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Full text of "Storia documentata di Carlo v in correlazione all'Italia"

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STORIA  DOCUMENTATA 


I  CARLO  ¥ 


IN   CORRELAZIONE  ALL'ITALIA 


DEI.  PROFESSORE 


GIUSEPPE  DE  LEVA. 


VOLUME  II. 


VENEZIA, 

tUL  PRBM.  8TABIL.  TIP.  DI  I>.  NABATOVICH. 
1864. 


aiil . 


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CAPITOLO  PRIMO. 

Timori  di  guerra  universale  per  U  elezione  di  Carlo  all'impero;  sollecitudine  del* 
l' Inghilterra  e  di  Venezia,  per  impedirla  ;  contrarli  disegni  di  papa  Leone  X.  — 
Consigli  inquieti  di  Francesco  I  e  tuo  accordo  segreto  col  papa,  non  ratificato  ; 
contemporanee  tratiatiTé  'di  quest*  ultimo  con  Carlo.  —  Tentativo  del  papa  con- 
tro il  duca  di  Ferrara;  sospetti  di  Veaezia  intorno  a  lai  e  al  re  di  Francia,  e. 
sue  uegoziazioni  con  Carlo.  —  Angustie  di  Carlo  ;  arti  adoperate  per  guadagnar 
tempo  è  per  assicurarsi  l'alleanza  inglese.  —  Tumulti  In  It-pagna;  partenza  éf 
Carlo  e  suo  abboccamento  col  re  Enrico  a  Deuvres.  —•  Successivi  abboccamenti 
di  Eurico  con  Francesco  nel  campo  dei  drappi  d'oro,  e  di  nuovo  con  Carlo  in 
(iravelins;  trattati  di  Calais.  —  Incoronazione  di  Carlo  in  Aquisgrana;  pregrèssi 
della  riforma  in  Germania;  <lisputazione  teologica  a  Lipsia 5  opera  di  Urico  de, 
liutteu  ed  ambigui  portamenti  di  Erasmo;  bolla  di  scomunica  contro  Lutero  e  sue 
conseguenze.  —  Continuazione  delle  pratiche  del  papa  colf  imperatore,  e  de'  suoi' 
infingimenti, col  re  di  Francia  e  con  Venezia;  occupazione  di  Perugia,  di  Fer-, 
mu  e  di  altre  città  dille  Marche  ;  nuovo  tentativo  contro  il  duca  di  Ferrara.  — 
Dieta  di  Worms;  ordinamenti  dell'imperatore;  trattato  segreto  di  alleanza  of- 
fensiva tra  lui  e  il  papa;  decreto  di  bando  contro  Lutero;  rinnovazione  della 
tregua  quinquennale  con  Venezia.  —  insurrezione  dei  comuni  di  Castiglia;  pro- 
vocazioni di  Francesco  I  alla  guerra  nella  Navarra,  nei  Paesi  Bassi  e  in  Italia. 


I.  Assunto  all'imperò  Carlo  V,  successe  un  anno  <\i  a-- 
spettazione  affannosa  per  la  minacciata  Europa.  Fra  lui  e 
Francesco  I  troppe  rimanevano  cause  di  controversia  in  ogni 
punto  dove  loccavansi  i  loro  territori*!,  perchè  la  rivalità  di 
preminenza,  rinfocata  dal  successodella  elezione^  non  avesse 
finalmente  a  divampare  in  asprissima  guerra.  Tuttavia  qui, 
in  Italia,  non  soprastando  molto  l'uno  all'altro  di  potenza,  la' 
difficoltà  dell'  ofcndersi  li  avrebbe  ritenuti  dalPassallarsi,  so 


papa  Leone,  anzicchè  concorrere  alla  impresa,  sollecito  fosse 
stato  unicamente  dell'autorità  sua  religiosa,  per  la  quale  co- 
loro che  ne  portano  la  voce  i'bellicosi  consigli,  quando  altro 
rimedio  non  bastasse,  dovrebbero  sin  col  proprio  sangue 
procurare  di  spegnere.  A  que'  tempi  i  principi  tanto  osser- 
vavano l'Italia  quanto  che  vi  aveva  sede  il  papa,  e,  sia  pure 
per  usarlo  secondo  il  loro  fine  di  occupare  il  più  che  pote- 
vano dall' un  capo  all'altro  della  penisola,  mostravano  al- 
meno che  per  riuscire  avevano  bisogno  del  suo  favore.  11 
perchè  la  neutralità,  pericolosa  jjipiccpli  stati,  sarebbe  stata 
per  lui  inespugnabile  fortezza,  non  meno  conforme  all'augu- 
sto officio  sacerdotale  che  efficace  ad  agevolare  la  indipen- 
denza della  nazione  colPimpedire  che  il  re  di  Francia  o  l'im- 
peratore vi  prevalesse.  Massime  eh'  ei  poteva  puntellarla 
nella  lega  difensiva  d' Inghilterra  e  di  Venezia.  Vedeva  En- 
rico Vili  a  malincuore  l'ingrandimento  di  Francia,  e  non 
con  altro  fine  che  di  contrariarlo  faceva  le  viste  di  accostarsi 
a  Carlo  (1  j.  Consigliava  pertanto  Leone  a  ristrignersi  con  lui 
é  con  Carlo  medesimo  (2),  e  nel  tempo  stesso,  giusta  le  con- 
venzioni rogate  a  Londra  nel  mese  di  ottobre  del  1518,  ra- 
tificava la  tregua  quinquennale  fra  i  principali  sovrani  d'Eu- 
ropa, proposta  dal  pontefice  coir  intendimento  di  muoverli 
alla  crociata  (3);  accettava  in  alleanza  i  Veneziani  sicco- 


(1)  Quel  re  non  a  bon  animo  contro  Franzo,  non  per  ho  che  li 
piace  veder  grande  Spagna,  diceva  giustamente  Leone  all'  amba- 
sciatore veneto  Marco  Minio.  Mariti  Sanvto  t.  XXVII  28  ag.  1519. 

(2)  Cui  licei  antea  semper  summe  faterei,  nunc  tanun  animo  et 
viribus  coniunctissimus  UH  esse  statuii,  idemque  Sa  lietissimo  Domi- 
no Nostro  faciendum  ;  utque  Oallorum  tractatibus,  qui  neejusti  nec 
salubres  esse  possimi,  in  primis  abstineat,  magnopire  consulti,  so- 
lùmqdo  Catholicae  Maieslati  et  Serenissimo  /tuie  Regi  adhaereat. 
Woisey  al  vescovo  Silvestro,  Gigli  oratore  inglese  a  Roma.  Arch. 
stor.  Hai  Append.  n.  8,  .p^g.  319. 

(:j)  Iioscóè.The  life  Of  Leon  X.  t  3,  app.  n.'XV, 


—  7  — 

me  partecipanti  a  quelle  convenzioni  (1),  e  dichiara  vasi  ri- 
solutamente contro  qualunque  le  avesse  trasgredite  (2).  Più; 
ancora  offriva  un  prestito  all'imperatore  per  il  suo  ritorno 
dalla  Spagna,  e  proponendogli  intima  amicizia  esortavalo  a 
far  ogni  passo  di  conserva  col  papa  e  a  mettersi  d' accordo 
col  re  Francesco  (3).  A  questi  raccomandava  altrettanto  (4), 
e  a  tal  uopo  l'abboccamento  di  già  stabilito  con  lui  cercava 
differire,  acciocché  potesse  attirarvi  anche  Carlo  (5)  e  quin- 
di, composte  le  loro  controversie,  mandare  ad  effetto  il  dise- 
gno di  alleanza  universale  espresso  nelle  sopraccennate  con* 
venzioni  di  Londra,  per  sicurare  la  pace  europea  sulla  base 
de'  presentane'!  possessi  e  mediante  l'arbitrato  supremo  delle, 
primarie  potenze  che  vi  prendevano  parie.  Questa  affermava 
essere  condizione  indispensabile  alla  impresa  della  crociata, 
in  nome  della  quale  levava  milizie  ed  imposte  anche  sovra  i 
beni  ecclesiastici,  sebbene  con  l'animo  di  giovarsene  innanzi 
tutto  a  sostegno  della  sua  intervenzione  (6). 

Né  manco  deli'  Inghilterra  adoperavasi  Venezia  nel  re- 
primere P  origine  dc?  consigli  inquieti,  dando  cuore  al  pon- 
tefice, ed  il  re  di  Francia,  che  la  eccitava  a  trar  partito  dalle 
angustie  di  Carlo  (7),  esortando  a  condursi  per  modo  che 


(1)  Lettere  patente  de  rntiflcatione  22  lugl.  1519.  Maria  Sanato 
t.  XXVIII  IO  ott.  La  patente  del  Doge  trovasi  appo  Rijmer  Foedera 
t  VI.  par.  I,  pag.  ITO. 

(2)  Maria  Sanuto  t.  XWII  di  Londra  15  lug.  IG  ag.159. 

(3)  Instructiou  des  kauers  Karl  fùr  I.  de  le  Sauch  und  seinen 
gesandten  bei  k.  Heinrich  Vili.  Barcelona  16  ag.  1519.  Monumenta^ 
Habsburgica  Zw.  Abtheil,  1. 1,  pag.  103-108. 

fi)  Marin  Santità  t.  XXVII  di  Franca,  15  ag. 

(5)  Ibidem  di  I ngal terra  IO  ag. 

(G)  Lettera  mandata  al  papa  col  cardinale  Campeggio  reduce  da 
Londra  nell'agosto  del  1519.  Marlene  amplis.  coli.  t.  3.  pag.  1298. 

(7)  Questo  e  il  tempo,  la  signoria  e  tutti  fazi  il  fato  suo  con  que* 
sto  re  di  Romani  per  esser  povero  eLijnpotente,  il- qua!  starateti 


—  8  — 

%ua  santità  non  precipiti  alle  toglie  altrui  (4).  Talché  se 
Leone  (osse  rimasto  contento  alla  difesa,  non  gli  sarebbero 
mancati  potentissimi  mezzi.  A  questo  scopo  trattò  invero  e 
con  Venezia  (S)  e  coir  Inghilterra  (3).  contrapponendo  bu- 
giarde scuse  alle  giuste  doglianze  del  re  Enrico  contro  i 
suoi  portamenti  nella  elezione  all'imperio  (4);  ma  nel  tempo 
stesso  trattò  anche  con  Francesco  e  con  Carlo  per  istrignere 
o  con  T  uno  o  con  Y  a!tro  alleanza  offensiva.  Fra  i  due  certo 
è  che  preferiva  Carlo,  perché  in  condizione  da  fargli  patti 
migliori  in  prò  non  solo  della  sua  famiglia  ma  eziandio  del- 
l'autorità  pontificale.  Questi,  ben  lungi  dal  rinunziar  Napoli 
a  Ferdinando  suo  fratello  (5),  ne  richiedeva  nuova  investi- 
tura, senza  la  quale,  non  ostante  la  promessa  dispensa,  po- 
tevasi  considerare  quel  regno  devoluto  alla  santa  sede  (6). 

con  tutti  per  adesso,  ma  puf  vegnira  di  allra  sorte.  Martn  Sanato  t. 
XXVII  di  Pranza  17  lug.  1519. 

(1)  Azo  la  possi  oprar  rum  la  sapientia  sua  de  indolzir  el  pont. 
et  scriver  a  quelli  soi  oratori  :  che  procedano  cura  dexterìta  et  mo- 
destia cnm  sua  beatitudine  per  aumentarla  conforme  el  commi  desi- 
derio, azo  la  non  declinasse  a  le  vogl  e  de  altri  che  non  cessano  de 
simularla.  Arcatilo  veneto  Afta  Constiti  X  t.  \LIII.  Oratori  in  Fran- 
cia 25  luglio  1519  ms. 

(2)  Bisogncria  il  re  dir.  strenzese  più  la  sua  liga  col  re  d' In- 
ghilterra. E  bisogna  il  re  chr.  fazi  pratiche  necessarie.  Mar.  Sanuto 
di  Roma  9  lug. 

(3)  Marlene  Collectio  ampli*,  t.  3  pag.  1300.  Vedi  la  risposta  di 
Wolsey  néll'-Arck.  *tor.  Mal.  append.  8,  p.  321. 

(4)  Ila  usato  infiniti  termini  palesi  et  secreti  per  divertir  li  Eie- 
dori  da  quella  inclinatione  die  si  vedea.havieno  verso  il  catholico. 
Arch.  *lor.  Hai.  append.  8,  pag.  323. 

(5)  Instruction  des  kaiser»  Karl  tur  J.  de  le  Sancii  und  seinen 
geaandten  in  England  an  k.  Heinrich  Vili  12  die.  1519.  Monumenta 
iiabsburglca.  Zweite  Abtheilung.  t.  1,  pag.  NO. 

(G|  Quod  regnum  ad  sedem  aposlolicam  devolutum  modo  cer- 
nitur,  postquam  re*  ipse  fmperium  requisivit  et  acceptavit.  Marle- 
ne amplia,  collect.  t.  3,  p.  1300 


—  9  — 

V?  era  dunque  occasione  di  mercatarla  il  più  che  fosse  pos- 
sibile, oltre  al  prezzo  anteriormente  offerto  per  Ippolito  de' 
Medici  di  uno  stato  nel  regno  medesimo  con  seimila  ducati 
di  rendita  e  titolo  di  conte  (l).  Per  alzarlo  maggiormente, 
alle  altre  contrarietà  di  Carlo  bisognava  aggiungere  la  mi- 
naccia di  una  lega  avversaria.-  Che  questo  fosse  il  fine  asse- 
gnatole da  Leone  e  ch'ei  ben  sapesse  adoperarvi  i  timori  dei 
Veneziani  e  degli  Svizzeri,  gli  spiriti  guerreschi  di  Francia, 
i  pacifici  consigli  dell'  Inghilterra,  le  perturbazioni  politiche 
della  Spagna  e  le  religiose  della  Germania,  addimostranlo  le 
negoziazioni  che  entriamo  a  narrare. 

II.  Al  par  di  Leone  anche  il  re  di  Francia  non  si  limi- 
tava a  cercar  riparo  alla  preponderanza  austriaca.  Rigettate 
pertanto  le  proposte  inglesi  siccome  superflue,  con  dichiara* 
zione  che  per  lui  non  mancherebbe  la  pace,  sempre  che  Car- 
lo, conforme  ai  patti  di  Noyon,  restituisse  Enrico  d'AIbret 
nella  Navarra  e  i  fuorusciti  angioini  nel  regno  di  Napoli  (2), 
significò  al  papa  ed  ai  Veneziani  doversi  stare  in  armi  ed  at- 
tirare nella  lega  gli  Svizzeri  (3);  farlo  egli  stesso  per  dar 
causa  di  spese  al  rivale  ed  essere  pronto  in  ogni  eventò  a  re- 
sistergli in  Italia,  a  rompere  guerra  in  Ispagna  e  ne'  Paesi 
Bassi,  a  suscitare  tumulti  in  Germania  (4).  Consigliò  inoltre 
o  di  mandargli  la  corona  in  Germania  o  almeno  di  esigere 
che  venisse  a  prenderla  inerme  (5).  e  perchè  appunto  allora 
adunava  Carlo  nelle  Baleari  dodicimila  soldati  a  piedi  ed  ol- 
ii) Carlo  re  di  Castiglfa  e  di  Aragona  a  Leone  X.  Saragozza  di- 
cembre 1518.  Archivio  di  Simancas  in  Ispagna.  Estado  n.  847.  ms. 

(2)  Mariti  Sanvto  I.  XXVII  di  Pranza  14  e  15  ag.  1519. 

(3)  Ibidem  di  Franza  17  e  29  lugl.  1519. 

fi)  Che  voi  tenirlo  in  spesa  et  in  caso  ei  volesse  venir  in  Italia, 
et  farli  guerra,  faria  romperli  in  Fiandra  e  in  Spagna  al  duca  di  Ge- 
ler,  e  lui  re  in  persona  venir  in  Italia. . .  far  motion  in  Germania  per 
il  duca  de  Lueenburg  (Luneburg)  non  per  far  guerra,  per  mia  fp. 
Ibidem  eli  Franza  IO  ag.  1519. 

\ò)  Ibidem  di  Franza  .9  luglio  1519. 


—  IO  — 

tocento  a  cavallo  sotto  nome  di  cominciar  bene  l'impero  con 
una  impresa  contro  gl'infedeli  in  Algeri  (i),  inanimi  il  papa 
alla  guerra,  mandandogli  S.  Marceau  ambasciatore  estraor- 
dinario per  discuterne  il  partito  <2).  Del  che  si  piacque  Leo- 
ne in  un  momento  che  gli  agenti  imperiali  andavano  scarseg- 
giando di  offerte;  e  il  principale  suo  desiderio  di  proscio- 
gliere Firenze  da  ogni  vincolo  coir  impero,  per  le  terre  che 
da  quello  teneva,  dichiaravano  non  poter  Cesare  contentare 
senza  il  consentimento  degli  elettori  (3);  onde  convenne  ben 
tosto  nei  preliminari  di  una  lega  che,  mentre  lo  poneva  in  ogni 
caso  al  sicuro,  nuovo  appoggio  gli  dava  a  negoziare  con  Car- 
lo ed  insieme  occasione  di  passare  qualunque  volta  volesse 
alle  offese.  Domandava  Francesco  non  fosse  data  dispensa  ed 
investitura  del  regno  di  Napoli^  né  fatta  congiunzione  con  al- 
cun principe,  senza  saputa  sua,  e  Leone  acconsenti,  a  patto 
che  egli  pagasse  trecento  lame  per  la  sicurtà  di  Roma,  e  pre- 
stasse ogni  aiuto  necessario  per  reprimere  e  punire  i  sudditi 
e  vassalli  delia  santa  sede.  E  perchè  su  quest'ultimo  artico- 
lo, che  risguardava  principalmente  il  duca  di  Ferrara,  mosse 
difficoltà  l'ambasciatore,  essendo  il  re  obbligato  dalla  con- 
venzione di  Londra  a  non  poter  operare  contro  i  principi  in 
essa  nominati,  ebbe  ordine  il  cardinale  Bibiena  di  proseguire 
direttamente  la  pratica,  replicando  che  avendo  i  francesi  un 
pontificato  a  saccomanno  doveriano  posporre  ogni  rispetto; 
altrimenti  sua  santità  penserebbe  meglio  asfalti  suoi^  e  non 
pertanto  mantenesse  colà  il  filo  appiccalo  con  quella  pru- 

(I)  Disse  ci  papa.,  chel  (Carlo)  mandava  In  sua  armata  in  Africha 
per  far  bon  principio  la  sua  prima  impresa  sia  rontra  infedelli  lizet 
alcuni  dicano  la  vera  in  Italia.  Ibidem  di  Roma  16  ag.  1519. 

0)  Ibidem  di  Roma  5  ag.  1819. 

<3)  VX  zercha  fdr  la  investitura  per  soa  cesarea  maestà  a  fiorenti- 
ni di  le  terre  i  tien  di  limperio  li  a  risposto  non  poi  farla  por  ade?-* 
so,  ma  si  riserva  zonto  eia  in  Germania,  et  està  a  parlamento  con  li 
electori.  Ibidem  di  Roma  16  e  18  sett.  1519,*  . 


—  il  — 

denza  e  dettevi! a  che  saprebbe  usare  in  una  cosa  di  tanta  im- 
portanza (4).  Ecco  ciò  che  voleva  Leone:  tirando  in  lungo 
le  trattative  con  Francesco,  adoperarle  a  fondamento  per  cre- 
scere il  prezzo  dell'  alleanza  con  Carlo  (2). 

Non  era  infatti  si  tosto  comparsa  una  flotta  francese 
sulle  coste  romane  (3),  eh1  ei  fece,  col  mezzo  di  Baldassare 
Castiglione,  confortare  l'imperatore  a  mostrarsi  liberale  colla 
santa  sede  (4j5  e,  ioni'  ebbe  ossequiosa  risposta  (5),  Piando- 
gli suo  nunzio  in  Ispagna  Rafaele  Medici  nel  tempo  stesso 
che  veniva  a  Roma  l'ambasciatore  francese  S.  Marceau.  Non 
guari  dopo,  probabilmente  in  novembre  del  4519,  fece  con- 


fi) Giulio  card,  de' Medici  al  card,  di  Ribiena.  Firenze  16  sett. 
15J9.  Ruscelli  Lettere  di  principi  t.  I,  pag.  58-00. 

(2)  Gì'  et  (papa)  dava  bone  parole  ali  oratori  yspanf  perchel  co- 
nosce li  mercliadanti  li  quali  tien  ballino  qualche  altra  letera  dil  ré 
cathotico  che  voi  far  quello  vora  soa  santità  tamen  non  lo  dicono. 
Marin  Sanufo  t.  XXVII  di  Roma  9  ag.  1519.  Scrive  I'  orator  veneto  : 
per  questo  el  papa  persuade,  et  par  voi  atender  ala  pace  per  far  il 
fato  suo.  Ibidem  di  Roma  11  sett.  1519. 

(3)  Va  in  spiaza  romana  per  intertenir  e  dar  favor  e  inanimar  el 
pontefice.  Ibidem  di  Milan  5  sett.  1519. 

(\)  Dicendogli  che  sua  santità  non  scrìveva  né  rispondeva  alle 
lettere  di  sua  maestà,  perchè  era  stata  sospesa  de  aut  praeripiendu, 
alitante  tempus  tribaendo  novum  titulum.  fialdassare  Castiglione 
al  card,  de' Medici.  Toledo  26  sett.  1519.  Ruscelli  Lettere  di  principi 
t.  l,pag.68. 

(5)  Mi  rispose  Sua  Maestà...  che  insino  a  quella  hora  non  si  era 
intitolato  re  de'  romani  per  alcun  buen  rispetto,  et  dissemi,  che  non 
desiderava  in  questo  mondo  alcuna  cosa  più  che  la  benivolenza  del 
papa  et  la  vera  unione  et  intelligenza  con  sua  beatitudine,  et  che  pei» 
meritarla  farà  sempre  quanto  sarà  in  lui,  et  non  pensava  ad  altro 
che  compiacerla  et. accomodarla  di  quelle  cose  che  fussero  neces- 
sarie per  conservatione  dello  stato  ecclesiastico,  della  liberU^di  Fio? 
renza  et  della  grandezza  dell'  illustrissima  casa  de'  Medici,  et  che  se 
alire  cose  sua  Salitila  desiderasse,  egli  non  sarebbe  per  negarle 
mai.  Ibidem  ptxg.&d.        ... 


—  12  — 

volizione  segreta  col.  re  Francesco,  per  cui  lasciato  era  in 
sua  balia  il  duca  di  Ferrara,  e  pattuita  la  conquista  del  re- 
gno di  Napoli,  con  condizione  che  Gaeta  e  latto  quello  si 
contiene  tra  il  Gariglianoed  i  confini  dello  stato  ecclesiastico 
passasse  alla  santa  sede;  si  restituissero  alla  repubblica  ve- 
neta Je  città  per  I?  addietro  possedute;  il  resto  fosse  del  se- 
condogenito del  re,  ma  sino  alla  sua  età  maggiore  governato 
da  un  legato  apostolico  (i).  Allora,  sicuro  dell'alleanza  fran- 
cese, richiese  Leone  da  Cesare  la  collazione  de'  vescovati  e 
di  tutti  i  benefizii  ecclesiastici  nei  regni  di  Napoli  e  di  Spa- 
gna, il  proscioglimento  di  Firenze  da  ogni  legame  coir  im- 
pero, la  cessione  di  Modena  e  Reggio,  settemila  scudi  di 
censo  per  Napoli  ed  uno  stato  con  seimila  scudi  di  rendita 
per  suo  nipote  Ippolito  (2).  Se  Carlo  accetta  questi  patti,  di- 
ceva allorator  vegeto,  lutto  andrà  bene  ed  attèndendo  alla 
pace  universale  starò  sempre  congiunto  colla  Francia  (3). 

JH.  Ben  si  appose  la  repubblica  veneta  non  aggiustan- 
dogli credenza  (4).  Lusingandola  con  la  speranza  di  riavere 
le  cittàper  il  passato  occupate  nel  Napoli  tano5  cercava  Leone 
non  essere  da  lei  impedito  nella  imprésa,  tentata  in  sul  finire 
dell'anno  1519  col  mezzo  di  Alessandro  Fregoso,  vescovo  di 
Ventimiglia,  abitante  allora  a  Bologna,  di  assaltare  improvvi- 
samente Ferrara  mentre  il  duca  Alfonso  giaceva  oppresso 
da  lunga  infermità.  Fallita  l' impresa  per  diligenza  di  Fede- 
rico marchese  di  Mantova,  ( il  quale,  ritirando  tutte  le  bai- 
li )  Grtmier  Hisloire  de  Fwmcc  t.  XXIII,  p.  285. 

(2)  Mariti  Sanato  t.  XXVIII  di  Roma  >0  die.  1519  dal  protouota^ 
rio  Lorenzo  da  Leze. 

(3)  Il  cardinale  de  Medici  disse:  e  ben  star  cussi  e  atendef  ala 
pace  universa]  et  concludendo  disse  domine  orator  il  papa  non  voi 
esser  quello  sij  primo  a  cominziar  guerra  et  ut  verbis  ejiis  utar  me* 
ter  il  sonar o  ala  gata.  Ibidem  di  Roma  17,  19,  20  die.  1519. 

(4)  Et  die  al  tutto  il  papa  voi  esser  con  Franza  tamen  lorator 
scrive  non  li  piace  questi  andari  dil  papa.  IbiJeniùì  Roima  1519. 


—  43  — 

che  eh'  erano  in  bocca  di  Secchia,  interrnppe  al  Fregoso  la 
facoltà  di  passare  il  Po),  non  gli  cadde  dall'animo  il  disegno. 
Laonde  stimolò  la  Signoria  e  il  re  di  Francia  a  starsene  ar- 
mati per  aver  motivo  di  far  egli  stesso  preparativi  militari 
a  Bologna  (i),  e  la  lega  con  essi,  per  lo  innanzi  trattata  a 
parole,  promise  ridurre  in  iscritto,  purché  foste  tenuta  sevre- 
tissima  (2).  Vi  aderì  Venezia,  avendola  il  re  di  Francia  com- 
piaciuta di  aggiungervi  la  clausola  contro  qualunque,  sia 
pur  risplendente  di  suprema  dignità  (3),  e  diede  commissio- 
f  ne  air  oratore  in  Roma  di  rogare  conforme  agli  articoli  di 
già  convenuti  con  Francesco  (4).  Questi  articoli  erano  stati 
approvati  dal  cardinale  Bibiena.  allora  legato  in  Francia,  e 
tuttavia  Leone  ne  intercalò  un  nuovo  che  implicitamente  fa- 
ceva obbligo  ai  collegati  di  aiutarlo  contro  il  dnca  di  Ferra- 
ra (5).  Indi  le  giuste  doglianze  della  repubblica  (6),  ed  il 

(1)  Ibidem  di  Roma  28  die.  1519. 

(2)  Circa  la  trina  liga,  la  qual  el  summo  ponlifìce  è  contento  far  : 
ma  azo  la  fusse  tenuta  secretissima  voria  che  dala  parte  nostra  la 
se  concludesse  cum  auctorità  del  conseio  nostro  di  X.  archivio  ve- 
neto. Ada  Consilii  X  t.  XLUI  oratori  in  Francia  7  febb.  1520  ms. 

(3)  Centra  quoscunque,  etiamsi  suprema  dignitale  fulgerent. 
Marin  Sanut*  t.  XXVIH  di  Francia  18  nov.  1519. 

(i)  Acta  Consilii  X  t.  XLUI  oratori  in  urbe  7  febb.  1520  ms. 

(5)  ^avendo  mandato  sua  Santità  dicti  capitoli  al  nostro  orator 
in  quelli  trovo  esser  adiuncto  uno  capitalo  che  non  e  in  quelli  a 
Xuj  mandati  dala  Chr.  M.  de  questo  tenor  :  che  niuna  de  la  parte  deli 
contrabenti  possa  tuor  in  sua  protettone  over  defensione  recever 
città,  terre,  over  castelli  a  V  altra  parte  mediate  vel  immediate  su- 
biftetine  etiam  subditi  rebelli  over  inobedienti  :  Imo  sia  tenuta  ad 
ogni  rechiesta  de  lalbra  parte  prestar  favor,  et  adiuto  per  la  castigji- 
tione  et  punittoite  de  li  dicti. ...  ne  pare  che  tacite  el  potila  signar 
el  duca  de  Ferrara  et  altri  Siati  Ada  Consilii  A  t.  XLIIA  oratori 
in  Francia  31  marzo  1520  ms.;  .,;ftn 

(6)  Li  capitali  de  #cta  liga  cum  reformalion  et  addinone  de  al- 
cune cose...  et  ve  dicerao  la.cpsa «s seme  sta  ine\pectata  per  noitps- 
ser  dito  capitulo  cpiUenulo  in  quegli  jQb^quesUprec^leiàM  njesi  fu* 


—  u  — 

permesso  da  lei  dato  al  duca  medesimo  di  venire  a  Venezia 
per  mutar  aria  (i).  La  lega  pertanto  non  fu  conchiusa,  e  ve- 
ramente come  la  designava  Venezia  non  poteva  tornar  a  gra- 
do né  del  papa  né  del  re  di  Francia,  ai  quali  importava  non 
legarsi  con  essa  per  modo  da  essere  impediti  a  far  congiun- 
zione con  Carlo,  ogni  volta  che  ne  cavassero  maggior  profit- 
to. Del  che  la  repubblica  aveva  continuo  sospetto,  occasio- 
nato da  parecchi  argomenti.  Di  già  coli'  orator  suo  erasi  a- 
perto  il  grancancelliere  Robertet  che  Carlo  o/feriva  metà  del- 
T  imperio  (2),  e  sapevasi  certo  essere  passato  in  Francia  un 
gentiluomo  spagnuolo  per  convenire  di  abboccare  col  re 
Francesco  il  signore  di  Chievres;  né  delle  segrete  loro  pra- 
tiche d' accordo  pareva  minore  indizio  la  partenza  di  Roma 
deir  ambasciatore  S.  Marceau  prima  che  si  venisse  allo  sta- 
bilimento della  lega,  non  restando  allora  presso  il  pontefi- 
ce altri  agenti  francesi  che  Alberto  Pio  conte  di  Carpi,  e  que- 
sti per  grave  infermità  inetto  a  negoziare.  II  perchè,  sfidu- 
ciata della  Francia,  accolse  la  proposta  di  Cesare  mandan- 
do Francesco  Pesaro  a  Verona  per  comporre  insieme  con 
quattro  cortimissarii  imperiali  e  coli'  intervento  di  Giovanni 
Pino,  ambasciatore  francese,  le  differenze  rimaste  indecise 
nella  convenzione  fatta  due  anni  avanti.  Proponeva  il  senato 
fossero  da  ogni  parte  restituite  le  terre  nella  ultima  guerra 
occupate,  in  guisa  che  ritornassero  tutte  le  cose  nel  loro  pri- 


rono  mandati  dal  Chr.  Re  prima  a  la  Santità  sua,  et  poi  a  la  Signorìa 
nostra  Armati  et  conclusi  cum  consulto  del  r.  s.  Maria  in  porlicu  al- 
lora meritìssimo  legato  in  Fraiiza  de  li  quali  capitali  Nui  expectava- 
mò  la  slgillatione.  Ibidem  oratori  in  urbe  2  apr.  1520,  ms. 

(1)  Questo  Conseio  ha  Inteso  per  la  relatione  hora  facta  el  desi- 
derio dell'ili,  signor  Duca  de  Ferrara  de  venir  in  questa  nostra  cita 
per  mutar  aere  :  et  la  requisicion  Iha  facto  de  bavere  uno  salvocon- 
daeto  secretamente.  Et  perchè  per  ogni  respecto  è  conveniente  sa- 
tisfarlo et  honorarlo.  Ibidem  \  1  apr.  1520  ms. 

ffymrin  Sanulo  t.  XXVH  di  Franta  29  ag.  1519. 


—  45  — 

stino  stato,  nel  qual  caso  prometteva  diecimila  ducati  al  si- 
gnore di  Chievres  in  segno  di  amore  e  gratitudine  (1),  ed 
una  conveniente  somma  di  danari  ni  deputati  imperiali  (2), 
segnatamente  ad  Andrea  del  Borgo  che  mostravasi  il  più  fa- 
vorevole (3).  In  tale  occasione,  governandosi  colla  consueta 
prudenza,  a  Francesco  Pesaro  diede  due  istruzioni,  ostensi- 
bile una,  segreta  l'altra  di  non  comunicare  air  ambasciatore 
francese  tutte  quelle  particolarità  delle  trattative  che  pote- 
vano condurre  ad  un  perfetto  accordo  con  Cesare  (4).  Ma  gli 
agenti  imperiali,  ritrovando  quando  P  una,  quando  l' altra 
difficoltà,  andarono  protraendo  il  negozio  senz'  alcuna  con- 


(l)Dandove  libertà  de  poter  prometter  al  dicto  Monsignor  de 
Chievres  in  segno  de  amor  et  gratitudine  ducali  diesemille  succe- 
dendo lucordo  de  le  differentie  cum  la  restilution  di  luochi  occupati 
ulrinque  al  tempo  de  la  guerra.  Ada  Contila  X  t.  XUIl  oratori  apud 
caesaream  M.  12  olt.  1519,  ms. 

(2)  Quando . . .  intendesti  che  li  dicti  deputali  havessero  com- 
mission  general  et  ampia  de  poter  componer  tute  le  diflerentie  an- 
tedicte  cum  reslitution  de  li  luochi  occupali..,  nostra  intention  sa- 
ria spender  conveniente  summa  de  denari  in  uno  over  più  de  Jor 
deputati  secondo  fusse  expediente  (non  passò  là  proposta  di  limitar 
quesla  somma  a  tremila  ducati).  Ibidem  Francisco  Pisauro  oratori 
Veronae  15  nov.  1519  ms. 

(3)  Li  afdrmarete  che  siamo  per  usarli  tale  segno  de  gratitudine 
che  l'hara  causa  de  restar  et  poterse  chiamar  ben  satisfatto  et  con- 
tento de  la  Signoria  nostra,  Ibidem  Francisco  de  cha  de  Pesaro  ora- 
tori Veronae  22  nov.  1519  ms. 

(4)  Che  quando  dali  Cesarei  ve  sera  sta  parlato  dela  materia  so- 
prascripta  vuj  debiate  subito  partielparla  cum  el  prefato  oralor  al 
Chr.  Re  etsimililer  la  risposta  li  harete  Tatto  iuxta  la  continentia  dele 
alligate.  Facendoli  vuj  perho  la  comrnunksation  solamente  de  la 
propostone  de  pace  et  intelligentia  tra  quella  Maestà  e  la  Signoria 
nostra:  et  tacendo  quelle  altre  particolarità  che  parerano  a  la  pru- 
denza vostra:  demonslrando  far  come  da  vuj  senza  alcuna  scientia 

:  nostra  sì  la  portkipation  de  la  proposta  come  dela  risposta  nostra. 
Ibidem  oratori  Veronae  7  gen.  L530;m». 


—  46  — 

clusione,  finché  furono  richiamati  dal  loro  consiglio  d' Inns- 
bruck.  Carlo  non  aveva  cercato  che  tener  a  bada  Venezia,  ri- 
mettendo al  suo  arrivo  in  Germania  la  decisione  delle  con- 
troversie concernenti  Y  impero,  quando  cioè  con  maggior  si- 
curezza potesse  contare  sulF  alleanza  inglese  e  sul  concorso 
dalla  nazione  tedesca  in  cambio  delle  concessioni  che  fareb- 
be agli  elettori  (i).  Per  la  stessa  ragione  non  volle  neanche 
convenire  col  duca  di  Ferrara  che  ne  chiedeva  la  protezio- 
ne^). Però,  ponendo  mente  al  sito  opportuno  ed  alla  for- 
tezza della  sua  città,  come  pure  ai  molti  danari  da  lui  accu- 
mulati ed  alle  bellissime  artiglierie,  di  cui  abbiamo  detta- 
gliate indicazioni  (3),  volle  assicurarsene  per  l'avvenire  V  a- 
micizia,  lusingandolo  coli'  aspettativa  di  una  investitura  im- 
periale che  comprendesse  il  Polesine  di  Rovigo. 

IV.  Carlo  non  era  allora  in  istato  di  far  guerra,  avendo- 
gli le  molte  spese  per  la  corona  imperiale  tolti  persino  i  mez- 
zi di  pagare  la  soldatesca  della  flotta  destinata  a  difendere  le 
due  Sicilie  ed  a  tenere  in  rispetto  il  papa  (4).  Che  più  utile 
per  al  presente  delle  offerte  di  Enrico  VTH  e  de'  suoi  propo- 
siti di  pace?  Pose  dunque  ogni  studio  a  levargli  dall'animo 
il  sospetto  di  qualsivoglia  abuso  di  sua  potenza,  si  dichiarò 
pronto  a  far  intima  alleanza  con  lui,  a  trovarsi  insieme,  a 


(1)  Nous  avons  renate  cesi  affaire  jusques  a  ce  que  aurons  am- 
pie inforrpation  de  nosdits  pays  <T  Allemaigne  ou  jusques  a  ce  que 
nous  puissions  touuer  en  iceulx.  InstruclUm  de*  kaiser*  Karl  flir 
Ji  de  le  Sauch  und  seinen  gesandten  an  k.  Heinrich  FUI.  Molili  del 
Bey.  12  die,  1519.  Monumenta habsburgica  Zw.  abth.  1. 1,  pag.  111. 

(2)  Maria  Sanuto  t.  XXVIH  di  Barcelona  11  die.  1519. 

(3)  113  pezzi  grofti.ed  oltre  a  100  di  più  piccoli  ;  tra  i  primi  33 
del  peso  di  100  libb>  t  sqi  dalle  100  alle  150,  uno  de'  quali  *e  chin- 
ina el  gran  diabolo  ozerei  teramoto.  Ibidem  14  mag.  1520. 

•  (4)  L'  amba*sciator  veneto  Corner  riferiva  non  aver  Carla  trova- 
to più  di  20,000  ducati  al  20  per  Oò  per  soldare  3000  uomini.  Ibidem 
t.  XXVII  di  Barcelona  31  ag.  1619. 


—  47  — 

seguire  i  consigli  nelle  negoziazioni  con  Leone  e  con  Fran- 
cesco, e  la  condiscendenza  portò  sino  a  simular  gratitudine 
dei  servigi  prestatigli  in  Germania  da  quel  Riccardo  Pace 
che,  come  vedemmo  altrove,  brigò  invece  per  Enrico  Vili 
l'imperio  (1).  Imporlavagli  sopralutto  la  sua  cooperazione 
a  guadagnare  gli  Svizzeri  (2),  i  quali,  dacché  seppero  ch'ei 
s*  era  obbligato  di  rivendicare  le  antiche  giurisdizioni  tede- 
sche, temendo  di  essere  assaltati  dai  lanzichenecchi,  volge- 
vansi  per  aiuto  alla  Francia  (3). 

In  tali  condizioni  l'abboccamento  dei  due  monarchi  do- 
veva riuscire  efficace,  almeno  come  pubblica  mostra  di  lor 
sentimenti  concordi.  Enrico  lo  propose,  con  l' intenzione  da 
principio  di  attirarvi  contemporaneamente  il  re  di  Francia, 
quasi  in  un  congresso  di  conciliazione;  ma  poiché  da  questo 
disegno  gli  fu  forza  desistere,  e  Carlo  d' altra  parte  cercò  in- 
darno di  rimuoverlo  dall'  abboccamento  con  Francesco,  già 
stipulato  negli  accordi  di  Londra  del  1518,  convennero  ani* 
bidue  che,  possibilmente  prima  dell'  arrivo  di  quest'.ultcimo, 
passando  Cesare  per  mare  di  Spagna  in  Fiandra,  verrebbe- 
ro a  colloquio  sulle  coste  d'Inghilterra,  e  poscia  a  più  lunga 
conferenza  a  Calais(4).  Or$U9  disse  Enrico  a  sua  moglie  Cate- 
rina d' Aragona,  presenti  gli  ambasciatori  cesarei,  qui  ver 


(1)  Instruction  des  kaisers  Karl  fùr  J.  de  le  Saùch  und  seinen 
gesandten  16  aug.  1619.  Monumenta  Habsburgica  Zw.  Abth.  tom.  1, 
pag.  103-108. 

(2)  C'est  l' universel  repos  de  toute  la  chreslienle  de  Ics  tenir 
lyez  a  la  borine  et  saiote  mtencion  de  nostrebel  onde  et  de  nous . . . 
e'  est  le  secret  de  tous  les  secrets  de  les  gaigner,  quoy  qu'  ilz  cou- 
stent.  Ibidem  p,  106,  107. 

(3)  Tenendo  con  la  ce.  m,a.  dicono  e  cosa  pericolosa  per  li  lanz- 
chinech,  poi  per  l'antiquo  odio...  dubitano  di  l' imperio.  Marin 
Sanulot.  XXVII  di  Franza  15  sett.  1519. 

(4)  Verlrag  swtechep  kai&er  Karl  und  kònig  Heinrich  YM.  Lon- 
don 11  apr.  1520.  Monum.  Habsb.  op.  cit.  pag.  146-156.      :  i    >•-.. 

2 


J 


—  18  — 

dremo  fra  breve  V  imperatore  vostro  nipote,  e  spero  avanti 
del  re  di  Francia;  altrimenti  mi  dispiacerebbe,  ma  non  po- 
trei con  onore  impedirlo,  e  non  ne  avrei  colpa.  Per  dargli 
maggior  tempo,  scrissi  al  re  di  Francia  che  differisca  la  sua 
venula;  ma  mi  guardai  bene  dal  palesargliene  la  cagione. 
Confido  perciò  di  aver  buona  risposta,  non  essendo  possibile 
cV  ei  sappia  ancora  in  che  termini  io  mi  trovi  coli'  impera* 
tore;  ss  lo  sapesse  non  vi  acconsentirebbe  per  fermo.  Con- 
vien  dunque  più  che  si  possa  tenerlo  segreto  (i).  Di  fatto 
nelle  trattative  corse  in  proposito  aveva  Carlo  insistito  che 
fossero  estesi  all'impero  ed  ai  domini»  ereditarli  in  Germa- 
nia gli  antecedenti  trattati  difensivi,  ed  Enrico  ne  lo  compia- 
cque (2),  rinnovando  oltracciò  per  altri  cinque  anni  le  due 
convenzioni  del  24  gennaio  4516,  di  cui  Puna  fermava  l'al- 
leanza e  l'altra  ne  assicurava  gl'interessi  mercantili  (vedi 
pag.  227  voi.  I  ),  coli'  aggiunta  che  quest'  ultima  avesse  a 
durare  ulteriormente  di  cinque  in  cinque  anni  sino  a  nuovi 
patti  (3). 

V.  Pressava  Carlo  a  partire  di  Spagna  non  meno  il  de- 
siderio di  prevenire  l' abboccamento  del  re  di  Francia  con 
Enrico,  che  la  necessità  di  recarsi  a  prendere  la  corona  di 
Germania  (4).  Ma  i  popoli  di  que'  regni,  per  l' odio  grande 
contro  all'  avarizia  de'  fiamminghi,  inasprito  dalla  promozio- 
ne sua  all'  impero,  onde  comprendevano  che  con  danno  di 
essi  sarebbe  necessitato  a  starsene  la  maggior  parte  del  tem- 

(1)  Die  kaiserlichen  gesandten  bei  k.  Heinrich  Vili  an  den  kai- 
ser. London  19  marz.  1520.  Ibidem  pag.  125. 

(2)  Inslruction  der  kaiserlichen  gesandten  in  England  fùr  J.  de 
le  Sauch  an  den  kaiser.  London  14  apr.  1520.  Ibidem  p.  163-171. 

(3)  Rymer  Foedera  t.  VI,  p.  1,  pag.  183. 

(4)  Lettera  dell'  arcivescovo  di  Magonza  e  dell'  elettor  Federico 
di  Sassonia  a  Carlo  quinto,  20  febb.  1520.  Archives  de  Belgique.  Do- 
cumenta relatife  à  la  reforme  religieuse  en  Allemagne,  premier  sup- 
plementt.  l,doc.  \. 


—  ifl  — 

pò  lontano,  levavano  già  in  aperta  ribellione.  A  gran  fatica 
avevanlo  riconosciuto  le  corti  di  Castiglia,  né  gli  presta- 
rono omaggio  se  non  allora  eh'  ei  pur  giurò  fede  alla  costi- 
tuzione. Maggiori  difficoltà  gli  opposero  le  corti  di  Aragona, 
accettandone  la  sovranità  a  condizioni  si  dure  che  taluno 
il  consigliò  di  acquistarla  piuttosto  con  la  forza  delle  ar- 
mi (4).  Que'  di  Valenza  ricusarongli  il  giuramento  di  fedeltà 
se  non  veniva  in  persona  a  riceverlo  (2).  Né  gli  bastò  il  t  em- 
po,  perocché  da  Molin  del  Rey,  (dove  accolse  l' ambasciata 
degli  elettori  tedeschi  e  s' era  ritirato  sotto  colore  di  sfuggi- 
re alla  peste  scoppiata  a  Barcellona  (3),  in  realtà  per  non  as- 
sistere più  oltre  alle  corti  aragonesi  che  volevano  ricondotta 
l' inquisizione  alle  forme  del  diritto  comune  (4)  ),  affrettassi 
a  ritornare  in  Castiglia  per  poi  passare  sulle  coste  della  Ga- 
lizia e  far  vela  alla  volta  dell'  Inghilterra.  Le  corti  di  quel 
regno  gli  avevano  accordato  un  sussidio  di  seicentomila  du- 
cati da  riscuotersi  in  tre  anni;  né  questi  erano  passati  alloi* 
che,  per  averne  un  secondo,  le  convocò  di  nuovo  nel  giorno 
4.°  aprile  del  4520,  e  non  più  in  una  città  della  Castiglia, 
conforme  alle  antiche  usanze,  ma  a  San  Giacomo  di  Galizia 
non  lungi  dal  porto  e  dal  momento  in  cui  doveva  imbarcar- 
si. L'atto  arbitrario  e  violento  fece  scoppiare  gli  sdegni.  An- 
cor prima  parecchi  gentiluomini,  strignendosi  attorno  aU 
T  ambasciatore  francese,  dicevangli  :  che  fa  il  padron  vostro? 


(1)  Fray  Prudencio  de  Sandoval  Historia  del  emperador  Carlos 
V.Madrid  1846 1.  l,pag.  38'i. 

(2)  Ibidem  yà%.  416. 

(3)  Where  he  had  taken  refuge  from  tire  pingue  broken  out  at 
Barcelona  Vandenesse  ltiherary  of  the  emperor  Charles  V.  Wil, 
Bradford  correspondence  of  the  emperor  Charles  V.  London  1850, 
p.  484. 

(4)  Perchè  quelli  di  Baraelona  per  compir  le  corte  voleano  dal 
re  certe  cosse,  maxime  il  capitolo  dila  inquisition,  e  il  re  non  voria,1 
Maria  Sanuto  t.  XXVIII  di  Spagna  l  ott.  1519. 


—  20  — 

poiché  tempo  è  cV  ti  si  muova  (i).  Al  mal  talento  di  quelli 
aggiungevansi  ornai  i  tumulti  cittadini.  Di  già  Toledo,  indi- 
gnata dell'anteriore  sussidio  ceduto  ad  appaltatori  per  una 
somma  maggiore  della  concessa,  aveva  proposto  alle  altre 
città  della  Gastiglia  di  congregarsi  fra  loro,  a  fine  di  recar  ri- 
medio ai  mali  del  regno  che  la  prossima  assenza  del  sovrano 
avrebbe  aggravati  (2);  e  tanto  era  cresciuta  l'agitazione  che 
a  gran  stento  e  solo  colla  forza  delle  armi  potè  Carlo  partire 
da  Valladolid,  aprirsi  un  varco  attraverso  il  popolo  tumultuan- 
te e  campare  la  vita  del  signore  di  Ghievres,  perseguitato 
ocn  gridi  di  morte.  Nonpertanto  ei  rimase  inflessibile,  ed  a- 
perte  in  persona  le  corti  di  San  Giacomo,  come  intese  P  op- 
posizione dei  deputati  di  Salamanca  e  di  Toledo,  quelli 
escluse  e  questi  sbandi,  in  lor  vece  designando  coloro  che 
voleva  eletti  ad  eseguire  i  suoi  voleri.  Ma  non  furono  nomi- 
nati, ed  anzi  prima  eh'  essere  lo  potessero,  la  mutila  assem- 
blea trasferita  a  Corogna  aveva  fatto  deliberazione  di  ac- 
cordargli duecento  milioni  di  maravedi,  alla  quale  però  non 
presero  parte  i  deputati  di  Salamanca,  di  Toro,  di  Madrid, 
di  Murcia,  di  Cordova,  di  Toledo,  ed  uno  dei  due  rappre- 
sentanti di  Leon  (3).  Il  perchè  i  cittadini  di  Toledo  furi- 
bondi corsero  alle  armi,  e  tolti  a  capi  lo  sbandito  deputato 
don  Pietro  Laso  de  la  Vega  e  don  Giovanni  de  Padilla,  figlio 
del  commendatore  di  Leon ,  animoso  giovane  e  di  senti- 
menti generosi,  impadronironsi  dei  ponti  fortificati  sul  Tago, 
e  del  castello,  donde  scacciarono  il  governatore,  dando  cosi 
il  segnale  della  insurrezione  che  ben  tosto  si  estese  presso- 
fi)  Dèpéclie  de  la  Roche-Beaucourt  d'avril  ou  mai  1519.  Mignet 
Rivalitè  de  Charles-Quint  et  de  Francois  I.  Reoue  des  deux  monde* 
t.  XIV  1858,  pag.  209. 

(2)  Sandeoal  op.  cit.  t.  2,  p.  1 1-12. 

(3)  Ibidem  pag.  37-69  e  Antonio  Ferver  del  Rio.  Historia  del 
lavami  e  nto  4e.las  comunidade»,  de  Castilla.  Madrid  1850,  cap.  2 
pag.  20-47.  s  i,:.-  ■•■'.■ 


—  21  — 

che  in  tutte  le  città  della  Castiglia.  Spegnerla  nel  suo  primo 
nascimento  sarebbe  stata  opera  men  difficile,  e  non  mancò 
chi  ne  diede  a  Carlo  il  consiglio;  ma  indugiando  ancora  la 
partenza  correva  rischio  di  non  trovar  più  in  Inghilterra  il 
re  Enrico.  Ciò  mi  sarebbe  altrettanto  grave  che  notevole, 
scriss'  egli  al  cardinale  Wolsey,  ben  sapendo  vostra  signoria 
reverendissima  guai  vantaggio  può  recare  a  me,  al  re  mio 
zio  e  a  tutta  la  repubblica  cristiana  /'  abboccamento  conve- 
nuto, e  perciò  la  prego  inslantemente  a  voler  procacciare  che 
il  re,  come  ne  lo  scongiuro  con  mie  lettere,  consenta  di  rilar- 
dare la  sua  andata  (i).  Adunque  si  tosto  ch'ebbe  favorevoli 
i  venti,  lasciato  governatore  in  Ispagna  Adriano  d' Utrecht, 
fece  vela  da  Corogna  il  di  20  maggio  del  4520,  e  seguito  dal 
signore  di  Chievres  approdò  a  Sandwich,  dove  il  cardinale 
Wolsey  s' era  condotto  a  riceverlo.  Enrico  Vili  gli  andò  in- 
contro sino  a  Douvres,  e  là  i  due  monarchi  passando  cinque 
giorni  in  grande  intimità,  benché  non  conchiudessero  ancor 
nulla  di  presente,  gittarono  i  fondamenti  di  lor  futura  al- 
leanza. 

Non  è  improbabile  la  voce  corsa  della  profonda  impres- 
sione che  sull'animo  di  Enrico  fece  il  giovane  imperatore  (2). 
Il  quale  educato  alla  scuola  del  suo  stesso  consiglio,  dov'eb- 
be a  principale  insegnamento  la  politica  e  in  luogo  di  libri 
gli  affari,  a  vent'anni  dava  già  alcun  segno  di  quelle  doti  per 
cui  divenne  il  più  disinvolto  e  fermo  uomo  di  stato  del  suo 
tempo.  L' ardore  medesimo  con  che  da  fanciullo  afferrava 
lo  schidione  per  ferire  alla  caccia  cinghiali  (3)  e  in  occasione 
del  matrimonio  di  sua  sorella,  V  infanta  Isabella,  col  re  Cri- 
stiano 11  di  Danimarca  ballava  sino  a  cader  malato  (4),  sa- 
li) Miguel  L  e.  p.  271. 

(2)  Pontus  Heuterus  Rer.  belg.  p.  356; 

(3)  Le  Glay.  Correspondanee  de  V  empereur  Maximilien  avec 
Marguerite  d' Autriche,  sa  lille.  Paris  1839  t.  I,  pag.  379. 

(4)  Ibidem  i.  2,  pag.  261,    »,...'  -.  ..» 


—  22  — 

peva  ora  portare  dalle  piccole  alle  grandi  cose,  ed,  occor- 
rendo, maestrevolmente  contenere.  Il  labbro  inferiore  spor- 
gente alquanto  aggiungevagli  espressione  di  fierezza  e  di  vo- 
lontà imperiosa  (i);  ma  sulla  larga  fronte,  costantemente 
serena,  e  nello  sguardo  penetrante  mal  potevi  sorprendere 
l'emozioni  dell'animo  (2)  :  calmo,  riflessivo,  considerato,  pre- 
paravasi  a  guardar  in  faccia  la  fortuna  senza  lasciarsi  ineb- 
riare de'  suoi  favori,  né  turbare  dalle  disgrazie,  dal  volto  e 
negli  atti  spirando  compostezza  precoce  ed  insolita  mae- 
stà (3). 

Ma  non  questa,  si  la  venalità  del  cardinale  Wolsey  gli 
valse  la  promessa  che  nell'abboccamento  con  Francesco  non 
avrebbe  il  re  Enrico  trattata  cosa  alcuna  in  suo  danno.  Se 
mai  pensaste,  aveva  già  scritto  l'ambasciatore  imperiale 
presso  la  corte  inglese  al  signore  di  Chievres,  ch'egli  voglia 
affaticarsi  per  noi  e  per  i  nostri  begli  occhi,  e  fare  il  sordo 
agli  altri  che  lo  sollecitano,  mal  fondata  per  fermo  sarebbe 
la  vostra  credenza.  Vero  è  che  quando  abbiamo  bisogno  di 
qualcuno  gli  diamo  buone  parole  e  speranze  di  meraviglie, 
ma  a  cosa  fatta  non  se  ne  parla  piii.  Dovreste  sapere  che  gli 
altri  non  fanno  così.  Dar  sì  dovrebbe  al  cardinale  o  una 
mensa  vacante,  purché  renda  dai  cinque  ai  seimila  ducati  ai- 


fi)  Juan  Antonio  de  Vera  y  biqueroa,  concie  de  la  Roca.  Epito- 
me de  ]a  vida  y  hechos  del  emperador  Carlos  quinto.  Bruxelles 
1656  p.  351. 

(2)  Cum  esset  in  cubiculo  cum  suis  familiaribus  et  domesticis, 
numquam  quisquam  res  laelas  vel  acerbas  ad  eum  esse  allatas  ex 
vultu  ejus  poluil  suspioari:  tanta  erat  oris,  oculorumque,  et  totius 
vultus  Caesarei  constantia,  et  quasi  perennis  quaedam  serenitas. 
Guillaume  Snouckaert  de  Scauvenburg  (Zeriocarus)  de  vita  Caroli 
Quinti.  Gand  1559,  pag.  269. 

(3)  Tanta  est  ejus  gravitas  et  animi  magnitudo  ut  habere  sub 
pedibus  universum  prae  se  ferre  videtur.  Petri  Martiri*  Anglerii 
Epistolae.  Amstelod.  1670,  lib.  XXXII  ep.  643. 


—  23  — 

/'  anno,  od  una  pensione  di  altrettanti  ;  ma  subito,  perchè  al- 
trimenti gli  parrebbe  esser  trattato  da  bestia,  presumendo 
che  per  una  promessa  eseguibile  da  qui  a  dieci  anni  deb  ba 
far  tulio  che  desideriamo.  Ciò  torna  lo  stesso  che  dire  :  date- 
mi  una  candela  quando  sarò  morto  (1).  Conforme  a  siffatti 
avvertimenti  il  consiglio  di  stato  fece  deliberazione  di  ti- 
rarlo per  la  bocca  con  una  zuppa  di  miele  (2),  e  poiché  il  re 
di  Francia  gli  aveva  già  significato  che  qualora  aspirasse 
alla  sede  pontificia  potrebbe  assicurargli  il  voto  di  quattor- 
dici cardinali  e  la  fazione  degli  Orsini  (3),  qnesta  zuppa,  ol- 
tre alla  seconda  pensione  di  settemila  ducati  (4),  non  poteva 
essere  altra  cosa  che  un'  eguale  speranza  e  di  più  facile  con- 
seguimento per  la  maggiore  autorità  di  Carlo  V  siccome  im- 
peratore e  re  di  Napoli. 

VI.  Il  giorno  stesso  in  cui  separavasi  da  Carlo,  fece  vela 
Enrico  alla  volta  di  Calais  per  trovarsi  insieme  col  re  di  Fran- 
cia. L' abboccamento  ebbe  luogo  in  una  pianura  aperta  fra 
Guisnes  e  Ardres,  ove  i  due  sovrani  e  le  molte  persone  di  lor 
seguito  gareggiarono  talmente  in  magnificenza  che  la  fu  deno- 
minata il  campo  dei  drappi  d9  oro.  In  mezzo  a  feste  d' ogni 
maniera,  segnalate  da  cerimonie  che  escludevano  l'intimità  e 
da  precauzioni  che  svelavano  il  reciproco  sospetto,  condusse 
Wolsey  le  trattative  (dal  i  al  25  giugno4520)  proponendo  in- 
nanzi tutto  un  colloquio  simultaneo  con*  Carlo  nell'interesse 

(1)  J.  de  le  Saucli  ari  Wilhelm  v.  Croy,  herrn  v.  Chievres.  Lon- 
don 7  apr.  1520.  Monum.  haòsòurg.  pag.  139-140. 

(2)  Lui  traynant  d' une  souppe  en  miei  parmy  le  bouche,  que 
n'est  le  bien  que  l'empereur  luy  veult  ;  car  jl  espere  bien  en  temps 
ad  venir  estre  en  lieu  ou  jl  lui  poura  taire  plus  grant  chose.  Cuta* 
chten  Uòer  die  Zusammenkunft  dea  kaiser*  mit  h:  Heinrich  Pili. 
Corogne  13  mai  1520.  Ibidem  pag.  177. 

(31  Sir  Thomas  Boleyn  au  card.  d'York  14  mars  1519.  Mignet 
Le.  pag.  266. 

(4)  Btjmer  Focdera  t.  XIII,  pag.  714. 


—  ai  — 

della  eoncordia  comune  (A).  Lo  ricusò  Francesco,  e,  fermò 
neJ  volere  che  il  rivale  adempisse  le  anteriori  obbligazio- 
ni (2),  non  soffri  si  agitasse  tampoco  l'altro  spediente  di 
pace  del  ritenere  egli  il  ducato  di  Borgogna  purché  a  quello 
fosse  dato  Milano  (3).  Per  l'opposto  Enrico  non  si  lasciò  ti- 
rare a'  suoi  disegni  di  guerra,  e  così  ambidue  limitaronsi  a 
confermare  l'antecedente  trattato  di  Londra  del  4518  ri- 
guardo al  matrimonio  del  delfino  colla  principessa  Maria, 
colPaggiunta  che  le  pendenti  differenze  sarebbero  per  arbitri 
composte  (4).  Tuttavia  nel  partirsi  rimasero  d'accordo  a  pa- 
role dover  Carlo  venire  senz'  armi  a  prendere  la  corona  a 
Roma  per  non  turbare  la  quiete  d' Italia  (5). 

Appena  lasciato  Francesco  (6),  andò  Enrico  a  Grave- 
lins,  dove,  giusta  le  precorse  intelligenze,  aspettavalo  T  im- 
peratore; quindi,  accompagnato  da  lui,  tornò  a  Galais,  e  là 
convennero  di  non  obbligarsi  per  due  anni  col  re  di  Francia 
circa  ai  patti  matrimoniali  oltre  a  quanto  avevano  sino  allo* 
ra  stipulalo,  e  di  mandare  appresso  deputati  nella  stessa 

(1)  II  Eboracense  si  faticha  de  pacifìehar  questa  in.1*  con  Franza, 
et  voria  si  facesse  un  colloquio  trino.  Mariti  Sanuto  t.  XXIX  di  Gan- 
tes  10  giugno  15*20. 

(2)  Repudiar  ogni  acordo  con  il  catholico  re.  Relazione  di  Ant. 
Giustiniani,  ritornato  oratore  di  Francia.  Ibidem  t  XXIX,  settem- 
bre 15m 

(3)  Tentano  di  far  che  il  ducato  di  l' Austria  videlicet  la  ducea 
di  Borgogna  resti  al  re  cristianissimo  e  il  ducato  di  Milan  sia  di  la 
catholica  e  cesarea  maestà.  Ibidem  dell'  oratore  Giovanni  Badoer  di 
Franza  16  e  17  giugno  1520. 

(4)  Dumo  ti  t  Corps  diplomatique  t.  IV  p.  1,  pag.  3J2. 

,  (5)  Glie  la  opinion  dil  re  di  Ànglia  e  confirmata  con  quella  dil  re 
cristianissimo  in  questo  abochamento  qual  e  che  venendo  l'impe- 
rador  in  Italia  per  andar  a  roma  vengi  pacifico  e  non  con  le  arme. 
Mariti  Sanuto  t.  XXIX  di  Franza  10-26  giug.  1520. 

(6)  Non  senza  lachrime  de  ambo  li  re  e  quasi  de  tutti  li  altri  per 
tenerezza  de  amor  preseno  lun  da  laltro  combiato,  Ibidem  di  Cales 
28  giug.  1520. 


—  25  — 

città  di  Calais  per  trattare  delle  rose  discorse  e  di  qualun- 
que altra  giovevole  all'  onore  ed  alla  sicurtà  loro  (d). 

Per  tal  guisa  si  tenne  Enrico  rigorosamente  dentro  ai 
limiti  del  suo  trattato  di  alleanza  universale,  mentre  il  papa, 
avversandone  l'effetto  contrario  all'agognata  supremazia  (2), 
li  aveva  già  trasgrediti  nelle  sue  convenzioni  con  Francesco 
e  con  Carlo.  Ron  era  dunque  possibile  si  mantenesse  lungo 
tempo  la  pace.  Ma  chi  era  primo  a  romperla  doveva  perdere 
l'appoggio  dell'  Inghilterra.  Carlo,  non  avendo  ancor  libere 
Je  forze,  se  ne  guardò  bene.  Non  così  Francesco;  tanto  più 
che  le  rivelazioni  di  Enrico  intorno  alla  seconda  conferenza 
coli'  imperatore  valsero  meglio  a  rinfocare  che  a  diminuire  i 
suoi  rancori.  Gli  fece  nolo  cioè  che  Carlo  aveva  richiesta  per 
sé  la  principessa  Maria  promessa  in  isposa  al  delfino;  ma 
indarno,  essendosi  egli  opposto  non  meno  a  questa  che  alle 
altre  sue  instanze  di  fare  insieme  la  conquista  del  Milanese 
e  fin  della  Francia  {3).  Forse  Enrico,  il  quale  prevedeva  già 
inevitabile  la  guerra  fra  i  due  rivali,  per  aver  ragione  plau- 
sibile di  star  dalla  parte  dell'imperatore,  denunziandone 


(1)  Vertrag  zwiscben  Karl  und  dem  kònig  Heinrich  Vili.  Caluis 
14  Jul.  1520.  Monum.  Habsburg.  cp.  cit.  pag.  179. 

(2)  Nostro  Signore  non  è  stato  senza  qualche  ombra,  che  in 
questo  ultimo  abboccamento  non  si  trattasse  qualche  nuova  amici- 
tia  fra  questo  re  (di  Francia)  et  Spagna,  senza  saputa,  o  volontà  di 
sua  Santità.  Lodovico  Canossa  al  card.  Bibiena.  Poisì  27  sett.  1520. 
Ruscelli  lettere  di  principi.  Venezia  1573, 1.  1,  pag.  10. 

(3)  Mi  dice  madama,  che  intende  da  Mommoransi,  il  quale  fu 
presente  al  nuovo  abboccamento,  come  Mons.  di  Cevres  et  il  gran 
cancelliere  del  re  de'  llomani  hanno  con  grandissime  proferte  et  in- 
stantie voluto  persuadere  al  re  d' Inghilterra  che  voglia  accordarsi 
col  nipote  a'  danni  di  Francia,  et  che  da  Sua  Maestà  fu  loro  rispo- 
sto.. .  non  volea  già  mancare  a  quanto  s' era  obligato.  ibidem  ed 
Henry'  s  instructious  to  sir  Rich.  Wyngfeld  and  sir  K.  Jernyngham. 
Alignei  1.  e.  pag.  277. 


—  26  — 

le  minaccevoli  proposte  a  Francesco,  volle  aggiunger  esca 
agli  sdegni  e  nuovo  stimolo  ad  affrettare  le  sue  imprese. 

VII.  Gettati  così  i  fondamenti  della  futura  alleanza  col- 
V  Inghilterra,  e  provveduto  alla  difesa  ed  al  governo  dei  Pae- 
si Bassi,  lasciandovi  reggente  con  più  estesi  poteri  di  prima 
sua  zia  Margherita  (i),  Carlo  V  se  ne  andò  ad  Aquisgrana, 
dove  ricevette  solennemente  la  corona  imperiale  (2)  il  di 
stesso  23  ottobre  4520  che  Solimano  II  il  grande  cingeva  a 
Costantinopoli  la  spada  di  Maometto. 

In  questo  mezzo  progredita  era  in  Germania  l'opera  di 
Martino  Lutero.  Al  tentativo  di  conciliazione  del  Miltitz  re- 
cò non  poco  nocumento  P  inopportuno  ed  indiscreto  zelo  di 
Giovanni  Eck,  il  quale,  dotto  uomo  ma  litigioso  per  natura 
e  cupido  di  nominanza,  mentre  chiamava  Andrea  Bodenstein 
(detto  Carlostadio  dal  luogo  nativo)  arcidiacono  della  catte- 
drale di  Vittemberg  a  teologica  disputazione  intorno  alla  dot- 
trina della  grazia  e  del  libero  arbitrio,  inserendo  nel  mani- 
festo di  essa  alcune  tesi  men  da  lui  che  da  Lutero  sostenute 
massime  sopra  la  origine  della  potestà  pontificale  (3),  vi  at- 
tirò anche  quest'ultimo*  con  la  impazienza  stessa,  dice  il 
Pallavicino,  colla  quale  i  soldati  volonterosi  chiedono  il  se- 
gno della  battaglia.  Della  qual  pubblica  disputazione,  durata 

(1)  Maestricht  19  oct.  1520.  Monum.  Habsb.  op.  cit.  p.  181-184. 
Credevasi  generalmente  ed  anche  in  Inghilterra  ch'egli  l'avrebbe 
affidato  al  signore  di  Chievres,  mandando  Margherita  in  Jspagna  in 
sostituzione  del  card.  Adriano  d'  Utrecht,  perchè,  diceva  Wolsey, 
leu  presences  d' elle  et  de  vous  (Chievres)  ansamele  au  pays  ne  pat- 
roni botine ment  estre  au  contentement  de  tona  devx,  qui  jol  oit  cau» 
ser  aulcuns  inconceniens  es  affaire»  du  roy.  J.  de  le  Sauch  an  Wil- 
helm v.  Croy,  herrn  v.  Chievres.  London  7  aprile  1520.  Ibidem  pag. 
135. 

(2)  Baldassarc  Castiglione  al  cardio,  di  Bibiena.  Cologna  2  nov. 
1520.  liuacelli  Lettere  di  principi  t.  1,  p.  70. 

(3)  De  frette  Luthers  Briefe  an  Sylvius  3  fehb.  an  Spalatin  7 
febb.  an  Lang  13  apr.  1519. 


—  87  — 

diciassette  giorni  a  Lipsia,  dal  27  giugno  al  43  luglio  ÌÌH9, 
l'effetto  non  fu  né  poteva  essere  che  pernicioso.  Imperocché 
sebbene  vi  soccombesse  Carlostadio,  e  Lutero  si  trovasse 
più  d' una  volta  ridotto  in  angustie,  pure,  essendo  caduto 
anche  P  Eck  in  parecchi  errori,  rimase  incerto  taluno  sopra 
quegli  articoli  i  quali  prima  indubbiamente  credeva,  e  mag- 
giormente impegnato  il  novatore  nella  contumacia  per  non 
parere  convinto  dall'  avversario  (i).  Onde  allorché  questi  il 
piccò  come  consenziente  a  Giovanni  Huss,  mostrandogli 
che  una  delle  sue  proposizioni  sulP  origine  della  primazia 
romana  era  stata  condannata  dal  concilio  di  Gostanza,  non 
gli  sovvenne  altra  via  dì  scampo  che  il  negar  fede  alla  infal- 
libilità de'  concilii  (2). 

Ruppe  allora  ogni  freno.  Non  che  rispettare  la  condan- 
na della  università  di  Parigi,  una  di  quelle  al  cui  giudizio  si 
erano  rimesse  le  parti,  negò  il  dogma  del  purgatorio  (3)  e, 
letti  gli  scritti  di  Huss,  in  quello  specchio  di  sé  medesimo 
grandemente  si  compiacque.  Le  sue  dottrine,  egli  disse. 
aveva  io  già  insegnato,  senza  conoscerle,  e  parimenti  lo 
Staupitz  :  noi  siamo  tutti  ussiti,  senza  saperlo  ;  Paolo  ed  Ago- 
slino  lo  sono  pure  :  io  non  so  per  lo  stupore  che  cosa  pensar- 
mi. Oh  %  terribili  giudizii  di  Dio  che  permise  fosse  da  cento 
anni  rivelata  la  verità  evangelica,  ma  colpita  di  anatema  e 
di  fuòco  (5)  !  Il  perchè  tenendosi  sugli  esempi  di  lui,  còme 
ebbe,  per  l'opuscolo  di  Lorenzo  Valla  sulla  donazione  di  Co- 
stantino, documento  delle  falsità  accettate  nelle  Decretali, 
non  dubitò  più  esservi  inconciliabile  contraddizione  tra  la 


(1)  P.  Sforza  Pallavicino.  Istoria  del  concilio  di  Trento.  Roma 
1656,  parte  prima  pag.  129-137. 

(2)  Disputalo  excellentis.  theolog.  Johannis  Eccii  et  D.  Martini 
Lutheri.  Lutheri  Opera  Jat.  ed.  Jena  1612  1. 1.  pag.  231  e  seg. 

(3)  De  fVette  Luthers  Briefe  an  Spalatin  7  nov.  1519. 

(4)  Ibidem  an  Spalatin  febbr.  4520. 


—  28  — 

Scrittura  e  il  papato,  e  quasi  a  rendersi  ragione  della  previ- 
denza che  di  tanto  la  sofferse  usci  fuori  col  dire:  per  poco 
non  dubito  che  il  papa  sia  proprio  V  anticristo  (1). 

Alle  stesse  conclusioni  ereticali,  comechè  per  via  di- 
versa, pervenne  Melandone,  stato  consigliere  ed  assistente 
alle  dispute  di  Lipsia.  Avendo  in  occasione  di  quelle  pianta- 
to il  principio  nulla  essere  l'autorità  dei  padri  e  dei  concilii 
di  fronte  alla  santa  scrittura  (2),  diede  di  fallo  in  fallo  sino 
a  negare  la  transustanziazione  e  la  chiesa  visibile  e  poi  i  sa- 
cramenti, qualificando  queste  e  molle  altre  dottrine  siccome 
erronee  opinioni  da  combattersi  con  tulle  le  forze;  abbiso- 
gnarvi però  più  d'un  Ercole  (3).  Ecco  il  prodigio  del  mon- 
do, esclamò  Lutero,  il  più  polente  nemico  di  Satana  e  degli 
scolastici,  che  le  loro  follie  conosce  e  insieme  la  rocca  di  Cri- 
sto; che  ha  la  forza  rispondente  ali9  ardimento  (4).  Questo 
grecista,  soggiunse,  mi  supera  anche  in  teologia,  ed  in  fatto 
per  alcun  tempo  ne  segui  talmente  i  consigli  da  smettere 
qualunque  sentenza  che  da  lui  non  fosse  approvata. 

Maggior  appoggio  che  ne'  deviamenti  teologici  del  Me- 
landone trovò  Lutero  ne'  sommovitori  popolari.  Vi  primeg- 
gia Ulrico  di  Hiitten,  il  quale,  imbaldanzito  per  la  vittoria 
del  Reuchlin,  il  sentimento  nazionale  fece  mantice  agli  sde- 
gni contro  il  clero.  In  alcuni  dialoghi  pubblicati  al  principio 
del  4520  sfatò  il  legato  apostolico  che  di  scomunica  vuol  ful- 


(1)  Ego  sic  nngor,  ut  prope  non  dubitem  papam  esse  proprie 
Antichristum  illiim,  quem  vulgata  opinione  expectat  mundusradeo 
conveniunt  omnia  quae  vivit,  facit,  loquitur,  statuit.  Ibidem  Georgio 
Spalatino  23  febb.  1520. 

(2)  Defensio  contra  J.  Eekium.  Bretschneider  Corpus  Reforma- 
torum  t.  l.pag.  113. 

(3)  Lettera  di  Melandone  a  Giovanni  Hess.  febb.  1520.  Ibidem  t. 
l,pag.  138. 

(\)  De  fVette  Luthcrs  briefe  an  Staupitz  sept.  1519. 


—  20  — 

minare  il  sole  (1),  e  la  curia  romana,  baratro  miserando  di 
ogni  nequizia,  onde  per  amore  di  Dio  e  della  patria  deve 
Germania  rilevarsi  (2).  A  quest'  uopo,  pubblicando  un'  anti- 
ca apologia  di  Gregorio  IV  da  Ini  trovata  nella  biblioteca  di 
Fulda,  colse  il  destro  di  risvegliare  le  memorie  delle  grandi 
lotte  contro  Gregorio  VII,  e  la  dedicò  all'arciduca  Ferdinan- 
do, fratello  dell'  imperatore,  per  infiammarlo  all'  opera  di 
scuotere  il  giogo  romano  (3).  Questa  è  la  strada,  diceva,  per 
tornare  in  miglior  stato  l'impero;  questa  la  vera  gloria;  e 
questo  il  tempo  di  conseguirla,  essendo  ornai  con  molta  spe- 
ranza de  principi  e  del  popolo  rinnovata  la  impresa  da  tanti 
anni  intermessa.  Quindi,  predicendo  prossima  la  caduta  del* 
la  tirannia  di  Roma,  perchè  la  falce  fu  già  portata  alla  ra- 
dice dell'albero,  volgevasi  con  calde  parole  a'  suoi  connazio- 
nali e  li  ammoniva  a  confidare  ne'  prodi  condottieri,  a  non 
restarsi  a  mezzo  della  pugna,  ad  irrompere  tutti  in  concor- 
dia di  volontà.  Gettato  è  il  dado;  io  r  osai:  ecco  il  suo  mot- 
to (A). 

Il  temerario  «sempio  non  segui  Erasmo,  benché  blan- 

(1)  Satanae  tu  tràcles  me  coelo  deiectum ?  et  solem,  quoti  aiunt, 
e  muudo  auferes.  Insplcientes.  Utrichi  Hutleni  Opera  ed.  Ed.  Do- 
cking. Lipsiae  1860,  t.  4,  pag.  303. 

(2)  Haec  est  Roma,  omnis  spurcitiae  lacus,  improbitatis  sentina, 
malorum  inexhausla  haec  lerna  est,  ad  quam  evertendam  veluti  ad 
publicam  quandarn  extinguendam  perniciem  non  omnes  undique 
concurrent?  non  velis  et  equis  ibitùr?  non  ferro  àc  fiamma  erum- 
petur?  Vadi&cus  dialogus  qui  et  Trias  romana  inscribitur.  Ibidem 
pag.  255. 

(3)  Quod  facile,  oro,  nec  diutius  sinite  Romanenses  aurisugas 
illudere  nationi  orbis  reginae .. .  ut  nobis  reddita  liberiate  illis  fu- 
randi,  grassandi.  fràudandique  intercipietis  consuetudinem.  In  tt- 
brum  de  unitate  ecclesfae  conservando,  praefatlo.-m&n.  1520,  Ibidem 
t.  1,  pag.  328,330. 

(4)  Liberis  in  Germania  omnibus  27,  1520.  Ibidem  t.  1,  pagina 
349-352. 


—  30  — 

dito  da  Lutero  (1).  Chieda  scusa,  gli  scrisse  questi  nel  4Si9> 
se  a  te,  che  tutti  onorano  maestro  e  principe  degli  ingegni, 
son  oso  venire  davanti,  quasi  intimo  amico,  senza  lettere  e  la 
debita  prefazione  di  riverenza  (2).  L'  arbitro  della  fama  ri- 
spose inculcando  moderazione;  ma,  come  conscio  era  di  a^ 
vergli  spianalo  la  via  e  non  certo  ancora  del  successo,  sog- 
giunse:' né  ciò  dico  perchè  il  facci,  ma  perchè  ciò  che  fai 
possi  farlo  in  perpetuo.  Ho  letto  il  tuo  commento  dei  salmi  v 
mi  piace  soprammodo  e  ne  spero  gran  frutto.  Il  priore  del 
monastero  di  Anversa?  che  si  gloria  di  esser  slato  tuo  disce- 
polo, ti  ama  smisuratamente  :  gli  è  forse  V  unico  che  predica 
Cristo  mentre  gli  altri  predicano  o  le  favole  degli  uomini  o  il 
loro  comodo.  Prego  Dio  che  del  suo  spirilo  ti  animi  sempre 
più  a  gloria  di  lui  e  per  il  bene  comune  (3).  Poco  prima  ave- 
va scritto  all'  elettore  di  Sassonia:  proprio  è  della  tua  pru- 
denza e  giustizia  non  permettere  che  ^innocenza  soccomba  al- 
l' ipocrisia  ed  alla  malvagità;  quel  che  di  Lutero  si  pensi  in 
Roma  non  so;  questo  so  che  ognuno  cui  sta  a  cuore  la  reli- 
gione legge  i  suoi  scritti  con  gran  plauso  e  piacere  (4).  In 
simil  modo  scriveva  agli  amici,  però  sempre  con  qualche 
riserva  per  non  romperla  cogli  avversarti  e  poter  disdirsi  a 
un  bisogno.  Gli  onesti  costumi  di  Lutero  approvano  lutti,  né 
questo  è  piccolo  danno  che  i  nemici  non  trovino  di  che  calun- 
niarli. De9  suoi  scritti  non  mi  arrogo  il  giudizio;  che  anzi 
fUi  troppo  severo  dissuadendone  la  stampa,  acciocché  per  essi 
non  venissero  in  maggior  odio  i  buoni  studii...  Amo  gì9 in- 
gegni, e  pur  non  v9  è  alcuno  di  cui  non  condanni  la  licenza 

(1)  Martinus  Luther  studiosissimus  nominis  lui,  per  omnia  Ubi 
probari  cupit.  Phil.  Melanchthon  Erasmo  Roterodamo  5  Jan.  1519. 
Erasmi  Opera  Lugduiri  Batavorum  1703,  t.  3,  par.  1.  pag.  403. 

(2)  Ibidem  pag.  423. 

(3)  Lovanio  30  mai  1519,  Ibidem  pag.  445. 

(4)  Lutheri  Opera  lat.  ed.  Jena  1612,  t.  1,  pag.  21 1. 


—  Zi  — 

nello  scrivere.  Ma  che  fare  ?  ammonir  posso,  non  costringe- 
re (i).  Lutero  ci  diede  eccellenti  consigli  e  deh  li  avesse  dati 
con  maggiore  urbanità  t  (2).  Non  sempre  giova  disvelare  il 
vero,  e  molto  sta  nel  modo  di  farlo  (3).  Con  più  notevole 
doppiezza,  mentre  con  altri  disapprovava  l' esorbitanze  di 
Ulrico  de  Hùtten,  scrivendo  a  lui  ne  levava  in  onore  le  ope- 
re (4),  e  diceva  le  lodi  dell'  arcivescovo  di  Magonza  che  lo 
proteggeva  (5).  Al  quale  per  questa  ragione  non  si  peritò  fin 
di  commendare  Lutero:  osò  egli  dubitare  delle  indulgenze, 
ma  di  quelle  che  altri  con  soverchia  impudenza  asseveraro- 
no ;  osò  sparlare  dell9  autorità  pontificia,  ma  di  quella  che 
Alvaro,  Silvestro  e  il  cardinale  di  Gaeta  esagerarono  ;  osò 
non  curarsi  dei  dettati  di  san  Tomaso,  ma  di  quelli  che  i 
domenicani  pongono  quasi  innanzi  agli  evangeli;  osò  discu- 
tere qualche  scrupolo  intorno  alla  confessione,  ma  di  quella 
per  cui  i  monaci  allacciano  senza  fine  le  coscienze  degli  wo- 
mini . . .  Crucciavansi  le  anime  pie  di  non  sentire  pressoché 
mai  nelle  scuole  e  nelle  sacre  concioni  parlar  di  Cristo  e  della 
dottrina  evangelica,  sì  tutto  delV  autorità  del  papa  e  delle 
opinioni  di  scrittori  recenti  in  luogo  delle  sentenze  dei  padri, 
con  manifesta  adulazione  e  cupidigia  di  maggioranza  e  di 
lucro.  A  ciò  reputo  doversi  imputare  le  trascendenze  di  Lu- 
tero (6). 


(1)  Tliomae  cardinali  18  mai  15J8.  Erasmi  Op.  clt.'t.  3,  par.  1, 
pag.  322,  323. 

(2)  Rectori  scholae  Erpburdiensis  31  jul.  1518.  Ibidem  pag.  334. 

(3)  Non  semper  est  proferenda  veritas,  et  magni  refert  quomodo 
proferatur.  Georgio  Spalatino,  6  jul.  1520.  Ibidem,  pag.  559. 

(4)  Ipse  Ubi  tuis  scriptis  extruxisti  monumentimi  aere  peren- 
nius23  apr.  1519.  Ibidem  pag.  533. 

(5)  Hutteni  ingenium  indies  magis  ac  magis  exosculantur  om- 
nes . . .  magnum  ornamentimi  nostrae  Germaniae  futurum.  20  mai  e 
16  ag.  1519.  Ibidem  pag.  441,  495. 

(6)  1  nov.  1519.  Ibidem,  pag.  515. 


—  82  — 

Questa  lettera  che  Hùtten  doveva  consegnare  all'  arci- 
vescovo fti  da  lui  invece  pubblicata  colle  stampe  (l)9  nella 
speranza  che  Erasmo,  vistosi  levare  la  maschera,  sarebbe 
infine  costretto  di  prendere  scopertamente  le  parti  del  ri- 
formatore. Ma  T  uomo  che  nelle  sue  celie  non  aveva  rispet- 
tato né  dogmi  né  pratiche  sante,  e  pur  respinta  con  indi- 
gnazione F  accusa  di  autore  del  famoso  dialogo  tra  Giulio  II 
e.s.  Pietro  alle  porte  del  paradiso  (2),  tremava  al  solo  penr 
siero  del  pericolo.  Abborrendo  per  carattere  dalla  lotta,  pa- 
revagli  che  anche  il  trionfo  della  verità  fosse  compro  troppo 
caro  col  sangue  (3);  onde,  secondo  che  i  fatti  andavano  sper- 
dendo le  illusioni  di  un  miglioramento  pacifico  senza  in- 
tromissione del  popolo,  e  più  guardingo  facevasi  e  più  solle- 
cito a  declinare  ogni  complicità  con  Lutero  e  co'  seguaci 
suoi  (4),  per  finir  poi  a  sconfessare  F  opera  incominciata, 
siccome  incapace  ornai  di  essere  capitano  quanto  insofferen- 

(1)  Quo  magis  admiror  quo  Consilio  factum  sii,  ut  et ederetur 
per  typographos,  nec  tibi  redderetur  :  si  hic  casus  fuit,  fui!  infelkis- 
simus;  sin  perfìdia  plus  quam  punica  fuit.  Erasmus'  Alberto  cardi- 
nali moguntino  8  oct.  1520,  Ulrichi  tfaMent  Opera  t.  1,  pag.  421. 

(2)  Erasmo  Gaesario  16  aug.  1517.  Laurentio  Campegio  cardi- 
nali 1  mai  1519.  Ìbidem  p.  149  e  265.  Viene  infatti  attribuito  a  Fausto 
Anderlino  di  Cividale.  Ibidem  t.  4,  pag.  427  e  seg. 

(3)  Malo  hunc,  qualis  est,  rerum  humanarum  statum,  quam  no- 
vos  excitari  tumultus,  qui  saepenumero  verguntur  in  diversum,  at- 
que  putabatur.  Laurentio  Campegio  card.  6  die.  1520.  Ego  sic  odi 
dissidium,  sic  amo  concordiam,  ut  verear,  ne  si  inciderit  articulus, 
citius  deserturus  sim  aliquam  veritatis  porlionem,  quam  turbaturus 
concordiam.  Joanni  Botzemo  25  die.  1522.  Erasmi  Opera  t.  3,  par.  1 
pag.  601.739. 

(4)  Lutberum  non  novi;  nec  libros  illius  unquam  legi,  nisi  forte 
decem  aut  duodecim  pagellas,  easque  carptim.  Leoni  X  13  Settem- 
bre 1520.  Nunquam  ero  neque  magister  erroris  neque  dux  tumultus. 
Et  taraen  vix  credas,  quibus  modis  invitatus  sim,  ut  me  ve!  paululum 
Lutlierano  negotio  admiscerem,  cujus  si  spem  ullam  faeere  volas- 
sero, Lutherana  res  longe  secua  hfUMjret.  Fratteisoo  Ckirigatto  13 


—  33  — 

di  servir  da  gregario.  Tuttavia,  perplesso  ancora  fra  l'amor 
della  quiete  e  la  smania  della  popolarità,  scrisse  al  cardinale 
Campeggio  :  non  lessi  dodici  pagine  di  Lutero,  e  anche  que- 
ste qua  e  là  senz9  ordine;  pure  vi  ho  trovato  varie  qualità 
naturali,  e  una  singolare  attitudine  a  scoprire  l'intimo  senso 
delle  Scritture.  Ho  inteso  persone  savie,  di  esemplare  pietà, 
d9  intera  ortodossia,  rallegrarsi  d'averne  letto  i  libri;  anzi, 
quanto  i  suoi  avversar)  avevano  maggior  virtù,  e  s9  avvici- 
navano alla  purezza  evangelica,  tanto  erano  meno  ostili  a 
Lutero,  e  anche  non  partecipando  alle  sue  opinioni,  ne  lodar 
vano  grandemente  la  vita  (1);  e  all'  elettore  di  Sassonia  che 
gli  chiedeva  :  finalmente  che  cosa  ha  fatto  quel  povero  Lute- 
ro ?  rispose  :  ha  fatto  dm  grossi  peccati  :  attentò  alla  tiara 
dei  papi  e  al  ventre  dei  frati  (2J. 

Muove  a  sdegno  la  celia  quando  si  considera  ch'era  già 
venuto  in  luce  il  trattato  della  libertà  cristiana,  dove  Lute- 
ro, riassumendo  i  punti  principali  delle  sue  eresie,  sosten- 
ne la  giustificazione  senza  le  opere,  la  sommessione  della 
creatura  al  demonio,  e  insieme  la  impeccabilità  dell'anima, 
purché  creda  all'  agnello  che  leva  le  colpe  del  mondo  (3). 
Questo  trattato  ardi  dedicare  a  papa  Leone  con  una  lette- 
ra, in  apparenza  di  sommessione,  quanto  dir  si  possa  bef- 
farda ed  irriverente.  Tra  i  mostri  dell'età  nostra,  dicevagli, 
coi  quali  io  sono  da  circa  tre  anni  in  guerra,  mi  trovo  ora 
forzato  a  rivolgere  i  miei  sguardi  inverso  di  voi  santis- 


sept.  1520.  Quod  dicitur  quaedam  hausisse  e  libris  meis,  mihi  io  ma- 
nu  dod  erat  praestare,  ne  quia  scriptis  meis  in  posterum  abutere- 
tur,  quando  hoc  nec  Evangelistae,  nec  Apostoli  praestare  potuerunt. 
Petro  Barbino  13  ag.  1521.  Ibidem  pag.  578,  580,  657. 

(1)  Laurentio  Campegio  cardinali  6  die.  1520.  Ibidem  p.  596. 

(2)  Muller  Erasmus  von  Rotterdam  pag.  293. 

(3)  Ab  hoc  non  avellet  peccatum,  etiam  si  millies  uno  die  for- 
oicemur  aut  occidamus. 

'3 


—  34  — 

simo  padre,  o  piuttosto  debbo  dire  che  essendo  voi  la  ca- 
gione di  questa  guerra,  non  ho  mai  potuto  dimenticarvi. 
Perciocché  sebbme  io  sia  stato  indotto  dai  vostri  empii  adu- 
latori di  appellarmi  ad  un  concilio  generale  senza  alcun 
riguardo  ai  vani  decreti  de?  vostri  predecessori  Pio  e  Giu- 
lio che  per  istupida  tirannia  lo  vietarono;  pure  non  ho  mai 
cosi  distolto  V  animo  mio  da  vostra  santità  che  non  le  pre- 
gassi ardentemente  ogni  buona  ventura.  Vero  è  che  appre- 
si a  deridere  e  disprezzare  le  minaccie  di  coloro  che  tentaro- 
no spaventarmi  colla  maestà  del  vostro  nome,  e  tuttavia  que- 
sto solo  non  posso  trascurare,  e  mi  muove  a  scrivervi  di  nuo- 
vo, V  accusa  cioè  di  aver  sparlato  di  voi.  E  qui,  dopo  aver 
detto  che  sì  celebrala  da  tanti  scritti  di  grandi  uomini  e  sì 
augusta  in  tutto  il  giro  della  terra  era  V  opinione  e  la  fama 
incontaminata  della  vita  di  Leone,  che  nessuno,  per  sommo 
che  fosse,  le  poteva  andar  contra,  ripete  le  solite  bruttare  di 
Roma,  compassionandolo  come  un  agnello  fra  lupi,  o  come 
Daniele  fra  i  leoni,  o  come  Ezechiele  fra  gli  scorpioni,  e  con- 
chiude col  proporre  pace  a  condizione  che  non  si  pensi  far- 
gli cantare  la  palinodia,  né  gli  s9  imponga  restrizione  nel- 
V  interpretare  la  parola  divina.  Guardatevi,  mio  padre  Leo- 
ne, dal  prestar  orecchio  a  quelle  sirene  che  vi  danno  a  cre- 
dere non  essere  voi  uomo,  ma  un  composto  d'uomo  e  di  Dio, 
per  modo  da  poter  comandare  ed  esigere  a  piacimento.  Que- 
sto, ve  ne  assicuro,  non  può  tornarvi  giovevole.  Voi  siete  il 
servo  de9  servi  e  di  tutto  V  uman  genere  nel  posto  piii  deplo- 
rabile e  più  pericoloso.  Non  vi  lasciate  sedurre  da  coloro  che 
vi  fingono  signore  del  mondo,  nessuno  ammettono  cristiano 
senza  la  vostra  autorità,  e  cianciano  di  un  potere  conferitovi 
in  cielo,  nelV  inferno  e  nel  purgatorio.  Sono  nemici  che  vo- 
gliono perdervi  V  anima,  siccome  disse  Isaia  :  o  mio  popolo, 
chi  ti  chiama  beato  t  inganna.  Così  ingannano  coloro  che 
vi  esaltano  sopra  il  concilio  e  la  chiesa  universale,  e  a  voi 
solo  attribuiscono  il  diritto  d9  interpretare  le  scritture;  impe- 


—  35  — 

rocche  nel  nome  vostro  cercano  puntello  alle  proprie  empietà, 
ed  ahi  !  per  essi  Satana  ha  fatto  un  gran  profitto  coi  vostri 
predecessori  (ì). 

Queste  ultime  parole  alludono  agli  autori  di  alcuni  scritti 
appunto  allora  pubblicati  sulla  potestà  pontificale,  che  per 
vero  mal  difendevano  esagerandola.  Uno  di  essi  è  Silvestro 
Mazzolini  maestro  del  sacro  palazzo,  altra  volta  venuto  infe- 
licemente in  contesa  letteraria  con  Lutero,  il  quale,  non  con- 
tento di  ciò  che  aveva  detto  essere  la  chiesa  tutta  quanta  nel 
papa,  asserì  ora  il  papa  medesimo  principe  delle  spirituali  e 
padre  delle  temporali  potenze,  capo  del  mondo,  e  quindi  tnr- 
tualmente  mondo  intero  ;  e  di  siffatta  maniera  sillogizzando 
conchiuse  che  soprasta  all'  imperatore  più  dell'oro  al  piom- 
bo; che  può  eleggere  e  deporre  tanto  lui  quanto  gli  elettori; 
dar  diritti  positivi  ed  annullarli  (2).  Sì  fatte  trascendenze 
curiali  confermò  Giovanni  Eck  in  un  trattato  sulla  primazia 
di  Pietro,  pregevole  per  il  soggetto,  non  per  gli  argomenti 
tolti  dalle  false  decretali  ;  e  come  l'ebbe  condotto  a  termine, 


(1)  6  aprile  1520  Lutheri  opera  ìat.  ediz.  Jena  1. 1,  pag.  385.  Im- 
porta certificare  questa  data,  dipendendo  da  essa  anche  la  data 
della  pubblicazione  dell'opuscolo  De  liberiate  chi&tiana  con  la  me- 
desima lettera  dedicalo  a  Leone  X,  che  alcuni  vorrebbero  posterio- 
re alla  bolla  di  scomunica,  e  Roscoe  dimostra  invece  anteriore,  sul- 
T  appoggio  della  edizione  di  Jena  eseguita  coli'  assistenza  degli  in- 
timi amici  di  Lutero  subilo  dopo  la  di  lui  morte,  i  quali  posero  par- 
ticolar  diligenza  nell'  ordinarne  cronologicamente  gli  scritti,  nam 
multi,  non  considerata  temporum  serie,  turpiter  hallucinantur*  dura 
praetextu  scriptorum  Lutheri,  Chris tum  et  Belial  conciliare  student. 
Le  osservazioni  in  contrario  del  Ranke  (Deutsche  Geschichte  im 
zeitalter  der  reformation.  Berlin  1852, 1. 1.  pag.  343)  si  riferiscono  al 
successivo  proclama  di  Lutero  alla  nobiltà  cristiana  di  Germania 
De  statu  ecclesiae  emendando. 

(1)  De  juridica  et  irrefragabili  ventate  romanae  ecclesiae  roma- 
nique  ponlificis.  Roccaberti  Biblioteca  maxima  pontificia.  Roma  1698 
t.  XIX,  pag.  224  e  seg. 


—  36  — 

corse  a  Roma  per  consegnarlo  al  papa,  mentre  ivi  agitavasi 
la  causa  dell'  eresiarca. 

Il  quale  tropp'  oltre  era  andato  perchè  più  reggere  po- 
tesse la  longanimità  di  Leone.  De'  suoi  errori  avevano  già 
fatto  giudizio  le  università  di  Colonia  e  Lovanio.  Da  ogni 
parte,  e  dal  legato  (i)  e  dai  frati  e  prelati  rappresentavansi 
al  vivo  le  stragi  d^elle  anime  che  faceva  in  Germania  quella 
peste,  per  Ulrico  Zuinglio  appiccatasi  di  fresco  anche  alla 
Svizzera.  E  nondimeno  nella  congregazione  di  teologi  e  cano- 
nisti, a  cui  venne  rimesso  il  negozio  della  fulminazione,  l'a- 
spra contesa  intorno  alla  forma  dettata  dal  cardinale  Accolti, 
non  avendo  potuto  mitigare  colla  maestà  della  presenza,  ter- 
minò il  pontefice  unicamente  coli'  autorità  della  voce  (2). 
Fattesi  poscia  nuove  consultazioni,  e  riformata  in  alcune  parti 
la  minuta  dell'  Accolti,  questa  fu  letta  ed  approvata  concor- 
demente in  un  concistoro  più  ristretto,  al  quale  intervenne 
anche  l' Eck  (3).  Indi  la  bolla  del  45  giugno  4520  che  con- 
danna quarantuna  proposizioni  di  Lutero,  e  lui  e  i  seguaci 
suoi  esorta  a  rivocarle  ed  a  bruciare  i  pestiferi  scritti  fra 
sessanta  giorni,  passati  i  quali  cadrebbero  nelle  pene  più  ri- 
gorose statuite  contro  gli  eretici  (4). 

La  parte  ch'ebbe  l'Eck  nel  farla  spedire,  e  Tessere  a  lui 
stata  consegnata  con  officio  di  commissario  esecutore,  de- 
plora giustamente  il  Pallavicino;  perchè  portandola  egli  in 

(1)  11  legato  vuole  che  fra  Martin  Lutero  si  condanni  in  ogni 
modo,  o  T  opere  sue.  Giulio  card,  de'  Medici  al  card.  Bibiena.  Roma 
27  marzo  1519.  Ruscelli  Lettere  di  principi  t.  1,  pag.  58. 

(2)  Pallavicino,  Istoria  del  concilio  di  Trento,  par.  I,  pag.  142. 

(3)  Bonum  fuit  me  venisse  hoc  tempore  Romam,  quod  alti  pa- 
rum  pernoverunt  errores  Lutheranos.  Aliquando  omnia  audies 
quae  egerim  in  hac  causa.  Stetimus  nuper,  Papa,  duo  cardinales, 
doctor  Hispanus  et  ego  per  quinque  horas  in  deliberatione  huius 
negocii.  Epistola  Joh.  Eccii.  Roma  3  mai  1520.  Ulrichi  Hutteni.  0- 
pera  t.  5,  pag.  342. 

(4)  Bullarium  Romanum  edit.  Coquelines  t.  3,  par.  3,  p.  487. 


—  37  — 

Germania  come  trofeo  della  sua  vittoria,  non  della  religione 
e  meno  ancora  di  Roma,  verso  la  quale  tornò  con  animo  as- 
sai mutato  (i),  dava  pretesto  a  Lutero  di  farsi  credere  colpi- 
to non  dalla  scure  di  legittimo  giustiziere,  ma  dalla  spada 
di  appassionato  nemico.  Dove  ha  voce  e  potere  l'apostolo  Eck, 
esclamò  costui  al  primo  sentore  avutone,  ivi  non  dubito  re- 
gnare  l'anticristo  :  io  ti  maledico,  o  bolla,  siccome  bestemmia 
contro  Cristo  figlimi  di  Dio;  invoco  le  fiamme  infernali  su 
chiunque  ti  riceverà  e  ti  crederà  :  ecco  com9  io  mi  ritratto,  o 
bolla,  vera  bolla  di  sapone  (2)  !  A  quest'  urlo  di  rabbia  ri- 
sponde il  manifesto  alla  nobiltà-  cristiana  di  Germania  sulla 
riformazione  della  chiesa  (agosto?  4520),  in  cui  nega  il  ca- 
rattere indelebile  del  sacerdozio,  considerandolo  infuso  nel- 
l'umanità  come  lo  spirito  nel  corpo;  e  più  ancora  lo  scritto 
della  schiavitù  babilonica  della  chiesa,  pubblicato  in  ottobre 
del  4520,  dove  la  chiama  peggiore  di  Sodoma,  di  Gomorra, 
de9  Turchi,  tipo  di  ogni  vizio  ed  iniquità,  e  quindi  negati  i 
sacramenti,  la  transustanziazione,  il  purgatorio,  i  voti  mona- 
stici, T  invocazione  dei  santi,  conchiude  :  né  papa,  né  vesco- 
vo, né  uom  che  sia,  non  ha  potestà  d'imporre  la  minima  cosa 
a  un  cristiano,  se  non  col  suo  consenso.  Altrimenti  è  tiran- 
nico spirilo.  Noi  siamo  liberi;  il  voto  battesimale  basta;  ed 
è  più  di  quanto  possiamo  mai  compire.  Gli  altri  voti  posso- 
no dunque  abolirsi.  Chi  entra  nel  sacerdozio  sappia  che  le 
opere  sue  non  differiscono,  innanzi  a  Dio,  da  quelle  d9  un  a- 
gricollore  o  d9  una  massaia  :  Dio  stima  le  cose  secondo  la  fe- 
de (3).  Infine  esasperato  dal  bruciare  che  si  faceva  i  suoi  li- 
ti) De  Roma  multo  peiora  audivi  quam  sentiam . . .  caeterum  ne 
praepropere  laudem  Romam,  differo  alia  in  abitionem,  turpe  enim 
est  ea  vituperare  quae  prius  laudaveris.  Lettera  precitata  dell'  Eck. 

(2)  Martinus  Lutherus  christiano  lectori.  Hutteni  Opera  tom.  5, 
pag.  346. 

(3)  De  captivitate  babylonica  ecclesiae.  Lutheri  Opera  lat.  ediz. 
Jena  t.  2,  pag.  259. 


—  38  — 

bri  (4),  ordinò  fosse  alzato  un  rogo  fuor  delle  mura  di  Wit- 
temberg,  e  quivi,  avendo  a  spettatori  gli  studenti  invitati 
per-pubblici  cartelli,  il  di  40  dicembre  1520  gettò  nel  fuoco 
le  decretali  e  la  bolla,  esclamando:  giacché  avete  turbalo  la 
santità  del  Signore,  siate  arse  in  eterno.  V  indomani  disse 
dal  pulpito  :  meglio  sarebbe  che  fosse  stato  incenerito  lo  stesso 
papa  (2). 

Così  bandita  era  la  guerra,  e  tutta  in  fiamme  Germania. 
Di  già  Lutero,  mescolando  come  al  solito  contraddittorii  con- 
cetti, T  empia  negazione  cioè  dell'  ordine  sacerdotale  colla 
cristiana  proposta  di  ristrignere  il  papato  all'officio  suo  spi- 
rituale (3),  nel  precitato  manifesto  alla  nobiltà  aveva  escla- 
mato :  non  piii  celibato,  non  interdetti,  non  pellegrinaggi, 
non  feste  di  chiesa,  non  dispense  o  indulgenze,  non  astinenza 
da  carne,  non  messe  private  più,  non  più  pene  ecclesiastiche: 
via  %  nunzii  apostolici  che  rubano  il  nostro  danaro.  Papa  di 
Roma,  ascolta  ben  bene  :  tu  non  sei  il  piti  santo,  no,  ma  il  più 
peccatore;  il  tuo  trono  non  è  saldato  al  cielo,  ma  affisso  alla 
porla  dell'  inferno  . . .  Imperatore,  sii  padrone:  il  potere  di 
Roma  fu  rubalo  a  te;  noi  non  siam  più  che  gli  schiavi  de9  sa- 
cri tiranni;  a  le  il  titolo,  il  nome,  le  armi  dell'impero;  al 
papa  i  tesori  e  la  potenza  di  esso  ;  il  papa  pappa  il  grano, 
a  noi  le  buccie.  A  quest'  ultimo  grido  echeggiarono  quanti 

(1)  Mea  ter  arserunt:  Lovanii,  Coloniae,  Moguntiae:  sed  Mogun- 
tiae  cum  magno  contemptu  atque  adeo  periculo  comburentium. 
Mart.  Lutherus  ad  Johannem  Staupitium  14  ian.  1521 .  Hutteni  Opera 
t.  2,  pag.  4. 

(2)  Parum  esse  hoc  deflagrationis  negotium  ;  ex  re  fore,  ut  papa 
quoque,  hoc  est  sedes  papalis,  concremaretur.  Lutheri  Opera  t.  2, 
pag.  320. 

(3)  Es  gebilrt  nicht  detti  Papst  sich  zu  erheben  ilber  weltliche  ge- 
tvalt  den  allein  in  geistlichen  aemtem,  als  da  sindpredigen  undab- 
solviren.  An  den  christlichen  adel  deutscher  nation  :  von  des  christ- 
lichen  standes  besserung.  Luthers  fVerke.  ediz.  Altenburg  tom.  1 , 
pag.  494. 


—  39  — 

avevano  in  orrore  le  usurpazioni  di  Roma  contro  la  nazio- 
nalità germanica  ;  chi  mettendo  a  confronto  i  costumi  roma- 
ni co'  tedeschi  (1),  e  chi  farneticando  dietro  a  nuovi  ordina- 
menti della  chiesa  per  cui  ogni  vescovo  surrogasse  l'autorità 
del  papa  (2).  Ulrico  de  Hùtten,  escluso  per  comando  pontifi- 
cio dalla  corte  dell'arcivescovo  di  Magonza  (3),  gridava  a  per- 
dita di  fiato  :  finalmente  sta  per  cadere,  se  non  mi  falla  la  spe- 
ranza, quella  grande  Babilonia  madre  di  ogni  cosa  abbomi- 
nevole  che  corrompe  la  terra  e  pur,  lontana  com'  è  dalle  in- 
stituzioni  di  Cristo,  si  vanta  tenerne  le  veci.  Qual  vergogna 
che  la  nazione  regina  del  mondo  serva  ancora  a  sacerdoti 
oziosi  I  Meglio  sarebbe  obbedissimo  ai  Turchi  che  son  più 
miti  e  più  giusti  di  essi,  valorosi,  e  sopra  ogni  altra  gente 
periti  in  guerra.  Adunque  o  cessiamo  dalV  attribuirci  l'impe- 
rio e  dall'  eleggere  imperatori  che  non  hanno  che  il  nome,  o 
leviamoci  da  dosso  la  tirannide  pontificia  (A).  Chi  potrà  nu- 
merare il  danaro  estortoci  per  paliti,  assoluzioni,  dispen- 
sazioni ed  infinite  bolle  di  tal  genere?  (5).  Io  coleste  favole, 
che  mi  cantano  i  vescovi  romani  non  per  zelo  di  religione  ma 
per  amore  di  lucro,  disprezzerò,  rigetterò,  detesterò  semr 


(!)  Nos  Christum,  vos  Ckrysum,  nos  publicum  commodum,  vos 
prioatum  luxutn  colitis;  vos  vestram  avariciam  ...et  extremam  in~ 
guinatissimae  vitae  libidinem,  nostrani  nos  innocentiam  et  libertatem 
tuentes  prò  suis  quisque  bonis  animose  pugnabimus.  Epistola  Udelo- 
nis  Cymbri  Cusani  de  exustione  librorum  Lutheri.  Hutteni  Opera  t. 
3,  pag.  465. 

(1)  Ein  klàgliche  klag  ari  den  ròm.  Kaiser  Caroluro,  dimostrato 
lavoro  non  di  Hùtten,  ma  di  Eberlin  di  Gùnzburg.  Panzer  Annalen 
der  àltern  deutschen  literatur  t.  2,  pag.  39. 

(3)  Leo  X  cardinali  Maguntino  et  responsio  cardinalis.  Jul.  1520. 
Hutteni  Opera  t.  1,  p.  362,  363. 

(4)  Principi  Fridericho  Saxonum  duci  electori  11  sept.  1520. 
Ibidem  t.  1,  p,  383-399. 

(5)  Carolo  romanorum  regi.  sept.  1520.  Ibidem  1. 1,  p.  378. 


—  40  — 

pre  (i).  Ma  ahi  I  noi  tedeschi  siamo  troppo  pii,  se  questa  è 
pietà  di  sostentare  i  vizii  e  quella  folata  di  avvocati,  di  giu- 
risti, di  procuratori,  di  bollisti  che  ci  succhiano  il  sangue.  Chi 
vuol  essere  in  quella  stima  in  cui  Dio  pose  i  dodici  apostoli, 
sia  simile  a  lui  nelle  opere;  altrimenti,  congiungendo  allo 
spirituale  il  reggimento  temporale,  deve  perdere  e  Vuno  e  V al- 
tro, perchè  le  sono  cose  che  non  si  convengono  insieme  e  nes- 
suno può  servire  a  due  padroni,  a  Dio  e  al  demonio.  Cristo 
ha  comandato  che  ogni  pastore  custodisca  il  suo  gregge;  a 
che  dunque  e  come  immaginare  che  il  papa  sia  piii  che  ve- 
scovo di  Roma  ?  E  non  è  questo  un  grande  pervertimento  della 
fede?  Ah  Dio  !  tempo  è  che  di  essa  ti  ricordi,  e  ci  aiuti  a  ro- 
vesciare il  tiranno  che  la  tua  parola  conculca.  Noi  tedeschi 
abbiam  sofferto  assai,  e  vi  è  alcuno  che  possa  piU  oltre  por- 
tarlo in  pace?  Orsii  leviamoci:  non  ci  mancano  cavalli,  a- 
labarde,  spade  e  prodi  condottieri  :  con  noi  saranno  conti, 
cavalieri,  nobili  e  cittadini,  con  noi  Dio  :  noi  ne  compiremo 
la  vendetta  (2). 

E  veramente  Girolamo  Meandro,  venuto  nunzio  in  com- 
pagnia di  Marino  Caracciolo,  scriveva  a  Roma  che,  oltre  al- 
l' elettore  di  Sassonia  ed  al  palatino  del  Reno,  applaudiva  a 
Lutero  la  moltitudine;  che  fuor  degli  arcivescovi  e  de' ve- 
scovi più  riguardevoli,  gì'  inferiori  ecclesiastici  il  sosteneva- 
no, perchè  ignoranti  e  dissoluti  amavano  sentir  dire  che  fos- 
se falsa  quella  dottrina,  la  quale  non  sapevano,  e  nulli  que9 
precetti  della  chiesa  i  quali  violavano;  che  la  fazione  del  no- 
vatore accrescevano  molti  regolari  dell'uno  e  dell'altro  ses- 
so, alcuni  per  astio  contro  la  potenza  de'  domenicani,  e  i  più 
per  appetito  di  libertà,  in  quel  modo  che  i  forzati  si  uniscono 


(1)  Alberto  cardinali  13  sept.  1520.  Ibidem  1. 1,  pag.  402. 

(2)  Clag  und  vormanung  gegen  dem  ùbermàssigen  unchristli- 
chen  gewalt  des  papsts  zu  Rorn  und  der  ungeistlichen  geistlichen, 
a.  1520.  Ibidem  t.  3,  pag.  475-526. 


—  Ai  — 

a  chiunque  movendo  ribellione  li  discioglie  dal  remo;  che 
per  lui  militavano  i  legisti  insofferenti  del  diritto  canonico, 
e  la  gran  turba  de'  gramatici  e  degli  umanisti  sotto  la  ban- 
diera di  Erasmo  (1),  il  quale  però  mentre  affermava  la  con- 
dannazione di  Lutero  essersi  fatta  non  per  volontà  del  pon- 
tefice né  conforme  alla  mansuetudine  del  vicario  di  Cristo, 
ma  per  arte  e  per  impeto  de'  persecutori  (2),  scriveva  lette- 
re di  molto  ossequio  a  Leone  riportandone  benigne  risposte, 
e  coir  ansia  della  paura  affrettavasi  a  mostrarsi  alieno  dall'e- 
resiarca e  nelP  amicizia  e  nelle  sentenze  (3). 

In  tali  condizioni  inevitabile  era  il  trionfo  di  Lutero, 
pur  che  il  nuovo  Cesare  l'avesse  favorito.  A  questi  volta ron- 
si  infatti  le  speranze  di  tutti:  in  ogni  tempo,  dicevagli  Hiit- 
ten,  furono  i  papi  avversi  agV  imperatori:  a  te  spetta  il  go- 
verno temporale;  lo  spirituale  a  Cristo,  a9 suoi  apostoli  ed  ai 
predicanti  evangelici  che  annunziano  la  dottrina  di  Cri- 
sto  (4).  Spezziamo  i  ceppi,  gettiam  via  il  giogo  de"  r orna- 


li) Pallavicino  Historia  del  concilio  di  Trento,  par.  1,  pag.  156. 

(2)  Erant  tamen  qui  in  bulla . . .  mansuetudinem  illam  deside- 
rarent  dignam  eo,  qui  mitissime  Christi  vices  primaria*  gerii  in  ter" 
ri*..,  quod  tamen  ipsi  non  imputant,  sed  instigatoribus.  Conrado 
Peutingero  caesareo  consiliario  9  nov.  1520.  Bulla  vita  est  omnibus 
inclementior  quam  prò  lenitate  Leonis  nostri.  Laurentio  Campegio 
card.  6  die.  1520.  Erasmi  Opera  t.  3,  par.  1,  pag.  591  e  600. 

(3)  Qui  Luthero  favere  videntur,  tnodis  omnibus  conati  sunt  me 
insuaspartes  attrahere...  Christum  agnosco,  Lutherum  non  novi; 
ecclesiam  romanam  agnosco,  quam  opinor  a  catholica  non  dissen- 
tire . . .  Nullum  adhuc  Lutheri  librum,  quamois  pusiUum,  legi  totum, 
nullum  illius  paradoxum  umquam  de  fendi  vel  ioco . . .  paratus  sum 
quocunque  arg amento  testi/icari  me  nec  unguem  latum  velie  disce- 
dere ab  iis  qui  consentiunt  cum  ecclesia  catholica  . . .  scio  pietatis 
esse  nonnunquam  celare  veritatem.  Aloisio  Marliano  episc.  Tudensi 
Caroli  Caesaris  a  consiliis.  Hutteni  Opera  t.  2,  pag.  10-1 1. 

(4)  Wie  allwegen  sich  die  ròmischen  biscòff,  oder  pàpst  gegen 
den  teùtschen  kaiseren  gehalten  baben.  —  Das  die  keiser  allwegen 


—  42  — 

ni  (i);  e  il  grido  nazionale,  pur  troppo  falsato  dal  reo  inten- 
dimento di  rompere  V  unità  della  chiesa,  tuonò  nella  Ger- 
mania che  rispose:  spezziamo  i  ferri,  sottraiamo  il  collo  a 
coloro  che  ci  vorrebbero  francare  dalla  disciplina  di  Crir 
sto  (2). 

Senonchè  per  quanta  stima  facesse  Carlo  della  dignità 
imperiale,  ben  era  naturai  cosa  che  non  da  lei  soltanto,  si 
dagl'  interessi  simultanei  di  tutti  gli  stati  sui  quali  stendeva 
lo  scettro,  pigliasse  norma  all'  azione.  De'  suoi  sentimenti 
cattolici  non  occorre  parlare,  perocché  nessuno,  fuor  di  qual- 
che fanatico  e  più  tardi  assai,  fu  oso  dubitarne.  Basta  avver- 
tire che  a  quelli  aggiungevano  fermezza  considerazioni  poli- 
tiche. Sovrano  della  Spagna,  illustrata  da  tanti  trionfi  della 
croce;  possessore  di  un  vasto  regno  in  Italia,  nel  centro 
della  quale  risiede  il  governo  spirituale  della  cristianità  ;  le- 
vato al  soglio  del  sacro  romano  impero,  la  cui  corona  da 
Carlo  Magno  in  poi  fu  posta  sempre  da'  papi  sul  capo  dei  Ce- 
sari, poteva  portare  in  pace  la  negazione  della  fede  stata 
insino  allora  principale  sostegno  alla  obbedienza  de'  sudditi, 
anima  delle  istituzioni  civili  e  sicurtà  di  potenza?  Non  ne 
consegue  che  rimanesse  indifferente  davanti  al  grande  mo- 
vimento religioso  della  Germania.  Il  pio  maestro  Adriano 
d' Utrecht,  insieme  colla  riverenza  alle  somme  chiavi,  avea- 
gli  certo  instillato  il  disdegno  degli  abusi  che  contaminavano 
la  chiesa  ;  né  meno  del  desiderio  di  sradicarli  doveva  sorri- 
dergli la  speranza  di  umiliare  coloro  che  per  ragioni  monda- 

gewalt  die  pàpst  auff  und  ab  zusetzen  gehabt.  Ibidem  ioni.  5,  pag. 
365-386. 

(1)  Dirumpamus  vincula  eorum  et  proiioiamus  a  nobis  jugum 
ipsorum.  Ibidem  t.  3,  pag.  173. 

(2)  Dirumpamus  ergo  vincula,  non  simus  servi  hominum,  qui 
nos  a  Christi  servitute  avellere  conantur.  Oratio  Constantii  Eubuli 
de  virtute  clavium  et  bulla  condemnationis  ad  romanorum  impera- 
torem  Carolum.  Ibidem  t.  5,  pag.  361. 


—  Ja- 
ne osteggiarono  in  ogni  tempo  i  suoi  precessori.  Ma  sin  que- 
sto irresistibile  bisogno  della  nazione  per  al  presente  im- 
portavagli  subordinare  ad  altre  ragioni  di  stato.  Talché  nella 
causa  di  Lutero  non  vide  da  principio  che  una  nuova  con- 
giuntura, o  meglio  uno  strumento  nuovo  di  negoziazioni 
colla  corte  romana. 

Vili.  Le  quali  si  fecero  più  assidue  e  risolutive,  dacché 
all'ambasciatore  spagnuolo  Pietro  d'Ujrea,  caduto  in  disgra- 
zia del  pontefice  (i)  succedette  don  Giovanni  Manuel  con 
ampli  poteri.  L' accorto  uomo  di  Stato,  giunto  a  Roma  al- 
lora che  vi  si  trovava  anche  I'  Eck,  e  la  quistione  religiosa 
dava  luogo  a  tanti  concistori  e  consultazioni  di  teologi,  s'av- 
vide ben  tosto  dell'  utile  che  ne  potrebbe  cavare  il  padron 
suo.  Vostra  maestà,  scrivevagli,  dovrebbe  recarsi  in  Germa- 
nia e  là  far  qualche  grazia  a  certo  Martino  Lutero,  il  quale 
per  le  cose  che  predica  mette  grande  timore  al  papa  (2). 
Parve  buono  il  consiglio  ;  ed  in  fatto  quando  Aleandro 
portò  la  bolla  di  condannazione,  il  signore  di  Cbievres  la- 
sciavasi  uscir  di  bocca,  che  V  imperatore  si  sarebbe  portato 
bene  verso  il  pontefice,  se  il  pontefice  si  portasse  bene  con  lui 
non  aiutando  i  suoi  contrarii  (3),  e  poi  soggiungeva  :  se  mai 
il  pontefice  impacciasse  gli  affari  dell9  imperatore,  anche  noi 

(1)  Per  aver  fatto  di  notte  arrestare  e  poi  tradurre  a  Gaeta  uno 
spagnuolo,  il  quale,  in  una  controversia  con  altro  suo  connazionale 
intorno  ad  un  priorato  di  s.  Giacomo,  declinando  il  giudizio  com- 
petente, s' era  procacciato  sentenza  favorevole  a  Roma.  L' amba- 
sciatore allegò  a  scusa  gli  ordini  del  suo  re,  e  tre  cardinali  s' inter- 
posero acciocché  il  papa  non  lo  scomunicasse.  Marin  Sanato  tomo 
XXVII  28  ag.  6  ed  8  sett.  1519. 

(2)  Martin  Luter,  del  qual  tiene  el  papa  grandissimo  myedo . . . 
dizen  que  es  grande  letrado  y  tiene  puesto  al  papa  en  mucho  cuy- 
dado.  Roma  12  mayo  1520.  Corespondencia  de  Carlos  V,  raccolta  dal 
cronista  Luigi  di  Salazar  y  Castro.  Biblioteca  de  la  Academia  d'Hi- 
storia  de  Madrid  A.  19,  p.  62,  ms. 

(34  Pallavicino  Hist.  del  concilio  di  Trento  par.  1,  pag.  155. 


—  u  — 

gli  smciteremo  tali  imbrogli  eh'  ei  non  potrà  così  facilmente 
districarsene  (i).  Ecco  il  punto  di  veduta  onde  mossero  da 
principio  Je  deliberazioni  di  Cesare  :  non  la  verità  sustan- 
ziale  delle  credenze,  né  F  interesse  della  nazione  che  vi  era 
congiunto,  si  la  condizione  politica  delle  cose  ed  il  bisogno 
che  per  essa  aveva  del  papa  tanto  a  soperchiare  la  Francia 
quanto  a  consolidare  la  dominazione  in  Ispagna.  Imperocché 
ivi  il  governo  quale  aveva  costituito  Ferdinando  il  cattolico 
fondavasi  principalmente  sull'inquisizione;  ma  a  questa  op- 
ponevansi  ornai  le  corti  di  Aragona  e  di  Castiglia;  che  anzi 
le  prime,  voltesi  al  papa,  ottennero  alcuni  brevi,  in  virtù  dei 
quali  dovevansi  mutarne  del  tutto  gli  statuti  per  avvicinarli 
alle  forme  del  diritto  comune  (2).  Gli  era  appunto  ciò  che 
sopra  ogni  altra  cosa  importava  a  Carlo  d'impedire  per  non 
sciogliere  i  popoli,  a'  tempi  cosi  inquieti,  da  quel  terribile 
freno;  tanto  più  che  ne  avrebbe  patito  il  danno  anche  negli 
altri  stati  e  segnatamente  nel  regno  di  Napoli.  Vero  è  che  in 
cambio  correvasi  rischio  d' innuzzolire  a  domande  insolite  il 
papa,  il  quale  avvezzo  ad  alzarle  secondochè  crescevano  le 
angustie  di  Cesare  e  le  profferte  del  rivale,  continuava  a  dir 
vituperio  della  inquisizione  (3),  e  a  far  le  viste  che  gli  spia- 
ceva di  essersi  aperto  col  primo  (4).  Ma  il  pensiero  applicato 

(1)  Leopoldi  Ranke.  Deutsche  Geschichte  im  zeitalter  der  re- 
formatioo.  Berlin  1852, 1. 1,  pag.  372. 

(2)  Llorente  Histoire  de  l'inquisition  d' Espagne  t.  1,  pag.  395. 

(3)  Està  informado  el  Papa  contra  la  Inquisition  y  dize  que  se 
hazen  en  ella  tetTibles  cosas  de  males...  que  P.  M.  no  lo  devria  con- 
sentir. 0.  Juan  Manuel  al  rey,  Roma  30  may  1520.  Biblioteca  de  la 
Accad.  a?  Historia  de  Madrid  1.  e.  A.  19,  pag.  Ti  ms. 

(4)  Y  en  caso  que  V.  M.  no  se  concerte  con  el  papa  yo  creo  que 
ellos  (i  francesi)  se  concertaran  con  el  adatto  de  V.M.  porque  mu- 
chas  cosas  se  rne  han  revelado  aqui ...  agradesteye  muy  mal  al  pa- 
pa haverse  descuòierto  tan  darò  y  apertamente  con  V.  M.,  stendo 
su  condiTio  timjda  y  enbjerta.  D.  Juan  Manuel  al  rey,  Roma  30  may 
1520.  Ibidem  p.  85,  ms. 


—  4»  — 

a  principali  negozii  vuole  prudenza  di  Stato  non  distolgano 
considerazioni  d' interessi  subordinati,  i  quali  quando  for- 
viassero dalla  meta,  purché  quelli  riescano  a  bene,  facile  è 
appresso  riparare.  E  principale  negozio  era  certo  per  Carlo 
di  non  essere  ristretto  nell'  esercizio  de'  suoi  poteri;  il  per- 
chè, a  patto  che  Leone  desistesse  dall'anteriore  pretensione 
di  nominare  a  tutti  i  vescovati  e  benefizi  nei  regni  di  Spa- 
gna e  di  Napoli,  recavasi  a  guadagno  la  esaltazione  dell'auto- 
rità spirituale  per  adoperarla  a  far  prevalere  la  imperiale  iti 
confronto  de'  principi  di  Germania  e  di  qualunque  avversa- 
rio. Noi  vogliamo,  diceva  egli,  usare  la  protezione  di  ma 
santità  e  della  chiesa  per  modo  che  le  due  potestà,  pontificale 
ed  imperiale,  paragonale  a  dite  grandi  luminari  dell9  uni- 
verso, si  aiutino  a  vicenda  in  tener  viva  e  immacolata  la 
luce  della  religione  cristiana,  disperdendo  le  tenebre  che  la 
oscurano,  e  facendo,  giusta  la  sentenza  del  Redentore,  che 
uno  sia  r  ovile  ed  uno  il  pastore.  A  tal  uopo  siamo  disposti 
di  convenire  in  ogni  cosa  necessaria  a  fermare  la  quiete  d'I- 
talia, a  svellere  le  radici  delle  discordie,  a  stabilire  la  gran* 
dezza  di  sua  santità  e  de*  suoi,  a  consolidare  la  sede  aposto- 
lica (i).  Alle  magnifiche  parole  rispondevano  le  condizioni 
dell'  alleanza  per  la  conquista  di  Milano  :  Parma  e  Piacenza 
darebbe  alla  chiesa;  aiuterebbe  il  papa  contro  i  sudditi  e 
feudatarii  suoi  e  nominatamente  contro  il  duca  di  Ferrara; 
Francesco  Maria  Sforza  tornerebbe  in  istato.  Pareva  non  vo- 
lesse Carlo  per  sé  in  Italia  un  palmo  di  terra  di  più:  ma  in 

(1)  Quod  commode  fieri  non  posset,  nisi  spiritualis  gladius  si- 
mulque  temporalis  invicem  jungerentur,  ac  debitis  oflìcijs  sibi  invl- 
cem  corresponderent,  ut  inde  unitis  christianorum  armis  contra 
christianae  religionis  hostes  progredì  valeamus,  christianamque 
religionem,  prout  nobis  est  cordi,  totis  viribus  propagare,  ut  sicut 
nomine  ita  re  et  effectu  catholici  titulum  obtinere  videamur.  VolU 
macht  de*  kaisers  far  Don  Juan  Manuel  seinen  gesandten  zu  Rom. 
Brùssel  15  jun.  1520  Monum.  Habsb.  Zw.  Abth.  1. 1  pag*  178. 


—  46  — 

realtà  mentre  aspirava  da  una  parte  alla  riputazione  assai 
profittevole  di  liberale  campione  della  santa  sede,  intendeva 
dall'  altra  a  ristabilire  il  nesso  feudale  tra  la  Lombardia  e 
l' impero,  per  cui  avrebbe  dischiusa  la  via  alla  congiunzione 
delle  forze  tedesche  con  le  spagnuole.  Ne  si  creda  che  papa 
Leone  si  lasciasse  illudere  dalle  apparenze..  Ma  ogni  volta 
che  P  imperatore  non  tenesse  fede,  andava  seco  divisando 
colle  forze  altrui  farlo  tornare  a  segno  (i),  e  più  ancora 
il  confortava  la  speranza,  ampliato  che  fosse  lo  stato  ponti- 
ficio e  rimesso  lo  Sforza  a  Milano,  di  ridestare  il  senti- 
mento nazionale  per  modo  da  scuotere  anche  nelle  due 
Sicilie  1'  odiata  e  mal  ferma  dominazione  degli  stranieri  (2). 
V  era  poi  nella  causa  di  Lutero  altro  e  gravissimo  motivo, 
bastevole  a  levargli  ogni  dubbio  sul  partito  da  prendersi. 
Quando  bene  non  l'avesse  Carlo  contentato  di  ciò  che  stava 
allora  in  cima  alle  sue  temporali  ambizioni,  né  il  movesse 
o  l'animo  tanto  avverso  a'  Francesi,  quanto  grande  era  l'af- 
fezione ad  essi  de'  Fiorentini  per  P  amore  della  libertà  più 
volte  col  mezzo  loro  ricuperata,  o  Io  sdegno  della  insolenza 
di  Lautrech  e  del  vescovo  di  Tarbes,  i  quali  nello  stato  di 
Milano  qualunque  breve  o  provvisione  ecclesiastica  con  su- 
perbe parole  dispregiavano  (3),  poteva  egli  congiungersi  con 
Francesco  senza  arrischiare  quel  poco  di  autorità  che  rima- 
nevagli  in  Germania?  Ècco  perchè,  sebbene  ancora  ai  primi 
di  gennaio  del  4521  convenisse  nel  disegno  di  snidarlo  d'I- 
talia coll'aiuto  degli  Svizzeri  e  de'  fuorusciti  lombardi,  come 

(1)  Francesco  rettori.  Sommario  della  storia  d'Italia  dal  1511  al 
1527.  Arch.  stor.  ital.  Append.  22,  pag.  335. 

(2)  Sperava,  consolidato  lo  Sforzesco  in  Milano,  disporre  Cesa- 
re a  levarne  tutte  le  armi  oltramontane,  se  non  amorevolmente,  per 
timore;  atteso  la  comune  utilità  che  unirebbe  a  questo  sempre  tutti 
i  potentati  italiani,  oltre  al  pericolo  delle  forze  francesi,  Jacopo  Pitti 
Istoria  fiorentina.  Arch.  stor.. ital.  1. 1,  pag.  120. 

(3)  F.  Guicciardini,  Storia  d'Italia  Milano  1851,  t.  3,  pag.  18. 


—  47  - 

lo  certifica  la  contemporanea  rivocazione  de'  brevi  contrari! 
all'  inquisizione  spagnuola,  onde  compiacque  P  imperato- 
re (1  j,  pure  indugiò  a  sottoscrivere  il  relativo  trattato,  fin- 
ché questi  non  avesse  eseguita  la  bolla  contro  Lutero.  Ades- 
so, dicevagli,  potrete  mostrare  che  vi  sta  a  cuore  V unita  della 
chiesa;  indarno,  giusta  la  sentenza  dell9  apostolo  Paolo,  ci" 
gnereste  la  spada  suprema  della  potestà  terrena  se  non  la 
adoperaste  tanto  contro  gli  infedeli  quanto  contro  gli  eretici 
ancor  più  degli  infedeli  detestabili  (2). 

Bisognava  frattanto  tener  segreto  P  accordo,  starsene 
preparato  alla  guerra,  spignere  anzi  P  avversario  a  comin- 
ciarla per  aver  poi  di  che  giustificare  la  lega  con  Cesare,  e 
chiedere  il  soccorso  dell'  Inghilterra.  Tanto  fece  Leone  e  con 
si  rara  maestria  d'infingimenti,  che  stimo  prezzo  dell'  opera 
dichiarare.  Sua  santità  è  del  tutto  deliberata  a  vivere  e  mo- 
rire in  fede  e  in  unione  perpetua  col  re  Francesco  :  queste  e 
somiglianti  parole  aveva  più  volte  il  Bibiena  tornato  dalla 
legazione  di  Francia  a' primi  del  1520  e,  studioso  essendo 
di  confermarne  P  amicizia,  in  aria  di  trionfo  (3)  comunica- 


li) Sin  dal  21  ottobre  1 520  dichiarò  al  grande  inquisitore  di  Spa- 
gna non  voler  più  oltre  favorire  le  pretensioni  delle  corti  di  Arago- 
na, né  introdurre  novità  in  tale  materia  senza  il  consentimento  del- 
l'imperatore.  Ai  12  dicembre  promise  annullare  tutto  ciò  ch'era 
avvenuto  contro  l'inquisizione,  e  finalmente  ai  16  gennaio  1521  do- 
mandò gli  fossero  rimandati  i  brevi  a  Roma  affinchè  ei  potesse  cas- 
sarli. Morente,  Histoire  de  l' inquisition  t.  1,  p.  396  e  405. 

(2)  Deus  accinxit  terrenae  potestatis  supremo  gladio,  quem 
frustra  profecto  gereres  juxta  Pauli  apostoli  sententiam,  nisi  eo  u- 
terere  cum  contra  infedeles  tum  contrainfìdelibus  multo  deteriores 
h  aereticos.  Archivio  di  Franco  forte  presso  Ranke  opera  citata,  t  I, 
pag.  375. 

(3)  L'ambasciatore  don  Manuel,  scrivendo  dei  cardinali,  dice  di 
lui:  nopuede  nada,  ahunque  haze  entender  alla  que  puede  mucho. 
Roma  27  j un.  1520.  Corespondencia  de  Carlos  V  I.  e.  Biblioteca  de 
la  Academia  d'HUtoria  de  Madrid.  A.  1 9,  pag.  1 1 5,  ras. 


—  4&  — 

te  a  Luisa  di  Savoia  madre  del  re;  perchè  scrivere  a  lei, 
secondo  ch'egli  dice,  era  come  scrivere  al  re  stesso,  o  come 
alla  Trinità,  nella  quale  per  larghezza  d'ossequio  compren- 
deva anche  Margherita  d'  Àlemjon,  poi  regina  di  Navarra, 
sua  sorella,  con  espressione  usata  da'  poeti  e  più  che  irrive- 
rente in  bocca  d'un  cardinale  (1).  Chi  non  avrebbe  creduto 
vi  rispondessero  i  fatti  ?  massime  allora  che  andava  nunzio 
in  Francia  monsignor  Giovanni  Rucellai,  1'  autore  delle  Api, 
e  il  vescovo  Lodovico  Canossa  passava,  consenziente  il  ponte- 
fice, a'servigi  di  Francesco,  le  cui  parti  in  Roma  sostenevano 
due  personaggi  di  molto  nome,  Alberto  Pio  conte  di  Carpi, 
e  Giovanni  Stuard  duca  d'Albania,  di  regio  sangue,  ma  nato 
in  Francia  e  in  Francia  rifuggito  per  le  discordie  della  Sco- 
zia. Lo  credette  Francesco,  allorché^  impaziente  di  sguaina- 
re la  spada,  eccitava  i  Veneziani  e  gli  Svizzeri  non  solo  a 
mettersi  in  apparecchio  di  armi,  ma  a  far  moti  provocativi 
di  guerra,  assicurandoli  che  verrebbe  in  persona  in  Italia 
alla  testa  di  cinquantamila  uomini  (2),  ed  al  papa  proponeva 
un  nuovo  abboccamento  a  Bologna  per  mandare  ad  effetto  i 
patti  da  cinque  anni  indietro  ivi  fermati  (3).  Ma  questi  ne 
prese  invece  occasione  a  mandare  in  Elvezia  Antonio  Pucci, 
vescovo  di  Pistoia,  per  soldare  e  condurre  nello  stato  della 
chiesa  seimila  svizzeri,  e  mentre  di  ciò  adduceva  con  alcuni 

(1)  Giuseppe  Molini.  Documenti  di  storia  italiana.  Firenze  1836 
1. 1.  Docum.  XXXIV,  XXXV,  XXXVI,  XXXVII,  XXXVIII.  L'ultima  di 
queste  lettere  19  mag.  1520  è  anche  in  ciò  importante,  che,  mo- 
strando il  cardinale  in  letto  per  molta  infermità,  viene  a  spiegare 
naturalmente  la  morte  sua,  che  pochi  mesi  dopo  avvenne,  ed  alcuni 
attribuirono  a  veleno. 

(2)  Marin  Sanuto  t.  XXIX,  di  Francia  22  ag.  e  28  sett.  1520.  . 

(3)  Sommario  della  relazione  di  Antonio  Giustiniani  ritornato 
oratore  di  Francia  :  disse  averli  ditto  (il  re)  che  certo  el  voi  venir  a 
lion  et  sii  papa  li  seguirà  vera  a  bologna  a  parlarli  si  per  ratificar  li 
capitoli  feno  insieme  li  a  bologna  et  strenzerli  più  come  per  ti  arsi 
reputation.  E  par  il  papa  vadi  protratiendo.  Ibidem  sett.  1520. 


—  49  — 

inverosimile  cagione,  il  desiderio  cioè  di  poter  vivere  sicu- 
ramente, sapendo  che  ogni  giorno  erano  dai  ribelli  vassalli 
macchinate  cose  nuove  (1),  lasciava  cadere  nei  discorsi  con 
altri  che  fosse  in  danno  dell'imperatore.  Allora  a  Francesco 
il  fargli  instanza  di  adoperarli  al  conquisto  di  Napoli,  ed  a 
Leone  lo  schermirsene^  prima  col  dire  che  non  ne  aveva  più 
di  bisogno  (2),  e  poi  coli'  andar  in  cerca  di  un  nuovo  prete- 
sto di  chiamarli.  Né  gli  innncò;  perocché  essendo  in  que' 
giorni  circa  tremila  fanti  spagnuoli  (stati  più  mesi  in  Sicilia, 
i  quali  non  volendo  ritornare  in  patria  passarono  a  Reggio 
di  Calabria)  venuti  insino  ai  confini  dello  stato  dèlia  chiesa 
con  intendimento  che  il  papa  s' avesse  a  riscattare  da  loro 
come  aveva  fatto  nella  guerra  d' Urbino,  questo  accidente 
che  porse  il  destro  a  Carlo  di  mandare,  giusta  gli  accordi  col 
pontefice  (3),  cinquecento  lance  ed  altre  truppe  a  presi- 
dio di  Napoli,  diede  anche  al  pontefice  medesimo  desiderata 
occasione  di  colorare  colla  paura  e  le  nuove  armi  che  faceva 
e  la  chiamata  a  capitano  generale  del  marchese  di  Mantova, , 
il  quale  siccome  vassallo  dell'impero  non  poteva  servire  con- 
tro Cesare.  Quindi  nell'atto  stesso  che  mandava  il  figlio  del- . 
l'ambasciatore  don  Manuel  per  soldare  quelle  truppe  spa- 
gnuole  insieme  coli' imperatore  (4),  dando  voce  che  ciò  fos- 
se momentaneo  ripiegp  e  nulla  più  (5),  rivolgevasi  a  Fran- 
cesco acciocché  concorresse  per  metà  alla  spesategli  Sviz- 

(1)  Ibidem  di  Roma  18  e  27  ott  1520, 

(2)  Acta  Cornila  X  oratori  in  Fraocia  22  die.  1520,  m.s. 

(3)  Quantunque  nel  trattato  8  mag.  1521,  di  cui  parleremo  ap- 
presso, fosse  differito  a  settembre  l-  obbligo  di  mandare  500  lance 
nello  slato  della  chiesa,  pure  evviun  articolo  per  cui  esse  dovevano 
condursi  jam  nuno  sub  alio  colore  et  pruetextv.  Ben  si  vede  che  il 
trattato  era  conchiu&o  molto  tempo  prima  delia  sua  sottoscrizione. 

(41  Gio.  Matteo  Giberto  a  don  Lorenzo  Manuel  ed  al  priore  di 
Capua  31  gemi.,  9* 18  febb.  e  5  marzo  1521.  Musatili  lettere  di  prin- 
cipiti,^. 74-79.  • 

(5)  Mori*  tenuto  t.  XXIX  di  Roma  17  geo.  2, 13, 18  feto),  1521. 


—  80  — 

zeri  che  affermava  voler  condurre  a  sicurtà  sua  contro  Ce- 
sare. Alla  qual  domanda,  dubitando  non  forse  volesse  con 
essi  assaltare  Ferrara,  differì  il  rispondere  Francesco,  paren- 
dogli ancora  impossibile  che,  quando  bene  di  ciò  non  lo  com- 
piacesse, ne  pigliasse  tanta  indignazione  da  accordarsi  col 
rivale  a'  suoi  danni  (4).  Ne  godette  Venezia,  di  già  troppo 
insospettita  degli  apparecchi  guerreschi  del  papa  (2)  e  solleci- 
ta della  salvezza  del  duca  (5);  onde  a  questo  diede  facoltà  di 
far  passare  per  i  proprii  dominii  da  cinquecento  fino  a  mille 
lanzichenecchi,  tacitamente  senza  strepilo  e  dimostrazione  di 
bandiere  (4),  ed  anche  allo  spodestato  Francesco  Maria  della 
Rovere,  non  più  sicuro  a  Mantova,  dacché  quel  marchese  era 
passato  ai  servigi  del  papa,  concesse  di  soggiornare  nelle  pro- 
prie terre  (5).  E  tanto  sicuro  tenevasi  Francesco  dell'alleanza 

(1  )  Francesco  Vettori  L  e.  p.  333. 

(2)  El  pont.  far  cavalcare  le  sue  gente  haver  conducto  el  Mar- 
chese da  Mantoa  et  etiam  luj  recuperare  danarf  cum  vendere  offici ... 
et  non  sapendo  Nuy  d  che  fin  tendino  cussi  gran  preparamenti  sal- 
vo quello  se  divulga  per  le  cose  de  Ferrara:  Il  che  ha  affirmato  ef 
pont.  io  consistono  cum  sacramento  non  esser  vero...  et  si  ben  se 
dica  chel  pontefice  chiama  sguizari  per  sua  defensione  potrianp  ben 
queste  gente  unite  in  tanto  numero  mutar  pensier  et  far  de  le  no- 
vità. Acta  Constiti  x  t.  XLIII  oratori  in  Francia  16  febb.  1521,  m.s. 

(3)  Non  potevamo  salvo  che  grandemente  laudar  et  extoller  la 
sapfentìa  de  la  Cel.ne  sua  che  voglia  observar  la  fede  a  quel  signor 
duca  etiam  da  nuj  amato  da  char.  fiol  et  procurar  che  cadauno  go- 
di el  suo  in  pace...  et  occorrendo  assalto  improvisto  a  quella  terra 
non  li  mancar  de  soccorso  secreto  o  publìco,  affermarete  a  la  M.ta 
sua  che  Nuj...  non  slamo  per  mancar  unitamente  cum  sua  M.ta  de 
quanto  sarà  bisogno  per  conservation  de  la  dieta  terra.  Ibidem  ora- 
tori in  Francia  22  dicembre  1520,  m.s. 

(4)  Che  siamo  contenti  de  dar  transito  a  500  fin  ad  lOOOlansze- 
nech  accadendo  el  bisogno,  i  quali  debano  venir  a  parte  a  parte  non 
excedendo  el  numero  de  50  in  100  a  la  volta  andando  per  diverse 
strade  et  non  intrando  in  alcuna  città  nostra...  tacitamente  senea 
strepito  et  demonstration  de  bandiere.  Ibidem  24  gen.  1621,  m.s. 

.  (5)  Slamo  contenti  satfefer  al  desiderio  de  sua  Signoria  che! 


—  «  — 

del  papa  che,  postergando  sino  i  patU  anteriprraente  fermati, 
non  parlava  più  di  affidare  la  reggenza  del  regno-di  Napoli 
durante  la  minorità  del  secondogenito  suo  ad  un  legato  apo- 
stolico, si  ad  un  Aglio  del  re  Federico,  e  poi,  morto  qoepto, 
al  duca  di  Lorena  (4),  parendogli  più  che  bastevole  per  non 
lasciarsela  fuggire  di  mano  e  le-  reiterate  promesse  di  venire 
a  Bologna  (2),  e  gli  armamenti  fatti  Del  Delfinato  e  in  Ita- 
lia (3),  e  le  angustie  dell'imperatore  in  Germania  (4).  Quin- 
di vistolo  esitante  a  conchiudere  (5),  stava  in  sul  tirato,  i^- 
toravasi,  minacciava  (§);  e  bastò  nondimeno  che  quei  tor- 
nasse alle  tonsuete  menzogne:  essere  disposto  a  ratificare!  la 
lega  (7),  non  over  voluto,  per  buoni  partitiche  gli  facesti, 
accordarsi  con  Cesare  (8),  perchè  dodicimila  Svizzeri,  due 

possi  renimele  terre  et  luof  i  nostri  et  etiam  in  questa  cita  nostra 
cum  la  famiglia  et  beni  $oi  star  et  liabilar;  et  partir  ^  suo  bene- 
placito per  èsser  le  terre  del  stado  nostro  libere  a  cadauno.  Ibidem 
16geri.  1521,  m.$. 

(f  )  Marin  Sdtoùtot.  XXÌX  di  Roma  Ì6  e  26  die.  7520.    l 

<2>  Che  voi  tfaf  ajute  al  papa  dt  zente  e  socotsoe  Ano  ala  per* 
Mna./6i<femdiFranza6e2ftfebb;  1521.  -  .  .  j 

(3)  Ibidem  di  fyilan  e  di  Verona  13  f$fyU52). 

(4)/6^wdiFranzal5e20febl?.;J5^K.    / 

(5)  Ma  il  papa  non  conclude,  eia  come  el  fece  a  fcologna,  chéfó 
trata  quasi  slriitl  rrtaterTa/  EU  pap&eqirélld  e  più  in  pericolò  df  ali- 
tri,  e  tì<m  si j risolve.  ìbidem  di  Pranza  16  gen.  15*1.  " •: 

(6)  ^ re  e  chiamato  primogenito. di  lachiesia^e  cussi  voi  eea», 
e  |i  da  al  papa  le  for&e,  q  prome te  a  aju tarlo  con  la  perdona  ;  ina 
quando  el  vedesse  il  contrario  dil  papa,  sana  il  primo  diavolo.  Ibi- 
dem di  Franza  27  febb.  1521. 

(7)  Sua  Santità  li  dixe  (  all'orator  veneto)  che  l' haveva  ben  di- 
sposta le  òòse  cum  el  SLmo Re. ..  essendo  luti  tre  uniti  se  assecu- 
reressemo  et  «He  al  tu**  fosse  tenuto  secretissimo.  Anta  Censite  M, 
t.  XLIIII  oratori  in  Francia  6  marzo  1521 ,  mas,  .  t 

(8)  Non  si  a  valuto  accordar  con  kiiv  tìzet  li  facesse  boo  partiti... 
Perno  per  ben  da  Italia  e  dil  chr.  ree  dila  signoria  vostra  ne  volere© 
tuor  alcuna  impresa  senza  il  VDÌer  vostro.  Mariti  Sòtmto  t  XXX  di 
Roma 2ft^2Zmartt> ifilHVr  »  -m^mi  ./  -.:ao:.:j  -j;/  •«',,.  «  >... 


■~  51  — 

Mólte  tinti  dei  richiesti  ■  ottenessero  il  paèso  per- tostato'  di 
;toilàrto'(i)^  ed  al  governatore  Lantrec  fosse  irnposto  di  «€- 
-coaìpàgnaHicòfli  quattrocento  lance  e  parecchi  catarróni  mi 
dominio  detta  chiesa  (2).      « 

i;  Tanto  nella  gara  d?  infingimenti  «con  Leone  andava  a 
traverso  ciascuno.  Ed  ohi  potesse  to  storico  cancellare  al* 
menò  la  métócrt'ia  de'modi  più  inonesti  ancóra  co' qitòlij 
-sfotto  éèlore  di  fìon  essere  oppresso  dai  due  principi  ri vali:> 
itìeHtre  trattava* con  ciascuno,  aveva,  poco  prima  raffermata 
ia  dominazióne  temporale.  Per  ricuperare  Perugia  chiamò 
'a1  Roma  Giampaolo  taglione  e  quivi  lo  fece  prendere  e  deca- 
pitare, malgrado  del  salvocondotto  di  proprio  pugno;  la  cui 
violazione  nt)n  poteva  cadere  in  mente  neatìco  di  quel  tirane 
no,  fosse  pur  reo  degli  enormi  delitti  confessati  nella  tortura. 
Quindi  tòlse  Fermo  a  Lodovico  Freducci,  che  combattendo 
còni  soli  dugentò  uomini  contro  mille  cavalli  e  quattromila 
fanti  perù  Del  che  sgomentati  gli  altri  signori  delle  Màrcie 
o  fuggirono*,  o  men  cauti,  quali  Àmadei  di  Recapati,  Zibic- 
-ehiOi  di  Fabbriano,  Ettore  Severiani  di  Benevento  corsero  a 
Roma  per  implorare  la  clemenza  del  pontefice  ed  ebbero  in* 
vece  tortura  e  capestro  (3).  Ghe  più?  noti  avendo  potuto 
spogliare  a  fqr?a  di  Ferrara  il  duca  Alfonso  d  Este,,  praticò 
jpe^apt?;  liberto, Gam^ara  protonò^rio  apò^oUcò  udi:  farlp 
avvelenare;  se  $03  che  il  capitana  tedesco  Ridolfo  Hell,  en- 
irato  nella  congiura  solo  per  averne  le» prove,  la  rivelò,  ed 
Alfonso iie  fecestendere  processo, gli  atti  del  quale,  insieme 


-  (1|  Ghé  hora  mai  dia  esser  aperto  a  tutti  la  causa  di  tal:  aduna- 
no», e  cke  il  re  chr.  eonvien  ajutar  il  papa  per  capitoli! hanno  insie- 
me. Ibidem  diFranza4, 6, 19  marzo  1521.  il    !. 

(2)  Al  presente  il  papa  andava  realmente  oen  lui,  perho  havia 
determinato  di  aiutarlo  con  zente . . .  ànderono  a  Roma,  poi  in  rea»» 
mtó  Ibidem  di  Pranza  19, 20  marzo  1621 . 

(3)  P.  Jovius  Vita  Leonia  X.  Basilea  Ì578  lib.  IV,  pag^3J.    .:.  li 


—  da  — 

con  le  lettere  originali  del  protonotario»  furono  depositati 
negli  archivi  ducali  (i).  :  .1 

IX.  Mentre  queste  cose  avvenivano,  adunavano  i  priori 
cipi  tedeschi!  alla  dieta  di  Worms,  aperta  dall'  imperatore  il 
di  28  gennàio  452-1,  anniversario  di  Carlo  Magno.  Ma  quanto 
da9  tempi  suoi  diversa  va  il  sacro  romano  impero I  La\  mo* 
narckia  stata  una  tolta  dominatrice  del  mondo,  disse  Carlo, 
la  monarchia  stabilita  ed  onorata  da  Dio,  non  è  piU  noanco 
F  ombra  di  sé  medesima:  spero  però  coW  aiuto  de' molti  rei 
gni  e  degli  alleati  largitimi  dal  cielo  di  ritornarla  all'antica 
sua  gloria  (2).  Gli  era  ciò  che  co?  lor  voli  affrettavano  i  let- 
terati, esortando  alt' udita  nazionale  sotto  il  vessillo  di  Xtesat 
re,  cui  anche  fondine  de' cavalieri  augurava' maggiore  pos* 
sanza  in  danno  de'  principi  oppressori.  Prepoteva  al  contra- 
rio I»  parte  degli  elettori,  cupidi  di  trarre  a  sé:  V  effettuale 
govertìo,  sostenuta  essendo  :  indirettamente :  e  dai  piccoli  -  dir 
uasti  per  ambizione)  di  dooiiiMO;,  e  sin  dalla;  lega  Sv6va>  la 
quale,  cresciuta  in  bastanza,  mal  soffriva  qualsivoglia  auto- 
rità superiore;  massime  dacché  vi  prevalevano  i  principi  e 
tré  questi  U  <*tìca  di  Baviera  ripugnante  dall'  adoperare  la 
lega  a  tutto  altro  che  a' sucri  Ahi,  Vero  è  chele  città  confò* 
derate,  stanti  in  preda  z-  principi  stessi  e  sproporzionalmente 
afflitte  di  lete  ed'  imposte,1  facevano  opert  di  svincolarsene  j 
ma  queste  e  le  rimanenti*  escluse  altresì;  dal  partecipare 
nelle  diète  alle  deliberazióni  comuni:  anziché  gradire  il  eiuW 
solidatiiettto  della  potestà  imperatoria,  affissa  varisi  nella  Svàz^ 
zera?  le  cui  libéHàrion  erano  meno  appetite  da*  contadini 
ugualmente  infastiditi  e  del  clero  sovrano  e  de'  principi' se* 
colari  e  de?  nobiK  (3);       ',  •    .    I    «  ,-j.. 


(1)  Muratori,  Annali  d' Italia  a».  1620,4.-  XJV^pag.  164.  i 
(2j  L.  ftanhe,  Deutsche GeaciikiiJe,  t,  1,  pag.  3Ò& ,     .;,;     -;-....,;, 
(3)  Karl  Hagen,  Deutsche  Geschichte.  Frankfurt  1855 k-2;  pagi 
141  egee.  •/.!  vf,|  x.-\yA\  *0 


Jft  tenia  discordia  di  parti  corrodenti T  aggregamento 
sociale  come  impromettersi  di  farle  tutte  cospirare  nel  me- 
desimo proposito  di  un  nuovo  ordine  diicose?  Ntìn  ostava 
the  dfecidere  a  quallie  di  osse  ^seienebbesi  il  di  sopra;  e 
nèaftto  m  questo  aveva  Carlo  libere  te  ittàal,  viacolato'  es* 
sendo  Mnverso  4tf  principi  da-  anteriori  promesse  e  da)  ri* 
guardo  di  non  alienarsene  l'anima  neUa  wnwinefite  g&eira 
contro  Francia.  Indi  la  8ollecit«dine  di  fatoreggìara  gli *  ai^ 
tichì  partigiani  e  i  nuovi,  di  sospendere  là  risoluzione  delle 
pie  ardue  controversie  tra  loro  per  farla  dipendere  da  gran 
zie  ulteriori,  di  evitare  i  cimatiti  arrisicati  di  riforma.  D©k 
t?  artìtésedvo  diMagonzd*  arctcancelliere  ddll- impero^  am* 
ptid  i  poteri  attribuendogli  la  «spedizione  degli  atti  pubblici  ; 
ali*  elettore  di  Sassonia  confermò  il  matrimonio  di  sua  ni- 
pote'coll?  infanta  Caterina;  al  margravio  Casimiro  di  Bran- 
tJebUrgo  diede  P  aspettativa  del  primo  feudo  vacantem  Ita- 
lia, ed  al  palatino  Federico,  ia  luogo  della  promessa  vicereg- 
-genza  ài  Wapòty  la  dignità  di  luogotenente  imperiate  ;  ai  $uo 
fratelift,  V  arciduca  Ferdinando,  lasciò  in  proprio  i  cinque 
ducati  austriaci  (1),  ai  quali  poco  dopo  aggiunse  la  c^nt^a 
del  Tirólo,  i  possedimenti  nella Bnrgovia, nella Svevìiae nel- 
l;  Alsazia^  e  il  ducato  di  Wirtecaberg  acquistato  colle  armi 
dalia  lega  s  veva  (2);  la  sovranità  feudale  sulP  Holsteincop- 
ferì  jal  ite  <dj  Danimarca  suo  cognato,  in  danno  del  vescovo  di 
Imbecca  al  quale :  spetta  va,  e  tra  il  grantttaestro  dell'  ordine 
teutonico  e  il  re  di  Polonia  conciliò  un  armistizio  di  quattro 
anni, f  destinando  sé  medesimo,  il  fratello  Ferdinando  ed.  il 
re  di  angheria  arbitri  della  contesa  intorno^i  doveri  di  vasr 
sallaggio  della  Prussia  verso  un  principe  straniero.;    >    .  .<.  • 


(1)  Pro  yortioiiei  haer edito  ria  28  apr.  1521.  f.  B.  vou  Bucholtz. 
Geschichte  der  fregierung  Ferdinand  des  ersten.  Wien  1831;  tom.  1, 
pagil^       :  !:i:;irr.vf     -.V  •::  ■::••■*■•  ■;•       •  /;.  •.  >->  :.   ■ 

\2)  Ibidem  pag.  158.  -  *  .-  u  l 


—  ss  — 

Con  tali  auspizi  incominciarono  a  Worms  te  consulta- 
zioni sopra  i  generali  ordinamenti  dell'  impero. 

Conforme  ai  patti  della  elezione  proposero  gli  elettori  la 
instituzione  di  un  consiglio  di  reggenza  composto  di  venti 
persone  tra  deputati  loro  e  degli  altri  stati,  con  facoltà  di 
condurre  trattative,  di  strignere  alleanze  in  casi  urgenti  e  di 
spedire  gli  affari  feudali.  Tanta  diminuzione  di  potere  noe 
soffrì  in  pace  1*  imperatore,  e  tuttavia,  dopo  molte  contesta- 
zioni e  qualche  minaccia  di  compiacere  alla  parte  nazionale 
capitanata  da  Ulrico  de  Uùtten  e  da  Francesco  de  Sickingen, 
dovette  infine  acconciarvi*!,  benché  salvo  V  onore,  avendo  ot- 
tenuto che  il  consiglio  fosse  i  usti  tu  ito  soltanto  per  iL  tempo 
della  sua  assenza  e  coir  aggiunta  di  due  membri  da  lui  no- 
minati. Di  pari  guisa  venn$  anche  ristabilita  la  camera  im- 
periale, le  cui  spese  ripartfronsi  secondo  un'antica  matri- 
cola, mutata  a  carico  de9  cavalieri,  non  partecipanti  al  con- 
siglio di  reggenza,  e  delle  città  né  in  esso  consiglio  né 
nella  camera  medesima  rappresentate.  In  contraccambio  di 
tutto  ciò, non  ebbe  Carlo  che  la  promessa  di  un  sussidio  di 
quattromila  uomini  a  cavallo  e  ventimila  a  piedi  per  la  inco- 
ronazione a  Roma,  ed  anche  questo  per  soli  sei  mesi,  senza 
pagamenti  anticipati  e  sotto  còridòttieri  tedeschi. 

Nel  tempo  che  quepte  cose  statoli  vansi,  agìtavasi  ezian- 
dio la  causa  di  Lutero. 

Di  già  ¥  Àleandro  aveva  procacciato  contro  di  lui  una 
nuova  bolla  pontificia  (3  gennaio  4524  ),  dove  non  sotto  la 
condizione  della  disubbidienza,  come  nella  passata,  ma  asso- 
lutamente, fu  dichiarato  eretico;  e  tuttavia  veggendo  il  gran 
seguito  suo,  l'alienazione  del  popolo  dalla  corte  di  Roma,  la 
difficoltà  incomparabilmente  maggiore  di  ottenere  in  futuro 
da  Cesare  V  esecuzione  negli  stati  imperiali,  che  per  lo  t»- 
nanzi  ne'  patrimoniali,  non  cessava  domandare  la  facoltà  di 
gratificarsi  i  potenti  con  grazie  e  danari.  Altrimenti,  conchiu- 
deva, si  corre  rischio  di  perdere  ia  Germania  per  qwrizia 


—  86  — 

d'una  monéta,  di  cui  hanno  i  principi  una  Miniera  inesausta 
nella  penna  (\).  Non  era  questo  spediente  riuovo,  od  affatto 
intentato  ;  perocché  ancor  prima  a  Giovanni  Gtopione- fran- 
cescano, confessore  di  Cesare,  fece  il  papa  benigne  dimoètrà- 
zioni  che  vinsero  :i  sentimenti  non  favorevoli  a  Roma  (2),  e 
ad  EveraftJo  de  la  Marck,  vescovo  di  Liegi,  passato  datta 
parte  francese  alla  imperiale,  diede  ri  cappello  cardinalizio, 
per  quanto' dovesse  recarselo  a  male  il  re  Francesco  (3).  Non- 
dimeno nel  secondare  le  instanze  dei  nunzio  esitò,  adducendo 
a  motivò  la  revocazione  pòc'  anzi  decretata  di'  somiglianti  fa- 
ndoltà  generali  (4),  per  non  confessare  debolezza;  e  necessità 
dèi  sostegno  di  Cesare,  e  non  lasciarsi  così  mettere  da  Itti 
un  freno  in  bocca  negli  altri  affari  d'  IlaUa(ò);  ma  infine 
convinto  che  i  suoi  ministri  operavano  lepidamente  nmaf- 
-finchè  prevalesse  Lutero,  ma  perchè  dal?  aggravamento  del 
thale  s  imparasse  a  tener  piU  conto  di  chi  poteva  medicarlo, 
mandò  a  fùria  e  i  mandati  e  il  denaro  e  i  brevi  caldissimi 
indirizzati  alle  persóne  di  maggiore  autorità  (6).  Onde  quatt- 
ro si  legge  esser  stata  proposto  al  vescovo  di  Tuy,  accoro- 


(I)  Pallavicino,  Hisloriadel  concilio  di  Trento,  parte  1,  pa$.  158. 
.     (2). Ibidem  Qbg.  155.  ' 

(3)  II  card:  Bibiena  a  Luisa  di  Savoia  19  mag.  1S2Ò.  Molini.  Do- 
cumenti di  storia  italiana  1. 1,  pag.  84. 

•  (4}'  Saudita*  sua  ppopter  revocationem  simitium  facultatum  nu- 
per  editam  et  in  cumelteria  apostolica  pubticatam,  respondit  im- 
praesentiarum  supersedendum  esse;  est  autem  contenta , quod  prò 
personis  quibus  gratta s  aliqvas  concedendas  esse  iudicabitis,  me- 
moriaìia  mittaìis,  et  sànctitas  sita  faciet  expediri  lìteras  sub  plum- 
beo, et  sto  itti  ubèriorem  gràtiain  hàbebunt  a  papa,  quam  a  vobis  ha- 
*  bere  possenti  Laùrentiu*  «arjl.  Compegius  Hleronymo  AJeandro.  Ro- 
roae  15jan.  1521.  Ugo  Laemmer.  Monumenta  vaticana  hisioriamec- 
cjQsiasticam  saeculi  XVlillustranlia  ex  tabulariis  sanctae  sedis  ajw- 
stolicae  secretis.  F^iburgi  Brisgoviae  1861.  Do<\  li  pag.  4. 

|5)  Pallavicino,  op.  clt.  pag.  158. 


—  *7  - 

pagnatosi  air  imperatore  dalla  Spagna,  un  beneficio  già  pro- 
messo ad  altrui  che  ne  aveva  diritto,  e  pagati  cinquanta  fio- 
rini ad  uno  scrittore  imperiale  In  contraccambio  di  buoni  $ 
segreti  servigi,  che  poi  sarebbero  maggiormente  ricomperi» 
sati  eon  una  specie  di  annua  pensione;  quando  si  sente  la* 
mentar  sempre  l' Aleandro  che  pochi  denari  gli  si  mandano 
si  per  il  suo  vivere  come  per  donar  a  segretarii  e  a  sbirri,  i 
quali  ancor  che  siano  mfensissimi  alla  corte  di  Roma,  tutta*' 
volta  qualche  danaro  li  farebbe  saltar  a  nastro  modo  (f  )  ; 
davanti  a  si  dure  prove,  de'  ribaldi  costumi  del  tempo,  chi 
potrà  non  deplorare  che  mezzi  di  tal  fatta  fossero  adoperati 
in  una  causa  cosi  grande  e  santa  ?  Vero  è  che  non  ebbero  ef- 
ficacia di  sorta,  essendo  invece  bastata  nella  dieta  la  giusta 
considerazione  fatta  dall'  Aleandro  medesimo  che  la  contro- 
versia con  Lutero,  non  rivolgevasi  unicamente  intorno  alla 
giurisdizione  e  agli  abusi  della  curia  romana,  ma  sopra  i  sa- 
cramenti e  gli  altri  dogmi  della  fede,  separati  da  ogni  inte- 
resse del  pontefice  ed  approvati  un  secolo  innanzi  dal  conci- 
lio di  Gostanza  contro  Wicleff  e  Giovanni  Huss,  nomi  abbor- 
riti  in  Germania.  Dicono,  cosi  parlò  Aleandro  a  quell'assem- 
blea,^ la  discordia  fra  Luleto  e  Roma,  sia  per  alcuni  punti 
che  conferiscono  ali9  interesse  del, papa*  Errore  grave:  giac- 
ché di  quaranta  articoli  condannati  dalla  bolla,  ben  pochi  ri- 
guardano ali9  autorità  papàie.  Lutero  nega  che  le  opere  sior 
no  necessarie  per  la  salute;  negala  libertà  dell'uomo  nel- 
V  osservanza  della  legge  naturale  e  della  divina.  Qual  più 
diabolica  dottrina  per  rendere  ottusi  i  rimorsi  della  coscien- 
za, per  rompere  i  freni  della  vergogna,  per  disarmar  V  one- 
stà degli  aurei  sproni  della  speranza  ? . .  *  Appartiene  per  av- 
ventura questo  articolo  all'interesse  del  papa?  Vi  appartiene 
la  virtù  eh'  egli  nega  ne\sòcramenti  d3  infónder  la  grazia  ? 

(I)  Quia  dliter  nikil  fit  ètvlxfaciemùs  dltqùid.  Estratti  delle 
lettere  di  oleandro.  Mtnfer,  Beitr&gti  lur  ttircbengesehkhte  p.  78. 


■—  w  — 

Or  che dirò  del  mostruoso  poteMhe  conferisce  a?  laici  fogni 
sesso  d' assolvere  i  peccali? ..  Tacciamo  la  empietà  dell'im- 
pugnare i  voli  monastici  e,  F  insania  dei  'dite  eh9  è  illecito  re- 
risiere  ai  Turchi,  perchè  Dio  ci  visita  p&r  mezzo  degl9  infede- 
li; iè  che  tornalo  stesso  che  vietar*  Mrkornere  a  farmachi 
nelle  malattie,  perchè  Dio  ce  le  mania  a  castigo  dò  peccati. 
Ammirate  il  cuor\di  Lutero^  che  nprrebbe  piuttosto  veder  la 
■Germania  sbranata  dai  cerni  di  Costantinopoli,  che  custodito, 
M  pastori  di  Roma  ....  De*  quali  vorrebbe  atterrare  la  po- 
testà sopra  tutta  la  chiesa  neW  interpretazione  delle  scritture 
divine  enei  governo  degli  affari  ecclesiastici,  affermando  che 
m  Roma  si  opera  diversamente  da  qmiche ivi  s'insegna,  e 
cheiperò  non  èHnsegna  per ferità,  ma  per  inganno  i .  Lasciò 
4the  Cristo  ci  ammonì  di  operare  secóndo  gì9  insegnamenti,  e 
no»  secondo  gli  esempii  dichi  sta  su  la  prima  cattedra;  ma 
dico ...  che  i  pontefici, romani  professarono  sempre  tale  reli- 
gione che  condanna  tutti  loro  per  manchevoli,  ùtolti  per  tras- 
gressori* alcuni  per  (scellerati;  chq  gli  costringe  atf  ma  sog- 
gezióne tormentatrice  Aeir  appetito*  ohe  sottopone  cóme  rèi 
molti  de?  lor  fatti,  fuor  di  questa  religione  perméssi;  al  bia- 
simo delle  lingue  in  vita  ìd<  all' infamia  delle  istorie  dopo  la 
morte;  òhe  mtepotie  in  perpetua  gloria,  eziandio  nei  mondo, 
uno  scalzo  fraticello  ad  m  coronalo  pontefice;  Quetl  piacere, 
qual  interesse  può  sospettarsi  inventóre  di  questa  dottrina? 
Come  i  papi,  benché  talorwizìosied  in  altre  massime  fra 
4oro  discordi,  sarebbmo  statisi  costanti* i  concordi nell* as- 
severarla,se  non  fosse  ad  essi  dettata  dalla  verità  ed  inspi- 
rata dal  cielo  f  Ghe  in  Roma  e  neW  ardine  de?  prelati  sieno 
difetti  gravi,  nqii  si  dissimula  colà  con  superbia  ;  si  pr&fessa 
contornila*  Roma  è  quella  che),  non  ha  molti  secoli,  decretò 
gli  altari  e  le  adorazioni  a  quel  Bernardo,  il  quale  l' ha  sì 
aspramente  sferzata  nelle  sue  carte . . .  Grida  Lutero  che  il 
papatmurpò  ilprimqft.  tfsurpà  ?j*  come?  forze  calle  falangi 
<H.Afasfin(f*9r&  l*  maèi  di£<wr* ?~+&htf<tmi\qwsli  por 


poli  che  parlano  lingm  differenti,  che  vivono  sotto  cielo  di- 
verso, di  costumi,  di  origine,  d'interessi  opposti,  si  accorde- 
rebbero a  rkomtfer*  come  vicario  di  Cristo  il  vescovo  di  So- 
ma disormato,  che  non  possiede  altro  patrimonio  che  un  can- 
tuccio della  terra? . . ,  Dite  che  ogni  vescovo  debb'  essere  so- 
vrano  assoluto  nella  sua  diocesi.  Allora  invece  di  una  tiran- 
nia, eccovene mille  che  dovreste  abolire.,.  Aggiungono,  so- 
pra i  pescavi  regnerà  U  concilio.  Ma,  domando  io,  sarà  con- 
cilio permanente?  in  tal  caso  i  pastori  rimarranno  lontani 
dal  gregge.  E  se  si  discioglie,  a  chi  ricorrere  per  ammini- 
strar rimedii  alle  malattie  della  comunità?  chi  convocherà  il 
concilio?  ohi  vi  presiederà?  Non  vedete  in  queste  brevi  inter- 
ro§azioni>qwkrtaieriek\di  confusione»  di  perplessità,  di  con- 
trasto deformerebbe  ed  inquieterebbe  la  chissà?. . .  qual con- 
trarietà sorgerebbe  di  leggi,  di  riti  e  sin  di  dottrine  tra  i  fé- 
deli,  credendo  ogm  popolo  che  solo  il  suo  vescovo  abbia  man- 
tenuto l-  integrità  della \fede?  (4)*  Questo  era  un  parlar  giitf- 
jstQj,  inorato;  concedente.  A, che  dunque  contaminarlo  con 
pratiche  piente  dicevoli  al  convincimento  del  vero  e  forse 
anco  cop  discorsi  privati  ripugnanti  alla  coscienza  del  be- 
ne, (2), .  j  ;  quali ,  davano  appicco, ,  a  nuovi  oltraggi  e  minacele 
degli .  avv^sòi  (j3)  ?»  Ilelevasi  V  Aleandro  che  nella  dieta 


J\)  Pallavicino  \.q,>  pagv.Jj«M6§. 

(2)  Scribit  Spalatili u$AIe?indr um- fuisseausum  dicere:  Mtiawsi 
vos  Gertnani,  qui  minimum  omnium  dependitis  aeris  romano  pon- 
tifici, iiiffum.  èervitutts  romànae  excussèrìtis^  (amen  curabimus  ut 
mutuiicUétàbùt  abtimpti  vèstro  cruore  perèàtis.  Martini!»  Luthehis 
Weaceadao  ifaeo,  21  jàn.  1 521 .  Hutteni  Opera  t  2,  pag.  6. 

(3)  Sic  loquutu&ts .  t>,  *t  pontifcium  e&cutiatis  inaura  etiam, 
Germani^  su&m  nifiihfninus efignitatetn et  regnum  tuebitur  ponti- 
/ex;  etsiiarn  eo  res  deducta  e$t,  ut  futurum,  sif  veslris  vos  teli*  con- 
fici: tantum  enim  vàlèlingento  Me,  ut cértum  sit  cum primum  hoc 
vos  ausi  fueritis,  cxitiabili  vestra  ctade  expiatum  irìfacinus.  Ulri- 
chus  HuUenus  Hieró^tt^leróc^  pag.  15. 


_  60  — 

prevalesse  iK  consiglio  dell'antica  libertà  germanica  fri  non 
condannare  Lutero  senza  'chiamarlo  e  tienthrlb'/'ed  ecco  ciò 
<Ate  con  ogni  mezfco  voleva  impedire.  Ma  iridarne;  che  àhzi 
-at-pjòj-  cdro  e  onorevole  dottore,  non  ostante  la  scortiti  nìca 
pontificia,  fu  spedito  un  salvocondottOj,  a  nome  dei  sovràltò 
-di  tanti  paesi  «  regni  e  ducati.  Mólti  sconsigliarono  Lutero, 
mentr'  era  ancóra  per  via,  dall' andata,  ed  ei  rispondeta*  te 
voglio,  quando  bene  vedessi  congiurati  contro  dime  tanti 
diavoli  quanti  son  tegoli  sui  tetti  (ì).  Al  contrario  hi  quél 
viaggio*  odirò  trionfo,  potè  accertarsi  quanto  la  sua  fazione 
fòsse  ingrossata 

-.-Fatta*  distinzione  tra  le  dottrine  che  offendono  iL  dogma 
4  quelle  che  riguardano  soltanto  alla  costituzione  ecclesia- 
atica*  aveva*la  dieta  deliberato  di  approvare  il  bando  impe^ 
Tfyle  se  mai  Lutero  persistesse  nelle  pritae,  ina  filanto 
alle  seconde  di  trattarlo  benignamente,  atfóórdré  non  le  ri* 
trattasse.  Limitandosi  a  queste  poteva  dunque  cohfidài*è  tfél- 
V  appoggio  dell'  assembfea,  ì  cui  concordi  sentiménti' in  pro- 
posito attestano  le  doglianze1  solènnemente  rinnovate1  icófatf-o 
gli  abusi  della  corte  romana.  Avrebbe  potuto  trascurarle 
Cesare  stesso,  al  quale  il  confessore  Glàpióne  prediceva  tre^ 
mendi  castighi  del  cielo  se  non  riformava  la  chiesa  ?  Oh  F  o^ 
pera  invocata  da  tanti  secoli,  l' unità  della  nazione  tedesca, 
la  pace  avvenire  del  mondo,  tutto  in  quel  punto  dipendette 
dal  mal  talento  di  Lutero!  introdótto  alcottéesso  de'  princi- 
pi it  di  47  aprile  4521,  alla  interrogazióne  se  riconosceva 
per  suoi  gli  scritti  dannati  dalla  chiesa,  e  se  intendeva  ri- 
trattare gli  errori  ivi  entro  contenuti,  quanto  alla  prima  par- 
te disse  che  si;  quanto  alla  seconda  chiese  dilazione  a  ri* 
spondere.  Veramente  doveva  seitìbrar  strano  che  la  chie- 
dessero cose  di  fede,  ed  i  cattolici  potevano  fcavanie  argo- 
mento a  sperare.  Slava  invece  FÀleandro,  dice  il  Pallavicino, 


—  61  — 

in  qualche  ansietà  ;  perchè  sapeva  che  molti  nemici  al  nome 
di  Roma  confortavano  Lutero  a  mantener  solamente  ciò  che 
aveva  detto. in  pregmiicie  del  pontefice  e  della  corte,  con  ri- 
vocare  gli  errori;  nel  qual  caso  mal  poteva  impromettersi 
che  fra  tanti  secolari  e  male  imbevuti  prevalesse  nella  dieta 
il  parere  di  condannarlo  (\).>  Pur  troppo  la  inqualificabile 
ansietà  durò  poche  ore.  Tornato  il  domani  l'eresiarca  disse: 
giacché  mi  è  chiesta  una  semplice  risposta,  ed  io  farolla  ;  et* 
cola  :  a  meno  che  non  mi  si  convinca  d'errore  coir  autorità 
della  bibbia  o  colia  evidenza  della  ragione,  sendochè  die* 
credo  papa  e  concila,  non  posso  ritrattarmi,  perchè  non 
vuoisi  andar  contro  la  propria  coscienza;  soggiunse  poi 
nella  sua  lingua  natia:  qui  mi  arresto:  io  non  posso  far  più; 
Dio  mi  aiuti  {ì).  Sé  in  Dio,  e  più  confidasse  negli  uomini 
che  gli  davano  cuore  a  persistere  (3)  e  nella  prepotenza 
della  opinione  che  gli  assicurava  le  spalle,  udiamo  lui  stesso  : 
ti  papa  aveva  mandato  àlF  imperatore  di  non  badare  al  saL 
vocondotto :  i  vescovi  lo  spìngevano  :ma  i  principi  e  gli  stati 
non  volterò  condiscendere  perchè  ne  sarebbe  nato  troppo  ru- 
more. Gran  rinomanza  io  aveva  tram  da  ciò  :  ed  essi  dove» 
vano  aver  paura  di  me  più  che  io  di  loro.  Di  falli  il  lan- 
gravio di  Assia,  giovine  signore,  chiese  di  sentirmi,  venne  a 
trovarmi,  disputò  meco,  e  alfine  mi  disse  :  caro  dottore,  se 
avete  ragione,  il  Signore  vi  aiuti  (4).  Certo  è  che  Lutero 
schivò  ogni  prova  di  concordia  e  prima  e  dopo  la  sua  com- 
parsa alla' dieta.  Col  confessore  di  Cesare  che  proponèvagli 

(I)L.  c.pag.  175. 

(2)  4cta  rev/1  palrj?  Martini  Luther!  coram  caes.  majeatate.  Lu- 
McriOp.^ù.2iPag,41l,       , 

(3)  Pugna  tiranne  prò  Christo.etne  cede  ma#M>  sed  wntra  auden- 
tiar  ito...  non  carette  defen^oribut,  neque  deerunt  unquam  vindice* 
Ubi.  lllricus  ab  Hutten  Martino  Lutero  ¥tf  2Qapr,  1521.  Hutteni 

Operat.2,p*g,&5e.&8.  /      -;-    ;        : 

(4)  Lutheri  Opera  lat.  t.  2,  pag.  414.        „  :  ;  r .  ■  ...-..;    /  /  . 


—  68  — 

ritrattasse  almeno  Io  scritto  «opra  la*  schiavitù  bafàtomca 
della  chiesa,  per  non  Imckir  naufragare -Ualtr^m^ 
ziose  che  altrimenti  condurrebbe  a  porta,  non  volte  ròeànco 
parlare,  rigettando  pensinola  interposizione  deH* intimo $uò 
Francesco  de  Sicktngen^).  Allorché  lo  sì  esortava  privata- 
mente a  ricevere  la  dottrina  de?  concili*  ecumenici,  rtepon* 
deva  che  quei  di  Gostanza  fallì  in  condannare  la  proposizione 
di  Giovanni  fltìss  che  rjstrigne  la  chiesa  af  soli  predestinati»; 
quando  P  arcivescovo  di  Treviri  disse  infine  proponeese*égK 
stesso  qualche  temperamento  per  quiete  pubbtìèa,  se  <ne 
schermi  colle  parole  di  Gamaliete  nella  Scritturar*?  questa 
è  opera  degli  uomini,  si  discioglwrà;  mase  è  <k*Bte  tonata 
potrete  disciogliere  (2). 

E  tale  predicarono  gli  apologisti  della  ostimnone  (9). 
Al  contrario  Gaspare  Contarini,  ambasciatore  della:  repubbli- 
ca veneta,  dottissimo  uomo  ed  imparziale,  esprimendo  i  seri*- 
timenti  delle  persone  savie  e  moderate,  attestò  che  bttetò 
non  aveva  corrisposto  ali  aspettazione  poco  mèn  che  di  tut- 
ti (k).  Lo  conferma  il  fatto  che  la  maggior  parte  deli*  adu* 
nanza  concorse  nella  sentenza  di  Gesara  manifestata  con  ima 

(1)  Seckendorfy  Commeot.  hist  et  apologeticus  de  luther^nismo 
Ì69Òt.l,p.l42. 

(2)  SI  ex  hortiinffius  cònsillum  aut  opus  hoc  est^  dissolvette  ;  i\ 
vere  ex  I>eo  est,  dissolvere  noi»  poteritt s.  huthert  Opera  JM.  torti.  2, 

pag.  416.  ;-  ;      ■: 

l$\$he  Germans  every  wkere  aret*0  qd(Ucte4U>  LutherY1fiQt 
rather  than  he  shall  be  oppresseti  by  the  Pope's  authoHty,  a  hundréd 
thousand  of  the  people  will  sacri fice  their  lifes.Leiier  of  Tonstall 
from  the  diet  of  Worms.  Fiddes  life  of  Wolsey  pàg.  242.  '    ; 

(4)  Ego  homihete  (Lùthèr^m^néqùe'dltocttttis  slitti,  nèipiè  vidi  ; 
miraberis  fortasse  cum  scias  me  idque  maxime  cupere;  ferito  tàtlb 
tempOruYn  sic  exigft:  tanta"  contentìone  res  haeò  tractahir  sèilicet 
quantum  inteìlfgerè  pOtuì.  Martihushie  éwpeeiàtienefn  omniutk'fàne 
fefetilt.  kà  domioum  Matheum  bandolutn  cogfratumtauum.  Vòrma- 
tia  26  apr.  1521.  Lo  stesso  a  Nicolò  Tiepolo  25  apf.  Mar4n  Satotió, 
t.  XXX,  pag.  143  e  146.        *'«*   v     *  J  ••*=  •  -^'   m^a  u, 


—  al- 
lunga scrittura,  dove  si  dichiarò  risoluto  a  perseguitare  l'e- 
retico, richiedendo  i  principi  a  portarsi  parimenti  come  a 
buoni  cristiani  si  conveniva. 

Ma  quella  scrittura  non  era  tanto  fatta  per  la  dieta 
quanto  per  il  pontefice,  il  quale,  come  la  ebbe  dall'ambascia- 
tore imperiale  don  Manuel,  la  fece  leggere  in  concistoro  e  ne 
ringraziò  Cesare  con  un  affettuosissimo  breve,  aggiungendo* 
vi  (con  dimostrazione  insolita  ai  papi  in  quella  forma  di  let- 
tere) alcune  righe  di  propria  mano.  Ecco  l' ultimo  e  risolu- 
tivo movente  air  alleanza  segreta  conchiusa  a  Roma  il  di  8 
maggio  del  4524. 

Poiché  le  due* potestà  pontificale  ed  imperatoria  (cosi 
suona  il  proemio)  ordinò  Dio  siccome  soprastanti  a  tutte  le 
altre,  e  dall'  averle  alcuni  principi  dispregiate  derivarono  i 
inali,  ond'  è  afflittala  cristianità,  si  fa  tra  loro  perpetua  ed 
inviolabile  confederazione  per  purgare  la  cristianità  medesi- 
ma dall'  errore,,  per  ristabilire  la  pace  universale,  per  muo- 
ver guerra  ai  Turchi  e  per  ricondurre  ogni  cosa  a  miglior 
forma  e  stato  (4)  ;=<  la  qua}  confederazione  andrà  innanzi  a 
qualunque  altro  trattato  per  modo  da  annullarlo  immanti- 
nente se  contraddittorio  (2)é  Doversi  a  tal  uopo  spegnere  col 
ferro  e  col  fuoco  i  perturbatori  della  pace  e  sradicare  la  pri- 


(1)  Quoniam  utrasque  bas  potestates,  pontificateli)  et  imperia- 
lem,  suprema*  omnium  con&tituU  Deus  et  ab  ipsis,  romano  ponlifi- 
ce  et  imperatore,  ratio  reddenda  est  gubernationis  etjadrninistratior 
ntstotius  reipublicae  chrislianae . , .  attqui  priocipum  ad  a  eros  et 
primarios  principes  christianitatis. . .  respectum  non  habueront .-. . 
klcirco  ad  emendandos  cbristiauitalB  errores  pacemque  universa- 
lem  constHueadam,  beftlum.geqerale  contro  Turcas  suscipieadum, 
omniaque  in  meliorem  statum  etformam  redigenda,  decreta  est  in- 
violabili* foederis  coajuoctia»  Du  Mont^  t.  IV,  par.  3,  pag.  96. 

(2)  Aliae  oranes  societatea*  amicitiae,  confoederationes,  quas 
atteruter  eorum -eum  alio  quovis  principe  aut  potentato  habeat,  in- 
telligantur  suspensae  et  abrogatae,  quatenus  conk&pr  aestntem  v«r 


—  64  — 

ma  cagione  delle  discordie,  scacciando  i  Francesi  d'Itali*. 
Restituirebbesi  allora  alla  chiesa  tutto  ciò  che  le  spetta: 
Parma  e  Piacenza  staccate  dal  ducato  di  Milano,  a  poi.  Fer- 
rara (4),  all' acquisto  della  qaale  aiuterebbela  l' imperatore 
con  tutte  le  sue  forze.  Questi  obbligavasi  inoltre  a  pren* 
dere  sotto  la  sua  protezione  la  famiglia  de'  Medici,  asser- 
enando al  cardinale  Giulio  di  questo  nome  una  pensione 
di  diecimila  ducati  sull'arcivescovado  di  Toledo,  ed  uno 
stato  nel  reame  di  Napoli  di  uguale  entrata  per  Alessa n* 
dro  de'  Medici,  figliuolo  naturale  di  Lorenzo,  già  duca 
d'Urbino;  a  soccorrere  il  pontefice  contro  i  sudditi  e  feu- 
datarti  suoi;  a  rimettere  Francesco  Sforza  nello  stato  di 
Milano  e  Girolamo  Adorno  in  Genova  (2);  a  perseguitare 
i  nemici  della  fede  cattolica  e  a  vendicare  ogni  danno  della 
sede  apostolica  come  se  fatto  a  lui  stesso  (3>.Promettevagli  i» 
contraccambio  il  pontefice  nuova  investitura  del  regno  di 
Napoli  ed  aiuto  di  tutte  le  sue  armiy  sia  temporali  che  spi- 
rituali, per  la  difesa  di  esso  e  contro  la  repubblica  vene- 
ta,  ogniqualvolta  avesse  a  romperle  guerra,  dichiarando 
voler  starsene  sempre  e  intimamente  collegato  con  lui  per 
qualunque  necessità  ed  impresa,  in  pace  e  in  guerra  (4). 

niant  conventionem.  Huic  vero  foederi  praesenti  alias  nullas  con- 
ventiones  cum  quovis  alio  principe  aut  potentatu  factas  seu  facien- 
das  toteìligatur  unquara  derogatoria,  neqne  posstt  derogar!.  Ibidem. 

(1)  Guai  clarius  luce  sii,  Ferrariam  ad  ipsam  eedem  apostoli* 
cam  omni  ratione  et  causa  pertinere.  Ibidem. 

(2)  Ad  se  omni  jure  pertinentes...  ad  legitimam  gubernationem 
redigere.  ìbidem. 

(3)  Quoniam  sancissimo  domino  nostro  cura  est  aliquanto  e-* 
liana  major  rerum  spiritualium  et  pastoralis  offici!  quam  tempo** 
r alium;  Ibidem. 

(4)  Ncc  non  in  alìis  omnibus  rebus,  negotiis,  bello  et  pace,  se 
cum  eadem  majestate  caesarea  semper  conjunetissimum  futurum, 
ut  res  ipsius  caesaria  eodem  habeat  loco,  quo  suas,  in  omnibus  et 
per  omnia.  Ibidem.    > 


-  65  — 

Contuttociò  la  minuta  del  bando  contro  Lutero,  di- 
stesa dall'  Aleandro,  non  comunicò  Cesare  ai  principi  che 
nel  giorno  25  maggio  4524,  dopo  aver  sbrigati  tutti  i  ne- 
gozi politici.  Cotesto  indugio,  dice  il  Pallavicino,  del  quale 
era  ignoto  il  misterici  alFistesso  gran  cancelliere,  agitava 
forte  i  ministri  del  papa;  veggendo  nel  discioglimento  della 
dieta  restar  sé  con  le  mani  piene  di  vento  in  cambio  di  quel- 
la palma  che  per  F  addietro  parea  loro  di  strignere  in  pu- 
gno. Ma,  soggiunge  poi,  i  principi  se  vogliono  operare  prur 
dentemente,  conviene  spesso  che  si  contentino  di  parere  im- 
prudenti, celando  quelle  ragioni  che,  a  guisa  delle  radici, 
non  sono  fruttifere  se  non  quando  sono  sepolte  (i).  E  l'ope- 
ra prudente  consistette  nel  lasciar  che  partissero  da  Worms 
l'elettore  di  Sassonia  e  il  palatino,  dei  quali  aveva  a  teme- 
re la  costante  opposizione,  e  nel  far  leggere  il  bando  ai  rima- 
nenti principi  non  già  in  una  pubblica  adunanza,  ma  a  casa 
sua  ;  dove  dal  nunzio  Caracciolo  e  dalPAleandro,  secondo  che 
innanzi  erasi  stabilito,  furono  presentati  a  lui  e  ai  principi 
medesimi  brevi  affettuosissimi  del  papa.  Allora  il  margravio 
di  Brandeburgo  dichiarò  a  nome  comune  che  il  bando  piace- 
va a  tutti,  e  che  tale  era  stato  il  parere  concorde  della  dieta. 
Di  ciò  fece  l' Aleandro  che  si  rogasse  atto  pubblico,  e  la  maW 
tina  seguente  (26  maggio)  essendo  l'imperatore  in  chiesa 
gli  si  fé'  innanzi  con  due  copie,  l'ima  latina,  l'altra  aleman- 
na, affinchè  vi  apponesse  la  sua  sottoscrizione  (2). 

Mal  argomenterebbe  però  chi  per  queste  diligenze  di 
Cesare,  guardate  in  correlazione  all'  alleanza  conchiusa  col 
papa,  non  vedesse  altro  movente  de'  suoi  portamenti  con 
Lutero  che  la  ragione  di  stato.  Come  pensare  non  gli  met- 
tessero indignazione  la  intemperanza,  la  superbia,. la  ira- 


fi)  Storia  del  concilio  di  Trento  parte  1,  pag.  181. 
(2)  Ibidem  pag.  181, 182.  Ranke  (op.  cit.  t.  1,  pag.  388)  dimo- 
stra falsa  la  data  8  maggio  riportata  dal  Pallavicino. 

5 


^66  — 

condia  del  novatore,  quel  grande  sconcerto  in  somma  di  tut- 
ti gl'inferiori  appetiti,  i  quali  ha  voluti  comporre  il  vange- 
lo? che  potesse  reprimerla  ai  sentir  negata  la  infallibilità  dei 
concilii  e  la  dottrina  de'  sacramenti  ?  che  non  lo  scaldasse 
F  audacia  di  coloro  che  parte  a  nome  di  Ulrico  de  Hiitten  (1), 
parte  senza  sottoscrizione  mandavangli  lettere  minacciarti 
guerra  e  morte,  e  fra  le  altre  una  che  annunciava  essersi  con- 
federati quattrocento  nobili  per  vendicare  il  maestro?  Re- 
sta soltanto  che,  essendo  inevitabile  la  condanna  di  Lutero, 
seppesi  pur  ridurla  a  strumento  di  fini  mondani,  cioè  a  con- 
dizione de'la  gran  guerra  che  stava  per  accendersi  colla 
Francia.  Tanto  è  vero  che  quel  bando  in  cui  comandavasi 
a  tutti  i  sudditi  dell'  impero  di  prendere  P  eresiarca,  demo- 
nio in  sembianza  umana  ed  in  abito  monacale  (2),  non  ebbe 
né  anco  effetto.  Ben  so  che  al  ritorno  egli  era  stato  rapito 
dall' e'ettore  di  Sassonia  e  trasportato  nel  castello  di  Wart- 
burg  in  Turingia,  per  salvarlo,  forse  non  tanto  dai  nemici, 
quanto  dalle  proprie  imprudenze;  e  so  pure  che  Carlo  si 
escusò  col  papa  di  averlo  lasciato  partire  da  Worms  non  po- 
tendo procedere  più  oltre  per  rispetto  al  salvo  condotto.  Ma 
gP  italiani  che  s'intendevano  assai  di  politica,  considerando 
che  Lutero  rimase  colà  al  coperto  sino  aPa  morte  di  Leone, 
non  gli  passarono  buona  la  scusa,  e  la  verità  fu,  dica  Fran- 
cesco Vettori,  che,  conoscendo  che  il  papa  temeva  molto  del- 
la dottrina  di  Lutero,  lo  volle  tenere  con  questo  freno  (3). 

Espedito  il  negozio  del  papa  riusci  più  facile  di  com- 
porre eziandio  temporaneamente  le  controversie  colla  re- 
pubblica veneta.  Questa  non  volendo  né  separarsi  ancora 
dall' amicizia  di  Francia,  né  chiudere  al  tutto  le  orecchie  al- 


ti) 27  Marzo  ed  8  apr.  1521 .  virici  Hutteni,  opera,  t.  2,  p.  38-50. 

(2)  Luther»  IVerke  ed.  Waleh,  t.  XV,  2264. 

(3)  Sommario  della  storia  d'Italia  dal  1511  al  1527.  Archivio 
$tor.  Hai.  Append.  22,  pag.  332. 


—  67  - 

le  magnifiche  parole  di  Cesare,  benché  non  ne  sperasse  con- 
formi effetti,  aveva  fatto  avviso  di  governarsi  secondo  gli  e- 
venti  e  i  più  segreti  consigli  de' due  principi  rivali.  Caldeg- 
giò da  principio  la  lega  con  Francesco  e  con  Leone,  ma  a 
patto  fosse  rogata  esplicitamente  contro  l'imperatore  ed  e- 
sclusa  la  clausola  minacciante  Ferrara.  Ambidue  la  tennero 
a  bada, e  pur  fu  un  momento  eh'  ella  sene  compiacque,  allor- 
ché confidando  nei  tumulti  di  Spagna,  che  distoglierebbero 
Cesare  dal  venire  in  Italia,  fece  opportune  instanze  per  trat- 
tenere di  là  da' monti  anche  il  re  di  Francia  (1).  Poi  com'  eb- 
be contezza  e  del  sussidio  decretato  dalla  dieta  di  Worms  e 
de'  movimenti  di  truppe  spagnuole  nel  regno  di  Napoli,  tor- 
nò al  disegno  della  lega,  sempre  che  le  fossero  notificati  gli 
articoli  convenuti  tra  il  re  e  il  pontefice  (2).  Questi  non  accor- 
davansi  fra  loro,  e  tuttavia  Francesco  s'era  assunto  l'impe- 
gno d'indurre  la  repubblica  a  consentire  nella  forma  richiesta 
da  Leone,  non  dubitando  tampoco  le  accadrebbe  ben  presto 
far  di  necessità  virtù  (3).  Gli  era  ciò  che  voleva  il  papa  per 
tirare  in  lungo  le  pratiche,  e  cavarsi  infine  d'impaccio  col 
dichiarare  :  che  V  imperatore  non  veniva  per  queir  anno  in  /- 


(1)  Essendo  variate  le  occorrentie  di  tempi.  Acta  Consilii  X  ora- 
tori in  Francia  t.  XLUI,  9  ott.  1520,  ms. 

(2)  Essendo  sta  in  alruni  deli  capituli  che  alhora  se  predicava 
(nello scorso  anno)  pur  qualche  difficulta  come  prudentemente  vuj 
li  havete  tocato,  et  etiam  parse  a  la  supientia  de  la  M.tasua  non  cus- 
si al  proposito  deli  comuni  stati  nostri,  grato  ne  saria  veder  la  for- 
ma de  i  capituli  se  haverano  ad  sigillar  ....  a  quanto  sua  M.(a  ne 
exhorta  ad  star  ad  veri  iti  et  preparati ...  in  le  terre  nostre  cum  di- 
ligenza se  proseguono  le  fortiticationi.  Le  gente  darme  nostre  son- 
no ben  pagate  et  in  ordene  et  similiter  li  capi  de  fantaria.  Ibidem 
t.  XLII1.  Oratori  in  Francia  6  marzo  1521,  ms. 

(3i  Disse  Lpom,  chel  ave  lettere  dil  re,  come  el  faria  contentar 
ala  signoria  a  li  capitoli  (compreso  V  articolo  di  potr  castigar  li  sol 
subditi)  dicendo;  tenimo,  quella  signoria  non  si  romperà  con  Fran- 
za.  Maria  Sanuto,  t  XXX  di  Eoma  2*  e  31,  mag.  1521. 


—  68  — 

talia,  dovendo  accorrere  in  Ispagna;  e  così  bene  si  portava 
contro  Lutero  ch'ei  non  poteva  offenderlo  (4).  Vi  lesse  per 
entro  Venezia  la  prova  del  trattato  segreto  di  già  conchiuso 
con  Cesare;  onde  non  le  restò  che  cercar  salvezza  nella  me- 
diazione inglese  e  nel  rinnovamento  della  tregua  quinquen- 
nale coir  impero,  la  quale  sin  d'allora  potevasi  arguire  l'a- 
vrebbe condotta  a  più  intima  congiunzione  non  si  tosto  riu- 
scisse a  buon  segno  la  impresa  disegnata  contro  i  francesi 
nella  Lombardia. 

Quel  trattato  ne  differiva  il  cominciamento  a  mezzo  il 
settembre,  manifestamente  per  aver  agio  di  assoldare  i  se- 
dicimila Svizzeri  destinati  in  soccorso  del  duca  Francesco 
Sforza,  di  mettere  insieme  almeno  una  parte  delle  truppe 
tedesche  concesse  dalla  dieta  di  Worms,  e  di  riscuotere  i  da- 
nari che  traevansi  dalla  vendita  dei  demanii  napolitani.  So- 
pratutto importava  lasciar  tempo  allo  svolgersi  delle  cose  in 
guisa  che  non  mancasse  l'alleanza  inglese.  La  quale  era  cer- 
ta soltanto  nel  caso  che  Francesco  fosse  primo  a  rompere  la 
guerra.  E  lo  fu,  naturalmente  impaziente  d'indugi  ed  imbal- 
danzito dalla  insurrezione  della  Castiglia. 

X.  Quivi  i  cittadini  aveano  preso  le  armi  da  per  tutto, 
scacciati  i  correggitori  del  re,  occupati  i  castelli  delle  città  e 
stabilito  in  ciascuna  di  esse  un  governo  popolare  composto  di 
deputati  delle  parrocchie.  Indarno  il  reggente  Adriano,  ap- 
pigliatosi al  parere  di  alcuni  membri  del  consiglio  e  massi- 
me dell'arcivescovo  di  Granata,  cercò  spegnere  nella  culla 
•  quello  spirito  audace  con  severe  esecuzioni  di  giustizia.  I 
giudici  e  le  truppe  mandate  davanti  a  Segovia  e  a  Medina 
del  Campo  furono  vigorosamente  respinti,  e  il  fuoco  appic- 
cato dal  comandante  Antonio  di  Fonseca,onde  quest'ultima 
città  andò  quasi  tutta  in  cenere  con  gran  perdita  di  averi, 
fece  ancor  più  divampare  gli  sdegni.  I  cittadini  di  Valladolid, 

(1  )  Ibidem-ài  Roma  27  apr.  e  15  mag.  1521. 


—  69  — 

sede  della  reggenza,  cui  la  presenza  del  cardinale  Adriano 
aveva  fino  allora  imposto  rispetto,  non  soffrirono  più  a  lun- 
go rimanersi  spettatori  inattivi  di  tante  sciagure,  e,  dando  di 
piglio  alle  armi  con  non  minore  accanimento  degli  altri  com- 
patriotti,  atterrarono  la  casa  di  Fonseca,  ribellaronsi  a'  ma- 
gistrati regii,  e  posero  le  mura  della  città  in  difesa,  come  se 
il  nemico  stesse  per  attaccarli. 

Atto  a  felicitare  il  regno  colle  virtù  private  (1),  mancava 
il  cardinale  delle  pubbliche  volute  in  tempi  cosi  inquieti  e 
rumorosi.  Vistosi  nella  impossibilità  d'impedire  fin  gli  ol- 
traggi a  lui  fatti,  tentò  pacificare  il  popolo  protestando  che 
aveva  Fonseca  ecceduto  gli  ordini  {2);  per  la  quale  condi- 
scendenza, conforme  alla  pietà  sua,  non  alla  risolutezza  di 
chi  governa,  licenziaronsi  i  ribelli  a  maggiori  disordini;  mas- 
sime dacché  congedate  le  milizie  per  non  avere  di  che  pa- 
garle, essendo  esaurito  il  tesoro  dalla  rapacità  de' ministri 
fiamminghi,  cadde  l'unico  ritegno  alla  piena  del  dispetto. 

Però  non  questo  soltanto,  si  li  moveva  ancora  il  nobile 
desiderio  di  riformare  gli  abusi  politici  e  di  stabilire  su  fer- 
me basi  la  comune  libertà.  Della  quale  potevano  vantarsi 
custodi  le  città  della  Castiglia,  siccome  quelle  che,  parteci- 
panti alla  legislatura  e  cresciute  di  potenza  per  le  arti  del- 
l'industria e  del  commercio,  temperavano  il  rigore  delle  in- 
stituzioni  feudali.  Scalzarle  di  continuo,  sottrarsi  ai  carichi 
rimanenti,  estendere  i  privilegi  propri,  era  opera  loro  e  na- 
turale, né  mai  a  procedere  su  questa  via  parve  più  favore- 
vole congiuntura.  Mandati  pertanto  deputati  ad  Avila  con- 
vennero nel  nominare  una  santa  giunta,  la  quale  ben  tosto 
si  trasferì  a  Tordesilla  dove  risiedeva  la  regina  Giovanna, 

(1)  Buscaba  el  carderia!  Adriano,  que  era  un  santo,  los  medios 
posibles  para  poter  remediar  tantos  males,  con  la  suavidad  y  Man- 
dura  que  su  gran-caridad  pedia.  Sandoval  Hi  steri  a  del  emperador 
Carlos  V,  op.  cit.  t.  2,  pag.  147. 
«.,  mMdsm,m.W.  .  ._ :.._  ....  _ 


—  70  — 

per  acquistarsi  riputazione  di  agire  in  nome  di  lei,  sebbene 
da  gran  tempo  alienata  di  mente.  Dando  allora  a  credere  ri- 
stabilita l'autorità  della  madre,  sciolse  la  Giunta  il  consiglio 
lasciato  dal  figlio;  le  persone  che  lo  componevano  fece  soste- 
nere o  disperdere,  ed  Adriano  ebbe  in  grazia  di  riparare  a 
Medina  del  Rio-Seco  destituito  d'ogni  forza  e  potestà.  Quin- 
di a  modo  di  assemblea  sovrana,  in  tanti  articoli  quanti  com- 
ponevano la  costituzione  e  riferi vansi  a'  varii  uOicii  ammi- 
nistrativi, dettò  gli  statuti  del  futuro  governo  rappresentan- 
te il  voto  della  nazione:  ritornasse  il  re  in  Ispagna  e  vi  risie- 
desse come  i  suoi  predecessori  ;  non  potesse  né  prender  mo- 
glie senza  il  consentimento  delle  corti,  né  in  caso  di  assenza 
nominare  reggente  un  forestiero,  né  introdurre  milizie  di 
altri  paesi;  fossero  i  soli  spagnuoli  dichiarati  idonei  agl'im- 
pieghi e  benefizii  della  chiesa  e  dello  stato,  ridotte  le  impo- 
sizioni pubbliche  come  trovavansi  alla  morte  della  regina  I- 
sabella  e  ricomprati  i  demanii  d'allora  in  poi  alienati  ;  si  abo- 
lissero le  nuove  cariche  create  dopo  di  lei,  e  non  si  esigesse 
il  sussidio  accordato  dalle  ultime  corti  in  Galizia;  mandasse 
in  avvenire  ogni  città  alle  corti  un  rappresentante  del  clero, 
uno  dei  nobili  e  un  terzo  dei  comuni,  ciascuno  eletto  dal  pro- 
prio ordine,  esclusa  qualunque  ingerenza  del  governo,  e  col 
divieto  di  ricevere  impiego  o  pensione  dal  re  o  per  sé  mede- 
simo o  per  alcuno  di  sua  famiglia  sotto  pena  di  morte  e 
confiscazione  de' beni;  pagassero  invece  le  città  un  onorario 
ai  deputati  per  il  tempo  che  durano  le  corti  ;  queste  si  adu- 
nassero una  volta  almeno  ogni  tre  anni  anche  senza  convo- 
cazione del  re;  fossero  rivocati  i  regali  dati  o  promessi  a 
qualche  membro  delle  corti  in  Galizia,  e  proibito,  sotto  pena 
di  morte,  portar  fuori  del  regno  oro,  argento  o  gioielli;  si 
desse  stipendio  ai  giudici,  affinchè  non  abbiano  a  ricevere 
porzione  delle  ammende  e  multe  da  essi  inflitte;  si  rivocas- 
sero  i  privilegi  tutti  ottenuti  dai  nobili  in  danno  dei  comuni, 
e  si  facessero  indagini  sui  portamenti  di  coloro  ai  quali  era 


—  74  — 

stata  affidata  l'amministrazione  del  regio  patrimonio  dopo 
l'assunzione  al  trono  di  Ferdinando  il  cattolico,  e  qualora 
entro  trenla  giorni  non  nominasse  il  re  persone  idonee  a 
questa  investigazione,  potessero  legalmente  provvedervi  le 
corti;  non  si  avessero  a  predicare  o  a  diffondere  indulgenze 
finché  non  fossero  esaminati  ed  approvati  dalle  corti  i  moti- 
vi, e  il  denaro  riscosso  per  le  medesime  si  adoperasse  scru- 
polosamente nel  proseguire  la  guerra  contro  gl'infedeli; 
venissero  sottoposti  alla  perdita  delle  entrate,  pel  tempo 
dell'assenza,  que'prelati  che  non  risiedono  nelle  diocesi; 
non  potessero  i  giudici  ecclesiastici  né  gli  altri  loro  officiali 
esigere  ammende  maggiori  di  quelle  che  soglionsi  pagare  ai 
tribunali  secolari;  fosse  l'arcivescovo  di  Toledo,  quale  fore- 
stiero, obbligato  a  rinunziare  la  carica,  che  sarebbe  poi  con- 
ferita ad  un  casigliano;  dovesse  il  re  ratificare  gli  atti  della 
Giunta,  e  tenerli  per  buoni  servigi  resi  a  lui  ed  allo  stato, 
perdonando  qualunque  irregolarità  avvenuta,  siccome  causa- 
la da  eccesso  di  zelo  in  una  santa  causa;  promettesse  infine 
con  solènne  giuramento  di  osservare  tutti  questi  articoli  e  di 
non  chiederne  mai  assoluzione  o  dispensa  sia  dal  papa  che 
da  qualsivoglia  altro  prelato  (i).  Ecco  a  qual  patto  dichia- 
ravano le  città  della  Castiglia  di  ritornare  alla  obbedienza 
di  Carlo  V! 

Ma  questi,  prima  ancora  di  riceverne  T  annuncio,  ave- 
va fatta  deliberazione  di  non  esigere  dalle  città  rimaste 
fedeli  il  sussidio  accordato  nelle  ultime  corti  ;  di  offrire 
alle  altre,  tornate  al  dovere,  lo  stesso  favore  ;  di  ridurre 
al  pristino  stato  le  gravezze  pubbliche,  e  di  aggiungere  al 
cardinale  Adriano  nella  reggenza  il  contestabile  della  Casti- 
glia Inico  de  Velasco  e  l'ammiraglio  Federico  Henriquez;  ben 
si  apponendo  che  quando  ciò  non  bastasse  a  sedare  le  riot- 


(IJLo  que  escritiiò  la  junta  al  empèrador  20  oct.  1520.  lai* 
dem,  pag<  282—344. 


—  72  — 

tose  città,  sarebbe  almeno  efficace  a  privarle  dell'appoggio 
de' nobili,  di  già  indispettiti  al  veder  limitati  non  meno  i  di- 
ritti del  loro  ordine  che  le  prerogative  della  corona. 

Fissarono  i  nuovi  reggenti  a  Medina  del  Rio-Seco  la  se- 
de del  governo  e  il  luogo  d'unione  delle  milizie,  le  quali, 
sebbene  inferiori  in  numero  a  quelle  de'  comuni,  superavan- 
le  di  molto  in  disciplina  e  valore,  composte  essendo  di  fanti 
veterani  condotti  dalla  Navarra  e  di  gentiluomini  a  cavallo 
«avvezzi  alla  vita  militare.  Tuttavia  si  astennero  dal  prose- 
guire con  vigore  la  guerra  civile  senz'aver  innanzi  esperito 
ogni  mezzo  di  conciliazione;  perocché  li  angustiava  il  timo- 
re non  forse,  mentre  i  due  ordini  partecipanti  alla  legislatu- 
ra logoravano  a  vicenda  le  forze,  s'innalzasse  la  potestà  re- 
gia sulle  rovine  di  entrambi.  E  riuscirono  infatti  a  staccar 
Burgos  dalla  Giunta,  ma  quanto  fecero  per  indurre  Vallado- 
lid  a  seguirne  l'esempio  andò  a  vuoto.  Né  miglior  successo 
ottennero  dalle  negoziazioni  introdotte  colla  Giunta  medesi- 
ma, sebbene  (eccettuati  alcuni  pochi  articoli  o  incompatibili 
coi  privilegi  della  nobiltà  o  troppo  imperiosi  nella  forma)  le 
offrissero  di  far  accettare  dal  re  la  maggior  parte  delle  sue 
domande,  e  sin  di  unirsi  con  lei  per  obbligacelo,  qualora 
mal  consigliato  ricusasse  (1).  Sventuratamente  sugli  animi 
concitati  prevalse  la  passione  alla  prudenza.  L'accordo  pro- 
posto sarebbe  bastato  a  rassodare  e  a  crescere  insieme  le 
antiche  libertà,  rendendo  le  imposte  arbitrarie  impossibili, 
la  convocazione  delle  corti  regolare,  l'autorità  regale  limita- 
ta dalle  leggi,  la  giustizia  nei  varii  suoi  gradi  equa  e  consi- 
derata. Che  più?  avrebbe  mutate  le  sorti  della  Spagna  e  stre- 
mata in  Europa  la  potenza  del  suo  re,  costringendolo  a  trat- 
tare co'  liberi  sudditi  in  luogo  di  abusarne  le  forze.  Non  vo- 
lendo cedere  nulla,  si  espose  la  Giunta  a  perdere  tutto.  Guai 

(I)  Pietro  Martire  £Angh,ier(iy  Opus  eplst.  Amstelod.  1670.  E- 
pist.  695, 713.  ■...-.. 


—  73  — 

al  popolo  che  si  lascia  rapire  un  bene  presente  per  ismania 
del  meglio! 

L'aspra  contesa,  non  composta  in  prò  della  Spagna  e 
dell'Europa,  decisero  le  armi  in  danno  comune.  Diedero  ben- 
sì i  Casigliani  dell'amore  di  libertà  prove  singolari.  Antonio 
d'Acugna,  vescovo  settuagenario  di  Zamora,  veduto  più  vol- 
te colla  partigiana  stilla  spalla,  e  non  mai  col  breviario  alla 
mano  o  la  stola  in  collo,  oppose  disperata  resistenza  a  Tor- 
desilla  con  pochi  de' preti  suoi,  uno  de' quali  collo  schioppi 
buttò  a  terra  undici  dei  reali  ;  e  il  bello  era  che,  mentre  pren- 
deva la  mira,  li  benediceva  coli' archibugio,  poi  colla  palla 
li  spacciava  (i).  Maria  Pacheco  moglie  del  Padilla  per  ripa- 
rare alla  mancanza  di  denaro,  menate  le  donne  in  devota 
processione  alla  chiesa  di  Toledo,  supplicò  perdono  dai  santi 
se  spogliava  i  loro  altari  a  tutela  della  patria.  E  Padilla  non 
ha  chi  lo  superi  in  prodezza  e  nobiltà  di  sentimenti  (2).  Ma 
che  sperare  da  soldati,  i  quali  sbandavansi  per  mettere 
in  salvo  il  bottino  fatto  a  Torrelobaton,  e  poi  nella  riso- 
lutiva battaglia  di  Villalar  (24  aprile  1524),  rotte  le  in- 
segne delle  croci  rosse  e  resi  sordi  dal  terrore  alle  preghie- 
re e  alle  minacce,  lasciavano  soli  gl'intrepidi  capitani  in  ma- 
no de'.nemici?  Onore  a  lui  die  cadde  da  eroe.  Fra  i  dolori 
d'una  ferita  mortale  e  l'aspetto  del  supplizio  imminente, scri- 
veva alla  sua  donna:  Signora,  se  V afflizione  vostra  non  mi 
commovesse  più  che  la  mia  morte,  io  mi  terrei  ben  avventu- 
rato; poiché  essendo  essa  inevitabile,  segnalata  grazia  ho  da 
Dio  ottenendola  tale,  che  se  mollo  sarà  compianta,  non  re- 
sterà però  senza  vantaggio.  Bramerei  pia  tempo  onde  scrive- 
re alcune  cose  per  vostro  consiglio;  ma  né  mi  concedono,  né 


(1)  Antonio  de  Guevara:  Lettere  dorate. 

(2)  Verdaderàmerrte  en  todo  lo  que  he  leido  de  Juan  da  Padilla 
hallo  que  fue  un  gran  caballero  valeroso  y  de  verdad.  Sandoval  op. 
cit.  t.  3,  pag.  236,  •  '  \  .   _    .  .  . 


—  Ti- 
fo cercherei  dilazione  a  ricevere  la  corona  che  spero.  Voi, 
signora,  piangete  la  disgrazia  vostra,  non  In  mia  morte,  che 
essendo  tanto  giusta,  da  nessuno  vuol  essere  compianta.  U  a- 
nima  mia,  poiché  altro  non  mi  resta,  lascio  nelle  vostre  ma- 
ni. Voi,  signora,  fate  con  essa  come  colla  cosa  che  più  vi  a- 
mò.  Non  voglio  più  dilungarmi  perchè  il  carnefice  mi  aspet- 
ta, e  perchè  sospetterebbero  allungassi  il  foglio  per  allungar 
la  vita.  Il  mio  fedele  Sossa,  come  testimonio  di  veduta  e  delle 
Berrete  mie  volontà,  vi  dirà  il  resto  che  qui  manca  ;  e  cosi 
chiudo  quesC  ambascia,  per  aspettare  il  coltello  del  vostro  do- 
lore e  del  mio  riposo.  Indi  soggiungeva  alla  città  di  Toledo: 
A  te  corona  della  Spagna  e  luce  di  tutto  il  mondo  fin  dagli 
antichi  Goti,  a  te,  che  a  forza  di  sangue  straniero  e  tuo  com- 
prasti libertà  per  te  e  per  le  vicine  città;  io,  tuo  legittimo  fi" 
gl'io,  ti  fo  sapere  come  col  sangue  del  mio  corpo  si  rinfresca- 
no le  passate  tue  vittorie.  Se  non  potei  porre  le  azioni  mie 
fra  le  tue  memorabili  imprese,  colpa  fu  la  mala  sorte,  e  non 
la  buona  volontà;  la  quale  come  madre  ti  prego  ricevere, 
poiché  Dio  non  mi  concesse  di  perdere  per  le  altro  che  quel 
che  ho  arrischiato.  PiU  m'importa  della  tua  memoria  che  del- 
la mia  vita.  Però  considera  che  tali  sono  le  vicende  della 
fortuna,  la  quale  mai  non  si  tiene  ferma.  Ben  veggocon  al- 
legrezza che  io,  il  minimo  fra9  tuoi  figli,  muoio  per  te,  e  che 
tu  ne  hai  creati  nel  tuo  seno  molli,  che  potranno  tor  ammen- 
da del  mio  castigo.  Molte  lingue  ti  conteranno  la  mia  mor- 
te, che  io  ancora  non  so,  benché  vicina,  e  la  mia  fine  ti  da- 
rà testimonio  della  mia  intenzione.  L'anima  mia  ti  racco- 
mando come  a  protettrice  della  cristianità  ;  del  corpo  non  di- 
co nulla,  poiché  già  non  è  mio.  Non  posso  scrivere  piii  oltre, 
giacché  sento  in  questo  istante  medesimo  il  coltello  alla  gola 
con  maggior  dolore  del  tuo  affanno  che  timore  della  mia  pe- 
na (1).  Con  uguale  fermezza  andarono  al  supplizio  Giovanni 

(\)  Ibidem  t.  3,  pa$.  237  e  238. 


—  75  — 

Bravo  e  Francesco  Maldonado,  comandante  l'uno  de'Sego- 
viani,  l'altro  de' soldati  di  Salamanca.  Ma  la  Giunta,  cosi  te- 
nace poc'anzi  dell'opera  propria,  non  domandò  più  nulla  e 
si  disperse.  Valladolid  apri  subito  le  porte  ai  vincitori  e  le 
altre  città  non  tardarono  a  seguirne  l'esempio.  Solo  la  vedo- 
va del  Padil'a  difese  intrepida  Toledo,  poi  cacciata  dagli  abi- 
tanti, stanchi  dell'assedio  e  persuasi  dai  preti  ch'ella  fosse 
valorosa  per  virtù  di  malie,  si  sostenne  ancora  quattro 
mesi  nella  cittadella,  infine  riusci  a  salvarsi  in  Portogallo. 
Una  sola  disfatta  definì  ogni  cosa  :  tanto  importa  proporzio- 
nare le  forze  ai  disegni,  le  riforme  al  fattibile  in  continuazio- 
ne di  progresso!  Dai  campi  di  Villalar,  dove  andò  spenta  la 
indipendenza  della  Castiglia,  levossi  e  si  estese  la  potenza 
assoluta  di  Carlo  V. 

