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Full text of "Storia de' monumenti di Napoli e degli architetti che gli edificavano"

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STORIA  DEI  fflOOTMEMI  DI  NAPOLI 


DALLA  FONDAZIONE  DELLA  MONARCHIA  SINO  AL  CADERE 
DEL  SECOLO  XYIII 

PER     h    AHCHITETTO 

CAMILLO  KAPftLEO^E  SASSO 

eoa  liii  aliante  di  23  incisioni  M  pi'iiKÌ|)<ili  ilìfliiuiiicnti 


fivsVrc'^IB 


VOLUIME  UNICO 


NAPOLI 

TIPOGRAFIA     DI     FEDERICO     VlfAI,  K 
:!  e  5  -  l-argo  Kegma  (^noli 

1858. 


»«. 


VAIU  INCAMPANIAM 


DISCE  PAVLINVM       \ 


STORIA 

DE'  MONUMENTI  DI  NAPOLI 


(73  (Napoli)  SASSO  Camillo  Napoleone.  Napoli  Monumentale  ossia  Storia 
lei  monumenti  di  Napoli  dalla  fondazione  della  Monarchia  sino  al  cadere 
lei  sec.  XVIII  per   l'Architetto...  Napoli^  Vitale,   1858M61  ' 


0 


2  voi.  più  l'atlante  in  4  gr.,  506  pag.  numer.    +    352  pag.  nuraer.   +   XXXI'V 
tav.  ril.  a  parte  nell'atlante  in  1/2  pelle  coeva,  mentre  i  primi  due  volumi  sono 


con  cop.  edit.  orig.  Raro.  »''-^~'~.<-  . 


STORIA 

DEmONUMENTf  DI  NAPOLI 

E 

DEGLI  ARCHITETTI  CHE  GLI  EDIFICAVANO 

DALLO  STABILLìlEMO  DELLA  MONARCIHA,  SINO  AI  NOSTRI  GIORNI 


PER  L°  ARCniTETTt» 


CAMILLO  NAPOLEONE  SASSO 


AllNAO   DELLA   REALE   SCl'OlA   POLITECNICA    9ÌILITARE 

MEMBRO    dell'  ALBO   DEGLI    AliCIlITETTI    LEGALI  —  TEAEtìTE    REI    UBALI    ESERCITI 

SOSTITITO   AL    COMMISSARIO    DEL    RE    DEL    l"    CONSIGLIO    DI    (.lEliRA    DI    GIAR.MGIOAE   IS  «APOll 

L'FFiZULG   ADDETTO   ALLA   l"   DIREZIONE   DEL  REAL   CORPO   DEL   GESIO 


VOLUME  I. 


NAPOLI 

TIPOGRAFIA    DI    FEItElilCO    VITALE 

Largo  Regina  Codi  u°  2  e  5. 

1856 


IHE  GETTY  CENTER 


PREFAZIOIVE  DELL'  AUTORE 


Io  scrivo  con  coscienza ,  in  presenza  di 
Dio  ,  e  neir  interesse  dell'  umanità. 

Droz. 


Se  gli  antichi  storici  scrivendo  del  tristo  Triunviro 
ed  ottimo  Imperatore ,  narrano  che  trovò  Roma  di  creta , 
e  la  lasciò  di  marmi  ;  con  più  ragione  dovranno  i  mo- 
derni scrittori  tramandare  ai  secoli  futnri  che  Ferdinan- 
do II.  non  solamente  Napoli  ,  ma  gì'  interi  snoi  domini 
utilizza  ed  abhella  con  strade,  ponti,  incanalamenti,  bo- 
nifiche, porti,  bacini,  fortificazioni,  tempi,  pubblici  edifizi, 
diseccamcnti  di  laghi,  e  di  quanto  ò  d'uopo  al  commer- 
cio interno  ,  all'  esterna  difesa  ,  alla  prosperità  de'  suoi 
sudditi. 

Credo  che  una  bella  ed  utile  opera  sarebbe  quella 
di  pubblicare  incisi  tutti  i  monumenti  più  iiuportanli  che 
Napoli  possiede ,  con  un  cenno  storico  dell'  epoca ,  e  da 
chi  furono  eretti,  con  le  vite  degli  Architetti  tanto  antichi 
che  moderni. 

Col  tempo  cospirano  l'ignoranza  e  le  rivoluzioni  per 
distruggere  le  opere  sopravvanzateci  della  potenza  e  gran- 


—  6  — 
dezza  dei  nostri  avi,  e  della  pietà  dei  padri  nostri;  qnindi 
io  appongo  a  generosa  impresa  salvarli  da  sì  possenti  ne- 
mici -  ripeto  -  dal   tempo  ,   dall'  ignoranza  ,   dalle  rivolu- 
zioni. 

Spinto  dall'amore  dell'arte^  e  volendo  trarre  profitlo 
dalle  positive  cognizioni  apprese  per  l' esperienza  di  32 
anni  di  professione  a  ciò  mi  accingo. 

I  monumenti  verranno  da  me  esposti  con  ordine  cro- 
nologico, per  far  ravvisare  i  progressi  dell'arte,  e  cono- 
scere nel  tempo  stesso  o  i  traviamenti  ,  o  la  felice  riu- 
scita dello  spirito  umano. 

Le  notizie  sulle  vite  degli  Artisti  ,  riunite  a  quelle 
della  esistenza  delle  opere  loro,  esposte  con  le  due  pro- 
tezioni ;  presenteranno  una  vasta  galleria  di  grande  istru- 
zione pe'  cultori  delle  arti,  e  di  singolare  diletto  per  tutti. 

Angicourt  ,  lo  à  fatto  per  la  Francia.  Io  lo  tento 
pel  mio  Paese. 

Son  certo  che  si  lo  straniero  quanto  noi  stessi  sa- 
remo sorpresi  alla  vista  di  tante  ricchezze  in  tal  gene- 
re ,  che  qui  si  posseggono  ,  e  che  in  gran  parte  giac- 
ciono oscure  e  neglette  !!! 

La  massima  delle  sventure  che  Napoli  afflisse  per  le 
belle  arti ,  (  tranne  la  musica  )  fu  quella ,  di  non  avere 
come  gli  altri  paesi  ,  uno  scrittore  ,  che  queste  avesse 
messe  in  chiaro,  e  lodatone  i  pregi.  Anzi  ali  opposto  vi 
fu  qualche  scrittore  italiano  ,  come  il  Vasari,  che  nove- 
rando i  grandi  artisti  italiani  ,  non  so  per  qual  maligno 
divisameuto  ,  neppur  d"  un  Napolitano  arricchiva  la  sua 
dotta  scritta  ,  mentre  in  Napoli  più  che  altrove  si  sono 
sempre  con  anticipazione  coltivate  le  arti  dipendenti  dal 
disegno,  e  nel  fatto  ne  fanno  esatta  testimonianza  le  opere 
esistenti. 


—  7  — 

Era  a  mela  il  secolo  diciottesimo,  che  il  Napolitano 
Bernardo  De  Dominici  ,  cercò  prendere  le  nostre  difese 
dando  alle  stampe  un  opera  in  quattro  volumi  sulle  vite 
degli  architetti  ^  Pittori^  e  Scultori  Napolitani;  m^  preso 
di  soverchio  amor  patrio  dette  nell'esagarato  —  Il  critico 
e  dotto  nostro  Francesco  Milizia  ,  altra  opera  dette  alla 
luce  in  due  volumi  ,  Memorie  degli  Architetti  antichi  e 
moderni^  ed  in  tale  sua  opera  fu  vanamente  accecato  nel 
far  pompa  di  allo  sapere ,  e  di  vaste  cognizioni  artisti- 
che ;  imperocché  comincia  dai  Caldei  ,  Ninive  ,  Bahilo- 
nia,  e  via  via  parla  di  Trofonio  ed  Agamede  1400  anni 
prima  dell'  Era  volgare. 

Quanto  meglio  avrehhe  fatto  il  nostro  Milizia  ,  che 
avea  mezzi  ,  ingegno  e  conoscenze  artistiche  ,  dare  alla 
luce  una  storia  dei  Monumenti  di  Napoli,  come  io  tento^ 
egli  Napolitano. 

Il  nostro  Canonico  Celano  (già  un  secolo  prima)  ave- 
va dato  alla  luce  le  sue  dieci  giornate  ,  opera  utile  per 
notizie  ,  e  niente  più. 

Il  dottissimo  Ahate  Luigi  Galanti  fa  un  novero  dei 
nostri  Artisti  nel  suo  Napoli  e  contorni  -,  novero  che  è 
preso  da  lui  dal  Napoli  e  contorni  del  suo  illustre  ger- 
mano Giuseppe  Maria  ,  al  quale  egli  stava  per  talen- 
ti e  cognizioni  come  y/-:^^.,J.  Questo  Napoli  e  contorni 
era  un  appendice  al  quarto  volume  dell'  opera  grande 
del  detto  Galanti  -,  imperocché  l'augusto  Monarca  Fer- 
dinando I.  volendo  francamente  e  lealmente  riordinare 
ogni  ramo  della  pubblica  Amministrazione  nel  1782 , 
dette  r  incarico  a  Giuseppe  Maria  Galanti ,  grande  uomo 
di  Sfato,  di  formare  la  Statistica  dei  suoi  Regni ,  ed  ìndi 
nel  1791,  di  visitare  le  Provincie,  e  di  proporre  le  ri- 
forme Amministrative  e  Giudiziarie. 


In  tali  sublimi  missioni,  Giuseppe  Maria  Galanti  mo- 
strò altezza  di  talenti  politici  ed  economici ,  e  di  ardente 
amore  pel  pubblico  bene. 

La  rivoluzione  francese  attraversò  il  gran  disegno 
delle  riforme  proposte  da  Giuseppe  Maria  Galanti  per  So- 
vrano incarico,  e  posteriormente  se  ne  giovarono  gli  stra- 
nieri invasori. 

Siffatto  tratto  memorabile  di  Storia  Patria,  tanto  glo- 
rioso per  l'augusto  Monarca  Ferdinando  I  ,  e  per  Giu- 
seppe Maria  Galanti,  viene  o  taciuto,  o  malamente  nar- 
ralo dagli  storici,  anche  nazionali,  tra  i  quali  il  Colletta 
ed  il  Botta-,  per  quella  funesta  tendenza  alla  maldicenza, 
alla  parzialità  ,  ed  a  volere  attribuire  allo  Straniero  le 
glorie  Italiane. 

L'Abate  Romanelli  nel  suo  Napoli  antica  e  moder- 
na, dà  un  notiziario  tutto  lodando,  e  tutto  ritenendo  per 
magnifico  e  per  bello,  in  modo  che  cade  nel  ridicolo.  Il 
Vasari,  più  per  testo  di  lingua  lo  leggo  che  per  trovarvi 
artisti  Napolitani.  Il  Villani  ,  il  Summonte,  il  Carletti  ti 
danno  dei  lumi  su  i  monumenti  -,  ma  una  Storia  nessuno. 

L'  Eugenio,  ed  il  de  Lellis  li  accennano  nel  Napoli 
Sacra  i  tempi  con  l'epoche,  le  iscrizioni,  i  mausolei,  e 
le  reliquie,  nullo  calcolando  gli  artisti  inventori  e  diret- 
tori. Credo  io  che  la  Storia  de' monumenti  è  strettamente 
alligata  alla  storia  degli  Architetti  dal  cui  talento  sorge- 
vano i  monumenti,  ecco  ragione,  che  serbando  l'ordine 
cronologico  -  prima  darò  la  vita  dell'Architetto,  e  poi  la 
storia  delle  opere  sue^  con  la  descrizione,  e  cambiamenti 
sino  ai  di  nostri. 

Era  il  terzo  secolo  ,  che  dalla  bocca  del  Gran  Co- 
stantino uscendo  la  parola  di  pace  ripercotea  le  cupe 
volle  delle  nostre  Catacombe  in  reconditi  Abituri,  ove  i 


—  0  — 

Cristiani  convenivano  di  soppiatto  a  praticare  il  culto  della 
vera  Religione.  In  quell'epoca  appunto  che  in  tutto  l'Im- 
pero cominciossi  liberamente  ad  ergere  tempi  al  Vero 
Dio  —  Napoli  Città  Greca  di  origine  ,  ed  in  quel  tempo 
di  dominio,  durò  poca  fatica  in  questa  nostra  terra  a  far 
sorgere  la  Chiesa  di  S.  Restituta,  sulle  forme  della  Basi- 
lica Romana ,  a  cui  poscia  si  aggiunsero  le  modificazioni 
Bizantine.  —  Così  trascorrendo  i  secoli  ,  col  fervor  della 
fede,  si  aumentavano  fra  noi  i  tempi  Cristiani-,  ma  le  forme 
eran  sempre  quelle  della  Basilica  Romana  —  Bizantina 
sino  al  secolo  XII,  ed  i  nomi  degli  Artisti,  in  quei  tempi 
di  barbarie  ,  non  giunsero  sino  a  noi. 

Conosciamo  solo  che  nell'  Vili  secolo  ,  eran  nostri 
Architetti  Agnolo  il  Cosentino  ed  il  Faenza,  i  quali  a  co- 
mando del  Duca  Teodoro,  eressero  la  Diaconia  de" SS.  Pie- 
tro e  Paolo,  con  dentro  scolpito,  da  essi,  il  tumolo  del 
detto  Duca. 

Sotto  il  Duca  Stefano  appariscono  costruttori  di  Chie- 
se, Monasteri  e  Sepolcri,  fra  quali  quello  del  Duca  Buo- 
no in  S.  Maria  a  Piazza  del  Cosentino. 

Nel  decimo  secolo  sorgeano  gli  Architetti  Giamma- 
suUo,  e  Jacobello  soprannominalo  il  Formicola.  Si  appo- 
ne a  questi  il  vanto  di  avere  edificati  Palagi  e  Chiese  in 
Napoli,  Capua,  Aversa,  e  Gaeta.  Si  addensavano  sempre- 
più  le  tenebre  della  barbarie  insino  al  secolo  XII,  epoca 
nella  quale  non  ci  vien  ricordato  alcun  Architetto  ,  che 
abbia  diretta  un'  opera  di  costruzione.  Sotto  Guglielmo  il 
Malo,  il  secondo  dei  Sovrani  Normanni,  ebbe  Napoli  l'Ar- 
chitetto Buono,  il  quale  d'  ordine  del  detto  Sovrano  edi- 
ficava i  Casldli  di  Capuana  e  dellOvo,  e  salì  a  tanto  la 
sua  fama  ,  che  fu  chiamato  in  Venezia  alla  costruzione 
di  grandi  e  nobili  edifizì. 

Sasso  —  Yo!.  I.  2 


—  10  — 

Poco  0  nulla  si  fece  in  queste  nostre  regioni  sotto 
il  dominio  della  stirpe  Normanna  \  tanto  meno  sotto  la 
Sveva.  Tolta  che  ebbe  la  corona  agli  HohenstaufFeu  il 
Conte  di  Provenza  ,  cominciò  Napoli  a  diventar  celebre 
pe'  suoi  Monumenti ,  e  ciò  coli' opera  di  un  Architetto  , 
cui  era  da  Dio  serbato  segnare  fra  noi  il  primo  periodo 
di  quella  nuova  maniera  di  architettura  che  preparò  il 
risorgimento  delle  arti.  Questo  illustre  Architetto  fu  il 
Primo  Masuccio  eccellente  scultore  ancora. 

Castelli  di  Capuana,  e  dell' Ovo  1164  —  In  questo 
XII  secolo,  ripeto,  il  primo  Architetto  fu  Buono.  Egli  sot- 
to il  Normanno  Guglielmo  I.  costruiva  i  Castelli  di  Capua- 
na e  dell' Ovo. 

Nel  secolo  seguente  avemmo  i  due  Masucci.  Furono 
questi  che  lasciarono  le  forme  gotiche,  che  meglio  i  si- 
gnori Architetti  chiamar  dovrebbero  Germaniche.  Le  for- 
me leggere  ed  ardite,  che  anno  non  si  sa  perchè  il  no- 
me di  gotiche  (mentre  i  Goti  distrussero,  e  non  edifica- 
rono ) ,  non  appartennero  mai  ai  Goti,  ma  si  cominciaro- 
no ad  usare  in  Germania  vari  secoli  dopo,  che  quel  po- 
polo era  scomparso  dalla  scena  dell'Europa. 

La  riprislinazione  delle  forme  Greche  e  Romane,  non 
è  stata  mai  totale^  anche  nei  secoli  seguenti  ! 

La  costruzione  delle  Città  moderne  presenta  case  a 
più  piani  ,  torri  ,  cupole  ,  e  campanili  -,  cose  tutte  che 
fanno  vaga  mostra  da  lontano  ,  e  sono  di  nocumento  e 
pericolo  neir  interno  delle  Città. 

Gli  antichi  non  conobbero  cotali  futili  altezze  —  Il 
genio  di  Michelangelo  mettca  la  Rotonda  per  aria. 

Castel  Nuovo  1283  —  Sotto  Carlo  I  di  Angiò  nel- 
l'anno 1283;  l'Architetto  Giovanni  Pisano  edificava  il  Ca- 
stel Nuovo  per  abitazione  del  nuovo  Principe,  perchè  era 


—  11  — 
sul  mare  e  fuori  della  Città  ,  e  perchè  ancora  non  gli 
potea  riescir  sicuro  Castel  Capuano.  Fu  detto  Castello  ter- 
minato dall'  illustre  Architetto  Masuccio  Primo,  come  an- 
cora disegnò  il  Duomo,  S.  Domenico  Maggiore,  S.  Ma- 
ria la  Nova ,  S.  Aspremo  ,  e  vari  Palazzi  di  diversi  si- 
gnori. 

S.  Lorenzo  —  Il  Secondo  Masuccio  condusse  a  ter- 
mine varie  Chiese  e  costrusse  il  magnifico  Arco  in  quella 
di  S.  Lorenzo. 

Arco  in  S.  Lorenzo.  Campanile  di  S.  Chiara  1326  — 
Lo  stesso  insigne  Architetto  nel  secolo  XIV,  edificava  il 
Campanile  di  S.  Chiara,  il  primo  moderno  Monumento  in 
Europa  di  regolare  architettura.  Nel  terz'ordine  di  questo 
Monumento,  il  nostro  architetto  fece  una  felice  novazione 
nel  capitello  Jonico,  usato  dai  Greci  ,  ed  ehhe  nel  fatto 
la  gloria  di  precedere  Michelangelo  ,  e  dividere  con  lui 
il  merito  dell'  invenzione  del  moderno  capitello  Jonico. 

Nel  principio  del  secolo  XIV  Giulian  de  Majano  inal- 
zava Porta  Capuana  ;  monumento  che  si  per  l' architet- 
tura ,  che  per  la  henintesa  scultura  è  ancora  a  vedersi 
dopo  r  elasso  di  cinque  secoli. 

Convento  e  Chiesa  ui  Monteliveto  —  Chiostro  Jonico 
in  S.  Severino  —  Sepolcri  in  S.  Giovanni  a  Carbonara — An- 
drea Ciccione  allievo  del  secondo  Masuccio  ,  fece  il  ma- 
gnifico Convento  e  Chiesa  di  ìMonteliveto  ;  il  Chiostro  Jo- 
nico di  S.  Severino,  ed  i  due  sepolcri  di  Re  Ladislao,  e 
di  ser  Gianni  Caracciolo  in  S.  Giovanni  a  Carhonara. 

Madonna  delle  Grazie  agli  Incurabili  —  Porta  del 
Dlomo  —  Cappella  Pappacoda  —  La  hella  Chiesa  della  Ma- 
donna delle  Grazie  agli  Incurahili  ,  è  del  de  Lantis  ,  se- 
condo allievo  del  detto  Masuccio,  come  il  terzo  fu  l' ah- 
hatc  Bamhoccio    che  diresse    la  porla  del  Duomo  ,   e  la 


_  12  — 
Cappella  dei  Pappacoda  presso  S.  Giovanni  Maggiore.  Que- 
sti ebbe  per  allievo  Angelo  Agnello  di  Fiore,  le  cui  ope- 
re si  veggono  al  Duome ,  a  S.  Domenico  ,  ed  a  S.  Lo- 
renzo. 

Arco  di  trionfo  di  Alfonso  I  d'AraCxONA  —  Nel  1470, 
sorgea  1'  arco  di  Trionfo  d'Alfonso  I  d'Aragona  in  Castel 
Nuovo.  L'architetto  ne  fu  Pietro  di  Martino  Milanese.  Que- 
st'  arco  fu  eretto  dai  Napolitani  all'  uso  degli  archi  di 
trionfo  presso  dei  Romani  a  gloria  di  Alfonso  I  d'Ara- 
gona cognominato  il  Magnanimo ,  e  dovea  collocarsi  pres- 
so le  scale  della  Cattedrale.  Per  ciò  eseguirsi  andava  a 
terra  una  casa  di  proprietà  di  un  certo  Cola  Maria  Boz- 
zuto  che  avea  servito  da  valoroso  e  fedele  soldato.  Il  Re 
non  volle  disgustare  il  Bozzuto ,  e  per  sì  frivola  cagione 
si  contentò  che  1'  arco  di  trionfo  fosse  collocalo,  (  o  per 
meglio  dire  sepolto  )  nel  luogo  ove  si  vede ,  cioè  fra  le 
due  torri  in  Castel  Nuovo  ,  nell'  entrare  al  cortile  di  S. 
Barbara. 

Porte  di  bronzo  in  Castel  Nuovo  —  Guglielmo  Mo- 
naco ,  fece  nel  15.  secolo  le  porte  di  bronzo  in  Castel 
Nuovo  nelle  quali  effigiò  le  azioni  guerriere  del  Re  Fer- 
dinando I  di  Aragona  contro  i  Baroni  ribelli. 

Novello  di  Sanlucano  fu  uno  dei  primi  architetti  del 
suo  secolo.  Tenne  in  architettura  il  metodo  tra  il  germa- 
nico ed  il  sodo  antico.  Questo  artista  lasciò  poche  ope- 
re ;  ma  ebbe  il  vanto  di  lasciar  due  distinti  allievi  in 
Gabriele  d'Agnolo;,  e  Gianfrancesco  Mormando. 

Palazzo  di  Gravina  —  Al  d'Agnolo  si  deve  il  meri- 
tamente decantato  Palazzo  di  Gravina,  deturpato  nella  fac- 
ciata col  ricaccio  di  piccoli  balconcini  nel  1846,  ed  in- 
cendiato nel  15  maggio  1848. 

Della  Rocca  ,  della  Torre  —  Tempio    di  S.  Severi- 


—  13  — 
NO  —  Al  Mormando  appaiiengono  i  palazzi  della  Rocca , 
e  della  Torre  ,  come  ancora  il  bel  tempio  di  S.  Severi- 
no. Questi  palazzi  esistono  da  tre  secoli  e  mezzo.  Che 
parallelo  con  qualche  nuovo  palazzo  a  giorni  nostri  edi- 
ficato !!! 

Cupola  di  S.  Caterina  a  Formello  —  Cupola  di  S.  Se- 
verino—  Antonio  Fiorentino  costrusse  la  cupola  di  S.  Ca- 
terina a  Formello,  e  nella  stessa  epoca,  cioè  nel  1523, 
r  altro  architetto  Sigismondo  di  Giovanni  facea  costruire 
r  altra  più  bella  ancora  in  S.  Severino  sul  disegno  dei 
Mormando. 

Fortificazioni  in  Castel  S.  Ermo  —  Noi  1535  P.  Lui- 
gi Scrina  per  ordine  di  Carlo  V  al  Vice  Re  Pietro  dì 
Toledo  ingrandiva  e  fortificava  il  Castel  di  S.  Eramo  con 
molto  talento  sulla  teorica  dell'  attacco  e  difesa. 

Apertura  della  strada  Toledo  —  Rifacimento  di  Ca- 
stel Capuano  —  Ingrandimento  della  grotta  di  Pozzuoli  — 
Canali  per  lo  scolo  delle  acque  nella  Campania  —  Ferdi- 
nando Molino  nel  principio  del  16.  secolo  apri  la  strada 
di  Toledo,  rifece  Castel  Capuano  ,  ingrandi  la  grotta  di 
Pozzuoli,  costruì  dei  canali  per  lo  scolo  delle  acque  pa- 
ludose nella  Campania.  Era  il  Molino  nel  16.°  secolo  in 
Napoli  ,  distinto  matematico  e  valente  idraulico.  Ebbe  a 
compagno  in  molte  sue  opere  il  suo  maestro  Merlianu. 

Fortificazioni  di  Capua^  Gaeta  e  Brindisi  —  Nel  1550 
prima  opera  in  nautica  miiilare  e  sul  modo  di  fortificare 
le  piazze  scrivea  Giulio  Cesare   di  Falca.  Questi  fortificò . 
Capua  ,  Gaeta  e  Brindisi. 

CniESA,  e  convento  de' SS.  Apostoli  —  Madonna  degli 
Angeli  a  Pizzofalcone  —  Cappella  di  S.  Gennaro  —  Il  pa- 
dre Grimaldi  Teatino  fu  un  distinto  architetto.  Costruì  la 
Chiesa   el  Convento  de' SS.  Apostoli,   quella  della  Ma- 


—  14  — 
donna  degli  Angeli  a  Pizzofalcone  ,  e  la  Cappella  di  S. 
Gennaro. 

Monte  della  Pietà  ,  Gerolomini,  S.  Maria  la  Nova — 
In  delt'  epoca  fiorivano  il  Gavagni  che  fece  il  bello  edi- 
fizio  del  Monte  della  Pietà,  Bartolomei  che  diresse  la  ma- 
gnifica Chiesa  dei  Gerolomini,  e  Franco  quella  di  S.  Ma- 
ria la  Nova. 

Trinità  Maggiore  —  Il  Gesù  Nuovo,  o  Trinità  Mag- 
giore il  più  ben  inteso  Tempio  in  Napoli  si  debbe  al  ta- 
lento dell'  insigne  architetto  Padre  Proveda  Gesuita  ,  che 
Io  costrusse  nell'  anno  1584. 

Palazzo  Vecchio  —  I  nostri  Re  Angioini  ed  Arago- 
nesi abitarono  nei  Castelli,  perchè  Io  stato  della  società 
di  allora  richiedeva  un  cotal  uso.  Imperava  queste  Re- 
gioni Carlo  V  ,  avendo  il  Vice-Re  Pietro  di  Toledo  fatto 
costruire  il  Palazzo  vecchio  per  dimora  del  Principe,  fu 
questo  eseguito  a  forma  di  Castello  con  fosso  ,  ponte  a 
levatoio  e  merli,  avendo  comunicazione  con  Castelnuovo. 

Doveasi  per  far  risaltare  il  nuovo  Real  Palazzo  (  a 
dirsi)  esser  demolito:  ma  i  Sovrani  se  l'anno  tenuto  colà 
per  235  anni.  Mercè  le  provvide  cure  dell'  attuale  So- 
vrano felicemente  Regnante  Ferdinando  II  è  stato  ,  gra- 
zie alla  provvidenza  ,  demolito. 

Real  Palazzo  —  Sotto  l'impero  di  Filippo  Ifl  il  Vice 
Re  Conte  di  Lemos  facea  costruire  il  nuovo  Real  Palazzo 
dall'esimio  architetto  Domenico  Fontana.  E  questo  il  più 
bello  edifizio  della  nostra  Capitale.  Fu  cominciato  sotto 
il  detto  Vice-Re  ncll'  anno  1600  ,  e  fu  terminato  sotto 
l'altro  Vice-Re  Conte  di  Benavente. 

Regì  Studi  —  Stando  pochi  anni  prima  al  Vice  Rea- 
me il  Duca  di  Ossuna  furono  gettate  le  fondamenta  del 
grande  e  maeslroso  edifizio  degli  Studj  (1585)  con  log- 


—  lo  — 

getto  di  farne  una  scuderia  ,  e  poscia  con  disegno  *di 
Giulio  Fontana,  figlio  del  sullodato  Domenico  nel  1615, 
d'  ordine  del  Vice-Re  Conte  di  Lemos  fu  ridotto  ad  uso 
d'  università  degli  Studi  ,  quindi  ne  sono  derivati  i  nomi 
di  strada  e  salita  degli  Studi. 

Nel  1780  l'Università  fu  traslocata  al  Salvatore,  o 
sia  Gesù  Vecchio^  e  quest'edifizio  venne  destinato  all'ac- 
cademia delle  scienze  e  belle  lettere  fondata  in  quell'  an- 
no •,  laonde  se  gli  cominciò  a  dare  il  nome  di  Reale 
Accademia. 

Nel  1790  ,  da  Pompeo  Schiantarellì  ne  fu  miglio- 
rato il  disegno,  fu  ultimato  il  piano  superiore,  e  si  era 
ordinato  da  S.  M.  il  Re  Ferdinando  I  di  ampliarne  la 
fabbrica  con  aggregarvi  i  vicini  giardini  di  S.  Teresa  , 
e  di  allogarvi  tutt'  i  Musei  ,  le  quadrerie ,  la  biblioteca , 
e  la  Specola.  A  tale  oggetto  furono  ritirate  da  Roma 
quasi  tutti  i  preziosi  monumenti  ,  cbe  il  Re  vi  possedea 
come  erede  della  casa  Farnese.  Le  calamitose  vicende  av- 
venute nel  1799  fecero  sospendere  l'esecuzione  di  sì  no- 
bile idea. 

In  tempi  meno  tristi  si  è  in  parte  eseguito  il  primo 
progetto  ,  e  l'  edifizio  à  ricevuto  il  nome  di  Real  Museo 
Borbonico.  Esso  acquista  ogni  giorno  nuove  riccbezze ,  e 
già  ne  danno  una  larga  messe  gli  scavi  ordinati  da  S.  M  . 
Francesco  I.  nel  1828  ad  Ercolano. 

Pare  che  le  ultime  costruzioni  fatte  in  questo  archi- 
tettonico monumento;  avrebbero  dovuto  essere  preparato- 
rie di  un  piano  più  vasto  ,  che  il  tempo  dovrà  necessa- 
riamente esigere. 

Seguitando  allora  a  stare  questo  Paese  al  Regime  di 
lontano  padrone  ,  e  premuto  dal  governo  Viceregnale  , 
tutto  andò  in  decadenza,  e  per  conseguenza  le  belle 'ar- 


—  io- 
ti. Fu  allora  che  il  volere  di  Filippo  V  facea  risorgere 
a  nuova  vita  queste  Regioni  mandandovi  per  assoluto  So- 
vrano r  immortale,  il  vero  padre  di  questi  popoli  Carlo  III 
Borbone.  Nel  fatto,  come  d' incanto  tutto  ebbe  nuova  vi^ 
ta  ,  e  con  ciò  risorgeano  le  arti  belle. 

Prima  idea  di  Carlo  fu  di  voler  cambiare  la  Reg- 
gia ,  onde  sottrarre  la  Capitale  del  Reame  alle  continue 
esigenze  ,  non  mai  satolle  dello  straniero.  Volea  far  ca- 
pitale Caserta. 

Palazzo  Reale  di  Caserta  —  Chiamava  al  progetto 
d' un  nuovo  Real  Palazzo  1'  architetto  Napolitano  Luigi 
Vanvitelli.  La  prima  pietra  del  Palazzo  di  Caserta  fu  get- 
tata con  pompa  solenne  ,  dalle  mani  del  Re  Carlo  III 
Borbone  il  dì  20  gennaio  1732. 

Vanvitelli  dopo  del  Re  gettò  anch'  esso  la  lapide  , 
sii  la  quale  evvi  inciso  il  seguente  distico  ,  volgarizzato 
da  lui  stesso. 

Stet  Domus  et  solium^  et  Soboles  Borbonica,  donec 
Ad  superos  propria  vi  Lapis  hic  redeat, 
La  Reggia  ,  il  Soglio  ,  il  Real  Germe  regga. 
Finché  da  se  la  pietra  il  Sol  rivegga. 

LuDOFiCL's  Vanvitelli  Arch.° 

Gran  bel  giorno  fu  quello  per  l' architetto  !  Egli  era 
il  più  cospicuo  soggetto  della  corte. 

Nel  1739  ,  che  Carlo  dovette  andare  a  regnare  a 
Spagna,  era  giunto  lo  edifizio  al  piano  Reale.  Il  tìglio, 
il  Re  Ferdinando  I  lo  fece  condurre  a  termine. 

(c  II  gusto  è  migliorato.  La  scienza  è  meglio  appli- 
((   cata  ;  ma  il  genio  dov'  è  ??? 

Il  Real  Palazzo  di  Caserta  è  una  dimostrazione  del- 


—  17  — 
l'acceniialo.  Nel  ÌT62,  (già  un  secolo  ècompiulo)  v'era 
cerlaiiicntc  meno  gusto  d'  adesso.  Le  scienze  maleniatiche 
erano  Ixunbiue  allora  (  nell'  applicazione  )  in  confronto 
d'  oggi  dì  -,  ma  Vanvitelli  avca  genio  ,  e  cresce  gloria 
al  Sovrano  l'avere  scelto  un  sì  distinto  artista.  Per  quanto 
i  contemporanei  si  affaticassero  ,  un  altro  palazzo  di  Ca- 
serta non  sorge.  Avrà  Vanvitelli  tradito  le  regole  archi- 
lettoniclie  nell"  Euritmia  della  facciata  ,  è  uscito  dal  letto 
di  Procuste.  Avrà  ecceduto  nelle  grossezze  dei  muri  :  ma 
Caserta  è  un  bel  monumento  -  à  i  tre  quisiti  dell'  arte  - 
bellezza  ,  couiodità  ,  solidità  —  Approvato  dal  Re  Carlo 
il  famoso  progetto  del  Vanvitelli  ,  e  messo  mano  all'  o- 
pera  per  la  Reggia  ,  bisognava  pensare  come  dare  agli 
abitanti  il  primo  elemento  ....   l'acqua. 

Ad  un  secondo  progetto  invitava  l'augusto  Signore  il  di- 
stinto artista  pe'  famosi  e  non  mai  perituri  ponti  della  Valle. 

Ponti  della  Valle  —  Le  tante  acque  che  abbellisco- 
no e  danno  vita  alle  delizie  di  Caserta  ,  e  che  per  un 
benefizio  del  Re  passano  poscia  ad  aumentare  le  acque 
di  Carmignano  pel  comodo  della  Capitale,  non  sono  del 
luogo  -,  ma  vengono  dallo  falde  del  monte  Taburno  per 
mezzo  di  un  magnifico  acquidotto  cominciato  nel  1753, 
per  ordine  di  Carlo  III  a  progetto  e  direzione  dell'archi- 
tetto Luigi  Vanvitelli. 

La  sorgente  principale  è  quella  del  Fizzo,  conosciuta 
dagli  antichi  col  nome  di  acqua  Giulia,  la  quale  per  un 
acquidotto  sotterraneo  ,  costrutto  ad  ordine  di  Giulio  Ce- 
sare ,  andava  una  volta  a  Capua.  Ad  essa  sono  state 
unite  altre  volte  le  acque  di  Airola,  specialmente  la  così 
detta  Fontana  del  Duca.  Dalla  sorgente  del  Fizzo  sino 
alla  cascata  di  Caserta  ,  si  anno  palmi  148,000,  pari  a 
miglia  21  e  palmi  1000. 

Sasso  —  Voi.  I.  3 


—  18  — 

Il  canale  ncU'  interno  è  largo  palmi  4,7ì5  ;  alto  pal- 
mi 7.  Il  volume  di  acqua  che  vi  corre  à  V  altezza  di 
palmi  2,66. 

Tutto  il  lungo  canale  è  di  una  solida  costruzione  , 
rade  per  Io  più  le  schiene  dei  monti  ad  una  profondità 
ordinaria  di  palmi  15.  Ha  sei  trafori. 

11  primo  è  nel  colle  di  Prato,  ed  è  di  palmi  8200, 
eseguito  nel  tufo. 

Il  secondo  di  palmi  7080  nel  sasso  vivo  del  Monte 
desco. 

Il  terzo  nel  colle  cretoso  e  sassoso  della  Croce  di 
palmi  1500. 

Il  quarto  più  maraviglioso  nel  sasso  vivo  del  monte 
Garzano  à  336  palmi  di  profondità,  per  la  lunghezza  di 
palmi  6250. 

Il  quinto  anche  nel  sasso  vivo  presso  Caserta  vec- 
chia di  palmi  1740. 

L'  ultimo  finalmente  dopo  quello  della  Croce  aperto 
nel  1786  ,  per  essersene  slaccato  un  pezzo  dell'  acqui- 
dolto  per  palmi  500  ,  nel  luogo  detto  Rovello  :  vi  fu 
bisogno  di  fcir  girare  il  condotto  per  palmi  6000,  den- 
tro le  viscere  del  monte  ,  ed  alla  profondità  di  pal- 
mi 200. 

Molle  arcate  s' incontrano  nel  corso  dell'  acquidolto 
sugli  avvallamenti  dei  monti  ,  tra  le  quali  meritano  no- 
tarsi quelle  sul  fiume  Faenza  della  lunghezza  di  palmi 
280,  e  le  altre  nella  valle  di  Durazzano  in  palmi  240  , 
con  70  di  altezza  :  ma  nulla  è  da  paragonarsi  ai  famosi 
Ponti  della  Falle  ,  che  riuniscono  i  due  monti  Longano 
e  Garzano. 

Il  monumento  à  tre  ordini  di  archi  ,  ognuno  dei 
quah  à  \  altezza  ,  nella  luce  ,  di    palmi  64. 


—  IO  — 

Il  primo  ordine  à  19  archi  :  28  il  secondo  ;  e  43 
il  (orzo. 

I  pilastri  del  primo  ordine  tengono  40  palmi  di  lar- 
ghezza ,  compresi  gli  urtanti  ,  e  20  di  grossezza.  Quei 
del  secondo  38  per  19.   Quei  del  terzo  30  per  18. 

L'  altezza  dell'  intera  mole  è  in  palmi  221  ,  e  la 
lunghezza  supcriore ,  comprese  le  ale  ,  è  in  palmi  2080. 
La  larghezza  sulla  sommità  è  in  palmi  15  ,  e  per  essa 
passa  una  comoda  strada  ,  anche  per  carrozze.  Può  pas- 
seggiarsi anche  per  ciascun  arcata,  standovi  nelle  gros- 
sezze altri  ardii  trasversali  ed  in  linea  retta. 

La  solidità  non  è  uno  degli  ultimi  pregi  di  questa 
superba  mole.  Per  le  fondamenta  dei  piloni  di  mezzo  ,  si 
giunse  alla  profondità  di  palmi  140. 

L'  antichità  ,  e  massime  1'  età  presente  ,  vantar  non 
possono  un  monumento  nò  più  ardito,  nò  più  solido,  né 
più  magnifico  di  questo.  Esso  à  renduto  immortale  il  Mo- 
narca che  lo  volle  Carlo  III  di  Borbone,  e  1' Architetto 
che  lo  progettò  e  lo  diresse  Luigi  Vanvitclli. 

Nel  grande  Arco  di  mezzo  vi  si  leggono  due  iscri- 
zioni del  celebre  Mazzocchi  da  cui  si  à  1'  epoca  precisa  di 
un'  opera  cosi  memoranda  —  eccone  una. 

Carolo  Utriusque  Siciliae  Rege 

P.  F.  A. 
Et  Amalia  Regina  Spei  Maximae 

Principum  Parente 

Aquae  Illiae  Revocandae  Opus 

Anno  1753  inceptum  Anno 

1759, 

CONSUMATUM    A    FONTE    IPSO    PER   MILLIA 
P.    26.    ECT. 


—  20  — 

Non  basterebbero  dei  volumi  se  accennare  io  volessi 
minulanienle  quanto  di  utile  e  di  grandioso  fé'  eseguire 
in  questo  paese  1'  immortale  prelodato  Sovrano.  Mi  limito 
neir  accennare  le  principali  opere;  onde  venendo  ai  tempi 
attuali  ,  ed  esaminando  quanto  si  è  fatto  e  si  sta  facendo; 
far  conoscere  la  decadenza  del  genio  nel  secolo  che  di- 
cesi del  progresso  e  della  coltura. 

Teatro  S.  Carlo  —  Opera  immortale  pure  di  Carlo 
III  fu  il  meritamente  decantato  ed  unico  in  tutt'  Europa 
Real  Teatro  di  S.  Carlo.  Fu  diretto  nel  1737  da  Angelo 
Carasale  sul  disegno  fattone  dal  Brigadiere  Giovanni  Anto- 
nio Medrano  ,  e  ciò  fu  eseguito  nell'incredibile  corso  di 
270  giorni. 

E  riputalo  il  migliore  in  Europa  per  la  sua  vastità, 
per  le  sue  decorazioni  e  per  sei  file  di  palchi  in  bel- 
lissima disposizione.  Nel  frontespizio  vi  si  pose  la  seguente 
iscrizione  composta  dal  chiarissimo  Ministro  signor  Mar- 
chese Tanucci  ,  degna  di  riportarsi  ,  perchè  oggi  non  ])iù 
vi  si  vede ,  e  perchè  ci  rende  testimonianza  della  nostra 
rigenerazione  ai  tempi  di  quelF  ottimo  Principe. 

Carolis  Utriusque  Sicillìe  Rex 

Pllsis  Hostibus  Coxstitutis  Legibus 

Magistratibus  Ornatis  Literis  Artibus 

Excitatis  Orbe  Pacato  Theatrum  Ql'O 

Se  Populus  Oblectaret  Edendu.m  Censuit 

An.no.  R.  IV.   Ch:  a.  mdgcxxxvh. 

Tutta  quest'  opera  insigne  fu  poi  terminata  sotto  l'im- 
pero di  S.  M.  Ferdinando  I  nel  1767.  Le  costruzioni  nel 
palco-scenico  ,  ed  il  ricaccio  dei  palchi  detti  lettera  A  e 
B  fra'  pilastri    del  palco-scenico  ,    furono  opera   dell'  Ar- 


—  21  — 
chitelto  Cavaliere  Fuga.  Posteriormente  à  avuto  nelle  fac- 
ciale diversi  cambiamenti,  che  a  suo  luogo  saranno  minu- 
tamente dettagliati  ed  analizzali. 

Real  Palazzo  di  Portici — Fu  pure  opera  di  Carlo  III 
il  Real  Palazzo  di  Portici  che  nel  1740  fé  costruire  col 
disegno  fattone  dall'  Architetto  Aulouio  Cannavari  Roma- 
no. L'  Architetto  piantò  il  grandioso  Palazzo  nel  sito  della 
pubblica  Strada  che  V  attraversa  da  un  lato  all'  altro.  Il 
veslibulo  di  figura  ottagona  à  quattro  nobili  uscite  che 
corrispondono  ai  quattro  fianchi  dell'  edifizio.  Dalla  parte 
di  mare  per  sicurezza  della  Reale  abitazione  fu  innal- 
zato un  bene  ideato  fortino  con  disegno  del  Barrios  Spa- 
gnuolo  ;  dove  fu  disposta  una  batteria  di  cannoni  che  do- 
mina buona  parte  del  Golfo. 

Per  due  Scale  ,  una  verso  mare  ,  e  1'  altra  verso  del 
monte  si  sale  agli  appartamenti,  dove  in  principio  furono 
riposti  gli  oggetti  scavati  ad  Ercolano.  I  pavimenti  di  que- 
ste sale  sono  rimarchevolissimi  essendo  di  musaici  ,  o  di 
marmi  Greci  trovati  in  Ercolano  ed  a  Capri. 

Reale  Albergo  de  Poveri — Nel  1751  ,  pure  d'ordine 
di  Carlo  III ,  il  prelodato  Architetto  Cavaliere  Fuga,  ese- 
guir facea  il  suo  progetto  del  magnifico  ed  immenso  E- 
difizio  del  Reale  Albergo  de'  poveri. 

L'  oggetto  di  quel  provvido  ed  immortale  Sovrano  ui 
di  aprire  un  Ospizio  a  tutl'  i  poveri  del  Regno  ,  e  di 
metterli  in  istato  di  apprendervi  le  arti. 

Secondo  il  progetto  del  sullodato  Architetto  l'edifizio 
dovrebbe  avere  2370  palmi  di  lunghezza  (  più  di  un  terzo 
di  miglio  ) ,  quattro  spaziosissimi  Cortili  con  quattro  fon- 
tane nel  mezzo  ,  ed  una  Chiesa  nel  centro. 

Di  uua  mole  sì  vasta  ,  che  forse  non  avrebbe  avuta 
1'  eguale  1  Europa  ,  se    ne    sono  eseguite  le   tre  quinte 


—  22  — 

parli  5  e  lo  frcciala  esteriore  come  è  al  presente  à  1500 
palmi  di  lunghezza  ,  e  144  di  altezza. 

Il  prospetto  è  maestoso  con  un  portico  a  tre  archi, 
al  quale  si  ascende  per  una  magnifica  e  bene  studiata 
scala  a  due  braccia.  Dalla  porta  di  mezzo  del  portico  si 
entra  nel  luogo  destinato  per  la  Chiesa  ,  la  quale  aver 
dovea  cinque  navi  con  1'  Aliare  nel  mezzo ,  in  modo  che 
da  qualunque  lato  si  sarebbe  veduto  il  sacrifizio  da  cele- 
brarsi. Ai  lati  del  Portico  un  ingresso  dà  all'  abitazione 
degli  uomini ,  e  1'  altro  a  rimpelto  a  quella  delle  donne. 

Fu  pure  opera  di  Carlo  il  Palazzo  Reale  di  Capodi- 
monte  per  lo  quale  impiegò  Y  Architetto  Palermitano  Me- 
diano ,  il  quale  commise  considerabili  falli. 

Palazzo  Reale  di  Capodbionte  — L'  Architettura  vi  è 
solida  :  ma  non  elegante.  I  falli  del  Medrano  furono  due. 
Edificava  un  sì  vasto  Palazzo  Reale  senza  Strade  da  acce- 
dervi. Scavava  lunghe  grotte  sotto  il  monumento  per  ca- 
varne le  pietre  della  costruzione  ;  locchè  obbfigò  ad  ag- 
giungervi intrigatissirai  ripieghi  d'  arte  da  sostenere  sul- 
r  alto  del  monte  la  nuova  Reggia. 

Tali  opere  sotterranee  si  anìmiravano  nel  luogo  detto 
la  montagna  spaccala  prima  che  se  ne  avessero  tompa- 
gnati  gì'  ingressi.  Sono  dette  opere  un  monumento  par- 
lante la  magnificenza  dell'  immortale  Carlo  III  e  della 
somma  imperizia  dell'  Architetto  Medrano. 

Il  palazzo  à  la  forma  rettangolare  con  quattro  torri 
negli  angoli.  Le  due  facciate  ad  oriente  e  mezzogiorno 
furono  perfettamente  compiute.  Non  à  guari  dall'  attuale 
nostro  Sovrano  Ferdinando  II  sono  state  anche  le  altre  due 
condotte  a  fine  ,  e  lo  intero  Palazzo  dal  prelodato  Sovrano 
è  stato  nobilmente  decorato  ed  abbellito.  Oggi  vi  si  accede 
per  due  mr.gnifiche   Strade  ,    una  detta  di  Capodimonte 


—  23  — 
falla  neir  occupazione  Militare  ,  e  diretta  dall'  Archilei- 
Io  Romualdo  de  Tommaso.  L'altra  più  bella  ancora  dan- 
do al  romantico  ,  della  di  Miano  ,  ed  eseguila  con  ac- 
curatezza ed  arte  dai  distinti  Uffiziali  del  Real  Corpo  del 
Genio  Cavalieri  Gonzales  e  Gagliardi.  Detto  Real  Palazzo 
è  oggi  frequentalo  dalla  Corte.  Dominando  la  Capitale,  è 
un  soggiorno  incantalo  per  i  boschetti  ,  giardini  ,  de- 
liziosi viali ,  statue  ,  peschiere  ,  belli  edifizii  ,  varietà  di 
volatili  e  quadrupedi.  Evvi  ancora  una  divota  Chiesetta 
con  un  quadro  di  S.  Gennaro  del  Solimena.  Il  bosco  lutto 
muralo  è  un  miglio  per  mezzo  miglio. 

Chiesa  della  Nunziata — Fra  le  opere  immortali  fatte 
eseguire  in  Napoli  dal  Re  non  mai  abbastanza  lodato  Carlo 
III  Rorbone ,  occupa  un  distinto  posto  la  bella  Chiesa 
della  Nunziata ,  opera  pure  classica  del  nostro  celebre  Ar- 
chilelto  Luigi  Vanvitelli. 

Questa  Chiesa  opera  del  secondo  Masuccio  era  stala 
rifatta  nel  1540  con  disegno  del  Manlio.  Vi  aveano  di- 
pinto Santafede  ,  Coreuzio  ,  Massimo  ,  Lanfranco  e  Luca 
Giordano.  Vi  aveano  scolpito  il  Merliano  ,  e  1  Bernini. 
L'  Aliare  maggiore  disegnalo  dal  Fanzaca  era  costalo  do- 
cati  seltaulamila.  Tutto  fu  distrutto  da  un  incendio  avve- 
nuto la  notte  degli  olio  Febbraio  1757.  Nel  1760  si  co- 
minciò a  rifarla ,  e  fu  terminata  nel  1782.  Vi  si  spesero 
circa  ducali  300,000,  trecenlomila.  L' Archilello  malgrado 
che  avesse  dovuto  accomodarsi  al  luogo  ,  à  spiegato  in 
questo  monumento  un  gusto  squisito  in  tutte  le  sue  parli. 

Il  gran  cornicione  che  gira  intorno  è  sostenuto  da 
44  magnifiche  colonne  corintie  di  marmo  di  Carrara.  Sotto 
la  Crociera  della  Chiesa  vi  à  disposto  il  VanviteUi  un 
bel  soccorpo  o  sia  confessione  di  figura  ellittica ,  e  soste- 
nuta da  otto  paja  di  colonne  doriche.    Nel  campauiie  ev~ 


—  24  — 
vi  la  più  grande  campana  di  Napoli  pesando  canlaja  68. 

La  Cina  di  Napoli  in  onore  del  Re  Carlo  III  faceva 
dirigere  dall' Architetto  Luigi  Vanvitelli  1'  emiciclo  al  Largo 
dello  Spirito  Santo,  denominandolo  Foro  Carolino  nel  1757. 

Foro  Carolino  —  L'  opera  è  coronata  da  una  balau- 
strata di  marmo  con  ventisei  Statue  che  rappresentano  le 
virtù  del  Monarca.  Nel  mezzo  dell'  edifizio  era  il  piedi- 
stallo ,  che  dovea  sostenere  la  statua  eques  tra  del  Re 
Carlo. 

Noi  avremmo  dovuto  arrestarci  ai  piedi  di  questa 
statua,  che  la  pubblica  riconoscenza  1'  à  elevata  nel  cen- 
tro della  Capitale.  Noi  avremmo  dovuto  vedervi  espressi 
i  benefìzi  di  un  Re  ,  che  riscattò  questo  Paese  dalla  sua 
lunga  schiavitù  e  dalla  miseria.  Noi  avremmo  dovuto 
qui  venerar  la  sua  santa  memoria Ma  tale  statua  in- 
vano si  attende  da  tanti  anni  !  !  !  Chiudo  l'accenno  delle 
opere  fatte  eseguire  dal  magnanimo  Principe  Carlo  Bor- 
bone ,  con  la  scoverta  fatta  delle  due  Città  Romane  di 
Ercolano  ,  e  Pompei. 

Scoverte  di  Ercolano  e  Pompei  —  Conosceasi  Erco- 
lano nella  geografia  antica.  Gli  scrittori  di  quell'  epoca 
ne  indicavano  più  o  meno  il  sito  tra  la  nostra  Portici  e 
Resina  :  ma  senza  le  magnanime  idee  del  Re  Carlo  Bor- 
bone tutto  sarebbe  ancora  nell'  oblio.  Questo  glorioso  Mo- 
narca informato  appena  de'  piccoli  scavi  precedentemente 
fatti-  specialmente  dal  Principe  di  Elbeuf  Emmanuele  di 
Lorena  nel  1711,  e  dei  preziosi  monumenti  che  se  n'e- 
rano estralli,  con  gran  fervore  fece  proseguire  gli  scavi 
pei  luoghi  ,  dove  n'  erano  stati  eseguiti  i  primi  saggi. 
Ciò  accadde  nel  1758.  I  più  felici  successi  coronarono  si 
nobili  vedute  ,  essendosene  ritratti  monumenti  di  ogni  ge- 
nere ,  e  r  un  dopo  l'altro  si  rinvennero  teatro,  strade, 


—  23  — 
abitazioni  ,  botteghe  ,  bagni ,  tempi ,  foro,  sepolcreto,  ed 
una  magnifica  Casa  di  campagna.  Il  Re  animava  lutto 
con  la  sua  presenza  ,  e  con  le  sue  disposizioni.  Destinò 
un  edifizio  pel  nascente  Museo  ,  ed  invitò  dotti ,  ed  ar- 
tisti per  dilucidare  e  restaurare  i  monumenti  che  si  dis- 
seppellivano. 

Tutta  la  dotta  Europa  presa  da  ammirazione,  e  sor- 
presa accompagnava  coi  voti  si  nobile  intrapresa  ,  e  gli 
sfigurati  avanzi  di  Ercolano  divennero  di  assai  più  cele- 
bri che  noi  fu  mai  la  Città  nel  tempo  della  sua  florida 
esistenza. 

Scoperta  Ercolano  si  cominciò  a  pensare  a  Pompei. 
Le  chiare  idee  che  se  ne  aveano  ,  le  notizie  di  piccioli 
scavi  precedenti  ,  anche  falli  a  caso  ,  indussero  il  magna- 
nimo Carlo  Borbone  a  tentarne  lo  scavamento  nel  1748, 
e  la  città  fu  ritrovala. 

Dovendo  il  sullodato  Monarca  portarsi  a  regnare 
nella  Spagna  ,  dovette  lasciare  il  Regno  al  suo  terzo  ge- 
nito Ferdinando  dell'  età  di  anni  nove.  Rimase  in  Napoli 
il  Marchese  Tauucci  ,  e  le  opere  ordinate  da  Carlo  fu- 
rono esallamcnte  compiute  sotto  l' Impero  del  figlio. 

Per  diverse  penurie  alle  quali  ai  tempi  de'Vice-Re, 
o  per  poca  cura  ,  o  per  frode  fu  spesse  volte  soggetta 
la  Città  di  Napoli,  si  pensò  di  stabilire  un  Tribunale  del- 
l' Annona  ,  che  avesse  pensiero  di  assicurare  la  Città  di 
tutto  il  bisognevole  per  l' intero  corso  dell'anno  :  Per  con- 
to del  Viceré  Conte  di  Olivares  ,  nel  1596 ,  si  construì 
dalla  Città  per  tale  oggetto  un  magnifico  edifizio  con  dise- 
gno del  Cavaliere  Domenico  Fontana  nella  Strada  del  Mo- 
lo piccolo  ,  al  di  là  della  Dogana  col  nome  di  Conser- 
vazione delle  Farine. 

In  quei  tempi  per  la  scarsezza  dei  molini ,  il  grano 
Sasso  —  Voi.  I.  4 


—  26  — 
veniva  macinato  dalla  Torre  della  Nunziata  ,   dove  vari 
molini  erano  stati  animati  da  un  canale  del  fiume  Sarno , 
diretto  dallo  stesso  Domenico  Fontana. 

Si  pensò  ancora  ad  un  pu])]jIico  grandioso  stabili- 
mento pel  deposito  del  grano.  Con  disegno  di  Giulio  Ce- 
sare Fontana  ,  figlio  di  Domenico  ,  si  alzò  un  lungo  e 
vasto  edifizio  sotto  le  mura  Angioine  della  Città  a  Porta 
Alba  ,  dove  potea  esser  difeso  dai  cannoni  dei  torrioni 
vicini.  Neil'  interno  si  scavarono  innumcrabili  fosse  ad  uso 
di  contener  grano  ,  onde  il  luogo  acquistò  nome  di  fosse 
del  grano.  Era  capace  di  contenerne  200,000  tomoli.  Fu 
poi  ampliato  dal  Vice-Re  Conte  di  Pimenlel  Benavente 
nel  1608. 

Granili  —  Altro  Stabilimento  che  riguarda  il  mede- 
simo oggetto  devesi  alle  paterne  cure  di  S.  M.  Ferdinando 
I,  che  è  la  maestosa  fabbrica  detta  dei  granili.  L'Archi- 
tetto ne  fu  il  Cavaliere  Fuga.  Ha  quattro  piani,  ognuno 
dei  quali  contiene  ottantasette  finestre.  Lunghi  corridoj 
da  un  capo  all'  altro  per  691  passi  di  lunghezza  danno 
r  adito  ad  infiniti  magazzini  laterali ,  non  solo  per  comodo 
della  Città  ;  ma  ancora  pei  negozianti  ,  e  particolari  cit- 
tadini che  ne  avessero  avuto  bisogno.  A  questo  oggetto 
alla  riva  del  mare  presso  cui  giace  vi  si  fece  un  como- 
do sbarca  tojo. 

Saggio  fu  il  consiglio  del  Principe  ,  non  fehce  la 
scelta  del  sito,  non  ben  inlesa  la  distribuzione  de' mem- 
bri nel  monumento  idealo  dall'  Architello  per  1'  uso  de- 
stinato ;  imperocché  colà  si  perdevano  i  grani ,  e  fu  d'uo- 
po abbandonarlo.  Negli  ultimi  tempi  fu  destinalo  per  quar- 
tiere di  soldati ,  ed  oggidì  per  ordine  deiratluale  Sovra- 
no Ferdinando  H  ,  vi  si  spendono  considerabili  somme 
per  ridurlo  ad  un  beninteso  gran  quartiere. 


—  Ql 


Villa  Reale  —  È  questo  il  sito  più  delizioso  della 
nostra  Città.  Qui  si  avvera  quel  verso  del  Petrarca  ■ 

Fioì\  frond\  erbe^  ombre^  antri,  onde,  aure  soavi. 

Situato  alla  riva  del  mare  da  cui  è  riparafo  da  un 
lungo  parapetto  sul  lato  sinistro.  —  Sulla  destra  fiancheg- 
giato dalla  più  bella  strada  di  Napoli  quale  è  la  Riviera 
di  Ghiaia  —  ad  Oriente  evvi  F  aspetto  dell'  imponente  Ve- 
suvio con  le  fumanti  cime  —  Air  occaso  la  collina  del 
verdeggiante  Posilipo. —  E  questo  certamente  l'incantato 
giardino  di  Armida ,  che  formò  l'episodio  il  più  elegante 
nel  poema 

Del  sublime  Cantor  Epico  solo. 

Si  deve  alla  magnificenza  del  nostro  Sovrano  Ferdi- 
nando I  ,  che  la  fé'  terminare  nell'  anno  1782. 

E  divisa  in  cinque  viali  ,  adorni  di  fontane ,  statue, 
sedili  ,  e  lumi  a  gas  per  le  serate  di  està.  Il  celebre 
Toro  Farnese  è  stato  per  molti  anni  situato  alla  fontana 
di  mezzo  :  ma  osservatosi  fenduto  per  la  vicina  esposi- 
zione al  mare  ,  per  non  perderlo  perfettamente  si  è  tra- 
sportato nel  Real  Museo  ,  ed  invece  vi  si  è  posta  una 
grandissima  vasca  con  quattro  leoni  che  la  sostengono  e 
che  danno  zampillanti  acque. 

Sendosi  riselciata  la  Riviera  di  Ghiaia  sotto  la  dire- 
zione del  fu  capitano  del  genio  Garofallo,  la  Reale  Villa 
ebbe  per  ordine  dell'  attuale  Augusto  Sovrano  altri  im- 
megliamcuti  ed  aggiunzioni  ,  prima  sotto  la  direzione 
dell'  Architetto  Stefano  Gasse  ,  e  poi  del  chiarissimo  e 
dotto  architetto  D.  Giuliano  de  Fazio. 


—  28  — 

No  certamente  che  Napoli  non  è  stala  rullima  capi- 
tale in  Europa ,  che  piantasse  un  giardino  botanico. 

Ai  tempi  del  Celano  che  vivca  nel  1G50,  avevamo 
per  opera  dei  governatori  della  Nunziata  un  Orto  bota- 
nico nel  luogo  detto  la  Montagnola  sopra  i  Miracoli  con 
circa  700  specie  di  piante  la  maggior  parte  pellegrine. 
Il  direttore  n'  era  Domenico  De  Fusco  ,  napolitano.  — 
L'  Orto  si  appellava  Sempliciario  ,  e  /'  Erborario. 

Orto  botanico.  —  Nel  1616  ,  si  sarebbe  piantato 
altro  Orlo  botanico  nel  giardino  di  Santa  Teresa  per  co- 
modo dell'Università  degli  Studi  ,  se  da  Napoli  non  ve- 
niva amosso  il  Vice  Re  Conte  di  Lemos. 

Finalmente  ai  principi  di  questo  secolo  è  stato  rea- 
lizzato nel  silo  S.  Angelo  delle  Croci,  e  1  Real  Albergo 
de' Poveri  nel  declivio  di  una  collina  esposta  ad  oriente, 
ed  a  mezzogiorno.  —  E  di  estensione  40  moggia,  essen- 
dosi supplito  alla  mancanza  di  acque  correnti ,  con  certi 
pozzi  ,  che  àimo  comunicazione  col  grande  acquidotto 
Carmignano.  — Chi  brama  conoscere  il  dettaglio  dell'im- 
mensa quantità  di  piante  indigene  ed  esotiche  di  dello 
Orlo  ,  può  leggere  la  Flora  napolilana  del  distinto  e  chia- 
rissimo cav.  D.  Michele  Tenore. 

Con  le  piante  del  Poli ,  ed  altre  ottenute  dalle  fati- 
che e  dalla  gcnorosità  di  solerti  e  nobili  cultori  della 
scienza  ,  la  nuova  scuola  botanica  ,  polca  dirsi  compiu- 
ta, laiche  nel  1807  il  prclodato  Tenore  ne  pubblicava  il 
catalogo.  Nel  1806  ,  ritornate  le  cattedre  alla  loro  an- 
tica sede  ,  e  volendosi  addire  Monteoliveto  a  mercato  di 
commestibili,  si  tornò  alla  prima  idea  del  giardino  pro- 
posto dal  PlancUi,  e  dall'architetto  Maresca,  quindi  nel- 
l'anno 1809  si  gcttavan  le  basi  del  presente  Orto  bota- 
nico ,  il  quale  alla  Ijotanica  ,   ed  alla  agricoltura  andava 


—  29  — 
parimenli  dedicalo.  Fu  diretto  dall'  architetto  Giuliano  de 
Fazio  con  1'  assistenza  del  cav.  Tenore  ,   e  fu  aperto  ai 
pubblici  studi  nel  di  18  maggio  detto  anno  1809. 

Ferdinando  I  ,  fu  il  primo  a  dividere  la  Città  di 
Napoli  in  dodici  Quartieri  ,  e  ciò  fece  nel  1780  ,  allor- 
ché istituita  la  deputazione  del  buon  governo,  allogò  un 
giudice  a  ciascuno  di  essi.  Di  poi  continuando  le  molte 
colossali  opere  Paterne  ,  e  non  allontanandosi  dal  primo 
disegno  del  cav.  Fuga  compiva  tre  lati  dell'  Albergo  dei 
Poveri ,  e  da  quel  sito  ampliava  sino  al  monumento  de- 
gli Studi  la  bella  strada  di  Feria. 

COxMPIMENTO   AI    TRE   LATI   DEL   SERRAGLIO  StADA  FoRIA 

—  Le  ampliazioni  lasciate  interrotte  da  questo  Monarca 
furon  menate  innanzi  con  molto  calore  nella  durala  del 
decennio  ,  ed  allora  si  apri  la  strada  Nuova  del  Campo. 

—  Dal  poggio  di  S.  Teresa  allargalo  e  dismesso  il  sen- 
tiero si  gettò  altissimo  e  magnifico  ponte  per  trarre  co- 
modamente in  carrozza  al  Rcal  Palagio  di  Capo-dimonte, 
e  dettesi  grande  opera  alla  deliziosa  via  di  Posilipo  ,  la 
quale  al  secondo  ritorno  di  Re  Ferdinando  traevasi  ancor 
più  a  ponente  ,  finché  giunse  al  così  detto  Capo  di  Po- 
silipo. 

S.  Francesco  di  Paola.  —  Un  voto  fatto  dal  prelo- 
dato Sovrano  Ferdinando  I  Borbone  ,  mentre  il  suo  Re- 
gno di  qua  dal  Faro  era  occupato  da  armi  straniere  , 
fu  r  origine  della  chiesa  di  S.  Francesco  di  Paola.  — 
L' architetto  a  cui  il  Re  ne  commise  la  direzione  fu  Pie- 
tro Bianchi  di  Lugano  —  nel  corso  di  14  anni  l' abbiamo; 
veduta  compita  \ 

Reale  osservatorio  di  Marina.  — Dopo  la  Specola,  o 
Reale  Osservatorio  Astronomico  non  è  da  tralasciarsi  a  suo 
luogo  il  Reale  Osservatorio  di  Marina  fondalo  nel  1818. 


—  30  — 

S.  Giacomo  ,  o  Ministeri  di  Stato.  —  Pure  idea  di 
Ferdinando  I,  fu  di  riunire  in  un  solo  cdifizio  tulli  i  Mi- 
nisleri  e  Segreterie  di  Slato  —  Se  ne  affidava  il  progetto, 
e  la  direzione  airarcliitetto  Stefano  Gasse  nell'anno  1819. 
—  fu  terminato  nelF  anno  1825. 

Specola.  —  Nello  stesso  anno  1819  Io  stesso  esimio 
architetto  e  mio  principale  Stefano  Gasse  ,  edificava  la 
Specola  d'  ordine  del  prelodato  Sovrano  Ferdinando  I  , 
Questa  Specola  la  cui  latitudine  è  di  40"  54'  40'',  setten- 
trionale e  la  longitudine  di  47'»  e  41^  a  levante  del  meri- 
diano di  Parigi  o  sia  di  11°,  55',  13"  in  arco,  sorge  sopra 
una  collina  di  tufo  150  metri  dal  pelo  dell'acqua  del  prossi- 
mo mare.  Ne  fu  promotore  Federigo  Zuccari^  il  quale  tro- 
vava disadatto  ai  fini  della  scienza  quello  della  Torre 
S.  Gaudioso,  ed  il  silo  presso  il  Museo  dove  sin  dal  1791 
eransi  gettate  le  fondamenta  di  altro  Osservatorio. 

Sopra  i  disegni  di  questo  astronomo  ,  alquanto  mo- 
dificati dal  celebre  P.  Piazzi ,  il  sullodato  arcliitello  Ste- 
fano Gasse  architettò  1'  edifizio.  —  Distendesi  verso  mez- 
zogiorno con  nobili  ed  eleganti  forme,  rivestilo  con  tra- 
vertino di  Gaeta  con  bozze  ,  ed  ornalo  di  vestibulo  do- 
rico sul  cui  fronte  Icggesi  che  il  Re  Ferdinando  I  il 
fondò  nel  1819. 

Una  esatta  descrizione  ne  darò  a  suo  luogo. 

Casina  Regia  al  Chiatamone  —  Strada  Vittoria.  — 
Procedendo  innanzi;  dopo  il  castello  dell' Uovo  -  la  strada 
si  denomina  del  chiatamone  dalla  antica  parola  greca  che 
suona  larga  spiaggia.  —  Sul  lato  sinistro  sorge  la  deli- 
ziosa Casina  del  Re  ridotta  nella  presente  forma  ,  ed  or- 
nata da  un  vaghissimo  giardino  dal  Re  Ferdinando  I  — 
Essa  è  destinata  talvolta  ad  albergare  i  Reali  ospiti  stra- 
nieri ;    ma  più    sovente  raccoglie    nelle  sere  di  state  la 


—  31  — 
famiglia  Reale  ,  essendo  piacevolissima  dimora  dopo  il 
tramonto  del  sole.  Il  rimanente  di  questa  strada  che 
nel  1818  ,  era  un  rione  con  piccole  casucce  di  lavan- 
da] e  ,  e  stiratrici  ,  e  lo  ricordo  io  che  al  soprapposto 
monte  per  quattro  anni  ahitai  ,  sendo  alunno  della  reale 
scuola  P:  M:  è  oggi  ridotta  a  hella  e  magnifica  per  mo- 
desti e  bene  intesi  edifizì  sul  destro  lato  ,  tutti  ad  uso 
di  nobili  locande  pe' forestieri,  sino  al  largo  della  Vittoria. 
—  Sul  lato  manco  da  giorno  in  giorno  si  fa  allontanare  il 
mare  con  gettarvi  de' sfabbricini  ,  e  di  già  evvi  comodo 
marciapiede,  ed  una  lunga  piantagione  di  acacei  per  dare 
al  passaggero  1'  ombra  nelle  ore  canicolari.  Gli  architetti 
che  diressero  questa  strada  furono  il  distinto  cavaliere 
D.  Bartolomeo  Grasso  ,  e  l' ingegnere  D.  Vincenzo  Len- 
gi.  Come  al  presente  che  io  scrivo  il  signor  architetto 
Enrico  Alvino  d'  ordine  di  S.  M.  Ferdinando  II  ;  altra 
strada  sia  aprendo  dal  quartiere  della  Vittoria  al  Largo 
S.  Maria  a  Cappella  che  pare  nel  suo  breve  spazio  rac- 
cor  deve  magnifici  palagi  vedendosi  di  già  surgere  uno 
di  proprietà  del  sig.  Generale  Alessandro  Nunziante. 

Strada  da  Castellammare  a  Sorrento.  — Nel  1828, 
ordinava  il  Re  Francesco  I,  aprirsi  nella  rocca  calcarea 
a  mezza  costa  una  Strada  carrozzabile  da  Castellammare 
a  Sorrento.  Ne  fu  affidata  la  Direzione  all'  Architetto  D. 
Luigi  Giordano  ,  1'  imprenditore  ne  fu  un  già  distinto  Ca- 
pitano del  Genio  il  signor  Agresti  ,  e  la  strada  andò 
avanti  ,  fu  compiuta  ,  ed  è  venuta  magnifica. 

L' edifizio  dell'  antica  Dogana  fu  fondato  nel  1378 
di  figura  rettangolare — Il  lato  maggiore  di  palmi  300, 
il  minore  di  pahni  176  ^à  un  grandioso  vestibulo,  ed 
un  ampio  cortile.  —  Contiene  160  magazzini  ,  e  com- 
presovi il  braccio  di  fabbriche  ,  che  dal  manco  lato  del 


—  32  — 

cortile  si  distende  sino  al  sopporlico  della  Neve,  occupa 
una  superficie  di  palmi  quadrali  132,  000. 

In  tempi  remoli  giungeva  il  mare  infino  alla  vec- 
chia dogana  che  era  destinala  ad  arsenale  di  Marina  ; 
sotto  il  Regno  di  Filippo  II  ,  dal  vice  Re  Marchese  di 
Mondejar  essendosi  ritrailo  il  mare  nei  confini  presenti  , 
venne  rifcitlo  ad  uso  di  Dogana. 

Finalmente  ridotto  in  pessimo  termine  nel  1547  , 
tempo  dei  tumulti  di  Masaniello  ,  fu  riedificalo  splendi- 
damente dopo  sci  anni  sotto  il  Regno  di  Filippo  IV  ed 
adornata  la  piazza  di  una  fontana  di  marmo  ricca  di  sta- 
tue ,  la  quale  andò  distrutta  nelle  guerre  seguenti.  — 
Le  notizie  sulle  vincissitudiui  di  questo  monumento  ven- 
nero aflidale  alla  iscrizione  che  puoi  leggere  sull'  ingresso 
principale  —  Oggi  è  destinato  questo  monumento  ad  uso 
di  magazzini  di  deposito  per  le  mercanzie  straniere. 

Nuova  Dogana  —  La  nuova  gran  Dogana ,  ripi- 
gliando la  storia ,  sorge  a  mano  sinistra  della  strada  del 
Pillerò  sul  bacino  dello  Molopiceolo ,  o  anche  del  Man- 
dracchio.  Il  bacino  mentovato  comunica  col  porto,  e  col 
mare  per  mezzo  di  due  ponti  uno  di  pietra  ,  ed  uno  di 
ferro  ,  su  cui  corre  1'  ampia  e  maestosa  strada  —  Nella 
facciala  principale  verso  oriente  sporge  un  peristilio  do- 
rico con  tre  archi  ,  e  con  colonne  su  cui  un  frontone 
triangolare. 

La  pianta  è  rettangolare  il  cui  lato  maggiore  è  di 
palmi  262  ,  e  "1  minore  201  ,  occupando  una  superficie 
di  palmi  quadri  30,  652. 

Nel  piau-lerrcno  di  questo  edifizio  à  luogo  il  servi- 
zio della  Gran  Dogana  ,  e  sono  allogate  in  esso  le  nu- 
merose officine  ,  che  prendono  vario  nome  dalle  osser- 
vazioni a  cui  vengono  desUnate   -  per  le  dichiarazioni  - 


—  33  — 
estraregnazioni  -  cabotaggio  -  visita  -  revisione  dei  libri 
stranieri.  Hanno  facile  comunicazione  fra  loro,  e  con  l'e- 
sterno per  ampi  cortili  ,  e  comode  porte. 

Nei  piani  superiori  risiede  la  Direzione  generale  con 
tutte  le  sue  dipendenze  —  Il  segretariato  generale  —  I 
vari  riparlimenti  delle  Dogane  ;  de'  dazi  di  consumo  — 
delle  privative  -  della  statistica  commerciale  ,  ed  i  due 
giudicati  del  contenzioso  ,  che  riguardano  i  giudizi  pel 
ramo  Dogane  ,  e  per  quello  di  Privative. 

Per  rannodare  con  esattezza  e  sollecitudine  il  servi- 
zio doganale  -  nel  bacino  vennero  costruite  le  banchine 
all'  intorno  di  esso  ,  ed  aggiuntovi  un  piccolo  edifizio  per 
i  dazi  di  consumo  -  e  quattro  altre  minori  fabbriche  de- 
stinate ad  accogliere  le  macchine  da  peso  —  oltre  la 
magnifica  macchina  di  controllo  che  puoi  vedere  nell'a- 
trio ,  formata  di  ferro  fuso. 

Questo  Edifizio  venne  affidato  pel  progetto  e  dire- 
zione air  esimio  ed  onestissimo  architetto  Stefano  Gasse, 
che  non  avendo  potuto  per  morte  condurlo  a  termine  , 
fu  compiuto  dal  commendatore  colonnello  Clemente  Fon- 
zeca  ,  il  quale  condusse  benanche  a  termine  la 

Strada  del  Piliero  —  Questa  magnifica  strada  si  deve 
all'attuale  nostro  sovrano  Ferdinando  II  (come  quanto 
altro  andrò  in  questa  mia  prefazione  accennando)  nulla  es- 
sendovi rimasto  dell'  antico.  E  stato  sino  a  pochi  anni 
or  sono  informe  e  disagiata  —  Era  larga  33  palmi  verso 
r  entrata  all'  arsenale  ,  nel  mezzo  era  di  palmi  64  ,  e 
poi  si  restringeva  a  palmi  30.  La  dividea  dal  mare  un 
sudicio  cancello  di  legno,  e  vi  erano  delle  casette  pari- 
mente di  legno  destinate  alle  varie  macchine,  ed  agli  usi 
doganali. —  Non  migliore  aspetto  aveano  le  case  al  lato 

opposto  ,  le  quali  sorgeano  in  varie  direzioni  ,  e  diversi 

Sasso  — Voi.  1.  5 


—  34  — 
livelli.  Venne  abbattuto  il  cancello  e  costruito  l'elegante 
di  ferro  che  oggi  si  vede  dall'  un  capo  all'altro.  La  strada 
ampliata  a  60  palmi  aggiuntovi  un  marciapiedi  di  15 
palmi  -  una  piccola  fontana  e  due  casucce  di  forma  esa- 
gona  agli  estremi  per  uffizii  doganali. 

Vennero  abbattute  alcune  fabbriclie  sporgenti  vesso 
r  entrata  dell'  arsenale  ,  e  tutte  le  altre  case  ridotte  a 
forma  migliore  ed  allineate — La  strada  ben  livellala,  e  di 
commodo  transito,  che  non  Io  era  prima,  alle  carrozze. 

Strada  S.  Lucia — Chiesa  di  S.  Lucia — Quartiere  de' 
Cannonieri  Marinari.  — Per  gli  ultimi  lavori  comandati  dal 
Re  Ferdinando  II  nel  1840  ,  dove  la  strada  del  Gigante 
sì  volge  ad  incontrare  quella  di  S.  Lucia,  il  pendio  venne 
menomato  di  un  terzo  >  e  da  SO  pai.  di  larghezza  venne 
di  palmi  127  —  Nel  punto  di  S.  Maria  della  Catena  da 
palmi  40  ,  si  ampliò  a  110.  Fu  inoltre  riedificato  con 
ben  inteso  prospetto  il  quartiere  de'  cannonieri  marinari. 

La  chiesa  di  S.  Lucia  alzata  con  la  strada  e  rico- 
struita ;  venne  ornata  di  un  pronao  di  greca  struttura. 
Spinti  verso  il  mare  i  venditori  della  contrada  ,  si  ren- 
dette comodamente  praticabile  il  lido  sottoposto  per  due 
ampie  e  comode  scale,  ed  aperti  comodi  magazzini  sotto 
la  strada.  Si  è  ripulita  la  magnifica  fontana  di  bianchi 
marmi,  dove  si  vedono  due  considerabilissime  statue  nude, 
sopra  due  delfini ,  che  formano  colonne  *,  nel  mezzo  vi 
sono  due  sirene  che  sostengono  una  tazza,  e  dalla  quale 
si  versa  acqua  nel  fonte,  con  altre  figure,  ed  ornamenti 
d' intagli  singolari  ,  opera  molto  bene  studiata  ,  e  mae- 
stosa ,  uscita  dallo  scalpello  del  nostro  Merliano.  Fu  fatta 
questa  nell'  anno  1606,  essendo  viceré  Gio:  Alfonso  Pi- 
mentel  conte  di  Benavente  ,  ed  in  questo  luogo  poscia 
trasportata  in  tempo  del  governo  del   cardinale  Borgia. 


—  35  — 
Opificio  neale  di  Pietrarsa. 

Sorgendo  la  nostra  marineria  a  vapore,  s' inlroducea 
nella  nostra  fonderia  il  novello  trapano,  per  forare  i  can- 
noni, posto  in  movimento  non  da  scarni  animali,  ma  da 
quella  forza  eh'  è  lo  slemma  del  secol  nostro.  Sorgeva 
istessamente  il  nobile  concetto  di  non  avere  più  a  mendicar 
macchinisti  forestieri  ,  ma  introdurre  fra  noi  ed  allevarne 
in  mezzo  un  semenzaio  ,  né  più  averci  a  rivolgere  per 
macchine  a  Londra  o  a  Parigi. 

Opificio  in  Pietrarsa  —  Con  tale  idea  sorgea  un  mo- 
desto Opificio  in  Torre  Annunziata,  e  fu  poscia  maestoso 
immaginato  nell'  anno  1840  sopra  1'  antica  batteria  di 
Pietrarsa  ,  e  man  mano  va  maestosissimo  rendendosi  ; 
imperocché  una  idea  chiama  l'altra,  ed  un' altra   ancora. 

Quindi  un  Real  Rescritto  del  di  8  febbraio  1841  , 
comandava  che  1'  Opificio  di  Pietrarsa  dipendesse  dalla 
Direzione  Generale  dei  corpi  facoltativi  ,  e  per  i  lavori 
da  costruirsi  per  la  marineria  di  Guerra  fosse  il  carico 
affidato  ad  ima  commessione  specialmente  a  ciò  nomi- 
nata —  Egualmente  pel  detto  Opificio  a  suo  luogo  se  ne 
darà  la  pianta  ed  una  esalta  descrizione  —  Il  direttore 
n  è  il  Maggiore  D.  Luigi  Corsi  d' artiglieria. 

Muro  Finanziero  —  Come  cambiano  i  tempi  !  Un 
giorno  era  Napoli  famosa  per  le  sue  mura  da  resistere , 
(  come  resistettero  )  alle  baliste  ,  agli  arieti ,  alle  cala- 
jnulte  dell'  inimico.  Scoverta  la  polvere  ,  e  facendosi  de- 
scrivere parabole  immense  ed  enormi  sfere  ferree  ,  inu- 
lili  ormai  si  rendettero  le  mura  ,  i  torrioni,  i  merli  — 
V  architettura  militare  cambiò  perfettamente  ed  il  Gay 
de  Vernau,  il  Cormataigne  ,  ed  i  Saint-Paul ,  i  Vauban 


—  se- 
dettero altri  modelli  per  i  muri  di  cinta  ,  per  le  leste 
dei  ponti  ,  per  i  ridotti  ,  per  i  fronli  fortificati  ,  per  le 
piazze  forti  -  A  chi  non  sono  note  le  famose  mura  di 
Napoli  ?  ma  dilatata  la  città  era  diflicile  impresa  rinchiu- 
derla in  una  cinta  di  opera  fortificata.  Solo  per  riguardi 
finanzieri  fu  ciò  eseguito  ,  imperocché  si  credette  esser 
da  tanto  da  evitare  il  contrabando  —  Ne  fu  1'  architetto 
Stefano  Gasse. 

Da  tratto  in  tratto  e  nei  punti  dove  immettono  le 
regie  strade  vi  sono  de'  monumenti  ad  uso  di  officine 
doganali  chiamate  barriere. 

Strade  di  Ferro  —  Illuminazione  a  gas  —  Napoli  è 
stata  la  prima  tra  le  città  d'Italia,  che  grazie  all'Ottimo 
Sovrano  Ferdinando  II,  à  avuto  due  strade  di  Ferro,  e 
r  illuminazione  a  gas. 

Delle  due  strade  di  ferro  ,  una  da  Napoli  porla  a 
Castellammare  e  Nocera  ,  ed  è  di  proprietà  di  azionisti 
rappresentati  dal  signor  Bajard  francese.  L'  architetto  ne 
fu  r  imprenditore  ,  e  gerente  signor  Bajard  ,  avendo  per 
ingegneri  di  dettaglio  diversi  giovani  architetti.  Fu  fatta 
neiranno  1839. 

La  seconda  porta  da  Napoli  a  Caserta  e  Capua  ,  e 
fu  fatta  dal  Rea!  Governo  ,  avendo  per  architetto  diret- 
tore il  signor  colonnello  D.  Clemente  Fonzeca  del  real 
Corpo  del  Genio  ,  e  per  ingegneri  di  dettaglio  i  più  di- 
sliuli  uffiziali  subalterni  del  Corpo  anzidetto.  —  Fu  ese- 
guita nel  1843. 

Due  altre  sono  in  progetto  ,  una  per  le  Puglie  ,  e 
r  allra  per  gli  Abruzzi  —  È  da  sperare  di  vederle  com- 
piute al  più  presto  che  è  possibile. 

Ponti  di  Ferro  sul  Garigliano  e  sul  Calore.  —  Nel- 
r  anno  1841  il  Re  mandava  in   Francia  1'  architetto  ca- 


—  37  — 
valiere  D.  Luigi  Giura,  Ispeltor  generale  d'  acque  e  stra- 
de ,  assistilo  dall'  ingegnere  del  Corpo  stesso  D.  Agostino 
la  Rocca,  onde  bene  esaminare  dei  ponti  di  ferro  per  farne 
nel  suo  reame.  Nel  fallo  tornato  il  signor  Giura  si  pose 
mano  a  quello  sul  Garigliano,  e  poi  un  secondo  ne  di- 
resse sul  Calore  —  Sono  eccellentemente  eseguiti  ,  anzi 
il  nostro  architetto  à  corretto  quello  Navier  sulla  Senna 
come  a  suo  luogo  dirò. 

Osservatorio  Meteorologico  Vesuviano.  —  La  costru- 
zione fu  dal  nostro  Sovrano  affidata  nel  1840,  all' Ar- 
chitello  Gaetano  Fazzini,  e  la  Direzione  al  fu  Cava- 
lier  Melloni.  Il  monumento  elevato  sopra  il  Monte  Vesu- 
vio ,  e  propriamente  al  sito  detto  il  Salvatore,  à  tre  or- 
dini. Il  sotterraneo  per  uso  di  Cucine.  Il  pian-terreno 
di  cui  una  porzione  serve  per  gli  usi  della  vita,  e  1'  al- 
tra per  quelli  della  Scienza.  Il  terzo  esclusivamente  desti- 
nato per  la  Fisica. 

Tutta  r  aerea  ò  cinta  di  mura  per  decenza  e  sicu- 
rezza dell'  edifizio ,  ed  inferiormente ,  a  livello  della  strada 
vi  è  r  abitazione  del  custode  comunicante  col  piano  della 
cucina  ,  che  gli  sovrasta  di  pochi  palmi. 

Le  facciate  dell'  Osservatorio  ergonsi  su  ampio  ba- 
samento con  finestrini  per  dar  luce  al  sotterraneo.  11 
pianterreno  è  decorato  con  colonne  doriche  a  portico,  al 
({ualc  si  ascende  per  due  ornati  sentieri  d'  una  maestosa 
gradinala.  I  vani  sono  ornali  ,  e  le  mura  benanche  con 
bozze  di  pietra  vesuviana  legate  tra  loro  con  anelli  di 
rame,  e  da  tratto  in  trailo  assodale  con  catene  metalliche 
che  passano  per  tutta  la  grossezza  dei  muri.  Genere  di 
costruzione  tanto  comune  negli  antichi  ,  e  poco  usato  dai 
moderni,  con  danno  della  solidità  delle  fabbriche. 

L'  ultimo  piano  à  nel  mezzo  ,  ed    in    corrispoiiden- 


—  38  ^ 

za  del  Portico  un  grande  attico  con  orologio  solare  ed 
ordinario. 

Merita  attenzione  la  facciata  verso  Settentrione,  che 
nella  parte  media  è  foggiala  a  torre  ottagona  con  diversi 
meccanismi  ad  uso  di  Meteorologia. 

Il  genere  di  Architettura  che  vi  trionfa  è  il  Greco- 
Romano  ,  di  grande  semplicità ,  quale  lo  richiedeva  l' in- 
dole dell'  Edilizio.  La  magnificenza  deriva  in  gran  parte 
dai  materiali  prescelti ,  che  sono  pietre  dure  ,  mattoni , 
lave  antiche  ,  tufi  di  Nocera  ,  e  della  falda  di   Somma. 

Nuovo  Camposanto.  —  Devesi  parimenti  alla  Magnifi- 
cenza di  Ferdinando  II ,  il  nuovo  Camposanto  ,  decan- 
tato da  tutti  gì'  intendenti  per  il  piìi  hello  in  Europa,  an- 
zi troppo  bello. 

Questo  nuovo  Camposanto  fu  principiato  nell'  anno 
1837.  E  diviso  in  Ire  parti.  La  prima  è  destinata  per  i 
sepolcri  delle  Confraternite ,  e  di  altre  pie  adunanze.  La 
seconda  pei  Sepolcri  e  Mausolei  di  particolari  famiglie. 
La  terza  finalmente  è  per  1'  inumazione  di  quei  cadaveri 
che  non  si  vogliono  mandar  all'  antico  Camposanto  pel 
pregiudizio  che  finora  si  sono  colà  sepelliti  i  morti  negli 
Ospedali. 

Un  Camposanto  ben  situato  ed  ordinato ,  è  più  in- 
teressante che  non  si  crede  per  una  gran  Capitale  come 
Napoli.  Lasciando  slare  quanto  nocevole  sia  il  seppellir 
nelle  Chiese  ;  egli  è  certo  che  1'  unione  degli  estinti  in 
un  sol  luogo  par  che  apra  con  essi  una  celeste  corri- 
spondenza di  amorosi  sensi,  e  congiunga  la  vita  con  la 
morte.  Pare  che  men  lontane  ci  siano  quelle  anime  delle 
quali  abbiam  vicino  le  spoglie  :  e  quante  memorie  ivi  si 
rinnovano  di  dolori  e  di  piaceri  comuni.  Lo  so  ben  io 
che  colà  vado  spesso  a  visitare  le  spoglie  di  cinque  miei 


—  39  — 
amatissimi  figli  ,  1'  ullìmo  perduto  all'età  di  16  anni  che 
di  già  mi  empiva  il  cuore  di  alte  speranze!!  Si  trema  a 
tale  vista  di  non  lasciare  eredità  di  affetti  ,  ed  i  monu- 
menti di  chi  disparve,  servono  non  solo  di  conforto,  ma 
di  scuola  ancora  a  chi  vive. 

In  molti  borghi  e  piccole  città  d' Inghilterra  il  Cam- 
posanto è  il  passeggio  pubblico  della  popolazione  ,  e  vi 
si  veggono  sparsi  molli  ornamenti  e  delizie  campestri.  Il 
cimitero  di  Scutari  rimpelto  Costantinopoli  è  formato  da 
un  delizioso  bosco  di  cipressi  sotto  dei  quali  sono  sparse 
le  tombe  abbellite  dagli  emblemi  della  eternità  ,  e  del- 
l' amore  dei  superstiti.  Un  lungo  viale  nel  mezzo  serv~e 
di  passaggio-  È  noto  che  gli  antichi  formavano  i  loro 
sepolcreti  lungo  le  strade  maestre  fuori  le  porte  della 
Città ,  come  per  indicare  che  un  passo  separa  la  vita 
dalla  morte.  Il  nostro  Camposanto  à  tutti  superato. 

Tu  ti'  i  popoli  del  mondo  anno  consagrati  questi  luo- 
ghi alla  Religione  ,  senza  della  quale  le  tombe  sono  og- 
geiti  anzi  di  orrore  che  di  pietà. 

Sarebbe  stato  meglio  ,  io  credo  ,  che  il  nuovo  Cam- 
posanto si  fosse  edificato  in  un  luogo  fuori  si  della  Città: 
ma  accessibile  al  maggior  numero  degli  abitanti.  In  una 
Cina  vasta  come  Napoli  vi  vorrebbero  tre  Camposanti  , 
due  alle  estremità  Orientale  ed  Occidentale ,  e  1  terzo 
sulle  Colline.  Progredendosi  perle  tombe  come  dal  1837, 
sin  oggi  si  è  progredito  -  il  nuovo  Camposanto  sarà  una 
città  di  morti  ,  molto  più  vasta  che  la  città  de'  vivi  ad 
altri  50  anni. 

Vi  avrebbe  dovuto  essere  altro  Porticato  al  di  fuori 
di  quello  che  à  fatto  la  Città  ,  dove  fosse  stato  ad  ognu- 
no permesso  alzare  dei  monumenti  alle  care  persone. 

Nel  mezzo  det  Campo-santo  vi  vorrebbe   un  Sacro 


—  40  — 

recinto  a  forma  di  Panteon  ,  dove  e  pii  ecclesiastici  ,  e 
ministri  benefìci ,  e  probi  magistrali  ,  e  valorosi  guerrieri 
e  dotti  ,  ed  artisti  avessero  dei  monumenti,  50  anni  però 
dopo  la  loro  morte  ,  quando  non  più  la  vile  adulazione 
ma  r  imparziale  storia  gli  avesse  giudicati. 

Air  aspetto  di  un  gran  numero  di  uomini  grandi  ;, 
la  polvere  stessa  delle  tombe  diviene  faconda ,  l' animo  si 
l'ialza  ,  ed  i  giovani  si  accendono  ad  egregie  cose.  At- 
tualmente noi  non  sappiamo  parlare  al  cuore  ,  e  ci  la- 
gniamo che  il  cuore  sia  nullo  nei  moderni. 

Non  più  darei  termine  a  questa  mia  prefazione,  se 
accennar  solo  io  volessi  le  molliplici  opere  ,  che  dm-ante 
r  Impero  dell'  attuale  Augusto  Monarca  Ferdinando  II  , 
sono  state  eseguite.  Nel  rifacimento  ed  ampliazioni  nelle 
fortificazioni.  Nella  costruzione  di  un  bel  porlo  militare, 
con  bacino.  Per  la  ricostruzione  della  strada  Toledo.  Per 
r  aperture  di  parecchie  nobili  e  comode  strade  intorno  la 
Capitale  ,  e  nel  Regno  tutto.  Delle  strade  aperte  dentro 
della  nostra  Città.  Nel  magnifico  Tempio  in  Gaeta.  Nel- 
la decenza  ,  e  nobihtà  data  alle  piazze  per  la  vendila 
de'  commestibili  -  e  cosi  da  mano  in  mano  all'  ultima  co- 
struzione del  Porlo  d'  Ischia. 

Tutte  queste  salutari  disposizioni  saranno  nell'  opera 
mia  minutamente  trattate  ,  a  suo  luogo  ;  e  con  i  disegni 
dei  corrispondenti  monumenti. 

L'ordine  che  serberò  nello  esporre  i  Monumenti  sarà 
di  dare  prima  la  vita  dell'Architetto  per  ordine  cronologi- 
co, con  l'accenno  in  conseguenza  delle  opere  da  lui  proget- 
tate ed  eseguite  ,  e  come,  e  d'ordine  di  quale  Sovrano 
Signori,  ed  altri.  Indi  la  esatta  descrizione  di  questi  Monu- 
menti con  una  minuta  analisi  di  tutti  i  capo  lavori  (secondo 
le  epoche)  ivi  esistenti.  Finalmente  le  fasi  di  questi  Monu- 


—  41  — 
menti ,  o  per  abbandono  -  o  per  immegiiamenti  ,  aggiun- 
zioni ,  ampliazioni  e  nuove  decorazioni.  Alla  fine  dell'o- 
pera per  facilità  del  riscontro,  e  richiamo  alla  memoria 
di  quanto  avrò  esposto  ,  darò  un  quadro  in  quattro  co- 
lonne. Nella  prima  sarà  indicata  1'  epoca  che  sorgea  il 
Monumento.  Nella  seconda  il  nome  del  Monumento.  Nella 
terza  il  nome  dell'  Architetto  inventore  e  direttore.  Nella 
quarta  i  Sovrani  Signori  ed  altri  che  l'  anno  ordinati. 

In  ogni  fascicolo  darò  un  disegno  di  un  Monumento 
alla  rinfusa;  la  tavola  però  col  suo  numero  corrispondente. 
Terminala  1'  opera  sarà  ligata  regolarmente.  Se  poi  l'ope- 
ra mia  sarà  d'  utile  e  di  gradimento  al  pubblico  in  mo- 
do, che  a  ciò  mi  convingo  con  un  numeroso  smaltimento, 
darò  nel  supplemento  i  progressi  dell'  Architettura  divisa, 
in  ire  epoche. 

Nella  prima  parlerò  degli  Architetti  antichi  ;  cioè 
prima  di  Pericle  450  anni  avanti  G.  C.  da  questa  sino 
ad  Alessandro  il  Macedone  cioè  per  altri  150  anni.  Da 
Alessandro  fino  ad  Augusto ,  e  da  Augusto  sino  al  de- 
cadimento dell'  Architettura ,  cioè  sino  al  quarto   secolo. 

Nella  seconda  dalla  decadenza  sino  al  suo  ristabili- 
mento, vale  a  dire  da  Costantino  a  Carlo  Magno.  Da  Carlo 
Magno  cioè  dal  secolo  IX  sino  al  Secolo  XV. 

Nella  terza  dal  ristabilimento  dell'  Architettura  sino 
oggi ,  cioè  dal  secolo  XV  al  secolo  XIX. 

In  queste  diverse  epoche  accuratamente  e  senza  amor 
di  parte  indicherò  quale  posto  vi  anno  aVuto  i  Napolitani. 


Sasso  —  Voi.  I. 


CENNO 

SUllA  VITA  BEH'  ARCHITETTO 


BUONO 


Con  la  (losei'izionc  e  fasi  delle  sue  opere  eseguile  in  IV'IPOU 


CONSISTENTI    NEI   CASTELLI 


DI  CAPUANA  E  DELL  OVO 


A-è-eX^'^Xs-^v 


Anuo  -  116i. 


Ovunque  sosti,  ovunque  il  passo  arresti 
La  tomba  d'  un  Eroe  sempre  calpesti. 


i^i  accenna  da  parecchi  scrittori,  e  sembra  certezza,  che  sotto 
il  Regno  di  Guglielmo  il  malo  ,  1'  architetto  Buono  costruì  d'  or- 
dine del  detto  Sovrano  i  due  Castelli  di  Capuana  e  dell'  Ovo  ,  e 
ciò  nel  1164.  Notizie  sulla  nascita  ,  vita,  ed  opere  di  questo  ar- 
chitetto altro  non  ò  potuto  io  conoscere  se  non  che  chiamato  da 
Re  Guglielmo  a  costruire  detti  Castelli ,  sali  a  tanto  la  sua  fa- 
ma ,  che  fu  chiamato  in  Veìiezia  ,  e  colà  fece  delle  buone  fab- 
briche. Che  sia  nostro  Regnicolo  è  fuor  di  dubbio  ;  ma  dove  ,  e 
da  chi  fosse  nato  1"  ignoro. 

Soltanto  il  Milizia  queste  poche  parole:  —  Fu  architetto  e 
scultore  più  abile  del  suo  tempo. 

Fu  impiegato  nel  11S4  (sarebbe  prima  d'aver  compiti  i  Ca-, 
stelli  in  Napoli  )  da  Domenico  Morosini  in  Venezia  intendente  an- 
che egli  di  architettura  ad  erigere  il  famoso  campanile  di  s.  Marco 
(gloria  immensa  ai  Napolitani.)  Altro  di  lodevole  non  à  quest'o- 
pera che  la  sola  fermezza ,  essendo  stato  si  bea  fondato  e  palifi- 
cato che  da  tanti  secoli  non  à  mai  mosso  un  pelo  ,  di  quel  eh 'è 
accaduto  diversamente  ad  altre  simili  torri.  La  sua  altezza  è  di 
300  piedi  ,  e  la  grossezza  40.  Non  si  sa  di  dove  fosse  questo 
Buono  :  si  sa  bensì  eh'  egli  fece  molte  opere  altrove.  In  Napoli 
il  Castel  Capuano  ed  il  Castello  dell'  Uovo  -  A  Pistoja  la  chiesa 
di  s.  Andrea.  -  A  Firenze  dette  il  disegno  per  ingrandire  la  chiesa 
di  s.  Maria  Maggiore  .  di  cui  restano  ancora  lo  mura  maestre  , 
e  le  volte.  In  Arezzo  fece  la   casa  della  città  con    un  campanile. 


—  i6  — 
ISeUc  opere  di  Buono  si  vede  un  pò  meno  di  quel  barbaro  arabo 
che  allora  era  tanto  in  voga.  Il  Vasari  nella  vita  di  Arnolfo  di 
Lapo  5  dice  ,  essere  costante  opinione  che  Buono  fu  napolitano  , 
affermandolo  in  alcune  note  il  cavalier  Massimo  Slanzioni ,  e  che 
da  Napoli  fu  chiamalo  in  Venezia  ,  e  nelle  altre  citta  che  al  di 
sopra  ò  rapportato  come  dice  il  Milizia.  -  Inesatte  notizie ,  ripeto, 
imperocché  come  potea  nel  11S4  essere  conosciuto  per  le  opere  che 
in  Napoli  far  dovea  nel  1164? 

Trattandosi  di  dar  contezza  del  caste!  dell'  Ovo,  e  risveglian- 
do questo  scoglio  antiche  reminiscenze ,  credo  non  aver  taccia  di 
prolisso  se  ne  do  1'  origine  e  le  fasi  susseguenti  a  cui  questo  fa- 
moso sito  fu  soggetto. 

Credeasi  un  giorno  dal  volgo  ,  che  Virgilio  Marone  1'  abbia 
fatto  dar  questo  nome  per  avere  incantato  un  ovo  -  chiuso  que- 
st'  ovo  in  una  bottiglia  ,  e  la  bottiglia  in  una  gabbia  di  ferro  , 
che  fu  posta  in  una  ben  custodita  stanza  -  disse  che  quel  Castello, 
che  si  dicea  Ncirino,  tanto  sarebbe  durato  quanto  quell'ovo  si  man- 
tenea  -  E  ciò  per  i  fatticelli  ai  bimbi  del  nostro  Giovanni  Villani. 

La  grotta  di  Pozzuoli  pure  si  dicea  fatta  da  Virgilio  per  in- 
canto  -  Il  fatto  si  è  che  un  giorno  il  re  Roberto  passando  per  delta 
grotta  in  compagnia  di  raesser  Francesco  Petrarca  ,  per  celia  ri- 
petea  tali  fole,  e  l'insigne  Poeta  rispose  ,  che  egli  sapea  Marone 
essere  stato  un  gran  poeta  ,  e  non  un  gran  mago  -  Ai  tempi  di 
\  irgilio  questo  luogo  che  vado  a  descrivere  non  mai  sognò  di 
essere  Castello. 

Alcuni  dei  nostri  accurati  scrittori  portano  che  si  dica  del- 
l'ovo  per  la  forma  ovale  ch'esso  tiene  -  Questo  nomo  fu  primo  a 
darglielo  Carlo  1°  d' Angiò  (1266),  venendo  chiamato  si  dai  Nor- 
manni ,  che  dai  Svevi.  Casinim-  Lucullanum 

Altri  scrivono  che  qu'i  fosse  stata  I'  antica  Megara,  città  gre- 
ca ,  e  ciò  sembra  che  abbia  regolare  fondamento  :  imperocché 
quando  il  mare  è  tranquillo  ,  da  passo  in  passo  nel  suo  fondo  si 
veggono  chiaramente  molte  vestigia  di  auliche  fabbriche  relicolale, 
e  lateriche  -  Dice  il  Celano  che  conoscea  un  vecchio  chiamato  Giu- 
seppe Cardone  eh'  era  il  più  gagliardo ,  destro  ,  e  valente  nuota- 
tore (  e  qui  la  dice  grossa  )  che  stava  per  mezz'  ora  soli'  acqua  - 
Soggiunge  che  il  detto  Cardone  si  portava  nella  sua  gioventù  a 
nuotare   ne'  dintorni    del  Castello  dov'  erano  moltissime   muraglie 


—  47  — 
sotl'  acqua  ,  e  spesso  vi  trovava  qualche  medaglia  ,  qualche  ca- 
raeo  ,  ed  una  volta  trovò  degli  idolelti  di  bronzo  che  regalò  al 
padre  suo.  Ci  riporta  ancora  ,  che  il  Cardone  si  portò  un  giorno 
per  un  buco  dentro  di  una  gran  volta  :  ma  intimorito  dal  sospetto 
di  qualche  fiera  marina  per  le  acque  che  si  moveano  ,  perdette 
di  vista  lo  ingresso  ,  ne  disperava  1'  uscita  ,  e  temette  morirne  , 
ma  ricorso  all'  aiuto  della  Madre  della  Misericordia  ,  trattenutosi 
sovr'  acqua ,  vide  di  nuovo  1'  adito  ,  e  ne  usci  salvo. 

In  questo  luogo  Luculio  fabbricò  il  suo  palazzo  emporio  di 
comodi  ,  di  lusso  ,  e  di  delizie ,  in  modo  che  chiamavasi  il  silo  - 
le  delizie  Lucullane. 

Qui  furono  piantate  la  prima  volta  in  Italia  le  ciriege  che 
Luculio  fece  venire  da  Cerasunto  ,  e  le  pesche  da  Persia:  ma  per 
più  goderne  de'  fiori  che  delle  frutta  credendo  che  in  Na|ioli  a- 
vcssero  dovuto  riuscir  velenose  ,  come  in  Persia:  ma  non  fu  cosi; 
giacche  il  nostro  terreno  so  ne  succhia  la  parte  nociva  ,  e  dimo- 
strazione ne  è  che  seccando  una  pianta  di  pesche  ,  se  nel  sito 
vuoi  piantarvi  pianta  di  altra  specie,  al  momento  secca,  se  la  terra 
per  qualche  tempo  non  la  lasci  sfumare,  e  poi  l'ingrassi  di  nuovo. 

Dalla  parte  d'  occidente  ,  che  guarda  Posilipo  ,  vi  sono  le 
famose  peschiere  delle  murene  del  detto  Luculio,  e  quando  è  cal- 
meria se  vai  con  una  barclielta  a  diporto  colà  ,  poco  lungi  dal 
castello  ,  puoi  osservarle  benissimo.  Sono  tre  ,  e  ad  una  eh'  è  di 
figura  ellittica  vi  si  veggono  nella  bocca  i  canaletti  per  dove  ,  è 
probabile  ,  calavano  i  ripari  a  chiuderla. 

Questa  punta  di  monte  stava  forse  unita  con  quella  di  Piz- 
zofalcone.  Per  un  gran  tremuoto  avrà  potuto  separarsi  dalla  terra 
ferma  ,  e  si  ridusse  in  isola. 

Cominciò  poscia  ad  essere  abitato  come  delizia.  I  monaci  Ba- 
siliani  vi  fabbricarono  un  monastero  ,  ed  una  chiesa  dedicata  al 
Salvatore.  Ecco  motivo  che  venne  detta  Isola  del  Salvatore. 

In  questo  monastero  mori  la  santa  vergine  Patrizia  quan- 
do la  seconda  volta  venne  in  Napoli  trasportata  da  una  tempesta. 

Questo  monastero  fu  poi  conceduto  ai  monaci  Benedettini,  e 
la  cliiesa  fu  intitolata  s.  Pietro  :  ma  non  si  conosce  in  che  tem- 
po ,  e  come  accadesse. 

La  storia  tace  sino  al  1164  ,  come  di  sopra  si  è  detto.  Morto 
re  Guglielmo  nel  1166  ,  restò  questa  fortezza   imperfetta  ,  (  forti- 


—  i8  — 
ficaia  però  all'  uso  di  quei  tempi ,  e  pria  della  invenzione  della 
polvere  )  -  nò  Guglielmo  2"  dello  il  buono  ,  né  i  suoi  successori 
cercarono  di  finirla  e  di  mantenerla;  di  modo  che  il  solo  nome  gli 
rimase  di  fortezza  ,  e  quasi  interamente  stava  in  potere  dei  Be- 
nedettini, 

Neil'  anno  1222,  Federigo  II"  Svevo  Imperatore  e  Re  di  Na- 
poli dopo  di  essere  stato  coronato  in  Roma  tornò  in  regno  con 
l'archi  letto  Niccolò  Pisano  fiorentino,  il  quale  dopo,  come  si  dirà, 
d'aver  finito  quello  di  Capuana  ,  fortificò  questo  con  molte  torri 
delle  quali  oggi  appena  ne  appariscono  delle  vestigia. 

Il  monastero  dai  Benedettini  fu  conceduto  alle  monache  di 
s.  Sebastiano  ,  e  ciò  sotto  il  reame  Angioino. 

Neil'  anno  1302  ,  fu  espugnato  da  Pietro  Navarro  gran  sol- 
dato ,  e  non  ostante  che  era  cinto  di  acque  fu  minato  dalla  parte 
sinistra  verso  terra  —  e  queste  furono  le  prime  mine  che  si  vi- 
dero in  Napoli  dopo  la  fatale  scoperta  della  polvere. 

Reslò  molto  mal  ridotto  ,  e  particolarmente  dai  flussi  del  ma- 
re. Nel  lodo  ,  fa  ristaurato  dal  vice-re  D.  Giovanni  Zuuica  conte 
di  Miranda  ,  sotto  1'  altro  vice-re  conte  di  s.  Stefano  vi  si  aggiunse 
dalla  parte  di  oriente  un  fortino  detto  alle  mulina  per  dei  mulini 
a  vento  che  un  tempo  colà  esistevano,  e  questo  fortino  fu  costruito 
per  avere  i  tiri  a  fior  d'  acqua.  Nel  fabbricarsi  detto  fortino  vi  si 
trovarono  de' vestigi  di  antichi  edifizj. 

Dentro  di  questo  castello  oggi  ben  fornito  di  batterie  con  un 
numero  di  6a  cannoni  di  diverso  calibro  ,  vi  erano  molte  armi 
antiche  ,  specialmente  delle  baliste  ,  trasportate  all'  armeria. 

Sotto  la  stanza  della  munizione  vi  è  parte  dell'  antica  chiesa 
del  Salvatore  ,  che  come  si  è  detto  venne  poscia  denominata  di 
s.  Pietro,  ed  era  nel  17°  secolo  tutta  dipinta  alla  maniera  greca. 
Vi  era  un  arcolrave  fisso  nelle  mura  intagliato  ,  e  dorato ,  e  nel 
mezzo  un  massiccio  lampadare  di  bronzo  avanti  ad  una  candidis- 
sima cassa  di  marmo  (forse  di  alabastro)  -  Stava  delta  cassa  sco- 
verta ,  e  dentro  vi  erano  tre  teste  spolpate  ,  un  cranio  ,  ed  un 
osso  di  gamba  -  Nel  fronte  di  detta  cassa  vi  era  una  croce  greca 
con  sei  nomi  di  santi  in  latino  ,  e  fra  questi  Sanctus  Stephanus  - 
Vi  sono  le  stanze  del  parroco  in  ispagnuolo  Curato  -  da  queste 
stanze  si  cala  alle  cellette  dove  a  di  13  agosto  36o  ,  passò  in 
cielo  s.  Patrizia,  e  contigua  a  questa  si  veggono  le  vestigia  del- 


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l'antico  monastero  -  lutto  ciò  è  stato  da  me  osservato  oggi  20 
sellerabre  183ÌJ  ,  però  vi  ò  scorto  che  l'attuale  livello  non  è  quel- 
lo d'  allora  ,  essendo  stato  di  molto  rialzato  :  e  le  molte  pitture 
a  fresco  delle  gesta  della  santa,  e  quelle  della  nave  sono  cose  fatte 
molti  secoli  dopo  la  morte  sua;  Come  ancora  ò  esaminato  la  stan- 
za dove  è  oggi  riposto  il  vino,  i  salami,  e  le  legna.  Questo  com- 
preso è  diviso  con  quattro  archi  di  fronte,  alla  detta  gotica  ,  che 
tre  volte  si  ripetono  nello  sfondato,  poggiando  le  spalle  sopra  no- 
ve capitelli  dorici  sovrastanti  a  nove  fusti  di  colonne  scanalate  di 
fino  marmo  cipollino,  le  quali  escono  per  4  palmi  sovra  il  baso- 
lato  attualo  della  dotta  stanza. 

Forse  la  chiesa  di  s.  Sebastiano  ò  quella  che  per  le  fasi  accen- 
nate è  stata  colmata  e  poi  basolata,  e  poi  destinata  all'  uso  anzi- 
detto -  Chi  sa  che  cosa  vi  sarà  sepolta  al  di  sotto,  ed  io  stetti  contem- 
plando il  lavorìo  delle  scanalature,  riflettendo  che  erano  colà  col- 
locale quelle  nove  colonne  niente  meno  che  da  14  secoli  -  Quante 
rimembranze  -  percorrendo  con  la  storia  alla  mano  gli  avvenimen- 
ti, e  le  fasi  accadute  nel  lungo  periodo  di  millcqualtroccnto  an- 
ni ;  quindi  esclamava  nella  mia  terra  natia 

Ovunque  sosto,  ovunque  il  passo  arresto  ; 
L'urna  di  qualche  Eroe  sempre  calpesto! 

In  questo  castello  attualmente  vi  sono: 

Un  vasto  magazzino  di  polvere  che  e  circa  4  palmi  al  di  so- 
pra del  livello  del  mare.  Si  cala  in  essa  polverista  per  ampia  e 
comoda  scalinata  di  circa  28  gradini. 

Vi  sono  62  pezzi  di  cannone  di  grosso  calibro  ,  e  tre  mor- 
tai situali  in  numero  7  belterie  diverse  verso  i  tre  lati  di  mare  - 
À  una  guarnigione  di  due  compagnie  di  linea  della  forza  di  300, 
uomini  ,  ed  una  di  artiglieria  di  160  uomini. 

Vi  è  un  carcere  denominalo  il  camerone  degli  aggraziati  - 
È  destinato  attualmente  pe'  condannati  al  presidio  ;  di  cui  potrebbe 
contenere  sino  a  360. 

Vi  è  la  nuova  parrocchia  Regia  costruita  per  ordino  di  S.  M. 
Ferdinando  II"  nel  1846  ,  la  quale  è  molto  bene  tenuta ,  e  si 
presta  perfettamente  al  comodo  della  guarnigione  -  Vi  ò  un  par- 
roco ,  ed  un  assistente. 

11  detto  castello  viea  comandalo  da  un  Colonnello  dello  sLato 

Sasso  —  Voi.  I.  10 


—  50  — 
maggiore  territoriale  dipendente    dal  General  comandante  la  Pro- 
vincia e  Piazza  -  questo  comandante  à   sotto  i  suoi  ordini  un  aiu- 
tante maggiore  del  Forte  ,  e    tre  subalterni   tra  gli  uffiziali  della 
2.  classe. 

Vi  sono  delle  stanze  destinalo  per  punizione  degli  uffiziali  che 
per  mancanze  ai  propri  doveri;  o  dai  superiori ,  o  dal  Re  ven- 
gono messi  in  castello  ,  imperocché  per  i  delitti  gravi  sono  gli 
uffiziali  mandati  a  quello  di  s.  Ermo. 

Castel  Capuano  —  VicarL-s  —  Trihiinali. 

Fu  edificalo  per  castello  da  Guglielmo  I"  Normanno  .  e  fu 
abitazione  dello  slesso  Guglielmo  ,  e  de'  suoi  successori. 

Fu  poscia  nell'  anno  1231  ,  ridotto  in  miglior  forma  .  e  fi- 
nito da  Federigo  Svevo  per  opera  dell'  architelto  Giovanni  Pisa- 
no -  Restò  per  abitazione  do'  re  angioni  ed  aragonesi. 

Avendo  poi  Ferrante  T  d'  Aragona  principialo  ad  ampliare 
la  città  ,  e  circondatala  di  nuove  mura,  il  detto  castello  rcslò  den- 
tro ne  serviva  più  per  cosa  alcuna  ,  ecco  ragione  che  fu  donalo 
a  Carlo  della  Noja  principe  di  Sulniona. 

Volendo  D.  Pietro  di  Toledo  unire  luti'  i  tribunali  ,  ne  tro- 
vando luogo  più  opportuno  che  il  vecchio  caslel  Capuano  ,  se  lo 
fece  cedere  dal  principe  di  Sulmona  ,  e  lo  -ridusse  comodo  per 
lutti  i  tribunali  di  allora  ;  ciò  avveniva  nell'  anno  11540. 

Vi  era  il  tribunale  detto  del  Regio  Sagro  Consiglio,  che  pri- 
ma stava  nel  chiostro  di  s.  Chiara  ,  e  nominavasi  Consiirlio  di 
s.  Chiara.  Questo  tribunale  aveva  quattro  ruote,  e  ciascuna  mola 
cinque  consigheri  ,  e  '1  capo-ruota  ,  in  tutto  erano  23  magistrati, 
perchè  due  presedevano  capi  nella  ruota  della  Vicaria  criminale, 
e  dun  altro  presedeva  al  Governo  di  Capua.  Ve  n'era  un  altro 
ancora,  il  quale  si  mandava  assessore  al  Vice  Re  in  Sicilia,  col  ti- 
tolo di  Consultore  della  Monarchia. 

Nel  1783,  fu  da  S.  M.  Ferdinando  I.  Borbone  stabilito,  che  la 
carica  di  Conservatore  di  quel  Regno ,  che  era  come  un  fiscale 
delle  rendile  Reali  si  fosse  occupalo  da  un  Ministro  togato  del  S. 
R.  C.  di  Napoli.  D'allora  il  numero  degli  individui  logali  di  que- 
sto Tribunale  fu  di  trenta  ,  cioè  20  stabiliti  nelle  quattro  sue  ruo- 
te, quadro  capi  della  G.  C.  Criminale  .  il  Govornalorc  di  Capua, 


—  31  — 

il  Conservatore  e  Consultore  di  Sicilia ,  e  '1  presidente  del  S.  R. 
C.  la  più  sublime  carica  del  Regno. 

Avanti  di  queste  quattro  ruote  vi  era  un  ampio  gran  Salone 
dove  si  trattenevano  gli  Avvocati ,  e  vi  erano  lo  panche  de'  ma- 
stri—  d'atti  e  scrivani. 

Nei  giorni  di  Tribunale  nel  Salone  medesimo  si  vedevano,  e  si  veg- 
gano aggirarsi  migliaja  d' uomini  che  vanno  a  trattarvi  i  loro  af- 
fari, di  tal  che  spesso  non  senza  difficoltà  vi  si  cammina. 

Vi  era  in  quei  tempi  un  segretario  e  dei  portieri  ,  e  non  si 
trattavano  che  liti  tra  particolari. 

Il  salone  in  cui  sedevano  gli  avvocati  fu  ornato  nella  maniera 
come  oggi  ancora  si  vede,  (è  il  lungo  compreso  dell'odierno  Tri- 
bunal Civile),  e  fu  dipinto  nell'  anno  1752  da  Giovan-Rattisla  Na- 
tali Piacentino  —  Le  figure  poi  della  Statua  equestre  del  Re  ,  e. 
delle  virili  che  gli  fanno  corona,  come  de' legislatori  antichi,  che 
si  veggono  dentro  del  lanternino,  e  de' Sovrani  del  Regno,  che 
anno  promulgate  le  nostre  Leggi,  sono  tutte  del  pennello  di  Carlo 
Amalfi. 

Le  due  iscrizioni  1' una  in  versi  sotto  la  Statua  del  Re,  e  l'al- 
tra che  e  a  fronte,  sono  del  celebre  Consigliere  D.  Giuseppe  Au- 
relio di  Gennaro  —  eccole. 

Solfo  la  figura  oqucslrc  del  Re. 

Fama  tot  ingeniis  ,  tot  onoribis  obta  ,  Senatis 
Tam  major  per  te  ,  Carole  ,  im  orbe  Sonat  , 

UtiLITAS   PopLLIS  ,    Co.VSLLTlS  NORMA  ,    L0GATI3 

Gloria  qias  dederas  ,  legibls  alcta  flit 

Recti  cognitis  ,  dos  linguae  ,  mentis  acimen 

notabilitant  pompa  splend1di0re  forem. 

ista  dia  sub  te  felicia  tempora  clrrant, 

TaLIA   sub   NATI    EXPERIUNDA   TUIS. 

jsotlo  i^  impresa  acl  Re  Carolo. 

Pio,  FELICI,  Triumphatori 

Napolis,  Siciltae,  Hierusalem  Re6e 

Marchione  Carolo  Danza 

Praeside  Sacri  Recii  Consilu 

Arcis,  Capuanae  JEdes 

Regio,  Olim,  Domicilio 


—  52  — 

HlIC    BEINDE  SeNATII   HaBENDO. 

Deseinatae 

Magnitldine,  QtiDEM,  Adspectabiles 

RlTORlS  Inopes 

In  iianc  elegantiam 

Dia   DESIDERATA» 

Tantam  semel 

Pro  dignitate  noxc  adsolotam 

Advocatorim  aere  consllato 

ReSTITLLML'R   ORNATIR 

Ann.  ciodcclii. 

Da  questo  si  passava  per  un  corridoio  ia  due  altri  gran  Saloni 
ìq  capo  de'  quali  vi  era  la  Ruota  della  Regia  Camera ,  dove  si 
trattavano  i  negozi!  del  patrimonio  Regio  e  degli  interessi  Came- 
rali. Yi  erano  sei  Presidenti  dottori,  tre  Italiani,  e  tre  Spagnuoli, 
e  poscia  tulli  sei  Italiani,  e  poi  portato  il  numero  a  nove.  Vi  era 
il  suo  Avvocato  e  Procurator  fiscale. 

Quattro  avvocati  fiscali,  due  togati  e  due  detti  dei  conti,  e  24 
razionali.  Dovea  presedere  a  questo  Tribunale  il  gran  Camerario; 
ma  dal  Re  vi  si  destinava  un  Ministro  col  titolo  di  Luogotenente. 
Presso  di  questa  ruota  vi  era  la  ruota  dei  Conti  in  due,  e  le  stanze 
per  i  Razionali,  e  nei  Saloni  le  panche  pe'  maestri  d'  atti ,  e  gli 
Attuari— Vi  era  sopra  un  meraviglioso  Archivio. 

Nella  cappella  dove  prima  del  Tribunale  si  ascoltava,  e  si  ascolla 
dai  Magistrali  la  messa  dello  Spirilo  Santo,  che  è  sulla  sinistra  en- 
trando nel  primo  Salone,  oggi  Salone  del  Tribunale  Civile ,  vi  è 
un  bellissimo  quadro  della  pietà  del  Polidorino. 

Neil'  anno  1770  furono  questi  Saloni  ornati  con  dipinture  delle 
dodici  Provincie  del  Regno  figurate  in  allretlanle  donne  co' loro 
emblemi,  e  varie  virtù,  ed  il  Re  dipinto  a  cavallo. 

Nel  1789  si  fabbricò  un  altra  Ruota  di  pianta  nel  cortile  delle 
carceri,  che  corrisponderebbe  all'attuale  seconda  Camera  della  G. 
C.  Civile  — Ebbe  in  detto  anno  una  riforma  il  Tribunale  ;  impe- 
rocché olire  al  Luogotenente  vi  erano  dieci  Presidenti  togati ,  e 
cinque  di  spada  e  cappa  ,  oltre  i  soprannumerari.  Due  fiscali  to- 
gati, e  due  di  toga  breve. 

In  ogni  ruota  sedeano  quattro  Presidenti  togati  ed  uno  non  to- 
gato, un  fiscale  togato,  e'I  segretario.  Nella  terza  Ruota  sedea  un 
Presidente  togato,  tre  di  spada  e  cappa,  e  due  fiscali.  Un  allro 


—  53  — 
Presidenle  si  mandava  al  governo   della  Dogana  di  Foggia  — In 
questo  Tribunale  si  trallavano  tulle  le  cause  altinenli  al  Real  pa- 
trimonio, e  tulle  le  cause  Civili  e  Criminali  di  coloro  che  per  es- 
sere addetti  al  Real  patrimonio  godevano  il  privilegio  del  foro. 

Tulle  le  pitture  fatte  in  questa  nuova  ruota  furono  lavori  del 
Gamba ,  e  1"  Architetlo  che  diresse  l' opere  fu  il  Tavolarlo  del  S. 
lì.  C.  ed  Ingegner  Camerale  Giuseppe  Pollio. 

Da  questo  Tribunale  si  passava  a  due  altre  sale  della  Vicaria 
dette  la  Gran  Corte.  Nella  prima  si  trattavano  le  cause  Civili  ,  e 
vi  erano  due  Ruote,  ed  ognuna  di  esse  con  tre  Giudici  biennali— 
Kella  seconda  si  giudicavano  le  cause  criminali,  e  vi  sedeano  sei 
Giudici  due  Consiglieri  per  capi-ruota,  e  due  fiscali  togati,  ed  un 
Prociirator  fiscale.  Questo  Tribunale  giudicava  tutte  le  cause  non 
solamente  della  Cillà;  ma  ancora  di  tutti  i  Tribunali  del  Regno  co- 
si Raronali  come  Regii  in  grado  di  appello — Dipendeva  dal  S.R.C. 
A  questo  Tribunale  avrebbe  dovuto  presedere  il  gran  Giustizie- 
re, ma  in  suo  luogo  vi  si  destinava  un  Ministro  col  titolo  di  Reg- 
gente. 

I  Tribunali  erano, 

1."  11  S.  R.  Consiglio  istituito  nel  1442,  da  Alfonso  I.  d'A- 
ragona, superiore  a  tulli  gli  altri,  e  le  sentenze  si  profferivano  in 
nome  del  Re ,  dandosi  nelle  suppliche  al  Presidente  il  titolo  di 
S.  R.  M. 

2."  Il  Tribunale  della  Regia  Camera  della  Sommaria ,  fu 
fondato  dall'  Impcrator  Federigo  nel  1200.  Nel  1444,  fu  riformalo 
dal  suUodalo  Re  Alfonso. 

3.°  La  Gran  Corte  della  Vicaria  fu  pure  istituita  da  Re  Al- 
fonso I,  e  fu  così  chiamata  dall'  unione  che  ne  fece  de'  due  tri- 
bunali j  uno  detto  la  G.  C.  del  mastro  Giustiziere  istituito  da  Fe- 
derigo II,  e  l'altro  detto  la  Corte  della  Vicaria,  che  rappresenta- 
va la  persona  del  Vicario  Generale  del  Regno  ,  istituito  da  Re 
Carlo  I,  d'Angiò.  Per  le  scale  del  detto  Tribunale  della  Vicaria 
si  saliva  ad  un  altro  Tribunale  dello  della  Zecca,  che  altro  ca- 
rico non  avea  che  di  marcare  con  un  segno  Regio  i  pesi  e  le 
misure  — Avea  il  suo  Giudice,  ed  altri  impiegati,  e  prima  stava 
presso  la  Chiesa  di  S.  Agostino. 

Vi  era  un  altro  Tribunale  detto  della  Bagliva  nel  quale  som- 
mariamente si  trattavano  le  cause  di   30   carlini   in   giù.  Questo 


Tribunale  stava  vicino   la  Cbiesa    della    Incoronala    in    un  violo 
dello  della  Bagliva. 

Sotto  di  questi  Tribunali,  in  caslel  Capuano  vi  erano,e  vi  sono 
tuttavia  le  carceri!  Sono  capienti  a  contenere  sino  a  2000  condannati. 

Nel  cortile  a  rimpetto  evvi  un  Leone  di  marmo  sopra  diver- 
se fonticelle  ,  cb'  erano  le  antiche  misure  del  Vino  ,  dell'  Ogiio  , 
e  di  altre  cose  che  si  vendevano  da'boUegai. 

In  questo  castello  abitandovi  la  Regina  Giovanna  li,  succes- 
se r  infelicissimo  caso  di  Ser  Giovanni  Caracciolo. 

Cosi  eran  disposte  le  cose  sino  all'abolizione  della  Baronia  ed 
alla  pubblicazione  della  nuova  nostra  legislazione. 

L'amministrazione  della  giustizia  nella  Città  di  Napoli  tanto  per 
ciò  che  risguarda  la  giustizia  e  la  tutela  de' dritti  Civili  insepara- 
bili da  ciascun  individuo  nelle  sue  relazioni  di  famiglia  e  di  pro- 
prietà 5  quanto  per  ciò  che  appartiene  alla  punizione  de'  reali,  è 
confidata  a  diversi  giudici ,  e  tribunali ,  i  quali  si  comprendono 
sotto  il  nome  di  Giudici  ,  e  Tribunali  Ordinari ,  chiamandosi  giu- 
dici e  tribunali  di  eccezione  quelli  la  cui  giurisdizione  cade  sol- 
tanto su  di  alcune  speciali  materie  determinale  dalla  Lpgge. 

I  Giudici  e  Tribunali  Ordinar]  —  sono. 
Giudici  Conciliatori. 

Giudici  di  Circondario. 

Giudici  Istruttori. 

Tribunali  Civili. 

Gran  Corti  Criminali ,  e  Speciali. 

Gran  Corti  Civili. 

Corte  Suprema  di  Giustizia. 

Di  questi ,  sono  in  Castel  Capuano. 

II  Tribunale  Civile  in  quattro  Camere  con  la  Regia  Procura , 
e  Cancelleria. 

La  Gran  Corte  Civile  in  tre  Camere  ,  con  la  Procura  Generale 
e  Cancelleria, 

La  Gran  Corte  Criminale  con  la  Procura  Generale  Criminale,  ^ 
Cancelleria. 

Dov'era  il  Tribunale  della  Zecca  ,  oggi  vi  è  il  Tribunale  di  Com- 
mercio. 

La  Corte  Suprema  di  Giustizia  risiede  nell'  antico  Palazzo  del 
Duca  di  Maddaloni. 


—  55  — 

Mi  cade  in  acconcio  farti  presento  ,  o  lettore  il  mio  Progotto  per 
un  nuovo  cdiGzio  adatto  poi  Tribunali  di  Napoli,  di  cui  daròpii- 
ranco  l'elevato  e  le  piante  Geometriche.  Progetto  che  ò  avuto  l'onore 
di  umiliare  a  S.  M.  il  Re  (N.  S.)  sin  dal  di  22  Novembre  lSo3. 

Il  mio  progetto  è  come  qui  appresso. 

L'Edifizio  s'innalzerebbe  sur  d'un  rettangolo  di  palmi  Napolita- 
ni 1080  per  380  ;  di  modo  che  la  pianta  occuperebbe  una  super- 
ficie di  Palmi  quadri  410  ,  400. 

La  facciata  verrebbe  composta ,  come  osservasi  dalla  projezione 
ortografica,  dei  tre  ordini  Dorico,  Ionico,  e  Corintio,  da  un  at- 
tico ,  dove  nel  mezzo  s'eleverebbe  un  tempietto  per  l'orologio. 

I!  lato  principale  avrebbe  tre  vani  d'entrata:  due  ai  laterali,  ed 
uno  nel  lato  opposto. 

Avrebbe  l'Edifizio  cinque  Cortili.  Tre  con  interi  porticati  dorici,  e 
due  con  porticati  ai  lati  corti.  Detti  porticati  seguiterebbero  per  l'in- 
terno anco  pe'due  piani  superiori.  In  due  cortili  laterali  duo  fontane. 

Nel  Cortile  principale  vi  sarebbe  nel  centro  un  prisma  ottagonale 
dove  si  piazzerebbe  il  picchetto  per  l'Ufllziale  di  guardia,  che  da 
quel  punto  osserveria  tutte  le  porle  d'ingresso  nel  locale.  Detto 
prisma  servirebbe  di  piedistallo  ad  un  gruppo  di  tre  slaluo  in  mar- 
mo. Quella  di  mozzo  dell'Augusto  nostro  Sovrano  Ferdinando  11", 
quella  a  sinistra  della  Religione,  e  quella  a  dritta  della  Giusti- 
zia, che  gl'indicherebbcro  in  cima;  nel  mezzo  del  lato  principa- 
le, a  dorso  dell' orologio  ,  il  Tempio  della  Gloria  dove,  circonda- 
to dalle  virtù  ,  verrebbe  il  Genio  dei  Borboni. 

Una  la  Scala  principale  di  fronte  nel  gran  Cortile.  Otto  secon- 
darie ,  delle  quali  quattro  darebbero  accesso  ai  piani  Superiori,  e 
le  altre  quattro  con  otto  a  lumache  porterebbero  ai  due  piani  ncl- 
r  altezza  del  dorico. 

Verrebbero  composti  i  due  piani  nel  dorico  nei  quali  si  ascen- 
de come  si  è  detto  per  dodici  Scale  ;  da  480  compresi ,  che 
Terrebbero  destinali  per  quartini  adatti  a  ciascun  Magistrato  per 
gV  informi  ,  e  cosi  mentre  si  eviterebbe  la  soverchia  conoscenza 
delle  domestiche  pareti  dei  giudici,  non  si  perderebbe  tempo  dai  di- 
fensori nel  transito  dall'una  all'altra  abitazione  dei  votanti,  per  gl'in- 
formi, a  danno  dei  litiganti. 

Vi  sarebbe  nel  pianterreno  un  corpo  di  guardia,  ed  una  casa  pel 
custode  del  locale. 


—  o6  — 

Nel  Secondo  piano  ,  nel  doi'ico,  vi  sarebbero  Ire  decenti  Appar- 
tamenti,  pel  Presidente  del  Tribunale  Civile,  pel  Procuratore  dei- 
Re  ,  e  pel  Procuratore  Generale  del  Re  della  G.  C.  Criminale. Det- 
ti Magistrati  dovrebbero  abitarvi. 

Il  transito  per  l'intero  edifizio,  per  tulli  i  piani,  si  farebbe  per 
sotto  i  portici  difeso  dall'intemperie  de' tempi. 

Ai  quattro  pilastri  di  fronte  nella  scala  principale,  vi  verrebbero 
collocati  quattro  piedistalli  clic  sariano  di  base  a  quattro  statue  in 
marmo  dei  Sovrani  dell'attuale,  felicemente  regnante,  dinastia 
Borbone. 

Nei  due  piani  superiori,  come  leggesi  nella  projezione  orizzon- 
tale ,  le  ruote  per  la  pubblica  discussione  avendo  ciascuna  di 
essa  una  Camera  per  i  consigli,  e  stanze  laterali  pel  comodo  de  Ma- 
gistrati. Ampii  locali  per  le  rispettive  cancellerie.  Regia  Procura. 
Procura  Generale  Civile.  Procura  Generale  Criminale.  Gran  Sala 
pel  Consiglio  dei  Presidenti  della  G.  C.  dei  Conti.  Due  Chiese  in 
cui  i  Magistrati  degli  svariati  collegi  assisterebbero  alla  messa  del- 
lo Spirito  Santo,  che  gl'illumini  al  vero,  ed  al  giusto. 

Grandi  saloni  pel  pubblico ,  e  per  le  panche  dogli  Uscieri  ,  e 
Camera  di  disciplina  per  gli  Avvocati. — Vi  verrebbero  collocati  in 
detto  edilìzio  —  Il  Tribunale  Civile — La  Gran  Corte  Civile — La  Gran 
Corte  Criminale  —  La  Corte  Suprema  di  Giustizia—  La  Gran  Cor- 
te dei  Conti  —  11  Tribunale  di  Commercio  —  I  Consigli  di  Guerra 
di  Guarnigione  —  L'  Alta  Corte  Militare. 

Neil'  Attico  ,  L'Archivio  Generale  del  Regno  —  La  Conservazio- 
ne de'privilegi  ed  Ipoteche  di  Napoli  —  La  Direzione  Generale  del- 
le Contribuzioni  Dirette.  Una  gran  Biblioteca  Legale. 

Il  sito  0  alle  Fosse  del  Grano,  o  al  Largo  delle  Pigne  di  se- 
guito ai  Regi  Studi. 

Al  momento  che  consegno  il  mio  manoscritto  al  tipografo,  sen- 
do  reduce  da  Castel  Capuano ,  ò  osservato  che  vi  si  stanno  pra- 
ticando dei  lavori.  Nel  salone  del  Tribunale  Civile  vog^'o  ritocca- 
ti tutti  li  da  me  descritti  affreschi.  Nel  salone  della  Gran  Corte 
Civile,  nella  cappella  osservo  che  vi  si  sta  eseguendo  un  (ambur- 
rato  !  credo  che  egualmente  si  porteranno  alla  vista  gli  altri  af- 
freschi alle  pareti.  Non  conosco  quanto  altro  vi  si  andrà  a  prati- 
care; certo  è  che  vedendo  ristaurare  i  vecchi  Tribunali,  perdo  ogni 
speranza  vedere  edificati  i  nuovi,  come  dall'esposto  mio  progetto. 


VITA  DELL'  ARCHITETTO  E  SCLLTORR 


MASUdCIO  l 


(m  LA  DKSCIUZIOAE  ÌWÀIE  SIE  OPFJJE  ESEGIITE  lì  VllHH.l 


CONSISTENTI 


XcU'  .trelii<cttara 

Compleliimciilo  di  Castel  Nuovo. 

Complelamcnto  di  S.  Maria  la  Nova. 

Duomo. 

S.  Domenico  Maggiore. 

S.  Aspremo  rifatto. 

S.  Giovnniii  Maggiore, 

Palazzo  Colomliraiio. 

Palazzo  Maddaloni. 


!VcIla  Scultura 

Sepolcro  di  Carlo  I,  d' Angiò. 

Idem  dell'Arcivescovo  Umberti. 

Idem  del  Cardinale  Raimondo  Basile. 

Una  tavola  indicando  Cristo  in  mezzo 
a  due  Santi. 

Sepolcro  di  Iacopo  di  Costanzo. 

Il  Cristo  in  legno  nella  Cappella  dei 
Caraccioli. 

Nelle  cappelle  di  s.  Tommaso, ed  ia 
quella  de'  Carrafeschi  in  s.  Dome- 
nico \i  sono  suoi  lavori. 


Anno  -   \ìm 


Vivo  sol  di  speranza  rimembrando, 
Che  poco  umor  già  per  continua  piova 
Consumar  fieri  marmi  e  pietre  salde. 
Petrarca 


Lo  stile  Gorrnanioo  ,  o  pei-  meglio  dire  ,  e  con  piìi  argoineiUo 
il  Francese  ;  avca  predominalo  e  preso  voga  ,  essendosi  perdute 
le  buone  regole  d' Architettura  ,  e  le  opere  degli  eccellenti  mae- 
stri eran  rimaste  sepolte  nelle  rovine  dei  Regni ,  oppresse  da  tan- 
te barbare  nazioni ,  le  quali  a  torrenti  sgorgando  dalla  Scandia  i- 
nondavano  le  campagne  ,  e  con  rapido  corso  vennero ,  inlelice- 
mente ,  a  sommergere  tutte  le  belle  arti ,  che  più  che  altrove  a- 
veano  rendute  celebri  ed  immortali  le  belle  contrade  italiane. 

Mancando  i  buoni  esempi  fu  forza  seguire  quel  gusto  che  l'im- 
perizia de'  tempi  dettava  cosi  togliendo  i  modelli  dai  Germani  ,  o 
dai  Francesi  ;  si  videro  in  varie  città  Italiane  Monumenti  di  mol- 
ta considerazione  di  barbara  Architettura  ,  sforzandosi  i  più  inge- 
gnosi di  aggiungervi  qualche  bellezza  ,  qualche  magnificenza;  ac- 
ciocché agli  occhi  dei  risguardanti  più  belli  apparissero. 

Questo  primo  vanto  deve  l'Italia  all'Architetto  Buono  ,  e  quasi 
uu  secolo  dopo  con  maggior  riuscita  al  primo  Masuccio. 

Nacque  il  Masuccio  nell'anno  1228.  Visse  77  ,  anni.  Fin  da  gio- 
vanetto inclinato  alle  arti  del  disegno,  assistea  ad  un  pittore  ed 
architetto  Napolitano  ,  già  vecchio  ,  il  cui  nomo  non  è  venuto  a 
nostra  cognizione  come  le  sue  opere;  giacche  il  crocifisso  che  parlò 
all'Angelico  Dottor  s.  Tommaso,  e  che  trovasi  nella  Cappella  di  s. 
Domenico  Maggiore,  è  opera  sua.  Costui  adunque,  con  quella  bontà 


—  60  — 
propria  di  quei  tempi,  cercò  istruire  Masuccio  in  tulle  le  buone 
regole  di  Archilcllura,  vedendolo  a  ciò  inclinatissimo,  e  di  bello 
ingegno  :  ma  nel  mentre  che  i  buoni  precelti  gli  comunicava  , 
mancò  di  vila  l'amoroso  maeslro.  Sconsolato  rimase  il  giovanetto 
alunno,  sospirandone  la  perdila,  essendogli  il  proceltore  mancalo 
in  tempo  in  cui  egli  più  ne  avea  bisogno. 

Trovavasi  in  quel  tempo  in  Napoli  un  forestiero  architello  man- 
dalo dairimperalor  Federigo  a  levare  alcune  piante  di  molle  Cit- 
ta d' Italia  :  con  lui  prese  domestichezza  il  Masuccio  ,  e  ne  ri- 
trasse mollo  profillO;  in  modo  che  da  se  alcuna  fabbrica  potè  di- 
ligere. 

Essendo  morlo  l'Imperator  Federigo,  come  dalle  Storie  si  appren- 
de, soffogalo  dall'ambizioso  Manfredi,  convenne  al  forestiero  archi- 
tello partir  da  Napoli,  e  partendo  consigliava  al  Masuccio  di  seguir- 
lo a  Roma.  Questo  consiglio  essendo  sialo  abbraccialo  dal  giova- 
ne desideroso  d'imparare,  col  suo  consigliere  ,  e  secondo  precet- 
tore a  Roma  s'incaminava ,  dove  giunto  si  delle  ad  osservar 
quanto  di  bello  e  di  antico  vi  era,  disegnando  tulli  i  più  belli  o- 
difìzi  che  gli  si  paravano  innanzi.  Apprendere  voleva  il  Masuccio 
dalle  buone  e  perfette  regole;  ma  ciò  gli  riusciva  nell'  edificare 
difficile  problema;  imperocché  il  gusto  di  quel  tempo  era  pel  Ger- 
manico —  dello  il  Gotico.  —  disprezzando  1'  archilellura  romana, 
ed  in  modo  ,  che  gli  arlcfici  ancora,  ed  i  manipoli  a  niun  altro 
modo  che  a  quello,  barbaro,  erano  avvezzi.  AggiungijChe  ai  pro- 
prietari che  ordinavano  i  lavori,  ogni  altro  disegno  che  non  era 
barbaro,  non  dilettava.  Fermo  nel  preso  divisamenlo  il  nostro  in- 
signe architello  andava  pascendo  la  mente,  coi  più  belli  modelli. 
e  giacche  non  gli  veniva  fallo  di  mellere  in  opera  i  suoi  pensieri, 
si  applicò  di  scolpire  in  marmo  qualche  basso  rilievo  ,  per  is-fo- 
gare  la  fantasia  ,  ad  imitazione  di  alcuno  tra  i  capolavori  che 
allora  in  Roma  vcdeansi  ;  non  essendosi  ancora  in  quel  tempo 
discoverli  grinfiiùli  capi  d'opera  in  quelT  arte,  che  poscia  si  di- 
scovrirono. 

Cos'i  esercitando  il  suo  bel  talento,  per  qualclie  tempo  dimorò 
in  Roma,  avendo  di  trailo  in  trailo  qualche  commissione  si  in  ar- 
chilcllura ,  che  nella  scultura  ,  il  cui  compenso  ,  forse  .  gli  era 
d'uopo  por  menare  colà  innanzi  la  vila.  I  tempi  erano  allora  tri- 
sti per  essere  cresciuto  le  calamitose  sciagure,  a  causa  delle  guerre 


—  61  — 
inlestine,  che  suscllavan  l'ambizione  di  quei,  che  ia  Italia  regnar 
voleano. 

Ecco  l'epoca  di  Carlo  I.  d'Angiò  —  venuto  a  regnare  in  questo 
paese  nel  1266. 

Questo  Sovrano  chiamò  da  Firenze  Giovanni  Pisano  ad  edifica- 
re Castel  ^-^  Nuovo.  Si  era  questo  principiato  e  tirato  innanzi  con 
bell'ordine,  e  magnificenza  Reale  —  Qj'i  trovo  discrepanza  tra  il 
Celano,  e  '1  De  Dominici  —  Dice  il  Celano  che  Federigo  nel  1221, 
couducea  seco  in  Napoli  l'architetto  Pisano  —  Il  secondo  afferma 
che  Carlo  I.  d'Angiò  nel  1266,  Io  invitava  a  venir  da  Firenza  in 
Napoli  —  Forsi  dicono  bene  tutti  e  due,  potendo  stare,  che  mor- 
to Federigo,  se  ne  fosse  il  Pisano  tornato  in  patria,  da  dove  nel 
1266,  dall'altro  Re  Angioino  fosse  stato  di  nuovo  invitato.  Secon- 
do il  Tasari  poi  (so  il  Celano,  e'I  De  Dominici  avessero  fatto  at- 
tenzione al  nome  vi  sono  stali  due  Pisani  Giovanni,  cNiccola.  ) 

Essendo  slato  d'uopo,  onde  mandare  in  esecuzione,  il  progetto 
del  Pisano,  demolire  parecchi  edifizi  in  quel  sito,  con  molle  case  — 
e  la  Chiesa  de'Frali  Zoccolanti  a  Santa  Maria  delie  Grazie  ;  ebbe 
dal  sullodalo  suo  Sovrano  l' incarico  Io  architetto  che  un  altra 
Chiesa  per  i  Frali  suddetti  quasi  a  vista  del  Castello  edificare  do- 
vesse. Ne  fece  il  progetto  il  Pisano,  e  si  pose  in  esecuzione. 

Giunte  queste  notizie  all'orecchio  del  nostro  Blasuccio,gli  ca- 
gionarono forte  slimolo  di  virtuosa  emulazione,  e  con  ciò  il  desi- 
derio di  far  conoscere  al  proprio  Sovrano  il  suo  valore.  Fé  il  Ma- 
succio  ritorno  in  Napoli. 

Le  fabbriche  dirette  dal  Pisano  andavano  regolarmente  avan- 
ti: ma  l'archilcllo  volea  o  dovea  far  ritorno  in  Patria.  Offerse  Wa- 
succio  la  sua  assistenza  per  Io  compimento  s'i  del  Castello  ,  che 
per  s.  Maria  la  Nova,  ed  essendo  stalo  conosciuto  dal  Pisano  per 
valentissimo  maestro,  non  solo  l'approvò:  ma  fece  istanza  presso 
del  Re  acciò  lo  avesse  adoperato  in  sua  vece.  Parl'i  il  Pisano  e'I 
nostro  Masuccio  rimase  alla  direziono  de'lavori  s'i  del  Castel  Nuo- 
vo ,  come  di  quelli  di  s.  M.  la  Nova  ,  che  felicemente  portò  a 
compimento  con  soddisfazione  del  Re,  ed  approvazione  generale. 

Rimasto  contentissimo  il  Sovrano  de'ronduti  servigi  del  nazio- 
nale Architetto,  se  lo  chiamò,  e  gli  manifestò  il  pensiero  che  egli 
avea  di  riedificare  un  nuovo  Piscopio  di  bolla  fabbrica  e  di  mae- 
stosa grandezza,  per  la  qnal  cosa  ne  formò  il  Masuccio  più  dise- 


—  62  — 
gni,  €  moslrandoli  al  Re,  offerì  per  qualunque  di  quelli  piaciuto 
gli  fosse  ,  formarne  un  compiuto  modello. 

iVccctlò  il  Sovrano  l' offerta  e  con  ciò  soprassedette  dal  pen- 
siero che  fatto  avea  di  richiamare  per  tale  importante  fabbrica  di 
bel  nuovo  il  Pisano. 

Veduto  nel  fatto  Re  Carlo  terminato  il  modello,  ne  restò  con- 
tentissimo, e  da  quel  momento  fece  tal  concetto  degli  artefici  Na- 
politani che  mai  più  pensò  di  chiamare  artefici  forestieri,  veden- 
do quali  belli  ingegni  avesse  sortito  per  suoi  vassalli. 

Dette  al  momento  Y  ordine  che  il  nuovo  Duomo  edificare  si 
dovesse  secondo  l'architettato  modello  del  nostro  primo  Masuccio. 

Cominciò  questi  la  nuova  fabbrica  anch'essa  formala  alla  così 
detta  Gotica;  giacche  quell'ordine  prevaleva,e  quello  era  stato  scel- 
to dal  Re:  ma  non  tralasciò  Farchitetto  di  frammischiarvi  abbel- 
limenti e  coso  tali,  che  più  graziosa  che  lo  altre  infìno  allora  e- 
relte  agli  occhi  de'risguardanti  apparisse  ,  facendo  uso  di  alcuni 
ordini  ,  che  in  quel  tempo  venivan  detti  Regole  Baciferali. 

Avanzandosi  da  giorno  in  giorno  il  monumento,  era  mestie- 
ri che  venisse  abbellito  dagli  adornamenti  di  marmo,  e  da  scul- 
ture: per  la  qual  cosa  propose  Masuccio  al  Re  lo  Scultore  Napo- 
litano Pietro  de'Stefani  ,  il  quale  approvato  da  Carlo  I,  mise  ma- 
no con  i  giovani  del  suo  studio,  ed  altri  maestri,  e  sotto  la  dire- 
zione del  Masuccio  fu  terminata  tutta  la  parte  superiore,  e  ridotta 
interamente  a  perfezione  la  fabbrica  in  ogni  parte  della  nave  di 
basso.  Per  le  pitture  fu  chiamalo  Tomaso  de'Stefani  fratello  di  Pie- 
tro. Fu  in  questo  punto,  che  insorsero  quelle  turbolenze  marziali, 
che  furon  cagione  dell'  orrendo  vespro  siciliano,  ed  essendo  suc- 
ceduta la  prigionia  del  Principe  Carlo  nel  12S3,  il  quale  soccor- 
rea  la  fabbrica,  e  nel  1284  la  morte  del  Re  Carlo  1  ;  fu  sospeso 
il  lavoro,  insino  a  che  Carlo  ebbe  ricuperata  la  sua  libertà. 

Dette  ordine  il  nuovo  Sovrano,  che  a  fine  si  dovesse  condur- 
re la  Cattedrale,  e  cosi  fu  del  tutto  perfezionata  la  fabbrica  della 
Chiesa  Napolitana  nella  parte  superiore.  Non  curossi  però  il  nuo- 
vo Carlo  degli  adornamenti  di  marmo,  e  delle  statue  che  fan  fac- 
ciata della  maggior  porta  della  Chiesa  lo  che  fu  posteriormente  da 
altri  eseguito  ,  rimanendo  il  Masuccio  rustica  la  facciala. 

Non  era  però  nel  Re  Carlo  II,  mancanza  alcuna  di  riveren- 
za e  di  pietà  il  non  far  terminare  i  lavori  sudetti:  ma   la  voglia 


—  63  — 
che  egli  avea  di  compiersi  un  suo  voto  fallo  all'AposloIa  di  Crislo 
la  Maddalena,  ed  ordinò  die  un  magnifico  Tempio  in  onore  del- 
la medesima  si  erigesse,  denominato  oggi  s.  Domenico  Maggio- 
re. Formatone  Masuccio  il  modello,  dopo  un  bene  inteso  disegno 
approvalo  dal  Re,  pose  mano  alla  fabbrica  nel  1289,  ed  il  men- 
tovato Carlo  egli  stesso  vi  gctlò  la  prima  pietra,  bcuedella  dal  Car- 
dinal Girardo. 

In  questa  fabbrica  volle  Masuccio  servirsi  in  qualche  parte 
delle  buone  regole  dei  migliori  maestri  di  architettura,  ed  intro- 
durre di  nuovo  il  buon  gusto  de'Romani ,  e  de'Greci.  Si  ravvisa 
dal  detto  monumento  qual  Sovrano  intendimento  fosse  stalo  con- 
ceduto da  Dio  al  nostro  architetto  in  quei  secoli  infelicissimi  per 
le  nostre  arti,  e  per  ogni  altra  scienza.  Indi  con  i  lavori  di  mar- 
mo di  Pietro  degli  Stefani,  e  con  quelli  di  stucco,  e  con  le  pit- 
ture di  Tommaso,  fu  la  magnifica  Chiesa  perfettamente  compiuta 
che  aperta,  furon  date  a  Masuccio  dagli  uomini  intendenti  molle 
laudi,  essendo  questo  tempio  se  non  della  grandezza  del  Duomo, 
molto  più  alto,  e  con  migliori  decorazioni  costrutto.  Per  la  qual 
cosa  cresciuta  la  fama  del  bel  talento  del  Masuccio  gli  fu  com- 
messa la  riedificazione  della  Chiesa  di  s.  Giovanni  Maggiore  essen- 
do cadente,  contando  in  quel  tempo  già  dieci  Secoli.  Fu  intera- 
mente demolito  il  Tempio  fatto  al  tempo  del  gran  Costantino  per 
riedificarsi  il  nuovo. 

Ebbe  campo  il  Masuccio  di  dimostrare  nell'  inalzamento  di 
esso  quanto  egli  valesse  in  architettura,  essendogli  stato  approva- 
to il  modello  che  ne  fece ,  tutto  alla  Romana  ,  indi  à  avuto  di- 
versi cambiamenti  come  appresso  andrò  ad  esporre.  In  questo  e- 
gualmente  il  nostro  architetto  chiamò  Pietro  degli  Stefani. 

Rifece  di  poi  la  Chiesa  di  s.  Aspremo  primo  Vescovo,  e  pri- 
mo Cristiano  di  Napoli  battezzato  dall'  Apostolo  s.  Pietro. 

Edificò  inoltre  il  Palazzo  del  Principe  di  Colombrano,e  quello 
del  Duca  di  Maddaloni. 

Passo  adesso  a  dar  contezza  di  qualche  scultura  fatta  dal 
detto  Masuccio  per  indi  poi  dare  la  descrizione  dei  Monumenti 
surriferiti  da  lui  immaginati ,  e  diretti. 

Non  essendo  mio  divisamento  di  fare  l'inventario  in  una  ca- 
sa saccheggiata,  cosi  non  tratterò  nell'opera  mia,  che  della  sola 
architettura,  imperocché  per  pittura,  e  qualche  capo  lavoro  di  scul- 


—  64  — 
tura  ,  questo  povero  paese  ,  à  soffcrli    molti    saccheggi  da  che  si 
governava  a  conto  di  lontano  padrone,  e '1  conlrapelo  Io  ricevette 
nell'occupazione  Militare. 

IN'on  essendo  capo  lavori,  certamente,  le  scolture  del  Masuc- 
cio,  non  si  sono  curale  nei  secoli  posteriori,  massime  dagli  uomi- 
ni che  nessuna  riverenza  àn  serbato  per  le  cose  antiche,  ecco  ra- 
gione che  in  gran  parte  restano  ignote.  Solamente  ci  abbiamo 
che  edificò  il  nuovo  piscopio  per  Carlo  I,  si  dice  che  sono  gli  or- 
namenti ed  il  Sepolcro  dell'Arcivescovo  Umberto,  quello  del  Car- 
dinale Raimondo  Barile,  ed  una  tavola  di  basso  rilievo  ove  è  scol- 
pito Cristo  Signor  nostro  in  mezzo  a  due  santi.  Tulli  esistenti  nel 
Duomo.  Lavorò  nel  medesimo  Duomo  il  bel  Sepolcro  di  Iacopo 
di  Cosianzo,  il  quale  era  morto  sin  dal  1234.  Così  nel  mentovato 
Piscopio  è  sua  scultura  l'antico  Crocifisso  scolpito  in  legno,situato 
nella  Cappella  de'Caraccioli. 

Nella  Chiesa  di  s.  Domenico  si  veggono  alcuni  suoi  lavori 
nella  Cappella  dei  Carrafeschi ,  e  dentro  quella  di  s,  Tommaso. 
Così  lavorò  un  basso  rilievo  che  un  tempo  stette  nella  Chiesa  sur 
un  altare  di  Cappella,  che  poi  fu  demolito  per  edificarvi  il  Coro. 
Ora  tal  basso  rilievo  si  vede  in  principio  della  scala  dol  Convento 
ed  è  l'effigie  della  Maddalena,  il  cui  nome  sia  di  sopra  intagliato 
in  lettere  gotiche. 

Lavorò  ancora  per  la  Cappella  de'Minuloli  nel  Piscopio.  Le  va- 
rie statue  che  sono  al  di  disotto  la  Iribunelta  di  marmo ,  che  già 
fece  con  suo  disegno  Pietro  de'Stpf:mi ,  il  quale  lo  altre  statuette 
scolpì.  Quelle  dol  Masuccio  rappresentano  Cristo  crocifisso  nel  mez- 
zo, e  dai  lati  la  Vergine,  e  s.  Giovanni. 

Nel  mentovato  Cortile  dei  Duca  di  Maddaloni  collocato  su 
la  porta  delle  stalle  vi  è  un  suo  basso  rilievo  istoriato  assai  bene  , 
che  rappresenta  il  ratto  delle  Sabine,  ed  ivi  alcun  altro  basso  rilie- 
vo di  sua  mano  ;  ma  assai  maltrattato  si  vede  ,  come  ancora  al- 
cune teste  scolpite  in  marmi  così  nel  cortile  ,  come  nelle  stanze 
superiori. 

Ecco  dunque  come  virtuosamente  operando  questo  valentissi- 
mo artefice,  si  fece  strada  all'onore  per  mozzo  di  sue  fatiche,per 
le  quali  ottenne  premi  ,  e  stima  dai  proprii  Sovrani,  che  genero- 
samente trattandolo,  lo  colmarono  di  favori,  di  onori,  di  ricchez- 
ze, e  di  benevolenza.  Essendo  già  vecchio  dovelte  pure  andare  a 


—  63  — 
Roma  per  incarico  del  Conio  di  Segni  per  edificar  colà  una  Chie- 
sa al  Cardinal  Gaelani,  dopo  di  che  prese  congedo  da  quei   Si- 
gnori, ed  avuta  la  benedizione  dal  Papa,  dal  quale  era  molto  sli- 
mato, in  Napoli  se  ne  tornò  per  dar  riposo  a  tante  fatiche. 

Venerato  e  pregiato  da  lutti  i  suoi  concittadini  pervenne  al- 
l'ultima sua  vecchiezza,  nella  quale  applicava  incessantemente  ad 
insegnare  il  suo  caro  allievo ,  e  compare  Masuccio  ,  figliuolo  di 
Pietro  de'Slefani,  comunicando  a  questo  giovanetto  tulle  le  buone 
regole  dell'ottima  Architettura,  e  della  Scultura  (in  cui  più  di  Pie- 
tro valeva);  acciocché  mon  difilcile  e  più  breve  gli  si  rendesse  il 
cammino  per  giungere  quanto  prima  (come  giunse  )  alla  mela  del- 
la perfezione. 

Giunto  all'anno  settantesimo  settinio  dell'età  sua  chiuse  in 
pace  i  suoi  giorni  nell'anno  di  G.  C.  130o,  lasciando  di  se  dolo- 
ro ne'  suoi  più  cari  ,  desiderio  negli  ammiratori  delle  sue  virtù  ; 
ed  oggi  rispetto  e  venerazione  da  tulli  gli  architetli. 


DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE 

Castel  ìVuovo. 

E  una  fortezza  di  bello  aspetto  con  larghi  fossi,  e  munita  da 
tutti  i  lati.  Da  prima  non  era  che  un  semplice  Castello  in  forma 
quadra  con  cortine,  con  cinque  altissime  torri,  e  con  fosso.  Fu  e- 
retto  da  Carlo  I.  D'Angiò,  con  disegno  del  Pisano  ,  e  terminalo 
come  si  è  detto  dal  Masuccio.  Ciò  avveniva  nel  1283.  Era  qui  il 
Convento  de  Frali  Minori,  che  fu  trasferito  in  s.  Maria  la  Nova. 
Si  eresse  questo  castello  per  abitazione  del  nuovo  Principe  costrui- 
to sul  mare  ,  e  fuori  della  Città  ,  e  perchè  non  gli  polca  riuscir 
sicuro  Castel  Capuano. 

Da  Alfonso  L  d'Aragona  fu  abbellito  nell'inlerno ,  e  nell'e- 
sterno. Fu  lascialo  il  Castello  Angioino  come  maschio  dell'  edifi- 
zio,  ne  fu  ampliato  il  recinto  con  vallo,  torri  rotonde,  spianata,  e 
nuovo  fosso  sul  disegno  datone  dal  Re  sfesso.  Nel  1K46,  un  esplo- 
sione del  magazzino  della  polvere  fece  saltare  il  torrione  verso  il 

Sasso  —  Voi.  1.  9 


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molo  j  ed  in  tale  occasione  il  Vice  Re  di  Toledo  rifoce  qiicslo  e 
due  altri  bastioni  in  forma  quadra,  perfezionò  le  fortificazioni  e- 
steriori,  e  dilatò  i  fossi. 

Neil'  anno  1838  per  ordine  dell'  attuale  Sovrano  Ferdinando 
II,  sono  stali  ristretti  i  fossi,  ed  ampliata  la  strada  contigua  che 
mena  al  molo,  la  quale  per  maggior  sicurezza  ed  abbellimento  si 
guarnì  nel  lato  che  sporge  nei  fossi  di  colonnette  di  piperno  e  di 
ringhiere  di  ferro.  Nel  solo  angolo  verso  la  piazza  del  Castello 
restò  un  bastione  Aragonese.  Questo  Castello  ricevette  l' ultima 
fortificazione  nel  1734  da  Carlo  Ut  Borbone  che  vi  fece  alzare  un 
grau  muro  dal  lato  della  Darsena. 

Fra  le  due  torri  evvi  come  nella  prefazione  accennai  l'arco  di 
trionfo  di  Alfonso  I  d'Aragona.  È  tutto  ornato  di  statue  a  bassi  ri- 
lievi che  esprimono  le  azioni  di  quel  Sovrano,  ed  il  suo  trionfale 
ingresso  in  Napoli.  I  Cavalieri  sono  armati  come  l'uso  del  tempo. 
Le  statue  di  Ire  santi  che  sono  in  cima,  e  che  si  credono  opera  del 
Merliano  furonvi  aggiunte  dal  Vice  Re  Pietro  di  Toledo.  Questo 
monumento  in  molte  parti  maltrattato  fu  opera  di  Pietro  di  Mar- 
lino  scultore  Milanese  ,  ed  Architetto  di  Alfonso.  Esso  è  prezioso 
nella  storia  delle  arti,  perchè  di  quel  secolo  è  uno  dei  pochi  che 
merita  esser  solamente  veduto  ai  tempi  nostri.  L'Europa  era  allo- 
ra barbara,  ed  in  Italia  solamente  era  risorto  il  gusto,  come  me- 
glio provano  le  porte  del  Battistero  di  Firenze  scolpile  un  secolo 
prima  di  Raffaello.  Non  si  juiò  esser  contento  dell' architcllura  di 
(piest' arco  trionfale:  ma  l'esecuzione  degli  ornamenti  è  general- 
mente bella,  ed  alcuni  mostrano  gusto  e  perfezione.  Doveasi  erig- 
gere  presso  il  Duomo  come  ò  detto  nella  prefazione.  Osservaite 
!'  assiome  nella  tavola  10. 

Passato  quest'arco  trionfale  si  entra  nella  piazza  per  una  j)or- 
ta  di  bronzo  sulla  quale  sono  effigiale  le  vittorie  di  Ferrante  I  ri- 
portate contro  dei  Baroni  ribelli  e  di  Giovanni  d'Angiò.  Fu  ope- 
ra di  Guglielmo  Monaco,  e  merita  attenzione  pe' costumi  del  tem- 
po. Sulla  piazza  si  vede  la  Chiesa  parrocchiale  di  s.  Barbara 
adorna  di  marmi,  e  di  pitture.  Nel  Coro  il  quadro  dell'adorazio- 
ne de' Maggi  si  vuole  che  siala  prima  pittura  ad  olio  eseguita  da 
Giovanni  de  Bruges,  e  da  lui  mandata  ad  Alfonso.  Il  Solario  ri- 
fece il  volto  dei  tre  Maggi,  e  vi  espresse  i  ritratti  di  Alfonso,  di 
Ferrante,  e  di  Ferrautiuo.  Dietro  del  Coro  merita  di  essere  osser- 


—  67  — 
vaia  la  scala  a  chiocciola  di  lo8  scalini  che  porta  al  Campanile, 
e  che  è  un  opera  capricciosa  del  Pisano.  Dall'ultimo  scalino  si  ve- 
de tutta  la  scala.  Un  altra    scala   di  difficile   esecuzione  si  vede 
nella  Torre  di  s.  Vincenzo. 

Gli  Appartamenti  a  destra  della  Chiesa  furono  abitazione  dei  no- 
stri Sovrani  Angioini,  ed  Aragonesi.  Una  stanza  è  stata  converti- 
ta in  Cappella  dedicata  a  s.  Francesco  di  Paola  perchè  in  essa 
quel  Santo  ebbe  un  abboccamento  con  Ferrante  I.  d'Aragona. Per 
una  gradinata  a  sinistra  si  entra  nella  gran  Sala  d'Armi, la  qua- 
le è  un  quadrato  del  lato  di  palmi  100.  Qui  papa  Celestino  'S.Per 
villade  fece  il  gran  rifiuto  %  abdicando  il  Pontificato  nel!'  anno 
1294-  Posteriormente  qui  si  davano  splendide  feste  dai  Re  Arago- 
nesi. Oggi  è  convertila  in  una  vasta  sala  d'  armi  capace  di  con- 
tenerne molte  migliaia  ,  e  di  ogni  specie. 

In  questo  castello  la  maggior  parte  dei  locali  è  addetta  per 
caserme  di  truppa  ,  abitazioni  di  uffiziali  ,  e  stabilimenti  di  arti- 
glieria. 

L'artiglieria  vi  tiene  primieramente  l'arsenale  per  la  costru- 
zione di  diverse  macchine  ivi  fondato  da  Ferdinando  I  Borbone 
con  magazzini  ed  officine  per  lo  arti  inerenti  alla  guerra  ,  e  la 
fonderia  de'  cannoni  in  bronzo.  Quest*  arsenale  trovasi  oggidì  es- 
sere uno  dei  principali  stabilimenti  di  Europa  corredato  di  novello 
macchinario  mosso  dalla  potenza  del  vapore. 

Altro  vasto  locale  è  stato  non  à  guari  costruito  nella  fossata 
per  la  sega-meccanica-animata  da  un  altra  macchina  a  vapore  la 
quale  da  altresì  movimento  ad  altre  macchine,  di  torni,  dispianatoi 
ed  altro. 

Vi  è  una  vasta  sala  detta  dei  modelli  ,  che  contiene  i  mo- 
delli di  ogni  specie  di  artiglierie  tanto  antichi  che  moderni  ,  di 
modo  che  si  osserva  il  progresso  successivo  di  quest'  arme  sì  ne- 
cessaria air  arte  della  guerra.  Vi  è  ancora  una  scuola  di  artiglie- 
ria con  una  biblioteca  ,  un  gabinetto  di  chimica,  ed  un  altro  d]f 
mineralogia. 

Nel  lato  sinistro  dello  spiazzo  di  questo  arsenale  vi  è  stata 
recentemente  costruita  un  altra  gran  sala  d'armi  ,  che  può  con- 
fenere  il  triplo  d'  armi  portatili  della  già  descritta. 

Alla  fonderia  de' cannoni  in  bronzo  l'attuale  Sovrano  Ferdi- 
nando II  vi  à  aggiunta  1"  altra  in  ferro  (  mercè  il  novello  getto  ) 


—  es- 
che da  pria  si  acquistavano  dall'  estero.  La  macchina  per  tornire 
e  foraro  i  cannoni,  chiamala  la  Barena,  che  veniva  posta  in  mo- 
vimento da  animali ,  trovasi  ora  messa  in  moto  dalla  potenza  del 
ripetuto  vapore  ,  sendovene  il  numero  di  otto  banchi  da  Barena. 

Lo  stesso  vapore  mette  in  movimento  altre  Barene,  altri  tor- 
ni ,  ed  altri  svariati  sistemi  di  macchine  diverse  concernenti  tutte 
alla  costruzione  dell'  arma  anzidetta.  Finalmente  il  ripetuto  vapo- 
re anima  dei  ventilatoi  per  i  fornelli  alla  Wilkilson  ove  viene  a 
liguefazione  la  ghisa  per  la  formazione  de'  diversi  proiettili  si  pie- 
ni che  vuoti  ,  come  per  altre  minute  fusioni  in  ferro.  Tutto  ciò 
devesi  alla  magnificenza  dell'attuale  nostro  Sovrano  Ferdinando  II. 

Esteriormente  verso  il  largo  del  castello ,  sul  limite  del  gran 
fossato  ,  vi  si  trova  la  montatura  di  armi  portatili ,  divisa  in  sva- 
riate officine.  Queste  armi  vengono  costruite  in  altro  nostro  stabi- 
limento ;  cioè  nella  fabbrica  di  armi  in  Torre  Annunziala  ,  ivi 
fondata  dall'  immortale  Carlo  III  Borbone.  Nel  fosso  esteriore  è  si- 
tuata verso  la  piazza  la  Gran  Guardia  sul  cui   frontone  si  legge. 

ALLA   SICUREZZA  ,    E  TRANQUILLITÀ   PUBBLICA   FERDINANDO   IV,    1790. 

Dal  Castello  si  passa  alla  Darsena  ed  Arsenale.  Era  antica- 
mente l'Arsenale  della  Marina  dove  è  oggi  la  Dogana  vecchia:ma 
ritiratosi  da  quella  parte  il  mare,  fu  costruito  nel  1377  dal  Vice 
Ile  Mendozza  l'attuale  Arsenale  presso  il  Beai  Palazzo.  L'altro  Vi- 
ce Re  d'  Aragona  vi  aggiunse  nel  1668  una  Darsena,  ossia  Porto 
per  le  Galere  con  comodi  magazzini  intorno.  Un  Frale  Certosina 
ne  fu  il  primo  Arcbitclto,  ma  per  la  sua  imperizia  venne  l'opera 
ailldala  al  Picchiatti.  Posteriormente  dall'  attuale  Sovrano  Ferdi- 
nando II.  si  è  molto  arriccliito  di  diverse  officine  adcrenli  all'arli- 
glieria,  come  di  sopra  dettagliatamente  ò  esposto. 

Santa  usarla  la    i^'ova. 

È  una  grande  Chiesa  e  Convento  di  Frati  minori ,  come  di 
sopra  ò  dello.  Il  disegno  fu  di  Giovanni  Pisano  Fiorentino,  ma  il 
nostro  Architetto  la  delle  al  1.  Angioino  compiuta.  Fu  eretta  nel 
1288;  sopra  le  mura  doll'anlica  torre  maslria. 

Fu  questa  Chiesa  rifatta  come  oggi  vedasi  nel  lliaG,,  dallar- 


—  69  — 
chilello  Franco  ai  tempi  Viccregnali  sotto  l'Impero  di  Filippo  II. 
Fra  i  quadri  della  soffitta  vi  è  il  capo  lavoro  del  Santafede, 
che  esprime  l'Assunta  incoronata  dalla  Triade,  e  clic  si  vuole  per 
opera  del  Tiziano.  Gli  altri  sono  di  Girolamo  Imparato,  e  di  Gio- 
vanni d'Amato.  La  cupola,  e  le  volto  dei  cappelloni  sono  dipinti 
a  fresco  dal  Corcnzio.  Le  lunette  a  fresco  sulle  cappelle  sono  del 
Malinconico,  ed  a  lui  puro  appartengono  i  dui  grandi  quadri  della 
Nascita,  e  dell'Epifania  posti  nella  Crociera. 

Gli  affreschi  nel  Coro  sono  di  Simone  Papa  il  giovane,  che  di- 
pinse anche  il  chiostro.  In  questa  Chiesa  si  è  fatta  una  profusio- 
ne di  altari.  Non  contenti  i  frati  di  quelli  che  sono  nelle  nume- 
rose Cappelle,  altri  piccioli  ne  hanno  addossato  a  tutti  i  pilastri 
della  nave.  Dalla  portala  prima  Cappella  a  destra  a  un  quadro 
di  s.  i^Iichele  che  si  dice  del  Buonaroti,  quindi  di  altissimo  me- 
rito. 

Nella  terza  Cappella  il  quadro  del  Crocifisso  colla  Vergine, 
la  .Maddalena,  e  s.  Giovanni  è  una  bell'opera  di  Marco  da  Siena. 
Presso  l'Altare  maggiore  una  piccola  cappella  di  marmo  à  in  mez- 
zo una  statua  dell' Ecce-Homo  in  legno,  la  quale  è  del  Merliano. 
A  lato  dell'Altare  Blaggiore  la  cappella  del  Crocifisso  è  ornala  di 
sculture  dallo  slesso  Merliano,  i  quadri  laterali  sono  di  Marco  da 
Siena,  e  gli  affreschi  del  Corenzio.  Nell'Altare  maggiore  disegnato 
dal  Fanzaga  sono  slimale  lo  due  statue  in  legno  di  s.  Francesco, 
e  di  s.  Antonio  del  Barchetta  discepolo  dell'Auria.  A  destra  del- 
l'Altare maggiore  sotto  l'organo  meritano  esser  veduti  due  puttini 
dipinti  dal  Giordano  in  età  di  otto  anni.  L'Altarino  che  segue  la 
statua  della  Vergine  seduta  è  del  Naccarini.  Nella  Cappella  di  s. 
Anna  è  da  vedersi  il  quadro  ad  olio  di  s.  Anna  con  s.  Antonio, 
e  s.  Barbara  di  Colantonio  di  Fiore  morto  nel  1444.  La  lesta 
dui  s.  Antonio  e  riputata  perfeltissima.  Finalmente  si  può  osserva- 
re la  cappella  a  forma  di  un  altra  Chiesa  dedicata  a  s.  Giacomo 
della  Marca.  Fu  eretta  da  Consalvo  da  Cordova  detto  il  gran  Ca- 
pitano, il  nipote  di  cui  v'innalzò  due  belle  tombe  al  Conte  di  Lau- 
trec,  ed  al  Navarro,  ambedue  Generali  che  tennero  assediata  Na- 
poli nel  lo28.  Son  da  notarsi  le  due  iscrizioni  che  sono  un  mo- 
numento di  generosità  per  la  virtù  di  un  nemico.  Questi  raausuìei 
sono  di  buon  gusto,  e  Niccolò  Carlelti  gli  attribuisce  a  Giovanni, 
da  Nola.  La  volta  principale  è  dipinta  a  fresco  dallo    Stanzioni  , 


—  To- 
di cui  sono  pure  gli  affreschi  della  Cappella  a  destra  dell'  aliare 
maggiore ,  dove  il  quadro  dell'  altare  è  del  Ribera ,  e  le  Statue 
del  Fanzaga.  Nella  cappella  che  segue,  la  Statua  di  s.  Giovanbat- 
tista è  di  Pietro  Bernini  ,  e  le  pitture  del  Giordano.  Nel  lato  op- 
posto le  tre  statue  di  marmo  in  una  delle  Cappello  sono  del  Nac- 
carini ,  rappresentano  la  Vergine  con  due  frali  francescani.  Nel 
Refettorio  del  Convento  si  veggono  le  pitture  a  fresco  de'due  Don- 
zelli, assai  mal  conce.  Una  tavola  del  Crocifisso  di  Pietro  Donzel- 
li fu  trasportata  nel  Real  Museo. 

Duomo. 

Questo  gran  Tempio  è  come  l'aggregato  di  varie  chiese  ognu- 
na delle  quali  contiene  particolari  bellezze,  e  pregevoli  monumen- 
ti. Parlerò  prima  della  Chiesa  principale. 

É  dessa  disposta  a  tre  navale,  sostenuta  da  pilastri ,  inforno 
ai  quali  furono  adattate  varie  colonne  in  massima  parte  di  grani- 
to di  Egitto,  che  appartenevano  agli  antichi  tempi  colà  prima  esi- 
stenti; cioè  quello  di  Apollo,  e  quello  di  Nettuno;  ma  TArcivesco- 
vo  Innico  Caracciolo,  credette  ben  fallo  ricoprire  di  stucco  tanta 
profanità.  Per  buona  sorte  con  saggio  consiglio  a  tempo  nostro 
dal  Cardinale  Arcivescovo  Caracciolo  del  Gesso  ,  si  fé  togliere  lo 
stucco,  tal  che  si  gode  la  vista  dei  pregevoli  marmi.  1  pilastri  sles- 
si si  sono  lastricati  a  marmo  sino  all'altezza  delle  colonne  ,  e  la 
parte  superiore  di  stucco  lucido,  a  scagliola,  da  imitare  la  parte 
inferiore.  In  ogni  pilastro  vi  è  la  statua  di  uno  de' santi,  antichi 
Vescovi  di  Napoli. 

I  tondi  che  rappresentano  i  Sauti  protctlori  della  Città,  ed  i 
Dottori  della  Chiesa  sono  stali  dipinti  sulle  macchie  del  Giordano 
da'suoi  scolari.  Sono  però  originali  del  Giordano  quattro  quadri 
nella  Crociera,  due  a  destra,  che  rappresentano  l'Annunziazione , 
e  due  a  sinistra  che  rappresentano  due  Santi  in  piedi.  I  due  di 
s.  Cirillo  e  di  s.  Giancrisoslomo  nella  slessa  Crociera  dal  lato  del- 
l'epistola sono  del  Solimena.  I  tre  quadri  della  sofBtta  della  nave 
principale  sono  del  Sanlafede,  e  gli  ovali  del  Forlì.  La  volta  del- 
la Tribuna  è  dipinta  dal  Pozzi  Romano,  ed  i  due  gran  quadri  la- 
terali sono  uno  del  Corrado,  e  l'allro  dello  stesso  Pozzi,  L'altare 
maggiore  con  le  scale,  colla  balaustrata  e  col  coro,  tutto  è  magni- 


fico,  e  fu  eseguilo  nel  1744,  sotto  Re  Carlo  III  Borbone  con  di- 
segno di  Paolo  Posi  Romano.  La  statua  dell'  Assunta  è  del  Brac- 
ci. I  due  candelabri  sono  formati  da  pregevoli  colonne  di  dia- 
spro. 

