
li possibilmente." 

„È conosciuto a tutto il mondo lo zelo dei prodi Montene- 
grini e dei popoli loro affini per la religione ortodossa ed il loro 
attaccamento, particolarmente dai tempi del glorioso ed immortale 
imperatore, Pietro il Grande, agli autocrati della Russia, ì quali 
con tutto il loro impero professano l'istessa loro religione. Con- 
vinti di questi sentimenti dei suddetti popoli abbiamo incaricato il 
suramentovato luogotenente-generale di mettersi di concerto con 
voi e di assicurarvi della Nostra imperiale grazia e benevolenza. 
Se la religione che gì' infedeli dileggiano, se la libertà che minac- 
ciano e che conculcano, se la sicurezza e la tranquillità che turba- 
no, v'inspireranno entusiasmo per dividere con Noi le imprese del- 
la guerra contro Y inimico del nome cristiano, allora potrà inten- 
dersi facilmente con voi sugli armamenti e sui mezzi che vi si ren- 
dono necessarii per entrare in campagna; prestate intera fiducia 
alle sue parole e siate persuasi che Ci starà sempre a cuore di 



*) A causa della guerra, intimata nello stesso anno 1788 dal rè di Svezia Ga- 
stavo III a Caterina li, ad istigazione del ministero inglese ed a causa del- 
la comparsa della sua flotta sulle coste russe della Finlandia e nel golfo 
dello stesso nome, che allarmò V istessa Pietroburgo, né Greig potè arriva- 
re colla flotta nei Mediterraneo, né 1' istesso Zaborowski alla sua destina- 
zione nelle nostre parti. 



143 

sostenervi per quanto ci sarà possibile ; né mancheremo di distin- 
guere colla Nostra imperiale grazia e ricompensa, tutti quelli che 
si saranno segnalati col coraggio e col valore, a prò della causa co- 
mune. Raccomandandovi a Dio onnipotente in tutte le generose 
vostre intraprese rimaniamo sempre a voi propensi colla Nostra 
grazia imperiale. 

i^Dato nella Nostra residenza di S. Pietroburgo, li 14 Marzo 
deir anno 1788, ventesimosesto del Nostro impero. 



OATEBINA m. p. 
(L. S.) 

Conte (HoTanni Osterman m. p. 



Nei primi giorni dopo il suo arrivo nel Montenero, Vukaso- 
vie inviò il suo compagno Fernet in Albania, per tentar d'indurre, 
Mahmud*pascià, vezir. di Scutari, ad allearsi coli' Austria contro 
il Sultano. Trovando favorevolmente disposto il vezir, Vukasovié 
informò il gabinetto di Vienna il quale, senza frapporre jndugii, 
spedì a Mahmud-pascià. Brongnard con dei regali di grande valore 
e 50000 zecchini. Giunto Brougnard nel Montenero, fu consigliato 
dal vladika e da molti dei principali Montenegrini di smettere Y i- 
dea d' un alleanza col vezir BuSatlija, il quale, come maomettano, 
non avrebbe mai mantenuto i patti di alleanza coi cristiani a dan- 
no del Sultano ; ma Brougnard non credette dover fare alcun cal- 
colo di tale consiglio e proseguì il viaggio per Scutari, in com- 
pagnia del capitano Fernet, del luogotenente Schonpflug e di De- 
belja monaco ortodossa. Il vezir accolse con giubilo e grande pompa 
gì' inviati imperiali, acconsentì alla progettata alleanza, la sancì 
formalmente in iscritto, offerse loro alcuni regali, fra cui destinò 
per r imperatore Giuseppe un lungo schioppo all'albanese e due 
pistole guarnite in argento (Jedenice) ; gì' imperiali dal canto loro gli 
presentarono i doni che avevano portato per lui unitamente ai 
50000 zecchini. Ai 9 di Giugno Brougnard e i suoi co&pagni ab- 



144 



bundonarono Scutari, ma giunti presso Seoce sul lago, non lungi 
da Grnica, per ordine del vezir, furono aggrediti dai Turchi, cheli 
massacrarono tutti, tagliando loro le teste, le quali unitamente ai 
loro abiti, alle carte ed ai regali, furono portate a Mahmud-pascìà 
a Scutari. *) 

In questa maniera degP inviati austriaci nel Montenero non 
vi rimase che il solo Vukasovii. Non fii possibile eh' andasse 
d' accordo col vladika, il quale in causa di ciò, in compagnia di al- 
cuni capi Montenegrini si ritirò a Stanjevié; ed il Vukasovié ri- 
mase a Getinje, quasi come governatore del paese. 

Egli desiderava d'indurre ad attaccare sollecitamente i Tur- 
chi, non solo i Montenegrini ma anche i Brgjani (i quali allora 
aderivano a Mahmud- pascià , indipendente vezir di Scutari, for- 
tunato avversario della Porta ottomana, ed unitamente a lui com- 
battevano contro il Sultano), ma in questo gli fii contraria la sor- 
te. È vero che molti Montenegrini ubbidissero di buon grado ai 
suoi ordini, ma ve n' erano anche alcuni, quantunque in piccol nu- 
mero, che poco di lui si curavano; i Brgjani poi, tostochè risep- 
pero che non agiva di cointelligenza col vladika, protestarono una- 
nimemente, che non avrebbero scaricato uno schioppo contro i 
Turchi, senza che il vladika li eccitasse con un suo scritto. In con- 
seguenza di che il Vukasovié, ai 14 di Giugno, indirizzò ai vladi- 
ka a Stanjevié una lettera del seguente tenore :„ Non potendo El- 
la ancora arrivare a Getinje ed avvicinandosi Y epoca in cui, col- 
la grazia di Dio, dobbiamo attaccare, troverei ben fatto e La pre- 
go umilmente a degnarsi di scrivere una lettera a quelli di Gmica, 
un* altra a quelli di Rijeka, una terza a quelli della nahija di Ka- 



*) 8. MilatinoTid. pag. 115 — Qeschichte dea FOrstentbams Montenegro tod 
A. Andrìd, pag. 68-59. 



145 

tun, una quarta a quelli di LjeSa e finalmente una air Igumeno di 
Ostrog ed a quelli delle Brda, di PljeSivci e di tutta Y Erzegovi- 
na, informandoli della nostxa alleanza colla Russia e come que- 
st' ultima desideri che ogni cristiano insorga per il proprio bene e 
prenda Iti armi contro V inimico; questo ci sarà di grande giova- 
mento e La metterà in buona vista presso tutte due le corti ; per- 
chè il popolo crede eh' Ella sia nemico dell' Austria ed avverso al- 
le nostre intenzioni. In questo modo le cose cangeranno d' aspet- 
to e Iddio e le due potenze potranno convincersi che gli affari non 
vanno giusta il desiderio dei nostri nemici. La supplico umilmente 
di questa grazia e spero che le lettere richieste saranno conse- 
gnate a quest' istesso corriere, soltanto le raccomando che tut- 
te sieno munite col suo sigillo, sarà poi mia cura d' inviare ognu- 
na al proprio destino. Mi raccomando a Lei ecc." *) 

Il vladika accondiscese ai desidèrii del Vukasovié e gì' inviò 
le lettere richieste, eh' egli spedì per tutto il Mòntenero 
e le Brda. Scrivendo all' Igumeno Giuseppe BoSkovié a 0- 
strog di Bjelopavlici, così si esprimeva il Vukasovié: „La 
mia disgrazia mi convince che, da sincero amico, mi dicevi la 
schietta verità; ciò nondimeno se il mio defunto compagno aves- 
se voluto ascoltare il mio consiglio non sarebbe andato a finire 
così miserabilmente; uniformiamoci alla volontà di Dio, che non 
v'è più rimedio. Ora è il momento opportuno per consigliare, o 
padre, quei delle Brda di dar addosso ai Turchi; lo giuro che sa- 
rà per il loro meglio, né v' è inganno nelle mie parole. Essendo 
io provveduto, la Dio mercè, di tutto Y occorrente, quando quei del- 
le Brda si unissero ai Montenegrini, tutti i cristiani sarebbero con 
noi e coir ajuto di Dio, potremmo arrivare a tutto .... Quest' è 
r occasione in cui puoi farti benemerito e glorioso per tutta la 
vita, perchè, te lo giuro, ti farò conseguire tutto quello che potrei 



^) Questa lettera fu scrìtta dal Vukasovié di propria mano, con caratteri lati- 
ni. 

10 



146 

per me desiderare, approffitta soltanto del presente momento e, se 
puoi, fissa una giornata per assaltare Spuè o Podgorica; se Dio 
I seconda la nostra intrapresa, avrai 100 zecchini ed i Brgjaoi uno 

splendido guiderdone. Chi mi posterà la testa del Metìkukic (così 
si chiamava il comandante della fortezza di SpiiS), riceverà altri 
100 zecchini e vi sarà di piti un regalo anche per te. Fa come 
Iddio t' inspira e dammi risposta." *) — E nella lettera a quei di 
Piperi, così scrive; „ Potete accertarvi dalla lettera di Monsignor 
vladika Pietro, dell' alleanza e della concordia tra le due più forti 
potenze, **) e degli ajuti ehe sono pronte a prestare a tutti colo- 
ro che credono in Cristo, oltre quello che, coft' ajuto di Dio, io 
ho già portato da parte del mio sovrano. Questo ed (altrettanto 
centuplicato, sarà per quelli che serviranno fedelmente ia causa di 
Dio e delle due corti, 1© quali, per la vostra liberazione, non rir 
sparmieranno ne tesori, né il sangue dei loro sudditi. Orsù, o prodi, 
eccovi un occasione, qual mai s' è presentata ancora, né si pre- 
senterà forse più mai, I tesori che sono in mio potere ho risolu- 
luto di dividerli tra tutti i fedeli; ed i più valorosi, ve lo giuro, 
avranno la parte migliore. Fino ad ora, a viva forza doveste aju- 
tare ai Turchi, non continuate a farlo spontanei, ma insorgete per 
distruggere quella ra^za barbara, a questo si può facilmente ar- 
rivare ora che i Turchi non hanno soccorsi e noi, la Dio grazie, 
abbondiaiio di tutto e siamo loro superiori in numero. Né state 
a credere, in nome di Dio, che ci sia inganno nelle mie parole, 
finché resto in vita io non vi abband(mo ; e quando si farà la pa- 
ce, sarete considerati nei patti egualmente dalle due potenze allea- 
te. Insorgete se vi sta a cuore il vostro bene acciò vi possa met- 
tere in porzione cogli altri. In caso diverso, state bene attenti di 
non aver a pentirvene, e Dio vi sia in ajuto. *^ ***) 



*) Grlica del 1836, pag. 67-68. 

**) L' originale dice precisamente ,dvijeh najffilnijago dvora." 
***) Grlica del 1886, pag. 68-69. Queste due lettftje agli abitanti di Bjelopa- 
vliéi e di Piperi, sono pure scritte di propria mano dal VukaBOTic, però 
con caratteri civillani. 



147 

I Monteuegrini e quelli delle Brda, al ricevere le lettere del 
vladika e del Vukasovic, accompagnate da munizioni, vettovoglie e 
da qualche danaro che loro spediva quest' ultimo, si mossero al 
confine dell' Albania, costringendo i Turchi a ritirarsi nelle fortez- 
ze. Dopo la qual dimostrazione il vezir di Scutari, raccolte alcu- 
ne truppe, aggredì la tribii di Piperi, ma questi, ricevuti dei rin- 
forzi, particolarmente da quelli di KuCi, dopo un sanguinoso con- 
flitto, costrinsero il vezir a retrocedere malconcio nella fortezza di 
Spu2. Colà si trattenne per alcuni giorni, poi, lasciato un presidio 
sufficiente alla difesa della fortezza, ritornò a Scutari. Frattanto 
alcune truppe turche dall' Erzegovina, occuparono il confine di fac- 
cia a PjeSivci e Bjelopavliéi, operando così una diversione fa- 
vorevole per gli Albanesi. Da un prete di nome Gojko Piper fiì 
recata al Vukasovié a Cetinje la notizia, che quei di Bjelopavliéi 
avessero divisato di aiTendersi . ai Turchi i quali allora con tutta 
facilità avrebbero potuto inoltrarsi fino a Cetinje. Quest' annunzio 
mise in angUv«^tie ed allarmò assaissimo il Vukasovié, che sotto ta- 
le impressione scrisse e mandò al vladika a Stanjevié la seguente 
lettera: ;, Ella conosce tra quali pericoli mi abbia qui abbandonato, 
di modo che giorno e notte sospiro il momento di rivederla. Se 
ne viene a Lei un monaco che, a quanto mi sembra, è mandato 
da qualche luogo. Monsignore! In nome del cielo non si trattenga 
ulteriormente, ma conduca seco a Cetinje cotesti signori — cui 
La prego di riverire a mio nome — perchè ce la intendiamo, met- 
tendoci d' accordo sulle misure da addottarsi. Ed io e tutta que- 
sta gente, dipendiamo dalla coscienza e dall' onoratezza di Lei ; 
Le prometto da parte del mio governo che tutte le sue pene e di- 
sagii saranno compensati e premiati. E quindi, per amor di Dio, 
solleciti di qui recarsi e se il monaco è realmente a giorno di 
qualche cosa non me lo nasconda; io mi abbandono a Lei con 
tutta fiducia." *) 



*) Anche questa lettera del Vukasovié, scritta con caratteri latini, è autogra- 
fa. Gli originali di questa e di parecchie altre sue, si conservano nelP ar- 
chivio scelto di Cetinje, 



148 

A queste istanze del Vukasovié, il vladika con quelli dei ca- 
pi Montegrini che si trovavano con lui, partì da Stanjevié per Ce- 
tinje, donde in compagnia del Vukasovié si recò a Bjelopavlici. I 
Montenegrini ed i Brgjani accolsero con sommo giubilo il loro vla- 
dika e coir ajuto anche di quei pochi soldati austriaci che ci e- 
rano, strinsero d' assedio Spui e cominciarono a tentarne Y assal- 
to, ma mancanti di cannoni e dei necessarii apparecchi, non giun- 
sero ad ottenere 1' intento. *) Spu2 rimase assediato per più 
giorni, i Turchi tentarono più volte di liberarlo con delle sortite, 
ma furono sempre respinti con gravi perdite. 

Vedendo il Vukasovié che non era possibile di prendere Spui 
e molto meno le altre fortezze dell' Erzegovina; avendo risaputo 
che i cattolici dell' Albania non intendessero di muoversi in suo fa- 
vore, non vedendo comparire nel Mediterraneo la flotta russa, ne 
ricevendo veruna notizia sui progressi delle armate austro-russe, 
divisò di andarsene dal Montenero bel bello e con circospezione; 
levato quindi 1' assedio da Spuè, marciò colla sua truppa verso 
Lovèen, come per riposarvisi. Vi rimase una decina di giorni, fin- 
ché la truppa fosse ristorata dalle fatiche, poi, alla fine dd mese 
d' Agosto, approffittando della notte e conducendo seco alcuni Mon- 
tenegrini, dicese coi suoi a Cattare, dove s' imbarcò alcuni gior- 
ni dopo, per ritornarsene dond' era venuto. **) 

Mentre ancora il Vukasovié si trovava nel Montenero, vi e- 
ra giunto anche il tenente-colonnello russo, conte Marco Ivelié, na- 
tivo di Risano, latore di manifesti stampati, con cui 1' imperatrice 
Caterina invitava «tutti i Serbiani, Montenegrini e gli altri figli 
della gloriosa nazione slava" a prendere le armi contro i Turchi. 
Nel seguente anno 1789, 1' Ivelié scrisse agli abitanti del villaggio 
di Trebjese di assalire la fortezza di Onogoèt e di distruggerla. I 
Trebjeéani vi aderirono di buon grado, ma siccome da soli non e- 



*) Grlica de] 1886, pag. 69. 
*•) Id. ibid. 



149 

rano in forze per condurre a fine tale impresa, il vladika, dietro 
loro richiesta, mandò loro in ajnto 2000 tra Montenegrini e Br- 
gjani, sotto il comando del governatore Joko Radonié, i quali in 
sulla sera dei 17 Agosto si avvicinarono aTrebjese. Il domani quel- 
li d' OnogoSt (Nikèiéi), scorgendo quest'armata, si rinchiusero nel- 
la fortezza ; ma accortisi che non vi fossero truppe russe, sortirono ed 
attaccarono i TrebjeSani, i Montenegrini ed i Brgjani, i quali com- 
battendo e difendendo le donne, i fanciulli e le greggi dei Trebje- 
Sani poste nel loro centro, si ritirarono a PljeSivci, sul confine 
montenegrino. Cessato il combattimento, i Turchi al loro ritorno 
appiccarono il fuoco a Trebjese i cui abitanti in numero di 35 
famiglie si salvarono dapprima nei villaggi di Stubica e Povija, 
appartenenti a PljeSìvci, e poscia, stretti dalla miseria, si disperse- 
ro per tutto Bjelopavliéi, dai loro congiunti ed amici. *) 

Partito il Vukasovié dal Montenero, il vladika continuava a 
ruminare nella sua mente come, continuando ancora la guerra tm 
le due potenze alleate ed il Sultano, provvedersi di munizioni col- 
le quali non solo difendere il proprio paese dai Turchi, ma aggre- 
dirli ove se gliene presentasse 1' occasione. Attendeva a preferen- 
za questi soccorsi dall' imperatore Giuseppe; a tale scopo nel 1790 
spedì a Vienna parecchi capi montenegrini, dando loro per guida 
e consigliere il suo segretario abate Dolci ; ma durante il loro viag- 
gio r imperatore aveva cessato di vivere e gli era succeduto suo 
fratello Leopoldo II. Il cuore benefico del nuovo monarca si com- 
ffiosse alle preghiere dei Montenegrini e diede ordine che, senza la 
menoma spesa, fosse provveduto il Montenero d' una sufficiente 
quantità di munizioni. Al primo di Luglio n. st. dell' anno 1790 
queste furono imbarcate a Trieste dal generale maggiore Don Car- 
lo Giuseppe de Hentzi, comandante del litorale austriaco ed 



*) Narrazione dei vecchi Trebj«iaiii, pag. 31-34. 



150 

accompagnate da una sua lettera al vladika, ai capi ed a tutta la 
popolazione del Montenero e delle Brda. Eccone il tenore: *) 

;,A1 reverendissimo Monsignore Metropolita ed Arcivescovo 
della chiesa ortodossa di rito Greco-Orientale del Montenero Pie- 
tro Petrovié, ed agli Illustri e Nobili Signori, Governatore, Srdari 
Vojvode, Knezovi, Capitani, Barjaktari, ed a tutti i valorosi popoli 
cristiani delle Provincie di Montenero, Brda ed altri distretti ecc. 
ecc." 



^Essendo state esaudite dalla Clemenza di Sua Reale (d 
Apostolica Maestà il mio Augustissimo Sovrano Leopoldo Secondo, 
le rappresentanze delli Nobili Signori, Governatore Radonic e 
Srdar Planienac di Montenero, fatte in nome Loro alla detta Sua 
Reale Maestà, per la Grazia di essere provveduti dalla Sovrana 
Sua Munificenza di quei soccorsi necessarii non solo alla loro per- 
sonale salvezza nelle presenti circostanze della guerra, ma per aver 
da difendere le Loro Provincie e paesi del Loro Dominio ed of- 
fendere altresì il comune inimico e persecutore del Cristianesi- 
mo;" 

^Sua Regia Maestà in vista di tali intercessioni per favorirli, 
ha voluto con la Sua Sovrana Grazia secondare quella stessa amo- 
revole condiscendenza che ha dimostrato verso di loro coi fatti 
r antecessore Monarca di gloriosa memoria Giuseppe Secondo, — 
il defunto Imperatore suo fratello nel soccorrerli, ed inconseguen- 
za ha ordinato, che frattanto li sia spedito un bastimento accom- 
pagnato da uno dei Regi Cutter col carico di varie munizione da 
guerra, cioè; 



*) Riproduciamo questa lettera in italiano; come viene riportata dal cav : Mi- 
lakovié neir appendice I della sua storia, sotto i\ N. II alle pag. 324, 25 e 
26, con alcune lievi modificazioni, necessarie all' uniformità nell' ortografia 
ed alla chiarazza nell' intelligenza. L' originale in duplo (non ci consta se 
in lingua tedesca o nella presente traduzione) si conserva nelP archivio scel- 
to a Cctinje. N. d. T. 



151 

Polvere libre grasse ^em^te, . . 31, 725 
Piombo „ „ „ ... 63, 609^ 

Pietre" da fucile 137, 000 

Carta per far cartatiicce risme . . .315 
Cannoni co' loro affusti, carri dà munizione 
e la necessaria munizione 2 

Oltre di questi Y occorrente denaro 
per il trasporto del tutto per terra 

zecchini 500 

,Le quali ora indicate munizioni e danaro servir possano per 
mezzo Loro al comun bene, e pei'chè siano, ed abbiano da essere pu - 
re per mezzo Loro, e nel miglior modo possibile compartite a mi- 
sura del bisogno e delle circostanze a chi conviene, nelle, due Pro- 
vincie e Loro distretti, onde cautamente tutti possano essere torniti 
delle necessarie munizioni, e tutti pure possano egualmente con vero 
zelo e fedeltà concorrere alla distruzione delle forze dell' inimico, il qua- 
le ha sempre perseguitato, e conti nuià a perseguitare il Cristiane- 
simo e la quiete di tutti quelli che jio fé ssano cotesta Santa Reli- 
gione ; E però verso tali Sovrane provvidenze, io spero, e sono cer- 
to che ogni un in particolare, e tutti in generale, vorranno dimo- 
strarsi grati e fedeli verso Sua Reale ed Apostolica Maestà, e con 
e prove della Loro opera procurarsi V acquisto dell' Alta Sua 
protezione ed anche maggiori soccorsi ed assistenze in appresso, co- 
me meglio li saranno comunicate a voce dalli Nobili Signori Srdar 
Michele Plamenac e Stanislao Radonié, che unitamente alla presen- 
te spedizione si trasferiscono da quelle partì." 

^Finalmente ho il piacere di significarle, che dipendendo il 
vero bene di tutti quei valorosi popoli, non solo dalli soccorsi, ma 
anche dalla Loro unione e concordia ; così nella maniera, che Sua 
Maestà il Re mio Sovrano con la sua clemenza gli somministra i 
medesimi, in loro ajuto; io spero e sono certo,"' che scambievol- 
mente e nella stessa maniera il Monsignore Sacro Metropolita, co- 
me Pastore e capo ^rituale di tutti quei valorosi pop eli, saprà 
con la sua virtìi insinuare neili Loxo animi questa fondamentale 



152 

massima dell' unione e concordia tra di Loro, mentre senza tali 
principii nelli Loro cuori, non potranno mai ne rendersi ben affetti 
verso il Sovrano che li benefica, né acquistarsi alcun vantaggio 
come nemmeno sperar potrebbero di vincere il Loro inimico; E 
con la stessa virtiì spero e son certo, che si comporteranno anche 
tutti li sopra mentovati Nobili e Primati, onde sia con unanime e 
e comune consenso compita quest' opera che riguarda il pubblico 
bene; in conseguenza del quale possa io pure dai Loro effetti e 
favorevoli riscontri aver la consolazione di avanzare al Sovrano 
Trono il compimento della Loro opera; E dalF esempio di questo 
potranno ancora aver il vantaggio di attirare a Loro pure tutti 
gli altri popoli vicini, che non sono ancora uniti, onde tutti dico 
di concerto poter meglio opprimere le violenze del comune inimi- 
co. E perchè siano noti a tutti questi sentimenti della mia lettera, 
r adrizzo alla sacra persona di Lei Monsignore, ed a tutti li so- 
pradescritti Illustri soggetti, dei quali in generale attendo col ritor- 
no del Regio Cutter la Loro risposta per tutte quelle ulteriori prov- 
videnze che esigerà il caso e le circostanze." 

E desiderando a tutti ogni felice conservazione e progresso 
per la gloria di chi li soccorre e per quella del Loro bene, passo 
con tutto r affetto a dichiararmi." 

Trieste il dì Imo Giugno 1790. 

affezionatissimo 
Son Carlo I. d' Heznili (?) 
Cavaliere del Sacro Romano Impero, 
Generale-Maggiore e Brigadiere Co- 
mandante di queste coste del Litora- 
le Austriaco. 

Il vladika risparmiava con grande cura queste munizioni, co- 
noscendo in quali angustie fossero stati i Montenegrini, per averne 
patito difetto. Distribuiva quindi soltanto la quantità necessaria 



153 

per la difesa dei confini del Montenero e delle Brda cui, quantun- 
que non osassero attaccare i limitrofi Turchi, pure non si poteva- 
no sguarnire per recarsi altrove. 

Nel corso di questa guerra degli \ustro-Russi coi Turchi, 
questi ultimi perdettero molte delle loro fortezze. I Russi presero 
Oiakow, Akerman, Bender ed Ismail. La presa d' Ismail costò im- 
menso sangue, 25000 Turchi caddero vittime della vendetta dei 
vincitori; otto giorni interi s' impiegarono per sotterrare i cada- 
veri. Anche gli Austriaci riportarono delle significanti vittorie, con- 
quistatando non solo nella Croazia Turca: Dubica, Novi e Gradis- 
ka, ma anche Belgrado con una grande porzione della Serbia, nel- 
la quale impresa furono loro di grande ajuto gì' indigeni i quali 
erano insorti all' appello dell' imperatore Giuseppe. Probabilmen- 
te questa sarebbe stata la volta in cui i Turchi avrebbero dovuto 
abbandonare V Europa, se non fosse sopravvenuta la prematura 
morte dell' imperatore Giuseppe II e se il ministero inglese non 
avesse indotto il rè di Svezia ad intimare la guerra alla Russia. A 
cagione dei torbidi insorti nei Paesi Bassi, 1' imperatore Leopol- 
do II s' affrettò di por fine alla guerra colla Turchia , ed ai 24 
Luglio 1791 conchiuse la pace a SviStow, con cui restituì ai Tur- 
chi Belgrado e tutte le terre conquistate, ad eccezione di Orsova- 
vecchia. colla condizione che fossero amnistiati tutti i Serbianiche 

* 

avessero preso le armi contro il Sultano. L' imperatrice Caterina 
isolata così dal suo potente alleato e temendo una coalizione del- 
l' Inghilterra, della Prussia e della Polonia, che già cominciavano 
ad armasi in favore della Porta, accondiscese pure a trattar di 
pace. I preliminari furono sottoscritti a Galatz al primo d' Agosto 
e la pace fu stipulata a Jassy ai 29 di Decembre 1791. Con que- 
sta pace la Russia, dopo immensi sacrifizii, rimaneva appena in 
possesso delle sue anteriori conquiste, aggiuntovi soltanto Oéakow 
che le aveva costato un intera armata. 

Finita la guerra, il vladika rimaneva creditore di 6480 fiori- 
ni dair Austria, per le spese sostenute per la custodia delle mu- 
nizioni da guerra da che furono spedite nel Montenero, somma 



154 

eh* egli richiese da quel governo nel 1792. Le sue istanze vennero 
esaudite e V esimio general-maggiore Paulié accompagnò il dana- 
ro, con una sua lettera in data 13 Ottobre, nella quale così si e- 
sprimeva: «Ricevuta con gioja la pregiata lettera del 12 Giugno 
indirizzatami da V, S. Illustrissima, ho tosto proseguito Y affa- 
re alla cancelleria di guerra, ma per i moltissimi affari soprag- 
giunti dopo la morte del defunto imperatore (Leopoldo II) e 
per la guerra colla Francia prima d' ora non si potè venir a 
capo di nulla. Ora mi fiì imposto di comunicarle che le munizioni 
che ancora rimangono presso di Lei, Le vengono cedute e regala- 
te per i suoi bisogni ed in conseguenza rimangono interamente a 
suii disposizione, ed io da parte mia La consiglio di farne rispar- 
mio per r occorrenza ; chi sa che ben presto non ne abbia a do- 
ver far uso? Le spese per la loro custodia non potranno venir pa- 
gate in appresso da questa Corte; V. S. Illustrissima comprende- 
rà benissimo che tali spese non possono essere sostenute in tem- 
po di pace, e che in conseguenza non potevano più venir calcola- 
te dall' epoca in cui questa fu conchiusa, tuttavia il graziosissi- 
mo nostro Imperatore (Francesco II in seguito I), dietro proposi- 
zione mia e della cancelleria di guerra, avuto riguardo a V. S. Il- 
lustrissima, bii dato ordine che venissero tosto estradati dalla cas- 
sa di guerra 6480 fior: per tutte le spese presentate; a prelevare 
poi questo danaro ho condotto jeri alla cassa di guerra il Suo ni- 
pote Ivanovié, il quale presentando la quietanza di Lei, ha incas- 
sato la moneta. Desidero che V. S. Illustrissima nelle attuali cir- 
costanze si accontenti con questo importo, e chi mai potrebbe com- 
sare tutte le fatiche, premure e pene da Lèi sostenute? Queste, e 
V. S. Illustrissima e molti altri benemeriti suoi compagni, convie- 
ne che abbonino a conto della fortuna, che in quest' ultima guer- 
ra coi Turchi non ci fu favorevole; ciò nuUameno voglio sperare 
che V. S. Illustrissima non cesserà di mantenere per questa Corte 
le sue buone disposizioni ed una cordiale aderenza; e non cange- 



155 

rà verso di me i Suoi sentimenti di amicizia e di affetto ; spero 

poi che la sorte non seguiterà a dimostrarcisi sempre avversa* *) 

Dopo due anni dalla distruzione di Trebjese, i suoi profughi 

abitanti si trasferirono da Bjelopavliéi nella Moraòa inferiore. Co- 
là li raggiunse un loro compaesano dal monastero di Studenica 

nella Serbia, di nome Aussenzio èundié. Non gnrbando loro que- 
sto soggiorno, nel 1792 si trasferirono nella Moraèa superiore tra 
gli Uskoki, al confine di Drobnjak e ripartati con quelli i terreni 
di LjeviSte, vi fabbricarono le loro case, ed il srdaro MaliSa Vu- 
kié (insignito di tale carica dal vladika Pietro, prendendo in se- 
guito il nome di Mina Lazarevié) in qualità di loro capo, abitava 
sulla collina di Cepié, che in seguito divenne il punto principale 
di convegno per le riunioni di quelli della MoraCa superiore cogli 
Uskoki. Colà i TrebjeSani si trovarono bene allogati, avendo per 
praterie gli altipiani del monte Javorje e per pascoli la montagna 
di Lola. Quivi si rifugiarono tra loro molti prodi tanto dall' Erze- 
govina, quanto dalla Bosnia, trai quali si aquistò un nome glorio- 
so Gabriele èibalija nativo di Drobnjak. **) 

Gli Uskoki tenevano in continua apprensione i Turchi di Ko- 
laSin e di NikSié e quando quelli videro aumentarsi di molto il loro nu- 
mero, decisero d' irrompere nella Moraéa, per esterminarli. Furo- 
no forzati tutti i cristiani ad unirsi ai Turchi, purché fossero atti 
a portar le armi, e di recarsi nella Moraèa, per condurre a fine ta- 
le intrapresa. Disgraziamente le forze turche erano decuple in con- 
fronto di quelle dei Moraèani e degli Uskoki, contro i quali era 
diretta la spedizione. Approftìttando delle tenebre della notte e 

della fitta nebbia del mattino, e più ancora dei suggerimenti d' un 
disertore Moraéano, i Turchi s' accostarono pian piano ai vil- 
laggi. All' accorgersi del loro arrivo, le sentinelle dei Moraóani 
non ardirono far fuoco contro cotanta forza e giunsero appena a 

dar r allarme ai villaggi. Il giorno 30 Luglio del 1795 fu testimo- 
nio d' un orribile incendio. I Turchi diedero alle fiamme non solo 
tutte le case, ma anche le più piccole capanne. Quando^, divampa- 

•) Questa con dne altre lettere del generale Pavlié, sì conseryano nelP archi- 
vio scelto di Cetinje. 
*•) Narrazione dei vecchi Trebjeiani pag. B5.-40. 