Qual  cuore  fu  invece  il  suo  al  principio  della  insurre- 
zione! Vedeva  risponderle  i  tumulti  dell'Aragona,  i  trionfi 
della  germanala  di  Valenza  contro  i  nobili,  gli  eccessi  popo- 
lari nell'isola  di  Maiorca,  i  soldateschi  ammutinamenti  nel- 
le due  Sicilie  (4),  dove  i  Turchi  saccheggiavano  impunemen- 
te Rizzuoli  e  Reggio  (2)  e  per  conseguenza  tardavasi  a  pa- 
gare la  prima  rata  del  concesso  donativo  di  trecentomila 
ducati  (3).  E  a  tutto  ciò  potevasi  riparare  unicamente  col 
danaro.  Ma  donde  pigliarlo?  L'oflerta  del  Te  di  Portogallo 
di  un  milione  di  ducati  bisognava  rigettare,  perchè  1  apposta 
condizione  di  condurre  in  moglie  sua  figlia  (4)  faceva  contro 
agli  accordi  colla  Francia  e  coli5 Inghilterra.  Che  giovavano 

(!)  Vedi  pag.49.  Uarmee  de  don  Hugho  (de  Moncada)  depure  ne- 
eessite  se  deffit.  M.  de  Gatti nara  an  den  kaiser.  Monum.  Habsburg, 
Zw.  Abth.  pag.  403. 

(2)  Mariti  Sanuto  t.  XXIX  di  Napoli  5  e  7  luglio  1520. 

(3)  Napoli  e  in  confusion  con  poca  ubedienzia.  Ibidem  dì  Napoli 
IO  luglio  1520. 

(4)  Ibidem  t.  XXVII,  di  Barcellona  17  luglio  1519.Quatrocento- 
mila  ducati  immantinente. 


—  76  — 

le  favolose  notizie  appunto  allora  diffuse  di  palagi  e  templi 
d'oro  trovati  nel  Messico?  (1).  Tanto,  è  vero, da  dar  animo  di 
alienare  a  massa  demanii,  città  e  contee  nel  Napolitano  (2); 
ma  il  prezzo  non  potevasi  riscuotere  che  a  lunghi  termini 
e  infine  restò  interrotta  la  vendita  per  poca  sicurezza  del 
possesso  (3).  Non  rimaneva  che  chiedere  un  nuovo  prestito 
al  re  d' Inghilterra,  e  questi  lo  negò  (4),   per  non  per- 

(1  )  Ibidem,  t.  XXVHI  di  Sevilla  7  gei).  1520. 

(2)  Sino  alla  somma  di  600,000  ducati  Ibidem  t.  XXIX  di  Na- 
poli 6  geno.  1521 .  Ai  7  aprile  n'erano  venduti  per  280,000  ducati  pa- 
gabili in  due  mesi.  Ai  14  aprile  se  ne  dovevano  vendere  per  altri 
306,000  ducati,  ma  non  si  trovavano  più  compratori.  Ibidem.  Gatti- 
nara  nel  precitato  suo  rapporto  all'imperatore,  27  ott.  1521,  parla 
invece  di  soli  500,000  ducati  d'oro.  Fui  advise,  que  vostre  m.lepour- 
roit  promptement  avoir  de  Sicile  pour  I'  engaigeraeut  de  Mazara  la 
somme  de  50,000  ducas  d' or. . . .  sur  la  reserve  de  Sicile  la  somme 
de  30,000  ducas  d' or  . . .  sur  la  dohana,  sur  la  province  de  Basili- 
cata, et  sur  les  traictes  les  deniers  consignez  au  tresorier  d'Aragon 
se  pourroit  fere  finance  de  100,000  ducas  d'or,  lesquelz  v.Tt  m.te  .a- 
voit  ordonne  estre  delivrez  a  don  Jehan  Manuel  pour  le  faict  du  pa- 
pe . , .  de  fere  la  vendicion  de  Teramo  et  sainct  Severo,  et  en  fus- 
rent  despechiez  les  previleges  aux  ducz  de  Termoli  et  de  Haltri 
chascune  piece  pour  40,000  ducatz  de  monoye,  revenans  les  deux 
pieces  a 70,000  ducatz  d'or. . .  de  vendre  aucunes autres terres de 
la  succession  de  Ja  reyne  jusques  a  la  somme  de  200,000  ducas. . . 
Massa,  Manitta,  Castrovillar,  Taverna,  la  Guardia  greca,  Trova,  Mol- 
feta,  Invenazo  et  Ortonaraar. . .  Civita  de  Penna  et  Campii.  Monum. 
Habsb.  1.  e.  pag.  404-407. 

(3)  Marin  Sanuto  t.  XXIX,  di  Napoli,  21  apr.  1521. 

(4)  Ilz  sont  en  très-grant  necessitò  d'argent,  et,  à  ceste  cause, 
a  escript  le  roy  catholicq  long  temps  a  et  depuis  nagueres  aul- 
tres  lettres  au  roy  d'Angleterre,  et  fait  escripre  par  ses  embas- 
sadeurs  qui  sont  icy,  le  priant  de  luy  prester  ceni  mil  ducatz,  oul- 
tre  l' argent  quii  luy  presta  quant  il  alla  en  Espaigne,  et  luy  fait  of- 
fre de  plusieurs  seurtez  en  Flandres,  promectant  de  luy  rendre  la 
dite  somme.  Il  n'y  a  nouvelles  de  la  response.  V  ambassadeur  Bar- 
.rois  qu  roy  Francois  /.er  Worms  17  janv.  1 521 ,  Le  Glay  Négocialions 

diplomatiques  entre  la  France  et  l' Autriche.  Paris  1845,  t,  2.j>.  466. 


—  77  — 

dere  la  riputazione  di  giudice  imparziale  tra  i  due  principi 
rivali. 

Ma  quello  che  gli  uomini  credevano  estremo  male  tor- 
nò a  gran  bene  di  Carlo,  perchè  menlr'egli  affettava  di 
pendere  da' cenni  di  Enrico  con  riverenza  filiale,  dispettan- 
done Francesco  la  mediazione  (1)  lasciavasi  invece  sedurre 
dai  tumulti  di  Spagna,  e,  secondo  che  più  tardi  quere- 
landosi affermava,  anche  dai  conforti  del  pontefice,  a  rom- 
pere la  guerra. 

Accontatosi  pertanto  con  Roberto  de  la  Mark  signore  di 
Sedan  e  di  Bouillon  (tornato  al  suo  soldo  per  una  recente 
ingiustizia  di  Cesare  (2)  ),  col  duca  di  Luneburgo,  genero 
del  principe  di  Gueldria,e  con  Andrea  de  Foix  signore  di  Le- 
sparre,  parente  di  Enrico  d' Albret,  sin  dal  principio  del  1521 
concertò  l'impresa  di  molestare  i  confini  della  Fiandra  e  di 
ricuperare  a  quest'  ultimo  il  regno  di  Kavarra  (3). 

Roberto  fu  oso  mandare  un  araldo  per  sfidar  Cesare  in 
mezzo  alla  dieta  di  Worms,  e  poi  con  milizie  proprie  e  leva- 
te in  Francia,  tra  le  quali  eranvi  Svizzeri  della  guardia  stes- 
sa del  re,  invase  il  ducato  di  Lussemburgo,  dove  pose  l'as- 
sedio a  Vireton.  Poco  dopo,  nel  mese  di  maggio,  il  signore 
di  Lesparre  s' impadroni  della  Navarra  tutta,  sguarnita  di 
truppe,  quasi  senza  colpo  ferire  fuorché  sotto  la  cittadella 
di  Pamplona,  la  cui  leggiera  resistenza  non  ricorderebbe  tam- 
poco la  storia  se  ivi  non  fosse  stato  gravemente  ferito  alle 
gambe  Ignazio  di  Loyola,  gentiluomo  biscaglino,  il  quale  du- 
rante la  lunga  cura  leggendo  le  vite  de' santi  a  quegli  esem- 

(1)  Marin  Sanuto  t.  XXIX  di  Anglia  6,  19,  23  apr.  di  Wormatia 
4,  mag.  1521. 

(2)  Aggiudicando  la  città  di  Bierge,  dipendente  dal  ducato  di 
Bouillon  al  signore  di  Emery.  Du  Bellay  Memoires,  Paris  1853 
t.  XVII,  pag.  290. 

(3)  Dépeche  de  Fitzwilliam  à  Wolsey  18  fevr.  1521.  Mignet  Ri- 
valile op.  cit.  pag.  278.  • 


—  78  — 

pii  s'infervorò  per  guisa  da  diventare  poi  fondatore  di  un 
nuovo  ordine  monastico,  e  di  qual  ordine! 

Avuta  nuova  di  questi  fatti  che  mettevano  Francesco 
nella  prevista  e  desiderata  condizione  di  primo  perturba- 
tore della  pace  (4),  ne  mostrò  Carlo  vivissima  gioia:  tu  sii 
laudato,  signor  Dio,  esclamando,  poi  che  da  me  non  è  prin- 
cipiata questa  guerra,  e  che  il  re  di  Francia  cerca  di  farmi 
più  grande  di  quel  che  sono;  in  breve  tempo  o  io  sarò  povero 
imperatore  o  lui  povero  re  di  Francia  (2).  Con  ambizione 
ancor  più  minaccevole,  voltosi  a  Gaspare  Contarini,  oratore 
veneto,  disse  :  o  il  re  di  Francia  mi  esterminerà  o  io  mi  fa- 
rò principe  di  Europa  (3).  Fatto  dunque  dichiarare  a  Fran- 
cesco col  mezzo  di  Filiberto  Naturelli  ambasciator  suo,  ch'ei 
lo  reputava  d'accordo  con  Roberto  de  la  Marck  e  con  Enri- 
co d'  Albret,  che  rotti  erano  per  conseguenza  i  trattati  tra 
loro  conchiusi,  e  che  provocato  ed  assalito  si  difenderebbe 
coli1 aiuto  di  Dio  e  de9  suoi  alleati  (4),  mandò  il  conte  di  Nas- 
sau e  Francesco  de  Sickingen  con  ventimila  fanti  e  quattro- 
mila cavalli  a  castigare  la  insolenza  di  Roberto.  Questi  in 
pochi  giorni  s' impadronirono  di  tutte  le  sue  piazze,  tranne 
di  Jamets  e  di  Sedan,  e  passati  i  confini  entrarono  nel  terri- 
torio francese  dove  presero  Monzon  e  minacciarono  Mezieres, 
città  poco  forte  a  que'  giorni,  ma  pel  sito  suo  molto  oppor- 
tuna all'invasione  della  Sciampagna.  Nell'istesso  tempo  altre 


(i)  Che  valevano  le  discolpe  recate  da  Francesco  con  tre  lette- 
re agli  elettori  di  Germania?  Carlo  potè  confutarle  pienamente. 
Motium  Hubsb.  pag  184-198. 

(2)  Lettera  di  Aleandro  de  GaleazzL  Brusselles  3  luglio  1521, 
Ruscelli  Lettere  di  principi,  t.  1,  pag.  93. 

i3)  Che  l'imperator  dice;  o  chel  re  di  Franza  lo  exterminera,  o 
lui  si  farà  principe  dila  Europa.  Maria  Sanato,  l.  XXI  \  lettera  del 
Contarini,  1  giugno  1521.  di  Magouza. 

0)  Francois  I.cp  a  Barrois,  Villeneuve  14  avr.  1521,  Le  Clay,  Ne- 
goc.  diplora.  L  2,  pag.  469. 


—  79  — 

truppe  condotte  da  capitani  fiamminghi,  venendo  da  più 
parti,  conquistarono  Saint-Amand  e  Mortagne,  e  distrussero 
Àrdres,  mentre  il  signore  di  Fiennes,  governatore  della  pro- 
vincia di  Fiandra,  con  ottomila  fanti,  mille  cavalli  e  sei  pez- 
zi d'artiglierìa,  strigneva  d'assedio  Tournai. 

Peggio  che  l'invasione  del  Lussemburgo  andò  la  conqui- 
sta della  Navarra.  Se,  resa  Pamplona,  fosse  stato  contento 
Lesparre  ad  assodare,  come  giusto  pareva,  il  trono  di  Enri- 
co d'Albret,  nulla  avrebbe  potuto  contrariar  l'opera  sua  ap- 
provata dal  voto  nazionale.  Al  contrario,  spinto  innanzi  dal- 
l'ardore giovanile  e  dal  desiderio  di  compiacere  il  re  Fran- 
cesco troppo  facile  alle  illusioni  della  prospera  fortuna,  non 
si  peritò  di  passar  l'Ebro  e  di  assediare  Logrono,  al  grido 
di  viva  il  re  e  il  fiordaliso  di  Francia,  viva  la  comunità 
della  Castiglia  (1).  La  era  improvvida,  tardiva  dichiarazio- 
ne in  prò  d'una  causa  già  perduta  a  Villalar:  sicché  e  i  co- 
munisti e  i  reali  andarono  a  gara  nella  difesa  della  patria: 
gti  uni  per  attenuare  collo  zelo  presente  la  memoria  delle 
passate  cose,  gli  altri  per  aggiungere  al  merito  della  repres- 
sa ribellione  la  gloria  del  respingere  lo  straniero.  L'esercito 
loro,  forte  di  dodicimila  fanti  e  di  duemila  cavalli,  costrin- 
se il  generale  francese  a  levare  V  assedio  da  Logrono,  e  poi, 
inseguitolo  nella  ritirata,  lo  attaccò  con  tanto  impeto  nella 
battaglia  di  Ezquiros  (30  giugno  1521  )  ch'ei  cadde  ferito 
e  prigione.  Cosi  la  Spagna  ricuperò  il  possesso  della  Navar- 
ra in  più  breve  tempo  che  non  ne  avevano  perduto  i  nemi- 
ci nel  conquistarla. 

Arse  d'ira  Francesco,  né  più  conobbe  rispetti  a  tenersi 

(1)  No  se  contentaban  los  franceses  con  haber  ganado  a  Na- 
varra que  era  à  lo  que  derian  que  venian  . . .  Quiiada  està  mascara 
y  jugando  de  las  armas  al  descubierto,  acometieron  a  Logrono  y 
aun  dicen  que  traian  por  nombre  ó  appeilido:  viva  el  rey,  la  fior 
de  lis  de  Francia  y  la  comunidad  de  Casiilla.  Sandomly  op.  cit.  t.  3, 
pag.296. 


—  80  — 

in  freno,  facendo  assegnamento  non  meno  sopra  le  proprie 
forze  che  sopra  quelle'degli  Svizzeri.  Di  già  nella  primavera 
del  1520  nove  cantoni  s'erano  congiunti  con  lui  (1),  e  quan- 
do Cesare  dalla  dieta  di  Worms  volse  ad  essi  imperiose  pa-. 
role,  anche  gli  altri  cantoni,  tranne  Zurigo,  accettarono  la  le- 
ga di  Francia  (2),  obbligandosi,  verso  il  pagamento  di  soli 
mille  franchi  all'anno  per  ciascuno,  oltre  ai  due  mila  nelle 
anteriori  convenzioni  pattuiti,  di  cedere  agli  stipendii  suoi 
dai  seimila  ai  sedicimila  uomini  e  di  non  richiamarli  che  in 
difesa  di  sé  medesimi  (3). 

Allestiti  pertanto  tre  grossi  eserciti,  mandò  l'uno  capi- 
tanato dall'  ammiraglio  Bonnivet  ai  Pirenei;  l'altro  condotto 
dal  contestabile  Borbone,  dal  duca  di  Vendome,  dai  mare- 
scialli Chatillon  e  La  Patisse  e  dal  signore  La  Tremouille 
ragunò  ai  confini  della  Sciampagna  e  della  Piccardia;  il  ter- 
zo destinò  per  l'Italia  dove  già  trovavasi  il  maresciallo  di 
Foix  Lescun  alla  testa  delle  truppe  francesi,  ed  il  Lautree 
poco  innanzi  venuto  in  Francia  rimandò  al  governo  di  Mi- 
lano. 

Quivi  stava  di  pessimo  animo  il  popolo  abborrente  co- 
loro che  avevano  violati  i  privilegi  del  senato  ed  al  consiglio 
liberamente  eletto  (il  quale  nel  4512  componevasi  di  nove- 
cento.e  quattro  anni  dopo  di  cencinquanta  cittadini)  sosti- 
tuita un'assemblea  di  soli  sessanta  nobili  nominati  dal  go- 
vernatore. Aggiungansi  l'enormi  contribuzioni,  aggravate 
dagli  alloggiamenti  militari,  la  insolenza  de' comandanti,  la 
crudeltà  de'  tribunali  che  punivano  con  atroci  supplizii  i  sud- 
diti contumaci  o  sospetti.  Lautree  sostenuto  dalla  contessa 


<])  Mann  Sanuto  t.  XXVIII,  di  Milano  20  maggio  1520. 

(2)  5  Maggio  1521.  Du  Mont  t.  IV,  par.  1,  pag.  133. 

(3)  Levar  uno  n.°  delli  fanti  bel vetij  armigeri  pedestri  tanto  quan- 
to li  parerà  o  vorrà  tarpen  nò  manco  de  6000  et  nti  più  de  16000.  Ar- 
chile* de  l'Empire  franpais  ms.  •'»•■. 


—  al- 
di Chateaubriand,  sorella  sua  e  ganza  del  re,  trattò  il  paese 
come  terra  di  conquista,  smungendone  danaro  e  sbandendo 
a  torme  i  ricchi  per  confiscarne  i  beni  (1).  Repulavasi,  dice 
Martino  de  Bellay,  il  numero  de' fuorusciti  di  Milano  non  mi- 
nore di  quello  de' rimasti,  e  dicevasi  che  la  maggior  parte  e- 
vano  slati  esiliali  per  leggieri  motivi  oper  usurparne  gli  ave- 
ri; lo  che  ci  procacciava  molti  nemici,  i  quali  si  adoperaro- 
no poi  per  iscacciarci  da  Milano  onde  riavere  i  loro  beni  (2). 
Quel  gran  numero  di  fuorusciti  faceva  infatti  l'uffizio  suo 
consueto  d'irritare  gli  animi  e  scalzare  il  dominio;  e  princi- 
palmente Girolamo  Morone,  caldo  patriota,  agitatore  infati- 
cabile, acuto,  eccellente  a  cospirare,  il  quale  da  Trento  non 
cessava  di  fomentare  le  scontentezze  interne  e  le  gelosie  dei 
vicini.  Mentre  Carlo  e  Francesco  contrasta vansi  a  vicenda 
l'aiuto  degli  Svizzeri,  scriveva  il  Morone  al  cardinale  di 
Sion  che  inducesse  i  suoi  connazionali  a  favoreggiare  in- 
vece la  ristaurazione  dello  Sforza.  Ben  V  accorto  mostrò  di 
sapere  a  cui  si  volgeva  :  Forse  che  tu,  mio  reverendissimo 
e  illustrissimo  signore,  t  incollerirai  meco  perchè  troppo  ir- 
requieto e  insistente  non  ti  lascio  posare;  ma  somiglio  ad  al- 
cuno, che,  vago  d'imitare  il  maestro,  apprese  piuttosto  a 
tender  le  reti  mille  fiate  invano,  di  quello  che,  per  pigrizia 

(1)  Giangiacorao  Trivulzio  aveva  già  detto  che  se  Milano  have- 
va  fatto  Moian  (Meillan,  alludendo  al  palazzo  costruito  in  Francia 
da  Chaumont  d'Amboise  coi  danari  dei  Milanesi)  forse  Cateau  Brian 
disfarla  Milan  ;  volendo  inferire,  che  Lotrec  haveva  favore  per  con- 
to della  sorella.  Il  cardinale  di  Bibiena  al  cardinale  Giulio  de'Medici, 
Parigi  26  nov.  1518.  Ruscelli,  Lettere  di  principi,  1. 1,  pag.  33. 

(2)  Mémoiresop.  cit.l.2,pag.  159.  Concordano  Gai7/arrf,Histoire 
de  Francois  I.er  t.  2,  pag.  202  :  les  proscriptions  avoient  depeuplé  Mi- 
lan  .  .  .  On  remarqua  que  la  plus  part  de  ces  bannis  étoient  les  plus 
riches  citoyens  du  Milanés;  Brantome  nella  vita  di  Lautrec:  Macia- 
me  de  Chateaubriant  en  rebatit  tous  les  coups,  et  le  remettoit  tou- 
jours  en  grace;  e  Pietro  Verri:  Storia  di  Milano,  Milano  1835,  t.  2, 
pag.  190eseg. 

6 


—  82  — 

ammettendone  una  sola,  lasciarsi  sfuggir  di  mano  la  fortu- 
na, caso  che  le  garbi  sorridere.  È  forse  d'umore  il  cardina- 
le di  Sion  di  darsi  vinto  a9 casi  avversi  e  disperare  che  s'ab- 
biano un  dì  o  V altro  a  mutare  in  prosperi  (ì)  ? 

Ciò  tutto  pareva  dipendere  dal  re  d'Inghilterra  e  dal 
papa  ;  onde  o  all'  uno  o  all'  altro  chiese  di  essere  mandato 
ambasciatore  di  Cesare  (2),  ed  andò  a  Roma,  sebbene  a  gran 
lunga  avrebbe  preferita  la  legazione  di  Londra,  ben  si  appo- 
nendo che  là  stava  la  forza  dell'  impresa. 

Patrocinò  Morone  la  causa  del  suo  duca  Francesco  Ma- 
ria Sforza  con  tanto  ardore  che  taluno  credette  sopra  ogni 
altra  ragione  efficace  a  vincere  l'esitanze  di  papa  Leone  (3). 

La  lega  tra  il  pontefice  e  Cesare  aveva  invero  il  carat- 
tere di  una  congiura,  essendo  stato  consiglio  comune  di 
procedere,  innanzi  che  manifestamente  si  movessero  le  armi, 
o  con  insidie  o  con  assalto  improvviso  in  un  tempo  stesso 
per  mezzo  dei  fuorusciti  contro  al  ducato  di  Milano  e  contro 
a  Genova.  Girolamo  Adorno  doveva  entrare  nel  porto  di  Ge- 
nova con  nove  galee  armate  di  duemila  fanti  spagnuoli, 
mentre  che  suo  fratello  Antoniotto,  attraversando  le  monta- 
gne, muoverebbe  gli  uomini  delle  Riviere  a  far  tumultuare 
là  città.  Da  altra  parte  ara  stato  trattato  per  Girolamo  Mo- 
rone co'  principali  emigrati  che  a  Parma,  a  Piacenza,  a  Cre- 
mona e  a  Milano  fossero  assaltate  all'  improvviso  le  genti 


(i)  Trento  26  nov.  1519.  Tullio  Dandolo,  Ricordi  inediti  di  Giro- 
lamo Morone.  Milano  1855,  pag.  76. 

(2)  Polliceor  impensa  mea  cumulate  satisfacere . . .  In  Italia 
quae  geruntur  parentque  parco  compendio  complecti  possunt.  Pon- 
ti fex  tametsi  perfidiae  gallicae  callentissimus,  tamen  uti  est  taepU 
dus  ac  imbecillis  non  audet  a  Gallis  discedere.  Al  card,  di  Sion,  senza 
data.  Biblioteca  Marciana  :  Hieronymi  Moroni  Epistolae  lat.,  clas. 
XIII,  cod.  LXXV  ms. 

(3)  Galeat.  Capella  (segretario  del  Morone),  De  reb.  gest.  prò 
restitutione  Francisci  II  Medio!,  ducis,  1533 1. 1,  p.  4. 


—  83  — 

francesi  che  vi  erano  alloggiate;  e  che  il  marchese  Manfredo 
Pallavicini  ed  un  cotale  Giovanni,  capo  di  facinorosi  notissi- 
mo in  quelle  montagne  sotto  il  nome  di  Matto  de'  Brinzi, 
conducendo  fanti  tedeschi  per  il  lago  di  Como  (i),  ne  sor- 
prendessero la  città.  Perchè  la  città  di  Como,  cosi  suona  l'i- 
struzione data  al  marchese,  per  molti  rispetti  è  di  grandissi- 
ma importanza,  ci  pare  necessario  commetterne  la  impresa 
a  persona  com9  è  V.  S.  di  grandissima  virtù  e  fede  verso 
noi . . .  Bisogna  subito  subito  sopratutto,  pigliala  la  città, 
metter  ordine  talché  né  per  i  soldati,  né  per  i  partigiani,  né 
per  la  plebe  si  faccia  ingiuria  né  violenza  ad  alcuno,  né  si 
mettano  a  sacco,  né  si  rubino  i  beni  di  chicchessia . . .  Acca- 
dendo però  che  per  castigare  gV  incorreggibili,  fosse  pur  ne- 
cessario che  si  venisse  a  saccheggiare  le  ville  o  persone  pri- 
vate o  altro,  vostra  signoria  farà  mettere  ordine  talché  tutti 
i  denari  e  tutti  gli  argenti  e  Voro  e  le  gioje  si  conservino  per 
noi  a  sostentazione  dei  carichi  dello  stato,  i  quali  siccome 
saranno  grandi  ed  estraordinarii,  così  bisognerà  con  gli  e- 
molumenti  estraordinarii  portare,  acciocché  non  siamo  ne- 
cessitali d'imporre  gravezza  ai  popoli  (2).  Deliberossi  in  ul- 
timo che,  succedendo  queste  cose  o  alcuna  delle  più  impor- 
tanti, gli  emigrati  di  Milano,  si  trasferissero  di  soppiatto  a 
Reggio,  dove  nel  giorno  destinato  doveva  capitare  il  Morone, 
per  muovere  di  là  al  conquisto  di  Parma,  facendo  con  più 
prestezza  si  poteva  tremila  fanti.  Al  quale  effetto,  oltre  ai 
denari  assegnati  allo  Sforza  per  soldare  degli  Svizzeri,  cen- 
tomila scudi  dall'imperatore  ed  ottantamila  dal  pontefice  (3), 
mandò  quest'  ultimo  a  Francesco  Guicciardini,  governatore 


(1)  Vennero  alcuni  dal  Tirolo  e  per  la  Valcamonica.  Mariti  Sa- 
nuto  t.  XXIX  di  Verona  26  giug.  1521. 

(2)  Istruzione  di  Francesco  Maria  Sforza  a  Manfredo  Pallavicino, 
8  giugno  1521.  Molini,  Documenti  di  storia  italiana  1. 1.  pag.  90-92. 

(3)  Grumello  Antonio.  Cronaca.  Milano,  1856,  pag.  260. 


x 


/ 


—  84  — 

di  Modena  e  di  Reggio,  diecimila  ducati  con  commissione 
che  li  desse  al  Moròne  e  favorisse  la  concertata  impresa, 
ma  occultamente,  ed  in  maniera  tale  che  delle  azioni  dei  mi- 
nistri non  potesse  il  re  di  Francia  o  querelarsi,  o  fare  sini- 
stra interpretazione  del  pontefice  (I). 

La  era  di  certo  terribile  impresa  e  in  ogni  sua  parte  ac- 
cortamente divisata.  Ma  alla  grande  concordia  de' Lombardi 
neir  odio  contro  i  Francesi  (2)  non  rispondevano  gli  animi 
degli  altri  popoli  d' Italia.  Firenze  malvolentieri  lasciavasi 
trascinare  ai  danni  di  Francia,  si  per  essere  a  lei  inclinata, 
sì  perchè  in  quel  tempo  i  suoi  mercanti  avevano  a  riscuotere 
tra  da  quella  corte  e  da  altre  persone  private  più  che  ducati 
settecentomila,  ed  ancora  perchè,  scoppiando  la  guerra,  i 
corsari  provenzali  le  avrebbero  impedita  la  navigazione  (3)9 
e  a  gravissimi  danni  sarebbe  stato  esposto  il  suo  commercio 
di  Lione,  dove  teneva  come  una  vasta  colonia;  la  quale  pur 
troppo  per  salvare  le  mercanzie  fu  poi  costretta  di  rinnega- 
re la  patria  (4),  cooperando  così  a  sviarla  da  quelle  industrie 


(1)  Frane.  Guicciardini  Storia  d' Italia  t.  3,  pag.  20. 

(2)  Nec  parvi  momenti  apud  Leonem  Carolumque  ea  ratio  lblt, 
quod  Sfortiarum  nomen  in»magna  gratia  esse  apud  omnes  fere  po- 
pulares  Mediolanensis  ditionis  constabat,  quorum  studi um  ad  bel- 
lum  confìciendum  magno  usui  fore  non  dubitabatur.  Quibus  rebus 
proponendis  et  commemorandis  Hieronymus  Moronus  civis'me- 
diolanensis  vir  magni  consilii  et  auctoritatis  per  litteras  et  nuncios 
principes  itaìicos  ad  bellum  prò  Francisco  Sfortia,  cujus  erat  valde 
studiosus,  suscipiendum  e  Tridento  cohortabatur  :  Mediolanenses 
vero  ut  a  rege  Gallorum,  cui  Moronus  erat  infensus,  defìcerent,  cun- 
ctis  rationibus  sollicitabat.  Sepulveda  Joh.  Gen.  De  rebus  gestis 
Caroli  V.  Madrid  J780,  pag.  124. 

(3)  Francesco  Vettori,  Storia  d'Italia,  op.  cit.  Arch.  stor.  Hai.  Ap- 
pend.  22,  p.  336. 

14)  Car  nostre  intention  estoit  et  est  de  vivre  et  mourir  en  la 
subgection  et  protection  du  Roy,  et  estre  tous  ses  très  humbles  servi- 
teurs  et  subgets,  comune  avons  esté  par  cy  devant.  Memoriale  dei 


—  85  — 

coraggiose  che  prima  facevano  la  grandezza  sua,  ed  a  ripor- 
re ogni  felicità  nell'ozio  sicuro.  Per  diverse  e  più  nobili 
ragioni  avversava  Venezia  ogni  novità  in  Italia,  saviamente 
reputando  formidabile  la  potenza  di  Cesare  senza  il  contrap- 
peso di  Francia.  Il  perchè  rimasta  in  fede  di  quella,  ben 
lungi  dal  secondare  la  cospirazione  lombarda,  le  avute  con- 
fidenze ricambiò  con  salutari  ammonimenti.  Poi,  come  in- 
tese che  già  erano  molte  genti  di  guerra  allestite  d' ordine 
del  pontefice  e  di  Cesare,  affinchè,  non  riuscendo  le  cose  se- 
grete, potessero  subito  usare  palesemente  la  forza:  che  ol- 
tracciò il  pontefice  medesimo  aveva  dato  commissione  al 
cardinale  di  Sion  di  soldar  Svizzeri  (i),  ed  a  Prospero  Co- 
lonna, destinato  capitano  generale  dell'impresa,  di  ammas- 
sare truppe  "a  Bologna  :  che  d'altra  parte  il  viceré  di  Napoli 
don  Raimondo  di  Cardona  con  la  cavalleria  di  quel  regno  e 
il  marchese  di  Pescara  con  la  fanteria  spagnuola  s'erano  già 
ridotti  in  riva  al  fiume  Tronto,  per  essere  pronti  a  passare 
quanto  prima  portasse  1'  occasione;  non  mise  tempo  in 
mezzo  a  far  nuovi  fanti  italiani,  e,  ragunata  tutta  la  cavalle- 
ria nel  territorio  bresciano,  ordinò  a  Teodoro  Trivulzio  suo 
governatore  la  conducesse  sull'  Adda,  ed  ove  occorresse,  per 
sicurtà  de'  francesi,  il  passasse  (2). 

Per  siffatti  provvedimenti  mancò  ai  congiurati  l'appog- 
gio sperato  nella  connivenza  o  aimeno  nella  inazione  de'  Ve- 
neziani. Genova  non  si  mosse  al  grido  degli  Adorni,  i  quali 
avendo  intercettati  per  venti  giorni  tutti  i  corrieri  che  vi 
andavano  a  fine  di  rendere  meglio  inaspettato  l'assalto,  die- 
dero con  ciò  stesso  motivo  al  doge  Ottaviano  Fregoso  di 
presentire  la  loro  venuta  e  di  mettere  in  buona  guardia  la 


mercanti  fiorentini  residenti  a  Lione  al  Robertet,  15  luglio  1521.  G. 
Molini.  Documenti  di  stor.  ital.  t.  1,  pag.  101. 

(1)  Hottinger,  Geschichte  der  Eidgenossen  t.  I,  pag.  55-03. 

(2)  Paolo  Parutdy  Historia  Vinetiana.  Ven.  1645,  pag.  196. 


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terra;  onde  a  quelli  non  restò  che  ritirarsi  nella  riviera  di 
Levante  per  poi  passare  co'  fanti  spagnuoli  in  Lombardia, 
rimandando  la  flotta  a  Napoli  (l).  Più  infelici  riuscirono  le 
insidie  tentate  a  Como,  perchè  Graziano  delle  Guerre,  che 
vi  era  governatore  per  Francia,  provvide  al  pericolo  in  tal 
maniera  che  ninno  si  scoperse  in  favore  di  Manfredo  Pallavi- 
cini, il  quale  ai  26  giugno  4521  s'era  già  messo  sotto  la 
città  ;  e  poi  nel  giorno  seguente,  uscendo  fuora  con  le  sue 
genti,  sorprese  e  disperse  mille  e  cinquecento  emigrati  e 
quattrocento  tedeschi  con  tanta  facilità  da  far  credere  che 
con  danaro  e  con  promesse  avesse  corrotto  il  capitalo  di 
questi  ultimi.  Manfredo  e  il  Matto  che  fuggivano  per  la  via 
dei  monti  insieme  con  molti  altri  furono  fatti  prigioni  e 
mandati  a  Milano  (2).  I  casi  di  Como  ritennero  la  capitale  e 
le  altre  città  della  Lombardia  dall' insorgere  (3),  essendo 
ornai  pervenute  alle  orecchie  del  maresciallo  di  Foix  le  cose 
trattate;  perchè  queste  e  la  comparsa  del  Morone  incognito 
a  Milano  e  la  sua  andata  a  Reggio  erano  in  bocca  degli  emi- 
grati, i  quali  oltracciò,  non  seguitando  l' ordine  dell'adunarsi 
di  soppiatto;  recaronsi  palesemente  a  Reggio,  facendo  in 
tutti  i  luoghi  circostanti  richieste  di  uomini  e  dimostrazioni 
manifeste  di  prossime  novità:  ne'  quali  portamenti  continuò 
il  Morone  venuto  dopo  loro;  mosso  senza  dubbio  dalla  spe- 
ranza che  più  si  operasse  scopertamente  e  più  sarebbero  so- 
spinti i  Francesi  a  qualche  mal  passo  imprudente  per  cui 
fosse  affrettata  la  guerra. 

Né  restò  di  questa  sua  speranza  ingannato;  perocché, 
non  contento  il  maresciallo  di  guardare  i  confini  lombardi. 


(1)  Uberti  Folietae,  Gen.  Hist.  1.  XII,  p.  722. 

(2)  F.  Guicciardini  1.  e.  pag.  21,  25.  Jacopo  Nardi  Istorie  della 
città  di  Firenze.  Fir.  1842,  t.  2,  pag.  61. 

(3)  Si  Como  era  preso,  Milan  voltava,  in  tutte  le  terre  era  intcl- 
ligenlia.  Marin  Sanuto  t.  XXX,  di  Milan  27  giug.  153-1 . 


—  87  — 

da  Parma  osò  la  mattina  del  giorno  di  s.  Giovanni  Battista 
(24  giugno)  condursi  davanti  alle  porte  di  Reggio  con  quat- 
trocento lance,  dietro  le  quali,  ma  lontano  per  qualche  mi- 
glio», veniva  Federico  da  Bozzole  con  mille  fanti,  sperando  di 
prendere  i  fuorusciti  o  di  disperderli.  fi  mentre  convenuto  a 
parlamento  col  governatore  Francesco  Guicciardini  stava  do- 
lendosi che  in  quella  terra  del  papa  fossero  ricettati  i  ribelli 
della  cristiauissima  maestà,  alcuni  de'  suoi  uomini  di  arme 
fecero  prova  di  occupare  la  porta  che  va  a  Modena;  ma  es- 
sendo preveduta  la  insidia  vennero  ributtati  da  quei  di  den- 
tro a  colpi  d' archibugio  ed  Alessandro  Trivulzio  ne  riportò 
tal  ferita  che  fra  due  giorni  mori.  Il  maresciallo  fu  lasciato 
partire  per  non  offendere  il  re  (1).  Nondimeno  venne  la  fa- 
ma in  Milano  ch'egli  era  stato  fatto  prigione,  la  quale  diede 
grande  spavento  ai  Francesi,  in  que'  giorni  medesimi  che 
all'odio  de' Lombardi  (2). parve  rispondessero  segni  palesi 
della  collera  di  Dio  e  di  future  calamità.  Imperocché,  la  vi- 
gilia del  di  sacro  al  martirio  de' principi  degli  Apostoli  (28 
giugno),  una  folgore  a  ciel  quasi  sereno  piombò  innanzi  alla 
porta  del  castello  ove  stavano  ammucchiati  molti  barili  di 
polvere,  destinati  la  vicina  notte  ad  esser  via  tradotti  su 
carri.  A  quel  tocco  l'ignea  materia  si  accese  e  con  immenso 
fragore  schizzò  nel  vicino  torrione,  pur  esso  pieno  di  uguale 
sostanza  ;  là  violentemente  per  le  angustie  del  sito  lottando 
il  fuoco,  la  pesante  mole  da'  fondamenti  svelta  squarciò,  e  i 

(1)  Fr.  Guicciardini  pag.  21  e  22,  e  Jacopo  Nardi  I.  e.  pag.  60. 

(2)  Quest'odio  addusse  il  re  Enrico  Vili  a  cagione  della  lega  tra 
Cesare  e  il  papa,  parlando  cogli  ambasciatori  francesi  Antonio  de 
Prez  ed  Oliviero  de  la  Vernade,  signore  de  la  Bastie:  affare  any  in- 
terprice  made  for  the  takytige  off  the  sayde  citie  off  Regio,  yitt  the 
sayde  Frenshe  Kynge,  affbre  thaty  hadde  putt  hym  in  suche  fere  off 
extreme  subjection,  that  he  iryst  not  howe  to  ordre  and  defende 
hym  selfe,  and  that  herby  he  was  compellydde  to  do  as  he  haith 
doon.  Pace  to  Wolsey  20  jul.  1521,  State  Papers.  1830, 1. 1,  pag.  13. 


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frammenti  ne  disseminò  per  P  aria,  di  modo  che  roventi 
sassi  di  gran  mole  sin  oltre  cinquecento  passi  lanciò  quasi 
scagliati  da  baliste;  i  minori  assai  più  discosto  volarono.  Ed 
era  l'ora  propria  che  gli  uomini  cercando  di  refrigerarsi  an- 
davano passeggiando  per  la  piazza  ;  però  contaronsi  nel  ca- 
stello da  centocinquanta  vittime  e  il  castellano  tra  queste  (4). 
Se  ne  parlò  a  Roma  come  di  prodigio,  o  vendetta  di 
s.  Pietro  per  l' attentato  di  Reggio.  Stava  al  suo  successore 
il  continuarla.  Maledicendo  pertanto  agi'  invasori  del  terri- 
torio ecclesiastico,  fece  Leone  le  viste  di  prendere  da  quel 
nuovo  accidente  occasione  a  nuovi  consigli,  e  P  accordo  con 
Cesare,  come  se  allora  soltanto  fosse  conchiuso,  annunciò  in 
concistoro.  Immantinente  P  esercito  imperiale  e  pontificio, 
forte  di  ventiduemila  fanti,  milleduecento  uomini  d'arme,  e 
quattrocento  di  cavalleria  leggiera,  andò  a  campo  in  sul  fiu- 
me della  Lenza  a  cinque  miglia  da  Parma.  Governavanlo  ca- 
pitani italiani  e  spagnuoli  di  gran  nome:  Prospero  Colonna 
con  autorità  di  comandante  supremo;  Federico  Gonzaga, 
marchese  di  Mantova,  preposto  alle  genti  della  chiesa  (2)  ed 
avente  come  consigliere  con  titolo  di  commissario  generale 
Francesco  Guicciardini;  Giovanni  de' Medici;  Ferdinando 
d' Avalos  marchese  di  Pescara  ed  Antonio  de  Leva.  Né  vi 
mancarono  insigni  prelati:  il  vescovo  di  Veroli,  Ennio  Filo- 
nardo, era  nunzio  apostolico;  Giulio  cardinale  de' Medici 
andò  poco  dopo  legato;  Matteo  Schinner  cardinale  di  Sion 
condusse  seimila  Svizzeri;  e  il  vescovo  di  Pistoia,  Antonio 
Pucci,  li  sollecitava,  ed  anch'  egli  combatteva  ;  e  un  arci- 
diacono di  Navarra,  e  fra  Nicolò  Schomberg  arcivescovo  di 

.  (J)  Burigozzo  Cronaca  di  Milano.  Arch.  stor.  Hai.  ser.  1,  t.  3, 
pag.  432. 

(2)  Egli  s' era  già  obbligato  con  anteriore  trattato  di  sommini- 
strare trecento  uomini  d'arme.  Du  Mont^  Corps  diplom.  t.  IV  par.  I, 
pag.  322  :  Innanzi  di  assumere  il  comando  rimandò  al  re  di  Francia 
le  insegne  dell'  ordine  di  s.  Michele,  delle  quali  era  stato  decorato. 


Capila,  antico  discepolo  del  Savonarola,  vennero  poi  in  cam- 
po per  animare  gli  assalti;  quasi  tutti  portatori  di  danari, 
co9  quali  il  papa  pagava  i  soldati  per  la  maggior  parie  a 
spese  sue  (l). 

All'  incontro  il  re  di  Francia,  non  meno  che  sulle  forze 
proprie  faceva  assegnamento  sopra  quelle  de'  suoi  amici  in 
Italia.  Il  duca  di  Ferrara,  Francesco  Maria  della  Rovere 
spodestato  duca  d'  Urbino,  e  i  Bentivogli  di  fresco  cacciati 
di  Bologna  avevano  già  profferto  al  maresciallo  di  Foix,  al- 
lorché trovavasi  a  ncora  a  Parma,  di  occupar  Modena  e  Reg- 
gio (2).  A  quelli  si  volse  di  nuovo  Francesco  (3),  confortan- 
doli in  danno  del  papa  a  riacquistare  i  loro  stati,  e  con  tal  ( 
fine  operò  si  riconciliassero  i  Bentivogli  con  Ugo  de'  Pepoli 
suo  capitano  (4). 

Indarno  la  savia  republica  veneta,  richiesta  di  dar  loro 
favore  o  di  fermarli  con  provvisione,  se  ne  astenne,  e  solle- 


(1)  Adi  6  dei  presente  (luglio)  passò  per  il  lago  di  Garda  lo  Epi- 
scopo Vendano . . .  el  qual  haveva  seco  bona  sumnia  de  danari,  et 
quelli  non  potè  portar  adosso  in  contanti  porto  per  lettere  di  cam- 
bio directive  a  li  Focher  (Fugger)  de  Augusta. ..  a  li  9  del  presente 
vene  recto  itinere  uno  arcidiacono  di  Navara  nontio  pontificio  in 
Trento,  quale  porto  due.  40  mila . . .  Come  la  exbursation  del  da- 
naro per  la  maior  parte  per  questa  impresa  de  Italia  si  dice  farsi 
per  iPPapa,  el  qual  per  quanto  ba  refferito  dito  Arcidiacono,  ba  dito 
che  vole  spender  in  dui  mesi  quello  che  si  potria  spender  in  un  an- 
no. Adviz  d'Amy  d'itallie.  Trento,  12  lugi.  1521.  Molini,  Docum.  di 
stor.  ital.  1. 1,  pag.  99, 100. 

(2)  Mariti  Sanuto  t.  XXX,  di  Milan  28  giugno  1521. 

(3)  Circolare  da  Vergy  13  luglio  1521.  Molini  op.  cit.  pag.  97. 

(4)  Sire,  quando  anchora  da  essi  Bentivogli  io  havesse  ricevute 
molte  magior  iniurie,  seria  sempre  disposto  per  el  servitio  di  V.  M. 
scordarmele,  et  non  solo  venire  in  amicitiacumlor  et  cederli  quel- 
lo picolo  grado  che  la  fortuna  me  ha  dato  in  la  mia  patria,  ma  an- 
chora, dignandosi  V.  M.  comandarmelo,  me  li  faro  fameglo.  Ugo  di 
Pepoli  a  Francesco  /,  6  ag.  1 521 .  Ibidem  pag.  109. 


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cita  della  pace  pose  ogni  studio  in  dissuadere  il  re  di  Fran- 
cia dal  ritentare  in  persona  la  impresa  della  Navarra,  non  si 
lasciando  allucinare  dalle  belle  parole  di  poderosi  aiuti  per 
la  ricuperazione  delle  sue  terre  (1).  Indarno  pregò  ancora 
instantemente  il  pontefice  a  considerare  i  perniciosissimi  ef- 
fetti de'  suoi  portamenti  (2).  Né  giovarono  meglio  gli  offlcii 
interposti  dai  principi  elettori  per  indurre  Francesco  a  rin- 
guainare  la  spada.  La  lettera  scritta  in  proposito  non  soffri 
Cesare  che  fosse  spedita,  e  il  suo  cancelliere  dichiarò  alPar- 
civescovo  di  Treviri  andrebbe  a  vuoto  qualunque  trattativa 
con  quel  re,  essendo  egli  uomo  da  non  tener  pace  che  per 
forza  (3).  Poteva  V  imperatore  rinunciare  ornai  ai  vantaggi 
assicuratigli  dalla  lega  col  papa  ?  E  quando  bene  Leone  non 
ne  avesse  pur  sperato  temporali  grandezze,  bastava  la  causa 
religiosa  per  non  lasciarlo  più  tornare  indietro  da  quella  fa- 
tal  guerra  che  doveva  V  Italia  dare  in  preda  a  Carlo  Quinto. 
Ecco  il  danno  di  cui  ci  fece  partecipi  co'  tedeschi  la  riforma 
luterana:  a  loro  impedi  l' unità  nazionale;  a  noi  tolse  la  in- 
dipendenza. 

(1)  Captalo  tempore  debiate  in  nome  vostro  pregar  la  Maestà 
sua  che  voglia  cum  la  sapientia  sua  mensurar  el  suo  andar  li  et  non 
exponer  la  persona  sua  a  la  fortuna ...  Quanto  mo  al  discorso  facto 
per  quello  de  dar  bone  parole  al  pontefice  et  dar  oculto  favore  al 
duca  de  Ferrara,  al  signor  Francesco  Maria  de  la  Rovere,  al  Benli- 
vogli,  et  altri,  laudamo  grandemente  quanto  ley  ne  ha  dicto  per  in- 
tcrtenir  el  pontefice  più  che  se  pò,  et  similiter  facerno  el  recordo 
de  favorir  quelli  Signori,  ma  questo  se  potrà  metter  in  constructo 
cum  la  opportunità.  Verum  circa  ladiutto  che  sua  Maestà  ne  offeris- 
se quando  ne  paresse  tempo  de  recuperar  le  terre  nostre . . .  ren- 
graciarete  per  nome  nostro  la  Maestà  sua  de  cussi  benigna  obla- 
tione.  Ada  Consilii  Xy  oratori  in  Francia,  18  lugl.  1521,  ms. 

(2)  Partita  Hist.  Venet.  pag.  195. 

(3)  YVerdc  keine  Handlung  leiden,  er  sey  denn  dermaassen  zu- 
gericht  dass  cr  dcs  Friedens  negere.  Ranke  Deutsche  Gcsch  .  t.  2, 
pag.  210. 


CAPITOLO  SECONDO. 


Infinta  mediazione  del  re  d'Inghilterra;  congreiso  di  Calaii;  andata  di  Woliey  a  Bru- 
ges ed  accordo  secreto  con  Cesare;  ine  sollecitudini  per  un  armistizio.  —  Guerra 
nei  Paesi  Bassi  ed  ai  confini  della  Spagna;  prosperi  successi  delle  armi  france- 
si; ritirata  degli  imperiali  sotto  Valenciennes;  occupazione  di  una  parte  della 
Navarra  e  di  Fontarabia.  —  Guerra  in  Italia;  calata  di  seimila  tedeschi  da  Tren- 
to ;  assedio  posto  da  Prospero  Colonna  a  Parma  e  sua  ritirata  ;  passaggio  del 
Po;  Tenuta  del  cardinale  Giulio  de'  Medici  al  campo  degli  alleati.  —  Fatti  d'ar- 
me di  Giovanni  de'  Medici  contro  i  Veneziani  e  del  vescovo  di  Pistoia  e  di  Vi- 
tello Vitelli  contro  il  duca  di  Ferrara;  errori  di  Lanlrec;  congiunzione  degli 
Svizzeri  cogli  imperiali  e  pontificii;  diserzione  degli  Svìzzeri  dell'esercito  fran- 
cese :  passaggio  dell'Adda  di  Prospero  Colonna  e  ritirata  de'  Francesi  a  Milano. 
Condizione  di  Milano:  crudeltà  commessevi  dn  Lautrec;  entrata  degl'imperiali; 
*  proclamaz:one  di  Francesco  II  Sforza  a  dura;  Girolamo  Morone  suo  governatore. 
—  Continuazione  e  scioglimento  del  congresso  di  Calais  ;  pretendesse  di  Carlo  V 
manifestanti  il  disegno  della  monarchia  universale;  alleanza  tra  il  papa,  l'im- 
peratore e  il  re  d'Inghilterra.  —  Restituzione  di  Parma  e  Piacenza  alla  santa  se- 
de ;  morte  di  Leone  X. 


I.  A  quale  delle  parti  guerreggianti  darebbe  aiuto  aveva 
già  fermo  nell'  affetti  re  d'Inghilterra.  La  politica  sua,  fon- 
data nell'antipatia  eh' ei  senti  sempre  per  la  Francia  (4),  e 
conforme  allo  scopo  universalmente  approvato  d'impedirne 
l'esorbitanze,  portavalo  di  necessità  a  soccorrere  la  rivale  po- 
tenza, fino  al  momento  in  cui  anche  di  questa  si  cominciò  a 
temere  per  l'equilibrio  europeo.  Ma  non  essendo  ancora  be- 
ne in  armi,  né  sicuro  della  Scozia,  donde  il  duca  d' Albania, 
sguinzagliato  dalla  Francia  (2),  poteva  assaltarlo,  ed  im- 

(1)  Il  principe  di  Galles,  nominato  Enrico,  giovine  di  anni  16  in 
circa,  naturalmente  nemico  de1  Francesi.  Relazione  di  Vincenzo  (Jui- 
rini  sulla  ambasciata  a  Filippo  di  Borgogna  1506.  Àlberi  Relaz.  de- 
gli ambasc.  veneti  serie  1. 1.  1.  pag.  19. 

(2)  Che  valeva  la  promessa  di  Francesco,  che  non  poteudo 


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portandogli  inoltre  di  guadagnar  tempo  a  mettere  in  salvo 
gli  averi  de' suoi  sudditi  nelle  terre  nemiche,  cercava  tirare 
in  lungo  la  dichiarazione  di  guerra,  imponendo  ai  principi 
rivali  di  rimettere  in  lui  l'arbitrato  delle  loro  contese.  Es- 
sendomi obbligalo  con  giuramento,  diceva  all'  ambasciatore 
francese,  di  dar  soccorso  a  chi  non  avrebbe  rotti  i  trattati, 
non  posso  decidere  se  debba  accordarlo  al  re  cristianissimo 
od  all'  imperatore,  finché  non  sia  fatto  certo  qual  dei  due  li 
abbia  violali,  per  salvare  la  mia  coscienza  davanti  a  Dio 
e  l'onore  davanti  agli  uomini  (1).  Indi  l'invito  che  man- 
dassero plenipotenziarii  a  Calais,  dove  troverebbero  il  car- 
dinale Tommaso  Wolsey,  suo  ministro,  pronto  ad  udirli.  Car- 
lo V  acceso  di  sdegno  per  la  invasione  della  Navarra  rigete 
tava  in  sulle  prime  fin  l'apparenza  di  accordi  (2),  prorom- 
pendo in  queste  parole;  il  re  cristianissimo  mi  ha  tolto  un 
regno,  ma  ne  avrò  vendetta  (3);  e  tuttavia  si  addentro  era 
ne'  riposti  consigli  del  re  Enrico  (4)  che  gli  tardò  in  ultimo 

trattenere  il  duca  dall' andarvi  non  li  darà  impazarsi  di  stato  f  Ma- 
rln  Sanuto  t.  XXX.  di  Franza  19  marzo  1521. 

(1)  For  the  dischiarge  offhys  conscience  to  Godde^  and  savynge 
offhys  honor  in  thys  worlydde,  Pace  to  Wolagy,  20  Juli  1521.  State 
Papers,  King  Henry  the  Eighth  London  18JlWPl,  p.  13.  Connoistre 
le  tort  de  l'uà  ou  de  V autre  pour  ayder  et  secourir  à  ctlluy  qui  se" 
roit  lenu  prince  dy  honneur  et  de  promesse.  Olivier  de  La  Vernade  à 
Francois  Irr  5  juil.  1521,  Mignét  Rivalitè  de  Charles-Quint  et  de 
Francois  Iep  Revue  des  deux  mondes  Paris  1858  t.  14,  pag.  289. 

(2)  Instruction  des  Kaisers  fùr  Richard  Wingfeld,  fur  Ph.  Ha- 
neton  und  den  biscof  von  Badajoz  an  Kònig  Heinrich  Vili  Brùssel 
22,  27  juni  1521.  Monum.  Habsburg.  pag.  207,  212. 

(3)  Olivier  de  La  Vernade  a  Francois  I."  28  juin  1521,  Mlgnet. 
op.  cit.  pag.  288. 

(4)  Quant  a  se  declairer  promptement,  il  (Enrico)  ne  le  povoit 
fairepour  p  Luise  ars  bonnes  raisons .  . .  ac  tenda  que  les  ennemiz  sont 
preste  et  lui  du  tout  despourveu  . .  .  Et  finablement  s' est  entiere- 
meni  resola  a  Voppinion  du  s.T  cardinal,  qui  est,  de  V  envoyer  a  Ca- 
lays  soubz  coleur  de  otjr  et  entendre  les  doleances  des  Francois  et  les 


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di  non  parere  indocile  a' suoi  voleri.  Tanto  confido  in  voi, 
scriveva  al  cardinale,  che  vi  prego  di  venire  al  più  presto  pos- 
sibile a  Calais  per  trattare  le  cose  segrete  (i).  Del  pari  a 
Francesco  I,  com'ebbe  notizia  della  fallita  impresa  nella  Na- 
varca e  dell'assalto  tentato  a  Genova,  non  bastò  l'animo  di 
rifiatare  la  mediazione  inglese  (2),  sebbene  Cesare  persistes- 
se nel  negare  il  chiesto  armistizio  sino  al  giorno  25  luglio  (3). 
Ci  son  sette  ragioni,  aveva  scritto  a  quest'ultimo  il  cancellie- 
re Mercurino  da  Gattinara,  in  favore  dell9  armistizio,  e  dieci 
per  la  continuazione  della  guerra;  ma  queste  corrispondono 
ai  dieci  comandamenti  di  Dio  e  quelle  ai  sette  peccati  capi- 
tali (4). 

Ai  4  agosto  del  1521,  convennero  a  Calais  dinanzi  al 
cardinale  Wolsey  i  plenipotenziarii  imperiali  e  francesi,  sot- 
to la  presidenza  gli  uni  del  precitato  Mercurino  da  Gattina- 
ra, gli  altri  del  cancelliere  Du  Prat.  Nello  stesso  giorno  no- 
tificava il  cardinale  al  suo  re,  essere  già  d'accordo  col  primo 
intorno  agli  articoli  fondamentali  della  futura  alleanza  (5). 


vostre*,  et  quant  il  verità  qu'il  ne  pourra  appointer  les  parties,  se 
retirera  vers  vostre  mageste  pour  traicter  et  conclure  lesdites  mafie- 
res  pourparlees,  Die  gesandten  in  England  an  den  Kaiser,  London 
6  juli  1521,  Monum.  Habsbur.  pag.  223. 

(i)  20  Lugl.  1521,  Museo  britannico,  Mignet.  1.  e,  pag.  289.  - 

(2)  Fitzwilliam  and  Ri.  Iernigam  to  king  Henry  Vili,  2  iuly.  Sta- 
te  Papers  t.  6,  pag.  73. 

(3)  Sir  Richard  Wyngfeld  to  Wolsey  16  juyn;  Volsey  to  Fitzwil- 
liam. Ibidem,  pag.  72  e  75.  Et  au  regard  de  la  treve  lui  respondis- 
tnes  ....  que  ri  en  avions  aucune  charge  ;  et  que  vostre  honneur 
saulfne  le  pourriez  consentir.  Die  gesandten  in  England  an  den  kai- 
ser 6  juli  1521,  Mon.  Habsb.  1.  e.  pag.  221. 

(4)  Pour  ma  finale  resolution  et  pour  mon  advis,  me  semble  que 
V.  M.  se  doit  lenir  aux  dix  comandementz,  et  non  se  laisser  tempter 
des  sept  peschez  mortelz.  Mercurin  de  Gattinare  à  l'empereur. 
Dunkerque  30  juil.  1521.  Le  Glay  Nègoc.  diplom.  t.  2,  pag.  473-482. 

(5/  Wolsey  to  king  Henry  Vili.  State  Papers  t.  1 ,  pag.  27-31 . 


—  94  — 

Che  più?  Sin  dal  28  luglio  Riccardo  Pace  scriveva  al  cardi- 
nale medesimo,  aver  Enrico  fatta  deliberazione  di  equipag- 
giare seimila  arcieri,  pronti  ad  accorrere  in  aiuto  dell'impe- 
ratore, soggiungendo  :  allorché  lutto  sarà  conchiuso  con  Ce- 
sare e  stabilito  d'invadere  la  Francia,  reputa  ilpadrontnio 
dover  ambidue  provvedere  ai  mezzi  di  distruggere  la  flotta 
del  re  cristianissimo.  Cosi  in  sembianza  di  arbitro  operava 
il  monarca  inglese  da  nemico,  ed  alla  sorpresa  accoppiando 
la  perfìdia,  richiedeva  si  aggiustasse  quel  colpo  all' improvvir 
so  per  assicurarne  il  successo  (4). 

Conforme  a  queste  intelligenze  ogni  cosa  passò  nel  con- 
gresso con  singolare  doppiezza  e  slealtà.  Sin  da  principio  si 
parve  irreconciliabile  la  discordia  tra  i  commissarii  imperiali 
e  i  francesi.  Quelli  rappresentavano  siccome  atti  di  ostilità 
l'aggressione  di  Roberto  de  la  Mark,  che  il  re  di  Francia  a- 
veva  provocata,  e  la  impresa  del  signore  di  Lesparre  da  lui 
del  pari  sostenuta  ;  domandavano  inoltre  fosse  il  padron  lo- 
ro ristabilito  nel  ducato  di  Borgogna  e  sciolto  dall'  omaggio 
feudale  per  la  Fiandra.  Questi  all'incontro  riparavano  allo 
schermo  del  trattato  di  Noyon  in  ogni  sua  clausola  inesegui- 
to ;  non  esser  vero,  dicevano,  che  il  re  di  Francia  abbia  in- 
coraggiato la  spedizione  di  Roberto  de  la  Mark;  aver  a  buon 
diritto  rivendicata  con  le  armi  alla  mano  la  Navarra  quel- 
l'Enrico d'Albret,  cui  il  re  cattolico,  mancando  alla  fede  dei 
patti,  non  aveva  ancor  dato  soddisfazione  (2). 

(L)  And  Hys  Grace  wolde,  tliat,  at  tyme  conveniente  thys  matier 
myght  secretly  be  brokyn  to  the  sayde  Emperour,  and  treatidde  in 
suche  wyse,  that  thys  interprise  myght  sodenly  be  made  agaynst 
the  Frenche  Kynge.  And  the  Kynge  takyth  thys  for  an  bighe  and 
greate  interprise,  yff  itt  maye  thus  by  wysedome  and  goode  polycìe 
be  brought  to  passe.  Pace  to  JVoteey  28  Juli,  Ìbidem  t.  1,  pag.  23. 

(2)  Relation  de  ce  qui  se  passa  en  la  confèrence  de  Calais,  com- 
posée  par  le  secrétaire  du  chancelier  Du  Prat.  Le  Glay  Nègoc.  di- 
plora, t.  2,  pag.  529  e  seg.  —  Prècis  des  confèrences  de  Calais.  Pa- 


—  95  — 

In  mezzo  a  sì  contrarie  pretendenze  Wolsey  propose 
una  sospensione  d'armi  che  i  plenipotenziarii  unanimemen- 
te rifiutarono,  dichiarando  aver  solo  commissione  di  chiede- 
re l'aiuto  dell'Inghilterra,  non  già  di  trattare  di  pace  o  di 
tregua.  N'ebbe  Wolsey  il  destro  di  recarsi  a  Bruges  col  pre- 
testo d'indurre  l'imperatore  ad  accettar  ciò  che  i  suoi  mi- 
nistri rigettavano.  Carlo  V  lo  aspettava  da  qualche  tempo. 
Noi  due,  avevagli  scritto,  faremo  più  in  un  giorno  che  non  i 
miei  ambasciatori  in  un  mese  (4).  Potendo  ornai  disporre  de- 
gli ottocentomila  ducati  d'oro  lasciati  dal  signore  diChievres 
(morto  a  Worms  li  48  maggio  4521  ),  miserando  frutto  del- 
le sue  estorsioni  (2),  stavagli  a  cuore  di  non  tardare  più  ol- 
tre a  mettersi  alla  testa  dell'esercito.  Vi  mostrerò  questo  e- 
serrilo,  soggiungeva,  e  vedrete  che  non  ho  voglia  di  dormi- 
re coir  aiuto  di  Dio  e  de' miei  buoni  amici  (3).  Tanto  era  an- 
zi cupido  di  guerra  da  dar  fin  nelle  impazienze  ad  ogni  indu- 
gio del  cardinale;  onde  usci  a  scrivergli:  teneva  per  fermo, 
giusta  le  vostre  promesse,  che  sotto  colore  di  procacciare  la 
tregua,  sareste  venuto  immantinente  per  conchiudere  tult  i 
nostri  trattati  (4). 

Ai  14  agosto  giunse  Wolsey  a  Bruges,  e  ai  25  era  già 
sottoscritto  il  trattato  di  alleanza,  nel  quale  stipulossi  che 


piers  d'état  du  cardinal  de  Gran  velie.  Paris  1841, 1. 1,  pag.  125  e  seg. 
La  prima  è  scrittura  parziale  all' imperatore;  la  seconda  al  re  di 
Francia.  Ma  oltre  ai  documenti  in  esse  allegati  servono  all'illustra- 
zione dell'  argomento  sotto  ogni  punto  di  veduta,  imperiale,  france- 
se ed  inglese  i  dispacci  che  si  contengono  nei  Monumenta  Habsbur- 
gica,  Zw.  Abth.  1. 1,  negli  State  Paperi  t.  1  e  6,  e  nel  Museo  britan- 
nico, dei  quali  ultimi  giovossi  Mignet  nella  sopraccennata  sua  me- 
moria. 

(1)  Bruges  7,  ag.  1521,  Mignet  op.  e,  pag.  290. 

(2)  Th.  Spynnelly  to  Wolsey,  juli  1521 ,  State  Papers  t.  6,  pag.  78. 

(3)  Lettera  precitata,  7  ag.  1521,  Mignet  1.  e. 

(4)  9  Ag.  1521 ,  Ibidem,  pag,  290. 


—  96  — 

F  imperatore  renderebbe  il  re  Enrico  indenne  di  tutte  le  som- 
me dovutegli  dalla  Francia  e  ne  sposerebbe  la  figlia  Maria. 
Insisteva  Carlo  nella  domanda  che  Enrico  passasse  immedia- 
tamente alle  offese;  ma  questi  stimò  opportuno  farle  dipen- 
dere da  ulteriori  accordi,  rimessi  al  tempo  in  cui  Cesare, 
tornando  in  Ispagna,  converrebbe  con  lui  a  parlamento  in  In- 
ghilterra. E  la  vera  ragione  abbiamo  da  una  lunga  e  singo- 
iar lettera  di  Wolsey,  dove  dimostra  il  vantaggio  dell'  aspet- 
tare che  si  logorino  le  forze  e  le  finanze  di  Francesco  prima 
d'imprendere  la  riconquista  della  Guienna  e  delle  altre  Pro- 
vincie dal  padron  suo  ereditate  (l).  Infrattanto  dovevasi  nego- 
ziare un  armistizio,  ed  ove  questo  non  riuscisse  sino  al  prin- 
cipio di  novembre  o  fosse  rotto  da  Francesco,  ne  seguirebbe 
entro  un  mese  formale  dichiarazione  di  guerra.  Ma  per  la 
invasione  della  Francia  stabilivansi  contingenti  di  tal  fatta 
da  richiedere  lungo  tempo  a  metterli  insieme  e  innanzi  tut- 
to il  riordinamento  della  cosa  pubblica  in  Ispagna.  Il  perchè 
la  si  volle  differire  sino  all'anno  4523,  con  espressa  condi- 
zione di  far  soggetto  d'un  nuovo  convegno  la  spartizione  del- 
le conquiste,  prima  d'incominciare  gli  apparecchi  militari  o  di 
pubblicare  la  conchiusa  alleanza  (2). 

De' portamenti  di  Cesare  si  piacque  Enrico  (3),  e  più 
ancora  il  cardinale,  sì  per  gli  onori  quasi  regii  che  gli  fece, 
sì  per  la  promessa  che  gli  avrebbe  procacciato  la  tiara  pon- 
tificia (4).  Laonde  in  uno  dei  dispacci  suoi  ritrasse  quel 


(1)  As  tomake  any  enterprise  for  the  recoverye  of  Guyen,  jour 
auncient  inheritaunce ...  for  the  consumption  of  his  treasure,  whi- 
che  is  almooste  clercly  extenuate.  Wolsey  to  king  Henry  Vili,  State 
Paperst.  l,pag.  89-90. 

(2)  Bundesvertrag  zwischen  kaiser  Karl  und  kònig  Heinrich 
Vili,  Brugge,  25  ag.  1521.  Monum.  Habsb.  pag.  244-271. 

(3)  Pace  to  Wolsey,  4  sept.  1521,  State  Papers  1. 1,  pag.  50. 

(4)  Vous  direz  de  par  nous  a  mons.r  le  legat,  comme  nous  . . . 
le  tenons  racord  despropos  que  luy  avons  tenuz  a  Bruges  touchant 


—  97  — 

giovine  sovrano  in  un  modo,  che  quantunque  dimostri  l'ef- 
fetto dello  studio  da  esso  posto  a  guadagnarselo,  pure  non 
manca  di  tratti  veri  e  felici.  Questa  scrittura  di  mia  pro- 
pria mano,  dice  egli,  non  ha  altro  scopo  se  non  (T informare 
vostra  Grazia  di  quanto  veggo  e  ritrovo  nella  persona  del- 
l'imperatore. Vi  assicuro  che,  per  V  età  sua,  egli  è  pruden- 
lissimo  e  istruito  perfettamente  degli  affari,  freddo  e  savio, 
circospetto  nel  parlare,  sicuro  di  sé,  usando  delle  parole  con 
molta  abilità  e  precisione.  E  senza  dubbio,  secondo  tutte  le 
apparenze,  egli  diverrà  un  uomo  di  molta  saviezza,  incli- 
nato alla  verità  e  a  mantenere  le  sue  promesse,  e  fermamen- 
te deciso  a  stare  con  vostra  Grazia,  lasciando  da  parte  le 
altre  pratiche,  e  seguitando  mai  sempre  i  vostri  consigli.  E 
come  vostra  Grazia  ha  piena  fiducia  in  me,  avendo  posto 
sulle  mie  spalle  il  carico  degli  affari,  quantunque  io  sia  po- 
co capace  di  portarlo,  così  egli  è  determinato  a  fare  da  par- 
te sua.  Quindi  vostra  Altezza  ha  da  ringraziare  Iddio,  il 
quale  vi  ha  conceduto  graziosamente  Si  disporre  le  cose  vo- 
stre, di  modo  che  non  siete  mero  signore  di  questo  reame  che 
è  un  angolo  della  terra,  ma  ancora,  mercè  la  vostra  saviez- 
za e  i  consigli  vostri,  di  Spagna,  (T  Italia,  di  Germania  e 
di  questi  Paesi  Bassi,  cioè  della  parte  maggiore  della  cri- 
stianità. E  quanto  a  Francia,  ora  questo  nodo  è  così  ben  le- 
gato, che  anch'  essa  dovrà  badare  a  quel  che  voi  coman- 
date (l). 

Non  pertanto  reduce  a  Calais  riprese  il  cardinale  le  in- 
finte negoziazioni  in  aria  di  corrucciato  per  non  aver  nulla 
ottenuto  dall'imperatore,  alla  corte  del  quale  andava  dicen- 
do agli  ambasciatori  di  Francesco  I,  che  lo  si  accusava  di  es- 


la  papalite,  Der  kaiser  an  den  biscofvon  Badajoz.  Gent  1 6  dee.  1 52 1 . 
Monum.  ìfabsb.  pag.  501. 

(1)  Wolsey  to  king  Henry  Vili.  Gravelines  28  aug.  1521.  State 
Paper*  t.  6,  pag.  85. 

7 


—  98  — 

sere  tulio  francese.  Soggiungeva  che  gli  era  fatto  rimprovero 
di  condur  solo  gli  affari  del  re  Enrico  e  di  averlo  indotto  ad 
abbandonare  i  suoi  diritti  alla  corona  di  Francia;  che  a 
quella  corte  non  si  voleva  sentir  più  parlare  del  trattato  di 
Noyon;  ma  ch'egli  aveva .  dichiarato  air  imperatore,  non 
soffrirebbe  mai  il  re  d'Inghilterra  che  da  lui  fosse  invaso  il 
ducato  di  Milano.  Per  ingannare  ancor  meglio  gli  ambascia- 
tori medesimi,  mormorava  di  Leone  X,  il  quale  dopo  aver 
tradito  secretamente  il  re  Francesco  lo  aveva  assaltato  alla 
scoperta  nella  Lombardia,  d' accordo  con  Cesare.  Vorrebbe 
il  papa,  diceva,  smorbata  l'Italia  dagli  stranieri  e  con  le  ma- 
ni degli  uni  gettar  gli  altri  di  fuori  (l).  Quindi  affermava  con 
giuramento  non  voler  né  papato,  né  altra  cosa,  avendo  più  beni 
assai  che  non  bisognino  ad  uomo  di  chiesa;  nulla  esser  sta- 
to conchiuso  a  Bnjges  contrario  a  ciò  che  il  padron  suo  ave- 
va promesso  al  re  di  Francia;  vorrebbe  piuttosto  perdere  la 
testa  che  distruggere  quanto  egli  slesso  aveva  edificato  ;  ne  an- 
drebbe altrimenti  V  ottorsuo  che  slimava  più  di  lutto  il  mon- 
do (2).  In  ultimo,  dimostrando  troppo  grave  la  discordia  tra 
i  due  monarchi  per  comporta  subito  in  pace,  proponeva  una 
semplice  tregua,  ma  come  introduzione  certa  a  convegno  de- 
finitivo. Mi  lascio  decapitare,  diceva  al  cancelliere  Du  Prat, 
se  entro  sei  mesi  non  v'induco  il  re  cattolico  (3),  e  con- 
temporaneamente, parlando  de'commissarii  francesi,  scrive- 
va al  re  Enrico  :  essi  non  hanno  alcun  sospetto  delle  cose  fer- 
male coli' imperatore  (4). 

(1)  Les  ambassadeurs  de  France  à  Francois  l.er  Le  Glay,  Nè- 
goc.  diplom.  t.  2,  pag.  510,  511. 
(2) /6ì<&m,  pag.  515,  519. 

(3)  Du  Prat  à  Francois  I  «  Mignet  1.  e.  292. 

(4)  4  Sett.  1521.  Museo  britannico,  Ìbidem.  Ma  l'ingannatore  re- 
stò ingannato*.  Je  voy  (scriveva  il  cancelliere  Du  Prat  a  Francesco) 
tant  de  mines  et  contenances  contraires  à  ceulx  de  sa  suite,  et 
nouvelles  que  chascun  jour  nous  sont  rapportèes  d'Angleterre,  que 


-99- 

Di  fatto  l'ambasceria  cesarea  aveva  ornai  facoltà  di  trat- 
tar di  pace,  ma  non  senza  partecipazione  del  nunzio  aposto- 
lico. Il  perchè  nelle  tornate  del  2,  del  5  e  del  9  settembre 
rinnovaronsi  le  reciproche  doglianze  e  giustificazioni  sul 
principio  delle  ostilità.  Richiedeva  Francesco  risarcimento  di 
spese  e  di  danni,  e  conferma  de' sussistenti  trattati.  All'in- 
contro Mercurino  da  Gattinara,  allegando  a  prova  dell'aiuto 
dato  a  Roberto  de  la  Marck  la  intercettata  lettera  del  re  al 
conte  Alberto  de  Carpi  suo  ambasciatore  a  Roma  (1),  dichia- 
rava rotti  i  trattati  medesimi  e  per  conseguenza  risorte  le 
antiche  controversie  (2).  Parve  ad  Enrico  irrefragabile  la  pro- 
va (3),  e  tuttavia  si  astenne  il  cardinale  dal  decidere,  affer- 
mando se  mediatore  soltanto,  non  giudice.  In  quel  giorno 
medesimo  9  settembre  cadde  o  si  fece  malato,  e  destinò  due 
commissarii  in  sua  vece  affinchè  prendessero  in  esame  pun- 
to per  punto  il  trattato  di  Noyon,  una  volta  ogni  due  gior- 
ni (4).  Adoperaronsi  con  ardore  gli  agenti  di  Cesare  in  s> 
stenere  che  il  padron  loro  non  lo  av.eva  violato  in  alcuna  par- 
te, e  Wolsey  se  ne  mostrò  persuaso;  ma  perchè  importava 

ne  s$ay  que  penser  ;  si  n'est  qu'  il  court  ung  temps  qu'  il  faut  avoir 
bon  pied  et  bon  oueil,  et  ne  se  fìer  trop  aux  gens.  Le  Glay,  Nègoc. 
t.  2,  pag.  "520. 

(1)  Vergy  19  juin  1521 .  Papier*  d'État  du  cardimi  de  GraiweL 
le,  Paris  1841,  t.  I,  pag.  116  —  124.  Letters . .  .  sentunto  Rome  by  the 
Frenshe  King  to  the  Counte  de  Carpye,  signed  with  hi*  hande,  and 
subscribed  by  Rob.  Tett  (Robertet),  whiche  I  have  seen,  conteyning 
the  hoole  discourse  ofhis  intended  enterprise,  aswell  by  Rob,  de  la 
Marche  in  those  parties,  as  the  commocion  of  Italie,  and  distur- 
baunce  ofNaples,  wherby  the  inoasion  on  his  parti  e  evidenthly  ap- 
perithe.  Wolsey  to  king  Henry  Vili,  State  Papers,  1. 1,  pag.  28. 

(2)  Le  Glay,  Nègoc.  t.  2,  p.  548. 

(3)  The  mani f est  declaration  off  breche  offamitie  . . .  evidently 
apperynge.  Pace  to  Wolsey,  State  Papers,  t.  1,  pag.  35. 

(4)  Que  sont  bons  moyens  pour  dislayer.  Die  gesandten  in  Ca- 
lata an  den  kaiser,  10  sept.  1521.  Monum.  Habsb.  pag.  309. 


—  400  — 

tirare  in  lungo  la  pratica  per  aspettare  i  successi  delle  armi 
imperiali,  volle  che  l'esame  si  estendesse  anche  sopra  il 
trattato  di  Londra  (i);  poi  si  metterebbero  innanzi  le  pre- 
tensioni del  papa  (2);  indi  quelle  dell'impero,  della  Casti- 
glia,  dell'  Aragona,  delle  due  Sicilie  e  della  Borgogna  (3). 

In  questo  mezzo  giunsero  notizie  dal  campo,  per  le  qua- 
li tornò  Wolsey  alla  proposta  di  un  armistizio  che  in  quel 
momento  sembravano  richiedere  i  sinistri  militari  dell'im- 
peratore. 

II.  Imperocché  avendo  il  re  Francesco  affidata  la  di- 
fesa di  Mezieres  al  cavaliere  Baiardo,  questi,  più  lieto  assai 
che  non  sarebbe  stalo  d'un  regalo  di  centomila  scudi,  alla 
famosa  prodezza  accoppiò  tali  astuzie  di  guerra  da  poter 
reggere  oltre  a  un  mese  con  poche  truppe  gli  assalti  dei  ne- 
mici, e  cosi  dar  tempo  al  re  di  venire  in  suo  aiuto  con  po- 
deroso esercito  (4).  Il  quale  non  fu  appena  veduto  che  co- 
strinse gl'imperiali  a  dar  di  volta  verso  Valenciennes,  dove 
Carlo  V  doveva  raggiungerli  con  animo  di  assumerne  la  ca- 
pitanala. GÌ'  insegui  Francesco,  e  dopo  aver  ripresa  Mou- 
zon  e  conquistate^  per  via  Bapaume  e  Landrecies,  trovossi 
bentosto  di  fronte  a  loro.  E  certa  aveva  la  vittoria  pur  che 
fosse  piombato  addosso  al  conte  di  Nassau,  inutilmente  ac- 
corso con  forze  di  gran  lunga  inferiori  ad  impedirgli  il  pas- 
saggio del  fiume  ond' erano  separati  i  due  campi.  Indarno 
il  contestabile  Carlo  di  Borbone,  generosamente  dimentico 
della  ingiuria  fattagli  dal  re  di  conferire  al  duca  d'Alengon  il 
comando  della  vanguardia,  a  lui  spettante  siccome  prerogativa 
della  carica,  indarno  propose  non  si  lasciasse  sfuggire  la  oo 

(1  )  Dont  aussy  pourrons  fere  nostre  prouffit,  et  monstrer  les  con- 
travencions.  M.  de  Gattinara  an  der  kaiser.  Ibid.\2  sept.  1521, p.  318. 

(2)  Pour  entretenir  les  matieres.  Ibidem. 

(3)  Gattinara  an  den  kaiser  —  Der  kaiser  an  seine  gesandten 
14  e  15  selt.  Ibidem,  pag.  321-23. 

(4)  Histoire  du  chevalier  Bayard,  1. *6,  pag.  111  —  118. 


—  4<M  — 

castone  propizia  (1).  Consentivano  con  lui  La  Palisse  e 
La  Tremouille,  gli  eroi  di  Agnadello  e  di  Malignano.  Ma  il 
re,  soldato  intrepido  e  capitano  irresoluto,  preferì  al  con- 
siglio di  que'sperti  guerrieri  la  timidità  del  maresciallo 
Ghatillon  adonestata  colla  scusa  d'una  fitta  nebbia  che  to- 
glieva di  riconoscere  la  possa  reale  del  nemico.  Per  tal 
guisa  le  truppe  di  Carlo,  minacciate  d' infallibile  stermi- 
nio (2),  poterono  comodamente  ritirarsi  a  Valenciennes, 
donde  Carlo  V  tornò  in  gran  fretta  a  Brusselles  (22  ottobre 
4521). 

Malgrado  di  tanto  errore,  la  guerra  de' Paesi  Bassi 
andò  col  meglio  de'  Francesi.  Essi  avevano  fatto  levare  l'as- 
sedio di  Mezieres,  ripresa  Mouzon,  conquistate  Bapaume  e 
Landrecies,  costretto  Cesare  a  lasciare  il  campo,  ed  occu- 
pate le  piazze  di  Bouchain  e  di  Hesdin.  Solo  la  pioggia  e 
T  avanzata  stagione  non  permisero  di  soccorrere  Tournai,  la 
quale  poco  tempo  dopo  cadde  in  potere  degP  imperiali.  Né 
minori  vantaggi  ebbero  i  Francesi  ai  confini  della  Spa- 
gna. L'ammiraglio  Bonnivet  occupò  tutta  la  parte  della 
Navarra  che  giace  sulla  pendice  settentrionale  dei  Pirenei, 
ed  entrato  poi  nella  Biscaglia  s'impadronì  di  Fontanara- 
bia  (3). 

UT.  Pareva  in  sulle  prime  dovesse  con  uguale  fortuna 
terminare  la  guerra  in  Italia.  Prospero  Colonna,  comandan- 
te supremo  dtfgli  eserciti  di  Cesare  e  del  papa,  dopo  lunghe 
consultazioni,  e  non  prima  che  fossero  calati  da  Trento  sei- 
li)  Belcarius,  Commentarli  rerum  gallicarum.  Lugduni,  1821, 
lib.  16,  pag.  488. 

(2)  L'empereur,  de  ce  jour  là,  eust  perdu  honneur  et  clie- 
vance ...  Dieu  nous  avoit  baillè  nos  ennemis  entre  les  mains,  que 
nous  ne  voulùmes  accepter  ;  chose  qui  depuis  nous  cousta  cher. 
Du  Bellayy  Mémoires,  t.  17  pag.  327.  Concorda  Pontus  Heuterus, 
rerum  austriacarum,  lib.  8,  cap.  12. 

(3)  Sandoval,  op.  cit.  t.  3,  pag.  391. 


—  102  — 

mila  fanti  tedeschi,  ai  quali  la  repubblica  veneta  aveva  ap- 
parentemente negato  il  passaggio  per  i  suoi  stati,  s' era  in- 
fine piegato  alle  instanze  del  commissario  apostolico  Fran- 
cesco Guicciardini  imprendendo  la  espugnazione  di  Parma. 
Però  soltanto  il  29  agosto  del  1521  cominciò  a  battere  il 
quartiere,  detto  Codiponte,  la  metà  meno  considerabile  di 
quello  che  ha  la  città  dalla  banda  destra  del  fiume  onde 
porta  il  nome,  e  già  in  due  giorni  le  sue  artiglierie  aveva- 
no atterrata  tanta  parte  della  muraglia  che  il  maresciallo  di 
Foix  Lescun,  conosciuta  l'  impossibilità  di  più  lunga  difesa, 
nella  notte  del  1  al  2  di  settembre  ritirò  tutte  le  sue  truppe 
sulla  riva  destra  ;  il  perchè  sul  fare  del  di  vi  entrarono 
gl'imperiali  e  i  pontifici  con  somma  letizia  degli  abitanti,  la 
quale  presto  si  converti  in  amaro  pianto,  essendo  non  altri- 
menti che  d?  inimici  saccheggiate  le  case  loro  dagli  ecclesia- 
stici e  dai  fuorusciti  lombardi,  chQ  la  turpe  avidità  di  bottino 
(toltone  il  Morone)  non  ricompensavano  con  alcuna  diligen- 
za, o  intelligenza  di  spie  (i).  Senonchè  la  notte  seguente  al 
giorno  che  quelli  occuparono  il  quartiere  abbandonato,  so- 
pravvennero avvisi  che  il  duca  di  Ferrara  alleato  della  Fran- 
cia con  cento  uomini  d'arme,  dugento  cavalli  leggieri  e  due- 
mila fanti,  aveva  preso  all'improvviso  i  castelli  del  Finale  e 
di  san  Felice.  V'era  a  temere  non  si  facesse  più  innanzi  con- 
tro a  Modena.  Si  aggiunse  la  nuova  che  la  sera  innanzi  Lau- 
trec  era  giunto  fino  al  Taro.  Conduceva  costui  cinquecento 
lance,  settemila  svizzeri,  quattromila  fanti  francesi,  quat- 
trocento uomini  di  arme  e  quattromila  fanti  dei  Veneziani 
capitanati  da  Teodoro  Trivulzio  e  dal  provveditore  Andrea 
Gritti.  Seguitavamo  Francesco  Maria  della  Rovere  già  duca 
d'Urbino,  e  Marcantonio  Colonna,  nipote  di  Prospero;  que- 
sti come  soldato  del  re,  ma  senza  titolo  e  senza  compagnia, 
l'altro  dietro  alle  speranze  comuni  de' principi  spodestati. 

(1)  Frane.  Guicciardini.  Storia  d'Italia  t.  3,  pag.  34,  41. 


•    —  403  — 

Al  solo  annunzio  deliberarono  i  comandanti  cesarei  di  le- 
vare subito  il  campo  da  Parma,  e  in  tanto  tumulto  che  non  è 
dubbio,  dice  Guicciardini,  se  fosse  sopraggiunto  Lautrec,  gli 
metteva  facilissimamente  in  fuga. 

Afflisse  questa  deliberazione  grandemente  il  pontefice, 
parendogli  manifesta  sconoscenza  dei  gran  pesi  da  lui  sop- 
portati. E  si  vuol  credere  invero  non  fosse  Cesare  senza  so- 
spetto che  quegli,  ricuperata  che  avesse  Parma  e  Piacenza, 
lo  abbandonasse  nel  rimanente  della  impresa.  Meglio  torna- 
vagli  far  entrare  i  suoi  più  dentro  nel  ducato  di  Milano,  e 
lasciar  per  ultima  la  conquista  delle  città  assegnate  all'allea- 
to. Aveva  cosi  pegno  in  mano  e  di  sua  fede  e  dei  danari  ne- 
cessarii  a  sostentare  la  guerra.  Aggiungasi  che  questo  era 
spedie'nte  opportunissimo  per  unirsi  cogli  Svizzeri  soldati 
dal  pontefice;  i  quali,  sebbene  fossero  concessi  soltanto  a 
difesa  dello  stato  della  Chiesa,  non  dubitavasi  tuttavia,  se- 
condo che  il  vescovo  di  Veruli  nunzio  apostolico  afferma- 
va (4),  discesi  che  fossero  in  Italia,  poterli  corrompere  a  se- 
guitare l'esercito  anche  contro  al  re  di  Francia. 

In  fatto  com'  ebbe  Prospero  Colonna  sicura  notizia  del 
loro  avvicinarsi,  dopo  esser  stato  circa  un  mese  fermo  negli 
alloggiamenti  prima  di  San  Lazzaro  e  poi  in  riva  alla  Lenza 
verso  Reggio,  affrettassi  a  portar  la  guerra  nel  Cremonese, 
e  il  primo  giorno  di  ottobre  passò  il  Po,  mettendo  il  campo  a 
Casalmaggiore.  Quivi  pervenne  la  notte  medesima  il  cardi- 
nale Giulio  de' Medici  che  Leone  X  mandò  legato  dell'e- 
sercito, si  perchè  parevagli  per  la  prudenza  e  dignità  sua 
sopra  ogni  altro  idoneo  a  comporre  le  discordie  insorte  tra 
ì  capitani,  massime  tra  lo  stesso  Prospero  Colonna  e  il  mar- 
fi)  Demum  pecunia  facile  esse  duces  corrumpere,  qui  miliies 
quo  res  postularet  technis  suasionibusque  impellerent.  Estratto  della 
lettera  a  Leone  X.  Galeazzo  Capella.  De  bello  mediolanensi  seu 
de  rebus  in  Italia  gestis  prò  restitutione  Francisci  Sfortiae  II,  Com- 
mentarli, lib.  1,  p.  2,  pag.  180. 


—  404  —  - 

chese  di  Pescara,  si  perchè  voleva  metterlo  nella  necessità 
di  spendere  i  danari  accumulati  in  Firenze  (i).  Di  questi  si 
dissero  carichi  i  tredici  giumenti  che  lo  seguivano:  effica- 
cissimo argomento  a  scaldar  gli  animi  de'  soldati  e  a  ten- 
tare la  fede  de'  nemici. 

IV.  Ornai  prospere  volgevano  agli  alleati  le  sorti  delle 
armi.  Giovanni  de'  Medici  correndo  contro  i  Veneziani,  i 
quali  erano  passati  il  Po  più  alto  verso  Cremona,  ruppe  gli 
Stradiotti  ;  e  mentre  Prospero  Colonna,  non  potendo  da  Ca- 
salmaggiore  condurre  l'esercito  a  Bordellano  per  le  difficol- 
tà della  strada  al  trasporto  delle  artiglierie,  aveva  dovuto 
fermarsi,  a  mezzo  il  cammino,  a  Robecco  in  riva  all'Oglio, 
sotto  il  cannone  della  fortezza  veneziana  di  Pontevico,  posta 
sull'altra  sponda,  il  vescovo  di  Pistoia  e  Vitello  Vitelli,  man- 
dati alla  custodia  delle  terre  della  chiesa,  assaltarono  le  genti 
del  duca  di  Ferrara  accampatesi  al  Finale,  con  tanta  furia 
da  sgominarle  del  tutto. 

Discesi  erano  intanto  gli  Svizzeri,  e  certo  la  salvezza  de' 
Francesi  stava  nelP  impedire  la  loro  unione  cogli  avversari. 
Ma  Lautrec  che  s'era  lasciato  sfuggire  il  destro  di  batterli  nel 
passaggio  del  Po,  anziché  attaccarli  improvvisamente  a  Ro- 
becco, giusta  il  consiglio  del  duca  di  Urbino  e  di  Andrea  Grit- 
ti,  scaricando  in  sul  far  della  notte  alcuni  falconetti  contro  i 
loro  alloggiamenti,  quasi  volesse  accennare  il  pericolo  prima 
di  appresentarlo,  diede  cagione  che  prevenissero  con  la  su- 
bita partita  le  sue  minacele.  Andarono  poi  gp  imperiali  tem- 
poreggiando per  modo  che  dopo  essere  dimorati  circa  un  me- 
se tra  Gabbionetta  e  Ostiano,  si  congiunsero  in  fine  a  Gam- 
bara  con  parte  degli  Svizzeri,  procedendo,  come  scrive  il 
Guicciardini,  in  mezzo  loro  i  due  legati,  cioè  il  cardinale  de' 
Medici  e  il  cardinale  di  Sion,  con  le  croci  d'argento  circon- 
date (tanto  oggi  si  abma  la  riverenza  della  religione  1)  Ira 

(1)  Francesco  Vettori.  Storia  d'Italia  1.  e.  pag.  336. 


—  405  — 

tante  armi  ed  artiglierie,  da  bestemmiatori,  omicidiari  e  ru- 
batori.  Solo  que'  di  Zurigo  in  numero  di  quattromila,  per 
non  romper  fede  seguitando  F  esercito  contro  ai  Francesi, 
voltaronsi  verso  Keggio. 

Allora  si  parve  la  efficacia  delle  pratiche  de'  soprac- 
cennati cardinali.  La  dieta  elvetica  mandò  ordini  ai  connazio- 
nali di  ambidue  i  campi  che  partissero  immantinente,  alle- 
gando la  indegnità  del  versare  il  sangue  gli  uni  degli  altri 
per  causa  non  propria.  Ma  di  questo  comandamento  gli  ef- 
fetti furono  diversi,  perchè  mentre  sugli  Svizzeri  del  papa 
prevalse  Foro  all'autorità  de'  magistrati,  quelli  dei  Francesi 
corrotti  con  danari  disertarono  in  gran  numero,  essendo  al 
Lautrec  mancata  la  facoltà  di  pagarli. 

Allora  non  trovandosi  più  in  istato  di  tenere  il  campo 
tra  l'Ogìio  e  il  Po,  si  ritirò  Lautrec  di  qua  dall' Adda  con 
intendimento  di  difenderne  il  passo  e  di  assicurare  il  Mila- 
nese* Riusci  non  pertanto  al  Colonna  di  valicare  quel  fiume 
a  Vaprio,  benché  con  estrema  lentezza,  inevitabile  in  un  so- 
migliante tentativo,  e  tanta  che  se  il  nemico  vi  avesse  volta- 
to subito  una  parte  dell'esercito,  non  è  dubbio  che  lo  re- 
spingeva. Accorse  bensì  il  Lescun  con  quattrocento  lance' ed 
alcuni  fanti  ;  ma  troppo  tardi,  essendo  stato  suo  fratello  per 
più  ore  sospeso  di  quello  dovesse  fare.  Le  truppe  che  non 
avevano  ancora  passato  il  fiume,  vedendo  il  pericolo  de'  loro 
compagni,  fecero  sforzi  magnanimi  per  raggiungerli,  e  merita 
particolare  ricordanza  Giovanni  de'  Medici,  il  quale,  portato 
da  un  cavallo  turco  per  la  profondità  dell'acqua,  nuotò  insino 
all'altra  riva.  Combattè  il  Lescun  ferocemente  nello  stretto 
delle  vie;  ma  infine  disperato  della  vittoria  riparò  a  Cassa- 
no, donde  Lautrec  ridusse  l'esercito  a  Milano. 

V.  Quivi  tutti  s'erano  già  in  cuore  ribellati  a' Francesi. 
Prevaleva  la  parte  ghibellina,  né  meno  avevagli  in  odio  la 
guelfa,  grandemente  offesa  per  la  ingiuria  fatta  a  Giangiaco- 
mo  Trivulzio  suo  capo.  Alle  consuete  angherie  si  aggiunsero 


—  406  - 

le  recenti  imposizioni  di  guerra  sotto  specie  di  prestanze,  e 
per  colmo  de'  mali  le  crudeltà  de'  supplizii.  Ancor  prima,  il  v 
6  luglio,  e  ai  12  agosto,  Manfredi  Pallavicino  e  molti  genti- 
luomini milanesi  partigiani  del  Morone  furono  squartati 
nella  piazza  del  castello  (i).  Ora,  per  mettere  nuovo  terrore 
negli  animi  degli  abitanti,  il  di  seguente  al  suo  ritorno  (44 
novembre  4521)  fece  Lautrec  decapitare  nella  medesima 
piazza  Cristoforo  Pallavicino,  zio  del  sopraccennato  Manfre- 
di, l'alto  prigione  con  insidia  cinque  mesi  innanzi.  Lo  spet- 
tacolo miserando  per  la  nobiltà  della  casa,  per  la  grandezza 
della  persona  e  per  la  molta  età  ;  V  aspetto  di  una  soldate- 
sca vinta  riparatasi  dentro  alle  mura  della  città  (2);  la  nuo- 
va dell'  avvicinarsi  de'nemici,  prestaronsi  a  vicenda  nelP  in- 
fiammare gli  sdegni.  Stavano  i  legati  ed  i  principali  dell'e- 
sercito collegato  in  un  prato  appresso  a  Chiaravalle,  allorché 
sopraggiunse  un  vecchio  esclamando  che  movessero  innanzi, 
perciocché  tanto  avrebbero  penato  a  pigliare  la  terra,  quan- 
to avessero  differito  V andata:  il  pòpolo  tutto,  al  suono  delle 
campane,  piglierebbe  le  armi  contro  ai  Francesi.  Era  il  de- 
cimonono giorno  di  novembre,  in  cui  dirotta  pioggia  aveva 
guaste  le  strade  per  modo  che  i  fanti  le  attraversarono  a 
guado.  Verso  sera  la  vanguardia  dell'esercito  comparve  da- 
vanti a  Milano  con  intendimento  di  porsi  a  campo.  Ma  sa- 
puto che  deboli  erano  le  trincee  alzate  in  gran  fretta  da 
Lautrec  intorno  alla  città,  noi  dobbiamo  passar  la  notte  nei 

(1)  Grumello  Antonio.  Cronaca  p.  266.  Le  marechal  de  Foix 
se  ressasia  de  veeeances  cruelles,  et  combla  le  desespoir  des 
malheureux  Milanois;  le  supplice  fut  le  partage  de  tous  ceux  qui 
avoient  eu  les  moindres  reìations  avec  Moron.  Gaillard,  Vie  de 
Francois  I,  roi  de  France  t.  2,  pag.  217. 

•  (2)  In  Milano,  infatto,  la  parte  ghibellina  è  superiore  a^sai:  i* 
popoli  sonj  sempre  desiderosi  di  mutazione:  chi  lascia  la  campa- 
gna e  si  rilira  dentro  alle  mura  perde  di  riputazione.  Francesco 
Vettori  Storia  d' Italia.  Arck.  stor.  ital.  Append.  22,  pag.  337. 


—  WI  — 

sobborghi,  disse  il  marchese  di  Pescara,  e  in  un  attimo  sali 
il  primo  con  soli  ottanta  fucilieri  spagnuoli  sul  bastione  di 
porta  Romana.  Gli  tenue  dietro  l'infanteria,  e  facendo  a  ga- 
ra Prospero  Colonna,  con  un'altra  schiera  di  tedeschi  e  spa- 
gnuoli, passò  i  fossi  e  i  ripari  di  porta  Ticinese.  I  Veneziani, 
non  sostenuta  per  segreti  motivi,  dei  quali  mi  accadrà  di- 
scorrere più  avanti)  !a  presenza  degli  inimici,  si  misero  in 
fuga,  lasciando  prigione  e  ferito  Teodoro  Trhulzio,  loro  ca- 
pitano, il  quale  pagò  poi  al  marchese  di  Pescara  ventimila 
ducati  per  la  sua  liberazione.  Però  dubbio  sembrava  ancora 
il  successo,  essendo  ornai  raccolti  e  pronti  i  Francesi  alla  re- 
sistenza. In  quel  momento  insorse  il  popolo;  e  poiché  con- 
temporaneamente, superate  le  trincee,  entravano  da  ogni 
parte  i  vincitori  per  le  Nolte  sotterranee  che  conduco  vano  le 
acque  della  città  nei  fossi  de'  ripari  e  per  le  porte  aperte 
dai  loro  partigiani  ;  Lautrec,  impedito  dal  timore  e  dall'or- 
rore delle  tenebre  di  discernere  in  si  breve  tempo  lo  stato 
degl'inimici,  se  ne  andò  la  notte  medesima  con  l'esercito  a 
Como,  donde  passò  a  svernare  nelle  terre  der  Veneti  (i). 

Cosi  in  men  di  due  ore,  per  sorpresa  e  quasi  senza  co- 
noscerne il  modo  e  le  cagioni,  fu  compiuta  la  conquista  di 
Milano  che  decise  de'  destini  d'Italia  ne'  secoli  avvenire.  La 
notte  stessa  ripristinarono  i  vincitori  il  governo  ducale  di 
Francesco  Maria  Sforza,  in  nome  del  quale  Giroamo Morone 
ne  assunse  l'amministrazione  con  amplissime  facoltà  (2). 

Seguitarono  l'esempio  di  Milano,  Lodi,  Pavia,  Parma  e 

(1)  Lettere  del  marchese  di  Mantova  21  nov.  1521  e  del  car- 
dinale Giulio  de'  Medici  19  di  sera  e  20  di  mattina.  Maria  Santi to 
t.  XXXII  pubblicate  da  L.  Ranke,  Deutsche  Geschichte  im  zeitaltcr 
der  reformation,  t.  6,  p.  57-59. 

(2)  Ut  non  minorem  durante  absenlia  nostra  potestatem  ha- 
beat  guam  Nos  ipsi^  cum  coram  erimus,  simus  habituri.  Dichiara- 
zione del  duca  Francesco  data  a  Feldkirch,  13  ag.  1521.  T.  Dan- 
dolo  Ricordi  inediti  di  Girolamo  Morone,  pag.  80. 


—  Ì08  — 

Piacenza.  Como  invitò  il  marchese  di  Pescara  a  redimerla 
dall'insaziabile  comandante  Vendenesse,  e  capitolò  salve  le 
vite  e  le  robe  ;  nondimeno  gli  Spagnuoli  entrali  dentro  la  sac- 
cheggiarono con  infamia  grande  del  marchese,  il  quale  scan- 
sò poi  la  sfida  mandatagli  dal  Vendenesse  come  a  mentitore. 
In  una  parola,  tranne  Cremona  e  i  castelli  di  Milano,  Novara, 
Trezzo,  Pizzighettone,  Domodossola  ed  Arona,  il  resto  della 
Lombardia  andò  perduto  per  i  Francesi. 

VI.  Duranti  i  narrati  avvenimenti  non  preterì  Wolsey 
di  volgere  in  prò  dell'imperatore  le  conferenze  di  Cambrai, 
interrotte  sino  da  mezzo  il  settembre  e  poi  riprese  il  di 
29  di  quel  mese  (4).  Sinistravano  allora  le  armi  di  Cesare 
nei  Paesi  Bassi  e  Prospero  Colonna  era  stato  costretto  di  le- 
vare l'assedio  di  Parma.  D'altra  parte  sorgeva  speranza  di 
migliore  fortuna  in  Italia,  cominciando  a  discendervi  gli 
Svizzeri  soldati  dal  cardinale  di  Sion.  Importava  dunque 
aspettare  i  loro  successi.  Ma  il  proposto  armistizio,  sebbene 
richiesto  dalle  presentanee  necessità,  sgradiva  a  Carlo  fin- 
ché il  nunzio  apostolico  non  avesse  sottoscritto  il  trattato  di 
alleanza  del  papa  con  lui  e  con  Enrico  (2).  All'incontro  il 
nunzio  aveva  istruzione  di  non  far  uso  del  suo  mandato,  se 
prima  non  fosse  assicurato  l' esito  della  guerra  nel  Milane- 
se (3).  Non  restò  pertanto  che  tornare  all'esame  delle  anti- 
che quistioni,  stando  in  cima  ai  pensieri  di  Carlo  il  dichiarar 
nulli  gli  accordi  di  Parigi  e  di  Noyon,  onde  quelle  furono 
sforzatamente  composte,  a  condizioni  tali  che  pur  in  carce- 
re non  avrebbe  avuto  peggiori  (4).  Il  che  fece  per  modo  da 
ottenere  bensì  l'approvazione  del  papa  e  del  re  d'Inghil- 

(1)  Die  gesandten  in  Calais  an  den  kaiser,  29  seti.  1521.  Mo- 
ntivi. Habsburg,  op.  cil.  pag.  358. 

(2)  Der  kaiser  an  M.  de  Gattinara,  Oct.  1521.  Ibidem  op.  cit. 
pag.  398. 

(3)  Wolsey  to  king  Henry  Vili,  State  Papers,  t.  I,  pag.  89. 

(4)  Car  ilz  estoient  telz  que,  quant  ilz  vous  eussent  eu  en 


—  409  — 

terra,  perchè  questa  involgeva  il  riconoscimento  dell'arbi- 
trato supremo  del  primo,  e  spianava  la  via  alla  gran  guerra 
concertata  col  secondo;  ma  nel  tempo  medesimo  da  met- 
tere ambidue  in  guardia  a  che  non  avessero  effetto  le  di- 
svelate pretendenze  alla  monarchia  universale.  Gli  è  sacri- 
legio, diceva  il  cancelliere  Gattinara  (parlando  della  Navar- 
ro conquistata  da  Ferdinando  il  cattolico  in  danno  di  Gio- 
vanni d'Albret  scomunicato  da  Giulio  II  come  fautore  del 
conciliabolo  di  Pisa)  gli  è  sacrilegio  il  contrastare  V  au- 
torità de9  principi  ;  e  non  è  forse  vero  che  tutti  i  beni  de?  sci- 
smatici, quali  si  sieno,  vanno  confiscati  di  diritto  al  par  di 
quelli  degli  eretici,  e  che  la  santa  sede  apostolica  può  confe- 
rirli ad  altrui  ?  La  parte  avversaria,  se  ben  considera,  non 
può  negarlo,  avendo  i  re  di  Francia  per  questo  mezzo  e  ti- 
tolo ottenuto  la  contea  di  Tolosa  e  Linguadocca  (i).  Dopo 
di  che  Gattinara  non  solamente  risali  ai  trattati  di  Arras  e 
di  Peronne  (1435  e  4468)  ne' quali  venne  riconosciuta  la 
indipendenza  del  ducato  di  Borgogna  dalla  Francia,  ma  ri- 
chiese ancora  per  l'impero  la  Provenza  e  il  Delfinato,  e  levò 
persino  pretensioni  sulla  Francia  intera,  ceduta  da  papa 
Bonifacio  Vili  ad  Alberto  d'Austria  (2).  Certo  che  di  que- 
ste pretensioni  non  si  voleva  la  immediata  attuazione:  ba- 
stava piantarne  i  principii,  e  Carlo  V  li  aveva  presi  in  sul 
serio,  affidando  all'avvenire  lo  svolgimento  progressivo  del- 
le conseguenze.  Al  qual  proposito  è  veramente  notevole  che 
al  cancelliere  Du  Prat  venne  meno  Y  accorgimento  di  riget- 
tarli del  tutto.  Anziché  limitarsi  a  contrapporre  la  legge  sa- 
lica alla  donazione  di  papa  Bonifacio,  soggiunse  esser  stato 

prìson  par  force,  iìz  ne  vous  eussent  sceu  constraindre  a  condi- 
cions  plus  desrahonables.  M.  Gattinara  an  den  kaiser,  1  oct. 
1521.  Monum.  Habs.  pag.  369. 

(1)  Précis  des  confèrences  de  Calais.  Papiers  d'état  du  car- 
dinal de  Granvelle,  t.  1,  pag.  204. 

(2)  Ibidem  pag.  213  -  219,  222. 


—  no  — 

ogni  suo  atto  contro  Filippo  il  Bello  rivocato  dal  successo- 
re Clemente  V;  con  che  non  impugnava  il  diritto  pontifi- 
cio, si  unicamente  la  sua  applicazione  nel  caso  controverso 
alla  Francia  (i). 

Continuavano  intanto  le  pratiche  per  la  conclusione  di 
un  armistizio.  Proponevalo  Wolsey  di  diciotto  mesi  (2),  in  ciò 
d' accordo  con  Carlo,  il  quale  noi  voleva  né  tanto  corto  che 
gli  mancasse  il  tempo  di  mettere  insieme  le  forze,  né  tanto 
lungo  che  gli  facesse  perdere  le  buone  congiunture  (3).  Ob- 
bligherebbesi  in  questo  mezzo  l'imperatore  di  non  condur- 
re un  nuovo  esercito  in  Italia  e  di  rimettere  in  Enrico  la 
decisione  delle  differenze.  All'incontro  Francesco  richiede- 
va una  tregua  di  cinque  o  quattro  anni  almeno  a  condizioni 
si  gravi  che  non  potevano  essere  accettate  dal  rivale.  Stava 
egli  allora  per  venire  a  risolutiva  battaglia  colle  truppe  im- 
periali levatesi  dall'assedio  di  Mezieres.  Non  era  intenzio- 
ne di  Carlo  l'accettarla,  sì  di  ritirare  le  truppe  medesi- 
me a  Valenciennes;  adoperarne  poi  una  parte  a  guarnire 
le  frontiere  de'  Paesi  Bassi,  e  le  rimanenti  raccogliere  intor- 
no a  Tournai  per  aspettare  colà  eventi  migliori  (&).  Vero 
è  che  Enrico  reputava  ne  andrebbe  l'onore  schivando  lo 
scontro  (5)  ;  ma  Wolsey  comprese  che  una  disfatta,  tanto  più 


(i)  Et,  d'autre  part,  tout  ce  que  Boniface  fìstau  griefd'ice- 
luy  PhUippes,  Clement,  son  succcsseur,  le  revocqua  au  concile  de 
Vienne.  Et  si  ont  esté  recongneuz  iceluy  Phiìippes  et  tous  ses 
successeurs  comme  rois  de  France  par  les  papes,  Eglise  et  còn- 
ciles.  Et  ainsy  c'estoit  une  vraye  derision  de  mettre  cela  en  avant. 
Le  Glay,  Négoc.  diplom.  t.  2,  pag.  553. 

(2)  Ibidem,  pag.  555. 

(3)  Der  kaiser  an  M.  de  Gattinara.  Monum.  Habsb.  pag.  373 
375,  398. 

(4)  Der  kaiser  an  M.  de  Gattmara.  Ibidem  pag.  392. 

15)  That  yff  the  sayde  Emperour  schall  refuse  to  fight  wyth 
the  sayde  Frenche  Kynge,  offerynge  bataigle,  he  schall,  durynge 


—  Ili  — 

temibile  quanto  che  l'esercito  imperiale  era  stremato  da 
malattie  e  diserzioni  (1),  avrebbe  guastata  la  impesa  di 
già  condotta  a  buon  segno.  Mandò  dunque  ambasciatori  ai 
due  rivali  per  ammonirli  a  non  combattere  (2),  colorando 
cosi  di  sommessione  a' suoi  voleri  la  inevitabile  ritirata 
delle  truppe  di  Cesare. 

Venuta  in  que'  giorni  nuova  della  presa  di  Fontana- 
rabia,  crebbero  le  difficoltà  della  tregua,  perchè  Carlo  in- 
stava che  gli  fosse  restituita  quella  piazza,  e  Francesco  in- 
vece pretendeva  di  ritenerla,  di  provvisionare  Tournai  e 
di  esser  fatto  sicuro  che  infrattanto  il  rivale  non  andrebbe 
in  Italia  (3).  Consenti  Wolsey  in  questa  ultima  proposta, 
e,  benché  fosse  scaduto  il  tempo  prefisso  a  dichiararsi  con- 
tro il  violatore  de'  trattati,  sollecitò  Carlo  ad  accettarla  (4) 
per  aver  tempo  di  recarsi  in  Ispagna  e  là  preparare  i  mezzi 
alla  invasione  della  Francia.  Se  questi  non  erano  ne  pronti 
né  bastevoli,  a  che  implicare  il  padron  suo  con  una  dichia- 
razione alla  quale  non  potevano  rispondere  gli  effetti?  Co- 
si pensava  l' accorto  uomo  di  stato  (5)  ;  ma  Carlo  se  lo  eb- 


hys  Hffe,  suffre   greate  reproche  and   dishonor  therby.  Pace  to 
fVoUey  15  oct.  1521.  Stale  Papers,  t.  1,  pag.  75. 

(1)  Pace  to  Wolsey,  27  oct.  Ibidem  pag.  77.  Cardinal  Volsey 
an  die  englischen  gesandten  bei  dem  kaiser,  nov.  1521.  Monum. 
Habsb.  pag.  453. 

(2)  Der  cardinal  Wolsey  an  den  kaiser,  20  oct.  1521.  Ibidem 
pag.  400. 

(3)  Die  gesandten  in  Calais  an  den  kaiser,  31  oct.  2,  3  novem. 
1521.  Ibidem,  pag.  421-432. 

(4)  Je  voy  bien  que  la  prinse  de  ceste  treue  est  eri  maniere 
hors  debon  espoir,  si  l'intencion  et  vouloir  de  l'empereur  n'est 
de  accepter  jcelle  sans  la  restitucion  de  Fontarabye. .  Cardinal 
Wolsey  an  die  englischen  gesandten  bei  dem  kaiser,  nov.  1521. 
Ibidem  pag.  435. 

(5)  Et  se  vous  pensez  vous  descharger  de  la  guerre  en  tirantle 
roy  d'Àngleterre  a  la  guerre  en  verlii  de  la  declaracion  que  iJ  pour- 


—  <H2  — 

be  a  male;  e  parve  quasi  dovesse  romperla  con  lui. 
Veggo  bene,  diceva,  che  il  cardinale  vuol  fare  con  me  co- 
me consigliò  a' miei  ambasciadori  di  fare  con  quelli  di 
Francia,  vale  a  dire  di  chiedermi  cose  così  irragionevoli 
che  r onore  e  l'interesse  m9  impongano  di  rifiutare.  E  sem- 
bra eh9  ei  voglia  acconciarmi  a  tutto  suo  agio  ed  arbitrio, 
come  se  io  gli  fossi  caduto  nelle  mani.  Ma  in  me  non  ha 
trovato  Vuomo  suo;  perchè  se  uno  non  mi  vuole,  Poltro 
mi  prega  (1).  Per  vero  non  poche  erano  in  quel  mo- 
mento le  angustie  dell'impera tore.  Lo  dichiarò  egli  stesso 
con  apposita  scrittura,  la  quale  sebbene  caricata  nelle  tinte, 
giusta  l'arte  sua  di  affettare  miserie  per  ritorcere  i  sospetti 
pubblici  sopra  l'avversario,  pure  non  manca  in  alcune  parti 
di  verità.  Accettando  la  tregua  con  lasciare  i  Francesi  in 
possesso  di  Fonlanarabia,  tanto  è  importante  quella  piazza, 
diceva,  eh9  io  corro  rischio  di  perdere  la  Spagna.  Non  «e- 
cettandola  e  continuando  la  guerra,  vo  incontro  al  peri- 
colo di  veder  invase  le  due  Sicilie  e  messa  sossopra  la  Ger- 
mania. Sol  per  guarnire  i  confini  de9  miei  stati  dovrei  spen- 
dere piii  di  ducentomila  fiorini  al  mese,  ed  io  sono  ridotto 
a  tale  estremo  da  non  poter  pagare  che  per  il  mese  cor- 
rente i  trentamila  fanti  e  i  quattro  mila  cavalli  onde  si  com- 


roit  faire,  vous  vous  trouverez  grandement  abuse;  car  les  provisions 
ne  sont  point  faites  pour  passer  ìa  mer  Teste  qui  vient,  et  ne  se- 
roit  pour  ledit  s.  roy  d'Angleterre  que  perdicion  d'argent  au 
grand  dommaige  et  foule  de  son  royaurae,  se  il  faisoit  la  guerre 
en  France,  sans  que  soyez  pourveu  de  vostre  part  pour  entrete- 
nir  une  borine  armee  tclle  que  il  appertient:  ce  quenepeulten- 
tendre  que  puissiez  faire  d'ung  an,  lequel  temps  sera  bien  par 
vous  employe,  se  l'employez  seullement  a  metlre  bon  ordre  en 
Espaigne.  Die  gesandten  in  Calais  an  den  kaiser,  8  nov.  1521. 
Ibidem  pag.  446. 

(I)  Die  statthalterin  Margatetha  an  Jean  de  Bergues.  Ibidem 
pag.  442. 


—  413  - 

pone  al  presente  il  mio  esercito,  avendo  già  tutto  consumato 
e  il  danaro  dei  demanii  venduti  e  i  sussidii  anticipati  di  due 
anni.  Francesco  de  Sickingen  va  Creditore  di  oltre  centomila 
fiorini  e  minaccia,  se  non  è  soddisfatto,  di  far  guerra  a  me 
ed  a*  miei  sudditi.  Del  pari  alcuni  principi  di  Germania 
e  persino  il  conte  Palatino  intimarono  a  que'>  <f  Anversa  e 
di  Malines  che  mancando  al  pagamento  delle  pensioni  avreb- 
bero arrestati  iloro  concittadini  e  mercanti.  Stando  così  le 
cose  come  pensare  mi  si  lasci  partire  per  la  Spagna  ?  e  che 
avverrebbe  di  me  se  agli  Svizzeri  riuscisse  di  fare  quel  che 
intendono,  una  lega  cioè  col  papa,  col  re  di  Francia  e  coi 
Veneziani?  Soggiungeva  destramente  1* imperatore  che  il  re 
di  Francia  facevagli  larghe  profferte  per  discostarlo  dall'In- 
ghilterra (i).  In  tali  condizioni  trovò  Wolsey  il  ripiego  che 
Enrico  desse  sussidii  durante  l'inverno  per  la  difesa  de* 
Paesi  Bassi  e  proseguisse  a  Londra  le  trattative  con  Fran- 
cesco per  agevolare  a  Carlo  l'andata  in  Ispagna  (2). 

Bentosto  a  quest'ultimo  arrise  la  sorte  delle  armi.  Ai 
49  novembre  cadde  Milano  e  ai  22  terminarono  le  conferen- 
ze di  Galais.  Due  giorni  dopo,  alla  infinta  mediazione  di  En- 
rico Vili  succedeva  una  lega  offensiva  contro  la  Francia  tra 
lui,  il  papa  e  l'imperatore.  Per  la  quale,  conforme  al  tratta- 
to di  Bruges  (25  agosto),  si  convenne  che  Cesare  passereb- 
be in  Ispagna  la  primavera  prossima  a  fine  di  ricomporvi 
del  tutto  la  quiete  e  di  raccogliere  denari;  che  accompa- 
gnato attraverso  il  canale  da  una  flotta  inglese  congiunta 
alla  flotta  spagnuola  approderebbe  o  a  Douvres  o  a  Sand- 
wich, ove  il  re  d'Inghilterra  andrebbegli  incontro  per  ricon- 

(1)  Les  pratiques  que  les  Francois  mainnent,  tantpar  le  mo- 
yen  des  Suysses  que  aultres,  pour  jnduire  l'empereur  a  traicter 
avec  luy  apart  et  sans  le  moyen  desd.»  s.ri  roy  et  cardinal.  Inslruction 
des  kaisers  fu,r  Jean  Haneton  an  den  cardinal  Wolsey  und  M.  de 
Gattinara.  Oudenarde  16  nov.  1521.  Ibidem  pag.  453  —  457. 

(2)  Wolsey  to  king  Henry  Vili.  State  Paper»  t.  1,  pag.  84  —  92. 

8 


—  <u  — 

ciurlo  poi  a  Falmouth;  che  i  Ire  confederati  assalterebbero 
di  concerto  il  re  di  Francia  nel  mese  di  marzo  4523,  cioè  il 
papa  in  Italia  con  poderoso  esercito,  l' imperatore  dalla 
parte  di  Spagna  valicando  i  Pirenei  con  diecimila  cavalli  e 
trentamila  fanti,  e  da  quella  di  Piccardia  il  re  d'Inghilterra 
con  ventimila  uomini,  rinforzati  dalle  truppe  de'  Paesi  Bassi. 
Enrico  Vili  doveva  dichiararsi  contro  Francesco  I  un  mese 
dopo  l'arrivo  di  Carlo  V  in  Inghilterra,  ed  ambidue  obbli- 
gavansi  di  allestire  forze  bastevoli  per  resistere  al  comune 
avversario,  insino  alla  grande  invasione  del  suo  territorio. 
Prendevano  oltracciò  sotto  la  loro  protezione  la  famiglia 
de'  Medici  in  Firenze  e  papa  Leone  X,  il  quale  da  canto  suo 
fulminerebbe  di  scomunica  il  re  di  Francia,  e  d'interdetto  i 
suoi  stati,  incaricando  l'imperatore  e  il  re  d'Inghilterra  di 
perseguitarlo  come  nemico  della  chiesa.  Prometteva  in  ultimo 
il  pontefice,  rappresentato  da  Girolamo  Ghinucci.  vescow 
di  Ascoli  e  da  Marino  Caracciolo,  di  accordare  le  necessa- 
rie dispense  per  il  matrimonio  di  Carlo  colla  principessa 
Maria,  richiesto  dagli  interessi  della  cristianità  (1). 

Ancora  ai  48  di  novembre,  il  dì  innanzi  alla  entrata  de' 
confederati  a  Milano,  diceva  Francesco  agli  ambasciatori 
inglesi:  l'imperatore  non  ha  frapposto  tanti  indugi  alla 
tregua  che  per  la  speranza  di  prendere  Tournai,  di  conqui- 
stare la  Borgogna  e  di  collegarsi  cogli  Svizzeri.  Poiché 
sono  nemico  dell'imperatore  voglio  essere  suo  nemico  il  più 
terribile  (2).  Ornai  a  sì  alteri  propositi  non  rispondeva  più 
la  fortuna.  Tournai  dovette  arrendersi  per  capitoli  a'  2  di- 


fi)  Trattato  24  novembre  1521,  esistente  in  originale  nelF ar- 
chivio di  Lilla.  I  suoi  quindici  articoli  sono  sommariamente  ri- 
portali da  L.  Herbert  tbe  life  and  reigne  of  king  Henry  the  eightta. 
London  1649  p.  117  —  119. 

(2)  Lettre  du  corate  de  Worcester  et  de  l'évéque  d'Ely  à  Wol- 
sey,  18  nov.  1521.  Mignet  op.  cit.  pag.  301. 


—  415  — 

cembro  (i).  Indarno  il  re  di  Francia,  per  ovviare  il  perico- 
lo, aveva  poc'anzi  acconsentito  di  metterla  in  mani  di  Enri- 
co (2).  Ma  Wolsey  mostrò  di  sapergliene  grado,  ricambian- 
dolo prima  di  partire  con  lusinghiere  parole  (3).  Stavagli 
a  cuore  non  solamente  di  adescarlo  alle  ulteriori  trattative 
di  Londra,  si  ancora  di  non  averlo  sfavorevole  per  il  caso 
che  dovesse  avverarsi  la  promessa  della  tiara  pontificia. 

VII.  Per  la  vittoria  de' confederati  nella  Lombardia 
tornavano  Parma  e  Piacenza  alla  santa  sede.  Corse  voce  a 
Roma  che  Francesco  Sforza  infine  dovesse  cedere  al  cardi- 
nale Giulio  de'  Medici  l' intero  stato  di  Milano,  da  lui  pi- 
gliando in  compenso  il  cardinalato  e  la  cancelleria,  e  tanti 
benefizj  che  valessero  cinquantamila  ducati  (4).  Mancano  di 
ciò  le  prove,  né  sembra  verisimile  che  l'imperatore  piegas- 
se a  tanto;  ma  certo  è  papa  Leone  avere  sperato  più  grandi 
cose  ancora  quando  deliberò  di  pigliare  la  guerra  contro 
ai  Francesi.  Che  poteva  impedirgli  il  conquisto  di  Ferrara? 
e  non  sarebbe  lo  Sforza,  da  lui  principalmente  reintegrato, 
docile  strumento  a'  suoi  disegni  sul  regno  di  Napoli,  e  Carlo 
V  il  braccio  secolare  della  Chiesa  per  abbattere  Lutero? 
Egli  era  ancor  giovane  abbastanza  da  poter  sopravvivere  a 
tante  sognate  venture. 

Oh  le  fallaci  speranze  degli  umani  I  Sendo  alla  villa 


(0  Sembra  che  una  comunicazione  proditoria  ne  abbia  affret- 
tata la  resa.  Die  gesandten  in  Calais  an  den  kaiser.  20  nov.  1521. 
Monum.  Habsb.  pag.  459. 

(2)  Le  Glay.  Nègoc.  diplom.  t.  2,  pag.  584. 

(3)  Le  cardinal ...  a  tire  à  part  moy  chancellier  et  m' a  dlt 
plusieurs  choses  que  espere,  au  plaisir  de  Dieu,  vous  dire,  mais 
que  soye  par  devers  vous  ;  si  les  elTectes  sont  tels  que  les  pa- 
rolles,  vous  aurez  bien  cause  d'eslre  conlent  de  luy.  Les  ambas- 
sadeurs  de  France  à  Francois  /,  21  nov.  1521  Ibidem  pag.  527. 

(4)  Paride  de  Grassi,  maestro  delle  cerimonie,  Diario  ms.  del- 
la Biblioteca  imp.  di  Parigi  t.  3,  pag,  918. 


—  ne  — 

Malliana,  mentre  stava  per  mettersi  a  mensa  e  già  dice- 
va il  benedicite,  a'  24  novembre  ebbe  la  nuova  della  pre- 
sa di  Milano.  Abbandonandosi  a  quell'allegrezza  che  suol 
venire  nell'animo  da  una  impresa  riuscita  a  buon  segno, 
stette  gran  tempo  della  notte  alzato  a  vedere  le  feste  che 
facevano  i  suoi,  andando  su  e  giù  dalle  finestre  aperte  al 
fuoco  del  caminetto  (4).  Per  questo  vuoisi  gli  venisse  la 
febbre,  deHa  quale  il  di  seguente,  tornato  a  Roma,  infermò 
gravemente.  Pregate  per  me,  diss'egli  a' suoi  servitori,  io 
potrò  farvi  ancora  felici.  Ma  l'ora  sua  era  suonata,  e  qua- 
si prima  che  la  si  sentisse  o  si  potesse  conoscere  il  mal 
suo,  senz'aver  tempo  di  ricevere  i  santissimi  sacramenti, 
passò  di  questa  vita  il  di  4.  dicembre  1524,  nella  fresca 
età  di  quarantasei  anni  (2). 

Si  parlò  subito  di  veleno,  e  ne  discussero  i  medici  per 
alcuni  segni  osservati  nel  cadavere  e  per  altri  motivi  addotti 
da  Paride  Grassi  maestro  delle  cerimonie  e  da  Francesco 
Guicciardini  (3).  Ma  la  fistola  di  cui  era  malato;  la  poca  re- 
gola del  vitto,  digiunando  spesso  e  poi  caricandosi  di  cibo  (4)  ; 
il  passaggio  dall'aria  umida  e  fredda  al  fuoco  del  caminetto 
in  quella  fatai  notte  delle  sue  allegrezze,  bastavano  ad  abbre- 
viargli la  vita.  Alla  quale,  per  molti  rispetti  impropria  di  un 

(1)  Copia  di  una  lettera  di  Roma  alli  slg.  Bolognesi,  a  dì  3  dee. 
1521,  scritta  per  Bartholomeo  Argilelli.  Marin  Sanuto  t.  XXXII. 

(2)  Lettera  di  Hieronymo  Bon  al  suo  barba  a  dì  5  die.  Ibidem. 

(3)  Non  si  sa  certo  se  'I  pontefice  sia  morto.  Fo  aperto.  Mastro 
Ferando  judica  sia  stato  venenato:  alcuno  de  li  altri  no  ;  è  di  questa 
opinione  Mastro  Severino  che  lo  vide  aprire,  dice  che  non  è  vene- 
nato.  Ibidem. 

(4)  Digiunava  tre  giorni  alla  settimana .. .  il  Mercore  e  il  Sabbato 
mangiava  cose  quadragesimali ...  il  Venerdì  mangiava  erbe,  frutta 
e  cose  di  pasta,  e  non  altro;  e  diceva,  dopo  aver  bevuto:  «  gotto 
molto  grande  risponde  bene;  datecene  un  altro.  »  Sommario  detta 
relazione  di  Roma  di  Luigi  Gradenigo  9  mag.  1 523.  Alberi  Relaz. 
degli  arab.  ven.  serie  2  voi.  3  pag.  71. 


—  447  — 

papa,  parve  condegna  la  improvvisa  morte  non  confortata 
neanco  dalia  estrema  unzione.  Ricordò  allora  il  popolo  ro- 
mano, non  più  la  virtù  dello  ingegno  e  il  cresciuto  lustro 
della  città,  si  unicamente  le  onerose  profusioni,  l'esausto 
erario,  le  gioie  impegnate,  gli  officii  venduti  per  cavare  da- 
naro e  il  grosso  debito  lasciato  di  ottocentomila  ducati  (1); 
onde  le  pasquinate  dicevano:  salì  strisciando  da  volpe,  re- 
gnò da  leone,  morì  da  cane  (2). 

All'incontro  la  posterità  intitolò  del  suo  nome  una 
grand'éra  di  portentoso  incivilimento.  In  ciò  immeritamente 
felice  Leone,  come  in  ogni  sua  cosa  per  otto  anni  continui, 
dal  di  che  scappò  alla  prigionia  de' Francesi.  Rimise  i  suoi 
in  Firenze  contro  all'opinione  di  ciascuno.  Levossi  al  soglio 
pontificio  insolitamente  giovane,  che  pareva  non  vi  dovesse 
aver  parte;  e  poi  che  fu  papa,  quanti  più  errori  fece,  a  tanti 
più  rimediò  la  fortuna.  Spese  senza  misura,  e  trovò  modo 
di  far  sempre  nuovi  danari.  Diede  per  donna  a  Giuliano 
una  che  si  tirava  dietro  gran  costo,  e  la  morte  del  fratello 
ne  lo  liberò.  Se  la  guerra  contro  al  re  di  Francia  nel 
4545  durava,  tutto  il  carico  doveva  sopportare  egli  so- 
lo; e  non  lo  potendo,  avrebbe  avuto  infine  l'inimicizia  de' 
collegati.  Francesco  trionfò  presto  e  divise  con  lui  i  frut- 
ti della  vittoria.  Se  Massimiliano  imperatore,  quando  ven- 
ne sopra  a  Milano,  vinceva,  trattava  Leone  come  aveva  dise- 


(1)  Camera  et  sedes  apostolica  dicitur  exhausta  et  debitrix  in 
summa  Vili  C.  mill.  ducatorum.  Paride  de  Grassi  Diarium  ms.  cit. 
pag.  923, 924.  La  camera  apostolica,  morto  il  papa,  restò  tanto  po- 
vera (che  era  impegnato  tutto  )  che  non  si  trovavan  danari  per  far 
le  esequie  del  papa;  e  si  convenne  di  togliere  le  cere  preparate  per 
le  esequie  del  cardinal  San  Giorgio,  morto  poco  avanti  il  papa.  He» 
fazione  precitata  di  L.  Gradenigo. 

(2)  Concludo  che  non  è  morto  mai  papa  con  peggior  fama  da 
poi  è  la  chiesa  di  Dio.  Capitoli  di  una  lettera  scritta  a  Roma  21 
dee.  1521 .  Marin  Sanuto  t  XXXII. 


—  148  — 

gnato  trattar  Giulio  II  in  correlazione  alle  idee  di  riforma 
della  chiesa  fondate  nella  separazione  della  potestà  tempo» 
rale  dalla  spirituale:  e  Massimiliano  si  parti  con  vergogna. 
Nella  ignominiosa  guerra  d'Urbino  scoperse  Panimo  de'car- 
dinali  in  modo  ch'ebbe  occasione  di  fare  collegio  nuovo, 
traendo  danari  da  quelli  che  creò  e  da  quelli  che  condan- 
nò (1).  E  perchè  egli  da  un  canto  era  cupido  di  gloria  e  di 
levare  in  alto  i  suoi,  dall'  altro  non  avrebbe  voluto  pensieri 
che  l'affliggessero;  quasi  a  privarlo  di  questi  gli  mancò  an- 
che il  nipote  Lorenzo,  mentre  importunamente  instava  di 
esser  fatto  duca  di  Firenze  (2).  Venne  in  ultimo  l'alleanza 
con  Cesare  e  col  re  d'Inghilterra,  dalla  quale  impromette- 
vasi  il  compimento  di  tutti  i  suoi  fini  politici.  Qual  gioia  il 
veder  l' uno  infervorato  dell'onore  della  Chiesa  e  della  santa 
sede;  l' altro  per  amor  suo  farsi  teologo  e  confutare  le  nova- 
zioni luterane  in  un  libro  intitolato:  difesa  dei  sette  sacra- 
menti t  Ne  accettò  Leone  la  dedicazione  in  pieno  concistoro, 
come  se  la  venisse  non  dal  re,  ma  da  Dio  (3),  e  a  lui  conferi 
il  titolo  di  difensore  della  fede.  E  che  non  avrebbe  fatto  per 
gratificarsi  sempre  più  l'imperatore?  Tardavagli  assai  di 
fulminare  della  maggior  scomunica  che  mai  si  fosse  veduta 
il  re  di  Francia  (4.)  ;  rifuggendo  da  ogni  proposta  di  pace  o 


(1)  Frane,  rettori,  Storia  d'Italia,  1.  e.  pag.  339. 

(2)  Andosseue  il  duca  a  Roma  per  tentare  a  tale  effetto  Leone; 
il  quale,  informato  del  tutto,  lo  accolse  tanto  mal  volentieri,  quanto 
per  que'suoi  modi  temeva  che  non  gli  fosse  per  intervenire  come 
al  padre.  Onde  con  molte  villanie  a  Firenze  lo  rimandò.  Jacopo  Pitti^ 
Istoria  fiorentina.  Ardi.  stor.  ital.  ser.  1,  tom.  I,  pag.  1 18. 

(3)  Papabreviter  respondit  se  munus  acceptare  non  ab  ipso  rege, 
sed  a  Deo  transmissum.  Hugo  Laemmer  Analecta  romana.  Kirchen- 
geschiclitlicbe  forsebungen  in  ròmischen  bibliotheken  und  Archi- 
ven.  Schaffausen  1861  pag.  148. 

(4)  La  descomunion  para  Francia  y  para  el  mismo  Rey  se  baze 
la  mas  grave  que  nunca  se  vio,  y  yo  le  doy  prissa.  D.  Juan  Manuel 


—  419  — 

di  tregua  (1),  per  dar  vigore  alla  guerra,  non  gli  sarebbe 
spiaciuto,  cosa  insolila  in  un  pontefice,  che  Carlo  venisse  in 
persona  in  Italia  (2);  profferivasi  persino  di  accogliere  Lutero 
a  Roma  con  salvocondotto  e  di  fargli  ragione  in  ciò  che  con- 
veniva (3).  Ma  in  quella  deplorabile  guerra,  vincendo,  per- 
deva; andava  anzi  in  ruina;  e  la  fortuna  lo  tolse  di  terra 
prima  che  vedesse  i  tristi  effetti  dell'opera  sua;  prima  che 
il  tuono  della  riforma  tedesca  prorompesse  in  tempesta. 


alrey.  Roma  27  ag.  1521.  Correspondencia  de  Carlos  V  raccolta  dal 
cronista  Luigi  di  Salazary  Castro.  Biblioteca  de  l' Acad ernia d'H isto- 
ria de  Madrid.  A.  21  msc. 

(1)  Mas  ponenla  tantos  miedos  de  pnz  y  tregua que  es  cosa  de  no 
creer.  Ibidem.  Avevagli  il  re  di  Francia  mandato  a  dire  che  verreb- 
be a  Roma  per  assolversi  da  sé  a  suo  dispetto.  Quindi  l'ambasciatore 
don  Giovanni  Manuel  era  d'avviso  scrivesse  l'imperatore  al  papa, 
farebbe  in  modo  che  quei  venisse  a  baciargli  i  piedi  e  a  domandar 
perdono.  Ma  il  cancelliere  cesareo  notò  al  margine  del  dispaccio  : 
sera  bien  que  Su.  M.  luy  escrica  un  poco  mas  moderado.  Importa- 
vagli  invece  che  affrettasse  la  scomunica  del  re  di  Francia,  ritardata 
per  le  inlinte  pratiche  di  pace  del  card.  Wolsey,  e  perciò  scrivesse 
in  sul  margine  d'un  altro  dispaccio  31  agosto  1521  :  se  deve  solici- 
taresta  descomunion  por  que  emporta  muvho  a  retraher  los  suypos 
y  venetianos  y  otros.  Ìbidem  msc. 

(2)  Tengo  per  buona  senal  que  el  papa  haya  plazer  que  V.  M.  ven- 
ga por  Italia,  que  es  cosa  nueva  que  los  papas  haven  plazer  de  la 
venjda  de  los  emperadores,  pero  sin  duda  este  seùor  quiere  mal  a 
franceses  corno  V.  M.  ha  visto.  D.  luan  Manuel  al  Rey.  Roma  (la 
data  31  dicembre  1521  è  manifestamente  erronea;  dev'essere  ante- 
riore di  oltre  un  mese.  Ne  può  riportarsi  all'anno  seguente  1522, 
regnante  Adriano  VI,  perchè  allora  Don  Giovanni  Manuel  non  era 
più  ambasciatore  a  Roma.  Ibidem,  msc. 

(3)  Dice  S.  S.  que  si  quisiere  venir  aca  este  martin  luter  que 
puede  venjr  seguro  con  carta  de  V.  M.  y  estar  y  tornar  y  que  aca  le 
darà  personas  con  quien  dispute  y  fable  y  sera  recebjda  su  razon 
en  lo  que  atonjere  y  que  desto  darà  todas  las^eguredades  uecesa- 
rias.  Ibidem  msc. 


—  420  — 

Certo  ch'ei  non  sarebbe  più  bastato  a  superarla.  A'suoi  suc- 
cessori toccava  sostenerne  il  fierissimo  assalto  (i). 

(1)  Après  sa  morte,  on  parla  de  luy  en  diverses  sortes,  Dieu  ait 
son  ame!  De  son  vivant,  il  co  risenti  t  à  une  guerre  qui  depuis  a  porte 
domage  a  la  crestienté.  Così  il  cancelliere  Du  Prat  conchiuse  la  sua 
relazione  delle  conferenze  di  Cambrai.  Le  Glay.  Negoc.  diplom. 
t.  2.  pag.  586. 


CAPITOLO  TERZO. 


Conseguente  della  morte  di  papa  Leone;  reintegrazione  de* principi  da  Ini  spode- 
stati —  Contrasti  del  conclave  ed  inaspettata  elezione  di  Adriano  d' Utrecht  — 
Inutili  pratiche  di  Carlo  Y  per  la  confermazione  del  trattato  concbiuso  col  suo  pre- 
decessore ;  santi  propositi  di  Adriano  ;  governo  di  Roma  durante  la  sua  assenza  — 
Ricominciamento  della  guerra  in  Lombardia  ;  disfatta  de1  Francesi  alla  Bicocca  ;* 
statuto  concesso  dallo  Sforza  al  ducato  di  Milano;  espugnazione  e  saccheggio  di 
Genova;  turbolenze  in  Toscana  —  Andata  di  Carlo  V  in  Inghilterra  e  poi  in  Ispa- 
gna;  guerra  di  Enrico  Vili  contro  la  Francia;  invasione  della  Piccardia  —  Ve- 
nata di  Adriano  VI  a  Roma;  sue  prime  azioni  e  portamenti  verso  l'imperato- 
re —  Vittorie  de' Turchi;  caduta  di  Rodi1;  progressi  della  eresia  luterana;  di- 
segni di  Adriano  per  la  riforma  della  Chieda  ;  nunziatura  di  Francesco  Cherieato 
di  Vicenza  alla  dieta  di  Norimberga  —  Pratiche  di  Adriano  per  il  ristabilimento 
della  pace,  e  ragioni  che  lo  indussero  finalmente  a  congiungersi  eoll'imperatore  — 
Portamenti  della  repubblica  veneta  sin  dal  principio  della  guerra  tra  i  due  riva- 
li ;  motivi  della  sua  alleanza  con  Carlo  —  Nuovi  apparecchi  militari  de' France- 
si ;  congiara  del  duca  di  Borbone  contro  a  Francesco  I  ;  calata  di  Bonn l Tel  in  Ita- 
lia; morte  di  papa  Adriano  e  sue  lodi. 


I.  Per  la  morte  di  papa  Leone  X  restò  interrotta  la  for- 
tuna degl'imperiali  in  Italia.  Essendosi  fin  allora  fatta  la 
guerra  quasi  coi  soli  tesori  della  Chiesa,  mancati  questi 
tutt'  a  un  tratto,  Prospero  Colonna  e  il  marchese  di  Pescara 
furono  costretti  di  licenziare  buona  parte  delle  truppe.  Più 
ancora  nocque  l'andata  a  Roma  de'càrdinali  di  Sion  e  de'Me- 
dici  per  la  elezione  del  nuovo  pontefice.  Imperocché  gli 
Svizzeri,  non  più  tirati  con  pronti  danari  al  volere  di  quei 
principali  sostenitori  della  impresa,  ed  inoltre  offesi  dalle 
inopportune  pretensioni  di  Cesare  di  ricondurli  aR'  antico 


—  422  — 

nesso  coli'  impero,  voltaronsi  di  nuovo  a  Francia  (I),  per 
modo  che  le  genti  di  Zurigo  vennero  richiamate,  nel  tempo 
stesso  che  dodici  cantoni  accordavano  al  re  Francesco  di 
prendere  al  suo  soldo  sedicimilà  uomini.  Ritornarono  ezian- 
dio in  Toscana  gli  ausiliarii  fiorentini,  e  la  loro  signoria  sul- 
P  invito  di  Lautrec  fece  una  protesta  di  devozione  a'francesi, 
probabilmente  con  partecipazione  del  medesimo  cardinale 
de' Medici,  che  poteva  servirsene  d'apertura,  dacché  la  cau- 
sa della  sua  famiglia  non  era  più  quella  della  Chiesa  (2). 
Sin  de' pontificii  meno  Guido  Rangoneuna  parte  a  Modena, 
e  l'altra  rimase  col  marchese  di  Mantova  nello  stato  di  Mi- 
lano più  per  deliberazione  propria  che  per  consentimento  del 
collegio  de' cardinali,  il  quale  diviso  in  sé  stesso,  essendo 
ciascuno  immerso  nei  pensieri  di  ascendere  al  pontificato,  la- 
sciava prepotere  gli  oppressi  da  papa  Leone.  Di  fatto,  morto 
lui,  Francesco  Maria  della  Rovere,  Gismondo  da  Varano, 
Mala  testa  ed  Orazio  Ba  gì  ioni,  figliuoli  del  giustiziato  Giam- 
paolo, Marino  e  Camillo  Orsini,  Borghese  e  Fabio  Petrucci, 
ragunati  a  spese  comuni  dugento  uomini  di  arme,  trecento 
cavalli  leggieri  e  tremila  fanti,  corsero  alla  recuperazione 
degli  stati  loro.  Gli  aiuti  richiesti  al  re  di  Francia  (3)  non 
ottennero,  si  unicamente  la  licenza  a  qualunque  fosse  soldato 
loro  di  seguitargli  ed  ai  fratelli  Bagliori  di  partirsi  dagli  sti- 
pendi de' Veneziani  (4).  E  nonostante,  d'un  solo  impeto,  in 
quattro  giorni,  Francesco  Maria  riacquistò  il  ducato  d' Ur- 
ti )  Sin  dal  29  nov.  1 521  Galeazzo  Visconti,  agente  francese,  scrì- 
veva di  Lucerna  al  Robertet:  queste  lige  sono  in  grosso  dixordine... 
ma  a  tufo  spero  troverase  bono  recapito  etiam  che  cum  faticha  et 
spexa.  Tato  il  mondo  corre  a  me.  Molini.  Doc.  di  stor.  ilal.  t.  1 
pag.  132. 

(2)  Lettera  della  repubblica  fiorentina  a  monsign.  de  Lautrec,  13 
die.  1521.  Ibidem  pag.  133. 

(3)  Capitoli  proposti  da  Francesco  M.  della  Rovere  e  suoi  colle- 
gati al  deputato  del  re  Francesco.  Ibidem,  pag.  135. 

(4)  Frane.  Guicciardini,  Storia  d'Italia,  t.  3  pag.  63. 


—  423  — 

bino  per  la  volontà  de' popoli;  Gismondo  da  Varano  entrò  a 
Camerino,  e  i  Baglioni  con  poco  travaglio  occuparono  Peru- 
gia. Nel  tempo  medesimo  Sigismondo  Malatesta,  figliuolo  di 
Pandolfo,  venne  introdotto  in  Rimini  dagli  antichi  partigiani 
di  sua  famiglia.  Finalmente  il  duca  Alfonso  di  Ferrara,  que- 
gli che  poc'anzi, scomunicato,  spogliato, minacciato  d'assedio 
Della  sua  stessa  capitale,  apparecchiavasi  di  vendere  a  caris- 
simo prezzo  la  propria  vita,  fatte  coniare  medaglie  col  motto 
biblico  ab  ungue  Leonis,  usci  fuori  con  tutte  le  sue  genti,  e 
in  pochi  giorni  ricuperò  il  Finale,  san  Felice,  la  Garfagnana, 
Lugo,  Bagnacavallo  e  le  altre  terre  di  Romagna,  non  arre- 
standosi che  davanti  a  Cento,  valorosamente  difesa  da'  Bolo- 
gnesi. Poco  mancò  che  anche  Parma  non  ricadesse  in  mano 
de9 Francesi  ingagliarditi  dai  narrati  avvenimenti  e  dalla  lun- 
ghezza del  conclave. 

*  IL  II  quale  ebbe  principio  soltanto  il  vigesimo  settimo 
giorno  di  dicembre  4524  per  dar  tempo  all'arrivare  de'sacri 
elettori  assenti  ed  alla  liberazione  di  Bonifacio  Ferrerio  ver- 
cellese, vescovo  d'Ivrea,  stato  ritenuto  nel  milanese  per  or- 
dine di  Prospero  Colonna,  come  favorevole  a'  francesi.  Vi 
entrarono  trentotto  cardinali,  i  quali,  dopo  aver  promesso 
con  giuramento  di  osservare  la  bolla  di  Giulio  II  che  il  papa 
non  si  facesse  per  simonia,  ricevettero  il  sacramento  della 
comunione;  e  nondimeno,  dice  l'ambasciator  veneto  Luigi 
Gradenigo,  si  fecero  pratiche  senza  alcun  rispetto  (i).  Carlo  V 
aveva  promesso  di  favoreggiare  la  candidatura  del  Wolsey, 
e  troppo  in  quel  momento  abbisognava  di  lui  per  non  mo- 
strare di  tenerselo  a  mente.  Coro'  ebbe  dunque  notizia  della 
morte  di  Leone  X  diede  ordine  al  vescovo  di  Badajoz,  amba- 
sciatore a  Londra,  di  assicurarlo  che  non  altro  attendeva  che 


(1)  Sommario  della  relazione  di  Roma,  alberi,  Relaz.  degli  amb. 
ven.  ser.  2,  voi.  3,pag.  73. 


—  124  — 

di  essere  informato  delle  sue  intenzioni  (4),  e  voi  sapete,  mio 
buon  amico,  soggiungevagli  in  uno  scritto  di  propria  mano, 
i  discorsi  altra  volta  tenuti  su  ciò  che  vorrei  fare  per  voi. 
Divisate  quel  che  io  posso,  e  fatemelo  sapere,  che  mi  adope- 
rerò di  tutto  cuore  (2).  Wolsey  rispose  che  era  pronto  a  sob- 
barcarsi ad  ogni  peso  unicamente  nell'interesse  del  padron 
suo  e  dell'imperatore  (3),  e  non  rifuggi  pertanto  dal  richie- 
dere che  quest'  ultimo  desse  ordine  alle  sue  truppe  di  avvi- 
cinarsi a  Roma  per  isforzare  il  conclave  ad  eleggerlo,  in  caso 
non  bastasse  la  buona  offerta  di' centomila  ducati  che  dichia- 
ravasi  disposto  a  spendere^).  Nello  stesso  tempo,  non  fidata 
do  nella  sincerità  dell'imperatore,  mandò  a  lui  Riccardo  Pace, 
segretario  del  re,  per  prendere  di  concerto  i  provvedimenti 
che  avrebbe  poi  messi  in  opera  come  inviato  straordinario 
al  conclave  ;  dove,  giusta  le  instruzioni  avute,  se  mai  vedesse 
troppi  ostacoli  alla  elezione  del  cardinale  di  Jork,  doveva 
secondar  quella  del  cardinale  de'Medici  o  di  qualunque  altro 
membro  del  sacro  collegio  favorevole  ai  due  monarchi  (8). 
L*  imperatore  diede  al  Pace  un  dispaccio  per  il  suo  amba* 

(1)  Le  requerrez,  qu'  il  vuoile  dire  son  advis,  s*  il  y  a  quelque 
affection  . . .  afin  de  y  gaigner  sa  bienvuellance  ;  car  nous  ne  faisons 
doublé,  que  le  roy  de  France  luy  fera  tout  plain  de  belles  ouffipes 
de  son  couste.  Lettera  precitata,  Gent  16dic.  1521.  Monumenta  hab- 
sburg.  pag.  502. 

(2)  Lettera  17  die.  1521.  Publio  Record  Office  a  Londre,  citata  da 
M.  Gachard,  Correspondance  de  Charles-Quint  et  d'Adrien  VI.  Bru- 
xelles, 1859  p.  XV. 

(3)  Maximis  sacramentis  et  obtestacionibus  dixit  . . .  paratus 
omnem  subire  laborem  promittens  quod  intendit  reportare  benefi- 
cii  et  emolumenti  ex  ea  re,  est  exaltare  ambas  M.les  V.  Der  biscof 
Badajoz  an  den  kaiser.  London,  19  die.  1521.  Monum.  habsb.  pag. 
509 

(4)  De  quo  ego  plurimum  fui  admiratus,  et  quantumeumque 
extraneum,  illud  referam  M.u  V.  Der  Biscof  Badajoz  an  den  Kaiser. 
24  die,  1521.  Ibidem,  pag.523. 

(5)  Lettera  precitata  del  vescovo  di  Badajoz,  19  dio,  1521. 


—  185  — 

sciatore  a  Roma  don  Giovanni  Manuel,  nel  quale  raccoman- 
dava caldamente  la  candidatura  del  Wolsey,  per  viriti,  fede, 
arie  e  sagacia  sopra  ogni  altro  idoneo  a  tirar  fuori  dalle 
tempeste  l'agitata  barca  di  s.  Pietro  e  a  ricondurla  infine 
al  porto  di  salvezza  (4),  e  mandandone  copia  al  cardinale 
medesimo  affermava  non  aver  scritto  in  favore  di  verun  al- 
tro, essendo  ogni  suo  affetto  per  lui  (2). 

Con  quel  dispaccio  ostensibile  quali  ordini  segreti  andas- 
sero di  conserva  a  Roma  non  sappiamo.  Certo  è  che  Carlo  non 
lo  aveva  preso  sul  serio,  ben  apponendosi  che  giugnerebbe 
fuor  di  tempo  (3).  Come  pensare  gli  potesse  gradire  la  esal- 
tazione al  soglio  pontificale  di  un  uomo  di  stato  cosi  sperto 
ingannatore  e  voltabile  nelle  sue  amicizie?  Di  lui  le  lettere 
di  don  Giovanni  Manuel  non  fanno  menzione;  sì  del  cardi- 
nale Giulio  de'Medici  e  sempre  nel  primo  posto.  Questi  ave- 
va tutto  il  favore  della  parte  imperiale,  per  isperanza  di  man- 
tenere col  suo  mezzo  là  congiunzione  della  santa  sede  e  della 
repubblica  di  Firenze.  Io  vo  trattando  col  cardinale  de'  Me- 
dici, scriveva  di  Roma  il  precitato  ambasciatore,  affinchè, 
qualora  ex  non  potesse  esser  papa,  dia  i  suoi  voti  agli  ade- 
renti di  vostra  Maestà  tra  me  e  lui  nominati,  e  siccome  V  ul- 
timo di  questi  è  il  Farnese,  tenuto  una  volta  di  animo  francese, 
così  io  per  assicurarmene  mandai  il  suo  secondogenito  a  Na- 
poli (4).  Per  l' opposto  a  Giulio  facevano  contro  non  meno  i 


(1)  30  die.  1521.  Mlgnet  op.  cit.  pag.  619. 

(2)  Monum.  habsb.  pag.  527.  Lo  stesso  scrisse  al  re  Enrico  :  car 
certes  la  prudence,  doctrine,  integrite  experience  et  aultres  tertuz  et 
bonnes  meurs  que  sont  en  luy,  le  rendent  meritement  digne  de  tenir 
tei  siege,  27  die.  1521 .  Ibidem,  pag.  526. 

(3)  Sin  nella  sopraccennata  lettera  al  vescovo  di  Badajoz  16  die. 
scriveva:  combien  que  faisons  doubte,  que  la  chose  sera  tardifue, 
et  quMl  en  soit  desia  bien  avant  alle. 

i4)  Roma  28  die.  1521  nella  citata  corrispondenza  di  Carlo  V  del 
Solazar.  Biblioteca  de  la  Mcademia  dHUtoria  de  Madrid,  rase* 


—  426  — 

cardinali  di  parte  francese  che  tutti  i  cardinali  vecchi,  con- 
dotti gli  uni  dal  Trivulzio  e  da  Francesco  Soderini  (di  Vol- 
terra), gli  altri  da  Pompeo  Colonna,  sebbene  partigiano  del- 
l'impero: quelli  per  orrore  della  memoria  di  Leone  X  e  per 
condiscendenza  al  re  Francesco,  il  quale,  persuaso  non  essere 
costume  a  Roma  di  dare  i  voti  secondo  inspirazione  dello 
Spirito  santo  (4),  aveva  dichiarato  che  se  fosse  eletto  l'inva- 
sore del  Milanese  né  egli  né  veruno  de' suoi  sudditi  obbedi- 
rebbero piU  alla  santa  sede;  questi  per  desiderio  di  aver  essi 
tanta  dignità  ;  tutti,  in  numero  di  ventitre,  concordi  nel  ti- 
more che  la  divenisse  ereditaria  nella  famiglia  de'Medici  (2). 
Il  perspicace  fiorentino  comprese  bentosto  ch'ei  non 
potrebbe  divenir  papa;  ma  che,  avendo  uniti  a  sé  i  voti  di 
quindici  (3),  gli  era  data  almeno  la  facoltà  di  designarlo.  Pro* 
pose  dunque,  conforme  alle  precorse  intelligenze  coli' amba- 
sciatore imperiale,  parecchi  cardinali,  i  quali  furono  succes- 
sivamente respinti,  ed  infine  portò  tutti  i  suoi  voti  sopra  il 
romano  Alessandro  Farnese,  tra  il  figliuolo  del  quale  e  la 
figlia  di  Lorenzino  de'Medici  aveva  conchiuso  un  maritaggio 
per  sicurtà  di  sua  potenza  (4).  Il  Farnese  parve  vicino  a  riu- 
scire (5)  :  ottenuti  ventidue  voti,  non  gli  mancavano  che  quat- 
tro (6);  ma  non  li  ebbe  per  la  inflessibile  opposizione  dei  Car- 
li) Lo  disse  con  queste  medesime  parole  all'ambasciatore  in- 
glese Th.  Cheyney,  il  quale  le  riferì  a  Wolsey,  genn.  1522.  Mignet 
op.  cit.  pag.  619. 

(2)  Dei  quali  ventitre,  diciotto  volevano  esser  papa.  Relazione 
di  Luigi  Gradenigo  1.  e.  p.  73. 

(3)  Quindici  erano  in  favore  del  cardinale  de'Medici.  Ibidem. 

(4)  Il  quale  Farnese  fece  promissione  al  Medici  di  conservarlo 
e  di  farlo  più  grande  che  mai.  Ibidem,  pag.  74. 

(5)  El  que  agora  parece  que  està  mas  cerca  de  ser  papa  es  far- 
nes  y  creo  que  seria  al  proposito,  su  hijo  de^ste  es  el  que  yo  enbie 
a  napoles.  D.  Iuan  Manuel  al  Rey,  Roma  6  enero  1522,  1.  e.  Biblio- 
teca de  la  Academia  dtiistoria  de  Madrid.  A.  22  msc. 

(6)  Il  cardinale  Farnese  aveva  ventidue  voti;  e  i  cardinali  Egi- 


—  427  — 

dinali  Soderìni  e  Colonna .  Wolsey,  mandato  pure  a  partito, 
non  riunì  che  nove  suffragi,  perchè  lo  si  reputò  troppo  gito- 
vane,  disposto  a  fare  riforme  e  forse  anche  a  trasferire  in 
Inghilterra  la  sede  pontificia  (4). 

Tanto  ostinate  erano  le  diverse  parti  a  non  cedere  runa 
all'altra  che  il  di  9  gennaio  4522,  dopo  quattordici  giorni 
d'inutili  prove,  abbandonavasi  già  il  pensiero  di  ritentare  la 
votazione.  Chi  non  avrebbe  creduto  il  cardinale  Giulio  defe- 
dici sostentasse  una  speranza  ancora,  che  si  avessero  cioè 
per  la  lunghezza  del  tempo  o  a  straccare  o  a  disunirsi  gli  av- 
versarli, tra  i  quali  erano  molti  inabili  per  l'età  a  tollerare 
ulteriore  disagio?  Ei  voltò  invece  la  mente  alle  angustie  po- 
litiche del  papato  e  della  sua  famiglia.  Vide  Urbino,  Pesaro, 
Camerino,  Perugia  perdute;  Parma  e  Piacenza  minacciate 
da9  Francesi  (2);  Modena  e  Reggio  non  difese  abbastanza  da 
Vitello  Vitelli  e  da  Guido  Rangone  contro  al  duca  di  Ferrara. 
Sapeva  oltracciò  che  i  nemici  di  sua  casa,  il  della  Rovere,  i 
Baglioni,  gli  Orsini,  ristrettisi  tra  di  loro  con  patti  novelli,  si 
erano  aggiunto  Renzo  da  Ceri  (3),  il  quale,  avuti  dal  cardinale 
Soderìni  i  danari  e  dal  re  di  Francia  il  nome  (4),  tentò  Siena 


dio  (?)  e  Colonna  non  gii  vollero  dare  il  voto;  che  se  lo  davano  era 
papa.  Retaz.  di  L.  Gradenigo  p.  74.  In  luogo  di  Egidio  da  Viterbo  è 
nominato  il  Soderini  nel  dispaccio  dell'ambasciatore  de  Pins  a  Fran- 
cesco I,  di  Roma,  IO  genn.  1522.  Mignet  1.  e.  pag.  621. 
(I) /tato»  pag.  621. 

(2)  Noto  come  una  singolarità,  che  Don  Gonzalo  Ximenez  de 
Quesada  in  un  suo  manoscritto  inedito,  intitolato  Apuntamientes  y 
anotaciones  sabre  la  historia  de  Paulo  Jovio  (esistente  nella  Biblio- 
teca de  Santa  Cruz  di  Valladolid)  nega  a  Francesco  Guicciardini 
il  merito  della  difesa  di  Parma  allorché  i  Francesi  tentarono  ricu- 
perarla dopo  la  morte  di  papa  Leone;  merito  ch'egli  attribuisce  a 
Roberto  Sanseverino. 

(3)  Capitoli  della  lega  convenuta  fra  gli  Orsini  ed  altri  collegati. 
Genn.  1522.  Molini,  Docura.  di  storia  ital.  1. 1  pag.  139-142. 

(4)  Lettera  di  Renzo  da  Ceri  al  re  Francesco  I.  Ìbidem  p.  143. 


—  i28  — 

retta  dal  cardinale  Petrucci.  Qual  pericolo  che  di  là  si  esten- 
desse l'agitazione  a  Firenze,  ridestata  per  la  morte  di  papa 
Leone  all'antico  amore  di  libertà!  Tra  la  salate  certa  della 
città  e  l'appetito  dello  incerto  pontificato,  non  era  più  da  esi- 
tare (\).  Signori,  diss'egli  dunque  a' suoi  colleghi  il  dì  stesso 
9  gennaio,  e  sempre  d' accordo  coli'  ambasciatore  imperia- 
le (2),  io  veggo  che  nessuno  di  noi  che  slam  qui  adunati  può 
divenir  papa.  Io  vi  ho  proposti  tre  o  quattro,  e  voi  me  li  ave- 
te rigettati:  al  contrario  qwlli  che  voi  proponete  non  posso 
accettar  io.  Noi  dobbiam  volger  gli  sguardi  su  d'uno  che  non 
è  presente,  ed  alla  domanda  di  chi  intendesse  parlare,  escla- 
mò: prendete  il  cardinale  di  Tortosa,  Adriano  d'Utrecht,  ono- 
revole e  vecchio  uomo,  avuto  universalmente  in  conoetto  di 
santo (3),  Adriano  non  aveva  mai  veduto  Italia,  non  conosceva 
Roma,  e,  sebbene  da  circa  due  anni  reggente  della  Spagna, 
non  s'era  mostrato  sperto  dell'arte  di  governare.  Questo  ap- 
punto che  in  altri  tempi  l'avrebbe  fatto  escludere,  rendevate 
accetto  allora.  Il  cardinale  Tommaso  da  Vio  ne  lodò  le  virtù 
e  la  dottrina;  onde  cominciando  i  partigiani  del  Medici  a  ce- 
dergli (4),  seguitarono  di  mano  in  mano  gli  altri,  tanto  i 

(1)  Jacopo  Nardi,  Istoria  della  città  di  Firenze.  Firenze  1842  t.  2 
p.  Car  voyant  Medicisqu'il  nepouvoit  adoenir,  n'estimoit  rien  tomi 
que  V  estat  de  Florence.  N.  Raince  a  Francois  I.  Rome,  9  janv.  Mignet 
1.  e.  pag.  622. 

(2)  He  hecho  memoria  a  los  cardenales  confidentes  a  V.  Ma.  del 
card,  de  tortosa  (Adriano  d'Utrecht)  en  caso  que  hayau  de  eleger 
algun  ausente.  D.  Juan  Manuel  al  Rey.  28  die.  1521  msc. 

(3)  Medici,  dubitando  de  li  casi  suoi,  se  la  cosa  fosse  troppo  ita 
in  longo,  deliberò  mettere  conclusione,  etbavendo  in  animo  questo 
card.  Dertusense  per  esser  imperiai issimo  disse:  etc.  Lettera  di  Ro- 
ma a  dì  19  zener.  Maria  Sanato. 

(4)  El  card,  de  Medici^  lo  ba  fecho  muy  bien  con  el  nuevopapa 
porque  con  todos  sus  amigos  vino  en  elio;  y  otros  tenidos  por  sei> 
vidoresde  V.  Ma,  y  abun  suditos  (allude  al  Colonna)  lo  hizieron  mal 
juntandose  con  franceses  i  veneciaaos.  D.luan. Manuel  al  Rey.  Ro- 
ma 11  enero  1522  I.  e.  Biblioteca  de  la  Aoademia  d' Historia  de  Ma- 


—  429  — 

francesi  ai  quali  pareva  la  men  sinistra  scelta  per  il  re  cri- 
stianissimo (4),  quanto  gli  spagnuoli  che  reputavano  la  mi- 
gliore per  il  re  cattolico  (2)  ;  in  modo  che  quel  giorno  medesi- 
mo'ottenne  ventisei  voti.  Gridossi  subito:  abbiamo  il  papa, 
e  i  rimanenti  cardinali,  tranne  uno,  vi  aderirono  per  acces- 
so (3). 

Non  lo  ebbero  appena  fatto  che  rimasero  come  morti  (4), 
non  sapendo  rendere  ragione  a  sé  medesimi  dell'aver  prefe- 
rito un  barbaro  ed  assente  (5).  Fu  certo  effetto  della  stan- 
chezza e  della  sorpresa,  impeto  più  presto  che  deliberazione, 
e  nondimeno,  se  si  guarda  alla  pietà  dell'eletto,  mai  meglio 
che  allora  potevano  trasferirne  la  causa  nello  Spirito  santo. 
Ma  il  popolo  romano  non  senti  che  l' offesa  del  nome  italiano; 
onde  i  sacri  elettori  all'uscir  del  conclave  chiamaronsi  fortu- 
nati ch'ei  si  fosse  contentato  di  sfogarsi  con  le  sole  villanie 
senza  metter  mano  ansassi  (6).  E  sì  vicino  parve  il  pericolo 
di  un  nuovo  esilio  della  sede  pontificia  che  fu  scritto  su  per 
le  case:  Roma  è  da  appigionare  (7). 

Ricevuta  a  Vittoria  la  nuova  della  sua  elezione,  stette 
Adriano  alcun  tempo  incerto  se  accettarla  (8),  e  quando  ce- 

drid  msc.  Dallo  stesso  dispaccio  rilevasi  che  al  card.  Giulio  aveva 
promesso  l'imperatore  un  vescovato  con  10000  ducati  di  rendita. 

(1)  Lettere  del  card.  Trivulzio  e  di  Nicolò  Raince  a  Francesco  I, 
9  e  14  genn.  1522  Mignet  I.  e.  pag.  623. 

(2)  De  que  creo  que  Dios  sera  servido,  y  Vuestra  Alteza  assimi- 
lilo. Don  Iuan  Manuel  à  Charles-Quint.  Roma,  9  genn.  1521.  Ga~ 
ehard  op.  cit.  pag.  5. 

(3^  Nicolò  Raince  a  Francesco  I.  Mignet  I.  e.  pag.  623. 

(4)  Eletto  il  quale,  i  cardinali  rimasero  morti  di  aver  fatto  uno 
ebe  mai  non  videro.  Relaz.  di  L.  Gradenigo  1.  e.  pag.  74. 

(5)  Fr.  Guicciardini,  Stor.  d' Italia  t.  3.  pag.  67. 

(6)  P.  Jooius,  Vita  Adriani  VI.  pag.  119. 

(7)  Rama  est  locanda:  perchè  tutti  credevano  che  il  papa  tenes- 
se il  papato  in.  ispagna.  Relazione  di  Gradenigo  1.  e,  pag.  74. 

(8)  Cuna  esset  timoratae  conscieotiae  formidans  tantum  onus; 
non  decreverat  illud  subire,  Itinerarium  Madriàt^  c&p.i  2  pAg.  161 

9 


—  430  — 

dette  infine  alla  considerazione  del  danno  che  altrimenti  ne 
soffrirebbe  la  Chiesa,  parvegli  non  poter  reggere  al  peso  (i). 
^Ciò  che  allegra  voi,  rattrista  me,  cosi  rispondeva  alle  con- 
gratulazioni di  Pietro  Martire  d' Anghiera,  intimo  suo.  Mi 
spaventa  il  carico  che  debbo  portare.  Oh  potessi  io,  senza 
offendere  Dio,  gettarlo  dalle  mie  deboli  spalle  su  più  gagliar- 
de t  Lui  che  me  lo  impose  mi  dia  le  forze  di  sostenerlo  !  (2). 
Lo  afflisse  sin  da  principio  la  importunità  di  Carlo  V, 
il  quale  nel  tempo  stesso  che  racconsolava  il  cardinale  Wol- 
sey  del  colpo  fallito  e  gli  dava  speranza  di  promozione  futu- 
ra (3),  attribuendo  a  sé  medesimo  il  merito  di  aver  levato  al 
soglio  pontificio  l'antico  maestro,  ne  richiedeva  in  premio 
l'alleanza  contro  al  re  di  Francia.  //  collegio  de'  cardinali, 
scrivevagli  Carlo,  ha  risposto  a  don  Giovanni  Manuel  mio 
ambasciatore  esser  stata  fatta  la  elezione  di  vostra  santità 
per  riguardo  a  me.  Siate  adunque  persuaso  ch'io  ne  fui  la 

(scritto  da  BlasOrtiz,  canonico  di  Toledo  che  era  con  Adriano  quan- 
do giunse  la  nuova  della  sua  elezione  e  lo  accompagnò  a  Roma  dove 
rimase  fino  alla  sua  morte).  Lo  si  trova  presso  Casparus  Burmanus. 
Hadrianus  VI  sive  analecta  historica  de  Hadriano  sexto.  Trajecti  ad 
Rhenum  1727. 

(I)  Nequem  ob  pontificatimi  visus  est  exultasse  :  quin  constai 
graviter  illuni  ad  ejus  faraara  nuntii  ingemuisse.  Litterae  ex  ritto- 
ria.  Marin  Sanuto  t.  XXXIII. 

(2}  Sed  ut  vos  de  honore  sumrao,  nobis  ultro  oblato,  laetamini; 
ita  nos  onus  annexum  exborrescimus,  atque  utinam  illud  a  nostris 
infirmis,  in  alios  robustiores  humeros,  Deo  inoffenso,  rejicere  pos- 
sumus.  Qui  onus  imposuit  vires  ad  ferendum  suppetat.  P.  Martire 
Epist.  Opus.  Epist.  753. 

(3)  Sa  majestè  juge  que  le  nouvel  èlu  est  vieux,  raalade,  èloi- 
gnè  de  Rome,  de  sorte  qu'il  ne  resterà  pas  longtemps  en  charge. 
C'est  pourquoy  elle  vous  priede  la  manière  la  plus  cordiale  de  vous 
tenir  prét  vous  méme . . .  Ella  a  Tintention  sincère,  lorsque  le  cas  le 
requerra,  de  faire  de  son  mieux  pour  votre  avancement  en  cette  ma- 
tiere.  Richard  fVynfetd,  ambasciatore  inglese  alla  corte  di  Carlo  V, 
a  fTolsey  11  febb.  1522.  Mignet  1.  e.  p.  625. 


—  431  - 

causa  e  che  ne  godo  come  sé  fosse  toccata  a  me,  insieme  col- 
V  impero;  per  dissuaderlo  poi  dal  prestar  orecchio  alle  insi- 
nuazioni de'francesi,  soggiungeva  :  vogliate  ricordarvi  di  dò 
che  a  me  ancor  vostro  scolaro  dicevate  e  la  esperienza  con- 
fermò, che  buone  e  dolci  sono  le  loro  parole,  ma  che  infine 
non  altro  cercano  che  sedurre  ed  ingannare  (4). 

Adriano  non  iscemò  mai  l'amore  e  la  gratitudine  che 
doveva  al  discepolo  (2) ;  ma  disdegnava  riconoscere  dal  suo 
favore  la  tiara,  sopra  ogni  cosa  ponendo  la  dignità  di  sé  stes- 
so e  della  Chièsa.  Tutto  che  potesse  come  persona  privata 
avrebbe  fatto  per  compiacerlo  (3);  nulla  che  offendesse  la 
indipendenza  dell'autorità  religiosa,  onde  viene  al  papato  la 
virtù  prestantissima  di  moderare  le  cupidigie  de' principi.  E 
lo  diceva  senz'  ambagi,  con  quella  franchezza  propria  degli 
uomini  onesti,  i  quali  sanno  sceverare  ciò  eh'  è  permesso 
all'affetto  da  ciò  che  interdice  il  dovere.  Cosi,  per  cagione  di 
esempio,  rifiutò  il  domandato  cappello  per  il  vescovo  di  Pa*- 
lenza,  dicendo  che  con  tanti  cardinali  va  perduta  là  Chiesa 
e  che  difficilmente  ne  nominerà  qualcuno  (4);  ma  quando  il 
segretario  dissuadevate  dal  montare  su  navi  imperiali  per 
ischivar  sin  le  apparenze  di  parzialità,  di  queste  incurante 
perchè  forte  della  coscienza,  oh  i  principi,  rispose,  non  po- 

(1)  L'imperatore  al  papa  Adriano  VI.  Brusselles7  mar.  1522.  D. 
Karl  Lanz,  Correspondenz  des  kaisers  Karl  V.Leipzig  1844,  t.  1, 
pag.  59,  60. 

(2)  Parece  que,  corno  Dios  le  ha  acrecentado  el  estado,  que  asi 
ha  hecho  la  voluntad  en  querer  mas  a  Vuestra  Mageslad.  No  piensa 
ni  abla  en  cosa  suya,  sino  en  las  de  Vuestra  Alteza,  con  tanto  cuyda- 
do  y  amor  corno  quando  era  dean  de  Lovayna.  Lope  déHurtado  de 
Mendopa  à  Charles+Quint.  Vittoria  15 febb.  1522.  GachardV  e.  p.  31. 

(3)  Adrien  VI  à  Charles-Quint.  Vittoria  15  febb.  1522.  //;.  p.  33. 

(4)  Porque  dize  Su  Sa.  que  està  perchda  la  Yglesiu  con  tantos 
cardinales,  y  que  con  gran  trabaio  darà  ninguno.  D.  Lope  Hurtado 
al  rey:  Vittoria  1 5  febb.  1 522.  Biblioteca  de  la  Aèademìa  d  Hlstoria 
de  Madrid  trac.  .'    .       -;  . 


—  432  — 

tranno  averselo  a  male;  sta  bene  anzi  che  sappiano  eh9  io 
sono  aderente  delV  imperatore,  essendo  certo  cV  ex  non  potrà 
chiedere  da  me  che  quanto  è  conforme  a  giustizia  e  al  bene 
della  cristianità  (1). 

D'altra  parte  il  cardinale  di  santa  Croce  (Bernardo  Car- 
vajal  spagnuolo),  per  darsi  il  merito  principale  della  sua  ele- 
zione, avevagli  con  apposita  lettera  fatto  credere  ebe  V  amba- 
sciatore imperiale  don  Giovanni  Manuel  vi  si  era  opposto  (2). 
Indarno  Carlo  V  assicuravalo  che,  nel  momento  in  cui  i  car- 
dinali entravano  in  conclave,  don  Giovanni  Manuel  li  aveva 
esortati  a  ricordarsi  tra  gli  assenti  di  lui,  della  sua  dottrina 
e  de9  suoi  meriti,  e  che  il  cardinale  di  santa  Croce,  ben  lungi 
dall' assecondarlo,  gli  ritirò  il  voto  allorché  si  accorse  che 
avrebbe  avuto  la  maggioranza  (3).  Indarno  lo  stesso  don 
Manuel  asseverava  che  dopo  Dio  solo  V  imperatore  lo  aveva 
fatto  papa,  e  che  all'  appoggio  di  lui  doveva  non  pur  la  ele- 
zione, si  ancora  che  non  la  fosse  stata  rivocata  appresso  dai 
cardinali  di  parte  francese  (4).  Non  piacerà  certo  a  ZMo>  sog- 
giungeva, che  vostra  Santità  non  si  riconosca  del  beneficio 
ricevuto  dall'imperatore,  perchè,  sebbene  Dio  lo  abbia  vo- 
luto, noi  si  poteva  fare  umanamente  che  per  mano  di  uor 
mini  ...Io  non  cerco  acquistar  credito  per  averne  mercede^ 
che  anzi  a  questa  rinunzio  ed  anche  alla  grazia  del  padron 


(1)  En  esso  todos  los  principes  han  de  perdonar  y  han  de  saber 
que  soy  parte  en  loque  tocare  al  emperador,  puesyosoy  ciertoque 
ha  de  querer  lo  que  sea  justo  y  bien  de  la  Xri&ndad.  Lope  Hartad* 
al  rey.  Vittoria  19  febb.  1522.  Ibidem,  msc. 

(2)  £1  papa  querja  mucho  a  Santa  Cruz  antes  de  la  electiQn  y 
agora  mas  corno  le  aviso  y  le  ha  hecho  creher  que  el  iue  la  mayor 
causa  «le  su  election.  Ibidem,  msc. 

(3)  Charles-Quint  à  Adrian  VI.  Brusselles,9mars,  1522.  Gqchard 
L  e.  pag.  45. 

(4)  Don  Iuan  Manuel  à  Adrieo  VI.  Rome  26  mar.  152?f  Ibidem, 
pag.  56,  58.  ;....;-. 


■—  433  — 

mio,  mettendo  innanzi  a  tutto  il  dovere  (4).  Tanta  albagia  e 
la  licenza  degli  ammonimenti  coi  quali  designava  ora  i  car- 
dinali da  proporsi  agli  offlcii  (2),  ora  quelli  da  escludersi  sic- 
come aderenti  a  Francia  o  a  Venezia  e  consiglieri  della  neu- 
tralità raccomandata  dal  sacro  collegio,  non  erano  certo 
opportune  a  guadagnar  l'animo  del  pontefice.  Valgano  in 
prova  le  sue  risposte  a  Carlo  V.  Io  so  bene  che  non  era  né 
del  vostro  interesse  né  di  quello  della  repubblica  cristiana  il 
brigare  per  me,  perchè  allora  avreste  sciolta  ed  infranta 
l  amicizia  di  colui  che  fra  lutti  era  il  piti  necessario  alle  cose 
di' Italia  (3).  Tuttavia  mi  gode  V  animo  non  dovere  il  papato 
alle  vostre  preghiere,  per  la  purità  e  sincerità  che  i  diritti 
divini  ed  umani  richieggono  in  simili  cose,  e  vene  so  maggior 
grado  che  non  se  con  tal  mezzo  f  avessi  impetrato  (4).  Sono 
cerio  bensì  che  se  fosse  dipenduto  da  voi,  non  avreste  voluto 
eleggere  che  me;  ma  quanto  ai  vostri  ministri,  allorché  ve- 
drete  ciò  che  mi  scrivono  i  cardinali  ed  altre  persone  inter- 
venute in  questo  affare,  ne  sarete  meglio  informato.  Del  resto 
non  ci  metto  alcuna  importanza,  perchè  Dio  sa  che  preferirei 
non  aver  tanto  carico  sulle  mie  spalle  (5). 

Ma  questa  controversia  pigliava  suprema  importanza  dal 
fermo  proposito  di  mantenersi  imparziale  tra  i  due  rivali, 
luminosamente  dimostrato  non  si  tosto  venne  a  lui  da  parte 
dell'imperatore  il  signore  de  la  Cbaulx  (Carlo  de  Toupet) 
con  commissione  di  farlo  accedere  al  trattato  conchiuso  coi 
suo  predecessore  Leone  X.  Aveva  poc'anzi  ricevuto  Adriano 

(1)  Rome,  21  avr.  1522.  Ibidem  pag.  70. 

(2)  ÀYertissements  de  don  Iuan  Manuel  pour  Adrien  VI.  11  janv. 
1522.  Ibidem,  pag.  7-9. 

(3)  Reputo  che  Adriano  alluda  al  cardinale  Giulio  de' Medici,  e 
non  al  cardinale  Wolsey,  come  opina  Gachard. 

(4)  Adrian  VI  an  den  kaiser  3  mai  1522.  Karl  Lanz,  Correspon- 
denz  des  kaisers  Karl  V.  L  1  pag.  61. 

(5)  Adrien  VI  à  Charles  Quint,  5  mai  1522,  Gachard  I.  e.  p.  74. 


—  1*4  — 

una  lettera  di  Francesco  I,  in  cui,  appellandosi  ai  suoi  dovéri 
pontificali  ed  alle  private  virtù,  dicevagli,  aver*  fiducia  eh' ei 
non  dimenticherà  mai  il  posta  che  occtqpa,  e  penserà  sovente 
alla  salute  dell9  anima  sua,  e  che  questo  e  la  buona  vita  sino 
allora  menata  lo  presùmeranno  daW  essere  parziale  e  lo  ter* 
ranno  saldo  sul  cammino  della  verità  senza  riguardo  ad 
alcuno,  come  si  addice  al  padre  comune  de*  principi  cristiani 
che  deve  aver  sempre  dinanzi  agli  occhi  il  diritto,  la  equità 
eia  giustizia  (4)  ;  alla  qual  lettera  magnanimamente  rispose* 
V  amore  che  porto  ali  imperatore  non  deve  indurvi  a  credere 
che  io  sia  per  fare  cosa  alcuna  in  danno  della  repubblica 
cristiana  o  di  qualsivoglia  principe.  Di  questo  amore,  quando 
bene  io  tacessi,  parlano  i  servigi  che  gli  ho  prestati;  ma  se 
per  lo  innanzi  non  lo  compiacqui  mai  in  cose  ingiuste,  tanto 
meno  vorrei  farlo  adesso  che  sono  vicario  di  Cristo;  e  qual 
amore  sarebbe  questo  di  procacciargli  qualche  lucro  con  isefr 
pito  della  sua  e  della  mia  coscienza  (2).  Né  piegò  in  vero  alle 
voglie  dell'imperatore.  Non  che  confermare  Hsopraceetìnato 
trattato,  ricusò  anche  di  entrare  nella  lega  con  Idi  e  col  re 
d'Inghilterra,  benché  limitata  alla  difesa  dei  dominii  a!  pre- 
sente posseduti  ed  unicamente  offensiva  controlli  aggressori 
e  gP  inimici  della  fede.  Acconsenti  soltanto  a  prolungare  di 
cinque  anni  la  legazione  del  cardinale  Wolsey;  ma,  per  quan- 
te istanie  facesse  il  signore  de  tyChaulx,  non  volle  affidare  a 
Rafaello  de' Medici  il  governo  di  Parma  e  di  Piacenza,  adda- 
cendo  che  a  tal  officio  richiedevasi  un  uomo  di  Maggiore 
esperienza  (3). 

(1)  Lettre  de  Francois  l.  au  pape.  Mìgnet  1.  e.  pag.  626. 

(2)  Adrien  VI  à  Francois  1. 21  avr.  1522,  Gachardl  e.  p.  266. 

-  (3)  Lettres  de  la  Chaulx  à  Cbarles-Quint,  11,  13,  28  mai  1522. 
Precis  de  la  correspondance  de  Ckarles-Quint,  affaires  d'Italie  et  de 
Portugal  1521-1527  m$c.  Arch.  du  royaume  belg.  Rafaello  de'Medici 
mandato  da  Carlo  V  in  Isvizzera  al  principio  dell'anno  seguente 
perì  per  naufragio. 


—  435  — 

Questo  ed  ogni  altro  provvedimento  risolutivo  differì 
sino  alla  venuta  a  Roma,  la  quale  non  successe  che  sette  mesi 
dopo  la  elezione.  Durante  la  sua  assenza  tre  cardinali  cavati 
a  sorte  ciascun  mese  esercitavano  la  suprema  autorità,  il  che 
portando  continuo  cambiamento  di  persone,  d'intenti,  di  po- 
litica, impediva  che  si  facesse  deliberazione  di  cosa  alcuna, 
eccettuato  l'armistizio  conchiuso  col  duca  d'Urbino  (1).  Su 
quello  stare  lasciavansi  crescere  in  baldanza  i  partigiani  di 
Francia,  e  tanto  che  persino  il  Colonna  propose  pace  con 
essa  in  nome  della  Chiesa  senza  curarsi  di  Parma  e  Piacen- 
za (2).  Il  papa  è  buono,  scriveva  P  ambasciatore  imperiale, 
ma  non  mancherà  chi  lo  inganni  (3).  Qual  cosa  più  naturale 
che  paresse  a  Francesco  opportuno  momento  di  ritentare  la 
sorte  delle  armi  in  Lombardia  ?  Non  aveva  più  contro  a  lui 
né  la  santa  sede  né  la  repubblica  di  Firenze,  e  mentre  fidava 
ancora  nell'alleanza  de' Veneziani  faceva  maggiore  assegna- 
mento che  per  lo  innanzi  negli  aiuti  degli  Svizzeri.  Solleci- 
tavanlo  i  suoi  agenti  a  passare  un'altra  volta  le  Alpi  per 
rinnovare  le  glorie  di  Marignano.  Oserei  assicurarvi  colla  mia 
vita,  seri vev agli  Nicolò  Raince  di  Roma,  che  voi  avete  ora  il 
mezzo  di  farvi  signore  perpetuo  di  tutta  Italia  (4). 

IV.  In  vece  di  venire  egli  stesso  in  Lombardia,  lasciò 

(1)  Raynalduss  Ann.  eccl.  a<l  an.  1522  S  16. 

(2)  Los  cardinales  que  V.  Ma.  sabe  se  muestran  cadadia  mas 
eneroigos  del  papa  y  de  V.  Ma.  y  segun  siento  piensan  que  con  ha- 
zerse  mal  las  cosas  de  la  Yglesia  y  de  V.  Ma.  dexara  el  papa  de  ve- 
nyr . . .  y  he  sabido  que  el  card.  Colunna  propuso  ayer  en  consisto- 
no que  hiziesse  el  collegio  en  nombre  de  la  Yglesia  paz  conel  rey 
de  Francia  y  que  no  se  curassen  de  parma  ny  de  plazencia.  Don 
luan  Manuel  al  rey.  Roma  4  febb.  1522  1.  e.  A.  22.  Biblioteca  de  la 
Academia  d'Historia  de  Madrid  msc. 

(3)  El  es  buen  hombre  y  sino  le  enganan  creo  que  lo  hara,  mas 
taribien  creo  yo  que  no  faltara  quien  lo  engane.  Roma  14  apr.  1522. 
Ibidem  msc. 

(4)  9  genn.  1522.  Mignet  1.  e.  pag.  627. 


—  «e  — 

Francesco  la  capitanarla  dell'  esercito  al  Lautree,  il  quale, 
congiuntosi  colle  genti  de9  Veneziani  a  Cremona,  il  primo 
giorno  di  marzo  4522  passò  V  Adda  per  muovere  incontro 
ai  sedicimila  Svizzeri  condotti  da  Renato,  bastardo  di  Sa- 
voia, e  da  Galeazzo  di  Sanseverino,  questi  grande  scudiere, 
quegli  gran  maestro  di  Francia.  Lo  raggiunse  poco  stante 
Giovanni  de9  Medici  co'  suoi  tremila  fanti  e  dugento  cavalli 
che  nelle  insegne  portavano  il  bruno  per  la  morte  di  Leo-p 
ne  X,  ond'  ebbero  nome  di  bande  nere,  e  pur  ora  non  si  re- 
cavano a  coscienza  di  voltarsi  ai  danni  del  duca  Francesco 
Sforza,  stimolati  dagli  stipendi  maggiori  e  più  certi  del  re 
di  Francia. 

Con  tutte  queste  forze  mosse  Lautrec  sopra  a  Milano. 
Ma  Prospero  Colonna  vi  aveva  fatte  mirabili  opere  di  difesa 
e  tra  le  porte  che  vanno  a  Vercelli  e  a  Como  due  trincee 
lunghe  circa  un  miglio,  con  sulle  teste  di  ciascuna  un  cava*? 
liere  molto  alto  e  munito  per  potere  impedire  che  gruma» 
ci  si  accostassero  dalla  parte  del  castello.  Nel  tempo  mede- 
simo Girolamo  Morone  attese  con  grande  studio  non  sola* 
mente  alle  provvisioni  militari,  ma  eziandio  a  scaldar  l'odio 
del  popolo  contro  a'  Francesi  con  lettere  finte,  con  amba* 
sciate  false,  e  col  mezzo  di  Andrea  Barbato  da  Ferrara,  frate 
agostiniano,  il  quale  predicando  con  grandissimo  concorso 
esortava  ciascuno  a  soccorrere  col  sangue  e  con  i  danari 
propri  le  necessità  della  patria.  Dónde  tanto  crebbe  l'ardore 
de'  Milanesi  che  a  un  tratto  levaronsi  in  armi  (4),  ed  a  Pro- 
spero Colonna,  ringagliardito  del  loro  aiuto,  diedero  mag- 
gior agio  di  provvedere  alla  difensione  delle  altre  terre,. 

(I)  Fu  messo  un  ordene,  che  ogni  parochia  facesse  el  suo  ca* 
pitaneo  et  la  sua  bandera,  con  li  soi  caporali,  con  quello  ordene 
quanto  se  si  avesse  de  andar  alla  battaglia . . .  talmente  che  la  città 
se  rallegrava  tutta  vedendo  che  tutti  erano  d' un  animo  a  mettere 
la  vita  e  la  robba  per  defensione  della  patria  et  contra  Franzesi.  G. 
M.  Burigozzo.  Cronaca  cit.  Arch.  stor.  ital.  t  3,  pag.  435. 


—  487  — 

mandando  con  bnona  parte  delle  sue  truppe  Filippo  Tor- 
Biello  a  Novara,  Astone  Visconti  ad  Alessandria  e  Antonio 
de  Leva  a  Pavia,  per  modo  che  con  lui  non  rimanevano  in 
città  che  settecento  uomini  di  arme,  settecento  cavalli  leg- 
gieri e  dodicimila  fanti.  Lo  rinforzarono  ben  tosto  quattro- 
mila lanzichenecchi  tedeschi  soldati  coi  denari  de'  Milanesi  e 
condotti  dal  celebre  Giorgio  di  Frundsberg,  mentre  altri  sei- 
mila arruolavansi  sotto  le  insegne  dello  Sforza,  parte  co9  no- 
vera ila  ducati  mandatigli  dal  cardinale  Giulio  de9  Medici, 
parte  con  quelli  de'  Milanesi  medesimi  e  con  i  pochi  che 
Cesare  diede  a  tal  uopo  a  Girolamo  Adorno  (d). 

Tanto  numero  di  soldati,  la  disposizione  del  popolo  e 
la  prontezza  che  appariva  dei  difensori  rimossero  i  francesi 
dal  tentare  l' assalto  delle  trincee  nel  giorno  stesso  in  cui 
ne  fecero  sembiante,  e  cadde  Marcantonio  Colonna,  secondo 
il  Giovio  (2),  per  le  mani  di  Prospero  suo  zio,  che  aveva  ag- 
giustato contro  lui,  senza  conoscerlo,  una  colubrina,  e  poi 
lo  pianse  e  Io  seppellì  con  grande  onore;  il  qual  caso  deplo- 
rabile la  storia  fidente  nella*  giustizia  divina  tiene  in  conto 
di  punizione  condegna  a  coloro  che  dopo  avere  straziato  Ita- 
lia per  le  ambizioni  proprie,  ora,  combattendo  indistinta- 
mente da  tutte  le  parti,  la  vendevano  alle  ambizioni  stra- 
niere. 

Cosi  ridotta  la  guerra  da  speranza  di  presta  espugna- 
zione a  cure  di  lungo  assedio,  andò  Lautrec  ad  alloggiare  a 
Cassino,  cinque  miglia  lontano  da  Milano  :  sito  ugualmente 
opportuno  a  far  continue  scorrerie  verso  la  città  e  ad  impe- 
dire che  vi  entrasse  il  duca  Francesco  Sforza  di  già  venuto 
coi  sopraccennati  seimila  lanzichenecchi  a  Pavia.  Senonchè, 
inteso  che  Lescun  suo  fratello,  tornato  di  Francia,  con  nuo- 
ti) Reliquum  vero  e  tributts  Mediolanensium  conferebatur.  Gal. 
Capello,  op.  cit.  1. 2,  p.  1266. 

(2)  Vita  Ferd.  Davalì,  \.  2,  pag.  205. 


ve  genti  discendeva  in  Lombardia^  dovette  mandargli  in- 
contro buona  parte  delle  sue  truppe  ;  il  che  portò  per  effet- 
to che  i  due  eserciti  congiunti  prendessero  bensì  d'  assalto 
Novara,  ma  intanto  lasciassero  più  libera  allo  Sforza  la  uscita 
da  Pavia.  Questi  in  fa tto,  partito  ocèultamenle  di  notte  e  cam- 
minando in  compagnia  di  Antonio  de  Leva  per  altra  strada 
che  per  la  diritta,  fu  raccolto  a  Sesto  da  Prospero  Colonna 
e  di  là  condotto  il  di  A  aprile  4522  a  Milano,  con  gran  leti- 
zia del  popolo  desiderosissimo  di  avere  un  principe  proprio, 
come  più  amatore  de'  sudditi  suoi  e  più  costretto  a  fare  e- 
stimazione  di  essi  (1). 

A  questo  sinistro  cercò  compenso  il  Lautrec  nella  espu- 
gnazione di  Pavia.  Ma  Prospero  Colonna  vi  mandò  à  tempo 
un  nuovo  presidio  di  fanti,  e  poi  uscito  con  tutto  V  esercito 
di  Milano  fermossi  alla  Certosa  in  sito  molto  opportuno  e 
protetto  dalle  muraglie  d' un  parco,  a  quattro  miglia  dal 
campo  de'  Francesi  ;  donde  gli  molestò  per  modo  che  Lau- 
trec, considerata  la  resistenza  della  guarnigione  assediata  é 
la  difficoltà  del  ricevere  le  vettovaglie  su  perii  Ticino  in- 
grossato da  pioggie  grandissime,  dopo  aver  perduto  parec- 
chi giorni,  abbandonò  la  impresa,  ritirandosi  a  Landriano  e 
di  là  a  Monza,  per  minacciare  di  nuovo  la  città  che  poc'anzi 
s'  era  disperato  di  prendere.  Marciò  accosto  a  lui  il  Colone 
na,  e  ridottosi  alla  Bicocca,  stette  là  in  luogo  assai  forte  a- 
spettando  che  la  impazienza  degli  svizzeri  non  pagati  co^ 
stringesse  il  nemico  ad  assaltarlo.  Né  gli  falli  P  intento.  Beri 
conosceva  il  Lautrec  che  anche  nell'  esercito  imperiale  era- 
nò  non  poche  difficoltà  di  danari  e  di  vettovaglie;  non  sicu- 
ra la  fede  de'  fanti  italiani,  di  cui  intere  compagnie  passava- 

(1)  Mai  fu  visto  ne  audito  tanto  triompho;  cosse  da  non  crede- 
re foreno  facte  di  allegria...  et  domandando  danari  el  Sforcia  per 
paghare  lo  exercito  Cexareo  da  gentìlhomìni,  merchatantì,  plebei  et 
poveri  herano  portati  danari,  collane,  argento.  Ant.  Grutnello,  Cro- 
naca cit.  pag.  291. 


—  439  — 

no  al  soldo  de' Veneziani;  i  lanzichenecchi  tumultuanti;  i 
capitani  discordi.  Qual  migliore  consiglio  che  approfittare 
de'  suoi  patimenti  e  sforzarlo  con  essi  a  mutar  posizione  ? 
Ma  gli  Svizzeri  infastiditi  d'una  guerra  di  marcie  sen- 
za i  consueti  successi  e  gli  sperati  saccheggi,  chiesero  ad 
altissime  grida  o  paga,  o  congedo,  o  battaglia;  e  Lautrec, 
non  potendo  temperarne  il  furore,  dovette  infine  preferire  la 
dubbia  fortuna  d'  una  battaglia  alla  certezza  della  loro  di- 
serzione. 

Era  la  Bicocca  una  casa  di  campagna  a  tre  miglia  circa 
da  Milano,  con  ampli  giardini  terminanti  in  fosse  profonde 
e  campi  a  destra  ed  a  manca  chiusi  da  canali  d' acqua  cor- 
rente destinata  all'irrigazione,  uno  de9  quali  dietro  ai  campi 
medesimi  attraversatasi  sopra  un  ponte  di  pietra.  A  questi 
vantaggi  del  terreno  aggiunse  Prospero  i  lavori  dell'  arte, 
che  il  generale  Crequi,  mandato  dal  Lautrec  a  riconoscerli, 
giudicò  inespugnabili.  Come  n'  ebbero  contezza  gli  Svizzeri 
e  si  tentò  nuovamente  di  convincerli  del  pericolo,  mette* 
teci  nelle  prime  schiere,  esclamarono,  e  noi  che  abbiam 
vinto  con  forze  molto  minori  nel  proprio  alloggiamento  i 
francesi  intorno  a  Novara,  vinceremo  anche  nel  loro  gli  spa- 
gnuoli.  In  fatti  la  mattina  del  29  aprile  4522  fu  con  tale  or* 
dine  disposto  l'assalto,  ch'essi  in  due  battaglioni  divisi,  l'u- 
no de5  piccoli  cantoni  sotto  Arnoldo  di  Winckelried  e  l' altro 
delle  città  sotto  Alberto  di  Stein,  attaccassero  la  fronte  com- 
posta de'  lanzichenecchi,  dei  quali  Giovanni  de'  Medici  con 
opportune  avvisaglie  in  varii  punti  doveva  distrarre  Inatten- 
zione, e  che  il  maresciallo  di  Foix  girando  intorno  all'ala  si- 
nistra degl'  imperiali  passasse  il  ponte,  dov'  era  a  guardia  il 
duca  Francesco  Sforza  uscito  della  città  colle  milizie  mila- 
nesi, per  poi  congiungersi  col  Lautrec,  il  quale  piegando  a 
destra  s' era  tolto  Y  assunto  di  penetrare  nel  campo  degl'  i- 
nimici  più  con  artifizio  che  con  aperta  forza,  avendo  ordina- 
to a' suoi  di  mettere  in  sulla  sopravvesta  la  croce  rossa,' se- 


-  440  — 

gnale  degli  imperiali,  in  cambio  della  bianca  che  portavano  i 
francesi.  Tenevano  la  retroguardia  i  Veneziani. 

Ben  si  vede  che  solo  dalla  simultaneità  di  questi  as- 
salti dipendeva  la  loro  riuscita.  Non  avendo  le  varie  schiere 
uguale  spazio  da  percorrere,  né  potendo  per  conseguenza 
giugnere  contemporaneamente  ai  posti  loro  assegnati,  uopo 
era  che  gli  Svizzeri,  arrivati  a  poca  distanza  dagl'imperiali, 
si  fermassero,  per  dar  tempo  al  maresciallo  di  Foix  dì  fare 
il  giro  prescritto.  Ma  quelli,  insofferenti  di  freno  e  tutto 
volendo  per  sé  l'onore  della  vittoria,  continuarono  a  difilare 
verso  i  fanti  tedeschi  del  Frundsberg  e  gli  spagnuoli  del  Pe- 
scara, i  quali  gli  accolsero  con  un  fuoco  cosi  vivo  che  più 
di  mille  rimasero  morti  prima  di  accostarsi  all'alloggiameli* 
to.  Non*  diminuirono  per  questo  P  audacia,  e  con  tutto  che 
per  l'altezza  delle  fosse,  maggiore  assai  che  non  si  avevano 
imaginato,  a  grande  stento  potessero  colla  punta  delle  loro 
picche  ferire  i  lanzichenecchi  che  ne  difendevano  gli  orli, 
sforzaronsi  per  ben  cinque  ore  di  salirvi  senza  frutto  alcuno, 
terribilmente  fulminati  dalle  artiglierie. 

In  questo  mezzo  il  maresciallo  di  Foix,  giunto  final* 
mente  al  ponte  di  pietra  che  attraversava  il  canale,  fu  re- 
spinto dal  duca  Sforza,  il  quale,  aiutato  da  Antonio  de  Leva, 
fece  ottima  prova  delle  milizie  milanesi*  Nello  stesso  tempo 
inutili  riuscirono  le  insidie  del  Lautrec,  avendo  il  Colonna, 
non  sì  tosto  le  scoperse,  fatto  comandamento  ai  suoi  di  porsi 
in  sul  capo  una  frasca.  Allora,  al  grido  di  dietro  si  fugge,  ri- 
tirarono gli  Svizzeri  in  buon  ordine,  dopo  aver  perduti  circa 
tremila  soldati  e  ventidue  capitani,  tra'  quali  Arnoldo  di 
Winckelried  (i).  Quindi  uniti  coi  Francesi  ritornarono  a 


(I)  La  relazione  del  Giovio  (il  quale  nella  vita  del  Pescara  dice 
che  il  Lescun,  sbaragliati  i  Milanesi,  era  enlrato  nel  campo  impe- 
riale ed  avrebbe  vinta  la  battaglia  se  gli  Svizzeri,  rinnovando  r  at- 
tacco, avessero  impedito  a  Prospero  Colonna  di  mandar  soccorsi 


—  441  - 

Monza,  protetti  dalle  bande  nere  di  Giovanni  de9  Medici  e 
dalle  genti  de' Veneziani  (1).  Non  gP  insegui  il  Colonna  per 
non  rimettere  in  podestà  della  fortuna  una  vittoria  già  cer- 
tamente acquistata,  né  cancellare  con  la  sua  la  memoria  del- 
l' altrui  temerità  (2),  ben  si  apponendo  inoltre  di  conseguir 
tosto  senza  pericolo  quel  che  avrebbe  ottenuto  colla  distru- 
zione di  un  esercito  che  stava  per  disciogliersi  da  se  mede- 
simo. 

Di  fatto  il  di  seguente  Lautrec  si  levò  da  Monza  per 
passar  l' Adda  appresso  a  Trezzo,  donde  gli  Svizzeri,  preso 
il  cammino  per  il  territorio  di  Bergamo,  tornarono  ai  loro 
monti.  Poi  se  ne  andò  anch'  egli  affidando  il  comando  delle 
truppe  al  maresciallo  di  Foix,  il  quale,  sgombrata  poco  dopo 
la  Lombardia  ad  eccezione  dei  tre  castelli  di  Novara,  Mila* 
no  e  Cremona,  le  ricondusse  di  là  dalle  Alpi,  mentre  suo 
fratello  giugneva  in  Francia  a  scagionarsi  d' averla  si  mal 
governata  e  si  rapidamente  perduta. 

Così  lo  Sforza  ebbe  l'intero  ducato,  ma  messo  a  ruba  dai 
vincitori  tedeschi  e  spaglinoli,  i  quali,  dopo  aver  devastato 
l'Astigiano  e  il  Vigevanasco,  rivoltaronsi  sopra  Milano  con 
tanta  avidità  di  bottino  che  fu  forza  chetarli  con  centomila 
ducati.  Neil'  universale  abbattimento  solo  il  Morone  valse  a 
sollevar  gli  animi,  consigliando  il  suo  duca  a  riordinare  il 
Senato,  composto  di  cinque  prelati,  nove  cavalieri  e  tredici 

contro  di  lui)  vuol  essere  confrontata  con  quelle  di  Guicciardini,  di 
Galeazzo  Capella,  e  di  Antonio  Grumello  come  pure  colle  notizie 
che  si  contengono  nella  cronica  di  Berna  dello  Anshelm  e  nella  sto- 
ria dei  Frundsberg  di  Reissner,  alle  quali  attinse  Leopoldo  Banke 
nella  sua  storia  della  Germania  a'  tempi  della  riforma. 

(1)  Però  Andrea  Foscolo  nella  sua  descrizione  della  battaglia 
dice  :  non  si  sa  chel  causasse,  nostri  si  missero  a  ritirare  in  gran 
debordine.  Marta  Sanuto,  t.  XXXIII,  pag.  191 . 

(2)Partamjam  victoriam  fortunae  et  helvetiam  temeritatem 
nova  teweritate  abojere  ^no\^ Melcari^'  Covamm^i  rerum 
gaUic.  1.  XVI.  pag.  bQfr;  v.:  .:?///     ..;:    .-|  .•*,;:/*  ■  .-;>  .: 


—  Ufi  — 

giureconsulti,  con  pienissima  ed  irresponsabile  facoltà  in  tut- 
to che  spetta  air  amministrazione  della  giustizia  e  alla  tute- 
la dell'  equità.  Alla  invocazione  dell'  eterno  lume  con  che  e- 
sordisce  l'editto  J8  maggio  1522  e  ai  passi  tòlti  dalla  sapien- 
za di  Salomone  e  dai  salmi  di  Davide,  ben  rispondono  i  fretri 
imposti  all'  arbitrio  del  principe,  né  meno  tocca  il  cuore  là 
gratitudine  professata  a  chi  gli  restò  fido  nell'  infortunio,  e 
a  chi  doveva  la  grandezza  della  sua  famiglia;  onde  piace  ve- 
der elevato  il  Morone,  V  uomo  di  tutte  le  ore  del  giorno,  a 
gran  cancelliere,  e  reso  onore  ai  Visconti  volendoli  in  perpe- 
tuo rappresentati  nel  Senato  da  due  di  loro  (4). 

Anche  Genova,  assalita  dall'  instancabile  Colonna,  seb- 
bene difesa  dal  doge  Ottaviano  Fregoso  e  da  Pietro  Navar- 
ro mandato  dal  re  Francesco  con  due  galee,  dovette  veriire 
ad  accordo.  Ma  nel  tempo  che  lo  si  trattava  e  la  speranza 
di  esso  rendeva  tnen  diligenti  le  guardie,  visto  il  Pescara 
che  una  breccia  delle  mura  non  era  difesa,  per  quella  entrò 
nella  città  il  di  30  maggio  1522,  dove  con  novissimo  esempio 
fti  sistemato  il  saccheggio  per  modo  che  tutte  le  genti 
l'una  dopo  V  altra  ne  avessero  parte  e  agli  abitanti  non' ri- 
manesse quasi  più  nulla  delle  loro  gioie  e  robe  preziose*  é 
con  sì  grande  barbarie  da  far  dire,  aver  mostrato  Iddio  che 
chi  confida  in  altro  che  in  lui  è  spacciato  (2).  Pietro  Navar- 
ro ed  Ottaviano  Fregoso  rimasero  prigionieri,  e  in  luogo  di 
quest'  ultimo  fu  fatto  doge  Antoniotto  Adorno  sotto  la  si- 
gnoria suprema  dell'  imperatore. 

Mentre  queste  cose  succedevano  in  Lombardia,  non  era 
stata  senza  travagli  la  Toscana.  Perchè  il  cardinale  di  Vol- 
terra col  mezzo  di  Giambattista  Soderini,  nipote  suo  e  di 
Pietro  stato  gonfaloniere  perpetuo,  aveva  ordito  il  disegno 
che  vi  entrasse  per  la  via  della  riviera  di  Genova  il  mare- 

•  (1)  T.  Dandolo.  Ricordi  inediti  di  Gero!.  Morone,  p.  95-109  •"■' 
(2)  Giov.  Cambi,  Ist.  fior.  t.  XXII,  pag.  201     •'-.  '  '  ■'  ■■ 


—  443  — 

sciallo  di  Foix  nello  stesso  tempo  che  Renzo  da  Ceri  giu- 
gnerebbe  dalla  banda  di  Siena.  Confortavanlo  le  precorse  in» 
telligenze  col  duca  d' Urbino  e  co'  fratelli  Bagliori,  e  mag- 
gior assegnamento  faceva  sopra  gli  spasimanti  di  repubblica 
«he  adunavano  negli  orti  Rucellai,  quali  Luigi  Alamanni, 
Zanobio  Buondelmonti,  Cosimo  Rucellai,  Alessandro  de' 
Pazzi,  Francesco  e  Jacopo  Diaceto,  e  Nicolò  Machiavelli  che 
loro  dedicò  le  deche  di  Tito  Livio,  e  i  libri  sulP  arte  della 
guerra.  Dal  qua]  pericolo  mosso  il  cardinale  Giulio  de'  Me* 
dici  a  tornarsene  in  gran  fretta  a  Firenze  dopo  la  creazione 
di  papa  Adriano,  cominciò  a  parlare  come  proprio  sarebbe 
de'  sacerdoti,  per  forma  che  alcuni  buoni  cittadini  aggiusta- 
rono credenza  alla  voce  astutamente  diffusa  ch'egli  avesse 
in  animo  di  rendere  la  libertà  alla  patria.  Onde  invece  di  ri- 
strignersi  a  congiura  contro  di  lui  applicaronsi  a  soddisfar- 
ne le  simulate  intenzioni  con  istudii  diligenti  intorno  ai  mi- 
gliori ordini  di  governo  libero,  che  poi  fruttarono,  oltre  alle 
orazioni  di  Zanobio  Buondelmonti  e  di  Alessandro  de9  Paz- 
zi, le  istorie  fiorentine  del  Machiavelli. 

Trattava  intanto  il  cardinale  col  duca  d'Urbino,  e  que- 
sti lasciavasi  condurre  al  suo  soldo  rompendo  la  confedera- 
zione poc'anzi  stretta  cogli  altri  oppressi  da  papa  Leone,  ti* 
rato  forse  dall'  amore  della  moglie,  come  Gonzaga,  contra- 
ria alla  Francia.  Ne  seguiva  P  esempio  Orazio  Baglioni;  sic- 
ché, tradito  da  ambidue  (1),  Renza  da  Gerì  fece  inutili  pro- 
ve contro  a  Siena,  avendogli  Guido  Rangone  generale  dei 
Fiorentini  con  la  diligenza  e  con  la  celerità  interrotti  tutti  i 
disegni.  Poco  dopo  sopravvenivano  a*  Francesi  le  narrate  av- 
versità. Parve  allora  a  Giulio  poter  levarsi  impunemente  la 
BjascJiera*  Piacenti  neramente  la  vostra  orazione,  disse  il  sa- 


li) Memoriale  di  Renzo  dà  Ceri  al  re  Francesco  I  ed  Istruzione 
per  mantenere  in  fede  il  duca  d' Urbino.  Mollni  Docum.  di  storia 
ital.  t.  l,pag.  144-149.  >  ••-•■■ 


—  444  — 

gretario  suo,  Nicolò  Schomberg,  ad  Alessandro  de9  Pazzi, 
ma  non  punto  il  suggello  di  quella  (4).  E  perchè  ciascuno 
fosse  tratto  d' inganno  fece  ritenere  il  detto  Jacopo  Diaceto, 
il  quale  poi,  per  dolore  de'  tormenti,  avendo  incolpato  sé  e 
gli  amici  suoi  di  congiura,  andò  air  estremo  supplizio  in- 
sieme con  Luigi  di  Tommaso  Alamanni  (2).  Queste  puni- 
zioni, e  la  confiscazione  de'  beni  di  coloro  che  salvarono 
colla  fuga,  non  seguirono,  nota  Francesco  Vettori,  per  volon- 
tà del  cardinale  de*  Medici,  ma  per  satisfare  agli  imperiali, 
i  quali  dicevano  che  chi  voleva  mutare  lo  stato  di  Firenze 
era  inimico  di  Cesare,  e  che  gV  inimici  di  Cesare  s' avevano 
a  gastigare  senza  misericordia  (3).  Sia  pure:  come  a  Mila* 
no,  come  a  Genova,  v' era  dunque  un  prefetto  imperiale  an* 
che  a  Firenze:  ecco  presentiti  gli  effetti  della  vittoria  alla 
Bicocca. 

V.  Ma  non  sull'Italia  soltanto,  si  ancora  sopra  una  gran 
parte  della  Francia  meridionale  vantava  diritti  la  Germania, 
non  mai  dimenticati.  Continuava  l' elettore  di  Treviri  a  in- 
titolarsi arcicancelliere  del  regno  di  Arles,  e  fresca  era  la 
memoria  sia  dell'imperatore  Roberto  l  che  nel  4404  vi  ave- 
va  destinato  a  luogotenente  suo  figlio,  e  sia  di  Federico  III 
rivoltosi  nel  4444  per  aiuto  al  Delfino,  siccome  a  vicario 
del  sacro  romano  impero.  Aggiungami  le  pretensioni  di  Car- 
lo V  sopra  il  ducato  di  Borgogna  rapito  a  suo  avo  Massimi- 
liano. E  per  tutte  queste  imprese  sorridevagli  la  stessa  ve*** 
tura  che  in  Italia:  qua  l'alleanza  del  papa;  là  del  re  Enrico, 
il  quale  non  s' era  pur  cavato  di  mente  le  ragioni  de9  suoi 
predecessori  sopra  la  Francia  :  tanto  è  vero  che  il  cardinate 
Wolsey,  subito  dopo  la  conclusione  del  trattato  di  Bruges, 
avevagli  in  lunga  fila  enumerate  le  Provincie  e  le  città  da 

(I)  Jacopo  Nardi,  Istoria  della  città  di  Firenze,  t.  2,  pag.  84. 
.:    P)/tatepi,pÈig.  86-91. 

(3)  Storia  d' Italia  1.  e.  pag.  343. 


—  445  — 

conquistarsi  (1).  Il  perchè  non  ebbe  si  tosto  Carlo  la  nuova 
della  vittoria  alla  Bicocca,  che,  imbarcatosi  a  Galais  il  26 
maggio  4522,  recossi  in  Inghilterra  a  visitare  il  suo  alleato, 
il  quale  nel  giorno  seguente  andatogli  incontro  a  Douvres  lo 
condusse  successivamente  a  Cantorbery,  a  Rochester,  a  Gre- 
enwich,  a  Londra,  a  Richmond,  ad  Hamptoncourt  e  a  Wind- 
sor, dove  le  convenzioni  di  Bruges,  confermate  a  Calais  nel 
novembre  del  4524,  furono  distese  in  un  nuovo  trattato  che 
a  ciascuno  dei  due  sovrani  faceva  obbligo  d' invadere  la 
Francia  con  trentamila  fanti  e  diecimila  cavalli  (2).  Rag- 
giunto lo  scopo  del  suo  viaggio,  per  affettuosa  e  splendida 
che  fosse  Y  accoglienza  fattagli  da  Enrico,  pareva  a  Carlo 
mille  anni  di  andarsene  (3);  e  tuttavia,  non  essendo  ancora 
per  mancanza  di  denaro  allestita  la  flotta  su  cui  doveva  pas- 
sare in  Ispagna,  gli  fu  mestieri  soffermarsi  parecchi  giorni  a 
Winchester;  sicché  non  prima  del  6  luglio  fece  vela  da  Sou- 
thampton alla  volta  di  Santander. 

Giunto  in  Ispagna  ai  46  dello  stesso  mese  trovò  quei 
regni  tuttora  afflitti  dalle  conseguenze  della  guerra  civile. 
Ma  le  paure  dei  ribelli  prudentemente  acquetò,  dopo  una 
ventina  di  supplizii  pubblicando  perdono,  dal  quale  non  e- 
schise  che  ottanta.  Uno  di  questi,  già  fuggiasco  e  poi  tornato 
di  soppiatto  per  cercar  grazia,  s' avvenne  in  un  vile  che  lo 
scoperse.  Vattene,  rispose  Carlo  al  delatore,  avresti  fatto  as- 
sai meglio  dire  a  lui  che  si  salvi,  che  non  a  me  che  mandi  a 
preièderlo.  Vuoisi  pure  che,  essendosi  taluno  de'  suoi  consi- 
glieri doluto  de'  troppo  pochi  supplizii,  basta,  esclamasse, 


(1)  Pace  to  Wolsey  10  sept.  1521  State  papers  t.  1.  pag.  52. 

(2)  Herbert  The  life  and  raigne  of  king  Henry  the  Eighth  pag. 
126-128. 

(3)  Cbarles-Quint  à  la  duchesse  de  Savoie  22iuin  1522,  nei 
m$s.  istorici  del  conte  di  fVynants  già  direttore  generale  degli  ar- 
chivi"! di  Brusselles. 

10 


—  ig- 
noti versiamo  altro  sangue  (i).  Ed  era  inutile  invero,  dac- 
ché la  fallita  insurrezione  gli  valse  il  potere,  che  altrimenti 
non  avrebbe  conseguito,  di  ridurre  le  corti  a  semplici  vota- 
toci di  donativi.  Invece  colle  apparenze  di  generosità,  collo 
studio  di  parlare  la  lingua  de'  Castigliani  e  di  seguirne  le  u^ 
sanze,  vinse  gli  animi  loro  come  nessun  altro  sovrano  mai, 
e  determinolli  a  sostenerlo  in  ogni  sua  impresa  con  uno  zelo 
ed  un  valore  a  cui  andò  debitore  in  gran  parte  de'  fortunati 
successi  e  della  temuta  grandezza. 

Ancor  prima  eh'  egli  partisse  d' Inghilterra,  aveva  il 
re  Enrico  rotta  la  guerra  a  Francesco,  togliendone  pretesto 
dal  rifiuto  della  tregua  impostagli.  Poiché  tanto  mi  accade 
di  vedere,  disse  allora  quest'ultimo  all'ambasciatore  inglese 
nell'atto  di  congedarlo,  non  vo9  più  fidare  in  verun  principe 
al  mondo  ;  ma  se  non  v'  è  altro  rimedio,  spero  almeno  poter 
difendere  me  medesimo  e  il  mio  regno  (2).  Il  conte  di  Surrey, 
nominato  ammiraglio  delle  flotte  unite  d' Inghilterra  e  di 
Spagna,  verso  la  metà  di  giugno  comparve  davanti  alle  co- 
ste della  Normandia  e  della  Bretagna  che  devastò  ;  poi  dopo 
aver  messo  a  sacco  Morlaix,  ed  accompagnato  l' imperatore 
fino  a  Santander,  tornò  a  prendere  il  comando  delle  truppe 
inglesi  discese  nella  Piccardia  per  operare  di  concerto  colle 
fiamminghe  capitanate  dal  conte  di  Buren.  Inferiore  in  nu- 
mero a  queste  unite  milizie  era  l'esercito  ragunatò  da  Fran- 
cesco; ma  durante  le  lunghe  lotte  fra  le  due  nazioni  avevano 
i  Francesi  trovato  il  vero  modo  di  difendere  contro  gl'Inglesi 
il  proprio  paese,  ponendo  guarnigioni  in  ogni  piazza  atta  a 
resistere,  evitando  battaglie  campali,  intercettando  le  vetto- 
vaglie ai  nemici,  attaccandoli  alla  spicciolata,  logorandoli  in 
somma  colla  lunghezza  della  guerra.  A  questo  disegno  si 

(1)  Sandoval,  op.  cit.  t.  3,  pag.  268. 

(2)  Dépéche  de  Thomas  Cheyney  à  Wolsey  29  mai  1522.  Mi- 
gnet  1.  e.  pag.  638. 


—  147  — 

attennero  il  duca  di  Vendome  e  il  signore  de  la  Tremouille 
con  non  minore  prudenza  che  buon  esito.  Surrey  e  Buren 
dovettero  ritirarsi  in  sul  finire  del  settembre,  e  gli  alleati 
rimisero  all'  anno  vegnente  la  grande  invasione  della  Fran- 
cia, non  essendo  bastati  gli  offici  di  papa  Adriano  a  tempe- 
rarne gli  sdegni. 

VI.  Trotavasi  Adriano  a  Tarracona  in  via  per  Roma  al- 
lorché Carlo  V  sbarcò  a  Santander.  Avrebbe  questi  deside- 
rato di  venire  con  lui  a  parlamento  prima  che  lasciasse  la 
Spagna  ;  ma  Adriano  se  ne  scusò  (1),  e  non  già  come  fu  det- 
to per  timore  di  mostrarsi  parziale  (2)  ;  che  a  questi  rispetti 
non  piegano  gli  uomini  di  rette  e  aperte  intenzioni,  si  per- 
chè affrettavanlo  a  partire  le  miserie  dell'Italia  e  della  Chie- 
sa. Le  quali  erano  veramente  estreme:  Prospero  Colonna 
costretto  a  stare  in  ozio  colle  sue  truppe  e  per  conseguenza 
a  farle  vivere  di  ruba  (3)  ;  le  città  tutte  taglieggiate  secondo 
il  bisogno  e  fin  gli  stati  indipendenti,  e  Parma  e  Piacenza, 
terre  pontificie,  ridotte  a  quartieri  degli  Spagnuoli  del  Pe- 
scara; pronto  il  de  Leva  a  marciar  colle  sue  genti  contro 

(1)  Strana  cosa  pare  ad  ognuno,  che  '1  papa  non  habbia  voluto 
aspettar  la  Maestà  Cesarea  in  Ispagna,  perchè  troppo  indugiava.  Il 
che  la  parte  gallica  ha  per  buon  segno,  et  spera  che  questo  ponte- 
fice non  debba  esser  partiale.  Girolamo  Negro  a  Marcantonio  Mi- 
cheli. Roma  15  ag.  1522.  Ruscelli,  Lettere  di  principi  t.  1,  pag.  90. 

(2)  Burmann,  Analecta  bistorica  de  Hadriano  sexto,  opera  citata, 
P.  117. 