Sulla  porla  maggiore  si  veggono  i  sepolcri  di  Carlo  I,  e  del- 
la moglie  Clemenza  ,  che  eran  prima  nella  Tribuna  :  si  vogliono 
opera  di  Pietro  degli  Stefani.  I  due  grandi  quadri  sulle  due  por- 
te laterali  sono  di  Giorgio  Vasari. 

11  fonte  battesimale  a  sinistra,  di  chi  entra  nella  (Chiesa ,  è 
formato  di  un  gran  Vase  antico  di  basalto  egiziano,  sostenuto  da 
un  piedistallo  di  porfido:  era  una  volta  cousagrato  a  Bacco,  ed  è 
una  bella  opera. 

Percorrendosi  la  piccola  navata  a  sinistra,  il  quadro  del  Reden- 
tore nella  prima  Cappella,  che  mostra  il  costato  allo  incredulo  Apo- 
stolo è  di  Marco  da  Siena,  ed  il  bassorilievo  della  deposizione  nel 
Sepolcro  è  di  Giovanni  da  Nola.  Nella  seguente  Cappella  dei  Seri- 
pandi,  dopo  s.  Rcstitula,  il  quadro  della  pietà  è  del  Curia,  ed  i 
due  laterali  del  Balducci.  Vicino  alla  Sagrestia  vedesi  nel  muro  il 
Cenotafio  di  Papa  Innocenzio  XII.  La  Sagrestia  ricca  di  preziose 
suppellettili  contiene  molti  ritratti  degli  Arcivescovi  Napolitani,  e 
sotto  di  essa  l'Arcivescovo  Ruffo  vi  à  fatto  costruire  in  beila  for- 
ma il  Sepolcro  per  gli  Arcivescovi. 

Presso  la  porta  della  Sagrestia  vedesi  il  Sepolcro  del  Re  An- 
drea, marito  di  Giovanna  I,  morto  strangolato  in  Aversa. 

Dopo  la  Cappella  della  famiglia  di  Capua,  posteriormente  re- 
staurata, osservasi  il  Sepolcro  di  Papa  Innocenzio  IV ,  morto  in 
Napoli  nel  12o4,  opera  di  Pietro  degli  Stefani.  Questo  ponleCce 
è  celebre  nella  nostra  Storia  per  aver  restaurate  le  mura  delia  no- 
stra Città,  e  per  averla  dominata.  La  Cappella  seguente  della  del 
Seminario  à  un  pregiato  quadro  della  Visitazione  del  Santori.  Vi 
si  riuniscono  dei  preti  die  si  consagrano  alle  Missioni.  Nella  Cap- 
pella dei  Calcola  sono  da  osservarsi  le  pitture  ad  olio  di  Agnello 
Fracco  discepolo  di  Colantonio  di  Fiore  ,  ed  un  antichissima  del 
Salvatore  coi  piedi  sul  Sole.  Il  Sepolcro  di  Fabio  Calcola  è  del  Fan- 
zaga,  fallo  quando  avea  82  anni.  Passandosi  all'altro  lato  dell'Al- 
tare Maggiore  verso  il  corno  dell'Epistola,  vedesi  prima  la  Cappel- 
la de'Caracciolo  col  bel  Sepolcro  del  Cardinale  Enrico  Caracciolo 
di  Pietro  Ghetti.  Segue  la  famosa  Cappella  de'Minutoli,  monumen- 


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to  antichissimo  e  degno  di  particolare  osservazione.  Era  l'antica 
Cattedrale  pel  rito  latino,  delta  poi  Slefania,  dal  Vescovo  Stefa- 
no II,  come  a  s.  Restituita  scguivasi  il  rito  Greco.  Fu  disegnata 
dal  primo  Masuccio,  Tommaso  degli  Stefani  vi  dipinse  la  Passio- 
ne, Pietro  degli  Stefani  vi  costruì  l'Altare  e  la  Tribuna  ,  e  1'  ab- 
bate Bamboccio,  vi  fece  il  Sepolcro  di  Enrico  Minutolo,  tutti  tra 
i  primi  restauratori  delle  bolle  arti  fra  noi.  La  contigua  Cappella 
dei  Tocco  presenta  le  pitture  a  fresco  di  Filippo  Tesauro  ,  ed  un 
basso  rilievo  del  Cannavello.  Finalmente  presso  la  porta  minore 
della  Chiesa  vedesi  il  Sepolcro  del  Cardinale  Sersale  del  Sammar- 
tino,  e  sulla  Porla  era  il  quadro  di  Pietro  Perugino  ,  la  di  cui 
vista  invogliò  il  nostro  Sabbalini  di  condursi  in  Roma  a  studiar 
la  Pittura  sotto  del  divino  Raffaello,  oggi  è  nel  Museo. 

Visitale  le  cose  più  notabili  del  corpo  principale  di  questa  gran 
Basilica,  si  può  passare  ad  osservare  le  parli  accessorie,  non  me- 
no dcfi-ne  di  fissar  1'  attenzione.  Cominceremo  dalla  Confessione 
ossia  Soccorpo,  posto  scilo  la  Tribuna.  Questa  Chiesa  sotterranea 
fu  cominciata  nel  1492,  dal  Cardinale  Oliviero  Carafa,  e  ne  dette 
il  padronato  alia  sua  famiglia.  La  soflitta  di  marmo  è  sostenuta  da 
dieci  Colonne  ioniche,  scile  delle  quali  sono  di  marmo  cipollino. 
Lo  pareti  sono  ornate  di  arabeschi  in  bassi  rilievi.  Neil'  Altare 
maggiore  si  venera  il  corpo  di  s.  Gennaro,  e  presso  di  esso  si  ve- 
de la  statua  del  sopradetto  Cardinale  inginocchioni,  la  quale  co- 
perà dell'immortale  Michelangelo  Buonaroti. 

La  Basilica  di  s.  Resliluta,  alla  quale  si  entra  dalla  piccola 
navata  a  sinistra  nel  Duomo,  deve  richiamare  l'attenzione  dell'osser- 
vatore. È  questa  l'antico  Duomo  di  Napoli,  e  fu  ediGcata  sopra  i 
rottami  e  coi  materiali  di  un  antico  Tempio  ,  che  si  crede  di  A- 
pollo.  Se  ne  fa  risalire  la  coslruzione  all'Imperator  Costantino  ,  il 
quale  non  si  sa  che  sia  slato  mai  in  Napoli.  Il  vero  si  è  che  fu 
opera  di  Costantino  Pcgonato  che  venne  a  Napoli  nel  669  ,  e  vi 
«ostruì  ed  abbell'i  varie  Chiese.  Il  nome  di  Maijno  che  la  vanità 
fece  assumere  a  tutti  gl'Imperatori  d'Oriente  di  quel  tempo,  à  dato 
luogo  all'equivoco.  La  mensa  dell'Altare  Maggiore  è  sostenuta  da 
due  be'  trapezzo-fori,  che  han  dovuto  servire  di  sostegno  ed  orna- 
mento di  qualche  tempio  antico.  La  Cappella  di  s.  Maria  del  prin- 
cipio contiene  una  Immagine  ben  conservata  della  ^  ergine  ,  cosi 
detta  perchè  la  prima  venerala  in  Napoli:  è  in  musaico,  e  fu  fatta 


—  73  — 
da!  pittore  Zauro  nel  VII  secolo  d'  ordine  del  Pegonalo.  INello 
stesso  modo  fu  dipinto  il  cupolino  della  Cappella  di  s.  Giovanni 
in  fonte,  cosi  nomata  perchè  qui  era  il  fonte  battesimale  di  basal- 
to Egiziano  di  sopra  descritto.  Tutti  questi  musaici  sono  un  bel 
raonumento  di  quel  secolo.  Rimpetto  a  questa  Cappella  vedesi  ne- 
gletto al  muro  un  gran  quadro  in  legno,  che  rappresenta  l'Assun- 
ta, di  Pietro  Perugino.  Fra  i  Sepolcri  che  sono  in  questa  Chiesa 
rammenteremo  quello  vicino  alla  porta  dell'Illustre  Canonico  Maz- 
zocchi,  scolpilo  dal  Sammarlino  j  ed  un  Sarcoiaco  antico,checbiu- 
de  le  ceneri  di  Alfonso  Piscicelli. 

Incontro  a  s.  Restituta  vedesi  la  Cappella  di  s.  Gennaro,  del- 
ta il  Tesoro.  Fu  eretta  dal  popolo  Napolitano  per  volo  fatto  in 
occasione  della  Peste  del  1526.  L'opera  fu  incominciata  nel  1608, 
col  disegno  del  Padre  Grimaldi  Teali no.  L'architettura  ne' è  soda, 
ed  è  uno  dei  migliori  pezzi  che  vanti  Napoli.La  pianta  è  una  Cro- 
ce greca,  che  à  94  palmi  di  maggior  estensione.  Il  frontespizio 
di  be'marmi,  ha  una  gran  porta  di  ottone  vagamente  lavorata  con 
due  statue  marmoree  ai  lati  di  s,  Pietro  e  di  s.  Paolo  del  Finelli. 
Si  questo  frontespizio  che  il  pavimento  di  marmo  sono  disegnati  dal 
Fanzaga.  Intorno  alla  Chiesa  si  veggono  quarantadue  colonne  di 
broccatello  di  ordine  corintio,  e  fra  esse  sono  le  nicchie  per  le 
Statue  in  bronzo  de'Santi  protettori,  le  quali  sono  opere  di  medio- 
cri artisti.  Le  migliori  appartengono  al  Finelli,  eie  due  sulla  por- 
ta della  sagrestia  e  sull'altra  incontro  sono  del  Fanzaga.  Al  disot- 
to vi  sono  altre  nicchie  con  37  Statue  di  Argento  degli  stessi  santi 
protettori.  L'altare  maggiore,  disognalo  dal  Solimena  è  di  porfido 
con  ricchi  ornali,  e  la  statua  del  Santo  appartiene  pure  al  Finelli. 
Le  pitture  sono  opere  de'più  valenti  Artisti.  I  quadri  delle  Cappelle 
sono  dipinti  sopra  tavole  di  rame.  Noi  tre  Altari  laterali  dalla 
parto  del  Vangelo  i  quadri  appartengono  al  Domenichino,  e  nei 
tre  Altari  opposti  quello  di  mezzo  è  del  Ribera  ,  e  gli  altri  due 
uno  è  del  Massimo  e  l'altro  dello  stesso  Domenichino.  Le  pitture 
a  fresco  degli  angoli,  delle  lunette  e  delle  volte  appartengono  allo 
stesso  gran  pittore,  il  quale  aveva  comincialo  a  dipingere  anche 
la  Cupola;  ma  dopo  la  sua  morte  il  Lanfranco  non  volle  mettervi 
mano  se  prima  non  fosse  stata  disfatta  l'opera  del  Domenichino. 
Per  le  pitture  di  questa  Cappella  era  stato  prima  chiamato  Guido 
Reni,  il  quale  fu  costrello  fuggir  da  Napoli    per    le   minacce    di 

Sasso  —  Voi.  1.  10 


—  -l  — 

morte  che  ebbe  da'  due  piltori  napolitani  Ribera  ,  e  Corenzio. 
J  continui  timori  ed  insulti  tra  i  quali  ('.n'on  fatte  queste  ope- 
re, repressero  non  poco  il  genio  del  gran  pittore  bolognese.  La 
Sagrestia  anche  essa  è  ricca  di  capi  d'opera  delle  arti.  Vi  è  una 
macchia  del  Domenichino  terminata  dal  Jlassimo,  varii  be'  quadri 
del  Giordano,  e  la  soffitta  dipinta  dal  Farelli.  Vi  si  conserva  ol- 
ire a  ciò  una  copiosa  e  ricca  suppellettile  e  vasi  sagri  di  gran 
valore.  Qui  è  riposto  il  Sangue  di  s.  Gennaro,  la  di  cui  miraco- 
losa li(|iiefaziono  accade  Ire  volte  all'anno. 

Questa  ricchissima  Cappella  è  di  padronato  della  Gittà  di  Na- 
poli, e  si  fa  conto  che  siasi  speso  per  essa  un  Milione  di  Ducati. 
È  servita  da  dodici  Ecclesiastici  insigniti,  col  titolo  di  Cappellani 
del  Tesoro. 

S.  Doniciiieo  illnggiore. 

La  chiesa  di  s.  Domenico  Maggiore  nel  12°  Secolo  era  un 
modesto  Tempietto  intitolato  a  s.  Michele  Arcangelo  (  dal  nome  di 
una  vicina  famiglia)  detto  a  Morfisa.Da  Papa  Pasquale  11. nel  1II6 
fu  dato  ai  monaci  Benedettini.  Nel  1231  venuti  iu  Napoli  i  Padri 
di  s.  Domenico  a  predicare,  ricevettero  cortese  ospitalità  dai  Be- 
nedettini ed  indi  loro  cedettero  la  Chiesa,  l'ospedale,  e'  1  monaste- 
ro, ciò  avveniva  nel  1240. 

I  nuovi  Padri  la  ricostruivano  in  onore  di  s.  Domenico, e  nel 
1233  fu  da  Papa  Alessandro  IV  sotto  quel  titolo  consagrata. 

Indi  nel  1283  venne  l' attuale  magnifico  Monumento  eretto 
d'ordine  di  Carlo  II  d' Angiò  con  disegno  del  nostro  primo  Ma- 
succio.  Costui  volle  che  dopo  la  sua  morte  accaduta  nel  1309 , 
vi  fosse  depositato  il  suo  cuore.  La  Chiesa  è  vasta  di  disegno  gotico 
e  piena  di  monumenti  di  arte.  Rovinò  in  parte  col  tremoto  del 
1436 ,  e  fu  restaurata  presso  a  poco  sullo  stesso  disegno  da  No- 
vello da  s.  Lucano.  L' Altare  maggiore  è  disegno  del  Fanzaga , 
i  puttinisono  di  Lorenzo  Vaccaro.  Per  due  gradinate  si  scende  al 
Soccorpo,  anche  esso  di  disegno  gotico.  Molte  Cappelle  meritano 
essere  osservate.  La  prima  dopo  l'Altare  maggiore  dal  lato  del  Van- 
gelo, dedicata  al  Rosario,  ha  le  pitture  del  Fischetti ,  le  sculture 
del  Sammartino. 

La  Cappella   di   s.   Stefano    contiene  due  Sepolcri  del  San- 


—  75  — 
facroce,  ed  un  quadro  della  Vergine  col  Bambino  del  Giotto.  Nella 
Cappella  Pinelli  il  quadro  della  Nunziata  era  di  Tiziano  ^  che  se- 
condo de  Dominici  fu  involato  dal  Viceré  di  Aragona  ,  e  quello 
che  vi  è  oggi  è  una  copia  del  Giordano.  L'aliare  nel  pilastro  quasi 
incontro  alla  suddetta  Cappella  del  Rosario  ha  tre  belle  statue  del 
Merliano.  Presso  la  porta  piccola  da  questo  lato  è  stato  ripostoli 
Sarcofago  del  Cavalier  Marini  col  suo  ritratto  in  bronzo,  che  era 
nel  Chiostro  di  s.  Agnello.  —  La  Cappella  Crispo  à  nell'  Altare 
un  quadro  di  Marco  da  Siena.  Nella  Cappella  di  Roccella ,  dedi- 
cata a  s.  Bartolomeo,  il  quadro  di  questo  Santo  è  del  Calabrese, 
e  gli  altri  due  sono  del  Lanfranco.  — Nella  Cappella  dei  Rota  la 
statua  del  s.  Giambattista  è  del  Merliano  ,  il  Sepolcro  del  poeta 
Bernardino  Rota  è  dell'Auria.  La  Cappella  de'Franchi  ha  le  pitture 
a  fresco  del  Corenzio,  ed  un  Salvatore  alla  colonna  del  Caravag- 
gio. Nell'ultima  Cappella  accanto  la  porta  principale  il  quadro  di 
s.  Giuseppe  nell'altare  è  una  bell'opera  del  Giordano,  il  quadro  la- 
terale della  Sacra  famiglia  è  una  buona  copia  dell'  originale  di 
Raffaello  involato  anch'  esso ,  come  ancora  il  de  Dominici  ,  dal 
Viceré  di  Aragona,  ed  i  due  di  rimpetto  dell'Epifania  e  della  Ver- 
gine sono  del  Solario.  Dall'altro  lato  della  gran  porta  nella  Cap- 
pella di  s.  Martino  si  ammira  il  bel  quadro  della  Nascita  del  Sa- 
batini. 

La  gran  cappella  del  Crocifisso  ,  che  si  vuole  che  avesse  te- 
nuto discorso  con  s.  Tomaso  d'Aquino  presenta  vari  notabili  og- 
getti. Il  Crocifisso  è  dipinto  in  una  tavola  antichisima,  la  deposi- 
zione dalla  croce  a  dritta  dell'altare  è  del  Solario,  ed  il  Calvario 
a  sinistra  è  di  Giovanni  Corso,  il  sepolcro  di  Francesco  Carafa  fu 
cominciato  da  Agnello  di  Fiore  e  terminalo  dal  Merliano. Nella  cap- 
pella di  s.  Raimondo  sono  da  notarsi  pe'progressi  dell'arte  gli  affreschi 
di  Agnolo  Franco,  discepolo  di  Colantonio  di  Fiore,  come  pure  nella 
seguente  Cappella  de'  Brancacci  i  due  quadri  laterali  della  Madda- 
lena e  di  s.  Domenico  dipinti  ad  olio  da  Maestro  Stefanone  ;  e 
la  Vergine  di  Angelo  Franco.  Nella  Cappella  di  s.  Tommaso  di 
Aquino  il  quadro  è  del  Giordano.  La  Cappella  de'  Carafa  Belve- 
dere ha  buone  sculture.  In  due  Cappelletle  l'Ascensione  dell'una  è 
di  Nario  da  Siena,  ed  il  s.  Girolamo  dell'altra,  il  quale  si  batte 
il  petto  con  un  sasso,  è  un  basso  rilievo  attribuito  ad  Agnello  di 
Fiore.  Dopo  la  Cappella  di  s.  Giacinto  vedesi  il  Sepolcro  di  Ga- 


—  76  — 
leazzo  Pandone  del  Merliano.  Le  Cappelle  posle    presso    la  porta 
piccola,  che  sporge  sulla  piazza  della  guglia,  formavano  l'antica 
diiesa  che  qui  avevano  i  Domenicani  fin  dal  1231.  Vi  sono  varie 
antiche  pitture  dogne  di  attenzione. 

La  Vergine  delle  Grazie  co'  due  Santi  a  lato  fu  dipinta  da 
Angelo  Franco.  Il  s.  Domenico  si  vuole  il  vero  ritratto  del  Santo 
ed  i  quadretti  laterali  sono  opera  dei  due  Donzelli  Pietro  ed  Ip- 
polito, a  cui  appartiene  pure  la  tavola  della  Vergine  con  due  San- 
ti nella  Cappella  di  s.  Sebastiano.  In  una  di  dette  Cappelle  la 
tavola  della  Purificazione  è  di  Marco  da  Siena  ,  ed  in  quella  di 
S.  Domenico  vi  sono  due  quadri  del  Giordano.  In  questo  tempio 
trovansi  molti  sepolcri  de' nostri  Principi  Angioini,  ed  Aragonesi. 
Nella  crociera  si  veggono  in  alto  quelli  di  Filippo  e  di  Giovan- 
ni 1'  uno  quartogenito  e  1'  altro  ottavogenito  di  Carlo  lì  di  An- 
giò  ,  che  sono  opere  del  primo  Masuccio.  La  Sagrestia  contie- 
ne dodici  depositi  di  Aragonesi  :  consistono  in  casse  ornato  di 
velluto  colle  insegne  delle  dignità  rispettivo.  La  solfitta  di  questa 
Sagrestia  dipinta  dal  Solimena  è  un  capo  d'opera  d'invenzione,  di 
carattere  e  di  bellezza.  Il  quadro  della  Nunziata  nell'Altare  è  di 
Lanfranco,  e  gli  affreschi  della  Cena  sono  di  Giacomo  del  Po.  E 
tale  in  Napoli  la  profusione  delle  buone  pitture  nelle  Chiese,  che 
fino  le  Sagrestie  ne  sono  piene.  L'annesso  convento,  che  è  molto 
ampio,  è  stato  restituito  ai  Domenicani.  In  esso  mostrasi  la  stan- 
za dove  studiava  s.  Tommaso  di  Aquino,  convertita  in  Cappella. 
Anticamente  in  questo  convento  tenevasi  l'Università  degli  studii. 
Oggi  una  delle  sue  sale  è  destinata  per  le  radunanze  dell'  Acca- 
demia Ponlaniana. 

Nell'anno  1853  è  stato  questo  magnifico  monumento  intera- 
mente ristaurato  sotto  la  direzione  del  distinto  Architetto  Federigo 
Travaglini,  e  son  certo  che  le  anime  del  secondo  Angioino,  e  del 
primo  Masuccio  dall'alto  dei  Cieli  mirando  dopo  il  volgere  di  SOO, 
e  più  anni  questo  tempio,  con  soddisfazione  veggono  risorto  a  nuo- 
va vita  ;  il  primo  il  suo  volo,  ed  il  secondo  il  suo  talento  per  le 
solerti  cure  del  prelodalo  Architetto  Travaglini. 


»•  Aspremo  rifalso. 

Per  questo  Tempio  che  si  vuole  rifatto  dal  nostro  Masucciu 
I,  ne  abbiamo  in  Napoli  due  chiese,  cioè  s.  Aspreino  alle  crocelle 
fuori  porta  s.  Gennaro,  e  questo,  dicosi  fondato  nel  1633,  che  ne 
fece  un  modello  l'Architetto  Ferdinando  Sanfelice:  ma  die  non  in 
eseguito,  ed  invece  fu  costrutta  la  chiesa  sul  disegno  fattone  dal- 
l' altro  architetto  Luca  Vecchione. 

L'altro  Tempio  ò  la  piccola  e  divota  chiesetta  di  s.  Aspremu 
in  un  fondaco  di  abitazioni  vicino  all'antico  seggio  di   Porto. 

Per  antica  tradizione  si  à  che  questo  fosse  stato  un  luogo  so- 
pra mare,  dove  facea  le  sue  orazioni  il  nostro  primo  Vescovo  s.  A- 
spremo.  Sembra  però  che  questa  chiesa  fosse  slata  fondata  molli 
anni  dopo  la  morto  di  s.  Asprerao  ,  come  ne  fa  fede  l'antichissi- 
ma iscrizione  in  marmo,  che  nella  medesima  si  legge. 

Credo  con  più  ragione,  che  questa  sia  quella  accennata  ri- 
fatta dal  primo  Masaccio.  Nulla  al  presente  vi  è  d'osservabile  in 
materia  di  arte. 

s.  Giovanni  iUa^giorc. 

La  Chiesa  di  s.  Giovanni  Maggiore  una  delle  più  antiche  Ba- 
siliclie  di  Napoli  è  una  delle  quattro  principali  parrocchie.  Secondo 
i  nostri  antiquari,  in  questo  sito  dovea  essere  il  Sepolcro  o  Tem- 
pio di  Partenope,  e  qui  ancora  si  crede  eretto  posteriormente  aN 
tro  Tempio  consagrato  dall'Imperatore  Adriano  al  suo  Antinoo. 

La  Chiesa  è  stata  rifatta  più  volte,  e  nulla  vi  resta  del  nostro 
architetto  Masuccio  I.  Fu  ridotta  alla  forma  presente  nel  163S  .  e 
quindi  di  nuovo  restaurata  nel  168o,coo  disegno  del  Lazzari. Vi  sono 
due  bassi  rilievi  di  Giovanni  da  Nola,  uno  che  rappresenia  Gesù  nel 
Giordano,  l'altro  la  decollazione  di  s.  Giovanni.  Nella  prima  Cap- 
pella a  dritta  entrando  in  Chiesa  si  vede  una  tavola  antica  della 
Madonna,  s.  Antonio  Abate,  e  s.  Michele,  e  sulla  quarta  una  più 
bella  dell'adorazione  de'Maggi.  Nella  Sagrestia  evvi  una  tavola  ad 
olio  di  Francesco  figlio  ed  allievo  di  mastro  Simone  pittore  morto 
nel  1370.  Innocenzo  XH  vi  eresse  nel  1692  una  collegiata  con  un, 
Primicerio,  13  canonici,  10  addomadari,  e  circa  30  altri  fra  sa- 


~  78  — 
cerdoti,  beneficiati,  e  chierici.  Se  come  altri  volessi  far  pompa  di 
lettura  ,  e  riempir  le  mie  pagine  di  note  -  oh  !    quanto   material 
raccor  potrei  dall' Engenio  per  questa  antica  Basilica. 

Palazzo  Colombrano. 

Questo  appartenea  alla  nobile  famiglia  Carafa  eretto  con  di- 
segno del  nostro  primo  Masuccio.  Fu  posteriormente  rifatto  da 
Diomede  Carafa  ai  tempi  di  Ferrante  I.  d'Aragona,  indi  passò  ad 
altri  padroni. 

La  sua  facciata  di  travertini  a  punta  di  diamanti,  fu  secoli 
dopo  imitata  dal  Saulucano  ,  e  dal  d'Agnolo,  il  primo  col  palazzo 
s.  Severino,  e'I  secondo  col  palazzo  Gravina.  Tutti  gli  scrittori  delle 
patrie  cose  fan  menzione  del  nobile  museo  di  antichità  ivi  esistente, 
posteriormente  perduto!  Da  un  lato  di  questo  palazzo  (  oggi  ridot- 
to in  vico  s.  Filippo  e  Giacomo)  si  entrava  in  un  ameno  giardi- 
no con  giuochi  d'acqua  ai  quali  il  proprietario  volle  alludere  il  di- 
stico ,  che  ancora  vi  si  legge ,  e  non  già  ai  lupanari  ,  come  si 
spiegò  da  taluni. 

Hic  abitant  Ninphae  dulces ,  et  suada  voluptas. 
Siste  gradum,  atque  intrans,  ne  capiare,  cave. 

Passò  questo  palazzo  finalmente  in  proprietà  all'  avvocato  D. 
Francesco  Santangelo  ,  padre  di  D,  JXiccola ,  stato  nostro  Mini- 
stro Segretario  di  Stato  degli  affari  Interni.  Si  il  padre ,  che 
il  figlio  vi  anno  riunito  una  superba  quadreria,  un  museo  numi- 
smatico, altro  di  vasi  etruschi,  una  copiosa  biblioteca,  ed  un  pre- 
zioso assortimento  di  stampe  dai  primi  tempi  dell'  incisione  sino 
ai  dì  nostri. 

Palazzo  niaddaloni . 

L'attuale  palazzo  in  via  Toledo  che  dicesi  ancora  palazzo  Mad- 
daloni,  conoscesi  dalle  storie  che  fu  fondato  dal  Marchese  del  Vasto 
neir  epoca  dell'apertura  della  bella  Strada  di  Toledo.  Il  fondo  ap- 
partenea alla  casa  Pignatelli  dove  eranvi  un  nobile  giardino  denomi- 
nato il  caro  giojello  che  occupava  la  superficie  sino  all'attuale  chiesa 


—  79  -^ 
di  Monlesanlo.  Noi  tempi  posteriori  passò  nello  mani  del  Duca  Ca- 
rafa  di  Maddaloiii,  che  lo  abbellì,  è  lo  rendette  più  nobile.  Da 
D.  Marzio  Carafa  fu  ornato  di  pitture  nello  scale  per  opera  di  Fran- 
cesco di  Maria  iu  concorrenza  con  Micco  Spadaro  ,  che  più  non 
esistono.  Da  Giacomo  del  Pò  vi  fu  dipinta  la  gran  sala  che  oggi 
serve  di  ruota  alla  Corte  Suprema  con  favolo  e  storie  a  chiaro- 
scuro. La  porta  e  la  scala  di  questo  palazzo  furono  diretti  e  di- 
segnati dal  Cav.  Fanzaga. 

Ciò  posto  come  si  può  desumere  che   questo   sia   il    palazzo 
edificato  dal  I  Masuccio  ?  L' epoche  ? 

Questo  palagio  dunque  esser  debbo  quello  rifatto  da  Diomede 
Carafa  che  posteriormente  alla  prefata  epoca  ottenne  il  titolo  di 
Conte  di  Maddaloni  dai  Re  Aragonesi  nel  1466.  Aggiungi  che  nel 
rislaurare  ed  abbellire  il  dello  Monumento  il  prelodato  signore  vi 
fé'  porre  nel  cortile  la  gran  lesta  del  Cavallo  di  bronzo  ollenuta 
da'  suoi  predecessori  ,  per  meriti ,  in  dono  dal  cardinale  Arcive- 
scovo di  Napoli  :  ciò  avveniva  nel  1322  ,  e  con  savio  provvedi- 
mento ciò  adoperava  quel  degno  Prelato  nel  togliere  il  Cavallo  ; 
onde  fare  svanire  la  superstizione  di  raggirarvi  intorno  quei  ca- 
valli che  dolor  nel  ventre  pativano;  giacche  il  credulo  volgo  avea 
tenute  per  vere  le  puerili  dicerie  del  nostro  Giovanni  Villani  in- 
torno alla  magia  di  Virgilio  come  riferisce  il  Celano  ,  e  con  ciò 
molti  nostri  scrittori  s' ingannano  pel  notato  millesimo  circa  lo  ac- 
quisto della  testa  del  cavallo  e  dell'  edificazione  del  palagio. 

Per  gli  accennali  monumenti  di  scultura  praticati  dal  nostro 
primo  Masuccio  è  inutile  venirne  ad  esatta  descrizione  ;  imperoc- 
ché e  chiaro  che  il  poco  rimastovi,  altro  pregio  non  tiene  che  l'an- 
tichità e  la  comune  riverenza  per  essere  stalo  le  prime  opere  in 
Napoli  nel  risorgimento  delle  arti  dopo  V  invasione  e  distruzione  dei 
barbari.  Credo  adunque  essere  bastante  la  da  me  eseguitane  indi- 
cazione. 


VITA  DELL'  ARCHITETTO  E  SCULTORE 

MASICCIO  li. 

COI  LA  DESCRIZIONE  DELLE  SIE  OPERE  ESEGIITE  E  NAPOLI 


CONSISTENTI 


In  Architettura 

Chiesa  dell'  Annunziata. 

Chiesa  di  s.  Chiara,  e  Monastero. 

Chiesa  e  Convento  della  Maddalena. 

Campanile  di  s.  Chiara. 

Arco  gotico  alla  porta  del  Cortile. 

Compimento  della  Chiesa  di  s.  Lo- 
renzo. 

Chiesa  di  s.  Giovanni  a  Carbonara. 

Chiesa  ed  Ospedale  di  s.  Maria  della 
Pietà. 

Chiesa  di  s.  Michele  Arcangelo. 

Primo  progetto  pel  Castel  s.  Eiamo. 

Assistenza  e  sua  opera  in  s.  Martino. 


Kella  Cultura 

Sepolcro  di  Caterina  d'  Austria  in  s. 

Lorenzo. 
Sepolcro  di  Carlo  ,  Illustre  Duca  di 

Calabria. 
Sepolcro  della  Regina  Maria. 
Sepolcro  del  Re  Roberto. 
Sepolcro  di  Giorgio  Filomarino. 
Sepolcro  di  Marino  Caracciolo. 
Sepolcro  dell'Arcivescovo  Aiglerio. 
Sepolcro  di  Guglielmo  Guindaccio. 
Sepolcro  di  Riccardo  Piscicello. 
Sepolcro  del  Duca  di  Durazzo  fratello 

del  Re. 
Sepolcro  di  Filippo  Principe  di  Acaja, 

e  di  Taranto. 
Sepolcro  di  Rernardo  del  Ralzo. 
Sepolcro  di  Laudulfo  Crispano. 
Sepolcro  della  fanciulla  Maria. 
Sepolcro  di  Giovanni  d'Aquino. 
Sepolcro  della  Regina  Giovanna  V. 


-^^^^ 


Anno -1306 


Chi  noQ  suda,  non  gela,  e  non  s'estolle 
Dalle  vie  del  piacer  la  non  perviene. 
Tasso  G.  L. 


Per  quanta  gratitudine  debba  un  Paese  ad  accurato  scrittore 
che  la  gloria  e'J  talento  de'suoi  concittadini  s'affatica  consegnare 
alla  posterità  ;  altrettanta  sventura  lo  affligge ,  quando  nessuno 
scrittore  per  lunghi  periodi  sorge  a  narrare  le  gesta,  i  vanti ,  i 
talenti,  e  le  opere  dei  propri  Concittadini  ;  frutto  degli  ordini  e 
savi  provvedimenti  di  qualche  ottimo  Principe. 

Nacque  il  secondo  Masuccio  da  Pietro  de'Stefani  nell'anno 
1291,  e  visse  96  anni.  Essendo  stato  tenuto  al  sacro  fonte  da  Ma- 
succio  Architetto,  fu  in  memoria  di  lui  cosi  nominato. 

Appena  adulto  si  vide  inclinato  alle  svariate  discipline  dipen- 
denli  dall'arte  del  disegno,  e'I  suo  genio  fu  di  tale  incitamento 
al  suo  compare,  che  risolvette  farsene  precettore. 

Cercò  il  Masuccio  d' istruirlo  in  tutte  le  ottime  regole  di  ar- 
chitettura, e  di  scultura,  e  lo  conducea  seco  su  i  lavori  alla  sua 
direzione  affidati;  acciò  unito  avesse  alle  teoriche  la  pratica.  Ma 
l'uomo  propone  ed  Iddio  dispone!  Nel  momento  appunto  che  il  no- 
stro Masuccio  secondo  era  nel  più  bello  della  sua  scientifica  e 
pratica  istituzione,  sotto  la  direzione  di  si  valente  suo  principale, 
e  maestro;  gli  venne  questi  da  morte  crudelmente  involato!!! 

Erano  si  Pietro  degli  Stofani,  quanto  il  fratel  suo,  assai  vec- 
chi e"l  povero  Masuccio  secondo  aiutava  il  padre  nelle  opere  di 
scultura;  ma  troppo  debole  egli  era  per  si  dure  fatiche. 

Accadde  in  quel  tempo  che  Niccolò,  e  Giacomo  Sconditi  ri- 
cuperarono la  libertà,  laonde  volendo  dar  compimento  ad  un  voto 


—  st- 
rallo di  erigere  una  Chiesa  alla  ss.''  Nunziata  con  un  Ospedale  per 
i  poveri  infermi,  si  diressero  a  Pietro  degli  Stefani  per  averne  il 
disegno,  ed  avutolo  dettero  l'ordine  di  cominciarsi  la  fabbrica.  I 
disegni  li  fece  il  giovanetto  Masuccio,  e  non  solo  i  disegni  :  ma 
ne  fece  una  bozza  in  modello.  Il  monumento  fu  comincialo  nel 
1306.  Avea  il  giovane  Artista  13  anni.  Il  sito  fu  in  un  territorio 
donato  ai  slessi  Sconditi  da  Giacomo  Calcola  nella  piazza  antica- 
mente appellata  Regione  Ercolanense  per  i  giuochi  da  Ercole  isti- 
tuiti, ed  ove  era  un  tempo  l'antico  Ginnasio  come  dal  marmo  gre- 
co, e  latino  che  tuttora  vi  si  legge,  fatto  ai  tempi  doll'ollavo  Im- 
peratore di  Roma  Tito  Vespasiano.  Oggi  è  la  Strada  della  ss.*  Nun- 
ziata. Aveva  il  giovanetto  con  ciò  dato  mostra  del  suo  mirabilis- 
simo ingegno,  che  di  gran  lunga  i  giovanili  anni  suoi  avanzava, 
avendo  quasi  la  Chiesa  all'uso  Italiano  condotta,  scostandosi  mol- 
tissimo dalla  gotica  maniera,  ed  in  modo,  che  a  tutti  infondea 
positive  speranze,  che  un  ottimo  architetto  sarebbe  riuscito.  Non 
falli  la  generale  speranza;  imperocché  avea  questo  giovanetto  ap- 
preso dal  primo  Masuccio  le  Romane  forme  nutrendo  un  ardente 
desiderio  di  vedere  in  quell'alma  Città  i  magnifici  edlGzì  della  ve- 
neranda antichità  per  abolire  al  possibile  il  gusto  germanico.  A- 
more  e  riverenza  non  gli  faceano  mettere  in  esecuzione  il  suo  di- 
segno. L'età  cadente  del  padre,  e  dello  Zio  non  permettevano  ad 
egli,  loro  sostegno,  che  si  allontanasse. 

A  poco  successe  la  morte  di  ambi  i  due  vecchi.  Dette  il  Ma- 
succio  riposo  alle  ossa  onorate;  e  confortato  il  duolo,  rassettatigli 
interessi  domestici,  pose  in  esecuzione  il  lodevolissimo  divisamen- 
to.  Andò  a  Roma. 

Quanto  esislea  allora  in  Ri)ma  scoverto  dagli  investigatori 
delle  antiche  reliquie  si  in  Architettura  ,  che  nella  Scultura  visi- 
tava il  nostro  Masuccio  secondo,  e  di  tutto  ciò  che  lo  colpiva  ne 
ritraea  il  disegno,  formandone  accuratissimo  studio,  per  lo  quale 
occupava  financo  le  ore  destinate  al  riposo;  il  che  non  reca  meravi- 
glia, massime  a  chi  conosce    di    che  è  capace  1'  amore  dell'arte. 

Venuto  alla  conoscenza  delle  vere  proporzioni  ,  si  trovò  nel 
possesso  dell'arie. 

Agli  otto  Settembre  1309,  da  Papa  Clemente  V.  fu  coronato 
jn  Avignone  Re  di  Napoli  il  Duca  di  Calabria,  per  l'avvenuta  mor- 
te di  Carlo  II.  il  sapientissimo  Re  Roberto. 


—  85  — 

Si  questo  eccellente  e  dotto  Sovrano,  che  la  sua  consorte  la 
Begina  Sancia  edificare  voleano  un  tempio  in  onore  del  Corpo 
di  Cristo. 

Fattane  parola  ,  furono  presentati  molti  disegni  da  vari  ar- 
chitetti ;  ma  non  soddisfacendo  nessuno  al  genio  deSovrani  ,  do- 
mandò Roberto  degli  artisti  di  cui  erunsi  servili  il  padre  ,  e 
l'Avolo,  e  de'quali  avevano  udito  a  lodare  la  fama.  Gli  fecero  noto 
die  eran  lutti  morti  :  ma  che  un  loro  figliuolo  allevato  dall'archi- 
tetto Masuccio,  e  da  lui  istruito  si  ritrovava  in  Roma,  dove  si  era 
portato  per  compiere  i  suoi  studi ,  e  colà  fatto  s'avea  un  buon  no- 
me. Non  indugiò  punto  Re  Roberto  di  mandare  subilo  suo  ordine 
in  Roma  ,  che  in  Napoli  il  secondo  Masuccio  venisse.  Questi  si 
ritrovava  in  quel  mentre  occupalo  in  importanti  lavori  :  ecco  la 
ragione  percui  obbedir  non  potette  ai  comandi  del  suo  Sovrano,  ed 
invece  con  umili  scuse  domandò  dilazione  pel  suo  ritorno,  promet- 
tendo di  ben  servire  il  Re,  tostochè  avesse  dato  buono  avviamen- 
to all'intrapreso  lavoro  in  Roma. 

Sdegnossi  a  tale  ripulsa  Roberto ,  e  si  rivolse  ad  un  fo- 
restiero architetto  di  cui  ignoro  il  cognome  ,  e  che  allora  dimo- 
rava in  Napoli.  Questi  vedutone  il  sito  formò  i  disegni,  e  model- 
li, che  subito  presentò  alle  Maestà  loro,  e  con  immense  parole  , 
fece  ai  Sovrani  di  Napoli  già  veder  surto  in  quel  sito  il  più  bei 
tempio  del  mondo.  Si  dette  principio  all'opera.  Vi  buttò  Roberto 
la  prima  pietra,benedetta  dal  Cardinale  Arcivescovo  Umberto,  as- 
sistito dalla  Regina,  dai  Principi,  e  dalle  Principesse  suoi  figliuo- 
li, e  da  molti  Baroni  del  Regno.  Nel  1310  la  prima  pietra  per 
s.  Chiara. 

Mentre  Masuccio  in  Roma  s'alfannava  a  far  presto,  per  tosto 
obbedire  ai  comandi  del  suo  Sovrano,  eblje  di  lutto  notizia,  cono- 
scendo che  sdegnato  con  lui  era  il  Re.  Senti  a  tal  dolorosa  nuo- 
va accendersi  dall'ardente  desiderio  di  portarsi  in  Napoli  al  più 
presto  possibile,  e  vedere  che  ordine  si  lenea  da  colui,  e  che  pre- 
paramenti aveva  fatti.  Foce  di  tutto  per  accomiatarsi  dal  Cardinale, 
che  l'incaricò  della  direzione  che  gli  avca  affidato  in  Roma,  e  co- 
me potette  affidarne  ad  altri  il  compimento,  (dopo  pareccliio  tem- 
po) si  recò  in  Napoli. 

Erau  trascorsi  otto  anni  da  che  il  forestiero  Archili'lto  diri- 
gea  i  lavori  per  s.  Chiara.  Giunse  in  Napoli  il  Masuccio  nell'anno 
1318,  ed  al  momento  si  portò  ad  osservarla. 


—  86  — 

Conobbe  difettoso  il  modello,  conobbe  che  molto  vi  mancava 
nell'opera,  e  massime  la  principale  delle  tre  parli  richiedenti  l'ar- 
chitettura per  mancanza  di  fondamenta,  la  solidità.  Domandò  su- 
bilo udienza  al  Re  ,  l'ottenne.  Cercò  con  belli  modi  prima  calmar- 
lo verso  di  lui,  e  poi  da  artista  francamente  gli  disse  il  cattivo 
principio,  e  pessimo  avanzamento,  che  si  teneva  nell'ordinato  Mo- 
numento. 

Il  savio  Roberto,  ordinò  subito  che  desistesse  il  forestiero  dal- 
l'intrapreso  lavoro,  ed  in  sua  presenza  si  fosse  fatta  da  più  esperti 
maestri  nell'arte  una  perizia.  Tenutosi  sopra  luogo  la  perizia,  co- 
nobbe il  Re  il  bel  talento  del  Masuccio  e  il  poco  valore  del  fore- 
stiero. Ordinava  il  provvido  Sovrano  che  al  Masuccio  fosse  affi- 
data la  cura  della  direzione  e  riparazione  del  Tempio,  e  compirlo 
a  suo  talento. 

Dispiacea  al  nostro  Architetto  veder  che  la  Chiesa  erasi  mol- 
lo innanzi  tirala,  e  che  non  potea  buttare  a  terra  il  già  fatto,  sen- 
za arrecare  grave  danno  al  Reale  erario. 

Raddoppiavasi  in  lui  il  doloro  vederla  alla  germanica  ma- 
niera incominciata.  Tuttavia  confortandosi  di  animo  promise  al  Re 
rimediare  ai  commessi  disordini,  ed  alla  meglio  che  potea  com- 
pirla. 

Mentre  che  Masuccio  proseguiva  questa  fabbrica  alquanto  di 
mala  voglia  per  essere  alla  cosi  detta  Gotica  ,  e  perchè  veniva 
altresì  biasimala  da  Carlo  Illustre  Duca  di  Calabria  figliuolo  di 
Roberto  ,  e  Vicario  del  Regno,  gli  convenne  scolpire  il  sepolcro 
a  Caterina  d'Austria  moglie  di  esso  Carlo,  la  quale  morì  nel  1331. 
e  questo  con  magnifica  diligenza  compiuto  fu  collocato  dietro  l'Al- 
tare Maggiore  in  s.  Lorenzo.  Cessala  questa  nuova  occultazione 
ritornò  ad  applicarsi  alla  Chiesa  ;  ma  gli  venne  imposto  dalla 
Regina  Sancia  l'erezione  della  nuova  Chiesa  e  Monistero  di  s.  Ma- 
ria Maddalena.  Fu  con  magnifica  pompa  e  Real  munificenza  co- 
minciata la  Chiesta  col  Monistero  di  bella  forma  alla  Romana  con 
essere  in  tal  moiiumento  ammirafo  il  Masuccio  ,  e  potette  in  par- 
te far  noto  la  sua  abilità,  c'I  peregrino  suo  ingegno. 

Or  mentre  che  questa  nuova  Chiesa  avea  principialo  avvenne 
che  dalla  Regina  medesima  gli  venne  comunicalo  un  pensiere 
ch'Ella  nutriva  da  più  tempo  nel  cuore ,  ed  era  di  erigere  una 
Chiesa  con  un  Convento  alle  Suore  ed  ai  Frati  di  s.  Francesco  di 


—  87  — 
Assisi  ia  qualche  ritnolo  luogo.  Ebbe  a  somma  ventura  uo 
tal  comando  il  Masaccio ,  ed  adocchiò  un  sito  vicino  al  mare  ia 
un  boschetto ,  il  quale  facea  aprica  collinetta  poco  tratto  lon- 
tano dall'  abitato  :  lo  partecipò  alla  Regina  che  ne  fu  piena- 
mente contenta.  Fattone  un  picciolo  modello  (  che  sino  al  secolo 
passato  era  in  mano  de'Frati  )  dette  principio  alla  fabbrica  e  nel 
mentre  che  quella  di  s.  Chiara  guidava,  dirigea  quella  della  Madda- 
lena, e  con  mirabile  prestezza  l'una  e  l'altra  si  avanzavano,  si  vide 
questa  terza  condotta  a  buon  termine  con  ordine  dorico  architet- 
tata ;  iuGuo  vi  fabbricò  nel  tempo  slesso  un  comodo  convento  per 
le  suore  ,  e  poco  lungi  un  altro  pe'  Frati  ne  fece  ,  come  al- 
tresì a  poca  distanza  altra  Chiesa  eresse  col  titolo  della  ss.*  Tri- 
nila. Tutta  ia  fabbrica  fu  terminata  nell'anno  1328,  come  nel  Rea- 
le Archivio  si  legge. 

Se  ne  consolò  la  religiosa  Sovrana  vedendo  eretta  al  divino 
culto  per  opera  sua  si  belle  Chiese. 

In  quest'ultima  spesso  vi  andava  ad  orare  cantando  delle  lau- 
di a  Dio  in  compagnia  della  Suore.  Finalmente  quivi  si  ritirò 
dopo  la  morte  di  Re  Roberto,  facendosi  suora  di  s.  Francesco 
e  cambiando  il  nome  di  Sancia  in  suora  Chiara.  Quivi  servendo 
qual  umile  serva  le  monache  santamente  mori.  Il  suo  sepolcro  , 
situato  neir  Altare  superiore  di  questa  Chiesa  ,  si  tiene  benanche 
per  opera  del  secondo  Masuccio. 

E  questo  luogo  oggi  il  più  cospicuo  e  frequentato  di  tutta  la 
Capitale,  giusta  la  profezia  ,  che  ne  fece  s.  Francesco  di  Paola , 
allora  che  il  convento  si  eresse  ;  nel  fallo  toltone  il  basso  ,  vi  fu 
fabbricato  avanti  il  palazzo  Reale,  e  poi  il  Nuovo  Real  Palazzo  , 
e  poi  s.  Ferdinando  e  magnifici  palazzi  particolari,  ed  aperte  le 
tre  Strade  di  Toledo,  s.  Lucia,  e  Chiaja  ;  finalmente  ai  di  nostri 
l'attuale  piazza  di  Palazzo  col  tempio  di  fronte  a  detto  Santo  con- 
sagrato, ed  i  due  palagi  laterali  come  a  suo  tempo  saranno  e- 
sposti  e  descritti. 

Volendo  il  Duca  Carlo  erigere  la  Chiesa  e'I  Convento  di  s. 
Martino  si  confidava  con  Francesco  di  Vito,  e  21ino  di  Siena  ar- 
chitetti, e  ne  dette  la  cura  a  fra  Riccio  Abate  di  s.  Severino  per 
guidarne  la  spesa. 

Cominciata  la  fabbrica  ,  e  non  soddisfacendo  al  genio  del 
Principe,  nominò  questi   per  Sovrintendente   dell'  opera  il   nostro 


—  88  — 
architetto  Masiiccio  secondo,  che  unitosi  col  Vito,  e  non  col  Zino 
condussero  a  fine  la  fabbrica.  Essendosi  pure  in  quell'epoca  1323 
proposto  da  Re  Roberto  di  fabbricare  su  quel  monte  un  Castello, 
ne  fu  il  primo  progetto  del  Masuccio,  ed  indi  poi,  come  appres- 
so si  dirà,  da  altri  ultimato. 

Era  morta  Caterina  d'Austria  moglie  del  Duca  di  Calabria 
Carlo:  morì  ancora  la  Regina  Maria,  madre  del  Re.  Per  la  qual 
cosa  questo  dotto,  e  pio  Monarca,  ordinava  al  Masuccio  l'uno ,  e 
l'altro  Sepolcro. 

In  quello  della  Regina  madre  scolpito  a  bianchi  marmi  con 
Reale  magnificenza,  avendo  l'altro  con  buon  disegno  cominciato 
a  musaico  sopra  quattro  colonne,  e  con  Reale  Maestà  eseguito  co- 
me si  vede  dietro  l'altare  maggiore  della  chiesa  di  s.  Lorenzo 
per  non  essersi  allora  ancora  compiuta  la  Chiesa  di  s.  Chiara.  Su 
detto  Sepolcro  si  legge. 

(c  Hic  jacet  Caterina  filia  regis  Alberti ,  et  neptis  regis  Ro- 
e  dulphi  romanorum  regis  ac  soror  Friderici  in  regem  romano- 
c  rum  electi  domini  Austriae  ,  ac  consors  spectabilis  Caroli  pri- 
c  mogeniti  domini  principis  domini  Roberti  ecc. 

Quello  della  Regina  madre  scolpito  con  più  attenzione  e  com- 
piuto con  maggior  genio,  fu  collocato  nella  parte  inferiore  del 
comunicatorio  della  Chiosa  di  s.  Maria  donna  Regina,  come  Ella 
aveva  ordinato.  Per  questi  sepolcri  n*  ebbe  il  Masuccio  dal  Re  e 
dalla  Reale  Famiglia  larghe  laudi  e  compensi. 

L'iscrizione  del  Sepolcro  della  Regina  non  polendosi  dal  cu- 
rioso leggere,  perchè  in  sito  di  clausura  la  riporto. 

Hic  requiescit  Sanctae  memoriae  excellentissima  Domina,  Do- 
mina Maria  Dei  gratia  Hierusalem  Siciliae  Ungariaeq;  regina,  ma- 
gnifici principis  quondam  Stephani  Dei  gratiae  Regis  Ungaria,  ac 
relieta  clarae  memoriae  inclyti  principis  domini  Caroli  secundi , 
et  mater  serenissimi  principis,  et  domini,  domini  Roberti ,  eadem 
gratia  dei  Dei  dictorum  regnorum  Hierusalem,  Siciliae  Regum  il- 
lustrium  ;  quae  obiit  anno  Domini  M.CCC.XXIH.  Indict.  VL  die 
XXV.  mensis  martii  cujus  anima  requiescat  in  pace.  Amen. 

Nel  momento  che  Masuccio  dirigea  gli  accenuati  lavori ,  fu 
frettolosamente  chiamato  dalle  suore  di  s.  Francesco  per  accor- 
rere al  riparo  della  Chiesa  ,  che  elle  per  commiserazione  avea- 
no  affidata  alla  direzione  dello  stesso  architetto  forestiero  che  ave- 


■—  89  — 
Ta  tlalo  principio  ai  lavori  di  s.  Chiara.  Tutlo  riparò  il  Masuccio, 
rese  sicura  la  Chiesa   e  '1  Convento,  e  con  questo  calmò  le  suore 
smarrite,  che  lo  colmarono  di  celesti  benedizioni. 

Torno  a  s.  Chiara.  Avea  Masuccio  allungata  la  Chiesa  ad  og- 
getto di  crescerla  mirabilmente  di  altezza,  ed  acciò  la  lunghezza 
fosse  proporzionata  alla  larghezza  cercò  ingrandirla  con  ingegnoso 
pensiero.  Tirò  da  fuori  per  ogni  tanto  di  essa  le  piante  di  capaci, 
grandi  e  maestoso  cappelle  ,  compartite  mirabilmente  1'  un  dopo 
l'altra,  e  confidandosi  ai  gagliardi  urtanti  da  lui  fatti  gettare  ,  e 
saliti  a  scarpa  con  sode  e  bene  squadrate  pietre  all'uopo  destinate, 
fabbricava  sulle  mentovate  piante  le  cappelle.  Nei  muri  laterali  apri 
tanto  i  vani  per  quanto  eran  l'altezza  delle  cappelle,  dandoci  l'adito 
dalla  Chiesa,  e  le  decorò  notabilmente  che  il  Notar  Criscuolo  dice 
con  regole  baciferali.  Indi  assicurò  il  tutto  con  magnifici  corren- 
ti, degni  d'esser  pur' oggi  veduti  sì  per  la  loro  grossezza,  quanto 
per  l'armatura,  ed  imbracatura,  e  sicuro  del  fatto  suo  per  l'orna- 
tura ,  ed  imbracatura ,  come  per  la  eseguita  fabbrica  ,  e  rifatto 
appedamenlo,  covri  il  tutto  con  lamino  di  piombo.  Ciò  ;recò  me- 
raviglia e  diletto  nel  1328  a  tutti,  e  massime  ai  pii  Sovrani:  ma 
siccome  nessuno  è  mai  felice  quaggiù  furono  i  sullodali  Regnanti 
amareggiati  dal  più  forte  cordoglio,  dalla  più  alta  sventura  sopra- 
venutagli ,  imperocché  nel  mezzo  del  contento  di  vedere  d'ordine 
loro  eretti  i  più  magnifici  tempi  al  Signore  ,  avveniva  la  morte 
del  loro  primo  ed  unico  figliuolo  l'Illustro  Carlo  Duca  di  Calabria. 

Ebbe  l'incarico  il  nostro  Masuccio  di  farne  il  mausoleo.  Ne 
fece  subito  un  diseguo,  che  approvato  dal  Re,  ne  formò  1'  artista 
poi  un  modello  di  creta  cotta,  e  lo  presentò  puranco  al  Sovrano, 
die  vieppiù  piaciutogli,  volendo  il  Masuccio  mitigare  il  dolore  pa- 
terno, lasciò  ogni  altro  affare,  e  a  lavorar  si  dette  pel  mausoleo, 
che  a  suo  luogo  verrà  niLnutamente  descritto.  Vedutosi  da  tutti  i 
dtladini  questa  nobile  sepoltura,  e  tanto  piacque  allo-  stesso  Re 
Roberto,  che  ordinò  allo  stesso  nostro  artefice  altro  mausoleo  per 
Lui.  e  volle  che  fosso  somigliante  alla  tribuna  già  eretta  dal  pa- 
dre del  nostro  architetto,  da  Pietro  degli  Stefani  nella  Cappella 
de'Minutoli  nel  Duomo,  e  da  situarsi  nel  maggiore  altare,  e  col 
duplice  scopo,  e  per  lo  altare,  e  pel  suo  mausoleo  ,  essendo  la 
Chiesa   in  forma   Gotica   eretta. 

Cos'i  dunque  Masuccio  appagando  il  desiderio  del  Re,,  e  se- 

Sasso  —  Voi.  1.  12 


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condando  il  suo  genio  ,  e  la  necessità  ;  disegnò  e  modellò  in 
tal  forma  il  mausoleo,  costruito  però  con  vari  e  capricciosi  or- 
namenti. Vedutolo  il  Sovrano  disse  che  era  troppo  magnifico 
per  un  uomo  di  poco  merito  come  egli  si  stimava  appresso  Id- 
dio. Variò  nel  pensiere  ,  ed  ordinò  al  Masuccio  di  completare 
le  fabbriche  del  Blonastero   contiguo   alla  Chiesa  ,  e  si  fu  fatto. 

Crescevano  intanto  di  numero  le  suore  nel  monastero  della 
s.  Croce ,  eretto  due  anni  prima  dalla  Regina  Sancia ,  quindi 
era  angusto  il  monumento.  Vedendo  il  Re  Roberto  che  di  gior- 
no in  giorno  crescea  il  sacro  ordino  del  Patriarca  d'Assisi,  au- 
mentandosi la  divozione  per  esso,  determinò  di  ampliare  per  ogni 
canto,  e  rendere  sontuoso  il  Monastero  di  s.  Chiara,  ed  ivi  tra- 
sportatole, acciò  che  ampio  e  spazioso  luogo  abitassero  ,  e  tanto 
maggiormente  a  ciò  si  spinse  che  conoscea  il  pensiero  della  pia 
consorte  d'introdurre  colà  la  regola  di  s.  Chiara. 

Fattane  parola  a  Masuccio  ,  ne  fa  da  questi  disegnata  la 
pianta  e  l'elevalo  che  dovea  in  bclFaccordo  unirsi  al  già  fatto.  A- 
vendo  i  disegni  ben  considerati  Roberto,  che  di  tutto  era  inten- 
dente, conobbe  che  il  progetto  non  solo  dava  1'  ediflzio  capace  a 
buon  numero  di  suore:  ma  gran  locale  vi  superava  per  delizie; 
quindi  ordinò  che  subito  si  fosse  messo  mano  al  progetto  del  Ma- 
succio  ,  e  ciò  recò  non  solo  piacere  alle  suore  ;  ma  somma  con- 
solazione alla  Regina  per  i  santi  pensieri  eh'  ella  avea.  Mentre  che 
questo  Monastero  si  andava  maravigliosamente  ampliando  ,  venne 
in  pensiero  a  Masuccio  di  erigervi  un  campanile  a  cinque  piani , 
che  per  basamento  avesse  l'ordine  toscano,  e  poi  il  dorico,  l'io- 
nico 5  il  corintio  e  '1  composito.  Fattane  parola  al  Re,  lo  persuase 
ad  erigere  un  lai  monumento,  e  conoscendone  Roberto  il  pregio,  or- 
dinò che  non  si  fosse  badalo  a  spesa  ,  e  si  fosse  tirato  innanzi  il 
lavoro.  Munitosi  Masuccio  del  bisognevole  ,  e  di  pratici  operai  , 
buttò  sodi  e  profondi  fondamenti  ;  giacche  dovendovi  sopra  alzare 
i  cinque  ordini  di  architettura  col  modulo  scelto,  dovea  venire  il 
Monumento  di  altezza  meravigliosa.  La  esatta  descrizione  a  suo 
luogo. 

Mentre  che  Masuccio  al  Campanile  stava  applicalo ,  compi  di 
tutto  punto  il  monastero. 

Per  capriccio  d'  arte    volle  il  nostro  Masuccio  far  pompa  del 
suo  bel  talento  ancora  in  un  barbaro  componimento.  Fatto  il  muro 


—  91  — 
del  cortile  avanti  la  Chiesa,  sulla  porta  volle  costruirvi  un  arco  di 
pietre  connesse  di  piperno  sottilmente  lavorate ,  lo  quali  comin- 
dando  suU'  appoggiatura  di  un  piccolo  cartoccio  ,  vengono  pro- 
porzionalmente crescendo  ,  in  modo  che  il  vertice  di  quest'  arco 
gotico  dista  dal  muro  in  tela  palmi  10,  ed  è  meraviglioso  al  pas- 
saggiero;  massime  all'  osservatore  che  la  storia  conosco,  e  chiama 
lì  suo  pensiero  quante  scosse,  e  quanti  tremuoti  sono  successi  nel 
lungo  periodo  di  KOO ,  e  più  anni,  e  l'arco  è  là,  e  senza  la  mi- 
Jiima  mossa. 

Proseguivasi  intanto  la  cominciata  fabbrica  del  campanile  , 
di  comune  ammirazione  :  crescevano  ogni  dì  le  commissioni  al- 
l' architetto  ,  che  di  non  tutte  potendosi  esonerare  ,  non  faccano 
queste  che  far  camminare  Icutamonlc  i  lavori  pel  detto  monumen- 
to; imperocciiè  Masaccio  volea  esser  sempre  presento  ai  lavori.  Le 
commissioni  a  cui  negar  non  si  potette  furono  i  sepolcri  di  Gre- 
gorio Filomarino  nel  Piscopio  ,  ove  innanzi  aveva  finita  la  sepol- 
tura di  Jlarino  Caracciolo  cominciata  dal  padre  suo  nel  1310  ,  e 
lasciata  imperfetta  per  la  sua  morte.  Fece  altresì  il  Sepolcro  di 
Guglielmo  Guindaccio  e  di  Riccardo  Piscicello  ambi  sepolti  in  s. 
Restituta.  In  s.  Domenico  Maggiore  fece  il  Sepolcro  del  Duca  di 
Durazzo  ,  Angioino  ,  fratello  del  Re  Roberto,  ottavogenilo  di  Carlo 
II,  elle  mori  nel  1333,  avendo  prima  fatto  quello  di  Filippo  Prin- 
cipe di  Acaja  e  di  Taranto  che  fu  quarto  —  genito  del  detto  Re 
Carlo  —  Fece  inoltre  il  Sepolcro  di  Bernardo  del  Balzo  signore 
di  Montescaglioso  ;  ma  tutti  questi  lavori  non  1'  avrebbero  mica 
distolto,  se  non  altro  incarico  gli  fosse  slato  affidato  dal  Re,  e  fu 
di  finire  la  sontuosa  Chiesa  di  s.  Lorenzo. 

Avea  il  Re  Carlo  I,  di  Angiò  ottenuto  graziosamente  dai  no- 
bili ,  e  dai  popolani  di  Napoli  il  palagio  del  loro  congresso  ,  ed 
un  antica  Chiesa  che  Giovanni  Vescovo  di  Aversa  avea  conceduto 
ai  frati  conventuali  di  s.  Francesco  nel  1234,  e  volendo  il  Re  per 
un  voto  fatto  al  Santo  Levita  Martire  di  erigergli  una  Chiesa  per 
r  ottenuta  vittoria  di  Re  Manfredi  nel  miglior  sito  di  Napoli,  que- 
sto luogo  scelse  per  la  sontuosa  Chiesa  di  s.  Lorenzo  cominciata 
dal  Primo  Masaccio  al  dir  dell'Eugenio  nella  sua  Napoli  Sacra— 
Re  Carlo  I  volendo  compiere  un  voto  eh'  egli  avea  fatto  a  s.  Lo- 
renzo per  la  vittoria  contro  Manfredi  col  dedicargli  un  tempio  nei 
mezzo  5  e  più  bel  luogo  della  Città  ,  cosi  1'  antico   palagio   (  ove 


—  92  — 

si  congregavano  un  tempo  i  nobili  ,  e  popolani  della  Città  pro- 
dolla  a  trattar  pubblici  negozi  partinenti  al  reggimento  della  me- 
desima città  )  fu  da'  Napolitani  graziosamente  al  Re  conceduto  , 
ed  in  cambio  del  palagio  fu  loro  assegnato  un  luogo  appresso  la 
stessa  Chiesa  ,  eh'  è  quello  che  esiste  sotto  il  Campanile. 

Venuto  a  morte  Carlo  I ,  fu  proseguito  il  lavoro  da  Carlo  II, 
che  nel  1302,  gli  concesse  100  scudi  annui  sopra  i  dazj  dell'  ar- 
rendamento  del  ferro.  Questa  donazione  fu  confermata  da  Re  Ro- 
berto nel  1310  ,  e  poi  da  Carlo  III  di  Durazzo  nel  1381. 

Era  questa  Chiesa  per  i  vari  accidenti  rimasta  molto  imper- 
fetta dopo  la  morte  di  Carlo  II  ,  dovendosi  fra  le  altre  cose  eri- 
gere le  cappelle  della  nave  di  essa.  I  frati  vedendo  si  il  Re  che 
la  Regina  molto  inclinati  alle  opere  di  pietà,  ricorsero  per  averla 
finita.  Volendo  Roberto  compiacerli  ,  ne  dette  la  cura  a  Ma- 
succio  per  compirla.  Vedendo  Masuccio  molto  ben  cominciato  il 
Tempio  ,  fece  il  suo  modello  aggiungendovi  i  finimenti  che  vi 
mancavano  :  ma  sovratulto  vi  accomodò  l' arco  maggiore  cosi 
svelto  nella  sua  gran  corda  ,  che  recò  allora  somma  sorpresa  nel 
solo  modello.  Datovi  adunque  opera  con  tutta  1'  approvazione  del 
Re  cercava  condurla  in  poco  tempo  a  perfezione.  Avendovi  sol- 
tanto terminate  le  cappelle  ,  venne  a  mancar  di  vita  quel  pio  e 
sapientissimo  Sovrano  ai  16  gennaio  1343,  con  universale  pianto, 
e  dolore  di  tutti  i  Napolitani  ! 

Convenne  a  Masuccio  lasciare  ogni  opera  e  solo  applicarsi  a 
lavorargli  il  Sepolcro  suU'  idea  concepitane  anni  innanzi:  cosi  la- 
sciando i  squadri  ,  ed  i  compassi  ;  prendeva  gli  scalpelli  ,  ed  il 
martello. 

Quello  che  più  addolorava  il  cuore  del  nostro  architetto  per 
r  avvenuta  morte  di  quell'  ottimo  Principe,  era  il  non  veder  com- 
piuto il  Campanile  di  s.  Chiara.  Fu  questo  il  motivo  che  quel 
bel  monumento  rimase  ,  e  tuttavia  esiste  sino  al  terz'  ordine.  A 
questo  proposito  per  ribattere  alcuni  saccenti  di  cose  patrie  —  di- 
co, che  il  solo  Eugenio  scrive  nella  pagina  235  e  il  Campanile  fu 
e  cominciato  nel  mese  di  gennaio  1328,  ed  essendo  fatto  sino  alla 
(  prima  parte  per  la  morte  di  questo  buon  Re  rimase  imperfetto, 
e  e  mentre  che  queslo  scriviamo  tuttavia  si  va  riducendo,  a  fine.» 
Scrivea  1'  Eugenio  nel  1624  —  Giovan  —  Agnolo  Criscuolo  ,  che 
scrisse  le  sue    notizie  nel  1560  sessantaquattro  anni  prima  dell'En- 


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genio  nota  i  Ire  ordini  falli  dal  Masuccio  ,  e  che  la  fabbrica  non 
fu  mai  proseguila  ,  cagione    che  si  incompleta  sia  rimasta  finora. 
Per  maggior  documento  dell'  asserito  ecco  le  parole  di  Notar 
Criscuolo  parlando  della  Chiesa  di  s.  Chiara. 

(T  Ma  la  fabbrica  di  fuori    del   Campanile    fece  a   suo  modo 
i  alla  Romana  ,  dove  per  la  bellezza  restò  imperfetta    sino  al  3' 
(r  piano  ,  per  la  morte  del  Re  —  Notar  Crisconius. 

In  alcune  notizie  che    lo  slesso  da  in  un  foglio    di  vari    ar- 
tefici che  dopo  Masuccio  fiorirono  ,  cos'i  soggiunge. 

e  Ninno  di  questi  archilelli  e  scultori    detti  ,   volse   finire   il 
«  maraviglioso  Campanile  di  s.  Chiara  fatto  da  Masuccio  li,  per- 
«:  che  dicevano  esser  dubbio  di  superare  con  gli  altri   due  ordini 
e  li  tre  falli  dal  dello  Masuccio  con  tanta  perfezione  di    architet- 
(c  tura  ,  la  quale  è  lodala  da  Messer  Marco  de   Pino  ,   che  onora 
K  sempre  la  memoria  di  questo  soggetto  ,  il  quale  requiescat    in 
(c  nomine  Domini  —  Amen  s 

Il  nostro  storico  Giovanni    Antonio   Summonte   parlando  del 
detto  campanile  al  3.  Voi  :  pag.  30o  cosi  dice. 

«  Nel  campanile  predetto  sono  due  gran  campane  con  l'iscri- 
e  zione  del  1326.  Però  nel  libro  del  Duca  di  Monleleone  si  legge 
e  che  il  Re  Roberto  vi  fé  fare  cinque  campane  grossissime,  facen- 
c  dolo  porre  sii  certi  pilieri,  e  diede  principio  al  campanile  di  bian- 
c  chi  marmi  ;  e  ciò    concorda  con  la  Cronica  di  Napoli  ,  poiché 
«  nel  capo  10:  del  3  lib.  si  legge  che  il  Campanile  fu  cominciato 
e.  a  fabbricare  nel  mese  di  gennaio  del  1328  ed  essendo  seguitato 
e  sino  alla  parie  terza,  rimase  imperfetto  perla  morte  del  Re;  ben- 
«  che  a  nostri  tempi,  che  ciò  scriviamo  si  va  continuando  con  gran 
e  preparamento  di  marmi  ......  eie.  etc. 

(ìhe  se  da  architetto  paragonar  si  vuole  il  primo  con  gli 
altri  due  ordini  ;  cioè  1'  andamento  ,  carattere  ,  e  costruzione  del 
basamento  Toscano  con  il  Dorico  ,  e  1'  ordine  Ionico  ,  convengo 
perfettamente  esserne  diverso  il  carattere  e  la  costruzione  ;  ma 
sia  che  vuoisi  ,  il  progetto  fu  del  Masuccio  ?  Certo  che  sì  ;  e  se 
invece  del  Campanile  verticalmente  signoreggiante  ,  avessimo  in 
qualche  archivio  rinvenuto  il  disegno  di  un  tal  monumento  pro- 
gettato nel  1310  ,  sarebbe  siala  meno  la  gloria  del  nostro  Ma- 
siiccio  Secondo  ? 
Certo  che  nò. 


—  94  — 

Può  pure  ragionarsi  che  essendo  stato  distolto  (  come  ò  nella 
sua  vita  esposto)  molte  volte  dalla  intrapresa  costruzione  con  al- 
Iri  svariati  incarichi  ,  la  sua  poca  assistenza  portò  meno  lavorio 
alla  squadratura  dei  massi  ,  che  tanto  à  fissato  1'  attenzione  di 
qualche  moderno  scrittore  architetto.  Altri  vogliono  congetturare 
che  dopo  si  sia  portato  sino  al  tcrz' ordine!  Chi  ne  fu  l'esecutore, 
o  l'architetto?  Sotto  i  rimanenti  Angioini,  sotto  gli  xiragonesi,  in 
tempi  dei  Vice  Re,  o  sotto  il  Borboni?  Di  quest'epoche,  nell'ar- 
te nostra  ,  eh'  è  storia  moderna  ,  ne  conosciamo  i  più  minuti  det- 
tagli. Chi  dunque  lo  proseguì  ???  Per  me  lo  ritengo,  e  ve  Io  re- 
galo per  opera  immaginata  e  diretta  dal  secondo  Masuccio ,  e 
solo  desidererei  vederlo  compiuto  sino  al  corintio ,  da  chi  non  a- 
vesse  l'umiltà,  e  la  bassezza  dell'esimio  architetto  Andrea  Ciccio- 
ne ,  allievo ,  dell'  inventore  ,  e  direttore  del  più  bel  monumento 
m  Europa  do'  primi  anni  del  Secolo  XIV. 

Comunque  poi  sia  andata  la  faccenda,  io  Napolitano  godo  qéÌ 
vedere  nel  mio  paese  un  si  bel  monumento  opera  del  1328  men- 
tre tutta  r  attuale  dotta  Europa  giacca  per  i  monumenti  nella  più 
oscura  barbarie.  Vedi  o  lettore  nella  tavola  II  il  disegno  ,  e  se 
pure  non  sei  architetto,  decidi  dalla  sensazione  che  ti  ia  il  bello 
accordo  ,  e  le  giuste  proporzioni. 

Cominciò  dunque  Masuccio  il  Real  Mausoleo,  giusta  1'  archi- 
tettato modello,  il  quale  non  lo  volle  alterare  la  Regina  Giovanna 
prima,  di  quello  che  piaciuto  avea  all'avolo  Re  defunto  Roberto  , 
ecco  ragione  che  si  lavorò  con  gotica  architettura  per  accompa- 
gnare 5  come  ò  detto  l' ordine  della  Chiesa. 

Intanto  che  la  sepoltura  dell'estinto  Re  Roberto  andavasi  po- 
nendo in  opera  ,  convenne  a  Masuccio  circa  la  fine  del  sudetto 
anno  1343,  fare  i  disegni  per  la  erezione  della  Chiesa  di  s.  Gio- 
vanni a  Carbonara  por  amore  del  beato  Cristiano  Franco  frate 
dei  servi  di  Maria  ,  che  avendone  dallo  stesso  avuto  la  commis- 
sione non  avea  potuto  negarsi  ad  uomo  di  tanta  santità.  La  Chiesa 
si  cominciò  a  fabbricare  nel  suolo  che  a  quello  avea  donato 
Gualtiero  Galeota  cavaliere  Napolitano  con  i  contigui  giardini. 

Questa  Chiesa  fu  senza  soggezione  formata  da  Masuccio  a  suo 
genio,  avendone  prima  architettato  il  modello.  Essendo  però  po- 
veri i  padri  ,  quella  ricchezza  di  marmi ,  fu  posteriormente  fatta 
d*  ordine  del  Re  Ladislao  ,  ma  senza  alterare  le  forme  e  l' archi- 
tettura del  Masuccio. 


—  95  — 

Molti  anni  dopo  vi  si  aggiunse  la  cappella  del  Marchese  di 
Vico,  sontuosissima  poi  lavoro,  e  ricca  di  marmi  come  a  suo  luo- 
go dirò.  Terminata  adunque  la  sepoltura  di  Re  Roberto  ,  cercò 
Masuccio  dar  compimento  alla  Chiesa  di  s.  Lorenzo.  Messo  di 
nuovo  al  lavoro  il  solerte  ed  instancabile  artefice,  portò  a  compi- 
mento le  cappelle ,  e  il  raagniCco  arco,  abbellì  di  ornamenti  tutta 
Ja  Chiesa  ,  e  massime  la  cappella  di  s.  Antonio.  Dovea  farsi  la 
facciata  ,  e  la  porta  maggiore  ,  ma  le  turbulenze  che  insorsero 
per  la  morte  di  Andrea  d'  Ungheria  ,  primo  marito  di  Giovanna 
Prima ,  non  dettero  luogo  al  monumento. 

Bartolomeo  di  Capua  volle  con  questa  porta  dar  compimento 
alla  Chiosa  ;  laonde  ordinò  che  fosse  a  sue  speso  condotta  a  fine, 
come  si  vedo  dalle  sue  insegue,  che  non  solo  sono  collocate  sulla 
porta,  ma  per  la  Chiesa  ancora.  Restarono  nel  vedere  compiuta 
questa  "Chiesa  ollremodo  appagati  i  Napolitani  ,  e  lutti  ammiratori 
dell'  arco ,  e  nel  fatto  e  ammirabile  sondo  lutto  formato  con  pie- 
tre dolci  del  nostro  friabilissimo  tufo  ,  con  piccoli  cunei  sur  una 
corda  di  palmi  sottanta,  e  di  sesto  palmi  trentacinque,  non  facen- 
do nessuna  mossa  pel  volgere  di  Cinquecento  e  più  anni. 

Fece  Masuccio  altre  varie  sepolture  ,  alcuno  delle  quali  es- 
sendo situate  nel  Vescovado  ,  furon  poi  tolte  per  erigervi  il  fa- 
moso Cappellone  di  s.  Gennaro,  diroccandosi  a  tale  effetto  le  cap- 
pelle dei  Zurli,  e  dei  Filomarini,  le  ossa  de'  quali  furono  unite  a 
quelle  dei  Piscicelli  ,  coi  quali  aveano  parentela.  Fece  altresì  il 
sepolcro  del  famoso  dottor  Bernillo  Guindaccio^  che  fu  modico,  e 
Razionale  della  Regia  Camera  della  Summaria  ,  e  questa  sepol- 
tura vedesi  davanti  la  porta  deli'  Arcivescovado  che  fu  lavorata  da 
Masuccio  ,  nel  1370  per  ordine  di  Giovanna  Ammendola  sua 
consorte. 

Fece  1'  altra  di  Landulfo  Crispano  Luogotenente  della  men- 
tovata Regia  Camera.  Fece  l'altra  della  fanciulla  Maria  nel  1371, 
ed  è  dietro  l'altare  maggiore  in  s.  Lorenzo.  Una  però  delle  piìi 
belle  sepolture  che  si  veggono  di  Masuccio  Secondo,  è  quella  che 
sta  nella  Chiesa  di  s.  Domenico  Maggiore  di  Giovanni  d'Aquino, 
morto  nel  134o  ,  situata  presso  la  Cappella  di  S.  Tommaso  ,  ac- 
canto alla  nuova  Sagrestia ,  e  sopra  questa  sepoltura  vi  sono  le 
pitture  di  Mastro  Simone. 

Di  quanti  lavori  di  Sepolture  fece  Masuccio,  ninno  lavorò  con 


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più  cordoglio  di  quello  che  afflisse  il  cuor  suo  il  lavorio   per   la 
tomba  della  Regina  Giovanna  I ,  che  sta  nel  Castello  di  Muro  nel 
monte  Gargano  ,  e  quella    in  s.    Chiara    è  dei   giovani    del    Ma- 
succio. 

Ecco  al  Reame  di  Napoli  Carlo  III  di  Dufazzo,  da  cui  aven- 
done fra  Giorgio  eremita  ottenuto  un  campo  ai  piedi  delle  scale 
di  s.  Giovanni  a  Carbonara  ,  ne  fu  data  la  cura  a  Masuccio  di 
erigervi  una  Chiesa  dedicata  a  s.  Maria  della  Pietà,  la  quale  in 
breve  spazio  di  tempo  condusse  a  fine  ,  con  I'  Ospedale  che  la 
pietà  dei  Napolitani  volle  erigere  per  i  poveri  infermi  nell'  an- 
no 1383. 

Era  il  Masuccio  pervenuto  agli  uliiiiii  anni  di  sua  vecchiez- 
za ,  quando  il  Cardinal  Brancaccio  volle  erigere  una  Chiesa  al 
Principe  delle  celesti  milizie  —  s.  Michele  Arcangelo:  conoscendo 
le  opere  ed  il  talento  del  Masuccio  ,  volle  che  questi  gli  edifi- 
casse la  Chiesa.  Gli  convenne  farne  i  disegni  con  una  bozza  in 
modello  ,  e  sebbene  il  luogo  era  angusto ,  pure  ne  sorti  con  lau- 
de ed  ingegno  ,  terminandolo  nel  1387. 

Compita  la  Chiesa  di  s.  Michele  Arcangelo  fu  sopraggiunte 
quest'  eccellente  architetto  e  scultore  da  acutissima  febbre  ,  alla 
quale  non  più  potendo  resistere  le  sue  forze  nell'  età  di  anni  96, 
fini  il  corso  di  questa  vita  mortale  nel  1387  ,  carico  di  onori,  di 
laudi,  e  di  ricchezze  acquistate  col  mezzo  delle  sue  virtuose  ope- 
razioni. Con  la  sua  morte  l'  architettura  e  la  scultura  molto  per- 
dettero ;  imperocché  pe'  suoi  accuratissimi  studi  aveano  queste  arti 
avuto  lume  ed  incremento  ,  per  quanto  loro  fu  necessario  e  suf- 
ficiente ad  essergli  scorta  al  vero  modo  di  quell'  operare,  e  scuo- 
la utilissima  a  quei  che  vennero  ad  esercitarle  in  appresso. 


DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE. 

Cbicsa  (IcII^  Annunziata. 

Come  dalla  vita  or  ora  esposta  dell'  illustre  architetto  e  scul- 
tore Masuccio  II,  si  rileva  che  questo  magnifico  monumento  ebbe 
molti  deboli  principi  ;  imperocché  bisogna  conoscere  che  nel    re- 


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gno  di  Cado  li.  d  Angiò  avendo  questo  Sovrano  di  Napoli  guer- 
ra in  Toscana  ,  rimasero  in  una  battaglia  prigionieri  i  due  fra- 
telli Giacomo  e  Niccola  Sconditi  nobili  del  Seggio  di  Capuana, 
cosi  non  credo  superfluo  dare  le  minute  notizie  della  fondazio- 
ne del  monumento,  concessioni,  ampliazioni,  ricchezza,  distruzio- 
ne, e  riedificazione.  Tornando  ai  Sconditi,  era  per  sette  anni  du- 
rata la  loro  prigionia  nel  castello  di  Montecatino  in  Toscana,  ne 
speranza  vi  era  per  essi  di  ricuperare  la  perduta  libertà,  e  rive- 
dere le  patrie  mura.  Nei  momenti  del  più  affliggente  dolore,  col 
cuor  devoto,  pregavano  la  ss."  Vergine  gli  infelici  prigionieri,  sup- 
plicandola d'invocarcela  da  Dio.  Fecero  gli  addolorati  germani 
Sconditi  un  voto,  che  se  liberi  nella  patria  ritornavano,  edificare 
in  onore  della  ss.  Vergine  una  Chiesa.  3h'racolosaraente  nel  ve- 
gnente giorno  ricevettero  la  tanto  sospirata  grazia.  Giunti  liberi 
e  lieti  in  Napoli  nell'anno  1304  in  un  luogo  donatagli  da  Gia- 
como Galeota  (  pure  nobile  dello  slesso  seggio  di  Capuana  )  che 
denominato  veniva  il  mal  passo,  essendo  che  spesso  vi  si  com- 
mettevano misfatti;  edificavano  una  piccola  chiesa  in  onore  della 
ss.'  Vergine  dall'angiolo  Gabriele  Annunziata,  e  ciò  in  conformità 
di  un  apparizione  avuta  nella  lora  prigionia.  Questa  chiesetta  fu 
da  essi  edificata  nel  luogo  medesimo  dove  oggi  vedesi  eretta  la 
chiesa  della  Maddalena  (benanche  del  nostro  secondo  Masuccio). 

Vi  fondarono  ancora  una  confraternita  detta  dei  Battenti  ripen- 
titi nella  quale  primi  vi  si  ascrissero.  Indi  a  poco  vi  si  ascrisse- 
ro benanche  quei  della  Famiglia  Reale,  e  molti  Baroni  del  Regno. 

Crebbe  a  tal  segno  questa  congregazione,  che  in  breve  tem- 
po vi  edificavano  un  comodo  ospedale  per  i  poveri  infermi.  Nel- 
l'anno 1324  avendo  ricevuto  in  iscambio  dalla  Regina  Sancia 
r  attuale  suolo  di  maggiore  ampiezza,  ed  il  danaro  bisognevole 
per  edificar  la  nuova  chiesa  ed  ospedale,  dettero  fervorosamente 
principio  all'opera  sopra  il  disogno  avutone  dal  nostro  secondo 
Masuccio. 

La  Regina  Margherita  di  Durazzo  madre  di  Re  Ladislao  sen- 
do  inferma  fé 'voto,  che  se  ricuperava  la  salute  ,  d'  applicare  la 
città  di  Lesina  a  qualche  chiesa  alla  ss.  Vergine  dedicata.  Ricu- 
però la  salute.  Adempì  al  volo  fallo  con  applicare  le  rendite  di 
detta  Città  all'ospedale  eretto  sotto  la  protezione  della  Vergine  ss. 
Annunziata,  e  ciò  nell'anno  1411. 

Sasso  — Voi.  I.  13 


—  98  — 

Nell'anno  1438  la  Regina  Giovanna  II.  vedendo  il  luogo  an- 
gusto al  numero  degli  infermi  che  vi  concorreva,  a  proprie  spese 
lo  riedificò  dalie  fondamenta  aumentandone  positivamente  la  pian- 
ta, e  terminato  lo  dotò  di  molti  beni  stabili  consistenti  in  case 
nella  città  di  Napoli ,  ed  in  terre  nel  tenimenlo  di  Somma. 

Posteriormente  vi  concorsero  ad  arricchire  questo  pio  luogo, 
molti  cittadini  con  ampie  donazioni  di  feudi,  e  di  opulentissime  ere- 
dità, di  modo  che  divenne  uno  degli  stabilimenti  più  ricchi  non 
del  Reame  ma  dell'  Italia.  Nell'anno  1340  fu  la  chiesa  riedificata 
dalle  fondamenta  con  disegno  del  Manlio. 

Nel  16K4  fu  fatta  la  soffitta  dal  celebre  Lama  ,  e  vi  con- 
corsero a  gara  a  dipingervi  l' Imparato  ,  il  Curia ,  e'I  Santafede. 
Nella  cupola,  e  nel  coro  vi  dipinse  il  Gorenzio. 

Per  la  chiesa  vi  erano  lavori  del  Massimo,  del  Mellino  Lo- 
renese,  del  Santafede,  del  Lanfranco,  del  Giordano,  del  Vaccaro, 
del  Lama,  e  di  Raffaello  d'Urbino. 

Le  statue  di  stucco  sulle  lunette  erano  di  Niccolò  Vaccaro. 

L'altare  maggiore  ornato  con  preziosissimi  marmi,  e  con  co- 
lonne le  di  cui  basi,  e  capitelli  erano  di  bronzo  dorati,  come  si- 
milmente il  baldacchino  sostenuto  da  due  gran  putii,  fu  opera  im- 
maginata ed  eseguita  dal  celebre  Cavalier  Fanzaca,  spendendovi 
come  già  dissi  nella  prefazione  ducati  settantamila. 

La  custodia,  fatta  dal  Napolitano  Antonio  Monte,  di  argento, 
constava  ducati  ventiseltemila. 

Due  angioloni  pure  di  argento  tenenti  ciascuno  un  torciere, 
pure  opera  del  sullodato  distinto  artefice  ,  costavano  ducali  die- 
cimila. Come  le  porte  laterali  conducenti  al  coro  pure  dal  Mon- 
te eseguite  di  argento  valevano  ducali  ottomila.  Vi  erano  scul- 
ture del  Santacroce,  del  Bernini ,  di  Giovanni  da  Nola. 

La  notte  del  24  Gennaio  17157  segui  l'incendio  della  chiesa 
dell'Annunziata,  con  danno  delie  più  celebri  dipinture,  guaste  .  e 
rovinate  le  sculture  con  la  perdita  di  più  centinaja  di  migliaia 
di  ducati!!! 

Quest'incendio  avvenuto  un  secolo  or  compie,  sarà  sempre  da 
rammentarsi  con  immenso  doloro  da  tulli  i  Napolitani  ,  e  dagli 
amatori  delle  arti  belle. 

Terminato  lo  incendio,  dai  governatori  del  luogo  si  fé' dare 
subilo  principio  alla  nuova  fabbrica    dell'attuale    monumento    in 


—  99  — 
forma  più  magnifica  ed  augusta  sul  disegno,  e  sotto  la  direzione 
del  Napolitano  Architetto  Luigi  Vanvilelli;  la  di  cui  attuale    esi- 
stenza sarà  da  me  esposta  nelle  opere  di  si  distinto  artista. 


Kanta  Chiara 

Al  monastero  di  monache  è  unito,  come  ò  esposto  nella  vita 
del  secondo  Masuccio,  un  convento  di  frati  riformati  mantenuto 
dalle  monache  per  servizio  della  chiesa,  ed  il  loro  guardiano  è 
ordinario  del  luogo. 

La  chiesa  che  al  primo  colpo  d'occhio  sembra  piuttosto  una 
gran  sala,  che  un  Tempio  del  Signore,  fu  cominciata  d  ordine 
del  Re  Roberto,  e  della  Regina  Sancia  l'anno  1310,  e  fu  consa- 
crata l'anno  1344.  Ha  320  palmi  di  lunghezza  ,  e  120  di  lar- 
ghezza. 

Eravi  in  questo  luogo  una  spaziosa  piazza  presso  le  mura 
dell'antica  città,  le  quali  mura  passavano  per  dove  è  ora  la  chie- 
sa di  s.  Marta.  Il  detto  Tempio  è  di  disegno  gotico  che  piacque 
al  savio  Roberto,  e  che  era  oggetto  di  derisione  a  Carlo  suo  6- 
gliuolo  Illustre  Duca  di  Calabria,  e  Vicario  Generale  del  Regno. 
L'Architetto  come  di  sopra  ò  accennato  fu  uno  straniero  ,  ed  il 
monumento  dopo  otto  anni  che  era  in  costruzione  minacciò  crol- 
lare. Fu  allora  che  l'opera  venne  aflidata  al  nostro  secondo  Ma- 
succio,  il  quale  riparò  la  rovina,  ma  tanto  praticare  non  potette 
pel  disegno.  Il  come  oprasse  per  i  ripieghi  d'arte  l' ò  esposto  nel- 
la sua  vita. 

Masuccio  propose  il  Campanile  in  cui  spiegò  tutto  il  suo  ge- 
nio per  la  buona  architettura,  doveva  avere  cinque  ordini  ;  ma 
non  fu  eseguito  che  fino  al  terzo.  Peccato  che  questo  bel  monu- 
mento del  risorgimento  delle  arti  è  oggidì  ingombrato  da  casucce. 

La  chiesa  era  stala  tutta  dipinta  dal  Giotto  a  fresco,  chiamato 
da  Roberto  ad  istigazione  del  Boccaccio,  e  del  Petrarca  :  ma  un 
certo  Barionuovo  Spaguuolo  magistrato  delegato  del  luogo  ,  fece 
dar  di  bianco  sulle  pitture  perchè  davano  (disse  )  un  aspetto  te- 
tro alla  chiesa.  Un  residuo  di  esse  ne  resta  sulla  porta  della  sa- 
crestia, ed  una  Vergine  col  Bambino  in  un  altarino  addossato  ad 
un  pilastro  presso  la  porta  minore.  Dopo  il  1744,  questa  Chiesa 
♦^  stala  caricata  di  ogni  genere  di  ornamenti  potendosi  dir  di  essa 


—  100  — 
quel  che  Apelle  dicea  ad  un  cattivo  artefice  che    avca   ornata  di 
gemme  l'Elena  da  lui  dipinta:  Tu  non  la  puoi  far  bella,  e  la  fai 
ricca.  Cotai  nuovi  ornamenti  sono  disegni  di  Domenicantonio  Vac- 
caro.  Nelle  pitture  furono  impiegali  i  migliori  artisti   del  tompo. 

Del  celebre  cavalier  Conca  da  Gaeta  sono  i  tre  tondi  sotto  la 
volta  del  coro  dei  frati;  il  primo  quadro  sulla  soffitta  della  nave, 
ed  il  gran  quadro  di  mezzo  tutti  dipinti  a  fresco,  e  le  quattro  vir- 
tù ad  olio  nei  quattro  angoli  sull'altare  maggiore. 

A  Francesco  di  Mura  appartengono  il  quadro  di  mezzo  alle 
dette  quattro  virtù,  quello  sull'altare  maggiore,  e  l'altro  sul  coro 
dei  frati,  il  quale  rappresenta  il  Re  Roberto  che  assiste  all'edifica- 
zione del  Tempio;  pitture  tutte  ad  olio.— Sono  del  Bonito  il  terzo 
gran  quadro  a  fresco  della  soffitta  con  i  quattro  dottori  ad  esso 
laterali ,  come  pure  gli  angeli  ai  lati  del  quadro  maggiore  che  è 
del  sullodato  distinto  cav.  Conca  —  L'altare  principale,  disegno  del 
Sanfelice,  à  una  grande  statua  di  argento  della  Concezione.  Nella 
cappella  Sanfelice  a  destra  dell'  altare  maggiore  vi  ò  la  Crocifissione 
del  Lanfranco,  e  richiama  l'attenzione  una  bell'urna  antica,  la  quale 
serve  di  tumulo  ad  uno  della  famiglia.  La  seguente  Cappella  della 
famiglia  del  Balzo  à  bassorilievi ,  e  la  Cappella  dei  Cito  à  varie 
sculture  del  Sammartino.  Sull'ingresso  della  porta  piccola  è  degno 
di  osservarsi  il  bel  Sepolcro  di  una  donzella  fatto  dal  Merliano.  — 
Varii  altri  Sepolcri  privati  possono  pure  meritare  attenzione. 

Non  è  da  tralasciarsi  osservare  i  reali  Sepolcri  che  sono  in 
questa  Chiesa. 

Dietro  l'altare  maggiore  vi  è  quello  del  savio  Roberto  ,  che 
prima  di  morire  nel  1343  vesti  solennemente  l'abito  di  frate  mi- 
nore ,  laonde  vi  è  rappresentato  su  doppia  forma  da  Re  ,  e  da 
frale.  A  lato  di  questo  sepolcro  è  l'altro  di  suo  figlio  Carlo  illu- 
stre Duca  di  Calabria  a  lui  premorto —  Questi  due,  come  sopra 
ò  esposto,  sono  l'opera  del  2"  Masuccio  ed  eseguiti  secondo  il  gu- 
sto del  tempo.  Segue  il  Sepolcro  di  Giovanna  L,  che  ritengo  dei 
giovani  del  Masuccio,  stante,  ripeto,  il  sepolcro  di  questa  Sovra- 
na ,  opera  dal  2°  Masuccio  nella  città  di  Muro  in  Basilicata. 
Dall'altro  lato  quelli  di  altre  tre  Principesse  della  famiglia  Angioina. 

A  sinistra  dell'altare  vi  è  la  Cappella  de'  depositi  dei  princi- 
pi della  famiglia  Regnante  ,  per  alcuni  dei  quali  vi  si  leggono 
belle  iscrizioni  del  Mazzocchi.  Il  Sepolcro  del  Principe  Filippo  è 
opera  del  Sammartino. 


—  101  — 

Al  laterali  dell'allaro  maggiore  sopra  due  piedistalli  di  mar- 
mo vi  sono  allogate  le  due  colonne  ,  che  si  dicono  essere  state 
dell'antico  Tempio  di  Salomone  —  L'organo  fu  tolto,  e  dentro  la 
Cappella  ove  sta  sepolta  la  bambina  Maria  figliuola  di  Carlo  duca 
di  Calabria.  Vi  sono  cinque  depositi  di  cinque  Principesse  Reali 
morte  bambine  ,  figlie  dell'immortale  Re  Carlo  III  Borbone  con 
iscrizioni  del  nostro  celebre  Canonico  Mazzocchi. 

La  spesa  erogata  per  gli  abbellimenti,  dipinture,  ornati,  ed 
indorature  ascese  a  ducati  100,000.  L'architetto  ne  fu  D.  Giovan- 
ni del  Gaiso  e  furono  eseguite  in  tempo  del  governo  della  signo- 
ra D.  Delia  Bonito.  Al  momento  che  io  scrivo  si  stanno  ritoccan- 
do tutte  le  indorature  di  questo  ricchissimo  monumento. 

Convento  e  Chiesa  della  Maddalena 

Furon  questi  edificati  dal  nostro  Masaccio  ,  come  nella  sua 
vita  si  è  detto,  d'ordine  della  Regina  Saucia,  vicino  alla  Duche- 
sca,  con  l'altro  di  s.  Maria  Egiziaca  per  essere  Ritiri  di  pentite. 
In  progresso  di  tempo  divennero  clausure  di  nobili  vergini.  Que- 
sto monastero  della  Maddalena  non  à  molto  fu  rifabbricato  con 
magnificenza  con  disegno  del  Giofi'redo.  La  Chiesa  fu  interamen- 
te rifatta  dall'architetto  Falcone.  Che  non  può  il  tempo  ? 

Campanile  di  S.  Chiara 

Per  questo  magnifico  monumento  parmi  aver  detto  abbastan- 
za si  nella  mia  prefazione,  che  nella  vita  dell'illustre  Masuccio  2". 
Per  maggiore  intelligenza  del  lettore,  e  per  far  cosa  completa,  ri- 
peterò qui  appresso  le  quattro  iscrizioni  in  esso  esistenti  che  mol- 
le notizie  ci  danno. 

Furono  questa  Chiesa  e  Monastero  principiati  nel  1310,  e  ter- 
minati nel  1328,  come  si  legge  impresso  nella  parte  del  Campa- 
nile verso  Mezzogiorno  ,  e  che  oggi  non  può  leggersi  perchè  in- 
gombrata l'iscrizione  dalle  casucce. 


—  102  — 

ILLUSTRtS  .  CLARUS .  ROBERTUS  REX  SICULORtJM 

SAN'CIA    .    REGWA    .    PROELUCENS    .    CARDINE    .    MORLM 

CLARI  .  CONSORTES  .  VIRTUTUM  .  MUNERE  .  FORTES 

VIRGINIS  .  HOC  .  CLARAE  .  TEMPLUM  .  SLUXERE  .  BEATAE 

POSTEA  .  DOTARUNT  .  DONIS  .  MULTISQUE  .  BEARUST 

VIVANT  .  CONTENTAE  .  DOMINAE  .  FRATRESQUE  .  MINORES 

SANCTE  .  CUM  .  VITA  .  VIRTUTIBUS  .  ET  REDEMITA 

ANNO  .  MILLENO  .  CENTENO  .  TER  .  SOCIATO 
DEMO  .  FONDARE  .  TEMPLUM  .  CAEPERE  .  MAGISTRI 

Si  nominano  in  questa  iscrizione  i  Frati  Minori  Conventuali  di 
s.  Francesco  ,  perchè  a  questi  Frati  fu  data  la  cura  della  Chiesa, 
e  l'amministrazione  de'  Sagramenti  alle  suore  ,  che  eseguirono  fin 
all'  anno  1368,  ed  in  questo  tempo ,  per  ordine  del  s.  Pontefice 
Pio  V  ;  ad  istanza  del  Re  Filippo  II  ,  ne  furono  rimossi  ,  ed  in 
luogo  loro  vennero  i  frati  Osservanti  :  e  poscia  nell'anno  lo98, 
in  luogo  di  questi  vi  furono  posti  quelli  della  Riforma  .  che  al 
presente  continuano. 

Nel  1769,  furono  di  ordine  del  Re  tolti  i  riformati ,  poiché 
vietossi  in  tal  tempo  a  tulli  i  Frati  forestieri  poter  predicare  ,  e 
confessare  nel  Regno,  e  vi  furono  introdotti  i  PP.  Alcanterini  del- 
la Provincia  di  Lecce:  ma  per  sovrana  clemenza  abilitati  i  fore- 
stieri a  questi  esercizi i .  nuovamente  vi  s'introdussero  i  Riformati , 
che  continuano  a  permanervi. 

Nel  1328,  come  si  disse  compiuta  la  Chiesa ,  nel  1330  ,  da 
Papa  Gio.  XXI,  vi  furono  concesse  tutte  l'indulgenze  e  grazie,  che 
godono  i  frali  Minori  di  s.  Francesco  per  tutto  l'Orbe,  come  nel- 
lo slesso  campanile  impresso  si  legge  nella  parte  che  guarda  oc- 
cidente, che  così  dice  : 

ANNO  .  MILLENO  .  TERDENO  .  CONSOCIATO 

ET  .  TRECENTENO  .  QUO  .  CHRISTUS  .  NOS  .  REPARAVIT 

ET   .  GENUS  .  HUMANl'M  .  COLLAPSUM  .  AD  .  SE  .  REVOCAVIT 

ELEUSES  .  CINCTAS  .  CONCESSIT  .  PAPA  .  JOANNES 

VIRGINIS  .  HUIC  .  CLARAE  .  TEMPLO  .  VIRTUTE  .  COLENDO 

OBTINUIT  .  MUNDO  .  TOTAS  .  QUAS  .  OB  DO  .  MINORUM 

SI  .  VOS  .  SANCTORUM  .  CUPITIS  .  VITAMQ  .  PiORUM 

HIC  .  O  CREDENTES  .  VENIATIS  .  AD  HAS  .  EEVERENTES 

DICITE  .  QUOD  ,  GENTES  .  HOC  .  CREDANT  .  QUAESO  .    LEGENTES 

Nell'anno  poscia  1340,  fu  solennemente  consegrata,  con  l'in- 


—  103  ~ 
fei'vento  di  dieci  Prelati,  Ira  Vescovi  ed  Arcivescovi,  come  nell'i- 
sfesso  Campanile  si  legge,  dalla  parte  che  guarda  Oriente  in  que- 
sto modo. 

ANNO  .  SIB  .  DOMINI  .  MILLEXO  .  VIRÌGINE  .  NATI 

ET    .    TRECENTEKO    .    CONJINCTO    .    CHI    .   QUATRAGENO 

OCTAVO  .  CLBSU  .  CLBRENS  .  INDICTIO  .  STABAT 

PRAELATI    .    MLLTI    .    SACEARUNT    .    HIC    .    NUMERATI 

G.  Plus  .  HOC,  SACBAT  .  BRUNDUSII  .  METROPOLITA 

R.  Q.  BARI  .  PRAESUL  .  B.  SACRAT  .  ET  .  IPSE  .  TRANENSIS 

L.  DEDIT  .  AMALFA  .  DIGNUM  .DAT  .  CONTlA  .  PETRUM 

P.    Q.    MARIS    .    CASTRUM    .    VICUS    .    I.    C.    DATQUE    .    MILETUM 

G.  BOJANUM  .  MURUM  .  FERT  .  N.  VENERANDUM 

Si  fa  ancora  menzione  nell'altra  parte,  che  riguarda  Tramon- 
tana, di  tutti  i  personaggi  reali,  che  a  detta  consagrazione  inter- 
vennero ;  e  dice  cosi  : 

BEX  .  ET  .  REGINA  .  STANT  .  HIC  .  MULTIS  .  SOCIATI 

UNGHARIAE  .  REGIS  .  CENEROSA  .  STIRPE  .  CREATUS 

CONSPICIT    .    ANDREAS    .    CALABBORUM    .    DUX    .    VENERATUS 

DUX  .  PIA  .  DUX  .  MAGNA  .  CONSORS  .  UUICQUE  .  JOANNA 

NEPTIS    .    REGALIS    .    SOCIAT    .    SOROR    .    ET    .    IPSA    .    MARIA 

ILLUSTRIS  .  PRIFCEPS  .  ROBERTl'S  .  ET  .  IPSE  .  PARENTI 

IPSE  .  PHILIPPUS  .  FRATER  ,  VULTU  .  REVERENTI 

IIUC  .  DUX  .  DIRATII  .  KAROLUS  .  SPECTAT  .  REVERENDUS 

SUNTQ.  DUO  .  FRATRES  .  LLDOVICUS  .  ET  .  IPSE  .  ROBERTUS 

Essendo  stato  questo  tempio  e  monastero  dedicato  all'Ostia  Sa- 
cra 0  con  altre  voci  ,  al  Sacro  corpo  di  Cristo  ,  impetrò  il  detto 
Re  Roberto  dal  sommo  Pontefice  ,  che  la  processione  del  Sacra- 
mento, che  usciva  solennemente  nello  stabilito  giorno  del  giovedì 
dopo  l'ottavo  della  Pentecoste, fosse  passata  per  questa  Chiesa,  den- 
tro della  quale  avesse  l'Arcivescovo,  dall'altare  maggiore  data  la 
benedizione  alle  suore  ed  al  popolo,  come  tuttavia  è  in  uso,  con 
quell'ordine,  e  riti  puntualmente  descritti  dal  nostro  Cesare  di  En- 
genio  nella  sua  Napoli  Sacra. 

Si  nomina  ora  di  s.  Chiara  ,  perchè  essendo  stato  fondato  il 
Monistero,  e  dotalo  per  lo  mantenimento  di  200  monache  ,  v'  in. 
trodusse  la  divota  Regina  Sancia  l'istituto    del    lerz'ordine    di    s. 


—  104  — 
Chiara  •  onde  le  monache  dette  venivano  ,  monache  di  s.  Chia- 
ra e  cosi  rimase  il  nome  alla  Chiesa  :  la  quale  Santa  è  stata 
adottata  in  patrona  della  nostra  Città  ,  e  la  sua  statua  di  argen- 
to, con  la  Reliquia,  fu  collocala  nel  nostro  tesoro  ;  ed  il  Moni- 
stero  da  molto  tempo  l'abbiamo  veduto  popolato  da  300  Monache; 
e  chi  dentro  veder  lo  potesse,  vedrebbe  una  macchina  maraviglio- 
sa.  Vi  è  un  chiostro  di  diciotto  archi  in  quadro. Vi  sono  dormito- 
ri, che  da  un  capo  all'altro  appena  si  può  discernere  una  persona. 

S.  Lorenzo. 

Sulla  piazza  s.  Paolo  è  posta  la  grande  Chiesa  di  s.  Loren- 
zo con  un  Convento  di  frati  conventuali,  era  quivi  la  basilica  Au- 
guslale,  e  fu  avanti  di  essa  il  foro  Augustale  ,  nome  che  in  appres- 
so fu  scambiato  con  quello  di  mercato  vecchio.  Quivi  per  lungo 
tempo  scguitaronsi  a  tenere  le  ragunanze  del  Senato ,  e  del  po- 
polo per  trattare  i  pubblici  affari.  Carlo  I.  d'Angiò  edificò  quivi 
la  presente  Chiesa  di  s.  Lorenzo,  dove  era  la  Curia  Augustale  con 
la  casa  del  Senato.  Restò  a  questo  luogo  il  nome  di  mercato  vec- 
chio, avendo  egli  fatto  costruire  il  nuovo  al  sito  ove  oggi  si  tro- 
va. Con  tutto  ciò  si  continuò  per  molto  tempo  a  tenersi  le  ra- 
dunanze degli  Eletti  dei  Sedili,  e  del  loro  tribunale  in  un  me- 
schino edifizio  sotto  il  Campanile  di  s.  Lorenzo  che  era  1'  antica 
torre  della  città.  La  Chiesa  fu  edificata  con  disegno  del  fiorentino 
Maglione,  e  con  architettura  gotica,  e  fu  terminata  dal  nostro  se- 
condo Masuccio,  il  quale  costrusse  l'arco  maraviglioso  che  si  ve- 
de nella  crociera,  tutto  di  pietre  dolci  di  tufo.  Posteriormente  la 
Chiesa  è  stata  con  altri  ornamenti  rimodernata.  Le  colonne  di 
marmi  differenti  e  di  diversi  ordini,  che  veggonsi  in  gran  nume- 
ro nelle  Cappelle,  nei  pilastri,  e  dietro  il  Coro,  hanno  dovuto  ap- 
partenere una  volta  alla  basihca  sudetta,  ed  agh  edifizii  accesso- 
rii,  oggi  sono  tutte  coperte  di  stucco.  Le  tre  statue  sull'altare 
maggiore  coi  bassorilievi  sono  del  Merliaoo.  Nella  cappella  di  s. 
Antonio,  disegnata  dal  Fanzaca  ,  la  tavola  del  Santo  m  campo 
d'oro  è  di  maestro  Simone  contemporaneo,  ed  emulo  del  Giotto  , 
e  vi  sono  due  quadri  del  Calabrese.  Un  altro  quadro  dello  stesso 
Simone  è  in  una  Cappella  minore  rappresentando  s.  Lodovico  , 
che  cede  la  corona  a  Roberto  suo  fratello  cadetto. Conviene  qui  ri- 
portare quanto  dice  il  Celano  alla  seconda  giornata  pag.  SS. 


—  105  — 

É  da  sapersi  die  nell'anno  1377  Ire  ladri  rubarono  di  notte 
alcuni  vasi  di  argento  da  delta  chiesa  ,  ed  avendoli  Ira  di  loro 
divisi,  uno  di  essi  volle  giocarsi  la  sua  porzione  ;  se  la  giocò  a 
carte  su  l'altare  ed  avendola  perduta,  entrò  in  tanta  dispera- 
zione, che  barbaramente  diede  di  mano  ad  un  pugnale  e  tirò  un 
colpo  alla  sacra  immagine  dell'Ecce  Homo  alla  seconda  cappella 
a  sinistra;  e  nello  stesso  tempo  si  videro  due  miracoli.  Il  primo  fu 
l'uscir  dalla  ferita  vivo  sangue  ;  il  secondo  l'immagine  dell'Ecce 
Homo,  che  teneva  le  braccia  incrocicchiate  nel  petto  ,  spiccò  la 
destra,  e  la  fé  correre  a  riparare  il  sangue,  che  usciva,  come  al 
presente  si  vede.  Il  ladro  fu  preso  ,  e  convinto  dagli  stessi  mira- 
coli, lasciò  la  vita  sulle  forche. 

Nella  Cappella  della  famiglia  Cacace  il  quadro  del  Rosario  è 
del  Massimo,  e  nella  Cappellina  sotto  il  pulpito  la  Vergine  con 
due  Santi  è  un  quadro  assai  stimato  del  Lama.  Nel  coro  si  osser- 
vano cinque  sepolcri  dei  principi  del  secondo  ramo  Angioino,  o  sia 
della  casa  di  Durazzo,  per  notare  lo  stato  delle  arti,  nel  XIV  se- 
colo. Nell'entrare  nella  Chiesa  vedesi  sul  pavimento  il  sepolcro  di 
Giambattista  della  Porta,  nome  molto  celebre. 

Nel  passaggio  della  Chiesa  al  chiostro  il  sepolcro  di  Enrico 
Poderico  viene  attribuito  al  Santacroce,  e  l'altro  di  Lodovico  Al- 
timaresca  nel  chiostro,  fu  fatto,  come  a  suo  luogo  dirò,  dall'aba- 
te Bamboccio.  La  facciata  della  Chiesa  è  un  infelice  disegno  del 
Sanfelice. 

S.  Giovanni  a  Carbonara 

Per  questo  tempio  dico  che  esso  fu  architettato  dal  nostro  secon- 
do Masuccio  nell'anno  1343,  ma  essendovisi  posteriormente  fatte 
delle  molte  novazioni,  ed  abbellimenti  da  Andrea  Ciccione  per  or- 
dine di  Re  Ladislao,  per  non  ripetere  le  cose,  sarà  da  me  minu- 
tamente descritto  nella  vita  ed  opere  del  detto  Ciccione. 

Ai  piedi  della  scala  della  Chiesa  sudetta  si  trova  V  altra  di 
s.  Maria  della  Pietà  volgarmente  detta  Pietalella  ,  e  fu  questa 
edificata  dal  nostro  Masuccio  nell'  anno  1383 ,  ed  ai  16  di  lu- 
glio detto  anno  fu  processionalmente  preso  il  possesso  s'i  della  Chie- 
sa che  dell'ospedale  per  i  poveri  infermi  —  Nella  processione  ol- 
tre del  Vicario  di  Napoli  fra  Bartolomeo  Vescovo  dell'Isola  e  del 

Sasso  —  Voi.  1.  14 


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clero  v'intervenne  benanche  il  Re  Carlo  III  di  Durazzo  ed  infini- 
to popolo  ;  ed  acciocché  questa  Chiesetta  con  maggior  diligenza 
fosse  frequentata  vi  stabilirono  una  confraternita  di  laici,  che  si  eser- 
citavano in  opere  pie  che  in  progresso  di  tempo  fini  per  cagione 
di  guerre.  Nell'anno  poi  1S43,  la  presente  Chiesa  con  l'Ospedale 
fu  dall'eletto  del  popolo  e  capitani  delle  ottine  della  città  di  Na- 
poli, ed  anche  dai  nobili  di  Seggio  di  Capuana  conceduta  alla 
Chiesa  dell'Annunziata.  Nella  Cappella  di  S.  Maria  della  Candelo- 
ra dei  Candelari  è  la  tavola  della  Regina  dei  Cieli,  elio  presenta 
suo  figlio  al  tempio  di  rara  pittura  opera  del  Curia. 

Nel  suolo  di  questa  Chiesa  si  legge. 

Hie  iacet  corpus  nobilis  viri  Franeischelli  Bissiae  de  Neapoli 
Gubernaioris  Sanctae  Marìae  de  Pieiaie  de  loco  Carbonariae 
de  Napoli,  qui  obyt,  amio  Domini  Ì4^0 ,  die  20  Mensis  Ja- 
ìwarii  3  Jud. 

S.  niicliele  Arcangelo 

Questa  Chiesa  è  detta  di  S.  Agnello  a  Nido  secondo  l'Eogenio, 
e  a  Nilo  secondo  altri  autori  posteriori,  fu  edificata  dal  nostro  se- 
condo Masuccio  nel  1384  ,  d'ordine    del  Cardinale  Rinaldo  Bran- 
caccio che  univvi  un  ospedale  posteriormente  ridotto  ad  accogliere 
qualche  prete.  Nella  Chiesa  merita  particolare  osservazione  il  bel 
Sepolcro  che  Cosmo  dei  Medici  fece  ergere  a  questo  Cardinale  per 
opera    del  Donatello  insigne  scultore  Fiorentino,  di  cui  è  questa 
una  delle  opere  più  pregiate.  Il  S.  Michele  dell'altare  Maggiore  è 
una  bellissima  tavola  di  Marco  di  Pino.  Meritano  osservarsi  nella 
sacrestia  due  tavole  di  S.  Michele  e  di    S.    Andrea  ,  del    nostro 
Tommaso  degli  Stefani  pittore  ,  nato  nel  1231  zio  del  Masuccio 
Un  altro  Cardinale  Francesco  Maria  Brancaccio  avendo  leeata  nel 
167S  a  benefizio  del  pubblico  di  Napoli  la  sua  biblioteca,  dolan 
dola  di  annui  ducali  600 ,  fu  questa  dai  suoi  eredi  qui  allogata 
Venne  quindi  accresciuta  con  altre  donazioni  di  Domenico  Greco 
e  di  Giuseppe  Gizzio.  Contiene  circa  ^Ornila  volumi,  ed  è  ricca  d 
scelte  edizioni  e  di  manoscritti  gran  parte    di    autori  Napolitani 
E  giornalmente  aperta  al  pubblico,  meno  nei  di  festivi. 


—  107  — 

Questa  chiesa  fu  ridotta  come  oggi  vedasi  nell'  anuo  1700 
dall'  architetto  Cogliolmelli, 

Quanti  scrittori  di  cose  patrie  anno  di  questo  monumento 
parlato  ,  tutti  àn  detto  ciò  che  di  sopra  ò  esposto  ,  e  nessuno  à 
nemmeno  accennato  la  magnifica  porta  di  lato  alla  chiesa  sporgente 
sul  largo  di  s.  Angelo  a  Nido. 

Questa  porta  per  i  suoi  intagli  e  bassorilievi  scolpiti  è  un 
capo  d'  opera  del  secolo  del  risorgimento  delle  arti. 

E  tutta  di  bianco  marmo.  Finissima  n'  è  1'  esecuzione  ,  e  '1 
lavorìo.  La  euritmia  (  al  solito  delle  opere  del  secolo  XV  )  non  è 
punto  rispettata  nelle  parti  decorative. 

Esamina  con  attenzione  gli  ornati  negli  angoli  degli  stipiti  . 
come  differiscono  fra  di  essi;  come  osserverai  puranche  il  nume- 
ro degli  intagli  nella  pilastrata  sinistra  maggiore  della  destra. 
Nel  fatto  gli  artisti  del  XV  secolo  ,  imitando  i  Greci  badavano 
nello  opere  loro  sempre  all'assieme.  Fu  questo  prodotlOjCertamen- 
te  un  lavoro  dei  giovani  del  nostro  secondo  Masuccio. 

Oggi  vi  è  al  vano  un  paravento.  Neil'  entrarvi  (  dopo  bene 
esaminata  1'  ornato  )  arrestali  ai  squarci  ,  e  guarda  1'  antico  uscio 
di  legno  a  due  battenti  ripartito  in  sei  riquadri  ,  e  con  magnifi- 
ci bassorilievi  ,  inferiore  però  a  quello  della  porta. 

Castel  S.  Ermo 

Prende  questo  Castello  il  nome  del  colle  sopra  di  cui  è  po- 
sto. Secondo  Martorelli  Eramo  è  una  voce  antica  Fenicia  che  di- 
nota eccelso,  sublime,  e  tale  è  il  colle.  Altri  vogliono  che  que- 
sto monte  facea  anticamente  parte  dell'  Olimpi  ano  ,  ed  era  il 
termine  tra  l'agro  Puteolano,  e  Napolitano  come  i  Greci  solevano 
mettere  ai  confini  in  forma  di  erme,  e  che  da  ciò  abbia  origine 
il  nome  del  monte.  Nei  bassi  tempi  vi  fu  eretta  una  Cappella  de- 
dicata a  S.  Erasmo  donde  è  derivato  il  nome  di  Santo,  che  si  è 
dato  al  Monte,  chiamandosi  ora  S.  Ermo,  ed  ora  S.  Erasmo. 

Questo  Castello  e  stato  sempre  consideralo  importante  per  la 
sua  situazione.  Da  una  parte  domina  tutta  la  città  ,  dall'altra  il 
mare.  Vi  era  prima  una  torre  chiamata  Belforle  che  fu  convertila 
in  castello  da  Carlo  II  d'Angiò,  ed  allora  vi  ebbe  parte  il  nostro 
Masuccio. 


—  lOS  — 

Nel  11513,  poi  essendo  Napoli  assediata  dal  Generale  Lautrec 
ne  furono  accresciute  le  fortificazioni,  e  per  ordine  poi  di  Carlo 
V  divenne  nel  1533  una  cittadella  regolare.  Filippo  V  ,  vi  fece 
anch'egli  delle  addizioni.  E  formato  di  altissime  mura  con  con- 
troscarpa tagliata  nella  roccia  ,  ed  è  cinto  da  fossi  scavati  nella 
stessa  roccia  con  mine ,  contromine ,  ed  altri  sotterranei ,  che  sì 
estendono  all'intorno.  Nel  mezzo  del  Castello  vi  è  una  piazza  d'ar- 
mi assai  vasta,  ed  al  disotto  una  cisterna  scavata  nel  monte  di 
una  grandezza  prodigiosa,  cioè  quasi  quanto  il  castello  medesimo. 

Nel  1848,  à  avuto  questo  castello  altre  aggiunzioni  per  ope- 
re esterne,  ed  avanzate,  fatte  magnificamente  eseguire  d'ordine  di 
S.  M.  Ferdinando  II. 

Certosa  di  s.  martino 

La  Certosa  di  s.  Martino  è  posta  ai  disotto  del  descritto  Ca- 
stello di  s.  Ermo.  Era  prima  una  casa  di  campagna  dei  nostri 
Sovrani,  sino  all'epoca  del  Re  Roberto  d'Aijgiò.  Carlo  l'illustre 
duca  di  Calabria  figlio  del  suUodato  piissimo  Re  Roberto  indusse 
il  padre  di  convertirla  in  Monastero  secondo  il  gusto  del  tempo. 
Il  monumento  fu  cominciato  nel  1323,  epoca  del  nostro  secondo 
Masuccio,  ecco  come  il  benemerito  architetto  vi  prestava  la  sua 
assistenza;  ma  avvenuta  la  immatura  morte  del  prelodato  illustre 
Carlo  nel  1328,  la  divozione  del  padre  non  permise  che  riuscisse 
vana  quella  del  figlio;  laonde  dotò  il  monastero  di  annui  ducali 
12mila  (l'Engenio  però  dice  annuo  once  d'oro  200  )  valore  che  si 
debbe  ragguagliare  a  seimila  dei  nostri  ducati.  La  Regina  Gio- 
vanna I  figlia  del  suddetto  Carlo  ne  accrebbe  la  rendita  di  altri 
ducati  3600,  ed  ornò  il  monastero  di  speciali  prerogative. 

La  situazione  di  questo  magnifico  edifizio  è  una  delle  più 
belle  dell'universo.  Ad  un  colpo  d'occhio  tu  vedi  tutta  la  Città  a 
te  sottoposta.  Da  una  parte  guardi  il  delizioso  cratere  con  le  sue 
isole,  dall'altra  le  vaghe  colline  di  Capodimonte,  ed  in  prospetto 
la  bella  pianura  della  Campagna  felice  sino  a  Caserta.  In  distan- 
za li  si  presentano  i  monti  Tifati,  e  dietro  di  essi  la  maestosa  ca- 
tena degli  appennini,  un  ramo  dei  quali  forma  le  montagne  di 
Gragnano  ,  Vico  ,  Sorrento  ,  e  Massa  ,  abbracciando  il  terribile 
Vesuvio,  che  oltre  le  sue  naturali  bellezze  li  offre  alle  sue   falde 


—  100  — 
gli  ainenissimi  villaggi  Barra,  S.  Jorio,  Porlici,  Resina^  e  le  due 
Torri  del  Greco,  o  della  ^'unziala.  Per  godere  di  (jiieslo  unico  , 
e  delizioso  prospolto,  bisogna  andare  nei  giardini,  e  principalmen- 
te all'eslremilà  di  essi  dove  è  il  Belvedere.  Fermali  qui,  e  dimmi 
se  al  mondo  vi  sia  angolo,  che  possa  essere  a  questo  preferito. 

Si  racconta  che  un  viaggiatore  all'iispeflo  di  questo  incante- 
simo esclamasse:  ah!  la  lolirità  non  può  che  qui  godersi.  Si  ri- 
spose un  monaco  :  ma  per  coloro  che  passano. 

X\  monastero  era  stala  surrogala  la  Real  casa  degli  invalidi  ad- 
detta ai  sotlo-uffizi.".li  e  soldati  veterani  invalidi.  Noi  1836  d'ordi- 
ne dell'  attuale  nostro  augusto  Sovrano  Ferdinando  li  vi  sono  ri- 
tornati i  monaci,  e  gl'invalidi  sono  passati  a  massa  Lubrense  nel- 
l'antico convento  della  Trappa. 

Allo  singolari  bellezze  della  natura  unisce  questo  monumento 
bellissimi  pregi  delle  arti,  sebbene  molte  belle  opere  sieno  scom- 
parse coll'abolizione  dei  monaci. 

Il  chiostro  forma  un  gran  quadrato  con  Io  colonne  di  mar- 
mo bianco  per  ogni  lato,  ed  ornato  di  statue  di  Sanli.  Il  disogno 
e  le  sculture  sono  del  Fansaca,  e  sono  suo  opere  le  sculture  em- 
plematiche  del  cimitero.  La  biblioteca  avea  una  raccolta  di  mano- 
scritti Greci,  e  meritavano  esser  vedute  la  foresteria,  la  farmaco- 
pea, e  le  singolari  cantine.  Nell'appartamento  del  Priore  tra  mol- 
ti oggetti  preziosi  si  distinguea  un  S.  Lorenzo  del  Tiziano,  ed  un 
Crocifisso  di  singoiar  forza  di  espresssione  di  Michelangelo  Bona- 
roti.  Nella  loggia  di  questo  appartamento  si  vede  ancora  la  sta- 
tua della  carila,  opera  dei  due  Bernini  Pietro ,  e  Lorenzo.  Vi  si 
vede  pure  una  bella  Meridiana.  Da  detto  appartamento  si  ascen- 
de ad  un  giardino  pensile  per  una  scala  capricciosa  disegnata 
dal  Cavaliere  Cosimo.  Ma  niente  è  da  paragonarsi  alle  ricchezze 
della  Chiesa,  la  quale  alla  preziosità  degli  ornati  è  congiunto  il 
gusto.  Fu  rifatta  al  principio  del  XVII  secolo  con  disegno  del 
Fanzaga. 

Ha  una  gran  nave  con  8  cappelle  ed  un  atrio.  I  primi  arti- 
sti del  tempo  anno  lavoralo  in  questa  Chiesa.  Le  pitture  dell'atrio 
sono  del  Rodrigo  Siciliano.  Nella  gran  volta  ,  ornata  di  stucchi 
dorati  il  Lanfranco  vi  dipinse  i  Ascensione  ;  e  suoi  son  pure  i  bei 
quadri  dei  12  apostoli  posti  tra  le  finestre.  Sulla  porta  il  Reden- 
tore deposto  dalla  Croce  è  del  cavalier  Massimo,  ed  i  due  quadri 


—  110  — 
ad  esso  laterali  che  figurano  Mosè  ed  Elia,  sono  belle  opere  del 
Ribera. 

A  questo  autore  appartengono  ancora  i  dodici  profeti  che  si 
veggono  sulle  lunette  delle  cappelle  ,  dipinti  con  gran  varietà  di 
caratteri,  e  forza  di  espressione.  Merita  di  esser  veduto  il  Coro  , 
la  volta  di  cui  fu  principiata  a  dipingersi  dal  Cavalier  d'Arpino, 
e  fu  terminata  dal  Berardino. 

Il  quadro  principale  che  risponde  all'altare  maggiore  ,  rap- 
presenta la  natività  ed  è  opera  di  Guido  Reni  ,  la  quale  rimase 
imperfetta  per  la  morte  di  lui.  Ai  lati  del  Coro  sono  quattro  qua- 
dri che  si  chiamano  le  quattro  cene. 

Il  primo  a  sinistra  rappresenta  Gesù  Cristo  che  comunica  gli 
apostoli  ed  è  del  Ribera.  Il  secondo  del  Caracciolo  esprime  la  la- 
vanda dei  piedi  ;  il  terzo  a  destra  rappresenta  la  cena  di  Gesù 
Cristo  con  gran  numero  di  figure  ed  è  del  Massimo.  L'ultimo  che 
figura  l'istituzione  dell'Eucaristia  è  dei  figli  (  Carlo  e  Gabriele  )  di 
Paolo  Veronese.  Due  statue  di  marmo  del  Finelli,  e  di  Domenico 
Bernini  adornano  puro  questo  Coro. 

L'aitare  maggiore  è  disegno  del  Solimena  ma  non  è  che 
un  modello  in  legno.  Dovea  essere  come  la  balaustrata  di  fini 
marmi  ,  e  pietre  dure.  Gli  adornamenti  di  marmo  che  decorano 
tutto  il  Tempio,  sono  disegni  del  Fansaca,  ed  il  bellissimo  pavi- 
mento è  opera  del  Presti  laico  Certosino. 

Ogni  Cappella  racchiude  le  sue  bellezze,  e  sono  tutte  ricche 
di  marmi,  di  colonne,  e  di  dorature.  La  prima  a  dritta  allorché 
si  entra  in  Chiesa  è  dedicala  al  Rosario  ,  ed  à  pitture  del  Vac- 
caro,  e  del  Caracciolo.  Nella  seconda  il  quadro  della  Vergine  è 
del  Massimo  ;  i  due  laterali  di  Andrea  Vaccaro. 

La  volta  a  fresco  è  del  Corenzio.  Nella  terza  il  S.  Giovanbat- 
tista è  del  Marette,  ed  è  l'unica  sua  opera  pubblica  che  sia  in 
Napoli.  I  quadri  laterali  sono  del  de  Matteis;  i  freschi  della  vol- 
ta che  rapj)rescnlano  il  limbo  del  Massimo  ,  e  le  due  statue  di 
marmo  della  Grazia,  e  della  Provvidenza  appartengono  a  Loren- 
zo Vaccaro. 

L'ultima  da  questo  lato  à  il  quadro  di  S.  xMartino  del  Ca- 
racciolo, i  laterali  del  Solimena  ,  i  freschi  della  volta  del  Fino- 
glia discepolo  del  Massimo.  Nel  lato  opposto  la  Cappella  di  S. 
Gennaro  à  il  bassorilievo  del  Santo  colla  Vergine  di  Domenican- 


—  IH  — 
Ionio  Vaccaro.  i  quadri  lalorali  del  Caracciolo;  ed  i  freschi  della 
volta  del  Corenzio.  Nella  cappella  seguenle  di  S.  Brunone,  tulle 
le  pitture  apparlengono  al  cavalier  Massimo  e  nell'altra  dell'As- 
sunta sono  tulle  del  Ballistello,  o  sia  Caracciolo.  Finalmente  nel- 
l'ullima,  a  fianco  la  porta,  dedicala  a  S.  Giuseppe  lo  ]iif[uro  sono 
del  de  Jlatteis. 

Tornando  nel  coro,  dalla  parie  drilla  si  cnlra  nella  saia  del 
capitolo,  die  è  adorna  di  buone  pitture,  ed  à  la  volta  dipinta  dal 
Corenzio.  Segue  appresso  una  gran  sala  dipinta  da  fliicco  Spa- 
daro  nella  quale  vi  è  in  un  altare  un  quadro  di  Andrea  Vac- 
caro. Dal  coro  medesimo  si  passa  alla  Sacrestia  che  è  di  singo- 
lare bellezza.  La  volta  è  dipinta  dal  cavaliere  d'Arpino,  ed  il  Pi- 
lato che  mostra  Gesù  al  popolo  è  del  Massimo.  Gli  Armadi  sono 
di  legni  indiani  nei  quali  sono  scolpite  storie  sacre  con  vari  or- 
namenti. Finalmente  dalla  Sacrestia  si  passa  nel  cosi  dello  teso- 
ro, dove  due  capi  d'opera  di  pittura  richiamano  l'attenzione  del- 
l'uomo di  gusto.  Uno  è  la  deposizione  dalla  Croce,  riguardata  coiiii- 
la  migliore  opera  dello  Spagnolelto  ;  l'altro  la  Giuditta,  dipinto 
a  fresco  sulla  volta  in  48  ore  dal  Giordano  .  di  cui  credesi  che 
sia  l'ultima  opera. 

Questo  tesoro  conteneva  preziosi  arredi  sacri,  slalue  di  argen- 
to, e  vari  oggetti  rari,  che  oggi  anno  cambialo  domicilio  in  lontane 
regioni. 

Per  i  lavori  di  scoltura  di  questo  illustre  e  solerle  artefice 
ripelo  lo  slesso  che  già  dissi  aMa  fine  della  indicazione  delle  ope- 
re del  suo  valente  istitutore  e  compare,  del  prim  j  Masaccio.  Dalla 
mulliplrcilà  dei  sepolcri  in  Napoli  eseguita  dà  Masuccio  II ,  e  che 
la  maggior  parie  esistono  ai  di  nostri  in  testimonianza  non  peri- 
tura del  suo  bello  ingegno  ,  portandosi  1'  osservatore  col  pensiero 
al  secolo  14°  vi  ravvisa  a  chi  debbasi  1'  avvicinamento  e  '1  vero 
principio  del  risorgimento  delle  arti  ,  e  son  certo  che  il  mio  let- 
tore dopo  la  indicazione  da  me  fattane  nella  vita  del  non  mai 
abbastanza  lodato  Masuccio  II ,  si  porterà  sopra  luogo  ad  osser- 
varli ,  e  venerare  nel  tempo  slesso  1'  opere  di  un  napolitano  arte- 
fice si  distinto  ,  che  dopo  l' elasso  di  cinque  secoli  ti  si  parano 
innanzi  come  di  recente  si  fossero  eseguiti. 

Aggiungo  solamente  che  nella  pagina  96  al  secondo  verso 
dove  per  errore  è  corso  nella  citta  di  Muro  sul  nionle  Gargano, 


—  112  — 

legger  si  debbe  nel  Castello  di  Muro  ,  o  nel  monte  Gargano  ;  im- 
peroccbè  vi  sono  degli  autori  che  ritengono  slare  la  tomba  della 
Regina  Giovanna  I.  in  Castel  s.  Angelo  sul  monte  Gargano,  con 
la  sua  statua  al  naturale  e  con  le  iniziali 

R.  I. 

Regina  lovanna. 

Molti  altri  affermano  ,  che  Masaccio  unitosi  con  alcuni  nobili  de- 
voti alla  defunta  Regina  le  fecero  scolpire  da  Masuccio  il 
bel  tumulo  ,  che  nel  castello  di  Muro  in  Basilicata  si  vede  con 
la  sua  statua  espressa  al  naturale  ,  e  con  le  sue  insegne.  Che  fe- 
cero portare  questo  mausoleo  nel  sudetlo  castello  come  se  fussero 
stati ,  i  diversi  pezzi  che  compor  lo  doveano  ,  adornamenti  di 
chiesa.  Che  si  adoperarono  i  detti  signori  col  Masuccio  che  vi  fos- 
se segretamente  riportato  1'  esanime  corpo  della  Regina.  Nel  fatto 
Teodorigo  segretario  di  Papa  Urbano  VI.  asserisce  essere  Giovan- 
na I.  sepolta  nel  detto  castello  di  Muro  ,  ove  come  di  sopra  ò 
esposto,  fu  trasportala. 

In  Napoli  vedesi  tuttora  il  suo  sepolcro  accanto  a  quello  di 
suo  padre  Carlo  l' illustre  Duca  di  Calabria  in  S.  Chiara  :  ma  que- 
sto è  opera  dei  discepoli  del  Masuccio  sopra  suo  disegno.  Nella 
parte  ove  si  va  in  sacrestia  vi  si  leggono  i  seguenti  versi 

Inclyla  Parthenopes  jacet  hic  regina  lohanna. 
Prima  prius  felix  ,  mox  miseranda  nimis. 
Quam  Carolo  genitara ,  multavit  Carolus  alter. 
Qua  morte  illa  virum  sustulit  ante  suum. 

M.CCC.LXXXII.  22  maji  Y.  ind. 


VITA  DELL'  ARCHITETTO  E  SCULTORE 


AIVDREA  CICCIOIVE 

€()\  L\  Dl'Sr5{I7JO\E  DELLK  SIE  OPFIU:  FSEGIITE  I\  MPOLI 


e  0  \  S  I  S  T  E  N  r  1 


In  Architettura 

Chiesa  di  s.  Mariti  (Jc-ll'Assunta. 

Rifazione  della  Chiesa  di  s.  Croce. 

Chiesa  di  s.  Marta. 

Abbellì  e  decorò  la  Chiesa  di  san 
Giovanni  a  Carbonara. 

Palagio  ad  un  familiare  del  Re. 

Chiesa  e  Convento  di  Monteoliveto. 

Porta  Maggiore  in  s.  Lorenzo. 

Chiostro  Jonico  in  s.  Severino. 

Palazzo  di  De  Capila  Conte  di  Al- 
tavilla a  Forcella  ,  detto  Palazzo 
della  Riccia. 

Disegno  della  Cappella  del  Fontano . 


\ella  Cultura 

Tomba  di  Giosuè  Caracciolo. 

Monumento  di  Re  Ladislao. 

Monumento  di  Ser  Gianni  Carac- 
ciolo. 

3Ionumento  del  Maresciallo  Fran- 
cesco Caracciolo. 


Anno  -  1390 


Andrea  Ciccione  scultore  ed  arehitello  ,  nella  scuola  di  .Ma- 
succio  2"  ebbe  i  buoni  precetti  di  queste  due  arti. 

Era  tra  i  suoi  compagni  Giacomo  de  Sanlis  (  come  appresso 
dirò  )  che  alla  sola  arcbileltura  volle  applicarsi  :  ma  il  nostro  An- 
drea conoscendo  in  so  la  scintilla  del  genio  da  Iddio  concessagli; 
si  all'una,  che  all'altr'artc  incessantemente  applicandosi  ,  con  so- 
lerzia infinita,  tanto  riesci  eccellente,  che  il  suo  vecchio  precetto- 
re si  per  l'architettura,  ciie  per  la  scultura  se  ne  serviva  per  tul- 
le le  svariate  opere  al  suo  genio  ed  alia  sua  direzione    affidate. 

Edificava  per  i  signori  della  lamiglia  Pignatelli  la  bella  Chie- 
suola di  s.  Maria  dell'Assunta  a  rimpello  il  seggio  di  INilo.  — 
Rifece  da  capo  la  Chiesa  di  s.  Croce  situala  presso  quella  di  s. 
Agostino,  eretta  da  tempo  immemorabile.  Questa  riedificazione  ia- 
cea il  Ciccione  d'ordine  del  Cardinale  Rainaldo  Brancaccio  ,  che 
conosciuto  lo  avea  nello  studio  di  Masuccio  come  giovane  studio- 
sissimo, e  come  tale  propostogli  dal  suddetto  maestro.  Scolpiva 
nel  1403  la  sepoltura  di  Giosuè  Caracciolo  ,  situata  nel  piscopio 
sotto  il  pergamo.  —  Fece  altre  sepolture ,  ed  edificò  vari  Palagi 
a  diversi  signori  Napolitani.  Per  tali  opere  acquistatosi  fama  di 
buono  architetto  e  scultore  ,  giunser  le  sue  lodi  all'  orecchio  di 
Re  Ladislao,  e  della  Regina  Margherita  sua  madre.  Vollero  que- 
sti Sovrani  avvalersi  dell'opera  sua  nella  erezione  della  Chiesa  di 
s.  Marta,  che  per  devozione  volle  edificare  la  sullodata  Regina. 
La  delta  Chiesa  è  situata  a  rimpello  il  Campanile  di  S.  Chiara.  Fu 
fabbricala  dal  Ciccione  d'ordine  dorico,  e  di  buona  forma,  alla  Ro- 
mana. —  Posteriormente  à  avuto  questa  Chiesa  delle  modifiche  nel- 
le sue  varie  restaurazioni. 


—  116  — 

Terminalo  questo  monumenlo  ,  volle  il  Re  Ladislao  ,  die  il 
Ciccione  abbellir  dovesse,  e  di  preziosi  marmi  adornare  la  Chiesa 
di  s.  Giovanni  a  Carbonara,  che  anni  innanzi  avea  creila  il  suo 
luaeslro  Masuccio  2.°  Fra  pochi  anni  qncllo  che  far  non  potelle 
Masiiccio  per  la  povertà  dei  padri,  fece  il  Ciccione  per  la  libera- 
lità veramente  reale  di  Ladislao,  e  fu  terminata  con  soddisfazio- 
ne del  Sovrano. 

Finiti  gli  abbellimenti  della  Chiesa  di  s.  Giovanni  per  i  quali 
come  ò  detto  ebbe  molta  lode  ,  fece  altri  lavori  di  scultura  e  di 
architettura,  fra  quali  dicesi  un  Palagio  ad  un  familiare  del  Re, 
a  s.  Giovanni  a  Carbonara,  o  a  s.  Giovanni  maggiore.  Fra  tutti  i 
suoi  lavori,  quello  che  molto  onore  gli  dette  fu  l'edificazione  della 
bella  Chiesa  di  Monle  Oliveto  col  Convento,  che  per  commissione 
di  Guorrcllo  Origlia  nobilissimo  cavaliere,  e  Protonotario  del  Regno 
egli  eresse  nella  strada  ,  ovvero  Borgo  antico  delle  corregge  nel 
1411.  Altra  sua  magnifica  fabbrica  è  il  Chiostro  Jonico  in  S. 
Severino. 

Volgea  r  anno  1412  che  trovandosi  la  Regina  Margherita  in 
un  Casale  di  s.  Severino  chiamato  l'acqua  di  Mela,  s'infermò  gra- 
vemente in  modo  che  giunto  ivi  il  Re  Ladislao,  gli  morì  la  ma- 
dre nelle  proprie  braccia,  ed  egli  ne  fece  trasportare  il  Cadave- 
re in  Salerno.  Chiamò  da  Napoli  Andrea  Ciccione  ,  e  gli  ordinò 
che  eriger  gli  dovesse  sontuoso  sepolcro.  In  men  di  un  anno  il 
sepolcro  fu  finito,  e  murato  nella  Chiesa  di  s.  Francesco  in  Sa- 
lerno. 

Appena  avea  il  nostro  artefice  Ciccione  terminata  la  tomba 
della  Regina  Margherita,  dovette  por  mano  alla  tomba  del  sullo- 
dato  giovane  Re  Ladislao,  il  quale  tornato  di  Toscana,  nel  di  2 
agosto  1414,  infermo  d'ignota  malaflia,  siccome  alcuni  storici  pre- 
tendono; e  si  mori  nel  di  6  del  mese  stesso. 

Fu  quindi  dalla  sorella  Giovanna,  allora  Duchessa  d'Austria, 
segretamente  fatto  seppellire;  indi  dall'amor  fraterno  intenerita  , 
nulla  curando  l'interdetto  ,  ed  essendo  per  la  morte  di  Ladislao 
assunta  alla  corona  del  Regno  volle  onorare  con  superbo  monu- 
mento la  memoria  del  defunto  fratello,  e  renderlo  con  splendida 
magnificenza  più  glorioso. 

rve  dotte  perciò  la  cura  al  nostro  Ciccione  del  quale  co- 
noscea  il  talento  pel  pregio  in  che  questo  Architetto    era    tenuto 


—  117  — 

dal  Re  Ladislao.  Raccomandava  alla  sua  intelligenza  l'importanza 
dell'opera  che  essa  bramava  ragguardevole  a  lutto  il  mondo  ,  e 
memorabile  per  tutti  i  secoli,  non  badando  a  qualunque  spesa  , 
che  esorbitante  si  fosse. 

Con  questi  belli  comandi  da  una  Sovrana  emanali,  si  potet- 
te bene  estendere  l'architetto  e  scultore  ,  e  far  quanto  di  meglio 
sapea,  per  adempiere  al  Reale  incarico  ricevuto.  Nel  fallo  fece  il 
disegno  del  monumento  ,  indi  una  bozza  in  creta  ,  e  finalmente 
nel  Chiostro  dèlia  Chiesa  di  s.  Giovannni  a  Carbonara  (  dove  eri- 
ger doveasi  il  monumento  )  fé  in  grande  tutta  la  macchina  in 
calce^  che  dovea  eseguirsi  con  finissimi  marmi. 

Vedutosi  dalla  Regina  Giovanna  II  l'opralo  dal  Ciccione  ne 
rimase  contenta  e  soddisfatta,  e  massime  nel  vedersi  figurata  col 
fratello  a  sedere  giusto  il  suo  desiderio  —  Dellesi  principio  al 
monumento  col  più  fino  marmo  che  acquistar  si  potette  in  quel- 
l'epoca. Lavorandovi  incessantemente  il  Ciccione  con  molti  del  suo 
studio  in  pochi  anni  videsi  terminato  e  murato  dietro  l'altare  mag- 
giore in  s.  Giovanni  a  Carbonara.  A  suo  luogo  lo  descriverò  mi- 
nutamente. 

Dopo  a  poco  ripigliar  dovette  il  Ciccione  il  martello  e  gli  scal- 
pelli per  altro  tomolo  che  gli  fu  d'uopo  erigere  per  la  tragica 
morte  di  ser  Gianni  Caracciolo,  ucciso  per  opera  di  Covella  Ruf- 
fo il  d'i  215  agosto  1432  per  impreveduto  comando  della  Regina. 

Trajano  Caracciolo,  figlio  dell'ucciso  ser-Gianni,  ordinava  al 
Ciccione  questo  secondo  monumento,  che  tuttodì  vedesi  accosto  a 
quello  di  Re  Ladislao  che  a  suo  luogo  sarà  benanche  descritto. 

Era  pervenuto  il  Ciccione  agli  anni  di  decrepila  vecchiezza, 
e  dovette  pure  scolpire  il  sepolcro  del  Maresciallo  del  Regno  di 
Napoli,  Francesco  Caracciolo,  morto  nel  14S4,  e  benché  gli  pre- 
stassero in  quest'opera  positivo  ajuto  i  suoi  allievi,  volle  pure  mol- 
te cose  ivi  far  di  sua  mano.  Di  giorno  in  giorno  indebolito  dalla 
vecchiezza,  non  avea  più  vigore  di  reggere  alla  fatica  di  maneg- 
giar lo  scalpello,  reso  debole  dagli  anni.  A  gran  pena  fini  la  se- 
poltura suddetta,  e  murala  nella  maggiore  Chiesa  Napolitana,  fini 
aocìie  egli  nell'anno  14153  ! 


118  — 


Descrizione  delle  snc  opere. 


Nulla  potrei  e  saprei  indicare  per  le  Chiese  dell'Assunta  e  s. 
Croce.  Per  quella  di  s.  Maria,  dir  posso,  che  il  quadro  del  prin- 
cipale aliare  è  di  Andrea  Vaccaro  ;  ma  lernn'nalo  dal  suo  figlio 
Nicola,  ed  i  quadri  delle  cappelle  sono  di  buoni  autori. 

Nella  slrada  larghissima  della  di  Carbonara  sulla  quale  evvi 
Jl  Palazzo  dei  Principi  di  sanie  Buono  della  famiglia  Caracciolo 
ove  alloggiò  il  duca  di  Guisa  nel  1648  ,  in  Icmpo  delle  rivolu- 
zioni di  Napoli,  prima  dell'ampliazione  delle  mura  falle  da  Fer- 
dinando r  d  Aragona;  eravi  un  grande  spiazzo  deslinalo  ai  giuo- 
chi gladiatori,  i  quali  durarono  fino  ai  tempi  del  Petrarca  ,  che 
con  orrore  ne  fu  spettatore.  Indi  vi  si  fecero  le  giostre  sotto  gli 
Aragonesi. 

La  Chiesa  fu  eretta  come  ò  detto  nel  1343,  con  disegno  del 
secondo  Masuccio,  ed  indi  rifatta  ed  abbellita  per  ordine  di  Re 
Ladislao  dal  nostro  architetto  Andrea  Ciccione.  La  scala  fu  desi- 
gnata da  Ferdinando  Sanfelice.  Prima  della  porta  della  Chiesa  vi 
è  una  Cappella  in  cui  il  quadro  di  G.  C.  in  croce  è  del  Vasari. 
Sotto  l'arco  dell'altare  Maggiore,  vi  sono  le  statue  di  s.  Agostino 
e  di  s.  Giovanbatlista  del  Caccavello.  Dietro  l'altare  Maggiore  ve- 
desi  il  magnifico  mausoleo  del  Re  Ladislao,  come  ò  dello.  Ila  que- 
sto monumento  più  lavorio  che  bellezza.  —  Dietro  di  esso  in  una 
Cappella  vi  è  l'altro  di  Ser  Gianni  Caracciolo.  —  Questa  Cappel- 
la formava  prima  la  tribuna  dell'altare  maggiore,  ed  è  tutta  de- 
corata di  pitture  di  Gennaro  di  Cola,  degne  di  esser  osservate  da 
chi  vuol  conoscere  i  progressi  dell'arie.  —  11  sepolcro  di  Gaetano 
Argento  non  è  indegno  di  esser  veduto  dopo  quelli  di  un  Re,  e 
di  un  ministro.  Costui  vien  considerato  come  uno  de'più  gran  ma- 
gistrati del  nostro  foro  —  La  tomba  è  nella  sua  Cappella  che  à 
un  quadro  del  Solimena. 

La  statua  dell'Argento  è  fatta  al  naturale  da  Francesco  Pagano. 

Hanno  pure  le  loro  tombe  in  questa  Chiesa  due  insigni  lette- 
rali, Nicola  Cirillo,  e  Nicola  Capasso.  La  Cappella  de'Marchesi  di 
Vico  merita  di  essere  osservala.  I  quattro  apostoli  che  si  veggo- 
no alle  quattro  nicchie  laterali  furono  fatti  a  gara  dai  quattro  il- 
lustri scultori  del  tempo,  Giovanni  da  Nola  ,   Santacroce  ,  Cacca- 


—  119  — 

vello,  e  Piala.  A  quest'ultimo  appartiene  il  ritratto  al  naturale  di 
Alfonso  r  d'Aragona  ,  il  basso  rilievo  dell'Epifania  ,  il  s.  Seba- 
stiano, ed  il  mausoleo  di  Galeazzo  Caracciolo. 

L'altro  di  Nicola  Antonio  Caracciolo  è  di  Domenico  d'Auria. 
Il  S.  Giovanni  è  del  Santacroce,  lo  piccole  statue  sopra  i  sepol- 
cri sono  dello  Scilla  Blilancse  ,  ed  i  due  mezzi  busti  con  i  loro 
piedistalli  sono  uno  del  Finelli,  e  l'altro  del  Sanraarlino. 

Nella  sagrestia  vi  sono  quindici  quadri  di  Giorgio  Vasari  , 
ed  uno  piccolo  di  Bassano  il  vecchio.  Sull'altare  è  da  vedersi  uà 
basso-rilievo  di  alabastro,  in  cui  è  scolpita  la  passione  del  Reden- 
tore, appartenne  una  volta  alla  Cappella  privata  di  Ladislao. 

Attualmente  il  detto  monumento  si  sta  ristaurando  dal  signor 
architetto  Federigo  Travaglini  che  si  bene  à  restaurato,  come  di 
già  ò  esposto,  quello  di  S.  Domenico  Maggiore. 

Questa  Chiesa  avea  annesso  un  convento  degli  eremitani  di 
s.  Agostino;  edifizio  vasto  e  magnifico  che  si  estendea  sulle  mura 
della  città  fatte  da  Ferdinando  P  d'Aragona.  Eravi  una  bella  bi- 
blioteca singolare  pei  suoi  manoscritti  greci ,  e  latini  tanto  cele- 
brati dal  P.  Montfarfon.  I  più  preziosi  furono  trasportati  a  Vien- 
na nel  1729,  ed  i'  rimanenti  vennero  in  gran  parte  dispersi  col- 
l'abolizione  dei  conventi  nel  1807.  la  questo  bell'edifizio  vi  andò 
la  scuola  militare ,  e  finalmente  fu  ridotto  a  quartiere  sotto  la  di- 
rezione del  signor  Generale  dogli  L berti,  che  con  molto  bello  as- 
sieme ne  allineò  la  facciata  verso  il  largo  delle  Pigne,  tra  i  due 
torrioni,  e  vi  fé  dei  magnifici  lavori  con  ripieghi  d'arte,  fra  qua- 
li sono  dagli  Architetti  da  osservarsi  le  scale,  e  '1  magnifico  ar- 
maggio  del  tetto  pel  contrasto  delle  forze  al  sostegno  della  gra- 
vità assoluta. 

Ai  piedi  della  scala  della  Chiesa  sudetta  si  trova  l'altra  di  s. 
Maria  della  Pietà,  volgarmente  detta  Pietatella,  nella  quale  meri- 
ta osservarsi  il  bel  quadro  della  Purificazione  di  Francesco  Curia 
che  era  riguardato  come  modello  dell'arte  dallo  Spagnoletto.  II 
quadro  di  s.  Antonio  in  una  Cappella  sembra  del  Massimo. 

La  Chiesa  di  Monteolivcto  deve  richiamare  1'  attenzione  del- 
l'uomo di  gusto  pe'  suoi  bei  monumenti  di  arte. 

L'altare  maggiore  disegnato  dal  Vinaccia  fu  eseguito  dai  fra- 
telli Ghetti.  Un  quadro  della  Presentazione  del  Vasari,  è  oggi  nel 
Museo  Borbonico.  I  freschi    del  coro  ed  i  quadri  a  lato   dei  fine- 


—  1-20  — 
slroni  sono  di  Simone  Papa  il  giovane.  L'organo  sulla    porla    <> 
del  Cafarinozzi  da  Subiaco  ,  ed  è  nno    dei   Kiigliori    d'Ilalia.  La 
Cappella  del  B.  Bernardo  Tolomei  à  le  pilliire    a  fresco    del    de 
Malteis.  Il  quadro  dell'aliare  nella  cappella  è  del  Santafede.  Nel- 
la   cappella    Piccoloniini    è  da  osservarsi    il    bellissimo  mezzo  ri- 
lievo della  nascila  del  Signore  del  Donalollo,   e  sopra  di  esso  il 
ballo  di  Angiolelli,  opera  del  Rosellino  anch'esso  esimio  scultore 
fiorentino,  a  cui  pure  appartiene  la  tavola  in  marmo    della  Cro- 
cifissione, ed  il  sepolcro  di  Maria  d'Aragona.  Poi    progressi   del- 
l'arte sarà  Lene  di  osservare  il  quadro  dell'Ascenzione  di  Silvestro 
Buono.  Nella  cappella  della  famiglia  del  Pezzo   e  Liguori  ai  lati 
della  porta  della  Chiesa  lavorarono  a  gara  i  dne  grandi  sailtori 
Merliano  e  Santacroce,  all'emulazione  dei  quali   dobbiamo    molte 
bellissimo  opere.   Nella  prima  il  Santacroce  scolp'i  la  Vergine  col 
suo  figliuolo,  e  due  altri  santi,  ed  il  basso-rilievo  del  Redentore 
che  chiama  s.  Pietro  nella  barca.  Espresse  nella  .seconda  il  Mer- 
liano la  Vergine  col  Bambino  ed.  altri  santi  ,•  ed,  al   di    sotto  un 
basso  rilievo  con  s.  Francesco  di  Paola  ed  i    quattro  evangelisti- 
La  cappella  de'Mastrogiudici  è  una  tavola  in  marmo  della  Annun- 
ziala del  Fiorentino  Majano  ,  e  varii  buoni    sepolcri.  Nella    cap- 
pella Nauclerio  la  statua  di  s.  Antonio  è  del  Santacroce,  ed  il  s. 
Gianbaltisla  della  cappella  Artaldo  è  la  prima  statua  che  scolpi  il 
Merliano.  11  quadro  della  cappella  di  s.  Cristofaro  è  del  Solime- 
na.  Merita  di  esser  veduta  la  cappella  del  s.  Sojìolcro  per  le  sta- 
tue di  croia  cotta  del  modanese  Modanino.  Esso  nell'alto  che  rap- 
presentano il  Mistero,  sono  consagralo  alla  memoria  di  molti  uo- 
mini illustri  di  quel  tempo.  S.  Giuseppe  di  Arimalca   è  il  ritrailo 
di  Sannazzaro.  Nicodemo  è  quello  del  Pontano.  S.  Giovanni  con  la 
statua  vicino  sono  i  ritratti  di  Re  Alfonso  II  d'Aragona    con  Fer- 
ranlino  suo  figlio.  In  detta  cappella  vi  son   pure    due    tavole    in 
marmo  di  buona  scultura.  La  Sagrestia  è    dipinta    a    fresco    dal 
Vasari. 

Questa  Chiesa  è  stata  data  alla  Congregazione  di  s  Anna 
dei  Lombardi,  Chiesa  poco  distante  che  fu  fabbricata  nel  loSl  , 
dagli  Italiani  Lombardi  stabiliti  in  Napoli.  Essa  crollò  nel  1798. 
Ignoriamo  che  no  sia  avvenuto  dei  quadri  che  l'adornavano  de! 
Baklucci,  del  Santafede^  del  vecchio  Bassauo,  del  Lanfranco,  del 
Caravaggio,  e  del  Corenzio. 


—  121  — 

Nel  1413  adunque  progoUava,  scolpiva,  e  raellea  in  opera  il 
nostro  Ciccione  il  bel  Sepolcro  della  Regina  Margherita  nella  Chie- 
sa di  s.  Francesco  in  Salerno. 

Superava  poi  se  stesso  questo  illustre  artefice  nel  mausoleo 
che  nel  1414  fece  allo  stesso  Re  Ladislao  in  s.  Giovanni  a  Car- 
bonara. Questo  mausoleo  fu  il  più  superbo  in  tutta  Europa  in  quei 
tempi.  Fu  onorato  il  lavoro  dalla  felice  musa  del  nostro  Sannaz- 
zaro. 

Chiesa  e  badia  di  Monleolivoto. 

La  Chiesa  è  descritta  di  sopra.  La  badia  di  Monteoliveto  con 
la  chiesa  furon  fondate  come  nella  vita  del  Ciccione  ò  detto 
nel  1411  d'  ordine  di  Guerrcllo  Origlia  familiare  del  Re  Ladi- 
slao, dotandola  di  ducati  10000  di  rendita.  Alle  ricche  possessio- 
ni vi  aggiunsero  molto  i  privati  ,  e  grandi  feudi  Alfonso  II  ,  di- 
volissimo  di  quella  Religione. 

Vi  sono  quattro  Chiostri  ,  nel  secondo  dei  quali  è  una  cap- 
pella della  famiglia  Palo,  in  cui  si  vede  una  bella  tavola  in  mar- 
mo rappresentante  1'  apparizione  del  Redentore  in  Emmaus,  opera 
di  Giovanni  da  Nola.  Vi  era  una  bella  sala  da  mangiare  con  pit- 
ture del  Vasari,  nella  quale  Alfonso  II  solca  spesso  desinare  coi 
monaci,  ed  anche  un  bel  teatrino  disegnato  dal  Conforti.  Nel  no- 
viziato vi  erano  due  tavole  del  Solario. 

Oggi  questo  vasto  edifizio  è  addetto  a  vari  usi  pubblici.  Il 
giardino  dalla  parte  di  Toledo  fu  prima  convertito  in  Orto  bola- 
nico,  e  quindi  in  Mercato,  come  dirò  a  suo  tempo  nella  vita  ed 
opere  del  fu  mio  principale  Stefano  Gasse. 

L'EdiGzio  a  lato  della  Chiesa  è  addetto  alI'Amminis trazione 
Comunale,  e  la  parte  interna  all'Intendenza  della  Provincia  di 
Napoli,  ed  alle  sue  varie  olBcine.  La  parte  inferiore  interna  è  de- 
stinata al  treno  di  Linea,  che  à  l'ingresso  nella  Strada  Monteoli- 
veto —  Dal  lato  della  Strada  della  Corsea  vi  fu  allogato  il  Tribu- 
nale di  Commercio,  oggi  traslogato  in  Castel  Capuano  ,  come  ó 
detto  nella  vita  ed  opere  del  Buono  —  Il  corpo  della  Città  di  Na- 
poli à  pure  sede  in  questo  edifizio  ,  ed  alcune  Municipalità.  Fi- 
nalmente trovasi  qui  allogata  1'  Accademia  d' Incoraggiamento  ,  if 

Sasso  — Voi.  I.  16 


122  

scuole  normali  ,  la  Commissione  di  beneficenza,  l'Uffizio  di  vacci- 
nazione, quello  del  Protomedicato,  la  Sopraintendenza  generale  di 
Salute,  e  la  giunta  Edilizia. 

S.  Severino. 

11  Monastero  di  s.  Severino  è  vasto  e  magnifico  —  Il  suo 
terzo  Chiostro  è  architettato  dal  nostro  Ciccione.  L'  altro  dove  ev- 
vi  un  albero  che  conta  14  secoli  contiene  nel  porticato  il  più  bel 
monumento  del  Solario,  il  quale  vi  dipinse  la  vita  di  s.  Bene- 
detto, accompagnando  le  figure  piene  di  espressione  con  bellissi- 
me vedute  —  Sarebbe  a  desiderare  che  questi  capi  d'opera  del 
nostro  padre  della  pittura,  fossero  incisi  in  rame  per  conservarli 
e  farli  conoscere.  —  Il  Refettorio  ed  il  Capitolo  sono  dipinti  a 
fresco  dal  Corenzio.  Ivi  si  ammira  il  suo  quadro  della  moltiplica- 
zione dei  pani,  anche  perchè  fatto  in  40  giorni  ,  malgrado  che 
contenesse  117  figure. 

Palazzo  «Iella  Riccia. 

Fu  eretto  dal  nostro  Ciccione  per  Bartolomeo  di  Capua  Con- 
te di  Altavilla,  e  Protonolario  del  Regno  —  À  un  bel  frontespi- 
zio, e  nobile  Cortile.  N'ebbe  molle  laudi  il  nostro  Architetto,  che 
seppe  s'i  bene  in  un  luogo  angusto  raccogliere  una  si  grande 
quantità  di  luce  —  questo  palagio  oggi  si  vede  nella  strada  s. 
Biagio  de'  librai  —  Come  un  bel  monumento  del  secolo  quindice- 
simo ne  darò  il  disegno. 

Vado  a  descrivere  i  suoi  lavori  nella  Scultura. 

Sepolcro  «11  Ladislao. 

Il  sepolcro  di  Re  Ladislao  in  s:  Giovanni  a  Carbonara  è  lutto 
di  bianchi  marmi  contesto.  Vien  sostenuto  da  quattro  grandi  sta- 
tue, situate  quasi  pilastri  sulle  loro  basi  —  Queste  statue  rappre- 
sentano quattro  virtù  cioè  Speranza  ,  Fortezza,  Prudenza  ,  e  Ma- 
gnanimità, leggendosi  i  nomi  di  esse  con  caratteri  gotici  scolpiti 
nelle  sudette  basi. 

Succede  a  queste  un  grand'arco  bene  architettato,  e  con  va- 
ghi ornali;  sotto  del  quale  sono  situati  a  sedere    due    statue  che 


—  123  — 
rappresenlano  Ladislao  e  Giovanna  li  sua  sorella  la  quale  per 
testimonianza  dell'amor  suo  verso  l'estinto  fratello  ,  volle  seco  in 
tal  guisa  essere  scolpila.  Sopra  l'arco  anzidetto  vi  è  l'urna  sepol- 
crale ove  il  corpo  del  morto  Re  riposa  ;  in  {jucsla  cassa  vi  sono 
varie  sculture  in  basso-rilievi  che  le  sue  marziali  azioni  rnppre- 
senfano,  essendovi  al  di  sopra  la  statua  giacente  del  suo  cadave- 
re, la  quale  viene  scoverla  dalle  cortine  che  alzano  due  angioli, 
ad  imitazione  di  quello  di  Carlo  l'Illustre  duca  di  Calabria  e  del 
sapiente  Roberto  ,  fatte  da  Masuccio  II  —  S'innalza  sopra  di  que- 
sto altro  basso-rilievo  in  figura  triangolare  sostenendo  uno  zocco- 
lo che  serve  di  basamento  alla  statua  equestre  del  Re  ,  tutto  ar. 
malo  con  spada  in  mano  in  azione  marziale.  Al  piedistilo  evvi 
scritto  DlVtS  LADISLAUS.  Ai  due  lati  s'innalzano  altri  ornali  alla 
gotica,  alla  di  cui  sommità  terminano  con  due  piramidi.  —  Al 
piano  ed  al  livello  delle  due  slalue  avvene  altre  due.  —  Questo 
sepolcro  s'innalza  sino  alla  sommila  del  Tempio  per  palmi  o3.  — 
In  esso  "vi  si  leggono  scolpiti  i  seguenti  quattro  versi 

Improba  nwrs  homimim,  heu,  scmper  oblia  rebus, 
Dum  Rex  magna7iiìnus  tolian  spe  coiicipil  or  beni, 
En  morì  tur,  saxo  tc(jilur  Rex  inclylus  islo; 
Libera  syderewn  mcns  ipsa  peiicit  Ohjmpiuin. 

Nella  cornice  di  sotto  vi  sono  questi  altri 

Qui  pojmlos  bello  iwnidos,  giti  calde  /j/r'antws 
Percutil  inlrepidos,  tic/or,  terrafjue  mariquc, 
Lux  lialum,  Regni  splendor  clarissimiis .  hic  est. 
Rex  Ladislaus,  deciis  allum,  et  gloria  rcgmim-. 
Cui  tanto,  heu  lacrymae,  soror  illiislrissima  Fratri 
Deftmcto,  pulcrimi  dcdit  hoc  Rcr/ina  Joanna. 
Ulraque  sculpta  sedens  majesias  nllima  regnnm 
Francorum  soboles,  Caroli  sub  origlile  primi. 

Ma  il  più  bell'elogio  che  ebbe  questo  giovane  Re  Ai  la  scrit- 
ta di  Jacopo  Sannazzaro,  che  per  fino  al  ^Monumento  riporlo. 

Miraris  niveis  pedcntia  saxa  coltimnis 

Hospes,  et  lutnc,  aeri  qui  sedei  alias  equo\ 

Quid  si  animos,  roburquo  ducis  pracclaraque;  nosscs 
Peclora,  et  invictas  dura  per  arma  manus  ? 


—  124  — 

Eie  Capitolims  deieeil  sedibus  hostem: 

Bisfjue  iriumphata  Victor  ab   Urbe  redit. 
Ilaliamque  omnem  bello  conciissù,  et  armis: 

Intulit  Hetrusco  signa  tremenda  mari. 
Neve  foret  Latio  tantum  Diademate  felix 

Ante  suos  vidit  Gallica  screptra  pedes. 
Cumque  rebellantem  pressisset  pontibus  Arnum, 

Mors  vetuit  sextam  claudere  Olympìadem. 
1  7iunc,  Regna  para,  fastusque  atlolle  superbos, 

Mors  etiam  magnos  obruit  atra  Beosl 

N'ebbe  il  Ciccione  lodi  immense  in  quell'epoca  per  si  mae- 
stoso e  gran  monumento,  e  per  i  simbolici  bassi-rilievi  si  esalta- 
mente scolpiti,  tanto  dal  pubblico  cbe  dalla  Regina,  la  quale  in 
testimonianza  della  sua  piena  soddisfazione,  dopo  d'averlo  lauta- 
mente compensato,  Io  onorò  del  titolo  di  suo  gentiluomo. 

Sepolcro  Ili  Ser  Gianni  Caracciolo. 

Dopo  pocbi  anni  cbe  avea  terminato  il  detto  Mausoleo  ,  fu 
d'uopo  di  risospendere  i  suoi  lavori  in  Architettura  ,  e  ripigliar 
gli  scalpelli  dovendo  altro  mausoleo  erigere  al  gran  Siniscalco 
Ser  Gianni  Caracciolo,  ucciso  come  ò  dtìtfo  per  opera  di  Covella 
Ruffo  il  23  agosto  1432.  Ne  dotte  lo  incarico  al  nostro  Ciccione 
il  figlio  dell'  ucciso  ,  nominato  Trajano,  e  Principe  di  Melfi. 

Lavorò  il  Ciccione  questo  mausoleo  che  dietro  il  mentovalo 
altare  di  s.  Giovanni  a  Carbonara,  in  separato  compreso,  si  vede 
dietro  quello  di  Ladislao. 

E  il  monumento  sostenuto  da  tre  pilastri  ciascuno  sendo  una 
statua  di  uu  guerriero,  rappresentando  forsi  altri  di  sua  famiglia. 
Nella  cassa  che  rinserra  le  sue  ossa  vi  sono  due  angioli  che  ten- 
gono la  sua  impresa,  e  dai  lati  vi  è  l'Arcangelo  S.  Michele  con 
altri  angioli  in  allo  di  abbatter  dragoni:  ciò  viene  con  mistico  senso 
inlerpelrato  per  quei  cbe  furono  da  Ser  Gianni  depressi. Salgono  i 
detti  pilastri  in  alto  e  fanno  finimento  dai  lati,  e  nel  mezzo.  So- 
pra il  sepolcro  vi  è  la  statua  in  piedi  di  Ser-Gianni  alla  quale  il 
chiuso  Gnestrone  della  Tribuna  gli  serve  di  nicchia  —  Ai  lati  di 
questa  statua  vi  sono  due  fiere,  come  hH)ni  seduti.  La  statua  nel 


—  125  — 

pilastro  di  mozzo  tiene  con  la  sinistra  pel  crine  immoto  im  leo- 
ne, e  nella  destra  una  clava  —  Sotto  del  sepolcro  accopp  iando 
a  barbari  caratteri  l'inculta  locuzione  di  quei  tempi,  cosi  si  vede 
dottato. 

Syriandl  Caraczulo,    Ivellini  Corniti,  Venusini 
Duci,  ac  Regni  Magno  Senescallo,  ci  Moderatori, 
Trajaììus  Jilius,  Melphiae  dux,  Parenti  de  se, 
Deque  Patria  opiimc  merito,  erigendum  curami,  anno  /432. 

Vi  sono  scolpiti;  e  bisogna  leggerli  i  seguenti  versi  la  tti  dal 
celebre  letterato  di  quei  tempi  Lorenzo  Valla,  per  l'estinto  signore. 

Nil  7nihi  ni  iitulus  summo  de  culmine  deerat. 

Regina  morbis  invalida,  et  senio 

Foecunda  popidos,  praeceresque  in  pace  tuebar 

Pro  Domine  imperio,  nullius  arma  timens  : 

Sed  me  idem  livor,  qui  te,  Joriissiìne  Caesar, 

Sopitum  extinxii,  nocte  juvante,  dolos. 

Non  me,  sed  totuin  laceras  manus  impia  Regnum, 

Parthenopeque  suum  perdidit  alma  deciis. 

Per  le  altre  due  tombe  da  lui  eseguite ,  e  nella  vita  accen- 
nate, è  inutile  portarne  la  descrizione  ,  sì  perchè  non  anno  che 
fare  con  le  esposte,  e  si  perchè  quella  del  Maresciallo  fu  la  mag- 
gior parte  eseguita  dai  suoi  allievi,  stante  il  Ciccione  per  pagare 
il  dovuto  tributo  alla  natura  per  deboia  vecchiezza. 

Tra  i  suoi  disegni  lasciati,  e  trovati  dopo  la  sua  morte  è  da 
notarsi,  che  ne  capitò  uno  nelle  mani  del  nostro  Poeta  Gio- 
vanni Gioviano  Pontano,  il  quale  se  ne  giovò  per  formare  la  sua 
cappella  accosto  la  Pietra  santa,  facendone  sepolcreto  per  se  ,  e 
per  la  sua  famiglia  —  Vi  sono  sempre  dei  minuti  e  pedanti  ri- 
cercatori, e  tra  questi  alcun  à  asserito  che  la  detta  Cappella  es- 
ser non  può  disegno  di  Andrea  Ciccione,  stante  che  lo  sfesso  era 
alla  architettura  gotica  portato.  — Si  sbaglia  l'accennato  analista; 
imperocché  il  Ciccione  fece  di  stile  gotico  la  porta  di  s.  Lorenzo, 
per  uniformarsi  al  carattere  del  tempio;  mentre  si  le  Cappelle  del 
detto  Tempio,  che  il  Chiostro  di  S.  Severino,  e'I  palazzo  della 
Riccia,  ci  fanno  a  chiare  note  conoscere  che  il  suo  stile  è  unifor- 
me alla  Cappella  del  fondatore  dell'Accademia  Pontaniana. 


VITA  DELL"  ARCHITETTO 

GIULIA^  DA  MAJAI\0 

COiy  U  DESCRrZIO\E  DULE  SIE  OPERE  ESEGUTE  I^  NAPOLI 

CONSISTENTI 

KEL 

Palazzo  a  Poggio  Reale.  [  Porta  Capuana. 


Anno  -  Ì4a0. 


Giulian  da  Majano  Archilelto  Fiorentino,  ebbe  per  padre  uno 
scarpellino  di  Majano  ,  villaggio  vicino  a  Fiesole.  Nacque  nel 
1377.  Fu  prima  Scultore,  e  poi  architetto.  Chiaraato  qui  in  Na- 
poli da  Re  Alfonso  costruì  il  magnifico  Palazzo  di  Poggio  Reale. 

Questo  Palazzo  s' inalzava  sur  un  quadrato.  In  mezzo  ad  ogni 
lato  vi  era  un  portico  ad  archi,  alle  alette  dei  quali,  dei  pilastri 
ionici  sopra  un  alto  piedestallo.  Camere  di  qua  e  di  là.  11  secondo 
piano  era  di  pilastri  corinlii  tra'quali  finestre  con  frontespizii.  I  cor- 
nicioni senza  risalto,  e  senza  ioterrompimenlo.  Vi  esistea  dentro 
un  cortile  anche  quadrato  con  logge  per  tutti  e  due  i  piani.  Jn 
mezzo  di  esso  cortile  vi  era  una  scalinata  la  cui  gabbia, parimen- 
ti quadrata,  per  cui  si  scendea  ad  un  piano  mattonato  abbellito 
di  sedili,  di  mense  e  di  guochi  d'acqua.  Fu  questo  palagio  ar- 
ricchito di  belle  pitture  e  massime  di  quadri  eseguiti  dai  due  fra- 
telli Donzelli,  come  esporrò  in  appresso.  Tutto  ciò  fu  ! 

In  Castel  nuovo  eresse  una  porta  di  marmo  d'ordine  com- 
posito, 0  pure  vicino  Castel  nuovo,  che  poi  nella  penultima  ara- 
pliazione  stava  situata  poco  prima  di  arrivare  al  Castello  di  Ca- 
puana. Fu  colà  trasportata  da  Ferdinando  I  d'  Aragona  denomi- 
nandola Porta  Capuana  ed  era  la  porla  più  grande  e  maestosa  di 
Napoli,  perchè  per  questa  entrar  dovea  chi  da  Roma  veniva.  Vi 
si  entrava  per  ponte  di  fabbrica  sulla  fossata.  Questa  magnifica 
porta  è  tutta  adornala  di  bianchi  marmi  ,  nei  quali  vi  sono  con 
maestria  scolpiti  molti  trofei  di  armi  ed  altri  empiemi  militari 
adornanti  1'  arco.  Di  sopra  vi  era  la  statua  del  Re  Ferdinando  I 
d'Aragona  in  mezzo  rilievo  :  ma  nell'ingresso  che  fece  in  Napoli 
rimperator  Carlo  V,  il  di  26  novembre  1S3S  ,  essendo  ricevuto 
in  trionfo  per  aver  domato  il  Regno  di  Tunisi  ,  fu  tolto  da  so- 
pra a  Porla  Capuana  il  ritratto  di  Re  Ferdinando  ,  e  collocatovi 
lo  stemma  di  Carlo  Y  in  mezzo  di  due  statue  di  Santi  protettori 

Sasso  —  Voi.  1.  17 


—  130  — 
quelle  cioè  di  s.  Gennaro,  e  di  s.  Agnello  liiUe  di  finissimo  mar- 
mo come  l'atlico  superiore  ornalo  di  modonaliire  tulle  senza  inta- 
glio, sebbene  dello  stesso  carallere  sembra  che  sia  stalo  ivi  ag- 
giunto da  altri,  e  non  messovi  dal  Jlajano  -  come  vedesi  nel  ri- 
tratto esistente  nella  tomba  del  Vice  Re  Pietro  di  Toledo  —  For- 
se nella  delta  epoca  del  lo3o  quando  alla  statua  di  Ferdinando  I 
fu  sostituito  lo  slemma  dell'Imperator  Carlo  V  quest'  aggiunzione 
avveniva. 

Quesla  porta  a  specie  d'arco  trionfale  arricchita  di  figure  , 
statue,  e  bassi  rilievi,  che  ancora  si  veggono  ben  conservali  è 
infelicemente  collocata  in  un  luogo  angusto  ed  ignobile  della  Ca- 
pitale circondata  da  meschine  fabbriche,  onde  non  si  può  cono- 
scere la  sua  intera  bellezza,  come  puoi  osservarla  nella  tavola  6. 

L'architetto  ammirando  il  bel  monumento  vi  scorge  nel  ma- 
gnifico elevalo  uniti  alla  bella  proporzione  i  più  magnifici  detta- 
gli. Ti  scorge  ancora  l'arlisla  che  viene  oggi  interrita  ;  imperoc- 
ché la  linea  della  strada  nasconde  finanche  i  plinti  delle  basi.  E 
certo  che  olire  il  plinto  vi  sia  interrilo  anco  il  piedislallo  o  qual- 
che zoccolo  sempre  usalo  in  tutte  le  fabbriche  eseguile  nell'epoca 
del  risorgimento  delle  arti,  nel  secolo  XV. 

La  luce  attuale  e  troppo  bassa  ,  ed  in  contesto  di  ciò  ne  è 
irrefragabile  dimostrazione  il  ritratto  di  questa  porta  nel  Sepolcro 
del  Toledo  in  s.  Giacomo,  eseguito  quasi  cenlo  anni  dopo,  come 
di  sopra  ò  accennalo. 

I  dettagli  tulli  dello  magnifiche  sculture  sono  da  essere  con- 
siderate e  nel  tempo  stesso  di  scuola  e  di  umiliazione  del  secol 
nostro. 

Chi  brama  conoscerne  i  più  minuti  dettagli  potrà  leggere  l'o- 
pera deirarchifelto  Francesco  de  Cesare,  intitolala  le  più  belle 
fobbriche  del  loOO  esistenti  in  Napoli  con  notizie  storiche  e  ri- 
flessioni artistiche  Napoli  18415. 

Fece  ancora  il  Wajano  in  Napoli  disegni  di  varie  fontane  di 
bizzarre  invenzioni,  si  per  le  piazze  che  per  le  case  dei   privali. 