156 

to il fuoco, i Turchi tripudianti e giulivi, cominciarono a ritirar- 
si dai monti col bottino e coi prigionieri, allora due dei nostri, ve- 
dutili, incominciarono a darsi di voce per i monti, animando vi- 
cendevolmente alla riscossa i proprii e gli Uskoki. I boschi ed i 
dirupi eccheggiavano alla voce degli eroi ed all' appello fraterno. 
Ma di tutti gli Uskoki e Moraèani che si raccolsero, arrivarono 
appena trenta uomini ad una stretta gola, per la quale dovevano 
passare i Turchi. Da queste Termopili della Moraéa, questo pugno 
di gente si scagliò addosso ai loro antichi nemici ed ora ospiti 
mal capitati. Gentinaja di soldati turchi fuggirono dinanzi a dieci 
SerbiRni. Dopo la «uffa gli Uskoki ed i Moracanì portarono 37 
teste sulla collina di Òepié. Inoltre poi, per più d' un anno dopo, 
si rinvenivano rimasugli di cadaveri turchi sul monte Vragodol 
della Moraèa. Il numero dei Turchi feriti, che a stento e mala pe- 
na giunsero a fuggire dallo scontro di Morata, era tre voltje mag- 
giore di quello dei morti. Dei Moraéani e degli Uskoki perirono 
soltanto cinque individui, *) 



L' orgoglioso vpzir di Scutari, Mahmud-pascià, non poteva 
darsi pace che rimanessero uniti ai Montenegrini quelli delle Brda, 
cui egli non ha guari aveva saputo adescare al proprio partito, più 
colla corruzione che colla forza; cominciò quindi a mettere in ope- 
ra con bella maniera tutti i mezzi per nuovamente accalappiarli 
ed assoggettarseli; ma accortosi dell' inutilità dei suoi tentativi, 
decise di giungere allo scopo colla violenza e perciò nella prima- 
vera del 1796 incominciò a raccogliere un armata, tenendo segre- 
ta la destinazione di lei. Congetturavano gli uni che divisasse di 
assalire il Montenero, dicevano gli altri che moverebbe contro le 
Brda. Venuto a cognizione di ciò il vladika Pietro ai 28 di Mag- 
gio diresse una lettera al vezir, pregandolo di manifestargli dove 



*) Narrazione dei vecchi Trebjeàanì, pag. 43-46. 



157 

divisasse andarsene coir armata, e quando fosse sua intenzione 
d' aggredire o il Montenero o le Brda, desìstesse dair intrapren- 
dere alcunché contro questi infelici. Mahmud-pascià gii rispose non 
esser suo intento di assalire il Montenero, ma soltanto quelli di 
Piperi e di Bjelopavliéi, i quali avevano avuto l'ardire di taglia- 
re le strade e rompere le comunicazioni tra le fortezze turche ; e 
gli raccomandava di non prestar loro alcun ajuto.nè di permettere 
che si rifugiassero sul territorio Montenegrino, perchè, in caso dì- 
verso, avrebbe saputo coi suoi fieri Albanesi far vendetta e di lo- 
ro e di quelli che li aiutassero. *) 

Il vladika al rilevare che Mahmud-pascià avesse stabilito di 
aggredire le Brda, gli rispose, ai 10 di Giugno, in questi termi- 
ni: „ Quanto mi scrivi di non prestare ajuto ai Brgjani, né di per- 
mettere loro di rifugiarsi nel Montenero, di questo non é da far 
discorsi, che un simil procedere mi vieta e la mia religione e la 
mia coscienza : quelli delle Brda sono miei fratelli al pari dei Mon- 
tenegrini; quanto poi mi accenni dei tuoi fieri Albanesi, compren- 
do che tu riponi la tua baldanza nella forza, ma sovvengati esser 
questa in mano del solo Iddio, cui noi ci abbandoniamo pregando- 
lo di esserci in ajuto. Conosco benissimo tutti i mali e tutte le 
ingiurie che hai recato ai Montenegrini e che hai bniciato la chie- 
sa ed il convento di Cetinje, mentre io mi trovava in viaggio per 
la Russia; pure aveva tutto dimenticato, rendendoti ben per male 
quando ti trovavi alle strette col Sultano, distogliendo i Monte- 
negrini dal venirti contro. Nuovamente ti esorto a lasciar stare 
gV infelici Brgjani e risparmiare il sangue degli innocenti ; se non 
lo vuoi, sia lodato egualmente Iddio 1 col suo ajuto noi ci difen- 
deremo dalla tua forza e dalla tua aggressione, finché resterà in 
vita uno solo di noi."**) 



*) Grlica del 1836, pag. 70. — Questa ed un altra lettera di Mahmud-pascià, 
si conservano neU^ archivio scelto di Cetinje. 

**) Grlica del 18S6. pag. 70-71. — La copia di questa e di un'altra lettera, scrit- 
te in queU' epoca dal vladika Pietro al vezir di Scutari, si conservano nel- 
1' archivio scelto di Cetinje. 



158 

Mahmud-pascià non volle fare alcun calcolo di questa lettera 
ma intraprese le mosse cojl' armata verso Podgorica, che divisa- 
va far centro alle sue operazioni contro Piperi e Bjelopavlici, poi 
vinti e debellati questi, assicuratesi così le spalle, intraprendere la 
campagna contro il Montenero. Quei di Piperi e di Bjelopavlici, 
mandarono tosto una deputazione dei loro capi al vladika per cer- 
care delle munizioni e per pregarlo di accorrere coi Montenegrini 
in loro ajuto. Quando questi inviati giunsero a Cetinje, il vladika 
radunò tosto in assemblea tutti i capi dei Montenegrini i quali 
intese le angustie in cui si trovavano quei valorosi, promisero una- 
nimi di andare in soccorso dei loro fratelli delle Brda ed auten- 
ticarono questa loro promessa, col seguente atto: 

«Noi capi ed anziani, con tutta V assemblea del Montenero, 
radunati quest' oggi (20 Giugno) in un solo luogo, abbiamo udito 
ed appreso che i Turchi si allestiscano e si preparino ad aggredi- 
re con tutte le loro forze noi ed i nostri fratelli delle Brda, ten- 
tando ed operando, secondo la loro abituale malizia ed odio con- 
tro i cristiani, tutte le vie ed aperte e subdole, per distruggerci 
e ridurci in etema schiavitù e miseria. Riflettendo quindi e rian- 
dando tutte le sciagure, che afflissero la nazione slavo-serba a cau- 
sa di tradimenti e scissure, unanimi abbiamo deciso e fermamente 
stabilito, confermando il nostro deliberato con giuramento e bacian- 
la gloriosa e venerabile croce di Cristo nostro Signore e Salvato- 
re ed il santo Evangelo, di unirci tutti contro il comune nemico 
del cristianesimo e di cercare di combatterlo con tutte le forze e 
con tutto il vigore, per difendere la nostra ortodossa e santa re- 
ligione, la preziosa nostra libertà ed indipendenza, la nostra dilet- 
ta patria, le nostre chiese, i nostri monasteri, le nostre donne ed 
i nostri figli ; perchè non cada su noi e sui nostri posteri il grave 
e tremendo giogo dei figli di Agar, dal quale finora, mercè la su- 
prema protezione dell' onnipotente Iddio e ad esempio dei nostri 
genitori ed antenati di benedetta memoria, ci siamo sottratti colla 
forza delle armi dall' epoca della caduta del nostro impero, e 
poscia dai tempi dell' ultimo nostro principe e signore Giovanni 



159 

Orno j evie. Ed il divino ajuto sanzioni la verità e la sincerità di 
questo giuramento. Amen, amen, amen." *) 

Il giorno susseguente a questo giuramento il vladika spedì 
cogli inviati delle Brda una sufficiente quantità di munizioni, e die- 
tro di loro con alquanti Montenegrini si mosse egli stesso verso 
Bjelopavliéi ed ai 26 di Giugno si accampò sulla riva sinistra del 
fiume Zenta, in una località denominata Slatina. In pochi giorni sì 
concentrò su quel punto, tra Montenegrini e Brgjani, un armata 
di circa 8000 uomini, che si ordinò, giusta il loro costume, riunen- 
dosi sotto le bandiere delle loro diverse tribù. Frattanto Mahmud- 
pascià, con 20000 uomini, si avanzò prendendo posinone sotto il 
colle di Yisoòica, soprastante alla fortezza di Spu£, in lontananza 
di sole due ore dalla tenda del vladika. Per nove interi giorni le 
armate si rimasero di fronte, senza ingaggiar battaglia. Supponeva il 
pascià che il picciol corpo dei Serbiani, vista la superiorità delle 
sue forze, non avrebbe ardito di attenderlo e che i Brgjani sareb- 
bero stati costretti ad arrendersi senza colpo ferire ; ma vedendo che 
s' ingannava nei suoi calcoli, agli 11 di Luglio offrì la battaglia. 
I Serbi attesero impavidi i Turchi, sostennero da valorosi il eoa- 
flitto e verso sera, dopo una tremenda carneficina, li respinsero al 
di là del villaggio di Martiniéi, costringendo il vezir con molti 
de' suoi a rinchiudersi nella fortezza di Spu2, mettendo in fuga i 
rimanenti. In quella giornata caddero molli 23 e feriti 26 tra Mon- 
tenegrini e Brgjani, i Turchi perdettero 67 dei loro agà e signori 
e 1 500 gregarii, sen^a parlare dei molti feriti, fra i quali era V i- 
stesso Mahmud-pascià. **) 

Dopo questa segnalata vittoria riportata sulP inimico, il vla- 
dika propose una legge, divisa in sedici paragrafi, tendente in par- 
ticolar modo a sradicare gli omicidii e le vendette che da questi 



*) Griica del 1836, pag. 72-73. — L' originale di questo atto si conserva nel- 

V archivio scelto di Cetinje. 
*♦) Griica del 1836, pag. 73-74 ; e v' è anche un canto nazionale, che narra 
di questa battaglia. 



160 

derivavano. Neil' assemblea tenutasi a Getinje ai 6 d' Agosto del 
1796 i Q^pi e gli anziani dei Montenegrini e delle Brda, a nome 
di tutto il popolo, sanzionarono tal legge, obbligandosi dì eseguire 
quanto in essa era contenuto. 

Guarito il vezir di Scutari dalla sua ferita, bramoso di can- 
cellare r onta sua e quella dei suoi, com' egli li chiamava, fieri Al- 
banesi, coi quali aveva saputo resistere alle armate del Sultano, 
raccolse nuovamente un esercito, il più poderoso che gli fosse pos- 
sibile, di ben 30000 uomini; ed ai primi di Settembre dell' anno 
1796 arrivò con questo a Doljani nella Zenta, tentando di forzare 
il passaggio verso Getinje per la nahija di LjeSa, come gli era riu- 
scito alcuni anni prima. Quando il vladika venne a giorno di ciò, 
inviò delle circolari per tutto il territorio, facendo appello al po- 
polo perchè tosto desse di piglio alle armi, e si ponesse sulle di- 
fese. Dietro tal appello 400 Katunjani arrivarono subito a Getinje 
ed il vladika, ai 9 di Settembre, partì tosto con loro ed all' imbruni- 
re arrivò a VuCiji-Studenac (il fonte del lupo). In pochi giorni i 
Katunjani s' accrebbero a 4000 ed intanto il vezir colla sua arma- 
ta progredì fino al fiume Sitnica, nel LjeSkopolje. Quei delle Brda 
non osavano riunirsi ai Katunjani, perchè quei di Bjelopavliéi te- 
niavano che il primo attacco non fosse diretto contro loro, il che 
temevano pure quei di Piperi avendo il pascià staccato 2000 uo- 
mini dal corpo del suo esercito per tenerli a bada, acciò non des- 
sero ajuto air armata eh' era col vladika. Quei di Kuéi poi, parte 
corrotti, parte spaventati dal vezir, non tenevano le parti del vla- 
dika, ma bensì quelle di Mahmud-pascià. *) 

Ài 22 di Settembre il vladika si mosse da Vuòiji-Studeuac 
e prese posizione presso il monte Busovnik. Lì arringò i Monte- 
negrini, esortandoli a non temere la morte in difesa della religio- 
ne ortodossa e della libertà della loro patria. Poco dopo una co- 
lonna deir armata Turca attaccò Krusi, villag^^io della nahija di 



') Grlica del 1836, pag. 74-75. 



161 

LjeSa, dove gli abitanti, con alcuni Eatonjanì, li attesero intrepidi 
e resistettero alle preponderanti forze del nemico finché ^praffat- 
ti dal numero furono costretti a ritirarsi ed i Turchi allora si diede» 
re ad abbruciare ed a saccheggiare il paese. Contemporaneamen- 
te un' altra colonna, sotto il comando del vezir, attaccò l' armata 
del vladika, che pure dovette alquanto retrocedere. Il vladika ar- 
ringò nuovamente le sue truppe eccitandole al valore, rammentan- 
do loro la gloria della vittoria di Martinié, la quale si sarebbe 
accresciuta se anche questa volta fossero riesciti vincitori dei Tur- 
chi. Animati da queste parole, i Katunjani si scagliarono eroica- 
mente sulla colonna condotta dal vezir e la respinsero ; nel mede- 
simo tempo sopraggiunsero gli ajuti dalle nahije di Bijeka e di 
Crnica, che congiuntisi a quelli di LjeSa assalirono la prima co- 
lonna, occupata coli' incendio e col saccheggio di Erusi e la ricac- 
ciarono. Riunitasi allora tutta 1' armata montenegrìna, assalì vi- 
gorosamente i Turchi i quali, incapaci di rimettersi in ordine di 
battaglia, si diedero alla fuga ed i Montenegrini, inseguendoli, in- 
tieramente li distrussero. In questa battaglia, che non durò piii di 
tre ore, caddero morti più di 2000 Turchi e tra loro lo stesso vezir 
Mahmud-pascià BuSatlija, la cui testa, qua! trofeo dì vittoria, conser- 
vasi anche oggigiorno nel monastero di Getinje. La perdita dei Montene- 
grini fu ben piccola, non essendone rimasti morti che soli 32. *) 
Questa splendida vittoria incusse grande timore ai Turchi, 
rassodò V indipendenza del Montenegro e delle Brda, diffuse la fa- 
ma del valore mont'^negrino per tutto il mondo, e meritò al saggio 
vladika di esser insignito dell' ordine di St Alessandro Mewski. 
Ma gran parte del suo merito deve ascriversi alle munizioni che 
r imperatore Leopoldo II, come già accennammo, aveva regalato ai 



*) Grlica del 1886, pag. 75-76; e vi è anche un canto nazionale sa questa bat- 
taglia. — Alcmii anni or sono ho udito narrare da alcuni, che ebbero parte 
a quella giornata, che quei di Kuéi, tostochè i Turchi incominciarono a ri- 
tirare, rivoltassero le loro armi contro Mahmud-pascià ed il suo seguito, e 
che ciò producesse il massimo scompiglio tra V armata turca. 

11 



162 

Montenegrini. Con questo regalo egli lasciò un etema memoria di 
sé tra il popolo Montenegrino ed il vladika Pietro II cosi ne par- 
la: 

„Del gran figlio di Francesco * 

„Che di Vienna il soglio avito" 

^Illustrò con nobil opre," 

„Di Leopoldo eterno il nome" 

„Montenero ognor ricorda" 

„E la polvere donata* 

,,Nel momento del periglio," 

„Per cui cadde fulminato* 

a Di Bojana il mostro ardito." *) 
Neir Europa occidentale ardeva la guerra, destata dalla ri- 
voluzione francese fin dall' anno 1792; si sconvolgeva V anteriore 
ordine delle cose ; cadevano gli antichi regni e ne sorgevano dei 
nuovi. Bonaparte, il figlio prediletto della vitt^a e della fortuna, 
destinato ad esser V ammirazione e lo spavento del mondo intero, 
neir anno 1797 occupò Venezia e distrusse quella repubblica; il 
destino di lei influì sulla sorte delle Bocche di Cattaro sue di- 
pendenti, le quali in queir istesso anno ai 5 (17) di Ottobre fu- 
rono cedute dai Fj'ancesi all' Austria, in virtù del trattato di Cam- 
poformio. **) 

IGattarìni, fin dal 1367, s'erano posti sotto la protezione dei 
rè d' Ungheria, ma quando nel 1420 tutta la Dalmazia venne as- 
soggettata alla repubblica di Venezia, allora anch' essi, non poten- 
do pili sperar nulla di grande dalla protezione ungherese, in quel- 
r istesso anno, con spontanea dedizione, si assoggettarono ai Ve- 
neziani, e tra i patti v' era anche il seguente: „Se la repubblica 
di Venezia, in seguito a qualche avvenimento politico, non fosse 
piiì in istato di poter difendere Cattaro, che in tal caso non po- 



*) Slobod^ada, pag. 165. 
*♦) Grliea del 1836. pag. 76. 



165 

tesse né cederlo né tenderlo ad alcun altro, ma che dovesse ab- 
bandonarlo lasciandolo in quello stato di libertà, che anticamente 
aveva goduto." In virtù di questo articolo, era penoso ai Bocche- 
si di riconoscere il nuovo governo, al quale erano stati ceduti a 
loro insaputa e senza loro consenso. Raccoltisi in assemblea ì ca- 
pi delle comunità delle Bocche, non sapendo a qual partito ap- 
pigliarsi, richiesero consiglio dal vladika del Montenero. Questi fu 
d' avviso che creassero un governo provvisorio del paese e che 
istituissero una guardia nazionale, per così amministrare la giusti- 
zia e mantener Y ordine, che tal procedere non verrebbe certo 
loro ascritto a colpa, nel caso che si ricostituisse la repubblica ; 
ove poi non ci fosse speranza del suo risorgimento, che ricono- 
scessero allora la sovranità delP imperatore romano, però con quel- 
le stesse condizioni che prima erano state accettate dal governo 
veneto, I Bocchesi approffittarono di tale consiglio e quei di Bu- 
dua pregarono lo stesso vladika di venire tra loro, mettendosi 
temporarìamente sotto la sua protezione, come consta dal seguen- 
te atto tradotto dall' originale: 

(L. S.) 
„7n nome di Cristo, amen. Il giorno 14 Luglio delV anno 179f7^ 



„Da tempo remotissimo Budua era soggetta per spontanea 
dedizione all' aristocratico governo di Venezia, ed a fronte di tut- 
ti i diversi e dolorosi eventi delie guerre, gli rimase sempre fede- 
le. Ora che i suoi reggitori rinunziarono alla loro aristocratica 
autorità, la città di Budua, in questo giorno, solennemente, spon* 
taneamente e volonterosamente si dedica a Sua Imperiale e Reale 
Maestà Francesco II rè d' Ungheria, Boemia, Croazia, Dalmazia 
ecc. ecc. ecc., dalla cui imperiale grazia implora e spera di otte- 
nere quelle stesse franchigie, di cui ha finora goduto. E fino a che 
sarà accolta sotto la protezione di Sua Imperiale Maestà, sceglie 



164 

a suo protettore, difensore ed arbitro, Pietro Petrovié, gloriosissi- 
mo arcivescovo e metropolita del Montenero.* *) 

Questo atto, preletto dal pergamo nella chiesa cattedrale, in 
giorno di Domenica, in presenza dell' accorsovi popolo, fu conse^ 
gnato nelle mani del vladika. 

Ài 16 Luglio il generale austrìaco, barone Rukavina, arrivò 
colla flotta a Traiì, per prendere possesso di tutta la Dalmazia. 
Fra breve fu seguito dal commissario plenipotenziario austriaco, 
barone Raimondo di Thurn, per introdurre in Dalmazia l' ammini- 
strazione giudiziaria, secondo F organizzazione austriaca. Il barone 
Rukavina scrisse dalla Dalmazia diverse lettere al vladika a Bu- 
dua. Sarà sufficiente il riportare alcuni brani di queste lettere. 
In data 1 Agosto n, st. il barone Rukavina, così scriveva al vla- 
dika :„ Ricevendo una lettera diretta a V. S. Illustrissima, da par- 
te della mia Corte, convinto del nobile attaccamento di Lei al mio 
graziosissimo Sovrano, nelle cose a Lei già note, mi rallegro anti- 
cipatamente del piacere che avrò nel comunicarle, al mio arrivo 
nelle Bocche, gli ulteriori sentimenti di Sua Maestà in contraccam- 
bio di quelli espressi da V. S. Illustrissima alla prefata Maestà Sua 
e frattanto le Cvise rimangono bene nelle Sue sacre mani.'' In un 
altra lettera dei 17 Agosto, il generale Rukavina così sì esprime- 
va: «Mi fu molto gradita la lettera di V. S. Illustrissima, conse- 
gnatami dal reverendo Stefano Vuèetic. **) V. S. Illustrissima, fi- 
dando nella mia lealtà, può star sicura, che nessun altro le verrà 
anteposto innanzi al trono del mio augusto Signore.** E nella let- 
tera dei 22 Agosto così diceva :„ Gol nobile comportamento di V. 



*) Grlica del 1886, pag. 76-78. — Questo atto si conserva nel' arcbrt|o sd^to 

di Cetinje. 
♦♦) Stefano Vu^etié, altrimenti Vukotié, era nativo da Grbay neUe Bocche. Gio- 
vinìssimo si fece prete e poco tempo dopo abbracciò lo stato monastico. A 
causa del suo grande attaccamento alla corte di Russia, il governo veneto 
nel 1789 lo costrinse ad esulare nel Montenero. In segaito fu creato ar- 
chimandrita dal vladika, che lo mandava come suo inviato in parecchie mis- 
sioni. 



165 

S. Illustrìssima nell' occasione della dedizione di Budua a Sua 
Maestà Apostolica, e coli' innalzare solennemente V austriaco ve- 
siilo in quella città, s' è aquistata un diritto air affezione ed al 
rispetto d' ogni fedele suddito di S. M. 1' augusto nostro Signore, 
e tanto più alla mia cui V. S. Illustrìssima ha alleviato V ardua 
impresa dell' occupazione delle Bocche di Cattare.** *) 

Quando i Bocchesi videro che la repubblica di Venezia ave- 
va cessato di esistere per sempre e che le truppe austrìache 
avevano occupato tutta la Dalmazia, mandarono i loro deputati a 
Curzola al barone Rukavina, il quale agli 11 (n. st. 22) Agosto 
arrivò a Cattare e quindi occupò tutte le Bocche colla sua arma- 
ta. **) 

Nel mese di Ottobre, arrivò sotto Ragusa una flotta france- 
se, comandata dal contrammiraglio generale Brueys. Questi spedi 
un corriere al conte lliurn, che allora si trovava aPortoBose, col- 
r ordine che gli austiìaci evacuassero quanto prima le Bocche, 
minacciando, in caso che si fossero opposti, di adoperare la forza. 
Trovandosi in circostanze cosi imbarazzanti, il conte Thurn a\ rì« 
volse al vladika pregandolo : „di non rifiutarsi di prestare ajuto 
coi suoi prodi Montenegrini alle Bocche, contro il comune nemico 
sovvertitori^ della religione e dei più santi legami sociali ; e di 
volersi mettere in corrispondenza, su d'un affare così interessante 
ed essenziale, con Sua Eccellenza il signor comandante Brady, o 
coli' autorità la piii vicina.** Alla fine della lettera il conte Thurn 
aggiungeva: «Io raccomando alle paterne e pie cure di V. S. Illu- 
strissima ed alle saggie Sue disposizioni tanto 1' armata imperia- 
le che attualmente si trova a Cattare, quanto quella che sta per 
venire, nella fiducia del più felice risultato.'' 

Il vladika giustificò pienamente queste speranze del conte 
Thurn, il quale in seguito a ciò lo regalò a nome del suo sovra- 
no di una tabacchiera accompagnata da un suo scrìtto in data 



*) Queste lettere si conservano nell' Archivio scelto di Cetii\}e. 
♦♦) Grlica del 1836, p«g. 78. 



166 

27 Ottobre, in cui, tra le molte altre, si trovano le seguenti espre- 
sioni: „ Avendo Ella accondisceso ad inviare tosto i suoi Montene- 
grini in soccorso di questo popolo, cui i Francesi con formale di- 
chiarazione minacciavano di trattare qual nemico, permetta V. S. 
Illustrissima che possa, a nome di S. M., manifestarle la sua sod- 
disfazione, presentandole, come tenue memoria, una scatola di por- 
fido, lavoro di un celebre artefice, sulla quale è rappresentato in 
mosaico il tempio della Concordia in Roma, il qual simbolo s^ ad- 
datta perfettamente alle premure da Lei dimostrateci in questa oc- 
casione. *) 



Già neir anno 1791, alla conclusione della pace tra la Rus- 
sia e la Turchia, essendo rimasta 1' Erzegovina sotto il dominio 
ottomano, i Trebjeàani s' erano proposti, ove potesse loro riescire, 
di emigrare dalla Moraéa superiore in Russia. A tale effetto nel 
1794 inviarono in deputazione a Pietroburgo, V archimandrita Au- 
senzio ed il srdaro Mina Lazarevié, i quali, arrivati nel 1795, con- 
segnarono a quella Corte, in qualità di deputati dei TrebjeSani, li- 
na supplica ed una lettera commendatizia del vladika del Monte- 
nero. Per motivi politici V imperatrice Caterina protrasse questa 
emigrazione ad altra epoca e ricompensò i deputati con danaro, 
regalando all' archimandrita una croce in brillanti ed al srdar Mi- 
na una medaglia d' oro; e per dare un contrassegno di sovrana 
grazia a tutto quel popolo, spedì al vladika Pietro, qual suo ar- 
civescovo, una teca con reliquie ornata di pietre preziose, racco- 
mandandogli, per mezzo del conte Osterman, di soccorrere i Tre- 
bje§ani in tutte le forme possibili. **) 



♦) Anche queste lettere st trovaAO nell* archivio scelto di Cetinje. — Oltre 
al regalo suaccenato, il vladika ricevette dall* imperatore d' Austria una 
croce in brillanti con una collana d' oro di sorprendente lavoro, nonché un 
prezioso anello, ma in quale anno e per quali servizii gli fossero manda- 

m 

ti questi oggetti, non mi fu possibile rilevare da alcun documento. 
♦*) Narrazione dei vecchi Trebjeàani pag. 36-58. 



107 

Dopo ciò ì TrebjeSaui restaroDo ancora per un anno nolli 
MoraCa, finché, non ricevendo ajuto da alcuno, rinviarono nel 179() 
air insaputa del vladika Pietro, il loro srdar Mina in Russia, per- 
chè intercedesse dair imperatrice il permesso di emigrare nel siv» 
impero, non solo a loro e ad alcuni altri cristiani della Turchi.*, 
ma anche a tutti gli abitanti della Moraòa, di Kuòi, di Piperi eth 
Bjelopavliéi, come se quei paesi fossero siti in Erzegovina e co- 
me se molte delle loro famiglie, fuggendo V oppressione turca, .si 
fossero trasferite e domiciliate nella Moraòa superiore. Quando il 
srdaro Mina arrivò a Pietroburgo, in luogo di Caterina, trovò sul 
trono Paolo I. (egli vi era asceso il 6 Novembre 1796). Questo 
pio monarca accolse amorevolmente il srdaro, lo regalò d' una me- 
daglia d^ oro ed aderì alla supplica degli Uskokf della Moraòa, co- 
me ne fa fede la seguente lettera, che diamo tradotta dall' origi- 
nale: 

„Noi per la grazia di Dio 

PAOLO I. 
Imperatore ed Autocrata di tutte le Bussie 

ecc. ecc. ecc. 