.  (3)  Non  cesso  de  scriver  ad  V.  M.  poi  che  l'animo  mio  sta  in  la 
magior  suspensione  che  maj  fusse,  vedendomi  una  tanta  necessità 
de  star  in  otio  con  questo  exercito..!  essendo  sopravenute  le  sa- 
pientissime lettere  di  V.  M.  de  6  de  luglio,  le  quali  chiaramente  di- 
cono che  no  altrimenti  se  debiano  passar  li  monti  che  bavuta  tìr- 
meza  de  le  cose  dei  Veneziani  e  Svizzeri  (finché  i  primi  non  si  risol- 
vessero all'  accordo  con  Cesare).  Prospero  Colonna  all'  imperatore. 
Pavia  1  agosto  1522.  Correspondeneia  de  Carlos  V,  raccolta  dal  cro- 
nista Luigi  di  Salazar  y  Castro:  Biblioteca  de  la  Academia  tfHisto* 
ria  de  Madrid.  A.  25>  msc. 


—  148  — 

chiunque  rifiutasse  pagare  (1);  non  villaggio,  non  casa  pri- 
vata dove  i  vincitori  non  recassero  guasti,  ferite  e  veleno 
agli  affetti  domestici.  Mi  sarebbe  caro  assai  di  vedere  vostra 
maestà,  scriveva  Adriano;  ma  sì  calda  è  la  stagione  che  se 
veniste  a  gran  passo,  vi  farebbe  male,  e  se  altrimenti,  dovrei 
io  differire  di  molto  F  andata  a  Roma,  ciocché  tornerebbe  in 
gran  danno  dei  nostri  comuni  affari  e  della  cristianità  (2). 
I  dispacci  che  ricevo  da  Roma,  da  Genova,  da  ogni  parie 
d'Italia,  affermanti  che  le  cose  tutte  vanno  in  rovina  e  che  non 
è  possibile  rimediarvi  senza  la  mia  presenza,  mi  spaventano 
talmente  che  non  ho  cuore  d' indugiare  piii  oltre  (3).  Sciolte 
pertanto  le  vele  da  Tarracona  il  di  7  agosto  1522  e  fatta 
scala  a  Genova,  dove  disse  messa  e  racconsolò  alquanto 
quella  povera  città  del  sacco  e  de*  danni  ricevuti  (4),  poi  a 
Livorno,  a  Civitavecchia  e  ad  Ostia,  il  vigesimonono  giorno 
di  quel  mese  entrò  a  Roma,  e  nel  di  seguente  fu  coronato 
pontefice  collo  stesso  nome  di  Adriano  VI  (5). 

Come  il  nome,  cosi  serbò  i  costumi  prischi  :  nella  so- 
lennità dell'ingresso  non  volle  le  burbanze  e  lo  spendio  che 
si  soleva;  un  arco  di  trionfo  fece  sospendere  dicendo:  léson 
cose  da  gentili,  e  non  da  cristiani  e  religiosi;  richiesto  di 
prendere  dei  servi  rispose  voler  prima  sdebitare  la  Chiesa; 
e  udendo  che  Leone  X  teneva  cento  palafrenieri,  si  fece  la 

(1)  Lo  abbiamo  da  una  lettera  del  duca  di  Sessa  all'imperatore. 
Roma  17  die.  1522,  nel  margine  della  quale  sta  scritto  di  mano  del 
cancelliere  imperiale:  esto  parecera  muy  mal:  y  no  se  devrian  at- 
temptar  tales  cosas  sin  consulta  de  S.  M.  haviendo  tantas  vezes  e** 
crito  que  no  se  usasse  de  tal  rigor.  Ibidem  msc. 

(2)  Tarragona  27  luglio  1522.  Lana  Correspondenz  des  kaisers 
Karl  V.t.  !,pag.63. 

(3)  Tarragona  5  ag.  1522.  Gachard  Correspondance  de  Char- 
les-Quint  et  d' Adrien  VI,  pag.  105. 

(4|  Girolamo  Negro  a  Marcantonio  Micheli,  Roma  15  ag.  1522. 
Ruscelli,  Lettere  di  principi  t.  1,  pag.  91. 

(5)  Lettera  del  medesimo,  1  sett.  1522.  Ibidem  pag.  92. 


—  149  — 

croce,  e  disse  che  quattro  basterebbero,  ma  che  fino  a  dodici 
ne  terrebbe,  per  superare  il  numero  di  quelli  che  tengono  i 
cardinali,  poi  che  così  bisognava  fare  (i). 

Qual  divario  tra  lui,  giusto,  pio,  operoso,  serio,  mode- 
sto, vero  sacerdote,  e  gli  uomini  abituati  con  Giulio  II  e  con 
Leone  X  !  Ben  era  naturai  cosa  che  diffidasse  dei  più  come 
corrotti;  ma  con  ciò  appunto,  estraneo  essendo  agl'interessi 
temporali  e  santamente  ignorante  de'  garbugli  politici,  ridu- 
cevasi  alla  necessità  di  mettere  il  capo  in  grembo  ai  pochi 
cui  credeva  (2).  Di  Giulio  de'  Medici,  stato  principale  agente 
del  passato  pontefice,  rifuggi  lungo  tempo  i  consigli  (3), 
quasi  per  ragione  de'  contrarii  rivolgendo  ogni  favore  al  car- 
dinale di  Volterra  Francesco  Soderini,  e  gli  affari  tutti  di 
stato  trattava  in  gran  segreto  con  Guglielmo  Enkefort  data- 
rio e  Federico  Enzio  suo  segretario,  ambidue  fiamminghi, 
al  par  di  lui  inesperti  del  governare  romanamente,  ai  quali 
aggiunse  l'auditore  di  camera  e  Giovanni  Rufo  vescovo  di 
Cosenza  (i). 

(1)  Ibidem. 

(2)  Naturalmente  cs  irresoluto  y  piensa  que  todos  le  enganan, 
y  porque  ignora  todo  lo  de  aca  y  ahun  lo  de  alla  y  oye  de  buena 
voluntad  a  sus  contrarios  y  por  esto  tengo  mala  esperanca  de  lo 
que  ha  de  hazer  por  V.  Ma.  D.  Juan  Manuel  al  rey.  Roma  8  ott. 
1522,  I.  e.  Biblioteca  de  la  Academia  d Historia  de  Madrid  A. 
26  msc. 

(3)  El  papa  por  fuer^a  se  ha  de  inclinar  a  alguno  y  temo  que 
no  sea  Medicis  ahunque  le  quiere  bien,  pero  corno  està  mal  con 
aTgunas  cosas  de  las  que  papa  Leon  hazia  y  que  este  le  governaba 
creo  que  no  se  fiara  del.  />.  Lope  Hurtado  al  rey  Zaragoza  12  giù. 
1522  Ibidem  A.  24  msc. 

(4)  El  duque  de  Sesa  al  rey.  Marino  21  nov.  1522.  Proponeva 
l'ambasciatore  imperiale  che  air  Enkefort  si  desse  il  vescovato  di 
Tortosa,  e  lo  ebbe  poco  dopo.  Dell'  auditore  della  camera  diceva 
fio  anda  nada  drecho,  ch'era  di  Siena  e  teneva  un  vescovato  d'In- 
ghilterra. II  vescovo  di  Cosenza  mostravasi  invece  buon  servitore 
di  S.  M.  Ibidem  A.  26  msc. 


—  dBO- 
Sollecito  innanzi  a  tutto  di  ristabilire  la  quiete  negli 
stati  della  Chiesa,  mandò  a  scacciare  da  Rimini  Sigismondo 
Malatesta;  ma  i  duchi  d'Urbino  e  di  Ferrara  assolse  e  ripri- 
stinò, per  rispetto  al  voto  de'  loro  sudditi,  non  già  alle  in- 
stanze di  Cesare.  Che  anzi  della  restituzione  di  Modena  e 
Reggio,  più  volte  richiesta  allo  scopo  di  rimuovere  ri  duca  di 
Ferrara  dall'amicizia  di  Francia  (4),  non  volle  mai  compia- 
cerlo (2);  e  quando  seppe  che  ciononostante  andava  Giro- 
lamo Adorno  in  nome  dell'imperatore  per  conchiudere  a 
quel  patto  un  trattato  segreto  col  duca  medesimo  (3),  se  ne 
dolse  gravemente,  alle  ragioni  imperiali  (4)  contrapponendo 
i  titoli  derivanti  dalle  donazioni  di  Pipino  e  di  Carloma- 
gno  (5).  Delle  quali  è  memoranda  la  stima  che  faceva  Cario 
V.  Prevalersi  dei  titoli  del  tempo  di  Carlomagno,  scrisse  al- 
l' ambasciatore  suo  a  Roma,  farmi  cosa  che  non  istà  bene, 
perchè  giusta  l'accordo  fatto  con  papa  Leone,  avanti  di 
prendere  notizia  di  questi  titoli  e  rf  invocare  i  diritti  della 
Chiesa,  sarebbe  necessario  di  restituire  il  possesso  all'impero. 
Che  se  noi  cominciassimo  a  discutere  i  titoli  antichi  della 


(1)  Charles  -  Quint  à  Adrien  VI,  Valladolid  27  sett.  1522.  Ga- 
ehardop.  cit.  pag.  121. 

(2)  En  lo  de  la  restitution  de  Modena  y  Retzo  que  no  bay  que 
pensar  porque  son  teras  de  la  Yglesia . . .  y  que  Placentia  y  Par- 
ma no  valdrian  nada  sin  ellas  Et  duque  de  Sesa  al  rey  Marino 
31  ott.  1522  1.  e.  Biblioteca  de  la  Academia  d1  Historia  de  Madrid. 
A.  26  rase. 

(3)  29  novembre  1522.  Dichiaravasi  il  duca  Alfonso  vassallo 
dell'imperatore,  il  quale  prometteva  di  fargli  restituire  Modena  e 
Reggio  versola  somma  di  150000  ducati.  Précis  de  la  correspon- 
dance  de  Charles  -  Quint,  ec.  msc.  Arch.  du  royaume  belg. 

(4)  Che  Modena  era  stata  solamente  impegnata  alla  santa  se- 
de da  Massimiliano  imperatore  per  la  somma  di  40000  ducaU. 
Charles- Quint  à  Adrien  VI.  IO  gen.  1522.  Gachard  I.  e.  p.  146. 

(5)  Adrien  à  Charles  -  Quint,  31  ott.  e  22  nov.  1822.  Ibidem 
p.  130  e  137. 


—  «1  — 

chiesa  e  del?  impero,  ne  verrebbero  conseguenze  piU  gravi 
assai;  sicché  non  sembra  giovevole  né  alla  chiesa  né  alla  cri- 
stianità che  si  sollevi  discussione  di  tal  fatta  in  questo  mo- 
mento (i). 

Né  meglio  soddisfece  Adriano  alle  altre  instanze  del- 
l'imperatore. Le  grazie  concesse  da  papa  Leone,  di  riscuo- 
tere il  danaro  delle  indulgenze  per  la  cosi  detta  crociata,  e 
la  quarta  parte  delle  rendite  de'  beneflzii  ecclesiastici  in 
Ispagna,  non  confermò  che  per  un  anno  (2);  stette  fermo  in 
pretendere  il  terzo  del  prodotto  della  bolla  per  la  fabbrica 
di  s.  Pietro  e  di  s.  Paolo  (3);  l'ambasciatore  imperiale  don 
Giovanni  Manuel,  accusato  di  aver  promessa  la  tiara  ponti- 
ficia al  cardinale  Farnese  per  la  somma  di  centomila  ducati, 
poi  degli  ostacoli  frapposti  allo  sgombro  di  Parma  e  Piacen- 
za e  finalmente  della  cattura  del  cardinale  d' Àucb,  inviato 
dal  re  di  Francia  a  Roma,  rimandò  scomunicato  (4);  i  ribelli 
delia  Gastiglia  esclusi  dal  perdono  e  rifugiati  a  Roma  non 
volle  consegnare  (5),  riè  permise  che  il  vescovo  di  Zamora, 
Antonio  de  Acugna,  fosse  sottoposto  alla  tortura  (6);  a  Pro- 
li) L'empereur  au  due  de  Sessa  12  avr.  1523,  Ibidem  pagi- 
na 183. 

(2)  Qoiqu'elles  ne  soient  que  pour  une  annèe,  et  qu'il  les 
espèràt  pour  trois  ans  L'empereur  au  due  de  Sessa,  10  juin  1523. 
Ibidem  pag.  190. 

(3)  Io  vece  dei  soli  20000  ducati  riservati  alla  camera  apo- 
stolica da  Leone  X,  il  quale  poi,  rivocando  Y  anteriore  sua  di- 
chiarazione, aveva  con  breve  del  14  sett.  1521  attribuito  agli  stessi 
esattori  il  prodotto  della  bolla  con  Y  obbligo  di  pagare  100,000 scu- 
di ali*  imperatore.  Ibidem  pag.  48,  51,  189,  259. 

(4)  Ibidem  pag.  135,  140,  141,  153-  156.  Don  Giovanni  Ema- 
nuel si  partì  mezo  disperato.  Girolamo  Negro  a  Marcantonio  Micheli, 
IO  die.  1522.  Ruscelli,  Lettere  di  principi  t.  1,  p.  93. 

(5)  Gachard  op.  cit.  pag.  169.  Non  restò  all'imperatore  che 
raccomandare  al  duca  di  Sessa  di  attirarli  destramente  fuori  di  Ro- 
ma per  poi  prenderli  e  mandarli  a  Napoli.  Ibidem  pag.  170,  189. 

(6)  Ibidem  pag.  171. 


—  452  — 

spero  Colonna,  impadronitosi  d'un  luogo  del  Piacentino  re- 
putato feudo  dell'impero,  minacciò  i  fulmini  del  Vatica- 
no (i);  de9 ministri  di  Cesare  si  dolse  più  volte  con  acerbe 
parole  (2),  e  a  Cesare  medesimo,  instancabile  nel  domandar 
grazie  sopra  grazie  a  sollievo  delle  continue  distrette,  scrìs- 
se una  lettera  cosi  cruda  e  piccante,  cbe  quegli  si  astenne 
dal  rispondervi  di  sua  mano  per  non  lasciarsi  andare  ad  e- 
spressioni  che  ne  accrescessero  lo  sdegno  (3).  I  quali  porta- 
menti inverso  di  un  principe,  che  pur  prediligeva  come  fi- 
glio, movevano  dal  santo  proposito  di  tener  uguale  la  bilan- 
cia nelle  pratiche  introdotte  per  ristabilire  la  pace,  tanto  ne- 
cessaria alla  cristianità  pericolante  tra  le  armi  dei  Turchi  e 
lo  scisma  di  Lutero. 

VII.  Solimano  II,  soprannominalo  il  Grande  perchè 
seppe  disciplinare  gì9  istinti  propri  e  della  sua  gente  senza 
spegnerli,  e  alla  passione  d'invadere  congiunse  il  genio  del 
dominare  e  l'amore  delle  lettere,  aveva  incominciato  il  suo 
regno  col  portare  un  esercito  immenso  e  trentatremila  ca- 
melli di  munizioni  e  di  viveri  contro  l'Ungheria.  Caduta 
Belgrado,  parve  dovesse  piombare  subito  addosso  alla  Ger- 
mania; ma  per  allora  egli  sospese  il  colpo  onde  assalire  con 
trecento  vele  e  centomila  uomini  di  sbarco  l'isola  di  Rodi,  a 
lui  sommamente  importante  per  tener  aperta  la  comunica- 
zione colPEgitto  (28  luglio  d522).  I  cavalieri  di  san  Giovanni 
che  vi  tenevano  stanza  sotto  Villiers  de  l'Ile- Adam  gran 
maestro  si  difesero  intrepidamente,  di  modo  che  Gabriele. 
Martinengo,  valoroso  ingegnere  bresciano  accorso  di  Candia 
a  prestar  l'opera  sua,  potè  scrivere  a  Domenico  Venier:  non 
sono  i  Turchi  quegli  uomini  di  guerra  che  si  credono;  e  se 
per  tutto  settembre  ed  anche  per  tutto  ottobre  fossero  venuti 

(1)  Ibidem,  pag.  175. 

(2)  Ibidem,  pag.  170. 

(3)  L'empereur  au  due  de  Sessa,  15  avr.  1522.  Ibidem  pag. 
182-183. 


—  i»5  — 

pur  mille  uomini  di  soccorso,  mai  Rodi  non  si  perdeva  (4). 
Addimostranlo  i  sanguinosi  assalti  ributtati,  la  resistenza  ti- 
rata innanzi  molti  mesi  con  grandissima  uccisione  degP  in- 
fedeli, e  la  capitolazione  non  firmata  che  il  di  20  dicem- 
bre 1522,  quando,  atterrate  le  mura,  erano  già  passate  al  di 
dentro  le  trincee,  consumate  le  munizioni,  svanita  ogni  spe- 
ranza di  aiuto.  Partiti  che  furono  i  cavalieri  della  città,  So- 
limano, in  maggior  dispregio  della  cristiana  religione,  vi  fe- 
ce la  entrata  sua  il  giorno  della  natività  del  Figliuolo  d'Id- 
dio: ecco  jl  frutto  delle  discordie  de'  principi,  che  papa 
Adriano, per  diligenze  che  usasse,  non  valse  ad  impedire^); 
frutto  tollerabile  e  direi  quasi  salutevole,  se  almeno  P  esem- 
pio del  danno  passato  avesse  dato  documento  per  il  tempo 
futuro. 

Continuarono  invece  i  principi  a  straziarsi  fra  loro,  pre- 
potendo in  ognuno  o  la  famelica  rabbia  o  la  politica  trasan- 
data dall'antica  fede  che  sin  del  flagello  turchesco  faceva 
strumento  a' suoi  fini. 

Per  somiglianti  ragioni  crescevano  in  baldanza  anche 
i  proseliti  di  Lutero.  Non  è  ancora  asciutto  ^inchiostro  della 
sottoscrizione  di  Cesare  air  editto  di  Worms,  scriveva  il  car- 
dinale de'  Medici  all'  Meandro,  e  già  quelli  su  gli  occhi  suoi 
ardiscono  vilipenderlo  (3).  Ulrico  de  Hùtten  in  una  lunga  in- 
vettiva contro  P  Aleandro  medesimo  non  si  peritò  di  chieder- 
gli :  se  credesse  da  senno  con  un  solo  editto  estorto  ad  un  gio- 


ii) Marin  Sanuto  t.  XXXIII. 

(2)  In  aiuto  di  Rodi  fece  fabbricare  in  Genova  alcune  navi;  ma 
una  insolita  contrarietà  di  venti  ne  vietò  sempre  il  cammino.  La- 
onde fanno  maggior  dispetto  in  bocca  dell'ambasciatore  imperiale 
don  Giovanni  Manuel  le  seguenti  parole  :  el  socorso  del  papa  pa- 
ra Rodos  es  corno  todas  las  otras  sus  cosas  gue  ha  dos  meses  que 
se  negocia  y  hasta  oy  no  hay  nada  hecho.  Roma  8  ott.  1522.  Bi- 
blioteca de  la  Academìa  a"  Historia  de  Madrid  msc. 

(3)  Pallavicino,  Historia  de)  concilio  di  Trento,  part.  1,  pag.  187. 


—  454  — 

vane  principe  di  opprimere  la  religione  e  la  libertà,  quasi 
un  comandamento  imperiate  potesse  qualcosa  contro  la  im- 
mutabile parola  di  Dio,  né  fosse  invece  da  sperare  che  Cesa- 
re si  volgesse  col  tempo  ad  altri  pensieri  (4);  e  Melandone, 
pigliando  le  difese  dell'amico  suo  condannato  dalla  Sorbona, 
a  quel  giudizio  sino  allora  creduto  inappellabile  rimandò 
P  accusa  di  eresia  (2).  Ben  tosto  due  parrochi  dei  contorni 
di  Wittemberg  dichiararonsi  sciolti  dall' obbligo  del  celibato 
e  tredici  Agostiniani  di  quella  città  disertarono  la  vita  clau- 
strale, chiedendo  oltracciò  l'abolizione  del  sacramento  del- 
TaHare  (3).  Portata  la  cosa  in  capitolo  fu  preso  il  partito  di 
lasciar  libera  a  ciascuno  l' uscita  dal  conventò,  purché  non 
ne  abusasse  per  voglie  carnali,  e  di  tor  via  unicamente  le 
messe  votive  (4).  Quanto  al  sacrifizio  in  generale  anche  l'U- 
niversità non  volle  sancire  le  innovazioni  approvate  da  Car- 
lostadio,  Melandone,  Giona  ed  altri  loro  simili  ;  onde  V  elet- 
tore di  Sassonia,  da  tanta  discordia  di  opinioni  in  una  sola 
città  argomentarido  a  quella  del  mondo,  fece  deliberazione 
che  si  leggesse,  si  disputasse,  si  predicasse,  ma  intanto  ri- 
manesse fermo  il  culto  antico  (5).  Però  indarno  proibisce  il 
male  chi  non  ha  in  suo  potere  il  rimedio.  Carlostadio,  pro- 
fessando sulla  presenza  di  Cristo  nella  eucarestia  idee  dis- 
sonanti dal  maestro,  sin  dal  Natale  del  4524  sostituì  alla  mes- 
sa la  cena  sotto  ambe  le  specie  e  senza  confessione,  e  da 
quel  giorno  in  poi  folleggiò  sempre  più  dietro  ai  sogni  dei 

(i)  Invectiva  in  Aleandruro, Ulrichi  Hutteni  Opera  t.4pag.  240. 

\2)  Adversus  furiosum  Parisiensium  theologastrorum  decre- 
timi Phil.  Melanclìtlionis  prò  Lulhero  apologia.  BreUchneider  Cor- 
pus Reformatorum  1. 1  pag.  398. 

(3)  Li  frati  heremilani  di  S.  Augustino  hanno  trovato  e  provato 
per  le  st.  scripture  che  le  messe  secondo  che  se  usano  adesso  si  è 
gran  peccato  a  dirle  o  a  odirle.  Mann  Sanuto  t.  XXXII. 

(i)  Decreta  Augustinianorum  Corpus  Reform.  t.  1,  p.  456. 

(5)  Instruzione dell'elettore.  Lochau  19  die.  1521  ./fc'etonpag.  £07. 


—  in- 
segnaci di  Nicolò  Storcb,  i  quali  da  Zwickau  rifuggiti  a  Wit- 
temberg,  non  paghi  di  rigettare  il  battesimo  degli  infanti, 
predicavano  l' Evangelo  essere  unica  base  della  religione, 
della  morale,  del  diritto,  e  la  inspirazione  individuale  regola 
suprema  della  sua  interpretazione.  Fu  visto  allora  Carlosta- 
dio  rinnovare  le  devastazioni  degl'Iconoclasti  ;  esortare  dalla 
cattedra  a  smettere  gli  sttxlii  per  non  attendere  che  a  lavori 
meccanici;  andar  attorno  in  abiti  grossolani  a  interrogare 
gli  artigiani  e  le  donne  su)  senso  di  alcuni  passi  oscuri 
della  santa  scrittura,  dicendo  che  Dio  nascondeva  ai  sa- 
pienti i  profondi  misteri  della  sua  dottrina  e  li  rivelava  ai 
volgari. 

Stava  la  riforma  tedesca  por  perdersi,  come  quella  de- 
gli Ussiti,  nell'abisso  del  fanatismo.  Se  ne  spaventò  Lutero, 
e  la  pena  che  io  soffro  mi  dà  rimagine  dello  inferno,  scrive- 
va a  Melanctone  annunciandogli  il  proponimento  di  uscire 
dal  suo  nascondiglio  (1).  Indarno  l'elettore  di  Sassonia  gli 
pose  innanzi  i  rischi  che  ad  amendue  sarebbero  sovrastati. 
Voglio  venire,  replicò:  gli  affari  di  Dio  non  si  debbono  pon- 
derare con  ragioni  umane  ;  muovemi  un  Signore  che  non 
ha  potenza  sopra  il  corpo  solamente,  ma  sopra  V  anima  : 
vostra  Altezza  sente  così  perchè  è  ancor  debole  nella  fede  ;  io 
non  ho  bisogno  del  suo  aiuto;  posso  darne  assai  più  che  ri- 
ceverne; a  svellere  la  zizzania  sparsa  dal  demonio  richieder 
si  la  mia  presenza  (2).  E  vi  andò  senz'  attendere  nuova  ri- 
sposta. 

Nel  ritiro  di  Wartburg,  ch'egli  chiama  il  suo  Patmos, 
follie  e  sozzure  erano  tornate  ad  ingombrargli  la  immagina- 
zione. I  pungoli  della  carne,  cosi  leggiamo  in  una  delle  sue 
lettere,  mi  bruciano  per  modo  che  non  so  più  né  pregare  né 
gemere;  accidia,  sonno,  libidine  muovonmi  guerra  incessan- 
ti 13  genn.  1521,  de  frette  Luthersbriefe  t.  2  pag.  125. 
p)  5  marzo  1522.  Ibidem  t.  2,  pag.  137. 


—  466  — 

te  (i).  Là  cercò  nondimeno  di  dar  assetto  alla  proprie  idee, 
preparando  il  simbolo  della  nuova  dottrina.  11  perchè  redu- 
ce a  Wittemberg  infuriò  contro  i  discepoli  disubbidienti  che 
pretendevano  per  sé  quella  franchigia  di  opinioni  di  cui  egli 
stesso  si  era  valso  per  attaccare  il  cattolicismo.  Qui  giova  ci- 
tare alcune  delie  sdegnose  parole:  Satana,  me  assente,  è  ve- 
nuto a  visitarvi,  e  vi  ha  spedito  suoi  profeti:  conosce  con  chi 
ha  a  fare;  e  voi  avreste  dovuto  sapere  che  unicamente  a  me 
stava  bene  dare  ascolto.  A  Dio  piacendo  il  dottor  Martino  fu 
il  primo  a  camminare  nella  novella  via;  gli  altri  vennero 
dopo,  e  loro  spetta  obbedire;  a  me  fu  rivelato  il  Verbo,  il 
qual  esce  da  questa  mia  bocca  pura  da  ogni  contaminazio- 
ne. Io  conosco  Satana,  e  so  che  sempre  veglia  in  questi  giorni 
di  trambusto  e  desolazione;  appresi  a  lottare  con  lui,  è  noi 
temo;  f ecigli  più  (T  una  ferità  di  cui  gli  sovverrà  lunga  pez- 
za. Orsù  che  cosa  significano  queste  novità  assaggiate  men- 
tf  io  mi  stava  discosto  ?  Era  io  sì  lunge  da  non  potermi  ve- 
nire a  consultare  ?  non  son  io  più  il  principio  della  parola 
pura  ?  io  la  predicai,  io  la  stampai,  e  recai  più  danno  al 
papa  dormendo,  o  tracannando  birra  che  non  tutti  i  principi 
e  imperatori  uniti.  E  voi  volete  fondare  un'  altra  chiesa  ?  su 
via  l  chi  vi  manda  ?  chi  v'  investì  d\un  tanto  ministero  ?  Sic- 
come a  rendere  testimonianza  di  voi,  siete  voi  stessi,  non 
dobbiam  credervi  alla  cieca,  ma,  secondo  il  consiglio  di  s. 
Giovanni,  diligentemente  assaggiarvi.  Dio  mai  non  inviò 
persona  al  mondo,  nemmanco  il  Figlio  suo,  la  qual  non  fosse 
annunziata  da  segni;  i  profeti  tiravano  il  loro  diritto  dalla 
legge  e  dall'  ordine,  a  cui  appartenevano  ;  voi,  che  unica- 
mente vi  fate  forti  di  una  rivelazione  interiore,  io  vi  respin- 
go; chi  viene  a  mutare  la  legge  deve  fare  miracoli;  dove 
sono  i  vostri  miracoli  ?  ciò  che  gli  Ebrei  dicevano  al  Signore 
noi  ve  lo  ripetiamo  :  e  Maestro  brameremo  vederti  operare 


(0 


A  Spalatiti  15  ag.  1521.  Ibidem  pag.  43. 


—  457  — 

un  miracolo  >  (4).  Certo  che  i  seguaci  dello  Stordì  pote- 
vano rimandare  all'interrogatore  la  sua  propria  argomen- 
tazione, la  sua  stessa  dimanda;  ma  noi  fecero,  e  proffer- 
tisi  invece  a  dar  prova  della  loro  missione  divina  coir  in- 
tuire ciò  ch'egli  in  quel  momento  pensava,  dissero,  es- 
sere V  anima  sua  inclinata  ad  essi.  Lutero  confessò  più 
lardi  che  avevano  dato  nel  segno,  ma  allora  si  cavò  d'in- 
paccio  rispondendo  ch'erano  diavoli  incarnati  (2).  E  vera- 
mente le  loro  innovazioni  non  riprovò,  perchè  cosi  sentite 
da  lui  e  conseguenze  de'  suoi  insegnamenti  ;  né  meno  volle 
approvare,  perchè  non  dichiarate  da  lui  che  ambiva  la  gloria 
di  sostituire  alla  podestà  abbattuta  della  Chiesa  la  propria. 
Si  limitò  dunque  a  biasimare  la  forma  turbolenta  e  intem- 
pestiva di  eseguirle  (3),  il  che  portò  per  effetto  che  anche 
altrove  preti  mal  vissuti  e  frati  involontarii  cogliessero  il  de- 
stro di  rompere  la  disciplina,  della  riforma  non  si  curando 
se  non  in  quanto  li  scioglieva  da  penosi  doveri,  e  dava  de- 
nari e  moglie. 

Ripristinata  per  tal  modo  la  subordinazione  a  Wittem- 
berg,  corse  ad  Orlemond  ove  stava  Carlostadio  per  iscacciar 
re  questo  Satana,  e  Carlostadio  gli  fece  gettar  sassi  e  fango 
dal  popolaccio,  poi  andò  a  trovarlo  all'  osteria  dell'  orso  nero, 
e  in  questo  primo  concilio  i  nuovi  apostoli  si  dissero  ingiu- 
rie a  gola.  Lutero  esibì  all'avversario  un  fiorino  acciocché 
scrivesse  contro  la  sua  opinione;  e  quegli  accettò,  e  fecero 
portare  da  bere  alla  salute  uno  dell'altro;  ma  il  loro  conge- 
do fu:  possa  io  vederti  sulla  ruota  —  e  tu  possa  fiaccarti  il 
collo  prima  d'uscire  dalla  città. 

Rimanevagli  tuttavia  fido  compagno  e  operoso  il  Me- 


li) Sieben  Predigten  D.  M.  L.  Luthers  PVerke  ediz.  Altenburg 
t.2pag.  99. 

<2)  Cameratius  Vita  Melanchtbonis  cap.  XV. 
(3)  L.  Ranke  Deutsche  Ge&chichfet.  2,  pfcg.25. 


—  458  — 

lanctone.  A  lui  deve  il  primo  manuale  di  teologia  conforme 
alle  nuove  dottrine  divulgato  per  tutta  Europa  (4);  a  lui  in 
gran  parte  anche  l'opera  sua  principale,  la  versione  della 
Bibbia,  che,  incominciata  ,a  Wartburg  (2),  condusse  a  com- 
pimento e  pubblicò  nel  settembre  del  4522,  dove,  sebbene 
scarso  cT  ebraico,  attinse  dal  proprio  entusiasmo  inspirazioni 
per  ripetere  le  originali  e  con  sublime  semplicità  riprodurne 
la  lirica  grandezza. 

Questi  fatti  colmarono  di  afflizione  il  venerando  ponte- 
fice. Convinto  delle  verità  rivelate,  non  poteva  supporre 
buona  fede  ne5  novatori.  Mentr'era  ancora  in  Ispagna  e  Lu- 
tero recavasi  con  salvocondotto  a  Worms,  aveva  esortato 
l'imperatore  a  badar  bene  non  si  sospettasse  di  sua  fe- 
de: se  mai  fosse  impedito  per  qualsivoglia  ragione  di  pu- 
nire egli  stesso  quel  malvagio  e  pestifero  uomo,  mandas- 
selo  almeno  al  suo  giudice,  il  papa,  che  lo  punirebbe  se- 
condo giustizia  (3).  Nel  tempo  stesso,  e  appunto  per  que- 
sto zelo  di  religione,  deplorava  Adriano  le  ambizioni  tempo- 
rali di  Roma  e  gli  abusi  della  sua  corte,  né  ci  voleva  meno 
a  fargli  accettare  la  tiara  che  il  santo  proposito  di  ritornare 
la  contaminata  sposa  di  Cristo  alla  purità  del  suo  comincia- 
mento.  Al  qual  proposito  corrispose  il  discorso  recitatogli 
all'entrata  in  Roma  da  Bernardo  Carvajal,  cardinale  di  santa 
Croce;  da  quel  desso  che  lo  informò  delle  pratiche  del  con- 
clave, e  poi  colla  consueta  cortigianeria  diede  merito  a  Car- 
lo Y  della  sua  elezione  (4).  In  esso  discorso  leggonsi  i  se- 
guenti ricordi:  eliminasse  le  arti  antiche,  che  sono  simonia, 

(1)  Hardt  Hist.  «ter.  reform.  t.  IV. 

(2)  Lutero  ad  Amsdorf.  de  frette  Luthersbriefe  t.  2  p.  123,  e 
ad  Hartmuth  di  Cronberg,  marzo  15*22.  Ulrichi  Hutteni  Opera  t.  2, 
pag.  114. 

(3)  Tordesilla  9  apr.  1521.  Gachard  1.  e.  pag.  245. 

(4)  Su  bondad  y  religion  y  doctrina  haze  grande  honrra  y 
gloria  a  V.  C.  Ma.  que  de  tal  emperador  no  puede  venir  otro  Pa- 


—  459  — 

ignoranza,  tirannide  e  gli  altri  peccati;  aderisse  a  buoni 
consiglieri;  reprimesse  la  libertà  de' governatori  ;  riformas- 
se la  Chiesa  sicché  più  non  paja  una  congrega  di  peccatori; 
i  cardinali  e  gli  altri  ecclesiastici  amasse  d' amore  reale,  esal- 
tando i  buoni,  e  provvedendo  ai  bisognosi  perchè  non  s' avvi- 
liscano; amministrasse  la  giustizia  senza  divario;  sostentas- 
se i  fedeli  e  i  monasteri  nelle  loro  necessità;  facesse  guerra 
ai  Turchi;  e  compisse  la  basilica  di  s.  Pietro  (4). 

Tutto  questo  e  ancor  più  voleva  fare  Adriano.  Ma  la 
luce  de'  suoi  intendimenti  rivelò  la  profondità  della  corru- 
zione. Nou  già  che  mancassero  prelati  a  Roma  di  grande 
virtù  e  consenzienti  nella  necessità  di  una  riformazione.  Ol- 
tre alle  lettere  del  Sadoleto,  altrove  ricordate,  abbiamo  una 
scrittura  altamente  pregevole  che  il  cardinale  Egidio  da  Vi- 
terbo diresse  al  papa  sulle  guise  di  effettuarla.  La  deprava- 
zione, diceva  l'egregio  frate,  s'insinuò  dacché  la  facoltà  di 
sciogliere  e  legare  fu  adoperata  più  a  vantaggio  degli  uomi- 
ni che  a  gloria  di  Dio.  Convien  dunque  limitarla,  consideran- 
dola come  uno  de'  principali  uffizi  del  pontefice;  escludere  le 
aspettative  de'  benefizi,  che  fanno  desiderare  la  morte,  quan- 
d'anche non  la  procurino;  evitare  quell'avaro  e  ambizioso  ac- 
cumulamento di  benefizi;  reprimere  l'ambizione  dei  monaci, 
che  sotto  la  giurisdizione  de'  loro  conventi  tengono  infinite 
parrocchie,  affidandole  a  preti  amovibili  e  mal  provveduti.  La 
turpe  vendita  di  cose  sacre  ammantata  col  titolo  di  compo- 
sizioni repugna  a'  canoni,  mette  invidia  a'  principi,  e  dà  ansa 
agli  eretici;  sicché  dovrebbe  restringersi  l'uffizio  del  datario, 
che  smugne  il  sangue  dei  poveri  come  dei  ricchi.  Né  le  riserve 
de'  benefizi  sono  oneste.  Prima  di  conceder  le  grazie,  si  fac- 
ciano da  persone  savie,  esaminare  secondo  la  giustizia  e  l'e- 


pa y  otra  Com pania.  Roma  13  sett.  1522.  Biblioteca  de  la  Acade- 
mia  d' /Ustoria  de  Madrid  1.  e.  A.  26  msc. 

(1)  Cesare  Cantù,  Storia  degli  Italiani,  Torino  1856 1.  5  pag.  530. 


—  460  — 

quità;  e  cosi  prima  di  proraovere  a  benefizj  vacanti.  A  tutti 
poi  gli  ufflzj  si  scelgano  quei  che  più  buoni  sono,  abili  e  fe- 
deli, e  si  diano  uomini  alle  dignità  e  alle  amministrazioni, 
non  queste  ad  uomini  ;  le  concessioni,  gì*  indulti,  i  concordati 
con  principi  si  rivedano  esattamente,  acciocché  questi  non 
ne  abusino  verso  secolari  e  verso  ecclesiastici.  Indecoroso  e 
imprudente  fu  poi  il  modo  di  maneggiar  le  indulgenze  ;  sic- 
ché voglionsi  richiamare  le  commissioni  date  ai  Minori  Os- 
servanti, per  le  quali  riesce  svilita  l'autorità  vescovile.  Nes- 
suna cura  paia  soverchia  nell' amministrare  la  giustizia;  un 
cardinale  perspicace  e  savio  riveda  le  suppliche  sporte  al  pa- 
pa; scelgansi  con  somma  diligenza  gli  auditori  di  Rota,  man 
destra  del  pontefice,  ed  abbiano  un  soldo  fisso,  anziché  im- 
pinguar colle  sportule,  le  quali  sono  cresciute  a  segno,  che 
le  cariche  vendute  un  tempo  a  cinquecento  ducati  l'anno, 
or  si  comperano  a  più  di  duemila;  come  quelle  degli  audito- 
ri di  Camera  pagansi  trentamila  ducati,  mentre  dianzi  vata- 
tavansi  quattromila.  I  debiti  onde  Leone  X  gravò  la  sede 
col  creare  tanti  nuovi  ufflzj,  che  consumano  ogni  anno  cen- 
trentamila  ducati  delle  rendite  della  Chiesa,  si  cercasse  redi- 
mere, e  se  ne  esaminassero  attentamente  i  titoli  :  non  si  sur- 
rogassero i  vacanti,  e  gì'  investiti  medesimi  si  compensasse- 
ro con  altri  benefizj  (1). 

Ma  che  può  il  buon  volere  di  pochi  in  lotta  con  mali 
profondamente  radicati  nelle  abitudini  e  negli  interessi  ma- 
teriali dei  più?  Voleva  Adriano  levare  gli  abusi  delle  indul- 
genze dichiarandone  il  valore  conforme  alla  dottrina  da  lui  già 
insegnata  e  scritta,  che  cioè  i  loro  effetti  non  sono  assoluti, 
ma  più  o  meno  buoni,  più  o  meno  perfetti  secondo  le  dì- 
sposizioni  del  penitente  e  la  qualità  dell'opera.  Vi  aderivano 
Giovanni  Pietro  Caraffa  arcivescovo  di  Chieti  e  Marcello  Tom- 
maso Gazzella  a  tal  uopo  chiamati  a  Roma,  siccome  uomini 

(l)  0*fa»-pag.53l. 


—  464  — 

di  costumi  irreprensibili  e  molto  periti  delle  cose  spettanti 
alla  vera  disciplina  ecclesiastica.  Ma  Tommaso  da  Vio, cardi- 
nale di  Gaeta,  adduceva  in  contrario  il  danno  che  ne  conse- 
guiterebbe della  stremata  autorità  pontificia.  Ottimo  era 
bensì  il  consiglio  suo  di  ristabilire  invece  le  antiche  soddi- 
sfazioni canoniche,  onde  ognuno,  per  il  bisogno  di  commu- 
tarle, vedesse  da  sé  la  ragione  e  la  utilità  delle  indulgenze; 
ma  anche  questo  giudicò  la  Penitenzieria  rimedio  superiore 
alle  forze  del  corpo  infermo,  e  tale  che  farebbe  perdere  1'  I- 
talia  senza  riacquistare  la  Germania  (4). 

Né  minori  ostacoli  trovò  il  pontefice  nelle  altre  cose 
che  s' era  proposto  di  riformare.  Togliere  le  vendite  simo- 
niache degli  uffici i  non  si  poteva,  senza  pregiudicare  a  quelli 
che  le  avevano  legalmente  prese  in  appalto  (2).  Qualunque 
mutamento  in  materia  delle  dispense  matrimoniali  era  bia- 
simato sotto  colore  che  rallentasse  il  freno  della  disciplina.  La 
emendazione  del  governo,  conchiudeva  il  cardinale  Soderini, 
non  essere  mezzo  adatto  a  richiamar  gli  sviati,  si  a  crescere 
in  essi  più  presto  l'autorità  e  la  baldanza;  nessuno  aver 
mai  estinto  P  eresie  con  le  riforme,  ma  con  le  crociate  e  con 

(1)  Fra  Paolo  Sarpi,  Istoria  del  concilio  tridentino.  Mendrisio 
1835  t.  1,  pag.  66-71.  Le  argomentazioni  in  contrario  dal  Fallavi' 
duo  non  infermano  le  notizie  che  quegli  dichiara  aver  (ratte  dal 
Diario  di  Francesco  Chericato.  Lo  stesso  Pallavicino  dovette  infine 
confessare  che  il  pontefice  quando  volle  metter  la  mano  all'opera 
in  riformare  la  Dateria,  incontrò  quelle  difficoltà  e  que'  disordini,  i 
quali  non  havea  propensati  ;  giacché  sì  come  la  pecunia  è  ogni  co» 
sa  virtualmente,  così  la  pena  pecuniaria  è  dall'  umana  imperfezio- 
ne la  piU  prezzata  di  quante  ne  dà  il  Foro  puramente  ecclesiastico , 
il  quale  non  potendo,  come  il  secolare,  porre  alla  dissoluzione  il 
freno  di  ferro,  convien  che  g liei  ponga  d'argento,  pag.  206. 

(2)  V'erano  allora  2150  di  questi  uffìcii  venali,  la  cui  rendita 
annua, rappresentante  l'interesse  del  prezzo  di  compera  versato  al 
tesoro  papale,  importava  320,000  scudi.  Leop.  Ranke,  Die  ròmischen 
pàpste.  Berlin  1854, 1. 1,  pag.  409. 

11 


—  462  — 

eccitare  i  principi  e  i  popoli  all'estirpazione  di  quelle;  do- 
versi por  mente  eziandio  al  soprastante  pericolo  della  guer- 
ra d'Italia^  per  la  quale  occorreva  non  diminuire  l'entrate 
ecclesiastiche  (1).  In  somma  non  erano  passati  tre  mesi  dalla 
incoronazione,  che  Adriano  lamentavasi  della  sua  impotenza 
a  fare  il  bene  voluto,  ripetendo  il  sospiro  già  mandato  di 
Spagna:  vorrei  essere  piuttosto  parroco  in  Lovanio  che  papa 
in  Roma  (2). 

Non  tralasciò  per  questo  di  far  tutto  che  stava  in  poter 
suo:  abolì  le  sopravvivenze  delle  dignità  ecclesiastiche;  rac- 
comandò parcità  nella  concessione  di  quelle  grazie  che  im- 
pinguano la  Dateria,  fintanto  che  si  trovasse  come  regolarle 
con  perpetua  costituzione  (3);  si  fece  promettere  dai  cardi- 
nali che  deporrebbero  le  armi,  non  darebbero  ricetto  né*  loro 
palazzi  a  sbanditi  e  birbi,  lascerebbero  che  il  bargello  v'ew- 
trasse  per  esecuzione  della  giustizia  (4),  e  alla  dieta  di  No- 
rimberga mandò  nunzio  Francesco  Chericato  vicentino  con 
commissione  di  procacciare  il  risanamento  della  Germania 
dalla  infezione  luterana. 

Francesco  Chericato  (Cheregato)  aveva  l'ingegno  pari 
all'  animo  nobilissimo,  la  fermezza  alla  moderazione  (5).  Ado- 
perato in  gravi  negozii,  prima  dal  cardinale  di  Sion  e  poi 
da  Giulio  II  e  da  Leone  X,  a  Genova,  a  Milano,  in  Isvizzera, 
in  Germania,  in  Francia,  in  Inghilterra  e  in  Ispagna,  levò  di 


(1)  Quanto  dice  il  Sarpi  pag.  73  -  77  è  confermato  dal  PallavU 
cino,  il  quale  soggiunge:  il  fuoco  delle  ribellioni  non  si  smorza  se 
non  o  col  gielo  del  terrore,  o  con  la  pioggia  del  sangue  pag.  208. 

(2)  A  Florenzio  Oem  Wyngaerden.  Vittoria  15  febb.  1522.  Ca- 
sparus  Burmanus  Hadrianus  VI,  op.  cit.  pag.  398. 

(3)  Pallavicino  pag.  209.  Onophrii  Panvinii  Veronensis,  de  vita 
pontif.  Adriani  VI.  Coloniae  1574. 

('i)  Giovanni  Cambi  op.  cit.  al  1522. 
(5)  Marzari,  Hist.  Vicent.  L.  2,  pag.  159. 


—  463  — 

sé  da  per  tatto  fama  intemerata  (1).  Erasmo  ne  faceva  gran- 
de stima,  e  con  lui  consentiva  in  deplorare  la  ignoranza  de' 
preti,  l'insulso  chiasso  de'  frati  e  la  intemperanza  de' difen- 
sori dell'autorità  pontifìzia,  onde  nutrivasi  l'affetto  del  po- 
polo a  Lutero (2).  Non  d'altri  ornamenti,  dicevagli,  deve  ri- 
splendere il  vicario  di  Cristo,  che  di  quelli  per  cui  Cristo  me- 
desimo  riempì  di  sua  luce  il  mondo  (3).  Ecco  la  gloria  sola 
in  cui  studiava  Adriano,  e  della  quale,  mentr'era  ancora  in 
Ispagna,  conobbe  ferventissimo  il  Chericato.  Laonde  appena 
giunto  a  Roma  lo  promosse  al  vescovato  di  Teramo  negli 
Abruzzi  (7  sett.  4522),  e  poco  dopo  lo  destinò  al  sopraccen- 
nato officio,  imponendogli  di  confessare  liberamente  l'odio- 
so passato,  del  quale  ambidue  abbonivano  la  eredità.  Dichia- 
rasse ai  principi  tedeschi,  cosi  suona  la  instruzione,  conosce- 
re  il  papa  che  la  eresia  luterana  era  supplizio  di  Dio  per  le 
colpe  specialmente  de9  sacerdoti  e  de' prelati,  e  che  però  il  fla- 
gello aveva  cominciato  dal  tempio,  volendo  prima  curare  il 
capo  che  le  altre  membra  del  corpo  infermo  ;  che  in  quella 
sedia  già  per  alcuni  anni  eransi  viste  cose  abbominevoli,  tur- 
pi usi  nello  spirituale,  eccessi  ne'  comandamenti,  il  tutto  in 
somma  pervertito  ;  per  guisa  che  si  poteva  dire  esser  passala 
la  infermitb.dal  capo  alle  altre  parli,  da9  sommi  pontefici  a9 
prelati  minori:  aver  tutti  peccato  :  non  esservi  stato  chi  faces- 
se il  bene,  neppur  uno.  Quanto  apparteneva  al  papa,  assi- 
curasse  esser  egli  risoluto  di  riformare  la  corte,  acciocché 


(1(  Francesco  Barbavano,  Historia  ecclesiastica  di  Vicenza.  Vi- 
cenza 1760, 1.  IV,  pag.  107-112. 

(2)  Impius  sit,  qui  non  faveat  romani  pontificis  dignitati,  sed 
utinam  sciat  ilie  quantum  officiat  illi  stolidi  quidam,  qui  sibi  viden- 
tur  eam  pulcre  tueri.  Erasmus  Hot.  Francisco  Chiregatto.  Lovanio 
13  sept.  1520.  Erasmi  Opera  t.  3,  part.  1,  pag.  58.  Giova  notare  che 
Erasmo  lo  avvertiva  di  scrivere  con  prudenza:  literas  tuas  accepi 
resignatas,  caute  fac  igitur  ut  scribas. 

(3)  Ibidem. 


—  464  — 

quindi  avesse  principio  la  sanità  onde  trasse  origine  la  ma- 
lattia  :  al  che  tanto  più  riputavasi  obbligato  quanto  vedeva 
che  il  mondo  tutto  desiderava  questa  riformazione  ;  aver  sog- 
gettalo il  collo  a  quelV altissima  dignità,  non  per  cupidigia  di 
comandare  o  d'arricchire  i  parenti,  ma  per  conformarsi  con 
la  volontà  di  Dio,  per  ripurgare  la  deformata  sua  sposa,  per 
sovvenire  gli  oppressi,  per  sollevare  ed  onorare  gli  uomini 
dotti  e  virtuosi  lungamente  oppressi,  e  finalmente  per  adem- 
piere tutti  i  doveri  di  buon  pontefice;  nessuno  però  doversi 
maravigliare  se  non  vedesse  così  tosto  una  perfetta  emenda- 
zione; perocché  essendo  imali  inveterati  e  molteplici,  biso- 
gnava procedere  a  passo  a  passo  nella  cura,  e  cominciar  dà* 
piti  gravi  e  pericolosi  per  non  turbar  ogni  cosa  col  voler 
fare  tutto  insieme  (1). 

Da  questi  intendimenti  pigliava  Adriano  fidanza  in  esor- 
tare i  principi  a  combattere  l'eresia  (2),  alla  ragione  princi- 
pale della  offesa  maestà  divina  aggiungendo  parecchie  altre 
d'indole  mondana:  la  potestà  secolare  minacciata  da  chi  cal- 
pesta la  ecclesiastica,  e  l'esempio  de' loro  antenati,  alcuni 
de'  quali  avevano  con  le  mani  proprie  condotto  alle  fiamme 
Giovanni  Huss. 

Pur  troppo  le  prime  prove  di  riforma  fallite  a  Roma 
scemavano  il  pregio  delle  sue  ingenue  promesse.  Né  ci  vo- 
leva meglio  per  adonestare  la  contumacia  de'  novatori.  Fare 
le  cose  a  passo  a  passo,  come  dice  il  pontefice,  così  motteg- 
giava Lutero,  significa  che  tra  un  passo  e  l'altro  si  frapponga 
la  distanza  di  un  secolo  (3).  Appunto  per  causa  de' confessati 

(1)  Instructio  prò  te  Francisco  Cheregato.  Rainaldus  an.  eccl. 
t.  XI,  pag.  363. 

(2)  Expergiscantur,  excitentur ...  et  ed  executionem  sententiae 
apostolicae  ac  imperialis  edicti  praefati  omnino  procedant.  Detur 
venia  iis  qui  errores  suos  abjurare  voluerint.  Ibidem. 

(3)  Sleidanus  De  statu  religionis  et  reipublicae.  Argentorati  1555 
lib.  IV,  p.  50. 


—  465  — 

abasi,  rispose  la  dieta  di  Norimberga  aver  tralasciato  di  ese- 
guire la  bolla  di  Leone  X  e  l'editto  di  Vorms,  perchè  altri- 
menti ciascuno  avrebbe  creduto  che  si  voglia  abbattere  la  ve- 
rità evangelica  e  sostentare  gli  accennati  abusile  ne  sarebbe- 
ro nati  tumulti  popolari  con  pericolo  di  guerre  civili;  non  es- 
servi rimedio  più  efficace  di  un  concilio  da  convocarsi  entro 
un  anno  in  una  città  della  Germania  e  col  consentimento 
dell'imperatore.  Indarno  replicò  il  nunzio  Chericato.  Quella 
risposta  venne  inserita  nell'editto  pubblicatosi  secondo  l'uso 
in  nome  di  Cesare,  benché  assente  (6  marzo  Ì523),  e  i  prin- 
cipi secolari  mandarono  poi  #  pontefice  una  lunga  esposi- 
zione, divisa  in  cento  capi,  delle  loro  doglianze,  fra  quali 
primeggiano  i  denari  che  si  cavavano  per  dispense,  assoluzio- 
ni e  indulgenze;  le  liti  tirate  in  Roma  ;  le  riservazioni  de'  be- 
nefizi^ le  commende  e  le  annate;  le  scomuniche  ingiuste;  le 
cause  laiche  con  diversi  pretesti  giudicate  dai  tribunali  eccle- 
siastici; le  penitenze  pecuniarie;  le  grandi  spese  nelle  con- 
sacrazioni delle  chiese  e  de'  cimiteri  e  per  aver  i  sacramenti 
e  la  sepoltura  (1). 

•  Così  quello  che  impromettevansi  i  letterati  da  Carlo  V, 
eh'  ei  si  ponesse  alla  testa  del  movimento  nazionale  contro 
Roma,  fece  in  fatti  il  consiglio  di  reggenza  in  cui  avevano  voce 
principale  due  elettori  propizii  a  Lutero,  cioè  il  Sassone  e  il 
Palatiuo;  onde  la  riforma  tedesca,  coll'aiuto  de' rappresentan- 
ti dell'autorità  imperiale,  potè,  più  presto  che  svolgersi,  pro- 
cedere colla  violenza  di  chi  distrugge.  Ne  cavarono  argomen- 
to i  maligni  a  farsi  beffe  delle  sante  intenzioni  di  Adriano 
quasi  col  confessare  gli  abusi  e  col  promettere  di  ripararvi 
avesse  porto  soggetto  di  trionfo  ai  nemici,  e  il  cardinale  Pal- 
lavicino, immemore  che  a  quelli  dovette  pur  rendere  ragione 
in  molle  parti  il  concilio  tridentino,  fu  oso  dire  che  la  instru- 
zione  data  al  Chericato  ha  fatto  desiderare  in  lui  maggior 

(1)  Centum  gravamina,  Fasciculus  rerum  eoepetendarum  et  fu- 
giendarum  t.  1 ,  pag.  352. 


—  466  — 

prudenza  e  circospezione,  e  che  non  solo  il  regno  del  Vatica- 
no, dominio  composto  di  spirituale  e  temporale,  ma  il  gover- 
no di  picciole  religioni,  quantunque  semplici  e  riformale, 
meglio  si  amministra  da  una  bontà  mediocre  accompagnata 
da  senno  grande,  che  da  una  santità  fornita  di  picciol  senno. 
Indi  conchiude  :  chi  svela  tutto  il  suo  cuore  getta  il  dono  che 
gli  ha  fatto  natura  in  darglielo  imperscrutabile,  e  fa  comuni 
tutte  le  sue  armi  all'avversario  (i).  La  irreligiosa  sentenza 
ripeter  possono  i  sostenitori  delle  temporalità  di  Roma, 
sperti  assai  più  degli  artifizi!  della  politica  mondana  che  del- 
le massime  del  Vangelo;  non^sinceri  credenti,  i  quali  de- 
plorano invece  la  sciagura  de'  tempi  in  cui  il  miglior  papa 
fu  costretto  a  soccombere. 

Vili.  Soccombette  Adriano  per  altro  rispetto  ancora  alle 
necessità  politiche  del  papato.  Qual  dolore  il  vedersi  richie- 
sto di  alleanza  ora  da  Carlo  V  ora  da  Francesco  I,  e  non  po- 
ter soddisfare  l'intenso  desiderio  della  pace  comune!  Allor- 
ché il  Turco,  giovandosi  delle  discordie  tra  i  primarii  poten- 
tati, osa  invadere  il  regno  di  Ungheria  e  minacciare  Pisola 
di  Rodi,  gli  è  buon  cristiano,  domandava  egli  all'imperatore, 
colui  che  non  fa  ogni  poter  suo  per  resistergli  ?  Piacesse  a 
Dio  che  col  mio  sangue  potessi  riparare  ai  mali  imminenti, 
senz'  aver  bisogno  de9  soccorsi  altrui.  E  quanto  al  bene  che 
vi  voglio,  sono  assai  lungi  dal  vero  coloro  che  ne  traggono 
motivo  a  dubitare  della  mia  imparzialità;  giacché  per  nes- 
sun uomo  al  mondo,  né  per  me  stesso,  vorrei  far  cosa  contra- 
ria a  Dio  ed  alla  mia  coscienza.  Vero  è  che  porto  a  tutti 
uguale  amore  e  che  mi  sta  a  cuore  di  comporre  le  contro- 
versie  come  un  buon  papa  deve  fare;  onde  se  taluno  mi  ap- 
puntasse di  non  aver  pigliato  parte  per  voi,  gli  risponderei 
che,  quando  bene  ne  avessi  la  volontà,  mi  mancherebbero  le 
forze,  essendo  collocato  in  questa  sedia  piena  di  miserie,  do- 
li) Historia  del  concilio  di  Trento  1. 1,  pag.  212  e  213. 


—  467  — 

ve  non  trovai  di  che  sopperire  alle  spese  ordinarie  della  chie- 
sa, ma  debiti  infiniti  e  clamori  e  lamenti  de'  poveri.  E  posto 
anche  ch'io  fossi  ricco,  lascio  giudicare  a  vostra  maestà  se 
converrebbe  che  mettesse  in  maggiori  scompigli  e  pericoli  la 
cristianità  quegli  eh' è  chiamato  a  difenderla  (1).  Indi  le  rei- 
terate instanze  che  l'imperatore  e  il  re  d'Inghilterra,  smes- 
si i  dissidii  colla  Francia,  convenissero  in  una  lega'universa- 
le  contro  i  Turchi  ;  e  poiché  ambidue  rispondevano  tergi- 
versando, replicò  il  pontefice  :  da  queste  discordie  cava  il 
Turco  maggior  profitto  che  se  gli  dessimo  un  esercito  di  pa- 
recchie migliaia  di  uomini.  Oh  !  i  Maccabei  difendevano  la 
religione  e  la  legge  di  Dio  con  ben  altro  zelo  e  altro  fervore 
che  noi,  ai  quali  sembra  non  resti  che  il  nome  di  cristiani  e 
poco  assai  della  virtù  che  quel  nome  richiede;  perocché  ci 
sta  a  cuore  di  prendere  vendetta  più  tosto  de9  nostri  nemici 
particolari  che  di  quelli  di  Dio  e  della  santa  fede,  e  per  com- 
piere questo  desiderio  affatto  temporale  mettiamo  la  intera 
repubblica  cristiana  in  pericolo  di  perdersi  (2).  Carlo  V,  non 
che  accedere  a  quelle  instanze,  insisteva  nella  proposta 
di  una  lega  difensiva  per  r  Italia,  querelandosi  col  papa  di 
mancata  amicizia.  Se  vostra  santità,  scrivevagli,  dichia- 
rasse apertamente  al  re  di  Francia  ch'ella  non  può  in  alcun 
modo  separarsi  da  noi  e  dalla  dignità  imperiale,  colla  qua- 
le, giusta  il  diritto  divino  ed  umano,  la  sede  apostolica  de- 
v'essere perpetuamente  congiunta,  e  che  continuando  la  guer- 
ra ella  sarebbe  obbligata  ad  aiutarci  per  mantenere  lo  slato 
attuale  d'Italia,  non  v'ha  dubbio  che  quegli  farebbe  di  ne- 
cessila  virtù  (3).  Contemporaneamente,  sapendo  che  corre- 
vano voci  di  una  secreta  intelligenza  tra  lui  e  il  pontefice, 


(1)  Adrien  VI  à  Charles  -  Quint,  Roma  30  sett.  1522.  Gachard 
op.  eit.  pag.  126,  127. 

(-2|  16  die.  1522.  Ibidem  pag.  139. 
(3)  10  genn.  1523.  Ibidem  pag.  148. 


—  *68  — 

raccomandava  al  duca  di  Sessa,  ambasciatore  a  Roma,  di  so- 
stentarle e  di  crescerle  per  dar  riputazione  a  sé  medesimo  e 
sospetto  agli  avversata  (1). 

In  questo  mezzo  la  caduta  di  Rodi  esacerbò  le  angoscio 
di  Adriano  (2).  Chi  avrebbe  trattenuto  i  Turchi  vittoriosi 
dall' invadere  i  regni  di  Napoli  e  di  Sicilia?  In  quell'istante 
di  spavento  universale  fece  un  nuovo  e  solenne  sforzo  per 
riconciliare  i  monarchi  di  Francia,  d' Inghilterra  e  di  Spa- 
gna, imponendo  loro  in  virtù  della  santa  obbedienza,  se  non 
di  conchiuder  pace,  di  consentire  almeno  in  una  tregua  di 
tre  o  quattro  anni  (3),  e  di  allestire  una  flotta  ed  un  esercito 
abbastanza  poderoso  non  solamente  a  impedire  la  entrata 
dei  Turchi  in  Italia,  ma  ancora  a  strappar  loro  di  mano  le 
fatte  conquiste  (4).  Quanto  alla  lega  anche  difensiva,  scris- 
se all'imperatore,  non  sarebbe  mezzo  per  aver  pace,  sì  per 
sconvolgere  affatto  la  religione  cristiana.  Se  fossero  buoni 
i  miei  contrarii  consigli,  lo  prova  la  perdita  di  Rodi.  Ma  da 
una  parte  misi  fa  ogni  dimostrazione  d'amore  e  dall'altra 
il  maggior  dispregio  possibile  di  questa  santa  sede  (5).  A  tan- 
ta energia  di  ammonimenti  parve  rispondessero  gli  effetti. 

(1)  10  genn.  1523.  Ibidem  pag.  172. 

(2)  Mi  dice  il  secretario  veneto,  che  quando  egli  lesse  gli  avìsi 
et  le  nuove  del  generale  mandato  alla  signoria,  et  le  recitò  al  pon- 
tefice, sua  santità  fisse  gli  occhi  in  terra,  et  diede  un  gran  sospiro^ 
et  non  disse  parola.  Girolamo  Negro  a  Marcantonio  Micheli,  Roma 
17  marzo  1523.  Ruscelli  Lettere  di  principi  t.  1,  pag.  96. 

(3)  Lettre  du  sieur  de  Praet  (amb.  ces.  a  Londra)  à  Tempereur 
8  mai  1523.  Archives  du  royaume  belgique.  Et  già  il  pontefice  mette 
mano  all'arme  sue;  cioè  alle  censure  et  scommuniche  contra 
quelli,  qui  noluerint  accipere  aequas  condiciones  pacis.  Girolamo  Ne- 
gro a  Marcantonio  Micheli,  Roma  28  febb.  1523.  Ruscelli  Lettere  dì 
principi  t.  1 ,  pag.  95. 

(4)  Charles  -  Quint  au  due  de  Sessa  15  avr.  1523.  Gachard  op. 
cit.  pag.  176. 

(5)  Roma  2  marzo  1523  in  cifra.  Biblioteca  de  la  Academia 
d' Historia  de  Madrid  A.  27  msc. 


—  409  — 

Carlo  V,  dichiarandosi  commosso  sino  al  fondo  dell9  anima 
per  la  piaga  recata  alla  intera  cristianità,  mandò  nuove  fa- 
coltà al  duca  di  Sessa  di  negoziare  una  tregua  secondo  le 
intenzioni  del  papa  (4).  ÌNe  seguì  l'esempio  Enrico  Vili,  e 
ancor  prima  di  ambidue  il  re  di  Francia,  destinando  a  tal 
uopo  i  cardinali  d' Aux  e  di  Como.  Ma  che  la  fosse  apparen- 
za e  nulla  più,  addimostrano  le  instruzioni  date  agli  ora- 
tori, onde  doveva  avvenire  che,  non  appena  cominciate  le 
trattative,  si  conoscesse  ch'erano  fatiche  vane  contro  insor- 
montabili difficoltà.  Pretendeva  Carlo  che  durante  la  tregua 
da  conchiudersi  per  tre  anni  rimanessero  le  cose  nello  stato 
in  cui  si  trovavano;  che  i  castelli  di  Milano  e  di  Cremona,  le 
città  di  Fontanarabia  e  di  Hesdin  fossero  rimessi  nelle  mani 
del  pontefice  o  lasciati  com'erano  senza  nuove  provvisioni  ; 
che  nella  tregua  si  comprendessero  i  confederati  dall'una  e 
dall'  altra  parte  nominati,  e  se  uno  dei  contraenti  la  rompes- 
se, tutti  gli  altri  e  il  papa  con  essi  gli  facessero  guerra  ;  che 
i  principi  d'Europa  convenissero  insieme  a  parlamento  per 
ripartirsi  il  carico  della  crociata,  e  che  a  tal  uopo  il  papa  gli 
accordasse  le  grazie  consuete  e  la  quarta  parte  delle  rendite 
de'  beneficii  ecclesiastici  in  tutta  la  cristianità;  in  ultimo  che 
gli  ottenesse  dal  re  d'Inghilterra  la  sospensione  del  paga- 
mento pattuito  a  Windsor  de'  centrentamila  scudi  d'oro  al- 
l'anno che  quegli  riceveva  per  lo  innanzi  dalla  Francia,  e  in 
caso  contrario  lo  assolvesse  dalle  censure  ecclesiastiche  com- 
minate ai  mancatori  di  fede  (2).  All'incontro  poneva  il  re 
d'Inghilterra  a  condizione  assoluta  della  tregua  che  l'alleato 
suo  rinnovasse  le  convenzioni  di  Windsor  e  le  adempisse 
esattamente  (3).  Né  meno  inconciliabili  erano  le  pretensioni 
del  re  Francesco.  Noi  siamo  pronti,  scriveva  egli  a  Roma, 

(1)  Lettera  precitata  15apr.  1523  Gachard  pag.  177. 

(2)  Ibidem  pag.  178-181. 

(3)  Lettre  du  sieur  de  Praet  à  l'erapereur  1  juin  1523  Archices 
du  royaume  belgique. 


—  470  — 

di  strigner  pace  o  tregua  e  di  far  l'estremo  di  nostra  poten- 
za contro  il  Turco,  purché  ci  si  renda  Milano,  e  dichiarando 
di  esser  forte  abbastanza  non  solamente  per  difendersi,  ma 
eziandio  per  nuocere  ai  suoi  nemici,  non  ammetteva  altri  ac- 
cordi, se  non  conformi  al  trattato  di  Noyon  coli' imperatore 
e  a  quello  di  Londra  col  re  d'Inghilterra  (4).  Laonde  la  tre- 
gua per  tempo  lungo  rifiutò,  proponendo  in  cambio  una 
semplice  sospensione  d'armi  di  due  mesi,  da  rinnovarsi  di 
volta  in  volta  sino  allo  stabilimento  della  pace  (2).  A  che 
mirasse  con  questa  proposta,  ben  si  apposero  gì' imperiali. 
Sperava  anzitutto  che  nella  corrente  estate  facessero  i  Tur- 
chi la  designata  impresa  delle  due  Sicilie,  onde  l'imperatore 
sarebbesi  trovato  nell'alternativa  o  di  perdere  quel  regno  o  di 
abbandonare  la  difesa  della  Lombardia.  Oltracciò  dalla  sospen- 
sione d'armi  sarebbegli  venuto  il  vantaggio  di  rimaner  tran- 
quillo durante  la  state  dalla  parte  dell'  Inghilterra,  dei  Pae- 
si Bassi  e  della  Spagna,  e  libero  perciò  di  portar  tutte  le  sue 
forze  in  Italia  nell'autunno  o  nell'inverno  vegnente;  stagio- 
ni nelle  quali  non  aveva  nulla  a  temere  sulle  frontiere  set- 
tentrionali e  meridionali  de'  suoi  stati  (3). 

Fra  pretendenze  così  opposte,  facile  è  imaginare  l'ani- 
mo del  pontefice,  perplesso,  corrucciato,  confuso.  Tuttavia  te- 
neva ancora  uguale  la  bilancia  tra  i  due  rivali,  allorché  la 
discoperta  slealtà  del  cardinale  Soderini,  suo  principale  mi- 
nistro, contribui  a  darle  il  tratto  verso  l'imperatore.  Men- 
titegli esortava  il  re  di  Francia  alla  pace,  confortavalo  in- 
vece secretamente  il  Soderini  a  secondare  una  congiura  tra- 
mata nella  Sicilia.  N'ebbe  irrefragabile  prova  Adriano  in  al- 
cune lettere  intercettate  dal  duca  di  Sessa,  il  perchè  lo  fece 

(1)  Instructions  pour  MM.  les  cardinaux  d' Aux  et  de  Cosme. 
Mlgnet  Rivalité  de  Charles  -  Quint  et  de  Francois  l.ep  op.  cit.  pag.  642. 

(2)  Lettera  precitata  del  signore  de  Praet  1  giugno  1523. 

(3)  Ibidem  da  una  comunicazione  dell'arcivescovo  di  Bari,  nun- 
zio pontifìcio  in  Francia. 


—  471  — 

porre  in  prigione  e  a  lui  ne'  consigli  del  governo  sostituì  il 
cardinale  Giulio  de'  Medici,  entrato  in  quella  occasione  a  Ro- 
ma con  pompa  quasi  trionfale  (1). 

Non  si  creda  per  questo,  come  affermano  gli  storici,  che 
abbracciasse  immantinente  le  parti  di  Cesare.  Rinnovò  anzi 
le  instanze  della  tregua  triennale  con  minaccia  di  scomunica 
a  coloro  che  ricusassero  di  accettarla  (2).  Francesco  I  non  ne 
fece  alcun  conto:  richiamati,  al  primo  avviso  della  prigionia 
del  Soderini,  gli  ambasciatori  di  Roma  e  ritenuto  in  ostaggio 
il  nunzio  apostolico,  scrisse  al  pontefice,  meravigliarsi  assai 
che  coloro  che  gli  consigliavano  di  richiedere  con  tanta  im- 
periosità la  tregua,  non  fossero  stati  dello  stesso  parere  quan- 
do papa  Leone  gli  faceva  guerra  in  Lombardia  e  il  Turco 
assediava  Belgrado.  Ma  papa  Leone,  soggiunse,  amava  me- 
glio spendere  i  danari  della  Chiesa  contro  i  cristiani  e  il  de- 
bito dell'officio  suo,  che  contro  gV  infedeli.  Poi  volgendosi  ad 
Adriano  :  se  fosse  in  arbitrio  de* papi  di  scomunicare  re  e  prin- 
cipi, ne  verrebbero  conseguenze  tristissime,  e  io  credo  che  i 
magnanimi  che  pongono  innanzi  la  loro  preminenza  al  van- 
taggio particolare,  non  se  ne  acqueteranno.  Quanto  a  me, 
non  soffrirò  che  tornino  a  nulla  i  privilegi  acquistali  a  caro 
prezzo  da'  miei  antenati  e  sin  col  sangue  de9  sudditi.  Ridu- 
cendogli in  ultimo  a  mente  ciò  che  era  occorso  per  tal  ca- 
gione tra  la  santa  sede  e  la  Francia  al  principio  del  decimo- 
quarto secolo,  terminò  con  queste  parole  laconicamente  uii- 
naccevoli  :  papa  Bonifacio  Vili  lo  fece  contro  Filippo  il  Bel- 
lo, e  gliene  venne  male.  Pensateci  sopra  (3). 

Rianimati  da  cosi  altero  rifiuto, insistettero  con  maggior 
forza  gli  avversarti  nella  proposta  di  una  lega  difensiva  ed 

(1)  Ibidem  e  Sommario  del  viaggio  degli  oratori  veneti  che  an- 
darono a  Roma  a  dar  l'obbedienza  a  papa  Adriano  VI.  Alberi^  Rela- 
zioni degli  amb.  ven.  serie  2,  voi.  3,  pag.  1 10-112. 

(2)  De  Praet  à  Pempereur  12  juin  1523. 

(3)  Mignet  op.  cit.  pag.  643. 


—  Ì72  — 

offensiva  per  sicurare  l'Italia  dalle  armi  francesi  (4).  E  par 
Adriano  vi  ripugnava  ancora.  L'esempio  del  suo  predecessore 
che  gli  si  metteva  dinanzi  non  bastava  a  convincerlo:  torna- 
va sempre  alle  solite  scuse  di  povertà  e  d'impotenza  (2).  Non 
voglio  dichiararmi,  scriveva  al  viceré  di  Napoli  Carlo  di 
Lannoy  intimo  suo,  perchè  in  quel  giorno  stesso  cesserebbero 
di  venire  i  danari  di  Francia,  ond9  è  principalmente  sosten- 
tala la  mia  corte,  e  perchè  tengo  di  buona  fonte  che  il  re  di 
Francia  favorirebbe  V  eresia  di  Lutero,  e  darebbe  nuovo  or- 
dine alle  cose  della  chiesa  nel  suo  regno  (3).  Mandò  allora 
Carlo  V  a  Roma  lo  stesso  Lannoy,  e  questi,  combinando  i  suoi 
sforzi  con  quelli  del  duca  di  Sessa  e  del  cardinale  Giulio 
de'  Medici  nella  lotta  contro  l'esitanze  e  gli  scrupoli  del  pon- 
tefice, lo  fece  infine  piegare  alla  fatalità  del  temporale  domi- 
nio. Poiché  il  re  di  Francia,  disse  Adriano  nel  sacro  colle- 


fi)  Le  due  (de  Sessa)  dira  au  pape  que  le  refus  du  roi  deFran- 
ce  de  conclure  la  paix,  ou  une  tréve  de  plus  de  deux  mois,  et  cela 
afin  de  pouvoir  rassembler  ses  forces  et  envahir  l' Italie,  a  dèter- 
minè  les  deux  souverains  alliés  à  le  prevenir.  Charles  V  au  due  de 
Sessa  13juil.  1523.  Gachard  op.  cit.  pag.  193. 

(2)  Sa  Sainteté,  non  obstant  toutes  le  remonstrances  à  luy  fètes... 
s'est  monstre  très-froid  elestonné,  sans  vouloir  donner  es,  oir  de 
soy  dèclairer  à  l'encontre  des  Francois,  singulièrement  pour  la  ligue 
offensive,  s' excusant  tousjours  sur  sa  povreté,  et  que  de  fere  du 
courroucé  sans  puissance,  seroit  chose  de  peu  d'effect.  Le  sieur 
de  Praet  à  Vempereur  3  juil.  1523.  Archives  du  royaume  belgique. 

(3)  Il  viceré  di  Napoli  all'imperatore.  Napoli  15  luglio  1522.  Bi- 
blioteca de  la  Academia  d1  Hlstoria  de  Madrid.  A.  '28  msc.  Lo  slesso 
diceva  all'ambasciatore  inglese:  allegyng  povertie,  said  He  hadno 
riches  ne  substance  to  maynteyn  warre,  et  quod  vana  est  sine  viribus 
ira;  wherfor  necessite  did  compel  Hym  to  take  that  wey,  that  He 
myght  be  assurid  not  to  be  troublid  with  warre,  specially  wtth 
France,  onte  wherof  did  grow  and  anse  more  profitles  and  ema- 
il! mente  s  to  the  See  Apostolique,  and  this  Courte,  by  reason  of  the- 
xpedicions,  than  of  any  other  thre  nacions  in  Cristendom.  Lord 
of  Bath  to  Wolsey  11  June  1523.  State  Papers  t.  6  pag.  129. 


—  473  — 

gio,  ricusa  di  consentire  alla  tregua,  sono  costretto  ad  unirmi 
con  coloro  che  si  affaticano  acciocché  Italia  non  si  turbi; 
perchè  dalla  quiete  o  dalla  turbazione  di  essa  nasce  la  quiete 
o  la  turbazione  di  tutto  il  mondo;  e  ai  3  agosto  4523  segnò 
la  confederazione  per  cui  obbligavasi  di  provvedere  alla  sua 
difesa  insieme  coir  imperatore,  col  re  d'Inghilterra,  col  duca 
di  Milano  e  colle  repubbliche  di  Firenze,  di  Genova,  di  Siena 
e  di  Lucca.  Essendosi  lasciata  in  facoltà  del  pontefice  e  di 
Cesare  la  elezione  del  capitano  generale  degli  eserciti  colle- 
gati, designò  il  primo  a  tale  officio  il  viceré  di  Napoli,  e  lo 
accettò  il  secondo  per  l'odio  che  avevano  contro  a  Prospe- 
ro Colonna  il  cardinale  de' Medici  e  don  Giovanni  Manuel  (d). 
IX.  Alcuni  giorni  prima  erano  pur  riuscite  a  buon  segno 
le  pratiche  da  lungo  tempo  introdotte  tra  l'imperatore  e  la 
repubblica  veneta.  Questa,  forte  abbastanza  per  non  poter 
tenersi  neutrale,-  ma  non  tanto  da  ripulsare  le  maggioreg- 
gianti  potenze  di  Europa,  proseguiva  con  senno  e  costanza 
nella  politica  da  cui  sola  dipendeva  allora  la  salvezza  del- 
l'Italia, ed  era  che  quelle  potenze  avessero  a  contrabbilanciarsi 
fra  loro.  Indi  il  consiglio,  sin  dal  giorno  della  secreta  allean- 
za tra  Carlo  V  e  papa  Leone,  di  non  separarsi  dall'amicizia 
di  Francia,  e  insieme  di  restar  aperta  per  ogni  evento  a 
quella  che  trattava  con  Cesare  mediante  l'ambasciatore  Ga- 
spare Contarini,  cercando  innanzi  tutto,  ma  inutilmente,  di 
voltargli  l'animo  dall'ambizione  dell'Italia  alla  vera  gloria 
della  guerra  contro  i  Turchi  (2).  In  conformità  del  quale  con- 
ti) Instruzioni  date  da  Prospero  Colonna  a  Giovanni  Vincente 
per  trattare  con  sua  maestà,  nelle  quali  smentisce  le  calunnie  ap- 
postegli, attribuendole  alla  inimicizia  di  don  Giovanni  Manuel.  Ibi- 
dem A.  28  msc. 

(2)  L'imperatore  rispose:  Dio  sa  che  più  volentiera  anderia 
contra  infìdeli  che  contra  christiani.  Ma  ve  dico  S.r  Ambassatore 
che  ho  mal  vicino,  et  bisogna  che  me  proveda  de  qua  et  poi  andero 
da  quella  banda  de  là.  Gaspare  Contarini  al  Senato.  Gant.  27  luglio 
1521  Biblioteca. Marciana  ital.  classe  VII  cod.  MIX,  msc. 


—  Ì74  — 

siglio  negò  ai  seimila  fanti  tedeschi,  di  cui  parlammo  altrove, 
il  passaggio  per  il  territorio  veronese  (4),  ma  poi  lasciò  loro 
venire  i  viveri  da  Bergamo  e  portò  in  pace  che  violassero  i 
confini  (2).  Perla  stessa  ragione  respinse  la  domanda  delLau- 
trec  d' intercettare  i  corrieri  del  papa  e  dell'  imperatore  (3); 
gettò  sopra  di  lui  tutto  il  carico  delle  imprese  tentate  dal 
duca  di  Ferrara  (4);  non  volle  fermare  con  provvisione  que- 
st'ultimo, sì  unicamente  giovarlo  di  danari  (5),  e  suo  figlio 
arcivescovo  di  Milano,  inseguito  da  citazioni  pontificie,  ac- 
colse in  asilo  a  Rovigo,  purché  serbasse  prudenza  (6). 

Caduta  Milano  in  mano  degl'imperiali,  mentre  scolpa- 
vasi  colla  Francia  per  la  fuga  delle  sue  genti  davanti  ai  ri- 
pari di  Porta  Ticinese,  adducendo  il  rifiuto  degli  Svizzeri  e 
de?  Guasconi  di  muovere  in  loro  soccorso  (7),  dava  a  malia- 
li)  L'imperatore  mulatosi  di  colore  disse:  io  non  mi  pensava 
che  quella  S.ria  servasse  simili  termini  cum  me,  questi  sono  segni  et 
principio  di  guerra,  guardino  ben  quel  che  fanno  ...per  hora  voglio 
haver  i  passi  et  passar,  poi  risponderò  a  quella  Sria. ...  né  si  cavò  la 
bereta  come  è  solito  suo  di  fare.  Gaspare  Contarmi  al  Senato  Bru- 
ges 24  ag.  1521.  Ibidem  msc. 

(2)  Ada  Consilii  X  t.  XLIV,  proved.  gen.  Gritii  13  nov.  e  9  die. 
e  risposta  all'ami),  cesareo  12  die.  1521. 
(3|  Ibidem  oratori  in  curia  2  ott.  1521. 

(4)  Che  in  queste  facende  tutto  el  carico  h  sopra  lo  ill.mo  mon- 
signor de  Lautrech,  el  qual  ordena  et  fa  quanto  li  par  ad  proposito 
et  expediente ...  Nuj  non  havemo  tolto  in  protectione  esso  Duca.  i&J- 
dem  oratori  incuria 27  sett.  1521  msc. 

(5)  Secreta  Rogatorum  t.  XLIX,  2  nov.  1521. 

(6)  Quanto  specta  a  la  citatione  anchor  chel  pontefice  habi  di- 
verse vie  et  modi  de  far  simil  acto...  tamen  scriveremo  a  quel  no- 
stro Rector,  che  usi  ogni  diligentia  et  stagi  cauto  et  vigilante,  et  in- 
tendendo alcuna  cosa  in  questa  materia  dagi  noticia  al  Rdo.  suo  fiol: 
azo  el  possi  proveder  a  le  cose  sue.  El  qual  perho  se  rendemo  certi 
harahavuto  tal  documento  dala  Ex.  del  signor  suo  patre  che  etiam 
dal  canto  suo  ambulara  cautissimamente.  Acta  Consilii  X  t.  XLIV 
responsio  facienda  m.  oratori  Ferrariensi  5  ott.  1521  msc. 

(7)  Secreta  Rogai,  oratori  in  Francia  26  nov.  1521. 


•—  475  — 

cuore  licenza  al  Lautrec  di  svernare  colle  sue  truppe  nelle 
proprie  terre  (1),  dopo  aver  fatto  ogni  sforzo  per  ridurle 
invece  nel  Ferrarese,  e  con  condizione  che  si  astenessero  dal 
molestare  i  nemici  (2).  Nel  tempo  stesso  di  questo  e  dei  soc- 
corsi dati  a  Francia,  che  confessava  inferiori  a  quanto  avreb- 
be  potuto,  faceva  le  sue  scuse  coir  ambasciatore  cesareo  (3), 
alle  quali  il  vescovo  di  Palenza,  incaricato  da  Carlo  V  dei 
maneggi  diplomatici  colla  repubblica,  rispondeva  ne'iermini 
seguenti  :  sa  Dio  quanto  io  desideri  la  unione  di  quella  illur 
sitissima  Signoria  con  questa  Maestà,  e  che  officio  abbia  fatto 
e  faccia  a  tal  uopo,  conoscendo  quello  stato  essere  un  propu- 
gnacolo  della  repubblica  cristiana  ;  talché  spesso  mi  vengono 
in  mente  le  parole  che  soleva  dire  la  regina  Isabella  di  Spa- 
gna, che  se  Venezia  non  fosse,  bisognerebbe  farla  per  bene 
iella  cristianità.  Tuttavia  se  io  ho  questa  opinione,  diceva 
all'ambasciatore  Gaspare  Contarmi,  credetemi  che  lutti  gli 
altri  che  sono  appresso  questa  maestà  non  vi  consentono.  Voi 
sapete  quello  ha  fatto  intendere  sua  maestà  per  mezzo  mio 
alla  illustrissima  Signoria,  che  la  vuol  liberare  Italia  dalla 
tirannia  dei  Francesi;  ella  non  vuole  cosa  alcuna  e  si  con- 
tenta del  suo.  A  quei  signori  piacque  dar  aiuto  ai  Francesi; 
se  non  foste  voi,  sariano  già  fuor  <f  Italia  ...  E  per  parlar 
liberamente  con  voi.  come  sempre  faccio,  sappiamo  che  quella 
illustrissima  Signoria,  e  per  lettere  vostre  e  degli  ambasciatori 
in  Francia  e  a  Calais,  era  tenuta  in  certissima  speranza  che 

(1)  Estos  (Veneziani)  estan  con  grandissimo  miedo  y  corno  per- 
didos,  y  temen  que  si  franceses  se  han  ydo  a  salvar  a  sus  tierras  que 
con  escusa  dellos  no  vayan  a  lomarselas.  Alonso  Sanchez  (amb. 
imp.  a  Venezia)  al  rey,  nella  raccolta  di  Salazar  y  Caslro  Biblioteca 
de  la  Academia  d' His torta  de  Madrid.  A.  21  msc. 

(2)  Secreta  Rogatorum  2  die.  1521  responsio  facienda  M.  Ant. 
Colonna. 

(3)  Disse  il  doge  che  anche  ai  cani  si  darebbe  da  mangiare,  tan- 
to più  agli  uomini.  Alonso  Sanchez  al  rey  Venezia  2  die.  1511.  IW- 
blioteca  de  la  Acad.  d'hist.  de  Madrid  A.  21  msc. 


—  476  — 

dovessero  succedere  tregue  fra  questa  maestà  e  il  re  di  Fran- 
cia; perciò  ha  continuato  a  dar  favore  ai  Francesi  nello 
stato  di  Milano  e  più  di  quello  ch'è  V  obbligazione  ma.  Però 
sua  maestà  è  risoluta  a  non  voler  tregue,  sì  a  vedere  il  fine, 
e  già  gli  ambasciatori  di  Francia  partirono  da  Calais  e  con 
superbia,  ed  oggi  dovranno  partire  i  nostri.  Conchiudeva  che 
la  repubblica  dovrebbe  ponderare  il  tutto  e  badar  bene  a  non 
mettere  troppa  speranza  nella  Francia  (i).  Poco  prima  an- 
che il  nunzio  pontifìcio,  dicendo  al  Contarini  che  le  cose  dei 
Francesi  erano  in  mali  termini,  la  consigliava  ad  accostarsi 
all'  imperatore,  col  quale  solo  aveva  controversia  del  proprio 
stato,  perchè  così  si  assicurerebbe  in  perpetuo,  e  Italia  sareb- 
be degli  Italiani  (2). 

E  veramente,  come  andò  sciolto  il  congresso  di  Calais, 
interpose  Venezia  i  buoni  officii  dell'Inghilterra  inverso  di 
Cesare  (3),  al  quale,  dopo  la  morte  di  papa  Leone,  fece  pure 
qualche  apertura  di  pace  (4)  ;  ma  ancor  vaga  e  contrabbilan- 
ciata da  contemporanee  instanze  a  Francesco  di  pronti  rin- 
forzi (5),  per  non  voltarsi  a  cose  nuove  prima  che  fossero 
meglio  confermati  gli  eventi  della  Lombardia  e  della  santa 
sede.  Cotesti  Veneziani,  scriveva  F  ambasciatore  imperiale 
Alfonso  Sanchez,  sono  mercanti  e  stanno  a  vedere  chi  sarà 

(1)  Gaspare  Contarini  al  Senato,  Ondenarde  1  die.  1521  Bibliote- 
ca Marciana  ital.  classe  VII  cod.  MIX  msc. 

(2)  Oudenarde  25  ott.  1521  Ibidem  msc. 

(3)  Secreta  Rogat.  oratori  in  Anglia  26  nov.  1521.  Videbatur 
rev.mo  cardinali  (Wolsey)  maxime  convenire,  si  id  commode  fieri 
posset,  ut  Veneti  traherentur  in  partes  M.  V.,  et  separarentur  a 
Gallis ...  Et,  ut  intelligo,  Paceus  persensit  jam  in  oratore  veneto 
hic  existente,  quod  dominium,  si  bene  tractaretur  negocium,  for- 
san  ad  id  esse  inclinatum  et  propensum.  Der  hischofvon  Badajoz 
an  den  kaiser.  London  19  die.  1521.  Monum.  hasb.  pag.  509. 

(4)  Acta  Consilii  x,  responsio  orat.  caes.  Al.  Sanchez  12  die. 
1521. 

(5)  Secreta  Rogat.  oratori  in  Francia  2  die.  1521 . 


—  477  — 

papa  e  chi  farà  loro  miglior  partilo  (d).  Li  teneva  perplessi 
assai  più  la  poca  fidanza  che  avevano  nella  promessa  di  Ce- 
sare di  ristabilire  lo  Sforza  nel  ducato  di  Milano  (2).  Tutta- 
via, allorché  quegli  domandò  il  passaggio  pei  diecimila  te- 
deschi condotti  da  Girolamo  Adorno,  da  Giorgio  di  Frund- 
sberg  e  dallo  stesso  Francesco  Sforza,  si  astennero  bensì  dal 
rispondere  risolutamente,  ma  gli  accennarono  abbastanza 
perchè  dai  loro  portamenti  argomentasse  alle  intenzioni  (3), 
ed  al  provveditore  generale  Andrea  Gritti  diedero  ordine  di 
lasciar  libera  la  strada,  come  se  fosse  impossibile  la  resisten- 
za (4).  Di  tutto  ciò  tennero  informato  il  cardinale  Wolsey,  il 
quale  al  principio  dell'anno  d522  fece  loro  proporre  una  le- 
ga con  Cesare,  con  Enrico  Vili,  col  futuro  papa  e  con  altri 
principi,  non  diretta  contro  alcuno,  né  anche  contro  Fran- 
cia, perfettamente  conforme  alle  convenzioni  di  Londra  del 
1548(5). 

Quella  lega,  evitata  allora  per  non  provocare  gli  sdegni 
dei  Turchi  (t.  i  pag.  275)  e  poi  gradita  nella  speranza  d'im- 
pedire la  guerra  tra  i  due  rivali  (pag.  7),  avrebbero  adesso 
di  buon  animo  riaccettata  per  tornar  in  pace  l'Italia.  Ma  la 
vittoria  della  Bicocca  mutò  a  un  tratto  la  faccia  delle  cose. 
Seguitar  subito  la  buona  fortuna  di  Carlo  non  era  della  ve- 
neta prudenza.  Posto  anche  che  a  Francesco  non  succedesse 

(1)  Venezia  2  die.  1521.  Biblioteca  de  la  Acad.  d' Hist.  de  Ma- 
drid. A.  21  msc. 

(2)  El  vulgo  (di  Roma)  dize  que  V.  Mad.  no  quiere  el  ducado  de 
Milati  sino  para  si  y  los  franceses  lo  publican  entre  los  suycos  a 
quien  mas  ha  de  pesar.  D.  Juan  Manuel  al  rey.  Roma  1  nov.  1521. 
Lo  stesso  pensavano  i  Veneziani.  Alonso  Sanchez  al  rey  Venezia 
2  gen.  1522.  Biblioteca  de  Madrid  msc. 

(3)  Secreta  Rogai,  responsio  orat.  caes.  Sanchez  10  genn. 
1522  msc. 

(4)  Ada  Consilii  X,  provved.  gen.  Gritti  21  febb.  1522  msc. 

(5)  Lega  per  securità  et  conservatane  dei  comuni  stati.  Ibidem 
oratori  in  Francia  28  febb.  1522  msc. 

42 


—  478  — 

di  levarsi  con  nuove  forze  dalla  depressione  patita,  e  non 
poteva  forse  venirgli  in  pensiero  di  collegarsi  coi  suoi 
stessi  nemici  contro  la  repubblica,  come  pochi  anni  addietro 
aveva  fatto  il  re  Luigi  XII,  il  che  era  stato  principio  di  tante 
e  cosi  gravi  calamità?  D? altra  parte,  separandosi  dall'ami- 
cizia di  Francia,  bisognava  badar  bene  di  non  mettersi  a  di- 
screzione di  Cesare,  imbaldanzito  dalle  recenti  prosperi- 
tà. Lui  non  amavano  certo  i  Veneziani  e  come  impera- 
tore e  come  austriaco,  cioè  erede  di  antiche  pretensio- 
ni sovra  i  loro  domimi;  e  come  fiammingo,  cioè  di  gente 
emula  per  commercio;  e  come  spagnuolo  e  padrone  di 
quel  nuovo  mondo  che  loro  toglieva  lo  scettro  de' mari; 
sicché  tra  i  cesarei  e  i  francesi  per  rispetti  politici  avevano 
in  conto  di  minor  male  questi  ultimi,  ai  quali  i  fiorentini, 
malgrado  di  tante  esperienze,  guardavano  invece  come  a 
liberatori.  L'ambasciatore  imperiale  trovavali  i  piU  malvagi 
uomini  che  avesse  mai  conosciuto  e  piU  francesi  nelV  animo 
che  non  son  quelli  di  Parigi;  onde  assicurava  il  padron  suo 
che  nulla  da  essi  otterrebbe  se  non  per  forza  (1).  La  era 
proprio  cosi;  e  qual  fede  invero  potevano  riporre  in  coloro 
che,  alla  domanda  di  riaver  quanto  la  repubblica  possedeva 
prima  della  guerra,  davano  per  tutta  risposta  che  sua  mae- 
stà sarebbe  assai  conlenta  gli  restituisse  la  signoria  quello 
che  tenea  della  casa  d'Austria  e  dell'impero  ?  AI  che  Porator 
Gaspare  Contarini  argutamente  replicò,  non  voler  entrare  su 
ciò  in  disputazione,  perchè  vi  sarebbe  molto  a  dire,  e  chi  vo- 
lesse risalire  alla  origine  delle  cose  troverebbe  che  i  primi 

(l)  Son  la  mas  mala  gente  que  yo  jamas  platique,  muy  dobla- 
dos  y  son  mas  franceses  que  los  que  estan  a  Paris,  y  sino  por 
fuerca  no  spere  V.-M.  dellos  por  virtud  que  se  reduzgan  ni  hayan 
bondad;  han  en  extremo  sentido  lacreacion  del  papa  que  era  el 
cardenal  de  Tortosa  soloporque  es  hechura  de  V.  M.  Alonso  Sanchez 
al  rey.  Venezia  6  e  9  febb.  1522.  Biblioteca  de  la  Acad.  a"  Hist.  de 
Madrid  A.  minse. 


—  479  — 

imperatori  furono  occupalori  dei  beni  altrui  (4).  Vero  è  che 
Cesare,  sebbene  stretto  più  che  mai  col  re  Enrico  Vili,  fa- 
ceva al  solito  ogni  studio  di  melliflue  parole  e  di  amorevoli 
atti  per  tirargli  dalla  sua  parte  (2);  ma  nella  trattazione  del- 
l'accordo, condotta  direttamente  a  Venezia  da  Girolamo  A- 
dorno  suo  commissario,  non  apparivano  conformi  effetti. 
Pretendeva  quegli  che  si  avesse  a  rinnovare  la  investitura 
di  terraferma  come  ai  tempi  di  Massimiliano,  fermi  rimanen- 
do soltanto  gli  attuali  possessi  ;  i  Veneziani  insistevano  in- 
vece nello  scioglimento  da  qualunque  vincolo  coli' impero  e 
nella  restituzione  de'  luoghi  usurpati.  Non  minore  l'ostacolo 
della  difesa  che  volevasi  loro  imporre,  non  pur  dello  stato 
di  Milano  ma  del  regno  di  Napoli  contro  a  tutti,  la  quale  po- 
teva metterli  in  quel  pericolo  stesso  che  cercavano  evitare, 
non  aderendo  alle  tregue  universali  contemporaneamente 
proposte  da  papa  Adriano;  di  essere  cioè  primi  e  forse  soli 
a  sostenere  l'empito  dei  Turchi.  Incomportabile  l'obbligo 
del  dichiararsi  subito  contro  Francia  (3),  e  più  ancora  la 
violenza  del  re  d'Inghilterra  che,  per  aggiungere  agli  ufflcii 
qualche  necessità,  tratteneva  ne'  suoi  porti  alcune  .delle  lor 
navi  e  le  merci  ond' erano  cariche,  con  grandissimo  incomo- 
do de9  particolari  mercanti  e  con  offesa  della  dignità  pubbli- 
ca. Indi  le  sollecitudini  di  non  dar  sospetti  a  Francesco, 
esortandolo  a  prevenire  colla  celerità  della  sua  venuta  in  Ita- 
lia (tante  volte  promessa  ora  con  lettere,  ora  con  uomini 

(1)  Gaspare  Contarini  al  Senato.  Bruxelles  2  apr.  Ì522, 1.  e. 
msc. 

(2)  Quando  venne  in  Inghilterra,  scrive  il  Contarini  che  lo  ac- 
compagnava, nello  smontar  dal  vascello  prima  di  montar  a  ca- 
valla mi  fece  gran  ciera  . . .  abrazandome  strettamente  per  rispetto 
di  V.  5.  tal  che  io  Gaspare  affirmo  a  quella  non  haver  veduto 
da  Sua  Ces.  M,  usarsi  più  amorevole  atto,  Cantorberì  7  marzo  1522 
L  e.  msc. 

(3)  Gaspare  Contarini  al  Senato.  Bruges  maggio  1522, 1.  e. 


—  480  — 

proprii)  i  consigli  de'  nemici  (I);  mentre  le  pratiche  con 
Cesare  tiravansi  in  lungo  per  aspettare  dal  progresso  del 
tempo  maggior  lume  a  discernere  il  men  sinistro  partito. 

E  lo  ebbero  poco  stante  negli  avvisi  dell'ambasciatore 
residente  in  Francia,  che  tutte  le  forze  di  quel  regno  si  vol- 
gerebbero contro  l'Inghilterra  (2);  il  perchè,  sebbene  venis- 
sero di  là  Renzo  da  Ceri,  monsignore  de  Valliers  e  poi  Lo- 
dovico Canossa  vescovo  di  Baiusa  a  confermare  la  volontà 
del  re  di  discendere  con  nuovo  esercito  in  Italia,  non  v'era 
più  alcuno  che  le  aggiustasse  credenza.  Intanto  era  riuscito 
al  Contarmi  di  togliere  dai  preliminari  l'articolo  della  inve- 
stitura, ed  essendosi  arreso  agl'imperiali  anche  il  castello  di 
Milano  aveva  Cesare  acconsentito  con  laude  non  piccola  ajh 
presso  agli  Italiani,  come  dice  il  Guicciardini,  che  fosse  con- 
segnato in  potestà  del  duca  Francesco  Sforza.  Non  già  che 
i  Veneziani  credessero  per  questo  smorzata  in  lui  la  cupidi- 
gia della  Lombardia.  Renzo  da  Ceri  si  mostrò  buon  consi- 
gliere e  buon  profeta,  allorché,  esprimendo  i  loro  sentimen- 
ti, scriveva  al  signor  di  Montmorency  :  il  re  cristianissimo 
può  pensare  che  lo  stato  è  in  mano  non'  del  duca  Sforza  ma 
degli  Spagnuoli,  i  quali  non  hanno  mai  per  il  passato  per- 
duto tempo  in  assettare  le  cose  loro,  e  né  meno  lo  perderan- 
no in  istabilire  quelle  di  Milano  e  le  altre  d'Italia,  se  da  es- 
sa maestà  cristianissima  ne  avranno  agio;  sicché  se  al  pre- 
sente vi  sarà  una  difficoltà  a  ricuperarle,  da  qui  a  qualche 
mese  ce  ne  saranno  venticinque  (3).  Ma  infine  preferibile  era 
un  principe  italiano  anche  di  solo  nome  ad  un  principe  fore- 
stiero, un  debole  duca  come  Francesco  II  Sforza  ad  un  po- 
tente monarca  come  Francesco  I  (4).  Non  potrebbesi  forse, 

(1)  Secreta  Rogai,  t.  XLIX  7  agosto  e  21  nov.  1522. 

(2)  Ibidem  27  die.  1522. 

(3)  30  luglio  1523.  Mulini,  Docum.  di  storia  ital.  t.  1,  pag.  166. 

(4)  Questa  è  la  ragione  principale  in  favore  della  lega  dei  Vene- 
ziani con  Carlo  V,  che  il  Guicciardini  mette  in  bocca  a  Giorgio  Cor- 


—  181  — 

o  per  accordo  universale,  o  pel  timore  sia  della  venuta  e  sia 
di  nuove  chiamate  de'  Francesi,  costringere  Carlo  a  proce- 
dere con  rispetto  nelle  cose  d' Italia,  convertendo  in  realtà 
l'infingimento  del  non  voler  un  palmo  di  terra  non  sua?  E 
chi  sa  non  rivivesse  nei  Veneziani  la  speranza  di  poter  un 
di  pigliare  per  loro  quello  stato  di  Milano  da  gran  tempo 
appetito  (d)?  Non  era  ultimo  il  riguardo  che  avevano  dell'In- 
ghilterra per  ragion  de'  commerci!  (2).  Vinti  da  queste  con- 
siderazioni e  dalla  incuria  de'  Francesi,  mostraronsi  infi- 
ne più  pieghevoli  a  trattare  coli' imperatore,  purché  vi  con- 
corresse anche  l'arciduca  Ferdinando,  suo  fratello,  il  quale 
ne  inviò  il  relativo  mandato  (3).  In  questo  mezzo  era  morto 
ai  7  maggio  1523  il  doge  Antonio  Grimani  mal  gradito  a 
causa  specialmente  della  molta  età,  ond'  erasi  fatta  qualche 
pratica  d' indurlo  a  rinunziare,  che  i  nipoti,  per  godersi  la 
buona  entrata,  mandarono  a  vuoto  (4);  e  Andrea  Gritti  che 
gli  successe,  sebbene  antico  partigiano  di  Francia  (5),  non 

naro  savio  del  consiglio,  il  cui  discorso  nelle  Opere  inedite  t.  1  pa§. 
293-301  è  molto  diverso  e  più  copioso  di  quello  riportato. nel  libro 
XV  della  sua  Storia  d'Italia. 

(1)  Francesco  Vettori,  Storia  d'Italia.  Arch.  stor.ital.  Append. 
22  pag.  344. 

(2)  Volsey  scrisse  al  suo  re  essere  state  superate  le  difficoltà 
bg  your  mediacion,  and  moost  for  your  sake  10  ag.  1523  State  Pa- 
peri t.  l,pag.  117. 

(3)  Secreta  Rogat.  t.  L.  6  e  20  giugno  1523. 

(4)  Al  qual  proposito  osserva  amaramente  il  Sanuto  t.  XXXIV 
e  cossi  va  le  nostre  cosse.  Di  quel  doge  scriveva  l'ambasciatore  im- 
periale :  este  duque  es  un  loco  y  por  tal  lo  tienen  los  mas  del  colle- 
già  y  dize  mil  locuras.  Alonso  Sancii ez  al  rey.  Venezia  2  die.  1521 
Bibliot.  de  V  Acad.  cChist.  de  Madrid  A.  21  mse. 

(5)  Per  questo  dolevasi  P  ambasciatore  imperiale  che  né  egli  né 
isuoi  colleghi  non  potevano  intromettersi  nella  elezione  dei  dogi: 
en  estas  electiones  los  embaxadores  que  aca  estan  no  pueden 
aprovechar  a  cosa  ninguna  porque  attende  que  passan  por  sus 
ordenes  los  quale*  por  cosa  del  mundo  no  divertirian  de  un  pelo,  y 


—  182  — 

che  difenderne  l'alleanza  od  astenersi  dal  parlarne,  come  fa- 
fermano  alcuni  storici,  perorò  anzi  in  favore  della  confedera- 
zione con  Cesare  (d).  La  quale,  dopo  lunghe  negoziazioni, 
interrotte  eziandio  per  la  morte  di  Girolamo  Adorno,  a  cui 
venne  sostituito  Marino  Caracciolo  protonotario  apostolico, 
fu  segnata  a  di  29  luglio  d523  a  queste  condizioni  :  tenessero 
i  Veneziani  le  terre  che  al  presente  possedevano,  pagando  in 
compenso  a  sua  maestà  ducentomila  ducati  in  anni  otto  ; 
concedessero  l' impune  ritorno  in  patria  agli  emigrati,  ed 
assegnassero  loro  pei  beni  confiscati  cinquemila  ducati 
d'entrata  perpetua;  si  facesse  da  ogni  parte  la.  restituzione 
de' luoghi  occupati  giusta  il  convegno  di  Worms;  fosse  ai 
sudditi  di  ambedue  i  contraenti  nell'uno  e  nell'altro  domi- 
nio libero  e  sicuro  il  commercio  e  la  dimora;  tenesse  lo  Sfor- 
za per  la  difesa  dello  stato  di  Milano  in  tempo  di  pace  cin- 
quecento uomini  d'arme,  e  altrettanti  i  Veneziani  con  l'ob- 
bligo di  accrescerne  il  numero  in  tempo  di  guerra  fino  a 
ottocento  uomini  d'arme,  cinquecento  cavalli  leggieri  e  sei- 
mila fanti  con  apparato  conveniente  di  artiglieria,  lo  stesso 
facendo  Cesare  per  la  eventuale  difesa  della  repubblica;  vie- 
tasse ciascuna  parte  al  nemico  il  passo  e  le  vettovaglie  sul 
proprio  territorio;  mandassero  i  Veneziani  venticinque  ga- 
lee in  difesa  del  regno  di  Napoli,  sempre  che  non  fossero  in 
guerra  col  Turco.  Nominaronsi  il  papa  e  il  re  d' Inghilterra 
custodi  e  conservatori  di  questa  confederazione,  alla  quale, 
come  comuni  amici,  furono  aggiunti  i  re  di  Polonia,  d' Un- 
gheria e  di  Portogallo,  il  duca  di  Savoia  (2),  la  repubblica  di 

la  suerte  aset  lo  haze  ;  su  condicion  de  està  gente  es  huyr  de  lo- 
da platica  y  conversacion  de  todos  los  embaxadores.  Alonso  Sari- 
chez  al  rey.  Venezia  20  mag.  1523  Ibidem  msc. 

(1)  Andrea  Morosini,  Storia  Veneta  t.  1  pag.  73,  correggendo 
Terrore  di  Pietro  Giustiniano  (Rerum  Venetarum  ab  urbe  condita 
ad  annum  1575  liistoria.  Argentorati  1611). 

(2)  Carlo  HI  duca  di  Savoia  aveva  nel  1521  concesso  SI  passo 


—  483  — 

Firenze,  la  casa  de'  Medici,  Antoniotto  Adorno  duca  di  Ge- 
nova e  il  marchese  di  Monferrato.  Fermate  le  quali  cose,  li- 
cenziò il  senato  Teodoro  Trivulzio,  benché  con  grande  onore, 
siccome  partigiano  di  Francia,  e  in  sua  vece  elesse  governa- 
tore generale  della  milizia  veneta  il  duca  d'Urbino,  stato 
sino  allora  capitano  de'Fiorentini,  per  volontà  del  cardinale 
Giulio  de' Medici,  il  quale,  allo  spirare  del  convenuto  tempo 
di  servizio,  dimandò  a  Cesare  che  gli  fosse  sostituito  il  mar- 
chese di  Pescara  (1). 

X.  Tanta  unione  di  tutti  gli  stati  italiani  e  de'  primarii 
potentati  d'Europa,  di  quelli  per  impedire  al  re  di  Francia 
la  riconquista  della  Lombardia,  di  questi  per  invadere  il  suo 
regno,  reputavasi  almeno  bastevole  a  farlo  desistere  per 
quell'anno  dalla  disegnata  impresa.  Di  già  Andrea  Doria, 
malcontento  di  lui,  prometteva  passare  al  servizio  di  Cesa- 
re (2).  Ora  possiam  dir  con  Orazio,  scriveva  da  Roma  Girola- 
mo Negro  al  dotto  suo  compatriotta  Marcantonio  Micheli,  Nunc 
est  bibendum,  nunc  pede  libero  Pulsanda  tellus,  poi  che  per 
la  vostra  prudenza  si  spera  veder  la  quiete  d'Italia  già  tanto 
tempo  desiderata.  Non  vi  posso  scrivere  quanto  tutta  questa 
città  si  sia  allegrata  del  partito  preso  per  cotesta  illustrissi- 
ma Signoria,  dal  quale  si  conosce  pendere  la  salute  d'Italia 

all'esercito  francese,  aggiungendovi  aiuti  di  viveri  e  munizioni. 
Ora,  sebbene  il  re  Francesco  per  ristrignersi  con  lui  rinunciasse  ai 
diritti  ereditati  dai  conti  di  Provenza  sulla  contea  di  Nizza  (Du  Mont, 
Corps  diplom.  t.  4  p.  319),  accostavasi  all'imperatore,  cedendo  alle 
instanze  di  Beatrice  figliuola  di  Emanuele  re  di  Portogallo,  eh'  ei 
sposò  nel  marzo  di  quell'anno,  ed  all'aspettativa,  con  che  quegli 
lusingavalo,  di  acquistare  il  marchesato  di  Saluzzo.  Lettera  di  Carlo 
al  duca,  dicembre  1521.  Archivio  di  Stato  e  di  Corte  in  Pierina. 

(1)  Fide  prestantem,  gratta  apud  omnes  admirabilem.  Il  card, 
de' Medici  alNmper.  Roma  7  lugl.  1523.  Bibliot.  de  la  Acad.  df  fli- 
rt.  de  Madrid.  A.  28  msc. 

(2)  Lopez  de  Sona  al  emperador.  Genova  13  ag.  1513.  Ibi- 
dem msc. 


—  184  — 

e  di  tutta  cristianità;  e  per  gli  uomini  di  esperienza  si  giu- 
dica che  il  re  di  Francia,  veduta  questa  anione,  non  verrà  di 
qua  da9  monti,  ovvero  che,  venendo,  facilmente  gli  sia  dato 
delle  busse,  e  corra  pericolo  di  perdere  il  proprio  per  F  ap- 
pellativo. E  se  Dio  gr inspirasse  nel  cuore  d'acquietarsi  e 
cedere  al  tempo  ed  alla  fortuna,  si  spereria,  con  la  diligenza 
del  pontefice,  veramente  ottimo  e  religiosissimo,  poter  fare 
alcuna  opera  buona  contra  il  Turco  (4).  Sola  Venezia  non 
consentiva  in  queste  improvvide  fidanze,  e  ben  lungi  dal  far 
festa  di  un'opera  impostale  dalla  necessità, quasi  presaga  del- 
l'avvenire, cercava  nasconderla  per  veder  se  gli  eventi  le  con- 
cedessero ancora  altra  via  di  scampo.  Valga  in  prova  che  nella 
promulgazione  solenne  della  lega  fatta  in  Roma  a'  5  agosto 
4523  non  volle  essere  nominata  (2),  e  che  Teodoro  Trivulzio 
a9 34  luglio  di  quell'anno  scriveva  al  maresciallo  di  Mont- 
morency,  non  dovere  il  re  per  questo  perdersi  d9  animo,  anzi 
dimostrare  la  sua  possanza;  che,  mostrandola,  le  cose  passe- 
ranno  col  medesimo  favore  che  sarebbero  passate  primay  e 
forse  la  Signoria  di  Venezia  farà  per  lui  quello  che  non  a- 
vrebbe  fatto  innanzi  (3).  In  fatto  da  quella  lega  non  si  lasciò 
intimidire  Francesco.  Tutta  Europa,  aveva  egli  detto  poc'anzi 
al  parlamento  di  Parigi,  congiura  a? miei  danni:  sia  pure,  ed 
io  farò  testa  a  tutta  Europa.  Non  temo  V  imperatore,  perchè 
non  ha  denari;  non  il  re  d'Inghilterra,  perchè  la  frontiera 
della  Piccardia  è  ben  fortificata;  non  i  Fiamminghi,  perchè 
sono  inabili  soldati.  Quanto  all'  Italia  me  n5  espedirò  io  stes- 
so :  andrò  a  Milano,  lo  prenderò  e  non  lascierò  nulla  ai 


(1)5  agosto  1523.  Ruscelli  Lettere  di  principi  t.  1,  pag.  99. 

(2)  De  Venetis  nostris  nulla  habita  mentione.  Id  quod  consulto 
factum  fuit,  per  non  voler  quei  nostri  Signori  scoprirsi,  fin  che  la 
unione  non  si  fa  generale,  di  che  il  nostro  clarissimo  oratore  fece 
prima  la  scusa  col  pontefice,  et  per  questo  noluit  interesse.  Ibidem. 

(3)  Molini,  Docum.  di  storia  ita!,  t.  1,  pag.  167. 


—  485  — 

nemici  di  ciò  che  mi  tolsero  (i)9  e  allora  scrisse  al  Montmo- 
rencv  :  non  islarò  bene  che  quando  sarò  passato  di  là  col  mio 
esercito  (2). 

Di  già  per  la  fama  della  venuta  sua  cominciavano  ad 
apparire  nuovi  tumulti.  Lionello,  fratello  di  Alberto  Pio,  ri- 
cuperò furtivamente  la  terra  di  Carpi,  mal  custodita  da  Gio- 
vanni Coscia,  prepostovi  da  Prospero  Colonna,  a  cui  Cesane, 
spogliatone  Alberto,  come  ribelle  dell'impero,  l'aveva  dona- 
ta. Maggiore  scompiglio  stava  per  succedere  nel  ducato  di  Mi- 
lano, dove,  sebbene  il  duca  Sforza  coi  cinquecentomila  ducati 
d'oro  avuti  in  presto  dal  re  d'Inghilterra  (3),.  facesse  ogni 
poter  suo  di  non  affliggere  tosto  con  nuove  taglie  i  sudditi, 
continuavano  gl'imperiali  sotto  coloie  di  non  essere  pagati  i 
loro  saccheggiamenti,  dai  quali  il  solo  Antonio  de  Leva,  per 
autentica  testimonianza  del  duca  medesimo,  si  tenne  purga- 
to (i).  Onde  all'amore  del  principe  proprio  contrastando  l'o- 
dio contro  a' padroni  di  fatto,  traevano  incentivo  i  vogliolosi 
di  rivolture  appoggiatisi  a  Francia.  Fra' quali  Bonifacio  Vi- 
sconti, mosso  eziandio  da  privati  rancori  e  dal  desiderio  di 
vendicare  Ettore  suo  zio  (detto  il  Monsignorino  perchè  aba- 
te commendatario  di  s.Celso  dell'ordine  di  s.  Benedetto) 
pochi  mesi  innanzi  trucidato  da  Giangiacomo  Medici  per  co- 
ti) Mignet,  Rhalitè  de  Charles  -  Quint  et  de  Francois  l.  1.  e. 
pag.  645. 

(2)  23  ag.  1523.  Ibidem. 

(3)  Ut  nobis  in  hac  aeris  angustia  qua  premimur  opem  ferat, 
nosque  resque  nostras  ipsius  et  Caesaris  auxilio  partas  instaurare 
ac  tueri  meJius  valeamus.  Obligacion  del  duque  de  Milan  para  et 
rey  de  Inglaterra.  Medio).  13  mai  1522.  Archivio  di  Simancas  msc. 

(4)  False  le  calunnie,  dice  il  duca,  contro  Antonio  de  Leva  di 
aver  espilato  o  permesso  di  espilare  denaro  dai  Novaresi.  Egli 
fece  pubblicare  un  bando  che  qualunque  si  credesse  leso  si  pre- 
sentasse per  avere  risarcimento,  e  nessuno  si  presentò.  Francesco 
Sforza  all'  imperatore.  Milano  28  marzo  1523.  Biblioteca  de  l'Acad, 
d  Hist.  de  Madrid  A.  27  msc. 


—  486  — 

mandamento  del  duca  e  del  Morone,  i  quali  colla  morte  di 
Ini,  non  dissimile  dal  fratello  Sagramoro  dei  tempi  di  Massi- 
miliano Sforza  (t.  4,  pag.  168),  vollero  prevenire  un  tra- 
ditore (d).  Tornava  il  duca  da  Monza  a  Milano  il  di  25  a- 
gostò  4523,  e  Bonifacio,  colto  il  destro  di  trovarsi  solo  con 
lui,  essendo  stati  allontanati  i  cavalli  di  sua  guardia  per  di- 
minuire r  incomodo  della  polvere,  gli  diede  un  colpo  di 
pugnale,  che  destinato  alla  testa  lo  feri  invece  leggermente 
in  una  spalla  (2).  All'istante  Galeazzo  Birago,  avuto  avvi- 
so della  cospirazione,  e  non  dubitando  della  morte  del  du- 
ca, s' impadroni  di  Valenza  sul  Po  per  aprire  ai  Francesi 
questa  porta  della  Lombardia;  ma  non  arrivarono  i  soccorsi 
promessi,  e  Antonio  de  Leva  andatovi  a  campo  la  espugnò 
in  due  giorni  ;  sicché  la  congiura  non  ebbe  altro  risultamen- 
to  che  di  menare  alla  tortura,  indi  al  supplizio  molli  genti- 
luomini milanesi.  La  tardanza  de  soccorsi  francesi  aspettati 
dal  Birago  dipendette  in  gran  parte  dalla  cospirazione  a 
que'  giorni  scoperta  del  contestabile  Carlo  di  Borbone,  della 
quale,  per  la  importanza  avuta  nelle  vicende  dell'Italia,  ben 
si  appartiene  alla  storia  nostra  narrare  le  origini  e  i  successi. 
Carlo,  pervenuto  al  trono  ducale  di  Borbone,  e  come 
capo  della  seconda  linea  di  quella  casa  regnante  e  come  ma- 
rito di  Susanna,  unica  figlia  del  duca  Pietro  e  di  Anna  di 
Francia  (figliuola  di  Luigi  XI)  in  cui  estinguevasi  il  ramo 
primogenito,  per  la  nobiltà  del  sangue  e  per  la  grandezza 
dello  stato  non  la  cedeva  che  al  re  in  potenza  (3).  Uguaglia- 


li) LUta,  illustri  famiglie  italiane.  Il  processo  verbale  di  Palla- 
vicino Visconte  (T.  Dandolo,  Ricordi  inediti  di  Girolamo  Morone  p. 
1 13)  parmi  non  basti  a  scolparne  il  Morone. 

(2)  Lettere  dell' ab.  de  Najera  e  del  duca  Sforza  all'imperatore, 
nelle  quali  si  attribuisce  l'attentato  alle  subornazioni  d#l  re  Fran- 
cesco, di  Galeazzo  Visconti  e  di  altri  fuorusciti  milanesi  Bibliot.  de 
V  Acad.  d'Hist.  de  Madrid  A.  28  msc. 

(3)  Questo  ducha  di  Borbon ...  a  anni  29.  Prosperoso  traze 


—  487  — 

vaio  quasi  per  l'autorità  del  nome,  fatto  chiaro  nei  campi  di 
Agnadello  e  di  Malignano,  e  più  assai  nella  difesa  di  Milano 
contro  gli  assalti  dell'imperatore  Massimiliano  nell'anno 
4516  (i).  Qual  meraviglia  che  il  pensiero  levasse  sino  al  tro- 
no di  Francia?  E  cosi  innanzi  lo  portò  da  chiedere  persino 
in  quell'anno  medesimo  l'aiuto  di  Venezia  per  il  caso  che 
Francesco  non  avesse  figli  o  ne  fossero  esclusi  gli  Alencon 
aventi  prevalente  diritto  (2).  Di  qui  forse  le  disgrazie  ben 
tosto  succedute  a' suoi  trionfi.  Due  mesi  dopo  la  fuga  di 
Massimiliano  ei  fu  richiamato  da  Milano,  rimosso  dai  consi- 
gli del  re,  non  risarcito  delle  spese  fatte  del  proprio  in  Lom- 
bardia, privato  fin  degli  emolumenti  dLgovernatore  della 
Linguadocca  e  di  contestabile  di  Francia. 

Non  si  rimase  per  questo  dal  comparire  a  corte,  e  nel 
campo  dei  drappi  d'oro  tanto  fasto  ostentò  che  Enrico  Vili 
lo  ebbe  a  male,  e  fissando  quel  volto  altero  in  cui  sorprese 
la  tempesta  dell'  animo,  se  io  avessi  tal  suddito,  disse  a  Fran- 
cesco I,  non  gli  lascierei  lungo  tempo  la  lesta  sulle  spalle  (3). 
Lo  afflisse  invece  Francesco  con  nuovo  dispregio,  affidando 
al  duca  d'Alengon  il  comando  che  a  lui  spettava  della  van- 
guardia nella  guerra  di  Piccardia,  e  a  questo  aggiunse  po- 
co stante  la  minaccia  di  spogliarlo  de*  suoi  averi.  Morta 
essendo  la  duchessa  Snsanna  nell'aprile  del  4521  ed  a- 
vendo  il  Borbone  rifiutato  la  mano  di  sposa  profferlale  da 

uno  palo  di  ferro  molto  gajardamente,  teme  Dio,  è  devoto,  human 
e  libéralissimo;  ha  de  intrada  scudi  120  milia,  e  per  il  stado  di  la 
madre  scudi  20  milia;  poi  ha  per  l' officio -di  gran  contestabile  in 
Franza  scudi  2000  al  mese.  Sumario  di  la  relazione  di  ser  Andrea 
Trecisan  (ambase.  veneto  a  Milano)  fatta  in  pregadi  novembre  1516. 
Mariti  Sanino  t.  XXIII. 

(1)  Et  ha  grande  autorità ...  poi  disponer  di  la  metà  del  exer- 
cito  del  re  ancora  chel  re  non  volesse  a  qual  impresa  li  par.  Ibidem. 

(2)  Perho  in  quel  caso  la  ser.ma  Signoria  volesse  ajutarlo. 
Ibidem. 

(3)  Henri  Martin  Histoire  de  France.  Paris  1857  t.  8  pag.  27. 


-  188  - 

Luigia  di  Savoia,  madre  del  re  (1),  questa,  accesa  di  sdegno, 
gli  contese  in  giudizio  la  eredità  de9  feudi  trasmissibili  alle 
femmine,  e  Francesco  non  solamente  la  lasciò  fare,  ma  si 
uni  a  lei  per  rivendicare  alla  corona  gli  altri  feudi  riservati 
ai  maschi.  Tutto  ciò  fuor  di  tempo,  abbisognando  egli  allora 
più  che  mai  di  tener  congiunte  le  forze  per  opporle  a  tanti 
nemici  esterni,  e  conti 'ogni  ragione;  sendoche  il  Borbone 
fondava  la  legittimità  del  suo  possesso  sopra  la  legge  roma- 
na e  le  consuetudini  vigenti  dal  1400  in  poi  quanto  ai  primi 
domimi,  siccome  donatario  e  poi  legatario  di  Susanna,  e  sul- 
la legge  salica  degli  appanaggi  quanto  ai  secondi,  siccome 
erede  sostituto  (2). 

Vistosi  in  pericolo  di  perdere  tutto,  non  si  tenne  più  il 
contestabile  nei  termini  legali  di  difesa.  Piacevagli  ripetere 
sovente  ciò  che  un  cavaliere  guascone,  interrogato  da  Carlo 
VII  qual  cosa  potrebbe  risolverlo  a  mancar  di  fede,  aveva  ri- 
sposto, non  r  offerta  della  corona,  ma  una  vostra  ingiuria  (3). 
E  gravi  erano  le  ingiurie  patite;  incomportabile  la  ingiustizia 
per  cui  da  una  potenza  quasi  regale  volevasi  abbassarlo  alla 
condizione  di  semplice  conte  di  Montpensier.  Più  volte  io 
Francia  e  in  altre  monarchie  feudali  s'erano  veduti  grandi 
vassalli  e  principi  del  sangue  cospirare  contro  il  loro  sovra- 
no, non  mai  ancora  mancare  ai  doveri  verso  la  patria.  Ri- 
servata era  al  Borbone  l'infamia  di  conculcarli,  e  a  Carlo  V e 
ad  Enrico  Vili  la  viltà  di  farsene  complici.  Alcuni  mesi  dopo 
la  morte  di  Susanna  avevagli  Carlo  V  proposta  la  mano  di 

(1)  Enrico  Vili  disse  all'ambasciatore  di  Carlo  V:  il  n'y  a  eu 
malcontentement  entre  le  roi  Francois  et  le  dict  de  Bourbon  sinona 
cause  qu'il  n'a  vola  espouser  madame  la  régcnte,  qui  l'aymefort.  Luis 
de  Praet  à  l'empereur  8  mai  1523.  Archivio  imp.  di  Henna,  presso 
Mignet  Le  connètable  de  Bourbon.  Revue  des  deux  mondes  l.  25 
pag.  878. 

(2)  Ibidem  jng.  875-877. 

(3)  Ferronius,  De  rebus  gestis  Gallorum  1.  6  pag.  136. 


—  489  — 

sua  sorella.  In  questo  maritaggio,  non  accettato  né  respinto 
in  sulle  prime,  cercò  poi  il  Borbone,  divenuto  ribelle,  un 
mezzo  di  sostenersi  e  di  vendicarsi,  introducendo  a  tal  uopo 
nella  state  del  1522  negoziazioni  secrete,  per  le  quali  pro- 
metteva di  sollevare  la  Francia  e  di  congiungere  le  sue  forze 
alle  spagnuole  ed  inglesi  in  quel  momento  che  comparireb- 
bero ai  confini  del  regno,  con  patto  che  Cesare  ed  Enrico, 
di  cui  non  si  recava  a  coscienza  adulare  le  ambizioni  e  riac- 
cendere le  antiche  pretese  (1),  mandassero  a  lui  persone  in- 
time e  di  autorità  per  convenire  negli  articoli  principali  di 
un  trattato. 

Di  questi  articoli,  discussi  prima  a  Yalladolid  e  poi  a 
Londra  nel  giugno  del  4523,  fu  portatore,  in  nome  di  Cesa- 
re, Adriano  di  Croy  signore  di  Beaurain,  al  quale  doveva  ac- 
compagnarsi il  dottore  Knight  siccome  rappresentante  del  re 
d'Inghilterra.  //  duca  di  Borbone,  diceva  questi  nella  istru- 
zione relativa,  buon  uomo  e  di  nobili  sentimenti,  mosso  a 
pietà  della  Francia  oppressa  da  Francesco,  applicò  il  pen- 
derò al  rimedio  de9  suoi  mali  (2).  Ecco  i  pietosi  motivi  che 
il  traditore  della  patria  adduceva  a'  suoi  complici  e  forse 
anche  a  sé  stesso  in  quegli  istanti  in  cui  il  delitto  ammanta- 
si del  sofisma.  Nonpertanto  che  prevalesse  ancora  in  lui  il 
grido  della  coscienza,  addimostrerebbelo  il  non  essere  com- 
parso davanti  ai  sopraccennati  agenti  nel  giorno  e  nel  luogo 
assegnati.  Se  il  re  e  sua  madre  fossero  desistiti  'dall'ingiusto 
litigio  ei  sarebbe  tornato  indietro.  Ma  quegli  s' era  già  in 
questo  mezzo  appropriata  una  porzione  de'  suoi  domimi. 

(17  The  salci  Duke  .  . .  considering  also  that  the  King  hath  title 
to  the  crowne  of  Fraunce,  the  same  Dukewas  co  utente  d  it  shuld  be 
notified  unto  the  Klnges  Highnes.  distruzione  di  Enrico  Vili  a  Tom. 
Boleyn  e  Rice.  Sampson  suoi  ambasc.  presso  Carlo  V.  State  Papers 
t.6pag.l04. 

(2|  Instructions  geven  by  the  Kinges  Highnes  to  his  trusty 
clerc  and  counsaillour  Maister  William  Knyght.  Ibidem  p.  131. 


—  >|©0  — 

Aveva  il  Borbone  sin  dal  dicembre  del  4522  perduta  sua 
suocera,  e  sebbene  essa  con  alto  di  ultima  volontà,  confer- 
mando le  anteriori  disposizioni,  l'avesse  lasciato  legatario 
universale,  pure  comprendeva  che  all'autorità  de'  suoi  av- 
versarti soccomberebbe  il  diritto.  Sapeva  oltracciò  che  il 
cancelliere  DuPrat  consigliava  di  ridurlo  alla  condizione  d'un 
gentiluomo  con  quattromila  lire  di  rendita/Venne  per  ultimo 
il  decreto  del  parlamento  di  Parigi  che  accordava  il  chiesto 
sequestro  de'  beni  controversi.  Allora,  al  colmo  della  dispe- 
razione, fatto  venire  a  sé  l'ambasciatore  di  Cesare  nella  not- 
te del  18  luglio  |523  segnò  Tabbominevole  patto  della  sua 
ribellione.  Fu  stipulato  che  il  duca  sposerebbe  quanto  prima 
o  Eleonora,  vedova  del  re  Emanuele  di  Portogallo,  o  la  in- 
fanta Caterina  sua  sorella  con  dugentomila  scudi  di  dote,  e 
si  unirebbe  coli' imperatore  e  col  re  d'Inghilterra  contro 
a  tutti,  e  nominatamente  contro  a  Francesco,  sebbene  non 
acconsentisse  ancora  di  riconoscere  a  re  di  Francia  Enrico 
Vili,  rimettendosi  in  ciò  al  beneplacito  di  Cesare;  che  que- 
sti entrerebbe  in  Francia  per  la  via  di  Narbona  con  diciot- 
tomila  spagnuoli,  diecimila  lanzichenecchi  tedeschi,  duemila 
uomini  d'arme  e  quattromila  cavalli,  mentre  il  re  d'Inghil- 
terra discenderebbe  sulle  coste  occidentali  del  regno  con 
quindicimila  inglesi  e  cinquecento  cavalli,  ai  quali  si  unireb- 
bero tremila  fanti  e  tremila  uomini  d'arme  levati  nei  Paesi 
Bassi  ;  che  qilesta  invasione  simultanea  eseguirebbesi  non  si 
tosto  il  re  Francesco  partisse  di  Lione  per  assumere  il  co- 
mando dell'esercito  in  Italia;  che  dieci  giorni  dopo  dichia- 
rerebbesi  il  Borbone,  venendo  a  campo  colle  sue  genti  e  con 
diecimila  fanti  occultissimamente  preparati  in  Germania  con 
i  danari  di  Cesare  e  del  re  d'Inghilterra  (4). 

(1}  Mignet,  1.  e.  pag.  889  Non  fu  redatto  formale  trattato  :  pour 
le  dangier  de  deceler  cette  affaire  et  aussi  pour  la  haste  qu'  il  re- 
quiert%  n*avoil  este  possible  que  aucunes  gens  de  longue  robe  eussent 
eslepresens  à  conciare  lad.  lighe  a  fin  de  la  mectre  en  forme  ole  lei' 


—  491  — 

Come  n'ebbe  il  re  qualche  indizio,  andò  in  persona  a 
comunicare  i  suoi  sospetti  al  Borbone  che  fingeva  di  essere 
ammalato  per  escusarsi  dal  seguitarlo  in  Italia,  e  sperando 
ancora  di  ricondurlo  con  la  dolcezza  al  dovere  gli  promise 
non  solo  la  restituzione  de'  suoi  beni,  ma  eziandio  di  divide- 
re con  lui  il  comando  dell'esercito.  Quegli  affermò  la  pro- 
pria innocenza  nel  modo  il  più  solenne,  e  con  singolare  af- 
fettazione d' ingenuità  diede  in  pegno  sua  fede  che,  come 
prima  fosse  libero  dalla  infermità,  l'avrebbe  raggiunto.  Parti 
infatti  da  Moulins  sotto  colore  di  seguirlo;  ma  giunto  a  Ga- 
yete,  nella  notte  dal  6  al  7  settembre  segnò  col  plenipoten- 
ziario di  Enrico  Vili  una  lega  offensiva  e  difensiva,  somi- 
gliante a  quella  conchiusa  con  Carlo  V  (1);  poi  volgendo  a 
«Distra  valicò  il  Rodano,  e  dopo  infinite  pene  e  pericoli, 
sfuggito  a  tutti  i  drappelli  di  soldati,  che  il  re,  troppo  tardi 
pentitosi  della  propria  credulità,  aveva  spedito  per  intercet- 
targli il  passo  e  farlo  prigione,  il  dì  8  ottobre  entrò  a  Be- 
sanzone,  fortezza  in  allora  dell'  imperatore. 

Questa  cospirazione  tramata  in  tanta  parte  della  Fran- 
cia con  saputa  e  partecipazione  di  molti  baroni  del  regno, 
fra  i  quali  Filiberto  di  Chalons,  principe  d?  Orange,  destinato 
come  il  Borbone  ad  apparire  nelle  calamità  dell'Italia,  rat- 
lenne  il  re  Francesco  dal  passare  le  Alpi.  Laonde,  non  vo- 
lendo desistere  dalla  disegnata  impresa  sul  Milanese,  affidò 
il  comando  dell'esercito  a  Guglielmo  di  Gouffier,  più  noto 
'  sotto  il  nome  di  ammiraglio  Bonnivet,  capitano  inetto,  ma 
strisciante  cortigiano  e  uno  de'  pochi  in  cui  nelle  angustie 
di  que'  giorni  potesse  fidare.  Il  quale  ridotta  in  potestà  de' 
Francesi  tutta  la  regione  eh'  è  di  là  del  Ticino  non  munita 

tre*  patentes  selon  la,  coutume.  Louis  de  Praet  à  Charles  -  Quint  9 
aoùt  1 523.  archivio  imp.  di  Vienna. 

(I)  Ring  Henry  Vili  and  Charles  duke  of  Bourbon.  State  Paperi 
I6pag.  174. 


—  192  — 

né  di  soldati  né  di  ripari  a  sufficienza,  passò  quel  fiume 
nel  giorno  44  settembre  4523,  sotto  gli  occhi  di  Prospero 
Colonna,  che  per  la  straordinaria  bassezza  delle  acque  non 
potè  impedirlo. 

In  quel  giorno  stesso  morì  papa  Adriano.  Ben  meritava 
gli  risparmiasse  Iddio  il  dolore  di  una  guerra  ch'egli  indarno 
e  pur  con  tanto  zelo  aveva  cercato  evitare.  Di  lui,  come 
principe,  notar  potevano  i  romani  la  inettitudine  al  governo 
delle  cose  del  mondo;  ma,  come  pontefice,  l'odio  in  cui  lo 
ebbero  è  vergogna  loro,  non  sua.  Non  era  Adriano  di  quegli 
uomini,  e  massimamente,  al  dir  di  Girolamo,  Negro,  canonico 
di  Padova,  di  que9  preti  soggetti  a  metamorfosi,  che  spesso  di 
pastori  divengono  lupi  (1).  Qual  fu  a  Lovanio  e  in  Ispagna, 
dove  diceva  voler  provvedere  a9  beneficii  di  uomini  e  non  agli 
uomini  di  beneficii,  tal  rimase  in  Roma  (2).  Ma  il  ponderare 
che  faceva  a  lungo  innanzi  di  conferir  beneficii  (3);  il  menar-, 
si  dietro  la  dabbene  fantesca  che  il  servisse  al  modo  di  pfK 
ma;  il  non  spendere  per  pranzo  meglio  d'un  ducato,  eh* 
ogni  sera  dava  di  propria  mano  allo  scalco;  il  suo  dir  messa 


(1)  Girolamo  Negro  a  Marcantonio  Micheli  sett.  \ 522.  Ruscelli, 
Lettere  di  principi  t.  1,  pag.  92. 

(2)  Ne  dubito  da  principio  il  Negro:  ma  dubito,  che,  come  beva 
di  questo  fiume  Leteo,  non  mandi  in  oblivione  tutti  questi  santi  pen- 
sieri, et  massimamente  perchè  natura  non  tolerat  repentina*  muta* 
liones,  essendo  la  corte  più  corrotta  che  fosse  mai,  non  vi  vedo  a/- 
cuna  disposinone  atta  a  ricever  così  tosto  queste  buone  intentioni. 
Roma  14  apr:  1522.  Ibidem  pag.  88. 

(3)  Tutta  questa  Corte  sta  mai  contenta  per  la  natura  difììcile 
del  principe,  il  quale  nelle  grazie  è  parassimo,  benché  ciò  proceda 
da  poca  esperienza  et  da  diffidentia  de'  ministri,  et  etiandio  da  sua 
buona  conscientia,  perchè  teme  di  non  peccare.  Vero  è,  che  quelle 
poche  signature  sono  giustissime,  et  non  s*  intende  che  da  sue  ma- 
ni esca  niuna  essorbitantia.  Ma  questo  non  satisfa  alla  corte  male 
avezza.  Girolamo  Negro  a  Marcantonio  Michele  Roma  7  apr.  1523. 
Ibidem  pag.  97. 


-  493  - 

e  P  uffizio  tutti  i  giorni  (4);  l'abbonimento  da  ogni  fasto  (2); 
l'austerità  de'  costumi  eccitarono  le  risa  nella  corte  abituata 
al  lusso,  alle  magnificenze,  alle  prodigalità  di  Leone  X.  Né 
si  rimasero  a  quelle  gli  scorretti  cherici  ;  perocché  racconta 
Jacopo  Nardi  aver  udito  uno  di  essi  nella  presenza  d'un  car- 
dinale, mentre  che  di  certo  pericolo  corso  da  sua  santità  si 
ragionava,  insultare  al  papa,  e  non  si  vergognare  di  mala- 
dire  la  fortuna  che  dalla  morte  lo  aveva  liberato.  E  quello 
diche  io  mi  maravigliai,  soggiunge  il  testimonio  autorevole, 
fu  che  il  prete  da  quel  cardinale  non  fu  punto  ripreso  o 
biasimato  delle  buffonesche  parole  da  lui  usate,  ma  più  tosto 
lodato  e  accarezzato  (3).  Lui  ricco  di  quelle  doti  che  si  so- 
levano ricercare  e  desiderare  ne'  tempi  manco  lontani  dalla 
primitiva  Chiesa,  lui  reputato  olir' Alpe  protettore  degl'in- 
gegni (4),  dotto  nelle  lettere  sacre,  studiosissimo  (5),  lui  dis- 


ti) Sommario  della  relazione  di  Roma  di  Luigi  Gradenigo,  e 
del  viaggio  degli  oratori  veneti  che  andarono  a  dar  l'obbedienza 
a  papa  Adriano,  alberi  Relaz.  degli  amb.  ven.  serie  2,  t.  3  pag.  74 
e  J12. 

(2)  Cavalca  senza  pompa  et  senza  far  molto  a  cardinali,  i  quali 
spesso,  intendendo  il  papa  esser  cavalcato,  gli  corrono  dietro  in 
quella  guisa  che  fanno  i  servitori  a' loro  cardinali.  Fi  di  questo, 
come  di  nostra  vendetta,  noi 'altri  ce  ne  pigliamo  piacere.  Girolamo 
Negro  a  Marcantonio  Micheli  Roma  17  marzo  1523.  Ruscelli  Lettere 
di  principi  t.  1,  pag.  96. 
*      (3)  Istoria  della  città  di  Firenze  t.  2  pag.  92. 

(4)  Così  scriveva  Adriano  ad  Erasmo:  ex  natura  tamen  nostra 
et  institelo,  adde  etiam  ex  eo  quod  gerimus  officio,  non  faciles  prae- 
bere  aures  solemus  ad  ea,  quae  de  doclis  et  virtù! e  praeditis  viris 
sinistre  nobis  referuntur  ;  quos  quanto  scimus  excellentiore  doctrina 
praeditos,  tanto  videmus  esse  invidiae  morsibus  magis  obnoxios.  1,° 
dlcem.  1522.  Desid.  Erasmi.  Opera  t.  3,  parte  I,  pag.  735. 

(5)  11  papa  vuole  ogni  giorno  studiare  moltissimo;  nel  quale 
studio  non  si  contenta  solo  di  leggere,  ma  vuol  scrivere  e  compor- 
re. Relazione  precitata  degli  ambas.  ven.  pag.  113.  Dilettasi  sopra 

13 


—  494  — 

sero  un  barbaro  gli  umanisti  che  più  non  salariava,  e  che 
presero  la  fuga  beffando  e  bestemmiando:  tulli  i  Sesti  han  ro- 
vinalo Roma  (i).  Onde  il  Negro  querelavasi  che  le  persone 
da  bene  se  ne  partissero;  avventava  il  Berni  un  capitolo 
violento  contro  di  lui  e  dei  quaranta  poltroni  cardinali  che 
T  aveano  eletto,  e  Pasquino  il  dipinse  in  figura  d' un  peda- 
gogo, che  ai  cardinali  applicava  la  disciplina  come  a  scola- 
retti. Che  più?  Lo  si  ebbe  in  conto  d'un  flagello  non  minor 
della  peste  che  allora  infuriava  (2)  ;  si  tentò  sin  di  avvele- 
narlo (3),  e  la  morte  sua  fu  tal  pubblica  esultanza  che  alla 
porla  del  medico  si  sospesero  corone  civiche  ob  urbem  ser- 
vatam.  A  queste  indegnità  rispondono  gli  epitafii  destinati- 
gli (A).  Lo  storico  onesto  li  rigetta,  e  prostrasi  invece  sulla 
sua  tomba  a  piagnere  le  miserie  dell'Italia  nel  successivo 
pontificato. 

tutto  di  lettere,  massimamente"ecclesiastiche,  né  può  patire  un  prete 
indotto.  Girol.  Negro  a  Marcantonio  Micheli,  Roma  seti.  1522,  p.  92. 

(1)  Sextus  Targuinius,  Sextus  Nero.  Sextus  et  iste, 
Semper  et  a  Sextis  diruta  Roma  fuit. 

(2)  Usciti  d'  una  peste,  siamo  entrati  in  una  maggiore.  Questo 
pontefice  non  conosce  nissuno,  non  si  vede  una  gratia,  omnia  sunt 
pienissima  desperationis.  Girolamo  Negro  a  Marcantonio  Micheli  17 
marzo  1523.  Ibidem  pag.  96. 

(3)  Alcuni  servitori  del  duca  di  Camerino  vennero  per  avvele- 
narlo. Chi  portava  il  veleno  fuggì,  gli  altri  arrestati  confessarono, 
ahunque,  scrive  l' ambasc.  imper.,  creo  que  no  se  averigua  bien  la 
verdad.  Lope  Hurtado  al  emperador.  Roma  febb.  1523.  Biblioteca  de 
la  Acad.  a"  hist.  de  Madrid  A.  27,  msc. 

(4)  Hic  iacet  Adrianus  Sextus,  cui  nihil  in  vita  infelicius  conti» 
git,  guam  quod  imperai-it . .  e  poi  impiuj  inter  pios,  perchè  sepolto 
nella  cappella  di  S.  Andrea  tra  i  due  pontefici  di  casa  Piccolomini. 
Clerk,  Pace  and  Hannibal  to  tFolsey.  Roma  24  ott.  1523.  State  Pa- 
pera t.  6,  pag.  178. 


CAPITOLO  QUARTO 


Ltagtaua  del  conclave  ;  candidatura  del  Wolsey  ;  elettone  del  cardinale  Giulio  de* 
Medici  col  nome  di  Clemente  VII  —  Fallita  intintone  della  Francia;  prosperi 
mccessi  delle  armi  imperiali  in  Italia;  pestilenza  in  Milano  —  Invasione  della 
Provenza  ;  discordie  tra  il  Pescara  e  il  Borbone  ;  assedio  di  Marsiglia  ;  ritirata 
dell'imperiali  —  Prime  azioni  di  papa  Clemente;  governo  di  Firenze;  sua 
politica  vacillante  —  Venuta  di  Francesco  1  in  Italia;  presa  di  Milano;  deboli 
tinti  de'confederati  italiani  a  favore  di  Carlo  V  —  Infinta  neutralità  del  papa  e 
ina  lega  segreta  con  Francia;  adesione  di  Venezia  —Assedio  di  Pavia;  andata 
del  duca  d'Albania  nel  regno  di  Napoli;  battaglia  di  Pavia;  prigionia  del  re 
Francesco. 


I.  Nel  giorno  primo  ottobre  del  4523  entrarono  in  con- 
clave trentacinque  cardinali,  già  divisi  d' animo  non  sola- 
mente per  le  volontà  opposte  di  Cesare  (1)  e  del  re  di  Francia, 
ma  eziandio  per  la  grandezza  del  cardinale  Giulio  de9  Medi- 
ci. Il  quale,  benché  oppugnato  da  tutti  quegli  che  seguita- 
vano l'autorità  del  re,  avendo  in  arbitrio  suo  le  voci  con- 
cordi di  diciotlo  cardinali,  e  promesse  occulte  da  cinque- al- 
tri di  accedere  alla  elezione  che  si  facesse  di  lui,  nutriva 

(1)  Questi  al  primo  annuncio  della  malattia  di  papa  Adriano  or- 
dinò al  suo  ambasciatore  a  Roma  di  adoperare  ogni  mezzo  aftinché 
fosse  eletto  il  cardinale  de'Mediri,  ed  anche  la  forza  se  i  francesi  vi 
si  opponessero  :  temendo  siempre  respeclo  a  que  la  eleccion  se  haga 
con  toda  libertad  si  ya  por  la  parte  francesa  no  se  intentasse  hazer 
alguna  fuerza,  que  en  esle  caso  haveysos  de  mostrar  reziamente  por 
nuestra  parte,  ayudandoos  para  elio  de  los  visorreyes  de  Ndpoles  y 


-  196  - 

fondata  speranza  di  raggiungere  i  due  terzi  dei  voti  (1).  Ma 
nel  quinto  giorno  del  conclave  sopravvennero  tre  nuovi  car- 
dinali francesi  in  vesti  di  viaggio  con  istivali  e  sproni,  ed  uno 
di  essi  con  un  abito  di  veiluto  di  color  gaio,  e  cappello  a  piu- 
me, il  quale  peraltro  giudicò  convenevole  di  cambiare  (2). 
Allora  si  fece  più  aspra  la  contenzione,  giacche  neanco  gli 
elettori  di  parte  imperiale  mostravano  uniti,  alcuni  per  cu- 
pidità particolari,  altri,  come  il  Cesarini  (3)  e  il  Piccolomini 
per  riuscir  più  facilmente  alfine  di  Cesare  col  tener  a  bada 
gli  avversarli  (4),  e  Pompeo  Colonna  per  antica  inimicizia  al 
cardinale  de'  Medici  (5).  Questi  però  ai  sopraccennati  fonda- 
menti, già  avuti  alla  morte  di  papa  Leone,  aggiungeva  ora  in 


Sicilia  y.  de  nuestro  esercito,  y  de  todos  los  subsidios  y  olros  i»e- 
dios  que  pudieredes.  Charles-Quint  au  due  de  Sessa.  Valladolid  13 
joui!  1523.  Gachard  op.  cit.  pag.  192. 

(1)  Los  cardinales  que  entraron  en  conclave  fueron  35 . . .  de  los 
35  tenia  Medicis  18  votos  cierlos  para  ser  papa  y  de  llegar  a  24.  Lo- 
pe  Hurtado  a  V  emperador.  Roma  5  ott.  1523  in  cifra,  Biblioteca  de 
i  Acad.  $  hUt.  de  Madrid.  A.  29  msc. 

(2)  Giovanni  Clerk,  R.  Pace  e  Tommaso  Annibale  a  Tommaso 
Wolsey.  Roma  24  ott.  1513.  State  Papers  t.  6,  pag.  179. 

(3)  Primum  carilate  impulsus  quam  cristianae  reipublicae  de- 
beo:  deinde  ut  Majestali  vestrae,  cui  semper  deditissimus  fui,  rem 
gratam  facerem.  Carta  originai  del  carderia l  Cesarino  al  empera- 
dor. Roma  3  die.  1523.  Archivio  di  Simancas  Neg.do  de  Estado, 
leg.°  1553,  msc, 

(4)  Nam  sic  decebat  procedere  et  aliter  res  fieri  non  valcbat . . . 
maioris  ponderis  et  emolumenti  fuit  sic  accedere  quam  aliter  cohe- 
rere.  Neque  hoc  utmeam  et  aliorum  servitutem  vel  fidem  v.  M.u 
iaetem  adduco,  sed  ut  ea  dare  conspieiat  quanta  {ratio  prout  par 
erat  in  re  gravissima  habita  fuerit.  Carta  originai  del  cardenal  Pi" 
colomini  al  emperador.  Roma  24.  nov.  1523.  Ibidem  msc. 

(5)  //  card.  Colonna,  scrive  V  ambasc.  imper.,  mi  aveva  giurato 
sopra  un  Messale  di  stare  pel  Medici,  e  poi  mancò  al  giuramento.  El 
duque  di  Sesa  al  emperador.  Roma  28  ott.  1523.  Biblioteca  de  VA- 
cad.  d>Ài8t.  de  Madrid  A.  29  msc. 


-  497  - 

suo  prò  F  avversione  de'  prelati  e  del  popolo  a  un  pontefice 
straniero;  e  bello  è  vedere  in  qual  modo  se  ne  servisse  col 
mettere  innanzi  il  nome  di  Tommaso  Wolsey.  «  Per  quanto 
possiamo  scoprire  (scrivevano  a  costui  gli  ambasciatori  in- 
glesi) il  cardinal  Medici  nutre  gran  speranza  di  essere  eletto, 
e  gli  amici  suoi  lo  esortano  a  tentarci  la  fortuna  in  suo  fa- 
vore: ciò  ch'egli  si  propone  di  fare.  In  secondo  luogo,  egli 
si  adopererà  in  favor  vostro,  secondo  la  sua  promessa.  Non 
trovando  disposizioni  per  voi,  farà  pel  cardinale  Farnese  o 
pel  cardinale  della  Valle,  tutti  e  due  imperiali  e  suoi  grandi  a- 
raici.  Non  riuscendo  per  questi,  esso  non  si  adopererà  per 
niun  altro  presente,  e  cosi  la  cosa  tornerà  agli  assenti;  nel 
qual  caso  non  c'è  dubbio  che  Vostra  Grazia  avrà  la  maggio- 
ranza» (i).  Lusingato  da  tali  parole,  il  cardinale  Wolseyfe- 
cesi  raccomandare  caldamente  dal  suo  re  (2),  e  scrisse  una 
lettera  ai  precitati  oratori  a  Roma,  dove,  a  tacer  d'altro,  do- 
po mostralo  conoscere  le  probabilità  favorevoli  al  Medici, 
soggiunse  «  potrà  succedere  però  che  troviate  che  il  detto 
cardinale  ha  troppi  avversarli  nel  sacro  collegio  per  nutrire 
ragionevole  speranza  di  prospero  successo.  In  tal  caso  po- 
trete agire  con  più  franchezza  nell'  indagare  la  disposizione 
di  quello* verso  di  me.  Gli  direte  allora,  secondo  che  il  re 
gli  ha  scritto:  che  se  egli  non  riuscisse.  Sua  Altezza  farebbe 
i  possibili  sforzi  per  me;  ciò  che  in  certo  modo  sarebbe  la 
medesima  cosa..  Giacché  egli  ed  io  non  nutriamo  che  un  de- 
siderio, e  siamo  concordi  nel  zelo  per  il  bene  e  la  quiete 
della  cristianità,  per  F  aumento  e  la  sicurezza  d' Italia,  pel 
benefizio  e  vantaggio  della  causa  dell'imperatore  e  di  quella 
del  re.  Se  divenissi  papa  io,  sarebbe  in  certo  modo  papa  lui, 
pel  quale  io  più  che  per  chicchessia  nutro  amore,  stima  e 


(1)  Roma  14  settembre  1523.  State  Papers  t.  6,  pag.  176. 
(1)  John  Galt.  The  life  of  cardinal  Wolsey.  London  1846  lett. 
XLIl. 


-  498  - 

fiducia.  Egli  sarebbe  sicuro  di  ottenere  tutto  secondo  Pani- 
mo  e  desiderio  suo,  e  di  conseguire  tutti  gli  onori  possibili 
perla  sua  persona,  gli  amici  e  i  congiunti  suoi.  Con  tali  pa- 
role vi  assicurerete  che,  non  riuscendo  nel!'  intento  perso- 
nale, egli  co'  suoi  aderenti  s' adoperi  per  me.  Non  vedendo 
adunque  probabilità  pel  detto  cardinale,  procederete  franca- 
mente alle  pratiche  nel  mio  interesse,  presentando  le  lettere 
del  re  al  sacro  collegio,  e  ai  singoli  cardinali  che  giudiche- 
rete ben  disposti.  Presso  i  medesimi,  in  segreto,  farete  va- 
lere quanto  sarà  in  voi  le  mie  povere  qualità.  Tali  sono  la 
grande  esperienza  degli  affari  del  mondo,  e  l'intero  favore 
dell'imperatore  e  del  re;  le  mie  molte  relazioni  con  altri 
principi,  e  la  cognizione  profonda  delle  cose  loro;  il  perpe- 
tuo zelo  pel  bene  e  per  la  sicurezza  d'Italia  e  la  quiete  della 
cristianità;  la  non  mancanza,  la  Dio  mercè,  di  sostanze  e  di 
liberalità  verso  gli  amici;  la  vacanza,  che  risulterebbe  dalla 
mia  elezione,  di  varii  alti  uffici,  di  cui  disporrei  in  favore  di 
quei  cardinali  che  se  ne  fossero  resi  meritevoli  colla  vera  e 
ferma  amicizia  verso  di  me;  la  grata  dimestichezza  ch'essi 
troverebbero  in  me;  il  mio  carattere  non  austero  né  dispo- 
sto a  rigore,  ma  da  contentarsi,  per  divina  grazia,  col  dispor- 
re francamente  e  cortesemente  di  quelle  cose  che  sono  o  sa- 
ranno mie  o  a  mio  arbitrio,  non  avendo  né  fazione  né  fami- 
glia cui  potrei  dimostrarmi  parziale  nelle  promozioni  o  col- 
lazioni di  beneficii  ecclesiastici.  Quel  che  però  vale  più  si  è, 
che  coi  mezzi  miei  non  solo  all'  Italia  si  renderebbe  perpe- 
tua sicurezza,  ma  che  si  ristabilirebbe  tra'  principi  cristiani 
quella  pace  e  concordia  tanto  necessaria;  dimodoché  si  po- 
trebbe fare  contro  gì'  infedeli  la  maggiore  spedizione  che  da 
lunghi  anni  siasi  tentata.  Essendoché  in  tal  caso  1*  Altezza 
del  re  sarebbe  disposta,  ed  ha  promesso  di  venire,  volente 
Deo,  a  Roma;  dove  non  dubiterei  di  far  giungere  parecchi 
principi  cristiani,  essendo  deciso  ad  esporre  la  mia  propria 
persona  qualora  Iddio  mi  largisse  tanta  grazia;  potendo  la 


-  199  - 

mia  presenza  conciliare  molte  cose  che  ai  tempi  passati  sono 
state  cagioni  di  poca  intelligenza  fra  i  principi.  Tutto  ciò 
però  non  è  da  mettersi  in  primo  luogo,  né  sarebbe  il  miglior 
mezzo  per  guadagnare  il  favore  dei  cardinali.  Userete  dun- 
que della  vostra  prudenza,  assicurandoli,  e  rimovendone  i 
dubbj  circa  una  traslocazione  della  santa  sede,  o  di  tardo 
venire,  col  dire,  che  seguita  ed  annunziatami  la  elezione, 
non  mancherei  colla  grazia  di  Dio  di  essere  a  Roma  nello 
spazio  di  tre  mesi,  onde  passare  ivi  e  in  quelle  parti  il  rima- 
Dente  de'  miei  giorni .. .  L'Altezza  del  re  suppone  che  le  sue 
intenzioni  e  il  suo  desiderio  in  tal  proposito  non  sieno  per 
rimaner  privi  d' effetto,  mercè  la  vostra  sollecitudine  e  dili- 
genza. Onde  ottenere  tale  scopo  più  facilmente,  e  per  avere 
autorità  maggiore,  è  volontà  di  Sua  Grazia,  che  vi  uniate  a- 
gli  ambasciatori  dell'  imperatore,  se  vi  accorgerete  ch'essi 
iietìo  disposti  ad  agire  nel  medesimo  senso,  siccome  ragio- 
nevolmente è  da  supporre  che  abbian  ordine  di  fare,  giu- 
dicando secondo  le  precedenti  comunicazioni  e  la  intenzione 
di  madama  Margherita  (zia  di  Carlo  V)...  Due  sono,  dun- 
que, le  commissioni  che  avete  avute;  Puna  in  favor  mio,  con 
ampia  autorità  di  promettere  per  parte  del  re  e  promozioni 
e  cospicue  somme  di  denaro  quante  e  a  quanti  giudicherete 
opportuno,  tenendovi  certi  che  -e  vostre  promesse  saranno 
religiosamente  osservate  da  sua  Altezza.  L'altra  commissio- 
ne è,  che  vedendo  la  probabilità  della  elezione  del  cardinale 
de'  Medici  al  pontificato,  procediate  a  promuoverla,  usando 
tuttavia  riguardi  al  mio  interesse,  purché  non  vi  si  scorga 
ingratitudine  né  inimicizia  contro  il  suddetto.  Se  non  v'  è 
siffatta  probabilità,  cercherete  di  guadagnare  quanti  mai  fa- 
vorevoli potrete,  facendo  uso  delle  lettere  a  ciò.  »  (Quanto 
segue  è  di  propria  mano  del  Wolsey)  «  Monsignore  di  Bath, 
il  re  mi  comanda  di  scrivervi,  che  Sua  Grazia  ha  di  voi  un 
maraviglioso  concetto,  e  che  la  intenzione  sua  essendovi  no- 
ta, Sua  Altezza  non  dubita  che  l'affare  sarà  per  essere  con- 


-  200  - 

dotto  dalla  vostra  abilità  in  modo  tale,  che  si  ottenga  il  de- 
siderato efletto.  Non  dovrete  essere  parco  di  offerte  ragione- 
voli, essendo  esse  forse  più  potenti  presso  tanti  uomini  pe- 
nuriosi  di  quel  che  sieno  le  qualità  della  persona.  Voi  siete 
savio,  e  capite  quel  che  intendo  dire.  Fidatevi  di  voi  solo,  e 
non  vi  lasciate  sedurre  da  blande  parole,  specialmente  da 
coloro  i  quali,  dicano  essi  quel  che  vogliono,  antepongono  al 
mio  il  lor  proprio  successo.  Ci  vuole  somma  destrezza,  e  il 
re  suppone  che  saranno  per  voi  tutti  quei  della  parte  impe- 
riale, se  e'  è  da  fidarsi  dell'imperatore;  e  similmente  tutti  i 
cardinali  giovani,  i  quali,  essendo  per  lo  più  in  istrette  cir- 
costanze, apriranno  l'orecchio  a  belle  promesse.  Il  re  desi- 
dera non  risparmiate  né  l' autorità  sua,  né  il  suo  buon  de- 
naro e  sostanze.  Siate  certo  che  si  adempierà  tutto  ciò  che 
prometterete.  Nostro  Signore  vi  mandi  prospero  succes- 
so »  (4). 

Allorché  questi  dispacci  giunsero  alle  mani  degli  amba- 
sciatori inglesi,  le  speranze  loro  erano  già  svanite.  Ben  lungi 
dal  poter  fidare  nelle  rinnovate  promesse  di  Cesare  (2),  ve- 
devano il  duca  di  Sessa,  orator  suo,  contrariare  ognuno  che 
non  fosse  il  cardinale  de'  Medici.  E  poi  a  qual  fine  si  adope- 
rasse il  nome  del  Wolsey,  li  chiarì  ben  tosto  la  risposta  data 
dal  cardinale  Armellino  ai  conservatori  e  ad  altri  principali 
magistrati  di  Roma,  venuti  alla  porta  del  conclave  per  lagnar- 
si degli  inconvenienti  che  risultavano  dalla  lunga  protrazio- 
ni Wolsey  to  Clerk,  Pace,  and  Hannibal  4  ott.  1524  John  Galt. 
The  life  of  cardinal  Wolsey,  London  1846. 

(2)  Affin  que  cognoissez  la  dilligence  que  incontinent  qu'avons 
peu  rious  avons  semblablement  fait  faire  par  de  pa  pour  le  Sieur 
Legat  (Wolsey),  vous  envoyons  la  coppie  des  lettres  que  avons  es- 
cript à  sa  faveur  au  due  de  Sesse  nolre  ambassadeur  à  Rome.  L'em- 
pereur  à  son  ambassadeur  en  Angleterre.  Pamplona  26  nov.  1523. 
William  Bradford.  Correspondence  of  the  emper.  Charles  V.  Londra 
1850  p.  89. 


—  204  — 

ne.  Se  vi  contentate  di  un  papa  estero,  disse  quegli,  siamo 
quasi  al  punto  di  dartene  uno  che  sta  in  Inghilterra.  Ma  essi 
fecero  un  gran  rumore,  esortandoli  ad  eleggere  uno  presen- 
te, fosse  pur  sciocco  e  insensato  (4);  onde  gli  ambasciatori 
medesimi,  vista  la  parte  del  cardinale  de'  Medici  risoluta  a 
star  con  lui  a  qualunque  costo,  ben  si  apposero,  conchiuden- 
do chi  dura  vince  (2).  Per  vero,  oltre  ai  disagi  del  lungo  con- 
clave, maggiormente  incomportabili  ai  cardinali  avversi,  per- 
chè <;uasi  tutti  dei  più  vecchi  del  collegio,  presumibile  era 
li  ritraesse  infine  dall'  opposizione  il   pericolo  dello  stato 
della  Chiesa;  perocché  non  solo  Giovanni  di  Sassatello  a  no- 
me della  parte  guelfa  e  col  segreto  appoggio  di  Francia  met- 
teva sossopra  la  Romagna,  ma  eziandio  Alfonso  duca  di  Fer- 
rara, dopo  aver  approfittato  della  morte  di  papa  Adriano  per 
riprendere  Reggio  e  Rnbiera,  apparecchiavasi  ad  un  secon- 
do tentativo  contro  a  Modena,  sperando  che  si  avessero  a 
dissolvere  i  fanti  spagnuoli  che  vi  erano  di  guardia  sotto  il 
governatore  Francesco  Guicciardini.  D'altra  parte  giovava- 
no a  Giulio  de'  Medici  la  riputazione  di  sua  somma  autorità 
e  le  entrate  grandi  dei  benefizi  ed  uffizi  ecclesiastici,  le  qua- 
li, eletto  ch'ei  fosse  pontefice,  per  deliberazione  fatta  dai  col- 
leghi quando  entrarono  nel  conclave,  dovevano  ripartirsi  fra 
loro.  Tuttavia  sino  a  mezzo  il  novembre  egli  non  era  giunto 
ancora  oltre  a?  suoi  diciotto  voti.  Ma  tutto  a  un  tratto  Pom- 
peo Colonna  gli  si  accostò.  Parve  effetto  della  possanza  di 
Cesare  a  convertire  sin  le  pietre  in  figli  d'obbedienza  (3).  Ve- 

(1)  Wherunto  thei  made  a  great  exclamation,  that  in  any  wise 
thei  shold  ci) ose  some  man  prese nt,  etiam  si  truncum  aut  stipitem 
elecluri  forent.  Clerk,  Pace,  and  Hannibal  to  Wolsey.  Roma  24  ott. 
1523.  State  Papers  t.  6.  pag.  180. 

(2)  And  so  by  ali  lykelyhode  he,  that  can  best  endure,  sball  in 
conci usion  have  the  victorie.  Ibidem  pag.  182. 

(3)  Con  ei  calor  y  nombre  de  V.  M.  que  puede  tanto  que  de  las 
piedras  convierte  en  hijos  de  obediencia.  El  duque  de  Seta  al  em- 


—  202  — 

ro  è  invece  che  quegli,  sdegnato  con  i  cardinali  congiunti 
seco  perchè  avevano  ricusato  di  eleggere  il  romano  Jacovac- 
cio,  e  temendo  non  forse  si  unissero  i  voti  sopra  Franciotto 
Orsini  nimico  acerbissimo  di  sua  casa  (1),  offri  a  Giulio  di 
farlo  papa,  purché  gli  cedesse  il  lucroso  ufficio  della  vice- 
cancelleria e  il  magnifico  palazzo  edificato  da  Rafaele  Riario. 
A  tali  condizioni  indusse  nella  sentenza  sua  i  cardinali  veneti 
Cornaro  e  Pisani  e  il  precitato  Jacovaccio.  Ne  fremettero  di 
sdegno  i  Francesi,  i  quali  avevano  giurato  di  non  dar  mai  i 
loro  voti  al  medesimo.  Ma  dopo  aspre  parole  (2),  convinti 
ormai  di  non  poter  tenere  il  campo,  accordaronsi  anch'essi, 
sciogliendosi  V  uno  l' altro  dal  giuramento,  e  nelia  notte  del 
18  novembre,  incontrando  il  Medici,  lo  adorarono  per  ponte- 
fice. La  mattina  seguente,  il  giorno  medesimo  precisamente 
che  due  anni  innanzi  era  entrato  vittorioso  in  Milano,  fatta 
secondo  la  consuetudine  la  elezione  per  solenne  scrutinio, 
venne  proclamato  col  nome  di  Clemente  VII. 

II.  La  elezione  sua  ridusse  subito  in  sicurtà  lo  stato  del- 
la Chiesa,  mentre  altrove  infuriava  la  guerra  di  già  accesa  tra 
i  due  potenti  rivali.  Conforme  agli  accordi  col  duca  di  Borbo- 
ne,! diecimila  fanti  arrolati  per  lui  inGermania,e  condotti  dai 
conti  Guglielmo  e  Felice  de  Fùrstemberg,  avevano  invasa  la 
Sciampagna  con  animo  di  congiungersi  agli  inglesi  e  fiam- 
minghi poco  innanzi  entrati  nella  Piccardia.  Purché  si  aste- 
nessero dal  saccheggio  e  comparissero  quali  liberatori  dalla 
tirannia  di  Francesco  I,  dava  a  intendere  il  Borbone  che 
tutte  le  città  aprirebbero  loro  le  porte  (3).  E  gli  aggiustava- 
no credenza  non  meno  il  re  d' Inghilterra  che  F  imperatore. 

perador.  Roma  18  nov.  1523.  Biblioteca  de  la  Acad.  d'  hist.  de  Ma- 
drid A.  29  msc. 

(1)  Clerk,  Pace  and  Hannibal  to  Wolsey.  Roma  2  die.  1523  State 
Papers  t.  6,  pag.  195-200. 

(2)  Jurgijs  convieijs  et  alijs  injurijs  et  contumelijs.  Ib.  p.  200. 

(3)  The  Duke  adviseth  that  the  Kinges  army  shall,  in  the  mar- 


-  203  — 

Noi  saremo  accolli,  diceva  quegli,  al  grido  di  patria  fi);  e 
questi  scriveva  all'orator  suo  a  Roma  :  ben  hanno  i  Francesi 
di  che  dolersi  della  diserzione  del  contestabile,  giacché  per 
essa,  colVaiuto  di  Dio,  andranno  in  rovina  (2).  Ma  i  fanti  te- 
deschi per  mancanza  di  danaro  e  di  vettovaglie  dovettero  ri- 
tirarsi, e  allora  gì'  inglesi,  che  sotto  gli  ordini  del  duca  di 
Suffolk  erano  giunti  a  sette  leghe  di  distanza  da  Parigi,  la- 
gnandosi di  questo  abbandono  e  del  rifiuto  di  Margherita  go- 
mmatrice dei  Paesi  Bassi  a  mantenere  del  proprio  le  trup- 
pe fiamminghe  capitanate  dal  conte  di  Buren,  né  potendo 
lottar  soli  contro  l'abilità  del  duca  di  Vendome  e  di  La  Tre- 
molile, ripassarono  la  Somma  per  rientrare  a  Calais  verso 
la  fine  di  novembre  del  d523  (3).  Non  ebbe  miglior  successo 
Ja  invasione  degli  Spagnuoli  nella  Guienna;  sia  perchè  non 
bastarono  a  Carlo  V  né  gli  scarsi  sussidii  accordatigli  dalle 
corti  di  Castiglia  (4),  né  le  gravezze  imposte  al  clero  e  agli 
ordini  cavallereschi,  né  la  tassa  della  crociata,  né  persino  il 
danaro  venuto  dall'  India  e  eh'  ei  si  appropriò,  sebbene  in 
gran  parte  appartenente  a' suoi  sudditi  (5);  sia  perchè  i 
grandi  della  nazione,  malcontenti  di  una  guerra  combattuta 
per  causa  non  loro,  condussero  poche  truppe,  e  queste  indo- 


ching,  proclayme  liberile,  sparing  the  cuntrefro  burnyngand  spoi- 
le.  More  to  ffolsey  20  sett.  1523.  Ibidem  t.  1,  pag.  139. 

(1)  Ibidem. 

(2)  Franceses  tienen  razon  de  sentir  esto  de  mons.  de  Borbon, 
porque,  con  l'àyudo  de  Nuestro  Serior,  sera  su  cuchillo.  Charles 
Quint  au  due  de  Sessa.  Pamplona  14  dicem.  1523.  Gachard  Corresp. 
op.  cit.  pag.  199. 

(3)  Wolsey  to  Sampson  and  Jernigam  4  die.  1523.  State  Papers 
t.  6,  p.  201-206. 

(4)  Le  sirvieron  con  cuatro  cicntos  mil  ducados  pagados  en  tres 
anos.  Sandocal  op.  cit.  t.  4,  pa#.  46. 

(5)  Sampson  and  Jernigam  to  king  Henry  Vili.  Pamplona  12 
nov.  1523.  State  Papers  t.  6,  pag.  193. 


-  204  - 

cili  al  freno  della  disciplina  (\).  Andato  a  vuoto  V  assedio  di 
Baiona,  intrepidamente  difesa  dal  Lautrec  (2),  non  restò  che 
volgersi  sopra  a  Fontanarabia,  e  colla  ricuperazione  di  quella 
piazza  importante  (27  febb.  4524)  terminò  la  impresa  (3),  a- 
vendo  Carlo  V  disciolto  bentosto  l'esercito  per  mandar  nuo- 
vi rinforzi  in  Italia,  dov'  era  ornai  ridotta  la  decisione  della 
guerra  (4). 

Se  i  Francesi,  passato  il  Ticino,  si  fossero  accostati  sen- 
za indugio  e  colla  solita  furia  a  Milano,  certo  è  che  Prospero 
Colonna  non  avrebbe  potuto  difenderla.  Ma  l'ammiraglio 
Bonnivet,  o  per  negligenza,  o  per  raccogliere  tutto  l'eser- 
cito, del  quale  non  piccola  parte  era  rimasta  indietro,  so- 
prastette tre  giorni  in  sulle  sponde  di  quel  fiume,  donde 
giunto  poi  a  San  Cristoforo  a  un  miglio  dalla  città  lasciò  sfug- 
girsi la 'occasione  di  assaltarla.  Cosi  diede  tempo  ai  nemici 
di  rassettare  i  bastioni  e  i  ripari  dei  borghi  e  d' introdurre 
gran  copia  di  vettovaglie;  in  questa  e  in  ogni  altra  opera 
ardentemente  aiutati  dalla  moltitudine,  di  cui  Girolamo  Mo- 
rone  scaldava  l'odio  contro  a" Francesi  (5).  Con  ugual  effica- 


(1)  Bui,  Sir,  He  assuryd  us  ther  was  no  faulte  in  bis  good  wyll, 
the  whicli,  os  we  may  conjectour,  we  beleve  right  well,  for  He  hath 
not  Castilla  yetat  bis  pleausour  and  obeysantcommaundement;the 
whicli  He  expressely  confessyd  to  us,  saying,  that  now  He  hath  beyn 
much  deceyvid  be  som  personages,  the  which  in  tyme  convenient 
He  wold  not  fayle  to  remembre.  Ibidem  pag.  192. 

(2)  Der  Kaiser  an  seinen  Bruder,  den  Erzherzog  Ferdinand.  Vit- 
toria 16  gen.  1524.  D.r  Karl  Lanz,  Correspondenz  dea  Kaisers  Karl 
V,  t.  1,  pag.  81. 

(3)  Ibidem  2  marzo  152$,  pag.  95. 

(4)  Der  kaiser  an  den  vieekònig  Lannoy  2  marzo  1524.  Ibidem, 
pag.  97. 

(5)  L'infatigable  Moron.  plus  utile  au  due  de  Milan,  que  les  plus 
habiles  géhéraux,  encourageoit  et  les  bourgeois  et  les  soldats,  veil- 
loit  à  l'approvisionnement  de  la  place,  à  l'avancement  des  travaux. 
Gaillard  Vie  de  Francois  |.er  t.  3,  pag,  102. 


—  205  — 

eia  di  prima,  frate  Andrea  Barbato  agostiniano  eccitavate  a 
tener  monda  da  barbari  la  patria  per  amore  della  vita  im- 
mortale, né  mancavano  astrologi  che  al  duca  Sforza  facevano 
la  buona  ventura  (i).  Al  primo  tocco  delle  campano,  il  dì  22 
settembre  4523,  accorsero  in  gran  numero  i  cil ladini  ai  posti 
assegnati,  ciascuno  col!e  sue  armi,  e  molti  anche  di  quelli 
che  non  ne  avevano  (2).  Per  la  qual  disposizione  degli  animi 
e  per  le  molte  truppe  adunate  dal  Colonna,  deposto  il  pen- 
siero della  espugnazione,  trasportarono  i  Francesi  V allog- 
giamento alla  badia  di  Chiaravalle,  donde  guastarono  i  mu- 
lini e  tolsero  le  acque  a  Milano,  sperando  di  costringerla  colla 
fame  ad  arrendersi.  A  tale  effetto  il  cavaliere  Baiardo  e  Fe- 
derico da  Bozzolo  con  trecento  lance  e  ottomila  fanti  occu- 
parono Ledi,  avendo  il  marchese  di  Mantova  gonfaloniere 
della  Chiesa,  e  il  duca  d'Urbino  capitano  de' Veneziani  rifiu- 
tato di  muovere  in  soccorso;  quello  per  non  torsi  dalla  di- 
fea  di  Parma  a  che  era  principalmente  tenuto,  e  questo  per 
erilare  il  pericolo  di  una  battaglia.  Indi  rinfrescarono  di  mu- 
nizioni il  castello  di  Cremona,  e  fatti  inutili  sforzi  per  assal- 
tare anche  la  città,  diedero  il  sacco  a  Caravaggio,  ove  dimo- 
rarono alcuni  giorni.  Dalla  quale  dimora  e  dalla  contempora- 
nea calata  di  duemila  Svizzeri,  ond'erano  in  pericolo  Crema 
e  Bergamo,  venne  scusa  opportuna  al  duca  d'Urbino  di  non 
passare  l'Adda  e  di  non  mandare  a  Milano  gli  aiuti  richiesti, 
sendo  volontà  del  Senato  ch'ei  seguisse  bensì  i  consigli  che 
conosceva  poter  ritornare  a  maggior  beneficio  dell'  impresa 
e  a  soddisfazione  de?  collegati,  ma  sempre  col  dovuto  riguar- 
do alla  conservazione  dell'esercito,  dal  quale  dipendeva  la 

(1)  Aug.  Rapatius  (dicevagli)  omnia  videbis  ultra  spem  tuafau- 
8tum  ac  feliciorem  exitum  sortiri,  ut  alias  Deo  dante  diffusius  pro- 
gnosticabo.  Archivio  S.  Fedele  di  Milano.  Governo  ducale.  Corri- 
spoodenze  1515-1525  msc. 

(2)  Lettera  di  Milano,  narra  quelli  successi  de  dì  16  set.  a  dì  22. 
Marin  Sanuto  t.  XXXV. 


~  306  - 

principale  sicnrtà  della  repubblica  (t).  Tanto  più  che  gì1  im- 
pedivano di  passare  innanzi  sicuramente  ie  genti  richiamate 
dal  Bonnivet  della  Ghiaradadda  e  fatte  fermare  a  Monza,  ac- 
ciocché i  Milanesi,  già  privati  delle  vettovaglie  che  solevano 
concorrere  per  la  strada  di  Lodi,  rimanessero  eziandio  senza 
quelle  che  ricevevano  dai  colli  di  Brianza. 

E  tuttavia  per  la  fertilità  del  paese  circostante,  e  per 
avere  con  i  mulini  domestici  sollevata  la  difficoltà  del  maci- 
nato, non  mancavano  di  viveri,  i  quali  procacciavansi  ezian- 
dio con  frequenti  scorrerie,  e  cosi  fortunate  da  inanimarli  a 
chiedere  più  volte  di  esser  condotti  in  massa  contro  i  Fran- 
cesi (2).  Giungevano  intanto  successivamente  nuovi  soccorsi 
per  la  difesa  di  Milano.  Il  viceré  di  Napoli  Carlo  di  Lannoy 
s'era  già  messo  in  cammino  col  resto  delle  genti  di  quel  re- 
gno, seguitato  dal  marchese  di  Pescara,  il  quale  aveva  ripi- 
gliato il  comando  della  fanteria  spagnuola.  Nello  stesso  tempo 
il  marchese  di  Mantova,  a  richiesta  del  Colonna,  entrava  io 
Pavia  con  le  truppe  pontificie;  il  Vitelli  capitano  de' soldati 
fiorentini  copriva  la  strada  di  Genova,  e  il  duca  d'Urbino 
s'era  infine  piegato  di  mandare  a  Trezzo  quattrocento  ca- 
valli leggieri  e  cinquecento  fanti.  Sicché  rimanevano  serrati 
ai  Francesi  tutti  quei  passi  onde  prima  traevano  i  viveri.  Ag- 
giungevansi  le  insolite  asprezze  della  stagione  e  le  nevi  gran- 
dissime. Laonde  temendo  il  Bonnivet  d'incorrere  in  quelle 
necessità  nelle  quali  aveva  pensato  di  poter  ridurre  i  nemici, 
poi  che  gli  andarono  fallite  le  insidie  convenute  con  Morgante 
da  Parma,  uno  de' capisquadra  di  Giovanni  de'Medici,  per 
impossessarsi  di  una  porta  di  Milano,  ed  eziandio  le  tratta- 
tive di  tregua  introdotte  col  mezzo  di  madonna  Chiara,  fa- 
mosa per  la  forma  egregia  del  corpo,  ma  molto  più  per  il 


(1)  Paolo  Paruta.  Historia  Vinetiana.  Venezia  1645  pag.  225. 

(2)  Tanto  stimano  Francesi  e  Sguizari  come  se  fossero  tante 
p....e.  Lettera  di  Gratiani  21  ott,  1523.  Marìn  Sanato. 


—  207  — 

sommo  amore  che  le  portava  P  ottuagenario  Prospero  Co- 
lonna (i),  deliberò  di  levare  P  assedio,  movendo  il  di  27  no- 
vembre 1523  verso  Abbiategrasso  e  Rosate.  Non  lo  assaltò 
il  Colonna,  fermo  in  quo/ consigli  di  difendersi  e  vincere  per 
sole  marcie  e  posizioni  senza  battaglie,  che  gli  diedero  nome 
chiarissimo,  ed  erano  invero  opportuni  a  fiaccar  P impeto 
de'Francesi  o  a  rendere  inutile  P inconsiderato  valore  degli 
Svizzeri.  Ma  questa  fu  ultima  sua  prova;  perocché  ai  30  di- 
cembre soccombette  alla  malattia,  di  cui  da  otto  mesi  lan- 
guiva, e  Carlo  di  Lannoy,  già  surrogatogli  nel  comando,  giun- 
se in  tempo  per  assumere  la  direzione  della  guerra,  che  poi 
divise  col  contestabile  di  Borbone  mandato  in  Italia  dall'im- 
peratore col  titolo  di  suo  luogotenente  (2),  affinchè  non  pas- 
sasse in  Ispagna,  ne  avesse  effetto  il  pattuito  matrimonio. 

Stava  il  Bonnivet  ne' suoi  quartieri  d'inverno  aspettan- 
do potenti  soccorsi  dalla  Svizzera  (3),  allorché  vennero  a 
rinforzare  P  esercito  imperiale  seimila  fanti  assoldati  in  Ger- 
mania per  cura  dell'arciduca  Ferdinando  (A).  E  tuttavia  nelle, 
consultazioni  che  si  tennero  a  Milano  prevalse  il  parere  di 
Leonardo  Emo,  provveditore  veneziano  (5),  di  non  tentare 
giornate,  si  d'inseguire  il  nemico,  e  di  sorprendere  alla  spic- 
ciolata le  sue  posizioni.  Alla  qual  cosa  nuli' altro  ostava  che 
il  mancamento  di  danari,  dei  quali  dovevansi  per  gli  stipen- 
di corsi  quantità  grande  ai  soldati,  sebbene  Margherita  go- 
vernatrice  de'  Paesi  Bassi  avesse  poc'  anzi  mandato  a  Pro- 
spero Colonna  centomila  ducati  d'oro,  e  il  viceré  di  Napoli 

(1)  Frane.  Guicciardini,  Storia  d'Italia  t.  3,  pag.  1 17. 

(2)  Sampson  and  Jernigam  to  Wolsey.  Pampelune  18  dee.  1523. 
State  Papers  t.  6,  pag.  215. 

(3)  Lettera  degli  oratori  della  lega  svizzera  alla  repubblica  vene- 
ta. 1  febb.  1524.  Molini  Doc.  di  stor.  ital.  t.  I.  pag.  173. 

(4)  Di  che  più  tardi  gli  rese  grazie  l'imperatore.  Bucholtz,  Ge- 
schichte  der  Uegierung  Ferdinand  des  ersten.  t.  2,  pag.  264. 

(5)  Marin  Sanuto  t.  XXXV,  12  genn.  1524. 


—  208  — 

portati  seco  altrettanti  (i).  Ma  questa  difficoltà  sollevarono 
in  parte  i  Milanesi,  prestando  al  duca  Sforza  novantamila 
ducati,  e  in  parte  il  pontefice  dando  occultissimamente  al- 
l'oratore di  Cesare  ventimila  ducati  e  volendo  che  i  fioren* 
tini,  in  virtù  della  confederazione  fatta  vivente  papa  Adriano, 
pagassero  come  per  ultimo  residuo  trentamila  ducati.  Allora, 
lasciati  alla  guardia  di  Milano  quattromila  fanti;  andarono 
gl'imperiali  ad  alloggiare  a  Binasco,  ove  non  molti  giorni 
poi  si  unì  con  essi  l'esercito  veneziano  per  comandamento 
del  Senato,  il  quale  aveva  frattanto  assoldato  altri  tremila 
fanti  italiani  e  quattrocento  cavalli  leggieri  in  Grecia  per  cu- 
stodia e  sicurtà  della  repubblica.  Indi  cresciuti  d'animo  pas- 
sarono il  Ticino  presso  a  Pavia,  dopo  aver  rimandato  a  Milano 
il  duca  Sforza  e  Giovanni  de' Medici  con  duemila  fanti  ;  al  che 
non  avendo  per  tempo  provveduto  i  Francesi  furono  anch'essi 
costretti  di  passare  quel  fiume  per  tenere  almeno  Vigevano 
e  le  ricche  pianure  della  Lomellina,  onde  ricevevano  i  vive- 
ri (2).  Ma  in  questo  mezzo  il  duca  d'Urbino  aveva  presa 
d'assalto  Garlasco,  terra  forte  di  sito,  di  fossi,  ripari  e  guar- 
nigione, mentre  i  confederati,  passata  anche  l'Agogna,  espu- 
gnarono Sartirana;  onde  il  Bonnivet  per  isnidarveli  presentò 
loro  due  giorni  continui  la  battaglia.  Ricusaronla  quelli,  seb- 
bene superiori  di  forze;  che  anzi  avuta  in  mano  Vercelli  per 
favore  della  parte  ghibellina,  lusingavansi  già  di  costringere 
il  nemico,  ornai  chiuso  in  Novara,  a  capitolare.  Non  restava- 
gli  invero  che  due  speranze  di  rimedio:  l'una  della  diver- 
sione, che  pareva  dovessero  produrre  i  cinquemila  Grigioni 
entrati  con  Renzo  da  Ceri  nel  territorio  di  Bergamo;  l'altra 
del  soccorso  di  diecimila  Svizzeri  finalmente  arrivati  presso 


(1)  Die  Statthalterin  Margarethe  an  den  Kaiser.  21  febb.  1524. 
Lanz  Correspondenz  des  Kaisers  Karl  V  t.  1,  pag.  91. 

(2)  Galeatius  Capello,.  De  rebus  gestis  prò  restituitone  Franci- 
sci  II  Medio),  ducis  1.  3,  pag.  191. 


-  209  — 

a  Gattinara.  Senonchè  col  levare  una  sola  parte  delle  genti 
de' Veneziani  e  coir  unirla  alle  bande  di  Giovanni  de' Medici, 
sì  riparò  al  pericolo  della  invasione  de'  Grigiori,  i  quali,  ve- 
dendo di  dover  trovare  contrasto  e  non  l' aiuto  promesso, 
[    ritiraronsi  presto  alle  case  loro;  sicché,  risoluto  quel  movi- 
mento, potè  Giovanni  de' Medici  occupare  Caravaggio  e  poi 
rompere  a  colpi  di  cannone  il  ponte  di  Buffalora  in  sul  Ti- 
cino che  serviva  ai  Francesi  di  comunicazione  tra  Novara  ed 
Abbia tegrasso,  la  qual  ultima  piazza,  guardata  da  mille  fanti 
sotto  Girolamo  Caracciolo  napolitano,  espugnò  insieme  con 
lai  il  duca  Francesco  Sforza,  seguitato,  oltre  ai  soldati,  da 
tutta  la  gioventù  del  popolo  milanese.  Né  riuscì  meglio  ai 
Bonnivet  P  altra  speranza  del  soccorso  degli  Svizzeri;  peroc- 
ché questi,  sotto  colore  che  il  re  Francesco  avesse  mancato 
di  fede,  non  essendo  giunte  in  tempo  per  unirsi  con  loro  le 
quattrocento  lance  mandate  col  duca  di  Longueville,  ricusa- 
la» di  recarsi  al  suo  campo;  ond'egli  fu  costretto  a  rag- 
giungerli dove  si  trovavano,  e  poi  a  ritirarsi  con  essi,  inse- 
guito sempre  dagli  imperiali,  non  dai  Veneziani,  i  quali,  di- 
chiarando di  aver  con  la  difesa  dello  stato  di  Milano  adem- 
piuto Pobbligo  della  confederazione,  si  astennero  dall'entrare 
nel  territorio  del  duca  di  Savoia.  Ferito  al  passar  della  Sesia, 
commise  V  esercito  al  Baiardo,  e  questi  lo  salvò  al  prezzo 
della  sua  vita,  che  per  un'  archibugiata  finì  a' 30  aprile  4524 
tra  le  lamentazioni  e  le  lodi  degli  stessi  nemici  (4).  Le  quali, 
ripetute  da  tanti  storici  contemporanei,  hanno  significanza  di 
fcnebre  canto  dell'antica  virtù  cavalleresca  che  con  lui  di- 
scendeva nella  tomba.  Ormai  al  valore  personale  prevaleva 
l'industria:  la  lorica  era  stata  vinta  dall' archibugio,  come  il 
castello  dal  cannone. 

(I)  Combien  que . . .  fut  serviteur  de  vre  ennemì,  si  a  ce  este 
dommaige  de  sa  mort;  car  cestoit  ung  gentil  chevalier  bien  aime 
dung  chacun.  Adrian  von  Crotj  an  den  kaiser  5  mai  1524.  Lanz  Cor- 
respond.  t.  l,pag.  138. 

14 


-  210  - 

(Così  i  Francesi  se  ne  andarono  ancora  una  volta  dal- 
l'Italia.  Raggiunto  era  lo  scopo  delle  due  leghe  conchiuse 
dall'imperatore,  l'uria  coi  Veneziani,  l'altra  col  papa  e  coi 
piccoli  stati  della  penisola.  Eppur  nessuno  di  questi  se  ne 
rallegrò.  Terre  desolate  ed  arse,  città  spopolate,  enormi  con- 
tribuzioni :  ecco  il  frutto  della  vittoria.  £  di  più  il  flagello 
della  peste,  la  quale  da  Abbiategrasso,  dov'era  cominciata, 
per  il  commercio  delle  cose  ivi  saccheggiate,  si  diffuse  e  po- 
chi mesi  poi  si  ampliò  tanto,  che  solamente  in  Milano  tolse 
la  vita  ad  oltre  cinquantamila  persone  (4).  Quante  infelicità! 
e  il  comprendere  che  per  esse  non  conseguirebbesi  altro  che 
di  cambiar  padrone! 

III.  La  Lombardia,  il  paese  più  ubertoso  del  mondo,  la 
mercè  de'vincitori  trovavasi  a  tale,  che  a  fatica  vi  si  potevano 
sostentare.  //  viceré  Lannoy,  scriveva  Adriano  di  Croy,s^ 
gnore  di  Beaurain,  all'  imperatore,  non  trova  tempo  nà  da 
mangiare,  né  da  bere,  né  da  dormire,  ed  io  non  veggo  alcu- 
no che  piU  di  lui  potesse  affaticarsi;  tutto  per  cavar  dana- 
ri (2),  e  il  Lannoy  medesimo  soggiungevagli  :  temo  assai  non 
si  disciolga  V  esercito  per  mancamento  di  soldi.  Col  duca  di 
Milano  io  faccio  quanto  posso;  ma  egli  è  stato  una  cara  mer- 
ce per  vostra  Maestà,  e  lo  sarà  sempre  finché  non  riesca  di 
far  piccolo  il  re  di  Francia;  al  guai  uopo  se  mai  vedessero 
qui  che  non  s9  imprende  nulla,  ne  andrebbe  della  vostra  ripu- 
tazione, perchè  Italia  è  stanca  di  guerra  (3).  E  si  vuol  cre- 
dere invero  che  Io  Sforza,  non  illuso  dal  titolo  precario,  cer- 
casse appoggio  nel  potente  vicino;  giacche  sin  d'allora  sentiva 


(1)  Sepulceda  op.  cit.  I.  1,  pag.  149.  Burigozzo  porta  il  numero 
de' morti  a  più  di  centomila,  e  Grumello  a  ottantamila  et  più  presto 
di  più  che  di  manco  che  fu  la  ruina  depsa  cit  fa  Mcdìolaneuse  p.  337. 

(2)  BuchoUz  (ìesdiiclite  dcr  Hegierung  Ferdinand  des  ersten. 
Wicn  1831  t.  2.  pag.  258. 

(3)  18  Marzo  1521.  Ibidem  pag.  259. 


i 


—  211  — 

bisogno  di  levar  dall'animo  di  Cesare  il  sospetto  di  sua  scarsa 
fede  (4). 

In  tali  condizioni  qual  cosa  più  naturale  che  ritentare  la 
invasione  della  Francia  l'anno  innanzi  andata  a  vuoto?  Ancor 
prima  l'imperatore  aveva  comandato  a  Prospero  Colonna  di 
entrare  nella  Provenza,  non  sì  tosto  fosse  respinto  l'esercito 
condotto  dall'ammiraglio  Bonnivet  (2),  e  dato  ordine  a  suo 
fratello  presidente  del  consiglio  di  reggenza  in  Germania  di 
ftr  decretare  la  conflscazione  della  Provenza  medesima  e  di 
molti  altri  dominii  francesi  stati  un  tempo  feudi  imperiali, 
appartenenti  all'antico  regno  delle  due  Borgogne  (3).  Incita- 
vate a  questa  impresa  il  Borbone  con  le  solite  speranze  degli 
esuli:  muoverebbe  egli  difilato  a  Narbona  :  venisse  Carlo  dalla 
parte  di  Perpignano  per  congiungersi  con  lui;  allora  potreb- 
be presentare  battaglia  al  re  di  Francia,  e,  non  accettandola 
qiesti,  marciare  direttamente  a  Lione  e  strappargli  dal  capo 
Ja  corona  col  maggior  onore  che  mai  un  Cesare  avesse  (4). 
Approvò  Carlo  il  disegno,  mandando  a  tal  uopo  nel  mese  di 
marzo 4  524  centomila  ducati  ed  altrettanti  nel  seguente  apri- 


li) Sono  securo  in  mia  conàcientia  non  habere  commisso  cosa 
alchuna  verso  lei  che  li  debba  havere  offeso  lo  animo,  né  alienato 

da  sua  solita  bcnignitate Et  perlio  supplico  se  degni  fare  tale 

demonstratione  con  eflfecto  che  questa  opinione  quale  già  è  sparsa 
per  tutta  Europa  se  levi,  et  ognuno  cognosca  che  vostra- Maiestà  mi 
ha  in  sua  bona  gratia,  et  corno  sua  creatura  mi  vole  in  questo  stato. 
Carta  originai  de  Francisco  Sforza  al  Emperador  15  lug.  1 524.  Ar- 
chicio  generale  di  Simancas  Neg.  do  Estado  Leg.  1553,  msc. 

(2)  Charles  V  au  due  de  Sessa  13  lugl.  152:3.  Gackard  op.  cit. 
pag.  193. 

(3)  Par  mes  lectres  en  allemand  je  vous  escripx  et  a  ma  cham- 
bre imperiane,  pour  faire  proceder  au  ban  imperiai  etcontiscalion... 
du  royaulme  Darles,  du  Daulphine,  Lyonnois,  contea  de  Valance, 
Dyois,  Provance,  principaulte  Doranges  Monteslimar,  seigneuries  de 
Moson,  de  Masieres  et  autres  pays.  16  gen.  1524.  Lanz  Correspon- 
denz  des  kaisers  Karl  V.  t.  1 ,  pag.  83. 

(4)  Bucholtz  1.  e.  pag.  260. 


—  212  — 

le,  con  promessa  di  ugual  somma  quanto  prima;  e,  come 
sgombrarono  i  Francesi  la  Lombardia,  convenne  col  re  dln^ 
gbilterra  cb'ei  pagasse  ducati  centomila  per  le  spese  della 
guerra  del  primo  mese,  restando  in  arbitrio  suo  o  di  conti- 
nuare di  mese  in  mese  questa  contribuzione  o  di  sostentare 
in  Piccardia  un  esercito  potente  dal  primo  giorno  di  luglio 
sino  a  tutto  il  dicembre;  cbe  Carlo  invaderebbe  nel  tempo 
medesimo  la  Linguadoca;  che  ottenendosi  vittoria  si  resti- 
tuisse a  lui  il  ducato  di  Borgogna  ed  al  Borbone  gli  stati  con- 
fiscati, i  quali  accresciuti  della  Provenza  e  del  Delfinato  ter- 
rebbe con  titolo  di  re. 

Entrò  pertanto  il  duca  di  Borbone  nella  Provenza  con 
cinquemila  fanti  tedeschi,  duemila  italiani  e  tremila  spagntioU 
condotti  dal  Pescara,  che  Cesare  gli  pose  accanto,  sotto  spe- 
cie di  capitano  dipendente,  per  moderarne  l'impero.  In  meq 
di  cinque  settimane,  senza  resistenza  alcuna,  Antibo,  Frejos, 
Hyeres,  Tolone,  allora  piazza  marittima  di  poca  importanza, 
e  poi  anche  Aix  la  capitale  (9  agosto)  si  arresero.  Voleva  fl 
Borbone  approfittare  della  sorpresa  del  re  Francesco  per  re- 
carsi subito  più  oltre  nelle  viscere  dello  stato  o  sopra  Avi- 
gnone o  sopra  Arles  o  sopra  Marsiglia,  facendo  assegnamento 
sulla  ribellione  de'popoli  e  sui  promessi  assalti  da  altre  partì. 
Ma  tutti  questi  fondamenti  mancarono.  Nessuno,  per  ragioni 
che  avesse,  levossi  in  suo  favore,  secondo  che  avevano  pre-' 
detto  gl'italiani, conoscitori  de' rivolgimenti  avvenuti  nelle 
condizioni  sociali  della  Francia  al  par  di  Lodovico  Canossa, 
vescovo  di  Baiusa  (d).  La  indignazione  all'atto  sleale  invi- 
gori anzi  il  sentimento  nazionale,  per  modo  che  il  re  non 
trovò  ostacoli  a  imporre  tre  grosse  taglie  una  dopo  l'altra 


(DE  siate  certo  cbe  Francesi  adorano  il  loro  re,  e  non  vi  fon- 
date nelle  ribellioni  altre  volte  seguite  in  Francia,  perchè  non  vi 
sono  più  di  quei  tali  principi  cbe  le  causavano.  Lettere  di  principi 
t.  !,pag.  132. 


—  213  — 

nell'insieme  di  oltre  cinque  milioni  di  scudi;  fino  il  clero 
piegò  ad  insolite  gravezze;  le  città  accordarono  spontanei 
sossidii,  e  i  nobili  dovettero  assoggettarsi  a  presti  sforzati. 
Che  valevano  di  fronte  a  tanti  mezzi  pecuniali  i  tardi  e  scarsi 
danari  mandati  dall'imperatore?  Indarno  ei  cercò  averne 
dalla  lega  sveva  e  dalle  chiese  di  Germania  (4),  e  delle  sue 
angustie  è  testimonio  eloquente  l'incarico  dato  al  Lannoy, 
Stesse  ogni  sforzo  per  sovvenire  il  Borbone  di  altri  centomila 
(focati;  adoperasse  a  tal  uopo  anche  i  cinquantamila  asse- 
gnatigli in  dono  della  città  di  Napoli  per  il  suo  matrimonio, 
e  tutto  che  di  buono  trovasse  in  quel  regno  vendesse  ed  im- 
pegnasse (2).  Né  dalla  parte  di  Spagna  corrispondeva  meglio 
la  sua  potenza  alla  volontà;  perchè  avendogli  le  Corti  di 
Bastiglia  negato  il  sussidio  di  quattrocentomila  ducati  neces- 
sario a  pagare  i  cinquemila  tedeschi  che  da  Fontanarabia 
tassarono  nel  Rossiglione  (3)  e  i  quattromila  fanti  che  in 
stile  prime  voleva  levare  nei  regni  d' Aragona  e  di  Valenza 
ènei  principato  di  Catalogna  (4),  non  aveva  potuto  eseguire 
h  disegnata  impresa  della  Linguadoca.  Mancò  similmente  la 
invasione  della  Piccardia;  perchè,  sebbene  il  re  Enrico  VII! 
perseverasse  nelle  ragioni  che  pretendeva  sopra  il  regno  di 
Francia,. riconosciute  eziandio  dal  Borbone,  il  quale  s'era  in- 
fine piegato  a  prestargli  omaggio* senza  saputa  dell'impera- 
tore (5),  pure  gli  uomini  che  ne  dirigevano  i  consigli  comin- 


(1)  Lettera  dell' imper.  a  suo  fratello  Ferdinando  16  gen.  1524. 
Lanz  Corresp.  t.  1,  pag.  82,  e  risposta  di  quest'ultimo  10  giug.  1524. 
Bucholtz  op.  cit.  t.  2,  pag.  266. 

(2)  14  Ag.  1524.  Bucholtz  op.  cit.  t.  2.  pag.  262. 

(3)  Charles  Quint  au  due  de  Sessa.  18  aoùt  1524.  Gachard  op. 
cit.  pag.  207. 

(4)  7  Ott.  1 524.  Ibidem  pag.  209. 

(5)  Herbert  Life  of  Henry  Vili  pag.  133.  Lo  stesso  rilevasi  da 
un  dispaccio  di  de  Praet  all'imperatore.  Hormayr  Archiv.  an.  1810, 
pag.  27. 


—  214  — 

ciarono  a  insospettirsi  dell' ingrandimento  di  quest'ultimo,  e 
il  cardinale  Wolsey,  posto  anche  che  noi  movesse  lo  spirito 
di  vendetta  personale,  per  essere  stato  due  volte  frustrato 
da  Cesare  nella  speranza  di  conseguire  la  tiara,  facendo  de- 
boli provvedimenti  contro  a  Francesco,  cercava  guadagnar- 
sene la  benevolenza,  acciocché  nel  suo  re  fosse  rimesso  l'ar- 
bitrio della  pace  (4). 

Per  tutte  queste  ragioni,  ed  essendo  la  flotta  di  Cesare, 
guidata  da  don  Ugo  di  Moncada,  allievo  del  Valentino,  uomo 
di  pravo  ingegno  e  di  pessimi  costumi  (2),  inferiore  d'assai 
alla  flotta  francese  capitanata  da  Andrea  Doria,  non  consen- 
tiva il  Pescara  negli  arrischiati  disegni  del  Borbone.  L'im- 
peratóre lo  aveva  di  già  fatto  ammonire  a  non  condurre 
l'esercito  in  luogo  dal  quale  non  potesse  ritirarsi  o  dove  fos- 
se costretto  a  combattere  colla  peggio  (3).  Noi  siamo  qui, 
scriveva  quegli  ai  il  agosto,  tra  le  smanie  del  duca  di  Bar* 
bone  e  quelle  non  minori  dell9  ambasciatore  d9  Inghilterra 
(  Riccardo  Pace),  f  quali  ci  stimolano  alle  imprese  di  Avigno- 
ne, di  Arlesy  di  Marsiglia.  Parevagli  folle  la  prima,  impos- 
sibile la  seconda,  difficilissima,  anzi  irragionevole  la  terza. 
Nondimeno,  conchiudeva,  convenni  in  questa  ultima  per  mt- 


(1)  Questa  differenza  tra  l'intento  personale  di  Enrico  e  la  politi- 
ca inglese  addimostrano  e  le  parole  che  Riccardo  Pace,  mandato  dal 
primo  appresso  a  Borbone,  disse  air  ambasciatore  veneto  Soriano 
intorno  ai  fermi  propositi  del  suo  re,  e  i  lamenti  ch'ei  mosse  con- 
tro il  mal  talento  di  VVolsey,  attenta  la  pessima  natura  del  ditto 
cardinal.  L.  Ranke  Deutsche  Geschichte  t.  2,  pag.  242.. 

(2)  Fr.  Guicciardini  Storia  d'Italia  t.  3,  pag.  134. 

(3)  Jay  escript  au  marquis  de  Pescaire  et  a  monsieur  de  Beau- 
rains,  que  votre  intencion  est,  que  votre  armee  ne  soit  mise  en  lieu 
dont  elle  ne  se  puist  retirer  ou  elle  pourroit  estre  constraincte  de 
combaptre  a  son  desadvanlaige.  Gerard  de  Piente,  seigneur  de  la 
Roche,  an  den  kaiser  20  ag.  1524.  Lanz  Corresp.  1. 1,  pag.  144. 


—  215  — 

nor  male:  domani  partiremo  e  si  farà  tulio  che  può  farsi  al 
mondo  (4)* 

E  fece  invero  prodigi  di  valore.  Qual  acquisto  per  Car- 
lo V  se  avesse  potuto  avere  Marsiglia,  porto  opporlunissimo 
a  molestare  con  le  armate  la  Francia,  ed  a  passare  di  Spagna 
in  Italia!  Ai  7  settembre  cominciarono  gl'imperiali  a  battere 
le  mura  con  le  artiglierie,  e  bentosto  vi  aprirono  larghissima 
breccia.  Talché  ancora  al  di  45  di  quel  mese  stava  di  ottimo 
animo  il  Borbone.  Le  vostre  cose  andranno  a  bene,  scriveva 
all'imperatore,  e  se  noi  saremo  potenti  abbastanza  per  pre- 
untar  battaglia  al  re  di  Francia,  e  se,  come  spero  con  V aitilo 
di  Dio,  la  vinceremo,  ella  diverrà  il  più  gran  uomo  che  mai 
sia  stato  e  potrà  dettar  legge  a  tutto  il  mondo  (2).  Però  nel 
giorno  seguente  soggiungevagli  Adriano  di  Croy:  vostra 
maestà  si  guarderà  bene  in  avvenire  dal  nominare  due  co- 
mandanti in  un  esercito  (3),  con  che  accennava  alla  discordia 
tra  il  Borbone  ed  il  Pescara.  Benché  superiore  a  tutti  in  ar- 
dimento, valutava  al  giusto  quest'ultimo  gli  antiveduti  osta- 
coli: la :  nessuna  speranza  di  soccorso  cosi  per  terra  come 
per  mare;  la  disposizione  del  popolo  mimicissimo  al  nome 

(1)  Nosotros'estamos  aca  éhtre  la  passion  del  duque  de  borbon 
y  la  no  menor  del  embaxador  de  Inglaterra  ;  fuercan  a  emprender 
Marsella,  Arles  y  Avinon,  pareciendome  lo  de  Avinon  locura,  por- 
que  ahunque  despues  de  tornado  no  se  passarla  per  el  lapuente 
sin  exercito  de  la  otre  parte  y  perderiamos  toda  probencia.  Lo  de 
Arles  quasi  impossible  dexando  a  las  espaldas  Marsella  y  gente  suya 
sobre  el  rio  de  la  duren<?a,  que  entre  la  una  y  la  otra  habria  de  pas- 
sar fira  vitualla:  sinque  Marsella  tenga  grandissimas  difflcultades  y 
tantàs  que  haze  inrazonable  el  andar  y  maxime  podiendo  por  la  mar 
que  seiìorean  poner  toda  la  gente  que  querran  ;  he  concurrido  a 
està  por  menos  mal.  Mariana  partiremos  y  se  hara  quanto  al  mundo 
se  pudiere.  //  marchese  di  Pescara  al  duca  di  Sessa  17  ag,  1524.  Bi- 
blioteca de  VAcad.  d' hist.  de  Madrid  A.  32  msc. 

(2)  Bucholtz  op.  cit.  t.  2,  pag: 

(3)  Ibidem. 


—  216  — 

spagnuolo;  il  valore  della  guarnigione  composta  in  gran  par- 
te di  emigrati  italiani  e  capitanata  da  Renzo  da  Ceri  (Lo* 
renzo  Orsini),  che  i  soldati  francesi,  dopo  la  morte  di  Baiar* 
do,  preferivano  a  qualunque  de'  lor  generali  (4).  Avendo  una 
palla  di  cannone  attraversato  la  sua  tenda  ed  uccisogli  ac- 
canto l' elemosiniere  e  due  gentiluomini,  queste  sono,  mandò 
dire  al  Borbone,  le  chiavi  che  vi  apportano  i  cittadini  di  Mar* 
siglia.  Nondimeno  la  sera  del  24  settembre  fu  tentato  l'assal- 
to. Respinto  anche  questo,  voleva  il  Borbone  ricominciarlo  al 
domani.  Ma  gli  esploratori  e  alcuni  prigionieri  riferirono  aver 
gli  assediati  tra  la  breccia  e  il  bastione  interiore  scavata  una 
profonda  contrommina,  esser  questa  gremita  di  cannoni  e  in 
bella  ordinanza  le  truppe  ne'  luoghi  più  minacciati  (2).  Sop- 
pesi inoltre  che  il  re  Francesco  aveva  raccolto  intomo  ad  A- 
vignone  duemila  uomini  d'arme,  settemila  fanti  francesi,  sei* 
mila  Svizzeri  e  grosse  bande  di  mercenarii  tedeschi.  Questo 
esercito  dicevasi  allestito  per  piombare  addosso  agli  assali- 
tori; ma  tutto  dava  a  credere  che,  senza  curarsi  di  Marsi- 
glia, prendesse  invece  immediatamente  la  via  dell'Italia  (3). 
Sulle  maniche  delle  guardie  reali  leggevasi  la  scritta  :  ancora 
una  volta  e  non  pili  (4).  Recatosi  allora  al  consiglio  di  guerra, 
chi  vuol  cenare  ali9  inferno,  esclamò  il  Pescara,  quegli  t>o- 
da  ali9  assalto;  ma  chi  vuol  salvare  V Italia  a  Cesare,  m 
segua  (5).  Levarono  immantinente  il  campo  gì'  imperiali  do- 
po quaranta  giorni  d' inutile  assedio,  e  divisi  in  due  schiere 

(1)  Gbanson  militaire  sur  le  capitarne  Rance.  Chants  historiquei 
franpais;  XVI  siede  pag.  96. 

(2)  Sandoval  Historia  del  emperador  Carlos  V,  t.  4,  pag.  108  e 
seg. 

(3)  Carlo  V  al  viceré  Lannoy,  1524  Archives  de  V  empire  franr 
pais  msc. 

(4)  Martene  amplis.  coli.  t.  5  pag.  1379. 

(5)  P.  Jovlus  De  rebus  gestis  Ferdinand*  Davali.  Basilea  1578  lib. 
4  pag.  372. 


—  217  — 

procedettero  con  grandissimo  ordine  per  la  riviera  del  mare 
sino  a  Monaco,  donde,  rotte  in  molti  pezzi  le  artiglierie  e  ca- 
ricatele in  sui  muli,  pervennero  in  Lombardia,  per  la  lunga 
corsa  affranti,  non  scorati.  GÌ*  inseguì  Francesco  con  uguale 
celerità,  sperando  di  giugnervi  innanzi  a  loro,  e  un  cronista 
milanese  afferma  eh'  ei  passò  il  Ticino  dalla  parte  di  Abbia- 
tegrasso  nello  stesso  giorno  20  ottobre  4524,  in  cui  quelli  lo 
passarono  alla  Stella  sul  Pavese  (4). 

Tornavano  a  insanguinare  i  piani  lombardi.  Tanto  va- 
leva il  loro  possesso  alla  fondazione  di  una  potenza  prepon- 
derante in  Europa  !  Là  Carlo  Magno,  ponendo  fine  al  domi- 
nio de*  Longobardi,  assicurò  la  primazia  de'  Franchi  sopra  le 
altre  genti  tedesche.  Là  gl'imperatori  di  Germania  ottennero 
quel  potere  qualunque  eh'  ebbero  sulla  penisola.  Là  quasi 
tutto  che  aveva  conquistato  Ottone  I  andò  perduto  per  Fe- 
derico Barbarossa.  Là  fu  decisa  la  gran  lite  tra  Spagna  e 
Francia. 

IV.  Andarono  a  vuoto  gli  officii  di  papa  Clemente  per 
comporta  in  pace.  Come  cardinale  e  consigliere  de'  passati 
pontefici  egli  era  stato  sempre  amico  di  Spagna,  a  cui  doveva 
il  ristabilimento  de'  suoi  in  Firenze,  e  si  vantava  d'aver  im- 
pedito Francesco  I  di  spingersi  fin  a  Napoli  nella  prima  inva- 
sione; indotto  Leone  X  a  lasciare  che  Carlo  avesse  la  corona 
imperiale,  e  la  tenesse  unita  alla  napoletana;  favoritane  la 
lega  al  riconquisto  di  Milano  e  la  elezione  di  Adriano  VI,  non 
risparmiando  per  questi  fini  tesori  d' amici,  della  patria  e 
suoi  (2).  Però  ne'  successi  di  quella  lega  manifestaronsi  i 
danni,  che  né  egli,  né  i  suoi  predecessori  avrebbero  potuto 
comportare.  Diedero  bensì  i  papi  occasione  all'  ingrandi- 

(1)  Martino  Ferri  presso  Pietro  Verri.  Storia  di  Milano,  t.  2,  pag. 
220. 

(2)  Memoriale  mandato  di  ordine  di  papa  Clemente  VII  a  mon- 
sig.  ili.»0  Farnese  legato  in  Ispagna.  Papiers  d'état  du  cardinal  de 
Granvelle.  Paris  1841, 1. 1,  pag.  280-310. 


—  218  — 

mento  degli  Spagnuoli  in  Italia,  ma  non  lo  ebbero  mai  in  a- 
nimo.  Volevano  togliere  Milano  ai  Francesi,  non  darlo  a  quelli, 
già  padroni  di  Napoli.  Ora  al  vederli  assisi  in  Lombardia  fa- 
cile è  immaginare  come  ne  restasse  sgomentato  Clemente. 

Ma  in  sulle  prime  simulò.  Ben  si  appose  l'ambasciatore 
imperiale  eh9  ei  non  leverebbe  la  testa  a  cosa  alcuna,  finché 
non  avesse  riempiuto  il  tesoro  esausto  da  Leone  X,  che  À- 
driano,  ancora  che  parco,  non  ebbe  tempo  di  rinsangua- 
re (1).  E  il  fece  con  sordide  economie  sulle  pensioni,  sui  la- 
vori pubblici,  sulle  paghe  dei  soldati,  sui  posti  gratuiti  nei 
collègi,  e  con  meschini  spedienti  del  monopolio  dei  grani  e 
di  nuove  imposte  sui  viveri  (2),  invece  di  mettere  riparo  alle 
mangerie  degP  impiegati  e  allo  sciupio  dell' amministrazio- 
ne. Contemporaneamente  fu  suprema  sua  cura  di  provve- 
dere al  governo  di  Firenze,  in  modo  conforme  a  quello  che 
egli  stesso  aveva  per  qualche  anno  tenuto,  con  tanta  de- 
pressione de'  magistrati,  che  un  tal  Pietro  Orlandini,  repu- 
tato cittadino  di  sessantatre  anni,  per  aver  solo  dubitato 
della  sua  elezione  canonica,  stante  la  illegittimità  de'  nata- 
li, venne  da  essi  ritenuto  e  subitamente  decapitato,  non  a- 
vendo  a  pena  impetrato  tanto  spazio  di  potere  acconciare  i 


(1)  La  inclinacion  del  papa  a  quanto  yo  puedo  corapreìieader  es 
seguir  la  via  de  Julio  que  basta  que  tuvo  dincros  acumulados  no 
levanto  la  cabeza  a  ninguna  cosa.  El  duque  de  Sesa  al  emperador. 
Roma  2  feb.  1524.  Bibliot  de  V  Acad.  d' hist.  de  Madrid  A.  30  msc. 

(2)  Fa  mettere  nuove  angherie,  e  fino  chi  porta  tordi  in  Roma  e 
altre  cose  da  mangiare,  paga  un  tanto  ;  la  quale  angheria  importa 
da  ducati  duemila  cinquecento ...  al  tempo  della  carestia  che  fìi  io 
Roma,  avendo  il  papa  mandato  a  torre  frumenti  in  Sicilia,  giunti 
che  Rirono  in  Roma  vennero  a  buon  mercato,  e  si  guastarono,  e  il 
papa  tuttavia  li  fece  vendere,  ed  i  pistori  dovettero  comprarli  per 
forza:  di  che  per  Roma  si  dolsero  molto.  Relazione  di  Roma  di  Mar- 
co Foscari  2  maggio  1526.  Alberi  Relaz.  degli  amb.  ven.  serie  2, 1 3, 
pag.  126. 


—  219  - 

fatti  suoi  per  la  salute  (1).  Somigliante  servilità  usarono  co- 
loro eh'  ei  richiese  di  parere  circa  il  futuro  reggimento  della 
patria,  perchè  di  tredici  eh'  erano,  dieci  adulatori,  avvezzi  a 
dir  volentieri  quello  che  credono  piaccia  agli  uomini  grandi, 
benché  sentano  altrimenti  nel  cuore,  lo  confortarono  a  man- 
dare il  nipote  Ippolito  di  anni  quattordici  col  titolo  di  ma- 
gnifico come  capo  dello  stato,  sotto  la  custodia  di  Silvio  Pas- 
serini cardinale  di  Cortona  (2). 

Fatto  questo  che  voleva,  oscillò  per  alcun  tempo  Cle- 
mente tra  i  due  grandi  avversarti,  a  seconda  degli  eventi. 
Allorché  dubbia  era  ancora  la  sorte  delle  armi  in  Lombar- 
dia, tanto  alieno  mostra  vasi  dall'  accedere  alla  lega  conchiu- 
sa dal  suo  predecessore,  che  il  duca  di  Sessa  ebbe  a  pentirsi 
deJP  arroganza  usata  in  sollecitarlo  (3).  Indarno  Adriano  di 
Croy,  venuto  a  posta  a  Roma,  dicevagli  in  nome  di  Cesare, 
pagasse  soltanto  per  tre  mesi  i  convenuti  sussidii  e  baste- 
rebbe a  cacciare  i  Francesi  dall'  Italia,  dal  che  dipendeva  il 
ben  essere  e  la  unità  del  mondo  cristiano.  Io  non  so,  rispon- 
deva, come  far  danari;  se  potessi  cavarli  dal  mio  sangue,  lo 
farei  di  buon  grado  (4).  Indarno  anche  il  Wolsey  metteva- 
gli  innanzi  che  non  sarebbe  onorevole  per  lui  disapprovare 
la  lega,  alla  quale,  essendo  cardinale,  tanto  aveva  contribui- 
to. Non  concorrendo  effettualmente  col  re  Enrico  e  coll'impe- 
ratore,  soggiungeva,  darebbe  ad  essi  motivo  di  lagnarsi  d9  in- 
gratitudine, e  se  la  loro  causa  rimanesse  vinta,  il  re  di  Fran- 
cia sarebbe  per  acquistare  tanto  potere  da  ridurre  il  papa  a 
suo  cappellano  (5).  Ma  quando  per  i  rinforzi  avuti  poterono 

(1)  Jacopo  Nardi  Istoria  della  città  di  Firenze,  t.  2,  pag.  94. 

(2)  Francesco  Vettori  Storia  d'Italia.  Arch.  stor.  itat.  Append.  22, 
pag.  349. 

(3)  Lettera  2  marzo  1524  di  Carlo  V  a  don  Lope  Hurtado  de 
Mendoca.  Gachard  op.  cit.  pag.  20  L 

(4)  Bucholtz  op.  cit.  t.  2,  pag.  2^1. 