Chiamalo  in  Roma  da  Papa  Paolo  II,  fece  un  Cortile  nel  Pa- 
lazzo Valicano  che  pare  essere  quello  che  ora  dicesi  di  s.  Dama- 
sco il  quale  è  da  tre  parti  circondato  da  logge  a  tre  ordini. 

La  sua  principale  opera  in  Roma  fu  la  Chiesa  di  s.  Marco 
dove  è  impiegata  una  gran  quantità  di  travertini  presi  dalle    ro- 


—  131  — 
vine  del  Colisseo  ;  ma  la  rovina  di  quel  superbo  Anfitealro  è  di 
una  data  assai  più  aulica  benché  corra  la  parola,  che  per  edifi- 
carsi Palagio  di  Roma  ,  e  spezialmente  il  Farnese  si  diroccasse 
il  Colosseo.  Lo  stesso  Paolo  II  mandò  il  Majano  a  Loreto  ad  in- 
grandire il  corpo  di  quella  Chiesa. 

Ritornato  a  Napoli  per  dar  termino  alle  opere  incominciate, 
non  potè  compirle  ;  imperocché  a  70  anni  di  età  passò  da  questa 
all'altra  vita. 

Il  Re  Alfonso  lo  pianse  assai,  e  volle  che  cinquanta  uomini 
vestili  a  bruno  assistessero  alle  onorifiche  esequie,  e  che  se  gli  er- 
gesse un  sepolcro  di  marmo.  Restò  Polito,  o  sia  Ippolito  del  Don- 
zello a  compiere  le  incominciate  fabbriche. 

DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE 

Palazzo  a  Poggio  Reale. 

E  inutile  come  altra  volta  ò  detto  di  fare  l'inventario  di  una 
casa  saccheggiata  :  con  maggior  ragione  inutile  parmi  descrivere 
un  monumento,  che  non  piii  esiste,  quiudi  mi  taccio  della  decan- 
tala delizia  de' Re  Angioini  a  Poggio  Reale. 

Pòrta  Capuana. 

Per  porta  Capuana  dico,  che  diccsi  Capuana  perchè  per  essa 
si  andava  a  Capua  prima  che  fosse  aperta  la  strada  di  Foria  — ■ 
Questa  porla  era  prima  situata  dov'è  il  Sedile  Capuano^  e  fu  qui 
trasportata  allorché  furono  le  mura  allargate  da  Ferdinando  l 
di  Aragona  —  Essa  formava  in  quei  tempi  il  principale  ingresso 
della  città,  il  quale  era  magnificamente  decoralo  —  La  porta  è  di 
bianco  marmo,  e  fu  fatta  con  le  belle  sculture  da  Giulian  da  Ma- 
jano. Vi  era  la  statua  di  Ferdinando  I  d'  Aragona  ,  la  quale  fu 
tolta  nel  ISSIi  quando  vi  si  celebrò  l'ingrosso  di  Carlo  V  ai  26 
di  novembre,  ed  alla  statua  dell'Aragonese  Sovrano  fu  surrogala 
r  impresa  dell'  Imperatore  in  mozzo  di  due  statue  di  s.  Gennaro 
e  s.  Agnello,  pure  di  marmo.  Fuori  della  porta  evvi  una  gran 
piazza  irregolare  delta  Casanova  :  eravi  un  palazzo  di  Carlo  H 
d'  Angiò.  Quindi  s' incontra  il   numero    aureo  sulla  strada   larga 


—  132  — 

dritta  ed  abbellita  di  alberi ,  e  di  fontane  che  oggi  si  chiama    di 
Poggio  Reale. 

Tutta  questa  contrada  fu  un  luogo  di  diporto  dei  nostri  Re 
Angioini  ed  Aragonesi.  Alfonso  I  d'Aragona  nel  1484,  \i  costrus- 
se  un  Palazzo  ornalo  dalle  pitture  dei  fratelli  Donzelli  con  boschet- 
ti 5  e  giardini  sino  al  mare.  Il  duca  di  Guisa  nelle  sue  memorie 
nel  1647,  dice  che  questo  luogo  di  poggio  Reale  pei  giardini,  e 
per  le  acque  era  il  più  delizioso  del  Mondo.  Sino  al  cadere  del 
secolo  passato  vi  si  andava  con  le  carrozze  a  passeggiare ,  oggi 
tutto  è  degradato  ed  abbandonato,  e  dal  1837  in  poi  per  questa 
strada  noi  Napoletani,  (e  per  quella  del  Campo)  facciamo  l'ulti- 
ma trottata  in  carrozza  per  esser  portati,  non  ai  vecchio,  ma  al 
nuovo  Poggio  Reale,  cioè  al  Camposanto. 

Cadono  le  Città,  cadono  i  Regni, 

E  l'uom  d'esser  mortai  par  che  si  sdegni. 


Altre  opere  del  Majano. 

II  Celano  nella  quinta  giornata  alla  pagina  40  dice  cosi. 

Dentro  della  Sagrestia  (della  chiesa  di  s.  Rarbara  in  Castel 
Nuovo  )  vi  si  vede  una  statua  della  Vergine  col  suo  flambino  in 
braccio  di  marmo  cosi  delicato,  che  sembra  alabastro  e  con  dise- 
gno e  tenerezza  da  non  sapersi  fare  in  quei  tempi ,  e  si  stima 
opera  del  Majano. 

Pretende  ancora  il  Celano  che  il  modello  della  porta  di  bron- 
zo in  Castel  Nuovo  sia  benanche  del  citato  artefice  Fiorentino  ; 
mentre  fu  tutta  opera  del  Napolitano  Guglielmo  Monaco. 

Dice  altresi  che  ai  piedistalli  delle  colonne  corintie  della  por- 
fa  alla  Chiesa  di  s.  Rarbara  vi  sono  i  ritratti  in  basso-rilievi  di 
esso  Giuliano  ,  della  figliuola  ,  e  di  altri  che  vi  lavorarono  ,  in 
conseguenza  ritiene  la  delta  porla  benanche  di  Giulian  da  Maja- 
no: e  siccome  lo  storico  Vasari  non  solo  ciò  ma  benanche  l'Arco 
di  Alfonso  d'Aragona  di  Piet<-o  di  Martino  attribuisce  al  detto  Ma- 
jano, cosi  non  credo  superfluo  qui  riportare  quanto  dice  di  que- 
sto distinto  artefice  il  ripetuto  storico  messer  Giorgio  Vasari  che 
tanto  dispetto  avea  per  gli  artefici  Napoletani  ,  e  ciò   lo    fo    per 


—  133  — 
far  conoscere  gli  errori  in  cui  cade  ben  spesso  il  sullodato   dolio 
scriltore  delle  nostre  cose  parlando. 

«   Non  picciolo  errore  fanno  quei  padri  di  famiglia,  che  non 
t  lasciano  fare  nella  fanciullezza  il  corso  della  nalura  agli  inge- 
c  gni  dei  figliuoli ,  e  che  non  lasciano  esercitargli  in    quelle  fa- 
t  cultà  che  più  sono  secondo  il  gusto   loro.    Perocché    il    volere 
t  volgerli  a  quello  che  non  va  loro  per  l'animo  è  un  cercar  ma- 
c  nifestamente  che  non  siano  mai  eccellenti  in  cosa  nessuna;  es- 
c  sendo  che  si  vede  quasi  sempre,  che  coloro,  che  non  operano  se- 
t  condo  la  voglia  loro,  non  fauno  mollo  profitto  in    qualsivoglia 
e  esercizio.  Per  l'opposilo  quelli  che  seguitano  lo  istinto  della  na- 
c  ra  vengono  il  più  delle  volte  eccellenti  ,  e    famosi    nelle    arti 
e  che  fanno,  come  si  conobbe  chiaramente  in  Giuliano  da  Maja- 
«  no,  il  padre  del  quale  essendo  lungamente  vivulo  nel   poggio 
e  di  Fiesole,  dove  si  dico  Majano,  con  lo  esercizio  di  squadralo- 
«  re  di  pietre,  si  condusse  finalmente  in  Fiorenza,  dove  fece  una 
e  bottega  di  pietre  lavorate,  tenendola  fornita  di  quei  lavori  che 
t  sogliono  improvvisamente  il  più  delle  volte  venire  a  bisogno  a 
«  chi  fabbrica  qualche  cosa.  Standosi  dunque  in  Firenze,  gli  nac- 
c  que  Giuliano,  il  quale  perchè  parve    col   tempo    al    padre    di 
e  buono  ingegno,  disegnò  di  farlo  notajo,  parendogli  che  lo  scal- 
c  pellare,  come  aveva  fatto  egli,  fusse  troppo  faticoso  esercizio,  e 
€  di  non  molto  utile  :  ma  non  gli  venne  ciò  fatto  ;  perchè    seb- 
t  bene  andò  un  pezzo  Giuliano  alla  scuola  di  grammatica  ,  non 
t  vi  ebbe  mai  il  capo,  e  per  conseguenza  non  vi  fece  frutto  nes- 
c  suno;  anzi  fuggendosene  più  volle,  mostrò  d'aver  tulio  l'animo 
f  volto  alla  scoltura,  sebbene  da  principio  si  mise  all'arie  del  le- 
t  gnajuolo  e  diede  opera  al  disegno.  Dicesi   che    con  Giusto  ,  e 
e  Minore  maestri  di  tarsie  lavorò  i  banchi  della  sagrestia  della  Nun- 
«  ziata,  e  similmente  quelli  del  coro  che  è  allato  alla  cappella  ; 
e  molte  cose  nella  badia  di  Fiesole,  ed  in   s.  Marco,  e  che  per- 
<  ciò  acquistatosi  nome,  fu  chiamalo  a  Pisa,  dove  lavorò  in  Duo- 
c  rao  la  sedia  che  è  accanlo  all'aliar  maggiore,  dove  stanno  a  se- 
«  dere  il  sacerdote  e  diacono  e  suddiacono  quando  si    canta    la 
e  messa  ;  nella  spalliera  della  quale  fece  di  tarsia  con  legni  lin- 
c  ti  ed  ombrali  i  Ire  profeti  che  vi  si    veggiono.    Nel    che    fare 
e  servendosi  di  Guido  del  Servellino  e  di    maestro  Domenico    di 
e  Mariollo  legnajuoli  pisani,  insegnò  loro  di  maniera  l'arte,  che 


—  134  — 

f  poi  feclono  così  d'intaglio  come  di  tarsia  la  maggior  parte  di 
e  quel  coro,  il  quale  ai  nostri  dì  è  stato  finito;  ma  con  assai  rai- 
c  glior  maniera,  da  Battista  da  Cervelliera  Pisano  ,    uomo    vera- 
e  mente  ingegnoso  e  sofistico.  Ma  tornando  a  Giuliano,  egli  feco 
e  gli  armari  della  sagrestia  di  S.  Maria  del  Fiore,  che,  per  cose 
e  di  tarsia  e  di  rimessi,  furono  tenuti  in  quel  tempo  mirabili.  E 
e  così  seguitando  Giuliano  d'  attendere   alla    tarsia   alla    scoltura 
e  ed   alla    architettura ,    morì   Filippo  di    ser    Bruncllesco  ;    ou- 
«.'  de  messo  dagli  operai  il  luogo  suo  ,    incrostò  di    marmo   sotto 
a  la  volta  della  cupola  le  fregiature  di  marmi  bianchi  e  neri  che 
«  sono  intorno  agli  occhi.  Ed  in  sulle  cantonale  fece  i  pilastri  di 
e  marmo  sopra  i  quali  furono  messi  da  Baccio  d'Agnolo   l'archi- 
c  trave  fregio,  e  cornice  come  di  sotto  si  dirà.  Vero  è  che  costui 
e  per  quanto  si  vede  in  alcuni  disegni  di  sua  mano  ,   che    sono 
e  nel  nostro  libro  volea  fare  altr'ordine  di  fregio,  cornice,  e  bal- 
c  latojo  con  alcuni  frontespizi  ad  ogni  faccia  dell'otto  della  cupo- 
c  la,  ma  non  ebbe  tempo  di  mettere  ciò  in  opera  perchè  traspor- 
«  tato  dal  lavoro  d'oggi  iu  domani,  si  morì.  Ma  innanzi  che  ciò 
ff  fusse,  andato  a  Napoli,  fece  al  Poggio  reale  per  lo  re  Alfonso 
«■  l'architettura  di  quel  magnifico  palazzo  con    le    belle    fonti  ,  e 
ce  condotti  che  sono  nel  cortile.  E  nella  città   similmente  ,  e  per 
«  le  case  de'  gentiluomini,  e  per  le  piazze  fece  disegni  di  molle 
«  fontane  con  belle  e  capricciose  invenzioni.  Ed  il  detto   palazzo 
«  di  Poggio  reale  fece  tutto  dipingnere  da  Piero  del  Donzello,  o 
«  Polito  suo  fratello.  Di  sculluia  fece  parimenti  al  detto  re  xilfon- 
«  so,  allora  duca  di  Calavria,  nella  sala  grande    del    castello  di 
f  Napoli  sopra  una  porta  di  dentro  e  di  fuori  storie  di  basso-ri- 
«  lieve,  e  la  porta  del  castello  di  marmo  d'ordine    corintio    con 
(c  infinito  numero  di  figure,  e  diede  a  quellopera  forma  di  arco 
«  trionfale  dove  le  storie  ed  alcune  vittorie  di  quel  re  sono  scol- 
«  pite  di  marmo.  Fece  similmente  Giuliano  l'ornamento  della  por- 
«  la  Capovana,  ed  in  quella  molti  trofei  variati  e  belli:  onde  m^- 
(T  rito  che  quel  re  gli  portasse  grande  amore,  e  ,  rimunerandolo 
d  altamente  delle  fatiche,  adagiasse  i  suoi  discendenti.  E  perchè 
<c  aveva  Giuliano  insegnato  a  Benedetto  suo  nipote  l'arte  delle  tar- 
«  sie  ,  l'architettura  ,  e  a  lavorar  qualche  cosa  di  marmo  ,  Bene- 
(c  detto  si  slava  in  Fiorenza  attendendo  a  lavorar  di  tarsia  ,  per- 
«  che  gli  apportava  maggior  guadagno  che  le  altre  arti    non  fa- 


—  135  — 
e  cerano,  quando  Giuliano  da  M.  Antonio  Rosello  aretino,  segre- 
c  tarlo  di  Papa  Paolo  II  la  chiamato  a  Roma  al  servizio  di   quel 
e  Pontefice,  dove  andato,  gli  ordinò  nel  primo  cortile  del  palaz- 
c  zo  di  s.  Pietro  le  logge  di  travertino  con  tre  ordini    di    colon- 
c  ne,  la  prima  nel  piano  da  basso  dove  sta    oggi    il    piombo  ed 
(c  altri  uffizi,  la  seconda  di  sopra  dove  sta  il  Datario  ed  altri  pre- 
c  lati  ;  e  la  terza  ed  nlliina  dove  sono  le  stanze  che  rispondono 
il'  in  sul  cortile  di  s.  Pietro  ,  le  quali  adornò  di  palchi    dorati  e 
e:  d'altri  ornamenti.  Furono  fatte  similmente  col    suo   disegno    le 
«  logge  di  marmo  dove  il  Papa  dà  la  benedizione  ;  il  che  fu  la- 
<c  voro  grandissimOj  come  ancor  oggi  si  vede.  Ma  quello  che  egli 
e  fece  di  stupenda  maraviglia  più  che  altra  cosa ,  fu    il    palazzo 
e  che  fece  per  quel  Papa  insieme  con  la  chiesa    di  s.  Marco    di 
e  Roma,  dove  andò  un  infinità  di  travertini,  che  furono  cavali, 
«:  secondo  che  si  dice,  di  certe  vigne   vicino  all'arco   di    Coslan- 
c  tino,  che  venivano  ad  essere  contraforti  de'  fondamenti  di  quel- 
li: la  parte  del  colosseo  che  è  oggi  rovinata  ,  forse  per  avere    al- 
«  lentato  quell'edifizio.  Fu  dal  medesimo  Papa  mandato  Giuliano 
s  alla  Madonna  di  Loreto,  dove  rifondò  e  fece  molto  maggiore  il 
e  corpo  di  quella  chiesa  che  prima  era  piccola  e    sopra    pilastri 
<r  alla  salvatica,  ma  non  andò  più  alto  che  il  cordone  che  vi  era 
e  nel  qual  luogo  condusse  Benedetto  suo  nipote,  il  quale,  come  si 
e  dirà,  voltò  poi  la  cupola.  Dopo  essendo  forzato  Giuliano  a  tor- 
ci nare  a  Napoli  per  finire  l'opere  incominciale  ,  gli    fu  allogata 
£  dal  re  Alfonso  una  porla  vicino  al  castello,  dove  andavano  più 
«  di  ottanta  figure,  le  quali  aveva  Benedetto  a  lavorare    in  Fio- 
«  ronza  j  ma  il  lutto  per  la  morte  di  quel  re  rimase  imperfetto, 
«:  e  ne  sono  ancora  alcuno  reliquie  in  Fiorenza,  nella  Misericordia 
e:  ed  alcune  altro  n'erano  accanto  alle  macine  ai  tempi  nostri,  le 
i'  quali  non  so  dove  oggi  si  ritrovino.  Ma  innanzi  che  morisse  il 
«  Re,  mori  in  Napoli  Giuliano  di  età  di  70  anni  ,  e  fu  con  ric- 
«  che  oseguie  mollo  onorato,  avendo  il  re  fatto  vestire    a  bruno 
«  cinquanta  uomini  che  l'accompagnarono  alla    sepoltura  ,  e  poi 
«  dato  ordine  che  gli  fus.';c  fatto  un  sepolcro  di   marmo.  Rimase 
«   Polito  nell'avviamento  suo,  il  quale  diede  fine  ai  canali  per  le 
e  acque  di  Poggio  reale;  e  Benedetlo  attendendo  poi  alla  scoltu- 
c   ra  passò  in  eccellenza  come  si  dirà  ,  Giuliano  suo  Zio  ,    e   fu 
r  concorrente  nella  giovanezza  sua  d'uno  scultore  che    faceva  di 


—  13G  — 
e  terra  chiamalo  Modanino  da  Modena  ,  il  quale  lavorò  al  detto 
e  Alfonso  una  Pietà  con  infinite  figure  tonde  di  terra  colta  colo- 
t  rile,  le  quali  con  grandissima  vivacità  furono  condotte  e  dal 
e  Re  fatte  porre  nella  chiesa  di  Monte  Olivelo  di  Napoli ,  mona- 
f  slerio  in  quel  luogo  onoratissimo  ;  nella  quale  opera  è  ritrailo 
<■  il  detto  Re  in  ginocchioni,  il  quale  pare  veramente  più  che  vi- 
c  vo.  Modanino  fu  da  lui  con  grandissimi  premii  rimunerato  : 
e  ma  morto  che  fu  come  si  è  detto  il  Re,  Polito  e  Benedetto  se 
(  ne  ritornarono  in  Fiorenza,  dove  non  molto  tempo  dopo  se  ne 
e.  andò  Polito  dietro  a  Giuliano  per  sempre.  Furono  le  sculture, 
f  e  pitture  di  costoro  circa  gli  anni  di  nostra  salute  1447. 

A  Giuliano  da  Majano  fu  fatto  dopo  qualche  tempo  il  seguen- 
te epitaffio. 

Chi  ne  consola  ahimè!  poi  che  ci  lassa 

Di  se  privi   il  Majan,    quello   architetto, 

Il   cui   bello  operare,   il  cui  concetto 

Vitruvio  aggiugne,  e   di  gran  lunga  il  passa  ? 


VITA  DELL'ARCHITETTO 


GIACOMO  DE  SAIVTIS 


C051  LA  DESCKIZIO\E  DELLE  SIE  OPERE  ESEGUTE  E  IVAPOLI 


CONSISTENTI 


Riedificazione  della  Chiesa  di  S.  Pel- 


legrino. 


Idem  di  S.  Onofrio  a  Formello. 
Palazzo  di  Caraccioli. 
Palazzo  Piscicelli. 


Palazzo  Zurli. 

Palazzo  del  Balzo. 

Progetto  ,  e  disegni  per  la  Chiesa 

della  Madonna  delle  Grazie  agli 

Incurabili. 


Amo  -  1429. 


Fu  Giacomo  De  Sanlis  discepolo  del  distinto  architetto  Ma- 
succio  Secondo ,  in  compagnia  di  Andrea  Ciccione  —  ed  ivi  ap- 
prese r  architettura.  Benché  Masuccio  molti  giovani  avesse  ,  que- 
sti due  furono  i  soli  ,    che  le  virtù  del  loro  maestro  ereditarono. 

Pervenuto  Giacomo  per  mezzo  dei  suoi  talenti  all'  onorato 
grado  di  maestro  ,  gli  furono  affidati  dai  particolari  molle  com- 
missioni in  architettura,  che  adempiendole  furono  degne  dell'ap- 
provazione del  suo  principale  Masuccio. 

Il  primo  incarico  che  ebbe  il  De  Santis  fu  la  riedificazione 
della  chiesa  di  s.  Pellegrino  ,  incarico  ripeto  ,  che  gli  fu  confi- 
dato perchè  lo  nominò  lo  slesso  Masuccio  —  dicendo  che  l'unico 
maestro  che  potea  in  breve  spazio  di  tempo  portarla  a  termine 
era  il  suo  alunno  De  Sanlis  —  Nel  fatto  ne  fece  il  disegno  ed 
il  modello  il  quale  piaciuto  al  Re  Carlo  III  di  Durazzo ,  furon 
cavati  i  fondamenti  e  buttatavi  la  prima  pietra  benedetta  dall'ar- 
civescovo Bozzuto. 

Essendo  stato  divisamento  del  popolo  napolitano  la  riedifica- 
zione del  tempio  il  far  cessare  la  peste  che  affligea  la  Città  ,  si 
vide  lo  stesso  Re  Carlo  portare  sugli  omeri  il  cofano  di  pozzola- 
na ^  servendo  da  manipolo  ai  muratori.  Questo  incoraggiò  molto 
i  fedeli  ,  e  tutti  piansero  all'  atto  umile  del  religioso  Sovrano. 

Fu  in  poco  tempo  terminata  la  chiesa  di  s.  Pellegrino  e  si 
dette  il  De  Santis  ad  applicare  per  1'  altra  di  s.  Onofrio  a  For- 
mello  ,  riedificandola  secondo  l'uso  dei  tempi. 

Fece  di  poi  varie  altre  fabbriche  particolari,  come  il  Palazzo 
ai  signori  Caraccioli  ,  vicino  alla  chiesa  dell'Arcivescovado,  quello 
stesso  che  dopo  tempo  veniva  demolito  d'ordine  d'  Isabella  d'A- 
ragona, acciò  si  presentasse  in  Castel  Capuano  Messer  Antonello 
Caracciolo  ;  quello  de'  Pisciceli!  vicino  la  chiesa  do'  SS.  Apostoli, 
e  de'  Zurli  al    vico  Zurli,    Quindi   eresse    un    palazzo  ai    signori 


—  140  — 

Del  Balzo  •  ma  l'unico  lavoro  che  merita  essere  annoverato  fu  la 
bella  chiesa  della  Madonna  delle  Grazie  agi'  Incurabili. 

Siccome  sin'ora  ò  esposto  lavila  degli  architetti  che  alla  longe- 
vità degli  anni  accoppiar  potettero  mulliplicilà  di  lavori,  cosi  dico 
che  essendo  il  nostro  De  Santis  morto  giovane,  nulla  potelte  fare  di 
più.  Son  certo  che  se  lunga  vita  Iddio  concedea  al  De  Santis  , 
da  quanto  appare  dalla  citata  chiesa  ,  questo  artista  gran  lustro 
ed  incremento  avrebbe  in  quell'  epoca  arrecato  all'  arte  architetto- 
nica. Secondo  ciò  che  ne  dice  il  notajo  Criscuolo  pare ,  che  que- 
sto architetto  sia  finito  nel  I43I5. 

DESCRIZIONE  DELLE  SLT:  OPERE 

La  cennata  bella  chiesa  di  s.  Maria  delle  Grazie  sopra  le 
mura  è  ricca  di  opere  di  pittura  e  di  scoltura. 

Fu  edificala  sul  disegno  fattane  dal  detto  architetto  De  Santis, 
e  non  potette  essere  certamente  da  lui  diretta  portando  il  Criscuolo 
morto  il  De  Santis  nel  1433;  e  1  Galanti  la  riedificazione  della 
chiesa  nel  loOO.  Come  l' Egenio  nella  pagina  204  dice  cosi. 
Nel  1300  fu  questa  chiesa  da  napolitani  conceduta  a  fra  Girola- 
mo de  Brindisi  ,  il  quale  fu  il  primo  che  portò  in  Napoli  la  Con- 
gregazione dei  Frati  Girolimitani,  e  fu  il  primo  priore  di  questa  eie. 

Avea  questa  chiesa  un  convento  dei  frati  Gerosolimitani  , 
ora  aggregali  all'Ospedale  degl'incurabili:  essendosi  un  tempo 
convertito  il  giardino  in  Orto  botanico  —Il  disegno  della  chiesa 
alla  Romana  è  di  Giacomo  de  Santis.  Le  pitture  ad  olio  ,  ed  a 
fresco  sulla  porta  ,  sulla  tribuna  ,  sul  soffitto  della  Crociera  e 
nelle  pareli  superiori  tutte  sono  opere  del  Benasca  ,  il  quale  fu 
seppellito  in  questa  Chiesa  nel  1688.  Dal  lato  del  vangelo  in  due 
Cappelle  vi  sono  i  monumenti  dell'  emulazione  dei  due  grandi 
scultori  napolitani  Merliano  e  Santacroce. 

Il  primo  scolpi  nella  Cappella  Giustiniani  la  deposizione  della 
Croce  ,  assistenti  le  Marie  ,  s.  Giovanni  Nicodemo  ,  e  s.  Giu- 
seppe. Fece  r  altro  nella  Cappella  Senescalli  s.  Tommaso  ,  che 
mette  il  dito  nel  costato  del  Redentore  ,  il  quale  sta  in  mezzo 
agli  Apostoli.  Da  lai  due  basso-rilievi  si  può  formare  un  giusto 
giudizio  sopra  questi  celebri  scultori.  Nella  Cappella  Gualtieri  la 
statua  della  Vergine  è  dello  stesso  Merliano.  Le  statue  di  s.  Gi- 


—  141  — 

rolamo  e  del  B.  Pietro  sulle  porte  del  Coro  ,  sono  di  Lorenzo 
Yaccaro  —  Nella  Crociera  la  Vergine  delle  Grazie  con  s.  Fran- 
cesco ed  allri  Santi  ò  di  Gianfìlippo  Criscuoli  —  La  conversione 
di  s.  Paolo  è  un  pregiatissimo  basso  rilievo  di  Domenico  d'Au- 
ria  ,  ed  il  Battesimo  di  INostro  vSignore  è  di  Cesare  Turco.  — 
Nella  Cappella  de'  Lauri  il  quadro  di  s.  Andrea  appartiene  ad 
Andrea  di  Salerno  ,  di  cui  è  ancora  il  s.  Antonio  coi  giglio  di- 
pinto a  fresco  sul  muro  dal  lato  dell'  Epistola  nella  crociera.  — 
Il  quadro  del  Rosario  è  di  Andrea  Vaccaro— Ai  lati  della  porta 
meritano  osservarsi  due  sepolcri  ,  dei  quali  quello  a  destra  è  del 
Merliano ,  e  1'  altro  a  sinistra  del  Caccavello.  Nella  Sagres  tia  il 
quadro  della  Madonna  delle  Grazie  è  del  Santafede. 

Per  l'altre  opere  del  De  Santis  di  sopra  accennate  tralascio 
descriverle,  avendo  mollo  storicamente  già  scritto  di  ciò  che  deb- 
bo darti  alle  stampe  ,  su  quanto  abbiamo  di  più  pregevole  pe' 
monumenti. 


VITA  DELL'  ABATE 


ANTONIO  BAMBOCCIO 

PITTORE  .  SCULTORE  ,  ED  ARCHITETTO 

m  LA  DESCRIZIONE  DELLE  SIE  OPERE  ESEGUITE  W  MPOLI 


Nella  Pittura 

Un'  immagine  nel  Pisco- 
pio. 

Una  in  S.  Chiara. 

Una  sulla  porta  di  S.  Lo- 
renzo. 


CONSISTENTI 
Nella  Scaltara 

Sepoltura  di  Giosuè ,  e 
Michele  de'  Santi. 

Sepoltura  di  Orazio  Zur 
Io,  e  Piscicelli. 

Sepoltura   dell'  Aldema 
resco. 


Neil'  &rchi(ct(ara 

Porta  del  Piscopio. 
Chiesetta  Pappacoda, 


Anno  -  1430. 


Nacque  Antonio  Bamboccio  nella  Cillà  di  piperno  nel  1368 
da  Domenico,  scultore  di  non  mediocre  abilità. 

Venuto  Domenico  in  Napoli  fu  in  diverse  opere  adoperato 
dal  secondo  Masuccio.  Vedendosi  alquanto  corredato  di  commis- 
sioni ,  e  calcolando  un  proporzionalo  guadagno  per  qualche  anno, 
chiamò  a  se  in  questa  Capitale  la  moglie  ed  il  figliuol  suo  An- 
tonio. 

Giunto  costui  in  Napoli  fu  dal  padre  mandato  alla  scuola 
del  disegno  ,  pel  quale  avea  grandissima  disposizione  ;  e  facen- 
do il  ragazzo  positivo  progresso  ,  lo  raccomandò  Domenico  al- 
l' architetto  Masuccio. 

Questi  lo  ricevette  con  piacere,  scorgendo  nel  giovane  una  per- 
spicace intelligenza,  ed  un  amore  per  le  arti,  che  quasi  si  gareg- 
giavano: ma  nel  più  bello  degli  studii  suoi  restò  il  povero  An- 
tonio privo  sf  del  caro  padre  ,  che  dell'  affettuoso  maestro,  ambi 
da  morte  involatigli.  Ecco  il  motivo  per  cui  elesse  a  suo  prin- 
cipale Andrea  Ciccione. 

Con  Ciccione  lavorava  si  nell'  architettura,  che  nella  scultura: 
ma  avido  di  tutte  le  arti  belle,  volle  apprendere  eziandio  la  pit- 
tura ,  per  la  quale  avea  dianzi  assistito  lo  studio  di  Colantonio 
di  Fiore  —  Acquistossi  nome  ,  e  molti  incarichi  avea  per  dipin- 
gere immagini  di  Santi ,  come  un'  antica  in  una  Cappella 
nel  Piscopio  ,  una  in  s.  Chiara ,  ed  un  altra  sulla  porta  di 
s.  Lorenzo. 

Stando  a  ciò  che  dice  il  celebre  Giorgio  Vasari,  che  in  quel 
tempo  non  v'  era  monumento  che  s'  ergesse  senza  che  qualche 
opera  di  scultura  non  vi  si  frammischiasse,  aveano  i  scultori  sem- 
pre da  procacciarsi  lavoro  ;  e  quindi  il  nostro  Bamboccio,  che  in 
Sasso  —  Voi.  1.  19 


—  146  — 
quest'  arte  ancora  era  divenuto  maestro  ,  fece  le  sepolture  di 
Giosuè,  e  Michele  de'  Santi,  che  sono  nell'  Episcopio  con  molti 
bassi  rilievi  —  Nel  1404  essendo  morto  il  Cardinal  Francesco 
(larbone,  fu  ordinato  da'suoi  parenti  ad  Antonio  di  ergergli  un  son- 
tuoso sepolcro  — Questo  fu  eseguilo  con  molta  diligenza  dal  Bam- 
boccio, e  si  trova  nella  Cappella  della  famiglia  collocata  nel  detto 
Piscopio  presso  1'  altare  maggiore  —  Fu  questo  lavoro  da  tutti  lo- 
dato, e  massime  del  suo  principale  Ciccione — Evvi  in  questo  mo- 
numento scolpito  il  nome  dell'autore  Antonio  Bamboccio. 

Vedutasi  questa  sepoltura  dal  Cardinal  Minutolo  allora  Ar- 
civescovo della  Chiesa  napolilana  s'invogliò  di  dare  compimen- 
to ad  un  suo  divisamcnto  ;  cioè  di  fare  adornar  di  marmi  , 
a  proprie  spese,  la  porta  maggiore  della  chiesa  ,  la  quale  eretta 
da  molti  anni  sotto  i  due  Carli  della  famiglia  Angioina  era  ri- 
masta imperfetta.  Si  risolvette  eseguirlo  ,  e  ne  commise  1'  inca- 
rico ad  Antonio  Bamboccio  ,  il  quale  a  sommo  gradimento  ac- 
cettò la  commissione  e  si  dette  a  farne  il  progetto  prima  in  di- 
segno ;  e  poi  con  una  bozza  di  terra  cotta  ,  che  presentata  al 
cardinale  fu  di  sua  piena  soddisfazione  —  e  cos'i  dette  principio 
all'opera. 

A  suo  luogo  sarà  descritta;  bastando  solo  dire  qui,  che  tanta 
fu  la  soddisfazione  del  Cardinale,  che  per  quest'opera  dette  al  nostro 
artefice  una  Badia  tra  Aversa  e  s.  Maria  dell'  annua  rendita  di 
400  ducati  ,  rendita  allora  molto  vistosa.  Ecco  il  nostro  artista 
insignito  del  titolo  di  Abate  —  Decoralo  Antonio  Bamboccio  di 
qucsl'  onore  ,  fu  d'  allora  in  poi  1'  Abate  Bamboccio  nominato  — 
Tra  le  tante  commissioni  che  ebbe  per  frutto  dello  laudi  compar- 
titegli pel  detto  lavorio  ne  è  a  giorni  nostri  rimasta  solamente  la 
sepoltura  di  Orazio  Zurlo  e  Piscicelli  nel  Piscopio  ,  ed  un'  altra 
ad  un  signore  della  famiglia  d'Aquino  in  s.  Domenico  Maggiore  ; 
come  ancora  fece  a  questa  chiesa  la  |)orta  d'  ordine  di  Bartolo- 
meo di  Capua  grande  Almirante  del  Regno. 

Morto  il  Cardinal  Minutolo  ,  gli  scolp'i  di  sua  mano  la  cassa 
sepolcrale  ,  e  fu  situata  sotto  la  gotica  tribuna  che  già  avca  scol- 
pita Pietro  de'  Stefani  nella  loro  Cappella  alia  Cattedrale. 

Artusio  Pappacoda  favoritissimo  di  Re  Ladislao  avea  fatto  eri- 
gere con  disegno  del  nostro  Bamboccio  la  Chiesetta  di  s.  Gio- 
vanni Evangelista  accanto  a  quella    di   s.  Giovanni  Maggiore  nel 


—  147  — 

141S,  e  volle  che  il  dello  Abaie  ne  avesse  decorala  la  porla  si- 
mile a  quella  del  Duomo  ,  e  più  bella  ancora  se  il  polcva.  Ese- 
guì il  comando  del  Pappacoda  l'artefice  con  un  grande  e  sontuo- 
so ornamento  di  bianco  marmo ,  e  con  molle  slaluetle,  come  ap- 
presso sarà  descritta. 

Una  delle  più  faticate  sepolture  del  prolodalo  artefice  fu  cer- 
tamente quella  di  Lodovico  Aldemaresco  nella  Chiesa  di  s.  Lo- 
renzo, ed  oggi  situata  dentro  al  Chiostro,  che  esegui  nel  1421 — 
Si  dice  ancora  che  questo  Architetto  e  scultore  fosse  altresì  in- 
clinalo alla  pittura  ,  e  che  quesl'  altr'  arte  avesse  appreso  dallo 
Zingaro. 

Dopo  la  costruzione  della  sepoltura  dell'Aldemaresco  visse  an- 
cora più  anni,  e  noi  1435  mancò  ai  viventi. 

DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE 

NcIl'Engenio  si  legge  alla  pagina  S  che  Arrigo  Minulolo  Ar- 
civescovo di  Napoli  e  Cardinale  di  s.  Anastasia  ,  e  poi  Vescovo 
Tuscolano,  e  Cnalmonle  Sabino  anche  egli  lasciò  non  poca  me- 
moria delle  sua  grandezza,  e  magnificenza ,  avendo  fatta  ergere 
la  porla  maggiore  del  Duomo  di  Napoli  dall'Abate  Antonio  Bam- 
boccio da  Piperno  scultore  eccellentissimo  ,  fregiandola  di  molle 
statue,  e  di  colonne  di  porfido ,  la  quale  porge  ai  riguardanti 
gran  meraviglia,  essendo  come  si  vede  di  si  gran  macchina  l'ar- 
chitrave, e  gli  stipili  di  Ire  soli  pezzi;  e  sebbene  sia  questa  fac- 
ciata un  pezzo  di  gotica  architettura,  con  lullociò  appaga  la  vista  e 
risveglia  in  noi  Napolitani  tante  care  memorie  per  gli  svariati  ca- 
po-lavori ,  che  dentro  vi  si  racchiudono,  come  ò  esposto  nella  de- 
scrizione^  dopo  le  opere  del  Primo  Masuccio  ;  per  questo  ne  diamo 
il  disegno  nella  tavola  7',  dell'intera  facciala. 

Il  Celano  intorno  a  questa  porla  ci  dice  lo  slesso,  che  l'Enge- 
nio,  aggiungendo  che  la  esecuzione  avvenne  nell'anno  1407  come 
si  legge  nell'iscrizione,  la  quale  per  essere  in  lettere  longobarde 
credo  ancora  io  di  qui  riportarla. 


—  148  — 

Nnllhis  in  longiim,  et  sine  sehemmnle  iempus  honotis, 

Porta  fui  rutilaìis,  sum  janua  jìlena  decoris. 

Me  meus,  et  sacrae,  quondam  Minuiulus  aidae, 

Excotuit  propriis  Ilenricus  sumptiòus,  hujus 

Praesid    ■Ipostolieae,  nunc  eosians  corde  columnue  ; 

Cui  precor  incolumcn  vitam,  post  futa  perennem. 

Hoc  opus  exactum,  mille  currentibus  annis, 

Quo  rpiaetercentum  septem  Verhum  Curo  fastvm  est- 

La  striitlLira  di  qucsla  porla  ò  senza  dubbio  un  prezioso  mo- 
numento di  architettura  dei  tempo  prima  elio  totalmente  si  abolissero 
le  germaniche  forme,  sì  per  gl'intagli  o  per  le  statue,  come  per  l'ar- 
cotrave  e  per  gli  stipiti^  che  sono  (  ripeto  col  Celano  )  di  tre  soli 
pezzi  ,  ammirabili  per  le  avanzate  dimensioni.  Le  due  colonne 
di  porfido  erano  dell'antico  tempio,  e  questa  devesi  all'Abate  An- 
tonio Bamboccio. 

Vedesi  ora  come  nella  tavola  7  la  facciata  di  questo  Tem- 
pio tutta  ornata  suU*  antica  struttura  gotica  della  porta.  Ciò  fu 
eseguito  per  ordine  dcll'Eminenlissimo  Cardinale  Capece  Zurlo  nel- 
l'anno 1787j  e  diretta  dall'architetto  Senese. 

Cappella  Pappaeoda 

Prima  di  entrare  la  porta  piccola  di  s.  Giovanni  Maggiore, 
sulla  sinistra  vedi  una  piccola  Chiesa  dedicata  a  s.  Giovanni  A- 
postolo,  nella  quale  si  può  meditare  la  generosa  bontà  dei  nostri 
antichi  nobili  Napolitani,  i  quali  cercavano  di  lasciare  ai  posteri 
monumenti  di  pietà,  e  memorie  delle  loro  onorate  azioni,  perchè 
servissero  di  modello  al  bene  operare  ai  loro  successori.  Que- 
sta Chiesa,  con  una  ben  composta  torre  all'uso  di  quei  tempi  per 
abitazione  de' Sacerdoti  che  la  servivano,  fu  nell*  anno  I4lS 
edificata  da  Artusio  Pappaeoda  nobile  della  Piazza  di  Porto,  che  vi 
fece  ergere  la  porta  adornata  di  fino  e  bianco  marmo  sullo  stile 
di  quella  del  Duomo  ,  adoperando  il  prelodato  architetto  1'  Abaie 
Bamboccio  :  siffatti  lavori  in  quel  tempo  erano  eseguiti  a  spese 
dei  più  distinti  e  ricchissimi  signori. 


—  149  — 

Vedi  nel  mezzo  le  armi  Angioine  ;  essendo  il  Pappacoda   al- . 
taccalissirao  al   Re   Ladislao  ,    di  cui  era  consigliere,  e  gran  Si- 
niscalco del  Regno. 

È  la  Chiesa  tutla  dipinta  :  ma  nella  dipintura  non  puoi 
osservare  altro,  che  lo  stato  in  cui  era  la  pittura  in  quel  tempo, 
non  essendosi  ancora  l'arte  liberata  dallo  stilo  Greco. 

Per  avere  lo  dipinture  assai  patito  ,  nell'  anno  t7fil  dal 
Principe  di  Centola,  Giuseppe  Pappacoda,  ultimo  maschio  di  que- 
sta nobilissima  antica  famiglia  fu  ornata  di  stucchi  —  Indi  dalla 
Principessa  di  Angri,  unica  figlia  del  defunto  Principe  ,  per  mez- 
zo della  quale  il  patronato  di  dotta  Chiesa  si  è  trasferito  alla  fa- 
miglia Boria  dei  Principi  di  Angri,  furonvi  messe  quattro  stat  uè 
di  marmo  rappresentanti  i  quattro  Evangelisti,  opera  di  Angelo 
Viva. 

Sono  da  osservarsi  in  detta  Chiesa  i  due  sepolcri  di  Artusio 
e  Sigismondo  Pappacoda  con  le  loro  statue  giacenti. 

Non  essendo  mio  divisamento  che  di  descrivere  i  soli  mo- 
numenti architettonici,  cosi  bastami  lo  accennare  di  questi  Ar- 
chitetti, che  all'  arte  direttrice  di  tutte  le  arti  anno  aggiunti  be- 
nanche lavori  di  sculture  e  dipinture;  ed  ecco  il  motivo  che  discor- 
rendo del  nostro  Bamboccio  non  ò  creduto  far  parola  che  della 
sola  porta  del  Duomo,  e  della  Cappella  Pappacoda. 


VITA  DELL'ARCHITETTO 


NOVELLO  DA  SAINLICAIVO 


CO.Ìf  LA  DESfilUZIO^K  DELLE  SIE  OPEKE  ESECIITE  I\  lAPOLI 


CONSISTENTI 


Nel  restauro  di  s.   Domenico   Mag- 
giore. 


Nel  Palazzo  di  Roberto  Sanseveriiio 
Principe  di  Salerno. 


^v  JKHjs^r=. 


imo  -  i.'iiOO. 


L'  ape  e  la  serpe  spesso 
Succhiati  lo  stesso  umore, 
E  l'alimento  istesso 
Cangiando  in  lor  si  va. 
Metast.  Dram . 


Di  che  non  è  capace  nell'  uomo  l' emulazione  ?  Riflefleiulo 
ciascuno  sulle  avventure  della  propria  vita,  ed  esaminando  il  pic- 
colo mondo  che  1'  à  circuita  ,  a  chiare  note  vi  scorge  che  se  à 
avuto  la  fortuna  ricevere  la  sua  prima  educazione  in  un  convitti, 
0  collegio  ,  alla  sola  emulazione  dehbe  quel  poco  o  mollo  di  bone 
che  ritrasse  ;  imperocché  nessun  uomo,  potendo,  vuole  restare  ad 
altri  secondo. 

Fin  ora  ò  esposto  le  vite  ,  e  le  opere  de'  nostri  architetti 
Buono  -  i  due  Masucci  -  Ciccione  -  Majano  -  Do  Santis  ,  e  l'ab- 
bate Bamboccio  ;  dalle  quali  si  è  potuto  osservare  come  chi  p^T 
intero,  chi  per  frazioni  sviluppato  anno  il  loro  ingegno  ,  Irainmi- 
schiando  nelle  opere  loro  il  barbaro-gotico  ,  rimanendoci  sol  poche 
opere  perfettamente  scevre  di  goticismo  —  come  il  secondo  Masuccio 
il  campanile  di  s.  Chiara,  e  s.  Giovanni  maggiore;  il  Ciccione  mi 
chiostro  e  il  disegno  della  cappella  del  l'ontano  ;  il  Majano  Porla 
Capuana  ;  e  '1  De  Santis  la  bella  chiesa  degli  Incurabili. 

Eccoci  pervenuti  al  IS"  secolo  ,  all'  epoca  appunto  del  ri- 
stabilimento dell'architettura  in  cui  nell'Atene  d'Italia,  madre 
dei  sommi  ingegni  ,  in  Firenze  ,  fiorivano  il  Brunellcschi  ,  Fi- 
lacele ,  Michclozzi  ,  Leon  Battista  Alberti  ,  il  Rosselino  ,  il  Pon- 
lolli  ,  (,'   da    ultimo  l'inarrivabile  Buonaroti  —  In   Napoli  furonvi 

Sasso  —  Voi.  I.  20 


—  vn  — 

ancora  due  compciitori  da  eccelsa  emulazione  accesi  nei  distinti  ar- 
tisti Novello  da  Sanlncano  ,  e  Gabriele  d'  Agnolo  ;  ai  quali  vi  si 
aggiunse  per  terzo  il  chiarissimo  Gian-Francesco  Mormando,  che 
con  essi  a  gara  facendo  in  qui-sta  nostra  città  lasciarono  monumenti 
tali  ,  che  dopo  l' elasso  di  circa  quattro  secoli  sono  tuttora  d'am- 
mirazione e  di  scuola  a  chi  senlesi  invaso  dal  genio  dell'arte  crea- 
trice le  altre.  Diremo  di  questi  tre  per  ordine. 

Quali  fussoro  stati  i  genitori  di  Novello  ornai  s' ignora  ;  ma 
(juol  eh'  è  certo  si  è  che  fu  napolitano:  che  apprese  il  disegno  , 
e  le  prime  regole  d'  architettura  nel  fiorito  studio  di  Angelo  — 
Agnello  di  Fiore  ,  e  che  recossi  in  Roma  ,  e  colà  si  esercitò  su 
quegli  eterni  monumenti  delle  helle.arti. 

Tornato  in  patria  ebbe  a  ristaurare  la  chiesa  di  s.  Dome- 
nico maggioro  por  toglierle  quanto  di  gotico  vi  era.  A  mio  giu- 
dizio ciò  fu  malamente  ordinalo  ;  imperocché  l'antico  debbo  ri- 
spettarsi ;  e  per  far  rilucere  il  progresso  nelle  arti  bisogna  co- 
struire, e  non  raffazzonare:  il  che  sovente  riesce  a  deformare  piut- 
tosto ,  che  a  migliorare. 

Intanto  ,  per  eseguire  lo  incarico  ricevuto  vi  fece  Novello 
alcuni  pilastri  e  la  volta  ,  togliendone  l' impalcatura  di  travi,  e 
compi  le  cappello  rimaste  incomplete  nella  restaurazione  che  vi 
si  fece  dopo  le  rovine  dell'  orrendo  tremuoto  del  1446. 

Con  le  decorazioni  ed  ornati  in  dette  cappelle  mostrò  Novel- 
lo da  Sanlucauo  al  mondo  artistico  ,  che  tornavano  in  pregio  le 
buone  forme  ,  e  che  un  ordine  novello  sorgca  di  architellurare  i 
monumenti. 

Ebbe  il  nostro  architetto  una  bella  occasione  di  spiegare  il 
suo  talento  con  edificare  il  palazzo  ordinatogli  nel  1470  da  Ro- 
berto Sansevcrino  principe  di  Salerno  e  grande  Almirante  del 
Regno  ,  il  quale  non  altro  raccomandò  nel  dargli  lo  incarico  , 
che  tale  il  facesse  che  riuscisse  il  più  sontuoso  di  quanti  se  ne  era- 
no sino  allora  veduti. 

Dieci  anni  impiegava  Novello  da  Sanlucano  nella  costruzione 
di  questo  palazzo. 

Roberto  Sansevcrino  Principe  di  Salerno  ,  e  grande  Almi- 
rante del  Regno  rimase  miseramente  avvolto  nella  congiura  dei 
Baroni  contra  Ferdinando  I  d'  Aragona.  Rifuggitosi  in  Fran- 
cia, gli  vennero  confiscati    i  buni.   il  famoso  monumento  da   tutti 


—  155  — 
lodato  come  opera  egregia  <1el  nostro  Novello  da  Saulueano  , 
fu  venduto  alla  Principessa  di  Bisignano  D.  Isabella  Feltri  del- 
la Rovere  ,  che  nel  1584  lo  donò  ai  padri  Gesuiti,  i  quali  cara- 
biandoue  la  destinazione  vi  coslrussero  sotto  la  direzione  del  Pa- 
dre Valeriani  del  loro  Ordine  la  bella  chiesa  nominata  il  Gesù  nuo- 
vo, o  Trinità  maggiore,  occupando  il  tempio  1'  intera  pianta  del 
palazzo  Sanseverino. 

Nel  farvi  la  chiesa  vi  restò  il  Valeriani  la  facciata  del  San- 
lucano  dal  mordace  Milizia  eoa  ragione  chiamata  facciata  da  pri- 
gione. 

Fu  il  Sanlucano  pel  palagio  Sanseverino  molto  ben  ricono- 
sciuto da  quel  signore,  corrispondendo  perfettamente  il  grandioso 
monumento  alle  brame  del  padrone  ,  ed  alla  pubblica  approva- 
zione ed  ammirazione.  Peccato  che  ai  di  nostri  non  ci  fu  dalle 
combinazioni  serbalo! 

Bandì  Novello  per  tal  monumento  perfettamente  la  gotica  ar- 
chitettura ,  ed  e  a  credersi  che  molti  altri  lavori  dovette  eseguire; 
imperocché  visse  molti  altri  anni  ,  passando  al  numero  dei  più 
jiel  ISIO  pieno  di  riputazione  e  di  gloria. 


VITA  DELL'ARCHITETTO 

GABRIELE  D'AGNOLO 

CO^  LA  DESCRIZIONE  DELLE  SIE  OPERE  ESEGOTE  0  HAPOLI 


CONSISTENTI 


Chiesa  di  s.  Giuseppe.  |  Palazzo  Gravina. 

Chiesa  di  s.  Maria  Egiziaca.  | 


Anno  - 1500 


Fiorì  ,  visse  e  mori  quasi  noli'  epoca  stessa  dell'  or  ora 
indicato  Novello  da  Sanliicano.  Al  consiglio  del  medesimo  si  por- 
lava  il  d'  Agnolo  in  Roma  per  ivi  apprendere  le  buone  forme  , 
e  totalmente  bandire  le  goticbe.  Ritornato  in  questa  sua  patria 
persuase  il  duca  di  Gravina,  dopo  cbe  acquistata  s'  avea  fama 
di  buon  maestro  ,  (e  ciò  per  la  costruzione  delle  chiese  di 
s.  Giuseppe,  e  s.  Maria  Egiziaca),  a  costruire  un  palagio  che 
gareggialo  avesse  con  quello  s.  Severino. 

Condiscese  il  duca  al  consiglio  del  d'  Agnolo  ,  afGdandogli 
il  progetto  e  la  direzione  di  tale  monumento. 

Fu  scelto  il  sito  dal  prelodato  sig.  duca  di  Gravina  D.  Fer- 
dinando Ursino  a  rimpctto  la  descritta  chiesa  di  Monteliveto  — 
Fatti  dal  d'Agnolo  i  disegni  ed  approvati  dal  Duca,  si  mise  mano 
all'opera.  Terminato  il  nobile  appartamento  venne  il  lavoro  in- 
termesso per  alcuni  accidenti,  che  fecero  rimanere  incompleto  il 
magnifico  monumento  ,  togliendo  la  soddisfazione  all'  illustre  ar- 
chitetto di  vedere  in  vita  compiuta  l' opera  dell'eccellente  disegno 
creato  dal  suo  bello  ingegno. 

Era  in  quel  tempo  succeduto  al  Reame  di  Napoli  Alfonso  II 
d'Aragona  ,  e  correva  l'anno  di  nostro  Signore  1494  ,  sotto  il 
cui  regno  avvennero  torbidi  tali,  che  a  tutt' altro  che  a  monu- 
menti pensar  si  potette  ;  il  che  produsse  che  molto  tempo  il  pala- 
gio del  duca  di  Gravina  restasse  incompleto. 

Fu  finalmente  il  regno  preso  da  Consalvo  di  Cordova,  detto 
il  gran  Capitano,  a  nomo  e  parte  del  Re  Ferdinando  il  Cattolico. 

Sedali  i  tumulti  della  guerra  ,  essendo  morto  Ferdinando 
Ursino,  che  avea  dato  cominciamenlo  all'edificio,  l'opera  dai 
successori  suoi  rimase  trascurala. 

Neil'  entrata  che  fece  poi  in  Napoli  l'Imperator  Carlo  V  pas- 
sando per  l'an^idella  slrada    vide    il  magnifico  cominciato  monu- 


—  160  — 
mento  ,  e  nel  lodarlo  gli  fu  per  risposta  data  dal  padrone  : 
sarà  della  V.  C.  M.  quando  sarà  compiuto.  Ma  pentito  di  questa 
promessa  per  lungo  volger  d'  anni  non  pensò  a  terminarlo,  du- 
bitando così  lui  che  i  suoi  eredi  cbe  venisse  a  memoria  dei  suc- 
cessori di  Carlo  ;  laonde  in  completo  fu  lasciato  sino  al  conquisto 
del  regno  fatto  da  Carlo  3°  Borbone. 


DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE 

Chiesa  di  s.  Giuseppe  Maggiore 

La  chiesa  di  s.  Giuseppe  maggiore  fu  eretta  nel  ISOO  con 
disegno  del  d' Agnolo  ed  a  spese  della  congregazione  dei  falegna- 
mi a  rimpetlo  di  s.  Maria  la  Nova.  Le  pitture  a  fresco  sono  del 
Bellisario  ,  e  la  statua  del  Padre  Eterno  è  del  Sammarlino. 

Chiesa  di  s.  Maria  Egiziaca. 

Poco  o  nulla  posso  dire  per  la  chiesa  di  s.  Maria  Egiziaca 
atteso  i  gran  cambiamenti  in  essa  avvenuti. 

Palazzo  di  Gravina. 

Fu  fondato  questo  bene  inteso  monumento  da  Ferdinando 
Ursino  duca  di  Gravina  ,  come  si  legge  nell'  iscrizione,  con  dise- 
gno di  Gabriele  d'  Agnolo.  Fu  uno  dei  primi  palagi  edificati  in 
Napoli  con  buona  arcliitottura.  La  sua  facciata  fu  costrutta  con 
travertini  a  punte  di  diamanti  per  imitare  la  facciala  dol  palazzo 
Sanseverino  eretto  dal  suo  maestro,  amico,  ed  emulo  Novello  da 
Sanlucano  :    se  non  che  ,    il  d'  Agnolo  ,  ritenendo  la  bugnatura 


al  solo  basamento,  si  sottrasse  alla  critica  del  Milizia  togliendo  al 
suo  monumento  1'  aspetto  di  prigione. 

E  tutto  isolato  con  un  nobile  cortile  adornato  da  un  portico. 
À  spaziosi  appartamenti  ben  distribuiti.  Lo  testo  di  marmo  sidle 
fincslro  ,  ed  i  tondi  nel  cortile  appartengono  al  Vittorio.  A  uiia 
magnifica  scala. 

Nella  mia  tavola  9'  osserva  la  fig.  1",    e  rile\erai  1' aggiu- 


—  101  — 
slalezza  ed  il  bel  talento  dell'  autore,  uno  dei  tre  ristauratori  del- 
la bene  inlesa  architettura  tra  noi  nel  secolo  lo: 

Sorse  questo  bel  monumento  disgraziato  ;  imperocché  nella 
sua  costruzione  venne  sospeso  restando  incompleto  per  circa  due 
secoli  e  mezzo  ,  a  cagione  di  politici  cambiamenti  ,  e  per  morte 
de' proprietari. 

Finito  nel  1738  vi  fu  aggiunto  il  piano  sul  cornicione,  detur- 
pandone cos'i  la  facciata,  non  facendo  accordo  con  la  magnifica 
euritmia  datane  dal  d'Agnolo,  ed  essendo  di  diversa  nobiltà  e  carat- 
tere. Il  portone  come  vedosi  è  di  dclt'  epoca  cioè  del  secolo  IS*. 

Passato  nelle  mani  di  un  distinto  signore  Napolitano,  piacque  a 
questi  di  apportarvi  alcuni  cambiamenti  per  sua  utilità  onde  aumen- 
tare la  rendita;  quindi  ne  forava  il  fronte  con  aprirvi  botteghe;  ne 
ricacciava  altro  appartamento  nell' altezza  del  piano  nobile  ,  ed  il 
tutto  a  consiglio  e  direzione  del  suo  architetto  venuto  di  Roma. 
Ciò  si  eseguiva  nel  1844. 

II  disgrazialo  monumento  di  Gabriele  d'Agnolo  venne  incen- 
dialo nel  d'i  lo  maggio  1848. 

Venuto  dappoi  nelle  mani  del  Real  Governo  si  sta  alia  me- 
glio restaurando  sotto  la  direzione  del  nostro  distinto  architetto 
Gaetano  Genovese  che  col  conosciuto  gusto  por  lui  dimostrato  nelle 
svariate  opere  alla  sua  direzione  affidale,  si  è  studialo  per  quanto 
il  limitato  incarico  glien  consente,  di  non  far  ravvisare  la  deturpata 
facciala.  Or  ora  vi  sono  allogate  vario  amministrazioni  dipendenti 
dai  ministeri  delle  Finanze  ,  e  dei  Lavori  pubblici. 

Nel  pian  terraneo  il  lato  con  lo  ingresso  alla  strada  Monle- 
livelo  coi  dimenzali  ,  e  l'altro  portico  parallelo  sono  occupali  dalle 
officine  delle  Poste  :  i  due  lati  normali  ai  precedenti  presso  cìie 
interi  sono  stali  destinali  ad  uso  dell'  Amministrazione  del  Regi- 
stro 0  Bollo.  Negli  angoli  al  lato  d' ingresso  vi  sono  le  abitazioni 
del  guardaporta,  e  d'  un  veterano  custode;  indi  un  corpo  di  guar- 
dia nel  lato  opposto,  poi  vi  è  un  locale  per  la  tromba. 

Il  primo  piano  nobile  per  una  metà  verso  il  vico  Verde  viene 
occupato  dalla  slessa  amministrazione  delle  Poste,  e  per  l'altra  m?[h 
dalla  Direzione  Generalo  del  Registro  e  Bollo. Una  grande  sala  media 
suir  ingresso  divide  le  due  amminislrazioni.  ed  è  serbala  pel  Mini- 
stro delle  Finanze.  Nel  braccio  destinalo  alle  Poste  adiacente  alia 
grande  scala  con  ingresso  distinto  dal  vestibolo  vi  sta  la  cappella. 

Sasso  —  Voi.  I.  21 


—  Uri  — 

Nel  2°  piano  trovano  posto  lo  diramazioni  della  mentovala 
Ammistrazionc  Generale  del  Registro  e  Bollo  ,  le  Contribuzioni 
Dirette  ,  e  la  Conservazione  dei  privilegi  ed  Ipoteche  della  Pro- 
vincia di  Napoli. 

Il  3°  piano  finalmenle  viene  intoramenle  addelto  all'  arami- 
strazione  generale  di  acqne  e  strade  ,  scuola  di  applicazione  , 
acque  e  foreste. 

Nella  mia  tavola  9"  fig.  2*  ò  esposto  la  projezione  ortografica 
nello  stato  in  che  vedesi  il  palagio  Gravina.  Ma  l'artista  vi  ravvisa 
quale  esso  era  senza  le  botteghe:  i  vani  del  piano  su  queste  più 
basso  e  davano  lume  alle  svariale  oUlcine,  la  nobiltà,  e  grandezza 
dell'unico  nobile  appartamento,  la  non  esistenza  de'  palconcini  ri- 
cacciali nella  sua  altezza  -  1'  eliminazione  dell'aggiunto  piano  sul 
cornicione  ,  e  cos'i  il  beli'  assieme  del    monumento. 

Osserva  nella  citata  tavola  9''  la  fig.  1*,  e  a  colpo  d'  occhio 
ravvisi  il  bel  monumento  del  distinto  nostro  architetto  Gabriele 
d'  Agnolo  che  surger  lo  facea  in  questa  nostra  metropoli  nell'an- 
no 1494. 

Ari'O  «lì  irioisfo  iV  Alfonso  I.  —  Porta  «li  l>ronzo  ivi  eisitente. 

Neil'  ingresso  del  maschio  angioino  in  Castel  Nuovo  tra  due 
torri  è  da  riguardarsi  il  nobilissimo  arco  trionfalo  di  Alfonso  I  di 
Aragona  ,  che  gli  fece  alzare  il  pubblico  di  Napoli.  Meglio  di 
ogni  descrizioni  credo  che  riesca  la  ispezione  del  disegno  che  ò  già 
pubblicalo  nella  tavola  10*  ,  che  puoi  minutamente  in  tutte  lo 
singole  sue  parti  osservare. 

É  composto  di  bianchi  marmi  ,  e  di  mediocri  sculture  ,  ben 
intese  per  quel  tempo  ,  esprimenti  la  sua  magnifica  entrata  so- 
pra carro  trionfale  coverto  da  un  baldacchino  tra  un  numero  im- 
menso di  spettatori.  Fu  opera  dello  scultore  Pietro  di  Martino  mi- 
lanese. Il  come,  e  '1  perchè  venisse  adallato  mi  trovo  averlo  ac- 
cennato nella  mia  prefazione. 

Per  sotto  di  quest'  arco  (  sulla  cui  cimasa  Pietro  di  Toledo 
fc  situare  alcune  statue  di  santi  scolpite  dal  Merliano  )  si  entra 
alla  piazza  per  una  porta  di  bronzo  ,  nella  quale  in  nobilissima 
maniera  si  veggono  effigiati  i  falli  di  Ferdinando  I  d'  Aragona 
contro  Giovanni  d'  Angiò  ed  i  baroni  ribelli. 


—  163  — 

QuGslo  lavoro  superiore  por  merito  all'  arco  del  de  Martino 
milanese,  fu  opera  di  Guglielmo  Blonaco  statuario  napolitano  — 
Si  pentirono,  ma  invano  e  senza  rimedio  i  napoletani  di  avere  in- 
caricato per  lant'  opera  il  de  Martino,  vivendo  allora  tra  gli  scul- 
tori il  nostro  celebre  Agnello  di  Fiore  ,  contemporaneo  ancora 
del  Monaco.  Osserva  i  bassorilievi  della  porla  ,  e  paragonali  a 
quelli  dell'  arco  e  ne  noterai  subito  la  differenza  per  la  forma  ,  e 
per  la  perfezione  del  disegno  -  Arti  diverse  è  vero  ;  ma  tutte 
e  due  iìglie  del  disegno  -  Al  del  Fiore  si  debbo  l'aurora  del 
secol  d'  oro  della  scultura ,  cbe  doveva  poi  brillare  fra  noi 
per  opera  dei  Merliani  ,  dei  Santacroce  .  dei  Caccavelli  ,  e  degli 
Auria  -  cbe  vennero  dopo. 

Torno  a  Guglielmo  Monaco. 

Questo  artista  fioriva  circa  nel  14150  -  Dovette  sicuramente 
fare  più  lavori  ;  ma  questo  che  passo  a  descrivere  basta  ad  eter- 
narlo alla  memoria  degli  uomini. 

Ferdinando  I  d'  Aragona  vinti  cbe  ebbe  i  baroni  ribelli  pro- 
curò di  eternare  questo  avvenimento,  cbe  formava  una  delle  epo- 
che più  gloriose  della  sua  vita.  Prima  di  tutto  fece  ritrarre  in 
vaglie  pitture  dallo  Zingaro  ,  e  dai  fratelli  Donzelli  suoi  disce- 
poli ,  nel  casino  di  Poggio  Reale  ,  tutti  i  fatti  d'  armi  ,  e  le  al- 
tre avventure  particolari  di  questa  guerra.  Riflettendo  poscia,  che 
le  cose  dipinte  più  facilmente  periscono  ,  come  di  fatto  è  avve- 
nuto ,  volle  che  in  bronzo  s'  incidessero  nella  porta  del  castello 
nuovo.  Ne  commise  perciò  la  cura  a  Guglielmo  Monaco  statuario 
napolitano. 

Costui  ne  formò  i  modelli  ,  e  quindi  nei  cavi  li  gettò  di 
bronzo  ,  con  tanta  diligenza  cbe  ne  riporlo  pienissima  lode. 

La  porta  di  bronzo  è  divisa  in  due  parti.  Ciascheduna  di 
esse  à  tre  compartimenti  ,  con  sei  bassi  rilievi  ,  indicanti  i  fatti 
del  Re.  Al  di  sotto  leggesi  un  distico  cbe  spiega  ciò  che  il  basso 
rilievo  rappresenta. 

1"  11  primo  bassorilievo  mostra  il  Re  Ferdinando  I  allor- 
quando vennero  a  finto  parlamento  con  lui  Marino  Marzano  duca 
di  Sessa  ,  Giacomo  principe  di  Montagnaro ,  e  Deifebo  dell'  An- 
guillara  per  ucciderlo.  Tutto  è  spiegato  coi  seguenti  versi  in- 
tagliali al  di  sotto 


—  164  — 

Principe  cum  Jacobo  ,  Beiphaeboque  doloso, 
lì  Rcijem  pcrimanl  ,  coìloquium  simulant. 

2"  Quindi  si  osserva  il  Re  ,  il  quale  con  una  corta  spada 
alla  mano  si  difende  dai  Ire  congiurali,  e  gli  mette  in  fuga  con 
questi  altri  versi  al  di  sotto 

Hos  Rex  armipotens  animosior  heclore  darà, 
Scnsil  ut  insidias  ,  ensc  micante  fugai. 

3°  Qui  si  vede  il  Re  ,  che  transitala  la  montagna  di  Crepa- 
core  ,  discende  nella  Puglia  ,  e  mettendo  in  fuga  il  nemico  si 
accampa  sotto  Troja.  Vi  si  legge  quesf  altro  distico: 

Troja  dedit  nostro  requiem,  finemque  labori. 

In  qua  hostem  fudi  furtiter  ac  pepuH. 

4"  Poscia  si  osserva  1'  assedio  ,  e  la  rosa  di  Troja  ,  col  suo 
castello  rendutogli  da  Giovanni  Cossa  signore  di  Troja  ,  che  ne 
usti  con  molto  onore  ,  ed  i  versi  di  sotto  incisi  dicono  ; 

Hostem  Trojanis  Fernandus  vicit  in  arvis, 
Sicul  Pompejtim  Caesar  in  enchaliis. 

15°  Quindi  in  altro  basso  rilievo  veggonsi  espressi  gli  altri 
fatti  d'  armi  tra  lo  stesso  Ferrante  e  i  suoi  baroni  ribelli  ,  che 
vengono  spiegati  cosi: 

Hinc  Trojam  versus  ,  magno  concussa  timore 
Castra  movent  hosles  ne  subito  pereanl. 

6"  E  finalmente  si  vede  eEBgiata  la  città  di  Acquadia  ,  ap- 
partenente al  principe  di  Taranto  ,  la  quale  espugnala ,  vi  entra 
l'esercito  vittorioso  col  re  Ferrante,  e  vi  si  leggono  questi  versi: 

Acquadiam  fortem  capit  rex  fortior  urbem, 

Andegavos  pellens  ,  viribus  eximiis. 

In  questo  lavoro  incise  1'  artista  il  suo  nome  ;  e  ben  fece  , 
cosi  il  Vasari  atlribuir  non  potette  ad  altri  qucsla  porta,  passan- 
do nella  storia  delle  arti  che  lo  statuario  napolitano  Guglielmo 
Monaco  nel  141}0  ora  celebre  in  quell  arie  e  pel  disegno,  e  per 
le  belle  forme. 

Questo  lavoro  sebbene  non  di  quella  perfezione  che  potrebbe 
ora  desiderarsi,  riguardo  a  quei  tempi  mostrasi  pregiatissimo  per 
la  bizzarria  dei  componimenti,  e  per  le  mosse  delle  figure  designate 
correltamente  e  con  molla  grazia.  Esse  son  tali ,  che  anche  al  d'i 
d'oggi  richiamano  l'attenzione  dei  riguardanti  intelligenti  dell'arte. 


VITA  DELL'ARCHITETTO 


r.m  LA  DKSCKIZIO\E  DELLE  SIE  OPERE  ESISTEMI  I\  WPOLI 


CONSISTENTI 


Chiesa  e  Convento  di  S.  Severino. 
Palazzo  del  duca  di  Vietri   detto  la 

Rocca. 
Palazzo  Cantaiupo  o  Corigliano. 


Paliizzo  di  Antonio  Panormita  detto 

Regina. 
Chiesuola  di  s.  Maria  della  Stella. 
Palazzo  della  Torre. 


Aimo  -  1500 


Contrasto  assai  più  degno 
Comincerà  se  vuoi, 
Or  che  la  Gloria  in  noi 
L'  odio  in  amor  cambiò. 

Met.  Dram. 

Questo  spirito  armonico  ,  profondo  conoscitore  delle  regole 
architettoniche ,  e  passionato  amator  della  musica  ,  nacque  in 
Monuanno  nella  Calabria  citra  ,  e  non  in  Firenze  come  erronea- 
mente e  con  soverchia  franchezza  asserisce  il  de  Dominici,  men- 
tre se  fosse  vero  eh'  ei  nascesse  in  Firenze  ,  certo  messer  Gior- 
gio Vasari  tanto  geloso  della  gloria  di  sua  nazione,  non  lo  avrebbe 
trascurato. 

Nacque  il  Mormando  adunque  in  Mormanno  nell'  anno  14So. 
Venne  dalle  Calabrie  in  Napoli,  ove  studiò  il  disegno  di  architet- 
tura presso  del  Sanlucano  .  e  dell'  Agnolo  ,  e  presso  del  celebre 
Tinctor  le  regole  musicali.  Ciò  potette  egli  fare  perchè  suo  padre 
era  ricco  negoziante.  Di  faito  dopo  poco  tempo  lo  menò  seco  in 
Firenze  ,  dove  recar  si  dovette  per  affari  di  commercio  ,  e  colà 
s' istruì  raciggiormenle  presso  dell'  Alberti,  e  sulle  opere  di  messer 
Brunelleschi  ;  indi  con  i  suoi  mezzi  si  condusse  in  Roma  ove 
apprese  là  dai  morti  ,  molto  più  di  quello  che  flUto  avrebbe 
dai  vivi. 

Stando  in  Firenze  andava  ogni  giorno  a  vedere  travagliare 
alcuni  pittori  che  nella  chiesa  di  s.  Maria  Novella  dipingevano  , 
e  tornando  a  casa  facea  di  bozzetti  di  ciò  avea  nella  giornata 
veduto. 

Trovandosi  un  giorno  in  s.  Maria  del  Fiore  udì  da  alcuni 
architetti  molto  a  lodare  la  cupola  voltata  con  ardimento  e  sapere 
da  Filippo  di  Ser-Brunelleschi,  il  quale  con  ammirazione  e  confu- 
sione dei  suoi  emuli    e    di  quanti  architetti  oltramontani  (  che  a 


—  168  — 
suo  consiglio  avcano  cliiamato  i  consoli  di  quell'opera) la vea  per- 
feltamenle  condotta  a  fine. 

Fra  questi  archi  tetti  taluno  disputava  se  il  valore  di  Leon 
Battista  Alberti  agguagliasse  quello  del  Brnnellosclii  ,  e  vari  altri 
paragoni  e  ragionamenti  f'accvansi  al  proposito.  Per  questi  discorsi 
il  giovano  Gian-Francesco  senti  rapirsi  dal  desidero  di  dedicarsi 
interamente  all'  architettura. 

Svelò  questo  suo  desiderio  all'  affettuoso  genitore,  che  appro- 
vandone il  divisamente,  si  impegnò  presso  gli  amici  di  Leon-Bat- 
tista Alberti  che  il  pregassero  di  riceverlo  ed  istruirlo  ;  lo  elio  quel 
grande  artista  fece  con  somma  cura,  scorgendo  la  bella  disposi- 
zione del  giovanetto. 

Mentre  il  Mormando  applicava  presso  del  suo  nuovo  secondo 
maestro  ,  non  tralasciava  nello  oro  di  riposo  la  musica  che  sino 
dalla  prima  età  sua  avea  coltivata  sonando  il  liuto,  e  cantando  su 
di  esso  in  maniera  che  rapiva  gli  astanti:  la  qual  cosa  che  in  pro- 
sieguo lo  fé'  si  caro  al  Sovrano  delle  Spagne  come  appresso  si  dirà. 

Avea  Gian-Francesco  più  volte  udito  dire  che  gli  studi  di  Ro- 
ma aveano  aperta  la  mente  a  tutti  coloro  che  approfittando  di 
essi  erano  bravi  maestri  divenuti  ,  come  fu  per  Filippo  Ser-Bru- 
nolleschi,il  quale  assieme  con  Donatello  divenne  eccellente  artista. 
Udi  inoltre  che  il  suo  maestro  Leon  Battista  Alberti  confessava 
avere  in  Roma  più  appreso  dai  morti  che  da  qualunque  vivente 
precettore.  Tutte  queste  cose  lo  faceano  ardere  dal  desiderio  di 
vedere  anche  lui  la  terra  di  Romolo,  e  fé'  di  tutto  per  appagare 
le  sue  brame. 

Si  recò  perciò  in  Roma  ,  dove  giunto  si  dotte  a  tult'  uomo 
allo  studio  delle  perfette  misure^  e  da  quelle  appien  comprese  la 
filosofia  dell'arte,  e  la  vanità  conobbe  delle  germaniche  forme 
che  ancora  ai  tempi  suoi  si  costumavano.  Fece  professione  di 
abolire  dal  suo  canto  affatto  quella  chimerica  architettura  e  si  for- 
mò in  buona  maniera  vari  squisiti  disegni  ,  modellando  tempii  , 
e  palagi  per  trovarsi  al  corrente  in  qualche  commissione  che  si 
lusingava  ricevere  ,  come  nel  fatto  si  avverò. 

Mentre  che  a  tale  profittevole  studio  era  applicato,  apprese  da 
alcuno  reduce  da  Napoli  1'  alta  fama  a  cui  erano  in  questa  ca- 
pitale venuti  Novello  da  Sanlucano,e  Gabriele  d'  Agnolo  nella  sua 
prima  età  conosciuti  ,  i  quali  nel  momento  del  ristabilimento  del- 


—  W,)  — 
r  architettura  avean  fatte  delle  fabbriche  alla  romana  ;  quindi  de- 
sideroso di  farsi  conoscere  ed  in  pari  tempo  gareggiare  col  Sau- 
hicano  e  col  d'  Agnolo  ,  si  portò  tosto  in  Napoli  sua  terra  natia. 

Giunto  che  fu  in  Napoli  si  recò  a  dovere  visitare  il  suo  primo 
maestro ,  il  Sanlucano,  e  mostrogli  molti  suoi  disegni  -  Venne  co- 
me è  noto  dal  bel  cuore  del  napolitano  artefice  subito  qual  colla- 
boratore adoprato  in  molti  lavori. 

Ebbe  ,  come  accader  dovea  ,  a  pentirsi  il  Sanlucano ,  rim- 
proveratone ancora  da  Gabriele  d'  Agnolo  ;  imperocché  si  vider 
tolta  di  mano  un  opera  a  cui  tutti  e  due  aspiravano  -Questo  la- 
voro fu  la  chiesa  di  s.  Severino  ,  la  quale  i  monaci  avendo  ve- 
dute le  belle  opere  del  Mormando  a  costui  affidavano. 

Avutane  il  Mormando  la  commissione  ,  ne  fece  prima  il  di- 
segno ,  e  poi  il  modello  che  fu  si  perfetto,  e  gradilo  a  quei  re- 
ligiosi 5  che  lo  fecero  vedere  al  Re  ,  allora  Alfonso  II  d'  Arago- 
na 5  il  quale  plaudendo  al  lavoro  assegnò  per  esso  IjOOO  scudi 
su  gli  arredamenti  di  Puglia  ,  e  gabelle  dello  scannaggio  ,  e 
così   principiossi  il  monumento  nell'  anno  1490. 

Intanto  che  questa  chiesa  si  tirava  innanzi  ,  più  sanguinose 
fecersi  le  guerre  tra  il  Re  Luigi  di  Francia  ,  e  'l  Re  Ferdinando 
il  Cattolico  ,  i  quali  aveano  in  queste  nostre  terre  mandati  due 
potenti  eserciti  ,  l'  uno  comandato  dal  signor  d*  Ghigni  ,  1'  altro 
da  Ferdinando  Consalvo  detto  il  gran  capitano.  Ferdinando  il  Cat- 
tolico avendo  mostrato  desiderio  di  avere  presso  di  se  un  virtuoso 
architetto  per  condurlo  in  Castiglia  ,  avevane  parlato  al  suo  am- 
basciatore in  Roma  presso  Innocenzio  Vili  ,  il  quale  ben  sapendo 
qual  grido  avesse  di  se  levato  il  Mormando  ,  lo  additò  al  gran 
capitano  che  allora  stava  in  Napoli.  E  gli  Spagnuoli  non  potendo 
saziarsi  di  ammirare  il  bel  tempio  di  s.  Severino  ,  tosto  ne  fece- 
ro avvisalo  il  Re  il  quale  ordinò  che  senza  indugio  il  Mormando 
gli  fusse  spedito  in  Ispagna.  Furono  vane  le  istanze  si  dell'archi- 
tetto 5  e  si  dei  Padri  perchè  ne  fosse  differita  la  partenza:  fu  for- 
za obbedire  agli  ordini  del  Re,  sicché  lasciato  il  tempio  ed  allre 
opere  in  sospeso,  dovette  Gian-Francesco  transitare  in  Ispagna. 

Giunto  in  Madrid  fece  presente  al  Re  i  suoi  disegni,  i  quali 
essendogli  piaciuti  oltremodo  ,  dicesi  lo  impiegasse  in  varie  co- 
Btruzioni,  tra  cui  un  Palazzo  Reale. 

Siccome  di  sopra  ò  accennato,  il  Mormando  avea  inclinazio- 

Sasso  —  Voi.  I.  22 


—  170  — 
ne  e  trasporlo  per  la  musica.  Or  egli  accadde  clie  ia  una  festa 
fosse  altamente  ammirato  per  la  sua  bella  voce  da  alcuni  signori 
di  Corte,  i  quali  tosto  al  lor  Sire  narratolo,  costui  volle  ascoltar- 
lo ,  e  tanto  fu  il  piacere  e  la  meraviglia  che  ne  prese,  cbe  ebbe 
a  dire  non  sapere  se  miglior  musico  ci  fusse  ovvero  arcbitetto. 

Certa  cosa  è  cbe  fu  tanto  il  diletto  cbe  il  Mormando  recò 
con  le  sue  virtù  musicali  al  Re  Ferdinando  il  Cattolico ,  cbe  suo 
primo  musico  ed  arcbitetto  lo  dicbiarò  raddoppiandogli  la  provvi- 
sione cbe  assegnata  lo  avea:  ma  questo  fu  nulla  al  paragone  delle 
molte  grazie  cbe  ricevette  questo  artista  napolitano  dal  Re  Catto- 
lico ;  imperoccbè  avendo  egli  dimostrato  il  desiderio  di  tornare  a 
Napoli  a  fin  di  proseguire  le  opere  già  da  lui  incominciate  ,  e 
massime  la  cbicsa  di  s.  Severino  ,  quel  Sovrano  gli  disse  cbe  do- 
vendosi Egli  di  persona  recare  in  Napoli  ,  lo  avrebbe  seco  con- 
dotto 5  come  fece. 

Giunto  Gian-Francesco  in  Napoli  in  compagnia  del  Re  Cat- 
tolico (  cbe  venne  a  prender  possesso  di  questo  suo  Reame  tolto 
ai  Francesi  pel  valore  del  suo  gran  capitano  Consalvo  )  in  testi- 
monianza della  sua  Reale  soddisfazione  di  averlo  ben  servito,  gli 
assegnò  su  i  Rcgii  arrendamenli  vistose  pensioni,  con  le  quali  ono- 
revolmente e  da  gran  signore  si  mantenne  ,  avendolo  benanche 
il  Re  dichiarato  suo  familiare. 

Ripartito  il  Re  per  le  Spagne  ,  si  rimase  in  Napoli  il  Mor- 
mando ,  e  dette  compimento  alle  sue  opere. 

V  ha  tra  gli  scrittori  chi  afferma  che  in  Napoli  abbia  rae- 
uato  in  moglie  una  gentil  donzella  nata  da  civili  ed  onorandi  ge- 
nitori :  ma  se  da  lei  alcun  figliuolo  avuto  avesse,  è  dubbio  ;  im- 
perocché alla  sua  morte  non  lasciò   eredi. 

Ritorno  alle  sue  opere. 

Essendo  oramai  il  Mormando  divenuto  famoso,  massime  per 
essere  stato  tanto  avuto  in  pregio  dal  Re  Cattolico;  fu  dal  duca  di 
Vielri  ,  eletto  all'  opera  d' innalzargli  un  sontuoso  palagio  il  quale 
per  arte  regger  potesse  al  paragone  di  quelli  di  s.  Severino  e  di 
Gravina,  del  Saulucano,  e  del  d'Agnolo,  tanto  più  cbe  veniva  collo- 
cato a  poca  distanza,  e  sulla  stessa  linea  di  quello  del  Saulucano  - 
Veduto  il  sito,  il  nostro  arcbitetto  ne  formò  prima  i  disegni,  e  su  que- 
sti fece  eseguirne  una  bozza  in  modello ,  sulla  quale  cominciò  il 
monumento  in  poco  tempo  condotto  a  termine  ,  ed  è   il   palagio 


—  171  — 
oggi  detto  della  Rocca,  di  rincontro  al  campanile  di  s.  Chiara  e 
la  chiesa  di  s.  Marta. 

Disegnò  poscia  e  diresse  il  palazzo  de'signori  Cantaliipo  o  sia 
Duca  di  Corigliano  nel  largo  s.  Domenico  ,  di  costa  al  palazzo 
s.  Severo.  La  facciata  io  la  riporto  alla  tavola  11  e  parmi  sia  la 
più  bone  intesa  e  studiata  di  quanti  palagi  esistono  in  Napoli  da 
quell'epoca  del  risorgimento  delle  arti,  sino  ai  nostri  giorni. 

Accordò  quello  del  famoso  Antonio  Panormita  :  ma  quello 
che  sovra  ogni  altro  architetto  suo  predecessore  lo  innalzò,  fu  il 
compimento  della  chiesa  di  s.  Severino,  la  quale  veduta  da  quei 
Padri  esser  cosi  bella  e  di  architettura  tutta  romana  ,  divisarono 
di  alzarvi  magniCca  e  sontuosa  cupola  ,  di  cui  lo  stesso  Morman- 
do  fece  il  disogno:  ma  non  potette  per  la  sua  morte  vederla  com- 
piuta ,  avendo  la  fortuna  serbato  quest'  onore  al  suo  allievo  Sigi- 
smondo di  Giovanni. 

Vedendo  finalmente  il  Mormando  presso  la  chiesa  di  s.  Se- 
vero una  chiesetta  quasi  diruta  che  aveva  il  titolo  di  s.  Maria  della 
Stella  ,  si  propose  rifarla  più  magnifica  a  sue  spese.  E  così  fece 
adornandola  di  buoni  stucchi  ,  e  ricche  suppellettili  ,  facendola 
consacrare  dal  Vescovo  di  Pozzuoli,  e  dotandola  di  annue  entrate, 
come  si  ravvisa  dalla  iscrizione  che  vi  si  legge 

Joannes  Blormandus  Architectus 

Ferdinandi  Regis  Caiholici 

prò  musieis  istntmentis  (jratìssimus  sacellum  vciustaie  collapsum 

sua  pecunia  a  fundamentis  restiluit , 

formamque  in  meliorem  redigit 

anno  salutis  1S19. 

Nel  1Ìj22  in  età  di  anni  77  mori  questo  architetto  e  musico 
eccellentissimo.  Le  sue  opere  fanno  testimonianza  della  sua  gloria 
immortale ,  e  destano  nell'  animo  dell'  artista  una  riverente  grati- 
tudine ,  poiché  a  lui  è  dovuto  ,  non  meno  che  al  Sanlucano  ed 
al  d'Agnolo,  se  bandite  le  gotiche  forme,  anche  l'architettura  sor- 
gesse appo  noi  a  gloriosa  altezza.  Cosi  fosse  venuta  crescendo  nei 
tempi  che  seguirono  appresso  ! 

Ma  non  fu,  non  per  mancanza  di  genio  ma  per  le  infelici 
condizioni  in  che  precipitammo  dappoi. 


.        —  172  — 
DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE. 
Chiesa  e  Monistero  dì  s.  Severino. 

Questa  chiesa  per  la  sua  remota  antichità  non  offre  notizie 
certe  circa  la  sua  fondazione. 

Stimasi  da  alcuni  che  fosse  stata  fondata  dalla  pietà  dei  Na- 
politani in  onore  del  loro  santo  Vescovo  Severino,  illustre  per  in- 
finiti miracoli;  e  ciò  al  cadere  del  primo  secolo  dell'Era  Cristiana. 

Altri  pretendono  che  avesse  avuto  il  suo  principio  nell'epoca 
del  gran  Costantino. 

Quel  che  è  certo  si  è  che  questo  Tempio  ha  avuto  diversi  ti- 
toli, come  di  s.  Severino  —  di  s.  Maria  del  primo  Ciclo  —  di 
S.Basilio  —  di  s.  Benedetto. 

Nell'anno  di  nostra  salute  910  esscndovisi  dall'isola  del  Sal- 
vatore (castel  dell'ovo)  condotto  il  corpo  di  s.  Severino  'monaco  , 
detto  l'apostolo  dell'oriente,  venne  d'  allora  denominata  di  s.  Se- 
verino l'apostolo. 

Dopo  dieci  anni  vi  si  collocò  benanche  il  corpo  di  s.  Sossio 
da  Miscno,  che  era  compagno  e  discepolo  del  nostro  santo  pro- 
tettore s.  Gennaro  ,  ed  essendo  stato  situato  accanto  a  quello  dì 
s.  Severino,  venne  il  Tempio  denominato  di  s.  Severino  e  Sossio. 

Minacciando  di  rovinare  fu  dai  fondamenti  riedificato. 

Nel  1490  poi  fu  l'attuale  monumento  edificato  sopra  l'antico 
che  è  rimasto  come  osservar  potrai  sul  luogo,  inferiormente,  con 
diseq-no  e  sotto  la  direzione  dell'architetto  Gianfrancesco  Mor- 
mando. 

La  cupola,  una  delle  prime  eretta  in  Napoli  come  di  sopra 
ò  detto,  d'invenzione  puranche  del  Mormando,  ma  diretta  dal  suo 
alunno  di  Giovanni,  fu  dipinta  dallo  Schcffer  fiammingo. 

Le  volte  del  coro  e  della  crociera  sono  dipinte  a  fresco  dal 
Corenzio,  e  sono  tra  le  più  belle  sue  opere.  Questo  gran  pittore, 
già  vecchio  di  8S  anni,  volendo  ritoccarle,  incontrò  la  morte  per 
caduta  fatta  dal  ponte  ,  e  quivi  fu  sepolto. 

Erano  sue  ancora  le  pitture  della  volta  della  gran  navata, 
ma  per  essersi  aperta  nel  tremuoto  del  1731,  venne  dipinta  di 
nuovo  da  Francesco  di  Mura,  che  fece  anche  il  gran  quadro  sul- 


—  173  — 

la  porta.  L'altro  quadro  sulla  porta  piccola  dinotante  il  battesi- 
mo di  nostro  Signore  G.  C.  nel  fiume  Giordano,  è  del  Perugino: 
le  due  tavole  laterali  sono  attribuite  ad  Amalo  il  veccbio  ,  ed  a 
Girolamo  Imparato.  L'altare  maggiore  fu  disegnato  dal  Cavalie- 
re Fanzaca,  cbo  fece  ancora  i  putti  del  presbiterio.  Il  coro  me- 
rita di  essere  osservalo  pei  suoi  vaghi  intagli  in  legno  noce  nera. 
In  una  delle  crociere  si  osserva  la  statua  che  è  sulla  tomba  di 
Vincenzo  Carafa,  la  quale  fu  opera  del  Naccarino,  il  quadro  del 
Redentore  in  croce  è  di  Marco  da  Siena,  e  le  sculture  della  cap- 
pella Gesualdo  sono  dell'  Auria. 

Nella  crociera  dell'altro  lato,  la  crocifissione  sul  Calvario  è  di 
Marco  da  Siena,  e  sue  pitture  sono  altresì  la  nascita  di  nostro 
Signore,  l'adorazione  dei  Magi,  la  Nativ'ità,  e  l'Assunzione  della 
Vergine. 

La  cappella  della  famiglia  Sanseverino  è  pregevole  pei  se- 
polcri dei  Ire  fratelli  Sanseverino  ,  avvelenati  nel  I0I6  dal  loro 
Zio  per  avidità  di  successione,    e   sono  opera  del  Mcrliano. 

Merita  parimenti  sia  notala  presso  la  sacrestia  la  tomba  del 
fanciullo  Bonifacio  con  varii  putti  piangenti  intorno  ,  mentre  al- 
cuni ne  tengono  aperto  il  coperchio  mostrando  all'  osservatore  la 
statua  dell'estinto  ragazzo.  Questo  lavoro  produce  un  bellissimo  e 
vivo  effetto.  È  purancbo  opera  del  nostro  Merliano,  sebbene  al- 
cuni l'attribuissero  a  Pietro  della  Piata. 

Nella  cappella  vicina  evvi  un  bel  quadro  del  Santafede.  In 
un'  altra  un  altro  bel  quadro  del  Marulli  con  belli  affreschi  del 
Belisario.  Nell'altra  della  Purità  vedcsi  la  tomba  di  Giuseppe  Au- 
relio di  Gennaro,  e  nella  cappella  dei  Medici,  sono  da  osservar- 
si una  statua  del  Merliano  ed  un  altra  di  della  Piala. 

Dirimpetlo  a  quest'ultima  ,  a  man  destra,  è  la  scala  per  la 
quale  si  scende  nella  chiesa  inferiore,  che  era  come  di  sopra  ò 
detto  l'antico  Tempio  ;  dove  sull'altare  maggioro  vedcsi  una  gran 
tavola  del  Solario.  Si  attribuisce  ad  Andrea  di  Salerno  il  quadro 
della  cappella  a  destra  il  quale  rappresenta  la  Vergine,  il  Bam- 
bino, ed  alcuni  santi.  Nella  seconda  cappella  dal  lato  dell'Episto- 
la si  venera  un  antichissima  immagine  ,  e  nella  terza  è  da  os- 
servarsi l'Arcangelo  Raffaele  che  è  di  Angiolillo  Boccadirame  della 
scuola  del  Solario. 

Pel  Monastero  di  s.  Severino  non  basterebbe  un    volume  se 


—  174  — 

descriver  no  volessi  partitameule  i  pregi  e  porre  in  rilievo  il  bel- 
l'ingegno del  nostro  architetto.  Bli  limito  soltanto,  a  dimostrazio- 
ne della  sua  magnificenza  e  vastità,  ad  indicarne  gli  usi  cui  at- 
tualmente è  destinalo. 

Il  Ciccione  vi  fé  prima  il  bel  chiostro  Jonico.  Tutti  inostri 
scrittori  portano  in  questo  dipinta  dal  Solario  la  vita  di  s.  Be- 
nedetto j  dove  che  ,  come  parlando  delle  opere  del  Ciccione  ho 
notato,  questi  dipinti  sono  nel  portico  di  altro  chiostro  ,  e  pro- 
priamente nel  primo  a  dritta  dove  vegeta  un  platano  da  1400  an- 
ni, e  nel  bel  mezzo  del  cui  fusto  è  nato  un  fico. 

Anni  sono  questo  vasto  edifizio  era  tutto  addetto  alla  Rea- 
le Accademia  di  Marina,  essendone  stata  solo  una  piccola  parte 
restituita  ai  Monaci.  Con  decreto  dei  9  aprile  1838  si  stabili  altro 
reggimento  di  educazione.  Si  ordinarono  due  istituti,  uno  con  la 
denominazione  di  collegio  degli  aspiranti  guardie-marine  ,  per 
fornire  alla  Real  Marina  uHlziali  da  guerra;  l'altro  col  titolo  di 
scuola  di  alunni  marinari,  per  provvederla  di  piloti.  Entrambi  i 
delti  istituti  sono  permanentemente  stabiliti  a  bordo  di  due  legni 
da  guerra  alla  vela. 

Nella  parie  dell'  edifizio  tenuta  prima  dall'  accademia  di  Ma- 
rina vi  si  è  trasferito  l'archivio  Generale  del  Regno,  che  era  per 
lo  innanzi  in  Castel  Capuano.  Vi  si  è  parimenti  trasportato  V  ar- 
chivio Notariale  :  di  modo  che  in  questo  grande  e  maestoso  edi- 
fizio si  trovano  riuniti  tulli  gli  alti  della  Monarchia,  a  comincia- 
re dalla  sua  fondazione,  non  esclusi  quelli  dell'  antico  Ducato  di 
Napoli.  Successivamente  gli  atti  della  pubblica  amministrazione 
si  delle  abolito,  che  dello  odierne  segreterie  di  stato  e  loro  di- 
pendenze.  In  fine  tutfi  i  documenti  dei  privati. 

Annesso  all'antico  istituto  di  Marina  era  I'  osservatorio  ,  tra- 
sferito  a  s.    Gaudioso. 

Palazzo  della  Rocca. 

Questo  palagio  sorge  incontro  al  campanile  di  s.  Chiara:  il 
disegno  è  del  Mormando  :  ma  il  portone  fu  poi  decorato  dal  San- 
felice. 

La  Lande  riporta  che  eravi  in  questo  palagio  una  gran  raccol- 
ta di  quadri  dei  primi  artisti,  come  di  Guido  Redi,  del  Caracci, 


—  173  — 
di  Andrea  del  Sarto  ,  e  del  Barocci  ;  ed  alcuni  ancora  di  Pietro 
da  Cortona,  e  del  Cavaliere  Massimo  Stanzioni. 

Ferdinando  Sanfelice  vi  fece  il  solo  portone,  e  lasciò  la  mae- 
stosa sì ,  ma  mal  disposta  scala,  la  quale  dal  1°  al  2'^  piano  cam- 
bia di  forma.  Il  prclodato  cav.  Sanfelice  ve  no  avrebbe  colloca- 
ta una  di  originale  costruzione  ,  e  lo  meritava  il  monumento,  il 
quale  cbe  sebbene  prenda  la  luce  da  due  anguste  strade  ,  non- 
dimeno cbiunque  ne  corra  le  sale  grandiose  e  magnificbe  ,  non 
può  lasciar  di  ammirarne  la  bella  distribuzione,  con  quanto  altro 
è  richiesto  alla  maestà  e  comodità  di    un  bene  ordinato  palagio. 

E  forza  confessare  che  dal  Sanlucano  a  Fuga  e  Vanvilelli , 
quanti  architetti  in  Napoli  attesero  alla  costruzione  di  privati  edi- 
fizii  ,  senza  perdersi  dietro  alla  bellezza  ,  e  nitidezza  di  una  cor- 
nice o  cimasa,  ci  lasciarono  per  tutte  le  altre  parli  proprie  di  una 
eccellente  architettura  opere  tali  che  in  grazia  del  progresso  del- 
l'arte (  alla  moda  )  del  disegno  ,  noi  altri  architetti  moderni  non 
ci  siamo  creduti  in  debito  di  imitare. 

Questo  senza  alcun  dubbio  ,  in  parte  ,  nascea  dal  non  aver 
limite  l'architetto  in  ciò  che  a  spesa  s'  appartiene ,  massimamente 
perchè  lavoravano  sempre  o  per  Sovrani  o  per  gran  signori  ,  o 
per  opulenti  monasteri:  più  i  signori  non  badavano  punto  pe' lo- 
ro palagi  alla  rendita  ma  bensì  alla  comodità  della  famiglia,  e  dei 
familiari,  e  servi;  mentre  che  oggi  lutto  è  rendila  e  prima  di  por 
mano  a  coslrurre  un  palagio,  si  fa  tosto  il  paragone  tra  lo  speso 
e  '1  migliorato  ne'  bilanci  della  famiglia.  Con  tutto  questo  però  po- 
trebbe farsi   meglio  di  quello  che  si  fa,  quindi   ripeter   debbo. 

Il  gusto  è  migliorato.  La  scienza  è  meglio  applicala  :  Ma  il 
genio  dov'  è  ?  ?  ? 

Palazzo  Regina. 

Fu  l'abitazione  del  celebre  Antonio  Beccadelli  da  Bologna  , 
detto  il  Panormita,  così  caro  al  Re  Alfonso  I  d'Ararjona. 

La  facciata  di  travertini  di  piperno  fu  disegnata  da  Gian- 
Francesco  Mormando,  da  cui  furono  ancora  distribuiti  diversi  ap- 
partamenti. Passò  poi  questo  palagio  alla  nobile  famiglia  dei  Duchi 
di  Regina.  Ai  tempi  del  Celano  vi  si  conservava  una  famosa  rac- 
colta di  quadri,  ed  una  copiosa  biblioteca. 


—  176  — 
Questo  monumento  è  posto  nel  Vicolo ,  che  non  ha  guarì  si 
diceva  de'  Bisi  ,  oggi  del  Kilo. 

Palazzo  Corigliano. 

Apparlenea  alla  rispettabile  famiglia,  e  di  fama  mai  peritura 
dei  Sangri  Duchi  di  \ietri.  E  questo  il  più  ben  inteso  palagio 
che  sia  in  Napoli  pel  disegno  castigalissimo  alla  Romana  fatto  dal 
nostro  architetto  formando  in  competenza  col  d'Agnolo,  che  nel- 
l'epoca istessa  eriger  facea  il  Palagio  Gravina.  Indi  passò  ai  Du- 
chi di  Corigliano,  che  lo  restaurarono  ed  arricchirono  di  preziose 
suppellettili.  Il  disegno  della  facciata  può  vedersi  alla  tav.  12. 

Chiesetta  della  Stella. 

Questa  chiesetta  è  situata  nella  strada  Forcella  all'estremità  di 
un  vicolctto  detto  delle  PaparcUe.  Decaduta  per  difetto  di  manu- 
tenzione, trova  ammirazione  ed  encomio  solo  all'occhio  dell'artista. 
Bello  l'esteriore  del  Tempietto,  bellissima  la  pianta:  guasto  è  solo 
r  interno,  come  quello  che  fu  in  altri  tempi  malamente  restaurato. 

A  giorni  nostri  il  disegno  di  questa  chiesetta  l'abbiamo  ve- 
duto trasportato  nella  più  nobile  strada  della  capitale.  Come  opras- 
se l'architetto  ne  parlerò  al  2  volume. 

Ecco  ciò  che  di  questo  monumento  ne  lasciò  scritto  l'Engenio 
Caracciolo. 

Questa  chiesa  ristorata  e  dotata  negli  anni  del  signore  .1S19 
da  Giovanni  Blormando  di  Nazione  Fiorentino  (  puranche  l'Enge- 
nio lo  battezzava  in  Firenze  )  architetto  e  musico  del  Re  Catto- 
lico come  si  logge  nella  iscrizione  che  sta  sulla  porla  della  sa- 
crestia di  questa  chiesa  che  dice 

Joannes  Mormandus  Arehitectus 
Ferdinandi  Regis 
a  Musicis  Islrumcniis ,  sacellum  vetustate  coUapsum  sua  pecunia 
a  Jundamentis  restiluit,  formamque  in  meliorem  redigit 

anno  io/9. 


—  177  — 

Notizie   più  eslese  per  origini  e  mausolei  ivi    esistenti    puoi 
leggerli  nel  citalo  Engenio  pag.  608. 


Palazzo  Filontarino. 


Per  questo  palagio  si  potrebbe  ripetere  il  già  detto  pei  pa- 
lazzo la  Rocca  ;  solamente  ci  ha  questo  di  particolare,  che  la  sca- 
la è  molto  bene  intesa,  magnifica  e  signorile. 

Lo  stile  sodo  ed  elegante  apprcndea  il  Mormando  con  posi- 
tivo successo  nella  scuola  dell'Alberti. 


Sasso  —  Voi.  !..  23 


Vm  DELL' AMIllTETtO  E  SCULTORE 

GIOVANNI  MERLIANO 

VOLGARMENTE  DETTO  GIOVANNI  DA  NOLA 

COX  LJ  DESCRIZIOSE  DELLE  SUE  OPERE  ESEGllTE  ì\  mH)U 


CONSISTENTI 


Neil'  Architettura 


Giorgio  de' Genovesi. 


Chiesa  di  s 
Chiesa  di  s.  Giacomo. 
Ospedale  di  s.  Giacomo. 
Palazzo  s.  Severo. 

Riduzione  di  Castel  Capuano  a  Tribunali. 
Suo  architetture  per  la  festa  dell'  en- 
trata di  Carlo  V. 
Strada  di  Toledo. 
Varie  Fontane. 

Nella  Scoltora 

STATUE 

Di  s.  Sebastiano  in  s.  Pietro  aMajella. 

Della  Vergine  con  altri  Santi  ,  e  bas- 
sorilievi in  Monteliveto. 

Della  Vergine  in  s.  Maria  delle  Grazie. 

Di  s.  Girolamo  nell'Annunziata. 

Di  s.  Michele  in  s.  Pietro  ad  Aram. 

Di  s.  Dorotea  in  s.  Agnello. 

Suoi  bassorilievi  nella  sacrestia  dell'An- 
nunziata, in  s.  Giuseppe, Incurabili,  e 
s.  Lorenzo. 

Deposizione  in  mezzo  rilievo  in  s.  Gio- 
vanni a  Carbonara. 

Basso  rilievo  delle  anime  del  Purgato^ 
rio  in  s.  Agnello. 


Altro  simile  in  s.  Pietro  ad  Aram. 

Bassorilievi  nella  fontana  a  s.  Lucia. 

Nel  pulpito  della  maggior  chiesa  di  Nola. 

Sepolcro  di  Carafa  in  s.  Domenico. 

Di  Gambacorta  nel  Duomo. 

Sul  sepolcro  di  De  Capua    agi'  Incura- 
bili sue  figure. 

Della  giovinetta  Caudino  in  s.  Chiara. 

Sepolcri  dei  tre  fratelli  S.  Severino  in 
s.  Severino. 

Di  Poderigo  in  s.  Agnello. 

Anche  di  un  Poderigo  in  s.  Maria  del- 
le Grazie. 

Di  D.  Pietro  di  Toledo  e    sua    nioglir 
in  s.  Giacomo. 

Del  fanciullo  Bonifacio  in  s.  Severino. 

Statue  de'  Santi  Crispino  e  Crispiniano 
nella  chiesa  dei  Calzolai. 

Crocifisso  ed  un  Ecce-Homo  in  s.  Ma- 
ria la  Nova. 

Due  putti  nella  sepoltura  Pignatelli. 

Statua  di  s.  Giov.  Batt.  in  Monteliveto. 

Dell'Assunta  in  s.  Maria  Succurre  mi- 
seris. 

Di  s.  Giovanni  e  s.  Simone  in  s.  Gio- 
vanni Maggiore. 

Della  Vergine,  s.  Francesco,   s.  Anto- 
nio e  l'altare  maggiore  in  s.  Lorenzo. 

Della  Vergine  e  due  depositi  ins.  Do- 
menico. 


Siamo  a'  tempi  in  che  le  arti  del  disegno ,  avendo  in  Alfon- 
so I  d'  Aragona  ed  in  Ferrante  trovato  potenti  e  generosi  protet- 
tori 5  salirono  nella  città  nostra  al  più  alto  grado  di  loro  eccel- 
lenza. Fu  allora  che  pel  celebre  nostro  pittore  Golantonio  di  Fio- 
re si  videro  nella  pittura  più  belle  forme,  miglior  colorito,  e  più 
ben'  intesa  la  composizione. 

Fé'  la  pittura  più  rapidi  i  suoi  progressi  per  i  dipinti  del 
Solario  detto  lo  Zingaro  ,  e  de'  suoi  discepoli  ,  massime  pe'  due 
fratelli  Donzelli. 

La  scoltura  parimenti  avea  fatto  dei  progressi  avendo  i  no- 
stri artefici  in  varie  opere  dato  gran  saggio  del  loro  bel  talento. 

Solamente  l'architettura  restava  molto  indietro.  Pochi  eran 
gli  artisti  che  avean  cominciato  ad  indagare  le  vero  forme  dei 
Greci  e  de'  Romani  per  discacciare  all'intuito  le  germaniche  for- 
me quasi  da  otto  secoli  tra  noi  introdotte,  e  queste,  ripeto,  ven- 
nero non  si  sa  perchè  gotiche  nominate. 

Piacque  alla  Provvidenza  Divina  che  Napoli  non  avesse  avu- 
to molto  ad  invidiare  Firenze  per  gli  immortali  pregi  che  nel 
suo  gran  Michelangelo  Buonaroti  (nato  nel  1474)  erano  apparec- 
chiati, facendo  nascere  nella  città  di  Nola  pochi  anni  dopo  altro 
Napolitano  egregio  artefice  ,  il  quale  sebbene  non  giungesse  alla 
profonda  intelligenza  del  Buonaroti  ,  che  di  tutte  e  tre  le  nobili 
facultà  del  disegno  fu  perfettissimo  posseditore,  oltre  alle  scienze, 
alla  politica  ,  ed  all'  arte  della  guerra  :  nondimeno  tanto  gli  si 
accostò,  che  potette  annoverarsi  tra  i  primi  maestri  della  scollu- 
ra,  e  dell'  architettura  ,  ed  in  modo  che  molti  scrittori  il  Miche- 
langelo Napolitano  appellano  il  nostro  Giovanni  Merliano  volgar- 
mente detto  Giovanni  da  Nola. 

Nacque  Giovanni  Merliano  da  Giovan-Matleo  e  Lionora  Cor- 
tese nell'anno  1478  nella  città  di  Nola,  il  padre  era  mercatante 


—  182  — 
di  cuojami;  quindi  a  fare  il  calzolaio  addir  volea  i  suoi  Ci^liuoii. 
Il  nostro  Giovanni  però,  vedendolo  più  vivace,  mandò  a  scuoia  ; 
acciò   imparato  il  leggere  e  scrivere  ,  e  1'  aritmetica   gli    potesse 
un  giorno  portare  i  conti  del  suo  negozio. 

Nel  fatto  Giovanni  andando  alla  scuola  dette  a  vedere  ai 
suoi  maestri  la  sua  positiva  inclinazione  per  le  lettere,  e  questa 
seguendo  fece  si  bene  la  via  che  in  poco  tempo  studiò  umanità, 
e  filosofia  con  positivo  profitto. 

11  padre  venne  in  discordia  con  un  suo  socio  in  modo  die 
adirono  i  tribunali ,  quindi  fu  necessitato  portarsi  in  Napoli  per 
assistere  alla  sua  lite. 

A  chi  non  sono  causa  di  rovina  le  liti?  Il  povero  Gian-Mat- 
teo parte  pe'  trapazzi ,  parte  pe'dispiaceri  che  arrecar  sogliono  le 
contestazioni  forensi,  ammalossi. 

Avanzato  il  male  ,  appena  potette  avere  il  contento  di  ve- 
dere la  consorte  ed  i  figli  che  passò  a  miglior  vita. 

Convenne  alla  sua  famiglia  di  rimanere  in  Napoli  per  pro- 
seguir la  lite,  che  fini  con  una  convenzione.  Con  tale  occasio- 
ne praticando  Giovanni  con  alcuni  giovani  suoi  vicini  ,  fu  da 
costoro  introdotto  in  una  scuola  di  pittura  dove  eglino  anda- 
vano ad  apprenderla. 

Applicossi  Giovanni  ad  apprendere  con  esso  loro  i  principi  del 
disegno,  e  poi  con  la  cera  formava  dei  fantocci,  preludii  certi 
della  stupenda  virtù  che  con  lo  studio  sviluppò  perfettamente. 
Da  qual  maestro  avesse  in  prima  appreso  il  disogno  non  è  giun- 
to a  nostra  notizia,  certo  si  è  che  in  poco  tempo  disegnava 
assai  bene.  Nella  pratica  però  egli  inclinava  piuttosto  a  model- 
lare, ed  a  scolpire  in  legno  che  adoperare  i  pennelli.  Finalmen- 
te vedendo  egli  stesso  a  che  inclinava  il  suo  ingegno  si  dette 
perfettamente   alla  scultura. 

Era  in  quel  tempo  in  Napoli  tenuto  in  pregio  Agnolo  Auiel- 
lo  di  Fiore,  figlio  di  Colantonio,  il  quale  la  scultura  esercitava,  non 
senza  esser  peritissimo  anche  in  Architettura.  Essendo  stata  espo- 
sta in  pubblico  una  sua  opera  n'ebbe  molte  lodi.  A  questo  sentì 
Giovanni  accendersi  del  desiderio  di  dar  fuori  opere  di  scultura: 
ma  o  per  debolezza  di  complessione  ,  o  per  mancanza  di  corag- 
gio non  volle  applicarsi  a  lavori  di  marmo;  incominciò  a  scolpi- 
re in  legno. 


—  183  — 

Avea  il  nostro  Mcriiano  a  quel  tempo  soli  17  anni  ,  e 
procurò  esercitarsi  a  scolpire  in  legno  nello  studio  del  sullodato 
Agnolo  Aniello  di  Fiore.  Fu  tale  il  profitto  dopo  appena  un  anno 
che  vi  fece,  che  gli  furono  dai  maestri  della  Cappella  dei  Calzo- 
lai date  a  far  le  statue  dei  Santi  Crispino,  e  Crispiniano,  e  ciò 
gli  fu  procurato  da  un  suo  zio  calzolaio. 

Vedutesi  queste  statue  ebbe  lo  incarico  di  un  gran  lavoro  in 
basso  rilievo  dai  maestri  della  SS.  Annunziata  per  entro  la  sa- 
grestia. Questo  bassorilievo  rappresenta  la  copiosa  storia  dei  mi- 
racoli, e  delle  azioni  gloriose  del  nostro  Salvatore,  incomincian- 
do dalla  nascita  :  nelle  nicchie  poi  che  sono  infra  i  riparlimenli 
di  queste  istorie  ,  scolpi  varie  statuette  di  tondo  rilievo  dei  san- 
ti Patriarchi,  e  Profeti,  terminando  questo  bel  lavoro  di  basso  ri- 
lievo con  quello  della  SS.  Annunziata  che  si  vede  sotto  l'arco  ver- 
so l'altare  di  dotta  sacrestia.  Nell'altare  vi  è  similmente  la  im- 
magine della  SS.  Annunziata  figurata  in  due  ovati  con  due  mez- 
ze figure  :  il  piano  dove  son  collocate  è  adornalo  all'  intor- 
no di  piccole  figure,  e  per  pilieri  o  termini  da'  due  lati  son  due 
figure  di  tutto  rilievo,  poco  minori  del  naturale  ,  l'una  rappre- 
sentante la  Fede,  e  l'altra  la  Speranza:  tutto  questo  è  in  legno  di 
noce. 

Dopo  scolp'i  il  Crocifisso  che  fu  esposto  allora  nell'arcotrave 
della  chiesa  di  s.  Maria  la  Nova  ,  e  fece  per  l'altare  maggiore 
della' vicina  chiesa  di  s.  Giuseppe  la  natività  del  Signore.  Ai  la- 
ti di  questa  pia  rappresentazione  scolpi  in  due  nicchie  le  statue 
tonde  dei  SS.  Apostoli  Pietro,  e  Paolo  ,  ed  in  due  mezze  figure 
fece  la  SS.  Annunziala,  ed  al  di  sopra  in  basso  rilievo  nostro  Si- 
gnore che  riceve  la  sua  SS.  Madre  con  s.  Giuseppe  nel  Para- 
diso: nella  sommità  poi  il  Padre  Eterno  che  dà  la  benedizione. 
Mentre  questi  lavori  eseguiva  il  giovane  Merliano,  venne  a  mor- 
te Agnolo  Aniello  di  Fiore,  lasciando  imperfetta  la  sepoltura  Pi- 
gnalelli  nella  chiesa  dei  Pignalelli  presso  seggio  di  Nido,  la  quale 
terminata  dal  Merliano,  fu  il  suo  primo  lavoro  di  marmo. 

Dall'approvazione  generale  che  ne  ottenne.,  incoraggiato  lo 
artista  si  pose  a  lavorare  la  statua  di  marmo  per  la  sepoltura  di 
Francesco  Carafa,  signore  Napolitano,  da  situarsi  nella  chiesa  di 
s.  Domenico  Maggiore  ,  che  per  circostanze  dei  committenti  re- 
stò imperfetta. 


—  184  — 

Era  in  quel  lenipo  mirabilmenic  cresciuta  la  fama  di  Miche- 
langelo Buonaroli  ;  imperocché  assunto  al  Pontificato  Giulio  li 
(1503)  volle  quel  divino  artista  presso  di  lui  per  fargli  lavora- 
re la  propria  sepoltura.  Giunta  tal  nuova  all'orecchio  dei  profes- 
sori Napolitani,  costoro  animarono  il  nostro  Giovanni  di  portarsi 
in  Roma.  Invogliato  dai  consigli,  e  più  di  lutto  spronato  dall'a- 
mor  dell'arte,  risolvette  il   Werliano  di  condurvisi. 

Giunto  nella  città  madre  delle  arti,  vedute  le  opere  del  Buo- 
naroti  e  quelle  dei  Greci  maestri,  fé' di  lutto  per  essere  ammes- 
so alla  scuola  di  Michelangelo  :  ma  o  per  gelosia  dei  giovani,  o 
per  altro  motivo,  si  vide  il  nostro  Giovanni  fuor  di  speranza  di 
aver  posto  in  quel  perfettissimo  studio.  Non  isgomen tossi  per  que- 
sto il  nostro  Mediano  ;  anzi  procurò  di  fare  ogni  sforzo  per  ap- 
prendere da  se  stesso  tutto  quello  che  apprendere  avesse  potu- 
to da  quel  famoso  artefice. 

Si  dette  di  proposito  ad  osservare  attentamente  quanto  Mi- 
chelangelo facea,  e  varie  cose  scolpi  per  proprio  studio  model- 
landosi sull'antico  che  in  Roma  in  quell'epoca  si  dissotterrava. 

Cosi  proseguendo  Giovanni  la  scoltura  ,  volle  inoltre  all'ar- 
chitettura applicarsi  nel  quale  già  in  Napoli  con  la  direzione  di  A- 
gnolo  Anicllo  di  Fiore  era  iniziato.  Mentre  a  ciò  era  dedito  gli 
capitò  nelle  mani  una  bozza  che  Michelangelo  fallo  avea  per  la 
fabbrica  di  s.  Pietro. 

L'osservare  l'artista  Napolitano  l'eccellente  prodotto  della  va- 
sta mente  del  Fiorentino  maestro  dette  tanto  impulso  al  suo  cuore 
che  si  applicò  istantaneamente  nel  far  progetti  e  mellerli  in  disegno. 
Alcuni  pretendono  che  il  nostro  Merliano  avesse  in  quell'epoca 
appreso  dal  Bramante,  altri  con  men  foudameuto  da  Pirro  Ligo- 
rio,  ed  altri  dal  Bandinelli  :  comunque  sia,  egli  non  tralasciò  di 
studiar  sempre  sulle  opere  altrui. 

Molti  anni  fece  il  Merliano  in  Roma  sua  dimora  ,  inollran- 
dosi  sempre  più  nella  perfetta  cognizione  delle  arti  da  lui  pro- 
fessate. Avendo  però  inteso,  per  voce  sparsa  senza  verun  fonda- 
mento, che  Carlo  d'Austria  assunto  pur  allora  all'Impero  sotto  il 
nomo  di  Carlo  V  ,  sarebbe  venuto  in  Italia  e  fatto  avrebbe 
per  lungo  tempo  in  Napoli  il  suo  soggiorno  ,  deliberò  di  ripa- 
Iriare,  e  l'esegu'i. 

Giunto  in  questa  città,    vi  fu  con  onore  ed  amorevolezza  ac- 


—  i8o  — 
colto,  essendo  precorso  il  grido  dell'  eccollen^a  e    perfezione    ac 
quislala.  Molle  opere  gli  vennero  imperlanto   affidale  le  quali  gli 
frullarono  gloria  e  lode  singolare. 

Queste  si  furono  lo   staine  in  s.  Giovanni  Maggiore  del  Bat 
lista,  e  di  s.  Simone  Apostolo.  L'aliare  maggiore  in    s.    Lorenzo 
da  lui  medesimo  arcliitellalo  in  isola  ,  ed  in    bella    forma    quasi 
centinaia  adorno  delle  statue  della  Vergine  di  s.  Francesco  e  di 
s.  Antonio.  La  slalua  della  Madonna  delle  grazie  in   s.    Aniello  , 
ed  allre    in    varie    chiese    comò    nell'  elenco    da    me    esposto    al 
frontespizio.  Ben  inteso,  e  soprattutto  è  il  sepolcro  fallo  in  s.  Chia- 
ra per  Antonia  Caudino,  nobile  donzella   mancala  nel  fior   degli 
anni  suoi  alle  speranze  dei  genitori,  e  d'uno  appassionalo   sposo, 
perfettamente  da  lui  contornalo.  Questo  sepolcro  fu  illustrato  da  ele- 
gantissimo epitaffio  di  Antonio  Epicuro,    e   vi  è  su  figurata   gia- 
cente la  spenta  giovanelta. 

Le  quattro  statue  scolpite  attorno  alla  fontana  sulla  punta 
del  Molo  rappresentanti  i  quattro  fiumi,  di  poi  trasportate  in  Ispa- 
gna  per  ordine  del  Vice  Re  Aragona ,  furono  ancora  egregio  la- 
voro di  questo  artefice  famoso,  alle  quali  il  volgo  dette  il  mollo 
z  quatlu  de  hi  muoio. 

Meritano  ancora  molta  lode  i  sepolcri  degli  sciagurati  fratel- 
li Sanseverino  morti  di  veleno,  e  che  stanno  nella  chiesa  di  que- 
sto nome. 

Sempre  più  crebbe  l'onore  del  nostro  Merliano  per  le  statue 
scolpile  in  Monte  Olivelo  a  gara  con  1'  altro  celebre  scultore  Gi- 
rolamo Santacroce. 

Fra  gli  edifizii  da  lui  architettati  vogliono  essere  ricordati  la 
Chiesa  di  s.  Giorgio  dei  Genovesi,  il  palagio  del  Principe  di  s. 
Severo,  e  quello  del  nostro  famoso  Bernardino  Rota  ,  molto  da 
chi   ne   intende   ammiralo. 

Fu  il  Merliano  adoperalo  per  adornar  di  statue  il  superbo 
arco  trionfale  eretto  fuori  Porta  Capuana  nella  magnifica  entra- 
ta di  Carlo  V  in  questa  nostra  città  nel  1S3Ì5  insiem  con  An- 
drea da  Salerno,  al  quale  la  parte  delle  dipinture  venne  affidata. 

Il  Vice  Re  D.  Pietro  di  Toledo  adoprò  il  nostro  artefice 
alla  costruzione  del  superbo  mausoleo  nella  chiesa  di  s.  Giaco- 
mo eretto  per  se  e  per  la  sua  consorte. 

Opera  ella  è  questa  che  a  ragione  riscosse  lode    e    meravi- 
Sasso  —  Voi.  I.  24 


—  286  — 
glia  da  tulli  i  professori  ;  comechè  Giorgio  Vasari  (  al  suo  solito 
delle  Kapolilane  arti  parlando  )  ,  mentre  1'  encomia  siccome  ia 
pratica  ben  condotto  ,  dica  poi  che  raanclii  di  disegno.  Egli  è 
però  ben  conto  che  il  Vasari  fu  non  troppo  amico  dei  professori 
Napolitanij  di  moltissimi  de' quali  non  degnò  d'inserir  nella  sua 
opera  le  vite,  e  lo  fu  particolarmente  del  nostro  Mediano,  forse 
per  sue  private  ragioni. 

Divenne  il  nostro  Giovanni  poscia  familiare  del  Vice-Re 
di  Toledo  e  fu  per  suo  consiglio  che  questo  magnanimo  signo- 
re imprese  a  costruire  la  magniGca  strada  di  Toledo  da  quello 
disegnata  e  poi  condotta  a  termine  dal  suo  distinto  alunno  Fer- 
dinando Manlio. 

Sopra  ogni  altra  delle  sue  opere  viene  però  esaltata  siccome 
degna  dei  migliori  secoli  della  scultura  la  tomba  del  fanciullo 
Andrea  Bonifacio  accosto  alla  sacrestia  di  s.  Severino  ,  dall'  En- 
genio  scioperatamente  attribuita  a  Pietro  dulia  Piata,  la  quale  opera 
merita  di  esser  sopra  tutte  le  altre  riguardata. 

Fu  il  Merliano  oltre  a  ciò  di  civili  e  cristiane  virtù  adorno; 
benefico  con  tutti  ,  spezialmente  coi  giovani  che  amorevolmente 
ammaestrava,  e  con  gli  arleGci  di  minor  nome,  l'opera  dei  quali 
non  difficoltava  egli  di  correggere,  ripieno  di  caritatevole  affetto. 

Aveva  ora  mai  trapassati  il  Merliano  gli  80  anni  di  sua  età 
allorché  venne  a  morte  nel  1559,  mentre  compiva  una  statua  del- 
la Pietà  per  la  chiesa  di  s.  Severino  che  rimase  imperfetta. 

Egli  ebbe  molti  scolari  fra  i  quali  si  segnalarono  il  Franco, 
ed  il  Manlio  nell'architeltura;  e  nella  scultura  il  Caccavello,  l'Au- 
ria  ed  il  Parata.  Fece  molle  opere  por  varie  ciltà  del  Regno  ,  e 
specialmente  per  Nola  sua  patria  ,  del  pari  che  lavorò  molto  per 
r  estero  essendo  oltremonte  sua  fama  trascorsa  —  Fu  certamente 
Giovanni  Merliano  uno  de  primi  restauratori  delle  due  arti  men- 
zionale in  Italia. 

DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE. 

Sebbene  mi  avessi  falla  la  legge  di  descrivere  solamente  i  mo- 
numenti architettonici  ,  tuttavia  trovando  delle  eccellenti  opere 
di  scultura  ,  sebbene  pur  monumento  archileltonico  sia  un  mau- 
soleo ,    una    tomba  ,    un    avello  ;    tralasciar    non    posso    di    far 


—  287  — 
sommariamente  la  descrizione  dei  migliori,  secondo  i  (empi,  come 
ò  pralicato  di  sopra  ,  ed  ora  più  elio  mai  per  quelli  del  nostro 
Giovanni  Merliano  lustro  ,  onore  ,  ed  incremento  delle  due  arti 
belle,  scultura  ed  archileltura,nel  più  forte  del  risorgimento  di  esse 
in  Italia. 

Sepolcro  di  Francesco  Carafa. 

Tornalo  in  Napoli  compi  il  sepolcro  di  Francesco  Carafa  già 
cominciato  da  lui  prima  di  andare  a  Roma.  Questo  si  vede  nella 
chiesa  di  s.  Domenico  Maggiore  ,  e  propriamente  nella  cappella 
del  SS.  Crocifisso  clic  parla  all'  Angelico  dottore  s.  Tommaso  d'A- 
quino. Sono  gli  ornauìonti  bene  assai  eseguiti  ,  con  trofei,  ed  al 
tri  vari  militari  emblemi  :  nella  sommila  è  situala  la  statua  della 
Beata  Vergine,  che  tiene  il  suo  Divino  Figliuolo  Ira  le  braccia. 
Opera  condotta  con  isludio,  diligenza  ,  e  fatica  ammirabile  sopra 
tutto  per  l'atteggiamento  dato  alle  statue. 

Altare  in  Slontelivclo  sul  modello  del  Rossellino. 

Si  dice  da  qualche  scrittore  ,  che  avendo  i  Monaci  Olivetani 
mostrato  al  Merliano  l'altare  della  Real  Cappella  del  duca  d'Amalfi 
ove  è  sepellila  la  duchessa  Maria  figliuola  naturale  di  Ferrante  1. 
con  i  preziosi  ed  accurati  lavori  di  Antonio  Rossellino  Fiorentino, 
dopo  averli  Giovanni  assai  ben  considerali,  senti  accendersi  dal  de- 
siderio di  farne  uno  simile,  ed  a  ciò  si  offerse  a  quei  Religiosi,  i 
quali  condiscesero  alle  sue  brame  ,  dicendogli  essere  opera  vana 
voler  quelli  imitare.  Acceso  vieppiù  dal  punto  di  onore  il  nostro  arte- 
fice, condusse  con  tanto  studio  e  felicità  quei  stupendi  lavori,  che 
meglio  assai  è  che  io  n'aQldi  l'esame  al  giudizio  delle  persone  dell'ar- 
te, che  tentarne  una  descrizione  col  raeschinello  mio  stile.  Bastami 
solo  il  dire  che  al  visitatore  s'i  l'opera  del  Rossellino  ,  che  quella 
del  Merliano  conlemporaneamenle  si  mostrano.  Alcuno  attribuisce 
questo  lavoro  pel  lutto  al  Rossellino,  s'inganna;  imperocché  in  con- 
testo bastami  solo  il  dire  che  non  ne  fa  minore  menzione  il  Vasari. 
Più  il  Rosellino  morì  nel  146S  ,  l'aliare  fu  modernato  nel  lo'ÒO. 

Cresciuta  la  sua  opinione,  fé  moltissime  altre  opere  di  scultu- 
ra ,  che  per  brevità  bastami  1'  averle  solo  accennate. 


—  188  — 
Fece  in  prima  disegni  con  piante  ,  elevali  ,  e   spaccali    per 
molti  palagi,  e  chiese.  Una  chiesa  che  lui  architettò  fu  quella  di  s. 
Giorgio  de'  Genovesi  eretta  nel  V626. 

Chiesa  di  s.  Giorgio  dei  Genovesi. 

È  questa  chiesa  poco  discosta  da  quella  di  s.  Pietro  e  Paolo 
piccola  chiesa  parrocchiale  de'  Greci  dietro  il  Teatro  de'Fiorentini 
eretta  nel  11>18  da  Tommaso  Paleologo  della  famiglia  degli  Impe- 
ratori di  Oriente.  Fu  (ripeto)  la  chiesa  di  s.  Giorgio  de'Genovesi 
interamente  rifatta  nel  1620  con  disegno  del  Picchiatti, 

Il  quadro  dell"  altare  maggiore  di  s.  Giorgio  a  cavallo  che  uc- 
cido il  dragone  è  di  Andrea  da  Salerno,  l'altro  di  s.  Antonio  che 
risuscita  un  morto  è  del  Battistello  ,  come  il  miracolo  di  s.  Pla- 
cido in  uno  de'  cappelloni  è  del  de  Mura. 

Palazzo  del  prineipe  di  s.  Severo  D.  Paolo  di  Sangro. 

Fu  questo  1'  antico  palazzo  dei  Sangri  disegnato  da  Giovan- 
ni da  Nola,  e  rimodernato  posteriormente  dai  famoso  Raimon- 
do di  Sangro  principe  di  s.  Severo.  Qui  si  vedeano  tutte  le 
preziose  scoverte  nelle  belle  arti  che  fatte  avea  questo  genio  pro- 
digioso. Bisogna  leggere  il  signore  de  la  Lande  per  vedere  quanti 
cgetti  gli  furono  mostrati  da  Raimondo  in  diverse  stanze,  e  spe- 
cialmente il  quadro  della  Sacra  Famiglia  di  Raffaello  rifatto  da  lui 
con  rasura  di  lana  a  varii  colori  ;  i  pavimenti  di  alcune  camere 
di  un  mastice  particolare  (  chi  sa  che  non  fosse  il  nostro  attuale 
asfalto  )  che  dice  il  la  Lande  che  era  duro  quanto  il  marmo  ,  e 
lo  facea  il  Principe  di  diversi  colori  ;  una  stamperia  in  cui  con 
un  sol  colpo  di  torchio  s'imprimevano  caratteri  ed  ornati  a  diver- 
si colori  —  Questo  grandioso  palagio  posto  sul  largo  di  s.  Dome- 
nico si  è  voluto  a  giorni  nostri  imbianchir  nella  facciata,  e  rifa- 
re il  cornicione  ;  quindi  si  è  deturpato. 

Sepolcro  di  Antonia  Caudino. 

Scolpi  Giovanni  questo  magnifico  mausoleo  con  la  statua  della 
defunta  giovanetta   giacente  ,  e  col    suo  ritrailo   somigliantissimo 


—  189  — 
come  dissero  gli  scrittori  contemporanei.  Compiuti  che  furono  gli 
altri  ornamenti  pur  di  marmo,  lo  collocarono  presso  la  porta  mi- 
nore della  Reale  chiesa  di  s.  Cliiara. 

Fu  questo  marmo  doppiamente  arricchito  e  dallo  scalpello  di 
Giovanni  ,  e  dalla  dotta  penna  del  famosissimo  Antonio  Epicuro 
il  quale  compassionando  i  di  lei  genitori  ,  volle  in  parte  conso- 
larli col  bellissimo  epitaffio,  ch'egli  compose,  che  per  essere  egre- 
gio componimento   di  un  tanto  uomo  qui  lo  trascrivo: 

Nata  ,  heu  miserum  ,  misero  mihi  nata  parenti  , 

Unicus  ut  fieres ,  unica  nata  ,  dolor. 

Nam  tibi  diimq  ;  vintm  tedas  ,  talamumq  ;  parabam 

Funera  ,  et  inferias  anxius  ecce  paro. 

Debuimiis  tecwn  poni ,  Materque  ,  Palerque  , 

Ut  tribus  haec  miseris  urna  parata  fotet. 

At  nos  perpetui  gemitus ,  tu  nata  septilcri  , 

Esto  haeres  ,  ubi  sic  impia  fata  volunt. 

Antonia  filia  charissima  ,  quae 
Hieronymo  Granatae  juven  :  ornaliss: 
Destinata  Uxor ,  Annos  nondum  XIUI 

Impleverat 

Ioannel  :  Gaudinus  ,  et  Heliodora  Bassa 

Parentes  infelicissimi  posuerunt 

Rapta  ex  cor  Complexibus 

Anno  salutis  M.  D.  XXX  Prid.  Id.  Cai.  Jan. 

I  tre  sepolcri  de^  sventurati  fratelli  s.  Severino. 

Era  da  alcuni  anni  succeduto  il  funestissimo  caso  della  morte 
dei  tre  sventurati  fratelli  Giacomo  ,  Ascanio  ,  e  Sigismondo  San- 
severino  avvelenati  il  dì  li  novembre  1316  per  opera  della  moglie 
del  loro  proprio  zio  Girolamo. 

Si  volle  che  gli  esliuti  si  fossero  collocali  entro  superbi  tu- 
muli, e  che  i  loro  casi  funesti  fossero  palesi  al  mondo,  con  statue 
ed  iscrizioni,  ed  a  ciò  eseguire  si  occuparono  nel  rinvenire  un  ot- 
timo artefice. 

Dopo  molle  discussioni  pendeva  la  scelta  tra  Girolamo  Santa- 
croce ,  e  Giovanni  da  Nola  ;  finalmente  a  questo  affidavasi  il  pro- 
getto e  '1  lavorio. 

Ricevuta  ch'ebbe  la  commissione  il  Merliano,  imaginò  tre  mau- 


—  290  — 
solei  luUi  di  bianco  marmo  ,  sostenuti  da  sode  basi  ed  adornati 
di  pilastri  e  cornici  ,  e  di  statue  in  cima  di  ciascheduno,  cioè 
sopra  il  sepolcro  di  Sigismondo  la  statua  del  Salvatore  Trionfante 
situata  sopra  una  glorielta  ornata  di  cherubini  con  due  Angioli 
inginocchioni  per  lato.  Su  i  pilastri  le  statue  di  s.  Francesco  di 
Assisi  da  una  parte  ,  e  di  s.  Niccolò  di  Bari  dall'  altra. 

In  faccia  a  questi,  due  bassi  rilievi  che  Ogurano  s.  Barbara, 
e  s.  Geltrude.  Nel  piano  fra  i  sudetti  pilastri ,  due  altri  Angioli 
ancor  essi  scolpiti  di  bassorilievo  ,  indi  seduto  suU'  ornalo  che  fa 
cornice  vedesi  la  bella  statua  del  tradito  ed  assassinato  signore 
ivi  sepolto.  In  questo  tumulo  oltre  ai  varii  trofei  sono  scolpite  le 
armi  dei  Sanseverini ,  e  nella  lapide  si  leggono  questi  funestis- 
simi versi. 

Jacet  hic  Sigismiuidus  Sanseverinus 

Veneno  iwpie  absumptus  ,  qui  eodem 

Falò ,  eodem  tempore  ,  pereunteìs  germanos  Fralres. 

Nec  alloqui  ,  nec  cernere  poluit. 

Il  sepolcro  annesso  all'altare  nel  mezzo  della  cappella  è  di 
Giacomo  Sanseverino.  Vedesi  in  cima  di  esso  la  statua  della  Beata 
Vergine  sedente  col  Bambino  nel  seno,  con  Angioli  che  l'adorano 
e  con  Cherubini  sotto  i  piedi,  e  dai  lati  su  i  pilastri  s.  Giacomo 
Apostolo  ,  e  s.  Benedetto  abate,  come  ancora  nel  piano  di  mezzo 
due  Angioli  inginocchioni  ,  ed  in  basso-rilievo  nei  mentovati  pi- 
lastri s.*  Scolastica,  e  s.*  Monica.  La  statua  di  Giacomo  anche  siede 
sopra  simigliante  cornice  che  sovrasta  alla  tomba  ornata  parimenti 
di  trofei  ,  d'  imprese  e  di  bei  lavori  come  l'altra  descritta,  e  con 
la  seguente  iscrizione. 

Eie  ossa  quiescunl  Jacobi  Sanseverini  Comitis  Saponariae 
Veneno  misere  ob  avaritiam 
Necati  ,  cum  duobus  miseris  fralribus  , 
Eodem  Fato  ,  eadem  hora  commorie ntibus. 

Sul  terzo  sepolcro  che  è  di  Ascanio  Sanseverino  vedesi  scol- 
pilo l'Eterno  Padre,  anche  in  piedi  sopra  gloria  di  Cherubini,  e 
invece  di  Angioli  che  adorino,  non  essendovi  spazio,  figurò  l'ar- 
tefice i  due  mezzi  busti  dei  profeti  Enoch  ed  Elia  :  ma  sopra  i 
pilastri  come  negli  altri  posano  le  statue  di  s.  Pietro  ,  a  s.  Gio- 


—  291  — 
vanni  Apostoli,  e  nel  piano  di  mozzo  i  soliti  Angioli,  ed  in  tutti 
e  tre  questi  basso-riliovi  un  Angiolo  dei  due  che  sono  inginoc- 
chioni  à  in  mano  un  torchio  acceso.  La  statua  di  Ascanio  si  ve- 
de a  sedere  come  le  altre  due  ,  con  i  medesimi  ornamenti  ,  e 
tutti  tre  anno  i  loro  elmi  accanto  situali  sulla  stessa  cornice  ove 
eglino  sono  assisi. 

Il  gesto  e  r  aziono  di  ciascheduno  di  essi  esprimono  molta 
divozione  verso  la  statua  della  Beata  Vergine  situata  sull'altare — 
I  versi  che  compianger  fanno  la  morte  di  questo  terzo  fratello  sono 
i  seguenti. 

Eie  silus  est  Ascanius   Sanseverinus  ,  cui 

Obeuìtii  eodcm   reitero   inique  ,  atque   impie 

Commorientes  Fralres ,  nec  alloqui ,  nec  ridere  quidem  licuil. 

Gli  fu  per  tale  ed  altri  svariati  lavori  addossato  lo  onorevo- 
le incarico  dello  apparecchio  per  le  feste  all'  entrata  dell'  Impe- 
rator  Carlo  V.  Chi  brama  conoscere  di  ciò  i  dottagli  può  leggerli 
nel  voi.  2  del  do  Dominici  dalla  pag.  42  alla  pag.  37  che  io  per 
brevità  tralascio. 

Meritamente  governava  in  quei  tempi  questo  reame  per  lo 
Imperator  Carlo  V  il  non  abbastanza  lodato  vice  Re  D.  Pietro 
di  Toledo  marchese  di  Yillafranca  ,  ed  a  questo  Signore  mollo 
dobbiamo  per  le  produzioni  a  noi  serbale  del  nostro  Merliano. 

Cbiesa  ed  ospedale  di  s.  Giacomo. 

Il  sullodato  Vice  Re  D.  Pietro  di  Toledo  volendo  di  se  la- 
sciare memoria  nella  città  di  Napoli  ,  risolvette  di  fabbricare  una 
chiesa  con  un  ospedale  per  la  nazione  Spagnuola.  Ne  die  incari- 
co al  nostro  Merliano,  il  quale  ne  fece  il  modello  ed  i  disegni  , 
che  furono  sottoposti  ed  approvati  da  una  giunta  d'intendenti,  no- 
minati dal  vice-Re.  Cosi  si  die  cominciamento  alla  fabbrica  si  del- 
l'Ospedale  che  della  chiesa  di  s.  Giacomo.  Vi  fu  buttata  la  prima 
pietra  il  di  11  giugno  11540  dell'Arcivescovo  di  Capua  D.  Tommaso 
Caracciolo  in  quel  tempo  Cappellano  Maggiore  —  Fu  compiuto  il 
monumento  nel  11548. 

Vi  è  tra  i  nostri  scrittori  chi  attribuisce  questo  monumento 
a  Ferdinando  Manlio  allievo  del  nostro  Merliano:  cosa  facile  ad  ac- 
cadere quando  si  aggiusta  fede  alle  notizie  di  qualche  poco   inlen" 


—  192  — 
dente  conlemporaneo  che  prende  la  parte  pel  lutto.  Forse  1'  assi- 
duità del  Manlio  ai  lavori  del  suo  maestro  ,  dette  a  credere  che 
Manlio  fosse  l'architetto  del  monumento.  Cosi  ancora,  come  dirò 
in  appresso,  qualche  monumento  del  Vanvilelli  da  alcuni  esteri  scrit- 
tori attribuito  venne  al  suo  amato  allievo  Sabbalini. 

Quanto  facca  il  Merliano  nel  11540  per  questo  monumento  i'u 
lutto  compreso  nel  nuovo  ediGzio  dei  Ministeri  di  Stalo  —  di  cui 
ne  parlerò  al  secondo  volume  nella  descrizione  delle  opere  del 
cav.  Stefano  Gasso.  La  chiesa  venne  incorporata  in  certo  modo 
coir  accennato  edifizio.  Trovandosi  ncll'  angolo  Ira  la  piazza  del 
castello  e  la  strada  s.  Giacomo,  risultò  la  sua  facciata  più  inden- 
tro della  linea  del  monumento.  Questo  fu  ben  corrotto  dal  Gasse 
suir  allinear  la  facciata,  e  sotto  la  nuova  fabbrica  costruì  una  sca- 
la di  marmo  che  mena  all'antico  vcstibulo  della  chiesa,  facendo 
il  nuovo  ingresso  ordine  col  resto  del  palagio  de' Ministeri  di  Sta- 
to —  Fu  delta  chiesa,  ripeto,  fondata  nel  1S40  dal  Vice  Re  di 
Toledo  ,  il  quale  vi  unì  uno  spedalo  pei  soldati  Spagnuoli,  e  po- 
scia vi  fu  aperto  un  monte  di  pegni  ,  ed  un  banco  che  divenne 
il  più  ricco  di  tutti  gli  altri  di  Napoli.  Nel  pilastro  dalla  parte 
dell'  epistola  evvi  un  bel  quadro  di  Andrea  del  Sarto  che  altri 
crede  copia. 

Tra  i  quadri  di  Marco  da  Siena  si  distingue  il  Cristo  in  Cro- 
ce. Pregevole  è  la  deposizione  dalla  Croce  alla  maniera  di  Polidoro 
del  nostro  Lama.  Richiama  pure  l'altenzione  il  quadro  sulla  porta 
di  Bartolommeo  Passanti  valente  imitatore  del  suo  Maestro  Ribera. 
Secondo  il  gusto  d'  allora  questa  chiesa  à  i  suoi  mausolei 
fra  i  quali  si  distingue  quello  di   Pietro   di  Toledo. 

Il  vice-Re  oltremodo  soddisfallo  dei  lavori  del  Merliano  lo 
prese  tanto  ad  amare  che  spesse  volte  lo  consultava  circa  gli  abbel- 
limenti che  far  volea  nella  città  nostra. 

strada  di  Toledo. 

Al  Merliano  sì  deve  la  bella  strada  di  Toledo.  Furono  ab- 
battuti varii  edifizi  per  farla  dritta  al  possibile  ,  ed  ampia.  Da 
principio ,  come  accader  suole ,  molli  cittadini  si  lagnarono 
vedendo  diroccar  le  proprie  abitazioni  :  ma  indi  a  poco  si  con- 
vinsero col  fallo  del  bene  loro  arrecalo;  imperocché  le  nuove  abi- 


—  103  — 
tazioni  più  del  doppio  si  appigiunavano;   e  cobi  invece  di  lagnan- 
ze dettero  benedizioni  al  vice-Re  ed  applauso  all'  architetto. 

Fontana  sul  Molo. 

Fc  inoltre  una  raagniCca  fontana  situandola  alla  punta  del 
molo  ,  ove  quattro  statue  ei  fece  che  i  quattro  maggiori  fiumi 
del  mondo  rappresentavano.  Invaghitosene  posteriormente  1'  altro 
vice-Re  D.  Pietro  Antonio  d'  Aragona  le  tolse  via  ,  come  ancora 
la  bella  statua  della  Venere  giacente  fatta  dal  medesimo  Merliano 
per  un  altra  fontana  sull'angolo  della  controscarpa  del  Castel  nuo- 
vo ,  e  con  altre  eccellenti  statue  mandolle  in  Ispagna  per  servir  di 
ornamento  ai  suoi  giardini — Cosi  Napoli  rimase  priva  d'opere 
cìic  poteano  stare  bene  al  confronto  di  quelle  de"  più  famosi  ar- 
tefici che  dopo  gli  antichi  Greci  avessero  adoperato  scalpello.  Tra 
noi  è  rimasta  sola  la  memoria,  e  per  tradizione  in  dialetto  delle 
quattro  belle  statue  sul  molo  nel  [iroverbio  per  motteggiar  coloro 
che  in  qualche  positura  si  fermano  al  numero  di  quattro. 
Me  parene  i  qualla  du   muoio. 

Regi  Tribunali, 

Ridusse  benanche  il  Merliano  ad  uso  dei  Tribunali  il  Vecchio 
Castel  Capuano  ,  e  ciò  puranco  d'ordine  del  sulìndalo  I).  Pietro 
di  Toledo  —  il  come  praticasse  1'  architetto  mi  trovo  averlo  espo- 
sto nelle  opere  del  primo  architetto  Buono  pag.  ÌjO. 

Tornita  del  Toledo  in  s.  Giacomo. 

Ideò  r  architetto  questo  monumento  tutto  isolato  disegnandovi 
nelle  quattro  facce  verticali  del  parallelepipedo  i  più  egregi  fatti 
del  vice-Re  in  bassorilievi  —  Sopra  vedesi  D.  Pietro  in  giuocchione 
ritratto  al  vivo  ,  e  grande  quanto  il  naturale,  con  la  sua  moglie 
allato  pure  inginocchione  sopra  guanciali,  ed  anno  innanti  l'ingi- 
nocchiatoio. Bellissime  sono  le  quattro  statue  sopra  i  quattro  an- 
gdi  del  parallelepipedo  che  rappresentano  la  Castità  ,  la  Purità  , 
l'Umiltà,  e  la  Prudenza:  queste  sono  in  piedi  sopra  piedistalli 
tutte  e  quattro  in  alto  piangente. 

Sasso  —  Voi.  1.  C", 


—  194  — 
Tomhn  dol  fanciullo  Andrea  Bonifacio. 

Se  è  bella  la  tomba  del  Toledo,  bellissima  e  di  eterna  laude 
fu  qtiella  del  fanciullo  Andrea  Bonifacio  siluata  vicino  la  sagre- 
stia della  chiesa  di  s.  Severino  —  Opera  è  questa  che  può  stare 
al  confronto  di  qualunque  prodotto  de'  scalpelli  dell'  antichità. 

È  situalo  il  sepolcro  sopra  due  pilastretli  in  ciascuno  de'quali 
è  scolpita  di  basso  rilievo  una  Ggura  rappresentante  un  pultino  , 
che  tiene  la  spenta  face  :  dai  lati  di  questi  pilastri  scendono  due 
speroni  in  forma  di  delfini,  le  di  cui  teste  posano  sul  primo  sodo; 
in  questo  sodo  vi  è  egregiamente  scolpito  un  bassorilievo  di  fi- 
gure piccole  che  rappresenta  la  dolorosa  deposizione  del  corpo 
del  Salvatore.  Questo  sodo  ove  il  bassorilievo  è  scolpito  posa  so- 
pra un  piedistallo  ,  che  termina  col  piano  il  finimento  di  esso  , 
ove  la  lapide  sepolcrale  col  suo  elogio  è  scolpita.  Nel  mezzo  dei 
due  pilastri  già  detti  ,  in  un  piano  sodo  è  scolpita  la  statua  ton- 
da del  s.  Apostolo  Andrea  —  Sopra  il  piano  orizzontale,  che  di- 
vide questo  sodo  dall'urna,  posano  due  quasi  arpioni  che  appog- 
giansi  sulla  sommità  dei  già  detti  delfini  ,  e  servono  di  sostegno 
a  una  bellissima  conca  che  ricca  di  bei  lavori  in  fogliami  e  fe- 
stoni fa  mesta  pompa  all'estinto  signore  che  in  se  racchiude.  Con 
bella  idea  vedesi  giacere  di  marmo  il  defunto  fanciullo  ,  avendo 
l' inarrivabile  artefice  finto,  che  alcuni  putti  piangenti  sostengono 
a  qualche  altezza  il  coverchio  sospeso,  e  pare  che  mostrino  agli 
sijettalori  la  cagione  del  pianto  loro. 

La  scultura  del  corpo  del  Bonifacio  è  eccellente,  sembra  ri- 
tratta dalle  sovrumane  Gsonomie  del  divino  Urbinate. 

In  uno  dico  che  fu  ben  degno  questo  monumento  dell'elogio 
che  vi  fece  Giacomo  Sannazzaro,  che  si  legge  nella  tomba  come 
qui  appresso 

Nate,  Patris  Matrisq.   amor  et  suprema  voìuptas 

Eu  libi  ,  quae  nobis  te  dare  sors  vetuit. 

Busta  ,  Eben  ,  tristesq.  nolas  damus   invida  quando 

Mors  immaturo  funere  te  rapuil. 

Andreae  filio  dulciss.   qui  vixit   an    VI. 

Mansuetibus  II    Diebus   XIX.  Hor  IV. 

Robertus  Bonifacius  ,  et  Lucretia   Cicara 

Parentes   ob   raram  indolem. 


RAI310AD0  DI  SA.\GRO 

e  la  famosa  cappella  di  Saiiscvcro 

Avendo  Ira  lo  opere  del  Bleiliano  indicalo  il  italagio  Saiisc- 
vcro ,  non  (rovo  irregolare  qui  poche  parole  si  per  la  biografia 
di  un  nostro  distinto  e  nobile  concittadino  ,  cb;?  di  una  esalta 
descrizione  della  famosa  cappella  Sansovero. 

Raimondo  di  Sangro  Principe  di  s.  Sever.)  nascea  in  Napoli  il 
di  30  gennaio  1710.  Alla  nobiltà  del  lignaggio  se|)pe  Raimondo 
unire  lo  splendore,  molto  piìi  cospicuo,   delle  pro|)rio  azioni. 

11  |)adre  fu  il  Duca  di  Torremaggiore  U.  Antonio  ,  e  la  ma- 
dre D.  Cecilia  Gaelani  d'Aragona  dei  Duchi  di  Laurcnzana  —  E- 
gli  non  nacque  primogenito  ,  ma  lo  divenne  per  l' immatura  mor- 
te di  due  suoi  maggiori  fratelli. 

La  sua  prima  educazione  fu  nella  casa  paterna  sotto  la  di- 
rezione dell'avolo  D.  J'aolo  di  Sangro,  indi  in  Roma  nel  semina- 
rio Romano. 

Non  e  facile  il  narrare  quanto'  questo  gentile  ingegno  pro- 
fittasse nella  prima  sua  istituzione  in  tulio  il  corso  dogli  studi,  e 
(lolle  lingue  si  vive  che  morte.  Rasta  il  dire  che  per  autentici  mo- 
luimenli  vieii  dimostralo  che  sin  da  principio  formò  lo  stupore  dei 
suoi  maestri  distinguendosi  parlÌGolarmcnle  nel  ramo  della  mecca- 
nica ,  massime  nell'  idrostatica  ,  ed  ancora  nell"  archilottura  mi- 
litare. 

Dell'eia  di  anni  20  patsò  a  nozze  con  la  signora  Carlotta 
Gaelani.  Il  nuovo  slato  non  alienò  in  conto  alcuno  l'illustre  per- 
sonaggio dalla  rigida  sua  applicazione.  Molto  mi  dilungherei  se- 
accennar  solo  io  ^olessi  le  uiultiplici  scoperte  ,  ed  opere  utilissime 
con  le  quali  il  nostro  Raimondo  arricchì  la  società.  Se  ne  vuoi  es- 
sere appieno  informato  leggi  La  s/oria  dello  shidio  di  Aapoh'  del- 


—  196  — 
d  Origlia   Tomo  2."  e  1'  opera  di   Pietro    Napoli  Signorelli    iuli- 
tolala  Vicetide  della  coltura  nelle  due  Sicilie. 

Tra  le  mnlliplici  sue  opere,  figlie  d'indefessa  applicazione  e 
di  solerli  veglie,  non  à  l'ullimo  luogo  la  riunione  di  lanli  capo- 
lavori nella  cappella  della  famiglia  alla  salita  s.  Severo  come  ap- 
presso esporrò. 

Ai  grandi  onori  ereditar)'  di  sua  prosapia  si  unirono  in  Rai- 
moado  quelli  che  la  clemenza  del  Re  Carlo  III  Borbone  si  com- 
piacque accordargli  ,  «avendolo  nel  1737  annoveralo  tra  i  suoi  gen- 
tiluomini di  camera  ,  e  nel  1740  tra  i  cavalieri  dell'  insigne  ordi- 
ne di  S.  Gennaro.  Indi  fu  destinato  alla  formazione  del  reggimen- 
to di  Capitanata  ,  del  quale  fu  colonnello  ,  ed  impiegò  con  islu- 
pore  dei  vecchi  generali  con  profitto  dello  stato  i  suoi  sudori  mi- 
litari nella  guerra  di  Velletri  ,  dandoci  una  pruova  che  qual  no- 
vello Sofocle  sapea  impallidire  sopra  le  carte  nell'  ozio  letterario, 
e  sudare  sotto  il  peso  del  cimiero  fra  lo  strepilo  delle  armi.  Tan- 
to merito  per  altro  non  potea  andare  disgiunto  da  una  guerra  vi- 
va ,  che  sempre  mai  fa  alla  sapienza,  ed  al  valore;  l' ignoranza, 
e  r  infingardaggine.  Dovè  quindi  essere  assoggettato  a  quelle  fasi, 
e  cabale  ,  le  quali  di  continuo  tessono  ai  sapienti  gli  ignoranti 
ambiziosi. 

É  veramente  infelice  colui  che  trovasi  in  slmile  trista  condi- 
zione !!! 

Mori  Raimondo  di  Sangro  Principe  di  s.  Severo  il  dì  22  mar- 
zo 1771  per  malore  cagionatali  dai  suoi  meccanici  lavori  ,  tra  il 
compianto  dei  suoi  amici  ,  dei  congiunti  ,  di  Napoli  ,  ma  molto 
più  della  filosofia  e  delle  belle  arti  che  con  esso  perdettero  uno 
dei  loro  ardcntissimi  cultori- 

Deserixione  della  Cappella. 

Attaccato  al  palazzo  de'  Signori  Sansevero  evvi  la  chiesuola 
ivi  fatta  edificare  dal  Patriarca  di  Alessandria  di  questa  famiglia 
col  titolo  di  s.  Maria  della  Pietà,  volgarmente  detto  la  Pietatella, 
ove  si  veggono  molti  nobili  e  sontuosi  Sepolcri  con  bellissime  sta- 
tue SI  antiche  che  moderne:  leggi  in  contesto  l'iscrizione  sulla  por- 
ta. Dal  palazzo  per  un  ponte  si  passa  in  questa  chiesa. 

E  questo  tempietto  degno  di   essere  veduto   per  le  eccellenti 


—  197  — 
opere  di  scultura  che  vi  sono,  direlle  dal  feracissimo  ingegno  di 
Raimondo  di  Sangro  Principe  di  s.  Severo  ,  tanto  noto  all'  Euro- 
pa per  i  suoi  rari  talenti  ,  e  per  le  eccellenti  sue  produzioni  let- 
terarie ;  quindi  è  necessario  farne  una  particolare  descrizione. 

Kel  giardino  del  nobile  palazzo  di  questi  distintissimi  Signo- 
ri eravi  un  immagine  della  B.  Vergine  della  Pietà  dipinta  nel  mu- 
ro. Francesco  di  Sangro  fece  voto  di  edificarle  una  cappella  ,  se 
otteneva  la  guarigione  di  una  malattia.  Ottenne  la  grazia,  e  com- 
pi il  voto  circa  la  fine  del  secolo  16.  Alessandro  di  Sangro  Arci- 
vescovo di  Benevento  ,  e  Patriarca  di  Alessandria  ,  la  ridusse  in 
forma  magnifica  nel  1713  come  dall'  iscrizione  che  sulla  porta  si 
legge.  Raimondo  di  Sangro  dopo  la  metà  del  passato  secolo  co- 
minciò a  rinnovarla  :  questo  distinto  signore  sopra  1'  arco  che  dal 
suo  palagio  introduce  in  questa  cappella,  vi  facea  ergere  una  tor- 
re,  nella  cui  sommila  una  specie  di  tempietto  di  figura  ottagona 
con  otto  colonne  di  marmo  agli  angoli  sostenenti  la  volta.  Entro 
venivan  collocale  le  campane  di  un  orologio  che  al  batter  delle 
ore  suonava  musicalmente  —  Fu  questo  il  primo  di  tale  maniera 
costrutto  in  Italia  —  Oggi  niente  di  ciò  esiste  !!! 

Entriamo  in  Chiesa  —  È  questa  in  pianta  un  rettangolo.  E 
divisa  in  otto  ripartimenli  con  archi  formanti  otto  cappelle,  quat- 
tro per  ciascun  de  lati  maggiori.  Nella  terza  ,  a  destra  entrando, 
vi  è  r  adito  che  conduce  alla  sacrestia  ,  ed  à  rimpetlo  la  porta 
piccola  che  esce  alla  salita  s.  Severo.  Nelle  due  ultime  arcate  vi 
sono  due  cappelle  per  uso  ilei  santi  sacrificii  ;  indi  per  sotto  un 
maestoso  arco  si  va  all'  altare  maggiore. 

Sopra  la  porta  della  chiosa  vi  è  il  deposito  di  uno  di  San- 
gro che  armato  di  elmo  e  corazza  esce  con  la  spada  in  mano  da 
una  cassa  ferrala:  opera  è  questa  stimatissima  di  Francesco  Cele- 
brano. Nei  lati  della  porla  vi  sono  due  confessionili  maravigliosi 
per  la  loro  comodila. 

La  volta  della  chiesa  è  tutta  dipinta  da  Francesco  Maria  Ros- 
si ;  il  cornicione  di  tutta  la  chiesa  e  di  una  particolare  composi- 
zione ,  nel  materiale  ,  ritrovalo  dal  sullodato  Principe  Raimondo, 
e  che  sembra  un  sol  pezzo  ili  malreperla  ,  come  della  stessa  ma- 
teria sono  i  capitelli  de'  pilastri. 

In  ciascheduno  di  questi  riparlimenti  ,  o  siano  arcale  è  si- 
tuala la  sfatua  di  uno  di  questa  illustre  famiglia  ,  poco   più    del 


—  rj8  — 

iialiirale  ,  o  nel  contìguo  pilaslro  la  slaliia  cìi  fjuclla  virlìi  che  |)iù 
rispleiulollo  nella  Dama  clic  li  Cu  moglie  :  nel  capilello  del  pila- 
stri) (li  online  corintio  vi  è  1'  improsa  della  famiglia  della  Dama, 
ed  in  una  piramidclla  scolpilo  il  di  lei  ritratto  in  marmo  al  na- 
turalo, avendo  ai  piedi  1'  elogio  ove  si  da  contezza  di  chi  fu 
fì;:;lia  ,  di  chi  fu  moglie  ,  del  tempo  che  morì  ,  e  delle  virtù  che 
r  adornarono  :  le  statue  istcssc  sislenti  nei  primi  quattro  archi,  e 
che  rappresentano  gli  Eroi  di  (juesla  famiglia  dai  tempi  del  Pa- 
triarca m  asniili,  sono  delli'  più  dislinle  opere  dei  Fanzaca,  San- 
tacroce ed  altri  —  Nel  terzo  arco  che  sporgo  nella  sagrestia  vi  e 
il  deposilo  del  sullodato  Raimondo  di  Sangro  ove  osservasi  il  suo 
ritratto  al  naturale  ,  opera  è  questa  di  Carlo  Amalfi  —  Al  di  sot- 
to vi  è  una  lapide  di  palmi  7,o  per  S,7o  ove  si  legge  l' iscrizio- 
ne tutta  composta  di  lellere  bianche  sur  un  piano  di  marmo  ros- 
so rilevato  a  guisa  di  carneo  ,  e  le  lettere  e  '1  piano  sono  di  un 
sol  pezzo  di  marmo  ;  come  egualmente  è  il  fregio  rilevalo  che  cir- 
conda la  lapido  rappresentando  una  vile  intrecciala  con  i  suoi  pam- 
pini e  grappolelli  di  u\a  —  lutto  di  invenzione  del  defunto  Rai- 
mondo j  e  da  lui  medesimo  eseguilo. 

Entrato  che  sei  in  sagrestia  scendi  in  un  aliro  lompiello  i;ra(i- 
(lo  (pianto  la  chiesa  di  sopra,  destinato  per  i  sepolcri  d;'lla  discen- 
denza del  Principe  Vincenzo  primogenito  del  Principe  Raimondo. 
Il  deposilo  del  Principe  Vincenzo  sia  situato  sopra  la  porta  picco- 
la a  rinipello  a  quello  del  padre  col  suo  rilratlo  opera  dello  stos- 
so Amalfi.  Questo  cavaliere  fini  nel  17U0 — Passati  questi  due  se- 
polcri veggonsi  le  due  bellissime  cappelline;  una  dedicata  a  s'  0- 
dorisio  in  corno  E[)istolae,  1'  altra  a  s.  Rosalia  iu  cornu  Evange- 
iii  ,  entrambi  santi  di  (piesta  famiglia,  e  su  di  un  urna  di  rosso 
antico  poggiano  le  belle  statuo  di  essi  ,  opere  di  Antonio  Corra- 
dino  Veneziano,  scultore  famosissimo  dcdlo  Imperatore  Carlo  VI. 

Nei  pilastri  di  questa  cappella  nel  primo  a  man  destra  vi  è 
la  statua  dell'amor  Di\iiio  d' ignoto  autore.  A  questa  segue  la  sta- 
tua dell'educazione  del  cavalicr  Oueirolo  irenovese  allievo  del  fa- 
moso  Bussone  romano.  Indi  il  Dominio  di  so  stesso  di  Francesco 
Celebrano  ,  e  finalmente  la  Sincerila  del  Queirolo. 

Dalla  parto  opposta  a  man  sinistra  la  prima  statua  rappresen- 
ta il  Decoro  del  Corradino  ,  indi  la  Liberalilà  del  Queirolo,  ap- 
presso lo  Zelo  della  Religione  del  Corradino,  e  finalni'^nle  li  Soa- 
vità   del  giogo  inatriinoniale  di  Persico  Napolitano-, 


—   199  — 

Giurilo  che  sei  all'  arco  deli'  altare  maggiore  osserva  nei  pi- 
lastri i  due  miracoli  di  scollura  uno  del  Corradino  ,  e  l'allro  del 
Qucirolo. 

Quello  del  primo  è  situato  a  destra  ,  e  rappresenta  la  madre 
del  Principe  Raimondo  figurata  in  una  statua  della  Pudicizia,  vir- 
tù che  sovra  ogni  altra  rilucea  in  questa  Dama  ,  è  coverta  con 
un  velo  trasparente  sotto  del  quale  si  rilevano  tutte  le  fattezze  del 
corpo. 

Questa  maniera  di  scolpire  fu  ignota  ai  nostri  antichi  mae- 
■slri,  ai  Greci  :  giacché  da  essi  i  veli  furono  dipinti  e  non  scol- 
piti—  L'altro  al  lato  opposto  rappresenta  il  padre  del  Principe 
stesso  figuralo  in  una  slatua  del  Dissinganno;  imperocché  questo 
signore  dopo  la  morto  dc'lla  virtuosissima  sua  consorte  ,  dissin- 
gannalo  dalla  instabilità  delle  cose  del  mondo  si  die  ad  una  vita 
esemplare  ,  divenne  Sacerdote  ,  e  mori  con  ricca  fama  di  speciali 
virtù.  Questa  statua  rappresenta  un  uomo  avviluppato  in  una  reto 
da  cui  tenta  distrigarsi  con  1'  aiuto  delle  proprie  forze.  La  rete 
sta  quasi  tutta  isolata  senza  che  tocchi  la  slatua.  E  da  osservarsi 
r  atteggiamento  dell'  uomo  che  cerca  uscir  dalla  rete  per  conchiu- 
dere esser  questo  un  imi  plus  ultra   tra  i  capi  d'opera  dell'arte. 

L'  altare  maggiore  vien  composto  da  due  colonne  di  rosso 
antico,  che  fiancheggiano  un  gran  bassorilievo  di  marmo  figurante 
il  Calvario. 

La  Vergine,  che  à  sulle  ginocchio  il  suo  morto  figliuolo,  s.  Gio- 
vanni ,  e  le  altre  Marie  sono  scolpite  ,  in  una  maniera  assai 
espressiva. 

Nel  gradino  della  mensa  ,  vi  sono  due  putlini  uno  dei  quali 
sostiene  la  Croce  ,  in  luogo  della  quale  può  sostituirsi  la  sfera 
del  SS.  Sagramento  ,  e  1'  altro  con  ambe  lo  mani  sostiene  il  su- 
dario di  G.  C.  il  cui  volto  serve  di  porla  al  ciborio  :  sotto  la 
mensa  poi  vi  è  il  sepolcro  di  N.  S.  con  un  angiolo  in  piedi  in 
alto  di  aprirlo:  questo  e  opera  di  Francesco  Celebrano  —  Neil'  e- 
strema  finalmente  di  questa  macchina  vi  sono  due  Angioli  che 
anno  in  mano  alcuni  istromenti  dèlia  passione  :  nell'alto  dell'  al- 
tare vi  è  situata  1'  antica  immagine  di  S.  Maria  della  Pietà  che 
era  nell'  antica  cappella. 

Al  lato  sinistro  di  questo  altare  si  osserva  il  deposito  del  Pa- 
triarca fondatore  col  suo  mezzo  busto  di  marmo,  a  fianco  al  me- 


—  200  — 
desinio  vi  è  una  porliciiia  che  introduce  ad  una  piccola  Tribuna 
destinala  per  oratorio  delle  persone  della  famiglia.  La  volta  di 
questo  altare  è  dipinta  in  un  perfetto  piano  figurando  una  cu- 
pola che  riceve  il  lume  dal  suo  cupolino  con  meraviglioso  effetto 
ottico.  MagniQco  n'  è  pure  il  pavimento  inlersiato  di  marmi. 

Quanto  di  sopra  è  descritto  vien  tutto  superalo  da  due  me- 
ravigliose opere  ivi  esistenti.  La  prima  6  una  scultura  del  nostro 
Giuseppe  Sanmarlino  in  cui  questo  eccellente  artefice  superava  se 
stesso.  Dinota  questa  scultura  un  Cristo  morto  disteso  sul  catalet- 
to ,  è  coverto  da  un  velo  trasparente,  come  la  Pudicizia  do!  Que- 
iroli  che  si  propose  di  imitare  ;  ma  che  a  giudizio  degli  inten- 
denti lo  superò. 

Non  solo  si  ammira  in  esso  la  trasparenza  del  velo,  ma  l'ar- 
liGciosa  negligenza  del  lenzuolo  ove  posa  il  Divin  Cadavere  e  l'e- 
spressiva positura  della  statua  sembrando  veramente  un  morto. 

L'altra  rarità  sono  due  scheletri  uno  di  donna,  di  uomo  l'al- 
tro lavorali  per  injezione  ,  in  cui  sono  dinotate  tutte  le  arterie  ,  e 
Je  vene  del  corpo  umano,  coverti  con  una  rete  di  argento  ;  ma 
supera  ogni  umana  credenza  lo  scheletro  di  un  Feto  che  mori  in- 
siem  con  la  madre,  della  quale  e  l'anzidetto  scheletro.  Il  foto  è 
vicino  alla  madre  la  quale  sta  in  piedi;  e  la  si  fa  girare  allorno 
per  osservarsene  le  parti  ,  stando  il  bambino  colla  placenta  aper- 
ta, dalla  quale  esce  l'intestino  ombelicale  che  va  ad  unirsi  al  Fe- 
to nel  suo  proprio  luogo:  e  tutte  le  parti  di  questo  stupendo  la- 
voro ,  sono  osservabili  nelle  più  minute  cose,  e  fin  il  cranio  del 
picciol  Feto,  e  la  lingua  della  madre  possono  aprirsi, ed  osservarse- 
ne i  vasi  sanguigni.  Quest'opera  di  somma  pazienza  fu  di  Giusep- 
pe Salerno  medico  anatomico  Palermitano. 


VITA  DELL'ARCHITETTO 

PADRE  GIUSEPPE  ìllERlill 

DELLA  COMPAGNIA  DI  GESÙ 

COX  L'  L\DICAZIO\E  DELLE  SIE  OPERE  ESEGIITE  U  BIPOLI 

CONSISTENTI 

nel 

MAGNIFICO  TEMPIO  DELLA  TRINITÀ  MAGGIORE 
DETTO  IL  GESÙ  NUOVO 

Con  la  descrizione  e  disegno  della  sontuosa  Cupola  ruinata  dal  tremuoto 
nel  1688,  e  da  nessun  autore  sin'  ora  riportata,  con  un  esatta  descrizio- 
ne del  Maggiore  Altare  che  ivi  si  sta  eseguendo  sul  progetto  lasciatane 
dall'or  ora  estinto  Padre  Ercole  Giuseppe  Grossi  de//a  Compa/jnia  di 
Gesù,  conosciutissimo  Oratore. 

Inno  - 1584. 


Torrente  cresciuto 
Per  torbida  piena  , 
Se  perde  il  tributo 
Del  gel  che  si  scioglie  , 
Fra  r  aride  sponde 
Più  r  onde  non  à. 

Ma  il  fiume  che  nacque 
Da  limpida  vena 
Se  privo  è  dell'  acque 
Che  il  verno  raccoglie  , 
Il  corso  non  perde 
Più  chiaro  si  fa. 

Melasi.  Siroe. 


Il  Padre  Giuseppe  Valeriani  della  compagnia  di  Gesù  nac- 
(|ue  in  Aquila  circa  l'anno  11)30,  e  l'anno  1396  mori  in  Napoli 
ove  da  suoi  superiori  era  stalo  inviato  principalmente  perchè 
giovandosi  di  quest'aria  rinfrancar  potesse  le  aflievolite  sue  Ibrze. 

In  questa  nostra  capitale,  come  per  tutto  altrove,  lasciò  di  se 
illustre  e  cara  memoria  non  puro  pel  suo  valore  artistico  ,  ma 
altresì  per  lo  zelo  che  ebbe  ardentissimo  della  salute  delle  anime, 
e  per  una  specialissima  divozione  verso  la  gran  Madre  di   Dio. 

Dedicatosi  egli  fin  dalla  prima  giovinezza  alla  professione  di 
architetto  fece  in  essa  cosi  buona  pruova  che  meritò  di  essere 
nominatamente  posto  nello  scelto  drappello  degli  architetti  italia- 
ni che  da  Filippo  II  furono  chiamati  ia  Ispagna  per  la  fabbrica 
(loil'Escuriale. 

Durante  la  sua  dimora  in  Madrid  il  frequente  conversare  coi 
PP.i  della  Compagnia  di  Gesù,  l'indole  sua  proclive  alla  pietà  ,  e 
sopra  ogni  altro  la  divina  vocazione  gli  misero  nell'  animo  cocen- 
te desiderio  di  dare  il  suo  nome  all'  istituto  religioso  teste    men- 


—  204  — 
tovalo;  ed  il  recò  ad  effetto  contando  l'anno    trentesimo    dell'età 
sua.  E  come  si  trovava  di  avere  già  sufilcionza  di    buoni    studii 
leltcrarii   e  filosofici,  fu  posto  ad  apprendere  alcun   poco   di  teo- 
logia e  indi  sacralo  sacerdote. 

I  superiori  della  Compagnia  ,  non  clie  trascurare  o  avere  in 
poco  conto  il  sapere  del  Valeriani  in  fatto  di  Architettura  ,  lo 
\oli('ro  anzi  per  ogni  possibile  guisa  accresciuto  e  perfezionato. 
Al  fjual  uopo  dopo  alquanti  anni  il  P.  Preposito  Generale  Clau- 
dio Acquaviva  lo  n'cbiamò  di  Spagna  a  Roma,  ove,  oltre  l'agio 
di  usare  frequentemente  e  comunicar  sue  ideo  co'più  pregiati  mae- 
stri dell'arie  clie  d'ogni  tempo  e  d'ogni  parte  per  la  munificenza 
dei  Romani  Pontefici  trassero  in  questa  sede  principalissima  del- 
le arti  belle,  ebbe  ancora  molte  occasioni  da  esercitare  il  valor 
suo  in  più  opere  delle  quali  il  sommo  Pontefice  Gregorio  XIH 
ebbe  mollo  a  lodarsi.  Il  P.  Claudio  Acquaviva  so  ne  giovò  an- 
eli* egli,  0  sia  per  edificar  da  capo  più  chiese  dell"  ordine  suo  iu 
varie  città  d'Italia  ,  e  di  queste  fu  appunto  quella  della  già  casa 
Professa  (ora  collegio  Massimo)  dei  PP.  Gesuiti  in  Napoli  volgar- 
mente della  Gesù  Nuovo. 

Solo  e  a  compiangersi  che  chiamato  altrove  il  P.  Valeriani 
non  potette  soprastare  all'edificazione  di  questa  bella  e  magnifica 
chiesa,  onde  avvenne,  per  colpa  di  chi  noi  trovo  registrato  che 
nella  esecuzione  il  suo  disegno  di  castigatissimo  stile  ,  fosse  al- 
quanto deturpato.  Ren  egli  è  vero  che  per  comando  del  più  volte 
ricordato  P.  Generalo  dell'ordine  si  mise  in  opera  quel  più  che  si 
potelle  per  ritornar  l'opera  al  suo  primo  tipo.  Ma  o  fosse  manco 
di  danaro,  o  la  morte  sopraggiunta  al  Valeriani  che  nell'ultima 
sua  venuta  a  Napoli  si  occupava  di  racconciare  il  male  eseguito, 
o  qualunque  siasi  altra  cagione,  certo  è  che  anche  al  presente  ri- 
mane in  questa, del  resto  bellissima  chiesa,  alcunché  di  barocco. 

Chi  voglia  formarsi  un'idea  alquanto  più  precisa  dello  schiet- 
to disegno  primitivo  del  Valeriani,  potrà,  avendone  l'agio,  veder- 
la incarnatxv  nel  fatto  nella  chiesa  della  casa  Professa  della  com- 
pagnia di  Gesù  in  Genova,  di  assai  più  piccole  dimensioni  ,  ma 
di  disegno  ritraente  perfettamente  il  concetto  del  P.  Valeriani  , 
che  salvo  l'ara  massima,  ne  diresse  egli  stesso  la  costruzione. 

Tulli  i  nostri  scrittori  di  patrie  cose  (  forse  perchè  l'un  l'al- 
tro ciecamente  copiandosi  )  riportano  che  l'architetto  del  più  voi- 


—  205  — 
le  ripeluto  magnifico  monumento  della  Trinità  Maggiore,  sia  sta- 
lo il  P.  Proveda  di  nazione  Spagnuola,  ancli'egli  Gesuita:  tra  que- 
sti il  nostro  Canonico  Celano,  e  quel  clic  più  reca  meraviglia  il 
Milizia  nelle  sue  memorie  degli  arcliilclli.  INon  polendo  averne  la 
vita,  io  pure  nella  mia  prefazione  caddi  nello  accennato  errore: 
ma  portatomi  dai  PP.  Gesuiti  onde  attingere  notizie  certe  e  si- 
cure per  sì  importante  Tempio,  ebbi  il  bene  d'avere  quanto  lio 
esposto  da  un  deTP.  della  sullodata  Compagnia  il  quale  concbiu- 
deva  i  cenni  datimi,  dicendo  che  questi  sono  stali  tolti  dalla  isto- 
ria della  Compagnia  di  Gesù  appartenente  al  Regno  di  Napo- 
li, la  quale  sulle  memorie  allora  esistenti  nell'archivio  de' PP. 
Gesuiti  in  Napoli  fu  descritta  dal  P.  Francesco  Schinosi  dell' istes- 
ea  Compagnia. 

Descrizione  del  Tempio. 

Ai  li5  agosto  1384  col  disegno  e  modello  del  P.  Giuseppe 
Valeriani  della  Compagnia  di  Gesù,  espertissimo  nell'architettura 
vi  fu  posta  la  prmia  pietra,  e  cosi  principiossi  il  famoso  monu- 
mento, che  si  può  stimare  uno  dei  più  belli  e  maestosi  dell'Eu- 
ropa. 

La  prima  pietra  con  i  soliti  riti  fu  benedetta  da  Lelio  Bran- 
caccio Arcivescovo  di  Taranto,  e  situata  da  D.  Pietro  Giron  Du- 
ca di  Ossuna  allora  Vice-Re  del  Regno.  Dopo  pochi  anni  si  vide 
eretta  la  chiesa,  non  restandovi  altro  da  fare  che  la  meraviglio- 
sa cupola. 

Nell'anno  1600  fu  solennemente  consacrata  dal  Cardinale  Al- 
fonso Gesualdo  nostro  Arcivescovo,  assistito  da  tutto  il  suo  capi- 
tolo, e  da  molti  Vescovi  ed  Arcivescovi. 

La  cupola  si  vide  perfettamente  terminala  ,  ed  abbellita  che 
fu  di  generale  meraviglia  ,  sendo  una  delle  più  famose  non  solo 
in  Napoli  ma  nell'  Europa  nell'  epoca  anzidetta. 

Neil'  anno  1680  ai  3  di  giugno  ne  fu  comunemente  lacri- 
mata la  rovina  cagionatalo  dal  tremuoto. 