„Ai nobili e rispettabili capi, knezovi e vojvode]^Serbiani ed a 
tutti gli altri signori ecclesiastici e laici, che, abbandonata Y Erze- 
govina loro patria, vivono presentemente nelle Morale: a tutti quei 
di NikSici, di TrebjeSa, di Kuèi, di Piperi, di Piva, di Drobnjak, 
di Grahovo, di Banjani, di Rovaé, della Morata inferiore e superio- 
re, di Bjelopavliéi ecc. ecc. ecc. la Nostra Imperiale grazia e bene- 
volenza.* 



;,I1 vostro fòglio, air indirizzo della defunta Nostra amatissi- 
ma madre, Y imperatrice Caterina Aleksijewna, spedito col mezzo 
del vostro deputato, il serdaro Mina Lazarevié TrebjeSano di Nik- 
§ié, in data 23 Luglio 1796, e la supplica consegnataci dallo stes- 



168 

SO, abbiamo ricevuto con particolare beoignità. Noi prendiamo 
viva parte a tutto quello che vi concerne e desideriamo sin- 
ceramente che r Altìssimo migliori la vostra posizione. Quanto 
concerne il permesso di emigrazione nel Nostro impero a molte 
delle vostre famiglie, Noi volentieri accordiamo di accoglierle, vi- 
sta r eguaglianza di religione, nei Nostri domini! ed appena sarà 
il tempo propizio per effettuarla, non trascureremo di dar istru- 
zioni al Nostro ambasciatore a Vienna, come pure a tutte le au- 
torità confinarie civili e militari su tutto ciò che potrà concerne- 
re la sicurezza del vostro viaggio. Ricevete questo Nostro scritto 
qual contrassegno che valga ad assicurare voi e tutti i vostri con- 
fratelli, della Nostra imperiale grazia e sincera benevolenza." 

»Dato a Pavlowsko, li 30 Aprile 1798, anno secondo del 
Nostro impero. 

«PAOLO m. p.« *) 

Unitamente a questo imperiale rescritto, il consigliere dista- 
to LaSkarew consegnò al srdaro Mina 7 medaglie d' oro e 10 
d' argento, coli' effigie di S. M., perchè dietro ordine imperiale fos- 
sero distribuite trai più cospicui capi e knezovì dell' Erzegovina, 
accompagnandole con una sua lettera. 

Ritornato, alla fine dell' anno 1798, il srdaro Mina dalla Rus- 
sia nella MoraCa, mostrò al popolo 1' imperiale rescritto e conse- 
gnò ai capi le medaglie. Entusiasmato il popolo da questa grazia 
imperiale, in tutti i punti delle Brda incominciarono tosto i pre- 
parativi per r emigra/ione in Russia e 200 famiglie si apparec- 
chiarono al viaggio. Venuto il vladika a cognizione di questo, te- 
mendo che in questo modo non s' indebolisse di troppo la popo- 
lazione nelle Brda, s' accinse a dissuaderli da tale risoluzione e 
vi riesci tanto bene, che appena nel 1804, ventidue famiglie sol- 



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*) Narrazione dei vecchi Trebjeàani, pag. 165-168. 



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169 

tanto di Trebje&anì, emigrarono in Russia e la rimanente popolazio- 
ne rinunziò a tale progetto. *) 



Dopo la seconda decisiva vittoria riportata sul vezir di Scu- 
tarì, il vladika rivolse tutte le sue cure all' organizzazione interna. 
Ài 18 di Ottobre del 1798, fu tenuta un assemblea a Stanjevic 
la quale confermò le leggi emanate nel 1796 e costituì degli or- 
gani per metterle in attività e punirne i trasgressori, per tronca- 
re così e sradicare, per quanto fosse possibile, dal popolo gli arbi- 
trii ed i delitti. 

Mancante di mezzi per poter consolidare stabilmente tanto 
r ordine interno e V organizzazione del paese, quanto la posizio- 
ne coir estero, il vladika in nome di tutto il popolo spedì a Pie- 
troburgo r archimandrita Stefano Vuéetié, altrimenti Vukotié, per 
implorare da quella corte un ajuto in denaro per T interna or- 
ganizzazione del Montenero e per chiedere la protezione della Rus- 
sia, contro le limitrofe potenze. Il magnanimo monarca russo Pao- 
lo I, aderì anche a questa supplica e mandò nel Montenero un suo 
diploma del seguente tenore : 



r^NOI PAOLO PRIMO 

Per la grazia di Dio Imperatore ed Autocrata 

di tutte le Russie 
ecc. ecc. ecc. 



„A1 reverendissimo Metropolita, ai rispettabili signori gover- 
natori, vojvode, knezovi, srdari ed altri capi ecclesiastici e civili, 



*) Narrazione dei vecchi Trebjefiani, pag. 165-I68. 



170 

come pure a tutto il popolo delle provincie slavo-serbe del Monte- 
nero e delle Brda, la Nostra imperiale grazia e benevolenza:' 



Aderendo alle suppliche vostre, fatteci pervenire fin dai 
19 Maggio deir anno decorso col mezzo delF archimandrita Yu- 
kotié, Ci degniamo di graziosamente confermare i precedenti di- 
plomi diretti dai gloriosissimi Nostri antenati al popolo Monte- 
negrino, nonché la Nostra benevolenza espressa al medesimo, 
mediante un anteriore Nostro diploma. Quantunque Noi ritenia- 
mo che, nò da parte dell' Imperatore Romano, né da parte 
della Porta Ottomana possa venir usata alcuna soperchieria ai giu- 
sti vostri diritti, tuttavia, premurosi della vostra prosperità, abbia- 
mo ordinato al Nostro ambasciatore a Vienna ed al Nostro mini- 
stro a Costantinopoli, che prendano informazioni in proposito pres- 
so le suddette due Corti. Quanto poi concerne le sfrenatezze delle 
limitrofe insubordinate popolazioni, alle quali é guida il loro solo 
arbitrio, senza alcun consenso dei loro governi, speriamo che!' ar- 
nmta montenerina, coli' ajuto del proprio valore e colla concordia 
diretta dall' autorità dei suoi f^overnanti, potrà loro facilmente far fron- 
te. D* altronde ora vi credo esposti meno che mai a qualunque 
pericolo, perciò che la Nostra flotta, destinata a combattere una 
nazione che cerca spodestare dapertutto le autorità leggittime e 
minare la religione cristiana, ora si si trova nel Mediterraneo e 
non trascurerebbe di darvi ogni ajuto in caso di bisogno; e per di- 
mostrare maggiormente la Nostra imperiale benevolenza al popolo 
Montenegrino, ci siamo compiaciuti di graziosamente ordinare che 
a datare dal i. Gennajo di quest' anno 1799 in seguito, alla fine 
d' ogni anno vi venga pagata la somma di 1000 zecchini, nella spe- 
ranza che tale danaro verrà impiegato per i pubblici bisogni, par- 
ticolarmente in utili istituzioni, le quali rassodando nel popolo le 
cristiane virtù e procurandogli i mezzi di cultura, promuovano 
la prosperità del paese. Per quanto poi riguarda la graziosissima 
Nostra benevolenza, manifestata in riguardo alle altre vostre suppli- 



171 

che, abbiamo incaricato il Nostro vice-cancelliere attuale, consigliere 
intimo Kotzebue, di comunicarvi le Nostre deliberazioni in propo- 
sito. In fede di che abbiamo ordinato che questo Nostro diploma, 
sottoscritto di Nostro pugno, sia munito col sigillo dello Stato." 

„Dato a S. Pietroburgo li 11 Gennajo deir anno 1799, ter- 
zo del Nostro impero." 



.PAOLO nj. p.« 
(L. S.) 

„ Vittorio Kotzebue vice-cancelliere m. p." 



Né questo sussidio pecuniario russo, che s' incominciò a 
percepire regolarmente, né le leggi sanzioijate dal voto di tutto il 
popolo, né r autorità dei giudici scelti tra i primi capi, né l'esem- 
plare punizione di due Montenegrini fucilati allora per commessi 
delitti, bastarono per tenere in freno ed obbedienti i Montenegrini 
ed i Brgjani, i quali continuarono a lor voglia negli odii, nelle 
risse, nelle vendette di sangv»e e nel rapinarli i limitrofi cristiani 
in Turchia.— 

Questo arbitrario procedere del popolo, costrinse il vladika 
a convocare nuovamente pei 17 Agosto del 1803, V assemblea na- 
zionale a Cetinje, la quale completò le leggi già esistenti, ed isti- 
tuì un tribunale col nome di kulak La raccolta di queste leggi 
comprese in 33 capì, ebbe nome di codice (zakonik). *) 

Quantunque queste leggi, come ci siamo già espressi sul lo- 
ro conto nella Crrlica del 1835, fossero compilate dietro quel prin- 
cipio che: le leggi devono addattarsi alle nazioni e non le nazioni 
alle leggi, pure per breve tempo si mantennero in vigore, anzi al- 



*) Questo codice Montenerino — nel cui originale i primi 16 capitoli sodo 
scritti di mano del defunto vladika Pietro 1., e che si conserta nell' archi- 
vio scelto di Cetiiye, fu trascritto da A. N. Popow quaindo nel 1842 visitò 
il Montenero e venne quindi stampato nell' originale serbo nella sua opera 
in russo: Viaggio nel Moutenero. Pietroburgo 1847, opera in 8. grande, dì 
20 fogli." 



172 

cune non furono mai attivate, A cagion d* esempio: il § 20 del 
codice diceva: „ogni casa è obbligata di pagare all' anno 60 para 
denari (30 car. m. e), ì quali serviranno per V emolumento dei 
giudici:'' CioDuIlameno, quantunque tutto il popolo avesse sanzio- 
nato la legge ed avesse giurato di eseguirla, quando si venne al- 
l' epoca di pagare V imposta, e questa era ben prossima cadendo 
agli 8 Settembre, cominciarono ad opporvisi dichiarando di dod 
intendere di pagar contribuzioni che somigliassero al haraé'zuì 
solo i rajà pagano ai Turchi e manifestarono la loro intenzio- 
ne colle seguenti parole: „8e dobbiamo pagare un tributo, meglio 
pagarlo a dirittura ai Turchi, che allora almeno potremo vivere in 
pace e commerciare liberamente con essi.** Questa opposizione era 
sostenuta particolarmente dai capi della nazione e dai più potenti 
casati ; dai primi, perchè avendo la supremazia ed una certa au- 
torità sulle loro tribù, e gli altri una preminenza sui casati più 
deboli, temevano di perderle, col consolidarsi delle leggi e dei tri- 
bunali, cercavano quindi che non si costituisse veruna autorità su- 
periore alla loro, sapendo benissimo che, senza un imposta, nessun tri- 
bunale avrebbe potuto esistere. Ed infatti la non attivazione di 
questa legge ebbe per conseguenza che, né le misure contro la 
vendetta di sangue potessero essere applicate con equità, né i tri- 
bunali organizzarsi a dovere. '*') 

Quando V imperatore Alessandro ascese al trono delle Rus- 
sie (12 Marzo 1801), confermò il sussidio di 1000 zecchini, accor- 
dato dal defunto suo padre ai Montenegrini ed ai Brgjani, ma que- 
sto continuò per assai breve tempo. Neil' autunno dell' anno 1803 
venne riferito all' imperatore Alessandro che il vladika del Mon- 
tenero, non solamente trascurasse 1' adempimento di ogni suo in- 
carico pastorale, ma eh' egli di cointelligenza col suo segretario 
r abate Dolci, divisasse di dare il paese in mano dei Francesi per 



*) A. N, Popow, Viaggio nel Montenero. pag. 134. 



173 

il prezzo di 26000 zecchini. Questa riferta determinò V imperatore 
Alessandro, ad inviare nel Montenero il già menzionato conte Mar* 
co Ivelié, munendolo d' un suo diploma, coli' ordine di fare atten- 
ti i Montenegrini del pericolo che li minacciava e di ricondurli sulla 
via della salute. Unitamente a questo imperiale diploma in data 
26 Ottobre 1803, fu consegnata all' Ivelié una lettera del santo 
Sinodo, diretta al vladika Pietro. Ecco 1' essenziale contenuto del 
diploma imperiale, „ Siamo stati conturbati qaando Ci giunse l' annun- 
zio, degno di tutta fede, che ci rendeva avvertiti come V ambizio- 
ne hI dominio degli stranieri — cui danno mano le perverse inten- 
zioni di alcuni scellerati nel mezzo dell' istesso Montenero — mi- 
nacci di attaccare i popoli del Montenero e delle Brda e tenti di 

distruggere la loro indipendenza H Nostro desiderio di 

allontanare un tale pericolo Ci ha deciso d' inviare un uomo di 
Nostra fiducia nella persona del nostro luogotenente-generale il 
conte Ivelié, coli' incarico di assicurare i Montenegrini ed i Brgja- 
nì della sempre eguale Nostra affezione per loro, di render loro 
palese il pericolo che li sovrasta e di additar loro la strada che 
devono battere per arrivare al proprio utile ed alla gloria. Speria- 
mo che in questa Nostra risoluzione, il popolo del Montenero e 
delle Brda, attaccato finora a Noi con tanta fedeltà, avrà una no- 
vella prova delle Nostre premure per il suo bene e che presterà 
piena credenza al conte Ivelié in tutto quello che sarà per pro- 
porre in nome Nostro." *) 

Questo diploma, come abbiamo veduto, non contiene altroché 
paterni consigli dell' imperatore delle Russie, desideroso di salva- 
re i Montenegrini d& disgrazie e dalla sua rovina, e ciò a cagione 
della comunanza di origine e di credenza religiosa Al contrario 
la lettera del santo Sinodo, è concepita in termini molto* aspri ed 
all' incirca si esprime con queste frasi : „6li imperatori delle Rus- 
sie, in segno della loro protezione, coi loro diplomi, hanno benigna- 



*) A. N. Popow, Viaggio nel Montenero, pag. 105. 



174 

mente largito e largiscono regali al popolo del Montenero e delle 
Brda, ed hanno donato alle loro chiese preziosi apparati e sacri 
arredi; prendendo esempio da ciò, anche il santo Sinodo mandava 
ai Montenegrini non solo il sacro Crisma e le antimense, ma an- 
che libri d' istruzione ; e voi di tutto ciò faceste mal uso : i pre- 
ziosi apparati consegnaste in mano di estranei; e non adoperaste 
a vantaggio del popolo, né il sacro Crisma, ne le antimense ne i 
libri d' istruzione, il quale di tutto questo non ebbe nemmeno con- 
tezza; i bambini vengono battezzati senza essere unti col sacro 
Crisma; le chiese rimangono prive del necessario per le sacre fun- 
zioni; trascuraste i monasteri, che rimangono senza monaci; il po- 
polo non viene istruito nella fede e nella religione e finalmente, 
quel eh' è peggio, passano interi anni senza che si celebrino le 
funzioni ecclesiastiche. Uno stato cosi deplorabile, che minaccia di 
grave pericolo la religione cristiana nel Montenero e nelle Brda, 
ha richiamato Y attenzione del santo Sinodo, il quale lo considera 
come une mostruosa sceleratezza ed iniquità; quindi col consenso 
e dietro ordine del grande imperatore, per mezzo di questa lette- 
ra, Vi appella innanzi al suo giudizio invitandovi a giustificarvi se 
innocente, ed a purgarvi colle penitenze se colpevole. Se ricusere- 
te di ubbidire a questo ordine, allora il santo Sinodo riterrà la 
Vostra disobbedienza come un pubblico contrassegno delle Vostre 
ree intenzioni contro la religione, la fede e la patria, e per un 
indizio del Vostro attaccamento a nazione inimica ; sarà quindi co- 
stretto a togliervi il Vostro ministero e segregarvi dalla chiesa come 
un suo figlio indegno, traditore della patria, eccitando il popolo 
ortodosso del Montenero e delle Brda a scegliersi un più degno 
pastore e mandarlo a Pietroburgo per essere consacrato.^ 

Quando il conte Ivelié arrivò a Cattare, nel mese di Genna- 
jo 1804, di concerto coli' archimandrita Stefano VuCetié, venuto 
pure con lui dalla Russia, per antecedenti dissaporì inimico del 
vladika Pietro, del quale era stato accusatore innanzi air impera- 
tore Alessandro ed al santo Sinodo, non si arrischiò di andare nel 
Montenero per manifestare Y oggetto della sua missione, ma inco- 



175 

minciò a far venire a Gattaro i capi del Montenero e delle Brda, 
comunicando loro e verbalmente ed in iscritto il contenuto tanto 
dell' imperiale diploma, quanto della lettera del santo Sinodo, di- 
cendo ad alcuni che avrebbe fatto arrestare il vladika per man- 
darlo in esilio in Siberi»^ 

Questo procedere del conte Ivelié e dell' archimandrita Vu- 
éetié) nonché il tuono della lettera del santo Sinodo, offesero viva- 
mente il vladika, il quale nel bollore dello sdegno fece redigere 
dal suo segretario, V abate Dolci, una dettagliata risposta all' I- 
velié, in data dei 3 Luglio, che fu sottoscritta dal governatore Vu- 
ko Radonié e da altri capi Montenegrini, il cui contenuto in suc- 
cinto era il seguente: 

,,Bicev0ndo le copie della lettera del santo Sinodo, fatte 
spargere tra le popolazione di questi circondarli, vi abbiamo rin- 
venuto delle espressioni del Sinodo Russo, che sono assai sgradi- 
te al popolo del Montenero e delle Brda, nel mentre che i S. Pa- 
dri russi, appoggiandosi solamente su calunnie ed infami delazio- 
ni di nemici e di bricconi contro il nostro pastore e non facendo 
verun calcolo né del nostro attaccamento alla sua persona, né .dei 
suoi meriti verso la patria, né della sua devozione per il magna- 
nimo nostro protettore, gli ordinano di presentarsi innanzi al loro 
tribunale, accusandolo qual nemico della fede e della religione; e 
qual traditore della patria.^ 

„Non è da meravigliarsi se Y impero russo, di cosi vasta 
estensione, abitato da tanti milioni d' anime, fiorisca per prospe- 
rità e cultura, stato al quale fu condotto col lento volgere degli 
anni, mediante immense fatiche e spese dei suoi Autocrati ; ma é 
da meravigliarsi che il santo Sinodo russo pretenda istituzioni 
di beneficenza da vescovi che non gli sono soggetti ed esiga tra 
noi una cultura morale egual a quella della Russia, mentre man- 
chiamo d' ogni mezzo, di tribunali e di giudici, di scuole e di 
istitutori a ciò idonei. Gettino uno sguardo i S. (Padri russi sullo 
stato in cui si trovavano le loro greggi fino all' epoca di Pietro 
il Grande e si coufinceranno quanta mal' erba fosse tra quelle 



176 

cresciuta, la quale ancor oggigiorno noti potè essere intieramente 
estirpata; tra noi invece se non vi è cultura, non vi sono nem- 
meno eresie, e regna egualmente dappertutto V ortodossa religio- 
ne greco-slava." 

;, Dalla caduta dell' impero Serbiano, per allontanarci dai ne- 
mici del nome cristiano, ci siamo rifugiati tra questi monti e vi 
abbiamo preso stanza, indipendenti da ognuno, accettando sola- 
mente le istruzioni ed assoggettandoci all' autorità dei nostri me- 
tropoliti, nella loro qualità di nostri pastori, e da loro apprendem- 
mo a difendere la religione ortodossa e la nostra libertà. L' at- 
tuale nostro vescovo piii d' ogni altro, e fece e fa per noi ; e se 
non siamo rimasti sotto il giogo che, a causa delle nostre discor- 
die, ci aveva imposto il pascià d' Albania, è tutto a merito del- 
l' attuale nostro vescovo, cui dobbiamo eterna gratitudine, per 
aver redenta la nostra libertà. '^ 

„I1 santo Sinodo russo, non conoscendo le nostre circostanze 
pensa che qui il nostro vescovo viva tra le molezze come quelli 
della Russia, i quali in cocchii dorati tra il fasto ed il lusso tra- 
scorrono le vie non avendo da occuparsi di altro che delle funzio- 
ni ecclesiastiche; qui le cose passano ben diversamente, giacché il 
nostro vescovo è costretto di superare a piedi, sudando sangue, le 
pili erte montagne, ogni qualvolta vi è bisogno, — e ve n' è di 
continuo, — che faccia da paciere e da istruttore al popolo; co- 
si che per le sacre funzioni non gli sono concessi che i momenti 
liberi dalle cure del governo. E questi sono ben rari, perchè man- 
cava fino ad ora intieremente il paese di un organizzazione giu- 
diziaria, e mercè le sue instancabili cure, nell' anno decorso, fu 
istituito ed organizzato un tribunale, col qual mezzo &l posto un 
termine all' arbitrio ed ai delitti, invalsi tra il popolo.^ 

„Noi siamo stati favoriti dai precedenti Autocrati della Rus- 
sia, con molti grazìosissimi diplomi, tra i quali abbiamo soli due 
che, oltre alla benevolenza, promettono al nostro popolo un annuo 
sussidio pecuniario e questi furono mandati da Pietro il Grande 
e da Paolo I., i cui nomi si meritarono memoria immortale; ai di- 



177 

plomi dell' imperatrice Elisabetta Petrowna e Caterina II, vennero 
uniti come regalo ai nostri metropoliti (e ciò per i loro e per i no- 
stri fedeli servizii e per Y affezione ed attaccamento dimostrato al- 
la Corte di Russia) degli abiti vescovili, degli apparati sacerdotali 
colle relative vesti per pontificali; dei quali magnifici doni s' a- 
doroano ancora oggigiorno i nostri vescovi a gloria, onore e me- 
moria dei loro augusti protettori; né è vero che si trovino in ma- 
no altrui, perchè sono in nostro possesso.^ 

;,I1 santo Sinodo non ha mai provveduto le nostre chiese di 
quanto era loro necessario, ma il bisognevole per le stesse ce lo 
procura in parte il nostro metropolita ed in parte ce lo aquistia- 
mo da noi stessi, secondochè le nostre forze ce lo permettono. 
Siamo obbligati al santo Sinodo russo con sentimenti della più 
viva gratitudine, per averci inviato il sacro Crisma e le aiitimense, 
giacché ciò fu fatto di suo spontaneo impulso. I nostri bambini al 
momento del battesimo, ricevono anche il sacro Crisma, che vie- 
ne spedito dal vescovo ai sacerdoti in appositi vasi d' alabastro 
ed é pretta calunnia quella che fiì riferita al santo Sinodo, che 
cioè al battesimo non vada congiunta la confermazione." 

„É vero che nei monasteri non vi sia un abbondante nume- 
ro di monaci ma, avuto riguardo ai loro mezzi di sostentamento, 
non può asserirsi che sieno pochi. Abbiamo sentito raccontare che 
in alcune diocesi della Bussia i monasteri sieno deserti, che si 
trovino in uno stato jniserando e che, mentre V impero russo fio- 
risce per prosperità e per cultura, i monaci fuggano dai conventi, 
quasi pecore, per mancanza di nutrimento; ed è meraviglia che i 
S. Padri del Sinodo russo non veggano le mancanze del loro greg- 
ge, mentre osservano le imperfezioni dell' altrui. Il popolo della 
Russia, che possedè un clero istruito ed illuminato, non ne sa più 
del nostro in fatto di religione, e da chi apprendiamo noi i do- 
veri e le virtù cristiane? — dal nostro buon vescovo, e non dav- 
vero da missionarii russi. Perchè piuttosto il santo Sinodo russo 
nei giorni che corrono non si muove a compassione, come ben con- 
verrebbe a dei S. Padri, dei cristiani delia Serbia turca, dove i 

12 



178 

Musulmani estirpano senza pietà il cristianesimo e colla scimitar- 
ra tolgono di vita i vescovi ? Lì dove il cristianesimo ortodosso è 
oppresso e perisce, lì è necessario di accorrere in ajuto e non già 
da noi i quali, la Dio mercè, non siamo oppressi da alcuno, ma 
godiamo piena libertà sotto il governo dell' ottimo nostro vesco- 
vo." 

„Si direbbe, da tutte le apparenze, che il santo Sinodo rus* 
so non sappia che la nazione ortodossa Serba abbia avuto il suo 
patriarca dal quale erano dipendenti tutti i vescovi serbi fino al- 
l' anno 1769 e che allora, accesasi la guerra tra la Porta Ottoma* 
na e la Russia, il patriarca delht Serbia e di tutto Y Illirio, fug- 
gendo nelle nostre parti dai pericoli che lo minacciavano, partì 
quindi per la Russia, dove a Pietroburgo finì di vivere, col che 
cessò d' esistere il patriarcato slavo-serbo, e la sede patriarcale di 
Peé rimane tuttogiorno vacante; in conseguenza di questo, il no- 
stro metropolita rimase indipendente nella nostra chiesa, senza es- 
ser soggetto alla supremazia di alcuno. Inoltre quando, in tempi 
remotissimi, noi abbracciammo il cristianesimo, egli non ci venne 
dai Russi, ma bensì dai Greci. Finora non avevamo mai inteso che 
il santo Sinodo russo estendesse la sua autorità fino sulla nazio- 
ne slavo-serba, che vive fuori dei confini della Russia e che fino 
a noi arrivassero le sue cure; né noi possiamo dipendere dalla 
sua giurisdizione, mentre ì Montenegrini ed i Brgjani non sono già 
sudditi deir impero russo, ma soltanto rimangono sotto la sua mo- 
rale protezione, ne ciò per alcun altro motivo che per 1' eguglian- 
za della religione e dell' origine che ci rende attaccati, fedeli ed af- 
fezionati alla Corte russa, come lo saremo anche sempre in ap- 
presso. E nel caso che anche la Russia ci riggettasse, cosa che 
speriamo non sia per succedere, anche allora noi Montenegrini e 
Brgjani, rimarremmo affezionati e fedeli alla Russia, finché essa con- 
serverà la fede ortodossa, sempre però dichiarando che noi non 
desideriamo metterci con essa in relazioni di sudditanza, come 
gli altri popoli che vivono tra i confini dell' impero e che difen- 
deremo la libertà, lasciataci in rettaggio dai nostri antenati, fino 



179 

air estremo, mentre noi tutti siamo pronti a morire prima colla 
spada alla mano, di quello che divenire i vili schiavi di una qua- 
lunque potenza.^ 

^Fìno ad ora nessuno ha ardito di rendere responsabile il no- 
stro vescovo al Sinodo russo, né permetteremo mai che alcuno 
s' arroghi il diritto di sentenziare sulle sue azioni. Quand' egli man- 
casse a qualche suo dovere e si rendesse colpevole di delitti, co- 
me fu ingiustamente calunniato, saremmo in grado di giudicarlo 
da noi stessi, non come vescovo, ma come qualunque privato tra 
noi, perchè noi lo abbiamo scelto, acciò venga promosso a tale gra- 
do, mandandolo per esser consacrato, non essendoci allora patriar- 
ca nella Serbia, dal metropolita ortodosso dell' Ungheria il quale 
lo consacrò concistorialmente in compagnia di altri vescovi, inve- 
stendolo deir autorità episcopale su di noi. Ove egli si rendesse 
indegno di tale autorità, sarebbe in nostro arbitrio il deporlo, sce- 
gliendone uno piìi degno e proponendolo a chi spetta; ma noi non 
ne abbiamo avuto giammai uno più benemerito e più sollecito 
della salute delle anime nostre, né finché egli vive, ne desideriamo 
altri ; non v' ha quindi alcuno cui spetti d' ingerirsi negli afifar 
del nostro vescovo * 

„ Calunniandoci ingiustamente innanzi la Corte russa, voi ave- 
te voluto allontanare da noi il nostro buon vescovo, 1' uomo il 
più fedele alla sua patria ed il più attaccato all' imperatore del- 
le Russie, per mettere in suo" luogo il Vuéetié e sottommetterci 
alla sua autorità. Ma noi Montenegrini e Brgjani, cui voi siete ben 
noto, jsiarao troppo convinti che dalle vostre suggestioni non ci 
veìTebbe né gloria, né onore, né fortuna. — Se subito dopo il vo- 
stro arrivo aveste agito con noi e col nostro vescovo con quella 
politica eh' è propria ai Russi, anche allora, colle istruzioni che 
avete, non sareste riescito a nulla; ma almeno il contenuto dei 
vostri dispacci non si sarebbe tanto divulgato, né la vostra mis- 
sione sarebbe stata di vituperio per alcuno. Noi desideravamo di 
vedervi tra noi per intenderci sullo scopo della vostra venuta e 
sulle relazioni tra noi e V imperatore, ma come farlo, quando a- 



180 

vete rifiutato di recarvi tra noi come pur sarebbe stato di vostro 
obbligo? Vi preghiamo quindi di comune accordo di lasciarci in 
pace e di liberarci dai vostri intrighi e pubblici e segreti; e noi 
rimaniamo inconcussi nella nostra fedeltà al trono della Russia, 
neir attesa di qualche funzionario, ma nativo russo, il quale rin- 
traccerà e rapporterà alla sua Corte la verità sulla situazione del- 
l'^ cose, dalla quale voi tanto vi allontanate. Aspettiamo fiduciosi 
che il glorioso imperatore delle Russie annienti tutte le calunnie 
inventate dai nostri nemici a carico nostro e del nostro vescovo, 
e che ancora s' acceresca la sua affezione e grazia verso di noi 
come popolo meritevole ed a lui fedelissimo." 