(5)  The  Frenche  Kinge  also,  being  at  suche  fordele,  wolde  tliin- 


—  220  — 

gì'  imperlali  passare  il  Ticino,  gli  soccorse.il  pontefice  di  de- 
nari, di  vettovaglie  e  disgrazie  spirituali,  assicurando  il  vi- 
ceré Lannoy  che  eseguirebbe  i  patti  della  lega  sopraccennata, 
non  ostante  la  larga  offerta  del  re  di  Francia  d'impalmare  il 
secondogenito  a  sua  nipote  Caterina  con  in  dote  il  ducato  di 
Milano;  onde  Carlo  V  ne  restò  pienamente  soddisfatto  (4). 
Vennero  poi  i  sinistri  delle  armi  francesi  :  il  mancato  aiuto 
degli  Svizzeri,  e  la  ritirata  del  Bonnivet.  Usando  allora  quella 
moderazione  che  nelle  discordie  dei  cristiani  conviene  al 
capo  della  Chiesa,  parlò  Clemente  di  pace,  e  a  tal  uopo  man- 
dò prima  Bernardino  de  la  Barba  all'  imperatore,  e  poscia  a 
lui  stesso  e  ai  re  Enrico  e  Francesco,  Nicolò  Schomberg  ar- 
civescovo di  Capua  con  relative  proposte  (2).  Ben  era  a  ve- 
dersi come  le  avrebbero  accolte  i  due  rivali,  le  cui  ire  non 
poteva  ammorzare  che  il  sangue  (3).  Adriano  di  Croy  consi- 
gliava Carlo  di  schermirsene,  lasciando  che  cerchino  pace  o 
tregua  coloro  che  ne  avranno  più  bisogno  di  lui  (4).  Nondi- 
meno troppo  alto  era- il  grido  della  cristianità  minacciata  dai 
Turchi,  perchè  quegli  non  facesse  le  viste  di  recarselo  a  co- 


ke to  have  al  his  pleausures  and  commandementes  of  the  Poope, 
whiche  had  or  refused,  he  then  having  so  grete  a  fote,  wold  and 
myght  use  his  holynes  as  a  chaplaine.  JVohty  to  Cterk,  Pace,  and 
Hannibal febbraio?  1524.  State  Papers  t.  6  pag.  230. 

(1)  Charles-Quii! t  au  due  de  Sessa.  Burgos  1G  marzo  1524  Ga* 
chard  op.  cit.  pag.  201.  Di  questa  disposizione  del  pontefice  avversa 
a  Francia  scrivono  anche  gli  ambasciatori  inglesi  al  Wolsey  24  febb. 
1 524  State  Papers  t.  6,  pag.  254. 

(2)  Lettere  dell'imperatore  al  Lannoy  15  apr.  Bucholtz  t.  2,  pag. 
248,  e  al  duca  di  Sessa  9  marzo  1524.  Gachard  pag.  203. 

(3)  Lo  disse  giustamente  Pietro  Martire  d' Anghiera:  dira  ferri 
acies  et  fiumano  cruore  fluente*  rioi  has  diriment  querelai»  JuMi 
1524.  Epistul.  opus.  p.  472. 

(4)  Car  quant  à  ce  point  ne  ferons  riens ...  veu  le  grand  chan- 
gement  de  voz  affaires  qui  se  portent  de  bien  en  mieulx.  5  maggio 
1524.  Lanz  Correspondenz  t.  1,  pag.  136. 


—  224  — 

scienza.  Esortavalo  il  sacro  collegio  a  non  mostrarsi  da  me* 
no  de9  suoi  avi  (1),  e  ciò  che  vogliono  gì9  infedeli,  lo  stermi- 
nio de9  cristiani,  scrivevagli  il  re  d' Ungheria,  lo  preparate 
voi  stessi  con  queste  guerre  intestine  (2).  Sin  il  re  di  Po- 
Ionia,  sebbene  alleato  di  Cesare,  con  singolare  semplicità 
faceva  pratiche  per  risolvere  la  controversia  del  Milanese 
in  prò  del  matrimonio  di  suo  figlio  maggiore  con  una  del- 
le figlie  del  re  di  Francia  (3).  Acconsenti  pertanto  l'im- 
peratore d'introdurre  a  Roma  trattative  di  accordo  o  di 
tregua  colla  mediazione  del  papa,  designando  nella  i ostru- 
zione data  a  Gerardo  de  Pleme  non  uno,  si  nove  mezzi  di 
accomodamento  (4);  il  qual  numero  è  per  sé  prova  bastante 
come  fosse  ineseguibile  ciascuno,  quando  bene  mancasse  la 
contemporanea  dichiarazione  de'  suoi  intendimenti,  che  si 
contiene  in  una  lettera  al  duca  di  Sessa,  dove  dice  non  du- 
bitare che  la  vittoria  riportata  in  Lombardia  e  la  espulsione 
de*  Francesi  debbano  indurre  il  papa  a  compiere  le  sue  pro- 
messe (5).  Il  primo  di  questi  mezzi  consisteva  nel  rimettere 
la  decisione  delle  controversie  al  giudizio  di  due  persone  in- 
telligenti elette  per  parte  in  unione  col  papa,  e  in  caso  di  o- 
pinioni  discordi  all'  arbitrio  di  quest'  ultimo,  il  quale  pro- 
metterebbe non  solamente  d' infliggere  al  contravventore  le 
pene  ecclesiastiche,  ma  eziandio  di  combatterlo  colle  armi 
sue  proprie  e  di  tutte  le  potenze,  da  convocarsi  in  una  gran- 

(1)  Nam  si  inchoato  iam  diu  in  Gallos  bello  totum  te  dedcris, 
perque  universam  Ilaliam  hinc  Turcas  inde  Lutheri  dogma  passum 
vagari  patieris  tenuissimo  filo  hamo  adamantino  expiscaberis  ;  pi- 
sces  enim  dum  queritas,  hamos  pretiosissimos  perdes.  Roma  1 1 
raarz.  1524.  archivio  di  Simancas  Estado.  Leg.  1553  msc. 

(2)  Presburgo  4  febb.  1524.  Bucholtz  op.  cit.  t.  2,  pag.  256. 

(3)  Lettera  dell'lmper.  a  suo  fratello  Ferdinando.  Burgos  12 
lugl.  1524.  Ibidem  $.  255. 

(4)  Instruction  secrète  à  Gerard  de  Pleme  seigneur  de  la  Roche. 
Burgos^M  mai  1524.  Ibidem  pag.  503-519. 

(b)  Gachard  op.  cit.  pag.  203. 


—  222  — 

de  assemblea,  siccome  membro  guasto  della  cristianità,  ri- 
belle alla  santa  madre  Chiesa  e  fautore  degli  eretici.  Si  con- 
chiudesse infrattanto  una  tregua  di  tre  od  almeno  di  due  an- 
ni. Proponevasi  per  secondo  la  cessione  a  Francesco  del  du- 
cato di  Milano  senza  Genova,  Parma  e  Piacenza,  verso  resti- 
tuzione a  Carlo  del  ducato  di  Borgogna  e  di  Tournai,  e  verso 
rinunzia  ai  diritti  di  sovranità  sulla  Fiandra  e  sull'  Artois, 
come  pure  a  qualunque  pretensione  sopra  il  regno  di  Napoli. 
In  contraccambio  di  ciò  accorderebbesi  per  terzo  la  investi- 
tura del  Milanese  anche  con  Parma  e  Piacenza,  presupposto 
il  consentimento  del  papa  (da  ottenersi  almeno  colla  rinno- 
vazione del  trattato  per  la  vendita  del  sale  degli  stati  della 
Chiesa  in  tutto  il  ducato),  e  persino  con  Genova,  sebbene  vi 
fosse  aggiunta  esplicita  raccomandazione  di  conservarla  a  Ce- 
sare quale  feudo  dell9  impero  e  porta  dell9  Italia.  Un  altro 
mezzo  avvisavasi  nel  lasciare  sospese  le  controversie  intorno 
a  Tournai,  al  regno  di  Napoli  e  ai  diritti  di  sovranità  sulFAr- 
tois  e  sulla  Fiandra,  ferma  sempre  la  restituzione  della  Bor- 
gogna in  cambio  del  Milanese.  Veniva  per  quinta  la  proposta 
che  il  re  di  Francia  rimanendo  vedovo  di  Claudia  pigliasse 
in  moglie  Eleonora  sorella  di  Carlo,  e  il  primogenito  da  que- 
sto matrimonio  avesse  il  ducato  di  Milano  come  feudo  del- 
l'impero;  nel  qual  caso  dovrebbesi  soddisfare  il  duca  di 
Borbone  (oltreché  colla  restituzione  de'  suoi  beni  in  Francia 
e  colla  rivocazione  delle  sentenze  pronunciate  contro  di  lui) 
colla  mano  di  Renata  o  della  sorella  di  Enrico  d' Albret,  e 
convenire  col  re  d' Inghilterra  circa  ai  pagamenti  delle  pat- 
tuite pensioni.  Il  sesto  mezzo  riferivasi  al  caso  che  la  regina 
Claudia  continuasse  a  vivere,  stabilendo,  in  vece  del  soprac- 
cennato, il  matrimonio  del  delfino  colla  principessa  Maria  fi- 
gliuola di  Eleonora,  sempre  che  il  re  Enrico  non  tornasse  al- 
l' anteriore  disegno  di  dargli  in  moglie  sua  figlia.  Succedeva 
per  settima  la  proposta  di  due  matrimoni,  l'uno  della  stessa 
figlia  di  Enrico  col  re  di  Scozia  a  sicurtà  della  pace  tra 


fa 


—  223  — 

Inghilterra  e  Francia,  e  l'altro  dell'  imperatore  con  Carlotta 
figliuola  di  Francesco,  verso  immediata  consegnazione  della 
Borgogna  a  titolo  di  dote,  e  rinuncia  alle  pretese  sul  ducato  di 
Milano.  Che  se  Francesco  Sforza  non  volesse  cedere  il  do- 
minio, ricevendo  in  compenso  il  cappello  cardinalizio  con  cin- 
quantamila ducati  di  rendita,  e  il  papa  persistesse  nella  pro- 
posta di  ammogliarlo  con  Renata  di  Francia  per  non  lasciar 
Milano  in  mani  dell'imperatore,  appiglierebbesi  quest'ultimo 
all'ottavo  spediente  di  acconsentirvi,  a  patto  che  morendo  il 
duca  prima  di  generar  figli  tornassero  le  cose  nello  stato  in 
cui  erano,  e  intanto  cinque  fortezze  della  Lombardia  avesse- 
ro a  comandanti  persone  accette  all'imperatore,  e  a  lui  pure 
prestassero  giuramento  le  guarnigioni  delle  città.  Il  nono  ed 
ultimo  mezzo  aveva  riguardo  alle  prevedute  difficoltà  della 
tregua.  Se  il  re  di  Francia  negasse  di  reintegrar  subito  il 
Borbone,  s' interponesse  il  papa  acciocché  gli  fossero  almeno 
pagate  le  rendite  de'  suoi  beni  od  una  somma  corrisponden- 
te; e  se  il  re  d' Inghilterra  anche  durante  F  armistizio  non 
volesse  star  senza  le  annuali  pensioni  di  Francia,  si  nego- 
ziasse in  modo  che  vi  contribuissero  un  terzo  il  papa  con  Fi- 
renze, Lucca  e  Siena,  un  altro  terzo  Milano  con  Genova,  e 
l'ultimo  il  re  Francesco.  Restava  l'ostacolo  maggiore,  che 
le  truppe  francesi  ricusassero  di  abbandonare  i  luoghi  che 
tenevano  in  Lombardia,  ciocché  sarebbe  pericoloso  per  la 
quiete  di  tutta  Italia,  trattandosi  di  genti  non  avvezze  a 
mantener  le  promesse  che  lor  non  tornano  a  bene.  Né  a 
questo  trovavasi  altro  rimedio  che  o  di  protrarre  la  conclu- 
sione dell'  armistizio  sino  alla  compiuta  cacciata  de'  Fran- 
cesi dall'Italia,  o  di  sostentare  a  spese  comuni  le  guarnigio- 
ni spagnuole. 

Gli  era  ciò  appunto  che  rendeva  impossibile  ogni  accor- 
do colla  Francia.  Sin  dal  principio  delle  trattative  F  amba- 
sciatore Saint  Marsan  non  aveva  facoltà  di  strigner  pace  o 
tregua  che  a  condizione  le  rimanesse  tutta  la  regione  di  là 


-  224  — 

del  Ticino  (1).  Le  successive  sventure  non  valsero  a  piegar 
l'animo  di  Francesco.  Laonde  Gerardo  de  Pleme,  otto  giorni 
dopo  il  suo  arrivo  a  Roma,  scriveva  all'imperatore:  io  ho 
perduta  ogni  speranza  di  pace  o  di  tregua,  essendo  qui  il 
conte  di  Carpi,  il  quale  si  adopera  incessantemente  per  la 
guerra.  Il  papa,  soggiungeva,  non  negozia  con  caldezza>benr 
che  io  creda  che  il  buon  volere  non  gli  manchi  (2). 

Ma  gli  mancava  la  fermezza  nel  ripulsare  l' esorbitanti 
pretendenze  altrui,  e  la  virtù  del  moderare  le  proprie.  Non 
aveva  appena  invocati  i  buoni  offici i  del  re  d' Inghilterra  (3) 
che  già,  per  gelosia  di  preminenza  e  di  guadagni,  lagnavasi 
delle  pratiche  introdotte  dal  Wolsey  coi  Francesi,  ben  accor- 
gendosi, al  par  di  Cesare,  che  miravano  all'  unico  fine  di  ti- 
rare a  sé,  nella  previsione  di  prossimi  eventi,  l' arbitrio  della 
pace  (4).  Che  giovava  astenersi  dall'  entrare  nella  lega  del 
predecessore,  se  per  le  sue  esitazioni  crescevano  in  baldanza 
gì' imperiali  ?  La  invasione~della  Provenza  intrapresero  con- 
tro il  consiglio  suo,  ed  allorché  li  richiese  di  soccorso  per  i- 
scacciare  da  Reggio  il  duca  di  Ferrara,  se  il  papa  vuol  bene 
all'imperatore,  rispose  il  viceré  Lannoy,  dovrebbe  piuttosto 
restituire  al  duca  anche  Modena  per  farlo  pienamente  conten- 
to (§).  Da  questi  e  somiglianti  dispregi  pigliavano  argomento 

(1)  Lannoy  all'imper.  20  febb.  1524.  Bucholtz  op.  cit.  t.  2,  p.  254. 

(2)  Gerard  de  Pleme,  seigneur  de  la  Roche  an  den  kaiser  20  ag. 
1521  Lanz  Correspond.  t.  1,  pag.  144,  145. 

(3)  Gian  Matteo  Giberto  datario  a  Marchione  Lango  nunzio  io 
Inghilterra.  Lettere  de*  principi,  t.  1,  pag.  123-126. 

(4)  Quoique  lefpape  ait  raison  de  se  dèfìer  de  la  conduitc  du  roi 
d' Angleterre,  à  cause  des  pratiques  que  le  cardinal  d' York  a  euea 
avec  les  Frangais ...  il  croit  que  le  cardinal  n'  a  voulu  qu'  attirer  à 
lui  la  conclusion  de  la  paix,  ou  d' une  tréve,  dans  Y  cspoir  d'en  ti- 
rer  un  parti  plus  avantageux  pour  son  souverain,  que  si  la  nego- 
ciation  se  traitait  par  S.  S.  Charles-Quint  au  due  de  Sessa.  Burgos  18 
lug.  1524.  Gachard  I.  e.  pag.  204. 

(5)  Gian  Matteo  Giberto,  datario,  agli  oratori  in  Ispagna  22  ott. 


—  225  — 

i  pontificii  ad  aspettarsene  di  peggiori,  imprecando  in  ogni 
scriltura  alla  cupidigia  ed  all'arroganza  degli  Spagnuoli. 
Delle  quali,  a  non  parlar  degli  altri  principi  indipendenti, 
anche  il  duca  Carlo  HI  di  Savoia  cominciava  a  sopportare  gli 
effetti.  11  precitato  Lannoy, minacciando  di  spogliarlo  dell'in- 
tiero Piemonte,  soggiungevagli  da  villano  ribaldo,  chele 
smorfie  e  gli  ossequii  di  sua  moglie  (  Beatrice,  figliuola  di 
Emmanuele  re  di  Portogallo)  non  servirebbero  a  nulla  (i). 
Tuttavia  finché  agi'  imperiali  arrideva  la  sorte  delle  armi 
nella  Provenza,  stette  ancora  vacillante  il  pontefice.  Solo  al- 
lora eh'  ebbe  notizia  della  lor  ritirata  da  Marsiglia  mandò 
Girolamo  Aleandro  nunzio  al  re  di  Francia  (2),  e,  come  que- 
sti calò  in  Italia,  lo  fece  raggiungere  da  Giovanni  Matteo  Gi- 
berto vescovo  di  Verona  e  datario  apostolico,  intimo  suo,  per 
Hltare  con  lui  (secondo  che  apparisce  dalla  lettera  creden- 
ziale con  opportuna  degnazione  indiritta  al  maresciallo  di 
Montmorency,  favorito  di  Francesco  I  e  fra  tutti  i  consiglieri 
il  più  accorto)  di  cose  e  disegni  spettanti  air  onore  e  alV  inte- 
resse di  ambidue  (3),  il  qual  Giberto,  sebbene  avesse  poc'anzi 
ricevuto  da  Cesare  una  pensione  di  duemila  ducati  (4),  era 
in  voce  di  caldo  partigiano  de'  Francesi.  La  instruzione  avuta 
non  conosciamo;  ma  dai  portamenti  che  vedremo  appresso 

1524.  Lettere  di  principi.  Lo  stesso  rilevasi  dal  precitato  dispaccio 
di  Gerardo  de  Pleme  all'  imperatore. 

(lì  Cibrario,  Istituz.  della  monarchia  di  Savoia,  t.  I,  pag.  142. 

(2)  Magnis  de  rebus  christianacque  reipublicae  hoc  tempore 
non  solum  salutaribus,  sed  etiam  necessariis . . .  Quibus  etiam  ac- 
cessit quod  ipse  Hieronymus  in  tuo  regno  ohm  curu  laude  versatus 
et  mores  et  amorem  vestri  imbibit  (Aleandro  era  stato  due  anni  ret* 
tore  della  Università  di  Parigi).  Lettera  di  Clemente  VII  al  re  Fran- 
cesco^ 14  ottobre  1524.  Molini,  Docum.  di  storia  ital.  t.  1,  pag.  177. 

(3)  Mittentes  Gibertum  ad  regem  christianissimum  prò  rebus  ac 
consiliis  ulriusque  nostrum  honorem,  ut  iudicamus,  etcommodum 
spectantihus.  30  ottobre  1524.  Ibidem,  pag.  178. 

(4)  Lettera  di  Gio.  Matteo  Giberto  all'imperatore,  7  giugno  1524. 

15 


—  226  — 

è  dato  inferire  l' obbligo  impostogli  di  prender  norma  dalle 
congiunture  e  dai  successi  della  guerra. 

V.  La  quale  in  sulle  prime  volgeva  con  prosperi  auspi- 
ci! per  i  Francesi.  Milano  spopolata  dalla  peste,  sebbene 
conservasse  l' antica  prontezza  degli  uomini  alle  medesime 
fatiche  e  pericoli,  giudicò  il  Morene  incapace  di  difendersi; 
onde  quelli  vi  entrarono  il  di  26  ottobre  4524,  ponendola  a 
guasto  (1),  mentre  le  truppe  imperiali,  dopo  munito  il  ca- 
stello, ne  uscivano.  E  Francesco  se  le  avesse  incalzate  verso 
Lodi,  dove  infine  fermaronsi,  compiva  la  vittoria;  ma  ceden- 
do invece  ai  consigli  di  Bonnivet,  quasi  disdicesse  alla  di- 
gnità di  re  lasciarsi  dietro  alle  spalle  guarnigioni  nemiche, 
voltò  r  esercito  a  Pavia,  presidiata  da  trecento  uomini  d'ar- 
me e  cinquemila  fanti,  da  pochi  spagnuoli  in  fuori,  tutti  te- 
deschi, e  quel  si  è  più  da  un  capitano,  quale  Antonio  de  Le- 
va che  aveva  assistito  a  trenladue  battaglie  e  quaranta  as- 
sedi i. 

Non  si  può  quasi  ricordare  Pavia  tra  le  nazioni  stra- 
niere, dice  uno  scrittore  contemporaneo,  senza  il  nome  di 
Antonio  de  Leva  (2).  Straordinarie  furono  le  prove  del  valor 

Nel  margine  sta  scritto  di  mano  del  gran  cancelliere  imperiale:  que 
aquella  pension  no  sera  la  postrera  merced  que  se  Je  haga.  Biblio- 
teca de  la  Academia  d' historia  de  Madrid,  A.  31  msc. 

(1)  All'autorità  del  Guicciardini,  il  quale  dice,  aver  il  re  con  la* 
de  grande  di  modestia  e  benignità  proibito  che  ai  Milanesi  non  fossi 
fatta  molestia  alcuna,  vuoisi  preferire  quella  del  mereiaio  Buri- 
gozzo,  testimone  oculare,  che  così  scrive  (Cronaca  cit.  Arch.  stor, 
ital.  t.  3)  :  i  francesi  fazecano  tanto  male  per  Milano  che  non  sarto 
possibile  a  poter  narrare,  e  de  robare  e  de  logiare  senza  discrezio- 
ne, et  non  tanto  il  logiare  ma  volevano  le  spese  et  denari,  et  andava? 
no  in  le  caxe  dove  li  era  bon  vino,  et  lo  volevano,  et  così  a"  altro. 

(2)  Gasi  no  se  puede  nonbrar  Pavia  entre  na^iones  estranas  sic 
el  nonbre  de  Antonio  de  Leyva.  Don  Gonzalo  Ximenez  de  Quesa- 
da.  Apuntamientos  y  anotaciones  sobre  la  historia  de  Paulo  Jovic 
(dedicati  a  Luigi  Quixada  testimonio  oculare  dei  fatti  ivi  narrati),  Bt 
blioteca  de  Santa  Cruz  de  Valladolid,  msc.    ^ 


—  227  — 

suo  e  proporzionate  alla  importanza  della  piazza,  di  cui  era- 
gli affidata  la  difesa  (4).  Interruppe  Y  accostarsi  de5  nemici 
con  frequenti  e  impetuose  sortite;  dietro  le  breccie  fatte 
dalla  loro  artiglieria  eresse  larghe  e  profonde  trincee  ben 
fiancheggiate;  respinse  ogni  assalto;  e  coli' esempio,  traen- 
te fin  le  catene  d'oro  dal  collo  per  farne  battere  monete, 
indusse  non  solo  i  soldati  ma  gli  abitanti  a  sopportare  le 
pia  dure  fatiche.  Dei  quali  ultimi  tanto  era  1'  odio  contro  a' 
Francesi,  che  una  delle  più  illustri  matrone, Ippolita  Malaspi- 
Da,  marchesa  di  Scaldasole,  non  isdegnò  con  le  sue  belle  e 
Manche  mani  portar  ceste  di  terra  al  bastione,  e  con  parole 
ornate  e  piene  di  efficacia  accendere  gli  animi  alla  resisten- 
za (2).  Per  lo  che  disperato  il  re  Francesco  di  espugnare  la 
città,  fece  prova  d' impadronirsene  col  divertire  il  ramo  del 
Ticino,  che  la  difende  da  un  lato,  nel  ramo  minore  detto  il 
Gravellone;  e  poi  che  la  rapidità  del  fiume  ingrossato  da 
pioggie  smisurate  potè  più  che  l'opera  degli  uomini  o  la  in- 
dustria dei  periti,  e  gli  andò  a  vuoto  anche  1*  altro  tentativo 
di  sedurre  prima  il  Leva  mediante  un  frate  zoccolante,  a  cui 
questi  soleva  ogni  anno  confessarsi,  indi  lo  Zollern  capitano 
de*  Tedeschi  (3),  si  vide  costretto  nel  gennaio  del  4525  a 

(1)  Sire,  vous  ettes  hien  tenu  a  Antoine  de  Leve:  y  a  bien  servls 
a  la  defension  de  Pavie,  et  ne  fey  doute  que  ne  le  reconnaissez.  Der 
vieekònig  Lannoy  an  den  kaiser,  5  dee.  1521 .  Lanz  Corresp.  tom.  1 , 
pag.  149. 

(2)  Francesco  Tegio  fisico  e  cavaliere.  Pavia  assediata  da  Fran- 
cesco I  Valois  re  di  Francia.  Pavia  1655. 

(3)  Sandoval  (t.  4,  pag.  157)  dice  bensì  esser  lo  Zollern  caduto 
in  sospetto  di  tradimento,  e  per  ciò  fatto  morire  di  veleno  per  ordi- 
ne del  Leva.  Galeazzo  Catella  ne  fa  pur  cenno,  ma  soggiunge 
multi  existimavere,  e  con  questa  medesima  restrizione  ne  scrisse  il 
Sepulceda  (p.  158),  ardentissima  febre  correptus,  nec  sine  veneni  sus- 
picione interiit.  ti  Tegio,  stato  durante  l'assedio  a  Pavia,  lo  vuole 
morto  invece  per  le  lunghe  veglie  e  le  assidue  fatiche,  e  i  canti  na- 
zionali lo  celebrano  siccome  uno  de'  principali  eroi  della  difesa.. 


—  228  — 

cambiare  l'assedio  in  un  blocco,  con  la  lunghezza  del  quale 
sperava  ridurre  quegli  di  dentro  in  necessità  di  arrendersi. 
E  già  pareva  non  la  potesse  mancare,  sia  per  il  grande 
difetto  de'  viveri,  e  sia  perchè  Lannoy  e  Pescara,  aspettando 
i  cercati  rinforzi,  se  ne  stavano  ancora  in  cotal  stato  d' ina- 
zione da  dar  luogo  ad  una  pasquinata  in  Roma,  ove  promet» 
tevasi  ricompensa  a  chi  avesse  trovato  Y  esercito  imperiale 
smarrito  in  ottobre  ne'  monti  fra  la  Francia  e  la  Lombardia. 
Indi  il  piccolo  o  forse  niuno  sussidio  o  di  soldati  o  di  denari 
degli  antichi  confederati  italiani  (4),  e  massime  di  papa  Cle- 
mente, il  quale,  come  intese  avere  il  re  occupato  Milano, 
sebbene  affettasse  ancora  la  cura  della  pace  universale,  af- 
frettossi  a  mettere  in  salvo  le  cose  proprie,  ristrignendosi 
con  lui.  Gian  Matteo  Giberto  s'era  bensì  recato  a  Soncino  a 
confortare  il  viceré  e  gli  altri  capitani  cesarei  alla  concordia, 
ma  non  ebbe  sì  tosto  compiuto  il  finto  officio,  di  cui  preve- 
deva l'effetto,  che  conchiuse  col  re  di  Francia  un  trattato  se- 
greto (novembre  4524),  pel*  il  quale  obbligavasi  quest'ultimo, 
conquistato  che  avesse  il  Milanese,  a  non  rivendicare  nè.Par- 
ma  né  Piacenza,  a  prendere  il  sale  dagli  stati  pontificii,  a 
soccorrere  il  papa  contro  i  ribelli  vassalli  e  a  mantenere  in 
Firenze  Y  autorità  de'  Medici  (2).  Nello  stesso  tempo  il  nun- 
zio Giberto  indusse  Giovanni  de'  Medici  a  passare  colle  sue 
bande  dalla  parte  del  duca  Sforza  a  quella  di  Francia  (3),  e 
il  pontefice  consigliò  a  Francesco  di  mandare  il  duca  d' Àl- 

(1)  Vous  etes  grand,  et  plus  que  vos  allies  ne  voudroient.  Let- 
tera precitata  del  Lannoy  all'  imperatore. 

(2)  In  questa  forma  ne  diede  notizia  il  papa  air  arciduca  Ferdi- 
nando, e  lo  si  trova  negli  Annali  di  Spalatin.  Mencken,  Scriptores  re- 
rum germ.  t.  2,  pag.  641. 

(3)  Et  che  non  farebbe  despiacer  niuno  al  papa ...  Et  essendo 
recercato  dal  mio  (servitore)  se  S.  S.  voleva  praticar  le  cose  mie,  li 
disse  de  sì,  ma  che  non  si  scroperebbe  apertamente.  Giovanni  di 
Medici  al  card.  Giov.  Salviate  18  nov.  1524.  Arch.  stor.  Hai.  nuova 
serie  t.  2,  p.  2,  pag.  116. 


—  «29  — 

banìa  (Giovanni  Stuart)  verso  Napoli,  coli'  intento  di  forzare 
il  viceré  Lannoy  ad  abbandonare  la  Lombardia,  e  per  con- 
seguenza di  ristabilire  tra  gli  Spagnuoli  in  quel  regno  e  i 
9  francesi  in  Milano  l' equilibrio  politico  dell'  Italia.  Al  che  a- 
vendo  aderito  Francesco  per  non  tener  ozioso  Y  intero  eser- 
cito durante  la  cattiva  stagione,  in  cui  non  poteva  spingere 
vivamente  l' assedio  di  Pavia,  acconsenti  Clemente  che  il 
duca  predetto  passasse  colle  sue  genti  per  lo  stato  della 
Chiesa  e  si  soldassero  nuovi  fanti  a  Roma  (i).  Tutto  ciò  si- 
mulando con  Cesare  di  continuar  neutrale.  Ma  quegli,  ben 
"lungi  dall'  aggiustargli  credenza,  lo  ricambiò  di  uguale  mo- 
neta.' Ancora  fa  mestieri,  scriveva  al  duca  di  Sessa,  fingere 
coi  ministri  del  papa,  e  accarezzarli  e  mostrar  fiducia  in  essi, 
quantunque  non  vi  sia  ragione  di  averla  :  verrà  tempo  di 
strignere  i  conti  con  quelli  che  ci  servono  e  con  quelli  che  ci 
diservono  (2). 

I  consigli  e  gli  esempi  del  pontefice  seguitarono  i  Vene- 
ziani per  il  medesimo  rispetto  alla  difesa  degli  stati  loro  par* 
ticolari  e  della  comune  libertà  d'Italia.  La  quale  ben  disse 
Domenico  Trevisan,  senatore  di  grande  autorità,  dipendere 
in  que'  miseri  tempi  unicamente  dal  contrappeso  che  si  da- 
vano a  vicenda  le  forze  de'  due  rivali  stranieri,  non  essendo 
né  la  potenza  né  la  intelligenza  de9  principi  nostrali  tanta  o 

(1)  Per  opera  d'Alberto  conte  di  Carpi,  oratore  del  Re  appresso 
a  Clemente,  si  concluse  convenzione  tra  il  Re  e  Papa,  solo  quanto  a 
questo  :  che  il  Papa  la  (gente)  lasciasse  passare,  pagando  quello  a- 
veva  bisogno,  e  senza  offendere  terra  alcuna  de1  Fiorentini,  né  sue. 
E  il  Papa  stimò  certo,  che  come  questa  parte  del  Re  si  metteva  in 
cammino,  che  gì' Imperiali  si  dovessino  ritirare  verso  Napoli:  onde 
seguirebbe  che  Francesco,  senza  altrimenti  combattere,  divente- 
rebbe signore  del  ducato  di  Milano,  e  Carlo  si  terrebbe  il  regno  di 
Napoli,  e  ciascuno  di  loro  avrebbe  cura  che  l' altro  non  diventasse 
maggiore  in  Italia;  acciò  non  fussi  più  potente  a  offenderlo.  Frane, 
rettori,  Stor.  d'Italia.  Arch.  stor.  ital.  Append.  22,  pag.  353. 

(2)  Madrid  11  die.  1524.  Gachardop.  cit.  pag.  211. 


—  230  — 

tale  che  bastasse  a  scacciarli  tutti  della  penisola  (4).  /  Vèn* 
ziani,  aveva  già  scritto  Alfonso  Sanchez  oratore  cesareo, 
non  possono  portare  in  pace  la  grandezza  dell9  imperatore  e 
farebbero  V  estremo  di  lor  potere  per  impedirla  (2).  In  fatto 
richiesti  che  ordinassero  le  genti  conforme  all'accordo  svo- 
gliatamente fermato  con  lui  (del  quale  essi  medesimi  poca 
stima  facevano  e  poco  ne  temevano  i  francesi),  benché  non 
negassero,  risposero  freddamente,  come  quegli  che  avevano 
neir  animo  di  accomodare  le  azioni  ai  progressi  delle  cose; 
e  quando  parve  che  arridesse  la  fortuna  a  Francia  e  il  pda* 
teflce  aprì  loro  la  mente  sua,  diedero  commissione  a  Marco 
Foscari  oratore  a  Roma  di  rimettere  in  lui  il  partito  che  più 
credesse  giovare  alla  caus  a  comune,  raccomandandogli  tut- 
tavia di  tirar  in  lungo  possibilmente  la  conclusione  fino  a 
che  si  vedesse  l'esito  dell'assedio  di  Pavia  (3).  Indarno  l'am- 
basciatore imperiale  protestò  non  intendere  il  padron  suo 
che  alla  conservazione  dello  Sforza  nel  ducato  di  Milano  (À). 
Ai  42  dicembre  4524  convennero  col  re  Francesco  di  non 
si  offendere  reciprocamente,  introducendo  altresì  le  pratiche 
per  rinnovare  P  antica  confederazione,  però  col  particolar 
patto  di  non  essere  tenuti  ad  aiutarlo  nella  presente  impre- 
sa (5);  e  nello  stesso  tempo  confortarono  occultamente  il 
pontefice  a  far  scendere  a  spese  comuni  diecimila  Svizzeri, 
per  non  aver  poi  a  rimaner  preda  o  degl'  imperiali  o  dei 
francesi  vincitori:  cosa  approvata  da  lui,  ma  per  carestia  di 
denari  o  per  sua  natura  instabile  e  avara  non  eseguita. 

(1)  Paruta,  Hist.  Veneta,  pag.  237. 

(2)  No  pueden  con  paciencia  tollerar  la  grandeza  del  empe- 
rador  y  si  pudiessen  barian  todo  estremo  por  obviarla,  Alonso  San- 
chez al  cancelliere  imper.  Venezia  26  giugno  1522.  Bibliotec.  de  la 
Acad.  d' hist.  de  Madrid.  A.  24  msc. 

(3)  Segreta  RogaL  t.  L,  29  ott.  1524. 

(4)  Codice  del  cav.  Em.  Cicogna  1003,  citato  dal  Romanin.  Stor. 
doc.  di  Venezia  t.  5,  pag.  398. 

(5)  Secreta  Rogai,  t.  L,  5.  die.  1524. 


—  231  — 

VI.  Confortato  da  queste  alleanze  indugiavasi  il  re  Fran- 
cesco nelP  assedio  di  Pavia  fra  i  piaceri  di  un  mite  inverno, 
le  lautezze  della  Certosa  e  gli  spassi  del  parco  di  Mirabelle), 
a  crescere  i  quali  fece  venire  di  Roma  lo  scapestrato  Pietro 
Aretino  (4),  lasciando  il  governo  dell'esercito  nelle  mani  del- 
l' ammiraglio  Bonnivet  e  del  maresciallo  di  Montmorency, 
che  intanto  pensava  a  comprarsi  ostriche  e  tappeti  co' frutti 
dei  beni  confiscati  al  Porro  di  Milano  (2),  e  a  farsi  conciare 
falconi  da  Manfredi  signore  di  Coreggio  per  servirsene  nel 
vittorioso  tempo  che  non  venne  (3).  Ai  consigli  di  costoro 
vuoisi  attribuire  se  Francesco,  credendo  aver  di  fatto  tanti 
soldati  quanti  gliene  facevano  pagare,  aderì  alla  proposta  del 
pontefice,  mandandone  porzione  (dugento  lance,  seicento  ca- 
valleggieri  e  quattromila  fanti)  al  conquisto  di  Napoli  col 
duca  d' Albania,  la  cui  impresa  giovò  invece  soltanto  a  trar- 
re dalla  sua  que'  piccoli  stati  che  il  timore  aveva  strascinati 
nella  lega  dell'  imperatore.  Alfonso  d'Este,  duca  di  Ferrara, 
domandò  di  essere  nuovamente  ricevuto  in  protezióne  dai 
Francesi  e  la  comperò  con  settantamila  ducati,  ventimila 
de9  quali  in  munizioni.  Lucca  diede  dodicimila  ducati  e  al- 
cuni cannoni.  Di  là  unitosi  coi  tremila  fanti  italiani  di  Renzo 
da  Ceri  sbarcati  da  una  flotta*  francese,  procedette  più  in- 
nanzi il  duca  d'Albania  per  il  dominio  dei  Fiorentini,  che  lo 
accolsero  come  amico;  poi  si  fermò  a  Siena,  la  quale  per  li- 
berarsi dalle  molestie  dell'esercito  non  solamente  pagò  certa 
quantità  di  danari,  ma  fece  eziandio  le  viste  di  acconsentire 

(1)  Ha  imposto  a  colui  che  manda  in  poste  a  Roma,  che  ti  faccia 
comandare  da  la  Sua  Beatitudine  che  a  lui  ne  venga.  Giovanni  de' 
Medici  a  Pietro  Aretino,  di  Pavia  gennaio  (?)  1525.  Arch.  stor.  ital. 
nuova  serie  t.  2,  p.  2,  pag.  121. 

(2)  Ottaviano  Grimaldi  al  maresciallo  di  Montmorency,  14  nov. 

1524.  Molini  Doc.  di  storia  ital.  1. 1,  pag.  180. 

(3)  Manfredi  da  Coreggio  a  monsig.  di  Montmorency,  3  genn. 

1525.  Ibidem,  pag.  183. 


_  232  _ 

alla  riordinazione  del  governo  desiderata  da  Clemente  VII, 
richiamando  Fabio  figliuolo  di  Pandolfo  Petrucci  non  molto 
prima  spodestato  (4).  Finalmente,  passato  il  Tevere  a  Fiano 
entrò  nelle  terre  degli  Orsini,  dove  raccoglievansi  i  fanti 
soldati  per  lui  a  Roma.  In  questo  mezzo  aveva  il  pontefice 
mandato  Paolo  Vettori,  capitano  delle  sue  galee, a  significare 
al  Lannoy  non  avere  mai  potuto,  per  diligenza  che  facesse, 
rimuovere  il  re  Francesco  dalla  deliberazione  di  assaltare  il 
reame  di  Napoli;  esortarlo  perciò  a  sospendere  le  armi,  de-? 
ponendo  in  mano  sua  quel  che  in  nome  di  Cesare  si  teneta_ 
ancora  nel  ducato  di  Milano;  sperare  che,  fatto  questo,  si 
converrebbe  in  qualche  modo  onesto  della  pace,  per  laquàl» 
proponeva  che  il  ducato  medesimo,  separandosi  in  tuttcp 
dalla  corona  di  Francia,  fosse  con  la  investitura  di  Cesare,  » 
verso  compenso  in  denari,  conceduto  al  secondogenito  dei- 
re.  Ben  era  a  prevedersi  la  risposta  di  chi  venuto  all'ut^ 
tima  contenzione  non  poteva  non  riputare  che  fosse  contrai 
a  sé  qualunque  si  dicesse  neutrale.  Donde  Clemente,  mo~» 
strando  di  essere  menato  dalla  necessità,  perchè  il  duca  dS 
Albania  avvicinavasi  a  Roma,  pubblicò,  non  come  fatta  pri- 
ma, la  convenzione  col  re  di  Francia,  ma  falsata  in  una  sem- 
plice promessa  di  non  offendere  Y  un  Y  altro,  e  in  questa 
forma  la  significò  per  un  breve  a  Cesare.  Il  quale,  commofir 
so  d' animo,  gli  rescrisse,  meravigliarsi  assai  che  non  abbia 
avuto  alcun  riguardo  né  alla  sua  riverenza  filiale,  né  ai  ser- 
vigli prestatigli  fin  dalla  prima  età  e  per  la  elevazione  al 

pontificato,  della  quale  fu  principale  strumento  (2),  né  alla 

■ 

(1)  Volendo  ridurre  quella  città  a  un  governo  da  poterne  di* 
sporre:  e  lo  rassettò  alquanto;  ma  non  fece  quello  credette.  Fran- 
cesco Vettori,  op.  cit.  pag.  353. 

(2)  En  lo  qual,  comò  vos  soys  buen  testigo,  se  hizo  por  nuestra 
parte  tanto  que  fuymos  la  principal  causa  de  ponerle  en  la  siila  de 
san  Pedro.  Charles-Quint  au  due  de  Sessa,  Madrid  9  febb.  1525.  Ga- 
chard  op.  cit.  pag.  212. 


-  233  — 

parte  eh'  egli  .ebbe  come  cardinale  in  confortarlo  a  questa 
guerra  (4),  né  ai  danni  che  dalla  sua  mutazione  potrebbero 
derivare  all'Italia,  alla  santa  sede  e  a  tutta  la  cristianità. 
Soggiungeva  non  confidasse  alcuno  che  avesse  a  sminuire  la 
sua  potenza  in  Italia,  perchè  metterebbe  prima  ad  ogni  pe- 
ricolo gli  altri  regni  e  la  vita  propria;  esser  egli  ornai  rista- 
bilito in  sanità,  cessata  la  quartana  che  lo  affliggeva,  e  si  va- 
lido del  corpo  da  montare  a  cavallo,  correre  a  galoppo  e  cac- 
ciare, insomma  in  tale  stato  da  poter  recarsi  ovunque  fosse 
^chiesto  (2).  Quindi,  dopo  aver  ripetuto  al  duca  di  Sessa, 
aiìnbasciator  suo  a  Roma,  che  simulasse  ancora  col  datario 
Gian  Matteo  Giberto  e  cogli  altri  ond'  era  stato  mal  servito, 
Perchè  verrebbe  poi  tempo  di  saldar  le  ragioni  di  ciascuno, 
^Qnchiudeva:  il  duca  di  Ferrara  potrà  piagnere  un  giorno 
**  aiuto  dato  ai  Francesi,  e  similmente  i  Veneziani,  dei  quali 
***i  dolgo  assai  più  che  d' ogni  altro,  perchè  senza  alcun  mo- 
**ivo  mi  ruppero  fede  (3).  Verrò  io  stesso  in  Italia,  disse  con- 
temporaneamente all'  oratore  fiorentino,  per  riacquistare  il 
•aitò  e  vendicarmi  di  coloro  che  mi  hanno  offeso,  e  massime 
<*ì  quel  villano  di  papa  (4).  Indi  le  sollecitudini  di  Gaspare 
^Contarmi  nello  scolpare  la  violazione  della  lega  da  lui  me- 
desimo negoziata,  tenendo  sempre  rivolto  l' occhio  all'  in- 
tento principalissimo  d'impedire  che  Carlo,  in  caso  andasse- 
ro male  le  cose  sue,  com'egli  e  quasi  tutti  presagivano  allora, 

(1)  I/imperatore  disse  all'ambasc.  fiorentino:  che  questa  guer- 
ra colla  Francia  fece  soium  per  lui;  non  dico  per, papa  Leone,  ma 
per  lui,  perchè  lui  governava  papa  Leone,  Gaspare  Contarini  al 
Senato.  Madrid  28  genn.  1525.  Biblioteca  Marciana  ital.  ci.  VII,  cod. 
1009  msc. 

(2)  Y  no  dexamos  de  cavalgar  cavallos  saltadores,  y  passar  car- 
reras,  y  yr  a  caga,  matando  venados  de  nuestra  mano,  y  haziendo 
otros  actos  de  persona  que  tiene  sanidad.  Gachard,  1.  e.  p.  213. 

(3)  Ibidem. 

(4)  Gaspare  Contarini  al  Senato.  Madrid  6  febb.  1525.  Biblioteca 
Marciana  ital.  ci.  Vii,  cod.  1009  rase. 


—  234  — 

non  convenisse  con  Francesco  senza  i  Veneziani  e  forse  in 
loro  danno  e  mina  dell'  Italia  (4). 

Le  previsioni  comuni  non  si  avverarono.  Mentre  il  re 
di  Francia  smembrava  tanta  parte  del  suo  esercito  col  so- 
praccennato intento,  reso  vano  dalla  saviezza  del  Lannoj 
che  non  volle  abbandonare  la  Lombardia  (2),  ingrossavano 
il  loro  gì9  imperiali  con  nuove  genti  venute  di  Germania 
Condusse  il  Borbone  duecento  cavalli  e  seimila  fanti  soldat 
con  i  denari  delle  sue  gioie  e  con  quelli  dell'  arciduca  Fer 
dinando  (3).  Quasi  altrettanti  ne  arrotò  il  Lannoy,  vendendo 
nel  regno  di  Napoli  tutto  che  poteva  trovar  compratori.  Mar 
co  Sittich  di  Ems  e  Nicolò  conte  di  Salm  capitanavano  i  prì 
mi;  Giorgio  di  Frundsberg  gli  altri,  e  le  due  schiere  si  uni- 
rono il  di  24  gennaio  4525  colle  truppe  stanziate  a  Lodi 
Vero  è  che  allora  si  fece  maggiore  la  necessità  de'  danari..  1 
centomila  ducati  spediti  pochi  giorni  innanzi  al  Borbone  io 
lettere  di  cambio  e  gli  altri  centomila  promessi,  oltreché  in- 
sufficienti a  pagare  gli  stipendii  residui,  tardavano  a  venire. 
E  quanto  non  era  costato  a  Cesare  il  metterli  insieme!  Cave 
i  primi  dalla  vendita  di  alcuni  diritti  nella  Castiglia,  i  secon- 
di dai  denari  destinati  al  sostentamento  della  sua  corte  (4), 
e  forse  anche  da  quel  credito  di  centoventimila  ducati  verso 

(1)  Perche  quando  le  cose  sue  in  Italia  andassero  male  come  mi 
dubito  e  che  el  vedesse  over  li  paresse  esser  destituto  de  li  amici 
sui  grand  .mo  pericolo  seria  che  el  non  precipitasse  in  disperatione 
ov.  non  facesse  qualche  accordo  con  Francia  dannoso  a  tuta  Italia. 
Non  è  cosa...  che  più  habia  habuto  l'ochio  in  tuta  questa  mia  le- 
gatione  che  a  questa.  Ibidem,  Madrid  26  gen.  1525  msc. 

(2)  Wolsey  air  ambasciatore  inglese  a  Roma,  vescovo  di  Bath. 
Iohn  Gali,  The  Hfe  of  card.  Wolsey,  let.  XVJH.  Accetto  come  vero 
ciò  cherscrive  il  Wolsey,  sebbene  Guicciardini  e  Giovio  dimostrino 
il  Lannoy  risoluto  ad  abbandonare  lo  stato  di  Milano,  e  ritenuto  so- 
lamente dalla'valida  opposizione  del  Pescara. 

(3)  Bucholtz,  op.  cit.  t.  2,  pag.  270. 

(4)  11  genn.  1525.  Ìbidem,  pag.  273. 


—  235  — 

la  repubblica  veneta,  e  di  altri  diciottomila  verso  il  duca  di 
Milano  che  avevano  i  padovani  emigrati,  in  virtù  della  pace 
ultimamente  conchiusa  tra  l'imperatore  e  la  signoria,  e  che 
in  nome  loro  gli  fu  ceduto  per  i  bisogni  della  guerra  da  A- 
chille  Borromei,  Nicolò  Trapolino  e  Marco  Bagarotto  (4).  A 
dirtela  schietta,  scriveva  al  Borbone,  non  ho  speranza  di 
pandi  sussidii  né  dall'  Inghilterra,  né  da  mio  fratello,  né 
dai  Paesi  Bassi,  essendovi  scarsezza  per  tutto,  fuorché  in 
Inghilterra,  dove  manca  il  buon  volere  (2).  Ma  il  Pescara, 
proponendo  agli  spagnuoli  gli  onori  e  le  ricchezze  della  fu- 
tura vittoria,  ed  accendendoli  con  gli  stimoli  dell'  odio  con- 
tro ai  Francesi,  gl'indusse  a  promettere  di  seguitare  un  mese 
intero  T  esercito  senza  ricevere  soldo.  Lo  stesso  ottenne  dai 
tedeschi  Giorgio  di  Frundsberg,  ansio  del  pericolo  di  Pavia, 
dov'era  chiuso  Gaspare  suo  figliuolo.  Non  c'era  tempo  da 
Perdere.  Il  dì  seguente  a  quello  in  cui  si  congiunsero  a  Lodi, 
andarono  gP  imperiali  a  Marignano,  e  di  là  passato  il  Lam- 
bo  e  preso  d' assalto  il  castello  Sant'  Angelo,  spingendosi 
^^re  più  innanzi,  vennero  il  terzo  giorno  di  febbraio  ad 
foggiare  a  due  miglia  e  mezzo  di  Pavia,  e  a  un  miglio  della 
Sguardia  nemica,  di  maniera  che  già  l'una  parte  e  Paltra, 
^Bsa  uscire  da'  loro  campi,  si  danneggiavano  con  le  arti- 


Non  prima  che  li  vide  avvicinarsi,  pensò  Francesco  di 
^centi^re  le  sue  forze.  Ritornarono  all'  esercito  quattro- 
ml*L  fonti  da  Milano,  ma  i  duemila  richiamati  da  Savona, 
Detitre  attraversavano  senza  sospetto  alcuno  l'Alessandrino, 
ttrOno  sorpresi  da  Gaspare  Maino  comandante  delle  truppe 
&Ho  Sforza,  e  fatti  prigioni.  Né  ebbe  migliore  successo  la  cu- 


ti) Et  se  altro  modo  o  via  de  dinari  noi  havessemo  tutti  seriano 
^rvitio  de  S.  M.  Roma,  nov.  1524.  Bibliot  de  la  Acad.  <f  kUt.  de 
**Xrid.  A.  32  msc. 

(2)  3  febb.  1525.  Buckoltz,  t.  2,  pag.  271. 


ra  data  a  Gian  Luigi  Palavicino  o  di  occupare  Cremona  o  al- 
meno d' impedire  che  da  quella  città  si  movessero  le  vetto- 
vaglie, perchè  venuto  a  scontro  verso  Casal  Maggiore  con  À- 
lessandro  Bentivoglio  cadde  egli  pur  prigione,  lasciando  : 
suoi  quattrocento  cavalli  e  duemila  fanti  rotti  e  dispersi.  M 
questi  sinistri  si  aggiunse  un  altro  più  grave  ancora.  Gian- 
giacomo  Medici,  milanese,  fattosi  signore  del  castello  di  Mu&-* 
so  dopo  T  assassinio  di  Monsignorino  Visconti,  assaltò  Chuh 
venna  città  importante  della  lega  grigia;  onde  questa  ritoGi 
subito  in  soccorso  della  patria  i  seimila  connazionali  ch'era- 
no nel  campo  del  re.  Cosi  V  esercito  francese  si  ridusse  di 
numero  quasi  uguale  all'  imperiale,  fatta  la  debita  sottfazio- 
ne nel  primo  di  que'  soldati  che  per  le  frodi  de9 capitani;* 
per  la  negligenza  de'  ministri  ricevevano  lo  stipendio  sete 
esservi  presenti  (1).  Quello  che  più  mi  fa  temere,  scriveva 
Bernardo  Tasso,  padre  dell'  immortale  Torquato,  dal  camp* 
francese,  è  che  veggio  che  apertamente  stia  maestà  s'ingaim* 
nelle  cose  piti  importanti,  giudicando  il  suo  esercito  maggi* 
di  numero,  e  quel  de'  nemici  minore  di  ciò  che  in  effètto  sono 
Io  vedo  questo  campo  con  quel  poco  ordine  che  era,  quande 
i  nemici  eran  lontani;  né  a  questa  troppa  sicurtà  so  dare  uh 
tro  nome  che  imprudenza  o  temerità  (2).  Aggiungasi  che  il 
re  d' Inghilterra,  sebbene  già  insospettito  di  Cesare,  avendo 
pure  invidia  alla  prosperità  del  re  di  Francia,  non  solamente 
diede  ordine  a  Riccardo  Pace  di  andare  a  Venezia  per  ecci- 
tarla in  nome  suo  alla  osservanza  della  lega  con  Cesare; ma 
mandò  ancora  Gregorio  da  Casale  al  viceré  Lannoy  con  pro- 
messe grandi  e  con  cinquantamila  scudi  d' oro,  eh'  ei  lasciò 
a  disposizione  di  lui  a  Viterbo  per  il  caso  che  venisse  a  bat- 
taglia (3).  Rappresentò  inoltre  il  Wolsey  al  pontefice  quanto 

(1)  Fr.  Guicciardini,  St.  d' Italia  t.  3,  pag.  145. 

(2)  Lettere  di  messer  Bernardo  Tasso.  Venezia  1561,  pag.  4. 

(3)  Lannoy  a  Margherita  governatrice  de'  Paesi  Bassi,  1 5  febb. 
1525.  Bucholtz,  op.  cit.  t.  2,  pag.  272. 


—  237  — 

danno  dal  cambiamento  di  sua  politica  sarebbe  per  risultare 
alla  cristianità  in  generale,  e  quanto  ne  avrebbero  profittato 
i  seguaci  delle  dottrine  luterane,  che  di  già  sono  sparse  per 
r intera  Germania,  e  non  lasciano  inlatte  la  Francia,  la  Spa- 
gna, le  Fiandre,  la  Danimarca,  la  Scozia,  e  forse  varie 
parti  d9  Inghilterra.  «  Il  re  francese  (soggiungeva),  avendo 
in  sue  mani  e  Milano  e  Napoli,  ed  essendo  principe  si  ambi* 
zio&o  e  cupido  di  dominio,  troverebbe  sicuramente  i  modi 
di  ridurre  ad  obbedienza  sua  a  poco  a  poco  altre  parti  d'  I- 
talia,  o  per  forza  o  per  politica.  Egli  troverebbe  cosi  il  mezzo 
eli  aspirare  all'  impero  romano:  conseguitolo  o  no,  sua  san- 
tità dovrebbe  accertarsi  di  stare  inter  Scyllam  et  Charybdim, 
e  di  dover  servire  alla  volontà  del  re  francese;  il  quale,  non 
ostante  il  buon  viso  che  fa  adesso,  non  mancherebbe  di  di- 
sporre del  papa  come  di  suo  cappellano.  »  Quindi,  discor- 
rendo degli  spedienti  per  mandare  a  vuoto  i  disegni  di  Fran- 
cesco, instò  che  si  mettesse  ad  effetto  la  proposizione  in  ad- 
dietro fatta  dal  pontefice  al  viceré  e  ad  altri  capitani  impe- 
riali, di  rimettere  cioè  in  sue  mani,  a  guisa  di  deposito  e  per 
xm  corto  tempo  fino  allo  stabilimento  della  pace,  le  parti  del 
ducato  di  Milano  che  tenevansi  in  potere  di  ambedue  i  con- 
tendenti. Se  le  cose  procedono  bene,  conchiuse,  il  re  Enrico 
spera  di  avere  tanta  influenza  sull'animo  dellHmperatore  da 
indurlo  a  dare  al  duca  Francesco  Sforza  la  investitura  di 
Milano,  dimodoché  P  Italia  sarebbe  libera  e  di  spagnuoli  e 
di  francesi  (i). 

Ma  che  valevano  coteste  pratiche,  dacché,  essendo  vi- 
cini gli  eserciti,  riducevasi  ormai  la  somma  delle  difficoltà 
sostenute  molti  mesi  alla  fortuna  di  poche  ore?  Non  cessa- 
vano gl'imperiali,  col  dare  alle  armi  e  col  far  nuovi  lavori,  di 
spingersi  sempre  più  innanzi  a  palmo  a  palmo;  frequenti 

(l)Wolsey  all' ambasciatore  inglese  a  Roma,  vescovo  di  Balli. 
John  Gali,  op.  cit.  lett.  XVIII. 


-  238  - 

erano  le  sortite  di  Antonio  de  Leva,  e  continue  di  giorno  e 
di  notte  e  quasi  sempre  fortunate  le  scaramucce  del  Pesca- 
ra, intento  a  stancheggiare  il  nemico,  a  vedere  minutamente 
come  fosse  alloggiato,  a  cercar  modo  di  trarlo  fuori  dell'ine- 
spugnabile campo.  Il  quale  aveva  grossi  ripari  a  fronte,  alle 
spalle  ed  al  fianco  sinistro,  circonlati  da  fossi  e  fortificati  con 
bastioni,  ed  al  fianco  destro  il  gagliardo  muro  del  parco  di 
Pavia,  dove  eravi  in  mezzo  il  palazzo  di  Strabello,  antico 
luogo  di  delizia  dei  duchi  di  Milano,  stato  già  fecondo  di 
liete  imagini  agli  artisti  italiani  ed  ora  soggetto  di  tristissime 
ricordanze  (i).  Là  dentro  se  ne  stava  fermo  Francesco,  non 
cedendo  alle  provocazioni  del  Pescara;  persuaso  gli  tornasse 
meglio  di  essere  assalito  come  un  tempo  a  Narignano,  che 
non  di  assalire  egli  stesso,  come  avevano  fatto  poc9  anzi  i 
suoi  con  tanto  danno  alla  Bicocca,  e  ciò  anche  secando  il 
consiglio  saviamente  datogli  dal  papa  (2),  il  quale  non  dubi- 
tava tampoco  che,  per  le  angustie  che  pativano  gP  imperiali 
di  danari  e  di  vettovaglie,  otterrebbe  in  brevissimo  tempo,  e 
senza  sangue,  la  vittoria. 

Ed  erano  angustie  veramente  estreme.  Mancavasi  in  Pa- 
via di  munizioni  e  d' ogni  altra  cosa,  né  gli  ori  e  gli  argenti 
che  il  Leva  tolse  dalle  chiese  (3)  erano  bastati  a  quetare  i  tu- 
multuanti soldati.  Ancora  ai  21  febbraio  scriveva  il  Lannoy  non 
aver  ricevuto  i  dugentomila  ducati  promessi  da  Cesare,  né  i 
cinquantamila  scudi  del  re  d' Inghilterra  ;  essere  falliti  tutti 
i  tentativi  per  far  uscire  il  re  del  suo  forte;  confidare  perciò 


(1)  Extrait  des  lettres  écrites  en  allemand  à  monselgneur  l'ar- 
chiduc  Ferdinand  par  Messer  George  de  Fronsberg.  Bucholtz,op.c. 
Docum.  p.  1. 

(2)  Jacopo  Nardi,  Istoria  della  città  di  Firenze,  t.  2,  pag.  106. 

(3)  Facendo  voto  solenne,  se  restava  vincitore,  di  restituirne 
ben  di  più,  ma  passato  il  pericolo,  gabbato  lo  santo.  Brantome,  Vies 
des  grands  capitàins. 


-  239  - 

i  francesi  nello  scioglimento  dell'esercito  (4),  e  il  segretario 
elei  duca  di  Borbone  soggiungeva  :  il  mio  povero  signore  non 
J*a  riposo  né  di  giorno  né  di  notte,  e  per  sostentare  le  sue 
Stenti*  non  soccorse  da  alcuno,  ha  impegnato  lutto  il  suo,  di 
maniera  che  ora  che  scrivo  non  ha  neanco  venti  ducati  per 
*?ivere  (2). 

In  tali  condizioni  parve  lo  sciogliere  l' esercito  dinanzi 
al  nemico  ugual  male  che  una  disfatta  (3).  Mi  dia  il  cielo, 
esclamò  Pescara,  cento  anni  di  guerra  e  non  un  giorno  di 
battaglia*;  ma  oggi  non  e'  è  altra  via  di  scampo  (4).  Quindi 
portatosi  in  mezzo  de'  suoi  spagnuoli,  voi  non  avete,  disse 
loro,  un  palmo  di  terra  vostro,  né  un  tozzo  di  pane  per  isfa- 
marvi  domani;  ma  dinanzi  a  voi  è  il  campo,  dove  abbon- 
dano il  pane,  la  carne,  il  vino  e  i  carpioni  del  lago  di 
Carda.  Noi  dobbiamo  averlo,  noi  dobbiamo  scacciarne  il  ne- 
mico. Vogliamo  rendere  celebre  il  giorno  di  san  Matteo  (5), 
natalizio  dell'  imperatore.  Difatti  la  notte  avanti,  dopo  aver 
dato  nelle  prime  ore  più  volte  alle  armi  per  istraccare  i  fran- 
ai Bucholtz,  op.  cit.  t.  2,  pag.  275. 

(2)  Ibidem. 

(3)  De  ninguno  canto  nostra  necessidad  tenia  rimedio . . .  des- 
iiazer  el  esercito  a  lavio  del  enemigo  era  tan  mal  corno  perdillo  con 
fcatalla.  Relazione  della  battaglia  di  Pavia  del  Pescara,  presso  Ran- 
Jte,  Storia  della  Germania  t.  6.  Falsa  è  dunque  la  notizia  contenuta  in 
*ino  scritto  anonimo,  Lettere  di  'principi  t.  1.  p.  153,  e  sull'autorità 
di  questo  accettata  dal  Sismondi,  Histoire  de  France  t.  XVI  p.232,  che 
due  giorni  avanti  la  battaglia  pervenissero  di  Spagna  150.000  scudi. 

(4|  Sandoval,  Historia  del  emperador  Carlos  V,  t.  4,  pag.  188.  Lo 
stesso  scrisse  Lannoy  all'imperatore  nel  d)  seguente  alla  battaglia 
«li  Pavia:  je  vous  ay  jusques  a  ce  jour  escript ...  la  necessite  la  ou 
nous  trouvions  par  faute  dargent,  de  sorte  que  eslions  contraint  de 
combattre  le  roy  de  France  en  son  fort,  ou  prendre  appointement; 
car  votre  armee  ne  se  pouvoit  plus  soustenir,  et  estions  en  danger 
de  rompre  par  faute  dargent  :  et  de  ces  trois  points  metUons  peyne  de 
choisir  le  moins  mal.  25  febr.  1525.  Lanz,  Correspond.  1. 1,  pag.  150. 

(5)  Sandoval,  op.  cit.  t.  4,  p.  191. 


\ 


—  240  — 

cesi,  fingendo  volergli  assaltare  altrove,  mandò  alcuni  guasta- 
tori e  soldati  a  far  una  breccia  nel  muro  del  parco,  con  in- 
tendimento, se  gli  riusciva  la  entrata  prima  che  il  nemico  ne 
avesse  sentore,  di  avanzarsi  sopra  Mirabello  e  di  là  aggiun- 
gersi colla  guarnigione  di  Pavia;  in  caso  contrario,  di  forzare 
almeno  il  re  ad  uscire  de' suoi  trinceramenti  per  contrastar- 
gli il  passaggio. 

Ma  il  muro  trovossi  più  forte  che  non  si  era  pensato,  ■ 
già  albeggiava  innanzi  che  ne  fosse  caduta  una  parte;  ond» 
quando  la  mattina  del  24  febbraio  irruppero  nel  parco  tra 
mila  fra  tedeschi  e  spagnuoli  con  una  camicia  bianca  sopr 
le  armi  in  segno  di  riconoscersi  dai  francesi,  questi  si  eraa 
già  mossi  e  posti  in  ordinanza  (1).  Tanto  però  avevano  eoe 
seguito  gì'  imperiali  di  trarli  fuori  dagli  alloggiamenti  a  cona 
battere  in  campagna  aperta.  Vero  è  che  da  principio  non  ni 
sentirono  che  il  danno,  dovendo  passare  sotto  il  fuoco  delli 
artiglierie,  si  che  il  re  stesso  uscito  per  caricarli,  al.  vedere 
alcuni  di  loro  in  fuga,  ne  pigliò  lietissimo  augurio,  dicendo: 
adesso  mi  voglio  chiamare  signor  di  Milano  (2).  Ma  appunto 
in  quel  momento  incominciò  la  battaglia,  avendo  il  Pescara 
richiamati  i  tremila,  che  col  marchese  del  Guasto  suo  nipote, 
andavano  alla  volta  di  Mirabello,  ai  quali  ben  tosto  si  uniro- 
no i  lanzichenecchi  condotti  dal  Frundsberg  e  da  Marco  Sit- 
tich.  Formavano  questi  l'ala  sinistra,  mentre  la  destra  com» 
ponevasi  dei  suaccennati  tremila  e  dei  rimanenti  spagnuoli 
e  italiani.  Accosto  di  essa  non  tardò  a  ricomporsi  la  caval- 
leria, rinforzata  da  millecinquecento  fucilieri.  Il  viceré  Lan- 
noy,  il 'quale  aveva  sempre  creduto  di  poter  trincerarsi 


(1)  Epitre  du  roy  traitant  de  son  portement  de  France  et  de  s* 
prise  devant  Pavie.  Lenglet  e  Gòbel  p.  XXX. 

(2)  Lettera  di  Paulo  Lusascho  al  sig.  marchese  di  Mantua  (giu- 
sta il  racconto  del  re  stesso).  Pizzighetloiic,  2  mar.  1525.  Marin  Su- 
fiuto  t.  XXXVH. 


—  241  — 

nel  parco  di  fronte  ai  nemici,  comprese  allora  che  ciò  non 
era  più  possibile.  Non  e9  è  da  sperare  che  in  Dio,  disse  a* 
sixoi  soldati,  fate  tutti  quel  eh9  io  faccio,  e  segnatosi  in  fron- 
te diede  di  sprone  al  cavallo  per  volare  alla  pugna  (1). 

La  quale  non  fu  una  di  quelle  splendide  giornate,  in 
cui  come  al  solito  contendono  due  eserciti  dell'onore.  Com- 
battevano per  necessità,  col  coraggio  della  disperazione,  sol- 
dati che  ancor  per  pochi  giorni  avevano  promesso  di  soppor- 
tare ogni  stento.  0  vostra  maestà,  scrisse  il  Pescara  all'  im- 
peratore, riportava  la  desiderata  vittoria,  o  noi  compivamo 
Golia  morte  il  dovere  di  servirvi  (2). 

Urtaronsi  da  prima  gP  imperiali  dell'  ala  destra  cogli 
uomini  d' arme  capitanati  dal  re;  ma  ben  più  grave  e  riso- 
lutivo fu  lo  scontro  della  sinistra  con  i  fanti  tedeschi  della 
Gneldria  e  della  Lorena,  che  sotto  il  nome  di  bande  nere  mi- 
litavano agli  stipendii  di  Francia.  Questi,  chiusi  per  un  ac- 
corto movimento  dello  Sittich  in  mezzo  a  tre  battaglioni,  fu- 
rono quasi  tutti  uccisi.  Nel  tempo  medesimo  menavano  stra- 
ge i  fucilieri  nelle  file  della  cavalleria  francese,  e  il  Pescara 
assalì  gli  Svizzeri  comandati  dal  Montmorency.  Quella  stra- 
ge; il  furore  di  questo  assalto;  la  disfatta  delle  bande  nere; 
l'avvicinarsi  dei  vittoriosi  tedeschi;  tutti  cotesti  sinistri  pre- 
staronsi  insieme  a  scompigliare  il  centro  dell'  esercito  fran- 
eese.  Il  duca  d'  Alengon,  capitano  del  retroguardo  e  cognato 
*ìel  re,  si  volse  per  primo  addietro  (3),  con  tanto  impeto  che 
^trascinò  seco  parte  degli  Svizzeri,  mentre  altri  battuti  e 
dispersi  cercarono  scampo  nel  Ticino,  in  cui  non  sapendo 
Pilotare  miseramente  perirono  (4).  In  quel  momento  uscito 

(1)  Sandoval  op.  cit.  t.  4  pag.  207. 

(2)  Relazione  del  Pescara  sulla  battaglia  di  Pavia  1.  e. 

(3)  Fu  il  primo  a  vituperosamente  fuggire.  Francesco  Tegio  op. 
^it.  p.  64. 

(4)  Gian  Matteo  Giberto  datario  scrisse  invece  ai  nunzii  ponti- 
ficii in  Inghilterra:  gran  cosa  è,  che  quelli  Svizzeri,  intrepidi  sem- 
iti 


\ 


CAPITOLO  QUINTO 


•*•  conseguenze  della  vittoria  di  Pavia;  generosi  intendimenti  di  Venezia;  irre- 
*olotena  di  papa  Clemente  e  tuo  accordo  con  Carlo  V  ;  infinta  moderazione  di 
Cesare— Angustie  di  Cesare  ne' Paesi  Bassi  e  nella  Germania;  dieta  di  Norim- 
berga e  proposta  di  un  concilio  universale;  convegno  particolare  di  Ratisbona 
«  riformazione  del  clero  promulgata  dal  cardinale  Campeggi;  progressi  della  e- 
«"«aia  luterana  e  loro  cagioni  ;  guerra  de'  villani  e  comunismo  religioso  di  Tom- 
anaso  MQnzer  —  Condizione  della  Francia  ;  provvedimenti  della  reggente  Luigia 
di  Savoia;  relazioni  colla  Porta  ottomana  —  Disposizioni  dell'  Inghilterra  verso 
Cesare;  sua  confederazione  colla  Francia  —  Controversie  tra  il  papa  e  l' impe- 
ratore; disegno  di  una  lega  fra  gli  stati  italiani  per  difesa  della  loro  indipen- 
denza; discordie  tra  i  capitani  imperiali;  maneggi  di  Girolamo  Morone  col  mar- 
chese di  Pescara;  scoperta  della  trama;  assedio  del  castello  di  Milano;  egregii 
portamenti  del  senato  milanese;  morte  del  marchese  di  Pescara  —  Negoziazioni 
di  pace  tra  Carlo  V  e  Francesco  \;  trattalo  di  Madrid  e  condizioni  della  libera- 
zione; matrimonio  di  Cesare  con  Elisabetta  di  Portogallo  —  Inosservanza  dei 
patti  di  Madrid;  lega  di  Cognac  fra  il  papa,  il  re  di  Francia  e  i  Veneziani  con- 
tro l'imperatore. 


I.  La  vittoria  inaspettata  di  Pavia  scosse  come  un  fili- 
line  i  principi  italiani  dal  sogno  di  quella  politica  che,  per 
i avere  la  indipendenza,  s'era  appoggiata  ad  un  uomo,  an- 
ìchè  alla  nazione.  Avevano  sperato  che  i  due  rivali  s' inde- 
bolirebbero a  vicenda  in  una  lunga  guerra,  e  a  lor  verrebbe 
»oi  il  destro  di  saltar  fuori  con  forze  ancora  intere  per  isni- 
larli  dalla  penisola.  Ormai  trovavansi  invece  agli  arbitrii  di 
ina  soldatesca  feroce  e  ribalda,  che,  rotto  ogni  freno  di  di- 
sciplina, albergava  a  discrezione  dei  vinti. 


-  246  — 

Veramente  mai  Italia,  dopo  Attila,  non  era  caduta  k 
preda  a  maggiore  spavento.  Ne  soffriva  più  che  altri  il  pajv 
sia  per  la  coscienza  di  esser  stato  primo  a  correre  la  fortUK 
francese  e  a  tirar  seco  i  Veneziani  (1),  secondo  che  certific 
rono  le  lettere  trovate  nei  forzieri  del  re  prigione  (2),  s 
perchè,  dalla  maestà  del  pontificato  in  fuori,  sentivasi  p 
ogni  altro  conto  molto  opportuno  alle  ingiurie,  tanto  in  E 
renze  dove  cominciavano  a  ribollire  le  dottrine  del  S 
vonarola,  quanto  nei  dominii  della  chiesa  soliti  a  rall 
grarsi  delle  sue  angustie.  In  fatto  Giorgio  di  Frundsbei 
consigliava  di  assaltarli  subito,  e  mentre  gli  altri  capitani 
riempivano  di  lor  lettere  minaccevoli,  entrarono  gì'  irape 
riali  nel  territorio  di  Piacenza.  Al  che  si  aggiunse  ben  tosti 
che  essendosi  il  duca  di  Albania,  com'ebbe  avviso  delle  ca- 
lamità del  re,  ritirato  verso  Bracciano  per  stare  al  sicuro  ic 
mezzo  alle  fortezze  degli  Orsini  aderenti  a  Francia,  le  genti 
di  questi  ultimi  andate  a  raggiungerlo  furono  rotte  da  Gioito 
Colonna  partigiano  dell'  imperatore  ed  inseguite  fin  entro 
Roma,  la  quale  si  levò  tutta  in  armi  con  gran  timore  e  con 
uguale  indignazione  del  pontefice  che  all'  autorità  sua  non 
avesse  avuto  riverenza  (3).  Sin  da  quel  momento  gli  parve 
unico  scampo  l' acconciarsi  coli'  imperatore,  e  ne  fece  motte 
all'  orator  veneto  (4).  Ma  tutti,  scriveva  invece  Domenico 

(1)  Al  papa  davano  principalmente  la  colpa,  che  vostra  celsitu 
dine  fosse  andata  così  ritenuta  con  sua  maestà.  Relazione  di  Ga 
spare  Contarini  ritornato  ambasciatore  da  Carlo  V,  16  nov.  1525 
Alberi  Relaz.  degli  amb.  ven.  ser.  1,  voi.  2,  pag.  61. 

(2)  L'imper.  all'  arcid.  Ferdinando.  Toledo  25  giug.  1525.  fP 
Bradford  Correspondance  of  the  emperor  Charles  V.London  185C 
pag.  137. 

(3)  Sua  Beatitudine  sta  tanto  di  mala  voglia,  che  non  fu  mai  ve 
duta  di  peggiore,  e  così  tutti  i  suoi.  Gio:  Maria  de*  Monti  arciv.  a 
card.  Egidio  da  Viterbo.  Roma  3  marzo  1525.  Ruscelli  Lettere  d 
principi,  t.  l,pag.  107. 

(4)  11  papa  trema,  dicendo  saria  ben  lui  e  la  Signoria  si  adate 


-  247  - 

Pizzamano,  tutti  maledicono  a  lui  e  chiamano  la  Signoria 
nostra  (i).  Né  la  Signoria  veneta  mancò  all'  antico  suo  sen- 
no; imperocché,  ben  fornita  darmi  e  pronta  a  crescerle  per 
imporre  rispetto  ai  capitani  cesarei,  rispondeva  con  vivissi- 
me instanze  al  papa  che  facesse  calar  subito  diecimila  svizze- 
ri, sforzandosi  persuadergli  che  congiunti  insieme  e  col  du- 
ca di  Ferrara  avrebbero  potuto  sostenere  l' onore  italia- 
no (2). 

Allora  si  diede  a  conoscere  Clemente.  Pochi  pontefici 
salirono  al  trono  con  maggiore  estimazione  di  lui,  perchè, 
sebbene  fosse  stato  più  presto  esecutore  de'  disegni  di  Leo- 
ne X  che  introduttore  de'  suoi  consigli,  erasi  mostrato  de- 
stro in  armi  e  in  viluppi  diplomatici,  e  principale  nelP  asso- 
dare la  sua  famiglia  in  Firenze,  dove  con  autorità  quasi  as- 
soluta regolò  le  cose  in  modo  da  farsi  pur  ben  volere.  Ave- 
lia invero  Y  intelletto  capacissimo  e  notizia  maravigliosa  di 
tutte  le  cose  del  mondo;  discorreva  con  uguale  facondia 
di  filosofia  e  di  teologia,  come  di  meccanica  e  d'idraulica; 
in  ogni  quistione  soprastava  per  sottigliezza  d' ingegno  ; 
facevasi  addentro  nelle  più  difficili:  alle  quali  doti  aggiun- 
gendosi l'essere  alieno  dai  piaceri  e  assiduo  alle  faccende  (3), 
non  era  alcuno  che  non  aspettasse  da  lui  fatti  grandissimi.  Ma 

seno  con  T  imperatore.  Lettera  dell' orator  Foscari  di  Roma  3  mar- 
zo 1525.  Mariti  Sanuto  t.  XXXVII  6  marzo. 

(1)  Tutta  la  corte  pianze  et  e  come  persa  et  tutti  chiamano  la  Si- 
gnoria nostra  et  maledisse  il  papa;  ma  spagnuoli  Io  bravano  e  tutti 
ugnano  voler  venir  contra  de  nu,  ne  di  altro  se  parla  li  in  Roma. 
Roma  6  marzo  1525.  Ibidem. 

(2)  Secreta  Rogat.  6  marzo  1525.  Inanimar  il  pontefice  a  dover 
attender  alla  quiete  e  union  d'  Italia  et  volemo  esser  a  una  fortuna 
^n  soa  beatitudine,  né  semo  per  manchar  mai,  che  separandose 
saria  gran  mal  di  tutti  do  li  stadi.  Marin  Sanuto  all'  orator  in  curia, 
®  marzo  1525. 

(3)  Discorre  bene,  vede  tutto . . ,  niuno  in  materia  di  stato  può 
Sopra  di  lui . . .  uomo  giusto,  e  uomo  di  Dio . . .  è  continentissimo, 


a  quelle  doti  non  corrispondeva  nella  risoluzione  ed  esecrai* 
ne, perchè  impedito  non  solamente  dalla  molta  timidità  dell* 
nimo  e  dalla  cupidità  di  non  spendere,  ma  eziandio  da  una  c& 
ta  perplessità  che  gli  era  naturale  (4);  onde,  di  grande  e  ri^ 
tato  cardinale,  né  buon  papa  riuscì,  né  buon  italiano,  qua 
la  fortuna,  dice  Francesco  Vettori,  di  pietosa  madre  dwet 
tata  sua  crudele  matrigna,  si  volesse  pentire  di  tutti  li  onch 
e  dignità  contribuitigli  (2).  Aveva  già  condotte  le  pratica 
con  Venezia  insino  all'  estendere  i  capitoli  della  lega,  e  gii 
adoperavasi  di  farvi  entrare  il  re  d'Inghilterra  (3),  allorché, 
sopraggiuntegli  larghe  profferte  di  Cesare,  il  quale  non  a 
lui,  sì  destramente  a9  suoi  consiglieri  dava  colpa  della  man- 
cata amicizia  (4),  postergato  ogni  altro  rispetto,  il  dì  primo 
aprile  1825  conchiuse  col  viceré  Lannoy  confederazione,  per 
la  quale  i  Fiorentini  dovevano  pagare  di  presente  centomila 
ducati,  con  patto  espresso  che  sarebbero  restituiti  in  caso 
non  avesse  Cesare  entro  quattro  mesi  ratificato  V  accordo. 
V  erano  aggiunti  alcuni  articoli  in  separata  scrittura  e  con- 
fermati eziandio  per  giuramento,  che  contenevano  le  stesse 
condizioni  per  lo  innanzi  accettate  dal  re  di  Francia;  cioè 

né  si  sa  di  alcuna  sorte  di  lussuria  che  usi.  Vive  parcamente...  Noi 
vuol  buffoni  né  musici  ;  non  va  a  caccia  né  ad  altri  piaceri,  conn 
facevano  altri  pontefici ...  tutto  il  suo  piacere  è  di  ragionare  conto 
gegneri  e  parlar  di  acque.  Sommario  della  relazione  di  Marco  Fo- 
scari,  2  mag.  1526.  alberi  Relaz.  degli  amb.  ven.  ser.  2,  voi.  3,  pag 
126  e  127. 

(1)  Fr.  Guicciardini,  Storia  d'  Italia,  t.  3,  pag.  211. 

(2)  Sommario  della  storia  d'  Italia,  Arch.  stor.  ital.  Append.  22 
pag.  348. 

(3)  Però  prima  bisogna  aspettar  da  voi  aviso,  come  sia  cotesti 
serenissima  Maestà  d'  Inghilterra  per  pigliarla,  avanti  che  io  possi 
farne  alcun  discorso.  Gio.  Matteo  Giberto  datario  ai  Nunzii  in  In- 
ghilterra, 1  marzo  1525.  Ruscelli  Lettere  di  principi  t.  1,  pag.  81. 

(4)  L'imperatore  al  duca  di  Sessa.  Madrid,  marzo  1525.  Gacharc 
op.  cit.  pag.  216. 


—  249  — 

la  vendita  del  sale  di  Cervia  nel  ducato  di  Milano,  e  la  rein- 
tegrazione del  pontefice  nei  dominii  di  Reggio  e  Rubiera,  oc- 
cupati dal  duca  di  Ferrara  vacante  la  sede  romana  per  la 
morte  di  Adriano  (1).  Tanto  al  ben  pubblico  antepose  Cle- 
mente il  suo  comodo  particolare,  da  non  considerare  che 
metteva  quel  principe,  per  ogni  rispetto  ragguardevole  mas- 
sime a'  giorni  che  correvano,  nella  necessità  di  gittarsi  in 
traccio  all'imperatore  !  Come  Io  seppe  l'orator  veneto  Gaspa- 
ra Contarinl  :  voglia  Dio,  esclamò,  che  la  timidità  sua  non  sia 
Musa  della  mina  d' Italia  (2). 

Non  s' era  appena  ricomperato  il  papa  a  prezzo  d'oro, 
che  la  predizione  de'  Veneziani  si  avverò.  I  capitani  impe- 
r,a'i5  più  non  temendo  la  concordia  de'  principi  italiani,  col- 
pirono i  singoli  con  enormi  contribuzioni.  Pagarono  i  Luc- 
chesi diecimila  ducati,  quindicimila  il  marchese  di  Monfer- 
rato, cinquantamila  il  duca  di  Ferrara  con  promessa  di  ria- 
vergli  se  non  convenisse  con  Cesare,  quindicimila  i  Sienesi 
to  contraccambio  della  facoltà  avuta  di  riformarsi  a  governo 
dì  popolo,  il  che  fecero  in  presenza  degli  uomini  mandati  dal 
v*cerè  a  ricevere  i  danari,  ammazzando  Alessandro  Bichi 
Pr*ricipale  del  reggimento  introdotto  ad  instanza  del  pontefice 
P^**  mezzo  del  duca  di  Albania.  Con  questi  danari,  con  cen- 
*°tnila  ducati  che  diedero  i  Milanesi,  e  coi  dugentomila  ri- 
n^ssi  da  Cesare  a  Genova  per  sostentazione  della  guerra, 
^ei  arrivati  dopo  la  battaglia  di  Pavia,  essendo  dato  ai  capi- 


li) Fecero  (gl'imperiali)  passar  r  esercito  in  quello  della  Chiesa 

(Giacenza)  et  conslrinsero  sua  santità  a  redimere  la  vexazione  con 

ceri  to  milla  scudi,  et  con  fare  una  lega  con  loro ...  tra  l' altre  cose 

v*  era  la  reintegratane  dei  sali  del  stato  di  Milano  che  si  pigliassero 

della  Chiesa,  et  la  restitutione  di  Reggio.  Memoriale  precitato  di 

P&Va  Clemente  VII  a  mons.  Farnese.  Papiers  d' état  du  cardinal  de 

Granvellet.  l,pag.294. 

(2.)  Lettera  al  Senato.  Toledo  7  mag.  1525.  Biblioteca  Marciana 
tot.  e|#  VIL  cod#  MjX#  msc# 


—  250  — 

tani  il  mezzo  di  ridurre  di  nuovo  l' esercito  interamente  i 
loro  potestà,  chi  non  avrebbe  creduto  che  seguitassero 
corso  della  vittoria  in  nome  dell'  imperatore,  al  quale  no 
mancavano  né  titoli,  né  voglie  a  farsi  signore  di  tutta  Italia 

Da'  suoi  consigli  pendevano  dunque  le  ansietà  degli  uo- 
mini. Il  viceré  Lannoy  lo  aveva  già  esortato  a  non  perdere 
la  occasione  favorevole.  Voi  non  avete  obblighi  co9  principi 
italiani,  scrivevagli,,  né  essi  hanno  piU  speranza  nel  re  di 
Francia,  poiché  egli  è  in  vostre  mani.  Ben  creda  vi  sovvertii 
di  ciò  che  il  signor  di  Bersele  diceva,  che  Dio  manda  agii 
uomini  in  lor  vita  un  buon  agosto,  e  che  se  si  lascia  passarlo 
senza  coglierne  i  frutti,  si  corre  rischio  che  non  torni  più  (i). 
Non  v9  è  memoria,  aggiungeva  Margherita,  sua  zia,  che  il 
creatore  abbia  concesso  una  tal  grazia  a  verun  altro  princi- 
pe; vi  dia  egli  anche  quella  di  saperne  profittare  (2). 

Carlo  V  mostrò  invece  di  poter  resistere  alle  prosperiti 
della  fortuna.  Com5  ebbe  avviso  della  vittoria  andò  subite 
nella  sua  stanza  da  letto  a  prostrarsi  davanti  una  immagine 
della  Madonna,  ordinò  processioni  e  preghiere  per  impetrar 
gli  dal  cielo  altre  e  maggiori  contentezze  in  guerra  conto 
gl'infedeli,  e  parlò  di  una  impresa  a  Costantinopoli  e  a'Ge 
rusalemme  (3).  Conforme  a  questi  sentimenti  rispose  al  Lan« 
noy:  poiché  mi  avete  preso  il  re  di  Francia,  il  quale  vi  pregi 
di  tenere  in  buona  custodia,  non  saprei  dove  adoperarmi,  *< 
non  contro  gV  infedeli:  n'  ebbi  sempre  voglia,  né  la  ho  mi 
nore  al  presente.  Aiutatemi  a  ben  regolare  gli  a/fari,  accioc 
che  prima  eh'  io  diventi  vecchio  possa  far  cosa,  per  la  quali 
resti  servito  Iddio  e  a  me  non  venga  biasimo.  Mi  dico  vec 


(1)  25  febb.  1525.  Lanz  Corresp.  t.  1,  pagr.  151. 

(2)  19  marzo  1525.  Bucholtz  Geschichte  Ferdinand  des  ersten 
t.  2,  pag.  275. 

(3)  Lettera  dell'oratore  mantovano  Suardin  al  marchese  di  Man 
tova  15  marzo  1525.  Marin  Sanuto  t.  XXXVIII, 


—  254  — 

ttf  chio,  perchè  in  questo  caso  il  tempo  passato  mi  sembra  lun- 
<n  go  e  l'avvenire  lontano  (4).  Certo  che  una  grande  e  inaspet- 
tata felicità  suole  levar  I5  animo  nel  primo  istante  dalle  glo- 
bi rie  mondane  alle  gioie  degli  eterni  consigli;  ma  il  disegno 
fi  è  della  crociata  mal  si  avrebbe  per  indizio  di  moderazione.  In 
r>jf  quel  tema  solito  d' ogni  esordio  diplomatico  va  sottinteso  il 
pensiero  di  aver  in  proprie  mani  la  intera  cristianità,  per  get- 
tarla poi  tutta  addosso  ai  Turchi.  Allorché  Gaspare  Contarmi 
domandò  se  continuava  l'alleanza  coi  Veneziani,  io  non  la  ho 
per  rotta,  rispose  l' imperatore;  non  so  $'  eglino  V  abbiano, 
Rifacendo  contro  a  me.  Poi  balbutì  alcune  parole,  le  quali 
l'oratore  non  intese,  se  non  questa  sola  che  disse  infedeli.  Io 
mostrai,  prosegue  il  Contarmi,  di  essere  benissimo  soddis- 
fatto, benché  vedessi  espressamente  che  sua  maestà  andava 
Riversando  (2).  Ecco  il  senso  de'  modesti  portamenti,  coi 
fl&ali  cercava  nascondere  la  vera  sua  mente.  Di  questo  velo 
?'J  facevano  necessità  le  turbolenze  de'  sudditi  e  i  sospetti 
teli9  Europa  che  ora  importa  dichiarare. 

II.  Poca  o  nessuna  speranza  di  aiuto  offrivangli  i  Paesi 
*assi  (3),  dove  i  roghi  accesi  ad  Anversa  (4),  non  che  estin- 
guere la  eresia  luterana,  ne  distesero  l'incendio,  rinfocando 
1  antico  spirito  d'indipendenza.  Di  già  la  Fiandra  e  l'Olanda 
ncUsavano  contribuir  più  oltre  alle  spese  della  guerra  con- 
tr*>  Francia  e  persino  alla  difesa  dei  confini  nuovamente  in- 


(1)  Aprile  1525-  Papiers  df  état  du  cardinal  de  Granvellet.  1, 
Pa&.  266. 

(2)  Lettera  al  Senato.  Madrid  24  marzo  1525.  Bibliot.  Marciana 
1.  e.  rase. 

(3)  Margherita  all'  imperatore  5  giugno  1525.  Bucholtz  op.  cit., 
*.  2,  pag.  292. 

(tf)  Cum  adpopularcm  plebem  a  turpissimo  errore  revocandam 
plerosque  impietatis  convictos  in  Gallia  belgica  gravissimo  suppli- 
co ef/am  aitici  jusserimus.  L'imperatore  a  papa  Clemente  Vlly  22 
d/c-  *523.  Lawz  Corresp.  t.  1,  pag.  80. 


—  252  — 

vasi  nel  maggio  del  4525  dal  duca  di  Gueldria;  né  a  queste 
ed  altre  angustie  trovava  miglior  rimedio  la  governatrice 
Margherita,  che  dissimulare  col  nipote  e  tacere  (4). 

Meno  ancora  poteva  Cesare  impromettersi  dalla  Ger- 
mania. Di  danari  ella  era  avvezza  da  gran  tempo  a  non  dar 
che  parole,  e  di  uomini  per  al  presente  non  aveva  abbastan- 
za da  mandar  fuori,  funestata  essendo  dalla  guerra  civile  e 
sociale,  che  il  consiglio  di  reggenza  non  valse  ad  impedire. 
Francesco  de  Sickingen,  benché  posto  al  bando  dell'  impero, 
assalse  l' elettore  di  Treviri,  promettendo  a  quegli  abitanti 
di  redimerli  dalla  dura  legge  anticristiana  de9  preti  e  con- 
durli alla  libertà  evangelica  (2),  e  quando  sopraffatto  da 
forze  maggiori  dovette  ritirarsi,  1'  elettore  di  Treviri,  il  Pa- 
latino, il  Langravio  d'  Assia  e  la  lega  sveva,  non  si  curando 
del  pubblico  divieto,  continuarono  furiosa  guerra  contro  di 
lui,  finché  assediato  nel  castello'di  Landstuhl  e  ferito,  fu  pre- 
so sulla  breccia  ejnori  (30  apr.  4523). 

La  caduta  di  Sickingen  e  de' cavalieri  da  lui  capitanati 
tornò  in  danno  del  consiglio  di  reggenza,  per  la  cresciuta 
contumacia  de'  vincitori.  Accusavanlo  essi  di  violala  giuris- 
dizione, e  il  Palatino,  deposto  l' officio  di  luogotenente,  fa- 
ceva valere  i  suoi  titoli  al  vicariato  dell'  impero.  Lo  contra- 
riavano eziandio  le  città,  chiedenti  sempre  il  diritto  di  suf- 
fragio e  indispettite  che  nella  passata  dieta  di  Norimberga 
fosse  stata  proposta  la  introduzione  di  monopolii  e  di  un  si- 
stema doganale,  onde  avrebbero  sofferto  le  loro  industrie;  né 
gli  era  meno  avversa  la  corte  imperiale,  allora  residente  in 

(1)  Vostre  absence,  la  guerre  faulte  dargent,  et  la  necessite  en 
laquelle  je  me  trouve  journellement,  me  donnant  occasion  de  pas- 
ser  ou  dissimuler  de  beaucop  de  choses  que  aullrement  je  ne  fe- 
roye,  et  ausquelles  pour  le  present  en  moy  ne  seroit  bien  scavo/r 
remcdier.Ltt  luogotenente  Margherita  all' '  imperatore, 2\  febb.  1524. 
Ibidem  pag.94. 

(2)  Meiner.  Leben  Huttens  p.  317. 


—  253  — 

Ispagna,  che  per  esso  vedeva  stremato  il  poter  suo  (1).  Tanto  « 
è  vero  che  ai  deputati  delle  città,  venuti  a  richiamarsi  di 
quelle  leggi  finanziarie,  dichiarò  non  le  avrebbe  fatte  ese- 
guire, essere  anzi  intenzione  di  Cesare  di  pigliare  in  sue 
mani  il  governo  (49  agosto  4523).  Incolpavasi  persino  il  con- 
siglio di  condiscendenza  alle  dottrine  luterane  (2).  Di  que- 
ste e  somiglianti  doglianze  risonò  la  nuova  dieta  apertasi  del 
pari  a  Norimberga  li  44  gennaio]4524,  tredici  mesi  dopo  la 
precedente.  Tutti  gridano  governo  e  giustizia,  scriveva  G. 
Hannart  commissario  imperiale  a  Carlo  V,  ma  nessuno  può 
portare  in  pace  che  lo  tocchino  in  casa  sua.  Tutti  vogliono 
comandare  e  far  senza  dell9  imperatore,  finché  non  venga 
loro  tanto  male  da  dover  poi  a  mani  giunte  implorarne' il  ri- 
torno (3).  Indarno  il  consiglio  di  reggenza  fece  importanti 
proposte  circa  ai  mezzi  di  mantenersi  e  di  riordinare  gì'  i- 
stituti  giudiziarii.  Rispose  1'  adunanza  non  volerli  neanco 
discutere,  se  prima  il  consiglio  medesimo  non  fosse  altri- 
menti composto,  e  1'  arciduca  Ferdinando,  dopo  qualche  re- 
sistenza, dovette  infine  acconciarvisi,  promettendo  che  nel 
nuovo  non  sarebbe  accettato  verun  membro  dell'  antico  (A). 
Ma  gli  stati  che  lo  lasciarono  cadere  non  mostraronsi 
j)er  questo  sfavorevoli  alle  innovazioni  religiose.  Come  ven- 
ne il  cardinale  Lorenzo  Campeggi  nunzio  a  quella  dieta,  gli 
ridussero  a  mente  la  scrittura  de'  cento  aggravii  stata  con- 
segnata a  Francesco  Chericato  suo  predecessore,  e  il  Cam- 
fi)  Lettera  dell'  arcid.  Ferdinando  all'imperatore.  Bucholtz  t.  2, 
1>ag.  45. 

(2)  Et  certes,  comme  suis  pour  vray  averty,  la  pluspart  desdicts 
<lu  regiment  sont  grandz  lutheriens;  car  en  beacop  de  choses  et 
provisions  quilz  ont  faictes  jlz  eussent  bien  peu  user  de  plus  grande 
«liscretion  et  moderacion  quilz  nout  (eu).  /.  Hannart  an  den  kaiser, 
floremberg  13  mar.  1524.  Lanz  Corresp.  t.  1,  pag.  101. 

(3)  Ibidem  pag.  102  e  104. 

(4)  Relazione  dell' arcid.  Ferdinando  all'imperatore.  Bucholtz  t. 
%  pag.  52. 


—  254  — 

peggi,  conforme  alla  commissione  avuta,  dissimulò  ch'ella  si 
si  fosse  ricevuta  per  nome  de'  principi,  a  fine  di  lasciar  luo- 
go che  potessero  più  agevolmente  ritirarsi  da  quelle  istanze 
indiscrete,  parlandone  come  di  cosa  nota  al  pontefice  per 
contezza  privata  (i).  La  qual  brutta  dissimulazione  vede  o- 
gnuno  che  propria  non  era  a  contentare  coloro  che  quella 
scrittura  avevano  elaborata  sul  serio. 

Messa  pertanto  a  partilo  la  esecuzione  del  bando  im- 
periale di  Worms,  dichiararono  bensì  gli  adunati  di  esservi 
tenuti,  ma  aggiungendovi  le  parole  restrittive  in  quanto  fos- 
se possibile,  onde  restava  in  libertà  di  ciascuno  il  condursi  a 
suo  libito  (2).  Contemporaneamente  fecero  deliberazione  si 
richiedesse  il  pontefice  d'intimare  quanto  prima  un  concilio 
libero  universale  in  Germania,  e  infrattanto  si  tenesse  un'al- 
tra dieta  in  Spira  nel  novembre  di  quell'anno  per  esaminare 
nuovamente  i  cento  aggravii  e  gli  articoli  controversi  di  re- 
ligione, al  qual  uopo  invitaronsi  i  principi  tutti  a  farli  stu- 
diare da  persone  dotte,  acciocché  nella  dieta  medesima,  se- 
parato il  buono  dal  reo,  si  potesse  determinare  ciò  che  do- 
vevasi scrivere  e  predicare  in  quel  tempo,  finché  si  adunas- 
se il  concilio  universale.  Il  quale  parve  al  commissario  im- 

(1)  Pallavicino,  Istoria  del  concilio  di  Trento,  par.  jl,  pag.  224, 
225. 

(2)  Vero  è  che  nel  recesso  della  dieta  18  aprile  1524  questa  clau- 
sola in  quanto  sia  possibile  va  quasi  perduta  nella  folla  delle  parole 
letteralmente  tolte  dall'  editto  di  Worms  ;  nel  che  si  vede  l'arte  ado- 
perata dalla  cancelleria  imperiale.  Perciò  il  Pallavicino  non  la  ricor- 
da, e  forse  perciò  le  città  e  i  conti  dell'impero  non  vollero  appro- 
vare il  recesso  medesimo  :  toutes  le  villes  imperiale*  ont  proteste 
contile  lexecution  da  mandat  de  JVorms,  et  a  ceste  occasion  nont 
voulu  sceller  le  departement  et  recez.  Sembìablement  les  contes  de 
l'empire  . . .  alleguant . . .  que  silz  vouloient  mettre  a  execution  les- 
dits  mandatz,  que  plustost  seti  engendroit  tumulte  et  derision  que  o- 
beissance.  Instruclion  des  kaiserliclien  gesandten  J.  Hannart  fùr  M. 
Gilles  an  den  kaiser,  26  apr.  1524.  Lanz  Corresp.  t.  1,  pag.  127. 


—  255  ~ 

periale  unico  rimedio.  Se  il  santo  padre  e  vostra  maestà, 
scriveva,  non  lo  pongono  tosto,  ne  verrà  maggior  male,  e 
tanto  da  non  si  poter  più  riparare  (4).  Vi  consentiva  V  im- 
peratore e  cercava  di  farne  persuaso  il  papa,  proponendogli 
a  questo  fine  la  città  di  Trento,  che  i  Tedeschi  tengono  per 
Germania,  quantunque  sia  Italia  (2).  All'incontro  il  papa  ne 
restò  offeso,  conoscendo  che  in  tal  maniera  alzavano  i  prin- 
cipi tedeschi  un  tribunale  di  religione  indipendente  da  lui. 
Il  perchè,  deputata  apposita  congregazione,  vi  fece  discutere 
ì  mezzi  per  ottenere  la  immediata  esecuzione  della  bolla  con- 
tro Lutero  e  del  bando  di  Worms.  Tra  i  quali  troviamo  la 
proposta  dell'  Aleandro  di  togliere  P  elettorato  al  duca  di 
Sassonia,  ed  anche  quella  del  pontefice  medesimo  che  i  re 
«T Inghilterra  e  di  Portogallo  minacciassero  di  negare   il 
commercio  ne'  proprii  stati  a'  mercatanti  de'  paesi  disubbi- 
dienti, come  ad  infetti  di  eresia.  Infine  fu  preso  il  partito  di 
opporsi  alla  riunione  della  dieta  di  Spira,  impiegando  arden- 
tissimi  officii  co'  principi  cattolici  e  specialmente  coli'  impe- 
ratore (3).   Al  quale  rappresentò  il  papa  1'  onta  recata  alla 
sua  stessa  autorità  per  Y  audacia  di  coloro  che  in  due  adu- 
nanze successive  tentarono   ritrattare  l'editto  di  Worms: 
questo  essere  necessario  andamento  delle  cose  che  la  ribel- 
lione incominciata  contro  la  potestà  spirituale  finisca  in  dan- 
no della  temporale  (4). 

(1)  Ibidem  pag.  128. 

(2)  Y  pues  piden  que  se  haga  en  Alemania,  podria  Su  S.  elegir 
para  esto  la  ciudad  de  Trento,  que  es  por  ellos  tenida  por  Alema- 
nia, ahunque  sea  Italia.  Charles-Quint  au  due  de  Sessa.  Burgos  18 
juil.  1524.  Gachard  op.  cit.  pag.  207. 

(3)  Pallavicino  1.  e.  pag.  228,  229. 

(4)  N.  Sig.  ha  di  ciò  scritto  efficacemente  alia  M.  Ces.;  accioche 
Ja  consideri,  che  facendo  quei  popoli  poco  conto  di  dio  tanto  meno 
ne  faranno  alla  giornata  della  M.  S.  e  degli  altri  signori  temporali... 
l' ahsenza  della  M.  Cesarea  ha  accresciuta  l'audacia  loro  tanto  che 


—  256  — 

Le  industri  parole^riuscirono  fruttuose.  Aggiungevasi 
che  avendo  allora  il  contestabile  Borbone  intrapresa  la  inva- 
sione della  Francia,  importava  a  Cesare  non  contrariare  il 
pontefice,  del  quale  richiedeva  l'alleanza.  Il  perchè  scrisse 
lettere  risentite  al  fratello  suo  luogotenente  ed  agli  altri  or- 
dini dell'impero,  in  cui  gli  riprendeva  per  la  trascurata  ese- 
cuzione del  bando,  per  là  proposta  di  un  concilio  gjenerale 
che  a  lui  solo  spettava,  e  molto  più  per  la  intimazione  del- 
l' adunanza  di  Spira,  dove  si  avessero  a  mutare  istituti  ri- 
masti per  secoli  inconcussi.  Le  dottrine  di  Lutero  dichiarava 
inumane,  paragonando  quel!'  eresiarca  con  Maometto.  Proi- 
biva in  ultimo  la  sopraccennata  adunanza  sotto  le  pene  con- 
tenute nell'editto  di  Worms  (d). 

In  questo  mezzo  era  riuscito  al  legato  Campeggi  di  ra- 
dunare in  Ratisbona  i  principi  stati  a  lui  aderenti  nella  pas- 
sata dieta;  cioè  l'arciduca  Ferdinando,  Guglielmo  e  Lodo- 
vico duchi  della  Baviera  superiore  ed  inferiore,  l'arcivesco- 
vo di  Salisburgo,  il  vescovo  di  Trento  e  1'  amministratore 
della  chiesa  di  Ratisbona,  e  i  procuratori  de'  vescovi  di  Bam- 
berga,  di  Augusta,  di  Spira,  di  Strasburgo,  di  Costanza,  di 
Basilea,  di  Frisingen,  di  Passavia  e  di  Bressanone.  Questi 
con  editto  del  6  luglio  Ì524  comandarono  che  fosse  esegui- 
to ne'  lor  domini!  il  bando  di  Worms,  vietato  ai  sudditi  pro- 
pria di  mutare  i  riti  dell'antica  religione  e  di  recarsi  all'uni- 
versità di  Wittemberg  sotto  pene  gravissime,  sin  della  per- 
dita della  eredità,  e  prescritto  ai  predicatori  di  attenersi 
nella  spiegazione  della  Scrittura  ai  padri  della  chiesa  latina, 
tra  i  quali  nominaronsi  i  santi  Ambrogio,  Girolamo,  Grego- 
rio ed  Agostino.  Nel  giorno  seguente  il  legato  col  loro  con- 
ardiscono  di  ritrattar  queir  editto,  cosa  che  Cesare  proprio  non  fa- 
ria.  Giberto  datario  a  Marchione  Lango  nunzio  in  Inghilterra  Let- 
tere de'  principi  t.  2,  pag.  124. 

(1)  Burgos  27  luglio  1524.  Pallavicino  1.  e.  pag.  230  e  L.  Ranhe 
Deutsche  Geschichte  im  zeitaltor  der  reformation  t.  2,  pag.  131. 


—  257  — 

sentimento  promulgò  la  riformazione  del  clero,  nel  proemio 
della  quale  affermatasi  che  gran  cagione  della  eresia  erano 
stati  gli  abusi  e  i  costumi  scandalosi  degli  ecclesiastici.  To- 
glievansi  per  essa  varie  esazioni  de'  parrochi,  gravissime  ai 
popolani,  le  ingenti  spese  di  sepoltura,  gli  oppressivi  pro- 
venti casuali;  prescrivevasi  che  fra  sei  mesi  gli  ordinarii,  col 
consiglio  de'signori  laici,  aggiustassero  tutte  le  controversie 
eli  pagamenti  fra  i  sudditi  e  i  parrochi  ;  ridotti  erano  i  casi 
riservati  e  i  giorni  festivi,  e  levata  a'  vescovi  la  successione 
ne'  beni  patrimoniali  ed  industriosamente  acquistati  da'  che- 
tici morti  senza  testare,  come  pure  la  mezza  annata  nella 
collazione  di  que'  beneficii,  i  quali  appena  bastavano  per  ali- 
mentare un  uomo.  Imponevasi  oltracciò  l' obbligo  ai  vescovi 
eli  aver  riguardo  al  merito  personale  nella  ordinazione  dei 
sacerdoti,  ai  predicatori  di  astenersi  dal  novellare  o  dall'as- 
serire  insostenibili  cose,  e  ai  preti  di  menar  vita  internerà- 
ta(4). 

La  era  bensì  salutare  introduzione  alla  emenda,  ma  non 
riformazione  de'  principali  abusi,  e  Pallavicino  lo  confessa 
implicitamente,  pur  chiedendo  se  non  sia  da  medico  sperto 
nella  cura  delle  malattie  il  cominciar  dai  rimedii  men  forti. 
E  nondimeno  come  anche  a  quella  si  opponessero  sotto  co- 
lorale ragioni  i  prelati  convenuti  a  Ratisbona,  sebbene  il  le- 
gato evitasse  lo  scabroso  articolo  de'  concubinarii,  lo  addi- 
mostra la  protestazione  verbale  che  fecero  di  attenervisi, 
sempre  che  nella  dieta  di  Spira  non  fosse  altrimenti  stabi- 
lito (2). 

(1)  Constitutio  ad  removendos  abusus  et  ordinatio  ad  vitam 
cleri  reformandam  per  rev.  d.  Laurentium  etc.  Ratisbonae  nonis 
Julii,  Goldast,  Constitut.  imp.  t.  3,  pag.  487. 

(2)  La  protestatione  verbale  fatta  in  Rampona  nisi  in  Dieta  Spi- 
rensì  aliud  ordinaretur  . . .  non  fu  fatta  nisi  quoad  materiam  refor- 
mationis,  perche  alcuno  era  che  stimava  che  le  sue  ordinarie  iuris- 
dicioni  in  qualche  cosa  fussero  gravate,  et  che  ancho  ardiva  sotto 

47 


—  258  — 

Peggio  è  che  il  convegno  di  Ratisbona,  fermato  da  quei 
pochi  principi  contro  il  parere  degli  altri,  segna  il  principio 
della  discordia  tra  gli  ordini  dell'impero,  onde  nacquero  poi 
le  alleanze  e  le  controalleanze  religiose  che  proruppero  in 
guerre  devastatrici.  Fu  visto  subito  opprimere  da  una  parte 
i  novatori  (4),  trascorrere  dall'  altra  in  lor  favore  ad  atti  non 
per  anco  tentati.  I  deputati  delle  città  convenuti  a  Spira  de- 
cretarono di  non  lasciar  predicare  che  P  evangelo  e  la  scrit- 
tura. Somigliante  deliberazione  fecero  il  margravio  Casimiro 
di  Brandeburgo  e  il  langravio  Filippo  d'  Assia.  Ancor  più 
oltre  andò  Federico  I,  divenuto  re  di  Danimarca  e  duca  dello 
Schleswig  e  dell'  Holstein  dopo  la  cacciata  di  Cristiano  II 
cognato  di  Carlo  V,  il  qual  Federico  in  queir  anno  stesso 
d524  che  col  trattato  di  Malmoe  pose  fine  all'unione  di  Cal- 
mar, riconoscendo  la  Svezia  come  regno  indipendente  sotto 
Gustavo  Wasa,  diede  facoltà  a'  suoi  sudditi  di  condursi  in 
religione  come  meglio  credessero  di  poter  giustificarsi  di- 
nanzi a  Dio.  In  ultimo,  a  tacere  di  altri  principi,  quali  lo  spo- 
destato Ulrico  di  Wùrtemberg  ed  Ernesto  di  Lùneburg,  a- 
pertamente  favorevoli  alla  causa  luterana,  anche  Alberto 
gran  maestro  dell'  ordine  teutonico  non  teneva  ornai  celato 

colorate  ragioni  di  opporsi,  anchor  che  nihil  Iractarelur  contra  con- 
cubinarios.  Laur.  card.  Campegius  Sadoleto  episcopo  Carpentor.  Vin- 
dob.  22  ag.  1524.  Hugo  Lacmmer  Monumenta  vaticana  historiam 
ecclesiasticam  saeculi  XVI  ilJustrantia.  Friburgi  Brisgoviae  1861, 
pag.  11. 

(1)  Quelli  di  Praga  intendo  che  hanno  expulsi  XV  sacerdoti  Lu- 
therani . . .  Qui  continuano  in  procedere  contra  questi  apostati  et 
beretici,  et  questo  Serenissimo  Principe  gli  è  molto  ardente,  et  spe- 
ro faremo  bene.  Quella  executione  fatta  in  quella  sua  terra  in  Alsalia 
ha  molto  spaventato  questi  ribaldi.  — 11  principe  ha  già  provisto  che 
sia  interdetto  loro  il  comertio  da  tutti  li  suoi,  da  li  quali  sono  cir- 
consessi. Il  senato  d' Augusta  intendo  che  ha  fatto  decapitar  doi  di 
questi  populari,  et  ne  tiene  alcuni  altri  prigioni.  Campegius  Sadoleto 
Yindob.  22  aug.  e  23  sept.  1524.  Ìbidem  pag.  11  e  12. 


—  259  — 

ii  disegno  di  apostatare  per  pigliar  moglie  e  rendere  eredi- 
tario nella  sua  famiglia  lo  stato  ecclesiastico  della  Prussia  (i). 
Né  a  tanti  mali  poteva  porre  rimedio  il  nuovo  consiglio 
di  reggenza  trasferito  ad  Esslingen,  mancandogli  libertà  di 
azione  e  mezzi  sufficienti  a  far  valere  la  sua  autorità.  Ag- 
giungasi il  mal  animo  de9  principi  a  Cesare  per  le  mancate 
pensioni  (2),  e  jnassime  dell'elettore  di  Sassonia  gravemen- 
te offeso  che  la  infanta  Caterina  promessa  a  suo  nipote  an- 
dasse invece  sposa  a  Giovanni  HI  re  del  Portogallo  (3).  Gli 
arcivescovi  di  Magonza,  di  Colonia  e  di  Treviri  e  il  palatino 
erano  convenuti  insieme  nell'  agosto  per  trattare  di  cose, 
dalle  quali  Y  arciduca  Ferdinando  non  aspettavasi  che  male 
per  sé  e  per  suo  fratello  (4).  Parlavasi  già  pubblicamente 
della  necessità  di  eleggere  un  nuovo  Cesare  (5),  né  mancava 

(1)  Le  cose  solto  quel  Gran  Maestro  in  re  Lutherana  vanno  di 
malo  in  peggio,  et  da  ogni  parte  intendo  el  capo  esser  infecto,  et 
non  mancha  chi  dica  che  in  tutto  è  di  quelli  per  voler  pigliar  mo- 
glie, et  aprirli  quel  stado  per  se  et  per  suoi  successori.  Campegius 
Sadoleto,  Vindob.  22  àg.  1524,  Ibidem  pag.  11. 

(2)  Si  lempereur  veult  avoir  service  des  princes  et  autres  gens 
en  Àllemaigne,  et  les  entretenir  en  bonne  opinion  et  devocion  ...  il 
est  besoing  quii  pourveoye  et  donne  ordre  au  payement  des  pen- 
Sions.  lnstruction  des  kaìs.  gesandien  J.  Hannart  fìir  M.  Gilles  an 
den  kaiser  26  apr.  1524.  Lanz  Corresp.  t.  1,  pag.  129. 

(3)  Per  questa  ragione  il  commissario  imperiale  Hannart,  d'ac- 
cordo coir  arciduca  Ferdinando,  si  astenne  dal  parlarne  all'elettore 
finché  non  fosse  terminata  la  dieta  di  Norimberga  /.  Hannart  an 
den  kaiser  14  marzo  1524.  Ibidem  pag.  113. 

(4)  Bucholtz  op.  cit.  t.  2,  pag.  68. 

(5)  Io  vo  pur  intendendo  che  molti  di  questi  principi  di  Ger- 
mania stanno  con  gli  occhi  aperti  a  vedere,  se  le  cose  di  Cesare  con 
Franza  declinassino,  con  disegno,  che  quando  vedano,  che  sia  per 
esser  occupato  si  che  *\  non  potesse  venire  in  Germania,  che  lo  ri- 
cercharebbero  ad  volere  venire  aut  ipsis  resignare  imperium,  per 
eleger  un  altro.  Campegius  Sadoleto.  Vindob.  15  oct.  ìblb.Hugo 
Laemmer.  Monumenta  vaticana  pag:  13. 


-  260  - 

chi  Dominasse  il  re  di  Francia,  perchè  aveva  più,  denari  de- 
gli altri  (i).  Che  più?  alcuni  consiglieri  elettorali  non  si  pe- 
ritavano di  dire  al  commissario  imperiale,  che  t  lor  padroni 
volevano  esaminare  se  sua  maestà  avesse  osservati  i  capitoli 
giurati  all'atto  della  incoronazione,  per  aver  motivo  d9  in- 
stiluire  un  nuovo  governo,  o  sotto  vicarii  imperiali,  o  sotto 
un  luogotenente,  o  sotto  un  re  de9  Romani  (2).  Alla  qual  ul- 
tima dignità  aspirava  il  duca  Lodovico  di  Baviera,  confortato 
dall'  appoggio  di  Roma  (3). 

Tutto  in  una  parola  cooperava  a  lasciar  libero  il  fre- 
no alla  eresia  luterana,  mal  combattuta  dall'  Eck  (4)  e  da 
Erasmo  con  quel  trattato,  non  intes  o  da  alcuno,  in  cui  cer- 
cò conciliare  il  libero  arbitrio  colla  grazia,  e  per  il  quale 
scriveva  al  cardinale  Campeggi  correre  pericolo  di  essere 
fatto  in  brani  dagl'  indemoniati  tedeschi  (5).  Se  Dio  non  vi 
provvede  sollecitamente,  cosi  aprivasi  l' arciduca  Ferdinando 
con  Cesare,  una  gran  parte  della  Germania  non  vorrà  so- 
per  più  né  di  Dio,  né  de'  suoi  santi,  né  della  sacra  madre 
chiesa,  e  per  quanto  io  abbia  fatto  tutto  che  è  umanamente 
possibile  per  isnervare  e  distruggere  quella  maledetta  eresia, 
ogni  mio  sforzo  riuscì  a  nulla  (6).  A'  suoi  progressi  contri- 
buì non  poco  l' alleanza  di  papa  Clemente  colla  Francia, 

(1)  Et  a  este  question  de  parler  du  roy  de  France  pour  cause 
quii  a  plus  a  donner  descuz  que  nul  autre  /.  Hannartan  den  hai- 
ter  13  marz.  I52i  Lanz  Corresp.  t.  1,  pag.  106. 

(2)  Bucholtz  op.  cit.  t.  2,  pag.  71. 

(3)  Che  lui  et  el  fratello  erano  devotissimi  servitori  di  Sua  San- 
tità. Rorarius  Sadoleto  14  febb.  1525,  Hugo  Laemmer  op.  cit.  p.  22. 

(4)  La  disputa  di  lo  Eckio  ho  sempre  improbato  et  scrittolo  a 
lui.  Campegius  Sadoleto,  Vindob.  17  nov.  1524.  Ibidem  pag.  15. 

(5)  Mihi  tamen  interim  cavendum,  ne  discerpar  a  Germanis.... 
nam  sunt  plurimi  qui  se  jactant  evangelico^,  quum  sunt  diabolici 
potius,  parati  ad  omne  facinus.  Basilea  21  feb.  1526.  Erasmi  Opera 
t.  3,  par.  1,  pag.  913. 

(G)  14  ott.  1524.  Bucholtz,  op.  cit.  t.  2,  pag.  72. 


—  261  — 

**!     dandosi  a  credere  o  maliziosamente  spacciando  i  luterani 
che  Cesare  dovesse  infine  favoreggiarli  (i).  Per  vero  nel  bol- 
lore dello  sdegno,  parlando  coli'  oratore  fiorentino,  ei  s' era 
^sciato  uscir  di  bocca  che  forse  a  qualche  giorno  Mar- 
tino  Lutero  sarà  uomo  dabbene  (2),  e  scrivendone  al  duca  di 
Sessa  ambasciatore  a  Roma  trascorse  nella  minuta  sino  a  di- 
chiarare, sarebbesi  comportato  con  P  eresiarca  secondo  gli 
**/ficii  che  riceveva  da  sua  santità  (3). 

Scomposto  essendo  a  questo  nu)do  ogni  ordine  politico 
*  *}  Germania,  qual  meraviglia  che  la  riforma  luterana  inco- 
Oiinciasse  a  manifestare  la  sua  efficacia  anche  nell'ordine  so- 
ci iale?  I  villani,  letto  nel  vangelo  che  gli  uomini  sono  eguali, 
Hpiù  non  vollero  sopportare  la  oppressione  feudale.  Già  pri- 
sma nel  4500  avevano  fatto  tumulti  e  leghe,  prendendo  per 
"Vessillo  lo  zoccolo  contadinesco  contro  gli  stivali  de' signori. 
^)ra  segnati  della  croce  bianca  attrupparonsi  in  diverse  par- 
ti, alzando  lamenti  e  domande,  che  un  uomo  d'ingegno  pra- 
tico (A)  stese  in  dodici  capitoli,  moderati  e  franchi:  doversi 

(1)  Questi  maledetti  Lutherani  per  la  voce  che  è  andata  che 
^J.  S.  se  adhereva  a  Francesi,  hanno  concetta  una  speranza,  che  Ce- 
sare debba  favorire  la  pazzia  loro,  et  per  tutto  il  dicono,  et  così  si 
vanno  intertenendo  et  aiutando  con  nuova  mainici,  quanto  ponno. 
Campegius  Sadoleto,  Vindob.  7  die.  1524.  Hugo  Laemmer  op.  e.  p.  15. 

(2)  Parole  molto  da  ponderare,  maxime  che  siino  dite  da  Cesa- 
re, qual  è  molto  reservato  nel  parlare.  Gaspare  Contarini  al  Senato, 
Madrid  6  febb.  1525.  Biblioteca  Marciana  1.  e.  msc. 

(3)  segun  los  officios  que  recibimos  de  Su  S<*.  Queste  parole  fu- 
rono poi  cancellate  nella  minuta.  Non  vi  rimasero  che  le  seguenti  : 
en  la  materia  de  Luter,  no  es  tiempo  ahora  de  hablar.  Madrid  9 
febb.  1525.  Gachard  op.  cit.  pag.  213. 

(4)  Chi  ne  fosse  Y  autore  non~è  accertato,  sebbene  i  contempo- 
ranei, fra  i  quali  anche  Jacopo  Nardi,  concordino  nel  nominare  Cri- 
stoforo Schappeler  :  uno  scellerato  rinnovatore  della  setta  degli  A- 
nabattisti,  chiamato  Sca fiero,  nella  provincia  della  Svevia,  il  quale 
scrisse  e  predicava  dodici  empii  articoli.  Istorie  di  Firenze,  tom.  2, 
pag.  120. 


—  262  — 

loro  permettere  di  eleggere  i  propri  preti,  che  annunziasse- 
ro la  parola  di  Dio  genuina,  senza  mistura;  cessasse  la  ser- 
vitù della  gleba,  essendo  anch'  essi  ricompri  dal  sangue  di 
Cristo;  non  avessero  a  pagare  la  piccola  decima  sopra  gli  a- 
nimali,e  la  grande  sopra  i  terreni  si  destinasse  ad  altri  usi;  si 
addolcissero  i  servigi  di  corpo  e  i  castighi  per  delitti;  potes- 
sero cacciare  e  pescare,  avendo  Iddio  dato  a  loro,  nella  per- 
sona di  Adamo,  l'imperio  sovra  i  pesci  del  mare  e  gli  uccelli 
dell'  aria;  potessero  far  legna  nelle  foreste  per  riscaldarsi  e 
ripararsi;  si  abolisse  il  tributo,  che,  alla  morte  del  capocasa, 
esigevasi  dalla  vedova  e  dall'orfano,  sicché  questi  non  fosse- 
ro ridotti  a  mendicare  ;  tacerebbero  altri  aggravii,  purché  i 
signori  promettessero  trattarli  secondo  il  vangelo  (4). 

Più  oltre  andarono  svolgendosi  le  idee  politiche,  non 
si  tosto  alcune  città  presero  parte  al  movimento.  Tendevano 
a  rifare  la  costituzione  dell'  impero  su  basi  più  larghe  nel 
popolo,  e  sono  le  idee  medesime  che  risorsero  a'  tempi  della 
indipendenza  degli  Stati  Uniti  d'  America  e  della  rivoluzione 
francese:  fossero  i  villani  liberati  da  tutte  le  oppressive  pre- 
tensioni de'  signori  ecclesiastici  e  laici;  si  secolarizzassero  i 
beni  dei  primi,  adoperandone  parte  a  compensare  i  secondi 
è  parte  a  soddisfare  i  bisogni  pubblici;  cessassero  perciò  le 
gabelle  di  qualsivoglia  maniera,  e  solo  ogni  dieci  anni  si  pa- 
gasse una  imposizione  fondiaria  per  l'imperatore,  unico  pa- 
trono e  sovrano  (2)  ;  si  riformassero  i  giudizii,  e  gli  ordini 

(1)  Nel  diario  di  Marin  Sanuto,  t.  XXXVIII  di  Madrid  27  marzo 
l525,leggonsi  22  capitoli  delti  villani  sublevati  in  Alemagna.  Ben  si 
vede  ch'essi  comprendono  anche  le  domande  particolari  di  ciascu- 
na banda,  mentre  i  dodici  capitoli  non  contengono  che  le  generali 
o  comuni. 

(2)  L'animo  loro  è  di  non  obbedir  ai  papa  ne  a  suoi  minislri . , . 
et  giurano  di  observar  lo  evangelio  et  recognoscere  solo  Iddio  et 
cesare.  Carlo  Contarmi,  orator  veneto,  al  Senato,  Innsbruck  omag- 
gio 1525.  Marin  Sanuto  t.  XXXVIII. 


—  263  — 

tatti  de*  cittadini  fossero  ricondotti  alla  originaria  destina- 
zione: i  preti  a  custodi  del  loro  gregge:  i  principi  e  i  cava- 
lieri a  protettori  dei  deboli  :  i  comuni  a  ciò  che  devono  esse- 
re secondo  il  diritto  divino  e  naturale;  in  ultimo  s' introdu- 
cesse un  sistema  uniforme  di  pesi,  misure  e  monete  (4). 

Per  verità,  sebbene  inopportune,  non  erano  ingiuste 
domande,  e  giusto  era  almeno  il  protestare  in  nome  dell' e- 
g-uaglianza  e  della  fraternità  contro  la  tirannide  e  l' avarizia 
eie' prelati  e  de' nobili  (2).  D'altra  parte  la  riforma  religiosa 
cioveva  necessariamente  produrre  una  rivoluzione  sociale, 
Xperchè  uomini  liberi  in  cose  di  fede  e  uomini  schiavi  in  fac- 
cia allo  stato  sono  estremi  che  non  si  convengono  insieme. 
^Ola  pur  troppo  alcuni  ne  sorpassarono  i  termini  legittimi,  e 
«osi  per  le  loro  esorbitanze  andò  a  male  anche  questa  opera 
*ia  principio  commendevole.  Giacobbe  Strauss  infuriava  ad 
TEisenach  contro  coloro  che  ricevevano  interesse  dei  denari 
imprestati,  e  pretendeva  essere  ancora  in  vigore  T  istituto 
mosaico  del  giubbileo.  Tommaso  Mùnzer,  scacciato  dalla 
Sassonia,  dava  per  primo  all'anabattismo  l'impulso  politico, 
dall'eguaglianza  de' fedeli   dinanzi  a  Dio  deducendo  l'e- 
guaglianza politica  assoluta,  l'abolizione  de' magistrati  e 
della  proprietà,  in  una  parola  la  comunione  de' beni.  Dice- 
va avergli  Dio  ne'  colloqui  con  esso  posta  in  mano  la  spa- 
da di  Gedeone  per  ristabilire  il  suo  regno  sulla  terra;  on- 
de disceso  nelle  miniere  di  Mansfeld,  destatevi,  o  fratelli, 
gridò:  destatevi,  voi  che  dormite;  mano  ai  martelli,  e  per- 
cuotete la  testa  de9  Filistei;  Dio  vi  precede;  seguitelo.  E  il 
seguirono,  giurando  non  lasciar  la  vita  pur  ad  uno  de*  vi- 


(1)  Karl  Hagen,  Deutschlands  Vcrhaltnissc  im  Reformations 
Zeitbalter,  t.  2,  pag.  338. 

(2)  Par  dicono  ditti  vilani  non  voler  altro,  salvo  esser  liberi  di  le 
sue  faculta  et  persona.. .  et  par  liabbino  ra\on.  Murin  Sanu(o,tom. 
XXXVIII  d' Innsbruck,  5  apr.  1525. 


—  264  — 

venti  neir  ozio,  mentre  anche  altrove  e  quasi  dappertutto, 
nell'  Assia,  nella  Franconia,  in  Alsazia,  in  Lorena,  nel  Ti- 
rolo,  nella  Carinzia,  nella  Stiria,  turbe  immense  di  conta- 
dini disfogavano  la  perpetua  ira  del  povero  contro  il  ric- 
co (1).  Animavanle  eziandio  i  profughi  cavalieri  strettisi  at- 
torno al  duca  Ulrico  di  Wùrtemberg,  il  quale  fidato  negli 
aiuti  di  Francia  e  de'  baroni  boemi  che  dovevano  contem- 
poraneamente assaltar  l'Austria  e  la  Baviera,  mosse  al  riac- 
quisto del  proprio  stato  con  grosse  bande  di  Svizzeri  (2). 
Che  sarebbe  avvenuto  se  questi  avessero  seguitato  la  impresa? 
Ma  come  entrarono  ne5  sobborghi  di  Stuttgard  furono  richia- 
mati inst  antemente  dalla  lor  dieta,  e  il  duca  dovette  a  cosa 
incompiuta  ritirarsi  con  essi  (3).  Allora  la  lega  sveva  potè 
volgere  le  sue  armi  contro  i  villani  ;  ma  infine  anch'essa,  es-        - 
sendo  la  sua  fanteria  composta  in  gran  parte  di  contadini,      ^ 
piegò  ad  accordi  (4),  al  par  di  molti  signori  e  vescovi  impau-      — 
riti.  Indi  la  cresciuta  baldanza  degl'  insorti,  e  il  proposito  di     M  j 

(1)  La  Germania  già  500  anni  non  è  stata  in  tal  confusione  uni 1- 

versale,  si  tiene  che  siano  ol»ra  300  milla  vilani  in  liga.  Carlo  Con * 

tarini  al  Senato,  di  Trento  29  apr.  1525.  Marin  Sanuto  t.  XXXVIII._  ML 
In  altra  lettera  13  maggio  l'orator  veneto  li  riduce  a  200,000—  ^). 
Tanti  ne  novera  anche  V  arcid.  Ferdinando.  Memorial  de  lo  que  e&.  ■— / 
comendador  Alonso  Gonza lez  de  Meneses  ha  de  dezir  y  solicitar  < 
su  magestad,  4  mag.  1525.  Lanz  Corresp.  t.  1,  pag.  690. 

(2)  praticques  des  Francois,  due  de  Wirtemberg,  Boemois  etau— 
cuns  autres  princes  de  lempire,  dcsquelles  ledit  viceroy  a  trouve  i 
la  prinse  de  nostre  ennemy  (Francesco  I)  plusieurs  littraiges  . . .  E*  — t 
sest  ensuy  desd.  praticques,  que  led.  due  de  Wirtemberg  avec  unu-« 
grosse  bande  de  Suisses  en  nombre  de  trente  deux  bannieres  e  —  t 
aucuns  paysans  lutterians  est  entre  en  la  duche.  Erzherzog  Ferdi-  "- 
nand  an  den  kaiser,  14  marzo  1525.  Ìbidem  pag.  154. 

-  (3)  Instruction  des  erzherzogs  Ferdinand  fur  seinen  rath  Martic=i 
de  Salinas,  abgesandten  an  den  kaiser.  12  apr.  1525.  Ibidem  p.  68&   »• 
(4)  No  hay  infante  que  quiera  por  ningun  sueldo  servir  contr  -^a 
los  dichos  labradores,  de  manera  que  estan  las  cosas  en  harto  p&  — 
ligro.  Ibidem  pag.  686. 


—  265  — 

non  si  quetare  finché  in  Germania  non  vi  fossero  altre  case 
che  le  loro.  Aggiungevansi  gli  stimoli  del  fanatismo  religio- 
so, irrefrenabile  nel  bandir  guerra  all'ordine,  alla  proprietà, 
alla  scienza,  come  contrarie  alla  eguaglianza,  alle  arti  belle 
come  idolatria. 

Fortunatamente  esse  consistono  sopra  leggi  superiori 
all'  arbitrio  degli  uomini,  e  Lutero  stesso  in  que'  profeti  del- 
l'assassinio riconobbe  ed  esecrò  gli  avversarli  dell'opera  sua. 
Per  vero, poc'anzi,  affettando  la  parte  popolare,  non  l'aveva 
perdonata  ai  dominanti.  «  Cosa  rarissima  »  diceva  «  è  un 
principe  di  buon  senso,  più  raro  ancora  un  principe  probo  e 
onesto.  Ordinariamente  sono  i  più  gran  pazzi  o  i  più  sfac- 
ciati marioli  della  terra;  da  loro  bisogna  sempre  aspettarsi 
il  peggio,  massime  nelle  cose  divine  che  riguardano  la  salute 
delle  anime,  giacché  sono  i  manigoldi  di  Dio  »  (\).  Né  par- 
lando dei  prelati  ricordava  tampoco  la  rassegnazione  evan- 
gelica. «  Chiunque  aiuterà  col  braccio  o  coli'  avere  a  deva- 
stare i  vescovi  e  la  gerarchia  episcopale  »  esclamava  «  è 
buon  figlio  di  Dio,  vero  cristiano,  che  osserva  i  comanda- 
menti del  Signore  »  (2);  e  altrove,  scrivendo  contro  Silve- 
stro Mazzolini  :  «  se  contro  i  ladri  adoperiamo  la  forca,  con- 
tro gli  assassini  la  spada,  contro  gli  eretici  il  fuoco,  non  la- 
veremo le  mani  nel  sangue  di  questi  maestri  di  perdizione, 
di  questi  cardinali,  di  questi  papi,  di  questi  serpenti  di  Ro- 
ma e  di  Sodoma,  che  contaminano  la  Chiesa  di  Dio?  » 

Ma  invocato  dai  villani  arbitro  fra  essi  ed  i  signori, 
mutò  di  stile.  Ben  esortò  i  padroni  a  rendere  giustizia,  es- 
sendo quella  insurrezione  meritata  pena  della  loro  tirannia; 
e  nondimeno,  volgendosi  ai  villani  «  la  croce,  la  croce!  »  e- 
sclamò  «  ecco  il  diritto  di  un  discepolo  di  Cristo;  chi  vuol 

(1)  Von  weltlicher  obrigkeit,  Luthers  H  erke,  Altemb.  tom.  2, 
pag.  181. 

(2)  Ibidem,  t.  2,  pag.  120. 


—  266  — 

essere  cristiano  deve  soffrire  e  tacere:  il  cristiano  si  lascia 
rubare,  giuntare,  uccidere,  perchè  egli  è  un  martire  sulla 
terra  »  (4).  Finalmente  quando  gì5  insorti,  più  logici  eh*  e' 
non  volesse  nel  rigettare  la  distinzione  tra  V  autorità  spiri- 
tuale e  la  temporale,  negarono  sottomettersi,  e  inesauditi 
trascesero,  montò  sulle  furie,  esortando  principi  e  cavalieri 
a  sterminare  senza  misericordia  la  esecrabile  razza  di  quei 
cani  rabbiosi,  e  «  su,  su, principi:  all'armi:  ferite,  forate; 
venuto  è  il  tempo  meraviglioso  che  un  principe  possa,  col 
trucidare  villani,  meritar  il  paradiso  più  facilmente  che  altri 
col  pregare  »  (2). 

I  caldi  eccitamenti  rispondevano  ai  furori  de'  principi, 
che  T  interesse  comune  aveva  già  ristretti  insieme.  Il  lan- 
gravio Filippo  d'Assia,  il  duca  di  Brunsvich,  Giovanni  il  Co- 
stante elettore  di  Sassonia,  succeduto  a  Federico  il  Saggio 
(morto  ai  5  maggio  del  4525),  mossero  contro  i  villani  della 
Turingia,  e,  sconfittili  compiutamente  nella  battaglia  di 
Frankenhaùsen  del  45  maggio  4525,  ne  fecero  orribile  ma- 
cello. Due  giorni  dopo  cadde  anche  Muhlhausen,  dove  Mtro- 
zer  non  aveva  potuto  stabilire  la  comunione  dei  beni  che  at- 
tribuendo a  sé  medesimo  la  tirannide  di  tutti.  Nello  stesso 
tempo  il  duca  Antonio  di  Lorena  disperdeva  le  bande  del- 
l' Alsazia,  e  il  capitano  della  lega  sveva  sterminava  gl'insorti 
del  Wùrtemberg.  Di  là,  congiuntosi  coli' elettore  di  Treviri 
e  col  palatino  Lodovico,  entrò  nella  Franconia  e  mise  in 
fuga  i  paesani  nella  battaglia  di  Kònigshofen  (2  giugno).  An- 
che altrove  quelle  incondite  turbe  erano  battute  dai  rego- 
lari castellani  e  mandate  per  le  spade  e  per  le  forche;  sic- 
ché la  tremenda  insurrezione  andò  spenta  col  sangue  di  ol- 
tre centomila  traviati.  Ne  riboccava  ancora  la  Germania, 

(1)  Ermahnung  zum  friecle  auf  die  12  artickel  der  bauerschalt 
in  Schwaben.  Ibidem,  t.  Ili,  pag.  114. 

(2)  Wider  die  raubischen  und  mòrilorisehen  bauem.  Ibidem 
pag.  125. 


—  267  — 

quando  Martino  Lutero  menò  in  moglie  Caterina  Bora  smo- 
nacata, (43  giugno),  il  che  parmi  fosse  almeno  difetto  di 
commiserazione  alle  sciagure  della  patria. 

.  La  quale  per  opera  sua  soffri  un  altro  e  maggior  dan- 
no, che  fu  la  impedita  unità  della  nazione  e  dell'impero;  im- 
perocché, mentre  ei  prima  la  propugnava,  vistosi  ora  impo- 
tente di  sostituire  all'abbattuta  potestà  ecclesiastica  la  pro- 
pria, per  imporre  silenzio  ai  settarii,  che  in  lor  favore  asse- 
rivano la  sua  stessa  franchigia  di  opinioni  e  di  portamenti, 
si  volse  a  ringagliardire  i  singoli  principi;  onde  questi  lo  as- 
secondarono senza  riguardi.  Di  fatto  Alberto  di  Brandeburgo, 
granmaestro  dei  Teutonici,  violando  a  sessantanove  anni  il 
voto  di  castità  col  pigliare  in  moglie  la  figlia  del  re  Sigismon- 
do di  Polonia,  si  fece  da  lui  riconoscere  duca  ereditario  di 
Prussia  (8  apr.  1525):  esempio  di  grande  effetto  in  paese  di 
tante  signorie  ecclesiastiche;  e  Giovanni  il  Costante,  elettore 
di  Sassonia,  abolita  l' antica  giurisdizione,  affidò  il  governo 
della  chiesa  a  una  commissione  di  sacerdoti  e  laici.  Per  tal 
guisa  ebbe  principio  la  parte  politica  della  riforma  luterana, 
eh'  è  la  sua  più  solenne  contraddizione,  il  riguardare  cioè 
P  autorità  dei  principi  in  materie  ecclesiastiche  qual  com- 
plemento della  sovranità  territoriale.  Ben  era  naturai  cosa 
che  i  principi  se  ne  servissero  di  legame  col  popolo  e  di 
pretesto  a  contrariare  P  imperatore.  In  tali  condizioni,  po- 
teva questi  fare  assegnamento  sulle  forze  della  Germania  per 
seguitare  la  buona  fortuna  di  Pavia?  Diede  nel  segno  V  ora- 
tor  veneto  Carlo  Contarini,  allorché  scrisse  che  la  guerra  dei 
villani  potrebb'  esser  mezzo  ad  acconciare  le  cose  del  mon- 
do (4). 

IH.  Sapeva  oltracciò  Cesare  che  assaltando  la  Francia 
F  avrebbe  trovata  intera  anche  senza  il  suo  re.  La  reggente 

(1)  Forzi  con  questo  si  potrà  conzar  le  cose  di)  mondo.  Marin 
Sanato,  t.  XXXVlM'lnnsbruck  30  marzo  1525. 


—  268  — 

Luigia  di  Savoia,  donna  intendentissima  e  di  forte  animo 
quanto  rotta  alle  passioni,  roostravasi  pari  alla  grandezza  del 
pericolo.  Instituito  un  consiglio  di  governo,  al  quale  prepose 
il  duca  di  Vendome,  mentre  raccomandava  al  vincitore  di 
comportarsi  onestamente  con  suo  Aglio  (i),  le  bastò  il  cuore 
che  fosse  innanzi  a  tutto  deliberato  di  non  cedere  un  palmo 
di  terra,  quando  bene  si  dovesse  lasciare  il  re  in  prigione,  e 
non  parlarne  più  (2).  Quindi  provvide  alla  difesa  delle  fron- 
tiere; raccolse  le  genti  del  duca  d'Albania  e  di  Renzo  da 
Ceri;  riscattò  buon  numero  di  prigioni  ;  fece  nuovi  soldati; 
indusse  il  duca  di  Gueldria  ad  assalire  i  Paesi  Bassi,  e  cercò 
alleati  sin  nelV  inferno,  richiedendo  in  nome  del  re  cristia- 
nissimo soccorso  dal  Granturco  :  segno  evidente  che  le  bar- 
riere del  medio  evo  erano  cadute  e  la  età  nuova  incomincia- 
va. Ancor  prima  Francesco  aveva  eccitato  il  conte  Cristoforo 
di  Frangipane,  magnate  ungherese,  a  fare  una  diversione 
coi  Turchi  della  Bosnia  nei  dominii  austriaci  di  Carniola  e  di 
Stiria  (3).  Ora  l'erede  di  Luigi  il  santo  mandò  dal  carcere  il 
suo  anello  a  Solimano  II  (4).  Il  messaggiero  fu  ucciso  e  spo- 
gliato per  via  ;  ma  la  corte  di  Francia  rinnovò  la  secreta  am- 
basciata, e  verso  la  fine  di  quell'anno  stabilironsi  colla  Por- 
ta ottoma  na  relazioni  intime,  non  interrotte  mai  più,  e  gran- 
demente efficaci  a  trasformare  il  diritto  pubblico  di  Europa. 
Sopra  ogni  altra  cosa  importava  alla  reggente  assicu- 
rarsi del  re  d' Inghilterra,  e  di  là  le  venne  il  primo  raggio 
di  conforto. 

(1)  Vous  supplie . . .  commender  qu'  il  soit  traittè  comme  l'hon- 
ncsteté  de  vous  et  de  luy  le  requiert  3  mars.  1525.  Papiers  d' état 
du  card,  de  Granvelle,  t.  I,  pag.  259. 

(2)  Relation  d'agents  anglais  à  Henri  Vili.  A.  Champollion,  Cap- 
tivitè  du  roi  Francois  I.  pag.  372. 

(3)  Erzherzog  Ferdinand  an  den  kaiser.  Innsbruck,  14  marzo 
1525.  Lanz.  Corresp.  t.  1,  pag.  155. 

(4)  Charriere,  Négociations  avec  le  Levant.  1,  pag.  114-115. 


—  269  — 

IV.  Durante  V  assedio  di  Pavia  erano  di  già  nati  tra 
P imperatore  e  il  re  d'Inghilterra  gravi  sospetti,  i  quali 
crebbero  a  dismisura  dopo  la  disfatta  di  Francesco.  Il  car- 
dinale Wolsey  fece  dissuggellare  le  lettere  dell'ambasciatore 
cesareo  Luigi  de  Praet,  concesse  ai  francesi  di  trafficare  nei 
suoi  stati,  e  domandò  che  fosse  ridotta  la  moneta  fiamminga 
con  minaccia  di  sospendere  altrimenti  il  commercio  co'  Pae- 
si Bassi  (i).  Nondimeno  in  Enrico  Vili  rivisse  ancora  per 
iin  momento  V  antica  cupidigia  della  Francia,  e  subito  che 
intese  la  nuova  della  vittoria  di  Pavia  mandò  oratori  a  Ce- 
sare per  muoverlo  a  continuare  la  guerra  :  non  reintegrasse 
11  re  di  Francia  a  qualsivoglia  patto,  essendo  certo  che  non 
ne  osserverebbe  alcuno;  gli  si  togliesse  la  corona,  per  darla 
non  al  Borbone,  si  a  lui  che  naha  diritto  incontrastabile,  ri- 
conosciuto eziandio  dall'imperatore;  assaltasse  questi  nel 
tegnente  estate  la  Francia  dalla  parte  dei  Pirenei  ed  ei  fa- 
rebbe altrettanto  dalla  sua  ;  non  aversi  a  temere  per  al  pre- 
sente vigorosa  resistenza;  confortarlo  la  speranza  di  conve- 
nire insieme  con  Cesare  a  Parigi;  di  là,  incoronato  ch'ei 
fosse,  accompagnerebbelo  per  la  sua  incoronazione  a  Roma; 
tutto  che  i  Francesi  tolsero  alla  casa  di  Borgogna  od  all'im- 
pero gli  sarebbe  restituito;  ai  dominii  di  Milano,  di  Napoli  e 
Sicilia  congiungerebbe  il  rimanente  dell'Italia  ;  perverrebbe- 
gli  in  ultimo  anche  la  Francia  e  sin  l'Inghilterra,  se,  giusta  i 
trattati,  prendesse  in  moglie  la  principessa  Maria  sua  figliuo- 
la, che,  quantunque  a  malincuore,  mostravasi  disposto  di  ri- 
mettere in  sue  mani  insino  all'  età  abile  al  matrimonio  (2). 


(1)  Lettera  della  luogotenente  Margherita  all' imperatore,  19 
marzo  1525.  Bucholtz,  t.  2,  pag.  287. 

(2)  By  election  he  hath  th  Empire,  wherunto  apparteyneth  al- 
most  al  the  rest  of  ItaJye . . .  by  the  possibile  apparant  to  come  by 
my  Lady  Princesse  he  shuld  herafter  nave  England  and  Irlande,  Wi- 
tti the  title  to  the  superioritc  of  Scotland,  and  in  this  cace  ali  Fra- 


—  270  — 

Né  queste  erano  domande  ed  offerte  fatte  unicamente  per 
avere  un  pretesto  decente  di  entrare  colla  Francia  in  quegli 
impegni  che  le  necessità  politiche  esigevano  (d).  Basta  leg- 
gere la  lettera  di  Wolsey  al  re  Enrico,  nella  quale  faceva  di 
già  assegnamento  sulla  vittoria  di  Cesare,  e  si  resta  persuasi 
del  grande  onore  e  vantaggio  che  il  padron  suo  impromette- 
vasi  (2).  Che  se  contemporaneamente  aveva  ricercato  la  reg- 
gente Luigia  a  mandargli  un  uomo  proprio  per  trattare,  ab- 
biamo in  questo  o  una  delle  solite  arti  adoperate  a  forzare 
T  allealo,  o  una  nuova  prova  dell'  altro  suo  intento  prin- 
cipale, di  farsi  talmente  arbitro  tra  i  principi,  che  tutto  il 
mondo  potesse  conoscere  dipendere  da  lui  la  somma  del- 
le cose. 

Ma  Carlo  V,  benché  giovane,  troppo  era  ritenuto  per 
lasciarsi  tirare  a  così  arrischiate  imprese.  Né  V  Inghilterra 
gli  aveva  prestato  un  soccorso  che  meritasse  tanta  parte  dei 
frutti,  della  sua  vittoria.  Mercurino  da  Gattinara,  grancan- 
celliere, consigliavalo  a  rispondere,  averla  egli  solo  guada- 
gnata, e  non  essere  dicevole  il  far  guerra  ad  un  nemico  che 
non  può  difendersi.  Se  il  re  Enrico  (proseguiva)  vuol  tenta- 
re la  sua  fortuna,  basta  negargli  qualsivoglia  aiuto,  e  ne  sa-  ■ 
rà  impedito.  Val  meglio  lasciar  sussistere  la  corona  di  Fran- 
cia e  fermare  nel  tempo  stesso  la  preponderanza  austriaca- 
À  tal  uopo,  tornando  al  disegno  già  esposto  nelle  conferenze 
di  Calais  del  4524,  proponeva  che  il  re  Francesco  rinuncias- 

unce  witlì  the  dependences.  King  Henry  Vili  to  Tunstall  and  Sii 
Ri.  TVyngfeld  3-7  aprii  1525.  State  Papers  t.  6,  pag.  421. 

(1)  Tale  è  la  opinione  di  Guglielmo  Robertson.  Storia  di  Carlo 
traduz.  ital.  Milano  1824,  t.  2,  pag.  G4. 

(2)  The  matiers  succeding  to  the  aoauntage  of  the  Imperia  lli^^, 
the  thanke,  laude,  and  praise  shal  comme  unto  Your  Grace.  Dal!  -^ 
stessa  lettera  rilevasi  che  Y  asluto  ministro  &'  era  messo  al  sicur  *> 
anche  per  il  caso  che  conseguissero  vittoria  i  francesi  :  by  such  con 
munications  as  be  set  furth  with  France  aparte,  12  feb.  1525.  Sta 
Papers,  1. 1,  pag.  158. 


—  274  — 

se  alle  sue  pretensioni  sul  ducato  di  Milano  e  sul  regno  di 
Napoli,  restituisse  la  Borgogna,  e  riconoscesse  i  diritti  del- 
l'impero  sulla  Provenza  e  sul  Delfinato.  ilei  quali  domimi 
F  uno  sarebbe  dato  al  duca  di  Borbone  e  F  altro  al  delfino, 
purché  prendesse  in  moglie  Maria  nipote  dell'imperatore  (1). 
Aggiungevasi  che  non  era  appresso  a  Cesare  in  veruna  esti- 
mazione il  matrimonio  colla  principessa  inglese,  perchè  non 
ancora  negli  anni  nubili,  e  perchè  nella  dote  dovevansi  com- 
putare i  danari  avuti  in  prestanza  dal  padre.  Più  assai  pia- 
cevagli  di  congiungersi  con  Elisabetta  sorella  di  Giovanni  re 
di  Portogallo,  potendo  ricevere  in  dote  un  milione  di  ducati 
ed  altri  cinquecentomila  che  gli  offrivano  in  tal  caso  le  corti 
spagnuole,  desiderose  di  avere  una  regina  della  stessa  lin- 
gua e  nazione,  e  che  presto  procreasse  figliuoli  (2).  D' altra 
parte  il  grancancelliere  medesimo  e  Margherita  governatri- 
ce  de9  Paesi  Bassi  (3)  avvisavano  al  pericolo  di  un'  alleanza 
tra  Francia  e  Inghilterra.  Non  restava  dunque  che  tergiver- 
sare. Il  perchè,  mentre  F  ambasciatore  imperiale  a  Londra 
era  esortato  ad  usar  termini  dilatorii  (4),  mandò  Cesare  al 
re  Enrico  il  commendatore  Pennaloza  con  commissione  di 
dargli  a  credere  che  stava  per  rinnovare  la  guerra;  al  qual 
fine,  non  facendo  pur  motto,  secondo  il  consiglio  della  so- 
praccennata Margherita,  delle  pratiche  di  matrimonio  già 
introdotte  col  re  di  Portogallo,  domandava  che  gli  fosse  su- 
bito consegnata  la  principessa  Maria  insieme  con  la  dote  e 
con  altri  dugentomila  ducati  a  sostentazione  dell'  esercito. 
Non  piacendo  ad  Enrico  di  lasciar  partire  la  sposa,  gli  desse 

(1)  Bucholtz,  op.  cit.  t.  2,  pag.  279-280. 

(2)  Ìbidem,  pag.  288. 
&)  Ibidem,  pag.  291. 

(4)  Et  en  cas  que  paretela  lon  vous  voulsist  mectre  en  quelque 
pratique  de  guerre . . .  vous  savez  que  navez  nul  pouvoir  de  nous 
Pour  traicter.  Der  kaiser  an  seinen  gesandten  in  England  L.  de 
Praet,  26  marz.  1525.  Lanz  Corresp.  t.  1,  pag.  159. 


—  272  — 

intanto  i  denari,  anche  in  forma  di  prestito  o  sotto  qualsivo- 
glia titolo,  e  se  non  tutti,  almeno  quattrocentomila  ducati  (4). 
Ben  si  addiede  il  re  d' Inghilterra  dell'  artifizio,  e  le  dissi- 
mulazioni imperiali  contraccambiò  con  la  derisoria  profferta 
di  centomila  scudi,  non  in  contanti,  ma  diffalcabili  dalle 
somme  anteriormente  prestate  (2).  Alle  sue  ambizioni  per- 
sonali prevalse  infine  la  politica  veramente  inglese,  eh*  è 
come  dire  ragionevole  e  consentita  dalla  nazione,  la  quale 
non  poteva  desiderare  P  annientamento  della  Francia,  .tro- 
vando all'  incontro  la  guarentigia  della  propria  autorità  ed 
indipendenza  nel  ristabilimento  dell'equilibrio  sul  contineiw 
te,  che  per  lo  innanzi  Francesco  I  e  adesso  Carlo  V  faceva 
pericolare.  La  stessa  ragione  che  tenne  sinora  disgiunte  l'In- 
ghilterra e  la  Francia  doveva  ornai  raccostarle.  Indarno  l'im- 
peratore fece  nuove  proposte  (3)  in  luogo  dei  patti  non  os- 
servati di  Windsor  (4).  La  reggente  di  Francia  trasse  profit- 
to dalle  congiunture,  e  il  trattato  di  pace  e  di  alleanza  difen- 
siva fra  le  due  potenze  venne  firmato  nel  di  30  agosto  1525. 
Vero  è  che  l' Inghilterra  n'  ebbe  gran  mercato,  dovendo  la 
reggente  e  con  essa  i  grandi  del  regno,  gli  stati  di  Lingua- 
doca  e  di  Normandia  e  le  principali  città  assumere  in  nome 
del  re  prigione  un  debito  di  due  milioni  di  corone  d'oro  (tre 
milioni  e  mezzo  di  lire),  pagabili  in  venti  anni,  e  darne  cen- 
tomila in  dono  al  cardinale  Wolsey;  ma  in  contraccambio  si 
obbligò  a  fare  ogni  sforzo  per  la  liberazione  di  Francesco  a 
condizioni  oneste  e  ragionevoli  (5),  le  quali  dice  Guicciardiri 

(1)  State  Papers,  t.  6,  pag.  444-445. 

(2)  Bucholtz,  t,  2,  pag.  293. 

(3)  Tunstall  and  Sampson  to  king  Henry  Vili.  State  Papers,  1. 1 
pag.  45 1-476.  Wolsey  trovava  queste  proposte  :  shal  lytelor  nothim 
àe  to  your  commodite,  proufit,  or  benefit.  Wolsey  to  king  Hena 
X ili  Ibidem,  t.  1,  pag.  160. 

(4)  Ring  Henry  Vili  to  Tunstall.  Ibidem,  t.  6,  pag.  484. 

(5)  Rymer,  Foedera,  t.  14,  pag.  37-48. 


1 


—  273  — 

che  consistevano  nel  non  permettere  in  prò  di  Cesare  lo 
smembramento  della  Francia. 

V.  Non  altrimenti  che  l' Inghilterra  rimpetto  a  Cesare 
doveva  in  ultimo  atteggiarsi  il  papa.  La  paura  lo  precipitò 
nelle  sue  braccia  (4),  e  la  insolenza  de'  capitani  imperiali,  che 
gli  contravvennero  nelle  cose  promesse,  ne  lo  ritrasse.  Per- 
chè nel  pagamento  dei  danari  pattuiti  non  vollero  compren- 
dere i  venticinquemila  ducati  ricevuti  per  ordine  suo  dai 
Fiorentini,  non  rimossero  i  soldati  dal  Piacentino,  e  diedero 
speranza  al  duca  di  Ferrara  di  non  lo  sforzare  a  lasciar  Reg- 
gio e  Rubiera.  Né  da  queste  operazioni  diversa  era  la  mente 
di  Cesare,  il  quale  ratificò  bensì  l'accordo  fatto  in  suo  nome 
dal  viceré,  ma  non  i  tre  articoli  separati,  concernenti  la  re- 
stituzione delle  terre  tenute  da  quel  duca,  la  vendita  dei  sali 
ne'lo  stato  di  Milano,  e  la  giurisdizione  pontificia  nelle  cose 
beneficiali  del  regno  di  Napoli.  Quanto  al  primo  allegava  non 
aver  facoltà  di  pregiudicare  alle  ragioni  dell'impero.  Faceva 
contro  il  secondo  all'interesse  dell'arciduca  Ferdinando,  che 
dalla  vendita  dei  sali  austriaci  nel  Milanese  ritraeva  dai  tren- 
ta ai  quarantamila  fiorini  d'oro  all'anno  (2).  Il  terzo  articolo 
avrebbe  stremata  d' assai  la  sua  autorità  sovrana,  e  perciò 
non  r  ammetteva,  se  con  quello  che  esprimevasi  nelle  inve- 
stiture del  regno,  non  si  congiugneva  quel  che  fosse  stato 
^servato  dai  re  suoi  antecessori  (3). 

(1)  Dubita  (il  papa)  non  li  sia  tolto  il  dominio  temporal.  Marco 
** **&cari  orator  ven.  al  Senato.  Roma  22  apr.  1525.  Marin  Sanuto,  t. 
^XXVIH. 

(2)  Mande  al  duque,  que  en  ninguna  manera  en  el  ducato  se 
a<ì  mita  ni  dexen  entrar  otra  sai  que  la  de  su  alteza ...  y  si  su  ma- 
**^stad  quisiere  saber  que  utilitad  su  alteza  podra  haber  dello,  no 
s^  fiabe  lo  cierto,  pero  crese  por  lo  menos  que  cada  ano  trienta  o 
^ brenta  mil  florines  de  oro  de  renta.  Instruction  des  erzh.  Ferdi- 
**<&nd  far  Martin  de  Salinas,  abgesandten  an  den  kaiser.  J2  apr. 
1  525.  Lanz,  Corresp.  1. 1,  pag.  688. 

(3)  (Il  papa)  dell'imperatore  è  grande  inimico,  perchè  gli  hatol- 

18 


—  274  — 

Queste  cagioni  di  sospetto  laceravano  Y  animò  del  pon- 
tefice, allorché  sopravvennero  le  offerte  grandi  di  Francia  e 
i  conforti  de'  Veneziani,  che  ancor  prima  lo  avevano  esortato 
a  non  sperimentare  la  mercede  degli  stranieri.  Laonde  vi- 
stosi gabbato,  cosi  leggiamo  in  una  posteriore  sua  astra- 
zione, cominciò  a  dare  orecchie  a  chi  gli  aveva  sempre  dello 
e  perseverava  che  V  imperatore  tendesse  alla  oppressione  di 
tutta  Italia  e  a  farsene  signore  assoluto,  parendogli  molto 
ben  conveniente  di  ristrignersi  con  coloro  che  avevano  una 
causa  comune  con  lui,  per  trovar  modo  di  mettersi  al  sicuro 
delle  temute  violenze  (i). 

Il  duca  di  Milano  non  aveva  insino  allora  sentito  del 
dominare  altro  che  il  nome  e  i  travagli.  Affliggevalo  l'agonia 
del  paese  dilaniato  da  soldati  rapaci,  e  non  manco  il  timore 
che  Cesare  aspirasse  a  insignorirsene  o  a  concederlo  a  per- 
sone da  lui  totalmente  dipendenti,  come  il  contestabile 
Borbone  e  l' arciduca  Ferdinando  suo  fratello,  che  desidera- 
va aggregarlo  a'  suoi  possessi  ereditarli  di  Germania  (2). 


to  r  ubbidienza  della  Spagna  circa  il  dare  i  benefìcii,  né  ha  potuta 
conferire  alcun  vescovado,  che  gli  abbia  voluto  dare  il  possesso^ 

poi,  percbé  anche  a  Napoli  voleva  far  così poi  ha  visto  che  fec» 

lega  con  Cesare,  che  gli  diede  cinquantamila  ducati,  volendo  che  lie — 
vi  la  gente  su  quel  della  Chiesa,  cioè  da  Parma  e  Piacenza;  e  prò — 
messogli  di  fargli  dar  Heggio  e  Kubiera,  lece  poi  accordo  col  duce*, 
di  Ferrara:  ne  da  Cesare  ha  potuto  aver  cosa  che  gli  abbia  richie. — 
slo;  sicché  di  lui  si  tiene  mollo  mal  sodisfatto.  Relazione  di  Romc*> 
di  Marco  Foscari,  2  maggio  152G.  -4/6m,  Relaz.  degli  amb.  ven.  set"  - 
2,  voi.  3,  pag.  132. 

(1)  iMemoriale  mandato  di  ordine  di  papa  Clemente  VII  a  mons. 
Farnese,  legato  in  Ispagna.  Papiers  d*  état  du  card,  de  Granvell&, 
t.  1,  pag.  294. 

(2)  Y  pues  su  magestad  ha  visto  lo  que  su  alteza  ha  hecho  eri 
servicio  de  su  magestad  y  conservacion  del  ducado  de  Milan,  a  lo 
menos,  sino  se  le  quiere  dar,  que  se  haga  con  su  alteza  lo  que  ern- 
bio  a  pedir.  Instruclion  des  erzh. Ferdinand  filr  Alonso  Ganzale s  de 


-  275  — 

Alla  quale  suspizione,  procreata  dalla  natura  stessa  delle  co- 
se, dava  non  poco  fondamento  Y  aver  Cesare,  dopo  molte 
dilazioni  e  solo  allora  che  tornò  viva  la  guerra  francese,  man- 
data in  mano  del  viceré  Lannoy  la  investitura  del  Milanese, 
non  affinchè  la  si  trasmettesse  al  duca,  ma  per  mero  indizio 
della  intenzione  di  trasmetterla  (4),  e  molto  più  l' aver  Ce- 
sare medesimo,  non  si  tosto  riportò  la  vittoria  di  Pavia,  pro- 
poste condizioni  cosi  esorbitanti  da  far  credere  che  le  inter- 
ponesse unicamente  per  differirne  la  consegna.  Aggiunge- 
vansi  le  insolenze  de'  capitani  cesarei  e  le  dimostrazioni  che 
e'  facevano  di  tener  occupate  le  porte  delle  Alpi,  perocché 
distesero  i  loro  quartieri  sin  nel  vicino  Piemonte,  e  alla  du- 
chessa di  Savoia,  che  si  lagnava  de'  continui  soprusi  (2),  il 
marchese  di  Pescara  rispondeva:  essere  ragionevolissimo  che 
il  dominio  suo  fosse  rispettato;  ma  essere  anche  ne  cessano  che 
i9  esercito  imperiale  vi  si  mantenesse  (3). 

Né  dalle  buone  parole  di  Cesare  lasciavansi  acquetare  i 
"Veneziani,  non  solo  per  la  coscienza  di  essergli  mancati  ai 
capitoli  della  confederazione;  ma  molto  più  per  la  memoria 
delle  gravi  guerre  avute  pochi  anni  innanzi  con  1'  avolo  suo 
Massimiliano,  ond'eransi  ridestate  le  antiche  pretensioni  del- 
l'imperio  sui  dominii  di  terraferma.  E  come  pensare  eh'  ei 
potesse  stabilire  la  sua  grandezza  in  Italia  senza  battere  la 
potenza  loro  troppo  eminente?  Per  la  qual  cosa  allorché  si 
videro  soli  da  ogni  banda  e  per  conseguenza  in  necessità  di 

Meneses,  abgesandten  an  den  kaiser.  4  mai  1525.  Lanz,  Corresp.  1. 1, 
pag.  692. 

(1)  Lettera  di  Carlo  V  al  viceré  Lannoy.  È  del  16  die.  1524  e  non 
del  1525,  come  trovasi  erratamente  in  Bucholtz  t.  2  pag.  297.  Vedi 
l'esame  di  Girolamo  Morone,  in  prigione  del  marchese  di  Pescara. 
Tullio  Dandolo,  Ricordi  inediti  di  Girolamo  Morone,  op.  cit.  p.  150. 

(2)  Quelli  populi  sono  in  extrema  disperatione  per  le  extorsioni 
li  fanno  spagnuoli  et  che  cridano  franza.  Mariti  Sanuio^ì.  XXXIX  di 
Milano,  25  raag.  1525. 

(3)  Cibrario,  Instituz.  della  monarchia  di  Savoia,  t.  1,  pag.  142. 


—  276  — 

introdurre  pratiche  di  accordo,  le  condussero  per  modo  da 
non  si  chiudere  la  via  all'  opposto  disegno,  fidato  nel  pro- 
gresso delle  cose  universali.  Oltre  al  riobbligarli  alla  difesa 
in  futuro  del  ducato  di  Milano,  richiedeva  il  viceré  centomila 
ducati  in  soddisfazione  della  inosservanza  dei  patti  passati, 
e  a  me,  diceva  Cesare  agli  oratori  Lorenzo  Friuli  ed  Andrea 
Navagero,  a  me  bisogna  far  molte  spese;  voi  siete  ricchi: 
conviene  che  mi  aiutiate  (i).  Ne  offrivano  invece  ottantamila 
i  Veneziani,  e  in  disputale  su  questa  piccola  differenza  e  sul- 
F  altra  difficoltà  circa  gli  emigrati,  ai  quali  l'imperatore  vo- 
leva fossero  restituiti  i  beni  di  già  venduti,  interposero  lun- 
go tempo,  le  propensate  lentezze  giustificando  col  sistema  di 
lor  governo  a  consigli  (2).  Avvenne  in  questo  mezzo  che  il 
pontefice  incominciasse  a  conoscere  gli  artificii  degF  impe- 
riali, e  il  re  d' Inghilterra  a  discoprirsi  favorevole  ai  franco 

si  ;  il  perchè,  troncate  le  negoziazioni,  riassunsero  scoperta 

mente  la  insegna  di  tutori  della  libertà  italiana.  Avevano^» 
forze  ragguardevoli:  mille  uomini  d' arme,  seicento  cavallSS 
leggieri,  diecimila  fanti,  e  attendevano  a  farle  maggiori  (3). 

All'  incontro  sapevasi  essere  i  Cesarei  senza  denari,  e  i  sol 

dati,  massime  i  tedeschi,  già  creditori  di  molte  paghe  (ty    , 

(1)  Dispacci  di  Andrea  Navagero.  Em.  Cicogna,  Iscrizioni  ven^3- 
ziane,  t.6,p.  176. 

(2)  Ai  19  maggio  1525  venne  V  oralor  cesareo  per  la  risj;os  ta 
dell'accordo  e  che  il  viceré  voleva  100,000  ducali  d'oro:  si  rispon- 
derebbe; ma  replicando  l'oratore,  Andrea  Trevisan  volse  parlarli  un 
pocho  gaiardoto,  ma  sier  Lunardo  Mocenigo  procurator  savio  de/ 
conseio  disse  che  non  si  maraveiasse,  le  nostre  cosse  si  governa 
per  li  consigli.  Mariti  Sanuto,  t.  XXXVIII. 

(3)  Paolo  Paruta,  11  istoria  Vinetiana,  lib.  5,  pag.  243. 

(4)  La  dette  est  si  grande  que  lon  a  bien  a  faire  a  en  bìen  vuider 
—  votre  armee  de  Italie  vous  coutte  beaucoup  a  entretenir:  vous 
savez  que  vous  leur  deviez  huit  cent  mille  ecuz,  comme  avez  vu  par 
le  conte  que  vous  a  porte  Figueroa.  Der  vicekònUj  Lannoy  an  den 
kaiser  20  apr.  e  17  giug.  1525.  Lanz,  Corrcspond.  1. 1,  pag.  IGOe  105. 


\ 


—  277  — 

più  pronti  a'  tumulti  e  a  tornarsene  alle  loro  case  che  a  pren- 
dere nuove  imprese  :  lo  stato  di  Milano  d' ogni  bene  esau- 
sto: il  nome  degli  spagnuoli  per  le  molte  estorsioni  grave 
a'  popoli  ed  ora  più  che  mai  in  grandissimo  odio  per  la  de- 
lusa speranza  di  avere  un  principe  proprio  e  indipendente: 
l'esercito  imperiale  infine  molto  diminuito.  Quale  incentivo 
a'  principi  di  cercare  nella  unione  la  salvezza  di  sé  stessi  e 
della  patria  comune!  Riducevano  a  mente  i  Veneziani  la  le- 
ga negoziata  contro  Carlo  Vili  e  i  prosperi  successi  onde  fu- 
rono rimeritati.  Allora  Lodovico  il  Moro  duca  di  Milano  era 
stato  primo  a  proporla.  Adesso  primo  ad  accendersi  in  quel- 
le memorie  fu  Girolamo  Morone  gran  cancelliere  di  France- 
sco Sforza,  e  se  ne  aperse,  pochi  giorni  dopo  la  vittoria  di 
Pavia, con  Domenico Vendramin  segretario  dellorator  veneto 
Marcantonio  Venier  (1). 

In  tali  disposizioni  degli  animi  ben  si  addiedero  i  capi- 
tani imperiali  di  non  poter  custodire  sicuramente  il  re  di 
Francia  nel  ducato  di  Milano.  Indi  la  deliberazione  di  trasfe- 
rirlo a  Napoli  (2).  Ma  il  viceré  Lannoy,  più  astuto  e  forse  più 
al  fatto  delle  pratiche  degl5  italiani  e  de:  tlesiderii  di  Cesare, 
divisò  condurglielo  in  Ispagna,  e  celare  il  disegno  a'  suoi 
colleghi  gelosi.  Per  questo  motivo,  e  per  fuggire  il  pericolo 
delle  galee  di  Andrea  Doria  che  tenevano  il  Mediterraneo, 
era  necessario  coprire  il  passaggio;  e  a  ciò  prestossi  il  re 
medesimo,  persuaso  che  trattando  direttamente  col  vincito- 
re, lontano  dal  Borbone,  suo  suddito  ribelle,  sarebbe  più 
presto  liberato.  Il  maresciallo  di  Montmorency,  riscattato  in 
cambio  di  Ugo  di  Moncada  (3),  avendo  ottenuto  dalla  reg- 

(1)  Di  Milano  marzo  1525.  Mariti  Sanuto,  t.  XXXVIII. 

(2)  Il  avoit  semble  a  rn.  de  Bourbon  et  tous  ceulx  de  votre  con- 
sci! en  Italie  de  tirer  la  personne  du  roi  dehors  et  le  mener  a  Na- 
fdtìs.  Der  vicekònig  Lannoy  an  den  kaiser,  10  giug.  1525.  Lanz,  Cor- 
resp.  t.  l,p.  164. 

(3)  3  mag.  1525.  Ibidem,  pag.  101 . 


—  278  — 

gente  di  Francia  sei  galere  che  stanziavano  a  Marsiglia  (A) 
le  condusse  a  Porto  Fino  presso  Genova;  e  queste,  aggiunte 
a  quattordici  galere  di  Cesare,  armate  tutte  di  fanti  spa- 
gnuoli,  preso  ai  sette  di  giugno  il  cammino  di  Spagna,  por- 
tarono salvi  Lannoy  e  Francesco  al  porto  di  Palamos  nella 
Catalogna.  Di  là  scrisse  il  viceré  all'imperatore:  vi  dirò  a 
voce  le  ragioni  che  mi  mossero  a  ciò;  sono  certo  che  ne  vi- 
vrete piacere  e  giovamento  alla  conclusione  degli  affari  (2). 
Vero  è  dunque  quanto  Cesare  affermava,  per  Dio  e  per  Y  or- 
dine del  toson  d'oro,  di  non  aver  saputo  nulla  di  tale  vertu- 
ta (3).  Ma  come  ne  ricevette  nuova,  con  grandissima  letizia - 

designò  per  custodia  dell'augusto  prigione  la  fortezza  di  Pa .- 

tacina  appresso  a  Valenza  (4),  donde,  udito  eh' ebbe  il  vi li- 
cere e  Montmorency,  lo  fece  condurre  nel  castello  di  Ma —  * 
drid  (5). 

L'andata  del  re  di  Francia  in  Ispagna  tolse  Tunica  spe — ^- 
ranza  che  la  poca  sicurtà  di  tenerlo  in  Lombardia  costrin —  -*- 
gesse  Cesare  a  portamenti  moderati.  Accrebbe  anzi  il  timo-   ^ 
re  che  i  due  monarchi  unissero  le  loro  forze  a' danni  dell'I—  — - 
talia.  Guai  in  ogni  caso  se  si  lasciava  passare  queir  istante 
senza  uno  sforzo  estremo  per  la  sua  indipendenza.  Venezie 
non  pose  tempo  in  mezzo,  e  il  salutare  disegno"  della  leg^sa, 
nazionale  caldeggiò  con  quanto  animo  le  davano  la  grandez^:  - 
za  del  pericolo  e  la  santità  della  causa.  Il  duca  di  Milano  rL_  - 

(1)  Salvocondotto  di  Cario  de  Lannoy  2  giugno  1525  per  sei  g  es- 
tere da  condursi  dal  maresc.  di  Montmorency.  Molini,  Doc.  di  sto  "*\ 
Hai.  1. 1,  pag.  188. 

(2)  17  giugno  1525.  Lanz,  Corresp.  t.  1,  pag.  165. 

(3)  Il  elio,  è  contra  il  costume  di  Cesare  che  mai  suole  giurare. 
Dispaccio  di  Andrea  Navagero,  Toledo,  21  giugno  1525,  !.  e.  p.  177. 

(4)  L'empereur  au  viceroy  de  Naples.  Toledo  20  juin.  1525.  ¥f. 
Bradford,  Corresp.  of  the  emperor  Charles  V.  pag.  125-129. 

(5)  Der  kaiser  an  den  erzherzog  Ferdinand,  31  jul.  1525.  Lanz 
Corresp.  t.  I,  pag.  166. 


—  279  — 

spose,  farebbe  ogni  cosa  a  senno  di  lei  (4).  Non  era  meno  il 
papa  disposto  di  mettersi  a  capo  (2):  incaricava  il  vescovo 
di  Veruli  di  soldare  diecimila  Svizzeri  col  patto  di  portarsi 
in  Lombardia,  ed  ove  il  bisogno  lo  richiedesse  anche  nel  re- 
gno di  Napoli  (3),  e  con  consenso  de?  Veneziani  e  dello  Sfor- 
za spacciava  in  Francia  Sigismondo  Sanzio  segretario  di  Al- 
berto da  Carpi,  ambasciatore  della  reggente  a  Roma,  per 
conchiudere  le  cose  trattate  con  essa  intorno  all'alleanza  co- 
gli stati  italiani.  La  quale  volevasi -condizionata  innanzi  a 
tutto  alla  rinunzia  da  parte  della  Francia  a  qualunque  pre- 
tensione sulla  penisola.  Di  Napoli  disporrebbe  il  papa  a  pia- 
cimento, come  di  suo  feudo;  il  Milanese  resterebbe  a  Fran- 
cesco Sforza  e  ai  suoi  legittimi  successori;  per  sicurtà  del 
cjual  dominio  darebbesi  in  moglie  al  duca  o  madama  d'Alen- 
?on  sorella  del  re  di  Francia,  o  Rainiera  sorella  della  defun- 
ta regina  con  quella  dote  che  il  papa  avrebbe  stabilito.  Doveva 
oltracciò  la  reggente  cooperare  alla  libertà  italiana  con  un 
esercito  di  seicento  lance  e  quattromila  fanti  e  con  un  sussi- 
dio di  cinquantamila  scudi  al  mese.  Raggiunto  che  avesse  il 
suo  intento,  prometteva  Italia  di  mettere  insieme  a  sue  spese 
mille  lance  e  dodicimila  fanti  per  la  liberazione  del  re  Fran- 

(1)  Fara  quanto  li  consejera  questo  excellentissimo  [stato,  qual 
cognosce  cliel  non  si  move  a  farla  sinon  per  la  libertà  de  Italia,  si- 
che darà  lo  assenso.  Di  Milano  deil'oraior  veneto,  15  luglio  1525.  Ma- 
nn Sanuto,  t.  XXXIX.  Imbuiamo  intesa  . . .  l'amorevol  risposta  fac- 
tayi  per  la  Ex.  sua  la  qual  prendendo  gran  fiducia  de  noi  persevera 
in  voler  esser  unita  cum  noi  nella  inlelligentia  se  tratta  presupo- 
nendo  che  la  cossa  se  debba  governar  cum  quella  mensura  che  de- 
bitamente se  die.  Collegio  Secreta  t.  IV,  oratori  Mediolani,  18  lugl. 
1525  msc. 

(2)  A  concluder  tal  liga  il  papa  e  caldissimo.  Marin  Sanuto,  t. 
XXXIX,  di  Roma,  7-9  luglio  1525,  dell' orator  veneto  alli  Cai  di  X. 

(3)  Gio.  Matteo  Giberto  datario  a  M.  Ennio  Filonardo,  vescovo 
di  Veruli,  nunzio  nell'Elvezia.  Roma  1  lugl.  1525.  Ruscelli,  Lettere  di 
principi,  t.  l,p.  164. 


—  280  — 

cesco,  e  con  altrettanti  obbligherebbesi  la  Francia  di  sicu- 
rare  in  ogni  tempo  l'Italia  (1).  Questo  nome  ricompare  nel- 
l'atto solenne  della  concordia  de'  suoi  principi,  e  Italia,  Ita- 
lia gridava  a  que'  giorni  con  lieto  augurio  Torino,  levatasi 
in  armi  contro  gli  oppressori  spagnuoli  (2). 

Veramente  in  ogni  parte,  e  attorno  al  papa,  inebbria- 
vansi  gli  animi  della  fiducia  di  tener  lontani  per  sempre  i 
francesi  e  di  ricacciare  gli  spagnuoli,  onde  Italia  tornasse  alla 
felicità  goduta  avanti  P  anno  millequattrocentonovantaqnat- 
tro.  Quello  spirito  nazionale  che,  ridesto  più  volte,  trovava 
ora  nelle  lettere  e  nelle  arti  espressione  e  nutrimento  con- 
degni, pareva  dovesse  uguagliar  tutti  nell'ardore  della  gran- 
de impresa. 

Né  mancarono  fondamenti  a  farla  credere  di  facile  e 
pronta  riuscita.  La  prigionia  di  Francesco  I  aveva  diviso  fra 
loro,  come  gli  alleati  della  potenza  di  Carlo  V,  cosi  i  suoi 
generali,  cupidi  di  arrogarsi  ciascuno  il  merito  e  i  profitti  di 
quella  insigne  cattura.  Mostrava  Cesare  con  molte  lodi  di  ri- 
conoscerla più  assai  dal  viceré  Lannoy  che  non  dal  marche- 
se di  Pescara,  vero  eroe  della  giornata  di  Pavia;  il  che,  ag- 
giunto all'  arbitrio  del  viceré  medesimo  di  condurre  il  re  in 
Ispagna  senza  saputa  de'  colleghi,  fece  prorompere  gli  sde- 
gni. Borbone,  che  in  quel  re  vedeva  un  ostaggio  per  farsi 
mantenere  le  promesse  di  Carlo,  se  ne  dolse  con  lettere 
contumeliose  (3),  e  Pescara  domandò  congedo,  per  recarsi 

(1)  Rcclicstc  mandate  ad  faro  in  Fran/.a  per  X.  S.  Domenico  Pro- 
mis  e  Gius.  Mailer.  Lettere  di  Girolamo  Morone,  Torino  18G4,  t  2, 
pr.g.  436-437. 

(2)  In  turino  questi  giorni  venero  alle  mani  li  spagnoli  con  quelli 
dilla  terra,  nella qual  rixafu  morto  uno  dilla  terra  pur  il  che  tuttala 
terra  si  levo  in  arme  et  amazorno  7  spagnoli  cridando  Italia  Italia. 
Mariti  Sanuio,  t.  XXXIX,  di  Crema,  3  luglio  1 525. 

(3|  11  m'a  fait  grant  honte  tellement  que  en  ce  pais  sen  parie 
beaucoup  de  sortes  que  se  n'  est  a  mon  honneur . . .  Je  vous  prou- 


—  284  — 

in  qualche  angolo  della  terra  a  terminare,  lontano  dal  so- 
spetto e  dalla  guerra,  la  vita  (t). 

Queste  querele  erano  tanto  palesi  in  Italia  e  con  tale 
detestazione  della  ingratitudine  di  Cesare,  che  ben  era  na- 
turai cosa  ne  venisse  stimolo  a  tentare  nuovi  disegni.  Non  a- 
veva  poc'anzi  il  primo  vassallo  e  guerriero  della  Francia 
dato  esempio  di  diserzione?  Potcvasi  reputare  al  tutto  im- 
possibile lo  seguitasse  il  Pescara,  ugualmente  altero  delle 
Sue  opere  egregie  mal  rimeritale?  Egli  era  pur  nato  in  Ita- 
lia. Che  una  scintilla  di  amor  patrio  non  gli  scaldasse  il 
Cruore? 

Quale  acquisto  per  la  causa  nazionale!  Alle  battaglie  di 
Havenna,  della  Bicocca,  e  specialmente  di  Pavia  egli  aveva 
solo  riportato  più  gloria  che  tutti  gli  altri  capitani.  Per  in- 
gegno inventivo,  operosità,  stratagemmi,  soprastava  a  qua- 
lunque del  suo  tempo.  Con  lui,  già  incaricato  da  Cesare  del 
comando  supremo,  guadagnerebbesi  gran  parte  dell'eser- 
cito; gli  altri  con  Antonio  de  Leva  sarebbero  facilmente  dis- 
armati e  ammazzati  a  furia  di  popolo.  E  v'  era  un  premio*da 
offrirgli,  cospicuo:  la  corona  delle  due  Sicilie.  Divenuto  re, 
la  sua  stessa  azione  avrebbelo  congiunto  con  vincoli  indisso- 
lubili alle  potenze  italiane.  Cosi  a  un  tratto  sarebbesi  conse- 
guita la  indipendenza  e  la  unità  federale  della  penisola. 

Girolamo  Morone,  col  quale  il  Pescara  s' era  più  volte 
aperto  delle  sue  scontentezze,  dopo  avergli  da  lontano  toc- 
cato le  pratiche  introdotte  tra  gì  Italiani,  essendogli  sem- 
brato eh'  ei  stimasse  assai  la  loro  unione  co'  Francesi  (2),  si 
fece  animo  un  giorno  di  scoprirgli  il  disegno.  Avuta  la  ri- 

/ 

metz,  que  le  Vice-roy  quii  meyne  le  Roy  de  France  n'  est  cause  de- 
quoy  il  est  entre  voz  mains.  Le  due  de  Bourbon  à  /'impirmr, Milan, 
12  juin  1525.  W.  Bradford,  Corresp.  p.  J16,  118. 

{[)  Sepukeda,  Hist.  1.  VI,  p.  1. 

(2)  Esame  di  Morone  in  carcere.  T.  Dandolo  1.  e.  pag.  160. 


—  282  — 

cercata  fede  di  non  rivelarlo  giammai  a  persona  verona,  gr 
pose  innanzi  la  condizione  politica  dell'Europa,  ond'en^ 
data  facoltà  a'  suoi  connazionali  di  scuotere  il  giogo  forestie-    " 
ro:  parlò  della  fidanza  che  in  lui  riponevano  tutti,  dei  gran- 
di fatti  che  se  ne  aspettavano,  e  del  glorioso  titolo  che  avreb- 
be di  liberatore  della  patria  :  ricordò  infine  il  guiderdone  as- 
segnatogli. 

L'  astuto  guerriero,  che  aveva  teso  tanti  agguati  a'  ne- 
mici, né  mai  in  vita  sua  s'era  lasciato  sorprendere,  stette 
anche  questa  volta  in  sé  raccolto.  Pensò  che  senza  danari  CI) 
e  con  poche  genti  nello  stato  di  Milano,  per  esserne  andata 
una  parte  col  viceré  in  Ispagna,  poteva  trovarsi  in  balìa  dei 
congiurati.  Pensò  che  tornavagli  a  bene  entrare  più  adden- 
tro nella  trama  e  conoscere  i  consigli  di  ciascuno.  Gran  cosa 
è  questa  che  mi  dite,  rispose  al  Morone,  più  grande  ancora  . 
che  voi  la  diciate  a  me.  Ho  sì  ragioni  a  dolermi  ;  ma  nessu-  - 
na  scontentezza  al  mondo  varrebbe  a  farmi  macchiare  Fo — 
nore.  Se  dovessi  svincolarmi  da IV  imperatore,  vorrei  che  ciò^ 
a-venisse  in  modo  che  il  miglior  cavaliere  non  potesse  com — 
portarsi  altrimenti.  Lo  farei  unicamente  per  mostrare  alVim — 
peratore  guai  uomo  io  fossi  e  quanto  superiore  a  coloro  d» 
cui  egli  fa  soverchia  stima  (2).  E  cosi  bene  s' infinse  che  il 
Morone,  tirando  a  più  larga  sentenza  le  coperte  parole,  noni 
dubitò  contentarlo  d'ogni  suo  desiderio  maligno.  Lasciò  che 
parlasse  da  sé  medesimo  col  duca  di  Milano,  allora  infermo,  e 
per  procacciargli  denari  indusse  il  duca  medesimo  ad  accet- 
tare la  investitura  imperiale, con  condizione  di  pagare  al  pre- 
sente centomila  ducati  e  cinquecentomila  altri  in  varii  tem- 

(1)  Questi  cesarei . . .  non  hanno  denari ...  il  marcheze  di  pe- 
schara  ha  mandato  a  dimandare  ad  imprestito  al  signor  alvize  di 
gonzaga  scudi  200.  Mariti  Sanuto,  t.  XXXIX,  dell' orator  di  Milano 
Marco  Antonio  Venier,  1  luglio  1525. 

(2)  Lettera  del  Pescara  all'  imperatore,  30  lugl.  1525.  Hormayr, 
Archiv.  an.  1810,  pag.  29-30. 


-  283  — 

I>f?  e  di  pigliare  i  sali  dei  domimi  austriaci  (1).  Poi,  essen- 
dosi aggravata  la  infermità  del  duca,  mentre  dava  buone  pa- 
iole al  papa  e  ai  Veneziani  di  collocare  in  caso  di  sua  morte 
i  1  fratello  Massimiliano  (2),  si  obbligò  con  giuramento  di 
mettere  lo  stalo  in  podestà  del  Pescara  (3).  Quindi  di  ordine 
suo  rispedi  a  Roma  Domenico  Sauli,  intimo  del  datario  Gi- 
berto, per  sollecitare  il  papa  a  mandar  persona  degna  di  fede 
con  un  breve  credenziale  che  confermasse  la  promessa  del 
regno  di  Napoli  (4).  Gli  stese  in  ultimo  P  intero  patio  che  si 
doveva  strignere  tra  lui,  gli  stati  italiani  e  i  reggenti  fran- 
cesi. 

Del  quale  mostraronsi  i  Veneziani,  come  per  lo  innanzi 
caldissimi  (5);  congratularonsi  col  duca  di  Milano  che,  non 


(1)  Geronimo  Moron  ...  me  dixo,  que  no  havia  querido  syn  mi 
parecer  comen^ar  a  pagar  los  cien  mill  dueados,  yo  le  dixe,  que  en 
lodo  caso  lo  devia  hazer  . . .  y  asy  el  se  determino.  Carta  del  Mar- 
gues  de  Pescara,  Novara,  8  sett.  1 525.  Lettere  del  Morone,  I.  e.  pag.  422. 

(2)  La  sant.  del  pontefice  ve  disse,  esserli  sta  proposto  dal  cava- 
liere Landriano  per  nome  del  magn.  Moron  in  caso  de  morte  del- 
l'ili, duca  de  Milano,  de  introdur  in  quel  stalo  il  signor  Massimi- 
liano ...  la  qual  disse  che  1  ricordo  del  Moron  gli  piaceva . . .  con- 
correndo a  questa  cossa  eliam  el  consiglio  nostro.  Acta  Consilìi  X, 
oratori  in  urbe.  5  sett.  1525,  msc. 

(3)  Esame  del  Morone,  1.  e.  pag.  176-1/8.  Tengo  per  fé,  que  si  el 
duque  muere,  que  Geronimo  Moron  hara  ultimo  de  potencia  en  ser- 
vicio  de  V.  M  . . .  es  verdad  que  muestra  enleramente  fiar  de  mj,  y 
siempre  Io  traygo  a  lo  que  quiero.  Lettera  precitata  del  Pescara^  8 
sett.  1525,  pag.  422-423. 

(4)  Quando  el  dicho  Saulys  liablo  con  Jeronymo  Moron  le  dio 
esperanza  que  escry vyendole  a  el  papa  que  me  ofrecyese  lo  que  ya 
me  avya  ofrecydo  por  su  mandado  que  yo  me  resolverya.  Carta  del 
Marques  de  Pescara  a  l'emperador,  12  agosto  1525.  Lettere  del  Mo- 
rone. 

(5)  Venendo  valido  mandato  da  la  Ser.  Regente  et  regno  de 
Franza  nui  unitamente  cum  la  Beat,  del  pontefice  erimo  contenti  de 
concorrer  promptamente  in  prestar  lo  assenso  nostro  della  intelli- 


-  284  - 

ostante  Faccettata  investitura,  perseverasse  nell'accordo <Mf 
essi  e  col  papa  (1),  e  poiché  la  reggente  e  gli  altri  del  con-* 
siglio  di  Francia  tardavano  di  sottoscrivere  gli  articoli  con- 
venuti con  Lodovico  Canossa,  vescovo  di  Baiusa,  in  Venezia, 
e  con  Alberto  da  Carpi  a  Roma,  proposero  che  si  strignesse 
almeno  una  lega  difensiva  tra  gli  stati  italiani,  anche  senza  i 
francesi  (2).  Rè  vi  era  punto  alieno  il  papa,  perchè  sebbene 
ansio  e  sospettoso  instasse  di  aver  prima  la  risoluzione  li- 
bera ed  esplicita  del  Pescara  (3),  nondimeno  mandò  a  lui 
colla  richiesta  lettera  di  credenza  il  romano  Wenteboni,  in- 
timo del  datario,  e  suo  cameriere,  confermandogli  la  promes- 
sa del  regno  di  Napoli  e  del  capitanato  generale  degli  eser- 


gentia  fra  sua  Beat,  li  Sig.  Fiorentini,  la  Sig.  nostra,  il  sig.  duca  di 
Milano  con  recente  de  Franza  per  la  libertà  et  sicurtà  de  Italia  e  del 
epso  regno  de  Franza.  Lettere  del  Collegio,  oratori  in  curia;  18  luglio 
1525.  msc. 

(1)  Il  che  ne  è  stato  di  summa  satisfactione . . .  etsecredemo 
certissimi  clic  sua  magnif.  non  mancherà  de  continuamente  coadiu- 
var questa  buona  opera,  perchè  cussi  faremo  nui  senza  dubbio  al- 
tresì dal  canto  nostro.  Kt  in  ciò  quanto  più  usarete  parole  aftirma- 
tive  tanlo  più  vi  conformerete  alla  mente  et  inlenlion  nostra.  Ada 
Cornila  A\  oratori  Mediolani,  IG  ag.  1524.  msc. 

(2)  Ne  pareva  summamente  necessario  per  securtà  d'Italia,  che 
senza  interponevi  tempo  se  habbia  ad  far  una  unione  fra  S.  B.,  Io 
ili.  Duca  di  Milano,  li  sig.  Fiorentini,  et  la  Signoria  nostra  a  defen- 
sion  delli  comuni  stati  da  esser  tenuta  secretissima  fino  siegua  la 
union  cum  la  Franza,  cum  ha  ver  etiam  il  sig.  duca  di  Ferrara  per 
la  importanza  del  stato  et  persona  sua.  Lettera  del  Collegio,  oratori 
Mediolani,  27  ag.  1525.  msc. 

(3)  Desia  (il  datario  Giberto)  que  yo  devya  a  lo  menos  dezir  y 
prometer  tanto  quanto  el  papa  y  el  duque  por  su  vya  de  Jeronymo 
Moron  avyan  dicho  con  mygo  si  tenya  el  anymo  entero  y  fyrme  en 
esto  —  trabajese  (il  Moronc)  par  una  resolucion  mas  libre  de  mi  vo- 
luntad.  Lettere  del  Pescara  all'imperatore,  12  e  20  agosto  1525.  Do- 
menico Promis  e  Giuseppe  Mailer,  Lettere  di  Girolamo  Morone,  ope- 
ra cit. 


-  285  — 

^ìti  confederati  (4),  e  a  levargli  l' infinto  scrupolo  so.  come 
barone  di  quel  reame,  fosse  più  obbligato  ad  obbedire  a  Ce- 
sare, che  per  investitura  della  Chiesa  ne  aveva  il  dominio  u- 
tile,  o  al  pontefice,  che,  per  esserne  supremo  signore,  aveva 
il  dominio  diretto,  gli  fece  rimettere,  con  soppressione  dei 
nomi  veri,  i  consigli  scritti  per  ordine  suo  dal  cardinale  Ac- 
colti e  dal  giureconsulto  Angelo  Cesi  (2).  Confessa  il  papa, 
cosi  leggiamo  nella  posteriore  sua  inslruzione  più  volte  ac- 
cennata, che  essendogli  proposto  in  nome  e  da  parte  del  mar- 
chese di  Pescara,  che  lui  come  mal  contento  dell'imperatore, 
e  come  italiano,  si  offeriva  ad  essere  in  questa  compagnia, 
quando  si  avesse  a  venire  a  fatti,  non  solamente  non  lo  re- 
cusò,  ma  avendo  sperato  di  poterlo  avere  con  effetto,  gli  avrìa 
fatto  ogni  partito,  perchè  essendo  venuto  a  termini  di  temere 
dello  stato  e  salute  propria,  pensava  che  ogni  via  se  gli  fos- 
se offerta  da  poter  sperare  aiuto,  non  era  da  rifiutare  (3).  E 
questa  via  non  è  dubbio  che  doveva  sembrare  la  più  corta  e 
spedita.  Vi  concorrevano  anche  i  Fiorentini,  il  duca  di  Fer- 
rara. Antoniotto  Adorno,  doge  di  Genova,  Lucca,  Siena  per- 
sino (4),  e  tutti  non  d'  altro  impazienti  che  degl'  indugi.  Io 
veggo,  esclamava  Gian  Matteo  Giberto,  datario  del  pontefice, 
io  veggo  rinnovarsi  il  mondo  e  da  una  estrema  miseria  tor- 
nare Italia  in  grandissima  felicità  (5). 

(1)  Despues  de  muchas  persuasiones,  prometimientos  y  razo- 
nes,  las  quales  por  no  ser  prolixo  no  dire,  si  no  solo  que  me  prome- 
tta luego  la  investidura  del  reyno  de  Napoles,  y  l'enuncia  de  Fran- 
cia, el  privjlegio  de  capitan  general  de  todos  ellos.  Lettera  del  Pe- 
scara all'  imper.  8  sctt.  1525.  Ibidem,  pag.  415. 

(2)  Ibidem,  pag.  414. 

(3)  Memoriale  mandato  di  ordine  di  papa  Clemente  VII  a  mons. 
Farnese,  legato  in  Ispagna  1526.  Papiers  d'  état  du  card,  de  Gran- 
velie,  t.  1,pag.  295. 

(4)  Lettera  precitata  del  Pescara  all'  imp.  30  luglio  1525. 

(5)  Gian  Matteo  Giberto  a  Girolamo  Ghinucci.  Roma,  10  luglio 
1525.  Ruscelli,  Lettere  di  principi,  t.  1,  pag.  170, 


—  286  — 

Ahi  quanto  dalle  apparenze  discordava  lia  realtà  ! 

Le  congiure  che  si  appoggiano  al  tradimento  non  rie- 
scono mai  a  buon  segno.  Ben  poteva  il  Morone,  cittadino  mi- 
lanese, suddito  e  ministro  di  principe  secondo  ragione  indi- 
pendente, cospirare  contro  gli  Spagnuoli;  ma  l'aver  cercato 
di  tirare  a'  suoi  disegni,  il  Pescara,  con  aperta  violazione  di 
fede,  è  colpa  che  i  tempi,  l'amor  patrio,  la  politica  stessa  in- 
segnatagli dai  nemici,  spiegar  possono,  non  assolvere.  Guai 
se  nella  storia  si  radicasse  coir  esempio  l'atroce  sofisma  che 
il  delitto  possa  condurre  al  bene  massimo  de'  popoli,  la  in- 
dipendenza. Questa,  come  ogni  altro  bene  morale,  non  si 
riacquista  che  per  virtù  propria  e  di  condegni  proponimen- 
ti. Dei  quali  allora,  se  accendevansi  i  letterati,  incapaci  era- 
no le  moltitudini,  non  ritemprate  neanco  collo  spirito  mili- 
tare. Fuor  di  Venezia,  nessun  stato  poteva  fare  assegna- 
mento sulle  sue  forze;  onde  non  nella  nazione,  si  nell'  aiuto 
forestiero,  nella  diserzione,  nelle  favorevoli  congiunture  della 
politica  europea,  fondavasi  la  impresa. 

Ben  tosto  si  vide  che  non  bastavano.  Ancor  in  settembre 
di  quell'anno  1525  osservò  Gian  Matteo  Giberto  che  della  con- 
giunzione cogli  Italiani  volevano  servirsi  i  Francesi  unica- 
mente per  aver  patti  migliori  da  Cesare  (1),  e  mentre  confl- 
davasi  nel  tradimento  del  capitano  imperiale  avevano  avviso 
i  Veneziani  che  nuovi  fanti  tedeschi  calavano  per  la  Valtel- 
lina nel  Milanese  (2).  Del  che  dolendosi  Girolamo  Morone  (3), 
rispondevagli  il  Pescara  negando:  leverebbe  anzi  le  truppe 
che  vi  erano,  conforme  al  convegno  segreto,  purché  si  des- 


ìi) Al  vescovo  di  Bajusa,  4  sett.  1525.  Lettere  di  principi,  tom.  1, 
pag.  172. 

(2)  Ne  siamo  restati  cum  admiratione,  et  maxime  che  de  tal 
movimento  il  magnifico  Morone  non  vi  liiibi  comunicato  cosa  al- 
cuna. Lettera  del  collegio,  oratori  Mediolani,  1  sett.  1525.  msc. 

(3)  2  ott.  1525.  Lettere  del  Morone,  op.  cit. 


—  287  — 

>«^ro  danari  a  pagarle  (1).  Se  non  ne  porlo,  diceva,  ai  tede- 
cài  a  Novara,  essi  si  ammulineranno  del  Mio,  e  io  sarò  for- 
zato a  pormi  in  lor  potere  o  a  fuggire  (2).  Che  se  avessi  da- 
a  cri  a  pagar  anche  le  sette  compagnie  spagnuole,  le  farei 
ambito  uscir  dello  stalo  (3).  Accettò  il  Morone  la  offerta,  pa- 
cando sedicimila  ducati  (4),  e  nonpertanto  le  genti,  anziché 
andarsene,  crescevano.  Giungevano  contemporaneamente 
3aHa  corte  di  Madrid  dichiarazioni  accennanti  alla  trama. 
Cesare  non  cessava  di  chiamare  vigliacco  e  traditore  Gian 
ZMatteo  Giberto,  delle  quali  parole  meravigliavasi  assai  Pora- 
t:or  veneto  Andrea  Navagero,  sendo  Cesare  tanto  moderato  in 
ogni  sua  azione  e  massime  nel  parlare,  che  non  si  trova  in 
cfte  cosa  se  gli  possa  fare  opposizione  (5);  onde  il  papa,  non 
per  iscoprire  la  pratica,  ma  per  prepararsi  qualche  rifugio 
se  l'andasse  a  vuoto,  trovò  prudente  avvertirlo,  sotto  specie 
di  affezione,  che  tenesse  miglior  governo  in  Italia  (6).  e  an- 
cor prima  il  duca  di  Milano  s' era  visto  in  necessità  di  cal- 
li) Per  levare  li  soldati  se  fa  quanto  se  pò  et  se  farà  tanto  che 
V.  S.  restarà  contenta,  ma  convene  provedere  ad  questi  dinari  con 
presleza.  Vercelli,  7  sett.  1525.  Ibidem,  p.  411. 

(2)  7  sett.  1525.  Ibidem,  p.  412. 

(3)  Pavia,  12  sett.  1525.  Ibidem,  pag.  430. 

(4)  A  quella  parte  mi  ha  tochato  il  S.  Ant.°  de  Leyva  et  il  S.  Lo- 
pis  Hurtado  circa  il  levare  de  la  gente  dal  stato,  incontinenli  si  ha- 
itiano pagati  li  XVI  m.  ducati,  il  che  mi  confirma  V.  Ex.  con  le  sue... 
non  mi  extendarò  in  rispondere  altro,  se  non  in  acceptare  la  offer- 
ta, tenendo  per  firmo  che  così  sarà  exegwito.  Mediolani,  7  ott.  1525. 
Ibidem,  pag.  447. 

(5)  Dispaccio  di  A.  Navagero.  Toledo,  23  ag.  1525.  Eni.  Cicogna, 
Iscriz.  ven.  t.  6,  pag.  179. 

<6)  Et  che  per  Y  amor  di  Dio  volesse  pigliarla  per  altra  via,  non 
essendo  possibile  che  Italia,  ancorché  si  ottenesse,  si  potesse  man- 
tenere con  altro  che  con  amore  et  con  una  certa  forma,  la  quale 
fosse  per  contentare  gli  animi  di  tutti  in  universale.  Memoriale  man- 
dato d  ordine  di  papa  Clemente  VII  a  mons.  Farnese.  Papiers  d'é- 
tat  du  card,  de  Granyelle,  t.  1,  pag.  295. 


-  288  - 

marne  gli  sdegni  collo  spergiuro  (1).  Qual  sospetto  tremeo-*^ 
do!  che  il  Pescara  fosse  uomo  a  due  faccie?  Io  non  posso 
crederlo,  diceva  Giberto.  Quanto  egli  fece  per  Cesare  nessun 
regno  del  mondo  basterebbe  a  rimeritare.  OC  egli  voglia 
mendicare  di  nuovo  la  sua  grazia  ?  Sarebbe  colpa  immagi- 
nare che  in  anima  nobile  annidar  possa  cosi  basso  pensie- 
ro (2). 

Eppur  non  era  altrimenti.  Francesco  marchese  di  Pe- 
scara, nato  in  Italia,  aveva  V  anima  degli  Avalos  spagnuoli, 
suoi  avi,  stati  principali  nel  fondare  la  dominazione  arago- 
nese di  Napoli.  Fuor  de'  fanti  spagnuoli  che  capitanava,  non 
v'  erano  uomini  per  lui:  li  conosceva  tutti  per  nome;  d'ogni 
loro  smoderatezza,  sin  de'  vietati  saccheggi,  non  avevasi  a  j 
male;  bastava  che  durassero  impavidi  nel  momento  decisi — 
vo.  All'incontro  gl'italiani  teneva  a  vile:  non  accadde  dL« 
rado  che  li  mandasse  a  fil  di  spada,  e  domandato  perchè  K 
facesse,  essendo  pur  suoi  compatrioti,  appunto,  perchè  leu 
sono,  rispondeva,  e  servono  al  nemico.  A  quel  modo  che  nei^i 
campi  di  battaglia  la  innata  arditezza  colle  studiate  avver — 
tenze  infrenava,  anche  l' ambizione,  l' orgoglio,  la  burbanza 
conteneva  entro  i  limiti  della  lealtà  feudale.  Lui,  educato  nei 
romanzi  spagnuoli  alle  idee  cavalleresche,  non  modificò  la 
coltura  italiana  risorta  collo  studio  de'  classici.  De'  suoi  tem- 
pi solo  una  dottrina  gli  si  apprese  all'animo:  la  politica.  Cosi 
onesto  non  fu  da  rigettare  sdegnosamente  la  proposta  del 
Morone:  considerò  invece  che  per  isventare  la  trama  biso- 
gnava conoscerla  a  fondo.  Si  finse  dunque  inclinato  ad  ac- 
cedervi, e  mentre  teneva  in  susta  i  congiurati  con  vane 


(!)  Juro  che  mai  potesse  uscir  vivo  dal  lecto  e  dal  infirmiti!  in 
qual  se  trovava  se  lui  non  era  netto  e  limpio  di  simil  calunnia.  // 
protoìiotario  Caracciolo  all'  iwper.  Milano,  28  luglio  1525.  Bibliote- 
ca de  /'  Acad.  d' /Ustoria  de  Madrid.  A.  35  msc. 

(2)  A  Domenico  Sauli.  Ruscelli,  Lettere  di  principi,  t.  1,  p.  174. 


—  289  — 

speranze,  di  ogni  lor  confidenza  faceva  subito  partecipi  Fa- 
k*ate  di  Nagera,  commissario  imperiale,  e  il  duca  di  Borbone 
^  Antonio  de  Leva,  suoi  colleghi  ;  mostravasi  irresoluto  e  de- 
sideroso di  nuovi  schiarimenti,  per  iscoprir  meglio  i  dise- 
gni e  i  mezzi  di  riuscita  ;  prendeva  intanto  opportuni  prov- 
vedimenti di  difesa,  trattando  col  governatore  di  Alessandria 
yper  averne  a  un  bisogno  la  fortezza,  e  con  Pietro  Fregoso, 
51  quale  profferì  vagli  ottantamila  ducati  per  esser  doge  di 
Genova  in  sostituzione  di  Antoniolto  Adorno;  e  di  tutto 
questo  e  di  qualunque  altra  pratica   dava   senza  indugio 
notizia  a  Cesare,  chiedendo  instruzione  e  soccorso  (4).  Di 
queste  pratiche  mi  valgo,  scriveva,  per  servire  vostra  mae- 
stà, e  con  mia  grande  vergogna,  ben  conoscendo  che  manco 
a  qualcuno,  ancorché  il  faccia  per  non  mancare  a  chi  più 
debbo  (2J.  Fuprovidenza  che  io  sia  venuto  a  saperle;  altri- 
menti saremmo  perduti  (3). 

Per  vero  ne  ricevette  Cesare  anteriori  avvisi  da  altre  e 
più  parti.  L'ambasciator  suo  a  Roma  aveva  sin  da  principio 
discoperti  i  maneggi  degl'  italiani  (4),  né  la  reggente  di  Fran- 
cia si  era  recato  a  coscienza  di  svelarne  il  secreto  per  acqui- 


ti) Da  prima  col  mezzo  di  Gio.  Battista  Castaido,  capitano  im- 
periale, poi  con  un  corriere  di  Cesare,  quindi  con  Francesco  Ruiz, 
con  Girolamo  suo  servitore,  e  con  quelli  di  Antonio  de  Leva  e 
di  Rocandolfo.  Lettere  del  Pescara  all'  imper.  30  luglio,  12  e  20  ag. 
8  sett.  1525.  Hormayr  Archi v  an.  1810  pag.  29-30  e  nelle  Lettere 
di  Girolamo  Morone  op.  cit.  t.  2  pag.  378-397,  413-423. 

(2)  Huelgo  dellas  per  servyr  a  V.  M.  y  no  sin  mucha  verguen$a 
porque  non  dexo  de  conoscer  que  falto  a  alguno  aumque  sea  por 
uo  faltar  a  quyen  mas  devo.  Lettera  precitata  30  lugl.  1525. 

(3)  Crea  V.  M.  que  ha  sido  voluntad  de  Dios  Io  que  ha  pas- 
sado,  que  por  ninguna  otra  via  deste  mundo  era  imposible  saberlo, 
y  nos  perdieramos  sin  falta.  Lettera  8  sett.  1525.  I.  e.  pag.  418. 

(4)  A  mi  juyzio  y  a  lo  que  alcango  por  via  del  datario  se 
trama  todo  y  V.  Mad.  sea  certo  que  ahi  inteligencias  de  grandis- 
simo momento  y  muy  pcrjudiciales  a  vro  cesareo  servicio.  Et  du- 

19 


—  290  — 

star  mercede  al  figliuolo  (4).  Tuttavia  non  è  dubbio  cbe  sa- 
rebbero facilmente  succeduti,  se  il  Pescara,  simulando  di  con- 
correre con  gli  altri,  non  ne  avesse  con  varie  scuse  differita  la 
esecuzione.  In  caso  contrario,  scriveva  Antonio  de  Leva,  i 
congiurali  avrebbero  ucciso  alla  impensata  la  maggior  par- 
te delV  esercito  (2). 

A  quelle  scuse  davano  appicco  ora  gli  scrupoli  dell'ono- 
re, a  quetare  i  quali  diceva  il  Pescara  voler  attendere  sopra 
i  consigli  scritti  per  ordine  del  papa  il  parere  di  un  dottor 
napoletano  amico  suo  (3),  ed  ora  la  infermità  del  duca  di  Mi- 
lano aggravatasi  talmente  da  far  credere  vicina  la  sua  mor- 
te; onde  pareva  che,  per  non  ingenerare  sospetti  negli  altri 
capitani,  persuasi  che  in  quel  caso  lo  stato  ricadesse  a  Ce- 
sare, non  solo  gli  fosse  impedito  di  rimuovere  le  truppe,  si 
anzi  fatta  necessità  di  chiamarne  di  nuove  (4). 

Ma  il  duca  migliorò,  e  invece  il  Pescara  fu  colto  da  quel- 
la malattia  che  poco  dopo  lo  condusse  al  sepolcro.  Come  re- 
sistere più  oltre  alle  instanze  de9 congiurati?  Poiché  la  sua 
lentezza  e  l'apparente  irresoluzione  gì'  inquietavano  tanto, 
non  potrebbero  essi  anche  senza  di  lui,  o  meglio  contro  di 


que  de  Sesa  al  emperador,  Roma  12  lugl.  1525.  Bibliot.  de  la  Acaà. 
a"  hist.  de  Madrid  A.  35  msc. 

(1)  Lettera  precitata  di  Gian  Matteo  Giberto  al  vescovo  di  Ba- 
iusa  4  sett.  1525.  Vedi  Henri  Martin,  Histoire  de  France.  Paris 
1857,  t.  8,  pag.  86. 

(2)  V.  M.  sea  cierta  que  si  no  fuera  por  la  intclligencia  quel  el 
marques  ha  tenjdo  en  estas  cosas  que  nos  liovjeram  tornado  sia 
que  lo  sintieramos  la  mayor  parte  del  exercilo.  Vercelli  20.  ag. 
1525.  Lettere  del  Morone  op.  cit. 

(3)  Que  sobre  elio  esperava  respusta  de  Napoles  —  queda- 
mos  que  yo  embiaria  estas  allegaciones  a  quien  me  aconsejava  . . . 
por  tener  tiempo  de  otros  quinze  dias.  Lettere  del  Pescara  alt  impe- 
ratore 20  ag.  ed  8  sett.  1525.  Ibidem  pag.  384,  415. 

(4)  Frane.  Guicciardini,  Storia  d' Italia,  t.  3,  pag.  199. 


—  294  — 

lui  mandare  a  termine  le  cose  trattate?  I  rimanenti  disegni 
c3i  già  parevano  in  ordine  :  giunta  era  di  Francia  la  sospira- 
la dichiarazione,  sebbene  inferiore  di  molto  alle  passate  prof- 
ferte (4);  sollecitava  il  papa  la  conclusione  degli  accordi  (2), 
^Venezia  dava  facoltà  all' ora  tor  suo  a  Roma  di  strignerela 
lega  italiana  a  difesa  dei  comuni  stati  contro  qualunque  prin- 
4Àpe  cristiano  (3).  Ormai  il  Pescara  aveva  conosciuti  i  pen- 
sieri di  ciascuno  e  levata  a  tutti  la  possibilità  di  negarli.  Tem- 
po era  dunque  di  calar  la  maschera  dal  volto  e  di  cogliere  il 
frutto  delle  pratiche  tenute  con  tanta  malignità. 

Lo  fece  egli  d'arbitrio  suo  o  col  consentimento  dell'im- 
peratore ?  Ne  disputarono  coloro  che  non  potevano  chiarire  se 
fosse  sincera  o  artificiosa  la  investitura  del  ducato  di  Milano 
a  Francesco  Sforza,  spedita  in  sulla  fine  di  luglio  col  mezzo 
di  Lope  Urtado,  il  quale  portò  eziandio  la  commissione  di 
licenziare  tutt'i  fanti  spagnuoli,  da  quelli  in  fuora  cbe  allog- 
giassero nel  marchesato  di  Saluzzo,  e  di  rimandare  seicento 
uomini  d'arme  nel  reame  di  Napoli.  E  se  il  dubbio  sussistei 


(1)  Parturiunt  montes,  nascetur  ridiculus  mus  ;  che  ben  mi  pa- 
re poter  cominciar  così,  già  cbe  quella  risolutione,  che  tanti  dì  fa 
Francesi  hanno  annunciato,  come  l' ad  vento  del  Messia,  di  voler 
mandare  in  Italia,  si  è  alla  fine  trovata  esser  manco  assai  di  quello, 
che  mandarono  ad  offerire  per  M.  Lorenzo  Toscano;  et  crederò  che 
non  tengano  tutti  gì'  Italiani  per  bestie,  se  pensano  che,  sotto  sem- 
plice speranza  della  fede  loro,  habbiano  a  darsegli  in  mano  ligati, 
perchè  facciano  migliori  le  condizioni  loro  con  Cesare.  Gian  Batt. 
Sanga  a  monsignor  di  Baiusa.  Roma  5  ott.  1525.  Ruscelli  Lettere 
di  principi,  t.  1,  pag.  177. 

(2)  Questa  nocte  ho  havute  lettere  da  Roma  continenti  molti 
capi  de  importantia,  et  altre  ne  ha  havute  ms.  Dominico  Sauly  in 
conformitate  ...  In  somma  contengono  tutto  quello  si  expetava  da 
Franza,  et  il  N.  S.  manda  qua  per  stringere  le  risolutioni  pratica- 
te. Girolamo  Morone  al  Pescara,  Milano  8  ott.  1525.  Lettere  del  Mo- 
rones  p,  448. 

(3)  Lettera  del  collegio  oratori  in  curia  12  ott.  1525  rase. 


—  292  — 

se,  anch'io  reputerei  col  Guicciardini  manco  fallace  la  mi- 
gliore e  più  benigna  interpretazione.  Ma  cosi  non  è;  perchè 
sebbene  quella  spedizione  fosse  anteriore  all'arrivo  in  corte 
di  Giambattista  Castaldo,  mandato  per  primo  dal  marchese  a 
significare  la  congiura  (-i),  pure,  considerando  le  notizie  che 
n'erano  già  pervenute  a  Cesare  (2),  e  le  precedenti  sue  reni- 
tenze per  rispetto  alla  investitura,  e  l'ufficio  dato  contempora- 
neamente al  sopraccennato  Lope  Urtado  di  chiedere  al  pon- 
tefice dispensa  di  pigliare  in  moglie  la  infanta  di  Portogallo, 
sua  cugina,  rimane  accertato,  non  aver  egli  avuto  altro  in 
mente  che  di  posare  gli  animi  degli  italiani  insino  a  tanto 
venisse  il  tempo  opportuno  ad  eseguire  P  antico  disegno 
d'impadronirsi  della  Lombardia  (3).  Ben  so  che  nei  consi- 
glio suo,  diviso  allora  in  due  parti,  sembrava  prevaler  quella» 
di  Mercurino  da  Gattinara,  gran  cancelliere,  favoreggiante 
raccordo  coli' Italia  per  abbassare  la  corona  di  Francia  (4)7 
ma  quando  si  bada  al  risultato  finale,  e  si  ricorda  che  alla  par- 
te opposta  del  viceré  Lannoy  e  di  don  Ugo  di  Moncada  ade- 


fi)  Siendo  todo  esto  vantes  de  la  llegada  de  Johan  Baplista, 
se  deve  creer  que  su  Magestad  hara  otra  provision.  lustrazione  del 
Pescara  per  G.  B.jCastaldo  e  de  Gutierez.  20  ag.  1625.  Lettere 
del  Morone,  t.  2,  pag.  398. 

(2)  Vedi  nota  a  pag.  288. 

(3)  Ben  si  appose  Gian  Matteo  Giberto  allorché,  mettendo  in 
derisione  la  venuta  di  Lope  Urtado,  così  scriveva  a  monsignor 
di  Bai  usa  :  Havendo  V  Imperatore  inteso  delle  pr  attiche,  che  lor  te- 
necano  in  Italia,  già  la  seconda  volta  ha  fatto  intendere,  che  sua 
Maestà  non  pensa  se  non  a  mettere  Italia  libera  et  amica  et  non 
serva.  Roma  4  sett.  1525.  Ruscelli  Lettere  di  principi,  t.  1,  pag.  172. 

(4)  Relazione  di  Gaspare  Contarini  ritornato  amb.  da  Carlo  V. 
nov.  1525.  Alberi  Relaz.  degli  amb.  ven.  Ser.  1.  voi.  2, pag.  58.— 
Perchè  il  gran  cancelliere  era  in  effetto  buonissimo  italiano,  e  molto 
temeva  non  dalla  unione  e  pace  colla  Francia  seguisse  gran  danno 
ali  Italia.  Dispaccio  di  Andrea  Navagero.  Em.  Cicogna,  Iscriz.  ve- 
nez.,  t.  6,  pag.  183. 


—  293  — 

*iva  con  ogni  poter  suo  il  marchese  di  Pescara  (J),  non  si 
può  far  a  meno  di  credere  che  desse  Cesare  la  commissione 
del  levare  l'esercito,  tanto  grata  a  tutta  Italia,  non  per  esse- 
re obbedito,  ma  per  acquistare  qualche  giustificazione  ai  por- 
tamenti futuri.  Io  non  dubito,  scrisse  infatti  il  Pescara,  che 
vostra  maestà  prenderà  ben  tosto  un  altro  partito.  Facile  è 
farsi  signore  d'Italia  se  si  mantiene  l'esercito  e  se  si  pigliar 
no  a.  tempo  le  persone  dei  duchi  di  Milano  e  di  Genova;  al- 
trimenti no,  perchè  Italia  non  si  può  ridurre  a  servitù  se 
non  colla  forza  (2).  Accordatevi,  proseguiva,  col  re  di  Fran- 
cia a  questa  sola  condizione  che  vi  aiuti  a  conquistarla.  Co- 
loro che  vi  stanno  dappresso,  vedendo  un  re  prigione,  si  dan- 
no a  credere  che  voi  siate  padrone  del  mondo;  ma  noi  che 
sliam  qui  e  veg giamo  come  vanno  le  cose,  ben  comprendiamo 
che  avete  un  corpo  morto,  il  quale  vi  nuoce  assai  più  che  non 
vi  giovi  (3).  Non  erano  ancora  pervenute  coteste  rimostran- 
ze all'imperatore  che  già  questi  il  di  di  agosto,  col  mezzo 
di  Giambattista  Castaldo,  aveva  dato  facoltà  al  Pescara  di  far 
tutto  che  gli  paresse  più  opportuno  tanto  a  Milano  quanto  a 
Genova,  (4-);  la  qual  facoltà  confermò  poi  con  suo  autografo 
del  1S  settembre,  aggiungendovi  soltanto  l'obbligo  di  con- 
fi) Relazióne  precitata  di  Gaspare  Contarioi,  pag.  59. 

(2)  distruzione  precitata  per  G.  B.  Castaldo  e  de  Gulierez.  20 
ag.  1525. 

(3)  Lettera  del  Pescara  all'imper.  Novara  8  sett.  1525.  Lettere 
del  Morone,  pag.  419. 

(4)  Lo  que  Y.  M.  mando  a  Jolian  Baptista  Castaldo,  que  me 
hiziesse  escrivir  de  Gutierrez  por  cifra  de  XI  del  passmlo,  que 
despues  de  rouchas  platicas  era  en  substancia,  que  aun  que  V.  M. 
deseava  que  disimulasse  segun  el  tiempo,  y  que  governandone 
prudentemente  en  mostrar  oe  no  conocer  por  evitar  escandalos, 
sostuvìesse  quanto  pudiesse,  mas  que  quando  la  platica  fuese  tan 
Clara  y  abierta  que  no  se  pudiesse  escusar,  que  yo  hiziesse  lo  que 
me  pareciese  asy  en  lo  de  Milan  corno  en  lo  de  Genova.  Ibidem, 
pag.  420. 