Non  solo  bramo  descriverla  perchè  ,  o  lettore  ,  tu  ne  abbii 
in  queste  mie  carte  la  memoria,  ma  voglio  da  vantaggio  che  tu 
possa  osservarla  nella  mia  tavola  13.*  Iradisegnala  dall'originale 
esistente  nell'  archivio  de'  PP.  Gesuiti;  il  qual  originale  disegno  e 


—  20G  — 
stalo  a  nio  benignamente  consegnato  a  copiarlo  dal  sullodato  Pa- 
dre col  permesso  ottenutone  dai  suoi  superiori  ;  al  piede  dei  detto 
originale  evvi  la  seguente  scritta. 

Cupola  della  magnifica  chiesa  della  SS.  Trinità  Magfjiore  ,  ulim  del 
Gesù  Nuovo  da  me  con  la  massima  esallezza  misìtrala  e  disegnala  nel- 
r  anno  1109  per  essere  riparala  ,  ed  indi  neW  anno  1118  per  un  giudi- 
zio di  Dio  miseramenle  demolila. 

Si  stima  gucsla  fatica  di  Ire  mesi  per  ducali  100.  Giuseppe  Maura 
Archilello. 

E  assai  più  grande  e  più  egregiamente  ornata  la  cupola  della 
Patriarcale  Basilica  di  s.  Pietro  in  Roma  :  ma  non  più  semplice, 
nò  più  naturale,  ne  più  elegante  di  questa  di  Napoli  ideata  dise- 
gnala, e  costrutta  da  un  semplice  Religioso  Padre  dello  stesso  col- 
legio Gesuita. 

Il  tamburo  dal  suo  primo  cornicione  lino  al  secondo  incluso 
era  di  altezza  pai.  153. 

Il  diametro  dell'  intradosso  di  palmi  66.  Quello  dell'estrados- 
so 80  —  Il  gonfio  0  tubo  fino  al  cupolino  era  di  pai.  102,  par- 
lando della  misura  di  dentro  ,  imperocché  al  di  Inori  s'innalzava 
in  altri  palmi  32  ,  perchè  tra  1'  introdosso  e  I'  estradosso  vi  si 
caminava  per  una  scala  che  montar  facea  sino  al  piano  del  cupo- 
lino ,  il  quale  avea  di  altezza  palmi  ol  fin  sotto  la  sfera  che  era 
di  rame  dorato  avendo  un  diametro  di  otto  palmi. 

Il  diametro  del  cupolino  nel    di  dentro  era  di    novo  palmi  , 
nel  di  fuori  32.  Era  vagamente  adornato  da  otto  colonne  di    pi- 
perno  dolce  che  con  le  loro  basi  e    capitelli  aveano    1'  altezza  di 
palmi  16,15.  Vi  erano  all'  interno  vasi  e  balaustre. 

La  cupola  veniva  compartita  da  numero  sedici  fasce  che  nel 
di  fuori  formavano  cordoni  ,  e  nel  di  dentro  eran  piane  ,  tutte 
stucchiate  e  poste  in  oro.  Fra  queste  fasce  il  gran  pennello  del 
Cav.  Giovanni  Lanfranco  dipinto  vi  avea  il  Paradiso  ,  che  vera- 
mente era  tale  agli  occhi  corporali. 

In  sei  mesi  e  10  giorni  fecero  i  PP.  rifare  il  tamburo  della 
cupola  ,  la  volta  di  s.  Ignazio,  e  rimediarono  T  altare  in  un  mo- 
do ,  che  ai  2  dicembre  cominciarono  ad  oOIciare  ;  avendo  fino 
a  quel  d'i  fatti  i  loro  esercizj  nella  chiesa  di  S.  Chiara. 

Darò  in  queste  mie  carte  contezza  degli  artefici  che  vi  lavo- 
rarono per  gii  ornamenti. 


Le  volte  furono  ornalo  di  stucco  doralo  e  dipinte  da  valenti 
artisli. 

In  quella  dell'  aliare  maggiore  vi  si  espressero  varie  storie 
della  SS.  Vergine  alla  quale  è  dedicato  col  titolo  dell'Immaculata 
Concezione  ed  è  opera  del  nostro  Cavaliere  Massimo  Stanzioni  — 
Quello  del  cappellone  di  S.  Ignazio  era  tutta  posta  in  oro,  e  di- 
pinta da  Belisario  Corenzio.  Fu  dopo  dai  sullodali  Padri  Gesuiti 
fatta  ornare  di  nuovo  nella  stessa  guisa  e  la  dipinse  l'altro  Na- 
politano distinto  artefice  Paolo  de  Matteis. 

Quella  del  cappellone  di  S.  Francesco  Saverio  dove  simil- 
mente sono  dipinte  molle  azioni  del  Santo,  e  quella  che  sta  sidla 
porta  dove  si  vedono  enigiati  molti  miracoli  fatti  al  nome  di  Ge- 
sù sono  opera  del  sullodato  Corenzio  :  ma  in  tempo  della  sua 
avanzata  età,  che  tutto  non  potea  eseguir  di  sua  mano.  Queste  due 
volte  furono  anco  guaste  nelle  pitture  per  la  disgrazia  del  tre- 
muoto  di  sopramenzionato.  In  seguito  vi  furono  rifatte  le  sudette 
dipinture  dallo  stesso  de  31atteis  ;  e  sono  i  due  quadri  di  mezzo 
alla  volta  di  s.  Francesco  Saverio  ,  ed  altro  laterale  alla  mede- 
sima. 

La  cupola  nella  qnalc  come  di  sopra  ò  detto  stava  espresso 
il  Paradiso  dai  divino  pennello  del  Lanfranco  ,  avea  nei  quattro 
angoli  maravigliosamente  effigiati  i  quattro  Evangelisti  :  e  questi 
rimasero  ,  osservali  e  vedrai  quattro  miracoli  dell'  arte. 

Dopo  pochi  anni  la  detta  cupola  fu  rifatta  con  disegno  e  di- 
rezione dell'  architetto  Guglielmi  ,  e  similmente  dipinta  dal  do 
Blatteis  ,  non  essendovi  rimaste  delle  dipinture  del  Lanfranco  che 
quattro  figure  sopra  due  finestre  del  tamburo  che  riguardano  la 
porla  maggiore.  Gli  ornamenti  achitettonici  dorati  del  dello  tam- 
buro sono  opera  di  Francesco  Saracino  ,  posteriormente  riparata 
dall' archiletlo  Luigi  Vanvitelli  ,  ed  indi  dietro  un  congresso  di 
vari  architetti  ,  tra  quali  il  cav.  Fuga  ,  si  risolvette  demolirla  , 
come  nel  fatto  fìi  demolita  nel  1778  ,  ed  in  sua  vece  vi  venne 
surrogata  l'attuale  scudella  ! 

L'  altare  maggiore  di  ricchi  e  preziosi  marmi  dovca  farsi  col 
disegno  e  modello  del  celebre  cav.  Fanzaga  :  ma  perchè  passato 
a  miglior  vita  fu  in  molte  parti  da  altri  variato,  non  senza  qual- 
che danno,  di  modo  che  dir  non  si  potea  vero  disegno  del  Fan- 
zaga. Questo  ed  altri  furono  i  motivi  di  nou  vederlo  sin' ora  ter- 


—  208  — 
minalo.  Il  lutto  esporrò  nella  vita  ed  opere  del  suUodalo  distinto 
artefice  cav.  Fanzaga. 

AlUialmente  il  dello  magnifico  altare  in  pietre  dure  si  sta 
costruendo  come  qui  appresso. 

Il  disegno  dell'  altare  o  sia  guardato  nel  suo  complesso  ,  o 
sia  ne'  suoi  più  minuti  particolari  è  in  tulio  idea  del  Padre  Er- 
cole Giuseppe  Grossi  della  compagnia  di  Gesù,  Ferrarese,  cono- 
sciutissimo  oratore  ,  mancato  ai  vivi  in  Napoli  in  quest'  anno  i- 
slesso  18156  ai  22  marzo. 

L' idea  del  P.  Grossi  fu  espressa  in  disegno  lineare  dal  va- 
lente artista  signor  Postiglione,  e  questo  disegno  incontrò  cotanto 
1'  approvazione  degli  artisti  non  meno  che  degli  amatori  di  belle 
arti  che  frullò  al  Grossi  1'  onore  di  essere  nominato  socio  dell'ac- 
cademia di  belle  arti. 

L'  esecuzione  dell'  altare  fu  allogata  al  valoroso  pietrista  ro- 
mano Innocenzio  Zecchini. 

Gli  artisti  incaricati  dei  bassorilievi  e  della  cesellatura  dei 
medesimi  furono: 

Il  cavaliere  Gennaro  Cali  Napolitano,  per  la  massima  parte. 
Il  cavaliere  Salvatore  Irdi  puranco  napolitano,  pel  bassorilie- 
vo esprimente  la  promessa  dell'  Eucaristia.  Enrico  Giova  e  compa- 
gno —  Francesco  Liberti. 

Masulli  per  la  massima  parte  fonditore,  e  cesellatore:  e  tulli 
Napolitani.  Pel  rimanente  il  Reale  Opificio  di  Pietrarsa. 

Le  pietre  dure  impiegale  furono  :  Porfido  -  Agata  nera  -  Dia- 
spro verde  -  rosso  -  giallo  -  e  fiorito — Villafranca  -  Monreale  -  s.  Cri- 
stina -  Caleare  -  Serpentino  -  Lapislazoli  -  Malachite  -  Amatisla. 

Valore  dell'  aliare  esclusi  i  due  grandi  candelabri  con  la  cro- 
ce anche  essi  ideali  dal  P.  Grossi  (  che  vagliono  circa  ducali  un- 
dicimila )  sarà  a  un  di  presso  cinquantamila  ducati  Napolitani. 

L' altare  sarà  largo  ed  allo  siccome  l' antico  commisurato 
egregiamente  alla  chiesa  ed  al  cappellone.  Tutta  l'alzata  sarà  di- 
visa in  quattro  zone  ,  la  prima  del  basamento  ,  la  seconda  della 
mensa ,  la  terza  del  ciborio  o  del  gradino  minore,  la  quarta  del 
tabernacolo  o  del  gradino  maggiore. 

La  prima  ed  infima  ,  non  avendo  altro  ufficio  che  di  base  , 
s'  alzerà  in  uno  zoccolo  ed  in  un  soprazoccolo  di  pietra  dura 
di  color  serio  a  dimostrare  solidità.  Ella  pareggia  in   altezza  la 


—  -209  — 
gradinala  composta  di  quallro  scaglioni  e  di  una  predella  il  liitlo 
in  marmo  di  color  nobile. 

La  seconda  zona  ,  quella  cioè  della  mensa  ,  presenta  il  pal- 
liotto  della  mensa  e  due  fiancale  laterali  terminanti  a  pilastro. 
Poiché  l'altare  è  del  Santissimo  Sacramento  si  è  voluto  che  tutto  l'or- 
namenlazionc  si  dirigesse  all'Eucaristia.  Dunque  per  due  statuette, 
cinque  bassorilievi,  sei  quadrature  e  due  busti  si  vollero  esprimere 
in  questa  zona  i  fatti  precipui  dell'antico  testamento,  del  testamento 
nuovo,  della  storia  ecclcsiaslica  relativi  alla  Eucaristia,  ed  oltre  a  ciò 
la  materia  remota,  la  materia  prossima,  ed  il  culto  dell'augustissimo 
Sacramento. 

Quattro  sono  i  fatti  più  notabili  dell'  antico  teslaracnlo  e  si  ac- 
cennano come  segue. 

Il  palliotto  è  finito  ai  lati  da  due  pilastrini    ornali    dalle  fi- 
gure intere  e  tonde  l'una  di  Aronne  levante  nella  destra  un  vaso 
colmo  di  manna   simbolo  dell'Eucaristia  Pane  del  Cielo,    l'altro 
di  Melcbiscdecco  avente  nella  destra  un  pane  e  nella  sinistra  un 
calice,  sendo  questo  Re  Sacerdote  1'  ofieritore    primiero  di  un  sa- 
crifizio di  pane  e  di  vino  ,  dal    quale    prefiguravasi    l'  Eucaristia 
istituita  sotto  quelle  due  specie  e  per  lo  quale  il  divino  istitutore 
si  chiamò  Sacerdos  in  aeiermim  secundum  ordinem  Melchisedcch. 
Ne'  due  lati  della  mensa  che  guardano   lo  fiancate  si  vedranno  in 
due  bassorilievi  gli  altri  due  fatti:  Elia  che  riceve  dall'Angolo  il 
pane  succinericcio  ,  con  la  vigoria  del    quale  camminò  quaranta 
giorni  ,    e  quaranta  notti  fino  al  monte  Orebbe  ,  prenunziamento 
della  Eucaristia  viatico;  e  la  famiglia  di  Mosè  ,  la  quale  in  Egit- 
to mangia  1'  agnello  pasquale  ,  figura  della  Eucaristia  Sagrificio  e 
Sagramenlo. 

I  fatti  del  nuovo  testamento  sono  tre  ,  e  sì  dimostrano  in  tre 
bassorilievi.  Il  primo  nella  fiancata  dal  lato  della  epistola  è  la  pro- 
messa della  Eucaristia.  Il  Redentore  nel  deserto  disse  ai  discepo- 
li :  se  non  mangerete  la  inia  carne  e  non  bevete  il  mio  sangue 
non  avrete  la  vita. 

Molti  dei  discepoli  spaurati  e  seandalezzati  per  avere  inteso  in 
senso  materiale  e  cruento  le  parole  dei  Salvatore  lo  abbandonano; 
ma  Egli  volto  ai  rimanenti  inlerrogolli  :  volete  forse  andarvene 
ancor  voti  S.  Pietro  tutto  fervore  di  fede,  gli  risponde:  Signore 
a  chi  ne  andremo  noi?  Foi  avete  le  parole  della  vita  eterna. 
Sasso  —  Voi.  I.  27 


—  2t0  — 

n  gruppo  do'  discepoli  che  partono  ,  il  Salvatore  interroigan- 
le  ,  s.  Pietro  innanzi  ai  discepoli  fedeli  che  risponde  ,  formano 
il  soggetto  del  bassorilievo. 

II  secondo  fatto  effigiato  nel  palliolto  e  la  istituzione  della 
Eucaristia  ,  ossia  il  signor  nostro  Gesù  Cristo  che  assiso  con  tutti 
gli  Apostoli  all'  ultima  cena  consacra  e  transuslanzia  il  pane. 

Il  terzo  fatto  nella  fiancata  dal  Iato  dell'Evangelio  è  la  prima 
coireecrazione  della  Eucaristia  fatta  ,  secondo  gravissimi  interpre- 
ti ,  dal  Redentore  risorto.  V^edesi  questo  assiso  alla  mensa  di  Em- 
maus  coi  due  discepoli  nel  momento  che  questi  lo  riconoscono  in 
fraelione  panis. 

Ai  lati  di  ciascuno  di  questi  tre  bassorilievi  vi  sono  due  ri- 
quadrature incorniciate.  Nelle  due  a  destra  del  riguardante  vedi 
significata  la  materia  remota  della  Eucaristia  con  un  Angelo  in 
ciascuna  che  sostiene  e  mostra  nella  prima  un  grappolo  di  uva, 
nella  seconda  un  manipolo  di  spighe. 

Le  due  riquadrature  a  sinistra  dell'osservatore  offrono  la  ma- 
teria prossima  per  due  Angeli  portanti  1'  uno  ostia  e  la  patena  , 
l' altro  le  ampolle  del  vino  e  dell'  acqua. 

Nelle  due  riquadrature  del  palliolto  vedi  il  culto  della  Euca- 
ristia in  due  Angeli  tenenti  1'  uno  il  turibolo  e  1'  altro  la  navi- 
cella dell'  incenso. 

Le  due  fiancate  son  chiuse  all'  estremità  da  due  pilastri.  In 
ciascuno  di  essi  osservi  una  nicchia  conchigliare  rotonda  con  en- 
tro un  busto  grande  al  vero.  Indicano  essi  due  fatti  precipni  della 
istoria  ecclesiastica  relativi  all'  Eucaristia.  Il  busto  alla  tua  sini- 
stra è  delia  beata  Giuliana  da  Liegi ,  quello  a  destra  di  s.  Gae- 
tano Tiene.  La  prima  ricorda  la  istituzione  della  festa  del  Cor- 
pus Domini  che  a  lei  si  deve,  il  secondo  la  istituzione  delle  Qua- 
rantore  di  cui  egli  credesi  autore. 

Cosi  termina  la  seconda  zona.  Se  non  che  al  di  là  dei  pilastri 
continuando  alquanto  il  basamento  vi  s'innalza  sopra  dall'una  e 
dall'altra  parte  dell'altare  un  grande  candelabro.  In  esso  posano 
su  base  riccamente  ornata  il  bue  ed  il  leone  ,  i  quali  sosten- 
gono un  globo.  Sopra  questo  si  libra  1'  aquila  ,  che  con  le  sue 
ali  aperte  insieme  ad  ornati  sostenta  un  piano  dal  quale  sorge 
l'Angelo  avente  fra  le  mani  un  cornucopia  ,  che  leggiadramente 
serpendogli  sul  petto  e  sull'omero  termina  dietro  la  testa  in  una 


—  211  — 
lainpana  sempre  accesa,  I  quattro  animali  significano  i  quattro  E- 
vangelisli  promiilgatori  del  mistero  Eucaristico.  Il  globo  è  la  ter- 
ra ,  luogo  della  promulgazione  del  mistero  ,  la  fiam  mclla  simbo- 
leggia la  luce  di  celeste  sapienza  e  1'  ardore  di  carità  che  di  co- 
lai promulgazione  furono  effetto. 

Sovra  la  seconda  zona  corre  la  terza  che  può  dirsi  del  cibo- 
rio ,  0  della  Comunione.  Tutto  1'  ornato  di  essa  si  riferisce  ap- 
punto a  questo  Sagramcnto.  Nei  due  pilastrini  della  estremità  un 
Angelo  con  ispada  di  fuoco  spaventa  e  dilunga  un  capro,  a  mo- 
strar che  i  peccatori  ostinati  non  debbono  accostarsi  all'  Eucaristica 
mensa.  Dal  pilastro  al  tabernacolo  serpeggia  un  ornato  a  pastorale, 
piegantesi  in  cerchi.  Nel  punto  medio  dell'  ornato  stassi  un  Ange- 
lo custode  ,  e  dentro  i  cerchi  colombe  e  agnelli  ,  simboli  delle 
anime  buone  ,  che  si  muovono  verso  1'  Angelo  quasi  per  esser 
guidate  alla  Comunione. 

In  due  sporti  del  basamento  del  tabernacolo  duo  persone  in- 
ginocchiate mostrano  brama  di  comunicarsi.  Ad  ambe  un  angelo 
appresenta  uno  specchio  simbolo  dell'  esame  e  della  confessione 
che  vuol  premettersi  alla  Comunione.  Finalmente  sulla  porticclla 
del  ciborio  un  Angelo  guida  verso  la  pisside  una  verginella  in- 
ghirlandala di  gigli  ,  simbolo  dell'  anima  purificata  che  accosta- 
si al  convito  Eucaristico. 

Dalla  terza  sorge  la  quarta  ed  ultima  zona  destinata  a  ram- 
mentare le  glorie  della  Eucaristia.  Gloria  di  quattro  maniere. Pri- 
ma i  Dottori  che  1'  augusto  Sacramento  glorificarono  con  la  pen- 
na. Tutta  la  zona  è  corsa  da  pilastrini  corinti  scanalati  che  ri- 
chiamano con  la  forma  ed  i  colori  1'  architettura  della  Chiesa. Tra 
ogni  due  pilastri  s'  apre  una  nicchia  rotonda  conchigliare  e  den- 
trovi  un  busto.  Quattro  dei  busti  figurano  i  Dottori  Eucaristici  che 
sono  1°  S.  Paolo  Apostolo  il  quale  infra  tutti  gli  scrittori  di- 
vinamente ispirati  scrisse  del  grande  mistero  più  ampiamente  ,  e 
minutamente.  2°  S.  Cirillo,  Patriarca  di  Gerusalemme  ,  che  in- 
torno all'  intima  natura  della  Eucaristia  fiivcllò  nelle  catechesi 
più  apertamente  di  lutti  gli  antichi  Padri.  3°  11  Beato  Lanfranco 
Cantuariense  ,  il  primo  a  scrivere  contro  1'  eresiarca  Berengario 
quando  costui  primo  d'  infra  tutti  gli  eretici  osò  negare  la  reale 
presenza  del  N.  S.  Gesù  Cristo  nella  Eucaristia.  4°  s.  Tomma- 
so d'  Aquino  che  condusse    la  dottrina   Eucaristica    a    si   allo  se- 


212  

gno  di  chiarezza  ,  e  certezza,  che  nulla  polè  mai  dopo  cangiarsi 
neppur  nelle  forinole  dei  vocaboli. 

Allre  due  nicchie  con  altri  due  busti  mostrano  la  seconda  ma- 
niera di  gloria  venuta  all'augusto  Sacramento  dai  Santi  che  l'o- 
norarono di  estraordinaria  devozione.  I  due  Santi  elelli  a  rappre- 
sentare gli  altri  sono  s.  Francesco  Borgia  e  s.  Pasquale  Baylon. 
La  terza  maniera  di  glorificazione  venne  all'  Eucaristia  dai 
portenti.  Ne  furon  trascelti  due  come  conosciulissirai  e  ripetuti 
molte  volte.  Neil'  uno  dei  pilastri  che  chiudono  questa  zona  si  ve- 
drà un'Ostia  che  spezzata  gronda  e  schizza  copiose  gocciole  di 
sangue  ,  ncll'  altro  un'Ostia  illesa  tra  le  fiamme  di  un  incendio. 
La  quarta  maniera  di  glorificazione  derivasi  dall'  adorazione 
dei  Beati  e  degli  Angeli  verso  l' Eucaristia. 

Il  tabernacolo  sarà  ornato  di  quattro  colonne  corintie  e  di 
Ire  nicchie.  Le  due  nicchie  minori  negli  intercolunnii  esprime- 
ranno r  adorazione  dei  Beati  verso  1'  Eucaristia.  I  Beati  si  divi- 
dono tutti  in  martiri  e  confessori. 

I  martiri  verranno  rappresentati  nella  nicchia  a  destra  dal 
protomartire  s.  Stefano  ,  i  confessori  da  s.  Antonio  Abate  il  più 
celebre  fra  gli  antichissimi  salito  agli  onori  dell'  altare  sebbene 
non  coronato  di  martirio. 

L'  adorazione  degli  Angeli  vedrassl  accennata  come  segue. 
La  nicchia  di  mezzo  conterrà  sempre  1'  ostensorio  con  l'Ostia 
consacrata.  Sarà  chiusa  da  una  porticella  univalva  in  bronzo  do- 
ralo. A  due  terzi  d'  altezza  di  essa  porticella  vedrassi  un  leggie- 
ro nuvolato  ,  donde  scenderà  un  velo  sin  verso  il  fondo-  Quivi 
un  Cherubino  per  parte  con  una  mano  alzerà  il  lembo  del  velo, 
con  r  altra  accennerà  il  grande  mistero  che  vi  si  asconde. 

Sopra  il  nuvolato  sarà  un  gruppo  di  Serafini  in  atto  di  strug- 
gersi d'amore  verso  il  Signore  Sacramentato.  Si  elessero  Cherubini 
e  Serafini  come  Angeli  dei  due  supremi  cori,  quegli  Angeli  della 
scienza  degni  di  venerare  la  profondità  del  grande  mistero,  que- 
sti Angeli  dell'  amore  i  più  adatti  ad  adorare  il  Sacramento  del- 
l' amore.  Terminerà  il  tabernacolo  a  forma  di  un  arco  trionfale 
con  un  fregio  in  cui  vedrgssi  l'argomento  di  tutto  l'altare  ia  due 
parole  Deus  Absconditcs- 

Sopra  una  cornice  poscia  un  piccolo  attico  da  cui  sorge- 
rà la  consueta  Croce. 


—  213  — 

Se  r  ccccllenlc  progetto  del  P.  Grossi  ,  sarà  corrispondente- 
menle  mentilo  avanti  dagli  artisti,  sarà  l'altare  della  Trinità  Mag- 
giore uno  de'  più  bei  monumenti  del  secol  nostro  ,  e  non  farà 
invidiare  quanto  di  pregevole  e  di  fantastico  venne  eseguito  nel 
risorgimento  delle  arti. 

Passando  poi  per  sotto  1'  organo  dalla  parte  dell'  Evangelo  , 
si  vede  la  cappella  di  s.  Francesco  di  Girolamo  ;  sotto  il  cui 
altare  si  venera  il  corpo  di  detto  Santo.  Nei  lati  di  essa  sono  due 
famosissimi  reliquiari  dove  si  conservano  centosessanta  corpi  di 
Santi  martiri,  parte  di  essi  interi,  e  sovra  tutti  il  corpo  di  s.  Ci- 
ro ,  ed  altre  reliquie  insigne  come  la  testa  di  s.  Barnaba  Apo- 
stolo ,  e  quattro  teste  delle  compagne  di  s.  Orsola. 

La  volta  di  questa  cappella  fu  dipinta  dal  nostro  celebre  So- 
limena  ,  e  fu  la  sua  prima  opera  a  fresco  avendo  appena  an- 
ni 18. 

Segue  appresso  la  cappella  della  nobile  famiglia  Carafa  dei 
Duchi  di  Maddaloni,  dedicata  al  Crocifìsso,  tutta  adornata  di  bel- 
lissimi marmi.  La  statua  del  Signore  in  croce  e  l'altare  di  sot- 
to sono  opere  del  nostro  Francesco  Mollica  accurato  scultore  in 
legno. 

La  cupola  che  vedesi  su  queste  due  cappelle  ,  ed  in  cui  è 
espressa  la  sommersione  di  Faraone,  e  parimenti  la  volta  e  gli  An- 
geli sono  dipinti  dal  cav.  Giovan  Battista  Beoasca.  Da  questa  si  pas- 
sa al  cappellone  della  nave  maggiore  dedicata  a  s.  Ignazio,  ricco 
di  sei  grosse  colonne  di  marmo  africano  ,  e  di  breccia  di  Fran- 
cia ,  con  altri  vaghissimi  ornamenti  fatti  sul  disegno  e  modello 
del  Cavalier  Cosimo.  Le  due  statue  di  marmo  che  sono  nelle  nic- 
chie grandi  più  del  naturale,  rappresentano  Davide  ,  e  Geremia, 
statue  stimale  dagli  intendenti  come  lavoro  di  molto  studio  e  di 
notevole  perfezione  ,  sono  dello  stesso  autore. 

Questo  si  bel  cappellone  fu  in  molte  parti  maltrattato  dalla 
volta  che  cadde.  Il  gran  quadro  che  rappresenta  s.  Ignazio  in 
ginocchioni  davanti  al  Signore  ,  che  gli  apparisce  con  la  Croce 
sulle  spalle  è  opera  del  nostro  Girolamo  Imparato.  I  tre  quadri 
che  sono  al  di  sopra  esprimenti  alcune  azioni  del  Santo  sono 
opere  dell'  esimio  Giuseppe   de  Ribera  detto  lo  Spagnolette. 

Segue  appresso  la  ricca  cappella  tutta  adorna  di  ben  lavo- 
rati marmi  fatta  a  spesa  del  Reggente   Ferrante   Fornaro  luogo- 


—  214  — 

lenente  della  Regia  Camera.  Le  statue  che  in  essa  si  vedono,  so- 
no opera  di  Micliclangelo  Naccarini. 

Il  quadro  nel  quale  sta  effigiata  la  nascita  di  Nostro  Signo- 
re Gesìi  Cristo  è  opera  dell'  Imparato. 

La  cupola  e  la  volta  sono  dipinte  a  fresco  dal  Corenzio,  ed  è 
una  delle  più  belle  sue  opere.  L'  arco  che  corrisponde  alla  nave 
pure  dipinto  a  fresco  con  1'  altro  che  segue  ,  sono  del  pennello 
del  Cavalier  Giacomo  Farelli.  La  suddetta  cappella  fu  comprala 
dall'  Eminontissimo  Cardinale  Coscia,  ove  fu  sepolto  ed  oggi  i;  di 
proprietà  del  signor  Duca  Coscia. 

Seguo  appresso  altra  cappella  similmente  adorna  di  ricchi 
marmi  :  fu  fatta  a  spese  del  Consigliere  Ascanio  Musceltola.  Le 
statue  di  marmo  che  in  essa  trovansi  sono  opere  di  Pietro  Berni- 
ni ,  e  del  Margaglia. 

Il  quadro  di  mozzo  dove  è  rappresentata  la  Vergine  con  molti 
Santi  martiri,  è  opera  del  nostro  Giovanni  Bernardino  Siciliano, 
che  non  sapea  dipingere  il  volto  della  Vergine  se  non  in  ginoc- 
chioni per  divozione  e  riverenza  ,  e  le  dipinture  a  fresco  sì  nella 
volta  che  nella  scudella  sono  dello  stesso  autore 

La  parete  della  porta  d' ingresso  nel  lato  interno  è  adorna 
di  vaghissimi  marmi  mischi  commessi.  Il  quadro  sulla  porta  do- 
voa  esser  dipinto  da  Luca  Giordano  ,  che  di  già  ne  avea  fatte  le 
macchie;  ma  fu  dipinto  dal  Solimena  esprimente  il  fatto  di  Elio- 
doro. 

Passa  dal  lato  dell'  Epistola  e  vedi  la  prima  cappella  presso 
la  porta  laterale  tutta  incrostata  di  finissimi  marmi,  simile  a  quel- 
la dei  Martiri  che  le  sta  dirimpetto  :  fu  fatta  a  spese  di  Giovan 
Tommaso  Borrello  dal  cui  gran  patrimonio  venne  accresciuto  il 
Monte  per  sovvenire  i  poveri  vergognosi  ,  Monte  che  si  governa 
dai  fratelli  della  Congrega  detta  dei  Nobili  eretta  in  questa  casa. 

Nella  slessa  cappella  sono  quattro  statue  che  rappresentano 
diversi  Santi.  Le  duo  dalla  parte  doli' Evangelio  sono  del  Cavalier 
Fanzaga,  eie  altre  due  del  Naccarini.  Il  quadro  dove  sta  espresso 
s.  Carlo  Borromeo  è  opera  del  nostro  Fabrizio  Santafede,  Le  di- 
pinture a  fresco  sono  di  Giovanni  Borardino  Siciliano.  La  scu- 
della di  Giuseppe  Simcvnelli  ,  e  1'  arco  che  corrisponde  alla  volta 
maggiore  è  un  dipinto  del  Solimena. 

L'altra  che  segue  a  questa,  dedicata  alla  visitazione  della  Ver- 


—  21o  — 

gine  ,  similmenlo  adorna  di  marmi  commessi  fu  falla  a  spese  di 
Francesco  Morlini  Roggonto  di  Cancelleria  ,  e  Presidente  del  S. 
R.  C.  uomo  di  profonda  dollrina.  Il  quadro  nel  quale  sia  espres- 
sa la  visilazione  di  s.  Elisabella  con  s.  Zaccaria  e  s.  Giuseppe  è 
opera  del  Cavalier  Massimo  ,  che  per  essere  passalo  a  miglior  vi- 
ta il  lasciò  imperfelto  ,  e  fu  terminalo  da  uu  suo  discepolo  detto 
il  Pozzolano,  giovane  che  se  non  fosse  stato  prevenuto  dalla  mor- 
te avrebbe  eguaglialo  il  maestro.  La  cupola  nella  quale  slava 
espressa  1'  azione  di  Giuditta  con  la  fuga  dell'  esercito  di  Olofor- 
110  ,  dipinta  da  Luca  Giordano,  cadde  come  si  è  dello.  Del  me- 
desimo sono  gli  angoli  della  delta  cupola,  e  le  altre  dipinture  a 
fresco  .  cosi  dell'  arco  che  esce  alla  nave  ,  che  della  volta  della 
cappella.  Al  presente  si  possiede  questa  cappella  dalla  famiglia 
Cala. 

Si  passa  poi  al  famoso  cappellone  dedicato  a  s.  Francesco 
Saverio  copiato  da  quello  di  s.  Ignazio ,  che  gli  sta  dirimpetto  , 
fatto  tutto  a  spese  del  principe  di  Venosa  della  antichissima  casa 
Gesualdo. 

Il  Cherubino  die  è  sotto  del  quadro  con  gli  ornamenli  fu 
fallo  dal  celebre  scultore  Giuliano  Finelli  :  i  Putti  che  stanno  nel 
finimento  di  della  cappella  sono  opera  di  Pietro  Ghetti  ,  il  mira- 
coloso quadro  che  sia  nel  mezzo  ove  vedesi  espresso  s.  France- 
sco Saverio  al  quale  va  dedicata  la  cappella  fu  benanche  opera 
del  succennafo  Siciliano.  I  tre  quadri  al  di  sopra  delle  colonne, 
e  nei  quali  stanno  figurate  tre  azioni  del  Santo .,  sono  dipinti  di 
Luca  Giordano. 

Da  questa  si  passa  alla  cappella  dedicala  a  s.  Francesco  Bor- 
gia ,  principiata  a  spese  della  famiglia  Marchese  dei  principi  di 
s.  Vilo  ,  ed  ancor  non  finita  nei  marmi.  Il  quadro  che  in  essa 
si  vede  indica  il  Santo  in  allo  di  orare  avanti  del  Sacramento  , 
ed  è  opera  di  Giovanni  Antonio  d'  Amalo.  Questa  cappella  è  ri- 
tornata in  potere  della  casa  professa. 

La  cappella  che  le  sta  laterale,  dedicata  alla  SS.*  Trinità,  fu 
adorna  a  spese  di  alcune  devotissime  donne  della  casa  Caraffa. 
Il  quadro  di  mezzo  rapprrsontanle  la  SS."  Trinità  con  molti  gruppi 
di  Santi  fu  dipinto  dall'  ammirabile  Guercmo  da  Cento.  Quelli 
nella  volta  e  ne' lati  della  cappella  sono  del  Corenzio.  Si  possiede 
questa  cappella  dal  signor  Conte  di  Policastro. 


—  216  — 

Dalla  chiesa  passa  a  vedere  la  Sacrestia  che  desiderar  non 
puossi  più  ricca. 

Nella  volta  tutta  di  stucco  e  posta  in  oro  le  dipinture  a  fre- 
sco neir  ovaio  di  mezzo  dove  vedesi  1'  Arcangelo  s.  Michele  che 
scaccia  gli  angeli  rubelli,  e  le  altre  nelle  quali  sono  espresse  al- 
cune azioni  di  s.  Ignazio,  e  due  mezzi  busti  di  s.  Pietro  e  s.  Pao- 
Jo  sono  tutte  opere  del  nostro  pittore  Agnello  Falcone  valente  ar- 
tista ed  inimitabile  nell'  esprimere  battaglio. 

Nella  cappella  di  detta  Sacrestia  fu  già  un  quadro  che  rap- 
presantava  la  SS.  Vergine  col  suo  Figliuolo  in  braccio  ,  stimato 
da  molli  inlendenli  opera  di  Annibale  Caracci.  Yi  furono  ancora 
due  quadri  ,  in  uno  de'  quali  si  vedea  s.  Francesco  nel  monte 
di  Alvernia,  e  nell'  altro  la  Madre  SS."  col  suo  Bambino  in  brac- 
cio, da  un  lato  s.  Giuseppe  e  dall'  altro  s.  Giorgio,  che  si  credea- 
no  di  Raffaello  d'  Urbino.  Gli  armadii  che  stanno  d' intorno  con 
bizzarria  lavorati  sopra  disegno  did  cavalier  Cosmo,  con  finimenti 
di  rame  dorati  ,  sono  di  legno  noce  ,  che  per  la  sua  bontà  sem- 
bra finissimo  ebano. 

Mira  dappoi  i  guardaroba  e  particolarmente  quello  dell'  ar- 
gento che  nel  peso  solo  vi  era  la  valuta  di  1150,000  scudi  consi- 
stente in  una  quantità  di  statue  ,  candelieri  ,  vasi  ,  e  fiori,  e  cro- 
ci delle  quali  una  sola  costò  da  4000  e  più  scudi.  Più,  famosi 
palliotfi  pei  cappelloni  ,  e  quello  dell'  altare  maggiore  tutto  a 
gotto  che  costò  10,000  scudi  ed  era  lavoro  del  celebre  argentie- 
re Antonio  Monte.  Vi  erano  molti  altri  vasi  ingommati,  e  fra  que- 
sti un  ostensorio  o  sfera  per  la  sacra  Eucaristia  che  non  avea  prez- 
zo per  le  tante  gemme  che  vi  slavano  incastrate  in  oro.  Nelle 
statue  vi  sono  molte  belle  reliquie  come  del  nostro  protettore  s. 
Gennaro  ,  un'  intera  mascella  di  s.  Luca  evangelista  ,  un  osso 
intero  del  braccio  di  s.  Barbara  ,  una  costa  di  s.  Caterina  ver- 
gine e  martire ,  un'  altra  di  s.  Ignazio  ,  e  cosi  pure  di  s.  Fran- 
cesco Saverio,  oltre  di  quella  che  è  nella  statua  collocata  nel  no- 
stro sacro  Tesoro  all'  Arcivescovado  ,  essendo  stato  il  santo  adot- 
tato in  patrono  della  nostra  città  por  le  molte  grazie  che  a  bene- 
ficio del  pubblico  à  compartite  e  particolarmente  negli  ultimi  or- 
rendi disastri  cagionati  dal  Cholera  morbus. 

Vi  è  ancora  la  statua  che  esprime  il  mistero  della  SS."  Tri- 
nità ed  un'  altra  di  s.  Ciro  martire. 


Vi  è  inoUre  un  IronclieKo  con  due  spine  della  corona  di 
nostro  Signore  ,  ed  un  pezzo  del  legno  della  s.  croce  sflnalo  in 
una  croce  di  crislallo  di  monte. 

Nella  guardaroba  degli  apparali  ammirerai  delicatissimi  e  ric- 
chi ricami  nei  palliotti,  e  negli  arredi  per  le  messe,  che  sono  in 
grande  quantità.  Più  ricca  sacrestia  non  abbiamo  in  Napoli  ,  e 
se  tutta  descriver  la  volessi  ne  andrebbe  a  ciò  impiegalo  un  mez- 
zo  volume. 

Il  pavimento  è  lutto  di  marmi  commessi.  L'  atrio  di  dotta 
sacrestia  è  ricco  di  bellissimi  quadri  del  pennello  del  Santafe- 
de  ,    e  di  altri    pittori  del    suo  tempo. 

Farmi  bastante  quanto  ò  accennato  di  sì  nobile  e  sontuoso 
monumento  ;  lasciando  ad  altro  più  di  me  accurato  ed  intendente 
architetto  la  cura  di  una  più  esalta  e  prolissa  descrizione  merita- 
mente dovuta  a  si  eccellente  tempio.  Il  piano  propostomi  non 
mi    permeile  dilungarmi  di  vantaggio. 

Se  non  che  poche  parole  debbo  aggiungere  per  ciò  che  esiste 
nel  cortile  ,  cioè  che  vi  sono  cinque  Oratori  e  Congregazioni.  Il 
primo  che  sta  nel  mezzo  à  il  titolo  di  Congregazione  de'nobili.  La 
volta  sta  posta  in  oro  ,  e  tutta  dipinta  dal  Cavalier  Lanfranchi , 
eccetto  il  quadro  di  mezzo,  che  ò  opera  del  nostro  Giov:  Battistello; 

Alla  destra  di  detta  Congregazione  esiste  un'altra  dei  Ragaz- 
zi similmente  di  nascita  nobile. 

Appresso  questa  un'altra  degli  Artisti  che  anno  pensiero  d'andar 
processionalmente  pubblicando  le  indulcenze  della  terza  Domenica 
d'ogni  mese  ,  nella  quale  vi  concorre  gran  numero  di  persone  a 
frequentare  i  Sacramenti,  cosi  de'  Casali  ,  come  della  Città. 

Alla  sinistra  ve  ne  sono  due  altre  frequentate  dai  mercadanti 
ed  altri  cittadini  cospicui,  ed  in  questa  vi  sono  situati  bellissimi 
reliquiarii  nei  quali  si  conservano  insigne  reliquie.  Ognuna  di 
queste  Congregazioni  ha  i  suoi  ricchi  apparati  ed  argenti  per  or- 
namento dei  loro  Altari.  Vi  è  anche  un'  altra  congregiìzione  dei 
Dipintori.  • 


Sasso  —  Voi.  I.  ■  28 


NOTIZIE  DEGLI  ARCHITETTI  NAPOLITANI 

Ferdinando  ìllaulio  -  Antonio  Fiorcniino  -  Sigismondo  di  Giovauni  - 
Vincenzo  della  Ulonica  -  Giovau-BaUisla  Gavagni  -  Dionisio  di 
Uai'tolomco  -  del  Franco  -  Ferrante  Maglione.-  Padre  \'uvolo  - 
Padre  Scrina  -  Giovanni  Ikuincasa  e  Giovanni  Simone  Moccia. 

CON  LA  DESCRIZIONE  DELLE  LORO  OPERE  ESEGUITE  IN  NAPOLI 

CONSISTENTI 
PER 

•  Manlio  —  Modello  della  Chiesa  ed  Ospedale  dell'Annunziata  -  Vari  pa- 
lagi poi  demoliti  per  la  Strada  Toledo  -  Palazzo  del  Vice  Re  a  Pozzuoli  - 
Assistenza  al  demolito  Palazzo  vecchio  in  Napoli  -  Ponte  di  Capua  -  Aper- 
tura delle  strade  Nolana  e  Montoiivcto. 

Fiorentino  —  Chiesa  e  cupola  di  s.  Caterina  a  Forraello. 

Di  Giovanni  —  Seggio  di  Nido  -  Terminò  la  cupola  di  s.  Severino. 

Della  Monica  ì  Chiesa  e  monistero  di  s.  Gregorio  Armeno  detto  s.  Li- 

e  >      guoro. 

Gavagni  \  Chiesa  e  Monte  della  Pietà. 

Di  Bartolomeo  —  Gerolomini  ed  abitazione  dei  PP.  dell'  Oratorio. 

Franco  —  RiediGcazione  di  s.  Maria  la  Nova. 

Ferrante  Maglione    ^ 

e  1  Palazzo  vecchio  demolito  nel  1835. 

Giovanni  Benincasa  ; 

Padre  Luigi  Scrina  —  Castel  s.  Ermo. 

Padre  Nuvolo  —  Chiesa  della  Sanità. 

Giovanni  Simone  Moccia  —  Chiesa  dello  Spirito  Santo. 


Dal  1523  al  1600. 


In  pruova  di  quanto  di  sopra  ò  accennalo  ,  qui  s' incontra 
il  vuoto  allorché  nessuno  scrittore  tramanda  ai  posteri  le  virtuale 
gesta,,  e  le  belle  azioni  dei  palrii  artisti  con  la  storia  coutemf>oranea 
delle  opere  loro.  Volendo  io  ora  scrivere  le  vite  de'  sunnomati  ar- 
chitetti, niente  posso  dire  sulle  loro  vite  per  mancanza  di  mate- 
riali notizie.  Altro  non  ò  potuto  raccorre  da  brani  diversi  che 
quanto  vengo  ad  esporre. 

ANTONIO   FIORENTINO. 

Nacque  nella  Cava  provincia  di  Salerno  ,  e  conoscasi  che  in 
Roma  fece  i  suoi  sludi  ,  e  che  divenuto  maestro  venne  in  Napo- 
li e  fu  adoprato  per  molti  lavori  ;  che  riedificò  la  chiesa  di  s. 
Caterina  a  Formello  dei  Padri  Domenicani  nel  1523  ,  e  dopo 
fece  la  cupola ,  che  fu  l'ammirazione  degli  artisti  del  tempo  ;  es- 
sendosi sino  allora  praticato  delle  scudelle.  Prese  il  modello  dal- 
la gran  cupola  eretta  in  Roma  dal  divino  Michelangelo  ,  si  sve- 
gliò ne'  detti  Padri  l'idea  a  concepirne  pensieri  magnifici  ad  imi- 
tazione di  quella.  Fu  il  Fiorentino  il  primo  in  Napoli  a  voltar 
le  cupole  5  avendone  appresa  l'arte  in  Roma. 

DESCRIZIONE. 

Questo  nome  gli  fu  dato  dalle  vicine  forme  che  distribuisco- 
no le  acque  della  Bolla  alle  parti  basse  della  città.  I  Domenica- 
ni .  cui  appartenea  la  chiesa  dell'  annesso  convento  ,  fecero  rie- 
dificare r  una  e  l'altro  nel  1523  col  disegno  di  Antonio  Fioren- 
tino della  Cava ,  il  quale  fu  il  primo  tra  noi  ad  erigere  una  cu- 
pola di  quarto  acuto,  che  il  Brunellesclii  avea  di  già  introdotto 
a  Firenze. 

La  cappella  a  destra  della  crociera  è  disegno  del  Sanfelice— 
le  due  statue  col  Padre  Eterno    sono  di  Giacomo   Colombo  —  le 


222  

duG  Fame  con  lulli  i  puUini  sono  del  Bolliglieri,  ed  il  quadro  di 
s.  Domenico  è  di  Giacomo  del  Pò. 

La  cappella  seguente  e  dipinta  a  fresco  dallo  slesso  del  Pò, 
come  suo  e  anche  il  quadro  di  s.  Caterina. 

La  cupola  è  dipinta  da  Paolo  de  Malleis.La  volta  della  chie- 
sa ed  il  soprapporta  da  Luigi  Garzi. 

Nel  cappellone  del  Rosario  le  statue  sono  di  Paolo  Benaglia. 

FERDINANDO  MANLIO. 

Fiori  Ferdinando  Manlio  circa  1'  anno  1530  ,  e  fu  discepolo 
del  Mediano  ,  il  quale  lo  mise  in  grazia  presso  il  Vice  Re  Pietro 
di  Toledo. 

Nel  16^0  foce  il  bel  modello  per  la  chiesa  dell'Annunziata  , 
ingrandendo  questa,  la  casa,  e  l'ospedale.  Gli  fanno  sommo  onore 
la  sacrestia,  ed  il  cappellone  del  Tesoro. 

Sendo  Giovanni  Merliano  molto  occupato  si  serviva  nelle  sva- 
riate e  multiplici  commissioni  particolari  che  riceveva  del  suo  gio- 
vane Ferdinando  Manlio.  Morto  il  Merliano  ,  fece  il  Manlio  il  pa- 
lazzo del  vice  Re  a  Pozzuoli  ,  ed  in  pari  tempo  volle  il  Toledo 
che  assistesse  alla  costruzione  del  Real  Palazzo  di  Napoli ,  che  in 
quel  tempo  dirigeano  gli  Architetti  Ferrante  Maglione,  e  Giovan- 
ni Benincasa. 

Fece  ancora  il  Manlio  altre  opere  d'ordine  del  sullodato  Vi- 
ce-Re D,  Pietro  di  Toledo  ,  e  tra  queste  la  bella  operazione  di 
cammino  alle  acque  delle  paduli  per  evitare  la  malaria,  ed  apri 
la  strada  di  Porta  Nolana. 

Venuto  in  Napoli  a  rimpiazzare  il  Toledo  il  Vice  Re  D.  Pa- 
rafan  de  Ribera  Duca  di  Alcalà,  e  volendo  imitare  il  suo  prede- 
cessore uell'aprire  una  bella  strada ,  si  consigliò  col  Manlio  ,  ed 
a  suo  consiglio  ,  e  d'ordine  del  Vice  Re  venne  aperta  la  strada 
di  Montoliveto  ,  allora  strada  Ribera  appellata. 

Fra  le  opere  di  si  degno  alunno  del  famoso  Merliano  quel- 
la che  più  lo  distingue  fu  il  bel  Ponte  di  Capua. 

Ingrandì  la  grotta  di  Pozzuoli  ,  e  vedesi  tutto  espresso  nel- 
l'epitaffio giacente  sulla  sua  sepoltura  presso  la  porta  maggiore 
della  ss.  Annunziata ,  ove  quei  maestri  in  testimonianza  della  lo- 


—  223  — 

ro  soddisfazioDB  ,  oltre  il  dovuto  compenso  gli  concedettero  una 
sepoltura  per  se  e  per  i  suoi. 

In  questa  sepoltura  con  lacrime  premute  dal  più  acerbo  do- 
lore che  affliger  potesse  un  cuore  umano  ,  vi  racchiudea  Ferdi- 
nando Manlio  il  suo  diletto  Ggliuolo  Timoteo  ,  già  virtuoso  in 
architettura  ,  e  profondo  matematico,  che  mori  in  età  d'  anni  19  ! 
Sulla  comune  sepoltura  vi  sono  incisi  i  seguenti  versi. 

D.  0.  M. 

Febdinandus,  Manlius.  Neap. 

Camp.  Architectis: 

ql'i  patri  toledi.  neap.  prov.  at'spitio 

begis  aedibl  s  exstruendis  plateis  stebnendis 

cbiptae  aperiesdae,  vhs  et  pontibus 

IN    AMPLIOBEM    FaMAM    RESTITUENDIS 

PALISTRIBISQ.    AQLIS   DEDUCENDIS   PLAEFLL'IT 

CUIS   ELABORATUM   INDLSTBIA,    UT 

TLTIL'S   TIATOBIBUS   ITER 

TIMOTEO    ENCICLIO    MATHEMAT. 

PIETATIS   RARISSIME   FILIO 

QUI  vixiT  a>n:  XIX  MDVCBV 

SIBI,  AC   SUIS  VIVE?(S   FECIT 

A  Cristo  nato  MDLIII 

L'uomo  descritto,  che  sta  sotto  il  trasportalo  epitaffio  dormen- 
te sogno  di  pace,  fini  nel  ISSO. 

E  questo  il  luogo  dove  poche  parole  possiam  dire  del  Castel  s. 
Ermo. 

Questo  sito  fuori  della  città  si  appellò  Ermo  dal  colle  Ermi- 
tico  su  cui  è  piantato.  Qui  nei  primi  tempi  si  ergea  una  torre 
denominata  Belforte  ,  che  dal  Re  Carlo  II  di  Angiò  fu  ridotta  in 
Castello  sullo  stesso  modello  di  Castel  nuovo.  I  re  seguenti  ne 
fecero  assai  poco  conto;  ma  Carlo  V.  conoscendone  l'alta  impor- 
tanza ordinò  al  Vice-Re  Pietro  di  Toledo  che  1'  ingrandisse  e  lo 
fortificasse.  Fu  eseguito.  Restò  il  maschio  Angioino  nel  mezzo  del 
Castello  ,  e  fu  munito  di  molte  opere  esteriori.  Ciò  avveniva  nel- 
l'anno 153Jj  sotto  la  direzione  dell'Architetto  Padre  Luigi  Serina. 

Forma  la  sua  pianta  un  esagono.  Si  vede  che  fu  architetta- 
lo con  molte  cognizioni  deU'  arte  per  quei  tempi  ,  e  principal- 
mente per  la  teorica  dell'  attacco  e  difesa  per  i  punti  di  opposi- 
zione, di  contromina  ,  e  di  controscarpe    tagliate  nella  viva  pie- 


22't  

tra.  Vi  si  enlra  por  uà  ponlc  di  legno  creilo  sopra  un  ai'co,  che 
alzandosi  presenta  un  profondissimo  fosso  della  metà  dell'  altezza 
di  lutto  il  castello.  L'interno  dell' edifizio  contiene  molti  sotterra- 
nei ,  una  gran  piazza  di  armi  ben  munita,  ed  una  cisterna  di  pro- 
digiosa grandezza. 

SIGISMONDO  DI  GIOVANNI 

Fu  Sigismondo  di  Giovanni  allievo  del  3Iormando.  Egli  che 
riedificò  il  nobile  Seggio  di  Nido  ove  nel  lo07  voltò  una  magnifica 
cupola. 

Morto  che  fu  il  Mormando  rimase  a  lui  la  fidanza  totale  per 
voltar  le  cupole,  e  tra  queste  quella  di  s.  Severino  secondo  il  mo- 
dello che  fatto  n'avea  il  suo  principali!.  Fini  quest'Architetto  nel- 
l'anno lo40,  sendo  già  molto  vecchio. 

FRANCO 

Fioriva  il  Franco  nell'anno  loSO.  Poche  notizie  ò  potuto  rin- 
tracciare di  questo  architetto  ,  non  trovando  in  tutti  gli  autori 
se  non  che  rifece  dalle  fondamenta  la  chiesa  di  s.  Maria  la  Nova 
progettala  dal  Pisano  ,  e  condotta  a  termine  come  ò  esposto  dal 
Primo  Masuccio  circa  tre  secoli  prima  :  imperocché  la  riedificò 
il  Franco  nell'anno  lòdi. 

VINCENZO  DELLA  MONICA  E  GIOVANNI  BATTISTA  GAVAGNI 

Vincenzo  della  Monica  ,  e  Giovan  Ballista  Gavagni  fiorivano 
nel  1370  ,  ed  in  questa  epoca  dettero  principio  alla  chiesa  e  mo- 
nistero  di  s.  Gregorio  Armeno  ,  volgarmente  s.  Liguoro  appella- 
to ,  erigendo  la  fabbrica  incontro  all'antica  chiesa. 

Continuando  questi  due  distinti  architetti  con  fratellevole  so- 
cietà l'opera  incominciata  ,  ne  cessando  con  disegni  ,  modelli  ed 
assistenza  continua  di  tirarla  sollecitamente  innanzi,  terminarono 
il  raonistcrp  nel  1377,  e  poco  dopo  dettero  benanche  compimento 
alla  chiesa. 

Un  maggior  lovoro  fu  nel  11580  commesso  a  Giovan  Battista 
Gavagni  ,  e  fu  il  sacro  Monte  della  Pietà  nel  luogo  dove  era  il 
palazzo  di  Montecalvo,  opera  che  gli  fa  mollo  onore. 


—  225  — 

L'opera  del  Gavagni  fu  ammirabile  non  solo  por  la  grande 
e  bella  fabbrica  ,  ma  per  la  bella  cappella  che  vi  eresse  nel  cor- 
tile, ove  nell'anno  lo97  fu  posta  la  prima  pietra  benedetta  dal 
Cardinal  Gesualdo  con  1'  intervento  del  Conte  di  Olivares  allora 
Vice-Re  di  Napoli. 

Mori  il  Gavagni  nel  1660. 

Questa  facciata  osservala  nella  Tavola  14. 

In  questi  tempi  fioriva  benanche  in  Napoli  Giovanni  Simone 
Moccia,  il  quale  nell'  anno  1600  riedificò  dai  fondamenti  la  chiesa 
dello  Spirito  Santo,  in  quel  tempo  creduta  assai  bella.  Posteriormen- 
te di  nuovo  si  rifabbricò  bene  per  opera  di  altro  illustre  nostro  patrio 
Architetto  (come  appresso  esporrò)  del  distintissimo  Cavaliere  Mario 
Gioffredo.  Disgrazia  frequente  alle  fabbriche  di  Napoli,  che  sogliono 
essere  di  corta  vita,  più  per  vizio  d'  arte  che  di  materiale.  Nella  nuo- 
va malintesa  facciata  di  questa  chiesa  non  vi  è  rimasto  altro  del  Moc- 
cia che  la  porta  fiancheggiata  da  due  colonne  d'  uno  spropositato  in- 
tercolonnio. L' interno  fu  tutto  mutalo  dopo  1'  elasso  di  circa  loO  an- 
ni con  sodo  disegno  di  colonne  corintie  slaccate  dal  muro  ,  che 
reggono  uu  sopraornato  ricorrente  con  uniformità,  e  senza  disgu- 
stevoli tagli  e  risalti  per  tutto  1'  ampio  contorno  della  chiesa.  Il 
tutto  debbesi,  ripeto,  al  bel  talento  del  suUodato  Cavaliere  Mario 
Gioffredo. 

DESCRIZIONE  DELLE  LORO  OPERE 

S.  Gregorio  Armeno. 

Calandosi  per  la  strada  avanti  s.  Lorenzo  si  trova  la  chiesa 
di  s.  Gregorio  Armeno  o  sia  di  s.  Liguori  con  un  grande  mona- 
stero di  Monache  Benedettine  di  architettura  di  della  Monica  e 
Gavagni. 

La  fondazione  alcuni  la  fanno  risalire  ad  Elena  madre  di 
Costantino  ;  e  i'  Eugenio  alla  pagina  341  sendo  di  questa  opi- 
nione porta  il  come  si  edificasse  I'  antico  monumento  da  alcune 
monache  venute  in  Napoli  sotto  l'Imperatore  Diocleziano. 

La  vanità  delle  origini  è  comune  tanto  ai  popoli  ,  quanto 
alle  corporazioni  ed  alle  famiglie.  Da  una  greca  iscrizione  ripou- 
tata  dal  Capaccio  ,  e  dagli  avanzi  di  alcune  colonne  e  statue  qui 
trovate  si  rileva  che  dovea  esservi  il  tempio  di  Cerere. 

Sasso  —  Voi.  l.  29 


—  226  — 
La  chiesa  è  ricca  di  pitture  del  Ribera  ,  del  Giordarw  ,  del 
Fiammingo  e  di  altri  buoni  autori.  Sulla  porta  della  clausura  evvi 
una  bellissima  dipintura  di  Giacomo  del  Pò.  Dentro  dei  monaste- 
ro trovasi  un  pregevole  archivio  ed  una  cappella  tutta  dipinta  a 
fresco  dal  De  Matteis. 

Monte  delia  Pietà. 

Il  banco  e  Monte  della  Pietà  è  un  beninteso  monumento  che 
fa  onore  al  suo  architetto  Giovan  Battista  Gavagni. 

Questo  monte  fu  eretto  nel  Io39  col  divisamento  di  liberare  i 
cittadini  dalle  usure  degli  Ebrei  ,  e  nel  1S97  ne  fu  cominciato 
il  nobile  edilizio.  Qui  furono  riuniti  tutti  e  sette  i  banchi  che  era- 
no in  Napoli  ,  nominato  però  Banco  delle  due  Sicilie.  Poscia  fu 
riaperto  quello  di  s.  Giacomo  ,  e  fu  detto  Banco  di  Corte  ,  ed 
ultimamente  l'altro  dello  Spirito  Santo.  A  questo  è  rimasto  il  no- 
me di  Banco  delle  due  Sicilie. 

Molte  sue  officine  sono  dipinte  a  fresco  dal  Belisario.  La  sta- 
tua dell'Addolorata  sulla  porta  della  chiesa  è  del  Naccarini,  e  le 
laterali  della  Sicurezza,  e  della  Carità  vengono  attribuite  a  Pietro 
Bernini.  La  chiesa  è  dipinta  a  fresco  dal  Belisario.  Il  quadro 
dell'altare  maggiore  è  del  Santafede ,  che  vi  pose  il  suo  ritratto. 
L'altro  delia  Risurrezione  è  pur  suo,  sebbene  v'  à  chi  il  crede  del 
Gglio  Francesco.  Quello  dell'Assunta  passa  pel  capolavoro  d'  Ippo- 
lito Borghese.  Il  monumento  alla  memoria  del  Cardinale  Acqua- 
viva  nella  sacrestia  è  del  Fanzaca. 

DIONISIO  DI  BARTOLOMEO 

Fu  allievo  di  Giovan  Battista  Gavagni.  Di  questo  Architetto 
altro  non  ò  potuto  trovare  che  nel  l'iiSG  edificò  dalle  fondamenta 
la  chiesa  nuova  dei  Padri  dell'oratorio  di  s.  Filippo  Neri,  detta  i 
Gerolomini  ,    e  che  la  conTpi  nel  lo97. 

Descrizione  del  Tempio 

Questo  è  il  più  beninteso  Tempio  in  Napoli  dopo  quello  del 
Gesù  Nuovo,  e  vien  denominato  i  Gerolomini.  Fu  fondato  nel  j  1S86 
con   disegno  ,  e  sotto  la  direzione  del  prelodato  Arch  ilello  Dioni- 


—  227  — 

sio  di  Barlolomeo.  La  cupola,  e  la  facciala  sono  di  Dionisio  Laz- 
zari, sebbene  quest'ultima  ricevette  essenziali  cambiamenti  dall'ar- 
chitetto Cavaliere  Ferdinando  Fuga.  La  facciala  interamente  di  mar- 
mo è  bene  eseguita,  sebbene  (al  solilo)  mentisce  ,  dandoli  nell'as- 
sieme due  piani.  Le  statue  che  vi  si  veggono  sono  del  Sammarti- 
no.  In  Roma  dove  sono  comuni  le  belle  facciate  di  chiese  ,  non 
se  ne  vede  alcuna  di  marmo. 

L'interno  della  chiesa  è  diviso  in  Ire  navi.  La  pianta  è  una 
croce  latina.  La  nave  maggiore  è  divisa  dalie  laterali  con  colon- 
ne di  marmo  al  numero  di  12  di  granito  dell'isola  del  Giglio  fatte 
venire  col  favore  di  Ferdinando  de' Medici  Gran  Duca  di  Tosca- 
na. Su  i  capitelli  delle  colonne  posano  barbaramente  gli  archi. 
Non  vi  è  nolizia  sin  dai  tempi  antichi  dei  Romani  che  siano 
venule  in  Napoli  simili  colonne  d'un  sol  pezzo:  a  questo  esempio 
si  fecero  subito  venire  altre  otto  simili  colonne,  che  adornarono, 
ed  adornano  la  bene  studiata  facciala  del  nostro  nuovo  Real  Pa- 
lazzo del  distintissimo  Architetto  Domenico  Fontana,  come  appres- 
so dirò.  Le  prime  costarono  scudi  26,000,  e  le  seconde  11,000. 

Fa  il  paragone  oggi  dopo  l' classo  di  due  secoli  e  mezzo 
tra  le  colonne  del  Tempio  e  quelle  del  Palazzo,  e  vedi  come  il 
tempo  ,  e  1'  esposizione  alle  intemperie  à  ridotto  le  ultime  !  Che 
non  può  il  tempo!!! 

Sono  le  colonne  dei  Gerolomini  alte  24  palmi  ,  e  di  un  sol 
pezzo.  Non  so  perchè  il  di  Barlolomeo  non  alzò  le  colonne  sopra 
piedistalli  ,  e  non  vi  fece  poggiar  su  1'  arcotrave.  Gli  ornati  del 
fregio  peccano  per  eccesso. 

Le  pitture  a  fresco  sulle  lunette  ,  e  sulle  colonne  sono  del 
Benasca.  Il  gran  quadro  sulla  porta  principale  indicando  Gesù 
che  scaccia  i  venditori  dal  Tempio  e  una  delle  più  belle  opere 
di  Luca  Giordano.  Le  altre  pitture  a  fresco  nelle  mura  allato  la 
porta  piccola  ,  ed  ai  quattro  angoli  della  cupola  sono  del  Waz- 
zanti  Romano.  L'altare  maggiore  di  eletti  marmi  è  un  bel  taber- 
nacolo di  pietre  dure. 

Ai  lati  dell'altare  maggiore  vi  sono  due  cappelle.  Quella  di 
s.  Filippo  Neri  dalla  parte  del  Vangelo  à  il  cupolino  e  la  volta 
dipinti  a  fresco  dal  Solimena  ,  ed  il  gran  quadro  dell'  Altare  è 
una  copia  di  Guido  Reni,  che  vedesi  l'originale  nella  chiesa  del- 
l'Oratorio in  Roma  :  questa  nostra  copia  fu  ritoccata  dallo  stesso 


—  228  — 
Reni,  Il  disegno  di  questa  ricca  cappella  è   di   Giacomo    Lazzari 
padre  di  Dionisio. 

L'altra  cappella  della  Concezione  ù  il  cupolino  dipinto  dal 
Simonelli,  ed  il  quadro  della  Concezione  è  di  CesarcFracanzano. 
Il  cappellone  a  destra  dell'  altare  maggiore  è  disegno  di  Gia- 
como Lazzari:  le  statue  sono  di  Pietro  Bernini  padre  del  famoso 
Lorenzo  :  il  quadro  della  Natività  è  del  Pomaranci  ;  1'  altro  del- 
l'annuncio ai  pastori  è  del  Santafede.  I  quadri  della  cappella  di 
s.  Francesco  Sales  appartengono  al  De  Matteis.  Nella  cappella  di 
s.  Francesco  d'Assisi  ideata  da  Dionisio  Lazzari  si  vede  il  quadro 
del  Santo  eh' è  di  Guido  Reni.  Attaccato  a  questa  cappella  si  os- 
serva il  sepolcro  di  Giovan  Battista  Vico. 

Nella  cappella  di  s.  Agnese  il  quadro  principale  è  del  Po- 
maranci j  ed  i  laterali  del  Giordano.  Nella  seguente  di  s.  Carlo 
Borromeo  quello  di  s.  Filippo  Neri  è  del  Giordano. 

Nel  lato  opposto  il  cappellone  della  crociera  non  ti  offre  che 
piccole  statue  di  argento.  Nella  prima  seguente  cappella  la  s. 
Maddalena  dei  Pazzi  ed  il  s.  Michele  sono  del  Giordano.  L'  ado- 
razione dei  Magi  nella  ceppella  dell'Epifania  disegnata  da  Giaco- 
mo Lazzari  è  del  Corenzio.  Segue  appresso  un  s.  Girolamo  spa- 
ventato dalla  tromba  del  Giudizio,  che  è  una  bell'opera  del  Gessi. 
Nella  cappella  della  Sacra  famiglia  il  quadro  è  1'  ultima  o- 
pera  del  Santafede  ,  il  quale  prevenuto  dalla  morto  non  potette 
terminarlo. 

L'  ultima  cappella  à  un  quadro  di  s.  Alessio  moribondo   che 
è  di  Pietro  da  Cortona. 

La  sacrestia  è  doviziosa  anch'essa  di  capi  d"  opera  di  pitture. 
Tra  i  più  pregevoli  sono  a  mentovarsi  una  gloria  di  s.  Filippo 
dipinta  a  fresco  dal  Giordano.  L' incontro  di  Gesù  con  s.  Gio- 
vanni di  Guido  Reni  ,  come  1'  altro  della  fuga  in  Egitto  è  dello 
stesso  Reni.  La  strage  degli  innocenti  è  del  Balducci.  La  madre  di 
Zebedeo  che  paria  a  Gesù  Cristo,  e  la  Vergine  che  lava  il  Bam- 
bino sono  del  Santafede.  L'Ecce-Homo  e  l'apostolo  s.  Andrea  dol 
Ribera.  Il  crocifisso  di  Marco  da  Siena.  Due  quadri  della  passio- 
ne del  Bassano  il  vecchio.  La  Vergine  col  Bambino  e  s.  Giovan- 
ni si  vuole  essere  opere  di  Raffaello  d'Urbino.  Vi  sono  altri  qua- 
dri del  Doraenichino  ,  del  Pomaranci,  del  Barocci. 

Oltre  questo  ineetiraabile  tesoro  di  j^ilture,  contiene  una  sup- 


—  229  — 

pelletlile  sacra  olli'emodo  ricca  e  preziosa.  Vasto  e  magnifico  è 
l'annesso  monastero  che  à  una  bella  biblioteca.  In  essa  si  trova 
un  codice  in  pergamena  ben  conservato  delle  tragedie  di  Seneca, 
miniate  elegantemente  dal  nostro  padre  della  pittura  il  Solario. 
Le  figure  indicano  le  azioni  delle  tragedie. 

FRA  GIUSEPPE  NUVOLO. 

Chiesa  della  Sanità. 

Non  avendo  potuto  rinvenire  notizia  alcuna  della  vita  di  Fra 
Giuseppe  Nuvolo  ,  che  dalla  storie  si  apprende  essere  stato  1'  ar- 
chitetto della  chiesa  della    Sanità  ,  vengo  a  farne  la   descrizione. 

A  qui'sta  chiesa  era  annesso  uno  dei  più  vasti  conventi  di 
Napoli  appartenente  ai  Domenicani,  ed  oggi  in  gran  parte  occupato 
dalla  costruzione  della  nuova  strada  di  Capodimonle.  11  rimanente 
del  convento  è  stato  dato  ai  frali  riformati  di  s,  Francesco.  Questa 
gran  chiesa  merita  di  essere  osservata,  sendo  formata  sopra  un  ca- 
priccioso disegno  di  un  laico  Domenicano  nominato  Giuseppe  Nu- 
volo come  di  sopra  è  detto.  A'  il  monumento  cinque  navate  non 
eguali,  per  essere  la  pianta  della  chiesa  di  figura  ellittica  ;  1'  al- 
tare maggiore  sta  in  alto  ,  e  vi  si  ascende  per  due  lunghe  gra- 
dinate. Su  di  esso  la  statua  della  Vergine  è  del  Naccarini,  ed  il 
bel  tabernacolo  di  cristallo  di  rocca  è  opera  di  un  altro  frate  Do- 
menicano ,  di  cui  s' ignora  il  cognome.  Sotto  l'altare  maggiore  vi 
è  una  chiesa  sotterranea  con  dodici  cappelle. 

Nella  chiesa  si  osservano  bellissime  pitture  di  Luca  Giorda- 
no ,  di  Berardino  Siciliano  ,  di  Andrea  Vaccaro  ,  e  di  Agostino 
Beltramo.  Il  pulpito  è  disegno  di  Dionisio  Lazzari. 

Anticamente  qui  ,  e  nella  chiesa  di  s.  Severo  vi  erano  due 
ingressi  alle  famose  Catacombe. 

Dall'Eugenio  si  ricava  ,  che  qui  anticamente  eravi  la  chiesa 
di  s.  Gaudioso  ,  ed  ivi  vicino  quella  di  s.  Gennaro  ad  corpus  : 
per  causa  poi  di  guerre  ,  e  di  peste  fu  questa  chiesa  abbandona- 
ta, e  le  alluvioni  daila  sovrastante  collina  la  covrirono  di  terre 
e  quiudi  venne  obliata  dai  Napolitani. 

Avanti  questa  chiesa  eravi  un  giardino  di  un  tale  nomina- 
to Clemente  Panarello  ,  che  da' suoi  eredi  fu  venduto  al  maestro 
Cesare  di    condizione  spadaro  ,  il  quale  della  sottoposta   chiesa  si 


—  230  — 
serviva  per  cantina.  Vi  erano  nel  giardino  alcune  slanz^^  sotto  la 
ripa  delia  collina  ,  e    propriamente    in    quel    sito  dove  è  oa;gi  la 
chiesa.  Di  queste  stanze   lo  Spadaro    ne  fece  cantina,  e   vi  andò 
ad  abitare  un  certo  Giosuì^,  chi!  la  cantina  cambiò  in    istalla. 

Ai  29  novembre  11569  vi  fu  in  Napoli  una  grandissima  piog- 
gia che  molte  case  distrusse  al  borgo  dcl'e  Vergini,  e  ridusse  a  ma- 
le le  dette  stanze  col  giardino,  in  modo  che  la  sottoposta  chiesa, 
cambiata  in  istalla  ,  fu  colmata  di  terra  ,  e  maestro  Cesare  con  la 
moglie  vi  lasciaron  la  vita. 

Erede  di  mastro  Cesare  fu  un  suo  nepole  che  calcando  le  orme 
dello  zio  nel  tenere  per  stalla  la  chiesa  in  pochi  mesi  fu  assalito  da 
tale  originale  malattia  che  mori  svellendosi  come  pasta  le  dita  dei 
piedi.  Nel  lo70  l'erede  di  costui  fece  una  piccola  via  per  la  quale 
si  entrava  in  chiesa  ,  ed  egli  nei  giorni  feriali  sulla  pubblica  strada 
chiedeva  le  elemosine  per  farvi  celebrar  la  messa. Venuto  ciò  a  co- 
gnizione di  Mario  Carafa  vi  mandò  alcuni  suoi  canonici  a  ve- 
der la  chiesa  ,  che  avendola  ben  considerata  riferirono  all'  Arci- 
vescovo essere  la  stessa  consacrata  ,  e  fu  allora  che  venne  con- 
cessa ai  Padri  di  s.  Domenico. 

L'  anno  1S77  il  cardinal  D'  Arezzo,  successor  del  Carafa  ,  la 
concedette  a  maestro  Antonio  Camerota  del  medesimo  ordine  e  ad 
altri  Domenicani  con  1'  obbligo  di  riconoscerlo  ciascun  anno  con 
torchio  e  palma  ,  altrimenti  ne  sarebbero  slati  scacciati. 

Era  ignoto  ai  Padri  il  titolo  della  chiesa.  Questo  titolo  gli 
fu  dato  nel  modo  seguente. 

Un  giorno  Giovanni  Antonio  Pisano  ,  celebre  medico  ,  andò 
in  chiesa  ad  orare  ;  nell'  uscirne  s'  imbattette  con  l'  Arcivescovo 
Cardinale  ,  ed  accostatosi  alla  carrozza  per  fargli  riverenza,  quel 
prelato  si  fermò  incontro  la  chiesa.  Il  Pisano  gli  disse  Monsigno- 
re è  bene  che  V.  S.  Illustrissima  allo  spesso  ne  venghi  in  cole- 
ste parti  a  prendere  aria  ,  perchè  gli  medici  antichi  chiamavano 
questo  luogo  la  valle  della  sanità.  Ciò  udito  dal  Cardinale  disse: 
poiché  è  cosi  mentovato,  voglio  che  la  chiesa  si  chiami  S.  Maria 
della  Sanila.  In  tal  modo  gli  fu  imposto  il  nome  che  tuttora  con- 
serva. 

In  questa  Chiesa  vi  era  un  quadro  nella  sacrestia  dell'  An- 
nunziala che  Costanza  S.  Lorenzo  dette  ai  Padri  ,  ed  era  di  Mi- 
chelangelo Buouarota  che  fu  poi  colorito  da  Marcello  del  Busto 
suo  discepolo. 


VITA  DELL'ARCHITETTO 

PilORE  FRfflGESCO  GilliUOl  TEITli 

CO\L\IVDICAZIO\E  DELLE  SIE  OPERE  ESEGIITE  W  MPOLI 

CONSISTENTI 

Casa  de'  Teatini  detta  de'  ss.  Apostoli. 

Cappella  del  Tesoro  alla  Cattedrale. 

Chiesa  de'  ss.  Apostoli. 

Chiesa  di  s.  Maria  degli  Angioli  a  Pizzo-Falcone. 

Chiesa  della  Trinità  delle  Monache. 

Edificazione  sul  suo  disegno  della  magnifica  chiesa  di  S.  Paolo» 

Anno  -  1600. 


Nacque  il  Teatino  Francesco  Grimaldi  in  Oppido.  La  pri- 
ma opera  che  foce  in  questa  nostra  Capitale  fu  la  Casa  dei  Tea- 
tini ,  della  de' ss.  Apostoli  ,  eretta  nell'anno  11590.  Fu  prescelto 
il  suo  disegno  in  concorso  per  la  famosa  Cappella  del  Tesoro. 
Vennero  in  Napoli  molti  architetti  a  concorrere  per  si  ma- 
gniOco  e  costoso  monumento.  Tra  questi  il  Bernini  ;  ma  il 
disegno  del  nostro  compatriota  fu  scelto  ,  e'I  Teatino  Grimaldi  di- 
resse la  Cappella  del  Tesoro  nell'  anno  1608  ,  con  esservi  stata 
benedetta  la  prima  pietra  da  Fabio  Maranla  Vescovo  di  Calvi  , 
con  r  intervento  del  Cardinale  Ottavio  Acquaviva  Arcivescovo  di 
Napoli ,  di  D.  Giovanni  Alfonso  Pimentel  Conte  di  Benevento 
Vice-Re  de'  nobili  deputati  e  di  un  gran  numero  di  prelati  ,  no- 
bili e  cittadini. 

Arcliitettò  puranche  il  Grimaldi  la  chiesa  de'  ss.  Apostoli  alla 
romana,  dove  pochi  anni  prima  avea  fabbricata  la  Gasa,  ma  non 
si  conosce  se  fu  prima  questa  chiesa  eretta  da  lui ,  o  pure  fu 
l'altra  di  s.  Andrea  della  Valle  in  Roma  ;  imperocché  questa 
de'  ss.  Apostoli  fu  rifatta  da  capo  nell'anno  1626,  al  dir  del  Ca- 
paccio nei  suo  Forasliero.  Ad  ogni  modo  sappiasi  che  il  Padre 
Grimaldi  fu  chiamato  in  Roma  per  erigere  quella  famosa  chiesa, 
e  ritornato  in  Napoli  edificò  quella  di  s.  Maria  degli  Angeli  a 
Pizzofalcone  ,  chiesa  veramente  magnifica,  ove  1'  architetto  spiegò 
il  suo  bello  ingegno.  Rimase  il  Grimaldi  molti  disegni,  trai  quali 
il  progetto  per  la  riedificazione  di  s.  Paolo,  che  dopo  la  sua  mor- 
venne  eseguito. 

Fu  il  padre  Grimaldi  eccellente  architetto  ,  ed  il  suo  nome 
vivrà  eterno  nei  fasti  della  scienza  applicala  allo  arti  :  aggiun- 
gi ,  che  fu  benanche  eccellente  nell'  arte  del  getto,  di  modo  che 
venne  in  molte  occasioni  adoprato,  e  chiamato  ogni  d'i  per  consi- 
glio ed  aiuto  da  molti  scultori  e  gettatori  di  metallo  ed  argen- 
to. Antonio  Monte  sotto  la  sua  direzione  venne  a  perfezionarsi 
nella  difficile  arte  allora  di  gettare  le  statue  ,  che  fece  poi  quelle 
belle  opere  che  rendono  immortale  la  sua  fama  ,  come  i  putlini 
di  argento  nella  chiesa  della  ss.  Nunziata  con  altri  bassi  rilievi, 
Sasso  —  Voi.  I.  30 


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Questo  artista  (cosa  rara)  per  le  sue  opere  ne  cenfcssava    la 
totale  obbligazione  al  Padre  Grimaldi  ;  mentre  nel  generale  i  be- 
nefizi vengono  sempre  pagali  con  l'ingratitudine. 

DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE. 

Chiesa  dc^SS.  Apostoli. 

Poco  discosto  da  s.  Giovanni  a  Carbonara  è  posto  il  bel  tem- 
pio de'ss.  Apostoli.  Si  vuole  che  qui  fosse  stato  il  tempio  di  Mer- 
curio presso  le  antichissime  mura  di  Napoli.  Pei  tempi  nostri 
cristiani  ci  basterà  accennare  ,  che  questa  chiesa  fu  prima  pa- 
recchia, che  venne  trasferita  nella  Cattedrale  nel  1386,  e  la  chie- 
sa ceduta  ai  Teatini ,  i  quali  la  rifecero  col  disegno  del  Pa- 
dre Francesco  Grimaldi  del  loro  ordine.  La  volta  della  nave  ,  e 
della  crociera  ,  e  gli  angioli  della  cupola  furon  dipinti  dal  Lan- 
franco ,  il  quale  spiegò  in  queste  pitture  forte  carattere  ,  espres- 
sione sublime ,  e  tropp'arditezza.  Egli  valea  moltissimo  nelle  di- 
pinture a  fresco  ,  sebbene  poco  esatto  nel  disegno  ,  ed  i  suoi 
quadri  ad  olio  che  sono  sul  coro  di  questa  stessa  chiesa  sono 
meno  belli. 

La  cupola  fu  dipinta  dal  torinese  Benasca  ,  e  sua  è  pure 
l'altra  pittura  che  rappresenta  la  caduta  di  Lucifero  ,  che  è  una 
delle  migliori  suo  produzioni. 

Le  pitture  negli  archivolti  della  nave  che  chiaraansi  lunette 
sono  del  Solimena.  [  quattro  quadri  della  crociera  souo  tra  le  più 
bello  opere  del  Giordano,  e  si  trovano  disegnate  nel  viaggio  pit- 
toresco. Sulla  porta  il  gran  quadro  a  fresco  che  rappresenta  la 
probalica  piscina  è  una  delle  più  belle  opere  del  Lanfranco.  Vi- 
viani  vi  aggiunse  la  prospettiva. 

L'altare  maggiore  è  nobilissimo  e  disognato  dal  Cavaliere  Fu- 
ga ;,  è  ricco  di  bronzi  dorati  e  pietre  dure.  Elegante  sopramodo 
n'  è  il  Tabernacolo  ,  formato  di  colonnette  di  diaspero  ,  e  di  al- 
tre pietre  di  sommo  valore. 

Corrispondono  per  disegno  e  per  esecuzione  i  due  candela- 
bri di  bronzo  dorato,  formali  dai  simboli  dei  quattro  Evangelisti, 
e  pasti  avanti  a  questo  magnifico  altare.  A  desti'a  di  esso  ,  o  sia 
dal  Ifflo  del  Vangelo  ,  vedesi  la  bella  Cappella    dei   Filomarini  , 


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eretta  dal  Cardinale  Ascaiiio  Filomarini  Arcivescovo  di  Napoli  con 
disegno  del  Borromini.  I  leoni  che  sostengono  l'altare  sono  del 
Finelli.  I  quadri  che  vi  sono  furono  posti  in  musaico  dal  Calan- 
dra del  Vercelli  sugli  originali  di  Guido  Reni,  i  quali  passarono 
nella  Spagna.  Il  ritratto  del  Cardinale  è  di  Pietro  da  Cortona. 

Ai  disotto  del  quadro  dell'altare  evvi  un  basso  rilievo  di  gran 
bellezza  del  celebre  Fiamingo,  che  esprime  un  coro  di  fanciulli.  La 
Cappella  del  lato  opposto  fu  eretta  dal  Cardinale  Pignatelli  con 
disegno  del  Sanfelice.  L'  altare  ò  di  pietre  dure  con  rame  dora- 
lo ;  le  pitture  sono  del  Solimena  ,  di  cui  è  ancora  il  disegno 
dell'altare  ,  e  del  basso  rilievo  ,  che  rappresenta  un  concerto  di 
putti  ,  ma    l'esecuzione  appartiene  al  Bottiglieri. 

Le  Cappelle  minori  anno  ancora  quadri  eccellenti. Nella  pri- 
ma ,  dopo  quella  dei  Filumarini  ,  il  s.  Michele  è  di  Marco  di 
Siena,  ed  i  laterali  sono  del  Benasca.  La  terza  è  dipinUi  a  fre- 
sco da  Giacomo  del  Pò.  Nel  lato  opposto  vi  è  la  Cappella  di  s. 
Ivone  in  cui  i  quadri  laterali  sono  del  De  Malle!Ìs.  Vi  è  il  mau- 
soleo del  Presidente  d'Ippolito  fatto  dal  Sammartino. 

Sotto  la  chiesa  sta  un  cimitero  ,  grande  quanto  la  chiosa 
medesima  ,  nel  quale  vi  è  il  sepolcro  del  Cavalier  Marino  col  suo 
busto  coronato  di  alloro  ,  ed  una  iscrizione.  Questa  bella  chiesa 
manca  di  una  facciata  corrispondente.  Essa  nel  IS26  fu  data  alla 
Confraternita  di  s.  Maria  a  Vertecoeli,  che  avea  una  piccola  chie- 
sa di  tal  nome  ivi  vicina.  Tale  Confraternita  si  dislingue  per  la 
sua  divozione  verso  lo  anime  del  Purgatorio  ,  per  le  quali  fa  ce- 
lebrare un  numero  prodigioso  di  messe. 

Convento  de^SS.  Apostoli. 

La  sontuosità  del  vicino  Convento  o  casa  dei  Teatini  non  ò 
inferiore  alla  Chiesa.  Vi  è  uno  spazioso  Chiostro,  e  prima  della 
so])pressione  dei  Teatini  avvenuta  nel  1807  ,  oravi  una  buona  bi- 
blioteca, pregevole  per  molti  manoscritti  di  valenti  uomini  moder- 
ni. Oggi  questo  magniflco  Convento  è  divenuto  Quartiere  di  soldati. 

Chiesa  della  Trinità  delle  llonaclie. 

■  Come  questo  titolo  ,  lo  puoi  rilevare  dell'Engenio  pag.  oS2, 

* 


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come    pure  la  fondazione  :  ma  al  suo  solito  il    citalo    Caracciolo 
non  una  parola  sola  per  chi  ne  fu  l'arcbilelto. 
Il  Celano  nella  giornata  6.  pag.  8.  sì  dice. 
Riconosce  questa  la  sua  fondazione  da   suora    Eufrosina     do 
Silva  nobile  della  Piazza  di  Capuana  :  questa  essendo  di  già  de- 
stinata sposa  ad  Emilio  Caracciolo  Conte  di  Biccari  ,  figliuolo  di 
Ferdinando   Duca  d'Airola  ,  mentre  che  educanda    ne    stava   nel 
Monastero  di  s.  Girolamo  ,  tocca  da  Dio  ,  che  la  desiderava  sua 
sposa  ,  sprezzò  le  nozze  terreni  per  le  celesti;  di  sua  mano  si  re- 
cise le  chiome  ,  si  vestì  dell'  abito  Francescano  ,  e  si  chiuse  con 
perpetuo  voto  nel  Monistero  di  s.  Girolamo  dove  osservantemente 
visse  per  alcuni  anni:  si  unì  con  Ippolita  Caracciolo  figliuola  del 
già  detto  Ferrante  Duca  di  Airola,  e  stabilirono  di  fondare  altro 
Monastero  colla  strettissima  regola  del  Terz'Ordine;  con  Breve  del- 
la santa  memoria  di  Clemente  Vili,  e  licenza  dell'Arcivescovo  Al- 
fonso Gesualdo  fondarono  un  Monastero  nella  strada  di  Costantino- 
poli sotto  il  titolo  della  SS.  Trinità  ;  frattanto  comprarono  un  fa- 
moso palazzo  dalla  casa  s.  Felice   nobile  del  seggio  di  montagna 
del  quale  ne  apparivano  le  vestigia,  ai  tempi  del  Celano  e  l'iscri- 
zione dalla  parte  della  strada  che  va  giù  verso  Nilo,  che  avea  am- 
pli giardini  ;  qui  diedero  principio  alla  nuova  fabbrica   del    con- 
▼euto  ,  che  essendo  ridotta  ad  una  comoda  abitazione  di  clausura 
neir  anno  1608  vi  si  trasferirono  con  altre  Monache  nobili  ,  rice- 
vute nel  primo  luogo  di  Costantinopoli. 

Avuto  una  comoda  abitazione  ,  ordinò   la  buona    Suora    Eu- 
frosina ,  che  la  chiesa  che  servir  doveva  per  casa  di  Dio  ,    fosse 
assai  più  bolla,  più  comoda,  e  più  ricca  al  possibile,  dell'abita- 
zione dello  suore  ;  che  però  fé  chiamare  il  Padre  Francesco  Gri- 
maldi Teatino  ,  ed  istantemente  lo  pregò,  che  avesse  dovuto  fare 
un  disegno  di  Tempio  il  più  bello,  ed  il  più  vago  che  fosse  po- 
tuto uscire  dalle  sue  mani:  il  buon  padre  le  promise  di  fare  quan- 
to sapeva,  che  perù  nell'anno  1620  col  disogno  del    detto  Padre 
SI  principiò  la  fabbrica  di  questa  chiesra,  e  perchè  volle  suor'Eu- 
frosma  che  l'altare  maggiore  fosse  rimasto  situato  in  oriente,  co- 
me era  costume  delle  antiche  chiese ,  convenne  che  l'adito  o  por- 
ta fosse  situata  in  occidente  ,  e  che  il  coro    delle  monache  fosse 
stato  situato  sopra  dalla  parte  dell'Evangelio. 

Non  VI  è  dubbio  che  se  la  porta  fi^se  stala  piantala  incima 


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alla  salita  magnocavallo  in  faccia  mezzogiorno,  oggi  darebbe  un 
superbo  cfrcUo. 

Questo  vasto  cdifìzio  è  addetto  ad  ospedale  militare  detto  della 
Trinità.  Evvi  la  cbiesa  che  è  una  Croce  greca,  come  ò  detto  dise- 
gno del  TeatinoGrimaldi.il  vestibolo  con  la  scala  sono  del  Fan- 
zaga.  Il  quadro  della  Trinità  sul  maggiore  altare  è  del  Sanlafedo; 
ma  il  prezioso  altare  cbe  vi  era  n'è  slato  portato  via  dalle  monache. 
Le  pitture  a  fresco  sono  del  Berardino,  il  s.  Girolamo  è  del  Ribera, 
ed  i  due  quadri  laterali  alla  porta  si  vogliono  di  Parma  il  Vecchio. 

Essendo  slato  il  Monastero  ch'era  uno  dei  più  magnifici  del- 
la Cina  ,  situato  in  luogo  ameno  ed  arioso,  addetto  ad  Ospedale 
Militare,    le  monache  passarono  a  Donna  Regina. 

CappelSa  ilol  Tesoro. 

Questa  fu  eretta  dal  popolo  napolitano  per  volo  fatto  in  oc- 
casione della  pcsfe  del  lo26.  L'opera  venne  cominciata  nel  1688 
col  disegno  del  Padre  Grimaldi  Teatino. 

L'  architettura  è  soda  ;  ed  è  uno  dei  migliori  monumenti 
che  vanti  Napoli.  La  pianta  è  una  Croce  greca  ,  a  94  palmi 
di  lunghezza.  Il  frontespizio  di  bei  marmi  à  una  gran  porta  di 
ottone  vagamente  lavorala  ,  e  vi  sono  ai  Iati  due  statue  di  mar- 
mo di  s.  Pietro  e  di  s.  Paolo  del  Finelli.  Il  frontespizio  e  '1  pa- 
vimento di  marmo  son  disegno  del  Fanzaga.  Intorno  alla  chiesa 
si  veggono  quarantadue  colonne  di  broccatello  di  ordine  corin- 
tio ,  e  fra  esse  sono  le  nicchie  per  le  statue  in  bronzo  de'Sanli 
prolettori  ,  le  quali  sono  opere  di  rnediocri  artisti. Le  migliori  ap- 
partengono al  Finelli  ,  e  lo  due  sulla  porta  della  sacrestia,  e  sul- 
l'altare di  rincontro  sono  del  Fanzaga.  Al  disotto  vi  sono  altre  nic- 
chic  con  trentanove  slaluo  di  argento  degli  stessi  santi  protetto- 
ri. L'altare  maggiore  disegnalo  dal  Solimena  ,  è  di  porfido  con 
ricchi  ornati ,  e  la  statua  del  Santo  appartiene  pure  al  Finelli. Le 
pitture  soao  opere  dei  più  valenti  artisti.  I  quadri  delle  cappelle 
sono  dipinti  sopra  tavole  di  rame.  Nei  tre  altari  laterali  dalla 
parte  del  Vangelo  i  quadri  appartengono  al  Domenichino.  Nei 
tre  altari  opposti  ,  quello  di  mozzo  è  del  Riderà  ,  e  gli  altri  due 
uno  è  del  Massimo  ,  e  l'altro  dello  stesso  Domenichino.  Le  pittu- 
re a  fresco  degli  angioli  ,  delle  lunette    e  dello    volte    apparten- 


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gono  allo  slesso  gran  pittori-  ,  il  quale  avea  comincialo  a  dipin- 
gere anche  la  cupola,  ma  dopo  la  sua  morte  il  Lanfranco  non 
volle  mettervi  mano  se  prima  non  fosse  stala  disfatta  lopera  del 
Uomcnicliino.  Per  le  pitture  di  questa  famosissima  Cappella  era 
stato  prima  chiamato  Guido  Reni,  il  quale  fu  costretto  a  fuggir  da 
Napoli  per  le  minacce  di  morie  che  ebbe  dai  due  pittori  napo- 
litani Ribera  e  Coreuzio.  I  continui  timori  ed  insulti  tra  i  quali 
furono  falle  queste  opere  repressero  non  poco  il  genio  del  gran 
pittore  Bolognese. 

La  sacrestia  anche  esi-a  è  ricca  di  capi  d"  opera  di  arti. 
Vi  è  una  macchia  del  Domonichino  terminata  dal  Massimo  ,  va- 
ri bei  quadri  del  Giordano  ,  e  la  soflilla  dipinta  dal  Farelli.  Vi 
si  conserva  oltre  a  ciò  una  copiosa  e  ricca  suppellettile,  e  molti 
vasi  sacri  di  gran  valore.  Qui  è  riposto  il  Sangue  di  s.  Gennaro, 
la  di  cui  miracolosa  liquefazione  accade  tre  volle  all'anno. 

Questa  ricchissima  cappella  è  di  patronato  della  Città  di  Na- 
poli ,  e  si  fa  conto  che  siasi  speso  per  essa  circa  un  milione  di 
docali.  È  servila  da  dodici  ecclesiastici  insigniti  del  tilolo  di  Cap- 
pellani del  Tesoro. 

Uscendosi  dal  Duomo  per  la  porla  della  navata  laterale  a 
dritta  si  trova  una  piccola  piazza  ,  nel  mezzo  della  quale  fu  e- 
lella  una  colonna  con  disegno  del  Fanzaca  nel  1660,  sulla  qua- 
le evvi  la  statua  di  bronzo  di  s.  Gennaro  del  Finelli.  In  que- 
sto silo  era  l'antico  gran  cavallo  di  bronzo ,  la  cui  lesta  anv 
mirasi  nel  Real   Museo  Borbonico. 

Chifsa  (li  s.  Maria  degli  Angeli  a  pizxofalcoiit?. 

E  questo  un  bel  tempio  a  tre  navi  di  belle  proi)orzioni 
che  apparteneva  ai  Teatini  ,  ed  oggi  è  Parocchia.  Fu  edifica- 
lo nel  1600  con  disegno  del  Teatino  Grimaldi.  La  cupola  è 
dipinta  dal  Benasca.  Vi  sono  pitture  del  Massimo  ,  del  Giorda- 
no ,  ed  un  bel  quadro  delle  Sacra  famiglia  di  Andrea  Vacca- 
ro.  Meriterebbe  questo  tempio  una  migliore  facciala  ,  di  che  van- 
no prive  quasi    tutte   le  chiese   più  belle  di  Napoli. 

Nel  cimitero  di  quesla  chiosa  è  sepolto  il  corpo  del  padre 
Benedello   di  Melfi  ,   morto   ai  23  giugno  1604. 


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s.  Paolo. 

E  questo  tempio  dei  PP:  Teatini.  Il  bel  monumento  è  grande 
ed  à  tre  navate.  Quivi  era  un  tempio  dedicato  a  Castore  e  Pol- 
luce innalzatogli  da  Tiberio  Giulio  Tarso  liberto  di  Augusto  nel 
foro  Augustale  ,  come  si  raccoglie  da  un  antica  iscrizione  in 
greco  che  su  le  colonne  di  questa  chiesa  esistea  che  in  italiano 
significava. 

j  Tiberio  Giulio  Tarso  alli  figli  di  Giove  cioè  Gastore  e  Pol- 
B  luce  ,  e  alla  città  fabbricò  il  Tempio  ,  e  quelle  cose  che  so- 
3  no  al  Tempio  ,  de'suoi  propri  danari  ,  consacrò  ,  essendo  egli 
i>  servo  j  e  poi  ,  procuralor  delli  Mari  d'Augusto,  s  Resa  poi  la 
città  di  Napoli  cattolica  fu  questo  profano  tempio  al  secolo  sa- 
crato ai  principi  degli  apostoli  Pietro  e  Paolo  come  si  legge 
sulla   porla  che  sta  davanti    la   scala  di   questa  chiesa. 

Ex  dìrutis  rnarmorìbits,  Castori  et  Pulluei  fa/sis  Diis  dica- 
iis,  nunc  Petro  et  Paulo  veris  Divis,  ad  faciliorein  ascenswn 
opus  Jaciundum  eurarnnt  Clerici  Regularis  11j78. 

Vi  era  rimasta  l'antica  facciata  col  suo  cornicione  sostenuto  da 
alte  colonne  al  numero  di  otto  ed  alcune  statue  ,  ma  rovinò  nel  tre- 
muoto  del  1688. 

Oggi  non  vi  restano  che  due  colonne  con  parte  dell'  architrave 
incastrato  nella  facciata  della  chiesa,  le  due  statue  mutilate  di  Ca- 
store e  Polluce,  e  le  antiche  coslTuzioni  del  tempio  sulle  quali 
poggia  la  presente  chiesa. 

Fu  questo  monumento  riedificato  nel  1691  sul  disegno  del  Pa- 
dre Grimaldi  Teatino  ,  ed  ò  ricco  di  ogni  genere    di    ornamenti. 

La  volta  del  coro  e  della  crociera  sono  dipinti  del  Corenzio, 
di  cui  è  questa  l'opera  rinntata  la  più  perfetta.  La  volta  della  gran 
nave  che  minacciava  di  crollare  ,  e  si  riparò  ,  è  un  dipinto  del 
Cavalier  Massimo. I  quadri  laterali  dei  finestroni  furon  dipinti  sul- 
le macchie  di  Andrea  Vaccaro  da  Andrea  Leone.  Il  ricco  Altare 
fu  disegnato  dal  Fuga  ,  ed  il  tabernacolo  da  Rafliiele  il  Fiamin- 
go.  Fra  le  cappelle  le  più  ricche  sono  quelle  di  s.  Gaetano,  e  di 
s.  Andrea  Avellino  ,  ambedue  alla  sinistra  dell'  altare  maggiore. 
La  prima  ne  à  sotto  im'  altra  sotterranea  ,  ove  si  venera  il  corpo 
di  s.  Gaetano  ,  che  è  dipinta  a  fresco  dal  Solimena  ,  ed  à  quat- 


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Irò  bassorilievi  di  Domenicantonio  Vaccaro.  La  cappella  della  Pu- 
rità offre  nella  parte  della  nave  minore  ,  che  le  forma  come  un 
portico,  quattro  statue,  due  delle  quale  cioè  la  Prudenza  e  la  Tem- 
peranza sono  di  Andrea  Falconet. 

Nell'ultima  cappella  a  fianco  della  porta  un' antica  tavola  del- 
la nascita  del  Redentore  si  vuole  opera  di  Marco  da  Siena. 

Nel  lato  opposto  la  prima  cappella  dopo  l'altare  maggiore  è 
dipinta  a  fresco  da  Andrea  Falcone  zio  dello  scrittore  dello  stesso 
nome.  Nella  cappella  dell'Angelo  custode  la  statua  è  di  Domeni- 
cantonio Vaccaro  ,  e  1'  altare  ,  e  gli  ornati  sono  disegnati  dal  So- 
limcna.  Rimpetto  alla  sagrestia  osserva  un  quadro  'del  Massimo. 
Questa  sagrestia  è  ricca  di  pregevoli  pitture.  Qui  il  Solimena 
spiegò  tutto  il  suo  genio  ,  specialmente  nel  rapimento  di  s.  Pao- 
lo, e  nella  caduta  di  Simone  Mago.  Vi  sono  pure  quadri  del  San- 
tafede  ,  e  di  altri  buoni  autori.  Da  poco  la  facciala  è  stata  ripi- 
gliala, e  messa  in  netto. 

II  chiostro  è  ornalo  da  24  colonne  doriche  di  granito  ,  che 
anticamente  appartennero  al  tempio  de'Dioscuri  o  al  teatro. Presso 
la  porta  minore  vedesi  racchiusa  nella  fabbrica  una  colonna  del- 
l'antico tempio  di  Nettuno  scavata  sotto  la  porla  piccola  del  Duo- 
mo dove  sopgeva  quel  tempio.  La  colonna  à  S  palmi  di  diame- 
tro e  34  di  altezza.  Volevasi  ergere  a  lato  della  chiosa  e  porvi 
sopra  la  statua  in  bronzo  di  s.  Gaetano,  la  quale  oggi  vedesi  so- 
pra un  semplicissimo  piedistallo  ;  ma  il  padrone  di  una  casa  vi- 
cina si  oppose  pel  danno  che  forse  ne  avrebbe  risentito  caden- 
do essa  per  qualche  accidente.  Ne  fu  mossa  lite  ,  e  la  ragione 
fu  per  chi  avea  torto. 

A  lato  a  s.  Paolo  evvi  una  chiesa  con  una  casa  di  ritiro  per 
donzelle  e  maritate  detta  della  Scorziala  ,  e  volgarmente  tem- 
pio di  s.  Paolo.  Fu  questa  fondata  da  Giovanna  Scorziala  nel- 
l'anno 1S82. 


VITA  DELL'  ARCHITETTO 

DOMEIVICO  FONTAIVA 

ma  LA  DESCRIZIONE  DELLE  SLE  OPERE  ESEGllTE  W  MPOLI 

CONSISTENTI 
nel 

Rea!  Palazzo. 

Allacciamento  di  acque  sorgive  in  terra  di  Lavoro. 

Condusse  l'acqua  in  Torre  Annunziata. 

Cominciò  la  strada  Riviera  di  Ghiaia. 

Drizzò  la  strada  s.  Lucia. 

Spianò  la  piazza  di  Castel  Nuovo  e  vi  collocò  la  Fontana  Medina. 

Alla  porta  dell'Arcivescovado  tre  monumenti  di  Carlo  L — Carlo  Martello — 

Clemenza  sua  moglie. 
Nell'Arcivescovado  di  Amalfi  l'altare  di  s.  Andrea. 
In  Salerno  quello  di  s.  Matteo. 
Fece  il  disegno  di  un  Porto  chiuso  alla  Torre  di  s.  Vincenzo,  con  un  molo 

che  doveva  tirare  400  canne,  e  ne  furono  fatte  30. 
Una  cappella  in  s.  Anna  de'  Lombardi  dove  fu  sepolto. 


Anno  - 1600. 


Nacque  il  Fontana  nell'  anno  11543.  Dalla  sua  piccola  pa- 
tria Mili  sul  lago  di  Como  in  età  di  20  anni  si  recò  a  Roma , 
ove  si  trovava  Giovanni  Fontana  suo  fratello  maggiore  che  stu- 
diava arcliiletliu'a  ,  cui  si  applicò  anch'  egli ,  che  di  già  avea  i 
rudimenti  della  geometria. 

Il  Cardinal  Montalto  ,  che  fu  poi  Sisto  V,  gli  dette  da  edi- 
ficare la  Cappella  del  Presepe  in  s.  Maria  maggiore  ,  ed  il  pa- 
lazzotto della  Vite  ,  che  poi  fu  de'Negroni ,  vicino  la  stessa  Ba- 
silica. 

Ma  avendo  Papa  Gregorio  XIII  tolto  lo  assegnamento  al 
detto  Cardinale  ,  stimandolo  ricco  ,  dacché  lo  vide  fabbricare  , 
quelle  fabbriche  andavano  a  restar  sospese  per  mancanza  di 
danaro  ,  se  il  Fontana  per  amore  che  avea  pel  Cardinale  e 
per  1'  opera  incominciata  non  avesse  fatto  venire  mille  scudi  , 
ch'egli  si  avea  con  vari  suoi  piccioli  lavori  guadagnato,  e  man- 
dati alla  Patria.  Con  quel  danaro  si  prosegui  alla  meglio  che  si 
potè  la  Cappella.  Questa  generosità  formò  la  fortuna  del  Fontana. 

Poco  dopo  il  Cardinal  Montalto  divenne  Sisto  V,  e'  1  Fonta- 
na architetto  Pontifizio.  La  Cappella  fu  ben  presto  finita  con  ap- 
plauso universale.  Ella  e  un  assai  bella  Croce  greca  con  quat- 
tro superbi  arconi  ,  su'  quali  s' erge  una  svelta  cupola.  La  de- 
scrizione 1'  ometto  non  essondo  mio  divisamento  ,  che  esporre  i 
monumenti  esistenti  in  Napoli.  Non  cosi  lo  stimo  per  l'operazione 
fatta  dal  Fontana  per  l'erezione  dell'  Obelisco  a  Roma,  per  essere 
cosa  utilissima  al  leggitore  artista. 

Venne  adunque  pensiero  a  Sisto  V  ,  di  trasportare  e  erge- 
re in  mezzo  alla  Piazza  di  s.  Pietro  l'Obelisco,  l'unico  rimasto  in 
piedi  ,  accanto  il  muro  della  sagrestia  ov'  era  1'  antico  circo  di 
Nerone.  Altri  Pontefici  avevano  avuta  la  stessa  voglia;  ma  la  dif- 
ficoltà dell'impresa  ne   avea  impedita  la  esecuzione. 

* 


—  244  — 

E  questo  Obcliseo  ,  o  Guglia  di  granito  rosso  ,  dagli  an- 
ticbi  Romani  chiamalo  marmo  tebaico,  perchè  tagliato  presso  Te- 
be in  Egitto  ,  da  dove  fu  trasportato  in  Roma  in  tempo  di  Cesa- 
re. É  l'unico  rimasto  sano  di  tanti  altri  che  sono  in  Roraa,è  sen- 
za geroglifici  ,  alto  palmi  107,  3  ,  largo  al  piede  palmi  12  , 
ed  in  cima  8.  Un  piede  cubico  di  questo  marmo  posa  libbre  86; 
dunque  l'intero  peso  del  masso  è  di  circa  un  milione  di  libbre. 
Come  gli  Egizi  ed  i  Romani  maneggiassero  si  enormi  sassi,  non 
restava  alcuna  memoria  ,  e  non  essendosi  per  tanti  secoli  più  fat- 
ta una  simile  operazione  ,  fu  considerata  impresa  nuova  questa 
proposta  da  Sisto  V. 

Furono  perciò  chiamati  da  tutte  parti  mati^natici  ,  inge- 
gneri ,  uomini  dotti.  Intervennero  in  un  congresso  tenuto  avanti 
il  Papa  più  di  jOO  persone  racando  ciascuno  le  sue  invenzioni 
chi  in  disegno  ,  chi  in  modello  ,  quale  in  iscritto  ,    altri  a  voce. 

La  parte  maggiore  era  di  parere  trasportare  la  guglia  in 
piedi  per  mezzo  di  un  castello  di  ferri  .  e  per  32  leve.  Altri  in- 
ventò una  mezza  ruota  su  cui  dovesse  alzarsi  la  guglia  dente  per 
dente.  Chi  propose  delle  viti ,  e  quale  immaginò  portarla  a  sta- 
terà. 

Bartolomeo  Ammanati  architetto  e  scultore  Fiorentino  ,  spe- 
dito apposta  da  Firenze  dal  gran  Duca  ,  fattosi  avanti  al  Papa 
senza  alcun  modello  o  disogno  ,  domandò  un  anno  di  tempo  a 
pensarvi  ,  e  ne  riportò  le  più  severe  beffe  del  Papa. 

Il  Fontana  spiegò  il  suo  modello  di  legno  con  entro  una  gu- 
glia di  piombo  5  che  a  forza  d'argani,  e  di  traglie  si  alzava  ,  e 
si  abbassava  con  tutta  fticilità  :  espose  le  ragioni  di  quegli  ordi- 
gni, e  dei  movimenti;  di  più  ne  fece  un'evidente  prova  sur  d'u- 
na piccola  guglia  dei  mausuleo  d'Augusto  ,  che  giaceva  rotta. 
Dopo  molle  dispute  fu  approvata  l'invenzione  del  Fontana;  ma 
perchè  egli  non  si  avea  acquistato  un  nome  imponente  ,  ne  fu 
commessa  l'esecuzione  a  due  rinomati  architetti,  a  Giacomo  della 
Porta  ,  ed  a  Bartolomeo  Ammanati.  Costoro  fecero  subilo  pianta- 
re un  palo  in  mezzo  alla  Piazza  dove  collocar  si  dovea  1'  Obe- 
lisco. 

Dolente  con  ragione  il  Fontana  ,  che  il  suo  trovato  non  a- 
vesse  da  eseguirsi  da  lui  stesso,  con  bel  garbo  andò  a  far  presen- 
te al  Papa  ,  che  ninno  poteva  eseguir  meglio  l' invenzione  che  il 


—  245  — 
proprio  inventore.  Sisto  no  fu  persuaso  ,  e  ne  dette  al  Fontana 
tutta  la  direzione.  Con  somma  celerità  questo  architetto  ne  intra- 
prese il  lavoro.  Fece  scavare  nella  Piazza  un  quadrato  del  lato  di 
palmi  GO  per  palmi  33  di  profondità  ,  e  trovato  un  suolo  acquo- 
so e  cretaceo  ,  lo  assodò  con  palificate  ,  e  con  buoni  massicci. 
Nel  tempo  stesso  fece  altrove  lavorar  canapi  del  diametro  di  0  , 
33  di  palmo,  e  lunghi  dugento  canne  ,  gran  quantità  di  funi  , 
Tergile  grossissime  di  ferro  per  armare  la  guglia  ,  ed  altri  ferri 
per  le  casse,  delle  Iraglre  ,  staffe  ,  chiavarde  ,  cerchi  ,  perni  .  e 
stromenti  di  ogni  specie. 

Il  solo  ferro  della  imbracatura  della  guglia  pesava  quaran- 
tamila libbre  ,  e  si  lavorò  nelle  officine  di  Roma  ,  di  Ronciglio- 
ne  ,  di  Subbiaco. 

Intanto  dalle  selve  di  Nettuno  venivan  travi  si  smisurati,  che 
ciascuna  era  tirata  da  sette  paja  di  bufoli.  Da  Terracina  traspor- 
tavansi  tavoloni  d'olmo  per  1' armatura  ^  e  da  s.  Severa  fusi  di 
elee  per  argani  ,  stanghe  d'olmo,  ed  altre   tavole. 

Per  muovere  la  guglia  il  Fontana  ordinò  un  castello  di  le- 
gname ,  slargò  la  piazza  ,  tagliò  un  muro  della  sagrestia  per 
piantarvi  gli  argani  ;  ed  acciocché  il  terreno  al  grave  peso  non 
affondasse  ,  essendo  in  quel  luogo  mal  sodo  e  smosso,  vi  fece  un 
ietto  con  due  ordini  di  travi  doppi  1'  uno  contrario  all'  altro  in 
croce. 

Su  queste  fondamenta  piantò  il  Castello  d'  otto  colonne  ,  o- 
gnuna  di  esse  composta  di  travi  sì  grosse  che  formavasi  la  co- 
lonna di  una  circonferenza  di  palmi  18.  Queste  travi  erano  com- 
messe insieme  con  canapi  grossissimi  ,  e  senza  chiodi  ,  per  po- 
tersi disfare  e  rifare  con  prestezza.  E  perchè  1'  altezza  d'  una  tra- 
ve non  era  sufficiente  ,  dovendo  essere  di  palmi  123,  furono  po- 
ste travi  sopra  travi  commesse  ed  inzeppate  con  cerchi  di  fer- 
ro. Queste  colonne  eran  da  tutte  le  parti  appuntellate  da  quaran- 
totto puntelli  ,  e  collegate  insieme  da  tutti  i  lati.  La  guglia  fu 
tutta  foderata  da  doppie  stuoje  affinchè  non  si  vergasse;  indi  cir- 
eondata  di  tavoloni  sopra  i  quali  furono  poste  grossissime  verghe 
di  ferro,  e  queste  abbracciando  il  grosso  di  sotto  venivano  su  a 
dirittura  per  tutte  quattro  le  facce  del  sasso,  il  quale  restava  cosi 
da  ogni  parte  cerchiato.  Tutta  la  guglia  cosi  imbracala  aveva  di 
peso  circa  un  milione  e  mezzo  di  libbre. 


—  2iG  — 

Calcolò  il  Fontana  che  ogni  argano  guernilo  di  buoni  cana- 
pi e  Iraglic  essendo  allo  a  muovere  ventimila  libbre  di  pe- 
so ,  quaranta  argani  ne  muoverebbero  ottocenlomila.  Al  resto 
pensò  di  supplire  con  cinque  leve  di  travi  grosse  e  lunghe  70 
])alini. 

Un  apparecchio  cosi  nuovo  ,  e  straordinario  eccitò  la  pronta 
curiosità  dei  Romani  e  dei  forestieri  insieme  ,  che  mossero  da 
lontani  paesi  per  vedere  quale  cfietto  produrrebbe  una  selva  di 
tante  travi  intrecciale  di  canapi  ,  d'  argani  ,  di  leve  ,  e  di  gi- 
relle, 

Sisto  V,  per  evitare  confusione  emanò  uno  di  quei  suoi  edit- 
ti .  che  nel  giorno  dell'  operazione,  ninno  ,  fuorché  gli  operai  , 
potessero  ,  pena  la  vita ,  entrar  nel  ricinto  ,  e  che  niuno  potes- 
se parlare,  o  fare  il  minimo  strepilo  ,  nemmeno  sputare  forte.  A 
tale  effetto  in  quel  giorno  30  aprile  11586  ,  il  primo  ad  entrare 
nello  steccalo  fu  il  Bargello  coi  suoi  birri,  ed  il  Boja  vi  piantò , 
e  non  per  cerimonia,  la  forca. 

Il  Fontana  andò  a  prendere  la  benedizione  dal  Papa,  il  qua- 
le nel  benedirlo  gli  disse  ,  che  badasse  a  quel  che  faceva  ,  poi- 
ché l'errore  gli  costerebbe  la  lesta.  Sisto,  in  questa  occasione  pro- 
vava una  lotta  Ira  la  gloria  ,  e  1'  amore  che  portava  al  suo  ar- 
chilello.  Il  Fontana  palpitante  fece  segretamente  tenere  a  tutte 
lo  porle  di  Borgo  cavalli  pronti  per  salvarsi  dall'  ira  Sistina  in 
caso  di  sinistro  accidente.  All'alba  si  celebrarono  due  messe  dello 
Spirito  Santo  ;  tulli  gli  operai  si  comunicarono  ,  e  ricevettero  la 
benedizione  papale  ;  primo  dello  spuntar  del  sole  furono  tulli  en- 
tro il  recinto. 

Il  concorso  degli  spellatori  fu  tale  che  fin  i  tetti  delle  case 
erano  ricolmi  di  gente  ,  tutte  le  strade  affollate,  tutta  la  nobiltà, 
la  prelatura.  I  Cardinali  furono  ai  cancelli  tra  le  guardie  Svizze- 
re ed  i  Cavalleggicri.  Fissi  tutti  ed  intenti  a  vedere  il  lavoro,  e 
sbigottiti  da  quella  inesorabile  forca  niuno  fiatava. 

Vi  era  un  ordine  dato  dairarchiletlo  ,  che  al  suono  delia 
tromba  chiascuno  lavorasse,  ed  al  suono  della  campana  posta  sul 
castello  di  legno  ciascuno  desistesse  dal  lavoro.  Più  di  900  erano 
gli  operai,  e  7a  cavalli.  Suonò  la  tromba  ed  ecco  in  un  baleno 
uomini  ,  cavalli  ,  argani  ,  traglie  ,  leve,  tulio  in  moto. 

Tremò  la  terra  ,  scrosciò  il  castello  ,  i  legnami    per  1'  cuor- 


—  '■m  — 
me  peso  si  strinsero  insieme  ,  e  la  guglia  che  pendeva  due  palmi 
verso  il  Coro  di  s.   Pietro  si  drizzò  a  piombo. 

Riuscito  si  bene  il  principio  ,  la  campanella  suonò  la  ferma- 
ta. Indi  in  dodici  mosso  si  alzò  la  guglia  quasi  tre  palmi  da 
ferra,  tanto  che  bastò  a  mettervi  sotto  lo  strascino,  restando  cosi 
validamente  fermata  con  gagliardissime  mozzature  e  zeppe  di  legno. 
e  di  ferro.  A  si  felice  riuscita  scaricò  Castello  s.  Angelo  tutta  la 
sua  artiglieria  ,  e  l'allegrezza  fu  universale. 

Ben  si  avvide  il  Fontana  che  le  cinte  dei  canapi  sono  più 
sicure  dei  cerchi  di  ferro.  Questi  restarono  la  maggior  parte  stor- 
ti 0  spezzati  o  slogati  dal  peso.  Il  di  7  di  maggio  l'u  la  guglia 
calata  orizzontalmente  sullo  strascino;  operazione  più  dil'Gcile,  e 
più  lunga  che  il  rizzarla  in  piedi.  Distesa  a  questo  modo  sullo  stra- 
scino, bisognò  disarmarla  per  condurla  sulla  piazza  nel  sito  dove 
si  avea  a  collocare.  Questo  sito  era  US  canne  distante  da  quello 
dove  stava;  e  come  il  piano  della  piazza  era  circa  quaranta  pal- 
mi più  basso  ,  si  dovette  tirare  dal  luogo  dov'  era  la  guglia  uu 
argine  di  terra  in  piano,  e  ben  fortificato  di  travature  e  di  spon- 
de a  dirittura  fino  al  centro  della  piazza.  Fatto  ciò  il  Fontana  ai 
13  di  giugno  fece  con  mirabile  celerità  per  mezzo  di  quattro  ar- 
gani scorrer  la  guglia  sopra  i  curii  fino  al  sito  destinato.il  Papa 
ne  differì  1'  erezione  a  prossimo  autunno  ,  affinchè  i  calori  del- 
l'estate non  danneggiassero  gli  operai  ,  e  gli  spettatori. 

Intanto  fu  collocato  il  piedistallo  ,  die  era  sepolto  sotterra 
40  palmi  ,  composto  di  due  pezzi  con  la  cimasa  e  basamento  del 
medesimo  sasso  ,  e  con  lo  zoccolo  di  marmo  bianco.  Fatti  tutti 
gli  apparecchi  il  di  dieci  di  settembre  con  le  solite  solennità  si 
fece  quest'ultima  operazione.  Agivano  questa  volta  centoquaranta 
cavalli  ,  ed  ottocento  uomini. 

Per  q.uel  giorno  fece  il  Papa  seguire  l' ingresso  solenne  del 
Duca  di  Luxemburg  ambasciatore  d'  ubbidienza  di  Errico  III  re 
di  Francia  ,  ed  in  vece  di  farlo  per  la  solita  porta  del  Popolo, 
volle  ch'entrasse  per  Porta  Angelica  ,  onde  quel  signore  pas- 
sando per  la  Piazza  di  s.  Pietro  si  fermò  a  vedere  la  turba 
di  lavoranti  in  mezzo  a  quella  foresta  di  macchine  ,  e  vedute 
due  mosse  degli  argani  ammirò  Roma  risorgente  per  mano  di 
Sisto  V. 

la    S2  mosse  fu  elevata  la  guglia  ,   ed    al  tramontar  del 


—  248  — 
sole  ri'sLò  inzeppata  sul  suo  piedistallo.  Sparò  Castello ,  e  gli  o- 
pcrai  ebbri  di  gioia  si  presero  sulle  spallo  il  Fontana,  e  con  gri- 
di d'  allegrezza,  con  tamburi  e  trombe  lo  condussero  trionfante  a 
casa  in  mezzo  ad  una  calca  che  applaudiva  e  ripetea  con  gli  ev- 
viva il  suo  nome. 

Slimò  il  Fontana  esser  più  facile  e  di  minore  spesa  alzar  la 
guglia  ritta ,  e  lasciarla  poi  posare  egualmente  sopra  i  dadi,  che 
servirsi  del  metodo  degli  antichi  ,  i  quali  appoggiavano  prima  il 
piede  di  essa  da  un  lato  sopra  due  dadi  ,  e  poi  tirandola  por  la 
punta  la  sollevavano,  e  rivoltavano  sul  piedestallo.  Si  è  congettu- 
rato che  gli  antichi  facessero  cosi,  perchè  due  dadi  soli  erano  ira- 
piombati  un  palmo  e  mezzo  entro  il  piedestallo  ,  e  di  più  erano 
schiacciali  nell'orlo.  Sisto  V,  poi  vi  fece  mettere  in  cima  una  cro- 
ce alta  palmi  10  portatavi  processionalmente  ;  onde  la  totale  al- 
tezza dell'  obelisco  viene  ora  ad  essere  di  180  palmi  ,  SO  palmi 
più  alla  della  nostra  guglia  della  Concezione  in  largo  s.  Domenico. 

Il  Fontana  per  questa  sua  fatica  fu  creato  Cavaliere  dello 
spcron  d'  oro  ,  e  nobile  romano  :  ebbe  una  pensione  di  duemila 
scudi  d'  oro  trasferibili  ai  suoi  credi  ;  ebbe  altresì  dieci  Cavalie- 
rati Laurelani  ,  cinquemila  scudi  d'oro  in  contanti,  e  tutto  il  de- 
scritto nìateriale  impiegato  a  quell'opera,  che  si  stimò  ascendere 
a  più  di  ventimila  scudi.  Gli  furono  coniate  due  medaglie  di 
bronzo  ,  ed  il  Papa  volle  che  nella  base  della  guglia  gli  s' inci- 
desse questa  iscrizione 

DoMiMcos  Fontana 

ES    PAGO    ACRI    NOVO    COMENTIS 
TRANSTOLIT,    ET    EREXIT. 

ma  questa  iscrizione  è  si  poco  apparente  ,  che  chi  non  la  sa, non 
la  vede. 

In  tulle  lo  allro  guglie  che  Sisto  V,  fece  ergere  alla  Piazza 
del  Popolo  ,  e  a  s.  Blaria  Maggiore  ,  e  a  s.  Giovanni  Laterano  , 
fu  impiegato  il  Cavaliere  Domenico  Fontana. 

Quest'archiletlo  adornò  la  facciata  di  s.  Giovanni  Laterano  , 
cioè  quella  che  incontro  a  s.  Maria  Maggiore  con  uu  Portico  di 
travertini  a  cinque  archi  di  pilastri  dorici  ,  e  sopra  una  Loggia 
d'ordine  corintio  per  la  Benedizione. 


—  2'i9  — 

A  canto  di  queslo  Portico  edificò  per  uso  del  Papa  quel  su- 
perbo palazzo  a  tre  piani. 

Sisto  V,  impiegò  il  Fontana  nella  Bibblioteca  Vaticana,  e  nel 
tempo  stesso  diede  principio  nel  Vaticano  a  quel  palazzo  che  ri- 
guarda la  Piazza  di  s.  Pietro  e  la  Città ,  e  che  è  il  pii!i  apparen- 
te in  quel  gruppo  di  palazzi  formanti  ciò  che  si  chiama  Palazzo 
Vaticano.  Ebbe  ancora  parte  il  Fontana  nel  palazzo  Quirinale  , 
alzandolo  verso  la  Piazza  e  la  strada  Pia.  Slargò  parimente  la 
piazza,  e  vi  trasportò  dalle  terme  di  Costantino  quei  due  colos- 
si con  quei  due  famosi  cavalli  ,  situandoli  vantaggiosamente  in- 
contro a  quella  lunghissima  strada  che  va  a  porla  Pia.  Dove  que- 
sta strada  s' incrocia  con  1'  altra  lunghissima  detta  Felice  disposo 
ai  quattro  angoli  quattro  fontane.  Quivi  anche  egli  costrusse  il  pa- 
lazzo Mattci  ora  Albani. 

11  Fontana  rislaurò  le  due  preziose  colonne  Traiana  ,  e  An- 
tonina, e  costruì  l'Ospedale  dei  mendicanti,  poi  convitto  di  sacer- 
doti a  Ponte  Sisto,  e  tra  le  altre  sue  opere  è  la  porla  della  can- 
celleria. Diresse  il  condotto  dell'  acqua  Felice  ,  che  prese  da  un 
monto  sotto  la  Colonna  castelletto  lontano  da  Roma  sodici  mi- 
glia, ma  l'acquidolto  per  evitare  i  colli  e  le  valli  è  lungo  venti- 
due  miglia. 

I  suoi  archi  in  alcuni  luoghi  giungono  fino  a  70  palmi  di 
altezza  ,  camminano  sopra  terra  quindici  miglia  ,  e  sotterra  setto. 
A  quest'impresa  lavorarono  continuamente  duemila  uomini,  e  tal- 
volta fino  a  quattromila.  Su  la  piazza  di  Termini  dove  quest'ac- 
qua fa  la  sua  principal  mostra  egli  architettò  una  gran  Fonta- 
na adornala  nella  nicchia  di  mezzo  di  un  Mosè  ,  e  nei  laterali 
dei  bassi  rilievi  alludenti  agli  Ebrei  che  si  dissetano  nel  de- 
serto. 

A  Sisto  V,  venne  in  pensiero  di  servirsi  del  Colosseo  per  un 
Lanificio.  Il  Fontana  ne  fece  il  disegno  adattato  all'antico  Anfi- 
teatro, ritenendo  la  forma  ellittica  con  quattro  porte  d'ingresso  , 
ed  altrettante  scale  ,  in  mezzo  una  fonte  ,  ed  intorno  logge  per 
gli  artefici  ,  ed  entro  botteghe  e  stanze.  Già  si  era  incominciato 
a  spianar  la  terra  di  fuori  :  mori  il  Papa  e  svanì  il  progetto. 

Mentre  il  Fontana  era  occupato  ad  un  ponte  di  travertini  sul 
Tevere  a  Borghetto  verso  la  Marca,  molte  cattive  relazioni  furo- 
no   fatte  di  lui  al  nuovo  Papa  ;   altaiche  Clemente    VII!  gli  tol-» 

Sasso  — Voi.  I.  32 


—  250  — 
se  la  carica   di  architetto  Pontifizio  ,  e  volea    ancora  che  rendes- 
se conto  delle  somme  impiegate  in  tante  fabbriche. 

Il  Conte  Miranda  Vice-Re  di  Napoli  lo  chiamò  in  questa  Ca- 
pitale ,  e  lo  dichiarò  architetto  Regio  ,  ed  Ingegnere  Maggiore 
del  Regno. 

Arrivato  il  Fontana  in  Napoli  nel  1392  allacciò  diverse  ac- 
que sorgive  in  Terra  di  Lavoro,  rinnovando  in  vari  sili  1'  anti- 
co Alveo  di  Claudio,  detto  allora  volgarmente  lagno,  e  dal  fiume 
Sarno  condusse  l'acqua  a  Torre  Annunziata  per  comodità  dui  mo- 
lini  di  Napoli. 

Sotto  il  Vice-Re  Conte  di  Olivares  incominciò  la  strada  del- 
la Riviera  di  Chiaia  ,  adornandola  di  molte  fontane  ,  e  drizzò 
quella  di  s.  Lucia  a  mare. 

Spianò  la  Piazza  di  Castel  Nuovo  ,  e  vi  eresse  Fontana  Me- 
dina ,  la  più  ricca  d'acqua  e  di  ornati  che  sia  in  Napoli. 

Alla  porla  dell'  Arcivescovado  collocò  tre  casse  con  le  sta- 
tue ,  che  sono  i  monumenti  del  Re  Carlo  I,  di  Carlo  Martello,  e 
di  Clemenza  sua  moglie. 

Nell'Arcivescovado  di  Amalfi  fece  l'altare  di  s.  Andrea,  ed  in 
Salerno  quello  di  s.  Matteo  colle  confessioni  di  sotto  alle  quali  si 
scende  con  doppie  scaie. 

La  più  grande  opera  che  egli  intraprese  in  Napoli  fu  il  Rea- 
le Palazzo  sotto  il  Conte  di  Leraos  Vice-Re. 

Questo  palazzo  è  a  tre  piani.  Il  1.°  è  porticato  con  pilastri 
d'  ordine  dorico  ,  il  2.°  è  Ionico  ,  il  3.°  composito  con  pilastrini 
che  prendono  in  mezzo  le  finestre. 

Ha  tre  portoni.  Quello  di  mezzo  conduce  ad  un  magnifico 
cortile  con  porticato.  I  laterali  doveano  condurre  in  simili  altri 
due  cortili  ,  secondo  il  Fontana. 

La  facciata  verso  Oriente  è  lunga  pai.  S20,  le  laterali  esser 
doveano  360,  1'  altezza  è  di  palmi  110,  La  facciata  aver  dovea  21 
finestre.  Di  dentro  fu  interamente  mutato  il  disegno  del  Fontana  ;  e 
soprattutto  la  scala  che  il  Conte  di  Monterey  guastò  con  farne  un 
altra  tragrandissiraa.  Questa  scala  è  lodatissima  ,  quantunqute  la 
sua  sproporzione  sia  manifesta:  ma  chi  non  intende,  sorpreso  dal- 
la straordinaria  ampiezza  confonde  il  bello  col  grande.  Il  guasto 
della  scala  si  tirò  dietro  quello  della  sala.  Questo  palazzo  fu  po- 
steriormente accresciuto  di  molto  ,  fabbricandosi  dove  non  si  do- 


—  2ol  — 
veva  fabbricare,  e  conservandosi  quella  calapecchia  di  palazzo 
vecchio,  che  gran  tempo  andava  atterrato.  Dopo  il  volgere  di 
23S  anni  si  debbe  alla  magnificenza  di  Ferdinando  II  la  demo- 
lizione di  questo  palazzo  vecchio,  el  compimento,  e  decorazione 
al  detto  magnifico  palazzo  Reale  come  a  suo  luogo  dirò  parlando 
delle  opere  dell'  architetto  Cavaliere  Gaetano  Genovese. 

Fece  ancora  il  Fontana  il  disegno  d'un  Porto  chiuso  alla 
Torre  di  s.  Vincenzo  ,  con  un  Molo  che  dovea  prolungarsi  per 
quattrocento    canne.    Ne  furono   fatte  30  e  non   più. 

Morì  il  Fontana  in  Napoli  nel  1607  nell'  età  di  anni  64, 
ricco  ed  onorato ,  e  fu  sepolto  nella  Chiesa  di  s.  Anna  dei  Lom- 
bardi in  una  Cappella  da  lui  costrutta,  nella  quale  gli  eresse 
un  degno  deposito  suo  figlio  Giulio  Cesare  ,  dichiarato  ancora 
egli  Regio  architetto. 

Posteriormente  il  sepolcro  di  si  distinto  artista  venne  collo- 
cato all'  anfiprostilo  dell'attuale  chiesa  di  Monteliveto  col  suo  mez- 
zo busto  al  naturale  sopra  ,  e  che  lo  vedi  passando  per  Toledo 
in  fondo  alla  strada  nuova  Monteliveto. 

DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE. 

Per  le  svariate  opere  accennate  nella  vita  del  distintissimo 
architetto  Domenico  Fontana  eseguite  in  Napoli  ,  sarebbe  super- 
fluo farne  descrizione  al  parallelo  della  sua  grande  opera  qui  ese- 
guita immortale  ,  e  duratura  nel  Real  Palazzo. 

Aggiungi,  che  mentre  il  Milizia  ci  regola  per  opera  del  Fon- 
tana ,  la  fontana  Medina  ,  il  Celano  ne  dà  vanto  al  D'  Auria  ,  e 
per  le  casse  alla  porta  del  Duomo  ,  di  Carlo  I  ,  Carlo  Mar- 
tello ,  e  Clemenza,  che  parimenti  al  Fontana  le  appone  il  Mi- 
lizia, altro  distinto  dotto  autore  ce  le  descrive  come  opera  niente 
meno  di  Pietro  degli  Stefani.  Nemico  di  quistioni  in  Archeolo- 
gia, e  mollo  meno  di  lungherie  per  fare  pagine  di  stampa,  e 
stancare  il  lettore,-  mi  atterrò  soltanto  per  le  opere  tra  noi  esegui- 
te dal  prelodalo   Fontana  al   Real   Palazzo   di  Napoli. 

I  nostri  Re  Angioini  ed  Aragonesi  abitarono  nei  Castelli , 
perchè  lo  stato  della  società  richiedeva  un  colai  uso.  Car- 
lo V,  fece  ergere  da  Pietro  di  Toledo  il  primo  palazzo  in  Na- 
poli da  dimorarvi  con  decoro  il  Sovrano  ,   ed  era  quello   che    h- 


—  252  — 
no   al   1836   veniva   chiamalo  Palazzo  Vecchio,  il  quale  aveva  co- 
municazione con  Castel  Nuovo. 

Oui  alloggiò  il  detto  Imperatore  nel  ritorno  che  fece  dalla 
sua  spedizione  d'Africa.  La  struttura  era  degna  di  attenzione  , 
perchè  vi  si  vedeva  il  gusto,  e  l'economia  del  vivere  del  secolo 
di  Carlo  V.  L'Edilìzio  aveva  anch'esso  le  fortificazioni  ,  poiché 
ai  Iati  della  gran  porta  eranvi  due  torri  ,  fosso  ,  e  ponte  a  le- 
vatoio nel  d'avanti  ,  e  la  fabhrica  terminava  con  merli  a  gui- 
sa di  fortezza.  Questa  Casa  ,  che  fu  allora  un  edifizio  degno  di 
alloggiare  un  grande  Imperatore  ,  un  Carlo  V,  ci  mostra  il  pri- 
mo cangiamento  nella  maniera  di  abitare  dei  Principi  e  i  co- 
stumi semplici   di   quel   tempo. 

Questo  vecchio  Palazzo  ,  come  di  sopra  ò  detto  è  sta- 
to demolito  per  provvido  comando  di  S.  M.  il  Re  (N.  S.)  Ferdinan- 
do li,  per  più  far  risaltare  il  nuovo  Real  Palazzo,  dal  prelodato 
Sovrano  accresciuto  ed  arricchito  di  fabbriche  e  svariati  oggetti 
d'  arti  d'  ogni  genere. 

Filippo  III ,  Re  di  Spagna  ,  e  nostro  Re,  volendo  visitare 
Napoli  j  si  pensò  di  costruire  a  sinistra  del  vecchio  il  nuovo 
Real  Palazzo  ,  che  è  il  più  bene  intoso  monumento  (per  la  fac- 
ciala )  che  esista  in  Napoli.  II  disegno  è  di  Domenico  Fontana. 
Fu  incominciato  sotto  il  Vice-Re  Cont-e  di  Lemos  nell'anno  1600, 
e  fu  terminato  sotto  l'altro  Vice-Re  Conte  di  Benavente.  La  fac- 
ciata principale  guarda  l'Occidente  ,  e  tiene  ,  oggi  ,  avanti  una 
magnifica  Piazza.  A  tre  ordini  di  architettura  di  ottimo  stile,  e 
buono  scompartimento  ,  un  porticato  dorico  al  pianterreno  ,  il 
primo  piano  scompartito  da  un  ordine  Ionico  ,  e  'l  secondo  dal- 
l' ordine  composilo.  La  sua  lunghezza  è  di  palmi  320  ,  e  110 
di  altezza.  Il  porticato  dorico  formava  a  progetto  del  Fontana 
il  pian  terreno  a  giorno  ,  dando  maggiore  luce  ai  due  pia- 
ni ivi  esistenti  ;  ma  si  credette  posteriormente  di  dare  più  soli- 
dità al  monumento  ,  tompagnando  la  metà  degli  archi  alterna- 
tivamente ,  e  ponendovi  delle  nicchie  per  statue  ,  che  non  vi  si 
sono  mai  collocate:  tutto  ciò  si  eseguiva  posteriormente  a  consiglio 
e  sotto  la  direzione  d'  altro  distintissimo  architetto  a  dirsi  ,  da 
un  Luigi  Vanvitolli.  A'  tre  vani  di  porte  d'  ingresso  con  otto 
colonne  di  granito  dell'Isola  del  Giglio  ,  che  costarono  diecimila 
scudi.  Dalla  parte  di  mezzogiorno  il  Palazzo  guarda  il  vicino  ma- 


—  2oò  — 
re  j  ed  à  solloposla  la  Darsena,  con  la  quale  comunicava  per  mez- 
zo di  un  ponte  coverto.  Nell'anno  1S3S  si  demolì  il  ponte,  e  la 
comunicazione  con  la  Darsena,  si  à  ora  per  sotto  la  nuova  stra- 
da a  rampe,  elio  incomincia  al  fianco  del  ileal  palazzo  ,  nel  sito 
dov'era  la  Fontana  Fonseca  ,  opera  del  Cavalier  Cosimo  di  pre- 
sente collocata  a  sinistra  calando  alla  Strada  s.  Lucia  a  mare. 
In  questo  lato  delia  Reggia  si  sono  fatte  positive  aggiunzioni  , 
ed  abbellimenti  come  appresso  dirò.  I  Vice-Re  aveano  costrutto 
da  questo  lato  oltre  la  citata  Darsena,  un  recinto  pei  presidianti, 
e  quel  che  e  più  singolare  una  fonderia  di  cannoni  sottoposta 
agli  appartamenti  reali,  oggetti  tutti  mal  convenienti  ad  una  Reg- 
gia. Sarebbe  stato  meglio  farvi  piuttosto  giardini  dalle  falde  del 
palazzo  al  mare,  e  così  si  sarebbe  avuta  una  vagha  villa  nella  me- 
desima abitazione  reale.  Il  palazzo  termina  da  questa  parte  con 
un  loggiato  incantevole  formante  un  giardino  pensile  di  singolare 
bellezza  :  quando  io  vi  ò  passeggiato  il  cuore  si  è  aperto  a  ma- 
gniCcbe  contemplazioni  ,  e  da  questo  punto  s'  ammira  il  dono  di 
Dio  per  la  felice  posizione  di  Napoli,  essendo  questo  uno  dei  più 
bei  punti  di  vista  di  questa  nostra  famosissima  Capitale.  Questa 
facciata  tiene  verso  il  mare  un  superbo  bei-vedere  superiore  rior- 
dinato sotto  la  direzione  dell'  attuale  arcbiletto  di  Casa  Reale 
il  cav.  Gaetano  Genovese,  che  mostra  la  grandezza  e  magnificen- 
za del  nostro  attuale  Sovrano  Ferdinando  II.  Onde  mantenerla  , 
e  salvarla  dallo  sviluppo  dell'acido  muriatico  delle  vicine  onde  del 
mare  fu  detta  facciata  saviamente  dall'architetto  Direttore  ,  ri- 
vestita d'  intonaco  composto  di  calce  ,  ed  ossido  di  ferro  ,  os- 
sia terrea  rossa  della  cava  dei  siirnori  Assanti  in  Pozzuoli  nel- 
la  montagna  detta  di  s.  Gennaro.  E  questo  un  prezioso  masti- 
ce che  custodisce  le  fabbriche  non  solo  dall'umidità  ,  ma  le  pre- 
serva dal  deperimento  che  loro  cagionerebbe  lo  sviluppo  dell'aci- 
do muriatico  che  viene  dal  mare. 

Credo  mio  dovere  tener  avvertiti  i  signori  architetti  Direttori 
di  avvalersene,  dirigendosi  al  proprietario  signor  Cosimo  Assanti 
Segretario  Generale  del  Registro  e  bollo. 

Nella  facciata  verso  il  largo  detto  s.  Carlo,  di  seguito  al  det- 
to Teatro  ,  vi  era  prima  la  fabbrica  della  porcellana,  poi  ridotta 
a  cavallerizza.  Indi  a  poco  da  S.  M.  Francesco  I,  vi  fu  eretto 
un  palazzo   che   prima   fu   dato  a  persona  della  sua  Corte,  e  poi 


—  254  — 
vi  si  allc-arono  officine  della  casa  del  Re  :  ma  il  genio  ,  del- 
l' attuale  Sovrano  lo  fé  demolire  ,  restando  questo  lato  del  Real 
palazzo  magnificamente  abbellito  e  decorato  con  un  giardino  rin- 
chiuso dalla  strada  con  bene  intesi  cancelli  di  ferro  ,  aventi 
ncir  ingresso  due  monumenti  allo  stesso  nostro  Sovrano  regalati 
da  S.  M.  l'Imperatore  di  tutte  le  Russie  JNiccola  I,  consistenti  in 
due  cavalli  rattenuti  per  le  briglie  da  due  pedoni  in  atletica  mos- 
sa di  metallo  fuso  :  il  detto  Largo  comunemente  dicesi  de  Ca- 
valli di  bronzo. 

Non  credo  d'esser  prolisso  ,  nò  d'aver  taccia  di  lungheria 
se  minutamente  a  si  nobile  monumento  vi  aggiunga  una  detta- 
gliata descrizione. 

Sappiasi  adunque  che  i  nostri  antichi  Re  non  aveano  pa- 
lazzi nella  Città  ;  ma  abitavano  o  dentro  di  Castel  nuovo  ,  o 
in  quello  di  Capuana  ,  e  molte  volte  per  deliziarsi  in  quel- 
lo dell' Ovo.  Così  ancora  per  qualche  tempo  continuarono  i  Vi- 
ce-Re. 

Essondo  venuto  al  governo  di  questo  Regno  in  tempo  di 
Carlo  V  5  il  Yice-Re  Pietro  di  Toledo  ,  ed  osservando  che  la 
Città  cresceva  positivamente  di  giorno  in  giorno  di  popolazio- 
ne ,  e  che  r  abitazione  del  Sovrano  non  era  più  tollerabile  nelle 
fortezze ,  che  di  notte  per  le  urgenze  dei  negozi!  doveansi  apri- 
re 5  massime  che  avea  formata  la  bella  e  magnifica  strada  di  To- 
ledo ,  volle  anco  fabbricarvi  un  palazzo  Reale  ,  che  avesse  pure 
comunicazione  con  Castel  Nuovo;  Fu  come  di  sopra  ò  detto  ciò 
eseguito  neir  anno  lu40  ,  con  disogno  e  modello  di  Ferdinando 
Manlio  architetto  Napolitano  ,  che  sepolto  sta  nella  Chiesa  della 
Nunziata,  e  Giovanni  Benincasa  padre  della  serva  di  Dio  Orsola. 

Questi  due  adunque  diressero  il  palazzo,  clie  è  stato  per  mol- 
ti anni  denominato  il  palazzo  vecchio  ,  e  che  ora  non  esiste. 

Presso  di  questo  palazzo  vi  fecero  un  ampio  e  delizioso  giar- 
dino che  appellato  veniva  il  parco  Regio. 

D.  Ferdinando  Ruiz  de  Castro,  Conte  di  Leraos  stimando  il 
palazzo  vecchio  essere  stretto  per  l'abitazione  di  un  Sovrano,  ideò 
fabbricarne  un  altro  nuovo  a  lato  del  vecchio  col  disegno  e  mo- 
dello del  non  mai  abbastanza  lodato  Cavalier  Domenico  Fontana, 
nell'anno  1600  ,  ed  è  quello  che  di  presente  si  osserva,  il  quale 
per  la  bene  studiata  facciata  ,  per   la   comodità  ,    magnificenza  , 


—  235  — 
numero  dei  svariati  appartamenti,  e  per  amene  vedute  non   à  in 
che  cedere   a  fjualsiasi  palazzo  in  Italia.  Per  la  sua  pianta  si  ser- 
vi il  Fontana  del  giardino  che  allato  stava  del  palazzo  vecchio. 

Entriamo  ad  osservarne  le  singule  parti. 

Entralo  nel  cortile  per  un  magnifico  e  maestoso  vano  di  por- 
tone  ,  trovasi  questo  circondato  da  atrii  a  due  piani  di  tiburtinoj 
sulla  sinistra  vedesi  una  troppo  famosa  e  ampia  scala,  cui  si  ac- 
cede per  tre  ale. 

Questa  scala  fu  ridotta  a  tale  forma  nell'anno  1631  d'ordine 
del  Conte  d'  Ognat.  Per  chi  à  nel  cervello  proporzione  in  archi- 
tettura la  vede  sproporzionata  per  1'  ampiezza  del  cortile ,  e  del 
palazzo.  Quella  ideata  dal  Fontana  era  al  certo  proporzionata  al 
suo  monumento.  Dicesi  che  lo  stesso  Ognat  dopo  eseguita  avea 
divisato  di  buttar  giù  palazzo  vecchio  ,  e  farvi  altro  braccio  con 
facciata  simile  a  quella  del  largo  di  Palazzo  ,  e  servirsi  di  que- 
sta scala  con  farvi  un  altra  tesa  dalla  parte  opposta  simile  alla 
prima  ,  che  vedesi  nell'ala  di  mezzo.  Questo  progetto  rimase  nel- 
Je  pagine  segnato  con  1'  andata  del  Vice-Re  ,  non  curandosi  far 
ciò  eseguire  il  suo  successore  Conte  di  Castrillo.  Mentre  queste 
cose  io  scrivo  si  sta  ingradando  di  scelti  marmi  questa  scala  , 
che  terminata  verrà  da  me  descritta  al  2°  volume,  come  di  sopra 
ò  accennalo. 

Giunto  alla  prima  tesa  della  scala  vedesi  essa  divisa  in  due 
braccia  ,  una  che  mena  alla  sala  Regia,  e  1'  altra  alla  cappella  , 
ed  alla  sala  un  tempo  detta  dei  Vice-Re  fatta  dal  Conte  di  Ognat- 
te  ,  il  quale  vi  collocò  i  ritratti  di  tutti  i  Vice-Re,  che  aveano  go- 
vernato il  Regno  da'  tempi  del  Re  Cattolico  fino  ai  suoi,  la  mag, 
gior  parte  del  pennello  del  Cavalier  Massimo.  Nel  ritratto  del  ci- 
tato Conte  vi  si  vedeano  dipinti  ai  piedi  un  lupo,  ed  un  agnello 
mangiare  assieme,  per  dimostrare  che  dopo  d'  aver  sedati  i  ru- 
mori popolari,  aveva  introdotta  nel  regno  con  la  sua  giustizia  una 
grande  quiete. 

Questa  sala  fu  abbellita  in  tempo  del  governo  del  Conte  di 
Daun  con  essersi  ritoccati  tutti  i  ritratti,  e  fattevi  le  cornici  di 
stucco  ,  e  più  fattavi  la  volta  di  canne  e  stucco.  Il  quadro  gran- 
de a  fresco  rimpelto  alla  porta  ,  e  molti  altri  ritratti  di  altri  Vi- 
ce-Re erano  di  Paolo  de  Matteis.  Con  buon  provvvedimento  ne 
sono  stati  tolti,  e  la  sala  vedesi  decorata  da  modelli  in  gesso  del- 
le statu£  colossali  del  Real  Museo. 


—  2oG  — 
Presso  questa  sala  vedesi  la  regia  cappella.  Fu  principiata 
«lai  Duca  di  Medina  perchè  prima  stava  al  Palazzo  vecchio.  Nel 
164G  fu  resa  alta  agli  uCGcii  divini  da  D.  Rodrigo  Ponz  do  Leon 
Duca  d'Arcos.  No!  fino  del  16j6  da  D.  Garzia  de  Halo  Genie  di 
Caslrilio  Al  essa  abbellita  con  dipinture  e  stucchi  Guti  posti  in  oro, 
introdotti  in  Napoli  la  prima  volta  dal  Mondarini  :  indi  fu  tutta 
iioljdmenfe  dipinta  a  chiaroscuro  con  ornamenti  lumcffsiati  in  oro 
da  Giacomo  del  Pò. 

La  soffitta  che  era  di  canne  stuccate  cadde  nell'anno  1687  , 
e  rifalla  fu  dipinta  da  Niccolò   Rossi  alunno  del  Giordano. 

Nell'altare  vi  era  un  quadro  nel  quale  stava  espressa  la  Ver- 
gine Goncetta  ,  opera  forse  la  più  bella  che  fosse  uscita  dal  pen- 
nello di  Giuseppe  di  Ribera;  ma  perchè  il  volto  della  Vergine  era 
stalo  preso  da  un  volto  naturale  d'una  donna  molto  bella  ,  can- 
gionò  più   d'un  errore  in  un  Signore  che  il  vide. 

Questo  quadro  fu  tolto  e  mandalo  a  Spagna  ,  ed  ivi  vi  fu 
collocata  una  statua  di  marmo  del  Fansaca.  Il  Padre  Eterno,e  la 
Gloria  dipinti  a  fresco  nella  volla  della  Tribuna  sono  di  Giaco- 
mo del  Pò. 

Questa  cappella  è  stata  in  questi  ultimi  tempi  abbellita  e  del 
tutto  rimodernata,  meno  che  nella  soffi  Ila  dipinta  come  ò  dello  da 
Niccolò  Rossi  ,  la  quale  non  corrisponde  alle  nuove  ricche  deco- 
razioni. Evvi  all'inloruo  un  porticato  con  Tribune  al  di  sopra,  fra 
le  quali  si  distingue  quella  per  la  famiglia  Reale  incontro  all'al- 
tare. Questo  è  lutto  di  pietre  dure  e  rame  dorato  di  squisito  la- 
voro ,  e  su  di  esso  ,  come  di  sopra  ò  detto,  evvi  la  bella  statua 
del  Fansaca.  E  servita  la  cappella  da  dodici  cappellani  di  came- 
ra ,  da  venti  cappellani  straordinari  ,  e  da  molti  chierici  ;  di 
tutti  ne  capo  il  Cappellano  Maggiore. 

Dall'altra  parte  evvi  il  salone  dei  festini.  Seguono  a  questo 
ampie  anticamere  :  tutte  aveano  le  soffitte  stuccate  in  oro  ,  e  di- 
pinte dal  Gorenzio. 

L'appartamento  ove  abitavano  i  Vice-Re  è  alla  parte  di  mez- 
zogiorno sul  mare  con  deliziosissime  vedute  e  per  comode  scalo 
si  discende  a  diversi  appartamenti  ed  al  vicino  mare.  Questi  ap- 
partamenti erano  in  tempi  dei  Vice-Re,adorni  di  curiosissimi  qua- 
dri j  opere  uscite  dai  primi  pennelli  del  17  secolo.  Vi  erano  pure 
una  quaiililà  di  statue   antiche  di  marmo  e  di  metalli  portate  da 


—  2o7  — 
Roma  ,  antiche  curiosila  ;  vasi  ,  orologi.  Vi  era  pure  una  nobi- 
lissima libreria  tutta  di  libri  scelti.  Altra  quantità  di  libri  di  di- 
segni falli  dai  più  rinomali  virtuosi  nella  dipintura.  Vi  si  vedea- 
no  le  carte  geograGchc  uscite  dai  più  rinomati  bulini  di  Europa. 
Era  questo  palazzo  un  gran  teatro  di  ogni  più  virtuosa  cu- 
riosità. 

Dal  1734  ,  in  poi  che  fu  abitazione  dei  Sovrani  dell'  attuale 
dinastia  Borbone,  felicemente  Rcgnanle  ,  accrcbbesi  infinitamen- 
te la  sua  magnificenza  in  pitture  ,  arredi,  tappezzerie,  fabbriche 
aggiunte ,  ed  altro  :  ma  avvenuta  la  disgrazia  dell'  incendio  nel 
1835 ,  l'attuale  Sovrano  Ferdinando  II  ,  l'à  talmente  arricchito  e 
decorato,  facendovi  lavorare  tutti  artisti  ed  artefici  Napolitani,  che 
non  basterebbero  dei  volumi  se  si  volessero  tutti  minutamente  descri- 
vere questi  lavori,  ed  aggiunzioni.  La  facciata  del  palazzo  verso  il 
mare  fu  tutta  eseguita  con  gusto  e  ben'inteso  disegno,  rispettando 
gli  ordini,  e  l'euritmia  del  Fontana  dal  sullodato  architetto  della 
casa  del  Re  cav.  Genovese. 

Non  è  questo  il  luogo  di  parlare  della  ricca  ed  elegante  sup- 
pellettile, che  adorna  i  Regi  appartamenti,  ma  bensì  al  2°  volu- 
me, inlanto  darò  un  cenno  delle  principali  pitture.  Quelle  a  fre- 
sco sono  opera  di  pittori  della  scuola  Napolitana;  cioè  di  Behsario 
Coreuzio  ,  di  Solimena,  di  Francesco  la  Mura  ,  di  Bonito.  Nella 
gran  Galleria  si  distinguono  due  quadri  della  Vergine,  e  del  Pa- 
dre Eterno  di  Raffaele  d'Urbino.  Le  quattro  stagioni  di  Guido  Reni. 

Due  quadri  dello  Schidori  rappresentanti  la  bottega  di  s.  Giu- 
seppe ,  e  la  visita  di  s.  Gioacchino  a  s.  Elisabetta.  L'  Orfeo  di 
Caravaggio.  L'Alessandro  Farnese  del  Tiziano.  La  Sammaritana  di 
Lavinia  Fontana. 

Nella  Sala  dei  Ministri  sono  degni  di  particolare  attenzione 
la  dispula  di  Gesù  coi  Dottori  del  Caravaggio.  La  corsa  di  Ata- 
lanla  e  d' Ippomene  di  Guido  Reni.  Il  sogno  di  S;  Giuseppe  del 
Guercino. 

Nel  cos'i  detto  Salone  giallo,  il  quadro  più  notevole  è  la  Re- 
beccà  dell'  Albano. 

Merita  essere  ancora  osservata  la  ricca  e  magnifica  Bibliote- 
ca privata  del  Re. 

Oggi  decora  immensamente  questo  magnifico  Monumento  la 
Piazza  del  Rcal  Palazzo.  Questa  fu  cominciata  nel  1810. 
Sasso  — Yol.l.  33 


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La  piazza  sarebbe  di  forma  quadrata  se  un  suo  lato  non  fos- 
se un  semicerchio.  Difatli  la  distanza  fra  i  due  palazzi  simme- 
trici è  in  palmi  6o0  ,  ed  altrettanti  ne  corrono  dalla  porta  del 
Tempio  al  Portone  del  Palazzo. 

In  mezzo  alla  Piazza  sono  poste  due  statue  equestri  in  bron- 
zo di  Carlo  Iti  ,  e  Ferdinando  I  Borboni  —  I  due  cavalli  con  la 
statua  di  Carlo  sono  del  celebre  Canova  ,  e  la  statua  di  Ferdi- 
nando die  regge  tanto  bene  al  confronto  di  quella  del  Canova  , 
è  di  Cali  Napolitano  —  Sono  queste  le  più  grandi  statue  equestri 
che  vi  sieno ,  e  sono  di  gran  pregio.  L'  architettura  della  Chiosa 
è  di  Pietro  Bianchi  di  Lugano  —  quella  del  Palazzo  verso  la  stra- 
da di  Chiaia  è  dell'architetto  Laperuta  ;  sullo  stosso  gusto  fu  mo- 
dellata la  facciala  del  palazzo  opposto  ,  dal  nostro  Antonio  Ani- 
to architetto  della  casa  del  fu  Principe  di  Salerno. 

Dopo  r  opera  del  Rea!  Palazzo  di  Napoli  ,  eseguito  con  bel 
talento  e  sana  architettura  dal  distintissimo  artefice ,  superfluo  sa- 
rebbe a  sua  lode  qualunque  altra  descrizione  delle  svariate  opere 
che  in  Napoli  diresse  ;  imperocché  dalla  loro  natura  tu  scorgi 
neir  architetto  Domenico  Fontana  non  solo  il  distinto  artista,  ma 
l'ottimo  matematico  ,  ed  il  profondo  idraulico. 

Opinione  maggioro  desta,  senza  alcun  dubbio  nel  tuo  cuore  il 
prelodato  architetto  ,  qualora  rifletti  a  quanto  oprò  egli  in  Roma 
e  massime  per  1'  alzata  del  famoso  obelisco  di  Sisto  V. 

Qualunque  altra  lode  io  tentassi  per  si  distinto  maestro  po- 
co sarebbe  —  A  dotto  architetto  e  felice  narratore  ne  cedo  lo  in- 
carico. 

Non  sarà  discaro  ai  miei  lettori  se  di  aggiunta  alle  opere 
sopra  esposte  dello  illustre  Domenico  Fontana  io  vada  ad  espor- 
re altra  operazione  delle  slesse  dlQicoltà  per  l' alzata  dell'  o- 
helisco  di  Sisto  V;  superate  con  altri  ritrovali  nel  1769  dal  Conte 
Marino  Carburi  da  Ccfalonia,  per  trasportare  a  S.  Pietroburgo  un 
masso  di  granilo  di  tre  milioni  di  libbre,  per  servire  di  basamento 
alla  statua  equestre  in  bronzo  di  Pietro  il  Grande,  che  oggi  giace 
nella  piazza  della  Capitale  dell'  Impero  Russo,  secondo  il  disegno 
dell'  architetto  signor  Falconet. 

Questi  disprezzò  I'  uso  comune  di  piantare  una  statua 
equestre  sopra  un  piedistallo  ,  dove  naturalmente  ella  non  può 
stare  ;  ma  volle  uno  scoglio  su  cui  far    galoppare    il  suo  Eroe  , 


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che  si  arresli  alla  vista  di   un  orrendo  serpente  ,  e  sonnonli  ogni 
ostacolo  per  la  felicità  delle   Moscovie.  Non  vi  voleva  che  una  Ca- 
terina II,   esecutrice  gloriosa    delle    grandi   idee  di    quell'  Eroe  , 
per  eseguire  il  piano  straordinario  dell'  artista  scienziato. 

Fu  casualmente  trovato  il  Sasso  sprofondato  per  quindici  pio- 
di  entro  un  pantano  ,  lungi  quattro  miglia  e  mezzo  dal  fiume 
Newa,  e  quattordici  da  Pietroburgo. 

Casualmente  ancora  si  trovò  a  Pietroburgo  il  Carburi  da  in- 
traprenderne il  trasporto  —  La  sola  natura  fa  talvolta  un  mecca- 
nico ,  come  fa  un  generalo  ,  un  pittore  ,  un  filosofo.  La  spesa 
per  questo  trasporto  non  fu  che  di  settantamila  rubli,  od  i  mate- 
riali rimasti  dopo  1'  operazione  valcano  i  due  terzi  della  suddetta 
somma.  Gli  ostacoli  superati  fanno  un  immenso  onore  all'  inten- 
dimento umano. 

Il  Sasso  era  lungo  trentasetle  piedi  ,  ventidue  largo  ,  ventu- 
no alto,  di  forma  parallelepipeda.  Era  fesso  da  un  fulmine,  se  ne 
tolse  la  minor  parte,  e  nella  parte  incavata  si  costruì  una  fucina 
per  i  bisogni  occorrenti  nel  viaggio.  INon  volle  il  Carburi  ,  elio 
il  suo  Sasso  andasse  al  solito  sopra  curii  cilindrici  :  questi  cagio- 
nano tanto  attrito  da  spezzare  le  più  forti  gomene.  Invece  di  cura 
egli  usò  palle  composte  di  rame  ,  di  stagno  ,  e  di  calamina  che 
rotolavano  col  gran  carico  sur  una  specie  di  barca  lunga  180 
piedi  ,  e  larga  66.  Fu  uno  spettacolo  straordinario  veduto  da  tutta 
la  Corte  e  dal  Principe  Enrico  di  Prussia  braccio  destro  del  Gran 
Federigo. 

Due  tamburi  in  cima  suonavano  la  marcia.  Quaranta  scarpellini 
vi  lavoravano  continuamente,  mentre  il  Sasso  camminava,  per  dar- 
gli la  forma  proposta  —  La  fucina  sempre  in  opera  :  molti  altri 
uomini  vi  erano  ancora  strascinati  sulle  sluoje  per  tener  lo  palle 
in  giusta  distanza  ,  le  quali  non  erano  che  trenta  ,  ciascuna  del 
diametro  di  15  pollici.  La  montagna  camminava  quasi  sulle  uova, 
tirata  da  quattro  argani,  e  talvolta  da  due,  mosso  ciascuno  da  32 
uomini — Si  alzava  e  si  abbassava  sopra  viti  per  toglierle  il  vadie- 
re  e  mettercene  sotto  un  altro  :  quando  la  strada  era  piana  facea 
60  piedi  r  ora.  Il  meccanico  sempre  ammalato  per  I'  aria  palu- 
stre ,  e  sempre  indefesso  a  regolar  la  marcia  foce  si  che  in  sei 
settimane  si  giungesse  felicemente  al  fiume. 

S' imbarca  il  Sasso  ;  la  barca  s' incurva  ;   il  Carburi  la  rad- 


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drizza  ;  lo  scoglio  è  nella    piazza   di  S.  Pietroburgo  in  onore    di 
Pietro  il  Grande  e  di  Caterina  li ,  mercè  1'  opera   di   Falconet  e 
di  Carburi. 

Si  osservò  in  questa  operazione  che  il  musco  e  la  paglia  po- 
ste sotto  il  Sasso  divennero  ,  per  la  compressione  ,  una  materia 
SI  compatta  clie  reggeva  alle  palle  di  raosclictto  sparale  da  vici- 
no. Sopra  consimili  opere  meccaniche  degli  antichi  ,  che  ne  fa- 
coan  pure  delle  stupende  ,  non  abbiamo  alcuna  storica  relazione 
che  certamente  non  mancherebbe  di  destar  l'ammirazione  dei  no- 
stri geometri  trascendenti  e  sublimi. 


VITA  DELL'ARCHITETTO 

GllLlO  CESARE  FONTANA 

C0.\  LA  DESCRIZIO:VE  DELLE  SIE  OPERE  ESEGUITE  W  WUU 

CONSISTENTI 

nei 

Pubblici  Granai  alle  fosse  del  Grano. 
Regi  Studi. 


II  Cavaliere  Giulio  Cesare  Fontana  nascea  figlio  del  suUoila- 
fo  Domenico  ,  e  venne  iu  questa  nostra  metropoli  adoprafo  dai 
Vice-Re  in  molti  e  svariali  lavori  durante  ancora  la  vita  del  suo 
amato  genitore. 

Tra  le  molte  fabbriche  che  disegnò  in  Napoli  è  notabile 
quella  dei  già  pubblici  Granai  capaci  di  conservare  200  mila  to- 
moli di  grano  ,  e  che  poc'  anzi  è  stala  demolila. 

L'opera  più  regolare  di  questo  architetto  fu  quella  dei  Regi  Stu- 
di che  progettò,  e  mise  mano  ai  lavori  nell'anno  1610 — la 
questo  luogo  adunque  ne  darò  la  descrizione,  stimando  questo  il 
più  rinomato  edifizio  per  un  artista,  e  massime  per  chi  scrive  la 
storia  dei  Monumenti  ,  racchiudendo  oggi  giorno  questo  locale 
tesori  tali,  a  cui  non  vi  sarebbe  prezzo  immaginabile  per  defluir- 
ne il  valore  — Le  fasi,  le  aggiunzioni,  le  diverse  destinazioni  di 
questo  monumento,  ricordo  averli  accennati  nella  prefazione  ;  ec- 
co motivo  ,  che  vado  di  salto  alla  descrizione,  per  non  ripetere 
le  slesse  cose. 

Prima  di  cominciare  una  sommaria  descrizione  di  questa  ma- 
gnificenza mondiale  ,  imperocché  ò  unica  nel  mondo  —  bramo 
farti  conoscere  ,  la  pompa  magnifica  con  la  quale  fu  questo  Mo- 
numento aperto  il  di  14  giuguo  1613  ,  da  D.  Fedro  Fernando 
de  Castro  Conte  di  Lemos. 

Con  solennissima  cerimonia  il  dello  Vice-Re  vi  s  i  portò  con 
una  cavalcata  tutta  di  Lettorati  ,  fra  i  quali  vi  erano  i  tre  Col- 
legi dei  legisti  ,  dei  filosofi  ,  e  dei  teologi  con  tutti  i  lettori  di 
queste  facoltà,  ognuno  dei  quali  portava  un  cappirotto  coloralo: 
quello  dei  legisti  era  di  color  rosso  e  verde  ;  quello  dei  filoso- 
fi giallo  ed  azzurro  ;  e  quello  dei  teologi  bianco  e  nero.  Tutti 
i  cavalli  venivano  coverti  da  maestose  bardature. 

Per  la  descrizione  del  monumento  ciò  che  è  la  facciata,  la 
vedi  nella  tavola  18.  Come  fu  il  modello  di  Giulio  Cesare  Fonta- 
na lo  riporta  il  Celano.  Come  è  attualmente  dicono  i  nostri  sto- 


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rici  che  Io  fu  per  opera  dell'  architetto  Pompeo  SchiaiUarelli  nol- 
1'  anno  1790,  come  mi  trovo  averlo  ancor  io  accennalo  nella  pre= 
fazione.  Posteriormente  ò  veduto  il  progetto  dello  Schiantarelli  da- 
tomi da  un  suo  ajutante  che  vive  tuttora  ,  e  non  à  che  fare  con 
r  attuale  facciata.  Conosco  che  Pietro  Bianchi  ne  diresse  nel  1816 
il  colorito.  Comunque  sia  andata  la  faccenda  la  detta  facciata  co- 
me dalla  tavola  18  è  monumentale.  Per  i  diversi  compresi  ,  gli 
accennerò  descrivendone  i  tesori  che  racchiudono. 

A  descrivere  minutamente  tutti  gì'  importanti  oggetti  che  si 
ammirano  in  questo  monumento  unico  nel  suo  genere,  non  ba- 
sterebbero molti  volumi.  INello  esporre  1'  ordine  col  quale  sono 
essi  disposti  ,  si  accennerà  qualche  cosa  sopra  quelli  ,  che  me- 
ritano una  più  particolare   attenzione. 

Entrandosi  per  la  porta  principale  —  come  dalla  tavola  18. 
osservi  —  (e  che  come  oggi  è  formato  ,  cesserebbe  il  mordace  Mi- 
lizia di  chiamarlo  lungo  intestino  )  ,  si  trova  un  magniOco  por- 
ticato 5  in  fondo  del  quale  vedesi  la  bene  studiala  scala  ,  che 
mena  al  piano  superiore  ricavala  con  molto  ingegno  in  un  an- 
gusto sito.  Tanto  il  porticato  ,  che  la  gradinala  sono  adorni  di 
statue  e  busti  antichi  ,  e  nel  mezzo  dell'  ultima  vedesi  la  statua 
di  Ferdinando  I   Borbone  opera  dell'  immortale  Canova. 

Le  due  corli  laterali  a  questo  porticato  àuno  141  palmi  di 
lunghezza  ,  e  lOa  di  larghezza.  Nel  porticato  veggonsi  i  modelli 
delle  due  statue  equestri ,  che  si  sono  allogate  nella  Piazza  del 
Real  Palazzo. 

Per  la  prima  porta  a  dritta  del  grande  ingresso  ,  si  entra 
ad  ammirare  la  singolare  raccolta  di  pitture  scavate  a  Pompei  , 
ad  Ercolano  ,  ed  a  Slabia.  Sono  esse  disposte  in  cinque  classi  ; 
la  prima  per  i  frulli  ed  animali  ,  la  seconda  per  paesaggi  ,  ia 
terza  per  figure  ,  la  quarta  per  frammenti  di  pitture  ,  e  la  quin- 
ta per  oggetti  architettonici  ,  alcuni  dei  quali  sono  di  gran  pre- 
gio. Nella  classe  delle  figure  fissa  una  particolare  attenzione  sopra 
i  quadri  di  Briseide  ed  Achille  ,  Briseide  sola  ,  del  sacrifizio 
d'Ifigenia,  e  sopra  i  due  creduli  uno  di  Giunone  e  Giove  ,  1  al- 
tro di  Fesivo  ,  e  Flora.  Osserva  pure  il  pilastro  allogalo  in  mez- 
zo alla  Galleria  che  esisteva  nella  Fiellouica  a  Pompei. 

Uscendosi  da  questa  Galleria  per  la  porla  che  vi  si  trova 
incontro  ,  si  entra  in  tre  stanze  ,  che  fauno  continuazione  al  Mu- 


—  26u  — 
SCO  delle  pitture  antiche.  La   prima  è  desliuata  ai    musaici  figu- 
rati ,  la   seconda  e  la  terza  lo  sono  alle  pitture  ,  fra  le  quali  si 
distinguono  le  pareli  del  tempio  d' Iside. 

Lo  due  ultime  stanze  di  quest'ala,  sono  per  ora  destinate  alle 
adunanze  dell'accademia   delle  scienze. 

Si  fatte  pitture  eseguite  sull'  intonaco  delle  mura  ,  ne  sono 
siale  distaccale  con  molla  arte  e  diligenza  ,  e  formano  una  col- 
lezione di  circa  duemila  pezzi.  Si  sono  scelte  quelle  credute 
pili  utili  a  dilucidare  le  arti  ,  e  1'  archeologia  ,  e  le  altre  sono 
state  lasciate  sulle  pareti  che  ornavano. 

II  nostro  Milizia  à  toccata  la  quistione  ,  se  la  pittura  fosse 
cosi  perfezionala  presso  gli  antichi  come  lo  erano  la  scultura  e 
rarchitetlura. 

A  giudicarne  da  queste  pitture  ,  pare  che  il  vanlaggio  sia 
pei  moderni  ;  ma  tale  giudizio  può  essere  anche  fallace  ,  perchè 
fondato  sulla  conoscenza  che  abbiamo,  neppure  intera,  dei  qua- 
dri su  i  muri  di  piccole  ci  Uà  ,  le  quali  appena  potevano  posse- 
dere qualche  capolavoro  ;  e  vista  la  loro  profusione  si  debbono 
supporre  di  artefici  del  paese  ,  che  probabilmente  non  erano  di 
prim'  ordine.  Del  resto,  sifTatte  pitture  mancano  generalmente  di 
prospettiva  ;  ma  il  peccare  del  colorito  nasco  dall'  avere  pel  tem- 
po perduto  la  pristina  vivacità.  Il  disegno  però  di  molto  si  avvi- 
cina alla  perfezione  ,  ed  il  nudo  sopra  tutto  è  stato  bene  inteso 
dagli  antichi. 

Molti  quadri,  malgrado  la  semplicità  della  composizione,  uni- 
scono fuoco  e  delicatezza.  È  inutile  poi  aggiungere  i  molti  tito- 
li per  cui  queste  pitture  ci  debbono  esser  pregevoli  e  care,  e  quanto 
sieno  esse  istruttive. 

Torna  o  lettore  al  Porticato.  La  seconda  porta  a  dritta  con- 
duce alla  Galleria  dei  monumenti  Egiziani,  raccolta  che  è  sul  na- 
scere ,  e  che  per  le  provvide  cure  di  S.  M.  Ferdinando  II  non 
tarderà  ad  ingrandirsi.  Osserva  con  attenzione  1"  Iride  in  marmo, 
ritrovala  nel  tempio  del  suo  nome  a  Pompei. 

La  corte  a  drilla  presenta  bellissimi  frammenti  di  archilel- 
iura  ,  di  statue  ,  e  di  ornati.  Segue  una  raccolta  d'  iscrizioni  an- 
tiche ,  molte  delle  quali  sono  della  maggiore  importanza.  Ma  ri- 
chiamano qui  tutta  r  attenzione  il  Toro  Farnese,  e  l'Ercole  Far- 
nese. Il  primo  è  un  gruppo  che  rappresenta  la  favola  di  Dirce  , 

Sasso  —  Voi.  I.  34 


—  266  — 
ed  essendo  in  graa  parie  restaurato  offre  più  di  opere  nuove,  che 
di  antiche. 

Pare  anche  che  la  sua  fama  superi  il  merito  reale,  difettosa 
essendone  1'  azione  —  Nessuna  tua  fermata  sarà  bastante  ai  piedi 
della  famosissima  statua  dell'  Ercole  per  ammirare  le  singolari 
bellezze  di  quest'  opera  prodigiosa  dell'  Ateniese  Glicone. 

Ritornandosi  alla  corte  ,  per  l'ultima  porla  sulla  dritta  si  en- 
tra nella  galleria  dei  grandi  bronzi.  Tutta  Europa  insieme  non 
à  un  numero  di  statue  in  bronzo  pari  a  quello  che  ti  offee 
questo  Museo.  Fissa  principalmente  la  tua  attenzione  sul  Mercu- 
rio sedente  ,  cui  vien  dato  il  primato  fra  quante  statue  di  tal  me- 
tallo sonoci  pervenute  dagli  antichi.  Bellissimi  sono  pure  i  due 
Fauni  ,  l'uno  dormiente,  e  l'altro  ubbriaco:  si  noli  la  bella  te- 
sta del  cavallo  di  bronzo  ,  che  era  altra  volta  presso  il  Duomo  , 
scampata  fortunatamente  alla  distruzione.  Finalmente  si  osservi  il 
bel  cavallo  raccozzato  ingegnosamente  dai  pezzi  dei  quattro  ,  i 
quali  componevano  una  quadriga  ,  che  assai  maltrallata  fu  tro- 
vala nel  teatro  di  Ercolano. 

Passandosi  al  lato  opposto  del  porticato,  si  entra  per  tre  in- 
gressi nel  31usco  dello  statue  ,  formato  da  tre  i^orlici  della  corle, 
da  più  gallerie  ,  e  dalla  corte  stessa.  Per  1'  ingresso  a  sinistra  si 
trova  il  primo  portico  lungo  palmi  l!>6  ,  è  dello  dei  Miscellanei 
per  la  varielà  degli  oggetti  che  contiene.  Si  dislinguono  fra  essi 
un'Amazzone  morta,  un  buslo  di  Gallieno,  un  gruppo  di  due  uo- 
mini intenti  a  parlare,  un  cinghiale.  Al  termine  di  questo  portico 
vedesi  la  statua  equestre  di  Nonio  Balbo  figlio  ,  ed  al  termine 
del  terzo  portico  ad  essa  d'  incontro  osservasi  1'  altra  di  Nonio 
Balbo  padre  ,  ambedue  bellissime.  Erano  prima  nel  Real  Palazzo 
di  Portici  ,  dove  nel  1799  una  palla  di  cannone  portò  via  la  le- 
sta del  primo  Balbo  ,  la  quale  è  stata  restaurata. 

Il  secondo  portico  lungo  palmi  263  ,  è  dello  delle  divinità, 
perchè  di  esse  contiene  cinquanlasetle  simulacri.  Richiama  tra  que- 
ste statue  una  parlicolare  attenzione  1'  Apollo  col  cigno. 

Un  lungo  sguardo  meritano  ancora  il  gruppo  di  Ganimede 
rapito  dall'Aquila  ,  i  due  busti  colossali  di  Ercole  e  di  Alessan- 
dro il  grande  ,  i  bei  gruppi  di  un  satiro  e  di  un  giovinetto,  di 
Bacco  ed  Amore  ,  di  Venere  ed  Amore  ,  di  Fauno  con  Bacco 
bambino  sulle  spalle  ,  una  Giunone  ,  una  Minerva  ,  un'  Euterpe, 
un  busto  di  Arianna. 


—  267  — 

Il  ferzo  portico  di  lunghezza  ugnale  al  primo  è  detto  dogli 
Imperatori  ,  perchè  vi  sono  riuniti  da  cinquanta  monumenti  ap- 
partenenti agli  antichi  Imperatori  romani.  Nel  mezzo  di  esso  si 
vede  la  bella  statua  sedente  di  Agrippina  moglie  di  Germanico, 
alla  destra  di  essa  una  magniGca  tazza  di  porfido  ,  ed  avanti  e 
dietro  due  fonti  lustrali.  Le  mura  dell'androne  vicino  sono  co- 
perle  di  bassorilievi  ,  tra  i  quali  non  pochi  degni  di  attenzione. 
Gli  altri  oggetti  più  notevoli  sono  i  due  busti  colossali  di  Tito  , 
e  di  Antonino  Pio  ,  e  più  ancora  quello  di  Giulio  Cesare  ,  le 
statue  di  Marco  Aurelio  ,  di  Lucio  Vero  ,  di  Trajano  .  e  di  Ga- 
ligola  ,  la  statua  colossale  sedente  di  Augusto  ,  ed  anche  1'  altra 
di  Claudio  ,  i  busti  di  Pupieno  ,  di  Lucio  Vero  ,  di  Probo  ,  di 
Adriano  ,  di  Caracalla  ,  e  di  Carino  ,  da  altri  creduto  di  Anto- 
nino Pio.  —  Nel  visitare  la  galleria  si  può  cominciare  da  quel- 
la dotta  flora  ,  per  la  bella  statua  di  tal  nome  che  contiene  , 
la  quale  è  il  capolavoro  de' bei  panneggi.  Quattro  nobili  bas- 
sorilievi ,  il  maraviglioso  frammento  di  una  statua  muliebre  , 
ed  il  bel  torso  farnese  sono  oggetti  degni  di  particolare  osser- 
vazione. 

La  seconda  Galleria  delta  dei  marmi  colorati  presenta  qua- 
rantaquattro bei  monumenti  sopra  piedistalli  di  alabastro  ,  e  di 
colonne  di  marmo  cipollino  ,  che  fanno  corona  alla  singolare  sta- 
tua in  porfido  di  Apollo  citarco.  Merita  particolare  attenzione  il 
busto  di  Marco  Aurelio  quando  era  giovane. 