Contemporaneamente i capi del Montenero e delle Brda, in 
}>()!ne di tutto il popolo, indirizzaroro una lettera all' imperatore 
Alessandro per difendere il loro vescovo dalle calunnie e dalle 
menzogne, con cui s* aveva cercato di denigrarlo. Esponevano 
come da dopo la morte di Giorgio, Y ultimo dei Cmojevic, fos- 
sero rimasti sotto il governo dei loro metropoliti, come i loro an- 
tenati per più di 300 anni, avessero non solo difeso col loro san- 
gue e valore la propria religione ortodossa e la propria libertà, 
ma com' anche nel caso di guerre di altre potenze cristiane coi 
Turchi, fossero sempje accorsi in ajuto delle prime; come T impe- 
ratore Paolo I di felice memoria, per i fedeli e benemeriti servi- 
gli resi dai Montenegrini ai Russi, air epoca di Pietro il Grande, 
si fosse degnato di conceder loro la sua iniperiale grazia, come 
questo avesse lor ftitto concepire la speranza di poter attendere 
ulteriori benefizii ed ajuto dai suoi successori al trono; come, spe- 
rando in questi, ai tempi dell' imperatore Alessandro, avessero cer- 
cato dì porre un argine agli arbitrii ed allo spargimento di sangue 
istituendo uu tribunale e pronmlgando un codice dietro impulso 
del loro vladika; come non avessero con alcuno sulla terra tante 
obbligazioni quante col loro vescovo, per le sue instancabili cure 
per essi, come nel caso che a sua imperiale Maestà piacesse di 
manifestare i suoi graziosissimi ordini al popolo montenegrino, si 
riferissero questi a suo vantaggio od a quello della Russia, desi- 



ISl 

iterassero che ciò succedesse coir organo del vladika, poiché vi- 
vendo sotto il suo governo accoglierebbero il più volentieri tutto 
le disposizioni che potessero loro esser date da sua Maestà iuiix- 
riale, col mezzo di lui, ma che giammai non si deciderebbero nd 
eseguirle senza il suo beneplacito. Soggiungevano che si meravi- 
gliassero del motivo che aveva trattenuto l' Ivelié a Cattare, tra i 
loro più aeerrimi nemici e non comprendessero perchè non fosse 
venuto invece a dirittura nel Montenero per far conoscere il di- 
ploma imperiale, ma lo avesse fatto soltanto pervenire in copia, 
spargendolo tra il popolo; che VuCetié ed Ivelié fossero soltanto 
mestatori, e che quest' ultimo nel 1798 avesse portato nel Monte- 
nero dei manifesti imperiali per far insorgere i limitrofi cristiani 
contro i Turchi, ingannandoli dipoi; che V Ivelié, appena arrivato 
a Cattaro, si fosse vantato di portare delle istruzioni del santo Si- 
nodo che lo autorizzavano a venire nel Montenero per far arre- 
stare il vladika e condurlo in Siberia in perpetuo esilio. La lettera 
finiva con queste parole: „I1 nostro vescovo non ha meritato che 
alcuno osasse venire in casa sua a ledere la sua indipendenza e 
trattarlo in così tirannica maniera; finché noi siamo vivi non 
esiste forza umann, che possa ardire un tale oltraggio. Il no- 
stro metropolita non è stato mai dipendente dagli ordini del santo 
Sinodo russo, egli era soltanto sotto la protezione della Maestà 
Vostra imperiale e ciò soltanto moralmente, perchè altrimenti, fino 
al presente, non siamo stati protetti da alcuno; ed ora in luogo 
d' una potente protezione incominciamo a provare una potente per- 
secuzione. Il santo Sinodo non ha verun diritto di comandare a 
que' vescovi che sono fuori della Russia, i quali quindi non sono 
soggetti alla sua autorità, non ha perciò verun diritto d' ingerirsi 
nel nostro vladika. Le grazie, gli ordini e le disposizioni di l Vo- 
stra Maestà Imperiale, risguardanti il bene della nostra nazione, 
attendiamo ansiosi dal più generoso dei nostri protettori, ma quan- 
do queste ci vengono col mezzo del generale Ivelié, senza il con- 
senso del nostro vescovo, non le possiamo accettare primieramen- 
te perchè non ci fidiamo della parola e di luì, poi perchè ricusa 



182 

(ti farcele conoHcere col mezzo del nostro vladika. Grazìossimo 
Signore I per verificnre la poRÌzione genuina delle cose, hì degni 
benignamente d' inviarci una persona coscienziosa come Suo in- 
caricato, ma che questo sia nativo russo, questo potrà conoscere 
tutta la pretta verità e riferi ila poi alla Maestà Vostra Impe- 
riale." *) 

Quantunque non fosse nemmeno da attendere una risposta 
della Bussia a degli scritti concepiti così acremente, pure non tra- 
scorse molto tempo che venne da Pietroburgo Y incarico a Mazii- 
rewski, console russo a Cattare, d' investigare su questa vertenza 
e di cercare d' assopirla. Mazurewski colla sua politica abilità giun- 
se a rappacificare il vladika coir Ivelié e col Vnèetié, dando rap- 
porto alla sua corte della piena divozione al trono russo del vl»- 
dika e di tutto il popolo del Montenero e delle Brda ; e 1' abate 
Dolci, il quale aveva sostenuto per più di vent' anni V ufficio di 
segretario del vladika, e del quale questi s' era servito in tutti gli 
aflfari come del suo braccio dritto, fu tolto di vita, perchè in so- 
spetto di essere stato in corrispondenza coi francesi. **) 

Appena che Napoleone si proclamò imperatore dei Francesi 
(6 Maggio 1804) si potè tosto indovinare esser sua intenzione di 
rendersi soggetta tutta Y Europa. Neil' idea di attraversare que- 
sto suo disegno, Y imperatore Alessandro concepì il pensiero di 
proporre a tutte le grandi potenze un alleanza armata, per salvare 
r Europa dalla insaziabile ambizione di lui. Nel medesimo tempo 
fii inviato da Pietroburgo nel Montenero il brigadiere e consiglie- 
re di stato, Stefano Sankowski, in qualità d' incaricato presso il 



*) Per plausìbili mottivì, nelle Griice non s' è fatto cenno della malintel- 
lìgenza esistita tra la Russia ed il Montenero, dalP autunno del 1803 al prin- 
cipiare del 1805; ma avendo or altri reso di pubblico diritto degli atti re- 
lativi a quest* affare, traducendoli perfino in lingiia tedesca, nella presen- 
te pubblicazione ne riportiamo alcuni brani. 
**) È tradizione, almeno a Ragusa, che lo si facesse morire d' uno de' più 
crudeli supplizi!, murandolo vivo. N. d. T, 



183 

vladika Pietro, per rimanere là, pronto ad ogni evento. Nel mese 
di Marzo 1805, arrivò egli nel Montenero apportatore d' un di- 
spaccio deir imperatore Alessandro, scritto ai 20 Gennajo dell' i- 
stesso anno, indirizzato a quel popolo. Ecco un brano del suo con- 
tenuto: ^Bramosi in ogni incontro di darvi nuove prove della No- 
stra sempre eguale affezione per voi, abbiamo annuito ai vostri de- 
sideri! in riguardo al vostro metropolita, restituendogli la Nostra 
grazia imperiale. Siamo convinti d* altronde che nella sua condot- 
ta come pure in quella di tutti i membri del governo monteneri- 
no, non solo non troveremo alcun motivo di dubbio o di sconten- 
to, me che al contrario riconosceremo sempre in essi gli eredi di 
quei Montenegrini, che diedero agli antecessori Nostri tante prove 
d' inconcusso attaccamento e divozione alla Russia" — Sanko^rski 
portò seco 3000 zecchini, che formavano gli arretrati dal 1802 del 
sussìdio, che V imperatore Paolo aveva destinato per il Montene- 
ro. *) 

Le vittorie riportate da Napoleone nell' anno 1805, primie- 
ramente presso Ulma ai 5 di Ottobre sugli Austriaci, e poi ad 
Austerlitz il 20 Novembre sui Russi e sugli Austriaci, costrinsero 
r lustria, nella pace firmata ai 14 Decembre a Presburgo a ce- 
dete alla Francia, tra le altre provincie, anche la Dalmazia col- 
le 3ocche di Cattiiro. Ai 29 di Gennajo dell' anno seguente il ba- 
rone Cavalcabò, capitano circolare di Cattare, fece noto ai Boc- 
cheù che tutte le fortezze dovessero essere consegnate air arma- 
ta t^ncese. Quando i Bocchesi riseppero di essere stati ceduti al- 
la Irancia, il cui dominio li privava del commercio, della libertà e 
delk prosperità, caddero nella massima desolazione. **) 

In quel tempo si trovava a Corfù colla flotta russa, il vice- 
ammiraglio D, N. Senjawin per proteggere le isole Jonie da un 



*) A.N. Povow „ Viaggio nel Monteaero^ pag. 106. 
**) Gilica del 1837, pag. 41. 



184 

aggressione francese. Molti dei Bocchesi, eh' erano stati per lo in- 
nanzi al servizio della Russia, comprendevano benissimo che il Se- 
njawin sì troverebbe in una ben pericolosa situnzione, quando Tar- 
mata francese occupasse le Bocche. Decisero quindi di trarre d' im- 
barazzo il Senjawin e di salvare nell' istesso tempo la loro pania 
dal pericolo e perciò, d' accordo cogli altri capi delle Bocche, in- 
viarono dei deputati a Cetinje ed al Sankowski, colla proposta che 
se i Montenegrini e la squadra russa di Gorfii acconsentissero di 
venir loro in ajuto, i Bocchesi sarebbero pronti di difendersi fino 
agli estremi. Conoscendo il Sankov\rski che Senjavnn non poteva 
aspettar nulla di meglio, di concerto col vladika accettò la propo- 
sta e spedì tosto un corriere al vice-ammiraglio a Corfii, intitan- 
dolo ad entrare quanto prima colla sua squadra nel cangilo di Cat- 
taro. Frattanto il vladika neir assemblea tenutasi ai 15 Febbrajo 
1806 a Cetinje, col consenso di tutti i capi, annunziò al popolo 
eh' egli non solo avrebbe combattuto i Francesi, ma che avrebbe 
trovato maniera di far allontanare le truppe austriache dalle Bac- 
che, prima ancora che vi giungessero i Francesi. Assunto il co- 
mando delle forze unite dei Montenegrini e dei Bocchesi, conin- 
ciò dal porre V assedio alla fortezza di Castelnuovo, sotto cui in 
queir istesso giorno, 16 Febbrajo, jj;iunse il capitano Belli Coru- 
na squadra russa. Incominciarono le trattative, in seguito alle cua- 
li il vladika feee conoscere al comandante austriaco che, ove non 
si decidesse a rendere la fortezza, egli 1' avrebbe presa d' assilto. 
Il Belli da canto suo propose al comandante di consegnai^ le 
chiavi della fortezza ai capitani delle comuni, dai quali gli AuSiria- 
ci le avevano ricevute nel momento in cui avevano occupao le 
Bocche ; facendogli osservare che altrimenti V Austria difendeEbbe 
una provincia nemica, essendo trascorsa 1' epoca stabilita pr la 
consegna delle Bocche ai Francesi col giorno 29 Gennajo. Il com- 
missario plenipotenziario austriaco, marchese Ghislieri, intese que- 
ste osservazioni, vi si uniformò e cedette. In questo modo i Boc- 
chesi ricuperarono i loro diritti ed occuparono tutte le lon otto 



185 

tra fortezze e fortini, sgomberate dagli Austriaci, senza versar goc- 
cia di sangue. *) 

L' indomani, verso le nove del mattino, il vladiku in com- 
pagnia del governatore Badonié, del consigliere di t-tnto Saukow- 
ski e del conte Marco Ivelié, andarono a bordo del v« scello coman- 
dato dal Belli, unitamente al quale e ad una ccmipagnia di solda- 
ti di marina, ritornarono a terra, dove li attendeva il clero ed u- 
na moltitudine di popolo, che li accompagnarono fino al monaste- 
ro di Savvina. Colà fu celebrato un solenne servizio divino, alla 
fine del qunle il vladika neir atto di benedire le banditìre, le qua- 
li erano destinate ad esser piantate sulle fortezze e consegnate nel- 
le mani dei capitani delle conmni, pronunziò un breve, ma enfati- 
co discorso in questi termini: „Ecco adempito il più caro dei vo- 
stri desiderii, o prodi Slavi! Ecco tra voi i lungamente attesi vo- 
stri fratelli per stirpe, per religione, per valore e per gloria. Il po- 
tentissimo monarca delle Russie vi accoglie tra il numero dei suoi 
figli. Sia benedetta la provvidenza del Signore ! Rimanga sempre scol- 
pito nella vostra mente questo felicissimo ed auspicatissimo gior- 
no! Prima però di ricevere questi sacri vesilli, è necessario che 
giuriate di difenderli fino all' estremo.** **) — Quando il popolo 
ebbe pronunciato il giuramento, s' avviarono tutti verso la città. 
Fra liete acclamazioni ed evviva all' imperatore Alessandro, si 
spiegarano i vesilli russi sulle mura di Castelnuovo e sul forte 
spagnuolo che gli sovrasta. Non solo la squadra ma anche i ba- 
stimenti mercantili, pavesati a festa, li salutarono con 101 colpo di 
cannone. 

Pochi giorni dopo, cominciò a correr voce a Castelnuovo 
che il senato di Ragusa avesse deciso di lasciar libero il passag- 
gio per il suo territorio alle truppe francesi — destinate a pren- 
der in consegna le Bocche dagli Austriaci — e di provvederle di 



*) Grlica del 1887, pag. 41-43. 
**) Grlica del 1837, pag. 43-44. 



186 

barche perchè potessero tragittare da Stagno a Ragusa. Queste 
voci determinarono il vladika a spedir tosto un forte numero di 
Montegrini ai confini dello stato di Bagusa per costrìngere il sena- 
to a muiitenerai in perfetta neutralità; ed il capitano Belli spedi 
una fregata nel canale di Calamotta per impedire ai nemici il pas- 
saggio per mare fino a Bagusa, o meglio fino alle Bocche di Cat- 
ta ro. *) 

Quando Senjawin ricevette la notìzia dell' occupazione delle 
Bocche, inviò colla prima occasione 2 battaglioni di moschettieri 
con 4 cannoni sotto il comando del general- maggiore Puàkin per 
guarnigione di Gattaro e di Castelnuovo e poscia, ai 13 Marzo, 
egli stesso con una parte della sua flotta giunse a Castelnuovo, 
recandosi il giorno appresso a Cattaro, dove venne accolto feste- 
volmente dal popolo. **) 

Le Bocche di Cattaro, confinanti colla prode nazione serba, 
divota alla Russia, erano di somma importanza per Y armata tas- 
sa, il loro possesso salvò il Senjawin da difficili e pericolosi im- 
pacci, Corfu da inevitabili augustie e Y armata russa dall* umilia- 
zione di vedersi cacciata dal mare Mediterraneo. Padrone dell' am- 
pio canale di Cattaro, che serviva di sicuro porto alla flotta, si- 
tuato nel mezzo del golfo Adriatico, il Senjawin, coli' ajuto dei va- 
lorosi Montenegrini e Bocchesi, in luogo di tenersi sulle difese, 
potè prendere 1' offensiva, trasportando il campo delle sue opera- 
zioni da Corfiì in Dalmazia e tagliando le comunicazioni di questa 
coir Italia, valendosi, in ajuto della sua flotta, di bastimenti mer- 
cantali dei Bocchesi, i quali per la loro leggerezza erano molto 
addatti al blocco degli angusti canali, per mezzo dei quali si ap- 
proda ai porti della Dalmazia. I Francesi all' incontro mancanti 
di flotta, di artiglieria e di cavalleria potevano avanzarsi soltanto 
dalla parte di Ragusa ; ma, per arrivarvi, dovevano superare sco- 



*) Grlica del 1837, pag. 44. 
♦♦) Idem, pag. 44-46. 



187 

scese montagne, su cui non v' erano strade né per carri, né per 
cavalli; erano quindi costretti a trasportare con stento e fatica 
gli attrezzi e le munizioni per le armate. Inoltre i Dalmati dete- 
stavano Napoleone per aver sopresso il governo e le provincie (iel- 
la repubblica Veneta, alla quale essi erano divoti ; quest' odio co- 
stringeva i generali francesi a mantenere dei numerosi presidii nelle cit- 
tà e nelle maggiori borgate, cosichè di 40000 uomini della loro arma- 
ta, non poterono di^porre che di 20000 per V occupazione di Cat- 
tare, e questa forza non fu sufiiciente per impossessarsi, come ve- 
dremo in appresso, di uno dei punti più deboli, vale a dire di 
Castelnuovo. 

Senjawin formò il progetto di cacciare dalla Dalmazia i Fran- 
cesi, che nei prìniordii non eranu in numero maggiore di 6000. 
In seguito a co il capitano Belli ricevette V ordine di tentare 
r occupazione delle isole della Dalmazia, con otto bastimenti da guer- 
ra e con nove legni armati dei Bocchesi. Il Ser^jawin, ai 25 di 
Marzo, andò a Coi fu per darvi le necessarie disposizioni per ri- 
tornare un momento prima a Cattaro, dove giunse il 19 di Aprile 
colla maggior parte della sua flotta e con 6 compagnie di caccia- 
tori. Ricevuto eh' ebbe un rapporto sui felici successi della squa- 
dra comandata dal capit^tno Belli, il Senjawin ai 27 d' Aprile par- 
ti da Cattaro alla volta di Curzola, con tre bastimenti da guerra, 
per riunirsi alla squadra summentovata. *) 

Irritato Napoleone c(mtro i Russi per esser cadute in mano 
lore le Bocche, né potendo spedir contro essi 1' armata per la via 
di mare, eh' era la più facile e la piii celere, conchiuse un trat- 
tato colla corte di Vienna, in virtù del quale era concesso libero il 
passaggio alle truppe francesi, per il territorio austriaco. Occupan- 
do la Dalmazia con 40000 uomini. Napoleone decise di assogget- 
tare a qualunque costo le Bocche di Cattaro e di giungere fino 
a Corfu per la via dell' Albania. **) 



*) Grlica del 1887, pag. 46. 
*'*') Idem, pag. 45-46. 



188 

Quando il Senjawin ritornò la seconda volta nelle Bocche, il 
senato di Ragusa gli aveva spedito uno dei suoi membri per com- 
plimentarlo per il suo arrivo e pregarlo di proteggere la repub- 
blica. In conseguenza di ciò il Senjawin, ritornando da Curzola a 
Castelnuovo, si soffermò ai 6 di Maggio a Ragusa, dove stipulò 
col senato questa convenzione: „Che appena si avesse sentore che 
le truppe francesi avessero messo piede sul territorio della repub- 
blica, la città di Ragusa avrebbe tosto accolta una guarnigione rus- 
sa e che il governo avrebbe messo sotto le armi gli abitanti per- 
chè combattessero, unitamente coi Russi, contro i Francesi." Do- 
po una tale convenzione si credeva generalmente che il doge ed 
il senato, non essendo più al caso di salvare la loro neutralità, 
avrebbero tanto più volentieri preso il partito dei Russi, in quan- 
tochè col favoreggiare i Francesi, mancanti di forze marittime, a- 
vrebhero perdutti il loro commercio, senza il quale non potevano sus- 
sistere. Ma opinando due o tre senatori che la Francia, la quale 
aveva spedito una così numerosa armata in Dalmazia, avesse mag- 
giori me^zi per difenderli di quello che la debole armata e fiotta 
russa, che si trovava nel MediteiTaneo, fidandosi poco delle trup- 
pe irregolari loro confederate, trovavano meglio e più sicuro di ri- 
cevere i francasi, e la loro proposta ebbe per se la maggioranza 
degli. altri senatori. Ai 14 di Mwggio, un giorno appunto dopo la 
partenza del Senjawin per Trieste, il generale Lauriston cun 3000 
uomini, passando per il territorio turco, arrivò a Siano ed ai 15 del- 
lo stesso mese occupò Ragusa. Il giorno appresso il generale traii- 
cese fece manifesto, in nome di Napoleone, che l'indipendenza e 
la neutralità della repubblica di Ragusa non sarebbero riconosciu- 
te, fino a che i Russi non avessero evacuate le Bocche, Corfii e 
le isole che già appartenevano a Venezia e finché la squadra rus- 
sa non si fosse allontanata dal litorale della Dalmazia; siccome il 
Senjawin non era disposto ad assecondare le pretese dell' ini- 
mico, così la repubblica si trovò alleata della Francia nel progresso 
della guerra. * 



♦) Grlica del 1837, pag. 46. 



189 

Appena che il vladika riseppe essere entrati i Francesi a Ra- 
gusa, mosse tosto loro incontro da Casteliiuovo alla testa dei suui 
Montenegrini, dei Bocchesi, di di due compagnie di Uioschettieri 
ed una di cacciatori. Ai 21 di Maggio i Francesi coi Ragusei si 
scontrarono presso Ragusavecchia colle truppe del vladika e si ven- 
ne alle mani. Dopo un breve ma vivo combattimento il nemico si 
diede alla fuga e si rinchiuse a Ragusavecchia. In questo combat- 
timento perirono nove tra Montenegrini e Bocchesi ed un caccia- 
tore russo, 7 rimasero feriti; dei Francesi e Ragusei rimasero mor- 
ti sul campo 250. Un ufficiale francese gettatosi a nuoto rimase 
inghiottito dalle onde. Il giorno appresso il maggiore Zabijeljin 
con 4 compagnie di moschettieri e 4 di cacciatori, si congiunse 
al vladika, ma i Francesi, dopo inchiodati 4 cannoni, abbandonaro- 
no di notte Ragusavecchia, dove entrò la truppa russa. Nei susse- 
guenti tre giorni, 23, 24 e 25 Maggio, i Montenegrini ed i Boc- 
chesi, rinforzati da alcuni pochi russi, combatterono coli' inimico, 
il quale alla fine, con sua perdita, fu costretto ad abbandonare al 
vladika tutto il territorio tra Ragusavecchia e Ragusa. In questi 
combattimenti restarono tra morti e feriti 13 Montenegrini, Y ini- 
uiìco lasciò sul campo 8 ufficiali e circa 300 soldati. Ai 25 dì Mag- 
gio i Montenegrini s^ imposessarono di una bandiera e di 150 schiop- 
pi. Dopo questo, i generali francesi spaventati dalla valorosa re- 
sistenza deir armata russa a particolarmente dalla prodezza dei 
Montenegrini, che non la perdonavano a nessuno, né facevano pri- 
gionieri, si ritirarono nelle trincee fatte costruire su punti assolu- 
tamente inaccessibili sul monte Bergatto sopra Ragusa, donde non 
osavano intraprendere delle sortite. *) 

Quando Sei\iawin ricevette a Trieste Y annunzio che i Fran- 
cesi avessero già occupato Ragusa, ai 27 di Maggio ritornò a Cat- 
tare, ed al 1 di Giugno mise alla vela verso Ragusa colla sua 
flotta e con dei bastimenti bocchesi armati. L' indomani si con- 



*) Grlica àfà 1837, pag. 46-48. 



190 

certo C(A vladika, per espellere i francesi da due punti, cioè dal- 
le alture del monte Bergatto e dall' isola di Lacroma, per poi, 
nel caso che loro riescisse di superare le forze ed il vantaggio 
della posizione dei Francesi, impossessarsi della città di Ragusa. 
In seguito ciò ai 3 di Giugno il vladika coi Montenegrini e Boc- 
chesi e colla truppa regolare del maggiore Zabijeljin incominciò ad 
avvicinarsi ai Francesi, che si ritirarono nelle trincee; ed a di- 
sporre le sue truppe in prossimità delle loro, '*') 

Frattanto il general-maggiore principe Wiazemski era giunto 
da Corfù a Cattare con un battaglione di cacciatori, donde, riuni- 
te anche alcune truppe irregolari, venne a marcia forzata fino a 
Ragusavecchia dal qual luogo tragittò air accampamento posto in- 
nanzi Ragusa, dove, ai 4 di Giugno, gli fu affidato il coniando su 
tutte le truppe regolari. ♦*) 

n giorno seguente spuntò sereno e placido. Alle 4 del mat- 
tino, dato il segnale, cinque bastimenti da guerra russi, comincìa- 
rouo ad avvicinarsi a Ragusa. Il contrammiraglio Sorokin, tirate 
alcune cannonate, si ancorò di faccia alle alture, sulle quali era 
atesaipata Y annata russo-montenegrina. In quel giorno fu com- 
battuta un importantissima e molto gloriosa battaglia per le armi 
alleate. ***) 

Il nemico aveva preso posizione sulle inaccessibili e scoscese 
alture, che sovrastano Ragusa. In questa posizione avea costruito 
delle batterie e si teneva pronto a respingere V attacco. Occupava 
la linea dal mare fino al confine della Turchia, non troppo estesa 
e quindi tanto più forte. Questa era protetta dalla natura e dal- 
l' arte; Y ala destra era garantita dal mare e dalle sue rive sco- 
cese e dirupate e Y ala sinistra dal confine ottomano, posizione 
sulla quale non poteva esser attaccata. Innanzi la sua fronte sta- 
vano immensi macigni, ed i quattro punti, sui quali si estendeva 



*) Grlica del 1987, pag. 46-48 
♦♦) Id. pag. 49. 
♦♦•) Id. ibid. 



191 

erano congiunti in modo che potessero reciprocamente difendere 
r un r altro. Il numero dei nemici ascendeva a 3000 uomini di 
forze regolari, con 4000 ragusei ben armati. La truppa regolare 
russa contava 1200 uomini ed i Montenegrini coi Bocchesi ascen- 
devano a circa 3500. Con queste forze era ben arduo il prendere 
r inimico di fronte, essendo troppo nota la perizia dei Francesi 
nello scegliere le posizioni e nel collocare le batterie sui punti i^ 
pili vantaggiosi, pure non badando a tutti questi difficoltà fu deci- 
so di assalire Y inimico, ed al far del giorno dei 5 Giugno, il vla- 
dika diede ordine ad alquanti Montenegrini di attaccare i posti 
avanzati dei Francesi. I Montenegrini si diportarono eroicamente 
e sMmpadronirono di uno dei punti più importanti situato sopra tre- 
mendi dirupi ed impetuosamente tosto ne assalirono un altro. Il 
principe Wiazemski, accortosi che V intenzione rìelP inimico era di 
attirare i Montenegrini, mandò loro in ajuto 3 compagnie di cac- 
ciatori, sotto il comando del capitano Babiòew, i quali sveltamen- 
te si arrampicarno sulla montagna. I Montenegrini, riunitisi ai 
cacciatori, ingaggiarono valorosamente il combattimento. Ma la lo- 
1*0 posizione era pericolosissima, che già stavano sulF orlo del pre- 
cipizio. *) 

Allora Wiazemski di cointelligenza col vhidika, decise di oc- 
cupare le alture. Tanto più solleciti addottarono questa lisoluzio- 
no, in quantochè in quel momento farono avvertiti per parte del 
comandante turco, che il nemico stesse per ricevere dei soccorsi. 
II vladika colla sua truppa irregolare ascese in un istante suir al- 
tura già occupata dai suoi. Il nemico rimase sbarlordito perchè non 
si attendeva un attacco da quella parte, credendolo impossìbile, 
pure difese disperatamente la posizione, e ricevuti dei rinforzi, si 
spinse contro il capitano Babièew, ma le tre sue compagnie coi 
Montenegrini, incoraggiti dalla presenza del vladika, non cedette- 



*) Grlica del 1887, pag. 49-61. 



192 

ro un palmo di terreno. Mentre il vladika suir orlo del burrone 
combatteva contro forze superiori che continuamente Io incalzava- 
no, il principe Wiazemski, formate due colonne coi pochi soldati 
che gli rimanevano, fattele precedere dai volontarii, tentò d' im- 
pessessarsi d' una inaccessibile altura, fortificata con una batte- 
ria. Lauriston, veduta la mìschia fattasi generale, incoraggiava i 
volontarii, perchè si scagliassero sul vladika, eh' era nel massimo 
pericolo , le colonne russe, arrampicandosi per i più scoscesi diru- 
pi, erano già presso alla vetta. In questa posizione non era più 
possibile il retrocedere; un passo indietro e tutto era inevitabil- 
mente perduto! Finalmente suir eminenza dei monte apparve la 
bandiera russa ed eccheggiò 1' urrà tremendo. *) 

Il nemico, cacciato da dietro i macigni, si ritirò sotto il fuo- 
co delle batterie. Le due colonne russe, riunitesi alle truppe del 
vladika, assalirono i Francesi i quali, ad onta della vigorosa re* 
sistenza che opposero, furono costretti di retrocedere. I Montene- 
rini ed i Russi, sperando di approffittare della confusione del ne- 
mico, lo incalzavano senza posa e diedero unitamente Y assalto 
alla prima trincea impossessandosi del ridotto, sul quale v' erano 
10 cannoni. **) 

I Francesi, cedute una dopo Y altra tre delle loro linee col- 
le batterie che le difendevano e raccolte tutte le loro forze, assa- 
lirono dai due fianchi le truppe russo-montenegrine, ma furono re- 
spinti. Finalmente Y inimico, incessantemente incalzato, sostò die- 
tro la sua quarta posizione sul declivio del monte, precisamente al 
disopra di Ragusa, ma non potè mantenervisi nemmeno per dieci 
minuti; allora sconfìtto interamente voltò le spalle dandosi alla fu- 
ga. I Montenegrini, i Bocchesi e tutti i volontarii 1' inseguirono 
per tagliargli la strada della città, ma la paura aveva precipitata 
la sua fiiga; la tenebre e le mura della città coprirono la disor- 



«) Grlica del 1837. pag. 51-52. 
*♦) Id. pag. 52. 



193 

dinota sua ritirata. Intanto un rinforzo che veniva in ajnto dei 
Francesi tentò di trattenere i vincitori, ma appena arrischiato Y as- 
salto, venne sconfitto. Gli agili Montenegiini sorpassando per quel- 
le balze le truppe che ritiravano, scendendo dalle due parti della 
strada molestarono V inimico fino al ponte della città, alla porta- 
ta dei cannoni della fortezza. Oltre le scaramucce delle truppe ir- 
regolari che incominciarono coli' alba, la battaglia fu combattuta 
sotto i più cocenti raggi del sole dalle due pomeridiane fino alle 
sette e le fucilate cessarono appena verso le otto. Così, coli' aju- 
to dell' Altissimo, con un pugno di uomini fu riportata questa splen- 
dida vittoria sopra un poderoso nemico, resosi più forte colle inespu- 
gnabili trincee costruite sul monte Bergatto al disopra di Ra- 
gusa. *) 

In questo combattimento, in cui i vincitori s' impossessaro- 
no di 19 cannoni, i Francesi perdettero il generale Delgorgue, 18 
officiali stabali, tra i quali il luogotenente-colonello Gaiet, ajutante 
di Lauriston, oltre 400 gregarii che rimasero morti, ed altri 90 
prigionieri. Dei Ragusei tra morti e feriti se ne contarono 400. 
Dei Russi fu ucciso un officiale e 16 soldati e feriti 3 officiali e 
30 soldati ; la perdita dei Montenegrini e dei Bocchesi si calcola 
di circa 100 uomini, **) 

I Montenegrini combatterono con eroico valore e tra loro si 
distinsero il fratello del vladika, Savva Petrovié; il governatore Vu- 
ko Radonié; il srdaro di Cetinje, GjukoMartinovié e Vuko di Gior- 
gio Radonié. 