—  294  — 

saltarsi  col  Borbone  e  cogli  altri  capitani  (4).  Ne  prevenne  il 
Pescara  la  esecuzione,  facendo  che  il  Borbone  medesimo  e 
Antonio  de  Leva,  convenuti  con  lui  sin  dal  giorno  9  settem- 
bre nella  necessità  di  avere  in  mani  proprie  il  duca  Sforza 
e  il  castello  di  Milano,  di  questa  loro  concorde  deliberazione 
stendessero  autentico  testimonio  (2).  Ma  prima  di  mandarla 
ad  effetto,  benché  pressato  da  quelli  e  dall'abate  di  Nagera 
commissario  imperiale,  ne  scrisse  a  Cesare  (3), con  ammodi 
attendere,  se  la  urgenza  delle  cose  il  permettesse,  sua  ris- 
posta e  commissione  speciale  (4). 

Strignevano  intanto,  secondo  eh' è  dimostrato  innanzi, 
le  pratiche  de' congiurati,  e  d'altra  parte  troppo  era  ma- 
nifesto che  Cesare  non  amava  sorpassare  i  termini  del 
mandato  generale,  per  gettar  poi  in  ogni  evento  la  colpa 
addosso  all'  esecutore.  Laonde  il  Pescara,  disperato  di  ofr* 
tenere  a  tempo  le  chieste  instruzioni  (5),  deliberò  di  ridur 


(1)  A  los  XXT.  de  passado  recibj  una  letra  de  mano  de  su  M.t 
de  XV  de  mysmo,  en  que  manda,  que  en  lo  que  toca  a  lo  del  du- 
cado  de  Mylan,  baga  lo  que  me  paresciere  con  parecer  de  Borboo, 
sy  no  fuere  partido,  y  destos  otros  que  aca  estan.  Lettera  del  Pe- 
scara ali*  arcid.  Ferdinando.  Novara  4  ott.  1525.  Ibidem,  pag.  442. 

(2)  Ibidem,  pag.  426. 

(3)  Ottobre  1525,  Ibidem,  pag.  437. 

(4)  Segundo  lo  que  me  ha  dicho  (il  Pescara)  y  he  visto  por  car- 
tas  de  Anthonio  de  Leyva  y  del  Abbad  de  Najera  parece  que  las 
platicas  andan  cadadia  mas  addante  y  por  voto  y  parecer  de  estos 
ya  el  marques  havria  feebo  demostracion.  El  marques  està  de  opi- 
nion de  esperar  la  respuesta  y  horden  de  V.  Ma.  D.  Lope  Hw- 
tado  al  emperador,  Navara  27  sett.  1525.  Biblioteca  de  la  Acad, 
d  hist.  de  Madrid.  A.  35.  msc. 

(5)  Aun  que  en  rimitir  las  cosas  a  mi  con  el  parecer  delos  que 
aqui  estan,  siendo  el  senor  duque  de  Borbon  ya  partido  dias  ha, 
se  me  haze  gran  merced  per  la  confìanpa  que  su  magestad  de  mi 
rauestra,  no  dexa  de  pcsarme  dello,  porque  cosas  de  tan  gran  cali- 
dad  y  tan  particular  y  fundadamente  avisadas  quisiera  yo  hazellas  ni 


—  295  — 

subito  in  potestà  sua  la  persona  del  Morone,  stato  autore  ed 
ìostrumento  principale  della  cospirazione,  ben  si  apponendo 
«he  col  suo  processo  poteva  offrire  a  Cesare  la  prova  deside- 
rata e  necessaria  per  far  cadere  il  duca  di  Milano  dalle  ra- 
gioni della  investitura  (4).  Vi  consenti  l'arciduca  Ferdinan- 
do (2),  per  cupidigia  di  quella  preda  (3),  largo  più  che  mai  in 
consigli  ed  aiuti  (4). 

Giaceva  il  Pescara,  oppresso  da  grave  infermità,  nel  ca- 
stello di  Novara.  Quivi,  dopo  aver  fatto  venire  inaspettata- 
mente le  genti  che  alloggiavano  nel  Piemonte  e  nel  marche- 
sato di  Saluzzo,  richiese  a  nuovo  colloquio  il  Morone.  Pote- 
va già  conoscere  questi  che  la  pratica  tenuta  con  lui  era  va- 
na; avvertivanlo  gli  amici  che  gli  si  tendevano  insidie  (5); 
che  sarebbe  ritenuto;  che  Antonio  de  Leva  lo  aveva  detto 
pubblicamente  (6);  egli  medesimo  ne  stette  ambiguo;  e  non- 


mas  ni  menos  que  su  roagestad  de  alla  ordenase.  Memoria  de  lo  que 
vos  et  capitan  Johan  Bàplista  Castaldo  y  Gulierrez  haveis  de  dezir 
a  su  magestad,  Novara  13  ott.  1525  Lettere  del  Morone. 
(!)  Ibidem. 

(2)  Lettera  al  Pescara.  Tubingen  15  ott.  1525.  Ibidem. 

(3)  Aspira  sommamente  al  ducato  di  Milano.  Relazione  di  Ga- 
spare Contarini  1.  e.  pag.  59. 

(4)  Lettera  del  Pescara  all'arctd.  Ferdinando.  Novara  4  ott. 
1525.  Lettere  del  Morone,  pag.  441. 

(5)  0  fede  in  V.  S.  corno  in  Dio.  Me  è  dato  aviso  da  varìì  ho- 
mini  et  lochi,  che  me  guarde  da  li  agenti  cesarti,  et  che  sono 
tradito  et  ucellato,  et  che  mi  faranno  mal  capitare.  Ho  voluto  avver- 
tire quella,  ad  ciò  che  stia  attenta,  che  altri  non  tenteno  quello  di- 
spiacerla non  manco  a  lei  corno  a  me.  Girolamo  Morone  al  Pe- 
scara, Milano  5  sett.  1525.  Ibidem,  pag.  407. 

(6)  Non  voglio  tacere  che  s.r  Ant.  (de  Leva)  è  intervenuto  in 
uno  ragionamento,  onde  se  parlava  de  le  pratice  de  Italia,  et  si  di- 
ceva che  io  ni  era  auctore  principale  ;  et  lui  dixi,  che  se  ini  lassava 
conducere  a  venire  verso  V.  Ex.,  sarebhe  retenuto  et  da  me  si 
cavarebbe  tutto  il  vero.  Girolamo  Morone  al  Pescara,  Milano  8  ott. 
1525,  Ibidem,  pag.  448. 


-  296  - 

dimeno  collo  stesso  Antonio  de  Leva  si  risolvè  di  andare,  ab- 
bandonandosi alla  fede  per  nuova  lettera  confermatagli  (4): 
cosa  a  me  tanto  più  maravigliosa,  scrive  Francesco  Guic- 
ciardini, quanto  mi  restava  in  memoria  avermi  il  Movane 
detto  piU  volte,  neW  esercito  al  tempo  di  Leone,  non  essere 
uomo  in  Italia  né  di  maggiore  malignità,  né  di  minore  fede 
del  marchese  di  Pescara. 

Giunse  il  Morone  a  Novara  il  di  43  ottobre,  e  nel  gior- 
no seguente  accolto  benignamente  dal  Pescara  gli  divisò  per 
filo  e  per  segno  le  cose  già  trattate  a  voce  o  soltanto  accen- 
nate per  iscritto:  disse  venuta  di  Francia  la  facoltà  di  stri- 
gner  lega  coli'  Italia  ;  darebbe  la  reggente  cinquantamila  scor 
di  al  mese  ed  altrettanti  l'Inghilterra;  essere  in  punto  le 
genti  del  papa,  dei  veneziani  e  del  duca  di  Milano;  pronti  gli 
svizzeri  alla  chiamata,  e  non  meno  di  essi  gli  emigrati  in  nu- 
mero di  cinquecento  lance  e  tremila  fanti  ;  tutti  potrebbero 
entrare  in  campo  fra  quindici  giorni  (2). 

Ben  si  vede  aver  egli  esagerato  i  mezzi  di  riuscita  o  la 
fiducia  che  in  essi  riponeva,  per  indurlo  più  facilmente  a  di- 
chiararsi. Né  il  Pescara  tardò  ad  accorgersene  (3).  Ma  gio- 


ii) Pregola  ad  venir  fin  qua,  et  persuadersi  che  in  questo 
campo  contro  mia  voglia  non  porria  fare  ness.  quello  li  paresse; 
e  che  la  mia  voluntà  è  quale  deve  con  persona  che  tali  opere  e  di- 
mostrationi  ha  sempre  usate  verso  di  me;  et  se  di  questo  bisogna 
altra  sicurtà,  V.  S.  la  pensi,  et  farassi.  Che  se  io  stessi  sano  la  si- 
curtà saria  andare;  ma  son  certo  che  se  ben  saviamente  V.  S. 
pensa  havendo  poi  ancor  saviamente  pensato,  non  ponerà  dubbio 
in  me,  che  non  lo  sapria  ponere  in  lei  finché  vivessi.  U  march, 
di  Pescara  a  Girolamo  Morone,  Novara  10  ott.  1525.  T.  Dandolo. 
Ricordi  inediti  op.  cit.  pag.  200. 

(2)  Lettera  del  Pescara  all'imperatore.  Pavia  25  ott.  1525.  Let- 
tere del  Morone,  t.  2,  pag.  497-499. 

|3)  Repliquele  que  yo  tenja  que  estas  cosas  no  serian  concer- 
tadas,  ni  tan  ordenadas,  corno  el  dezia.  Ibidem,  pag.  498. 


—  297— 

Vava  mostrarsi  persuaso;  tardavagli  assai  di  conseguire  il 
Qne  de' suoi  infingimenti.  La  mattina  del  45  ottobre  il  gran- 
cancelliere fu  fatto  prigione  dal  Leva  e  condotto  nel  castel- 
lo di  Pavia  (1),  dove  il  di  24  andò  il  marchese  in  compagnia 
del  medesimo  Antonio  de  Leva  e  dell'abate  di  Nagera  a 
esaminarlo  proprio  sopra  quelle  cose  che  insieme  avevano 
negoziate,  e  il  Morone  alla  presenza  di  essi  confessò  (2)  e 
stese  poi  in  iscritto  tutto  l'ordine  della  congiura,  accusando 
il  duca  di  Milano  come  conscio  di  ogni  pratica,  ch'era  quel- 
lo che  principalmente  si  cercava  (3).  Volse  bensì  forti  parole 
al  traditore,  siccome  colui  che  né  vassallo  era,  nò  suddito 
dell'  imperatore,  né  per  alcun  legame  di  giuramento  tenuto 
ad  obbedienza;  ma  appunto  per  ciò  come  rendersi  ragione 
dell'  avergli  svelato  i  segreti  del  signor  suo,  senza  presup- 
porre il  reo  intendimento  di  scolpare  sé  stesso?  Ahi  quanto 
dall'altezza  d'animo  altra  volta  ammirata  lo  veggiamo  cadu- 
to I  Io  non  scrivo  panegirici,  ma  storia,  ed  allo  afletto  dell'I- 
talia debbo  non  meno  la  lode  delle  azioni  nobili  di  lui,  che  il 
biasimo  delle  indecorose.  Due  giorni  dopo  l'interrogatorio 
inflittogli  raccomandavalo  il  Pescara  a  Cesare,  perchè  non  a- 
vesse  a  patir  nulla  (4),  e  il  di  seguente  provvedeva  a  smurar- 
gli gli  averi  (5). 


(1)  Ibidem,  pag.  500  e  Rapporto  di  Rosso  dall'Olmo  17  ott. 
1525.  Marin  Sanuto,  t.  XL,  p.  71.  Né  in  questo,  né  nella  cronica 
del  Grumello,  pag.  380,  troviamo  che  il  Leva  fosse  nascosto  dietro 
agli  arazzi  per  udire  i!  colloquio  del  Morone  col  Pescara. 

(2)  Lettera  precitata  del  Pescara  25  ott.  1525,  pag.  505. 

(3)  Esame  di  Morone  in  carcere,  Tullio  Dandolo  op.  cit.  pag. 
148-179.  Lo  si  trova  eziandio  nelP  Archivio  di  Simancas  sotto  il 
titolo  Istrumento  originai  de  la  information  de  Hieronimo  Moron, 
Pavia  25  ott.  1525. 

(4)  Pavia  26  ott.  1525,  Lettere  del  Morone,  pag.  509. 

(5)  27  ott.  1525,  Tullio  Dandolo,  Ricordi  inediti,  op.  cit.  pagi- 
na 201. 


-  298  — 

Incarcerato  il  Morone,  non  tardò  un  istante  il  marche- 
se a  impadronirsi  di  Alessandria,  di  Pavia  e  di  Lodi,  e  con- 
temporaneamente mandò  al  duca  Sforza  nn  uomo  suo,  no- 
minato Brancamonte,  a  giustificare  l'operato,  quasi  fosse  per 
beneficio  comune.  Rispose  il  duca  sdegnosamente  (i).  Ha 
quando  venne  a  lui  l' abate  di  Nagera  a  quest'uopo  medesi- 
mo (2),  e  con  commissione  di  chiedergli  la  consegna  delle 
altre  città  e  fortezze,  toltone  il  castello  di  Milano,  perchè  vi 
era  dentro  la  sua  persona,  trovandosi  abbandonato  di  consi- 
glio e  di  speranza,  gli  diede  subito  facoltà  di  occupar  Como, 
Lecco,  Pizzighettone  e  Cremona,  non  riservando  per  sé  che 
il  castello  di  questa  ultima  città. 

Simulò  per  qualche  giorno  il  Pescara  di  starsene  con- 
tento, e  intanto  scriveva  a  Cesare  :  «  se  volete  aver  per  voi 
questo  stato,  come  Dio,  il  mondo,  e  la  ragione  addomandan- 
lo,  scrivete  al  duca  che  consegni  anche  i  castelli  di  Cremona 
e  di  Milano  e  che  venga  dinanzi  a  voi  ;  altro  non  vi  occor- 
re.. .  Domani  ricevo  il  corpo  di  Gesù  Cristo,  sembrandomi 
che  la  infermità  lo  richiegga,  e  senza  scrupolo  alcuno  assi- 
curo vostra  maestà  che,  al  vedere  di  tutti  noi  che  qui  siamo, 
questo  è  ciò  che  torna  a  bene  del  suo  servizio  »  (3).  «  Se 
volete  »  replicava  il  Leva,  «  esser  signore  d' Italia,  prende- 
te per  voi  lo  stato  di  Milano  che  n9  è  la  chiave  »  (4). 

Non  rispose  Cesare,  indotto  a  dissimulare  dai  sospetti 
dell'Europa;  ma  lasciò  che  il  Pescara  facesse.  E  fece  per  mo- 


li) Molto  mi  maraveglio  del  marchese  di  Peschara  che  l'habbi 
usato  questo  verso  di  me,  per  che  io  sum  certissimo  che  il  Moro- 
ne non  ha  errato  in  cosa  alcuna  et  mancho  io.  Lettera  dei  collegio 
oratori  in  Anglia  22  ott.  1525  msc. 

(2)  A  darle  muy  larga  cuenta  y  razon  de  ìas  infinitas  causa» 
que  para  esto  nos  havian  movido  sin  decirle  la  mas  essencial  que 
el  bien  sabe.  Lettera  precitata,  25  ott.  1522,  pag.  501. 

(3)  Ibidem,  pag.  503,  506. 

(4)  27  ott.  1525.  Ibidem. 


-  209  - 

do,  che  poco  dopo  richiese  anche  i  sopraccennati  castelli,  e 
perchè  il  duca  ricusò,  non  si  tenne  più  oltre  dal  dichiarare 
che  dalle  lettere  di  Domenico  Sauli,  oratore  milanese  a  Ro- 
ma, constava  aver  egli  profferte  la  sua  persona  e  lo  stato  per 
la  liberazione  dell' Italia  dalle  truppe  imperiali  (i).  Quindi 
dato  di  piglio  alle  armi  ridusse  in  poter  suo  il  castello  di 
Cremona,  e  cominciò  con  le  trincee  a  serrare  quello  di  Mila- 
no, instituendo  nello  stesso  tempo  regolare  processo  di  fel- 
lonia contro  il  duca.  Indarno  ne  fece  questi  gravissimo  risen- 
timento con  pubblica  scrittura  (2).  Le  contrappose  il  Pesca- 
ra la  prova  ch'egli  medesimo  aveva  di  sua  complicità  (3),  ed 
entrato  che  fu  in  Milano  mandò  a  chiamare  Alessandro  Ben- 
tivoglio,  Francesco  Visconti,  Tommaso  dal  Maino,  Jacopo  di 
Galerate  ed  altri  del  senato,  invitandoli  a  continuare  nel  lo- 
ro ufficio.  Risposero  che  farebbero;  quando  uno  di  loro  nel 
partire,  volgendosi  di  nuovo  al  marchese,  e  che,  disse,  intende 
farse  vostra  eccellenza  che  facciamo  V  officio  nostro  in  nome  di 
Cesare?  Ben  lo  sapete,  replicò  quegli,  e  allora  il  senatore 
richiamati  gli  altri  e  trattenutili  alquanto  a  consultare  neir  an- 
ticamera, tornò  al  Pescara  dichiarando,  che  essendo  venti- 
sette i  membri  del  senato,  e  soli  sette  i  presenti,  non  stava 


(1)  Lettera  del  Pescara  all'arciduca  Ferdinando,  4  nov.  1525, 
Bucholtz,  op.  cit.  t.  3,  pag.  14. 

(2)  Milano  13  nov.  1527.  Biblioteca  de  la  Acad.  d'hist  de  Ma- 
drid. A.  36  msc.  Della  stessa  data  è  la  lettera  scritta  in  Roma  da 
Jacopo  de  Banisio  air  imperatore,  colla  quale  difende  il  duca  dalle 
Imputazioni  che  gli  diede  il  Morone.  Ibidem  msc. 

(3)  Essendo  la  cosa  in  caso  claro  et  corno  verificato  et  essendo 
corno  scoperta  la  ventate  dal  principio  al  fine  corno  sa  epso  s.r 
Francisco  (Sforza),  quale  sa  che  el  prefato  s.r  Marchese  non  ignora 
dicti  andamenti  fin  dal  cominciamento,  anzi  a  la  giornata  li  ha  in- 
tesi et  saputi  per  voluntate  depso  s.r  Frane,  et  alcuna  volta  di  sua 
bocca  propria.  Risposta  del  marchese  di  Pescara  al  manifesto  del 
duca,  13  nov.  1525.  Ibidem,  msc. 


—  300  — 

a  loro  il  rispondere,  ma  che  quel  di  stesso  sarebbero  tutti 
adunati  e  delibererebbero.  La  deliberazione  fu  che  se  faces- 
sero l'ufficio  in  nome  di  Cesare,  non  meriterebbero  fama  di 
nomini  giusti  e  dabbene,  avendo  già  promesso  e  giurato  fe- 
de al  duca.  Udito  questo,  ordinò  il  Pescara  per  decreto  47 
novembre  che  obbedissero  sotto  pena  di  confiscazione  de' be- 
ni, e  il  senato  imperterrito  rispose  :  voler  che  si  muti  titolo 
e  nome,  gli  è  far  contro  ragione  e  giustizia,  non  essendo  anco- 
ra il  padron  nostro  giudicato  colpevole  e  privato  dello  stato; 
mancando  a  noi  stessi,  daremmo  a  credere  che  male  ad  altri 
amministriamo  il  diritto,  e  mancando  verso  il  duca,  chi  po- 
trebbe più  confidare  nella  coscienza  del  debi  to  nostro  (4)? 
Tanta  fermezza  del  supremo  magistrato  lombardo  è  confor- 
to, di  cui  Italia  gli  deve  gratissima  ricordanza. 

Non  s'acquetò  per  questo  il  marchese,  che  anzi  insi- 
stette più  che  mai  perchè  Milano  giurasse  fedeltà  all'impe- 
ratore; ood'  essa,  assediata,  bombardata,  esposta  ai  terrori 
d'un  governo  militare,  dopo  lungo  rifiutarsi  e  schermirsi, 
propose  infine  di  acconsentirvi,  ma  con  una  forinola  che  la 
obbligasse  soltanto  a  non  intraprendere  nulla  in  danno  di 
Cesare,  senza  far  parola  della  sua  dominazione  (2).  Non  De 
fu  pago  il  Pescara,  e  costretti  invece  i  cittadini  a  raccogliersi 
il  di  42  dicembre  per  parrocchie  e  ad  eleggere  in  ognuna  di 
esse  due  sindaci,  volle  che  questi  in  nome  di  tutti  giurassero, 
secondo  la  forinola  che  loro  mettevasi  innanzi,  fedeltà  a  Car- 
lo V,  e  a' suoi  successori,  promettendo  di  non  fare  né  prestar 
mano  a  cosa  alcuna  contro  di  lui,  di  denunziare  qualunque 
pratica  degli  avversarii,  e  di  condursi  in  breve  come  si  con- 
viene a  città  dipendente  da  Cesare,  suo  signore,  e  dal  sacro 
romano  impero  (3). 


(1)  Marin  Sanuto  t.  XL,  pag.  235-295. 

(2)  Ibidem,  pag.  359. 

(3)  Ibidem,  pag.  377. 


-  304  — 

Adempiuto  era  cosi  il  lungo  desiderio  degF  imperiali. 
«  Alessandria,  fortissima  città  »  scriveva  Antonio  de  Leva  a 
Carlo  V,  «  ci  mette  in  comunicazione  con  Genova  e  quindi 
colla  Spagna;  Lodi,  Como  e  Lecco  colle  terre  di  Germania. 
Per  ciò  torno  a  dire  che  questo  stato  è  la  chiave  d'Italia 
e  che  con  esso  facile  è  diventare  signore  di  lei,  e  chi  è  si- 
gnore dell'Italia  è  signore  del  mondo.  I  Romani  tardarono 
cinquecento  anni  ad  impadronirsene,  ma  poi  che  la  ebbero 
distesero  in  breve  lo  scettro  sull'universo.  Venite  adunque 
a  porvi  sul  capo  la  sua  corona,  e  di  qui  passerete  a  prendere 
quella  di  Gerusalemme  (A).  «  Pensi  vostra  maestà  »,  sog- 
giungeva il  Pescara,  «  ch'ella  è  predestinata  alla  causa  san- 
ta di  Gerusalemme,  e  che  questa  è  la  via  per  andarvi  »  (2). 
Persino  sulla  repubblica  veneta  volgeva  il  cupido  sguardo, 
consigliando  a  farle  guerra  ;  ma  non  coli' assalire  Crema  e 
Brescia  e  altre  terre  del  suo  dominio,  le  quali  essendo  fortis- 
sime non  si  otterrebbero  senza  gran  perdita  di  tempo  e  da- 
nari, si  col  portar  le  armi  direttamente  fino  alle  sponde  del- 
la laguna  ;  colà  per  mezzo  di  argini  deviarne  le  acque,  e  giu- 
gnere  poi  a  Venezia  camminando  sopra  fascine.  E  per  mo- 
strare più  agevole  la  impresa,  mandava  un  disegno  di  Vene- 
zia fatto  da  un  frate  dimoratovi  lungamente  (3). 

Restava  a  compiere  il  processo  contro  lo  Sforza.  Ma  la 
era  vana  apparenza,  e  di  esito  così  sicuro,  che  già  Cesare, 
sebbene  avesse  fermo  in  animo  di  tenere  per  sé  il  ducato  di 
Milano,  pure,  dissimulando  ancora  per  addormentare  il  pon- 
tefice (4),  faceva  le  viste  di  darne  la  investitura  al  duca  di 

(1)  Milano  15  nov.  1525.  archivio  di  Vienna. 

(2)  Descifrado  de  una  carta  del  marques  de  Pescara  a  Jo. 
Bapt.  Castaldo  y  a  Gutierrez.  Milano  16  nov.  1525.  Ibidem. 

(3)  Dispacci  di  Andrea  Navagero.  Em.  Cicogna.  Isc.  ven.  t.  6, 
pag.  «85. 

(4)  Lo  que  siento  de  S.  Sant.d  es  gran  temor  de  tener  por  de- 
terminado  que  V.1  Mag.d  tomara  para  si  el.ducadod&MUao,  qua 


—  308  — 

Borbone  (4),  coir  obbligo  di  pagare  cinquantamila  ducati  an- 
nui all'arciduca  Ferdinando,  in  cambio  dei  sali  cbe  pigliava 
quello  stato  da  lui,  ed  ottocentomila  all'imperatore  in  otto 
anni  (2). 

Nonpertanto  risoluto  mostravasi  lo  Sforza  di  fermar- 
si nel  castello  di  Milano,  avendovi  seco  ottocento  fanti  elet- 
ti, e  messevi  quelle  vettovaglie  che  comportò  la  brevità  del 
tempo.  Né  mancava  egli  di  far  fuoco  sopra  i  lavoratori  alle 
trincee,  ne  il  popolo  furibondo  a  tumultuare.  Ma  guai  a 
chi  gridava  il  suo  duca  (3)  !  e  poi,  per  grandi  che  fosse- 
ro le  speranze  di  soccorso  date  dal  papa  e  dai  veneziani, 
impossibile  era  a  lungo  andare  la  resistenza.  Però  Dio  non 
permise  che  il  Pescara  godesse  il  frutto  dell'opera  sua,  aven- 
dolo chiamato  all'eterno  giudizio  il  di  3  dicembre  4525  nel- 
la fresca  età  di  trentasei  anni.  Morì  con  fama  odiosa,  non 
temperatagli  dai  poetici  lai  della  sua  vedova  Vittoria  Colon- 
na, perchè  la  fedeltà  a  Cesare  disonorò  coli' affiggersi  alla  go- 
gna di  spia  :  ben  degno,  come  spesso  diceva  desiderare,  di 
avere  avuto  per  patria  più  presto  Spagna  che  Italia.  Ricordo 


es  articulo  que  por  ninguna  forma  puede  comportarlo  nj  le  basti 
dissimulacion  para  encubrirlo.  Le  dugue  de  Sesa  al  emperador, 
Roma  12  nov.  1525.  Biblioteca  de  V  Acad.  d  hUU  de  Madrid.  A. 
36msc. 

(1)  Clemente  pedia  (all'imperat.),  que  si  muriese  (il  duca  Sfora), 
tuviese  en  si  aquel  estado  y  que  no  lo  diese  al  archiduque  su  her- 
mano,  sino  a  alguna  olra  persona . . .  y  aun  le  senalò  que  lo  podia 
dar  al  duque  de  Borbon  o  a  don  Jorge  de  Austria,  su  tio,  hyo  natu- 
rai del  emperador  Maximiliano.  El  emperador  . . .  desde  luego  se- 
nalò al  duque  de  Borbon,  y  dio  la  vestidura,  (corno  dejo  dicho)  que 
era  el  primero  de  los  dos  que  el  Papa  babia  nombrado.  Sandoval 
op.  cit.,  t.  4,  pag.  305,  306. 

(2)  Dispacci  di  A.  Navagero,  1.  e.  pag.  184. 

(3)  11  povero  Milan  cridava  pensando  de  poter  cridar,  ma  fu 
una  mala  cosa  per  Milano.  Burigozzo,  Cronaca  di  Milano,  Arch. 
$tor.  ital.  t.  3,  pag.  443. 


—  305  — 

a  conforto  de' buoni  che  il  tristo,  sentendo  l'enorme  peso 
delie  sue  frodi  nell'animo,  cercò  scaricarsi  avanti  di  trapas- 
sare (4). 

VI.  La  morte  del  Pescara  diede  fiducia  di  opprimere 
più  facilmente  quell'esercito,  cui  era  mancato  un  capitano  di 
tanta  autorità  e  valore.  Massime  ai  Veneziani,  i  quali,  cono- 
scendo meglio  di  tutti,  per  il  caso  sopravvenuto  di  Milano, 
a  quale  estremo  si  trovasse  la  indipendenza  italiana,  abban- 
donate le  pratiche  di  accordo  riprese  col  protonotario  Carac- 
ciolo, e  rinfacciati  ad  Alfonso  Sanchez,  oratore  cesareo,  i  pa- 
timenti dello  Sforza  (S),  avevano  di  nuovo  stimolato  il  pon- 
tefice a  ristrignersi  con  essi  e  coi  fiorentini  per  la  comune 
difesa  (3),  questa  essendo  opportuna  preparazione  all'  allean- 
za di  Francia.  Se  grande  la  necessità  di  provvedere  al  peri- 
colo imminente,  non  minore  il  rimedio,  né  deboli  parevano 
i  suoi  fondamenti  :  romperebbe  Francia  la  guerra  alle  fron- 
tiere di  Spagna,  acciocché  Cesare  fosse  impedito  a  mandar 
gente  e  danari  in  Italia;  con  i  cinquantamila  ducati  da  essa 
promessi  ogni  mese  assolderebbonsi  diecimila  svizzeri;  usci- 
rebbero i  francesi  e  i  veneziani  in  mare  con  una  grossa  ar- 
mata per  assaltare  o  Genova  o  il  reame  di  Napoli,  mentre  i 
veneziani  medesimi  e  il  papa,  mettendo  insieme  milleotto- 
cento uomini  di  arme,  ventimila  fanti  e   duemila  cavalli 


(1)  Vi  lascio  (così  scrisse  nel  suo  testamento)  Hieronfmo  Mo- 
rone  qual  è  in  preggione,  et  voglio  che  si  supplichi  la  cesarea  Mae- 
stà istantemente  per  la  vita  sua  et  ogni  altro  benefìtio  che  gli  potrà 
lare,  et  che  non  voglia  che  quello  che  ho  discoperto  in  benefìtio  di 
S.  M.  abbia  ad  essere  per  condannatone  del  suddetto,  dato  el  caso 
che  lui  non  avesse  fatta  quella  opera  che  doveva  fare.  In  questo  S. 
M.  me  voglia  compiacere,  perchè  altrimenti  me  reputerei  essere 
caricato.  Tullio  Dandola,  Ricordi  inediti,  op.  cit.,  pag.  202. 

(2)  Secreta  Rogai.,  9  nov.  1525. 

(3)  Ibidem,  1525. 


-  304  - 

leggieri,  muoverebbero  contro  l'esercito  rimasto  in  Lombar- 
dia, non  grosso,  né  fornito  a  danari  ed  esecrato  da9 popoli; 
concorrerebbe  anche  il  duca  di  Ferrara,  purché  Clemente  vo- 
lesse contentarlo  di  Reggio,  che  già  possedeva. 

Restavano  le  difficoltà  altrove  notate  :  i  Francesi  dispo- 
sti a  posporre  ogni  rispetto  degli  amici  all'  interesse  loro,  e 
l'accordo  di  Cesare  col  re  prigione  tanto  più  facile  quanto 
fossero  maggiori  gli  apparati  e  le  forze  della  lega  fi);  queste 
in  gran  parte  composte  di  soldati  ancor  nuovi  e  di  poco  valo- 
re a  comparazione  dei  nemici,  quasi  tutti  veterani,  nutriti 
in  tante  vittorie  e  padroni  di  terre  ben  fortificate;  gli  eserciti 
delle  leghe  malagevoli  a  provvisioni  concordi.  Tra  siffatte 
difficoltà  e  gli  opposti  conforti  stette  perplesso  il  pontefice, 
come  al  solito  più  presto  menato  qua  e  là,  che  aiutato  a  risol- 
versi, da  Nicolò  Scombergh  e  da  Gian  Matteo  Giberto,  suoi 
principali  ministri;  affezionatissimo  l'uno, per  vincolo  di  na- 
zione, all'imperatore;  divenuto  l'altro,  persola  ragion  de'coa- 
trarii,  e  appunto  per  ciò  non  inconsiderato  fautore  de' fran- 
cesi (2).  Aggiungansi  le  arti  di  Cesare  in  condurlo  alle  sue 
voglie,  ora  con  melliflue  (3)  ed  ora  con  gagliarde  parole.  »  Gli 
direte  (così  scriveva  al  duca  di  Sessa,  ambasciator  suo  a  Ro- 
lli Dubito,  che  o  non  faranno  quello  VJS.  Stima,  o  se  pure  pen- 
seranno di  farlo,  con  ogni  piccol  vento,  che  di  Spagna  si  mostri 
loro  alor  proposito,  volteranno  subito  le  vele  ad  altro  cammino,  et 
lascieranno  gì' imbarcati  et  uccellati  da  bestie.  Gio.  Battista  Sanga 
a  mons.  di  Baivsa.  Roma  5  ott.,  1525,  Ruscelli,  Lettere  di  principi, 
1. 1,  pag.  176. 

(2)  Che  tal  fosse,  addimostranlo  le  lettere  di  sopra  citate,  e  par- 
ticolarmente quella  a  mons.  di  Baiusa  26  sett.  1525,  in  cui  parla  dei 
Francesi:  «  Hanno  horamai  raffreddato  tanto  gli  animi  di  chi  pri- 
ma gli  haria  creduto,  che  se  non  si  accendono  essi  per  riscaldar 
gli  altri,  et  danno  doppia  sicurità  di  quello  che  prima  se  gli  doman- 
dava, io  dubito  non  trovino  chi  corra  con  pericolo  di  esser  poi  ab- 
bandonato o  sul  cominciare  o  a  mezzo  del  ballo  ».  Ibidem,  pag.  175. 

(3)  11  doit  travailler  de  tous  ses  moyens  à  contenter  le  pape, 


—  305  — 

ma)  cbe  vi  è  noto  donde  procede  la  renitenza  sua  a  convenir 
meco,  e  ch'ei  dovrebbe  ben  pesare  lo  stato  degli  affari;  gli 
forate  comprendere  la  importanza  della  nostra  unione  per  il 
servigio  di  Dio,  per  la  esaltazione  della  sua  chiesa  e  per  il  ri- 
paro degli  errori  di  Lutero  »  (i  ).«  Quanto  a  quest'ultimo,  se 
sua  santità  crede  che  la  presenza  dell'imperatore  sia  mezzo 
efficace  ad  estirparne  la  eresia,  ella  dovrebbe  disporre  le  co- 
se per  modo,  eh'  egli  possa  recarsi  in  breve  tempo  e  con  sod- 
disfazione di  sé  medesimo  in  Germania  »  (2).  Tuttavia,  tro- 
vandosi Clemente  in  termine,  secondo  l'arguta  elocuzione 
del  Guicciardini,  che  anche  il  non  deliberare  era  specie  di 
deliberare,  s'inchinò  infine  a  concordarsi  coi  veneziani  e 
a  distendere  i  capitoli  della  confederazione  italiana.  Ma 
tale  era  sua  natura  irresoluta  che  nelP  eseguire  quanto  pure 
aveva  stabilito,  ogni  piccolo  riguardo  che  di  nuovo  se  gli  sco- 
prisse, ogni  leggiero  impedimento  che  se  gli  attraversasse,  ba- 
stava a  farlo  ritornare  nella  confusione  di  prima,  perchè  rap- 
presenta ndoseg  li  allora  innanzi  solamente  le  ragioni  neglet- 
te da  lui,  non  rivocava  nel  suo  discorso  quelle  che  lo  aveva- 
no mosso  ad  eleggere,  per  la  comparazione  delle  quali  si  sa- 
rebbe indebolito  il  peso  delle  contrarie  (3).  Non  mancava  al- 
tro che  lo  stipulare  i  sopraccennati  articoli,  quando  ebbe  nuo- 
va essere  arrivato  a  Genova  il  commendatore  Errerà,  man- 
dato a  lui  da  Cesare,  e  tanto  valse  a  fargli  sospendere  la  sot- 
toscrizione, con  gravissima  querela  degli  ambasciatori,  ai  qua- 
li aveva  dimostrata  ferma  intenzione  di  apporta  il  giorno  me- 
desimo. 

Portava  l'Errerà,  per  la  ratificazione  del  pontefice,  il 

et  lui  parler  avec  la  plus  grande  douceur.  Charles-Quint  au  due 
de  Sessa  Toledo  23  ag.  1525.  Gachard.  Corresp.  de  Charles-Quint 
et  d'Àdrien  VI,  op.  cit ,  pag.  221. 

(1)  Toledo  31  ott.  1525.  Ibidem,  pag.  223. 

(2)  Toledo  31  ott.  1525,  Ibidem,  pag.  224. 

(3)  Francesco  Guicciardini,  Storia  d'Italia  t.  3,  pag.  211. 

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—  306  — 

convegno  firmato  da  Cesare  col  cardinale  Giovanni  Salviati 
a  fine  di  orpellare  i  suoi  disegni  su  Milano  e  d'impedi- 
re nuovi  movimenti  in  Italia.  Davasi  a  credere  in  esso  di  con- 
tentare Clemente  della  restituzione  di  Reggio  e  di  Rubie- 
ra,  e  della  conservazione  del  duca  Sforza,  con  patto  espresso 
che  nel  caso  dì  sua  morte  non  potesse  Cesare  avere  per  sé 
quel  ducato,  né  darlo  air  arciduca  suo  fratello,  ma  ne  inve- 
stisse il  Borbone,  che  Clemente  medesimo  assai  inconsidera- 
tamente, per  le  instanze  dello  Schomberg,  gli  avevs  propo- 
sto, insieme  con  Giorgio  d'Austria,  fratello  naturale  di  Massi- 
miliano imperatore,  nel  tempo  che  per  la  infermità  fu  quasi 
disperata  la  vita  dello  Sforza  (1).  Fatto  quel  convegno,,  il 
cardinale  Salviati,  (  per  vizio  delle  commissioni  e  della  va- 
nità sua  lusingata  dalle  onoranze  ricevute  alla  corte  di  To- 
ledo (2)  )  non  aspettato  che  da  Clemente  avesse:  la  perfezio- 
ne, diede  a  Cesare  il  breve  tanto  desiderato  della  dispensa 
per  il  matrimonio  con  la  sorella  del  re  di  Portogallo;  la 
quale  dispensa,  essendo  stesa  prima  con  espressione  sola- 
mente dello  impedimento  in  secondo  grado,  senza  nominare 
la  principessa  (3),  per  manco  offendere  il  re  d'Inghilterra, e 
perchè  avendovi  tra  loro  doppio  vincolo  di  affinità  non  fosse 
fatta  menzione  se  non  del  vincolo  maggiore,  fu  necessario  far- 
ne un'altra  che  con  espressa  aominazione  delle  persone  com- 
prendesse tutti  gl'impedimenti.  Né  di  ciò  solo  lo  compiac- 
que il  pontefice;  che  anche  la  crociata,  un  momento  prima 

(1)  Sandoval,  1.  e.  t.  4,  pag.  305. 

(2)  Questa  dimostratone  di  S.  M.  Ces.  è  stata  grandissima  et 
mollo  notata  in  questi  regni,  et  ben  ha  dimostro  in  questo,  come  io 
tutte  le  altre  actiooi  di  S.  M.,  la  bontà  et  sincerità  de)  animo  suo  et 
la  divotione  verso  nostro  Signore  et  cotesta  santissima  sede.  Let- 
tera del  card.  Giov.  Saldati  TI  sett.  —  3  ott.  1525.  Mulini  Doc.  di 
stor.  ital.  t;  1  pag.  194. 

(3)  Poupet  de  la  Chaux,  gesandter  in  Portugal,  an  den  Kaiser. 
20  ott.,  1525.  Lanz  Corresp.  1. 1,  pag.  173. 


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negata,  gli  concesse  liberamente,  e  per  essa  una  rendita  di 
seicentouiila  ducati  (i). 

E  il  convegno  medesimo,  benché  negli  articoli  del  sale 
ò  delle  cose  beneficiali  di  Napoli  diverso  dagli  antecedenti  ac- 
cordi col  viceré  Lannoy,  avrebbe  infine  accettato,  se  della 
sincerità  di  Cesare  fosse  rimasto  persuaso.  Ma  nel  capitolo 
risguardante  lo  Sforza  troppo  era  manifesto  I"  artificio  di  non 
far  motto  del  processo  instituito  contro  di  lui,  per  riservarsi 
la  facoltà  di  disporre  del  ducato  anche  in  caso  di  sua  morte 
civile  per  condanna  di  fellonia,  pareggiata  dalle  leggi  alla  natu- 
rale. Però  ne  dolse  il  pontefice,  e  l'oratore  imperiale  replicò 
dettasse  egli  stesso  la  forma  di  quel  capitolo  e  sarebbe  in  ter- 
mine di  due  mesi  approvata, purché  infrattanto  non  istrignes- 
se  lega  coi  veneziani  e  con  Francia.  Conobbe  ognuno  non  es- 
sere questa  offerta  intesa  chea  guadagnar  tempo; e  nondime- 
no vi  acconsentì  Clemente  con  grandissimo  dispiacere  degli 
altri  ambasciatori  (2).  Ben  mostrò  di  sentire  i  doveri  suoi  e 
di  Carlo,  quando  descrivendo  a  quest'ultimo  lo  sbigottimento 
cagionato  dalla  occupazione  del  Milanese,  cosi  diceva  :  «  quel- 
li che  di  sé  temevano  ed  a  vostra  maestà  erano  poco  amici, 
dod  cessarono  confortarci  che,  da  buon  principe  italiano  e  da 
vero  papa,  proibissimo  la  servitù  e  l'oppressione  d'Italia. ., 
e  benché  noi  alcuna  volta  fossimo  d'animo  sospesi  e  dubbii 
della  mente  di  vostra  maestà  verso  noi,  vedendo  da' ministri 
suoi  fattici  molti  oltraggi  nel  nostro  stato  e  sudditi,  nientedi- 
meno mai  non  volemmo  stringere  conclusione,  che  ci  levas- 
se dall'amicizia  e  dall'amore  di  quella  . .  tenendo  ferma  spe- 
ranza, che  quel  che  tante  volte  ha  promesso  di  stabilire  in  li- 
ti) Lettera  precitata  del  cardinale  Salviati  pag.  J97-199. 
f2)  Questo  tempo  habbiamo  statuito  contra  il  volere  d*  ogn'uno, 
parendo  a  tutti  gli  altri  che  non  si  dovesse  perdere  r  occasione,  et 
ch'ogni  tempo  sia  pregiudiciale  alle  cose  d'Italia.  Lettera  di  Cle- 
mente VII  a  Carlo  V 16.  dicem.  1525.  Ruscelli  Lettere  di  principi  t. 
1.  pag.  178. 


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berta  i  potentati  d'Italia,  ora  tanto  più  diligentemente  farà, 
quanto  l'occupazione  del  Milanese  fu  a  questa  aspettazione^ 
più  contrario.  Vostra  maestà  tante  volte  ha  detto  voler  la  pa- 
ce e  la  libertà  d'Italia;  eccone  il  tempo;  col  restituire  lo  sta- 
to al  duca  di  Milano  levi  dagli  animi  d'ognuno  una  paura  » 
disperazione  tale,  che  può  accender  grave  incendio.  Questi 
atti,  figliuol  nostro  carissimo,  la  morte  e  il  tempo  non  pos- 
sono annichilare;  col  sacrificare  qualche  disegno  particolare 
al  ben  pubblico  si  guadagna  il  cielo,  ed  appresso  la  posterità 
nome  immortale  »  (4).  Oh  del  cielo  e  del  nome  da  lasciare 
nella  storia  avesse  egli  preso  per  sé  medesimo  quella  solle- 
citudine che  altrui  inutilmente  raccomandava!  Vero  è  che  la 
lega,  sottoscritta  prima  che  il  re  di  Francia  tornasse  in  li- 
bertà, poteva  diventare  in  mano  della  reggente  uno  spaurac- 
chio opportuno  a  fare  il  suo  prò  con  danno  de*  collegati,  men- 
tre all'incontro  presumibile  era  che  quanto  Cesare  avesse 
minore  necessità,  tanto  sarebbero  più  gravi  le  condizioni  im- 
poste al  re  prigionie  maggiore  lo  stimolo  a  violarle.  Ma  quan- 
do bene  questo  fosse  stato  il  motivo  della  dilazione  accorda- 
ta, chi  non  vede  che  il  sedurre  all'  abuso  della  vittoria  per 
farne  fondamento  a  nuova  guerra  mal  si  conveniva  colla  di- 
gnità pontificale?  £  a  che  cercarlo  tanto  alto,  se  nel  deside- 
rio in  lui  connaturale  di  allungare  al  possibile  il  comi nciameo- 
to  delle  spese  e  delle  molestie,  lo  abbiamo  più  ovvio  e  meglio 
conforme  alle  cose  per  lo  innanzi  e  appresso  operate? 

Sia  comunque,  come  ricevette  Carlo  V  il  capitolo  diste- 
so dal  pontefice  in  beneficio  di  Francesco  Sforza,  comprese 
subito  che  gli  faceva  mestieri  interrompere  la  lega  avversa- 
ria. Poteva  egli  a  sua  scelta  o  accordarsi  col  re  di  Francia 
in  danno  dell'Italia,  o  tenersi  amica  Italia  per  deprimere  Fran- 
cia; quel  partito  vedemmo  consigliato  dal  Pescara;  questo 
da  Mercurino  da  Gattinara  gran  cancelliere.  Carlo  non  seguì  né 

(I)  Ibidem. 


-  309  - 

l'ano  né  l'altro,  appigliandosi  ad  un  terzo,  ch'era  di  stendere 
contemporaneamente  lo  scettro  sull'Italia  e  sopra  alcuna  delle 
migliori  provincie  di  Francia.  In  questo  modo  mancò  non  pur 
d'animo  generoso,  sì  ancora  di  retto  discernimento.  Milano  e 
Genova  aveva  conquistato;  ma  non  un  palmo  di  terra  in  Fran- 
cia; la  sua  invasione  era  stata  respinta;  impossibile  nelle 
condizioni  d'allora  il  ritentarla.  Voleva  adunque  prudenza 
che  stesse  contento  alla  rinuncia  delle  pretensioni  francesi 
suir  Italia,  e,  poiché  non  poteva  abbattere  la  Francia,  guada- 
gnasse il  re  prigione  per  farsi  dell'antico  rivale  un  nuovo 
alleato.  Non  è  dubbio  che  l'avrebbe  fatto  per  qualche  tem- 
po, e  questo  tempo  sarebbegli  bastato  a  sicurare,  non  la 
sognata  monarchia  universale,  ma  la  preponderanza  almeno 
della  casa  d' Austria. 

Se  voi  vorrete  trattarmi  come  merita  un  re  di  Francia 
che  si  vuol  rendere  amico  e  non  disperato,  state  certo  di  fare 
un  acquisto,  e  di  avere  un  re  vostro  schiavo  per  sempre,  in 
luogo  d'un  prigione  inutile  (4):  così  avevagli  scritto  sin  da 
principio  Francesco,  in  quel  tempo  medesimo  che  ai  grandi 
del  regno  prometteva  di  aver  a  somma  ventura  il  rimanere 
in  carcere  anche  tutta  la  vita  per  la  libertà  del  suo  paese  (2). 

Mal  rispose  Cesare  alla  fiducia  del  vinto  nella  sua  gene- 
rosità, designando  a  plenipotenziarii  delle  negoziazioni  di  pace 

(1)  Papìers  d'ètat  du  cardinal  de  Gran  velie,  t.  1,  pag.  267. 

(2)  Soyez  seurs  que,  comrae  pour  mon  honneur  et  celluy  de 
ma  nassyon,  j*é  plustost  esleu  l'onneste  pryson  que  l'onteuse  fuyte, 
ne  aera  jamés  dyt  que  sy  je  n'  é  esté  sy  eureulx  de  faire  bien  à  mon 
royaulme,  que  pour  envye  d'estre  delyvréjey  face  mal,  se  esti- 
mante bien  eureulx  pour  la  libertè  de  son  pays  toute  sa  vye  desmeu- 
rer  en  pryson.  Aimé  Champollion  Figeac  Capti  vite  du  roi  Francois 
I.er  Paris  1847,  pag.  160.  Concorda  con  quel  che  disse  a  Paolo  Lu- 
sascho  :  che  non  bisogna  che  V  imperator  si  pensi  farlo  far  ninna 
cosa  che  sia  in  dishonor  suo  che  più  presto  se  ne  moreria  in  pri- 
gione. Lettera  di  Paolo  Lusascho  al  march,  di  Mantova  Pizzighet- 
tone  2  marz.  1625.  Mariti  Sanuto,  t.  37. 


—  510  — 

il  duca  di  Borbone,  il  viceré  Lannoy,e  quel  medesimo  Adria- 
no di  Croi,  signore  di  Reux  e  di  Beaurain,  stato  principale 
strumento  alla  fellonia  del  primo  nominato.  Né  meno  graii 
ed  offensive  erano  le  condizioni:  alleanza  contro  i  Turchi 
coir  imperatore  che  sarebbe  capo  della  impresa,  e  matrimo- 
nio del  delfino  colla  infanta  Maria  di  Portogallo,  nipote  di  Ce- 
sare; restituzione  del  ducato  di  Borgogna  con  tutte  le  altre 
contee  e  signorie  possedute  da  Carlo  l'Ardito  avanti  di  mo- 
rire, compresa  la  Picardia;  cessione  della  Provenza  al  duca 
di  Borbone,  la  quale  congiunta  cogli  antichi  suoi  dominii  eri- 
gerebbesiin  regno  indipendente  dalla  Francia;  restituzione 
al  re  d'Inghilterra  di  tutto  ciò  che  gli  appartiene  giustamen- 
te (4),  e  pagamento  al  medesimo  delle  somme  promesse  da 
Cesare  ;  cassazione  delle  sentenze  date  contro  il  Borbooe.e 
gli  amici  suoi.  Tutto  ciò  sotto  specie  di  moderazione,  perii 
bene  della  cristianità,  potendo  Cesare,  secondo  che  leggiamo 
nella  sua  instruzione,  dimandare  Francia  intera,  già  dona- 
ta ad  Alberto  d'Austria  da  papa  Bonifacio  Vili  (2). 

Le  pretensioni  esorbitanti  accolse  il  consiglio  di  reg- 
genza con  un  grido  d'indignazione.  Io  non  veggo  mezzo  <ft 
far  pace  con  questi  Francesi^  scrisse  il  signore  di  Reux  e 
di  Beaurain,  incaricato  di  proporle,  essi  sono  piti  intrepi- 
di Normandia,  Gujenna  e  Guascogna.  Papiersd'étatdu  cardi- 
nal de  Granvelle,  t.  1,  pag.  265.  Al  iempo  che  furono  proposte  que- 
ste condizioni,  non  s' era  ancora  il  re  d'Inghilterra  disciolto  dall'al- 
leanza di  Cesare. 

(2)  Eussions  licitement  peu  pretendre  tout  le  demourant,  atten- 
du  que,  par  les  mesmes  chroniques  de  France,  peult  apparoir  cora- 
me pape  B.oniface  Vili  priva  le  roy  Philippes  le  Bel  de  tout  le  ro- 
yaulme  de  France  et  de  tout  ce  qu'H  tenoit,  et  le  adjugea  et  con- 
ceda a  T  archiduch  Abel  d'Àustriche,  empereur  des  Romains 

et  n'est  cestuy  moindre  tiltre  que  celuy  par  lequel  pape  Zacharie 
priva  le  roy  Chiderich  dudict  royaulme  de  France,  et  le  conceda 
au  roy  Pepin,  duquel  ont  pretendu  droit  tous  les  roys  de  France, 
Madrid  28  raars.  1525.  Capticité  du  voi  Francois  /.ir  pag.  150. 


-  SU  - 

diche  mai  (\)\  Anche  il  re,  all'udirle,  esclamò  :  piU  presto 
morire  in  prigióne  (2);  dichiarati  poi  impossibili  quasi  tutti 
-gli1  articoli  è  facile  quello  del  Borbone,  purché  non  lo  vedes- 
te giammai  (Sbraiterà  risposta  di  suo  pugno  mandò  a  Cesare 
con  don  Ugo  di  Moncada,  liberato  in  cambio  del  maresciallo 
di  Montmorency.  Ma  al  primo  impeto  dell'animo  tennero 
■dietro ben  tosto  i  consigli  della  doppiezza;  onde  si  affrettò 
#i  proporre  condizioni  diverse,  non  meno  disonorevoli.  La 
cessione  di  provincie  appartenenti  alla  corona  aveva  poc'anzi 
rifiutato,  non  comportandolo  le  costituzioni  di  Francia;  e  pur 
ora,  con  violazione  manifesta  delle  medesime,  offeriva  di 
ritenere  là  Borgogna  come  dote  di  Eleonora,  sorella  di  Cesa- 
re, che  piglerebbe  in  moglie,  morendo  la  quale  senza  figli 
maschi  succederebbe  in  quel  ducato  il  secondogenito  dell'im- 
peratore. Rinunciava  inoltre  alle  pretensioni  su  Genova, 
ifapoli  e  Milano,  non  riservando  i  diritti  su  questo  ultimo 
stato  che  per  uno  dei  figli  che  avrebbe  da  Eleonora.  Promet- 
teva poi  di  sciogliere  dal  vincolo  feudale  la  Fiandra  e  l'Àrtois, 
di  ricomperare  la  Picardia,  di  restituire  al  Borbone  i  dominii 
confiscati  e  di  aggiungergli  qualche  altro  stato  con  la  mano  di 
tifràr  principessa  francese,  di  soddisfare  al  re  d' Inghilterra 
con  dangrj,  e  di  contribuire  per  metà  alla  spedizione  contro 
gl'infedeli.  Più  indecorosa  ancora  la  offerta  di  somministrare 
-metà  dell'esercito  che  l'imperatore  volesse  adoperare  in 
Germania  e  in  Italia,  sia  per  andare  a  Roma  a  prendere  la 
corona  dell'  imperio,  sia  per  qualsivoglia  altra  impresa,  nes- 
suna eccettuata, nel qual  utimo caso  avrebbelo aiutato ezian- 


l-(l)  Aórien  de  Croy,  signeur  de  Beaurain  et  de  Roeux  à  Margue- 
rite d'Àutriche.  Saint-Just  sous  Lyon  lOàvr.  1525.  Le  Glay  Nègoc. 
dipi.  t.2,pag.  599. 

(2)  Papier»  d' état  de  Granvelle,  pag.  265. 

(3)  Résponses  du  rei  aux  articles  proposès  par  l'empereur. 
CaptivUé  op.  cit.s  pag;  166-168.  ..-.>. 


—  348  — 

dio  eoa  la  intera  sua  flotta  (i).  Al  par  di  Francesco  anche  il 
consiglio  di  governo  e  la  reggente  sua  madre  non  facevano 
difficoltà  di  sacrificare  Italia  (2).  Gli  era  un  concedere  lar^— 
gbissimo  degli  stati  altrui,  purché  il  re  ottenesse  la  libera- 
zione, senza  promettere  de'  suoi  (3). 

Veramente  offerte  di  talfotta  proprie  erano  a  diminuirà 
il  rispetto  del  vincitore  verso  un  principe  che  mostrava  non 
averne  di  sé  medesimo.  Condotto  non  guari  tempo  dopo  m 
Ispagna  s'  era  dato  a  credere  che  Cesare  l'avrebbe  ammesso 
immediatamente  al  cospetto  suo,  e  Cesare  il  lasciò  invece 
struggersi  d'impazienza  un  mese  ancora  :  convenne  soltanto 
ad  iostanza  del  maresciallo  di  Montmorency  in  una  tregua 
per  tutto  dicembre  prossimo,  ebe  fu  sottoscritta  non  prima 
del  di  il  agosto,  essendo  quella  del  18  giugno  particolare 
per  i  Paesi  Bassi,  fatta  ad  arbitrio  della  luogotenente  Mar- 
gherita, e  da  lui  disapprovata  (4).  Contemporaneamente  ac- 
consenti ebe  venisse  a  trattare  la  concordia  Margherita  d'An- 
gouleme,  duchessa  di  Alen^on,  sorella  del  re;  ma  il  salvocoo- 

(1)  Les  articles  d'  un  tratte  de  paix  proposés  par  le  roi  etaot 
prisonuier  a  Pizzighitone,  et  portès  a  l'empereur  par  M.  de  Reux. 
Ibidem,  p.  170-173. 

(2)  Et  s' il  plaist  audict  seigneur  empereur  entrer  plus  avant  à 
traiter  du  fait  de  Itallie,  tant  pour  l' accroisement  du  royauroe  de 
Napples  et  duchié  de  Miliari,  que  aultrement  pour  le  perpetue!  èta- 
blissement  de  ses  estatz,  son  plaisir  sera  y  adviser.  Premiere  instru- 
ction  a  M.  dEmbrun  pur  traiter  de  la  delivrance  de  Franpoi*  I.er, 
Lyon  28  avr.  1525.  Ibidem,  pag.  177. 

(3)  L'aideroit  et  assisteroit  en  personne,  ou  avec  grosse  armée, 
comme  plaisroit  à  sa  majestè,  pour  le  fere  beaucoup  plus  grand, 
mesmes  sur  Feniciens  et  autres  potentas  d' Italie,  et  aussy  sur  les 
infideles,  avec  plusieurs  grandes  ofifres.  Lettre  de ... .  à  madame 
la  regente,  Toledo  2.  juin  1525.  Ibidem,  pag.  195. 

(4)  Je  trouve  bien  estrange  et  ne  me  scauroye  contenter,  que 
T  on  ayt  fait  telle  chose  san  premiere  scavoir  mon  intencion  et  avoir 
ordonnance  et  pouvoir  de  moy.  Carlo  V  a  Margherita,  Toledo  15 
ag.  1525,  IV.  Bradford  Corresp.  op.  cit.,  pag.  152. 


—  343  — 

dotto  promesso  sin  da]  mese  di  loglio  non  le  rimise  che  al 
primo  di  settembre,  e  verso  un  eguale  per  il  duca  di  Borbo- 
ne, senza  la  presenza  del  quale  affermava  non  poter  fare  al- 
cuna convenzione  (4). 

Andavano  in  questo  mezzo  alla  lunga  le  negoziazioni  in- 
cominciate il  di  20  luglio  a  Toledo  tra  Carlo  di  Lannoy,  Ugo 
di  Honcada  e  Lallemand,  agenti  imperiali,  e  gli  ambasciatori 
francesi;  tre  dei  quali  (Montmorency,  de  la  Barre,  e  Babou) 
rappresentavano  il  re;  altri  tre  (Francesco  de  Tournon,  ar- 
civescovo d'Embrun,  Giovanni  de  Selve  primo  presidente  del 
parlamento  di  Pungi,  e  de  Brion)  la  reggente  :  non  tutti  abili 
al  par  che  dotti.  Giovanni  de  Selve  con  prolisso  discorso,  in 
cui  fece  entrare  la  storia  di  Egitto,  di  Grecia  e  di  Roma,  la 
Scrittura  santa,  Garlomagno,  ed  altri  nomi  celebri,  invocò  la 
clemenza  del  vincitore,  proponendo  bensi  che  da  Francesco 
si  esigesse  il  riscatto,  ma  senza  domandargli  parte  alcuna 
del  regno,  che  non  era  in  facoltà  sua  di  alienare  (2).  Tanta 
verbosità  non  toccò  il  cuore  di  Cesare,  il  quale,  riconoscendo 
invece  che  a  lui  sarebbe  impossibile  recitare  tante  storie  e 
così  buoni  esempi  (3),  per  tutta  risposta  rimandò  gli  amba- 
sciatori a  discutere  co'  suoi  ministri  le  condizioni  dettate.  E 
l'effetto  fu  di  persuadere  che  Mercurino  da  Gattinara  e  Gio- 
vanni de  Selve  sapevano  molto  di  lettere,  ma  che  le  disputa- 
zioni  non  son  fatte  per  condurre  alla  pace  (4).  Continuarono 


(1)  Der  kaiser  an  den  crzherzog.  Ferdinand.  Toledo  31  lugl. 
1425.  Lani  Corresp.  t.  1,  pag.  166. 

(2)  Lettre  des  ambassadeurs  à  la  regente.  Cattivile,  pag.  255 
«257. 

(3)  Ibidem,  pag.  258. 

(4)  Que  T  on  scayt  bien  que  mona,  le  grant  chancellier  et  le 
president  sont  gens  de  grant  litterature;  et  l'uri  ne  s$auroit  donner 

à  entendre  à  Y  autre  qu'  il  eust  tort et  que  ces  disputations 

ne  sont  pour  parvenir  &  la  paix  Conference  de  Tolede  juillet  et  aoùt 
1525.  Ibidem,  pag.  281. 


—  su  — 

nonpertanto  le  conferenze,  ora  presso  il  grancancelliere- 
ora  presso  il- viceré  di  Napoli  :  i  discorsi  e  gli  scritti  succede — 
vansi  come  al. solito,  tanto  più  numerosi  quanto  si  era meiL 
vicini  ad  appunlare;  si  trascorse  ben  tosto  a  parole  piccan- 
ti (i);  e  infine  gli  ambasciatori  francesi  rimasero  convinti  chfe. 
Carlo. V  non  voleva  smettere  alcuna  delle  sue  pretensioni,;ri- 
soluto  a  profittare,  delle  angustie  del  re  prigione,  per  istrta- 
gerlo  a  cedere  la  Borgogna  (2), 

.Contro1  al  vero  è  sì  quanto  scrissero  gli  storici  dei  mali 
trattamenti  sofferti  da  Francesco,  avendo  gli  stessi  ambascia- 
tori francesi  attestato  che  fuor  della  libertà  no»  gli  restava 
altro  a  desiderare  (3);  ma  l'abboccamento  con  Carla  da  lui 
tanto  bramato  differivasi  di  giórno  in  giorno^  «e  riè  anco  allo- 
ra, che  fu  trasportato  nel  castello  di  .Madrid  .gli  si  manifestò 
la  intenzione  di  visitarlo  (4).  11  perchè,fatto  accorto  del  mol- 
to guadagno  calcolato  sopra  la  sua  detenzione,  il  di  16  agosto 
1523  protestò  in  iscritto  davanti  ai  plenipotenziarii  della  reg- 
gente, che  se  per  la  lunghezza  di  quella  fosse  sforzato  $  ca- 
dere la  Borgogna  e  qualsivoglia  altro  diritto  della  corona, 

(1)  Lettre  du  president  de  Selve  a  monsieur  le  cancelier  Du 
Prat.  12  aoiit  1 525,  Ibidem,  pag,  295. 

(2)  Que  la  ràisoh  et  honnestetè  ne  vouloit  que  le  sjeigneur  èm- 
pereiir  contraignist ...  de  laisser  et  abandonnér  icellé  ductìè,  par 
forre  ne  par  longue  prison  el  detention  de  sa  personne.  Première 
prolestation  du  roi  22.  aoùt  1525.  Ibidem,  p.  301. 

(3)  Tanl  et  si  humainement  traieté  et  honorè  de  ses  gardes,  par 
la  vòllonté  de  V  empereur,  qu'  il  n'  est  possible  de  plus,  hormis  la 
liberté.  Lettre  des  amba&sadeurs  au  parlement  de  Paris,  Toledo 
18  juil.  1525,  Ibidem^  pag.  253.  Garnier  e  dietro  lui  Robertson  dis- 
sero che  lo  si  lasciava  cavalcare  una  mula,  ma  come  un  reo  Con- 
dotto al  supplizio,  circondalo  da  guardie  armate.  Invece  il  signor 
de  la  Barre  scriveva  alla  duchessa  d'Alònpon:  Le  roi  s'en  va  mon- 
ter  a  chevat  pour  atler  à  vespres  à  Saint- Ger unirne,  lugl.  1525.  Ibi- 
dem, p.  252. 

(4)  Lettre  de  Charlcs-Quinl  à  Francois  I.er  juillet  1525.  Ibidem, 
p.  283. 


-  318  — 

una  tal  cessione  avrebbesi  per  nulla  e  di  nessun  effetto  (4). 
Non  guari  tempo  dopo  infermò  gravemente,  di  maniera  che 
i  medici  fecero  intendere  diffidarsi  della  salute  sua,  se  Ce- 
lare non  veniva  in  persona  a  confortarlo  (2).  Vi  andò  Cesare 
il  48  settembre,  e  la  visita  fu  affettuosa  quanto  mai,  piena  di 
parole  grate  (3);  perchè  troppo  importavagli,  sebbene  affet- 
tasse il  contrario  (4),  la  conservazione  di  una  vita  da  cui  di- 
pendeva i\  fruito  della  vittoria  di  Pavia.  Il  di  seguente  arrivò 
la  duchessa  di  Alen^on,  dopo  aver  divorata  la  strada  che  se- 
paravate dall'amato  fratello.  Fossero  queste  consolazioni,  o  la 
gioventù  per  sé  stessa  superiore  alla  natura  della  infermità, 
in  pochi  giorni  restò  Francesco  liberato  del  pericolo,  in  modo 
che  la  duchessa  sopraccennala  a*2  ottobre  potè  disgiugnersi 
da  lui  e  recarsi  a  Toledo,  dove  attendevate  l'imperatore.  Ivi 


(1)  Première  protestation  du  roi.  Ibidem,  pag.  303. 

(2)  Sendo  stato  fatto  intendere  alla  ces.  maestà,  la  quale  era  a 
caccia  assai  vicino  a  Toledo,  che  il  cristianissimo  stava  male,  et  che 
la  infìrmità  sua  era  causata  da  dispiacere  che  il  re  haveva  havuto, 
prima,  dell'essere  stato  ristretto  alquanto,  et  ancora  che  lo  impe- 
ratore era  passato  vicino  a  due  leghe  a  Madrid.  Lettera  del  card. 
Giovanni  Salviati  22  sett.  —  3  ott.  1525,  Molìni,  Doc.  di  fetor.  ital. 
t.  1,  pag.  1M. 

(3)  Lo  imperatore  P abbracciò  molto  amorevolmente,  dipoi  gli 
disse  che  non  pensassi  a  cosa  alcuna  se  non  a  guarire,  et  che  stéssi 
di  buona  voglia  perchè  le  cose  si  acconcerebbero  tra  runa  e  l'altra 
come  sua  maes.  volessi,  et  che  haveva  più  caro  la  vita  sua  chel  sta- 
to ....  et  T  altro  giorno  la  ces.  maes.  stette  in  Madrid  et  visitò  la 
mattina  et  la  seta  di  nuovo  il  chfistianis.  Ibidem,  pag.  192,  L'empe- 
reur  iuy  respoodit  par  telles  ou  semblables  parolles.  «  Mòn  frere, 
ne  vous  souciez  d' autre  chose  que  de  vostre  guarison  et  sante, 
car  quand  vous  voudriez  demeurer  prisonnier,  je  ne  le  voudrois 
pas,  et  vous  promets  que  vous  serez  delivrè  à  vostre  grand  lion- 
neur  et  contentement.  »  Captività,  pag.  471. 

(4)  L'imperatore  com'era  di  animo  che  nò  si  alzava  per  buona 
fortuna,  né  si  abbassava  per  avversa,  diceva  :  dominus  dedit,  do» 
minus  abstulit,  Dispacci  di  A.  Navagero,  1.  e,  p,  180. ..... 


-  316  - 

riprese  le  pratiche  della  concordia,  confidando  al  par  della 
reggente,  che  raccordo  già  firmato  coll'Inghilterra  e  gli  ap- 
parecchi guerreschi  dell'  Italia  varrebbero  a  far  quello  che 
onore,  virtù  e  generosità  non  ottennero  (4).  E  sarebbero  ba- 
stati in  altro  tempo,  purché  la  reggente  avesse  volto  real- 
mente il  pensiero  alle  armi  ;  ma  niuna  cosa  era  più  difficile 
ad  essa  che  abbandonare  le  trattative  con  quegli  che  poteva 
restituirle  il  figliuolo;  niuna  più  facile  a  Cesare  che  pascerla 
di  vane  speranze,  e  con  tal  arte  tenere  sospesi  gì'  italiani  in 
modo  che  non  ardissero  tentare  da  sé  la  loro  liberazione. 
Questo  aveva  ornai  conseguito,  e  messa  al  sicuro  la  Lombar- 
dia ;  onde  mentre  intratteneva  la  duchessa  con  dolci  paro- 
le (2)  e  il  re  prigione  con  nuove  lettere  amorevoli  (3),  lasciò 
che  i  ministri  suoi  persistessero  nelle  condizioni  innanzi  pro- 
poste, trascorrendo  sin  a  minaccie  (4).  Massima  era  la  con- 
tesa intorno  al  ducato  di  Borgogna,  che  Cesare  voleva  osti- 
natamente gli  fosse  restituito  come  proprio,  e  i  francesi  non 
consentivano  se  non  per  dote  o  per  decisione  de'parlamen* 
ti  (5).  Scrisse  allora  Francesco  a  Carlo  V  che  ben  compre* 
deva  non  esservi  modo  migliore  a  manifestargli  la  intenzione 

(1)  Fauldra  que  seulx  qui  sont  par  de  là  parlent  melleur  lan- 
gage  qui  n'  ont  fait  jusques  à  present;  et  ce  que  vertu,  honneur  et 
liberante  n'ont  volu  faire,  j' ay  esperance  au  bon  Dieu  que  necessité 
le  fera.  La  duchesse  cC  Angouleme  au  roi  juillet  1525.  Captività 
pag.  249. 

(2)  Il  me  tent  fbrt  bons  et  honnestes  propous.  Marguerite  d  A- 
lenpon  au  roi  octobre  1525.  Ibidem,  p.  342. 

(3)  Cbarles-Quint  au  roi.  oct.  1525.  Ibidem,  p.  344. 

(4)  Nòus  ont  estè  tenues  les  plus  autz  termes,  jusque  aux  me- 
naces.  Babou  au  marech.  de  Montmorency,  Toledo  5  oct.  1525.  Ibi- 
dem, p.  343. 

(5)  En  baillant  madame  Eleonor  votre  seur  en  mariage  au  roy 
et  davantaige  faisant  ung  mariage  de  sa  fìlle  et  de  mons.r  le  Dauf- 
fin,  par  lesquelles  alliances  vous  et  ledit  seigneur  roy  polrez  hon- 
nestement  transporter  votredit  droit  aux  enfans'qui  descendroient 
dudit  mariage.  L.  de  Praet  an  den  kaiser  14  nov.  1525.  Nous  leur 


—  3<7  — 

di  tenerlo  in  perpetua  prigionia;  ma  chf  egli  era  risoluto  a 
rimanervi,  finché  piacesse  a  Dio,  sperando  aver  da  lui  la  for- 
za di  sopportarla  (4),  e  dopo  parecchie  settimane  d' inutili 
dibattimenti  e  qnalche  vano  tentativo  di  evasione  (2),  fatta 
partire  sua  sorella  verso  la  fine  di  novembre,  segnò  un  atto 
di  abdicazione  a  favore  del  delfino,  riservandosi  di  ripren- 
dere la  sovranità,  se  mai  tornasse  libero  (3). 

Questo  atto  magnanimo  sembrava  dovesse  troncare  ogni 
pratica  di  accordo.  Carlo  V  non  avrebbe  più  avuto  in  mano 
che  una  persona  privata,  né  la  Francia  altro  impedimento 
alla  guerra.  Ne  la  stimolava  Inghilterra  :  la  morte  del  Pescara 
era  succeduta  in  buon  punto  per  rianimare  Italia  :  a  que'gior- 
ni  stessi  Solimano  faceva  accoglienza  lietissima  al  conte  Cri- 
stoforo di  Frangipane,  magnate  ungherese,  agente  di  Fran- 
cesco I  (4).  Come  imagi nare  si  portasse  in  pace  la  nuova  in- 

avons  repondu,  que  la  liberté  du  roy  ne  sera  point  baille,  que  na- 
yons  premier  la  possession  du  duche  et  appartenances  ....  et  que 
la  ou  avons  le  droit  si  clair  ne  falloit  nul  arbitro.  Der  kaiser  an  L. 
de  Prati  20  nov.  1525.  Lanz  Corresp.  1. 1,  pag.  181  e  189.  La  dif- 
fieullé,  relativement  à  la  Bour gogne,  a  consisté  en  ce  que  les  Fran- 
pais  voulaient  que  etite  question  fàt  décidée  par  les  pairs  de  France 
avec  le  parlement  de  Paris,  et  Vempereur,  que  la  decision  en  fàt  re~ 
mise  à  des  arbttres,  31  ott.  1525.  Gachard,  1.  e.  pag.  222. 

(1)  Ottobre  1525.  Captivité,  pag.  384,  le  roy  est  entièrement 
resolu  de  non  rendre  le  dit  Duche,  si  non  à  la  condition  avant  dite, 
et  plustot  choisir  prison  perpetuelle.  Nicolas  Perrenot  à  Marguerite 
d'Austrie  he,  Toledo  19  nov.  1525.  W,  Bradford,  Corresp.  pag.  187. 
Ciò  stesso  scrisse  il  Perrenot  di  Lione  a  di  22  die.  1525.  Le  Glay, 
Nègoc.  dipi.,  t.  2,  pag.  650. 

(2)  Un  secretaire  de  France  mal  content  est  venu  deverà  l'em- 
pereur,  et  a  declarè  une  emprise  faite  pour  sauver  le  roi  de  Fran- 
ce ...  et  est  prisonnier  un  capitain  italien  qui  estoit  de  l' emprise. 
Perrenot  à  Marguerite,  Toledo  18  nov.  Le  Glay,  Négoc.  t.  2,  pag.  644. 

(3)  Lettres  patents  pour  faire  couronner  le  daupbin  Francois 
nov.  1525.  CaptMté  p.  416-425  die.  1525. 

(4)  Chartier*  Nègoc.  avec  le  Levaut.  t  1,  pag.  119. 


—  318  — 

giuria  degli  onori  fatti  da  Cesare  al  duca  di  Borbone,  arri- 
vato alla  corte  di  Toledo  presso  a  poco  in  quel  tempo  che  se 
ne  andava  la  duchessa  d'  Alengon? 

Eppure  nell'istante  medesimo  che  le  minaccie  dell'Ita- 
lia riducevano  Carlo  in  necessità  di  concordarsi  col  re  Fran* 
cesco,  acconsenti  la  reggente  di  rimettere  la  quistione  della 
Borgogna  al  giudizio  di  arbitri,  e  persino,  se  ciò  fosse  inevi- 
tabile, di  restituirla  temporaneamente,  demolendo  però  le 
sue  fortezze  (i).  Ben  so  quali  ragioni  la  movessero  :  il  peso 
enorme  del  governo-;  la  salute  mal  ferma;  le  angustie  finan- 
ziarie; le  difficoltà  frapposte  dal  parlamento  nel)' interinare 
il  trattato  coll'Inghilterra  ;  qualche  segno  di  commozione  dei 
popoli;  la  fiducia  infine  di  ricuperare  quanto  prima,  la  pro- 
vincia ceduta  (2).  Resta  non  pertanto  accertato,  e  lo  affermo 
ad  ouore  del  consiglio  di  reggenza,  ch'ella  piegò  a  tanto  senza 
il  suo  consentimento.  Peggio  fece  il  re  Francesco,  natura, 
come  nessun'altra,  facile  a  concepire,  non  a  sostenere  azioni 
eroiche  :  nel  tempo  stesso  che  il  maresciallo  di  Montmorency 
recavasi  in  Francia  portatore  dell'atto  di  abdicazione,  diede 
facoltà  a' suoi  ambasciatori  di  accordare  in  modo  assoluto  fa 
rinunzia  della  Borgogna  (3). 

Parevano  così  adempiuti  i  tenaci  propositi  di  Carlo  :  ei 
riaveva  infine  lo  stato,  di  cui  portava  il  titolo  e  le  insegne, 
culla  de'suoi  avi,  accanto  a 'quali  s'era  fisso  in  mente  di  ripo- 
sare (4).  Soddisfatto  in  questo  e  in  altri  suoi  interessi,  ce- 


ti} Derniéres  instructions  à  ses  ambassadeurs,  fin  de  nov.  1525. 
Capticité,  pag.  408-415. 

(2)  (Bòurgogne)  qui  a  estè  toutefois  hors  des  mains  de  la  cou- 
ronne  et  depuis  y  est  retournè,  comrae  pourroit  encore  faire  avec 
l'ayde  de  Dieu.  Ibidem,  pag.  415. 

(3)  Pfoces-verbal  de  l'fnjonction  fàite  par  le  roi  aux  ambassa- 
deurs.  19  decem.  1525.  Ibidem,  pag.  441-443. 

(4)  Testament  de  V  empereur  Charles-Quint.  Bruges  22  mai. 
1522.  Papiers  d' état  du  card,  de  Granvelle,  1. 1,  pag.  253. 


—  31»  — 

dette  in  quelli  del  duca  di  Borbone  (cui  diede,  in  compenso 
dei  premi  per  lo  innanzi  promessi,  il  comando  dell'  esercito 
in  Italia  insieme  coli'  aspettativa  del  ducato  di  Milano),  e  il 
di  i£  gennaio  del  4526  Tu  conchiuso  a  Madrid  il  trattato  di 
pace.  Qbbligavasi  per  esso  Francesco  di  consegnare  in  ter- 
mine di  sei  settimane  seguenti  alla  sua  liberazione  il  ducato 
di  Borgogna,  il  contado  di  Charolois,  le  signorie  di  Noyers  e 
-c|i  Castel-Chinone,  il  viscontado  di  Ausonna,  e  la  terra  di  san 
Lorenza;  di  cedere  Tournai;  di  rinunciare  alla  sovranità  sui 
contadi  di  Fiandra  e  di  Àrtois,  e  di  restituire  tutti  i  beni  mo- 
bili ed  immobili  al  Borbone,  al  principe  Filiberto  d'Orafrge 
e  a  tutti  gli  altri  che  lo  avevano  seguitato.  Prometteva  poi 
<\\  abbandonare  i  suoi  alleati  alla  cupidigia  dell'imperatore  : 
insterebbe  che  Enrico  d'Albret  (fatto  prigione  alla  battaglia 
di  Pavia  ed  e>vaso  per  l'ardimento  del  suo  paggio  (i)  )  depo- 
nesse il  nome  e  le  insegne  di  re  di  Navarra,  e,  non  ottenen- 
dolo, negherebbegli  ogni  aiuto:  farebbe  lo  stesso  coi  duchi 
di  Gueldria  e  di  Vùrtemberg  e  con  Roberto  de  la  Mark;:  ce- 
derebbe le  sue  ragioni  sul  regno  di  Napoli,  sul  ducato  di  Mi- 
lano, su  Genova  ed  Asti,  e  darebbe  a  Cesare  truppe  di  terra 
e  di  mare  che  V  accompagnassero  in  Italia  per  là  sua  inco- 
ronazione a  Roma,  ch'eraf  come  dire  per  soggiogare  il  papa, 
i  Veneziani,  i  Fiorentini  e  i  duchi,  di  Milano  e  di  Ferrara. 
Addossatasi  infine  il  carico  dei  debiti  dell'  imperatore  verso 
il  re  d'Inghilterra  e  della  restituzione  a  Margherita  di  tutto 
quello  possedeva  ne'Paesi  Bassi  innanzi  alla  guerra.  A  sicur- 
tà di  questo  trattato  doveva  Francesco  prendere  in  moglie 
Eleonora,  sorèlla  di  Carlo;  e  il  Delfino,  Maria,  figliuola  della 
medesima;  ratificarne  le  condizioni  al  suo  arrivo  nella  prima 
terra  di  Francia,  e,  insino  a  tanto  fossero  giurate  dagli  stati 


(1)  Il  marchese  di  Pescaravoleva  liberarlo  versa  una'taglia  di 
800061  ducati,  ma;  Cesarei  glielo  impedì. Dispaccio  di  A.ftamgero. 
Toledo  2  settem.  1525.  E.  Cicogna*  .  tetris;;  v^.J;  6, '{>;*199.x  '■■ 


—  320  — 

generali  e  registrate  in  tatti  i  parlamenti  del  regno,  dare 
ostaggi  il  delfino  e  il  duca  di  Orleans  secondogenito  del  re,  o 
in  luogo  di  quest'ultimo  dodici  dei  principali  signori  nomi- 
nati da  Cesare.  Àggiungevasi  la  fede  data  di  ritornare  spon- 
taneamente in  carcere,  quando  per  qualunque  cagione  noa 
adempiesse  le  cose  promesse  (1).  Ma  il  dì  innanzi,  presenti 
tutti  gli  ambasciatori  francesi,  dichiarò  non  valido  quanto 
avrebbe  sottoscritto,  e  ferma  in  lui  la  intenzione,  eome  tor- 
nasse in  libertà,  di  mantenere  illesi  i  diritti  della  corona,  sai* 
vo  il  pagamento  di  un  conveniente  riscatto  (2).  Il  che  non 
tolse  che,  con  la  mano  sul  vangelo  e  gli  occhi  volti  al  cielo, 
giurasse  di  non  rompere  il  trattato  giammai. 

Certo  che  non  pur  la  religione,  sì  il  sentimento  della  di- 
gnità di  sé  stesso  sarebbe  bastato  a  farlo  più  tosto  soppor- 
tare la  sua  prigionia,  che  condiscendere  a  patti,  i  quali  avera 
in  animo  di  non  attenere.  A  pretendenze  estreme  parvegli 
lecito  invece  contrapporre  un  sotterfugio  estremo,  malgrado 
di  tanti  esempi  anteriori  ingiustificabile,  non  essendovi  ra- 
gione di  stato  che  prevaler  possa  alla  onestà.  E  tanto  fece 
assegnamento  sopra  l'assoluzione  pontificale  che,  mentre  a- 
privasi  col  nunzio  apostolico  di  non  voler  osservare  il  trat- 
tato (3),  contrasse  lo  sposalizio  che  ne  presupponeva  la  ese- 
cuzione. Pochi  giorni  dopo  ricevette  la  visita  dell'imperatore, 
e  ne  lo  compiacque  con  nuove  promesse  in  prò  del  Borbone 
e  de'suoi  partigiani.  Ned  è  a  dirsi  come  grandi  fossero  le  ce- 
rimonie e  le  dimostrazioni  di  amore  tra  loro  :  stettero  molte 
volte  insieme  in  pubblico  :  ebbero  soli  in  segreto  lunghissimi 
ragionamenti  :  andarono  portati  da  una  medesima  carretta 
al  castello  d'Illescas,  dov'era  la  sposa  Eleonora.  Non  però 

(1)  Du  Mont.  Corps  diplomai,  t.  4,  p.  44. 

(2)  Deuxièrae  protestation  du  roi  contre  le  traitè  de  Madrid. 
13.  janv.  1526.  Captivité,  pag.  477. 

(3)  Gio.  Matteo  Giberto  al  vescovo  di  Baiusa.  17  die.  1526.  /ta- 
tti//* lettere  di  principi,  t.  2.  p.  31. 


—  321  — 

io  tanti  segni  di  pace  e  di  amicizia  furono  allentate  al  re  le 
guardie,  non  allargata  la  libertà,  non  concessogli  persino  di 
aver  stanza  fuori  di  Madrid  (4).  Finalmente,  dopo  due  mesi 
passati  in  questi  andamenti,  essendo  già  venuta  la  ratifica 
della  reggente  con  la  dichiarazione  che  insieme  col  delfino 
darebbe  più  presto  il  secondogenito  che  i  dodici  signori, 
parti  Francesco  a'24  febbraio  da  quella  città,  per  trovarsi  ai 
confini,  dove  si  aveva  a  fare  il  cambio  della  persona  sua  con 
i  figliuoli. 

11  luogo  e  il  modo  furono  stabiliti  con  reciproca  cortesia 
e  diffidenza  (2).  Carlo  Y  aveva  oltracciò  ammonito  l' amba- 
sciator  suo  a  fissar  bene  in  faccia  que'  figliuoli  per  ricono- 
scerli al  momento  della  consegna  (3).  Nel  decimosettimo  gior- 
no di  marzo,  il  re,  accompagnato  dal  Lannoy,  dal  capitano 
Alargon  e  da  circa  cinquanta  tra  fanti  e  a  cavallo,  si  condusse 
in  riva  al  fiume  Bidassoa  che  divide  Francia  da  Spagna,  e  al 
medesimo  tempo  si  presentò  sull'  altra  riva  Lautrec  con  i 
due  statichi  e  con  numero  pari  di  scorta.  In  mezzo  al  fiume 
era  una  barca  vuota,  fermata  colle  ancore,  a  cui  accostaronsi 
contemporaneamente  in  sui  loro  battelli,  da  una  parte  il  re 
con  otto  compagni,  e  con  altrettanti  dall'altra  i  suoi  figliuo- 
li. E  come  furono  saliti  tutti  nella  barca,  passarono  questi 
nel  battello  imperiale,  e  quegli  saltò  sul  suo  con  tanta  pre- 
stezza che  la  permutazione  può  dirsi  avvenuta  in  un  momen- 


ti) Relation  de  ce  qui  se  passa  a  Madrid  entre  le  roi  et  l'em- 
pereur  —  Procès-verbal  du  traitement  fait  a  Francois  I.er  en  Espa- 
gne depuis  la  signature  du  tratte  de  Madrid.  Captivité,  pag.  503-509. 

(2)  Cèrèmonial  règie  pour  la  dèlivrance  du  roi.  Ibidem,  p.  510. 

(3)  Que  vous  voyez  bien  les  personnes  des  trois  enfans  de  Fran- 
ce,  et  que  vous  informez  si  bien  de  l'aspect,  philozomie,  corpulance 
et  qualitè  de  chacun  d' iceulx,  que  quand  viendra  à  la  dèlivrance 
qui  se  doit  faire  selon  le  tratte,  il  n'  y  ait  point  de  tromperie  de 
bailler  une  personne  pour  autre.  L'empereur  à  L.  de  Praet.  19  fevr. 
1525.  IV.  Bradford  Corresp.  pag.  209. 

21 


—  322  — 

lo  medesimo  (4).  Tiratosi  a  riva,  corse  il  re  senza  fermarsi  a 
Saint-Jean-de-Luz,  terra  sua  vicina  a  quattro  leghe,  e  di  là 
a  Baiona,  dove  attendevalo  sua  madre  e  tutta  la  corte  (2). 

Pochi  giorni  prima,  agli  undici  di  marzo,  celebrò  Cesare 
a  Siviglia  le  sue  nozze  con  Isabella,  figlia  del  re  defunto  di 
Portogallo,  e  sorella  di  Giovanni  HI  succedutogli  al  trono, 
donna  di  singolare  bellezza  e  virtù.  Ma  la  letizia  degli  spon- 
sali turbarono  ben  tosto  gli  avvisi  sopravvenuti  di  Francia. 

VII.  Per  me,  scriveva  il  Machiavelli  maravigliato  dell'ac- 
cordo di  Madrid,  per  me  dirò  sempre  che  V  imperatore  è  tm 
pazzo )  se  il  re  saprà  esser  savio  (3).  Savio  fu  Francesco  se- 
condo le  dottrine  del  Principe.  Ancora  in  sul  partire  aveva 
assicurato  Cesare  che  andava  in  Francia  per  adempiere  U 
cose  trattate,  alle  quali  non  mancherebbe  giammai  (4),  e  por, 
subito  che  arrivò  a  Baiona,  ne  differì  di  giorno  in  giorno  la 
ratificazione  (5),  fra  le  altre  scuse  adducendo  la  necessità 
di  ammollire  innanzi  gli  animi  de' suoi,  malcontenti  delle  ob- 
bligazioni che  offendevano  la  integrità  del  regno  (6). 

Queste  prime  risoluzioni,  onde  fu  aperta  sua  mente,  rin- 
francarono Italia,  minacciata  in  caso  contrario  d'irreparabile 
servitù.  De'  Veneziani,  stali  in  ogni  tempo  e  in  occasione 
molto  minore  principali  confortatori  di  guerra,  facile  è  ima- 


(1)  Extrait  des  registres  du  parlement  de  Paris.  Captivité,  pa- 
gina 522. 

(2)  Lettre  du  président  de  Selve  au  parlement  de  Paris.  Bayonne 
18  mars  1525.  Ibidem,  pag.  518. 

(3)  Lettere  familiari,  15  marzo  1526. 

(4)  Francois  I.er  a  Charles  V.  Février  1526.  Papiers  cP  état  du 
card,  de  Granvelle,  t.  1,  pag.  274. 

(5)  Le  roy  de  France  prend  delay  a  faire  ce  a  quoy  il  est  tenu 
vers.  v.  m.  Lannoy  an  den  kaiser,  Victoria  3  apr.  1526.  Lanz  Corresp. 
t.  l,pag.  196. 

(6)  Explications  du  roi  au  sujet  du  dèlai  qu'  il  apporte  à  la  rati- 
flcalion  du  traile  de  Madrid.  Le  Glay  Negoc.  dipi.  t.  2,  pag.  656. 


-  323  - 

ginare  gli  assidui  incitamenti  (I).  Al  qual  uopo,  per  non  in- 
terporre tanto  indugio  quanto  portava  la  solenne  ambasceria 
di  già  eletta,  avevano  mandato  con  gran  prestezza  in  Francia 
Andrea  Rosso,  segretario  de'Pregadi  (2).  Lo  stesso  consiglio 
seguì  poco  appresso  il  pontefice,  tornato  al  sospetto  che  la 
grandezza  di  Cesare  avesse  ad  essere  infine  la  oppressione 
sua.  Perchè  nella  risposta  al  capitolo  da  lui  disteso  rispetto 
al  ducato  di  Milano,  non  s' era  quegli  rimosso  dal  proposito 
d'investirne,  in  caso  di  privazione  dello  Sforza,  il  duca  di 
Borbone  che  ben  conosceva,  per  sicurtà  sua  o  per  cupidità  di 
entrare  in  Francia,  obbligato  a  stargli  sempre  soggetto;  né 
ammetteva  che  lo  stato  di  Milano  levasse  i  sali  della  Chiesa, 
.ed  ei  dovesse  riferirsi,  nelle  collazioni  beneficiali  del  reame 
di  Napoli,  al  tenore  delle  investiture,  anziché  all'uso  dei  re 
passati,  i  quali  le  avevano  disprezzate;  e  quanto  alle  terre  che 
teneva  il  duca  di  Ferrara  confermava  l'obbligo  della  restitu- 
zione, ma  con  patto  gli  fosse  rimessa  la  pena  della  contrav- 
venzione. Aggiungevansi  i  nuovi  soprusi  de'capitani  imperiali 
nel  Piacentino  e  nel  Parmigiano,  e  la  speranza  a  gran  lunga 
maggiore  che  per  lo  innanzi  di  poterli  superare,  essendovi 
grandissimo  apparato  di  armi  e  di  denari,  e  non  più  il  timore 
che  i  francesi  per  riavere  il  re  abbandonassero  la  lega  (3). 
Queste  ragioni,  o  meglio  la  penitenza  di  avere  aspettato  ozio- 
samente il  successo  della  giornata  di  Pavia,  fecero  passare  il 
pontefice  dalla  esitazione  alla  precipitanza.  Allorché  gli  si  no- 
tificarono le  condizioni  del  trattato  di  Madrid,  dichiarò  di  ap- 
provarle, presupposto  che  il  re  non  le  osservi;  ecco  V  unica 
differenza  che  avremo  allora  :  in  luogo  di  lui,  prigioni  i  fi- 
gliuoli; ma  con  questi  non  potrà  /'  imperatore  acconciare  il 

(1)  Lettera  del  collegio  5  febb.  1526.  Ardi.  ven.  msc. 

|2)  Secreta  Rog.  27  febb.  1526.  Ibidem. 

(3)  Giustificazione  dell'alleanza  che  papa  Clemente  aveva  stretta 
con  Francia  e  i  confederati  italiani,  contro  P  imperatore.  Fratw. 
Guicciardini.  Opere  inedite.  Firenze  1857, 1.  1,  pag.  378-394. 


-  324  - 

fatto  suo  (1).  Mandò  poi  per  aspettare  il  re  in  Francia  Paolo 
Vettori  generale  delle  galere  pontificie,  con  pubblica  commis- 
sione di  congratularsi  seco,  e  segreta  di  rimuoverlo  dal  con- 
fermare l' accordo.  Ma  Paolo  in  su  quella  via  essendo  morto 
in  Firenze,  andò  a  compiere  l'officio  Capino  da  Capo,  genti- 
luomo mantovano  (2),  accelerando  la  conclusione  dell'alleanza 
co9  potentati  italiani. 

La  tirò  in  lungo  Francesco,  nella  speranza  che  le  sole 
trattative  basterebbero  a  indur  Cesare  di  convertire  in  danari 
l'obbligo  della  restituzione  della  Borgogna;  nel  qual  caso, 
benché  altrimenti  asseverasse,  nessun  rispetto  delle  cose  d'Ita- 
lia 1*  avrebbe  ritenuto,  per  desiderio  di  liberare  i  figliuoli,  dal 
convenire  nuovamente  con  lui.  Convocati  i  notabili  di  quella 
provincia,  ed  avuta  la  concertata  ripulsa  di  separarsi  dal  re- 
gno (3),  questa  scusa,  insieme  colla  profferta  di  due  milioni 
di  scudi  in  compenso,  significò  al  Lannoy  e  ad  Alar$on  ve- 
nuti a  Cognac  per  certificarsi  della  sua  intenzione  (4),  ai  quali 
toccò  inoltre  sentir  da  molti  grandi  e  prelati  francesi  ram- 
mentato al  re  il  giuramento  della  incoronazione  di  non  alie- 
nare il  patrimonio  dello  stato. 

Come  lo  seppe,  si  turbò  forte  Cesare,  pugnendogli  anche 
T  animo  una  certa  vergogna  di  sua  fiducia  nella  osservanza 

(1)  11  vescovo  di  Worcester  al  cardinale  Wolsey  7  febb.  1526 
Raumer  Briefe  t.  1,  pag.  247. 

(2)  G.  Matteo  Giberto  a  raons.  di  Montmorency  1  marzo  1526. 
Molini  Doc.  di  stor.  ital.  1. 1,  pag.  200. 

(3)  Qual  conto  ne  facesse  Cesare,  abbiamo  nell'  Apologia*  dis- 
suasoriae  refutatio,  p.  884,  satis  piane  constai,  eos  duntaxat  voca- 
tos,  quos  rex  ipse  antea  stipendiatos  etjuratos  habebat. 

(4)  Je  ne  vois  apparence,  que  Fon  vous  rende  Bourgogne  par  le 
courier  que  vous  depeschai  mercredi,  avez  re^u  les  escrìts  que  le 
roy  de  France  nous  a  baillé  . . .  en  reponse  sur  tous  le  points  du 
traitè  fait  a  Madrid,  et  ce  qu'  il  vous  offre  de  faire.  Charles  de  Lan- 
noy à  l'empéreur,  Cognac  16  e  25  mai.  1526.  Le  day  Négoc.  dipi., 
t.  2,  pag.  660,  663. 


—  325  — 

del  trattato,  universalmente  derisa.  Sin  dal  principio  della 
prigionia  aveva  il  re  Francesco  dichiarato  ai  capitani  impe- 
riali, che  se  mai  fosse  violentato  a  cedere  la  Borgogna  od  al- 
tri diritti  della  corona,  farebbe  ogni  poter  suo  per  ricuperarli, 
non  si  tosto  tornasse  in  libertà  (4),  e  a  quanti  visitavanlo  a 
Madrid  diceva  scopertamente  lo  stesso  (2).  Udivalo  ricantare 
in  Francia  l' ambasciatore  imperiale,  e  perciò  consigliava  il 
padron  suo,  o  di  mettere  sì  al  basso  Francesco  che  non  gli 
possa  recar  danno  in  avvenire,  o  di  trattarlo  cosi  bene  che 
non  voglia  nuocergli  mai  più,  essendo  meglio  in  ogni  caso  te- 
ner prigione  il  re  per  qualche  tempo,  che  lasciarlo  partire 
mezzo  contento  (3).  Non  per  altro  che  per  questo  motivo,  cioè 
non  per  la  eccedenza  de'  patti,  sì  per  la  insufficiente  sicurtà, 
ricusò  sottoscriverli  il  grancancelliere  (4).  Indi  la  opinione  di 
alcuni  storici  che  Carlo  V  li  riputasse  del  pari  inattendibili,  e 
nulla  più  si  fosse  proposto  che  disonorare  l'eroe  di  Marignano, 
P  ultimo  paladino,  col  mostrarlo  codardo,  se  gli  osservava,  e 

(1)  Captivité,  pag.  303. 

(2)  Che  l' imperatore  faccia  una  delle  tre  cose,  o  mi  condanni 
ad  una  eterna  prigione,  o  mi  lasci  in  libertà  senza  darmi  taglia,  o 
pur  anche  se  vuole  la  Borgogna  gliela  darò  per  uscir  di  prigione; 
ma  che  non  isperi  mai  eh'  io  gli  sia  per  essere  amico.  Dispaccio  di 
A.  Navagero,  Toledo  30  ag.  1525,  E.  Cicogna,  Inscriz.  venez.  t.  6, 
pag.  179. 

(3)  Je  demeure  tousjours  dopinion,  que  vostre  mageste  doit 
bien  penser,  avant  que  laisser  partir  le  roy,  et  se  doit  traicter  en 
lune  des  deux  extremitez,  assavoir  de  mectre  luy  et  son  royaulme 
si  bas,  que  par  cy  apres  il  ne  puisse  grever,  ou  le  traicter  si  bien  et 
en  faisant  avec  sa  personne  sy  estroictes  alliances,  que  a  jamais  il 
ne  vous  veulle  mal  faire  . . .  encore  vauldrois  mieulx  tenir  le  roy 
prisonnier  pour  quelque  temps,  que  de  laisser  aller  a  demy  content. 
L.  de  Praet  an  den  kaiser  14  nov.  1525  Lanz  Corresp.,  t.  1,  p.  182. 

(4)  Il  gran  cancelliere  teneva  per  certo  che  il  re  di  Francia  non 
avrebbe  osservato  i  patti  della  pace,  e  tornava  domandare  licenza  a 
Cesare:  ma  l'imperatore  non  gliela  accordava.  Dispaccio  di  A.  Na- 
vagero, Toledo  29  gen.  1526. 1.  e,  pag.  185. 


—  326  — 

mentitore  se  falliva.  Ma  le  si  oppone  il  fatto  che  a  lui  pareva 
invece  di  esser  stato  troppo  discreto  (4);  e  per  vero  venuto 
in  necessità  di  convenire  o  col  re  di  Francia  o  col  papa  e  eoa 
gli  altri  d'Italia,  preferendo  lo  accordo  di  Francia  per  (àrsi 
padrone  dell'Italia,  aveva  manco  stimato  tante  ragioni  ch'erano 
in  contrario.  Potrei  addurre  molte  altre  prove  di  sua  fiducia: 
la  sorella  Eleonora  mandata  a  Vittoria,  per  entrar  come  re- 
gina in  Francia  subito  che  fosse  adempiuto  il  convegno,  e  il 
principe  Filiberto  di  Orange,  nominato  governatore  di  Bor- 
gogna, in  via  per  assumere  l'officio.  Ma  chi  non  sa  che  la  ri- 
cuperazione di  quella  provincia,  opportuna  a  cose  maggiori, 
stava  in  cima  a'  suoi  pensieri,  come  un  debito  di  onore,  una 
vendetta  dell'onta  patita  dall'avo  Massimiliano?  E  fermache 
in  lui  fosse  una  idea,  nessuna  difficoltà,  nessuna  forza  al  mon- 
do sarebbe  bastata  a  rimuoverlo.  In  questo  non  aveva  ancora 
appresa  la  virtù  del  conoscere  sé  stesso  (2).  Certo  è  che  al 
ricevere  i  sopraccennati  avvisi  di  Francia,  diede  libero  sfogo 
allo  sdegno,  rispondendo  :  se  il  re  non  può  adempiere  i  palli, 
ritorni  prigione,  e  verremo  poi  a  nuovo  accordo  (3). 

Di  tali  esempi  ci  furono  ne'tempi  di  mezzo;  ma  que'tempi 
non  erano  più.  Troppo  avevano  abusato  i  pontefici  della  fa- 
coltà di  assolvere  per  ragioni  mondane  da  obblighi  i  più  sa- 
cri, perchè  non  ne  fosse  pervertita  la  coscienza  de'  principi. 


(1)  Me  semble,  que  moti  honneur  et  bien  particulier  y  a  este 
tresbien  garde,  combien  que  je  croy,  que  si  jeusse  volu  plus  regar- 
der  a  mon  prouffict  que  a  la  reste,  que  je  le  euisse  bien  peu  gran- 
dement  faire.  Der  kaiser  an  die  statthalterin  Margarethe  9  febl). 
1526.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  191. 

(2)  Non  prima  del  1530  scriveva  Gaspare  Contarmi  :  a  me  pare 
c/te,  colla  prudenza  e  buona  intenzione,  sua  maestà  abbia  smorzato 
il  difetto  della  naturale  inclinazione.  Relazione  dì  Ilo  ma.  alberi. 
Relaz.  degli  amb.  ven.  serie  2,  voi.  3,  pag.  270. 

(3)  L'imperatore  al  duca  di  Sessa  amb.  a  Roma.  mag.  1526, #• 
bliot.  de  l*  Acad.  d'hist.  de  Madrid  astante  I.  grado  3.  A.  u.  83msc. 


—  327  — 

Confortato  da  Clemente  a  mancar  di  fede  (i),  non  esitò  più 
oltre  Francesco  ad  entrar  nella  lega  santa  col  papa  e  coi  ve- 
neziani, di  cui  si  chiamava  capo  il  papa  medesimo  e  protet- 
tore il  re  d' Inghilterra.  Fine  della  lega  sottoscritta  a  Cognac 
li  22  maggio  4526  era  la  liberazione  dei  figli  del  re,  la  con- 
servazione dello  Sforza  nel  ducato  di  Milano,  e  la  ristorazione 
degli  altri  potentati  d'Italia  nel  grado  ch'erano  innanzi  si  co- 
minciasse l'ultima  guerra.  Se  Y  imperatore  ricusava,  gli  al- 
leati obbliga vansi  alla  offensiva;  Francia  prometteva  un  sus- 
sidio di  quarantamila  scudi  ogni  mese  e  due  eserciti,  uno  in 
Italia,  P  altro  di  là  dei  monti,  da  quella  banda  che  più  le  pa- 
resse opportuno;  i  collegati  dovevano  contemporaneamente 
assalire  Napoli  con  P  armata,  e  il  papa  disporre  di  quel  regno 
come  di  suo  feudo.  Aggiungevasi  in  due  articoli  separati  l'ob- 
bligo di  proteggere  i  Medici  a  Firenze  e  di  restituire  a  Ce- 
sare il  reame  di  Napoli,  in  caso  che  entro  quattro  mesi  dopo 
la  sua  perdita  volesse  accedere  alla  lega  con  le  condizioni  so- 
prascritte, riservato  al  papa  un  censo  annuo  di  quarantamila 
ducati,  od  un  dominio  di  pari  entrata,  e  fermo  sempre  che 
sarebbe  permessa  a  Cesare  P  andata  a  Roma  per  la  corona 
imperiale  con  quel  numero  di  gente  soltanto  che  il  papa  e  i 
veneziani  avrebbero  dichiarato.  Contentavasi  in  ultimo  Fran- 
cesco di  ricuperare  la  contea  di  Asti  e  quella  superiorità  su 
Genova  che  aveva  per  il  passato  (2). 


(1)  Il  breve  dell'assoluzione  non  abbiamo,  ma  lo  affermano  Pal- 
lavicino nella  storia  del  concilio  tridentino  par.  1,  pag.  237,  Sepul- 
veda,  pag.  188,  e  Sandoval  op.  cit.,  t.  4,  pag.  460,  enoià  el  papa  al 
rey  de  Francia  relaxacion  del  juramento  gue  habia  hecho.  Esiste 
oltracciò  il  breve  3  lugl.  1526,  col  quale  Pietro  Navarro  fu  prosciolto 
dal  voto  di  non  combattere  che  contro  gì'  infedeli,  per  indurlo  ad 
assumere  il  comando  della  flotta  de'  collegati.  Rainaldus  Ann.  eccl. 
t.  XX,  pag.  460. 

(2)  Traitè  de  confèderation,  appellò  la  sainte  ligue.  Du  Mont.,  t. 
4,  p.  1,  pag.  451. 


—  328  — 

Pareva  dunque  che  la  Francia,  dopo  tanti  errori,  pren- 
desse infine  rimpetto  all'Italia  l' officio  suo  naturale,  di  al- 
leata e  non  di  conquistatrice.  Quale  occasione  di  vendicare  la 
battaglia  di  Pavia,  di  reprimere  la  preponderanza,  i  disegni, 
la  fortuna  di  Carlo  V  !  Non  si  trattava  più  di  una  lotta  tra  i 
due  rivali  per  la  primazia  in  Europa,  si  per  la  indipendenza 
dell'Italia.  Con  tal  animo  l' assunsero  gli  avi  nostri.  Batte  il 
cuore  al  ricordarlo;  ma  come  l'ammirazione  de'generosi  im- 
prendimenti,  così  dall'  amore  di  patria  ritrar  deve  lo  storico 
la  forza  de'  giudizi  imparziali  a  documento  de'  nepoti. 


CAPITOLO  SESTO 


'Hdo  dell'Italia  contro  gli  spaglinoli;  circostanze  favorevoli  alla  guerra  d'indipen- 
denza; cagioni  generali  di  sua  mala  riuscita.  —  Arti  di  Cesare  per  rompere  la 
lega  d'Italia  con  Francia;  commissioni  date  a  don  Ugo  di  Moncada.  —  Diffi- 
denza del  duca  d'Urbino  nelle  forze  italiane;  ritardo  degli  Svizzeri;  conquista 
di  Lodi;  tentativi  di  soccorrere  il  castello  di  Milano;  capitolazione  dello  Sfor- 
za. —  Successi  infelici  delle  imprese  di  Siena  e  di  Genova.  —  Corruttela  dei 
fanti  italiani;  avidità  degli  Svizzeri;  diffidenza  reciproca  de' confederati';  ina- 
ziooe  dei  re  di  Francia  e  d' Inghilterra,  e  loro  pretensioni.  —  Assalto  dei  Co- 
lonnesi  a  Roma;  tregua  tra  il  papa  e  gl'imperiali,  non  osservata.  —  Conse- 
guenze della  inimicizia  tra  il  papa  e  l' imperatore  rispetto  ai  progressi  della  ri- 
forma religiosa  in  Germania;  lega  evangelica  di  Torgau;  dieta  di  Spira  e  sue 
deliberazioni.  —  Calata  de'  lanzichenecchi  tedeschi  con  Giorgio  di  Frundsberg  ; 
loro  progressi  ;  accordo  del  duca  di  Ferrara  con  Cesare  ;  morte  di  Giovanni  de' 
Medici.  —  Congiunzione  del  duca  di  Borbone  con  Giorgio  di  Frundsberg  ;  vani 
tentativi  di  assaltare  Piacenza  e  Bologna;  tregua  del  papa  col  viceré  Lannoy.  — 
Andata  del  Borbone  in  Toscana;  tumulti  di  Firenze;  nuova  confederazione  del 
papa  col  re  di  Francia  e  con  i  veneziani  ;  assalto  e  sacco  di  Roma.  —  Spoglia- 
zioni de'  dominii  pontificii;  mutazione  di  stato  in  Firenze;  disegno  di  CarUt  V 
di  por  termine  alla  potestà  temporale  dei  papi. 

I.  Liberateci  dai  diuturni  affanni;  estirpate  queste  belve 
Immani  che  di  uomini  non  hanno  che  la  faccia  e  la  voce  (i)  : 
jcco  il  grido  del  Machiavelli,  al  quale  rispondeva  da  un  capo 
ili' altro  Italia,  dove  non  era  provincia  rimasta  illesa  in 
Irent'  anni  di  guerra  dal  flagello  di  soldatesche  feroci,  che 
aon  intendevano  tampoco  la  lingua  in  cui  i  nostri  ne  implo- 
ravano la  misericordia.  E  buona  speranza  di  cacciarle  presto 
lavano  la  gelosia  eccitata  da  Carlo  V  e  le  strettezze  di  da- 
nari che  lo  affliggevano,  come  gli  altri  principi  in  que'comin- 
riamenti  d'imperi  assoluti  non  ancora  fiancheggiati  dagli  or- 
li) 17  mag.  1526.  Lettere  familiari. 


—  332  — 

lari  e  di  abili  condottieri.  Eransi  bensì  veduti  Bartolomeo 
d' Alviano,  Federico  da  Bozzolo,  Renzo  da  Ceri  formar  corpi 
particolari  che  uguagliavano  in  valore  le  migliori  truppe  di 
Europa,  e  Giovanni  de'  Medici  con  V  ordinamento  delle  sue 
bande  stava  già  per  superarle  e  per  restituire  all'Italia  l'an- 
tica gloria  delle  armi.  Ma  la  maggior  parte  de'fanti  assoldati 
mensilmente  e  licenziati  alla  fine  d'ogni  campagna,  compone- 
vansi  di  uomini  che  per  rubare  o  soperchiare  affrontavano 
la  giustizia  o  mercantavano  la  fede;  indocili  ad  ogni  freno  di 
disciplina,  senza  il  vero  coraggio  che  nasce  da  sentimento, 
e  come  feccia  segregati  dalla  nazione,  che  la  gelosia  de'principi 
teneva  disarmata.  Né  le  cerne,  usate  da  gran  tempo  a  Vene- 
zia ed  introdotte  a  Firenze  durante  la  guerra  di  Pisa,  ave- 
vano levata  la  milizia  alla  dignità  che  le  spetta,  di  obbligo 
cittadino,  non  di  mestiere.  Lo  sciagurato  sistema  de'capitani 
di  ventura  durava  ancora  nelle  lame  spezzate  entfslìpendimi 
forestieri. 

Insieme  collo  spirito  militare  avevano  perduto  i  governi 
la  fermezza  di  altri  tempi.  Non  già  che  gli  eletti  ingegni  pre- 
posti alla  pubblica  cosa,  allorché  ruppe  la  guerra,  non  sentis- 
sero l'altezza  della  causa  per  la  quale  era  combattuta.  Marco 
Foscari,  orator  veneto  a  Roma,  prometteva  che  i  suoi  fareb- 
bero maraviglie;  e  questa  guerra,  scriveva  Gian  Matteo  Gi- 
berto, non  è  o  per  un  puntiglio  d'onore,  o  per  una  vendetta, 
o  per  la  conservazione  di  una  città,  ma  in  essa  si  tratta  o 
della  salute,  o  della  perpetua  servitù  di  tutta  Italia  (1)  :  se 
nei  francesi  non  è  in  tutto  estinta  ogni  virtù,  e  il  re  di  Fran- 
cia corrisponderà  a  quello  che  disse  di  voler  essere  con  noi 

questo  importa  tanto  che  Nostro  Signore  ha  consentito  a  molti  ca- 
pitali della  lega  vecchia,  quali  se  avessi  avuto  tempo  arebbe  vo- 
luto in  altro  modo.  F.  Guicciardini  al  prolon.  Gambara  nunzio  in 
Inghilterra  3  mag.  1526.  Ìbidem,  pag.  19. 

(1)  Al  vescovo  di  Veruli  10  giugno  1526.  Ruscelli,  Lettere  di 
principi,  t.  l,pag.  193. 


—  333  — 

per  liberare  Italia  e  i  figliuoli,  e  vendicarsi  delle  ingiurie  di 
Cesare,  ancor  noi  saremo  uomini  e  ci  aiuteremo  per  non  istare 
a  discrezione  del  malissimo  animo  di  Cesare  (i).  Ma  le  riso- 
lute imprese  impediva  la  diffidenza  reciproca  portata  fin  sul 
campo  nazionale,  dove  ciascuno  conservava  quasi  piena  li- 
bertà di  azione,  e  il  papa  aveva  il  suo  luogotenente,  i  veneziani 
un  provveditore,  ogni  piccolo  stato,  ogni  piccola  banda  il  suo 
capo;  i  quali  tutti  assistendo  ai  consigli  militari  prendevano 
il  nome  caratteristico  di  signori  capitani  della  lega.  Arroge 
la  doppiezza  e  la  pusillanimità  di  papa  Clemente,  che  pospo- 
nendo al  suo  l'interesse  della  patria  comune,  ricusava  di  con- 
ciliarsi col  duca  di  Ferrara  (2),  e  teneva  continuamente  in 
sospetto  i  veneziani,  minacciando  di  scendere  a  parziali  in- 
telligenze con  V  imperatore  (3).  Ecco  le  principali  cagioni, 
onde  la  guerra,  incominciata  con  lieti  auspicii,  per  la  indi- 
pendenza dell'  Italia,  sorti  al  fine  contrario  di  rassodarne  il 
servaggio. 

II.  E  pur  grandi  erano  da  principio  le  angustie  di  Ce- 
sare. Addimostralo  l'arte  con  che  cercò  di  stare  in  sulle  pra- 
tiche e  differire  l' esecuzioni,  sperando  rimedio  dal  tempo. 
Vogliamo  dissimulare  ancora,  cosi  scrìveva  al  Lannoy  e  a 
Luigi  de  Praet,  e  trattenere  il  re  di  Francia  con  buone  pa- 
role di  fiducia  e  di  amicizia.  Badate  bene  adunque  di  non  la- 
sciarlo mai  disperare,  né  di  dargli  motivo  a  farsi  sempre 
piU  addentro  nella  lega  avversaria.  Ch'egli  stesso  proponga 
i  mezzi  di  un  nuovo  accordo.  Così  colle  consulle  e  riconsulte , 

(1)  A  don  Michele  Silva  IO  giugno  1526.  Ibidem,  p.  197. 

(2)  Sogliono  dire  che  per  il  ben  commune  d'Italia  Sua  Santità 
non  doveria  guardarla  così  al  sottile.  Gio.  Matteo  Giberto  a  monsi- 
gnor di  Pota  IO  giugno  1526.  Ibidem,  pag.  196. 

(3)  Bisogna  disporre  i  viniziani,  e  a  questo  non  veggo  migliore 
modo  che  fare  destramente  che  abbino  gelosia,  che  i  modi  loro  non 
induchino  il  papa  a  pigliare  altro  partito.  Frano.  Guicciardini  a 
Gio.  Matteo  Giberto  18  giugno  1526.  Opere  inedite,  t.  4,  pag.  73. 


—  334  — 

colle  risposte  e  repliche,  avremo  agio  di  conoscere  appieno  k 
deliberazioni  del  papa  e  dei  veneziani  (i).  Conforme  a  questi 
intendimenti  destinò  don  Ugo  di  Moncada,  buon  discepolo 
del  Valentino,  al  pontefice,  con  commissione,  secondo  pub- 
blicava, di  soddisfargli  (2),  ma  in  fatto  di  andar  prima  alla 
corte  del  re  di  Francia  ;  acciocché,  inteso  se  vi  era  speranza 
o  meno  di  convenire  con  lai,  o  non  passasse  più  innanzi,  o 
passando,  variasse  i  provvedimenti  secondo  lo  stato  e  la  ne- 
cessità delle  cose. 

Fatto  certo  per  le  risposte  del  re  di  non  poterlo  più  ri- 
durre alla  osservanza  dei  patti,  venne  il  Moncada  a  Milano 
per  tentare  almeno  lo  Sforza  a  rimettersi  nella  volontà  sua. 
Trovavansi  allora  i  popoli  di  Lombardia  in  estrema  dispera- 
zione, costretti  di  accordare  a  danari  con  i  capitani  imperiali 
il  peso  degli  alloggiamenti,  e  in  modo  così  intollerabile,  che 
quando  i  capitani  medesimi  chiedevano  danari  a  Cesare, 
questi,  ben  sapendo  le  ruberie  loro,  e  che  Antonio  de  Leva  ri* 
scuoteva  per  sé  e  il  fratello  suo  cinquanta  ducali  al  giorno, 
rispondeva,  non  comprendere  come  ne  avessero  bisogno,  vi- 
vendo a  discrezione  e  rubando  di  quella  maniera  che  faceva- 
no (3).  Indi  i  tumulti  in  Milano  de' 24  e  25  aprile  4526,  se- 
dati per  interposizione  di  Francesco  Visconti  e  di  altri  gen- 


ti) Ciò  in  risposta  al  precitato  rapporto  del  Lannoy  16  raag. 
1526.  Bucholtz,  t.  3,  pag.  30-31. 

(2)  L'  imper.  al  duca  di  Sessa  26  apr.  e  12  mag.  1526.  Gachard, 
op.  cit.,  pag.  227. 

(3)  Dispaccio  di  A.  Navagero,  1.  e.  pag.  188.  Però  l'ab.  di  Nage- 
ra,  commissario  imperiale,  scolpava  il  Leva  di  questa  taccia:  V. 
M.  me  mande  cortar  a  mi  fa  cabepa  sy  jamas  se  hallare  que  ha 
Ile  vado  diveda  ny  indirectamente  un  maravedj.  El  es  muy  noble 
cavallero  de  limpia  condendo,  y  tan  cumplido  en  las  cosas  de  la 
honrra.  (Che  anche  il  commissario  imperiale  fosse  complice  delle 
ruberie?)  Lettera  all'imperatore.  Milano  2  giugno  1526.  Biblioteca 
de  la  Academia  d*  hiatoria  de  Madrid.  A.  37  ms<\ 


—  •335    -r 

tiluomini  (i),  ma  con  promessa  di  cavare  tutti  i  soldati  dalla 
città  e  dal  contado,  eccetto  i  fanti  tedeschi,  che  stavano  al- 
l' assedio  del  castello.  In  tanta  disposizione  degli  animi  a 
maggiori  sollevazioni,  opportune  erano  e  rispondenti  allo  sco- 
po propostosi  le  commissioni  ostensibili  che  portava  seco  il 
Moncada  :  esser  Cesare  malcontento  di  tutto  che  fecero  i  ca- 
pitani per  ridurre  in  poter  suo  il  ducato,  contro  gli  ordini 
mandati  al  defunto  marchese  di  Pescara  di  non  innovare 
cosa  alcuna  se  non  in  uno  dei  tre  casi  espressamente  indi- 
cati, nessuno  dei  quali  ebbe  luogo  (2);  muoverlo  a  sdegno 
eziandio  1'  estorsioni  commesse,  levando  ciascun  giorno 
quattro  o  cinquemila  ducati  di  più  che  non  occorre  al  man- 
tenimento dell'esercito  (3);  voler  dunque  aprire  allo  Sforza 
la  via  della  giustizia,  facendo  che  le  imputazioni  dategli  si 
vedessero  sommariamente  per  il  protonotario Caracciolo;  ma 
colle  seguenti  sicurtà,  ond'è  aperta  la  vera  mente  di  Cesare  : 
che  consegni  intanto  i  castelli  di  Milano  e  di  Cremona  verso 
promessa  giurata  di  restituirglieli  insieme  con  V  intero  do- 
minio se  sarà  giudicato  innocente,  e  di  lasciargli  durante  il 
processo  l'amministrazione  e  le  rendite  dello  stato;  non  vo- 
lendo consegnare  i  detti  castelli,  che  consenta  vi  siano  intro- 
dotti soldati  imperiali;  se  neanche  questo,  ch'esca  almeno 
dal  castello  e  venga  in  città  per  sottoporsi  all'esame  del  Ca- 
racciolo, dando  ostaggi  Gian  Paolo  Sforza  suo  fratello  ed  al- 


ti) Andavano  per  la  città  a  far  deponere  le  armi  alli  Milanesi, 
dicendo  :  lasciate  fare  a  nói,  che  conzeremo  le  cose,  che  la  città  non 
averà  a  lamentarse,  Burigozzo.  Cronaca  di  Milano.  1.  e. 

(2)  No  podiendo  tener  en  nos  ny  en  nuestro  nombre  e!  dicho 
estado  de  Millan  ahunque  el  duque  Francisco  por  terminos  de  ju- 
sUcia  fuesse  del  meritamente  privado,  siendo  nos  for$ado  en  tal 
caso  de  ponerlo  en  otras  manos.  Instruzione  dell'imper.  a  don  Ugo 
di  Moncada  30  aprile  1526.  Lettere  delMorone  op.  cit.,  t.  2,  pag.  556. 

(3)  Sacando  del  segund  nos  han  jnformado  da  quatro  a  cinco 
mil  ducados  cada  dia  de  mas  de  lo  que  se  come  y  destruye.  Ibidem. 


—  336  — 

tri  quattro  dei  principali  signori  milanesi  che  sarebbero  no* 
minati,  e  i  figli  e  i  fratelli,  o,  in  mancanza  di  questi,  i  parenti 
prossimi  de'  governatori,  capitani  e  luogotenenti  dei  soprac- 
cennati castelli. 

Il  di  6  giugno  4526  si  presentò  il  Moncada,  insieme  col 
Caracciolo  e  col  commendatore  Errerà,  innanzi  allo  Sforza; 
ma  avuta  risposta  che  prima  si  levasse  V  assedio  e  lo  si  ri- 
mettesse in  istato  e  poi  darebbe  le  sicurtà  convenienti,  se 
n9  espedi  prontamente  col  dire,  che  parlato  che  avesse  col 
pontefice  soddisferebbe  ogni  suo  desiderio  (i).  Indi  andò  a 
Roma,  avendo  prima  discorso  nella  rocca  di  Trezzo  col  Ho- 
rone  (2),  il  quale  in  questa  occasione  macchiò  maggiormente 
l' onor  suo,  ammonendolo  fra  le  altre  cose  a  non  fidarsi  del 
duca  (3).  «  Direte  al  papa  (così  avevagli  imposto  l' impera- 
tore) che  io  non  posso  far  a  meno  di  usare  giustizia  collo 
Sforza,  in  caso  fosse  trovato  colpevole,  quando  bene  ne  an- 
dassero tutti  i  nostri  regni  e  l' impero  stesso;  ma  che  non 


(1)  La  verdas  es  que  yo  no  he  conoscido  en  el  dicho  duque  vo- 
luntad  de  querer  dar  el  castillo,  ny  menos  de  dexar  el  stado,  Aftro- 
cada  all'imperatore.  Milano  9  giugno  1526.  Ìbidem,  pag.  576. 

(2)  Fuy  a  Trego  a  hablar  a  Hieronymo  Morori  y  lieve  comìgo 
al  comendador  Herrera,  al  qual  dicho  Moron  se  hizieron  por  mj 
algunas  preguntas,  las  quales  con  su  respuesta  V.  M.  entendera 
del  dicho  Herrera.  Ìbidem,  pag.  576. 

(3)  Scrisse  Don  Ugo  ad  Imperator  chel  Morone  haveva  ditto  et 
certato  che  se  si  fidassero  de  v.  Ex.  la  li  mancaria  de)  tutto,  et  che 
non  se  ne  fidassero  per  cosa  del  mondo.  Gio.  Antonio  Biglia  (oratore 
milanese  alla  corte  di  Cesare)  al  duca  Sforza.  Granata  21  luglio 
1526.  Non  è  stato  di  pocha  admiratione  N.  S.  visto  quello  ultimo 
avviso  del  Biglia  circa  le  parole  del  Morone  al  s.r  Don  Ugo.  Lui 
spera  in  Dio  che  v.  exc.  restara  duca  de  Milano  et  li  malevoli  col  suo 
mal  aio.  Certo  chel  Morone  ha  guadagnato  pocho  con  S.  S.  per 
questo  avviso,  e  forsi  le  potria  non  pocho  nocer.  Cav.  Landriano 
(oratore  milanese  a  Roma)  al  duca  Sforza,  Roma  19  ag.  1526.  Ar- 
chivio s.  Fedele  di  Milano.  Governo  ducale.  Corrispondenze,  rase. 


—  337  — 

intendo  tener  lo  stato  per  me,  nò  per  il  fratello  mio,  pronto 
essendo  invece  di  disporne  come  piacerà  meglio  a  sua  santità 
e  ai  veneziani;  al  quale  scopo  potrete  anzi  dichiarargli  quel 
che  nel  nostro  consiglio  venne  proposto  :  lo  smembramento 
cioè  del  ducato  in  tante  parti  per  darle  a  diverse  persone 
come  feudi  dell'  impero,  e  la  riduzione  di  Milano  a  città  li- 
bera, come  quelle  di  Germania;  però  se  aveste  nuove  certe 
che  il  re  di  Francia  non  vuol  serbar  fede,  né  restituire  la 
Borgogna,  e  vi  paresse  unico  rimedio  la  restituzione  dello 
Sforza,  farete  tutto  il  possibile  più  presto  che  rompere  con 
il  pontefice  (i).  »  Queste  instruzioni  confermò  con  poste- 
riore ordinanza,  aggiungendovi  la  facoltà  di  contentarlo  ezian- 
dio negli  altri  articoli,  sino  allora  controversi,  della  vendita 
del  sale,  delle  cose  beneficiali  di  Napoli,  e  della  ricuperazione 
di  Reggio  e  Rubiera  in  danno  del  duca  di  Ferrara  (2). 

Venuto  il  Moncada  dinanzi  al  pontefice  il  di  \1  giugno 
gli  dimostrò  con  parole  magnifiche  essere  in  potestà  sua  ac- 
cettare la  pace  o  la  guerra  (3).  A  che  avendogli  risposto  il 
pontefice,  non  deporrebbe  le  armi  se  Cesare  non  lasciava 
Italia  libera,  non  restituiva  con  oneste  condizioni  i  figliuoli 
al  cristianissimo  e  non  soddisfaceva  al  re  d'Inghilterra,  tornò 
il  di  seguente,  proponendo  persino  di  levar  V  esercito  dallo 
stato  di  Milano,  purché  sua  santità  concorresse  con  gli  altri 
d'Italia  in  una  parte  de'danari  necessarii  a  pagare  gli  stipendi 


(1)  Instruzione  precitata  30  apr.  1526,  pag.  563,  564. 

(2)  Con  que  quedemos  seguro  de  la  amistad  du  su  santidad, 
y  que  con  su  medio  podamos  alcancar  buen  concierto  con  Vene- 
cianos,  y  traher  otros  potentados  a  la  liga  defifensiva  y  a  la  contri- 
bucion  necessaria.  Der  kaiser  an  Ugo  de  Moncada  11  giugno  1526. 
Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  215. 

(3)  Concludendo  alla  fine,  che  portava  in  seno  la  pace  et  la 
guerra.  Gio.  Matteo  Giberto  alproton.  Gambata,  Roma  19  giugno 
1526.  Ruscelli  Lettere  di  principi,  1. 1,  pag.  209. 

22 


—  338  — 

residui  (4).  Fu  tutto  invano;  onde  il  Moncada,  dopo  avergli 
parlato  ancora,  si  parti  da  Roma  pensoso  di  vendetta,  e  il 
duca  di  Sessa,  ambasciatore  cesareo,  all'  uscir  del  palazzo 
apostolico,  disfogò  lo  sdegno  con  vile  dimostrazione,  facendo 
montar  dietro  di  sé  a  cavallo  un  mentecatto,  il  quale  con 
ogni  maniera  di  buffonerie  dava  a  vedere  al  popolo  ch'ei  si 
rideva  de'suoi  nemici  (2).  Clemente  insospettito  delle  sover- 
chie larghezze  di  Cesare  (3),  o  trascinato  dal  suo  destino  e 
dal  destino  d'Italia,  quella  volta  stette  fermo  (4),  sebbene  non 
mancasse  chi  lo  consigliava  di  non  procedere  gagliardamente 
col  Moncada,  perchè  potrebbero  a  ogni  ora  venire  avvisi  di 
Francia  da  far  desiderare  che  quel  filo  fosse  attaccato  (5). 
Prepoteva  in  quel  momento  la  speranza  di  pronta  vittoria. 
Appunto  allora  erano  state  intercette  lettere  di  Antonio  de 
Leva  scritte  al  duca  di  Sessa,  e  di  lui  medesimo  e  del  mar- 
chese del  Guasto  a  don  Ugo  di  Moncada,  in  cui  sollecitavano 
la  pratica  dello  accordo,  ricordando  il  pericolo  loro  e  del- 
l' esercito  di  Cesare  (6). 

III.  Ma  non  era  tanta  confidenza  in  chi  aveva  a  disporre 
delle  forze  della  lega  italiana,  quanto  il  timore  dei  capitani 

(1)  Et  multa  in  liane  sententiam,  Ibidem,  pag.  210. 

(2)  La  fin  feust  non  bien  pensée,  ung  vouloir  monstrer  de  de- 
spriser  le  monde.  Alberto  Pio  di  Carpi  al  re  Francesco,  24  giugno 
1526.  Molini,  Doc.  di  stor.  ital.  t.  1,  pag.  205. 

(3)  Si  è  concluso  che  timendi  sunt  Danai  etiam  dona  ferentes. 
Gio.  Matteo  Giberto  a  mons.  di  Pota  19  giugno  1526.  Ruscelli.  Let- 
tere di  principi,  1. 1,  pag.  214. 

(4)  Quod  si  tu  quoque  pacem  amplecti  vis,  recte  ;  sin  minus, 
non  defuturas  mihi  vires  et  arma,  quibus  et  Italiani  et  romanam 
rempublicam  defendam,  omnino  scito.  Papst  elementari  den kaiser 
Juni  1516.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  217. 

(5)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto  19  giugno  1526 
Opere  inedite,  t.  4,  pag.  79. 

(6)  Lo  stesso  al  medesimo  17  giugno  1526.  Ibidem,  pag.  71.  Vedi 
Guicciardini,  Stor.  d' Ital.  t.  3,  pag.  251. 


—  339  — 

imperiali.  Conducevano  l'esercito  pontificio,  forte  di  ottomila 
fanti,  di  sette  od  ottocento  uomini  di  arme  e  di  ottocento  ca- 
valli leggieri,  il  conte  Guido  Rangoni  di  Modena,  Vitello  Vi- 
telli e  Giovanni  de'Medici  (1),  ai  quali  soprastava  France- 
sco Guicciardini  come  luogotenente  generale  con  pienissima 
e  quasi  assoluta  potestà  (2).  Altrettante  truppe  avevano  messe 
insieme  i  veneziani,  e  le  guidava  Francesco  Maria  della  Ro- 
vere, duca  d' Urbino.  Questi,  in  cui  aveva  in  fatto  a  consi- 
stere il  governo  della  impresa,  per  non  esservi  uomo  eguale 
a  lui  di  stato,  di  autorità  e  di  riputazione,  rappresentava 
l'Italia  de'  suoi  giorni,  snervata  dalla  lunga  disusanza  delle 
armi,  e  mancante  più  presto  di  fede  in  sé  stessa  che  di  virtù 
militare.  Assunto  capitale  era  il  soccorso  del  castello  di  Mi- 
lano. Le  sollevazioni  di  que'popoli  valorosi,  le  poche  forze  (3) 
e  le  altre  difficoltà  de'Ioro  oppressori,  parevano  ai  veneziani 
occasioni  di  gran  momento  al  buon  successo  della  guerra  (4); 
onde,  consentendo  in  ciò  il  pontefice  (5),  avevano  fatto  deli- 
berazione di  romperla  subitamente,  non  ostante  che  il  re  di 
Francia  differisse  di  ratificare  la  lega.  Ma  il  duca  d'  Urbino 


(1)  Gio.  Matteo  Giberto  a  messer  Capino  in  Francia  6  giugno 
1526.  Ruscelli  Lettere  di  principi,  t.  1,  pag.  189. 

(2)  Con  la  maggior  autorità,  che  N.  Sig.  habbi  mai  possuto  dare 
ad  buomo,  et  meritamente,  perchè  certo  è  di  qualità  singolare.  Lo 
stesso  al  vescovo  di  Ferali  10  giugno  1526.  Ibidem,  pag.  192. 

(3)  Avevano  gì'  imperiali  a  Milano,  e  sparsi  in  Cremona,  Pavia, 
Alessandria  ed  altri  luoghi  da  1 1  a  12  mila  fanti  ;  gì'  italiani  invece 
20,000  fanti  circa,  1400  uomini  d'arme  e  1500  cavalli  leggieri.  Gio. 
Matteo  Giberto  a  don  Michele  de  Silva  I .  luglio  1520.  Ibidem,  p.  230. 

(4)  Perchè  potria  esser  causa  della  deliberalion  di  quel  Stato 
da  la  intollerabile  servitù  in  la  qual  se  retrovano  et  parimenti  della 
libertà  d'Italia.  Lettera  del  collegio  5  mag.  1526  oratori  in  curia  msc. 

(5)  Pare  a  Nostro  Signore  che  tutto  il  punto  della  impresa  con- 
sista in  soccorrere  in  tempo  il  castello  di  Milano.  Fran.  Guicciar- 
dini al  vescovo  di  Pota,  Roma  31  mag.  1526.  Opere  inedile,  pag.  37. 


-  340  — 

stimando  forse  più  che  non  era  giusto  la  valentia  de'  soldati 
spagnuoli  e  tedeschi,  e  diffidando  smisuratamente  de'proprii, 
aveva  fisso  nell'animo  di  non  passare  il  fiume  Adda,  se  con 
F  esercito  non  si  univano  almeno  cinquemila  svizzeri  (1).  Gli 
era  un  voler  ferire  a  colpo  sicuro.  Per  vero  in  quel  proposilo 
conveniva  anche  Giovanni  de'  Medici,  parendogli  che  neìk 
fanterie  pontificie  fatte  così  in  furia  si  potesse  confidar  poco, 
e  lo  stesso  Guicciardini  confessò  che  quelle  da  lui  vedute  in 
cammino  gli  fecero  giudicare  il  medesimo  (2).  Sapevasi  ol- 
tracciò essere  ornai  mancato  il  fondamento  del  popolo  di 
Milano,  avendo  i  capitani  cesarei  trovato  modo  di  assicurar- 
selo con  nuove  sommosse  a  bello  studio  eccitate  per  disob- 
bligarsi dagli  accordi  fatti  ai  dì  passati.  Nel  decimosesto  giorno 
di  giugno  venuto  il  Leva  a  parole  con  un  gentiluomo  che 
non  gli  fece  di  cappello,  mandollo  a  morte:  del  che  irritato 
il  popolo,  prese  le  armi,  sforzò  la  corte  vecchia  uccidendo 
cencinquanta  fanti  di  guardia,  prese  il  campanile  del  duo- 
mo, ne  trabalzò  le  sentinelle,  e  alcune  centinaia  di  vite  visi 
consumarono  combattendo.  Allora  i  tedeschi  misero  fuoco 
nelle  case  vicine  :  accorsero  gli  spagnuoli  già  chiamati  dal 
contorno  :  i  capipopolo  e  molti  nobili,  fra  i  quali  Pietro  da 
Pusterla,  furono  mandati  in  bando,  altri  vi  andarono  volon- 
tari (3),  e  la  città  restò  abbandonata  non  al  saccheggio,  per- 
chè dentro  dovevasi  pur  pascere  l'esercito,  ma  al  lento  san- 
guisugio de'soldati  (4).  Però,  malgrado  di  queste  e  di  altre 

(1)  La  intenzione  ferma  del  duca  è  di  non  passare  Adda  senza 
svizzeri.  Frane.  Guicciardini  a  Gian  Matteo  Giberto,  20  giug.  1526. 
Opere  inedite,  pag.  81. 

(2)  14  giug.  1526.  Ibidem,  pag.  50. 

(3)  18  giugno  1526.  Ibidem,  pag.  71. 

(4)  La  terra  è  totalmente  restata  in  arbitrio  degli  spagnuoli,  che 
vi  sono  ingrossati,  e  che  vi  alloggiano  a  discrezione,  e  con  tanta  li- 
cenza che  è  una  pietà  sentirne  parlare.  20  giugno  1526.  Ibidem, 
pag.  82. 


—  Uì  — 

avversità,  ben  si  può  dire  non  esservi  stato  capitano  che  met- 
tesse tanta  ostinazione  in  marciare  innanzi,  quanto  il  duca 
d*  Urbino  in  non  arrischiar  nulla.  Passar  V  Adda  o  V  Oglio, 
motteggiava  il  Giberto,  gli  è  per  lui  come  se  Vuno  fosse  VIndo 
e  l'altro  il  Gange  (1).  Anzi,  dubitando  che  se  solamente  con 
le  genti  sue  passava  l' Oglio,  gì'  imperiali  non  passassero 
l'Adda,  e  andassero  ad  assaltarlo,  faceva  instanza  che  l'eser- 
cì toecclesiastico,  giunto  già  a  Piacenza,indietreggiasse,e,  pas- 
sato il  Po  sotto  Cremona,  si  andasse  ad  unire  con  quello 
dei  veneziani  per  accostarsi  poi  all'Adda  e  aspettare  in  sulla 
riva  di  quel  fiume,  in  alloggiamento  forte,  la  venuta  degli 
svizzeri;  al  che  i  pontificii,  per  non  lasciar  sguarnite  le  loro 
terre,  mostraronsi  renitenti,  proponendo  invece  che  nello 
stesso  tempo  passassero  i  veneziani  l'Adda  ed  essi  il  Po  (2). 
Fu  malaugurato  principio  di  sospetti  reciproci  (3),  e  conse- 
guenza delle  difficoltà  trovatesi  nell'  ingaggio  degli  Svizzeri. 
Non  lo  aveva  il  papa  sollecitato  a  tempo  per  voglia  di  non 
spendere.  Strignendo  poi  il  bisogno,  bastò  che  il  re  di  Fran- 
cia indugiasse  alquanto  a  conchiudere  la  lega,  perchè  ai  29 
maggio  desse  ordine  al  vescovo  di  Veruli  di  soprassedere  a 
sborsare  i  diecimila  ducati  mandatigli  tre  giorni  prima  (4). 
Volle  inoltre  sfortuna  o  imprudenza  che  la  cura  del  condurre 
que'  soldati  mercenarii  fosse  data  contemporaneamente  a 
Giangiacomo  Medici,  castellano  di  Musso,  e  ad  Ottaviano 
Sforza  vescovo  di  Lodi  :  l'uno  per  cupidigia  di  fraudare  una 


(1)  A  monsignor  di  Pola,  10 giugno  1 526.  Ruscelli,  Lettere  di  prin- 
cipi, 1. 1 ,  pag.  196. 

(2)  Francesco  Guicciardini  al  vescovo  di  Pola  e  a  Gio.  Matteo 
Giberto,  17  giugno  1526.  Opere  inedite,  pag.  65-70. 

(3)  Gio.  Matteo  Giberto  a  Roberto  Acciaiuoli,  24  giugno  1526. 
Ruscelli.  Lettere  di  principi,  t.  1,  pag.  221. 

(\)  Frane.  Guicciardini  al  vescovo  di  Pola,  26  e  29  mag.  1526. 
Opere  inedite,  p.  26,  31. 


—  342  — 

parte  del  danaro,  l'altro  per  vanità,  ed  ambidue  per  la  emu- 
lazione nata  fra  loro  atti  piuttosto  a  guastare  il  maneggio  (4). 
Si  aggiunse  la  opposizione  dei  ministri  francesi,  non  infor- 
mati ancora  della  mente  del  re,  e  a  tutto  ciò  la  natura  avara 
degli  svizzeri,  esigenti  condizioni,  per  effettuare  le  quali  ci 
volevano  due  mesi  di  tempo  e  un  pozzo  rf'  oro  (2). 

Così,  tardando  la  loro  venuta,  perdevasi  la  occasione  di 
soccorrere  il  castello  di  Milano,  si  consumavano  danari  e  ri- 
putazione e  si  dava  comodità  ai  nemici  di  avere  sussidii. 
Con  questi  pensieri  martellavasi  F  animo  il  Guicciardini,  al- 
lorché F  acquisto  inaspettato  di  Lodi  gli  balenò  un  raggio  di 
speranza.  Teneva  quella  città  in  nome  dell'imperatore  Fabri- 
zio Maramaldo,  capitano  calabrese,  con  millecinquecento  na- 
poletani, i  quali  non  la  cedevano  in  asperità  agli  spagnuoli 
ed  ai  tedeschi  alloggiati  nelle  altre  terre  di  Lombardia;  il  per- 
chè Lodovico  Vistarmi,  mosso  a  pietà  della  patria,  secondo 
le  intelligenze  avute  col  duca  d'Urbino,  sorpresa  nella  notte 
del  24  giugno  una  postierla,  v'introdusse  Malatesta  Baglione 
con  tre  o  quattromila  fanti  veneziani.  Indarno  accorse  da  Mi- 
lano il  marchese  del  Guasto  :  dopo  fiero  combattimento  sgom- 
brarono gF  imperiali  anche  il  castello  (3).  Starno  obbligati, 
esclamò  allora  il  Guicciardini,  a  laudare  tutti  i  veneziani  e 
dare  loro  tante  benedizioni,  quante  io  solo  ho  date  a  questi 
dì  maledizioni  (4). 

Questo  fatto  aperse  ai  veneziani  la  via  di  congiungersi 
coi  pontificii,  e  di  spingersi  sovra  Milano.  Non  potrei  dire, 


(1)  A  me  non  è  mai  piacciuto  né  la  pratica  del  vescovo  di  Lodi, 
né  del  castellano  di  Mus.  Gho.  Matteo  Giberto  a  monsig.  di  Pota,  10 
giugno  1526.  Ruscelli,  Lettere  di  principi,  t.  1,  pag.  196. 

(2)  Lo  stesso  al  vescovo  di  Veruli,  15  giugno  1526.  Ibidem, 
pag.  203. 

(3)  Marin  Sanuto  t.  XLI,  p.  550. 

(4)  A  Gio.  Matteo  Giberto,  24  giugno  1526.  Opere  inedite,  pag.  92. 


-  343  - 

scriveva  il  datario  Giberto,  quanto  pili  dolce  mi  pareria  la 
vittoria,  se  Italia  sola,  avanti  che  gli  altri  aiuti  venghino,  si 
avesse  scosso  il  giogo  (4).  Ma  il  duca  d*  Urbino  esitò.  Vi  son 
entro,  diceva,  seimila  spagnuoli,  e  se  ci  accostiamo  faranno 
ogni  cosa  per  fare  la  giornata.  Avendogli  replicato  il  Guic- 
ciardini che  al  difetto  degli  svizzeri  si  potrebbe  supplire 
con  uno  aumento  di  quattro  o  cinquemila  fanti  italiani,  rispose 
che  stimava  piti  le  buone  genti  che  le  molte  (2).  Tirato  infine 
dalle  instanze  di  Guicciardini  medesimo  e  di  Pietro  da  Pesaro 
provveditore  veneziano,  andò  innanzi,  ma  con  intenzione  di 
mettere  sempre  un  dì  in  mezzo  tra  l'uno  alloggiamento  e 
l'altro,  per  dare  più  tempo  alla  venuta  degli  svizzeri.  A  tanta 
lentezza  opponevasi  l'ardore  di  qualcuno;  ma  nelle  consulte 
dei  capitani  intervenivano  venti  o  ventidue  persone,  ed  i  più 
applaudivano  (3).  Da  Lodi  Vecchio,  dove  si  unirono  gli  eser- 
citi a'  28  giugno,  in  luogo  di  camminare  per  la  via  di  Lan- 
drìano,  mutato  tutt'  a  un  tratto  consiglio,  si  prese  quella  che 
conduce  a  Marignano.  Quivi  giunto  ai  30  di  quel  mese,  volle 
il  duca  riconoscere  minutamente  i  paesi  circostanti  (4);  sic- 
ché non  prima  del  terzo  dì  di  luglio  pervenne  a  San  Donato, 
lontano  cinque  miglia  da  Milano.  «  Io  non  fo  professione  di 
guerra  (scrisse  il  Guicciardini)  e  anche  dubito  che  forse  la 
volontà  grande  che  io  ho  che  ci  liberiamo  dal  pericolo  di  que- 
sta intollerabile  servitù,  mi  fa  più  ardente  che  non  si  convie- 
ne; ma  veggo  pure  essere  giudicio  di  molti  di  questi  signori 
capitani,  che  se  svizzeri  sono  per  venire  fra  pochi  di,  sia  bene 
aspettarli,  perchè  quanto  più  si  può  andare  gagliardo,  più  è 
in  proposito;  ma  quando  non  venissino,  che  le  forze  che  ab- 

(1)  A  monsig.  di  Pola,  30  giugno  1526.  Ruscelli,  Lettere  di  prin- 
cipi, t  l,pag.229. 

(2)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto,  26  giug.  1526. 
Opere  inedite,  pag.  97-98. 

(3)  Chemai  veddi  cosa  più  brutta,  28  giug.  1626. Ibidem,  pag.  108. 

(4)  30  giugno  1526.  Ibidem,  pag.  111. 


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biamo  bastino  a  cavargli  di  Milano  :  dove  se  staranno  è  certo 
che  abbandoneranno  i  borghi,  perchè  non  bastano  a  guar- 
dargli e  si  vede  non  li  fortificano;  e  chi  ha  giudizio  conclude 
che  il  difendere  il  corpo  della  città  è  difficilissimo,  perchè  è 
debole  al  possibile  e  sopraffatta  dal  sito  dei  borghi.  Loro  sono 
pochi  a  comparazione  nostra,  non  possono  abbandonare  la 
guardia  del  castello,  né  il  popolo  è  sì  battuto  che  non  abbino 
a  starne  con  qualche  sospensione  (4).  »  Fosse  per  queste 
considerazioni,  o  per  false  relazioni  di  qualche  esploratore, 
anche  il  duca  se  ne  mostrò  persuaso,  e,  dato  ordine  di  muo- 
vere il  di  sette  luglio  all'assalto,  dichiarò  al  Guicciardini  me* 
desimo,  presente  il  provveditore  veneto,  tenere  per  fermo  che 
quel  dì  sarebbe  alle  armi  loro  felicissimo.  Ma  trovata,  fuor 
della  opinione  concepita,  vigorosa  resistenza  a  porta  Romana 
e  a  porta  Tosa,  e  caduto  perciò  dalla  speranza  di  guadagnare 
i  borghi  senza  contrasto,  ridusse  la  fazione  a  scaramuccia 
leggiere  ;  poi  sul  far  della  notte  deliberò  precipitosamente  di 
ritirarsi  a  Marignano.  Chiamati  a  sé  i  principali  capitani, disse 
aver  troppo  arrischiato  accostandosi  a  Milano;  spettare  a  lai 
soprattutto  la  salvezza  dell'esercito;  esser  timidi  i  wsuoi,  in- 
gagliarditi i  nemici;  molti  di  quelli  disposti  nel  precedente 
scontro  ad  abbandonare  l' artiglieria  se  non  erano  a  tempo 
rattenuti  ;  doversi  ancora  quella  notte  levare  il  campo.  Ap- 
provarono tutti;  solo  Camillo  Orsini,  notando  la  ignominia 
che  ne  verrebbe,  consigliava  a  differire  la  levata  almeno  fino 
al  domani.  Soggiunse  il  duca  che  non  v'era  tempo  da  mettere 
in  mezzo,  e  allora  il  provveditor  veneto  ricordò  l'obbligo  di 
consultare  il  partito  co'  pontificii,  né  trovato  alcuno  che  ?i 
volesse  andare,  vi  si  recò  egli  stesso  con  sommo  suo  perico- 
lo, passando  assai  dappresso  alle  sentinelle  nemiche.  Adunati 
i  capitani  pontificii,  e  sentita  la  deliberazione,  Guido  Rangoni 
e  il  Vitelli  mostrarono  assentirvi;  forte  si  oppose  Giovanni 

(1)  Al  vescovo  di  Pola,  1.  luglio  1526.  Ibidem,  pag.  115. 


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de'  Medici  ;  Guicciardini  si  tacque.  Tornò  il  provveditore  in- 
sieme col  Rangoni  e  col  Vitelli  per  discuter  meglio  la  cosa  ; 
ma  visto  già  il  campo  in  movimento,  non  restò  ai  pontificii 
che  richiamarsene  e  seguirlo  (4).  Ne  fecero  gran  romore  i 
veneziani  :  scrisse  il  senato  al  provveditore  che  rimanesse 
agli  alloggiamenti  e  continuasse  l'assedio  di  Milano  (2),  e  il 
doge  medesimo  se  ne  dolse  con  Luigi  de  Gonzaga,  capitano 
de'cavalleggieri,  mandato  a  giustificare  quella  ritirata  (3).  La 
quale,  essendo  avvenuta  il  di  medesimo,  otto  luglio,  che  a 
Roma,  a  Venezia  e  in  Francia  pubblicavasi  solennemente  la 
lega,  commosse  gli  animi  non  solo  per  l'effetto  della  impresa, 
ma  eziandio  per  la  infelicità  dello  augurio. 

E  chi  varrebbe  a  descrivere  la  costernazione  del  popolo 
di  Milano?  Avendolo  spogliato  delle  armi  e  mandate  fuora  le 
persone  sospette,  Antonio  de  Leva  e  il  marchese  del  Guasto 
lo  credevano  abbastanza  avvilito  per  non  farsi  scrupolo  di 
usare  ogni  estrema  acerbità.  Né  gì'  inquietava  la  mancanza 
di  danari  a  pagare  i  soldati,  i  quali  alloggiati  per  le  case, 
dopo  aver  mandato  a  sperpero  le  campagne,  costringevano  i 
loro  ospiti  a  provvederli  in  gran  copia  di  vettovaglie,  e  molti 
li  tenevano  legati  per  impedire  che  si  fuggissero  occultamente. 
Le  botteghe  stavano  chiuse;  le  ricchezze  delle  case  e  gli  or- 
namenti delle  chiese,  sebbene  sotterrati,  non  erano  sicuri, 
perchè  quelli,  sotto  specie  di  cercare  dove  fossero  le  armi, 
andavano  frugando  per  tutto,  sforzando  ancora  i  servi  a  ma- 
nifestarli e  insieme  contaminando  i  corpi  (4).«Donde  era  (scri- 

(1)  Lettera  di  Pietro  Pesaro  dal  campo,  8  luglio  1526.  Marin  Sa- 
nuto,  t.  XLII,  pag.  62  e  seg. 

(2)  Secreta  Rogat.  26  luglio  1526. 

(3)  Marin  Sanuto,  t.  XLII,  pag.  75. 

(4)  Gli  spagnuoli  comenzomo  a  far  per  Milano  cose,  che  io  non 
le  potrò  narrare  perchè  non  gh'  è  chi  le  credesse.  Fra  le  quali,  se 
uno  omo  d'arme,  overo  uri  fante  alogiava  in  una  casa,  non  bastava 
avere  quella  dove  elogiavano,  ma  ne  avevano  quattro  o  cinque  per 


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ve  il  Guicciardini)  soprammodo  miserabile  la  faccia  di  quella 
città,  miserabile  l'aspetto  degli  uomini  ridotti  in  somma  me- 
stizia e  spavento;  cosa  da  muovere  estrema  commiserazione, 
ed  esempio  incredibile  della  mutazione  della  fortuna  a  quegli 
che  l'avevano  veduta  poco  innanzi  pienissima  di  abitatori, e 
per  le  ricchezze  de'cittadini,  per  il  numero  infinito  delle  bot- 
teghe ed  esercizi,  per  l' abbondanza  e  delicatezza  di  tutte  le 
cose  appartenenti  al  vitto  umano,  per  le  superbe  pompe  e 
sontuosissimi  ornamenti  suoi  così  delle  donne  come  degli 
uomini,  e  per  la  natura  degli  abitatori  inclinati  alle  feste  e  ai 
piaceri,  non  solo  piena  di  gaudio  e  di  letizia,  ma  floridissima 
e  felicissima  sopra  tutte  le  altre  città  d' Italia.  » 

I  poveri  Milanesi  eransi  lusingati  che  il  contestabile  di 
Borbone,  venuto  il  sesto  di  di  luglio  ad  assumere  il  comando 
degl'imperiali,  avrebbe  per  benefizio  suo  impedito  lo  strazio 
di  un  paese,  secondo  era  fama,  promessogli  da  Cesare.  E  Ce- 
sare in  fatto,  mandandogli  centomila  ducati,  gli  diede  ordine 
di  riformare  le  truppe  e  farle  vivere  del  loro  soldo  senza  op- 
primere il  popolo  (1)  :  a  tal  uopo  non  prendesse  a  suo  carico 
gli  stipendii  residui,  avendo  riguardo  al  maggior  guada- 
gno che  fecero  vivendo  di  ruba;  delle  genti  straordinarie 
mantenesse  quel  tanto  ch'era  strettamente  necessario  (2);  fa- 


uno delle  case,  e  le  facevano  pagare  un  tanto  al  giorno;  talmente 
che  el  gh'era  tal  omo  d'arme  e  forte,  che  toccava  da  sei  o  otto  scudi 
al  giorno,  e  chi  più  e  chi  manco.  E  se  trovavano  qualche  robe  per 
le  case  che  fossero  ascose,  se  coloro  de  casa  le  volevano,  bisognava 
che  ghe  dessero  tanti  dinari  come  quasi  valeva  la  roba  ...  era  tale 
omo,  secondo  el  grado,  a  chi  costava  dieci  e  dodici  e  venti  scudi  al 
giorno  in  farghe  le  spese  ;  e  non  tanto  a  loro,  quanto  ancora  alli 
cavalli  da  biada.  Burigozzo,  Cronaca  di  Milano,  1.  e. 

(1)  Reformer  larmèe ...  et  les  fere  vivre  pour  leurs  deniers 
sans  fouler  le  peuple,  14.  luglio  1526.  archivio  di  corte  e  di  stato  in 
Vienna. 

(2)  Sans  mangier  ny  piller  les  pauvres  peuples  pour  eviter  leurs 


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cesse  che  gli  usurpatori  de9  danari  mandati  da  Ini  o  ricevuti 
da  Napoli  e  da  qualsivoglia  altro  luogo,  e  coloro  che  riscos- 
sero le  rendite  del  ducato  sin  dal  tempo  della  prigionia  del 
Morone,  ne  rendano  conto.  Conforme  a  questi  ordini  prodigò 
il  Borbone  compassione  e  buone  parole;  ma  intanto  gli  des- 
sero trentamila  ducati  ed  ei  condurrebbe  l'esercito  ad  allog- 
giare fuora  di  Milano;  se  non  lo  faceva,  giurò  contentarsi  fin 
d'ora  che  Dio  gli  mandasse  la  prima  archibugiata  del  nemico 
nel  capo.  La  era  somma  esorbitante  per  città  consumata,  e 
nondimeno  tutti  si  tassarono.  Ma  come  la  ebbero  data,  sia 
che  que'  denari  non  bastassero  ai  pagamenti  dovuti  (4),  sia 
ch'ei  non  potesse  resistere  alla  insolenza  de' soldati,  incitati 
anche  da  alcuni  capitani  che  per  ambizione  o  per  odio  con- 
trariavano i  suoi  disegni,  non  tenne  fede,  né  in  veruna  guisa 
assicurò  gli  abitanti  da  que'  rapaci,  che  chiedevano  a  piena 
gola  il  saccheggio  di  una  ricca  città.  Onde  per  finire  tanti 
supplizii,  chi  si  gittava  dai  luoghi  alti  nelle  strade  e  chi  mi- 
serabilmente sospendevasi  da  sé  stesso. 

Tanta  era  in  questo  tempo  la  mancanza  di  vettovaglie 
nel  castello,  che  gli  assediati,  per  desiderio  di  allungare  quanto 
potevano  la  dedizione,fecero  uscire  quasi  cinquecento  persone 
disutili  (2),  le  quali  nella  notte  del  47  luglio,  attraversate  sen- 
za ostacolo  le  trincee, giunsero  al  campo  di  Marignano,  e  fatta 
fede  della  estremità  in  che  si  trovava  lo  Sforza  e  della  debolez- 
za delle  trincee  medesime,  perchè  fin  le  donne  e  i  fanciulli  le 
avevano  passate,  costrinsero  i  capitani  della  lega  a  far  nuova 
prova  di  soccorrerlo.  Né  il  duca  d'Urbino  potè  opporvisi,  es- 

clameurs  et  la  jre  de  Dieu . . .  que  les  pietons  vivent  comme  pietons 
et  non  comme  chevaliers.  Ibidem, 

(1)  Con  lettera  27  ag.  1526  dimostrò  il  Borbone  all'imperatore 
non  aver  riscossi  dei  centomila  ducati,  che  75,433,  perchè  11,767 
andarono  a  sconto  della  cambiale,  e  12000  furono  tolti  anticipata- 
mente prima  della  sua  venuta.  Bucholtz,  t.  3,  pag.  37. 

(2)  Lettera  del  Collegio,  19  luglio  1526. 


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sendo  finalmente  arrivati  all'esercito  cinquemila  svizzeri  con- 
dotti dal  castellano  di  Musso  e  dal  vescovo  di  Lodi;  ma  siccome 
aspettava  ancora  le  truppe  della  stessa  nazione  ricercate  dal 
re  di  Francia,  cosi  tenne  quattro  giorni  per  marciare  da  M&- 
rignano  a  Casoretto,  passeggiata  di  tre  ore.  Dopo  lunghe  con- 
sultazioni fu  stabilito  che  il  dì  24  luglio  si  darebbe  l9  assalto 
alle  trincee,  e  in  quel  giorno  medesimo  vennero  nuove  certe 
che  il  castello,  non  avendo  tanto  pane  che  bastasse  alla  cena 
di  quattro  uomini,  era  accordato  (i).  Due  conclusioni  sono 
verissime,  scrive  il  Guicciardini  :  la  prima  che  era  facile  soc- 
correre il  castello  e  pigliare  Milano,  la  seconda  che  il  duca 
di  Urbino  non  ha  saputo  o  non  ha  voluto  farlo  .  .  .  Se  è  ma- 
lignità, io  non  so  trovare  la  radice;  se  è  slata  ignoranza,  è 
tutta  fondata  in  su  uno  terrore  che  gli  è  entrato  nell9  ànimo 
della  virtii  degli  spagnuoli  e  debolezza  de9  nostri,  che  eccede 
ogni  ragione  (2).  E  in  questa  ultima  sentenza  mi  acqueto, 
non  nelle  illazioni  che  si  fecero  di  sua  dubbia  fede  (3)*  Poco 
stimando  le  proprie  forze,  naturai  cosa  era  che  ogni  speranza 
di  vittoria  riponesse  nella  tattica  di  Prospero  Colonna  eh'  ei 
si  tolse  a  modello  ed  esagerò.  Vero  è  che  aveva  mal  animo 
al  papa,  di  quella  famiglia  de'Medici  ond'era  stato  un  tempo 
spogliato  del  suo;  dispregiava  i  consigli  del  luogotenente  pon- 
tificio, come  di  persona  forense  imperita  delle  cose  milita- 


(1)  Frane.  Guicciardini  a  Roberto  Acciaiuoli,  26  luglio  1526. Ope- 
re inedite,  pag.  1 18  —  fatti  li  capitoli  non  era  pur  uno  pane  in  ca- 
stello, li  duca  Sforza  al  cav.  Landriano,  orator  suo  a  Roma.  Crema, 
19  ag.  1526.  archivio  di  s.  Fedele  a  Milano  msc. 

(2)  A  Gio.  Matteo  Giberto,  27  luglio  1526.  Opere  inedite,  pag.  119. 

(3)  Se  è  malizia  e  proceda  da  lui,  bisogna  nasca  o  da  mala  di- 
sposizione verso  il  papa,  o  da  qualche  umore  occulto,  come  sarebbe 
di  volere  fare  cadere  questo  stato  in  mano  de'  franzesi,  o  dal  vo- 
lere con  lo  stangheggiarci,  e  di  questo  più  dubito,  tirare  qualche 
suo  disegno.  Ibidem,  pag.  121. 


—  349  - 

ri  (i);  dolevasi  che  fosse  in  campo  il  figliuolo  del  signore  di 
Camerino,  inimico  suo,  il  quale  andava  bravando  che  il  papa 
gli  farebbe  dar  presto  Sinigaglia,  e  più  acuta  sentiva  la  spina 
di  san  Leo  e  di  Montefeltro,  che  i  fiorentini  ritenevangli  an- 
cora. Ma  a  queste  ragioni  particolari  de'suoi  lamenti  aggiun- 
gevasi  un'altra  più  forte  e  giusta,  in  cui  consentir  debbe  chi 
s'intende  di  guerra,  la  mancanza  cioè  di  unità  ne9  consigli  e 
nel  volere.  Indi  la  proposta  del  capitanato  generale  degli  eser- 
citi. Questa  impresa  ha  bisogno  di  uno,  che  possa  comandare 
a  tutti,  cosi  tornò  a  dire  il  di  medesimo  che  avvenne  la  dedi- 
zione del  castello  di  Milano;  io  credetti  si  farebbe  da  primi- 
pio,  e  non  fu  fatto;  facciasi  ora;  non  mi  curo  esser  quello;  ma 
ho  deliberato  in  caso  contrario  di  non  travagliarmi  più  delle 
genti  della  Chiesa  (2).  I  veneziani,  malcontenti  delle  prove 
avute  finora  (3),  ed  alieni,  secondo  lor  natura,  dal  commettere 
ad  uno  solo  il  governo  delle  armi,  fecero  ogni  opera  per  ri- 
muoverlo da  quella  fantasia,  come  la  chiama  impropriamente 
il  Guicciardini,  mandando  a  tal  uopo  in  campo  Luigi  Pisano, 
gentiluomo  di  grande  autorità  (4).  Al  contrario  il  papa  spedi 
il  breve  desiderato,  ma  con  ordine  al  suo  luogotenente  di 
non  usarne  se  non  per  necessità;  sicché  questi,  inteso  quanto 
gli  pesasse,  non  lo  consegnò  (5). 


(1)  Francesco  Guicciardini  scriveva  a  Gio.  Matteo  Giberto,  di  es- 
sere totalmente  odioso  a  tutti,  18  giug.  1526.  Ìbidem,  pag.  75. 

(2)  Lettera  precitata,  27  luglio  1526.  Ibidem,  pag.  122. 

(3)  Mostrommi  (il  provveditor  veneto)  lettere  di  Vinegia  che 
mostrano  pessima  satisfattone  ;  e  il  Principe  (il  doge)  gli  fa  scrivere 
che  mi  conforti  a  non  consigliare  Nostro  Signore  che  consenta  al 
capitanato,  perchè  è  cervello  leggiero  e  da  precipitare  uno  mondo. 
Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto,  30  lug.  1526.  Ibidem, 
pag.  145. 

(4)  5  ag.  1526.  Ibidem,  pag.  179. 

(5)  4  ag.  1526.  Ibidem,  pag.  171.  Qual  opinione  si  avesse  intorno 
a  ciò  a  Roma  addimostralo  la  lettera  del  cav.  Laudriano  al  duca 


—  350  — 

Mancata  la  speranza  di  soccorrere  il  castello,  non  si  al- 
lontanò il  duca  di  Urbino  dall'alloggiamento  preso  a  duerni- 
glia  da  Milano;  ma  differito  l'assalto  della  città  insino  alla 
venuta  degli  svizzeri  che  si  soldavano  col  nome  del  re  di 
Francia,  smembrò  una  parte  dell'  esercito  per  mandarlo  alla 
espugnazione  di  Cremona,  importante  a  difficoltare  il  passo 
a  nuove  genti  tedesche  (4).  Nel  qual  consiglio  di  guerra  non 
convennero  i  soli  Vitello  Vitelli  e  Giovanni  de'  Medici,  sem- 
brando loro  che  a  più  risolute  imprese  dessero  buon  fonda- 
mento il  poco  numero  de' nemici  senza  danari  (2)  e  la  dispe- 
razione de'popoli.  I  quali  erano  talmente  caduti  in  preda  colle 
robe  e  con  le  persone,  che  volendo  il  duca  di  Borbone  mo- 
derare il  di  2  agosto  qualcuna  delle  consuete  violenze,  si  con- 
citò tanto  tumulto  addosso  da  correre  pericolo  della  vita;  e  le 
migliori  parole  che  gli  usassero  gli  spagnuoli,  fu  che  era  trar 
ditore,  e  che  come  aveva  ingannato  il  re  di  Francia,  ingan- 
nerebbe anche  lo  imperatore  (3).  Tra  lui  e  gli  altri  capitani 
non  era  oltracciò  concordia  alcuna,  e  il  marchese  del  Gua- 
sto, disgustato  per  più  conti  di  Cesare  (4),  faceva  professione 

Sforza  :  Et  hora  per  metere  tolto  et  sale  su  V  insalata  et  aconzar 
meglio  et  stomacho  ala  brigata,  et  duca  d'Urbino  vote  et  intende  ha- 
ver  et  capitaniato  generale  de  la  lega,  1.  lug.  1526.  Archivio  s.  Fe- 
dele di  Milano  msc. 

(1)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto,  27  e  28  luglio  1526. 
Opere  inedite,  pag.  130  e  136. 

(2)  Ai  25  luglio  mandò  Cesare  al  Borbone  altri  centomila  ducati 
in  lettere  di  cambio  (Bucholtz  t.  3,  pag.  37),  e  ai  27  scrivevagli  Ad. 
de  Rup  signore  di  Vaury,  segretario  del  Borbone  medesimo  :  si  vo- 
tre  majeste  pourveoit  diligemment  denvoyer  de  largent  a  mon  seh 
gneur,  il  le  vous  employera  si  bien,  et  myeulx  que  argent  que  vo- 
stre majeste  despendit  jamais;  carj espere  quii  vous  fera  seigneur 
et  maistre  de  toute  Italie  . . .  Votre  armee  vit  en  ceste  ville  a  discre- 
tion.  Lanz.  Corresp.,  1. 1,  pag.  218. 

(3)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto,  2  ag.  1526.  Opere 
inedite,  p.  157. 

(4)  Dopo  la  morte  del  Pescara,  il  duca  Sforza,  che  di  lui  solo  fl- 


—  38*  — 

di  amico  degl'italiani  (4),  offerendosi  persino  di  passare  dalla 
lor  parte,  con  animo  ben  diverso  dal  Pescara  suo  zio,  di  cui 
riprovava  il  misfatto  (2). 

Che  tutti  questi  fondamenti  bastassero,  non  potrei  dire. 
Certo  è  che  la  sconfidenza  de9  collegati  in  sé  medesimi  ag- 
giunse audacia  agP  imperiali  di  violare  T  accordo  conchiuso 
ai  24  luglio  col  duca  Sforza.  Contenevasi  in  esso  che  all'uscir 
del  castello  avrebbe  il  possesso  e  il  governo  di  Como,  con 
tante  altre  entrate  che  a  ragione  di  anno  ascendessero  in  tutto 
a  trentamila  ducati,  e  che  Gianangelo  Riccio  suo  segretario, 
e  il  Poliziano,  segretario  del  Morone,  resterebbero  in  mano 
del  protonotario  Caracciolo  per  essere  esaminati,  con  condi- 
zione di  rilasciargli  poi  e  fargli  condarre  in  luogo  sicuro. 
Non  è  dubbio  aver  lo  Sforza  da  principio  deliberato  di  non 
far  più  cosa  alcuna  che  potesse  spiacere  a  Cesare;  onde  Fran- 
cesco Taverna,  orator  suo  a  Venezia,  meravigliato  di  tanta 
fede  dopo  tanti  inganni,  non  trovava  parole  sufficienti  a  dis- 
suadernelo,  mettendogli  innanzi  anche  il  pericolo  che  i  con- 
federati ristabilissero  il  fratello  Massimiliano  (3).  Scriveva  lo 

davasi,  avevalo  nominato  capitano  generale  degli  eserciti  in  Lom- 
bardia con  decreto  12  dicembre  1525,  Archivio  s.  Fedele  di  Milano. 
Lettere  reali  1522>1535.  rase.  L'imperatore  non  confermò  la  nomina, 
eleggendo  in  sua  vece  il  duca  di  Borbone. 

(1)  Il  Leva  affermava  che  i  popoli  d'Italia  sono  affezionati  a  Ce- 
sare. 11  marchese  del  Vasto  invece  scriveva  che  sono  mimicissimi. 
Cesare  prendea  sospetto  del  marchese,  come  troppe  italiano,  né 
prestavagli  molta  fede.  Dispaccio  di  A.  Navagero,  Toledo,  12  genn. 
1526.  E.  Cicogna,  Iscriz.  ven.,  t.  6,  pag.  185. 

(2)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto,  1.  ag.  1526.  Opere 
inedite,  pag.  152. 

(3)  Sopragiunsero  poi  heri  sera  le  lettere  de  vostra  exc.  de  27, 
eoa  quale  ne  ordina  che  non  voglia  da  qui  inanzi  negotiar  in  cosa 
alchuna  che  possa  darli  caricho  presso  la  M.tà  cesarea,  per  esser  de 
sua  ferma  intentione  observare  la  capitolazione  facta  ...  a  molli 
pare  cosa  nova  che  sotto  pretexto  de  volerse  mostrar  fedele  al  im- 
peratore se  tenga  in  speranza  vostra  exc.  che  lo  debbi  lassarlo 


—  352  — 

stesso  Domenico  Sauli  (1).  Diede  meglio  nel  segno  l'oratore 
a  Roma,  approvando  l' andata  del  padron  suo  a  Como,  ben 
certo  che  gl'imperiali  non  tarderebbero  a  dargli  causa  legit- 
tima di  romperla  con  essi  (2).  E  fu  cosi  :  ancor  per  via  ebbe 
avviso  lo  Sforza  che  intendevano  ammetterlo  in  Como,  ma 
non  levarne  la  guardia  che  vi  era;  il  perchè,  non  potendo  più 
fidarsi  di  loro,  che,  non  paghi  di  averlo  spogliato  d'ogni  be- 
ne, avevano  persino  attentato  alla  sua  vita  col  negargli  i  me- 
dicamenti in  castello  (3),  tornò  al  campo  degli  alleati  e  se  ne 
andò  poi  a  Lodi,  la  qual  città  fu  dagli  alleati  medesimi  libe- 
ramente rimessa  in  sua  mano  (4).  Di  là,  infermo,  senza  un 
quattrino  (5),  carico  di  debiti,  dopo  essersi  doluto  con  Ce- 
ni stato,  havendose  già  sua  m.tà  tante  volte  declarato  del  animo 
suo  .  . .  Questo  per  risoluto  replico  a  vostra  exc.  che  non  decoran- 
dosi liberamente  ad  esser  con  la  legha,  questi  Signori  et  il  resto 
delli  confederati  lo  baranno  per  inimico  e  procureranno  metter  il 
s.or  suo  fratello  nel  stato.  Venezia,  29  luglio  1526.  Archivio  s.  Fedele 
di  Milano  msc. 

(1)  Venezia  29  luglio  1526.  Ibidem  msc. 

(2)  Tra  tanto  si  vederà  se  francesi  voleno  mai  venir  o  no,  et  senza 
dubio  li  cesarei  non  observaranno  a  sua  exc.  tutto  ni  forse  parte  del 
promesso,  per  il  che  havra  legiptima  causa  di  venir  in  campo.  Let- 
tera del  cav.  Landriano  al  duca  Sforza.  Roma,  1.  agosto  1526.  Ibi- 
dem msc. 

(3)  Si  possiamo  nominar  nel  numero  de  li  strupiati,  qual  cosa 
è  solo  causata  per  la  crudeltà  de  spagnuoli,  quali  oltra  che  ne 
havevano  spoliati  del  stato  et  de  ciò  havevamo  al  mondo  ne  vole- 
vano anchora  levar  la  vitta  non  havendo  mai  voluto  concedermi 
de  poter  haver  pur  una  sola  medicina.  //  duca  Sforza  al  cav.  Lan- 
driano a  Roma.  Crema,  19  ag.  1526.  Ibidem  msc. 

(4)  Per  quello  ho  potuto  ritrahere  da  sua  M.ta  molto  gli  è  di- 
spiaciuto che  Borbone  non  habbia  osservato  quanto  havea  pro- 
messo. Ma  gli  è  pesato  assai  che  quella  se  sia  ritirata  nel  paese 
de  venetiani  et  haria  voluto  fosse  sta  dal  ser.mo  Infante.  Gio. 
Ani.  cav.  Biglia,  oratore  milanese  in  Ispagna,  al  duca  Sforza. 
Granata,  24  sett.  e  3  ott.  1526,  Ibidem  msc. 

(5)  Stamani  mi  domandò  duemila  ducati  in  presto,  e  altrettanti 


—  3G4  — 

sare  che  dei  capitoli  fatti  non  gli  fosse  osservato  che  uno  so- 
lo, quello  cioè  di  lasciarlo  partire  salvo  con  tutti  i  suoi  dal 
castello  (4),  affermando  sempre  la  propria  innocenza  (2),  si 
ridusse  a  Crema,  terra  dei  veneziani,  e  fece  ratificare  a  Ro- 
ma la  lega  conchiusa  in  nome  suo  colla  Francia  (3). 

IV.  Nel  tempo  che  il  castello  di  Milano  pervenne  in  po- 
testà dei  capitani  cesarei,  sinistrò  anche  la  impresa  di  Siena, 
tanto  importante  al  papa  per  isnidare  la  parte  imperiale,  che 
vi  teneva  il  governo,  da  luogo  molto  opportuno  ad  assaltare 
Firenze  o  Roma.  Tentata  indarno  da  prima  con  pratiche  oc- 
culte, non  riusci  meglio  colla  forza  aperta,  sehbenc  Virginio 

al  provveditore  veneto  clic  ne  lo  servì.  Io  per  non  avere  danari 
non  potetti  accomodarlo,  ma  gli  promisi  di  farlo  come  ci  saranno. 
Frane,  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto,  29  luglio  1526.  Opere 
inedite,  pag.  141.  Vi  avisamo  che  mai  habiamo  possuto  haver  dal 
s.r  Locolenente  dinari  alcuni  benché  ne  li  havesse  promesso.  Imo 
non  solo  ne  ha  data  la  negativa:  ma  anche  usalo  alcune  parole  po- 
dio commendabili.  //  duca  a  Francesco  Taverna.  Crema,  19  agosto 
1526.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(1)  In  questo  modo  trattati  qui  siamo,  trovandosi  senza  colpa 
nostra  privi  del  stato  di  fatto  et  senza  cognitione  alchuna,  havendo 
mille  volle  dimandato  iustitia,  non  esserne  observate  le  convenzio- 
ni, con  negato  uno  Como  che  è  la  minima  città  del  stato  ...  se  tro- 
viamo incerti  né  sappemo  da  qual  canto  voltarsi,  maxime  trovan- 
dosi infermi  exhausti  et  carichi  de'dcbiti  et  in  tuto  derelitti  da  S.  Ma 
in  la  quale  havevamo  collocato  ógni  nostro  fondamento  et  speran- 
za. Il  duca  a  Gio.  Antonio  cav.  Biglia,  28  lugl.  e  7  ottobre  1526. 
Ibidem  msc. 

(2)  11  s.r  duca  di  Borbone,  et  quelli  altri  s.ri  capit.  ces.  al  reu- 
scir nostro  di  castello  ritennero  Gio.  Ang.  Ritio  nostro  secr.  et  el 
8.r  proth.  Caracciolo  l'ha  examinato  sopra  certi  articoli  dati  pel  D. 
P.  (D'Àvalos  Pescara)  et  sopra  il  detto  del  Morono,  et  in  tutto  ha  de- 
poeto la  verità,  per  la  quale  depositione  sua  M.tà  Ces.  potrà  cogno- 
scere  la  innocentia  nostra,  7  ott.  1526.  Ibidem  msc. 

(3)  Mandò  il  mandato  ai  19  ag.  e  ai  16  sett.  1526  scrivevagli  l'ora- 
tor  suo  di  Roma  :  hogi  dio  dante  ho  facto  la  ratifìcalione  de  la  lega 
juxta  formam  mandati.  Ibidem  msc. 

23 


—  362  — 

Orsini, conte  dell'Anguillara,  Luigi  conte  di  Pitigliano,  éGian- 
francesco  suo  figliuolo,  Gentile  Baglione,  e  Giovanni  da  Sas- 
satello  conducessero  milledugento  cavalli  e  più  di  ottomila 
fanti;  ina  quasi  tutti,  o  levati  dal  dominio  della  chiesa  e 
dei  fiorentini,  o  mandati  senza  danari  agli  emigrati  da  amici 
loro  del  Perugino  e  di  altri  luoghi.  In  campo  non  era  chi  co- 
mandasse, né  chi  ubbidisse;  non  vi  erano  guardie,  non  scol- 
te, non  luogo  assegnato  per  il  mercato  (4),  sicché  i  vivan- 
dieri ingombravano  coi  loro  banchi  la  sola  strada  che  ser- 
viva di  sfogo  all'  esercito.  Per  i  quali  disordini,  ed  essendo 
state  battute  le  mura  in  vano,  né  avendo  que'di  dentro  fatto 
segno  alcuno  di  tumulto,  fu  deliberato  in  Firenze  di  coman- 
dare la  ritirata.  Ma  nel  di  25  luglio,  precedente  a  quello  in 
cui  la  si  doveva  eseguire,  quattrocento  fanti  usciti  della  città 
assaltarono  la  guardia  delle  artiglierie  composta  in  gran  parte 
di  córsi  venuti  col  conte  dell'  Anguillara  :  questi  subito  vol- 
tarono le  spalle,  e  tanto  bastò  perchè  tutti  si  mettessero  in 
fuga,  senza  mai  far  testa  né  fermarsi  insino  a  Castellina,  dieci 
miglia  distante  (2).  Così  ai  fiorentini,  oltre  alla  ignominia, 
restò  la  spesa  del  difendere  le  terre  di  confine  contro  i  sa— 
nesi  indignati;  incomportabile  in  un  tempo  che  contribuivano 
smisuratamente  alla  guerra  di  Lombardia. 

Più  assai  di  Siena,  sarebbe  importato  acquistar  Genova*, 
per  chiudere  a  Cesare  la  via  de'  danari,  e  que'  comodi  porti 
allo  sbarco  di  nuove  truppe  dalla  Spagna,  colle  quali  poteva 


(1)  Francesco  Vettori,  Storia  d'Italia,  1.  e,  p.  366. 

(2)  Questa  rotta  mi  pare  stata  tanto  straordinaria,  non  voglio 
dire  miracolosa,  quanto  cosa  che  sia  seguita  in  guerra  dal  1494 
in  qua;  e  mi  pare  simile  a  certe  istorie  che  ho  lette  nella  Bibbia, 
quando  entrava  una  paura  negli  animi  che  fuggivano,  e  non  sa- 
pevano da  chi . .  .  senza  esser  seguiti  più  d' un  migjio,  ne  fuggi- 
rono dieci.  Io  ho  udito  più  volte  dire  che  il  timore  è  il  maggior 
signore  che  si  trovi,  e  in  questo  mi  pare  di  averne  visto  l' espe- 
rienza certissima.  Frane.  Vettori  a  Nic.  Machiavelli,  7  ag.  1526. 


—  3fi3  — 

lettere  in  pericolo  l'esercito  accampalo  presso  a  Milano  (4). 
"ondimeno  i  confederati,  come  al  solito,  procederono  lan- 
cidi,  per  guisa  eh'  ei  potè  a  suo  agio  rinforzarne  il  presi- 
Io  con  millecinquecento  fanti,  e  non  prima  del  29  agosto 
innironsi  le  loro  flotte  colla  francese  lungamente  aspettata 
Livorno.  Allora  i  capitani  spartironsi  la  guerra.  Pietro  Na- 
arro  con  ventiquattro  legni  s'impadroni  di  Savona  e  di  tutta 
a  riviera  di  Ponente;  Andrea  Doria  passato  agli  stipendii  del 
>apa,  e  il  veneziano  Armerò,  l'uno  con  otto  e  l'altro  con  tre- 
lici  galee  occuparono  la  Spezia  e  Portofino;  donde  strigne- 
rano  Genova  per  mare.  Ma  non  erano  concordi  fra  loro,  e 
federico  Fregoso  arcivescovo  di  Salerno,  non  inesperto  alle 
battaglie  navali  e  ricondotto  dall'esilio  alle  armi  per  ridurre 
a  patria  a  devozione  del  re  di  Francia,  vedeva  ogni  giorno 
son  lo  scemare  l'autorità  principale  (della  quale  pare  avesse 
promessa  nelle  regie  commissioni)  crescersi  i  disgusti  (2). 
Tutti  poi  accordavansi  in  ciò  che  fosse  la  espugnazione  per 
m&re  impossibile  e  l'assedio  vano,  sinch'era  aperta  alle  pro- 
vigioni  la  strada  di  Lombardia  (3).  Indi  le  ripetute  instanze 
al  duca  d' Urbino  che  mandasse  almeno  quattromila  fanti  a 
chiudere  i  passi  (4).  Né  quei  si  mosse,  impedito  dalla  impresa 

(1)  Gio.  Matteo  Giberto  a  messer  Capino,  5  giugno  1526.  Ruscelli, 
Lettere  di  principi,  1. 1,  pag.  185. 

(2)  Lettere  di  Federico  Fregoso  al  gran  maestro  Montmorency, 
Molini,  Doc.  di  storia  ital.,  pag.  213-223. 

(3)  La  città  stava  male  de  viveri  et  senza  quelli  che  gli  vanno 
dal  canto  de  Lombardia,  che  ordinariamente  gli  vanno  ogni  giorno 
da  cerca  ducenlo  some,  non  l' haverebbe  possuta,  né  la  potrebbe 
durare,  che  detti  viveri  con  pocco  numero  de  gente  che  guardas- 
sero li  passi  de  verso  il  stato  de  Milano,  se  gli  levariano  facilmen- 
te. Aovisi  di  Genova,  Ibidem,  pag.  249. 

(4)  li  parere  del  Doria  è  (sin  da)  principio  delia  guerra),  che  se 
oltre  all'  armata  sua  in  uno  medesimo  tempo  si  assaltano  per  via 
di  terra  con  quattro  o  cinque  mila  fanti,  che  l'abbia  a  riuscire.  Frane. 
Guicciardini  al  cesc.  di  Pola,  5  giugno  15*26.  Opere  inedite,  pag.  40. 


-  364  - 

di  Cremona.  La  quale,  essendosi  cominciata  da  Malatesta 
BagIione,con  forze  non  rispondenti  per  numero,  governo, ed 
ubbidienza  alla  gagliarda  virtù  de'difensori,  andava  tanto  al- 
la lunga  che  infine  deliberò  condurvisi  egli  stesso  con  quasi 
tutti  i  fanti  veneziani,  non  si  tosto  ai  cinquemila  svizzeri  che 
già  aveva  in  campo  sotto  Milano  si  aggiunsero  gli  ottomila 
soldati  per  mezzo  del  re  di  Francia.  A  che  non  smembrarne 
una  parte?  e  quando  bene  si  credesse  ancora  impotente  a 
due  imprese  nel  medesimo  tempo,  non  valeva  forse  meglio 
abbandonare  V  assalto  di  Cremona  per  accorrere  al  blocco 
di  Genova  (4)?  Tanto  era  di  ciò  persuaso  il  Giberto  da  darlo 
per  certo,  e  così,  (poco  fidando  in  lui)  diceva,  non  si  essendo 
fatto  niente  a  Genova  per  essere  occupati  a  Cremona,  si  te-  - 
ver  anno  di  là  indarno  per  non  far  niente  a  Genova;  e  qw — 
sto  è  stato  il  gioco  nostro  di  tutto  quesf  anno  (2).  Ma  s' in — 
gannò  :  a  nulla  giovarono  le  rimostranze  del  Guicciardini  es 
di  Nicolò  Machiavelli  mandato  a  tal  uopo  (3)  :  ostinato  in- 
torno a  Cremona  fece  opera  paziente  con  le  trincee  e  eoa 
gran  numero  di  guastatori  per  guadagnare  a  poco  a  poco 


(1)  Approverei  bene  che  queste  armate  venissino  verso  Geno- 
va ...  et  penserei  che  se  la  fortuna  non  volessi  aiutare  Cesare  fuori 
dell'ordinario  in  questa  impresa,  chome  ha  facto  quasi  in  tutte  l'al- 
tre insino  qui,  che  dovessi  riuscire  il  voltarli,  et  che  nella  rivolli- 
tione  di  Genova  consistessi  assai  la  Victoria.  Frane.  Vettori  a  Sic. 
Machiavelli,  24  ag.  1526.  Molini,  Doc.  di  stor.  ital.  Arch.  stor.  tte/., 
Append.,  n.  9,  pag.  418. 

(2)  Al  protonotario  Gambara,  11  sett.  1526.  Ruscelli,  Lettere  di 
principi,  t.  2,  pag.  11. 

(3)  Riferisce  Nicolò  Machiavelli  ...  per  qualche  coniettura  e 
parola  che  ha  udito  in  consiglio,  che  se  bene  si  scoprissino  nuove 
difficoltà,  vi  sia  inclinazione  di  continuare  la  impresa  :  cosa  ebe 
merita  molta  considerazione,  perchè  passerebbe  senza  dubio  tutta 
la  opportunità  delle  cose  di  Genova,  e  ogni  altro  disegno  resterebbe 
implicato  e  sospeso.  Frane.  Guicciardini  al  vescovo  di  Pota,  14  sett. 
1526.  Opere  inedite,  pag.  362. 


—  36B  - 

erreno,  e  quando  il  di  23  settembre  la  ridusse  in  necessità 
li  arrendersi  (4),  passato  era  il  momento  opportuno  a  cose 
maggiori.  La  lentezza  della  guerra,  non  confortata  da  verun 
atto  splendido,  aveva  già  prodotto  l'effetto  solito  delle  leghe, 
li  allentarne  i  vincoli.  Uno  stato,  che  solo  si  difende  contro 
nolti,  può  bensì  salvarsi  temporeggiando;  ma  le  leghe  vanno 
ncontro  a  tanti  più  rischi,  quanto  è  maggiore  il  tempo  che 
ichieggono  le  loro  operazioni.  Ogni  sinistro  le  espone  alla 
perdita  di  un  confederato,  e  se  mostrano  diffidenza  nelle 
proprie  forze,  risvegliano  anche  quella  de' sudditi. 

V.  Non  erano  gli  stati  italiani  preparati  alla  guerra  della 
indipendenza,  né  con  la  concordia  né  con  la  costanza  degli 
animi  che  si  richieggono  per  farla  reputare  un  dovere,  quando 
bene  non  sia  più  un  mezzo  pronto  di  salvezza.  Meno  ancora 
i  popoli  a  portarne  in  pace  le  gravezze,  e,  sopra  ogni  altra, 
la  grande  corruttela  de'  soldati,  i  quali,  seguitando,  benché 
pagati,  l'esempio  degli  spagnuoli,  avevano  per  le  rapine  ed 
estorsioni  loro  convertita  la  benevolenza  e  la  letizia  in  odio 
e  disperazione.  «  Taglieggiare  i  paesi;  mettere  sossopra  le 
cose  ;  fuggire  le  fazioni;  gareggiare  l'uno  con  l'altro,  deside- 
rare che  il  mondo  mini  per  parere  savio,  o  perchè  l'altro 
paia  pazzo  o  da  poco;  voler  dare  condizione  ai  cagnotti  o  pa- 
renti che  non  lo  meritano,  senza  rispetto  alcuno  allo  inte- 
resse de'padroni  e  della  impresa;  seminare  zizzanie  e  mali 
officii  per  il  campo  »  ecco,  scriveva  il  Guicciardini,  i  princi- 
pali disordini,  ed  avrei  troppa  memoria  se  mi  ricordassi  della 
metà  (2).  Maggiori  erano  nell'  esercito  pontificio;  ma  ne  pa- 
tivano anche  i  veneziani,  stando  trentasei  dì,  e  alle  volte  qua- 
ranta e  cinquanta,  dall'una  paga  all'altra  (3).  E  dipendevano 


(1)  24  sett.  1526,  Ibidem,  p.  393. 

(2)  A  Gio.  Matteo  Giberto,  14  nov.  1526.  Opere  inedite,  pag.  534. 

(3)  Pagano  ogni  trentasei  dì  ;  i  nostri  se  gli  voglio  condurre  a'31, 
ci  è  più  romore  che  in  inferno  . . .  Lamentasi  il  duca  d'Urbino,  e  di 


-  366    - 

in  gran  parte  dal  mal  governo  de'  capitani,  che  le  loro  genti 
adoperavano  comunemente  o  a  mercalanzia,  o  a  pampa  e  a 
far  corte.  Quanto  invero  mostraronsi  dissimili  le  bande  con- 
dotte da  Giovanni  de9  Medici  !  Il  quale,  essendo  tutto  giorno 
con  esse  in  sulle  esperienze  e  in  sui  pericoli,  le  aveva  rese  in- 
trepide dinanzi  ai  più  valorosi  nemici  (i),  per  modo  che  se 
la  fanteria  italiana,  diceva  a  ragione  il  Guicciardini,  avesse 
avuto  mai  a  far  prova  in  una  giornata  contro  agli  oltramon- 
tani, o  V  avrebbe  fatto  sotto  di  lui,  o  non  si  poteva  sperare 
che  la  facesse  mai  sotto  altri  (2).  Né  a  tenere  in  freno  que'ca- 
pitani,  o  a  comporli,  se  discordi,  bastava  l'autorità  del  luogo- 
tenente pontificio  da  una  parte,  del  prò vv editor  veneto  dal- 
l'altra; quegli  essendo,  come  persona  di  professione  diversa, 
dispregiato  da  tutti  (3),  questi  impedito  dal  rispetto  di  con- 
sultarsi in  ogni  cosa  con  la  Signoria  (4). 

Aggiungasi  la  inconsiderata  usanza  di  lasciar  liberi  i 
prigioni  di  guerra.  E  che  dire  delle  frodi  de'  capitani,  massi- 
me degli  svizzeri,  per  farsi  pagare  oltre  al  numero  de'  sol- 
dati che  avevano?  La  era  turpitudine  inveterata,  e  non  ci  si 
vedeva  rimedio  buono.  Ho  trovato,  lamentava  il  Guicciardini, 
mancamento  sì  eccessivo  che  mi  vergogno  a  dirlo;  lasciando 
andare  f  acqua  alla  china,  pagheremo  diecimila  fanti  e  non 


questo  ha  grandissima  ragione,  che  le  fanterie  veneziane  . . .  stan- 
no i  più  belli  40  e  50  di  dall'  una  paga  all'  altra,  6  ag.  e  9  ott.  15%. 
Ibidem,  pag.  185,431. 

(1)  28  ag.  1526.  Ibidem,  pag.  291. 

(2)  7  nov.  1526.  Ibidem,  pag.  5J2. 

(3)  Io  ardo  di  volootà  che  tulle  le  cose  siano  guidate  per  lo 
ordine  suo,  né  farò  mai  difticultà  a  questo  effetto  di  pigliare  fatiche 
o  inimicizie  ;  ma  olire  che  solo  non  posso  tanto  peso,  non  è  anche 
a  proposito  che  io  sia  qua  totalmente  odioso  a  tutti,  18  giugno 
1526.  Ibidem,  p.  75. 

(4)  Perchè  se  le  cose  poi  succedessino  male,  ne  resterebbero 
ruinati  a  Vinegia,  15  ag.  1526.  Ibidem,  p.  215. 


—  367  - 

avremo  quattromila  (i).  Quante  molestie,  e  cosi  avversi  i 
successi!  Dolevasi  il  papa  di  aver  già  speso  oltre  ai  quattro- 
centomila  ducati  che  credeva  bastassero  a  compiere  la  im- 
presa; altrettanto  i  veneziani;  ma  più  ancora  e  sino  al  cielo 
strillavano  i  fiorentini,  ai  quali  il  papa  con  grandissima  em- 
pietà aveva  gettato  addosso  quasi  tutto  il  peso  della  guerra 
in  Lombardia  (2).  I  soli  stipendii  degli  svizzeri  importavano 
circa  sessantaseimila  ducati  al  mese  (3),  e  pur  il  papa  voleva 
non  si  passassero  i  cinquantamila;  sicché  per  la  cura  del  sod- 
disfarli stava  in  continuo  tormento  il  Guicciardini  (4).  «  Biso- 
gna prima  disegnare  le  genti  che  si  hanno  a  tenere  (rispon- 
devagli),  poi  calcolare  la  spesa;  non  col  tassare  la  spesa,  met- 
tere altrui  in  necessità  di  fare  lo  impossibile,  o  di  mancare 
delle  forze  che  occorrono.  Io  prego  vostra  santità  che  si  ri- 
cordi, che  le  genti  non  si  pagheranno  co'  disegni  in  aria,  e 
che  quando  è  il  tempo  delle  paghe,  bisogna  mandare  danari 
e  non  conti  o  ghiribizzi  incerti;  e  la  prego  quanto  posso  per 

(1)5  sett.  1526.  Ibidem,  p.  323,  325. 

(2)  N.  S.e  si  trova  haver  speso  sin  qui  li  400,000  ducati  (che 
credeva  bastassero  a  tutto)  et  poco  manco  de  500,000  et  non  se  è 
fatto  niente  o  pocho  ...  et  Fiorentini  cridano  et  strilano  sin'  al  cielo, 
Venetiani  non  cessano  de  lamentarsi,  havendo  anchora  loro  speso 
tanto  comò  sua  San.ta  . . .  voglio  concluder  chel  papa  è  stracco  et 
venetiani  lassi  de  la  spesa,  vedendosi  tanto  mal  serviti  da  li  soy.  // 
cav.  Gaspare  Landriano  al  duca  Sforza.  Roma,  30  sett.  1 526.  Archi- 
vio s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(3)  Lo  ordinario  delle  paghe  di  tutti  importa  vel  circa  a  sessan- 
taduemila ducati  il  mese  ;  estraordinarii  di  officiali  o  altri  non  do- 
veriano  passare  tre  o  quattromila  scudi  .  . .  sono  in  tutto  circa  a 
tredicimila  a  condotta  di  paghe  vive,  ma  in  fatti  ci  è  fraude  assai. 
Frane.  Guicciardini  a  Già.  Matteo  Giberto,  24  ag.  1526.  Opere  ine- 
dite, pag.  270. 

(4)  Io  mi  confondo  quando  veggo  le  risposte  che  mi  sono  date 
alienissime  dalla  ragione  e  dal  bisogno,  né  so  farci  altra  provvisio- 
ne, che  tra  per  questo  e  per  altro  morire  ogni  dì  di  dolore  mille  vol- 
te, 7  ag.  1526.  Ibidem,  p.  247. 


-  368  ~ 

conservazione  della  sedia  apostolica  e  sua,  per  beneficio  della 
sua  patria,  e  per  la  salute  di  tutta  Italia,  non  vada  più  diffe- 
rendo il  risolversi  fare  grossa  provvisione  di  danari,  perchè 
altrimenti  non  ci  è  rimedio.  So  che  la  si  varrà  di  Firenze, 
ma  non  tanto  che  basti  se  la  non  provvede  lei  estraordina- 
riamente. »  Poi,  alludendo  ai  fiorentini,  soggiungeva  :  «  rin- 
cresce a  ognuno  il  cavarsi  di  borsa,  né  sono  tutti  li  uomini 
savi  tanto  che  considerino  che  il  beneficio  loro  sarebbe  spo- 
gliarsi in  camicia,  più  presto  che  venire  in  si  acerba  servitù; 
ma  quando  vedranno  che  vostra  santità  si  aiuti  ancora  lei 
gagliardamente,  saranno  più  pronti;  perchè  cesserà  la  que- 
rela che  ora  offende  molti,  che  la  più  parte  del  peso  sia  di 
chi  dovrebbe  essere  la  minore  (4).  »  Fu  tutto  indarno;  non 
avendo  danari  con  modi  ordinarii,  rimase  ostinato  il  ponte- 
fice a  non  provvederne  con  gli  estraordinarii,  tra  i  quali  il 
più  comodo,  e  il  più  usitato  da'suoi  predecessori,  era  quello 
di  far  cardinali  (2);  onde  il  Guicciardini,  maravigliando  che, 
per  irresoluzione,  o  per  rispetti  troppo  pericolosi,  volesse 
privarsi  in  tante  difficoltà  dell'  intimo  compiacimento  di  non 
essere  mancato  a  sé  medesimo  e  alla  dignità  della  sede  e  alla 
salute  universale  (3),  conchiudeva  :  se  il  papa  non  ha  denari 
e  non  ne  vuole  provvedere^  non  si  può  dire  altro,  se  non  che 
i  cieli  vogliono  che  miniamo  (&). 


(1)  21  ag.  1526.  Ibidem,  p.  245. 

(2)  Governandosi  io  tante  difficoltà  con  quelli  medesimi  rispetti 
che  è  solito  fare  nelle  tranquillità,  15  sett.  1526.  Ibidem,  p.  371.  Ben- 
ché a  un  papa  non  potriano  mancar  dinari  sei  volesse,  a  papa  Cle- 
mente mancarano  per  non  voler  far  di  quelle  cose  che  fano  venir 
delle  montagne  d'oro,  come  saria  far  cardinali  et  altre  cose  de  quali 
non  se  ne  vole  lassar  parlare.  Dio  voglia  che  non  inoramo  in  una 
uncia  de  aqua,  per  non  proveder  a  bon  hora.  //  cav.  Landriano  al 
duca  Sforza,  11  ott.  1526.  archivio  s.  Fedele  di  Milano  rase. 

(3)  A  Gio.  Matteo  Giberto,  23  ag.  1526.  Opere  inedite,  pag.  262. 

(4)  A  Cesare  Colombo,  20  seti.  1526.  Ibidem,  pag.  384. 


—  369  - 

Clemente,  indebolito  dell'animo,  inclinava  già  a  libe- 
rarsi con  qualche  accordo  dalla  guerra,  vedendo  che  le  opere 
del  re  di  Francia  non  corrispondevano  alle  obbligazioni  (4). 
Questi,  oltre  all'aver  tardato  il  pagamento  dei  quarantamila 
lucati  al  mese  e  le  provvisioni  necessarie  per  la  spedizione 
Sella  flotta  e  per  l' ingaggio  degli  svizzeri,  non  faceva  prepa- 
razione alcuna  a  muovere  la  guerra  di  là  dai  monti,  senza  il 
quale  fondamento  non  sarebbe  mai  stata  conchiusa  la  lega  (2). 
Oltracciò  le  cinquecento  lance,  promesse  nel  maggio,  e  dette 
sempre  in  cammino,  indugiavano  tanto  a  discendere,  che  di 
esse  ancora  in  agosto  sapevasi  quello  che  s' e'  non  fossero  al 
mando  (3),  ben  accorgendosi  il  marchese  di  Saluzzo  destinato 
a  condarle,  che  tornerebbero  inutili  (per  la  rivoluzione  ornai 
avvenuta  negli  ordini  militari,  secondo  che  aveva  predicato 
il  Machiavelli)  senza  un  rinforzo  di  quattromila  fanti  (4), 
nella  qual  spesa  dovettero  concorrere  il  papa  e  i  veneziani 
con  quattromila  scudi  per  ciascuno  (5).  Vero  è  che  di  queste 
lentezze  potevasi  pur  trovare  ragione  nella  mancanza  di  da- 
nari, nel  credito  perduto  con  i  mercatanti  di  Lione  (6),  e 

(1)  A  Gio.  Matteo  Giberto,  5  ag.  1526.  Ibidem,  pag.  175. 

(2)  A  Roberto  Aeriamoli,  ag.  1526.  Ibidem,  173. 

(3)  Ibidem,  p.  173. 

(4)  Poi  che  le  gendarme  senza  fanti  serieno  come  cosa  inutile. 
//  marchese  di  Saluzzo  al  doge  di  Venezia,  giugno  1526.  Molini,  Doc. 
di  stor.  ital.,  1. 1,  pag.  210.  E  queste  lance  erano  oltracciò  in  grande 
disordine.  Ibidem,  p.  213. 

(5)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto,  1 1  ag.  1526.  Opere 
inedite,  pag.  206. 

(6)  Né  d'baver  sicurtà  della  paghe  a  venire,  né  di  rimettere  in 
Italia  qualche  buona  somma  per  li  bisogni,  ci  sarà  ordine;  perchè 
né  danari  contanti  ci  sono,  et  l' entrate,  delle  quali  si  prevaleno, 
vengono  maturandosi  a  poco  a  poco  et  con  li  mercanti  hanno  così 
perduto  il  credito,  che  col  pegno  in  mano  non  gli  serviranno,  né 
gli  fariano  sicurtà.  Gio.  Battista  Sanga  a  Gio.  Matteo  Giberto.  Am- 
boise,  3  ag.  \ò%.Mmcelìi,  Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  7. 


-  370  — 


\ 


nella  natura  del  re  Francesco,  il  quale  immerso  ne9  piaceri 
della  caccia,  del  giuoco,  delle  lettere  e  delle  donne,  eoo  uà 
cancelliere  che  gli  rubava  milioni  e  la  madre  che  per  sé 
gli  accumulava,  e  le  amiche  che  se  gli  pigliavano,  lasciava  an- 
dare il  governo  a  posta  loro  e  di  negligenti  ministri  (4).  Cosi 
ne  scrisse  Giambattista  Sanga,  intimo  del  datario,  mandato 
dal  pontefice  a  sollecitare  gli  aiuti  promessi.  Ma  chi  facevasi 
più  addentro  ne' progressi  delle  cose  e  considerava  le  scuse 
addotte  dal  re,  ora  di  non  poter  risolversi  se  prima  non  ve- 
niva certa  risposta  che  attendeva  di  Spagna  (2),  ed  ora  di  non 
esservi  obbligato  se  prima  non  s' intimava  a  Cesare  di  ren — 
dergli  i  figliuoli  (3),  ben  si  apponeva  che  avesse  più  cara  1j*_ 
lunghezza  della  guerra,  che  la  celerità  della  vittoria,  sperando 
di  riuscir  meglio  non  solo  nelle  pratiche  con  Cesare,  ma  ezian- 
dio negli  occulti  suoi  disegni  sopra  Milano  (4).  Lodovico  Ca- 
nossa, vescovo  di  Baiusa,  ambasciator  suo  a  Venezia,  n'  era 
talmente  persuaso  che,  abborrendo  dal  cooperare  alla  ruina 
della  patria,  chiese  licenza  di  partirsene,  per  non  perdere 
la  roba,  il  tempo  e  V  anima  insieme  (5).  Scopo  della  lega  di 


(1)  E  il  negociar  molto  difficile;  perchè  il  re  fugge  più  che  può 
li  fastidii  ;  et  il  consiglio  è  lungo  ...  se  ne  andasse  la  vita  del  re, 
et  la  ruina  del  regno  non  sanno  fare  altrimenU.  Ibidem,  pag.  8. 

(2)  Il  che  è  un  bel  passo,  dopo  haver  concluso  la  lega,  et  im- 
barcato noi  in  quella  buona  forma  che  siamo.  Gio.  Matteo  Giberto 
a  Roberto  Acciainoli,  23  giugno  1526.  Ibidem,  t.  1,  pag.  220. 

(3)  Cerimonie  vane.  Gio.  Matteo  Giberto  a  mons.  di  Polari 
lugl.  1526.  Ibidem,  p.  231. 

(4)  Altri  credono  che  V.  M.  habbia  piacere  che  l'impresa  si  fec- 
cia difficile,  sperando,  che  questi  d*  Italia  vi  debbiano  proferire  il 
ducato  di  Milano,  per  torlo  a  Spagnuoli.  //  vescovo  di  Baiusa  aire 
di  Francia,  Venezia,  22  lugl.  1526.  Ibidem,  t.  2,  p.  1. 

(5)  Acciocché  io  non  perda  anco  la  gratia  del  re  e  la  vostra: 
sì  come  perderò  standovi  molto  ;  perchè  mi  sarà  impossibile  d'ha- 
ver  tanta  patienza  quanta  mi  bisognerebbe.  A  Madama,  madre  del 
re,  Venezia,  23  lugl.  1526.  Ibidem,  p.  2. 


-  374  ~ 

ogoac  doveva  essere  di  smorbare  Italia  per  sempre  dagli 
ranieri,  e  come  credere  vi  aderisse  sinceramente  la  Fran- 
ai sacrificando  ad  una  idea  generosa  ed  all'  interesse  dei- 
equilibrio  europeo  l'antica  sua  politica  di  conquista?  Il  da- 
rk) Giberto  comprese  infine  essersi  fatto  gran  male  di  porre 
;lla  lega  la  conservazione  dello  Sforza  :  siamo  andati,  ei  di- 
va, alla  repubblica  di  Platone  per  consiglio,  ed  abbiam 
Aulo  liberare  Italia;  diventeremo  invece  servi  con  essa,  né 
veggo  rimedio  alcuno,  salvo  di  cedere  al  re  la  cosa  appe- 
na (4).  Di  fatto  il  papa  gli  profferse  di  prendere  per  sé,  oltre 
la  impresa  di  Napoli,  anche  quella  di  Milano  (2);  ma  secre- 
imente  e  senza  il  consentimento  de'veneziani,  i  quali  ancor- 
ile fosse  vero  che  non  avessero  smesso  il  disegno  d'impadro- 
irsi  del  ducato  (3),  erano  pur  sempre  in  ciò  come  in  ogni 
[tra  cosa  a  que'tempi  miseri  i  migliori  italiani  (4).  Il  perchè 
'rancesco,  sebbene  da  principio  vi  dimostrasse  grandissima 
ìclinazione,  ponderato  questo  ostacolo  e  l'andamento  della 


(1)  A  monsig.  di  Baiusa,  1.  ag.  1526.  Ibidem,  pag.  3. 

(2)  Il  cav.  Landriano  al  duca  Sforza.  Roma,  1 1  ott.  1526.  Archi- 
o  $.  Fedele  di  Milano  msc. 

(3)  Per  altro  a  iudicio  mio  si  contentano  Vineziani  più  di  Napoli 
ie  di  Milano;  che  per  avere  posto  la  mira  a  Cremona,  con  la  quale, 
>nLodi  e  con  uno  Duca  sì  debole,  penserebbono  anche  più  innan- 
»  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto,  22  sett.  1526.  Opere 
adite,  pag.  391. 

(4)  CI  Prìncipe  in  camera  mi  ha  detto  a  lettere  grande  che  la 
gnoria  vuole  in  ogni  modo  mantenere  el  Duca  di  Barri  (Sforza)  in 
ato;  el  che  non  bisogna  che  alcuno  pensi  fare  altremente;  et  che 
I'  è  la  dispositione.de  la  Signoria,  che  più  presto  venerebbe  ad 
pi  rottura  che  permettere  che  '1  ditto  Duca  non  sua  in  stato.  Et 
ce  che  la  Signoria  sa  molto  bene  che'l  Re  et  il  Papa  non  consui- 
no le  cose  come  lor  fanno;  che  consentono  spesso  a  quello  che 
>n  doverebbero  fare,  come  ha  fatto  il  Papa  in  questa  declaratione 
jale  ha  signata  Avvisi  di  Venezia,  forse  del  settembre  1526.  Molini, 
oc.  di  stor.  ital.,  t.  1,  pag.  255. 


—  372  — 

guerra,  onde  non  era  più  a  temere  che  la  mina  dello  im~ 
peratore  si  facesse  per  mano  <T  Italia,  che  non  vorria  nullo 
barbaro  in  essa,  e  non  sarebbe  bene  per  lui,  come  scriveva 
quel  furfante  di  Galeazzo  Visconti  (4),  ricusò  la  offerta,  alle- 
gando con  infinte  parole  il  santo  motivo,  che  credeva  Dio  gli 
avesse  data  la  disgrazia  della  giornata  di  Pavia  per  esser 
venuto  a  turbare  Italia,  per  la  quale  sarebbe  guerra  sempre, 
finché  non  fosse  posseduta  dagli  italiani  (2).  Diede  bensì  pro- 
messa di  aggiungere  ventimila  ducati  al  mese  per  la  impresa 
di  Milano  o  di  Napoli,  e  di  concorrere  a  questa  ultima;  mst» 
nel  rifiuto  del  pontefice  di  concedergli  la  decima  sull'entrata 
beneficiali  del  regno,  ebbe  il  desiderato  pretesto  per  diffe — 
rime  l'adempimento.  Volto  il  pensiero  a  riavere  i  figliuoli  e 
a  conservare  la  Borgogna  più  presto  con  la  pace  che  con  le 
armi  (3),  oppose  persino  difficoltà  all'accettazione  del  duca 
Sforza  nella  lega,  volendo  che  si  obbligasse  di  restituire  agli 
emigrati  di  parte  francese  non  solamente  i  beni  patrimoniali, 
ma  eziandio  le  donazioni  da  lui  fatte,  al  che  non  sarebbero 
bastate  tutte  le  rendite  dello  stato  (4).  Nello  stesso  tempo 


(1)  Al  Montmorency.  Lione,  30  seti  1526.  Molini,  Doc.  di  stor. 
Hai.  Arch.  stor.  ital.  Append.,  n.  9,  pag.  420. 

(2)  //  cav.  Landriano  al  duca  Sforza.  Roma,  21  ott.  1 526.  Archi- 
vio s.  Fedele  di  Milano  msc.  Così  parlavano  anche  i  ministri  del 
re,  e  monsignor  di  Lautrec  dice  con  persone,  con  le  quali  non  finge- 
rla, che  l'attendere  alle  cose  d'Italia  per  sé,  saria  la  mina  del  re, 
ma  che  bene  è  mantenerla  Ubera,  Gio  Battista  Sanga  al  datario  3 
ag.  1526.  Ruscelli,  Lettore  di  principi,  t.  2,  pag.  8. 

(3)  La  freddezza  di  Francia  è  manifestissima;  scrivono  di  Fran- 
cia a  loro  modo,  e  se  procede  perchè  desiderino  più  interesse  in 
queste  cose,  mi  pare  che  di  costà  si  sia  bene  risoluto;  ma  dubito 
assai  non  nasca  perchè  abbino  posta  la  mira  di  avere  i  figliuoli 
più  con  la  pace  che  con  le  arme.  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo 
Giberto,  9  agosto  1526.  Opere  medile,  pag.  193. 

(4)  Di  nuovo  vi  replichamo  che  quanto  alli  beni  loro  patrimo- 
niali, quanti  ne  vengano,  tanti  senza  dilatione  et  spesa  saranno  re- 


—  373  — 

ava  lusinghe  di  riacquistare  la  signoria  allo  sciagurato  Mas- 
mi!  iano  Sforza  custodito  in  Francia,  il  quale  perciò  cresciuto 
.  baldanza  rispondeva  sdegnosamente  alle  umili  e  piacevoli 
ttere  del  fratello  (i),  cui  pareva  fosse  destinato,  in  luogo 
;1  dominio,  un  cappello  cardinalizio  (2).  Indi  nuove  cagioni 
sospetti  tra  i  confederati. 

Né  diverso  dall'  animo  del  re  di  Francia  manifestavasi 
ìello  del  re  d'Inghilterra.  Ricercato  di  entrare  nella  lega, 
alla  quale  era  stato  caldissimo  confortatore  (3),  per  modo 
ìe  il  Wolsey  attribuivagli  il  merito  della  conclusione  (4), 
iede  da  principio  buone  parole  (5),  e  poi,  sentiti  i  casi  av- 
ersi delle  armi  (6),  dimandò,  più  presto  per  interporre  dila- 

ituiti  et  da  noi  gratissimamente  raccolti.  Quanto  alle  donationi  del 
;,  non  basteriano  tutte  lontrate  del  stato.  //  duca  Sforza  al  (cav.  Lan- 
rfano?)  Crema,  19  ag.  1526.  Archivio  di  s.  Fedele  in  Milano  msc. 

(1)  Et  se  li  pare  che  la  fortuna  al  presente  V  adiuti  più  di  me, 
uella  medesima  si  potrebbe  mutare  et  fare  il  contrario,  come  al- 
•e  volte  V.  S.  ne  ha  visto  experientia,  che  io  comandava  et  lei 
ìi  ubidiva.  Molini,  Doc.  di  stor.  ital.  Arch.  stor.  ita!.,  Append.,  n.  9, 
ag.  415. 

(2)  Il  secretano  del  Nuntio  mi  ha  dito  in  confessione,  immo  scrit- 
)  in  un  foglio  le  seguenti  parole,  cioè  tenere  qua  certo  disegno 
aturale  et  in  Franza  quasi  simile  ma  accidentale  poco  bono  per 
uà  Exc.  come  saria  de  dividere  eius  vestimenta  et  fare  ley  cardi- 
ale. Agost.  Scarpinello  (oratore  milanese  a  Londra)  al  duca  Sforza, 
&0tt  1526.  Archivio  di  s.  Fedele  in  Milano  msc. 

(3)  That  the  leegge  shold  be,  by  ali  meanys  possibyll,  sett  for- 
rardys.  BUhop  Clerk  to  Wol&ey  ,11  mai  1526.  State  Papers,  t.  1, 
ag.  164. 

(4}  Shal  principaly  be  ascribed  unto  Your  Highnes,  by  whois 
ounsaile  this  liege  hath  been  begon.  JVoUey  io  king  Henry  Vili, 
oct.  1526.  Ibidem,  pag.  180. 

(5)  Scrive  Augustino  Scarpinello  che  il  re  d'Anglia  persevera  in 
arli  buone  parole  Jacopo  de  Banissio  al  duca  Sforza,  Roma,  23  ag. 
526»  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(6)  Intesa  la  deditione  del  castello  di  Milano  et  altri  successi 
e  li  Caesariani  costì  et  codardia  de  li  de  la  liga,  se  dubita  molto  de 


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zione  che  per  altro  motivo,  si  obbligassero  i  confederati  al 
pagamento  de'danari  dovutigli  da  Cesare,  e  la  entrata  di  qua- 
rantamila ducati  promessagli  nel  regno  di  Napoli  (i)  trasfe- 
rissero nel  ducato  di  Milano  (2).  Anzi  pieno  di  ambizione  e 
desideroso  di  starsene  in  mezzo  come  spettatore  e  arbitro 
del  tutto,  proponeva  condizioni  estravaganti  di  pace,  fra  le 
quali  che  il  ducato  medesimo  fosse  del  Borbone  (3),  purché 
a  lui  si  congiugnesse  la  sorella  di  Cesare  Eleonora,  e  a  sé 
restasse  per  conseguenza  facoltà  di  maritare  la  figliuola  col 
re  di  Francia  (4).  Ben  aveva  ragione  il  duca  Sforza  di  lamen- 
tare che  tutte  le  difficoltà  de'principi  si  risolvevano  in  danno 
della  Lombardia  (5).  Indarno  Gio.  Matteo  Giberto  rammen- 
tava al  Wolsey  ciò  che  altra  volta  avevagli  detto  egli  stesso 
intorno  al  Gallo  insolente;  essere  ornai  quello  spennato,  e 
sorta  in  sua  vece  l'aquila  molto  più  pericolosa;  doversi  anche 
a  lei  tagliare  le  unghie,  affinchè  non  avvenga  che  voglia  met- 
to evento  de  le  cose  depsa  liga.  agostino  Scurpinello  al  duca  Sforza. 
Londra,  23  ag.  1526.  Ibidem  msc. 

(1)  30,000  per  lui  e  10000  per  il  Wolsey.  Gio.  Matteo  Giberto  ai 
proton.  Gambata,  20  giugno  1526.  Ruscelli,  Lettere  di  prìncipi,  1. 1, 
pag.  215. 

(2)  Agostino  Scarpinello  al  duca  Sforza.  Londra,  5  sett.  1526. 
archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(3)  Pare  che  a  quel  tempo  non  ne  avesse  l'animo  alieno  neanco 
il  papa:  me  fa  dubitare  de  qualche  cosa  male,  et  maxime  essendo 
uscito  de  casa  del  Nuntio  che  non  saria  male  per  Italia  acceptare 
Borbone  per  duca  de  Milano,  Gio.  Ant.  Biglia  allo  Sforza,  Granata, 
6,  12  e  16  sett.  1526.  Ibidem  msc. 

(4)  Vuole  il  matrimonio  della  principessa  inglese  col  re  di  Fran- 
cia e  Boulogne.  Agost.  Scarpinello  allo  Sforza.  Londra,  15  ott.  1526. 
Ibidem  msc. 

(5)  Nui  vedemo  le  cose  nostre  particulari  tanto  mal  incaminate 
che  dubitamo  non  pocho  habbiano  ad  terminar  bene,  et  tutto  per- 
chè ogniuno  ne  vole  lacerare  et  poner  la  suma,  et  par  che  tutte  le 
difficoltà  de  principi  si  risolvano  con  nostro  danno.  A  Domenico 
Sauli.  Crema,  4  sett.  1526.  Ibidem  msc. 


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ore  ognuno  sotto  alle  ali  Ci).  Indarno  scongiurava  il  Guic- 
lardini  non  si  tardasse  più  oltre  il  soccorso:  altrimenti  la 
ripresa  si  perderebbe,  e  in  luogo  di  moderare  la  grandezza 
I elio  imperatore,  sarebbero  i  collegati  ministri  a  stabilirgli 
a  monarchia  universale  :  morte  in  principio  nostra,  ma  in 
ine  non  piU  morte  nostra  che  delti  altri,  perchè  sì  eccessiva 
grandezza  ammazzerà  tutti;  e  se  fa  il  fondamento  buono  in 
Italia,  li  altri  sentiranno,  piU  presto  forse  che  non  pensano, 
gli  effetti  di  questo  male  (2).  Wolsey  e  il  re,  volendo  intrat- 
tenere ciascuno  ed  essere  pregati  da  tutti,  non  procedevano 
a  conclusione  alcuna;  anzi  e  l'uno  e  l'altro  rispondevano 
spesso  :  a  noi  non  appartengono  le  cose  d' Italia  ;  vedremo 
V  anno  vegnente  se  la  potenza  di  Cesare  potrà  esserci  mi- 
naccevole (3). 