Alla  terza  galleria  si  <là  il  nome  delle  Muse,  perchè  vi  si 
veggono  riuniti  trenta  monumenti,  che  anno  relazione  con  esse,  e 
con  Apollo.  Nel  mezzo,  sopra  di  un  piedislilio,  vedesi  un  gran  vaso 
di  marmo  greco  ,  ornato  di  bellissimi  bassorilievi  rappresentan- 
ti la  nascita  di  Bacco  ,  ma  infelicemente  molto  danneggiato. 

La  quarta  galleria,  denominata  delle  Veneri  ,  perchè  consa- 
grata principalmente  alla  Dea  di  Amore  ed  agli  oggetti  che  le 
riguardano.  Nel  mezzo  vedesi  una  bella  statua  di  Adone  ,  ed  un 
gruppo  di  Amore  con  un  Delfino.  Non  si  lasci  d'  osservare  Bac- 
co ermafrodito. 

Da  questa  galleria  per  un  passaggio  ornato  di  erme ,  busti. 
e  colonne  si  passa  alla  quinta  dell'  Atlante  ,  così  delta  dalla  sta- 
tua ,  degna  di  molta  attenzione  ,  di  Atlante  col  globo  sul  dorso. 
La  collezione  qua    riunita  è  principalmente  destinata  agli  antichi 


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sapienti.  Si  dislingiiono  le  statue  di  Omero  ,  e  di  uu  filosofo,  ed 
i  busti  di  Arlistene  ,  di  Eschine  ,  di  Periandro  ,  di  Solone  ,  di 
Erodoto  5  di  Cameade  ,  di  Posidenio.  Ma  sopra  di  ogni  altra  si 
eleva  la  impareggiabile  statua  di  Aristide  trovala  ad  Ercolano  ; 
la  quale  è  da  contare  tra  i  primi  prodigi  dell'arte  :  più  la  vedi, 
più  arai  di  vederla. 

La  stessa  galleria  è  delta  dell' Anlinoo  per  la  statua  che  ù 
nel  mezzo  di  questo  inverecondo  favorito.  Non  vi  mancano  in- 
torno oggetti  da  richiamare  la  tua  attenzione. 

Segue  il  gabinetto  delle  piccole  statue  e  delle  erme.  Qui  è 
passata  da  circa  diciotto  anni  la  tanto  celebrata  statua  di  Venere 
callipiga  ,  detta  a  ragione  la  rivale  della  Venere  medicea. 

La  corte  circondata  dai  tre  sopra  descritti  portici  ,  che  sono 
slati  chiusi  è  anche  essa  un  museo  in  cui  con  arte  sono  distri- 
buiti sarcofaghi  ,  bassorilicTi  ,  pezzi  architettonici,  ed  altri  antichi 
monumenti.  Nel  mezzo  si  vede  un  grande  impluvio  di  marmo  sul 
gusto  di  quei  di  Pompei  ,  e  nelle  dodici  nicchie  nelle  pareli  ,  do- 
dici statue  consolari. 

Le  rimanenti  stanze  di  questo  primo  piano  terreno  ,  sono  pei' 
ora  destinato  ad  esser  magazzini  di  oggetti  non  ancora  allogali  , 
o  che  àn  bisogno  di  ristauro. 

Salendosi  le  scala  ,  delle  due  porte  che  le  prime  s' incontra- 
no ,  (juclla  a  dritta  mena  alla  raccolta  di  terre  colle  e  di  ogget- 
ti del  loOO  ,  e  l'altra  incontro  a  sinistra  all' appartamento  per 
la  Direzione  del  Musco.  Questa  raccolta  di  terre  cotte  greche  e 
romane  comincia  dai  più  piccoli  e  comuni  vasi  e  termina  con 
altri  e  grandissimi.  —  Vi  si  veggono  ancora  statue  ,  animali  , 
lucerne  ,  fruiti  ,  ed  altro.  Degli  oggetti  del  luOO  e  del  rinasci- 
mento delle  arti  in  Italia  molli  apparleneano  alla  casa  Farnese. 
Continuandosi  a  salire  si  trova  la  scala  divisa  in  due  rami, 
ed  andandosi  per  quello  a  dritta  vedesi  come  un  vestibolo  con 
cinque  porle. 

La  prima  porla  conduce  alla  raccolta  di  vetri  la  quale  ci  ac- 
certa di  quello  ,  che  per  noi  era  prima  dubbio  ,  cioè  che  gli  an- 
tichi non  solamente  avevano  il  vetro,  ma  conoscevano  ancora  il  mo- 
do di  cisellarlo  ,  di  lavorarlo  al  torno  e  colorirlo.  —  Vi  si 
veggono  oltre  a  1200  monumenli  diversi  ,  fra  i  quali  sono  da 
notare  due  urne  con  le  ossa  di  duo  scheletri,  trovate  nel  1814,  a 


—  269  — 
Pompei.  Alcuni  lavori  in  cristallo  di  Rocca ,  ed  altri   importanti 
oggetti. 

Per  la  seconda  porta  si  entra  nella  stanza  degli  oggetti  ri- 
servati ,  dove  sono  riuniti  i  monumenti  osceni  in  marmo  ,  in 
bronzo  ,  in  terre  cotte  ,  in  vasi  ,  in  pitture.  La  religione  degli 
antichi  non  favoriva  ,  come  la  nostra  ,  la  decenza  dei  costumi  ; 
e  questi  oggetti  che  ora  ne  fanno  arrossire,  non  producevano  ver- 
gogna ,  perchè  non  supponevano  colpa.  Essi  oltrepassano  il  cen- 
(inaio  ,  fra  i  quali  meritano  particolare  attenzione  un  bel  tripode 
di  bronzo  composto  di  Ire  Priapi  ,  che  sostengono  un  braciere,  il 
famoso  gruppo  del  Satiro  e  della  capra  di  Ercolauo  ,  vari  affre- 
schi ,  ed  altro. 

La  terza  porta  dà  l' ingresso  a  vaste  gallerie  ,  le  quali  con- 
tengono una  parte  della  gran  quadreria  ,  che  forma  uno  degli 
ornamenti  di  questo  Museo.  Non  potendo  in  quest'opera  ,  come 
ò  detto  ,  indicare  minutamente  tutl'i  quadri  ,  sotto  diversi  aspet- 
ti r/ieritevoli  di  particolare  considerazione  ,  mi  limitirò  ad  addi- 
tarne il  numero  e  le  scuole. 

Le  tre  prime  stanze  accolgono  novantatrè  quadri  della  scuo- 
la napolitana.  A  destra  della  terza  stanza  vi  sono  due  gabinetti. 
li  primo  contiene  o2  tavole  quasi  tutte  col  fondo  dorato  appar- 
tenenti alla  scuola  greca  dei  mezzi  tempi  ,  alcuni  cartoni  dei 
più  grandi  maestri  ,  e  nel  secondo  sono  riuniti  36  quadri  quasi 
tutti  piccoli,  appartenenti  a  varie  scuole,  alcuno  dei  quali  sono 
di  primo  ordine. 

La  quarta  grande  stanza  contiene  46  quadri  della  scuola 
fiorentina  ,  uno  della  bolognese  ,  quattro  della  genovese  ,  e  nove 
df'lla  francese. 

La  quinta  consagrata  alla  scuola  fìaminga  ,  racchiude  Jj6 
quadri.  Continua  fa  scuola  Fiamminga  nella  sesta  stanza,  la  qua- 
le ne  raccoglie  di  essa  scuola  altri  26  quadri  ,  ed  oltre  a  que- 
sti 32  della  scuola  Tedesca  ,  e  10  dell'  Olandese. 

Allorché  si  esce  da  questa  quadreria  ,  per  la  prima  porla 
che  si  trova  a  dritta  si  entra  nel  Museo  dei  piccoli  bronzi.  Qui 
Iti  ,  o  lettore  ,  resti  dolcemente  sorpreso  alla  vista  di  migliaia  di 
piccoli  monumenti  ,  i  quali  ti  presentano  ogni  sorta  di  utensili 
li  cui  facoano  uso  gli  antichi  ,  dimodoché  li  sembra  con  essolo- 
ro  intertonerti.  —  Vi  vedrai   ogni  genere  di   vasellame   per   uso 


domestico  ,  e  per  sagrifizi  ,  Icllisterni  ,  tripodi  ,  lucerne  ,  cande- 
labri .  islru menti  musicali,  di  chirurgia  ,  di  arti  rurali  e  mecca- 
iiiclio  ,  ogni  sorla  di  misure  ,  oriuoli  a  sole .,  allrezzi  di  cucina, 
suppellettili  ed  altro  —  JNcU'  ultima  di  queste  stanze  si  veggo- 
no le  famose  tavole  di  Eraclea  trovale  nel  1732  ,  e  comendate 
dal  Mazzocchi  ,  ed  un  calamaio  a  sette  facce  ,  intorno  al  quale 
il  Martorelli,   scrisse  niente  meno  che,  due  volumi  in  quarto. 

Da  queste  stanze  si  passa  a  quelle  eonsagrate  alla  grande 
collezione  dei  vasi  detti  Etruschi  ,  dei  quali  se  ne  contano  quasi 
2o00  —  L'  ultima  stanza  ne  contiene  che  più  richiamano  1'  at- 
tenzione ,  fra  i  quali  i  due  famosi  che  erano  altra  volta  nel  Mu- 
seo del  marchese  Yivenzio.  La  varietà  delle  forme  ,  la  loro 
maggiore  o  minore  antichità  manifestata  dalla  scrittura  ,  i  tratti  • 
di  mitologia  ,  di  storia  ,  di  costumi  ,  che  vi  si  veggono  cCGgiati. 
il  gusto  con  cui  sposso  son  formati  e  dipinti  attirano  1'  attenzio- 
ne dei  dotti  e  degli  amatori.  I  vasi  più  comuni  da  cucina  or- 
nali di  eleganti  maniche  ,  guerniti  di  argento  al  di  dentro,  mo- 
strano nn  lusso  sconosciuto  ai  di  d'oggi.  Tanto  queste  stanze  , 
quanto  le  precedenti  ,  e  varie  altre  in  seguilo,  anno  i  pavimenti 
di  bellissimi  musaici  anlidii- 

Passando  in  altra  stanza  le  dame  troveranno  di  che  appagare 
la  loro  curiosità,  osservando  le  tolette  delle  antiche  Greche  e  Ro- 
mane .  ed  una  quantità  di  ornamenti  domestici.  Mette  il  colmo 
alla  più  grata  sorpresa  il  vedervi  frumento  ,  legumi  ,  olio  ,  or- 
zo ,  vino  .  pane  ,  uova  ,  e  fino  una  torta,  avanzati  o  per  meglio 
dire  conservati  dal  fuoco  dislrnllorc.  Tale  spettacolo  ,  unico  sulla 
terra  ,  eccita  una  commozione  di  animo  indilinibile  ,  ed  istruisce 
0  fa  pensare  più  che  tutti  i  libri  dei  dotti.  Si  acquista  un'idea 
adeguata  del  vero  grado  di  civiltà  ,  cui  eran  giunti  gli  antichi  , 
e  molto  più  di  quel  che  le  danno  le  lettere  familiari  di  Cicerone 
e  di  Plinio  ,  e  tutte  le  rovine  di  Roma. 

In  continuazione  del  Museo  dei  vasi  sarà  allogato  quello 
degli  oggetti  preziosi  ,  e  quindi  il  copioso  Museo  numismatico. 
Per  ora  gli  oggetti  preziosi  si  trovano  in  una  stanza  ,  la  cui 
porta  è  r  ultima  fra  quelle  che  danno  l' ingresso  ai  musei  fino- 
ra descritti.  Siffatta  raccolta  del  tutto  singolare  ,  contiene  più 
centinaia  di  cammei  ;,  un  numero  assai  maggiore  di  pietre  ana- 
glife  0  sia  incavale  ,  braccialetti  ,  galloni  d'  oro  ,   pezzi  di    por- 


pora  5  e  di  allre  stoffe.  Vi  si  vede  la  bella  eurea  ,  che  i  giova- 
netti nobili  portavano  al  collo  con  degli  amuleti  ,  il  quadrante  a 
forma  di  presciutto  coverto  di  argento.  Il  bassorilievo   di  argen- 
to die  rappresenta  la  morte  di  Cleopatra  ,  diversi  vasi  ,  candela- 
bri ,  piatti  j  casseruole  ,  tutte  in  argento.  Ma    sopra  tutti  questi 
preziosi  monumenti  dell' antichità    si    eleva  la  famosa  lazza  di  a- 
gata  sardonica  che  à  un  piede  di  diametro.  Nel  di  dentro  a  for- 
ma di  cammeo  vi  sono  scolpite  sette    bellissimo  figure  ,  e  nel  di 
fuori  una  Medusa.  Maffci  ,  Galiani  ,  Wiuckelmann  ,    il  nostro  fu 
generale  Ferdinando  Visconti  ,  mio  amico  ,  maestro  e  compare; 
anno  dato  interpetrazioni    diverse    al   sudilolto  gruppo   di  figure. 
Quella  che  più  ne  persuade  è  l'ultima  del  sullodalo  generale  Vi- 
sconti ,  il  quale  à  creduto    vedere    il  Nilo  nel  vecchio  ,  Oro   nel 
guerriero  ,  Iside    nella    donna    seduta  ,  le  Ninfe  del  fiume  nelle 
due  figure  aeree. 

Tornandosi  alla  grande  scala  nel  mezzo  di  essa  si  trova  l'in- 
gresso della  biblioteca.  Presenta  questa  una  grandissima  e  ma- 
gnifica sala  lunga  200  ,  e  larga  T6  palmi  ,  decorala  di  quadri , 
0  dipinta  la  gran  volta  dal  Bardellini. 

Il  professore  Casella  vi  tracciò  nel  1793  un'  esattissima  me- 
ridiana. A  lalo  manco  di  questa  sala  ve  ne  sono  altre  pur  esse 
spaziose  e  piene  di  scaffali  con  libri  ,  due  delle  quali  conten- 
gono i  qualtrocenlisli,  ed  i  manoscritti.  Questa  biblioteca,  una  del- 
le principali  di  Europa,  contiene  oltre  a  1150,000  volumi  ,  più  di 
4000  quattrocentisti,  e  circa  3000  manoscritti,  molti  dei  quali  as- 
sai pregevoli. 

Uscendosi  dalla  biblioteca  per  l'altro  ramo  della  scala  a  si- 
nistra si  sale  all' officina  dei  papiri  ,  ed  alla  seconda  quadreria. 
Entrando  nelle  stanze  dei  papiri  ,  1'  uomo  di  lettere  sospirando 
rammenta  la  perdita  di  laute  preziose  opere  degli  antichi  ,  e  rav- 
viva la  speranza  elio  abbiano  un  di  a  ricuperarsi. 

Queste  semplici  stanze  non  sono  visitale  e  rivisitato  con  ve- 
ro trasporto  ,  che  dalle  sole  anime  privilegiate  ,  lo  quali  sanno 
valutare  i  sublimi  prodotti  dello  spirilo  umano  !  Arrestali  ,  o  let- 
(ore  a  lungo  ,  e  contempla  quel  pezzo  di  carbone  nel  quale  il 
fuoco  del  Vesuvio  à  ridotto  i  libri  degli  antichi  ,  ammira  la  sa- 
gacia e  la  pazienza  come  i  papiri  sono  svolti  e  trascritti,  e  sa- 
rai forse  ,  se  ài  anima  culla    e   sensibile  ,   preso  da  viva  impa- 


272  

zicnza  ,  che  più  braccia  non  sieno  impiegafe  ad  accelerare  l'ope- 
ra .  ed  a  soddisfare  la  generale  aspettazione  dei  dotti. 

Le  quattro  stanze  consagrafe  a  questa  officina  contengono  i 
papiri  svolti  ,  e  da  svolgere  ,  ed  in  esse  lavorano  gì' impiegati  a 
disegnare  ed  incidere  quelli  che  si  svolgono.  I  papiri  che  qui  si 
veggono  furono  trovati  ad  Ercolano  ed  ascendono  al  numero  di 
lSo6  ;  si  sono  pubblicati  finora  pochissimi  volumi  di  opere  da 
essi  tratie.  Nella  prima  stanza  si  tiene  1"  accademia  di  belle  arti, 
0  neir  ultima  quella  di  archeologia. 

Uscendo  dall'  officina  dei  papiri  per  la  prima  porla  contigua 
si  entra  nella  seconda  grande  quadreria.  Le  prime  tre  stanze  ed 
un'  altra  vicina  più  piccola,  e  quasi  oscura  sono  consagrate  alla 
scuola  bolognese  ,  e  contengono  solo  quadri.  Nella  quarta  stanza 
continua  la  scuola  bolognese  ^  e  presenta  22  quadri ,  ma  ve  ne 
sono  nitri  dieci  appartenenti  alla  scuola  lombarda.  La  quinta 
stanza  accoglie  48  quadri  della  stessa  scuola  lombarda.  Le  due 
seguciili  sono  dedicate  alla  scuola  veneziana  di  cui  si  veggono  39 
quadri  nella  stessa  stanza  .  e  20  nella  settima. 

L'ottava  e  la  nona  stanza  presentano  la  scuola  romana  di  cui 
vi  si  osservano  SS  quadri. 

Finalmente  si  entra  nella  gran  Galleria  dei  capi  d'  opera  e 
se  ne  contano  41. 

Qui  si  ammirano  cinque  quadri  del  Tiziano  ,  cioè  Filippo  II. 
Re  di  Spagna,  due  di  papa  Paolo  III,  la  famosa  Danae  e  la  ici- 
paregiabile  Maddalena. 

Quattro  di  Raffaello  d'Urbino  —  Due  Madonne  —  Il  ritrat- 
to di  un  Cardinale  —  L'aliro  celebre  del  papa  Leone  X. 

Quattro  dello  Schidoue  —  Il  riposo  di  Amore  —  La  bottega 
di  s.  Giuseppe  —  La  piccola  Carità  —  La  grande  Carità, 

Tre  di  Annibale  —  Alcide  al  bivio  -i-  Venere  —  L'ioioii- 
tabile  Cristo  deposto  dalla  Croce  in  seno  alla  madre. 

Uno  di  Agostino  Caracci  — ^  Rinaldo  ed  Armida. 

Due  del  Ribera  .  o  Spagnoletto  .  il  s.  Girolamo  e  il  Sileno. 

Due  di  Sebastiano  del  Piombo  —  La  Sacra  Famiglia  —  Ri- 
trailo di  papa  Alessandro  Farnese. 

Uno  di  Giulio  Romano  —  La  Sacra  Famiglia. 

Quadro  conosciuto  col  nome  della  Madonna  àA  gallo. 

Uno  di  Andrea  del  Sarto  —  Bramante  che  insegna  l  archi- 
letlura  al  Duca  di  Urbino. 


—  273  — 

Due  di  Giovanni  Bellino  —  Il  ritratto  di  un  monaco  —  La 
Trasfigurazione. 

Uno  di  Velasquez  de  Silva  —  Un  ritratto. 

Uno  del  Garofalo  —  Cristo  deposto  dalla  Croce. 

Uno  del  Solario  —  La  Vergine  in  trono  col  figlio  ,  e  di- 
versi Santi. 

Uno  di  Simone  Papa  —  Un  s.  Michele. 

Uno  di  fra  Bartolonoco  —  Un' Assunta. 

Uno  di  Claudio  Lorenese  —  La  Ninfa  Egeria  fra  le  sue 
compagne. 

Quattro  tavole  del  Parmìgianino  —  La  sacra  Famiglia  a 
tempra  —  il  ritratto  di  Colombo  —  parlante. 

Il  quadro  allegorico  di  Parma  ia  sembianza  di  Amante  che 
abbraccia  Alessandro  Farnese. 

FI  ritratto  della  favorita  dì  questo  pittore. 

Uno  del  Venusti  —  Una  copia  del  giudizio  finale  di  Miche- 
langelo. 

Uno  del  Guercino  —  La  Maddalena. 

Due  del  Correggio  —  In  tavolo  —  Lo  sposalizio  di  s.  Ca- 
terina —  La  Madonna  sotto  il  nome  della  Zingarella. 

Uno  del  Domenichino  —  Un'  anima  insidiata  ,  che  si  ripara 
sotto  le  ali  dell'  Angelo  Custode. 

Uno  di  Giacomo  Bassano  —  Cristo  che  risuscita  Lazzaro. 

Molti  non  saranno  di  accordo  sulla  preferenza  data  a  vari 
di  questi  quadri  ,  come  capi  d' opera  ,  tra  non  pochi  altri  di  pri- 
mo ordine  che  si  vedono  in  ambe  le  descritte  quadrerie  :  ma  in 
quale  cosa  sono  mai  gli  uomini  di  accordo  tra  loro??? 

Nelle  stanze  della  quadreria  siuora  descritte  sono  stati  in 
gran  parte  allogati  i  quadri  che  forse  avrò  indicati  nella  descri- 
zione del  real  palazzo.  Nelle  mura  di  queste  stanze  furono  la- 
sciati i  voti  proporzionati  di  altri  quadri  ,  come  al  certo  oggi  si 
sono  collocati. 

La  descrizione  del  Real  Museo  Borbonico  sarà  per  lunga  pez- 
za imperfetta  per  le  nuove  ricchezze  che  ogni  giorno  riceve.  Per 
ora  ti  dico  ,  o  lettore  ,  che  un  prezioso  acquisto  fece  18  anni  or 
sono  di  oro  ,  e  di  vasi  Italogreci  ,  che  si  rinvennero  nei  din- 
torni di  Buro  in  provincia  di  Bari  :  di  questi  ultimi  ve  ne  sono 
di  già  una  quantità  tra  grandi  e  piccoli    di    qualche    centinaio. 

Sasso  —  Voi.  I.  35 


—  274  — 
Fra  i  grandi  evvene  uno  allo  palmi  6  ,  e  adorno  di  loO  figure 
rappresentante  un  corabaltimento  fra  greci  ed  ammazzoni.   Poste- 
riormente gli  scavi  di  Pompei  anno  somministrato  altri  vasi,    ed 
oggetti  di  argento ,  e  di    giorno    in    giorno   ne    somministrano. 

Per  adesso  io  termino  questa, piuttosto  indicazione  che  descri- 
zione ,  e  di  pena  infinita  sono  compreso  ;  imperocché  ,  per  non 
discostarmi  dal  mio  piano  ,  non  posso  arrestarmi  sopra  tanti  e 
tanti  oggetti  degni  dell'  uomo  di  gusto  ,  e  dell'  artista. 

Se  tu  o  lettore  visiti  con  la  presente  scritta  alla  mano  que- 
sto Museo  ,  fallo  a  riprese  —  limiterai  ogni  tua  visita  ad  u- 
ra  sola  classificazione  —  come  da  più  di  30  anni  io  spesso  vò 
facendo  ,  e  sono  certo  che  no  ritrarrai  piacere  al  tuo  spirito,  col- 
tura al  tuo  intelletto  ,  ed  immensa  soddisfazione  sentirai  d'  essere 
Napolitano,  e  sempre  benedirai  quel  Sovrano  che  a  Pompei  det- 
te la  fortuna  dopo  17  secoli  di  rivedere  le  stelle  ,  e  ad  Ercolano 
di  mostrare  i  suoi  tesori,  ,  e  i  suoi  papiri  al  Mondo  intero  ,  ge- 
losamente custoditi  e  conservati  da  chi  ?  Dal  fuoco  distruggitore 
del  sovrastante  Vulcano. 


VITA  DEL  CAVALIERE 

PIITOKE  SCULTORE  Eli  ARCHITETTO 

Con  l'indicazione  delle  sne  opere  eseguite  nelle  tre  arli  belle 
come  dall'  elenco  pubblicatone  dal  Baldinucci. 


Anno  —  1730 


Mio  ben  non  capo  in  intelletto  umano. 
Petrarca. 


È  vero  che  il  mio  divisamente  si  è  di  fare  ,  o  lettore,  la 
storia  dei  monumenti  di  Napoli  ,  e  degli  architetti  che  li  edifica- 
rono ;  ma  giunto  con  la  mia  scritta  al  secolo  XVIII,  ed  avendo 
rsnosto  di  già  le  vite  di  non  Napolitani  artefici  che  in  Napo- 
li edificavano  come  un  Giulian  da  Majano  e  un  Fontana,  non  pos- 
so —  non  debbo  —  non  voglio  trasandare  il  portento  nelle  tre  arti 
belle  ,  r  onore  di  questa  nostra  terra  —  1'  uomo  che  empi  di  sua 
lama  1'  Europa  con  distinte  sue  opere  —  cui  Pontefici  e  Sovra^ni 
a  gara  l' offrivano  onori  ,  e  ricchezze  per  stabilir  sua  dimora  nei 
propri  dominii,  d'un  genio  mondiale  in  somma  che  nella  nostra 
Napoli  nacque,  voglio  dire  di  Gian  Lorenzo  Bernini,  che  per  com- 
binazioni meramente  fatali  ,  lui  Napolitano ,  nessun  opera  sua  in 
Napoli  diresse  ,  o  lasciava  ,  meno  qualche  scultura  nella  chiesa 
dell'Annunziala. 

Nel  di  7  ottobre  1Ij98  nacque  io  Napoli  questo  illustre  pittore, 
scultore  ed  architetto  da  Pietro  Bernini  e  da  Angelica  Galante. 
Era  Pietro  rinomato  scultore  ,  e  da  lui  contrasse  il  figlio  un  ge- 
nio tanto  particolare  per  questa  nobile  arte  ,  che  senz'  altra  io- 
stituzione  ,  che  col  solo  vedere  maneggiare  dal  padre  lo  scalpel- 
lo ,  in  età  di  sette  anni  fece  una  testa,  la  quale  prenunziava  la 
più  giudiziosa  intelligenza  nel  giovanetto  artista. 

Il  Sommo  Pontefice  Paolo  V  volendo  abbellire  la  facciata  del- 
la cappella  Paola  ,  richiese  dal  vice-Re  di  quel  tempo  ,  che 
gli  spedisse  Pietro  Bernini.  Recossi  costui  in  Roma  seco  menan- 
do la  sua  numerosa  famiglia.  Colà  si  apr'i  largo  campo  al  gio- 
vinetto Gio:Lorenzo,  di  spaziare  il  suo  gusto  sugli  eterni  modelli  dei 
più  rinomati  artisti  dell'  antichità  ,  che  ivi  sempre  si  sono  con- 
servati ad  onta  del  tempo  distruggitore.  Per  tre  anni  continui  disc- 


—  278  — 
gnò  tutt'i  giorni  nelle  stanze  del  Vaticano  quanto  vi  era  di  ra- 
ro e  sorprendente  ;  ed  in  tutte  le  notti  arricchiva  la  sua  fantasia 
colla  lettura  della  storia  e  della  favola.  Pieno  di  quelle  grandio- 
se idee  ,  non  avendo  più  che  dieci  anni  di  età  ,  fece  una  testa 
di  marmo  ,  che  fu  la  meraviglia  di  tutti  gl'intendenti.  Il  Ponte- 
fice al  vederla  ,  volle  conoscere  1'  autore  ,  e  colmandolo  di  elo- 
gi gli  domandò  ,  quasi  per  ischerzo  ,  se  avesse  sapulo  disegnare 
colla  peana  una  testa  tutta  ad  un  tratto.  Il  giovanetto  artista  ri- 
spose qual  testa  volesse.  Il  PonteGce  ammirando  questa  franchez- 
za 5  disse  :  se  debbo  scegliere  io  ,  è  segno  che  lo  sapete  far  tut- 
te ;  e  dettogli  che  disegnasse  un  S.  Paolo,  il  Bernini  in  sua  pre- 
senza ,  ed  in  meno  di  mezz'  ora  ,  eoa  una  maestrevole  sveltezza 
esegui  r  ordinato  disegno,  che  formò  la  meraviglia  del  Papa  e  di 
lutti  gli  astanti.  Allora  il  Pontefice  lo  presentò  di  dodici  medaglio- 
ni d'oro  j  e  vivamente  lo  raccomandò  al  Cardinal  Maffei  Barberi- 
ni ,  grande  amatore  delle  lettere  e  belle  arti.  Il  fanciullo  intanto 
lungi  d'inorgoglirsi  per  le  lodi  dei  grandi,  vieppiù  infaticabilmen- 
te si  occupò  a  perfezionarsi  ,  e  non  cogli  anai  ,  ma  coi  giorni 
cresceva  la  sua  celebrità.  Monsignor  Montoja  volle  da  lui  essere 
scolpilo  in  marmo.  Il  giovanetto  Bernini  gli  fece  la  statua  cosi  al 
vivo  e  somigliante  ,  che  un  prelato  vedendola  disse  :  questo  è  il 
Montoja  pietrificato. 

Lo  slesso  Pontefice  Paolo  V,  volle  da  lui  il  simulacro  di  se, 
e  del  suo  nipote  Scipione  cardidale  Borghese.  Il  giovinetto  arti- 
sta esegui  entrambi  in  poco  tempo  ,  e  terminata  l' opera ,  si  sco- 
pri nella  statua  di  Borghese  un  pelo  sulla  fronte ,  che  ne  detur- 
pava tulio  il  bollo.  Il  Bernini  si  fece  tosto  portare  in  casa  un  al- 
tro marmo  ,  che  in  quindici  notti  terminò.  Il  Porporato  recatosi 
di  persona  a  vedere  la  statua  se  ne  compiacque  oltremodo  ;  ma 
non  potè  fare  a  meno  di  dimostrare  il  suo  dispiacere,  vedendo  quel 
difetto  del  marmo  manifestatosi  appunto  nella  fronte.  Allora  il 
Bernini  gli  scovri  il  secondo  ,  che  riempi  il  cardinale  di  conso- 
lazione e  meraviglia.  Trovasi  oggi  nel  palazzo  della  villa  Borghe- 
se accanto  alla  statua  di  Paolo  V  ,  ed  entrambe  formano  tuttavia, 
e  formeranno  mai  sempre  lo  stupore  degl'intendenti.  Correva  il 
quindicesimo  anno  di  sua  età,  quando  egli  per  incarico  del  det- 
to card.  Borghese  fece  la  statua  di  Enea  che  porta  il  vecchio  An- 
chise.  Nella  lesta  del  vecchio  si  ammirò  con  sorpresa  quell' atteg- 


—  279  — 
giamento  tenero  e  vivo  indicante  la  terribile  circostanza  dell'  in- 
cendio di  Troja  ,  e  della  precipitosa  fuga.  Per  incarico  dello  stes- 
so Porporato  fece  la  statua  di  Davide  nell'alto  di  agitare  la  from- 
bola ,  pigliando  la  mira  alla  fronte  del  gigante  Filisteo,  nella 
qnal  opera  il  Bernini  superò  certamente  se  stesso,  e  la  sua  olà; 
poiché  fu  sorprendente  il  leggere  a  chiare  note  nel  volto  dell' I- 
straelita  quel  trasporto  di  giusto  sdegno  che  l'incitava.  Pria  che 
terminasse  1'  età  di  18  anni  fece  pure  pel  card.  Borghese  il  grup- 
po della  Dafne  col  giovane  Apollo  ,  e  quella  in  alto  di  esser  tra- 
sformata in  alloro.  Questo  gruppo  fu  sempre  stimato  il  prodigio 
dell'arte.  A  Paolo  V.°  essendo  succeduto  Gregorio  XV. °  anche  que- 
sti volle  il  simulacro  di  mano  del  Bernini.  Egli  soddisfece  tanto 
pienamente  il  genio  del  s.  Padre  ,  che  ne  fu  colmato  di  doni  e 
pensioni  ,  e  decorato  della  croce  di  cavaliere.  Dopo  la  morie 
di  questo  Pontefice  sal'i  sul  soglio  pontificio  1'  anzidetto  card.  Bar- 
berini, che  prese  il  nome  di  Urbano  Vili."  Questi,  che  olire  la  rac- 
comandazione di  Paolo  V.°  avea  avuto  delle  gloriose  occasioni  per 
conoscere  i  talenti  del  Bernini  ,  chiamollo  a  se,  e  volle  dalle  sue 
mani  il  proprio  ritratto  in  marmo  ,  e  molto  generosamente  il  ri- 
compensò. Indi  l'incaricò  di  faro  l'altare  maggiore  in  S.  Pietro, 
e  fecegli  1'  assegnamenlo  di  300  scudi  al  mese.  Bernini  impiegò 
in  quest'opera  nove  interi  anni  ,  e  condottala  a  fine  colla  mera- 
viglia di  tutto  il  mondo  ,  ebbe  dal  Papa  in  regalo  la  somma  di 
12.  mila  scudi  ,  e  due  suoi  fratelli  ottennero  ,  il  primo  un  cano- 
nicato in  s.  Gio:  Laterano,  ed  il  secondo  un  beneficio  in  s.  Pietro. 

Per  ordine  dello  stesso  Pontefice  foco  la  meravigliosa  fonta- 
na in  piazza  di  Spagna  ,  nella  quale  opera  mostrò  tanti  talen- 
ti neir  architettura  ,  e  tal  conoscenza  nell'  idraulica  ,  che  anche 
oggidì  i  forestieri  non  sono  paghi  di  ammirarla.  Colla  magia  del 
diseguo  egli  dette  all'acqua  una  violenta  elevazione  ,  donde  ri- 
cadendo nella  vasca  ,  risortiva  in  gran  copia  da  vari  tubi  latera- 
li disposti  in  forma  di  cannoni  di  artiglieria.  Questo  concetto 
parve  s'i  bello  al  Pontefice  ,  eh'  egli  stesso  volle  adornarlo  del 
seguente   distico. 

Bellica   pontificum   non  fundit   machina  flammas, 
Sed  dulcem  belli   qua  perit  ignis  ,   aquam. 

Fece  indi  la  fonte  in  piazza  Navona  con  quattro  statue  gi- 
gantesche rappresentanti  quattro  fiumi  principali. 


—  280  — 
Carlo  I.  Re  d' Inghilterra  informato  dei  lalenli  del  Bernini, 
gli  mandò  in  Roma  il  suo  ritratto  fatto  dal  celebre  Vandyk  ,  ac- 
ciocché ne  formasse  iu  marmo  la  statua.  Questa  fu  eseguita  con 
ammirabile  esattezza  ,  e  mandala  in  Londra  per  mezzo  di  Bonifa- 
zio discepolo  di  Bernini.  11  Re  nel  vederla  ne  fu  talmente  soddi- 
sfatto ,  che  togliendosi  dal  dito  un  prezioso  anello  del  valore  di 
seimila  scudi,  lo  dette  a  Bonifazio  e  disse:  Coronate  quella  mano 
che  fece  si  bel  lavoro. 

Egli  fu  sempre  occupato  in  magnifici  e  grandiosi  lavori  ,  che 
tuttavia  si  ammirano  in  Roma  ,  specialmente  i  due  campanili 
del  cardinale  Cornaro,  1'  estasi  di  S.  Teresa  ,  il  famoso  obelisco 
dell'  Imperator  Caracalla  alzato  in  Piazza  Navona  per  finimento 
della  famosa  fontana  ,  la  statua  colossale  di  Costantino  a  caval- 
lo ,  la  statua  della  Verità  scoverta  dal  Tempo ,  e  tante  altre  im- 
mortali sue  opere,  che  gli  assicurarono  l'eguale  immortalità  del 
suo  nome.  Anche  la  Regina  di  Svezia  Maria  Cristina  volle  cono- 
scere in  Roma  questo  prodigioso  artista  ,  e  da  lei  egli  riscosse 
dimostrazioni  veramente  Sovrane. 

Nel  1664.  Il  gran  Luigi  XIV.  volendo  ridurre  a  buon  essere, 
ed  ingrandire  con  magnificenza  degna  del  suo  secolo  il  palazzo 
del  Louvre  ,  invitò  il  Bernini  ,  il  quale  nel  di  21>  aprile  166o 
parti  per  Parigi  in  compagnia  di  Paolo  suo  figliuolo  e  di  Mat- 
tia e  Giulio  suoi  allievi.  Sono  indicibili  gli  applausi  e  gli  ono- 
ri ,  che  il  Bernini  ricevette  dal  Re  e  dalla  Regina;  e  fu  detto  che 
in  Parigi  èra  divenuta  moda  il  parlare  del  cavalier  Bernini.  La 
sua  dimora  in  Parigi  non  fu  che  di  sei  mesi ,  nel  qual  tempo 
fece  il  disegno  del  Louvre  ,  e  ne  gettò  le  fondamenta  :  fece 
anche  il  busto  del  Re  ,  che  fu  inaugurato  nel  palazzo  di  Ver- 
sailles. La  Regina  andò  a  vederlo  lavorare  ,  ed  avendo  molto 
lodato  la  sua  opera  ,  Bernini  modestamente  rispose  :  «  V.  M.  lo- 
da il  ritratto  ,  perchè  è  molto  affezionata  all'originale  j>.  Il  Re 
gli  fece  le  più  lusinghiere  ofierte  per  farlo  restare  a  Parigi  ,  e 
lo  colmò  di  doni  e  pensioni  ;  ma  Bernini  volle  assolutamente  ri- 
tornare in  Italia.  Il  Re  in  suo  onore  fece  gettare  una  meda- 
glia ,  la  quale  da  una  parte  rappresentava  il  ritratto  del  cav. 
Bernini,  dall'altra  gli  emblemi  della  Pittura,  Scultura,  Matematica 
ed  Architettura  col  molto 

Singularis  in  singulis,  in  omnibus  unicus 


—  281  — 
Ritornalo  che  fu  dal  Pontefice  Clemente  X  fu  decorato  di  nuovi 
onori  e  beneficenze:  ma  giunto  all'  età  di  82  anni  cadde  in  tan- 
ta languidezza  di  forzo  ,  che  ne  morì  nel  di  28  novembre  1680. 
Ebbe  il  Bernini  per  moglie  all'  età  sua  d'  anni  40  una  gentil 
donna  romana;  dal  qual  matrimonio  gli  nacquero  più  figliuoli 
maschi  e  femine.  La  sua  eredità  fu  di  400mila  scudi,  e  la  pom- 
pa funebre  colla  quale  fu  seppellito  il  suo  cadavere  in  s.  3Iaria 
Maggiore  fu  oltremodo  grande  ,  e  nella  cassa  di  piombo  fu  la- 
scialo il  nome  e  memoria  di  lui.  Lasciò  per  legato  nel  testamen- 
to alcune  sue  opero  al  Papa,  alla  Regina  di  Svezia  ,  ed  a  molti 
Cardinali  ,  e  con  fcdecommesso  slrellissimo  lasciò  ai  suoi  eredi 
l'immortale  statua  della  Verità.  Delle  sue  opere  ve  n'  ha  catalo- 
go esatto  stampalo  dal  Baldinucci  colla  di  lui  vita. 

Ho  credulo  mio  dovere  qui  fedelmente  riportarlo,  e  ciò  ò  ese- 
guito a  duplice  divisamento  :  In  prima  di  pubblicare  ancora  io 
al  moudo  dotto  ed  artistico  1'  elenco  delle  svariale  ,  eccellenti,  e 
multiplici  opere  di  un  tanto  rinomalo  mio  concittadino  ;  in  se- 
condo per  sempre  più  adempiere  al  mandato  propostomi  ;  cioè 
d'  essere  il  fedele  narratore  dei  vanti  artistici  di  questa  classica 
terra  ove  ebbi  il  bene  di  nascere.  Fummo  veramente  sventurati 
noi ,  che  avendo  nell'  elenco  de  nostri  grandi  artisti  un  Gian-Lo- 
renzo Bernini  ,  neanco  un  mezzo  busto  ,  una  statua,  una  chiesa. 
ci  abbia  la  combinazione  riserbato. 


Sasso— Voi.  I.  36 


ELEIVCO  DELLE  OPERE 


DEL 


CAV.  GIAIV-IORENZO  BERNIIVI 

FEDELMENTE  TRASCRITTO  DA  QUELLO  ESISTENTE  NELL'OPERA 

DEL    BALDO ICCI 


RITHATTI— TESTE    CON    BDSTO. 

Del  Maiordomo  di  Sisto  V  in  S.  Prassede. 
Di  Giovanni  Vigena,  alla  Minerva. 
Del  Cardinal  Delfino,  in  Venezia. 
Dello  stesso  in  profilo,  in  Venazia. 
Del  cardinale  Serdi,  in  Parigi. 
Del  cardinale  Valesci,  in  Venezia. 
Del  cardinal  Montalto,  in  casa  Perrelli. 

Di  Monsignor  Del  Pozzo  in 

Di   Monsignor  Francesco   Barberino    Zio 

di  Urbano  VII. 
Della  Madre  d'  Urbano  Vili. 

Del  padre  del  medesimo.  f     In  casa 

Di  D.'"'  Lucrezia  Barberino.  [  Barberino 

Due  di  Papa  Urbano  VIII. 
Altro  del  medesimo. 
Altro  di  metallo. 
Di  Monsignor  Monloja  in  S.  Jacopo  degli  Spagnuoìi. 
Di  Papa  Paolo  V.  )  alla  villa 

Del  cardinale  Scipione  Borghese.  J  Borghese 

Di  Urbano  VII  in  casa  Giorr. 
Altro  di  metallo  all'  Abate  Braccesi. 


—  283  — 
Di  D.  Paolo  Giordano  Duca  di  Bracciano  in  casa  Orsina. 
Di  Costanza  Piccolomini,  in  Galleria  del  Gran  Duca. 
Di  Innocenzio  X  in  casa  Panfilia. 
Altro  del  medesimo  porla  casa  Bernina. 
Di  Greijorio  XV. 
Altro  di  metallo. 
Di  Alessandro  VII. 
Altro  del  medesimo. 

Altro  del  medesimo  per  la  casa  Barberino. 
Del  cardinale  Richelieu,  in  Parigi. 
Di  Carlo  I,  Re  d'  Inghilterra,  in  Londra. 
Di  Francesco  Duca  di  Modena,  in  Modena. 
Di  D.  Carlo  Barberino,  in  Campidoglio. 
Di  Luigi  XIV  Re  di  Francia,  in  Parigi. 
Di  Clemente  X,  in  Roma. 
Di  un  Cavaliere  Inglese,  in  Londra. 


in  casa 

Lodovisi 

in  casa 

Chigi 


STATUE   DI   JIARMO 


Del  Cardinale  Bellarmino,  al  Gesù. 

Della  Religione,  sul  deposito  del  detto  Cardinale  al  Gesù. 

Di  Paolo  V  al  Gesù. 

Gruppo  di  Enea,  Anchise,  ed  Ascanio,  in  villa  Borghese 

Gruppo  del  ratto  di  Proserpina,  in  villa  Lodovisi. 

/^'  "     r  A     li        n  f  ^  '"  ^''•'^  Borghese. 

Gruppo  d  Apollo  e  Dalne  ) 

Gruppo  di  Nettuno,  e  Glauco,  in  villa  Montalto. 

S.  Lorenzo  sopra  la  graticola,  in  villa  Strozzi. 

S.  Sebastiano,  per  la  Principessa  di  Hossano. 

S*.  Bibiana,  nella  chiosa  di  essa  Santa. 

Angiolo  al  sepolcro  del  cardinal  Delfino,  a  Venezia. 

San  Longino  in  S.  Pietro. 

Testa  e  modello  della  statua  della  contessa  Matilde  in  S.  Pietro. 

Gruppo  della  Carità       f  ^,  ^      ,^_.^  j.  ^,^,,^0  Vili. 

Gruppo  della  Gmslizia  ) 

Il  Costantino  a  cavallo,  nel  portico  di  S.  Pietro. 

11  Tritone  nella  fonte  di  piazza  Navona,  rincontro  al  palazzo  Panfilio. 

Scoglio  della  fonte  di  piazza  Navona. 


—  284  — 

Il  cavallo  )  .^    .^^  r^T^^ona. 

Il  Leone     ) 

La  Vcrilà  in  casa  Bernina. 

S.  Girolamo,  nella  cappella  Chigi,  in  Siena. 

Daniello  i       „  n    /^i  •  -     ,  r. 

Gruppo  d'Abachnch  e  l'Angiolo     i  °^"^  '^^PP'"'''  ^'"S'  ^'  P°P<^^°- 

Urbano  YIIl  in  Campidoglio. 

Fonscca  con  la  corona  in  mano,  in  S.  Lorenzo  in  Lucina. 

L'  ultimo  cardinale  Cornaro  alla  Madonna  della  Vittoria- 

L'Angiolo  col  titolo  della  Croce,  sul  ponte  Sant'  Angiolo. 

Angiolo  che  tiene  la  corona  di  Spine         ,  . 

Altro  che  tiene  illitolo  }  in  casa  Rospigliosi. 

Testa  d'  anima  beata 
Testa  d'  anima  dannata 
Angiolo  sopra  1'  aitar  maggiore 


l  in  S.  Jacopo  degli  Spagnuoli. 

in  S.  Acroslino  di  Roma. 


Altro  in  esso  luogo  (  '     ° 

Bassorilievo  di  Cristo  e  S.  Pietro  ,  detto  volgarmente  Pasca  ovas 

meas  ,  sopra  la  porta  di  S.  Pietro. 
Colosso  di  Luigi  XIV  Re  di  Francia,  per  Sua  Maestà  cristianissima. 
Il  Tritone  nella  fonte  Barberina  ,  in  piazza  Barberina. 
La  beata  Lodovica  Albcrtoni,  in  S.  Francesco  a  Ripa. 
Sepolcro  di  Alessandro  VII  con  la  sua  statua  ed  altra  in  S.  Pietro. 
Il  Salvatore,  ultima  opera,  per  la  maestà  della  Regina  di  Svezia. 
Teste  fino  al  numero  di  quindici  in  luoghi  diversi. 

STATUE   DI   METALLO 

Busto  d'  argento  di  S.  Eustachio  nella  chiesa  di  esso  Santo. 

Urbano  Vili  in  Velletri. 

Del  medesimo,  al  suo  sepolcro  in  S.  Pietro. 

La  morte  in  esso  sepolcro  in  S.  Pietro. 

Quattro  Angioli  di  metallo  ,  al  ciborio  in  S-  Pietro. 

I  quattro  dottori  della  Chiesa  alla  cattedra 

La  seda  della  cattedra 

L'  Angiolo  della  sedia  grande  I   .     co-» 

Ali-     •—  1  /  in  O"  rietro. 

Altro  m  esso  luogo 

Due  Angiolini  ,  sopra  la  sede 

Angiolo  grande  nella  gloria 


—  285  — 
Crocifisso    grande  quanto  il  naturale  per  1'  altare    della   cappella 

reale  di  Filippo  IV  in  Madrid. 
S\  Francesca  Romana  ,   Angiolo  e  cassa ,    nella  chiesa    di   essa 

Santa. 
Due  Angioli  del  ciborio  di  metallo,  all'altare  del  Sacramento  in 

S.  Pietro. 
Ritratto  del  (Cardinale  di  Richelieu,  in  Parigi. 

OPERE   DI    ARCHITETTURA   E  SUSTE. 

La  facciata,  scala  e  sala  del  palazzo  Barberino. 

Il  palazzo  Lodovisio  imperfetto. 

La  chiesa  del  Noviziato  de  padri  Gesuiti. 

La  chiesa  nell'  Ariccia. 

La  chiesa  con  cupola  in  caste!  Gandolfo. 

La  galleria,  e  facciata  verso  il  mare  del  palazzo  in  caste!  Gan- 
dolfo. 

La  Cappella  Cornaro  alla  madonna  della  Vittoria. 

La  cappella  de!  cardinale  de  Silva  ,  in  S.  Isidoro. 

La  cappella  del  Fonseca,  a  S.  Lorenzo  in  Lucina. 

La  cappella  dell'Allaleono,  a  S.  Domenico  di  3Iontemagnanapoli. 

La  cappella  dei  Raimondi  a  S.  Pietro  a  Montorio. 

Cappella  de'  Siri,  in  Savona. 

Sepolcro  di  Alessandro  VII  in  S.  Pietro. 

Il  ciborio  di  metallo  e  lapislazzalo  all'  altare  del  Sacramento  ,  in 
S.  Pietro. 

I  quattro  angioli  ,  dove  stanno  le  reliquie  in  S.  Pietro    dal  cor- 

nicione in  terra. 

II  baldacchino  di  S.  Pietro,  ovvero  le  quattro  colonne. 
La  cattedra  di  S.  Pietro. 

Il  sepolcro  della  contessa  Matilde  in  esso  luogo. 

La  scala  del  palazzo  Vaticano. 

Il  portico  nella  piazza  di  S.  Pietro. 

La  memoria  de!  Marenda  in  S.  Lorenzo  in  Damasco. 

Altra  simile  alle  Convertite. 

La  memoria  di  S.  M.  Raggi,  alla  Minerva. 

Il  sepolcro  del  Cardinale  PimentoUi  alla  Minerva, 

L'  areo  e  ornato  della  scala  ducale  ,  in  Vaticano. 


—  281J  — 
L'  aggiunta  al  palazzo  Quirinale  d'  Alessandro  VII. 
La  Fontana  di  piazza  Navona,  ed  erezione  della  guglia. 
La  restaurazione  della  cappella  Chigi  al  Popolo. 
La  restaurazione  di  tutta  la  chiesa  del  Popolo. 
La  porta  del  Popolo  dal  cornicione  in  su. 
La  stanza  d'  estate  con  loggia  di  Clemente  IX  al  Quirinale. 
Ornato  del  Ponte  S.  Angiolo,  con  statua. 
L'  arsenale  in  Civitavecchia. 
La  villa  dei  Rospigliosi  ,  nel  Pistojese. 
L'altare  nella  cappella  del  Gesù  dei  Rospigliosi  in  Pistoja. 
11  sotto  altare,  dove  è  il  sepolcro  di  Santa  Francesca  Bomana. 
Altare  in  S.  Calisto. 

Altare  maggiore  in  S.  Lorenzo  in  Damaso. 
La  facciala  e  restaurazione  di  S."  Bibiana. 
La  Fontana  in  piazza  Barberina. 
Gli  ornamenti    di  putti  ,    e  medaglie    di  marmo    nei   pilastri  in 

S.  Pietro  con  1'  armi  d' Innocenzio  X. 
L*  armi  con  statue  ed  altri  ornamenti  di  colonne    di    catlanello  , 

in  S.  Pietro,  dello  stesso  Pontefice. 
Lanternino  e  sesto  della  cupola  alla  Maddalena  di  Monlesanto,  al 

Popolo. 
Pavimento  di  S.  Pietro  fatto  da  Innocenzio. 
Pavimento  del  perticale,  fatto  da  Clemente  X. 


GEMO 

SULLE  ACQUE  IN  NAPOLI 

ACOUIDOTTO  CLAUDIO ,  0  ACOUA  GIULIA 


ACQUIDOTTO  CARMIGNANO 

PBOGETTO 

)0  ©a  IM/ai[P©Lg@lKl[Ì  §/^\ÌS@ 

PER  LE  ACQUE  SEBEZIE 


Anno  -  1631 


—  287  — 
Portati  0  lettore  ai  Ponti  rossi.  Sappi  che  questo  nome  deriva 
dai  grandiosi  avanzi  che  vi  ravvisi  di  un  antico  acquidotto  ,  di 
cui  restano  più  archi  trionfanti  del  tempo  distruggitore  ,  e  for- 
mati di  solido  masso  di  tufo  ,  rivestito  da  mattoni  rossicci.  Po- 
che parole  sugli  acquidotti  antichi  ,  e  moderni  della  nostra  Città, 
e  poi  voglio  esporli  un  mio  progetto  ,  figlio  di  solerli  investiga- 
zioni sulle  perdute  acque  Sebezie  ,  dando  cosi  campo  a  più  for- 
tunato Architetto  seguir  la  mia  idea,  e  le  mie  norme;  onde  por- 
lare  un  giorno  in  questa  gran  Capitale  la  tanto  desiata  acqua 
dello    scomparso  Sebelo. 

I  cosi  detti  Ponti-rossi  ,  fanno  parte  di  un  magnifico  antico 
acquidotto  che  da  Scrino  nella  Provincia  di  Avellino,  menava  le 
acque  fino  a  Miseno  ,  ed  avea  un  corso  di  SO  miglia.  Questa  , 
una  delle  più  ardite  opere  dei  Romani  ,  da  molti  viene  a  lode 
dell'  Imperatore  Claudio,  e  da  altri  (  con  più  argomento)  vien  at- 
tribuita ad  Augusto  ;  il  quale  per  provvedere  la  sua  flotta  stan- 
ziala a  Miseno  ,  di  acqua  ,  che  mancava  in  un  suolo  volcanico  , 
la  trasse  da  si  lontani  lidi  ;  onde  è  che  acqua  Giulia  si  disse  , 
siccome  in  onore  del  Ditlatore  ,  lo  stesso  Augusto  ,  porto  Giulio 
nominar  faceva  il  porlo  da  lui  aperto  nel  Lucrino. 

Se  con  la  storia  alla  mano  poi  vogliamo  dare  credenza  che 
quest'  acquidotto  portava  le  sue  acque  alle  ville  di  Lucullo  (  Ca- 
stel dell'  Ovo)  ad  Euplea,  ed  a  Baja  (  piscina  mirabile  ),  dovreb- 
be essere  più  antico,  ed  allora  il  vanto  non  ricadrebbe  ne  al  pri- 
mo ,  ne  al  quarto  Imperatore  di  Roma. 

II  nostro  architetto  Lettieri,  veniva  incaricato  dal  celebre  Vi- 
ce-Re Pietro  di  Toledo  di  rintracciare  il  corso  di  un  tale  aqui- 
dotto  ,  che  il  sullodato  signore  avea  in  pensiero  di  rislaurare  , 
onde  provvedere  di  acqua  questa  capitale. 

Fece  il  Lettieri  le  sue  invesligazioui,  e  ne  trovò  il  comincia- 
mento  a  Scrino  nel  luogo  detto  Acquavo  ,  dove  le  acque  si  ra- 
dunavano in  un  recinto  ben  formato  ,  e  quindi  per  un  ponte 
passavano  al  Villaggio  Contrada.  Dopo  di  aver  traversata  la 
montagna  forata  di  Morlellito  ,  oggi  detta  grotta  di  Virgilio  , 
l' acqua  si  dirigeva  pel  piano  di  Forino  ,  per  Montuori  ,  (  dove 
scorreva  per  un  canale  scavato  nel  vivo  sasso  ),  per  S.  Severino, 
per  Sarno  ,  (  dove  vedesi  ancora  sopra  la  Città  vecchia  un  enor- 
me sasso   forato  ) ,  e  continuava    con  opera  laterizia    appoggiata 

Sasso— Voi.  I.  37 


—  288  — 
al  monte  per  Palma,  passando  sopra  archi  latorizii,  per  Somma, 
per  Pomigliano  detto  ad  Arco,  (dagli  archi  dell'  acquidotto)  ,  pel 
territorio  di  Afragola,  e  di  Casoria,  e  per  S.  Pietro  a  Paterno  , 
nel  luogo  detto  i  Cantarelli  (nome  che  i  Napolitani  danno  ai  tubi 
di  creta  e  pei  quali  scorre  oggi  l'acqua  di  Carmignano.)  L'  aqui- 
dotto  traversando  la  collina  di  Capodichino  giungeva  alla  Valle 
oggi  detta  dei  Ponti-rossi  ,  dove  apparisce  doppio,  ignorandosi  in 
qual  punto  comincia  a  dividersi  in  due.  Corto  è  che  qui  gli  ar- 
chi sou  disposti  in  due  ordini  paralleli  ,  e  discosti  tra  loro  20 
passi.  Lo  stesso  doppio  acquidotto  si  è  scoperto  nei  tagli  della 
nuova  strada  aperta  ultimamente  dai  Ponti-rossi  a  Capodimoule. 
Dopo  essere  penetrati  i  due  acquidotli  nelle  viscere  della  collina* 
uscivano  alla  strada  di  S.  Efremo  ,  e  lungo  la  collina  prosegui- 
vano pel  presente  Orto  Botanico  ,  per  la  Strada  de'  Vergini  ,  e 
Largo  delle  Pigne ,  dove  dall'  or  ora  demolita  porta  di  Costanti- 
nopoli, uno  portava  1'  acqua  a  Napoli  per  S.  Pietro  a  Maiella,  e 
r  altro  proseguiva  per  Gesù  e  Maria  radendo  la  Collina  di  S.  Er- 
mo. Correva  qui  ,  sopra  archi  laterizi  che  esistevano  ai  tempi  del 
nostro  rinomato  storico  Pietro  Suramonte.  Passava  poi  dietro  la 
Trinità  degli  Spagnuoli  ,  e  traversava  la  collina  del  Vomero  ,  si- 
no al  disopra  della  grotta  di  Pozzuoli,  dove  anche  oggi  ne  puoi 
andare  ad  osservare  gli  avanzi.  Qui  l'acquidolto  si  divideva  nuo- 
vamente in  duo  ,  uno  somministrava  le  acque  alle  Ville  che  i 
Romani  aveano  ai  Bagnuoli,  ed  alla  punta  di  Posilipo;  e  l'altro 
pel  monte  Olibano,  (  in  cui  nel  luogo  detto  la  Pefriera  se  ne  ve- 
de ancora  il  corso  scavato  nel  vivo  sasso  ) ,  e  per  Pozzuoli  ,  per 
Tripergola  ,  per  Baja  menava  le  acque  a  Miseno  nel  gran  ser- 
batoio da  noi  denominato  oggi  la  Piscina  mirabile. 

Una  parto  di  questo  acquidotto,  che  uscendo  ai  Ponti-rossi  por- 
tava le  acque  a  Napoli  ,  venne  tagliata  da  Belisario  ,  per  obbli- 
gare i  valorosi  Napolitani  alla  resa  ,  e  per  esso  s' introdussero  i 
soldati,  onde  fu  presa  ;  trovando  non  uomini  ma  larve  in  que- 
sta nostra  Città  ,  che  pur  resistevano  da  prodi  alli  arieti  ,  alle 
baliste,  alle  catapulte  dell'  ostinato  assediante ,  che  con  la  frode 
la  vinse.  Allo  scorrer  di  molti  secoli  venne  imitato  il  Bisantino 
generale  ,  dall'Aragonese  conquistatore,  sempre  a  gloria  dei  fedeli 
soldati    Napolitani    morire    e  non  cedere  allo  straniero  invasore. 

Prose  dal  Lettieri  tutte  le  notizie,  fattone  il  progetto  per  la  re- 


—  289  — 
staurazione,  e  quindi  uà  estimativo  per  la  spesa,  riferiva  esattaruea- 
te  al  suo  Signore  che  gliene  dette  lo  incarico,  ammontando  a  cir- 
ca due  milioni  di  ducati  l'operazioni  di  ristauro  da  Scrino  a  Napoli. 

La  spesa  ne  fece  abbandonare  l' idea. 

Fu  allora  che  due  cittadini  Napolitani  nominati  Alessandro  Ci- 
minello  e  Cesare  Carmignano,  si  offrirono  di  provvedere  a  loro 
spese  la  Città  di  acque  ;  recandovi  quelle  del  fiumicello  Isolerò 
presso  S.*  Agata  dei  Goti,  30  miglia  lontano.  Difatti  eseguirono 
la  grand'  opera  conducendo  le  nuove  acque  prima  con  canale  co- 
perto per  Cancello,  Cimitile,  e  Marigliano  fino  a  Licignano,  e  final- 
mente con  un  canale  sotterraneo  fino  a  Napoli.  Quest'opera  fu  termi- 
nata nel  1629,  ma  in  parte  distrutta  dalla  terribile  eruzione  del  Ve- 
suvio del  1631,  perciò  in  seguito  fu  rifatta  con  altro  corso;  cioè  da 
Maddaloni  fu  1'  acqua  recata  per  le  pianure  di  Acerra  al  luogo 
medesimo  di  Licignano  ;  da  Licignano  per  Capodichino  entra  in 
Napoli  ,  scorre  sotto  la  strada  di  Foria  ,  e  giunto  alla  Porla  di 
S.  Gennaro  si  divide  in  due  rami  ,  uno  va  ad  animare  i  raolioi 
posti  lungo  le  mura,  e  si  perde,  infelicemente,  alla  Marinella  ;  e 
r  altro  per  la  piazza  delle  Pigne  ,  e  per  la  strada  Toledo  distri- 
buisce le  acque  ai  formali,  ed  alle  fontane  nei  quartieri  laterali, 
e  posteriormente  a  S.  Lucia,  e  Chiaja  fino  a  Mergellino. 

Queste  acque  dette  di  Carmignano  nell'anno  1770  con  saggio 
provvedimento  di  Sua  Maestà  Ferdinando  1°  Borbone  furono  accre- 
sdule  da  quelle  del  Fizzo,  le  quali  dopo  essere  andate  per  1'  ac- 
quedotto Carolino  corrente  su  i  famosi  Ponti  della  Valle  a  prov- 
vedere Caserta  ;  per  canale  coverto  vengono  condotte  a  Cancello 
dove  imboccano  nell'  acquidolto  Carmignano. 

Le  antiche  acque  di  Napoli  sono  quelle  che  diconsi  della  Bol- 
la ;  le  quali  derivano  dalla  falda  del  Vesuvio  in  distanza  di  cin- 
que miglia  da  Napoli,  e  dal  monte  di  Lotrecco.  Si  ricorse  a  que- 
ste acque  allorché  nei  tempi  di  barbarie  venne  distrutto  lo  anti- 
co acquidolto  di  cui  di  sopra  ò  parlato.  Una  parie  di  esse  con 
canale  coperto  viene  a  Napoli  per  la  strada  di  Poggioreale,  (  co- 
sì detta  dalla  Villa  che  vi  costrusse  Alfonso  II  di  Aragona  )  ,  e 
per  Porta  Capuana  va  per  tutte  le  parti  basse  della  città  ,  sino  a 
Castel  Nuovo;  e  1'  altra  porzione  forma  il  Rubeolo  che  scorrendo 
per  sotto  il  Ponte  della  Maddalena,  viene  malamente  denominato 
il  Sebeto,  come  appresso  dirò. 


—  290  — 
Avendo  esposlo  qualche  idea  sulle  acque  in  Napoli  ,  trovo 
rogolare  di  qui  indicare  le  principali  Fontane  che  sono  in  que- 
sta nostra  vasta  capitale  ,  ripetendo  forse  per  la  costruzione  gli 
architetti  ,  ed  a  solo  fine  di  render  compiuto,  per  quanto  il  mio 
libro  il  permetto  ,  quel  che  riguarda  le  acque. 

Fontana  maestosa  dellVtnnnnoiata  %'olsarntente 
«letta  la  Scapigliata. 

Fu  questa  fontana  falla  in  tempo  del  Vice-Re  D.  Pietro  di 
Toledo  5  compiuta  nell'anno  1541,  architettata  dal  Merliano.  Nel 
fonte  entra  1'  acqua  per  più  cannoli  :  ma  quello  che  fu  bene  im- 
maginato dall'  architetto  è  lo  scoglio  che  nel  centro  è  situato  , 
dal  quale  esce  con  tanta  abbondanza  1'  acqua  in  mirabile  artifi- 
zio di  modo  che  sembra  un  padiglione  :  dall'  acqua  sì  sgorgante 
il  volgo  gli  dette  il  nome  di  Scapigliala.  11  fonte  di  marmo  sot- 
toposto è  grandissimo,  e  fu  fatto  cosi  per  dar  comodità  al  basso 
popolo  di  colà  lavare  i  panni-lini. 

Fontana  nella  strada  S.  Lucia. 

E  questa  tutta  di  bianchi  marmi  ed  è  situata  nella  strada  di 
S.  Lucia  a  mare  sul  lato  sinistro,  e  da  pochi  anni  ripulita  e  fat- 
tovi intorno  con  saggio  provvedimento  un  cancello  di  ferro. 

E  composta  da  due  statue  tonde  di  marmo  sopra  due  delfini 
che  formano  colonne.  Nel  mezzo  vi  sono  due  Sirene  che  sosten- 
gono una  tazza  dalla  quale  si  versa  acqua  nel  fonte  ,  con  altre 
figure  ad  ornamenti  di  belli  intagli.  Opera  è  questa  distinta  del 
nostro  Domenico  d  Auria,  ma  gli  ornamenti  di  arabeschi  sono  del 
suo  maestro  Merliano,  Fu  questa  fontana  eseguita  nell'  anno  1606 
essendo  Vice-Re  Giovanni  Alfonso  Pimontel  Conte  di  Benavente  , 
trasportata  in  questo  luogo  in  tempo  del  governo  del  Cardinale 
Borgia  da  Chiaja. 

Fontana  del  Gafo  o  Coccovaja. 

Fu  questa  eseguita  nell'  anno  13415  per  ordine  del  Vice-Re 
D.  Pietro  di  Toledo  opera  benanche  del  nostro  Ciovanni  da  No- 
la. Vi  erano  in  questa    fontana  bellissime    statue  indicanti  Deità 


—  291  — 

giacenli  in  alcuni  antri  del  monte  che  stava  nel  mezzo.  Neil" an- 
no 1647  nel  tempo  dei  rumori  popolari  alcune  furono  guaste  dal 
cannone  ,  ed  altre  rubate.  Fu  essa  fatta  si  per  comodità  dei  cil- 
ladinij  che  per  fornire  di  acque  i  legni  che  venivano  nel  porto. 

Fontana  della  Loggia. 

Nella  piazza  della  Loggia  dei  Genovesi  vedesi  una  perenne 
fontana  in  forma  triangolare.  Fu  fatta  nell'  anno  15>78  a  spese 
dei  complatearj ,  e  vi  erano  molte  belle  statue  fatte  da  Fra  Vin- 
cenzo Casale  fiorentino  :  per  diversi  accidenti  ,  le  statue  cam- 
biarono domicilio  j  ed  in  luogo  di  quelle  vi  furono  poste  alcune 
arpie  che  buttano  acqua. 

Alla  conceria  vedesi  un'  altra  fontana  di  bianchi  marmi.  Fu 
questa  fatta  per  ordine  del  Vice-Ro  Conte  di  Ognatte,  ed  esegui- 
ta sopra  disegno  del  Cav.  Cosimo  Fansaca  :  le  spiritose  iscrizio- 
ni furono  di  Giovan  Battista  Cacace,  e  rimpetto  della  descritta  nel 
recinto  del  Mercato  ne  fu  situata  pure  un  altra  per  ordine  del  det- 
to Vice-Re  allorquando  furono  abolite  le  baracche  al  Mercato  e  fatto 
il  fabbricalo  a  forma  ellittica. 

Fontana  Medina. 

Nel  largo  Medina  rimpetto  all'  attuale  palazzo  Sirignano  ve- 
desi la  più  bella  fontana  di  Napoli  detta  Fontana  Medina.  11  di- 
segno ,  e  le  statue  sono  del  Cav.  Cosimo  Fansaca.  La  statua  di 
Nettuno  è  situata  sopra  la  conca  sostenuta  da  quattro  Tritoni. 
Questa  gran  fontana  fu  fatta  per  essere  collocata  avanti  il  pa- 
lazzo Reale  ;  posteriormente  si  riflettette  che  veniva  ad  impedire 
le  feste  che  colà  in  quei  tempi  si  faceano,  e  solo  questo  motivo 
bastò  per  far  decidere  che  si  collocasse  nel  torrione  di  S.  Lucia 
avanti  Castel  dell'Uovo.  Si  erano  eseguite  di  già  lo  fondamenta  ed 
i  condotti,  allorquando  venne  in  mente  a  chi  dirigea  le  cose  al- 
tra riflessione  :  cioè  che  in  tempo  di  guerra  potea  detta  fonta- 
na esser  danneggiata  dai  proiettili  de'  cannoni  da  mare  ,  e  ne 
venne  sospeso  il  collocamento  anche  in  S.  Lucia. 

Nel  tempo  poi  del  governo  del  Duca  di  Medina  fu  colloca- 
ta con  molte  aggiunzioni  là  dove  ora  si  vede,  ritenendo  fino  oggi  il 


--  292  — 
nome  di  Fontana  Medina.  Per  non  ripetere    le  cose    stesse  ,   ne 
darò  un  esatta  descrizione  nelle  moltiplici  opere    del  cav.    Cosi- 
mo Fansaca. 

Onde  concatenare ,  per  lo  avvenuto  ,   con    la  fontana  detta 
degli  Specchi  all'  attuale  Largo  del  Castello  =  dirò  che  a  destra 
dell'  accennala  Fontana  Medina  e  propriamente   dove  oggi   vede- 
si  la  strada  Barraccari  in  direzione  della  Salita  o  Strada  S.  Gia- 
como ,  vi  fu  dalla  Regina  Giovanna  trasportata  la  Porta  Petruc- 
cia ,  che  poi  in  tempo    di  D.  Pietro  di  Toledo    fu  fatta    situare 
presso  S.  Maria  a  Cappella  della  spiaggia  ,  volgarmente    appel- 
lata Porta  di  Chiaja,  mentre  prima  chiamavasi  Porta  del  Castello. 
Essendo  questa  una  nobile  piazza  coronala  di  bei  palazzi  onde 
più  adornarla  vennero  gli  spalli  del  Castel  Nuovo  coronati  da  tre 
fontane.  In  quella  di  mezzo  vi  era  una  statua  d'  una  Venere  gia- 
cente, del  famoso    nostro  giovane    scultore  Girolamo  Santacroce, 
la  quale  per  la  sua  bellezza  fu  portata  in  lontane  regioni   ed  in- 
vece vi  fu  colà  situata  una  non  buona  copia.  Sotto    1'  impero  di 
Ferdinando  I  Borbone  furono  fatti  eseguire  nei  fossi  del  Castello 
delle  fabbriche  come  a  suo  tempo  si  dirà ,  e  le  tre  fontane  ven- 
nero trasportate  una  ove  si  trovava  al  largo   del    Castello    deno- 
minata la  Fontana  degli  Specchi,  e  le  acque  delle  altre  due  an- 
darono ad  arricchire  la  sottoposta  fabbrica  di  armi  militari. 

Nel  giardino  della  chiesa  della  SS.  Trinità  che  fu  fondala 
dalla  Regina  Sancia  moglie  di  Roberto  ,  sulla  muraglia  a  sini- 
stra verso  r  arsenale  correva  un  grazioso  rigagno  che  da  passo 
in  passo  scorgava  acqua  per  dodici  mostri  marini  di  marmo  la- 
vorali dal  Fansaca  ,  ed  eseguiti  nell'  anno  1638.  Questo  rivo  an- 
dava a  terminare  in  una  vaghissima  fontana  detta  la  Fonzeca 
perchè  fu  fatta  d' ordine  di  D.  Emmanuele  Zunica  y  Fonzeca 
Conte  di  Monterj^  Vice-Re  di  Napoli  ,  che  volle  col  suo  cognome 
intitolarla.  E  formala  da  una  conchiglia  ,  e  dentro  la  statua  di 
un  Gurae  poco  più  del  naturale,  giacente  sopra  di  un'  urna  che 
versa  acqua  :  ai  lati  due  Tritoni  con  una  lumaca  marina,  iu  ispal- 
la  che  similmente  buttano  acqua  con  alcuni  delfini  —  il  tutto  fu 
opera  di  Carlo  Fansaca  figlio  di  Cosmo. 


—  293  — 


La  Fontana  di  Illonteliveto. 


Fu  questa  eretta  nell'  anno  1668  con  disegno  del  Cafaro.  Ila 
sopra  una  bella  statua  di  bronzo  di  Carlo  V  Re  di  Spagna.  E 
l'uori  dubbio  che  formano  bella  una  città  le  strade,  le  piazze  ,  il 
lastricato,  gli  edilìzi,  gl'ingressi.  La  nuova  e  la  vecchia  Napoli 
presentano  nelle  strade  e  nelle  piazze  due  opposti  estremi.  La 
prima  ha  molle  strade  eccessivamente  larghe,  e  piazze  non  tutte 
belle  ed  opportune  ;  la  seconda  strade  strettissime  ,  e  piazze  pic- 
cole e  deformi.  Questo  disordine  è  comune  a  tutte  le  città  anti- 
che, che  àn  sofferto  gran  cambiamento  di  stato  e  grandi  vicende, 
e  che  in  diversi  tempi  sono  state  riparate  ed  accresciute. 

Le  strade  di  Napoli  ,  oltre  all'  essere  in  gran  parte  eccessi- 
vamente irregolari ,  anguste  ,  e  senza  proporzione  coli'  altezza 
degli  edifizi ,  banno  due  altri  essenziali  difetti  :  1'  uno  che  non 
sempre  si  prestano  al  comodo  ed  alla  facillà  delle  comunicazio- 
ni ,  r  altro  che  non  sono  tutte  ben  livellate  :  a  questo  inconve- 
niente come  si  può  dall'  eccellentissimo  Corpo  di  Città  si  va  in 
parte  riparando  ,  come  si  è  praticalo  per  la  strada  di  Toledo  e 
quelle  che  portano  ai  quartieri  S.  Ferdinando  e  Montccalvario.  Il 
lastricato  di  Napoli  è  eccellente  di  lave  del  Vesuvio  che  chiaman- 
si  vasolì ,  e  che  sono  il  più  solido  materiale  da  lastricare  strade. 
Potrebbero  essere  di  maggiori  dimensioni  per  accrescerne  la  so- 
lidità. 

Sotto  le  strade  stanno  le  cloache  per  raccogliere  le  acque 
piovane  e  le  immondezze  della  città.  Molte  fan  mostra  di  solidità 
e  comoda  struttura,  ma  pure,  a  nostro  giudizio  esser  dovrebbero 
più  numerose  per  evitare  del  tutto  1'  incomodo  ed  i  danni  che 
talvolta  ne  derivano. 

Per  le  strade  rifatte  e  dirette  dagli  architetti  del  sullodato 
corpo  di  città  è  stato  ben  corretto  1'  inconveniente  ,  avendo  tolti 
i  cosi  detti  canali  sporgenti  dalle  tettoie  o  lastrici  ,  surrogatovi 
tubi  di  zinco  a  muro  ,  e  le  strade  costruite  a  petto  di  pollo  ri- 
partendo la  quantità  d'acqua  in  due  corsi  laterali  ,  e  con  spessi 
ricevitori,  di  modo  che  terminata  la  pioggia,  la  strada  è  asciutta 
in  poco  tempo.  Altri  canali  sotterranei  spesso  paralleli  alle  cloa- 
che somministrano  copia  grandissima  di    acqua    a    gran    numero 


—  294  — 
di  case  ed  alle  fontane,  e  sono  di  meravigliosa  strullura  prestan- 
do comodi  infiniti.  I  luoghi  della  città  per  dove  transitano  queste 
acque  ,  diconsi  Formali  ,    come    gli    antichi    li    dicevano  aqua- 
rum  formae. 

1  siti  alti  però  della  città  vanno  privi  di  tal  beneficio  ,  e  si 
adattano  gli  abitanti  con  le  acque  piovane  rinchiuse  in  gran  ser- 
baloj  che  chiamansi  Cisterne.  Forse  non  sarebbe  difficile  provve- 
derncli,  se  come  più  su  ò  esposto,  riflettiamo  che  una  volta  le  ac- 
que che  passavano  pe'  Ponti  Rossi  continuassero  il  loro  corso  per 
Gesù  e  Maria  ,  per  la  groppa  della  collina  di  S.  Ermo  ,  e  del 
Vomero  fin  sopra  la  grotta  di  Pozzuoli.  Da  una  livellazione  fatta 
parecchi  anni  sono,  si  rilevò,  che  le  acque  di  Caserta  potevano 
esser  condotte  a  Capodimonte  ,  donde  facilissimo  sarebbe  spargerle 
per  le  altre  colline  superiori  a  Napoli.  La  spesa  abbisognevole 
si  calcolò  a  due  milioni  di  ducati. 

In  molte  altre  case,  dove  non  sono  ne  formali,  ne  cisterne, 
vi  sono  pozzi  di  un  acqua  salmastra,  e  vengono  denominati  Sor- 
<jive  ,  perchè  effettivamente  sorge  l' acqua  dalle  viscere  della 
terra. 

In  molti  altri  siti  della  capitale  si  sta  adoprando  la  trivella 
per  pozzi  artesiani  ma  fino  a  questo  momento  nessuno  n'  è  slato 
peranco  portalo  a  termine. 


POCHE  IDEE  E  RICERCHE 

SIILE  sperdite  ACQIE  SEBEZIE 


PER   L    ARCHITETTO 


CAMILLO  NAPOLEONE  SASSO 


Essendo  per  una  grande  capitale  come  Napoli  interessanle  ob- 
biello  l'acqua,  e  conoscendo  i  vantaggi  che  si  otterrebbero  dal- 
l' aumentare  la  quantità  di  quelle  già  esistenti  ed  accennate  ,  io 
rai  applicava  nell'  anno  18^3  alla  ricerca  delle  famose  acque  Sebo- 
zie  che  pur  vennero  ,  e  tuttavia  vengono  per  ignoti  occulti  cuni- 
coli o  meati  in  questa  nostra  città. 

Giustissimo  riflessioni  à  fatte  il  Celano,  e  piìi  sagge  corredate 
da  esperimenti  ,  dopo  di  lui  ne  facea  il  dotto  nostro  architetto 
Niccolò  Carlelti  per  dimostrare  ,  che  il  fiume  Sebcto  non  sia  quello 
scorrente  oggi  al  lato  orientale  di  Napoli  per  un  buon  miglio 
dalle  antiche  mura  ,  e  che  passa  sotto  il  ponte  Guizzardo  ,  o  sia 
della  Maddalena,  come  fino  ai  nostri  giorni  comunemente  si  crede. 

Questo  fiumicello  ,  o  per  meglio  dire  rivolo  ,  trasporta  por- 
zione delle  acque  ,  che  scorrono  dal  sito  detto  la  bolla  sotto  il 
monte  Vesuvio  ,  mentre  l'altra  per  coverto  acquidoUo  s'introdu- 
ce nei  luoghi  bassi  della  città  dal  lato  del  mare,  come  ò  esposto. 

Carlo  I.  d'Angiò  l'aveva  destinate  alla  macerazione  dei  lini, 
allorché  fé'  chiudere  ed  asciugare  i  fiisari  allora  siti  noli'  odier- 
no quartiere  di  Porto  ,  tanto  per  ingrandir  la  città  da  questo  la- 
to ,  che  per  liberarla  dall'  infezione.  Attesta  il  Celano  che  una 
volta  col  nome  di  Rubeola  scorreva  piìi  al  di  là  nel  luogo  appel- 
lalo Ire  torri ,  ed  invece  di  fiume  formava  una  larga  limacciosa 

Sasso  —  Voi.  I.  38 


—  296  — 

palude  ingrossala  da  altre  acque  sorgenti  ,  che  non  leggier  dan- 
no arrecava  alle  abitazioni  vicine.  Quando  questa  palude  fu  ri- 
dotta in  canali  ai  tempi  posteriori,  cioè  sotto  il  dominio  di  Alfon- 
so I.  d'Aragona,  il  fiume  acquistò  più  volume  ,  e  fu  diretto  ver- 
so Napoli. 

Or  crederera  forse  ,  che  queste  acque  raccolte  nei  bassi  tem- 
pi, abbiano  in  pria  formato  quel  Sebeto  di  cui  àn  parlato  Virgi- 
lio ,  Stazio  ,  e  specialmente  Cokimella  in  quel  verso 

Bociaque  Parthenope  Sebethide  roscida  lympha  ?  ?  ? 

Quale  adunque  sarà  stato  il  vero  fiume  Sebeto  ,  ed  in  quale 
altro  silo  avea  il  suo  letto  ?  Una  costante  osservazione  ci  à  inse- 
gnato ,  che  tulle  le  acque  scorrenti  sotterra  dal  quartiere  di  Nilo 
per  S.  Marcellino  ,  pel  Salvatore  ,  e  per  S.  Pietro  Martire  sino 
al  Molo  piccolo  ,  sieno  tulle  di  una  qualità  assai  diversa  dalle 
allre  che  per  vari  canali  s' introducono  in  Napoli.  Osserva  il  letto 
dell'  antico  Sebeto  nella  mia  tavola  16.  Queste  acque  esposte  al- 
l' analisi  si  son  trovate  assai  leggiere  ,  per  natura  incorruttibili, 
trasparenti  ,  e  dotate  di  freschezza  e  di  grato  sapore.  Si  rac- 
conta che  r  fmperator  Carlo  V.  avesse  bevuto  mai  sempre  delle 
acque  di  S.  Pietro  Martire,  e  ne  avesse  fatta  provvisione  quando 
si  dovette  imbarcare. 

Della  slessa  qualità  sono  i  pozzi  descritti  da  Celano  in  que- 
sto quartiere  come  nella  strada  dei  Calzettari  a  Portanova  ,  nella 
strada  Patriziana.  e  specialmente  a  S.  Marcellino,  dove  un  gran 
capo  d  acqua  è  ritenuto  da  una  gran  chiave  di  bronzo.  Si  legge 
in  un  istrumento  notaresco  del  783,  riferito  dallo  stesso  autore,  la 
convenzione  falla  dal  monastero  di  S.  Marcellino  eoa  un  tale  Gio- 
vanni della  Monica  di  potere  costruire  un  bagno  in  un  orlo  ver- 
so via  Patriziana  (che  da  S.  Marcellino  calava  a  Portanova)  do- 
ve si  potessero  bagnare  ogni  mese  le  Religiose  senz'  alcun  paga- 
mento. Altri  pozzi  si  osservano  nella  calata  del  Salvatore  ,  dove 
senti  scorrer  l'acque  con  fremito  sensibile. 

Riporta  il  detto  scrittore  che  sotto  il  Monastero  di  S.  Seve- 
rino nella  casa  dei  Parrini  si  trovino  dei  capi  d'  acqua  inesauri- 
bili ,  il  cui  pozzo  viene  appoggiato  a  vecchie  costruzioni  sotto  il 
colle  doil'antica  Città;  onde  coachiude,  che  se  tutte  queste  acque 


—  297  — 
fossero  riunite  formerebbero  al   certo  (e  bea  dice)  un  pérennissi- 
mo fiume. 

Ma  che  perenne  e  largo  fosse  stato  il  volume  di  queste  ac- 
que si  argomenta  dai  laghi,  che  formava  nella  sottoposta  pianu- 
ra, in  quei  tempi  spiaggia  di  mare,  e  propriamente  nell'odierno 
sito  di  Porto  ,  e  Portanova.  Erano  qui  nei  tempi  di  Carlo  I.  i 
fusari  e  gli  acquari  ,  cioè  i  laghi  addetti ,  alla  macerazione  dei 
lini;  onde  una  chiesa ,  qui  ancora  esistente  acquistò  nome  di  S. 
Pietro  a  Fusariello  ,  che  dopo  1'  asciugamento  ordinato  dal  Re 
per  ingrandir  la  città,  vi  fu  eretta  dalla  famiglia  Proculo ,  e  do- 
nata a  sei  nobili  famiglie^  che  il  nome  presero  di  Acquario,  sulle 
quali  vi  à  scritto  un  volume  in  4"  l'abate  Cantillo. 

Or  se  in  questo  luogo  non  fosse  corso  un  fiume  ,  crederera 
forse  che  vi  si  potessero  formare  dei  fusari  e  degli  acquari  per 
macerarvi  i  lini  ?  E  questo  son  certo  che  era   il  Sebeto  — 

Altre  sperienze  idrauliche  furono  fatte  dal  Carlelti.  Egli  no- 
tò che  le  acque  dei  descritti  pozzi  sono  agitale  da  un  moto  lento 
da  settentrione  a  mezzogiorno,  come  argomentò  dai  galleggianti 
di  carta  cerata  in  essi  gettati  ,  e  dai  galleggianti  minuti  ,  come 
paglia,  crusca,  ed  altre  cose  simili  che  passarono  sensibilmente 
da  un  pozzo  all'  altro.  Da  questo  moto  regolare  si  raccoglie,  che 
l'acqua  non  sia  stagnante,  come  avviene  in  altri  pozzi;  ma  viva, 
libera  e  scorrente  con  andamento  alla  medesima  direzione  che  si 
conforma  alla  natura  dei  fiumi. 

Altre  riflessioni  gli  somministrò  la  posizione  fisica  di  Napoli 
situala  nel  centro  d'un  grande  emiciclo,  sovrastato  da  piccole  col- 
line, cioè  Echia  —  Ermo  —  Olimpiano — Capo  di  Rionte-  e  Lotrecco. 
in  questo  spazio  si  deve  raccogliere  una  gran  quantità  delle  ac- 
que piovano  cadenti  su  tutto  il  giro,  ed  attraversare  le  torre  tra 
gli  infiniti  pori,  finché  unito  in  massa  si  rendano  capaci  al  suc- 
cessivo discorrimento  sovra  un  suolo  solido  e  compatto  di  tufo  e 
formino  rivoli  e  fonti. 

Ora  in  tutto  l'avvisato  spazio  noi  non  Iroviam  oggi  ne  que- 
sti rivoli,  né  queste  fonti  patenti,  e  sappiamo  altronde  dalia  sto- 
ria, die  in  realtà  scorrer  vi  dovea  un  fiume  col  nome  di  Sebelo 
nei  tempi  antichissimi  ,  e  che  nei  tempi  mezzani  vi  erano  dei  fu- 
sari e  dei  laghi. 

Dove  adunque  sono  oggi  rivolto  quelle  acque  ?    Quale   altra 


—  298  — 
direzione  anno  presa?  Per  quale  altra  via  debbono  osse  scorrere 
al  mare  ?  Chi  à  Cor  di  senno  ben  vede  die  i  loro  cammini  si 
profondarono  soUerra,  subissali  da  cagioni  violenti  ed  im])rovvise, 
il  cui  andamento  si  ravvisa  oggi  nel  declivio,  e  noi  p  inno  della 
ci  Uà  in  tanti  pozzi  della  medesima  acqua  con  la  medesima  qua- 
lità e  con  lo  stesso  movimento. 

Questo  interramento  adunque  del  Sebelo  è  nato  senza  alcun 
dubbio  da  fìsiche  rivoluzioni.  Nel  fatto  dell'antico  porto  di  Pale- 
poli  e  della  sicurezza  della  sua  stazione  abbiamo  un  insigne  te- 
stimonianza presso  Silio  Italico 

Parthenopae  porlus,  staiio  Jìdissima  ìiauHs. 

Esso  avea  principio  dal  Molo  piccolo  che  nelle  vecchie  carte 
appellato  viene  Marocvio,  e  da  questo  punto  penetrando  nell'  at- 
tuai quatiere  di  S.  Pietro  Martire  e  dei  Lanzieri  arrivava  sino  al 
pie  della  collina  dove  alzatasi  il  sepolcro  della  Sirena.  Oggi  in 
questo  luogo  n'  è  rimasto  per  tradizione  il  nome  (presso  i  dotti) 
che  avea  1'  antico  Sedile  .  e  la  strada  che  tuttora  di  Porto  viene 
appellata.  La  sua  forma  era  quella  di  un  sacco  confinato  tra  i 
limiti  delle  sponde  vicine.  Da  Silio  si  appellò  a  ragione  staiio 
fidissima,  perchè  veniva  riparato  da  tre  soprastanti  colline,  cioè 
ad  occidente  dal  promontorio  della  Sirena  nel  sito  di  S.  Gio- 
vanni Maggiore  :  a  settentrione  dallo  scoglioso,  dove  oggi  esiste 
la  chiesa  di  S.  Angelo  a  Nilo;  e  da  oriente  dal  Monterone,  do- 
ve termina  il  collegio  del  Salvatore.  Rinserrato  da  tre  erti  colli 
questo  piccolo  seno,  o  lingua  di  mare  ,  non  poteva  presentare  , 
che  una  perfetta  calma.  Quivi  il  canonico  Celano  scovrì  il  sito 
del  fanale.  Qui  si  trovò  sotterra  anco  un  grosso  sasso  di  marmo, 
dove  era  effigiato  Orione,  divinità  e  costellazione  invocata  dai  na- 
viganti ,  che  vedesi  affisso  nel  muro  del  suddetto  sedile.  Narra  il 
Celano  che  per  conservarsi  la  memoria  tanto  dell'antico  porto  in 
questo  sito,  quanto  di  Orione  rinvenutovi ,  era  solito  di  bruciarsi 
ogni  anno  dai  marinai  una  piccola  nave. 

Ma  perchè  mai  si  rincalzò  questo  porto  antichissimo?  Esposto 
il  suolo  di  Napoli  alle  replicate  e  minacciose  esplosioni  del  vici- 
no Vesuvio,  e  di  altri  vulcani,  da  cui  un  giorno  si  vedeva  cir- 
condato; il  suo  livello  à  dovuto  presentare  ora  valli  ,   ora  colli  , 


—  299  — 
ed  ora  pianure  ,  secondo  la  copia  delle  materie  eruttale  ,  che  si 
accumulavano  ora  in  questo,  ora  in  quel  lato.   Nei   diversi  scavi 
che  si  sono  praticali  in  vari  siti  della  citlà,  e  principalmente  die- 
tro le  mura  settentrionali    della  Reale  Accademia  ,    ed  avanti  il 
Real  Palazzo  si  è  osservato  costantemente  che  tutta  la  profondità 
del  terreno  è  divisa  in  vari  strali  regolari  ,    o  zone  parallele  di 
materie  diverse,  e  specialmente  di  lapillo,  e  di  cenere,  che  non 
sono  altro  che  eruzioni  vulcaniche.    Argomento    più  convincente 
di  queste  aggestioni  ed  accumulamenti  sopra  l'antico  piano  della 
citlà  ci  si  presenta  nella  scoverla  di  molti  antichi  sepolcri  dietro 
la  della  Reale  Accademia.  Questi  si  son  trovali  in  linee    diverse 
cioè  alcuni  più  alti,  ed  altri  più  bassi  a  palmi  60  sotto   il  giar- 
dino di  S.  Teresa. 

Quante  terribili  piogge  di  cenere  adunque  anno  dovuto  ri- 
coprire questa  citlà  ed  il  suo  circondario  ,  da'  tempi  anteriori  a 
Tito  Vespasiano,  e  poi  in  tante  altre  epoche  diverse?  Qual  me- 
raviglia perciò,  se  il  lido  marillimo  di  Napoli  siasi  anche  ritira- 
lo, e  non  si  veggano  più  quei  tanti  semi  di  cui  ci  parlò  Dionigi 
Periegete 

Parlhenopes,  guam  pelagus  suis  occupai  sinibus? 

Altra  cagione  del  rincalzamento  dell'antico  porto  Palepolita- 
no  deve  ripetersi  dalle  alluvioni  frequenti  ,  che  dalle    soprastanti 
colline  anno  trasportato    tante  materie  diverse    nei  luoghi    bassi 
occupali  una  volta  dal  mare.  Oggi    se   ne   scoprono   i   depositi , 
cioè  arene  ,  sassi  ,  rotti  mattoni  ,  e   vari    vegetabili    infradiciti  , 
in  lutti  gli  scavi  ,  che  si  fanno    in    questi    luoghi   per    piantarvi 
novelli  edifizt.  Altre  materie  vi   sono  state   depositale    dalle    tem- 
peste e  dagli  sbocchi  del  mare,  di  cui  la  storia  ci  à  lasciale  fu- 
neste memorie.  Per  queste  cagioni  1'  antichissimo  porlo  Palepoli- 
lano  situato  sotto  il  promonlorto    della  Sirena  oggi  S.  Giovanni 
Maggiore  si  chiuse,  e  l'acqua  ritirala  verso  il  cratere  avendo  ac- 
quistata altra  circonferenza,  obbligò  i  Napolitani  a  formare  un  se- 
condo porlo;  il  quale  poco  distante  dal  primo  si  apriva  presso  la 
chiesa  di  S.  Onofrio  de  Vecchi  ,  dove  ancor  oggi  si  vede  il  silo 
del  fanale,  e  ne  resta  il  nome  ad  un  vicolclto  di  Lanterna  vec- 
cliia.  Questo  secondo  porlo    nemmeno    resse  lungamente    per  le 


—  300  — 
slesse  acldollc  cagioni  d'inlerramenti  e  di  depositi  di  arena,  quan- 
tunque in  reallà  non  potesse  avere  il  nome  di  porlo  atteso  le  sue 
acque  basse,  limacciose  ed  appena  scorrenti.  Si  aggiunse  finalmen- 
te un'  altra  causa,  ehe  fini  di  otturarlo,  cioè  la  terribile  tempesta 
di  mare,  di  cui  ci  à  lascialo  il  Petrarca  nel  lib.  Ìj  op.  5  la  più 
viva  e  commovente  descrizione.  Le  acque  agitate  si  alzarono  tan- 
to in  quello  infortunio,  che,  secondo  i  nostri  storici,  flagellarono 
le  ripe  del  Monterone  (  oggi  salita  di  S.  Angiolillo  nella  strada 
di  Fusariello  )  ed  adeguarono  al  suolo  non  pochi  edifizì.  Dopo 
otto  ore  di  continua,  e  fiera  lutla  il  mare  si  ritirò  lasciando  in- 
terrato questo  secondo  porto  con  tutta  la  vicina  spiaggia  e  mol- 
te caso,  che  si  vedevano  intorno.  Niun' altro  à  così  ben  descritto 
il  nostro  antico  porto,  le  forti  mura,  il  castello  suburbano,  e  la 
prima  posizione  di  Napoli,  quanto  Procopio  ,  narrando  1'  assedio 
che  vi  pose  Belisario  per  cacciarne  i  Goti ,  e  ciò  legger  lo  puoi 
nel  suo  libro  1°  al  capitolo  8". 

Questo  generale    sulle  prime  ancorò    la  sua  armata    navale 
non  più  lontano  dal  porto  Napolitano,  che  teli  jactu;  e  facendo 
sbarcare  i   suoi  soldati,  ebbe  subito  in  suo  potere  un  castello  (bor- 
go )    che    si    alzava    nella    spiaggia.   Avendo    tentato    più   volte 
di  superarne  le  mura,  vi  fu  respinto  con  la  perdita  di  molti  ag- 
gressori ,  quantunque  valorosi.  Erano  difese  queste  mura  non  so- 
lo dalla  loro  solidità,  ma  dove  da  alti  dirupi  (  che  sarebbero  lo 
Scoglioso,  il  Monterone ,  ed  il  Montorio  ,  tre  rupi ,  che  formano 
oggi  il  dorso  della  posizione  di  S.  Angelo  a  Nilo  ,  del  Collegio 
del  Salvatore,  e  di  S.  Marcellino  ),  e  dove  dal  mare,  o  dal  loro 
scabroso  declivio.  Belisario  non  trovò  altra  strada  d'  impadronir- 
si di  Napoli  che  facendo  penetrare  400  soldati  Greci  per  un  ac- 
quidotto  ,  che  egli  prima    avea    tagliato  per   impedire    il    corso 
delle  acque  lungi  dalle  mura  ,    e  che  penetrava  in  città  sotterra 
per  un  gran  sasso  forato.  Si  allargò  il  foro  con  ferri  aguzzi  ,  e 
non  con  asce  ,    onde  non  si  ascollasse  il  rumore  dagli  assediali. 
I  soldati  introdotti  si   trovarono  in  mezzo  della  città  presso  la  ca- 
sa di  una  donnicciuola  ,  dov'  erano    alcuni    alberi   di    olivo.  Per 
salire  dall'  acquidotlo  al    piano    soprastante    si    attaccò    una    fa- 
re alle  radici  degli  alberi,  e  cosi  un  dopo   1' altro  montaron  su. 
Allora  corsero  alle  due  torri  che  cingevano  di  qua  e  di  ià  le  mu- 
ra, sul  foro  dell' acquidotlo  ,  e  ne  trucidarono  le  sentinelle.  Que- 


—  301  — 
sto  lato  della  ciltà  guardava  il  seltenlrione,  ed  ivi  aspettava   Be- 
lisario. Dalla   parte  del  mare  la  città  era  guardata  da  un  nume- 
ro immenso  di  Ebrei  che  furono  tutti  uccisi.  Altra  porta  fu  aperta 
dal  lato  orientale  col  fuoco  etc.  Fin  qui  Procopio. 

Premesse  adunque  queste  necessarie  ed  autentiche  storiche 
notizie,  è  d'uopo  all'  obbietto  percorrere  con  la  storia  alla  mano 
le  diverse  fasi  a  cui  queste  nostre  terre  sono  state  soggette  per 
eruzioni,   tremuoti,  alluvioni  etc. 

Si  dalla  storia,  che  dagli  esperimenti  esposti  parmi  assodato  che 
il  Sebeto  irrigava  questa  terra  ai  tempi  di  Augusto.  Tito  fu  l'ottavo 
Imperatore;  e  l'anno  79  dell'E.  C.  sotto  il  suo  delizioso  governo  av- 
venne la  più  terribile  eruzione  del  Vesuvio  che  arse  ed  inceneri  le 
selve  di  Retina!  Cumuli  di  sabbia  sepellivano  Pompei!  Disseccalo  e 
lutulento  il  Sarno  negò  per  poco  il  dovuto  tributo  al  mare!  Scom- 
parse le  città  di  Oplonta  e  di  Cora  !  Atterrata  Stabia  !  Colmata 
di  fuoco  Ercolano  !  Tante  città  fiorenti  in  poche  ore  scomparse  !! 
Fa  forse  allora  che  la  sorgente  ,  ma  non  il  letto  del  Sebeto  sof- 
fri ingombro  ;  imperocché  dopo  tredici  secoli  (  come  di  sopra  ò 
esposto  )  ,  e  propriamente  sotto  l' Impero  di  Giovanna  1.  nel 
giorno  IS  novembre  1343  il  letto  del  Sebeto  scomparve  per  forte 
tremuolo  e  per  lo  innalzamento  del  suolo  nel  sito  del  pendio  di 
Moccia,  dove  un  giorno  erano  le  antiche  mura  di  Palepoli  ;  se- 
guendo la  catastrofe  fortissimi  alluvioni  :  quindi  parmi  che  a  par- 
tito s' ingannavano  il  Pontano  ,  il  Sannazzaro  ,  ed  il  Nolano  i 
qnalij  ritenendo  per  la  Storia  1'  antichissima  esistenza  del  Sebeto 
(  ai  tempi  loro  già  sepolto  )  appellavano  Sebeto  il  meschino  ri- 
volo che  tuttora  ai  nostri  di  scorre  per  sotto  il  ponte  Guizzardo, 
comunemente  Ponte  della  Maddalena  appellato. 

Che  tuttora  esista  il  Sebeto  da  quanto  ò  esposto  lo  ritengo 
per  fatto  ;  e  ritengo  ancora  che  si  conduce  al  mare  per  occul- 
to speco  j  non  senza  pria  fornire  tuttodi  acqua  al  pozzo  di  S. 
Pietro  Martire  ,  in  quasi  tulli  i  pozzi  della  strada  Calzcltari,  ed 
in  quelli  della  strada  Zagareilari,  ai  fondaci  dei  Lazzari ,  e  dei 
Barbati  ,  e  finalmente  ravvivando  i  pozzi  di  S.  Marcellino  ,  del- 
l' Università  ,  e  del  Pendino,  per  antichi  occulti  cunicoli  e  meali 
si  porla  al  mare  come  della  mia  tavola  16*. 

Per  fartene  di  ciò  che  ò  detto  la  mente  chiara,  o  lettore,  os- 
serva (ripeto)  qual'era  l'anlico  ietto  del  Sebeto  nella  mia  tavola  16^. 


—  302  — 

Non  so  poi  come  il  sullodato  dislintissimo  arcliitetlo  Carlelti 
volpa  dio  il  Sfbclo  venisse  dal  fiume  Sabalo  (  confluente  del  Ca- 
lore ). 

Doppio  ragioni  a  contraddire  il  Caletti  per  questa  sua  co- 
njellura. 

Se  ciò  fosso  stato  dalla  natura  disposto  { lo  che  lopografica- 
mente  era  difiicile  ad  accadere)  nell' accennata  eruzione  del  79 
sarebbersi  o  disseccate  o  deviate  le  acque.  Come  poi  dallo  stes- 
so dotto  ed  accurato  architetto  si  afferma  esister  lutto  di  delle 
acque  in  Napoli  fluenti  in  undici  punti ,  quelle  dello  antico  fa- 
moso fiume  Sebeto  ? 

Farmi  logico  adunque,  dopo  tutto  Io  esposto,  il  ritenere  che 
il  fiume  Sebeto  à  avuto  la  sua  origine  nel  monte  Vesuvio  pri- 
ma che  questo  fosse  bipartito  in  Somma  e  Vesuvio,  perdendo 
in  altezza  ed  acquistando  in  base  ;  che  tale  catastrofe  avvenne 
appunto  nella  citata  epoca  dell'  anno  79  dell'E.  C,  ascondendo 
il  monte  sotto  il  nuovo  circuito  delle  sue  radici  1'  antico  letto  del 
Sebeto  verso  la  sorgente  ,  cangiando  configurazione  a  quei  siti  , 
al  dir  di  Plinio,  e  seppellendo  in  poche  ore  Ercolano,  Oplontc,  Co- 
ra, Stabia,  e  Pompei. 

Fattomi  questo  sistema  ,  e  persuaso  intimamente  di  quanto  ò 
asserito,  mi  applicava  alle  investigazioni  portandomi  in  Somma, 
Ottajano,  Pollena,  Trocchia,  e  S.  Anastasia,  oprando  come  vado  ad 
(■sporti. 

Cominciai  i  primi  esperimenti  dal  punto  più  basso:  cioè  nelle 
terre  a  sinistra  della  Madonna  dell'Arco,  e  propriamente  nella  mas- 
seria di  proprietà  del  sig.  Consigliere  De  Pompeis, 

Esiste  colà  antica  lava  bituminosa  ,  che  in  alcuni  siti  minata, 
vi  si  osservano  dei  macigni  spungosi,  e  da  un  foro  praticatovi  ne 
vien  fuori  vento,  e  sentcsi  forte  rumorio  più  di  notte  che  di  gior- 
no; indizi  onde  conjetturare  di  sottoposte  acque  fluenti.  Aggiungi 
che  di  tratto  in  tratto  nel  precitato  territorio  osservasi  vegetare  la 
pianta  acquatica  registrala  da  Linneo  col  nome  di  Cyperus  Papy- 
rus,  in  italiano  Sala, altro  indizio  in  sostegno  del  primo  di  sottoposte 
acque  un  tempo  incanalate  dall'arte,  ed  in  altro  tempo  naturalmente 
deviale  in  zone  sottoposte  all'attuale  superficie  di  quei  sili  per  po- 
steriori rivoluzioni  della  stessa  specie. 

Sulla  destra  salendo  da  detto  punto  alla  strada  consolare,  ò 


—  303  — 
rinvenuto  sotterra  parto  di  antico  acquidolto  per  circa  40  palmi 
scoverto  ,  lungo  palmi  16  ,  alto  palmi  12,  3.  Come  dalla  strut- 
tura j  letto  ,  e  pareti  può  vedersi  opera  anteriore  ai  Romani  ; 
imperocché  per  la  posizione  e  direzione  parrai  non  doversi  con- 
fondere con  r  acquidotto  Claudio  di  sopra  accennnato:  ma  bensì 
per  corso  d"  acqua  che  dal  Sebeto  andava  un  giorno  a  dare 
alimento  a  altre  città  nell'  anno  79  scomparse  ,  quali  forse  0- 
plonte  e  Cora  ,  di  cui  ignoriamo  la  posizione  topografica  ,  e 
le  quali  al  par  di  Stabia  già  da  18  secoli  sperano  nel  genio  dei 
Borboni  di  rivedere  le  sielle  come  il  fu  per  Pompei  ,  e  per  Er- 
colano. 

In  conlesto  dell'  acqua  dal  Vesuvio  sgorgante  non  si  è  fatto 
strada  alla  parte  opposta  in  Torre  del  Greco  in  quella  limpidis- 
sima vena  che  animando  oggi  la  fontana  quasi  a  lido  di  mare 
provvede  d'  acqua  quasi  tutti  i  Torres!  ? 

Scudo  necessario  per  determinare  un  punto  in  un  piano  di 
due  coordinale  ,  convinto  io  da  quel  che  ho  osservato  ,  dell'  esi- 
stenza colà  delle  antiche  acque  Sebezie  ,  mi  portai  all'  altra  co- 
sta al  di  là  di  Somma. 

Rinvenni  nel  fallo  altro  antico  acquidolto  di  palmi  7  alto 
per  palmi  4  di  larghezza  ,  e  dagli  occhi  che  da  tratto  in  tratto 
(  essendo  tutto  otturalo  )  cammina  per  1'  osservatore  in  considera- 
bile lunghezza  visibile,  ecco,  esclamai,  l'altra  ordinata;  sperando 
nel  punto  d'incontro  rinvenire  qualche  indizio  di  serbalojo  per  l'an- 
tica sorgente  ,  o  pure  un  punto  certo  di  riunione  di  acque  po- 
tendole dare  un  nuovo  corso  ,  con  nuovo  letto  ,  allro  livello  in 
rapporto  a  Napoli  ,  invece  di  farla  sperdere  per  sotloposli  natu- 
rali meati  nelle  viscere  della  terra. 

Nel  fatto  traguardate  le  due  linee,  il  punto  d' incontro  veri- 
ficasi in  S.  Anastasia  ,  e  propriamente  nella  strada  denominata 
Ponte,  accosto  le  case  dei  signori  Majone  e  fratelli  Viola,  accanto 
al  bel  casino  del  nostro  celebre  medico  Antonio  Villari,  oggi  del 
signor  Vacca. 

Portatomi  sopra  luogo  conobbi  essersi  anni  sono  lesionata  la 
casa  dei  signori  Viola  ,  e  questi  chiamato  un  architelto  per  pro- 
porvi  r  occorrente  ,  furono  falli  diversi  cavamenli  onde  raffor- 
zare la  casa  nelle  fondamenta.  Ciò  praticando  fu  rinvenulo  un 
gran  vólo  certamente  formato  da  acque  fluenti  ;  imperocché  ve- 
Sasso— Voi.  I.  39 


—  3n4  — 
nendo  detto  vólo  colmalo  con  sassi  e  calce  a    beverone ,   e    fen- 
duto sodo    per  sopra   fabbricarvi  :    dopo    terminati   i    lavori  ,  la 
casa  lesionava  di  nuovo. 

Allro  indizio  che  per  questo  punto  debhe  passare  qualche  ra- 
mo dello  sperduto  e  deviato  fiume  ,  si  è  che  essendosi  cavato  in 
una  casa  vicina  per  costruirvi  una  cisterna  ,  in  giorni  di  stale 
con  totale  siccità  ,  eseguitosi  il  cavamento,  dopo  pochi  giorni  vi 
si  trovò  dell'  acqua. 

Vicino  all'  accennato  territorio  del  Consigliere  de  Pompeis , 
e  propriamente  nella  masseria  Ciavcs  evvi  un  pozzo  da  cui  si  at- 
tinge acqua  più  di  state  che  d' inverno  ,  e  come  dai  naturali  ò 
intoso,  circa  40  botti  al  giorno. 

Si  potrebbero  almeno  da  questo  punto  portare  le  acque  nella 
Reggia  di  Portici ,  invece  delle  scarse  risultanti  da  debole  stil- 
licidio dagli  scisti  del  monte  ,  e  per  le  quali  si  spesero  consi- 
derabili somme  .  con  non  grande  successo. 

Panni  senza  alcun  dubbio  che  questo  sia  il  punto  da  son- 
dare ;  e  son  certo  che  a  trenta  palmi  sotterra  si  troverebbe  una 
considerevole    e  limpida  vena  di  acqua. 

Sarebbe  indi  facile  e  di  lieve  spesa  condurla  in  Portici 
mercè  il  già  eseguito  acquidolto  per  le  acque  dallo  stillicidio  ; 
e  con  un  nuovo  corso  poi  a  Napoli  giungendo,  potrebbe  dare  alla 
città  una  forli;  rendita  per  gli  svariati  stabilimenti  da  potervisi  co- 
struire, profittando  dell'alta  cascata,  che  procurerebbe  una  consi- 
derabile forza  motrice. 

Tutte  queste  mie  idee  ed  investigazioni  ebbi  1'  onore  d'  umi- 
liare a  S.  M.  il  Re  (  N.  S.  )  che  ha  avuto  la  clemenza  di  rimet- 
tere la  mia  scritta  per  rapporto  e  parere  al  signor  Direttore  del- 
l' Interno. 


VITA 


dell'  architetto  e  scultore 


COSIMO  FANSACA 


CO^  LA  DESCIUZIOXE  DELLE  SIE  OPEIJE  ESEGIITE  0  \APOLI 


CONSISTENTI 


Keir  Architettura 

Suo  Altare. 

Chiostro  e  Refettorio  in  S.  Severino. 

Altare  in  Costantinopoli. 

»      in  S.  Maria  la  Nova. 

B      nelle  Nunziata  per  due.  70,000. 
Scale  ed  Arco  a  S.  Gaudioso. 
Facciata  e  Scala  alla  Sapienza. 
Cappella  Galeota  nel  Duomo. 
Chiesa  di  S.  Giuseppe  a  Poiilenuovo. 

»       del  Purgatorio. 
Facciata  di  S.  Ferdinando. 
Chiesa  S.  Giorgio  ai  Mannesi. 
»     S.  Nicola  alla  Carità. 
»      S.  Maria  de'Monti. 
Guglia  S.  Domenico. 


Xella  Scoltura 

Statua  di  S.  Teresa  in  S.  Teresa. 
»      della  Immacolata  nella  cappella 

Reale. 
»      nella  Cappella  d'Aquino. 

Fontana  Medina. 

Facciata  e  Statua  a  S.  Maria  degli  An- 
geli alle  Croci. 

Cancello  della  Cappella  del  Tesoro. 

Guglia  di  S.  Gennaro. 

Statua  gettata  in  Argento. 

Statua  e  lavori  di  concetto  in  S.  Marti- 
no, S.  Brunone  e  S.  Gennaro  in  detto 
Chiostro. 

Cappella  e  Statue  nel  Gesù  Nuovo. 

Facciata,  Atrio,  e  Scala  alla  SS.  Trinità 
delle  Monache. 


Se  non  1'  archilellura  ,  debbe  la  scoltura  immenso  bene  a 
questo  illustre  ed  eccellente  arteGcc.  Egli  col  suo  genio  ,  e  con 
le  rogolG  apprese  da  eccellenti  maestri  ,  à  dato  nelle  sue  opere 
slogo  a  bizzarri  pensieri. 

In  architettura  à  abbelliti  degli  ediSzii  con  porte  ,  facciate, 
ed  altari  ,  aggiungendo  architettonicamente  delle  opere  al  già  ese- 
guilo: sventura  che  lavorasse  in  tempi  ne  quali  l'arte  era  caduta 

nel  barocco. 

Fu  il  Fansaca  Bergamasco,  ove  nacque  nell'  anno  1S91. 
Grand'  è  stato  nella  scollnra  ,  che  fu  fin  da  fanciullo  inclinato  al 
disegno  ,  facendovi  un  non  interrotto  studio  ,  con  indefessa  ap- 
plicazione. Occupatosi  dapprima  alla  scoltura  ,  volle  posterior- 
mente anche  all'architettura  applicarsi;  e  per  perfezionarsi  si  nel- 
r  una  che  nell'  altra  arte,  si  portò  in  Roma,  dove  fece  gli  studii 
suoi  sotto  la  direzione  di  Pietro  Bernini  padre  del  famoso  cavaliere 
Gian  Lorenzo  ,  le  cui  opere  in  patria  sua  avea  inteso  vantare. 
Avanzatosi  mirabilmente  sotto  si  rinomato  maestro,  sì  nella  scol- 
tura ,  che  neir  architettura  ,  fu  il  Fansaca  adoperato  in  Roma  ; 
sebbene  il  Milizia  dica  che  la  sola  facciata  della  chiesa  dello  Spi- 
rito Santo  dei  Napolitani  avesse  colà  fatta,  e  soggiunge  il  critico 
scrittore  ,  che  dett'  opera  non  gli  fa  molto  onore. 

Dopo  aver  dimorato  qualche  tempo  in  Roma  ,  contraria- 
to da  molti  artefici  di  ambe  le  facoltà  ,  pensò  Cosimo  di  venir- 
sene in  Napoli  dov'  erano  in  qnel  tempo  più  rari  gli  scultori  di 
marmo  ,  che  in  Roma  ;  imperocché  dopo  il  lo"  secolo  ,  a  poco 
a  poco  andavano  a  scemare    gli  artisti    col  mancare  1'  uso  di  la- 


—  308  — 
vorare  i  marmi  ,  né  più  si  costumavano  le  passate  profusioni  di 
simili  monumenli  ,  di  che  ce  ne  fa  benanche  consapevoli  Gior- 
gio Vasari  in  più  d'  un  luogo  dell'  opera  sua ,  e  parlicolarmen- 
le  nella  vita  di  Girolamo  Santacroce  napolitano:  costume  che  fu 
nocivo  alle  arti  ,  perocché  togliendo  le  memorie  che  render  pos- 
sono gloriose  le  città  e  i  cittadini,  fa  in  parte  per  quanto  è  possi- 
bile abolire  1'  antico. 

Venuto  in  Napoli  ,  e  conoscendosi  esser,  egli  un  alunno  del 
cavalier  Pietro  Bernini  ,  fu  subito  impiegato  in  varii  ed  impor- 
tanti lavori  ,  come  il  chiostro  di  S.  Severino  ,  il  refettorio,  an- 
che ivi,  lungo  300  palmi  e  largo  72:  e  per  tali  opere  fu  altamen- 
te lodato  —  Più  soddisfacente  fu  l'altare  maggiore  in  detta  chiesa 
fatto  a  sua  riflessione  ,  parlando  con  1'  Abate  ,  facendogli  cono- 
scere che  a  quel  magnifico  tempio  mancava  un  magnifico  alta- 
re ,  che  avrebbe  arrecato  più  decoro  e  grandiosità  a  si  no- 
bile monumento  —  Noi  fatto  ebbe  il  Fansaca  lo  incarico  di  farne 
il  disegno  ed  il  modello,  die  piaciuti  immensamente  ai  monaci  , 
mise  mano  al  lavoro  —  Belli  oltre  ogni  credere  sono  i  pultini 
di  bronzo  mossi  alla  porta  del  presbiterio  sulla  balaustrata  della 
scala  di  detto  altare. 

Fece  dopo  questo  ,  l'altare  maggiore  della  chiesa  della  Ma- 
donna di  Costantinopoli  anche  isolalo  con  due  colonne  che  so- 
stengono la  Santa  Immagine,  e  tutto  il  resto  di  tale  architettura 
è  compiuto  con  belli  ornamenti  di  marmo  ,  sebbene  più  die  un 
altare  ,  sembri  un  arco  di  trionfo  —  Fece  inoltre  le  scale  alla 
chiesa  di  S.  Gaudioso  con  un  beli'  arco  por  cui  si  passa  al 
piano  avanti  la  porla  di  detta  chiesa  ,  il  quale  in  quell'epoca  fu 
molto  lodato. 

A  lui  si  debbono  inoltro  la  facciala  e  la  scala  della  chie- 
sa della  Sapienza. 

Avea  ansia  il  Fansaca  di  farsi  conoscere  più  come  scultore, 
che  come  architetto  ,  conoscendo  se  stesso;  e  quindi  con  piacere 
accettava  lo  incarico  di  fare  net  G«sù  Vecchio  la  cappella  di 
S.  Francesco  Saverio  ,  ove  con  colonne  di  prezioso  marmo  ornò 
r  altare  aggiugnendovi  altri  preziosi  ornamenti  bene  ideati  e  messi 
in  ottimo  assieme.  Accanto  a  questo  altare,  in  due  nicchie  ,  scol- 
piva il  Fansaca  due  statue  di  marmo,  una  rappresentante  Isaia  , 
l'altra  Geremia  profeti,  e  fé' fare  di  stucco  secondo  i  suoi  disegni 


—  309  — 
!e  mezze  statue,  ai  lati  della  porta  maggiore,  di  S.  I-uigi  Gonza- 
ga, e  S.  Stanislao  Costa — Architettò   ai  Padri  del  Gesù  Aeccliio 
la  bella  scala  del  convento. 

Venuto  questo  distinto  artefice  por  le  già  eseguite  opere  in 
Napoli  in  molla  considerazione  ,  ebbe  invilo  dai  Gesuiti  di  ab- 
bellire con  magnificenza  1'  altare  maggiore  della  loro  chiesa^  una 
delle  prime  di  Napoli,  la  Trinità  Maggiore,  da  me  descritta  co- 
me opera  del  Padre  Valeriani  Gesuita  di  nazione  napolitano,  non 
come  tulli  erroneamente  la  spacciano  del  padre  Proveda  di  na- 
zione spagnuolo.  Errore  in  cui  cadde  ancora  il  Milizia  con  mia 
somma  sorpresa  ;  imperocché  al  suo  gcuio  di  opposizione  ed  al 
mordace  suo  dire  ,  era  la  verità  un  bel  tema  per  ispaziare  viep- 
più la  sua  critica. 

Fattone  il  Fansaca  il  disegno  ,  Io  rendettero  i  Padri  esten- 
sivo a  molti  architetti  ,  ma  ne  nacquero  i  svariati  pareri  ,  im- 
perocché è  difficile  che  i  concelti  di  un  architetto  vengano 
da  architetti  approvati  ,  come  in  tante  altre  cose  suol  avvenire  , 
per  motivi  che  di  leggeri  si  indovinano. 

Intanto  che  indugiano  i  Gesuiti  fu  il  Fansaca  richiesto  dai 
Frati  di  S.  Maria  la  Nuova  ,  perchè  rifacesse  il  maggiore  altare; 
ed  egli  figurando  un  arco  trionfale,  come  praticato  avea  per  quello 
di  S.  M.  di  Costantinopoli  ,  vi  collocò  la  miracolosa  immagine 
della  Madonna  fatta  dipingere  dal  Beato  Agostino  di  Assisi,  che 
fu  compagno  di  S.  Francesco. 

Fra  i  diversi  lavori  che  adornano  la  detta  immagino  vi 
sono  alcuni  pollini  di  bronzo  che  furon  gettali  da  Raffaele  Fia- 
miiigo  ,  sopra  modelli  del  Fansaca. 

Più  bello  ancora  è  1'  altro  simile  aliare  che  il  detto  artefi- 
ce fece  nella  chiesa  della  SS.  Annunziala,  dove  con  mirabile  in- 
venzione collocò  il  baldacchino  sostenuto  da  pollini  di  rame  dora- 
lo, e  che  costò  come  nella  mia  prefazione  già  dissi  tluc.  70,000. 

Adornò  1'  immagine  di  S.  Maria  delle  Grazie  dipinta  dal 
Gioito  nella  chiesa  di  S.  Chiara  con  colonnette  ,  baldacchino,  ed 
altri  lavori  di  marmo  facendovi  eziandio  l' altare  e  sua  ba- 
laustrata. 

Architettò  la  cappella  dei  Calcola  nel  Piscopio,  rimodernan- 
dola ,  bellamenle  adornando  i  due  sepolcri,  ed  eseguendone  ne' 
due  medaglioni  i  ritratti  di  Fabio  e  Giacomo  Calcola. 


—  310  — 

Fece  altresì  il  disegno  ed  il  modello  della  chiesa  di  S.  Giu- 
seppe a  Pontecorvo  con  le  sue  scale  ,  e  fu  edificata  con  la  sua 
assistenza. 

Per  ordine  di  D.  Pietro  Antonio  d'  Aragona  ,  scolpì  la  sta- 
tua di  Carlo  II  ancor  fanciullo,  che  si  vede  alla  Darsena,  ed  ese- 
guì la  facciata  della  chiesa  di  S.  Francesco  Saverio  ,  o  sia  S. 
Ferdinando  avanti  la  piazza  del  Reale  Palazzo. 

Volendo  i  Padri  Teresiani  Scalzi  ergere  una  statua  a  Santa 
Teresa  no  dettero  la  commissione  al  Fansaga,  del  quale  avevano 
udite  decantare  le  opere;  ed  egli  corrispose  perfettamente  all'aspet- 
lazione  dei  Padri  ,  scolpendo  la  bella  statua  di  bianco  marmo  , 
che  vedi  collocata  suU'  altare    maijiriore   della  loro  chiesa.    Fece 


■'oa" 


inoltre  il  Fansaga  la  facciata  e  le  scale  a  detta  chiesa. 

E  di  sua  mano  inoltre  la  statua  dell' Immacolata  Concezio- 
ne per  la  cappella  Reale,  una  delle  sue  opere  migliori,  come  an- 
cora altre  statue  scolpiva  per  la  chiesa  di  S.  Maria  a  Cappella. 

Neil'  ampia  cappella  eretta  dal  gran  capitano  a  S.  Giacomo 
della  Marca  in  S.  Maria  la  Nova  ,  eseguì  1'  allfire  maggiore  la- 
vorato lutto  di  fini  marmi ,  ed  il  sepolcro  ove  riposa  il  corpo 
del  detto  Santo. 

Veggonsi  nella  cappella  della  famiglia  d'  Aquino  le  statue  del 
cavalier  Cosimo  ,  le  quali  stando  in  ginocchioni  rappresentano 
due  signori  di  quella  famiglia  ,  con  ornamenti,  colonne,  puttini, 
ed  altro. 

Governando  Napoli  il  Vice  Re  D.  Ramiro  Filippo  di  Gus- 
man  ,  duca  di  Medina  las  Torres  ,  marito  di  D.  Anna  Carafa 
Principessa  di  Stigliano  ,  e  passando  un  giorno  per  la  strada  del 
Platamone  ,  osservò  la  fontana  fatta  da  Domenico  D'auria  senza 
l'usalo  giuoco  delle  ncque  ;  volle  saperne  la  cagione  ,  ed  udito 
come  da  diversi  Vice-Ile  avea  avuto  siti  diversi  ,  e  che  in  niun 
luogo  era  scaturita  acqua  ,  fece  a  se  venire  il  Fansaca  ,  e  gli 
palesò  il  suo  desiderio  di  vedere  scorrere  quella  fontana ,  ed 
anche  di  abbellirla  ,  contribuendo  del  proprio  alla   spesa. 

Udito  il  Fansaca  la  volontà  della  Vice-Regina  ,  si  offrì  di 
adempiere  perfettamente  i  suoi  comandi  ,  e  promise  di  piantare 
la  fontana  al  largo  del  Castello,  ove  non  mai  sarebbero  mancate  le 
ncque.  Ne  formò  il  disegno  ,  ed  essendo  approvato  mise  il  suo 
talento  all'opra,  e  la  fontana  fu  fatta,  oggi  fontana    Medina.  La 


—  311  — 
descrizione  a  suo  luogo  —  Nella  slrada  che  dal  Real  Palazzo  con- 
duce a  s.  Lucia  a  maro  \i  è   pure  altra    fontana   del    cav.    Fan- 
saca  fatta  per  ordine  del  conte  di  !\lonterey. 

Avendo  un  signore  della  famiglia  Muscettola  abbellita  la  sua 
cappella  con  marmi  e  con  pitture  a  fresco  del  Belisario  ,  o  di 
Giovanni  Berardino  nella  chiesa  del  Gesù  Nuovo  ,  volle  vederla 
benanche  adorna  di  marmi  ,  e  ne  dette  lo  incarico  a  Michelan- 
gelo Naccarino  ,  il  quale  ne  fece  una  dal  canto  dell'  epistola  , 
e  l'altre  non  furono  da  lui  eseguite  per  l'avvenuta  sua  morte— 
Ecco  che  il  tutto  eseguiva  posteriormente  il  Fansaca  —  Vi  scolpi 
gli  ornamenti  e  la  statua  di  s.  Stefano  ;  e  nel  tempo  stesso  que- 
st'  industre  ed  instancabile  arlifice  fece  il  disegno  per  commissione 
dei  Gesuiti  degli  armadi  della  loro  magnifica  sagrestia  ,  ed  ar- 
chitettò il  portone  ,  e  le  scale  del  palazzo  del  duca  di  Maddaloni. 

Scolpi  la  statua  tonda  di  s.  Francesco  situata  nel  finestrone 
sulla  porla  di  s.  Maria  degli  Angeli  alle  croci  —  Fece  inoltre  le 
teste  che  sono  situate  sopra  le  celle  di  quei  frati  riformati  di 
s.  Francesco  d'  Assisi  ,  e  fece  la  facciala  della  suddetta  chiesa- 
Architetto  la  capella  del  Reggente  Cacace  nella  chiesa  di 
s.  Lorenzo  ,  e  vi  scolpi  le  statue  con  i  loro  ornamenti. 

Eresse  la  chiesa  delle  Anime  del  Purgatorio  nella  strada  detta 
del  Purgatorio  ad  Arco.  Su  le  scale  di  detta  chiesa  vi  scolpi  alcuni 
teschi,  che  per  la  loro  eccellenza  furon  cambiati,  standovi  oggi  le 
copie  di  quelle  già  eseguite  dal  sullodato  Fansaca. 

Fece  la  porta  alia  cappella  del  Tesoro  di  s.  Gennaro  ,  e  fu 
eseguita  dal  Fansaca  qual  tu  o  lettore  la  vedij  spendendosi  per 
essa  e  per  l'adornamento  alla  facciata  32,000  ducati. 

Compiuta  quest'  opera  ebbe  incarico  dai  nobili  Eletti  della 
città  di  fare  una  guglia  in  onore  del  nostro  Santo  Protettore  Gen- 
naro. Gradito  il  disegno  ,  ed  il  modello  esegniti  dal  Fansaca  fu 
eretta  come  oggi  la  vedi.  Fece  inoltro  vari  modelli  per  statue 
d'  argento  ,  che  furono  eseguite  ,  e  gettale  dall'intelligente  argen- 
tiere Giovan-Domenico  Vinacci.  S'avanzò  a  tanto  la  fama  del  ca- 
valiere Cosimo  Fansaca  ,  che  non  vi  era  luogo  Pio  cospicuo  in 
Napoli  ,  che  non  gli  facesse  lavorare  alcuna  cosa  o  in  archit- 
tetlura  ,  o  nella  scultura.  Ancora  i  monaci  Certosini  dotermi- 
naronsi  di  abbellire  ed  arricchire  di  marmi  la  loro  chiesa  di  s. 
ciarlino  ,  e  fare  tutte  quelle   fabbriche    che  fossero    di    bisogno  , 

Sasso  —  Voi .  I.  40 


—  312  — 
e  comodo  al  monastero.  Chiamato  a  tanta  opera  il  cavalier  Fan- 
saca  ,  vollero  i  monaci  udire  il  suo  parere  circa  i  lavori  che 
avean  disegnalo  fare  ,  ed  egli  di  buona  voglia  vi  si  offri  ,  fa- 
cendo"-li  lusinghiere  promesse  della  buona  riuscita  ,  e  magnifi- 
cenza delle  cose  a  farsi.  Non  fallì  punto  né  la  sua  parola,  ne  la 
speranza  di  quegli  ottimi  religiosi^  imperocché  fu  tutto  dal  Pan- 
saca  eseguito  mirabilmente. 

Tali  appunto  furono  i  marmi  connessi  che  ei  fece  lavorare 
per  la  chiesa  con  mirabile  invenzione  ,  assistendovi  quotidiana- 
mente per  l'impegno  di  sua  parola.  Vi  lavorò  di  sua  raano  i 
rosoni  con  le  foglie  che  osservansi  nei  pilastri.  I  monaci  gli  mo- 
strarono una  statua  che  sta  situata  nel  coro  di  antica  scultura  , 
vi  fece  il  Fansaca  una  statua  compagna  ,  che  non  si  discerne 
dall'  originale.  Fece  dappoi  il  cimitero  per  i  monaci  il  quale  è 
una  balaustrata  ornata  di  ossa  e  teschi  mirabilmente  scolpiti  — 
Fece  la  gran  conserva  dell'  acqua  con  intorno  le  balaustrate,  che 
come  a  palchetti  da  teatro  la  circondano. 

Quali  parole  saranno  baslevoli  a  lodare  il  bellissimo  chiostro 
ornato  di  pilastri,  e  nicchie?  Vi  sono  di  sua  mano  scolpiti  i  mezzi 
busti  di  s.  Martino  Vescovo  ,  s.  Brunone  ,  e  s.  Gennaro  —  Ri- 
Helti  alle  piegature  dei  panni  ,  e  con  particolarità  a  quelli  del 
Certosino  Santo  ,  massime  nella  volta  ,  e  rivolta  della  tunica  con 
Io  scapolare,  e  puoi  ben  dire  avere  il  Fansaca  superato  qualunque 
altro  moderno  scultore  —  E  '1  teschio  che  tiene  in  mano  il  Santo? 
osservalo  ,  e  confessa  se  non  ài  d'  uopo  del  latto  per  assicurarti 
ch'esso  è  di  marmo.  Fu  questo  ammiralo  dal  Massimo,  e  dal  Vi- 
nacci. 

Aveano  intanto  i  padri  Gesuiti  osservati  lutti  i  disegni  pel  loro 
altare  maggiore  fatti  a  gara  da  moltissimi  architetti  e  scultori  ;  ma 
nessun  di  questi  superava  il  primo  presentato  del  Fansaca.  Per  la 
qual  cosa  fu  di  nuovo  chiamato  dalla  Compagnia  di  Gesù  pel  detto 
affare  ,  e  ne  fece  una  bozza  ,  come  ancora  ebbe  a  sua  offerta  lo 
incarico  di  ornar  di  marmi  e  di  slalue  i  gran  capelloni  di  s.  Igna- 
zio, e  di  s.  Francesco  Saverio,  il  che  esegui  scolpendovi  benanche 
le  slalue  di  Geremia  e  Davide  ,  che  collocò  sopra  le  nicchie  alle 
pareli  laterali  dell'  altare.  —  Con  tulio  ciò  non  fu  risoluto  nulla  per 
la  costruzione  dell'  altare  ,  e  in  questo  mentre  il  nostro  artefice 
fece  la  facciala;,  la  porla,  le  scale,  e  l'alrio  della  chiesa  della  ss. 
Trinità  delle  monache  (oggi  ospedale  della  Trinila  ;. 


—  313  — 

Con  suo  disegno  ed  assistenza  cominciò  la  chiesa  di  s.  Gior- 
gio ai  Mannesi  ;  ma  non  potè  finirla  per  la  sua  morte — Compi 
quella  di  s.  Nicola  alla  Carità,  detta  s.  Nicoliello,  che  fu  princi- 
piata da  Onofrio  Crisolfo,  e  non  finita  pure  per  morte  —  La  fac- 
ciata ebbe  pel  Fansaca  lo  stesso  destino.  A  questi  padri  Pii  Ope- 
rar! aveva  anni  prima  il  Fansaca  eretta  la  chiesa  di  Santa  Maria 
de'  Monti  per  loro  noviziato  —  Rimase  egualmente  imperperfetta 
la  guglia  di  s.  Domenico ,  che  fu  poi  terminata  da  Domenico  An- 
tonio Vaccaro. 

Pervenuto  il  Fansaca  alla  vecchiaia  era  solamente  adoprafo 
ad  esser  consulente  nelle  due  arti  belle  che  professava  —  Giunto 
all'  87°  anno  dell'eia  sua  si  morì  nel  dì  13  febbraio  1678 — Furono 
le  sue  spoglie  mortali  con  grande  accompagnamento  portate  alla 
sepoltura  nella  chiesa  di  s.  Maria  Ognibene  dei  Padri  servi  di 
Maria ,  ove  con  grandi  onori  e  il  comune  compianto  ,  eh'  è  il 
vero  funerale  de'  buoni  ,  fu  seppellito. 

DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE 

Avendo  in  mira  di  parlare  nelle  descrizioni  de'soli  monumenti 
in  archi ttettura,  si  può  dire  che  nessun  monumento  di  pianta  di- 
resse il  Fansaca  ,  ma  bensì  decorò  ,  abbellì  ed  arricchì  il  già  e- 
seguito  dai  trapassati  architetti. 

Le  sole  opere  di  pianta  del  Fansaca  in  architettura  furono 
come  nella  sua  vita  ò  esposto  la  Fontana  Medina,  le  due  guglie 
di  s.  Domenico  e  di  s.  Gennaro,  la  facciata  di  s.  Ferdinando, 
e  la  chiesa  del  Purgatorio. 

FOXTA!\A   lIEDliUA 

E  questa  fontana  isolata  ,  e  dal  piano  a  livello  della  strada 
si  ascende  al  secondo  per  quattro  scalinate  ornate  di  balaustri  , 
e  cartocci,  e  negl'  intermezzi  di  queste  scale  vi  sono  fonti  che 
poggiano  al  pianterreno  ,  le  quali  scaturiscono  acque  per  bocca 
di  otto  leoni  giacenti  sur  i  cartocci ,  che  fanno  ornamento  alle 
scale.  Questi  leoni  posano  con  le  zampe  sur  un  pilastretto  tenen- 
ti ognun  di  loro  un'impresa  nella  quale  vi  sono  scolpite  le  armi 
del  Re  ,    della  Città  ,    e  del  vice-Re  ,  mentovato  nella  sua  vita. 


—  314  — 

Nel  mozzo  del  secondo  piano  si  eleva  in  londa  mostra  una 
fonie,  che  rompendo  con  belle  figure  il  circolare  ed  uscendo  fuori 
la  circonferenza  dà  in  quattro  punti,  in  ciascun  dei  quali  vi  sono 
due  teste  di  mostri  marini  ,  ed  un'  impresa  del  Re  di  Spa- 
gna. Entro  questa  fonte  nei  quattro  cantoni  con  regolare  scom- 
partimento vi  sono  situati  quattro  tritoni  i  quali  sferzano  mo- 
stri su  dei  quali  cavalcano  ,  e  questi  in  sembianza  di  timore  par 
che  gridando  dalle  aperte  bocche  scaturiscono  acque  che  fanno 
gioco  nella  fonte. 

Dal  centro  di  questa  si  alza  il  piede  di  una  gran  tazza  che 
forma  la  fonte  superiore  ,  che  vien  sostenuta  da  quattro  satiri,  e 
due  ninfe.  Sul  piano  della  fonte  vi  sono  i  quattro  cavalli  marini 
di  Nettuno  ,  nel  mezzo  de'  quali  avvi  la  statua  di  questo  Dio 
marino  in  piedi  sostenendo  col  destro  braccio  il  suo  tridente 
dalle  cui  punte  escono  con  molta  velocità  zampillanti  acque.  Que- 
sto Nettuno  fu  scolpito  da  Domenico  d'  Auria  con  le  quattro  sta- 
tue che  mantengono  la  tazza. 

Nel  lato  verso  il  Castel  Nuovo  si  legge  il  seguente  epitaffio 
intagliato  in  un  marmo  scolpito  indicante  un  panno. 

PHILIPPO    IV   REGE 

ADMOVE    VIATOB   OS   AQUIS  ,    OCULOS   NOTIS 

MaKMOEEAM   HANC   MOLEM  ALTEBIUS   CONSPECTU    POSITAM 

Amor  excitavit  ac  studicm 
Guglia  di  S.  Gennaro 

Fu  pure  di  pianta  eretta  dal  Fansaca  la  guglia  di  s.  Gen- 
naro la  quale  s' innalza  a  guisa  di  colonna  nel  largo  avanti  la 
porta  piccola  dell'  Arcivescovado  a  rimpetlo  il  Monte  della  Mi- 
sericordia, ivi  eretta  dalla  fedelissima  città  di  Napoli  in  onore 
del  nostro  glorioso  protettore  s.  Gennaro  per  averla  liberata  dalla 
più  orrenda  eruzione  del  Vesuvio  nell'  anno  1631. 

Vi  sono  delle  scale  di  marmo  con  tinaie  che  girando  solle- 
vano dal  piano  un  recinto  ornato  di  balaustri,  avendo  sopra  una 
cimasa.  Nei  quattro  angoli  vi  sono  collocati  quattro  vasi  di  mar- 
mo con  piramidette  superiori.  In  mezzo  evvi  un  cubo  ,  standovi 
In  una  delle  sue  facce  scolpito  in  basso-rilievo  il  ritratto  dell' ar- 


—  315  — 
tefice  in  un  medaglione.  Sopra  detto  cubo  elevasi  un  piodlslaUo 
con  base  e  cimasa,  ed  in  una  faccia  vedesi  scolpita  una  sirena, 
che  abbraccia  un  tabellone  intrecciato  d'  intagli  ,  cartocci  ,  ed 
ornamenti  della  medesima  sirena  ,  la  quale  tiene  nelle  mani  due 
palme  ,  ed  in  mezzo  del  tabellone  vi  si  leggono  i  seguenti  versi 
in  lode  del  nostro  Santo  protettore. 

Divo  Januaeio 

Patriae  Regnique 

Presentissimo 

Tutelari 

Grata  Neapous 

Givi  Opt.  Mer. 

Excitavit 

Sopra  il  detto  piedistallo  viene  eretta  una  colonna  di  ordine 
composilo  ornata  con  urlanti  ,  intagli  ,  e  festoni.  Al  di  sopra  del 
capitello  avvi  T  intero  intavolamene  di  arcotrave,  fregio,  e  cor- 
nice su  del  quale  altro  solido  piramidale  s'  innalza  a  guisa  di 
guglia  ed  egualmente  ornato  d' intagli  ,  avendo  ai  quattro  an- 
goli quattro  puttini  di  marmo,  che  reggono  i  gerogliGci  del  Santo 
fatti  di  bronzo.  Termina  la  guglia  una  piccola  base  ove  sorge 
la  statua  di  s.  Gennaro  gettata  in  bronzo  che  benedice  il  popo- 
lo —  opera  è  questa  di  Giuliano   Finelli. 

La  Lande  trova  spregevole  questo  monumento  perchè  non  à 
la  semplicità  degli  obelischi,  ne  delle  colonne  di  Roma,  e  di  Fi- 
renze. Crediamo  che  mal  s'avvisi;  imperocché  parci  ed  è  che  il 
bello  non  sia  di  un  genere  solo. 

In  questo  sito  era  1'  antico  gran  cavallo  di  bronzo  ,  di  cui 
la  testa  ammirasi  nel  real  Museo  Borbonico.  Questo  cavallo  fu 
manomesso  nell'anno  lo22.Del  corpo  se  ne  formò  una  famosa  cam- 
pana nel  Duomo  ;  il  capo  col  collo  restò  sano  ,  e  fu  donalo  al 
conte  di  Maddaloni  ,  che  per  molli  anni  lo  tenne  nel  cortile  dei 
suo  palagio  in  s.  Biagio  dei  librai  ;  posteriormente  fu  portato  , 
come  di  sopra  ò  detto ,  nel  Rcal  Museo  Borbonico. 

Molte  cose  si  sono  scritte  da  diversi  autori  su  questo  cavallo, 
che  tralascio  di  accennare.  Solamente  rammento  a  me  stesso,  che 
in  questo  sito  era  1'  atrio  del  tempio  di  Nettuno,  e  venivagh  de- 
dicato queir  animale  come  al  nume  domator  di  cavalli  ,  essendo 
stato  antichissimo  genio  dei  napolitani  il  domare  i  cavalli. 


~  31G  — 
Guglia  di  s.  Domenico 

Fu  questa  guglia  principiata  con  disegno  del  cav.  Fansaca 
ia  onore  del  glorioso  patriarca  s.  Domenico  in  mezzo  la  piazza 
di  tal  nome.  Nel  gittarsi  le  fondamenta,  vi  si  trovarono  gli  stipiti 
e  parte  dell'  arco  dell'  antica  porta  Cumana  ,  o  Puteolana  ,  non 
che  alcuni  pezzi  delle  antiche  muraglie  di  questa  antichissima  e  fa- 
mosa città  nostra.  Conosciamo  che  tale  porta  fu  rimossa  da  Car- 
lo li  d'  Angiò  nella  maggiore  ampliazione  delle  mura,  che  fu  la 
settima  ,  ed  ebbe  luogo  nell'  anno  1300.  Fu  la  porta  trasporta- 
ta oltre  la  piazza  della  casa  professa  ,  e  posteriormente  oltre  in 
su  verso  la  strada  Toledo.  Quanto  meglio  si  farebbe  buttare  a 
terra  le  altre  poche  porte  rimaste,  e  cosi  ampliare  le  strade  e  le 
piazze. 

S.  Giorgio  Maggiore. 

È  questa  chiesa  situala  sulla  strada  di  Forcella.  É  una  delle 
quattro  parrocchiali  maggiori  servita  dai  Pii  Operari  ,  che  l'eb- 
bero neir  anno  1618.  Avendo  dopo  tal'  epoca  sofferto  un  incen- 
dio fu  cominciata  a  riediGcarsi  con  disegno  del  Fansaca  nel- 
r  anno  1640  ;  ma  rimase  incompleta.  Vi  sono  delle  prime  pit- 
ture del  Solimena. 

Il  Celano  nella  3"  giornata  pagina  214  dice  che  questa 
chiesa  fu  edificata  nel  tempo  dell'  Imperatore  Costantino  il  grande. 
Venne  dalla  sua  prima  fondazione  dedicata  al  santo  martire  Gior- 
gio. Fu  ristaurata  allorché  vi  fu  trasferito  il  corpo  di  S.  Severo, 
perlocchè  in  molti  istrumenli  vien  chiamata  chiesa  Severiana.  Da 
una  sedia  vescovile  di  marmo  che  si  serba  nella  cappella  laterale  dalla 
parte  dell'  Epistola  si  argomenta  che  detto  Santo  se  ne  servisse 
per  Cattedrale. 

Era  questa  chiesa  di  gotica  architettura  a  tre  navi,  una  mag- 
giore e  due  minori  ,  che  aveano  le  volle  poggianti  sopra  colonne 
di  marmo,  alcune  di  granito,  altre  di  marmo  bianco,  ed  allre  di 
alabastro. 


—  317  — 

Cbiesa  del  Purgatorio. 

Neil'  anno  1604  molli  genliliiomini  napolitani    e  pietosi  cit- 
tadini andavano  questuando  per  fare  celebrare  messe  alle  anime 
del  Purgatorio.  In  breve  tempo  accumularono  un  capitale  di  circa 
ducati  seimila  ,  ed  eressero    una  congregazione    dietro  la  chiesa 
parrocchiale    di    s.  Arcangelo  ,  formandovi  le  loro  costituzioni  le 
quali    per    breve  pontificio  di  Paolo  V    furono  approvate  e  con- 
firmate.   Da  questa  passò  detta  congregazione   nella  chiesa  della 
Rotonda ,  ed  indi  in   quella  di  s.  Angelo    a  Nido.  Essendo  cre- 
sciute le  elemosine  dei  fedeli  ,    si  stabili  di  fondare    una  chiesa 
propria.  Fu  allora  che  col  modello    e  disegno  del  cavalier  Fan- 
saca  si  pose  mano  all'  attuale  monumento  ,  pel  quale  concorren- 
dovi larijhe  sovvenzioni  di  D.  Francesco  Mastrilli  in  breve  fu  ter- 
minato. 

L'altare  maggiore  fu  dal  Fansaca  nobilmente  adornato.  Del- 
le quattro  colonne  che  vi  si  osservano  due  sono  moderne  ,  e 
due  di  quelle  di  marmo  antico  africano  che  stavano  come  ò 
detto  di  sopra  nella  chiesa  di  s.  Giorgio  maggiore.  Gli  organi  , 
le  balaustrate  che  chiudono  il  presbiterio  furono  tutte  eseguite 
con  disegni  ed  assistenza  del  detto  eccellente  maestro. 

Il  quadro  che  indica  la  Vergine  che  soccorre  le  anime  del 
Purgatorio  è  una  delle  più  belle  opere  del  cavalier  Massimo  ; 
r  altro  di  sopra  è  opera  del  nostro  cav.  Giacomo  Fanelli. 

Il  sepolcro  che  sta  nella  parte  laterale  dell'  Evangelio  in  que- 
sta tribuna  è  di  Giulio  Mastrilli  erettovi  da  suo  figlio  Francesco 
che  molto  contribuì  con  le  sue  sovvenzioni  all'  edificazione  del 
tempio.  La  statua  in  alto  di  orare  che  sta  suU'  urna  è  opera  del 
nostro  Andrea  Falconi  ,  come  ancora  gli  ornali  sono  di  suo  di- 
segno. 

Il  quadro  dell'  ultima  cappella  indicante  s.  Alessio  spirante 
è  di  Luca  Giordano.  L'  altro  nella  cappella  a  rimpelto  s.  Giu- 
seppe che  muore  in  mezzo  di  Gesù  e  Maria  è  opera  ripulatissi- 
ma  dell'  altro  nostro  pittore  ed  architetto  Andrea  Vaccaro. 

Vi  è  un  ampio  cimitero  quasi  quanto   la  sovrastante  chiesa 
Si  celebrano  in  questo  tempio  da  150  messe  al  giorno. 


_  318  — 
S.  niieola  alla  Carità. 

È  questa  chiesa  de'  Pii  Operai.  L'  architettura  fu  con  dise- 
gno del  Giolfì  rettificata  poi  dal  Fansaca.  La  facckita  è  disegno 
del  Solimena  ,  alterato  nel!'  esecuzione. 

Questo  monumento  fu  edificalo  nell'  anno  1646  col  legato  di 
dùcati  seimila  fatto  ai  Padri  da  un  mendico  ,  che  essi  ave- 
vano per  molti  anni  alimentato.  Le  pitture  sono  del  De  Matteis, 
del  Solimena  ,  e  di  Francesco  De  Mura. 

Per  le  altre  opere  di  sì  distinto  artefice  sarebbe  superfluo  il 
descriverle,  imperocché  esse  dimostrano  il  gusto  del  tempo  in  ar- 
chitettura quando  l'arte  era  caduta  nel  barocco  e  nel  manierato. 

Delle  altre  distinte  sue  opere,  come  a  dire  la  eappella  Reale, 
il  cancello  della  cappella  del  Tesoro,  ed  altro  mi  trovo  averne 
già  parlato  nelle  descrizioni  parziali  de'monumenti  ovesse  esi- 
stono. 

Per  la  facciata  della  chiesa  di  S.  Ferdinando  sebbene  ese- 
guita nei  tempi  su  accennali  ,  pure  à  del  buono,  e  di  un  esatto 
scompartimento  ;  se  non  che  è  troppo  caricala  di  nicchie  e  statue, 
colpa  solo  dello  stile  del  secolo  17°. 


VITA  DELL'ARCHITETTO 


PITTORE   E   SCULTORE 


LORENZO  VICCARO 


COI  LA  DESCRIZIOM:  delle  SIE  OPERE  ESEGIITE  Vi  MPOLI 


CONSISTENTI 


Arehitcttnra 

Altare  iii  s.  Domenico  Maggiore. 

Id.     in  s.  Giacomo  de'Spagniioli. 
Cappella  del  Crocifisso  in  s.  Giovanni 

Maggiore. 
Due  Cappelloni  in  s.  Spirito  di  Palazzo. 
Cappella  del  Principe  di  Tricase,  in  S. 

Pietro  ad  Aram. 
Altare   Maggiore  nella    Cliiesa    della 

Carità. 


Scaltura 

Statua  equestre  di  Filippo  V. 

«      del  Rocco 

«      gettate  in  argento   e  io   bronzo 

nel  tesoro  del  Duomo. 

«      del  s.  Giovanni  in  S.  Martino. 

«      del  David  in  s.  Ferdinando. 

«      del  beato  Giovanni  Gambacorta 

in  s.  Maria  delle  Grazie. 

«      di  s.  Michele  in  Taranto. 
Bassorilievi  del  martirio  di  s.  Gennaro 

nel  Duomo  di  Pozzuoli. 
Molti  lavori  di  stucco. 
Molti  getti  diversi. 


Sasso  —  Voi.  I. 


41 


Nascea  Lorenzo  Vaccaro  al  di  10  di  agosto  dol  IQo'ó,  (sono 
ormai  dugento  anni  )  da  Domenico  ,  avvocalo  napolitano.  L'avolo 
suo  Pietro  era  razionale  della  regia  camera  della  Sumraaria  , 
oriundo  di  Castellaraare  —  Sua  madre  ebbe  nome  Candida  Mor- 
villo.  Nel  miserabile  eccidio  che  fece  lo  spietato  contagio  del 
1656  restò  ella  vidua  ,  e  pensò  di  fare  educare  il  suo  piccolo 
figlio  Lorenzo. 

Lo  mandò  a  scuola  ,  e  come  erano  e  sono  tuttavia  i  desi- 
deri in  generale  nella  nostra  classe  ,  di  vedere  un  figlio  avvo- 
cato, credendo  che  la  sola  avvocheria  sveglia  e  nobilita  l'uomo,  a 
far  divenire  un  causidico  disegnava  la  madre  il  superstite  figliuolsuo; 
ma  il  giovanotto  dopo  aver  studiato  gli  elementi  di  Euclide  (chiave 
a  tutte  le  scienze  nel  cervello  umano  per  chi  à  genio),  per  caso 
gli  capilo  nelle  mani  l'  opera  di  Vitruvio,  e  con  trasporto  si  dette 
a  tradisegnai-ne  le  figure.  Mentre  ciò  con  indefessa  applicazione 
eseguiva,  terminò  la  geometria  elementare  ,  e  cominciò  ,  per 
quanto  allora  si  potea,  a  studiare  la  Statica  ,  e  la  Dinamica  — 
La  sua  applicazione  ,  la  sua  bella  maniera,  la  facilità  di  esporre 
i  suoi  pensieri,  gli  acquistarono  nome  tra'suoi  compagni,  di  modo 
(;lie  ne  giunse  tal  fama  all'  orecchio  dell'  or  ora  accennato  cava- 
lier  Cosimo  Fansaca. 

Volle  costui  conoscerlo  ,  e  vedendolo  cosi  giovane  e  di  bel- 
lo aspetto  gli  concepì  tanto  affetto  ,  che  si  avvalse  di  lui  nel  for- 
mare qualche  pianta  geometrica  per  lavori  di  architettura. 

Col  fortunatissimo  incontro  di  si  gran  maestro,  senti  Lorenzo 
riaccendersi  dell'antico  amore  pel  disegno  ;  che  di  proposilo  si 
mise  ad  imparare  sotto  la  direzione  del  Fansaca  ;  ed  animato 
dall'  illustre    scultore  ,    nella    scultura  cominciò  qualche  lavoro. 


322  

Corrispose  si  bene  alle  premure  del  suo  maeslro,  che  in  bre- 
ve tempo  fece  vedere  ai  suoi  concittadini  opere  di  sculture  assai 
perfette  ,  e  dello  in  varie  occasioni  frutti  della  sua  applicazione 
neir  arcliitctlura. 

Morto  nel  1678  come  ò  nella  sua  vita  esposto,  il  cav.  Fan- 
saca  ,  rimase  il  povero  Lorenzo  a  23  anni  privo  di  protezione  e 
ài  guida.  Gli  fu  non  pertanto  commessa  la  statua  del  consigliere 
Francesco  Rocco,  lavoro  che  doveva  eseguirsi  dal  Fansaca.  Con- 
dusse egli  avanti  il  lavoro,  figurando  quel  magistrato  con  uu 
ginocchio  piegato  a  terra  in  atto  di  raccomandarsi  all'  immagine 
di  s.  Anna  ,  eh'  è  dipinta  sulF  altare  della  cappella  nella  chiesa 
della  Pietà  dei  Turchini,  ove  fu  situato  il  sepolcro  con  i  suoi 
ornamenti.  Questo  primo  lavoro  di  Lorenzo  Vaccaro  eseguito  nel- 
r  età    di  anni  23  ,  menò  molto  rumore. 

Come  un  affare  chiama  1'  altro  in  materia  di  arti  belle  , 
essendo  a  tutti  piaciuta  la  statua  del  Rocco,  fu  il  nostro  Lorenzo 
caricato  di  commissioni.  Tra  queste  esegni  per  la  cappella  del 
Tesoro  due  statue  intere  di  bronzo  ,  e  quella  di  s.  Michele  Ar- 
cangelo di  argento  ,  come  di  argento  benanche  i  mezzi  busti  di 
s.  Giuseppe  ,  s.  Giovan  Battista  ,  s.  Antonio  Abate  ,  s.  Bene- 
detto ,  s.  Chiara  e  s.  Scolastica. 

Pel  conte  di  s.  Stefano  vice-re  del  regno  lavorò  quattro  statue 
rappresentanti  le  quattro  (  allora  )  parti  del  mondo,  tutte  di  ar- 
gento ascendendo  la  spesa  a  93000  docati  ,  che  terminate  fu- 
rono mandale  al  Sovrano  in  Ispagna  Carlo  II  ,  che  sommamente 
apprezzando  il  lavoro  ,  onorò  l'artetice  napolitano  con  altra  com- 
missione ,  cioè  di  una  cappella  tutta  di  rame  indoralo,  la  quale 
eseguitosi  dal  nostro  Vaccaro  e  riuscita  bellissima  fu  esposta  nelle 
sale  del  Real  palazzo  con  armaggio  di  legno  al  di  sotto.  Ma  si 
pel  lavorio  ,  che  per  altri  incidenti  fu  per  quesf  opera  impie- 
gato tanto  tempo  ,  che  giunta  a  Spagna  non  potette  il  Pio  Mo- 
narca vederla  in  atto  —  La  circostanza  dolorosa  della  morte 
del  Re  Carlo  II  produsse  che  il  Vaccaio  non  fu  corrispondentemen- 
te al  suo  lavoro  compensato. 

Dopo  la  cappella  fece  una  lampada  di  argento  di  palmi  9 
di  diametro,  che  dovea  andare  in  Gerusalemme  —  Fatta,  fu  espo- 
sta nella  chiesa  della  ss.  Trinità  di  Palazzo  dove  prima  d'  in- 
viarsi al  suo  destino  ,  fu  da  tutti  lodevolmente  ammirala. 


—  323  — 

Le  statue  di  Lorenzo  Vaccaro  nella  chesa  di  s.  Martino  della 
Grazia  Divina,  e  della  Previdenza  sono  bellissime.  ^  uolsi  che  il 
busto  di  s.  Gennaro  situato  nel  chiostro  dopo  quello  di  s.  Bruno 
sia  parimenti  sua  opera,  ed  eseguilo  sotto  la  direzione  del  Fan- 
saca  di  cui  è  stimato  il  monumento. 

Nella  chiesa  di  S.  Francesco  Saverio  de' Gesuiti  fece  la  statua 
del  re  Davide  di  palmi  10  ;  —  A  S.  Maria  delle  Grazie  agli  In- 
curabili la  statua  del  Boato  Giovanni  Gambacorta  è  opera  sua  , 
e  per  la  città  di  Taranto  scolpi  quella  pure  di  palmi  10  ài 
S.  Michele  Arcangelo. 

Bellissimi  sono  i  bassi  rilievi  del  martirio  di  S.  Gennaro  da 
lui  fatti  d'  ordine  del  Cardinal  Cantelmo  Arcivescovo  Metropoìi- 
lano,  che  sono  in  Pozzuoli  nella  chiesa  dedicata  al  citato  nostro 
Santo  protettore. 

Molte  opere  di  architettura  eseguì  benanche  egli  per  Napo- 
li. Fra  queste  sono  da  notarsi  il  bellissimo  altare  nella  chiesa  di 
s.  Domenico  Blaggiore  situato  nel  mezzo  con  le  sue  scale,  e  quel- 
lo in  s.  Giacomo  degli  Spagnuoli. 

Per  le  figure  di  stucco  ,  per  la  esecuzione  dei  panneggi  , 
e  pei  nudi  disegnati  con  eccellenza  ,  come  si  osservano  nella 
chiesa  della  ss.  Annunziala  su  tutti  i  frontispizi  delle  cappelle  acqui- 
stò nome  tra  primari  artisti. 

Al  Gesù  Nuovo  fece  nell'  arco  della  cappella  di  s.  Anna,  la- 
teralmente al  cappellone  di  s.  Ignazio  ,  e  nella  sagrestia  le  quat- 
tro parti  del  Mondo  ,  dell'  altezza  di  palmi  16  ,  slalue  di  tal  ge- 
nere che  migliori  non  possonsi  eseguire. 

Architettò  in  s.  Giovanni  Maggioro  il  cappellone  del  Croci- 
fisso j  e  fecevi  di  stucco  le  belle  slalue  di  Costantino  ,  e  di 
s.  Elena  ,  collocandovi  al  di  sopra  una  gloria  di  Angeli  che  so- 
stengono il  Padre  Eterno. 

Nella  chiesa  di  s.  Spirilo  di  Palazzo  fece  anche  i  due  cap- 
pelloni ,  e  vi  scolpì  le  statue  delle  virtìi  teologali  con  angeloni 
al  di  sopra.  Luca  Giordano  nel  dipingere  posteriormente  il  qua- 
dro del  ss.  Rosario  ,  non  si  saziava  ,  mirandole  di  lodarle. 
Essendosi  falla  la  cappella  di  marmo,  due  furono  altrove  collo- 
cate :  fra  le  tante  rovine  prodotte  dal  tremuolo  dal  1688,  furon 
pure  i  suoi  lavori  in  s.  Domenico  Maggiore. 

Nella   medesima    chiesa  di  s.  Spirito  di    Palazzo    nella  cap- 


—  32i  — 
pella  della  Beata  Vergine  addolorata  architettata    da  lui    vi  fece 
due  statue   tonde   ai    lati    dell'  altare  :  ma   il  gruppo  degli  An- 
geli che  portano  la  croce  è  di  Niccolò  Fumo. 

Nella  chiesa  di   s.  Maria  del  Rifugio    tutte    le  mezze  figure 
de'  santi  sono  di  quest'  artefice. 

A  s.  Gaudioso  fece  gli  angeloni  che  sostengono  la  croce  nel- 
r  arco  della  chiesa  ,  e  nei  lati  le  statue  della  Fede,  e  dell'  Ado- 
razione. 

Eresse  la  cappella  del  principe  di  Tricase  nella  chiosa  di 
s.  Pietro  ad  Aram  ,  e  1'  ornò  con  i  suoi  stucchi ,  ed  in  marmo 
vi  fece  il  mezzo  busto  del  Principe. 

Ma  r  opera  più  insigne  di  questo  artefice,  se  per  luttuose  vi- 
cende non  fosse  rimasta  distrutta,  fu  la  statua  equestre  di  Filippo  V, 
che  venne  collocala  nella  piazza  del  Gesù  Nuovo  nel  llOo,  ove 
infelicemente  non  stette  che  soli  due  anni  ;  imperocché  entran- 
do in  Napoli  le  armi  straniere  nell'  anno  1707  ,  fu  manomessa  e 
ridotta   barbaramente  in    minutissimi  pezzi. 

A  gloria  del  Vaccaro  ò  voglio  far  parola  del  suddetto  monu- 
mento, tuttoché  non  più  esista,  e  ciò  in  adempimento  ancora  di 
quanto  nella  mia  prefazione  accennai,  che  col  tempo  congiurando 
l'ignoranza  e  le  rivoluzioni —  la  sola  storia  salva  i  monumenti 
da  s'i  possenti  ,  e  crudeli  nemici. 

Messo  il  Vaccaro  mano  al  lavoro  ne  formò  il  disegno,  e  fatta 
la  cava  col  modello  lo  gettò  in  bronzo.  Aveva  il  cavallo  16  pai- 
mi  di  altezza  su  del  quale  in  bella  proporzione  eravi  collocata  la 
statua  del  suUodalo  Monarca  spagnuolo  ,  e  nostro  Sovrano  ,  che 
con  bizzarra  altitudine  accompagnava  con  bella  mossa  il  gene- 
roso destriero.  Posava  il  cavallo  sopra  un  piedistallo  di  marmo 
ornalo  di  bassorilievi  scolpili  con  maestria  dallo  stesso  artefice  , 
e  d' intorno  oranvi  lungo  le  quattro  facce  del  parallelepipedo 
maestosi  gradini  pure  di  marmo  —  Avea  certamente  il  Vaccaro 
studialo  ciò  che  l' ingegnoso  Domenico  Fontana  praticò  pel  tra- 
sporto dell'  obelisco  di  Sisto  V  ,  per  cui  gli  riuscì  facile  il  tra- 
sporto ,  e  il  collocamento  di  si  gran  mole  con  istupore  univer- 
sale ,  avendone  alcuni  calcolala  la  spesa  per  tanto  oprare  a  du- 
cati 3600  ,  mentre  ne  costò  soli  300. 

Poco  godette  Lorenzo  Vaccaro  gli  encomi  per  questo  bel 
lavoro ,   ma  non  ebbe    almeno    il   dolore    di    vederlo    distrutto  ; 


—  32!i  — 
dapoichè  nel  1706  1'  invidia ,  e  l' infamia  di  alcuni  gli  trama- 
rono la  morte  pel  mezzo  di  due  sicarii,  che  appostatolo  ad  un 
vasto  podere  eh'  ei  possedea  alla  Torre  del  Greco,  con  due  archi- 
bugiate  lo  privarono  di  vita  nella  vigorosa  elù  di  anni  J52  ,  nel 
più  bello  della  sua  carriera ,  e  con  dolore  indicibile  di  tutti  i 
compatrioti  ,  lasciando  quattro  figli  maschi  ,  ed  una  femmina. 
Dei  maschi  uno  fu  Domenico  Antonio  Vaccaro  ,  che  il  padre  e- 
mulando    lo  superava ,  come   appresso  da  me  sarà  esposto. 

Fu  Lorenzo  Vaccaro  sepolto  con  onore  ,  e  numeroso  accom- 
pagnamento nella  chiesa  di  s.  Croce  in  Torre  del  Greco. 

È  tanta  la  moltiplicità  delle  cappello  ,  degli  altari  ,  e  degli 
ornati  sii  monumenti  giù  eseguiti  in  Napoli  d'  ordine  delle  di- 
nastie Angioina  ed  Aragonese  ,  che  se  per  avventura  descriver 
non  accennar  volessi  il  tutto,  non  basterebbe  a  ciò  un  intero  vo- 
lume. Parrai  sufficiente  indicarli  ,  e  dove  però  mi  si  parano 
cose  degne  d'  essere  incise  pel  progresso  dell'  arte  (  sempre  in 
architettura  ),  lo  farò. 

Aggiungo  che  se  parlando  dell'architettura  esponea:  il  gusto  è 
migliorato,  la  scienza  è  meglio  applicata,  ma  il  genio  dove  è?  Ciò 
dir  non  puossi  per  1'  ornato ,  e  per  le  parti  decorative;  imperoc- 
ché per  questi  dettagli  nel  secol  nostro  vi  è  molto  genio  che  abo- 
lendo e  orsi  e  leoni  e  vipere  e  cartocci  ed  altro  di  simil  fatta  è 
venuto  a  ciò  sostituire  l'uso  di  belle  cornici,  e  profili  ben  intesi:  il 
semplice  attuale  in  ciò  parrai  che  vinca  il  manierato  del  secolo  17°. 

Se  i  nostri  architetti  dal  F  Masuccio  al  Sanlucano  al  d'A- 
gnolo ed  al  Mormando  che  portarono  al  vero  progresso  l'arte  diret- 
trice, massime  quei  che  fiorirono  sotto  il  governo  viceregnale  a- 
vessero  sempre  in  serie  crescente  imitato  il  bello,  qual  piano  non 
avrebbero  trovato  i  Vanvitelli,  i  Fuga,  i  Giofi'redo,  e  gli  altri  che 
nel  secolo  18°  pur  ci  rimasero  monumenti  magnifici  e  non  peri- 
turi del  loro  genio  e  perizia? 


VITA 


DELL'  ARCHITETTO,    SCULTORE   E   PITTORE 


DOMENICANTONIO  VACCARO 


CON  LA  DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE  ESEGUITE  IN  NAPOLI 


CONSISTENTI 


In  architettura 


IVella  pittura 


Lavori  in  S.  Martino. 

Pitture 

in  S.*  Monica. 

Chiesa  di  Montecalvario. 

» 

in  S.  Lorenzo. 

»      di  Montevergine. 

» 

in  S.  Agostino. 

Lavori  in  quella  della  Consolazione. 

» 

in  S.  Martino. 

»      in  S.  Michele  Arcangelo. 

» 

Macchie  nella  Sagrestia  di  S 

»       in  S.  Gaudioso. 

Domenico. 

»      in  S.  Giovanni  Maggiore. 

» 

in  Montecalvario. 

Teatro  Nuovo. 

)) 

in  Montevergine. 

Molo  di  Napoli. 

)/ 

nella  Stella. 

}} 

nella  Vite. 

» 

in  S.  Paolo. 

» 

in  S.  Michel' Arcangelo. 

» 

in  S.  Chiara. 

\.Ua  > 

cultura 

Statua  di  Gesù  morto  in  S.  Giacomo  -  Davide  e  .Mosè  in  S.  Ferdinando. la S.  Mar- 
tino, della  Santità,  della  Fede,  del  martirio,  e  bassi  rilievi,  altari  e  sue  scijI- 
ture  nella  Concezione  di  Montecalvario,  in  S.  Michele  .\rcangolo,nel  Duomo. 
nella  Madonna  delle  Grazie  alla  pietra  del  pesce,  in  S.  (iiacomo,  in  S.  Maria 
in  Portico,  in  S.  Ilaria  a  Cappella,  nel  Rosario  di  Palazzo,  in  S.  Chiara  ,  Gu- 
glia di  S.  Domenico  cominciata  dal  Fansaca,  busti  in  S.  Maria  delle  Grazie  a 
S.  Caterina  a  Formello,  nel  Gesù  nuovo. 


Anno  —  1700 


Sasso  —  Voi.  L 


Nacque  Domenico  Antonio  Vaccaro  in  Napoli  da  Lorenzo  , 
nel  1681  ,  e  ricevelle  il  battesimo  nella  Parrocchia  di  S.  Arcan- 
gelo agli  Armieri.  Sin  dai  primi  anni  della  sua  infanzia  dava  a 
vedere  d'  avere  un  ingegno  elevato. 

Il  padre  suo  ,  benché  artista,  avea  divisato  farlo  applicare  alle 
lettere  ,  e  non  all'  arte  sua  di  pittore  e  scultore  ;  temendo  che 
nessuna  riuscita  avesse  fatto  il  nostro  Domenico  Antonio.  Il  po- 
vero fanciullo  vedeasi  perciò  inibito  dal  padre  suo  ,  che  tenera- 
mente amava  ,  a  disegnare  ,  percui  di  soppiatto  procurava  co- 
piar dei  modelli  ,  avendoci  una  forte  passione  ;  e  talvolta  dava 
delle  correzioni  ai  giovani  del  padre  ,  come  por  esempio  al  Gra- 
nucci  j  ed  al  Bottiglieri.  Veduto  avendo  Lorenzo  i  disogni  del 
figlio,  altamente  lo  sgridava ,  dicendogli  con  fermezza,  ch'ei  non 
volea  che  prendesse  amore  al  disegno  :  ma  solamente  attendesse 
alle  lettere  ;  volea  insomma  il  Lorenzo  darci  nel  figlio  un  avvo- 
cato :  ma  la  Provvidenza  Divina  ce  lo  delle  artista  come  in  ap- 
presso vado  ad  esporre. 

Mentre  obbediva  Domenico  Antonio  all'impero  paterno,  non 
tralasciava  la  sua  geniale  applicazione  raddoppiando  fatica,  giunse 
in  poco  tempo  ad  ubbidire  al  padre,  e  a  contentare  il  suo  gemo. 

Studiò  la  filosofia ,  e  dopo  la  legge  ,  dove  volea  applicarlo 
il  padre.  Passò  a  studiare  i  principi  delle  matematiche ,  e  tutto 
il  tempo  che  gli  sopravvanzava  l' impiegava  Domenicantonio  al 
disegno  segretamente  ,  e  qualche  volta  sorpreso  dal  padre  ,  po- 
nea  sotto  gli  scritti  i  suoi  disegni. 

Avanzatosi  positivamente  nell'arte  del  disegno,   ardentemente 
desiderava   di   colorire  ,   e    si   sentiva   un   certo  i)resenlimenlo  , 
che   con    facilità   e    felicità  avrebbe   egli   dipinto.    Venivngli    ciò 
•  impedito  dal  riverente  timore  de!  padre. 


—  330  — 

Dovette  Lorenzo  portarsi  in  Roma  per  due  mesi.  Colse  Do- 
menìcantonio  guest'  occasione  ,  e  si  dette  a  dipingere  con  tanta 
assiduità  ,  che  altro  mai  non  faceva  giorno  e  notte  ,  nella 
quale  negava  il  necessario  riposo  al  suo  corpo  ,  per  poter  sa- 
tollare r  ardente  brama  di  dipingere.  Tornò  Lorenzo  da  Roma 
inaspettato  a  casa  ,  e  portatosi  all'  improvviso  iu  una  stanza 
separata  ,  ove  Domenicantonio  dipingeva  ,  lo  vide  tutto  appli- 
cato a  colorire  sur  una  certa  imprimila  una  favoletta  di  Si- 
ringa inseguita  da  Tane  ,  ed  era  tanta  la  sua  applicazione  , 
che  non  udi  1'  arrivo  del  padre  ,  ne  lo  vide  entrare  in  quella 
stanza  ,  ove  separato  dal  resto  della  famiglia  ei  dipingea.  Os- 
servò attentamente  Lorenzo  1'  opera  del  giovanetto  suo  Ggliuolo, 
e  per  quasi  mezz'  ora  non  interruppe  la  sua  applicazione  ,  os- 
servando con  somma  meraviglia  che  felicemente  conducea  il 
lavoro.  Sorpreso  ollremodo  restò  Lorenzo  nell'  osservare  la  me- 
scolanza dei  colori ,  le  tinte  proprie  ,  le  mezze  tinte  ,  l' impasto 
iu  somma  eseguito  da  un  giovinetto  che  non  oltrepassava  il  suo 
IStno  anno.  Fu  allora  che  mutò  perfettamente  Lorenzo  il  suo 
primo  proponimento  ,  e  sorprendendolo  gli  disse  :  Giacche  Id- 
dio ti  à  scello  ,  e  ti  chiama  a  questa  professione,  non  voglio 
oppormi  al  volere  di  Dio  ,  ed  alla  tua  naturale  inclinazione  , 
quindi  segui  il  tuo  genio  ;  e  procura  di  non  restare  indietro  agli 
altri  virtuosi. 

Air  inaspettato  tuono  della  voce  paterna,  qual  rimanesse  Do- 
menicantonio pensalo ,  o  lettore.  Avendo  presente  obbedienza  e 
timore;  confuso  gli  baciò  la  mano  ,  e  cercava  addurre  scuse  per  le 
vacanze  degli  studi  in  quei  giorni  ,  non  fidandosi  del  padre.  Lo- 
renzo gli  fece  animo  ,  e  1'  assicurò  della  sua  volontà  mutala  isti- 
gandolo a  dipingere  ,  e  di  nuovo  gì'  inculcava  che  si  fosse  fatto 
onore. 

Allegro  Domenicantonio  di  sì  inaspettato  consenso  a  potere 
proseguir  la  pittura  ,  si  dette  apertamente  a'  più  severi  ed  inde- 
fessi studi ,  applicando  alle  matematiche  ,  e  disegnando  cosi  la 
figura  che  1'  architettura.  Fece  rapidi  progressi  sotto  la  direzione 
del  padre  ,  che  vedendolo  più  per  la  pittura  inclinato ,  lo  racco- 
mandò al  suo  amico  Solimena. 

Poche  macchie  copiò  Domenico  Antonio  portato  dal  suo  ge- 
nio a  dipingere  d' invenzione ,  e    in  fatto  a  17  anni    dipinse    un 


—  331  — 
quadro  per  la  chiesa  di  S."  Monaca]  figurando  l'AddoIorafa  con 
un  Angelo  che  la  sostiene,  con  vari  pallini,  e  lesle  di  cherubini. 
Dopo  fece  un  altro  quadro  per  la  chiesa  di  S.  Lorenzo,  e  propria- 
mente per  la  cappella  di  S.  Bonaventura  ,  ove  figurò  il  Santo 
con  la  SS.  Concezione  che  1'  apparisce. 

Nella  chiesa  di  S.  Agostino  degli  Scalzi  dipinse  quattro  qua- 
dri laterali  in  due  cappelle.  In  quella  del  Crocifisso  è  la  flagel- 
lazione alla  colonna  ,  e  la  coronazione  di  spine  :  nell'  altare 
S.  Guglielmo  in  penitenza  e  1  detto  Santo  con  la  Beata  Vergine, 
che  gli  apparisce. 

A  Capua  nella  chiesa  dei  Padri  Francescani  vi  è  un  quadro 
grande  ove  è  effigiata  la  Beata  Vergine  ,  S.  Francesco  ,  S.  Bona- 
ventura ,  e  S.  Bernardino  con  intreccio  di  belli  angioli  in  gloria 
ed  in  lontananza  la  SS.  Trinità. 

A  Taranto  un  quadro  grande  con  S.  Lucia  ,  S.  Agata  ,  e 
S.  Agnese  con  angeli  in  accordo  e  beli'  assieme  con  puttini  ,  e 
teste  di  cherubini.  Nella  chiesa  di  S.  Chiara  in  Avorsa  vi  è  un 
altro  suo  quadro  in  grande  ove  è  dipinta  la  Beata  Vergine  col 
Bambino  con  la  detta  Santa,  ed  altri  Santi  in  gloria  egualmente 
con  accompagnamento  di  angeli  ,  pulliui  ,  e  cherubini. 

In  Aversa  dipinse  pei  signori  del  Tufo  due  quadri  di  bella 
idea  —  in  uno  vedeasi  Salomone  in  mezzo  alle  sue  donne  por- 
gere incensi  agli  idoli  —  Fu  un  altro  Dadila  che  recide  i  crini 
a  Sansone  e  dà  questo  in  potere   dei  Filistei. 

Per  i  Boria  di  Genova  fece  due  quadri  istoriati,  in  uno  rap- 
presentò Alessandro  Magno  ,  che  dà  Campaspe  ad  Apelle  ,  e  nel- 
r  altro  lo  stesso  Apelle  che  ritrae  dal  vivo  Alessandro  —  Dipinse 
molli  rametti  a  richiesta  di  Paolo  Perrella  da  adornare  due  scri- 
gni pel  Re  Carlo  II  ,  che  non  furono  compiuti  per  la  morte  di 
quel  Sovrano.  Parte  di  questi  rami  sono  in  Ispagna  ,  e  due  fu- 
rono comperati  dall'ammiraglio  Binchs  di  nazione  inglese.  In  uno 
sono  i  figli  di  Niobe  saettati  da  Apollo  e  Diana,  1'  altro  è  il  cin- 
ghiale ucciso  da  Meleagro. 

Parecchi  dei  quadri  del  nostro  Domenicantonio  Vaccaro  sono 
iti  altrove. 

Molle  sculture  ,  e  statue  di  argento  condusse  a  fine  con  di- 
segni ,  modelli ,  ed  assistenza  del  padre  suo  Lorenzo  ;  e  princi- 
palmente quello   della  statua  equestre  di  Filippo  V,  Fé  pure  con 


—  332  — 
1'  assistenza  tlol  padre  il  Cristo  raorlo  scolpilo  in  marmo  nel  da- 
vanti r  altare  della  chiesa  di  S.  Giacomo  degli  Spagnuoli. 

Succeduto  in  quel  mentre  il  funesto  caso  del  padre,  fu  tale 
il  cordoglio  5  ed  il  duolo  immenso  che  afflissero  1' addolarato  Do- 
menicanlonio  ,  che  per  un  anno  intero  abbandonò  la  scultura  e 
la  pittura,  esercitandosi  soltanto   in  architettura. 