II giorno appresso, 6 Giugno, i Russi tentarono di prendere 
r isola di Lacroma, ma non poterono riescirvi. Neil' istesso gior- 
no i Montenegrini tagliarono 1' acqua ai Ragusei, riducendo la cit- 
tà a servirsi dei soli pozzi d' acqua piovana, ***) ed il maggiore 
Zabijelin, con due compagnie ed alquanti Montenegrini, rese libero 



*) Grlica del 1838, pag. 41-42. 
♦*) Id. pag. 42-43. 
***) Id. pag, 43. 

13 



194 

dai nemici tutto il tratto di paese che si estendeva dagli accam- 
pamenti russi fino al porto di Gravosa, dove si era ancorata una 
buona porzione della flotta russa. 

In tal modo, avendo costretto i nemici a racchiudersi entro 
le mura di Ragusa, circondata la città per mare colla flotta e per 
terra colle truppe, tagliate loro V acquee le comunicazioni, perchè 
da ninna parte potessero ricevere provvigioni, ai 7 di Giugno i 
Russi cominciarono a costruire a mezzo del monte che avevano 
occupato, due batterie, le quali furono messe in assetto la prima 
ai 10, la seconda ai 12 di Giugno ed allora cominciarono a can- 
noneggiare la città con tanta esattezza, che ogni colpo portava 
danno ai nemici. 

Le batterie agivano senza posa e con molta perizia, ed i 
Montenegrini, occupati i ruderi delle case eh' erano vicine alle mu- 
ra della città, davano molestia al nemico, cl:^^ tentò parecchie sor- 
tite per snidarli. Tosto nei primi giorni dell' assedio gli abitanti 
cominciarono a sentire diflfetto di viveri, ed i Montenegrini coi Boc- 
chesi non solo s' impossessarono di tutto quello che venne loro 
nelle mani, ma incendiarono anche molte case nei sobborghi di Ra- 
gusa. *) Questa guerra di distruzione, che pur usano anche oggi- 
giorno nazioni incivilite in paesi nemici, rimane sempre qual me- 
moria di biasimo per i Montenegrini, che non può essere giustifi- 
cata né da costumanze nazionali, né da diritti di guerra. 

Frattanto mentre la vittoria prometteva la resa di Ragusa, 
giunse r ordine dell' imperatore Alessandro, con cui, avuto riguar- 
do alle sue buone relazioni coli' Austria, ingiungeva che fosserd 
riconsegnate le Bocche agli Austriaci, perchè questi potessero ce- 
derle ai Francesi. Fino a che tale risoluzione potè esser mante- 
nuta segreta, 1 Montenegrini ed i Bocchesiajutavano con tutto im- 
pegno i Russi, ma quando Sankowski la fece trapelare, allora i Mon- 



"*) Grlica del 1888, pag. 43. 



195 

tenegrini disanimati cominciarono a ritornare alle lore case. L' ar- 
mata russa era in picciol numero, e con tutto un battaglione di 
cacciatori arrivato negli ultimi giorni da Corfù, non ascendeva a 
più di 2300 uomini, che nulla potevano tentare contro la città, in 
cui si trovava una ben forte guarnigione francese oltre i Ragusei 
in armi, pronti a difendersi fino agli estremi. Non rimaneva quindi 
altro partito che di continuare nelF assedio della città, attenden- 
do che si arrendesse per fame e per sete. *) 

Ogni palla di cannone ed ogni bumba dalle batterie russe, 
portava danni alla città. Il nemico guastò ai Russi un obice, inzec- 
cando precisamente con una palla di cannone nella sua bocca ed 
uccidendo contemporaneamente due Montenegrini ed un artigliere 
della marina russa. Commiserando la popolazione della città, ac- 
cresciutasi coi fuggitivi dai sobborghi e sofferente per mancanza di 
vettovoglie, Senjawin propose una capitolazione ai Francesi; per 
ben due volte si venne a trattative, ma Lauriston, che aveva suf- 
ficienti vettovaglie per le sue truppe, e che ogni giorno attendeva 
dei rinforzi, ricusò di arrendersi. 

• In seguito i Francesi tentarono due sortite. La prima il 16 
Giugno a mezzanotte, in cui con 300 uomini aggredirono V ala 
destra dei Russi, ma tosto furono respinti colla perdita di 10 mor- 
ti e 23 feriti che rimasero prigioneri. La seconda quando ai 21 di 
Giugno, fu mandato un corpo di Montenegrini perchè bruciassero 
alcune case, nel sobborgo delle Pille, dalle quali i Francesi li mo- 
lestavano, impresa, che i Montenegrini eseguirono appuntino. Que- 
sta volta la sortita fu forte di circa 400 uomini, dei quali, giudi- 
cando dal numero degli schioppi caduti in mano dei Montenegrini, ri- 
masero morti circa 100 ed in tutte due le volte i Russi ed i Mon- 
tenegrini non perdettero più di 3 gregarii e 8 Montenegrini. Dopo 
questi infelici tentativi i Francesi non azzardarono altre sortite e 
r assedio continuò suir istesso piede fino ai 24 di Giugno. **) 



*) Grlica del 1838, pag. 43-44. 
**) Id. pag. 44-45. 



L, 



196 

In quel giorno, alle 4 del mattino, arrivò la notizia nel cam- 
po russo, che da Stagno si avvicinava un rinforzo di 500 uomini, 
in ajuto degli assediati. Il vladika spedì tosto alquanti Montenegri- 
ni e Bocchesi con due compagnie di cacciatori verso il fiume Om- 
bla, perchè contrastassero il passaggio al nemico. Non appena era- 
no giunti alla riva del fiume, che i Francesi (oltre quelli che in- 
fatti venivano da Stagno per far credere ai Russi, che il rinforzo 
alla guarnigione della città non oltrepasserebbe il confine turco) in 
tre colonne ed in numero di circa 8000, sotto gli ordini del gene- 
rale Molitor, si mostrarono suir eminenze del territorio turco, ten- 
tando di circondare i Russi in modo da prenderli tra due fuochi. 
I Montenegrini ed i Bocchesi che poterono essere raccolti al mo- 
mento, con due compagnie di cacciatori, mossero contro al nemi- 
co che s' avvicinava. I Montenegrini ingaggiarono per i primi il com- 
battinàento e fecero rinculare i cacciatori che precedevano la prima 
colonna la quale dovette fermarsi. Molitor, sorpreso dell' ardire di 
un pugno di truppe irregolari, li incalzò con tutte le sue forze. 
Dopo un breve ma assai accanito combattimento, in cui si distin- 
se particolarmente per il suo valore il governatore Radonié, i Boc- 
chesi ed i Montenegrini batterono in ritirata verso Ragusavecchia 
donde se ne andarono a Castelnuovo, i Russi col vladika fuggiro- 
no a Gravosa, dove imbarcatisi, misero alla vela verso Castelnuo- 
vo. *) 

In questa ritirata perdettero i russi 10 cacciatori, eh' erano 
rimasti in guardia delle batterie su cui si trovavano 4 cannoni e 3 
obici. Questa vittoria costò cara al nemico ; durante Y assedio che 
si protrasse dai 5 ai 24 di Giugno ed in quest' ultimo combatti- 
mento, a confessione degli stessi pris;ionieri francesi, rimasero mor- 
ti pili di 2000 uomini, calcolando tra loro anche i Ragusei, **) 



«) Grlica del 1838, pag. 45. 

**) Adempiuti fedelmente gli obblighi di traduttore e giunto a questo ponto 
coir istoria del cav. Milakovió, credo utile il qui riprodurre alcune osser- 
vazioni da me già emesse, quando nelP ^Osstrvatore Dalmato „ dell' anno 



197 

Il massimo sconforto e dolore invase Y animo dei Bocchesi 
quando conobbero di dover venire sotto il dominio di Napoleone. 
Pregarono allora il Senjawin che concedesse loro di poter inviare 
una deputazione a Pietroburgo, la quale supplicasse 1' imperatore 
Alessandro di non cedere le Bocche ai Francesi, che avevano 
conculcato ogni diritto delle genti coir occupazione della re- 



1856, davo contezza deUa pubblicazione del laToro istorico, che ora traduco. 
I 3000 uomini con cui V autore asserisce che Laurìston entrasse a Ragu- 
sa, sono da ridurre a circa 800, il cui passaggio da Siano, traghettando 
il fiume Ombla, poterà facilmente esser contrastato dalla fregata russa 
ancorata presso il suo sbocco, il cui comandante n' era stato precedente- 
mente avvertito. Eppure quel legno si mise alla vela poco prima dell' arrivo 
dei Francesi, né ritornò che a fatto compito. La repubblica di Ragusa 
posta nel duro bivio o di permettere il passaggio alle truppe francesi o di 
accogliere tra le ine mura delle orde indisciplinate ed allora ancora presso 
che barbare, è ben compatibile, se rimanesse perplessa fino ali* ultimo istante 
neir ardua ed inevitabile scelta, non armandosi mai per far causa comune 
colla Francia, ma aderendo soltanto alla difesa per parte de' suoi sudditi, 
quando penetrati nel suo territorio i Montenegrini, cominciarono una guerra 
di devastazione e di saccheggio, di cui rimangono ancora deplorabili vestigi. 
Nella giornata del 5 Giugno, oltre le forze francesi di 3000 soldati regolari, (gli 
800 di cu i già abbiamo parlato) ci si parla di 4000 irregolari ragusei tutti ben 
armati. — É ben facile V accorgersi dell' enorme esagerazione di questa 
cifra, formata invece da alcune centinaja di villici di Breno e Bergatto 
con alcuni pochi di Canali, acciurmati forzatamente dai Francesi, né prov- 
veduti d' altre armi, fuorché delle loro consuete. — Parlando del taglio delle 
acque, effettuato dai Montenegrini, si dice esser stata ridotta la città ai 
soli pozzi d' acqua piovana, ma non v' ha chi ignori che le sue fortezze 
sieno provvedute di vastissime conserve di acqua viya, sufficienti a fornir- 
ne copia per un assedio ben più lun^o di quello che allora s' ebbe a- 
sostenere. — Fii buona fortuna per Ragusa che le due batterie collocate 
dai Russi sulle alture dei monte che cavalca la città, fossero dirette in 
modo che gran parte dei projettili, sorpassando le mura, andassero a ca- 
dere nel mare, sotto 1' eminenza di S. Andrea; che se ogni loro colpo avesse 
recato guasti nella città, era inevitabile che divenisse in breve un mucchio 
di rovine. — La liberazione di Ragusa, a cui si fa accorrere il generale 
Molitor con 3000 Francesi, fu merito eminentemente strategico di quel ge- 
nerale, il quale con alcuni battaglioni del 79 e 81 reggimento, 1000 
soldati al massimo e con alquanti terrieri dalmati, guidati dal loro 
comandante cav: Idonkovió, con ripetute marce sulle alture, seppe ingan- 
nare il nemico sul vero numero dello sue fòrze, incutendogli tal panico ter- 



198 

pubblica di Ragusa eh' era sotto la protezione della Porta ottoma- 
na, alleata della Russia. Senjawin, consigliatosi col vladika Pietro, 
acconseiìtì a questo desiderio e fu stabilito tra loro di non cede- 
re le Bocche nelle mani del nemico fino a nuovi ordini dell' im- 
peratore ed i Bocchesi mandarono in Russia 1' archimandrita Ste- 
fano Vuèetic, nativo delle Bocche, con altri tre deputati. *) 

In conseguenza ai 29 di Giugno uscì nuovamente la flotta 
per molestar V inimico dalla parte del mare e i Bocchesi ed i 
ilontenegrini, riacquistando il loro pristino coraggio, incominciarono 
le loro scorrerie per terra, bruciando e saccheggiando. Lauriston 
e Molitor, per quanto avessero ricevuto nuovi rinforzi che aumen- 
tavano la loro armata a circa 8000 uomini, non si azzardavano di 
mettersi in campo, ma rimanevano rinchiusi nella città. 

Sulla resa delle Bocche s' incominciarono delle lunghe trat- 
tative diplomatiche tra il luogotenente-maresciallo austriaco conte 
de Bellegarde, il collonello L' Epine ed il generale Lauriston, ma 
non si venne ad alcuna conchiusione. L' avveduta condotta del vice- 
ammiraglio Senjawin e la nota esperienza politica del vladika Pie- 
tro, non ])ermettevano che si lasciasse al nemico una provincia di 
tanta importanza. 1 Francesi oltre alle aperte trattative misero in 
opera ancora ogni mezzo segreto per attirare alla loro parte il 
vladika e Lauriston finì coli' offrirgli in nome del suo imperatore 
la dignità di patriarca di tutta la Dalmazia. Essi avevano bisogno 
del vladika, non solo per ajutarli ad assoggettarsi i Bocchesi, ma 



rore da indurlo ad una fuga precipitosa, in cai lo stesso vladika cercò solle- 
cito scampo sul legno da guerra russo, ancorato presso Gravosa. — Dai 
surrìmar(*ati errori numerici apparirà manifesto quanto ci sia da sottrarre 
dai 2000 morti tra Francesi e Ragusei dal 5 al 24 Giugno, desunto dalle 
asserzioni dei prigionieri francesi.— Da queste poche osservazioni tratte da 
documenti irrefragabili e da testimonii degni di piena fede, che in quegli 
aTTenimonti ebbero parte importante, si può dedurre come il nostro auto- 
re nei dot 11 ^'.i di quesra parte del suo lavoro sia stato tratto in erro- 
re dalle fonti da lui consultate, in cai imptrtava forse V esagerare i fatti 
genuini di queir assedio. — 9 . d. T. 

') Grlica del 1838, pag. 44. 



199 

anche perchè, essendo loro intenzione di occupare in seguito Y Er- 
zegovina e r Albania, desideravano avere in loro favore la sua in- 
fluenza, nella sua qualità di vescovo. *) Il vladika non solo non 
si lasciò abbindolare dalle loro insinuanti parole, ne dalle loro ma- 
gnifiche promesse, ma anzi accortosi destramente dei progetti del 
governo francese, ne rese istrutti i limitrofi Turchi, cosichè rimase- 
ro del tutto infruttuosi i considerevoli regali che i Francesi aveva- 
no fatto pervenire ai pascià di Scutari e di Trebinje. L' istesso 
Lauriston, non agendo sinceramente, contribuì molto, suo malgra- 
do, in favore dei Russi, prolungando la soluzione della vertenza. 
Pretendeva che le Bocche dovessero esser consegnate direttamente 
ai Francesi, al che si opponeva il Bellegarde col dire, che V Au- 
stria avrebbe così perdutola cittadella di Braunau, che Napoleone 
teneva occupata fino a tanto che le Bocche non venissero conse- 
gnate alla sua armata. 

Erano già passati pressoché due mesi dalla partenza dei de- 
putati Bocchesi, e tuttavia s' ignorava se Y imperatore delle Rus- 
sie avrebbe accondisceso alle proposizioni da loro recategli. Final- 
mente ai 26 di Agosto arrivò un cacciatore di campo, latore di 
un dispaccio dei 31 di Luglio, in cui sì ordinava ad ogni costo 
la prosecuzione della guerra coi Francesi. **) 

Dopo r armistizio, conchiuso ai 2 di Agosto tra Senjawin e 
Lauriston, i Francesi non solo avevano oltrepassato la linea di 
neutralità, costruendo delle batterie in prossimità dell' entrata del 
canale di Cattaro sulla punta d' Ostro, ma avevano anche avvici- 
nato i loro posti avanzati presso Castelnuovo. ***) Ai 30 di Agosto, 
onomastico deli' imperatole delle Russie, il Senjawin avvertì secre- 
tamente tutti gli ufficiali :; :;>eriori che le ostilità sarebbero prin- 
cipiate, ed il dimani tutta la flotta esci dal canale ed incomin- 
ciò a bloccare le posizioni dell' inimico. 



*) Grlìca del 1838, pag. 45-46. 
••) Id. pag. 46. 
**♦) Id. ibid. 



200 

Ai 2 di Settembre, alcune bande di truppe irregolari, con- 
dotte dal conte Giorgio Vojnovié di Castelnuovo e da Vuk di Gior- 
gio Radonié da Njegoèi, attaccarono la colonna francese, costrin- 
gendola a ritirarsi, con gravi perdite, dal confine di Castelnuovo. *) 

Raccoltisi, circa 6000 uomini tra Montenegrini e Bocchesi, 
sotto il comando del vladika Pietro, ai 13 di Settembre esci da 
Castelnuovo la guarnigione russa, di circa 3000 uomini, e siccome 
appunto in quel momento la flotta cannoneggiava la batteria dì 
punta d' Ostro, all' apparire di queir armata i Francesi abbando- 
narono in tutta fretta le fortificazioni erette e si ritirarono nel 
porto di Molonta, dove avevano un campo trincerato, ma sul far 
della sera, dopo un breve combattimento, abbandonarono pur que- 
sto. In queste due posizioni furono loro presi 38 cannoni e tra que- 
sti 5 mortai. — Ai 14 di Settembre il nemico continuò a ritirarsi, 
tenendosi alla riva del mare, ed il vladika, incalzi? ndoli dappresso, 
occupò tutto il Debeli-brijeg. Il giorno seguente il combattimento 
continuò per tutto il giorno e per tutta la notte; i Francesi riti- 
ravano palmo a palmo, ed il vladika, conducendo Y avanguardia, 
li inseguiva non concedendo loro un momento di tregua. **) 

I Montenegrini ed i Bocchesi, in numero di circa 2000 dei 
più scelti, avendo con loro alcuni cacciatori, nel giórno 16 Set- 
tembre, fecero prodigii di valore. Sotto il comando del loro vladi- 
ka, diedero una battaglia degna di qualunque truppa regolare e 
gareggiando tra loro di valore, occuparano il trinceramento nemico 
di Vitaljina. Neil' istesso giorno il conte Savva Ivelic coi suoi Ri- 
sanotti, prese d' assalto Vufiije idrelo. Allora il nemico si ritirò 
nel suo principale accampamento di Ragusavecchia, dove si trova- 
va il neoarrivato comandante in capo, generale Marmont. Disgrazia- 
tamente in quella giornata fu ucciso il prode vojvoda montenegri- 
no Stano Uskokovic ; non sono conosciute le altre perdite delle trup- 



♦) Grlica del 1838, pag. 46. 
**) Id. pag. 46-47. 



201 

pe alleate slave, il nemico perdette soltanto di morti 340. Il giorno 
seguente gli alleati si approssimarono ali* accampamento nemico. 

Il general-maggiore Popondopulo, che comandava le truppe 
regolari russe, venne a risapere che la vigilia di quel giorno il ne- 
mico era stato rinforzato con due reggimenti giunti dalla Dalmazia 
e che verso sera se ne attendevano altri due. *) 

Il generale Marmont, che aveva sotto i suoi comandi 20000 
soldati, si lusingava di vincere ben facilmente la piccola armata 
msso-montenegrina, quindi all' albeggiare del 18 di Settembre, at- 
taccò per il primo la battaglia e respinti gli avamposti, aggredì 
il quartier generale del vladika, situato presso il fiume Ljuta di 
Canali e giunse ad impadronirsene. Il vladika si trovò nel massi- 
mo pericolo, pure combattendo contro forze di molto superiori, 
giunse a trarsi d' impaccio con bravura, nonostante le molte per- 
dite, ritirandosi verso Mojdeè, Kameno e Mokrine. Prima ancora 
di questo combattimento un generale francese, con due dei suoi a- 
jutanti, intoppò in un corpo di Risanotti, dal quale tutti e tre 
tennero uccisi. Dopo la ritirata del vladika il generale Popondo- 
pulo si trovò circondato da 7 colonne di nemici, che movevano 
contro di lui da tre diversi punti e trovandosi in una pericolosa 
posizione, approffittò della notte per retrocedere egli pure verso 
Mojdeè, dove prese una vantaggiosissima posizione al confine delle 
Bocche ed il vladika collocò i suoi tra le gole dei monti, per im- 
pedire al nemico di avanzarsi verso Risano. **) Nel frattempo 
arrivarono da Corfù due battaglioni di moschettieri russi i quali 
si riunirono all' armata del generale Popondopulo, 

Il giorno seguente fxi data una sanguinosissima battaglia. Ai 
19 di Settembre, di buon mattino, Y inimico, comandato dal ge- 
nerale Lauriston, attaccò il generale Popondopulo, il quale lo atte- 
se e lo respinse con tanto valore, che V inimico era già pronto a 
battere in ritirata. Frattanto Marmont rinforzò i Francesi con delle 



*) Grlica del 1837, pag. 47-48. 
**) Id. pag. 48. 



202 

truppe fresche, ed i Russi non avendo a sperare degli ajuti, né 
potendo contrastare alla forza soverchiante, dopo 7 ore di accani- 
to combattimento, furono costretti a ritirarsi verso Castelnuovo. 
11 nemico li insegui, ma giunto alla riva del mare presso il fiumi- 
cello di Sutorina, fii trattenuto dai cannoni della flotta ed i Russi 
giunsero a ritirarsi nella fortezza. I Montenegrini ed i Bocchesi 
frattanto scaramucciavano col nemico perle montagne. *) In questa 
battaglia perirono moltissimi Russi. 

Non trovando alcun impedimento per parte dei Russi, ai 20 
di Settembre, Marmont s'avvicinò ad un ora di distanza a Castel 
nuovo, e divise il suo esercito in due colonne, mandando 1' una 
verso Castelnuovo, per attirare i Russi in campagna e batterli, ta- 
gliando loro la ritirata; e V altra verso Risano, per Kameno e 
Mokrine, dove si trofllvano i Montenegrini coi BocchesL La prima 
colonna diede fuoco alle case innanzi Castelnuovo ed abbruciò an- 
che il villaggio turco di 2vinje, perchè gli abitanti non avevano vo- 
luto prendere le armi contro i Russi Ma quando questa si avvici- 
nò a Castelnuovo, allora il fuoco incrociato da un bastimento di 
di guerra, dalla città e dal forte spagnuolo, talmente la disperse 
che i suoi deboli avanzi giunsero a stento a riunirsi all' altra co- 
lonna. In questo mentre il vladika distribuì i suoi in diversi corpi, 
ordinando agli uni di attendere 1' inimico, agli attri di rimanere in 
riserva, per accorrere in ajuto in caso di bisogno. A mezza matti- 
na r inimico attaccò i Montenegrini ed i Bocchesi, questi scaglian- 
dosi a corpi staccati nella mischia posero da prima il disordine e 
la confusione nelle sue file, quindi attaccatolo di tutta forza tal- 
mente lo dispersero che, venuti petto a petto coi granatieri, li uc- 
cidevano coi loro coltelli. Inutilmente Marmont aveva rinforzate 
le sue truppe con delle nuove, inutilmente aveva spiegato i suoi 
talenti strategici, tutto ciò a nulla gli giovava. I corpi dei Monte- 
negrini e dei Bocchesi rimasti nella riserva, accorrevano per pren- 



*) Grlica del 1838. pag. 48-49. 



203 

der parte al combattimento ed il fuoco dei loro fucili mieteva i 
nemici. I nuovi corpi che s' avanzavano da parti più lontane per 
prendere parte alla battaglia, affrontavano intrepidi la morte. La 
battaglia fii accanita e tremenda, i Montenegrini diedero 
meravigliose prove di valore ma anche di crudeltà, non concenden- 
do perdono ad alcuno. Vista la strage dei suoi, Marmont desistet- 
te dal combattimento, ritirandosi nel campo trincerato di Sutorina. 
Il fuoco cessò verso un ora di notte. *) 

In quella stessa giornata, un corpo abbastanza forte, guidato 
dal serdaro Gjuko Martinovié, fatto un giro alle spalle dell* inimi- 
co penetrò nel campo trincerato di Vitaljina, se ne rese padrone, 
inchiodò i cannoni che vennero in suo potere, liberò i prigionieri 
russi e spedì a Castelnuovo i feriti. **) 

Marmont, da esperimentato generale, nonr si lasciò ingannare 
rimanendo circondato da tutte le parti, ma neir istessa notte levò 
^11 accampamenti, prese 7 cannoni trovati fra 'le macerie delle ca- 
se distrutte e gettati tutti i pesanti attrezzi, di soppiatto mosse 
coir esercito verso Ragù sa vecchia. All' alba del 21 Settembre 
accortesi le sentinelle montenegrino che il nemico fuggiva, comin- 
ciarono a gridare : «Sorga chi è prode! fuggono i Francesi," A 
questo grido diedero di piglio alle armi tutti i Montenegrini e tut- 
ti i Bocchesi e si posero ad inseguire V inimico. Dopo 2 ore di 
marcia, il vladika colla sua armata leggera raggiunse i Francesi 
ed ir.cominciò il combattimento. Marmont, circondato dai Monte- 
npgrini, retrocedeva passo a passo ed in pieno ordine ; ma quando 
sopraggiunsero ì cacciatori russi e cominciarono ad attaccare la 
sua retroguardia, accelerò il passo e serrate le sue truppe in 
istretta colonna, voltata la fronte battè in ritirata senza frappor 
indugio. I Montenegrini ed i Bocchesi rinforzati da questo ajuto, 



*) Grlica del 1838, pag. 49-50, 
**) Ibid. pag. 50. 



204 

approffittando della posizione per loro vantaggiosissima molesta- 
vano la ritirata del nemico col fuoco micidiale e ben nutrito dei 
loro sicuri fucili Le file dell' inimico sempre maggiormente si di- 
radavano, il numero dei soldati uccisi e la quantitàdei loro schiop- 
pi gettati lungo tutta la strada, facevano testimonianza delle grandi 
perdite dell' inimico. Marmont dovette aprirsi un passaggio, per 
così dire, tra cumuli di' truppe irregolari; egli arrivò a salvarsi 
colla celerità della sua fuga ed a raggiungere finalmente il suo 
campo trincerato presso Ragusavecchia. I Montenegrini ed i Boc- 
chesi per due interi giorni, cioè il 22 ed il 23 di Settembre, sac- 
cheggiarono, abbruciarono ed uccisero tutto quello che capitò lo- 
ro tra le mani e poi, senza essere molestati da alcuno, gloriosi e 
trionfanti col fatto bottino ritornarono unitamente ai Russi a Ca- 
stelnuovo, dove, ai 24 di Settembre, fece sosta e si aquartierò 
r armata russa. *) 

Il giorno 19 Settembre furono sofferte le maggiori perdite 
dai Russi, e complessivamente in 22 giorni di quasi continui com- 
battimenti, essi ebbero 600 uomini tra morti, feriti e prigionieri. 
Fra i feriti ci furono 12 officiali superiori e stabali. Non si può 
stabilire con precisione quanti perissero delle truppe irregolari, 
ma secondo le congetture il numero dei morti può calcolarsi a 
200 uomini. Il nemico soffrì dei danni molto rilevanti, giacche ol- 
tre i gregarii vi perdette 18 officiali stabali e 37 superiori : fu- 
rono feriti il generale Molitor e 37 officiali, fatti prigionieri il ge- 
nerale Bove e 47 officiali tra stabali e superiori e circa 1300 
gregarii. La perdita totale dell' inimico tra morti e feriti ascese a 
circa 3000 uomini. Oltre a ciò caddero in potere delle truppe al- 
leate 50 cannoni, molti carri di vettovaglie e 10 trasporti di vi- 
veri e di munizioni. **) 



*) Grlica del 1838, pag. 50-51 
**) Ibid. pag. 51. 



205 

Marmont avendo perduto molta gente e non essendo al caso 
di procurarsi i necessarii viveri per la sua armata e per gli abi- 
tanti sofferenti per penuria, si teneva rinchiuso tra Ragusa e Ra- 
gusavecchia, attendendo rinforzi dall' Italia. Senjawin il quale ave- 
va circa 3000 uomini di truppa regolare, trattenne 2000 Montene- 
grini e 1000 Bocchesi licenziando gli altri, perchè si recassero al- 
le loro case per ritornare, ove il bisogno lo richiedesse. In questa 
occasione il vice-ammiraglio pubblicò il seguente proclama, indiriz- 
zato ai Bocchesi ed ai Montenegrini: 



„Ai nobili ed onorevoli signori kneeovi, giudici ed a tutta la na- 



zione.*^ 



«Durante gli ultimi fatti d' armi ebbi la soddisfazione di con- 
vincermi dell' attaccamento del popolo, il quale unitamente alle 
truppe a me affidate, ha combattuto per solo sentimento di gloria 
e di illimitata devozione a S. M. l' imperatore Alessandro Pavlo- 
wic, Autocrata di tutte le Russie, vero benefattore e difensore di 
tutti i fedeli figli della santa Chiesa." 

^Soldati ! Voi avete dimostrato non solo distinto valore e 
prodezza, ma avete saputo eseguire puntualmente tutti i miei co- 
mandi e. mantenervi in buon ordine. L' ardire dell' inimico che osò 
mettere piede sul vostro territorio, è stato punito. Egli è rimasto 
sorpreso della vostra fermezza ed ebbe a soffrire perdite così ri- 
levanti, che per lunga pezza non sarà in grado di ricever nuove 
forze e di uscir nuovamente in campo. Congratulandomi con voi 
per la vittoria, vi ringrazio della pietà che dimostraste verso i pri- 
gionieri e desidero che sempre in appresso 1' umanità sia da voi 
rispettata." 