VI.  Tali  erano  le  condizioni  della  lega  allorché  il  di  A 
settembre  1526,  e  non  prima,  la  intimarono  i  confederati  a 
Cesare.  Sembra  quasi  abbiano  voluto  lasciargli  tempo  a  spe- 
rimentare che  non  l'aveva  a  temere.  Papa  Clemente  trovavasi 
già  in  poter  suo.  Strignevanlo  da  un  canto  i  ghibellini  preva- 
lenti in  Roma  e  altrove  nello  stato  suo,  dall'  altro  la  plebe 
per  l'afflizione  di  nuove  taglie  sempre  pronta  a  tumultuare. 
Più  assai  i  Colonnesi  che  agguatavano  armati  dai  loro  ca- 
stelli. Laonde,  scombuiato  il  senno  in  tanto  affoltarsi  di  avve- 
nimenti, porse  ascolto  a  don  Ugo  di  Moncada,  il  quale,  men- 
tre ingrossava  truppe  sul  confine  napoletano,  lo  persuase  ad 
accettare  P  accordo  del  di  22  agosto  per  cui  quelli  obbliga- 
vansi  a  sgomberare  Anagni  e  a  non  tenere  più  soldati  nelle 
terre  del  dominio  ecclesiastico,  con  condizione  che  perdo- 


(1)  Al  proton.  Gambara,  9  giugno  1526.  Ruscelli,  Lettere  di  prin- 
cipi, t.  l,pag.  191. 

(2)  Al  proton.  Gambara  27  ag.  1526.  Opere  inedite,  pag.  283. 

(3)  Gio.  Matteo  Giberto  al  proton.  Gambara  11  e  13  sett.  1526. 
Ruscelli,  Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  1 1 . 


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nasse  a  tutte  le  offese  fatte  ed  abolisse  il  monitorio  pubblicato 
contro  il  cardinale  Pompeo  Colonna.  Fu  insidia  nefanda, tra- 
mata col  consentimento  dell'imperatore  (4),  e  con  singolare 
acume  preveduta  tre  mesi  innanzi  dal  conte  Alberto  Pio  di 
Carpi  (2).  Perchè  non  si  tosto  Clemente  ebbe  congedati  quasi 
tutti  i  fanti  soldati  per  sua  difesa,  il  cardinale  Pompeo  nella 
notte  precedente  il  dì  vigesimo  di  settembre  con  circa  otto- 
cento cavalli  e  tremila  villani,  in  compagnia  di  Ascanio  e  Ve- 
spasiano Colonna  e  dello  stesso  don  Ugo  di  Moncada,  per  la 
porta  di  S.  Giovanni  Laterano  entrò  improvvisamente  in  Ro- 
ma. Clemente,  pieno  di  terrore  e  di  confusione  mandò  due 
cardinali  a  patteggiare,  ed  altri  due  in  Campidoglio  per  chia- 
mare il  popolo  alle  armi.  Ma  nessuno  si  mosse:  fuggivano i 
nobili,  massime  i  curiali  (3),  e  i  popolani,  lieti  de'  suoi  sini- 
stri, aprivano  senza,  sospetto  le  finestre  e  le  porte  delle  bot- 
teghe per  veder  passare  gì'  invasori  (4).  I  quali  perciò  ere- 

(1)  Nella  precitata  instruzione  1 1  giugno  1516  aveva  dato  ordine 
a  don  Ugo  di  Moncada  di  tenere  il  sacco  ai  Colonnesi  deliberati  di 
scacciar  il  papa  da  Roma  (para  echar  el  papa  de  Roma),  in  caso 
non  volesse  questi  accordarsi  con  lui  :  «  sera  bien  que  no  olvidais 
de  prevenir,  antes  que  ser  prevenido,  y  que  platicays  en  secreto  con  * 
el  cardenal  Colonna,  para  que,  corno  de  si  mismo,  ponga  en  obra 
lo  que,  corno  ariba,  su  solicitador  nos  ha  dicho,  y  que  en  elio  le 
hagais  dar  todo  favor  secreto.  »  Lanz.  Corresp.,  t.  1,  pag.  216. 

(2)  lls  sont  en  quelque  pensée  et  oppinion  de  mouvoir  quelque 
tumulte  dedans  Rome  avec  la  part  Colonnese  . . .  et  entreront  ung 
jour  dedans  Rome,  24  giugno  1526.  Molini,  Hoc  di  stor.  Hai.  t.  1, 
pag.  205. 

(3)  Roma  non  si  mosse,  né  de  tanti  cardinali  né  signori  che  ci 
sono  un  solo  prese  le  armi  ;  parea  che  ognuno  fosse  dormenzato 
né  ad  altro  se  atendeva  salvo  a  fugir  robbe  e  salvarsi  chi  poteva 
maxime  Curiali.  //  cav.  Landriano  al  duca  Sforza.  Roma,  21  selt 
1526.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(4)  In  Campidoglio  andarono  il  reverendissimo  Campeggio,  et 
Cesarino,  ma  niente  operarono  con  Romani,  i  quali  eran  tutti  in  bi- 
sbiglio, et  pareva  loro  fare  assai  di  stare  a  vedere.  Girolamo  Ne* 


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iuti  d' animo  si  spinsero  per  ponte  Sisto  in  Transtevere,  e 
là  per  Borgo  Vecchio  fino  al  Vaticano,  essendovi  ancora 
;ntro  il  pontefice.  Questi  in  sulle  prime  pensò  rinnovar  le 
eoe  della  Roma  antica  aspettandoli  sul  proprio  trono  e  nella 
aestà  della  tiara;  poi  come  più  prudente  preferi  salvarsi  in 
stel  s.  Angelo,  in  tempo  che  quelli  saccheggiavano  il  suo 
ilazzo,  gli  ornamenti  sacri  della  chiesa  di  s.  Pietro  e  gran 
irte  di  Borgo  Nuovo  (i).  Ma  non  avendo  trovato  in  castello 
stovaglie,  ed  esausto  essendo  di  danari  (2),  gli  fu  forza  ca- 
tetere, accettando  una  tregua  di  quattro  mesi,  con  obbligo 
richiamar  subito  di  Lombardia  le  sue  truppe  e  la  flotta 
te  bloccava  Genova,  e  di  dare  per  ostaggi  della  osservanza 
iiippo  Strozzi  e  uno  dei  figliuoli  di  Jacopo  Salviati  (3).  Tali 
indizioni  gl'i m pose  il  Moncada,  degno  ministro  di  quel  Ce- 
tre che  dopo  aver  causato  l'assalto  de' Colon nesi  ne  faceva 
vissime  doglianze  col  nunzio  pontificio  (A);  e  gliele  impose 
andò  a  ginocchi,  cogli  atti  di  maggior  riverenza,  onde  il  pa- 
i  ricordò  le  parole  del  Vangelo  :  davangli  schiaffi  e  diceano 
live  re  dei  giudei  (ti).  Per  vero  avrebbe  potuto  ottenere  an- 
>r  più,  forse  prenderlo  a  discrezione,  e  Pompeo  Colonna, 

o  a  Marc' Antonio  Micheli,Romz,  24  selt.  1526.  Ruscelli,  Lettere  di 
tocipi,  t  1,  pag.  234. 

(1)  Il  palazzo  apostolico  fu  posto  quasi  del  tutto  a  sacco  per  in- 
no alla  guardaroba  et  camera  del  papa ...  si  stima  che  il  sacco 
issi  ducati  trecentomila.  Ibidem,  pag.  235  e  236. 

(2)  Di  certo  ho  saputo  quando  N.  S.  si  ritirò  in  castello  non 
iveva  più  de  600  ducati,  miseria  da  non  credere.  //  cav.  Landriano 
io  Sforza,  30  seti.  1526.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(3)  Convenzione  di  Clemente  VII  con  Ugo  de  Moncada,  per  rim- 
ar. Carlo  V,  21  sett.  1526.  Molini,  Doc.  di  stor.  italiana,  t.  1,  pag. 
8-231. 

(4)  Jay  dit  au  nonce  le  grand  desplesir  que  jay  de  ce  que  en  a 
ite  fait . . .  contre  mon  jntencion  et  volunte.  Der  kaiser  an  Ferdi- 
ind,  30  nov.  4526.  Lanz.  Corresp.,  t.  1,  pag.  227. 

(5)  Jacopo  Nardi,  Istoria  della  città  di  Firenze,  t.  2,  pag.  124. 

24 


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disilluso  nella  speranza  del  papato,  si  querelò  che  no  1  fa- 
cesse (i)  ;  ma  al  Moncnda  parve  successo  bastante  togliere 
tutt'  a  un  tratto  alla  lega  il  capo  e  il  titolo  di  santa. 

Percosse  questa  nuova  come  un  fulmine  gli  amatori  del- 
l'Italia. Guicciardini,  che,  senza  essere  figlio  geloso  di  Firenze 
dov'  ebbe  i  natali,  ne  di  Róma  che  lo  adottò,  voleva  la  indi- 
pendenza della  patria  comune  (2);  lui  che  dispettava  i  fiac- 
chi consigli  di  chi  esagerandola  propria  miseria  risparmiavasi 
gli  stenti  dell'uscirne;  Guicciardini  esclamò:  vorrei  prima 
morire  mille  volte  che  vivere  con  tanta  indegnità;  maladello 
sia  chi  ha  più  paura  de' pericoli  che  del  male  (3).  Se  il  papa 
osserva  la  tregua  (scriveva,  sospirando,  il  duca  Sforza)  ine- 
vitabile è  la  nostra  ruina  (4);  ma  non  si  pensi  che,  per  es- 
sersi ritirato  dalla  lega,  abbia  Cesare  a  dimenticare  le  cose 
passate  e  ch'ei  fu  causa  della  unione  d'Italia  con  Francia: 
tenga  fermo  invece,  che,  riportando  vittoria,  vorrà  deporlo, 
e,  conforme  ai  premeditati  disegni,  ingoiarsi  1q  stato  eccle- 
siastico e  Firenze  (5). 


(l)Graviler  indignante  Columna.  Onofrii  Panvinii  veronensis: 
de  vita  pontif.  Clementis  VII.  Coloniae,  1574,  p.  855. 

(2)  Parlerò  come  servitore  di  Nostro  Signore,  non  come  Fio- 
rentino; resolverèmi  prima  abbandonare  Roma  e  Italia,  se  pure  la 
fortuna  volesse  così,  che  vivere  in  Roma  della  sorte  che  viverà 
Nostro  Signore.  A  Gio.  Matteo  Giberto^  sett.  1526.  Opere  inedite, 
pag.  395. 

(3)  26  sett.  1526.  Ibidem,  p.  399. 

(4)  Non  volemo  comemorar  di  quanta  ruina  sarla  che  osservasse 
integralmente  la  tregua  sforzatamele  et  con  tradimento  fetta  per 
esser  troppo  notorio,  perhohavendo  sempre  cognosciutaSuaSanU 
andar  al  camino  dela  quiete  et  liberatione  de  Italia  et  tutta  christia- 
nita  no  lassaremo  de  ricordar  chel  cliristianis.  re  di  franza  per  la 
salute  del  regno  suo,  pocho  ha  curato  liaver  dato  li  figli  per  obsidi 
alla  Ces.  M.tà.  Al  cav.  Landriano  a  Roma.  Crema,  26  sett.  1526. 
Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(5)  Crema,  1  ott.  1526.  Ibidem  msc 


-  379  - 

Papa  Clemente  n'era  in  cuor  suo  persuaso;  imperciocché 
a  lui  non  mancava  prudenza,  si  la  troppa  timidità  ad  ora  ad 
ora  turbatagli  il  giudizio.  A  quel  modo  stesso  che  il  Guic- 
ciardini reputava,  doversi  maggior  rispetto  ad  una  lega  fatta 
volontariamente  e  con  tante  solennità  per  salute  pubblica, 
che  ad  un  accordo  fatto  per  forza  e  con  ruina  del  mondo  (1), 
anch'egli  era  d'avviso  di  non  tenere  la  tregua  né  pure  un' 
ora  di  più  che  fosse  necessario  (2).  Il  di  seguente  a  quello 
della  sottoscrizione  mandò  al  re  di  Francia  Guglielmo  de 
Bellay  signore  di  Langey  con  sue  lettere  che  la  dichiarava- 
no nulla  e  in  nessuna  parte  obbligatoria  (3),  e,  tre  giorni  do- 
po, Paolo  di  Arezzo  (4)  con  commissione  di  passare  poi  a  Ce- 
sare per  le  pratiche  della  pace,  ma  in  realtà  per  fargli  inten- 
dere le  necessità  e  i  pericoli  suoi,  e  domandargli,  per  potersi 
difendere,  centomila  ducati.  Nello  stesso  tempo  non  aveva 
appena  richiamate  le  sue  genti  di  Lombardia  (5)  che  con- 
trammandava,  ne  rimanessero  nell'esercito  quante  più  fosse 
possibile  sotto  colore  di  essere  pagate  dal  re  di  Francia  (6); 
onde  il  Guicciardini  vi  lasciò  Giovanni  de'Medici  con  i  fanti 
suoi  e  di  Vitello  Vitelli,  ch'erano  in  tutto  circa  quattromila, 


(1)  A  Gio.  Matteo  Giberto,  24  sett.  15:>6.  Opere  inedite,  pag.  394. 

(2)  Estratto  di  una  lettera  di  Clemente.  Herbert,  p.  155. 

(3)  Vita  di  Filippo  Strozzi  scritta  da  Lorenzo  suo  fratello.  The- 
saur.  antiq.  et  hist.  Mal.,  t.  Vili,  par.  2. 

(4)  Lettere  di  Clemente  VII  e  di  Gio.  Matteo  Giberto  datario  a 
monsig.  di  Montmorency,  24  sett.  1526.  Molini,  Doc.  di  stor.  Mal., 
t.  1,  pag.  235-236. 

(5)  Frane.  Guicciardini  a  Roberto  Acciaiuoli,  26  sett.  1526.  Opere 
inedite,  v-  401. 

(6)  Perchè  desidera  che  la  impresa  resti  più  gagliarda  che  si 
può,  e  che  io  differisca  a  levarmi  quanto  posso,  sotto  tale  scusa 
che  non  sia  con  demostrazione  di  non  voler  servare  la  tregua, 
alla  quale  non  vuole  in  questo  principio  scopertamente  contrave- 
Dire,  6  Ott  1526.  Ibidem,  p.  424. 


—  380  — 

vigore  del  campo  (4),  e  le  rimanenti  truppe  non  ricondusse 
a  Piacenza  sulla  opposta  riva  del  Po  che  a  di  sette  ottobre. 
Per  tal  maniera  le  forze  della  lega  conservavansi  ancora 
superiori  di  molto  alle  imperiali.  Il  marchese  di  Saluzzo  ave- 
va condotte  finalmente  le  cinquecento  lance  francesi  e  quat- 
tromila fanti.  Oltre  ai  sopraccennati  quattromila  pagati  dal 
pontefice  sotto  Giovanni  de'  Medici  contavansi  quattromila 
svizzeri,  duemila  grigioni  luterani  (2)  e  circa  diecimila  fanti 
de' veneziani.  Ma  la  reputazione  della  lega  era  perduta,  e  se, 
scarsa  per  lo  innanzi,  ornai  dopo  i  casi  di  Roma  nessuna  spe- 
ranza di  pronto  soccorso  francese  animava  i  confederati.  Le 
calde  esortazioni  del  papa  e  di  Andrea  Rosso,  segretario  della 
repubblica  veneta  (3),  cadevano  in  gente  cui  nulla  toccavano 
i  dolori  dell'Italia.  Né  si  vuol  tacere  che  anche  il  papa  ope- 
rava tanto  discordante  da  sé  medesimo  che,  volendo  dal  re 
Francesco  danari  e  maggiore  prestezza  alla  guerra,  non  solo 
gli  negava  le  decime,  instando  di  volerne  per  sé  la  metà, 
ciocché  il  re  ricusava,  ma  ancora  non  si  risolveva  a  creare 
cardinale  il  grancancelliere  Du  Prat,  il  quale,  per  l'autorità 

(1)  30  sett.  1526.  Restano  al  signor  Giovanni  circa  quattro  mila 
fanti,  e  benché  il  pagamento  si  dica  fatto  da  altri,  né  apparisca  fatto 
da  noi,  tamen  ognuno  la  intende  a  suo  modo,  e  quelli  di  Milano 
l'hanno  molto  bene  accennato,  3  ott.  1526.  Ibidem,  pag.  407,  418. 

(2)  Non  ostante  le  ripugnanze  manifestate  in  sulle  prime  dal 
papa  per  rispetto  alla  dignità  della  sede  apostolica, furono  pur  presi 
al  soldo  suo  e  dei  veneziani,  affinchè,  ricuperato  avendo  Chiaven- 
na,  non  si  conducessero  col  duca  di  Borbone,  né  lasciassero  il 
passaggio  per  le  loro  terre  a  nuove  truppe  tedesche.  Ibidem,  pa- 
gina 252. 

(3)  Se  '1  re  christianis.  non  li  provede  cum  ogni  prestezza  et  ga- 
gliardamente, tutta  la  impresa  de  Lombardia  sarà  ruinata  . . .  Que- 
sti sariano  tempi  per  la  gran  importanza  de  le  cosse  ...  se  aten* 
desse  ad  ben  consigliar  et  proveder  al  bisogno  comune  et  non  ad 
piaceri,  quali  se  togliono  poi  quando  vi  è  la  tranquillità.  A  monsig. 
di  Montmorency,  2  ott.  1526.  Molini,  Doc.  di  stor.  ita!.,  t.  1,  pag.  238. 


-  381  — 

che  aveva  nei  consigli,  poteva  essergli  in  tutti  i  disegni  di 
grandissimo  momento.  Oltracciò  non  faceva  provvisione  di 
sorta  per  aver  danari  proprii,  sebbene  il  Guicciardini  gridasse 
a  perdita  di  voce  :  aiutatevi  se  volete  che  il  re  di  Francia  e 
Dio  vi  aiuti  (I).  «  Stimando  minor  male  (proseguiva)  lasciar 
rovinare  il  mondo  e  sotterrarsi  in  eterno,  che  il  crear  car- 
dinali o  pigliar  altri  modi  di  far  danari,  non  è  a  maravigliare 
che  il  re  insospettisca  o  ci  tenga  per  amici  inutili,  essendo 
veramente  strano  che  di  una  impresa,  dove  almanco  per  ora 
abbiamo  più  interesse  che  lui,  si  voglia  ch'egli  porti  il  peso 
per  sé  e  per  noi  :  conchiudo  in  fine  come  in  principio  :  io  non 
spero  da  voi  nulla  di  buono  (2).  » 

In  tali  condizioni  qual  fosse  l'animo  del  duca  di  Urbino, 
facile  è  immaginare.  Conchiuso  1'  accordo  di  Cremona,  di 
cui  la  repubblica  veneta  diede  il  possesso  a  Francesco 
Sforza,  com'ebbe  nuova  della  tregua  pontificia,  andò  in  Man- 
tovano a  vedere  la  moglie,  e  vi  spese  tre  settimane:  tempo 
ben  scello  I  esclamò  amaramente  il  Guicciardini.  Ritornato 
all'  esercito  a  mezzo  il  mese  di  ottobre,  avrebbe  potuto  ten- 
tare di  nuovo  la  impresa  di  Milano  o  quella  di  Genova.  In 
Milano  pativano  tanto  gl'imperiali  di  danari,  essendo  anche 
quelli  mandati  da  Cesare  o  riscossi  dagli  abitanti  infedel- 
mente amministrati  (3),  che  il  Borbone,  disperato  di 
sostenersi  più  oltre,  aveva  già  fermo  in  mente  di  uscirne,  e 

(1)  A  Gio.  Matteo  Giberto,  18  ott.  1526.  Opere  inedite,  pag.  455. 

(2)  A  Cesare  Colombo,  25  ott.  1526.  Ibidem,  pag.  475  Domenico 
Sauli  scriveva  a  Gio.  Battista  Sanga  si  trovassero  trecento  o  quat- 
trocentomila ducati,  per  ogni  via  che  si  possa,  quando  doveste  ven- 
dere U  chiavi  et  ogni  cosa.  Venezia,  27  ott.  1526.  Ruscelli,  Lettere  di 
principi,  t.  2,  pag.  17. 

(3)  No  se  gastan  estos  dineros  que  vienen  en  poder  del  Borbon 
con  la  orden  que  conviene  al  servicio  de  V.  M.a.  Lope  de  Soria  al 
emperador,  Genova,  17  sett.  1526,  Biblioteca  de  la  Acad.  dyhistm  de 
Madrid.  A.  38.  msc. 


—  382  — 

perciò  lagnavasi  della  tregua  che  gli  toglieva  la  facoltà  di 
condursi  a  Piacenza  o  in  Toscana,  uniche  terre  aperte  alle 
sue  genti,  per  essere  troppo  forti  quelle  dei  veneziani  (4). 
Nonpertanto  nel  consiglio  tenuto  il  di  47  ottobre  dichiararono 
i  capitani  italiani  non  potersi  ottenere  Milano  né  con  la  forza 
delle  armi  né  con  la  fame  (2).  Restava  la  impresa  di  Genova, 
e  poco  sforzo  da  parte  di  terra,  secondo  gli  avvisi  che  man- 
davano i  comandanti  della  flotta  (3),  sarebbe  bastato  a  pi- 
gliare quella  città,  che  poteva  essere  salute  di  Roma  e  al- 
terare le  condizioni  di  tutta  la  guerra.  Levossi  in  fatti  Feser-  - 
cito  l'ultimo  giorno  di  ottobre  dall'  alloggiamento  nel  quale^ 
era  stato  lungo  tempo,  e,  dopo  una  grossa  scaramuccia  cor» 
Borbone,  si  ridusse  a  Pioltello.  Qui  intendeva  il  duca  di  Ur-= 
bino  soprastare  tanto  che  fosse  dato  fine  alla  fortificazione  dfl 
Monza;  di  là  andrebbe  poi  a  Marignano  e  lo  fortificherebbe 
del  pari;  finalmente,  preso  anche  Abbiategrasso,  manderebbe 
il  marchese  di  Saluzzo  con  i  fanti  suoi  e  cou  una  banda  di 
svizzeri  verso  Genova  (A). 


(1)  E  vero  chel  s.r  duca  de  Borbon  se  dole  del  poco  respecto 
havuto  al  suo  honore  de  concludere  senza  sua  saputa  ;  laltro  que 
venendoli  soccorsi  de  V.  M.à  et  trovandose  senza  dinaro  de  poder 
satisfare  multo  tempo  observandose  la  tregua  et;  levandose  el  modo 
de  poter  transferirse  en  Piazencia  et  per  mar  et  terra  de  florentines, 
havendo  veneciani  lo  suo  paese  forte,  non  sa  corno  sostener  tanto 
peso.// prof on.  Caracciolo  aliimper.  Milano,  3  btt.  1526.  Ibid.  msc. 

(2)  Se  fatto  hogij  consiglio  ove  furono  ditte  molte  et  varie  opi- 
nioni, la  comune  era  non  si  potesse  sforzar  Milano.  Il  robar  dubioso, 
lassediar  fruslatorio,  il  mutar  allogiamento  necessario,  il  tener 
Monza  utile.  Concluso  in  somma  di  partir  da  qua  et  allogiarse  tra 
Milano  et  Pavia.  Scipione  Atellano  al  duca  Sforza  in  Lambro,  17  ott. 
1 526.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(3)  Veggasi  la  lettera  di  Teodoro  Trivulzio  al  re  Francesco,  15 
gemi.  1526.  Moliniy  Doc.  di  stor.  ital.,  t.  1,  pag.  262. 

(4)  Francesco  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto,  19  ott.  1526. 
Opere  inedite,  pag.  461. 


—  383  — 

Ma  Carlo  V  non  gli  lasciò  tempo  di  condurre  a  termine 
/tardi  disegni.  Stavano  già  per  piombare  sull'Italia  nuovi 
fanti  tedeschi,  e  la  flotta  spaguuola  capitanata  dal  viceré 
Lannoy  salpava  il  dì  24  ottobre  dal  porto  di  Cartagena  con 
diecimila  uomini  di  truppe  veterane  (4).  Se  Cesare,  diceva 
a  ragione  il  Guicciardini,  trovasse  negli  inimici  suoi  quella 
ostinazione  alla  guerra  che  vi  ha  lui;  io,  ancora  che  gli  ac- 
cidenti siano  grandi,  non  temerei  mollo,  perchè  mi  pare  che 
a  ogni  male  ci  saria  rimedio  (2).  «  Oh  quanto  egli  è  dissimile 
(proseguiva)  dall'avo  Massimiliano!  Questo, sostentato  spesso 
da  tanti  aiuti  e  danari  di  altri  e  da  tante  opportunità,  o  per 
impotenza  o  per  disordine  o  per  infelice  fortuna,  minava  in 
mezzo  delle  imprese  ;  quello  combattuto  da  ognuno,  ma  po- 
tente e  abbondante  di  ottimi  ministri,  a  cose  già  disperate, 
risorge  più  glorioso  che  mai  :  par  quasi  che  la  fortuna,  seb- 
bene cacciata  da  lui  con  grandissimo  impeto,  persista  a  vo- 
ler dimorare  a  suo  dispetto  in  casa  sua  (3).  » 

La  venuta  della  flotta  spagnuola;  il  dubbio  di  non  per- 
dere i  collegati,  e  privato  degli  appoggi  loro  restare  in  preda 
di  Cesare;  gli  stimoli  di  Gio.  Matteo  Giberto  e  del  cardinale 
Farnese  (A);  più  ancora  lo  sdegno  concepito  contro  ai  Co- 
lonnesi,  e  il  desiderio,  col  farne  vendetta,  di  ricuperare  in 
qualche  parte  l' onore  perduto,  indussero  infine  il  pontefice 
a  rompere  la  tregua.  Com'  ebbe  ragunati  a  Roma  duemila 
svizzeri,  tremila  fanti  italiani  e  alcune  centinaia  di  cavalli 
con  Vitello  Vitelli,  tolse  il  cappello  a  Pompeo  Colonna,  su 

(1)  En  nombre  denviron  X.m  hommes  tant  Despaignolz  que  Al- 
lemans,  entre  lesquelx  y  a  beaulcop  de  principaulx  personnaiges  et 
noblesse  (fra  gli  altri  Ferrante  Gonzaga)  Per  kaiser  an  Ferdinand, 
30  nov.  1526.  Lanz,  Corresp.,  t.  1,  pag.  227. 

(2)  A  Gio.  Matteo  Giberto,  4  nov.  1526.  Opere  inedite, -pag.  507. 

(3)  Al  proton.  Gambara,  9  nov.  1526.  Ibidem,  pag.  525. 

(4)  Juan  Perez  al  emperador.  Roma,  22  ott.  1526.  Biblioteca  de 
la  Acad.  d*  hist.  de  Madrid.  A.  39  msc. 


—  384  — 

lui  e  su  tutti  di  sua  famiglia  avventò  le  scomuniche,  e  sulle 
lor  terre  (24  nov.)  quelle  truppe  furibonde,  che  ai  ridenti 
dintorni  del  lago  di  Albano  e  fin  agli  Abruzzi  recarono  uno 
sterminio  da  cui  più  non  si  ristorarono  :  di  Marino,  Monte- 
fortino,  Zagarolo,  Subiaco  e  di  quattordici  altri  villaggi  non 
rimasero  che  le  macerie.  Tornava  dunque  Clemente  con  l'ani- 
mo de'primi  giorni  alla  guerra  della  indipendenza.  Fu  la  più 
ardita  e  grandiosa  impresa  sua  come  principe;  la  più  infelice 
e  rovinosa  come  pontefice.  Quanto  fece  per  gl'interessi  mon- 
dani dell'Italia  tornò  in  danno  de'contemporanei  interessi-re- 
ligiosi della  Germania  :  ecco  gli  effetti  del  sommo  sacerdo- 
zio non  prosciolto  dalla  potestà  regia. 

VII.  In  Germania  fu  un  momento  che  parve  sonata  Pul- 
tima  ora  alle  novità  luterane  :  quando  il  re  di  Francia  nel 
trattato  di  Madrid  assunse  l'obbligo  di  una  impresa  comune 
contro  gli  eretici  (4),  offerendosi  inoltre  spontaneamente  di 
concorrere  per  metà  nelle  spese  e  di  andarvi  in  persona  (2). 
Allora  Carlo  V  confidando  nella  osservanza  dei  patti,  con  sue 
lettere  scritte  da  Siviglia  il  dì  ventesimo  terzo  di  marzo  del 
4526,  inculcò  che  fosse  adempiuto  l'editto  di  Worms,  approvò 
la  lega  conchiusa  a  tal  uopo  a  Dessau  (maggio  4525)  tra  i 
duchi  Enrico  di  Brunsvich  e  Giorgio  di  Sassonia  e  gli  elettori 
di  Magonza  e  di  Brandeburgo;  dichiarò  in  ultimo  andrebbe 
quanto  prima  a  Roma  per  provvedere  ai  mezzi  di  sradicare 


(1)  Pour  dresser  tous  le  moyens  convenables  pour  les  ditesem- 
prises  et  expeditions  tant  contre  les  dits  Turcs  et  infìdeles  que  con- 
tre  les  dits  heretiques  aliénes  du  greme  de  la  sainte  église,  art.  26. 

(2)  Quum  potissime  rex  ipse  i<]  obtulerit,  ut  si  Caesari  adversus 
hostesfìdeieumlem  essetautinLutheranosmqvendumJs  dimidium 
impensae  sustineret,  et  si  Caesari  gratum  esset,  cum  eo  personaliter 
adesset,  quam  oblationem  Caesar  prò  christianae  reJigionis  augmento 
respuendam  non  censuit.  dpologiae  dissuasoriae  refutatio.  Goldast 
Poi.  imp.,  p.  884 


—  385  — 

la  eresia  (4).  Ma  tutto  a  un  tratto  qual  cambiamento  di  cose! 
11  re  di  Francia  ruppe  sua  fede,  e  papa  Clemente  si  pose  a 
capo  de'  nemici  di  Cesare.  Ne  imbaldanzirono  i  principi  ade- 
renti a  Lutero,  onde  avvenne  che  alla  lega  evangelica  di  già 
stretta  a  Torgau  (4  marzo  4526)  tra  Filippo  langravio  di  As- 
sia e  Giovanni  il  Costante  elettore  di  Sassonia,  per  contrab- 
bilanciare la  lega  cattolica  di  Dessau,  accedessero  i  duchi 
Ernesto  di  Luneburgo,  Filippo  di  Grubenhagen,  ed  Enrico 
di  Meclemburg,  il  principe  Volfango  di  Anhalt,  il  conte  Al- 
berto di  Mansfeld  e  la  città  di  Magdeburgo. 

Cosi  stavano  le  due  parti  pronte  alle  armi,  allorché  si 
adunò  la  dieta  di  Spira.  Non  mai  udironsi  con  maggior  forza 
ripetere  i  consueti  lamenti  contro  gli  abusi  del  clero;  non 
mai  ancora  si  andò  tant'  oltre  nelle  proposte  di  riforma  :  fu 
detto  persi  no  essere  meglio  che  i  preti  abbiano  moglie  (2). 
E  che  sarebbesi  detto  e  fatto,  se  i  commissarii  imperiali,  a 
discussione  già  molto  inoltrata,  non  avessero  opposto  gli 
ordini  di  Cesare  di  non  trattar  cosa  alcuna  contro  le  dottri- 
ne, cerimonie  e  vecchie  usanze  della  chiesa?  Proruppero  al- 
lora i  luterani  in  minaccie  di  guerra  civile,  e  molti  de'prin- 
cipi  stavano  per  partire.  Ma  ben  tosto  prevalse  la  conside- 
razione, essere  quegli  ordini,  portanti  la  data  medesima  delle 
lettere  di  Siviglia  23  marzo,  emanati  in  un  tempo  che  Ce- 
sare era  ancora  in  buona  concordia  col  pontefice:  trovarsi 
ornai  le  genti  di  quest'ultimo  al  campo  contro  di  lui;  non  po- 
tersi per  conseguenza  aspettar  rimedio  da  un  concilio  ecu- 
menico. Laonde  si  prese  il  partito  di  mandar  ambasciatori  a 
Cesare  per  pregarlo  di  voltar  l'occhio  al  misero  e  tumultuoso 
stato  dell'  impero,  e  di  concedere  almeno  un  concilio  nazio- 
nale, sospendendo  intanto  la  esecuzione  dell'editto  di  Worms, 

(1)  Rommel  Urkundenband,  pag.  13. 

(2)  Leop.  Ranke, Deutsche  Geschichte  im  Zeitalter  der  Reforma- 
ion,  t.  2,  pag.  288. 


—  386  — 

dichiarata  impossibile  da  alcuni  secondo  coscienza,  da  altri 
per  timore  di  sedizioni. 

In  vero,  per  grande  che  fosse  la  devozione  di  Carlo  Y 
al  papato,  come  credere  che  la  guerra  mossagli  da  Clemente 
in  Italia  volesse  contraccambiare  con  amorevoli  officii  in  Ger- 
mania? Subito  dopo  la  battaglia  di  Pavia,  allorché  il  papa 
mostravasi  ancora  vacillante,  Mercurino  da  Gattinara  gran- 
cancelliere aveva  proposto  gli  si  domandasse  un  concilio, 
non  già,  com'egli  stesso  diceva,  per  convocarlo  effettivamen- 
te, ma  soltanto  per  costrignere  il  papa  a  maggiore  arrende- 
volezza (1).  Sin  da  quel  tempo  era  stato  esortato  Clemente 
a  badar  bene  che  l'amicizia  di  Francia  non  gli  costasse  la  ob- 
bedienza degli  stati  tedeschi  ancor  aderenti  alla  Chiesa  (2), 
e  di  fresco  avevagli  predetto  l'arcivescovo  di  Treviri  che  le 
cose  sue  nella  dieta  di  Spira  andrebbero  peggio  che  mai  (3). 

Kon  pertanto  indugiò  Cesare  a  risolversi,  e  solo  allora 
che  anche  le  ultime  trattative  del  Moncada  fallirono,  a'di  27 
luglio  notiGcò  a  Ferdinando  suo  fratello  il  disegno  lunga- 
mente discusso  in  consiglio  di  annullare  le  comminazioni  del* 
l'editto  di  Vorras  e  di  rimettere  la  verità  della  dottrina  evan- 
gelica alla  decisione  di  un  concilio.  Opinano  alcuni  (dicevagli> 
che  il  papa  non  possa  aversene  a  male,  trattandosi  di  togliere 

II)  Buchuìtz.  t.  2.  p?g.  281. 

(2)  That  Germany  being  now  so  mudi  iufected  with  the  Luthe- 
ran  heresy,  suoli  membcrs  ofitas  stili  contioue  inlhe  communioo 
of  thechurch,  may  be  provoked  to  withdrawtheir  obedience,sbouM 
bis  holiness  appear  to  act  in  favour  of  the  French  king  agalnst  tbe 
eroperor.  WoUey  to  bìshap  Cterk  ofBath.  lettera  scritta  poco  prima 
della  battaglia  di  Pavia.  John  Gali  Tbe  life  of  card.  Wolsey  letL  XVIII. 

(3)  Le  pape  . . .  m'adii  que  l'arche\esque  de Treves avoit  dit... 
qu"  il  devoit  e? Ire  seur  que  a  eette  beure  se  feroit  là  tout  le  pis  que 
se  poisrroit  contre  luy  et  le  Saii  t  Siege:  et  que  a  la  diete  qui  se  de- 
voit faire  a  Spire  se  eommenceruit  a  demander  ung  concile,  else 
feroit  des  autres  choses.  Lettera  del  conte  Pio  di  Carpi  al  re  Fran- 
cesco I,  24  giugno  1526  Moiùii,  Doc.  di  stor.  ita!.,  t  1.  pag  208. 


—  387  — 

unicamente  le  pene  temporali,  non  le  spirituali,  e  che  in  ogni 
modo  non  vi  abbia  miglior  mezzo  di  ottenere  dai  principi  te- 
deschi un  buon  soccorso  di  uomini  a  piedi  e  a  cavallo  con- 
tro i  turchi  o  contro  Italia  a  maggior  bene  della  cristianità; 
altri  sono  di  contrario  avviso  per  timore  di  perdere  l'appog- 
gio de'  cattolici  (\).  E  in  questo  consentiva  Ferdinando,  ob- 
bligato eziandio  da  particolari  necessità  ad  averli  in  rispetto. 
Sin  dal  principio  delle  pratiche  che  condussero  alla  lega  di 
Cognac,  papa  Clemente  s' era  accordato  col  re  Francesco  di 
suscitargli  nuovi  ostacoli  in  Germania  (2),  offerendo  la  co- 
rona di  re  de' Romani  a  qualcuno  degli  avversarii  di  casa 
d'Austria  :  quegli  al  duca  Guglielmo  di  Baviera  (3);  questi 
all'  elettore  palatino  (4).  E  già  il  primo  la  brigava  scoperta- 
mente, allorché  un  luttuoso  avvenimento  porgevagli  il  destro 
di  levare  ancora  più  alto  i  suoi  pensieri.  Solimano  II,  l' eroe 
gransignore  che  durante  la  prigionia  di  Francesco  aveva  con- 
cepito il  disegno  di  congiungere  la  sua  flotta  con  la  francese 
per  assaltare  la  Spagna  e  contemporaneamente  di  farsi  del- 
l' Ungheria  un  varco  per  alla  volta  dell'  Italia  superiore  (5), 


(1)  Bucholtz,  t.  3,  pag.  371. 

(2)  Perchè  non  è  manco  odiosa,  né  formidabile  la  grandezza  di 
Cesare  in  Alemagna,  di  quello  sia  a  noi;  et  quando  noi  fossimo  sup- 
peditati,  non  la  fariano  loro  bene,  Gio.  Matteo  Giberto  a  Rob.  Ac- 
ciainoli, 22  giugno  152(ì.  Ruscelli,  Lettere  di  principi,  t.  1,  pag.  219. 

(3)  Provvisioni  per  la  guerra  di  Clemente  VII.  Inform.  polii.  1.  e. 

(4)  Serable  qu'  il  ne  s'y  trouvera  prim:e  plus  propice,  plus  pro- 
che  ne  plus  amy  de  France,  et  de  tout  temps,  que  le  conte  pullatine 
Peslecteur  ...  et  ce  pourra  entre  le  dits  roy  des  Romains,  de  Fran- 
ce, et  les  princes  cslecteurs  faire  confederation  perpetuelle,  et  ce  . 
trouver  moyen  bonneste  pour  investir  de  nouveau  le  roy  de  la  du- 
cile de  Milan  (nella  primavera  del  1526)  Lanz,  Staatspapiere  zur  ge- 
schichte  des  kaisers  Karl  V,  pag.  32. 

(5)  Relazione  di  Lamberg  e  di  Jurischitsch.  Gévay  Urkunden 
und  Actenstùcben  zur  gescbichte  der  verhàltnisse  zwischen  Oester- 
reich,  Ungarn  und  der  Pforte.  Wien  1838,  fase.  1,  pag.  42. 


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Solimano  invase  quel  regno  che  interne  scissure  precipita- 
rono dopo  la  morte  del  grande  Mattia  Corvino.  A'  suoi  tre- 
centomila turchi  non  poterono  contrapporre  gli  ungheresi 
che  ventiquattromila  uomini,  e  questi  capitanati  da  un  frate, 
arcivescovo  di  Colocza;il  perchè  nei  campi  di  Mohacz  a' di 
29  agosto  1526  ottenne  vittoria  sanguinosissima.  I  princi- 
pali condottieri  e  cinquecento  magnati  perirono;  quattromila 
prigionieri  furono  trucidati;  re  Luigi  II  lagellone  fuggendo 
si  affogò.  Rimasti  per  la  sua  morte  vacanti  i  due  troni  di  Un- 
gheria e  di  Boemia,  alla  successione  di  Ferdinando  stabilita 
in  anteriori  trattati  prevalse  il  diritto  elettorale  delle  nazioni; 
onde  insieme  con  lui  concorse  al  primo  Giovanni  Zapoly, 
voivoda  di  Transilvania,  e  al  secondo  Guglielmo  di  Baviera: 
ambidue  forti  dell'  amicizia  di  Francia  e  del  papa  (i). 

In  tali  condizioni  lo  strappar  di  mano  ai  cattolici  quel- 
l'editto che  dava  loro  facoltà  di  perseguitare  i  luterani,  parve 
cosa  imprudente  a  Ferdinando.  Potrete  farlo,  rispose  all'im- 
peratore, quando  tornerete  in  Germania  potente,  e  cavarne 
in  compenso  una  buona  somma  di  danaro  (2).  D'altro  canto 
non  era  né  possibile  né  conforme  alle  sue  idee  insistere 
nella  esecuzione.  Un  compiuto  trionfo  de' partigiani  di  Roma 
sarebbegli  tornato  a  maggior  danno:  quello  era  il  tempo 
che  per  ingraziarsi  a'  Boemi  doveva  promettere  di  ristabilire 
i  compatti  di  Basilea  e  di  trattarne  col  papa  come  se  già  fos- 
sero confermati  (3). 

(1)  I  tedeschi  in  Roma  affermavano  che  il  papa  assisteva  la  fa- 
zione del  voivoda  anche  con  danari  :  pecunia  Trentschinii  factionem 
(detto  così  dal  castello  di  Trentsin  sul  Waag,  sua  residenza  princi- 
pale) contro,  Ferdinandum  regem  aliquamdlu  juvit.  Ziegler.  Vita 
Clementis  VII,  presso  Sckelhom,  Amoenit.  t.  2,  pag.  308. 

(2)  22  sett.  1526.  Bucholtz,  t.  3,  pag  372. 

(3)  Quod  rursus  ad  suum  vigorem  pervenirent .  .  .  promisimus 
cum  sumrao  pontiGce  iìlud  tractare,  ac  si  Bohemis  ac  Moravis  illa 
(compattata)  cum  effectu  essent  confirmata.  Ferdinandi  Meme,  15 
dee.  1526.  Du  Mont,  t.  4,  par.  I,  pag.  469. 


-  389  - 

Poiché  dunque  e  il  togliere  e  P  osservare  P  editto  di 
Worms  reputavasi  egualmente  inopportuno,  non  restò  che 
appigliarsi  ad  una  via  di  mezzo,  più  funesta  ancora.  Tale  fu 
il  decreto  della  dieta  di  Spira,  con  cui  fino  al  concilio  ecume- 
nico o  al  nazionale  davasi  libertà  a  tutti  gli  ordini  dell'impero 
nelle  cause  dell'  editto  medesimo  di  governarsi  in  maniera 
da  poter  rendere  buon  conto  delle  loro  azioni  a  Dio  e  all'im- 
peratore. In  quel  decreto  consiste  la  esistenza  legale  della 
riforma  e  delle  chiese  provinciali  di  Germania.  Fu  deplora- 
bile conseguenza  della  discordia  tra  il  papa  e  l' imperatore. 
Alla  lega  con  Leone  X  si  deve  in  gran  parte  l'editto  di  Worms; 
la  lega  avversaria  di  Cognac  ne  sospese  la  osservanza.  Così 
gli  avvenimenti  dell'Italia  influirono  sui  progressi  dello  sci- 
sma religioso,  e  questi  a  vicenda  recarono  il  colpo  estremo 
alla  causa  della  sua  indipendenza. 

Vili.  In  quella  lettera  medesima  27  luglio  4526,  da  cui 
dipendette  il  successo  della  dieta  di  Spira,  aveva  Cesare  ri- 
chiesto il  fratel  suo  o  di  andare  in  persona  in  Italia  o  di  man- 
darvi almeno  un  grosso  esercito.  Impedito  dai  pericoli  della 
Ungheria  di  scostarsi  dalla  Germania,  si  rivolse  Ferdinando 
a  Giorgio  di  Frundsberg,  dandogli  facoltà,  per  assoldar  nuo- 
ve genti,  d'impegnare  terre,  castelli,  città,  e  fin  i  proprii 
gioielli  (i).  Né  con  questi,  né  cogli  stessi  suoi  beni  offerti  in 
sicurtà,  potè  Frundsberg  trovar  danari  (2).  Nondimeno  con 

(1)  Ferdinando  a  Carlo  V.  Linz,  22  sett.  1526.  Gecay  Urkunden, 
op.  cit.,  fase.  1,  pag.  20.  Questi  gioielli  erano  del  valore  di  60000 
ducati.  Traslado  de  carta  de  Juan  de  Castro  sobre  les  diligencias 
que  practica  para  el  empeno.  Bibliot.  de  V  Acad.  d'hist.  de  Madrid. 
A.  38.  msc. 

(2)  Et  voire  que  luy  mesme  a  voulsu  engaiger  et  mectre  ez 
mains  des  fouckres  (Fugger,  banchieri  di  Augusta)  les  terres  et 
biens  quii  a  lentour  dangspurg  ne  luy  a  este  possible  savoir  deuJx 
ny  aulrement  recouvrer  argent.  Ferdinando  a  Carlo  V,  Vienna  28 
ott.  1526.  Gévay  Urkunden,  pag.  22. 


—  390  — 

que'  pochi  che  gli  diede  infine  Ferdinando  (4),  con  trenta- 
seimila talleri  mandatigli  dal  Borbone  di  Milano  (2),  e  con 
altri  ottomila  fiorini  avuti  in  presto  da  parecchi  signori  (3), 
spiegò  le  insegne  sotto  le  quali  in  breve  trovaronsi  raccolti 
dodicimila  lanzichenecchi  (A).  Egli  non  aveva  a  dar  loro  che 
uno  scudo  d' ingaggio  e  mezzo  mese  di  soldo  (5). 

Che  facevali  accorrere?  Fu  il  gran  nome  del  capitammo  il 
molto  parlare  delle  ricche  prede  e  de'tesori  inesauribili  dlta- 
lia  ?  E  l'uno  e  l'altro,  ma  l'odio  contro  il  papa  assai  più  (6). 
L'esortazioni  di  Cesare  erano  in  termini  soprammodo  insidio- 
si :  date  pur  a  credere,  scriveva  al  fratel  suo,  ch'essi  muovm 
contro  i  turchi  ;  ciascuno  saprà  di  quali  turchi  si  tratti  (7). 
Vero  è  che  Clemente,  com'ebbe  nuova  della  disfatta  di  Mohao, 
con  lunghissimo  discorso  a' dì  43  settembre  commiserò  io 
concistorio  gì'  infortunii  della  cristianità  :  li  disse  nati  dalla 
discordia  de'principiedalla  depravazione  dell'ordine  ecclesia- 
stico; doversi  cominciare  la  emenda  dalla  casa  di  Dio:  ne  da- 
rebbe egli  stesso  l'esempio;  lo  seguitassero  i  cardinali;  voler 


(1)  Neantmoins  attiri  que  le  tout  ne  se  perde  et  pour  asseurer 
iceulx  non  obstant  mes  grans  affaires  iay  envoye  audict  messir 
george  ce  d'argent  quay  peu  fìner.  Ìbidem, 

(2)  Borbone  all'  imper.  6  ott.  1526.  Bucholtz,  t.  3,  pag.  38. 

(3)  Da  Giovanni  Fortembach  4000  fior,  pei  quali  diede  in  pegno 
tutti  i  suoi  argenti  e  collane;  dal  podestà  e  da  Zansturlin  di  Augusta 
2000,  ed  altrettanti  dai  signori  del  reggimento  d'Innsbruck,  con  ob- 
bligo di  restituirli  tutti  a  Natale  prossimo.  Lettera  di  Giorgio  Frundr 
sberg  a  suo  figlio  Gaspare,  mandato  al  campo  del  Borbone,  tradotta 
dal  tedesco.  Archivio  di  s.  Fedele  in  Milano  rase. 

(4)  Ferdinando  a  Carlo  V.  Vienna  31  die.  1526.  Géoay  Urkunden. 

(5)  Hermayr  Archiv.  an.  1812,  p.  424. 

(6)  Nam  germanos  lutheranae  sectae,  qua  erant  infecti,  ratio 
nitiilo  secius  excitabant,  ut  erant  sponte  sua  pontificibus  et  sacer- 
dotibus  romanis  infensi.  Sepuloeda,  De  rebus  gestis  Caroli  V.Madriti 
1790  e.  VII. 

(7)  Bucholtz,  t.  3,  pag.  43. 


-  391  -     . 

andare  in  persona  a  tutti  i  principi  per  concordare  una  pace 
universale,  fatta  la  quale  celebrerebbe  un  concilio  per  resti- 
tuirla anche  alla  Chiesa. Ma  le  parolesue  non  meritarono  tanta 
fede,  quanta  in  sé  avevano  dignità;  perchè  fin  la  maggior  parte 
de'cardinali  interpretava,  che  avendo  prese  le  armi  nel  tempo 
che  già  per  le  preparazioni  palesi  dei  turchi  era -manifesto 
il  pericolo  della  Ungheria,  lo  commovesse  più  la  difficoltà 
della  propria  impresa  che  il  danno  di  quel  reame  (4).  Laonde 
Cesare  non  si  astenne  dal  lasciar  libero  sfogo  allo  sdegno.  Do- 
po avergli  rinfacciati  i  beneficii  fatti  e  le  sofferte  ingiurie  (2), 
pubblicò  un  manifesto  che  nessun  seguace  di  Lutero  avrebbe 
ricusato  sottoscrivere,  nel  quale  esprimeva  le  maraviglie  del 
veder  il  vicario  di  Cristo  in  terra  per  interessi  mondani  farsi 
causa  di  effusione  di  sangue,  essendo  ciò  direttamente  opposto 
alla  dottrina  del  Vangelo  (3).  Scrisse  in  ultimo  ai  cardinali, 
ricordassero  eh'  egli  aveva  otturate  le  orecchie  ai  lamenti  di 
tutta  Germania  contro  le  oppressioni  della  corte  romana  (4), 
non  permettessero  gli  fosse  fatta  offesa  dal  papa,  per  amore 
del  quale  s'era  alienato  l'animo  de'principi  (5),  lo  esortassero 
invece  alla  pace  ed  alla  celebrazione  del  concilio,  e  quando 
negasse  condiscendere,  il  convocassero  essi  medesimi  ;  non 

(1)  Frane.  Guicciardini.  Storia  d*  Italia,  t.  3,  pag.  295. 

(2)  Lettera  dell'imperatore  a  Clemente  VII.  Granata  18  sett.  1526, 
Lanz  Corresp.,  1. 1,  pag.  219-221. 

(3)  Licet  credere  non  possimus  eum,  qui  Chrisli  vices  in  terris 
gerit,  vel  unius  guttae  humani  sanguinis  jactura  quameumque  se- 
cularem  ditionem  sibi  vendicare  velie,  cum  id  ab  evangelica  doctrina 
prorsus  alienum  videretur.  Rescriptum  ad  papae  criminationes  sept. 
1526.  Goldast  Constit.  I,  486,  n.  19. 

(4)  De  injuriis  aulae  romanae  principes  ac  ordines  Germaniae 
non  itapridom  apud  me  graviter  conquesti  sunt  et  satisfieri  sibi  eo 
nomine  postularunt . . .  surdistum  auribus  lubenseorum  postulata 
praeterii,  6  ott.  1526.  Lanz  Corresp.,  1. 1,  pag.  221. 

(5)  Cujus  in  gratiam  multa  feci,  ut  etiam  imperii  proceres  hoc 
ipso  non  parum  a  me  alienaverim.  Ibidem. 


..  -  392  - 

voler  egli  rispondere  del  danno  che  altrimenti  potrebbe  de- 
rivarne alla  cristianità  (1).  Di  somiglianti  querele  riboccano 
gli  scritti  di  Ferdinando,  avendo  sin  da  principio  scongiurato 
il  pontefice  che  desistesse  da  pratiche  sconvenienti  con  l'of- 
ficio apostolico  (2), 

Qual  fosse  l'animo  di  Giorgio  di  Frundsberg  non  occorre 
dimostrare.  Gli  stava  accanto  Jacopo  Ziegler,  autore  di  udì 
vita  di  Clemente  VII  in  cui  le  vere  e  le  supposte  enormità  di 
Roma  sono  velenosamente  descritte,  ed  ei  portava  capestri  di 
seta  per  istrozzare  i  cardinali  e  uno  di  oro  per  Y  ultimo  dei 
papi.  Al  par  di  lui  infetti  erano  della  eresia  luterana  i  dodi- 
cimila lanzichenecchi  adunati  a  Merano  e  a  Bolzano.  Con 
questi  e  coi  quattromila  fanti  usciti  di  Cremona  che  lo  rag- 
giunsero a  Trento,  per  una  via  nuova  a  sinistra  di  Rocca 
d' Anfo  e  per  vai  Sabbia  scese  il  di  49  novembre  a  Gavardo 
ne)  Bresciano  (3).  Di  là  avrebbe  voluto  unirsi  immediata- 
mente con  P  esercito  di  Milano.  Ma  il  cammino  diretto  del 
Bergamasco  impedivano  i  nemici  accorsi  in  gran  numero  e  in 
quel  giorno  medesimo  dal  nuovo  alloggiamento  di  Vaprio. 
Né  poteva  cadérgli  in  mente  di  espugnare  qualcuna  delle 
città  vicine,  essendo  tutte  ben  fortificate,  ed  egli  senza  arti- 
glierie. Non  restava  che  tentare  il  passaggio  del  Po  per  essere 
poi  incontrato  dal  Borbone  quando  e  dove  che  fosse.  Prese 
dunque  la  via  di  Borgoforte,  inseguito  sempre,  non  mai  assal- 


ti) Alioquin  si  vel  propter  non  convocatum  concilium  ve!  airate 
longam  interpositam  rnoram  respublica  Christiana  detrimenti  quid 
accipiat,  id  mihi  minime  tribui  oportere  protestar.  Ibidem,  pag.  222. 

(2)  Maxime  quod  talia  esse  videntur,  quae  non  solum  longissime 
ab  officio  et  pectore  apostolico  discordent,  sed  et  omni  ex  parte 
cum  ilio  pugnent;  nempe,  se  auctore,  ineundas  esse  adversus  rea 
Caesaris  in  Italia  confederationes.  Augusta  1 1  die.  1525.  Sudendorf 
Regislrum  fùr  die  deutsche  geschicbte.  Jena  1849,  par.  3,  pag.  166. 

(3)  Reissner  Frundsberg,  pag.  86  ed  Hormayr^  Archiv.  an.  1812, 
pag.  428. 


—  393  — 

Lato  dal  duca  di  Urbino  (4).  Solo  allora  che  entrò  nel  piano 
tetto  il  Serraglio  di  Mantova  a  di  24  novembre  corse  grave 
ericolo  di  esservi  chiuso  dentro  e  perduto.  Ma  egli  aveva 
[Dai  quattro  falconetti  mandatigli  dal  duca  di  Ferrara  (2);  e 
desto  aiuto  in  se  piccolo  riuscì  grandissimo  per  benefizio 
ella  fortuna.  Oh  il  rimorso  del  pontefice!  Troppo  tardi  diede 
colta  al  Guicciardini  di  trattare  un  accordo  con  Alfonso  di 
ste  :  quando  cioè  il  sentimento  del  proprio  pericolo  aveva 
ià  costretto  quel  principe  a  voltarsi  all'  amicizia  di  Carlo  V 
arso  la  investitura  di  Modena  e  Reggio,  e  la  promessa  di 
aritare  in  Ercole  primogenito  suo  Margherita  figliuola  na- 
irate  di  Cesare  (3).  Dato  fuoco  ad  uno  di  que'  falconetti,  il 
scondo  tiro  percosse  e  ruppe  una  gamba  alquanto  sopra  al 
inocchio  a  Giovanni  de'  Medici,  mentre  strigneva  assai  da 
resso  col  consueto  ardore  i  tedeschi  passanti  il  Mincio  (4). 
éi  qual  colpo,  essendo  stato  trasportato  a  Mantov  a  in  casa 
elF  amico  suo  Luigi  da  Gonzaga,  mori  il  30  novembre  nella 
tà  di  ventotto  anni.  A  quella  nuova  il  Guicciardini  senti  che 
ora  della  lotta  era  finita,  ne  altro  restava  alla  patria  sua 
he  il  supremo  soccorso  della  preghiera  :  è  piaciuto  a  Dio 
pegnere  tanto  valore  a  punto  in  tempo  che  se  ri  aveva  piU  di 
isogno;  non  si  può  opporsi  alla  sua  volontà,  bisogna  stri- 
nersi  nelle  spalle  (5).  Di  fatti,  passato  il  Po  ad  Ostiglia  il  di 
8  novembre,  camminarono  i  tedeschi,  non  infestati  più  da 
lcuno,  in  su  della  riva  destra  alla  via  della  Trebbia,  incac- 
iando Modena,  Parma  e  Piacenza.  Il  Guicciardini  che  co- 
nandava  in  quelle  Provincie  a  nome  della  Chiesa  pregò  in- 

(1)  Leoni,  Vita  di  Francesco  Maria  d' Urbino,  pag.  364. 

(2)  Frane.  Guicciardini,  Storia  d' Italia,  t.  3,  pag.  306. 

(3)  Frane.  Guicciardini  al  Garimberto  ed  a  Gio.  Matteo  Giberto 
7, 25, 26  nov.  1526.  Opere  inedite,  pag.  544,  576,  581. 

(4)  Frane.  Guicciardini  al  conte  Roberto  Buschetto  27  nov.  1526. 
bidevi;  pag.  585. 

(5)  Al  medesimo  30  nov.  1526,  Ibidem,  pag.  600. 

25 


—  394  — 

vano  il  duca  d'Urbino  di  accorrere  in  suo  aiuto  :  questi,  te- 
mendo non  forse  gì'  imperiali  assaltassero  le  terre  de'  vene- 
ziani, si  fece  dar  ordine  dal  senato  di  non  passare  il  Po  (4). 
Anzi  per  il  rispetto  medesimo  intrattenne  più  giorni  e  le 
bande  nere  capitanate  dopo  la  morte  di  Giovanni  de'  Medici 
dal  conte  Roberto  Buschetto  (2),  e  le  genti  del  marchese  di 
Saluzzo,  ritiratosi  dall'  Adda  dacché  gli  parve  troppo  debole 
l'alloggiamento  di  Vaprio  (3),  sebbene  poc'  anzi  avesse  deli- 
berato che  queste  ultime  rinforzate  dagli  svizzeri  muovessero 
al  soccorso  degli  stati  pontificii,  raentr'  egli  sarebbe  rimasto 
alla  difesa  del  Bergamasco  e  di  Geradadda  (4).  Veggo  ndk 
cose  di  Cesare,  lamentava  a  ragione  il  Guicciardini,  quitto 
smisurala  fortuna  che  è  nota  a  ognuno,  ma  di  tutte  le  m 
felicità  il  colmo  consiste  in  questo,  che  sempre  hanno  avuto 
a  fare  con  inimici  che  non  hanno  sapulo  o  potuto  vaimi 
delle  forze  loro  (5).  I  venturieri,  scriveva  un  agente  del  duca 
Sforza,  non  attendono  che  ad  empir  la  pancia;  maladettosia 
chi  si  confida  in  essi  (6).  Cosi,  non  inseguiti  alla  coda,  e  soc- 
corsi di  qualche  somma  di  danari  dal  duca  di  Ferrara  e  di 


(1)  Benedetto  Corte  al  duca  Sforza.  Venezia  2  die.  1526,  Archi- 
vio s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(2)  Esso  s.r  Guicciardini  sta  desperato  delli  fanti  era  del  s.r  Gio- 
vanni che  non  siano  passati  ;  il  conte  Roberto  Buschetto,  che  ne  è 
alla  cura,  dice  haver  soprastato  per  veder  la  resolutione  di  Venecia. 
Marino  Sasleone  al  duca  Sforza,  Parma  1.  die.  1526,  Ibidem  rose. 

(3)  Quel  che  se  sij  non  so,  se  non  è  viltà.  Scipione  AUellano  al 
duca  Sforza.  Mantova  5  die.  1526,  Ibidem  msc. 

(4)  A  Triviglio  fu  fatto  consiglio  e  deliberato  che  il  march,  di 
Saluzzo  faccia  la  impresa  del  soccorso  del  papa  e  il  ponte  sopra 
il  Po,  e  il  duca  d' Urbino  abbia  l' impresa  di  Bergamo  e  di  Giera- 
dadda.  Scip.  Jttellano  al  duca  Sforza.  Soncino  2  die.  1526.  Ibi' 
dem  msc. 

(5)  Al  vescovo  di  Baiusa  17  die.  1526.  Opere  inedite,  t.  5,  pag.50. 

(6)  7  die.  1526.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 


—  395  — 

a/cani  altri  pezzi  di  artiglieriajda  campagna  (4),  giunsero  i 
iaozichenecchi  il  di  28  dicembre  nel  territorio  di  Piacenza. 
Di  là  scrisse  Frundsberg  al  Borbone  :  eccoci  felicemente  arri- 
vati attraverso  alti  monti  e  acque  profonde,  in  mezzo  a9  ne- 
mici, lottando  colla  fame  e  con  ogni  altra  necessità.  Che  dob  - 
biam  ora  fare  ? 

IX.  Ritenne  il  Borbone  dal  congiungersi  subito  con  lui 
la  pretensione  degli  spagnuoli  di  esser  prima  soddisfatti  de- 
gli stipendii  residui.  Vero  è  che,  avendo  il  di  15  dicembre 
cominciato  a  saccheggiare  Milano,  furono  infine  accordati  in 
cinque  paghe  (2).  Ma  come  farne  la  provvisione?  GÌ'  infelici 
abitanti,  da  tanto  tempo  in  preda  a  que'rapaci  ed  alle  bande 
non  men  feroci  che  vi  condussero  Galeazzo  da  Birago  e  Lo- 
dovico da  Belgioioso  (3),  poco  o  nessun  frutto  potendo  cavar 
dalle  lor  terre  già  corse  e  disertate  anche  dai  soldati  della  lega, 
i  quali  non  cedettero  agli  spagnuoli  in  parte  alcuna  delle  loro 
enormità,  erano  ornai  ridotti  agli  estremi  (4).  Il  Borbone  stesso 

(1)  Secondo  il  Guicciardini  avrebbero  avuto  in  tutto  dodici  pezzi. 
Lettera  al  card,  di  Cortona  27  nov.  1526.  Opere  inedite,  t.  4,  pag. 
694.  Nel  diario  riportato  óaWHormayr  (Archiv.  1812)  non  si  fa  men- 
zione che  di  diecimila  fiorini,  e  di  que'  quattro  pezzi  di  artiglieria 
(due  falconetti  e  due  colubrine),  che  al  dir  del  Guicciardini  ricevette 
il  Frundsberg  prima  di  passare  il  Po. 

(2)  Gianmarco  Burigozzo,  Cronica  milanese,  1.  e,  lib.  2,  pag.  463. 

(3)  L'è  vero  che  spagnuoli  hanno  fatto  mal  assai;  ma  questi 
Taliani  (che  avevano  sempre  seguitato  la  parte  francese  e  allora  si 
condussero  col  Borbone  per  non  esser  stati  accettali  agli  stipendii 
dei  confederati)  hanno  avanzato  assai  là  dove  sono  stati  su  per  lo 
paese,  e  in  la  roba,  in  le  persone  e  in  l' onore  delle  donne  ;  tanto 
che  se  Turchi  venessero  in  queste  bande,  non  furiano  el  mal  qual 
fanno  costoro.  Ibidem.  Vedi  anche  ia  lettera  di  John  da  Casate  a 
Vanne*  28  dee.  1526.  State  papers,  t.  6,  pag.  556. 

(4)  Jo  non  exprimo  la  metà  de  quello  que  vedo  et  tocca  con 
mano  lo  segnor  Duca  et  altri  capitani,  e  questo  è  a  tutto  il  mondo 
noto.  Lo  segnor  Duca  è  diligent.mo  né  mai  riposa,  ma  non  pò  più 
satisfare  con  parole,  bisognano  facti.  //  protonotario  Caracciolo  al* 


—  396  — 

confessò  aver  cavalo  danaro  insino  al  sangue  (4).  Delle  sue 
angustie  fa  prova  memoranda  F  indegno  artificio  usato  col 
Morone:  gli  domandò  centomila  scudi  per  riscattarlo,  e  aven- 
do questi  risposto  essergli  impossibile  dare  tal  somma,  gli 
mandò  il  prete,  il  ceppo  e  il  boja;  poi  si  contentò  di  venti- 
mila (2),  dichiarando  nel  decreto  di  liberazione  che  a  ciò 
movevanlo  e  la  necessità  di  danari  e  i  meriti  del  prigioniero, 
tra' quali  la  incrollabile  fedeltà  a' suoi  principi  (3).  Da  vero 
che  quest'  ultimo  encomio  stava  bene  in  bocca  al  traditore 
di  Francia  !  Morone  gli  diede  subito  a  conto  quattordicimila 
scudi,  consegnando  per  sicurtà  de'  rimanenti  Antonio  sao 
figliuolo,  che  poco  dopo  riebbe  con  dare  altri  tremila,  per 
avere  i  quali  lasciò  in  ostaggio  il  secondo  figliuolo  Giovan- 
ni (4),  e  ben  tosto  diventò  segretario  ed  anima  de'  consigli 
di  lui. 

Con  que'  denari,  e  con  qualche  somma  avuta  dal  duca 
di  Ferrara  (5),  potè  finalmente  il  Borbone  uscir  di  Milano, 

l'imper.  Milano  3  nov.  1526.  Bibliot.  de  la  Acad.  d' hist.  de  Madrid. 
A.  39  msc. 

(1)  All'imper.  8  febb.  1527.  Buchòltz,  t.  3,  pag.  65. 

(2)  E  gli  hanno  restituito  i  beni,  e  promesso  onori  e  grandezze. 
Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto  12  gen.  1527.  Opere  ini' 
dite,  t.  5,  pag*  143. 

(3)  Cum  nihil  sit  magis  necessarium  pecuniae,  eaeque  con- 
sumptus  sint  ingentes  et  fere  intollerabiles  ....  animadvertentes 
praeterea  ejusdem  eomitis  H.  Moroni  praecipuas  animi  dotes  .... 
et  inviolabilem  erga  eos  principes  fidem  quibus  aliquando  servitu- 
tem  suam  obtulit  et  dicavit.  Milano  1 .  gen.  1527.  T.  Dandolo.  Ricordi 
inediti,  op.  cit.,  pag.  211. 

(4)  Così  ottenne  remissione  de'rimanenti  tremila.  16  marzo  1527. 
Ibidem,  pag.  227. 

(5)  Gio.  Matteo  Giberto  al  protonotario  Gambara  7  die.  1526. 
Ruscelli,  Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  21.  Se  intende  il  duca  di 
Ferrara  haver  dati  dinari  a  Burbone  per  far  riuscir  li  spagnuoli  di 
Milano.  //  cav.  Landriano  al  duca  Sforza.  Roma  5  genn.  1527.^- 
chivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 


—  397  — 

love  rimase  Antonio  de  Leva  al  comando  della  guarnigione, 
)  passato  il  penultimo  giorno  di  gennaio  il  Po,  a  di  2  febbraio 
1527  si  congiunse  a  Firenzuola  colle  truppe  del  Frundsberg. 
Trovò  allora  di  avere  sotto  i  suoi  ordini  sedicimila  fanti  te- 
deschi, cinquemila  spagnuoli,  duemila  italiani,  cinquecento 
domini  d'arme,  e  circa  il  doppio  di  cavalleggieri.  Ove  dovesse 
condarli  non  poteva  starsene  in  dubbio  un  istante.  I  senti- 
menti di  Frundsberg  ci  son  noti  abbastanza;  e  chi  farà  le 
meraviglie  che  anche  il  Borbone  odiasse  sopra  ogni  altro  uo- 
mo il  papa,  dalla  opposizione  del  quale  credeva  unicamente 
dipendere  ch'ei  non  fosse  già  duca  di  Milano?  Ferirlo  nel 
cuore,  ecco  la  meta  della  impresa  (4).  Andranno  in  Toscana, 
così  annunziava  segretamente  il  Morone,  per  far  prova  di 
voltare  le  cose  di  Firenze  (2);  ma  il  duca  di  Ferrara,  meglio 
informato, parlandone  con  Giovanni  da  Casale,  agente  inglese, 
diceva  che  nò,  sì  bene  a  Roma  (3).  Roma,  ringorgata  dell'oro 
smunto  alla  cristianità,  era  sola  che  valesse  a  saziare  quelle 
orde  fameliche;  là  proponevansi  di  por  termine  alla  guerra, 
di  sfogare  il  veleno  luterano,  di  vendicar  Cesare  e  di  ristabi- 
lire l' antica  autorità  dell'  impero  in  Italia. 

Sennonché  la  difficoltà  del  procedere  innanzi,  per  man- 
canza di  danari,  le  fece  soprastare  circa  venti  giorni  intorno 
a  Piacenza,  di  cui  il  Borbone  nell'abboccamento  del  di  primo 
febbraio  col  Frundsberg  (A)  aveva  deliberato  impadronirsi 

(1)  11  disegno  loro  è  di  travagliare  quanto  potranno  sua  San- 
tità. Frane.  Guicciardini  al  march,  di  Saluzzo,  11  die.  1526.  Opere 
ioedite,  t.  5,  pag.  33.  Dice  il  s.r  duca  (di  Urbino)  haver  aviso  da  buon 
locolaresolutione  de  inimici  essere  di  unirsi  li  spagnoli  con  lansche- 
nec  et  andar  alli  danni  del  papa.  Scip.  stellano  al  duca  Sforza  Ber- 
gamo 17  die.  1526.  archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(2)  Frane.  Guicciardini  al  card,  di  Cortona  e  a  Roberto  Acciaiuoli 
1  e  8  genn.  1527.  Opere  inedite,  t.  5,  pag.  105,  136. 

(3)  6  genn.  1527,  Ibidem,  pag.  124. 

(4)  Hoggi  Borbone,  Antonio  de  Leva  et  il  Guasto  si  sono  con- 
ducti  a  Marinasgo  dui  miglia  de  qui  a  parlamento  cum  il  s,r  Giorgio 


—  398  - 

e  concedere  il  saccheggio  ai  soldati  (4).  Guido  Rangone  con 
grossa  gente  e  Babbone  di  Naldo  con  mille  fanti  veneziani 
accorsero  in  tempo  ad  impedirne  la  espugnazione,  e  allora  il 
Borbone  instò  che  il  duca  di  Ferrara  l' accomodasse  di  da- 
naro e  di  polvere  per  le  artiglierie,  e  venisse  a  congiugnersi 
seco,  offerendo  mandargli  incontro  cinquecento  nomini  di 
arme  e  Frundsberg  medesimo  con  seimila  fanti.  Alfonso  di 
Este  s' era  accordato  coli' imperatore,  astretto,  come  dice  il 
Guicciardini,  quasi  con  minacce,  e  per  odio  a  Roma,  tenace 
in  suo  proposito  di  spodestarlo;  ma  inclinava  sempre  a  Fran- 
cia e  ne  gradiva  i  buoni  officii  col  papa  (2),  per  modo  che  se 
questi  l' avesse  contentato  di  Modena,  sarebbegli  goduto  il 
cuore  di  voltarsi  subito  alla  lega  (3).  Certo  è  che  dolevasi 
gli  domandasse  il  Borbone  i  dugentomila  ducati  ch'ei  non  era 
obbligato  di  pagare  se  non  ricuperato  che  avesse  Modena  (4), 

et  Principe  de  Orange,  per  risolver  |le  ambiguità  loro,  causate  da 
molte  difìicultà  che  hanno  più  di  quello  se  imaginamo.  Avvisi  del 
conte  Guido  Rangone  al  Guicciardini,  Piacenza  1  febb.  1527.  archi- 
vio s.  Fedele  di  Milano  msc. 

|1)  Lettera  precitata  del  Borbone  all' imperatore  8  febb.  1527. 
Bucholtz,  t.  3,  p.  65,  y  si  non  mutano  sententia  tentaranno  la  expu- 
gnatione  de  Placencia.  llprolon.  Caracciolo  all'imper.Vwiik  17  genn. 
1527.  Bibliot.  de  la  Acad.  d'  hist.  de  Madrid.  A.  40  msc. 

(2)  Ugo  di  Pepoli  a  m.  di  Montmorency  7  febb.  1527.  Molini 
Doc.  di  stor.  ital.,  1. 1,  pag.  269. 

(3)  La  conclusione  è  che  senza  dilazione  se  gli  restituisca  Mo- 
dena. —  Giudica  che  la  vergogna  dello  accordo  sì  fresco,  e  la  paura 
o  diffidenza  lo  ritenga  più  che  satisfazione  che  abbia  in  questa  parte. 
Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto  24  febb.  e  2  marzo  1527. 
Opere  inedite,  t.  5,  pag.  262  e  272. 

(4)  Sta  la  pratica  col  duca  di  Ferrara  ma  se  gli  spera  pocho. 
Burbone  ha  in  mano  la  sua  investitura  et  domandali  200000  ducati 
come  è  obbligato  :  stangheza  per  haverla  per  mancho  essendo  Bur- 
bone in  necessità  e  tien  pratica  d'accordo  con  sua  S.tà  per  far  paura 
alli  Cesarei.  //  cav.  Landriano  al  duca  Sforza,  Roma  14  gennaio 
1527.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 


—  399  — 

né  forse  per  questo  e  per  altri  rispetti  temeva  meno  la  vici- 
Danza  di  quel  formidabile  esercito  amico,  che  se  fosse  stato 
in  guerra  con  lui.  Laonde  desideroso  di  allontanarlo  al  più 
presto  possibile,  rispose  al  Borbone  :  il  benefizio  di  Cesare, 
la  via  unica  della  vittoria  essere  camminare  verso  il  capo  ; 
condursi,  lasciala  ogni  altra  impresa  indietro,  a  Bologna, 
donde  potrebbe  deliberare  o  di  sforzare  quella  terra,  a  che 
non  gli  mancherebbero  gli  aititi  suoi,  o  di  passare  più  in- 
nanzi alla  volta  di  Firenze  o  di  Roma.  A  tal  uopo  gli  mandò 
contemporaneamente  qualche  somma  di  danaro,  onde  il  Bor- 
bone potè  dare  due  scudi  per  uno  ai  fanti  tedeschi;  primo 
soldo  che  ricevessero  dacché  entrarono  in  Italia  (4). 

La  impresa  di  Bologna  era  sin  da  principio  ne'  disegni 
del  Frundsberg  (2),  e  a  quella  mosse  il  Borbone  a  di  22 
febbraio  unicamente  per  aver  di  che  sostentare  le  sue  genti 
di  già  tumultuanti  (3),  distribuendole  sopra  vasta  estensione 
di  terre,  affinchè  predassero  quelle  vettovaglie  ch'egli  non  po- 
teva né  pagare  né  procacciarsi  da  lontano  colla  scarsa  caval- 
leria. Qual  momento  opportuno  per  far  loro  riscontro  poten- 
te! Ma  il  duca  di  Urbino,  benché  persuaso  che  volgerebbero 
al  cammino  di  Firenze  (4),  aveva  risoluto  di  spartire  lo  eser- 

(1)  Lettera  a  Nicolò  Capponi,  Roma  7  febb.  1526,  dio.  Matteo 
Giberto  al  card.  Trivulzio  2  marzo  1527.  Ruscelli,  Lettere  di  princi- 
pi, t.  2,  pag.  51,  55. 

(2)  Lettera  tradotta  dallo  spagnuolo  di  Giorgio  di  Frundsberg 
al  Borbone.  Guastalla  3  die.  1526.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(3)  Avanti  ieri  la  fanteria  spagnuola  fece  uno  grande  ammuti- 
namento e  corse,  gridando  paga  paga,  verso  lo  alloggiamento  di 
Borbone  ;  il  quale  mandò  il  sergente  maggiore  a  quietarli,  e  loro  lo 
ammazzarono.  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto  18  febb. 
1527.  Opere  inedite,  t.  5,  pag.  238. 

(4)  Potriano  unitamente  drizarsi  alla  volta  di  Toschana  non 
solamente  per  cavar  dinari  per  il  presente  loro  bisogno,  ma  per  redur 
quello  stato  a  loro  devotione  et  fermarlo  de  sorte  che  ne  potes- 
sero cavar  de  le  altre  volte  et  per  guadagnarsi  el  papa.  Lettera  del 


—  400  — 

cito  in  due  corpi,  l' uno  che  precedesse  gì'  inimici,  lasciando 
sempre  guarnigioni  nelle  città  minacciate  da  essi  e  racco- 
gliendole poi  di  mano  in  mano  che  fossero  passati;  l'altro 
che  gli  seguisse  venticinque  o  trenta  miglia  lontano;  quello 
dei  soldati  pontificii  col  marchese  di  Saluzzo,  con  le  lance 
francesi  e  con  i  fanti  suoi  e  con  gli  svizzeri;  questo  dei  vene- 
ziani condotti  da  lui  medesimo  (1).  Non  è  dubbio  esser  stata 
così  aperta  la  via  agli  imperiali  di  andare  dove  volessero, 
massime  se  si  considera  la  condizione  del  marchese  di  Sa- 
luzzo, atto  più  a  rompere  una  lancia  che  a  fare  ufficio  di 
capitano  (2),  e  chiamatosi  inoltre  offeso  sia  che  il  duca  di 
Urbino  il  mandasse  qua  e  là  a  suo  senno  (3),  sia  che  lo  Sforza 
non  a  lui  (4),  ma  a  Guido  Rangone  avesse  affidato  la  rocca 

duca  d'  Urbino  ali*  ambasciator  suo  a  Venezia.  Il  duca  d'Urbino  ha 
fatto  un  lungo  discorso  sopra  la  guerra  presente  comprendendo  si 
le  actioni  de  inimici  come  le  nostre  et  concluso  per  sua  opinione 
dover  il  campo^inimico  andar  a  Fiorenze  sì  per  haver  una  citò  che 
lo  sovegna  de  tutti  li  dinari  saranno  a  suoi  bisogni,  come  che 
presa  Fiorenze  hanno  il  papa  convenuto  ad  ogni  pessima  capitula- 
tione  et  il  resto  de  Italia  in  mal  partito.  Scip.  Altellano  al  duca 
Sforza,  Bergamo  3  die.  1526.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(1)  Francesco  Guicciardini  al  card,  di  Cortona  8  genn.  1527. 
Opere  inedite,  t.  5,  pag.  202. 

(2)  11  marchese  di  Saluzzo  serve  con  fede,  ma  sa  pochissimo.  — 
Questo  capitano  franzese  non  può  essere  più  debole,  né  pensare 
manco  alle  cose;  la  gente  d'arme  sua  male  pagata,  e  i  fanti  suoi 
senza  uno  quattrino,  fanno  tanti  mali  alli  amici,  che  li  inimici  non 
so  se  ne  fanno  tanti.  Ibidem,  pag.  224,  398. 

(3)  Con  dire  a  Vaprio  fui  contento  di  restare  anchor  che  non 
li  fussi  tenuto,  ma  non  voglio  ciiel  se  li  usi  a  mandarmi  dove  li 
piace.  Nicolò  Sfondrato  al  duca\Sforza^  Parma  12  genn.  1527.  Ap 
chivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(4)  Nicolò  Sfondrato  al  duca  Sforza,  Parma  18  gennaio  1527. 
Quanto  al  caso  della  rocca  di  Pontremoli  vi  diremo  esser  più  che 
chiaro  il  tutto  esser  pratica  de  pietro  frane,  da  Nucetto,  qual  per 
indirecto  se  vorria  impatronir  di  quella  rocca.  //  duca  Sforza  a 
Nicolò  Sfondrato.  Cremona  19  gennaio  1527.  Ibidem  msc'. 


—  4M  — 

di  Pontremoli  (4),  eh9  era  la  strada  per  la  quale  dicevasi  ver- 
rebbero gì*  inimici  in  Toscana  (2).  Vero  è  oltracciò  che  il  duca 
di  Urbino  aspettava  per  sé  qualche  vantaggio  dallo  spavento 
dì  papa  Clemente  VII  e  de'florentini  :  la  restituzione  cioè  di 
san  Leo  e  della  contea  di  Montefeltro.  Per  questo,  allegando 
a  pretesto  una  leggiera  febbre  che  lo  assali  il  terzo  giorno 
di  gennaio  a  Parma  (3),  si  ritirò  il  quartodecimo  a  Casale 
Maggiore,  e  di  quivi  cinque  dì  poi,  sotto  nome  di  curarsi,  a 
Gazzuolo  (4),  dove  fece  venire  la  moglie  e  si  trattenne  fino 
alla  metà  di  marzo,  lasciando  libero  il  campo  agli  imperiali  (5). 
Il  perchè  Guicciardini,  reputando  che  quel  sasso  di  san  Leo 
non  fosse  premio  degno  da  esporsi  a  tanta  ruina  (6),  gli  diede 
speranza  certa  di  contentamelo,  come  se  ne  avesse  commis- 
sione dal  pontefice  (7)  :  la  qual  cosa  non  fu  approvata  da 
quest'  ultimo,  indulgendo  più  all'  odio  antico  e  recente,  che 


(1)  Il  duca  Sforza  al  conte  Guido  Rangone.  Cremona  19  gefnn. 
1527-  Ibidem  msc. 

(2)  Frane.  Guicciardini  ai  card,  di  Cortona  8  febb.  1527.  Opere 
inedite,  i.  5,  pag.214. 

(3)  Ogni  cosa  si  fa  per  haver  san  Leo,  et  credo  gli  succedarà 
havendo  progresso  la  guerra  ;  chi  non  sa  far  il  caso  suo  è  poco 
savio,  ancoraché  di  questa  maniera  sij  con  pocha  comendatione. 
Scip.  Attellano  allo  Sforza.  Casale  19  febb.  1527.  Archivio  s.  Fedele 
di  Milano  msc. 

(4)  Frane.  Guicciardini  al  vescovo  di  Pola  e  al  card.  Cortona  19 
e  20  febb.  1527.  Opere  inedite,  t.  5,  pag.  240,  249. 

(5)  Et  lo  paese  resta  non  solo  distructo  ma  in  pura  cenere.  Gio. 
Ant.  Pietra  al  duca  Sforza.  Casalmaggiore  29  genn.  1527.  Archivio 
s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(6)'Vorrei  vedere  che  contrapeso  abbia  quello  sasso  (san  Leo), 
che  per  tenerlo  si  ^voglia  dare  occasione  in  tante  ruine;  la  fortuna 
di  Cesare  è  spesso  gli  errori  nostri.  A  Gio.  Matteo  Giberto  15  febb. 
1527.  Opere  inedite,  t.  5,  pag.  229. 

(7)  Istruzione  al  signor  Buoso  di  Santa  Fiora.  20  febb.  1527. 
Ibidem,  pag.  242. 


—  402  — 

alla  ragione  (i).  Non  pertanto  quel  disegno  di  fare  dell'eser- 
cito due  parti,  quanto  dannoso  al  pontefice,  altrettanto  con- 
forme era  al  volere  de'veneziani,  verso  i  quali  il  duca  di  Ur- 
bino aveva  principale  obbligazione,  perchè  metteva  lo  stato 
loro  fuor  del  pericolo  che  gli  inimici,  vedendolo  sprovvisto, 
preso  nuovo  consiglio  da  nuova  occasione,  venissero  ad  as- 
saltarlo. Come  confidare  in  papa  Clemente  che  continuava  a 
trattare  di  concordia  con  quelli,  e  per  lunga  prova  conosco- 
vasi  avvezzo  a  non  osservar  nulla  di  ciò  che  prometteva  se 
non  tornava  a  profitto  suo  e  de' fiorentini  (2)?  Appunto  in 
quel  tempo  era  stata  scoperta  una  corrispondenza  tra  lui  e 
il  Borbone,  per  cui  questi  impegnava  sua  fede  di  non  muo- 
vere contro  Firenze,  e  quegli  d'indurre  i  collegati  a  star  con- 
tenti ch'ei  fosse  duca  di  Milano  (3).  Che  ben  si  apponessero 
ne'loro  sospetti  i  veneziani,  mostraronlo  poco  stante  gli  even- 
ti. Giunto  il  Borbone  a  di  7  marzo  a  san  Giovanni  in  Bolo- 
gnese, avendo  inutilmente  mandato  un  trombetto  a  doman- 
dare vettovaglie  a  Bologna,  dove  si  erano  ritirate  le  genti 
ecclesiastiche,  né  potendo  assaltarla  per  mancanza  di  arti- 
glierie, stava  già  in  punto  di  partire  alla  volta  di  Firenze  e 
di  Roma,  confortato  di  nuovo  dai  consigli  del  duca  di  Ferra- 
ra (4),  quando  il  pontefice  piegò  a  tal  convenzione  con  gFim- 


(1)  Sua  Santa  m' ha  ditto  che  mai  per  questo  lo  darà,  el  se  mi 
è  mostrato  in  grandissima  colera  con  il  duca  d'Urhino.  //  cav.  Lan- 
ariano  al  duca  Sforza.  Roma  22  febb.  1527.  archivio  s.  Fedele  di 
Milano  msc. 

12)  Perchè  si  ha  chiaro  che  nulla  cosa  di  quello  luy  promette 
osserva  se  non  quanto  è  per  particulare  profitto  suo  et  de  fioren- 
tini. //  cao.  Landriano  al  duca  Sforza.  Roma  senza  data.  Archivio 
s.  Fedele  di  Milano  rase. 

(3)  Il  cav.  Landriano  al  duca  Sforza.  Roma  23  genn.  1527.  Ibi- 
dem msc. 

(4)  Venuto  con  lui  a  parlamento  al  Finale  li  5  marzo.  Gio.  Mat- 
teo Giberto  al  card.  Trivulzio.  Roma  7  marzo  1527.  Ruscelli.  Lettere 


—  403  — 

penali,  che,  se  l'avessero  adempiuta,  dava  loro  facoltà  di  vol- 
tarsi ai  danni  della  repubblica.  Or  qui  cade  in  acconcio  in- 
dagarne le  cagioni  e  gli  effetti. 

La  flotta  spagnuola  che  dicemmo  salpata  da  Cartagena 
nel  mese  di  ottobre  del  1526  sotto  il  comando  del  viceré 
Lannoy,  dopo  esser  stata  per  fortuna  di  mare  costretta  a  ri- 
coverarsi in  Corsica  nel  golfo  di  s.  Fiorenzo,  mentre  veleg- 
giava verso  Genova  s'incontrò  in  novembre  nell'armata  della 
lega  condotta  da  Pietro  Navarro  e  da  Andrea  Doria.  I  quali 
accettarono  la  battaglia  anco  senza  il  rinforzo  delle  navi  ve- 
nete, che  T  Armerò  per  i  venti  contrari  non  potè  cavar  fuori 
da  Portovenere,  ove  attendeva  a  racconciarle.  Sul  principio 
il  Navarro  imbroccò  l'albero  maestro  della  capitana  nemica, 
il  quale  rovinando  trasse  seco  giù  il  gonfalone  dell'  impero, 
e  Andrea  Doria,  cacciatosi  in  mezzo  a  due  galee  spagnuole, 
una  ne  sconquassò,  l' altra  buttò  a  fondo  :  trecento  uomini 
vi  perirono  a  un  tratto.  Dei  legni  rimanenti  quale  più  quale 
meno  soffersero  tutti,  e  forse  tutti  perivano,  se  la  orribile 
procella  che  li  sparse  quella  notte  non  avesse  pur  impedito 
di  perseguitarli  (4).  Il  viceré  andò  a  ripararsi  con  diciasette 
navi  nel  porto  di  santo  Stefano  nello  stato  di  Siena,  donde 
mandò  al  pontefice  il  commendatore  Pignalosa  con  commis- 
sioni espressive  della  buona  mente  di  Cesare.  Quanto  più 
volentieri  avrebbe  sbarcate  là  le  sue  truppe  e  presa  la  via  di 
Roma!  Lo  disse  egli  stesso;  ma  le  instruzioni  imperiali  im- 
ponevangli  il  cammino  di  Napoli  (2),  e  d' altra  parte  ei  non 

di  principi,  t.  2,  pag.  57.  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto 
e  al  vescovo  di  Pota  6  e  12  marzo  1527.  Opere  inedite^.  5,  pag. 
288,  303. 

(1)  Instruction  des  vicekònigs  Lannoy  fùr  seinen  secretair  J. 
Durant  anden  kaiser  17  mai.  1527.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  695. 

(2)  Mais  pour  non  aler  contre  ce  que  sa  mageste  avoit  escript 
au  B.r  viceroy,  aymoit  mieulx  se  debvoir  dobeyr  a  sa  mageste,  que 
ensuyvre  laultre  moyen  questoit  plus  son  service,  Ibidem,  pag.  691 


—  404  - 

sapeva  ancora  qual  fosse  la  condizione  de9  nemici;  il  perchè 
si  condusse  a  Gaeta,  ove  pigliò  terra  il  di  4.  dicembre. 

Come  ne  giunse  nuova  a  Roma,  tanto  spavento  ingom- 
brò l'animo  de' prelati  (1)  che  tutti,  dal  datario  Giberto  in 
fuori,  consigliavano  il  papa  all'accordo  (2),  e  Nicolò  Schom- 
berg,  arcivescovo  di  Capua,  caldo  partigiano  di  Cesare,  mi- 
nacciavalo  in  caso  contrario  dell'  inferno  (3). 

Papa  Clemente,  per  destro  che  fosse,  lo  abbiam  detto 
altra  volta,  non  era  Y  uomo  che  occorreva  a  scongiurare  il 
fato  dell'  Italia.  La  sua  acutezza  di  mente  faceva  anzi  ostacolo 
alla  costanza  del  volere.  Più  che  non  si  convenisse  sentiva 
di  esser  debole  a  paragone  del  nemico;  i  sinistri,  i  dispendii, 
i  pericoli  della  impresa  gli  venivano  innanzi  con  tale  una 
forza,  una  evidenza,  da  turbare  il  giudizio.  Man  cavagli  il  ta- 
lento pratico  di  cogliere  il  nerbo  delle  cose  per  mettere  al 
sicuro  quanto  almeno  è  fattibile  ed  accomodato  alle  circo- 
stanze. Ne' momenti  più  decisivi  lo  si  vedeva  indugiare,  va- 
cillare, pensare  a  risparmi  (4).  In  lui  il  principe  e  il  ponte- 
fice pugnavano  all'  estremo  :  visse  sempre  fra  due,  tra  le 
promesse  di  Carlo  V  e  Io  spettro  dell'ingrandito  Lutero;  sperò 


(l)Gio. .Matteo  Giberto  al  nunzio  in  Inghilterra.  Roma  7  die. 
1526.  Ruscelli.  Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  20. 

(2)  Li  soy  tutti  lo  consigliano  al  accordo  dal  Datario  in  fori  ebe 
si  dispera  et  struge.  //  cav.  Landriano  allo  Sforza.  Koma  4  die. 
1526.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  rnsc. 

(3)  Il  Capuano  pinge  lo  inferno  ad  sua  S  a  se  non  si  acorda. 
Roma  25  die.  1526.  Ìbidem  msc. 

(4)  Sua  Santità  è  di  un  cuore  frigidissimo,  il  quale  fa  ch'ella  sia 
dotata  di  non  ordinaria  timidità,  per  non  dire  pusillanimità... 
Questa  timidità  è  causa  che  sua  santità  è  mollo  irresoluta  e  molto 
tarda  a  risolversi,  e  seppur  si  risolve,  è  mollo  facile  a  mutarsi;  non 
già  per  cosa  di  momento  (che  questo  saria  opera  de  savio)  ma  piut- 
tosto per  causa  vile  e  di  poco  momento.  Relazione  di  Roma  di  Ani. 
Soriano  3  lugl.  1531.  Alberi.  Relaz.  degli  amb.  veneti,  serie  2,  t.3, 
pag,  278. 


-405  — 

ora  nella  rovina  dell'  imperatore  la  salvezza  dell'  Italia,  ora 
nella  rovina  dell'  Italia  la  salvezza  della  Chiesa.  Pressato  a 
crear  cardinali  per  danari,  ad  aiutarsi  in  tanta  necessità  con 
i  modi  consueti,  eziandio  nelle  guerre  ambiziose  ed  ingiuste, 
agli  altri  pontefici,  rispondeva  :  se  il  corpo  è  crucialo,  non 
voglio  dannar  l'anima  (i);  onde  il  Giberto,  pur  dichiarando 
che  quel  mezzo  non  basterebbe,  potendosene  tutt'al  più  ri- 
cavare centocinquantamila  ducati,  nelP  atto  stesso  che  scol- 
pava il  padron  suo  delle  accuse  mossegli  dal  vescovo  di  Baiusa 
e  le  ritorceva  sopra  il  re  di  Francia  mancatore  di  fede,  usci 
a  dire  :  può  essere  che  Dio  ci  voglia,  come  lei  dice,  per  istru- 
mento  della  ruina  d' Italia,  e  che  per  questo  ci  abbia  dato  la 
grandezza  che  abbiamo;  ma  che  potremo  noi  fare  contro  il 
voler  di  Dio  ?  (2) 

Non  ebbe  si  tosto  Clemente  uditi  il  Pignalosa  e  il  gene- 
rale de'francescani,  ritornato  di  Spagna  con  ambasciate  dolci 
di  Cesare,  che  mandò  quest'ultimo  al  viceré  Lannoy  e  pochi 
giorni  poi  anche  V arcivescovo  di  Capua  per  trattare  con  lui 
la  concordia.  Dalla  qual  prova  di  sua  depressione,  più  assai 
che  dai  conforti  de'  Colonnesi,  pigliò  tanto  animo  il  viceré, 
che,  mentre  prima  mostravasi  contento  di  una  sospensione 
d' armi  per  sei  mesi,  dichiarò  non  volere  (3)  più  tregua,  ma 
pace  generale  o  almeno  con  lui  solo,  con  condizioni  che  se 
lo  avesse  preso  e  legalo  non  potevano  essere  peggiori  (A)  :  rein- 
tegrazione de'Colonnesi  ;  danari  per  mantenere  V  esercito  e 


(1)  Il  cav.  Landriano  al  duca  Sforza.  Roma  10  genn.  1527  Archi- 
vio s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(2)  17  die.  1526.  Ruscelli.  Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  33. 

(3)  Frate  Nicolò  è  tornato  da  Napoli  ov'era  andato  per  la  sospen- 
sione di  arnie,  et  ha  portato  chel  viceré  vole  generale,  perche  sa  il 
papa  non  la  può  far  se  non  per  se  solo.  Il  cav.  Landriano  allo  Sfor- 
za. Roma  24  die.  1526.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(4)  Francesco  Vettori.aU'arcivescovo  di  Capua.  Ruscelli.  Lettere 
di  principi,  1. 1,  pag.  182. 


—  406  — 

consegna  in  nome  di  sicurtà  di  Parma,  Piacenza,  Ostia,  Civi- 
tavecchia, Pisa  e  Livorno.(l).  La  conclusione  era  di  spogliarlo 
della  sovranità  temporale  (2).  Non  altrimenti rimuovevasi  Ce- 
sare dai  convegni  ragionati  poc'  anzi.  Aveva  dato  a  intendere 
ch'entrerebbe  con  soli  cinquemila  uomini  in  Italia,  e,  presa 
la  corona  dell'  impero,  passerebbe  subito  in  Germania  per 
dar  forma  alle  cose  di  Lutero,  senza  parlar  più  del  concilio; 
verrebbe  a  patti  onesti  coi  veneziani;  rimetterebbe  in  due 
giudici,  deputati  dal  papa  e  da  lui,  la  causa  di  Francesco 
Sforza;  restituirebbe  al  re  i  figliuoli  verso  pagamento  in  due 
o  più  termini  di  due  milioni  di  scudi.  Ora,  avuto  avviso  del- 
Parrivo  dei  tedeschi  e  dell'armata  in  Italia,  dimandava  invece 
che  il  re  di  Francia  osservasse  in  tutto  P  accordo  di  Madrid, 
e  che  la  causa  dello  Sforza  si  vedesse  da  giudici  deputati  da 
lui  solo  (3).  Ben  lo  previdero  i  veneziani,  allorché  presero 
tempo  a  pensare  prima  di  compiacere  il  papa  col  trasmettere 
a  Paolo  di  Arezzo  il  mandato  per  trattare  con  Cesare,  seb- 
bene persuasi  essere  tanta  la  viltà  e  la  paura  sua  che  né  que- 
sto né  altro  artificio  o  ragione  sarebbe  bastato  a  r  attenerlo  (fy. 
Che  fece  invero  Clemente?  Fuggire  di  Roma  parvegli  gran 
danno  per  la  persona,  maggiore  per  lo  stato;  il  difendersi  im- 
possibile, non  avendo  danari  e  protestando  i  fiorentini  non 
volerne  più  spendere.  Non  restava  che  accordarsi  a  condi- 
zioni men  dure  che  fosse  possibile  (5).  Giurava  non  avrebbe 


(1)  Il  cav.  Landriano  al  duca  Sforza.  Roma  26  die.  1526.  Archi- 
vio s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(2)  La  conditione  de  la  pace  è  che  sua  Santa  non  habia  auto- 
rità sopra  beni  temporali  ma  solamente  sopra  preti  senza  più.  Sci- 
pione AUellano  al  duca  Sforza.  Bergamo  17  die.  1526.  Ibidem  msc. 

(3)  Frane.  Guicciardini.  Storia  d' Italia,  pag.  311,  312. 

(4)  Benedetto  Corte  al  duca  Sforza.  Venezia  12  die.  1526.  Archi- 
vio s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(5)  Il  cav.  Landriano  al  duca  Sforza.  Roma  20  die.  1526.  Ibi- 
dem msc. 


-  407  - 

ceduto  un  palmo  di  terra  (i)  ;  e  pur,  quando  la  necessità  stri- 
gnesse,  dava  facoltà  di  acconsentire  che  Parma  e  Piacenza 
stessero  in  mano  di  un  terzo  (2),  o  del  duca  di  Savoia  o  del 
re  di  Portogallo  (3).  Offriva  inoltre  di  pagare  centocinquan- 
tamila ducati  per  sé  e  i  fiorentini.  Ma  gl'imperiali  fermi  ;  ond' 
egli  andò  temporeggiando  ancora,  siccome  quegli  che  vedeva, 
toccava  e  palpava  la  rovina  (4). 

In  questo  mezzo  era  accesa  gagliardamente  la  guerra 
ne'contorni  di  Roma.  Correvano  i  Colonnesi  per  la  Campagna 
con  Taria  fortuna,  e  il  viceré  Lannoy  a  di  21  dicembre  Ì526 
andò  a  campo  sotto  Prosinone  guardata  da  milleottocento  fanti 
delle  bande  nere.  II  perchè  Renzo  da  Ceri,  venuto  di  Fran- 
cia, raccolse  a  Ferentino  le  genti  ecclesiastiche  sparse  innanzi 
per  improvvido  consiglio  del  Vitelli  tra  Tivoli,  Palestrina  e 
Velletri.  E  già  moveva  al  soccorso  degli  assediati  quando  ebbe 
nuova  della  tregua  conchiusa  l'ultimo  d'i  di  gennaio  del  4527 
col  viceré  per  otto  giorni,  e  con  tanto  desiderio  di  pace  da 
parte  del  pontefice  che  per  ridurre  i  veneziani  ad  acconsen- 
tirvi offerì  di  pagare  non  solo  per  sé  centocinquantamila  du- 
cati, ma  eziandio  cinquantamila  per  loro.  Nonpertanto  V  avan- 
guardia guidata  da  Stefano  Colonna,  giunta  a  un  passo  a 
modo  di  ponte  sulle  radici  del  primo  colle  di  Frosinone,  al 


(1)  Francesco  Vettori  all'arcivescovo  di  Capua.  Ruscelli.  Lettere 
di  principi,  1. 1,  pag.  180. 

(2)  Ma  quando  pur  bisognasse  che  si  dovriano  deponer  in  man 
d'  un  terzo  confidente  de  l'una  et  l'altra  parte.  Nicolò  Sfondrato  al 
duca  Sforza.  Roma  11  genn.  1527.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(3)  Ne  se  debbe  ripossar  a  darle  in  mano  del  duca  de  Savoya 
o  re  de  Portugallo  con  patto  che  fra  otto  mesi  gli  siano  restituite, 
perchè  in  questo  mezzo  possono  accader  molte  cose  che  sua  San.a 
mai  le  rihaveria.  Il  duca  di  Milano  al  cav.  Landriano  Cremona  18 
gen.  1527-  Ibidem  msc. 

(4)  Il  cav.  Landriano  allo  Sforza.  Roma  40  gennaio  1527,  lai- 
dem  msc. 


-  408  - 

quale  erano  a  guardia  sei  bandiere  di  fanti  tedeschi,  venne 
con  loro  alle  mani,  e  sì  gli  ruppe  che  da  dugento  rimasero 
morti  e  quattrocento  prigioni  con  le  insegne  (4).  Il  viceré, 
non  volendo  mettere  la  riuscita  della  impresa  al  rischio  di 
una  battaglia,  si  ritirò. 

Ne  prese  animo  il  pontefice  a  tentare  la  conquista  del 
regno  di  Napoli,  al  qual  uopo  s' era  già  indettato  col  re  di 
Francia  che  mezzo  darebbesi  al  conte  di  Vaudemont  fratello 
del  duca  di  Lorena,  erede  dei  diritti  della  casa  di  Anjou,  e 
mezzo  a  Caterina  de' Medici  sua  nipote,  che  quegli  condur- 
rebbe in  moglie,  sicché  per  parentado  venisse  ad  ordinarsi 
intero.  Appunto  allora  aveva  mandati  il  re  di  Francia  dieci- 
mila scudi  per  conto  della  decima  concessagli  finalmente  dal 
papa,  con  promissione  che,  oltre  al  pagamento  dei  quaranta- 
mila scudi  alla  lega  e  dei  ventimila  al  papa  medesimo  ciascun 
mese,  gli  darebbe  trentamila  ducati  di  presente,  e  trentamila 
altri  fra  un  mese,  purché  non  si  accordasse  co'  nemici  (2). 
Nello  stesso  tempo  Giovanni  Russel  gli  portò  in  nome  del  re 
d' Inghilterra  trentamila  ducati,  e  speranze  di  maggiori  sus- 
sidii  in  avvenire  (3). 

Deliberossi  adunque  di  assaltare  Napoli  con  V  esercito 
per  terra,  e  che  le  armate  della  lega,  levato  il  blocco  di  Ge- 
nova, andassero  per  mare  con  Vaudemont  e  con  le  bande 
nere  capitanate  da  Orazio  Baglione,  che  il  pontefice,  dimen- 
ticando le  ingiurie  fatte  prima  al  padre  e  poi  a  lui,  aveva  di 
nuovo  condotto  a'suoi  stipendii.  Le  cose  procederono  da  pri- 

(1)  Gio.  Matteo  Giberto  al  conte  Filippino  Doria.  Roma  4  febb. 
1527.  Ruscelli.  Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  49. 

(2)  Lettera  del  re  Francesco  al  marchese  di  Saluzzo  18  die. 
1526.  archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(3)  King  Henry  Vili  to  pope  Clement  VII  2  Jan.  1527.  Stale  pa- 
pers,  t.  6,  pag.  560.  Lettera  di  Gio.  Joachimo  a  Francesco  I.  Londra 
30  genn.  1527.  Molini.  Docum.  di  stor.  ital.  Archivio  storico  ital. 
Append.  n.  9,  pag.  424. 


-  409  - 

ma  prosperamente.  Renzo  da  Ceri,  entrato  con  seimila  fanti 
negli  Abruzzi,  occnpò  Aquila,  Siciliano  e  Tagliacozzo.  La 
flotta  saccheggiò  Molo  di  Gaeta,  prese  Gastellamare,  Stab- 
bia, Torre  del  Greco,  Sorrento  e  Salerno. 

Però  a  que'  lieti  principii  non  rispose  il  successo  della 
impresa.  La  flotta  s' indeboliva  in  ragione  de9  luoghi  che  oc- 
cupava e  doveva  guardare.  Meli9  esercito  di  terra  nessun  or- 
dine, non  obbedienza,  non  disciplina;  grande  la  sfiducia  dei 
capitani  accresciuta  dalle  pratiche  che  continuava  il  pontefi- 
ce co'  nemici,  e  tanta  la  carestia  di  vettovaglie  o  per  la  ne- 
gligenza de9  ministri  o  per  le  male  provvisioni  del  pontefice 
medesimo  (i),  che  il  cardinale  Trivulzio  legato  e  il  Vitelli  fu- 
rono costretti  infine  di  ritirarsi  da  san  Germano  sopra  Piper- 
no,  mentre  Renzo  da  Ceri,  abbandonato  da  una  parte  de  suoi 
fanti,  lasciava  a'  primi  di  marzo  gli  Abruzzi  per  tornarsene  a 
Roma. 

Questa  ritirata  pose  termine  alle  lunghe  fluttuazioni  di 
animo  del  pontefice  (2).  Le  promesse  amplissime  di  Francia 
aveva  veduto  riuscir  ogni  giorno  più  scarse  di  effetti  :  dei 
denari  per  la  impresa  di  Napoli  non  ricevette  che  i  ventimila 
ducati  del  primo  mese  (3),  e  di  quelli  per  la  concessione  del- 


ti) Oltre  alla  difficoltà  infinita  del  vivere  per  il  mal  ordine,  che 
v'è  (così  aveva  scritto  il  card.  Trivulzio  al  ditario  Giberto),  non  vi 
è  obbedienza,  non  disciplina,  non  una  provisione  al  mondo  di  co.»e  ; 
et  se  fra  cinque  dì  al  più  non  vi  si  piglia  qualche  verso,  ogni  cosa  va 
in  rovina.  Gio.  Matteo  Giberto  al  card.  Trivulzio.  Roma  2  marzo 
1527.  Ruscelli,  Lettere  di  principi  t.  2,  pag.  55. 

(2)  Perchè  s.  sant.  non  è  possibile  che  più  si  possi  mantener: 
questo  suo  exercito  more  de  fame  e  scrive  el  legato  che  più  non 
può  durarla  . . .  perche  non  ha  da  vivere  et  è  forza  enei  se  ritira.  // 
cav.  Landriano  allo  Sforza  Roma  12  marzo  1 527-  archivio  s.  Fedele 
di  Milano  msc.  Vedi  anche  Paradinus  Memoriae  nostrae.  Lugduni 
1548,  lib.  2,  pag.  62. 

(3)  Gio  :  Matteo  Giberto  al  card.  Trivulzio  12  marzo  1527.  Ibidem 
pag.  60. 

26 


-  440  - 

la  decima  novemila  soltanto  (4).  Pronti  soccorsi  non  pote?a 
sperare  dal  re  d' Inghilterra,  il  quale  era  fermo  tanto  in  far 
dipendere  la  entrata  nella  lega  dal  matrimonio  della  figlinola 
col  re  Francesco,  che  per  ottenerlo  più  facilmente  mostrava- . 
si  contento  avesse  il  Borbone  Milano  (2).  Spaventavanlo  le  len- 
tezze del  duca  di  Urbino,  onde  restava  aperto  agli  imperiali  il 
passaggio  in  Toscana  (3).  Quale  occasione  ai  fiorentini,  già 
ristucchi  de'  Medici,  di  far  rivoltura!  (4)  Questa,  diceva  l'o- 
ratore milanese,  questa  è  la  ferita  mortale  che  trapassati  cuor 
suo  (5).  Non  essendo  dunque  aiutato  abbastanza  da9 confede- 
rati, né  volendo  aiutarsi  quanto  avrebbe  potuto  da  sé  mede- 
simo, prevalendo  più  in  lui  il  timore  presente  che  il  pericolo 
di  mettersi  in  balìa  degl'  inimici,  piegò  infine  all'accordo  col 
viceré  Lannoy.  Questi  nel  tempo  che  sinistravano  le  cose  di 
Napoli  aveva  mandato  a  tal  uopo  a  Roma  lo  scudiere  Cesare 
Fieramosca  e  il  segretario  Seron,  con  commissione  di  con- 
chiudere la  pratica  solo  allora  che  avessero  notizia  che  il 
Borbone  non  Marciava  innanzi  :  mosso  a  ciò  anche  da  una 
lettera  di  Borbone  medesimo,  per  la  quale,  significategli  le 
difficoltà  di  sostentare  l'esercito,  lo  confortava  a  far  qualche 
convenzione  (6).  Fresca  era  la  memoria  della  perfida  trama 

■    (l)  Frane.  Guicciardini,  Storia  d'Italia  t.  3,  pag.  329. 

•  (2)  Agost.  Scarpinalo  al  duca  Sforza,  Londra  5  e  7  die.  1526  e 
Tomaso  Bavastro  al  medesimo,  Valladolid  20  febb.  1527.  ArcMvios. 
Fedele  di  Milano  msc. 

(3)  N.  S.  sta  disperato  perche  sente  li  lanzchnechi  e  spagnolidi 
Lombardia  voleno  inviarsi  in  Toscana.  Ilcav.Landriano  allo  Sfona. 
Roma  18  febb.  1527.  Ibidem  msc. 

(4)  Questa  sua  Firenze  li  preme  tanto  che  non  si  potria  credere 
. . .  non  voria  la  mutatione  perchè  la  casa  sua  potria  stare  assai  a 
ritornarvi.  //  cav.  Landriano  allo  Sforza.  Roma28febb.  1527.  Ibidem 
msc. 

(5)  20  febb.  1527.  Ibidem  msc. 

(G)  Instruction  des  vicekònigs  Lannoy  fur  seinen  secretair  I.  Du* 
rant  an  den  Kaiser  16  mai  1527.  Lanz,  Corresp.  t.  1,  pag.  701. 


—  4H  — 

del  Moncada  e  della  sua  buona  riuscita.  A  che  non  ritentar- 
la ?  Se  non  v'era  modo  di  sovvenire  il  Borbone  con  una  gros- 
sa somma  di  danaro,  non  valeva  forse  altrettanto  sbarazzar- 
gli la  via  alla  volta  di  Roma?  (1)  Indarno  i  veneziani  scon- 
giurarono Clemente  a  non  precipitare  di  nuovo  nelT  esperi- 
mentate insidie,  offerendogli  ogni  aiuto  possibile  e  trenta- 
mila ducati  di  presente  in  contraccambio  del  giubileo  per  il 
loro  dominio  (2).  Continuando  il  duca  di  Urbino  né*  disegni 
antichi,  scrivevasi  di  Roma  al  Guicciardini,  pare  a  sua  san- 
tità poter  essergli  di  poco  frutto  i  loro  soccorsi  (3).  A  di  i5 
marzo  4527  fu  sottoscritta  una  tregua  di  otto  mesi  con  con- 
dizione ebe  fossero  restituite  le  conquiste  fatte  da  ambe  le 
parti  e  ristabilito  Pompeo  Colonna  nella  dignità  del  cardina- 
lato. Aderendovi  il  re  di  Francia  e  i  veneziani,  uscirebbero 
le  truppe  tedesche  d' Italia  ;  in  caso  contrario,  soltanto  dagli 
stati  della  Chiesa  e  di  Firenze,  al  qual  uopo  il  viceré  Lannoy 
doveva  venire  a  Roma  per  assicurare  vieppiù  il  pontefice 
della  osservanza  (A).  In  queir  accordo  non  si  fa  cenno  di  da- 
nari da  pagarsi  all'  esercito  imperiale  ;  ma  cerio  è  che  Cle- 
mente (forse  in  un  articolo  segreto  o  sotto  semplici  parole) 
promise  sessantamila  ducati  (5),  adducendo  a  scopo  la  libe- 


lli Dal  successo  clela  impresa  del  segnor  Viserrei  verso  Roma 
dependeva  la  substancia  del  l'elice  exito  dela  impresa.  Ilprotonota- 
rlo  Caracciolo  all'imperatore.  Pavia  17-  gen.  1527.  Biblioteca  de  VA- 
cad.  dChizt.  de  Madrid.  A  40  rase. 

(2)  Ne  Ejus  Sauctitas  tam  indignum  facinus  committeret,  quod 
universi  pene  orbis  maxima  esset  ruina.  lohn  da  Casale  to  IVolsey. 
Venetiis  26  febb.  1527.  Stale  Paper -s  t.  6,  pag.  5G8. 

(3)  23.  Febb.  1527.  Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(4)  Bucholtz  t.  3,  pag.  604-609. 

(5)  La  somme  de  soixente  mil  ducats  que  en  ver  tu  de  ladite  ca- 
pitulacion  sa  sainctete  deboit  payer.  Instruction  des  vicekónigs 
Lannoy  fìlr  seinem  secretair  I.  Durant  en  den  Kaiser  17  mai  1527. 
Lanz,  Corresp.  t.  1,  pag.  703. 


—  412  — 

razione  di  Filippo  Strozzi  e  del  figliuolo  di  Jacopo  Salviati 
dati  per  ostaggi  dell'  antecedente  convenzione  col  Monca- 
da  (4).  Quando  bene  il  Borbone  avesse  avuto  in  animo  di  ri- 
tirarsi, come  pensare  che  quella  somma  sarebbe  bastata  a 
contentare  le  sue  genti  ?  Ignorava  forse  il  pontefice  di  qua) 
natura  esse  fossero  e  a  qual  fine  venissero?  Aveva  detto  più 
volte  il  Borbone  che,  per  accordi  che  facesse  il  viceré,  ei  non 
resterebbe  di  venire  innanzi  (2).  Confermavate  con  segreti 
avvisi  il  Moro  ne,  proferendosi  in  tale  occasione,  qualora  tro- 
vasse tremila  scudi  in  presto  per  liberare  il  figliuolo,  di  pas- 
sare a9  servigi  del  papa,  nonostante  che  gV  imperiali  lo  acca- 
rezzino e  onorino  (3).  Eppure  Clemente,  benché  nella  pro- 
messa di  levare  le  truppe  tedesche  d' Italia  riconoscesse  la 
frode  della  tregua,  non  dubitava  tampoco  di  aver  provvedu- 
to almeno  alla  salvezza  di  sé  medesimo  e  della  casa  sua  (4). 
Di  questo  avviso  era  anche  il  datario  Giberto,  sembrandogli, 
chi  il  crederebbe?  che  dalla  continuazione  della  guerra  aves- 
se a  temere  il  viceré  assai  più  che  il  padron  suo  (5).  Indi  il 
pessimo  consiglio  di  licenziar  subito  le  genti  del  cardinale 

(1)  Frane.  Guicciardini  al  Garimberto  25  marzo  1527.  Opere 
inedite  t.  5,  pag.  358. 

(2)  Nicolò  Sfondrati  allo  Sforza  25  die.  1526.  Il  duca  Sforza  al 
cav.  Landriano,  15  genn.  1527.  archivio  *.  Fedele  di  Milano  msc. 

(3)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto  26  marzo  1527. 
Opere  inedite  t.  5,  pag.  364. 

(4)  Che  e  punto  de  frandolentia  et  inganno  manifesto  conosciuto 
assai  per  s.  San  . . .  S.  S.  vorrà  più  presto  cometersi  a  esser  ingan- 
nato da  una  capitolazione  facta  dacordo,  che  expectar  una  violentia 
con  ruina  di  sua  persona,  suo  exercito,  pontificato  e  patria  sua. 
Landriano  al  duca  Sforza.  Roma  12  marzo  1527.  Archivio  s.  Fedele 
di  Milano  msc. 

(5)  Io  credo,  et  tutte  le  ragioni  vorriano,  che  il  sig.  Viceré  ba- 
vesse  l'accordo  tanto  più  caro  che  nostro  Signore,  quanto  più  forse 
ha  da  temere  nelle  cose  del  Regno,  che  sua  Santità,  o  in  Romagna 
o  in  Toscana  che  sia.  Al  card.  Trivutzio.  Roma  8  marzo  1527.  Ru- 
scelli, Lettere  di  principi  i.  2,  pag.  58. 


—  4«  — 

Trivulzio  e  di  rallegrarsi  perchè  quelle  di  Renzo  da  Ceri  si 
fossero  disciolte  spontaneamente,  non  ritenendo  che  cento 
cavalleggieri  e  duemila  fanti  delle  bande  nere  (1).  Ben  si  ve- 
de Roma  travolta  in  quella  vertigine  delle  menti  che  prece- 
de ed  annuncia  le  grandi  catastrofi. 

X.  In  questo  mezzo  stava  ancora  il  Borbone  a  campo  in 
san  Giovanni  nel  Bolognese.  Ivi  il  di  13  marzo  i  fanti  tede- 
schi, delusi  da  varie  promesse  di  pagamenti,  e  seguitati  poi 
da'fanti  spagnuoli,  gridando  danari,  si  ammutinarono  in  gui- 
sa, che  ne  andava  la  vita  del  Borbone  medesimo  se  non  fos- 
se stato  sollecito  a  fuggirsi  occultamente  del  suo  alloggia- 
mento, dove,  concorsi,  lo  svaligiarono  (2).  Quel  tumulto  co- 
stò al  duca  di  Ferrara  altri  diecimila  scudi  (3),  e  fu  sedato 
col  darne  uno  per  fante,  insieme  colla  promessa  di  muovere 
fra  tre  giorni  al  sacco  delle  vicine  città  (4).  Poco  dopo  Gior- 
gio di  Frundsberg,  colpito  d'apoplessia  mentre  arringava  gli 
insorti,  si  ritirò  dal  campo;  il  qual  caso, festeggiato  in  Roma 
come  lieto  augurio  di  prossima  dispersione  delle  sue  gen- 
ti (5),  aggiunse  invece  nuovo  sprone  al  loro  ardore.  In  tale 


(1)  Gio.  iMatteo  Giberto  al  card.  Trivulzio.  29  marzo  1527.  Ibi- 
dem pag.  69. 

(2)  Li  spagnuoli  prima  entrorno  in  caxa  di  Borbone  et  li  tolsero 
largenti  havea  di  pretto  di  300  scutti  ;  i  todeschi  li  entrorno  anche 
elli  et  con  le  daghe  le  taliorno  la  lettiera  e  fornimento  era  di  veluto 
et  brocato  doro.  Benedetto  Toxo  al  duca  Sforza  Mantova  15  marzo 
1527.  archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 

(3)  Hanno  havuto  diecimila  scutti  da  Ferrara  fra  oro  e  moneta. 
Ibidem. 

(4)  Si  accordò  di  dare  uno  scudo  a  testa  alli  spagnuoli  e  tede- 
schi e  caminerebbero  a  Firenze  entro  3  giorni,  altrimenti  sarebbero 
in  libertà.  Ibidem  msc.  A  la  fin  on  composa  en  donnant  un  ecu  par 
horame  et  en  leur  promettent  la  loix  de  Mahomet.  Cdsar  Ferramo- 
sca  au  den  Kaiser.  4  apr.  1527.  Lanz,  Corresp.  t.  1,  pag.  231. 

(5)  Gio.  Matteo  Giberto  al  card.  Trivulzio.  Ruscelli,  Lettere  di 
principi  t.  2,  p.  66. 


_  4U  — 

disposizione  degli  animi  le  trovò  Cesare  Fieramosca  venuto 
per  incarico  del  papa  ad  inlimare  la  tregua.  Come  la  intesero, 
scrive  questi,  infuriarono  al  par  di  leoni,  e  Borbone  volle 
che  quanto  gli  aveva  detto  ripetessi  in  presenza  di  tutti  i  ca- 
pitani. I  capitani  alla  lor  volta  cavaronsi  d'impaccio  col  dire 
che  ciascuno  di  per  sé  ne  avrebbe  parlato  alla  sua  compa- 
gnia. La  risposta  riusci  unanime,  che  volevano  andare  innan- 
zi, e  con  tanto  movimento  di  sdegno  che  al  Fieramosca  si 
diede  consiglio  dipartirsi  immantinente  da  san  Giovanni (ì). 
Parve  dunque  che  il  Borbone  non  potesse  ridurre  al  voler 
suo  i  soldati  (2),  e  in  questo  senso  ne  scrisse  al  luogotenen- 
te pontificio  Guicciardini,  quasi  la  necessità  lo  costrignesse 
a  seguitarli  (3). 

Fu  verità,  od  una  delle  solite  arti?  Io  ebbi  prima  avvi- 
so di  buona  via,  scrive  Guicciardini,  che  procederebbero  con 
questo  modo  di  mostrare  che  la  gente  non  si  contentasse,  ma 
che  era  cosa  procurata  da'"  capi,  i  quali  pensano  a  minare 
totalmente  nostro  Signore,  o  trarne  una  grossissima  somma 
di  danari  (A).  Lo  conferma  anche  la  dimostrazione  contro  il 
marchese  del  Guasto,  il  quale,  abbonendo  tutto  ciò  ch'era  sta- 
to fatto  finora  (5),  essendosi  levato  dall'esercito  per  non  con- 


fi (Relaziono  precitata  di  Cesare  Fieramosca  all'imperatore. 
Lanz,  Corresp.  t.  1,  pag.  232. 

(2)  Ienvoie  la  traduction  des  ordres  donnees  aux  capitains;  et 
par  icelles  il  verrà  les  raisons  quii  allegue  pour  autoriser  sa  mar- 
che, qui  est  que  ses  gens  nont  pas  voulu  accepter  la  capitulacion 
de  la  treve,  parcequelle  ne  leur  etoit  pas  avantageuse.  Ibidem  p.  234. 

(3)  Machiavelli,  Spedizione  seconda  a  Frane.  Guicciardini.  Bolo- 
gna 29  marzo  1527. 

(4)  Al  vescovo  di  Pola  26  marzo  1527  Opere  inedite  t.  5,  pag.  361. 
Lo  si  rileva  anche  dalla  relazione  del  Fieramosca,  dove,  parlando 
del  Borbone,  dice  :je  vis  bien  qu' il  navoitpas  un bon  dessein^etque 
lui  ne  vouloit  pas  ce  (aire  pag.  231. 

(5)  Il  abhorre . . .  tout  ce  qui  sest  fait  jusques  ores.  Ibidem  p.  233. 


—  448  — 

trav venire,  secondo  che  disse,  agli  ordini  di  Cesare,  fu  da 
quello  bandito  per  ribelle. 

Procedette  dunque  il  Borbone,  ma  lentamente,  per  vie 
rotte  da  piogge  smisurate,  con  alle  spalle  l'esercito  nemi- 
co. A  di  34  marzo  pose  il  campo  al  Ponte  a  Reno,  e  solo  ai 
5  aprile  raggiunse  Imola.  Di  là,  dopo  aver  prese  e  saccheg- 
giate alcune  piccole  città,  si  volse  a  destra  verso  gli  Apenni- 
ni,  e  superatene  le  alture  onde  scaturiscono  i  confluenti  del- 
l'Arno e  da  numerose  sorgenti  trae  origine  il  Tevere,  a'  18 
aprile  comparve  a  Pieve  di  santo  Stefano,  minacciando  con- 
temporaneamente le  valli  dell'  uno  e  dell'altro  fiume,  Firen- 
ze e  Roma,  senza  che  si  sapesse  ancora  quale  delle  due  sa- 
rebbe per  prima  flagellata. 

Sentito  il  rifiuto  del  Borbone  di  accettare  la  tregua,  cre- 
dette il  papa  da  principio  che  fosse  millanto  soldatesco  o 
stratagemma  per  avere  una  maggior  somma  di  danaro  (i)  ; 
onde  al  viceré  Lannoy,  richiedente  che  la  portasse  sino  a 
centocinquantamila  ducati,  rispose  :  se  V  imperatore  è  debi- 
tore di  qualcosa  alle  sue  truppe,  le  paghi  del  proprio  (2).  Ma 
poi,  come  seppe  che  queste  andavano  effettivamente  innan- 
zi, aggiustando  fede  alle  parole  del  Borbone  ritornato  in  sul- 
le domande  di  cencinquanta  o  dugentomila  ducati,  instò  che 
il  viceré  medesimo,  tenuto  allora  a  Roma  come  ostaggio,  an- 
dasse a  contentarlo  con  i  danari  di  più  che  darebbero  i  fio- 
rentini. Mi  vi  acconciai,  scrive  il  Lannoy,  per  essere  in  luo- 
go dove  non  poteva  ricusare  (3),  e  giunto  a  Firenze  vi  stette 
dieci  giorni  interi  sopra  la  negoziazione  dello  accordo,  con- 


(1)  fìio:  Matteo  Giberto  al  card.  Trivulzio  31  marzo  1527.  Ru- 
scelli, Lettere  di  principi  t.  2,  pag.  69. 

(2)  Instruction  des  vicekònigs  Lannoy  fur  seinen  secretair  I. 
Durant  an  den  Kaiser.  Lanz,  Corresp.  t.  1 ,  pag.  703. 

(3(  Ce  que  le  viceroy,  pour  estre  àu  lieu  quii  estoit,  ne  pouvoit 
reffuser.  Ibidem. 


-  AM  - 

trariato  non  men  dagli  otto  della  Pratica  (4)  che  dai  vene- 
ziani. I  quali  erano  in  continuo  timore  non  forse  gì'  impe- 
riali; partendo  dallo  stato  della  Chiesa,  entrassero  nel  Polesi- 
ne di  Rovigo  (2)  :  per  questo  subito  dopo  la  tregua  pontificia 
avevano  approvato  che  il  duca  di  Urbino  si  ritirasse  a  Gasa- 
le Maggiore,  e  quando  al  muoversi  del  Borbone,  vinti  dalle 
considerazioni  del  pericolo  dell'Italia,  gli  diedero  pur  ordine 
di  passare  il  Po,  nulla  fidando  nel  pontefice  pusillanime,  voi* 
lero  che  procedesse  in  modo  da  poter  pigliare  di  giorno  in 
giorno  quel  partito  che  richiedessero  gli  eventi  (3).  Facile  è 
dunque  immaginare  con  quanto  studio  cercassero  distoglie- 
re i  fiorentini  dal  rendere  facile  a  Clemente  il  convenire  con 
gì'  inimici  comuni.  Anzi,  per  sicurtà  eh'  ei  non  si  accordas- 
se, proponevano  innanzi  di  passare  in  Toscana  si  ritenesse 
il  viceré  e  fosse  consegnato  in  loro  mani,  o  almanco  si  des- 
sero pegni  di  qualche  città  di  Romagna  od  obbligazioni  per 
quattrocentomila  scudi  (4).  Quale  accordo,  scriveva  anche  il 
Machiavelli  a9  suoi  compatrioti,  (sebbene  sulle  prime  vi  si 
mostrasse  propenso,  al  par  di  Guicciardini,  purché  a  patti 
ragionevoli  (§)  ),  quale  accordo  volete  mai  sperare  da  quelli 
che  essendo  fra  voi  e  loro  ancora  le  Alpi,  e  avendo  le  vostre 


(1)  Sono  poco  inclinati,  parendoli  sia  uno  comperare  co' suoi 
danari  la  mina  no  tra,  poi  che  si  negozia  con  persone  che  hanno 
quella  stabilità  e  fede  ch'ognuno  sa.  Francesco  Guicciardini  al  ve- 
scovo di  Pota  13  apr.  1527.  Opere  inedite  t.  5,  pag.  402. 

(2(  26  marzo  1527.  Ibidem  pag.  364. 

(3)  Jusserunt  ut  Urbini  Dux  suas  copias  ultra  Padum  traduce- 
ret,  quod  puto  a  se  non  tam  feslinanter  faciendum,  cum  pontificis 
animum  non  videant  ad  bellum  tendere,  quod  apertius  etiam  ex  li- 
teris  cognovere,  quas  hodie  ab  urbe  accepimus.  Iokn  da  Casale  to 
fVolsey.  Venetiis  6  apr.  1527.  State  papers  t.  6,  pag.  571. 

(4)  Frane.  Guicciardini  al  card,  di  Cortona  15  apr.  1527.  Opere 
inedite  t.  5,  pag.  406. 

(5)  A  Luigi  Guicciardini,  suo  fratello,  gonfaloniere  di  Firenze  12 
apr.  1527.  Ibidem  pag.  401. 


—  447  — 

genti  in  pie,  vi  domandano  centomila  fiorini  fra  tre.  dì.  e  cen~ 
cinquantamila  fra  dieci  di  (4)  ?  Nonpertanto  allorché  il  Bor- 
bone, presa  Cotignola  e  saccheggiata  Meldola,  s'era  accosta- 
to a  Val  di  Bagno,  sul  cammino  della  Toscana,  confermaro- 
no i  fiorentini  la  capitolazione  fatta  in  Roma  con  promessa 
di  ducati  centomila  di  più,  quantunque,  scrive  l'orator  vene- 
to Marco  Foscari,  non  cessassi  io  di  esclamare  e  dire  che  sa- 
riano delusi  e  rovinati  (2),  e  il  viceré  parti  il  43  aprile  di  Fi- 
renze per  condursi  al  Borbone  in  sembianza  di  esecutore  dei 
patti.  Ma  i  commissari  fiorentini  che  lo  accompagnavano, 
portando  seco  centomila  ducati  da  darsi  in  parte  dello  accor- 
do, il  menarono  a  Castro  per  abboccarsi  col  luogotenente 
pontificio  Guicciardini  ;  sicché  per  questo  indugio  e  per  es- 
sere poi  stato  assalito  dai  villani  del  contorno  e  costretto  a 
ricoverarsi  a  Camaldoli,  non  raggiunse  il  campo  imperiale 
che  a' 24  di  quel  mese,  giorno  di  Pasqua,  a  Pieve  di  santo 
Stefano  (3).  Borbone  crebbe  allora  la  somma  domandata  a 
dugentoquarantamila  ducati.  Per  lo  che  i  commissari  mise- 
ro i  danari  in  luogo  sicuro,  e  i  fiorentini,  vedendo  le  difficol- 
tà che  &'  erano  in  contentarlo,  e  non  essendo  senza  qualche 
sospetto  di  fraude  negli  imperiali,  sollecitarono  l'ambasciator 
veneto  a  far  venire  in  difesa  della  loro  città  il  duca  d'Urbino 
e  il  marchese  di  Saluzzo,  l'uno  alloggiato  ancora  fra  Reggio  e 
Modena,  l'altro  ad  Imola  (A).  Borbone  per  intrattenere  il  pon- 
tefice con  le  medesime  arti  mandò  un  uomo  suo  a  confermare 
il  desiderio  che  aveva  di  accordare  con  lui,  a  significargli  che 
veduta  la  pertinacia  delle  sue  genti  le  accompagnava  per  mi- 


fi)  Spedizione  seconda  a  Francesco  Guicciardini.  Bologna  2. 
apr.  1527. 

(2)  Relazione  di  Firenze  del  1527.  alberi  Relaz.  degli  ami),  ven. 
ser.  2,  voi.  !,pag.  47. 

(3)  Ibidem  p.  48  e  Lanz,  Corresp.  J.  e,  pag.  704 

(4)  Relazione  precitata  di  Marco  Foscari  p.  48, 


-  418  - 

nor  male,  e  Analmente  a  confortarlo  di  non  rompere  le  pra- 
tiche dell'accordo,  né  di  guardare  in  qualche  somma  più  di 
danari.  Il  viceré  invece  dopo  esser  stato  tre  giorni  interi  eoo 
lui,  splendidamente  accolto  ed  onorato  (1),  parendogli  disdi- 
cevole alla  parte  che  rappresentava  l'andarsene  insieme,  si 
recò  a  Siena  (2),  risoluto  tuttavia  di  dar  ogni  aiuto  possibile 
alla  sua  impresa  contro  Roma  (3). 

Così  avvenne  quel  che  molti  avevano  preveduto.  Il  pon- 
tefice, scriveva  di  Venezia  Giovanni  da  Casale  oratore  ingle- 
se, t7  pontefice  slrignerà  tregua  col  viceré;  vi  si  opporrà  il 
Borbone  ;  poi,  licenziate  le  truppe,  e  restituite  le  conquiste  fai- 
te  nel  Napolitano,  abbandonato  da  tutti  i  confederati  nell'ora 
del  pericolo,  non  oserà  riprendere  le  armi  :  intanto  il  viceré 
gli  darà  buone  parole  finché  lo  abbia  condotto  all'estremo  ec- 
cidio (4). 

Ma  di  qual  animo  dobbiamo  noi  credere  fosse  Cesare? 

Fra  lui  e  il  papa  scambiaronsi  ancora  di  quelle  scrittu- 
re ostensibili  piene  di  amore  paterno  e  di  devozione  filiale, 
che  si  usano  nella  curia  romana  e  nelle  corti  cattoliche.  Par- 
lava ancora  P  imperatore  della  estirpazione  de'  luterani,  e 
quanto  all'  Italia  dava  promesse,  delle  quali  il  papa  medesi- 
mo ebbe  a  dire  che  in  fede  di  quelle  avrebbe  posto  non  solo 
tutto  il  mondo,  ma  l'anima  propria  in  mano  sua  (5)  ;  sicché 


(1)  Estant  toujours  louger  beuvaut  et  mangeant  avec  le  s.r  de 
Bourbon  qui  lui  fist  de  Uionneur  beaucop.  Lanz,  Corresp.  I.  e,  pag. 
704. 

(2)  Veant . . .  que  il  avoit  capitale  au  nom  de  sa  mageste  avec 
sa  sainclete,  neust  este  honneste  daler  avec  l'armee.  Ibidem. 

(3)  Donra  le  s.r  viceroy  toute  laide,  faveur  et  assistance  qui 
pourra  a  ladite  armee,  afììn  quelle  se  tienne  ensemble,  et  fassenl 
les  choses  qui  seront  plus  de  service  de  sadite  magesle.  Ibidem 
pag.  705. 

(4)  Al  card.  Volsey,  Stale  papers  t.  6,  pag.  571. 

(5)  Memoriale  mandalo  di  ordine  di  papa  Clemente  VII.  a  mons. 


—  419  — 

Baldassare  Castiglione,  nunzio  in  Ispagna,  rimproverato  più 
tardi  da  Clemente  di  avervi  aggiustata  troppa  credenza,  po- 
tè rispondere  :  se  le  parole  del  generale  de9  Francescani  e  di 
Cesare  Fieramosca  e  delle  lettere  del  viceré  meritarono  che  si 
prestasse  loro  tanta  fede,  non  è  maraviglia  che  io  la  prestas- 
si alle  parole  della  bocca  propria  dell'imperatore  dettemi  più 
volte,  e  con  maggiore  efficacia  che  non  si  può  scrivere  (i). 
Ma  opposti  erano  i  fatti  :  vedemmo  già  essere  stata  sempre 
sua  mente  di  governarsi  secondo  la  varietà  dei  tempi  e  delle 
occasioni;  auche  allora  che  faceva  sperare  di  rimettere  nel 
re  d' Inghilterra  la  pratica  della  pace,  aspettando  d' intende- 
re prima  quello  che  per  la  venuta  dei  tedeschi  e  dell'  arma- 
ta fosse  succeduto  in  Italia,  tirava  in  lungo  la  cosa,  metten- 
do eccezione  nei  mandati  dei  collegati,  come  se  non  fossero 
sufficienti  (2).  Corrispondono  le  instruzioni  spedite  a'  suoi 
ministri.  In  febbraio  ammonì  il  viceré  Lannoy  a  non  lasciar- 
si ingannare  dal  papa  né  in  nome  della  lettera  da  lui  diret- 
tagli col  mezzo  di  Paolo  di  Arezzo,  né  per  cagione  dei  tur- 
chi o  della  perdita  dei  beni  temporali  della  Chiesa  :  aiutando 
da  una  parte  i  Colonnesi,  venendo  innanzi  dall'  altra  il  Bor- 
bone col  duca  di  Ferrara  e  coi  tedeschi  del  Frundsberg,  si 
potranno  conseguire  molte  buone  e  grandi  cose,  imperocché 
noiveggiam  bene,  continua  l'imperatore,  che  que'di  Roma 
senza  essere  ridotti  al  verde  non  faranno  mai  alcuna  opera 
buona  e  virtuosa  ;  gli  è  necessario  tagliar  coreggie  dalla  pelle 
altrui,  cioè  trarre  di  là,  dove  trovasi  più  vicino,  il  danaro 

Farnese  legato  in  Ispagna.  Papiers  d'état  du  card,  de  Granvelle  t. 
l,pag.  307. 

(1)  Burgos  IO  die.  1527.  Ruscelli,  Lettere  di  principi  t.  2,  pag.  71. 

(2)  Sicché  et  per  simili  frivole  sottigliezze  et  per  molti  altri  in- 
dilli che  ad  nui  consta,  facilmente  si  potè  cognoscere  che  sua  M.ta 
ci  dileggia,  et  che  vole  prima  vedere  lo  exito  delle  cose  de  Italia 
dove  para.  Tommaso  Bavastro  allo  Sforza.  Valladolid  J6febb.  1527. 
Archivio  s.  Fedele  di  Milano  msc. 


—  «0  — 

occorrente  al  pagamento  delle  truppe,  e  mantenere  le  medesi- 
me a  loro  carico  e  spese  ;  non  si  deve  in  ciò  dimenticare  Fi- 
renze che  ben  merita  di  essere  altrettanto  castigata;  trattan- 
dosi di  pace  col  papa  importa  sopra  tutto  di  mettersi  talmen- 
te al  sicuro  che  non  si  abbia  sempre  a  ricominciare  (1).  Non 
altrimenti  suonano  le  lettere  al  Borbone.  Il  giuoco  che  aveu 
tra  mani,  scrivevagli  a'  31  marzo,  dura  di  troppo,  e  voi  fa- 
rete, ne  son  certo,  tutto  il  poter  vostro  per  condurlo  a  termi- 
ne :  mantenete  con  ogni  mezzo  possibile  l'esercito  per  costri- 
gnere  i  nemici  ad  una  buona  pace,  o  almeno  ad  una  lunga 
tregua  (2).  Vero  è  che  le  trattative  non  interruppe  mai,  man- 
dò anzi  la  ratificazione  dell'  armistizio,  ma  con  ordine  al  vi- 
ceré Lannoy  di  non  usarne  fuor  del  caso  che  il  Borbone  non 
potesse  conseguir  nulla  di  meglio;  nel  qual  caso,  e  quando 
bene  i  veneziani  e  i  francesi  fossero  entrati  nell'accordo,  in- 
tendeva sempre  di  non  osservarlo  rispetto  ad  essi  per  non 
ritirare  V  esercito  d' Italia  (3).  Vero  è  pure  che  le  sue  com- 
missioni, giugnendo  troppo  tardi  per  la  grande  distanza  del 
luogo,  non  potevano  influire  che  in  generale  sull'  andamen- 
to della  guerra  ;  massime  se  si  considera  che  la  impresa  con- 
tro Roma,  non  si  tosto  cominciata,  fu  anche  condotta  a  com- 
pimento (4).  Resta  non  pertanto  memorabile  che  in  quei 

(1)  5  febb.  1527.  Buchoitz  t.  3,  pag.  58  e  59. 

(2)  Je  ne  fais  nulle  doubte  que  faictes  et  ferez  lout  votre  mieulx 
pour  achever  le  jeu  que  avez  entre  mains,  vous  voyez  qu'  il  dure 

beaucoup veuillez  fere  le  mieulx  et  par  tous  les  meilleurs 

moyens  que  pourrez  pour  entretenir  l'armee  que  vous  avez  et  la 
fere  exploicter  . . .  pour  constraindre  noz  ctmemiz  de  pardela  a 
une  bonne  paix  on  du  moins  à  une  longe  treve.  Archivio  di  siato  e 
di  corte  in  Henna,  citato  da  Buchoitz  t.  3,  pag.  66. 

(3)  Buchoitz  t.  3,  p.  68,  69. 

(4)  Cura  enira  hoc  bellum  romanum,  se  inscio  et  absente,  non 
citius  inceptum,  quam  gestum  et  confectum  audisset.  Zenocaro  Gu- 
glielmo a  Schauwenburg  (consigliere  e  bibliotecario  di  Carlo  V)  De 
republica,  vita,  etc.  Caroli  V.  Gandavi  1559. 


-  424  — 

giorni  medesimi  ne9  quali  Borbone  e  Lannoy  trovavansi  in- 
sieme alla  Pieve  di  santo  Stefano,  ai  23  aprile,  in  un  tempo 
che  della  tregua  conchiusa  col  papa  li  15  marzo  gli  era  certo 
pervenuta  notizia,  non  disse  pur  una  parola  che  al  capitano 
supremo  rammentasse  l'obbligo  di  adempierla.  Veggendo  che 
movete  contro  Roma,  scrivevagli  invece,  dove  si  potrà  trattare 
di  pace  o  di  una  lunga  tregua,  feci  stendere  un  nuovo  man- 
dato in  cui  siete  per  primo  nominato  ;  ma  non  lo  mando  a 
voi,  affinchè  al  papa  e  agli  altri  potentati  d'Italia  non  sembri 
che  veniate  a  pregar  pace,  essendo  meglio  assai  eh'  essi  sap- 
piano che  voi  venite  ad  ottenerla  per  forza  (4).  Si  vede  chia- 
ro: T  imperatore  era  più  che  contento  che  P  esercito  suo  an- 
dasse a  Roma  per  dettare  colà  al  nemico  la  pace. 

In  quel  momento  medesimo  anche  il  papa  non  era  più 
disposto  ad  osservare  la  tregua  che  lo  separava  da9  suoi  col- 
legati. Non  mai  uomo  fu  visto  in  si  breve  tempo  trascorrere 
da  un  estremo  all'altro.  Poco  prima,  sebbene  si  fosse  racco- 
mandato di  nuovo  alla  repubblica  veneta  (2),  subito  che  in- 
tese la  conclusione  fatta  in  Firenze  con  la  presenza  e  col 
consentimento  del  mandatario  di  Borbone,  aveva  impruden- 
tissimamente licenziati  quasi  tutti  i  duemila  fanti  delle  ban- 
de nere  e  rimandato  il  signore  di  Vaudemont  per  mare  a 
Marsiglia.  Ora  sull'  animo  suo,  esitante  sempre  per  natura, 
potè,  più  che  il  sospetto  degli  imperiali,  l'avarizia  (3).  Come 
ricevette  la  sopraccennata  lettera  del  Borbone,  rispose  al 
Lannoy  essergli  impossibile  di  dare  i  dugentoqaarantamila 


(1)  Voyant  que  marchez  contre  Rome  là  ou  se  pourrait  traicter 
de  la  paix  ou  de  quelque  longue  tréve  .'. . .  qu'il  ne  semblat  point 
au  pape  ny  aux  potentatz  d' Ytalie  que  si  avez  ledit  pouvoir . . .  vous 
que  les  allesser  prier  de  paix,  mais  e*  est  beaucoup  mieulx  qu'ilz 
saichent  et  cognoissent  que  les  y  allez  contraindre  par  la  force.  Ar- 
chivio di  corte  e  di  stato  in  Vienna  citato  da  Buchollz  t.  3,  pag.  67. 

(2)  Secreta  Rog.  6  apr.  1527. 

(3)  Onophrii  Pavinii  de  vita  pontifìcia  Clementis  VII.  pag.  35G. 


—  422  — 

ducati  richiesti,  perchè  anche  i  cencinquantamila  concessi  da 
Firenze  eransi  adoperati  al  pagamento  delle  sue  truppe;  aver- 
gli oltracciò  promesso  i  romani  di  soldare  ottomila  fanti  e 
di  difendere  la  città  ;  sperar  egli  aiuti  dall'esercito  della  le- 
ga ;  voler  quindi  resistere  piuttosto  che  pagar  quella  som- 
ma (1);  e  li  25  aprile  conchiuse  infatti  col  re  di  Francia 
e  coi  Veneziani  un  nuovo  trattato  in  gran  danno  dell'im- 
peratore, com'egli  stesso  confessò  (2).  Con  quel  trattato, 
mentre  obbligava  i  confederati  a  sovvenirlo  di  grosse  som- 
me di  danaro,  esimeva  i  fiorentini  e  sé  medesimo  da  ogni 
peso  che  non  comportassero  le  loro  facoltà  ;  onde  il  senato 
veneto  si  turbò  forte  (3),  e  scrisse  acerbe  parole  all'oratore 
Domenico  Venier  che  avesse  aderito  senza  commissione  del- 
la signoria  a  patti  di  grave  spesa  e  di  picciolo  frutto  per  la 
vacillarla  del  pontefice  :  andasse  da  lui  a  dichiararli  come 
non  fatti  (4)  ;  esser  grato  del  resto  il  tornar  suo  alla  lega 
dopo  la  sperienza  fatta  della  fede  degli  imperiali,  ma  non 
volersi  que'  capitoli,  né  il  carico  di  mantener  truppe  in  To- 
scana a  sostegno  del  dominio  di  sua  famiglia  (5). 

Ecco  dunque  l' imperatore  e  il  papa  deliberati  del  pari 
a  tentare  di  nuovo  la  sorte  delle  armi. 

Intanto  il  marchese  di  Saluzzo  era  giunto  in  Toscana  il 
di  ventidue  aprile,  e  tre  giorni  dopo  anche  il  duca  di  Urbino, 
affrettato  dall'interesse  di  difendere  il  suo  stato  (6).  Perla 

(1)  Iiucholtzt  3,  pag.  72 

(2)  Consentendo  a  molte  conditioni,  ch'erano  in  pregiudizio 
della  Maestà  Cesarea.  Memoriale  mandato  a  mons.  Farnese  1.  e, 
pag.  300. 

(3)  Parendoli  si  siano  obbligati  a  aiutare  con  troppi  danari  il  papa. 
Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto  29  apr.  1527.  Opere  ine- 
dite t.  5,  pag.  425. 

(4)  Marin  Sanuto  t.  XLV,  2  maggio  1527. 

(5)  Secreta  2  mag.  1527. 

(6)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto  8  apr.  1527.  Opere 
inedite  t.  5,  pag.  391. 


—  423  — 

qual  cosa,  intendendosi  che  Borbone  era  disceso  a'  23  di 
quel  mese  nel  piano  di  Arezzo  (1),  fu  risolato  che  ambidue 
andassero  all'  Ancisa,  lontana  tredici  miglia  da  Firenze,  per 
trasferirvi  poi  le  genti,  se  vi  trovassero  alloggiamento  sicuro 
ed  opportuno  a  impedire  il  nemico  di  accostarsi  alla  città. 
Movevano  già  a  quel  cammino,  quando  per  una  improvvisa 
rivoluzione  poco  mancò  non  volgessero  le  loro  armi  allo  ster- 
minio di  Firenze. 

Della  pessima  contentezza  di  Firenze  per  il  pessimo  go- 
verno mediceo,  debole,  tirannico,  smugnitore,  abbiam  tocca- 
to più  volte.  Costretta  a  dar  uomini  e  danari  senza  misu- 
ra (2),  fino  a  tassare  i  beni  ecclesiastici  e  a  vender  quelli 
delle  corporazioni  di  arti  ;  padroneggiata  da  un  uomo  come 
Silvio  Passerini,  cardinale  di  Cortona,  che  voleva  fare  ogni 
cosa  e  non  sapeva  far  nulla,  e  le  faccende  più  gravi  o  non 
concludeva,  o  concluse  non  eseguiva  (3),  qual  meraviglia  si 
rallegrasse  d'  ogni  traversia  del  papa  ?  Indarno  Nicolò  Cap- 
poni, presago  forse  de'  futuri  guai,  e  certo  persuaso  che  nel 
pericolo  presente  importasse  lasciarle  libero  il  reggimento, 
aveva  confortato  il  papa  medesimo  di  non  guardare  alla 
grandezza  de*  suoi  più  che  al  bene  della  patria  e  al  servigio 
di  Dio  (A).  Indarno  anche  il  Guicciardini,  con  più  moderato 
e  più  pratico  consiglio,  ricordò  al  cardinale  che,  in  casi  e 
tempi  si  gravi,  dove  a  ognuno  pare  giuocare  il  suo  resto, 
dalle  cose  sustanziali  in  fuori  che  sono  necessarie  a  mante- 
nere lo  stato,  bisogna  in  tutte  le  altre  largheggiare  quanto 
si  può  col  chiamare  maggior  numero  di  cittadini  a  consulta- 
fi)  Fra  Giuliano  Ughi  Cronica  di  Firenze.  Arch.  stor.  Hai.  ap- 
pend.  t.  7,  pag.  140. 

(2)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto  9  febb.  1527.  Opere 
inedite  t.  5,  pag.  219. 

(3)  24  apr.  1527.  Ibidem  pag.  418. 

(4)  A  raesser  Nicolò  Capponi  di  Roma  15  gen.  e  7  febb.  1527. 
Ruscelli,  Lettere  di  principi  t.  2,  p.  48  e  51. 


—  424  — 

re  sulle  cose  di  governo.  Che  giovano  P  esortazioni  a  chi 
non  sa  distinguere  quello  che  pregiudiea  allo  staio  e  quello 
che  non  nuoce?  Continuandosi  in  questi  modi  inetti,  conchiu- 
de il  Guicciardini,  non  veggo  modo  non  nasca  qualche  erro- 
re grande  (i).  E  fu  cosi.  Avendo  ad  essere  guardata  la  terra 
da  soldati  forestieri,  i  cittadini,  non  usi  colla  strana  conver- 
sazione di  quelli  (2),  per  mettersi  al  sicuro  di  ogni  violenza, 
instarono  che  si  concedessero  loro  le  armi  pubbliche.  Luigi 
Guicciardini,  gonfaloniere,  e  alcuni  altri  tra9  più  ragguarde- 
voli, intendendo  da  tutti  che  se  non  erano  date  se  le  terreb- 
bero, consigliavano  si  consentisse,  con  mettervi  qualche 
buon  ordine  ;  ma  il  cardinale  tardò  tanto  a  risolversi  che  il 
di  vigesimosesto  di  aprile,  essendo  nato  tumulto  per  certa 
contesa  di  un  soldato  con  un  berrettaio,  quasi  tutti  i  giovani 
nobili,  gridando  Francia,  s.  Marco,  libertà,  cominciarono  a 
correre  verso  il  pubblico  palazzo  (3),  appunto  in  quel  mo- 
mento che  il  cardinale  medesimo  coi  suoi  colleghi  Cibo  e 
Ridolfi  e  con  Ippolito  de'Medici  montava  a  cavallo  per  muo- 
vere incontro  insino  all'Olmo  al  duca  di  Urbino.  Gli  fu  ben 
detto  essersi  levato  il  romore  ;  ma  quel  castrone,  come  lo 
chiama  Guicciardini,  in  luogo  d' intendere  che  cosa  era  e  di 
pensare  a  quietarlo,  rispose  non  sarà  niente  e  seguitò  il 
cammino  suo  (4).  Donde,  spargendosi  pazzamente  per  la 
città  che  i  Medici  se  ne  andavano  con  Dio,  crebbe  l'animo 
ai  più  impazienti  adoratori  della  memoria  del  Savonarola 
di  far  quello  che  nella  passata  di  Carlo  Vili  era  stato  fatto. 
Occupato  il  palazzo,  piena  essendo  la  piazza  di  moltitudine 

(1)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto  24  apr.  1527.  Opere 
inedite  t.  5,  pag.  419. 

(2)  Jacopo  Nardi  Istorie  di  Firenze  t.  2,  pag.  129. 

(3)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto  26  aprile  1527. 
Opere  inedile,  t.  5,  pag.  421.  Mariti  Sanuto,  t.  XLV1,  pag.  335. 

(4)  Frane.  Guicciardini  a  Gio.  Matteo  Giberto  29  apr.  1527.  Ope- 
re inedite,  t.  5,  pag.  429. 


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armata,  costrinsero  la  signoria  con  minacce  e  ferite  (i)  a  di- 
chiarare ribelli  per  solenne  decreto  Ippolito  ed  Alessandro, 
nipoti  del  pontefice,  e  ristabilito  il  governo  popolare  del  tem- 
po di  Pietro  Soderini.  Rientrati  intanto  i  tre  cardinali  con  il 
deca  di  Urbino  e  col  marchese  di  Saluzzo  per  la  porta  Faen- 
za opportunamente  guardata  da  Bartolomeo  Valori  (2),  messi 
in  arme  millecinquecento  de'  fanti  clr  erano  nella  città,  eb- 
bero ben  tosto  in  potestà  loro  la  piazza;  ma,  reputando  quelle 
genti  non  bastanti  ad  espugnare  il  palazzo,  stavano  già  per 
chiamar  entro  una  parte  delle  truppe  veneziane,  il  che  sa- 
rebbe tornato  a  gravissimo  danno  di  Firenze,  e  forse  al  suo 
ultimo  esterminio,  se  non  era  l'opera  accorta  e  sapiente  del 
Guicciardini.  Egli  la  salvò  dal  ferro  e  dal  fuoco  mediante  un 
accordo,  che  nella  strada  del  Garbo,  fra'  cimatori,  sopra  un 
bancone  d'una  bottega  si  distese  in  uno  stante  (3),  onde  fu  reso 
il  palazzo  verso  promessa  di  perdono  generale.  Per  il  qual 
atto  di  cittadino  ottimo  chi  conosce  il  modo  di  giudicare  in 
tempi  di  fazioni  non  farà  maraviglia  che  riportasse  odio  e 
dalla  parte  dei  Medici  che  PacciiFavano  di  essere  stato  più 
curante  del  bene  de'cittadini  che  della  sorte  loro,  e  dalla  parte 
de' popolani  che  gli  rimproveravano  di  averli  indotti  per  be- 
nefizio di  quelli  a  cedere  senza  necessità;  quando  egli  non 
ebbe  dinanzi  agli  occhi  che  la  salute  della  patria,  ovviando 
alle  conseguenze  di  un  moto  sconsigliato. 

La  tumul  tu  azione  di  Firenze,  benché  sedata  nel  giorno 
medesimo  del  suo  cominciamento  e  senza  uccisione,  fu  non- 
dimeno origine  di  gravi  danni,  avendo  impedito  che  gli  eser- 

(1)  La  Signoria  ha  concorso  a  fare  partiti  e  tutto  quello  che 
hanno  voluto,  ma  è  manifesto  che  è  stata  sforzata,  e  lui  (Luigi 
Guicciardini  gonfaloniere)  in  pericolo  di  essere  ammazzato  e  sva- 
ligiatoli la  camera.  Ibidem,  pag.  422. 

(2)  Relazione  di  Firenze  di  Marco  Foscari.  alberi.  Retaz.  degli 
amb.  ven.,  serie  2,  voi.  1,  pag.  51. 

(3)  Ben.  Varchi.  Storia  fìorent.  1.  2,  pag.  92. 

27 


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citi  collegati  andassero  all'alloggiamento  dell'  Ancisa,  e  cre- 
sciuta talmente  la  diffidenza  de'  veneziani  che  non  vollero 
passar  oltre  se  prima  non  rientravano  i  fiorentini  nella  lega 
in  proprio  nome,  per  modo  da  non  essere  compresi  nelle  ne- 
goziazioni che  per  avventura  proseguisse  il  papa  cogli  im- 
periali. Dopo  molte  difficoltà  si  conchiuse  finalmente  a' 28 
aprile  il  trattato  che  gli  obbligava  a  tenere  in  qualunque  luo- 
go d'Italia  paresse  alla  lega  cinquemila  fanti,  trecento  lance 
e  cinquecento  cavalleggieri  (i). 

Intanto  Borbone,  inteso  che  il  nuovo  tumulto  non  aveva 
avuto  effetto,  s'era  a' 26  aprile  levato  del  contado  di  Arezzo, 
e,  camminando  in  un  di  da  Montevarchi  insino  nel  piano  di 
Torrita  e  di  Montepulciano  (2),  quella  bordaglia  sua  che  in- 
titolavasi  imperiale,  varia  di  lingue  e  di  religioni,  senza  disci- 
plina, senza  magazzini,  senza  bagagli,  irreparabile  come  la 
lava  del  Mongibello,  spinta  da  inesorabile  fatalità  come  le 
torme  di  Alarico,  condusse  sulla  via  che  gl'invasori  e  i  pel- 
legrini della  Germania  calcarono  a  vicenda  da  secoli  alla  volta 
di  Roma.  Non  ritardato  né  dalle  piogge  che  in  que'giorni  fu- 
rono smisurate,  né  dal  mancamento  di  vettovaglie,  soccorso 
unicamente  da  Siena,  procedette  con  tanta  prestezza  che  ai 
2  maggio  giunse  a  Viterbo;  ai  4  scacciò  di  Ronciglione  le 
prime  truppe  pontificie  che  gli  si  fecero  incontrò  sotto  Ra- 
nuccio Farnese;  ai  5  attraversò  la  Campagna  e  verso  sera 
comparve  dalla  parte  di  Monte  Mario  dinanzi  alle  mura  del 
Vaticano. 

Fu  cosa  maravigliosa,  se  maraviglia  è,  dice  il  Guicciar- 
dini, che  gli  uomini  non  sappiano  o  non  possano  resistere  al 
fato,  veder  papa  Clemente  spogliarsi  in  tanto  pericolo  della 
natura  sua  sì  fattamente  che,  diventato  quasi  come  procura- 


(1)  Relazione  precitata  di  Marco  Foscari,  pag.  54. 

(2)  Fra  Giuliano  Ughi.  Cronica  di  Firenze.  Arck.  stor.  ital.  Ap- 
pend.,  t.  7,  pag.  140. 


—  427  - 

tote  degV  inimici,  non  solo  proibi  agli  nomini  di  partirsene, 
ma  ordinò  eziandio  non  fossero  lasciate  uscirne  le  robe, 
delle  quali  molti  mercatanti  ed  altri  cercavano  per  la  via  del 
fiume  di  alleggerirsi.  Delle  truppe  veterane  poc9  anzi  licen- 
ziate non  ebbe  fiducia  alcuna,  ed  ora  riponevala  intera  in 
una  ciurmaglia  senza  coraggio  né  disciplina,  raccolta  in  gran 
parte  tumultuariamente  dalle  stalle  de'  prelati  e  dalle  botte- 
ghe degli  artefici.  Di  Renzo  da  Ceri  fece  sempre  bassa  stima, 
ed  ora  rimetteva  nelle  sue  mani  e  nel  giudizio  suo  la  difesa 
di  Roma.  Quante  volte  gli  erano  sembrati  di  poco  o  nessun 
conto  i  soccorsi  della  lega  e  in  particolare  del  duca  di  Ur- 
bino, e  pur  ora  confidava  che  venissero  a  tempo  !  Agli  uo- 
mini prudentissimi  che  Io  consigliavano  di  ricorrere  in  mo- 
•  mento  opportuno  a  straordinarii  rimedii,  non  porse  ascolto, 
e  ora  soltanto,  nelle  ultime  necessità,  creò  tre  cardinali  per 
quarantamila  ducali  ciascuno;  i  quali,  se  anche  fossero  stati 
numerati,  non  potevano  più  giovargli  (i). 

Fattosi  dunque  tutt'a  un  tratto  altro  uomo,  quando  era 
ragione  che  fosse  quel  di  prima,  rimandò  con  disprezzo  il 
trombetto  del  Borbone  venuto  a  intimare  la  resa  della  città 
sotto  colore  di  aver  il  passo  per  andare  con  l' esercito  nel 
reame  di  Napoli  (2).  Tenne  allora  il  Borbone  consiglio  di 

(1)  Ai  3  maggio  pubblicò  in  concistoro  tre  cardinali  (Benedetto 
Accolti,  vescovo  di  Cadice,  Agostino  Spinola,  vescovo  di  Perugia, 
Nicolò  Gaddi,  vescovo  di  Ferentino)  e  prese  licenza  di  pubblicarne 
altri  due  (Ercole  Gonzaga,  arcivescovo  di  Tarragona,  e  Marino 
Grimani  patriarca  d*  Aquileia)  Lettera  di  Domenico  Venier,  orator 
veneto.  Roma  4  e  5  mag.  1527.  Mariti  Sanato,  \.  XLV,  pag.  41.  Vedi 
anche  State  papers,  t.  6,  nota  a  pag.  577. 

(2)  Dimanda  Borbone  il  passaggio  per  Napoli.  Patrizio  de  Bossi 
fiorentino.  Memorie  storiche  dei  principali  avvenimenti  politici  d'Ita- 
lia seguiti  durante  il  pontificato  di  Clemente  VII.  Roma  1837,  e  Ja- 
copo Bonaparte,  gentiluomo  sanminiatese  sul  sacco  di  Roma.  Mi- 
lano 1844.  —  Quanto  alle  memorie  storiche  del  Rossi  vedi  le  no- 
tizie critiche  di  L.  Ranke  Geschichte  Deutschlands,  t.  4.  e  sulla 


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guerra,  e  la  deliberazione  fa  conforme  al  suo  primo  disegno 
di  dar  subito  l' assalto.  Ribelle  al  proprio  re  e  traditore  della 
patria  ben  sentiva  che  per  onori  cbe  gli  desse  Cesare  non 
avrebbe  mai  ricuperato  il  suo  dinanzi  alla  coscienza  pubbli- 
ca. A  farla  almeno  tacere  o  per  forza  o  per  corruzione  non 
restavagli  altra  via,  eccetto  quella  di  acquistar  stato  e  fama 
di  grande  capitano.  La  Provenza  e  il  Delfinato  promessigli 
dall'  imperatore  non  si  poterono  pigliare.  11  ducato  di  Milano 
parve  essergli  disdetto  dal  papa.  Condotto  insino  a  quel  di 
per  tante  difficoltà,  con  vane  promesse  e  vane  speranze,  qual 
cosa  più  naturale  cbe  nella  gloria  della  presa  di  Roma  ripo- 
nesse il  fondamento  di  sue  future  grandezze  (4)? 

Per  T  opposto  al  confessore  Michele  Fortin,  domenica* 
no,  diede  incarico  in  caso  di  sua  morte  di  assicurare  l'impe-' 
ratore  non  aver  altro  avuto  in  mente  che  di  servirlo  e  di 
aprirgli  la  via  alla  incoronazione:  questo, disse, essere  il  mez- 
zo più  efficace  a  dar  pace  alla  cristianità;  doversi  poi  pagare 
P  esercito  in  Italia,  perchè  sotto  pretesto  de9  mancati  stipen- 
di! furono  smunti  i  popoli  e  commesse  tristi  cose,  delle  quali 
ei  sentiva  rimorso.  Quanto  al  papa,  aggiunse  il  confessore, 
non  voleva  che  costrignerlo  ad  un  presto,  e  se  dopo  la  sua 
morte  avvenissero  scandali  pregò  la  maestà  vostra  di  ripa- 
rare a  tutto  sollecitamente  per  Umore  dell'ira  di  Dio  (2). 

Sia  comunque,  resta  fermo  che  coir  esercito  vittorioso 


operetta  di  Jacopo  Bonaparte  vedi  la  prefazione  di  Francesco  Cu- 
sani,  ove  trattasi  della  quistione  non  ancor  bene  decisa  intorno 
al  vero  autore  della  medesima,  che  alcuni  vogliono  il  Bonaparte, 
altri  Francesco  Guicciardini  o  Luigi  suo  fratello.  Sembra  che  le 
Memorie  del  Rossi  non  siano  che  una  compilazione  sulla  base 
della  operetta  di  Bonaparte  o  di  Luigi  Guicciardini. 

(1)  Intorno  ai  suoi  disegni  vedi  Brantome.  Mèmoires  contenente 
les  vies  des  taommes  illustres.  Leyda  1692,  e  la  Histoire  du  Conne- 
stable  de  Bourbon.  Amsterdam  1696. 

(2)  BuchoUz,  t.  3,  pag.  83. 


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intendeva  tener  occupata  Roma  e  procacciare  a)  padron  suo 
l'autorità  de'Cesari  antichi.  £  fatto  é  veramente  memorabile 
che  a  quel  disegno  acconciavansi  non  pochi  degli  abitanti. 
Sa  ognuno  cbe  vi  prevalevano  i  ghibellini;  ma  anche  gl'im- 
migrati negli  ultimi  anni;  coloro,  ed  erano  i  più,  che  viveva- 
no di  officii  e  di  affari  alla  corte,  non  trovavano  incomodo  di 
scambiare  il  dominio  de'preti  con  quello  di  un  potente  impe- 
ratore, dal  quale  avrebbero  gli  utili  stessi  (i). 

In  sul  far  del  giorno  6  maggio  4527  mossero  gì'  impe- 
riali all'assalto  delle  mura  che  circondavano  il  Vaticano: 
alla  destra  i  tedeschi  verso  porta  Santo  Spirito;  alla  sinistra 
verso  porta  Portese  gli  spagnuoli,  favoriti  da  una  folta  neb- 
bia che  impediva  ai  nemici  di  prenderli  di  mira  con  le  arti- 
glierie, insino  a  tanto  si  accostarono  al  luogo  dove  fu  comin- 
ciata la  battaglia.  Ributtati  in  sulle  prime,  tornarono  più  ani- 
mosi alla  prova  perchè  videro  il  Borbone  spingersi  innanzi 
a  tutti,  prendere  una  scala,  appoggiarla  contro  il  muro  ed 
esser  primo  a  montare  (2).  Ma  in  quel  momento  medesimo 
un  colpo  di  fuoco  lo  stese  morto  (3):  avea  trentott'anni;  vis* 
suti  come  nessun9  altro  infelice  :  perse  uno  stato  antico,  e  il 
nuovo  non  acquistò;  da  Francesco  di  Francia  aborrito;  ade- 
scato da  Carlo  di  Austria;  ai  buoni  in  odio;  dai  tristi,  che 
quanto  meno  possiedono  virtù  tanto  maggiore  la  fingono,  la- 
cerato; ben  degno  della  mala  morte  da  sé  medesimo  predetta 
per  lo  spergiuro  fatto  a  Milano  (pag.  347).  La  quale  tutta- 

(1)  Gli  Romani  si  persuadevano  che  r  imperatore  avesse  a  pi- 
gliare Roma  e  farvi  la  sua  residenza,  e  dovere  avere  quelle  mede- 
sime comodità  e  utili  che  avevano  dal  dominio  de'preti.  Vettori. 
Sacco  di  Roma,  scritto  in  dialogo. 

(2)  Francesco  Vettori.  Storia  d' Italia.  Arch.  stor.  itai.  Appenda 
n.  22,  pag.  379.  Vedi  anche  Sepulveda  che  allora  era  presente  e 
eoo  Alberto  Pio  da  Carpi  riparò  in  castel  sant'  Angelo,  lib.  VII,  p.  7. 

(3)  Renvenuto  Cellini  si  vanta  di  averlo  egli  ucciso  ;  credesi  in* 
vece  fosse  un  prete  che  tirò  il  colpo  fortunato. 


—  430  — 

via  non  raffreddò,  anzi  accese  l'ardore  de' soldati:  in  meo  di 
due  ore,  superati  i  ripari  e  scalate  le  mure,  entrarono  nel 
borgo;  né  al  papa  restò  che  il  tempo  di  fuggire  in  caste! 
sant'  Angelo  per  il  lungo  corridoio  che  lo  congiunge  al  Va- 
ticano, coperto  da  monsignor  Giovio  col  suo  mantello  viola- 
ceo affinchè  gli  aggressori  noi  riconoscessero.  Di  là  potè  ve- 
dere la  miseranda  fuga  de'suoi  e  i  barbari  che  inseguendoli 
gli  assassinavano  a  colpi  di  picche  e  di  alabarde.  Nondimeno, 
fidato  ancora  negli  aiuti  della  lega,  ricusò  non  solo  di  partirsi 
da  Roma,  ma  eziandio  di  far  accordo  con  i  loro  capitani  ri- 
chiedenti in  quel  supremo  momento  trecentomila  scudi  e 
in  pegno  la  città  Leonina.  Per  lo  che  questi,  dopo  quattro 
ore  d' indugio,  mossero  di  nuovo  le  truppe,  ed  occupato  il 
Transtevere  senza  colpo  ferire,  non  trovando  più  difficoltà 
alcuna  (4),  la  sera  medesima  entrarono  per  ponte  Sisto  io 
Roma. 

Qui  la  penna  sento  cadérmi  per  ribrezzo,  non  essendole 
accaduto  mai  di  scrivere  più  dolorosa  istoria.  Quella  Roma, 
carica  si  di  vizi  (2)  e  pur  risplendente  per  cultura,  abbellita 
da  opere  artistiche  quali  il  genio  italiano  non  ha  mai  ripro- 
dotte, traboccante  di  ricchezze  per  tanti  anni  accumulate; 
quella  Roma  che  dopo  i  saccheggi  del  tempo  di  Alarico  e 

(1)  In  Roma  erano  almanco  trentamila  atti  a  portare  arme,  da 
anni  sedici  insino  a  cinquanta;  e  tra  questi  n'  erano  molti  uomini 
usi  alla  guerra;  molti  Romani,  altieri,  bravoni,  usi  a  star  sempre 
in  brighe,  con  barbe  insino  al  petto;  nondimeno,  mai  fu  possibile 
s'  unissino  cinquecento  insieme,  per  guardare  uno  di  quelli  tre 
ponti.  F.  rettori,  1.  e,  p.  380. 

(2)  Questo  fu  uno  esempio  che  li  uomini  superbi,  avari,  omi- 
cidi, invidiosi,  libidinosi  e  simulatori,  non  possono  mantenersi  lun- 
gamente :  Iddio  punisce  spesso  quelli  che  hanno  questi  vizii  con  li 
inimici  suoi  medesimi  e  con  gli  uomini  più  scellerati  di  quelli  che 
sono  puniti ...  E  non  si  può  negare  che  li  abitatori  di  Roma,  e 
massime  i  Romani,  non  avessino  in  loro  tutti  i  vizii  detti  di  sopra, 
e  maggiori.  Ibidem,  pag.  381. 


-  431  - 

Genserico  si  credeva  inviolabile,  nel  merìggio  della  civiltà, 
in  nome  de)  re  cattolico,  del  presunto  continuatore  de9  Ce- 
sari, fu  abbandonata  irremissibilmente  alla  sfrenata  furia  di 
quarantamila  masnadieri.  Dico  quarantamila,  perchè  alle 
truppe  del  Frundsberg  ed  a  quelle  condotte  di  Lombardia 
dal  Borbone  eransi  aggiunti  i  fanti  italiani  di  Fabrizio  Mara- 
maldo calabrese,  di  Sciarra  Colonna  e  di  Luigi  Gonzaga;  quin- 
di lungo  il  cammino  moltissimi  cavalleggieri  capitanati  da  Fi- 
liberto di  Gbalons  principe  di  Orange  e  da  Ferdinando  Gon- 
zaga; in  ultimo  i  disertori  dell' esercito  della  lega  e  i  soldati 
licenziati  dal  papa,  coi  banditi  e  coi  vagabondi  accorsi  per 
cupidità  di  bottino. 

La  uccisione  non  fu  molta,  scrive  Francesco  Vettori, 
perchè  rari  uccidono  quelli  che  non  si  vogliono  difendere  (1); 
ma  la  preda  fu  tanta,  che  gli  stessi  spagnuoli  avvezzi  alle 
rapine  americane  ne  rimasero  a  un  punto  maravigliati  e  sod- 
disfatti, sicché  vedendo  passare  i  poveri  cittadini  male  in 
arnese  facevano  loro  di  berretta,  e  al  danno  aggiungendo  lo 
strazio  favellavano  :  addio  veraci  padri  nostri,  che  tali  noi 
dobbiamo  chiamarvi  meglio  dei  naturali  pel  bene  che  ci  avete 
fatto,  e  però  pregheremo  sempre  Dio  per  voi  (2).  Fu  fama  che 
tra  danari,  oro,  argento  e  gioie  ascendesse  il  sacco  a  più  di 
un  milione  di  ducati,  oltre  alle  taglie  che  montarono  a  som- 
ma di  molto  maggiore  (3),  oltre  a  quel  che  non  ha  prezzo,  le 
violenze  e  le  profanazioni.  Intorno  agli  uomini  illustri  mal- 
trattati o  messi  in  fuga,  e  alle  opere  loro  perdute,  basti  leg- 
gere il  Valeriano  nel  suo  libro  della  infelicità  dei  letterati.  A 
Cristoforo  Marcello,  vescovo  di  Corfù,  imposero  que'feroci  la 
taglia  di  seimila  ducati,  e  non  potendo  egli  pagarla,  lo  incate- 


(1)  Ibidem,  pag.  380. 

(2)  Brantome.  Vies  des  hommes  illustres. 

(3)  In  tutto  vuoisi  fossero  dieci  milioni  di  oro.L.  Ranke  Deutsche 
geschichte,  t.  2,  pag.  320. 


—  432  — 

narono  a  un  tronco  di  albero  e  gli  forarono  le  unghie,  tanto 
che  dallo  spasimo,  dall'  intemperie  e  dal  digiuno  morì. 

Nelle  stanze  vaticane,  dove  era  dipinto  Attila  arrestalo 
dalla  spada  dei  santi  Apostoli,  i  tedeschi  accesero  fiammate 
che  affumicarono  i  mirabili  lavori  di  Rafaello.  Matrone  e  fan- 
ciulle andarono  ad  osceno  ludibrio  sugli  occhi  de'padri  e  dei 
mariti  incatenati,  e  dai  conventi  cavaronsi  le  vergini  per  es- 
sere violate  a  gara  nelle  orgie  imbandite  sugli  altari  coi  sa- 
cri vasi.  Luterani  briachi,  messisi  a  vilipendio  i  cappelli  car- 
dinalizi e  i  paramenti  ecclesiastici,  menarono  lubriche  danze. 
Posto  il  cardinale  di  Araceli  in  un  cataletto,  il  portarono  per 
Roma  con  esequie  beffarde;  indi  il  mandarono  in  groppa  di 
un  tedesco  a  mendicare  di  porta  in  porta  il  riscatto.  Fin  le 
tombe  scoperchiarono;  e  un  anello  fu  strappato  dal  dito  di 
Giulio  II  quasi  a  postuma  vendetta  del  suo  grido  Via  i  bar- 
bari. Chiamarono  un  prete  perchè  accorresse  col  viatico,  e 
condottolo  in  una  stalla  vollero  forzarlo  a  dar  la  comunione 
a  un  asino,  e  perchè  ricusò  lo  uccisero;  indi  accoltisi  in  una 
cappella  del  Vaticano,  contraffacendo  parati  e  cerimoniale, 
degradarono  il  pontefice  e  ad  una  voce  acclamarono  a  succe- 
dergli Martino  Lutero.  Chi  non  avrebbe  preferito  cader  in 
mano  de'  Turchi,  i  quali  certo  non  fecero  tanti  guasti  e  sa- 
crilegii  in  Ungheria (4)?  Ah!  ben  aveva  vaticinato  il  veneziano 
Girolamo  Balbo,  vescovo  di  Gurk,  quando  disse  a  Clemente 
VII  :  Fabio  Massimo  temporeggiando  salvò  la  repubblica  ro- 
mana; voi  temporeggiando  rovinerete  Roma  e  l*  Europa  (2). 
Quello  che  avanzò  alla  preda  de'soldati,  e  furono  le  cose 
più  vili,  tolsero  poi  i  villani  dei  Colonnesi.  Tuttavia  il  cardi- 
li) Adeo  quod  Romanis  displiceat,  qnod  Turca  Roman)  non 
adventarit  ad  haec  facienda.  cum  in  Hungaria  erat,  minus  enim  in- 
festa et  moderatior  urbis  direptio  fuisset,  minora  sacrilegia.  John 
da  Casale  to  ff  olsey.  Venezia  16  mag.  1527.  State  papers,  t.  6, 
pag.  579. 

|2)  C.  Cantù.  Storia  degli  Italiani,  I.  5,  pag.  215. 


—  *33  — 

oa le  Pompeo  Colonna,  venato  il  di  seguente  per  godere  della 
umiliazione  dell'emulo,  aperse  il  suo  palazzo  a  quanti  vi  ri- 
coveravano; molti  cardinali  riscattò,  a  molti  diede  pane.  Ben 
si  vede  che  cercava  suffragi  per  la  prossima  elezione  al  pa- 
pato. Ma  nulla  valeva  ornai  a  ritenere  le  furibonde  masnade, 
le  quali  dopo  aver  tutti  i  viveri  della  città  ridotto  in  borgo 
per  affamare  i  romani,  governandosi  sotto  ventidue  capitani, 
eletti  dall'universale  (1),  rizzarono  trincee  contro  il  castello 
sant'Angelo.  A  quai  dolorose  meditazioni  dovette  allora  esser 
condotto  Clemente  dagli  effetti  disastrosi  della  sua  perplessa 
politica  !  E  pur  aspettava  sempre  l'esercito  della  lega.  Guido 
Rangone  con  i  cavalli  suoi  e  con  quelli  del  conte  di  Caiazzo 
e  con  cinquemila  fanti  dei  fiorentini  e  della  chiesa  aveva  se- 
guitato il  Borbone  con  tanta  prestezza  che  dove  gl'imperiali 
pranzavano  le  sue  genti  cenavano  (2)  ;  ma  giunto  il  di  mede- 
simo che  fu  presa  Roma  a  Ponte  Salario  ed  inteso  il  suc- 
cesso, si  ritirò  a  Otricolo,  con  animo  di  andarsene  a  guardar 
Modena,  stimando  più  gl'interessi proprii  che  la  vita  e  lo  stato 
delpadron  suo  (3).  Le  genti  della  lega  erano  invece  partite 
da  Firenze  non  prima  del  terzo  giorno  di  maggio,  dopo  che 
al  duca  di  Urbino  furono  restituite  le  fortezze  di  san  Leo  e 
di  Maiolo,  senza  P  approvazione  dei  consigli  (4).  A  Castel 
della  Pieve  e  a  Perugia  ebbero  a  soffrir  tante  stranezze  che 
là  gli  svizzeri  dovettero  entrare  per  forza  con  grave  danno 
della  terra  (5).  e  qua  il  duca  di  Urbino  colse  il  destro  di  levare 

(1)  Frane.  Guicciardini  al  card,  di  Cortona  13  mag.  1527.  Opere 
inedite,  t.  5,  pag.  444. 

(2)  Where  th  Imperialles  dync  they  suppe.  Russell  lo  king  Henry 
Vili  11  mai  1527,  State  papers,  l  6,  pag.  577. 

(3)  Frane.  Guicciardini  al  conte  Guido  Rangone  10  mag.  1527. 
Opere  inedite,  t.  5,  pag.  439. 

(4|  Ben.  Varchi.  Storia  fior.  I.  3,  pag.  103. 
(5)  In  questo  di  Perugia  siamo  stati  trattati  molto  male  di  vet- 
tovaglie, e  ieri  a  Castel  della  Pieve  ci  furono  fatte  tutte  le  stranezze 


—  434  — 

di  stato  Gentile  Baglione  mantenutovi  con  l'autorità  del  pon- 
tefice, sostituendogli  i  figliuoli  di  Giampaolo  stato  decapitato 
sotto  papa  Leone  X  (1).  In  questa  impresa  perdette  tre  giorni, 
sicché  solo  a'  quindici  di  quel  mese  raggiunse  a  Orvieto  il 
marchese  di  Saluzzo,  ivi  arrivato  il  di  undici. 

A  Orvieto  convennero  insieme  per  risolvere  le  fazioni 
future".  In  vero  stava  a  cuore  de'veneziani  di  liberare  il  pon- 
tefice dalle  mani  de'  barbari,  e  con  lettere  calde  ne  die- 
dero commissione  al  duca  di  Urbino  (2);  ma,  benché  si  di- 
cesse essere  quelli  immersi  nelle  delizie  delle  prede,  troppo 
erano  ritenuti  ed  esperti  per  non  avvertire  il  pericolo  di  una 
battaglia  campale  (3).  Dovevano  affrontarlo,  mettere  sé  me- 
desimi in  arbitrio  della  fortuna  per  misericordia  di  colui,  che, 
dopo  aver  commosso  alla  guerra  quasi  tutto  il  mondo,  se 
n'  era  più  volte,  senza  rispetto  alcuno  degli  amici,  ritirato? 
Io  per  me  credo  non  accada  qui  indagar  l'animo  del  duca  di 
Urbino  se  fosse  o  meno  disposto  a  favore  di  un  papa  di  quella 
casa  de'Medici,  ond'era  stato  pochi  anni  innanzi  perseguitato 
a  morte  e  spogliato  del  suo.  Il  disegno  di  cavarlo  del  castello, 
confidando  nella  supposta  incuria  degli  imperiali,  era  già 
riuscito  vano  al  marchese  di  Saluzzo  e  ad  Ugo  de'  Pepoli. 
Mostravansi  oltracciò  le  truppe  del  primo  più  vogliose  di 

possibili ...  in  modo  che  si  entrò  drento  per  forza  con  molto  mag- 
giore danno  della  terra  che  io  non  avrei  voluto.  Frane.  Guicciar- 
dini al  card,  di  Cortona  8  raag.  1527.  Opere  inedite,  t.  5,  pag  437. 

(1)  Il  duca  (di  Urbino)  mi  fa  intendere  che  Gentile  Baglioni  ha 
mandato  a  Siena  per  fanti,  e  come  male  satisfatto  di  Nostro  Signore 
pensa  farsi  padrone  di  quella  città;  però  lui  voleva  .  .  .  fare  partire 
di  quivi  Gentile.  Ibidem,  pag.  446. 

(2)  Secreta  Rogat.  15  mag.  1527. 

(3)  Tamen  puto  ijs  non  videri  utile,  ut  (Urbini  dux)  alterius  pro- 
grediatur  .  . .  ipsi  non  sperant  urbem  amplius  recuperar!  posse: 
namque  asserunt  Caesarianos  se  munitos  intus  retenturos,  neque 
expugnari  posse.  John  da  Casale  lo  iVolsey.  Venetiis  16  mai  1527. 
State  papers,  t.  6,  pag.  579  e  580. 


—  435  — 

saccheggiare  che  di  battersi;  renitenti  gli  svizzeri  per  man- 
canza di  soldo  (4).  Per  queste  e  per  molte  altre  difficoltà,  nelle 
quali  consentirono  quasi  lutti  i  capitani,  conchiuse  il  duca 
essere  cosa  impossibile  di  soccorrere  allora  il  castello,  ed  an- 
che in  avvenire  senza  il  rinforzo  di  sedicimila  svizzeri  con- 
dotti per  ordine  dei  cantoni;  onde,  dopo  qualche  dimostra- 
zione di  accostarsi  alla  città,  il  di  primo  giugno  levossi  di 
campo.  Ne  seguì  che  il  pontefice,  destituito  di  ogni  speranza, 
convenisse  finalmente  il  quinto  giorno  di  quel  mese  con  gl'im- 
periali, quasi  con  le  medesime  condizioni  per  V  addietro  ri- 
fiutate. Si  obbligò  dunque  di  pagare  quattrocentomila  du- 
cati, cioè  centomila  di  presente,  cinquantamila  fra  venti  di, 
dugentocinquant amila  fra  due  mesi,  dando  statichi  per  la 
osservanza  il  datario  Gian  Matteo  Giberto,  i  cardinali  Trivul- 
zio  e  Pisani  e  due  suoi  parenti  Jacopo  Salviati,  e  Lorenzo 
fratello  del  cardinale  Ridolfi.  Insino  a  tanto  che  fossero  pagati 
i  primi  centocinquantamila  resterebbe  prigione  in  castello 
con  i  tredici  cardinali  eh'  erano  seco;  poi  andrebbe  a  Napoli 
o  a  Gaeta  per  aspettare  gli  ordini  di  Cesare.  Metterebbe  in 
potestà  di  questo,  per  essere  ritenute  quanto  paresse  a  lui, 
oltre  al  sopraccennato  castello  sant'Angelo,  le  rocche  di  Ostia, 
di  Civitavecchia  e  di  Civita  Castellana,  e  le  città  di  Parma, 
Piacenza  e  Modena.  Assolverebbe  in  ultimo  i  Colonnesi  dalle 
censure  incorse.  Come  fu  fatto  l'accordo  entrò  in  castello 
con  tre  compagnie  di  fanti  tedeschi  e  tre  di  spagnuoli  quel 
medesimo  capitano  Alargon,  stato  poc'anzi  carceriere  del 
re  di  Francia. 

(1)  Lettera  di  Antonio  Boll  ani  dalle  vicinanze  di  Roma  6  mag. 
1527.  Marin  Sanato,  t.  XLV,  p.  51 .  Anche  Scipione  Attellano  annun- 
ciando al  duca  Sforza  ebe  Guido  Kangone,  il  duca  di  Urbino  e  il 
marchese  di  Saluzzo,  che  saranno  circa  18000/an*è,  muovevano  in 
aiuto  del  papa,  scriveva  :  ma  pocho  li  spero  . .  .in  ogni  caso  se  fi- 
nirà la  guerra  fora  di  Lombardia,  per  questa  volta  non  è  pocha 
ventura  11  mag.  1527.  archivio  s.  Fedele  di  Milano  rase. 


-    436  - 

XI.  Cotesta  parve  dovesse  essere  la  ultima  ora  della  po- 
testà temporale  dei  papi.  Civita  Castellana  e  Civitavecchia 
non  furono  bensì  consegnate  agli  imperiali,  benché  ne  aves- 
sero comandamento  dal  pontefice;  ma  l'una  era  custodita  io 
nome  de9  collegati  e  l' altra  ritenuta  da  Andrea  Doria  in  pe- 
gno di  quattordicimila  ducati  di  soldo  a  lui  dovuti.  Parma 
e  Piacenza,  abborrendo  l'imperio  degli  spagnuoli,  ricusarono 
di  ammettergli  e  gridaronsi  libere.  Ancor  prima,  nel  giorno 
seguente  a  quello  in  cui  segnò  l'accordo  il  pontefice,  Alfonso 
di  Este  ricuperò  Modena  mal  difesa  da  Luigi  fratello  di  Guido 
Rangone.  Non  guari  dopo  ripresero  i  veneziani  Ravenna  e 
Cervia,  e  Sigismondo  Malatesta  s' impadronì  di  Rimini. 

Colpo  più  grave  toccò  Clemente  a  Firenze.  I  maggio- 
renti della  città,  ripigliato  animo  alla  nuova  de9  suoi  inforto- 
nii,  presentaronsi  a  Silvio  Passerini  cardinale  di  Cortona, 
non  più  in  abito  militare  come  nella  precedente  insurrezione, 
ma  col  lucco  e  col  cappuccio,  domandando  pacificamente  li 
libertà  della  patria.  Capitanavali Nicolò  Capponi,  censore  one- 
sto  del  mal  governo  de'Medici  quanto  savio  moderatore  delle 
intemperanze  plebee;  ma  gli  aizzava  Filippo  Strozzi  stato 
uno  degli  ostaggi  dati,  come  dicemmo  più  sopra,  al  Monca- 
da,  il  quale,  quando  papa  Clemente  mancò  ai  nuovi  patti  fer- 
mati col  viceré  Lannoy  e  quindi  al  pagamento  del  suo  ri- 
scatto, lo  sciolse  spontaneamente,  affinchè  accorresse  a  gin- 
gner  legna  al  fuoco  insieme  con  Clarice  sua  moglie,  che,  co- 
me figlia  di  Pietro  II  de9  Medici,  alla  morte  di  Lorenzo  II 
aveva  preteso  sottentrargli  ne' diritti  e  invece  s'era  visto 
preferiti  due  bastardi,  Ippolito  ed  Alessandro,  e  né  tampoco 
ornato  cardinale  il  figliuolo  (1). 

Silvio  Passerini,  debole,  impaurito,  non  avendo  modo 
senza  termini  violenti  e  straordinarii  di  provvedere  ai  danari, 

(I)  Bernardo  Segni,  Storia  fior.  t.  I,  p.  6.  Jacopo  Nardi,  Storia 
della  città  t/2,  p.  144. 


—  437  — 

nò  volendo  per  avarìzia  mettere  mano  a'suoi,  deliberò  di  ce- 
dere al  tempo;  sicché  per  convenzione  sottoscrìtta  il  deci- 
mosesto giorno  di  maggio  se  ne  andarono  di  nuovo  i  Medici. 
Ragunato  il  consiglio  generale,  nel  quale  contaronsi  duemi- 
ladugentosettanta  cittadini,  fu  ristabilito  il  reggimento  popo- 
lare della  repubblica  e  creato  gonfaloniere  della  giustizia  per 
un  anno  Nicolò  Capponi.  Parve  occasione  sufficiente  perchè 
la  mutazione  si  reggesse,  ed  era  al  contrario  follia  sperarlo 
dopo  la  fatale  riunione  dell'impero  tedesco  colla  monarchia 
spagnuola  costituente  la  sterminata  potenza  di  Carlo  V. 

Il  quale  godeva  che  sbizzarrissero  i  nemici  del  principe 
di  Roma,  e  dava  anzi  commissione  al  duca  di  Ferrara  di  rista- 
bilire i  Sassatelli  in  Imola  e  i  Bentivogli  in  Bologna  (4),  per- 
maso che  gli  verrebbe  poi  il  destro  di  strappar  loro  di  mano 
le  prede.  Imperocché,  quantunque  co9  soliti  infingimenti  si 
sbracciasse  a  dire,  e  a  far  dire,  che  la  presa  di  Roma  era 
successa  senza  saputa  di  lui,  e,  quello  che  appariva  più  veri- 
simile, senza  la  volontà  de9  suoi  capitani  (2),  pure  da  molti  e 
credibili  riscontri  storici  abbiamo  per  accertato,  fosse  suo  in- 
tendimento torre  al  papa  il  mezzo  d'ingerirsi  mai  più  nelle 
faccende  di  governo.  Non  già  che  una  vittoria  riportata  con 
tanto  strazio  di  Roma  e  con  tanta  profanazione,  non  gli  pe- 
sali' animo  :  reputiamo  anzi  sincere  le  pubbliche  mo- 


(1)  Leop.  Ranke.  Deutsche  geschichte  im  zeitalter  der  reforma- 
Uod,  t.  3,  pag.  11. 

(2)  Poiché  il  papa  ci  aveva  oggimai  occupato  gran  parte  del 
regno  di  Napoli,  volendo  il  nostro  esercito  soccorrere  quella  parte 
dove  vedeva  il  pericolo  più  vicino,  senza  che  aspettasse  il  nostro  pa- 
rere et  comandamento,  prese  la  via  di  Roma L'  esercito  te- 
mendo che  la  tregua  stretta  col  viceré  sortisse  l' effetto  stesso  che 
quella  di  Ugo,  contro  il  voler  dei  capitani,  seguitò  la  sua  strada, 
dove,  mancatogli  il  capitano  generale,  fece  queir  insulto  che  avrete 
inteso.  Carlo  V  al  re  d'Inghilterra  e  a  tutti  gli  altri  potentati  cri- 
itiani,  2  agosto  1527.  Ruscelli,  Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  77  e  78, 


-  438  — 

stre  del  dolor  suo  col  prendere  il  bruno  e  col  decretare  pre- 
ghiere espiatorie  (4);  ma  qual  principe  cattolico  si  recò  mai 
a  coscienza  di  non  estendere  al  sovrano  di  Roma  il  rispetto 
dovuto  al  Capo  della  Chiesa  ?  Alla  corte  de'Cesari  antico  era 
il  disegno  della  riforma,  non  nel  senso  dottrinale,  si  dei  co- 
stumi del  clero,  fondata  siili'  abolizione  della  potestà  tempo- 
rale. La  propose  schiettamente  il  viceré  Lannoy.  Gli  è  ** 
cessano,  scriveva,  che  il  sacerdozio  sia  finalmente  prosciolto 
dai  viluppi  mondani;  che  Roma  non  dia  più  occasione  & 
scandalo  a  tutto  il  mondo;  che  si  estirpino  V  eresie;  in  breve 
che  a  Dio  si  renda  quel  eh'  è  di  Dio,  e  a  Cesare  quel  cWè  di 
Cesare  (2).  All'  incontro  la  vera  mente  dell'imperatore  biso- 
gna sorprendere  tra  le  reticenze  e  le  ambagi  del  suo  stile. 
Vedemmo  già  aver  dato  ordine  al  Lannoy  medesimo  di  con- 
dursi in  modo  che  non  si  avesse  sempre  a  ricominciare  col 
papa  (3).  Allorché  intese  l' arrivo  del  Borbone  dinanzi  a  Ro- 
ma, solo  un  timore  lo  angustiò,  ch'ei  si  lasciasse  ingannare 
o  non  prendesse  buone  sicurtà  per  il  mantenimento  della  pa- 
ce (A).  E  le  sicurtà  desiderate  dichiarò  non  si  tosto  ebbe 
nuova  della  vittoria,  quando  cioè  non  faceva  più  mestieri  di 
simulare.  Nella  instruzione  che  portò  seco  Pietro  de  Veyre, 
.barone  di  Mont  st.  Vincent,  mandato  al  viceré,  sono  nomi- 
nate le  città  stesse,  di  cui  i  suoi  capitani  avevano  già  imposta 
al  papa  la  resa,  e,  in  luogo  di  Modena  occupata  dal  duca  di 
Ferrara,  Bologna  e  Ravenna.  Imperocché,  soggiunge  Pimpe- 

(1)  Le  peso  en  el  alma,  y  mostro  gran  sentimiento  de  quehu- 
biese  sido  con  tanto  danno  de  aquella  ciudad,  y  prision  del  papa. 
Sandoval,  op.  cit.,  t.  5  p.  33.  Lo  stesso  imperatore  incaricò  Pietro  de 
Veyre  di  significare  al  viceré  Lannoy  che  gli  doleva  assai,  que 
les  affaires  aient  èté  contraintz  et  forcez  à  telle  infortirne  des  Ro- 
mains.  Bucholtz,  t.  3,  pag.  97. 

(2)  Bucholtz,  t.  3,  pag.  87. 

(3)  5  febbr.  1527,  Ibidem,  pag.  59. 

(4)  6  giugno  1527,  Ibidem,  pag.  72. 


—  439  — 

ratore,  io  stimo  ben  necessario  che  sia  liberato  il  pontefice  e 
ristabilito  nell'autorità  spirituale,  purché  ciò  avvenga  di  ma- 
niera che,  se  mai  gli  torna  il  volere  di  nuocermi,  non  ne  ab- 
bia la  possa  (i).  Vero  è  che  quelle  città  prometteva  non 
avrebbe  ritenute  che  insino  a  tanto  fosse  conchiusa  la  pace 
universale  e  convocato  un  concilio  per  la  riformazione  della 
Chiesa.  Questo  unico  rimedio  alle  maledette  eresie  raccoman- 
datagli il  fratello  Ferdinando,  e  non  si  lasciasse  uscir  di  ma- 
no il  prigione  senza  aver  messo  ordine  nella  cristianità  (2). 
Ha  qui  giova  notare  che  Mercurino  da  Gattinara,  gran  can- 
celliere, proponeva  sin  d' allora  si  ricongiugnessero  Parma 
e  Piacenza  col  ducato  di  Milano,  Firenze  e  Bologna  coll'im- 
pero  (3),  e  che  con  lui  consentiva  il  viceré  Lannoy  di  rimet- 
tere nel  concilio  medesimo  1'  esame  delle  ragioni  di  Cesare 
sopra  Roma  e  sopra  altre  terre  d' Italia  (4).  Tanta  fede  ave- 
vano nella  causa  sua  e  neir  abolizione  della  potestà  tempo- 
rale de'  papi  !  La  quale  era  invero  grandemente  desiderata 
da  molti,  e  già  si  diceva,  afferma  il  Varchi,  infino  da  plebei 
uomini  che,  non  istando  bene  il  pastorale  e  la  spada,  il  papa 
dovesse  tornare  in  san  Giovanni  Laterano  a  cantar  la  mes- 
sa (5).  Quante  volte  ne'  consigli  de'  principi  non  ne  fu  agi- 
tato il  disegno?  e  che  altro,  fuor  che  la  gelosia  reciproca,  o 
la  difficoltà  di  convenire  nella  divisione  delle  spoglie,  ne  im- 
pedì la  esecuzione?  Allorché  intese  Cesare  la  lega  di  Cognac 
disse  all' ambasciatore. francese  in  presenza  del  nunzio,  es- 
sere stato  il  re  Francesco  che  a  lui  propose  di  scendere  am- 
bidue  insieme  armati  in  Italia,  e,  sciolto  il  pontificio  dominio, 


(1)  21  luglio  1537,  Ibidem,  pag.  101. 

(2)  Praga  30  mag.  1527.  Gévay.  Urkunden  età,  fase.  1,  pag.  52. 

(3)  7  giugno  1527,  Bucholtz,  t.  3,  pag.  83. 

(4)  Ibidem,  pag.  88. 

(5)  Storia  fiorent.  Milano  1803,  t.  2,  pag.  43. 


—  410  — 

di  rendersene  padroni  (4).  Ornai  quello  di  che  accusava  il  ri- 
vale, voleva  tutto  per  sé.  Indi  l'ostacolo  unico,  del  quale  deve 
rallegrarsi  lo  storico,  persuaso  che  col  togliere  allora  il  go- 
verno de' preti  in  una  piccola  parte  dell'Italia,  sarebbesi  age- 
volata agli  imperiali  la  dominazione  dell'  intera  penisola.  A 
questa  aspirava  indubitabilmente  Carlo  V.  Vostra  maestà,  di- 
cevagli  il  grancancelliere,  si  trova  già  sul  retto  cammino 
della  monarchia  universale  (2),  ed  egli  infatti  non  dubitava 
tampoco  che  verrebbe  fatto  all'  esercito  suo  di  acconciarsi 
co' fiorentini  e  di  passar  poi  sulle  terre  de' veneziani  (3).  Se 
si  mandano  soli  seimila  uomini  di  rinforzo  al  Leva,  scrive- 
vavasi  da  Milano,  tutta  Italia  è  vinta  e  conquistata  (A). 

(1)  Dispacci  di  A.  Navagero,  Km.  Cicogna,  Iscriz.  ven.  t.  6, 
pag.  192. 

(2)  Bucholtz,  t.  3,  pag.  85. 

(3)  Lettera  di  Carlo  V  del  30  giugno  1527.  Hormayr.  Archiv. 
an.  1812,  pag.  381. 

(4)  Lettera  di  Angerer  1.  luglio  1527.  Ibidem. 


CAPITOLO  SETTIMO. 


Accordo  di  Enrico  Vili  con  Francesco  1;  mot  irò  personale  del  primo;  nuova  coofe* 
deraxione  tri  loro  ad  Amiens.  —  Fatti  d'  arme  in  Lombardia  ;  Tenuta  di  Lautrec 
con  un  esercito  francese  ;  acquisto  di  Genova  ;  presa  di  Alessandria  e  di  Pavia  ; 
•otrata  del  duca  di  Ferrara  e  del  marchese  di  Mantova  nella  lega  contro  l' im- 
peratore. —  Contumacia  dell'esercito  imperiale  a  Roma;  liberazione  del  papa  e 
sua  fuga  ad  Orvieto;  vaci Manza  ed  ambagi  della  sua  politica.  —  Vane  pratiche  di 
pace  tra  i  due  rivali;  andata  di  Lautrec  a  Napoli;  vittoria  navale  de' francesi: 
difficoltà  dell'  assedio  ;  disfida  al  duello  tra  Francesco  1  e  Carlo  V.  —  Venuta 
del  dura  di  Brunswick  con  nuove  truppe  lede» che  ;  ricuperazione  di  Pavia  ;  asse- 
dio di  Lodi;  progressi  de'  francesi  in  Lombardia  sotto  Francesco  di  Borbone  conte 
di  Saint-Poi;  ripresa  di  Pavia;  miserie  de'  Milanesi.  —  Falli  d'arme  intorno  a 
napoli;  passaggio  di  Andrea  Doria  alla  parte  imperiale;  disordini  nell'  esercito 
francese,  sua  rotta  e  capitolazione;  indipendenza  di  Genova  e  riordinamento  della 
su  repubblica.  —  Negoziazioni  del  pontefice  con  Cesare  e  con  la  lega  avversa- 
ria ;  suoi  portamenti  col  re  d' Inghilterra  riguardo  al  divorzio,  e  con  la  repubblica 
veneta;  ambasceria  di  Gaspare  Contarini.  —  Elezione  dell'  arciduca  Ferdinando 
a  re  di  Boemia  e  di  Ungheria  ;  turbolenze  in  quest'  ultimo  regno  ;  opposizione 
della  Germania  a  casa  d'Austria;  frode  di  Odone  de  Pack,  e  sue  conseguenze; 
dieta  di  Spira  e  protesta  de*  luterani.  —  Declinazione  de'  francesi  in  Lombardia  ; 
loro  sconfitta  a  Landriano.  —  Condizione  di  Firenze  ;  amministrazione  del  gonfa- 
loniere Nicolò  Capponi;  sua  caduta;  ragioni  che  mossero  Carlo  V  alla  pace  di 
Barcellona  col  papa.  —  Trattative  di  Cesare  colla  Francia;  pace  di  Cambray; 
adesione  del  re  d'Inghilterra;  dignità  di  Venezia. 

I.  A  tanta  minaccia  fu  contrapposta  la  lega  d'Inghilterra 
con  Francia.  Sin  dal  di  30  aprile  1527  si  era  conchiuso 
T  accordo  per  cui  andarono  oratori  a  Cesare  ad  intimargli  o 
la  liberazione  de'  principi  ostaggi,  o  la  guerra  (i).  Quanto 
più  dovevansi  accendere  gli  animi  alla  notizia  della  perdita 
di  Roma  I  La  generale  indignazione  tornava  opportuna  a  co- 
lorare di  pietà  gr  intenti  politici.  Finché  fresca  è  ancora  la 


(1)  Tratte  de  Vestminster  30  aprile  1527.  Du  Mont.  I.  4,  p.  1, 
I>ag.  47<>. 


_  442  — 

ingiuria,  scriveva  il  cardinale  WoLey,  reputo  doversi  tentar 
tutto,  muovere  ogni  pietra,  trascorrere  sino  alla  effusione  del 
sangue  per  ritornare  il  vicario  di  Cristo  alla  sua  pristina 
dignità  (i),  e  la  causa  della  santa  sede,  dicevagli  Enrico 
Vili  nella  instruzione  per  un  nuovo  trattato  col  re  France- 
sco, è  causa  comune  de9  principi  :  non  mai  le  fu  recata  onta 
maggiore  ;  e  poiché  di  essa,  non  in  una  offesa  qualsiasi,  sì 
unicamente  nell'avidità  di  dominio  vuoisi  cercare  la  ragione, 
così  fa  mestieri  reprimerne  a  forze  unite  le  trascendenze  (2). 
Cosa  singolare  !  a  questo  proposito  di  equiponderanza  ter- 
ritoriale, sotto  specie  di  protezione  del  papa,  dava  fermezza 
un  motivo  personale,  che  poco  stante  lo  spinse  allo  scisma 
con  Roma.  Aveva  Enrico  per  moglie  Caterina  d'Aragona,  zia  di 
Carlo  V,  stata  prima  maritata  ad  Arturo  suo  fratello  morto 
a  quindici  anni.  Non  ostante  la  dispensazione  di  papa  Giulio 
li,  per  l'impedimento  dell'  affinità  strettissima  (3),  di  quel 
matrimonio  si  mormorò  sempre,  e  più  allora  che,  essendo 
morti  un  dopo  P  altro  i  figliuoli  maschi,  parve  avverarsi  mi- 
racolosamente la  minaccia  del  Levitico,  senza  badare  alla 
eccezione  dichiarata  nel  Deuteronomio.  Ai  dubbi  mossi  fin 
da  s.  Tomaso  d' Aquino  sulla  facoltà  pontificia  di  derogare 
alle  leggi  della  Scrittura,  aggiunsero  vigore  le  dottrine  lute- 
rane di  già  introdotte  in  Inghilterra;  sicché  il  confessore  del 
re  da  gran  tempo  andava  dicendo  a'  suoi  amici  che  quel  ma- 


il) Cardinalis  Eboracensis  ad  card.  Rodolfi! m  Patrim,  legatum. 
Londini  12  jul.  1527.  Hugo  Laemmer  Monumenta  vaticana,  pag.  23. 

(2)  Ad  Iractandum  super  quocuraque  foedere  prò  resarcienda 
romanae  sedis  dignitatc  commissio  regia.  Rymer  Foedera,  t.  6, 
p.  2,  pag.  80. 

(3)  La  dispensazione  aveva  riguardo  anche  al  caso  che  il  ma- 
trimonio con  Arturo  fosse  stato  consumato  :  curri  matrimonium  con- 
traxissetis  illuclque  carnali  copula  forsan  consumacissetis.  Così  leg- 
geri nel  breve  pontificio.  Burnet,  Collection,  pag.  9. 


—  445  — 

trimonio  non  dorerebbe  sino  alla  fine  (4).  Di  questi  scrupoli 
e  del  disamore  di  Enrico  a  Caterina,  ornai  avanzata  negli 
anni  e  senza  attrattive,  giovossi  il  cardinale  Wolsey  per  te- 
nerlo fermo  nella  nuova  politica  avversa  all'imperatore.  Ben 
si  vuol  credere  (poiché  lo  affermò  più  tardi  in  giudizio)  non 
essere  stato  egli  primo  a  parlare  di  divorzio;  resta  nonper- 
tanto ch'egli  ne  fece  per  primo  la  proposta,  allo  scopo  di  scio- 
gliere il  maritaggio  con  cui  un  tempo  Ferdinando  il  cattolico 
ed  Enrico  VII  avevano  pensato  di  perpetuare  la  congiunzione 
delle  due  famiglie.  Lo  disse  egli  medesimo  a  Giovanni  du 
Rellay,  ambasciatore  francese  (2).  Altrettanto  certo  è  che  la 
passione  del  re  per  Anna  Boleyn,  sebbene  venisse  in  accon- 
cio, non  era  ne'disegni  suoi,  volti  a  sostituire  allo  spagnuolo 
un  parentado  francese.  Di  che,  venuto  in  Amiens  a  parla- 
mento col  re  Francesco,  gettò  una  parola  alla  madre  di  lui. 
Non  usci  per  allora  del  mistero  ;  ma  quella  parola  pregò  si 
tenesse  a  mento,  ed  ei  P  avrebbe  a  suo  tempo  ricordata. 

Con  tali  intendimenti  sottoscrisse  a  di  48  agosto  1527 
la  nuova  confederazione  colla  Francia.  Importava  ad  Enrico 
gratificarsi  il  pontefice  per  la  sanzione  del  divorzio,  e  Fran- 
cesco, ancorché  per  riavere  i  figliuoli  avrebbe  lasciato  lui  e 
Italia  in  preda,  dovette  promettere  di  non  fare  accordo  alcuno 
con  Cesare  senza  la  sua  liberazione.  Quegli  aveva  da  prin- 
cipio richiesto  si  costituisse  in  Avignone  una  nuova  autorità 


(1)  Jam  pridem  conjugium  regium  velut  iniirmum  labefactatum 
iri  censebat  klque  ciani  suis  saepe  inlimis  amicis  insusurrabat.  Po- 
lydorus  Virgilius  Historia  anglica,  Henricus  Vili,  pag.  82. 

(2)  La  quelle  rompture  rìu  mariane  ...  est  de  telle  imporlance, 
ce  dit  raon  dit  seigneur  Legat  (Wolsey),  que  tout  homme  en  pourra 
juger  qui  saura  que  les  premier*  termes  di*  divorce  ont  été  tnis  par 
luy  en  acant,  a  fin  de  mettre  pcrpetuelle  separation  entre  les  mai- 
sons  d'Angleterre  et  de  Bourgogne.  Depéche  de  Leveque  de  Bayonne, 
J.  du  Bellay  28  oct.  1528.  Le  Grand  Hisloire  du  divorce,  t.  3,  pa- 
gina 185. 


9 444  __ 

suprema  ecclesiastica:  ma  poiché  i  cardinali  ancor  liberi  ri- 
cusarono di  andarvi,  obbligaronsi  almeno  i  due  sovrani  di 
non  acconsentire  alla  convocazione  di  un  concilio  durante 
la  prigionia  del  papa,  e  in  generale  di  opporsi  a  qualunque 
atto  impostogli  nell'interesse  dell'imperatore  (i).  In  con- 
traccambio rinunziò  Enrico  alle  antiche  pretese  sulla  corona 
di  Francia,  accettando  in  compenso  una  pensione  annua  di 
cinquantamila  ducati,  da  pagarsi  fino  alla  consumazione  dà 
secoli.  Trattossi  inoltre  della  guerra,  e  mentre  prima  vole- 
vasi  romperla  di  là  dai  monti,  principalmente  nei  Paesi  Bas- 
si, fu  preso  ora  di  portarla  in  Italia;  al  qual  uopo,  per  essere 
certo  vi  fossero  intere  le  forze  stabilite,  assunse  Enrico  il 
carico  di  un  sussidio  mensile  di  trentaduemila  ducati,  nella 
speranza  di  rifarsene  con  un  assegnamento  perpetuo  sopra 
Milano.  Si  convenne  in  ultimo  nella  elezione  di  Lautreca 
capitano  generale  degli  eserciti  della  lega. 

II.  Innanzi  eh'  egli  passasse  i  monti  avevano  i  confede- 
rati dato  alcun  segno  di  voler  giovarsi  delle  angustie  degli 
imperiali  in  Lombardia.  Le  genti  dei  veneziani  e  del  duca 
di  Milano,  forti  di  circa  tredicimila  fanti,  cinquecento  uomini 
di  arme  e  settecento  cavalleggieri,  il  di  25  giugno  i  527  ven- 
nero a  Marignano,  mentre  truppe  francesi  divise  in  due  corpi 
muovevano  contro  Alessandria  e  Novara,  e  Giangiacomo  Me- 
dici castellano  di  Musso,  impadronitosi  per  inganno  della 
rocca  di  Monguzzo  tra  Lecco  e  Como  appartenente  ad  Ales- 
sandro Bentivoglio,  discendeva  dai  colli  di  Brianza.  Erano 
in  tutto,  scrive  Antonio  de  Leva,  quattro  contro  uno  di  noi, 
e,  pur,  raccomandatomi  a  Dio,  volli  tentare  la  fortuna  (2). 

(!)  Praesertim  cum,  juris  naturalis  aequitate  pensata,  non  pro- 
prie a  summo  pontifice  factum  dici  possit,  quod  ad  aliorum  arbi- 
trium  facitcaptivus,etiamsi  verbis  diversissimum  profiteatur.  Trai- 
té  d'  Amiens  18  aoùt.  Du  Mont,  t.  4,  p.  1,  pag.  494. 

(2)  Ant.  de  Leva  all'imperatore  14  luglio  1527,  Lanz  Corresp., 
t.  1,  pag.  23G. 


—  445  — 

Affidata  a  Gian  Battista  Lodrone  la  difesa  di  Alessandria,  e 
quella  di  Novara  a  Filippo  Tormello,  andò  egli  stesso  incon- 
tro al  grosso  dell'  esercito  nemico,  e  giunto  a  Malignano  in 
quel  momento  che  le  truppe  dello  Sforza  capitanate  da  Gio- 
vanni Borromeo  ne  assaltavano  la  chiesa,  benché  non  con- 
ducesse seco  più  di  duecento  cavalleggieri  e  cinquecento  tra 
spagnnoli  e  italiani,  avendo  i  tedeschi  indugiato  a  seguitarlo 
per  mancanza  di  soldo,  diede  loro  addosso  con  tanta  furia 
che  li  costrinse  a  riparare  nel  campo  trincerato,  donde,  per 
scaramuccie  e  provocazioni  eh'  ei  facesse,  non  gli  avvenne 
mai  di  trar  fuori  i  veneziani  (1).  Poco  dopo,  avendo  sentito 
il  di  28  luglio  che  il  castellano  di  Musso,  con  duemilacin- 
quecento svizzeri  e  grigioni  soldati  dal  re  di  Francia,  era  ve- 
nuto a  villa  di  Carato,  ritornò  a  Milano,  e  di  là,  riposato  un 
sol  giorno  e  lasciati  soli  dugento  uomini,  quantunque  i  vene- 
ziani vi  fossero  vicini  a  dieci  miglia,  col  resto  dell'  esercito 
corse  ad  affrontare  i  nuovi  nemici.  Respinto  due  volte,  vinse 
al  terzo  assalto,  ancorché  quelli  pugnassero  come  demonii, 
in  guisa  che  per  finire  il  combattimento  si  dovette  ammazzarli 
tutti:  mille  caddero  morti;  gli  altri,  e  il  castellano  di  Musso 
con  essi,  fuggirono.  Fu  il  più  gagliardo  fatto  d'arme,  disse 
Antonio  de  Leva,  che  io  abbia  veduto  da  che  sono  alla  guer- 
ra (2).  In  tale  occasione  bene  stava  a  lui  lamentare  che  le 
masnade  conquistatrici  di  Roma,  in  luogo  di  concorrere  a 
nuove  imprese,  vi  si  trattenessero  in  ozio  a  godere  delle 
ricche  prede  :  se  avessero  obbedito  appena  presa  Roma,  e 
fossero  tornali  in  Lombardia,  tutta  Italia  apparterrebbe  a  vo- 
stra maestà  (3).  Noi  contrista  invece  la  sfiducia  degli  italiani 

(1)  Ils  disent  quils  ont  ordre  de  la  seigneurie  de  ainsi  le  faire, 
et  ils  lobservent  ponctuellement.  Ibidem. 

(2)  4  agosto  1527,  Ibidem,  pag.  246. 

|3)  Car  il  ny  avoit  des  vivres  suffisants  dans  le  villes  des  Veni- 
tiens,  pour  sy  maintenir  quinze  jours,  et  ils  nauroient  ose  se  tenir 
en  campagne.  Ibidem,  pag.  243. 


-  446  - 

in  sé  stessi.  Appunto  per  ciò  che  quelle  masnade  non  torna- 
rono, e  i  loro  commilitoni  di  Lombardia  rimasero  lungo  tem- 
po scarsi  di  numero  e  in  gran  penuria  di  ogni  cosa,  perchè 
non  cogliere  il  destro  ad  uno  sforzo  concorde  e  vigoroso? 
Sono  rimproveri  per  essi  i  timori  dell'  avvenire  che  turba- 
vano al  Leva  la  gioia  de'  narrati  successi.  «  Voglio  credere 
(scriveva  a  Cesare)  che  vostra  maestà  ignori  le  necessità  no- 
stre :  altrimenti  non  avrebbe  ordinato  a  Lopez  de  Soria  di 
non  darmi  che  trentamila  scudi.  La  supplico  a  ricordarsi  de- 
gli stipendi  residui  e  a  considerare  che  qui  non  si  può  piò 
vivere  a  discrezione,  perchè  gli  abitanti  non  ne  hanno  e  non 
possono  sopportarlo,  ed  è  la  più  gran  pietà  del  mondo  a  ve- 
derli; e  certo  se  la  maestà  vostra  li  vedesse,  vi  metterebbe 
rimedio,  essendo  questo  massimo  debito  di  coscienza.  Le 
paghe  dei  tedeschi  ammontano  ogni  mese  a  venticinque* 
mila  scudi  e  quelle  degli  spagnuoli  a  ottomila.  Dovetti  ol- 
tracciò levare  quattromila  italiani  a  quattordicimila  scudi 
di  soldo  al  mese,  senza  i  quali  non  sarei  in  grado  di  difen- 
dere lo  stato.  Aggiungete  le  spese  dei  cavalleggieri,  delle 
genti  d'  arme,  delle  munizioni,  de"  corrieri,  e  delle  guarni- 
gioni nelle  fortezze.  Duolmi  di  non  aver  più  nulla  del  mio 
a  dare.  Tutto  che  possiedo  nel  reame  di  Napoli  è  impegnato 
e  in  gran  parte  venduto  :  Cartagenaper  duemila  ducati  pre- 
statimi tiene  la  commenda  onde  mi  avete  gratificato.  Vostra 
maestà  mi  rimette  ai  provvedimenti  del  viceré,  ma  questi  è 
si  lontano  che,  mentre  le  domande  e  le  risposte  vanno  e  ven- 
gono, ogni  cosa  può  andare  in  ruma.  11  credito  è  perduto 
con  tutto  il  mondo.  Sembra  che  confidiate  nella  vostra  for- 
tuna e  ne  avete  ragione  ;  ma  bisognerebbe  pur  aiutarla,  e 
badar  bene  che  Dio  non  fa  ogni  giorno  miracoli  (1).  » 

La  guerra  di  Lombardia  non  si  riscaldò  che  alla  venuta 
di  Lautrec  nel  Piemonte  con  una  parte  dell'  esercito.  Il  qua- 
li) Ibidem,  pag.  2-18. 