Avea  il  nostro  Domenicantonio  allorché  rimase  orbo  dell'  a- 
mato  suo  genitore  e  maestro  anni  2o  ;  Vide  a  se  poggiato  inte- 
ramente il  peso  della  famiglia  ,  sendo  il  primo  Ggliuolo  ;  pensò 
adunque  ,  con  le  sue  fatiche  ,  di  accrescere  i  beni  paterni ,  ed 
un  nome  a  se  stesso.  Ripigliò  a  capo  dell'anno  1'  esercizio  della 
pittura  ,  e  della  scultura  ,  ed  unendole  a  quello  dell'  architettura 
si  avanzò  e  perfezionò  in  modo  ,  che  fu  sostituito  in  luogo  del 
padre  ftel  dar  compimento  ad  alcuni  lavori  di  marmo  lasciati  in- 
completi ;  come  ancora  a  ridurre  e  perfezionare  lavori  di  archi- 
lettura  come  in  seguilo  andrò  ad  esporre. 

Avea  Lorenzo  Vaccaro  impreso  a  scolpire  due  statue  tonde 
di  marmo  nella  chiesa  di  S.  Francesco  Saverio  dei  Padri  Gesuiti, 
che  rappresentar  doveano  Davide  e  Mosè  ;  e '1  Davide  era  già 
presso  al  fine.  Volendo  i  Padri  dar  compimento  all'  opera  inco- 
minciata ne  fecero  parola  ;  che  giunta  all'  orecchio  di  Domeni- 
cantonio ,  disse  che  non  voleva  che  altri  artefici  avessero  a  con- 
durre a  termine  1'  opera  principiata  da  suo  padre:  ma  che  si  offriva 
ridurre  egli  a  perfezione  ,  e  farvi  la  statua  del  Mosè  di  sua  mano; 
perciocché  bramava  che  la  gloria  fosse  tutta  del  padre  circa  le 
figure  del  David,  e  non  di  colui  che  per  pochi  ritocchi  si  avrebbe 
usurpalo  1'  onore  delle  lodi  dovute  a  quello  :  quanto  poi  alla 
riuscita  dell'  opera  ofl'erse  di  rifarla  a  sue  spese  ,  quando  non  fosse 
la  sua  statua  di  generale  soddisfazione.  Applaudivano  i  Gesuiti 
all'  offerta  ,  e  '1  Vaccaro  ebbe  il  duplice  incarico  si  pel  David 
che  pel  Mosè.  Riusci  1'  opera  di  tal  gradimento  pei  Padri  cha 
oltre  le  lodi  immense  ,  gli  dettero  subito  il  meritato  compenso. 

Fattosi  un  nome  Domenico  Antonio  con  svariate  opere,  ebbe 
lo  incarico  dai  Certosini  di  perfezionare  la  statua  di  marmo  della 
Santità  da  situarsi  nella  cappella  di  S.  Giovanni  nella  chiesa  di 
S.  Martino  ,  anche  rimasta  incompiuta  da  Lorenzo  ,  che  egual- 
mente riuscita  bene  ,  ebbe  altresì  lo  incarico  di  modernare  una 
intera  cappella    tutta  di  marmo    por  dedicarla  al   nostro  glorioso 


—  333  — 
protellore  S.  Gennaro,  e  ciò  per  l'architeUura  che  per  la  scultura. 
Nell'architettura  della  cappella  à  dimostrato  il  suo  bel  talento  negli 
ornali  ed  intagli  sempre  del  tempo,  e  la  buona  esecuzione.  Nell'al- 
tare fra  le  due  colonne  di  verde  antico  di  14  palmi  di    altezza, 
vedesi  la  tavola   di  marmo  in  cui  in   tondo  rilievo    e  scolpito  il 
patrocinio  di  S.  Gennaro  ,  vedendosi  su  le  nubi  la  beata  Vergine, 
e  molti  puttini,  il  Santo  ,  e  la  SS.  Trinità,  ed  in  lontananza   la 
nostra  Napoli   che    appaga    l' occhio    per   l' accordo  ammirabile 
de' corpi   davanti   a  quelli  che  stanno  indietro  —  Ai  lati   vi    so- 
no due  statue    di    palmi    8    cadauna  poggiando  sopra    menso- 
loni   ed   avanti  due  nicchie.    Una    rappresenta    la  Fede  ,    l' al- 
tra il  Martirio.  Sopra  i  frontespizi    sono   due   putti   di   palmi    6 
di  altezza ,  i  quali   con   bella  attitudine  uno   tiene  la  mitra ,   e 
r  altro  il   pastorale  del  Santo.     Sopra   le   quattro   porle   finte   e 
reali  che  sono  in  della  cappella  ,  sono  quattro  medaglioni  ben  or- 
nati ed  intagliati  ,  ove  sono  scolpiti  i  quattro  Evangelisti  in  basso 
rilievo   molto  finiti  si  per  la  figura  del  nudo  ,  che  per  i  pan- 
neggi. 

Si  fé'  molto  onore  con  1'  erezione  di  questo  monumento  il  no- 
stro giovane  Architetto  ,  Scultore  ,  e  Pittore  Domenico  Antonio  Vac- 
caro  ,  in  modo  che  quei  padri  lo  nominarono  Architetto  di  quel  Real 
Monastero. 

Abbellì  la  Cappella  che  segue  che  è  quella  di  s.  Giuseppe,  ed 
eresse  Y  altra  del  SS.  Rosario  adornata  di  stucchi,  ed  esercitò  in  essa 
tutte  e  tre  le  professioni  che  lo  distinsero  cioè  in  architettura,  nella 
scultura ,  e  nella  pittura. 

Bella  è  la  macchia  che  fece  Domenicantonio  per  la  sagrestia 
di  s.  Domenico  maggiore  ,  la  quale  rappresenta  il  Santo  che  risu- 
scita il  nipote  di  tre  Cardinali ,  mi  dei  quali  era  di  bellissima 
invenzione  ,  di  componimento  magnifico,  di  colorito  robusto  ,  con 
gran  forza  di  disegno  ,  e  chiaroscuri  —  Avendo  fatto  il  Vaccaro 
patto  con  i  monaci  Celestini  di  S.  Pietro  a  Majella  per  quelle  o- 
pere  che  si  veggono  colà  dipinte  dal  Cavalier  Malinconico ,  per  1500 
ducati  ,  questi  li  fece  per  soli  800  ducati,  e  fu  tanta  la  collera  di 
Domenico  Antonio  che  per  12  anni  non  prese  piìi  i  pennelli,  e  de- 
dicossi  totalmente  all'  architettura. 

Ebbe  la  commissione  di  ergere  la  Chiesa  della  SS.  Concezio- 
ne delle  monache  detta  di  Montecalvario,  cui  adempì  perfeltamen- 


—  334  —    . 
te  giusta  il  pensiero  delle  religiose,  che  vedendosi  al  sonuno  obbli- 
gate all'  architetto  fecero  scolpire  nel  marmo  ,  che  è   situato  sulla 
porta  di  dietro  ,  le  seguenti  parole. 


Dominicus  Antonius  Faecaro 

Raro  admodum  exemplo. 

Templi  structuram  excogilavit 

Aras  Marmoreas  sculpsit ,  Tabulasq;  pinxii. 

A  suo  luogo  darò  la  descrizione  di  si  grazioso  monimienlo  , 
che  dimostra  il  genio  ,  e  '1  giudizio  dell'  architetto  nel  trar  profitto 
di  im  luogo  angusto ,  e  fare  un  bello  e  comodo  tempio. 

Terminala  questa  Chiesa  cominciò  1'  erezione  di  un  teatro  per 
musica,  Teatro  Nuovo  appellato. 

Moderno  la  Chiesa  di  Rlontevcrgine  presso  quella  del  Gesù  vec- 
chio ,  e  fece  di  suo  disegno  i  balaustri  di  marmo  ,  e  '1  pavimento 
oltre  mia  infinità  di  quadri  che  per  brevità  tralascio. 

Rimodernò  la  Chiesa  della  Consolazione,  facendovi  altari  di  mar- 
mo ,  quadri,  ed  un  nuovo  parlatorio,  con  altra  grande  stanza  den- 
tro la  clausura  ,  ove  risiedono  le  monache  per  comunicarsi:  questa 
è  a  modo  di  un  coro  in  piano  alla  Chiesa. 

Eresse  di  pianta  con  suo  disegno  la  chiesa  di  s.  Michele  Ar- 
cangelo al  Mercatello. 

Nel  succorpo  della  cattedrale  evvi  un  aliare  di  marmo  dello 
stesso  artefice  ,  in  cui  di  sua  mano  scolpì  la  statua  di  s.  Gennaro, 
per  comando  di  S.  M.  Carlo  III.  Borbone. 

In  s.  Gaudioso  fece  la  croce  di  detta  Chiesa  ,  e  la  cupola  con 
bene  inteso  disegno,  costruendovi  al  di  sopra  il  cupolino  che  forma 
belvedere,  e  quantunque  la  cupola  sia  mollo  alta  ,  vi  si  ascende  per 
r  estradosso  coinodamcnle. 

Moderno  ed  ornò  in  archi  lettura  la  chiesa  della  ]\Iadonna  delle 
Grazie  alla  Pietra  del  pesce  ,  come  ancora  quella  della  Madonna 
del  Soccorso. 

iSella  chiesa  di  s.  Giovanni  maggiore  rifece  il  coro  con  bella 
idea  ,  togliendo  i\i  un  notabile  difetto  d'un  arco  sottoposto  a  quello 
della  cupola,  che  era  cosa  deforme  ,  e  vi  lavorò  ancora  un  aliare  di 
marmo  con  gradi  e  balaustre. 


—  335  — 

Era  per  l'avvenuta  morte  del  cav.  Cosimo  Fansaca  rimasta  im- 
perfetta la  Guglia  di  s.  Domenico  giunta  per  opera  del  prelodato 
artista  a  metà  scolpita  di  sua  mano  ,  né  i  Padri  di  s.  Domenico 
aveano  trovato  ancora  un  degno  artefice  per  farla  proseguire  con 
lavori  tali  da  stare  al  confronto  con  quei  del  Fansaca.  Udita  la  fa- 
ma di  Domenicantonio  e  vedutone  le  opere  ,  determinarono  che  da 
lui  si  desse  compimento  al  detto  obelisco  ,  su  cui  sorger  dovea  la 
statua  del  loro  gran  Patriarca. 

Datone  perciò  lo  incarico  al  Vaccaro,  fu  tosto  il  tutto  perfezio- 
nato e  compiuto ,  come  oggi  si  vede  nel  largo  s.  Domenico  con  la 
statua  di  detto  santo  in  cima  di  rame  con  suo  disegno  ,  modello  , 
ed  assistenza  ,  avendo  la  ripetuta  statua  13  palmi  di  altezza. 

Fece  molti  lavori  nella  chiesa  della  Concezione  a  Toledo  la 
quale  non  più  esiste  ,  e  mi  ricordo  eh'  essa  giaceva  all'  angolo  del 
locale  s.  Giacomo.  Fece  ancora  molti  lavori  in  s.  Chiara  ,  e  nella 
Madonna  delle  Grazie  a  Toledo. 

Nella  terra  di  ]\larigliano  moderno  la  chiesa  madre  ,  e  vi  ese- 
guì molti  lavori  di  stucco  e  cinque  quadri. 

Non  è  credibile  quiinto  questo  solerle  artefice  abbia  lavorato  in 
tutte  e  tre  le  arti  belle.  11  piano  propostomi  non  mi  permette  di  tutto 
analizzare  e  descrivere  ,  dovendo  io  fare  la  storia  dei  monumenti 
e  non  dilungarmi  con  dissertazioni  e  note  per  compilare  un  libro 
da  biblioteca,  a  fin  di  dare  ai  mici  concittadini  un  libro  istruttivo  e 
breve,  che  comprenda  quanto  sorgeva  e  sorge  tuttora  di  monumen- 
tale in  questo  paese. 

Fece  il  Vaccaro  lavori  a  Nola  ,  a  Teano  ,  a  Sessa  ,  a  Gi- 
pua  ,  a  Bari,  a  Calvizzano.  Il  casino  de'  signori  Caravita  a  Porti- 
ci —  I  disegni  pel  palazzo  Tarsia  poi  non  compiuto  ed  ai  giorni  no- 
stri alla  migliore  staurato.  Lavorò  il  bello  altare  nella  chiesa  di 
s.  Francesco  Saverio  dei  Padri  Gesuiti  avanti  al  Real  Palazzo  di  Na- 
poli ,  quale  chiesa  fu  demolita. 

Fé  l'aggiimta  al  molo  di  Napoli  nella  limghczza  di  palmi  GOO. 

Impegnato  da  tante  serie  occupazioni  ed  opere  durature  a  te- 
slnnonianza  del  suo  bello  ingegno  ,  veniva  sposso  il  nostro  Dome- 
nico Antonio  Vaccaro  distratto  in  opere  momentanee  por  occasioni 
giulive  ,  comò  a  dire  feste  ,  cuccagne  ,  apparati  ,  carri  ,  ed  altro. 

Quello  poi  elle  onora  immensamente  il  nostro  artista  si  è  (  ed 
a  questo  proposito  vorrei  io  pure  un  Vaccaro  ),  che  avendo   egli 

Sasso  —  Voi.  I.  -''3 


—  336  — 
mezzi  pecuniari,  frutto  de'  suoi  onorati  lavori,  ed  essondo  amico  di 
Bernardo  de  Dominici,  il  quale  dava  alle  slampe  la  notissima  sua 
storia  in  4.  volumi  degli  Architetti,  Pittori  ,  e  Scultori  Napolitani, 
si  prestò  considerevolmente  alla  spesa  non  indifferente  della  stam- 
pa. Siamo  adunque  per  questo  riguardo  noi  Napolitani  obbligati 
al  Vaccaro  per  avere  ai  nostri  giorni  1'  opera  anzidetta  ,  clié  sen- 
za il  suo  positivo  pecuniario  aiuto,  forse  il  povero  autore  l' avreb- 
be rimasta  manoscritta;  e  cosi  invendicati  ancora  saremmo  dell' ob- 
blio  in  cui  invano  tentò  il  Vasari  di  gittare  i  meritevoli  artefici 
Napolitani  ,  che  furon  sempre  i  primi  in  Italia,  e  di  essi  alcuni  se 
non  per  merito  ,  almeno  pel  tempo  in  cui  sorsero  ad  onore  di  que- 
sta nostra  patria. 

Giunto  il  Vaccaro  all'  età  di  anni    72    pagò  il  dovuto  tributo 
alla  natura  chiudendo  in  pace  i  suoi  lumi  nell'anno  1753. 


DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE 

Pe'  lavori  in  s.  Martino  mi  trovo  averli  indicati  nella  descri- 
zione data  della  Certosa. 

Cbkcsa  4ti  Slontecalvario. 

Questa  chiesa  che  dà  il  nome  al  quartiere  fu  fondata  insieme 
coll'annesso  convento  dei  frati  minori  nel  1560  per  le  largizioni  d'  1- 
laria  d'  Apuzzo  dama  napolitana  —  Vi  sono  vari  buoni  quadri  di 
Andrea  di  Salerno.  11  convento  è  stato  convertito  in  caserma  delle 
Reali  guardie  del  corpo  a  cavallo. 

A  lato  di  detta  chiesa  esiste  il  monistero  della  Concezione  delle 
monache  di  Montecalvario  fondato  da  alcuni  gentiluomini  napolitani 
noi  1589. 

La  chiesa  è  un  disegno  capriccioso  di  Domenicantonio  Vacca- 
ro, il  quale  la  fece  per  questa  opera  da  pittore,  scultore,  e  Architetto. 

E  questo  piccolo  tempio  degno  di  vedersi  onde  ammirare  il 
genio  e  il  capriccioso  disegno  dell'  architetto. 

La  pianta  é  quasi  circolare  ,  interrotta  la  periferia  da  quattro 
archi ,  che  sostengono  i  quattro  coretti  per  ove  le  monache  ascol- 
tano la  santa  messa  ,  e  presenziano  alle  funzioni  di  chiesa,  di  ar- 


—  337  — 
chi  servono  da  piloni  alla  bella  cupola  eretta  sopra  di  essi  ne- 
gli angoli  con  tali  ornamenti  di  stucco,  e  di  si  capricciosa  fantasia 
decorata  che  desta  il  desiderio  di  vederla  dipinta.  Sotto  di  questi 
archi  vi  sono  quattro  altari  ,  aventi  in  mezzo  i  due  cappelloni 
maggiori  ,  che  con  la  loro  grandezza  e  bellezza  accrescono  magni- 
ficenza air  altare  maggiore  ornato  lutto  di  marmo,  a  cui  fa  mae- 
stoso ornamento  un  gran  panno  di  marmo  giallo  antico,  che  fa  ri- 
saltare l'ovato  di  colore  oscuro  ove  sono  situate  l'immagine  in  rilievo 
dell'  Immacolata  Concezione  ,  e  quelle  di  due  angiolini  che  in  pie- 
di sostengono,  quasi  termini,  l'ornamento  che  scende  da  sopra  il  pi- 
lastro ,  essendovi  per  di  più  tre  puttini  anche  di  marmo  bianco 
sotto  la  immagino  situali,  che  tengono  geroglifici  della  Beata  Ver- 
gine ,  e  due  che  I'  adorano  in  ginocchioni  ,  e  nella  corona  del 
baldacchino  è  lo  Spirito  Santo.  L'  aliare  è  costruito  simmetrica- 
mente e  con  uniformila  al  rimanente  del  tempio  con  capricciosi  , 
ma  belli  ornamenti. 

Situò  il  Vaccaro  il  coro  delle  monache  sopra  la  porta  ove  so- 
gliono recitare  il  divino  uffizio,  e  con  ampie  e  spaziose  camere  die- 
tro le  gelosie  quanto  gira  la  chiesa  ,  ed  alla  porta  fece  come  un 
atrio  ,  dopo  ascesi  alcuni  scalini  ,  ornando  la  porta  con  i  medesi- 
mi ornamenti  di  capricciose  figure. 

Una  delle  singolarità  di  questa  chiesa  è  ,  che  ovimque  ti  fer- 
mi vedi  quattro  o  cinque  altari ,  e  ciò  per  comodo  maggiore  dellu 
monache. 

E  pure  da  essere  ammirata  la  capacità  de'  coretti  ,  e  dei  pas- 
soggialoi  di  essi;  imperocché  non  vi  è  un  palmo  di  luogo  perduto. 
Per  di  sotto  1'  altare  maggiore  vi  è  una  via  sotterranea  assai  bene 
eseguita  per  comodo  delle  monache  da  passare  da  ima  parte  al- 
l' altra. 

I  due  quadri  grandi  dei  due  cappelloni,  uno  che  indica  la  na- 
scila del  Signore  ,  e  1'  altro  la  Vergine  addolorata  in  piedi  soste- 
nuta da  due  angioli  sono  pure  opera  del  sullodalo  artefice.  Suo 
pure  è  il  quadro  della  ss.  Trinità  con  s.  Michele  Arcangelo  che  le 
dà  r  incenso  ,  come  ancora  l' altro  del  martirio  di  s.  Gennaro. 

Bello  e  visitare  questo  monumento  pensando,  che  ini  solo  na- 
politano artefice  vi  fece  mirabilmente  gareggiare  tutte  e  tre  le  arti 
del  disegno  da  lui  perfettamente  possedute,  lavorando  e  da  scultore, 
e  da  pittore,  e  da  architetto. 


—  338  — 


Teatro  IVaovo. 


Se  lode  giustissima  si  debbe  al  bello  ingegno  di  Domenico  An- 
tonio Vaccaro  per  la  erezione  della  descritta  chiesa  della  Concezio- 
ne di  Montecal vario,  gloria  non  minore  in  queste  mie  carte  tributo 
a  si  distinto  architetto  per  la  costruzione  del  Teatro  nuovo. 

Il  piano  su  cui  elevasi  questo  bene  inteso  monumento  é  un  ret- 
tangolo ,  i  cui  lati  uno  è  di  palmi  80,  e  l'altro  di  palmi  66  —  A 
un  comodo  palcoscenico  ,  una  bella  platea ,  e  cinque  ordini  di  pal- 
chi si  ben  disposti,  che,  oltre  alla  capienza  e  comodità  dei  spettato- 
ri  rendono  il  teatro  molto  armonico. 

Terminato  che  l'ebbe  il  nostro  Vaccaro,  formò  la  maraviglia  de- 
gli intendenti  come  in  sì  angusto  spazio  seppe  l' architetto  trarre  il 
partito  di  si  comodo  e  bel  teatro.  Comode  pure  sono  le  scale  ed  i 
passeggiatoi  ,  e  dai  palchi  laterali  si  vede  quasi  come  da  quei  di 
fronte. 

Onde  avere  ampiezza  al  di  dentro  rinforzò  1'  architetto  i  can- 
toni facendovi  doppia  fabbrica,  ed  in  molti  pimti  nel  concavo,dove 
r  assottigliò  ,  dove  accrebbe  nelle  distanze  tra  la  curva  e  i  lati 
del  rettangolo — Detto  teatro  é  capace  di  contenere  quasi  mille  spet- 
tatori. 

Ben  disse  un  forestiero  che  verme  ad  osservarlo  —  Vedutolo  al 
di  fuori  conobbe  l'angusto  compreso  —  Entrato  che  fu  dentro  escla- 
mò :  Qui  il  talento  dell'  architetto  à  fatto  nascere  il  possibile  dal- 
l' impossibile. 

Chiesa  di  .llonlcvcrginc. 

Questa  chiesa  è  situata  poco  discosta  da  quella  del  Gesù  Vec- 
chio —  Fu  interamente  rimodernata  dal  nostro  Vaccaro  adornando- 
la di  capricciosi  stucchi  si  d'intagli,  che  di  sculture  fatti  sotto  la 
sua  direzione  da  Domenico  Catuogno  ,  come  ancora  sono  di  suo  di- 
segno i  balaustri  di  marmo,  e  il  pavimento  —  Suoi  sono  pure  i  tre 
quadri  nella  soffitta  ,  quello  di  mezzo  di  palmi  4-i  per  25  ove  ev- 
vi  effigiata  una  gloria  con  imo  sfondato  mirabile  di  schiere  di  ange- 
li ,  puttini  ed  intreccio  di  teste  di  cherubini. 

Air  intorno  vi  sono  le  virtìi  attribuite  alla  gran  madre  di  Dio 
e  tutte  queste  figure  faano  corteggio  alla  Beata  Vergine  col  bambino, 


—  339  — 
che  apparisce  a  s.  Guglielmo  ,  s.  Bernardo  ed   altri  santi  di  quel- 
r  ordine  situati  nel  piano. 

Negli  altri  due,  ciascuno  di  palmi  20  per  11,  vi  sono    azioni 


miracolose  di  s.  Guglielmo. 


S.  :ilicbclc  Arcangelo. 

Questa  chiesa  é  situala  al  principio  del  largo  dello  Spirito  San- 
to volgarmente  detto  largo  del  mercatello —  Fu  eretta  di  pianta  eoa 
disegno  di  Domenico  Antonio  Vaccaro. 

Tutti  gli  ornati  di  stucco  sono  fatti  con  disegno  e  direzione 
dell'  architetto  da  Bartolomeo  Granucci.  I  due  pulii  di  lutto  rilievo 
suir  altare  di  marmo  ,  come  i  due  quadri  uno  di  s.  Irene  ,  e  l'al- 
tro di  s.  Giulio  sono  di  Domenico  Antonio. 

Al  di  sotto  vi  è  una  capacissima  terrasanta  con  comoda  scala. 

Molo  di  I%ai>oli. 

Dopo  r «interramento  dell'antico  porto  di  Napoli,  come  ò  di 
già  esposto  neir  articolo  acque  ,  e  dopo  che  si  vide  l' inutilità  del 
secondo  pel  suo  fondo  assai  basso  ,  si  pensò  di  costruire  un  molo 
profondo  sotto  il  castello  nuovo  formato  da  lungo  muro  in  linea 
retta  per  assicurare  i  navigli.  Fu  questo  costruito  d'  ordine  di  Car- 
lo II  d'Angiò  nell'anno  1301,  ed  ampliato  posteriormente  da  Alfon- 
fonso  I  d'Aragona.  11  Re  Federico  vi  aggiunse  la  torre  ,  ed  il  faro 
con  disegno  deirarchitetto  Pietro  de  Martino  milanese.  Tutti  questi 
lavori  si  mostrarono  inutili  ;  imperocché  non  impedivano  la  cor- 
rente ,  né  le  acque  davano  sicurtà  ai  navigli.  Si  deve  alla  magni- 
ficenza del  Re  Carlo  III  Borbone  il  suo  perfezionamento.  Well'  anno 
174.0  fece  allungare  il  suo  braccio  sinistro  per  palmi  300  sotto  la 
direzione  dell'architetto  Buompicdi.  Fu  terminalo  con  mi  fortino  di 
difesa,  e  vi  furon  falli  molli  magazzini  pel  disarmo  delle  navi.  Gli 
idraulici  fin  d'allora  declamarono  per  aversi  un  porlo  più  magni- 
fico, e  più  sicuro,  indicando  il  braccio  destro  verso  la  Darsena.  Nel 
fatto  sin  dal  1598  d'ordine  del  Conte  d'  Olivares  questo  si  era  già 
incominciato  con  disegno  e  direzione  dcU'architello  Domenico  Fon- 
tana :  ma  infelicemente  non  potetle  proseguirsi  per  le  400  canne, 
essendone  fatte  sole  30,  per  Favvcnula  morto  del  Re  di  Spagna  Fi- 


—  340  — 

]ippo  II.  Ritornando  adunque  al  nostro  Vaccaro  ,  veduto  Re  Carlo 
1'  oprato  dal  Buompiedi  che  neanco  corrispondea  ai  suoi  vasti  dise- 
gni ,  ne  incaricò  il  nostro  Domenicantonio  ,  che  lo  prosegui  per 
palmi  600,  e  lo  difese  con  salda  scogliera,  acciò  le  maree  non  l'a- 
vessero arrecato  nocumento. 


VITA 

dell'  architetto  e  pittore 

FERDINANDO  SINFELICE 

CON  LA  DESCRIZIO^•E  DELLE  SUE  OPERE  ESEGUITE  IN  NAPOLI 

CIOÈ 

Chiesa  della  Nunziatella. 

s.  Maria  al  Borgo  de'  Vergini. 

Riatto  della  cupola  di  Donriaibina. 

Rifazione  del  Monislero  Regina  Coeli  ,  con  rimodernare  la  facciata 

della  Chiesa ,  e  fabbrica  del  campanile  dalle  fondamenta. 
Scala  avanti  s.  Giovanni  a  Carbonara. 
Tomba  di  Gaetano  Argento. 
Libreria  del  Convento  a  Stella  sopra  un  bastione  in  s.    Giovanni  a 

Carbonara. 
Palazzo  Cassano  Serra  al  Monte  di  Dio. 
Rifazione  del  Palazzo  Monteleone. 
Fabbrica  per  la  sua  famiglia  di  tre  palazzi. 
11  1"  al  Borgo  de'  Vergini. 
Il  2"  fuori  la  Porta  Costantinopoli. 
11  3"  vicino  al  Seggio  di  Montagna 
Facciata  della  Chiesa  di  s.  Lorenzo. 
Quantità  di  capricciose  scale  a  diversi  palazzi. 


Ferdinando  Sanfelioe ,  cavaliere  napolitano  del  Seggio  di  Mon- 
tagna, e  discendente  dal  real  sangue  di  Normandia  ,  nacque  ai  18 
febbraio  1675  —  Uscì  alla  luce  sì  grande  che  era  un  portento.  Bam- 
bino ,  quando  la  nutrico  volea  quietarlo  vedendolo  piangere  gli 
dava  o  un  libro,  o  un  calamaio  con  la  penna  ,  e  il  bimbo  facendo 
atto  di  scrivere  ,  slava  delle  giornate  intere  in  perfetta  quiete  in 
tale  applicazione. 

Fu  sempre  compassionevole  dei  poverelli,  in  modo  che  ragaz- 
zo se  gli  veniva  cercala  1'  elemosina  dava  subito  la  sua  merenda. 
Allorché  andavano  i  frati  alla  consueta  questua  in  sua  casa,  pian- 
gea  egli  ,  se  non  veniva  data  prima  a  lui ,  che  con  le  pic- 
ciole  manine  la  porgeva  loro.  Crebbe  cosi  con  gli  anni  in  lui  que- 
st'  innata  virtù  che  in  lutto  il  corso  di  sua  vita  non  vi  era  giorno 
in  cui  si  rimanesse  dal  fare  copiose  elemosine. 

Fu  il  settimo  figlio  maschio  di  Camillo  Sanfelico.  Si  applicò 
ne'  suoi  primi  anni  alle  lettere  ,  in  cui  fu  subilo  ammirato  pel  suo 
elevalo  ingegno,  dando  a  tutti  speranza  di  divenire  uno  de'  letterati 
dell'età  sua,  avendo  in  tempo  brevissimo  appreso  le  lingue  latina, 
e  greca  ,  e  fatto  un  corso  completo  di  filosofia  ,  malematica  e  leg- 
ge. Si  dilettava  benanche  di  poesia  si  italiana  ,  che  latina  ,  aven- 
do date  varie  di  queste  alle  stampe. 

Sin  dalla  sua  fanciullezza  si  dimostrò  inclinatissinio  alle  arti 
meccaniche,  come  a  dire  frutta  di  cera  ,  presepi  ed  altro  ;  e  vedeii- 
do  ricamare  le  sue  sorelle  ,  spesse  volte  si  poneva  a  ricamare  con 
elle ,  e  superandole  nella  bellezza  del  lavorio  ,  dava  loro  lo  regole 
per  bene  ombrare  i  fiori,  e  nella  tenerissima  età  di  7  anni  dipinse 
ima  soffitta  di  carta  nella  sua  villa  di  Ottajano  ,  mostrando  arden- 
te desiderio  d' impararsi  a  dipingere  ,  ciò  che  gli  veniva  impedito 
da  suo  padre,  che  vedendolo  di  tanto  ingegno  voleva  (seguendo  l'an- 
dazzo de'  tempi)  farne  un  avvocato  ! 

Sasso  —  Voi.  1.  44 


—  344  — 

In  questo  stato  vedcasi  angustiato  il  picciolo  Ferdinando  tra 
r  impero  paterno  e  '1  suo  genio  per  la  pittura  —  mai  per  Y  avvo- 
cheria.  Intanto  studiava  legge  per  obbedire  al  padre  ,  e  '1  tem- 
po che  r  avanzava  tosto  Y  impiegava  al  disegno  —  Vedi  combina- 
zione—  Venne  in  casa  un  pittore  per  fare  alcuni  ritratti  dei 
suoi  antenati ,  e  dimenticatosi  la  tavolozza  co'pennelli  in  un  ango- 
lo della  stanza  in  cui  dipingea  ,  fu  questa  rinvenuta  dal  nostro 
Sanfelice  ,  e  il  trovato  lo  spronò  a  dipingere  ad  olio.  Mandò  su- 
bito il  servitore  che  comperava  i  colori  al  pittore,  a  comperarne  an- 
che per  lui ,  con  farsi  scrivere  i  nomi  di  essi  per  servirsene 
in  appresso ,  sino  a  tanto  che  non  pigliava  la  pratica  dei  medesi- 
mi ,  come  nel  fatto  avendo  veduto  per  pochi  giorni  dipingere  quel 
pittore  ,  si  dette  a  copiare  quadri  di  fruita  ,  pesci  ,  e  fiori  che  an- 
cora oggi  si  ammirano  come  usciti  di  mano  maestra,  e  non  di  di- 
lettante, che  appena  avea  visto  per  pochi  giorni  dipingere  la  figura. 

Succeduta  la  morte  di  suo  padre  ,  non  più  essendo  forzato 
a  divenire  legale  ,  si  dette  interamente  all'  applicazione  cui  il  suo 
genio  il  richiamava  —  al  disegno.  II  suo  maggiore  fratello  Canoni- 
co della  cattedrale  di  Aapoli  ,  che  poi  fu  Vescovo  di  Nardo  ,  ve- 
dendolo sì  applicato  alla  pittura,  Io  animò  maggiormente  con  dir- 
gli ,  che  i  giovani  bisogna  che  si  applicano  dove  il  genio  li  tira; 
laonde  con  libertà  ad  operare  esegui  quadri  di  frutta  ,  fiori  .  pe- 
sci ,  uccelli  e  paesi  prendendoli  dal  naturale  ,  onde  bisogna  consi- 
derare aver  egli  più  tosto  inventata ,  che  imparata  da  altri  la  pit- 
tura. 

Avea  Ferdinando  due  sorelle  monache  in-  Donnalbina  ,  dove  in 
quel  tempo  vi  stava  dipingendo  la  cupola  il  nostro  celebre  pittore 
Francesco  Solimena  ,  ed  avendo  le  medesime  richiesto  che  voleva- 
no vedere  i  suoi  quadri  dipinti  ,  egli  ne  mandò  loro  alcuni ,  che 
portati  ad  osservare  al  Solimena ,  ne  restò  questi  maravigliato  del 
come  avessero  potuto  essere  eseguiti  senza  maestro  con  tanta  per- 
fezione; ed  essendo  amico  del  Canonico  Antonio  Sanfelice  ,  lo  per- 
suase a  farlo  applicare  alla  figiua  che  è  lo  studio  principale  della 
pittura.  Non  ci  volle  troppa  persuasi\  a  perchè  il  Sanfelice  lascian- 
do di  dipingere  frulla,  si  desse  a  disognare  figura  sotto  la  direzione 
del  detto  celebre  Solimena,  che  sempre  lo  amò  con  distinzione  e  per 
i  suoi  costumi,  e  per  averlo  conosciuto  di  elevatissimo  ingegno. 

Principiò  adijiique  il  Sanfelice  ad  andare  sulla  cupola  a  disc- 


—  3iu  — 
gnare,  e  la  ti-adisegnò  in  sua  casa  ad  acquarello,  essendo  divoniilo 
amico  della  libertà  di  oprare  ,  e  non  di  fare  i  disegni  sfiunati  co- 
me usano  i  discepoli.  la  meno  di  un  anno  principiò  a  dipingere  , 
e  superò  lutti  i  suoi  colleghi  che  da  più  anni  andavano  in  det-  • 
ta  scuola  ,  e  ciò  facea  non  tralasciando  i  suoi  negozi  cui  il  tene- 
vano occupato  la  sua  piazza  di  Montagna,  che  fu  nell'anno  che  vi 
era  la  peste  a  Conversano,  cssendosegli  destinate  le  guardie  per  i 
rastelli  noi  quali  andavano  i  cavalieri  a  guardare,  ed  essendoci  man- 
cati alcuni  tra  essi  fu  scelto  Fei-dinando  ad  esercitare  una  tal  ca- 
rica. Fu  imi  Eletto  per  la  pubblica  annona,  e  revisore  del  tribuna- 
le regio  della  revisione,  giungendo  con  1'  elasso  del  tempo  decano 
in  tal  carica. 

Essendo  EltHto  in  tempo  che  vi  era  poi-  Vice-Re  il  Principe  Bor- 
ghese, il  quale  desiderava  che  per  lo  pubblico  bene  si  affittasse  il 
jus-panizzandi  di  questa  città  per  avanzo  del  peculio  pubblico,  ma 
per  molti  anni  s'era  incontrata  la  difficoltà,  che  per  cautela  biso- 
gnava tenere  nei  granai  almeno  100,000  tomoli  di  grano  per  qual- 
che occorrenza  ,  e  per  questo  motivo  non  trovavasi  mai  appaltato- 
re. 11  nostro  Sanfelice  per  ubbidire  e  compiacerò  agli  ordini  di  detto 
Principe  pensò  di  far  comperare  dalla  Città  i  centomila  tomoli  di 
grano,  e  tenerlo  nella  conservazione  suddetta,  e  riducendolo  in  fa- 
rina, fece  situare  molti  posti  nella  città  por  lo  spaccio  di  essa  :  cosi 
non  solo  dette  la  cautela  di  tener  pronto  tanta  quantità  di  grano 
per  le  occorrenze  che  mancasse  agli  alfiltatori,  ma  dette  un  lucro 
ancora  alla  città  con  la  vendila  della  farina.  Il  danaro  che  si  pei- 
cepiva  dalla  vendita  veniva  siibito  impiegato  all'acquisto  di  al- 
li'o  grano  ,  e  cosi  andando  bene  la  faccenda  si  prosegui  per  mol- 
tissimo tempo  il  progettato  dal  Sanfelice  con  1'  utile  i)ubblico  ,  e 
la  soddisfazione  del  Vice-Re.  Questo  sarebbe  il  punto  da  fare  del- 
le belle  riflessioni  neir  attualità:  ma  ritomo  ai  lavori  del  Sanfeli- 
ce. Nell'amio  1700  essendosi  aperta  la  nuova  chiesa  di  s.  Carlo 
detta  all'  Arena,  ed  abitando  là  vicino  il  Sanfelice  ,  fu  pregato  dai 
padri  di  detta  chiesa  a  volersi  compiactu'e  di  fare  mi  quadro  nella 
cappella  principale  di  s.  Carlo.  Lo  esegui  situando  il  Santo  in 
ginocchioni  in  atto  ài  orare  ,  e  sopra  la  Vergine  col  Bambino 
in  braccio  con  molti  angioletti,  e  vi  pose  -  Sanfelicius  ex  sua  de- 
votione  pinxif.  In  questo  quadro  imitò  egli  lo  siile  del  suo  valente 
maestro  Solimcna. 

* 


—  346  — 

Desiderando  che  i  padri  facessero  in  detta  chiesa  un  altare 
dedicato  a  s.  Gennaro  promise  di  farne  il  quadro  :  ma  come  in 
quell'altare  vi  era  un'immagine  della  Vergine,  benché  di  piccola 
'misura,  pensò  di  situarlo  in  alto,  sostenuto  da  molli  angioletti,  e 
nel  tasso  s.  Geimaro,  s.  Benedetto,  e  s.  Scolastica  di  uno  stile  così 
magnifico  da  non  parere  opera  di  un  principiante  :  ma  di  vecchio 
perito  nell'arte  della  pittura. 

Si  vedono  anche  cinque  quadri  dipinti  di  sua  mano  nella  chie- 
sa di  s.  Maria  delle  Periclitanti  sopra  Pontecorvo;  cioè  il  quadro  del- 
l'altare maggiore  in  cui  vi  è  la  ss.  Vergine  col  Bambino  in  brac- 
ciO;  s.  Giuseppe  e  s.  Teresa  loro  fondatrice  ,  e  quattro  ovati  nel 
medesimo  altare  maggiore  con  quattro  immagini  di  Vergini.  11  qua- 
dro di  s.  Francesco  di  Sales  rappresentante  il  Santo  che  predica  a- 
gli  eretici ,  con  una  quantità  di  figure  ben  situate. 

Nella  cappella  dcnti'o  la  chiesa  della  Visitazione  sopra  la  Ce- 
sarea, monastero  fondato  dalla  B.  M.  di  Antonio  Santelice  vesco- 
vo di  INardò  suo  fratello,  la  macchia  del  quale  la  regalò  al  virtuo- 
so Cardinale  de  Noris  che  li  rispose  con  una  compitissima  let- 
tera tutta  di  suo  pugno  ringraziandolo  ,  conchiudendo  che  avrebbe 
potuto  ringraziarlo  bastantemente  se  fosse  stata  così  erudita  la  sua 
penna,  come  era  il  peimello  del  nostro  nobile  artista. 

Nella  medesima  chiosa  \i  è  l'altare  maggiore  cormnesso  di  fi- 
nissimi marmi  disegnato  da  esso  Sanfelice,  come  anche  il  quadro 
della  ss.  Verijine  assunta  in  Cielo  che  sta  nel  mezzo  della  sofFilia 
del  coro,  due  quadri  nel  corridoio  del  mojiastero  ,  in  uno  Timma- 
gine  del  Salvatore,  e  nell'altro  la  ss.  Vergine.  Fece  la  pianta  di  dello 
monastero  con  comodila  ,  e  magnificenza  lasciandolo  aperto  dalla 
parte  di  mezzogiorno  per  non  far  perdere  la  veduta  del  mare  ,  e 
della  città  di  Napoli,  lasciando  in  qi^el  piano,  il  solo  refettorio. 

Trovandosi  nell'  anno  1701  Eletto  di  Città,  i  padri  cappuccini 
di  Pozzuoli  richiesero  ajuto  per  la  loro  chiesa  che  minacciava 
rovina.  Il  corpo  di  Città  ne  dette  1'  incarico  al  Sanfelice  ,  che  co- 
me perito  avesse  tutto  osservato,  e  fattane  relazione  ,  come  in  effetto 
avendo  adempiuto  all'onorato  incarico,  si  pose  mano  ai  lavori -Duran- 
te i  medesimi ,  nel  trasportarsi  da  un  luogo  all'altro  i  libri  ,  si 
rinvenne  un  antico  manoscritto  indicante  la  fondazione  di  detta  chie- 
sa col  dire  che  la  cura  veniva  affidata  a  Giovan  Paolo  Sanfelice  , 
e  che  la  iscrizione  posta  sulla  porla  della  chiesa  era  slata  dal  me- 


—  347  — 
desimo  detlata.  Questo  Giovan  Paolo  fu  zio  dell'Avo  del  nostro  ar- 
cJiiletto  ,  il  quale  ultimo  rimase  della  scoperta  così  compiaciuto  che 
non  solo  pregò  gli  Eletti  a  far  ridurre  la  chiesa  a  miglior  forma,  ma 
per  sua  divozione  vi  dipinse  tutti  i  quadri  dell'  altare  maggiore  , 
della  cappella  dove  fu  decollato  s.  Gennaro  ,  e  quelli  intorno  alla 
nave  della  chiesa. 

Pare  che  il  glorioso  nostro  protettore  s.  Gennaro  rimunerar  volesse 
il  merito  del  nostro  architetto  col  miracolo  seguente. Si  narra  che  nel 
mentre  il  Sanfelice  stava  eseguendo  i  detti  quadri  venuto  fosse  mi  suo 
colono  ad  avvisarlo, che  per  la  sera  sarebbe  già  arrivatala  lava  bitu- 
minosa dentro  il  suo  territorio.  Stava  in  quel  pmito  1'  artista  di- 
pingendo il  quadro  della  decollazione  di  s.  Gennaro,  che  sta  late- 
rale nella  chiesa  su  indicata  ;  s' inginocchiò  ,  e  promise  al  Santo 
di  fare  una  chiesetta  avanti  la  porta  del  suo  podere  in  suo  ono- 
re ,  se  avesse  liberato  la  sua  villa  da  tale  infortunio.  Nell'ora 
stessa  che  il  Sanfelice  facea  tale  promessa  la  lava  bituminosa  prese 
altra  direzione  liberando  il  suo  territorio.  11  Sanfelice  adempì 
perfettamente  alla  promessa  con  edificare  colà  una  pulita  chiesetla 
in  forma  ottagonale  ,  dipingendovi  i  quadri  che  l' adornano  di  sue 
proprie  mani  come  dalla  seguente  iscrizione  posta  sulla  porta  della 
chiesa  composta  da  IMonsignor  Carlo  Majelli  maestro  di  filosofia 
di  esso  Sanfelice. 


Ferdinandiis  Sanfelicius 
Patritius  Neapolitanus 
:A  Properulo  Opere  ne  Ruris 
Accola  per  Feslos  'dics  Sacris 
Celebrandis  Deslituercntur , 
■     JEdem  liane 
Beato  Januario 
Ad  Everlenf^as  Fesuvianas 
Conflagraliones  Dicalam, 
In  avito  praedio  ab  sa 
Dclinealam  cxstruxit. 
Ac  piclitris  manu  sua 
'  Elaboralìs  ornavit , 


—  348  — 

Jgaiha  Ilavascheria  ex 

ComUibus  Lavaniae,  ejus  Conjux 

Viri  sui  virliiicm  emulata 

Sacro  Feslis  Diebus  facicndo 

Pcrpetuam  Dotem  addixisit 

Antonius  Sanfclicius  Episcopus 

Neritonensis,  ut  Fraternae  Pietati 

Obsecundaret  Primum  Edifìcii 

Lapiderà  jecit,  eie. 

IF  Kalendas  niccmbris  MDCCXFI 

Solcmni  iuta  Bencdixit. 

Evvi  in  d(>tto  territorio  im  comodo  palazzo  di  molte  stanze,  ed 

in  queste  sonvi  quadri  dipiali  dal  nostro  Ferdinando,  come  ancora 

la  piramide  con  la  statua   di  s.  Gennaro  avanti   la  chiesa   in  Ot- 

taiano  è  disegno  del  Sanfelice. 

Nella  ttìrra  di  Roccapicmonto  vicino  la  città  di  Noccra  vi  è  una 
chiesa  edificala  da  Giovan  Ballista  Ravaschiero  luogotenente  della 
Regia  Camera  disegnata  dal  Sanfelice,  che  fu  esecutore  testamen- 
tario di  esso  Ravaschiero  ,  come  ancora  è  suo  disegno  il  palazzo 
baronale  in  s.  Giorgio. 

Come  il  Sanfelice  dallapitlura  ad  un  trailo  passasse  all'architettura, 
conviene  sapere  che  nell'  anno  1700  trovandosi  egli  uno  degli  Elet- 
ti, avvenne  la  morte  di  Carlo  II  Re  di  Spagna,  e  dovendosi  dal  cor- 
po di  città  celebrare  i  funerali,  fu  dalo  al  Sanfelice  F  incarico  di 
fare  il  disogno  del  lumolo  dentro  il  Tesoro.  Eseguì  egli  il  disegno, 
e  fu  tanto  gradilo  che  si  dette  alle  slampe.  Questo  funerale  si  bene 
ordinalo  fece  si  che  lutti  gli  dessero  incarichi  per  cose  architettoni- 
che ;  e  siccome  egli  possedeva  bene  l'arte  del  disogno  come  allievo  del 
celebre  Solimena  e  conoacoa  le  matematiche  come  allievo  di  Anlo- 
tiio  Monforle,  al  che  accoppiav^a  un  gonio  tutto  particolare,  con  que- 
sti dati  si  die  a  lavorare  nell'arie  direllrice;  e  se  invece  di  servir 
particolari  citt<idim,  avesse  il  nostro  Sanfelice  servito  un  Re,  o  un 
Papa,  non  sarebbe  rimasto  secondo  ai  sinora  accennali  costruttori, 
<  he  grandi  monumenti  ci  lasciarono  ,  pai'ti  dell'  ingegno  loro  e 
della  magnificenza  dei  Principi. 

Questo  distinto  Cavaliere  e  rinomalo  artista  napolitano  nwincò 
ai  vivi   nell'anno   1750. 


DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE 
Chiesa  flcUa  iVunziatella 

Nessun  monumento  in  Napoli  é  stato  da  me  si  frequentemen- 
te visitato  quanto  questo  bene  inteso  piccolo  tempio,  opera  distinta 
del  cav.  Ferdinando  Sanfelice:  imperocché  avendo  io  ricevuta  la  mia 
educazione  nel  Reale  Istituto  Politecnico  militare,  ò  per  cinque  an- 
ni udito  ogni  mattino  ivi  la  s.  Messa. 

Quivi  era  il  noviziato  dei  Gesuiti  ,  edificato  in  grazia  loro  da 
una  dama  nel  1588.  La  chiesa  fu  interamente  rifatta  dal  nostro 
Ferdinando  Sanfelice  nel!'  anno  1730  ,  e  vagamente  ornata  di  mar- 
mi, stucchi  dorati,  e  pitture  dei  migliori  artisti  di  quel  tempo.  Il 
bello  affresco  della  volta  è  di  Francesco  De  IMura. 

S.  M.  al  l>orgo  de'  Vergini. 

Tutti  i  nostri  scrittori  portano  che  questa  chiesa  fu  opera  del 
nostro  cav.  Sanfelice.  11  chiarissimo  Abate  Luigi  Galanti  ci  fa  co- 
noscere che  fu  poi  interamente  modernata  con  disegno  del  celebre 
Luigi  Vanvitelli  dopo  la  sua  morte  cioè  nel  1788;  e  però  ci  riser- 
biamo fame  la  descrizione  al  proprio  luogo. 

Ometter  però  non  vogliamo  qui  1'  etimologia  di  tal  nome,  dei 
FergÌ7ìi  ,  massime  che  in  detta  sloi'ia  va  dovuta  lode  giustissima 
al  nostro  dotto  Marlorclli. 

Bisogna  adunque  sapere  che  ia  larga  strada  che  passa  avanti  a 
questa  chiesa  è  stata  molto,  ed  oggi  ancora  in  parte  e  soggetta  alle 
grandi  alluvioni  delle  acque  che  calano  dalle  colline  superiori.  Il 
nome  di  Vergini  dato  alla  contrada  fu  da  ]\Iartorelli  credulo  de- 
rivare dagli  Eunoslidi,  ima  delle  antiche  fratrie  di  Napoli,  i  quali 
adoravano  Euno^lo,  dio  della  modestia  e  della  temperanza,  e  vivea- 
no  lontani  dalle  donne.  Questa  idea  del  Martorelli  fu  accolla  dal 
piibblico  come  una  delle  sue  ordinarie  bizzarrie.  ì\a.  verso  il  1787 
;*i'avandosi  in  iin  sotterraneo  presso  la  parrocchia  de'  Vergini  fu  tro- 
vato un  antichissimo  sepolcro  apparlenente  agli  Eunoslidi  ,  i  quali 
([ui  aveano  il  loro  sepolcreto.  Martorelli  era  morlo",  e  restò  privo' 
della  maggiore  soddisfazione  cui  u;i  erudito  potesse  aspirare. 


—  350  — 
Qui  pure  ci  corre  il  debito  di  far  menzione  della  nuova  stra- 
da costruita  da  pochi  anni  in  detto  quartiere  della  Vicaria.  Del- 
la estensione  di  un  miglio  e  mezzo  e  palmi  270  incominciando  nel 
quadrivio  di  Otlocalli  incontro  a  quella  che  per  la  Valle  dei  Ponti 
Rossi  mena  a  Capodimonle;  passa  sotto  l'altra  del  Campo  mediante 
un  ponte;  continua  lungo  l'antico  alveo  delle  acque  piovane  ,  alle 
quali  un  nuovo  e  più  slabile  se  n'  è  aperto  raffermato  da  sostegni 
di  fabbrica  di  tratto  in  tratto  costrutti  ;  giunge  alla  strada  di  Pu- 
glia radendo  il  largo  Casanova,  dove,  abbassato  il  ponte ,  si  é  for- 
mata una  piazza  circolare  ;  e  seguendo  sempre  1'  andamento  del- 
l' alveo  suddetto  passa  accosto  il  quartiere  di  Cavalleria  al  ponte 
della  Maddalena,  e  si  congiunge  con  la  strada  di  Portici. 

Ritornando  alla  chiesa  de'  Vcrgini,dico  che  tutti  la  reputano  opera 
di  Ferdinando  Sanfelice,  ciò  che  non  è;  imperocché  il  detto  Sanfelice  ne 
fece  il  progetto  che  era  un  capriccioso  disegno,  essendo  la  pianta  una 
stella,  onde  sviluppare  sempre  il  suo  ingegno  in  bizzarre,  ma  non 
architettoniche  invenzioni . 

Questo  progetto  non  fu  messo  in  esecuzione,  e  la  chiesa  fu  e- 
dificala  con  disegno  dall'archiletlo  Luca  Vecchione.  Nell'altare  mag- 
giore vi  è  un  bel  quadro  rappresenlanle  il  battesimo  di  s.  Aspre- 
110,  opera  di  Domenico  ]\Iondo.ll  quadro  del  cappellone  della  cro- 
ciera in  cornu  Evangelii  rappresentante  s.  Camillo  è  un  qiiadro  an- 
tico ristorato  dal  nostro  Paolo  di  Majo.  L'  altro  del  cappellone  in 
eornu  Epistolae  con  la  morte  di  s.  Giuseppe,  l'altro  di  s.  Lucia,  e 
quei  di  s.  Carlo  e  s.  Filippo  sono  dello  slesso  Mondo. 

Per  le  altre  opere  di  questo  vivace  ,  solerte  e  nobile  artista 
Napolitano,  Ferdinando  Sanfelice  ,  parmi  bastante  averle  solo  accen- 
nale nella  sua  vita  ;  imperocché  e  sufficiefite  quella  semplice  indi- 
cazione  per  far  ravvisare  la  decadenza  dell'  arte  nel  goffo  e  caricato. 

X)el  Sanfelice  è  poi  la  chiesetta  appartenente  al  Conservatorio 
di  donne  sotto  il  titolo  di  S.  Maria  succurre  miseris,  in  cui  an- 
licjamenle  vi  era  una  chiesa  dedicala  a  S.  Antonio. 

,  Venne  questo  luogo  fondalo  dalla  Principessa  di  Stigliano,  dalia 
Marchesa  di  Bracigliano  ,  da  Maria  Caracciolo  e  Dorotea  del  Tufo. 
Queste  devote  dame  vedendo  che  molle  giovani  lasciar  voleano  le 
inondane  laidezze,  nelle  quali  innnerse  giacevano,  fallo  mi  cmuulo 
di  numerario  da  elemosine,  comprarono  nell'anno  1613  per  duca- 
li 7000    questa  casa  dalla  famiglia  Marzano,  e  qui  noiraimo  IGIG 


—   3o!    — 

le  rinchiusero.  Viveano  regolarmenle  veslondo  Tal)! lo  di  s.  France- 
sco, ed  erano  governale  da  laici.  La  capricciosa  chicsella  fu  fabbri- 
cala a  spese  del  reverendo  Vincenzo  Jlagnali  correttore  della  s.  C-a- 
sa  d'  Incurabili  ,  col  disegno  e  la  direziono  del  cav.  Sanfelice. 

Posloriormcnle  questo  luogo  à  mutato  stabilimento ,  poiché  \  i 
si  racchiudono  oneste  e  civili  persone,  e  donne  che  sono  in  discor- 
dia coi  loro  marili. 

Delle  altre  opero  dal  Sanfelice  eseguite,  parmi  bastante  averne 
toccalo  nella  sua  vita  ;  ed  una  più  minuta  descrizione  di  esse  niente 
aggiungerebbe  o  toglierebbe  al  mio  divisamento.  Avendo  fatto  mot- 
to delle  opere  del  Fanzaca,  e  dei  due  Vaccaro,  e  di  quei  che  prima 
di  loro  caddero  nel  ridicolo  in  architettura ,  superfluo  sarebbe  il  de- 
scrivere ogni  altro  monumento  barocco. 

Termino  il  discorso  di  questo  distinto  artista  e  nobile  napoli- 
tano con  le  poche  parole  che  ne  dice  il  Milizia  : 

Ferdinando  Sanfelice  nato  in  Napoli  nell'anno  1675  nobile  del 
seggio  di  Montagna,  e  discendente  dal  Rcal  sangue  di  Normandia, 
ebbe  inclinazione  grande  per  la  pittura  ,  e  dopo  aver  pinticchiato 
alcune  cose  da  per  se ,  entrò  nella  scuola  del  celebre  Solimena  ,  e 
fece  molti  quadri.  Mentre  egli  era  uno  dogli  Eletti  della  città,  ac- 
caduta la  morte  di  Carlo  li  Re  di  Spagna,  fu  data  a  lui  la  cura  del 
catafalco  da  farsi  entro  la  cappella  del  Tesoro.  Con  questa  occasio- 
ne Sanfelice  si  applicò  all'architettura,  e  fece  boi  disegni  e  per  quei 
funerali,  e  por  le  giulive  decorazioni  alla  venuta  di  Filippo  V.  E- 
gli  si  è  reso  famoso  per  la  gran  quantità  di  scale  di  bizzarra  in- 
venzione fatte  a  diversi  palazzi  di  Napoli.  Diede  il  disegno  della 
e  illesa  dei  Gesuiti,  della  Nunziatella,  sopra  Pizzo-Falcone,  e  di  quella 
di  s.  Maria  al  Borgo  dei  A'^ergini.  Riattò  la  cupola  della  chiesa  delle 
iiionache  di  Donna  Albina  ,  dipinta  dal  Solimena  ,  con  farvi  certi 
]pilastri  al  di  fuori,  e  con  levar  via  la  lanterna.  Rifoce  il  monisle- 
vo  di  Regina  Coeli,  rimcdernò  la  facciala  della  chiesa  ,  e  vi  rifab- 
bricò mezzo  campanile  dalle  fondamenta  fino  alla  metà  lasciando 
intatta  la  parte  superiore,  che  era  buona  fabbrica.  La  scalinata  a- 
\anli  la  chiesa  di  s.  Giovanni  a  carbonara,  e  il  deposilo  del  riiio- 
iualo  Gaetano  Argento  cniro  la  stessa  chiesa  e  di  sua  architettura, 
come  anche  la  libreria  dello  stesso  convento  a  forma  di  stella  so- 
pra un  bastione  della  cil'.à.  Edificò  sopra  Pizzo-Falcone  il  palazzo 
Serra  con  una  scala  stimata  la  più  magnifica  di  Napoli.    Ingrandì 

Sasso  —  Voi.  1.  Yò 


—  3o2  — 
il  palazzo  Monteleonc,  e  prelese  adornarvi  il  portone  d'una  maniera 
la  più  capricciosa.  Un  mascherone  forma  il  capitello  alle  colon- 
ne ,  le  sue  orecchie  di  satiro  rappresentano  le  evolute,  i  suoi  crini 
le  rosette  ,  la  sua  barha  le  frondi.  Fabbricò  per  la  sua  famiglia 
ire  palazzi  ;  uno  al  borgo  dei  Vergini  ,  un  altro  fuori  la  porla  di 
Costantinopoli,  ed  mi  altro  vicino  al  Seggio  di  Montagna,  ed  eresse 
la  facciata  della  chiesa  di  s.  Lorenzo. 

Alla  venuta  del  Re  Carlo  Borbone  pel  suo  sponsalizio  fu  il 
Sanfelice  direttore  delle  straordinarie  feste.  Egli  fu  il  primo  a  dare 
un  vago  disegno  della  nobile  Fiera  che  si  facea  l'estate  per  diver- 
timento avanti  il  palazzo  Reale  ,  ed  indi  a  Ghiaia.  Dette  altresì  il 
disegno  del  serraglio  delle  fiere  che  si  coslrusse  al  ponte  della  Mad- 
dalena, ed  in  gran  numero  sono  i  suoi  disegni,  tanto  per  la  capi- 
talo, che  pe'  diversi  paesi  del  Regno. 


NOTIZIE  DEGLI  ARCHITETTI 

Francesco  PìcchliUli ,  Gennaro  Sacco,  Arcangelo  Guglielmelli , 

e  Dionisio  Lazzari 


Solo  perchè  da  vari  scrillori  de'  nostri  palrii  vanti  artistici  \  ie- 
ne onorala  la  memoria  di  altri  architetti ,  compio  pure  io  il  do- 
vere di  qui  menzionarli ,  e  cosi  pongo  termine  al  caduto  secolo 
XVII  ,  e ,  nel  contempo  ,  al  harocco.  Quindi  entreremo  a  parlare 
di  un'era  novella  por  l' architettura  che  per  la  terza  volta  qui  ri- 
sorse e  solo  per  opera  dell'augusto  Carlo  III  Borhonc  che  in  que- 
sta terra  costruir  facea  monumenti  tali ,  cui  uè  I'  età  presente  nò 
l'antichità  vantar  possono  più  grandiosi. 

Francesco  Picchialti  fu  di  patria  Ferrarese,  ma  dimorando  lun- 
gamente con  la  sua  famiglia  in  Napoli  qui  fini  i  suoi  giorni.  Fu 
mollo  stimato  ed  adopralo  m  svariali  lavori  dal  Marchese  del  Car- 
pio D.  Gaspare  de  Ilaro  vice-Re  del  Regno,  che  per  suo  conto  viag- 
giar Io  fece  per  tutta  Italia  facendo  acqxiislo  di  antiche  medaglie,  sta- 
tuette, disegni,  ed  ehhe  egli  ancora  maraviglioso  studio  di  antichi- 
tà, huoni  libri ,  e  l'inomati  disegni  che  rimasero  presso  di  lui  dopo 
la  morie  del  vice-Re. 

Come  architetto  ebbe  l'onore  di  servire  molti  vice-Re  ,  ed  era 
giunla  a  tal  grado  la  sua  opinione  che  giovavansi  di  lui  come  con- 
sulente. 

Fece  la  chiesa  e  il  monistero  di  s.  Giovanni  dello  monache  fuo- 
ri porta  Alba.  La  chiesa  di  s.  Agostino  presso  la  Regia  Zecca  fu 
da  lui  l'iediflcata.  Fece  la  chiesa  del  Divino  Amore.  La  chiesa  e 
il  monistero  dei  Jliracoli.  La  chiesa  di  s.  Girolamo  delle  monache  fu 
modemata  ed  abbellita  con  suo  disegno.  iMori  nell'anno  1690. 

Gennaro  Sacco  fu  ancor  egli  annoverato  fra  gli  architetti  e  va- 
rie fabbriche  con  suoi  disegni  ed  assistenza  condusse  a  termine.  L'o- 
pera più  importante  ch'egli  fece  fu  il  modemiare  la  chiesa  di  Mon- 
lolivelo ,  e  ciò  con  soddisfazione  di  quei  Padri  nell'amio  1680. 

Arcangelo  Guglielmclli  non  solo  volle  fare  da  architetto  ,  ma 
ancora    da    scultore  ,    e    da    pittore.    Tanto    praticò   nella   chiesa 


—  3b4  — 

di  s.  Reslilula  ove  nel  principale  aliare  fece  un  gran  panno  con 
diversi  angioli  di  stucco  che  coprivano  V  immagine  del  Salvatore  , 
e  vi  dipinse  il  coro.  Fece  la  chiesa  e  monislero  del  Rosario  fuo- 
ri porla  s.  Geimaro  detto  volgarmente  il  Rosariello  delle  Pigne,  e 
la  chiesa  del  Gesù  delle  monache.  Quello  che  non  posso  perdonare 
a  questo  artista  è  1'  aver  messo  quei  ridicoli  cartocci  alle  gambe  di 
mostra  della  poita  piccola  di  S.  Angelo  a  Nilo,  opera  questa  certa- 
mente nel  risorgimento  delle  arti  di  qualche  alunno  del  2°  Masuc. 
(io  — Vorrebbero  quei  cartocci  esser  demolili,  e  cosi  mostrarsi  hello 
(ome  nascea  l'architettonico  niomunenlo. 

Dionisio  Lazzari  fu  discepolo  di  Dionisio  di  Bartolomeo.  Fiorì 
circa  il  1620.  Vuoisi  sua  essere  la  facciata  dei  Gerolomini  la  quale 
non  potette  esser  diretta  dal  di  Bartolomeo  per  la  sua  morte.  Io  che 
ò  avuto  il  bene  di  ottenere  molti  disegni  di  j\Iario  Gioffrcdo  trovo  tra 
questi  la  delta  facciata  ,  salvo  poche  differenze.  Non  so  capire  come 
Aada  lai  cosa.  Fece  la  fabbrica  del  collegio  dei  Gesuiti  al  Gesù  Vec- 
chio ,  la  quale  rimase  impcrfetla  e  fu  compiuta  dal  cavalier  Co- 
simo Fanzaca  ,  che  vi  eseguì  una  bella  scala.  Rifece  la  chiesa  di 
s.  Giovanni  Maggiore,  ove  di  pianta  fabbricò  la  tribuna,  ed  i  due 
(■app(^lloni  della  croce. 

Di  molti  allri  nomi  vengono  piene  le  altrui  pagine,  comedi  un 
\starita  ,  di  un  Atlendolo  ,  di  un  Caccavello  ,  di  mi  Cafaro,  di  iiu 
Greco  .  di  un  Laiiguidora  e  di  allri  molti  sol  perchè  furono  archilei- 
li  nominati  :  ma  io  che  scrivo  la  storia  de"  51onumenti  ,  e  neppur 
uno  ne  trovo  de' medesimi,  me  ne  passo  sul  conto  loro  senza  parlarne. 


POCHE  PAROLE 

Bl    PKEFAZIONE    ALLE    OPERE    IMMORTALI    E    DURATURE    DOVUTE 
ALLA    MAGNIFICENZA    DELl'aUGUSTO    SOVRANO 

CARLO  ili  BOFiBOI^E 


Dando  uno  sguardo  o  lettore  al  mio  quadro  sinottico  ed  allallan- 
Ic  di  (fucsia  mia  storia,  a  colpo  d'occhio  ravvisi  che  maestosi  mo- 
numenti sorgcano  sotto  la  dinastia  Normanna,  mulliplici  e  famosi  nel 
regno  della  stirpa  Angioina, declinarono  sotto  l'Aragonese,  e  per  du- 
genlodiciotlo  anni  di  governo  Viccregnale  altri  monumenti  non  surse- 
vo  in  questa  nostra  Napoli  degni  di  ammirazione  per  ordinativo  del 
sonmio  Imperante,  che  il'  Real  Palazzo  di  Napoli  ,  e  i  Regi  Sludi, 
e  per  particolari  commissioni  i  Gerolomini,  c'I  Gesù  Nuovo,  men- 
tre a  folla  avevamo  in  dett' epoca  noi  Napolitani, artisti  distinti,  sen- 
do  appunto  quesla  l'epoca  del  risorgimento  delle  arti  in  Italia  ,  e 
n(!  fan  fede  i  monumenti  tra  noi  esislenli  in  numero  certamente 
)naggiore  di  qualunque  altro  italiano  paese. 

Al  declinar  delle  arli  poi  avemmo  pure  artisti  di  genio,  che  o 
per  mancanza  di  ordinativi,  o  perchè,  (ripeto) ,  V  arie  stessa  per  fa- 
lalilà  cadea  nel  harocco  e  nel  horrominesco  ,  addiceano  questi  i  lo- 
ro talenti,  e  '1  genio  loro  a  completare,  decorare,  raffazzonare,  ca- 
licare,  e'I  più  delle  volte  guastare  e  deturpare  il  già  fatto  dai  tra- 
f)assati  architetti. 

A  scale,  a  statue,  ad  altari  a  facciate  di  Tempii  ;  a  svariate 
bellissime  sculture  ,  a  rinomale  piltui-e  applicavansi  gli  ingegnosi 
artefici  Napolitani  ;  ciò  avveniva  in  mi  paese  retto  a  nome  di  lon- 
tano Signore. 

Eccomi  finalmente  a  narrare  di  mi'  epoca  in  cui  Napoli  signo- 
reggia, e  rivalizza  in  architellura  con  i  più  inciviliti  paesi  di  Eu- 


—  3o6  — 
ropa  per  monumenli  tali,  cui  ne  l'eia  presente,  né  T antichità  an- 
noverar ne  possono  da  stargli  al  confronto.  Vero,  verissimo  è  1'  in- 
concusso teorema  che  tutto  ciò  che  s'innalza  deve  cadere:  è  la  for- 
za di  gravila  nei  corpi:  Newton  ne  à  assegnale  le  leggi,  non  à  sa- 
pulo indagarne  la  natura.  Lo  stesso,  dalla  Storia  apprendiamo,  per 
Je  opere  fruttate  dall'  ingegno  dell'  uomo. 

Sono  molle  le  cu'coslanze  concorrenti  a  darci  felici  parli  dello 
umano  ingegno.  Non  tulle  le  età  sono  egualmente  feconde  d'  uo- 
mini sommi.  Alessandro  ,  Cesare,  Carlo  V,  Federigo  II ,  Napoleone 
anno  intervalli  positivi  nel  decorrimento  del  tempo.  Da  Fidia  a  Ca- 
nova, da  Apelle  a  V  Urhinate,  da  Vilruvio  a  Michelangelo  ,  quali 
inlervalli  !!! 

Io  scrivo  la  sloria  degli  arcliilclti  Napolitani,  e  dico  ,  che  Ira 
le  circostanze  concorrenti  allo  sviluppo  di  mi  bello  ingegno,  se  per 
la  pittura  e  la  scultura  ;  una  hricciola  di  marmo  ,  un  palmo  qua- 
dro di  tela,  possono  darli  un  Fidia  un  Canova  ,  o  pure  un  Apelle 
un  Raffaello:  senza  un  magnanimo  Principe  resteranno  sempre  nel- 
r  ebbio  i  Vilruvii  i  Michelangeli. 

Mi  si  risponde  -  un  lapis,  lui  compasso  ,  ed  un  foglio  di  carta 
e  puoi  tu  pure  Archilello  lasciare  senza  la  prolezione  del  Princi])e 
ai  posteri  l'opera  tua  -  E  vero  !  ma  dietro  al  mio  bene  acquarella- 
to disegno  ,  vi  ò  già  messo  quel  dislieo  che  l'Astigiano  ponea  die- 
tro al  suo  ritratto 


Allri  cento  anni,  oltre  il  mio  fral,  poi  fìa, 
Cli'  anco  tu  riedi  al  nulla,  opera  mia. 


Che  sia  cosi  Io  vedi  (ripeto)  nel  mio  quadro  sinottico  e  nel  mio 
aliante.  Ai  Principi  si  deve  quanlo  di  magnifico  sorge  nell'arie  di- 
lellrice  di  tutte  le  arti  nell'Archilellura.  Come  tulio  cangiò  d'  a- 
spelto  tra  noi  in  quest'arte  maestra  nell'epoca  che  venne  a  reggere 
i  nostri  deslini  l'Augusta  ed  immortale  dinastia  Borbone. 

Quanta  gratitudine  dobbiamo  a  questi  ollimi  Principi  che  fa- 
lean  sorgere  monumenli  duraturi  prodotti  del  beli'  ingegno  di  Ar- 
chilelli  quasi  tulli  Napolitani.  Vivranno  per  secoli  i  Vanvitelli  -  i 
Fuga  -  i  Medrano  -  i  Carasale  -  i  Gioffredo  -  i  Benucci  -  i  Maresca  -  i  Se- 
guro  -  i  Cannavari  -  i  Bompiedi  -  i  Leonli  ed  altri  molti ,  ciascuno  al 
posto  cui  natura  gli  assegnava. 


—  3oT  — 

Io  mi  sono  un  meschino  narratore ,  ed  alla  meglio  che  posso 
darò  lo  vite  e  la  descrizione  delle  opere  di  si  distinti  artisti. 

Darò  fine  al  mio  primo  volume  con  le  opere  surte  magnifiche 
e  durature  d'  ordine  del  magnanimo  Sovrano  Carlo  III  Borbone  e 
terminate  sotto  l' impero  del  figlio  l'Augusto  Ferdinando  1  ,  e  cosi 
giungo  con  la  mia  scritta  al  cadere  del  secolo  XVUl  come  promi- 
si nella  prefazione  e  col  già  pubblicato  mio  quadro  sinottico  :  ri- 
serbandomi  al  2°  volume  descrivere  le  opere  surte  d' ordine  dell'  Au- 
gusto Francesco  I  e  le  multiplici  ordinate  dall'  attuale  nostro  Sovrano 
Ferdinando  II. 

Venuto  adunque  a  regnare  in  queste  nostre  regioni  il  non  mai 
abbastanza  lodato  l'Augusto  Carlo  111  Borbone  nell'  anno  1734.  ;  ri- 
solveva nel  1736  edificare  di  pianta  un  magnifico  Teatro  da  supe- 
rare quanti  mai  sin'  allora  se  n'  erano  in  Europa  costrutti.  Pensar- 
lo, darne  lo  incarico  al  Brigadiere  Medrano,  fattone  da  qiiesti  il  pro- 
getto fu  l'opera  di  un  atomo  di  tempo. 

Approvatone  dal  Re  i  disegni,  dandone  l'esecuzione  ad  Angelo 
Carasale,  e  vederlo  compiuto  fu  l'opera  poi  di  270  giorni.  Ciò  av- 
veniva nell'anno  1737.  Prese  il  suo  nome  da  quello  del  Sovrano, 
e  surlo  di  accosto  la  sua  Reggia  al  dorso  di  Palazzo  vecchio.  Fu 
aperto  con  solenne  spettacolo  e  grande  illuminazione  la  sera  del  di 
4.  novembre  1737,  giorno  in  cui  festeggiasi  S.  Carlo. 

Nel  1736  ancora  costruir  facca  il  Real  Palazzo  di  Portici  con 
disegno  e  direzione  dell' architetto  Cannavari. 

Nell'anno  1738  edificar  facea  il  prelodalo  Sovrano  con  dise- 
gno e  direzione  del  sudelto  Brigadiere  Medrano  il  Real  Palazzo  a 
Cxipodimonte. 

Neil'  anno  stesso  ordinava  V  immortale  Carlo  111  lo  scovrimen- 
lo  di  Ercolano. 

Nel  174.8  ordinava  ,  e  veniva  eseguilo  il  dissotterramento  di 
Pompei. 

Nel  1751.  Erger  facea  il  Reclusorio,  e  nell'epoca  istessa  l'Ec- 
cellentissimo corpo  della  città  di  Napoli  in  onore  di  sì  clemente  e 
Pio  Monarca  costruir  facea  il  Foro  Carolino  a  progetto  e  direzione 
dell'architetto  Luigi  Vanvitelli. 

Nel  1752.  Sorgeano  per  ordine  ed  idea  del  magnanimo  Prin- 
ci]>e  il  Real  Palazzo  di  Caserta,  ed  i  famosissimi  Ponti  della  Valle, 
ed  in  Napoli  la  bella  Chiesa  dell'Annunziata  veniva  quasi  ricostrui- 
ta magnificamente  con  la  spesa  di  docali  300,000. 


—  3b8  — 

Nel  1753.  Ordinava  un  quartiere  di  Cavalleria  al  ponte  della 
Maddalena,  e  tuttociò  con  progetto  e  direzione  dell' Architetto  Lm- 
gi  Vanvitclli. 

Dallo  stesso  Architetto  che  costrutto  avca  il  Reclusorio  veniva 
posteriormente  edificato  il  gran  locale  dei  Granili  dir  voglto  dal- 
l'architetto cav.  Ferdinando  Fuga. 

Nel  1759  lasciava  Re  Carlo  questo  Regno  al  suo  terzo-geni  lo 
Ferdinando. 

TEATRI  IN  NAPOLI 

Per  quante  ricerche  avessi  io  fatte  per  avere  delle  notizie  sul  Mf- 
drano,  Carasalo,  Seguro,  Scarola,  Lionti  ed  altri  simili  architetti  ,  mi 
è  riescilo  impossibile  di  procurarmene  ;  quindi  darò  delle  notizie  sul- 
le forme  e  dijiiensioni  dei  nostri  Teatri ,  indicando  benanche  l'epoca 
della  loro  costruzione  ,  appartandomi  per  poco  dal  mio  divisamente» 
in  cronologia  ;  cioè  di  esporre  i  monumenti  secondo  1'  epoca  effettiva 
della  loro  costruzione  appo  la  vita  dell'artista  che  il  monumento  istesso 
progettava  e  dirigeva. 

Comincio  dal  magnifico  Rcal  Teatro  S.  Carlo  ;  ma  prima  esporrò 
poche  idee  sul  Teatro  del  nostro  dotto  nazionale  scrittore  ,  del  virliio- 
si.ssimo  mio  maestro  1'  abate  Luigi  Galanti. 

Dice  aduque  il  sullodato  Galanti,  che:  «  Il  Teatro  non  é  che  la  di- 
pintura vivente  delle  umane  azioni.  Se  n'  è  fatta  im  arte  che  diletta 
nello  stesso  tempo  e  gli  occhi,  e  1'  udito,  e  lo  spirito,  ed  il  cuore;  arie 
divenuta  necessaria  alla  società,  della  quale  ne  dimostra  il  grado  di 
j)erfezionamcnto.  Lo  spettacolo  che  il  Teatro  presenta  riunisce  quasi 
tutte  le  arti  figlie  del  genio,  e  del  talento  dell'  uomo.  Poesia,  eloquen- 
za, declamazione  ,  musica  ,  arte  del  disegno,  macchine  ,  decorazioni, 
mimica,  illuminazione  imilanle  la  natura  et  cetera.  In  questa  carriera 
r  ingegno  dell'  nomo  in  più  guise  si  svilui)pa,  e  vieppiù  si  nobilita 
<juanto  vi  è  di  grande  sulla  terra:  Y  amore  - 1'  onore  -  la  gloria  -  la  pa- 
tria -  la  religione. 

u  II  Teatro  adimque  non  dovrebbe  essere  che  una  scuola  di  virtù , 
«li  costumi,  di  pulitezza  di  maniere,  di  gusto  ,  e  di  lingua  :  ma  non  è 
nel  generale  che  un  pubblico  divertimento  da  divagare  la  noja  dei  vec- 
ihi  fanciulli  !  Per  ricondurlo  alla  sua  nobile  destinazione  vi  vorrebbe- 
ro altre  forme,  ed  altri  costumi.  Gli  attori  principalmente  dovrebbero 
essere  onorali,  e  meritare  di  esserlo.  L'  elogio  della  virtù  in  bocca  di 


—  3;ìo  — 

una  Frine,  sombra  piul  tosto  una  satira.  Il  Teatro  costerebbe  anche  me- 
no non  essendosi  piìi  in  obbligo  di  compensare  con  grandi  emolu- 
menti il  talento  discreditato. 

Nel  15"  secolo  comparvero  i  primi  saggi  del  Teatro  Italiano  in 
Napoli  ,  e  si  videro  alcime  farse  nel  genere  ridicolo.  Nei  due  secoli 
seguenti  però  furono  scritte  tragedie  ,  e  commedie  che  oggi  non 
più  si  leggono  quantunque  fossero  parti  di  uomini  sommi ,  e  non 
mancassero  di  bellezza,  tali  si  possono  dire  il  Torrismondo  e  gli  In- 
trighi d' Amore  ài  Torquato  Tasso;  la  Penelope,  VI  lisse,  e  14.  com- 
medie del  Porta  ;  il  Candelaio  di  Giordano  Bruno ,  e  tante  altre. 

Tasso  con  V Aminta  perfezionò  un  nuovo  genere  di  poesia  tea- 
trale. 

Pel  Teatro  Istrionico  erano  in  voga  le  Farse  Cavajole  nelle 
quali  si  prendevano  di  mira  gli  abitanti  della  Cava  ,  che  per  es- 
sere commercianti  aveano  fama  di  usurai  e  di  mala  fede,  come  i 
Fiorentini  ,  i  Lombardi  ed  i  Giudei  per  simil  motivo  1'  avean  per 
tutta  Europa.  ÌVIolti  uomini  illustri  dei  tempi  di  cui  io  scrivo  furo- 
no grandi  attori  sulla  scena  comica,  come  il  Porta,  il  Bernini,  e  so- 
pra tutti  Salvator  Rosa.  Professarono  si  bell'arte  JMichelangelo  Fra- 
canzano  e  Tiberio  Fiorillo  nolo  sotto  il  nome  di  Scaramuccia  ,  i 
([uali  si  accasarono  in  Francia. 

Il  Teatro  musicale  eh'  e  il  più  gustato  in  Europa,  e  il  più  bene 
inteso  in  Italia  ebbe  principio  in  Napoli  nel  il"  secolo;  ma  nel  18' 
fu  portato  alla  perfezione  tanto  per  la  poesia  ,  che  per  la  musica 
e  gli  attori.  Metastasio  ,  il  principe  dei  poeti  drammatici  ,  ammi- 
labile  per  1'  armonia  del  verso  ,  e  per  1'  espressione  del  sentimen- 
to, fu  esaurito  dai  musici  Italiani  e  Tedeschi.  La  sua  lingua  è  l'e- 
spressione di  tutti  i  sentimenti,  l'anima  di  tutti  i  cuori. 

Luigi  Serio  e  qualche  altro  anno  pur  composto  drammi  che  mal 
reggono  al  confronto  di  quelli  del  Rletastasio. 

Un  poco  meglio  si  sostengono  quelli  dell'altro  nostro  concitta- 
dino Saverio  Mattei. 

Nella  penuria  di  nuovi  buoni  drammi  si  è  passato  a  non  cu- 
rare la  poesia,  il  che  si  può  riguardare  come  la  cagion  principa- 
le della  decadenza  della  musica.  Questa  non  è  più  imitativa,  ed  à 
sviato  dal  suo  oggetto  ,  che  è  di  rendere  m  un  modo  più  forte  , 
più  vivo  ,  più  caldo  i  concetti  e  gli  affetti  espressi  dalla  poesia.  Lo 
spettacolo  dell'  opera  in  musica  coi  suoi  balli,  con  le  sue  magnifì- 

Sasso  —  Voi.  I.  40 


—  360  — 
che  decorazioni  ,  coi  suoi  più  dislinli  cantanti  sorprende  od  incan- 
ta :  ma  non  soddisfa  ,  né  lascia  nessuna  impressione,  perchè  la  na- 
tura vi  e  quasi  sempre  sacrificala.  Essendo  divenuta  nulla  Tuzione 
e  la  musica  (ulto,  si  giunge  oggi  a  formar  lo  spettacolo  di  un  cen- 
tone di  diverse  composizioni  che  non  anno  verun  rapporto  fra  lo- 
ro. A  questi  mostri  d'azioni  si  assiste,  e  dormendo  si  applaude!!! 
Si  spiega  quindi  facilmente  perchè  presso  di  noi  poco  incontrano 
quei  clie  valgono  piìi  di  tutto  nella  declamazione.  Si  è  avvezzo  in 
Teatro  a  non  curare  quel  che  si  dice.  Ben  avvertiva  admique  l'astigia- 
no poeta  ,  il  principe  dei  tragici  Italiani ,  che  per  esservi  Teatro  in 
Italia  vi  vorrcLbero  prima  autori  ,  poi  attori ,  indi  spettatori. 

Nel  Teatro  comico  musicale  la  poesia  è  mista  dei  due  dialetti 
classico  e  napolitano  ,  il  quale  ultimo  è  molto  grato  ai  nazionali 
ed  è  adattato  al  buffonesco. 

Il  Saddumene  ed  il  Federici  scrissero  melodrammi  birffi  ])ieni 
di  piacevolezze  e  di  grazie.  Aelle  belle  arti  la  gloria  appartiene  a 
coloro  che  si  avvicinano  alla  perfezione  :  il  mediocre  è  ben  presto 
dimenticato.  Tali  sono  i  melodrammi  del  Trincherà  e  del  Palomba, 
i  quali  anno  a\~uto  un  successo  passaggiero  per  la  musica  di  im  va- 
lentuomo, o  per  la  voce  di  mi'attrice cantante.  11  Loreuzi  ostalo  l'ul- 
timo a  dare  qualche  draauua  applaudilo  nel  passalo  secolo  in  tal  gene- 
re ,  come  il  divertimento  dei  Pvumi,  ed  il  Socrate  immaginario,  nel 
quale  ebbe  parie  il  Galiani.Oggi  le  commedie  buffe  sono  una  spe- 
cie di  l'arse  istrioniche,  che  racchiudono  qualche  bellezza  in  mezzo 
a  sciocchezze  infinite. 

Prima  Filippo  Cammarano  ne  delle  moltissime  sostenendo  benan- 
cJie  sulla  scena  con  successo  la  maschera  del  Pulcinella.  Nel  quale 
genere  si  distinse  benanche  Orazio  Schiano  con  molle  commedie 
scritte  dopo  del  Canunarano. 

Posteriormente  avemmo  i  23  Drammi  di  Luigi  De  Lise  (  man- 
cato ai  viventi  nell'ultimo  colera  )  pubblicali  per  le  slampe,  i  quali 
danno  molta  gloria  all' esimio  giovane  autore,  e  vanto  al  paese — 
Questi  furono  lutti  messi  in  teatro  al  pubblico  esperimento  ,  acco- 
gliendo   generali  applausi. 

Lingua  purgala  -  bel  dialogo  -  verità  -  carattere  generoso  del  Na- 
politano caritatevole,  e  religioso  -  bei  punti  di  scena  -  quadri  magni- 
fiii  -  interesse  sommo  nello  scioglimento  dell'  azione  ;  ottima  scella 
degli  argomenti  -  saranno  in  somma  col  tempo  mollo  apprezzali. 


—  361  — 

Nel  Teatro  comico,  dopo  il  Porta,  si  distinse  Niccola  Amenta  che 
scrisse  sette  commedie  piacevoli  ed  ingegnose  sebbene  con  locuzione 
affettata. 

Il  Porta  col  personaggio  del  millantatore  sembra  che  abbia  vo- 
luto mettere  al  ridicolo  i  residui  della  cavallona  errante  ,  mentre 
r  Amenta  fece  il  carattere  del  Napolitano  di  una  oltraggiosa  ingiu- 
ria pel  suo  paese.  Dopo  1'  Araenla  scrissero  buone  commedie  il 
Federici  ,  il  Trincherà  ,  Giuseppe  Pasquale  Cirillo  ,  Mario  Pagano  , 
Pietro  Napoli  Signorelli  ,  il  Cavalier  Filioii  ,  ed  il  Barone  Cosen- 
za :  quesl'  ultimo  per  la  quantità  delle  sue  produzioni  e  per  i  soli 
belli    punti   di  scena  merita  di  essere  sempre  ricordato. 

Fra  i  viventi  una  folla  di  giovani  danno  lutlogiorno  buoni  la- 
vori teatrali  ,  il  giusto  giudizio  dei  quali  lasciamo  ai  posteri. 

Il  Mecenate  e  i  Dotti  del  sullodato  Cav.  Filioii  panni  la  miglio- 
re Ira  quelle  da  me  ascoltali!  in  Irenlacinquc  anni  che  vado  al  tea- 
tro —  Come  del  pari  mi  àn  sempre  soddisfatto  le  commedie  di  Fe- 
derigo Riccio  si  per  la  scelta  degli  argomenti  ,  che  pel  vero  ob- 
bietto  del  Teatro  ,   cioè  la  scuola  ai  coslmni. 

Meritano  puranche  essere  qui  menzionate  le  belle  produzioni 
dei  signori  Salvatore  Cammarano ,  Marco  d'  Arienzo,  Commendator 
Salvatore  Sava  -  Michele  Cuciniello  -  Domenico  Bolognese  -  Francesco 
Rubini  -  Leone  Emmanuele  Bardare  -  Domenico  Lopez  -  Alessandro  A- 
V  ilabile  -  Gustavo  Pouchaia  -  Giacomo  I\icci  da  I\Iolfelta  -  e  Carmelo 
Spagnuolo,  date  al  teatro  Italiano. 

Del  Teatro  comico  fa  parte  1'  Istrionico,  (continua  il  Galanti) 
i!  cui  gusto  è  antichissimo  nel  nostro  paese.  Ricordiamoci  le  favole 
atellane.  Vi  si  rappresentano  perlopiù  i  costimii  del  basso  popolo,  e 
la  scurrilità  vi  è  divenuto  l' oggetto  favorito.  Si  è  solo  intoso  a  far 
ridere  ,  benché  talvolta  si  sacrifichi  la  decenza  in  mezzo  alle  le- 
])idezze  ,  ed  alle  grazie.  Il  Pulcinella  ne  è  uno  dei  principali  per- 
sonaggi il  cfuale  rappresenta  una  caricatura  del  Napolitano  volgare, 
senza  riflettere  all'  indecenza  di  attribuire  un  carattere  esagerato  e 
fiilso  alla  propria  nazione:  carattere  vile,  goffo  ,  ed  ampolloso  che 
non  è  del  napolitano.  Questo  Teatro  istrionico  à  avuto  nel  passato 
secolo  grandi  attori  ,  tra  gli  altri  Domenicantonio  di  Fiore  nella  su- 
detta  parte  di  Pulcinella,  come  ai  tempi  nostri  Giancola  e  Giuseppe 
Cammarano,  e  molto  più  Massaro  nel  carattere  tutto  nuovo  di  D. 
Fastidio.  11  Massaro  che  nella  Grecia  avrebbe  meritato  delle  statue 
morto  tra  noi  nell'indigenza.  * 


—  362  — 
11  Tcalro  Iranico  nel  18'  secolo  à  avuto  pochi  culloii  tra  noi. 
Le  tragedie  di  Annibale  iMarehese  anno  qualcJic  merito  tra  i  lette- 
rati ,  se  non  sul  teatro.  Non  cosi  nel  presente  secolo  —  Attualmen- 
te abbiamo  vari  scrittori  di  tragedie,  ed  a  molle  si  può  prognosti- 
care un  giudizio  favorevole  dalla  posterità. 

Le  tragedie  del  fu  Fi-ancesco  Ruffa  non  sono  da  essere  obblia- 
te.  11  Codro  -  la  morte  d'  Achille  -  e  1'  Agave  anno  un  merito  di- 
stinto. 

La  ]\Iedea  -  1'  Ippolito  -  l'Anna  Erizo  -  le  due  Giovanne  -  l'AIexi- 
le  due  Ifigenie  -  il  Romeo  e  Giulietta  del  Duca  di  Vcjitignano  anno 
tal  mento  ,  che  sebbene  ci  slam  fatta  la  legge  di  non  parlar  dei 
viventi  ,  pur  tuttavia  e'  inducono  lodarne  il  magnifico  dialogo  -  lin- 
gua purgata  -  catastrofe  -  miilà  di  azione  mirabilmente  condotte. 

Dalla  tragedia  volle  il  lodato  autore  passare  alla  commedia  , 
j)rovandosi  ad  aprire  con  esse  una  novella  via  teatrale.  Tolti  gli  al- 
lori da  tragico, da  prima  si  peritò  a  pubblicarle  col  suo  nome;  poi 
rassicurato  dal  favore  col  quale  furono  accolte  le  anininziò  come 
sue  ,  aggiungendone  altre.  Esse  sono  -  Dopo  27  anni  -  la  Provincia 
e  la  Capitale  -  la  Capitale  e  la  Provincia  - 1  due  Secoli  -  la  Cernice- 
li Seccatore  -  1  Conciliatori  -  Angelica  Montanini. 

Da  ultimo  tacer  non  possiamo  di  un'  altra  tragedia  ,  Roberta 
de'  Gherardini,  dell'altro  nostro  concittadino  Pietro  Micbelelti  avendo 
una  scuola  tutta  a  sé. 

A  il  giovane  autore  colà  mirabilmente  dipinto  il  fanatismo  del 
medio-evo  pel  furor  di  parte  guelfa  e  ghibellina.  Lingua  purgata  , 
bel  verso  -  miità  di  azione  -  catastrofe  sono  portati  con  eccellenza. 
—  Con  quanta  nobiltà  la  patria  e  1'  amore  fanno  terribile  contrasto 
nell'addolorato  cuor  di  Roberta  alla  richiesta  di  Everardo! 

11  primo  teatro  stabile  edificato  in  Napoli  nel  16"  secolo  era 
nel  silo  dove  oggi  é  la  chiesa  di  s.  Giorgio  dei  Genovesi,  ivi  edifi- 
cala (  come  ò  esposto  )  dal  Merliano,  ed  indi  nel  1620  interamente 
iiiodernata  dal  Picchialti  :  questo  motivo  la  fece  chiamare  s.  Giorgio 
alla  commedia  vecchia.  Sotto  il  Vice-Re  Ognalte  ne  fu  eretto  uno  più 
grandioso  nella  strada  s.  Bartolomeo  che  gli  dette  il  nome.  Quivi 
furono  rappresentali  i  drammi  del  Jletastasio,  e  di  altri  poeti  mes- 
si in  musica  dai  Scarlatti  -  dai  Porpora  -  dai  Vinci  -  dai  Leo.  Quivi 
si  videro  le  macchine  e  le  decorazioni  del  Bibbiani  e  di  Giacomo 
del  Pò  ,  e  quivi  furono  ascollato  le  voci  incanlalrici  della  Romani- 
na  .  e  della  Tosi. 


—  363  — 

Conloinporancamcnlc  al  Teatro  di  s.  Bartolomeo  fu  eretto  il 
Teatro  dei  Fiorentini  che  prese  il  nome  dalla  vicina  Chiesa,  e  ciò  fu 
per  rappresentanisi  le  commedie  spagnuolc. 

Vi  fm'ono  in  appresso  date  opere  buffe  in  musica,  ed  oggi  più 
comunemente  vi  si  recitano  commedie  e  tragedie.  E  questo  un  bel 
teatro  ,  ed  è  il  più  antico  fra  quei  che  esistono  presentemente. 

Sotto  il  Re  Carlo  III.  Borbone  venne  abbattuto  il  teatro  s.  Bar- 
tolomeo, e  fu  eretto  accosto  alla  Reggia  l'altro  magnifico  di  s.  Carlo. 
Vi  si  rappresentano  drammi  eroici  con  balli  e  decorazioni  meravi- 
gliose. 

Il  terzo  teatro  in  Napoli  in  ordino  cronologico  é  quello  detto 
Nuovo  di  cui  ò  parlato  nella  vita  e  nelle  opere  di  Domenicantonio 
Vaccaro  ,  dove  si  rappresentano  drammi  buffi  messi  ordinariamen- 
te in  buona  musica. 

11  Teatro  del  Fondo  fu  eretto  dall'Architetto  Seguro  nel  1778 
ed  è  destinato  a  melodrammi  buffi  ed  eroici  con  ballo  o  senza:  è 
il  secondo  in  Napoli  per  grandezza. 

Nel  1791  fu  costrutto  il  teatro  s.  Ferdinando  dall'  architetto 
Camillo  Leonti  in  buona  forma  ,  e  con  tutte  le  regole  dell'  arte. 
Peccalo  che  1'  unico  bel  teatro  dopo  s.  Carlo  à  avuto  im  sì  eccerv- 
trico  luogo.  Quivi  si  rappresentano  opere  comiche  ,  e  drammi  buf- 
fi :  ma  non  è  sempre  in  azione. 

Oltre  questi  teatri  principali  ve  ne  à  vari  altri  più  piccoli  e 
meno  regolari.  Quello  detto  la  Fenice  dà  melodrammi  buffi  ed  ojhì- 
re  comiche,  ed  i  teatri  la  Partenope,  s.  Carlino  ed  altri  danno  com- 
medie e  farse  istrioniche. 


Real  Teaìro  s.  Carlo, 


Questo  vasto  e  magnifico  monumento  è  di  bella  strutlara.  Vieiie 
riputato  il  migliore  tra  i  teatri  in  Europa. 

Fu  costrutto  d'ordine  di  S.  M.  Carlo  IH.  Borbone,  con  disegno 
del  Medrano,  da  Angelo  Carasale  nell'  anno  1737  nel  breve  spazio 
di  270  giorni  ,  al  terminar  dei  quali  fu  posta  in  iscena  la  prima 
rappresentazione  in  musica. 


—  364  — 
L'architclto  di  quesfa  opera  magnifica  ch'esser  forse  dovclte  lo 
stesso  Medrano  del  Rcal  Palazzo  di  Capodimonte  ,  come  appresso 
dirò  ,  riuscì  per  questo  suo  progetto  superiore  alla  sua  riputazione. 
Non  avendo  sott'  occhio  i  disegni  del  IMedrano  ,  e  conoscendo 
l'esecuzione  interamente  affidata  al  sullodato  Carasale,  potrebbe  an- 
cora parte  del  merito  di  uu'  opera  si  distinta  essere  dovuta  al  Ca- 
rasale medesimo. 

Fu  terminato  interamente  in  tutt'i  suoi  accessori,  come  tutte  le 
opere  incominciate  dal  Re  Carlo  ,  sotto  l' impero  del  figlio  Ferdi- 
nando I.  noir  anno  1767.  Dopo  dieci  anni  l' architetto  Ferdinando 
Fuga  chiamato  a  rinnovare  lo  interno  lo  fece  con  poco  gusto.  Le  pa- 
reti erano  a  specchi  ;  di  sopra  alla  6.*  fila  sporgea  un  cornicione 
di  7  palmi. 

Neil'  anno  1810  ebbe  alcune  modifiche  dal  distintissimo  archi- 
letto  Cav.  Niccoliui  si  nella  pianta  ,  secondo  che  osservar  puoi  nella 
mia  tavola  23  dallo  stato  antico  fig.  2."  all'attuale  fìg.  3.",  come 
nella  facciata  giusta  la  tavola  23  fig.  1* 

Nell'anno  181 3  un  incendio  lo  distrusse:  fu  ricostrutto  dal 
sullodato  Cav.  Antonio  Niccolini  con  maggior  gusto ,  e  con  più  co- 
modi di  prima. 

Nel  1837  per  l'altro  incendio  avvenuto  nel  Real  Palazzo  risol- 
vette il  nostro  magnanimo  Augusto  Sovrano  di  demolire  Palazzo 
vecchio  —  Ebbe  il  teatro  nuove  decorazioni,  e  il  lato  che  prima  ad 
occidente  era  divisorio  col  ridetto  vecchio  Real  Palazzo  divenne 
muro  scoverto  ,  e  vi  si  volle  fare  una  facciata  come  sarà  detto  nel 
secondo  volume. 

Il  Real  teatro  di  s.  Carlo  si  distinguo  tra  tutti  i  teatri  moder- 
ni per  gi'andczza  e  magnificenza.  L'  cdifizio  ù  286  palmi  di  lun- 
ghezza ,  e  133  di  larghezza  —  A  comode  e  magnifiche  scale  nel 
1837  ingradate  di  marmo,  e  spaziosi  corridoi  in  dett'epoca  coverti 
di  stucco  lucido.  Il  vano  del  teatro  à  lU  palmi  di  hmghezza,  102 
di  larghezza  ,  e  76  di  altezza  con  sei  file  di  palchi. 

La  scuola  di  scenografia  ivi  stabilita  nel  1818  si  deve  alla 
mimificenza  del  Re  Ferdinando  1."  ed  al  genio  e  valentia  del  Di- 
rettore che  ne  fu  il  prelodato  architetto  Cav.  Niccolini. 

Vn  più  esatto  dettaglio  sarà  da  me  dato  nella  vita  ed  opere  di 
questo  solerle  ed  istancabile  Architetto. 


—  365 


Teatro  de'  Florenlini. 


Prende  il  nome  della  prossima  vicina  Chiesa.  Fu  edificalo  nel 
16."  secolo  per  rapprescntarvisi  la  commedia  spagniiola  —  Nei  pri- 
mi amii  del  presente  secolo  fu  inlcramente  rifallo  col  disegno  e 
sollo  la  direzione  dell'  architcllo  Francesco  Scarola  discepolo  del 
Fuga. 

Da  pochi  anni  è  sialo  a  spesa  dell'  Impresa  risiauralo  e  dipin- 
to ,  e  fattovi  la  platea  con  sedili  di  ferro  fuso  sotto  la  direzione 
dell'Archilei  lo  Giuseppe  Gaudiano.  È  addetto  alla  commedia  ed  alla 
tragedia.  La  sua  situazione  in  tre  vicolelti  strettissimi  è  infelice  ol- 
tremodo. 


Teatro  !\iiovo. 


Vi  si  rappresenta  la  commedia  buffa  in  musica.  L'  architetto 
ne  fu  Domenican Ionio  Vaccaro.  È  ammirabile  in  questo  monumen- 
to il  bel  talento  dell'  architetto  che  seppe  così  bene  costruirlo  in  uno 
spazio  angustissimo  secondo  si  è  già  notalo  innanzi  ,  e  ciò  si  ese- 
guiva nel  1729. 


Teatro  del  Fondo. 


Fu  edificalo  nel  1778  con  disegno  dcU'architetlo  Francesco  Se- 
guro,  il  quale  ebbe  la  sorte  di  fare  molte  opere  benché  non  tulle 
con  quell'esito  che  se  ne  sarebbe  aspettato.  Con  im  immenso  spazio 
a  sua  disposizione  fé'  questo  Teatro  si  angusto.  Nel  18!}1  si  è  ri- 
modernalo e  ben  decorato  in  concorso  da  vari  giovani  architetti , 
che  non  polellero  dargli  quello  che  non  seppe  già  fare  il  Seguro, 
vai  dire  la  comodità  e  l' ariuonia. 


—  366  — 


Teatro  S.  Ferdinando. 


Questo  nobile  teatro  fu  costrutto  nel  1791  come  di  sopra  ò 
detto  dall'  architetto  Camillo  Lconti.  La  sua  forma  é  bellissima  con 
peristilio  avanti  la  porta  ,  e  con  le  dimensioni  archilettoniche  più* 
jriuste  e  proporzionale.  Giace  in  un  luogo  fuori  centro  a  Ponte- 
nuovo  nella  estremità  della  capitale ,  perlochè  raramente  è  in  azio- 
ne ,  e  il  più  dello  volto  vi  si  rappresentano  commedie  e  tragedie 
da  compagnie  di  dilettanti. 

Vi  sono  finalmente  in  Napoli  altri  piccioli  teatri.  Di  questi  i 
cosi  detti  della  Fenice  e  di  s.  Carlino  dovrebbero  essere  chiusi  e 
darsi  all'  impresa  altri  locali.  Sono  collocati  in  fondo  a  stalloni  pri- 
vi affatto  del  gioco  d'aria.  Sono  essi  con  altri  destinati  a  rappre- 
sentanze istrioniche  col  Pulcinella  sul  gusto  delle  nostre  antichis- 
sime farse  atellane.  Questo  carattere  è  piaciuto  alla  nazione  ;  ma 
à  corrotti  i  costumi.  Il  Porta  e  l' Amenta ,  si  avanzarono  di  più  ad 
esporre  sulla  scena  il  personaggio  del  Napolitano  nel  proprio  dialetto 
per  renderlo  ridicolo  ,  ed  a  dipingerlo  vano ,  millantatore  ,  spropo- 
sitato ,  e  sciocco.  Questo  non  è  il  carattere  della  nazione  —  Con-, 
cliiudo  col  dire  che  il  Porta  e  1'  Amenla  àn  fatto  gran  torto  alla 
loro  patria. 

Nel  generale  abbiamo  noi  per  i  Teatri  nel  secolo  del  progres- 
so e  dell'incivilimento  minor  talento  degli  antichi.  Essi  davano  >o 
spettacolo  all'  aperto  ,  e  di  giorno  :  noi  di  notte,  ed  ermeticamente 
chiusi  vi  restiamo  per  lunghissime  ore.  Clii  sa  se  il  tempo  non  cor- 
reggerà questi  sconci. 


CENNO  BIOGRAFICO 


DELL    ARCHITETTO 


ANTONIO  CANNAVARI 


Nacque  il  Caimavari  in  Roma  nell'anno  1681.  Architettò  nella 
sua  patria  la  Chiesa  delle  Stimmate,  monumento  affatto  ordinario, 
e  pieno  di  difetti  al  dire  del  IMilizia  ,  e  dopo  di  aver  rimodernata 
la  chiesa  de'  ss.  Giovanni  e  Paolo,  e  fatti  alcuni  disegni  per  la  fac- 
ciala di  s.  Giovanni  a  Latorano  ,  e  per  la  Canonica  di  s.  Pietro  , 
che  rimasero  ineseguiti  ,  si  recò  in  Portogallo. 

Quivi  si  mostrò  più  infelice  ;  imperocchò  avendo  ricevuta  la 
incombenza  di  fare  xm  acquidotto  ,  riuscì  cosi  disgraziatamente  in 
quesl'  opera  ,  che  1'  acqua  non  volle  mai  scorrervi  '. 

11  povero  Cannavari  mortificato  andò  via  dal  Portogallo  e  ven- 
ne a  stabilirsi  in  Napoli. 

Quivi  costrusse  il  Palazzo  Reale  di  Portici,  ed  il  seggio  di  Por- 
tauova presso  s.  Giuseppe.  Bisogna  confessare  che  in  questi  due  mo- 
nimienli  egli  superò  se  stesso.  Era  per  altro  un  uomo  onesto,  e  mori 
in  Napoli  in  età  ben  avanzata. 


Rcal  Palazzo  di  Portici. 


Fu  fatto  questo  momunento  costruire  dal  Re  Carlo  III.  nell'an- 
no 1736  con  diseguo  e  direzione  dell'architetto  Antonio  Cannavari 
Romano.  Il  solo  sito  n'  è  delizioso  e  piacevole  ,  e  questo  dobbcsi  , 
per  la  scelta ,  alle  magnanime  e  grandiose  idee  del  Re.  Qual  dolcp 
illusione  qui  si  prova  respirando  un'  aria  tiepida  e  soave  all'aspet- 
to del  sovrastante  Vesuvio.  L'  amenità  dei  giardini  ,  le  delizie  del 
ridente  cratere  ,  la  bellezza  d' innumerabili  casino  fan  si  che  vera- 
mente esclamar  si  può  che  questo  angolo  della  terra  sia  fatto  per 
vivere  e  godere. 

Sasso  — Voi.  I.  *'^ 


—  368  — 

Il  Cannavari  piantò  il  palazzo  nel  sito  detta  pubblica  strada 
che  r  attraversa  da  un  capo  all'altro.  Il  roslibolo  è  di  figura  etta- 
gona. À  quattro  uscite  che  corrispondono  ai  quattro  lati  del  monu- 
mento. La  prima  conduce  a  Napoli,  quella  di  rincontro  a  Resina,  la 
terza  ai  Reali  giardini,  1'  opposta  al  mare.  Da  questo  lato  il  palazzo 
gode  di  una  veduta  magnifica  ,  e  nel  contempo  impone  con  una 
superba  gradinata  a  due  ali  ,  e  con  magnifiche  logge  superiori.  Da 
questa  parte  per  sicurezza  della  Roggia  'u  inalzato  un  bene  idealo 
fortino  con  disegno  del  Barrios  Spagnuolo  ,  dove  fu  disposta  una 
batteria  che  domina  buona  parte  del  golfo.  Neil'  intervallo  tra  il 
Palazzo  ed  il  Fortino  vi  sono  ameni  giardini,  praterie  di  fiori  ,  e 
vivai  di  pesci,  e  tra  essi  ima  strada  per  la  quale  si  scende  al  pic- 
ciol  molo  ,  che  anco  per  ordine  di  Carlo  vi  fu  costruito  col  nome 
di  Granateli 0. 

Torniamo  al  Palazzo.  Si  ascende  ai  grandi  appartamenti  per  due 
portici  coverti  l'uno  verso  il  mare,  l'altro  verso  il  monte. 

Qui  furono  situate  allora  molte  statue  scavate  ad  Ercolano  ,  e 
specialmente  le  due  equestri  dei  Noni  padre  e  figlio  ,  che  ora  si 
ammirano  come  due  capi  d'  opera  dell'  antichità  nel  Real  Museo 
Borbonico.  Le  sale  ,  le  anticamere  ,  le  gallerie  ,  le  stanze  da  dor- 
mire ed  i  gabinetti  offrono  delle  bellezze  singolari  nel  riccone  su- 
perbo mobilio  ,  ne  quadri  ,  nelle  dipinture  ,  nei  parati  ,  e  nelle 
svariate  e  pittoresche  vedute. 

I  pavimenti  di  queste  stanze  formano  un  oggetto  assai  singo- 
lare. Essi  sono  gli  stessi  pavimenti  o  di  musaico,  o  di  marmi  gre- 
ci a  varie  figure  geometriche  trovati  ad  Ercolano  ed  a  Capri.  Vi  si 
ammirano  puranche  diversi  tavolini  di  pietre  dure  ,  di  musaico  ,  e 
di  pietre  vesuviane  egregiamente  lavorati  da  nostri  artefici. 

I  giardini  laterali  ed  i  boschetti  sotto  il  Vesuvio  presentano  im 
amenità  ed  una  delizia  senza  pari.  Furono  questi  piantati  per  riu- 
nire caccia  di  uccelli,  e  specialmente  di  quelli  che  anno  1  loro  pas- 
saggi periodici.  Nel  mezzo  il  Re  Ferdinando  I.  erger  vi  fece  un  pic- 
ciol  castello  per  servir  di  modello  in  fortificazione. 

Nei  diversi  cavanicnti  fatti  in  questi  luoghi  vi  si  son  trovati  si- 
no a  sette  strati  di  lava  ,  e  tra  l'uno  e  l'altro  strato  segni  di  an- 
tiche abitazioui. 


—  :im  — 

Avanti  il  ficaie  Palazzo  per  ordine  del  sullodalo  Re  Cario  \i  si 
costruirono  iungiio  fuglie  di  camere  per  ricevere  i  preziosi  monuiucn- 
li  tro\ali  ad  Ercolano,  a  Pompei  ,  ed  a  Stabia.  Jlolti  patrii  scritto- 
ri Jic  fecero  minuta  descrizione,  oggi  resa  inutile  perchè  con  altri  jx>- 
sloriormeulc  rinvenuti  esistono  nel  Real  Museo  BorLouico. 

Vi  restano  però  sedici  camere  occupate  dal  musco  delle  pitture 
staccate  dalle  mura  delle  Ire  antiche  città  nominate.  Arrivano  a  1380 
jX'zzi,  e  tra  questi  ve  ne  sono  delle  eccellenti  --  Tra  le  degne  di  essere 
osservate  i*  la  pittura  di  Teseo  che  riceve  i  ringraziamenti  dai  giovani 
e  dalle  donzelle  di  Alene  per  avere  ucciso  il  Jlinotauro.  j\i  suoi  piedi 
si  vede  il  mostro  ,  e  di  prospetto  il  laberinto.  Il  quadi'o  del  Centauro 
Chirone  ,  che  insegna  ad  Achille  a  suonar  la  lii-a  ,  merita  ancora 
tutta  1'  attenzione.  Gli  artisti  anno  in  gran  pregio  questo  quadro  pel 
nudo  che  gli  ;mtichi  inlendeano  assai  bene. 

Sono  egualmente  pregevoli  i  quadri  di  Arianna  abbandonata  da 
Teseo  -  dell'  educazione  di  Bacco  --  del  riconoscimento  di  Oreste  -  di 
Warsia  che  sfida  Apollo  al  canto  -  del  Fauno  che  stringe  una  Baccante- 
di  Teseo  che  libera  Ippodamia  -  di  Ercole  che  strangola  i  serpenti,  ed 
altri  molti. 

11  quadro  indicante  Ercole  che  strangola  i  serpenti  pare  che 
sia  mia  copia  di  quello  dipinto  da  Zeusi  ,  di  cui  ci  lia  dato  Plinio 
la  minuta  descrizione  al  lib.  33  cap.  8"  che  cosi  dice  -  Jlagnifìcus  est 
Jupilcr  ejiis  in  irhono,adsfantibus  Diis,  et  Ilcrcules  iìifanft  Drago- 
nes  drangulans,  Achmcne  anatre  coram  pavente  et  Amphitrìone  - 
Nel  fatto  nel  succitato  dipinlo  si  vede  Giove  ,  Acmena  ,  Anfitrione;  ed 
Ercole  con  tulli  i  caratteri  notati  da  Plinio. 


Ì5cal  palazzo  di  CapodimoDle. 

Fu  questa  reale  delizia  ordinala  da  Ile  Carlo  III.  ed  eseguila 
con  disegno  e  direzione  del  Brigadiere  Medrauo  uell'  anno  1738. 

Non  essendomi  riescilo  avei'  ima  biografia  del  sullodalo  archi- 
lello  ,  passo  a  dare  la  sola  descrizione  dell'  edifizio. 

È  situalo  sur  una  delle  colline  che  dominano  Napoli  ,  la  più 
alla  verso  il  nord  ,  è  unito  oggi  alla  città  per  una  continuazione 
di  case  ,  e  di  altri  edifizì.  Da  questo  punlo  la  veduta  di  ^apoli  e 
del  suo  cratere  è  imponente. 


—  370  — 
1!  ma-nianimo  Re  Curio  scelse  cfiiesto  sito  non  solo  per  la  salu- 
brità dell'  aria  e  per  la  pittoresca  veduta,  cfuanto  per  piantarvi  un 
bosco  da  servire  per  la  caccia  dei  volatili  e  quadrupedi.  Il  Medra- 
no  fu  incaricato  del  progetto,  ma  alcuni  pretendono  che  la  direzio- 
ne fusse  stala  affidata  ad  Angelo  Carasale:  ciò  avveniva  nel  1738  ed 
erano  quegli  stessi  prescelti  da  Carlo  l' anno  innanzi  per  la  costru- 
zione di  s.  Carlo. 

In  quest' opera  l'architetto  commise  considerabili  falli.  L'edifizio 
fu  piantato  sopra  im  suolo,  sotto  del  quale  si  aprivano  lunghe  grotte 
formate  collo  scavo  delle  pietre  ,  il  che  obbligò  ad  aggiungere  in- 
trigatissimc  costruzioni  da  sostenere  sull'  alto  del  monte   la  nuova 
Reggia.  TaU  opere  sotterranee  sono  degne  di  essere  ammirate  nel 
luogo  detto  la  montagna  spaccata  quali  monumenti  della  magni- 
ficenza di  Carlo  ,  e  dell'  imperizia,  ilclFarchitetto:  erano  osservabili 
sino  a  pochi  anni  sono  ;  ma  oggi  se  ne  sono  murati  gli  ingressi. 
La  pianta  del  monumento  è  di  figure,  retiangola.  S'  innalzano 
ai  quattro  angoli'  quattro  torri.  La  costruzione  n'è  molto  solida  con 
pilastri  tra  le  finestre  nelle  facciate  di    pietra   vesuviana.  Termina 
con  un    cornicione    maestoso  sparso  di  piramidette   sostenenti  dei 
globi.  Furon  terminati  i  lati  meridionale  ed  orientale  ,  rimanendo 
gli  altri  al  prim'ordine.  Il  suo  accesso  da  Napoli  nera  difficile  an- 
dandosi per  s.  M.  Antesaecula  :  ma  nell'occupazione  militare  vi  si 
costruì  la  comoda  strada,oggi  Strada  nuova  di  Capodimonte  appellata. 
Il  difficile  accesso  ,  la  mancanza  dell'  acqua ,  e  la  lontananza 
del  palazzo  dai  reali  boschi  produssero  che  venne  quasi  abbandonato. 
Quindi  il  Re  Carlo  destinò    questo  palazzo    per    sito   di  Reale 
Musco  ,  e  vi  fece  trasportare  i  superbi  quadri  della  sua  eredità  Far- 
ncsiana  ,  le  antichità    di   Ercolano  ,  il  gabinetto  numismatico  ,  e 
r  altro  delle  macchine  fìsiche  ,  la  raccolta  dei  camei,  la  Reale  bi- 
blioteca ,  ed  altri  oggetti  preziosi  ,  che  resero  questo  luogo  molto 
frequentato  dai  nazionali  e  dai  forestieri.  Molti  scrittori ,  e  special- 
menlc  il  signor  de  La  Lande  descrissero  minutamente  lutti  i  pezzi 
rispettabili  che  qui  si  conservavano:  ma  oggi  tolti  da  questo  luogo 
si  ammirano  nel  già  da  me  descritto  Real  ]\Iuseo  Borbonico. 

Poco  lontano  da  questo  Palazzo  si  passa  alla  Regia  caccia  os- 
sia al  bosco  di  Capodimonte.  E  cinto  d'  ogni  intorno  da  mm-a,  esten- 
dendosi per  la  lunghezza  quasi  di  un  miglio  per  mezzo  miglio  di 
larghezza.  Yi  si  entra  per  una  porta  guarnita  da  cancelli  di  ferro 


e  presenta  in  suireuliala  un  scmicircolo  formato  da  grandiosi  elei 
e  da  altri  alberi  fronzuti.  Nella  seniiperiferia  anno  principio  cinque 
lunghi  ed  ampli  stradoni  che  corrono  per  la  parte  interna  del  bo- 
sco ,  e  s' intersecano  con  altri  stradoni  e  viali  dalla  parte  oppo- 
sta. Il  primo  dal  lato  settentrionale  conduce  alla  Real  Cappella  de- 
dicata a  s.  Gennaro.  In  questo  sito  il  magnanimo  Re  Carlo  III.  fece 
alzare  un  \asto  edilizio  per  la  fabbrica  della  porcellana.  Per  lo 
stesso  stradone  inoltrandosi  più  avanti  si  perviene  alla  Real  Fag- 
gianeria  ,  che  è  formata  da  una  porzione  di  bosco  cinta  di  mura 
in  cui  si  alimentano  i  Fagiani. 

A  fianco  sono  erette  le  case  dei  custodi.  In  lutti  gli  stradoni  vi 
sono  collocate  statue  ,  peschiere  ,  ed  altre  piccole  abitazioni.  Vi  fé 
ancora  Re  Carlo  in  fondo  del  bosco  un  bel  casinetto  con  giardino 
di  fiori  e  con  peschiera  da  servire  di  ritirata  nel  caso  che  in  tempo 
di  caccia  sopravvenisse  la  pioggia. 

I  lepri,  i  conigli  ,  i  caprii  ,  i  cervi,  ed  i  volatili  d'ogni  sorla 
rendono  la  caccia  di  Capodimontc  oltremodo  varia  e  divertita. 

Non  à  guari  dall'attuale  noslro  Augusto  Sovrano  Ferdinando  II. 
é  stato  compiuto  il  iabbricato  di  questo  Real  Palazzo,  conducendo 
a  fine  le  due  rimanenti  facciate  e  nobilmente  decorandolo  ed  abbel- 
lendolo. 

Oggi  vi  si  accede  per  due  magnifiche  strade  una  delta  di  Ca- 
podimontc falla  ncir  occupazione  militare  soUo  la  direzione  dell'ar- 
chitetto Romualdo  De  Tommaso;  l'altra  più  bella  ancora  dando  al 
romantico  detta  di  Miano  ed  eseguita  con  accuratezza  ed  arie  dai 
due  distinti  UfBziali  superiori  del  Real  Corpo  del  Genio  Gonsales  , 
e  Gagliardi. 

II  dello  Real  Palazzo  è  oggi  frequentato  dalla  Corte. Dominando 
la  capitale  è  un  soggiorno  incantato  per  i  boschetti ,  giardini,  de- 
liziosi viali  ,  statue  ,  peschiere  ,  belli  edifizi  ,  varietà  di  volatili  e 
di  quadrupedi. 

11  coiiipimento  dell'  cdifizio ,  la  ricchezza  delle  suppellettili ,  il 
doppio  facile  accesso ,  e  quanto  altro  lo  rendono  sì  comodo  gra- 
devole e  salutare  alla  Real  Famiglia,  devesi  tulio  alla  magnificenza 
dell'attuale  nostro  Sovrano  Ferdinando  II. 


SCOVERTE  E  DESCRIZIONE 


DI 


ERCOLANO  E  POMPEI 

d'ordine  del  magkakimo  principe 

CARLO  m.  BOIiBOIVE 

precedute 
di  poche  notizie  sul  niftnte  Vesaiio 

Anni  — 1738  e  1748 


Chi  mi  darà  la  voce  e  le  parole 
Convenienti  a  si  nobile  soggetto? 
Ariosto,  Ori.  Furioso. 


Dovendo  attenermi  all'  esposto  del  mio  quadro  sinottico  --  se- 
guendo cronologicamente  i  sorti  monumenti  -  eccomi  giunto  all'anno 
1738  che  non  verrà  mai  cancellato  nella  storia  con  Io  decorrimen- 
to  de' secoli,  vedendosi  in  esso  per  la  munificenza  di  Carlo  III,  Bor- 
bone scovrire  due  città  Romane,  ricettacolo  d'infiniti  antichi  monu- 
menti, Ercolano  e  Pompei.  Siccome  questi  monumcnli  ci  sono  stati 
gelosamente  custoditi  per  opera  del  sovrastante  Volcano,  credo  rego- 
lare darne  in  queste  mie  pagine  una  descrizione  ,  prescegliendo 
quella  che  ne  facea  il  mio  dotto  maestro,  l'illustre  Abate  Luigi  Ga- 
lanti: indi  darò  la  storia  e  descrizione  si  di  Ercolano,  che  di  Pom- 
pei tratte  dalle  opere  dei  chiarissimi  ed  eruditi  germani  Giuseppe 
Maria  e  Luigi  Galanti  aggiungendovi  quanto  posteriormente  ivi  si 
è  rinvenuto  sino  al  1855. 

Vesuvio. 

Questo  nostro  volcano  non  è  che  un  nano  a  fronte  di  quelli 
giganteschi  dell'Etna  ,  del  Picco  di  Teneriffa  ,  e  di  altri  dell'Asia 
e  dell'  America  ;  ma  nessuno  è  di  esso  più  celebre  e  più  conosciu- 
to ,  e  "nessuno  à  più  di  esso  richiamata  I'  attenzione  dei  naturali- 
sti, svelandoci  per  questo  una  maggior  varietà  di  prodotti  volcani- 
ci.  Le  sue  eruzioni  anno  portato  ima  viva  luce  sulla  formazione  dei 
terreni  plutonici  ,  anno  arriccliito  la  mmeralogia  di  specie  ,  e  di 
forme  cristalline  novelle,  ed  anno  fornito  agli  amatori  una  serie  di 
pietre  preziose  ,  le  quali  circolano  a  lato  dei  topazi  di  Sassonia  , 
dei  quarzi  del  Dannato  ,  e  delle  agate  di  Obestein. 

Siede  all'  oriente  del  cratere  di  Napoli ,  ed  a  vista  di  que- 
sta città,  del  tutto  separato  dalla  catena  degli  Appennini.  Forma  uno 
dei  più  vaglù  e  terribili  ornamenti  dei  nostri  d' intomi.  Sorge  co- 
me gli  alti-i  volcani  a  guisa,  di  cono  ,  à  una  base  che  gira  per 
circa  30  miglia  ,  ed  un'altezza  sul  livello  del  mare  di  3602  piedi. 

Sasso  —  Voi.  !.  ^ 


—  376  — 
V  altezza  di  quoslo  Volcano  secondo  la  misura  di  Nollet  prosa 
nel  174-9,  fu  trovala  di  593  tese  sul  livello  del  mare.  Poli  nel  1794- 
la  trovò  di  606  tese.  11  Generale  Visconti  nel  1816  la  fissò  a  622 
tese.  Monticelli  e  Covelli  prima  dell'eruzione  del  1822  la  trovaro- 
no di  tese  6i8  ,  ed  Humboldt  dopo  la  detta  eruzione  la  rinvemie 
di  607  lese.  Dopo  di  Humboldt  il  professore  Scacchi  la  trovò  di 
1282  metri. 

Nel  1845  il  cratere  era  im  circolo  irregolare  del  diametro  di 
700  a  750  metri  ,  il  fondo  presentava  niunerose  crepa tiu-e  dalie 
quali  cscivano  vapori  abbondanti.  Ultimamente  due  anni  or  sono 
un'altra  enizione  fé  il  Volcano  da  nuove  bocche  sul  dorso  del  monte 
apertesi  (1854).  La  vetta  del  Vesuvio  advmque  dai  1749  non  à  rice- 
TUto  che  leggiere  variazioni. 

Quosta  vetta  è  soggetta  ad  alzarsi  o  deprimersi  secondo  le  di- 
verse eruzioni  ;  quella  del  1822  ne  portò  via  gran  parte  della  ci- 
ma. Il  monte  essendo  molto  erto,  malagevole  riesce  l'accesso.  Vi  sono 
tre  strade ,  che  conducono  alla  sua  sommità  :  una  di  s.  Sebastiano 
a  tramontana,  l'altra  di  Bosco  Tre-case  a  mezzogiorno  ,  e  la  terza 
di  Resina  ad  occidente  che  è  la  più  frequentata,  sebbene  la  più  in- 
comoda. Qui  trovansi  e  guide  e  animali  opportuni  per  salirvi. 
In  due  ore  e  mezzo  si  giunge  all'  eremo  detto  del  Salvatore,  don- 
de si  passa  sotto  la  pedamentina  o  sia  la  base  del  cono,  nel  quale 
è  la  bocca  del  Volcano.  Essendone  qui  la  salita  ripidissima,  suole 
farsi  precedere  da  luia  guida  ,  che  aiuta  a  montare  il  viaggiatore 
raccomandato  ad  una  corda  ,  e  per  opposto  nella  discesa  la  guida 
rimane  indietro  ritenendolo  perchè  non  precipiti.  Sull'orlo  del  cono 
vedesi  la  voraggine  a  forma  d' imbuto,  eh'  è  il  cratere  o  sia  la  bocca 
del  Volcano. 

Questa  cangia  continuamente  configurazione.  In  fatto  1'  eru» 
zione  del  1822  lasciò  un'  apertura  a  forma  ellittica  irregolare  di  una 
estensione  molto  maggiore  dell'  antico  cratere,  e  se  prima  potevasi 
per  qualche  tratto  discendere  dentro  di  essa,  oggi  sarebbe  difficile, 
anzi  pericoloso.  ]\lalgrado  le  difficoltà  ed  i  pericoli,  continue  sono  le 
escursioni  alla  cima  ;  la  novità  e  la  bellezza  dello  spettacolo  ,  spe- 
cialmente per  quei  che  vi  si  trovano  al  levarsi  del  sole,  compensa 
ogni  disagio. 

Tutto  muta  perennemente  alla  cima,  ed  ai  d'intorni  del  Voi' 
cano.   Nuove   aperture   si  formgino   e   si   chiudono  ;  prominenze  si 


—  377  — 
elevano  e  sì  appaiano;  e  le  vette  delle  montagne  di  Somma  e  di 
Oltajano  ,  oggi  separate  da  quelle  del  Vesuvio  per  profonde  valli  ' 
pare  che  uua  volta  o  siano  slate  riunite  in  ima  sola,  o  che  il  Vol- 
cano  attuale  sia  surto  sulla  groppa  dell'  antico,  il  quale  è  rimasto 
estinto.  Gli  antichi  parlano  del  presente  gruppo  come  di  un  monte 
solo  ,  né  le  lave  che  s'  incontrano  sotto  i  terreni  a  ponente  della 
montagna  di  Somma  avrebbero  potuto  pervenirci  dall'attuale  crate- 
re del  volcano.  Pare  anche  che  la  valle  la  quale  oggi  divide  il 
monte  di  Somma  dal  Vesuvio  per  le  eruzioni  di  questo  abbia  un 
di  a  riempirsi,  e  che  tornerà  a  formare  come  prima  mi  monte  solo. 
Tutto  mostra  che  il  Vesuvio  abbia  bmgiato  da  tempo  mimemorabile, 
e  che  verisimihnente  sia  surto  dal  seno  del  mare,  come  i  colli  Par- 
tenopei. In  qualunque  modo  i  suoi  fuochi  sembravano  estinti,  i  po- 
poli viveano  tranquilli  e  sicuri,  e  parlavano  delle  antiche  eruzioni 
come  di  una  tradizione  oscura. 

In  vero  Plinio  al  lib.  2  cap.  6  ,  e  Strabene  al  lib.  5°  discorro- 
no delle  emzioui  del  Vesuvio  ,  come  di  cose  che  si  congetturavano 
dai  loro  effetti.  Al  secolo  di  Augusto  la  cima  del  Vesuvio  era  co- 
perla  di  viti  e  di  alberi  ,  e  molto  più  bassa  che  ora  non  é. 
Conteneva  una  gran  caverna  per  la  quale  entrarono  84.  gladiatori 
di  Spartaco  ,  tenuto  stretto  di  assedio  sul  monte  da  Claudio  Pulcro, 
ed  essendone  usciti  per  le  falde  contribuirono  a  metter  costui  in 
fuga. 

Ai  23  di  novembre  dell'aimo  79  dcll'E.  C.  (  come  òdi  già  ac- 
cemiato  nella  mia  memoria  per  le  acque  Scbezie  )  il  Vesuvio  si  apri , 
e  coprì  i  luoghi  d' intorno  di  fuoco  ,  di  cenere  ,  di  lapillo ,  con 
gr<mde  spavento  ,  e  desolazione  dì  tutti.  E  questa  1'  emzione  che  se- 
pelli  Ercolano  ,  Pompei  ,  Stabia,  Cora,  Oplontc  coi  vicini  villaggi, 
che  cambiò  dì  sito  e  dì  aspetto  il  lido,  e  dette  altra  configurazione 
alle  terre.  La  morte  dì  Plinio  ,  e  la  beneficenza  dì  Tito  non  sono 
particolarità  indityerenti  nella  storia  di  tal  luttuoso  avvenimento. 

A  questa  prima  terribile  eruzione  fra  le  conservate  dalla  sto- 
ria nessuna  delle  posteriori  è  da  paragonarsi. 

Nelle  successive  sono  memorabili  quelle  del  203,  del  4.72 
che  portò  le  sue  ceneri  fino  a  Costantinopoli  ,  del  512  ,  del  685  , 
del  993  ,  del  1036.  Quest'  ultima  è  la  prima  delle  moderne  che 
gli  storici  ci  dicono  di  essere  stata  accompagnata  da  lave.  Vi  furo- 
no altre  spaventevoli  eruzioni  nel  1049,  1138,  1306,  1500;  ma  la 


—  378  — 
più  terribile  dopo  qnolla  del  79  fu  l'eruzione  del  1631.  Gli  storici 
di  quel  tempo  ce  ne  canno  conservato  la    più  orribile  descrizione. 

L'  abate  Braccini  fa  ascendere  a  3000  il  niunero  delle  persone 
morte  ,  portato  da  altri  a  10000.  La  descrizione  che  egli  dà  del 
cratere  prima  di  si  fatta  eruzione  mostra  che  il  lungo  silenzio  del 
volcano  aveva  fatto  sparire  la  profonda  voragine:  le  sponde  eran  co- 
perte di  piccioli  alberi  ,  e  nel  fondo  eravi  ima  pianura  ,  dove  pa- 
sceva il  bestiame  ,  come  vi  erano  ancora  Ire  fonti  di  acqua  calda, 
il  perimetro  n'  era  di  cinque  miglia.  Da  ciò  si  rileva,  che  la  parte 
più  ele\ala  del  Vesuvio  sia  stata  un'  accessione  posteriore. 

.\egii  anni  16G0  ,  1682  ,  1694.  ,  e  1698,  vi  furono  ancora  o- 
ruzioni  ,  ma  non  cosi  considerevoli. 

Dal  1701  al  1737  non  vi  fu  quasi  anno  in  cui  il  Vesuvio  non 
gittasse  lave,  o  almeno  fumo.  In  una  eruzione  del  1730  ,  che  fu 
poco  dannosa  ,  il  vortice  del  monte  restò  sensibilmente  elevato  ed 
acuminato.  Slemorabile  fu  1' eruzione  de' 13  maggio  1737,  la  quale 
secondo  il  P.  della  Torre  fu  la  ventesima  seconda  ,  a  contare  da 
quella  dal  79.  11  materiale  della  lava  fu  calcolato  uguale  ad  un  cubo 
di  113  tese ,  e  di  esso  si  vede  ancora  gran  parte  nella  Torre  del 
Greco.  La  serie  delle  eruzioni  continua  negli  anni  1751,  1754.,  1759 
1760,  1765,  1767,  1776,  1778  e  1779.  In  quella  del  1760  il 
Tolcano  aprì  18  bocche  alle  sue  falde  dalla  parte  della  Torre  della 
Nunziata,  e  nell'altra  del  1767  le  scosse  della  terra  furon  sensi- 
bili alla  distanza  di  20  miglia.  La  maggior  parte  de'  nostri  contem- 
poranei à  veduto  le  ultime  del  1794.,  del  1810  ,  del  1813  ,  di  ot- 
tobre 1821  ,  finalmente  quella  di  giugno  1834..  Nel  1794  la  lava  per- 
corse un  trailo  di  tre  miglia  ed  un  quarto,  e  si  avanzò  dentro  il  ma- 
re per  730  palmi.  11  suo  fronte  era  di  1870  palmi ,  e  la  gros- 
sezza più  0  meno  di  palmi  18  ,  secondo  le  ineguaglianze  del  terreno. 
Nel  1822  essa  aveva  un  miglio  di  fronte,  e  palmi  15  di  altezza. 

L'  eruzione  di  quell'  anno  è  da  conlare  fra  le  più  terribili  che 
sieno  mai  state  ,  e  minacciò  d' imminente  distruzione  Resina  ,  Torre 
della  Nunziata,  Otlajano  e  più  di  lutto Boscotrecase.  Nel  1834.  la  mas- 
sa di  fuoco  proruppe  con  immenso  fragore  verso  il  comune  di  Otlaja- 
no cagionando  gravi  damii. 

Allorché  accadono  le  eruzioni  in  tutte  le  falde  del  Vesuvio  si 
ode  uno  strepilo  come  di  una  gran  caldaia  che  bolle. 

Sono  esse  presagite  dal  disseccamento  totale  o  parziale  delle  sor» 


—  379  — 
genii  di  acqua  poslc  inforno  al  volcano.  Non  è  raro  il  sospingere 
ad  una  smisurala  altezza  e  lontananza  pietre  infocale  ,  le  quali  per  lo 
più  ricadono  sul  dorso  del  monte. 

Nelle  grandi  erazioni  veggonsi  uscire  dalla  Locca  folgori  simili 
a  quelle  dall'atmosfera,  accompagnate  come  esse  da  tuono.  Sono  fe- 
nomeni ordinari  il  fiunoed  il  fuoco  vivissimo  che  sortono  da  esso. 

Il  fumo  offre  sovente  uno  spettacolo  veramente  magnifico  ,  for- 
mando vma  colonna  perpendicolare ,  la  cui  sommità  si  eleva  e  si  di- 
lata a  guisa  di  pino  ,  presentando  im  raggio  di  più  miglia.  Innalzan- 
dosi sempre  ed  espandendosi  con  nuovi  vortici  per  lo  più  finisce  con 
involgere  tutta  la  montagna  e  gran  tratto  del  cielo.  Il  pino  che  si  alzò 
nell'  eruzione  del  1822  fu  calcolato  di  circa  3000  metri  sul  piano  del 
cratere.  Fi'equentissime  sono  pure  le  piogge  di  cenere,  le  quali  a  se- 
conda de'  venti  vengono  spesso  trasportate  in  lontanissime  regioni. 

L'  esterno  della  montagna  è  in  gran  parte  ricoperto  di  lave.  Sono 
queste  im  gonfio  torrente  di  materie  sciolte  dal  fuoco  ,  che  come  pa- 
sta fluida  scendono  dalla  sommitcà  del  monte  ed  abbattono  e  di- 
struggono quanto  incontrano  nel  cammino. 

Questo  fenomeno  delle  lave  non  è  comune  a  lutti  i  volcani.  Quan- 
do la  lava  scorre  infocata  e  si  spande  per  le  sottoposte  campagne  à  la 
consistenza  di  un  vetro  liquefatto  ;  si  avanza  con  molta  lentezza  ,  ed 
esala  mia  gran  quantità  di  fumo. Se  incontra  qualche  muro,  il  torren- 
te si  arresta  alla  distanza  di  sette  o  otte  passi  ,  si  gonfia  e  scala  per 
diramazioni  laterali  senza  toccar  l'cdifizio.  Ma  se  esiste  qualche  porta, 
questa  si  brugia  ,  ed  il  torrente  facendosi  strada  per  essa  trionfa 
e  devasta  tutto.  Le  costanti  osservazioni  fatte  su  tal  fenomeno  potreb- 
bero essere  utili  a'  possessori  di  cdifizi  e  di  poderi  murati  ne' luoghi 
più  esposti  a  si  fatto  disastro. 

La  lava  conserva  il  suo  calore  interno  per  moltissimo  tempo. 
RafTreddata  diviene  durissima  e  s' impiega  a  lastricare  le  strade.  Pom- 
pei ed  Ercolano  avevano  le  strade  di  tali  pietre  selciale.  Il  colore 
della  lava  raffreddala  è  per  lo  più  di  un  cinericcio  cupo  macchiato  di 
Tari  colori  ;  essa  poi  levigala  acquista  il  lustro. 

Escono  talvolta  dalla  bocca  del  volcano  fiumi  di  sterile  arena, 
e  rottami  incoerenti  di  lave,  di  scorie  e  di  sabbie  infocale,  capaci 
d'incendiare  gli  alberi  e  carbonizzarli.  Una  lava  di  questo  genere 
corse  verso  il  Mauro  nell'eruzione  del  1822,  eduna  simile  fu  av- 
vei'lita  in  quella  del  1631. 


—  380  — 
Le  mofele  formano  molti  fenomeni  curiosi.  Terminale  le  gran- 
di eruzioni  sogliono  esse  manifcslarsi  sotto  le  antiche  lave  e  ne' sot- 
terranei, e  qualche  volta  anno  infettato  tutta  l'atmosfera.  Non  so- 
no che  luio  sviluppamento  di  acido  carbonico.  Circa  4-0  giorni  dopo 
la  grande  eruzione  del  1822  comparvero  le  mofete  nelle  cantine  ed 
altri  Juoglii  sotterranei  delle  adiacenze  del  volcano.  L'  aria  raofetica 
cominciava  all'  altezza  di  un  palmo  dalla  superficie  del  suolo  sujw- 
riore,  e  spesso  infettava  anche  l'aria  esterna.  In  alcuni  sotterranei 
si  manifestarono  rapidamente  ,  m  altri  lentamente  ,  dove  durarono 
pochi  giorni  e  dove  fino  a  due  mesi.  Dopo  l'eruzione  del  1794. 
molte  persone  perirono  por  mancanza  di  precauzione  contro  queste 
mofele.  Esse  si  sviluppano  ,  assai  più  nei  luoghi  ove  terminano  le 
antiche  lave,  che  nei  luoghi  prossimi  alla,  pedameìit ina  del  volcano, 
forse  perchè  il  gas  acido  carhonico  ,  che  si  sviluppa  in  copia  nel- 
r  interno  del  volcano  si  fa  strada  per  gli  interstizi  delle  lave  ,  le 
quali  partono  tutte  dal  focolare  volcanico,  come  ragionano  il  Mon- 
ticelli ed  il  Covelli  nella  storia  de'  fenomeni  del  Vesuvio. 

Il  Vesuvio  e  le  sue  eruzioni  anno  avuto  un  immenso  numero 
di  scrittori  e  slranieri  e  nazionali  ,  che  ne  àn  fatto  la  materia  delle 
loro  ossenazioni  ,  delle  loro  ricerche,  e  dei  loro  pensamenti.  Questi 
grandi  fenomeni  della  natura  richiamano  l' attenzione  di  tutti ,  e  le 
corrispondenti  riflessioni:  il  religioso  vi  vede  un  segno  dell'  ira  ce- 
leste, lo  storico  la  cagione  di  tante  rivoluzioni  del  globo  ,  1'  anti- 
quario ne  ripete  le  meravigliose  scoperte  di  Pompei  e  di  Ercolano, 
il  pittore  ed  il  poeta  vi  attingono  una  scintilla  di  quel  genio,  che 
si  sviluppa  nei  grandi  spettacoli  della  natura,  ed  il  filosofo  esamina 
l'ordine  delle  cose  e  tenta  di  alzare  il  denso  velo  che  le  ricopre. 
11  Vesuvio  è  un  monte  di  oro  pe'  suoi  ricchi  prodotti  :  distrug- 
ge e  crea  ;  toglie  e  ridona.  La  cenere  che  distrusse  le  frutta  nel  1794., 
lo  animò  nell'anno  seguente ^  e  nel  1796  le  uve  rimasero  in  parte 
iiivcndemmiate  per  mancanza  di  recipienti  per  l' immensa  quantità 
di  vino  che  avrebbero  dato.  Lo  stesso  accadde  nel  1822,  e  molti  corsi 
di  lave  affatto  sterili  sono  divenuti  coltivabili  coli' essere  stati  dal- 
l' eruzione  coverti  di  sabbia.  Le  frutta  e  le  uve  crescono  in  bontà 
a  misura  che  si  sale  sulla  sua  vastissima  pendice.  Dalla  parte  di 
Somma  la  posizione  settentrionale  è  piìi  fresca  e  dà  miglior  qualità 
ili  frutta,  e  di  vini.  Quivi  le  uve  ed  i  fichi  sono  nel  loro  vigore 
nel  mese  di  novembre,  dove  nelle  altre  esposizioni  più  calde  termi- 


—  3Sl  — 
nano  un  mese  prima.  Le  viti  si  pianlano  in  profondi  fossi  alla 
profondila  di  dieci  palmi,  ma  alla  Torre  si  discende  molto  di  più, 
e  spesso  si  trovano  tuttavia  gli  strali  delle  lave.  L'immensa  popo- 
lazione che  abita  intorno  al  Vesuvio  indica  abbastanza  la  ricchez- 
za dei  prodotti  che  la  fanno  sussistcn\  Gli  stranieri  spesso  ne 
compiangono  la  sorte  pei  pericoli  che  corrono,  ma  il  Vesuvio  non 
produce  guasti  senza  compenso  ,  come  le  valanghe  ,  le  acque,  il 
mare  ,  le  meteore  uell'  Elvezia  ,  nel?  Olanda  ,  a  Pietroburgo  ed  al- 
trove. 

Un'  altra  specie  di  ricchi  prodotti  dà  il  Vesuvio  con  le  sue  Cri- 
stallizzazioni delle  quali  pare  che  la  natura  abbia  voluto  stabilire 
nel  suo  seno  una  specie  di  lavoratorio.  Ella  è  cosa  meravigliosa, 
che  circa  un  terzo  delle  specie  cristalline  conosciute,  e  le  rocce  di 
ogni  formazione  trovansi  riunite  nel  breve  spazio  occupato  da  que- 
sto volcano.  Le  specie  proprie  del  Vesuvio  sono  la  contunnia  (piom- 
bo muriato)  che  ci  ricorda  l' illustre  medico  di  tal  nome  ;  il  ferro 
muriato  ;  il  manganese  solfalo  e  muriato,  il  rame  bi-solforato  ; 
la  pirite  nera,  o  il  ferro  trisol forato;  la  nefelina,  il  pleonasta 
che  è  uno  spinello  nero  ,  la  calce  carbonaia  idrata  ,  e  la  calce 
carbonata  magnesifera,  che  1  nostri  artefici  impiegano  a  fare  ta- 
bacchiere, collane,  braccialetti  ,  orecchini  e  simili  ornamenti  che 
circolano  per  tutta  T  Europa  ;  l' idocrasia  che  si  presta  ai  più  sva- 
riati lavori  per  gioielli  ;  la  sodaliti  dodecaedro  ,  la  meionite  che 
Rome  de  V  Iste  chiamò  giacinto  della  Somma ,  la  scarcolite  nobile, 
che  lavorata  prende  1'  aspetto  di  un  rubino  del  color  dell'aurora  ,  la 
hrcislakite,  specie  singolare  che  à  l' aspetto  di  mia  peluria  ;  e  fi- 
nalmente le  nuove  specie,  cui  per  1'  abuso  da  anni  introdotto  nella 
mineralogia  sonosi  dati  i  nomi  di  umboltilite,  di  zurlite,  di  davi- 
na,  di  cristianite,  di  cavolinile,  di  biotina,  di  beudanlina,  men- 
tre i  caratteri  specifici  sono  sempre  distinti  ,  e  facile  è  sempre 
adoperare  una  nomenclatura  regolare,  che  favorisse  i  progressi  delle 
scienze. 


—  382  — 


Ercoiano. 


Conosceasi  Ercoiano  nella  geografia  antica  ;  gli  scrittori  ne  in- 
dicavano più  o  meno  precisamente  il  sito  ;  più  scavi,  o  accidentali, 
o  fatti  a  bella  posta  avevano  assicuralo  la  sua  esistenza  tra  Por- 
tici e  Resina;  ma  senza  le  magnanime  cure  del  Re  Carlo  Bor- 
bone tutto  sarebbe  ancora  noli'  oblio.  Questo  glorioso  Slonarca,  in- 
formalo appena  dei  piccoli  scavi  precedentemente  fatti,  specialmente 
dal  Principe  di  Elbeuf  Emmanuele  di  Lorena  nel  1711,  e  dei  pre- 
ziosi monumenti  che  se  n'erano  estratti,  con  gi-an  fervore  fece 
proseguire  1'  opra  pei  luoghi,  dove  si  aveano  fatti  eseguire  i  pri- 
mi saggi  :  ciò  accadeva  nel  1738.  I  più  felici  successi  corona- 
rono si  nobili  vedute,  essendosene  ritratti  monumenti  di  ogni  gene- 
re ,  r  un  dopo  l'altro  rinvenendosi  teatro,  strado,  abitazioni,  bot- 
teghe, bagni,  tempii,  foro,  sepolcreto,  una  magnifica  casa  di  cam- 
pagna. Il  Re  animava  tutto  con  la  sua  presenza,  e  con  le  sue  disjx)- 
sizioni.  Destinò  un  edifìzio  pel  nascente  Museo ,  ed  invitò  dotti  ed 
artisti  per  dilucidare  e  restaurare  i  monumenti  che  si  diseppelliva- 
no. Tutta  la  dotta  Europa  presa  da  ammirazione ,  e  sorpresa ,  ac- 
compagnava coi  voti  si  nobile  inlraprendimento  ;  e  gli  sfigurati 
avanzi  di  Ercoiano  divennero  di  assai  più  celebri  che  noi  fu  mai 
la  città  nel  tempo  della  sua  florida  esistenza.  Si  pensò  di  appaga- 
re la  dotta  curiosità  con  pul)blicarc  i  monmncnli  dissepellili  ;  ma 
si  commise  il  fallo,  qualche  altra  volta  replicato,  di  preferire  uno 
straniero  a  tanti  dotti  nazionali  per  tale  opera.  Venne  da  Roma 
monsignor  Bajardi  per  regalarci  in  cinque  volumi  i  preliminari  della 
storia  di  Ercoiano,  annegando  in  un  mare  di  erudite  picciolezze  le 
poche  utili  cose  delle.  Il  Re  vedendo  che  dopo  otto  aimi  di  aspet- 
tativa non  si  era  dato  vcrun  disegno  ed  illustrazione  dei  monu- 
menti tanto  ardentemente  attesi,  si  rivolse  ai  dotti  del  paese,  e  fon- 
dò nel  1755  l'accademia  Ercolanese,  alla  quale  fu  commesso  l'il- 
lustrare i  monumenti  della  dissepolta  città  ,  e  quelli  degli  altri 
Reali  scavamenti.  Siam  debitori  a  quest'accademia  della  descrizione 
ed  inlerprel azione  di  tanti  monujuenti,  dei  quali  fu  cominciata  la 


—  383  — 
pubblicazione  nel  1760,  proseguila  in  volumi  in  foglio,  e  Ire  vo- 
lumi di  papiri.  0  si  risguardi  l'assennatezza  delle  dilucidazioni ,  o 
la  eleganza  della  edizione,  e  la  bellezza  delle  incisioni ,  è  sempre 
questa  uii  opera  classica,  e  sarebbe  solamente  a  desiderare,  che  si 
)-endesse  più  comune  con  un  edizione  di  sesto  più  piccolo  e  meno 
dispendiosa.  Ma  so  molti  tesori  si  sono  disotterrati ,  quanto  di  più 
ne  restano  sepolti  !  e  se  molto  si  è  scritto  per  dilucidarli ,  quanto 
altro  rimane  ancora  a  dire!! 

Si  vuole  che  Ercole  sia  slato  il  fondatore  di  Ercolano;  e  che 
ciò  sia  accaduto  60  anni  prima  della  guerra  Trojana.  Il  certo  si  è 
che  esisteva  nei  primi  tempi  della  Repubblica  Romana.  Verisimil- 
monlc  i  suoi  primi  abitatori  furono  gli  Osci ,  che  erano  nell'  agro 
Campano  prima  che  ne  fossero  stali  discacciati  dagli  Etruschi,  i  quali 
furono  poi  coslrelti  a  cedere  il  luogo  ai  Saimiti.  Sappiamo  che  nei 
primi  tempi  di  Roma  molte  colonie  Greche  si  stabilirono  nelle  no- 
stre spiagge,  e  che  vi  fondarono  delle  città,  o  invasero  le  esistenti, 
e  fra  queste  fu  Ercolano.  Ai  tempi  della  giierra  sociale  la  troviamo 
per  la  prima  volta  nominata  in  monumenti  autentici;  ossa  seguì  il 
imrtito  dei  popoli  Italiani  e  subì  la  loro  sorte.  Assediata  dal  pro- 
consolo Tito  Lidio,  fu  presa,  e  vi  fu  dedotta  una  colonia.  Ritenne 
però  il  dritto  di  governarsi  colle  proprie  leggi ,  e  magistrati.  Dai 
monumenti  scavali  in  Ercolano  siamo  accertati,  che  lai  magistrati 
chiamavansi  demarchi,  o  arconti. 

I  Romani  nel  loro  secolo  del  lusso  e  della  mollezza  amavano 
quesle  nostre  greche  citlà,  animate  dalla  libertà,  dal  gusto,  dai  pia- 
ceri, abbellite  dalle  arti,  e  situale  in  un  fertilissimo  suolo  sotto  un 
felicissimo  clima.  Cicerone  ci  parla  di  molti  Romani  che  avevano  in 
Ercolano  delle  ville  dove  passavano  la  maggior  parte  dell'anno. 

La  città  crebbe  con  tali  mezzi  di  fortuna  ,  ed  acquistò  un  lu- 
stro maggiore.  Strabone,  Plinio,  Floro,  Stazio  ne  parlano  come  di 
una  cospicua  città,  e  tra  le  prime  della  Ciimpania. 

Nell'anno  63  dell'  E.  C.  ebbe  molto  danno  da  un  tremuolo. 
Seneca  ci  racconta  che  ima  parte  della  città  ne  restò  abbattuta 
ed  un  altra  vacillante;  ma  sarebbe  risorta,  come  forse  altra  volta, 
se  un  maggior  flagello  non  l' avesse  inferamente  sepolta.  Questo  fu 
l'eruzione  del  Vesuvio  del  79  come  di  sopra  si  è  accennalo.  Gli  sto- 
rici tutti  hanno  dipinto  coi  più  tetri  colori  sì  fatto  avvenimento,  né 
si  può  leggere  senza  orrore  in  Plinio  il  giovane  la  descrizione  di 

Sasso  —  Voi.  L  49 


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quella  notte  spaventosa  ,  che  ricoperse  di  fuoco,  di  pietre  e  di  ce- 
nere tutti  questi  luoghi.  Lo  scavamento  ci  mostra  la  città  posta  ad 
80  e  più  palmi  al  di  sotto  della  presente  superficie  della  terra.  Sei 
nuovi  torrenti  di  materie  volcaniche  sono  scorsi  nei  secoli  posteriori 
sopra  quello  che  la  sepelll,  e  su  di  essi  sono  surti  popolati  villaggi, 
e  belle  case  di  campagna.  Per  conservar    questi  villaggi,  e  queste 
ville  non  si  è  potuto  estendere  liberamente  lo  scavamento  per  quanto 
r  oggetto  richiedeva,  e  si  è  stato  costretto  dì  far  ricerche  per  via  di 
scavi  sotterranei ,  con  ricoprire  i  luoghi  già  scoperti  ed  osservati. 
Bisogna  ancor  convenire  che  non  era  facile  formare  da  bd  princi- 
pio un  piano  regolare  ed  opportmio  di  scavazioni,  come  si  può  pre- 
sentemente. 

La  materia  clie  ha  ricoperto  Ercolano  non  è  stata  lava  ,  ma 
cenere  ,  e  lapillo  ;  ne  luti'  i  punti  anno  avuto  lo  stesso  numero  di 
strati  volcanici  su  la  stessa  qualità.  Delle  volte  la  materia  è  sciol- 
ta ,  ed  altre  volte  mista  alle  abitazioni  abbattute  forma  un  masso 
con  le  mura.  Dal  vedersi  consumate  dal  fuoco  molte  sue  parti  con- 
vicn  dire  ,  che  si  fatta  materia  piombò  arroventila  sulla  città  ;  e 
dal  vederla  insinuata  da  per  tutto  ,  e  raccolta  in  grandi  masse 
al  fondo  delle  case,  si  argomenta  die  fu  accompagnata  da  torren- 
ti di  acqua  vomitati  dallo  stesso  volcano.  Ne  sono  derivati  curio- 
sissimi fenomeni:  il  fuoco  ,  che  qualche  volta  ha  calcinato  marmi 
e  liquefatto  bronzi ,  ha  spesso  salvalo  legumi  ,  noci  ,  paste  e  fino 
il  filo. 

Ercolano  aveva  le  strade  larghe  e  diritte,  a  giudicarne  da  quel- 
le visitate  ,  ed  esse  fornite  dei  loro  marciapiedi. 

L'  edifizio  più  magnifico  scopcrlo  ad  Ercolano  e  il  teatro  di 
cui  il  can.  de  Jorio  ha  dato,  una  nuova  pianta.  Venne  eretto  a 
spese  di  L.  Annio  ìManimiano  Rufo  dall'  Architetto  Numisio  ,  come 
si  rileva  dall'  iscrizione.  Fu  ritrovato  adorno  di  marmi  ,  di  statue 
marmoree  e  di  bronzo  ,  di  pittare  ,  d' iscrizioni.  Alcuni  di  questi 
oggetti  ne  erano  slati  cslralli  dal  principe  di  Elbeuf  e  forse  anche 
prmia  da  altri.  Il  piano  dell' edifizio  è  a  36  palmi  sul  livello  del 
mare,  la  sua  altezza  maggiore  è  di  Ti  palmi ,  e  sopra  di  essa  vi 
sono  27  palmi  di  materie  Aolcaniche  :  vale  a  dire  che  si  do- 
vrebbero scavare  101  palmi  di  profondità  per  vedere  del  tutto  sco- 
perto il  teatro.  Presentemente  trovasi  in  massima  parte  sottoposto 
alla  strada  maestra  ed  a  varie  case    di  Resina.  Vi  si  cala  per  un 


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cunicolo,  e  quindi  se  ne  trovano  mollissimi  altri  fatti  per  esplorai-e 
lo  edifizio  da  lutti  i  lati  ,  in  modo  che  presentano  un  vero  labe- 
rinto.  Coir  ajulo  di  una  guida  se  ne  possono  visitare  tutte  le  parli 
e  formarsene  un'  idea  ,  clic  diventerà  compiuta  quando  si  consulti 
e  prima  e  dopo  l'opera  citata  del  can.  de  Jorio  coU'ingcgnosa  pian- 
ta di  cui  r  ha  corredata. 

Questo  teatro ,  il  più  intatto  di  ogni  altro  dell'  antichità  ,  fa 
vivamenLo  dcsiderai'e  che  la  generosa  idea  del  Re,  di  farlo  mettere 
allo  scoverto,  venga  presto  interamente  eseguita. 

Dopo  la  scoperta  del  teatro  furono  moltiplicati  gli  scavi  sol- 
terranei  e  s' incontrò  il  Foro  posto  sotto  il  principal  complesso  del- 
le case  di  Resina.  Pare  che  ne  sia  siala  visitala  la  sola  parte  che 
guarda  il  mare.  A  giudicarne  dal  porticato  e  dalle  statue  qui  rin- 
venute dovea  esser  magnifico.  Qui  sono  la  Basilica  e  tre  lempi:  ma 
sopra  questi  edifizl  si  hanno  notizie  poco  esatte.  Nella  Basilica  fra 
tante  altre,  furon  trovate  le  due  conosciute  statue  equestri  dei  Bal- 
bi padre  e  figlio. 

Le  case  particolari  visitate  sono  semplici  come  quelle  di  Pom- 
pei. In  esse  furono  rinvenuti  tanti  preziosi  oggetti  che  si  ammira- 
no nel  Real  Museo  :  candelabri,  lucerne,  pesi,  misure,  vasi,  attrez- 
zi di  cucina  ,  istrumeuli  ed  utensili  di  ogni  genere  ;  e  ,  quel  che 
più  sorprende,  legumi^  frutti,  pane,  vino,  corde,  reti,  tela  ec.  ec. 
Le  pitture,  le  (piali  con  somma  arte  sono  state  tagliale  dalle  pa- 
reti ,  appena  scoperte  eran  vivaci  e  fresche  ,  quasi  allora  fossero 
uscite  dalle  mani  degli  antichi  artisti ,  ma  poscia  smorliscono.  hi 
una  di  esse  case  fu  trovata  un  elegante  cantina  di  tre  stanze  or- 
nate di  marmo  e  che  avevano  un  poggio  intorno  ,  nel  quale  eran 
fabbricati  i  vasi  pel  vino  detti  dolia.  Sopra  di  ogni  altro  edifizio 
merita  mentovarsi  la  casa  di  campagna  scoperta  per  un  caso  nel 
1730,  e  lulla  frugata  ed  esaminata  nei  tre  amii  seguenti.  Questa 
magnifica  villa  aveva  ima  gran  vasca  per  acqua  lunga  252  palmi 
e  larga  27,  due  fontane  ornate  da  quindici  statue  di  bronzo,  fab- 
briche eleganti  con  statue  e  pavimenti  di  bellissimi  musaici  ed  o- 
gni  genere  di  lusso  e  di  delizie.  Qui  fra  tante  altre  era  la  celebre 
statua  di  Aristide.  ]\Ia  ciò  che  più  di  tutto  ha  resa  famosa  si  fatta 
casa  di  campagna  è  che  qui  solamente  sonosi  rinvenuti  dei  papiri 
atti  ad  essere  svolti  ,  i  quali  formano  imo  dei  principali  ornamen- 
ti del  nostro  Museo.  Bea  a  ragione    a  qxiesto  edifizio    si  è  dato  il 


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nome  di  Casa  dei  papiri.  Una  villa  così  magnifica  ed  apparlenen- 
te  ad  un  oscuro  privato  può  darci  un'  idea  di  cjiiel  che  dovevano 
essere  le  ville  di  un  Lucullo,  di  un  Pollione,  degli  Imperatori.  Qua- 
le nobile  e  maraviglioso  spettacolo,  se  interamente  scoperta  e  re- 
staurata secondo  gli  antichi  scompartimenti,  ci  fosse  presentata  con 
tutti  i  monumenti  a  luogo  loro! 

Nella  citata  opera  del  can.  de  Jorio  si  può  leggere  il  catalo- 
go dei  monumenti  trovati  ad  Ercolano  ,  che  adornano  il  real  Mu- 
seo Borbonico.  Noteremo  finalmente  che  il  lido  del  mare  era  prima 
di  un  raigliajo  di  palmi,  l'un  per  l'altro,  più  vicino  ad  Ercolano, 
che  non  è  al  presente,  e  che  l'antico  porto  di  Resina  trovasi  inte- 
ramente colmato. 

Gli  scavamenti  da  lungo  tempo  interrotti  e  che  furono  riten- 
tati nel  1828  per  ordine  del  Re  Francesco  I ,  hanno  restituito  al- 
l'esistenza alcuni  antichi  edifizl  di  cui  il  principale  è  1'  abitazione 
cosi  detta  di  Argo  per  una  pittura  rappresentante  Argo  che  custo- 
disce la  ninfa  lo.  Questa  casa  è  formata  di  un  atrio ,  di  un  peri- 
stilio ,  di  mi  giardino  con  portici  d' intorno  e  con  a])partamenti  in- 
feriori destinati  ai  servi  ed  a  diversi  uffici  della  famiglia.  Alcuni 
loggiati  sporgevano  sul  mare.  Questa  magione,  in  cui  si  rinvenne- 
ro oggetti  ed  utensili  di  ogni  sorta  ,  era  ricoperta  di  marmi  e  di 
decorazioni  assai  magnifiche  ed  eleganti,  e  le  sue  proporzioni  sono 
più  grandiose  di  quelle  delle  abitazioni  di  Pompei.  Con  fondamento 
si  spera  da  tali  escavazioni  una  ricca  serie  di  bei  monumenti  ,  e 
particolarmente  delle  case  interamente  conservate.  Quelle  di  Pom- 
pei rimasero  schiacciale  sotto  il  peso  della  pioggia  ,  del  lapillo  e 
della  cenere ,  ma  queste  di  Ercolano  sono  state  successivamente  ri- 
empite dal  fondo  alla  cima  da  diversi  materiali,  e  per  conseguenza 
debhonsi  in  gran  parie  trovare  intatte. 


—  387  — 


Pompei. 


La  stessa  eruzione  del  Vesuyio  ,  che  fece  sparire  Ercolano  , 
scppeUi  Pompei.  Queste  due  vicine  città  aveano  forse  comune  l'ori- 
gine. La  storia  di  Pompei  è  più  scarsa  e  più  oscura  di  quella  di 
Ercolano.  Non  sappiamo  altro  se  non  che  fu  fondala  dagli  Opic'i  , 
che  vi  abitarono  gli  Etrusci  ,  che  fu  dominala  dai  Sanniti  e  dai 
Romani  ,  e  che  si  dispula  intorno  alla  sua  etimologia.  Fu  ancor 
essa  scossa  dal  Ircmuolo  del  63 ,  di  cui  non  ne  erano  siali  del  tut- 
to riparali  i  danni,  quando  restò  interamente  sepolta  dalla  famo- 
sa eruzione  del  79.  Secondo  Slrahone,  Pompei  era  navale  comune 
di  Nola  ,  di  Nocera  e  di  Acerra  sulla  foce  del  fiume  Sarno.  L'eru- 
zioni del  Vesuvio  hanno  prodotto  una  configurazione  diversa  al  ter- 
reno ed  al  lido.  Prhna  di  esse  il  mare  cingeva  per  due  lati  Pom- 
pei, ed  al  di  là  dell'  anfiteatro  s' internava  formando  il  porlo  ,  di 
cui  parla  Slrahone.  Nella  guerra  sociale  Ercolano  e  Pompei  prese- 
ro le  armi  per  avere  la  ciltadinanza  romana.  Da  P.  Siila  nel  C65 
vi  fu  dedotta  una  colonia,  dalla  quale  gli  antichi  abitanti  rimase- 
ro in  gran  parie  spogliali  del  loro  territorio.  Scoperto  Ercolano  si 
cominciò  a  pensare  a  Pompei. 

Le  chiare  idee  che  se  ne  avevano,  le  notizie  di  piccioli  scavi  pre- 
cedenti, anche  fatti  a  caso,  indussero  il  magnanimo  Sovrano  Carlo 
Borbone  a  tentarne  lo  scavamento  nel  17-48,  e  la  città  fu  rilrovaUx. 
E  lontana  cinque  miglia  in  linea  retta  dalla  bocca  del  Vesuvio.  Era 
ricoperta  di  materie  meno  dure  ed  ammassate  di  quelle  cha  sepcl- 
]  irono  Ercolano  :  erano  lapillo,  frammenti  di  lave  e  di  scorie  di  di- 
verso peso  ;  ed  elevate  di  10  in  12  palmi  sopra  le  abitazioni.  Vi 
era  1'  altro  vantaggio  ,  che  la  città  sepolla  non  aveva  sopra  di  se 
case  e  villaggi  ,  ma  vigneti  ,  che  il  Re  potè  comprare  e  lasciare 
lo  scavamcnlo  scoperto.  Era  sialo  perciò  facile  non  solamente  agli 
antichi  scampali  cittadini  di  Pompei ,  ma  ai  collivalori  hi  appres- 
so di  scavare  per  rilrarne  quegli  oggetti  preziosi  che  loro  riusci- 
va. Quindi  è  che  si  trovano  tanti  luoghi  nianifeslaraenle  frugali  e 
sconvolti. 


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Niente  si  può  paragonare  alle  diverse  sensazioni  che  risveglia 
la  vista  di  Pompei.  Vedere  quelle  mura  che  vantano  venti  secoli 
di  antichità  ,  passeggiare  per  quelle  strade  che  frequentavano  uo- 
mini posti  in  situazione  tanto  dalla  presente  diversa ,  assistere  per 
cosi  dire  alle  loro  azioni ,  osservandone  gli  oggetti  della  loro  vita 
e  pubblica  e  privata;  formano  uno  spettacolo  impossibile  a  far  in- 
tendere a  chi  non  l'ha  gustato. 

La  folla  delle  idee  che  sorgono   nella  monte  ,    i  paragoni  tra 
r  antico  ed  il  moderno,  la  memoria,  che  sembra  ampliare  i  termi- 
ni della  vita,  lasciano  Fanima  assorta  ed  estatica,  ed  obbligano  a 
ripetere  le  visite  a  Pompei  ,  per  meglio  gustare  ciò  che  nel  primo 
tumulto  dello  spirito   si  era  veduto  più  che  esaminato.  In  Pompei 
si  trova  quanto  bisogna  per  formarsi  V  idea  compiuta  di  mi  paese 
di  venti  secoli  addietro.  I  mobili,  gli  utensili,  i  comestibili,  i  più 
piccoli  oggetti  trovati  al  loro  sito  ,  le  persone  che  fuggivano  e  rin- 
venute coi  loro  piccioli  tesori  a  fianco  ;    lutto  vi  mostra    mancata 
di  botto  la  vita  ,  ed  mi  popolo  annientato  in  mezzo    alle  sue  oc- 
cupazioni ed  alla  sua  industria.  L'  eruzione    se  ha  danneggiato  le 
parti  superiori  degli  edifizi,  ne  ha  lasciato  le  inferiori  ben  conser- 
vate. A  sentirla  descrivere    si  prende  per  una  città  tuttora  esisten- 
te. Non  vi  mancano  che  gli  abitatori  ;    e  ne  verrebbe  il  desiderio 
di  far  rivivere  i  Greci  ed  i  Romani,  che  altre  volte  vi  abitavano  , 
e  vederli  agire.  Ma  se  ciò  non  può  accadere  ,    si  poteva  però  re- 
staurarne gli  edifizi,  e  conservando  al  loro  luogo  tutte  le  pitture  , 
le  statue  ,  e  le  suppellettili  trovato  ad  uso  della  vita,  farli  abitare 
dai  moderni  per  custodirle    e  conservarle.   Sarebbe  questo  stalo  il 
vero  Museo  ,  ed  un  degno  soggiorno    dell'  accademia.   Una  passeg- 
giata pei-  le  strado  di  Pompei  sarebbe  slata  più  istruttiva  della  let- 
tura di  tulli  i  volumi  degli  antiquari.  Questi  edifizi  tanto  preziosi, 
(!  che  hanno  tanto  sofferto  ,    avrebbero  ricevuto    nuova  vita    e  sa- 
rebbero passati  ai  secoli  posteriori.  Un  simile  spettacolo,  unico  nel- 
r  universo  ,  avrebbe  chiamalo  in  folla  le  persone  colte  di  tutte  le 
nazioni  per  vederlo  e  contemplarlo.  Ma  noi  non  pare  che  abbiamo 
molta  considerazione  pei  posteri  ,  o  per  meglio  dire  non  pare  che 
ci  curiamo  molto  della  loro  considerazione. 

Lo  scavamento  di  Pompei  non  fu  condotto  con  un  piano  re- 
golare e  giudizioso  ,  come  naturalmente  dovea  sul  principio  acca- 
dere. Si  scavavano  gli  edifizi  ,  e  toltone  ciò  che  vi  era   di  prezio- 


—  380  — 
so,  si  tornava  a  riempirli  ,  come  si  fece  ad  Ercolano.  Non  si  pen- 
sò che  tardi  ad  escavare  tutta  la  circonferenza  delle  muì'a  ad  og- 
getto di  conoscei'e  la  grandezza  della  città.  11  primo  fervore  restò 
pure  per  lungo  tempo  raffreddato,  e  non  fu  ripreso  con  nuovo  vi- 
gore lo  scavo  che  negli  ultimi  anni.  Gioito  perciò  ne  resta  ancora 
a  disotterrarc  ,  come  può  osservarsi  sulla  qui  acclusa  pianta  ,  la 
quale  presenta  tutto  ciò  che  è  slato  scoperto  fino  al  1Sj5. 

Le  mura  di  Pompei  mostrano  di  essere  antichissime  e  merita- 
no di  essere  heno  osservate.  Girano  quasi  due  miglia,  e  sono  state 
nella  maggior  parte  scoperte  tra  gli  anni  1812  e  1814..  Hanno  cin- 
que porte  ed  undici  torri.  Le  porte  meglio  conservate  sono  VErco- 
lanose  a  ponente  e  la  Nolana  a  greco.  Presso  la  prima  vedesi  la 
torre  ,  che  è  in  migliore  stato.  Tali  torri  avevano  tre  piani  ,  ed 
erano  provvedute  di  porte  segreto  per  le  sortite  (posternae).  Le  mu- 
ra meglio  conservate  sojio  dalla  parte  orientale,  do\e  sul  loro  ter- 
rapieno si  può  passeggiare  come  al  tempo  dei  Pompejani  ;  hanno 
circa  34.  palmi  di  altezza.  Dal  lato  occidentale  e  meridionale  non 
se  ne  vedono  che  gli  avanzi.  Le  restaurazioni  e  le  ruine  che  si  os- 
servano in  queste  mura  sono  effetto  delle  vicende  della  città.  Sap- 
piamo che  Siila  le  smantellò  nell'anno  88  prima  dell'era  volgare. 
Le  nuove  restaurazioni  dovettero  pur  soffrire  col  Irenuiolo  del  63 , 
o  forse  ancora  la  situazione  pacifica  in  cui  si  trovò  il  mondo  sotto 
Augusto ,  rendendole  imitili  ,  fece  si  che  gli  ahitanti  si  servissero 
del  materiale  por  altri  usi.  La  pianta  della  città  è  di  figura  cllet- 
tica,  che  ha  4200  palmi  di  Imighezza  l'asse  maggiore  e  2650  l'as- 
se minore. 

Le  strade  sono  solidalmente  lastricate  colle  stesse  pietre  del  Ve- 
suvio 5  delle  quali  facciamo  uso  al  presente  ;  tengono  dei  marcia- 
piedi ai  lati,  e  sotto  di  essi  vi  sono  praticati  dei  condotti  chiusi  da 
ferrate  per  lo  scolo  delle  acque  piovane.  Finora  sono  state  scoperti' 
diciotto  strade  tra  grandi  e  piccole.  Esse  sono  stretto  ed  irregolari 
dalla  parte  occidentale  ;  larghe  e  dritte  vicino  al  Foro  ed  ai  teatri: 
non  vi  ha  strada  che  non  abhia  la  sua  fontana ,  e  poche  case  pu- 
re ne  mancavano.  Le  acque  vi  erano  portate  in  copia  per  mezzo 
di  acquidotli  dalla  sorgente  più  elevala  del  fiume  Sarno.  Ogni  stra- 
da tiene  pure  pitture 'ed  altari  consagrati  alle  divinità  tutelari,  per 
le  quali  il  popolo  aveva  una  gran  divozione. 

Le  case  hamio  tutte  presso  a  poco  la  stessa  distribuzione  e  so- 


—  390  — 
no  sullo  slcsso  gusto.  Le  principali  e  più  essenziali  divisioni  lo  tro- 
vale in  lultc  ripetute,  meno  che  lo  decorazioni  e  quei  membri,  che  il 
lusso  aggiunge  a  ciò  che  è  di  necessità,  secondo  il  grado  ,  le  for- 
tune ed  il  numero  dei  proprietarj .  Ogni  casa  lia  due  parti ,  1'  una 
diciara  cosi  di  uso  pubblico,  l'altra  per  l'abitazione  e  comodi  della 
famiglia.  Alla  prima  appartenevano  il  vestibolo,  il  cavedio,  il  la- 
bliuo  ;  ed  alla  seconda  il  peristilio,  le  stanze  da  dormire,  il  tricli- 
nio, la  pinacoteca,  l'esedra,  la  biblioteca,  il  bagno,  il  sisto.  Le  ca- 
se hanno  per  ordinario  due  piani  e  ben  di  rado  tre.   La  pinacote- 
ca, l'esedra  ed  altro  parli  più  nobili  aveano  maggiore  altezza  delle 
rimanenti  stanze  laterali  :  ma  si  traeva  parlilo  dalle  ineguaglianza 
che  ne  nasceva,  ricavandone  dei  comodi  domestici  ed  anche  stanze 
da  abitare.  Sopra  gli  ultimi  piani  avevano  come  noi,  o  dei  tetti  o 
dei  terrazzi  ornate  di  piante,  di  fiori,  e  di  delizie. 

Le  facciate  presentavano    una  piccola  porla  ,    e  botteghe  ,  ed 
eran  coperte  di  un  duro  e  lucido  stucco  ,    e  sovente  dipinte    a  di- 
versi coloii.  Su  di  esse  si  veggono  non  di  rado  scritti  in  caratteri 
neri  o  rossi  affissi  ,  molti  obbliganti  diretti  al  proprietario,  all'in- 
quilino, 0  agli  edili  e  decemviri  in  carica.  Da  per  tutto  si  leggo- 
no preghiere  e  raccomandazioni  ,  perchè  tutta  la  società  non  pre- 
sentava allora  che  protetti  e  protettori ,   servi  e  signori ,    clienti  e 
patroni.  Per  ordinario  a  lato  della  porta    delle  case  o  delle  botte- 
ghe era  scrillo  il  nome  di  colui  che  vi  abitava.  Coleste  iscrizioni  si 
coprivano  di  bianco  quando  si  volevano  surrogare  altre.  Entrando- 
si nella  porta  si  trova   delle  volte  scritta    la  parola  salve.  Tra  la 
prima  porla  detta  dell'arca  e  la  seconda  deW atrio  era  il  prothy- 
rum  ossia  un  corridojo,  ornalo  per  ordinario  di  pittura  con  im  pa- 
vimento a  musaico.  I  ricchi  vi  avevano  qui  la  stanza  pel  porlina- 
jo,  e  qualche  altra  ove  si  trattenevano  le  persone  aspettando  il  mo- 
mento da  essere  ricevute.  Seguiva  Tallio  o  cavedio,  che  non  era 
sempre  sulla  slessa  forma,  e  che  era  soslcmilo  da  colonne  ,  fra  le 
quali  qualche  volta  mellevansi  dello  invetriale  ,    a  fino  di  guaren- 
tirsi dall'  umido,  o  dal  freddo.  Nel  centro  dell'atrio  era  Vimphwio 
che  accoglieva  le  acque  del  compluvio,  il  quale  era  lo  spazio  che 
reslava  scoperto  in  mezzo  al  tetto  ,    o  sia  la  corte.    Dall'  impluvio 
passavano  le  acque  nelle  cislorno  ,    donde    ne  venivano    tratte  per 
mezzo  di  aperture  ,  graziosamente  ornate.  11  pavimento    dell'  atrio 
era  formato  come  i  nostri  lastrici  ,    e  nelle  case  dei  ricchi  era  di 


—  391  — 
marmo  o  di  musaico.  Inforno  all'atrio  eran  disposte  le  stanze  per 
gli  allri  usi  della  famiglia.  Le  stanze  erano  per  lo  più  senza  co- 
municazioni, e  ricevevano  la  luce  dalla  porla  o  da  finestre  poste  in 
alto.  Questa  struttura  interna  delle  case  dà  ad  esse  l'aspetto  dei  no- 
stri chiostri  de'  frati.  Nei  piani  superiori,  se  le  stanze  ricevevano  il 
lume  dalla  strada,  ciò  accadeva  per  piccioli  tondi  posti  in  allo  ,  ma 
se  sporgevano  nell'  interno  delle  case  avevano  una  proporzionata  e 
comoda  grandezza.  Gli  antichi  non  amavano  soggezzione  dentro  le 
loro  case.  Le  stanze  erano  quasi  tutte  a  volta,  ed  ornate  di  stucchi 
e  pitture  ,  e  pavimenti  a  musaico.  Esse  sono  picciole  e  tali  dovea- 
no  pur  essere  pel  gran  numero  ,  di  cui  se  ne  avca  bisogno  pei  di- 
versi usi  ai  quali  le  destinavano,  ed  a  tali  usi  alludojio  ordinaria- 
mejite  le  pitture  e  gli  ornati. 