» Questo lodevole vostro comportamento, da me già fatto co- 
noscere all' augusto mio Sovrano, merita agli onorevoli signori ed 
a tutto il popolo la mia più riconoscente gratitudine e nel farvela 



206 

manifesta con questo mio scritto, voglio sperare che anche in se- 
guito non sarà mai per estinguersi il vostro attaccamento e valo- 
re." 

„E nel tributare i dovuti elogii al vostro zelo ed ai vostri 
meriti accetti a Dio, mi protesto con sensi di rispetto e di affezio- 
ne per sempre." 



«Dalle Bocche ai 24 Settembre 1806" 



^Demetrio Senjawin.'' 



Risparmiando le poche forze regolari che aveva a sua dispo- 
sizione, Senjawin non permetteva loro di allontanarsi da Castel- 
nuovo, ma i Montenegrini Coi Bocchesi intraprendevano spesso 
delle scorreria per molestare i Francesi, e quasi ogni giorno ri- 
tornavano con qualche prigioniero o con del bottino. Desiderosi d' 
accertarsi sullo stato reale delle forze dell' inimico e di assicurar- 
si se fosse vera la sparsa notizia che movesse in ritirata verso 
Ragusa, il vladika ai 4 di Ottobre, con alquanta truppa irregolare 
ed alcuni cacciatori, tentò di avvicinarsi a Ragusavecchia. Trovato 
il nemico nelle sue forze primiere e garantito dal campo trincera- 
to, dopo una breve scaramuccia, presi alcuni carri di vettovaglie 
al nemico, ritornò a Castelnuovo. *) 

Il proclama diretto dal Senjawin agli Erzegovesi fu accolto 
con giubilo dai cristiani di quelle parti. Essi, nascostamente dai 
Turchi, gli inviarono delle deputazioni per fargli conoscere che in 
ogni momento li troverebbe pi'onti a riunirsi air armata russa. 



♦) Grlica del 1888, pag. 52. —In questo luogo fu erroneamente stampato nel- 
la Grlica che il vladika si fosse mosso da Castelnuovo ai 2 'di Ottobre di- 
rigendosi verso Ragusa, nel mentre che questa ricognizione fu fatta ai 4 di 
Ottobre, nella direzione di Ragusavecchia. 



207 

Senjawin rispose che, attesa la sfavorevole stagione autunnale, sa- 
rebbe costretto a non riprendere le ostilità fino a primavera, che 
intanto raccomandava loro di non vendere viveri ai Francesi. Frat- 
tanto il vladika ricevette ai 4 di Ottobre da Cattaro una lettera 
del Sankowski, del seguente tenore : „M' affretto a prevenirla. Re- 
verendissimo Monsignore, che in questo momento è qui ritornato 
r archimandrita Stefano VuCetié, apportatore di dispacci a me di- 
retti dal barone di Budberg, ministro degli affari esteri. Egli mi 
spedisce la somma di 2567 zecchini e 58 lire, quale liquidazione 
delle spese da Lei incontrate nell' occupazione delle Bocche. Ho 
r onore d' inviarle questo danaro unitamente a questa mia a Ca- 
stelnuovo, per mezzo del padre Domiziano, Mi fu ordinato di comu- 
nicarle che, nel momento in cui mi si inviavano i dispacci. Sua 
Maestà V imperatore si era graziosamente degnato di destinarle, 
in segno della Sua particolare benevolenza, una croce ornata di 
pietre preziose che le verrà mandata colla prima occasione." *) 

La Dotìzia che Napoleone colle sue armate avesse invasa la 
Prussia, della quale erano alleati i Russi, ti^itto-^. Senjawin e Mar- 
mont da qualunque operazione militare, ìkU' attesa che i destini 
del mezzogiorno fossero decisi nel settentrione. Subito al comin- 
ciar di questa guerra colla Prussia, Napoleone avea dato V incari- 
co al suo ambasciatore a Costantinopoli, generale Sebastiani, che 
cercasse di metter in guerra la Porta colla Russia, per così toglie- 
re ai Prussiani la possibilità di un ajutoda parte dei Russi. L'a- 
stuto Sebastiani giunse a persuadere il sultano Selim III, che la 
Russia avesse V intenzione di soggiogare la Turchia. Allora il Sul- 
tano, ad onta del trattato di Jassi, senza il consenso della corte 
russa, depose gli Ospodari di Moldavia e Valachia e chiuse i Dar- 
danelli ai bastimenti da guerra russi. Lo scoppio della guerra era 



*) Questa lettera si conserva aell' aFchivio scelto di Cetiqje. 



208 

imminente. Alessandro prevenne i Turchi, dando ordine al genera- 
le Mihelson di occupare con 80000 uomini la Moldavia e la Ya- 
laohia e contemporaneamente fece conoscere al Sultano che la Rus- 
sia non avrebbe incominciato la guerra, quando la Porta avesse 
mantenuto il trattato di Jassy, riaprendo il passaggio dei Darda- 
nelli ai Russi e rimettendo ai loro posti gli Ospodari, stati desti- 
tuiti soltanto per essere attaccati alla Russia, L* ambasciatore brit- 
tanico a Costantinopoli, sir Àrbutnot, minacciò il Sultano colla 
squadra inglese eh' era all' ancora sotto Tenedos, dicendo che 
r avrebbe fatta venire per ridurre, Costantinopoli in un mucchio 
di rovine, quando non s' accomodassero le vertenze colla Russia; 
e costrinse cosi la Porta a rimanere ancora per qualche tempo al- 
leata colla Russia e coir Inghilterra. 

Senjawin appoggiandosi su quest' alleanza ed avendo aumen- 
tata la guarnigione delle Bocche con 6 compagnie di cacciatori, 
stabilì d' impossessarsi, se lo secondasse la fortuna, delle isole di 
Curzola, Lesina e Brazza, acciò la Dalmazia, non essendole vicini 
i Russi, non passasse in roano altrui, nel caso che i Francesi, a- 
vuta la peggio in Prussia, fossero costretti ad abbandonarla. Id 
seguito a ciò ai 26 Novembre Senjawin, imbarcati sopra i suoi le- 
gni da guerra due battaglioni di cacciatori e 150 uomini scelti tra 
Montenegrini e Bocchesi, si mise alla vela verso Curzola, dove ai 
29 di Novembre, sbarcata la truppa, attaccò la trincea presso il 
monastero di S. Biagio. Dopo un fuoco micidiale di cannoni e di 
moschetteria, che incominciò a mezzogiorno e durò per un ora e 
un quarto, le truppe alleate diedero assalto alla trincea e la pre- 
sero ed i Francesi, eh' ebbero salva la vita, si ritirarono nella cit- 
tà. L' indomani, dopo un breve combattimento e per terra e per 
mare, la città si arrese. Furono fatti prigionieri, il comandante 
francese, colonnello Orfengo, 13 ufficiali stabali e superiori, 389 
gregari! : rimasero morti 6 ufficiali e 45 soldati. Gli alleati perdet- 
tero 3 ufficiali russi, più di 20 tra soldati semplici e Montenegrini 
e furono feriti 9 ufficiali stabali e superiori e 66 gregarii. Nella 
città furono presi 14 cannoni ed alquante vettovaglie e munizioni. 



200 

In questi combattimenti si distinse particolarmente tra i Montene- 
grini il fratello del vladika, il quale fu decorato coir ordine di S. 
Giorgio di IV classe, e Stanislao Petrovié che vi fu ferito, ed eb- 
be in regalo una sciabola d' oro e 1' ordine di S. Anna. *) 

Ai 20 di Decembre giunsero nuovamente 100 Montenegrini 
a Curzola. Senjawin, dopo avervi lasciato due compagnie di presi- 
dio, imbarcò il rimanente delle sue truppe ed ai 10 di Decembre git- 
tò l'ancora sotto l'isola di Brazza. Neiristesso giorno vi sbarcò 400 cac- 
ciatori eie truppe irregolari montenegrine ebocchesi, le quali attacca- 
rono la batteria, e dopo un breve^ combattimento, i Francesi deposero le 
armi. In questo fatto gli alleati non ebbero a soffrire veruna perdita, e dei 
Francesi furono fatti prigionieri 83 uomini tra i quali vi erano 3 ufficiali 
ed il capitano Bure. Ora toccava la sua volta all' isola di Lesina, ma frat- 
tanto venne da Corfii 1' annunzio al Senjawin, che Ali-pascià, ve- 
zìr di Janjina, si apparecchiasse ad attaccare le isole Jonie. Que- 
sta notizia determinò il vice-ammiraglio di ritornare tosto coi ba- 
stimenti e coir armata a Cattare. **) 

Ai 13 Gennajo del 1807 Senjawin partì colla flotta per Cor- 
fii, donde proseguì oltre; ed a comandante nell' Adiiatico rimase 
il capitano Baratinski con 3 vascelli di linea. Il vladika assunse 
r incarico di difendere Cattare dall' inimico ; Sankowski, già agente 
accreditato presso il vladika, rimase qual governatore civile delle 
Bocche e fu dato ordine al colonnello Kniper, comandante delle 
truppe di terra, come pure al capitano Baratinski, di difendere 
Cattare, all' ultimo sangue. ***) 

Nonostante che la Porta, dietro le insinuazioni dell' amba- 
sciatore francese Sebastiani, avesse intimata la guerra alla Russia, 
(24 Decembre 1806) e che in conseguenza di ciò i Francesi pas- 



*) Grlica del 1838. pag. 52-53. 
•♦) Id. pag. 63. 
**♦) Id. pag. 53-64. 



14 



210 

sassero in amichevoli relazioni coi Turchi deir Erzegovina e del- 
r Albania, la posizione delle truppe alleate nelle Bocche, al mo- 
mento della partenza dell' ammiraglio Senjawin, non si trovò can- 
giata affatto ; perchè il nemico, non osando avventurarsi ad una 
battaglia decisiva, fìngeva di non essersi accorto di nulla. *) 

Al principio del mese di Marzo 1807, alcuni Erzegovesi, ca- 
pi dei paesi limitrofi al Montenero, arrivarono dal vladika Pietro, 
pregandolo e scongiurandolo di liberarli dal giogo ottomano. Rac- 
contavano come i Turchi fossero inaspriti contro loro a cagione 
dell' essere in guerra la Russia colla Porta. Sankowski dal canto 
suo fece conoscere al vladika, qualmente il ministro degli esteri 
Budberg gli avesse ingiunto di essere il difensore degli Slavi del- 
la Turchia e quindi in un consiglio generale che fu tenuto col- 
r intervento del vladika, del Sankowski, del colonnello Kniper e del 
capitano Baratinski, fu stabilito di aggredire Nik§ié, con due divi- 
sioni dell' armata. Circa 1000 uomini di truppa regolare, sotto il 
comando del colonnello Zabijeljin, si mossero ai 2 di Aprile da 
Risano verso NikSic e nelP istesso giorno si unirono a loro i Mon- 
tenegrini condotti dal vladika. Un altra divisione dell' armata rus- 
sa, formata da due compagnie di cacciatori, sotto il comando del 
tenente-colonnello Radulovié, unitamente ad alquanti Bocchesi, si 
mosse da Castelnuovo verso Trebinje, simulando di voler marciare 
sopra Ragusa. Ma questa spedizione fini senza aver queir esito 
che si ripromettevano le truppe alleate. È vero che i Montenegri- 
ni bruciassero alcune case innanzi la fortezza di NikAié e che Za- 
bijeljin circondasse quest' ultima, alla quale aveva deciso di dare 
r assalto r indomani, ma avuto un alterco coli' ottimo Sankow- 
ski — la cui memoria resterà sempre cara in queste parti — le- 
vò r assedio, con che non solo rese infruttuosa tutta la spedi- 
zione, ma vi perdette senza alcun bisogno alquanti soldati. **) 



♦)Grlica del 1838, pag. 54. 
*•) Id. pag. 64-65. 



211 

Nuovamente per la seconda volta, ai 18 di Maggio, i Russi 
ed i Montenegrini passarono nell' Erzegovina per attaccare la for- 
tezza di Klobuk; ma i Turchi che li attendevano unitamente ai 
Francesi, li costrinsero a retrocedere, dopo aver sofferto delle gravi 
perdite. *) 

Gli avvenimenti nel settentrione decisero ben presto i desti- 
ni del mezzogiorno. I Francesi in un giorno (2 Ottobre 1806) pres- 
so Jena ed Auerstadt distrussero tutta 1' armata prussiana ed in 
6 settimane soggiogarono tutto il regno; 100000 prigionieri, 4000 
cannoni ed un infinità di bandiere, furono i trofei della vittoria di 
Jena. Innebbriato dal sentimento di una tanto rara gloria militare, 
Napoleone s' impegnò bentosto in una sanguinosa guerra coi Rus- 
si. La vittoria per alcun tempo si mostrò propensa ora all' una 
parte, ed ora all' altra. Finalmente nella battaglia decisiva presso 
Friedland (2 Giugno 1807), i Francesi ebbero la vittoria. L' impe- 
ratore Alessandro aveva dei mezzi per prolungare ancora la guer- 
ra con qualche speranza di successo, ma non ricevendo ajuti dal- 
l' Inghilterra, credette miglior partito di far la pace con Napoleo- 
ne, la quale {ù. conchiusa ai 25 di Giugno a Tilsitt. Alessandro 
promise di consegnare ai Francesi le Bocche e le isole Jonie, di 
ritirare le sue truppe dalla Yalachia e dalla Moldavia e di strin- 
gere la pace colla Porta Ottomana. 

Il generale Lauriston, con una sua lettera da Ragusa in da- 
ta 14 Luglio, fece conoscere al capitano Baratinski quanto era sta- 
to conchiuso a Tilsitt ed ai 23 di Luglio un cacciatore di campo 
russo, unitamente ad un corriere francese, portarono 1' ordine im- 
periale di consegnar le Bocche ai Francesi. In seguito a ciò il ge- 
nerale Lauriston vi arrivò colle sue truppe ed ai 29 di Luglio 
prese in consegna Castelnuovo, ai 31 poi tutte le rimanenti for- 
tezze delle Bocche **), donde era già partito il vladika coi suoi 
Montenegrini. 

♦) Grlica 1838, pag. 55. 
*♦) Id. pag. 56-56. 



212 

Arrivato il generale Marmont nelle Bocche, col mezzo del 
Sankowski, che ancora si tratteneva a Gattaro, fece sapere al via- 
dìka del Montenero che desiderasse un abboccamento con lui, per 
assicurarlo a viva voce della sua amicizia come buon vicino ; qual 
luogo di convegno designava il forte Trinità presso Gattaro. Il vla- 
dika, accondiscendendovi, parti da Getinje ai 12 di Agosto con al- 
cuni dei capi montenegrini, ma quando si avvicinarono al forte. 
Trinità, scorgendo gran numero di soldati francesi, i capi, temen* 
do di un insidia, distolsero il vladika dal convegno e ritornarono 
con lui a Getinje, 

Da lì a due giorni, il vladika ricevette dal Sankowski una 
lettera del seguente tenore : „Ho 1' onore di farle sapere che jeri 
sono stato dal generale in capo Marmont. Egli mi si lamenta 
eh' Ella abbia mancato al convegno nel forte Trinità e che dopo 
di esservisi avvicinato ad un tiro di schioppo, il seguito di Lei 
L' abbia distolta nel timore che non Le accadesse qualche sini- 
stro. Mi prendo la libertà di farla osservare che tale diffidenza ha 
grandemente offeso il generale in capo e ciò tanto più in quanto 
che egli ben sa che il Montenero stia sotto la benevola protezio- 
ne del grande imperatore delle Russie, quindi, quand' anche la 
Francia avesse qualche motivo di lagno contro di Lei, la situazio- 
ne politica e r attuale buona intelligenza tra le due più grandi 
potenze delP Europa, determinerebbero il generale in capo a cam- 
biar idea a suo riguardo. Giò mi sprona a pregarla umilmente, se 
credesse a proposito, di venire da me col governatore e cogli al- 
tri capi montenegrini, per far così smettere al generale francese le 
idee concepite in seguito al già accaduto ed allora unitamente po- 
tremo avere un colloquio col generale Marmont La prego di av- 
vertirmi quanto prima del Suo arrivo in questa città, ove credes- 
se di poter accondiscendere a questo invito.** 

Basandosi sulle parole del suo amico Sankowski, che verso 
la fine d' Agosto ripartì per la Russia, il vladika si mosse da Ge- 
tinje con alquanti dei capi e giunse al convegno con Marmont 
&il principio del colloquio, Marmont, nella sna qualità di genera- 



213 

le di Napoleone e della grande nazione, si mostrò sostenuto ed 
altero, ma quando comprese con chi aveva da fare, cambiò di tuo- 
no e cominciò a discorrere con forme molto gentili ed insinuan- 
ti, cercando di persuadere il vladika come fosse di urgente interes- 
se per il Montenero il passare in pace e buona intelligenza coi 
Francesi ora suoi confinarii , come in riflesso alla sua attuale 
{Posizione, la più utile delle protezioni per lui sarebbe la francese. 
n vladika rispose a Marmont: che egli, per quanto glielo permet- 
tessero le sue deboli forze, sì sarebbe data ogni premura perchè 
al confine fosse mantenuta la pace coi nuovi limitrofi, ma che non 
abbisognava della protezione francese, in quanto che da tempi re- 
motissimi aveva un protettore deir istessa sua religione e stirpe 
neir imperatore delle Russie. Con questo fini il colloquio tra il 
vladika e Marmont, ai quali aveva servito per interprete il conte 
Zanovié e quindi si separarono, almeno in apparenza, soddisfatti 
P uno dell' altro. 

Questa buona intelligenza tra i due nuovi vicini durò ben 
poco ; i Francesi proponevano al vladika 1' istituzione di un loro 
consolato a Cetiiye e ricercavano il permesso di costruire una stra- 
da da Cattaro a NikSié, attraversando il Montenero ; ed il vladika 
rifiutò il suo consenso all' una ed air altra proposta, inoltre i 
Montenegrini tenevano le parti di quelli di Braiéi, sudditi della 
Francia, e li ajutavano nella loro opposizione al governo. Tutto 
ciò, e particolarmente qnest' ultimo motivo, irritò sommamente 
Napoleone, il quale nella sua onnipotenza pubblicò un bollettino, 
in cui minacciava di bagnare il Montenero col sangue dei suoi a- 
bitanti di modo, che il Montenero sarebbe chiamato Monterosso. 
Né si limitavano a sole paulc^ le manifestazioni dello scontento di 
Napoleone riguardo al Montenero, ma furono accompagnate da al- 
cuni fatti; neir autunno del 1808 egli sottrasse le Bocche alla giu- 
risdizione spirituale del Montenero, coli' istituzione d' un vescova- 
to ortodosso in Dalmazia; e prima di ciò nell' estate dello stesso 
anno, i Francesi fecero fucilare a Cattaro il prete Lazzaro Bado- 
nic da NjegoSi ed un suo figlio, giovinetto di 18 anni. Tutto que- 



214 

sto dava occasione a sempre crescenti rancori, di modo che si 
giunse a delle scaramucce tra Francesi e Montenegrini. Finalmen- 
te il generale francese Bertrand strinse la pace col vladika, la qua- 
le però basava su assai deboli fondementa, in quanto che i Boc- 
chesi non potevano soffrire il dominio francese ed attendevano an- 
siosi il momento di potersene liberare. 



L' insurrezione della Serbia per riacquistare Y indipendenza, 
sotto Giorgio il Nero, al principio del 1804, e le loro guerre coi 
Turchi in queir anno e nel seguente, non avevano formato V og- 
getto d' una speciale attenzione per parte del vladika del Monte- 
nero. Appena al principio dell' anno 1806, precisamente nello stes- 
so giorno in cui partiva per la spedizione contro Castelnuovo, man- 
dò con un corriere una lettera al condottiero serbo Kara-Giorgio 
pregandolo d' informarlo dettagliatamente sul vero stato delle co- 
se nella Serbia. Il condottiero Serbiano, unitamente al suo consi- 
glio, diede una pronta risposta, ma quando dopo lungo tempo non 
ricevettero ulteriori notizie dal vladika gì' indirizzarono lo scritto 
seguente : 



„I1 condottiero supremo dei Serbi, Giorgio Petrovic, ed il 
consiglio nazionale serbiano, all' illustrissimo e reverendissimo prin- 
cipe e metropolita del Montenero e cavaliere russo Monsignor 
Pietro Petrovic NjegoS, inviano un amorevole saluto e devoto os- 
sequio!" 



„Alla Sua amorevole lettera dei 15 Febbrajo, abbiamo dato 
risposta ai 4 di Aprile a, e, coli' espresso da Lei speditoci, in cui 
Le abbiamo manifestato minutamente tutti i nostri divisamenti e 
desideri! ed aprendole il nostro cuore, abbiamo richiesto la Sua 



215 

cooperazione armata contro il nostro oppressore: a questo scritto 
attendemmo impazienti ogni giorno ed ogni momento una risposta la 
quale per anco non abbiamo ricevuta. Non sappiamo se un tale 
silenzio provenga o dal non aver ricevuto la nostra lettera, ovve- 
ro se altre imprese abbiano preoccupato in questo frattempo la Sua 
niente. La nostra posizione non ci permette di rimanere più a lun- 
go neir incertezza. — Quindi col presente espresso Le mandiamo 
questa, per metterla succintamente in chiaro sulla nostra posizio- 
ne e su quanto abbiamo bisogno da Lei. Il nostro glorioso sultano 
Selim ci è propenso in tutto ; e noi eravamo in attesa di gior- 
no in giorno di un suo firmano, col quale ci permettesse di vive- 
re legalmente quali felici e fedeli sudditi della Sublime Porta, go- 
vernandoci autonomicamente nella nostra provincia, dando a Cesa- 
re quel eh' è di Cesare, e che considerando il nostro paese come u- 
na parte integrante dell' impero turco, ci corresse T obbligo di 
difeaderlo da ogni esterna invasione ed aggressione. — Questa 
sovrana grazia potevamo attendere tranquilli, ove non avessimo ri- 
posto la. nostra fiducia in GuSanc-Alì, notissimo capo dei ribelli, 
annidatasi a Belgrado; il quale calpestando i patti della pace con- 
chiusa cc*n noi, ci sollevò contro la tremenda inimicizia di quasi 
tutti i Bosnesi, che perfidamente e' invidiano, quella di Pazvanèié 
pascià di Viddiiio, nonché di alquanti irrequieti Arnauti. Felicemente 
sconfitti gli ammutinati Arnauti a Kurèumlija, conchiudemmo, die- 
tro sua istanza, la pace con Pazvanèic, dopo di averlo staccato da lo- 
ro ; e quanto prima amveremo, coli' ajuto di Dio, a cacciare da 
Belgrado anche Gu§anc-Alì. Coir irreconciabile Bosnia — che dietro 
le insinuazioni diGuèanc Ali e contro il volere e gli ordini del sul- 
tano, ci ha furiosamente aggrediti, bruciando fino ad ora molti dei 
nostri villaggi e ielle nostre nahije, saccheggiandole e derubando- 
le, avendoci causa o immensi danni e continuando a portarcene con 
sforzi incessanti — ci troviamo oggigiorno nella guerra più acca- 
nita e nella lotta la più spietata. 1 Bosnesi (particolarmente quel- 
li di Serajevo) non iccettano le nostre proposte di pace, e frap- 
pongono tanti ostacoL alla nostra felicità che oramai è indub- 



216 

bio che non potremo ottenere lo scopo dei nostri desiderii, senza 
distruggerli; essi d' altronde talmente indeboliscono le nostre 
forze, che a causa loro avremo a soffrire molte contrarietà ove Ella 
non ci ajuti a frenarli. Noi invochiamo quindi il Suo ajuto contro 
la perfidia e la tirannia della Bosnia, la quale ha nutrito nel suo 
seno fin da tempi remotissimi capitali e giurati nemici del nome 
e della religione serbiana, stirpe di vipere — progenie maledetta del- 
l' infame Brankovié — che tuttogiomo travaglia per distruggerci 
col suo alito velenoso e per cancellare interamente il nome e la 
prosperità serbiana 1 Contro questo implacabile nemico, armatosi 
contro di noi quantunque dell' istesso nostro sangue, noi implo- 
riamo il Suo pronto ed immediato ajuto, sul quale abbiamo fat«:o 
grande calcolo fin dal principio della nostra intrapresa ! I ! La 
scongiuriamo di questo in nome di quei vincoli di fede, di stirpe 
e di sangue, per cui ci appelliamo fratelli, come lo siamo; invo- 
chiamo dall' intimo del nostro cuore, colle braccia aperte Lei e col 
suo mezzo i nostri valorosi, diletti e cari fratelli del Monteiero, 
della Dalmazia e dell' Erzegovina, per riannodare queir alfeanza 
che univa i nostri padri ed i nostri antenati all' epoca dela loro 
gloria, cioè a dire proponiamo loro un alleanza armata offensiva e 
difensiva!" 

„Ella deve accedere a quest' alleanza per gli ob3lighi che 
Le corrono in faccia a Dio, in faccia agli uomini, in faccia a tutta 
r Europa, per il sacro carattere di cui è rivestito, ed in base ai 
diritti e doveri delle leggi divine, naturali, civili e prlitiche. Col- 
r aderire a questa alleanza Ella soddisferà ai doveri di Serbo, di 
uomo, di principe e, nel più importante momento, si acquisterà la 
simpatia di tutta la propria nazione, la cui gratitvdine potrà es- 
serLe un giorno d' immenso vantaggio. Ajutandocnel supremo no- 
stro bisogno e pericolo, contro i complici di Gu§inc-Alì insubordi- 
nati al sultano, che infettarono tutta la Bosnia <ollo spirito di ri- 
bellione e la sollevarono contro i fedeli rajà dd sultano ed in con- 
seguenza contro r istessa sua imperiale persola, Ella si aquisterà 
senza dubbio un diritto di riconoscenza per p^rte della Porta Ot- 



217 

tomana. Finalmente, accordanrloci un ajuto armato, Ella eseguirà 
quello che apertamente si dice aver Ella già fatto. Tralasciamo di 
porLe sott' occhio gì' immensi vantaggi che sarà per apportare a 
tutte le future generazioni serbiane, coli' accordarci il richiestole 
sollecito ajuto.** 

„ Sottoponendo queste cose alla matura ponderazione della 
Sua mente e del Suo cuore, lasciamo in Suo arbitrio la scelta dei 
mezzi per trarre ad effetto il Suo piano; soltanto La preghiamo 
di comunicarceli a tempo opportuno. Faccia conoscere questo no- 
stro desiderio ai suoi più affezionati nella Dalmazia e nell' Erze- 
govina. E prima di tutto metta a disposizione del rinomato eroe 

V 

Sibalija un sufficiente numero di uomini, acciò tendendo a con- 
giungersi con noi, operi quanto prima un utile e vantaggiosissima 
diversione. Tutte le nostre intraprese devono convergere ad un sol 
punto : stabilisca questo e ci dia prontamente un immediata e 
categorica risposta, che attendiamo colla massima impazienza, ci 
metta a giorno di tutto per poter essere pienamente informati 
tanto dell' attuale stato delle cose, quanto delle Sue risoluzioni e 
decisioni per 1' avvenire. — Questo è quello che si richiede da 
Sua parte ; e dalla nostra noi le diamo qual pegno della nostra 
inconcussa fedeltà e del nostro intraprendente zelo e dei sacrificii 
che veiTanno da noi richiesti, quella felicità che la Dio mercè, sor- 
tendo dal nulla, abbiamo incominciato a gustare da tre anni. — 
Felicità questa che unita alla speranza che riponiamo in Lei, for- 
mano i due nostri pili preziosi tesori. Unisca questi due ed adem- 
pia le speranze d' una prode nazione." 

„Dato in Serbia a Smeredevo li 29 Maggio 1806.*' 
„Di Lei reverendissimo e chiarissimo Monsignore** 

«fedelissimo tìglio** 
(L. S.) 