—  447  - 

le,  per  non  istare  ozioso  mentre  aspettava  il  resto,  si  pose  a 
campo  nei  primi  di  del  mese  di  agosto  dinanzi  al  castello  di 
Bosco  nel  contado  di  Alessandria,  e  dopo  dieci  giorni  di  vi- 
vissimo cannonamelo  lo  costrinse  ad  arrendersi.  Nello  stes- 
so tempo  Andrea  Doria,  passato  per  consiglio  del  pontefice 
dagli  stipendii  suoi  a  quelli  del  re  di  Francia,  nell'  approssi- 
marsi a  Genova  per  ricominciarne  il  blocco,  che,  sebbene  più 
volte  interrotto,  aveva  ornai  ridotta  quella  città  in  estrema 
miseria,  ebbe  avviso  come  sei  grosse  navi  fossero  giunte 
allora  a  Portofino,  cinque  cariche  di  grano  ed  una  di  mer- 
catanzie,  convogliate  da  sette  galee  imperiali.  Per  il  che,  an- 
dato colà  a  voga  arrancata,  buttò  in  terra  milledugento  fanti 
sótto  il  comando  di  Filippino  suo  nipote.  Agostino  Spinola 
venato  in  tempo  a  rinforzarne  il  presidio  li  disperse;  ma  non 
aveva  appena  vinto  che  fu  richiamato  per  muover  contro 
a  Cesare  Fregoso,  il  quale  sceso  giù  dai  gioghi  con  duemila 
fanti  si  era  avanzato  fino  a  san  Pier  d'  Arena.  Onde  ai  ca- 
pitani delle  sette  galee  parve  prudente  tornarsene  a  Genova 
per  non  rimanere  tagliati  fuori,  e  toccò  invece  di  trovare  la 
mina  nel  partito  in  cui  confidavano  la  salute.  Ne  fu  colpa 
il  ventò,  il  quale  mutatosi  a  un  tratto  fece  abilità  al  Doria 
di  abbrivarsi  loro  addosso  e  di  catturarli  tutti,  e  con  essi  le 
navi,  eccetto  una  sola;  dopo  di  che  con  pari  agevolezza  s'im- 
padronì dei  legni  carichi  di  grano  e  di  merci  preziose.  Que- 
sto, e  il  talento  movitivo  del  popolo,  e  la  vittoria  riportata 
dal  Fregoso  sopra  le  genti  dello  Spinola,  indussero  i  depu- 
tati della  città  a  ristabilire  il  dominio  francese  mediante  con- 
vegno, che,  preservandola  dalle  vendette  di  parte,  meritò 
pubblici  rendimenti  di  grazie  così  ai  vinti  come  ai  vincitori. 
Il  doge  Antoniotto  Adorno  ricoverossi  a  Milano,  ove  mori 
pochi  mesi  dopo,  e  il  re  Francesco  vi  mandò  governatore 
Teodoro  Trivulzio. 

Tenne  dietro  a  questo  acquisto  importante Ja  presa  di 
Alessandria.  La  quale  però  fu  principio  di  nuove  diffidenze 


—  448  — 

tra  i  confederati,  perchè  sebbene  Lautrec  per  intercessione 
dei  veneziani  (4)  desistesse  dal  proposito  di  lasciarvi  a  guar- 
dia cinquecento  fanti,  pure  la  ripugnanza  di  darla  libera  allo 
Sforza  rimase  indizio  di  segreti  disegni  sopra  V  intero  duca- 
to. D'altra  parte  non  potendo,  senza  loro  contrasto,  tirarlo 
al  profitto  del  padron  suo,  per  servirsene  almeno  di  prez- 
zo a  ricuperargli  i  figliuoli,  mancò  a  lui  lo  stimolo  a  termi- 
nare prontamente  la  guerra  di  Lombardia  ;  crebbe  anzi  il 
timore  che,  rimesso  che  fosse  lo  Sforza  in  dominio,  non 
lo  avrebbero  seguitato  i  veneziani  nel  rimanente  della  im- 
presa. Il  perchè  avanzatosi  fino  a  otto  miglia  dalla  capitale 
voltò  tutt'a  un  tratto  cammino,  piombando  addosso  a  Pavia 
dove  non  erano  che  ottocento  fanti  comandati  da  Lodovico 
da  Barbiano  conte  di  Belgiojoso,  e  la  infelice  città  presa  di 
assalto  il  dì  2  ottobre  lasciò  saccomettere  e  vituperare  orri- 
bilmente per  vendicar  la  vergogna  della  rotta  e  della  presura 
del  suo  re.  Indarno  instarono  allora  di  nuovo  i  veneziani  e 
lo  Sforza  che  procedesse  a  pigliare  Milano.  Oppose  Lautrec 
i  comandamenti  dei  re  Francesco  ed  Enrico  che  principal- 
mente P  avevano  mandato  in  Italia  per  la  liberazione  del 
pontefice;  glieli  inculcarono  l'oratore  inglese  e  i  cardinali 
presenti  (2);  ond'  egli,  dopo  aver  stabilito  che  gli  alleati  te- 
nessero le  genti  loro  in  alloggiamento  molto  fortificato  a  Lan- 
driano  a  due  miglia  da  quella  città,  con  millecinquecento 
svizzeri,  altrettanti  tedeschi  e  seimila  tra  francesi  e  guasconi 
il  di  \ 8  ottobre  passò  il  Po  avviandosi  a  Piacenza.  In  quel 
giorno  medesimo  scrisse  Antonio  de  Leva  all'imperatore: 
«  abbiamo  perduto  Pavia;  ma  quantunque  tutto  il  mondo 
sia  contro  di  noi,  e  ci  manchino  vettovaglie  e  denaro,  soste- 
nemmo Milano,  Como,  Trezzo,  Lecco,  Pizzighettone  e  Monza 


(1)  Secreta  Royat.  18  seti.  1527. 

(2)  Andrea  Burgos  (da  Borgo)  al  emperador.  Ferrara  20  oct. 
1527.  Archivio  di  Simamas  in  Ispagna  Estado  leg.  1553  msc. 


—  449  ~ 

che  sono  i  passi  più  importanti.  Fa  compassione  veder  que- 
sta città  e  il  resto  dello  stato  in  tanta  mina,  smunti  i  po- 
poli, ed  ogni  cosa  ridotta  all'estremo,  per  modo  che  non  so 
come  viviamo  (4)  ». 

Giunto  Lautrec  a  Piacenza  differì  la  marcia  alla  volta 
di  Roma,  sempre  in  aspettazione  degli  accordi  eh'  erano  in 
pratica  o  de' rinforzi  di  fanti  tedeschi  condotti  dal  signore  di 
Vaudemont,  e  risoluto  di  voler  prima  assicurarsi  del  duca 
di  Ferrara  e  del  marchese  di  Mantova,  per  non  lasciar  die- 
tro di  sé  nemici  (2). 

Alfonso  d' Este,  considerata  la  trista  condizione  degli 
imperiali,  contumaci  a  Roma,  mancanti  del  necessario  in 
Lombardia  (3),  ben  lungi  dall'  assumerne  il  comando  supre- 
mo proffertogli  di  nuovo  dopo  la  morte  del  duca  di  Borbo- 
ne (4),  s' era  già  in  cuor  suo  voltato  alla  Francia.  Ma  le  ne- 
goziazioni condusse  con  tanta  industria  che  da  una  parte, 
lagnandosi  dei  ministri  di  Cesare,  quasi  inutile  fosse  segui- 
tarli nella  perdizione  che  da  sé  medesimi  volevano  (5),  fece 

(1)  Milano  18  ott.  1527.  Biblioteca  de  la  dead,  d'hist.  de  Madrid. 
A.  41  msc. 

(2)  Dispaccio  precitato  di  Andrea  da  Borgo  nisc. 

(3)  Lo  exercito  suo  que  andò  a  Roma  no  è  mai  tornato  in  qua 
ma  obstinatamente  fin  qui  persevera  in  la  sua  contumacia  et  in  tan- 
to disordine  que  più  no  se  potria  dire  ...  le  cose  de  Lombardia 
ancho  stanno  male  ...  no  so  corno  fra  tante  diflficultà  possa  durar 
lungamente  . . .  seria  multo  bene  que  ella  facesse  acordo  e  pace 
con  el  rey  de  Francia  . . .  necessaria  a  questa  misera  e  aflita  Italia 
e  a  tutta  cristianità.  Lettera  del  duca  alfonso  d*  Este  all'imper. 
Ferrara  4  ottobre  1527.  Archino  di  Simancas  Neg.do  de  Estado  leg. 
1553  msc. 

(4)  Este  nuncio  del  papa  y  el  embaxador  de  florencia  que  aqui 
estan  dixero  al  embaxador  del  duque  (di  Ferrara)  que  no  crehìa 
que  su  hamo  fuesse  tan  loco  que  a  està  sazon  tornasse  tal  cargo. 
Alonso  Sanchez  al  emperador.  Venezia  6  Agosto  1527.  Biblioteca 
de  la  Academia  d'hist.  de  Madrid.  A.  41.  msc. 

(5)  Cum  non  sit  in  potestate  sua  etiam  si  omnia  exponeret 


-  /<50  — 

capace  Andrea  da  Borgo,  residente  imperiale  alla  sua  corte, 
della  necessità  che  lo  strigneva  ad  accordare  col  Lautrec, 
dall'altra  ostentandola  fede  de'patti  anteriori  dettò  a  quest'ul- 
timo e  agli  altri  collegati  le  condizioni  della  sua  alleanza, 
^on  si  obbligando  di  dare  che  cento  uomini  di  arme  e  sei- 
mila scudi  al  mese,  in  luogo  de'  centomila  richiesti  da  prin- 
cipio e  pagabili  in  tre  termini  (4),  ottenne  la  mano  di  Renata, 
figliuola  del  re  Luigi  XII,  per  Ercole  suo  primogenito  con  in 
dote  i  ducati  di  Chartres  e  di  Montargis.  Volle  eziandio  fos- 
sero pagati  i  frutti  dell'arcivescovado  di  Milano  ad  Ippolito 
suo  secondogenito,  se  gì'  imperiali  li  sequestrassero,  conse- 
gnata a  lui  Cotignola,  tolta  poco  innanzi  dai  veneziani  agli 
spagnuoli,  in  cambio  della  città  di  Adria,  la  quale  instante- 
mente  dimandava,  e  permesso  contro  ad  Alberto  Pio  l'acqui- 
sto delia  fortezza  di  Novi  ai  confini  del  Mantovano.  Più  an- 
cora che  il  cardinale  Innocenzo  Cibo,  in  nome  de'.colleghi 
adunati  a  Parma,  promettesse  d'indurre  il  pontefice  a  rin- 
novare la  investitura  di  Ferrara,  a  rinunziare  alle  ragioni 
di  Modena  e  di  Reggio,  a  lasciargli  libera  la  estrazione  del 
sale  a  Comacchio,  a  consentire  alla  protezione  che  i  collegali 
prendevano  di  lui  e  del  suo  stato,  a  far  cardinale  il  figliuolo 
Ippolito  e  a  conferire  al  medesimo  il  vescovado  di  Modena, 
vacante  per  la  morte  del  cardinale  Rangone  (2).  E  tutto  ciò 


substinere  tale  pondus  si  ministri  V.  M.  volunt  mere  —  et  dicit 
quod  nescit  in  quo  prodesset  M.i  V.  ruiua  sua.  Andrea  da  Borgo 
all'  imper.  Ferrara  8  e  26  ott.  1527.  Archivio  di  Simancas.  Estado 
leg.  1553  msc. 

(1)  Propter  quod  (lux  fuerat  in  terribili  commotione  demon- 
strando  se  non  habere  pecunias  neo  uìlum  modum  ad  exbursan- 
dum  eos,  nec  posse  etiam  quum  liaberet  illud  salva  fide  sua  et  ho- 
uore.  Andrea  da  Borgo  all' imper.  Ferrara  6  nov.  1527.  Ibidem  msc. 

(2)  Il  trattato  del  15  nov.  1527  si  trova  nelle  Antichità  estensi 
del  Muratori,  parte '2,  pag.  341-351,  e  nel  Registrimi  fùr  die  deutsche 
geschichte  di  Swkndorf.  Berlin  1854,  par.  3,  pag.  172-187. 


—  451  — 

pur  limitando  i  sopraccennati  sussidi!  a  solo  sei  mesi,  e  sen- 
za chiudersi  la  via  di  tornare  air  amicizia  dell'imperatore, 
avendo  dichiarato  ad  Andrea  da  Borgo,  corno  vuole  il  de- 
stino de'  piccoli  principi,  che  se  le  cose  sue  volgessero  in  me- 
glio, terrebbe  per  nulla,  come  coatta,  r  accessione  alla  h>ga(i). 
Con  lo  stesso  animo  vi  entrò  anche  il  marchese  di  Manto- 
va. Maggior  aiuto  le  porse  la  repubblica  fiorentina,  rinno- 
vando, non  ostante  i  contrarii  avvisi  di  Nicolò  Capponi  e  di 
Luigi  Alamanni,  la  confederazione  colla  Francia  ;  onde  le 
bande  nere,  prese  poc'  anzi  a'  suoi  stipendii  e  portate  a  cin- 
quemila fanti  sotto  il  comando  di  Orazio  Baglione,  furono 
promesse  al  maresciallo  Lautrec. 

TU.  Tanto  apparato  di  forze  nemiche  non  piegò  Cesare 
alla  pace,  si  lo  spinse  a  prevenire  il  pericolo  della  libera- 
zione per  mano  altrui  del  pontefice.  Il  tentativo  del  viceré 
Lannoy  di  tradurlo  a  Gaeta  era  andato  a  vuoto  per  la  oppo- 
sizione del  capitano  Alarfon  deputato  alla  sua  guardia,  il 
quale,  uomo  non  di  mal  volere,  ma  troppo  scrupoloso,  ri- 
spose, non  voler  Iddio  eh'  egli  meni  prigione  il  corpo  di  Cri- 
sto (2).  Riuscirono  egualmente  inefficaci  gli  sforzi  di  Fili- 
berto d'Orange  per  istaccare  i  soldati  dal  sangue  e  dal- 
l'avere de' romani  (3),  né  miglior  effetto  ebbe  il  disegno 
del  duca  di  Ferrara  di  convenire  con  Firenze  verso  il  pa- 
gamento di  dugentomila  talleri, per  poter  condurli  sulle  terre 
de'  veneziani  e  di  là  in  Lombardia,  avendone  i  capitani  vo- 
luto invece  trecentomila  e  poi  altri  ventimila;  sicché  Fi- 


li) Dispaccio  precitato  di  Andrea  da  Borgo  6  nov.  1527  msc. 

(2)  Disant  que  a  dieu  ne  plust  que  il  amenast  le  corps  de  dieu 
en  prison.  Le  bon  home  ne  last  pus  test  pour  mauvaise  intenlion, 
mes  pour  estre  trop  scrupeuleus.  P.  de  Veyre  an  den  kaiser.  30 
ftett  1527.  Lanz  Corresp.  t.  1,  pag.  251. 

(3)  Rapporto  di  Filiberto  (Y  Oranges  all'  imper.  21  giugno  1527. 
Bucholtz,  t.  3,  pag.  79. 


-    452  - 

renze  preferi  di  rimanere  nella  lega  (i).  In  somma  que' sol- 
dati, contumaci  pe'crediti  delle  paghe  e  de' danari  promessi 
dal  pontefice,  non  solo  trascuravano  gli  interessi  deir  impe- 
ratore perdendo  la  occasione  di  molte  imprese,  ma  intenti 
tutti  alle  prede  ed  alle  taglie  accrescevano  in  suo  danno  lo 
scandalo  del  cristianesimo.  Ne  prese  orrore  sopra  ogni  altra 
nazione  la  Spagna,  e  tanto  che  i  più  cospicui  personaggi 
ecclesiastici  e  secolari  non  si  peritarono  di  ricordare  al  so- 
vrano la  loro  devozione  verso  la  santa  sede  (2);  onde  al  nun- 
zio apostolico  Baldassare  Castiglione  sarebbe  avvenuto  di  far 
sospendere  le  funzioni  sacre  e  che  i  prelati  comparissero 
vestiti  a  bruno,  se  la  pratica  risaputasi  alla  corte  non  fosse 
stata  interrotta  con  qualche  riprensione  (3).  Ma  più  di  que- 
sto occupava  forte  l'animo  di  Cesare  il  pensiero  del  divor- 
zio proseguito  furiosamente  dal  re  d'Inghilterra.  Come  n'ebbe 
notizia  diede  incarico  al  Lannoy  di  parlarne  al  papa,  ma  con 
cautela,  affinchè  non  vi  vedesse  un'  esca  opportuna  per  tirare 
quel  re  a9suoi  fini:  avrebb'  egli  desiderato  che  con  due  brevi 
proibitivi  a  lui  e  al  cardinale  Wolsey  fosse  troncata  senz'al- 
tro la  quistione  (4).  Ben  si  vede  qual  peso  contrapponesse 


(1)  Rapporto  di  Mercurino  da  Gattinara  all'imper.  15  luglio  1527- 
Ibidem,  pag.  80. 

(2)  Li  prelati  et  grandi  di  questo  regno  hanno  fatto  dimostratione 
de  veri  christiani,  e  religiosi,  et  hanno  sentito  questa  disgratia  così 
gravemente,  che  Nostro  Signore  et  la  Chiesa  tutta  raggionevol- 
mente  gli  ha  da  esser  obbligata.  Baldassare  Castiglione  al  card. 
Agostino  Triculzio.  Valladolid  22  luglio  1 527.  Filippo  GuaUerio 
Corrispondenza  segreta  di  Gian  Matteo  Giberto  al  card.  Ag.  Trivul- 
zio.  Torino  1845,  pag.  248. 

(3)  Havendosi  pralticato,  et  convenendo  molti  in  questa  opinio- 
ne, et  essendo  più  d' una  volta  adunati,  la  cosa  si  seppe,  et  parve 
havesse  forma  di  nuova  comunità,  et  fuvi  posta  la  mano,  et  inter- 
rotta con  qualche  riprensione.  Bald.  Castiglione  a  Clemente  FU.  10 
die.  1527.  Ruscelli.  Lettere  di  principi. 

(4)  Valladolid  31  luglio  1527.  Bucholtz,  t.  3,  pag.  95. 


—  453  — 

agli  anteriori  disegni  contro  il  principe  di  Roma  il  bisogno 
che  della  sua  autorità  spirituale  aveva  l' imperatore  in  un 
negozio  famigliare  di  tanta  importanza. 

Aggiungasi  la  condizione  delle  cose  in  Italia.  Quanto 
diversa  la  trovò  Pietro  de  Veyre  da  quella  che  i  consiglieri 
di  Cesare  s1  erano  innanzi  immaginata  (i)\  Gli  antichi  amici 
malsicuri  o  già  passati  air  altra  parte  :  il  duca  di  Ferrara 
instigante  i  tedeschi  a  pigliare  il  pontefice  e  a  condurlo  in 
Lombardia;  il  cardinale  Colonna  in  gran  pratiche  con  quelli 
mentre  volteggiavano  per  Otricoli,  Terni,  Narni,  Spoleto 
tribolando  e  taglieggiando,  affinchè  tornassero  a  Roma  nella 
speranza  che  avrebbero  ucciso  il  papa  ;  P  esercito  tutto  di- 
sordinalo, senza  freno  alcuno,  minacciante  o  di  cambiar  ban- 
diera o  di  farsi  pagare  con  nuove  violenze  (2):  Clemente  VII 
air  avanzarsi  de' francesi  di  animo  rifatto  e  pertinace  (3). 

Non  era  più  dunque  possibile  insistere  nelle  prime  com- 
missioni date  al  Veyre.  In  conseguenza  del  suo  rapporto  es- 
sendosi ragunato  in  novembre  il  consiglio  di  stato,  Mercu- 
rino  da  Gattinara  grancancelliere  opinò  non  potersi  tener 
prigione  Clemente  se  lo  si  reputa  vero  papa,  e  con  lui  con- 
sentirono Garcia  Loaysa  vescovo  di  Osma,  Giovanni  Manuel 
e  il  conte  di  Kassau.  Luigi  de  Praet  fece  por  mente  alla  ne- 
cessità di  lasciarlo  uscir  del  castello  per  poter  menare  le 


(l)Suo  rapporto  all'imperatore  30  sett.  1527  Lanz  Corresp., 
t.  l,pag.  248-256. 

(2)  Contentabuntur  alemani  habere  pnpam  et  cardinales  in  po- 
testate  sua  et  bene  ipsi  reperient  modum  habendi  solutiones  suas. 
Andrea  da  Borgo  alVimper.  Ferrara  4  Ott.  1527.  Archicio  di  Siman- 
cu*  Neg.do  de  Estado  leg.  1553  msc. 

{3)  Je  crains  que,  avant  que  aions  mis  le  pape  en  liberte,  qui 
ne  nous  fache  du  cheval  escappe  ;  car  drsja  depuis  qui  sest  que  Ics 
Franchois  prosperent  en  Lombardie,  il  brave  el  fest  du  mauvais; 
mes  jei  espoir  de  le  lier  si  court,  que,  si  il  en  ast  le  vouloir,  il  nau- 
rat  le  pouvoir,  Rapporto  precitato  di  P.  de  Veyre,  pag.  252. 


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truppe  alla  difesa  del  regno  di  Napoli  ;  valer  meglio  avve- 
nisse ciò  per  volontà  dell'  imperatore  che  per  forza  altrui: 
si  osservassero  del  resto  le  sopraccennate  commissioni  m 
quanto  fosse  possibile;  e  a  questa  sentenza  stette  Poupetde 
la  Chaulx.  Infine  tutti  convennero  nel  partito  della  libera- 
zione in  ogni  caso  del  pontefice  (4). 

Però  innanzi  che  giugnessero  i  nuovi  ordini  a  Roma 
varie  ragioni  concorsero  ad  affrettarne  la  esecuzione.  Cle- 
mente non  aveva  pagati  che  i  primi  centocinquantamila  du- 
cati della  somma  convenuta  nel  trattato  del  5  giugno,  parte 
dei  quali  gli  fu  prestata  da  mercatanti  genovesi  sopra  le  de- 
cime del  regno  di  Napoli  e  sopra  la  vendita  dei  sali  a  Bene- 
vento ;  il  perchè  i  tedeschi  condussero  tre  volte  gli  staticbi 
incatenati  in  Campo  de' Fiori,  minacciandoli  della  forca  se 
il  resto  tardasse.  Ma  quando  uscirono  di  Roma  per  allar- 
garsi nelle  terre  vicine,  quegli  infelici,  serbati  come  Y  unico 
pegno  per  ottenerlo,  poterono  sottrarsi  colla  fuga  ubriacando 
le  guardie.  Questa  fuga  e  il  flagello  della  peste  e  il  timore 
della  venuta  di  Lautrec  resero  più  arrendevoli  gli  imperiali. 
Giovò  pure  che,  dopo  la  morte  del  viceré  Lannoy  avvenuta 
ad  Aversa  il  dì  23  settembre,  fosse  principale  ministro  delle 
negoziazioni  col  pontefice  il  generale  de'  francescani  (Fran- 
cesco Quignonez,  spagnuolo,  conosciuto  nel  chiostro  e  alle 
corti  sotto  nome  di  fra  Francesco  degli  Angeli),  il  quale  per 
la  cupidità  del  cappello  gli  era  tanto  favorevole  quanto  don 
Ugo  di  Moncada  e  Pietro  de  Veyre  che  v'  intervennero  del 
pari,  l' uno  per  natura  sua,  V  altro  per  le  instruzioni  portate 
seco  ne  avevano  l' animo  alieno.  In  ultimo  la  necessità  di 
provvedere  ai  pagamenti  delle  truppe  fu  anche  cagione  che 
manco  si  pensasse  ad  assicurarsi  per  il  tempo  futuro  del  pon- 
tefice (2),  e  così  ai  26  novembre  4527  si  conchiuse  l'accor- 

(\)Bucholtz,  t.  3,  pag.  119. 

fi)  Lo  exercito  del  imperatore  (così  scrivevasi  di  Roma  li  20 
ott.  if)27  ai!  Andrea  da  Borgo  in  Ferrara)  non  partirà  de  Roma  sia 


—  455 

do,  in  virtù  del  quale  egli  venne  ristabilito  non  solamente 
fieli'  officio  suo  spirituale,  ma  eziandio  neir  autorità  tempo- 
file.  In  contraccambio  promise  di  convocare  un  concilio  uni- 
Tersale  per  la  riforma  della  Chiesa  e  per  la  estirpazione  della 
eresia  luterana,  dando  a  sicurtà  della  osservanza  Ostia,  Ci- 
vitavecchia, Civita  Castellana  e  Forlì,  e  come  ostaggi  Ippo- 
lito ed  Alessandro  suoi  nipoti,  Gian  Matteo  Giberto  vescovo 
di  Verona,  Jacopo  Salvati  e  i  cardinali  Trivulzio  e  Pisani; 
questi  due  ultimi  fino  al  ritorno  di  Galeotto  Medici  allora 
assente  (4).  Con  particolare  trattato  dello  stesso  giorno  sta- 
bili i  termini  allo  sborso  de'danari  per  il  suo  riscatto:  73169 
scudi  entro  cinque  giorni,  35000  al  momento  della  liberazio- 
ne, 44984  Vi  quindici  giorni  dopo,  50000  in  ognuno  dei  tre 
mesi  susseguenti,  ed  altri  65000  nel  trimestre  successivo,  e 
per  averne  i  mezzi  si  obbligò  di  creare  alcuni  cardinali  e  di 
concedere  la  vendita  della  decima  parte  de'beni  ecclesiastici 
nel  regno  di  Napoli  (2).  Tanto  sono  profondi  i  giudizii  divini  ! 
esclama  a  ragione  il  Guicciardini  :  per  uscire  di  carcere  ri- 
corse a  que'rimedii  ai  quali  non  aveva  voluto  ricorrere  per 
non  entrarvi,  e  convertì  in  uso  e  sostentazione  di  eretici 
quel  eh9  era  dedicato  al  culto  di  Dio. 

Però  sebbene  fosse  stabilito  che  il  di  dieci  dicembre 
dovessero  gli  spagnuoli  condurlo  in  luogo  sicuro,  temendo 
di  qualche  variazione  per  la  mala  volontà  di  don  Ugo  di  Mon- 
cada  (3),  la  notte  innanzi  fuggì  travestito  dal  castello  e  fu 
da  Luigi  di  Gonzaga  capitano  imperiale  accompagnato  insino 
ad  Orvieto.  Ivi  appena  giunto  scrisse  lettere  a  Carlo  V  e  a 

a  tanto  sij  seguito  o  excluso  lo  accordo  del  papa,  et  excludendosi 
conducto  in  securo.  Andrea  da  Borgo  all'  imper.  Ferrara  26  ott. 
1527.  Archivio  di  Simancas  Estado  leg.  1553  msc. 
(\)  Bucholtz,\.  3,pag.  122. 

(2)  Capitoli  per  la  liberazione  di  Clemente  VII  26  nov.  1527.  Mo- 
lini.  Doc.  di  stor.  ital.,  t.  1,  pag.  273-278. 

(3)  P.  Jocius  \ita  Poiupeji  Colunuine,  pag.  197. 


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Francesco  I  ond'è  manifesto  l'intendimento  di  non  ristri- 
gnersi  subito  con  veruno,  sì  di  scusare  con  la  necessità  ogni 
nuova  deliberazione;  imperocché,  mentre  rendeva  grazie  a 
quello  della  sua  liberazione  e  a  questo  dei  buoni  offici  pre- 
statigli, dolevasi  con  l'uno  degli  ostaggi  e  delle  terre  date  ia 
sicurtà  (i),  e  dichiarava  all'  altro  aver  sperimentati  quegli 
offici  insufficienti  a  soccorrerlo  (2).  Per  vero,  contro  a  Cesare 
il  risentimeto  era  in  lui  pari  all'oltraggio  patito;  e  pur  offen- 
devasi  ancor  più  che  Firenze  e  Ferrara  fossero  accolte  in  pro- 
tezione della  Francia,  e  Venezia  ritenesse  Ravenna  e  Cervia; 
quelle  città  appunto  che  Giulio  li  si  era  recato  a  grande  onore 
di  riacquistare.  Reputava  bensì  sommamente  pericoloso  che 
Celare  avesse  insieme  Milano  e  Napoli;  anzi  diceva  che  non 
impedendolo  a  tempo  ei  sarebbe  padrone  perpetuo  di  tutte  co- 
se (3),  ma  quando  eccitavamo  i  francesi  a  confermare  la  lega, 

(1)  Vostra  m.ta  può  pensare,  con  quanto  honore  et  autorità  noi 
siamo  per  poter  fare  et  procurare  presso  a  chi  bisognerà  bene  al- 
cuno, immentre  che  epsi  obstaggi  et  terre  date  saranno  ritenuti... 
non  dubitiamo  che  tosto  la  rileverà  noi,  questa  santa  sede  et  la  re- 
puhlica  Christiana.  Orvieto  11  gen.  1528  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag. 
258.  Tuttavia  per  fargli  cosa  grata  fece  le  viste  da  principio  di  cre- 
dere che  siasi  tardata  tanto  la  sua  liberazione  per  la  morte  avve- 
nuta del  viceré,  conforme  a  ciò  che  diceva  e  scriveva  Cesare  mede- 
simo :  stendo  vuestro  nuncio  testigo  de  mi  buena  intencion  .  . .  y  de 
quanto  he  holgado  de  su  deliberacion,  aunque  ha  nido  mas  Iarde 
que  yo  quiziera,  de  que  fue  causa  la  muerle  del  visorey  de  Napoles, 
quien  pormi  tenia  cargo  principalmente  dello,  y  de  hazer  lodemas 
a  contentamiento  de  vuestra  santidad.  Burgos  20  febbraio  1527. /fo- 
dero, pag.  262. 

(2)  Nec  singulare  tuum  studium  ac  voluntas  ad  nos  vi  liberan- 
dos  profìcere  posse  viderenlur,  quin  in  dies  magis  res  nostrae  de- 
teriores  et  conditiones  acerbiores  fierent,  descendimus  necessario 
ad  eas  conditiones,  quas  a  nobis  illa  cui  iam  obsisti  nullo  pacto  po- 
terat  necessitas  exlorsit.  14  die.  1527.  Molini  Doc.  di  stor.  ital.  t.  1, 
pag.  280.  Le  cose  medesime  sono  ripetute  nella  lettera  a  Luigia  di 
Savoia  madre  del  re.  Ibidem,  pag.  283. 

(3)  Si  Caesari  permittatur  aliquid  possidere  in  Italia  praeter- 


—  457  - 

rispondeva  essere  strana  la  proposta  ch'egli  sì  acconci  a  ciò 
che  fu  fatto  contro  di  lui  :  i  fiorentini  hanno  mandato  in  ro- 
vina la  mia  famiglia;  il  duca  di  Ferrara  mi  fece  guerra  in 
ogni  occasione,  ed  io  dovrei  tuttavia  confederarmi  con  essi  !  (i). 
Indarno  monsignore  di  Lnngavalle,  venuto  in  nome  di  Fran- 
cesco, prometteva  che  il  re  non  darehhe  Napoli  all'  imppra- 
tore  per  riavere  i  figlinoli,  ma  lo  porrebbe  invece  in  arbitrio 
di  lui.  Dubita  il  papa,  scrive  Gio.  Battista  Sanga5  che  ciò  sia 
vero.  Considera  gli  armamenti  che  fa  Cesare  in  Germania, 
V  esito  incerto  della  guerra,  la  grandezza  dell9  affetto  pater- 
no; ma  perchè  queste  cause  non  si  possono  dire  senza  mettere 
i  francesi  in  diffidenza,  scusa  la  lentezza  sua  con  altre  ra* 
gioni:  non  voler  privarsi  della  fede  che  l'imperatore  mostra 
avere  in  lui;  poter  servirsene  di  strumento  opportuno  a  trat- 
tare col  re  e  cogli  altri  principi  cristiani  il  bene  comune;  al 
contrario  di  nessun  frutto  tornare  ai  collegati  la  dichiarazio- 
ne sua,  senza  danari,  senza  forze  e  senza  autorità  (2).  Nondi- 
meno, per  (schermirsi  il  meglio  che  potesse,  offerì  di  consentir- 
vi, ma  con  condizioni  che  sapeva  non  avrebbero  effetto  :  ces- 
sione delle  terre  nel  Napolitano  siale  già  assegnate  in  una 
convenzione  con  Leone  X;  stabilimento  in  quel  reame  di  un 
principe  a  grado  suo;  restituzione  di  Ravenna  e  Cervia,  e 
sicurezza  di  ricuperar  Modena  e  Reggio  (3).  Le  gravi  ammo- 
nizioni avute  da  Dio  non  bastarono  a  fargli  deporre  né  le 


quam  in  regno  Neapolitano,  omnium  rerum  semper  erit  dominus, 
nisi  mature  confundatur.  Gregorio  da  Casale  a  T.  Wolsey  presso 
Fiddes  Life  of  Wolsey.  p.  467. 

(1)  Nic.  ttaince  au  Gr.  Maitre  28  genn.  1528.  Ardi,  imper.  di  Pa- 
rigi. Vedi  anche  R.  Jerningham  to  Wolsey.  Bologna  24  die.  1527. 
State  papers,  t.  7.  pag.  29. 

(2)  AI  protonolario  fìambara  nunzio  in  Inghilterra.  Orvieto  9 
febb.  1528,  Ruscelli.  Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  83. 

(3)  Risposte  date  a  monsignor  di  Lougavalle  a  nome  di  papa 
Clemente,  ibidem,  pag.  85. 

»0 


—  458  — 

sue  astuzie,  né  le  sue  cupidità;  deliberato  a  regolarsi  secon- 
do le  congiunture,  volle  stare  a  vedere  da  qual  parte  piegas- 
se la  fortuna  delle  armi. 

IV.  Mostraronsi  in  questo  mezzo  vane  le  pratiche  di  pa- 
ce condotte  dai  re  di  Francia  e  d'Inghilterra  unicamente  per 
addormentar  l'imperatore  nelle  provvisioni  della  guerra. 
Sono  le  arti  medesime,  dicevano,  da  lui  usate  verso  di  noi  fi); 
ond'  egli,  che  n'era  maestro,  non  dubitò  largheggiare  in  pro- 
messe (  di  restituire  il  ducato  allo  Sforza,  di  accettare  i  due 
milioni  offerti  in  compenso  della  Borgogna,  e  di  comporre 
con  i  Veneziani,  con  i  Fiorentini  e  con  gli  altri  confederati), 
insistendo  però  sulla  immediata  partita  dell'esercito  nemico 
d' Italia,  il  che  ricusava  Francesco,  se  prima  non  fossero  li- 
berati i  figliuoli  suoi  (2). 

Laonde,  non  aspettata  ne  anco  la  intimazione  di  guer- 
ra, avvenuta  il  di  22  gennaio  4528,  mosse  Lautrec  a' nove 
di  quel  mese  da  Bologna,  indirizzandosi  per  la  via  della  Ro- 
magna e  della  Marca  al  reame  di  Napoli.  Ivi  non  ebbe  si  to- 
sto occupata  Aquila,  (  illustre  in  ogni  tempo  per  la  grandez- 
za dei  fatti  ai  quali  diede  movimento,  posta  com'ella  è  in 
sito  fortissimo,  a  mezzo  la  catena  degli  Apennini  ),  che  una 
dopo  l' altra  gli  si  arresero  tutte  le  terre  dell'  Abruzzo  colla 
facilità  solita  a' popoli  cui  sembra  libertà  il  cambiar  padro- 
ne. Ne  avrebbero  seguitato  l'esempio  in  brevissimo  tempo 
le  altre  Provincie,  se  non  fosse  venuto  incontro  l'esercito 
imperiale.  Il  quale  dopo  molte  difficoltà  e  tumulti  per  i 


(1)  Monsignore  Longavalle  disse  al  papa  che  le  pratticbe  che 
lor  maestà  tendono  vive  in  Ispagna,  non  sono  per  concludere,  ma 
per  addormentar  l'imperatore  nelle  provisioni  che  potila  fare  in 
Italia;  con  la  qual  arte  dicono  esser  proceduta  sua  Maestà  verso  gli 
altri.  Lettera  precitata  di  Ciò:  Battista  Scinga,  pag.  82. 

(2)  Der  Kaiser  ;  n  Nicolas  Perrenot  (ambasc.  in  Francia)  Bur- 
gos  5  feb.  1528.  Lanz  Corresp.  t.  1,  pag.  259. 


—  459  — 

soldi  mancati  (i),  non  avendo  papa  Clemente  adempiuta  la 
obbligazione  sua  (2),  ricevute  infine  due  sole  paghe  (3),  uscì 
di  Roma  il  decimosettimo  giorno  di  febbraio;  giorno  d'in- 
termissione alle  lunghe  miserie  di  quel  popolo,  perchè  poco 
stante  vi  entrarono  Napoleone  Orsini  detto  abate  di  Farfa, 
ed  altri  di  sua  famiglia  con  i  loro  villani,  facendovi  per  mol- 
ti di  gravissimi  danni. 

La  partita  dell'esercito  imperiale  da  Roma  sotto  la  ca- 
pitanar) za  del  principe  di  Orange,  costrinse  Lautrec  a  pi- 
gliare, in  luogo  del  cammino  più  diritto  verso  Napoli,  il  più 
lungo  di  Puglia  accanto  alla  marina,  siccome  più  facile  a  con- 
durre le  artiglierie  e  a  fare  provvisione  di  vettovaglie.  San  Se- 
vero, Nocera  e  Foggia  gli  si  arresero  al  primo  invito;  ma 
Troja,  in  atto  di  fare  lo  stesso,  fu  salva  dal  marchese  del 


(1)  Se  ne  duole  l'imperatore  scrivendo  da  Burgos  il  21  novem- 
bre 1527  al  fratello  Ferdinando.  «  Selon  l«»s  nouvelles  que  iax  de  la 
dyvision  quii  y  a  entre  les  gens  de  mon  armee  qui  fureut  a  la  prie- 
se  de  Rome  et  la  discorde  quii  y  a  enire  leurs  capitaines  de  sorte 
quii  ne  tiennent  eucoires  nul  pour  leni*  chii  f  mais  chascun  denlx 
pretend  de  lestre,  et  si  leur  cioit  fon  beaucoup  de  /<  ur  soulde  votjree 
si  tres  grande  somme  quii  y  aurati  bien  affaire  a  trourer  tant  d 'ar- 
gent,  quii  seroit  necessaire  pour  les  bien  payer  quest  lempeehement 
pourquoy  la  diete  armee  a  tant  demoure  enlour  Home  oysruse  sans 
vouloir  bouger  ny  aller  secouryr  le  estat  de  Milan.  Gevay,  Urkunden 
op.  cit.  fase.  I,  pag.  117. 

(2)  Non  valgon  a  fargli  compiere  il  capitolato,  i  lamenti  de' Ro- 
mani, e  gridi  dei  paesani,  i  qtiai  paisrono  grandissimi  e  intol'era- 
bili  danni,  e  sanno  che  r esercito  partirebbe  da  Roma,  e  dal  paese, 
se  fusse  pacato;  e  non  di  m-no  S.  S.  non  si  move,  ne  si  può  cono- 
scere se  voglia  pagare,  o  qu:  n  !o.  Girolamo  Murane  a  Girlo  P,  Ro- 
ma 18  genn.  1528.  Tullio  Dandolo,  Ricordi  inediti  di  Girolamo  Mo- 
rone, pajr.  245. 

(3)  Queste  due  paghe  portò  il  principe  Filiberto  d' Orange  da 
Napoli,  dov'era  andato  in  persona  per  far  l'ultimo  sforzo  ond' esser 
aiutato  di  danari.  Girol.  Moroue  a  Carlo  V,  Roma  11  feb.  1528,  /&/- 
dei*,  pag.  219. 


—  460  — 

Guasto  accorso  colla  gente  più  spedita  di  spaglinoli  e  italia- 
ni cavalleggeri.  Ivi  venne  il  principe  di  Orange  eoa  la  mag- 
gior parte  delle  sue  truppe,  mentre  le  rimanenti  mandò  a 
presidio  di  Napoli  e  di  Capua  (1),  e,  preso  un  alloggiamento 
forte  in  sul  colle,  stette  sette  giorni  di  faccia  al  nemico,  a- 
spettando  l'artiglieria,  lasciata  in  custodia  di  Giulio  Colon- 
na a  Montefortino,  e  i  danari  per  la  paga  de' tedeschi,  pro- 
messi da  don  Ugo  di  Moncada  succeduto  al  Lannoy  nel  vi- 
cereame. Ma  le  une  e  gli  altri,  ed  anche  le  genti  richiamate 
dalla  Terra  di  Lavoro  tardarono  tanto  a  venire,  che  al  Lautrec 
sopraggiunsero  tutte  le  milizie  lasciate  in  Abruzzo,  cioè  il 
duca  di  Urbino,  il  marchese  di  Saluzzo  e  Orazio  Baglione 
colle  bande  nere;  onde  al  Lautrec  medesimo  era  fatta  abilità 
di  passare  dalle  scaramucce  de'giorni  antecedenti  a  battaglia 
campale.  Avendo  oltracciò,  dopo  un  inutile  tentativo  di  sni- 
dare gl'imperiali  dal  colle,  girato  loro  intorno  per  guisa  che 
restarono  in  mezzo  tra  l'esercito  suo  e  San  Severo,  erano 
impedite  ad  essi  le  vettovaglie  condotte  dai  luoghi  vicini, 
delle  quali  sentivano  già  estremo  bisogno  (2),  essendoci  in 
Troja  bensì  molto  grano,  ma  non  modo  di  macinarlo,  e  far 
pane,  né  vino.  Per  queste  ragioni  nella  notte  del  21  marzo 
si  ritirò  il  principe  di  Orange  ad  Ariano,  lasciando  però  a 
Melfl  ser  Gianni  Caracciolo,  principe  di  quella  città,  con  quat- 
tro battaglioni  spagnuoli  e  con  le  genti  italiane  capitanate  da 


(1)  Girol.  Morone  a  Carlo  V.  Benevento  2  marzo,  e  Troya  7  mar- 
zo 1528,  Ibidem,  pag.  252,  253. 

(2)  Assayerent  de  nous  desloger  du  fort  ou  nous  estions  acups 
dartillerie  ;  mais  cestoit  de  si  loing,  quelle  ne  nous  peut  fere  mal .... 
Et  nous  aultres  ayans  faulte  dartillerie  ne  bougeasmes,  en  sorte 
quilz  nous  vindrent  tournoyans,  pensans  nous  oster  les  vivres;  et 
ja  y  a  six  jours  que  nous  sommes  ainey  voisins,  et  de  vray  nous  a- 
vons  grand  necessite  de  vivres.  Philibert  von  Oranien  an  den  hai" 
ser  Troya  20  mar.  1528,  Lanz  Corrosp.,  t.  !,  pag.  263. 


—  464  — 

Lodovico  de*  Gonzaga  (4).  Mosse  allora  contro  Melfi  Pietro 
Navarro  colle  bande  nere  e  con  i  fanti  guasconi,  e  dopo  due 
sanguinosissimi  assalti  la  espugnò  con  grande  uccisione,  favo- 
rito dai  villani  tumultuanti  che  vi  erano  dentro,  i  quali  presero 
il  principe  Caracciolo  (2).  Ne  conseguitò  la  dedizione  alLau- 
trec  di  Barletta,  Trani,  e  di  tutte  le  terre  circostanti  della 
Puglia,  eccetto  Manfredonia;  indi  la  conquista  di  Venosa  e 
di  Ascoli,  l'una  per  opera  dello  stesso  Navarro,  l'altra  dei 
veneziani.  Ma  queste  sue  prosperità,  se  da  una  parte  indus- 
sero il  duca  di  Ferrara  a  mandare  il  figliuolo  Ercole  in  Fran- 
cia per  la  perfezione  del  matrimonio  con  la  principessa  Re- 
nata, che  prima  aveva  industriosamente  differito,  tornarono 
dall'altra  in  grave  danno  delia  impresa  principale.  Gl'indu- 
gi per  esse  causati  diedero  agio  al  principe  di  Orange,  come 
ebbe  nuova  del  caso  di  Melfi,  di  ridursi  in  salvo  ad  otto  mi- 
glia da  Napoli;  donde,  conosciuto  ben  tosto  non  esservi  al- 
cun luogo  opportuno  a  tener  l'esercito  forte  e  sicuro  dalle 
artiglierie,  e  costretto  eziandio  di  compiacere  ai  soldati  che 
altrimenti  avrebbero  fatto  a  lor  posta,  entrò  nella  città  il  di 
undici  aprile,  facendosi  precedere  da  Girolamo  Morone  col 
grave  officio  di  trovar  danari  e  di  dar  ordine  alle  vettova- 
glie (3).  Le  relazioni  del  quale  sugli  eventi  della  guerra, 
scritte  a  Carlo  V  per  incarico  avuto  dal  barone  de  Veyre  (4) 
restano  documenti  dell'alto  suo  senno  infelicemente  profuso 
ad  illuminare  il  prepotente  occupatore  dell"  Italia. 

Solo  ai  primi  di  aprile,  lasciati  a  guardia  di  Puglia  cin- 

(1|  Girolamo  Morone  a  Carlo  V,  Ariano,  marzo  1528,  T.  Dando- 
io.  Ricordi  inediti,  pag.  256. 

(2)  Lo  stesso,  apr.  1528,  Ibidem,  pag.  258.  Concorda  con  lui 
Giovio  (Historiarum  sui  temporis,  lib.  XXV,  pag.  40). 

(3)  Lo  stesso,  Napoli,  aprile  e  maggio  del  1528,/62cfe???,p.258.259. 

(4)  Perchè  ho  dicata  la  mia  perpetua  servitù  a  V.  M.  accettai  ta- 
le incarico,  nel  quale  non  mancherò  de  diligentia  e  fede,  Ibidem, 
pag.  241. 


-  462.  — 

quanta  uomini  di  arme,  dugento  cavalli  leggieri,  e  circa  due- 
mila fanti,  tutti  dei  veneziani,  procedette  Laut ree  verso  Na- 
poli, ricevendo  la  dedizione  di  Capua,  Nola,  Acerra,  Aversa 
e  di  altre  terre  circostanti;  ma  con  tanta  lentezza,  per  le  vie 
rotte  da  piogge  smisurate  e  per  la  difficoltà  di  trovar  viveri 
sufficienti  al  grosso  esercito,  che  non  prima  del  ventuno 
giunse  a  tre  miglia  della  città,  nel  qual  giorno  ebbe  luogo 
una  scaramuccia  che  costò  la  vita  al  sopraccennato  Veyre,  e 
il  penultimo  dì  del  mese  si  pose  a  campo  tra  Poggio  Reale  e 
il  morite  di  san  Martino  (i). 

Deliberato  di  attendere  non  alla  espugnazione,  ma  al- 
l'assedio, volse  ogni  cura  ad  impedire  che  anche  per  mare 
entrassero  vettovaglie  agi' inimici,  sollecitando  a  quest'uopo 
la  venuta  delta  flotta  veneziana.  La  quale  (  dopo  la  impresa 
di  Sardegna  fatta  nel  novembre  dell'anno  antecedente  di 
conserva  con  Tarmata  francese  e  con  le  galee  di  Andrea  Do- 
ria,  ma  capitata  male,  sia  per  i  tristissimi  tempi,  sia  per  le 
discordie  tra  i  capitani,  e  in  particolare  tra  il  Doria  medesi- 
mo e  Renzo  da  Ceri  che  vi  condusse  i  suoi  tremila  fanti) 
guerreggiando  nelle  acque  di  Puglia  sotto  il  comando  di  Pie- 
tro Landò  succeduto  a  Giovanni  Moro,  aveva  già  occupato 
Trani  e  Monopoli,  e  tuttavia  tardò  ancora  di  rispondere  alla 
chiamata,  per  pigliar  prima  Polignano,  Otranto  e  Brindisi, 
cioè  i  porti  lutti  posseduti  dalla  Repubblica  innanzi  alla  rot- 
ta di  Agnadello,  che  secondo  le  ultime  convenzioni  col  redi 
Francia  dovevano  esserle  restituiti.  Di  questo  indugio  pensò 
giovarsi  Ugo  di  Moncada  assalendo  alla  sprovvista  le  otto 
navi  di  Filippino  Doria,  che,  gettate  le  ancore  nel  golfo  di 
Salerno,  stava  specolando  gli  eventi.  Allestiti  pertanto  dodi- 
ci legni,  dei  quali  sei  galee  imperiali,  quattro  fusto  e  due 
brigantini,  e  messivi  sopra  seicento  archibugieri  spagnuo- 
li  dei  più  valorosi,  e  dugento  tedeschi,  partì  da  Posilippo  il 

(1)  Ibidem,  pag.  260. 


-  463  - 

di  27  maggio  con  alcuni  capitani  di  maggior  grido,  e  Fabri- 
zio Giustiniano,  nomato  il  Gobbo,  delle  cose  marittime  spen- 
tissimo. Ma  giunto  air  isola  di  Capri  perde  tempo  ad  ascol- 
tare la  conclone  di  certo  Consalvo  Baretto  eremita  spagnuo- 
lo  che,  soldato  prima,  ed  ora  renduto  a  Dio,  era  in  voce  di 
santo,  mentre  le  sue  genti  incoravansi  con  laute  commessa- 
zioni.  Cosi  avvenne  che  invece  di  sorprendere  fu  sorpre- 
so, imperciocché  Filippino,  avuto  avviso  da  Biondo  Agnese 
napolitano  del  p;  ricolo  ond'era  minacciato,  recossi  a  bordo 
trecento  archibugieri  guasconi  mandatigli  con  grandissima 
celerità  dal  Lautrec,  e  come  scoperse  da  lontano  Tarmata 
degl'inimici  il  dì  28  verso  sera,  sferratosi  dalla  spiaggia,  le 
andò  incontro,  commettendo  a  Nicolò  Lomellino  che  con  tre 
galee  si  allargasse  nel  mare  sotto  specie  di  fuga,  per  avven- 
tarsi poi  spedito  alla  riscossa  delle  pericolanti  dopo  ingaggia- 
ta la  battaglia.  La  quale,  combattuta  nel  felicissimo  sito  del- 
la costa  di  MalQ  detto  la  Cava,  anticamente  seno  pestano, 
incominciò  con  augurio  buono  pei  genovesi,  avendo  un  solo 
sparo  di  cannone  spazzato  via  quaranta  spagnuoli  col  capi- 
tano di  su  la  galea  del  viceré  Moncada,  Nondimeno,  e  seb- 
bene schivassero  meglio  il  fuoco  de' moschetti  riparandosi 
tra  i  pavesi,due  delle  lor  navi  abbordate  da  tre  imperiali  sta- 
vano già  per  arrendersi,  quando  a  golfo  lanciato  sopraggiun- 
se il  Lomellino  con  la  riserva.  £  con  tanto  impeto  investì  la 
capitana  del  nemico,  che  in  un  punto  stesso  le  ruppe  l'albe- 
ro maestro  eie  sfondò  la  fasciatura;  Moncada  ferito  nel 
braccio,  mentre  confortava  i  suoi,  fu  morto  dai  sassi  e  dai 
fuochi  gittati  dall'alto  delle  gabbie.  Colse  Filippino  quell'i- 
stante per  sciogliere  i  forzati,  la  più  parte  Turchi  e  Neri,  che 
aveva  seco,  i  quali  per  il  promesso  premio  della  libertà  fe- 
cero prodigii  di  valore,  parte  tuffandosi  in  mare  con  le  sci- 
mitarre strette  fra  i  denti  per  arrivare,  nuotando,  alle  galee 
degli  odiati  spagnuoli,  parte  vibrando  fuochi  lavorati,  e  pie- 
tre e  ferri,  tutto  quello  in  somma  che  la  rabbia  per  arme 


—  464  — 

ministra.  Del  navilio  imperiale  non  salvaronsi  che  due  legni; 
anzi,  indi  a  pochi  giorni,  anche  uno  di  questi  condotto  da 
un  marchese  Doria  napolitano  passò  ai  francesi,  sgomento 
pel  caso  avvenuto  al  capitano  dell'altro  legno,  che  il  princi- 
pe di  Orange  appena  ebbe  nelle  mani  fece  strozzare  per 
sospetto  di  tradimento.  Oltre  al  Moncada,  Cesare  Fieramo- 
sca  ed  altri  mille  cessarono  la  vita;  venti  condottieri,  tra  i 
quali  Ascanio  Colonna  e  il  marchese  del  Guasto,  rimasero 
prigioni,  e  lo  storico  Paolo  Giovio,  spettatore  della  battaglia 
dalle  coste  d' Ischia,  andò  il  dì  susseguente  in  nome  delle 
mogli  loro  a  confortarli  sulla  capitana  di  Filippino  Doria. 
Questi  li  mandò  poi  a  suo  zio  Andrea  in  Genova  (1). 

Crebbe  questa  vittoria  quanto  le  speranze  de' francesi 
altrettanto  i  patimenti  degl'imperiali.  Pozzuulo  era  già  in 
mano  di  Lautrec  ed  ora  gli  si  arrese  Castello  |a  Alare;  due 
strade  principali  per  le  quali  conducevansi  le  vettovaglie 
a' nemici.  Le  sedici  galee  veneziane,  dopo  essersi  impadro- 
nite de' porti  nell'Adriatico,  eccetto  la  fortezza  di  Brindisi, 
vennero  finalmente  il  42  giugno  a  congiugnersi  colle  geno- 
vesi nel  golfo  di  Napoli  (2);  sicché,  chiuso  essendo  anche  il 
mare,  aumentò  tanto  la  carestia  di  farina,  di  carne,  e  mas- 
sime di  vino  nella  città,  che  i  tedeschi  stavano  per  ammuti- 
narsi. Vero  è  che  vedendo  poi  darsi  loro  tutto  quel  vino  che 
c'era  e  i  rimanenti  soldati  bever  acqua,  mossi  dalle  instanze 
del  principe  di  Orange,  promisero  sopportare  come  gli  altri 
gF incomodi  dell'assedio  (3);  ma  Girolamo  Morone  non  yì 
si  acquetava,  parendogli  cosa  contraria  alla  indole  naziona- 


(1)  Pauli  Jovii  Historiarumsui  temporis,  t.  2,lib.  XXV,  p.  43—47. 

(2)  Der  prinz  von  Oranien  au  cien  kaiser  14  juni  1528.  Lanz 
Corresp.  t.  1,  pag.  271. 

(3)  Que  ne  sera  jamais  dit,  que  par  faulte  de  viri  Alemans  ren- 
derli une  ielle  ville  que  ceste  cy.  Ibidem.  Girolamo  iMorone  a  Car- 
lo V,  T.  Dandolo,  op.  cit.,  pag.  261. 


-  468  - 

le  (4).  In  fatto,  disperati  di  pronti  soccorsi  gran  parte  di  loro 
minacciarono  di  passare  al  Lautrec  se  insino  a  un  dato  gior- 
no non  ricevevano  la  paga  (2).  Questa  era  stata  accordata  in 
trentaquattroinila  scudi  al  mese  per  gli  spagnuoli,  e  in  no- 
vantaduemila per  i  tedeschi.  Yi  si  provvide  da  principio 
componendo  con  i  baroni  in  danari  l'obbligo  del  servigio 
personale  e  con  altri  modi  straordinarii,  poi  col  dissotterra- 
re gli  argenti  nascosti;  infine  non  restò  più  che  vendere  me- 
tà de9 grani  mandati  dal  viceré  di  Sicilia  a  Gaeta,  non  ostan- 
te i  bisogni  dell'esercito  (3).  Ma  grande  era  la  difficoltà  di 
far  entrare  il  danaro  ritrattone,  sia  per  il  mare  bloccato  (4), 
sia  perchè  il  principe  di  Melfi  convenuto  nuovamente  con  i 
francesi,  per  non  essersi  gl'imperiali  dato  pensiero  della  sua 
liberazione,  avendo  ricuperato  Fondi  e  la  terra  circostante, 
teneva  stretti  gli  spagnuoli  dentro  la  città  stessa  di  Gaeta. 
Nel  tempo  medesimo  Simone  Tebaldi  romano,  mandato  da 
Lautrec  in  Calabria,  vi  faceva  progressi,  acquistando  con 
duemila  fanti  tra  còrsi  e  paesani  Cosenza  a  discrezione  e 
poscia  Catanzaro.  A  tutto  questo  aggiungevasi  la  pesti- 
lenza portata  da  Roma  a  Napoli. 

D'altra  parte  nell'esercito  francese  non  procedevano  le 
cose  con  migliore  fortuna.  Essendosi  per  le  infermità  dimi- 
si) Per  la  complessione,  natura,  e  consuetudine  loro  di  ber  as- 
sai vino,  temo  che  non  saranno  patienti  lungamente  di  non  haver 
altro  che  pan  et  acqua,  maxime  non  essendovi  modo  di  dargli  da- 
nari, et  anche  perchè  horrnai  son  fuori  di  speranza  del  soccorso 
delti  Alemanni.  Ibidem,  pag.  266.  Ma  chome  a'ianzi  del  tutto  man- 
cherà il  vino,  se  pensa  eh*  e'  non  si  hahbino  a  ricordare  del  giura- 
mento. Marco  del  Nero  (oratore  fiorent.)  al  magistrato  de* Dieci  a 
Firenze.  Napoli  JO  giugno  1528.  Molini  Doc.  di  stor.  Ita!,  t.  2,  pag.  64. 

(2)  Girolamo  Morone  a  Carlo  V.  T.  Dandolo  op.  cit.,  pag.  263. 

(3)  Ibidem,  pag.  262  e  265. 

(4)  Lesperance  que  javoye  davoir  argent  de  Gayette,  du  bled 
que  y  estoit  venu,  duquel  se  fait  vendre  la  moytie ....  est  quasi 
despere.  Rapporto  precitato  del  principe  di  Grange  14  giug.  1528. 
Lanz  Corresp.  1. 1,  pag.  271. 


—  466  — 

n  trita  di  molto  la  fanteria,  e  mancando  i  guastatori,  non  si 
lavoravano  con  la  dovula  celerità  le  trincee;  onde  gl'impe- 
ri ali  superiori  di  cavalleggieri  ogni  di  correvano  le  strade, 
m  assialmente  quella  che  va  a  Somma,  conducendo  gran  co- 
pia di  viveri.  Non  riceveva  oltracciò  il  Lautrecdi  Francia  le 
necessarie  provvisioni,  né  per  levar  nuove  genti,  secondo  i 
consigli  de' confederati,  né  tampoco  per  il  soldo  delle  trup- 
pe, importante  al  mese  dugentosessantamila  lire.  Ne  ab- 
biamo documento  nelle  rimostranze  fatte  al  re  Francesco, 
dalle  quali  appare  eziandio  che,  per  compire  l'assedio,  in- 
stava gli  fossero  mandati  per  mare  seimila  fanti  tra  lanzi- 
chenecchi e  francesi  (1).  Vollaronsi  altresì  in  sinistri  i  pro- 
speri successi  della  Calabria,  avendovi  il  conte  di  Borello, 
figliuolo  del  viceré  di  Sicilia,  condotto  un  rinforzo  di  faoti; 
e  in  Puglia  coloro  che  tenevano  Manfredonia  in  nome  di  Ce- 
sare scorrevano  per  tutto  il  paese,  non  impediti  dai  venezia- 
ni. La  flotta  di  questi  ultimi  vuoisi  pur  credere  non  facesse 
buona  guardia  nel  golfo  di  Napoli,  dacché  il  principe  di  0- 
range  comunicò  al  cardinale  Pisani,  figliuolo  del  provvedi- 
tore, due  lettere  intercette,  una  degli  ambasciatori  francesi 
a  Roma  sulla  promessa  data  al  papa  di  costrignere  la  Repub- 
blica persino  colla  forza  delle  armi  alla  restituzione  di  Ra- 
venna e  Cervia,  l'altra  del  Lautrec  in  risposta  agli  ordini 
avuti  di  non  permettere  che  i  veneziani  medesimi  s' impa- 
dronissero delle  terre  loro  spettanti  secondo  le  ultime  con- 
venzioni. Se  gì' impediamo,  opponeva  al  suore,  di  possedere 
quello  che  hanno  già  preso,  e  su  cui  vantano  antichi  diritti, 
temo  non  forse  si  accordino  con  gl'imperiali  (2). 

(1)  Queste  rimostranze  intercette  dagl'imperiali  (rapporto  pre- 
citato del  principe  di  Or  auge  14  giugno  1528,  Lanz  Corresp.,  1. 1, 
pag.  273)  discolpano  il  Lautrec  dalle  accuse  del  Guicciardini.  St.  d'I- 
talia, t.  3,  pag.  397. 

(2)  Rapporto  sopraccennato  del  principe  di  Orange,  Lanz^l  e, 
pag.  274. 


-  467  - 

Non  pertanto  Lautrec  sperava  più  nelle  angustie  del 
nemico  che  non  temesse  delle  sue  difficoltà;  sicché  non  v'era 
modo  di  terminare  la  impresa  che  colla  rovina  o  dell'uno  o 
dell'altro.  A  questo  estremo  cooperarono  gli  odii  tra  i  due 
principi  rivali,  per  nuove  ingiurie  ricambiatesi,  maggior- 
mente accesi.  Aveva  Carlo  V  ingiunto  all'araldo  francese 
Guyenne,  quando  il  dì  22  gennaio  1528  gì' intimò  la  guerra, 
di  significare  al  padron  suo  che  ben  si  maravigliava  non  gli 
fossero  state  riferite  le  parole  da  lui  dette  in  Granata  al- 
l'ambasciatore  Giovanni  de  Calvimont  subito  dopo  il  rifiuto 
di  adempiere  il  trattato  di  Madrid  (1),  e  poiché  questi,  ri- 
chiesto da  Francesco,  finse  di  non  ricordarle  più,  le  replicò 
Carlo  ne' termini  seguenti:  il  re  vostro  ha  fatto  cosa  vile  e 
trista,  rompendomi  fede,  e  sono  pronto  a  mantenerglielo  da 
persona  a  persona  (2).  Francesco  gli  die  la  mentita  secondo 
le  regole  dinanzi  a  tutta  la  corte  e  a  Perrenot  de  Granvelle 
oratore  imperiale  (3);  e  il  cartello  di  sfida, che  questo  ultimo 
ricusò  di  portar  seco  al  suo  ritorno  in  Ispagna,  mandò  col  so- 
praccennato araldo  (4).  Lo  ricevette  Cesare  il  dì  8  giugno; 
ma  in  luogo  di  rimettere  senz'altro  la  sicvrlà  del  campo,  se- 
condo che  domandava  Francesco,  congedato  il  Guyenne,  lo 
fece  seguire  dall'araldo  suo  Bourgogne  coll'incarico  di  re- 
plicare alla  mentita  del  re  (5)  e  di  consegnargli  l'accettazio- 
ne della  disfida,  assegnando  per  il  duello  quel  luogo  qua- 
lunque che  i  padrini  eletti  da  ambo  le  parti  reputerebbero 


(1)  Déclaration  de  guerre  faite  à  l'empereur  avec  les  réponses. 
Papiers  d'état  du  card.  Granvelle,  t.  1,  pag.  321. 

(2)  L'empereur  a  Jean  de  Calvymont,  ambassadeur  de  France. 
Madrid  18  mars  1528,  Ibidem,  pag.  350. 

(3)  Audience  de  congè  donnèe  par  le  roi  a  Nicolas  Perrenot  de 
Granvelle.  Paris  28  mars  1528,  Ìbidem,  pag.  350-359. 

(4)  Ìbidem,  pag.  360-374. 

(5)  Rèponse  de  l'empereur  à  la  declaration  faite  par  le  roi  de 
France.  Mon^on  24  juin  1528,  Ibidem,  pag.  394-405. 


—  468  — 

più  conveniente,  in  riva  al  fiume  (Bidassoa)  ehe  passa  tra 
Fontanarabia  ed  Àndraya.  Non  dubito,  dicevagli  con  morda- 
ce ironia,  che  lo  troverete  sicuro,  poiché  ivi  voi  stesso  folle 
liberato  in  cambio  de9 figliuoli  datimi  per  ostaggi  di  vostra 
fede.  Conchiudeva  che,  se  fra  quaranta  giorni  dal  di  della 
presentazione  del  cartello,  datato  li  24  giugno,  non  gli  avesse 
risposto,  a  lui  solo  darebbesi  colpa  dell'indugio  (4). 

Arrivato  l' araldo  al  confine,  stette  aspettando  sette  set- 
timane (  dal  30  giugno  al  49  agosto  )  il  salvocondotto  ri- 
chiesto, avendo  il  re  imposto  di  non  lasciarlo  entrare  che 
previa  dichiarazione  di  non  apportar  nulla  fuor  del  campo  (2), 
e  d'altra  parte  opponendo  l' araldo  l'ordine  del  padron  suo 
di  non  esporre  il  proprio  incarico  a  chi  si  sia,  se  non  al  re 
medesimo  (3).  Quest'ordine  fu  bentosto  rivocato  (4),  e  tut- 
tavia volevasi  ancora  che  l'araldo  si  obbligasse  esplicitamen- 
te a  non  portar  seco  veruna  scrittura  (5).  La  è  cosa  inone- 
sta, replicò  1'  araldo,  tenermi  per  sì  lungo  tempo  a  bota, 
e  insieme  inaudita  che  chi  parla  non  voglia  risposta  (6).  Egli 
ebbe  infine  il  salvocondotto  (7),  e  Francesco  si  dolse  che  il 
governatore  di  Bajona  ne  avesse  ritardato  la  spedizione  (8). 
Ma  come  giunse  dinanzi  al  re  a  Parigi,  il  di  9  settembre, 
questi,  presenti  i  grandi  e  i  prelati  del  regno,  al  sol  vederlo 
e  prima  che  aprisse  bocca,  gli  domandò  bruscamente  la  si- 
curtà del  campo,  e  poiché  l'araldo  voleva  premettere  la  letr 


(1)  Cartel  de  l'empereur.  Ibidem,  pag.  407-408. 

(2)  /fttafem,  pag.  413-416. 

(3)  Rèponse  de  Bourgogne  au  sieur  de  Saint-Bonnet.  Ibide*, 
pag.  416. 

(4)  Ibidem,  pag.  417. 

(5)  Le  sieur  de  Saint-Bonnet,   gouverneur   de  Bayonne,  a 
Bourgogne,  roi  d'armes.  17  juillet  1528,  Ibidem,  pag.  418. 

(6)  Ibidem,  png.  419. 

(7)  Datato  di  Fontaineblau,  1.  ag.  1528,  Ibidem,  pag.  421. 

(8)  Fontainehleau  13  ag.  1528.  Ibidem,  pag.  422. 


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tura  della  lettera  e  del  cartello  di  Carlo,  indispettito  continuò 
a  gridare  :  la  sicurtà  t  la  sicurtà  t  non  permettendogli  di  a- 
dempiere  P  ufficio  nella  forma  prescritta.  Però  Cesare  in  tal 
caso  da  lui  previsto  aveva  ordinato  di  rimettere  il  cartello 
Delle  roani  del  re,  e  persino,  se  ricusava  prenderlo,  di  get- 
tarlo a'suoi  piedi.  Ma  l'araldo  restò  smarrito,  tenne  il  cartello 
e  chiese  il  permesso  di  ritirarsi.  Il  re  lo  lasciò  partire,  non 
ricevette  la  risposta  dell'imperatore,  e  il  duello  non  ebbe 
luogo  (4):  ecco  lo  scioglimento  ridevole  di  un  episodio  ro- 
moroso.  Tanto  bollore  giovanile,  ben  aveva  predetto  il  car- 
dinal Wolsey,  si  convertirà  in  fumo,  ma  aggiugnerà  gravis- 
simo ostacolo  alle  pratiche  di  pace  (2). 

Per  me  credo  che  l'imperatore  non  abbia  mai  preso  sul 
serio  la  disfida.  Notevole  è  il  parere  dato,  a  sua  inchiesta, 
dal  duca  dell' Infantado:  la  giurisdizione  delle  armisi  estende 
esclusivamente  alle  cose  oscure  ed  implicate,  per  le  quali  non 
bastano  le  regole  ordinarie  di  giustizia  .  .  .  se  fatti  consimili 
potessero  compiersi  impunemente,  quanti  non  sottomettereb- 
bero al  giudizio  delle  armi  il  pagamento  di  debiti  i  più  evi- 
denti ?  Il  che  sarebbe  piti  presto  un  sacrificio  di  sangue,  che 
una  legge  di  giustizia  e  di  misericordia  (3).  Di  questo  pare- 
re si  compiacque  Cesare  (4);  ond' è  probabile  che  ricam- 
biando il  cartello  non  intendesse  che  togliere  all'avversario 
ogni  pretesto  di  nuova  querela.  Per  ciò  che  spelta  a  me,  scris- 
se al  frate!  suo,  non  mancherà  che  si  venga  al  combattimene 

(1)  Relacion  da  Borgofia.  Sandoval  op.  cit.  t.  5,  pag.  124.  Gail- 
lard.  Hist  de  Francois  I.«  t.  2,  pag.  583-624. 

(2)  I  Iruste  to  God  these  yong  corragious  passions  shalbe  fìnal- 
ly  converted  into  fumé,  wherby  (Gode  ayding)  the  practise  of  peax 
shall  not  be  impeched,  or  totally  frustrate  and  disapointed,  IVol- 
sey  to  king  Henry  Vili.  21  Juli  1528.  State  papers,  t.  1,  pag.  320. 

(3)  Respuesta  del  duque  del  Infantado  al  emperador,  20  jun., 
1520.  Papier*  d'etat  du  card,  de  Granvelle,  1. 1,  pag.  386,  387. 

(4)  Carlos  V,  al  duque  del  lofantado  23  jun.  1528,  lbid.%  pag,  388. 


—  470  — 

to  (4);  e  in  vero  quanto  alla  forma  se  n' espedi  per  modo  da 
riuscir  illeso  nell'onore  (2),  mentre  al  rivale  restò  la  taccia 
di  aver  colle  tardanze  e  coi  sotterfugi  evitata  la  prova  (3). 
Fatto  è  però  che  ambidue  preferivano  egualmente  di  lasciar- 
la alle  nazioni,  e  cosi  la  povera  Italia  per  causa  non  sua  con- 
tinuò a  sopportarne  il  flagello. 

V.  Sin  dal  principio  di  queste  contestazioni  aveva  Ce- 
sare ordinato  che  di  Germania  calassero  in  Lombardia,  per 
muovere  poi  al  soccorso  di  Napoli,  diecimila  fanti  sotto  il 
duca  Enrico  il  giovine  di  Brunswick.  D'altra  parte  erasi  sta- 
bilito con  consentimento  comune  de' collegati  che  alla  loro 
venuta  si  opponesse  Francesco  di  Borbone,  conte  di  Saint- 
Poi,  con  quattrocento  lance,  cinquecento  cavalleggieri,  cin- 
quemila fanti  francesi,  duemila  svizzeri  e  duemila  tedeschi; 
alla  spesa  del  quale  esercito,  che  si  disegnava  di  sessanta- 
mila ducati  il  mese,  concorrevano  i  veneziani  con  dodicimi- 
la, e  il  re  d'Inghilterra  con  trentamila,  avendo  ottenuto  in 
contraccambio  dal  re  di  Francia  che  per  tempo  di  otto  mesi 
si  facesse  tregua  co' Paesi  Bassi  (4).  Ma  non  si  usando  mag- 
giore diligenza  in  questa  che  nelle  altre  provvisioni,  innan- 
zi che  Saint-Poi  fosse  in  ordine  di  muoversi,  il  duca  di  Brun- 
swick, partito  da  Trento  e  passalo  il  decimo  di  di  maggio 

(J)  5  Lugl.  1528,  Lanz  Corresp.  t.  1,  pag.  275. 

(2)  Lettera  dell'imperatore  al  Irate!  suo,  e  di  questo  a  lui,4nov. 
1528  e  18  mng.  15ki9.  Ibidem,  pag.  .91,  'Ì99. 

(3)  El,  corno  vereis  por  la  relarion  que  Borgofia,  nuestro  rey 
de  armas,  truxo,  ha  rehusado  el  convate  no  queriendo  oir  nuestra 
respuesta,  ni  reeibir  nuestro  cartel  en  que  le  seTìalabnmos  el  cam- 
po. L'empprador  a  Sancito  Martinez  de  Leca  (capitano  generale  del- 
la procincia  dì  Gìtipuscoa  )  IV  ledo  30  nov.  1528.  archivio  di  Siman» 
cas  Neg.,!o  de  Estado  leg.°  15.V4.  msc. 

(4)  \i  era  e  impreso  il  duca  Carlo  di  Gueldria  a  condizione  che 
restituisse,  Utrecht  e  (ìrnningen;  ina  egli  non  volle  aderirvi,  onde  la 
guerra  continuò  contro  di  lui  con  bu:>ni  fortuna.  Die  statthalterin 
Msirgarel/ie  un  dea  kui.se/'.,  7  juli  1528.  Lanz,  Corre.rp.  t.  1,  pag.  276. 


—  474  — 

P  Adige,  era  già  nel  territorio  veronese.  Ben  tosto  Peschiera, 
Rivoltella  ed  alcune  altre  terre  in  sul  lago  di  Garda  gli  si 
arresero.  Imbaldanzito  per  questi  primi  successi  sarebbesi 
accinto  alla  espugnazione  di  Brescia  e  di  Bergamo,  se  il  du- 
ca di  Urbino,  richiamato  dalla  Marca  d'Ancona,  non  vi  aves- 
se accresciuto  in  tempo  il  presidio  e  fatte  con  maravigliosa 
prestezza  nuove  opere  di  difesa  (i);  sicché,  sentendo  molto 
incomodo  di  viveri,  dopo  aver  dato  il  guasto  al  paese, 
uscito  de9  confini  de9  veneziani,  si  condusse  nello  stato  di  Mi- 
lano. Antonio  de  Leva,  il  quale  in  questo  mezzo  aveva  sor- 
preso Pavia,  gli  andò  incontro  sino  a  tre  miglia  da  Bergamo, 
e  ripassato  poi  l'Adda  insieme,  il  vigesimo  di  di  giugno  si 
pose  con  lui  a  campo  sotto  a  Lodi.  Ivi  erano  men  di  tremila 
fanti  veneziani  capitanati  da  Giampaolo,  fratello  naturale  del 
duca  Sforza  (ritiratosi  poco  prima  a  Brescia  ),  e  pur  gli  as- 
salitori furono  più  volte  ributtati,  per  modo  che  ridussero 
tutta  la  speranza  del  vincere  in  su  la  fame.  Fini  allora  il  du- 
ca di  Brunswick  a  persuadersi  della  vanità  de' suoi  pensieri. 
Venni  in  Italia,  aveva  già  scritto  al  principe  di  Orange,  te- 
nendo per  fermo  trovare  qua  il  modo,  il  guai  poi  non  ho  tro- 
vato (2).  In  queste  parole  stanno  le  ragioni  del  mal  esito 
della  sua  spedizione.  La  Lombardia  era  esausta;  i  tedeschi  del 
Borbone  l'avean  corsa  l'anno  innanzi;  ora  il  Leva  co' suoi 
spagnuoli  ne  succhiava  l'ultimo  sangue;  non  rimaneva  più 
nulla  a  soddisfare  la  rapacità  de' nuovi  invasori.  Danari  non 
ricevevano  da  Cesare  (3),  uè  loro  ne  somministrava  il  Leva, 
cupido  invece  d'indurii  a  partirsene  per  non  averli  compa- 
gni al  governo  e  alle  prede.  Venne  per  colmo  de'mali  la  pe- 
ti) Il  duca  di  Urbino  al  comandante  di  Bergamo,  Brescia  21 
giugno  15*28.  Ruscelli,  Lettere  ili  principi,  t.  2,  pag.  102. 

(*2)  16  Giugno  1528,  Mulini  doc.  fli  Stor.  ita!.,  t.  2,  pag.  68. 
(3)  Al  pagamento  di  que  to  exercilo  non  bisognano  di  presente 
mancho  di  centomila  scudi,  et  quanto  più  si  tarderà  ad  liaverli  tan- 
to più  crescerà  il  debiti).  Ibidem. 


—  472  — 

ste,  e  ne  sterminò  duemila  in  pochi  giorni.  Il  perchè  doven- 
dosi ai  43  di  luglio  dare  nuovo  assalto  a  Lodi,  gli  altri  si 
ammutinarono,  e  poco  stante  per  la  via  di  Como  tornarono 
in  Germania,  tranne  duemila  circa  raccolti  nell'esercito  dal 
Leva.  Ben  aveva  ragione  Girolamo  Morone  di  preferire  ai  te- 
deschi rozzi, intolleranti,  gli  spagnuoli  superbi  ma  pazienti  (1). 
Se  n'era  già  andalo  il  duca  di  Brunswick,  quando  il 
conte  di  Saint-Poi  arrivò  in  Piemonte,  ed  anche  con  nu- 
mero di  gente  mollo  minore  del  promesso.  Donde  disceso  a 
Piacenza  venne  il  di  il  agosto  a  parlamento  col  duca  di  Ut* 
bino  a  Monticelli  in  sul  Po.  Proponeva  questi,  conforme  agli 
ordini  del  Senato  veneto,  s'intendesse  unicamente  ad  isni- 
dare  gl'imperiali  dallo  stato  di  Milano,  dipendendo  da  ciò 
ogni  altro  successo  delle  cose  d'Italia.  Al  contrario  sentiva 
il  francese,  reputando  impresa  più  urgente  il  soccorso  del 
reame  di  Napoli.  In  tanta  diversità  di  pareri  fu  preso  un  par- 
tito di  mezzo  che  pareva  servisse  all'uno  e  all'altro,  ma  co- 
me al  solito  li  eluse  a  vicenda,  né  valse  a  ristabilire  la  con- 
cordia: mandassero  cioè  i  veneziani  nuove  truppe  e  navi 
nella  Puglia,  e  intanto  farebbesi  principale  sforzo  in  Lom- 
bardia (2).  Congiuntisi  infatti  i  due  eserciti  il  di  22  dello  stes- 
so mese  intorno  a  Lodi,  sei  giorni  dopo  pervennero  a  Lan- 
driano.  Ma  ivi  consultossi  se  fosse  da  espugnare  Milano,  nella 
quale  occasione  ben  stava  a  Galeazzo  Visconti  che  il  conte 
di  Saint-Poi  gli  chiudesse  in  faccia  le  porte  del  consi- 
glio; ogni  maggior  vituperio  essendo  meritato  da  quel  paz- 
zo e  tristo,  che,  per  indurre  i  veneziani  a  portar  in  pace  i 
francesi  padroni  di  Milano  e  di  Napoli,  prometteva  loro  ver- 
rebbe poi  il  tempo  di  cacciare  i  barbari  dall'Italia,  e  scri- 

(1)  Il  nervo  firmo  dell'esercito  vorria  essere  di  spagnoli,  più 
atti  a  patir  ogni  disagio  e  mancamento  di  paga.  Rapporto  a  Car- 
lo V.  Napoli  giugno  15'28,  T.  Dandolo,  1.  e,  pag.  267. 

(2)  Paolo  Partita,  Historia  vinetiana.  Venezia  1645,  parte  1,  pa- 
gina 318. 


-  473  - 

vendone  al  Montmorenci  si  gloriava  della  burla,  a  lui  chie- 
dendo il  governo  del  Delfinato  (4).  A  Milano  era  rientrato  il 
Leva  con  tutte  le  sue  forze,  e  tanto  bastò  perchè  si  pigliasse 
invece  la  impresa  di  Pavia,  stimata  facilissima,  non  essendo- 
vi dentro  più  di  dugento  fanti  tedeschi  e  ottocento  italiani 
con  pochi  spagnuoli.  I  quali,  benché  si  portassero  egregia- 
mente, pure  per  il  poco  numero  dovettero  cedere  infine  ai 
replicati  assalti.  Il  duca  di  Urbino  postosi  avanti  tra  le  prime 
schiere,  con  molti  de' suoi  uomini  d'arme  scesi  tutti  a  piedi, 
ed  affrontando  i  bastioni,  ov'era  la  maggior  difesa,  riportò 
grandissima  lode.  La  città  fu  presa  il  di  19  settembre  con 
nuovo  sterminio  di  vite  e  di  robe,  e  poco  appresso  si  arren- 
dè anco  il  castello  in  cui  Galeazzo  da  Birago  erasi  ridotto  in 
salvo  coi  soldati  rimasti  vivi  e  con  molti  abitanti. 

Questo  acquisto  non  fruttò  immediatamente  la  som- 
messione  di  altre  terre,  ma  rese  sempre  più  incomportabili 
le  miserie  de'Milanesi.  Stava  loro  addosso  il  Leva  assiduo  in 
trovar  nuove  taglie,  nuovi  modi  di  estorcer  danaro;  aveva 
già  fatto  arrestare  i  preposti  delle  chiese  affinchè  notificas- 
sero gli  arredi  d' oro  e  d' argento  sotterrati  ;  un  giorno  proibi- 
va, pena  la  vita,  l'uscir  di  città;  un  altro  ne  dava  licenze  a 
prezzo;  a  quanti  fuggivano  confiscava  i  beni.  Per  aver  soli 
trentamila  ducati  e  tremila  sacchi  di  frumento  cedette  al  ca- 
stellano di  Musso  il  contado  di  Lecco  che  apparteneva  al 
Morone,  il  quale  fu  compensato  con  terre  in  Brianza  (2).  Né 
ciò  bastando  ai  pagamenti  de9  soldati,  cominciò  in  settembre 
a  far  monopolio  di  tutte  le  vettovaglie  vendendole  tre  o 
quattro  volte  più  care  dell'ordinario  (3);  sicché  molti  poveri 

(1)30  e  31  Agosto  1528.  Molini,  Doc.  di  stor.  ita!.  Arch.  stor. 
Hai.  Append.  n.  9,  pag.  447,  448. 

(2)  Decreto  di  Antonio  de  Leva  del  18  apr.  1529,  T.  Dandolo, 
op.  cit.  pag.  287. 

(3)  No  teniendo  dineros  de  V.  M.  para  pagarle  (  r  esercito  )  e  co- 
nosciendo  Milan  non  estar  tal  que  pudiese  darle  de  corner  puso  un 

80 


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morivano  di  fame  per  le  strade.  In  ultimo  non  gli  restò  che 
proibire  di  far  pane  in  casa,  o  tenervi  farina,  eccetto  i  con- 
duttori di  quel  dazio,  i  quali  gli  pagavano  per  ogni  moggio 
tre  ducati  (4). 

VI.  Del  pari  le  cose  intorno  a  Napoli  giunte  erano  allo 
estremo.  Ambe  le  parti  in  parecchie  avvisaglie  avevano  so- 
stenuto a  vicenda  l'onore  delle  loro  bandiere,  e  in  una  di 
queste,  del  25  di  giugno,  sarebbero  forse  periti  gl'imperiali 
tutti  usciti  fuora  in  gran  immero  a  predare  per  la  via  di  Pie 
di  Grotta,  se  il  capitano  Buria,  o  per  negligenza  o  per  timo- 
re, non  fosse  mancato  al  luogo  assegnatogli.  Ma  orinai  la  pe- 
stilenza ed  altre  infermità  proprie  di  quel  clima  ne' calori  e- 
stivi,  reso  ancor  più  insalubre  dalle  acque,  che,  divertite  dal- 
l'ordinario corso  per  i  lavori  delle  trincee, inondarono  le  cam- 
pagne vicine  agli  alloggiamenti,  menavano  orribile  strage. 
De' tedeschi  condotti  dal  Frundsberg  e  di  quelli  venuti  di 
Spagna  non  rimanevano  in  tutto  più  che  quattromila;  som- 
mavano a  manco  gli  spagnuoli  ;  contavansi  ancora  soli  nove- 
cento italiani,  trecento  uomini  d'arme,  e  seicento  cavalleg- 
gieri  alti  al  servigio  (2).  Maggior  eccidio  pativano  i  francesi 
non  solamente  nelle  genti  basse,  ma  già  nelle  persone  grandi 
e  di  autorità,  essendo  morti  il  di  45  di  giugno  Pietro  Paolo 
Crescenzio,  nunzio  del  pontefice,  e  Luigi  Pisani,  provvedito- 

dacio  sobre  las  vittuallas  . . .  e  fue  tan  bueno  que  por  cuatro  men- 
ses  valio  ochenta  mil  escudos.  Copia  de  parrà  fos  de  lo  que  de  par- 
te de  Antonio  de  Leyva  se  hizo  presente  a  5.  M.  sobre  lo  que  paraba 
en  Milan  7,  gerì.  1529.  Archivio  di  Simancas  msc. 

(i)  E  tolevano  della  farina  de  quelli  i  quali  l'avevano  notificata, 
e  la  pagavano  lire  diciotto  al  moggio  de  formento  :  e  quella  de  se- 
gala lire  dodici  ;  e  poi  li  prestini  de  Milano  davano  lire  quindici  de 
guadagno  al  signor  Antonio  per  ciaschedun  moggio  de  farina;  efo- 
zevano  de  soldi  otto  F  uno  i  pani  de  formento  da  soldi  due,  di  quat- 
tordici quei  di  miglio.  Burigozzo,  Cronaca  di  Milano,  1.  e. 

(2)  Girolamo  Morone  a  Carlo  V,  Napoli,  agosto,  1528,  T.  Dan- 
dolo, Ricordi  inediti,  pag.  270. 


-  476  - 

re  veneziano;  e  nondimeno  Lautrec,  per  natura  sua  indocile 
a' consigli  altrui,  e  per  certa  vergogna  di  cedere  a'primi  col- 
pi di  contraria  fortuna  in  faccia  a  nemici  che,  travagliati  da- 
gli stessi  mali,  pur  schernivano  i  ragionamenti  di  arrender- 
si, non  assenti  mai  di  allargare  il  campo  per  diminuire  il 
contagio  e  prestare  agl'infermi  qualche  comodità  di  curarsi. 
Sicché  i  due  eserciti  parevano  destinati  a  disfarsi  o  a  venir 
meno  l'uno  dirimpetto  all'altro,  quando  tutto  a  un  tratto, 
prima  ancora  de9 narrati  successi  delle  armi  francesi  in  Lom- 
bardia, la  passata  di  Andrea  Doria  a  parte  imperiale  fece 
precipitare  gli  eventi. 

Da  gran  tempo  agitava  il  Doria  nuovi  consigli.  Del 
mutato  animo  apparvero  i  primi  segni,  allorché,  disciolta  per 
le  contese  avute  con  Renzo  da  Ceri  (  Lorenzo  Orsini)  l' ar- 
mata di  Sardegna,  venne  a  Genova,  e  a  Napoli  dove  si  deci- 
devano le  sorti  della  guerra  mandò  in  sua  vece  il  nipote  Fi- 
lippino. Né  alle  sue  scontentezze  mancarono  gravi  ragioni,  e 
dovevano  esser  tali  se  vinsero  l'odio  concetto  e  ferocemente 
dimostrato  dopo  il  sacco  di  Genova  contro  agl'imperiali,  dei 
quali  quanti  cogliesse,  rifiutando  ogni  riscatto,  teneva  a  re- 
mare sulle  sue  galere.  Mandavagli  a  stento  il  re  Francesco  i 
soldi  pattuiti,  e  non  gli  pagò  mai  i  ventimila  ducati  promessi 
per  il  riscatto  del  principe  di  Orange  da  lui  fatto  prigione 
nel  tempo  della  impresa  del  Borbone  in  Provenza;  e  tuttavia 
pretendeva  gli  fossero  consegnati  Àscanio  Colonna  e  il  mar- 
chese del  Guasto  caduti  in  potere  di  Filippino  nella  insigne 
vittoria  sul  golfo  di  Salerno.  A  questi  motivi  privati  aggiu- 
gnevansi,  più  efficaci,  i  pubblici.  Facile  l'accorgersi  che  Ge- 
nova fosse  destinata  ai  turpi  mercati  tra  Spagna  e  Francia, 
che  la  serbava  per  venderla  a  miglior  vantaggio.  Come  spie- 
gare altrimenti  il  proposito  d'innalzare  a' suoi  danni  la  ri- 
vale Savona  già  incorporata  al  regno  ed  opportuna  a  pene- 
trare nella  valle  del  Po?  Nel  mese  di  maggio  ingegneri  fran- 
cesi affaticavansi  intorno  ad  essa  per  metterla  in  termini  di 


—  476  — 

buona  difesa.  Questo  pungeva  acerbamente  l'animo  del  Do- 
ria,  il  quale  delle  animose  lettere  scritte  al  re  non  ebbe  mai 
risposta.  In  que?  giorni  appunto  ribollivano  in  Genova  gli  a- 
matori  delle  forme  antiche  di  libertà,  dismesse  l'anno  4527 
quando,  in  luogo  del  doge  cittadino,  Teodoro  Trivulzio  ven- 
ne governatore  pel  re  Francesco.  Cosa  singolare!  benché  di- 
scordante in  sé  stessa  e  datasi  prima  in  servitù  di  Francia, 
poi  de' signori  di  Milano,  quindi  ricaduta  in  potere  de' fran- 
cesi, poi  degli  spagnuoli  e  un'  altra  volta  de'  francesi,  le  in- 
terne sue  forze  non  erano  come  altrove  logorate,  né  plebe 
né  ottimati  all' intutto  guasti  per  lungo  uso  di  tirannia.  An- 
darono dunque  ambasciatori  a  Parigi  per  contrattare  il  ri- 
stabilimento della  repubblica  (4).  Teodoro  Trivulzio,  discre- 
to uomo,  com'era  dell'officio  suo,  li  contrariava;  ma  senza 
mancar  mai  al  debito  di  biasimare  i  mali  consigli,  che  domi- 
navano appresso  al  re;  e  minacciato  di  licenziamento  per  gli 
intrighi  di  Jacopo  Collino,  il  quale  sotto  specie  di  curare  il 
fisco  voleva  far  guadagni  a  spese  della  città  (2),  rescrisse  pa- 
role forti  e  mirabilmente  altere  (3).  Con  uguale  franchezza 
propose  si  componesse  la  controversia  intorno  a' prigionieri 
colla  restituzione  di  Savona,  rendendo  così  nobilissima  te- 
stimonianza alla  fede  e  all'  animo  del  Doria  inverso  la  patria: 
gli  amici  miei  mi  hanno  riportalo  che  più  gli  sarà  cara  que- 
sta restituzione,  che  se  sua  maestà  gli  donasse  uno  stato,  ed 

(1)  Lettera  di  Teodoro  Trivulzio  maggio  1528,  Molini  Doc.  di 
stor.  Rai.  Arck.  stor.  ital.  Append.  n.  9,  pag.  431  e  seg. 

(2)  Il  medesimo  al  re  Francesco.  Genova  28  febb.  1528,  Molini 
Doc.  di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  12. 

(3)  quanto  metterà  bomo  più  alto  e  più  sufficiente  al  servitio  del 
re,  tanto  mi  sarà  più  grato,  perchè  desidero  più  di  levarrae  di  qua 
die  molti  non  pensano  ;  né  passai  in  Italia  per  il  governo  di  Genova, 
né  manco  il  ricercai  a  monsig.  de  Lautrech,  né  ne  scrissi  mai  al 
re,  né  feci  parlar  mai  per  miei  agenti,  come  esso  monsignor  gran 
maestro  (  Montmorenci  )  può  sapere,  maggio  1528,  Molini  Doc.  di 
stor.  ital.  Arch.  stor.  ital.  Append.  ri.  9.  pag.  434. 


-  477  ~ 

io  lo  crédo,  perchè  molte  volte  nel  parlare  che  mi  ha  fatto  ho 
compreso  che  ama  molto  il  dimostrarsi  che  tanto  stima  il  be- 
neficio della  patria  sua  quanto  ciascun9  altra  cosa  (i).  La 
promise  il  re,  ma  per  mandare  in  lungo  le  cose,  e  ben  se  ne 
addiede  il  Dori  a  che  ringraziò  freddamente,  nulla  dicendo 
de9 prigionieri  (2).  Tuttavia  la  sua  risoluzione  non  era  anco- 
ra fermata  (3);  egli  aspettava  dove  andasse  a  terminare  il 
dubbio  procedere  di  Francia.  Presto  lo  conobbe,  perchè  in 
quel  tempo  medesimo  venne  con  quattordici  galere  e  con 
autorità  suprema  su  tutta  l'armata  il  signore  di  Barbesieux, 
uomo,  che  non  sapeva  che  fosse  un  mare,  un  porto,  anzi 
neppure  una  galea,  né  una  fusta,  al  dir  di  Brantòme,  il  qua- 
le soggiunge  avergli  il  re  commesso  con  parole  insidiose 
tranquillare  il  Doria  tanto,  che  gli  venisse  nelle  mani  per 
potergli  mozzare  il  capo.  Sia  comunque,  del  presunto  man- 
dato atroce  fece  il  Barbesieux  in  sulla  via  dimostrazioni  peg- 
gio che  sospette.  Le  quali  posero  in  diffidenza,  non  ch'altri, 
il  governatore,  perchè  il  re  dava  ordini  che  si  rinforzasse 
Genova,  né  di  Savona  né  di  accomodamento  non  si  discorre- 
va più  (4). 

Allora  si  vuol  credere  che  il  Doria,  sottrattosi  a  Lerici 

(I)  Teodoro  Trivulzio  al  Montmorenci.  Genova  4  giugno  1528, 
Molini  Doc.  di  stor.,  ital,  t.  2,  pag.  33. 

CO  ho  inteso  la  resolutione  fatta  per  sua  maestà  a  richiesta  del 
8ig.  governatore  et  mia  de  voler  rendere  a  Genoesi  la  villa  de  Sao- 
na,  comerchii  e  sale  sì  come  è  convenevole.  Andrea  Doria  al 
Montmorenci,  Genova  4  giugno  1528  Ìbidem,  pag.  34. 

(3)  Teodoro  Trivulzio,  parlandogli  in  maggio  delle  pratiche  dei 
repubblicani,  non  lo  trovò  del  loro  parere,  parendoli  cosa  di  troppa 
importantia  al  re  et  allo  interesse  del  stato  ;  et  mi  ha  ditto  che 
bisogna  che  S.  M.  sia  meglio  informata  et  gli  habbia  ben  matura 
consideratione.  Lettera  precitata  del  Trivulzio.  Arch.  stor.  ital.  Ap- 
pend.,  n.  9,  pag.  432. 

(4)  Teodoro  Trivulzio  al  re  Francesco,  Genova  9  giugno  1528, 
Molini,  Doc.  di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  35. 


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con  le  sue  navi  e  i  prigioni,  facesse  le  prime  aperture  agli 
imperiali.  Però  è  manifesto  che  sicuro  di  essi,  ma  non  ob- 
bligato a  loro,  esitò  per  più  di  nn  mese  a  dichiararsi  risolar 
tamente.  Di  fatti  il  dì  ih  di  giugno  il  principe  di  Orange 
scriveva  all'imperatore:  «  intesi  dal  conte  Filippino  Dona, 
trattando  con  lui  del  riscatto  di  alcuni  prigionieri,  che  An- 
drea è  malcontento  assai  del  re  di  Francia  e  che  cerchereb- 
be di  accordare  con  noi.  E  la  causa  n'  è  che  il  re  non  gli  vol- 
le rendere  Savona  per  ridurla  alla  obbedienza  di  Genova.  Io 
per  me  fermamente  credo,  che  se  voi  vorrete  assicurarlo  su 
questo  punto  e  sulPaltro'della  libertà  di  Genova,  pagargli  il 
soldo  delle  sue  galee  con  qualche  promessa  di  alcuno  suo 
vantaggio  nel  regno,  voi  lo  potrete  avere  di  certo.  Voi  cono- 
scete, sire,  quale  uomo  egli  sia,  ed  in  quanta  necessità  ver- 
siamo adesso.  Pertanto  vi  supplico  a  non  rifiatargli  cosa 
che  vi  domandi,  perchè  non  vi  occorse  mai  partito  che  vi 
tornasse  in  acconcio  come  il  presente  accordo,  se  lo  si  può 
condurre  a  compimento  »  (4).  Stava  a  vedere  il  Doria  se  le 
medesime  sicurezze  gli  venissero,  senza  mutare  bandiera,  da 
parte  de' collegati.  Addimostranlo  le  pratiche  avute  col  pa- 
pa, al  quale  scrisse  che,  se  dentro  a  quel  mese  di  giugno  in 
cui  finiva  la  condotta  di  Francia  non  lo  fermava,  piglierebbe 
da  sé  rimedio  ai  casi  suoi  (2).  Quanta  sincerità  fosse  dalle 
due  parti,  non  so.  Nel  Doria  si  vede  almeno  un  inquieto  ri- 
spetto all'onor  suo  e  alla  opinione  degli  uomini.  Non  altret- 
tanto nobili  i  portamenti  del  papa.  Esortato  con  grande  insi- 
stenza da  Gregorio  da  Casale  agente  inglese,  mandò  a  Lerici 
Bartolomeo  da  Urbino,  suo  cameriere,  a  trattare  la  provvi- 
sione, ma  con  condizioni  cosi  scarse,  chiedendo  per  prima 


(1)  Lanz  Corresp.  t.  1,  pag.  273. 

(2)  Gregorio  Casale  a  monsig.  Ambrogio  Talenti  vescovo  di  A- 
sti  (  lombardo,  ma  di  origine  fiorentina  e  perciò  detto  Ambrogio  da 
Firenze).  Viterbo  24,  giug.  1528,  MoUni  Doc.  di  stor.  Hai.,  t.  2,  pag.  36. 


—  479  - 

cosa  ta  restituzione  di  Ravenna  e  Cervia  (1),  da  far  sospet- 
tare sin  d'allora  quel  che  certificheremo  appresso,  aver  egli 
cercato,  come  dice  il  Varchi,  colle  parole  trattenersi  amico  il 
re,  e  colte  opere  farsi  benevolo  V  imperatore.  Né  altro  che 
parole  portarono  al  Doria  da  parte  del  re  Giovanni  Gioacchi- 
mo  (2)  e  Pier  Francesco  da  Noceto  chiamato  conte  di  Pontre- 
moli  (3),  perocché  a' 5  luglio  Teodoro  Trivulzio,  lungi  dal 
crederlo  soddisfatto  come  falsamente  scriveva  Ambrogio  Ta- 
lenti dal  campo  di  Lautrec  (4),  confortava  Francesco  a  ricon- 
ciliarselo (5). 

Della  ostinazione  di  quest'ultimo  giovaronsi  gl'impe- 
riali, sperti  dell'arte  di  non  sottigliare  ne'patti  e  di  ben  tem- 
perare le  voglie  per  farsi  durevoli  i  profitti.  Da  molto  tem- 
po, prima  ch'ei  passasse  agli  stipendii  del  papa,  e  di  nuovo 
nel  maggio  del  4527  in  occasione  che  Mercuri  no  da  Gattina- 
ra,  grancancelliere,  trovavasi  nell'Italia  superiore,  avevano 
gP imperiali  introdotto  pratiche  segrete  per  trarlo  a  sé  col 
mezzo  di  un  eremita  agostiniano  (6).  Ne  lo  sollecitarono  ora 
con  grande  instanza  il  marchese  del  Guasto  e  il  Colonna,  e 
la  condizione,  per  lo  innanzi  rifiutata  dal  grancancelliere, 
della  libertà  di  Genova  sotto  la  protezione  di  Cesare  assenti 


(1)  Altra  lettera  del  medesimo  25  giugno  1528,  Ibidem  pag.  40. 

(2)  Questi  nominato  dal  Molini  De  Vaulx,  altrove  Da  Passano, 
e  dal  Guicciardini  Dalle  Spezie,  parmi  fosse  genovese. 

(3)  Gio:  Battista  Sanga  al  card.  Salviati  legato  in  Francia.  4,  ag. 
1528,  Ruscelli,  Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  114. 

(4)  Del  capitano  Andrea  Doria  per  lettere  di  Joan  Joachimo  ho 
aviso  che  al  tutto  le  è  ben  satisfacto,  et  se  qualche  cossa  legiera  ci 
restava  è  levata,  et  delli  XX  mila  ducati  della  ranson  dei  principe  di 
Orange  el  re  gli  ha  mandali  XIV  mila,  et  presto  manderà  el  resto. 
A  Nicolò  Raince  27  giug.  1528,  Molini  Doc.  di  stor.  ita!,  t.  2,  pag.  44. 

(5)  Ibidem,  pag.  45. 

(6)  Hormayr  Archiv.  an.  1810,  pag.  61  e  Buchollt,  t.  3,  nota  alla 
pag.  134. 


_  480  - 

Antonio  de  Leva,  insieme  con  tutte  le  altre  che  il  Dona  im- 
pose per  bocca  del  Guasto  medesimo  venuto  a  questo  effetto 
sulla  sua  fede  a  Milano.  Le  quali  erano:  si  reggesse  Genova, 
non  si  tosto  gli  verrà  fatto  di  levarla  dalla  soggezione  de9 suoi 
nemici,  a  forma  di  repubblica,  reintegrata  in  tutto  il  suo 
dominio,  massime  della  terra  di  Savona,  e  senza  gravez- 
za per  la  protezione  imperiale,  fuor  di  quella  che  cor- 
tesemente vorrà  dare;  sia  libero  ai  genovesi  di  negoziare 
in  ogni  terra  dell' imperatore  con  tutt'i  privilegi  concessi 
ai  suoi  soggetti;  i  contumaci  contro  l'imperatore  medesi- 
mo abbiano  generale  indulto;  i  prigioni  sudditi  di  sua  mae- 
stà non  sia  egli  tenuto  a  liberare;  lo  farebbe  da  sé;  bene  in- 
teso però  che  in  cambio  di  ogni  prigione  gli  si  dia  uno  schia- 
vo, od  un  condannato  a  vita;  lo  si  preponga  al  comando  di 
dodici  galee,  e  gli  si  paghino  di  stipendio  scudi  sessantamila 
d' oro  del  sole  in  rate  bimestrali  ed  anticipate,  con  malleve- 
ria di  mercadanti  di  polso,  od  in  assegni  di  sua  soddisfazio- 
ne, acciocché  per  mancamento  di  danaro  non  sia  costretto  a 
mal  servire;  abbia  il  titolo  di  capitano  e  luogotenente  ge- 
nerale di  sua  maestà  con  l'autorità  stessa  de' suoi  predeces- 
sori e  ultimamente  di  don  Ugo  di  Moncada  anche  sopra  ogni 
altro  legno  potesse  essergli  aggiunto;  gli  si  dia  stanza  nel 
regno  di  Napoli  per  sé  e  suoi  con  porto  atto  alle  galee;  Gae- 
ta piacerebbegli  ;  possa  estrarre  dalla  Sicilia  e  dalla  Puglia 
diecimila  salme  di  grano;  lo  si  provegga  di  palle  e  polvere 
pel  bisogno;  cominci  la  condotta  il  primo  luglio  del  4528  e 
duri  due  anni  fermi  senza  poter  da  una  parte  dare,  né  dal- 
l'altra chiedere  licenza,  salvo  che  non  fosse  soddisfatto  dei 
pagamenti  e  lo  imperatore  si  accordasse  col  cristianissi- 
mo ;  dovendo  fare  fazione  gli  si  conceda  mettere  sopra  le  ga- 
lee fino  a  50  fanti  per  ciascheduna  a  spese  di  sua  maestà; 
supplica  infine  che  dei  benefizi  vacanti  a  Napoli  ovvero  in 
Ispagna  o  in  altri  luoghi  si  faccia  grazia  ad  un  suo  parente 
fino  a  tremila  scudi  di  entrata,  e  più  secondo  il  buon  volere 


—  481  — 

di  sua  maestà  (4).  Queste  condizioni,  senz'aspettare  gli  or- 
dini di  Cesare,  accettò  anche  il  principe  di  Orange,  nulla  pa- 
rendogli troppo  grave  a  tanto  acquisto  (2). 

Intanto  la  condotta  di  Francia  era  spirata,  e  Filippino 
Doria  a'  A  luglio  si  partì  da  Napoli,  dove  già  da  molti  di  fa- 
ceva mala  guardia  (3).  Allora  anche  Tarmata  veneziana,  in- 
termesse le  opere  delle  trincee  alle  quali  attendevano  le 
ciurme,  pigliò  il  largo,  e  poco  dopo  a' 45  di  quel  mese  andus- 
sene  in  Calabria  per  provvedersi  di  vettovaglie.  Vero  è  che 
a'  48  giunse  il  Barbesieux  colla  flotta  francese  ;  ma  non  ave- 
va che  ottocento  fanti,  essendo  restati  gli  altri,  che  portava, 
parte  alla  custodia  di  Genova,  parte  per  ordine  del  pontefice 
alla  impresa  della  fortezza  di  Civitavecchia.  Né  bastava  egli 
solo  a  chiudere  il  porto;  né  quei  fanti  e  i  denari,  che  per- 
vennero al  campo  dopo  aspro  combattimento  con  gl'impe- 
riali, rispondevano  alle  grandi  necessità  di  Lautrec.  Il  quale 
però,  sebbene  caduto  infermo,  vi  oppose  sempre  la  virtù  in- 
domita dell'animo  suo:  revocò  con  gravi  pene  le  genti  sban- 
date; fece  assoldarne  di  nuove  nel  regno;  condusse  il  duca 
di  Nola  con  dugento  cavalli  leggieri  e  Rinuccio  Farnese 
con  cento;  richiamò  alcune  compagnie  di  stradiotti  de' ve- 
neziani dalla  impresa  di  Taranto,  e  mandò  Renzo  da  Ceri 
in  Abruzzo  per  levar  quattromila  fanti  e  seicento  cavalli.  Li 


(1)  Capitoli  di  Andrea  Doria,  Archivio  di  Simancas,  Estado  leg.° 
1553  rase. 

(2)  Privati  d'ogni  speranza  di  soccorso  d'Alemanni,  et  anche 
questi  signori  havendone  poca  di  ricever  in  tempo  i  soccorsi  di  Spa- 
gna, offerendosi  il  partito  del  sig.  Andrea  Doria,  il  qua!,  come  sa 
Y.  M.  era  disposto  a  soccorrerci,  e  darci  adito  di  haver  victuaglie 
per  mare,  deliberarono  accettar  li  capitoli  che  dimandava  esso  sig. 
Andrea,  ancor  che  non  gr intervenisse  r  ordine  e  volere  di  V.  M. . . 
e  così  il  s.  Principe  firmò  li  detti  capitoli.  Girolamo  Morone  a  Car- 
lo V.  Napoli  agosto  1529.  T.  Dandolo  op.  e,  pag.  268. 

(3)  Frane.  Guicciardini  Stor.  d'U.,  t  3,  pag.  411. 


—  482  - 

mise  insieme  Renzo  a  stento  in  venti  giorni  fra  le  mine  e 
la  mortalità  grande  del  paese;  ma  ormai  era  troppo  tardi. 
Non  che  sorprendere  la  Sicilia,  com'egli  consigliava,  per 
metterla  in  fastidio  e  pigliarsi  il  grande  incasso  delle  gabelle 
sul  grano  (4),  che  pagavano  in  gran  parte  a  Carlo  V  le  spe- 
se delle  italiane  conquiste  (2),  mancavano  al  Lautrec  persi- 
no i  soldati  necessarii  alla'  guardia  del  campo.  Infierì  tal- 
mente la  epidemia  in  sul  finire  di  luglio,  che  ai  due  di  ago- 
sto di  ottocento  cavalli  non  vi  erano  pur  cento,  e  di  venti- 
cinquemila fanti,  che  si  contavano  un  mese  prima,  quattro- 
mila soltanto  atti  a  reggere  le  armi  (3).  Ammalati  erano  tat- 
ti gli  oratori,  tutt'i  segretarii  e  tutt'i  capitani  di  conto,  dal 
marchese  di  Saluzzo  e  da  Guido  Rangone  in  fuora.  Perlo 
che  fatti  arditi  gl'imperiali  scorrevano  in  grosso  numero 
provvedendosi  non  solo  di  viveri,  ma  togliendoli  spesso  ane- 
mici, rompendo  le  strade  e  gli  acquedotti,  predando  le  baga- 
glie  e  i  saccomanni  insino  in  sui  ripari,  e  i  cavalli  insino  al- 
l' abbeveratoio;  in  modo  che  i  francesi,  divenuti  di  assediami 
assediati,  pativano  anche  di  fame  e  di  sete.  Co*  pati  menti  cre- 
scevano i  disordini,  e  gli  aggravò  la  venuta  di  Andrea  Do- 
na. 11  quale  come  seppe  giunto  in  salvo,  fuori  de' pericoli 

(1)  Lettera  di  Renzo  da  Ceri  Aquila  17  ag.  1528.  Molini  Doc.  di 
stor.  ila],  t.  2,  pag.  78. 

(2)  Pagano  quattro  scuti  per  salma  de  tracta  ...  et  in  Sicilia 
ne  sono  doy  overo  trecento  miJia  salme  ...  Si  sa  che  la  Spagna, 
Cienua,  Toscana,  et  lo  paese  del  papa  non  può  viver  senza  Sicilia. 
Lettera  del  medesimo.  Aquila  14  ag.  1528,  Ibidem,  pag.  54. 

(3)  Gott  schicket  under  des  Frantzosen  hauffen  ain  solche  pe- 
stilenz,  dass  si  innerhalb  30  tagen  schirr  ali  starben  und  von  25000 
ùber  4000  nit  beliben.  Ziegler,  Acta  Paparum  I.  12.  Dio  non  è  man- 
cato alla  giusta  causa  di  V.  M.  ed  è  accaduto  che  tra  li  nimici  è  ca- 
scata una  infirmitate  per  la  quale  sono  morti  assai  di  loro,  più  del- 
la metà,  e  il  resto  sì  dolente  che  pochi  restan  apli  a  portar  arme  e 
far  fazione.  Girol.  Morene  a  Carlo  F,  Napoli  ag.  1528.  T.  Dandolo 
op.  cit.  pag.  269. 


—  483   - 

del  mare,  ii  messo  da  lui  spedito  a9  20  luglio  per  le  ratifiche 
dell'accordo  in  Ispagna,  mosse  con  le  sue  dodici  navi  a  Gae- 
ta ;  donde,  caricata  gran  copia  di  farina,  dopo  aver  conse- 
gnati alle  dame  napoletane  ridotte  in  Ischia  i  congiunti 
fatti  prigioni  dal  nipote,  entrò  nel  porto  di  Napoli,  traversan- 
do Tarmata  nemica.  Nondimeno  La  ut  ree,  intrattenendosi  in 
su  la  speranza  del  soccorso  di  Saint -|Pol,  non  voleva  ristri- 
gnere  il  circuito  troppo  grande  dell'alloggiamento,  e  non  be- 
ne ancora  riavuto  facevasi  portare  da  un  posto  all'altro  per 
mantenervi  le  guardie.  Ma  lungo  tempo  non  resse  a  tanta 
fatica,  e  la  notte  del  45  venendo  il  16  agosto  cessò  di  vive- 
re. Essendo  a  lui  premorto  il  conte  di  Vaudemont,  prese  il 
comando  dell' esercito  Michel  Antonio*  marchese  di  Saluz- 
zo,  impari  all'enorme  peso  (4).  Questi,  non  potendo  più  so- 
stenersi, sciolse  una  notte  l'assedio;  ma  non  eransi  le  schie- 
re scostate  molto  dal  campo,  quando,  in  sul  far  del  giorno 
29  agosto,  la  cavalleria  imperiale,  accortasi  della  levata,  as- 
sali la  retroguardia  condotta  da  Camillo  Trivulzio  e  da  Ne- 
gro de  la  Palisse,  mettendola  in  fuga,  e  poco  appresso  i  fanti 
spagnuoli  raggiunsero  e  ruppero  la  battaglia  alla  quale  era 
preposto  Pietro  Navarro,  che  insieme  con  molti  altri  cadde 
prigione  (2).  Solo  il  Marchese  di  Saluzzo  che  comandava  la 
vanguardia  si  condusse  salvo  in  A  versa;  ma  seguitato  dagli 
imperiali,  non  bastando  a  difendersi,  ed  avuta  notizia  che 
Capua,  la  più  vicina  città  per  la  quale  sarebbe  passato  conti- 
nuando a  ritirarsi,  aveva  aperte  le  porte  a  Fabrizio  Mara- 
maldo, fu  costretto  ad  arrendersi  con  vergognosa  capitola- 
li) se  venissi  caso  di  morte  (  di  Lautrec  ),  sarebbe  necessario 
che  la  maiestà  del  re  prevedessi  quello  exercito  d'  un  bon  capo,  et 
per  quello  ritragho  non  è  da  disegnar  in  sul  Marchese.  Nicolò  Cap- 
poni a  Giuliano  Soderini  vescovo  di  "Saintes.  Firenze  24  ag.  1528. 
Molini  Doc.  di  stor.  ita!,  t.  2,  pag.  80. 

{2)Sepulveda  (che  allora  era  a  Gaeta).  De  rebus  gestis  Ca- 
roli V,  1.  8,  pag.  34. 


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zione:  lasciasse  Aversa  con  le  artiglierìe  e  munizioni;  re- 
stasse egli  e  Guido  Rangone  come  persona  di  autorità,  prigio- 
ni del  principe  di  Orange;  facesse  il  marchese  restituire 
tutte  le  terre  che  tenevansi  nel  regno  in  nome  de' francesi  e 
de' veneziani;  i  capitani  e  i  soldati  consegnassero  le  bandie- 
re, le  armi,  i  cavalli  e  le  robe,  concedendo  però  a  quelli  di 
maggior  qualità  ronzini,  muli  ecortaldi;  i  soldati  italiani 
non  servissero  per  sei  mesi  contro  a  Cesare  (4).  Sia  lodato 
Iddio  onnipotente  t  vittoria,  vittoria  t  esclamò  il  rinnegato 
Morone  con  feroce  e  incomposta  esultanza  (2),  alla  quale  bel- 
lo è  contrapporre  il  dignitoso  linguaggio  del  cardinale  Pom- 
peo Colonna,  non  fosse  altro  per  rispetto  alla  umanità  (3). 
Perocché  i  resti  dell'esercito,  chiusi  nelle  scuderie  reali  della 
Maddalena,  ammucchiati  gli  uni  su  gli  altri  nel  fango  e  tra  i 
cadaveri,  perirono  due  volte  tanti  che  non  nel  campo,  e  l'a- 
ria per  essi  infetta  estese  la  moria  e  le  imprecazioni  contro 
gli  stranieri.  Ugo  de'Pepoli,  succeduto  ad  Orazio  Baglioni 
nel  governo  delle  bande  nere,  mori  in  Capua  nell'istante  che 
vi  entravano  gl'imperiali,  e  allora  quelle  milizie,  che  sole 
avevano  mostrato  non  essere  spento  il  valore  italiano,  sban- 
daronsi,  né  mai  più  si  rimisero  insieme.  11  marchese  di  Sa- 
luzzo  mori  ben  tosto  in  prigione  di  cordoglio.  A  Pietro  Na- 
varro, nel  maneggio  delle  artiglierie  e  nell'immaginare  mine 
ed  artificii  atti  alla  espugnazione  delle  terre,  primo  fra  tutti, 
ordinò  Carlo  V  fosse  mozzato  il  capo  per  mano  del  carnefi- 
ce; ma  il  governatore  della  fortezza,  compassionando  a  quel 
vecchio  che  di  staffiere  del  cardinale  di  Aragona  con  le  sue 
virtù  erasi  innalzato  agli  onori  supremi,  andò  e  lo  fece  finire 


(1)  Capitolazione  stipulata  in  Aversa  il  30  ag.  1528.  Molini,  noe. 
di  stor.  Hai.,  t.  2,  pag.  85. 

(2)  Lettera  a  Carlo  V,  T.  Dandolo,  pag.  271,  e  all'ambasc.  imper. 
presso  Clemente  VII.  Molinì,  op.  cit.,  pag.  81. 

(3)  A  Clemente  VII,  Ibidem,  pag.  83. 


—  485  — 

egli  stesso,  chi  dice  con  la  corda,  chi  soffocandolo  co' guan- 
ciali. 

3Nè  la  capitolazione  di  Aversa  pose  termine  alle  sventu- 
re del  regno  di  Napoli.  Il  principe  di  Orange,  rimastovi  vi- 
ceré, non  ricevendo  che  scarsi  sussidii  da  Cesare  (4),  stava 
tutto  occupato  in  esigere  danari  per  soddisfare  ai  soldati  dei 
pagamenti  decorsi.  Le  quali  esazioni  per  rendere  più  facili 
e  per  assicurare  il  reame  con  gli  esempii  della  severità,  man- 
dò al  patibolo  alcuni  partigiani  di  Francia,  ad  altri  assenti 
confiscò  i  beni,  che  furono  poi  distribuiti  tra  i  suoi  capitani, 
a  molti  fece  grazia  de' sospetti  componendoli  in  danari:  prin- 
cipi! violenti  di  quel  governo  assurdo  e  tirannico  che  per 
due  secoli  riempì  di  miserie  la  più  bella  parte  d'Italia.  Qual 
meraviglia  che  non  pochi  preferissero  durare  nelle  armi  ? 
Federico  Caraffa,  il  principe  di  Melfi  e  il  duca  di  Gravina 
continuarono  i  guasti  della  Puglia;  Simone  Tebaldi  romano, 
dopo  aver  riportato  qualche  vantaggio  in  Calabria,  entrò  a 
Barletta  insieme  col  duca  di  Sora  e  con  le  genti  di  Alfonso 
di  Ferrara  (2);  Renzo  da  Ceri,  giunto  presso  Capua  il  di  se- 
guente alla  capitolazione  di  Aversa,  ricondusse  le  sue  genti 
neir  Abruzzo.  Ma  queste  imprese,  più  presto  che  guerra  re- 
golare, vogliono  reputarsi  come  il  cominciamento  di  quello 
stato  di  anarchia  e  brigantaggio  che  fu  permanente,  insana- 
bile piaga  del  dominio  spagnuolo. 

Mentre  prolungavasi  questa  inutile  resistenza,  raccolse 
Andrea  Doria  il  prezzo  del  suo  passaggio  alla  parte  imperia- 
le. Aveva  egli  solennemente  promesso  di  non  far  dimostra- 
li) Je  me  fays  aussi  doute  que  il  (  principe  di  Orange  )  trouvera 
estrange,  que  puisque  avez  tant  tarde,  que  ne  luy  envoye  plus 
grosse  somme.  Instructions  de  lemper.  a  Gerard  de  /tye,  seigneur 
de  Balanfon,  envoyé  vers  le  prince  d' Orange.  Madrid,  sept.  1528. 
Papier*  d'état  du  card,  de  Granvelle^  t.  1,  pag.  428. 

(2)  Gio:  Clemente  Stanga  al  Montmorenci.  Barletta  16  sett.  1528, 
MoUni,  Doc.  di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  92. 


—  486  — 

zione  verso  Genova  e  di  non  offendere  i  francesi,  fino  a  tanto 
non  avesse  superiore  (i).  Quando  la  sorte  mia,  soggiunse  a 
Teodoro  Trivulzio,  vorrà  che  sia  al  servizio  di  altri,  mi  W- 
sognerà  far  quello  che  si  richiederà  aWonor  mio  (2).  E  la 
parola  attenne;  non  essendosi  accostato  alla  città  che  quando 
ricevette  da  Cesare  la  ratificazione  dell'accordo.  Allora  in 
Genova  infieriva  la  peste;  Giambattista  Lasagna  oratore  in 
Francia  mandava  lettere  per  torre  via  ogni  speranza  della 
restituzione  di  Savona,  e  Teodoro  Trivulzio,  non  avendo  ot- 
tenuto il  chiesto  rinforzo  dal  conte  di  Saint-Poi  di  mille  fan- 
ti (3),  né  tampoco  riscosso  il  credito  di  venti  mesi  di  pen- 
sione (4),  si  era  ritirato  nel  Castelletto.  Restava  a  difesa 
della  città  la  flotta  del  signore  di  Barbesieux;  ma  questi  al 
primo  annuncio  del  pericolo  ricoverossi  nel  porto  di  Savona. 
Per  lo  che  Andrea  Doria  con  soli  cinquecento  fanti  vi  entrò 
agevolmente  il  di  42  settembre,  alzando  bandiera  imperiale, 
quella  bandiera  medesima  che  Filippino  avea  preso  nel  golfo 
di  Salerno.  Maravigliato  il  Trivulzio  delle  scarse  forze  dei  ne- 
mici confidò  di  poterli  cacciare,  pur  che  accorressero  tremila 
fanti  francesi;  e  rimandò  a  chiedergli  al  Saint-Poi.  Questi, 
attendendo  allora  all'  oppugnazione  di  Pavia,  per  la  quale  il 
duca  di  Urbino  desiderava  si  mantenesse  intero  P  esercito, 

(1)  Andrea  Doria  ad  Agostino  Loraellino  e  Gio:  B.  Moneglia.  Le- 
rici  17  lugl.  1528,  Ibidem,  pag.  46. 

(2)  19  lugl.  1528,  Ibidem,  pag.  47. 

(3)  Li  fanti  facevono  qualche  difftcultà  da  venirgli  per  la  peste 
et  carestia,  et  sin  che  questa  città  non  sia  un  poco  assettata,  non 
seria  a  proposito  retirarli;  benché  sei  bisogno  fusse  occorso  o  oc- 
corresse, haverei  messo  et  metteria  da  canto  ogni  rispetto  per  ha- 
vergli  in  la  città  et  stargli  sicuro  :  Teodoro  Trivulzio  a  Francesco  /, 
Genova  27  ag.  1528,  Molini,  Doc.  di  stor.  ital.,  t.  2,  pag.  56. 

(4)  io  non  saperia  far  de  questi  miraculi  de  possermi  intertener 
qua  con  niente,  et  serò  costretto  lassar  che  qualche  altro  vengtai  a 
provare  come  si  viva  di  qua,  et  se  gli  saperanno  stare  senza  provi- 
sione. //  medesimo  al  Montmorenci,  9  ag.  1528,  Ibidem,  pag.  62. 


—  487  - 

commise  a  Montjean  di  andarvi  in  sua  vece  con  le  nuove 
genti  tedesche  e  svizzere  arrivate  poc'  anzi  di  Francia  in 
Alessandria.  Ma  i  tedeschi  e  gli  svizzeri  trovarono  più  conto 
a  depredare  le  terre  circostanti,  massime  Ivrea,  che  ne  ri- 
mase deserta;  e  quando  Pavia  fu  presa  e  il  conte  di  Saint- 
Poi  al  primo  di  ottobre  giunse  dinanzi  a  Genova,  era  ornai 
troppo  tardi.  Molti  de'  suoi  rivalicavano  le  Alpi,  e  i  Genovesi 
ai  contrario  avevano  già  raccolta  buona  copia  di  milizie.  Però 
disperato  della  impresa  tornò  indietro  senza  poter  né  anco 
soccorrere  Savona.  La  quale  si  arrese  il  dì  2i  ottobre,  ed 
ebbe,  in  pena  della  tentata  rivalità,  empiuto  il  porto  con 
barche  piene  di  sassi.  Pochi  giorni  dopo  capitolò  il  Castel- 
letto (i)  e  fu  a  furore  di  popolo  spianato. 

In  questo  modo  compì  il  Doria  la  impresa  per  cui  alcuni 
levaronlo  fin  alle  stelle,  altri  il  vituperarono  come  traditore. 
Traditore  non  fu,  perchè  finita  la  condotta  di  Francia  stava 
in  poter  suo  di  non  rinnovarla;  anzi,  avendogli  il  re  anche 
prima  rattenuti  gli  stipendii,  poteva  allegare  la  necessità  di 
voltarsi  alla  parte  opposta  per  sostentare  le  sue  galee,  queste 
essendo  condizioni  solite,  quando  la  guerra  pe' capitani  era 
un  mestiere.  La  sua  risoluzione  onestò  invece  collo  studio 
della  patria  libertà,  e  chi  ne  dubitasse  tuttora,  le  ponga  a  ri- 
scontro i  consigli  scellerati  e  ferocissimi  di  Renzo  da  Ceri  : 
«  si  smantellasse  Genova,  le  si  togliesse  la  Corsica  e  le  for- 
tezze di  ponente  e  di  levante,  un  cento  delle  famiglie  pri- 
marie se  ne  cavassero,  e  mandassero  a  Parigi  con  le  donne 
ed  i  figliuoli  per  mostrare  che  il  re  non  istima  quattro  mer- 
canti, e  dare  esempio  perchè  né  essi,  né  altri  burlassero  sua 
maestà  «  (2).  Onde  a  Luigi  Alamanni,  che  ragionava  di  non 
so  che  ombra  d'intorno,  ben  poteva  contrapporre  il  Doria  la 

(1)  Capitolazione  fra  Andrea  Doria  e  Teodoro  Trivulzio  del  Ca- 
stelletto di  Genova  28  ott.  1526,  Ibidem,  pag.  60,  e  seg. 

(2)  Aquila  14,  ag.  1528,  Ibidem,  pag.  53. 


—  488  — 

luce  di  quel  nobile  motivo  (4),  meritando,  come  scrive  il  Var- 
chi imparziale,  che  si  creda  piU  ai  fatti  di  lui  che  alleparok 
degli  altri.  Io  non  dirò  che  la  vittoria  gli  desse  in  mano  la 
tirannide  domestica,  alla  quale  bisogna  ammanire  di  lunga 
mano  il  fondamento  e  con  astuzia  grande;  si  affermo  che  a 
Carlo  V  sarebbe  sembrato  certo  più  bella  cosa  un  duca  di 
Genova  che  una  repubblica  genovese.  Al  contrario  pe'  con- 
sigli e  per  l' autorità  di  lui  quella  inferma  repubblica  pigliò 
buon  assetto  e  durevole  costituzione.  Descritte  cento  fami- 
glie delle  principali,  donde  si  esclusero  i  Fregosi  e  gli  Ador- 
ni che  per  tanto  tempo  avevano  combattuto  fra  loro  a  pub- 
blico strazio,  se  ne  cavarono  quelle  che  tenessero  sei  case 
aperte  in  Genova,  e  sommarono  a  ventotto,  a  cui  diedesi 
nome  di  alberghi.  A  questi  aggregaronsi  le  altre  famiglie  mi- 
nori, innestando  guelfi  con  ghibellini,  nobili  con  popolani, 
partigiani  Adorni  con  partigiani  Fregosi,  di  modo  che  le 
stirpi  cessassero  di  rappresentare  i  partiti,  e  si  spegnesse 
col  tempo  la  memoria  de' rancori.  Dei  ventotto  alberghi  fa 
stabilito  si  tirassero  a  sorte  annualmente  trecento,  i  quali 
eleggessero  a  voti  cento  e  costituissero  insieme  il  senato. 
Questo  avesse  facoltà,  non  obbligo,  di  aggregare  in  capo  ad 
ogni  anno  dieci  famiglie  nuove,  di  cui  sette  cittadine  e  tre 
rivierasche,  e  a  lui  spettasse  la  nomina  de'magistrati;  cioè 
del  doge  biennale,  di  cui  era  officio  eseguire  le  leggi  già  ap- 

(1)  se  il  mondo  sapesse  quanto  è  grande  l'amore  che  io  ho  a- 
vuto  alla  patria,  mi  scuserebbe  se,  non  potendo  salvarla  e  farla 
grande  altrimenti,  io  avessi  tenuto  un  mezzo,  che  mi  avesse  in  qual- 
che parte  potuto  incolpare.  Non  vo'  già  raccontare  che  il  re  Fran- 
cesco mi  riteneva  i  servizj,  e  non  mi  attendeva  la  promessa  di  re- 
stituire Savona  alla  patria,  perchè  non  possono  queste  occasioni  aver 
forza  di  far  rimutare  uno  dall'antica  fede.  Ma  ben  puote  aver  forza 
la  certezza  che  io  aveva  che  il  re  non  mai  avrebbe  voluto  liberar 
Genova  dalla  sua  signoria,  né  che  ella  mancasse  d'un  suo  gover- 
natore, né  della  fortezza.  Bernardo  Segni  (udì  questo  colloquio 
dallo  stesso  Alemanni  )  Istor.  fior.  1.  2,  pag.  52. 


—  489  — 

provate  e  proporre  quelle  che  nuove  cose  introducessero, 
od  emendassero  le  vecchie;  degli  otto  signori  o  consiglieri 
del  doge  egualmente  biennali  ;  degli  otto  procuratori  eletti 
pure  a  voti  per  un  biennio,  i  quali  sembra  vigilassero  l'en- 
trate e  l'annona  ;  e  de'  cinque  censori  incaricati  a  curare  che 
la  legge  non  si  alterasse  e  a  sindacare  i  magistrati,  massime 
il  doge  e  i  senatori.  Di  più  dal  senato  tiravansi  a  sorte  cen- 
to, i  quali  componevano  il  consiglio  minore;  questo,  unito 
ài  signori  ed  ai  procuratori,  amministrava  le  faccende  più  lie- 
vi ed  eleggeva  gli  ufficiali  civici.  Il  senato  sentenziava  i  reati 
di  maestà,  gli  altri  un  potestà  forestiero  assistito  da  un  giu- 
dice del  maleficio  e  da  un  fiscale.  Sette  uomini  chiamati 
straordinari  rendevano  ragione  civile,  prendendo  a  norma  il 
diritto  romano,  gli  statuti  e  la  consuetudine.  Si  compose 
eziandio  una  guardia  urbana  per  tenere  custodita  la  città  con 
un  generale  e  quaranta  capitani,  tutti  nobili  preposti  alle 
milizie  divise  in  quattro  decurie,  di  cento  uomini  ciascuna; 
e  tutte  le  genti  dello  stato,  così  di  città  come  di  borghi,  atte 
alle  armi  furono  descritte  dai  venti  ai  sessantanni  sotto  i 
loro  capitani,  con  obbligo  di  trovarsi  allestite  secondochè 
fosse  loro  ordinato. 

Vero  è  che  per  questa  riforma  rimase  escluso  il  popolo 
dal  governo,  imperciocché  P  arroto  annuale  delle  dieci  fa- 
miglie popolane  agli  alberghi  essendo  facoltativo,  il  senato 
lo  cessò  più  tardi.  Né  balza  meno  all'  occhio  P  altro  errore 
di  attribuire  le  cariche  supreme  dei  trecento  membri  del 
senato  all'ordine,  non  alla  persona,  tirandole  a  sorte,  e  più 
ancora  la  presunzione  di  costrignere  in  miscela  impossibile 
due  classi  di  cittadini,  anziché  preparare  la  concordia  col 
lasciar  a  ciascheduna  facoltà  pienissima  di  trasformarsi  in 
un'altra  o  per  merito  di  virtù,  o  per  favore  d'industrie  fe- 
lici, ed  intanto  assegnare  ad  ambedue  una  equa  parte  nella 
cosa  pubblica.  Vero  è  altresì  che  il  Doria,  sebbene  rinun- 
ziasse  al  dogato  a  vita  proffertogli  da  principio,  e  stesse  con- 

31 


—  490  — 

tento  air  officio  di  censore  perpetuo,  ritenendo  le  sue  galee 
al  soldo  di  Cesare,  aveva  in  mano  una  forza  contrastante  di 
molto  col  principio  dell'uguaglianza  politica.  Ma  so  che  altra 
riforma  più  libera  né  Genova  allora  avrebbe  potuto  sostenere 
né  le  universali  condizioni  tollerare;  so  che  con  le  sue  pre- 
rogative potè  il  Doria  risparmiare  alla  patria  l'onta  del  presi- 
dio spagnuolo;  e  questo,  e  l'essergli  piaciuto  solo  il  titolo  di 
cittadino  in  un  secolo  devoto  a  tante  false  grandezze,  gli 
valsero  fama,  secondo  i  tempi,  gloriosa.  Ripeto  secondo  i 
tempi,  perchè  Genova  aveva  nel  cuore  senza  badare  alla 
patria  comune,  e  chi  a  lei  badava  in  quella  età  sciagurata? 
Fatto  strumento  alla  grandezza  di  Carlo  V,  gli  dette  la  vitto- 
ria d'Italia:  ecco  l'accusa  del  Segni,  che  noi  dobbiamo 
confermare,  vero  essendo  quanto  dice  Brantòme,  che  chi  non 
è  signore  di  Genova  e  del  mare,  non  può  ben  dominare  la 
penisola. 

VII.  A  queste  nuove,  come  lieto  fu  il  papa  di  esser  ri- 
masto neutrale  !  Se  non  si  faceva  così,  scrisse  il  segreta- 
rio suo,  saremmo  ora  nel  profondo  della  total  mina  (1).  Ma 
chi  può  seguitarlo  senza  dispetto  per  le  ambagi  della  con- 
sueta politica,  distemperata  in  parole,  vacillante  nella  sot- 
tigliezza delle  antiveggenze,  sempre  sleale  e  ristretta  alle 
cure  del  proprio  utile  ?  Io  vorrei  espedi rmene  brevemente, 
se  in  esse  non  fosse  molta  istruzione  isterica  e  gran  presa- 
gio de'  mali  che  si  preparavano  all'Italia.  La  neutralità  sua 
non  fu  virtù  moderatrice  qual  si  conviene  colf  officio  ponti- 
ficale, si  bassa  arte  di  tener  uguale  la  bilancia  tra  le  due 
parti  finché  incerta  era  la  fortuna  delle  armi.  Bastò  che  arri- 
desse alquanto  agi'  imperiali,  e  già  si  vide  che  stava  per 
darle  il  tracollo  :  accusava  i  francesi  di  non  avergli  creduto, 
quando  egli  due  mesi  innanzi  aveva  presentito  l'alienazione 
del  Doria  ;  dicevasi  uccellato  da?  principi  nelle  cose  di  Ra- 

(1)  Gio.  Battista  Sanga  al  card.  Campeggio.  Ruscelli,  Lettere  di 
principi,  tomo  2,  pag.  127. 


—  491  — 

venna  e  di  Cervia  (4);  dava  ordine  al  governatore  di  Pia- 
cenza di  non  opporsi  al  passaggio  del  duca  di  Brunsvich  (2); 
magnificava  questo  duca,  die  sulla  via  stessa  de'  suoi  ante- 
nati, illustri  per  isludio  di  religione,  andasse  incontro  alla 
immortalità  (3)  ;  riceveva  infine  alla  sua  corte,  dove  il  cri- 
stianissimo non  aveva  ornai  servitore  alcuno,  Gismondo  da 
Este,  portatore  di  parliti  larghi  a  nome  di  Cesare,  tanto  che 
per  istornarli  Gregorio  da  Casale  fece  la  santa  e  buona  opera 
di  farlo  pigliare  e  chiuderlo  in  una  rocca  (4),  press'  a  poco 
in  quel  tempo  che  Antonio  Pucci,  vescovo  di  Pistoia,  era  ri- 
tenuto neir  attraversare  la  Francia  per  recarsi  nunzio  stra- 
ordinario in  lspagna  sotto  colore  di  esortar  Cesare  alla 
pace  (5).  Di  tal  passo  accostavasi  a  quest'ultimo,  in  atto  di 
stendergli  la  mano  subito  dopo  i  prosperi  successi  di  Napoli, 
e  pur  tirato  indietro  ora  dal  sospetto  di  sua  potenza,  ora  dal 
desiderio  che  il  pericolo  desse  maggior  valore  all'allean- 
za (6).  Perciò  si  mantenne  ancora  co' francesi  ne'  soliti  ter- 
mini, e  quando  Giovanni  Gioachimo  orator  loro  faceva  nuova 
instanza  che  si  dichiarasse  per  la  lega,  e  che,  procedendo 
contro  a  Carlo  con  le  armi  spirituali,  lo  privasse  dell'impero 
e  del  reame  di  Napoli,  non  potendo  più  resistere,  tornò  al 
solito  sotterfugio  di  promettere  ogni  cosa  se  i  veneziani  gli 
restituivano  Ravenna  e  Cervia,  dando  a  credere  che  a  que- 

(1)  Gregorio  Casale  a  monsig.  Ambrogio  Talenti  vescovo  di  Asti. 
Viterbo,  24  e  25  giugno  1528.  Molini,  Documenti  di  stor.  ita!.,  tomo 
2,  pag.  36-40. 

(2)  6  maggio  1528.  Bucholtz,  tomo'^3,  pag.  133. 

(3)  12  giugno  1528.  Ibidem. 

(4)  Lettere  precitate  di  Gregorio  Casale.  Molini,  pag.  42-43. 

(5)  Il  cardinale  Giovanni  Salviati  al  Montmorenci.  Parigi,  20  lu- 
glio 1528.  Ibidem,  pag.  73. 

(6)  Perchè  questa  è  la  via  d' insinuarsi  nella  pristina  gratia,  et 
a  podio  a  podio  farsi  tirar  le  cose  alla  via  che  desidera.  Gaspare 
Contarmi,  orator  veneto,  al  Senato.  Viterbo,  17  giugno  1528.  Biblio- 
teca Marciana,  ital.  ci.  VII,  cod.  MXLIil,  lib.  1,  msc. 


—  492  — 

sta  condizione  vorrebbe  piuttosto  superiore  il  re  di  Francia 
in  Italia,  che  vederne  padrone  V  imperatore,  ancorché  per 
suo  mezzo  riavesse  Firenze,  ed  oltre  a  Cervia  e  Ravenna, 
anche  Reggio  e  Modena  (4).  La  era  condizione,  secondo  che 
dicemmo  più  sopra,  proposta  da  lui  come  impossibile;  eben 
se  ne  addiede  V  arguto  oratore,  contrapponendo  ai  detti  i 
fatti,  ed  alla  profferta  del  maritaggio  di  Caterina  de' Medici 
col  duca  d'  Angoulème  terzogenito  del  re,  il  rifiuto  d' inve- 
stirlo senza  indugio  del  regno  di  Napoli  (2).  Privar  Cesare 
di  questo  regno  e  dell*  impero,  cosi  aprivasi  Gio.  Batt.a  Sanga 
segretario  del  pontefice  col  cardinale  Salviati  legato  in  Fran- 
cia, è  cosa  nella  quale  saria  da  pensare  ancora  assai,  quando 
fosse  del  tutto  spinto  fuori  d9  Italia,  e  battuto  di  sorte,  che 
non  potesse  riaversi  per  un  pezzo,  non  che  ora  che  pure  ha 
forze,  e  che  V  esito  di  questa  guerra  si  vede  più  dubbioso  che 
mai.  Se  sua  santità  volesse  consentirvi,  troppo  caro  compe- 
reria  Cervia  e  Ravenna.  Aggiungete  che  ogni  piena  die  ve- 
nisse ef  Alemagna,  sboccheria  sopra  di  noi,  e  che  per  milk 
promesse  che  ne  avessimo  dal  re,  potremmo  essere  sicuri,  cAtf, 
avendo  sì  stretto  parentado,  come  ha,  col  duca  di  Ferrara, 
non  ricupereremmo  mai  col  suo  mezzo  né  Reggio,  né  Mode- 
na (3).  Di  questo  e  di  ogni  altro  interesse  mondano,  dava 


(1)  Et  vedesse  Veneziani  et  Ferrara  in  quella  ruina  che  altri  dice 
che  per  gli  torti  da  loro  ricevuti  vedere  gli  vorrebbe.  Jo.  Joacbimal 
Montmorenci.  Viterbo,  16  agosto  1528.  Ibidem,  pag.  75. 

(2)  Quando  S.  S.  veramente  havesse  voluta  la  Victoria  de  fran- 
cesi, ragion  vorrebbe  che  r  havesse  fatto  quel  che  per  aiutarla  far 
si  dovea,  cioè,  oltra  el  declararsi,  privar  l'imperatore,  etc.  etc.  viva- 
mente aiutare  l'impresa  di  Napoli  . ...  ma  cum  tante  quante  ley 
adduce  difficultà  et  periculi,  stante  la  sua  da  l'un  canto  timida  e  da 
l'altro  irresoluta  natura,  non  so  ben  che  me  ne  dichi.  Ibidem, 
pag.  7G-77. 

(3)  11  e  21  agosto  1528.  Ruscelli,  Lettere  di  principi,  tomo  2, 
pag.  117, 118  e  129. 


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maggiori  sicurtà  l'imperatore,  promettendo  eziandio  di  libe- 
rare i  tre  cardinali  ostaggi  e  di  restituire  Ostia  e  Civitavec- 
chia (i).  Le  quali  promesse  confermava  con  reiterate  e  si 
pressanti  instanze  per  il  ritorno  del  pontefice  a  Roma,  dove 
lo  avrebbe  difeso  contro  qualunque  (2),  che  questi  inQne 
deliberò  di  commettersi  alla  sua  fede,  rientrandovi  il  di  6 
ottobre  4528.  Ma  qui  gli  si  fecero  intorno  assidui  i  ministri 
cesarei,  chiedendo  in  compenso  la  decima  sui  beneficii  del 
regno  di  Napoli,  la  crociata  in  Ispagna  e  il  permesso  di  ven- 
dere alcune  terre  appartenenti  ai  tre  ordini  cavallereschi  di 
S.  Jacopo,  Calatrava  ed  Alcantara  per  la  somma  di  quaranta  o 
cinquantamila  ducati  di  entrata,  onde  sarebbesi  ricavato  più 
di  un  milione  d'oro.  Il  perchè  tirò  in  lungo  la  pratica,  addu- 
cendo  quando  una  difficoltà  e  quando  un9  altra  (3),  e  mentre 
da  una  parte,  per  non  offendere  Cesare  aveva  poco  prima 
impedito  a  Renzo  da  Ceri  di  pascere  le  sue  genti  nello  stato 
della  Chiesa,  ordinandogli  d' imbarcarle  immediatamente  a 
Sinigaglia  per  alla  volta  della  Puglia  (4),  confortava  dall'  al- 


(1)  Gisrriondo  da  Este  . .  .  porta  commissioni  di  Cesare  per  let- 
tere di  sua  maestà  di  20  di  maggio  . . .  ove  si  contene  che  debbano 
liberare  li  ostaggi  Cardinali,  et  rendere  al  papa  Hostia  et  Civita  vec- 
chia, et  che  per  guadagnarlo  non  solamente  se  li  restituisca  il  suo, 
ma  anchora  se  li  dia  di  quello  di  esso  Imperadore.  Lettera  precitata 
di  Gregorio  Casale  a  monsig.  Ambrogio  Talenti,  25  giugno  1528. 
Molini,  Doc.  di  stor.  ital.,  tomo  2,  pag.  40. 

(2)  Lettera  di  Roma  a  Baldassare  Castiglione  nunzio  in  Ispa- 
gna. Ruscelli,  Lettere  di  principi,  tomo  2,  pag.  140. 

(3)  Gio.  Joachim  al  Montmorenci.  Roma,  7,  13  e  15  nov.  1528. 
Molini,  Doc.  di  stor.  ital.,  tomo  2,  pag.  119  e  120. 

(4)  Quando  alla  fine  non  la  volesse  intendere,  e  se  ostinasse  in 

voler  pascer  quelle  genti  su  lo  stato  di  sua  Santità ci  provve- 

derete  per  altra  via,  la  qual,  senza  eh'  io  ve  mostri,  sapete  qual  è 
che  ....  a  un  suono  de  campana,  e  con  allentar  la  briglia  a  popoli, 
ce  sarà  bello  e  provisto.  Jacopo  Saldati  a  Giovanni  della  Stuffa. 
Viterbo,  3  ottobre  1528.  Ruscelli,  Lettere  di  principi,  tomo  2. 


-  494  - 

tra  il  re  di  Francia  a  mantenere,  accrescere  e  fomentare  quei 
movimenti  di  Germania  che,  come  vedremo,  minacciavano 
il  trono  di  Carlo  V  (1).  E  con  tanto  calore  esprimevasi,che 
ancora  in  dicembre  di  quell'anno  Nicolò  de  Raince,  ambascia- 
tore francese,  assicurava  esser  egli,  per  quanto  pur  sembri 
il  contrario,  inclinato  più  che  mai  ai  francesi;  piagnergli 
anzi  il  cuore  che  sia  andata  cosi  a  male  la  impresa  di  Napoli. 
Non  dubito  di  affermare,  soggiunse  P  ambasciatore,  che  non 
vi  è  in  questo  simulazione  di  sorla  (2).  Per  lo  meno  anche 
il  cardinale  Campeggi,  intimo  suo,  andato  allora  in  Inghil- 
terra diceva  il  mal  possibile  di  Cesare  e  che  unico  modo  per 
ridurlo  a  ragione  era  la  forza  :  ben  sarebbe  fargli  danno  io 
Ispagna  ;  ma  non  meno  lodevole  una  impresa  in  Germania, 
sia  qualsivoglia  il  modo  di  condurla  (3). 

Rimanendo  per  si  lungo  tempo  oscillante  fra  i  due  rivali 
e  in  poca  confidenza  con  ciascuno  di  loro,  naturai  cosa  era 
che  stimasse  assai  il  conservarsi  l'amicizia  del  re  Enrico. 
Però  non  ebbe  animo  di  contraddirgli,  come  doveva,  alla 
domanda  del  divorzio;  anzi,  dimostrandosi  desideroso  di 
compiacerlo,  ma  allungando  con  difficoltare  i  modi  che  si 
proponevano,  accese  la  importunità  sua,  che  poi,  delusala 
causa  funesta  d' irreparabili  mali.  Ancor  in  settembre  del 

(1)  Mi  disse  sua  Santità che  Y  imperatore  fosse quasi 

costretto  in  persona  trovarse  ben  losto  in  Alamagna  per  dar  ordine 

a  molte  cose  ....  le  quali  non  ordinate producevano  gran  pre- 

giudicio  et  non  minor  nocumento,  minacciavano  a  l' imperatore  suo 

stato,  titolo  et  dignità Senio  le  cose  in  Germania  fussero  nel 

stato  che  si  dice,  a  sua  Santità  parrebbe  chel  chr.  re  per  ben  de  gli 
suoy  affari  le  mantenesse,  augumentasse  et  fomentasse.  Dispaccio 
precitato  di  Gio.  Juachim,  pag.  122. 

(2)  Au  Gr.  Maitre,  14  decembre  1528.  Bìbl.  imp.  di  Parigi  ras. 
Bethune,  8534. 

(3)  Louant  fort  Tentreprise  d' Allemagne,  par  quel  moyen  qu' 
elle  se  puisse  conduire.  Du  Bellay  au  Grandmaitre,  1  janv.  1529. 
Ibidem,  ms.  Colbert  V,  468. 


—  495  — 

4527,  mentre  il  Wolsey  trovavasi  a  Compiègne  per  concer- 
tare i  disegni  della  guerra  e  per  indagare  le  intenzioni  della 
corte  fran  cese  circa  la  eventualità  di  un'  alleanza  matrimo- 
Diale  da  lui  tanto  desiderata  (l),  vennero  rimesse  al  dottor 
Guglielmo  Kniglit  le  lettere  regie  concernenti  l'affare  segreto 
da  trattarsi  a  Roma  con  fine  ben  diverso  da  quello  che  Wol- 
sey medesimo  a  veva  in  menle.  Arrivato  a  Foligno,  al  Rnight 
mancò  il  coraggio  di  procedere  per  terre  occupate  dagP  im- 
periali, e'sarebbesi  ivi  trattenuto  sino  alla  liberazione  di 
Clemente,  di  giorno  in  giorno  aspettata,  se  un  corriere  del 
re  accompagnato  da  un  cappellano  di  lord  Rochefort  (padre 
di  Anna  Boleyn)  non  gli  avesse  portato  1'  ordine  di  andare 
innanzi  in  ogni  modo.  Giunto  a  Roma,  non  potendo  ottenere 
neanco  per  diecimila  scudi  un  salvocondotto  per  condursi  in 
castello  sant'  Angelo  a  parlare  col  papa,  mise  in  iscritto  le 
sue  commissioni,  e  questa  lettera,  insieme  colle  credenziali 
e  con  la  scrittura  del  re  intorno  alla  dispensa,  fece  consegnar- 
gli dal  cardinale  Pisani  in  presenza  del  protonotario  Gam- 
bara.  Il  qual  ultimo  tornò,  significandogli  a  nome  del  papa 
che,  subito  che  fosse  in  libertà,  gli  spedirebbe  tutto  ciò  che  il 
re  richiede  nella  più  ampia  forma,  secondo  il  mutuo  desi- 
derio (i). 

Scoperto  eh5  ebbe  il  Wolsey  o  congetturato  l' intendi- 


li) Verisimilmenteel  canlenal  de  Jorch  (Wolsey)  sacò  la  pon- 
zonja  de  està  plàtiea  de  Francia  con  las  vistas  que  hicieron  en  Com- 
piena entre  él  y  el  rey  de  Francia  para  tirar  mejor  à  su  intencion  el 
rey  de  Ingleterra  con  nuevo  casamienlo,  y  con  voler  de  quererse 
vengar  que  por  el  casamiento  de  la  emperatriz  dejamos  de  casar- 
nos  con  su  hija.  Istruzione  dì  Carlo  V  a  Lope  Hurtado  de  Mendoza 
(mandato  ambasciatore  al  re  di  Portogallo  per  sollecitare  la  sua  al- 
.  leanza)  Coteccion  de  documento.?  inedilos  para  la  hìstoria  de  Espa- 
na. Madrid,  1842,  tomo  1,  pag.  128  e  seg. 

(1)  Knight  toking  Henry  Vili.  Foligno,  4  dicembre  1527.  State 
papers,  tomo  7,  pag.  16. 


-  496  — 

mento  del  padron  suo,  io  non  so  se  veramente  gli  facesse  la 
opposizione  di  cui  parlano  alcuni  storici.  So  bensì  di  qual 
furore  si  fosse  la  passione  di  Enrico,  e  che  a  quel  ministro 
sarebbe  mancata  l' autorità  di  consigliargli  il  contrario  di 
quello  che  prima,  sebbene  per  altro  scopo,  gli  aveva  per- 
suaso. Di  fatto,  ritornato  in  Inghilterra,  diede  subito  incarico 
a  Gregorio  da  Casale  di  ricordare  a  Clemente,  che  nessuna 
ragione  mosse  tanto  Enrico  a  prenderlo  in  protezione,  quanto 
la  fiducia  da  lui  inspiratagli  che  il  pontefice  avrebbe  assecon- 
data la  sua  instanza;  voler  egli  il  divorzio  per  ragioni  (oltre 
a  quelle  dello  scrupolo  concepito,  e  di  certe  malattie  insa- 
nabili della  regina),  che  non  si  possono  affidare  agli  scritti; 
dipendere  da  questo  non  pur  la  pace  della  sua  coscienza,  si 
ancora  la  continuazione  della  stirpe  regia,  la  felicità  o  la 
rovina  dello  stato.  In  caso  contrario,  conchiudeva,  preveggo 
terribili  conseguenze,  e  che  il  re  farà  da  sé  quello  che  ora 
domanda  riverentemente  alla  santa  sede  (1). 

Uscito  del  castello  e  ridottosi  ad  Orvieto,  trovossi  il 
pontefice  assediato  da  ogni  parte  e  dai  protettori  e  dagli  av- 
versarii.  In  tali  angustie  pur  troppo  dobbiam  credere  al  Ca- 
sale avess'  egli  opinato,  essere  meglio  che  il  re,  senza  far 
tante  instanze,  prendi  una  seconda  moglie,  e  ne  richiegga 
poi  la  decisione  della  sede  apostolica  (2).  Ma  ciò  opponevasi 
non  meno  allo  spirito  di  letterale  legalità  sin  d'allora  domi- 
nante in  Inghilterra,  che  al  desiderio  del  re  di  veder  innanzi 
assicurata  la  legittimità  della  prole.  Per  la  qual  cosa,  non 
avendo  il  Knight  ottenuto  altro  che  parole  (3),  mandò  Wol- 

(1)  6  dicembre  1527.  Ibidem,  pag.  18-20. 

(2)  Quia  nullus  doctor  in  mundo  est,  qui  de  hac  re  melius  de- 
cernere possit,  quam  ipse  rex,  itaque  si  in  hoc  se  resolverit,  ut  pon- 
tifex  credit,  statim  causam  committat  (in  Inghilterra)  ;  aliam  uxorern 
ducat  ;  litem  sequatur.  Gregory  da  Casale  to  Wokey,  13  gen.  1528. 
Fiddes,  the  life  of  Wolsey,  pag.  461. 

(3)  Tuum  secretarium  libentissime  audivimus.  Ex  quo  tua  Se- 


—  497  — 

sey  al  papa  Stefano  Gardiner,  suo  segretario,  poi  vescovo 
di  Winchester  e  lord-cancelliere,  eFoxe,  poi  vescovo  di  He- 
retbrd  ;  e  nel  tempo  medesimo,  facendo  grande  assegna- 
mento sull'  appoggio  della  Francia,  esortò  Francesco  a  far 
per  lo  scioglimento  del  matrimonio  altrettanto  che  Inghil- 
terra per  la  liberazione  de'  suoi  figliuoli  :  dichiarasse  che 
reputa  giusta  la  domanda  di  Enrico  e  che  un  rifiuto  del 
papa  recherebbesi  egli  pure  a  male,  né  lo  scorderebbe  mai 
più.  Diceva  in  ultimo  Wolsey  che  se  la  cosa  non  riusciva  a 
buon  segno,  ei  sarebbe  perduto,  avendone  di  troppo  assicu- 
rato il  suo  re  (i).  Per  vero  se  all'avvicinarsi  di  Lautrec  fosse 
stata  intimata  in  sul  serio  al  papa  la  volontà  di  Enrico,  qual 
più  bel  sotterfugio  di  questo  per  giustificarsi  dinanzi  all'im- 
peratore con  una  specie  di  violenza  morale  (2)?  Ma  i  fran- 
cesi non  trovarono  utile  di  andar  tant'  oltre,  importando 
loro  invece  di  sostenere,  con  la  validità  del  matrimonio  di 
Caterina,  i  natali  legittimi  di  quella  principessa  Maria,  erede 
presuntiva  del  regno,  che  disegnavano  ancora  di  dar  in 
isposa  al  duca  d' Orleans  (3). 

Poiché  dunque  né  Enrico  voleva  procedere  senza  il 
papa,  né  Francesco  costrignerlo  colla  forza,  non  restò  che 
rimettere  anche  questo  caso  di  morale  alle  negoziazioni  di- 


renitas  intelliget,  quanti  Nos  faciamus  petitiones  tuas,  quae  prae- 
sertim  Ubi  cordi  suut.  Pope  Clement  to  king  Enry  Pili.  Orvieto,  16 
dicembre  1527.  Stale  pape™,  tomo  7,  pag.  27. 

(1)  Pour  les  grandes  asseurances  qu' il  en  a  toujours  baillé  à 
son  maistre.  Du  Bellay  à  Monlmorency ,  22  maj  15*28.  Bibl.  ùnp.  di 
Parigi,  1.  e. 

(2)  The  pope  thinketli  he  might,  by  good  colour,  say  lo  the 
emperour,  tliat  he  was  required  by  the  english  ambassadours  et 
m.r  de  Lautrech  to  proceed  in  the  businosse.  Dispaccio  del  dottor 
Knighl  presso  Herbert.  Life  of  Henry  Vili,  pag.  218. 

(3)  Du  Bellay  au  Montmorency,  8  novembre  1528.  Bibì.  imp.  di 
Parigi,  1.  e. 


-  498  — 

plomatiche,  il  cui  andamento  e  successo,  com'  è  ben  a  ve- 
dersi, dipendette  dagli  avvenimenti. 

I  due  oratori  inglesi,  giunti  il  di  20  marzo  1528  in  Or- 
vieto, non  se  ne  fecero  illusioni.  Più  che  alla  stanza  disa- 
giata nel  palazzo  episcopale  con  soffitte  cadenti  e  apparta- 
menti tutti  nudi,  senza  tappeti,  in  città  incomodissima  e  di 
cattiva  fama  per  l'aria,  credo  io  alludesse  Clemente  alla 
inopportunità  de'  potentati  contendenti  fra  loro,  allorché 
confessò  essere  meglio  star  prigione  a  Roma,  che  libero  in 
Orvieto  (1).  «  Le  difficoltà  e  gP  indugi  che  ci  si  oppongono, 
(scrivevano  quelli)  muovono  unicamente  da  paura  :  ognuno 
ci  si  mostra  inclinato  al  possibile,  ma  ognuno  teme  non  forse 
una  grazia  straordinaria  fatta  al  re  possa  condurre  ad  una 
nuova  prigionia,  di  cui  serba  il  posto  P  imperatore  »  (2).  Il 
perchè  fecero  un  di  P  esperimento  di  contrapporre  paura  a 
paura,  dicendo  al  papa  che  perderebbe  Punico  principe  vera- 
mente devoto,  non  solo  il  re  d'Inghilterra,  ma  il  difensore 
della  fede,  e  allora  il  papato,  di  già  scosso,  andrebbe  in  ro- 
vina con  soddisfazione  universale.  A  questa  minaccia  trasali 
il  pontefice,  qua  e  là  per  la  stanza  veementemente  gestico- 
lando ;  e  ben  ci  volle  finché  tornasse  in  calma  (3).  Promise 
tuttavia  che  avrebbe  trovala  qualche  forma  per  compiacere 
al  re,  e  ciò  stesso  scrisse  a  lui  da  Viterbo  (dove  poco  prima 
si  era  trasferito),  soggiungendo  ch'ei  doveva  certo  conoscere 
con  quanta  considerazione  gli  convenisse  portarsi  in  questo 
affare,  ma  che  più  di  ogni  rispetto  umano  poteva  in  lui  l9  fl- 
more  verso  sua  maestà  (4).  E  per  dargliene  prova  assecondò 

(1)  State  papers,  tomo  7,  png.  63. 

(2)  That  if  there  vvere  any  thing  doon  novum  et  graliosum, 
agaynst  the  emperors  purpose,  it  shuld  be  materia  novae  eaptivita- 
tis.  Gardiner  and  Fox.  Orviel  the  last  day  of  March.  Slrype,  Eccle- 
siastical  Memoria!?,  tomo  5,  pag.  402. 

(3)  Gardiner  and  Foxe.  Mondai  in  Esterwoke.  Ibidem,  p.  423. 

(4)  Inventuri  sumus  aliquam  formam  satisfaciendi  Majestati 


—  499  — 

la  proposta  de9 suoi  oratori,  destinando  legato  in  Inghilterra 
il  cardinale  Campeggi,  persona  molto  accetta  al  re  (1),  con 
commissione  di  sentire  e  decidere  insieme  col  Wolsey  la 
questione  intorno  alla  efficacia  della  dispensa  di  Giulio  li.  e 
per  conseguenza  anche  quella  che  n'  era  dipendente  sulla 
validità  del  matrimonio.  Il  che  importa  notare  aver  egli  fatto 
ai  primi  di  giugno  del  4528,  quando  mostra vansi  ancor  pro- 
pizie le  sorti  de'  francesi  davanti  a  Napoli  (2),  e  verso  pro- 
messa d' indurre  i  veneziani  a  restituirgli  le  sue  città  (3). 

Non  guari  dopo  prevalsero  gì'  imperiali,  e  già  ai  due 
settembre  troviamo  ricordato  al  Campeggi  che  sua  santità, 
per  obbligata  che  sia  al  re  d'Inghilterra,  deve  pure  aver 
riguardo  al  vincitore  per  non  dargli  causa  di  nuova  rottura, 
la  quale  tornerebbe  a  totale  eccidio  dello  stato  ecclesia- 
stico (4). 

Tuae,  quam  certe  scimus  prò  suaprudentia  cognoscere,  quam  con- 
siderate conveniat  Nos  procedere  in  hoc  negoli.i,  sed  plus  ornni 
humano  respectu  potest  in  Nobis  amor  erga  Serenitatern  Tuam. 
Pupe  Ciement  VII  lo  king  Henry  FUI.  Viterbo,  9  giugno  15'i8.  Slate 
papers^  tomo  7,  pag.  71. 

(1)  11  Campeggi  era  inoltre  vescovo  di  Salisbury,  e  perciò  dice- 
vasi  suddito  del  re,  presso  il  quale  fu  già  legato  nel  1518  allorché 
trattossi  di  una  lega  universale  contro  i  turchi. 

(2)  Commissione  pontificia.  Viterbo,  8  giugno  1518.  Herbert^ 
op.  cit.,  pag.  233,  e  Rymei\  Foedera,  tomo  14,  pag.  295. 

(3)  Vos  scire  volo  (disse  il  ponteiìce  a  Gregorio  da  Casale)  pro- 
missum  milii  fuisse,  si  legalus  liic  in  Angliam  mitteretur,  futurum 
ut  mibi  civitates  a  Venetis  reslituerentur.  Bumet,  Hisiory  of  the  re- 
formation,  parte  1.  Coli,  of  Records,  lib.  2,  num.  17. 

(\)  Come  vostra  signoria  reverendissima  sa,  tenendosi  nostro 
signore  obligalisshno  come  fa  a  quel  serenissimo  re,  nessuna  cosa 
è  sì  grande  della  quale  non  desideri  compiacerli,  ma  bisogna  ancora 
che  sua  Beatitudine,  vedendo  r  imperatore  vittorioso,  e  sperando 
in  questa  vittoria  non  trovarlo  alieno  dalla  pace, ....  non  si  preci- 
piti a  dare  all'  imperatore  causa  di  nuova  rottura,  la  quale  leveria 
in  perpetuo  ogni  speranza  di  pace  :  oltre  che  al  certo  metterla  suaj 


—  500  — 

Con  queste  e  somiglianti  instruzioni  restrittive, tendenti 
a  stornare  la  faccenda  o  per  lo  meno  a  tirarla  in  lungo  (4), 
ma  insieme  con  una  bolla  decretale  ostensibile  al  solo  re  in 
argomento  del  buon  volere  del  papa  (2),  giunse  il  Campeggi 
nel  mese  di  ottobre  a  Londra.  Trovato  pertinace  Enrico  nel 
sostenere  la  invalidità  del  matrimonio,  tanto  che  se  un  angelo 
fosse  disceso  dal  cielo  non  lo  avrebbe  persuaso  del  contrario, 
si  appigliò  al  partito  di  consigliare  la  regina  a  farsi  mona- 
ca (3).  Ma  gli  sforzi  suoi  andarono  a  vuoto:  affermò  la  regina 
in  confessione  che  dal  primo  marito  era  rimasta  inlatta  come 

santità  a  fuoco  et  a  totale  eccidio  tulto  il  suo  stato.  Gio.  Battista 
Sanga  al  card.  Campeggi.  Viterbo,  2  settembre  1528.  Lettere  di 
dicer si  autori.  Venezia,  1556,  pag.  39. 

(1)  A  partir  mio  sua  santità  pensava  che  sua  signoria  reveren- 
dissima (Wolsey)  ....  fusse  per  affaticarsi  con  me  in  persuadere  al 
re  ch'in  questo  si  havesse  a  tenere  un  altro  modo; et  per  aventura 
volesse  eh'  io  persuadessi  sua  maestà  a  levarsi  questo  pensiero  . . . 
A  che  sua  santità  mi  havea  date  expresse  commissioni  ch'io  m'affa- 
ticassi et  con  sua  signoria  reverendissima  et  con  sua  maestà.  Laur. 
card.  Campegius  ad  Sangam  Clementis  VII  secretarium.  Londini, 
28  oct.  1528.  Ugo  Laemmer,  Monumenta  Vaticana,  opera  citala, 
pag.  29. 

(2)  La  esistenza  di  questa  bolla  è  provata  dalla  relazione  di 
Gregorio  da  Casale  sulle  sue  negoziazioni  col  papa  nel  dicembre 
del  1528.  S.  D.  N.  injecta  in  meum  brachium  manu  ....  dixit .... 
bullam  decretalem  dedisse,  ut  tantum,  règi  ostenderetur  concrema' 
returque.  Burnet,  op.  cit.  Records  1.  2,  num.  17,  pag.  42.  Cadono 
dunque  le  obbiezioni  mosse  al  Guicciardini  dal  Pallavicino  li- 
storia  del  Concilio  di  Trento,  parte  1,  pag.  250),  senza  che  per 
questo  si  possa  aggiustar  fede  alla  testimonianza  del  Guicciar- 
dini medesimo  quanto  al  contenuto  della  bolla,  che  fosse  cioè  de- 
claratoria della  invalidità  del  matrimonio,  e  che  il  Campeggi  aves- 
se commissione  di  pubblicarla,  se  nel  giudizio  la  cognizione  della 
causa  non  succedesse  prosperamente  (Stor.  d'Ital.  tomo  3,  pag.  405), 
perché  nessuno  fuor  del  re  e  del  Campeggi  1'  ha  veduta. 

(3)  Campegius  ad  Sangam.  Londini,!/  oct.  1528.  Ugo  Laem- 
mer^  Monumenta  vaticana,  pag.  26. 


—  504  — 

venne  dal  ventre  di  sua  madre  (i),  e  che  voleva  vivere  e 
morire  nello  stato  matrimoniale  in  che  Dio  l'aveva  chiamata, 
dicendo  che  né  tutto  il  regno  da  una  parte,  né  ogni  gran  pena 
da  ir  altra,  ancorché  potesse  essere  laniata  a  membro  a  mem- 
bro, la  farebbe  mutar  di  opinione,  e  che  se  dòpo  la  morte  si 
ritornasse  in  vita,  di  nuovo  vorrebbe  anche  morire.  A  tanta 
fermezza  non  potè  negare  il  legato,  la  dovuta  stima,  e  pro- 
metto, scrisse  al  segretario  del  pontefice,  che  da  ogni  suo 
parlare  e  discorso  io  sempre  la  ho  giudicata  prudente  mada- 
ma, ed  ora  piU  ;  benché  potendo  senza  perdita  evitar  tanti 
pericoli  e  difficoltà,  non  mi  soddisfa  molto  questa  sua  ostina- 
zione in  non  accettare  questo  sano  consiglio  (2).  Se  non  sano, 
era  unico  veramente  a  levar  lui  e  il  papa  dall'  imbroglio. 
Che  giovavagli  lo  sparlare  eh'  ei  faceva  continuo  dell'  impe- 
ratore ?  Enrico  e  il  ministro  suo  accorgevansi  già  dell'  arti- 
ficio (3);  ogni  ragionamento  per  rimuoverli  dal  proposito 
era  come  se  fatto  ad  uno  scoglio  ;  ond'  ei  non  vedeva  modo 
di  protrarre  più  oltre  il  giudizio  (4).  Badate  bene,  ammoni- 
vaio  il  Wolsey,  non  si  abbia  a  dire,  che,  come  per  la  durezza 
e  severità  di  un  cardinale  fu  disgiunta  gran  parte  della  Ger- 
mania dalla  sede  apostolica,  così  per  un  altro  cardinale  sia 
stata  porta  la  medesima  occasione  alla  Inghilterra  (5). 


(1)  Et  benché  tutto  mi  dicesse  sub  sigillo  confessionis,  pure  mi 
dette  licentia,  anzi  mi  ricercò,  ch'io  scrivessi  a  nostro  Signore  al- 
cune conclusioni.  Lo  stesso  al  medesimo.  26  ottobre  1528.  Ibidem, 
pag.  28. 

(2)  Ibidem. 

(3)  Wolsey  to  sir  G.  da  Casale.  Londra,  1  novembre  1528.  State 
papers,  tomo  7,  pag.  104. 

(4)  Onde  io  mi  veggo  in  grandissima  angustia  et  trovomi  un 
gran  peso  alle  spalle,  né  vedo  come  non  si  abbia  a  venire  a  questo 
iudicio  et  presto.  Campegius  ad  Sangam.  Londini,  28  ottobre  1528. 
Ugo  Laemmer,  Monum.  vatic,  pag.  30. 

(5)  Ibidem,  pag.  31. 


—  502  — 

Mentre  il  Campeggi  ^andava  tergiversando  in  quella  sua 
sventurata  legazione,  affacendavansi  gli  oratori  inglesi  in- 
sieme con  quelli  di  Francia  per  indurre  Venezia  a  rendere 
Cervia  e  Ravenna  (1).  Gliele  aveva  già  richieste  direttamente 
il  papa  non  si  tosto  ve  nne  ad  Orvieto,  forte  lagnandosi  che 
della  oppressione  da  lui  patita  si  fosse  giovata  eziandio  per 
rimettersi  in  possesso  degli  antichi  privilegi  ecclesiastici  per- 
duti al  tempo  di  Giulio  II  circa  alla  nominazione  de' vescovi. 
Tale  richiesta,  fatta  a  quel  tempo  e  con  maniere  molto  impor- 
tune, parve  chiaro  indizio  eh'  ei  cercasse  occasione  di  alie- 
narsi al  tutto  da  lei.  Aggiungasi  la  importanza  delle  due  città 
per  le  ampie  possessioni  che  vi  avevano  i  suoi  sudditi  e  più 
assai  per  le  vie  che  aprivano  ad  ampliare  il  dominio  in  Ro- 
magna. Laonde,  consultato  il  gravissimo  caso  in  senato,  e 
fatta  deliberazione  di  non  accettare  condizioni  di  accordo  se 
prima  non  fossero  definite  le  altre  controversie  con  Cesare, 
elesse  il  dì  46  gennaio  d528  ambasciatore  Gaspare  Conta- 
rmi, il  quale,  non  guardando  agli  incomodi  che  a  que'giorni 
e  la  guerra,  e  la  carestia,  e  la  peste  facevano  asprissiini, 
andò  alla  corte  di  Clemente  ancor  fuggiasco  a  Viterbo,  e  poi 
a  Roma,  quando  fu  sgombra  dagli  imperiali. 

Ma  quanti  officii  facesse  non  valsero  mai  a  calmare  il 
pontefice  (2):  vane  tornarono  le  rimostranze,  aver  la  repub- 
blica occupate  quelle  città  per  sottrarle  ai  nemici  ;  essere  già 
state  di  sua  appartenenza,  e  poca  cosa  in  confronto  dei  ser- 
vigi prestati  (3)  ;  esser  dessa  pronta  a  riconoscerle  da  lui 

(1)  Per  dolum  etfraudem  occupatas.  fVulsey  to  sir  G.da  Casa- 
le. 4  oct.  1 529.  State  papers,  tomo  7,  pag.  97. 

(2)  Io  mi  sforzo  quanto  posso  di  adolcire  et  mitigare  1'  animo 
di  sua  Santità  con  la  quale  bisogna  usare  diverse  insinuationi,  né 
bisogna  passare  certi  termini  a  chi  cerchi  di  non  irritarlo  ma  miti- 
garlo. Gaspare  Contarini  at  Senato.  Viterbo,  14  giugno  1528.  Biblio- 
teca Marciana  Hai.  ci.  VII,  cod.  MXL1II,  lib.  I,  msc. 

(3)  Molto  più  importano  (così  rispondeva  il  senato  agli  inviati 


—  503  — 

verso  un  annuo  tributo.  Sorrideva  talvolta  il  papa,  ironica- 
mente dicendo  :  voi  usate  con  me  una  gran  confidenza,  mi 
togliete  le  terre,  date  i  benefizii.  ponete  imposizioni  (i)  ;  tal- 
altra  accendevasi  in  volto  e  nelle  parole  borbottando:  siete 
maledetti  (2),w?a  pensiate  corto  che  una  delle  due  cose  avverrà, 
o  che  io  mi  rovinerò  del  tutto  o  che  rovinerò  voi  (3). 

Vano  riusci  pure  il  tentativo  di  levargli  P  animo  dai 
rispetti  mondani  per  muoverlo  in  nome  dell'  Italia  e  della 
Chiesa  a  disdegnare  il  pericoloso  aiuto  della  forza  altrui. 
Se  lei  non  mi  vuol  udire  come  oratore  della  illustrissima  si- 
gnoria di  Venezia,  scongiurò  il  Contarmi,  la  mi  oda  almeno 
come  italiano,  che  le  parla  solo  per  il  bene  della  patria  co- 
mune  e  della  santa  sede  (A).  «  Padre  santo  (gli  disse  dunque 
»  un  giorno)  io  le  parlerò  non  come  persona  pubblica,  ma 
»  come  privato  e  cristiano  e  sviscerato  servi tor  suo.  Veggo 
»  chiaro  due  cose  :  l' una  che  la  repubblica  cristiana  è  in 
»  grande  pericolo;  l'altra  che  vostra  santità  è  in  procinto 
»  o  di  preporre  P  utile  proprio  al  bene  comune,  o  per  P  op- 
»  posto  questo  a  quello.  Sono  certo  altresì  che  i  cesarei, 
»  com'ella  stesso  mi  ha  detto  (5),  non  tendono  ad  altro  se 

francesi  visconte  di  Turenne  e  vescovo  di  Auranges)  le  operazioni 
che  abbiamo  fatte  e  che  siamo  per  fare  a  benefìcio  di  sua  Beatitu- 
dine, che  le  dette  due  terre,  avendo  espulsi  li  spagnuoli  di  Roma- 
gna, e  speriamo  etiam  d' Italia.  Secreta  22  giugno  1528  msc. 

(1)  Gaspare  Contarmi  al  Senato.  Viterbo,  16  giugno  1528.  Dibl. 
Marciana  I.  e,  msc. 

(2)  Adgiungendo  fra  li  denti,  voi  siete  maledetti,  se  ben  io  com- 
presi le  parole  masticate  ....  et  qui  si  accese  nel  volto  et  nelle  pa- 
role. Viterbo,  18  giugno  1528.  Ibidem,  msc. 

(3)  Questo  mi  ha  detto  l'orator  francese.  Viterbo,  27  luglio  1528. 
Ibidem,  msc. 

(4)  Rispose  il  papa  :  io  non  voglio  pensar  se  non  il  ben  de  la 
Chiesa  ;  troppo  ho  io  fatto  per  Italia  et  a  bon  line,  sì  che  mi  ho  rui- 
nato.  Viterbo,  5  settembre  1528.  Ibidem,,  lib.  2,  msc. 

(5)  Insieme  cum  sua  Santità  fu  tra  noi  discorso  che  Cesare  non 


—  504  — 

»  non  a  disciogliere  la  lega  per  aver  modo  più  facile  di  rui- 
»  nare  i  singoli  principi  ad  uno  ad  uno,  e  poi  farsi  padroni 
»  di  tutto  ;  e  pur  so  che  adesso  la  sollecitano  a  mettersi 
»  nella  via  di  procacciare  il  ben  suo  particolare,  per  porla 
»  in  ballo,  eh'  è  come  dire  per  usarla  a  strumento  di  male 
»  agli  altri  e  di  comodo  a  sé  stessi.  Attendendo  a  interessi 
»  proprii  bisognerà  ben  eh'  ella  si  faccia  parziale,  e  allora 
»  perderà  la  prerogativa  di  unico  e  santo  mediatore  di  pace 
»  tra  questi  principi.  Per  accordarli  insieme  eT  si  conviene 
»  persuader  loro  che  smettano  alquanto  delle  ragioni  che 
»  hanno,  e  il  ben  privato  al  ben  pubblico  pospongano.  A  ciò 
»  non  e'  è  mezzo  più  efficace  che  1'  esempio  di  lei.  Voglio 
»  presupporre  che  la  illustrissima  signoria  e  gli  altri  prin- 
»  cipi  manchino  del  debito  loro,  e  vorrà  per  questo  la  san- 
»  tità  vostra  mancare  del  suo  e  seguire  la  strada  trista? 
»  Nella  repubblica  cristiana  gli  altri  principi  sono  come  per- 
»  sone  private  ;  a  lei  solo  è  commessa  da  Cristo  la  cura  del 
»  ben  pubblico.  Quanto  poi  alle  cose  della  Chiesa  io  le  par- 
to levò  Uberamente.  Oh  !  non  pensi  vostra  Beatitudine  che  il 
»  ben  della  Chiesa  di  Cristo  sia  questo  piccolo  stato  tempo- 
»  rale  che  ha  acquistato  ;  anzi  avanti  questo  stalo,  la  era 
»  Chiesa  e  ottima  Chiesa  :  la  Chiesa  è  la  universalità  di  Mli 
»  i  cristiani  :  questo  stato  è  come  quello  di  ogni  altro  prin- 
»  cipe  d?  Italia,  e  però  vostra  santità  deve  procurare  princi- 
»  palmente  il  bene  della  vera  Chiesa,  che  consiste  nella  pace 
»  e  tranquillità  de' cristiani  (i).  » 

«  Io  conosco  (rispose  il  pontefice)  io  so  certo  che  voi 

tende  ad  altro  se  non  ad  dissolvere  questa  lega  per  ruinar  tutli  cura 
facilità  ad  uno  ad  uno.  Roma,  7  dicembre  1528.  Ibidem,  lib.  3,  msc. 
(1)  Avendogli  il  pontefice  replicato,  con  qual  honor  mio  posso 
mancare  a  restaurare  le  cose,  le  quali  la  Chiesa  ha  perduto  per  mia 
cagione  ?  soggiunse  1'  ambasciatore  che  anche  l'imperatore  ha  giu- 
rato nella  sua  elezione  di  conservare  questa  dignità  e  recuperar  le 
cose  perdute. 


-  505  - 

»  dite  il  vero,  e  che  a  farla  da  uomo  dabbene,  a  fare  il  de- 
»  bito,  saria  perdere  come  mi  ricordate;  ma  ho  veduto  il 
•  mondo  ridotto  a  un  termine  che  chi  è  più  astuto  e  con 
»  maggior  trama  fa  il  fatto  suo,  è  più  lodato  e  stimato  più 
»  valente  uomo  e  più  celebrato,  e  chi  fa  il  contrario  vien 
»  detto  di  lui  eh'  è  una  buona  persona,  ma  non  vai  niente, 
»  e  se  ne  sta  con  quel  titolo  solo.  I  cesarei  entreranno  nel 
»  regno  di  Napoli,  poi  verranno  in  Lombardia  e  in  Toscana, 
»  si  accorderanno  coi  fiorentini,  col  duca  di  Ferrara,  ed  an- 
»  che  con  voi,  quindi  faranno  pace  conservandovi  quel  che 
»  avete,  ed  io  mi  resterò  una  buona  persona  pelata,  senza 
»  ricuperare  cosa  alcuna  del  mio.  Vi  ripeto,  veggo  bene  che 
»  quello  che  mi  additate  sarebbe  il  vero  cammino,  e  veggo 
»  altrimenti  la  ruina  d'Italia;  ma  vi  dico  che  a  questo 
»  mondo  non' si  trova  corrispondenza,  e  chi  va  bonariamente 
»  vien  trattato  da  bestia.  » 

Al  che  il  Contarini  con  gran  calore  ripigliò:  «  se  vostra 
»  santità  considera  tutta  la  Scrittura  sacra,  la  quale  non 
»  può  mentire,  vedrà  bene  che  non  c'è  cosa  più  forte  e  più 
»  gagliarda  della  verità,  della  bontà  e  della  intenzione  retta. 
»  Deh  !  giacché  ella  stessa  vede  la  ruina  della  cristianità  e 
»  the*  da  un  piccolo  principio  si  potrebbe  venire  in  grandis- 
»  sima  perdizione,  la  supplico  a  voler  porre  le  spalle  a  so- 
»  stentare  questa  repubblica  cristiana,  ch'è  pur  stata  acqui- 
»  stata  con  il  sangue  di  Cristo,  del  quale  ella  è  vicario  in 
»  terra  (1).  » 

Inutile  supplicazione  !  Non  già  (lo  dichiarò  egli  stesso, 
e  noi  lo  abbiamo  più  volte  dimostrato),  non  già  che  tenesse 
chiusi  gli  occhi  dinanzi  al  baratro  in  cui  affondava  l' Italia. 
Benché  tema  la  grandezza  di  Cesare  e  poco  se  ne  fidi,  scrisse 
sin  da  principio  l' arguto  ambasciatore,  pure  lo  sdegno  gran- 


(1)  Roma  4  gennqjo  1529.  Ibidem,  lib.  4,  msc. 

32 


—  506  — 

dissimo  supera  ogni  altro  rispetto  (1).  Tanto  può  la  febbre 
di  scettro  mondano  ! 

Vili.  Ai  destreggiamenti  di  papa  Clemente,  per  tirar  Ce- 
sare al  suo  fine  di  consolidare  la  potestà  temporale,  davano 
buon  sostegno  i  pericoli  onde  quest'  ultimo  era  fuor  del- 
l' Italia  minacciato. 

Ferdinando,  suo  fratello,  aveva  già  ottenuti  per  elezione 
i  due  regni  di  Boemia  (23  sett.  d526)  e  di  Ungheria  (26 
nov.  Ì526).  Cosa  strana  e  pur  vera!  Dovette  il  primo,  dove 
abbondavano  gli  utraquisti,  più  che  al  favore  de'  grandi  lar- 
gamente rimeritati,  alla  promessa  di  aver  a  cuore  la  rifor- 
mazione ecclesiastica  (2),  ed  ai  portamenti  in  quel  tempo 
assunti  da  casa  d'  Austria  inverso  del  pontefice.  Non  così  il 
secondo;  perocché  ivi  le  nuove  dottrine  non  avevano  ancor 
messa  radice,  ed  anzi  a  sua  sorella  Maria,  vedova  di  Luigi 
II  Jagellone,  che  non  osservava  i  digiuni  e  leggeva  gli  scritti 
di  Lutero,  trovò  opportuno  di  far  serie  ammonizioni  (3);  quel 
Ferdinando  medesimo  che  alcuni  poco  prima  accusarono  di 
lasciar  accanto  a  sua  moglie  soli  tedeschi  e  tutti  luterani  (A). 
In  Ungheria,  dove  la  fazione  opposta  aveva  eletto  Giovan- 
ni Zapoly  (H  nov.  1526),  non  era  a  confidare  che  nella 
prevalenza  di  forza;  ed  infatti,  dopo  aver  accettate,  unica- 
mente per  guadagnar  tempo  di  armarsi,  le  negoziazioni  in- 
trodotte dal  re  di  Polonia  ad  Olmùtz  (5),  mosse  Ferdinando 


(1)  Viterbo,  11  agosto  1528.  Ibidem,  lib.  2,  msc. 

(2)  Bucholtz,  t.  2,  pag.  420. 

(3)  Olmùtz,  19  aprile  1527.  Maria  con  sua  risposta  di  Presburgo 
29  aprile  protestò  di  voler  vivere  e  morire  da  buona  cristiana,  at- 
tribuendo quelle  voci  ai  malevoli  per  farle  perdere  l'amore  del 
fratello.  Gévay,  Urkundeo  etc.  op.,  cil.,  fase.  5,  pag.  65,  68. 

(4)  Dedit  ei  germanos  qui  omnes  fuerunt  lutberani.  J.  Christ. 
v.  Engel,  Geschichte  des  ungarischm  Ruirbcs,  parte  2,  pag.  51. 

(5)  Combien  que  nay  nulloment  cn  voulente  .  .  .  rions  traicter 
ny  conclure.  noantmcinps  .  . .  pour  entretenir  les  affaires  jusque. 


—  507  — 

con  ottomila  fanti  e  tremila  a  cavallo  contro  il  suo  rivale. 
Le  principali  fortezze,  una  dopo  l'altra,  caddero  senza  resi- 
stenza :  allora  incominciarono  a  disertare  i  partigiani  dell'an- 
tire,  e  questi  infine,  battuto  presso  Tokay,  dovette  ricove- 
rarsi a  Tarnow  in  Polonia,  mentre  Ferdinando  li  3  novem- 
bre del  4527  ponevasi  in  capo  ad  Albareale  la  corona  di  san- 
to Stefano. 

Ma  non  se  ne  tenne  sicuro.  Monsignore,  scriveva  an- 
cora in  quel  mese  al  fratel  suo,  voi  ben  conoscete  gli  unghe- 
resi e  la  mutabilità  del  lor  volere  (i).  Si  era  egli  appena  al- 
lontanato da  essi  che  levossi  un  grido  universale  contro  le 
violenze  dell'  esercito  tedesco  (2),  e  Giorgio  Mai  tinuzzi,  mo- 
naco paolino,  correva  di  castello  in  castello  per  rianimare 
gli  antichi  amici  del  Zapoly,  il  quale  al  principio  del  1528 
strinse  con  Solimano,  gransignore,  un  accordo  per  cui  si 
obbligò  a  riconoscere  da  lui  il  regno  (3). 

Solimano  nell'  interesse  di  sé  medesimo  reputava  ne- 
cessario d?  infrenare  a  tempo  In  potenza  di  Carlo  V.  Essa  è, 
diceva  lbrahim,  suo  visire,  epirota  rinnegato,  come  una  fiu- 
mana  prodotta  da  ruscelli  e  torrenti  che  scava  in  fine  le  fon* 
damenta  del  più  forte  edifizio  nella  caverna  di  un  monte  (4)  ; 
onde  agli  ambasciatori  di  'Ferdinando,  comparsi  a  doman- 
dare la  restituzione  di  ventiquattro  piazze  ungheresi  verso 


a  ce  que  soie  de  tout  prest  pour  me  mectre  aux  champs, .  .  .  ie 
lui  ay  bien  voulu  accorder  icelle  journee.  Gècay,  I.  e,  pag.  00. 

(1)  Leur  mualìle  et  fraglie  vouloir.  Ibidem,  pag.  120. 

(2)  Bucholtz,  t.  3,  pag.  269-279. 

(3)  Non  solum  Ungariae  regnimi  (dichiarò  in  nome  suo  l'am- 
basc.  Girolamo  La>ky),  non  solum  dominia  palrimonii  sui,  sed  et 
personara  suam  propriam  non  suam  esse  vult  sed  vestram.  Steph. 
Katona,  Historia  critica  regnum  Hungariae  slirpis  austriacae,  t.  20, 
pag.  1. 

(4)  Relazione  di  Uabordancz  e  Weichselbcrger,  ambasciatori 
di  Ferdinando.  Bucholtz,  t.  3,  pag.  596. 


-  508  - 

compenso  in  denaro,  rispose  che  verrebbe  a  farla  in  persona 
e  con  tutte  le  sue  forze. 

Facile  è  imaginare  come  ne  imbaldanzissero  i  nemici 
di  casa  d'Austria  in  Germania.  I  duchi  di  Baviera  trattavano 
tuttora  cogli  elettori  e  col  re  Francesco  per  privarla  del  tro- 
no, proponendo  a  tal  uopo  che  ambasciatori  francesi,  d' ac- 
cordo con  que'  di  Lorena  e  d' Inghilterra,  venissero  nella 
prossima  dieta  a  ricordarle  i  danni  sofferti  da  che  quella 
casa  vi  tiene  lo  scettro  :  Costantinopoli,  Rodi,  ed  ormai  la 
Ungheria  perdute  per  la  cristianità,  Basilea  e  Costanza  per 
l'impero;  non  intendere  i  fratelli  austriaci  che  a  rendere 
ereditaria  la  corona,  e  ad  ingrandirsi  in  ogni  modo;  doversi 
dunque  procedere  alla  elezione  di  un  nuovo  imperatore  che 
amministri  la  giustizia,  rimetta  la  nazione  tedesca  nell'an- 
tico suo  statole  sia  buon  cattolico,  idoneo  ad  estirpare  l'ere- 
sie (1). 

Nel  tempo  stesso  anche  la  parte  luterana  licenziavasi  a 
gravi  disordini.  Avendo  Ottone  di  Pack,  cancelliere  del  duca 
Giorgio  di  Sassonia,  dato  a  credere  che  il  padron  suo  si  fosse 
collegato  col  re  Ferdinando,  con  gli  elettori  di  Magonza  e  di 
Brandeburgo,  coi  duchi  di  Baviera  e  coi  vescovi  di  Sali- 
sburgo, Wùrzburgo  e  Bamberga.'  per  {spodestare  l'elettore 
di  Sassonia  e  il  langravio  di  Assia,  questi  due  ultimi,  messi 
insieme  seimila  fanti  e  duemila  cavalli,  deliberarono  di  pre- 
venire il  pericolo.  Lutero  entratovi  di  mezzo  consigliò  si 
chiamassero  invece  in  giudizio  i  congiurati.  Ripugnavagli 
1'  uso  delle  armi  a  sostegno  delle  sue  dottrine:  la  guerra, 
diceva  egli,  osa  lutto,  guadagna  poco,  e  perde  certo  (2).  A 
quella  sentenza  piegò  l'elettore.  Al  contrario  il   langra- 


vi Forme  et  maniere  de  conduire  et  mener  l'affaire  d'  élection 
au  nom  du  roi  de  France.  Bibl.  imi),  di  Parigi.  MS.  Bethune  n. 
6593,  f.  93,  citato  da  L.  Ranke,  Deutsclie  geschichte,  t.  3,  pag.  29. 

(2)  De  Fitte,  t.  3,  pag.  316,  n.  986,  987. 


-  509  — 

vio,  uomo  come  nessun'  altro  impetuoso,  invase  il  territo- 
rio di  Wùrzburgo,  minacciando  quelli  di  Bamberga  da  un 
canto  e  di  Magonza  dall'  altro.  Intanto  la  frode  del  Pack  fu 
certificata  (1),  e  nondimeno  il  langravio  volle  i  vescovi 
condannati  nelle  spese  de'  suoi  armamenti. 

Vero  è  che  più  tardi  se  ne  penti.  Non  vi  è  azione  in  vi- 
ta mia,  disse  un  giorno,  della  quale  piti  mi  dolga.  Ma  irre- 
parabili ne  furono  le  conseguenze.  Contro  tanta  violenza 
levossi  il  sentimento  del  diritto  e  dell'ordine  pubblico,  ben 
tosto  abusato,  come  al  solito  in  tempi  di  lotte  intestine,  per 
dar  colore  di  necessaria  difesa  a  nuove  ingiustizie  della  parte 
contraria.  Onde  tutto  che  tra  i  luterani  avevasi  in  conto  di 
vera  pietà,  tolsero  i  cattolici  a  punire  ne'  loro  stati  sin  col 
fuoco  e  con  gli  annegamenti.  Nella  qual  opera  di  persecu- 
zione fecero  a  gara  con  l'arciduca  di  Austria  e  con  i  principi 
ecclesiastici  i  duchi  di  Baviera,  fermi  più  che  mai  nel  dise- 
gno di  pervenire  all'  impero.  A  questo  disegno  e  a  questa 
epoca  riferisconsi  i  sopraccennati  eccitamenti  del  pontefice 
al  re  Francesco  di  fomentare  le  turbolenze  di  Germania  e  di 
soccorrere  il  Zapoly  (2). 

Aggiungasi  lo  scisma  insorto  tra  i  fratelli  uterini  della 
riforma.  Vedemmo  già  Garlostadt  aver  negato  la  presenza 
reale  di  Cristo  nella  santa  cena,  che  Lutero  accettò,  rappre- 
sentandola sotto  la  imagine  di  un  ferro  rovente,  ove  col  me- 
tallo esiste  anche  il  calore.  Gli  tenne  dietro  Giovanni  Eco- 


fi)  Se  ha  trovato  che  in  fondamento  mai  è  slata  fatta  tal  con- 
spirazione,  ma  che  una  persona  privata  ha  falsificato  li  sigilli  e 
lettere  de  certi  principi.  Accursio  Grineo  agente  in  Baviera  a 
mons.  de  Grangis,  oratore  del  re  di  Francia  presso  gli  Svizzeri,  20 
giugno  1528.  Molini,  Doc.  di  stor.  ital.,  Arch.  stor.  ital.  Append., 
n.  9,  pag.  437. 

(2)  Gio.  Joachimo  al  Montmorency.  Roma  7,  13  e  15  nov.  1528. 
Molini.  Doc.  di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  122. 


—  510  — 

lampadio  professore  di  Basilea,  e  con  maggiore  audacia  Ul- 
rico Zuinglio.  Costui  sin  dal  principio  della  sua  predicazione 
aveva  manifestato  la  tendenza  che  doveva  separarlo  dal  no- 
vatore tedesco,  di  mutare  cioè  non  pur  gli  ordini  religiosi, 
ma  i  civili  della  Svizzera.  Nato  (1.  gen.  1484)  e  cresciuto  a 
Wildenhaus,  alpestre  comune  del  Toggenburgo,  i  cui  abitan- 
ti, per  opera  massime  di  suo  padre,  liberaronsi  a  poco  a  poco 
dal  giogo  feudale  dell'  abbate  di  San  Gallo,  la  ingenita  ca- 
rità di  patria  rinvigorì  collo  studio  declassici  e  della  sacra 
scrittura.  Commiserò  dunque  a?  rotti  costumi  de'  suoi,  ed 
incolpandone  principalmente  la  funesta  abitudine  di  servire 
a  soldo  straniero,  arse  del  desiderio  di  ricondurli  al  loro 
glorioso  cominciamento.  A  questi  sentimenti  politici  dovette 
la  sua  elezione  nel  1519  a  curalo  del  duomo  di  Zurigo.  Ivi 
continuò  a  fulminare  dal  pulpito  le  alleanze  di  parte  colle 
potenze  forestiere,  e  la  venalità  clericale;  interdisse  a  fra  Ber- 
nardo Sansone  milanese  lo  spaccio  delle  indulgenze,  e  il 
vecchio  e  il  nuovo  testamento,  siccome  unica  fonte  del  cri- 
stianesimo, svolse  intero  e  a  largo  modo,  ma  con  successo 
tanto  appariscente  nelle  pubbliche  disputazioni,  che  il  senato 
civico,  nel  febbraio  del  1523,  impose  ai  sacerdoti  di  non  fare 
né  insegnar  nulla  che  non  potessero  provare  colla  parola 
di  Dio,  pubblicando  a  tal  uopo  una  instruzione  dettata  da 
lui  medesimo.  Cosi  Zurigo  restò  sciolta  a  un  tratto  dalla  di- 
pendenza del  vescovado  di  Costanza  e  quindi  dalla  unità 
della  Chiesa;  ed  ei  potè  attendere  senza  ostacoli  a  darle  una 
nuova  costituzione.  Nella  quale,  raffrontata  con  1'  òpera  di 
Lutero,  notansi  appunto  quelle  differenze  essenziali  che  la 
indole  varia  de'  riformatori  e  le  diverse  condizioni  sociali 
de'lor  paesi  valgono  a  spiegare.  Lutero,  sorto  in  terra  di  prin- 
cipe, le  sue  dottrine  disseminò  con  mistura  di  concetti  più 
vantaggiosi  al  dominio  di  un  solo,  e  se  abbattè  la  monarchia 
spirituale  o  il  papato,  finì  col  promuovere  l'assolutismo  tem- 
porale, in  un  tempo  che  egli  medesimo  ne  aveva  bisogno  a 


—  541  — 

soffocare  le  voci  discordi  de'proseliti.  Al  contrario  Zuinglio, 
repubblicano,  movendo  dal  principio  che  la  Chiesa  non  con- 
siste nel  papa,  nei  cardinali,  nei  vescovi  e  nelle  loro  assem- 
blee, si  unicamente  nel  comune,  tentò  riportare  la  chiesa 
stessa  e  lo  stato  alla  semplicità  de'  primi  giorni.  Quegli  nei 
sussistenti  istituti  ecclesiastici  volle  conservar  tutto  che  non 
gli  paresse  disdetto  da  una  espressa  sentenza  della  scrittu- 
ra; questi  toglier  tutto  che  non  n'era  dimostrato.  L'uno 
stette  contento  a  ristabilire  nella  eucarestia  l'uso  del  calice; 
l' altro,  negandovi  la  presenza  reale  di  Cristo,  ne  fece  un 
semplice  rito  di  commemorazione  e  di  amore. 

La  nuova  costituzione  ecclesiastica  intimamente  con- 
nessa colla  politica  ben  era  naturai  cosa  andasse  a' versi 
dell'elemento  democratico,  dappertutto  in  lotta  coi  preposti 
de'  comuni  che  ricevevano  le  consuete  pensioni  e  coi  ca- 
pitani che  la  bellicosa  gioventù  conducevano  a  depredare 
T  Italia,  i  quali  poi  uniti  dominavano  ne' consigli  delle  città 
e  nelle  diete.  Berna,  scosso  il  giogo  degli  oligarchi,  e  dopo 
uditi  in  disputa  Ecolampadio,  Zuinglio,  Corrado  Pellicano 
(Kurschner),  Bernardo  Haller,  e  altri  campioni,  fu  prima  ad 
accettarla  nel  1527;  indi  Basilea  in  aprile  del  1529,  e  le  due 
città  strinsero  con  Zurigo  una  confraternita  cristiana  a  di- 
fesa delle  introdotte  novità,  alla  quale  accedettero  ben  tosto 
San  Gallo,  Biel  e  Mùhlausen. 

Qual  meraviglia  che  anche  in  Germania  le  rispondesse 
la  simpatia  della  parte  popolana?  Butzer  e  Capitone,  stati 
alla  disputa  di  Berna,  riformarono  la  chiesa  di  Strasburgo 
conforme  alle  dottrine  di  Zuinglio.  Ne  seguitarono  l'esempio 
Lindau  e  Memmingen.  Le  stesse  dottrine  predicarono  So- 
mio  in  Ulma,  Cellario  in  Augusta,  Blaurer  a  Costanza,  Her- 
mann a  Reutlingen,  e  quanti  altri  nelle  rimanenti  città  di 
quelle  regioni!  Indarno  gridava  Lutero:  il  diavolo  è  tra  noi 
e  manda  ogni  giorno  visite  a  bussar  alla  mia  porta;  uno 
non  vuole  il  battesimo,  un  altro  rigetta  la  eucarestia,  un 


—  542  — 

terzo  insegna  che  un  nuovo  mondo  sarà  creato  da  Dio  pri- 
ma del  giudizio  finale  .  .  .  tante  credenze  insomma  quante 
teste,  e  non  c'è  mentecatto  che,  se  sogna,  non  credasi  visitato 
da  Dio  e  profeta.  Le  diatribe  e  gli  scritti  polemici  di  arabo 
le  fazioni  infiammavano  gli  animi  di  vicendevole  odio,  equa 
e  là  sorgeva  persino  il  pensiero  di  collegarsi  strettamente  e 
per  sempre  alla  confraternita  elvetica. 

In  tanta  discordia  tra  i  riformati  si  adunò  la  dieta  di 
Spira  a'  21  febbraio  del  1529.  Le  due  antecedenti  convocate 
a  Ratisbona  andarono  a  vuoto;  Puna  in  maggio  del  1527  per 
iscarso  numero  d'intervenuti;  l'altra  in  marzo  del 4528 per 
contrammandato  di  Cesare,  ad  inchiesta  del  pontefice,  che 
ne  temeva  non  buone  determinazioni  (1).  Ma  se  allora,  co- 
me per  lo  innanzi,  facevano  assegnamento  i  luterani  sopra 
la  maggioranza  dell'  assemblea,  quanto  ornai  non  s'era  que- 
sta voltata  dall'altra  parte  !  11  favorevole  editto  dell'anteriore 
dieta  di  Spira  del  1526  aveva  avuto  a  principale  motivo  la 
necessità  di  sedare  le  interne  dissensioni.  Le  dissensioni  e 
le  turbolenze  divennero  invece  maggiori  e  peggiori.  Che  al- 
tro dunque  potevasi  aspettare  fuor  il  ritorno  alle  passate  dur 
rezze?  Si  va  già  più  oltre  di  Lutero,  scriveva  il  segretario 
del  pontefice  al  nunzio  in  Ispagna;  si  nega  già  la  eucarestia 
e  il  battesimo  degli  infanti  :  che  diranno  i  posteri  quando  un 
dì  leggeranno  che,  appunto  sotto  il  maggior  imperatore  che 
sia  stato  da  secoli,  si  riempì  Germania  di  eresie  (2)  ?  Cesare 
non  istette  in  dubbio  un  istante,  e  nel  decreto  di  convocazio- 
ne della  nuova  dieta  intimò,  che,  senza  riguardo  agli  assenti, 
avrebbesi  fermo  e  valevole  per  tutti  quanto  fosse  conchiuso 
dai  deputati  presenti. 

(1)  Prudentemente  pensò,  poter  facilmente  essere  che  ne  suc- 
cedesse qualche  non  buona  determinazione.  Gio.  Battista  Sanga 
a  Baldassare  Castiglione,  nunzio  in  Ispagna,  ottobre  1528.  Lettere 
di  diversi  autori.  Venezia  1556,  pag.  56. 

(2)  Ibidem. 


-  513  - 

Vi  mandò  il  papa  Giantommaso  conte  della  Mirandola 
per  esortare  alla  guerra  contro  gli  Osmani.  e  per  assicurare  di 
adoperarsi  con  ogni  spirito  a  conciliar  pace  con  la  Francia, 
acciocché,  levati  tutti  gì'  impedimenti,  si  potesse  attendere 
alla  convocazione  e  celebrazione  del  concilio  per  ristabilire 
la  unità  della  fede.  A  quest'  uopo,  e  con  lo  stesso  animo  in- 
finto, scolpossi  il  re  Francesco  per  lettera  dell'appostagli 
accusa  di  esser  causa  del  flabello  turchesco,  ritorcendola 
sopra  l'avversario.  Ricordò  le  offerte  fattegli  in  contraccam- 
bio della  Borgogna  e  dei  figliuoli  ostaggi,  sempre  rifiutate 
senza  commiserazione  alcuna  al  sangue  versato,  alle  cose 
sante  profanate,  e  al  popolo  smunto  e  sterminato.  Disse  il 
gransignore  più  umano  e  clemente  di  lui  che  vuol  essere  re- 
putato principe  cristiano,  e  voi  ben  sapete,  soggiunse  colle 
parole  dei  duchi  di  Baviera,  in  quanta  miseria  e  desolazione 
sia  ridotta  la  Germania  sotto  il  dominio  della  casa  d' Au- 
stria, perchè  F  ambizione  di  possedere  Italia  F  ha  fatta  in 
ogni  tempo  postergare  la  nobile  terra  vostra,  per  modo  che 
Italia  è  principal  cagione  dei  mali  che  avete  sinora  soffer- 
ti (4). 

Ma  più  che  le  velleità  dei  duchi  di  Baviera  contro  Ce- 
sare, più  che  le  minacce  de'  turchi,  premevano  in  quel  mo- 
mento all'  adunanza  le  cose  di  religione.  Laonde  la  proposta 
de'  commissarii  imperiali  di  rivocare  l'antecedente  editto  di 
Spira,  stato  occasione  di  sinistre  interpretazioni  (2),  fu  non 
pur  dai  cattolici  tutti,  ma  eziandio  dall'  elettore  palatino  e 
dal  duca  Enrico  di  Meclemburgo,  tenuti  insino  allora  in  con- 
fi) En  maniere  que  cette  Italie  est  Ja  mère  ribaulde  et  princi- 
pale cause  des  pauvretez,  miséres  et  inconvèniens  que  jusques  à 
présent  ont  estè  en  ladicte  noble  Germanie  et  à  toute  nation. 
Francois  I.er  aux  éiats  de  V  empire  assemblés  a  Spire.  Blois,  25 
raars  1529.  Papier*  d'  état  du  card,  de  Granvelle,  t.  I,  pag.  456. 
(2)  Mailer,  Historie  von  der  evangelisclien  stàndte  protestation 
und  appellation,  pag.  22. 


—  Mi- 
lo di  luterani,  senz9  altro  accettata  (24  marzo).  Vi  si  aggiun- 
se, che  dove  l' editto  di  Worms  era  stato  ricevuto,  conti- 
nuasse ad  osservarsi;  e  dove  eiasi  mutata  la  dottrina,  non 
si  facessero  ulteriori  novità,  nò  si  vietasse  Fuso  della  messa 
fino  al  futuro  concilio;  che  la  setta  de'sacramentarii,  cioè  dei 
neganti  nella  eucarestia  la  presenza  reale  di  Cristo,  e  quella 
degli  Anabattisti,  fossero  bandite  da  ogni  luogo;  che  Pevan- 
gelo  s'insegnasse  giusta  la  sposizione  de' Padri  approvati 
dalla  Chiesa;  che  gli  ordini  dell'impero  stessero  in  pace 
fra  loro,  né  alcuno  molestasse  l' altro  per  titolo  di  religio- 
ne, né  pigliasse  il  patrocinio  de' sudditi  altrui. 

Con  questo  decreto  era  condannata  la  riforma  ad  una 
tregua  mortale.  Di  qui  la  protesta  della  parte  contraria,  la 
quale,  essendo  stata  rigettata  dal  re  Ferdinando  nella  ses- 
sione del  49  aprile  4529,  fu  stesa  in  forma  autentica  il  di  25 
dello  stesso  mese.  Vi  sottoscrissero  Gio\anni  elettore  dì  Sas- 
sonia, Giorgio  margravio  di  Brandtburgo,  Ernesto  e  Fran- 
cesco duchi  di  Lùneburgo,  Filippo  langravio  di  Assia,  e  Wol- 
fango  principe  di  Anhalt,  e  con  essi  quattordici  città  (4). 
Tutti  deliberati  a  difendersi  con  forze  unite  da  ogni  violenza 
della  maggioranza.  Nonpertanto  il  papa  restò  soddisfatto 
del  successo  otienuto,  e  n*ebbe  Cesare  nuovo  strumento  nel- 
le negoziazioni  con  lui.  Ma  T  esito  loro  dipendeva  ancora 
dalla  fortuna  delle  armi  in  Lombardia. 

IX.  Le  strettezze  degli  imperiali  in  Milano  e  la  dispe- 
razione di  quel  popolo  non  si  finirebbe  mai  a  narrare.  Se 
grandi  per  lo  innanzi,  quanto  più  crebbero  al  sopraggiugnere 

(1)  Quant  a  larticle  de  la  foy  tous  l>s  prinees  tant  elccleurs  que 
autres  sey  sont  conduitz  selon  mon  desir,  reserve  le  ...  .  demeu- 
rant  en  leur  mauldiele  obstinarion  et  erreuravec  aussi  quelzques 
villes  imperiales  (Strasburgo,  Norimberga,  Ulma,  Costanza,  Lin- 
ciati, Memmingen,  Kunplen,  Nòrdliugen,  Heilbronn,  Rculliugen, 
Isrjy,  e  s.  Hallo;.  Ferdinando  a  Maria  (sua  sorella,  regina  vedova  di 
Ungheria),  Spira,  21  aprile  1529.  Gccay,  Crkuuden.  fase.  6,  pag.79. 


—  515  - 

de'te  deschi  raccolti  tra  i  fuggiaschi  del  duca  di  Brunswich! 
Quegli,  appena  entrativi,  il  di  primo  ottobre  1528  ammuti- 
naronsi  (1),  richiedendo  centoquarantamila  scudi  di  soldi 
residui,  e  si  durò  fatica  a  quotarli  con  soli  venticinquemi- 
la  (2).  Il  crudele  provvedimento  del  dazio  sulie  farine  non 
rispondeva  alle  aumentate  necessità,  perchè  non  se  ne  rica- 
vavano ornai  più  di  quindicimila  scudi  al  mese,  e  gli  sti- 
pendii  ordinarii  ammontavano  invece  a  trentacinquemila  (3). 
Né  le  ville  vicine,  Novara,  e  alcune  terre  di  Lomellina,  dove 
parte  delle  truppe  vissero  tutta  la  vernata  predando  e  ta- 
glieggiando, bastavano  più  alle  loro  rapine;  onde  strugge- 
vansi  del  desiderio  d' ingoiare  i  limitrofi  stati  del  duca  di 
Savoia,  dicendo  necessario  al  servigio  di  sua  maestà  distrug- 
gere quel  principe,  più  francese  del  re  Francesco  (A).  Non  è 
dubbio  che  anche  Carlo  HI  il  Buono  la  salute  sua  e  dell'Ita- 
lia riponeva  nel  contrappeso  di  Francia,  ben  dissimile  in  ciò 
dal  marchese  Gabriello  di  Saluzzo  e  dalla  marchesana  di 
Monferrato.  Quegli,  tenuto  lungo  tempo  prigione  in  una 
torre,  per  ordine  della  madre,  sotto  titolo  di  mentecatto,  per- 
chè aderente  a  Cesare,  non  ebbe  si  tosto  acquistato  il  domi- 
nio dopo  la  morte  di  Michelantonio  suo  fratello  maggiore, 
che  fece  esplicita  professione  dell'antica  fede  (5);  questa  ado- 


(1)  Lettera  ad  Angelo  Bolano,  da  Pavia  6  ottobre  1528.  Molini. 
Doc.  di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  105. 

(2)  Hizo  tanto  con  ellos  que  soltaron  h  V.  M.  los  ciento  è  cua- 
renta  mil  ducados  por  veinte  e  rinco  mil,  los  cuales  les  pago  de 
Jo  que  Rivadeneira  llevo.  Parrafos  de  lo  que  de  parte  de  Antonio 
de  Leyca  se  hizo  presente  a  S.  M.  7  genn.  1529.  Archivio  di  Siman- 
eas  FaI°  leg.  1172msc. 

(3)  Ibidem 

(4)  Del  duque  de  Saboya  dice  cumple  al  servicio  de  V.  M.  de- 
struirle,  porque  es  mas  frances  que  el  Key,  lo  cual  muestra  en 
lodo.  Ibidem  in  se. 

.  (b)  Invio  à  decir  à  Antonio  de  Leyva  que  él  era,  tambien  imperiai 


—  516  — 

perava  le  proprie  forze  a  senno  degli  imperiali  (4).  Con  ugua- 
le inconsideratezza,  e  più  con  imperdonabile  viltà,  Giampaolo, 
fratello  bastardo  del  duca  Sforza,  supplicava  il  Leva  di  te- 
nergli un  neonato  al  fonte  battesimale,  e  di  significare  a 
Cesare  il  suo  buon  volere  di  servirlo  (2). 

Non  per  questo  allevia ronsi  le  angustie  di  Milano.  Jlfi 
trovo  in  mali  termini,  scriveva  il  Leva  all'  imperatore  li  28 
gennaio  4529,  con  poca  gente  e  la  città  mal  fornita  di  vet- 
tovaglie, ed  io  senza  un  quattrino,  né  modo  né  forma  di  po- 
terlo avere;  e  se  vostra  maestà  non  provvede  presto,  tenga 
per  fermo  che  si  perderà  tutto  (3).  Chi  non  avrebbe  creduto 
se  ne  inanimissero  i  collegati  a  decisiva  impresa?  Eppure, 
tranne  il  fallito  e  poco  onorevole  tentativo  di  sorprendere 
Andrea  Doria  nel  suo  palazzo  accanto  al  mare,  fortemen- 
te sconsigliato  dai  veneziani  (4),  passò  la  vernata  in  conti- 
nue dispute  tra  essi  e  i  francesi  sulle  fazioni  future.  Solo  in 
marzo  prevalse  il  parere  de'primi  di  andare  contro  Milano 
piuttosto  che  contro  Genova,  al  qual  fine  ricondussero  il 
duca  di  Urbino,  ridottosi  poc'anzi  nei  suo  stato  per  timore 
che  il  principe  di  Orange  non  l'occupasse,  passando  in  To- 
scana. 

Si  vide  allora  quanto  importava  1'  acquisto  di  Genova 
alla  conservazione  di  Milano.  Ivi  poterono  sbarcare  due- 
mila fanti  spagnuoli  di  nuova  leva,  laceri,  affamati,  e  perciò 
detti  Bisogni  (5),  i  quali,  non  impediti  dal  conte  di  Saint- 


corno  cuando  alli  en  aquella  torre  entrò,  que  fue  la  causa  dello,  è 
quel  lo  mostrarla  cuando  tiempo  fuese.  Ibidem  msc. 

(1)  La  Marquesa  por  orden  de  Antonio  de  Leyva  hizo  desba- 
lisar  docientos  caballos  del  abad  de  Farfa  con  otra  gente  de  ene- 
migos.  Ibidem  msc. 

(2)  Ibidem. 

(ó)  archivio  di  Simancas,  Neg.  de  Estado.  leg.°  1172  msc. 

(4)  Marin  Sanuto,  t.  XLVI11,  pag.  427. 

(5)  1  primi  di  questo  nome  funesto  in  qualunque  Juogo  capi- 


—  517  — 

Poi  malgrado  di  molte  pratiche  e  consulte,  si  unirono  in 
aprile  con  l'esercito  del  Leva.  Accrebbero  questi  la  sciagura 
de'Milanesi,  spogliandoli  insino  per  le  strade  (1);  ma.  com'e- 
rano, giunsero  desideratissimi  al  Leva  perchè  suoi  conna- 
zionali, e  disposti  a  combattere  con  tanto  maggior  valore 
quanto  più  avevano  a  fare  ancora  la  loro  fortuna  (2). 

Intanto  il  conte  di  Saint-Poi  si  viveva  disperato  per 
mancamento  di  danari  (3).  Pochi  ne  riceveva  dal  re,  sia 
per  incuria  di  lui,  sia  per  la  infedeltà  del  cancelliere  Du 
Prat,  creato  arcivescovo  di  Sens,  poi  cardinale  nel  1527  e 
infine  legato  a  vita;  onde  il  vescovo  d'Avranches  e  Giovanni 
Gioachimo,  ambasciatori  in  quel  tempo  a  Venezia,  consiglia- 
vano re  Francesco,  che  aveva  ciò  conosciuto  per  molle  prove, 
a  disfarsene  (A).  Ma  il  Du  Prat  odiato  per  la  tirannia  delle 
esazioni  e  vituperato  per  la  impudenza  delle  malversazioni, 
mori  in  ufficio  e  ricchissimo  sei  anni  dopo.  Tra  per  questo 
e  tra  per  le  prodigalità  di  Saint-Poi,  capitano  nelP  ammini- 
strazione della  guerra  di  pochissimo  governo  e  facile  a  la- 
sciarsi fraudare  dai  ministri  (5),  diminuivano  ogni  dì  le  gen- 

tavano,  e  poi  famoso  in  Europa,  vennero  a  Napoli  in  numero  di 
mille.  Dispaccio  precitato  di  Gio.  Joachimo  al  Montmorency  7,  13 
e  15  Nov.  1528.  Molini.  Hoc.  di  slor.  ital.,  t.  2,  pa<?.  126. 

(1)  Galeat.  Capella,  de  bello  Mediol.,  1.  8,  pag.  89. 

(2)  Los  nuevos  que  agora  son  venidos  lo  he  advezado  y  reme- 
diado  de  manera  que  espero  en  Dios  que  haran  el  mesmo  fruto 
que  los  viejos  que  aca  tenja.  Antonio  de  Leva,  all'imper.  Milano 
13  mag.  1529.  Archivio  di  Simancas.  Estado,  leg.°  1553  msc. 

(3)  11  qua!  ho  trovato  disperato  per  il  manchamento  de  li  dana- 
ri ;  cossa  perno  forte  dangerossa  et  dover&a  essere  fatto  una  volta 
uno  libro  novo  di  pagare  et  poi  non  fallare  alli  tempi  debiti.  Galeaz- 
zo Visconti  a  Francesco  I.  Alessandria,  30  marzo  1529.  Molini.  Doc. 
di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  161. 

(4)  Venezia  11  mag.  1529.  Ìbidem,  pag.  186. 

(5)  È  alevato  a  li  piaceri  et  compagno  de  tuti  et  malo  spendito- 
re.  Galeazzo  Visconti  al  Montmorenci.  Olevauo  1.  mag.  1529.  /6ì- 
dem,  pag.  174. 


—  518  — 

ti,  per  modo,  che,  dopo  aver  presi  i  tre  castelli  di  Serravalle, 
sant'  Angelo  e  Mortara,  smesso  il  disegno  di  oppugnare  Mi- 
lano, fervidamente  raccomandato  dallo  Sforza  (1),  convenne 
ristrignersi  a  porvi  da  lontano  l'assedio  per  affamarla.  Con- 
tava il  Leva  in  città  e  nelle  fortezze  tremila  tedeschi,  i  mi- 
gliori che  mai  si  videro,  tremila  spagnuoli,  duemila  italiani, 
reputati  il  fiore  del  paese  (2),  centoquaranta  uomini  di  arme 
con  molti  cavalli,  ed  attendeva  a  levare  altri  settemila  fanti, 
quattromila  de'quali  col  mezzo  di  Andrea  Doria.  All'incontro 
i  veneziani  avevano  settemila  fanti,  quattrocento  uomini  di 
arme  con  cinquecento  cavalli,  e  i  francesi  soli  cinquemila 
fanti,  pochi  cavalli  e  quasi  nessun  uomo  d1  arme  (3).  Né 
questi  ultimi  potevano  sperare  pronti  rinforzi:  non  dagli 
svizzeri,  perchè  gli  svizzeri,  come  ben  apponevasi  il  Leva, 
erano  già  creditori  di  grosse  somme,  e  divisi  essendo  fra  loro 
per  la  fede  luterana  e  di  Cristo  ricusavano  mandar  nuove 
genti  fuori;  non  dall'Italia,  perchè  tutti  isuoi  uomini  di  guer- 
ra erano  già  al  servigio  o  di  Cesare  o  degli  inimici  (4).  Vero 
è  che  affermandosi  già  per  cosa  certa  la  prossima  passata  di 
Cesare  in  Italia,  formidabile  egualmente  o  eh'  egli  volesse 
continuare  le  conquiste  o  farsi  arbitro  della  concordia  (5), 

(1)  El  duque  Francisco  hacia  mucha  instancia  de  Ja  ida  sobre 
Milan  dando  à  enlender  que  Antonio  de  Leyva  tenia  poca  gente 
y  falta  de  vituallas,  y  que  él  tenia  intelligencia  dentro,  fìgueroa 
(amò.  a  Genova)  all' imper.  24  mag.  1529.  archivio  di  Simancas. 
Estado,  leg.  1553  msc. 