In  fondo  all'atrio  era  il  tablino  ,  il  quale  ha  spesso  l'ingresso 
decorato  da  colonne  :  in  esso  il  padron  di  casa  riceveva  quelli  che 
venivano  per  affari.  Le  stanze  laterali  al  tablino  eran  dette  ale,  e 
di  queste  in  varie  case  non  ve  ne  ha  che  una.  Piccioli  corridoi  , 
detti  faiices  a  lato  al  tablino,  menavano  negli  appartamenti  inter- 
ni, destinati  principalmente  alle  donne  ,  e  presso  le  fauci  era  la 
stanza  per  lo  schiavo  che  ne  custodiva  1'  ingresso.  Si  passava  quin- 
di in  una  corte,  spesso  più  grande  degli  alrii  circondata  da  wn pe- 
ristilio o  sia  portico  ,  chiuso  delle  volte  da  balaustre  di  ferro  ,  e 
per  lo  più  da  un  basso  muro.  Nel  mezzo  di  tal  recinto  ei'a  il  si- 
tdo  ,  specie  di  parterre  destinato  per  fiori  e  per  erbe  di  cucina  e 
spesso  vi  si  tenevano  peschiere  ,  fontane  ed  altri  comodi  ed  orna- 
menti. Il  peristilio  era  ornato  di  stucchi  e  pitture.  Vesedra,  in  cui 
si  ricevevano  gli  amici,  era  una  gran  sala  che  sporgeva  sul  peri- 
stilio ,  intorno  al  quale  erano  le  stanze  di  comodo  della  famiglia , 
gabinetti  da  studio  ,  stanze  da  letto  ,  e  la  stanza  ove  le  donne  la- 
voravano, o  conversavano  la  quale  denominavasi  Ot'Cii*.  Mangia  va- 
si nel  triclinio  ,  che  era  coperto  per  1'  inverno,  ed  aperto  di  state 
con  tende  spergolato,  e  spesso  desinavasi  nel  peristilio.  Tutte  que- 
ste stanze  si  trovano  sempre  ornate  di  pitture  ,  di  stucchi ,  di  pa- 
vimenti a  musaico. 

Nella  parte  interna  delle  case  era  pure  il  sacrario,  specie  di 

cappella  ,  consagrata  a  qualche  divinità,  come  il  larario,  dedicato 

agli  Dei  Lari,  vedevasi  nell'atrio.  I  bagni  erano  posti  in  luoghi  ap- 

parlati  :  quelli  freddi  si  prendevano  allo  scoperto  ed  i  caldi  in  ca- 

.Sasso  —  Voi.  I.  50 


—  392  — 
mer>3  riguardate.  La  cucina  ,  il  granajo  ,  la  dispensa  ,  la  cantina 
occupavano  le  parti  più  separate  della  casa,  e  spesso  erano  nei  sot- 
terranei quando  l'edifizio  aveva  più  piani.  Fino  la  cucina  aveva  le 
sue  pitture,  e  sempre  teneva  la  sua  uscita  segreta.  Le  case  dei  più 
agiati  cran  provvedute  di  un  giardino  ,  e  questo  tenuto  cleganle- 
mente;  e  quando  non  vi  era  luogo  per  esso,  supplivasi  con  un  mi- 
sto, a  fin  di  godei-vi  frescura  e  riposo.  Gli  appartamenti  delle  don- 
ne mettono  per  lo  più  sopra  i  giardini:  uso  che  si  ti'ova  anche  og- 
gi neir  Indostan. 

Sarà  ben  notare  che  le  case  di  Pompei  avevano  picciole  por- 
te. Gli  antichi  non  conoscevano  i  nostri  portoni  che  spesso  ugua- 
gliano l'altezza  di  due  appartamenti. 

Picciole  eran  pure  le  scale  ,  e  quelle  interne  per  lo  più  ave- 
vano i  primi  scalini  di  fabbrica  ed  il  resto  di  legno.  Generale  è 
l'uso  delle  figure  oscene  dipinte  nelle  mura  o  espresse  nei  mobili  ; 
gli  antichi  avevano  idee  diverse  dalle  nostre  sulla  decenza.  Le  pit- 
ture ridicole  le  chiamavano  grylli.  Comune  era  pure  1'  uso  degli 
amuleti  ,  che  si  mettevano  nelle  case,  o  si  portavano  addosso,  per 
preservarsi  dal  fascino  o  dai  malefici.  Nelle  case  non  si  trovano 
né  stalle  né  camini  da  fumo.  Finalmente  noteremo  1'  uso  di  avere 
i  cessi  in.  cucina  ,  uso  non  decente,  die  si  è  conservato  dai  Napo- 
letani. 

Le  case  avevano  delle  botteglie  sulla  strada  e  queste  più  im- 
merose  nelle  vie  frequentate  :  avevan  esse  gran  somiglianza  colle 
nostre  ,  specialmente  delle  provincie.  Qualche  volta  tenevano  ima  o 
due  stanze  in  dentro  o  sopra  di  esse  ,  ed  agli  angoli  delle  strade 
avevano  due  porte  ,  le  quali  eran  di  poco  più  grandi  delle  porte 
ordinario  delle  stanze.  Quando  si  trova  che  le  botteghe  hanno  co- 
nmnicazione  coli'  interno  della  casa  ,  è  da  supporre  che  si  vende- 
vano mercanzie  per  conto  del  padrone.  Cesserà  la  meraviglia  sul 
gran  numero  delle  botteghe  che  ti-ovansi  a  Pompei  ,  quando  si  ri- 
flette che  era  dessa  mia  città  florida,  e  1'  emporio  di  più  città  me- 
diterranee. 

Pompei  ,  che  era  una  piccola  città  provinciale  ,  si  vede  co- 
strutta ,  se  non  con  magnificenza  ,  con  un'  eleganza  che  oggi  non 
si  osserva  nelle  nostre  città  di  provincia.  Le  stesse  nostre  grandi 
metropoli  non  hanno  le  case  cosi  generalmente  decorate,  adorne  di 
pitture  e  provvedute  di  mobUi  eleganti  quanto  Pompei.  Gli  antichi 


—  393  — 
impiegavano  le  ricchezze  ia  un  modo  ben  diverso  che  i  moderni. 
E  dove  altentamenlo  si  esaminano  le  costruzioni  e  le  partizioni  del- 
le case  ,  si  sarà  obbligato  a  confessare  ,  che  1'  economia  che  tene- 
vano gli  antichi  nell'  abitare  era  nel  generale  alla  nostra  preferi- 
bile. Oltre  a  ciò  le  case  non  aveano  ,  come  le  nostre  ,  quel  gran 
numero  di  piani  soprapposti  l' imo  sull'  altro  ,  od  elevati  per  così 
dire  fino  alle  nuvole  ,  i  quali  ci  privano  del  benefìzio  dell'  aria  e 
del  sole.  In  un  disastro  di  trcmuolo  gli  antichi  aveano  ancora  im 
vantaggio  sopra  di  noi.  Riserbavano  gli  antichi  la  maggior  ma- 
gnificenza per  gli  cdiflzi  pubblici,  laonde  se  quelli  di  Pompei  cor- 
rispondono alla  fortuna  della  città,  essi  appartengono  alle  diverse  na- 
zioni ,  che  hanno  dominato  la  città  ,  e  principalmente  ai  Romani. 
L'  architettura  non  vi  é  sempre  pura,  come  doveva  accadere  in  una 
piccola  città  ,  che  non  poteva  avere  i  primari  artisti  :  il  che  ab- 
biamo anche  avvertito  per  le  pitture,  descrivendo  il  Real  Museo.  Si 
son  ti'ovati  finora  a  Pompei  due  Fori,  due  teatri,  novo  tempi,  un 
anfiteatro,  un  quartiere  di  soldati,  le  terme,  ed  lui  sepolcreto. 

Il  Foro  più  antico  è  del  tempo  degli  Etrusci,  e  l'altro  piìi  mo- 
derno è  del  tempo  dei  Romani.  Amendue  sono  magnifici,  ma  prin- 
cipalmente il  secondo.  11  Foro  era  un  luogo  di  passeggio  e  di  af- 
fari, ai  in  esso  si  tenevano  i  comizi,  ed  era  perciò  chiuso  da  caur 
celli  di  ferro  per  escluderne  chi  non  avea  dritto  al  suffragio. 

Uno  dei  due  teatri  era  coperto  ,  I'  altro  scoperto.  L' anfiteatro 
è  di  assai  meglio  conservato  del  Campano  e  del  Puteolano.  Era  ca- 
pace di  2Jniila  spettatori  ,  mentre  Pompei  difficilmente  conlava  un 
tal  numero  di  cittadini  ;  e  perciò  é  da  credere  che  intervenivano 
agli  spettacoli  anche  i  popoli  vicùii.  La  sua  costruzione  mostra  che 
era  antichissimo. 

1  tem])i  di  Pompei,  ad  eccezione  di  quello  posto  nel  Foro  trian- 
golare, hanno  il  distintivo  di  essere  costruiti  sopra  sostruzioni,  on- 
d' é  che  vi  si  entra  per  una  gradinata.  Le  facciate  ne  sono  ornate 
di  colonne.  Il  sacrario  cinto  di  mura,  e  nell'  interno  di  colonne  e 
di  nicchie  ha  nel  fondo  un  podio  ,  dove  erano  allogate  le  statue 
delle  divinità  ,  che  vi  si  adoravano.  Eran  decorati  di  marmi  ,  di 
pitture,  di  stucchi,  di  musaici.  Le  terme^  che  finora  sono  stale  sco- 
perte ,  non  ci  mostrano  la  grandezza  e  magnificenza  che  doveano 
avere  quelle  di  Pozzuoli  e  forse  anche  di  .Napoli  ;  ma  ci  danno  in 
piccolo  un  idea  di  tutte    le  parli  che  formavano  colali  edifici  ,  di 


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lauto  uso  presso  gli  antichi.  Secondo  ogni  apparenza  ve  ne  debbo- 
no essere  altre,  di  queste  più  vaste  e  più  magnifiche. 

Il  sepolcreto  per  ora  scoperto  a  Pompei  è  fuori  della  porta 
Ercolancse,  e  secondo  Fuso  degli  antichi  ve  ne  debbono  essere  al- 
tri fuori  delle  rimanenti  porte.  Questo  sepolcreto  apparteneva  al 
tempo  dei  Romani ,  e  non  meno  interessanti  debbono  essere  gli  al- 
tri dei  Romani  stessi  e  delle  diverse  nazioni,  che  hanno  avuto  sede 
a  Pompei.  Se  ne  hanno  di  già  non  piccioli  indizi. 

Data  un'  idea  generale  del  fabbricato  di  Pompei ,  aggiungere- 
mo una  breve  indicazione  dei  suoi  più  notabili  edilìzi,  per  uso  di 
coloro  che  vanno  a  visitar  questa  rinata  città.  Segaiiremo  presso  a 
poco  il  piano  datone  dal  can.  de  Jorio,  potendo  far  uso  della  qui 
acclusa  pianta  geometrica.  Volendosi  entrare  in  Pompei  per  la  porta 
Ercolancse  trovasi  fuori  di  essa  la  strada  dei  sepolcri  ed  il  borgo  Augu- 
sto Felice,  e  sul  bel  principio  la  casa  di  campagna  ,  scoperta  nel 
1771  alla  quale  si  dette  il  nome  di  Diomede  pel  sepolcro  di  M. 
Arrio  Diomede  che  gli  sta  incontro.  Era  a  tre  piani,  ma  F  ultimo 
é  distmtto  e  quello  di  mezzo  è  quasi  al  piano  della  strada.  Il  cu- 
rioso vi  osserverà  con  interesse  tutte  le  parti  che  la  compongono 
essendo  Punico  cdifizio  di  tal  genere  che  siaci  finora  nolo  degli 
antichi.  Vi  si  vedrà  il  peristilio  ,  che  era  ornato  di  pitture  la 
corte  ,  l'impluvio  ,  che  scaricava  le  acque  piovane  in  due  cister- 
ne, il  larario  ,  in  cui  fu  trovata  una  piccola  statua  di  Minerva  , 
r  ala  ,  varie  stanze  per  domestici,  l'esedra  con  una  picciola  stanza 
destinata  allo  schiavo  ad  essa  addetto,  il  triclinio,  la  stanza  da  dor- 
mire. Questa  è  preceduta  da  un  altra  stanza  ,  che  tiene  a  fianco 
uno  stanzino  per  lo  schiavo  siibieulare  ,  ha  un  alcova  ,  in  cui  si 
trovarono  gli  anelli  delle  tendine  clie  la  chiudevano  ,  una  toletta 
a  tre  finestre  in  un  muro  semicircolare  ,  a  fin  clie  fosse  perenne- 
mente riscaldata  dal  sole. 

Qui  dappresso  un  picciol  corridojo  conduce  al  giardino  supe- 
riore nello  slesso  piano  della  corte  ,  e  ad  im  altro  triclinio  ,  che 
serviva  forse  per  F  inverno.  Segue  F  appartamento  dei  bagni  fred- 
di ,  posto  nel  grande  angolo  che  forma  la  casa.  In  esso  si  trova 
im  portico,  il  fornello  ,  la  vasca  pei  bagni  freddi ,  che  si  prende- 
vano all'  aria  aperta,  lo  spogliatojo,  detto  ancora  ccUa  frigidario, 
dove  si  faceva  trattenimento  prima  di  esporsi  alFaria,  il  tepidario^ 
dove  uno  schiavo  grattava  dolcemente   la  pelle  del  padrone  colle 


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stì'igili  e  1'  ungeva  con  olì  profumati ,  il  sudatorio  ed  il  calidario  o 
sieno  la  stufa  ed  i  bagui  caldi,  e  tutti  i  comodi  che  apparteneva- 
no 'ai  bagni.  Ritornandosi  all'  esedra  si  passava  all'  appartamento 
verso  occidente  ed  ai  terrazzi  o  siano  ipetri  che  circondano  il  giar- 
dino. Si  trova  prima  una  gran  galleria;  quindi  VOcicca,  da  servi- 
re anche  di  triclinio  ,  quando  i  commensali  eran  numerosi,  e  va- 
rie stanze  e  gabinetti  per  biblioteca  ed  altri  usi.  Varie  scale  con- 
ducevano all'  appartamento  superiore  ,  ed  altre  al  piano  inferiore. 
Calandosi  per  quella  a  sinistra  della  gran  galleria  si  trova  una 
stanza  decorata  di  stucchi  e  pitture  ,  quindi  un  piccolo  corridojo 
ed  una  scala  che  mena  ai  sotterranei  ,  i  quali  circondano  il  giar- 
dino ,  ad  mi  magnifico  triclinio,  che  fu  trovato  ornato  di  preziose 
pitture ,  e  varie  stanze  graziosamente  dipinte.  Un  portico  qua- 
drato ,  che  era  ornato  di  pitture ,  cingeva  il  giardino  ,  e  nei  suoi 
due  angoli  opposti  alla  casa  erano  il  larario  ed  un  gabinetto.  Nel 
mezzo  havvi  una  peschiera  ,  e  fra  essa  e  la  poi'ta  che  mette  nella 
campagna  evvi  un  recinto  elevato  con  colonne,  le  quali  sosteneva- 
no un  pergolato.  Sotto  i  portici  del  giardino  era  la  cantina,  dove 
veggonsi  ancora  le  antiche  anfore  ,  e  dove  furon  trovati  gli  sclie- 
letri  di  18  giovani  e  due  fanciulli  colle  distinte  impronte  dei  loro 
corpi  e  dei  loro  vestiti  suU'  intonaco  alla  sinistra  calando.  Finalmente 
tra  il  giardino  ed  il  principale  ingresso  della  casa  veggonsi  cucina, 
dispensa  ,  forno,  mia  corte  rustica  ,  stanze  pei  villici,  una  comuni- 
cazione col  peristilio  presso  il  principale  ingresso  e  colle  stanze  degli 
schiavi ,  ed  una  uscita  sulla  strada  de'  sepolcri. 

Questa  strada  sveglia  i  più  commoventi  affetti,  e  ci  dà  in 
piccolo  un'  idea  del  maestoso  spettacolo  che  do\evano  presentare 
i  sepolcreti  all'  ingresso  delle  grandi  città.  Incontro  alla  casa  di 
campagna  teste  descritta  veggonsi  i  sepolcri  della  famiglia  Ar- 
ria.  Dall'  iscrizione  di  ima  di  tali  tombe  si  rileva  ,  che  questo 
luogo  denominavasi  Borgo  Augusto  Felice.  Dopo  alcimi  sepolcri  o 
diruti  o  di  poca  considerazione  si  trova  quello  di  Cejo  e  di  Labeo- 
nc  che  è  pieno  di  begli  ornali  ;  e  quindi  il  grazioso  monumento 
sepolcrale  a  foggia  di  altare  eretto  da  AUeja  Decimilla  sacerdotessa 
di  Cerere  ai  due  Libella  padre  e  figlio.  Quasi  d'  incontro  a  que- 
st'  ultimo  è  un  triclinio  sepolcrale,  adorno  di  pitture  ,  rappresen- 
tanti animali  e  piante  :  ma  colai  monumento  è  in  cattivo  stato. 
Interessante  é  il  sepolcro  seguente  di  Nevoleja  Tiche  e  di  Cajo  Mu- 


—  396  — 
nazio  ;  una  stanza  sepolcrale  dentro  un  recinto  di  fabbrica  contie- 
ne le  urne  cinerarie,  e  sopra  di  essa  uà  elegantissimo  cippo  a  for- 
ma di  altare.  I  bassi-rilievi,  che  1'  adornano  esprimono  le  cerimo- 
nie funebri  di  quei  tempi,  e  la  professione,  l'impiego,  e  gli  onori  di 
Munazio  Fausto.  L'emblema  della  nave,  che  ammaina  le  vele,  può 
dinotare  essere  il  termine  della  vita,  come  il  porto  che  guadagna  un 
naviglio  dopo  la  tempesta. 

In  seguito  delle  tombe  della  famiglia  Nistacidia  trovasi  il  bel  mo- 
numento di  C.  Calvenzio,  ornato  di  bassi-rilievi,  fra  i  quali  vedesi, 
come  in  quello  di  Munazio,  il  bisellio,  sedia  di  onore,  colla  quale 
si  premiava  il  merito.  Incontro  ad  esso  è  una  tomba  sollcrrauca  , 
tx)usislenle  in  una  stanza  sepolcrale  n(;lla  quale  si  rinvennero  vari 
l^regcvoli  oggetti.  La  porla  è  di  un  sol  pezzo  di  marmo.  Richia- 
ma r  attenzione  il  sepolcro  di  Scauro  ornato  di  bassi-rilievi  ,  che 
rappresentano  combattimenti  di  gladiatori  e  di  bestie  feroci  ;  come 
pure  quello  di  Servilia  ,  il  quale  non  era  ancora  terminato. 

11  grande  edifizio  qui  di  rimpetto  vien  creduto  una  osteria  ma 
come  non  è  interamente  scoperto  ,  può  darsi  ancora  che  fosse  una 
casa  di  campagna.  Ha  un  porticato  con  molte  botteghe,  nelle  qua- 
li furon  trovati  molti  oggetti  in  bronzo  ,  ed  utensili  di  vario  ge- 
nere. Sotto  al  porticato  si  rinvennero  degli  scheletri,  presso  dei  quali 
erano  monete  ed  oggetti  preziosi.  Si  dee  credere  che  fuggendo 
in  tempo  delle  catastrofe  qui  si  ricoverarono  e  vi  rimasero  sof- 
fogali. 

Dalla  parte  opposta  si  vede  im  recinto  di  mura,  il  quale  per 
la  vicinanza  delle  tombe  si  volle  credere  destinato  a  brugiare  i  ca- 
daveri. Forse  era  la  corte  rustica  della  prossima  casa  di  campa- 
gna, alla  quale  senza  alcuna  ragione  si  è  dato  il  nome  di  villa  di 
Cicerone.  Questa  villa  fu  tra  i  primi  edifizi  scavati,  e  secondo  fu- 
so di  allora  ne  furon  tolte  varie  belle  i)ilture  ,  due  pregiatissimi 
musaici  ed  altri  oggetti,  e  venne  di  nuo\o  ricoperta. 

Sulla  strada  trovasi  un  portico  con  nove  botteghe  ,  e  dirim- 
petto altre  boiloghe  appartenenti  ad  un  edifizio  scoperto  nel  1826. 
Si  rinvennero  in  esso  quattro  colonne  ed  ima  fontana  rivestita 
di  musaici  di  sorprendente  bellezza.  Da  pertutto  furon  trovati  og- 
getti interessanti  e  tino  nella  strada  si  rinvennero  degli  scheletri 
con  monete  di  oro  e  di  argento  ad  essi  d'  appresso.  Una  grande 
nicchia  o  emiciclo  vicino  era  forse  anche  destinato  ad  essere  se- 
polcro ,    e  vari  altri  sono  cominciati  e  non  terminati. 


^  397  — 

Un  secondo  emiciclo  annunzia  ncU'  iscrizione  la  tomba  della 
sacerdotessa  IMammia.  Per  la  strada  a  lato  ad  esso ,  che  uno  volta 
conduceva  alla  marina  ,  si  passa  ad  osservare  il  moaumcnlo  dettx) 
di  Manimia  ,  del  tulio  rovinalo,  ma  che  era  ornato  di  slalue  e  colon- 
ne. Esiste  la  camera  sepolcrale  adorna  di  stucchi  e  pitture. 

Il  capriccio  oppure  osservazioni  leggiere  han  fatto  dare  più  vol- 
te agli  edilizi  dei  nomi  senza  fondamento. 

Tali  sono  i  due  recinti  alle  spalle  del  precedente  moumnento 
denominati  tomba  dei  comici  pompejani  e  sepolcro  di  bestiami. 
Tornandosi  sulla  grande  sti'ada  dopo  l' emiciclo  di  j\lammia  vedesi  la 
'.omba  detta  di  Porcio,  quindi  un  altro  emiciclo  con  sedile  ,  il  quale 
dall'  iscrizione  che  vi  era  sembra  che  fosse  il  monumento  di  Aulo 
Vejo  ;  e  finalmente  vedesi  la  tomba  di  M.  Cerrinio.  La  forma  nuo- 
va di  questo  sepolcro  ,  la  sua  vicinanza  alla  porta  della  città  ,  e  la 
somiglianza  colle  nostre  vedette  il  fece  credere  luogo  di  g-uardia  per 
soldati. 

Alla  porta  ,  per  la  quale  si  entra  per  questa  parie  nella  città, 
si  dà  il  nome  di  Ercolanese.  Ila  tre  aperture  esterne  e  tre  interne, 
le  due  di  mezzo  per  carri  e  le  laterali  per  le  persone  a  piedi ,  que- 
ste ultime  corrispondono  csatlamente  ai  marciapiedi  della  strada. 
Nelle  mura  interne  ed  esterne  della  porta  si  scrivevano  avvisi  ed  af- 
fissi. Quando  fu  scoperta  vi  si  leggeva  ancora  1'  avviso  di  un  com- 
battimento di  gladiatori  nell'  anfiteatro  ,  il  quale  sarebbe  sialo  co- 
perto da  tende.  Dopo  la  porta  si  vede  sulla  sinistra  un'  ampia  gra- 
dinata ,  per  la  quale  si  sale  sulle  mura.  La  prima  strada  che  si 
trova  vi  presenta  le  case  meglio  conservate  sulla  sinistra  che  sulla 
dritta ,  e  da  per  tutto  si  riconoscono  le  tracce  del  tremuoto  del  63, 
i  guasti  di  cui  non  si  era  giunto  ancora  a  riparare. 

Sulla  dritta  si  vede  F  osteria  di  Albino,  fornita  di  quanto  bi- 
sognava pel  suo  oggetto,  ed  avea  comunicazione  con  due  botteghe, 
dove  si  apparecchiavano  vivande  e  bevande  calde.  Un  altro  albergo 
quasi  ijicontro  avea  una  simile  bottega  assai  bene  ornata  :  in  un 
fornello  vi  fu  trovata  ftibbricata  ima  marmitta  di  bronzo.  Segue 
appresso  la  casa  detta  ,  non  si  sa  perchè ,  delle  vestali ,  che  è 
composta  di  due  distinte  abitazioni  con  due  ingressi  ,  ma  che  co- 
municavano tra  loro.  L'  entrata  principale  offre  un  vero  vestibolo 
coQ  un  atrio  toscano. 


—  398  — 
Il  triclinio  avea  il  centro  del  pavimento  fallo  con  pezzi  di  ve- 
tro di  bellissimo  effetto.  Il  bagno  era  di  una  singolare  costruzione. 
L'altra  casa  che  comimicava  con  questa,  ha  un  atrio  piiì  grande, 
e  si  passa  nella  parte  privata  della  casa  per  1'  esedra.  La  corte  era 
una  specie  di  sislo  con  una  peschiera  di  marmo  nel  mezzo.  Vi  si 
vede  il  sacrario  e  dopo  di  esso  due  stanze  ,  delle  quali  non  si  sa- 
prebbe assegnar  1'  uso.  Furono  trovate  in  questa  casa  varie  pilliure 
ed  oggetti  preziosi  ed  luia  provvisione  di  olio  in  vasi  di  vetro  ,  dì 
castagne  ,  di  dattili  ,  di  uva  e  fischi  socchi  ,  da  servire  per  l' im- 
minente inverno. 

Qui  contigua  è  la  casa  ,  cui  fu  dato  il  nome  del  Chirurgo  per 
gli  strumenti  che  vi  si  rinvennero  attenenti  a  tale  professione.  Fra  gli 
altri  oggetti  di  mollo  pregio  vi  furon  trovati  molti  pesi  in  piombo, 
nei  quali  era  scritto  da  im  lato  eme  e  dall'  altro  habebis  ;  paga 
e  ti  sarà  dato. 

L'  edefìzio  seguente  chiamato  dogana  forse  non  era  che  una 
scuderia.  La  bottega  appresso  fu  qualificata  col  nome  di  fabbrica 
di  sapone  ,  perchè  fu  preso  per  sapone  la  viva  calcina  che  vi  si 
serbava  per  restaurare  le  case  ,  e  le  botteghe  seguenti  si  vogliono 
credere  iermopoli.  Al  termine  della  linea  di  tutti  si  fatti  edifizì,  il 
quale  fa  angolo  con  una  altra  strada  ,  oravi  ima  fontana.  Passan- 
dosi in  questa  piccola  strada  ,  che  termina  alle  mura  ,  si  possono 
osservare  le  case  delle  Dansatriei ,  di  Narciso  ,  e  qualche  al- 
tra. La  prima  ebbe  tal  nome  dalle  pitture  di  danzatrici  che  vi  si 
trovarono  ,  e  la  seconda  per  ima  graziosa  pittura  di  Narciso.  In 
queste  ed  altre  case  di  tale  piccola  strada  fui'ono  rin\cnuli  molti 
monumenti  assai  pregevoli. 

Tornandosi  alla  strada  principale  dopo  1'  albergo  di  Albino  le 
case  ,  come  si  è  detto  ,  sono  in  uno  slato  più  rovinoso  ;  ma  non 
perciò  sono  meno  degne  di  essere  osservate.  Esse  avevano  quat- 
tro piani  ma  due  erano  al  disotto  del  piano  della  strada.  Ne  furo- 
no estratti  bei  musaici  e  molte  pitture  che  si  veggono  nel  Real  Mu- 
seo. Da  esse  doveva  esser  deliziosa  la  veduta  verso  la  marina. 

Dopo  Timione  delle  due  strade  finora  percorse  si  trova  sulla 
sinistra  la  casa  detta  di  Sallustio,  perche  avea  tal  nome  scritto  sul 
muro  cslerno  ,  e  di  Atteone  ,  perchè  in  mia  stanza  vi  è  dipinta  la 
favola  di  lui  fatto  a  brani  dai  suoi  cani.  11  proprietario  riteneva  im 
forno  che  affittava  ,  nel  quale  erano  tre  mulini ,  ed  un  quarto  più 


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piccolo  ,  colle  stanze  da  manipolare  il  pane  e  da  conservarlo.  La 
i)Occa  del  forno  veniva  chiusa  con  porta  di  ferro.  Segue  un'  altra 
bottega  ,  che  comunica  col  cavedio,  nella  quale  si  vendevan  le  merci 
per  conto  del  padrone. 

Due  altre  botteghe  sulla  strada ,  dagli  oggetti  rinvenuti  si  ri- 
leva che  erano  ,  ima  per  uso  di  marraorajo  ,  e  l' altra  per  termo- 
polio. In  mozzo  a  queste  quattro  botteghe  con  l' ingresso,  quindi  il 
protiro  ,  r  atrio  toscano  ,  l' impluvio  sopra  uno  dei  di  cui  lati  fu 
trovata  una  cerva  di  bi-onzo  che  gettava  1'  acqua  dalla  bocca  ;  a 
dritta  del  protiro  la  stanza  di  trattenimento  ,  che  comunicava  con 
altra  forse  destinala  al  maestro  di  casa.  A  fianco  a  questa  mia  stan- 
za per  ospiti  ,  e  dopo  di  esse  1'  entrata  nell'  appartamento  privato, 
la  quale  tiene  a  fianco  uno  stanzino  per  lo  schiavo  che  la  guarda- 
va. Continuando  a  girar  1'  atrio  seguiva  1'  ala  colla  stanza  del  ser- 
vo atrionso  ,  poi  un  corridojo  [faiiees)   che  conduceva  al  portico 
coperto  ,  dirimpetto  alla  principal  porta  il  tablino  ,  quindi  il  lara- 
rio che  fa  simmetria  colle  fauci ,  \  altra  ala ,  dalla  quale  si  pas- 
sa ad  ima  stanza  con  una  scala  ,  che  porta  all'  appartamento    su- 
periore ,  destinato  forse  per  1'  inverno  (  ibernaculum  ) ,  due  stanze 
per  gli  ospiti  ,  ed  il  triclinio  ,  preceduto  da  altra  picciola  stanza. 
L'  ultima  apertura  dell'  atrio  a  fianco  al  protiro  era  la  comunicazio- 
ne sopraddetta  colla  seconda  bottega.  Entrando  per  le  fauci  al  la- 
to al  tablino  si  va  al  portico  coperto  ,  il  quale  ha  un  piccolo  ba- 
gno ,  che  riceveva  l' acqua  da  una  fontana  posta  nel  sisto  ;  incon- 
tro al  bagno  è  un  fornello  per  riscaldar  vivande  ,  e  quindi  un  ga- 
binetto che  sporgeva  sul  piccolo  giardino.  Qui  dappresso  è  1'  eco  , 
che  serviva  anche  per  triclinio  ,  e  dal  portico  per  due  brevi  scale 
si  saliva  al  sisto  cireondato  di  cassettoni  per  fiori  e  piante.    In  un 
angolo  presso  la  fontana  era  il  triclinio  estivo  ,  coperto  di  un  per- 
golato e  colla  veduta  del  sisto  e  del  piccolo  giardino  ;  e  sì  l' imo 
che  r  altro  aveano  una  cisterna.  A  dritta  del  portico  é  posto  V  in- 
gresso segreto  col  suo  vestibolo  ,  ima  scala  che  porta  al  piano  su- 
periore ,  la  stanza  pel  servo  cui  era  affidato  questo  ingresso  ,  ed 
una  grande  cucina.  Ritornandosi  all'  atrio  per  l'entrata  di  sopra  no- 
minata si  passa  all'  appartamento  del  padron  di  casa,  e  si  trova  un 
portico  con  una  corte  ,  che  ha  una  peschiera ,  a  dritto  un  eco  da 
servir  anche  di  triclinio  ,  due  gabinetti  ed  altri  comodi. 

Uscendosi  per  la  porta  segreta  di  questa  casa  si  vede  incontro 
.Sasso  —  Voi.  I.  51 


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r  altra  della  di  Modesto  ,  perchè  tal  nome  era  scritto  sulle  mura. 
Essa  darà  un'  idea  dalle  case  piccole  di  Pompei.  Le  pareti  dipinte 
con  giislo  rappresenta  Verno  fatti  presi  dall'  Odissea  ;  e  pure  la  casa 
appai'tencva  ad  uno  che  teneva  bottega  ,  di  cui  si  vede  la  comuni- 
cazione interna.  Ivi  vicina  è  la  casa  detta  dei  fiori  ,  perchè  tra  le 
graziose  pittui'e  che  l' ornavano  vi  erano  delle  donne,  le  quali  aveano 
i  grembiali  pieni  di  fiori. 

Dopo  la  casa  di  Alteone  si  trova  im  forno  pubblico  o  panati- 
ca, di  assai  più  vasto  dell'altro  già  descritto.  Oltre  tutte  le  dipen- 
denze di  simili  edifizl  ,  avca  mia  scuderia  per  gli  animali  impiegati 
al  servizio  di  quattro  molini  ancora  esistenti.  Nel  pristinum ,  dove 
si  lavorava  la  pasta  ,  è  dipinto  un  sacrificio  alla  dea  Fornace.  Fu 
trovato  in  questo  forno  grano  e  farina  dentro  grandi  anfore.  Ap- 
presso al  forno  è  la  casa  detta  accademia  di  musica  per  gli  stru- 
jiienti  musicali  che  vi  son  dipinti  sulle  pareti  e  nelle  camere  intorno 
all'  atrio.  Seguitano  altre  abitazioni  con  botteghe,  ed  al?  angolo  tra 
le  due  strade  mia  fontana. 

Incontro  la  casa  suddetta  della  musica  è  quella  denominata  di 
Polibio  ,  la  quale  ha  la  singolarità  di  avere  due  porle  sulla  stes- 
sa strada  con  un  doppio  vestibolo  ,  che  mettono  in  an  ampio  atrio 
corintio.  Questa  magnifica  casa  dovea  appartenere  ad  un  mercatan- 
te ,  come  fa  crederlo  la  comunicazione  interna  con  una  delle  sinì 
botteghe.  Poco  più  oltre  dalla  parte  opposta  vcdcsi  una  bottega,  in 
cui  furon  trovati  molti  vasi  ,  medicamenti  disseccati,  ed  ima  serpe 
dipinta  sul  muro  estemo. 

Le  case  tra  questa  strada  ed  il  vicoletto  opposlo  ,  come  tutte  le 
altre  fino  alle  terme  ,  furono  scoixjrte  nei  primi  tempi  dello  scavo 
e  di  bel  nuovo  ricoperte. 

hitercssante  è  la  casa  detta  di  Pausa  ,  cominciata  a  scoprine  noi 
1S12  ,  la  quale  formava  una  perfetta  isola.  Essa  è  molto  ben  di- 
stribuita ;  ha  sette  botteghe  sopra  tre  strade  ,  ti-e  casette  e  tre  ap- 
partamenti da  affittare ,  e  nel  mezzo  un  grande  e  oimodo  apparta- 
mento pel  padrone  di  casa. 

Sul  quarto  lato  evvi  un  magnifico  ijortico ,  die  guarda  tm  bel 
giardino  ,  in  cui  si  son  trovati  i  canali  di  piombo  ,  che  acconcia- 
mente distribuivano  1'  acqua  da  per  tutto.  Sotto  questo  portico  fu 
rinvenuto  il  bel  candelabro  che  esiste  nel  Real  Museo,  oltre  molti  pre- 
ziosi oggetti.  Questa  casa  ncll'  acclusa  pianta  ò  creduto  riportarla  in 


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una  scala  più  grande  ,  onde  farne  a  colpo  d' occhio   meglio  osser- 
vare tulle  le  singule  sue  parli. 

Le  case  scoperte  dopo  quella  di  Pansa  sono  le  meglio  conserva- 
te ,  e  richiamano  di  più  l'attenzione.  Nella  prima  di  esse  yedesi  sul 
pavimento  a  mosaico  del  protiro  un  cane  in  alto  minaccioso  ,  col 
mollo  cave  canem.  La  casa  ha  le  solite  partizioni^  ch'cran  deco- 
rale di  bei  mosaici  e  di  superbe  pitlure ,  le  più  belle  delle  quali 
sono  nel  Real  Museo.  Tra  esse  si  distingue  Briseide  ed  Achille  che 
si  dividono  loro  malgrado  ,  e  Briseide  nel  punto  d'  imbarcarsi.  Da 
questa  casa  procedendo  avanti  si  allraversa  la  strada  cosi  della  della 
Fortuna  che  mena  alla  'porta  d' Iside.  Vi  s' incontrano  graziose  ed 
interessanti  abitazioni. 

Quella  del  gran  musaico  è  una  delle  più  belle  e  magnifiche 
di  Pompei  ;  \i  si  ammira  quel  famoso  capo  d' opera  che  rappresen- 
ta una  ballaglia  fra  Greci  e  Persiani  che  non  ha  finora  1'  eguale 
né  in  Pompei  ,  né  altrove.  Dirimpello  a  fjncsl'  abitazione  sono  quel- 
le di  Amore  e  Psiche  o  della  parete  nera  ,  di  Anfione ,  e  Dirce; 
di  Arianna  ,  e  di  Dedalo  e  Pasifae  o  della  caccia,  per  altrellanle 
piltiu-e  che  vi  si  ammirano.  La  strada  continua  formando  un  qua- 
drivio e  termina  al  presente  innanzi  alle  case  del  torello  di  bron- 
zo e  della  ghirlanda. 

Visitale  queste  case  si  può  passare  a  vedere  le  terme  ,  interes- 
santissimo oggetto  ,  che  ci  da  una  compiuta  idea  di  tal  genere  di 
edilìzi. 

Vi  si  entra  per  sei  porle  ,  a  due  lati  di  una  corte  vie  un  por- 
tico ,  uno  di  cui  metà  ha  dei  sedili  di  fabbrica  ,  in  mezzo  ai  quali 
è  r  entrala  di  mia  piccola  esedra  o  sia  stanza  di  compagnia,  tn 
comdojo  a  dritta  porla  allo  spogliato] o,  stanza  che  ha  un  guardaro- 
ba da  un  lato  ed  è  cinla  per  tre  lati  da  sedili  di  fabbrica.  Da  essa 
per  una  parte  si  entra  nella  stanza  dei  bagni  freddi  [frigidarimn] 
la  qnale  ha  quattro  niccliie  da  sedere  negli  angoli,  e  nel  mezzo  la 
alveus  o  sia  bacino  cinto  di  gradini  ove  scdevasi  pel  bagno,  e  per 
un'altra  parie  in  quella  dei  bagni  caldi  [tepidarium). 

Questa  era  la  stanza  di  tulle  la  più  ornala.  Vi  era  un  gran 
braciere  di  bronzo  che  ancora  vi  si  conserva.  Da  qui  si  passa  alla 
stufa  (  calidarium  )  ,  la  quale  ha  un  doppio  pavimento  ,  trai  qiuili 
come  pure  ,  per  vóto  formato  nelle  mura  interne  ,  passava  il  vapo- 
re di  Ire  caldaje  vicine  per  mezzo  di  tubi.  Dallo  spoglialojo  per  uno 


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stretto  corridojo  si  va  alle  fornaci  ed  alle  caldaje  ,  al  serbatojo  di 
acqua  e  ad  una  corte  pel  servizio  dei  bagni.  Tra  questa  corte  ed 
i  La^^ni  descritti ,  nell'  angolo  più  grande  dell'  cdifìzio  ,  vi  si  vede 
ripetuto  più  in  piccolo  lo  slesso  ordine  di  stanze.  Vi  si  entra  per 
un  ingresso  separalo  ,  e  si  trova  un  piccolo  vestibolo  ,  lo  spoglia- 
lojo  ,  il  frigidario  ,  il  tepidario  ed  il  calidario. 

Il  resto  dell'  edifizio  ,  che  e  posto  fra  quattro  strade,  contiene, 
botteghe  ,  nelle  quali  probabilmente  si  spacciavano  oggetti  di  lus- 
so e  di  comodo  per  chi  prendeva  i  bagni. 

A  lato  alla  casa  del  cave  ccmem  fu  dissotterrato  un  arco  , 
che  ornava  l' ingresso  della  strada  detta  dei  Mercuri ,  e  che  tene- 
va addossate  le  due  fontane  ,  e  qui  dappresso  si  rinvennero  dei 
frammenti  di  ima  statua  equestre  di  bronzo.  Sulla  sinistra  di  que- 
sta strada  furono  scoperte  nel  1825  sette  botteghe  le  di  cui  mura 
esterne  ,  come  tante  altre ,  eran  coperte  di  avvisi  e  di  affissi.  Nel- 
la stessa  strada  dei  Mercuri  si  ammirano  le  case  dell'  ancora,  del 
Lupanare ,  di  Castore  e  Polluce  ,  e  di  J/eleagro  ;  e  dirimpetto 
quelle  di  Apollo  ,  di  Adone  ,  e  della  toletta  di  Eì'me frodila,  e  le 
case  ove  si  rinvennero  quei  numei'osi  vasi  dì  argento  abbelliti  di 
bassi  rilievi  e  di  ornali  preziosi ,  che  si  conservano  nel  Real  Mu- 
seo. La  Fullonica  posta  tra  due  s  rade  è  uno  degli  oggetti  più  cu- 
riosi scoperti  a  Pompei.  Ha  im  portico  con  una  fontana  ,  e  molte 
stanze  destinate  all'  arte  dei  tintori. 

Ai  lati  della  fontana  sono  due  pilastri  ornati  di  pitture.  In 
mio  di  essi  sono  rappresentate  diverse  operazioni  dei  fulloni.  Que- 
sto pilastro  vedesi  nel  Real  Museo.  Seguono  due  case  della  grande 
e  piccola  fontana  ,  cosi  dette  per  due  belle  fontane  ,  che  tengono, 
ornate  di  musaici.  Dall'  altra  parte  della  strada  è  la  casa  del  Aa- 
viglio  e  delle  Baccanti  ,  la  quale  ebbe  tal  nome  delle  pitture  rin- 
venutevi ,  e  che  si  sarebbe  dovuto  dire  piuttosto  di  Zefiro  e  Flo- 
ra  per  tal  bella  pittura  che  vi  era  ,  la  quale  oggi  è  nel  Real  Museo. 
Qui  vicino  é  il  picciolo  tempio  della  Fortima  ,  che  era  ricco  di 
marmi  e  di  ornamenti  ,  dei  quali  era  già  stata  in  parte  spogliato. 
Nel  santuario  era  la  statua  di  una  donna  ,  ed  im'  altra  che  si  pre- 
tende di  Cicerone. 

La  strada  ,  che  per  avanti  questo  tempio  conduce  al  Foro  , 
è  la  più  larga  di  Pompei  ,  ed  e  fiancheggiata  di  botteghe  ,  delle 
quali  quelle  a  dritta  appartengono  alle  tenue  e  fra  le  altro  a  sini- 


—  403  — 
stra  è  la  casa  detta  di  Bacco.  Prima  di  entrare  nel  Foro  incrocia 
un'  altra  strada ,  la  quale  contiene  holleghe  ed  osterie  ;  e  prcssti 
del  Foro  ima  bottega  ,  cui  si  e  dato  il  nome  di  scuola  di  gladia- 
tori ,  perchè  tiene  dipinto  sulle  mura  esterne  un  combattimento  di 
essi. In  tutte  queste  botteghe  furon  trovati  moltissimi  oggetti,  dai  quali 
si  è  rilevato  che  alcune  erano  principalmente  destinate  alla  vendi- 
ta di  vetrerie  ,  di  bronzi  ,  di  terre  colte. 

II  Foro  fu  scoperto  dal  1813  al  1818.  La  grandezza  della  piaz- 
za di  forma  rettangolare  ,  i  suoi  portici  a  doppio  ordine,  i  suoi  or- 
namenti ,  gli  edifizi  che  1'  adornano  altamente  sorprendono  ,  se  si 
considera  la  picciola  città  cui  appartengono. 

Ha  tre  ingressi  a  forma  di  ardii  trionfali.  Entrandosi  per  quel- 
la cui  mena  la  strada  della  Fortuna  ,  vedesi  il  tempio  ,  al  quale 
senza  pruove  chiare  si  è  dato  il  nome  di  Giove.  Pare  che  crollato, 
col  tremuolo  del  63  ,  si  stesse  restaurando  nel  tempo  dell'  ultimo 
fato  di  quesla  città.  Furon  trovati  nel  tempio  ed  intorno  ad  esso  va- 
rie statue  e  frammenti  ,  e  nel  sotterraneo  non  pochi  pezzi  architet- 
tonici ,  alcuni  dei  quali  non  appartenevano  a  questo  tempio  ,  ma 
vi  dovevan  esser  riposti  come  in  un  magazzino.  Dopo  del  detto  tem- 
pio ,  si  trova  un  edilìzio  creduto  carceri.  Segue  il  silo  dove  erano 
i  modelli  delle  misure  di  capacità  ;  e  quindi  si  vede  il  tempio  di 
Venere  ,  che  era  tutto  adorno  di  pitture.  Vi  furon  trovate  statue  , 
frammenti  di  esse,  ed  iscrizioni,  da  una  delle  quali  ultime,  che  era 
nella  cella  ,  si  e  rilevato  il  Nmne  cui  era  il  tempio  consacrato. 

Si  passa  quindi  alla  Basilica  ,  magnifico  edilìzio  terminalo  di 
scoprire  nel  1813  ,  che  ha  nel  mezzo  una  navata  scoperta  e  due  al- 
tre con  portici  ai  fianchi. 

L'  ordme  di  colonne  joniche  giungeva  al  tetto  ;  1'  altro  di  cx)- 
lonne  corintie  ,  più  interno  sosteneva  un  secondo  piano  aperto  ver- 
so la  gran  navata.  Nel  fondo  era  la  tribuna.  Al  lato  alla  Basilica 
e  di  prospetto  nel  Foro  sono  tre  curie  ,  ove  rendevasi  giustizia ,  si 
conservavano  gli  atti  ed  il  danajo  pubblico.  Gli  ornati  di  esse  sono 
stati  trovati  confusi  con  altri  che  loro  non  apparlenevano.  Oggi  sono 
riempite  di  rollami  di  marmi ,  di  terre  cotte  e  altri  oggetti. 

Segue  il  monumento  di  Eumachia,  composto  del  calcidico,  della 
cripta  e  dei  portici^  dalla  detta  Eumachia  dedicati  alla  Pietà,  giusta 
r  iscrizione  che  leggesi  sull'  arcotrave.  Il  calcidico  è  una  specie  di 
vestibolo  ornato  di  marmi  con  nicchie,  dal  quale  per  ampia  porta  si 


—  404  — 
passa  ai  portici  ,  in  fondo  dei  quali  era  la  statua  della  Concordia, 
e  da  assi  alla  cripta  ,  altro  portico  più  interno  ,  dove  fu  trovala 
la  statua  della  Sacerdotessa  Euraachia  erettole  dal  collegio  dei  tin- 
tori 0  sia  fuUoni.  Dopo  il  tempio  creduli)  di  IMercurio  o  di  Quirino 
che  nulla  lia  da  richiamar  V  attenzione  ,  vedcsi  \ma  gran  sala  se- 
micircolare con  ara  nel  centro  e  con  sedili  e  nicchie  ,  che  credesi 
il  luogo  del  decurionalo.  Trovasi  quindi  il  Panteon  o  sia  tempio  di 
Augusto,  scoperto  nel  1821.  L'  architellura  n'  è  bella  ,  e  le  nume- 
rose pitture  che  T  adornano  sono  assai  pregevoli.  Si  sono  rinvenuti 
molti  interessanti  oggetti  ,  tanto  in  esso  che  nelle  vicine  botteghe, 
specialmente  in  cpielle  sulla  strada  degli  Jugiistali  ,  nelle  quali  si 
trovò  pure  una  gran  quantità  di  commestibili  e  belle  decorazioni  di 
pitture. 

Dalla  strada  degli  Augustali  torcendo  a  dritta  per  quella  pa- 
rallela al  Foro  ,  si  trova  la  casa  del  Re  di  Prussia  ,  cosi  detta  per- 
chè scavata  avanti  quel  Monarca  nel  1822.  Seguono  le  case  della  Pe- 
scairice  ,  e  di  Venere  e  Marte  ,  che  prendono  i  nomi  dalle  pitture 
ond'  erano  ornate.  Qucst'  ultima  slrada  incontra  l' altra  detta  dei 
inereanti ,  nella  quale  si  veggono  la  casa  del  Cinghiale  e  quella 
delle  Grazie  o  sia  la  farmacia,  in  cui  furon  trovati  ,  fra  gli  altri 
iatcressanli  oggetti ,  molti  strumenti  di  chirurgia  e  varie  medicine. 
A  fianco  ad  essa  è  il  vico  detto  dei  dodici  grandi  Bei;  perchè  li  tiene 
dipinti  in  un  suo  angolo  ,  ed  infine  della  strada  dei  mercanti  tro- 
vasi la  Casa  di  Francesco  I ,  scavata  in  presenza  di  questo  impera- 
tore nel  1819,  nella  quale  furono  scoperte  varie  preziose  cose. 

Da  questo  pxmto  l' éilti'a  strada  ,  oggi  detta  del  Teatro  ,  con- 
duce ad  importanti  cdifizì.  Vi  si  può  pure  venire  pel  Foro,  parten- 
do'da  un  vico  a  lato  alle  Curie  ,  detto  vico  del  teatro.  Nelle  abi- 
tazioni scoperte  lungo  queste  due  strade  furon  trovati  più  preziosi 
oggetti ,  specialmente  monete.  Ambedue  esse  strade  metton  capo  al 
Foro  triangolare  ,  che  fu  terminalo  di  scoprire  nel  1813.  E  cinlo 
di  portici  ,  sostenuti  da  cento  colonne  doriche  ,  che  presentano  un 
magnifico  aspetto. 

Questo  Foro  deve  essere  più  antico  dell'  altro  ,  e  forse  era  del 
tempo  degli  Elrusci. 

Vi  fu  trovato  il  piedestallo  di  una  statua  dedicata  a  Claudio 
Marcello  ,  la  quale  non  più  vi  era.  Nel  suo  lato  dalla  parte  del  tea- 
tro un  basso  muro  parallelo  al  teatro  fa  credere  che  vi  fosse    uno 


—  40o  — 
stadio  per  gli  esercizi  ginnastici.  Il  tempio  di  Nettuno  o  di  Ercole, 
che  tiene  nel  mezzo ,  e  sul  fare  di  quelli  di  Pesto. 

Nella  casa  detta  di  Giuseppe  II  si  rinvenne  tra  altri  oggetti  la 
bella  pittura,  che  il  Generale  ^'iscouti  credette  di  Sofonisba  e  Mas- 
sinissa. 

Dietro  il  più  lungo  lato  del  porticato  del  Foro  un  ingresso  por- 
la ad  uno  dei  vomilori  del  gi'an  teatro  ,  e  per  una  jiiccola  scala  si 
sale  alla  sommità  dell'  ediflzio  donde  si  gode  la  veduta  più  bella 
die  offre  Pompei.  Presso  detto  ingresso  vedesi  una  gran  conser\ a  di 
acqua ,  e  quindi  un  ediflzio  ,  di  cui  non  si  conosce  l' uso  ,  malgra- 
do cJie  qualcmio  lo  denominasse  tiùbunale.  Probabilmente  si  saprà 
colla  spiegazione  di  una  iscrizione  Osca  qui  rinvenuta. 

Il  tempio  d' Iside  è  uno  degli  oggetti  più  interessanti  di  Pompei. 
Rovinato  dal  tremuoto  del  63  ,  era  stato  riedificato  da  Popidio,  co- 
me si  rileva  dall'  iscrizione  che  era  sulla  porta.  Un  portico  quadri- 
latero ne  forma  l' interno.  Alla  sua  dritta  una  specie  di  pozzo  era 
destinato  a  ricevere  le  ceneri  dei  sagrifici.  Si  entra  dirimpetto  in  una 
piccola  stanza  ,  dalla  quale  si  scende  in  un  piccolo  sotterraneo.  In 
faccia  a  detta  stanza  si  vede  un  grande  altare  ,  sopra  del  quale 
furon  trovate  ceneri  ed  ossa  di  animali  bniiiiati. 

Altri  piccioli  altari  in  numero  di  dieci  sono  distribuiti  nel  por- 
tico coperto  e  nella  parte  scoperta  del  tempio.  Per  ima  scala  si  sa- 
le alla  cella  ,  in  fondo  della  quale  é  un  podio  vóto  al  disotto.  Si 
veggono  nel  Real  iWuseo  le  pitture  che  ornavano  questo  tempio,  do- 
ve si  linvennero  più  statue  ,  la  tavola  Isiaca  ed  altri  interessanti  og- 
getti. A  lato  a  questo  e  un  altro  tempio  ,  il  più  picciolo  di  quelli 
finora  trovati  a  Pompei. 

Chi  lo  vuole  consagrato  ad  Esculapio  ,  chi  a  Priaixj  ,  e  chi  a 
Giove  e  Giunone.  Vi  furon  trovale  sul  podio  due  statue  di  terra  cot- 
ta ed  im  busto  di  !\Iinerva. 

Le  due  prime  furon  da  Vinkelmann  credute  di  Esculapio  e  d'I- 
giea  ,  e  da  Donuccì  si  reputarono  di  Giove  e  di  Giunone. 

Richiama  qui  dappresso  in  particolar  modo  1'  attenzione  V  offi- 
cina dello  statuario  o  lavoratore  di  manni,  la  quale  era  in  piena 
azione  ,  allorché  accadde  la  catastrofe.  Ciò  viene  a  pieno  dimostra- 
to dalle  figure  non  terminate,  da  un  marmo  mezzo  segato^  e  dalla 
sega  che  aveva  vicino  ,  e  da  lutti  gli  utensili  attmenti  ad  uno  sta- 
tuario che  vi  furon  trovati,  oltre  tanti  altri  oggetti  anche  di  bronzo. 


—  40G  — 
Si  può  quindi  passare  a  visitare  i  due  tealri.  Del  grande,  osia 
teatro  tragico  ,  se  n'  ebbero  i  primi  indizi  nel  1764-,  e  dell'Odeone 
nel  1769  ;  nia  tali  interessanti  monumenti  si  lasciarono  sepolti  per 
altri  30  anni.  Si  veggono  in  essi  distintamente  la  scena  ,  1'  orche- 
stra ,  la  cavea  ,  i  cunei  ,  i  sedili  ,  i  vomitorì.  Il  teatro  più  picco- 
lo era  coperto  ,  ed  e  meglio  conservato  ;  il  più  grande  però  era  me- 
glio decox'ato.  Di  questo  pai'la  Dione  ,  e  dice  che  portava  il  nome 
di  Pompeo  e  che  era  magnifico.  E  rovinato  nello  sue  parti  superio- 
ri e  spoglialo  dei  marmi  ,  come  è  accaduto  ai  vari  altri  elevati  e- 
defìzl  che  non  restarono  interamente  sepolti. 

Un  altro  edifizio  pubblico,  cominciato  a  scoprire  nel  1766,  e 
messo  totalmente  in  vista  nel  1794.  ,  è  un  soggetto  di  controversia 
pel  suo  uso.  Fin  dal  principio  fu  credulo  un  quartiere  di  soldati  ;  ma 
vi  é  stato  chi  lo  riguarda  come  un  porticato  per  comodo  dei  vicini 
teatri,  e  chi  il  suppone  im  mercato  o  foro  nimdinario.  Ambedue  que- 
ste supposizioni  si  troveranno  strane  quando  si  riflette  che  non  si  en- 
trava in  questo  edifizio  che  per  uno  stretto  ^  icolello  ,  giacché  l' altro 
attuale  ingresso  verso  la  strada  maestra  è  moderno.  Del  resto  la  forma 
delFedifizio  ,  la  sua  situazione  all'  estremità  della  città  e  verso  il  porto 
una  sola  gran  cucina  comune,  molte  piccole  stanze,  ed  im  solo  grande 
appartamento,  come  destinalo  a  chi  vi  comandasse  ,  gli  oggetti  rinve- 
nutevi di  armi  e  di  ornamenti  militari  ,  degli  scheletri  trovativi  in 
maggior  numero  che  in  qualunqu  iltro  luogo,  quattro  di  essi  in  ima 
stanza  coi  ceppi  ai  piedi,  tutto  fa  credere  che  1'  edifizio  non  fosse  che 
mi  quartiere  di  soldati. 

Da  questo  luogo  si  può  andare  all'anfiteatro  o  per  la  strada  maestra 
o  traversando  le  vigne,  che  coprono  la  rimenenle  parte  di  Pompei.  Es- 
so é  posto  in  mi  angolo  della  città  e  presso  le  mura.  Due  gramli  in- 
gressi portano  nclVare7ia,  dalla  quale  si  può  ammirare  l'accordo  e  la 
distribuzione  di  tulle  le  parli.  La  cavea  è  divisa  in  tre  parti  da  due 
ambulacì'i.  L' infima,  come  più  prossima  allo  spettacolo,  era  il  posto 
di  onore,  e  vi  sedevano  magistrali,  sacerdoti  ed  altri  cui  era  concessa 
tale  distinzione. 

La  media  cavea  formata  di  dodici  gradini  era  destinata  pei  mi- 
litari ,  pei  collegi  o  siano  persone  che  facevan  corpo  ,  e  pei  citta- 
dini qualificali.  La  terza  divisione  ,  detta  summa  cavea  ,  che  avea 
18  gradini  ,  era  per  la  plebe. 


—  407  — 
Quindi  Cicerone  chiama  le  parole  di  gusto  plebeo  ,  verba  ad 
summam  caveam  spectantia.  Nella  parte  più  alla  stavan  le  logge  per 
le  donne.  I  gradini  o  siano  sedili  erano  intersecali  da  cunei  ,  cosi 
detti  perchè  si  avvicinavano  verso  1'  infima  cavea  ,  si  allontanava- 
no verso  la  summa  ;  e  cunei  eran  anche  dette  le  parli  che  tali  di- 
visioni venivano  a  formare.  Quaranta  vomitorì  davano  1'  entrata  e 
r  uscita  alla  cavea.  Due  corridoi  cingevano  1'  arena,  che  non  si  pos- 
sono percorrere  interamente  ,  perchè  tagliati  nel  mezzo  da  quattro 
mura  per  impedire  1'  affollamento.  Dal  più  allo  ambulacro  esterno 
si  passa  alla  media  e  summa  cavea,  e  si  sale  ad  un  rorridojo  pel 
quale  si  entra  nelle  logge  per  le  donne.  Si  gode  di  quivi  mia  bella 
veduta  e  dell'  intero  anfiteatro  e  della  vicina  campagna. 

Non  molto  discosto  dall'  anfiteatro  fu  fallo  un  piccolo  scavo  nel 
1784.,  dove  era  la  casa  delta  di  Giulia  Felice;  ma  venne  nuovamente 
ricoperta.  Vi  fu  trovalo  il  famoso  tripode  di  bronzo  ed  altri  prezio- 
si oggetli.  In  un  affisso  ,  scritto  sul  miu-o  esterno  ,  si  dava  1'  avvi- 
so dell'  affilio  da  farsi  ,  tra  i  6  e  gli  8  d'  Agosto  per  cinque  anni, 
di  un  bagno  ,  di  un  venereo ,  di  90  botteghe  con  pergolati ,  stan. 
ze  supei'iori  ce. 

Altro  piccolo  scavamento  fu  cominciato  nel  1813  ,  presso  una 
delle  porte  dal  lato  di  settentrione. 

Quando  si  considera  la  picciola  porzione  scoperta  di  Pompei  , 
che  forse  non  ne  è  il  quinto  ,  ed  il  gran  numero  di  rai'i  monumenti 
raccolti  ,  ben  si  comprende  quanti  altri  ne  rimangono  sepolti  ,  e 
quanto  impazientemente  si  aspetti  di  vederla  interamente  scoperta.  Se 
è  una  gloria  il  fondare  le  cilici,  non  è  inferiore  l'altra  di  farle  rivi, 
vere.  Si  svegliano  i  talenti  nazionali,  si  perfezionano  le  arti,  si  svela 
r  antichità  ,  si  appagano  i  dotti  ,  si  spandono  ricchezze  dagli  este- 
ri attirati  da  una  giusta  curiosità. 

Si  fa  conto  che  per  eseguirsi  l'intero  sgombramento  della  parte 
che  ne  resta  sepolta  vi  bisognerebbero  700  mila  ducali,  somma  non 
grande,  e  che  produrrebbe  tesori  immensi.  Ad  agevolare  l'impresa 
potrebbesi  formare  un'associazione  si  da  mettere  in  pochi  amii  allo 
scoperto  interamente  quella  vetusta  città,  e  da  per  tutto  vi  si  cor- 
rerebbe a  folla  per  contemplare  il  singolare  spettacolo. 

Gli  scavi  per  le  fatali  emergenze  del  184.8  furon  sospesi.  L'ul- 
tima casa  scoverta  a  tutto  il   1847  fu  quella  di  J/.  Lucrezia  o  del- 
la Suonairice,  segnala  in  pianta  Tav.  22  col  n.  150. 
Sasso  —  Voi.  I.  52 


—  408  — 

Ai  18  ottobre  ISSO  gli  scavi  di  Pompei  furono  ripigliali  lun- 
go la  strada  dei  quadrivi  che  partendo  da  qiiella  della  Fortuna  va 
a  raggiungere  la  porta  Stabiana. 

Di  questi  nuovi  scavi  cioè  dal  1850  al  1855  darò  qui  appres- 
so una  esatta  relazione. 

Ai  18  ottobre  1850  adunque  ripigliati  furono  gli  scavi  lateral- 
mente alla  casa  dei  Signori  IMinerrini.  Si  rinvenne  in  pria  un  an- 
tica iscrizione  graffila  sopra  il  muro  di  im  piccolo  atrio  (XXXII  ORI- 
'^^  CIATI). 

^^''■^  2  Vi  si  trovarono  benanche  le  vestigia  dì  un  foeolajo  in    comu- 

nicazione con  stanzette  nelle  quali  vi  si  scoprì  ima  stufa.  Nel  piano 
superiore  due  stanze ,  di  cui  una  ben  dipinta  con  vari  ornamenti 
architettonici.  Nei  mezzi  delle  sue  quattro  pareti  quattro  ben  intesi 
dipinti  in  figure. 

Ai  5  aprile  1851.  Si  fecero  scavamenti  nel  silo  appo  la  casa 
delle  Suonalrici.  In  im  angolo  del  quadrivio  iimanzi  a  quei  molli 
compresi  di  botteghe  uniformi,  e  precisamente  nello  slesso  lato  della 
casa  delle  Suonalrici  ,  sopra  una  pietra  a  fronte  del  mai'ciapiode  si 
trovarono  incise  le  lettere  EX.  K.  Q.  VI. 

Ai  12  luglio  1851.  Si  cominciò  uno  altro  scavo  verso  il  tea- 
tro volgendo  alla  porta  di  Slabia,  cinquanta  palmi  più  giù  della 
città  imperocché  era  questo  il  sito  pel  quale  i  Pompejani  scendevano 
al  mare. 

Non  vi  si  trovò  che  un'anfora  di  palmi  5  di  altezza  nella  quale 
chiara  apparisce  la  seguente  iscrizione  : 


itiy    .^055 


VESPASIANO  III.  ET  FILIO.  C.  S. 

Cioè  f'espasiano  III,  et  (ìlio  Consulibiis ,mì\c  a.  Aita  fra  il  secon- 
do e  terzo  consolalo  di  Vespasiano  Augusto  e  Tito  suo  figlio,  cioè  Tan- 
no 70  dell'E.  C.  (823  di  Roma),  nove  anni  prima  della  distruzione  di 
Pompei. 

Al  12  agosto  1851.  Visita  a  Pompei  di  S.  A.  I.  R.  l'Arcidu- 
ca Massimiliano.  In  occasione  della  visita  di  S.  A.  R.  la  Duchessa 
di  Parma  il  giorno  13  s'intraprese  altro  scavo  nella  strada  delle 
Suonalrici,  e  precisamente  nella  bottega  in  seguito  di  quelle  dissot- 
terrale antecedentemente.  Fra  le  altre  coso  si  rinvennero  dieci  spe- 
cie di  colori  bellissmii,  il  che  fa  conjetturaro  che  questa  appartenesse 


—  409  — 
ad  un  Droghiere  o  vendilor  di  colori.  Da  ciò  si  conosce  quanto  gli 
antichi  fossero  accurati  e  periti  nella  preparazione  dei  loro  colori  , 
e  questo  con  ammirazione  e  stupore  lo  scorgiamo  nelle  belle  opere 
loro  ,  massime  oggi  che  con  cura  e  diligenza  vien  dall'  architetto 
Fausto  Niccolini  pubblicata  la  bellissima  ed  utile  opera  di  Pompei 
illustrata. 

Aggiungi,  che  essendosi  trovato  nel  fondo  di  un  anfora  una 
quantità  di  giallo  mescolato  con  una  sostanza  resinosa  che  sembra 
essere  gomma  mivstice ,  ed  altri  pezzi  di  questa  medesima  gomma 
separatamente  ,  si  ha  una  prova  ad  evidenza  che  gli  antichi  si  ser- 
vivano per  glutine  delle  loro  tinte  di  questa  gomma. 

Il  bianco  di  piombo  che  vi  si  é  rinvenuto  è  fatto  a  pani  emisfe- 
rici e  sopra  ogni  pane  vi  è  questa  iscrizione: 

ATTIORV^ 

Forse  questo  Attiorum  era  ima  impronta  indicante  i  fratelli  o 
congiimti  colorari ,  che  segnavano  col  loro  nome  i  colori  che  ven- 
devano. 

L'  Asfallo  non  è  nostra  scoperta  ,  ma  si  è  trovato  a  Pom- 
pei. Il  marciapiede  delle  pubbliche  terme  è  fatto  di  asfalto.  Lo 
aver  rinvenuto  in  questa  bottega  gomma-pece-asfalto-colori  ed  un  al- 
tra sostanza  ignota  ci  fa  dedurre  benanche  che  l'asfalto  era  si  co- 
mune che  si  vendeva  dai  Droghieri  e  Colorari.  La  detta  sostanza 
ignota  è  ima  specie  di  sapone  ,  di  cui  gli  antichi  si  servivano  prin- 
cipalmente a  lavare  le  loro  lane. 

Nel  18  agosto  si  trovò,  a  fianco  alla  porta,  murato  in  terra  un 
masso  di  travertino  di  pai.  3  ,  1  per  2  ,  H,  ed  al  di  sopra  scolpata 
ima  lunga  iscrizione  Osca.  Ciò  prova  1'  antichità  delle  muraglie.  Co- 
me ancora  nella  suddetta  bottega  si  raccolsero  molle  pomici.  Noi 
le  vendiamo  come  la  natura  le  à  fatto.  Gli  antichi  le  sceglievano 
prima  per  qualità  ,  poi  per  grossezza  ;  indi  le  lavoravano  e  lor  da- 
vano la  figura  semisferica  di  una  misura  uniforme  ,  proporzionata 
air  impugnatura  della  mano  ,  adattandolo  in  un  manubrio  di  bron- 
zo concavo  ,  onde  poterle  meglio  e  con  più  forza  maneggiare,  ot- 
tenendo cosi  una  pressione  uguale  per  evitare  il  rischio  di  tritolar- 
le. Yi  si  rinvennero  pure  pesanti  mortai  di  pietra. 


—  410  — 

11  di  23  agosto  18j1.  Sul  marciapiode  della  porla  Slabiana  al- 
la sinistra  entrando  in  città  ti'ovossi  un'  iscrizione  osca.  Essendo- 
sene tolta  le  ceneri  ivi  ammassate  s'  incontrarono  13  frammen- 
ti di  una  tazzolina  celeste  chiaro  ,  simile  per  materia  e  finezza  al. 
la  più  bella  porcellana  dei  tempi  nostri.  E  la  prima  volta  che  si  co- 
nosce avere  a\'uto  gli  antichi  nei  loro  vasellami  una  composizione 
in  cotanto  simile  alla  porcellana  della  Cina. 

Ai  21  settembre  1851.  Proseguendo  a  scavare  alla  parte  oppo- 
sta alle  case  che  sono  vicine  alla  casa  di  Championnet,  in  una  stan- 
za si  rinvenne  una  lastra  di  porfido  con  otto  cavità  emisferiche.  Si 
può  congetturare  che  sia  servita  per  tavolozza  all'impasto  de'  colori. 

Ai  28  settembre  ISb'l.  Si  continuò  lo  scavo  verso  la  via  delle 
Sonatoci  al  di  là  della  casa  di  Marco  Lucrezio  vicino  alla  fontana 
di  Venere  ;  ma  con  lentezza.  Presso  alla  casa  di  Championnet  si 
rinvenne  una  mano  di  marmo,  che  dovea  appartenere  ad  una  statua 
oltre  i  dieci  palmi  di  altezza,  ed  avea  l'amuleo  in  dito  dell'  ordine 
equestre  ,  non  fu  peraltro  trovata  la  statua. 

Ai  i  ottobre  1851.  Si  rinvennero,  vicino  al  quartiere,  dei  con- 
trappesi, de'lelai  da  tessere,  un  gruppo  carbonizzato  di  tessuti  ed  una 
quantità  di  filo  carbonizzato  :  certezza  che  in  questo  estremo  della 
città  vi  era  una  industria  di  tessitori. 

Xi  12  ottobre  1831.  In  presenza  di  S.  A.  1.  il  Duca  di  Leuch- 
lenberg  si  scovrirono  nella  via  delle  senatrici  tre  botteghe,  in  una 
delle  quali  fu  trovato  uno  scheletro  che  il  medico  di  S.  A.  I.  ri- 
conobbe dalle  conformazioni  delle  ossa  essere  quello  di  una  giova- 
ne :  i  denti  niuno  mancante  e  di  bellissime  forme.  Avea  a  se  vici- 
no cadute  dalle  vesti  due  monete  di  argento  ,  e  più  in  là  un  can- 
delabro di  bronzo  assai  grazioso,  una  cassuola  di  argento,  im  va- 
setto di  vetro,  alcuni  martelli^  una  daga  col  suo  fodero,  ma  man- 
cante d'  impugnatura. 

Ai  2G  ottobre  1831.  Seguitando  Io  scavo  non  si  rhivenne  al- 
tro che  pési  da  lelaj  ,  lo  scheletro  di  un  ragazzo  da  10  a  12 
anni ,  ed  un  secondo  scheletro  carbonizzato,  che  avea  acquistato  un 
colore  paonazzo  scuro  ,  caso  unico  che  non  ricorda  l'eguale.  Presso 
a  questo  scheletro  s'incontrò  im'asta  conficcata  nella  cenere  volca. 
iiica  ,  e  più  in  là  altri  otto  scheletri. 

In  novembre  si  rinvennero  alcmii  denti  di  straordinaria  gran- 
dezza ,  forse  di  leone  o  di  tigre:  ma  non  si  scopri  il  corpo  di  que- 
sti animali. 


(il 


—  411  — 

Ai  23  novembre  1851.  ìS'clla  via  delle  sonatrici  all' ingresso  di 
un  edifizio  che  mostra  aver  do^oito  servire  a  qualche  industria  o  ma- 
nifattura si  è  trovata  la  seguente  iscrizione. 

PROCULE  FRANTONI 
OFFICIUM  COMMODA  ■:•:  :: 

In  una  camera  contigua  vedesi  una  colonna  posta  nel  centro  a 
sostegno  di  im  lungo  arcotrave  la  cui    imposta   carbonizzata  com-  «t-m^v 

patisce  in  uno  de'  muri  laterali.  ^-     n 

Affli  8  decembre  1851.  Proseguissi  il  lavoro  nello  via  delle  Sona-  ,..     ^,         /o  ,  -r     / 

Irici  ad  oggetto  di  poter  trovare  le  botteghe  adiacenti  a  quella  stra-  -  '"  ■'^• 

da  che  era  certamente  ima  delle  più  frequentate  dell'antica  Pompei. 

Ai  5  gennajo  1852.  I  scavi  furon  diretti  verso  la  Porla  di  Sta- 
bia,  ed  al  di  là  della  casa  di  W.  Lucrezio  :  niilla  vi  si  trovò  tranne 
una  medaglia  di  bronzo  coniata  in  memoria  di  una  giovane  Augu- 
sta ed  una  pentola  ad  un  manico  di  creta  nera  col  suo  coverchio 
in  perfetta  conservazione. 

Apparse  eziandio  l' impronta  nella  cenere  vulcanica  della  chiu- 
sura di  una  bottega  la  quale  ci  fa  conoscere  ,  che  queste  si  chiu- 
devano mercè  di  più  tavole  correnti  in  due  saracine  orizzontali ,  con- 
giungentisi  a  battile,  e  che  venivano  poi  fermate  da  un  piccolo  uscio 
di  palmi  2  ,  ò'  a  dritta  nel  vano  ,  ripiegandosi  sulla  grossezza  del 
muro. 

Questo  modo  semplice  e  facile  di  serrar  le  botteghe  libera  le 
strade  dall'  imgombro  degli  usci ,  come  oggi  con  saggio  provvedi- 
mento è  stato  eseguito  in  tutte  le  principali  strade  di  Napoli. 

In  una  dietrobottega  dopo  di  quella  segnata  col  numero  7 1  in 
fondo  della  strada  delle  Sonatrici  ed  alle  spalle  della  Basilica  fu 
scoperta  la  seguente  iscrizione. 


COMMUNEM  NE. 

ARMA  VILUMQVE 

GANG  TRO 

11    1"  veiso  dell'  Eneide. 

M  pilastro  della  stessa  bottega  71  comparve  la  soguenle  iscii- 


f 


zjone. 


—  412  — 

HOLCONIUM  c\  ^  ■'2'     "i^^   ■■  '^/^y  ^-^ 

PRISCUM.  D.  R.  P.  II.   V 

0.  V.  F. 

IVVENEM.  FRUC. 

TU    ::  \\  [[   0 

Holconium  Priscum  dignum  Reipublicae  Duumvirurn  orat  ut  fiat. 
.Juvenem  fructuosum  omnibus. 

In  italiano  si  può  leggere  così: 

a  Si  prega  che  sia  fatto  Duumviro  Olconio  Prisco  essendo  degno 
della  Rcpublica  perchè  giovane  inclinalo  a  far  bene  a  tutti,  y) 

Ai  15  marzo  1852.  Al  di  là  della  casa  di  M.  Lucrezio  segna- 
ta col  n.  57  ,  r  ingresso  annimzia  ima  non  ordinaria  eleganza  di 
ornati.  Fra  le  macerie  fu  trovata  ima  bella  pittura  di  un  Sileno  sdra- 
jato,  con  im  grazioso  amorino  che  li  sorregge  la  mano  sinistra.  Un 
pezzo  d'intonaco  caduto  da  una  parete  del  2"  piano,  mostra  dipinto  un 
falcone  con  collarino  paonazzo  ,  il  che  ci  conferma  sempre  più  nel- 
l'opinione che  presso  gli  antichi  era  conosciuta  la  caccia  col  falco- 
ne tanto  in  uso  nel  medio  evo. 

In  questa  stessa  casa  si  riconobbe  un  caso  singolare.  Gli  an- 
tichi abitatori  di  Pompei  superstiti  alla  luttuosa  sventura  forse  tro- 
var voleano  i  sepolti  loro  tesori  ,  e  mandavano  scavatori  a  ri- 
cercarli. I  miseri  anticlii  scavatori  furono  sorpresi  nel  fallo  ;  impe- 
rocché si  scoprirono  a'  17  palmi  di  altezza  del  livello  dall'  anti- 
co suolo  quattro  scheletri  tutti  insieme  ammonticchiati,  ed  a  piombo 
dove  essi  giacevano,  12  palmi  più  sotto  comparve  il  teschio  di  un 
altro  scavatore  colpito  dalla  morte  nell'  atto  di  penetrare  in  uno  già 
eseguito  buco.  Ora  questi  cinque  ricercatori  di  Pompei  o  andassero  in 
traccia  di  cose  a  loro  noie,  o  depredar  volessero  di  soppiatto  le  ca- 
se Pompojane  ,  ci  fan  conoscere  che  per  oscitanza  o  pel  terrore  di 
una  seconda  rovina,  non  fu  allora  scoverla  Pompei  ,  e  che  i  detti 
scavatori  furon  colpiti  dalla  morte  ,  o  per  iscossa  di  trcmuoto  ,  o 
per  isviluppo  di  mofela.  Questo  ritrovato  ci  chiarisce  de'  mulliplici 
buchi  co'  quali  vediamo  forate  lutle  le  mura  Pompejano,  i  quali  per 
induzione  erano  slati  sempre  giudicati  come  ora  lo  ha  dimostralo 
senza  dubbio  alcuno  questo  scavo.  La  sepolta  ci  Uà  voloaii  ricercar- 
la gli  stessi  suoi  abitatori  supersliti.  Senza  queste  antiche  ,  diligen- 


—  413  — 
li  ed  ardite  ricerche,  immense  sarebbero  le  suppellcUili  che  coi  no- 
stri scavamenti  raccoglieremmo  in  questa  commerciante  e  doviziosa 
città  degli  antichi.  Più  questo  scavo  si  avanza  ,  e  più  ò  da  dcplo" 
rarsi  la  poca  solidità  dei  muri  di  questa  casa  ricoperta  di  elegantis- 
sime dipinture. 

Nel  5  maggio  1832.  Si  scovrì  il  bel  peristilio  di  questa  ca- 
sa n.  S7  fregiato  di  bellissime  dipinture.  Una  indica  im  paesag- 
gio 5  in  cui  è  una  Diana  similissima  per  attitudine  a  quella  che  si 
ammira  nel  riverso  del  gran  medaglione  di  oro  di  Augusto  trovato 
in  Pompei  il  dì  1  marzo  1759,  con  arco  nella  mano  sinistra,  e  con 
la  destra  levata  sulle  spalle  in  atto  di  prendere  un  dardo  dalla  fa- 
retra. Sembra  che  questa  casa  devastata  dal  trcmuoto  del  63  fosse! 
rifatta  nei  sedici  ultimi  anni  di  esistenza  dell'  antica  Pompei.  Una 
statuetta  di  bronzo  ivi  rinvenuta  rappresenta  Ercole  che  brandisce  la 
clava,  ed  un  giovinetto  in  abito  e  berretto  frigio  genuflesso  in  atto 
supplichevole  ,  forse  Priamo  che  implora  la  vita  da  Ercole. 

Nello  sgombrare  la  strada  del  quadrivio  che  dalla  casa  di  M. 
Lucrezio  mena  ai  teatri,  si  sono  scoverti  dei  tetti  importantissimi 
per  r  arte  costruttoria  ,  cioè  della  confluenza  di  un  tetto  in  un  an- 
golo rientrante  ,  i  cui  tegoli  angolati  ne  formano  il  caìiale  a 
scacchiera.  Con  questa  scoverta  si  è  riempita  ima  laguna,  e  si  è  sciol- 
to un  problema  di  costruzione  non  risoluto  finora  da  clii  si  è  ap- 
plicato su  i  metodi  di  costmzione  degli  antichi,  e  nel  contempo  ci 
porge  xm  sistema  semplicissimo  e  produttivo  di  ottimi  risultati  nel- 
la costruzione  dei  tetti,  da  potersi  imitare  agevolmente  con  economia 
e  felice  successo. 

Nella  strada  delle  sonatrici  in  una  casetta  graziosa  pur  n.  57 
à  nella  sua  pianta  una  singolarità,  ed  è,  che  mentre  tutte  le  case; 
rinvenute  in  Pompei  anno  dopo  V  atrio  il  lablino,  ed  al  di  là  del 
tablino  il  peristilio,  in  questa  in  parola  dopo  l'atrio,  senza  il  tabli- 
no ,  è  situato  un  ricco  peristilio  che  occupa  tutta  la  lunghezza  della 
lasa.  Sopra  una  parete  era  dipinta  ima  figura  volante  col  rostro  di 
una  trirema  in  mano  ,  simbolo  di  uria  vittoria  navale  ,  forse  della 
battaglia  di  Azio.  Altra  Vittoria  anche  volante  porta  uno  scudo  od 
una  lancia  ,  e  vi  si  scorgevano  pure  due  ministri  degli  altari ,  oltre 
altri  vaghi  dipinti.  E  comparsa  in  una  disadorna  cameretta  ,  che  de- 
ve essere  stata  la  cucina  di  questa  casa,  l' iscrizione  ; 

SECUXDIS  REGDIOMUS,  con  alcune  sigle  di  color  rosso  <•  di 
oscura  interpretazione. 


—  414  — 

Aiimmiano  fcliciter  la  solita  acclamazione  al  dir  di  Fedro.  Era 
costume  del  volgo  di  correre  in  folla  ed  a  gara  incontro  a  qualche 
personaggio  potente  gridando  feliciter  come  noi  dicessimo    evviva. 

Sono  anche  queste  iscrizioni  da  tenersi  in  conto  per  le  nomen- 
clature Pompejane  come  all'  attuale  /ìegimoniiis  7m?nmiami-s  nomi 
che  non  si  sono  sinora  incontrati  nelle  altre  iscrizioni. 

Si  sono  anche  scoperti  dei  graffiti  nella  cucina  della  casa  n.  57 
ed  in  una  stanza  dove  si  sono  rinvenuti  due  scheletri  erano  le  se- 
guenti iscrizioni  ,  le  quali  servono  a  far  noie  le  nomenclature  più 
in  uso  in  Pompei ,  ed  in  conseguenza  a  chiarire  le  iscrizioni  che 
saranno  per  comparire  in  appresso  ,  eccole  : 

Q.  THILLIANIUS  VIDIA 
lANUARIUS  AMEIA 

I  nomi  Thillianus  ed  Ameia  è  la  prima  volta  che  s' incontra- 
no nelle  iscrizioni  Pompejane. 

Una  particola  tità  é  da  notarsi  riguardo  al  bel  peristilio  suac- 
cennato della  casella  al  n.  57  e  si  è  che  il  portico  di  questa  sostene- 
va in  Ire  lati  una  loggia  coverta  il  cui  tetto  era  poggiato  sopra  un 
secondo  ordine  di  colonne  in  corrispondenza  di  quelle  del  pianter- 
reno. Il  quarto  lato  volto  a  settentrione  non  aveva  il  loggiato:  ma 
era  coverto  di  un  semplice  tetto,  la  traccia  del  cui  declivio  è  an- 
cora apparente  nella  dipintura  del  min-o  che  questo  letto  radeva  e 
che  si  è  conservato  con  difficilissimi  sforzi  di  precauzione. 

AI  fondo  della  strada  delle  senatrici  in  due  pilastri  sono  ap- 
parse due  iscrizioni.  La  prima  a  deslra  con  caratteri  neri: 

CELSUM 
0.  V.  F. 

La  seconda,  segnala  con  caratteri  rossi: 

SECUNDUM 
AED. 

Ripresi  gli  scavi  ai  U  febbrajo  1854.  Nel  disotlerrarsi  l'atrio 
di  una  delle  case  poste  lungo  la  via  del   quadrivio  della  fortuna 


—  41o  — 
che  mena  ai  Teatri  si  è  trovala  una  statua  di  bronzo  di  palmi  6 
che  rappresenta  Apollo  citarco.  Le  mura  di  dello  atrio  sono  adorne 
di  speciosa  dipintura  con  triplice  rappresentazione  in  presenza  di  S. 
A.  R.  il  Principe  Giorgio  di  Sassonia  nelle  due  botteghe  a  sinistra 
della  strada  Slabiana  segnata  n.  92  e  96. 

RinA  enute  furon  puranco  tre  monete  di  argento  di  modulo  pic- 
colo, delle  quali  una  ben  conservala  ,  e  34-  di  bronzo  ,  alcuni  vasi 
egualmente  di  bronzo,  una  catena  di  A  palmi ,  e  svariali  altri  pic- 
coli oggelli. 

Nel  marzo  1854-  altro  scavo  si  eseguiva  in  presenza  di  S.  A. 
R.  il  Principe  Guglielmo  di  Prussia  ,  e  rilrovaronsi  un  anello  d'o- 
ro ,  molli  bronzi  ordinari ,  mio  specchio  col  suo  manico,  oggelli  di 
ferro  ,  commestibili  ,  vasi  di  terra  cotta  ,  ed  altro. 

In  aprile  1853  si  effettuarono  scavi  nell'apertura  della  strada 
degli  Alconii  che  dalla  Slabiana  va  a  congiungersi  coli' altra  del- 
l'Abbondanza. 

In  due  pilastri  a  sinistra  della  strada  degli  Alconii  si  scopriro- 
no le  seguenti  iscrizioni  : 

In  rosso  M.  GERRINIUM.  ED.  ROG 

Seguila  da  dietro  FACIT 

A  sinistra  in  rosso  SITTIUM  CONIUNGIUM  II  VIR.  1.  D.  0. 

HERAaA.  ROGAT. 
A  destra  in  rosso 

HOLCONIUM.  AED. 
0.  V.  F.  aADlUS. 
in  nero  I.  POPIDIUM.  I.  F. 

In  rosso  GAUIUM  RUEDM. 

CEIUM.  SECIINDUM.... 
II.  VIR.  I.  D.  POSTIJMIU.... 
In  nero      Q.  POSTUMIUM.  PROCULUM.  AD.  0. 

INLM  

In  rosso  L.  POPIDIUM.  L.  F.  AED. 

IVVENEM.  DIGNISSIM.  ROG. 

PANSAM.  AED 

In  nero  MODESTUM.  QIIINQ 

SAGATA  ROGAT. 

IM.  AED. 

ROGAMLS. 

Sasso  — Voi.  I.  53 


—  416  — 
Nella  seconda  bottega  rimpetto  all'  ingresso  delle  nuove  terme 
andando  verso  il  Foro  Civile  si  legge    nella  parete  a  destra    que- 
sta iscrizione  in  caratteri  rossi  : 

/ 

KATOiKEl    OTOYAIOC  -_:' 

JIHAENEI 

CEINTV    nAICKAAAI 

KAKqA    NEIKOCHPAKAHC 

Iscrizione  graffila  nel  3"  pilastro  a  sinistra  dell'ingresso  nel  giar- 
dino delle  nuove  terme  ,  che  e  così  concepita  ,  e  scoverla  in  oUo- 
bre  1855: 

VALE  C 
SlRONMUS 
VE.MSTUS 

SESTIUS 

Ai  9  novembre  1855,  eseguito  uno  scavo  innanzi  le  LL.  M.M.  il 
Re  e  la  Regina  nostri  Augusti  Sovrani  unitamente  alle  LL.  AA.  11. 
gli  Arciduclii  d'Austria  e  loro  seguito,  rimpetto  le  nuove  Terme  in 
una  casa  segnata  n.  9  ed  in  quattro  delle  botteghe  esistenti  nel  la- 
to medesimo  segnato  num.  2.  3.  5.  10,  si  rinvennero  i  seguenti 
oggetti  :  Un  anello  di  bronzo  ,  un  corrente  di  serratura  ,  un 
tasto  cliirurgioo  ,  due  piccole  monete  corrose  ,  un  sostegno  di  bi- 
lancia ,  mi  candelabro  ,  una  serratura  quadra,  una  grappa  di  stan- 
te di  porta  ,  4.  pezzi  di  asta  ,  un  vaso  frammentato ,  mi  vasetto  ad 
un  manico  ,  una  moneta  grande  ,  uno  specchio  ,  mi  vasettino  a 
due  manichi ,  una  cassuola  ed  ima  moneta  di  modulo  medio,  una 
moneta  di  oro  di  Vespasiano  ,  una  lucerna  di  terra  cotta  ,  ed  una 
di  vernice  rossa  nel  cui  fondo  leggonsi  in  lettere  rilevate  PIIOE- 
TASPI ,  un  frammento  di  piatto  con  vernice  rossa  ,  sei  pezzi  di  os- 
so per  ornamento  di  lellisternio  ,  un  dente  di  cinghiale  ,  una  car- 
lafina  e  bottiglie  di  vetro ,  mia  tazza  color  blu  ,  mi  lacrimatojo  , 
od  un  frammento  di  colonna  di  marmo. 

Finalmente  nel  1855  si  son  trovate  le  seguenti  pitture: 

Un  quadretto  rappresentani.e  ì\lercurio  con  arieti.  Altro  di  Ila  e- 


—  417  — 
co  e  Sileno  ,  altro  di  paesaggio  con  un  Amoi'ino  che  inseguì;  un 
Cervo.  Altro  rapproscntanlo  Alcmoone  ed  Eripilo  ,  cioè  un  giovane  _  e/»/^ 
che  uccide  una  donna.  Un  ritratto  di  un  poeta  giovine.  Altro  ritrat- 
to giovanile  con  collana  e  fascetta  alla  testa.  Due  figure  di  donne 
all'  ingresso  di  una  casa  vicino  alle  Terme.  Figura  nuda  veduta  di 
schiena  con  specchio.     '"-  '  f 


VITA  DELL'  ARCHITETTO 

FERDINANDO  FDGl 

m  LA  DESCRIZME  DELLE  SUE  OPERE  ESEGIITE  0  BIPOLI 

CONSISTENTI  NELLA 

Cappella  nel  Cortile  del  Palazzo  Cellamraare 

—  Reclusorio  — 

Cimitero  per  1'  ospedale  degli  Incurabili 

Palazzo  Giordano        )  rimpetto  all'  Ospedaletto 
Palazzo  Caramanico     ) 

Villa  laci  a  Resina 

—  Granili  — 

nSl  al  ÌIU 


Nascea  questo  distinto  Architetto  in  Firenze  neiraiino  1699  da 
Giovanni  Fnga  ,  e  da  Antonia  Scravalli  entrambi  di  distinte  fami- 
glie, e  ben  veduti  dalla  casa  Medici,  talmente  che  il  Principe  Ere- 
ditario Ferdinando  ,  e  sua  consorte  la  Principessa  Violante  di  Ba- 
viera ,  lo  tennero  al  battesimo.  Benché  figliuolo  unico  ebbe  ui.a 
buona  educazione.  Di  dodici  anni  fu  posto  a  studiare  gli  elementi 
di  architettura  sotto  Giovambattista  Fugini  ,  architetto  e  scultore 
ragguardevole,  e  di  diciotto  anni  fu  mandalo  in  Roma  dove  inva- 
ghito delle  opere  antiche  e  moderne  si  stabili  ,  e  di  28  anni  si 
ammogUò. 

Poco  prima  di  menar  moglie  fu  il  Fuga  chiamato  in  questa 
nostra  capitalo  dal  Cardinal  del  Giudice  per  formarvi  nel  suo  pa- 
lazzo detto  di  Ccllammare  una  cappella  pubblica  nel  cortile,  opei'a 
dispendiosa  e  molto  gradita. 

Nel  1728  fu  chiamato  a  Palermo  dalla  deputazione  di  quel 
Regno  per  disegnare  un  ponte  considerabile  sul  fiume  Milcia,  chv. 
fu  poi  eseguito  da  altri  ,  perchè  il  Fuga  fu  richiamato  in  Roma  , 
dove  assunto  al  Triregno  Clemente  12.°  lo  elesse  per  uno  dei  due 
architetti  dei  Palazzi  Pontefici.  Gran  campo  si  presentò  all'  Artista 
per  ispiegare  il  suo  ingegno. 

Terminò  inoltre  la  scuderia  incontro  al  Palazzo  Quirinale,  ar- 
chitettata da  Alessandro  Specchi  in  forma  d'  una  palazzina,  cui  per 
una  scala  a  due  branche  si  va  su  i  cavalli.  Sotto  ,  e  accanto  a 
questo  già  eseguito,  dovette  il  Fuga  aggiungere  il  corpo  di  guar- 
dia per  i  soldati  Rossi,  e  1'  abitazione  per  gli  Uffiziali. 

Prosegui  sul  quirinale  la  lunga  casa  della  famiglia  Pontificia, 
che  va  a  finire  in  un  palazzotto  pel  segretario  della  Cifra  ,  e  pel 
capitano  degli  svizzeri  ;  edifizio  di  qualche  grazia. 

Di  maggiore  importanza  fu  il  palazzo  veramente  cospicuo  della 
Consulta  sulla  piazza  di  Montecavallo,  opera  grande;  tutta  isolata, 


—  422  — 
e  riparlila  in  quarlieri  per  i  Cavalle ggicri,  e  per  le  Corazze  ,  e  in 
apparlamenli  pel  Segretario  dei  Brevi ,  e  per  quello  della  Consulta 
con  tutte  le  comodità  relative  agli  offiz'i  di   queste  diverse  Segrete- 
rie. L'  interno  è  distribuito  convenientemente  sebbene  alcuni  mem- 
bri siono  riescili  oscuri  ed  incomodi.  Il  cortile  à  del  brio  per  quel 
portico  incontro  ai  portone  formato  da  un  arco,  die  è  sostenuto  da 
due  colonne  doriche  isolate  ,  accanto  alle  quali  sono  due  archi  in 
piano  troppo  stretti  ;  in  faccia  ad  esso  arco  si  vede  il  bello  anda- 
mento della  scala  a  due  braccia.  La  facciata  è  a  bugne  gentili  per 
lutto  il  pianterreno,  e  per  il  piano  de'mezzanini,  sopra  di  cui  è  il 
piano  nobile  Ira  pilastri  jonici  sparsi  agli  angoli^  e  nel  mezzo.  Nel 
fregio  sono  dei  mezzanini,  e  sul  cornicione  vi  è  mia  balaustrata. 
11  portone  di  mezzo  è  decorato  di  due  colonne  doriche  con  fronte- 
spizio molto  projetlo,  e  slraccaricato  di  sculture  le   quali  riescono 
pesanti  anche  nei  portoni  laterali  ,  e  sul  mezzo  del  soprornato.  Si 
vuole  che  per  tanto  peso  soprapposto  siasi   poscia   rinforzala   essa 
facciata  con  grandi  catene  di  ferro. 

Poco  lungi  da  questo  cdifizio  egli  ne  costruì  un  altro  di  ri- 
messe e  di  magazzini  per  la  scuderia  Pontifìzia  nella  contrada  del 
Boschetto. 

A  Strada  Giulia  eresse  la  chiesa  della  Morte  di  una  graziosa 
pianta  ellittica  con  colonne  ben  disposte  tra  gli  altari  :  ma  il  re- 
stante della  decorazione  ,  come  altresì  la  facciata  a  due  ordini 
corintio,  e  composito  con  risalti  ,  e  con  frontespizi  rotti,  è  nel  vor- 
tice degli  abusi. 

E'rli  costruì  ancora  la  chiesa  di  Gesù  Bambino  sopra  fonda- 
m:^nta  che  erano  già  state  gettate  da  altro  professore;  onde  il  Fu- 
ga cercò  neir  elevazione  adattarsi  ad  esse  fondamenta ,  aggiungendo 
soltanto  alcmie  abitazioni  da  una  parte  per  gli  uffiziali,  e  dall'al- 
tra il  monastero  che  poi  fu  compiuto. 

Ebbe  altresì  la  direzione  delle  nuove  carceri  per  le  donne  in- 
contro a  Porta  Portese,  e  delle  carceri  a  Prosinone. 

Opera  di  gran  risalto  pel  nostro  Fuga  fu  la  nuova  facciata  di 
S.  Maria  Maggiore  in  cui  ebbe  V  obbligo  nell'  ordine  superiore  di 
lasciar  libera  la  veduta  dei  musaici  antichi  della  facciata  vecchia. 
Da  una  parte  di  essa  facciata  egli  eresse  la  scala  Begia  per  ascen- 
dere alla  loggia  della  Benedizione  ;  e  dall'  altra  la  Sagrestia  eoa 
sopra  diverse  abitazioni  per  i  canonici,  e  per  i  benefiziati. 


—  423  — 

Il  portico  inferiore  non  à  niente  di  maestoso  ,  e  la  farciala 
rinchiusa  fi-a  lo  canoniche  à  del  gretto  (al  dir  dt'l  Milizia)  e  benclu' 
sia  a  duo  ordini  di  colonne  staccate  joniche,  e  corintie,  lo  spicco  non 
è  felice.  Le  canoniche  le  quali  si  vanno  a  congiungerc  col  restan- 
te inferiore  della  Basilica,  eh'  è  d'  ordine  corintio,  non  legano  bene 
nò  nel  davanti,  ne  col  di  dietro  di  essa  Basilica  :  elleno  sono  sem- 
plici, e  i  loro  portoni  restano  caricati  di  fronlespizii  doppii. 

Rislaurò  anche  1'  interno  di  essa  Basilica  con  1'  obbligo  di  la- 
sciare intatta  la  disposizione  delle  colonne  della  navata  grande  , 
onde  dovette  ribattere  nelle  navette  laterali  gli  stessi  spazii  tra  al- 
trettanti pilastri,  ed  in  ciascuno  di  essi  interpilastri  collocò  un  al- 
tare. Ne  sono  quindi  risultati  tanti  altarini  (come  nella  nostra  chic" 
sa  di  S.  Maria  la  Nova)  impropri  alla  grandiosità  del  Tempio. 

Accrebbe  di  mollo  il  grande  ospedale  di  S.  Spirito  ricavando 
nel  braccio  aggiunto  un  teatro  anatomico,  e  molto  abitazioni  per  i 
serventi.  Aggiunse  anche  dalla  pai'te  apposta  verso  la  Lungara  Tabi- 
tazione  delle  Zitelle  esposte.  Pel  sudctto  spedale  egli  formò  un  ci- 
mitero grande  ben  ripartito,  e  situato  vantaggiosamente  incontro  ai 
bastioni  dei  Barberini. 

Costruì  la  chiesa  di  S.  Apollinare  coli'  annesso  collegio  Gor- 
manico-Ungarico  fabbrica  grande  :  ma  triviale.  La  chiesa  nell'  in" 
terno  è  ordinaria,  e  nella  facciata  à  due  ordini  con  cinque  fron- 
tespizj  uno  sull'  altro,  e  con  tutti  i  soliti  abusi  dell'architellura  che 
segue  la  moda  !  !  ! 

Anche  il  triclinio  sulla  piazza  di  S.  Giovanni  Lalerano  è  di- 
segno del  Cav.  Fuga  ,  come  Io  è  il  palazzo  Petroni  nella  piazza 
del  Gesù,  e  quello  dei  Corsini  alla  Lungara. 

Il  palazzo  Petroni  e  di  mediocra  grandezza  con  una  facciala 
di  bugno  semplici  per  tutto  il  pianterreno  su  cui  è  una  pilastrata 
jonica,  che  comprende  due  file  di  finestre;  nel  fregio  sono  mezza- 
nini, e  sul  cornincione  è  una  balaustrata.  Il  portone  é  fiancheg- 
giato da  due  pilastrini  restremati  in  giù  a  guisa  di  piramidi  rove- 
sciate :  questo  è  un  gusto  tutto  dei  moderni,  dice  il  Milizia,  idea- 
to da  Michelangelo  nel  sepolcro  di  Giulio  2°,  strano  gusto  !  !  !  Nò 
minore  stranezza  è  in  quei  balaustri  faccettali  capivolli ,  cioè  stret- 
ti in  giù  ,  e  grossi  in  su,  che  sono  nella  ringhiera  sul  portone. 

Il  palazzo  Corsini  è  uno  dei  più  superbi  palazzi  di  Roma.  La 
distribuzione  interna  è  signorile.  Ila  tre   portoni  nel    mezzo   della 

Sasso  —  Yol.  I.  54 


—  \-2i  — 
facciala  :  quel  di  mezzo  per  un  gran  vcslibolo  conduce  dritto  alla 
villa  ,  che  fa  un  gralo  aspetto  ;  gli  altri  laterali  conducono  a  duo 
grandiose  scale  ,  che  si  riuniscono  in  una  con  vantaggio  degli  ap- 
partamenti. La  facciata  è  distriLuila  in  grande  :  non  à  ordini:  ma 
bensì  delle  fasce  bugnato.  Gli  ornamenti  delle  finestre  non  sono  del 
miglior  gusto. 

Fece  diverse  altre  fabbriche  in  Roma,  e  principalmente  pel  ser- 
vigio della  Regia  Chiesa  di  S.  Giacomo  degli  Spagnuoli  in  cui  poi 
eresse  un  superbo  catafalco  per  l'esequie  della  Regina  Amalia  di 
Spagna  ,  consorte  del  già  nostro  Sovrano  Carlo  3"  Borbone.  j\Ientre 
egli  era  ancora  in  Roma  mandò  all'Aquila  un  suo  disegno  per  la 
chiesa  delle  monache  di  S.  Caterina  della  Ruota. 

Per  la  fama  di  tante  sue  opero  egli  fu  chiamato  in  questa  no- 
stra Napoli  del  sullodato  Re  Carlo  a  farne  ancora  delle  maggiori. 

Il  gran  Reclusorio  ,  il  più  vasto  degli  ospizii  ,  che  sieno  in 
Europa  fu  confidato  all'  intelligenza  di  questo  architetto.  Fu  desti- 
nato por  8000  poveri  da  ripartirsi  in  quattro  ceti  cioè  di  uomini, 
di  donne,  di  ragazzi,  o  di  ragazze,  senza  alcima  comunicazione  fra 
loro.  Annessa  al  sudetto  Ospizio  egli  architettò  una  vasta  chiesa  pub- 
blica da  frequentarsi  divisatamente  dai  quattro  ceti  sudetti.  Grandi  vi 
sono  i  comodi  per  lavoratori,  refettorii,  cortili,  portici,  officine,  e 
abitazioni  per  i  serventi  e  per  i  ministri  addetti. 

Oltre  sì  grande  mole  il  Fuga  à  fatto  in  Napoli  il  cimitero  per 
V  Ospedale  degli  Incurabili  ,  poco  lungi  dalla  città  nel  sito  deno- 
minato il  Tredici  con  368  sepolture  con  chiesa,  ed  abitazione  pel 
Rettore. 

Pel  duca  Giordani  un  palazzo  rimpetto  alla  chiesa  dello  Spe- 
dalctlo  a  fontana  medina,  ed  ivi  vicino  altro  pel  Principe  di  Cara- 
manico. 

Pel  Principe  di  Jaci  fece  il  Fuga  ima  magnifica  Villa  a  Resi- 
na —  Finalmente  per  comando  di  S.  M.  il  Re  Ferdinando  I.  coslrui- 
\a  il  Fuga  i  Granili  al  Ponte  della  ^Maddalena  ,  fatto  tal  monumento 
por  granaio  pubblico  ,  arsenale  per  artiglieria,  e  fabbrica  di  cor- 
dami. 

Andò  a  Palermo  pure  a  comando  del  prelodalo  Sovrano  per 
ideare  la  rislaurazione  ed  abbellimento  del  Duomo  celebre  da  Pa- 
lermo. Ne  fece  i  disegni,  ed  i  modelli ,  e  si  pose  mano  all'  opera. 
Fu  il  Fuga  un  architetto  glorioso  —  giunse  all'  età  decrepita  di  8!) 


—  425  — 
anni  col  più  forte  vigore  della  giovenlù  ,  e  ciò  si  debba  alla  sua 
ottima  morale.  Intese  bene  la  sua  nobile  ed  utile  professione  nclb- 
due  importanti  parti  che  risguardano  la  solidità  ,  e  la  distribuzio- 
ne ,  e  se  neir  altra  parte  spettante  alla  bellezza  egli  non  à  mo- 
strato sempre  un  gusto  purgato^  ed  un  profilo  gentile,  à  nondime- 
no in  tutte  le  sue  opere  spiegato  sempre  una  venustà  che  è  ben  raro 
nelle  opere  borrominesche.  La  sua  mnillà  non  era  \m  discorso:  ma 
un  sentimento  innato  in  lui  ,  fondato  sulla  stessa  scienza.  Egli  era 
in  somma  un  uomo  d'  un  merito  conlradislinlo  ,  e  merita  dall'  ar- 
tista scienziato  bene  ,  e  rispetto  la  sua  santa  memoria. 

DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE 

lìeclusorio 

Questo  magnifico  ed  immenso  edifizio  fu  cominciato  nell'anno 
1751  d'ordine  di  Re  Carlo  Borbone  con  disegno  e  direzione  dal  cav. 
Ferdinando  Fuga.  Il  santo  e  pio  di\isamento  dell'  ottimo  Sovrano 
fu  di  aprire  \m  ospizio  a  tulli  i  poveri  del  Regno  e  di  meìlerli  in 
istato  di  apprendervi  le  arti.  Ciò  ordinava  il  Re  a  consiglio  dell'ot- 
tima sua  consorte  e  nostra  Sovrana  la  Regina  Amalia. 

Secondo  il  progetto  dell'  architetto  Fuga,  il  monumento  dovreb- 
be avere  2370  palmi  di  lunghezza,  quattro  spaziosissimi  cortili  cia- 
scuno avendo  una  fontana  nel  mezzo  ,  ed  mia  chiesa  nel  centro 
dell'  edifizio.  Di  una  mole  si  vasta  che  forse  non  avrebbe  avuto  l'e- 
guale in  Europa  ne  furono  eseguite  le  tre  quinte  parti. 

La  facciata  principale  à  loOO  palmi  di  lunghezza,  l-i-i  di  al- 
tezza. Semplice  ;  ma  maestoso  n'  è  il  prospetto  come  osservar  puoi 
nella  mia  tavola  21,  nel  di  cui  mezzo  vi  è  un  portico  a  tre  archi 
al  quale  vi  si  ascende  per  una  magnifica  scala  a  due  braccia.  Dal- 
la porta  neir  arcato  di  mezzo  si  entra  nel  luogo  destinato  per  la 
chiesa  ,  la  quale  dovea  essere  a  cinque  navate  con  l'altare  nel  mez- 
zo ,  in  modo  che  da  qualunque  lato  si  sarebbe  veduto  il  sacrifizio 
da  celebrarsi.  Ai  lati  nel  porticato  un  ingresso  mena  all'abitazione 
degli  uomini  e  1'  opposto  a  quella  delle  donne.  Oggi  che  io  scrivo 
e  che  siamo  al  1857  vi  sono  più  che  5500  persone  come  appresso 
ne  darò  in  dettaglio  nelle  diverse  distribuzioni. 

Questi    vengono    istruite    nello    scrivere  —  nel  leggere  —  nel- 


—  42G  — 
1'  aritmetica  —  nella  grammatica —  nella  musica —  nel  disegno  — 
o  parte  nelle  arti  meccaniche  di  sarto  —  calzolajo  —  stampatore  — 
tessitore  ed  altro. 

Vi  si  fanno  lavori  di  telerie  —  stoffe  —  panni  —  nastri  —  ri- 
ramo ,  ed  altri  oggetti.  Vi  e  pure  nel  locale  una  fabbrica  di  spil- 
li ,  altra  di  vetri  —  lastre  ,  e  campane  ,  altra  di  lime  e  raspe,  una 
fonderia  di  caratteri  ,  una  tipografìa.  Oltre  a  ciò  vi  si  trova  una 
scuola  poi  sordi-muti ,  ed  un  altra  di  mutuo  insegnamento. 

I  ragazzi  sono  allevati  alla  militare  e  molti  passano  a  fare  la 
carriera  servendo  da  soldati  nelle  Regie  truppe.  Le  ragazze  o  si 
maritano  ,  o  vanno  a  prestare  l'opera  loro  in  qualche  gran  ma- 
nifattura. 

Dipendono  da  questo  grande  pio  stabilimento  quelli  di  S.  Fran- 
cesco Sales  —  di  S.  Giuseppe  a  Chiaja  ed  altri. 

Sebbene  un  istituzione  come  questa  fosse  male  allogata  in  ima 
gran  capitale  ,  pure  avrebbe  potuto  riuscire  di  grandissimo  utile 
qualora  i  suoi  regolamenti  fossero  costanti ,  e  con  vigilanza  ese- 
guiti. 

Ld  destinazione  del  Reale  Albergo  dei  poveri  fu  dall'ottimo 
Sovrano  definita  per  dare  agli  infelici  —  Istruzione  —  Lavoro  —  a- 
silo  e  conforto  —  L'istruzione  ai  fanciulli — il  lavoro  agli  adulti — 
l'asilo  ai  vecchi^  il  conforto  agli  storpi. 

Oggi  mercè  la  munificenza  dell'  ottimo  nostro  Augusto  Sovrano 
Ferdinando  2°  il  Reale  Albergo  dei  poveri  affidato  alle  cure  di  rag- 
guardevoli distinti  Signori ,  ed  ottimi  Uffiziali  Generali  dell'Armata 
raccoglie  5521  individui  cosi  distribuiti. 


—  427  — 


Uomini 


Donne 


Nel  Reale  Albergo 

Sordi  muti    ivi 

Neil'  Ospedale  di  Loreto 

Idem        alla  Cesarea 
Ciechi  in  S.  Giuseppe  e  Lucia  176 
Cronici  in  S.  M.'^  dell'Arco  278 

2039 


1426 

Neil'  Albergo 

1799 

55 

Sorde  Mute 

24. 

90 

S.  M/  della  Vita  Ospedale 

225 

U 

S.  Francesco  Salcs 

868 

i  176 

S.  M.''  della  Fede 

566 

3482 


Uomini 2039 

Donne 3482 


Totale. 
L' istruzione  è  come  qui  appresso 


5521 


SCUOLE 


Uomini 


Donne 


Leggere  e  scrivere 

Lingua  italiana 

Aritmetica 

Geometria  Elementare 

Calligrafia 

Disegno  lineare 

Paesaggio 

Scultura 

Musica 

Tipografia 

Pompieri 

Istruzione  ai  sordo-muli 


Leggere  e  scrivere 

Aritmetica  elementare 

Cucire 

Tagliare 

Stirare 

Tessere 

Ricamare 

in  filo 

in  cotone 

in  seta 

in  oro 

Guanti 

Fiori 

Merletti 

IMuscia 

Istruzione  alle  sordo-jnutc 


—  428  — 

ARTI     E     MESTIERI 

l  omini 

Don 

Sartori 

Filatrici 

Calzolaj 

Tessitrici 

Tessitori 

Rattoppatrici 

Laiiajuoli 

Lanajuole 

Fabbri 

Calzolaje 

Barbieri 

Calzettaje 

Fabbricatori 

Ricamatrici 

Falegnami 

Guantaje 

Spillari 

Fioriste 

Tornieri 

La  rendita  annuale  di  detto  pio  luogo  è    in    docati    dugento- 
quarantaseimila  qualtrocentonovantasette  e  gr.  64. 

2i6,497,64 

che  si  compongono  come  qui  appresso 


])a  censi  legali  ed  annualità   .        .        .        . 

.       10,609,8!^ 

Da  fondi  urbani 

.       25,362.78 

Da  fondi  rustici 

.       19,356,2.3 

Iscrizioni  sul  Gran  Libro. 

.      32,157 

Gran  Libro  di  Roma 

81,30 

Dalla  Rcal  Tesoreria        .... 

.     129,711,^8 

Dalla  Città  di  Napoli       .... 

.       30,219 

Totale. 


2^6,497, 6i 


Granili 

Passalo  il  ponte  Guizzardo  volgarmente  detto  ponte  della  Mad- 
dalena ,  nomo  preso  da  una  vicina  chiesa  ,  si  presenta  un  immen- 
so cdifizio  che  nella  sua  lunghezza  di  2000  palmi  à  87  finestre  e 
dicesi  dei  granili.  Di  fatti  fu  costruito  per  comodo  dei  privati  che 
volessero  riporvi  le  vettovaglie  pagandone  lo  affitto.  Contiene  quat- 
tro piani  con  lunghissimi  corridoi  che  anno  ai  lati  un  grandissimo 
numero  di  magazzini.  Per  comodo  dei  negozianti  vi  fece  il  Fuga 
uno  sbarcatojo  dalla  parte  del  mare.  In  questo  monumento  il  pre- 
Iodato  architetto  non  vi  à  mostrato  molto  gusto,  e  dichiarato  non 
adatto  all'  uso  addetto  ne  è  stata  quindi  cambiata  a  giorni 
nostri  la  destinazione  ,  addicendolo  per  un  gran  quartiere  di  sol- 
dati. Vi  si  sono  aggiunti  cinque  corpi  avanzali  ,  con  cinque  porli; 
d'ingresso,  a  guisa  di  torri.  Osservane  la  facciata  nella  ridclta  mia 
Tavola  21. 

Palazzi  Carauianico  e  Giordano ,  Villa  laci  a  llcsìiia 

Se  poco  gusto  ,  e  cattiva  scelta  pel  sito  facea  il  Fuga  pel  va- 
sto locale  dei  Granili  ,  lode  giustissima  a  lui  debbesi  per  la  costru- 
zione de'  due  palazzi  al  largo  dell'  Ospedalelto  uno  del  Principe  di 
Caramanico  ,  e  l' altro  del  Duca  Giordano  ,  come  ancora  per  la 
magnifica  Villa  laci  a  Resina. 

L' unità  nel  carattere ,  la  solidità  nella  costruzione  ,  la  nobil- 
tà nell'ampiezza  de' cortili  ,  e  signoria  dogli  appartamenti  ;  sono 
un  nulla  a  fronte  del  bel  talento  dell'  architetto  addimostrato  nella 
costruzione  della  scala  al  palazzo  Caramanico.  Bisogna  che  ogni  ar- 
chitetto andasse  sul  luogo  a  tradisegnarla  e  studiarla  ,  acciò  nelle 
attuali  costruzioni  avendola  per  modello  si  evitano  dei  positivi  er- 
rori in  cui  facilmente  s' incorre  da  chi  non  sapendo  ,  vniole  per 
forza  fare ,  e  fare  che  cosa  ?  originalità. 

Pel  palazzo  Giordano  1'  angustia  del  luogo  non  permise  al  Fu- 
ga di  far  pompa  del  suo  bel  talento. 

Pel  palazzo  Caramanico  potette  più  estendersi,  e  massime  come 
(li  sopra  si  è  detto  per  la  bene  studiala  scala. 


—  430  — 
Per  la  Villa  laci  a  Resina  fu  acquistala  da  S.  M.  Ferdinando 
I.  dandogli  il  nome  di  Rcal  Favorita.  Fu  formalo  questo  monu- 
mento dal  Fuga  con  molto  gusto  tanto  nei  diversi  apparlamonli  chi' 
nelle  svariate  e  bellissime  logge  per  1'  amenità  del  silo.  11  gran 
giardino  coi  suoi  parterri  di  fiori ,  grottoni  di  aranci,  spalliere  di 
tossi ,  e  casinelti  di  riposo  presentano  un  luogo  veramenle  incan- 
talo. Andata  tra  le  Ville  Reali  non  si  è  mancato  di  sempreppiù  ar- 
ricchirla, e  decorarla  maggiormente. 

riiiiilcro  jicr  l' ospedale  degli  lueurabìli 

Tra  la  bella  strada  del  Campo  e  quella  di  Poggiorcale  vedesi 
il  \eccliio  Camposanto  ,  grande  ediflzio  destinato  alla  sepoltura  dei 
morti  negli  spedali.  La  strada  che  vi  conduce  è  ornata  di  cipressi. 
La  pianta  è  un  gran  quadrato  cinto  da  alto  muro,  ed  à  366  fossi 
o  sepolture  per  i  giorni  dell'  anno  ciascuna.  Il  lato  del  quadrato  è 
di  palmi  310.  E  preceduto  questo  moniunento  da  un  porticato  con 
una  chiesetta.  Fu  eretto  nel  1763  con  disegno,  e  direzione  del  cav. 
Ferdinando  Fuga.  Vi  si  leggono  due  iscrizioni  del  celebre  Rlazzoc- 
chi.  Prima  di  giungere  al  descritto  Camposanto  incontrasi  qut^llo 
dove  riposano  le  disgraziate  vittime  mietute  in  Napoli  dal  Cholera 
jì/orbtis  negli  anni  1836,  e  1837. 


VITA  DELL' ARaiITETTO 

LilGI  VANVITELLI 

CON  L' INDICAZIONE  E  DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE 
ESEGUITE  IN  NAPOLI. 

CONSISTENTI  NEL 

Real  Palazzo  di  Caserta. 

Ponti  di  Maddaloni. 

Foro  Carolino. 

Quartiere  di  Cavalleria  al  Ponte. 

Chiesa  della  Annunziata. 

Scala  -  Sacrestia -e  cappella  a  S.  Luigi  di  Palazzo. 

Chiesa  di  s.  Marcellino. 

Chiesa  della  Rotonda. 

Palazzo  Angri  a  Toledo. 

Facciata  del  Palazzo  Genzano. 

Portone  -  scala  ed  altro,  al  Palazzo  Calabritto. 

Casino  Carapolieto  a  Resina. 

Rifazione  alla  facciata  del  Real  Palazzo  in  Napoli. 

A  Maddaloni  un  altare  ed  un  ciborio. 

Apparecchi  per  balli  ai  Palazzi  Teora  e  Perrelli. 


dal  1152  al  1773. 


Sasso  —  Voi.  I. 


Lapides  et  Ugna  ab  aliis  accepimus, 
constructio  vero  aedificii  tota  nostra 
est. 

Architectus  ego  sum  ,  sed  variis  un- 
dique  materiam  collexi. 

M.  VlTRlVIO  P0LLI0>E. 


La  presente  vita  è  del  più  ammirabile  artefice  che  vanti  Na- 
poli, per  cm  non  v'  è  lode  cbe  basti  nel  tesserne  1'  elogio. 

Se  tutti  i  vanti  dati  ai  piìi  egregi  maestri  in  arcliitettura  si 
acctmiulassero,  non  sarebbero  nemmeno  bastanti  al  merito  sommo 
di  un  Luigi  Vanvitelli ,  il  quale  in  alcima  delle  sue  opere  se  non 
à  superate  quelle  dei  secoli  più  floridi  di  Atene  e  di  Roma  ,  le  à 
almeno  eguagliate. 

Il  tessere  la  vita,  e  1'  elogio  dei  sorami  uomini  non  solo  è  un 
Iributo  che  si  dee  alla  loro  virtù,  ma  è  ancora  un  obbligo  di  cui 
siamo  per  lo  comune  vantaggio  alla  società  debitori. 

Chi  non  sa  quanto  valga  sull'animo  nostro  la  forza  dell'esem- 
pio; e  come  la  gloria,  oggetto  di  tanti  voti  e  di  tante  speranze,  ac- 
cenda le  umane  menti  di  alti  pensieri,  e  di  nobilissimi  desidcrii? 

Sono  perciò  degne  d' invidia  le  nazioni  che  hanno  grandi  ge- 
mi da  imitare,  ed  uomini  generosi,  che  affidando  ad  eterne  carte 
le  loro  nobili  azioni,  le  tramandano  ai  posteri,  e  ne  serbano  viva  e 
perenne  la  ricordanza.  A  scrivere  la  vita  dell'architetto  Luigi  Van- 
vitelli ,  oltre  un  sentimento  di  viva  riconoscenza  ,  ben  dovuto  alla 
memoria  di  un  uomo  che  ha  cotanto  illustralo  l' arte  sna  ed  il  suo 
paese,  mi  mosse  ancora  il  desiderio  di  un  utile  pid3blico.  Facendo 
meglio  conoscere  le  moltiplici  sue  opere,  e  mostrando  come  le  Ime- 
ne arti  adornano  la  vita,  e  non  lasciano  perire  il  nome  di  clii  lo- 
devolmente le  pratica  ,  potrebbe  fpiesta  lettura  infiammare  il  cuore 
dei  più  generosi  tra  i  nostri  giovani  artisti  ,  ed  esser  loro  di  con- 
forto, e  spingerli  a  calcare  strenui  la  stessa  nobile  carriera. 


—  ^u  — 

Dal  pittore  Gaspare  Wan-Witcl  e  da  Anna  Laurcnzini  romana 
nacque  Luigi  Yanvitelli.  Ebbe  i  suoi  natali  in  Napoli  nell'anno  1700, 
ed  il  Viceré  Luigi  della  Ccrda  Duca  di  ^Icdina  Coeli  ,  che  aveva 
chiamalo  il  padre  per  aflari  di  sua  professione,  volle  tenerlo  al  sa- 
cro fonte  ,  e  gì'  impose  il  suo  nome.  Ma  sopravvenuto  subito  dopo 
la  rivoluzione  del  Principe  di  Macchia,  i  suoi  genitori  si  restituiro- 
no prontamente  in  Roma.  Quivi  Luigi  crebbe^  e  fece  i  suoi  studi, 
narra  il  ]\Iilizia  che  di  sei  anni  già  disegnava  dal  vero,  e  di  venti  ave- 
va dipinta  in  Roma  la  cappella  delle  reliquie  in  Santa  Cecilia  a 
fresco,  e  ad  olio  il  quadro  della  Santa  medesima. 

Finse  anche  nella  chiesa  di  S.  Bartolomeo  dei  Rergamaschi ,  ed 
in  Viterbo  in  quella  del  Suffragio. 

Ma  che  che  sia  di  lutto  ciò,  è  indubitato  eh'  egli  in  queir  età 
medesima,  in  cui  poco  suol'  essere  la  fermezza,  ed  il  fastidio  della 
fatica  grandissimo,  attese  dapprima  con  somma  cura  agli  studi  delle 
lettere  e  della  filosofìa ,  e  quindi  si  applicò  con  particolare  atten- 
zione alla  geometria  ed  alla  fìsica,  la  prima  delle  quali  è  base  in 
tutte  le  scienze  utili,  ma  soprattutto  nell'  architettura  necessaria,  e 
la  seconda  apre  la  mente  alla  intelligenza  e  cognizione  della  natu- 
ra. Non  cessava  pertanto  di  coltivar  con  successo  il  disegno,  e  pa- 
reva che  la  natura  accordato  gli  avesse  una  felice  disposizione  a 
riuscir  nella  carriera  delle  nobili  arti,  alle  quali  teneva  di  continuo 
r  animo  intento.  Egli  però  sino  dai  primi  anni  si  determinò  parti- 
colarmente per  r  architettura. 

Questa  nobile  arte  fu  da  lui  giudicata,  secondo  l'opinione  degli 
antichi,  più  perfetta  della  pittura  e  della  scultura,  perché  intende  i 
suoi  fini  al  giovamento  ed  ornamento  della  natura  ;  e  certamente 
per  la  molliplicità  delle  discipline  che  comprende  ,  per  la  nobiltà 
del  soggetto,  e  per  la  sua  riconosciuta  necessità  al  vivere  civile  e  po- 
litico, dee  meritamente  riguardarsi  fra  le  arti  tutte  eccellentissima; 
che  anzi  del  nome  di  scienza  degna  la  stimarono  Platone ,  Aristo- 
tele, ed  altri  scrittori  di  quei  secoli. 

Ond'  è  che  nella  sua  prima  giovinezza  egli  si  applicò  seria- 
mente agli  studi  matematici,  ed  a  quelli  della  statica,  della  mec- 
canica, dell'  idraulica  e  della  prospettiva  ;  e  dopo  aver  appresi  dal 
padre  i  primi  principi  di  architettura  ,  passò  a  studiarla  profonda- 
mente sotto  del  messinese  Abate  Filippo  Ivara.  Questi  spesso  gli  ri- 
peteva r  avvertimento  a  lui  inculcato  dal  suo  maestro  Carlo  Fonia- 


—  43:3  — 
na,  di  usare  sempre  la  maggiore  semplicità,  non  temendo  mai  dì 
peccare  in  questa  per  difetto.  Insinuava  poi  sempre  nel  suo  animo 
r  amor  dello  studio  con  dimostrargli  che  1'  architetto  debb'  essere  di 
molta  erudizione  ornato,  e  ricordandogli  che  Vitruvio,  con  ragione 
riguardato  come  il  Principe  dell'  architettura  ,  nel  suo  trattato  si 
confessa  molto  obbligato  ai  suoi  genitori ,  perchè  gli  avevan  fatta 
apprendere  un'  arte  alla  cui  perfezione  non  si  può  giugnere  senza 
le  buone  lettere,  e  senza  la  cognizione  delle  scienze.  Bramoso  di  sa- 
pere ,  e  di  nuir  altro  curante  ,  egli  studiò  profondamente  le  opere 
dei  primi  architetti  ,  di  Yitruvio  ,  di  Palladio  ,  dell' Algarotti  chia- 
mato il  Raffaello  dell'architettura ,  di  cui  ammirava  principalmente 
la  felicità  e  bellezza  delle  fabbriche,  di  Bramante,  dell'Alberti,  del 
Serlio,  del  Sanmicheli ,  dello  Scamozzi ,  avvezzjindosi  di  buon' ora 
nelle  regole  e  negli  esemplari  di  questi  sorami  artisti ,  ad  acquistare 
un  gusto  particolare  per  solidità  ed  eleganza  degli  edifìci,  ed  un'av- 
versione per  ogni  difetto  contrario. 

Ben  presto  però  si  avvide  che  non  divenivasi  architetto  con  far 
soli  disegni,  e  con  isvolger  le  opere  dei  migliori  autori  ,  ma  biso- 
gnava meglio  conoscere  le  più  rinomate  tra  le  fabbriche  antiche  , 
e  le  moderne  di  buon  gusto.  Quindi  rivolse  le  principali  e  più  as- 
sidue cure  verso  quei  venerandi  avanzi  degli  ediflzl  dell'  antica  Ro- 
ma, che  r  ingiuria  del  tempo  distruttore,  o  la  barbarie  dei  secoli, 
o  il  fuoco  divoratore  del  fanatismo,  hanno  in  parte  conservati,  im- 
perocché lutti  furono  senza  rispetto  profanali,  o  guasti. 

Fra  i  monumenti  di  rarissima  antichità  ,  e  di  squisito  lavoro 
con  particolare  ammirazione  e  riverenza  ei  riguardava  il  Colosseo, 
il  Panteon,  le  Tenne  Diocleziane  ed  Antoniane,  il  teatro  di  Marcello. 
Questi  edifizi  ammirandi  per  grandezza,  per  invenzione  e  forme  pre- 
stantissimi, e  per  solidità  incomparabili,  divennero  per  lungo  tempo 
jfli  studi  suoi.  Li  misurò  con  invingibile  diligenza  e  disegnò  più 
Tolte,  non  lasciò  di  rilevarne  tutte  le  parti,  quantunque  mutilate  o 
rovinose,  penetrò  sino  alle  fondamenta  per  riconoscere  la  forma  del- 
l' impianto;  ed  in  tal  modo  apprese  il  metodo  e  l'artifizio  dei  com- 
partimenti e  degli  ornamenti  dagli  antichi  adoperato  ,  e  venne  in 
cognizione  e  desiderio  della  grandezza  latina. 

Acquistato  per  tanto  un  fondo  di  valevoli  dottrine  nell'  arte  di 
♦xlificare,  dette  i  primi  indizi  del  suo  valore,  con  rislaurare  in  Ur- 
bino il  palazzo  Albani^  e  costruirvi  di  pianta  le  chiese  di  S.  Fran- 


—  436  — 
Cesco,  e  S.  Domenico;  e  poco  dopo  in  Roma  condusse  insieme  con 
Salvi  suo  amico  l'acqua  di  VermicinoJIa  le  prove  del  suo  ingegno  non 
polcano  chiudersi  entro  angusti  limiti:  erano  esse  meritevoli  di  mo- 
strarsi più  estese  ,  e  parea  che  chiedessero  im  più  largo  campo  di 
gloria.  Propizia  se  ne  offerse  l'occasione  nel  concorso  per  la  fac. 
ciata  di  S.  Giovanni  Laterano  coi  primi  artisti  di  quel  tempo.  Qual 
concorso  fu  mai  quello?  Furono  presentati  ventiduc  disegni,  di  Sal- 
vi, di  Teodoli,  di  Fuga,  di  Galilei,  di  Cannevari,  di  Gregorini ,  di 
Passalacqua,  di  Rossi,  di  Dotti,  di  Raguzzini.  11  giudizio  fu  dato 
dagli  accademici  di  S.  Luca  nella  sala  del  Quirinale.  Dice  il  Van- 
vilelli  in  certe  sue  memorie  manoscritte,  conservate  dal  suo  nipote  , 
delle  quali  parla  ^Milizia,  che  furono  prescelti  i  suoi  disegni,  ed  uno 
del  Salvi.  Ma  per  private  ragioni,  nelle  quali  entrò  forse  anche  per 
poco  lo  spirito  di  parte ,  fu  riferito  al  Pontefice ,  che  essendo  stali 
uguali  i  voti,  quello  del  Galilei,  come  nazionale  meritava  la  prefe- 
renza. L' ottenne  egli  infatti  e  la  facciata  di  S.  Giovanni  Laterano, 
dove  questo  architetto  aveva  libero  campo  di  spiegare  un  gran  ge- 
nio, a  giudizio  dei  primi  artisti,  non  è  una  produzione  felicissima. 
Due  disegni  fece  Vanvitelli  per  quella  facciata,  imo  di  im  solo  or- 
dine, r  altro  di  due.  In  quest'  ultimo  l' ordine  inferiore  e  di  colon- 
ne corintie  isolate,  sei  delle  qiiali  sono  in  proiezione  in  una  specie 
di  fronte  quasi  triangolare.  Dentro  e  fuori  del  vestibolo  \i  sono  tro- 
fei in  basso  rilievo  con  frontespizi.  L'  ordine  superiore  è  un  com- 
posito con  frontespizio ,  con  balaustri ,  e  con  grandi  statue.  Tutti 
questi  disegni  si  conservano  nell'  accademia  di  S.  Luca. 

11  merito  però  di  Salvi ,  e  di  Vanvitelli  non  restò  in  quella 
circostanza  sconosciuto  ;  che  fu  dato  al  primo  l' incarico  della  fon- 
lana  di  Trevi^  ed  al  secondo  quello  della  costruzione  del  nuovo  por- 
lo di  Ancona;  né  minore  commendazione  gliene  derivò  ,  poiché  in 
queir  opera  ei  si  mostrò  veramente  grande  artista.  Con  sano  accor- 
gimento volle  prima  visitare  i  lazzaretti  di  Livorno,  di  Genova ,  e 
di  Venezia.  Recò  poi  in  Ancona  il  tesoro  delle  acquistate  cognizio- 
ni, e  vi  piantò  il  lazzaretto  pentagono  con  im  bastione  ,  e  costruì 
il  molo  lungo  palmi  300  e  profondo  50  con  una  porla  con  colon- 
ne doriche.  In  quella  Città  dette  fuori  molli  disegni  per  la  cappella 
delle  reliquie  di  S.  Ciriaco,  pel  risarcimento  della  Chiesa  del  Gesù, 
e  di  quella  di  S.  Agostino  ,  e  per  la  casa  degli  esercizi  spirituali. 
3ila  erano  tante   e  sì  varie  le  richieste  che  da  ogni  parte  l' assali- 


—  437  — 
vano,  che  gli  fu  impossibile  di  tulle  soddisfarle,  e  gli  mancò  so- 
vente anche  il  tempo  a  raffinare  i  suoi  lavori.  Invidiose  ancora  le 
citlà  vicine  del  troppo  lungo  soggiórno  che  faceva  in  Ancona  ,  e 
quasi  mal  soffrendo  eh'  ella  sola  fosse  abbellita  da  lui ,  premurose 
lo  chiamarono  Macerata  ,  Perugia  ,  Pesaro  ,  Foligno  ,  Siena  ;  ed  in 
tutte  successivamente  trasferitosi,  vi  lasciò  segni  non  lievi  dell'alio 
suo  intendimento  e  del  profondo  suo  valore  artistico. 

E  già  la  fama,  che  al  dir  di  elegante  scrillore,  è  le  più  volle 
un  lungo  frutto  del  tempo,  o  un  tardo  tributo  dei  posteri,  fin  dalla 
sua  età  giovanile  in  singoiar  modo  l' accompagnava.  Di  ritorno  in 
Roma,  appena  compito  il  suo  quinto  lustro  ,  fu  con  raro  esempio 
dichiaralo  archiletto  di  S.  Pietro.  Elevò  circa  quel  tempo  mi' ag- 
giunta di  camere  alla  libreria  del  collegio  Romano,  dove  fatto  ave- 
va i  suoi  primi  studi. 

Risarei  la  Rufìnella  a  Frascati ,  e  pel  Ministro  di  Portogallo 
diresse  il  lavoro  di  una  ricca  cappella,  che  fu  spedita  nella  chiesa 
dei  Gesuiti  in  Lisbona. 

Ma  la  sua  grande  fabbrica  in  Roma  fu  il  convento  di  S.  Ago- 
slino,  grandioso  ed  elegante  ediBcio  ,  che  gli  procacciò  somma  lo- 
de ed  ammirazione.  Ne  si  slette  fra  i  termini  dei  convicini  la  fa- 
ma, che  avendo  delle  sue  opere  desialo  imiversal  desiderio  in  quasi 
tutta  Italia,  fu  chiamalo  in  Brescia  per  la  formazione  della  Sala  del 
pubblico,  ed  in  Milano  per  la  nuova  facciala  del  Duomo,  clic  ideò 
tra  il  golico  ed  il  greco,  difficilissima  per  la  sua  combinazione  con 
le  altre  parli  già  esistenti  del  Tempio,  la  quale  non  ebbe  poi  ese- 
cuzione per  la  guerra  che  allora  quelle  contrade  affliggeva. 

Ma  r  opera  che  attirò  al  Vanvilelli  grandemente  l'invidia  e  la  ge- 
losia dei  contemporanei  architetti ,  fu  il  risarcimento  della  grande 
cupola  del  Valicano.  Regna  talmente  trai  professori  di  qualmifjue 
facoltà  e  di  qualunque  arte  l' emulazione ,  che  sovente  diviene  ge- 
losia, e  talvolta  ancora  con  maggior  daimo  progredendo  più  olire 
giugno  a  livore,  ad  inimicizie,  a  conlese.  Già  ben  tre  volte  prima 
dell'anno  1740  erano  stati  nella  cupola  di  S.  Pietro  scoperti  di'i 
danni,  eh'  erano  poi  riusciti  incentivi  di  rmnori;  cioè  sin  da  prin- 
cipio della  sua  edificazione  sotto  Bramante,  ed  ai  tempi  dcU'archi- 
tetlo  Carlo  l\Iademo,  e  del  celeberrimo  Cavalicr  Bernino.  Appena  furon 
tolte  le  forme  di  quella  immensa  cupola  sotto  il  ponteficalo  di  Sisto 
V.  cominciarono  i  risentimenti  e  i  dislacchi,  i  quali  furon  giudicati 
asscllamenti  della  fabbrica. 


% 


—  438  — 
Si  risarcirono  lutti ,  e  quindi  cominciarono  a  farsi  i  mosaici 
sopra  i  cartoni  del  cavalier  d'  Arpino.  Dopo  molti  anni  si  ridussero 
al  termine,  onde  passarono  le  vite  di  molli  Pontefici.  Continuò  tut- 
tavia il  nome  di  assettamento  ,  che  produsse  ai  tempi  del  Berniuo 
delle  critiche  maligne,  quasi  avess'egli  cagionato  quei  danni. 

Ma  delle  controversie  in  queir  epoche  agitate,  assai  più  gravi, 
o  per  molte  circostanze  più  importanti  divennero  quelle  che  comin- 
ciarono allora  a  propagarsi,  pretendendosi  da  alcuni,  che  gravissi- 
mi e  perniciosissimi  difetti  in  quella  cupola  si  scoprissero,  e  ripu- 
tandosi da  altri  clic  non  vi  si  scorgessero  tali  pregiudizi,  dai  quali 
o  sospetti  d' istanti  mali ,  o  agitazione  veruna  concepir   si  dovesse 
ragionevolmente.  E  queste  controversie    si  estesero  non  solo   ai  di- 
versi oggetti  dei  danni,  ma  ancora  ai  vari  modi  da  impiegarsi  pei 
rimedi  :  sicché  complicata  molto,  e  ravviluppata  la  quistione  diven- 
ne. Né  di  ciò  è  punto  da  maravigliarsi;  che  la  forza  di  una  certa 
naturale  inclinazione  porta  gli  uomini  a  considerare  le  rilevanti  ma- 
terie ,  eziandio  se  loro  non  appartengono.   In  tali  casi  ella    è  una 
grande  disgrazia ,  che  alcuni  dotti ,  se  si  formano  qualche  pregiu- 
dicata opinione,  riescon  indi ,  come  disse  im  saggio  scrittore  ,  più 
insistenti  del  popolo  medesimo,  perchè  desse  s'intestano  ugualmente 
p  del  pregiudizio  ,    e  delle  apparenti  ragioni  che  nascer  lo  fecero. 
Onesto  appunto  allora  avvenne  in  occasione  dei  nuovi  difetti  scoperti 
nella  cupola  Vaticana. 

Essendo  il  Vanvitelli  architetto    di  S.  Pietro  dovette  in  quella 
circostanza  far  la  visita  dell'  intero  Tempio,  e  con  meraviglia  rico- 
nobbe maggiori  esser  divenuti  i  danni  già  da  gran  tempo  nella  cu- 
pola osservati  ,  poiché  ritrovò  delle  fessure  nel  piedestallo  dei  con- 
trafforti, nel  zoccolone  ,  nelle  parti  delle  finestre  ,  negli  arconi  in- 
terni, e  nell'attico  esterno,  e  nella  parte  interiore  della  cupola  ;  e 
rilevò  benanche  delle  inclinazioni  o  deviazioni  dal  perpendicolo  dei 
contrafforti  e  della  muraglia  interna    ed  esterna    del  tamburo.  Os- 
servò inoltre,  che  fra  le  molte  fessure  erano  singolarmente  dilatate 
quelle  che  furono  nel  1700  con  massima  diligenza   da  Carlo  Fon- 
lana  ristuccate,  talmentechè  rimase  convinto  dover  essere  spezzati  i 
due  cerchioni  antichi  che  cingevano  la  grande  fabbrica ,  fece  egli 
allora  fedele  ed  esatta  relazione  dei  rinvenuti  danni,  e  dopo  mature 
<?.  serie  riflessioni  suU'  origine  e  sulle  cause  di  essi  ,    espose  il  suo 
parere  circa  i  rimedi  da  adoperarsi  per  la  pronta  loro  riparazione 


—  439  — 
0  per  impedirne  1'  ulteriore  progresso.  Propose  quindi ,  che  inzop- 
pate fossero  le  rotture  degli  arconi,  ed  otturate  tulle  le  altre  fessu- 
re, che  con  tre  o  quattro  nuovi  forti  cerchioni  di  ferro  la  rotonda 
fahbrica  fosse  ninnila,  e  che  rifatti  dopo  fossero  tuli'  i  contrafforti 
con  aggiugner  loro  peso  e  consistenza  ;  rimedi  che  doveano  esser 
luti'  indirilti  a  due  principalissimi  fini;  cioè  che  non  restasse  punto 
alterata  l' esteriore  bellezza  del  grand'  edifizio  _,  e  che  per  quanto 
possibile  fosse^  non  si  recasse  incomodo  alle  ambulazioni ,  ed  agli 
altri  vuoti  interiori. 

II  Salvi,  il  marchese  Tcodoli ,  l'IIostini,  valenti  architetti  ,  e 
molti  matematici  di  buon  senso  vennero  facilmente  nel  suo  parere, 
ma  sventuratamente  ebbe  anche  per  contraddittori  alcuni  architetti 
di  nome,  ai  quali  incitati  forse  da  qualche  distinto  personaggio,  sol- 
leciti si  unirono  perdiscreditarlocon  molti  inesperti  malemalici  ed  igno- 
ranti professori ,  spacciando  gli  uni  essere  affatto  vani  ed  insussi- 
stenti i  prelesi  darmi  di  quell'edifìzio,  ed  immaginari  i  pericoli ,  e 
combattevano  gli  altri  i  rimedi  da  lui  proposti  per  ripararli.  Però 
quelle  inconsiderate  critiche  dei  malevoli  ed  ipocriti,  poco  o  nulla 
poterono,  né  il  Vanvitelli  sviarono  dal  suo  fermo  e  giusto  proponi- 
mento. Benedetto  XIV,  che  alle  doti  eminenti  di  Capo  Supremo  della 
Cristianità  riuniva  la  grandezza  e  la  magnanimità  di  Principe  sa- 
viissimo  e  generoso,  inquieto  pei  timori  insorti  su  i  pericoli  di  quella 
maravigliosa  fabbrica,  che  nel  genere  suo  lutte  le  altre  con  la  pro- 
pria sunluosità  supera  e  vince,  chiamò  da  Padova  il  marchese  Po- 
leni  ,  affinchè  presi  i  necessari  schiarimenti  avesse  col  suo  parere 
definitivamente  terminate  quelle  controversie  ,  che  tanto  grido  pro- 
ducevano. 11  Polcni  uomo  d'invincibile  integrità,  e  d' animo  schiet- 
to e  sincero  ben  riconobbe  1'  evidenza  dei  negati  danni^  e  conven- 
ne pienamente  nell'uso  dei  rimedi  dal  Vanvitelli  suggeriti.  Egli  ren- 
dette in  quella  circostanza  ogni  sorta  di  commendazione  al  merito 
del  Vanvitelli,  e  riconosciutolo  d'onestissime  qualità  fornito,  ed 
ugualmente  di  genio,  d'  ingegno ,  e  di  somma  perizia  nell'  arte  ar- 
chitettonica, volle  della  sua  opera  unicamente  avvalersi  per  visitare 
il  Tempio  Vaticano,  ed  osservarne  i  difetti. 

Nuovi  elogi  gli  tributò  in  seguito  anche  da  Padova  per  l' in- 
gegnosa zelante  ed  utile  assistenza  che  prestò  alle  ristaurazioni  di 
quella  gran  mole,  di  cui  gii  aveva,  nel  partire  da  Roma,  affidato 
l'incarico,  e  che  furono  in  gran  parte  col  più  felice  successo  sotto 
la  sua  direzione  eseguile. 

Sasso  —  Voi.  I.  36 


—  4i0  — 

A  ben  considerare  i  discorsi,  le  controversie,  e  la  grande  di- 
sparità dello  opinioni  intorno  ai  pregiudizi  ed  ai  progettati  restauri 
della  cupola  di  S.  Pietro ,  che  tanto  rumore  menarono  allora  per 
tutta  Roma ,  è  da  credere  in  vero  ,  che  molti  in  quella  occasione 
poco  pratici  ncU'  arte  di  edificare  ,  forse  anche  promessi  dai  mali- 
gnanti ,  non  ben  compresero  quanto  fosse  oltreraodo  piccolo  il  pe- 
so di  quei  cerchioni  relativamente  al  corpo  della  massima  cupola, 
i  quali ,  dice  Vanvitelli  nelle  sue  memorie ,  sono  quasi  altrettante 
spilli  sugli  omeri  di  un  uomo.  Ncppur  seppero  ben  concepire  il  me- 
todo che  con  sano  divisamento  tenne  1'  architetto  per  istringcrli  ef- 
ficacemente sull'enorme  circonferenza  del  basamento  e  della  cupo- 
la, lo  che  ei  fece  a  piccole  percosse  ordinate  sulli  cunei  raddoppiati 
e  conversi  nelle  maglie  dell'unione  dei  cerchioni  medesimi,  tal- 
menlechò,  volendo,  avrebbe  potuto  spezzarli  nella  tensione;  metodo 
<he  il  Poleni  ritrovò  efficacissimo  per  lo  stringimento,  e  disse  che 
il  Vanvitelli,  sono  le  sue  stesse  espressioni  (,(  prese  per  regola  l'utile 
non  il  maraviglioso  :  fece  ciò  che  giovava  fare,  non  ciò  che  si  sa- 
rebbe potuto  tentare  per  cercar  dagli  sforzi  mi  ultimo  eccessivo 
grado  )■).  Fu  quindi  facile  ai  maledici  d'indurre  i  più  nell'erronea 
sentenza  ;  ma  questa  volta ,  e  lo  fosse  pur  sempre ,  incontro  alla 
ignoranza  ed  al  pregiudizio  non  perde  sue  pruove  la  ragione  e  la 
privata  cupidigia,  che  prevaler  sempre  vorrebbe  alla  pubblica  uti- 
lità, vinta  rimase  dalla  virtii,  e  dal  merito.  Il  Vanvitelli  fu  ben  an- 
che autore  di  quel  ponte  concavo  adoperato  nell'  interno  della  cu- 
pola por  chiudervi  le  fessure;  ed  a  Nicola  Zabaglia  lutt'  i  suoi  con- 
traddittori r  attribuirono. 

3Ia  come  supporre,  che  un  artista  un'opera  proponga,  sonza 
immaginar  prima  i  mezzi  ond' eseguirla?  Oltreché  il  suo  animo  fran- 
to e  nobile,  ed  in  quella  circostanza  giustamente  altiero,  sarebbe 
a  troppo  avvilimento  disceso  ,  se  avesse  dovuto  improntar  da  altri 
le  macchine  per  giugnere  allo  scopo  del  proposto  risarcimento. 

Dopo  la  ristaurazione  della  cupola  Vaticana,  formò  1'  architet- 
to Vanvitelli  il  progetto  di  rendere  più  grandiosa  e  magnifica  la 
chiesa  della  Certosa  di  Roma.  Avevan  quei  frati  fatto  chiudere  da 
Clemente  Orlandi  la  porta  e  tre  arconi  del  gran  salone,  per  mette- 
re in  ciascuno  due  tavole  del  Vaticano.  Vanvitelli  ideò  riaprirli,  ed 
a  ciascuno  porre  due  colonne  consimili  alle  altre  otto  di  granito 
egizio,    e  dentro  ogni  arcone  situare    le  due   tavole    del  Valicano. 


—  441  — 

Nel  vestibolo,  che  era  il  calidario  delle  termo,  ordinò  tjualtio  de- 
positi con  cornici  intorno,  e  cassettoni  quadri  alla  volta,  come  nel 
Panteon;  ed  essendovi  un  arco  assai  basso  e  sproporzionato,  alcune 
mensole  vi  progettò  all'antica  con  conchiglie  per  mascherare  il  bas- 
so passaggio  air  altissimo  galene ,  in  cui  altre  otto  colonne  esser 
dovevano  simili  alle  antiche  che  sono  incontro  alla  gran  cappella 
degli  Angeli. 

Dentro  il  suddetto  vestibolo  eseguir  voleva  quattro  cappellelte 
con  bei  pilastri  ionici  da  Michelangelo  adornato  ;  e  sul  cornicione 
invece  di  quei  frontespizietti  con  ([uelli  candelabrucci  ^  enivano  fron- 
tespizi triangolari  con  quelli  di  Bramante,  imitali  poi  nelle  cappel- 
le vaticane  da  Sangallo  e  da  Michelangelo.  Ma  questi  grandi  pro- 
getti per  amore  di  soverchia  economia  non  furono  dai  frati  esegui- 
li, e  fecero  per  maggior  brevità  murare  il  quarto  aroone  che  era 
ancora  aperto,  contentandosi  invece  di  sedici,  di  otto  solo  colonne 
all'ingresso.  Benedetto  XIV  Pontefice  di  raro  ingegno  e  di  spirito 
pronto  e  vivace,  ristaurala  S.  Maria  IMaggiore,  dove  mi  architetto 
guastato  avea  il  più  bel  corintio  di  Michelangelo,  disse,  eh'  egli  con 
molto  dispendio  a\  ea  d' una  grande  basilica  fatto  un  fenile  ,  ed  i 
Certosini  con  poco  danaro  aveano  d'un  fenile  fatta  una  basilica 
grandiosa.  Che  avrebbe  detto  quel  gran  Pontefice,  se  i  progetti  del 
Vanvitelli  avessero  avuto  eseguimento?  Neil' anno  Santo  del  1750  fu 
egli  prescelto  a  dirigere  gli  ornamenti  delle  tribune  in  S.  Pietro  , 
e  r  illuminazione  di  quella  cupola  ,  che  eseguì  in  maniera  tutta 
nuova.  Diresse  ancora  gli  apparati  di  una  santificazione,  i  fimerali 
della  Regina  d' Inghilterra,  od  il  trasporto  della  Pietà  di  Michelan- 
gelo. 

In  questo  tempo  medesimo,  o  in  quel  torno,  venne  egli  richie- 
sto insieme  con  altri  professori  del  suo  parere  mtorno  ai  lavori  da 
farsi  per  la  conservazione  del  porto  d'  Anzio. 

L' antica  città  di  questo  nome  in  campagna  di  Roma  metro- 
poli dei  Volsci  ,  oggi  più  non  esiste.  Nerone  vi  foce  costruire  un 
porto  magnifico,  di  cui  restano  tuttora  degli  avanzi  e  delle  ruino, 
chiaro  addimostrando  che  fu  dosso  fabbricato  tutto  a  mano,  essen- 
do r  intera  sua  oirconfiTcnza  composta  di  mura  ben  ordinate,  ed  ap- 
pieno corrispondenti  fra  loro  ,  lo  che  non  a\TÌone  quando  se  ne 
adattano  lo  fabbriche  a  qualche  naturale  andamento  del  lido.  Que- 
sto porto  fu  da  principio  formato  molto  grande,  poiché  erasi  dagli 


—  442  — 
anlichi  conosciuto,  che  il  vasto  mare  ,  irrequieto  ,  distrugge  facil- 
mente ogni  picciol'  opera  che  farvisi  tenti ,  riempiendo  gli  angusti 
seni,  e  i  deboli  ripari  sovvertendo.  Venne  anche  per  quanto  fu  pos- 
sibile interralo  nel  mare,  per  non  averlo  al  pari  con  la  spiaggia, 
sempre  implacabile  nemica  dei  porti,  nella  quale  il  perenne  copio- 
so concorso  delle  arene  non  cessa  mai  di  formarne  la  mina,  o  con 
intcrrirli  al  di  dentro ,  o  col  precluderne  l' ingresso  alle  navi.  Per 
queste  ragioni  fu  l' antico  porto  d'  Anzio  lungamente  durevole  j  ed 
anche  rinomato  abbastanza. 

Ma  venne  ancor  esso  al  suo  termine,  come  ogni  mortai  cosa, 
o  per  incuria  dei  barbari  secoli ,  o  per  mancanza  di  quei  naturali 
soccorsi,  che  gli  apprestarono  gli  antichi;  e  dopo  essere  stato  lun- 
go tempo  negletto ,  cadde  in  pensiero  al  Pontefice  Innocenzo  XII  , 
di  ristabilirlo  nuovamente,  ed  ordinò  la  costruzione  del  presente  pic- 
ciol porto  di  figura  quadrala,  con  la  bocca  rivolta  a  levante.  Mol- 
to interessando  la  conservazione  di  questo  porlo,  unico  ricovero  dei 
bastimenti  in  tutto  il  lunghissimo  tratto  da  Gaeta  sino  a  Civitavec- 
chia per  difenderlo  dagl'  interrimenti  che  sempre  gli  sovrastavano 
dalla  spiaggia  per  la  sua  imperfetta  costruzione,  e  per  renderlo  si- 
curo dalle  burrasche,  furono  allora  consultali  molli  architetti,  e  pro- 
fessori di  nome,tra  i  quali  Marchionni,  Murena,  Marechal,  cdilP. 
Ruggiero  Giuseppe  Boscowich  della  compagnia  di  Gesù.  Marechal 
ed  altri  proposero  come  unico  rimedio,  contro  l' opinione  di  Vanvi- 
felli,  la  separazione  del  porlo  dal  continente,  ed  a  tal  effetto  pro- 
gettarono l'apertura  di  un  canale  tra  la  terra  ed  il  porto  ,  largo 
circa  palmi  4-00;  il  di  cui  andamento  avesse  il  suo  principio  dietro 
il  porto  nuovo,  e  traversando  l'antico  andasse  a  mettere  con  bifor- 
me imboccatura  nel  largo  mare,  onde  ricevere  per  diverse  parti  le 
torrenti  delle  maree _,  ora  transitandole  verso  levante ,  ed  ora  rim- 
boccandole verso  ponente  per  ogni  opposto  movimento. 

Come  però  1'  esecuzione  di  questo  progetto  era  dispendiosissi- 
ma, né  dava  ima  positiva  certezza  di  felice  riuscita,  immaginaro- 
no di  farne  prima  lo  sperimento  con  un  canale  più  picciolo.  L'  e- 
sito  di  questo  sperimento,  come  ben  previsto  avea  il  Vanvilelli  sin 
da  prima  che  si  ponesse  mano  all'  opera  ,  non  corrispose  alle  con- 
cepite speranze. 

Egli  avea  per  certo  di  essere  l' antico  porto  tutto  riempiuto  di 
barche,  di  sassi  di  rovine,  e  demolizioni  dei  grossi  muraglioni.  da 


—  443  — 
lui  diligentemente  riconosciuti,  e  quindi  riuscir  doveva  inutile  ogni 
operazione,  ove  prima  non  si  venisse  alla  rimozione  di  quelle  resi- 
stenze, che  avean  prodotto  il  riempimento  del  porto  antico,  il  quale 
secondo  il  progetto  servir  dovoa  per  espellere  il  riempimento  del  nuo- 
vo. Né  poi  il  mare  si  può  condurre  ad  operare  con  efficacia  nelle 
picciole  cose,  come  canali  di  tal  natura,  ed  altre  simili ,  ma  solo 
nelle  ampie  e  grandi;  che  le  altre  tutte  quasi  in  dispregio,  le  con- 
fonde, e  sperde,  come  le  figure  che  altri  descrive,  e  l'orma  che  il 
piede  lascia  sulle  arene  della  sua  spiaggia. 

La  riputazione  pertanto  dal  Vanvitelli  acquistata  per  le  sue  ope- 
re giammai  non  lo  distolse  dai  buoni  studi,  anzi  lo  consumò  viep- 
più ed  accese  nell'  amarli.  Aveva  egli  compreso  che  a  riuscir  ec- 
cellente iu  ogni  arte,  ed  in  ogni  mestiere  qualunque,  uopo  è  di  uno 
studio  Imigo  e  continuo,  e  di  una  invincibile  perseveranza.  I  grandi 
uomini  al  certo  non  si  fanno  di  getto  ,  come  le  statue  di  bronzo  , 
che  in  un  momento  belle  e  intere  si  formano  :  essi  anzi  si  lavora- 
no come  i  marmi  a  punte  di  scarpello,  e  a  poco  a  poco.  Gli  stessi 
Apelli,  i  Zeusi,  i  Parrasi,  quei  gran  maestri  del  disegno,  alle  cui 
pitturo  non  si  polca  dire  che  mancasse  l' anima  per  parer  vive,  per- 
chè sapevano  parer  vive  anche  senz'anima,  quando  cominciarono  a 
maneggiare  i  pennelli,  e  stendere  i  colori,  non  riuscivano  i  loro  la- 
vori cosi  perfetti,  che  non  avesser  bisogno  di  molte  e  ripetute  cor- 
rezioni, né  senza  grandi  stenti  giunsero  a  quella  perfezione  di  arte, 
cui  non  fu  dato  ad  altri  di  eguagliare.  Quindi  è  che  il  Vanvitelli 
in  mezzo  a  tante  e  si  grandi  occupazioni,  non  cessava  di  studiarci 
sempre  i  migliori  autori  di  architettura  e  d'  idraulica. 

Pareva  che  tante  fatiche  stancar  dovessero  il  suo  animo,  e  sa- 
zio già  di  tanta  lode  bramare  quasi  un  tranquillo  ed  onesto  ripo- 
so. Ma  egli  non  si  lasciò  mai  adescare  dai  vezzi  dell'  ozio  o  dei 
piaceri,  e  la  sua  perseveranza  invigoriva  nei  disagi  della  fatica.  Si 
aveva  formato  una  scelta  collezione  in  ogni  genere  ,  e  quella  con- 
templando di  continuo  il  suo  animo  adomava  coli'  acquisto  di  nuo- 
ve e  più  rare  dottrine. 

Ed  era  già  il  suo  nome  divenuto  dovimque  si  chiaro,  che  tra 
quanti  celebri  artisti  fiorivano  allora  in  Italia  fu  egli  preferito  dal 
magnanimo  nostro  augusto  Sovrano  Carlo  Borbone  per  edificare  una 
Regia  delizia  in  Caserta,  la  quale  gareggiar  doveva  con  quanto  i  più 
insigni  architetti  bau  fabbricato  di  superbo  per  i  più  sontuosi  mo- 


—  444  — 

uarchi.  Venne  quindi  nel  1751  in  Napoli  sua  patria,  dove  respirale 
avea  le  prime  aiu-e  di  vila ,  ed  attese  con  la  massima  diligenza  a 
formare  i  disegni,  che  pubblicò  in  seguilo  colia  dichiarazione  dei 
medesimi. 

Nella  dedicatoria  indiretta  ai  Sovrani,  egli  dice  d'  essere  slato 
mero  esecutore  delle  sublimi  idee  concepute  dalla  magnificenza  di 
quel  Monarca;  e  certamente  al  grande  cenccpimcnto  del  Genio  lica- 
lOjben  corrispose  l'ingegno  dell'artista.  Approvati  i  disegni  ne!  di 
20  gennaio  1S52,  giorno  fausto  per  questi  regni,  per  essere  quello 
appunto,  in  cui  trentasei  imni  prima  era  venuto  al  mondo  quel  ge- 
neroso Principe ,  fu  gettato  con  molta  pompa  la  pietra  auspiciale 
del  grandioso  palazzo. 

Non  riuscirà  forse  disaggradevole  il  far  qui  breve  cenno  di 
quella  funzione  solenne.  Al  primo  apparir  dell'  aurora  di  quel  gior- 
no felicissimo,  che  più  dell'  ordinario  si  mostrò  puro  e  splendido  , 
quasi  il  Cielo  arriso  anche  avesse  alla  pubblica  gioia ,  il  piano  al- 
l' edilizio  destinato  occuparono  vari  reggimenti  di  fanteria  ,  e  squa- 
droni di  cavalleria  e  batteria  di  artiglieria. 

Descrivevano  questi  tult'  insieme  l' ambito  dei  muri  principali 
della  futura  fabbrica:  la  cavalleria  i  due  lati  maggiori  del  rettan- 
golo, la  fanteria  i  due  minori.  Negli  angoli  furono  situati  otto  can- 
noni ,  due  per  ciascuno  ,  coi  rispettivi  artiglieri  e  milizie  di  quel 
corpo.  Nel  silo  che  perpendicolarmente  corrisponde  al  coro  della  Cap- 
pella Reale,  sorgeva  un  palco  rettangolo  da  comoda  gradinata  cir- 
rondalo,  sopra  cui  da  dicci  colonne  sostenuto  veniva  un  padiglione 
di  ricche  lapezzerie.  Nel  mezzo  era  situata  una  gran  tavola  di  vel- 
luto e  di  broccato  ricoperta,  d'  onde  quattro  dorati  ferri  sorgevano 
che  si  imivan  in  centro  nell'alto  per  sostenere  appesa  ima  Iraglia, 
che  alla  operazione  servir  doveva,  e  terminavano  con  garbo  a  man- 
tener nella  capside  il  giglio  d' oro.  Vede'vasi  su  questa  tavola  la 
cassetta  di  marmo  di  forma  otlagona,  che  doveva  porsi  nel  fondamen- 
to, sulla  quale  era  inciso  il  nome  del  Nimzio  che  la  benedisse:  Li- 
novicus  GuALDERius  ARCH.  Myr  Nun  Ap.  Yì  erano  ancora  due  vasi 
dorati  a  guisa  di  urne,  in  uno  dei  quali  stava  la  calcina,  il  mar- 
tello, e  la  cazzuola  di  argento  con  manico  di  avorio  ;  e  nell'  altra 
la  prima  pietra  fondamentale,  in  cui  leggevasi,  Carolus  et  Amalia 

UTR.    StC.    ET    IllER.    ReG,    ANNO  DoMINI     1752    Xlll.    KaL.  FEB.  R.  XVllI. 

Stava  in  disparte  altra  pietra  che  in  segno  di  altissimo  onore 


—  Uo  — 
fu  permesso  all' architcllo  di  sovrapporre,  in  cui,  come  a  felice  pro- 
sagio  ,  era  inciso  il  seguenle  dislieo  Ialino   da  lui  slcsso  volgariz- 
zato. 

Stet  Douus,  et  solium,  et  Soboles  Borbomca  dosec. 
Ad  superos  propria  vi  lapis  me  redeat. 
La  Reggia,  il  soglio^  il  rcal  Germe  regga. 
Finché  da  se  la  pietra  il  sol  rivegga. 

Ludovicus  Fanvitellius  Ardi. 

Giunsero  nel  luogo  descritto  il  Re  e  la  Regina  seguili  da  nu- 
meroso corteggio  di  Capi  di  Corte  ,  IMinislri^  Anibasciadori  stranieri 
e  della  prima  nobiltà  dei  due  Regni.  Benedisse  allora  ìMonsignor  Nun- 
zio la  cassetta  e  la  prima  pietra  fondamentale,  secondo  il  rito  del 
pontefìcale  romano.  Vi  posero  dentro  i  Sovrani  molti  medaglioni  di 
oro  ,  di  argento  ,  di  metallo  ,  nei  quali  dalla  parte  dell'  impronta 
delle  teste  reali  si  leggeva:  Carolus  Rex  et  Amalia  Regina  pii  ,  fe- 
tiCEs  ,  iNvicTi.  Nel  rovescio  in  cui  era  impresso  la  reale  fabbrica  coi 
giardini:  Deliciae  Regis  felicitas  populi.  E  nell' esergo  :  Augbstae 

DOMUS    NATALI    OPTIMI    PriTVCIPIS    FUSDAMINA    JACTA. 

Di  primo  coverchio  alla  divisata  cassetta  servi  una  lastra  qua- 
drata di  marmo  ,  nei  di  cui  angoli  erano  quattro  croci  impresse  : 
su  di  questa  il  Re  colla  propria  mano  distese  la  calcina  facendo  uso 
della  cazzuola  di  argento  ,  e  sovrappostovi  la  prima  pietra  fonda- 
iiumlalc,  ve  l' assodò  con  alquanti  colpi  di  martello.  Fu  legala  po- 
scia la  cassetta  unila  alla  pietra  con  due  cinghie  di  velluto  cremc- 
sino  trinate  d'oro,  le  quali  combinavasi  a  quattro  col  mezzo  di  una 
fibbia;  e  sollevata  appena  dall'asse,  ecco  aprirsi  allora  la  mensa  , 
e  prender  forma  della  bocca  di  un  pozzo.  Entro  di  questa  il  Re  svol- 
gendo il  cordone  dell'  asse  in  cui  era  adattalo  im  manico  di  legno 
indiano,  fé  lentamente  scender  la  pietra  sino  al  fondo  ,  preparalo 
già  nella  dura  terra  vergine,  e  quivi  fu  dal  capomaestro  fabbrica- 
ta, e  con  quella  dell'  architetto  ricoperta.  ^lenire  i  Sovrani,  del  la- 
voro che  nel  fondo  esegui  vasi,  erano  spettatori  dal  cennato  forame, 
rimbombava  la  circostante  campagna  e  l' aere  tutto  delle  gioiose 
acclamazioni  dei  popoli ,  del  concento  dei  bellici  musicali  strumen- 
ti, e  del  frc'quente  regolato  fragore  delle  artiglierie. 


—  446  — 

Gran  bel  giorno  fu  quello  per  l' archilelto.  Era  egli  il  più  co- 
spicuo oggello  della  Corte.  Ebbe  dal  Re  in  dono  la  cazzuola  ed  il 
martello  di  argento ,  di  cui  aveva  fatto  uso  colle  reali  sue  mani  ; 
ma  il  Vanvitelli  sinceramente  religioso,  ncll'  intraprendere  si  gran- 
de opera  cominciar  volendo  da  quel  Nume,  eh'  é  principio  a  tutto, 
e  fine ,  gli  spedi  in  voto  a  S.  Filippo  Neri  in  Roma  ,  ed  ivi  nelle 
stanze  della  nuova  chiesa  tuttora  si  conservano. 

Si  die  subito  allora  cominciamento  alla  cava  ed  al  getto  dei 
fondamenti;  ne  guari  si  stette  a  vederli  sopra  terra, imperocché  vi  si  la- 
vorava con  grande  assiduità  ;  e  nel  mese  di  giugno  di  queir  anno 
si  pose  mano  al  lavoro  di  fabbrica.  Neil'  anno  seguente  alle  spalle 
della  Reggia  furono  piantati  gli  spaziosi  e  variati  giardini,  e  quasi 
nel  tempo  medesimo  s'imprese  ancora  l'ardita  costruzione  del  famo- 
so acquidotto  Carolino,  destinato  a  recare  abbondanti  acque  in  quel- 
le fertili  regioni ,  le  quali  al  pubblico  vantaggio  servendo ,  mollo 
pure  aggiunger  doveano  alla  vaghezza  ed  amenità  di  quelle  delizie, 
ed  alla  salubrità  dell'  aere.  Questa  grande  opera,  onde  l' acqtia  per- 
corre nel  suo  lungo  cammino  lo  spazio  di  ben  ventisei  miglia,  tra- 
versa mediante  trafori  nel  duro  sasso  vivo  cinque  monti,  e  per  ar- 
cate di  altezza  sorprendente,  che  concingono  i  monti  da  profonde 
valli  divisi,  si  apre  un  transito,  e  perviene  sicura  alla  sua  destina- 
zione ;  questa  grande  opera  di  ardilo  concepimento  ,  di  esecuzione 
difficilissima  ,  fu  con  invitta  perseveranza,  e  con  mirabile  successo 
entro  gli  stretti  termini  di  soli  sei  anni  al  suo  perfetto  concepimen- 
to recata.  Riman  sorpreso  chi  legge  negli  scrittori  delle  cose  roma- 
ne, che  Claudio  Cesare  per  condurre  dai  fonti  Curzio  o  Ceralco  l'ac- 
qua in  Roma,  spese  13875  mila  scudi,  e  nel  traforo  e  taglio  di  un 
monte  lungo  tre  miglia  romane  ,  per  cui  passar  doveano  le  acquo 
del  lago  Fucino,  impiegò  in  undici  anni  trentamila  operai,  e  la  spe- 
.sa  di  dieci  milioni  d'oro.  Se  nelF  acquidotto  Carolinosi  fosse  speso 
alla  proporzione  di  quello  di  Claudio,  avrebbe  l'importare  ecceduto 
i  dodici  milioni.  Ma  non  giimse  a  ducali  seiccntomila  la  somma 
che  s' impiegò.  Qual'  è  dunque  di  cosi  enorme  differenza  la  causa  ? 
Non  è  facile  in  vero  assegnarla^,  ed  anziché  riferir  la  propria  o  le 
alimi  opinioni  su  di  tale  importante  quislione,  gioverà  meglio  rap- 
portar quel  che  dice  appmilo  a  questo  riguardo  in  un  suo  mano- 
scritto lo  stesso  architetto  Vanvitelli. 

i.'.  Le  nostre  opere,  (sono  le  sue  slesse  espressioni)  si  eseguono 


y  da  mani  libero  ,  non  più  da  schiavi ,  dovrcLbcro  dunque  ossile 
y  più  dispendiose.  ì\Ia  ciò  non  essendo,  Insogna  dire  oche  le  arLi  rcn- 
Ti  dute  più  perfette  facilitano  i  travagli;  o  l' uso  ignoto  allora  della 
))  polvere  incendiaria  abbrevia  le  fatiche;  o  gli  antichi  scrittori  cer- 
y^  carono  di  sorprendere  la  credulità  dei  posteri;  o  finalmente  l'oro 
y)  dei  Principi  passa  ora  per  mani  di  Direttori  più  fedeli  y. 

E  singolare  quel  che  avvenne  all'  architetto  Vanvitelli  nel  gior- 
no 7  di  maggio  dell'anno  1762,  allorché  seguì  l'immissione  del- 
l' acqua  nel  nuovo  condotto.  11  Ile  con  numeroso  corteggio  volle  as- 
sistere a  quella  grande  operazione.  Si  prepararono  dei  cannoni  nel 
luogo  della  sorgente  per  far  conoscere  il  momento  della  introduzio- 
ne ,  e  tutta  la  Corte  attendeva  dove  1"  acqua  doveva  uscire.  Aveva 
il  Vanvitelli  annimziato,  che  secondo  i  suoi  calcoli  l' acqua  far  do- 
veva il  suo  cammino  in  quattr'  ore.  Appena  decorso  questo  tempo 
il  Re  ne  lo  avverti  coli' oriuolo  alla  mano,  e  pochi  minuti  dopo  ri- 
levò con  maggior  attenzione  il  ritardo  ulteriore. 

Intenda  chi  può  lo  stalo  dell'  architetto  in  quel  momento.  Il 
suo  animo  si  trovava  agitato  da  mille  timori ,  ed  era  già  presso  a 
sgomentarsi.  Ma  guari  non  andò  che  con  indicibil  fragore  torrenti 
di  acqua  cominciarono  impetuosamente  a  sboccar  precipitosi  da  quel- 
le immense  cateratte. 

Alle  grida  festevoli  di  tutta  la  Corte  ,  e  di  quanti  colà  erano 
accorsi,  poco  mancò  clic  l'onesto  e  virtuoso  artista  non  morisse  di 
gioia.  Allora  il  Re  benignamente  gli  fece  animo  ,  e  con  atto  di 
straordinaria  clemenza  volle  abbracciarlo.  Qual  momento  di  felicità 
e  di  gloria  fu  quello  per  Luigi  Vanvitelli? 

Ma  le  idee  grandiose  del  Re  Carlo  non  si  arrestavano  solamente 
alla  edificazione  di  quella  simluosa  Reggia,  e  di  tutte  le  sue  delizie: 
egli  ravvolgeva  nella  sua  mente  pensieri  molto  più  grandi  ed  este- 
si, meditando  non  senza  mire  profondamente  politiche,  di  fabbricar 
in  quel  silo  medesimo  una  nuova  florida  città  ,  e  già  il  magnifico 
suo  genio  suggerito  gli  avea  i  mezzi  per  1'  esecuzione  di  tanta  im- 
presa. L^  architetto  Vanvitelli  ne  avea  formato  benanche  il  proget- 
to. Questa  nuova  città  edificar  si  dovea  di  pianta  innanzi  la  grande 
piazza  ellittica  del  Real  Palazzo  dalla  parte  di  mezzogiorno.  Giostra- 
ta si  sarebbe  dalla  Reggia  in  un  semicircolo,  quasi  un  vasto  anfi- 
teatro, avendo  quattro  grandi  strade,  oltre  la  principale  di  mezzo, 
la  quale  conduceva  da  Napoli ,    e  l' intera  città  nella  sua  maggior 

Sasso  —  Voi.  I.  537 


—  U8  — 
estensione  traversando  al  gran  portone  del  Real  Palazzo  direttamente 
])orveniva.  Due  rivi  di  acqua  provenienti  dall'  acquidotto  Carolino  , 
quasi  limpidi  ruscelli ,  costeggiar  doveano  per  lungo  tratto  questa 
strada  dall'una  e  dall'altra  sponda,  serpeggiando  fra  gli  alberi  e 
le  boscaglie  quivi  bellamente  con  arte  situate,  i  quali  spirando  fre- 
scJiezza  e  giocondità  ,  1'  avrebbono  ai  viandanti  renduta  ollremodo 
jìiacevole  ed  amena ,  e  sarebbono  stati  ancora  di  non  poco  giova- 
mento alle  vicine  ridenti  campagne.  Le  altre  quattro  strade,  le  quali 
ancor  esse  in  direzione  diverse  la  città  traversar  doveano,  distenden- 
dosi verso  mezzogiorno  menavano  ad  altrettanti  paesi,  e  dalla  parie 
di  settentrione  erano  tutte  convergenti  verso  lo  stesso  gran  portone 
medio  della  Reggia,  laiche  ad  un  solo  colpo  d' occhio,  da  un  punto 
medesimo  aver  si  poteva  il  sorprendente  spettacolo  dell'  intera  città 
dalle  sue  principali  vie  intersecata.  Oltre  queste  strade  principali 
dovevano  esservene  numerose  altre  diritte  e  larghe,  che  variamente 
si  tagliavano  e  si  diramavano,  in  grandezza  e  in  decorazioni  tulle 
differenti.  GÌ'  ingressi  di  questa  città  cran  liberi,  e  sufficientemente 
ornati  sì  al  di  dentro  che  al  di  fuori  ;  dessa  sarebbe  stata  ancora 
decorata  da  molliplici  piazze  di  varia  figura  e  grandezza,  non  solo 
per  r  affluenza  del  popolo,  ma  per  la  salubrità,  e  per  dare  un'aria 
pili  aperta  e  sfogata.  Questa  nuova  città  infine  adorna  di  superbi  e 
ricchi  edifici  ,  costruiti  su  ben  intesi  e  regolari  disegni ,  già  dal 
Vanvilelli  ideati,  favorita  e  protetta  dal  genio  bonifico  di  quel  gran 
Re  ,  il  quale  non  respirava  che  gloria  e  magnificenza  ,  sarebbe  in 
breve  divenuta  di  questi  regni  la  più  florida ,  e  per  vaghezza  ed 
amenità  di  clima,  per  salubrità  di  aria,  e  per  grandezza  e  regola- 
rità di  costruzione  una  delle  più  cospicue.  Ma  questi  grandiosi  pro- 
getti per  le  vincissiludini  dei  tempi  non  ebbero  mai  eseguimento,  e 
restarono  solamente  adombrati  ,  quasi  in  lontana  prospettiva  nelle 
menti  dei  grandi  uomini  di  queir  epoca  avventurosa. 

Durante  la  costruzione  di  quelle  reali  delizie  ,  1'  architetto  si 
trovò  come  assalito  da  infinità  di  richieste,  che  quasi  da  ogni  parte 
]'  incalzavano.  Condiscendente  sempre  ,  e  facile  a  prestarsi  ei  non 
perdonò  mai  a  fatiche  per  soddisfarle. 

In  quel  tempo  ebbe  l' incarico  delle  riparazioni  da  farsi  alle 
Regie  Saline  di  Barletta,  per  difenderle  dalle  inondazioni  cui  spesso 
andavano  soggetto  con  grave  detrimento  dello  Slato.  Egli  vi  ordinò 
la  formazione  di  molli  nuovi  campi  in  luoghi  incolli    ed  arenosi  , 


—  449  — 
esegui  esattamente  la  loro  livellazione ,  e  fece  nettare  la  foce  vec- 
chia per  dove  le  acque  del  mare  limpide  e  pure  entrar  dovcano  noi 
mentovati  campi ,  onde  assicurare   la  perfetta   cristallizzazione    dei 
sali. 

Introdusse  ancora  alcune  nuove  macchine  in  una  specie  di  coclee 
di  ArchimedCjUtilissime  per  portar  le  acque  con  la  maggior  facilità  nei 
campi  medesimi,  e  rinforzò  con  dei  contrafforti  l' antico  muraglio- 
ue  ed  il  nuovo;  talché  in  breve  tempo  restò  mirabilmente  adempita 
la  commissione  affidatagli.  Riedificò  in  modo  assai  più  magnifico 
e  sorprendente  la  chiesa  della  Nunziata  dopo  il  fatale  incendio  del 
1757,  la  quale  fu  terminata  nel  1782  colla  spesa  di  3000  mila  du- 
cati. Dessa  è  una  delle  più  benintcse  di  Napoli.  Il  gran  cornicione 
che  gira  intorno,  è  sostenuto  da  4.4.  colonne  corintie  assai  ben  ese- 
guite. Il  bel  soccorpo,  da  lui  stesso,  sotto  la  chiesa  disposto,  presenta 
un  ovato  sostenuto  da  otto  paja  di  colonne  d' ordine  dorico  ,  che 
prende  lume  da  mia  apertura  superiore;  ed  intorno  vi  sono  ordinati 
diversi  altari.  Fu  dopo  questa  opera  chiamato  anche  in  IMilano  dal 
Conte  Firmian  per  risolvere  e  far  eseguire  le  considerevoli  ripara- 
zioni di  quella  Regia  Arciducale  ,  onde  renderla  ima  comoda  e  de- 
corosa abitazione  pel  Real  Arciduca  Ferdinando.  Ottenutone  il  per- 
messo da  questa  Real  Corte  ,  vi  si  recò  in  compagnia  del  suo  pri- 
mo figliuolo  Carlo,  che  seguiva  la  sua  stessa  professione.  Compì  fe- 
licemente le  ristaurazioni  di  quella  Regia  e  ne  riportò  tale  applau- 
so eh'  ebbe  altrec  ommissioni,  e  si  conciliò  la  stima  di  quan- 
ti eran  colà  professori  od  intelligenti  cultori  delle  buone  arti. 
Si  portò  quindi  in  Torino  per  osservare  quanto  offriva  di  più  con- 
siderabile quella  capitale,  particolarmente  in  genere  di  architettura. 
Quivi  ottenne  la  più  lusinghiera  accoglienza  da  quel  Monarca,  e  fu 
da  Ir'  e  singolarmente  da  quelli  che  delle  arti  prendevano  con 
inteliig  nza  maggior  piacere,  tenuto  in  gran  pregio  ed  opinione;  che 
per  la  sua  fama  e  per  le  sue  grandi  opere  era  già  da  gran  tempo 
conosciuto  e  desiderato  in  ogni  parte  d' Italia.  Ma  obbligato  a  resti- 
tuirsi prontamente  in  Napoli,  egli  dovette  presto  abbandonar  quella 
cittàj  lasciandovi  il  più  gran  desiderio  delle  sue  opere. 