„&IOE&IO PBTEOVIÓ** 

;,supremo condottiero dei Serbi, unitamente al consiglio nazionale 

Serbiano.*^ 



218 

Noi abbiamo veduto antecedentemente che, appunto in que- 
st' epoca e per tutto il rimanente deir anno 1806, il vladika coi suoi 
Montenegrini e Bocchesi unitisi ai Russi contro i Francesi, com- 
battesse nei dintorni di Ragusa e nelle Bocche, in conseguenza di che 
egli non poteva dare alcun ajuto al condottiero serbiano. I Serbi 
d' altronde, condotti da Kara-Giorgio, non avevano in queir an- 
no urgente bisogno di ajuti, giacché su tutti ì punti combattevano 
felicemente i Turchi, riportando su di loro delle splendide vittorie 
quali sarebbero quelle di MiSar, di Poreè, di Banja ed altre. Nel 
mese di Novembre i Russi, sotto il comando di Mihelson, entraro- 
no nella Moldavia e nella Yalachia ed al principio del 1807, do- 
poché i Serbi nel mese di Febbrajo ebbero conquistato èabac e 
Belgrado, si congiunsero a loro. Rallegrato da questi successi, il 
vladika inviò S. Plamenac, uomo di sua fiducia, con una lettera al 
condottiero serbiano per mettersi d' accordo sugli ulteriori movi- 
menti contro i Turchi. Kara-Giorgio accolse con gioja il Plamenac 
e spedi questa risposta al vladika: 

^Illustrissimo e reverendissimo Monsignore Metropolita e Principe 

del Montenero," 
„ Ghraziosissimo Signore /** 

;,Le Sue aflfettuosissime ed apprezzatissime lettere, mi arre- 
cano contemporaneamente e conforto e speranza. Ho ricevuto T ul- 
tima col mezzo del signor Savva Plamenac, egli me la spediva da 
Semlino, e molto tempo dopo, quando ci mettemmo in comunica- 
zione coir armata russa sopra Viddino presso Praova, sopra un 
isola del Danubio, il Suo inviato potè raggiungermi e conferir me- 
co; sullo stato delle cose nostre egli potrà darLe i piìì detta- 
gliati ragguagli. A conforto dell' ostinata aggressione dei Bosnesi 
a me ed ai miei fratelli é gioja il veder accorrere in nostro ajuto i 
prodi nostri fratelli Serbo-Montenegrini ed agire di concerto con 



219 

noi. Raccomandando me e tutta la nazione Serba air affetto e me- 
moria di Lei, in attesa d' un pronto riscontro, resto col più pro- 
fondo ossequio. '^ 

„Di Lei illustrissimo e reverendissimo Metropolita e Principe 
del Montenero, graziosissimo signore ** 

„Dal campo di ètubik" 
„13 Giugno 1807« 

«fedelissimo" 

„&IOE&IO PBTEOVIÓ U Nero" 

„ Supremo condottiero dei Serbiani" 

„La prego di porgere i miei affettuosissimi e rispettosi salu- 
ti al signor Stefano Andreewié Sankowski, raccomandandogli di 
volermi onorare dei tanto desiderati suoi scritti, approfittando del- 
la di Lei corrispondenza con me." *) 

Fino a che Plameaac ritornò dal vladika con questa rispo- 
sta, egli in seguito alla pace di Tilsitt, aveva già abbandonate le 
Bocche, riprese dai Francesi, come già dicemmo, negli ultimi gior- 
ni di Luglio. Intanto anche i Bussi ai 12 di Agosto, conchiusero 
un armistizio coi Turchi a Slobodia, durevole per 8 mesi, protrat- 
to di poi per più di un anno e mezzo. Durante questo, anche i 
Serbi rimasero tranquilli ; ma quando al principio della primavera 
del 1809 i Russi ripresero le ostilità contro i Turchi, tosto i Ser- 
bi rincominciarono i preparativi per attaccarli, del che, ai 30 di 
Marzo, Kara-Giorgio diede avviso al vladika , invitandolo ad accor- 



*) Queste dae lettere di Eara-Giorgio, con alcune altre, in parte sue, in parte 
dei suoi generali; si conservano nell' archivio scelto di Getinje. 



220 

rere coi suoi MonteDegrìni contro i nemici della fede cristiana, rag- 
giungendosi e congiungendosi le due armate, ove la fortuna loro 
fosse propizia, sul fiume Tara. 

Nel mese di Aprile, una porzione dell' armata Serbiana en- 
trò nella Bosnia ed incominciò ad attaccare le fortezze turche ; ed 
un altra, sotto il comando di Kara-Giorgio e di Milan Obrenovic, 
si pose in marcia verso T Erzegovina e verso il dì di S. Giorgio pre- 
sero Sjenica, sbaragliarono il pascià di Pec e si congiunsero con 
quelli di Vasojeviéi. Di queste mosse tu subito avvertito il vladika 
da Milan Obrenovié, ed ai 30 di Maggio Kara-Giorgio scriveva al 
vladika da Sjenica, terminando la sua lettera con queste parole: 
„Ecco che, coir ajuto di Dio, io arriverò fino al Tara, Ella intan- 
to dalla parte superiore piombi suir inimico, ma lo faccia imman- 
tinente, per non perdere il momento propizio. Se crede di farlo, 
questo è istante favorevole, per amor di Dio, non lo trascuriamo !„ 

La notizia che Kara-Giorgio avesse preso Sjenica e che fos- 
se in procinto di giungere fino al Tara, ridestò la speranza ed a- 
nimò tutti i circonvicini Erzegovesi; tosto quei di 2upa, di Dro- 
bnjak ed alcune altre tribiì insorsero contro i Turchi ed intanto il 
vladika arrivò a Bjelopavliéi, donde mandò alcuni dei suoi nella 
2upa, nella Mora£a ed a Drobiijak per far leva di un armata ed 
ordinarla, perchè si mettesse in marcia verso il Tara. Kara-Gior- 
gio attaccò quindi coi suoi Novi-Pazar, prese ed incendiò la città 
e pose r assedio alla fortezza; ma in quel momento sopraggiunse 
un corriere, recandogli la notizia che una poderosa armata turca 
venuta daNiS, avesse completamente distrutto 1' accampamento ser- 
bo di Kamenica (ciò accadeva alla metà circa di Giugno) e che da 
lì si fosse mossa verso Deligrad. A questo annunzio, Kara-Giorgio 
abbandonò Novi-Pazar e colla sua armata volò in soccorso dei suoi 
Serbiani sulla Morava. 

La partenza di Kara-Giorgio da Novi-Pazar riempì di giubi- 
lo i Turchi limitrofi al Montenero. Il vladika per turbare la loro 
gioja, venne con alquante truppe a Planinica. Da questo luogo, 
per tutta Y estate, molestò i Turchi di Nik§ic e tenne in continuo 



221 

allarme i vicmi Albanesi. Qui fu raggiunto dal vojvoda Antonio 
Simonovié (Colak-Anto) con Rako Leyanao; essi erano stati spediti 
da Eara-Giorgio, mentre ancora si trovava a Sjenica, per raggua- 
gliare sul suo arrivo in quella città quei di Drobnjak e della Mo- 
rata, nonché gli altri Brgjani e Montenegrini. Ma sopraggiunto 
r autunno, né arrivando alcuna notizia da Eara -Giorgio, il vladi- 
ka si ritirò da Planinica congedando le truppe, scrisse intunto a Ea- 
ra-Giorgio, il quale così gli rispose in data 16 Settembre; „Rice- 
vetti la sua lettera dei 21 di Agosto, col mezzo del mio vojvoda 
Rako Levanac, di Antonio Simonovié e del valoroso Gabriele §i- 
balija. Mi sono trovato in grandissime angustie ed imbarazzi, mi 
fu però di non poca consolazione Y udire eh' Ella con alquan- 
ti dei suoi fosse venuta di fronte a Nikéié e, coli' ajuto di Dio, 
r avesse messo a tali strette, quali mai non ebbe a provare per 
r innanzi. La ringrazio di aver così operato una diversione delle 
forze turcher dell' Erzegovina a dell' Albania, di maniera che non 
potessero muoversi contro di noi, come era stato loro ordinato. La 
mancanza di nostre notizie La trattenne dal proseguire innanzi, del 
che La prego di averci per iscusati, non essendo stati noi di ciò 
colpa, ma bensì alcuni tristi che lavorano alla distruzione della 
Serbia e dei Serbiani.^ Seguono poi dei dettagliati lamenti, in cui 
narra delle mene di alcuni per rovinare la Serbia, i quali giunse- 
ro a tanto da favorire 1' occupazione turca di alcune nahije della 
Serbia, racconta quindi come questi traditori si fossero rifugiati a 
Semlino, seducendo uno dei piii prodi tra i suoi vojvodi, Pietro 
Todorovié (Dobrinac) e conchiude colla notizia che i Serbiani a- 
vessero ripreso la massima parte dei paesi perduti. 

Fino a che Eara-Giorgio rimase in Serbia, mantenne conti- 
nua corrispondenza col vladika del Montenero, tenendolo a giorno 
di tutte le mosse dei Serbiani, non ricercando però più da lui a- 
juto di truppe. Sapeva che il vladika si trovasse in così sfavore- 
voli circostanze, da mancare di munizioni e di denaro per mante- 
nere un armata, Fa però meraviglia come il vladika, almeno nel 
tempo in cui si trovava coi Russi nelle Bocche, donde corrispon- 



222 

deva con Kara* Giorgio, concertaDdosi per una simultanea aggres- 
sione contro i Turchi, non avesse potuto procurarsi delle muni- 
zioni t 

Nel 1810 il Montenero si trovava in gravissime angustie. 
Questo almeno sì rileva da una lettera scritta in queir anno da 
Eara-Giorgio e datata da Cuprija ai 25 di Luglio, in cui tra le 
altre si ritrovano le seguenti espressioni: ^Dal mare fino a noi 
lungo il Danubio, tutte le fortezze turche furono prese dai Russi, 
resistono soltanto Viddino e Adakalè, egualmente furono prese 
tutte le fortezze della Bulgaria fino a §umla. Se in questo stato 
di cose, sarà così terminata la guerra e fatta la pace, Ella ne sa- 
rà tosto informato. Se invece continuerà la campagna, procureremo 
d' interessarci a loro favore cercando di congiungerci; se poi vi sa- 
rà pace, non li abbandoneremo nelle angustie in cui si trovano, 
ma cercheremo di propugnare i loro vantaggi, al pari dei nostri. 
Perchè ove minacciasse un cangiamento sfavorevole nella loro po- 
sizione, ne sarei accoratissimo e verserei lagrime sulla loro scia- 
gura; perchè codeste parti mi stanno immensamente a cuore ed 
io già ben conosco tutti i loro bisogni Se Iddio ci presen- 
terà qualche occasione per poterci muovere verso di loro e riunir- 
ci, questa sarà una grande fortuna; se poi non potremo arrivare 
a questo, allora verso V autunno scriveremo a Lei ed a èibalija, 
per stabilire chi di loro due debba muovere verso queste nostre 
parti. Noi di soppiatto, ingannando il nemico, avanzeremo fino al 
Lim, ma per ora non si può pensare a questo, perchè nel mo- 
mento i Turchi sono accampati lungo tutto il confine e noi abbia- 
mo posto in opera tutte le nostre forze contro NiS, avvedendosene 
i Turchi potrebbero piombarci addosso con tutte le truppe che 
hanno pronte nei loro accampamenti e farci deplorare delle nume- 
rose vittime. In autunno i Turchi si ritireranno nei loro quartieri 
d* inverno ed allora noi segretamente e' intenderemo e Le parte^ 
ciperemo per essere pronti a muoverci simultaneamente gli uni e 
gli altri. Ove poi fatali avvenimenti dalle loro parti avessero già 
resa inutile la speranza di effettuare tale progetto, questo mi sa- 



223 

rebbe di sommo cordoglio. Se poi codesti luoghi, per dura neces- 
sità, dovessero rimanere deserti, trasmigrandone in qualunque par- 
te gli abitanti, ciò sarebbe d' immenso corruccio ed a me ed a tut- 
la Serbia, perchè ben conosciamo come il loro paese abbia sapu- 
to sfuggire air oppressione e mantenersi libero dagli infedeli, e 
non lasciarsi calpestare da loro, fin dair epoca della caduta del- 
l' impero serbo; se ora cadesse, ciò sarebbe una sciagura per tut- 
ta la Serbia! Almeno si potessero salvare incolumi qui tra noi, 
il mio dolore sarebbe alleggerito, perchè almeno in seguito avrem- 
mo comuni r esistenza o la morte. Air occorrenza le farei perve- 
nire molte cose necessarie alla guerra, ma per ora non lo posso, 
perchè le vie sono chiuse e se volessi forzare il passaggio, do- 
vrei levare delle forze da Nià; or giudichi Ella di quello che si 
può fare. É mio desiderio di parlarLe sempre francamente e di 
non ingannarLa, come usano fare alcuni con noi.^ 

In questa occasione MiloS Obrenovic scrìsse al vladika ed è 
qui di molto interesse il riportare la sua lettera la quale verbal- 
mente cosi suona : 

„Blustrisisimo e reverendissimo Monsignore!^ 

;,Mi pregio di riverire col più profondo ossequio V. S. R. 
desiderando che questo mio rispettoso scritto La ritrovi in perfet- 
ta iSalute e tranquillità di spirito e valga a meritarmi la Sua be- 
nevolenza. Suppongo eh' Ella sarà a giorno della mia missione in 
Bussia, dietro il voto unanime di tutta la nazione; conoscendo 
r impareggiabile amòre di V. S. R per la patria e per la nazione 
e r indefesso suo zelo per la nostra comune felicità, ritengo che 
la relazione sui risultati del mio viaggio sarà di grande conforto 
al suo animo e quindi m' affretto a parteciparglieLi." 

;,Giunto dal comandante in capo principe Bagration, vi fui 
accolto con tutti gli onori d' un inviato di una grande nazione. Le 
mie rimostranze furono benignamente accettate e le mie suppliche 
furono esaudite con benignità ancor maggiore, mentre fui assicurato 
che S. M, r augustissimo imperatore non avrebbe recesso dalle 



,224 

promesse graziosamente fatte alla nostra nazione, né che giammai 
ci avrebbe abbandonato nelF oscurantismo, sotto il giogo del fero- 
ce conculcatore del cristianesimo. Le confortanti parole furono 
convalidate colla concessione di un ajuto armato. — Così le spe- 
ranze della nazione raggiungevano il loro più bel fiore e promet- 
tevano frutto abbondante!" 

„ Quando un ordine inatteso rioliiamò le truppe nella Vaia- 
chia. Questo inaspettato contrattempo ci cagionò il più profondo 
dolore, e tanto maggiore, in quanto che, non conoscendo la vera 
causa, temevamo di essere noi stessi la cagione di questo cangia- 
mento. Volendo accertarmi del vero motivo d' una disposizione 
tanto per noi tremenda, mi affrettai di ritornare di nuovo in Va- 
lachia, dove in breve pervenni a chiarirmi che ciò dipendeva dal 
mutamento del comandante in capo. H conte Eamenski venne a 
sostituire il comandante supremo, per ispezionare e riorganizzare 
il piano di campagna di quest' anno ritirò tutte le truppe dal- 
le anteriori posizioni. '^ 

„I1 mio dovere e la felicità della mia nazione richiedevano 
che a lui mi presentassi. Egli mi ripetè V assicurazione che il 
graziosìssimo suo imperatore non ci avrebbe abbandonati e che la 
nostra felicità sarebbe congiunta con quella della Russia," 

„Giusta i nuovi piani di guerra addottati, diede ordine al 
signor conte Zuccato di passare coir armata in Serbia, e dirigere 
tutti i nostri passi militari e politici; ed egli infatti adempì pun- 
tualmente r affidatogli incarico, mostrandosi molto affettuoso ed 
attaccato alla nostra nazione." 

^Reduce da li in patria per riposarmi, arrivai a Cuprija, do- 
ve mi trovò il di Lei segretario signor Orlovié ed il signor Siba- 

lija ; li lasciai presso Eara-Giorgio, perchè mi attendessero, ed io, 
per quanto le circostanze me lo permetteranno m' affretterò a raggiun- 
gerli per render comuni tutti i nostri interessi, che per il fatto sono in- 
separabili ed indivisibili. Si accerti, reverendissimo Monsignore, che 
dove il buon Iddio sia per concederci qualche felicità, Ella ne 
dovrà esser fatto partecipe. Credo che in questo senso le scriva 
anche Kara-Giorgio." 



2^5 

„Noi siamo una sola nazione — ed una deve essere la no- 
stra sorte. Si dia dunque coraggio e stia di buon animo. L' al- 
bero della nostra felicità ha già preso radici, già cresce e germo- 
glia, tra non molto verrà anche il frutto. Il magnanimo imperatore 
delle Russie è presentemente in guerra colla Porta Ottomana 
soltanto per cagione nostra, egli in breve la costringerà a firmare 
una pace, dettata a suo talento. I successi delle sue armi sono 
strepitosi ! È un prode generale, il conte Eamenski ! Già sono 
conquistate tutte le fortezze sul Danubio fino al mare, già si è 
inoltrato colle truppe nell'interno per trenta ore di cammino e tie- 
ne circuito il gran vezir ed il suo esercito in èumla. Ad ogni istan- 
te sì attende la notizia, che o questa sia caduta ed il gran-vezir 
sia prigioniero, oppure che sia stata segnata la pace. E questa sa- 
rà certamente la base della futura felicità di tutti i Serbi.*' 

„Neir assicurarLa di questo, Le auguro prospera salute e 
baciandoLe le sante mani, imploro da Lei la Sua benedizione, co- 
me pure di non dimenticarmi nelle Sue preghiere. Resto col più 
profondo rispetto 

Di Lei reverendissimo Monsignore 

Dato a Brusnica li 28 Luglio 1810. 

devotissimo servitore 
„MILAN OBBENOV m. p.« 

comandante e deputato 
della nazione." 

Tanto il condottiero quanto il deputato della nazione serbia- 
na, bramavano di soccorrere il vladika ed il popolo Montenegrino, 
ma sciaguratamente non giunsero che a giovare assai debol- 
mente anche alla stessa lor patria ; non trascorse intero mezzo an- 
no, che Milan Obrenovié finì di vivere e Kara-Giorgio nel mese di 
Settembre dell' anno 1813, fu costretto ad abbandonare la Serbia 
ai Turchi ed a cercare rifugio sul territorio austriaco. 

15 



226 

La pace di Tilsitt, conchiiisa tra V imperatore Alessandro e 
Napoleone, era prossima a rompersi al finire dell' anno 1810. 
L' anno seguente passò tra inutili trattative e tra preparativi di 
guerra; ed al cominciare dell' anno 1812 era già notorio che Na- 
poleone fosse pronto ad attaccare la Russia con una numerosissi- 
ma armata. Trovavasi in quell' epoca nell' Adriatico una flotta in- 
glese, sotto il comando del contrammiraglio Tommaso Francesco 
Ferbamentl (?). Dna porzione di questa, sotto gli ordini del capi- 
tino Guglielmo Hoste, stazionava nelle acque della Dalmazia pres- 
so r isola di Lissa, che gì' Inglesi, nel 1810, avevano conquistata 
ai Francesi. Il comandante di Cattaro Gauthier temeva e prevedeva 
che gì' Inglesi, nel momento chela Francia avrebbe invaso la Rus- 
sia, avrebbero cercato di sollevare i Montenegrini contro i France- 
si che occupavano le Bocche, desiderando quindi di distogliere il 
vladika Pietro da questo passo, gì' indirizzò una lettera che qui 
diamo tradotta: 

A Monsignor Vescovo dei Montenegrini! 

„Io so che alcuni emissarii inglesi devono recarsi da Voi; 
gì' Inglesi sono perfidi : state in guardia, Monsignore, che non V'in- 
gannino come hanno fatto' con tutte le potenze del continente cui 
hanno trascinato a delle guerre infelici per poi sempre abbando- 
narle. Gli abitanti del Montenero non si mescolino punto negli af- 
fari delle grandi nazioni, restino tranquilli in casa loro ed amici 
dei Francesi loro vicini. In questo modo conserveranno il loro be- 
nessere, la loro indipendenza e la loro tranquillità.** 

^Aggradite, Monsignore, V assicurazione della mia piii alta 
stima.** 

''Il generale di brigata, barone dell' impero, comandante la 
provincia dell' Albania Francese." 

«Cattaro 23 Febbrajo (n. s,) 1812.** 

;,aAUTEIZE. m. p.*^ 



227 

Non trascorse lungo tempo ed i presentimenti del comandan- 
te di Cattaro s' avverarono. Entro quel mese istesso (cioè in 
Luglio) quando Y imperatore Alessandro in seguito alle vittorie 
di Napoleone in Polonia, chiamò sotto le armi tutti i Russi, capa- 
ci di portarle, giunse a Getinje il colonnello inglese Danesi invia- 
to dal suddetto ammiraglio per eccitare il vladika a piombare coi 
Montenegrini sui Francesi nelle Bocche. '*') Non ci voleva troppo 
per indurre a ciò il vladika; egli odiava di cuore i Francesine de- 
siderava ardentemente di liberare le Bocche dal loro dominio. 
Promise a Danesi che appena gli constasse deir alleanza anglo-rus- 
sa, approffittando di qualche occasione favorevole, avrebbe invaso 
colle sue truppe le Bocdie^ avvertendo il contrammiraglio del mo- 
mento, perchè muovesse in suo ajuto coi bastimenti da ;guerra. 

Verso la fine del 1812 Napoleone fu costretto di ritirarsi dal- 
la Russia coi pochi avanzi della sua distrutta armata. L' impera- 
tore Alessandro, deciso di liberare 1' Europa dal pesante g^go di 
Napoleone, nel 1813 proclamò la santq Alleanza^ e dopo eh' ebte 
riportate coi suoi alleati delle significanti vittorie suU' inimico, il 
vladika giudicò arrivato il momento propizio per mantenere la da- 
ta parola agi' Inglesi ed ai 27 di Agosto di queir anno pubblicò 
un appello al suo popolo, incitandolo a prendere le armi contro i 
Francesi nelle Bocche ed inviò al comandante della squadra ingle- 
se a Lissa il signor Zifra di Cattaro, perchè lo rendesse di ciò 
avvertito. 

I Montenegrini accolsero con trasporto questo appello del 
loro vladika ed in breve furono pronti a mettersi in campagna, 
poiché per loro la guerra, in ajuto dei proprii fratelli, nei fertili e 
ricchi paesi delle Bocche, era quasi come un invito a nozze. Ai 9 
di Settembre, il vladika, con un corpo di Montenegrini, mosse da 
Cetìnìe e pose T assedio alla città di Budua, che si arrese agli 



*) Grlica del 1888, paf. 56. 



228 

11, ed in cui trovò 6 cannoni, alquante munizioni e proviande, fe- 
ce prigionieri dei Croati 1 officiale e 49 soldati e dei Francesi 
4 gendarmi e 3 artiglieri. -- Caduta Budua, tutti i luoghi del cir- 
condario aderirono di buona voglia ai Montenegrini. '*') 

Un altro corpo di Montenegrini, sotto il comando del gover- 
natore cavaliere Vuko Radonié, ai 10 dello stesso mese, strinse 
d' assedio Cattare ed il forte Trinità, posto nella sua vicinanza. 
— Ai Vz diedero 1' assalto al forte, a liberare il quale accorsero i 
Francesi dalla città. — L* astuto Radonié, versato nelle arti del^ 
la guerra, per ingannare il nemico, finse sulle prime di ritirarsi, 
ed attaccando poi con impeto i Francesi sortiti dalla città, li cir- 
cuì e talmente li sbaragliò, che vi restarono morti oltre 100 e fu- 
lono fatti 36 prigionieri; pochi soltanto si salvarono colla fiiga^ 
per riportare nella città la dolorosa notizia della perdita dei loro 
compagni, — Allora il governatore ritornò ad assalire il forte che, 
quantunque difeso dal fuoco delle proprie artiglierìe e da quello 
dei fottilizii sopra Cattaro, pure non potè resistere ; il presidio si 
sottrasse salvandosi dove meglio poteva ed il forte, dopo un ora, 
venne distrutto da una mina, preparata dagli stessi Francesi. **) 

Di queste vittorie il vladika da Budua ai 12 di Settembre 
diede contezza al comandante inglese a Lissa ed al generale au- 
striaco in Dalmazia, chiedendo da loro dei rinforzi, per trarre a 
fine un impresa cosi felicemente incominciata. — In attesa di 
questi, ai 15 del mese, una banda di Montenegrini e di Bocchesi 
assali la batteria francese presso le Catene, né curandosi del fuo- 
co dei cannoni di lei né di quello della batteria di S. Giorgio, 
situatale di faccia, neir istesso giorno se ne impadroni facendo 
prigionieri 14 gregarii italiani e prendendo 3 cannoni. — Un al- 
tra banda, ai 18 del mese, attaccò e prese la batteria collocata a 
Porto-Rose, trovandovi 4 cannoni inchiodati dal nemico, prima di 
abbandonarla. Queste due intraprese, benché di lieve ^momento, 



*) Grlica dei 1838, pag. 56. 
♦*) Id. pag. 56-57. 



229 

erano di grande importanza per i Montenegrini, in quanto che 
V atteso ajnto degli Inglesi e degli Austriaci, poteva così arrivare 
senza venin ostacolo fin sotto Gattaro, *) 

Questi rapidi successi dovevano determinare anche le altre 
comuni, situate nel canale di Cattare, ad unirsi al partito dei vin- 
citori, ma esitando queste, il vladika spedi un sufficiente numero 
di Montenegrini, g^uidati da Savva Plamenac, che ai 28 di Settem- 
bre posero r assedio a Castelnuoro ed al forte Spagnuolo, taglian- 
do le comunicazioni tra questi e Ragusa. **) 

Al primo di Ottobre entrarono nelle Boc<ihe di Cattare 1 
fregata, 1 brigg ed alcune cannoniere inglesi, sotto il comando 
del capitano Hoste; ***) con queste venne anche Y abate Brunazzi, la- 
tore di una lettera per il vladika del comandante in capo austria- 
co, r arciduca d' Este. innesta lettere tradotta, suona come appresso: 



Reverendissimo Monsignore! 

„Condotto dalle mie incombenze qui a Lissa, nel momento in 
cui si è sparsa la lieta notizia che la Sua armata si sia resa pa- 
drona delle Bocche ed abbia espugnato il forte di S. Trinità pres- 
so Cattare, vi ritrovai una Sua lettera, senza V indirizzo persona- 
le di colui a cui doveva essere consegnata, ma diretta soltanto ad 
un qualunque generale austriaco, che fosse il comandante in Dal- 
mazia. Desiderando essere dettagliatamente informato delle notizie 
e bramando conoscere se io da qui avessi potuto in qualch<^ ma- 
niera essere d' ajuto alle Sue intraprese, tendenti a liberare le 
Bocche dal giogo francese sotto cui gemevano oppresse, e consi- 



*) Ortica del 1888, pag. 67 
*•) Id. ibid. 
*♦•) id. p^. B7-68 



230 

gliato dal signor Zifra, decisi di aprire il suo scritto, il quale ha 
confermate le aggradevoli notizie, che qui si erano già diffuse. Ho 
nuovamente siggillata la Sua lettera proseguendola tosto al suo 
destino; ma vedendo eh' Ella, reverendissimo Monsignore, ricerca 
ajuto di truppe e munizioni dair Austria, per potere di comune 
concerto rendere libere interamente le Bocche, mi sono tosto mes- 
so di cointelligenza col comandante inglese di Lissa ed ho otte- 
nuto che tosto sia inviata in codeste parti una fregata con alcune 
cannoniere e che su questi legni vengano trasportate delle truppe 
di sbarco, con delle munizioni e della polvere. Se 1' intrapresa 
spedizione avrà un felice successo, non dubiti che, dopo qutiste, 
saranno inviate delle altre truppe, le quaU, unitamente alle Sue, ser- 
viranno per la liberazione delle Bocche.^ 

«Unitamente a questo piccolo ajuto, .il cui prìncipal merito 
consiste nella sollecitudine, decisi di mandare anche il signor aba- 
te Brunazzi, a Lei ben conosciuto, che si trovava presso di me 
ed il quale Le sarà apportatore della presente. Molto confido nel- 
la perizia e nell' attività dello stesso signor abate, che ebbe sem- 
pre grandemente a cuore il bene universale di queste parti ed il 
quale col suo zelo e col suo carattere seppe meritarsi la mia 
fiducia.** 

9 A Lei dunque lo raccomando, egli ebbe da me T'incarico di 
significarLe a viva voce i sentimenti della mia distinta conside- 
razione. Congratulandomi nuovamente delle Sue vittorie, che sem- 
pre più accrescono V universale stima verso la persona di Lei ^ 
La prego di credere ai sentimenti di alta considerazione con cui 
mi professo. ** 

Di V. S. Illustrissima 
Da Lissa il 1 ottobre (n. st) 1818 

affezionatissimo 

«FBANOESCO d'BSTl m. p.« 

Arciduca e Comandante in capo Austriaco. 



231 

Precisamente il primo di Ottobre, qaando giunse nel canale 
di Cattaro il capitano Hoste, passarono dalla parte del vladika 
Dobrota e Perzagno e quei di Perasto cacciarono valorosamente 
i Francesi dalla loro cittadella dalla quale apersero il fuoco contro la bat- 
teria sull' isola di S. Giorgio e giunsero ad impadronirsene, predendo 
10 cannoni e facendo prigionieri 80 soldati, che condussero al co- 
mandante inglese. Subito il giorno dopo, 2 Ottobre, i Montenegrini 
ed iBocchesi, unitamente agli Inglesi, assalirono la città di Castelnuovo 
ed il forte Spagnuolo, dei quali s' impossessarono dopo una forte lot- 
ta, che si protrasse per due giorni e due notti, e vi trovarono 33 can- 
noni, con molte vettovaglie e munizioni. *) Rimasero di presidio in 
queste alquanti Inglesi assieme ai Montenegrini ed ai Bocchesi. — 

Per le ulteriori operazioni diveniva indispensabile la vigorosa 
ed esperta cooperazione degli Inglesi. U nemico circondato per ter- 
ra e per mare, rimaneva rinchiuso in Cattaro. Occorreva battere 
la città dal monte Vrmac, la quale allora doveva indubbiamente 
arrendersi. A tal fine era mestieri di trascinare sul monte dei can- 
noni ed erigervi una batteria, ma ciò né si sapeva, né si poteva 
fare senza gV Inglesi. Hoste aveva levati alcuni cannoni dair iso- 
la di S. Giorgio e da Gastelnuovo. Ad istanza dei Bocchesi, il 
vladika scrìsse al comandante inglese, agli 11 di Ottobre, pre- 
gandolo di restituire i cannoni al loro posto, rappresentandogli che 
i cannoni levati^dair isola di S. Giorgio, non appartenevano già ai 
Francesi, ma che erano antichissima proprietà dei Perastini, i qua- 
li avevano molto giovato contro il nemico. Il capitano Hoste ri- 
spose colla seguente lettera : 

^Reverendissimo Monsignore!^ 

„Ebbi r onore di rìcevere la Sua lettera, scrìttami in data 
di jerì. Mi duole che gli abitanti di codeste parti abbiano veduto 
di mal' occhio la distruzione delle fortificazioni di S. Giorgio, ma 



*) Qthcà del 1838, pitg. 68. 



232 

ciò non feci per altro motivo clie per assicurare alla squadra in- 
glese libero il passaggio per le Catene, nel caso di qualche sini- 
stro." 

„ Reverendissimo Monsignore ! I cannoni saranno restituiti 
agli abitanti, ma occorre eh' Ella sappia eh' io aveva stabilito dì 
trasportarli sul monte, per battere Cattaro. Ora cangiai di pensie- 
ro e mi limiterò soltanto a bloccare le coste di Ragusa e di Cat- 
taro ; a questo scopo sortirò quanto prima dal canale per sorve- 
gliare il nemico/ 

„Ho r onore di dirmi 

di V. S. Reverendissima 

presso Cattaro, li 24 Ottobre (n. st) 1813* 

, Devotissimo servitore" 
„EOSTE m. p/' 

„P. S. L' abate Brunazzi ci ha recato molto danno. Col suo 
contegno, mostrandosi proclive all' intrigo, ha nociuto alla causa 
del suo sovrano ed a quella dei suoi alleati e cosi rovina la no- 
stra comune intrapresa.* 

Il vladika avrebbe desiderato di rimuovere il capitano Hoste 
dalla sua risoluzione, quindi gli scrìsse, dimostrandogli che la par- 
tenza della squadra inglese dal canale di Cattaro, nuoceva nel più 
bel momento alle speranze degli alleati, ai quali importava di pren- 
dere Cattaro e liberare così tutte le Bocche dal comune nemico. 
Irremovibile nelle sue risoluzioni Hoste così rispose al vladika: 
„ Essendo la fortezza di Cattaro strettamente bloccata da tutte le 
parti, la mia ulteriore fermata in questi luoghi, riesce oramai inu- 
tile. Rimarrò non ostante in queste vicinanze, per agire contro il 
nemico presso Ragusa, e frequentemente verrò nelle Bocche per 
conferire con V. S. Reverendissima. Diedi ordine alle truppe di 



233 

S. M. Brittanìca di evacuare Cjistelnnovo ed il forte Spagnuolo. 
In ambedue questi luoghi e suir isola di S. Giorgio, rimane una 
grande quantità di polvere, del che rendo avvertita V. S. Reve- 
rendissima, perchè prenda in tal riguardo quelle misure, che Le 
sembreranno piìi a proposito.^ 

Dopo alcuni giorni il capitano Hoste coi suoi bastimenti 
mise alla vela dal canale di Cattare, per incrociare lungo le coste 
di Cattare e di Ragusa. *) 

Nella notte dai 16 ai 17 di Ottobre, sortirono da Cattaro 
tutti i Croati, che, in numero di 256 uomini e 4 uftìcìali, si tro- 
vavano al servizio francese e si arresero prigionieri all' abate Bru- 
nazzi a Perzagno. **) Portarono con loro tre bandiere francesi e 
le chiavi di quella porta dalla città che, guardando a mezzogiorno, 
conduce alla marina. Se il vladilca, che si trovava a Dobrota, di- 
stante mezz' ora da Cattare, fosse stato subito avvisato di questo, 
i Montenegrini ed i Bocchesi potevano in queir istessa notte im- 
padronirsi della città, ma Y abate Brunazzi gliene diede notizia 
appena a mezza mattina del giorno 17. 

Approf&ttando della diserzione dei Croati, che indeboliva as- 
sai r inimico e gli cagionava un danno sensibilissimo, il vladika 
in queir istesso giorno invitò il generale Gauthier comandante di 
Cattaro a capitolare; ma il generale rifiutò la proposizione e non 
volle arrendersi. ***) 

Quando il vladika vide che il generale Gauthier non inten- 
deva d' arrendersi così presto, raccolse in assemblea a Dobrota i 
Bocchesi ed i Montenegrini, che colà si trovavano, facendo loro la 
proposizione, che in base a quel principio che stabilisce che V u- 
nione formi la forza, il miglior partito sarebbe stato quello di 



•) Grlica del 1888, pag. 58. 
**) Id. ibìd. — Anche in questo punto, fu erroneAmente stampato nella «Gr- 
lìca'' che i Croati si arrendessero ai 20 dì Ottobre, in luogo che ai 16 e 
17 dello stesso mese. 
♦♦♦) Id. pag. 58-59. 



234 

riunire il Montenegro e le Bocche in una sola provincia. Tanto i 
Bocchesi quanto i Montenegrini vi aderirono volentieri, ed ai 29 
di Ottobre furono stabiliti i reciproci patti, in cui si obbligavano 
per iscritto a tale unione, nei seguenti termini: „Le due Provin- 
cie limitrofe del Montenero e delle Bocche giurano reciprocamen- 
te a Dio, di essere fedeli V una all' altra e di rimanere unite in 
qualunque caso ed in ogni evento. Essendo esse poste presente- 
mente sotto r alta e valevole protezione delle tre potenze allea- 
te, Russia, Austria e Gran-Brettagna, cosi i rispettivi capi, a no- 
me di queste due Provincie, dichiarano che se mai per circostan- 
ze politiche, r una o V altra delle due fosse costretta a sottomet- 
tersi ad una qualunque di queste potenze, che allora tutte e due 
divideranno il comune destino, vale a dire che si sottometteranno 
allo stesso governo, cogli stessi patti e con quelle stesse condizio- 
ni che godevano per 1' innanzi e che sperano di godere per V av- 
venire. ** Questo atto fu convalidato colle firme del vladika e del 
governatore Vuk Radonié, in nome di tutto il Montenero e delle 
Brda, furono poi aggiunte quelle delle comuni Bocchesi di Budua, 
Risano, Dobrota, Perasto, Perzagno, Pastroviéi, Grbalj, Maine, Po 
bori, Braiéi, Stolivo, Contado, Luètica, Krtole, Skaljari e Mula ♦), 
ed ultimo vi si sottoscrìsse Francesco Liepopilli, che rogò Y atto 
in lingua italiana. 

Subito dopo il vladika istituì un governo provvisorio sotto il 
nome di commissione centrale, del quale era presidente egli stes- 
so e membri 9 deputati di diverse comunità Bocchesi, nonché al- 
tri 9 dei capi del Montenero e delle Brda. Questa commissione 
si occupava non soltanto dei mezzi con cui combattere Y inioiico, 
che stava rinchiuso in Cattare, ma ancora di tutto quello che ri- 
guardava la pubblica sicurezza, la pace interna e la manutenzione 
del buon ordine. **) 



*) Grlica dei 1888, p&g. 59. 
•*) Id. pag. 59-60 



235 

Quando il vladika vide assestati gli affari interni, diede to- 
sto notizia alia Corte di Russia di tutto quello ch^ era accaduto 
nelle Bocche. Quindi la commissione centrale cominciò a conferire 
per la scelta di due deputati, uno Montenegrino e V altro Boc- 
chese, da spedirai alle corti degli alleati per intercedere che, 
chiunque fosse per divenir il possessore delle due provincie nuova- 
mente riunitesi, fossero conservati a tutte due i loro antichi pri- 
vilegii. Molto si discusse sulla scelta di questi deputati e non fu 
nulla conchiuso, perchè cominciarono a manifestarsi delle malin- 
telligenze tra le comuni romano-cattoliche da una parte e le gre- 
co-orientali dall' altra. 

Quando il vladika s' avvide che i deputati non rìescivano ad es- 
ser scelti di comune accordo dalla commissione centrale, allora, 
agli 8 di Novembre, egli inviò da sua parte Savva Plameuac, uo- 
mo di sua fiducia, air imperatore di Russia, con una supplica 
in iscritto con cui lo pregava che S. M. si degnasse di accogliere 
sotto la sua protezione il Montenero e le Bocche *) ; che volesse 
essero loro padre, signore e benefattore, conservando loro gli an- 
tichi privilegii. Al Plamenac erano stati concessi dal vladika pie- 
ni poteri, per ricercare anche il protettorato delle altre due po- 
tenze alleate, Austria ed Inghilterra, nel caso che questo non fos- 
se stato accettato dalla Russia. In questa occasione il vladika 
scrìsse anche al ministro russo degli affari esteri, manifestandogli 
eh' egli avrebbe sostenuto V incarico di presidente della commis- 
sione, quantunque troppo gli fosse gravoso e mal si combinasse colla 
sua missione spirituale, soltanto fino al momento in cui le poten- 
ze alleate avrebbero deciso sui futuri destini del Montenero e del- 
le Bocche. 

Appena che il Plamenac parti dalle Bocche, le comunità cat- 
toliche, le quali vivono soltanto colla marina, riflettendo che la 



'*') Grlica del 1888 pag. 60 



236 

Russia, tanto lontana da loro, male avrebbe potuto difendere i lo- 
ro interessi ed il loro commercio, inviarono una deputazione al- 
l' imperatore Francesco d' Austria, con un atto di spontanea de- 
dizione, pregandolo di volersi degnare di occupar le Bocche coQa 
sua armata. *) 

Verso la metà del mese di Decembre, si diffuse la notizia 
che delle truppe austriache si avvicinassero alle Bocche per occu- 
parle. Tosto che ciò riseppe il vladika, scrìsse due lettere, diri- 
gendone una al generale barone TomaSié, designato a governatore 
della Dalmazia, e Y altra al generale Milutinovié, che comandava 
queste truppe, pregandoli che 1' armata austriaca non entrasse 
nelle Bocche, finché non fosse data evasione ai memoriali da lui 
presentati, o per parte dell' imperatore delle Russie o di quello 
dell' Austria. *) In queste lettere, egli così si esprimeva: ,11 po- 
polo Montenegrino, cui, al par che ad ogni altro, sta a cuore il 
proprio onore, avendo combattuto finora unitamente agli Inglesi, 
desidera assieme ad essi condurre a termine 1' incominciata im- 
presa, per ottenere quel compenso che può attendersi soltanto dal- 
l' universale buona opinione, compenso dovutogli per il tanto 
sangue versato dai suoi figli e per il sacrifizio di tutte le sue, ab- 
benchè meschine, sostanze. In riflesso a questo aver spedito i Mon- 
tenegrini un loro deputato all' imperatore delle Russie, supplican- 
dolo che le corti alleate decidessc^ro dei futuri destini del Montene- 
ro e delle Bocche, le quali due Provincie si erano recìprocamen- 
te obbligate di rimanere indivise per 1' appresso e che ove qua- 
lunque di esse si sottomettesse a qualsiasi dei monarchi alleati, V al- 
tra pure si sarebbe sottoposta all' egual destino ; pregava quindi 
che fino a che non arrivasse tale decisione delle corti alleate, V ar- 
mata austriaca non occupasse le Bocche." 



*) Grlica del 18S8, pag. 60. 
♦•) Id. ibid. 



237 

Non sapendo se questa preghiera, che partiva da lui solo, 
sarebbe stata ascoltata, il vladika nuovamente ai 23 di Decembre, 
in compagnia di alcuni membri della commissione centrale, così 
scriveva' ai suddetti generali : »Se avete V incarico dalle corti al- 
leato di occupare coir armata tutte due le Provincie del Montene- 
ro e delle Bocche, alle condizioni da noi richieste e conservando- 
ci gli antichi nostri privilegii, questo coronerebbe tutte le nostre 
speranze e sarebbe il principio di un epoca di felicità per noi ; 
altrimenti, se per ora non volete occupare tutte due le provincie, 
noi vi preghiamo, non per altro che per schivare le discordie in- 
testine, di differire la spedizione delle truppe in queste parti fino 
air arrivo della risposta che attendiamo quanto prima dalle Corti 
alleate, alle quali abbiamo inviato un nostro espresso a tal fine.' 

Intanto il capitano Hoste era ritornato nel canale di Gatta- 
ro ed aveva collocato una batterìa sul monte Vrmac, da dove can- 
noneggiava la città. Non potendo ulteriormente resistere, il gene- 
rale Gauthier, ai 27 di Decembre, capitolò eoi suddetto capitano 
inglese e le chiavi della città furono consegnate a due deputati del- 
la commissione centrale, al governatore del Montenero ed a Vincenzo 
LovrenÉevié. Tre giorni dopo, gì' Inglesi abbandonarono definitiva- 
mente le Bocche, consegnandole al vladika e dirigendosi verso Ra- 
gusa per assediarla; ed il generale Milutinovié, eh* era arrivato 
colle sue truppe fin presso Castelnuovo, tenne immediatamente 
lor dietro marciando verso Ragusa. Dopo ciò il vladika, coir or- 
gano della commissione centrale, governò le Bocche, attendendo 
qualche risposta daU^ imperatore delle Russie. Ma il generale Mi- 
lutinovìc, ricevuto V ordine dal suo sovrano di occupare le Boc- 
che, ritornò nuovamente a Castelnuovo, il quale gli si arrese il 27 
di Maggio del 1814 ed ai 2 di Giugno entrò a Cattare, occupan- 
do tutte le Bocche. '*') E così il vladika per la seconda volta ab- 



*) Grlfca del 1838, pag. 60-61. 



238 

bandonò quella provincia senza ritrarre alcun vantaggio per sé 
stesso, come se lo aveva aspettato. 



Allorché il vladika, abbandonate le Bocche, ritornò nel Mon- 
tenero, vi giunse anche il Plamenac, latore di una lettera dell' im- 
peratore delle Russie, datata da Parigi il 20 di Maggio del det- 
to anno 1814. In questa si raccomandava al vladika di consegna- 
re le Bocche agli Austrìaci e di assicurare i Bocchesi che sareb- 
bero loro pienamente conservati tutti i diritti e tutti i privilegii 
di cui godevano nei tempi antichi. 

Appena ritornato il vladika nel Montenero, si ridestarono nel 
paese tutti gli antichi dissidii e scissure, che dopo breve tempo si 
convertirono in una vera anarchia, che continuò per tutta la vita 
del vladika. Non vi era né nahija, né Brdo i cui abitanti fossero 
in pace tra di loro, e ben rari erano i casati che tra loro non 
s' azzuffassero, spargendo il sangue fraterno. Quelli di Katun com- 
battevano con quelli di Rijeka e questi con quelli di Cmica ; i Pi- 
peri guerreggiavano con quelli di Bjelopavliéi e questi con quelli 
di Katun ; i Moraòani combattevano coi Bov6ani e questi con quel- 
li di Bjelopavliéi e di Piperi ; si uccidevano a vicenda quelli di Dol- 
njikraj con quelli di B^jce e questi con quelli diNjeguS e di Ce- 
kliéi; si azzuffavano quelli di Ljubotìqe coi Cekliéi e questi coi 
Dobr^jani, e così di seguito. E se talora per brevi momenti si at- 
tuttivano queste intestine discordie, ciò accadeva in seguito alle 
preghiere del vladika e di alcuni piii benemeriti dei capi, che a 
grande stento li inducevano a conchiudere degli armistizi!, dopo 
i quali ritornavano con maggior accanimento alle prime scissure. 
A queste sciagure si aggiungevano di frequente delle annate di ca- 
restia ed allora il popolo cercava salute colle emigrazioni in ter- 
re straniere. Alcuni emigrarono in Russia, ma la maggior parte 
di essi, costretti da disgustose circostanze, ritornavano nuo- 
vamente ai loro sterili monti; altri si cercavano una nuova pa- 
tria neir attuale principato della Serbia^ ma anche da lì molti 



239 

ritornarono ben presto nel luogo nativo, a causa dell' insalubrità 
deir aria e per lo spavento dei rigori della polizia serbiana ; alcuni 
finalmente tentarono cercare un asilo nelle Puglie, ma non giunsero 
a trovarlo tra una nazione diversa di religione e di lingua. San- 
guinava il cuore del vladika air aspetto delle sciagure del suo po- 
polo, ma non giungeva né a farlo ravvedere né a poterlo soccor- 
rere, giacché dal 1807, in cui fu conchiusa la pace di Tilsitt, T im« 
peratore Alessandro aveva cessato dallo spedire ai Montenegrini 
r annua sovvenzione di 1000 zecchini, eh' era stata loro destina- 
ta da Paolo I; d' altronde era sparita fin V ombra di qualunque 
autorità giudiziaria e 1* antico arbitrio dominava in tutto il Mon- 
tenero. H vladika supplicava inutilmente V imperatore Alessandro, 
perché continuasse a dargli il summentovato soccorso pecuniario, 
indarno rappresentava di quanta utilità sarebbe stata per il Mon- 
tenero questo piccolo ajuto. Alessandro non voleva saperne, per- 
chè gli era rimasto profondamente scolpito nella mente con quan- 
ta irriverenza alla sua imperiale dignità ì capi Montenegrini nel 
1804 gli avessero scritto, e quindi aveva abbandonato quasi total- 
mente il Montenero, lasciando in balia del suo destino. 

Rimproverando meritamente ai Monteneg;rini la facilità con 
cui s* abbandonano alle intestine discordie e disi^ensioni, vuol giu- 
stizia che, a loro somma lode, s' aggiunga, che n^' momenti in cui 
minacci un pericolo la patria, dimentichino ogni odio personale, 
ogni privato interesse, ogni intema contesa, ed eroicamente combat- 
ta)io unanimi contro gli esterni nemici. — Di ciò diedero prova 
molte volte e particolarmente nell' anno 1820. Il vìzir della Bo- 
snia, Celaludin-pascià, domata V insurrezione bosnese, decise di ten- 
tare, se gli arrìdesse propizia la sorte, di soggiogare anche il 
Montenero. A tale intento, nell' anno suddetto, spedi il suo Deli-pa- 
scià, con 12000 uomini di truppe bosniache ed erzegovesi, perchè 
invadessero per la prima la Moraòa. Quest' armata turca, giunta a 
Drobnjak e preso il necessario riposo, ai 17 di Settembre attaccò 
la Morafia superiore e quasi tutta la devastò col fuoco. Passò quindi 
neir inferiore, dove incominciò ad incendiare le case ; colà li atte- 



240 

sero Yalorosamente i Moraòani con quei di Piperi, ma non furono 
in grado di respingerli. Accorsero in loro ajuto quei di Bìjelo- 
povliéi e di Pijegice, un migliajo circa d' uomini, che uDitamente 
ai primi, piombarono 8ul nemico e lo cacciarono da ogni parte. I 
Turchi voltarono le spalle per trovar salvezza nella fuga. Doveva- 
no passare per una strettissima gola, perchè i scoscesi dirupi non 
offrivano loro la possibilità della ritirata per altra via. Gli agili 
Montenegrini li sopravanzarono e postisi in imboscata presso le 
sorgenti della Moraòa li attesero al passaggio, ricevendoli con ta- 
le fuoco di moschetteria, che, a quanto narra la tradizione popo- 
lare, 1500 Turchi rimasero morti sul campo e furono loro presi 
oltre 1200 cavalli. I Montenegrini condussero anche vivi molti Tur- 
dii nella Morata, che tagliarono a pezzi sui ruderi delle loro ca- 
se incenerite *). AH' epoca di Pietro I Petrovic, fu questo Y ulti- 
mo scontro dei Montenegrini coi nemici del nome cristiano. 

Da questo tempo, per un decennio, i Turchi smisero il pen- 
siero di nuove intraprese contro il Montenero, troppo occupati col- 
• le interne calamità del loro impero. Furono i Greci i primi che li 
molestassero e sconcertassero colla guerra, essi nel 1821 avevano 
dato di piglio alle armi per rivendicare la propria libertà; in se- 
guito i Russi, i quali, dopo molte vittorie riportate ed in Europa 
ed in Asia, nel 1829 s' impadronirono di Adrianopoli, dove detta- 
rono alla Turchia le condizioni della pace. Con questa, V impera- 
tore delle Russie assicurò la prosperità della Moldavia, della Va- 
lachia e della Serbia, costringendo la Porta a non più ingerirsi 
negli affari intemi del loro governo, ma di accontentarsi di un 
moderato tributo. Le vittorie dell' imperatore Nicola fecero risor- 
gere la Grecia, la quale nel 1830 fìi costituita in regno indipen- 
dente. Siccome il Montenero non aveva preso parte a questa guer- 
ra, così non potè goderne nemmeno i vantaggi, coir estendere i 



"") Qvlica dell' 1898. pag. 61*63. 



241 

propri confini, ciò non pertanto ricevette delle indubbie prove di 
benevolenza dall' imperatore delle Russie. 

Fin da quando Y imperatore Nicola I era asceso sul trono, 
verso la fine dell' anno 1825, il vladika s' era a lui rivolto, colla 
preghiera che la sovvenzione in danaro, destinata per il Montene- 
ro ancora dall' imperatore Paolo I, continuasse ad esser pagata e 
che fosse supplito agli arretrati di 17 anni, durante 1 quali era 
stata sospesa. Questa supplica non potendo esser subito evasa, il 
vladika diede 1' incarico al suo conoscente Giovanni Vukotic, na- 
tivo da Podgorica, discendente da un antica famiglia montenegri- 
na, che s' era stabilito a Pietroburgo, di sollecitare questa gra- 
zia, col mezzo del ministero. Dopo alcuni anni, 1' imperatore Ni- 
cola emanò 1' ordine, che dall' epoca della sua ascensione al tro- 
no fossero dati ai Montenegrini 1000 zecchini ogni anno, denaro 
che regolarmente venne spedito al vladika a Cetinje, ma ancora 
per qualche tempo rimase inevasa la dimanda circa il compenso 
per gli arretrati dei 17 anni. Frattanto il vladika Pietro cessò di vi- 
vere neir autunno del 1830. Nello stesso giorno della sua morte, 
credo fosse il giorno di S. Luca (18 Ottobre), il dopo pranzo se- 
deva riscaldandosi presso il focolare nella cucina, non avendo le- 
gna da accendere il fuoco nella stanza, discorrendo con alcuni ca- 
pi, venuti a visitarlo, per chiedere uno scritto in virtiì del quale 
potessero percorrere il paese per cercare di ricondurre la pace 
tra alcune tribù inimicatesi tra loro e venute alle mani. Sentendosi 
estremamente indebolito, il vladika, durante il colloquio, disse ai sud- 
detti capi, che presentiva oramai 1' avvicinarsi dell' estremo suo 
niomento e che quindi raccomandava loro di eseguire quanto ave- 
va ordinato nel suo testamento, che nello stesso giorno aveva det- 
tato al suo segretario, Simeone Milutinovié; ritornato quindi nella 
sua cella, in cui, da vero anacoreta, aveva trascorso la maggior 
parte della sua vita. Si distese sul letto e continuando a discorre- 
re coi circostanti, non tormentato da verun dolore, spirò placida- 
mente neir ottantaunesimo anno di sua età. *) 

*) Montenegro und die Monlenegriner ; pag: 43-44 — S. Milutinovié ; pag : 120. 

16 



242 

I capi che si trovavano presentì a Cetinje, subito il giorno a- 
presso aprirono il suddetto testamento in cui il defunto vladìka 
„ raccomandava a tutti i Montenegrini e Brgjani, scongiurandoli in 
nome di Dio onnipotente, della santa Trinità e di tutte le poten- 
ze celesti, che adempissero le seguenti sue ultime volontà : a) che 
tra la quiete, la calma e V amore universale di tutto il popolo, lo 
sepellissero e lo compiangessero e che, durante le sue esequie, non 
sfuggisse parola d' offesa tra quelli che avevano da compiere 
tra loro vendette di sangue ; b) che giurassero sopra il suo ca- 
davere e facessero sanzionare da tutto il Montenegro e Brda, da 
tutte le nahije, villaggi e tribù, che niuno per vemn motivo fino al 
giorno di S. Giorgio, avrebbe provocato 1' altro, perchè sperava 
che fin a queir epoca si sarebbe provveduto ai mezzi della loro esi- 
stenza e stabiliti dei tribunali in tutto il paese, il che egli aveva 
impetrato e chiesto con lagrime dal loro abituale protettore, T im- 
peratore delle Russie ; e) che nessuno toccasse i beni ed i pos- 
sessi ecclesiastici ; e eh' egli nominava per suo successore, capo 
della chiesa e governatore civile, il proprio nipote Rado Tomov (al- 
lora ancora secolare), raccomandadolo a Dio, all' imperatore delle 
Russie ed a tutta la popolazione del Montenero edelleBrda,^ Quin- 
di proseguiva: „che di tutto il denaro pervenuto dalla Riissin, 
spettante al popolo, ricevuto in effettivo e conservato in mucchio, non 
aveva speso soldo, fuorché nell' istituzione del kuhik (autorità giu- 
diziaria, che per tre volte in breve tempo tentò inutilmente d' in- 
trodurre), distrutto in seguito da uomini insensati e prepotenti; 
che, dietro sua istanza, il loro protettore avrebbe spedito nel Mon- 
tenero un proprio impiegato, che avrebbe ricevuto le suddette som- 
me da impiegarsi nel rimettere i tribunali, che verrebbero dallo 
stesso organizzati nel Montenero.*' — Finalmente „ condannava al- 
l' eterna maledizione e scagliava 1' anatema tanto contro coloro, 
che non eseguissero questo testamento ma osassero e colle parole o 
coi fatti suscitar malumori e scissure tra il popolo, quanto contro coloro 
che progettassero di sottrarsi alla protezione russa.* *) — Nel- 



*) Questo testamento, che qui si produce in estratto, venne stampato per in- 
tero neU' opera di A. N. Popow ^Puteàestvje v Cemogoryu" aile pag. 302-306. 



24S 

ristesso giorno i capi fecero indossare al successore del vladika gli 
abiti sacerdotali, misero nelle sue mani il pastorale arcivescovile e 
lo presentarano al popolo qual suo Signore, sulla piazza di Ivan- 
beg, dove fò pubblicamente preletto il succitato testamento. — 

Quando si divulgò la notizia della morte del vladika, tosto 
arrivarono in gran numero a Cetinje Montenegrini e Brgjani da tut- 
te le parti per compiangere Y indimenticabile loro Signore, che li 
aveva governati per intero un mezzo secolo, tra molte diflfìcoltà e 
pericoli, con intelligenza e fortuna. In conformità al suo testamen- 
to, i capi di tutte le tribù e casati giurarono nella chiesa del mo- 
nastero di Cetinje, *) sulla bara del vladika, passato all' etemo 
riposo, cho fino al giorno di S. Giorgio, non si sarebbe sparso san- 
gue fraterno. 

Vi furono alcuni che, discorrendo secretamente per i canto- 
ni di Cetinje, dichiaravano apocrifo quel testamento; vi furono di 
quelli che si diedero briga, perchè il successore del vladika non 
fosse subito confermato ; ma d' altronde vi furono di quelli, tra i 
quali : Stanko Stijepov (padre dell' attuale principe del Montenero), 
r igumeno Moisè da Gjurgjevi-stopovi e Simeone Milutinovié, i 
quali presero vivo interesse, perchè d' ogni modo e senza verun in- 
dugio, fosse riconosciuto il designato dal vladika, A questi, per le 
cure e per 1' avvedutezza del summentovato Stanko Stijepov si uni- 
rono anche altri capi, come Mihajlo BoSkovié, il serdaro di Bije- 
lopavlici, Stefano Vukotié, il capo di Òevsko, Filippo GjuraSkovié, 
il serdaro della nahija di Rijeka, i quali cercarono di persuadere 
il popolo, che la promessa alla quale s' erano vincolati col comu- 
ne giuramento, non avrebbe potuto esser mantenuta fino all' epo- 
ca prefissa, quando tosto non venisse riconosciuto e confermato il 
nuovo vladika. Il popolo seguì i consigli di questi capi avveduti 



*) Nella suddetta chiesa venne anche sepellito il cadavere del vladika Pietro 
di beata memoria; ed ai 18 Ottobre 1834, quando per trasportare in altro 
luogo i suoi avanzi mortali, venne aperto il sepolcro, il corpo fu ritrova- 
to intatto ed in odore di santità. Vedi ^Montenegro und die Montene- 
griner" pag; 44 e „Grlica" dell' anno 1838, pag: 62. 



244 

e benpensanti, e senza alcun indugio e remora, riconobbe e solenne- 
mente proclamò qual signore del Montenero e futuro vladika Rado 
Tomov, allora in età di 17 anni (era nato al l.mo Novembre del 
1813). Il primo a baciargli le mani fu Y archimandrita di Ostrog, 
Giuseppe Paviéevié, lo seguì il governatore Vuko Radonic, quindi 
gli altri capi e dietro loro il popolo, che si trovava presente. 

Alcun tempo dopo, col permesso ottenuto dal vezir di Scu- 
tari, arrivò il vescovo di Prizren Hadii-Zaccharia, sull' isola di 
Eom, dove nella chiesa di Uspsnes, ordinò il giovine signore del 
Montenero in arcidiacono e sacerdote e lo promosse ad archiman- 
drita. Come già vedemmo, anteriormente egli si chiamava Rado, d' al- 
lora in poi fa, denominato Pietro, il secondo di questo nome, il 
quale ai 6 di Agosto 1833, in presenza dello stesso imperatore 
Nicola, venne consacrato in Arcivescovo. — 

I particolari deUa vita di quest' illustre serbiano, il qaale 
colla potenza del suo ingegno e colla forza della sua volontà, per- 
venne ad attuttire e riconciliare nella sua patria le scissure e le 
vendette di sangue tra le diverse tribù, casati e circondarii, im- 
presa non riescita a veruno dei suoi predecessori, e sottometterli 
interamente alla propria autorità; ad introdurre Y ordine nelV in- 
temo e consolidarlo con uno stabile governo; a salvare così i 
suoi connazionali dalla rovina che li minacciava ed assicurare la lo- 
ro prosperità, per quanto il breve spazio di tempo e la natura di 
quelle regioni lo consentisse ; a rigenerarli con nuove idee, collo- 
candoli tra il novero delle nazioni europee ; tutte queste ed altre 
intraprese ancora che procurarono un nome glorioso al vladika 
Pietro II, come reggitore del Montenero, saranno, spero, tra breve 
raccontate e rese di pubblico diritto da qualche altro serbiano. — 



■•o o goo» 



INDICE. 



Gli editori a chi legge Pag, V 

Demetrio Milakovié „ VII 

Avvertenza » XII 

Prefazione „ 1 

Breve rivista delle fonti consultate per la presente istoria ... „ 3 

Introduzione „ 8 

La dinastia dei Balsa „ 24 

La dinastia dei Gmojevié „ 48 

Governo Teocratico. Metropoliti di diversi casati , , 76 

I vladike NjegoSi del casato dei Petrovié „ 84 



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