Al  suo  ritorno  noi  mentre  che  attendeva  con  somma  diligenza 
alla  direzione  delle  grandi  fabbriche  di  Caserta,  edificò  nella  Capi- 
tale la  chiesa  di  S.  Marcellino,  e  quella  della  Rotonda  oggi  demo- 
lita; il  Palazzo  del  Principe  d'Angri  nella  strada  di  Toledo,  e  quel- 


—  4;-()  — 

lo  del  Duca  di  Geusano  a  fontana  medina.  Secondo  il  suo  progetlo 
furono  eseguite  le  riparazioni  della  cupola  del  magnifico  tempio 
della  Trinità  maggiore,  che  per  la  sua  vastità,  per  la  sua  forma, 
e  per  la  gran  copia  dei  marmi,  degli  ornamenti,  e  delle  singolari 
pitture  che  vi  si  ammiravano,  era  uno  dei  più  ragguardevoli  della 
città  nostra.  Ristorò  la  facciata  del  Real  palazzo  di  Napoli, e  riparò 
ed  abhelli  molte  altre  case  e  palazzi. 

In  Resina  edificò  il  magnifico  casino  del  Principe  di  Campolieto, 
e  vi  ordinò  la  picciola  villa.  A  lui  si  ebbe  ricorso  per  risarcire  il 
cadente  portico  del  Real  Palazzo  di  Persane  e  le  lesioni  scoperte  in 
quello  di  Portici  fabbricalo  dal  Cannavari^  e  quivi  ampliò  ancora 
notabilmente  i  Reali  giardini.  Costruì  il  ponte  d' Eboli  nel  fiume  Sc- 
ie, e  rinforzò  il  ponte  di  Canosa  sull'  Ofanlo.  Al  suo  parere  fu  ri- 
masso il  giudizio  sul  disegno  della  nuova  facciata  della  cattedrale 
di  Catania  fatto  dal  Canonico  Vaccarini  di  Palermo  che  ritrovò  de- 
gno di  lode,  non  senza  però  qualche  piccola  modificazione  per  ren- 
derlo viemeglio  adallabile  alla  sua  deslinazione. 

IVè  si  limitava  egli  alla  sola  archiletlura  civile,  ma  dette  ben 
anche  nella  militare  non  pochi  segni  del  profondo  suo  sapere  ed 
intendinicnlo.  Fu  interrogalo  del  suo  parere  insieme  con  molli  inge- 
gneri mililari,  e  valenti  uffiziali  di  Artiglieria,  sulla  riedificazione 
della  Torre  di  Salino  in  Pescara,  ed  in  quella  circostanza  il  suo  con- 
siglio prevalse  e  venne  adottalo  con  felicissimo  successo.  Richiesto, 
(Ielle  ancora  il  suo  avviso  sul  nuovo  metodo  per  costruir  un  ponte 
levalojo  progcllalo  dall'  ingegnere  militare  Dumontiers  per  mettersi 
alle  quattro  porte  della  piazza  di  Siracusa,  la  di  cui  invenzione  per 
altro  era  da  gran  tempo  conosciuta  in  Francia  ed  in  Germania. 

Fece  inoltre  un  gran  numero  di  disegni  per  varie  altre  opere 
pubbliche,  a  privale  da  edificarsi  presso  di  noi,  ed  anche  presso  gli 
esteri.  Si  troveranno  queste  nominate  nel  catalogo  generale  di  tutte 
io  sue  opere  che  in  ultimo  riporterò  ;  che  a  voler  di  tulle  parti- 
colarmente discorrere,  sarebbe  troppo  lunghezza,  ne  lauto  confidar 
potrebbe  il  mio  ingegno;  tacerne  poi  alcuna  parrebbe  ingiuria. 

Pur  lulavolla  non  sarà  superfluo  fra  tulle  mentovar  singolar- 
mente il  foro  Carolino  da  lui  edificalo  nella  città  di  Napoli. 

Allorché  il  Re  Carlo  abbandonò  questi  Regni  per  recarsi  alla 
più  vasta  Monarchia  delle  Spagne,  e  delle  Indie,  lasciò  in  tult'i  cuori 
scolpili  i  sentimenti  del  dolore  per  la  perdila  di  lauto  Pincipe  mi- 


—  4;ji  — 

sti  a  quelli  di  una  indelebile  riconoscenza  per  gì' innumerevoli  iie- 
neficl  da  lui  ricevuti.  Ond'è,  che  allora  avvenne  quel  che  più  fre- 
quente era  in  altri  tempi,  che  la  Capitale  ed  il  regno  mossi  da  vivo 
e  spontaneo  desiderio  di  dare  un  pubblico  seguo  di  qucll'  uuiversale 
affezione  e  rispettosa  gratitudine  clic  nutrivano  pel  ÌMonarca  che  gli 
aveva  cotanto  illustrati,  stabilirono  di  ergere  una  gran  piazza  fuori 
la  porta  Reale,  per  situarvi  la  sua  statua  equestre;  monumento  che 
additar  dovesse  all'  età  future  la  riconoscenza,  e  l' amore  dei  popoli 
verso  un  Sovrano  glorioso  e  benefico.  Questa  piazza  ,  che  prese  il 
nome  di  foro  Carolino  dal  Sovrano  cui  dedicar  si  doveva,  fu  archi- 
tettala dal  Vanvitelli,  ed  è  una  delle  opere  più  eleganti  e  di  gusto 
della  città  nostra.  E  coordinala  in  un  emiciclo  cinto  di  colonnato 
peristico  di  carattere  dorico,  alla  maniera  romana  senza  accanala- 
turc.  La  adornano  al  di  sopra  ventiquattro  statue  rappresenlanli  le 
diverse  virtù  dell'animo  Reale.  Nella  tribuna,  ossia  niccJùone  dove- 
va collogarsi  la  statua  equestre  del  Re  in  forma  gigantesca;  ma  tan- 
te impreviste  circostanze  ne  ritardarono  l' adempimento.  Non  cam- 
biarono però  i  sentimenti  dei  popoli.  Le  graie  rimembranze  delle 
benefiche  cure  del  grande  Carlo  III  per  serie  lunghissima  di  gene- 
razioni si  trasmetteranno  alla  più  remota  posterità,  e  più  che  in  al- 
tro monumento,  nei  cuori  dei  Napolitani  vivranno  immortali. 

La  grandezza  delle  opere  di  Caserta  ,  e  delle  altre  dal  Vanvi- 
telli in  Napoli  eseguile,  aveano  già  da  gran  tempo  il  Re  Carlo  in- 
dotto a  dichiararlo  architetto  di  Corte,  e  direttore  di  tutte  le  Reali 
fabbriche.  La  moltitudine  delle  occupazioni  che  tali  cariche  a  lui 
traeva,  gianunai  non  lo  sgomentò,  e  valse  a  sostenerne  per  ben  veii- 
f  anni  il  peso  ,  ed  a  compiere  tante  fatiche  nella  sua  età  avanzata 
con  maravigliosa  attività. 

E  timlo  crebbe  la  riputazione  che  acquistò  noli'  arte  sua,  che 
non  era  fabbrica,  o  riparazione,  od  allora  operazione  qualunque  in 
materia  di  architettura  da  eseguirsi  nella  capitale  e  nel  Regno  ,  per 
la  quale  non  si  volesse  pria  sentire  il  suo  avviso.  Neil'  anno  1768  per 
le  nozze  dell'  Augusto  Ferdinando  I.  colla  Regijia  jMaria  Caro- 
lina Arciduchessa  d' Austria  ,  regolò  egli  tutta  la  decorazione 
esterna  del  Palazzo  Reale  di  Napoli.  Diresse  ancora  nella  stes- 
sa solennità  la  gran  sala  da  ballo  con  ogni  altro  festoso  orna- 
mento nel  Palazzo  del  Principe  di  Teora  a  Cliiaja,  dove  il  Conte 
di  Kaunilz  ,  ambasciatore  di  Vienna  dette  magnifiche  feslc.  Con  si- 


—  452  — 
mile  apparecchio  esegui  nel  palazzo  Perrelli  per  le  feste  splendidis- 
sime date  dal  duca  d'  Arcos  Amhasciadore  straordinario  di  Spagna 
nel  primo  parto  della  Regina.  Questa  fu  l'ultima  opera  del  Vanvi- 
(elli. 

La  morte  il  rapi  nel  primo  giorno  di  IMarzo  dell'anno  1776 
nella  Città  di  Caserta ,  che  avea  col  suo  ingegno  costante  illustra- 
ta, essendo  vissuto  poco  più  d' anni  setlantatrè.  Fu  seppellito  nella 
Chiesa  di  S.  Francesco  di  Paola  della  stessa  città  senza  che  neppure 
un  piccolo  epitaffio  v'indicasse  l'esistenza  delle  fredde  sue  ceneri. 
Era  riserbato  alla  magnanimità  dell' augusto  Ferdinando  1.  permet- 
re  di  ergersi  alla  di  lui  grata  memoria  un  monmnento  di  mar- 
mo ,  che  alla  tarda  posterità  il  suo  nome  ricordi.  E  grazie  sieno 
rcndute  immense  al  magnanimo  Re ,  che  vindice  delle  scienze  e 
delle  arti ,  e  giusto  estimatore  del  merito  e  della  virtù ,  la  gloria 
ravvivando  degli  estinti,  incende  gli  animi  dei  presenti,  e  a  gran- 
ri'  imprese  gli  sprona. 

La  celebrità  che  ottenne  l'architetto  Luigi  Vanvitelli  in  vita  e 
dopo  morte,  e  fuor  di  dubbio  giusta  e  meritevole ,  perchè  fondata 
suir  incontrastabile  autenticità  dei  grandi  monumenti  che  ha  lasciati 
ai  posteri. 

Le  delizie  casertane  da  lui  architettate  e  dirette  contestano  cf  rla- 
inonle  il  suo  valore  nell'  arte  architettonica  e  le  sue  estese  cognizio- 
ni neir  idraulica.  La  grandiosa  e  ben  intesa  mole  di  quel  regio  Pa- 
lazzo mostra  magnificenza  e  giudizio  nell'  invenzione,  simmetria  ed 
ed  euritmia  nelle  parti,  e  gusto  della  sodezza  antica  miita  all'  ele- 
ganza moderna.  In  tutte  le  parli  di  questo  edifizio  regna  un  esatta 
proporzione  si  per  la  grandezza  che  per  la  forma,  e  gli  ornamenti 
liiinno  una  perfetta  convenienza  colle  parti  e  col  tutto;  dal  che  ri- 
sulta un  complesso  di  cose  che  ha  armonia;  un  tutto  che  nel  veder- 
lo, e  nell'  esaminarlo  desta  ammirazione,  e  rapisce  non  solo  gl'in- 
telligenti nell'  arte,  ma  gì'  ignoranti  ancora,  producendo  una  grata 
sensazione  che  appaga  l' intelletto.  L' acquidotto  Carolino,  o  risguar- 
darsi  voglia  il  suo  lungo  giro  sempre  coverto ,  o  la  perforazione 
dei  monti,  o  i  tre  ordini  di  arcate  di  sorprendente  altezza,  mostre- 
rà sempre  V  ardir  glorioso  dell'  artista,  che  superar  seppe  gli  osta- 
coli invincibili  ,  che  da  ogni  lato  la  natura  all'  arte  opponeva  ,  e 
potè  felicemente  condurre  al  suo  termine  in  tale  strettezza  di  tem- 
po quella  costruzione  sì  ardita,  e  si  solida. 


—  433  — 
Dessa  al  certo  non  farà  più  ammirare  quanto  di  più  grandi; , 
e  decantato  nei  loro  tempi  felici ,  i  Greci ,   ed  i  Romani  intrapre- 
sero. 

Fornito  il  Vanvitelli  di  vasto  ingegno,  di  sano  giudizio  ,  e  di 
gusto  felicissimo,  seppe  sempre  preservarsi  dagli  errori  in  quel  tem- 
po comuni,  nascenti  dalle  stranezze  del  Borromino,  sostenuto  od  au- 
mentate dal  Guarini,  e  dal  Pozzi;  i  quali  sospinti  da  naturai  vaghez- 
za di  novità,  ed  instigati  dall'  amor  di  se  stessi  e  dalla  voglia  am- 
biziosa di  comparir  autori  e  riformatori  dell' arte, si  adoperarono  con 
tutte  le  forze  loro  a  corrompere  miserabilmente  l' architettura.  Ave- 
va egli  conosciuto  niente  esser  più  giovevole  alla  perfezione  di  un'ar- 
te, quando  di  studiarne  progressivamente  la  storia  coli'  esame  delle 
opere  dei  primi  autori,  di  confrontar  la  diversa  maniera  dei  gran- 
di artefici  di  ogni  nazione,  notarci  i  reciproci  vantaggio  discapiti, 
i  pregi  0  i  difetti  prodotti  in  essi  dalla  natura  dei  tempi  in  cui  vis- 
sero, dal    gusto  nazionale,  dal  carattere  particolare  dell'artista,  ed 
avezzarsi  così  a  distinguere  quelle  minute  e  pressoché  impercettibili 
modificazioni  di  stilo,  che  non  possono  ravvisarsi  senza  la  mollipli- 
cilà  e  l'approssimazione  do' rapporti.  Jledi laudo  sulle  diverse  cause 
delle  vicende  dell'architettura  ci  giunse  ad  acquistar  nozioni  chiare 
e  precise  dei  veri  suoi  principi,  i  quali  hanno  regole  fìsse  e  costanti 
sulla  bellezza,  e  sulla  comodità,  e  sulla  solidità,  che  sono  i  tre  re- 
quisiti necessari  a  qualunque  fabbrica  per  potersi  dire  compila.  Ra- 
gionando giustamente  su  questi  principi  si  formò  in  questa  nobile 
arte  quel  gusto  raffinato,  che  fa  assaporar  tanto  meglio  le  vere  bel- 
lezze, quanto  più  fortemente  risentire  i  difetti  contrari.  Le  sue  ope- 
re infatti  mostrano  gusto    in  ogni  genere    di  bellezza  :    l' eleganza 
sempre  unita  si  scorge  alla  magnificenza  ,  e  la  maestà  convenevole 
non  è  mai  disgiunta  dallo  bellezze  parziali. 

Era  poi  fecondo  nelle  invenzioni  ,  negli  ornati  gentile  ,  e  nel 
meccanismo,  e  nella  distribuzione  e  decorazione  degli  edifici  mollo 
intelligente.  Attaccalo  costantemente  agli  ammaestramenti  del  pre- 
cettore Romano,  e  dell'Alberti,  conformò  le  idee  delle  sue  invenzio- 
ni al  bello  e  semplificalo  dalle  fabbriche  antiche,  variò  le  distribu- 
zioni delle  parti  a  tenore  degli  usi,  ai  quali  doveano  servire  i  suoi 
odifìcV,  consor\ò  alla  bella  costumanza  di  ornare  con  decenza  i  pro- 
spetti e  gl'ingressi;  adornando  l'esteriore  ebbe  per  massima  di  ac- 
crescere colla  dovuta  proporzione  gli  ornamenli  delle  parli  interne. 


—   \'òì  

Costante  nel  eonservare  la  solidità  sostanziale,  non  dimenticò  di  col- 
tivar anello  r  apparente  ,  sapendo  eh'  ella  si  è  quasi  l' anima  delUi 
bellezza.  Mostrò  ancora  grande  ingegno  e  perspicacia  nel  saper  con- 
ciliare la  ricercata  sodezza  e  comodità  alle  sue  fabbriche;  ed  in  ge- 
nerale nelle  opere  di  sua  invenzione  combinate  si  trovano  le  prin- 
cipali proprietà  che  richiede  la  buona  architettura. 

Ebbe  ancora  il  Vanvitelli  molti  discepoli,  i  quali  formati  coi 
suoi  ammaestramenti,  e  più  di  tutto  sopra  i  suoi  disegni,  e  sulle 
opere  da  lui  architettate,  che  avevano  di  continuo  sotto  gli  occhi, 
riuscirono  indi  provetti  nell'arte,  ed  esercitarono  con  lode  la  profes- 
sione. Fra  questi  non  furono  ultimi  Ire  suoi  figliuoli  Carlo,  Pietro 
0  Frajacesco.  Si  distinsero  ancora  singolarmente  Antonio  Rinaldi,  che 
fu  poscia  architetto  al  servizio  dell'  Imperiai  Corte  di  Pietroburgo  , 
e  Francesco  Sabatino  di  Sicilia,  il  quale  segui  il  Re  Carlo  nella  Spa- 
gna, e  per  le  grandi  opere  quivi  costruite  fu  ricolmo  di  onori  e  di 
ricchezze  da  quel  Sovrano,  e  nell'  auge  di  sua  fortuna  sposò  la  pri- 
ma figliuola  del  Vanvitelli. 

Benché  nello  studio  delle  arti  del  disegno  ci  fosse  continuo  , 
jmre  si  compiaceva  di  altre  nobili  facoltà,  ed  era  ornato  di  raolti- 
plici  erudizioni.  Le  muse  gentilmente  gli  sorridevano ,  e  lo  ascris- 
sero \olonlcrosamente  Ira  i  suoi  1'  Arcadia  di  Roma,  e  l' insigne  ac- 
cademia di  S.  Luca.  Estremamente  laborioso,  e  disegnatore  inde- 
fesso, egli  riuniva  qualità  sovente  discordi ,  prontezza  d'  ingegno  e 
sofferenza  di  studio,  vivacità  di  spirito  ed  ostinazione  di  fatica.  In 
mezzo  a  tante  occupazioni  e  gloria  si  rara,  era  sempre  umano,  mo- 
derato, piacevole,  discreto  cogli  operai,  pietoso  coi  miseri  ,  cortese 
con  tutti.  Disinteressato  per  natura  ,  e  spinto  solo  dell'amor  della 
gloria,  rilasciò  spontaneo  il  diritto  del  due  per  cento  su  i  lavori , 
che  il  Re  Carlo  aveva  stabilito.  Quale  immensa  fortuna  avrebbe  egli 
fatto,  se  avesse  curato  di  esigerlo?  E  pure  ei  visse  e  mori  povero  : 
raro  ed  imitabile  esempio  di  lodevolissima  onestà. 

Visse  Luigi  Vanvitelli  sempre  caramente  colla  onestissima  ed 
affettuosa  consorte  Olimpia  Starich  ,  romana.  Sei  figliuoli  ebbe  da 
essa,  ai  quali  die  colla  e  gentile  educazione,  e  più  di  tutto  li  edu- 
cò col  suo  esempio  all'onore  ed  alla  virtù.  Di  dolci  costumi,  nel- 
lissimo  d' invidia  ,  affabile  e  sincero  per  natura  era  da  tutti  desi- 
derato, ed  amici  aveva  moltissimi.  Parecchi  stranieri  ancora  per  di- 
gnità, e  per  dottrina  ragguardevoli  l'ebbero  caro,  ed  in  pregio,  ^on 


-^ 


—  453  —  ' 
gli  mancò  il  favore  dei  Principi  che  il  conobbero,  o  della  sua  o^kì- 
ra  si  valsero.  La  slima  eh'  ebbe  di  lui  il  Re  Carlo  fu  grandissima, 
e  gliene  delle  sin  da  ìMadrid  i  più  dislinli  contrassegni  con  inviargli 
in  dono  nel  1763  due  medaglie  di  argenlo  ed  una  di  oro,  e  premii 
ed  onori  accrebbe  ai  suoi  figliuoli  che  lo  seguirono  nella  Spagna. 
Del  pari  grande  fu  la  considerazione  di  che  l'onorò  il  Re  Ferdinando  I. 
che  nel  dominio  di  questi  regni  all'  Augusto  suo  padre  successe. 
Anche  i  Sovrani  stranieri  non  mancarono  di  praticar  verso  di  lui 
gli  alti  della  più  distinta  benevolenza.  Il  Re  di  Sardegna  Cailo  Em- 
mauuele  gli  fece  graziosamente  presentare  nel  1770  dal  conte  La- 
scaris  tre  bellissimi  volumi  di  architettura  contenenti  le  prospettive 
di  Torino,  ed  il  teatro  di  Piemonte,  e  di  Savoia;  dono  preges olis- 
simo dalle  mani  di  un  Re  ;  e  la  grande  Imperatrice  delle  Russie 
Caterina  II  nel  1771,  lo  regalò  di  una  medaglia  di  argento,  che  gli 
sped'  per  Antonio  Rinaldi  allievo  di  Vauvitelli,  che  allora  Irovavasi 
primo  architetto  della  Imperiai  Corte  di  Pietroburgo. 

L'invidia  per  tanto  non  l'obbliò,  né  il  poteva.  Tulli  i  grandi 
uomini  non  ne  furono  esenti. Le  critiche  e  le  maldicenze,  che  furono  in 
Roma  contro  di  lui  mosse ,  erano  ingiuste  ed  insussistenti.  Aveva 
egli  scritto  delle  memorie  per  confutarle;  ma  sopraffallo  da  mag- 
giori negozi,  ebbe  il  coraggio  di  disprczzarle,  ne  cm'ò  più  di  pub- 
blicare le  sue  difese.  Ei  cercò  sempre  di  conseguire  chiarezza  di  fa- 
ma, studiandosi  solo  di  meritarla.  Gli  accorti  inganni,  le  abbiezio- 
ni  servili,  e  tutte  quelle  arti  poco  sincere,  che  taluni  adoprano  per 
ottener  Iodi  ed  onori  contro  ragione  ,  il  suo  animo  schiello  e  no- 
bile mai  non  conobbe.  Interrogato  negli  ultimi  anni  di  sua  vita  da 
uno  di  quei  professori  che  non  sanno  uscire  dalla  sfera  della  me- 
diocrità ,  se  avesse  nulla  stampalo  suU'  archilellura,  ci  rispose  con 
nobile  orgoglio,  che  i  grandi  artisti  non  istampano  ma  lasciano  le 
loro  opere  alla  posterità ,  che  ne  forma  sempre  il  più  rigoroso  ed 
esalto  giudizio  :  risposta  degna  d' un'  animo  grande,  e  desideroso  di 
gloria,  che  all'ansietà  di  conseguirla  non  sa  l'affettazione  congiun- 
gere di  sprezzarla.  Ne  dissimulava  egli  già  questo  suo  desiderio,  che 
vi  é  sempre  della  magnanimità  nell'  aspirare  ad  im  premio  nobilis- 
simo, quando  è  giusto,  e  ragionevole  1'  ottenerlo.  L'universale  ripu- 
tazione eh'  ebbe  in  tutta  Italia ,  non  poteva  al  certo  essere  adden- 
tata dalle  meschine  critiche,  e  calunnie  dei  suoi  rivali,  ne  offusca- 
ta dal  livido  sguardo  degl'  invidiosi. 

Sasso  —  Voi.  I.  38 


—  \oG  — 

E  senza  incorrer  taccia  di  adulazione ,  per  la  gloria  di  tan- 
to uomo,  asserir  potremo,  che  l'architettura  tutta  volla  in  quel- 
r  epoca  maltrattala  dalle  stravaganze  del  llorroraino  ,  e  dei  suoi 
seguaci ,  da  Luigi  Yanvilclli  il  suo  risorgimento  ripota  ,  ed  a  lui 
dehki  r  Italia  il  miglioramento  di  questa  nobde  arte,  che  in  tem- 
pi più  felici  era  stala  il  suo  principale  ornamento  e  decoro. 

Dei  tre  figliuoli  dell'architetto  Vanvitelli  che  esercitarono  la 
stessa  sua  professione,  il  primo,  Carlo,  rimase  in  Napoli,  e  gli  suc- 
ciasse nella  carica  di  architetto  di  Corte,  e  direttore  di  tutte  le  Reali 
fabbriche,  e  fu  benanche  Primario  del  Sacro  Regio  Consiglio,  e  te- 
nente colonnello  graduato  del  Real  corpo  del  geuio.  Egli  diresse  la 
continuazione  delle  opere  di  Caserta  dopo  La  morte  del  padre,  terminò 
la  grande  e  magnifica  Chiesa  dalla  Nunzkita,  e  la  capitale  adornò 
di  molte  nuove  fabbriche,  nelle  quali  dimostrò  la  sua  piena  cono- 
scenza dell'  arte.  Si  fece  soprattutto  ammirare  per  la  sua  singolare 
onestà,  e  per  la  dolcezza  ed  integrità  dei  suoi  costumi.  Cessò  di 
vivere  in  maggio  del  1821,  in  età  di  82  anni. 

Gli  altri  due  figliuoli  Francesco  e  Pietro  seguirono  il  Re  Catto- 
lico nella  Spagna. 

INon  potendo  il  Vanvitelli  andarvi  egli  stesso,  perchè  le  Reali 
fabbriche  di  Caserta  aveano  ancora  il  bisogno  della  sua  direzione, 
cJ  anche  perche  non  gli  permetteva  quel  \iaggio  la  sua  cagione- 
vole salute,  volle  il  Re  che  gli  proponesse  persone  ben  intese  nell'  ar- 
cliilettura,  e  di  sua  particolare  fiducia  per  condurle  in  sua  vece  in  Ma- 
drid. Nominò  egli  allora  i  due  cennati  suoi  figliuoli  ,  i  quali  pei 
considcre\  oli  servigi  colà  prestati,  particolarmente  nel  ramo  mili- 
tare, meritarono  da  quel  Sovrano,  e  dal  suo  figlio  e  successore,  il 
Re  Carlo  IV,  le  piìi  onorevoli  distmzioni.  Il  primo,  Francesco,  fu 
tenente  generale,  cavaliere  del  Real  ordine  di  S,  Giacomo,  e  genti- 
luomo di  camera  di  S.  M.  C;  ed  il  secondo  Pietro,  rapito  da  im- 
matura morte,  colonnello  del  corpo  dei  genio,  e  cavaliere  dello  stes- 
so Real  ordine. 

L'altro  figlio  del  Vanvitelli  rimasto  in  Napoli,  Gaspare  si  ap- 
plicò alla  giurisprudenza ,  e  dopo  aver  onorevolmente  percorsi 
tutti  i  gradi  della  magistratura  ,  si  mori  caporuota  dell'  aboli- 
to Sacro  Regio  Consiglio. 

Francesco  Sabatini  di  Sicilia,  giovine  si  portò  in  Roma  per  istu- 
diare  l'architettura,  e  dopo  averne  appresi  i  primi  principi,  passò 


allo  studio  dol  Van vitelli. Riconosciutolo  egli  di  grandi  talenti  e  d'in- 
gegno fornito,  l'incoraggiò  ed  il  produsse  con  dargli  delle  parti- 
colari Incumhenzc  nelle  sue  fabbriche. 

Lo  condusse  poscia  in  Napoli  insieme  con  lui,  e  rendutosi  il 
Sabatini  provetto  abbastanza  nell'architettura,  gli  afGdò  sovente  la 
direzione  delle  sue  opere_,alle  quali  non  poteva  egli  stesso  prestare 
una  particolare  assistenza.  Diresse  principalmente  la  fabbrica  dd 
quartiere  di  cavalleria  al  Ponte  della  Maddalena,  ond'è  che  da  ta- 
luni fu  creduto  di  sua  invenzione.  Finalmente  il  Vanvitelli  lo  pro- 
pose al  Re  Carlo  111,  insieme  coi  due  suoi  figliuoli  per  condurlo  nel- 
la Spagna.  Quivi  appena  giunto  il  Sabatini  fu  dichiarato  architetto 
di  Corte,  ed  ebbe  l'incarico  di  moltissime  opere.  Terminò  il  nuovo 
Real  Palazzo  di  Madrid,  fa])bricalo  dapprima  senza  gusto  e  comodo 
alcuno,  e  lo  rendette  un'abitazione  degna  di  quel  Sovrano.  Costruì 
la  fabbrica  per  la  pubblica  dogana  ,  e  per  la  direzione  generale 
delle  rendite  di  quei  Regni.  Ebbe  la  commissione  della  polizia  e 
del  selciato  delle  strade,  commissione  della  più  grande  importanza 
a  quei  tempii  e  nell'adempimento  difficilissimo  per  le  immense  op- 
posizioni che  superar  dovette.  Ristorò  ed  abbellì  i  Reali  palagi  del 
Buon  Ritiro,  di  Aranjuez,  del  Pardo,  dell'  Escuriale.  Nel  disimpegno 
di  queste  ed  altre  opere  a  lui  affidate,  egli  dimostrò  sempre  la  pili 
grande  intelligenza  uell'  arte,  ed  incontrò  pienamente  il  gradimento 
Reale. 

Il  Sabatini  nella  sua  limiinosa  carriera  pervenne  ad  essere  te- 
nente generale  ispettore  e  comandante  generale  del  corpo  del  genio, 
commendatore  del  Real  ordine  di  S.  Giacomo,  e  gentiluomo  di  ca- 
mera del  Re.  Sempre  grato  al  Vanvitelli,  da  cui  riconosceva  tutta 
la  sua  fortuna,  e  rendendone  a  tutti  continui  e  pubblici  attestati, 
per  dargliene  una  pruova  piìi  evidente  e  sincera,  gli  richiese  in  mo- 
glie la  sua  prima  figliuola  Cecilia. 

Il  Vanvitelli  condiscese  con  piacere  e  con  una  tenera  soddisfa- 
zione alla  dimanda  del  suo  discepolo  riconoscente,  e  la  sua  figliuo- 
la divenuta  moglie  del  Sabatini,  fu  dichiarala  dama  di  Corte,  e  da- 
ma di  onore  della  Regina. 

In  tal  guisa  i  grandi  So\Tani  onorano  il  merito  e  la  virtù. 

L'architetto  Luigi  Vanvitelli  fu  nominato  fra  gli  arcadi  Archi- 
mede Fidiaco:  gran  bel  nome  per  un  professore  delle  buone  arti  nei 
tempi  moderni. 


—  458  — 
Non  esiste  di  lui  ohe  un  solo  sonetto  neUa  raccolta  di  poe- 
sie in  lode  delle  nobili  arti  del  disegno,  a  lui  dedicata  in  Roma 
nel  1764.  da  JMichel  Giuseppe  ]\Iorci  custode  generale  di  Arcadia, 
ed  ascritto  fra  gli  accademici  d' onore  del  disegno.  Esso  è  il  se- 
guente: 

Quanto  a^Ticn  che  dUelto  agli  occhi  apporto 

Tanto  di  duol  fuori  ne  tragge  e  scioglie, 

L'  opra  tua  Raffael,  che  in  se  raccoglie 

L'crror  che  fece  noi  servi  di  morte. 
Poiché  veggio  Eva,  ahi  troppo  infausta  sorte! 

Che  la  mano  alza  alle  vietate  foglie,  , 

E  un  pomo  colla  destra  ai  rami  toglie, 

E  coir  altra  un  ne  porge  al  suo  consorte. 
Ed  amho  cosi  ben  levan  dal  piano 

Sul  maestro  color;  cosi  presenti 

Farmi  d'averli  in  vivo  corpo  umano; 
Che  per  l' inganno  è  forza  ch'io  paventi. 

Adamo  nel  veder  col  pomo  in  mano, 

Cli'  mi'  altra  volta  non  sei  rechi  ai  denti. 

L'  Architetto  Luigi  Vanvitelli  riuniva  alla  profonda  conoscenza 
dell"  arte  sua  una  particolare  dolcezza,  ed  amabilità  di  carattere,  e 
tulle  quelle  rare  pregevolissime  qualità  che  rendono  ima  persona  som- 
mamente stimabile  e  desiderata  nella  socieUi.  Questa  fu  l' opinione 
generale  che  si  ebbe  di  lui  in  questo  Regno. 

Onde  vieppiù  far  palese  al  mondo  dotto  ed  artistico  il  merito 
sommo  di  si  distinto  mio  concittadino,  termino  sulle  sue  notizie  indi- 
cando il  catalogo  delle  sue  opere. 

CATALOGO  GENERALE 

Do"  disegni  e  delle  opere  dell'  Architetto  Luigi  FanvUel li 

In  Urbino — La  ristaurazione  del  Palazzo  Albani. 

La  Cliiesa  di  S.  Francesco. 

La  Chiesa  di  S.  Domenico. 

In  Ancona — 11  Lazzaretto  ed  il  Molo. 


—  459  — 
La  Cappella  delle  reliquie  in  S.  Ciriaco. 
Il  risareimento  della  Chiesa  del  Gesù,  e  di  quella  di  S.  Agostino. 
La  casa  degli  Esercizi  spirituali. 
In  Macerata— La  Cappella  della  Misericordia. 
In  Perugia— La  Chiesa  e  Monistero  degli  Olivetani. 
In  Pesaro— La  Chiesa  della  Maddalena. 
In  Foligno — La  ristaiu-azione  del  Duomo. 
In  Siena— La  Chiesa  di  S.  Agostino,  poi  da  altri  guastata. 
In  Frascati — 11  risarcimento  della  Ruffinella. 
In  Roma— Due  disegni  per  la  facciata  di  S.  Giovanni  Laterano. 

Un'  aggiimzione  di  camere  alla  libreria  del  Collegio  Romano. 

Una  ricca  Cappella  pel  aiinistro  di  Portogallo. 

11  grandioso  convento  di  S.  Agostino. 

Il  risarcimento  della  cupola  di  S.  Pietro. 

Il  disegno  per  la  Chiesa  della  Certosa. 

Gli  ornamenti  delle  tribune  in  S.  Pietro  nel  1750,  e  l' illumi- 
nazione in  modo  nuovo. 

L' apparalo  di  una  santificazione. 

I  funerali  della  Regina  d' Inghilterra. 

II  trasporlo  della  Pietà  di  Michelangelo. 
In  Milano— Il  nuovo  palazzo  Arciducale. 
La  facciata  del  Duomo,  non  eseguita. 

In  Brescia— La  sala  del  pubblico. 

In  Benevento— 11  ponte  sul  fimne  Calore. 

In  Napoli  — Il  foro   Carolino,   comunemente  detto  piazza  del 

mercatello. 

11  quartiere  di  cavalleria  al  Ponte  della  Maddalena,  edifìzio  so- 
do e  ben  conveniente  alla  sua  destinazione,  sì  per  1'  apparenza,  che 
per  ogni  altra  comodità  interna. 

La  scala,  facciata,  sagrestia,  e  cappella  della  Concezione  in  S. 
Luigi  di  Palazzo,  chiesa  demolita  nella  passata  occupazione  mili- 
tare. 

La  chiesa  di  S.  Marcellino. 

La  chiesa  della  Rotonda  anche  demolita,  dirimpetto  a  quella  di 
S.  Angelo  a  Nilo,  dov'era  l'antico  tempio  di  Vesta. 

La  grande  magnifica  chiesa  dell' Annunziata,  d'ordine  ionico  e 

corintio. 

La  facciata  del  palazzo  Gensano  a  fontana  Medina. 


—  460  — 

La  rislauraziono  della  facciala  del  Rcal  Palazzo  di  Napoli,  con 
murarvi  allernativamentc  gli  archi  al  dorico. 

Il  portone,  la  scala,  ed  il  proseguimento  del  palazzo  Calabritto 
a  Chiaja. 

Il  palazzo  del  Principe  d'  Angri  a  Toledo. 

La  rislaurazione  del  Real  teatro  di  S.  Carlo. 

Le  riparazioni  della  cupola  della  Trinità  maggiore. 

Il  proseguimento  del  Real  Albergo  dei  poveri. 
,  In  Caserta — 11  palazzo  Reale  e  sue  delizie. 

L' acquidotto  Carolino,  ed  i  ponti  a  tre  ordine  di  arcate. 

In  Maddaloni — Un  altare  ed  un  ciborio. 

In  Portici — Le  riparazioni  del  Real  palazzo,  e  l' ampliazione 
d(M  Reali  giardini. 

In  Resina — 11  casino  magnifico  del  Principe  di  Campolielo. 

In  Persane — Le  riparazioni  del  Real  palazzo. 

In  Eboli — Il  ponte  sul  fiume  Selc. 

In  Canosa — La  ristaurazionc  del  ponte  nelT  Ofanlo. 

In  Barletta — Le  riparazioni  delle  Regie  Saline. 

In  Pescara — 11  progetto  per  la  riedificazione  della  Torre  di 
Salino. 

In  Madrid — Il  disegno  pel  palazzo  del  Correo  ,  la  porta  ed  il 
ponte  di  Toledo. 

DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE 

Fra  tutte  le  grandi  opere  costruite  presso  di  noi  sotto  il  Regno 
felicissimo  dell' immortale  iCarlo  111,  non  tengono  al  certo  Tultimo 
luogo  le  Reali  delizie  di  Caserta.  Quantunque  però  la  loro  grandez- 
za e  magnificenza,  e  l' amenità  di  quei  sili  giocondissimi,  abbiano 
spinto  molli  scrittori  a  celebrarne  i  pregi,  scarso  è  pure  il  nume- 
ro di  quelli  che  hanno  impreso  di  darne  una  particolare  e  circon- 
slanziala  descrizione.  Anzi  io  credo,  che  non  vi  sia  stato  ancora  tra 
noi  chi  di  proposito  abbia  preso  la  cura  di  cosi  particolarizzare 
quelle  Reali  delizie,  che  dar  ne  potesse  compiuta  contezza  ;  come 
sarebbe  il  far  un  cenno  della  felice  posizione  di  quelle  amene  e  ri- 
denti contrade,  descriver  particolarmente  quel  Regio  palazzo,  am- 
mirabile in  ogni  genere  di  bellezza,  discorrere  degli  spaziosi  e  va- 
riati giardini  che  sono  alle  sue  spalle,  della  stupenda  cascata  delle 


—  461  — 
acquo,  e  descriver  parlicolarmenlc  il  famoso  acquidollo  Carolino,  il 
suo  lungo  e  lurluoso  cammino,  i  tre  ordini  di  arcate  di  sorpren- 
dente altezza,  opera  iii  vero  degna  della  grandezza  degli  antichi 
Romani.  Una  esatta  descrizione  di  questi  luoghi  amenissimi,  sog- 
giorno di  piacere  e  di  delizie  dei  nostri  Principi ,  riuscir  dovrebbe 
grata  ai  concilladini  non  meno  che  ai  forestieri^  i  quali  sono  si 
vaghi  di  vederli,  che  non  avvene  alcuno,  che  giungendo  nella  ca- 
pitalo non  si  rechi  prontamente  con  trasporto  a  visitarli.  Questa  de- 
scrizione appunto  qui  si  trascrivo;  corcando  di  narrare  e  di  descri- 
vere non  solo  per  soddisfare  1'  app(.'lilo  dei  viaggiatori  curiosi ,  ma 
soprattutto  per  gli  artisti,  e  per  gi' intelligenti  cultori  delle  buone 
arti,  procurando  ancora,  per  quanto  è  possibile,  d'accoppiare  l'evi- 
denza coir  esattezza,  la  qual  cosa  ha  potuto  fare  più  agevolmente 
che  altri  il  suo  degno  nepole  che  pur  Luigi  Vanvilelli  s'appellava 
conservando  presso  di  lui  molti  manoscritti  originali  dell'illustre  suo 
avolo. 

DELLA  POSIZIONE  ED  ORIGINE  DELL'ANTICA  E  NUOVA 
CITTÀ  DI  CASERTA. 

Amene  e  fertili  contrade  quasi  per  tutta  la  deliziosa  Italia  si 
rincontrano,  ma  rara  e  forse  a  nessuna  paragonar  si  può  quella, 
che  ebbe  per  eccellenza  il  nome  di  Campania,  soprannominata  fe- 
lice; e  da  buona  parte  dagli  antichi  scrittori  fu  tra  le  pianure  lutto 
creduta  felicissima. 

La  posizione  infatti  di  questa  terra  e  la  più  fortunata:  difesa 
dalle  montagne  contro  lo  storile  solEo  della  rigida  tramontana,  re- 
sta nelle  altre  parli  piana  ed  aperta  per  accogliere  dei  fecondi  ven- 
ti il  favorevole  fiato. 

La  dolcezza  del  suo  clima,  e  la  bontà  dol  suo  terreno  fertilis- 
simo invitarono  a  stabilirvisi  le  prime  colonie,  che  a  popolar  I'  - 
talia  si  portarono,  come  furono  gli  Aurunci,  detti  Ausoni,  ed  Opi- 
ci,  che  da  ma  secolo  circa  prima  della  guerra  di  Troja  scacciati  fu- 
rono dai  Pclasgi  dalla  Grecia  sopraggiunti ,  i  quali  Tirreni  dopo, 
ed  Etrusci  si  nominarono. 

INelIa  Campania  ebbero  l' antica  fondazione  molte  belle  e  popo- 
lose città  sulle  quali  signoreggiò  poi  Capua,  celebre  non  meno  per 
le  bue  ricchezze,  che  per  le  infelici  guerre  e  poscia  per  le  più  for- 


—  462  — 
tunalo  amicizie  col  popolo  Romano.  Dalla  greca  magnificenza ,  e 
dalla  Ialina  fu  questa  deliziosa  regione  tutta  riempita  di  sontuose 
ville  ,  di  marmorei  sepolcri  e  mausolei  ,  di  magnifici  tempi  ,  di 
teatri  ed  anfiteatri  superbi  ,  dei  quali  per  la  barbarie  ed  ignoriui- 
za  dei  secoli,  che  seguirono  calami losissimi  restano  appena  preziosi 
avanzi,  clic  la  grandezza  di  quel  che  furono,  chiaro  abbastanza  tut- 
tora dimostrano. 

Nel  fianco  settentrionale  del  monte  Tifata  che  tutto  signo- 
reggia la  Campania,  fu  eretto  un  magnifico  tempio  a  Diana,  detta 
perciò  Tifati/ta,  il  quale  è  da  gran  tempo  cambialo  in  Chiesa,  che 
ora  diccsi  di  S.  Angelo  in  formis.  Vedeasi  poco  lontano  altro  tem- 
pio a  Cerere  dedicato,  forse  a  cagione  delle  biondeggianti  spighe, 
onde  le  vicine  pianure  straordinariamente  abbondano.  Ma  la  pen- 
dice meridionale  di  quel  monte,  e  la  solloposta  pianura,  quantun- 
que fosse  la  più  deliziosa  parte  delle  contrade  campane,  non  furo- 
no mai  occupale  dagli  antichi,  ne  ahi  late  per  non  perdere  forse  le 
ricolle  di  quella  terra  ubertosi ssima, che  servir  doveano  disoslenlamenlo 
alle  multiplici  vicine  città.  La  prima  popolazione  che  ricevesse  que- 
sto fianco  del  Tifata  fu  nella  edificazione  dell'  antica  Cillà  di  Ctiser- 
ta.  Noi  non  e'  impegneremo  a  dimostrar  1'  antichità  della  sua  ori- 
gine, come  altri  han  preteso;  ci  basterà  soltanto  indicare  esser  pro- 
Labile  congettura  che  fosse  nata  ai  tempi  dei  Longobardi.  Che  sia 
cosi,  il  comprovano  i  nomi  di  alcuni  suoi  villaggi,  che  anche  oggi 
formano  l'intero  slato  Casertano,  come  sono  Altifreda,  Toro,  Bria- 
no,  Sala,  che  sono  voci  tutte  Longobarde. 

L'aver  inoltre  i  Casertani  prestalo  un  culto  particolare  all'Ar- 
cangelo S.  Michele  principal  protettore  della  nazione  Longobarda, 
e  di  quei  Longobardi  soprattutto  che  abitarono  l' Italia  Cistiberina, 
la  frequenza  dei  tempi  a  lui  dedicati,  e  '1  suo  nome  impresso  nelle 
medaglie  di  oro  e  di  argento  dei  duchi  di  Benevento,  sono  altret- 
tante ragioni  per  credere  che  sotto  quella  nazione  fosse  slata  fon- 
data r  antica  città  di  Caserta,  la  quale  fu  cosi  detta  a  cagione  del- 
la sua  situazione  in  luogo  erto  ed  alto  quasi  casa  cria.  Venne  in- 
fatti questa  città  edificala  secondo  il  costume  dei  mezzi  tempi  sulla 
vetta  di  un  monte  con  poco  ampio  circuito,  ed  è  tutta  murata  di 
pietre  vive  dell'altezza  presso  a  20  palmi,  con  dei  bastioni,  e  con 
ima  porta  verso  mezzogiorno  alta  palmi  14.  ed  11  larga.  Ha  un  o- 
rizzonte  estesissimo  guardando  quasi  tutta  la  Campania  sino  al  ma- 


—  463  — 
re,  e  V  aria  che  vi  si  respira  è  sanissima,  è  però  soggelta  ai  venti 
impetuosi  a  cagione  della  sua  elevatezza.  La  cattedrale  è  un  edifi- 
zio  non  ispregevole  sostenuto  da  18  colonne  a  tre  navi.    Yi  si  os- 
servano il  palazzo  degli  antichi  suoi  Conti  di  barbara  struttura,  a- 
vendo  a  lato  una  torre  dell' altezza  di  palmi  100,  e  124  di  circon- 
ferenza, e  gli  avanzi  del  palazzo  vescovile  col  suo  seminano.  11  suo 
teiTitorio è  feracissimo  d'ogni  sorta  di  produzione ,  e  le  sue  campa- 
gne sono  molto  amene,  e  deliziose.  I  monti  che  ha  d'intorno  sono 
per  lo  più  di  una  pietra  calcarea  che  chiamano  travertuio,  di  cm 
si  fa  molto  uso  nel  fabbricare.  j\lolli  di  questi  monti  sono  un  com- 
plesso di  terra  e  pietre  sciolte,  che  sembrano  nati  da  rivoluzioni  di 
questi  terreni  ;    e  bisogna  dire  che    l' agro   casertano,  al  pari  che 
moltissimi  altri  luoghi  di  questo  Regno,  sia  stato  soggetto  a  terri- 
bili sconvolgimenti. 

Invaghitosi  il  Re  Carlo  della  felice  posizione  della  pianura  che 
trovasi  alle  falde  del  monte  su  di  cui  è  Caserta  vecchia,  della  sa- 
lubrità dell'  aria,  dell'  ampiezza  delle  vedute,  del  terreno  fertilissi- 
mo, e  della  vaga  disposizione  delle  colline  che  le  fanno  corona, 
stabili  di  ergere  in  questo  sito  così  ameno  e  piacevole  una  Reggia 
deliziosa,  degna  della  sua  grandezza  e  magnificenza.  Fece  quindi 
espressamente  venir  da  Roma  1'  architetto  Luigi  Vanvitelli,  a  cui 
comunicò  egli  stosso  le  sue  grandiose  idee,  e  1'  architetto  ben  cor- 
rispondendo al  genio  di  quel  gran  Re,  dopo  formati  i  disegni,  che 
riuscirono  pienamente  di  Real  gradimento,  attese  con  somma  dili- 
genza alla  edificazione  della  Reggia  ,  e  di  tutte  le  sue  delizie ,  le 
quali  vennero  eseguile  in  gran  parte  sotto  la  sua  slessa  direzione. 

PALAZZO  REALE  DI  CASERTA. 

Il  Palazzo  è  preceduto  a  mezzo  giorno  da  una  gran  piazza  cl- 
liltiea,  da  cui  partonsi  tre  stradoni  dritti  con  viali  d'ambi  i  lati,  « 
circondato  da  quartieri  per  le  guardie  di  fonteria  e  di  cavalleria. 
Esso  é  in  pianta  un  parallelogrammo  rettangolo,  i  di  cui  lati 
maggiori  ciascuno  misura  94.5  palmi,  ed  i  minori  per  730  pal- 
mi ognuno.  Ai  quattro  angoli  sono  altrettanti  avancorpi  che 
secondo  il  primo  progetto  del  disegno  formar  dovevano  padi- 
glioni ovvero  torri  in  elevazione ,  ed  altro  padiglione  più  -gran- 
dioso  era  disegnalo  nel  mezzo  deirintern  palazzo  ;   ma  questi  non 

Sasso  —  Vul.  1.  '''J 


furono   eseguili  :  ma  lo  puoi  osservare  esallamcnte  nella  mia  lav.  17°. 

S'ergo  la  gran  mole  per  l'allozza  di  134.  palmi.  Selle  file  di 
finestre  sono  per  ogni  facciata  ,  ed  in  quelle  di  mezzogiorno  e  di 
settentrione  ogni  fila  ne  numera  37. 

La  prima  è  di  finestrucce  pei  sotterranei,  la  seconda  di  finestre 
grandi  e  lisce  pel  pianterreno^  la  terza  di  finestre  medie  per  mez- 
zanini. Queste  tre  file  sono  comprese  in  un  bugnato^  che  forma  co- 
me un  liasamento,  sopra  di  cui  si  alzano  due  piani  nobili  con  fi- 
nestre ornate  di  frontespizi  triangolari  allernativamente  e  circolari,  ed 
un  altro  piano  di  mezzanini  tra  i  due  descritti  con  piccole  finestre 
rettangolari  le  quali  sono  contenute  da  un  ordine  coniposilo  ,  nel 
di  cui  fregio  è  la  settima  fila  di  fìnestnicce  pei  mezzanini.  Nella 
facciata  principale  lordine  ionico  non  ha  che  quattro  semicolonne  per 
ciascuno  avancorpo,  e  im  pilastro  ai  fianchi;  ma  nelF opposta  fac- 
ciata riguardante  i  giardini  oltre  le  suddette  colonne  ogni  finestra 
è  tra  i  pilastri.  Ho  creduto  dare  questa  facciata  nella  mia  tav.  17''. 
Oltre  gli  avancorpi  degli  angoli  avvene  ancora  un  altro  nel  mezzo 
delle  facciale  medesime.  In  ognuna  di  quelle  di  mezzogiorno  ,  e 
di  settentrione  vi  sono  cpjattro  colonne  d'ordine  composito  indossate 
ai  muri  per  metà.  Le  medesime  sono  di  travertino  con  basi  e  capi- 
telli di  marmo  bianco.  Nelle  altre  due  facciate  di  oriente  ed  occi- 
dente ,  in  luogo  di  colonne  vi  sono  altrettanti  pilastri  di  simile  or- 
dine. Sid  cornicione  non  mai  interrotto  ricorre  per  luti'  i  quattro  lati 
lina  balaustrata.  Ciascuna  delle  due  facciate  ha  tre  grandi  portoni, 
che  si  veggono ,    e  si  trapassano  da  parte  a  parte. 

La  gran  porla  R(?ale  è  fiancheggiala  da  due  minori,  avanti  le 
quali  sorger  debbono  quattro  grandi  colossi  rapprcsenlanli  quattro 
\irtù,  con  ragione  dall' architello  chiamato  Principesche:  la  magni- 
ficenza, la  giustizia,  la  clemenza,  e  la  "pace.  Nel  simboleggiar 
queste  virtìi  ideò  il  Fanvitclli  di  non  doversi  slreltamenle  osserva- 
re le  solite  di\ise  che  dagli  statuari  si  praticano,  poiché  non  vo- 
leva effigiarle  in  asti-atto,  ma  particclarizzarle  quali  nel  grande  a- 
ninio  del  Re  Carlo,  come  in  propria  loro  sede  albergavano. 

La  magnificenza  farassi  conoscere  all'abito  piìi  degli  altri 
largo  e  pomposo.  lAIadrona  di  aria  nobile  avrà  fregiata  di  corona 
la  fronte;  verserà  colla  destra  da  un  cornucopia,  e  coHa  sinistra  so- 
sterrà la  pianta  delineata  del  Real  palazzo  di  Caserta,  in  cui  dimo- 
strasi r  indole  generosa  del  magnanimo  Re.    L'  epigrafe  nel  piede- 


_  405  — 
Mallo  sarà  artimn  allrix ,  poiché  allora  le  arli  al  sommo  giungo- 
no di  lor  perfezione  ,  quando  i  popoli  docili ,  secondando  il  gemo 
magnifico  del  Principe,  e  la  sua  generosità  meritando,  tulio  V  im- 
piegano lo  sforzo  del  loro  ingegno. 

Sarà  la  fjiusli'Ja  alleggiala  in  guisa  che  volga  gli  occh,  al 
cielo  per  dimostrare  che  di  lassù  prendono  i  Sovrani  l'autorità  e 
la  nórma  di  governare.  Avrà  la  corona  sul  capo  e  come  regina  del- 
le virtù,  e  come  virtù  principale  del  Re  Carlo. 

L'ammanto  sarà  decente  ma  senza  fasto,  perchè  dalla  giustizia 
ogni  superfluità  si  rifiuta.  Mostrerà  l'aria  di  donna  virile  con  mae- 
stà serena:  terrà  il  hraccio  destro  appoggiato  sopra  im  fascio  con- 
solare di  verghe,  fra  le  quali  si  chiude  una  scure,  e  con  la  mano 
stringerà  una  corona  militare  ed  un  aperto  compasso;  sosterrà  col- 
la sinistra  una  bilancia  indicando  con  tali  simboli  V  uso  in  questa 
della  giustizia  commulaliva  ,  in  quella  distributiva.  Verrà  chiamata 
felicUatis  mitcr,  poiché  da  essa  nasce  la  quiete  pubblica,  la  sicu- 
rezza, e  la  felicità  dei  popoli. 

Dal  placido  volto  della  clemenza  sì  ravvisa  il  suo  benigno  co- 
stume. Verrà  quindi  scolpita  d'aria  dolce  e  sorridente,  con  manto 
e  corona  reale  per  essere  virtù  propria  dei  Sovrani ,  ed  in  alto  di 
porre  nel  fodero  una  spada  ,  di  cui  potendo  non  voglia  servirsi. 
Terrà  bassi  gli  occhi  mostrando  d' impietosirsi  della  misera  condi- 
zione dei  colpevoli.  Avrà  quindi  per  mollo;  miserormi  coiifugium: 
Il  genio  pacifico  del  Re  Carlo  111.  si  esprimeva  dal  quarto  si- 
mulacro  ,  eh'  é  quello  della  pace.  Questa  si  dimostra  donna  di  vi- 
so tranquillo  ,  vestita  di  doga  cittadinesca  ,  e  col  capo  coronato  di 
olivo.  Porterà  nella  destra  un  fascio  di  spighe  ,  produzione  copio- 
sissima del  regno  delle  due  Sicilie,  e  stringerà  colla  sinistra  un  ti- 
mone ,  simbolo  della  navigazione  accresciuta  da  quel  Monarca  col- 
l'ampliazione  dei  porli  di  Napoli,  di  Agrigento,  di  Barletta  e  di  altri. 
E  perchè  dalla  pace  si  aumentano  1'  abbondanza  e  le  ricchezze  ,  si 
chiamerà  Opiim  Àmplifìcatrix. 

Nei  quattro  ideati  colossi  volle  il  Vanvitelli  descrivere  le  doti 
principali  del  Re  Carlo;  ed  immaginò  adornare  in  tal  guisa  l'in- 
gresso della  Reggia,  perchè  le  porte  dei  grandi  palagi  debbono  fro- 
^riai-si  di  quei  caratteri  che  danno  a  chi  entra  qualche  nozione  del 
personaggio  che  vi  abita.  Avoa  benanche  l'archiletlo  idealo  di  far 
torreggiare  sul  fastigio  principale  la  statua  equestre  del  Re  in  bruii- 


—  4GG  — 
zo  ,  non  senza  imitazione  degli  anlichi ,    che  sopra  gli    edifizì  pri- 
mari e  cavalli  e  quadrighe  ai  loro    Sovrani    dedicate    collocavano. 
Ma  tulle  queste  statue  non  sono  state  ancora  eseguite. 

In  allo  poi  sul  fmeslrone  di  mezzo  si  legge  una  inscrizione  , 
la  quale  credesi  del  Marchese  Taniieci,  poiché  la  mandò  egli  sles- 
so air  architetto  per  faryela  incidere. 

Essa  della  cosi  : 

//as.  aedes 

Carolus.  Sicilianim 

Et  Ilierusalcm.  Rcx. 

A.  fundamentis.  construxit, 

Ferdinandtis  IV.  filius.  et  sueeessor. 

Absolvit. 

Annis  Christi  MDCCLIl 

Et.  MDCCLXXIF. 

Quale  sorprendente  spetlacolo  non  presentano  alla  vista  dei  ri- 
guardanti le  due  facciale  di  questa  magnifica  Reggia  ?  Non  formano 
esse  UD  raro  complesso  di  grandezza,  di  regolarità,  di  euritmia,  di 
varietà  ,  di  contrasti,  di  ricchezza,  di  facilità  e  di  eleganza?  È  in- 
sensibile chi  non  prova  ditello  al  contrasto  euritmico  di  tante  mas- 
se. ]Ma  si  entri  ad  osservare  la  dislrihuzione  interna. 

I  due  grandi  portoni  nel  mezzo  delle  facciate  di  mezzo  giorno 
e  settentrione  sono  imiti  da  un  magnifico  portico  con  porlichelli  la- 
terali. 11  medesimo  e  amplialo  da  tre  vesliholi  di  figura  oltagona , 
ornati  di  colonne  di  un  sol  pezzo  di  pielraligia  Siciliana;  due  dei  quali 
sono  presso  dei  cennati  portoni  ,  e  danno  le  comunicazioni  ai  quat- 
tro cortili  per  mezzo  di  spaziosi  archi  agli  angoli  dei  cortili  medesimi. 
Nel  mozzo  del  portico,  e  di  tutta  la  gran  mole  evvi  l'altro  vestibolo  che 
è  il  principale ,  da  cui  simmetricamente  si  deviano  quattro  larghi 
passaggi  ai  rispettivi  quattro  corlili  ,  e  si  dà  T  ingresso  alla  scala 
Regia.  Qual  colpo  d'occhio  dal  suo  centro  ?  Due  lati  di  esso  ottago- 
no sono  per  la  continuazione  del  portico  ,  quattro  per  altrettanli 
lunghi  passaggi  ai  quattro  cortili  euritmicamente  disposti,  sono  per 
la  grandiosa  scala  Regia  ch'è  tutta  aperta,  e  l'altro  incontro  al  mae- 
stoso colosso  dell'Ercole  Farnese  nel  di  cui  piedestallo  leggi  la  bel- 
la (epigrafe:  Gloria  virtuicm  post  fortia  facta  coronat.  Ciascun 
cortile  è  un  gran  rettangolo  cogli  angoli  tagliali  a  petto,  ed  ogni 


—  4G7  — 
portone  laterale  delle  due  facciale  infila  due  cortili  ;  onde  tutti  e 
quattro  si  comunicano  per  lo  portico  e  per  le  suddette  infilale.  Nel- 
l'ala fra  i  due  cortili  a  ponente  cvvi  il  grandioso  teatro  domestico 
di  corte  ,  di  pianta  semicircolare  ,  riparlilo  in  nove  vani  per  pal- 
chetti a  quattro  ordini, fiancheggiati  da  colonne  corintie  di  marmo, 
ed  ornati  di  vaghi  fregi  dorali.  Nella  prima  idea  del  disegno  del 
palazzo  non  eravi  il  teatro  ,  ma  d'ordine  del  Re  lo  costruì  subito 
r  architetto  qual  si  vede ,  ben  degno  invero  di  quella  Regia  son- 
tuosa. 

La  scala  Reale  poi  è  in  tutto  maestosa.  Dividcsi  in  tre  ampie 
branche  la  prima  delle  quali  inalzandosi  sul  lato  orientale,  termina 
ad  un  pianotlolo  ,  da  cui  rivolgendosi  a  destra  ed  a  sinistra ,  for- 
ma altre  due  eguali  branche  ,  per  le  quali  si  ascende  al  super- 
bo vestibolo  della  Rcal  cappella.  I  gradini  di  questa  scala  sono  del- 
la bella  pietra  di  Trapani  ,  tulli  di  un  sol  pezzo,  e  le  mura  che 
la  circondano  ,  sono  vestite  dei  nostri  più  bei  marmi  colorali.  Al- 
l'estremo della  prima  gradinata  si  veggono  due  leoni  di  marmo,  di 
finissimo  lavoro  ,  i  quali  oltre  all'  imprimere  col  generoso  aspetto 
riverenza  in  chiunque  vi  ascende;  indicano  le  forze  della  ragione 
e  delle  armi  ,  che  il  possesso  dei  suoi  Regni  al  Re  assicurano. 

Nel  muro  di  rincontro  a  chi  sale,  che  termina  il  primo  piano, 
sonovi  in  tre  nicchie  tre  superbe  statue  con  quest'ordine  disposte: 
la  Verità,  la  Maestà  Regia,  ed  il  Jlerito. 

Tra  le  molte  immagini  che  in  questo  silo  adattar  si  potevano,  so- 
nosi  queste  prescelte,  perchè  non  sembra  che  vi  si  sarebbono  al- 
tre acconciamente  collocale. 

Due  sono  in  fatti  i  principali  motivi  ,  per  cui  sogliono  i  sud- 
diti all'udienza  del  Re  portarsi  ;  il  querelarsi  delle  altrui  violenze , 
il  pretendere  alle  cariche.  Ma  siccome  tra  i  querelanti  si  mischiano 
sovente  i  calmmiatori ,  e  trai  pretensori  i  temerari,  cosi  per  tener- 
li dalle  orecchie  del  Principe  lontani  ,  sul  principio  della  scala  si 
avverte  ognuno,  che  ne  ad  infamare  l'allrui  onestà  s'mol tri,  né  di 
merito  sfornilo  ascenda  a  pretendere ,  poiché  la  iMaestà  del  Re  giu- 
sta discernitrice  del  vero  e  del  merito,  non  lascerà  sedarsi  dai  lo- 
ro falsi  rapporti.  Ad  esprimere  queste  idee  furono  dall'architetto  de- 
stinate quelle  tre  statue  coi  seguenti  simboli  e  motti: 

Nella  nicchia  di  mezzo  ,  delle  altre  più  ricca  e  grandiosa,  si 
vede   il   simulacro  della  Maestà  di  Carlo  111  .  statua  di  straordina- 


—  -\m  — 

ria  grandezza  ,  veslila  di  Regio  ammanlo,  con  corona  reale  sul  ca- 
po^ ed  in  alto  di  comandare  impugna  colla  destra  uno  scettro  la  di 
cui  punta  tiene  un  occhio  aperto  ,  per  dinotare  la  piena  conoscen- 
za di  quel  che  comanda.  Siede  sopra  un  leone  ,  il  quale  ,  oltre  la 
relazione  che  ha  con  lo  stemma  reale  di  Spagna,  è  l'unico  fra  gli 
animali,  in  cui  la  clemenza  gareggia  con  la  fortezza:  due  virtù  che 
divider  non  mai  si  debbano  dal  cuore  dei  Regnanti,  e  che  nel  ma- 
gnanimo Carlo  eminentemente  risedevano.  Nel  piedestallo  si  leg- 
gono le  seguenti  parole  :  Jd  majcslatem  accedens  perpetide  quid 
affers. 

La  statua  della  Verità  è  veslila  con  una  toga  che  sembra  ave- 
re del  trasparente,  perchè  per  quanto  ella  si  copra ^  suole  mostrar 
sempre  le  bellezze  della  sua  nudità.  Innalza  con  la  destra  un  sole, 
dimostrando  la  luce  ,  che  al  pari  di  quello  essa  spande  nell' imiver- 
so  ;  e  coir  indice  della  sinistra  accenna  il  sole  medesimo  ,  per  in- 
dicare l'unità  del  vero,  ch'è  sempre  lo  stesso  comunque  cerca  adom- 
brarsi. Appoggia  il  sinistro  piede  sul  mondo  ,  e  dinota  così  il  do- 
minio che  ha  sulla  terra  ,  e  come  presto  o  tardi  di  tutte  le  cose 
trionfa.  La  sua  epigrafe  rera  ferens  venias  laturus  falsa  recedas. 

Dall'altro  lato  poi  la  statua  del  Merito  è  riccamente  vestita.  La 
ghirlanda  di  alloro  che  la  fronte  le  cinge  ,  è  segno  di  vittorie  con 
fatiche  riportate^  e  si  mostra  di  giovanile  aspetto  ,  perchè  il  meri- 
to è  sempre  giovine  finché  non  rimunerato.  Nella  destra  tiene  un 
libro  chiuso^  ed  appoggia  la  sinistra  sopra  una  spada  dentro  il  fo- 
dero, dinotando  che  del  merito  non  si  può  far  pompa  senza  scemar- 
lo. l\Ioslra  col  destro  piede  salire  sopra  aspri  macigni  ,  perchè  a 
rendersi  meritevole  è  d' uopo  superar  delle  asprezze.  Per  invitar 
quindi  al  premio  quelli  soli  che  lo  meriteranno  ,  è  scritto  nella 
base,   Qui  gravis  es  merito,  gravior  mercede  redibus. 

Per  le  due  braccia  diramate  della  scala  si  perviene,  come  si  è 
detto  al  nobilissimo  vestibolo  della  Real  cappella.  Da  ventiquattro 
grandi  finestre,  che  sporgono  negli  ampi  cortili,  viene  tutta  la  sca- 
la illuminata;  è  adorna  nei  fianchi  di  sparse  colonne  di  marmo  di 
Sicilia,  come  quelle  dei  vestiboli  del  portico,  le  quali  sono  indos- 
sale per  metà  alle  pareli.  La  covcrlura  di  questa  scala  è  a  doppia 
volta  di  fabbrica,  di  cui  la  prima  è  aperta  nel  mezzo  da  una  gran- 
de figura  ellittica,  dove  si  veggono  cinque  bellissimi  dipinti  a  fre- 
sco del  celebre  Starace.  Da  termine  ad  essa  un  magnifico  balcone. 


—  469  — 
da  cui  ad  un  sol  colpo  d'occhio  veder  si  possonolo  Ire  LicUissimc 
descrillo  staine,  i  due    superili  leoni,  e  tutta  la  maestosa  gradinata. 

Il  vestibolo  della  cappella  è  un  recinto  di  forma  quasi  sferica, 
che  contiene  ventiquattro  colonne^  d' ordine  dorico,  di  marmo  brec- 
ciolino del  monte  Gargano  in  Puglia,  le  quali  sostengono  la  gran 
volta  che  lo  cuopre,  tutta  adorna  di  stucco.  Nel  mezzo  è  la  porta 
che  dà  l'ingresso  alla  cappella.  È  questa  un  rettangolo  terminato 
semicircolarmeutc  con  decorazione  di  colonne  corintie  del  bel  mar- 
mo di  ]\lonlragone  isolate  su  piedistalli,  cui  non  manca  nò  corni- 
ce, ne  gocciolatoio.  Lateralmente  alla  nave  della  lleal  cappella  so- 
no due  portici  che  conmnicano  con  gli  appartamenti  Reali.  Quello 
superiore  nel  sito  delle  colonne  è  aperto,  gira  in  tre  lati,  e  serve 
per  tribuna  delle  persone  Reali^  qualora  v'  intervengono.  Neil'  in- 
tercolunnio di  questo  portico  si  eran  destinato  sei  statue  di  marmo, 
di  S.  Carlo,  S.  Amalia.  S.  Gennaro,  S.  Rosalia,  S.  Irene  e  S.  ]\li- 
chele  principal  proiettore  della  città  di  Caserta.  Queste  però  non  g- 
sistono,  essendovi  le  sole  mensole.  La  volta  è  tutta  a  stucchi  in  o- 
ro:  la  sontuosità  dei  marmi  e  delle  sculture  è  in  ogni  genere  stu- 
penda, e  nella  tribuna  vi  sono  bellissimi  quadri  dei  nostri  miglio- 
ri artisti  del  tempo. 

Nel  vestibolo  ai  lati  della  porta  della  cappella  vi  sono  altre 
quattro  porte,  por  le  quali  si  entra  nei  Reali  appartamenti.  Sono 
questi  tutti  doppi,  e  girano  per  tutti  quattro  i  gran  lati  del  palaz- 
zo, e  internamente  por  ciascuno  dei  quattro  cortili,  e  lungo  il  gran 
portico.  Le  sale,  le  anticamere,  i  saloni,  le  camere,  le  gallerie,  lo 
cappello,  sagrestie,  e  lo  scale  private,  sono  ben  distribuite,  di  gran- 
diose dimensioni,  di  buoni  rapporti,  e  di  molto  e  bella  varietà  di 
forma.  Oltre  la  scala  principale  vi  sono  altre  venti  scalo  particola- 
ri tutte  comodissime,  ed  alcune  anche  grandiose,  che  inunettono  in 
tutti  gli  altri  appartamenti,  ed  arrivano  sino  al  tetto.  Le  mura  di 
questo  palazzo  sono  di  una  straordinaria  grossezza,  che  in  alcuni 
luoghi  giunge  fino  a  quindici  palmi. 

Sono  poi  tutte  adorne  di  marmi  bellissimi,  di  sculture  di  so- 
praffino lavoro,  ed  in  genere  di  dipinti  vi  sono  le  opere  di  quanti 
furono  tra  noi  eccellenti  noli'  arte. 

Tutto  adimque  in  queste  Reggia  e  grandioso  :  sembra  che  lo 
tre  nobili  arti  del  disegno  in  essa  garcggino  per  mostrare  tutto  il 
loro  splendore  e  la  loro  magnificenza. 


•   .  —  470  — 

GIARDINI. 

Tulta  la  sunhiosità  di  quella  maestosa  Reggia  non  giungeva 
ad  appagar  pienamente  il  genio  di  quel  ]\Ionarca.  Egli  è  un  ossei'- 
vazione  perenne  e  costante  ,  che  la  più  grande  magnificenza  negli 
edifici,  gli  apparati  della  più  sopraffina  eleganza,  e  del  lusso  più 
squisito,  lasciano  sempre  nell'  animo  umano  qualche  estrinseco  de- 
siderio, cui  essi  a  soddisfar  non  bastano.  Spesso  si  vede  l' uomo 
abbandonar  le  auree  abitazioni,  ed  uscire  dalle  rumorose  città,  per 
rintracciar  nella  solitudine  della  campagna  il  bello  della  natura, 
che  di  pura  gioia  e  contento  il  riempie.  Il  Re  Carlo  amava  gran- 
demente il  piacere  della  campagna,  e  sopra  tutto  era  a  lui  gradi- 
to il  divertimento  della  caccia,  che  un  piacevole  sollievo  gli  appre- 
stava dopo  le  gravi  cure  del  governo.  Uopo  era  dunque  congiim- 
gere  alle  bellezze  delle  arti ,  in  quella  Reggia  riunite ,  le  delizie 
della  natura;  ed  alla  grandezza  e  regolarità  di  quel  superbo  edifi- 
zio  opporre  la  semplice  ed  amena  vaghezza  della  campagna,  e  più 
di  lutto  quella  desiderata  varietà,  per  cui  1'  arte  sovente  la  natura 
imitando  ,  più  bella  si  rende  e  piacevole.  A  tal  oggetto  dietro  al 
Real  palazzo  vi  sono  giardini  di  ogni  sorta,  nei  quali  si  rincontra- 
no boschetti,  scale,  casini,  pagliai,  castelli,  ponti,  peschiere,  la- 
ghetti, fontane  dedicale  agli  Dei  della  mitologia,  e  numerosissime 
statue  simboliche.  Qui  tutto  è  vago,  e  dilettevole. 

Quella  multiforme  varietà  della  natura  che  tanto  piace,  è  sen- 
za conoscersi  regolata  con  somma  maestria  dall'  arte  e  non  di  rado 
vi  s'incontrano  quelle  campestri  situazioni,  che  ora  muovono  l'a- 
nimo soavemente,  ed  ora  V  agitano  con  forza,  e  l' ingrandiscono, 
(li  cui  tanto  si  compiacciono  gli  spiriti  delicati  e  sensibili. 

11  mirabile  però  di  questi  giardini  non  è  per  anco  accennato: 
consiste  nella  stupenda  cascata  delle  acque,  che  difficile  riesce  a  de- 
scriverla per  lusingarsi  di  pareggiare  il  vero,  e  renderne  qualche  i- 
dea  a  chi  non  la  conosce.  Le  acque  abbondantissime,  che  da  im- 
mensa distanza  conduce  l' acquidotto  Carolino,  dopo  lungo  e  tortuo- 
so cammino  pervengono  al  monte  Briano,  che  torreggia  al  setten- 
trione del  Ueal  palazzo,  e  dai  boreali  venti  molestissimi  il  difende. 
11  luogo  dove  l'acqua  esce  per  formar  la  maravigliosa  cascata  è  un 
giardino  di  delizie  sotto  il  nome  di   Aperia.  Corrisponde  questa  cu 


—  471  — 

scala  in  linea  retta  perfettamente  al  medio  portone  settentrionale, 
talché  a  traverso  del  gran  portico  si  presenta  a  prima  giunta  di- 
rettamente alla  vista  di  quanti  per  l'opposto  portone  meridionale 
entrano,  e  per  la  sua  elevatezza  si  vede  da  tutt'i  punti  della  Reg- 
gia e  del  giardini.  Bello,  sorprendente  è  il  vedere  un  fiume  di  ac- 
que, che  dallalto  discende  tra  dirupi,  e  quasi  ncll'  aria  sospeso  pen- 
dente ondeggia. 

Le  frequenti  onde  precipitando  giù  di  balza  in  balza  si  rom- 
pono contro  i  sottoposti  massi  con  tale  impeto  e  fragore,  che  tra 
le  biancheggianti  spume  formano  tanti  vaghissimi  specchi  che  ma- 
raviglia insieme  e  diletto  cagionano  all'occhio  dei  riguardanti.  Di 
tanto  in  tanto  dove  più  ribollono  i  gorgogli  delle  acque,  erger  si 
vedono  il  capo  antico  dei  bruni  scogli,  che  mostrando  il  lor  fian- 
co ingiuriato  e  roso,  sembrano  saldi  sfidare  il  percuoter  delle  on- 
de. Progredendo  poi  queste  nella  loro  discesa,  si  conformano  in  tan- 
te vaghe  peschiere,  le  di  cui  sponde  verdeggiano  di  erbette,  e  fio- 
ri vario-pinti,  che  alle  graziose  e  placide  aure,  che  quivi  intorno 
eternamente  spirano,  l'essenza  uniscono  soavissima  di  grati  odori. 

Le  diramazioni  di  queste  acque  medesime  spandendosi  in  di- 
versi luoghi,  vengono  a  formare  altre  piccole  cascate,  vaghe  pe- 
schiere, graziosi  laghetti,  limpidi  ruscelli  zampillanti  tra  cespugli, 
il  di  cui  continuato  susurro  i  vicini  boschi  flebilmente  percuote. 

L' aspetto  poi  di  questi  luoghi  è  il  più  ameno  e  ridente.  Una 
lunga  catena  di  monti,  e  di  colline  tuttavia  lontane  fanno  qui  ala 
pomposamente  or  più  da  un  lato,  or  più  dall'  altro  ,  e  limitano 
r  orizzonte,  ricche  d'alberi,  e  di  frutici,  del  pari  che  di  buoni  pa- 
scoli, esse  presentano  delle  vaghissime  vedute.  Le  tante  e  si  di- 
verse qualità  di  terreni,  e  vette,  e  gole,  e  fenditure,  ed  angoli  che 
danno  sontuosamente  nel  romanzesco  ,  la  molliplice  varietà  delle 
forme  e  dei  colori  ,  producono  qui  un  possente  incantesimo.  Una 
disinvolta  proporzione  si  scorge  tra  le  pianure  e  l'eminenze,  i  giuo- 
chi, e  le  falde,  ed  un  certo  felice  aggrupparsi  di  tutte  le  parli,  on- 
de una  sola  veduta  abbraccia  spesso  e  facilmente  ogni  cosa.  Final- 
mente tutto  ciò  che  la  mano  dell'  uomo  e  venuta  collocando  su 
quelle  montagne,  i  vigneti,  gli  olivi,  gli  orti,  i  villaggi,  tutto  ma- 
ravigliosamente consona  col  carattere  qui  impresso  dalla  natura, 
poiché  r  arte  ha  messo  tutta  la  sua  cura  in  saggiamente  secon- 
darla. 

Sasso  —  Voi.  I.  60 


—  572  — 

ACQLIDOTTO  CAROLINO 

FaUjarmenle  detto  i  Ponti  della  falle. 

Egli  è  al  corto  fuor  di  dubbio,  che  fra  tutte  lo  opere  di  Ca- 
serta dal  Vanvitelli  eseguite,  quella  che  può  dirsi  in  grado  emi- 
nente somma  ,  e  che  recar  dee  meraviglia  e  stupore  a  chiun- 
que consideri  il  suo  ardito  concepimento,  e  la  sua  felice  e  rapida 
esecuzione,  è  il  famoso  acquidotto  Carolino.  Le  regioni  Casertane 
scarseggiavano  molto  di  acqua,  ed  il  Re  Carlo  conosciuto  avea,  che 
senza  numerose  fontane  mancato  sarebbe  il  comodo  por  gli  abitan- 
li,  e  la  più  deliziosa  parte  alla  vaghezza  del  Real  palazzo,  e  dei 
giardini. 

Stabili  quindi  nella  sua  mente  di  condurvi  le  acque  da  lonta- 
ne parti,  a  guisa  degli  antichi  Romani,  i  quali  con  istupendi  lavo- 
ri in  luoghi  diversi  a  lor  gradimento  le  condussero.  Fra  tutte  le 
opere  architettoniche  ninna  ve  n'  ha  al  certo  che  raltener  possa  il 
coraggio  dei  Principi  che  le  comandano,  e  l'abilità  degli  architet- 
ti che  le  dirigono,  quanto  gli  acquidolti.  Lo  difficoltà,  che  vi  s'in- 
contrano, rendono  talvolta  incerto  l'esito  del  lavoro,  disposto  dalla 
più  illuminata  esperienza;  e  1'  eccessiva  spesa  che  resta  sepolta  nel- 
le viscere  della  terra,  esige  la  grandezza  di  un'annuo  Reale  costan- 
te del  pari  che  generoso. 

Ma  il  dispendio,  e  le  difficoltà  non  ebbero  nel  magnanimo  Car- 
lo efficacia  abbastanza  a  ratlenerlo;  che  propostosi  di  conseguire  im 
pubblico  vantaggio  nella  sua  ideata  impresa,  volle  tentarla,  e  l'e- 
sito felicemente  corrispose  al  suo  grande  concepimento.  Può  vera- 
mente asserirsi  che  in  questa  opera  abbia  l' arte  colla  natura  com- 
battuto ,  e  perchè  pugnavasi  sotto  gli  auspici  di  cotanto  invitto  e 
fortunato  Re,  soffri  questa  di  essere  da  quella  vinta  e  superata. 

11  sito  delle  Reali  delizie  di  Caserta  è  cosi  elevalo,  che  sem- 
brava togliere  ogni  speranza  di  condurvi  copiose  acque.  Bisognò  a- 
dunque  volgere  le  ricerche  di  là  dai  monti  Dipalini  verso  le 
montagne  più  alte  ,  che  sole  potevano  somministrarne  di  quel- 
le ,  che  il  livello  sofferissero.  Dagli  antichi  scrittori  si  aveva 
notizia  di  un'  acqua  nomata  Giulia  ,  da  Caio  Giulio  Cesare  ,  padre 
adottivo  di  Ottaviano  Augusto,    il  quale  dalla    sorgente  trasportan- 


—  \ló  — 

dola  ne  fece  alla  colonia  di  Capua  magnifico  dono.  Era  quest'acqua 
di  tale  squisitezza,  che  al  dir  di  Caio  Velleio  Patercolo  ebbe  il  me- 
rito di  esser  considerata  come  un  singoiar  modello  di  salubrità,  per- 
cJiè  semplicissima,  ed  ornamento  dell'  amenità,  perchè  limpidissima. 
-Ma  poiché  gli  storici  soltanto  per  incidenza  di  quest'acqua  favella- 
rono, niimo  ne  indicò  la  sorgente.  La  mostrano  però  bastevolmente  Io 
sparse  vestigia  del  romano  acquidotto,  che  dalle  vicinanze  dell'an- 
tica Capua  verso  il  casale  di  S.  Prisco  in  ;\laddaloni  sotto  il  mar- 
gine dei  monti  Tifalini  incominciando,  verso  levante  ai  confini  del 
Sannio  s' indirizzano. 

Su  tali  tracce  si  pervenne  al  Monte  Taburno,  che  per  altezza 
e  per  ampiezza  annoverar  si  può  fra  i  più  ragguardevoli  del  regno. 

Esso  è  uno  dei  termini  più  vasti  coi  quali  la  natura  la 
regione  dei  Sanniti  divise  dalla  Campagna  felice  ;  onde  fu  da  al- 
cuni alla  prima  attribuito,  da  altri  alla  seconda.  Per  accennarne 
l'astensione,  basterà  dire  che  le  sole  radici  sue  meridionali  si  pro- 
lungano per  lo  spazio  d'  oltre  le  miglia  sette  ,  laddove  dagli  op- 
posti monti  Nolani  lo  divide  l'ineguale  convalle  Caudina  :  luogo 
celebre  nella  storia  per  l' onta  che  vi  soffrirono  le  Romane  legioni, 
allorché  furono  dai  Romani  i  Sanniti  domali  :  lungo  le  radici  del 
Taburno  si  stese  la  via  Appia  da  Capua  sino  a  Benevento,  e  quin- 
di smo  a  Brindisi,  il  maggior  pregio  di  questo  monte  è  la  copia 
felice  di  acque  salubri. 

Le  sue  vastissime  spalle  abbondante  raccolgono  il  tesoro  delle 
nevi,  e  delle  piogge;  e  l'essere  in  gran  parte  di  grosse  pietre  vi- 
ve disgiunte  e  di  ghiaia  composte  ,  fa  che  l' acqua  che  ne  trapela 
sia  della  più  pura  e  squisita.  La  base  del  suo  fianco  meridionale  è 
molto  copiosa  di  acque ,  che  quantunque  in  un'  amena  pianura  si 
manifestino  ,  è  però  questa  tanto  elevata  che  pareggia  le  cime  di 
alcuni  monti  di  Caserta,  e  per  lungo  tratto  declinando,  termina  col- 
r  anzidetta  valle  Caudina. 

Molto  fra  di  loro  vicine  quivi  dieci  sorgenti  si  rinvennero , 
vdgargente  nomate,  il  Pizzo,  la  Noce, il  Fico,  Molinise,  Mara- 
no, Sambuco,  S.  Sebastiano,  la  folla,  Hapillo,  e  la  Peschiera 
del  Principe,  la  quale  sorgendo  nel  tenimenlo  del  Duca  di  Airola 
Principe  della  Riccia,  gli  dette  1'  onor  fortunato  di  farne  un  grato 
dono  al  Re  insieme  con  tutte  le  altre  che  fossero  rinvenute.  Nel  fab- 
bricare r  acquidotto  altri  fonticelli  si  scopersero,  che  insieme  raccol- 


—  474  — 
ti  somniinislraroiio  la  quantità  di  375  once  di   acqua  naturalmen- 
te senza  pressione  fluente. 

Che  l'antica  acqua  CAiilia  da  questi  medesimi  fonti  derivasse 
non  era  die  raggioncvol  conghictlura:  ma  divenne  subito  certezza, 
allorché  scavandosi  lutto  sotterraneo  il  condotto  in  un  terreno  di 
brecciuola  sì  tenacemente  conglutinata  che  solido  muro  artefatto 
sembrava,  si  scopri  presso  la  sorgente  di  Molinise  V  acquidotto  fab 
bricato  dai  Romani  per  incanalar  1'  acqua  Giulia  verso  Capua  ;  ed 
a^Tenne  che  s' incontrasse  appunto  della  stessa  dimensione  eh'  erasi 
prescritta  nel  nuovo,  talché  se  l' antico  non  fosse  stato  quasi  inte- 
ramente disfatto,  risparmialo  avrebbe  per  qualche  tratto  la  costru- 
zione del  moderno. 

Datosi  principio  all'opera,  per  lungo  spazio  si  lavorò  il  con- 
dotto nella  della  brecciuola  sempre  coverto  da  cinque  a  dieci  pal- 
mi sotterra.  Nell'interno  é  di  aera  palmi  7,5  alto,  e  largo  3,5. 
]\Iolesto  fu  dopo  e  dispendioso  l' abbattersi  in  una  palude  che  lut- 
to ingojava  ,  ricoiierta  da  una  crosta  di  ghiaja  alta  da  quattro  a 
cinque  palmi.  Per  aprire  un  cammino  sicuro  alle  acque  fu  d'  uopo 
quivi  piantar  fitte  ed  alle  palizzate.  Allorché  si  pervenne  presso  al- 
la Peschiera  del  Principe  per  raccogliere  maggior  copia  di  basse 
sorgenti,  fu  1'  acquidotto  obbliquamcnte  abbassato  per  nove  palmi  e 
dilatato  sino  a  quattro,  quantunque  vi  si  trovasse  un  terreno,  che 
per  essere  di  molte  acque  imbevuto  trema  da  per  lutto,  onde  chia- 
masi il  Tremolo.  Le  sorgenti  sono  in  questo  luogo  nascoste  sotto 
le  radici  di  copiose  piante  ed  arboscelli  che  del  loro  benefico  umo- 
re si  nudriscono.  Ben  più  malagevole  che  nella  prima  palude  fu  la 
costruzione  del  condotto  per  im  limgo  tratto  sopra  sode  palizzate  in 
una  terra  tufacea  ,  nella  quale  altre  piccole  sorgenti  si  raccolsero. 
Esce  dopo  fuori  di  terra  a  cagione  della  picciola  valle  e  del  fiume 
Faenza  che  s' incontrano.  Fu  d' uopo  allora  innalzare  un  muro  ed 
un  ponte  a  Ire  archi  occupandosi  lo  spazio  di  circa  700  palmi. 
Nella  sommità  dell'  arco  medio  da  ambo  i  lati  del  ponte  si  leggo- 
no su  due  lapidi  queste  parole: 

Carolus.  et  Amalia,  utr.  Sic.  et  Hier. 

R.  A.  D.   MDCCLIV. 

Qui  di  Real  comando  fu   l' acquidotto  dilatalo   fino    a  cinque 


—  47o  — 
palmi  por  renderlo  capaec  di  ricevere,  qualora  introdurre  vi  si  vo- 
lessero   le  molle    sorgenti   limpidissime  che    nel  lato  settentrionale 
dei  monti  Nolani  opposti  al  laburno  copiosamente  si  manifestano. 
Dopo  il  ponte,  di  nuovo  si  asconde  il  condotto  reale  dentro  u- 
na  lunga  collina  di  forte  tufo  ,  chiamata  Prato,  la  quale  venne  a 
forza  di  scalpello    e  di  picconi  traforata    tutta  per    l'estensione  di 
8200  palmi.  Vantaggioso  ne  riusci  il  lavoro,  iwichè  nello  scavo  si 
rinvenne  una  sorgente  di  85  once  di  queir  acqua    squisitissima  ,  e 
commendabile  per  leggerezza  e  per  freschezza,  quale  dal  tufo  spe- 
rar si  doveva.  Sotterraneo  sempre  cammina  poscia  l'acquidollo  per 
lungo  tratto  fra  tufo,  creta,  e  grossissimi  macigni.  Quivi  sparsi  an- 
cor si  veggono  gli  avanzi  dell'  antico  acquidotlo  piìi  alto  però  del 
livello  del  presente:    d'  onde    si  rileva,   che  dai  Romani  altrettanta 
quantità  di  acqua  non  si  raccogliesse  ;    anzi  con  ragione  creder  si 
può,  che  a  riserva  delle  prime  e  più  alte  sorgenti  somministrate  dal 
laburno,  tutte  le  altre  acque  non  sieno  state  mai  comprese  nell'ac- 
qua Giulia,  ma  pari  a  quella  nella  perfezione,  nel  tempo  della  co- 
struzione del  nuovo  condotto  sieno  state  da  vergini  sorgive  scoper- 
t-e  ed  incanalate. 

Segue  quindi  il  condotto  il  suo  cammino    per  le  viscere  delle 
balze  precipitose  del  monte  desco,  traversando  con  traforo  il  duro 
sasso  vivo  onde  è  composto,  e  perviene  al  vallone  presso  al  fiume 
Faenza.Si  vede  qui  alla  corrente  opposto  un  gagliardo  muro  sofferma- 
to alla  ripa ,   che  in  angolo    retto    tutto  ti-aversa  T  alveo  del  fiu- 
me, sollevandone  tutte  le  sue  acque   per  introdurne  parte  nel  for- 
male di  Carmignano,  che  verso  Napoli  le  conduce,  mentre  le  altre 
sorpassandone  il  dorso  verticalmente  precipitano    nell'antico    letto, 
dentro  di  cui  scorrono  poche  miglia  per  arricchirne  quindi  il  Vol- 
turno. Passa  in  seguito  il  Regio  acquidotto  nel  territorio  di  S.  Aga- 
ta dei  Coli ,  e  progredisce  incavalo  sempre  nel  vivo  macigno  cir- 
condando r  erte  e  tortuose  balze  dei  monti  di  Castrone ,    dell'  Ac- 
quavivola ,  della  Sagrestia  della  Garosa  di  Siella  maggiore ,  di 
Fiero  Fano  di  Fraugnano ,  appendici  tutte  del  laburno  ,  sino  al 
ponte  sulla  valle  di  Durazzano.  Questo    ponte    è    di  cinque    archi 
composto,    fra  i  quali  quello  di  mezzo  che  e  il  maggiore,  giunge 
all'altezza  di  palmi  70.  Passato  il  ponte  l'acqua  costeggia  incava- 
ta nel  durissimo  sasso  l' opposta  montagna  chiamata  di  Longano  ed 
immersa  sempre  nelle  asprezze  di  questo  monte  giunge  al  profon- 


—  47G  — 
Hissimn  vallone  non  mollo  distante  dalla  terra,  delta  perciò  la  Fal- 
le, il  quale  di\  ide   il  monto  Longuno   da  quello   di  Garzano;  uno 
della  catena  de'  monti  Tifatini  ,   sopra  de'  quali  Caserta  vecchia  ri- 
siedo. 

Tutta  la  vallata  nella  parlo  più  ristretta,  e  meno  profonda  re- 
lativamente all'alto  livello  dell' acquidotlo,  è  di  palmi  280.  Fu  per- 
tanto necessario  innalzarvi  un' arcata  di  tre  ordini  di  soli  palmi  220. 
lasciando  aperta  la  caduta  delle  acque  dall'  acquidotlo  in  palmi  6(( 
circa,  onde  servirsi  di  quell'altezza  per  adattare  l'un  sotto  l'altro  de- 
gli edifizi  idraulici  pel  comodo  pubblico.  Il  primo  ordine  è  comjx]- 
sto  di  19  archi,  il  secondo  di  28,  ed  il  terzo  di  4.3.  Gli  archi  di 
lutti  e  tre  gli  ordini  anno  allornaiivamcntc  i  piloni  fortificali  da 
speroni,  che  da  entrambi  le  parti  sino  alla  sommità  maggioro  pi- 
ramidalmente li  fiancheggiano.  La  lunghezza  dell'  intera  arcata  ò 
di  palmi  2000. 

Il  tutto  osservar  puoi  nella  mia  tavola  18'^  dove  a  colpo  d'oc- 
chio ranisi  il  maestoso  monumento,  da  me  sul  luogo  esattamente 
conmiisurato. 

I  materiali  in  esso  adoperati  sono  pietre  vive  noi  fondamenti: 
sopra  terra  tufo  noli'  interno  dei  piloni  mischiato  con  sasso  vivo,  e 
iicir  esteriore  i  tufi  medesimi  sono  pulitamente  riquadrali  e  costrut- 
ti con  diversi  rinforzi  di  triplicate  file  di  mattoni.  Affinchè  poi  riu- 
scisse comodo  il  risarcire  qualunque  parte  degli  archi,  che  soffris- 
se le  ingiurie  del  tempo,  d'ogni  opera  dell'  uomo  barbaro  distrug- 
gitore, si  sono  le  arcale  rendute  premeabili  con  archetti  minori  a 
traverso  dei  piloni  stessi,  in  guisa  che  per  entro  ognuno  di  essi 
agiatamente  si  cammina. 

Mentre  le  parti  più  dispendiose  e  difficili  dell'  acquidotlo  ri- 
mangono sotterra  sepolte,  questa  mole  magnifica,  che  sola  può  dir- 
si esposta  alla  luce,  conservare  almeno  doveva  alla  memoria  dei  Re 
successori,  e  dei  popoli  beneficali  il  nome  dei  grandi  IMonarchi  che 
ne  furono  gli  autori.  Alla  sinistra  dimque  verso  il  monto  Longano 
sotto  r  arco  maggioro  per  cui  passa  la  via  pubblica  ,  il  dottissimo 
Canonico  Alessio  Simmaco  Mazzocchi  vi  poso  la  seguente  iscrizione 


—  477  — 

Qua.  Magno,  lìeipublicae.  Bono 

Anno  CDIDCCXXXIV 

Carolus.  Infans.  Ilispaniarum 

In.  Expeditionem.  Neapoìilanam.  Profeclus 

Transduxeserat.   Fictorcm.  Exercilum 
Max.  Potitus.  lìegnis.   Ltriusqiie.  Siciliae 

llebusque.  Pubblicis.   Ordinatis 

Non.  Heic.  Fornices.  Trophaeis.  Onusios 

Siculi.  Decuisset.  Erexit 

Sed.  Per.   Quos.  Aqnam.  Juliam 

Celebratissimam 

Quam.   Quondam.  In.  Vsum.  Coloniae.  Capiiac 

Augustus.  Caesar.  Deduxerat 

Postea.  Bisjeclam.  Ac.  Dissipalam 

In.  Bomiis.  Augustae.  Oblectàmentum 

Suaeque.  Campaniae.  Commodum 

Molimine.  Ingenti.  Reduceret 

Anno  CDlDCaiX. 


Leggesi  alla  destra  verso  il  monte  Garzano 


Carolo.  Utriusque.  Siciliae.  Rege 

Pio.  Felice.  Augusto 

Et.  Amalia.  Regina 

Spei.  3Iaximae.  Principum.  Parente 

Aquae.  Julie.  Revocandae.  Opus 

Aniio  CDDCCLIll.  Ineoeptum 
Anno  CDIDCCLIX.  Comsummatum 


—  478  — 

A.  Fonie.  Ipso.  Per.  Millia.  Passvvm.   XXA'I 

Qua.  lìivo.  Subterraneo 

Interdum.  F.liam.  Cinniculis 

Per.  Transversas.  E.  Solido.  Saxo 

Jfupcs.  Actis 

Qua.  Amne.   Irajecfo 

Et.  Arcualione.  Multiplici 

Specubus.  In.  Longitudinem.   Tantam 

Suspensis 

Aqua.  Julia,  lllimis.  Et.  Saluberrima 

Ad.  Praeforium.  Caserlanum.  Perducta 

Principum.  Et.  Pupulorum.  Deliciis 

Servi  tur  a 

Sub.  cura.  Lud.  Vanvitelli 
ì\eg.  Prim.  Arcliit. 

Superala  qucsla  spaziosa  arcala  che  conduco  in  allo  1'  acqua 
dal  monto  di  Loniraiio  su  quello  di  Garzano,  s' incontrò  1'  acquidot- 
lo  noi  macigno  durissimo,  ond'  è  questo  secondo  composto.  Per  con- 
tinuar quindi  il  corso  delle  acque  era  moslicri  o  traforare  il  mon- 
te ed  immergerle  nelle  viscere  del  duro  sasso,  o  pure  incassarle  nel- 
J' alpestre  fianco  della  montagna.  Il  primo  progetto  sembrava  pres- 
so che  impossibile,  atteso  la  grande  altezza  e  durezza  della  pietra, 
di  cui  il  monlo  è  formalo;  e  richiedeva  il  secondo  molto  tempo  do- 
vendosi prolungar  1'  opera  per  lo  giro  di  oltre  le  miglia  sette.  Ma 
quanto  più  malagevoli  ed  ardue  sono  le  imprese  ,  tanto  più  inva- 
ghir sogliono  le  anime  grandi ,  e  generose.  Avvertilo  il  Ile;  Carlo 
della  difficoltà  di  forar  il  monte  Garzano,  comandò  subilo  1'  esecu- 
zione del  primo  progetto. 

Fece  allora  il  Vanvitelli  assalire  il  monte  dai  due  opposti  la- 
li,  tagliandolo  da  una  parlo  con  lo  scalpello,  e  con  le  mine  dall'a'- 
tra.  Dopo  tre  anni  d' incessante  fatica  di  giorno,  e  di  notte,  final- 
mente nel  di  23  marzo  del  171)9,  cosi  direttamente  s'incontrarono 
«■li  opposti  operai,  come  se  a  cielo  scoverlo  lavorato  avessero.  La 
lunghezza  di  questo  traforo  dall'  ingresso  dopo  gli  archi  sino  all'u- 
scita di  là  dal  monto,  è  di  palmi  6250.  Per  somministrare  agli  o- 
perai  1'  aria  conveniente,  nella  maggior  profondità  si  scavarono  dei 
pozzi  in  diverse  distanze,  perpendicolari  tutti  dalla  superficie    sca- 


—  479  — 
bra  ed  obbliqua  della  monlaiiiia  al  sollerraneo  forame.  1  due  più 
alli  giungevano  sino  a  300  jialnii;  e  siccome  si  trovavan  mollo  fra 
(li  loro  distanti,  né  fu  possibile  farvene  degli  altri  fra  mezzo,  ai- 
teso  r  innalzamento  della  capside  del  monte,  il  lavoro  in  quel  trat- 
to per  la  scarsezza  dell'  aria  si  rendette  più  che  altrove  malagevo- 
le. Questo  lungo  forame,  oscuro  e  tenebroso  come  squallida  caver- 
na, fu  rendulo  comodo  e  nello,  e  nel  secondo  giorno  del  seguente 
aprile  venne  magnificamente  illuminato  da  più  di  700  doppieri,  al- 
lorché con  somma  soddisfazione  si  degnarono  traversarlo  il  Re , 
la  Regina ,  e  la  Reale  famiglia  con  lungo  e  nobilissimo  accompa- 
gnamento di  Corte. 

Dopo  questo  passaggio  1'  acquidoso  incavato,  sempre  nel  duro 
.sasso,  costeggia  le  radici  del  monte  Calvo  ,  e  passa  sopra  i  casali 
di  Garzano,  Toro,  S.  Barbara,  e  Casolla  sino  al  territorio  della  Ra- 
dia di  S.  Pietro,  la  quale  in  altri  tempi  fu  il  tempio  di  Giove  Ti- 
fatino.  Dopo  di  essersi  arricchito  in  questi  contorni  di  altre  sorgen- 
ti, prosiegue  il  suo  lungo  e  tortuoso  cammino  intorno  alle  dure  pen- 
dici del  Tifata,  e  giunge  finalmente  alla  montagna  di  Briano,  che 
alta  torreggiar  si  vede  al  settentrione  del  Real  Palazzo.  Quindi  lo 
acque  passano  a  far  di  loro  vaga  mostra  nelle  numerose  cadute  e 
zampillanti  abbondantissime  fonti,  che  le  maestose  verzure  dei  Rea- 
li giardini  vagamente  adornano.  Alcime  diramazioni  di  queste  ac- 
que introducendosi  ancora  nel  Real  Palazzo  ,  maravigliosamente  si 
prestano  al  comodo  di  tutti  quelli  che  vi  abitano.  E  fu  si  grande 
r  avvedimento  dell'  architetto  nel  Irasporfarvele ,  che  dai  Reali  ap- 
partamenti sino  all'  ultima  officina  ,  non  evvi  abitazione  ,  che  non 
abbia  la  sua  fonte  particolare  donde  sgorga  abbondante  copia  di 
acqua  per  suo  uso  privato. 

L'intero  cammino  dell' acquidolto  dal  monte  Taburno  sino  a 
quello  di  Briano  è  di  palmi  156,230.  11  suo  corso  è  tutto  sotterra 
incavato  nelle  pendici  dei  monti,  e  per  lo  più  nel  duro  sasso.  So- 
pra terra  soltanto  si  vede  allorché  passa  sulle  arcate  della  Valle,  e 
per  li  due  ponti  di  Durazzano,  e  della  Faenza.  Traversa  mediante 
trafori  cinque  monti:  il  primo  nel  colle  chiamato  Prato  in  tufo, 
lungo  palmi  800;  il  secondo  nel  monte  desco  in  sasso  vivo,  lun- 
go palmi  7080;  il  terzo  nel  monte  della  Croce  in  creta  e  sasso  vi- 
vo, di  lunghezza  1500  palmi;  il  quarto  nell'alto  monte  Garzano 
in  sasso  vivo  6250  palmi  lungo;  il  quinto  nel  monte  sotto  Caserta 

Sasso  — Voi.  I.  61 


—   ì-SO  — 
vecchia  aJla  IJadia  di  S.  Pietro  in  sasso    vivo,  lungo  palmi   174.0- 
che  tulli  insieme  unili  formano  palmi  24.770. 

Il  volume  dell'  acqua  che  scorre  dcnlro  l' acquidoUo  è  di  palmi 
4.,7S  in  larghezza,  ed  in  altezza  palmi  3.  Affinchè  quest'acqua  lim- 
pidissima nulla  perdesse  della  natia  sua  purità  ,  con  la  più  esatta 
diligenza  tutto  l' interno  del  condotto  e  fabbricato  ed  intonacalo  con 
forte  glutinoso  composto  di  calcina,  lapillo,  e  pozzolana.  Meritava 
invero  tanta  cura  un  acqua  che  à  tutte  le  qualità  di  perfellissima. 
Priva  d'ogni  calore,  e  d'ogni  sapore,  limpida  e  trasparente,  non 
macchia  i  pannilini  né  lascia  feccia  dopo  aver  bollilo. 

Àtqui  aquam  dicemus  esse  sapore  optimum  quae  saporem 
habcat  nulhim,  et  colore  eommodissimam,  quae  omni  sit  colore 
pcniiiis  vacua,  et  libera.  Tarn  et  aquam  esse  opiimam  referunl, 
quale  limpida,  perlucida  et  termis  sit  ;  quae  in  candidum  lin- 
teum  infusa  non  commacularit  ;  quae  fervefacta  faecem  non  di- 
miserit  —  Leo  Baplista  Albertus  de  re.  Aedif.  L.  X.  C.  IV. 

La  difficile  e  laboriosa  costruzione  di  questo  sorprendente  ac- 
quidotto  fu  recala  al  suo  perfetto  compimento  nel  principio  dell'an- 
no 1759,  essendosi  impiegati  circa  anni  sei.  Questa  grande  opera, 
giusta  il  sentimento  dei  primi  artisti,  non  à  l' eguale  in  lutla  Eu- 
ropa ,  o  si  rìsguardi  la  sua  slrullura  ed  il  suo  conducimenlo  tulio 
diverso  dallantico;  o  la  sua  lunghezza  ;  o  il  suo  artificio,  e  i  som- 
mi ostacoli  che  àn  dovuto  superarsi  per  livellare  le  acque,  per  fo- 
llare tanti  monti,  e  per  appianar  le  valli  in  modo  così  forte  e  du- 
revole che  non  invidia  punto  le  più  sode  fabbriche  dell'antica  Ro- 
ma. Questo  acquidolto  adimque  costruito  con  si  fausti  auspici  avea 
bisogno  di  un  nome.  E  quafaltro  impor  se  gli  poteva  ,  che  quel- 
lo del  magnanimo  Sovrano,  che  dalle  viscere  oscure  dei  monti  tras- 
se tante  acque  per  farle  si  utilmente  servire  al  comodo  pubblico  , 
non  che  alla  maggior  vaghezza  di  quelle  Reali  delizie?  In  vero  così 
richiedeva  ragion  di  giustizia,  e  di  gratitudine.  Fu  quindi  chiama- 
to Acquidolto  Carolino,  perchè  nell'  età  più  remole  risuoni  sempre 
glorioso  il  nome  di  quel  gran  Re,  che  alla  Campana  provincia  donò 
si  bella  copia  di  incomparabile  acqua  ,  che  riesce  di  tanta  utilità 
ed  ornamento. 


—  iiSl  — 

Foro  Carolino. 

L'origine  por  la  costruzione  di  questo  ben  inteso  ed  elegante 
monumento  quale  io  l'ò  dato  nella  mia  tav.''  19/  e  non  come  in- 
felicemente oggi  rattrovasi  ,  fu  che  la  città  di  Napoli  veden- 
do elle  il  raagnamino  ed  Augusto  suo  Sovrano  Carlo  Borbone  ab- 
bandonar dovca  questi  Regni  per  seder  sul  Trono  di  Spagna,  si  ri- 
solvette, mossa  da  vivo  e  spontaneo  desiderio,  di  dare  un  pubblico 
se^no  di  quclPuniversalc  affezione  e  rispettosa  gratitudine,  ncll'ei-ge- 
re  una  gran  piazza  fuori  la  porta  Reale  per  situarvi  la  Statua  e- 
qucslre  del  non  mai  abbastanza  lodato  Carlo  3."  Borbone. 

Monumento  che  additar  dovea  alle  future  generazioni  la  rico- 
noscenza e  l'amore  di  lutto  un  popolo  verso  il  suo  glorioso  e  be- 
nefico Sovrano. 

Questa  piazza  che  prese  il  nome  di  Foro  Carolino,  dal  Sovra- 
no cui  dedicar  si  dovea  fu  architettala  dal  nostro  Luigi  ^  anvitelli. 

Come  la  vedi  nella  mia  tav.''  ig.""  da  me  Iradisegnata  dall' o- 
rigi-nale  acquarellato  dallo  stesso  Vanvitelli  che  io  conservo,  è  coor- 
dinala in  un  emiciclo  cinto  di  colonnato  peristilo  di  carattere  do- 
rico, alla  maniera  romana  privo  di  scanalature. 

È  composto  da  un  magnifico  arco  nel  mezzo  adorno  da  colon- 
ne dove  situar  doveasi  su  magnifico  piedistallo  l'equestre  statua  di  Car- 
lo. Ciascuna  parie  de'risultanti  quadranti  vien  scompartita  in  (lualtro 
arcate  l'un  dall'altra  divisa  da  un  intercolonnio  laterale^  e  riquadra- 
ture, ed  al  secondo  piano  in  .bell'accordo  s'innalzano  duo  tempietti 
facendo  ordine  col  corpo  di  mezzo  in  buono  assieme.  L'adornano  al 
di  sopra  24.  statue  rappresentanti  le  diverse  virtù  dell'animo  Reale 
di  Carlo.  Nel  davanti  vi  ponea  il  Vanvitelli  due  nobili  ed  eleganti 
fontane  che  si  ergevano  maestose  sul  diametro  dell'emiciclo  come 
osservar  lo  puoi  nella  ripetuta  mia  tav.'^  19." 

La  statua  equestre  del  Re  non  vi  fu  mai  posta  per  diverse 
fatali  circostanze:  ma  noi  (  ripeto  )  avremmo  non  solo  dovuto  ivi 
collocarla,  quanto  arrestarci  ai  suoi  piedi  che  la  pubblica  ricono- 
scenza elevava  nel  centro  quasi  della  Capitale.  Noi  avremmo  do\Ti- 
to  vedervi  espressi  i  beneficii  di  un  Re  ,  che  riscattò  questo  paese 
dalla  sua  lunga  schiavitù  e  dalla  miseria.  Noi  avremmo  dovuto  in 
questa  piazza  ogni  di  venerare  la  sua  santa  memoria.  Speriamo  , 
anzi  Siam  certi  di  vedere  ciò  al  più  presto  mettere  in  atto. 


—  482  — 

Chiesa  dellAuuuuziala. 

Non  credo  qui  superfluo  ripetere  quanto  io  dicea  per  questo 
magnifico  nionumeato  parlando  delle  opere  dell'  illustre  architetto 
Jlasuccio  2";  massime  per  avere  sott'  occhio  il  lettore  tutto  intero 
r  articolo  che  la  storia  e  la  descrizione  comprende  di  questo  ben 
inteso  e  ricco  Tempio  alla  SS.  Vergine  dall'Arcangelo  Gabriele  An- 
nunziata. 

Dissi  adunque  nella  descrizione  delle  opere  del  T  Masuccio  che 
questo  magnifico  monumento  ebbe  molto  deboli  principi,  imperoc- 
ché regnando  il  secondo  Angioino  ,  in  una  campale  giornata  tra 
noi  ed  i  Toscani  rimasero  colà  prigionieri  di  guerra  i  due  germa- 
ni Giacomo  e  Niccola  Sconditi  nobili  del  seggio  di  Capuana,  e  per 
sette  anni  gemeano  prigioni  nel  castello  di  Montecatino  in  Tosca- 
na,  né  speranza  vi  era  per  essi  di  ricuperare  un  giorno  la  libertà 
perduta,  e  riprovare  l'ineffabile  gioja  di  riveder  di  nuovo  le  patrie 
mura.  Nel  momento  del  più  affligente  dolore  col  cuor  devoto  pre- 
gavano la  SS.""  Vergine  gli  infelici  prigionieri  supplicandola  d'invo- 
carcela da  Dio.  Fecero  gli  addolorali  germani  Sconditi  un  volo  che 
se  liberi  nella  patria  ritornavano  edificare  in  onore  della  SS."  Ver- 
gine una  chiesa.  Jliracolosamente  nel  vegnente  giorno  ricevettero  la 
tanta  sospirata  grazia.  Giunti  liberi  e  lieti  in  Napoli  nell'anno  1304- 
in  un  luogo  datogli  da  Giacomo  Galeola  (  pure  nobile  dello  stesso 
seggio  di  Capuana  )  che  denominato  veniva  il  mal  passo  (essendo 
che  spesso  vi  si  commellevano  misfatti)  ,  edificavano  una  picciola 
chiesa  in  onore  della  SS.  Vergine  dall'Ajigiolo  Gabriele  Annunziata 
e  ciò  in  conformità  di  un  apparizione  avuta  nella  loro  prigionia. 
Questa  chiesetta  fu  da  essi  edificata  nel  luogo  medesimo  dove  oggi 
vedesi  eretta  la  chiesa  della  Maddalena  (  benanche  del  nostro  2" 
Masuccio  ). 

A'i  fondarono  pure  una  confraternità  detta  dei  Battenti  ripentiti 
nella  quale  primi  vi  si  ascrissero.  Indi  a  poco  vi  si  ascrissero  be- 
nanche quegli  della  famiglia  Reale  ,  e  molti  Baroni  del  Regno. 

Crebbe  a  tal  segno  questa  congregazione  che  in  breve  tempo 
vi  edificavano  un  comodo  ospedale  per  i  poveri  infermi.  Nell'an- 
no 1324  avendo  ricevuto  in  iscambio  dalla  Regina  Sancia  l'attuale 


—  i83  — 
suolo  di  maggiore  ampiezza ,  ed  il  danaro  bisognevole  per  edificar 
la  nuova  chiesa  ed  ospedale  ,  dettero  fervorosamente  principio  al- 
l'opera sopra  il  disegno  avutane  dall'architetto  ^lasuccio  2°,  La  Re- 
gina IMargherila  di  Durazzo  madre  di  Re  Ladislao  sondo  inferma  fé' 
voto  ,  che  se  ricuperava  la  salute  ,  d'applicare  la  rendita  della  cit- 
tà di  Lesina  a  qualche  chiesa  alla  SS.*  Vergine  dedicata.  Ricuperò 
la  salute  ed  adempì  al  voto  fatto  con  applicare  le  rendite  di  detta 
città  allospedale  eretto  sotto  la  protezione  della  Vergine  Annunzia- 
ta, e  ciò  nell'anno  14.11. 

Nell'anno  14-38  la  Regina  Giovanna  2.'^  vedendo  il  luogo  an- 
gusto al  numero  degli  infermi  che  vi  concorreva,  a  proprie  spese 
lo  riedificò  dalle  fondamenta  aumentando  positivamente  la  pianta, 
e  terminato  lo  dotò  di  molti  beni  stabili  consistenti  in  case  nella 
città  di  Napoli ,  ed  in  terre  nel  lenimento  di  Somma. 

Posteriormente  vi  concorsero  ad  arricchire  questo  Pio  luogo 
molti  cittadini  con  ampie  donazioni  di  feudi,  e  di  opulentissime  e- 
redità  di  modo  che  divenne  uno  degli  stabilimenti  piti  ricchi  non 
del  Reame  ma  delfltalia  tutta.  Nell'anno  1540  fu  la  chiesa  modi- 
ficata (  come  ò  esposto  )  con  disegno  del  Manlio. 

Nel  1634  fu  fatta  la  soffitta  dal  celebre  Lama,  e  vi  concorse- 
ro a  gara  a  dipingervi  l'Imparato,  il  Curia,  e'I  Santafede.  Nella  cu- 
pola e  nel  coro  vi  dipinse  il  Corenzio. 

Nella  chiesa  vi  erano  lavori  del  Massimo  —  del  Mollino  Lore- 
renese  —  del  Santafede  —  del  Lanfranco — del  Giordano  — del  Vac- 
caro  —  del  Lama  —  ed  un  quadro  di  Raffaello  d'Urbino. 

Le  statue  di  Stucco  sulle  lunette  erano  di  Niccolò  Vaccaro. 
L' altare  maggiore  era  ornato  con  preziosissimi  marmi ,  e  con  co- 
lonne le  di  cui  basi  e  capitelli  erano  di  bronzo  dorati,  come  simil- 
mente il  baldacchino  sostenuto  da  due  gran  putti  —  opera  del  Fan- 
saca  che  constò  Due.  70,000  —  La  custodia  fatta  dal  nostro  argen- 
tiere Antonio  Monte,  un  masso  d'argento,  valea  Due  27,000. 

Due  grandi  angioli  pure  di  argento  tenenti  ciascuno  un  torciere, 
opera  benanche  del  sullodato  ìMonte  costavano  Due.  10,000:  come  le 
porte  laterali  conducenti  al  coro  pure  dal  ìMontc  eseguite  in  argento 
valeano  Due.  8,000  —  Vi  erano  sculture  del  Santacroce,  di  P.  Ber- 
nini, del  Merliano, 

La  notte  del  di  24  Gcnnajo  17o7  segui  l'incendio  della  chiesa 
dell'Annunziata,  con  la  distruzione  delle  più  celebri  dipinture,  gua- 


sle  0  rovinale  lo  sculture  con  la  perdila  di  più  centinaja  di  miglia- 
ia di  ducali. 

Tci'ininato  Io  incendio  i  tfoveriialori  del  luogo  procurarono  su- 
bito dai-  principio  alla  nuova  fabbrica.  Quesla  riesci  in  forma  più 
magnifica  ed  augusla ,  e  così  riescir  dovca,  imperocché  fu  affidala 
Ja  commissiono  al  noslro  dislinlissimo  Luigi  VanvilcUi  —  il  quale 
si  la  fece  che  oggi  è  una  delle    più    belle  chiese  di  Napoli. 

Malgrado  che  il  Vanvilelli  avesse  dovuto  accomodarsi  al  luogo, 
l)ur  luUavia  spiegò  per  questo  monumento  un  gusto  squisito  in  lui- 
io  le  sue  parti. 

Il  gran  cornicione  che  gira  intorno  è  sostenuto  da  4-4-  belle  co- 
lonne corintie  di  marmo  di  Carrara.  I  quadri  dell'altare  maggiore 
e  della  crociera  sono  di  Francesco  di  Mura,  i  Profeti  dipinti  a  chia- 
roscuro ne'pinnacoli  sotto  la  cupola  sono  del  Fischelti.  Le  quattro 
virtù  di  stucco  sono  modellale  dal  Sammarlino.  Non  si  polca  far  di 
meglio  nel  secolo  della  decadenza  delle  belle  arti. 

Sotto  la  crociera  della  chiesa  rarchitetto  vi  à  disposto  un  bel 
soccorpo  o  sia  confessione  di  figura  ellenica  e  sostenuto  da  otto 
paja  di  colonne  doriche.  Non  debbe  l'artista  tralasciare  di  visitare 
la  Sagrestia  ed  il  Tesoro  scampati  dall'incendio.  Le  volte  di  ambe- 
due sono  dipinte  a  fresco  dal  Corenzio. 

Gli  armadi  della  Sagrestia  portano  scolpila  a  basso  rilievo  so- 
pra noce  la  vita  del  Redentore;  opera  è  questa  del  nostro  Mediano, 
di  cui  è  anche  opera  sua  il  basso  rilievo  della  deposizione  dallo 
croce  ,  il  quale  è  situato  nel  passaggio  dalla  chiesa  al  Tesoro. 

In  questo  merita  pure  d'essere  osservata  la  statua  di  marmo  di 
Alfonso  Sancio  ,  eseguila  da  Domenico  d'Auria. 

Nel  campanile  vedesi  la  più  grande  campana  della  città  nostra 
il  cui  peso  è  di  cantaja  68.  Nella  stanza  che  dicesi  V  udienza 
del  governo  la  Nunziata  dipinta  a  fresco  sulla  volta  è  del  Soliine- 
na.  La  fontana  in  mezzo  al  cortile  é  un  avanzo  dei  Reali  giardini 
della  Duchesca. 

Quesla  fabbrica  durò  molli  anni  ;  imperocché  cominciata  su- 
bito dopo  l'incendio,  non  prima  del  1774.  ne  fu  aperta  la  metà. 
{  Un  anno  dopo  la  morte  del  Vanvilelli  )  rimanendo  a  farsi  la  cu- 
pola col  presbiterio.  Nel  maggio  dell'anno  1781  fu  terminalo  il  re- 
sto di  lutto  punto  sotto  la  direzione  di  Carlo  Vanvilelli  figlio  di 
Luigi. 


—  'tSo  — 
Entralo  che  sei  adunque  in  questo  magnifieo  Tempio  lo  miri 
diviso  in  tre  ripartimenti  mediante  le  4.4.  colonne  di  su  accemiale. 
Nel  suo  ingresso  evvi  un  arco,  con  colonne,  sotto  al  quale  sta  situa- 
to il  coro  delle  monache.  Sotto  detto  arco  sonvi  due  cappelle.  In 
quella  a  destra  dedicata  alla  Concezione  vi  è  il  Battislerio  ,  essen- 
dovi in  questa  chiesa  anche  la  Parrocchia  ed  in  cornu  epislolae  di 
essa  l'iscrizione  che  da  ragguaglio  dell'incendio  e  della  riediflcazio- 
ne.  La  cappella  a  sinistra  dedicata  allo  sponsalizio  di  S.  Giuseppe  à 
uu  quadro  di  Giuseppe  Farina.  Da  questo  primo  compartimento  che 
Ixirma  un  atrio  t'introduci  nella  nave  divisa  in  tre  ripartimenti,  con 
quattro  pilastri  ciascuno  fiancheggiato  da  due  colonne,  e  tutte  so- 
stengono il  gran  cornicione.  Nei  tre  ripartimenti  a  man  sinistra  so- 
no situate  altrettante  cappelle,  la  prima  della  famiglia  Somma  Prin- 
cipi del  Colle  con  quadro  della  Vergine  col  suo  morto  Figliuolo  nel 
seno  ,  ed  altri  Santi.  La  seconda  della  famiglia  Cerdines  Conti  di 
Acerra  col  quadro  dell'Annunziata  di  Giacinto  Diana.  La  terza  del- 
la famiglia  della  Quadra  Carrafa  Principi  di  S.  Lorenzo  con  quadro 
della  nascita  del  Signore  di  Francesco  Norici. 

Nel  lato  destro  poi  vi  sono  due  solo  cappelle;  giacche  il  terzo 
ripartimento  a  rinipetto  la  cappella  dei  Principi  di  S.  Lorenzo  ovvi 
il  vano  per  dove  si  entra  sulla  destra  nella  sagrestia,  sulla  sinistra 
nella  cappella  de'Carafa  ,  e  di  fronte  nel  tesoro.  La  prima  di  que- 
ste due  cappelle  è  della  famiglia  i\lariconda  con  un  quadro  del  Cro- 
cifisso del  Fischetti  ,  la  seconda  con  quadro  del  Battesimo  di  N.  S. 
Nel  vano  del  3°  ripartimento  per  dove  si  entra  in  Sagrestia  vi  sono 
situati  due  hassi  rilievi  di  marmo,  quello  a  sinistra  indica  la  depo- 
sizione dalla  Croce  del  Santacroce;  l'altro  la  nascita  del  Signoro  del- 
lo stesso  autore  nei  quali  hasso  rilievi  non  può  desiderarsi  lavoro 
più  finito,  espressione  più  viva. 

Dopo  ammirerai  la  maestosa  crociera  formata  da  quattro  ar- 
chi. I  due  di  fronte  poggiano  su  quattro  colonne,  ed  i  laterali  su 
due;  ergendosi  su  di  essi  la  maestosa  cupola  forse  dopo  di  quella 
del  Tesoro  la  più  maestosa.  Negli  angoli  di  questa  vi  son  dipinti  a 
chiaroscuro  dal  Fischetti  i  quattro  Profeti  maggiori. 

Nell'intercolonnio  di  ciascuno  de'sudetti  archi  vi  è  situata  una 
statua  di  stucco  rappresentante  una  virtù.  Quelle  situale  di  fronte 
sono  modellate  dal  Sammartino  e  quelle  nei  laterali  da  Angelo 
Viva. 


-  -ÌSC,  — 

1  cappelloni  della  crociera  sono  anche  fìanghcggiali  da  due 
colonne  per  ciascuno.  In  quello  in  cornu  epistolae  vi  è  un  quadro 
con  la  strage  degli  innocenti,  in  ffucllo  opposto  vi  è  un  quadro  in- 
dicante il  martirio  di  S.  Barbara  ambi  di  Francesco  de  Mura. 

Finalmente  entrasi  nel  Presbiterio  chiuso  con  balaustre  di  mar- 
mo, standoci  altre  quattro  colonne  di  sostegno  alla  volta.  Il  quadro 
die  vi  si  vede  é  opera  distinta  del  sullodato  de  Mura.  In  questo 
Presbiterio  vi  sono  altre  due  cappelle.  In  quella  in  cornu  cpislo- 
lae  della  famiglia  Caracciolo  Principe  di  S.  Buono  vi  è  un  qua- 
dro con  la  B.  V.  col  suo  Figlio  morto  in  seno.  Nella  cappella  op- 
posta il  quadro  che  vi  è  di  S.  Antonio  Abate  è  indegno  di  stare  in 
questa  chiesa. 

Degno  di  osservarsi  è  il  prezioso  aliare  maggiore  ricco  di  sti- 
mabili pietre,  e  più  per  l'eccellente  lavorio.  In  mezzo  al  Presbiterio  vi 
è  il  sepolcro  della  Regina  Giovanna  2*  che  non  in  altro  consiste  che 
in  una  lapide  con  l'iscrizione  scolpitavi ,  ivi  posta  dai  governatori 
nell'anno  1610  ;  questa  scampò  dal  fuoco  ,  onde  i  governatori  ve 
la  fecero  riapporrc  con  l'aggiimta  di  altra  iscrizione  allusiva  al  ripo- 
nunento. 

Dopo  aver  esposta  la  vita  di  Luigi  Vanvitelli  con  l'indicazione 
delle  mulliplici  e  svariate  sue  opere.  Dopo  aver  come  meglio  ò  potuto 
descritte  le  delizie  di  Caserta,  i  famosi  ponti  della  Vallo,  l'intero  ac- 
quidolto  Carolino,  il  Foro  Carolino  ,  e  la  magnifica  chiesa  dell'An- 
nunziata: superfluo  sarebbe  il  più  dilungarmi  nelle  descrizioni  del- 
le altre  indicate  ,  meno  pel  palazzo  Angri  a  Toledo  il  quale  viep- 
più ci  appalesa  il  genio  dell'  architetto  ,  avendo  in  sì  angusto  spa- 
zio in  una  pianta  trapezoidale  cavatone  si  bel  partito  ,  dandoci  nel. 
r  androne,  e  nella  magnifica  scala  pruova  del  suo  elevato  ingegno. 
Questo  palazzo  è  stato  or  ora  ripulito  o  decorato  dall'attuale  sig. 
Principe  D.  Francesco  Doria  sotto  la  direzione  del  chiarissimo  ar- 
chitetto Antonio  Francesconi. 

Nella  mia  tavola  20.*  osservar  potrai  il  beli'  assieme  con  la 
veduta  prospettica  delle  due  strade  lateriiR  di  Toledo  e  di  Montc- 
liveto. 


VITA  DELL'ARCHITETTO 

CAV.  MARIO  GIOFFREDO 

CON  LA  DESCRIZIONE  DELLE  SUE  OPERE  ESEGUITE  IN  NAPOLI 

CONSISTE    NTI 

Ferriere  in  Stilo  nella  Valle  di  Canneto  in  Calabria. 

Chiesa  dello  Spirito  Santo. 

Aggiunzioni  nel  Monastero  della  Maddalena. 

idem         in  S.  Caterina  da  Siena. 
Palazzo  Casacalenda. 
Portone  del  Palazzo  Gravina. 
Strada  Nuova  Monteliveto. 
Via  de'  Pellegrini. 
Palazzo  Coscia,  oggi  Partanna  nel  largo  S.  M.  a  Cappella. 

1740  al  1784. 


Sasso  — Voi.  I,  62 


Il  IMilizia  nelle  sue  memorie  dogli  avchitelti  anliciii ,  e  moder- 
ni,  per  questo  dislinlissimo  Napolitano  artefice  scrive  queste  poche 
parole. 

a  Nacque  Mario  Gaetano  Gioffrcdo  in  Napoli  nell'  anno  1718.  Ap- 
prese dal  Solimena  il  disegno  ,  da  Martino  Buonocore  la  cattiva,  e 
da  Vitruvio  la  buona  arcliiteltura  ,  le  matematiche  dal  sig.  Nicco- 
lò di  Martino ,  ed  il  buon  gusto  dalle  migliori  opere  antiche  e  mo- 
derne. Dette  saggi  di  gran  talento  e  di  molta  abilità  nell'arte  sua, 
si  in  patria  che  fuori ,  e  sopra  tutto  in  Roma.  Fu  onorato  in  Ro- 
ma stessa  del  titolo  di  Cavaliere  ,  e  Conte  Palatino  ;  dall'  accade- 
mia Fisiocritica  di  Siena  del  nome  di  Socio;  dalla  corte  di  Napoli 
della  carica  di  Regio  Architetto ,  e  da  molti  personaggi  illustri  e  per 
dignità  e  per  merito,  dei  più  distinti  riguardi ,  e  degli  attestali  più 
singolari  di  amore  e  di  stima.  Mori  di  penosa  malattia  in  patria 
agli  8  marzo  del  17815  di  anni  67.    « 

Sebbene  avessi  io  il  bene  di  conoscere  molto  da  vicino  i  nepoti 
del  detto  nostro  distinto  Architetto  Jlario  Gioffrcdo  ,  ne'  due  miei 
associati  Mario  e  Giuseppe  Russo  Galeota  il  primo  avvocalo  Civile, 
e  '1  secondo  Criminale  ;  pur  tuttavia  non  armo  potuto  fornirmi  del- 
la vita  scritta  dal  loro  avo  istesso;  imperocché  pubblicava  il  Giof- 
frcdo i  cinque  ordini  di  architettura  ed  intesta  alla  prima  parte  die 
sola  usci  alla  luce ,  vi  scrisse  la  sua  vita. 

Nel  Dizionario  Bibliografico  di  seguito  all'  Enciclopedia  Popola- 
re trovo  registrato. 

Mario  Gioffrcdo  nacque  in  Napoli  nel  1718  ,  ad  onta  de' suoi 
genitori  che  ad  ogni  patto  voleano  spingerlo  nello  studio  della  giu- 
risprudenza ,  si  apprese  all'architettura,  mostrando  sin  dalla  pueri- 
zia maraviglioso  istinto  al  disegno  della  prospettiva.  Pessimo  era  a 
quel  tempo  il  gusto  dell'  arte  ;  ne  mollo  si  poteva  vantaggiare  del- 
le lezioni  del  suo  maestro  ciarlino  Buonocore  ,  ma  per  somma  ven- 
tura trovò  nella  biblioteca  di  esso  i  libri  dell'  architettura  di  Palla- 


—  490  — 
dio  ,  nei  quali  imparò  le  vero  redole  di  quel  bello  di  che  aveva  il 
geriiie  nella  sua  mente ,  studiò  le  nialemaliche  sollo  1'  abaie  Nic- 
colò de  Martino ,  e  nelle  ore  degli  ozi  la  geografia ,    la  storia  ,  e 
la  mitologìa  gli  ornarono  l'animo. 

In  Roma  ed  in  altre  città  d'Italia  cercò  i  pratici  esempi  di 
quelle  leggi  che  aveva  ai)preso  in  Palladio  ,  e  dovendo  riedificarsi 
in  Roma  la  chiesa  degli  Spagnuoli,  si  recò  innanzi  a  monsignore 
Errores  che  aveva  la  direzione  di  quel!'  opera  ,  il  quale  udito  co- 
me egli  era  Napolitano  corse  a  dire  —  /  musici  non  gli  architetti 
noi  scegliamo  da  Napoli. 

Alle  quali  scortesi  parole  non  fu  tardo  rispondere.  Io  nel  con- 
corso mostrerò  che  si  possono  ancora  scegliere  gli  Architetti.  Co- 
me di  fatti  eseguitosi  il  concoi-so,  la  preferenza  (pel  solo  merito)  fu 
data  air  artista  napolitano  Mario  Gioffrcdo. 

Nel  1768  pubblicò  per  le  stampe  la  prima  parte  di  un'  opera 
di  Architettura  :  ma  la  seconda  e  la  terza  rimasero  manoscritte  per 
cagione  delle  tavole  che  importavano  troppo  grande  spesa.  La  corte 
di  Napoli  lo  mandò  nella  Calabria  citra  per  sopraintcndcre  al  tra- 
sporto delle  ferriere  di  Stilo  nella  ÌMongiana  ,  e  ottimamente  si  e- 
spedi  di  quel  carico.  Scopertosi  alcune  miniere  di  ferro  nella  valle 
di  Canneto  ,  mostrò  col  fatto  ai  suoi  contraddittori  1'  utile  sommo 
che  poteva  Irarsene  fondandovi  le  ferriere.  Nel  1783  ebbe  il  titolo 
di  Architetto  di  Corte  con  magnifico  stipendio.  Meritò  che  il  Conte 
Lamberg,  ministro  di  Vienna  in  Napoli,  presentando  lui  a  Ferdinan- 
do Arciduca  d'  Austria  dicesse  Questi  è  il  Vitruvio  parlante.  Belle 
ed  insigni  fabbriche  fece  egli  in  Napoli  tra  le  quali  le  strade  nuo- 
ve di  Montoliveto  e  dei  Pellegrini.  I  palazzi  Casacalenda  e  Coscia. 
La  Chiesa  dello  Spirito  Santo  —  Riattò  il  Monastero  della  Maddale- 
na ,  e  quello  di  S.  Caterina  da  Siena  —  Fece  il  portone  al  Palazzo 
Gravina. 

Melanconici  furono  gli  ultimi  anni  del  viver  suo  ;  imperocché 
per  i  travagli  durati  per  le  Ferriere  in  Stilo  e  Canneto,  rimase  privo 
della  vista.  —  Mori  cieco  nell'anno  1785  lasciando  di  se  solo  un 
ntinie  illustre  ed  onorato  all'imica  sua  figliuola  Ernesta,  madre  de' 
suilodali  signori  Russo  Calcola. 


—  491  — 

DESCRIZIOxNE  DELLE  SUE  OPERE 
Cllìesa  dello  Spirilo  Sanlo 

Basta  solo  essere  questo  magnifico  Tempio  osservato  da  un  in- 
tendente architetto  per  definire  la  perizia ,  il  gusto ,  la  magnifi- 
cenza ,  r  euritmia ,  il  genio  ,  e  la  valentia  dell'  autore  ,  del  distin- 
to ,  e  sventurato  Arcliitetlo  Mario  Gioffredo — Fu  questo  in  ter  amen- 
to rifatto  dal  prelodato  Architetto  e  si  apri  in  gennaio  1774. 

Bisogna  conoscere  che  nell'anno  1555  mia  compagnia  di  di- 
voli ,  sotto  la  direzione  di  un  frate  Domenicano  fondarono  qui  una 
chiesa  con  un  conservatorio  per  rinchiudervi  vergini ,  le  quali  fos- 
sero in  pericolo  per  la  vita  sdregolata  delle  madri. 

Nel  1590  i  governatori  del  Conservatorio  ottennero  permesso  di 
aprire  banco  ,  il  quale  si  serviva  del  danaro  depositato  per  farne 
prestiti  sopra  pegni  con  1'  interesse  del  6  per  100,  laonde  divenne 
assai  ricco.  11  banco  fu  cogli  altri  riunito  in  un  solo ,  ed  ai  gior- 
ni nostri  nuovameute  riaperto. 

Essendo  adunque  il  banco  divenuto  molto  ricco ,  rifecero  inte- 
ramente la  chiesa  con  disegno  e  direzione  di  ]\Iario  Gioffredo  nel 
1774.  —  L'  architettura  ii'  è  soda:  una  serie  di  colonne  corintie  stac- 
cate dal  muro  reggono  un  sopraornato  semplice  ed  uniforme,  sen- 
za tagli  e  risalti  per  tutto  1'  ampio  contorno  del  tempio.  L'  altare 
maggiore  è  di  pregevoli  marmi.  11  quadro  di  questo  aliare  è  del 
Do  .Mura ,  e  quelli  della  crociera  sono  del  Celebrano  e  del  Fischet- 
ti ,  artisti  del  tempo  della  decadenza  tra  noi  della  pittura.  La  con- 
versione di  S.  Paolo  che  si  vede  in  una  cappella  ,  è  di  Gian-Batti- 
sta Loca.  Neir  atrio  che  dalla  corte  dell'  antico  banco  conduce  alla 
chiesa  ,  vi  sono  due  quadri  del  Santafede.  i\Ierita  osservarsi  la  sta- 
tua sul  sepolcro  di  Spinelli ,  opera  è  questa  del  Naccarino. 

La  facciata  è  di  stucco  ,  e  le  sproporzionate  colonne  di  marmo 
a  fianco  della  porla  di  un  male  interpelrato  intercolonnio  sono  si 
situate  dal  cioccla  archilelto  dell'  antica  chiesa. 

Quello  che  onora  immensamente  il  Gioffredo  è  la  cupola. 

Fu  il  Gioffredo  tra  gli  architetti  nominati  per  la  perizia  della 


—  492  — 
niacTiifica  cupola  della  Trinità  Maggiore  da  me  pubblicala  nella 
mia  tavola  13.  U  Gioffrcdo  fu  del  parere  del  Vanvitelli  —  riparare 
e  non  demolire.  11  Fuga  fu  per  la  demolizione.  Prevalse  il  parere 
di  quest'ultimo  appoggiato  da  mi  panico  timore,  e  la  cupola  fu 
miseramente  abbattuta. 

11  Gioffredo  volle  in  questa  dello  Spirito  Santo  imitare  quella 
e  vi  riuscì;  avendo  genio,  e  conoscenze  scientifiche  lui  solo  il  potette. 

Chiesa  (lolla  lladdaleiia. 

Nell'anno  1763  fu  il  Gioffredo  adoprato  a  modernarc  F  anti- 
chissima chiesa  della  Maddalena.  Riattando  il  Monastero  apri  una 
nuova  porteria  nell'ampia  strada  che  dall' Annunziata  conduce  a 
Porla  Capuana.  La  porla  è  assai  magnifica  con  colonne  di  mar- 
mo —  Come  del  pari  fece  il  portone  al  Palazzo  Gravina  :  ma  non 
si  stette  allo  stile  di  Gabriele  d'  Agnolo  :  di  modo  che  P  artista  a 
colpo  d'occhio  l'avvisa  l'intervallo  di  tre  secoli  tra  la  facciata,  e'I 
portone.  Fu  benanche  adoprato  dalle  monache  di  S.  Caterina  da 
Siena  a  fare  un  atrio  nel  loro  monastero  che  riesci  bellissimo,  come 
del  pari  rimodernò  la  chiesa  con  rifare  gli  archi  delle  cappelle  ri- 
vestendoli  di  finissimi  marmi. 


S.  Calcriiia  da  Sìoiia. 


Per  questo  monumento  si  dice  il  Galanti. 

Poco  più  oltre  di  S.  IMaria  apparente  si  vede  la  Chiesa  di  S. 
Caterina  da  Siena  con  un  monastero  di  monache  claustrali  cui  (.'ra 
slato  unito  il  monastero  soppresso  della  Solitaria  ,  che  ora  a  Piz- 
zofalcone.  Le  antiche  monache  di  S.  Caterina  sono  slate  unite  a 
(juelle  di  S.  Giovanni  nella  strada  di  Costantinopoli ,  e  sono  rima- 
ste le  altre  della  Solitaria ,  ma  mezzo  edifizio  è  divenuto  alloeijio 
militare.  Questo  luogo  era  l'ospedale  della  Vittoria  fondata  da  D. 
Giovanni  d'  Austria  ,  e  che  fu  poi  unito  a  quello  di  S.  Giacomo. 
Un  frate  Domenicano  ne  fece  l' acquisto  per  rinchiudervi  le  sue  pe- 
uitenli.  Il  tulio  era  stalo  riedificalo  con  disegno  di  Mario  Gioffredo. 


—  493 


Palazzo  Casacalcnda. 

Questo  magnifico  palagio  fu  rifallo  dalle  fondamenta  con  pro- 
getto e  direzione  dell'  Arcliilelto  Cav.  Mario  Gioffredo.  La  focciata 
è  di  ordine  jonico  con  pilastri  ed  intavolamento  eseguilo  con  pie- 
tra di  Sorrento  poggiante  detta  facciata  sur  uno  zoccolo  bugnato 
di  ordine  dorico  di  pipcrno  forte. 

Nel  formarsi  le  fondamenta  vi  si  trovarono  dalla  metà  della 
facciala  nell'  andar  verso  il  largo  S.  Angelo  a  Nido ,  le  antiche  e 
rinomate  mura  di  Napoli, di  opera  greca  per  essere  formate  da  qua- 
droni di  tufo  tutti  lavorali,  di  lunghezza  ognuno  palmi  sei  per  3 
di  larghezza  e  3  di  altezza  con  buona  disposizione,  e  senza  malta: 
erano  delle  mura  di  una  prodigiosa  spessezza.  Vi  sono  in  detta  fac- 
ciala due  portoni  con  colonne  di  marmo  bianco  ,  serbando  il  dorico 
dello  zoccolo.  Il  cortile  è  decoralo  con  simile  colonne  —  Tutte  le 
jx)rte  della  casa  sono  di  noce  con  impelliccialura  di  radice  di  ulivo, 
e  le  mostre  sono  di  svariati  marmi. 

Per  le  altre  opere  di  si  distinto  nostro  concittadino  mi  laccio, 
bastandomi  l' averle  solo  indicate  nello  sua  breve  biografia. 


Chiesa  del  Carmiuc. 

Seguendo  cronologicamente  la  mia  Storia  de'  Monumenti  è  que- 
sto il  silo  che  parlar  debbo  della  Chiesa  del  Carmine  imperocché 
fu  ridotta  nello  stalo  attualo  nell'  anno  1767. 

Questo  sontuoso  Tempio  non  era  che  una  cappella ,  magnifica- 
mente poscia  riedificala  dalla  Regina  Elisabetta,  infelicissima  madre 
di  Re  Corradino. 

Dietro  r  altare  maggiore  vedcsi  l' umile  sepolcro  di  lui  e  di  Fe- 
derigo d'  Austria.  Quando  nel  1767  fu  ristaurata  la  chiesa  furono 
disfalli  i  bei  freschi  del  Rodrigo  dello  il  Siciliano. 

La  chiesa  è  ricca  di  marmi  e  di  stucchi  ;  ma  non  bella. 

L'altare  maggiore  o  la  tribuna  sono  del  Cav.  Cosimo  Fansa- 
ca.  Vi  si  venera  un  famoso  Crocifisso,  pel  quale  il  popolo  Napolitano 
à  somma  divozione,  e  che  si  mostra  scoperto  il  solo  giorno  dopo  Na- 


—  io'i  — 

tale  ,  ed  allora  ,  olire  la  folla  immensa  del  popolo  ,  vi  si  porla  il 
corpo  municipale  a  venerarlo.  Il  cpiadro  del  tabernacolo  che  figura 
il  Padre  Elcrno  con  lo  Spirito  Santo  è  di  Luca  Giordano.  L'Assun- 
ta con  le  vicine  pitture  a  fresco  della  crociera  sono  tra  le  prime 
opere  del  Solimena.  11  quadro  nel  lato  opposto  è  del  De  ÌMatleis. 
Nelle  altre  cappelle  meritano  ossei'varsi  un  quadro  del  Santafede  , 
uno  di  Francesco  di  Mura  ^  e  l'Elia  e  l'Eliseo  del  Solimena.  In 
questa  chiesa  ò  sepolto  il  celebre  pittore  Falcone. 

L' allo  ma  non  archiletlonico  suo  campanile  è  opera  dell'  ar- 
chitetto Conforto  fino  al  terzo  ordine.  Gli  altri  due  vi  furono  diretti 
dal  bizzarro  padre  Nuvolo  ,  che  fece  la  chiesa  della  Sanità.  Nel  184.2 
venuto  in  Napoli  un  Principe  della  Confederazione  Germanica  di- 
scondente dalla  nobilissima  casa  di  Svevia  ,  domandò  ed  ottenne  per- 
messo di  collocare  una  statua  in  marmo  dell'  infelice  Re  Corradino 
in  detto  Tempio.  Questa  statua  la  vedi  situata  nella  gran  navata 
della  Chiesa  quasi  a  metà  sul  lato  sinistro  entrando. 

Incorporato  in  cerio  modo  col  convento  suddetto  è  il  Castello 
del  Carmine  ;  il  quale  dapprima  non  fu  che  una  torre  edificata  da 
Ferdinando  di  Aragona  nel  14.8Ì  nella  nuova  ampliazione  delle  mu- 
la. Il  Vice-Re  Toledo  alzò  un  forte  muro  da  questa  torre  alla  ma- 
rina ,  e  vi  edificò  la  porta  della  della  Conceria.  Tale  torre  fu  nel 
1647  la  prineipal  fortezza  della  plebe  ribelle.  Se  ne  conobbe  al- 
lora l'importanza,  e  nel  1648  fu  ridotta  a  castello.  La  chiesa  ed 
il  convento  rimasero  compresi  nelle  forlificazioni ,  ed  il  chiostro  di- 
venne piazza  d'  armi.  I  frati  furono  esentali  da  tale  servitù  acqui- 
stando le  case  a\  anli  la  chiesa  ,  che  poi  furono  spianate  per  farvi 
gli  esercizi  militari. 

Il  Re  Carlo  Borbone  dopo  avere  aperta  nel  174.S  una  strada  di 
comunicazione  dal  Molo  a  questo  luogo  ,  demolì  la  porla  della  Con- 
ceria ,  ed  in  sua  vece  vennero  eretti  quei  due  pilaslroni  che  tuttora 
esistono  sul  disegno  del  torinese  Bompiedi ,  che  dicesi  vado  del  Car- 
mine. 

Lo  slesso  Bompiedi  riforlificò  il  castello  dandogli  l' attuale 
forma. 


—  495 


Villa  Reale. 

E  questo  il  sito  più  delizioso  della  nostra  città  ,  conio  di  già 
accennava  nella  mia  prefazione  ,  qui  avverandosi  quel  verso  del  Pe- 
trarca. 

Fiori  fronde,  erbe,  ombre,  antri,  onde,  aure  soavi. 

Arrivato  che  sei  al  largo  della  Vittoria  ,  volgendo  a  dritta  ver- 
so occidente  si  entra  nella  Villa  Reale.  A  4.3000  palmi  di  lunghez- 
za verso  il  mare  ,  costeggiandola  dal  lato  opposto  un  ampia  e  va- 
ghissima strada  ,  denominata  Riviera  di  Chiaja.  Questa  denomina- 
zione forse  à  ,  dall'  antica  voce  latina  plaga  ,  conoscendosi  che  in 
questo  luogo  fosse  stata  un  di  la  plaga  olimpica ,  dove  gli  antichi 
JNapolclani  celebravano  li  giuochi  e  le  feste  a  Giove. 

Tutto  il  terreno  in  colai  sito  posto  tra  il  mare  e  la  collina  del 
vomero ,  ebbe  in  prima  ornamento  da  alberi ,  e  fontane  ,  e  ciò  in 
tempo  del  Vice-Re  Duca  di  Medina  nell'anno  1692.  Il  suUodato  Du- 
ca abbelliva  con  l' arte  una  spiaggia  anticamente  celebrata  per  na- 
turali bellezze  dalle  Divine  muso  di  Virgilio  e  del  Tasso. 

Fu  ridotto  questo  amenissimo  sito  in  forma  di  pubblico  giar- 
dino sotto  il  Regno  di  Ferdinando  1.°  Borbone  nell'anno  1782.  Fu 
rinchiuso  da  cancelli  di  ferro  verso  la  strada ,  vi  furono  erette  due 
casette  rettangolari  all'  ingresso  con  ampie  terrazze,  e  fu  distribuito 
il  terreno  in  cinque  viali  piantandovi  acacie ,  salici ,  ed  elei;  vi  fu- 
rono costruite  molte  fonti ,  e  vi  furon  poste  delle  statue  di  marmo. 

La  gran  vasca  clic  oggi  è  situata  alla  fontana  di  mezzo  è  di 
un  sol  pezzo  di  granilo  di  Egitto:  à  un  diametro  di  12  palmi,  venne 
qui  trasportata  dal  vestibolo  della  Cattedrale  di  Salerno,  avendo  que- 
sto preziossimo  monumento  in  tempi  remotissimi  adornato  il  Tem- 
pio di  Nettuno  a  Pesto.  Nel  centro  della  sua  superficie  intema  cvvi 
scolpita  una  testa  di  Medusa  di  egregio  lavoro,  della  quale  se  ne 
può  osservare  la  bellezza  nella  copia  che  esiste  nel  Real  Museo  Bor- 
bonico. 

Fu  questa  vasca  qui  collocata  in  surroga  del  magnifico  grup- 
po del  Toro  Farnese  onde  sottrarlo  alle  intemperie  per  le  quali  di 
già  fenduto  ebbe  debita  stanza  nel  Real  Museo  Borbonico. 

Sasso  — Voi.  I.  63 


—  496  — 

La  seconda  parie  di  questa  Villa  Reale  ^  in  forma  diversa  del 
primo  Iratlo  ,  ti  presenta  a^Tolgimenli  ed  ombre  di  un  ameno  bo- 
schetto, rifu  quest' aggiunta  eseguila  nell' anno  1807.  Nell'anno  1819 
Ti  vennero  innalzati  i  due  meschini  tempietti  il  primo  in  forma  cir- 
colare a  man  sinistra  dedicalo  al  sublime  cantor  epico  solo;  e  l'al- 
tro in  forma  rettangolare  a  man  dritta  al  Mantovano  Poeta. 

Il  mezzo  busto  del  Tasso  è  opera  di  Angelo  Solari,  e  quello  di 
Virgilio  di  Tito  Angelini. 

Il  terzo  tratto  vi  fu  aggiunto  nell'anno  133i.  Si  distende  per 
1500  palmi,  ed  è  guarnito  da  una  ringhiera  di  ferro  verso  la  strada: 
ma  non  ancora  difesa  da  muro  verso  la  spiaggia.  La  larghezza  com- 
pensata della  Villa  Reale  è  presso  a  200  palmi. 

E  essa  abbellita  da  molte  fontane ,  e  da  50  statue  in  marmo 
delle  quali  comechè  alcune  sieno  di  mediocre  lavoro  ,  sono  ricordi 
di  opere  di  scultura  Greca  e  Romana ,  ecco  ragione  a  cui  m'indu- 
co mentovare  il  soggetto  di  ciascuna  ,  incominciando  dall'  entrata 
principale  percorrendo  il  lato  destro,  e  ritornando  pel  manco. 

Sono  opere  di  Tommaso  Solari  genovese ,  e  del  Violano  Roma- 
no. La  prima  è  una  copia  del  famoso  Apollo  di  Belvedere,  indi  al- 
tra copia  del  Sileno  che  porta  sulle  braccia  Bacco  bambino,  statua 
la  quale  oggi  adorna  il  museo  Francese,  giudicata  dagli  intendenti 
paragouabile  al  Gladiatore ,  ed  al  Laocoontc.  La  terza  é  un  Fau- 
no con  un  capretto  al  collo.  La  quarta  im  gladiatore  moribondo  , 
tanto  celebrato  fra  gli  antichi  monumenti.  Indi  un  Ercole  che  sof- 
foca  Anteo  ,  bellissimo  gruppo  del  mentovato  Solari.  Dopo  evvi  al- 
tro gladiatore  combattente ,  uno  dei  tesori  (  l' originale  )  che  si  con- 
serva nel  museo  Francese.  Segue  un  picciolo  Bacco  che  stringe  con 
una  mano  cornucopia  di  frutta,  e  con  l'altra  grappoli  d'uva.  Fi- 
nalmente prima  di  giungere  alla  gran  vasca  evvi  una  copia  della 
Mora  capitolina.  Ai  quattro  angoli  nello  spiazzo  dove  ev\ì  oggi 
1'  accennala  gran  vasca  di  granito  egizio ,  vi  sono  le  quattro  stagio- 
ni in  quattro  mezze  figure  situate  sopra  quattro  piedistili  a  modo 
di  figure  terminali. 

Seguitando  il  cammino  nello  stesso  lato  osserverai  altra  copia 
della  Flora  detta  di  Belvedere.  Indi  un  gruppo  figurante  il  ratto  di 
Proserpina  ,  e  per  terzo  un  Ercole  in  lotta  col  Leone  nemeo.  In  sc- 
5>:uito  altro  gruppo  che  rappresenta  uno  dei  rapimenti  delle  Sabine, 
lilratto  dal  celebrato  originale  di  Giovanni   Bologna  ;    quindi  altra 


—  497  — 
copia  del  bellissimo  Fauno  che  suona  con  le  mani  i  cembali  ,  ed 
i  crotali  col  piede  ,  il  di  cui  originale  adorna  la  galleria  di  Firen- 
ze ,  e  cha  il  Maffei  voleva  opera  di  Praslitele.  Rimangono  da  que- 
sto Iato  un  Satiro  ligato  ad  un  tronco  ,  ed  un  Ercole  con  Teseo  in 
braccio.  Giunto  elio  sei  al  sito  dove  termina  il  primo  tratto  della 
Villa  ,  ai  due  Iati  della  via  che  immeltc  al  boschetto  sorgono  due 
copie  ,  una  dell'  Apollo  detto  Apollina  ,  ed  una  del  Faunetto  che 
suona  il  flauto  ,  i  di  cui  originali  si  conservano  fra  i  nioimmenti 
d'  arie  del  Louvre. 

Ritorna  verso  I'  entrata  incontrerai  dapprima  la  statua  di  Atreo 
imitazione  di  quella  antica  che  si  conserva  nel  nostro  iMuseo;  indi 
le  due  di  Castore  e  Polluce  ;  per  terza  quella  di  Lucio  Papirio  e 
della  madre  pietosamente  ed  avvedutamente  ingannala  dal  figlio, 
quando  volca  entrare  a  parte  dei  segreti  del  Senato  ;  e  finalmente 
un  Guerriero  in  piedi  con  clamide  gettata  sulla  spalla. 

Oltre  a  tutte  queste  statue  verso  il  termine  occidentale  osserverai 
a  man  sinistra  altro  fonte  ornato  di  un  gruppo  che  rappresenta  il  rat- 
to di  Europa  ,  e  quattro  busti  di  Baccanti  e  danzatori  vicino  al  me- 
desimo cancello  di  uscita:  opera  è  questa  di  scultore  napolitano  che 
ivi  vi  à  inciso  il  suo  nome. 

Sino  al  1782  questo  sito  era  affatto  diverso  ;  epoca  in  cui  fu 
abbattuta  la  antica  porta  di  Chiaja,  e  tre  secoli  or  sono  era  desso 
una  spiaggia  incolta  e  deserta  ,  e  tanto  che  sembrò  ai  barbareschi 
il  luogo  più  opportuno  per  sorprendere  la  città.  Nel  fatto  per  uno 
sbarco  di  alcune  fuste  turche  nei  tempi  Vicereali  vi  si  costruì  un 
picciolo  forte  nel  luogo  detto  ancor' oggi  la  Torretta,  e  che  il  Prin- 
cipe di  Torcila  ivi  fabbricando  il  suo  palagio  ,  par  istorica  memo- 
ria vi  volle  all'angolo  destro  della  facciata  costruita  una  torre.  Pa- 
lagio che  oggi  si  è  comperato  da  S.  A.  R.  il  Conte  di  Siracusa 
D.  Leopoldo  fratello  di  S.  M.  il  Re  (N.  S.). 


IIVDICE  DELIE  MATERIE 


CONTENUTE  NEL  PRIMO  VOLUME. 


Abolizione  della  Baronia  54 

Architettura  barbara  59 

Aspremo  (Santo)  rifatto  63.77 

Arco  di  Trionfo  d'Alfonso  1.66.162 
Arsenale  67.68 

Auria  (  d'  )  484.73.173 

75.76 

73 

76 

96 

110 

121 

121 


Agnolo  Franco 
Agnello  di  Fiore 


Accademia  Pontaniana 

Annunziata  (SS.) 

Arpino  (d')  Cav. 

Alfonso  2. 

Accademia  d'incoraggiamento 

Amministrazione  comunale  del 

la  Città  di  Napoli  121 

Albero  in  S.  Severino  che  conta 

1400  anni  121 

Altre  opere  del  Majano  132 

Amato  il  vecchio  173 

Archivio  Generale  del  Regno      174 
Archivio  notariale  174 

Altare  in  Monteliveto   sul  mo- 
dello del  Rosellino  187 
Andrea  da  Salerno                188.336 
Abbandona  Napoli  Guido 
Reni  per  minacce  di  morte  avu- 
ta dal  Corenzio,  e  dal  Ribera  238 
Antica  colonna  del  Tempio  di 

Nettuno  240 

Albano  257 

Acquidotto  Carolino  472 

Agnolo  (d')  Gabriele  159 


B 


Buono  42 

Basiliani  47 

Benedettini  47 

Barbara  (Santa)  66 

Buonaroti  Michelangelo  69.72.230 
Bernini  Pietro  70.214.226,228 
Barrionuovo  e  suo  barbarismo  99 
Bonito  100.257 

Basilica  e  Foro  augustale  104 

Bibhoteca  Brancacciana  106 

Berardino  Siciliano       110.214.215 

229.237 
Battistello  188 

Bonaglia  221 

Bottigliere  221 

Banco  delle  due  Sicilie  di  S.Gia- 
como, e  dello  Spirito  Santo     226 
Benasca  227.234.235.238 

Barocci  228 

Beltramo  229 

Borromini  235 

Biblioteca  privata  del  Re  257 

Bamboccio  Antonio  143 

Bartolomeo  (di)  Dionisio  226 

Bernini  Gian  Lorenzo  277 


Castel  dell'  Ovo  46 

Castrum  Lucullanum  46 

Celano  46 


500  — 


Cìirdone 

Ciriegie  da  Cerasunto 

Castel  Capuano 

Carlo  I.  d'Angió 

Castel  Nuovo 

Con^alvo  de  Cordova 

Cannavcllo 

Corenzio  Helisario     7 


46 
47 
50 
61 
61.63 
60 
72 
.73.110.111 


214.213.226.228 
239.237.173 

74 
73 


73.237 


122.172.207. 

Carlo  2.  d'Angiò 

Calabrese 

Caravaggio 

Cappella  del  miracoloso  crocifis 

so  in  S.  Domenico  7o 

Corso  Giovanni  73 

Carlo  3.  di  Uurazzo  96 

Confraternita  dc'ballenli  ripentiti  97 
Chiara  (Santa)  99 

Conca  Cav.  da  Gaeta  100 

ColonnadelTempio  di  Salomone  101 
Convento  e  chiesa  della  Madda- 
lena 101 
Campanile  di  S.  Chiara  101. 102.103 
Ciccione  Andrea           105.113.121 
Castel  S.  Ermo                     107.223 
Certosa  di  S.  Martino                  108 
Caracciolo                            110.111 
Corpo  della  Città  di  Napoli          121 
Commissione  di  beneficenza        122 
Cappella  del  Fontano                  123 
Cappella  Pappacoda                     148 
Chiesa  e  Monastero  di  S.  Seve- 
rino                                       172 
Coro  di  noce  intagliato  in  S.Se- 
verino                                   1 73 
Chiesetta  della  Stella                   176 
Chiesa  di  S.  Giorgio  de'  Geno- 
vesi                                        188 
Chiesa  ed  ospedale  di  S.Giacomo  191 
Cappella  S.  Severo                       196 
Celebrano  Francesco            197.199 
Confessioni  li  maravigliosi            197 
Corradino                             198.199 
Cupola  di  S.  Severino                  224 
Codice  in  pergamena  delle  Tra- 
gedie di  Seneca  con  miniatu- 
re del  Solario                          229 
Ciiiesa  della  Sanità                      229 


Chiesa  dc'SS.  Apostoli 

Cortona  (da)  Pietro 

Convento  de' SS.  Apostoli 

Chiesa  della  Trinità  delle  Mona- 
che 

Cappella  del  Tesoro 

Chiesa  di  S.  M.  degli  Angeli  a 
Pizzofalcone 

Chiesa  di  S.  Paolo 

Colonne  24  di  granito  degli  an- 
tichi Romani 

Cappella  Reale  in  Palazzo 

Cerimonia  per  l'apertura  dei  Studi 

Cenno  sulle  acque  in  Napoli  287. 

Chiesa  del  Purgatorio 

Chiesa  di  S.  Nicola  alla  carità 

Chiesa  di  Montccalvario 

Concezione  di  Jlontecalvario  3.36. 

Chiesa  di  Montevergine 

Chiesa  della  Nunziatella 

Cimitero  {ky  l'ospedale  degli  In- 
curabili 

Catalogo  delle  opere  di  Gian  Lo- 
renzo Bernini  282  a 

Catalogo  delle  opere  di  Luigi 


Vanvitelli 


438.439 


Cupolino  di  musaico  del  7. secolo 
Chiesa  dell'  Annunziata 
Chiesa  dello  Spirito  Santo 
Chiesa  di  Caterina  da  Siena 
Chiesa  del  Carmine 

D 


234 
235 
233 

233 
237 

238 
239 

240 

256 
263 
,290 
317 
318 
336 
337 
338 
349 

430 

286 

460 
73 
482 
491 
492 
493 


Delizie  Lucullane  47 

Duomo  62.70 

Domenico  (San)  Maggiore        63-74 
Darsena  68 

Domenichino      73.74.228.237.238 
Donzelli  Pietro  e  Polito  76 

Dodici  depositi  di  Principi  Ara- 
gonesi in  S.  Domenico  76 
Dei  Pò  Giacomo       221.226.76.233 
Descrizione  della  cupola   della 

Trinità  maggiore  206 

Descrizione  del  nuovo  altare  ivi  208 
209.210.211.212 
Descrizione  del  Rcal  Museo  Bor- 
bonico 264  a  274 


Ércolano 


Federigo  2. 
Ferrante  1. 
Ferdinando  II. 


E 


P 


67.109.252.254 


Fiiielli  Paolo    73.215.233.237 
Fansaca      73.74.109.110.173. 

237 
Farelli  74.214 

Fischietti 
Fontana  sul  molo 
Falcone  216.240 

Fuga  227.234.239 

Fiammingo 
Fontana  (Lavinia) 
Fontana  Domenico 
Fontana  Giulio  Cesare 
Fontana  della  scapigliata 
Idem  a  S.  Lucia 
Idem  della  Coccovaja 


Idem  della  Loggia 
Idem  Medina 
Idem  degli  Specchi 
Idem  Fonseca 
Idem  di  Montoliveto 
Fiorentino  Antonio 
Franco 

Foro  Carolino 
Franccsconi  Antonio 

G 


291.292 


—  501  — 


382 


48 
50 

.257 
371 

.317 

214. 

.307 

238 

74 

193 

317 

.421 
233 
257 
243 
263 
290 
290 
290 
291 

.313 
292 
292 
293 
221 
224 
481 
486 


Ghetti  Pietro 

215 

Guercino 

215.257 

Gregorio  (San)  Armeno 

225 

Gerolomini 

226 

Gessi 

228 

Guglia  di  S.  Gennaro 

238.314 

Guglia  di  S.  Domenico 

316 

Giorgio  (San)  Maggiore 

316 

Granili 

429 

Giardini  del  Real  Palazzo  d 

iCa- 

serta 

470 

Giovanni  (di) 

224 

Gavagni 

224.225 

Genovesi  Gaetano 

253 

47 


98 


Isola  del  Salvatore 

Incendio  della  Chiesa  dell'  An- 
nunziata 

Intendenza  della  Provincia  di 
Napoli  121 

Imparato  Girolamo       173.213.214 


Lucullo 
Lanfranco 


47 


73.75.76.100.109.207 
234 
Lazzari  Dionisio  77.227.229 

Lorenzo  (San)  104 

Lama  103 

Leone  Andrea  239 

M 


Grotta  di  Pozzuoli  46 

Giovanni  (San)  Maggiore         63.77 
Giovanni  'San)  in  fonte  73 

Grimaldi  (padre)  Teatino       73.233 
Giordano  Luca    73. 70. 111.214. 213 
226. 227. 228. 229.  234. 238. 317 
Giovanna  2.  98 

Gioiiredo  Mario  101.498 

Giovanni  (San)  a  Carbonara        103 
Giunta  edilizia  122 

Giuseppe  (San)  Maggiore  160 


Megara  46 

Mine  in  Napoli  48 

Masucciol.  39.57.61.74.78 

Maddalena  (Chiesa  della)  63 

Maria  (santa)  la  Nova  68.224 

Maria  (santa)   del  Principio,   e 

sua  immagine  in  musaico  fatta 

dal  Zauro  nel  7.  secolo  73 

Massimo  (Cav.j  Stanzioni  73.74.103 

109.110.  111.  238. 239. 253. 317 

207.215.237 


—  502 


Arcangelo  a  Mor- 


Mirocolo  di  S.  Gennaro 
Michele  (san) 

fisa  '  74 

Mediano  Giovanni       181.73.76.77 
100.104.121.140 
Marco  da  Siena  73.76.233.173.240 
Maestro  Slefanone  75 

Masaccio  2.  83.81.104 

Maria  (santa)  della  Pietà        96.103 
Miracolo  ricevuto  da  Giacomo  e 

Niccola  Sconditi  97 

Mura  (di)  Francesco      318.349.100 

257.  188 
Maestro  Simone  104 

Miracolo  dell'  Ecce  Homo  in  S. 

Lorenzo  103 

Michele  (San)  Arcangelo  106 

Marotta  110 

Matteis  (de)    110.207.221.226.228 
235. 233.318 
Monteoliveto  (Chiesa  e  Badia  di)  121 
Maria  (Santa)  delle  Grazie  agli 

Incurabili  140 

Morte  del  Corenzio  172 

Marulli  173 

Marino  Carburi  da  Cefalonia  258 
Museo  (Reale)  Borbonico  263  a  274 
Michele  (San)  Arcangelo  339 

Molo  di  Napoli  339 

Mondo  Domenico  350 

Majo  (di)  Paolo  330 

Maria  (santa)  Succurre  miseris    330 


0 


N 


Narino  46 

Navarro  Pietro  48.69 

Novello  da  S.  Lucano  74.133 

Nario  da  Siena  75 

Naccarino  173.2U. 226.329 

Notizie  degli  architetti     \ 
Francesco  Picchiatti         /, 
Gennaro  Sacco,  Arcangelo  [" 
Coglielmelli  ,   e  Dionisio] 
Lazzari 


,353,  354 


Ospedale  Militare  della  Trinità    237 


Prefazione  dell'autore  3 

Petrarca  46 

Pesche  47 

Peschiere  di  LucuUo  47 

Patrizia  (santa)  47.48 

Pietro  (san)  47.48 

Pisano  Niccolò  48 

Progetto  dell'  autore  per  i  Tri- 
bunali di  Napoli  53.36 
Pisano  Giovanni  61 
Prigionia  del  Principe  Carlo  62 
Palazzo  Colombrano  63.78 
Porta  di  bronzo  in  Castel  Nuovo    66 

162 
Palazzo  S.  Angelo 
Porta  di  S.  Angelo  a  Nido 
Palazzo  della  Riccia 
Palazzo  a  Poggio  Rccrie 
Porta  Capuana 
Porta  del  Duomo 
Palazzo  S.  Severino 
Palazzo  Gravina 
Perugino 
Piata  (della) 
Palazzo  della  Rocca 
Palazzo  Regina 
Panormita 


Palazzo  Corigliano 


78 
107 
122 
131 
131 
147 
134 
160 
173 
173 
174 
175 
173 
176 
177 
188 
198 
221 
228 
337 


Palazzo  Filomarino 

Palazzo  Sansevcro 

Persico 

Prima  cupola  in  Napoli 

Pòmaranci 

Parma  il  vecchio 

Poche  idee  e  ricerche  sulle  sper- 
dute acque  Sebezie  per  l'archi- 
tetto Camillo  Napoleone  Sasso  293 

a  304 

Poche  parole  di  prefazione  alle 
opere  immortalie  durature  do- 


vute alla  magnificenza  dell'Au- 
gusto Sovrano  Carlo  3.  Bor- 
bone 


335 


—  803 


Palazzo  Reale  di  Napoli  2ol 

Palazzo  Reale  di  Portici  367 

Palazzo  Reale  di  Capodimonte     369 
Pompei  387 

Palazzo  Caramanico  429 

Palazzo  Giordano  429 

Posizione  ed  origine  dell'antica 

e  nuova  Città  di  Caserta  461  a  463 
Ponti  di  Maddoloni  476 

486 


Palazzo  Angri 


Queirolo 


Q 


R 


198.199 


Roberto  46.99 

Restitula  ('santa)  72 
Ribera       73.110.111.213.226.237 

Reni  Guido  73.110.228.257 

Regina  Sancia  99 

RalTaelio  d'Urbino  228.257 

Reclusorio  425 


Statua  di  Oliviero  Carafa  del  Buo- 
naroti 

Salvatore  (chiesa  del) 

Stefani  (Pietro  dei) 

Stefani  (Tommaso  dei)  62. 

Scala  capricciosa  del  Pisano  che 
porla  al  Campanile  di  S.  Bar- 
bara ed  altra  alla  Torre  di  S. 
Vincenzo  inCastelnuovo 

Stefania 

Soccorpo  del  Duomo 

Solimene     73.76.110.213.214. 
234.235.237.239.240.257. 

Sammartino  74.100. 

Solario  75.122.173. 

Sabbati  ni 

Stanza  dove  studiava  S.  Tomma- 
so d'Aquino 

Sepolcro  o  Tempio  di  Partenope 

Sanfelice  100.105.235, 

Sopraintendenza  generale  di  Sa- 
lute 

Sanseverino  122 

S.vsso  —  Voi.  I. 


72 

48 

62 

106 


67 

72 

72 

227 

318 
227 
174 

75 

76 

77 

,343 

122 
.172 


Santacroce 

Santafede        173.214.226.228 

Salerno  (Andrea  di) 

Strada  Toledo 

Sculture  di  Sammartino  nella 
cappella  S.  Severo 

Strada  di  Porta  Nolana 

Strada  Ribera 

Sacro  Monte  della  Pietà       224 

Schidori 

Statue  equestri  di  Cario  HI.  e 
Ferdinando  I.  Borboni 

Studi  Regi 

Scoverta  e  descrizione  di  Erco- 
lano  e  Pompei 

Sepolcro  di  Consalvo  di  Cordova 

Idem  del  Navarro 

Idem  di  Carlo  I.  e  Clemenza 

Idem  di  Papa  Innocenzo  XSI. 

Idem  di  Re  Andrea 

Idem  di  Papa  Innocenzo   IV. 

Idem  di  Fabio  Galeota 

Idem  del  Cardinale  E.Caracciolo 

Idem  di  Enrico  3Iinulolo 

Idem  di  Sersale 

Idem  del  Can.  Mazzocchi 

Idem  del  Cav.  Marini 

Idem  di  Filippo,  e  Giovanni  IV. 
ed  Vili,  genito  di  CarìoII.di 
Angiò  in  S.  Domenico 

Idem  di  Gio\anna  1.  in  Castel 
S.  Angelo  96. 

Idem  di  Re  Roberto 

Idem  di  Cario  l'illustre 

Idem  di  Giovanna  I. 

Idem  di  tre  Principesse  della  fa- 
miglia Angioina 

Idem  del  Principe  Filippo  Bor- 
bone 

Idem  di  cinque  Principi  del  2. 
ramo  Angioino 

Idem  di  Gian  Ballista  la  Porta 

Idem  di  Enrico  Poderigo 

Idem  di  Ludovico  Aldimaresca 

Idem  del  Cardinale  Rinaldo  Bran- 
caccio 

Idem  di  Re  Ladislao      122.123 

Idem  di  SerGio>anni  Caracciolo 


140 
237 
173 
192 

200 
222 
222 
226 

257 

258 
263 

375 
69 
69 
71 
71 
71 
71 
71 
71 
72 
72 
73 
75 


76 

112 
100 
100 
100 

100 

100 

105 
105 
105 
105 

106 
124 
12i 
125 


Idom  (li  Vincenzo  Carafa 
Idem  dei  tre  fratelli Sanseverino 

in  Sanseverino    173.189.190.191 
idem  di  Giuseppe  Aurelio  di  Gen 

iiaro 
Idem  di  Francesco  Carafa 
Idem  di  Antonia  Gaudino 
Jdem  di  Pietro  di  Toledo 
Idem  di  Andrea  Bonifacio 


—  504  — 

173     Villani  Giovanni 
Vicaria 

Vespro  Siciliano 
Vaccaro  Lorenzo 
Volo  adempiuto 


Jdem  di  Raimondo  di  Sangro 
Idem  di  Vincenzo  di  Sangro 
Idem  del  Cardinale  Coscia 
Idem  del  Cardinale  Acquaviva 
Idem  di  Giovan  Uatlista  Vico 
Idem  del  Presidente  d'Ippolito 
Idem  del  Cav.  Marini 


173 
187 
188 
193 
194.173 
198 
198 
214 
226 
228 
235 
235 


Tribunali  antichi 

Tribunali  nuovi 

Toledo  (Pietro  di) 

Tiziano 

Tesauro  Filippo 

Tesoro 

Tremuoto  del  1456. 

Travaglini  Federigo 

Tempio  di  Adriano  ed  Antinoo 

Treno  di  Linea 

Trinità  Maggiore 

Tempio  di  S.  Paolo 

Teatro  Nuovo 

Teatri  in  Napoli 

Teatro  S.  Carlo 

Teatro  Fiorentini 

Teatro  del  Fondo 

Teatro  S.  Ferdinando 

Teatro  S.  Carlino 

Teatro  Fenice 

u 

Uffizio  di  Vaccinazione 
l'fBzio  del  Protomedicato 


Virgilio 


50  a  55- 

54.193 

50 

68.257 

72 

73 

74 

76 

77 

121 

205 

240 

338. 3G5 

358 

303 

305 

365 

366 

366 

366 


122 
122 


46 

50 

62 

74.110 


dalla 


Regina 


Margherita  di  Durazzo  97 

Vita  di  Buono  43 

ì)  di  Masuccio  I.  '59 

di  Masuccio  IL  83 

di  Andrea  Ciccione  Ilo 

di  Giulian  da  Majuno  129 

di  Giacomo  de'Santis  139 

di  Antonio  Bamboccio  145 

di  Novello  da  Sanlucano  153 

di  Gabriele  d"  Agnolo  159 
di  Gian  Francesco  Mormanno  107 


di  Giovanni  Merliano 
»  di  Raimondo  di  Sangro 


»  di  Giuseppe  Valeriani 
»  di  Fard.  Manlio 
di  Antonio  Fiorentino 


181 
195 
203 


di  Sigismondo  di  Giovanni 
di  Vincenzo  della  Monica 
di  Giov.  Battista  Gavagni/ 


»  di  Dionisio  di  Bartolomeot.  221  a 

30 


[' 


»  di  del  Franco,  e  di 

Ferrante  Maglione 
»  di  Padre  Nuvolo 
»  di  Padre  Scrina 
n  di  Giovanni    Benincasa 
»  di  Giovanni  Sim.  Moccia 
»   di  Francesco  Grimaldi 
»  (li  Domenico  Fontana 
»  (li  Giulio  Cesare  Fontana 
»  di  Gian  Lorenzo  Bernini 
»  di  Cosimo  Fonsaca 
0    di  Lorenzo  Vaccaro 
»  di  Dora.  Ant.  Vaccaro 
»  di  Fei'dinando  Sanfelice 
»  di  Antonio  Cannavari 
)'  di  Ferdinando  Fuga 
»  di  Luigi  Vanvitelli 
»  di  Mario  Gaetano  GiolTredo 
Vasari  sue  pitture 
Vita  di  S.  Benedetto  dipinta  dal 

Solario  174 

Vaccaro  Andrea  317.229,238 

359 
350 


233 
243 
263 
277 
307 
321  ' 
240.329 
343 
367 
421 
433 
489 
121 


Vergini 


46     Vecchione  Luca 


—  oOo  — 

VesuMo  375  2 

Villa  laci  a  Rosina  429 

Villa  Reale  493     Zunica  (D'  Giovanni  ì  48 


—  506 


ERRORI 


CORREZIONI 


Pag. 

Linea 

57 

12 

Palazzo  Colombrano 

Palazzo  Colombrano,  o  sia 

73 

25 

anlichissima 

anticliissiina 

96 

2 

di  Muro  nel  monte  Gargano 

di  Muro  0  nel  monte  Gargano 

108 

24 

once  d'oro  200 

once  d'oro  2000 

161 

9 

euritmia 

euritmia 

162 

19 

ivi  csiteule 

ivi  esistente 

168 

16 

la  qual  cosa  che  in  prosieguo 

la  qual  cosa  in  prosieguo 

175 

24 

a  costruire 

a  costruire 

176 

5 

E  questo 

È  questo 

286 

287 

186  187 

188 

11 

cido 

cidc 

290 

291 

190  191 

204 

20 

Solo  e  a 

Solo  è  a 

233 

-  11 

Benevento 

Benavante 

233 

12 

Vice  Re  do' nobili  deputati  e 

Vice-Re,  de' nobili  deputali,  e 

248 

16 

S.  Domenico 

Trinità  maggiore 

263 

31 

tavola  18 

tavola  lo 

264 

7 

tavola  18 

tavola  13 

264 

14 

tavola  18 

tavola  15 

263 

32 

l'Iride 

l'Iside 

273 

37 

Euro 

Ruvo 

279 

6 

1730 

1630. 

302 

4 

Caletti 

Carletti 

346 

27 

comodifà 

comodità 

3S8 

5 

dir  voglio 

dir  voglio 

381 

24 

Giaciuto 

Giacinto 

423 

17 

esposte 

bastarde 

.424 

14 

del  siillod.ito 

dal  sultodato 

424 

36 

celebre  da  Palermo 

celebre  di  Palermo 

129 

14 

nella  ridolta 

nella  ridelta 

434 

34 

ed  a  quella 

ed  a  quelli 

433 

28 

questi  edilizi 

Questi  edilizi 

PRP:ZZ0  DELL'  OPERA 


IN     CARTA     VELINA      P1N\ 


Itjgli  di  staiujUi  C'i  .\  crana  ò  il  foglio 
Por  cilimlraturu,  coveita,  e  ligatura     . 
i'  ;   :-'";  incisioni  a  grana  25  1'  una 
VA  quc'.i:(.>  sinottico,  e  frontespizio 
Ligaturr. dell' ailanic  .         .         . 


•5.12 
20 

.    ■  5.75 
25 

11.60 


SI   VENDE 
I.    i.isH  doli' Autore  Palazzo  Ravelli  sopra  Cariali  25  i.'  p:ai