(2)  Que  creo  sea  la  fior  de  Italia,  y  crea  V.  M.  que  con  todas 
las  hambres  que  se  han  podido  padecer  en  el  mondo  nunca  me 
han  dejado,  y  cierto  es  gente  que  se  puede  lìar  de  ellos  qualquiera 
cosa.  Antonio  de  Leva  all' imper.  Milano  13  mag.  1529.  Archivio  di 
Simancas.  Estado,  leg.°  1553  msc. 

(3)  Ibidem. 

(4)  Ibidem. 

(5)  Annunciavala  Cesare  medesimo  al  Leva,  para  que  esteis 
certi ficado  de  mi  yda,  y  me  ymbieys  vuestro  parecer  de  lo  que  en 


—  519  — 

munivansi  i  veneziani  di  maggiori  forze,  e  il  re  di  Francia 
faceva  dimostrazioni  grandi,  promettendo,  secondo  gli  aiuti 
che  quelli  gli  dessero,  o  scendere  anrlfegli  in  Italia,  o  rom- 
pere la  guerra  su' confini  della  Spagna.  Ma  fu  lunga  dispula 
intorno  alla  scelta,  onde  il  Leva  ebbe  a  dire:  credo  che  pri- 
ma che  si  accordino,  vostra  maestà  li  avrà  disfatti  (1).  E 
così  avvenne.  Il  conte  di  Saint-Poi,  anziché  fermarsi  al  luo- 
go assegnatogli  per  l'assedio  di  Milano,  era  andato  a  Lan- 
driano,  lontano  circa  dodici  miglia  da  quella  città,  donde 
sperava  poter  tentare  la  impresa  di  Genova;  e  con  questo 
consiglio,  volendo  condursi  il  dì  21  giugno  4529  alla  volta 
di  Pavia,  mandò  innanzi  i  carriaggi  e  l'avanguardia  con  Gui- 
do Rangone.  Il  Leva,  avutone  avviso,  benché  spasimante  al- 
lora di  podagra,  uscì  di  notte  pollato  sopra  una  lettiga,  e, 
marciando  con  la  gente  incamiciata,  senza  suoni  di  trombette 
e  tamburri,  lo  sorprese  in  queir  istante  che  faceva  guadare 
il  fiume  Olona  air  artiglieria  (2).  Combatterono  valorosa- 
mente gli  uomini  d'arme  francesi,  non  altrettanto  i  tedeschi 
che  insieme  con  quelli  componevano  la  battaglia,  sebbene 
sostenuti  dal  retroguardo  di  duemila  italiani  capitanati  da 
Giangirolamo  da  Castiglione  e  da  Claudio  Rangone.  In  fine, 
voltando  le  spalle  i  cavalli  e  i  tedeschi,  cedettero  anche  gli 
italiani.  Saint-Poi,  volendo  passare  una  fossa,  restò  prigio- 


ella  devria  y  podria  hazer  con  la  gente  que  llevo  gue  saran  odio  o 
diez  miti  hombres,  y  con  la  que  vos  alla  teneis,  y  podreys  tener, 
y  se  sera  bien  hacer  mas  genie  ytaliana  o  otra.  Saragozza  19  aprile 
1529.  Ibidem  Secretala  de  Estado,  log.°  n.°  1555  msc. 

(1)  El  rey  de  francia  dice  que  lo  mcjor  seria  que  lo  dejasen 
hacer  la  guerra  por  E*par7a  ;  Venerianos  y  el  duque  Francisco 
dicen  que  venga  su  ejercito  à  defcnderlos  en  Italia  que  sin  èl  no 
pueden  defender  .  . .  creo  cierto  que  antes  que  se  concerten  V.  M. 
los  habra  desheclio.  Dispaccio  sopraccennato  del  Leva  msc. 

(2)  Guido  Rangone  al  Montmorenci.  Venezia  29  marzo  1530. 
Molini.  Doc.  di  stor.  ita!.,  t.  2,  pag.  299-301. 


—  520  - 

ne,  e  con  lui  i  due  sopraccennati  condottieri,  e  Stefano  Co- 
lonna e  molti  altri  di  gran  nome,  i  quali  tutti  menò  il  Leva 
in  trionfo  a  Milano. 

Per  la  rotta  di  Landriano  rimasero  i  francesi  senza  eser- 
cito in  Italia,  e  Carlo  V  padrone  della  Lombardia  al  pari 
che  di  Napoli.  La  guerra  di  Puglia,  mantenuta  da  partigiani 
ed  emigrati,  appena  può  dirsi  che  si  facesse  per  loro.  Anche 
la  città  di  Aquila  nell'  Abruzzo,  ribellatasi  agli  imperiali  in 
sul  finire  del  4528,  si  ordinò  in  repubblica  senza  il  fioro* 
del  re  cristianissimo  (d).  Fu  certo  una  sorte  di  anacronismo 
del  quale  imperiali  e  francesi  tennero  assai  picciol  conto;  e 
pur  la  virtù  degli  Abruzzesi,  svegli  e  bellicosi  e  intolleranti 
di  servitù,  poteva  forse  in  quel  punto,  come  dice  il  vene- 
rando Gino  Capponi,  risuscitare  l'Italia,  se  la  coscienza  della 
disperazione,  sentita  da  loro,  si  diffondeva  tra  gì'  italiani,  e 
se  Francia  non  gli  avesse  traditi  di  ogni  provvisione.  Aquila 
ricadde  in  mano  del  prìncipe  di  Orange  e  pagò  centomila 
ducati  di  multa,  perdendo  ancora  la  cassa  di  argento  che 
Luigi  X  aveva  dedicata  a  san  Bernardino.  Tuttavia  Renzo 
da  Ceri,  il  principe  di  Melfi.  Federico  Caraffa,  Camillo  Par- 
do, Galeazzo  da  Farnese,  il  principe  di  Stigliano,  ed  altri 
continuavano  a  correre  da  Barletta  per  tutti  i  luoghi  cir- 
costanti, e  con  maggiore  celebrità  Simone  Tebaldi  romano, 
finché,  combattendo  la  rocca  di  Brindisi,  fu  morto  da  un 
colpo  di  artiglieria.  Laonde,  ove  fossero  stati  soccorsi  dal 
re  Francesco  di  danari  e  di  truppe,  non  è  dubbio  che  avreb- 
bero almeno  implicato  l' esercito  imperiale  alla  difesa  delle 
cose  proprie  (2),  tanto  più  che  potevano  fare  assegnamento 


(1)  Leonardo  Perumbo  al  Montmorenci,  Pesaro  14  genn.  1529. 
Molini,  Doc.  di  stor.  ital.,  Arch.  slor.  iteli.,  Append.,  n.  9,  pag.  451. 

(2)  Se  la  maestà  del  re  vole  fare  da  bono  senno  et  presto, 
corno  V.  Ex.  intenderà  più  distintamente  per  il  discurso  manda 
il  sig.  Renzo,  spero  che  Barletta  sera  causa  de  far  recuperare  li 


-  521  — 

sulla  cooperazione  de'veneziani  padroni  di  Trani,  Polignano 
e  Monopoli,  la  qual  ultima  città  tentò  invano  il  marchese 
del  Guasto  di  espugnare  (dal  mese  di  marzo  sino  alla  fine 
di  maggio  del  4529)  (4).  Abbandonati  invece  a  sé  stessi  con 
genti  tumultuarie  e  collettizie;  e  senza  aiuto  o  rinfresca- 
mento  alcuno,  crebbero  più  che  si  possa  imaginare  la  desola- 
zione del  paese,  sottoposto  a  ruberie,  a  prede,  a  taglie  e  ad 
incendii  da  ciascuna  delle  parti. 

Passate  erano  ornai  le  occasioni  propizie.  Quel  che  pri- 
ma con  sufficienti  apparecchi  sarebbesi  conseguito,  richie- 
deva ora  nuovi  sforzi  estraordinarii.  E  come  pensare  se  li 
facessero  in  un  momento  che  la  vittoria  di  Landriano  dava 
l'ultima  spinta  alle  negoziazioni  tra  il  papa  e  l'imperatore? 

Questi  avevagli  già  restituito  Civitavecchia  ed  Ostia  (2), 
e  fatte  col  mezzo  del  generale  de?  francescani  le  solite  prof- 
ferte de'Cesari,  quanto  più  ampie  altrettanto  più  fallaci:  or- 
dinasse a  suo  senno  le  cose  di  Germania  e  d'Italia;  ne 
seguirebbe  egli  i  consigli;  rimetterebbe  lui  e  i  Medici  suoi 
nella  passata  grandezza  (3)  ;  verrebbe  persino,  benché  con- 
scio di  sua  innocenza,  a  domandargli  perdono  (4).  Ne  prese 

figlioli  del  re,  liberatione  de  tucta  Italia,  et  ponerà  in  tanta  neces- 
sità lo  Imperatore  che  non  saperà  corno  govemarse.  Gio.  Clemente 
Stanga  al  Montmorcnci.  Barletta  7  febb.  1529.  Molini,  Doc.  di  stor. 
ital.,  t.  2,  pag.  132. 

(1)  Monopoli  s' è  diffeso  honoratamente  con  la  damnosa  et  vi- 
tuperosa ritirata  delli  inimici,  come  si  ha  per  lettere  del  principe 
di  Melfi.  Ottaviano  Sforza  al  Montmorenci  14  giugno  1529.  Ìbidem, 
pag.  204. 

(2)  Jacopo  Salviati  a  Baldassare  Castiglione  nunzio  in  Ispagna. 
Roma  3  gennaio  1529.  Ruscelli,  Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  154. 

(3)  Molte  volte  (disse  il  papa  a  Gaspare  Contarmi)  mi  hanno  i 
cesarei  Lutato  avanti  le  cose  di  Fiorenza,  et  io  sempre  gli  ho  risposto 
che  non  voglio  per  mi  se  faci  novità  a  quella  repub.,  Roma  31  marzo 
1529.  Biblioteca  Marciana  italiana,  ci.  VII,  cod.  MXLUI,  lib.  5,  msc. 

(4)  Si  vous  estes  mal  content  de  moy,  ce  que  toutesfois  seroit 


-  522  - 

subito  occasione  Clemente  a  tornar  più  animoso  di  prima 
sulle  ambizioni.  Nel  gennaio  del  4529  cadde  gravemente  in- 
fermo, si  che  la  sera  del  45  si  dubitò  di  sua  vita.  In  quella 
sera  stessa  creò  Ippolito,  suo  nipote,  cardinale  (4).  Poco 
stante,  non  essendogli  riuscito  di  occupar  Siena  con  la  forza, 
cercò  conciliarsela  per  adoperarla  contro  Firenze,  al  qual 
fine  le  ottenne  da  Andrea  Doria  la  restituzione  di  Port'Er- 
cole.  Nel  tempo  medesimo  tentava  spossessare  di  Perugia 
Malatesta  Baglione,  sebbene  fosse  agli  stipendii  suoi,  e  più 
turpi  insidie  tendeva  al  duca  Alfonso  di  Este.  Tenne  pra- 
tiche da  prima  mediante  il  vescovo  di  Casale,  suo  commissa- 
rio in  Parma  e  Piacenza,  con  Girolamo  Pio,  governatore  di 
Reggio,  per  introdurvi  truppe  pontificie;  poi  il  vescovato  di 
Modena,  promesso  a  suo  figlio  nella  convenzione  fatta  io 
nome  del  collegio  dei  cardinali,  conferi  al  figliuolo  di  Girola- 
mo Morone,  con  animo  di  provocargli  contro,  per  il  diniego 
del  possesso,  quel  ministro  di  grande  autorità  appresso  agli 
imperiali;  in  ultimo  col  mezzo  di  Uberto  da  Gambara  go- 
vernatore di  Bologna  ordì  il  disegno  di  pigliarlo  nel  suo  ri- 
torno da  Modena  a  Ferrara,  e  anche  di  ucciderlo  (2). 

Però  non  è  a  credersi  che  le  sopraccennate  profferte 
dell'  imperatore  bastassero  a  piegarlo  dalla  sua  parte.  Qual- 
che peso  vi  aggiunse  la  paura.  Ancora  in  aprile  del  4529 
lagnavasi  col  cardinale  Trivulzio  della  importunità  degli 
agenti  imperiali,  assicurando  non  si  accorderebbe  con  essi 
pur  che  avesse  forza  a  contrariarli;  esser  egli  invece  circon- 
dato da  partigiani  di  Cesare,  esposto  sempre  ad  un  nuovo  as- 
salto, anzi  in  realtà  lor  prigione  come  prima,  con  questa  sola 

sans  cause,  je  suis  prest  pour  requerir  pardon,  affin  que  nous 
faisons  tout  ce  que  debvons.  Der  kaiser  an  den  papst  Clemens  VII. 
apr.  1529.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  297. 

(1)  Jacopo  Salviati  a  Baldas.  Castiglione.  Roma  IO  febbr.  1529. 
Ruscelli,  Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  155. 

(2)  L.  A.  Muratori.  Annali  d' Italia,  1. 10,  pag.  226. 


—  523  — 

differenza  che  allora  non  poteva  evadere,  e  adesso  si  ;  dover 
in  fatto  o  fuggire  e  lasciare  lo  stato  della  Chiesa  in  potere 
del  nemico,  o  convenire  con  lui  a  condizioni  men  svantag- 
giose che  sia  possibile.  E  così  al  vivo  si  espresse,  che  il  car- 
nale ne  restò  interamente  persuaso.  Io  non  so,  scriss'  egli, 
a  che  risolverassi  il  santo  padre,  ma  se  mai  conchiude,  veggo 
bene  che  lo  farà  per  forza  e  tirato  per  i  capelli  (i  ). 

Non  ho  detto  che  questo  fosse  il  sentimento  in  lui  pre- 
valente duranti  le  trattative.  So  che  il  cardinale  col  quale 
parlava  era  aderente  di  Francia,  e  so  pure  che  a  quel  tempo 
pendeva  ancora  incerta  la  sorte  delle  armi  in  Lombardia, 
Nondimeno  posso  affermare  che  al  suo  discorso  non  man- 
cava un  fondo  di  verità.  Benché  avvezzo  a  nasconderla,  la 
gli  scappava  talvolta  di  bocca. 

Ma  più  che  la  paura  di  Cesare  potè  la  sete  di  vendetta 
contro  Firenze. 

X.  Per  alcun  tempo,  finché  stette  in  carica  Nicolò  Cap- 
poni, confortossi  Clemente  colla  speranza  di  ristabilirvi  i  suoi 
per  la  via  pacifica  di  una  interna  mutazione  di  stato.  Nicolò, 
figlio  di  Pietro,  non  venne  mai  meno  alla  dignità  del  casato 
e  di  sé  stesso.  Nato  nel  4470,  passò  i  primi  anni  al  banco 
di  suo  zio  Neri  a  Lione;  entrato  poi  nella  vita  pubblica  ac- 
compagnò al  principio  del  secolo  l'ambasciatore  Gio.  Battista 
Ridolfi  a  Venezia.  Ivi  non  è  improbabile  pigliasse  amore  a 
quegli  ordini,  non  larghi,  ma  opportuni,  che  salvarono  la  re- 
pubblica dal  trasformarsi  in  tirannide.  Non  guari  dopo  prio- 
re, commissario  generale  al  campo  de'fiorentini  contro  Pisa, 
oratore  presso  Gastone  di  Foix,  in  questi  e  in  parecchi  altri 
ufficii  con  grande  onore  esercitati  mostrò  sempre  di  porre 
nei  pochi  la  migliore  sapienza,  il  momentaneo  favor  popolare 


(1)  Lettera  del  card.  Trivulzio  a  M.  Hieronimo.  Roma  9  aprile 
1529.  Bibliot.  imper.  di  Parigi  MS.  Bethune,  citato  da  L.  Ranke, 
t.  3,  pag.  96. 


-  524  — 

non  curando,  come  impaccio  a  procacciare  il  vero  bene  della 
patria.  Tornati  i  Medici  nel  4512,  si  tenne  in  disparte  di  loro 
senz'  affettazione,  senza  romore.  Quanti  che  prima  gli  ave- 
vano aspreggiati  ne  ambivano  allora  le  grazie  !  I  Medici  do- 
vettero invece  cercare  la  sua,  adoperandosi  a  maritargli  la 
figlia  in  casa  Pitti.  Lo  fecero  quindi  nominare  al  consolato 
della  zecca,  e  lo  incaricarono  di  riformare  la  università  di 
Pisa.  Le  quali  commissioni  non  politiche  accettò  di  buon 
grado,  persuaso  che  P  avversione  al  governo  non  dà  titolo 
ad  astenersi  dal  curare  gl'interessi  de'cittadini.  Con  lo  stesso 
animo  andò  nel  1522  a  complire  Papa  Adriano  VI;  due  anni 
dopo  fu  uno  degli  otto  di  Pratica,  poi  podestà  a  Pisa,  indi  a 
Pistoia,  dove  ristabili  Pordine  e  la  pace,  infine  nel  4526  gon- 
faloniere della  giustizia  a  Firenze. 

Vedemmo  già  con  quanta  franchezza  avesse  confortato 
papa  Clemente  a  lasciar  libero  il  reggimento  della  patria. 
Non  cambiò  dunque  di  faccia  allorché  nel  maggio  del  4527 
colse  il  destro  di  esortare  il  popolo  a  ricuperarlo  da  sé,  né 
meno  conforme  alla  rettitudine  sua  fu  il  riguardo  di  scor- 
tare egli  stesso  i  banditi  per  metterli  al  sicuro  dagli  insulti. 
.  Del  restaurato  governo  democratico  a  lui  grande  ama- 
tore della  libertà  si  diede  il  merito  principale,  e  a  lui.  eletto 
gonfaloniere  per  un  anno,  con  facoltà  di  essere  confermato 
insino  a  tre  anni,  il  più  duro  travaglio.  L'amministrazione 
precedente  e  le  ultime  guerre  avevano  esausto  P  erario: 
sicché  fin  alle  spese  ordinarie  dovevasi  supplire  con  nuove 
gravezze.  Il  popolo  era  diviso  politicamente  in  due  parti  op- 
poste, degli  ottimati  desiderosi  di  stato  ristretto,  e  dei  liber- 
tini trasmodanti  per  voglie  intemperate.  Altrettanto  moral- 
mente :  gli  uni,  detti  Piagnoni  per  austera  condotta,  atten- 
devano a  litanie,  a  far  missioni,  a  stabilire  conventi  nuovi 
e  l'ospedale  degli  incurabili  invia  San  Gallo;  gli  altri  scor- 
retti, licenziosi,  avidi  di  godimenti,  beffardi  alla  pietà.  Più 
gravi  delle  interne  le  condizioni  esteriori.  Fra  le  due  al- 


—  625  — 

leanze  egualmente  pericolose,  dell'  imperatore  e  del  re  di 
Francia,  bisognava  scegliere.  Carlo  V,  nemico  allora  di  Cle- 
mente, si  obbligava  a  far  rispettare  la  repubblica.  France- 
sco I  riduceva  a  mente  i  legami  antichi  e  largheggiava  in 
promesse  (4).  Ben  vede  ognuno  che  la  necessità  sforzava 
di  aderire  a  chi  teneva  ancor  prigione  il  papa,  e  Capponi, 
Guicciardini,  Vettori,  e  Machiavelli  stesso  poco  prima  di  mo- 
rire, avvertivano  a  non  confondere  le  luccicanti  qualità  dei 
francesi  colla  politica  di  un  governo  che  sempre  gli  avea 
tirati  nelle  male  peste  per  salvar  sé  medesimo.  Ma  la  fazione 
contraria  dei  libertini  propendeva  a  Francia,  e  ripetendo  il 
motto  del  Savonarola  :  gigli  con  gigli  dover  fiorire,  la  vinse 
dinanzi  al  popolo  e  ne'  consigli  (2). 

Allora  prevedendo  il  Capponi  quel  che  i  ciechi  non  am- 
mettevano tampoco,  cioè  la  prossima  riconciliazione  del  papa 
con  l'imperatore,  cercò  almanco  di  non  aggiungerle  motivi; 
onde  nelle  cose  che  non  erano  di  momento  alla  libertà  pose 
ogni  studio  a  non  esacerbarne  l' animo,  e  i  partigiani  dei 
Medici  volle  partecipi  agli  onori  ed  agli  ufficii  pubblici.  Del 
qual  procedere  onesto  non  men  che  accomodato  alle  con- 
giunture, gl'intolleranti  e  i  fautori  dell'esclusioni  per  ambi- 
zione o  per  egoismo  dissero  vitupero.  E  tanto  che  avrebbero 
subito  ottenuto  di  farlo  deporre,  se  la  peste  che  consumava 
da  cinquecento  vite  il  giorno,  e  l' altra  sventura  della  peg- 


(1)  E  quando  vadi  perseverando  in  l'amicizia  nostra,  scrivete 
arditamente  (disse  il  re)  ch'io  sono  per  operare  per  la  salute  loro 
quanto  io  mi  operassi  per  Paris,  acciainoli  ai  dieci  di  libertà  e  di 
pace.  Parigi  6  giugno  1527.  Giuseppe  Canestrini  et  Abel  Desjardins. 
Négociations  diplomatiques  de  la  France  avec  la  Toscane.  Paris 
1861,  t.  2,  pag.959. 

(2)  Alla  quale  (Francia)  ogni  volta  che  ella  è  suta  in  sua  libertà, 
spontaneamente  è  ritornata,  lustrazioni  date  ad  Antonio  Francesco 
degli  Albizzi,  ambasciatore  della  repubblica  appresso  Lautrec.  Fi- 
renze 2  agosto  1527.  Ibidem,  pag.  992. 


—  526  — 

gior  fame  che  uomo  ricordasse,  non  fossero  state  consiglia- 
trici  di  tregua  tra  i  partiti.  Nicolò,  discepolo  del  Savonarola 
sinceramente  pio,  vide  in  que'flagelli  un  castigo  del  cielo,  e 
nel  di  9  febbraio  del  4528  nel  gran  consiglio,  troppo  diradato 
dalla  infezione,  usò  il  linguaggio  di  quel  maestro  suo,  dai 
fatti  della  repubblica  e  dalle  presenti  tribolazioni  rivolgendo 
V  animo  e  le  parole  alla  contemplazione  della  maestà  di 
Dio  (4).  Da  ultimo  si  gettò  ginocchioni  in  terra,  e,  gridando 
ad  alta  voce  misericordia,  fece  sì  che  tutto  il  consiglio  mi- 
sericordia gridasse  ed  eleggesse  Cristo  a  re  perpetuo;  e  il 
decreto  scolpito  in  marmo  fu  posto  sopra  la  porta  principale 
del  palazzo  della  Signoria  (2). 

Quel  decreto,  malignato  poscia  dai  libertini  (3),  indusse 
a  ristrignersi  con  lui,  insieme  coi  Palleschi,  anche  i  Pia- 
gnoni, e  gli  valse  la  conferma  di  gonfaloniere  per  il  secondo 
anno  (40  giugno  4528).  Durante  il  quale  provvide  come 
meglio  alla  giustizia,  alla  milizia,  e  alle  finanze.  Fece  pas- 
sare una  legge  che  ai  rei  di  delitti  politici  accordava  Y  ap- 
pello ad  un  nuovo  tribunale  detto  dei  Quaranta,  estratti  a 
sorte  per  ogni  caso  particolare  dal  consiglio  degli  ottanta, 
e  per  mandar  a  vuoto  il  disegno  de'  suoi  avversari'!,  i  quali, 
armando  sotto  specie  di  custodire  il  palazzo  trecento  giovani 
delle  principali  famiglie,  intendevano  far  di  lui  quel  che  ave- 
vano fatto  di  Pietro  Soderini,  risuscitò  la  ordinanza  della 
milizia  urbana,  quale  era  stata  formata,  disciplinata  ed  istrui- 
ta per  opera  del  Macchiavelli  (4).  La  si  componeva  di  qaat- 

(1)  Jacopo  Nardi,  Ist.  fior.,  lib.  8,  pag.  340. 

(2)  Ben.  Varchi,  Stor.  fior.,  t.  2,  pag.  53. 

(3)  Non  vi  mancarono  sottilissimi  interpreti  che  il  gonfaloniere 
avesse  proposto  cotanto  re  dell'  universo  rettore,  non  per  circo- 
scriverlo, ma  per  conseguire  al  governo  della  repubblica  il  suo 
vicario.  Jacopo  Pitti,  Ist.  fior.,  lib.  2,  Archivio  stor.  ital.,  t.  1,  pag.  150. 

(4)  Scritti  inediti  di  Mcolò  Machiavelli  pubblicati  da  Giuseppe 
Canestrini,  Firenze  1856. 


—  m  - 

tromila  cittadini  dell'età  dai  diciotto  ai  quarantacinque 
anni,  tutti  di  famiglie  aventi  diritto  a  sedere  nel  gran  con- 
siglio, ed  era  divisa  in  sedici  compagnie  sotto  gli  ordini  di 
altrettanti  gonfalonieri,  che  formavano  il  collegio  della  si- 
gnoria. 

Più  difficile  riparare  alle  finanze.  Vigeva  sempre  la  de- 
cima semplice  sui  beni  immobili  appoggiata  al  catasto  come 
venne  stabilito  dagli  ordinamenti  del  4427  al  4470,  e  segui- 
tava ad  esservi  aggiunto  l'arbitrio,  ossia  la  gravezza  sopra 
le  industrie  posta  al  tempo  della  guerra  di  Pisa.  Ma  gli  ul- 
timi infortunii,  gli  armamenti,  e  il  presente  bisogno  della 
propria  difesa  costrinsero  a  ricorrere  anche  agli  altri  modi 
<T  imposizioni  straordinarie  del  libero  governo  che  resse 
Firenze  dal  4494  al  4512.  Si  tornò  dunque  alla  decima  sca- 
lata, ossia  alla  progressione  delle  imposte  (4);  si  misero  nuovi 
aggravii  al  contado  ed  una  tassa  a  tutti  per  le  fortificazioni; 
si  decretarono  un  dopo  l' altro  parecchi  accatti,  e  questi, 
tranne  uno  solo  imposto  ai  luoghi  pii  ed  ecclesiastici,  a  cari- 
co dei  più  facoltosi;  il  che  diede  argomento  alle  giuste  os- 
servazioni del  Guicciardini  sugli  errori  del  reggimento  po- 
polare (2). 

(1)  E  questa  scala  era  la  seguente  :  che  lutti  coloro  i  quali  ave- 
vano di  decima  fino  a  fior.  5  pagassero  una  decima  e  tre  quarti; 
da  5  a  10,  due  decime;  da  10  a  15,  due  decime  e  un  quarto;  da 
15  a  20,  due  decime  e  mezzo;  da  20  a  25,  due  decime  e  tre  quarti  ; 
da  25  in  su,  tre  decime.  Giuseppe  Canestrini.  La  scienza  e  l' arte  di 
slato,  parte  1.»  La  imposta  sulla  ricchezza  mobile  e  immobile.  Fi- 
renze 1862,  pag.  289. 

(2)  Il  popolo  ordinariamente  propone  modi  che  battono  oltre 
al  dovere  i  ricchi,  in  modo  che  li  stirpano,  che  è  cosa  dannosa  alla 
città;  perchè  si  debbe  conservare  ognuno  nel  grado  suo,  e^i  ricchi 
si  hanno  ad  accapezzare  non  a  distruggere,  perchè  in  ogni  tempo 
fanno  onore  alla  patria  e  utile  ai  poveri,  e  quando  è  bisogno  sov- 
vengono il  pubblico.  Fr.  Guicciardini.  Del  reggimento  di  Firenze. 
Opere  inedite,  t.  2,  pag.  69. 


—  528  — 

In  questo  mezzo  le  cose  di  Francia  in  Italia  volgevano 
al  fine  presagito  dal  Capponi.  Cotesta  maestà,  scriveva  egli 
a  Giuliano  Soderini,  oratore  in  quella  corte,  con  le  parole 
mostra  di  non  volerle  abbandonare  e  di  far  grandi  prepara- 
zioni. D'altra  parte  i  fatti  non  corrispondono  alle  parole; 
onde  insisteva  nel  proposito  di  tener  fermo  il  papa,  affinchè 
per  necessità  non  aderisca  a  Cesare  (4).  Il  chiesto  sussidio 
di  cinquantamila  ducati  aveva  ridotto  a  soli  ventimila;  ac- 
consenti poi  lo  s'impiegasse  a  mantenere  le  poche  genti 
che  difendevansi  tuttora  nella  Puglia,  e  pur  anche  questa 
piccola  somma  non  fu  somministrata  (2).  Come  sperare  più 
oltre?  Il  re  (soggiungeva)  lasciò  perdere  il  duca  di  Gueldria, 
suo  alleato,  Genova  e  Savona;  non  mandò  soccorsi  agli  in- 
sorti di  Aquila,  né  all'  esercito  del  conte  di  Saint-Poi,  e  così 
veggo  che  in  quanto  a  lui  farà  il  simil  di  noi  (3).  L'animo 
aveva  sì  pronto  all'  estreme  prove  :  se  vengono  gV  imperiali 
faremo  quello  che  potremo;  bisognerà  rimettersi  in  Dio  (4). 
Ma  il  santo  empito  di  cittadino  infrenava  col  senno  di  ma- 
gistrato, e  perciò,  valutando  al  giusto  le  cause  delle  vittorie 
di  Cesare  (5),  le  poche  forze  de'fiorentini,  e  le  angustie  che 
imponevano  ai  veneziani  di  pensar  più  ai  casi  loro  che  di 
altri  (6),  preferiva  una  onorevole  convenzione  all'inutile  re- 


fi) 18  nov.  1528.  Négociations  dìplomatique  de  la  France  avec 
la  Toscane,  t.  2,  pag,  1004,  1005. 

(2)  Nicolò  Capponi  a  Giuliano  Soderini  13  marzo  1529.  Ibidem, 
pag.  1016. 

(3)  Al  medesimo  30  febbraio  1529,  Ibidem,  pag.  1002. 

(4)  Al  medesimo  4  marzo  1529,  Ibidem,  pag.  1014. 

(5)  Perchè  questi  imperiali  son  diligenti,  e  tutti  [i  capi  che  l'im- 
peratore ha  in  Italia  si  aiutano,  si  consigliano,  conferiscono  l' un 
coli'  altro,  sono  assai  e  uomini  valenti,  le  genti  son  fidate.  Ai  me- 
desimo 24  marzo  1529,  Ibidem,  pag.  1023. 

(6)  Noi  abbiamo  a  fare  con  cotestoro  (i  francesi)  che  non  in- 
tendono, e  con  li  Veneziani  che  ^intendono  troppo non  avendo 


—  629  — 

i-,  lo  non  sono,  ecco  la  sua  professione,  né  spagnuolo, 
ttmeese;  ma  vorrei  solo  la  salute  della  città  (i). 
ranche  Luigi  Alamanni,  già  proscritto  per  aver  congiu- 
ri Buondelmonti  contro  la  vita  di  Clemente,  allora 
le,  e  quindi  non  sospetto  di  parzialità  per  lui,  an- 
iculcando  quel  che  Andrea  Doria  avevagli  raccoman- 
i  non  confidare  ne'  francesi,  e  di  prevenire  mediante 
nto  accordo  coll'imperatore  l'alleanza  sua  col  ponte- 
on  è  dubbio  che  il  Doria,  per  sicurezza  della  patria 
siderava  altre  repubbliche  vicine  a  quella  che  gli  do- 
i  esistenza.  Ma  Baldassare  Carducci,  giureconsulto, 
sule  in  Padova,  ove  professò  con  rinomanza  per  quin- 
r'ni  il  diritto  canonico  e  il  civile,  Francesco  Carducci, 
irente,  Tommaso  Soderini,  Alfonso  Strozzi,  e  Dante 
tiglione,  appoggiandosi  all'  antipatìa  nazionale  e  al- 
iare de'piazzeggianti  da  essi  sobillati,  recidevano  ogni 
incitazione. 

damo  allo  stesso  Baldassare  Carducci  (spedito  amba- 
3  in  Francia  per  allontanarlo  da  Firenze)  confermò  il 
mali  sovrastanti  air  una  e  all'  altra  repubblica  e  a 
alia  (2).  Indarno  Luigi  Alamanni,  passato  col  Doria 
;na  per  ordine  della  Signoria,  tornò  in  breve  annun- 
e  che  tutto  era  perduto  se  non  si  affrettava  a  trat- 
l'imperatore.  Anton  Francesco  Albizzi  n'espose  bensì 
ni  in  una  lunga  scrittura  letta  dinanzi  alla  signoria 


,  né  li  Veneziani  adoperando  le  loro.  Al  medesimo  18  nov. 
febbraio  1529.  Ibidem,  pag.  1007  e  1011. 
v.,  ■  medesimo  24  marzo  1529.  Ibidem,  pag.  1027. 
(2)  Mi  disse  che  non  mediocre  pericolo  soprastava,  non  sola- 
ite  sopra  r*una  e  l'altra  repubblica,  ma  sopra  tutta  Italia.  E 
sto  è  perchè  . . .  cercandosi  per  la  maestà  del  re  con  ogni 
inzapace  con  Cesare  per  la  recuperazione  de'fìgliuoli,  dandosi, 
tarverbis  suis,  il  foglio  bianco,  e  facultà  di  potersi  insignorire  di 
i  Italia,  senza  fare  alcuna  riserva  o  distinzione  alcuna  d' amico 


-  830- 

medesima,  ai  dieci  della  guerra,  e  a  quelli  che  dicevansi  la 
pratica  segreta,  eletti  dal  gonfaloniere  per  suoi  consiglieri; 
ma  Tommaso  Soderini,  rispondendogli,  risvegliò  1'  antico 
amore  de' fiorentini  verso  Francia,  e  tutti  a  se  trasse  i  suf- 
fragi, di  maniera  che  F  Alamanni  dovette  sottrarsi  colla  fu- 
ga alla  indignazione  popolare  (i). 

Questa  allora  ricadde  sopra  il  Capponi,  venuto  inde- 
gnamente in  voce  di  partigiano  de'  Medici.  Il  matrimonio 
di  Pietro  suo  figliuolo  con  la  figlia  di  Francesco  Guicciar- 
dini, le  proposte  conciliative,  e  alcuni  atti  di  giusto  rigore 
contro  i  perturbatori  dell'ordine  pubblico  avevano  già  messo 
in  pericolo  la  sua  autorità,  quando  venne  a  darle  F ultimo 
tracollo  una  lettera  in  cifra  accennante  a  pratiche  segrete 
col  papa,  eh'  egli  ebbe  da  Giachinotto  Serragli,  intimo  di 
Jacopo  Salviati,  e  che,  perduta  da  lui,  fu  trovata  e  conse- 
gnata ai  collegii  il  di  46  aprile  4529  (2). 

suo,  si  può  imaginare  qual  sia  per  essere  il  fine  della  povera  Italia 
in  universale  e  particolare  .  . .  Nondimanco  messer  Andrea  Doria 
ne  confortava  Vostre  Signorie  a  pensar  bene  ai  casi  loro;  che  sotto 
la  speranza  (de'  francesi)  non  vi  depauperassi  e  estenuassi  tanto  di 
forze,  che  ne' casi  di  necessità  non  vi  potessi  prevalere.  Baldassare 
Carducci  ai  dieci  di  libertà  e  di  pace.  Genova  17  die.  1528.  Ibidem, 
pag.  1036. 

(1)  Bern.  Segni,  Ist.  fior.,  t.  2,  pag,  52-56. 

(2)  Pietro  Bigazzi.  Miscellanea  storica.  In  essa  si  trova  la  let- 
tera del  Serragli  4  aprile  1529  secondo  le  varie  lezioni  che  ne  danno 
i  manoscritti.  Il  paragrafo  sospetto  si  accosta  in  gran  parte  alla 
lezione  seguita  dal  Varchi,  non  già  a  quella  del  Segni  che  segue 
parola  a  parola  il  Giovio  :  io  sono  stato  col  papa  e  con  l'amico;  e 
non  potrei  trovar  meglio  le  cose  a  benefizio  di  codesta  città  e  vivere 
popolare,  se  di  costà  vorrete,  volendo  liberare  la  città  da  questa 
gente  barbara.  E  per  tale  effetto  desidererei  parlare  a  lungo  almeno 
con  il  nostro  Piero  in  qualche  luogo,  dove  vi  paia  più  comodo;  e  fuori 
del  vostro,  e  copertamente,  a  fine  non  si  sappia;  perchè  cercando  di 
far  bene,  non  si  pensasse  a  far  male;  e  facendolo  presto,  gioverà 
assai.  E  fate  abbia  qualche  cosa  da  farvi  su  fondamento. 


—  va  — 

Certo  errore  gravissimo  sarebbe  stato  confidare  nelle 
melliflue  parole  di  Clemente;  prudenza  era  invece  togliergli 
il  pretesto  di  fare  quel  che  aveva  ben  in  animo,  e  non  age- 
volargliene colle  avventataggini  il  modo.  Proponeva  dun- 
que il  Capponi  si  ristabilissero  i  Medici  in  patria  coli' auto- 
rità di  cui  godevano  ai  tempi  di  Lorenzo  il  magnifico,  li- 
mitandola tuttavia  mediante  un  consiglio  composto  de' prin- 
cipali cittadini  eletti  dal  popolo,  al  quale  spettasse  di  sin- 
dacare e  ratificare  gli  atti  pubblici.  Si  dirà  che  co'  Medici 
non  era  accordo  possibile,  o  temperamento  di  governo;  e 
nella  parte  degli  ottimati  né  forza  nò  unione  che  valesse  a 
moderarne  l' arbitrio.  Ma  il  Capponi  considerava  che  la  sa- 
lute del  papa  era  malferma,  e  che,  dopo  la  sua  morte,  il  ra- 
mo antico,  quel  golo  che  insino  allora  pretendeva  al  gover- 
no, non  sarebbe  rappresentato  che  da  due  figli  illegittimi,  i 
quali  non  avevano  credito  abbastanza  per  impedire  alla  città 
di  riacquistare  la  indipendenza.  Se  non  che  nelle  febbri 
popolari  non  vuoisi  la  prudenza  che  modera,  si  la  violenza 
che  spinge;  ond'ei  fu  deposto  dal  ben  tenuto  seggio,  quan- 
tunque dinanzi  al  collegio  degli  ottanta  provasse  la  inten- 
zione sua  intemerata,  per  modo  che,  assolto  ad  una  voce, 
venne  con  singolare  onore  accompagnato  a  casa  da  gran 
folla  di  cittadini  e  sin  da  taluno  de'  suoi  giudici. 

La  caduta  del  Capponi  decise  le  sorti  di  Firenze.  Cle- 
mente si  vide  ornai  tronco  il  disegno  che  sopra  ogni  altro 
gli  aggradiva,  si  per  parergli  più  breve  e  di  più  dignità,  si 
ancora  per  non  averne  obbligo  ad  altrui  :  Francesco  Car- 
ducci, e  uomini  somiglianti  senza  reputazione  e  senza  espe- 
rienza, ma  nemici  acerrimi  de'  Medici,  avevano  in  mano  i 
poteri  e  la  città  :  quivi  ridestavasi  la  storia  de' suoi  natali 
illegittimi,  né  lo  si  chiamava  più  papa:  Malatesta  Baglione, 
per  sottrarsi  alle  sue  insidie,  conducevasi  al  soldo  della  re- 
pubblica,.la  quale  ne  prendeva  in  protezione,  lo  stato  di  Pe- 
rugia: atterrate  erano  già,  e  fatte  in  pezzi  con  orribili  di- 


—  532  — 

spregi  le  statue  di  lui  e  di  Leone  X  nel  tempio  della  Nun- 
ziata. Ricordò  allora  Clemente  anche  i  passati  oltraggi  dei 
Colonnesi  e  dell'  abate  di  Farfa,  e  in  un  impeto  d' ira  disse 
all'  ambasciatore  inglese  voler  essere  piuttosto  il  cappellano, 
anzi  lo  stalliere  dell'imperatore,  che  lasciarsi  maltrattare  dai 
sudditi  (l).Indi  l'ultima  spinta  che  lo  precipitò  nelle  sue  brac- 
cia. Agli  imperiali,  che  P  offesero  eziandio  come  papa  e  nei 
prelati  più  eminenti,  diede  perdono  per  forza;  al  contrario, 
secondo  il  costume  de'  vili  che  si  rivendicano  sui  deboli, 
pose  P  onor  suo  nel  castigare  i  fiorentini  del  rispetto  man- 
catogli come  sovrano  (2).  Parvegli  in  una  parola  aver  più 
bisogno  per  al  presente  dell'  imperatore  contro  i  potentati 
d' Italia,  che  di  questi  contro  di  lui.  Veggo  bene,  ripeteva 
a  Gaspare  Contarinì,  che  vo  al  cammino  della  mia  rovina, 
ma  manco  male  mi  sembra  esservi  mandato  da  un  principi 
grande,  che  vituperato  da  diversi  piccoli  al  modo  che  sono  (3). 
Carlo  V  da  sua  parte  sentiva  pur  bisogno  del  papa.  Non 
già  che  abbandonasse  il  disegno  di  riformazione  della  Chie- 
sa, da  cui  dipendeva  eziandio  l'ingrandimento  dell'impero; 
ma  infine  la  esperienza  avevagli  dimostrato  che,  senza  l'ami- 


li) Herbert  Life  of  Henry  Vili,  pag.  233. 

(2)  In  pontilice  tanta  erat  ereptae  ab  ingratis  cMbus  patriae  re- 
petendae  cupiditas,  ut  omnem  recentissimae  calamitatis  acceptae 
memoriam,  ipso  novae  spei  pondere  superaret.  P.  Jooius,  Hist.  I. 
27,  pag.  85. 

(3)  Sua  Santità  molto  caldamente  in  gran  colera  mi  disse  che 
Ji  oltragi  di  queli  (Colonnesi)  li  havevan  fatto  et  fa<ea  lo  abbate  di 
Farfa  et  anche  il  Sig.  Malatesta  Baglioni,  li  quali  tatti  procedevan 
da  francesi,  et  principalmente  da  fiorentini  con  i  idignilà  et  vitu- 
perio suo  grandissimo  lo  havea  astretto  ad  pensar  a  casi  sui,  et 
non  star  più  in  aere,  et  che  cognosceva  bene  che  andava  alla  via 
della  sua  ruina,  ma  che  mancho  mal  li  pareva  esser  ruinato  fidan- 
dose  d'  un  principe  grarde,  che  esser  ruinato  et  vituperato  da  di- 
versi picholi  al  modo  di'  era.  Gaspare  Contarinì  al  senato.  Roma  7 
giugno  1529.  Dibl.  Marciana  ital.  ci.  VII,  cod.  MXLIII,  lib.  6  msc. 


—  833  - 

cizia  di  lui,  né  rassodare  poteva  la  sua  potenza  in  Italia,  né 
contenere  i  progressi  del  protestantismo  in  Germania.  La 
lunga  guerra,  scrivevagli  il  fratello  Ferdinando,  ha  fatto  tra- 
scurare il  guasto  della  religione  e  la  necessità  del  rimedio; 
per  essa  avvenne  la  prigionia  del  pontefice  e  la  distruzione 
di  Roma,  onde  pigliarono  tanto  scandalo  i  cattolici,  esempio 
di  licenza  i  tristi,  baldanza  ed  allegrezza  gli  eretici;  la  in- 
fezione delle  sette  luterane  e  le  ambizioni  de'  principi  fanno 
strazio  della  Germania  (l).  Questo  lacerava  il  cuore  di  Ce- 
sare. Parecchi  anni  della  sua  gioventù  aveva  ornai  passati 
in  Ispagna  ;  gli  anni  delle  impressioni  più  forti,  in  cui  si  pren- 
de l' indirizzo  della  vita.  E  in  Ispagna  ciascun  sa  che  la  fede 
cattolica,  identificata  col  sentimento  nazionale,  era  la  fede 
delle  crociate,  ma  delle  crociate  ristrette  entroi  confini  della 
patria,  con  le  passioni  e  l'esorbitanze  di  una  lotta  diuturna; 
la  religione  cioè  avente  per  carattere  l' odio  contro  gì'  infe- 
deli più  presto  che  la  carità  del  cristiano  verso  i  suoi  simili. 
Ivi  ogni  germe  di  novità,  fin  nelle  lettere,  soffocava  la  inqui- 
sizione :  ivi  le  dottrine,  già  cadute  nel  resto  di  Europa,  dei 
nominali  e  dei  reali,  sorgevano  appunto  allora  a  maggior 
nominanza  in  Salamanca,  quelle  per  Alfonso  di  Cordova, 
queste  per  Francesco  di  Vittoria  chiamato  dal  Bellarmino 
padre  fortunato  di  eccellenti  maestri  in  teologia:  ivi  la  con- 
futazione degli  errori  di  Lutero  e  di  Ecolampadio  termina- 
vasi  col  dichiarar  giusta  la  pena  del  fuoco  per  gli  eretici  (2). 
In  siffatta  temperie  morale  donde  potea  venire  al  gio- 
vane imperatore  la  forza  di  evitarne  gì'  influssi  ?  Colle  sue 
convinzioni  religiose  accordavansi  gli  interessi  politici.  Scio- 

(1)  Instruzione  di  Ferdinando  per  Martino  de  Salinas,  suo  agen- 
te presso  l'imperatore.  Innsbruch  8  febb.  1529.  Gécay  Urkunden, 
fase.  6,  pag.  66-70. 

(2)  Justa  pena  es  por  los  kereges,  que  seen  quemados.  Questa 
confutazione  presentata  all'imperatore  trovasi  nell'Archivio  di  Brus- 
selles.  L.  Ranke  Deutsche  geschichte,  t.  3,  pag.  92. 


—  534  - 

glievalo  il  papa  dal  giuramento  che  Y  obbligava  a  rispettare 
i  Mori  nel  regno  di  Aragona  (4).  In  nome  della  Chiesa,  su- 
bito dopo  la  vittoria  di  Pavia,  bandiva  la  croce  addosso  a 
quelli  di  Valenza,  che  superiori  in  numero  ai  cristiani  ne 
perturbavano  la  quiete  (2)  ;  da  essa  derivava  il  diritto  di 
conquista  dell'America.  Gome  romperne  i  legami  senza  porre 
in  pericolo  il  fondamento  di  sua  potenza? 

Né  meno  della  Spagna  appoggiavasi  l' impero  germa- 
nico alla  Chiesa.  Sacro  dicevasi,  ed  era  effettivamente  tale, 
sia  per  1'  origine  sua  e  per  gli  officii  assunti  verso  il  papato, 
sia  per  la  prevalenza  nella  costituzione  dell' elemento  cheri- 
cale.  I  principi  ecclesiastici  possessori  di  vasti  domimi,  aven- 
ti voce  deliberativa  nelle  diete  e  nel  collegio  elettorale,  al 
tempo  delle  grandi  lotte  tra  il  sacerdozio  e  l'impero  stettero 
contro  quest'  ultimo,  cooperando  a  trasformarlo  in  una  fe- 
derazione di  stati  liberi.  Ma  le  cose  ornai  eransi  mutate  del 
tutto.  Minacciati  dalle  idee  nuove  nei  beni  e  nelle  preroga- 
tive, vi  si  ghermivano  tenacemente  come  ad  unico  riparo; 
sicché  in  essi  aveva  Cesare  il  principale  sostegno  alla  sua 
autorità.  Che  sarebbe  avvenuto  se  la  riforma  fosse  riuscita 
a  disperderli  ?  Ben  venne  il  giorno  in  cui  caddero,  e  insieme 
vedemmo  disfarsi  l' impero.  Lo  stesso  potevasi  aspettare 
anche  allora,  perchè  l' impero  non  aveva  messe  cosi  salde 
radici  da  mantenersi  tra  semplici  potentati  secolari,  quando 
bene  non  fossero  stali  tutti  ereditari!.  Per  lo  meno  sarebbesi 
a  ciò  richiesto  uno  sforzo  tanto  più  straordinario,  quanto  che 
soprastava  sempre  il  pericolo  de'  Turchi  e  delle  cupidigie 

(1)  Breve  pontifìcio  12  marzo  1524.  Llorente  Hist.  de  Tinquis.  t. 
l,pag.  427. 

(2)  Ancor  nel  1528  trovossi  un  uomo  a  Valenza  che  spacciatisi 
re  dei  Mori  e  al  primo  allontanarsi  dell'  imperatore  aveva  in  animo 
di  ribellarli.  Egli  e  cinquanta  del  suo  lignaggio  furono  messi  a 
morte,  e  più  di  ottocento  fatti  prigioni.  Adverlimiento  de  la  corte 
del  emperador.  Blbl.  imp.  di  Parigi  MS.  Bethune  8531  f.  110, 


—  835  — 

francesi.  D' altra  parto  Carlo,  spirito  essenzialmente  conser- 
vatore, rifuggiva  da  qualsivoglia  rivoluzione.  Aveva  disap- 
provato le  sommosse  de' cavalieri  e  de' paesani,  benché  in- 
tendessero di  abbattere  in  prò  suo  Y  orgoglio  insolente  dei 
principi  e  delle  città.  Come  pensare  lasciasse  distruggere 
uno  dei  tre  ordini  dominanti  in  Germania  per  mettere  gli 
altri  due  in  possesso  delle  sue  spoglie? 

La  è  cosa  veramente  memorabile  che  anche  gli  affari 
esteriori  concorrevano  a  rislrignerlo  col  clero  e  colla  santa 
sede.  Importava  all'onore  della  sua  ca<a  non  si  levasse  nean- 
co  un  dubbio  sulla  facoltà  pontificia  di  concedere  ad  Enrico 
Vili  quella  dispensa  matrimoniale,  che  ora  da  Enrico  mede- 
simo era  impugnata.  Se  voleva  rimettere  suo  cognato  Cri- 
stiano II  nel  trono  di  Danimarca  e  la  ingerenza  austriaca  ne- 
gli stati  scandinavi,  dov9  era  già  penetrata  la  riforma,  biso- 
gnava congiugnersi  cogli  abitanti  non  ancora  trasandati  dal- 
l' antica  fede.  Nella  Svizzera  gli  si  offriva  occasione  di  far 
dimenticare  ai  cantoni  cattolici  le  secolari  nimistà,  prenden- 
doli in  protezione  contro  le  città  riforniate  già  strette  in  lega 
coi  loro  correligionarii  tedeschi  (1).  Sin  nella  lotta  colFantire 
Zapoly  poteva  tornar  utile  all'  Austria  che  la  Chiesa  confer- 
masse i  suoi  diritti.  Tutto  adunque  conducevalo  all'alleanza 
col  papa.  Le  negoziazioni  incominciate  dal  generale  de'fran- 
cescani  creato  cardinale  col  titolo  di  santa  Croce,  proseguite 
poi  da  Nicolò  Schonberg  arcivescovo  di  Capua,  terminò  Gi- 
rolamo Schio,  vicentino,  vescovo  di  Vasone,  andato  nunzio 
in  Ispagna  dopo  la  prematura  morte  di  Baldassare  Castiglio- 
ne, e  il  di  29  giugno  1529  fu  sottoscritta  la  pace  di  Barcel- 
lona. Promise  Cesare  gli  farebbe  restituire  da' veneziani  Ra- 

(1)  Jay  nouvellcs  comme  le  cing  cantons  qui  tenoient  nostre 
loy  sont  de  rechielTen  parcialite  avec  les  aultres  tellement  quii  y 
auroit  moyen  les  altirer  et  ioindre  à  lempire  ou  fi  nostre  maison 
daustriebe.  Ferdinando  a  Carlo  V.  Linz  7  settembre  1529.  Gévayy 
op.  cit.  fase.  6,  pag.  43. 


—  536  — 

venna  e  Cervia;  Modena,  Reggio  e  Rubiera  dal  duca  di  Fer- 
rara, però  con  riserva  de' diritti  dell'impero;  rimetterebbe 
i  Medici  in  Firenze  nella  medesima  grandezza  eh'  erano  in- 
nanzi la  cacciata,  e  lo  Sforza  a  Milano  se  si  provasse  inno- 
cente :  altrimenti  disporrebbe  del  ducato  col  consetìtimento 
del  pontefice;  darebbe  opera  assidua  insieme  col  fratello  in 
ricondurre  gli  eretici  sulla  via  retta,  e,  stando  contumaci,  gli 
sforzerebbe  con  le  armi,  per  vendicare  le  ingiurie  fatte  a 
Cristo;  ad  Alessandro  bastardo  de'  Medici  sposerebbe  Mar- 
gherita bastarda  sua,  da  lui  a  tal  uopo  legittimata  (4).  In 
compenso  darebbegli  il  papa  la  investitura  del  regno  di  Na- 
poli senza  il  censo  consueto,  ritenuto  soltanto  l'omaggio  del- 
la chinea,  e  concederebbe  il  passo  per  le  terre  della  Chiesa 
all'  esercito  imperiale  colà  stanziato  (2).  Obbligossi  eziandio 
il  papa  in  articoli  separati  di  scomunicare  qualunque  atti- 
rasse i  Turchi  in  quel  regno,  con  che  alludeva  alle  pratiche 
del  re  Francesco  con  Solimano,  di  concedere  a  Cesare  e  al 
fratello  il  quarto  dell'entrata  dei  benefizi  ecclesiastici  per  re- 
spingere gì'  infedeli,  e  di  assolvere  i  soldati  e  tutti  quelli 
che  in  qualsivoglia  modo  parteciparono  ai  misfatti  commessi 
a  Roma,  affinchè  si  potesse  adoperarli  nella  guerra  santa 
contro  gPinfedeli  medesimi.  Questo  era  il  pretesto:  Clemen- 
te li  destinava  al  riconquisto  della  patria. 

XI.  Ornai,  com'egli  stesso  previde,  anche  al  re  di  Fran- 
cia non  restava  che  pensare  in  sul  serio  alla  pace.  Le  prati- 
che introdotte  nel  4527  a  Palencia  andarono  a  vuoto  per  la 
diffi colta  di  rinunziare  a  Milano  e  a  Genova,  e  di  ritirare  le 

(1)  Borrador  de  la  legitimacion  hecha  por  el  rey  Carlos  I  de 
Espana  en  favor  de  su  hija  naturai  D.«  Margarita  de  Austria.  Bar- 
cellona 9  luglio  1529.  Biblioteca  de  la  Acad.  dy  hist.  de  Madrid. 
A.  42  msc. 

(2)  Tractatus  confoederationis  inler  Carolum  V  romanorura  im- 
peratorem  et  Clementem  VII  pontifìcem  romanum  conclusum.  Du 
Montai.  IV,  p.  II,  pag.  J. 


—  837  — 

truppe  dall'  Italia  (A).  Il  cancelliere  Du  Prat  aveva  dichia- 
rato, voler  piuttosto  la  morte  che  mancare  alla  ricuperazione 
di  Milano  perduto  durante  il  suo  ministero;  conseguita  que- 
sta, essere  contento  di  esalar  l'anima  un'ora  dopo  (2).  Ciò 
non  ostante  giunto  era  il  tempo  per  far  di  necessità  virtù. 
Anzitutto  rinnovando  la  guerra  correva  rischio  il  re  di  ri- 
maner solo  a  combatterla.  Oltaviano  Sforza,  suo  partigiano, 
ricordavagli  che, se  l' imperatore  veniva  prima  di  lui  in  Ita- 
lia, né  i  fiorentini  avrebbero  potuto  resistere,  né  i  vene- 
ziani far  a  meno  di  ritirarsi  alla  difesa  delle  loro  terre  (3). 
E  quando  il  re  medesimo,  per  timore  che  gli  uni  e  gli  altri 
insospettiti  della  sua  volontà  non  si  accordassero  con  Cesa- 
re, sforzavasi  persuaderli  di  aver  volti  i  pensieri  alle  prov- 
visioni della  guerra  (4),  gli  italiani  Giovanni  Gioachimo,  Gui- 
do Rangone  e  Teodoro  Trivulzio  scrivevano  con  onorata  fran- 
chezza ottimi  consigli;  ma  tali  che,  mostrando  gli  errori  onde 
fu  causata  la  ruina  delle  imprese  precedenti,  e  le  avvertenze 
necessarie  al  buon  successo  delle  future,  riuscivano  più  pre- 
ti) Ce  qui  a  èté  dit  cn  la  communication  tenue  à  Palencia.  Du 
Moni.  t.  IV,  par.  I,  pag.  502. 

(2)  Puisque  le  roi  avoit  perdu  Milan  estant  luy  en  administra- 
tion  des  affaires,  il  aimeroit  mieux  la  mort  que  de  faillir  à  le  luy  re- 
couvrer  :  cela  fait  il  ètoit  content  de  mourir  une  heure  après.  Depé- 
che  de  J.  du  Bellay,  evéque  de  Bayonne  13  juill.  1529.  Bibl.  imp.  di 
Parigi.  MS.  Colbert  V.  4G8. 

(3)  Al  Montmorenci.  Murano  14  giugno  1529.  Molini.  Doc.  di 
stor.  ital.  t.  2,  pag.  205. 

(4)  Questa  maestà  ci  ha  voluto  tutti  noi  oratori  oggi  insieme, 
e  ...  ci  ha  dimostrato  con  tanta  efficacia  quanto  mai  abbia  veduto 
in  quella,  non  intendere  di  volere  star  più  in  queste  ambiguità,  ma 
di  volere  con  tutto  il  potere  suo  provvedersi  di  quelle  forze  che 
gii  saranno  possibili,  per  non  mancare  né  a  sé  né  a  suoi  confede- 
rati in  cosa  alcuna  ;  anzi  voler  mettere  la  persona  e  le  facoltà  a  be- 
nefìzio comune.  Baidassare  Carducci  ai  dieci  di  libertà  e  di  pace. 
Compiégne  23  giugno  1529.  JSégoc.  dipi,  de  la  France  avec  la  To- 
scane, t.  2,  pag.  1064. 

54 


—  838  — 

sto  a  togliere  che  a  dar  l'animo  di  tentarle.  Ai  vtei  de'fran- 
cesi,  cioè  alla  mancanza  di  ordine  e  di  prudenza,  agli  insuf- 
ficienti apparecchi,  alla  imprevidenza  de'  disastri,  contrap- 
ponevano essi  i  maneggi,  l'astuzia  fredda,  la  costanza,  la  pa- 
zienza di  aspettar  la  occasione ,  e  di  lasciar  consumare  le 
forze  nemiche,  quelle  arti  insomma  che  diedero  la  vittoria 
agli  spagnuoli  (d).  Fra  i  nostri  parecchi  le  impararono  tosto, 
pur  troppo  non  per  salvare  la  patria,  sì  per  andar  poi,  allor- 
ché ogni  vita  nazionale  in  Italia  fu  distrutta,  venturieri  for- 
tunati a  governare  ne'  consigli  o  a  difendere  nelle  armi  le 
tirannidi  forestiere,  passando  cosi  dalla  classe  degli  oppressi 
in  quella  degli  oppressori.  Anche  allora  Giovanni  Gioachino 
proponeva  al  re  per  la  condotta  del  nuovo  esercito  il  vecchio 
maresciallo  Trivulzio  (2),  e  Gregorio  da  Casale  mettevagli 
innanzi  Guido  Rangone.  Volendo  far  guerra  in  Italia^  diceva 
egli,  è  necessario  servirsi  di  capi  italiani,  perchè  voi  signori 
francesi  siete  troppo  valentuomini  ad  avere  che  fare  co9  spa- 
gnuoli (3).  Ma  con  qual  cuore  parlar  di  nuova  guerra  in 
mezzo  ai  gemiti  dellajcalpestata  penisola?  Sin  dal  4528  scrìs- 
se Galeazzo  Visconti  al  Montmorenci  che  non  vi  si  vedevano 
che  cerei  e  frati  ad  accompagnar  morti  (4),  ed  ora  il  Tri- 
vulzio assicurava  che  non  vi  si  troverebbero  più  guastatori 


(1)  Istruzione  di  Teodoro  Trivulzio,  Guido  Rangone  e  Jo.  Joa- 
chimo  a  mess.  Mauro  da  Nova.  Venezia  15  luglio  1529.  Molimi.  Doc. 
di  slor.  ital.,  t.  2,  pag.  219-230. 

(2)  Gio.  Joachimo  al  Montmorenci.  Venezia  23  giugno,  8  e  15 
luglio  1529.  Ibidem,  pag.  215. 

(3)  Roma  27  e  28  giugno  1529.  Ibidem,  pag.  213. 

(4)  Mantoa  è  tutta  abandonatadi  peste.  Ferrara,  Padua,  Cremo- 
na, tutto  il  Bressano  :  questa  terra  va  peggiorando,  Genoa  adio  :  et 
vi  concludo  eh'  è  il  più  grande  spavento  che  may  fosse  veduto  ad 
andare  per  paexe.  Piacenza  21  lugl.  1528.  Molini.  Doc  di  stor.  ital. 
Arch.  stor.  ital.,  Append.  n.0  9,  pag.  443. 


-  530  - 

per  esser  morti,  tra  di  fame,  di  peste,  o  di  altro,  la  maggior 
parte  de*  conladini  (4). 

Però  non  questo,  si  l'affetto  paterno  aggiunse  un  motivo 
efficace  a  prostrar  lo  spirito  del  re.  Tardavagli  assai  di  li- 
berare i  figliuoli,  tenuti  in  dura  custodia  (2),  senza  poter  mai 
conversare  con  alcuno,  né  scrivere  o  ricever  lettere  (3),  e 
con  indosso  abiti  i  più  grossolani  (4). 

Laonde  le  negoziazioni,  non  mai  del  tutto  interrotte,  ri- 
prese con  maggiore  caldezza,  appunto  nel  tempo  che  dava  a 
credere  di  calare  in  Italia  con  potentissimo  esercito  e  di  pre- 
pararsi ad  invadere  la  Germania.  Andò  voce  a  Roma  che  il 
papa  vi  sarebbe  entrato  mediatore  (5),  recandosi  a  tal  uopo 
in  Ispagna  (6),  e  ancor  nel  marzo  del  1529  disegna vansi  le 
galee  che  dovevano  condurvelo,  quando  invece  le  pratiche 
della  concordia  vennero  in  mano  di  donne. 

Francesco  I  erasi  già  rivolto  segretamente  ad  Eleonora, 


(1)  Istruzione  precitata  a  Mauro  da  Nova,  pag.  225. 

(2)  Carlo  V  con  sua  lettera  6  maggio  1529  l' affidò  al  marchese 
di  Berlanga  e  al  contestabile  di  Castiglia,  i  quali  lasciarono  memoria 
scritta  degli  usati  rigori.  M.  Fer.  Nauarrete  Coììecìon  de  documentos 
inèditospara  la  historiade  Espana.  Madrid  1842,  t.  1, pag. 242  eseg. 

(3)  Carlo  V  al  conte  di  Alba  alcalde  di  Zamora.  Burgos  22  genn. 
1528.  Ibidem. 

(4)  El  Uxer  de  la  Regente  dixo  verdad  en  lo  que  conto  de  los 
vestidos  destos  principes  porque  los  vistieron  asabiendos  los  peo- 
res  sayos  que  tenjan.  Biglietto  acchiuso  in  una  lettera  del  contesta- 
bile di  Francia  ali9  imperatore,  senza  data.  Archivio  imper.  di  Pa- 
rigi B.  2/41  msc. 

(5)  Quotidie  in  ore  habet  (pontifex)  divinum  consilium  tuum 
de  profectione  ad  Caesarem  et  de  pace  publica:  quo  quidem  Con- 
silio si  inlegris  rebus  usus  fuisset,  non  laboraremus.  Hieronimus 
Niger  Sadoleto  5.  cai.  aprile  1529.  Sadoleti  Epistolae,  lib.  8,  pag.  323. 

(6)  Quant  au  bruyt  qui  a  courru  ici  et  que  jay  entendu  par  votre 

nonce,  que  avez  voulonte  de  venir  ici je  say,  que  ce  est  le  vray 

remede  :  pleust  a  dieu  quii  se  feist  en  temps.  Der  kaiser  an  den  papst 
CUmsnt  VII  apr,  1529,  Lanz  Corresp.,  t. 1,  pag.  298. 


—  540  — 

sua  fidanzata,  manifestandole  il  desiderio  di  veder  tolti  al 
più  presto  possibile  gli  ostacoli  che  frapponevansi  al  loro 
matrimonio,  ed  ella,  rallegratasi  al  sommo  di  questo  mes- 
saggio, aveva  dichiarato  voler  prendere  sopra  di  sé  l'affare  e 
da  sé  sola  conchiuderlo  (d). 

Che  facesse  a  tal  fine  e  in  qual  tempo,  non  so.  Certo  è, 
come  osserva  il  celebre  Leopoldo  Ranke,  che  da  quel  mes- 
saggio appare  la  intenzione  di  scansare  le  ordinarie  vie  di- 
plomatiche per  appigliarsi  alle  antiche  usanze  cavalleresche. 

Conforme  a  questa  intenzione  Luigia  di  Savoia  madre 
del  re  rappresentò  a  Margherita  zia  dell'imperatore  che  ajp- 
ro  due,  siccome  più  vicine  e  più  vecchie  parenti  de'  principi 
guerreggianti,  spettava  innanzi  a  tutti  tentarne  la  concilia- 
zione (2).  Anche  Margherita  trovò  V  odio  tra  que'  principi, 
per  le  lunghe  ostilità,  gli  scritti  scambiati  e  le  avvenute  di- 
sfide, talmente  inasprito,  da  non  vedere  possibilità  di  accordo 
che  col  loro  mezzo,  e  trattandolo  in  persona  (3).  Tanto  più 
che  Cesare,  recedendo  a  malincuore  dal  convegno  di  Ma- 
drid, spiegava  pretensioni  eccessive  con  commissione  di  non 
ristrignerle  che  a  passo  a  passo  (4).  Margherita  fece  conside- 


(1)  Elle  m' a  dit,  rque  la  fiance  qu'elle  avoit  toujours  eu  en 
votre  nonne  Toulontè  envers  elle,  l' avoit  tenue  en  bonne  esperance 
et  lui  avoit  fait  porter  ipatiemment  tout  ce  qui  avoit  passe . . . 
Qu'  elle  vouloit  mener  cette  affaire  et  que  autre  ne  se  meslat  qu'elle, 
et  e'  estoit  son  propre  fait.  Dechiflrement  d' une  depesche  écrite 
d'Espagne  senza  data,  né  sottoscrizione.  Bibliot.  imp.  di  Parigi 
MS.  Bethune  8543  f.  182. 

(2)  Teneur  du  pouvoir,  donne  à  l'archiduchesse.  Du  Mont,  L4, 
p.2,  pag.  15. 

(3)  Hormayr  Archiv.  an.  1810,  pag.  108. 

(4)  Vous  luy  (a  Margherita)  direz,  s' il  (Rosamboz,  da  lei  man- 
dato a  Cesare  per  comunicargli  le  proposte  di  Luigia)  ne  porte  aul- 
tre  chose  que  ce  quii  se  traictoit  en  Bourgos,  et  que  le  roy  de  Fran- 
ce  ne  veuille  accomplir  ce  de  Madryt,  la  diffìculté  qu'  il  y  auroit 
de  pouvoir  m'accorder  avec  luy;  car,  s' il  ne  l' accomplit,  je  ne 


rareche,  comunicandole  quali  erano  all'ambasciatore  fran- 
cese allor  presente  alla  sua  corte,  porgerebbesi  occasione  di 
ripigliar  le  armi.  D'altra  parte  non  meno  pericoloso  le  parve 
dar  lusinga  di  transigere,  perchè  il  nemico  ne  prenderebbe 
baldanza;  onde,  consultatasi  con  alcuni  statisti  fiamminghi, 
deliberò  di  lasciar  senza  risposta  l'ambasciatore  medesimo, 
e  di  rimettere  ogni  cosa  alla  sua  prossima  conferenza  con 
la  duchessa  Luigia  (d).  Carlo  V  le  diede  il  più  ampio  man- 
dato che  imaginar  si  possa,  promettendo  sul  suo  onore  e 
sulla  sua  parola  imperiale  di  approvare  e  ratificare  quanto 
avrebbe  fermato  (2).  Simigliante  facoltà  ebbe  Luigia  dal  re 
Francesco,  e  tra  i  motivi,  per  cui  non  questi,  si  sua  madre 
doveva  condurre  le  trattative,  fu  certo  principale  il  non  aver 
essa  al  par  di  lui  assunte  obbligazioni  verso  i  potentati  ita- 
liani. 

A  Cambrai,  luogo  fatale  dov'era  stata  cominciata  la  ruina 
d'Italia,  la  si  volle  anche  compiere.  Il  di  sette  luglio  4529 
vi  convennero  le  due  principesse,  alloggiate  in  due  case  con- 
tigue che  avevano  Y  adito  dell'  una  nelP  altra,  per  modo  da 
poter  vedersi  e  parlare  senza  essere  osservate.  Ivi  giunsero 
eziandio  per  il  re  d' Inghilterra  il  vescovo  di  Londra  e  il 
duca  di  Suffolch,  e  il  pontefice  vi  mandò  il  cardinale  Giovan- 
ni Salviati  e  Nicolò  Schomberg  arcivescovo  di  Capua.  Vi  era- 
no pure  gli  ambasciatori  di  Venezia,  Milano,  Firenze  e 
Ferrara. 


s$ay  comment  je  me  pourrois  desdire  de  ce  que  j"  ay  dit  de  luy, 
ou  souff  rir  qu'  il  ne  se  desdie  de  ce  qu'  il  m'asoit  desmenty,  que 
sont  deux  choses  fortes  à  faire.  Charles-Quint  au  sieur  de  Montfort. 
Siguenza  16  mars  1529.  Papiers  d' état  du  card,  de  Granvelle,  t.  1, 
pag.  450. 

(1)  Die  statthalterin  Margarethe  an  den  kaiser  20  mai  1529.  Lanz 
Corresp.,  t.  1,  pag.  300,  301. 

(2)  Du  Moni,  t.  4,  par.  2,  pag.  15. 


■  —  84*  - 

Non  mancarono  difficoltà  nelle  trattative,  alcune  delle 
quali  previste  da  Margherita.  Voglio  sperare,  diss'  ella,  che 
il  re  di  Francia  cederà  le  terre  che  ancor  tiene  in  suo  no- 
me nel  regno  di  Napoli,  ma  come  credere  ch'ei  possa  indarre 
i  veneziani  a  restituir  quelle  eh'  essi  medesimi  vi  occupano? 
Non  partecipando  per  ora  agli  accordi,  certo  è  che  non  vor- 
ranno lasciarsi  cader  di  mano  la  verga,  colla  quale  potreb- 
bero essere  battuti.  Dovrebbesi  dunque  richiedere  che  il  re 
pagasse  le  spese  di  un  certo  numero  di  soldati  per  costrin- 
gerveli colla  forza.  Né  meno  grave  di  questa  parve  a  Mar- 
gherita la  questione  dei  danari  che  Cesare  voleva  avere  in 
contanti.  Conturbavala  in  ultimo  il  rifiuto  espresso  nelle  sue 
instruzioni  di  far  entrare  il  re  di  Portogallo  mallevadore  del- 
la liberazione  de'  principi  ostaggi  (1). 

Nondimeno  queste  e  molte  altre  difficoltà  furono  supe- 
rate. Solo  ai  ventitre  di  luglio,  essendo  insorta  contesa  so- 
pra alcune  terre  della  Franca  Contea,  troncò  Luigia  le  con- 
ferenze e  si  mise  in  ordine  di  partirsi  (2).  Ma  per  opera  del 
cardinale  Salviati  e  principalmente  dell'arcivescovo  di  Capaa 
rannodaronsi  il  di  seguente  (3),  e  si  concordò  la  pace,  pub- 
blicata con  gran  solennità  a' 5  agosto  nella  chiesa  maggiore 
di  Cambrau 

Carlo  V  piegò  in  un  sol  punto,  onde  fu  salva  la  integrità 
della  Francia;  Francesco  I  io  tutto  il  rimanente.  Carlo  re- 
cedette dall'articolo  del  trattato  di  Madrid  relativo  alla  Bor- 
gogna, riservandosene  però  le  ragioni,  ed  accettò  i  due  mi- 


fi)  Die  statthalterin  Margarethe  an  den  kaiser  26  mai  1529.  Lanz 
Corresp.,  t.  1,  pag.  304-306. 

fi)  Vogliono  alcune  terre  fortissime  e  vicine  alla  Francia,  Con- 
tea, e  Lyon  per  una  giornata.  Baldassarre  Carducci  ai  dieci  di  libertà 
e  di  pace.  Cambrai  24  lugl.  1529.  Négoc.  diplom.  de  la  France  avec 
la  Toscane,  t.  2,  pag.  1094. 

(3)  Cambrai  24  luglio  1529.  Ibidem,  pag.  1096. 


-543- 

lioni  di  scudi  offertigli  per  il  riscatto  dei  principi  ostaggi,  con 
condizione  che  dugentonovantamila  fossero  pagati  ad  Enrico 
Vili  in  estinzione  del  suo  debito,  ed  un  milione  e  dugento- 
mila  al  momento  della  liberazione  de'principi  medesimi,  pro- 
messa per  il  di  primo  marzo  dell'anno  venturo.  Francesco 
rinnovò  le  convenzioni  del  matrimonio  con  Eleonora,  restituì 
Hesdin,  cedette  Tournai  e  i  diritti  di  sovranità  feudale  sulla 
Fiandra  e  sull'  Artois,  e  si  obbligò  di  non  soccorrere  Roberto 
de  la  Mark,  signore  di  Sedan,  alla  ricuperazione  della  ducea 
di  Bouillon  donata  da  Cesare  al  vescovo  di  Liegi,  e  di  rico- 
noscere come  confederato  dell'  imperatore  Carlo  d' Egmont 
duca  di  Gueldria,  il  quale  poc'anzi  (3  ott.  4528)  era  stato 
costretto  ad  assicurargli  la  riversibilità  de'suoi  stati  (i).  Giu- 
rò inoltre  di  restituire,  tra  sei  settimane  dopo  la  ratificazio- 
ne, tutto  quello  possedeva  nel  ducato  di  Milano,  di  lasciar 
Asti,  e  più  presto  che  potesse  Barletta  con  ogni  altro  luogo 
ancor  occupato  nel  regno  di  Napoli  ;  di  protestare  ai  vene- 
ziani che  sgombrassero  le  terre  di  Puglia,  e,  in  caso  non  lo 
facessero,  di  aiutar  Cesare  con  trentamila  scudi  il  mese  ad 
isnidarveli  ;  di  mandare  a  sua  inchiesta  dodici  galee,  quat- 
tro navi  e  quattro  galeoni  pagati  per  cinque  mesi,  e  di  dar- 
gli un  sussidio  di  dugentomila  scudi  per  l' andata  in  Italia. 
Promise  in  ultimo  di  non  intromettersi  più  nelle  cose  d'Italia 
né  di  Germania  in  danno  dell'imperatore,  e  mentre  questi 
non  dimenticò  nessuno  di  coloro  che  seco  aveano  parteggia- 
to (Imponendo  l'annullazione  della  sentenza  contro  il  conte- 
stabile di  Borbone,  la  grazia  intera  de'suoi  complici  e  la 
restituzione  de'  beni  a' suoi  successori)  Francesco  non  ne  ri- 
cordò nessuno,  anzi  scese  perfino  a  stipulare,  non  darebbe 


(1)  Carlo  V  aveva  di  fresco  acquistato  eziandio  dal  vescovo  e 
dal  capitolo  di  Utrecht  la  sovranità  di  quella  diocesi  col  consen- 
timento del  papa;  sicché  ad  integrare  il  dominio'diretto  sopra  i 
Paesi  Bassi  non  manca  vagli  che  il  vescovato  di  Liegi. 


—  544  — ■ 

asilo  ai  napoletani,  che  avessero  portato  le  armi  contro 
l'imperatore.  Solamente  i  fiorentini  dichiarò  compresi  nella 
pace  in  caso  che  fra  quattro  mesi  fossero  delle  differenze  lo- 
ro d'accordo  con  Cesare  (4).  Meglio  era  tacersi  che  palliare 
con  queste  vane  parole  la  infamia  dell'  abbandono.  A  Bal- 
dassare  Carducci  aveva  detto  il  gran  maestro  Montmorenci: 
ambasciatore,  se  voi  trovate  mai  che  questa  maestà  faccia 
conclusione  alcuna  con  Cesare,  che  voi  non  siate  in  precipuo 
luogo  nominati  e  compresi,  dite  che  io  non  sia  uomo  d'onore, 
anzi  eh?  io  sia  un  traditore  (2).  Lo  stesso  dichiarò  agli  ora- 
tori tutti  de' confederati  dinanzi  al  consiglio  regio  (3),  e  poi 
solennemente  nella  cattedrale  di  Cambrai  (4).  Poco  dopo, 
sebbene  il  re  per  accattar  scuse  alla  premeditata  slealtà  mo- 
strasse dolersi  che  i  fiorentini  avessero  mandato  Luigi  Ala- 
manni con  Andrea  Doria  in  Ispagna,  pure  al  Carducci  che 
gli  diceva:  sire,  la  maestà  vostra  tante  volte  m'ha  affermato 
e  ripetuto  le  medesime  cose,  che  se  io  non  veggo  l'osservanza 
di  quelle,  non  che  io  creda  mai  piU  a  parola  di  re,  dubiterei 
se  avessi  a  credere  a  Dio,  non  potè  far  a  meno  di  risponde- 
re :  voi  avreste  mille  ragioni,  perchè  io  ve  V  ho  promesso,  e 
con  effetto  lo  adempirò  (5);  onde  il  Carducci  medesimo  alla 
nuova  di  quella  pace  esclamò  :  sarà  una  perpetua  memoria 


(1)  Du  Mont,  t.  4,  par.  2,  pag.  7-17. 

(2)  Baldassare  Carducci  ai  dieci  di  libertà  e  di  pace.  Parigi  17 
giugno  1529.  JS'égoc.  diplom.  de  la  France  avec  la  Toscane,  t.  2, 
pag.  1059. 

(3)  Dispaccio  di  Gio.  Battista  Taverna,  oratore  milanese  al  duca 
Sforza.  Mariti  Sanuto,  t.  U,  pag.  123. 

(4)  Baldassare  Carducci  ai  dieci  di  libertà  e  di  pace.  Cambrai 
10  lugl.  1529.  Négoc.  diplom.  de  la  France  avec  la  Toscane,  t.  2, 
pag.  1081. 

(5)  Detto  ai  medesimi.  Cambrai  22  luglio  1529,  Ibidem,  pag. 
1089-1090. 


—  545  — 

alla  città  nostra  e  a  tutta  Italia  quanto  sia  da  prestar  fede 
alle  collegazioni,  promesse  e  giuramenti  francesi  (i). 

A  queste  lagnanze  ed  alle  proteste  di  volersi  difendere, 
il  gran  maestro,  faccia  tosta,  replicava:  adunque  voi  in  que- 
sto modo  ci  volete  impedire  la  ricuperazione  dei  nostri  figliuo- 
li; ma  guardate  che,  avendo  voi  un  nemico,  non  ne  abbiate 
due  (2).  Invece  il  re,  non  essendo  al  tutto  di  atto  tanto  basso 
senza  vergogna,  fuggì  per  qualche  giorno  con  varii  sotter- 
fugi! il  cospetto  degli  ambasciatori  de' collegati.  Uditili  final- 
mente in  disparte,  diede  a  ciascuno  propensate  risposte  :  al 
veneziano  disse  che  per  colpa  sua  non  era  stata  inclusa  la 
repubblica,  avendo  rifiutato  di  consentire  nelle  cose  del 
Turco;  al  milanese  che  il  padron  suo  erasi  composto  con 
Cesare  per  mezzo  del  papa;  al  fiorentino  ch'egli  aveva  di 
che  giustificarsi,  non  essendo  stata  da  lui  ratificata  ne  ap- 
provata la  lega  fatta  col  Lautrec  per  la  impresa  di  Napoli  : 
cosa  certamente  manco  che  degna  di  un  tanto  principe,  aven- 
do sempre,  nel  cavar  danari  dalla  Signoria,  usato  tal  lega 
ed  obbligazione  (3^.  Ben  fece  il  Carducci  di  astenersi  da  ogni 
inutile  recriminazione  :  per  la  invereconda  sentenza  non  an- 
dava spesa  una  parola  sola.  Domandò  unicamente  quaran- 
tamila ducati  a  presto  per  la  città,  e  licenza  a  Stefano  Co- 
lonna di  partirsi  agli  stipendi  suoi  :  questo  ottenne,  non  ab- 
bisognando più  il  re  di  quel  capitano;  de' ducati  ebbe  pro- 
messe, che  riuscirono  come  le  antecedenti. 

La  pace  di  Cambrai,  approvata  da  Luigia  col  criterio 
dell'affetto  materno,  perchè  liberava  il  figliuolo  dai  pericoli 
di  una  nuova  impresa  in  persona  (4),  parve  ottima  al  pon- 
ili Detto  ai  medesimi.  Saint-Quintin  5  agosto  1529,  Ibidem^ 
pag.  1103. 

(2)  Ibidem. 

(3)  Detto  ai  medesimi.  Saint-Quentin  16  agosto  1529.  Ibidem, 
pag.  1107. 

(4)  La  seureté,  Monseigneur,  en  la  quelle  je  cognois  votre  per- 


-  M6- 

tefice,  perchè  vi  erano  esclusi  i  confederati  dei  quali  aveva 
a  dolersi,  Venezia,  Ferrara  e  Firenze  (4).  Con  questa  dol- 
cezza mescolavasì,  è  vero,  V  amaro  dei  larghi  patti  ottenuti 
da  Cesare;  ma  tempera  vaio  ancora  la  speranza  che  il  domi- 
nio suo  in  Italia  non  sarebbe  di  lunga  durata.  Tosto  che  riar 
vrà  il  re  i  figliuoli,  diceva  all'  ambasciatore  francese,  si  tro- 
veranno rimedii  a  tutti  gli  altri  mali  (2).  Aggiugnevasi  il 
contento  di  veder  ambidue  i  rivali  ugualmente  avversi  alle 
novità  religiose.  Fra  i  motivi,  che  muovevanlo  alla  pace, 
addusse  Francesco  nel  suo  mandato  il  desiderio  di  estirpare 
T  eresie,  affinchè  la  Chiesa  fosse  onorata  come  si  conviene 
alla  salute  delle  anime  (3).  In  un  articolo  del  trattato  l'im- 
peratore e  il  re  dichiaravansi  risoluti  a  mantenere  la  santa 
sede  nella  sua  autorità,  e  fra  i  patti  confermati  della  con- 
venzione di  Madrid  eravi  anche  quello  per  cui  il  re  promise 
aiuti  all'  imperatore  non  meno  contro  gli  eretici  che  contro 
i  turchi.  * 

Gioiva  in  ultimo  il  pontefice  di  poter  sciogliersi  da  ogni 
riguardo  verso  il  re  d' Inghilterra  nella  quistione  matrimo- 
niale. Indarno  continuò  questi  a  premergli  l'animo  con 
propositi  minaccevoli.  Neil9  aprile  del  4529  erano  stati  sparsi 


sontie  par  la  paix,  que  j' estime  plus  que  ma  propre  vie.  Lettre 
de  Madame  au  roi  après  le  traile  de  Cambfay.  B  bl.  imp.  di  Parigi 
MS.  Bethune  8471. 

(1)  Suftout  ne  pourroit  étre  plus  cohtent  qtf  il  est  de  ce  qu'il 
enterici  qu'on  a  eu  me  moire  de  luy,  et  semble  qu'il  aytquelquc 
advis  que  aucuns  des  confederés  soient  aucunement  demeurès  en 
derrìere.  Nic.  Ralnca  au  gran  maitre  12  aoùt  1529,  Ibidem  8534. 

(2)  Que  luy  confìrme  la  satisfaction  en  quoi  il  est  autant  ou 
plus  que  nulle  autre  chose,  et  fait  bien  compte,  8'  ils  vouloient 
aller  la  chemin  qui  sera  requis,  que  delivrès  et  retournès  en  France 
Messieurs  que  à  toul  se  aura  boti  reméde.  Ibidem. 

(3)  Puor  extlrper  les  heresies  qui  pullulent  en  la  chrestienneté 
et  que  l'Esglise  soit  reverée  et  honorée  ainsy  qu'  il  appertient  pour 
la  salut  de  nòz  ames.  Du  Mont,  t.  4,  par.  2,  pag.  16. 


-  M7  - 

per  la  corte  parecchi  esemplari  di  un  libretto  in  lingua  in* 
glese,  in  cui  promettevano  i  luterani  di  ritornare  all'antica 
fede,  purché  Enrico  insieme  col  re  di  Francia  pigliasse  la 
impresa  di  ridurre  lo  stato  ecclesiastico  al  modo  della  pri- 
mitiva Chiesa,  levandole  tutto  il  temporale,  ed  Enrico  ne 
parlò  col  cardinale  Campeggi  come  di  cosa  alla  quale  era 
sollecitato.  Questo  è  il  diavolo,  rispose  il  cardinale,  in  veste 
di  angelo  per  ingannar  meglio  :  la  veste  bianca  sta  nel  mo- 
strar di  voler  ridursi  alla  dottrina  cattolica  e  che  gli  eccle- 
siastici vivano  santamente;  gli  artigli  e  le  corna  nel  voler  oc- 
cupare i  beni  della  Chiesa.  Ricordò  i  canoni  de'  concilii  e  le 
sentenze  di  molti  teologi  circa  il  giusto  loro  possesso,  nò 
trascurò  la  solita  ragione  mondana  de'vantaggi  che  ne  trae- 
vano i  principi  (4).  Io  non  so  se  il  cardinale  credesse  real- 
mente di  aver  fatto  breccia.  In  ogni  modo  troppo  lontano 
era  il  pericolo,  perchè  il  papa  se  ne  desse  pensiero.  Com'egli 
fu  sicuro  dell'  appoggio  di  Cesare,  lasciò  farsi  manifesto  il 
disegno  di  rivocare  la  commissione  affidata  al  Campeggi  e 
al  Wolsey  (2);  onde  il  re,  nella  speranza  di  prevenire  l'ef- 
fetto, non  soffrì  ulteriori  indugi  alla  trattazione  della  causa. 
Ai  31  maggio  incominciarono  i  dibattimenti,  ma  già  ai  29 
dello  stesso  mese  partirono  ordini  da  Roma  si  procedesse 
lentamente,  né  in  modo  alcuno  si  venisse  al  giudizio  (3).. 


(1)  Che  sua  maestà  advertisse  bene,  che  questo  etiam  veniva 
de  directo  contra  di  lei,  perchè  stantibus  rebus  essa  se  ne  prevaleva 
spesse  volte  di  grosse  somme  ne  li  bisogni  suoi,  et  permettendo 
che  laici  occuparent  bona  ecclesiarum,  cessarla  questo  et  forsan 
impinguati  et  dilatati  recalcitrarent.  Camp  egius  ad  Sangam  Lon- 
dini  3  aprile  1529.  Hugo  Laemmer  Monumenta  vaticana,  pag.  32. 

(2)  Which  was  confirmed  by  divers  other  letters  from  our 
agents.  Gardiner  to  Volsey  4  mai  1529.  Herbert  Life  of  Henry 
Vili,  pag.  232. 

(3)  Poiché  vostra  S.a  rever.  non  ha  possuto  fuggire,  che  non  si 
cominci  a  procedere,  sua  Beatitudine  ricorda  che  il  procedere  sia 


-  848- 

Gli  osservò  puntualmente  il  Campeggi,  e  dopo  consumati 
parecchi  giorni  in  preparazioni  e  mere  formalità,  dopo  aver 
il  di  48  giugno  sentita  la  regina  (1),  ai  28  luglio  differì  le 
sessioni  sino  al  primo  ottobre,  facendo  valere  anche  per  sé 
le  ferie  della  Ruota  romana  (2), 

Conchiusa  era  ormai  la  pace  di  Barcellona,  e  già  sin  dal 
di  9  luglio  aveva  dichiarato  il  papa  agli  ambasciatori  inglesi 
che  nella  necessità  di  avocare  la  causa  del  divorzio  a  Roma 
consentivano  ad  una  voce  i  suoi  giureconsulti.  Facile  è 
imaginare  quel  che  dissero  gli  ambasciatori  in  contrario; 
ma  egli  replicò  essere  stretto  da  ogni  parte  dalla  potenza 
dell'imperatore,  il  quale,  oltreché  costrignerlo  a  fare  ciò  che 
vuole  giustizia,  poteva  ancora  dimostrargli  di  averlo  in  sue 
mani.  Io  preveggo,  soggiunse,  al  par  di  voi  le  conseguenze; 
ma  io  sono  tra  il  martello  e  la  incudine.  Se  compiaccio  al 
re,  attiro  sopra  di  me  e  la  Chiesa  la  piU  rovinosa  procella  (3). 
Oh  non  l'avesse  mai  detto!  Opporsi  alla  passione  amatoria 
di  Enrico  era  secondo  onestà;  con  quelle  parole  dava  invece 
funesto  appicco  alle  sue  doglianze  che  non  il  dovere,  sì  lo 
movesse  la  paura  di  Cesare,  il  quale  ben  sapevasi  aver  pro- 


lento, et  in  modo  alcuno  non  si  venghi  al  giudicio  ...  sin  tanto  che 
'con  manco  offesa  dell'animo  del  Serenissimo  possi  seguirsi  il  con- 
siglio di  v.  S.  r.  d' avocar  la  causa  qua.  Gio.  Battuta  Sanga  al  card. 
Campeggi.  Roma  29  maggio  A  529.  Ruscelli.  Lettere  di  principi,  t.  2, 
pag.  176. 

(1)  Le  roy  pressoit  fort  pour  quon  vit  le  proces,  e  lon  avoit  fait 
scavoir  a  la  reine,  quelle  comparut  pardevant  les  legats  pour  le 
dixhuit  du  mois  present.  Inigo  de  Mendoza  an  den  kaiser  17  juni 
1529.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  315. 

(2)  Sin  dal  29  giugno  scriveva  il  segretario  del  Campeggi  :  per 
dirvi  in  breve  le  cose  qui  si  vanno  tanto  stringendo,  che  potria  final- 
mente il  cardinale  mio  partir  al  tempo  che  vho  scritto  voler  partir 
io.  Hugo  Laemmer.  Monum.  vatic,  pag.  33. 

(3)  Burnet  History  of  Ihe  reformation  (dai  dispacci  degli  amba- 
sciatori) pag.  76. 


-  549  - 

testato  che,  se  la  causa  fosse  giudicata  in  Inghilterra,  ap- 
pellerebbesi  al  futuro  concilio  (i).  Conforme  alle  sopraccen- 
nate parole,  il  di  49  luglio  scrisse  il  papa  al  cardinale  Wolsey 
che  con  suo  grande  dolore  doveva  levare  di  là  la  causa  me- 
desima per  condurla  alla  curia  romana  (2),  e  sei  giorni  dopo, 
essendo  a  letto  malato,  ratificò  la  pace  di  Barcellona  (3). 

Ciò  produsse  la  caduta  del  Wolsey.  Egli  non  era  stato 
in  verità  favorevole  al  divorzio  nell'interesse  di  Anna  Boleyo, 
ma  conoscendo  più  che  altri  r  indole  del  re  (4)  aveva  fatto 
ogni  poter  suo  per  conciliare  le  irrefrenabili  voglie  di  lui 
e  T  utile  proprio  col  rispetto  dovuto  alla  santa  sede.  L' af- 
fare, se  non  in  sé  stesso,  e  in  coscienza,  almeno  nella  opi- 
nione degli  uomini  poteva  sembrar  controverso.  Molti  dot- 
tori inglesi,  sacerdoti  e  letterati  (5),  e  più  tardi  anche  le 


(1)  Il  mio  segretario  mi  dice  che  parlando  col  re  in  questo 
proposito,  sua  maestà  gli  replicò . . .  metus  quandoque  agit  ho- 
minesad  ea  quae  ipsi  minime  vellent . . .  che  Cesare  in  Spagna  nel 
suo  consiglio  ha  trattato  di  questa  materia  matrimoniale,  et  hanno 
concluso,  se  N.  S.  permetterà  che  la  causasi  giudichi  qui  in  Anglia, 
di  appellare  ad  ftiturum  concilium  Campegius  ad  Sangam.  Londra 
18  mag.  1529.  Hugo  Laemmer  Monum.  vatic,  pag.  33. 

(2)  Laffaire  de  lareyne  Dangleterre  estoit  depesche  avant  ma 
venue  (22  luglio)  deux  ou  trois  jours.  L.  de  Praei  an  den  kaiser. 
Roma  30  luglio  1529.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  324. 

(3)  Avec  plusieurs  fort  bons  ethonnestes  propozjura  deobser- 
ver  entierement  tous  les  chapitres  convenuz  et  traittez  entre  son 
nonce  et  votre  majeste.  Ibidem,  pag.  322. 

(4)  Pour  lequel  (mariage)  en  veritè  il  est  si  violent  dans  ce  quii 
se  propose,  quii  fera  tout  ce  quhumainement  lui  sera  possible  pur 
y  reussir.  litigo  de  Mendoza  an  den  kaiser  17  juni  1529.  Ìbidem, 
pag.  314. 

(5)  Ecclesiastiques,  docteurs  et  autres  gens  de  lettre,  desquieux 
le  roy  avoit  trouvè  grand  nombre  luy  affìrmant  et  asseurant  l'inva- 
lidile du  mariage.  Chapuis,  ambass.  en  Angleterre  à  V  em  pereur. 
Londres  25  cit.  1529.  TV.  Bradford  Corresp.  ofthe  emperor  Charles 
V,  pag.  263. 


—  680  — 

università  francesi  di  Parigi  (4),  Orleans,  Tolosa,  Angers, 
Bourges,  le  italiane  di  Bologna  (2),  Padova,  Pavia,  Ferrara, 
persuase  o  corrotte  che  fossero,  dichiararono  talmente  in- 
valido il  matrimonio  di  Caterina  da  non  poter  essere  sanato 
neppure  con  dispensa  pontificia.  In  tale  stato  di  cose  tutto 
dipendeva  dalla  decisione  del  supremo  gerarca.  Con  questo 
motivo  giustificò  il  Wolsey  l'ambizione  del  papato,  ridesta- 
tasi al  tempo  che  Clemente  cadde  gravemente  infermo,  per 
soddisfare  la  quale  dava  incarico  a  Stefano  Gardiner,  suo 
segretario  allora  in  Roma,  di  non  perdonare  a  spese,  solle- 
citazioni e  fatiche.  «  Non  dubito  (dicevagli)  che  consideriate 
«  maturamente  le  condizioni  generali  in  cui  nell'attual  mo- 
«  mento  ritrovansi  la  chiesa  e  la  cristianità,  non  meno  cbe 
«  lo  stato  presente  di  questo  reame  e  del  segreto  affare  del 
«  re.  Se  quest'  ultimo  fosse  deciso  in  altro  modo  che  non 
«  dall'  autorità  della  chiesa,  giudicherei  il  re  e  il  regno  mi- 
«  nacciati  da  rovina.  Perciò  egli  è  utile,  anzi  necessario  di 
«  aver  per  papa  e  padre  comune  di  tutti  i  principi  uno  che 
«  voglia  e  possa  portar  rimedio  a  tale  caso.  E  quantunque 
«  io  mi  consideri  poco  idoneo,  e  benché  l' essere  quel  padre 
«  comune  recherebbe  incomodo  alla  mia  cadente  età  ;  pure 
«  ponderate  bene  tutte  le  circostanze  e  considerate  atten- 
«  tamente  le  qualità  degli  altri  cardinali,  absitverbum  iactan- 
«  tiae,  non  si  troverà  nessuno  che  valga  a  tal  uopo  al  par 
«  di  me  »  (3).  Ma  Clemente  risanò,  e  al  Wolsey  che  lo  esor- 
tava di  secondare  la  domanda  del  re,  siccome  cosa  necessa- 
ria ad  impedire  Y  apostasia  sua  e  del  regno  e  la  propria 
disgrazia  (4),  non  seppe  buon  grado  né  de'  consigli  né  del 

(1)  Los  mas  de  los  doctores  por  sobornos  corrompidos  avia 
signado  que  el  matrimonio  era  invalido.  D.r  Garay  a  V  emperador, 
Parigi  15  giugno  1530.  Archivio  imp.  di  Parigi.  B  2/N.  28  msc. 

(2)  Rymer  Foedera,  t.  14,  pag.  393. 

(3/  John  Gali  The  life  of  card.  Wolsey.  Londra  1846,  lett.  55. 
(4)  Wolsey  to  sir  Gregory  da  Casale.  Londra  24  giug.  1529.  State 
paperi,  t.  7,  pag.  189. 


—  581  — 

desiderio  precoce  di  succedergli  nella  cattedra  di  san  Pietro. 
Qual  disinganno  per  Enrico  1  II  presuntuoso  ministro  ave- 
vagli  dato  a  credere  di  poter  tutto  in  Roma,  ed  ora  invece 
vedovasi  egli  stesso  citato  a  Roma,  e  quel  ch'era  più  gra- 
ve, sotto  comminazione  di  diecimila  ducati  di  multa  (4). 
Feoe  bensì  le  viste  di  non  averselo  a  male,  e  il  breve  re* 
latito  ricevette  con  affettata  soddisfazione  (2);  ma  in  cuor 
suo  senti  offesa  la  dignità  re  gale,  né  tollerò  che  lo  sapes- 
sero i  sudditi. 

Avevalo  oltracciò  assicurato  il  Wolsey  che  mai  Francia 
non  sarebbesi  disgiunta  da  lui  :  al  contrario  i  due  principi  ri- 
vali affrettarono  le  conferenze  di  Gambrai  anche  per  que- 
sto eh'  ei  non  vi  potesse  intervenire. 

In  somma  la  sua  politica  esteriore  era  andata  a  traver- 
so del  tutto.  Ne  si  creda  che  passasse  insino  ad  ora  senza 
opposizione  ne'consigli  segreti  del  re  e  nelle  voci  del  popolo, 
sensibile,  come  nessun  altro,  al  danno  degli  interrotti  com- 
merci e  delle  spese  di  guerra  (3).  Egli  stesso  confessò  più 
volte  all'ambasciatore  francese  di  quante  arti  e  di  qual 
terribile  alchimia  gli  facesse  mestieri  per  resistere  al  con- 


fi) Under  payne  of  10000  ducala  —  the  Kinges  Highnes  suppo- 
sith  .  .  .  that  it  should  not  be  nedeful  any  su  eh  letters  citatoria), 
conteyning  matier  prejudicial  to  bis  personne,  and  royal  estate, 
to  be  shewed  to  his  subget.  Gardìnerto  Wolsey  4  ag.  1529.  Ibi- 
dem^. l,pag.  336. 

(2)  Inter  caetera  li  piacque  quella  clausola,  per  la  quale  N.  S. 
lo  exborta  a  trattar  bene  la  reina,  dicendo  sua  maestà  :  Vide,  sua 
sanctitas  potest  praecipere  et  hortatur.  Et  in  fatto  quel  breve  addolci 
molto  Y  animo  suo,  et  io  in  questo  sumpta  occasione  di  nuovo 
molto  V  accertai  de  la  buona  mente  di  N.  S.  verso  sua  maestà,  et 
che  di  lei  veramente  poteva. promettersi  tutto  quello  che  le  era 
possibile  a  benefìcio  suo.  Campegius  ad  Sangam.  Cantuar.  7  oct. 
1529.  Hugo  Laemmer.  Monum.  vatic,  pag.  34. 

(3)  Uz  comptent  que  depuis  le  deffieraent,  le  roy  adespendu 
huict  ceri*  mille  duca*  et  plus,  pourquoy  fault  wqyre  qu' il  leu* 


—  552  — 

tra  sto  degli  avversarli  (4).  Ornai  disperato  di  condurre  a 
termine  i  caldeggiati  disegni,  non  è  dubbio  che  diede  consi- 
glio al  re  di  desisterne.  Cosi  aperse  gli  orecchi  di  lui  alle 
denunzie  e  alle  calunnie  de'  suoi  nemici,  e  particolarmente 
di  Anna  Boleyn.  Il  duca  di  Suffolck,  tornato  appunto  allora 
di  Francia,  ritorcevagli  contro  P  accusa  di  non  aver  promos- 
so il  divorzio  quanto  avrebbe  potuto  (2),  e  il  duca  di  Norfolck, 
uomo  di  grande  credito  in  corte,  non  attendeva  da  qualche 
tempo  che  la  occasione  di  perderlo.  In  ottobre  del  4529  gli 
tolse  il  re  il  gran  suggello,  che  fu  dato  a  Tommaso  Mo- 
ro; non  molto  poi,  benché  giudicato  reo  di  alto  tradimen- 
to per  la  impetrata  dignità  di  legato,  ond'erano  violati  i  pri- 
vilegi del  regno,  e  confiscatigli  i  denari  e  le  robe  mobili  di 
valuta  immoderata,  lo  rimise  in  grazia  nelP  arcivescovado 
di  Yorck.  Ma  non  ne  godette  lungamente.  I  nemici  suoi,  per 
certe  parole  dette  dal  re,  che  dimostravano  desideriadi  lui  (3), 
temettero  non  forse  ricuperasse  la  pristina  autorità,  e  ben 
sapevano  che  in  tal  caso  ne  andrebbe  la  lor  vita  (i).  Piuttosto 
che  soffrir  questo,  giurò  il  duca  di  Norfolk,  voglio  mangiar- 
melo  tutto  vivo  (5),  ed  Anna  di  Boleyn  piagnendo  a  dislesa 

griefveroit  à  tourner  prendre  telles  purges,  et  plus  telz  moyens 
remutinent  le  pays.  Chapuis  à  V  empereur.  Londres  25  oct.  1529. 
TV.  Bradford  Corresp.,  pag.  286. 

(1)  J.  du  Bellay  16  febb.  1528.  Le  Grand  Hist.  du  divorce,  t.  3, 
pag.  84. 

(2)  Qu'  il  n'  a  tant  [avance  le  mariage,"qu'  il  eust  fait  s' il  eust 
voulu.  Ibidem,  pag.  313. 

(3)  Le  roy  soy  complaignant  à  ceulx  de  son  conseil  de  quelque 
chose  que  n'  avoit  estè  faite  à  son  appetit,  leur  dit  en  courroux, 
que  le  cardinal  estoit  autre  homme  pour  demmener  toutes  matieres 
qu'ilz  nesloient  eux  trestous.  Chapuis  à  V  empereur  Londres  27 
nov.  1530.  JV.  Bradford  Corresp.  pag.  324. 

(4)  Car  ilz  scavent  bien  qu'il  leur  va  de  la  vie,  s*  il  retournoit 
25  oct.  1529.  Ibidem,  pag.  292. 

(5)  Lors  le  due  eommencat  trés  fort  a  jurer,  que  avant  que  souf- 
frir  cela,  il  le  mangeroit  tout  vif.  6  fevr.  1530.  Ibidem,  pag.  310. 


—  553  - 

minacciava  di  partirsi  (d).  Fecero  dunque  cbe  il  medico  suo 
dichiarasse  in  giudicio  aver  egli  eccitato  il  papa  a  scomuni- 
care il  re,  pensando  con  tal  mezzo  di  sommovere  il  popolo  (2). 
Per  la  quale  accusazione  introdotta  contro  a  lui  nel  consiglio 
regio,  essendo  menato  a  Londra  come  prigione,  sopravve- 
nutagli nel  cammino  gravissima  infermità,  spirò  il  di  30 
novembre  del  1530,  esempio  memorabile  di  quello  che  possa 
la  fortuna  e  la  invidia  nelle  corti  de' principi.  Tutti  sanno 
che  neir  ora  suprema  si  penti  di  non  aver  adoperato  a  ser- 
vizio di  Dio  tanto  zelo  quanto  pel  principe.  E  questo  è  il  giu- 
dizio che  di  lui  porta  la  storia,  temperato  dalla  considera- 
zione che  se,  indulse  alle  passioni  del  sovrano,  stette  forte 
almeno  in  sostenere  la  unità  della  Chiesa,  e  morì  da  buon 
cristiano.  Con  esso  lui  cadde  l'ultimo  argine  che  ancora 
resisteva  allo  scisma  religioso  d' Inghilterra. 

Ben  prima  che  ciò  avvenisse  trovossi  Enrico  in  neces- 
sità di  accedere  alla  pace  di  Cambrai,  pago  che  il  re  Fran- 
cesco avesse  assunto  il  pagamento  dei  danari  dovutigli  da 
Cesare  per  antichi  prestiti  o  per  obbligazioni  contratte  (3). 
Francesco  gli  procacciò  poco  dopo  la  desiderata  consulta  dei 
teologi  della  Sorbona  favorevole  al  divorzio,  e  in  questo  mo- 
do potè  stralciare  il  debito  con  facile  composizione.  Il  flor- 
daligi  d'oro  e  gemme,  che  l'arciduca  Filippo  il  Bello  aveva 


(1)  Et  bien  que  le  roy  la  priast  tres  affectueusement  voyre  ju- 
sques  avoer  les  larmes  aux  yeux  qu'  elle  ne  voulust  parler  de  s'en 
aller,  toutesfois  yl  n'  y  avoit  rèmede  sans  qu'  il  feit  prendre  le  dlt 
cardinal  27  nov.  1530.  Ibidem,  pag.  324. 

(2)  Depuys  qu'ilz  ont  eu  le  medecin  du  dit  cardinal  entre  maina, 
ilz  ont  trouvè  ce  qu*  ilz  cherchaient;  le  dit  medecin  puis  le  second 
jour  qu'  il  fut  icy,  a  esté  et  est  traitté  en  la  mayson  de  mons.r  de 
Nolphoc,  corame  ung  prince,  qui  donne  assez  à  entendre  qu'il  8 
chantè  comme  ilz  demandoient.  Ibidem,  pag.  325. 

(3)  Commissio  ad  tractandum  de  jocalibus  recipiendis.  Rymer 
Foedera,  t.  6,  par.  2,  pag.  121. 

35 


—  554  — 

per  cinquantamila  scudi  dato  in  pegno  al  padre  di  Enrico, 
tornò  in  Ispagna  (1). 

Così  pieghevole  non  fu  Venezia,  benché  le  spese  che 
sosteneva  dessero  fondo  alle  sostanze  pubbliche  e  private  (2). 
Carlo  V  fece  ogni  prova  per  distaccarla  da  Francia.  Ad- 
dimostrale eziandio  la  sollecitudine  con  che  accettò  i  buoni 
offici i  offerti  a  tal  uopo  dal  marchese  di  Mantova  tornato  alla 
devozione  imperiale,  e  la  facoltà  data  ad  Antonio  de  Leva 
e  al  protonotario  Caracciolo  di  cooperare  al  medesimo  inten- 
to (3).  L'amicizia  sua,  ambita  in  un  tempo  che  a  lui  impor- 
tava disciogliere  la  lega  avversaria,  avrebbe  potuto  raer- 
catare  a  gran  prezzo.  Ed  ella  invece  allestì  nuove  forze,  e 
al  re  Francesco,  che  spacciavasi  pronto  di  prevenire  con 
gagliardo  esercito  la  passata  di  Cesare  in  Italia,  non  negò 
veruno  de'  richiesti  soccorsi  (4).  Certo  che  si  lasciò  aperto 
P  adito  a  trattare  col  nemico.  Ciò  voleva  prudenza,  perchè 
la  domanda  di  cauzione  per  i  sopraccennati  soccorsi,  fatta 
a  lei  che  mai  non  aveva  mancato  alle  promesse  (5),  e  poi 
gli  avvisi  che  da  ogni  parte  venivano,  rendevanla  accorta 
aver  il  re  medesimo  tutt'  altro  che  volti  i  pensieri  alle 

(1)  Guglielmo  de  Langey,  e  Jo.  Joachimo  a  Francesco  I.  Lon- 
dra 15  e  18  febbr.  1530.  Molini.  Doc.  di  slor.  ita!.,  t.  2,  pag.  271, 272. 

(2)  Habiamo  speso  quattro  milioni  et  più  di  oro  tra  li  exercili 
terrestri  et  armata  marittima.  Risposta  fatta  in  Pregatili  agli  ora' 
tori  francesi  15  sett.  1529,  Ibidem,  pag.  247. 

(3)  Saragozza  19  apr.  1529.  archivio  di  Simancas  Secret,  de 
Estado,  leg.°  n.°  1555  msc. 

(4)  V.  M.  certamente  si  può  promettere  quel  che  loro,  senza 
alcun  fallo,  tutt'  oltra  presteranno  12000  homini  da  pie  et  fin  in 
tredicimila  se  così  bisognerà,  mille  ducento  cavali  legieri  et  quella 
artigliarla  et  munitione  eh 'a  questa  detta  banda  di  gente  sarà  neces- 
saria. //  vescovo  a"  Jvranches  e  Gio.  Joachimo  a  Francesco  /.  Ve- 
nezia 12  mag.  1529.  Molini.  Doc.  di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  191. 

(5)  Gli  stessi  al  medesimo.  Venezia  6,  10  e  11  maggio  1529. 
Ibidem,  pag,  170. 


—  555  — 

provvisioni  di  guerra  (1).  Diede  perciò  incarico  a  Seba- 
stiano Giustinian  d' introdurre  pratiche  coli' imperatore  (2), 
mentre  scriveva  in  Inghilterra  stesse  bene  in  occhi  quel- 
T  oratore  per  iscoprire  se  qualche  cosa  si  macchinasse  con- 
tro la  repubblica  (3). 

Le  negoziazioni  di  Cambrai  erano  già  molto  innanzi  al- 
lorché venne  di  Francia  il  vescovo  di  Tarbes  sotto  colore  di 
concertare  la  nuova  impresa,  ma  con  condizioni  cosi  immo- 
derate da  mostrar  chiaro  che  faceva  assegnamento  sul  loro 
rifiuto  (5).  Volevasi,  tra  le  altre,  che  la  repubblica,  già  tra- 
dita, desse  aiuti  ai  ladronecci  della  Puglia,  nei  quali  i 
francesi  nemmeno  ponevano  il  sangue  né  i  danari  proprii, 
forse  per  dare  allegria  di  buone  novelle  al  re  nelle  laute 
cene  di  Fontainebleau  (4).  Si  apri  allora  Venezia  col  Giusti- 
nian che  per  minor  male  darebbe  il  resto  dei  dugentomila 
ducati  promessi  col  trattato  di  Worms  del  1523,  purché  an- 
che Ferdinando  di  Austria  eseguisse  gli  obblighi  in  esso 
assunti;  pagherebbe  i  cinquemila  ducati  annui  agli  emigra- 
ti, e  gli  ottantamila  chiesti  da  Cesare  in  compenso  delle 
genti  che  secondo  quel  trattato  avrebbe  dovuto  unire  alle 
imperiali  nella  passata  guerra;  restituirebbe  le  città  occu- 
pate nella  Puglia,  quando  il  re  di  Francia  facesse  altrettanto 


(1)  Venitiani  havendo  bavuto  adviso  dal  suo  oratore  che  è 
appresso  al  re,  come  il  re  non  fa  preparatane  alcuna  di  guerra, 
stanno  con  Y  animo  perplexo,  dubitando  di  la  pace  tra  re  et  im- 
peratore, per  il  die  anchora  loro  andaranno  ritenuti.  Ottaviano 
Sforza  al  Montmorenci.  Marano  14  giugno  1529.  Ibidem,  p.  204. 

(2)  Secreta  2  giug.  1529. 

(3)  Ibidem  18  giug.  1529. 
(\)  Ibidem  29  \ug.  1529. 

(5)  Da  questi  signori  veneliani  non  se  ha  possuto  havere  nulla 
de  le  cose  che  per  mi  li  sono  slate  requeste  per  servitio  del  re  in 
Barletta.  Leonardo  Perumbo  al  Montmorenci  21  ag.  1529.  Molini. 
Doc.  di  8tor,  ital.  Ardi,  stor.  Hai.  Àppend.,  n.°  9,  pag.  463. 


—  556  — 

di  quelle  che  teneva  nel  regno  di  Napoli;  depositerebbe  Cer- 
via e  Ravenna  nelle  mani  di  Francesco  fino  a  decisione  di 
causa.  Ma  tutto  raccomandò  all'ambasciatore  che  tenesse  io 
petto,  come  ultimo  termine,  e  pigliasse  tempo  quanto  più 
fosse  possibile  (1).  Non  in  que*  patti,  si,  disse  a  ragione  il 
cardinale  Cornaro,  nel  timore  della  grandezza  di  Cesare  sta 
la  principale  difficoltà  deW  accordo  (2).  Ecco  perchè  alla 
restituzione  delle  sopraccennate  terre  di  Puglia  impostale 
da  Francesco  col  trattato  di  Cambrai  ricusò  consentire  (3). 
Voleva  dipendere  dai  proprii  consigli,  e  quando  pur  dovesse 
accettar  pace,  trattarla  colle  armi  in  mano  e  con  pubblica 
dignità.  Armatevi,  inculcava  Gaspare  Contarini  da  Roma, 
armatevi,  perchè  i  cesarei  con  la  voce  della  loro  venuta  pen- 
sano sbigottirvi,  e  con  la  spada  in  guaina  sottomettervi,  e  ca- 
varci danari,  il  che  essi  chiamano  accordarsi  (4).  Venezia 
con  i  consigli  e  con  gli  armamenti  salvò  sé  stessa  :  questo 
beneficio  recò  air  Italia  in  quelle  ruine. 


(1)  Secreta,  t.  LUI,  9  lugl.  1529. 

(2)  Seulement  gisoit  tout  le  point  en  la  crainte  quilz  ont  de  la 
grandeur  de  volre  majeste,  et  que  non  pas  par  amour,  mais  seu- 
lement pour  respect  dicelle  doubte,  laditte  seignorie  ne  se  osoit 
desjoindre  de  lamitie  de  France.  L.  de  Praet  an  den  kaiser.  Roma 
30  lugl.  1529.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  323. 

(3)  Risposta  fatta  in  Pregadi  agli  oratori  francesi.  Venezia  15 
sett.  1529.  Molini  Doc.  di  stor.  ital.,  t.  2,  pag.  246-248. 

(4)  Roma  16  luglio  1529.  Bibl.  Marciana  ital.  ci.  VII  cod.  MXLIII, 
lib.  6,  msc. 


CAPITOLO  Vili. 


Venuta  di  Carlo  V  in  Italia  ;  sue  strettezze  di  danari,  e  suoi  disegni.  —  Nuovi  indizi 
della  dubbia  fede  di  Francesco  ;  ritardata  liberazione  de'  principi  ostaggi,  e  loro 
trattamento.  —  Turbolenze  in  Germania|;  discordia  tra  i  luterani  e  i  riformati 
elvetici;  colloquio  di  Marburg;  invasione  de'  Turchi;  assedio  di  Vienna.  —  Rin- 
novazione della  guerra  in  Lombardia;  fermezza  de' fiorentini  e  loro  preparatiti 
di  difesa  ;  pratiche  per  la  pace  generale  d' Italia.  —  Ritirata  de'  Turchi  ;  con- 
gresso di  Bologna;  Francesco  Sforza  innanzi  a  Cesare;  capitolazione  de' vene- 
ziani e  restituzione  allo  Sforza  del  ducato  di  Milano;  contenzione  col  duca  di 
Ferrara.  —  Incoronazione  di  Carlo  V;  considerazioni  sulla  rinnovata  potestà  del- 
l' impero  e  sullo  stato  politico  della  penisola  in  correlazione  a  lui.  —  Miserie 
dell'  Italia  ;  assedio  di  Firenze;  Girolamo  Morone  commissario  generale  dell'eser- 
cito; sua  morte;  tradimento  di  Malatesta  Buglione;  imprese  di  Francesco  Fer- 
rucci; fatto  d'arme  di  Gavinana;  capitolazione  de' fiorentini.  —  Ritorno  di  Ce- 
sare in  Germania  ;  cagioni  che  lo  affrettarono,  e  suoi  intendimenti. 


I.  Da  gran  tempo  struggevasi  Carlo  del  desiderio  di 
passare  in  Italia.  Voglio  venirvi,  scriveva  ancora  in  settem- 
bre del  4528  al  principe  di  Orange,  voglio  venire  in  luogo 
ove  possa  acquistare  ed  accrescere  onore  e  riputazione,  e, 
promettendogli  di  unirsi  con  lui  a  Napoli,  pregavalo  di  non 
farne  motto  a  chicchessia ,  per  timore  di  non  essere  con- 
trariato. «  Eseguirò  il  mio  disegno  (soggiungeva)  a  dispetto 
dell'inverno,  e  vedrà  ognuno  se  il  re  di  Francia  abbia  avuto 
sul  serio  la  voglia  di  battersi  meco  (4).  »  Sua  maestà,  rispo- 

(1)  Suis  resolu  ...  de  me  trouver  en  lieu  ou  je  puissegagner 
et  accroistre  nonneur  et  réputation  . . .  car  je  ne  pense  laysser  de 
Texècuter  en  ce  tamps  pour  Tiver  .  .  .  en  dedans  lequel  je  et 
ung  chechun  verrà  clèrement  le  peu  de  voulontè  que  le  roy  de 
France  a  monstre  de  venyr  à  l' effect  du  combat.  Instructions  de 
femper.  à  Gerard  de  Rye,  seign.  de  Balanpon  envoyé  vers  leprince 


-  558- 

se  il  principe,  brama  venir  qui,  per  far  conoscere  a  tulli  quel 
che  noi  già  conosciamo,  il  gran  cuore  eh9  egli  ha.  Certo  che 
il  suo  nome  solo  varrebbe  un  diecimila  uomini;  ma  d9  altra 
parie  convien  pur  mettergli  innanzi  i  pericoli  cui  andrebbe 
incontro:  le  vicende  della  guerra;  gli  ammutinamenti  delle 
truppe;  il  difetto  di  viveri  e  di  danari;  la  miseria  estrema 
dell'Italia.  Noi,  conchiuse,  noi  possiamo  bensì  aspettare  a 
un  bisogno  tempi  migliori  :  a  lui  sarebbe  indecoroso  arrestarsi 
per  mancanza  di  forza,  perchè  la  sua  dev9  esser  tanta  da 
passar  sopra  il  venire  a  chiunque  gli  si  oppone  (4). 

Di  tutte  queste,  maggiore  era  la  difficoltà  pecuniaria. 
Nel  regno  di  Napoli  ogni  cosa  andava  a  ruba  de'magistrati  (2). 
Andrea  Doria  assicurava  non  troverebbe  un  ducato  a  presto 
in  qualsivoglia  parte  (3),  e  Antonio  de  Leva  lamentavasi  del 
credito  affatto  perduto  per  non  esser  state  pagate  alcune 
lettere  di  cambio  (A).  Non  restava  che  comporre  in  danari 
la  controversia  insorta  tra  spagnuoli  e  portoghesi  per  la 
proprietà  delle  isole  Molucche.  E  tanto  valse  la  venuta  di 
Carlo  in  Italia.  Dolevansi  gli  spagnuoli  di  quel  negoziato,  e 
i  portoghesi  con  ogni  maniera  di  stiracchiamenti  mercan- 
tili tiravanlo  in  lungo  (5). Egli  stesso  fu  più  volte  sul  punto  di 

d'Orange,  Madrid  sept.  1528.  Papiers  d'état  du  card,  de  Granvelk, 
t.  1,  pag.  429,431. 

(1)  Philibert  de  Chalons,  prince  d' Orange,  a  mons.  de  Balau- 
COn.  Aprés  sept.  1528.  Ibidem,  pag.  434. 

(2)  Veggansi  le  rimostranze  fatte  a  Cesare  dai  Napoletani  e 
le  futili  discolpe  del  principe  di  Orange  15  die.  1529.  Lans^Cor- 
resp  ,  t.  1,  pag.  357. 

(3)  El  no  liallaria  un  ducato  a  cambio  aunque  lo  quisiesse 
tornar.  Vambasc.  Figueroa  a  Carlo  f  24mag.  1 529.  Archi vio  di  Si- 
mancas  Estado  leg.°  1553  msc. 

(4)  Crea  cierto  V.  M.  que  basta  que  con  estos  se  compia  yo 
no  tengo  modo  ni  forma  para  poder  baber  un  quatrin.  Milano 
13  mag.  1529.  Ibidem  msc. 

(5)  C  estoy  cliose  que  le j*eaume  sentoyt  fort .  . .  ilz  me  sont 


—  559  — 

romperlo  (i).  Spero  trovare,  diceva,  trecentomila  scudi,  quan- 
do bene  dovessi  vendere  la  città  di  Toledo  (2).  Ma  né  pur  uno 
rinvenne  che  gli  facesse  sicurtà  (3);  onde  infine  si  acconciò 
al  prezzo  di  trecentocinquantamila  scudi,  ben  lieto  che  gli 
fossero  pagati  in  brevi  termini  (4). 

Oh!  se  i  vinti  avessero  saputo  le  angustie  che  anch'egli 
vittorioso  pativa,  sarebbonsi  almeno  ristorati  dall'affanno 
con  cui  intendevano  agli  apparecchi  del  suo  viaggio  (5),  co- 
me a  qualcosa  di  solenne,  come  all'  aprirsi  dell'ultima  scena 
di  un  dramma  lugubre.  Il  cardinale  Colonna,  giudicando  pe- 
ricolosissima la  calata  a  Napoli,  con  consiglio  di  nemico 
contro  al  papa  ed  a'  fiorentini  avevalo  confortato  a  scendere 
in  Toscana  (6).  Al  contrario  il  Leva  scrivevagli  :  venga  in 
nome  di  Dio  la  maestà  vostra  a  Genova  :  qui  sarà  forte  co- 


trop  marchans,  et  sont  acoustumès  de  aynsi  le  fayre.  Charles-Quint 
au  sieur  de  Monlfort  23  die.  1528.  Papiers  d'état.  du  card,  de  Gran- 
velie,  t.  1,  pag.  442,  443. 

(1)  Et  à  ceste  cause  je  me  délibère  de  ne  plus  fayre  fonde- 
ment  sur  ce,  et  pense  rompre  du  tout  Ja  nègociation.  Ibidem, 
p.  442. 

(2)  Et  deussè-je  vendre  ceste  ville,  Ibidem,  pag.  444. 

(3)  Je  ne  sais  à  quoy  diable  il  tient,  mais  je  vous  advertis  que 
jusques  à  ceste  heure  je  n'  ay  .  .  .  trouvè  homme  qui  m' eùt 
peu  certifìer  ou  voulu  asseurer  de  1'  argent  que  je  dèsirois  avoir, 
que  n'  estoit  troupt  grand  somme,  plus  qu'  elJe  ne  meritoit,  de 
trois  cent  mil  escus.  Lo  stesso  al  medesimo,  Toledo  24  gen.  1529. 
Ibidem,  pag.  445. 

(4)  La  quale  somma  in  contanti  per  tutto  giugno  in  Spagna 
si  debbe  pagare.  //  vescovo  d'Avranches  e  Gio.  Joachimo  a  Fran- 
cesco I  12  mag.  1529.  Molini.  Doc.  di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  195. 

(5)  Molini.  Doc.  di  stor.  ital.  Arch.  stor.  ital.  append.  n.  9,  pag. 
454  e  seg. 

(6)  Perchè  se  sua  maestà  vien  qui  cum  tuttall'armata  et  gente 
che  porta,  affamerà  questo  regno,  et  ponerà  tutto  l' exercito  in 
multino  ...  et  se  sua  maestà  in  questa  venuta  non  porta  tante 
forze  et  non  fa  in  modo  che  la  resti  superiore  in  Italia,  è  lo  più 


—  560  — 

me  in  Barcellona,  e  posto  che  vi  abbia  il  piede  vedrà  voltar- 
sele tutta  Italia  (i).  Ed  in  fatto,  sulla  capitana  di  Andrea 
Doria,  sciolte  le  vele  ar27  luglio  del  1529  dal  porto  di  Bar- 
cellona, il  di  42  agosto  approdò  a  Genova,  donde  al  primo 
di  settembre  recossi  a  Piacenza.  'Accompagnavanlo  gli  eroi 
di  maggior  nominanza  nella  storia  castigliana  :  Mendoza, 
Guzman,  Pacheco,  Manrique,  Zuniga,  Toledo,  Cueva,  Rojas, 
Ponce  de  Leon,  e  i  primogeniti  di  tutti  i  grandi  di  Spagna, 
già  meglio  che  lo  stesso  monarca  non  li  sperasse,  domati  (2), 
ai  quali  sovrastava  in  magnificenza  Alvarez  Ossorio,  mar- 
chese di  Asterga.  Prima  di  lui  erano  giunti  a  Genova  due- 
mila spagnuoli,  e  sulla  sua  flotta  mille  cavalli  e  novemila 
fanti  tra  navaresi,  catalani,  aragonesi,  e  nuove  genti  di  Ma- 
laga, ai  quali  si  aggiunsero  ottomila  lanzichenecchi  condotti 
in  Lombardia  dal  conte  Felice  di  Werdenberg. 

Tante  forze  non  è  dubbio  che  aveva  in  animo  sulle 
prime  di  adoperare  contro  i  recalcitranti  nemici,  per  ordi- 
nar poi  a  sua  posta  le  sorti  della  penisola  ornai  rimasta  sen- 
za il  contrappeso  di  Francia.  Alle  armi  esortaronlo  gli  amici 
più  intimi  innanzi  alla  partenza;  alle  armi  anelavano  i  suoi 


vergognato  principe  del  mondo,  et  se  comenza,  da  poi  di  esser 
qui,  ad  perder  di  terreno  et  reputatane,  actum  est  de  eo  et  de  no- 
bis  quod  peius  esset  Napoli  21  maggio  1529.  Molini.  Doc.  distor. 
ital.  t.  2,  pag.  200,  201. 

(1)  V.  M.  venga  en  nombre  de  Dios  en  Genova  porque . . .  estan- 
do en  Genova  està  comò  fuerle  en  Barcelona,  y  puesto  el  pie  alli 
vera  v.  m.  volver  toda  Italia  corno  si  se  moviese  de  una  parte  à 
otra.  Milano  13  mag.  1529.  Archivio  di  Simancas  Estado  leg.° 
1553  msc. 

(2)  L' imperatore  a  canto  a  sé  in  Italia  condurrà  gli  primo- 
geniti de  tutti  gli  grandi  de  Spagna  a  li  quali  non  pare  che  la 
mandata  d' essi  loro  figliuoli  sia  però  molesta.  Il  vesc.  d' Avran- 
ches  e  Già.  Joachimo  a  Francesco  I  12  mag.  1529.  Molini.  Doc. 
di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  195. 


—  561  - 

ministri  in  Italia,  massime  Antonio  de  Leva  (4),  ed  ei  me- 
desimo ebbe  a  dolersi  più  tardi  di  non  esser  subilo  entrato 
nelle  terre  de'  veneziani  (2).  Ma  nuovi  viluppi  e  nuove  ne- 
cessità gli  fecero  prendere  per  allora  le  sembianze  di  por- 
tatore di  pace. 

IL  II  re  Francesco  mostravasi  tutt'  altro  che  disposto 
ad  adempiere  i  patti  di  Gambrai.  Ai  20  ottobre  ne  giurò 
in  chiesa  la  osservanza  (3),  e  nove  giorni  dopo  vi  prote- 
stò contro,  non  altrimenti  che  avea  fatto  del  trattato  di 
Madrid.  Sostenne  Asti  e  Milano  essere  patrimonio  suo  ina- 
lienabile, Genova  appartenergli  a  buon  diritto,  né  poter 
obbligarlo  una  convenzione  estorta  prima  colla  prigionia 
sua  e  poi  con  quella  de'Ggliuoli  (A).  La  dichiarò  invalida  an- 
che il  procuratore  generale  in  parlamento,  siccome  impo- 
sta dalla  violenza  di  un  vassallo  contro  il  signor  suo,  e 
contraria  alle  leggi  fondamentali  del  regno  (5). 

Conforme  a  questa  protesta  tardava  il  re  a  restituire 
i  beni  agli  eredi  di  Borbone  e  a  mandar  ordine  a  Renzo 


(1)  Maneggio  della  pace  di  Bologna,  alberi.  Rclaz.  degli  amb. 
ven.,  ser.  2,  voi.  3,  pag.  157. 

(2)  Trouvay  aucuns  qui  àvoyent  grand  desir  de  y  faire  la  guerre, 
et  me  conseillarent,  et  je  les  creuz  comme  gens  que  scavoient  le 
pays  et  avoyent  experience  demprendre  chose  ...  Et  me  trouvoy 
plus  loing  de  vous  que  neusse  fiat,  si  dez  le  commenccment  je 
me  fusse  gecte  au  pays  des  Veneciens.  Der  kaiser  an  kònig  Fer- 
dinand 11  genn.  1530.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  36G. 

(3)  Les  ambassadeurs  italiens  ne  se  vouloient  trouver,  mais 
il  leur  fut  dit  de  par  le  roy  . . .  que,  se  ilz  ne  s'y  trouvoient,  que 
ilz  se  eussent  à  retirer,  et  furent  contrains  d' y  venir.  Charles  de 
Poupet,  seigneur  de  la  Chaux,  et  Guillaume  des  Barres.  ambas- 
sadeurs en  France,  a  V  empereur  Paris  21  oct.  1529.  Le  Glay.  Né- 
goc.  diplom.,  t.  2,  pag.  718. 

(4)  Isambert  Anciennes  Jois  fran^aises,  t.  12,  pag.  337. 

(5)  Protestation  du  procureur  general.  Du  Mont  t.  4,  par.  2, 
pag.  52,  n.  38. 


—  562  - 

da  Ceri  di  cessare  dalle  armi  nella  Puglia;  faceva  che  il 
vescovo  di  Tarbes  esortasse  il  papa  a  trattare  in  disparte 
con  lui  ;  negava  il  chiesto  sussidio  di  duecento  o  trecento- 
mila scudi  contro  i  Turchi  (4),  e,  non  che  astenersi  da  qua- 
lunque ingerimento  nelle  faccende  italiane,  adoperavasi  a 
favore  del  duca  di  Ferrara,  ed  instava  di  ricuperar  Asti  e 
di  essere  ristabilito  nel  ducato  di  Milano,  offrendo  in  com- 
penso aiuti  per  togliere  ai  veneziani  le  città  di  terraferma 
che  casa  d'Austria  e  P  impero  pretendevano  di  lor  spettan- 
za (2).  /  suoi  ambasciatori,  scriveva  Cesare,  cogli  atti  e  colle 
parole  danno  chiaramente  a  intendere  che  quel  trattato  di 
Cambrai  trovano  duro  a  digerirsi,  e  che  se  l'osservano  sarà 
solo  per  riavere  i  principi  ostaggi,  non  già  per  serbar  lunga 
amicizia  (3).  Che  più  ?  constavagli  persino  aver  detto  il  re 
che  ben  sapeva  il  mezzo  di  liberarli  per  forza  e  di  far  aK 
tre  cose,  e  che  avrà  danari  e  genti,  lanzichenecchi  e  sviz- 
zeri, in  copia  (4). 

Perciò  la  consegna  del  delfino  e  del  duca  di  Orleans, 
che  il  Montmorenci  doveva  ricevere  il  di  primo  marzo,  fu 
ritardata  insino.  al  primo  luglio  1530  con  varii  pretesti  e 
contese  ora  sul  luogo,  ed  ora  sulla  qualità  e  sul  peso  degli 

(1)  Dispaccio  sopraccennato  di  Charles  de  Poupet,  seigneur 
de  la  Chaux  21  ott.  1529.  Le  day  Nègoc.  diplom.,  t.  2,  pag. 
712-722. 

(2)  Der  kaiser  an  Poupet  de  la  Chaux  und  den  secretair  Des 
Barres  28  ott.  1528.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  350-355. 

(3)  Auxtermes  et  paroles  que  ont  tenu  etportent  les  arabas- 
sadeurs  ilz  ont  baille  a  entendre,  voire  dcclere,  quilz  trouvoient 
ledit  traile  de  dure  digeslion,  et  que,  silz  lobservent,  sera  seu- 
lement  pour  retirer  les  princes  et  non  pour  longue  amitie.  Ibidem, 
pag.  354. 

(4)  Remontrances  de  la  part  de  l'empereur  au  pape  pour 
se  justifìer  des  contraventions  aux  traitès  de  Madrid  et  de  Cam- 
bray,  que  le  roi  Francois  I.er  avoit  imputèes  audit  empereur.  Le 
Glay.  Nèg.  diplom.,  t.  2,  pag.  740. 


~  563  - 

scadi  per  il  riscatto  (4).  In  questo  mezzo  allargossi  alquanto 
la  loro  prigionia.  Carlo  V  non  permise  in  vero  andasse  al- 
cuno, per  grande  che  fosse,  a  visitarli,  affinchè  non  pensas- 
sero che  si  facesse  di  loro  tanto  conto;  ma  tuttavia  la  spesa 
del  mantenimento  portò  a  quattromila  scudi  all'  anno  (2), 
e  mille  ne  diede  sua  moglie  per  provvederli  di  buoni  ve- 
stiti, acciocché  quelli  che  dovevano  venire  di  Francia  non  li 
trovassero  in  mal  arnese  (3).  In  tal  guisa,  prevenendo  le  calde 
instanze  di  Francesco  (4),  fatte  col  mezzo  di  Margherita  luo- 
gotenente de'Paesi  Bassi  (5),  cercò  calmarne  gli  sdegni.  Ma 
non  se  ne  tenne  sicuro.  Già  que'  medesimi  che  lo  avevano 


(1)  Voleva  Francesco  che  la  consegna  fosse  fatta  dalla  parte 
di  Narbona,  e  Cesare  invece  da  quella  di  Fontanarabia,  ou  il  fui 
luymesme  (Francesco)  delivré,  e  dove  i  principi  medesimi  furono 
ricevuti  ostaggi.  Ibidem,  pag.  736. 

(2)  Porque  por  algunos  buenos  respectos  conviene  que  no 
piensen  que  se  bace  dellos  tanta  cuenta  .  .  .  Paréceme  razonable 
moderacion  su  gasto  à  respecto  de  cuatro  mill  ducados  cada  ano 
(ordinando  di  tener  conto  della  spesa  per  esserne  pagato  al  tem- 
po della  loro  liberazione)  Carlo  V  al  contestabile  di  Castiglia  e 
al  marchese  di  Berlanga.  1  agosto  1529.  Coleccion  de  documentos 
inedito*  para  la  historia  de  Espana,  t.  2,  pag.  243. 

(3)  Porque  los  qui  vinieren  de  Francia  à  los  visitar  no  los 
ballen  mal  aderezados,  lo  cual  hareis  de  manera  que  no  parezca 
que  se  hace  por  este  respeto.  La  imperatrice  al  marchese  di  Ber- 
langa, Madrid  27  sett.  1529.  Ibidem,  pag.  238. 

(4)  Qu'  il  voulust  permectre  que  les  serviteurs  de  mes  enffans 
leur  fussent  rendus  et  rebaillez  pour  les  servir  durant  le  peu  de 
temps  qu'  ilz  ont  à  y  demeurer,  et  que  davantaige  il  les  fist  si 
bien  traicter  ...  qu*  ils  n'ayent  occasion  de  s'y  ennuyer  tant  que 
j*  ai  seu  qu*  ils  fout.  Francesco  I  a  Pommeraye,  suo  amba  se.  presso 
Margherita,  ed  a  Margherita  medesima»  Parigi  6  ott.  1 529.  Le  Glay 
Négoc.  diplom.  t.  2,  pag.  708,  709. 

(5)  Ce  que,  monseigneur,  m'a  semblé  très-honneste  et  raison- 
nable,  et  dont  vostre  honneur  depend.  Margherita  aWimper.  Bru- 
xelles 12  ott.  1529.  Ibidem,  pag.  711. 


—  564  — 

persuaso  alla  pace  di  Cambrai  sentivano  bisogno  di  giusti- 
ficarne il  consiglio.  Le  condizioni,  diceva  Luigi  de  Praet,  so- 
no così  vantaggiose,  che  molti  dubitano  di  qualche  frode  (4). 
IH.  Più  che  il  timore  della  slealtà  di  Francesco  tur- 
bavano Cesare  i  mali  soprastanti  alla  Germania,  messa  tutta 
sossopra  in  virtù  della  protesta  di  Spira.  La  quale,  essendo 
stata  da  lui  rigettata  con  isdegno  a  Piacenza  (2),  avrebbe 
porta  sin  d' allora  occasione  ad  una  lega  difensiva  contro 
gli  stati  cattolici,  se  Lutero  non  si  fosse  opposto  alla  con- 
cordia de' seguaci  suoi  con  quelli  di  Zuinglio.  Il  colloquio  a 
cui  convennero  i  corifei  delle  due  sette,  per  cura  del  langra- 
vio di  Assia,  a  Marburg  nelP  ottobre  del  1529,  anziché  to- 
gliere, ne  crebbe  gli  ostacoli,  prepotendo  in  queir  epoca  e 
tra  quelle  genti  ai  riguardi  politici  le  burbanze  teologiche. 
Ciò  non  ostante  i  portamenti  di  casa  d'Austria  avevano  de- 
stata tanta  inquietudine,  che,  quando  bene  non  fosse  ancor 
maturo  il  disegno  di  osteggiarla  apertamente,  mancava  per 
lo  meno  la  voglia  di  prestarle  soccorso.  Fin  un  deputato 
della  città  di  Francoforte  devota  a  Cesare,  ed  assessore  al 
reggimento  dell'impero,  osservava  che  molti  stati  cattolici 
e  luterani  non  sapevano  quel  che  dall'  Austria  avessero  ad 
aspettarsi,  e  che  temevano  non  forse  l' aiuto  datole  tor- 
nasse infine  a  danno  dell'  impero  e  della  nazione  (3). 


(1)  Lesquelles  sont  sy  avantageuses  que  aucuns  doubtent  qu' 
il  y  ait  tromperie.  Luigi  de  Praet  a  Nicolò  Perrenot  de  Granvelle, 
Roma  3!  ag.  1529.  Ibidem,  pag.  693. 

(2)  Gli  ambasciatori  che  gliela  portarono  lasciò  Cesare  par- 
tire impuniti,  eccetto  uno  di  loro  chiamato  Michele  Cadeno  al 
quale  fé  precetto  capitale  di  fermarsi,  perchè  aveva  osato  presen- 
targli un  catechismo  di  Lutero  ricevuto  dal  langravio  di  Assia. 
Ma  egli  ciò  non  ostante  se  ne  fuggì,  Pallavicino.  Storia  del  con- 
cilio trident.  pag.  258. 

(3)  Leop.  Ranke  Deutsche  geschichte  im  zeitalter  der  reforma- 
tion,  t.  3,  pag.  153. 


—  565  — 

Poco  dopo  troviamo  circolar  lettere  in  Ungheria,  nelle 
quali  dalle  contese  religiose  di  Ferdinando  con  i  grandi  di 
Germania  argomentavasi  alla  impossibilità  di  difendere  quel 
regno  (i). 

Qual  momento  opportuno  per  Solimano  il  grande  a  ri- 
tentare la  impresa  lasciata  incompiuta  negli  anni  4521  e 
45261  Partitosi  da  Costantinopoli  il  di  4  maggio  4529  con 
dugentocinquantamila  uomini,  occupò  quasi  senza  resisten- 
za gran  parte  della  Ungheria,  e  con  Giovanni  Zapoly,  a  lui 
congiuntosi  nei  piani  di  Mohacz,  venne  a  campo  sotto  Vien- 
na il  di  26  settembre.  Presi  Buda,  scriss'  egli  più  tardi  a 
Venezia,  conquistai  la  Ungheria,  e  ne  diedi  al  Zapoly  la 
corona  caduta  in  mie  mani;  ma  non  era  mia  intenzione 
cercar  queste  cose,  sì  di  scontrarmi  col  re  Ferdinando  (2). 
Ed  Ibrahim,  granvisire,  raccontò  agli  ambasciatori  austriaci 
aver  sperato  indarno  il  padron  suo  di  trovarlo  a  Buda; 
essersi  perciò  avanzato  insino  a  Vienna,  la  qual  città,  di 
eccellente  postura  tra  vigneti  e  monti,  parvegli  sosta  con- 
degna per  mandar  attorno  le  sue  truppe  leggere  ad  annun- 
ziare la  venuta  del  vero  imperatore  (3). 

A  tanto  pericolo  non  si  mosse  Europa.  Francesco  I  mo- 
strossi,  come  al  solito,  tutto  cuore  per  la  causa  della  cri- 
stianità (4)  :  disse  che  tra  lui  e  il  re  d' Inghilterra  potrebbe 


(1)  Rex  Ferdinandus  propter  dissensionem  suam  cum  imperio 
et  aliis  magnatibus  Alemanniae,  propter  fìdem,  nullum  habere 
potest  populum.  Katona,  op.  cit.,  t.  20,  par.  1,  pag.  634. 

(2)  Copia  della  lettera  del  Sultan  Solimano.  Belgr.  10  nov. 
1529.  Hammer  Wiens  erste  tùrkische  belagerung,  pag.  76. 

(3)  Relazione  di  Giusep.  de  Lamberg  e  Nicolò  Jurischitsch. 
Géoay  Urkunden,  pag.  36. 

(4)  Me  disant  qu'  il  avoit  très-grand  regret  du  mal  que  le 
roy  vostre  frere  soubstenoit,  et  de  l' exploit  que  faisoit  le  Turck 
sur  les  chrestiens,  et  qu*  il  avoit  merveilleux  desir  de  secourir 
ledit  seigneur  roy.  Charles  de  Poupet  et  Guillaume  dea  Barre*  à 


—  866  — 

mettere  insieme  sessantamila  uomini;  ma  intanto,  secondo 
che  vedemmo  più  sopra,  negava  sin  il  chiesto  sussidio  di 
duecento  o  trecentomila  scudi,  ed  alle  larghe  profferte  per 
l'avvenire  aggiunse  una  condizione  che  le  faceva  cadere: 
gli  si  rimettesse  cioè  uno  dei  due  milioni  dovuti  a  Cesare  (4). 

Singolare  è  altresì  la  proposta  che  Hoogstraten  mini- 
stro de'Paesi  Bassi  fece  all'ambasciatore  francese,  d'indurre 
il  papa  a  secolareggiare  i  beni  ecclesiastici,  con  un  terzo 
dei  quali  venduto  ai  maggiori  offerenti  allestirebbesi  un  eser- 
cito sufficiente  non  solo  a  scacciare  i  turchi,  ma  eziandio  a 
riconquistare  la  Grecia  (2). 

Basta  por  mente  a  siffatte  proposte  e  metterle  al  ri- 
scontro de'tempi  per  comprendere  che  la  Germania  era  ab- 
bandonata alle  sole  sue  forze. 

Buon  per  lei  che  Lutero,  quel  desso  che  poc'  anzi  aveva 
dichiarato  non  esser  lecito  ai  cristiani  di  opporsi  al  flagello 
divino  de'  turchi,  come  vide  davvero  minacciata  la  patria, 
mutò  linguaggio.  Strana  cosa  sembravagli  che  la  dieta  di 
Spira  si  fosse  dato  tanto  pensiero  se  qualcuno  mangia  carne 
di  quaresima  o  se  una  monaca  prende  marito,  e  lasciasse  in- 
vece che  gli  infedeli  occupassero  quante  vogliono  provincie 

V  empereur.   Paris  21  oct.   1529.  Le  Glay  Négoc.  diplom.  t.  2, 
pag.  713. 

(1)  En  cas  que  l'empereur,  pour  m'  ayder  à  souldoyer  les 
gens  que  je  menerois  en  ma  compaignie,  me  voulust  sur  les  2 
millions  d'escus  en  rabattre  ung  million,  je  mefaisois  fort,  ecc.  Let- 
tre de  Gilles  de  Pommeraye.  Bibl.  imp.  di  Parigi  MS.  Bethune  8619. 

(2)  Que  ces  deux  princes  conduisissent  le  pape  jusques  à  ce 
point  que  1.°  il  se  contente  de  ce  qu'il  a,  2.°  qu'il  permette  qu'à 
r  eglise  des  six  mille  due.  de  rente  on  preigne  les  deux  univer- 
sellement  par  toute  la  chretientè  :  les  quelles  seront  vendus  au 
plus  oiTrant,  et  avec  V  argent  que  les  princes  fourniront .  . .  sera 
suflìsant  pour  deloger  ce  diable  de  la  Grece,  seroit  grandement 
accroistre  Y  eglise  d' y  adjoindi  e  un  tei  pays  que  celui  là.  Lettre 
de  Pommeraye  17  sept.  Ibidem. 


-  567  - 

e  città.  Laonde  a  coloro  che  pur  potevano  preferire  il  go- 
verno turchesco  alla  miseria  degli  ordini  vigenti,  pose  in- 
nanzi gli  abbominevoli  precetti  del  Corano,  e  gli  altri  con- 
fortò a  marciare  impavidi  in  nome  dell'  imperatore  (i). 
Così  avvenne  che  anche  i  protestanti,  sebbene  non  avesse- 
ro acconsentito  al  decreto  della  dieta  sopraccennata,  per  cui 
fu  concesso  un  aiuto  di  dodicimila  fanti  e  di  quattromila 
cavalli  (2),  pure  non  men  de'  cattolici  vi  contribuirono  con 
sollecitudine,  mandando  le  loro  genti  a  schierarsi  sotto 
il  comando  del  palatino  Federico,  capitano  supremo  del- 
l' impero. 

Però  non  a  queste  genti,  troppo  scarse  per  affrontare 
il  vasto  campo  nemico,  sì  unicamente  al  valore  della  guar- 
nigione ed  alla  costanza  degli  abitanti,  è  dovuta  la  sal- 
vezza di  Vienna.  Ogni  sforzo  di  mine  e  di  assalti,  tra'quali 
il  più  violento  del  secolo  fu  quello  presso  a  Porta  Carinzia 
del  di  M  ottobre  (3),  ricadde  a  niente.  Per  questo,  e  per 
la  inoltrata  stagione,  e  per  gli  avvisi  di  nuovi  armamenti 
nella  Moravia  e  ne'  paesi  della  lega  sveva,  e  forse  anche 
per  la  guerra  in  quel  tempo  riaccesa  dalla  Persia  (4),  fatto 

(1)  Wom  Krieg  wider  den  Tùrclien.  Luthers  Werke  Àltenburg, 
t.  4,  pag.  535. 

(2)  Et  quant  a  ce  qui  est  conciliò*  touchant  laide  contro  les 
turcz,  il  ma  este  acorde  jusques  a  12  m.  pietons  et  4m.  chevaulx. 
Ferdinando  a  Maria.  Spira  24  apr.  1529.  Gécay  Urkunden,  fase. 
6,  pag.  79. 

(3)  Sic  ut  nusquam  acrius  et  periculosius  hoc  seculo  pugna- 
tum  fuisse  diceretur.  Pauli  Jovii  Histor.,  lib.  28,  pag.  130. 

(4)  Sin  dal  febbraio  del  1529  aveva  Carlo  annuncialo  al  gran 
re  di  Persia,  mediante  Giovanni  Balbi  cavaliere  gerosolimitano, 
l'intendimento  suo  di  assalire  i  Turchi  insieme  col  papa  e  col  re 
Ferdinando,  pregandolo  quii  vuille  a  ce  cop  et  en  cesie  si  bonne  con- 
juncture  .  .  .  semployer  de  tout  son  pouvoir  . .  .  et  que  du  mains  jl 
face  guerroyer  es  limile s  et  frontieres  des  pays  du  Turcq. . .  .  pour 
le  contraindre  a  tenir  ses  gens  divise*,  et  divertir  se*  forees,  Ai 


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ancora  un  ultimo  tentativo  a'14  ottobre,  tirossi  indietro  So- 
limano, lasciando  presidio  in  Buda,  come  pegno  di  ritor- 
no {i). 

Quanto  inattesa,  altrettanto  e  meritamente  festeggiata 
fu  la  liberazione  di  Vienna.  Quella  era  la  prima  volta  che 
falliva  un  colpo  al  vittorioso  sultano  :  da  essa  ha  principio 
la  decadenza  della  Porta  ottomana. 

IV.  Qual  vantaggio  per  Cesare  se  l'avesse  potuto  pre- 
vedere !  AH'  incontro  i  progressi  de'  turchi,  ravvivando  le 
speranze  degli  italiani  di  trovar  in  essi T  appoggio  che  per- 
dettero nella  Francia,  sforzaronlo  a  parlare  in  altro  modo 
da  quel  che  aveva  nell'  animo,  mostrandosi  inclinato  alla 
pace  (2). 

Il  duca  di  Milano,  negata  la  chiesta  sicurtà  di  Pavia  e 
di  Alessandria  insino  a  tanto  fosse  conosciuta  la  causa  sua  (3), 

30  agosto  riferì  il  Balbi  esser  già  incominciata  Ja  guerra  ma  colla 
peggio  de' Persiani;  potersi  però  sperare  in  una  generale  ribel- 
lione della  Siria.  Ai  27  novembre  troviamo  il  re  di  Persia  ritira- 
tosi ne' suoi  stati.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  295,  296,  329,  355. 

(1)  Vcndredi  dernier  15  de  ce  prcsent  mois  le  ture  apres  quii  a 
fait  tout  extreme  deffort  de  prendre  Vienne  ou  il  a  donne  quatre 
groz  et  longs  assaulx  en  tous  lesquelz  il  a  este  reboule  et  y  a 
perdu  grand  nombre  de  gens  sans  toutesfois  grand  perte  de  ceux 
estans  audict  Vienne,  et  veant  quii  nen  pouoit  venir  a  son  desir, 
sest  leve  de  devant  ladict  Vienne  tirant  contre  Hongrie.  Ferdi- 
nando a  Carlo  f  Linz  19  ott.  1529.  Gévay  Urkunden. 

(2)  Depuis  me  vindrent  voz  nouvelles,  non  une  seulle,  mais 
plusieurs,  chauldoyant  vostre  neccessite  et  declairant  la  prospe- 
rile du  Ture.  Voyant  ce  .  .  .  en  lieu  de  parler  dune  sorte  fui 
contraine!  ...  de  parler  dautre,  me  monstrant  fort  enclin  a  la 
paix.  Der  kaiser  an  kbnig  Ferdinand J.Ì  genn.  1530.  Lanz  Corresp., 
t.  1,  pag.  3G6. 

(3)  Le  liavemos  offrendo  de  mandarle  hacer  justicia  .  .  . 
Solamente  le  pediamos  para  seguridad  que  nos  seria  cierto  ser- 
vidor  nos  entregase  las  ciudades  de  Pavia  y  Alexandria  ...  No 
ha  quesido  venir  en  esto.  V  emperador  a  Andrea  Doria.  Piacerla 
20sett,  1529.  Archivio  di  Simanm*  Neg.d0  de  Estado  leg.  1555  rase. 


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convenne  coi  veneziani  di  non  far  concordia  alcuna  senza 
consentimento  loro.  Gli  aiuti  vicendevoli  furono  stabiliti,  e 
la  guerra  rinnovossi  in  Lombardia  (4).  Vero  è  che  Antonio 
de  Leva  ebbe  bentosto  Pavia  per  tradimento  di  Annibale 
Picinardo,  e  duemila  lanzichenecchi  del  conte  Felice  di  Ver- 
denberg,  entrati  nel  territorio  veneto  di  Brescia,  ruppero 
e  presero  il  conte  di  Caiazzo  mentre,  non  so  se  innanzi 
entrasse  in  Bergamo,  o  poi,  faceva  una  imboscata  presso 
a  Valezzo  per  sorprendere  un  drappello  di  cavalli  borgo- 
gnoni (2).  Ma  il  conte  di  Caiazzo  fu  liberato  da  que'medesi- 
mi  che  lo  fecero  prigione  :  i  suoi  seimila  fanti  rimanevano 
in  armi  :  stava  il  duca  di  Urbino  con  le  rimanenti  truppe 
a  Brescia,  né  il  marchese  di  Mantova  nominato  capitano 
generale  contro  i  veneziani  aveva  ancora  incominciato  a 
far  prova  di  so  dinanzi  alle  loro  fortezze  (3).  Ben  so  che 
il  Leva,  terribil  giudice  delle  cose,  di  tutte  queste  forze  era 
senza  un  pensiero  al  mondo  (4),  ed  anche  Gregorio  da  Ca- 
sale, pur  magnificandole,  confessava  che  senza  i  lanzichenec- 
chi, i  quali  erano  dell'imperatore,  non  si  poteva  fare  buon 
fondamento  (5).  Tuttavia  quelle  fortezze  avean  fama  d'ine- 
spugnabili (6),  e  voi  sapete,  scriveva  Cesare  al  fratel  suo,  di 

(1)  Por  lo  cual  vista  su  pertinacia  y  danada  intencion  .  .  . 
base  tornado  resolucion  quel  el  exercito  que  tiene  en  Lombardia 
Antonio  de  Leyva  .  .  .  vaya  sobre  Pavia,  y  .  .  .  tambien  se  irà 
sobre  Alexandria  .  .  .  Ibidem  rose. 

(2)  Graf.  Felix  von  Werdenberg  an  den  kaiser  29  sept.  1529. 
Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  339. 

(3)  Egli  consigliava  Cesare  di  cominciare  da  Verona,  per  es- 
tere città  di  molta  importantia  a  sua  maestà  per  il  passo  di  Ale* 
mania  14  sett.  1529.  Ìbidem,  pag.  331. 

(4)  Lettera  di  anonimo  genovese  19  giugno  1529.  Molini.  Doc. 
di  stor.  ita!.  Arch.  stor.  ital.,  appendice  9,  pag.  456. 

(5)  Al  Montmorenci.  Ibidem,  pag.  458. 

(6)  Essendo  oggi  di  costantissima  opinione,  che  mal  si  possa 
pigliar  terra  ben  provista  et  riparata  a  Vinitiani.  Lettera  (senza 

36 


—  570  — 

qual  natura  es$e  siano  (4).  In  ogni  modo  davano  agio  di  ti- 
rar in  lungo  la  guerra,  e  di  apparecchiare  materia  a  pre- 
vedibili avvolgimenti  politici.  Piacevasi  per  allora  il  re  Fran- 
cesco che  restasse  al  suo  rivale  qualche  difficoltà  in  Italia 
unicamente  per  avere  più  certa  e  men  costosa  la  ricupe- 
razione de9 figliuoli;  ma  come  immaginare  tardasse  di  molto 
a  cogliere  il  destro  di  reprimerne  la  soperchiale  poten- 
za ?  (2) 

A  tutto  ciò  aggiugnevasi  la  portentosa  fermezza  de'fio- 
rentini,  i  quali  per  la  difesa  della  patria  fecero  provvedi- 
menti cosi  energici  da  non  averne  esempio  di  maggiori  in 
verun  stato  libero  tra  gli  antichi  e  i  moderni.  Già  sotto  il 
Capponi  era  stata  ordinata  la  milizia  civile,  ed  ora  le  rinno- 
vate schiere  del  contado  di  qua  e  di  là  d'Arno  trovaronsi 
salire  a  diecimila  uomini.  Nuovi  accatti,  gli  argenti  delle 
chiese  e  de' privati,  le  gemme  de' reliquiari,  le  facoltà  dei 
corpi  religiosi  e  di  arte,  vendute  o  poste  a  pegno,  procac- 
ciarono il  danaro,  con  cui  si  presero  al  soldo  Malatesta  Ba- 
glione  con  tremila  fanti,  Stefano  Colonna,  Napoleone  Or- 
sini detto  abbate  di  Farfa,  ed  altri  venturieri,  e  i  residui  del- 
le bande  nere  con  diciotto  capitani  reputati.  Altrettanta 
cura  si  pose  nelle  fortificazioni.  Michelangelo  Bonarroti,  ri- 
pudiati i  favori  del  papa,  venne  a  ciò  da  Roma,  e  col  San- 

dubbio  del  Sanga)  al  vescovo  di  Casone  nunzio  pontificio  appresso 
Cesare.  Roma  24-27  agosto  1529.  Ruscelli.  Lettere  di  principi,  t. 
2,  pag.  183. 

(1)  Der  kaiser  an  kònig  Ferdinand  11  jan.  1530.  Lanz  Corresp., 
ti,  pag.  367. 

(2)  Gli  è  ciò  che  il  Sanga  nella  sopraccennata  lettera  metteva 
innanzi  al  vescovo  di  Vasone:  il  christianissimo  non  deve  aver 
V  animo  alieno  dalle  occasioni,  che  se  gli  potessero  offerire,  delie 
quali  occasioni  nessuna  forse  potria  offerirsi  migliore,  che  quella 
di  veder  sua  maestà  cesarea  occupata  nella  guerra  o  contro  Vini' 
tiani,  o  contro  il  duca  Francesco,  li  quali  con  non  molto  aiuto  pò- 
t ria  no  lunghissima  mente  difendersi,  pag.  182,  183. 


-  571  - 

gallo,  col  Peruzzi,  col  Serlio,  col  d' Alberti  eresse  fuor  di 
porta  san  Miniato  un  largo  bastione,  che,  salendo  il  colle, 
lo  circondava,  poi  calava,  formando  un  ricinto  di  figura 
ovale,  dentro  del  quale,  e  su  pel  muro  stavano  fabbriche 
di  offesa  e  di  difesa.  Con  questo  bastione  ripieno  di  fa- 
scine miste  a  stoppa  e  terra,  e  vestito  di  mattoni  crudi,  e 
con  due  parapetti  gagliardi,  dei  quali  uno  scendeva  sino  ad 
Arno  e  P  altro  spignevasi  a  porta  san  Giorgio,  venivano  ab- 
bracciati tutti  i  dossi,  da  cui  la  città  poteva  essere  più  fa- 
cilmente danneggiata. 

E  quando  il  principe  di  Orange,  in  adempimento  del 
trattato  di  Barcellona,  dopo  occupata  Perugia  per  accordo 
con  Mala  testa  Baglione  (9  sett.  4529),  ridusse  la  guerra  nel 
terreno  dei  fiorentini,  e  qui  sottomise  Cortona  mal  difesa 
ed  anche  Arezzo  sgomberata  da  Francesco  degli  Albizzi, 
cui  parve  miglior  consiglio  condurne  il  presidio  ad  ingros- 
sare le  forze  della  capitale  (17  e  49  sett.),  i  fiorentini,  non 
che  lasciarsi  vincere  dal  timore  e  molto  meno  dai  sacrifizi 
che  la  necessità  imponeva,  lavorarono  sin  di  notte  a  lume  di 
torcie  intorno  ai  bastioni  (4),  e  per  impedire  che  il  nemico 
si  stabilisse  presso  le  mura,  distrussero  tutti  i  sobborghi, 
belli  di  quattrocento  e  cinquecento  fuochi  per  porla,  nei  quali 
v'erano  magnifici  edifizi,  ospitali  e  ben  dieci  monasteri  (2), 
persuasi,  dice  V  orator  veneto  Carlo  Capello,  che  ogni  ric- 
chezza è  posta  nella  conservazione  della  libertà  pubblica, 
senza  la  quale  le  facoltà  private  non  sono  proprie  (3). 

(1)  Ognuno  da  quattordici  anni  in  su,  di  qualunque  condizione 
esser  si  voglia,  insieme  con  tutti  li  soldati  hanno  lavorato,  e  giorno 
e  notte  lavorano,  alla  munizione  della  città,  e  massimamente  alla 
porta  di  San  Miniato.  Carlo  Capello,  oratore,  alla  repubblica  di 
Venezia.  Firenze  24  sett.  1529.  Alberi.  Relaz.  degli  amb.vén.  ser. 
2,  voi.  1,  pag.  221. 

(2)  Fra  Giuliano  Ughi  Cronaca  di  Firenze.  Arch.  stor.  ital. 
Append.  23,  pag.  145. 

(3)  24  luglio  1529.  Alberi.  Relaz.  degli  amb.  ven.  I.  e,  pag. 


—  572  — 

Con  uomini  di  tal  natura  e  di  cosi  solenni  propositi 
non  era  difficile  che  al  principe  di  Orango  incogliesse 
qualche  sinistro,  massime  se  per  la  continuazione  della 
guerra  in  Lombardia  gli  fossero  mancati  i  soccorsi  di  quel- 
T  esercito.  E  allora  quale  occasione  per  istrignere  il  ne- 
mico con  le  medesime  angustie  di  genti  e  di  danaro  che 
altra  volta  avevano  patito  i  suoi  capitani!  (4)  A  Cesare 
pareva  già  mille  anni  di  sbrogliarsene.  Margherita,  sua  zia, 
raccomanda  vagli,  si  guardasse  dal  veleno  e  dal  papa;  non 
perdesse  per  far  piacere  a  questo  ultimo  tempo  e  pecunia, 
abbisognando  il  re  Ferdinando  di  pronto  aiuto  contro  il 
turco;  si  accordasse  con  Venezia,  ed  anche,  alla  peggio, 
collo  Sforza,  il  quale  non  dava  segni  di  lunga  vita;  faces- 
se il  profitto  suo  coi  veneziani  e  col  duca  di  Ferrara,  ed 
ordinasse  prestamente  le  cose  d' Italia,  per  muovere  poi 
contro  gli  infedeli,  al  qual  uopo  proponeva  si  vendesse  una 
parte  dei  beni  ecclesiastici  con  promessa  di  compensazio- 
ne. Il  papa,  conchiuse,  deve  acconsentirvi,  e  in  caso  diver- 
so soccorrere  del  suo  e  con  la  concessione  della  crociata  i 
principi  cristiani,  permettendo  eziandio  che  due  o  tre  frati 
per  ogni  convento  prendano  parte  alla  impresa,  che  così 
potrassi  averne  un  gran  numero  (2).  Ecco  perchè,  rimessa 
tutt9  a  un  tratto  la  pristina  durezza,  piegò  Carlo  alla  prof- 


177.  Questa  mattina  al  consiglio  degli  Ottanta  hanno  deliberato 
di  non  tardar  più,  e  che  dimani  si  rovinino  e  si  abbrucino  tutti  li 
borghi  di  questa  città,  non  avendo  rispetto  a  molti  bellissimi  pa- 
lazzi e  luoghi  religiosi  29sett.  1529.  Ibidem,  pag.  227. 

(1)  Si  fait  a  craindre  que,  voyans  le  temps  desaisonne  de  faire 
grande  guerre,  se  tiendront  fermes  (gli  italiani),  et  naufont  grand 
craincte,  mais  tacheront  vous  y  consommer  en  despence  ...  et 
quant  tout  seroit  bien  considere,  ne  vous  demeurroit  en  Italie 
que  une  poignee  de  gens.  Die  statthalterin  Margarethe  an  den 
kaiser  2  oct.  1529.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  342. 

(2)  Ibidem,  pag.  342-345. 


—  573  — 

ferta  del  duca  Sforza,  insino  allora  sempre  rigettata,  di  de- 
porre Alessandria  e  Pavia  in  mano  del  papa  (4),  e,  mentre 
poc'anzi  aveva  dato  ordine  al  marchese  di  Mantova  di  fare 
il  maggior  danno  possibile  nelle  terre  de9  veneziani  (2),  ma- 
nifestavagli  ora  vivissimo  desiderio  di  accordarsi  con  es- 
si (3). 

Restava  l'ostacolo  più  grave  de' fiorentini.  Egli  era 
partito  di  Spagna  fermo  neir  animo  di  tener  fede  su  que- 
sto punto  al  papa,  la  cui  amicizia  sperimentava  indispen- 
sabile allo  stabilimento  di  sua  potenza  in  Italia  (4).  Ciò 
stesso  scrivevagli  di  Roma  1'  ambasciator  suo  :  la  impresa 
di  Firenze  sta  maravigliosamente  a  cuore  del  pontefice,  e 
piU  si  va  innanzi  e  più  la  si  conosce  necessaria  al  bene  dei 
vostri  affari.  I  membri  del  sacro  collegio,  proseguiva,  vi  so- 
no per  la  maggior  parte  affezionati,  e  a  guadagnarli  per 
sempre  non  vi  occorre  che  distribuire  tra  i  principali  la  som- 


li)  Viendo  el  darlo  que  se  recibira  tornandolo  por  fuerga,  y 
el  tiempo  que  à  mi  me  hacen  perder  y  el  embarazo  y  estorvo  que 
me  es  para  lo  que  desseo  desembarazarme  por  socorrer  a  lo  del 
Turco  ...  ha  me  parecido  que  por  alguna  via  se  tornase  a  ha- 
blar  al  duque  para  que  supiese  que  yo  me  contentaria  de  lo  que 
de  su  parte  fue  ofrecido.  Parrafos  de  minula-despacho  que  el  cm- 
perador  mando  escribir  a  sus  embajadores  en  Roma,  para  que  pro- 
curateti arreglar  con  su  Sant*  los  asuntos  de  Milan  y  Florencia. 
Piacenza  1.  ott.  1529.  Archivio  di  Simancas  Secretarla  de  Estado, 
leg.°  1555  msc. 

(2)  Al  marques  de  Mantua  escribimos  que  .  .  .  haga  el  datìo 
que  pudiere  en  tierras  de  venecianos.  Vemperador  a  Andrea  Do- 
ria.  Piacenza  20  sett.  1529.  Ibidem  JVeg.do  de  Estado,  leg.°  1555  msc. 

(3)  21  ott.  1529.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  349. 

(4)  En  lo  de  tratar  con  florentines  no  es  menester  agora  ha- 
blar  en  esto,  sino  lo  que  pareciere  a  S.  S.*d  que  mas  convenga 
al  efecto  y  ejecution  de  lo  que  està  asentado  y  capitulado.  Vem- 
perador à  Mie.  Mai  su  embajador  a  Roma.  Barcellona  8  lugl.  1529. 
Archivio  di  Simancas  Neg.d0  de  Estado  leg.  1555  msc. 


—  574  — 

ma  di  ventimila  ducali  in  pensioni  (i).  Laonde  agli  amba- 
sciatori fiorentini  presentatisi  a  Genova,  uno  de*  quali  con 
Luigi  Alamanni  andò  a  parlargli  a  Savona,  offerendo  pron- 
ta la  signoria  ad  ogni  accordo  con  lui  (2),  fece  intimare  dal 
grancancelliere,  eletto  di  fresco  cardinale,  si  procacciasse  o 
il  mandato  da  poter  convenire  eziandio  con  il  papa,  e  si 
rivolgessero  poi  al  principe  di  Orange  che  ne  aveva  il  po- 
tere (3)  ;  e  quando  gli  ambasciatori  medesimi,  ricevuta  la 
commissione  segreta  di  trattar  solamente  degli  interessi 
suoi  e  non  delle  differenze  col  pontefice  (4),  pregarono  che 


(1)  Lemprinse  de  Florence  quii  a  merveilleusement  a  cueur . . . 
laquelle,  sire,  et  plus  va  lon  avant,  et  plus  la  congnoist  lon  estre 
necessaire  au  bien  de  voz  affaires  ...  la  pluspart  du  saint  col- 
Jiege  sont  plus  affectionnez  a  votre  ma.te  que  a  aultre  prince  chre- 
stien  ...  il  est  en  votre  ma.te  gaigner  et  entretenir  perpetuelle- 
ment  ce  college  en  votre  devocion,  en  distribuant  seulement  en- 
tre  les  principaulx  deulx  en  pensions  sur  benefìces  la  somme  de 
vingt  mille  ducas,  lung  mille,  laulre  deux  ou  trois  mille.  L.  de 
Praet  an  den  kaiser.  Roma  30  lugl.  3  e  5  ag.  1529.  Lanz  Corresp., 
t.  l,pag.322,323,324,  327. 

(2)  Les  ambassadeurs  de  florence  ont  yci  envoye  1'  ung  de 
leurs  consors  et  celluy  que  premier  vint  vers  moy  a  Savona 
nommè  Lalamant,  les  quels  mont  monstre  ung  pouvoir  a  eulx 
envoye  .  .  .  qu'  est  seullement  pour  traicter  avec  moy  et  ancoi- 
res  comm/  il  semble  assez  cruz,  touteffois  ilz  ont  dit  que  quant 
a  ce  qui  me  concerne  ilz  se  faisoient  fort  d'avoir  tei  mandement 
qu'  il  me  plairoit,  et  quant  à  ce  que  touche  à  notre  Saincte  Pere 
ilz  n'  avoient  autre  mandement  et  leur  sembloit  que  aussi  ne  fut 
besoing  pource  qu'  ilz  ne  pensent  àvoir  riens  a  faire  avec  le  dici 
Sainct  Pere.  Carlos  V  al  conde  de  Gatinara.  Gavi  2  agosto  1529. 
archivio  di  Stmancas  Estado,  leg.°  1553  msc. 

(3)  Et  a  fin  de  non  perdre  temps  que  silz  veullent  ilz  se  peullent 
addresser  à  mon  cousin  le  prince  d'Orange  .  .  .  qui  a  tout  pou- 
voir de  moy  et  aussy  a  des  agens  de  notre  Sainct  .'Pere.  Ibi- 
dem  msc. 

(4)  La  preghiamo  umilmente  che  non  voglia  porgere  le  orec- 
chie a  quelli  che  desiderano  occupare  la  libertà  nostra  per  servir- 


—  575  — 

insino  a  nuove  instruzioni  promesse  entro  tre  giorni  fosse 
sospesa  la  esecuzione  delle  armi,  rispose  di  no  :  si  affret- 
tassero invece  a  far  quello  che  dovevano,  prima  che  succe- 
da loro  qualche  male  (4).  Alessandro  de' Medici,  suo  ge- 
nero futuro  destinato  alla  signoria  di  Firenze,  era  già  del 
seguito  imperiale  (2).  Tuttavia,  rivenuto  poco  stante  per 
le  ragioni  sopraccennate  a  più  cauti  consigli,  scrisse  Cesare 
-  ai  suoi  oratori  a  Roma  :  «  esortassero  il  papa  a  terminare 
«  pacificamente  la  contesa,  perchè  altrimenti  si  avrebbero 
«  perdite  irreparabili  senz'  alcun  frutto,  e  darebbesi  occa- 
«  sione  ai  nemici  di  parlar  male  di  sua  santità  e  di  lui  ; 
«  gli  dicessero  che  dovria  sentir  pietà  della  distruzione  dì 
«  un  luogo  tanto  illustre,  onde  vennero  i  suoi  avi,  e  non 
«  badare  alla  ostinazione  de9 fiorentini,  si  appigliarsi  invece 
«  a  mezzi  buoni,  giusti  e  onesti  per  ristabilire  col  maggior 
«  onore  possibile  la  casa  de'Medici  in  Firenze,  quando  bene 
«  non  fosse  in  quel  modo  così  compiuto  come  sua  santità 
«  vorrebbe;  che  accordandosi  in  tempi  di  tanti  pericoli  per 
«  i  progressi  de'  Turchi  e  per  le  eresie  che  dominano  da- 
«  pertutto,  parrebbe  a  ognuno  aver  sua  santità  posposto, 
«  come  a  buon  pastore  e  vicario  di  Cristo  si  conviene,  l'uti- 
«  le  proprio  all'  interesse  generale  della  cristianità;  che  la 
«  riconciliazione  coi  fiorentini  frutterebbe  una  buona  somma 

sene  a  beneficio  di  ehi,  secondo  i  successi  delle  cose  e  la  pro- 
pria ambizione,  gli  torna  a  proposito,  distruzioni  date  a  Fran- 
cesco Soderini,  Raffaele  Girolami,  Nicolò  Capponi  e  Matteo  Strozzi, 
mandati  ambasciatori  all'  imperatore.  Firenze  16  ag.  1529.  Né- 
goc.  diplom.  de  la  France  avec  la  Toscane,  t.  2,  pag.  1108. 

(1)  No  les  fue  concedido  diciendoles  que  ellos  se  diesen  prie- 
sa  en  hacer  Io  que  debian,  antes  que  algun  mal  les  sucediese. 
V  emperador  a  sus  ambajadores  de  Roma  Genova  30  agosto  1529. 
Archivio  diSimancas  Estado  leg.°  1555. 

(2)  Similmente  dico  ch'io  sto  molto  contento  colla  persona  del 
duca  Alessandro.  Carlo  V  a  Clemente  VII  29  ag.  1529.  Ruscelli. 
Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  185. 


-  576  - 

«  di  denaro  sommamente  opportuna  alla  impresa  della  cro- 
«  ciata,  perchè  questo  invero  sarebbe  il  danaro  più  pronto 
«  che  si  potesse  riscuotere  e  la  via  più  sicura  alla  pacifi- 
«  cazione  d' Italia  :  più  danaro  si  cavasse  dalle  borse  dei 
«  fiorentini,  e  più  obbedienti  sarebbero  in  avvenire,  e  tanto 
«  meno  avrebbero  voglia  e  possa  di  sollevarsi  e  cercar  no- 
«  vita;  gli  dichiarassero  infine  essere  egli  pur  disposto  a  fa- 
te re  da  canto  suo  quel  che  consigliava  a  lui,  offrendogli  di 
«  prendere  in  compenso  per  il  duca  Alessandro  una  parte 
«  dello  stato  di  Milano  (1).  » 

Somiglianti  giravolte  usò  Cesare  col  duca  di  Ferrara. 
Da  prima,  per  compiacere  o  per  non  dar  ombra  al  papa,  ri- 
cusò trattare  con  lui,  ed  agli  ambasciatori,  che  in  Genova 
gli  proffersero  le  forze  del  signor  loro,  rispose  secco  :  se  mi 
bisognerà,  comanderò  (2).  Poi,  anteponendo  a  quel  rispetto 
le  sopraggiunte  necessità,  i  nuovi  oratori  Marco  Pio  e  Mat- 
teo Casella  accolse  a  Piacenza,  e  la  lor  preghiera,  che  pren- 
desse la  via  degli  stati  estensi  nell'andare  a  Bologna,  esaudì 
in  argomento  di  grazia.  Ai  28  ottobre  fu  in  Reggio  :  ivi  sMn- 
trattenne  due  giorni  e  il  duca  ebbe  con  esso  lunghe  con- 
ferenze. Il  di  i.°  novembre  vennero  insieme  a  Modena  (3), 
e  il  giorno  appresso  avviossi  Carlo  lentamente  a  Bologna, 
dove  il  dì  5  entrò  con  grandissima  pompa. 

Tanta  variazione  nei  disegni  di  Cesare  causò  la  mi- 
naccia de' Turchi! 


(1)  Parrafos  de  minuta-despacho  que  el  emperador  mando 
escribir  a  sus  embajadores  en  Roma,  para  que  procuraseli  arre- 
glar  con  su  Sant.d  los  asuntos  de  Milan  y  Fiorenza.  Piacenza  1. 
ottobre  1529.  Archivio  di  Simancas  Secretarla  de  Estado,  leg.* 
1555  msc. 

(2)  Carlo  Capello  alla  repubb.  veneta  28  Agosto  1529.  Alberi. 
Relax,  degli  amb.  ven.,  serie  2,  voi.  1,  pag.  204. 

(3)  Carlo  V  in  Modena.  Commentario  storico  di  Giuseppe  Cam- 
pori.  Arch.  stor.  ital.  Append.  21,  pag.  145. 


—  577  — 

V.  Altrettanto  per  la  loro  ritirata  cadde  l' animo  agli  ita- 
liani (i).  Senoncbò  anche  l' imperatore  erasi  mostrato  tosi- 
no allora  così  propenso  alla  pace  da  non  poter  più,  senza 
perdere  la  pubblica  fiducia,  ritornare  a  pensieri  di  guerra  (2). 
Grave  gli  era  si  di  restituire  Milano  allo  Sforza,  perchè  nella 
possessione  di  quel  ducato  vedeva  il  compimento  e  la  fer- 
mezza del  dominio  d'Italia;  né  meno  dolevagli  lasciare  ai 
veneziani  le  città  di  terraferma.  Reputo  pure  mettesse  a 
malincuore  le  vittoriose  sue  truppe  agli  stipendi  de9  Medici 
nella  malaugurata  impresa  di  Firenze;  consentisse  anzi  per 
utile  proprio  nella  sentenza  di  Galeazzo  Visconti  che  quelli  e 
gli  Sforza  furono  causa  di  ogni  male,  e  che  ben  lieto  sarebbe 
il  mondo  se  ne  fosse  spenta  la  razza  (3).  Ma,  tutto  conside- 
rato, lo  disse  egli  stesso,  non  istava  in  poter  suo  di  fare 
altrimenti  (4). 

La  ritirata  di  Solimano  non  aveva  assicurato  al  fratello 
il  trono  di  Ungheria.  Fallito  eragli  il  tentativo  di  ricuperar 
Buda,  perchè  de'ventimila  fiorini,  necessairi  a  muovere  le 
truppe,  soli  millequattrocento  potè  mettere  insieme,  ed  an- 
che questi  di  cattiva  moneta,  ai  quali  aggiunse  altri  duemila 


(1)  Tutti  calarono  le  brache  per  la  fuga  turchesca;  altrimenti 
l'imperatore  avrebbe  avuto  che  fare  molto  più  che  non  si  pen- 
sasse. Jae.  Pitti  Apologia  de'  cappucci.  Ibidem. 

(2)  Pour  ceste  occasion  du  Ture  javoye  tant  parie  de  ceste 
paix  qui  ne  meust  semble  honneste  le  laisser  de  faire.  Der  kaiser 
an  kònig  Ferdinand  Bologna  11  gemi.  1530.  Lanz  Corresp.,  t.  1, 
pag.  367. 

(3)  Quii  y  avoit  deux  lingnaiges  en  Italie  questoient  causes  de 
tout  les  maulx  que  y  estoient,  asscavoir  les  Medecis  et  Sforces, 
et  que  le  mond  eust  este  bien  heureux  que  pieca  la  rasse  en  eust 
este  failliez.  Poupet  de  la  Chaux  en  den  kaiser  Lion  23  sett.  1529. 
Ibidem,  pag.  337. 

(4)  Je  croys  que  vous  me  croyrez  que,  si  jeusse  veu  moyen 
den  faire  autrement,  que  nen  eusse  use  ainsì.  Der  kaiser  an  hònig 
Ferdinand  Bologna  11  gen.  1530.  Ibidem,  pag.  367* 


—  578  — 

in  panni,  e  perchè  i  tirolesi  ricusarono  di  prender  parte  a 
quella  impresa  (4).  Tumultuavano  i  lanzichenecchi  non  sod- 
disfatti del  loro  soldo,  e  già  molti  di  essi  passavano  agli 
stipendii  dell' antire  Zapoly,  mentre  i  turchi  dalla  Bosnia 
facevano  continue  correrie  in  sui  confini  austriaci,  minac- 
ciando la  Croazia;  sicché  pareva  doversi  aspettare  di  giorno 
in  giorno  che  ripiombassero  addosso  alla  Germania  per  ven- 
dicare l' onta  patita  sotto  Vienna.  Fin  tra  i  grandi  della 
Boemia  trovò  Ferdinando  tanti  partigiani  del  Zapoly  da  re* 
star  persuaso  che,  se  voleva  conservarne  il  dominio,  gli  era 
mestieri  rimuoverli  dal  governo  (2).  Laonde  Cesare  gli  diede 
consiglio  di  strigncr  tregua  con  Solimano,  considerando 
che  né  le  lor  forze  unite  bastavano  in  quel  momento  a 
contrariarlo,  né  far  si  poteva  assegnamento  sopra  gli  aiuti 
degli  altri  potentati  (3). 

Ferdinando  con  l'animo  straziato,  per  i  tumulti  de'pro- 
testanti  e  per  certi  segni  che  apparivano  di  nuovi  sinistri 
in  Germania,  anelava  al  ritorno  del  fratello,  come  ad  unico 
riparo.  S' egli  tarda,  scriveva  il  vescovo  di  Trento  suo  can- 
celliere, t  principi  procederanno  alla  elezione  di  unnuovo  im- 
peratore e  forse  anche  di  parecchi  quanti  sono  i  partiti  (4). 

(1)  Instruction  der  kriegscommissarien  zu  Presburg  fùr  Graf 
Niclas  zu  Salm  den  jùngern  kais.  ratti  und.  Càmmerer  an  kònig 
Ferdinand.  Hormayr  Taschenbuch  an.  1840,  pag.  506. 

(2)  Entre  tant  que  ils  ont  le  gouvernement,  je  ne  saroie  avoir 
obeisance  ne  poroie  meintenir  la  justice.  Ferdinand  an  Cari  21 
gen.  1530.  Gécay  Urkunden,  pag.  68. 

(3)  Sur  leur  ayde  ne  fault  faire  grand  fondement.  Des  nostres 
seulles,  au  lemps  ou  nous  sommes,  je  ne  le  tiens  pour  si  gran- 
des  quelles  soient  souffisantes  pour  contredire  a  une  si  grande 
puissance,  si  vous  nacceptes  ou  ne  faictes  ceste  tresue.  Der  kai- 
ser an  kònig  Ferdinand  Bologna  11  gen.  1530.  Lanz  Corresp.,  t 
1,  pag.  361. 

(4)  Ad  Andrea  da  Borgo,  ambasc.  di  Ferdinando  in  Italia. 
Trento  7  e  12  genn.  1530.  Bucholtz,  t.  3,  pag.  427  e  437. 


-  579  - 

Or  se  Cesare  persisteva  nel  disegno  di  acquistare  lo  stato 
di  Milano,  certo  è  che  per  la  nuova  congiunzione  dello  Sforza 
coi  veneziani  sarebbesi  riaccesa  lunghissima  guerra  (4),  e 
a  lui  mancavano  eziandio  i  mezzi  di  sostenerla.  De'  danari 
portati  seco  era  ornai  al  verde  (2),  e,  circa  al  trovarne  di 
nuovi,  senza  una  speranza  al  mondo.  Ben  sapeva  che  gli 
spagnuoli  lamentavansi  de'  lor  tesori  spesi  in  Italia,  e  che 
i  tedeschi,  insospettiti  degli  accordi  di  Barcellona  e  di  Cam* 
brai,  per  dir  eh'  ei  facesse  che  qui  trattavasi  la  causa  del- 
l'impero,  non  gli  avrebbero  dato  un  quattrino  (3).  Guai 
per  ultimo  se  gli  fosse  caduto  in  mente  di  esercitare  sotto 
i  propri  occhi  le  orribili  esazioni  con  cui  Antonio  de  Leva 
e  il  principe  di  Orange  mantennero  lungo  tempo  gli  eser- 
citi. Qual  clamore  si  farebbe,  esclamava  Luigi  de  Praet, 
quanti  degli  amici  suoi  passerebbero  air  altra  parte,  e  qual 
cuore  ne  prenderebbero  gli  avversarii  (4)  / 

Oltracciò  il  dominio  di  Napoli  era  mal  fermo,  e  la  sua 
rendita  interamente  sciupata  dalle  milizie,  finché  vi  ritene- 


(1)  Et  surtout  ce  fut  este  une  guerre  immortelle  en  Italie.  Der 
kaiser  an  kònig  Ferdinand.  Bologna  1 1  genn.  1530.  Lanz  Corresp., 
t.  1,  pag.  367. 

(2)  Les  marchans  non  ayant  nouvelles  dargent  Despaigne  ont 
aussi  tarde.  Combien  que  depuis  en  ay  eu  bonnes  nouvelles,  ce 
neantmoings  le  delay  ma  fait  faulte,  est  estoye  quasi  au  bout, 
pource  que  les  marchans  ne  pouvoyent  plus  faire  pour  avoir  quel- 
que  argent.  Toutes  ces  causes  mont  aussi  meu  a  ce  faire.  Ibidem^ 
pag.  367. 

(3)  En  Espaigne  jlz  aborissent  tout  ce  que  jay  despendu  de 
ce  reaulme  pour  ceste  Italie,  que  ne  le  pourriez  croyre.  Dalle- 
maigne,  combien  que  cesoit  chose  derapire,  et  le  bien  que  ce 
leur  seroit,  vous  scavez,  commilz  entendroient  en  une  telle  cho- 
se, et  quel  acort  jl  y  a,  pour  ce  davantage  en  ayant  fait  ceste 
paix,  et  durant  ceste  de  France.  Ibidem,  pag.  368. 

(4)  À  Nicolas  Perrenot.  Roma  31  ag.  1530.  Le  Glay,  Négoc. 
dipi.,  t.  2,  pag.  697. 


-  580  — 

vano  i  veneziani  le  terre  occupate  (4),  e  la  guerra  con  essi 
avrebbe  resi  incerti  i  trattati  conchiusi  col  re  di  Francia  (2) 
e  col  papa,  in  un  momento  che  il  re  d' Inghilterra,  per  la 
smania  del  divorzio,  aggiungeva  tizzoni  a'rivolgimenti  (3).  Il 
pontefice  aveva  receduto  dalle  antiche  idee  della  indipenden- 
za italiana  solo  a  questo  patto  che  fosse  assoggettata  la  pa- 
tria sua,  onde  instava  al  ristabilimento  della  quiete  univer- 
sale in  qualsivoglia  maniera,  perchè  le  forze  imperiali,  di- 
soccupate dalle  altre  imprese,  si  volgessero  a  quella  di  Fi- 
renze (4);  e  gli  andamenti  di  lui  prima  e  dopo  il  conve- 
gno di  Barcellona  fecero  sempre  più  persuaso  Cesare  che, 
senza  piegarsi  alle  sue  voglie,  non  avrebbe  potuto  mante- 
nere V  autorità  propria  nella  penisola  (5). 

(1)  Et  ray  par  ce  tout  raon  royaulme  de  Naplesnect;  etda- 
vantaige  je  puis  tirer  les  gens  de  guerre  que  y  sont,  lesquelx 
destruissent  tout,  et  ou  a  ceste  heure  je  ne  tyrois  ung  sol  du 
royaulme,  ja  meo  ayderay  assez  raisonnablement,  et  deulx  jau- 
ray  au  moing,  entant  quilz  rompissent,  c§nt  cinquante  ou  deux 
cens  mille  ducas.  Der  kaiser  an  kònig  Ferdinand.  Bologna  11 
genn.  1530.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  368. 

(2)  Davantaige  je  nestoye  bien  sehur,  ne  encoires  suis,  que 
la  paix  de  France  doit  durer  de  leur  couste,  eten  ce  cas  me  sem- 
bloit  bon  avoir  amyte  a  qualqung  et  laisser  Italie  en  paix,  pour 
estre  plus  libre.  Ibidem,  pag.  368. 

(3)  Et  soit  du  consentement  du  pape  ou  non,  si  sera  ce  ung 
grand  mal  et  cause  souffissante  dune  nouvelle  guerre.  Je  croy 
bien,  que  le  roy  de  France  y  ayde,  et  sollicite  ce  quii  peut  pour 
nous  mectre  tous  deux  en  guerre  et  en  necessite  des  Venecieos, 
due  de  Miliari,  due  de  Ferrare,  Florence  et  autres  potentato  dita- 
lie.  Ibidem,  pag.  369. 

(4)  Lettera  sopraccennata  del  Sanga  al  vescovo  di  Vasone 
nunzio  pontificio  appresso  Cesare.  Roma  24-27  agosto  1529.  Ru- 
scelli. Lettere  di  principi,  t.  2,  pag.  182  e  seg. 

(5)  Et  luy  suis  oblige  en  ce  de  Florence  . . .  car  je  desire  ne 
plus  perdre  son  amyte,  et  pour  le  moings,  si  je  ne  lay  pour  amy, 
quii  ne  me  soit  ennemy.  Der  kaiser  an  kònig  Ferdinand.  Bologna 
11  genn.  \bW.Lanz  Corresp.,  1. 1,  pag.  369. 


—  584  — 

Con  tutte  queste  considerazioni  giustificò  Carlo  gli  ac- 
cordi conchiusi  poi  col  duca  di  Milano  e  con  i  veneziani 
in  una  lunga  lettera  confidenziale  scritta  di  Bologna  il  di 
41  gennaio  1530  al  fratello  Ferdinando.  Io  le  ho  riportate 
distesamente,  affinchè  si  vegga  quali  fondamenti  rimanevano 
ancora  agli  avversarii  per  contrastargli  la  maravigliosa  for- 
tuna. Ma  francesi  e  italiani  vennero  meno  a  sé  medesimi. 
Venezia,  che  sulla  speranza  de'turchi  continuò  a  soppor- 
tare le  spese  e  i  danni  della  guerra  (1),  come  la  intese 
svanita,  non  depose  subito  le  armi,  ma  le  tenne  in  mano 
unicamente  per  far  Cesare  più  facile  alle  cose  sue;  al  qual 
uopo  non  si  astenne  tampoco  dall'  incorare  i  fiorentini  con 
vane  promesse,  sin  di  un  aiuto  di  tremila  fanti  (2),  la  cui 
inosservanza  scusò  poi  con  varii  pretesti  (3).  Di  contro  al 
doge  Andrea  Gritti,  il  quale,  interpellato  in  proposito  dal- 
l'oratore di  quegli  infelici,  aveva  risposto  :  la  repubblica  di 
Venezia  non  fece  mai  cose  brutte  e  non  comincierà  adesso, 
erasi  già  formato  un  numeroso  partito  pronto  a  mettere  il 
ben  per  la  pace.  Diedero  nel  segno  i  fiorentini  allorché  dis- 
sero a  Carlo  Capello  :  voi  avete  lo  stato  vostro  fortissimo, 
farete  una  buona  testa  e  munirete  le  città  voslre9  e  facilmente 


(1)  Lettera  del  senato  ad  Alvise  Gritti  arcivescovo  di  Agria  e 
tesoriere  generale  del  re  Zapoly.  Secreta  2  nov.  1529. 

(2)  Ne  diede  anzi  l'incarico  al  duca  di  Urbino,  il  quale  aveva 
mandati  que'  tremila  fanti  nello  stato  suo  per  sospetto  della  ve- 
nuta del  principe  di  Orange  verso  quelle  bande.  Marin  Sanuto, 
t.  LI,  pag.  144,145. 

(3)  Non  poter  far  avanzare  le  genti  del  duca  di  Urbino  senza 
di  lui  consentimento;  la  malattia  ond'  era  gravato  e  quasi  condot- 
to al  sepolcro  non  permettere  d' altra  parte  di  parlargliene.  Secreta 
9  ott.  1529.  (Questo  dispaccio  all'ambasc.  Capello  fu  pubblicato  dal 
dott.  Nicolò  de  Barozzi.  Venezia  1864).  E  male  giustifìcaronsì  poi 
i  veneziani  dell'essersi  creduti  autorizzati  all'accordo  dall'invio 
degli  ambasciatori  fiorentini  a  Genova,  sì  percbè  ira  quella  epoca 
e  l'altra  dell'accordo,  l'esortazioni  loro  alla  difesa  furono  infì- 


-  584  - 

divo  anche  quello  dello  spirito;  ma  altrettanto  più  rapido  e 
vigoroso  non  si  tosto,  afferrate  le  redini  de'  vasti  dotninii, 
ne  senti  gli  stimoli  potenti;  sicché  fu  detto  che,  mentre  per 
l'addietro  pareva  stupido  e  addormentato,  a  un  tratto  e  ina- 
spettatamene  si  svegliò  (1). 

Tuttavia,  non  avendo  pronta  facoltà  di  concepire,  met- 
teva ogni  stadio  in  ben  prepararsi  qualunque  volta  avveni- 
vagli  di  trattare  personalmente  col  papa,  e  a  lui  davanti  com- 
pariva con  una  scrittura  in  mano  su  cui  erano  notati  tutti  i 
punti  che  dovevano  prendersi  in  considerazione  (2). 

Le  difficoltà  principali  non  sussistevano  più.  La  somma 
delle  cose  era  già  ordinata  in  Barcellona  e  in  Cambrai,  e 
Cesare  persuaso  della  necessità  di  fermar  pace  con  lo  Sforza 
e  co'  veneziani.  Rimaneva  solamente  l'ostacolo  di  questi  ul- 
timi non  ancora  riconciliati  col  pontefice  in  causa  di  Ra- 
venna e  Cervia.  Indarno  Gaspare  Contarini,  ambasciata 
loro,  affaticavasi  a  mostrar  giusta  la  domanda  della  signo- 
ria di  ritenerle.  Invano  dicevagli  :  vostra  santità,  ci  dà  esem- 
pio di  pregarla  e  slrignerla  per  tal  cosa,  avendo  lei  fatto  e 
facendo  guerra  alla  sua  patria  Firenze.  Clemente  traevasi 
d' impaccio  col  rispondere  :  questo  non  è  buon  principio  di 
voler  pace;  ma  poi  quando  il  Contarini  si  volgeva  a  lui,  non 
come  oratore,  ma  come  privalo  e  sviscerato  servitore  di  sua 
santità  e  della  santa  sede,  e  gli  metteva  innanzi  le  cose  tur- 
chesche  e  i  pericoli  della  religione  cristiana,  e,  contrappo- 
nendo la  voltabile  fortuna  delle  mondane  glorie  alla  stabilità 


zione,  sua  maestà  abbia  smorzato  il  difetto  della  naturale  inclina- 
zione. Relazione  sopraccennata  di  G.  Contarini,  pag.  269  e  "270. 

(1)  Relazione  d' Inghilterra  di  Giovanni  Micheli.  Alberi.  Relax, 
degli  amb.  veneti,  serie  1,  voi.  2,  pag.  336. 

(2)  Il  papa  mi  ha  detto,  che,  negoziando  con  lui,  portava  un 
memoriale  notato  di  sua  mano  di  tutte  le  cose  che  aveva  da  ne- 
goziare, per  non  lasciarne  qualcuna  indietro.  Relazione  sopraccen- 
nata di  Gaspare  Contarini,  pag.  269. 


—  585  — 

degli  eterni  veri  sui  quali  si  fonda  la  Chiesa,  diceva  :  se 
stesse  in  me,  e  che  io  conoscessi  non  potermi  conservare  in- 
sieme cogli  altri,  senza  la  perdita,  non  dico  di  due,  ma  di 
tre  città,  veramente  vorrei  piti  presto  spogliarmi  di  quelle, 
che  essere  cagione  di  mali  alla  repubblica  cristiana,  allora 
anche  Clemente,  squarciando  a  un  tratto  gli  ammanti  della 
politica,  esclamava:  le  cose  che  mi  avete  dette  sono  vere;  ma 
poi  ricomponevasi  nella  ragione  di  stato, soggiungendo:  non 
voglio  per  questo  essere  solo  che  mi  dolga  e  pianga  (i).  Come 
ne  giunse  nuova  a  Venezia,  levossi  gravissima  discussione 
in  senato.  Volevano  alcuni  si  restituissero  quelle  città,  ma 
solo  in  grazia  di  Cesare  per  avvantaggiarsene  nelle  pra- 
tiche della  concordia  con  lui,  non  dovendosi  confidare  nel 
pontefice,  persona  ambiziosa  e  di  poca  fede,  che  non  ha  ri- 
spetto che  al  proprio  bene,  e  che  con  maggior  verità  si  pò- 
tria  chiamar  eresiarca  che  capo  de'cristiani;  altri  che  meglio 
fosse  darle  direttamente,  perchè  in  caso  contrario  si  per- 
derebbero le  città  senza  propiziarsi  né  il  pontefice,  nò 
P  imperatore,  il  qual  ultimo  non  aveva  certo  a  cuore  l' ac- 
crescimento della  repubblica.  Anzi  per  me  credo,  disse  Marco 
Dandolo,  eh'  egli  abbia  dispiacere  della  nostra  grandezza, 
la  quale  volentieri  vedrebbe  fatta  minore,  e  forse  si  allegre- 
rebbe se  ci  vedesse  rovinati.  Al  pontefice  veramente,  seb- 
bene anch'  egli  poco  si  cura  del  nostro  bene,  pure  fa  per  lui 
che  in  qualche  modo  siamo;  e  perciò  è  più  ragionevole  grati- 
ficarsi quello  che  non  si  duole  deW  esser  nostro,  che  quello 
che  si  rallegra  del  nostro  male.  Questo  partito  fu  vinto  con 
centoquarantuno  voti  incirca  contro  quarantadue  (2);  onde 
il  senato  ai  40  novembre  4529  diede  facoltà  al  Contarmi 


(I)  Maneggio  della  pace  di  Bologna  tra  Clemente  VII  e  Carlo 
V,  la  repubblica  di  Venezia  e  Francesco  Sforza  1529.  Alberi.  Relaz. 
degli  ambasc.  veneti,  serie  2,  voi.  3,  pag.  154, 161, 169. 

(2) /òtcfcro,  pag.  166-172. 

37 


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di  acconsentire  alla  restituzione  di  Ravenna  e  Cervia,  salvi 
però  sempre  i  diritti  della  repubblica,  e  con  condizione  di 
un  perdono  generale  a  quanti  in  quelle  città  si  erano  mo- 
strati a  lei  favorevoli  :  si  conservassero  liberi  i  possedi- 
menti e  le  rendite  ai  sudditi  veneziani,  e  fosse  mantenuto 
nel  suo  stato  il  duca  di  Milano  ;  aggiungendo  altresì  viva 
instanza  al  papa  per  la  reintegrazione  de9  veneziani  nella 
giurisdizione  del  golfo  (4),  e  per  la  nomina  non  solo  di 
cinquanta  canonici,  si  ancora  dei  vescovi,  come  per  lo  passato. 
Nel  tempo  medesimo  trattava  il  Contarmi  la  concordia 
co9  ministri  imperiali,  insistendo  che  vi  fossero  inclusi  i 
duchi  di  Urbino  e  di  Milano.  A  tal  uopo  negoziò  anche  qual- 
che volta  direttamente  due  ore  continue  con  Cesare,  il  quale 
fece  le  viste  di  essersi  reso  ben  capace  delle  ragioni  addot- 
te a  giustificare  i  sospetti  della  repubblica  (2).  Laonde  il 
dì  ii  novembre  gli  disse  :  «  perchè  non  si  contenterebbero 
«  i  veneziani  che  nello  stato  di  Milano  fosse  in  luogo  dello 
«  Sforza  un  altro  italiano  loro  amico  e  non  mio  fratello? 
«  Sappiate  che  io  non  voglio  in  Italia  neppure  un  piede  di 
«  terra,  se  non  quello  che  è  proprio  mio;  e  voglio  far  co- 
te noscere  a  tutto  il  mondo,  che  non  intendo  farmi  monarca 
«  come  alcuni  mi  diffamarono;  vi  sono  altri  piuttosto  che 
«  aspirano  a  questo  (3).  »  Ma  perchè  l'oratore  replicava  che 
ciò  sarebbe  nuova  causa  di  guerra,  e  richiedeva  si  desse 
facoltà  allo  Sforza  di  venire  liberamente  alla  presenza  sua, 


(1)  Qual  è  peculiar  della  repubblica  nostra  et  conquistato  cum 
il  sangue  et  denari  delli  maggiori  nostri.  Secreta  IO  nov.  1529, 
pag.  232. 

(2)  A  me  pare  che  sua  maestà  abbia  accettato  le  giustificazioni 
fatte,  e  compreso  il  giusto  e  ragionevole  timore  di  vostra  Sere- 
nità. Ed  io  gliene  ho  parlato  liberamente,  ed  essa  è  stata  molto 
ben  capace,  a  giudizio  mio,  delle  ragioni  da  me  adotte.  Relazione 
di  Gasp.  Contarmi,  1.  e,  pag.  270. 

(3)  Maneggio  della  pace  di  Bologna,  1.  e,  pag.  178. 


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piegò  Cesare  a  concedergli  il  salvocondotto,  mostrando  fare 
in  riguardo  della  repubblica  quello  che  la  sera  innanzi  aveva 
negato  al  pontefice  (4). 

Venne  dunque  Francesco  Sforza  il  di  22  novembre  a 
Bologna,  malfermo  in  salute,  tormentato  dalla  podagra,  ma- 
cilente, con  segni  sì  evidenti  di  prossima  morte  da  destare 
compassione  in  chiunque  lo  vedeva,  e  il  dì  seguente  si 
trasse  a  stento  dinanzi  all'imperatore.  Questi  aveva  detto 
poc'anzi  al  Contarini :  io  userò  verso  di  lui  quella  pia  di- 
screzione che  si  conviene;  ma  sappiate  ch'egli  è  persona  su- 
perba e  pertinace,  e  dopo  il  peccalo  non  vuol  riconoscersi, 
anzi  contrasta  di  non  avere  errato  (2).  Sostenne  in  vero  il 
duca  anche  in  questa  occasione  la  sua  innocenza  nella  con- 
giura del  Morone,  ma  nel  rimanente  apparve  tutt' altro: 
umile,  ossequente,  inclinalo  per  natura  alla  parte  imperia- 
le (3).  «  Nel  tempo  che  io  stetti  nel  castello  di  Milano  (dis- 
«  $'  egli)  io  non  conosco  in  modo  alcuno  di  aver  fallito  con- 
«  tro  la  maestà  vostra  :  uscito  poi  di  là,  se  avessi  commesso 
«  cosa  contro  la  volontà  sua,  questa  è  provenuta  dalla  mala 
«  fortuna  e  dai  modi  che  hanno  usato  i  ministri  di  lei  inver- 
ti so  di  me  :  nondimeno  io  son  venuto  a  gettarmi  nelle  brao 
«  eia  della  infinita  clemenza  sua  e  a  chiederle  perdono  del 
«  mio  errore.  »  Detto  ciò  stese  la  destra  in  atto  di  resti- 
tuire il  salvocondotto,  e,  non  volendo  l'imperatore  ripigliar- 
lo, lo  lasciò  in  mano  di  uno  dei  consiglieri  che  ivi  erano  (i). 
Questa  dimostrazione  di  fiducia  illimitata  tornò  oppor- 
tuna a  Cesare  per  farsi  credere  mosso  da  essa  a  mutar 


(1)  Il  pontefice  avendo  inteso  da  messer  Gaspare  la  operazione 
da  lui  fatta  per  il  duca  di  Milano,  disse  che  la  era  contraria  a 
quella  che  V  imperatore  avevagli  affermato  di  fare  nella  sera  in- 
nanzi. Ibidem,  pag.  180. 

(2)  Ibidem,  pag.  179, 180. 

(3)  Relazione  di  Gasp.  Contarini,  1.  e,  pag.  273. 

(4)  Maneggio  della  pace  di  Bologna,  pag.  192. 


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proposito  (4).  In  breve  si  convenne  che  il  duca  Francesco 
conserverebbe  lo  stato,  sebbene  ne'consigli  imperiali  altri 
partili  si  promovessero,  cioè  di  darlo  al  marchese  di  Man- 
tova (2),  o  ad  Alessandro  de'  Medici  (3),  o  a  Massimiliano 
Sforza  (4),  o  di  spartirlo  Fra  parecchi  principi  italiani  (5), 
e  fin  di  rendere  Milano  città  indipendente,  secondo  che  in- 
stava Galeazzo  Biraghi,  inviato  estraordinario  della  mede- 
sima (6).  Fermata  questa  base  degli  accordi,  ne  venne  per 
conseguenza  che  anche  i  veneziani  acconsentirono  di  sgom- 
berare le  terre  occupate  nel  regno  di  Napoli. 


(1)  Ora,  per  la  dimostrazione  che  ha  fatto  il  duca  di  confidarsi 
in  lei  e  di  rimettersi  tutto  nelle  sue  mani,  mi  pare  che  si  sia  fatta 
ben  disposta  verso  di  lui.  Relazione  di  Gasp.  Contarini,  1.  e, 
pag.  271. 

(2)  Ibidem,  pag.  273.  Alcuni  fautori  del  marchese,  che  stavano 
appresso  Cesare,  avevano  persuaso  che  lo  (acesse  duca  di  Mila- 
no. Maneggio  della  pace  di  Bologna,  pag.  189. 

(3)  Dipoi  (Cesare)  nominò  Alessandro  dei  Medici,  il  quale  gli 
pareva  essere  più  degno  di  quello  stato  che  il  duca  Francesco. 
Ibidem,  pag.  178. 

(4)  Questi  in  luglio  del  1528  aveva  ottenuto  dal  papa  un  breve 
di  promessa  di  un  cappello  cardinalizio  alla  prima  creazione  verso 
il  pagamento  di  12000  scudi,  non  volendo  il  papa  conferirglielo 
subito  a  bon  fine,  perchè  poteva  venire  la  occasione  di  farlo  duca 
di  Milano.  Ma  Massimiliano  rimase  in  Francia  dov'  era  in  custodia, 
e  morì  Tanno  1530.  Giovanni  Maria  Orsone  a  Massimiliano  Sforza, 
Brescia  22  lugl.  1528.  Molini.  Doc.  di  stor.  ilal.  archivio  stor.  ital. 
Append.  n.  9,  pag.  445. 

(5)  Discorendo  disseno  de  fare  molte  parte  del  stato,  cioè  al 
duca  di  Savoia,  al  marchese  di  Monferrato,  al  marchese  de  Man- 
tua,  al  duca  de  Ferrara,  et  Milano  al  duca  Alexandro  nipote  del 
papa.  In  questo  ragionamento  dice  lo  archiepiscopo  de  Bari,  (Gian- 
giacomo  Castiglione),  meglio  saria  darlo  al  duca  Maximiiiano  che 
di  ragione  li  vene.  Lettera  d'anonimo,  da  Bologna  4  nov.  1529. 
Molini,  Doc.  di  stor.  ilal.  t.  2,  pag.  259. 

(6)  Sansovino.  Dell'  origine  delle  case  illustri  d'  Italia.  Venezia 
Altobello  Salicato,  fogl.  28. 


—  589  — 

Più  in  lungo  andarono  le  controversie  rispetto  alla  lega 
che  Cesare  voleva  strignere  co'  principi  italiani  per  la  difesa 
reciproca,  ed  ai  danari  che  esigeva  dal  duca  di  Milano  e  dai 
veneziani.  Ripugnavano  questi  ultimi  alla  lega,  ben  sapendo 
che  nelle  condizioni  d'  allora  non  importerebbe  altro  che 
mantenere  la  penisola  agli  ordini  di  lui.  Ma  infine  vi  si  ac- 
conciarono, mossi  dalla  speranza  di  avvantaggiarsene  nella 
quistione  pecuniaria  (4)  ;  dopo  aver  però  riformati  gli  arti- 
coli proposti,  in  guisa  da  non  esporsi  né  al  pericolo  di  nuo- 
va guerra  contro  il  turco  (2),  né  al  vituperio  di  dare  aiuto 
alla  casa  de'  Medici  per  conservarle  lo  stato  di  Firenze;  il  che 
quando  si  facesse,  esclamò  in  senato  Girolamo  da  Pesaro, 
savio  di  terraferma,  saria  grave  maleficio  della  nostra  repub- 
blica, la  quale  per  naturale  inclinazione  deve  avere  in  orro- 
re e  odio  simile  pratica  (3).  Si  convenne  dunque  che  la  di- 
fesa limiterebbesi  al  ducato  di  Milano  ed  al  regno  di  Napoli  : 
là  con  cinquecento  uomini  d'arme,  cinquecento  cavalleg- 
geri,  seimila  fanti  e  buona  banda  di  artiglierie;  qua  con 
quindici  galee  sottili  bene  armate,  e  solo  contro  qualunque 
potentato  cristiano,  senz'  altra  obbligazione  versoi  raccoman- 
dati di  tutti  i  nominati  e  nominandi  (4). 

Quanto  concerne  ai  danari,  la  somma  richiesta  di  tre- 
centomila ducati  in  risarcimento  della  ultima  guerra  ridus- 
sero i  veneziani  a  centomila  (5),  fermo  il  debito  residuo  de' du- 


(1)  Percbò  !cra  da  credere  che  (Cesare)  non  dovesse  esser  duro 
nel  voler  danari  per  V  interesse.  Maneggio  della  pace  di  Bologna, 
pag.  204. 

(2)  La  Signoria  (disse  il  Coniarmi)  non  vuole  scoprirsi  contro 
il  Turco,  essendo  tulto  lo  stato  e  V  avere  dei  suoi  sudditi,  come 
si  suol  dire  nelle  fauci  di  quello.  Ibidem,  pag.  187. 

(3)  Ibidem,  pag.  186. 

(4)  Ibidem,  pag.  J93. 

(5)  Agli  otto  dicembre  diedero  commissione  al  Contarmi  di  non 
passare  per  modo  nessuno  la  somma  di  ducati  ottantamila.  Il  dì 


I 


-  590  - 

gentomila  convenuti  nel  trattato  di  Worms  del  4523.J  Al  con- 
trario il  duca  Sforza  si  lasciò  scorticar  vivo  dall'imperatore: 
oltre  i  doni  a'  suoi  ministri,  promise  di  pagare  cinquecento- 
mila ducati  in  dieci  anni  e  quattrocentomila  per  la  investi- 
tura nel  prossimo  anno,  in  pegno  de'  quali  dovette  conse- 
gnargli Como  e  il  castello  di  Milano.  Vuoisi  che  preferisse  di 
far  sicurtà  colla  sua  persona  (i).  Meglio  sarebbe  stato  rinun- 
ziare al  dominio  che  conservarlo  a  prezzo  sì  duro  e  con  tan- 
to strazio  de'  sudditi,  già  consunti  {per  le  atroci  guerre  du- 
rate trent'  anni,  e  per  la  fame,  e  per  la  peste.  Contrastarono 
i  veneziani  con  ogni  lor  forza  quel  pegno  pericoloso  (2).  Non 
come  oratore,  disse  un  giorno  il  Contarini  a  Cesare,  ma  co- 
me suo  servitore,  le  parlerò  schietto  :  lei  e  quelli  che  la  con- 
sigliano di  tener  le  fortezze  di  Milano,  non  intendono  la  na- 
tura delle  genti  d9  Italia.  Non  fa  punto  per  vostra  maestà, 
che  le  fortezze  restino  nelle  mani  di  lei;  conciossiachè,  se  i 
sudditi  del  duca  vedranno  che  lei  se  le  ha  riservate,  entreran- 
no in  certa  opinione  che  il  duca  non  sia  vero  padrone  dello 
stato,  e  non  vorranno  sborsargli  denaro  alcuno,  ed  egli  sa- 
rà poi  sforzato  mancarvi  della  promessa  (3).  Ma  poco  stan- 
te, quando  Cesare  svelò  le  profferte  che  il  re  di  Francia  fa- 
cevagli  in  danno  della  repubblica  (4),  e  più  assai  quando  il 

seguente  levaronla  a  centomila,  spedite  che  fossero  le  altre  diffe- 
renze, cioè  quella  del  duca  di  Milano.  Ibidem,  pag.  209  e  214. 

(t)  Esso  Duca  si  è  offerto  a  Cesare  di  stare  appresso  S.  M. 
sino  che  detto  danaro  sia  pagato.  Gregorio  Casale  al  Montmorencù 
Bologna  13  die.  1529.  Molini.  Doc.  di  stor.  ital.,  t.  2,  pag.  263. 

(2)  Che  la  pace  mai  si  farebbe  (affermavano  ancora  il  dì  8  die.) 
se  il  duca  Francesco  non  avesse  interamente  il  suo  stato.  Maneg- 
gio della  pace  di  Bologna,  pag.  209. 

(3)  Ibidem,  pag.  207. 

(4)  Mi  promette  al  presente,  innanzi  la  restituzione  delti  fi- 
gliuoli, di  sborsarmi  duecentomila  scudi;  promette  aiutarmi  ad 
ampliare  lo  stato  in  Italia  ;  mi  fa  pregare  che  mi  abbocchi  con 
lui,  e  che  voglia  trasferirmi  a  Torino,  dov'egli  verrebbe.  Ibidem, 


-  591  - 

Contadini  medesimo,  avuta  notizia  che  i  fiorentini  per  manco 
di  vettovaglie  parevano  presso  ad  arrendersi,  temette  non 
forse  le  genti  imperiali  e  pontificie,  non  sapendo  poi  dove 
andare,  fossero  sospinte  a  venire  contro  di  essa,  e,  venendo, 
accrescessero  le  difficoltà  della  pace  (1);  allora  anche  il  se- 
nato cessò  dalla  opposizione,  e  il  di  42  dicembre  giunse  a 
Bologna  il  corriere  che  portava  il  suo  assentimento  ai  pa- 
gamenti impostigli  ed  alle  obbligazioni  dello  Sforza  (2). 

Cosi  nel  giorno  stesso  23  dicembre  1529  che  questi 
conchiuse  l' accordo  con  le  condizioni  sopraccennate  (3), 
fu  pur  sottoscritto  il  trattato  di  pace  con  i  veneziani.  Re- 
stituirebbero al  papa  Ravenna  e  Cervia,  salve  le  ragioni 
loro,  con  piena  amnistìa  ai  cittadini  e  conservazione  delle 
proprietà  e  de' privilegi  de'  sudditi;  ed  all'imperatore  Tra- 
ni,  Monopoli  e  le  altre  terre  possedute  nel  regno  di  Napoli, 
confermando  Cesare  tutte  le  immunità,  esenzioni  e  prero- 
gative che  vi  avevano  per  P  addietro,  e  restituendo  altresì 
la  casa  di  san  Marco  in  Napoli.  Pagherebbero  il  resto  dei 
dugentomila  ducati,  debiti  per  il  terzo  capitolo  del  convegno 
di  Worms,  con  venticinquemila  entro  il  mese  prossimo,  ed 
altrettanti  ciascun  anno,  purché  fossero  restituiti  in  fra  un 
anno  i  luoghi  tutti  che  a  tenore  del  sessantesimo  articolo 
del  convegno  suddetto  loro  spettavano,  al  qual  uopo  sareb- 
bero giudicate  le  differenze  per  arbitri  comuni  da  nominarsi 


pag.  207.  Queste  profferte  furono  realmente  fatte.  Addimostranlo 
le  lettere  già  citate  di  Margherita  air  imperatore,  e  di  questi  a  Pou- 
pet  de  la  Chaux  e  al  segretario  Des  Barres  ambasciatori  in  Francia, 
2  e  28  ott.  1529.  Lanz  Corresp.,  1. 1,  pag.  346  e  352. 

(1)  Maneggio  della  pace  di  Bologna,  pag.  213. 

(2)  Gregorio  Casale  al  Montmorenci.  Bologna  13  die.  1529.  Mo- 
lini.  Doc.  di  stor.  Hai.,  t.  2,  pag.  263- 

(3)  Lunig  Arcliives  de  l'empire.  Part.  spéc.  Continuat.  I.  ed  an- 
che presso  Sudendorf  Registrum  fùr  die  deutsche  geschicte.  Ber- 
lin 1854,  par.  3,  pag.  195-203. 


—  892  — 

tra  venti  giorni.  Darebbero  ai  fuorusciti  cinquemila  ducati 
annui  per  l'entrata  dei  beni  loro,  ed  altri  centomila  a  Cesa- 
re, metà  nel  gennaio  prossimo,  e  metà  nelP ognissanti  del 
•1530.  Ritornerebbero  in  grazia  il  conte  Brunoro  da  Gam- 
bara,  bresciano,  gentiluomo  di  camera,  maestro  di  campo 
e  generale  dell'  imperatore  ;  le  controversie  tra  il  patriarca 
di  Aquileia  e  il  re  Ferdinando  deciderebbersi  per  arbitri; 
avrebbero  i  sudditi  delle  parti  contraenti  sicurezza  di  dimo- 
ra, di  transito,  di  commercio,  e  buon  trattamento  ne'  reci- 
proci dominii.  Sarebbe  in  ultimo  tra  essi,  il  pontefice,  Ce- 
sare, Ferdinando  suo  fratello  e  il  duca  di  Milano  lega  di- 
fensiva perpetua  con  i  patti  di  sopra  esposti,  nella  quale 
ottennero  di  far  comprendere  anche  Francesco  Maria  di 
Montefeltro  duca  di  Urbino  e  governatore  di  Roma,  ben- 
ché, come  dicemmo  altrove,  rifiutassero  obbligarsi  alla  pro- 
tezione degli  stati  e  de'  principi  nominati  dagli  altri  confe- 
derati (d). 

Non  guari  dopo  la  conclusione  di  questo  accordo  fece 
Cesare  in  nome  suo  e  del  fratello  nuove  instanze  alla  re- 
pubblica :  prolungasse  a  due  mesi  il  termine  di  venti  giorni 
per  la  elezione  degli  arbitri,  ristrignendo  invece  quello  di 
un  anno  assegnato  per  la  loro  decisione;  non  ricevesse  nelle 
sue  terre  luterani  ed  altri  eretici,  promettendo  Ferdinando 
il  contraccambio  riguardo  agli  emigrati  veneti;  le  vittovaglie 
di  ogni  sorta  che  dal  Mantovano  e  da  altre  parti  d'Italia 
vanno  in  Germania,  e  quelle  che  di  Germania  vengono  in 
Italia  passassero  liberamente  per  gli  stati  della  signoria  e 
di  Ferdinando,  soddisfacendo  alle  consuete  gabelle  ;  aves- 
sero i  sudditi  dell'una  e  dell'altro  in  Istria  i  diritti  reci- 
proci che  hanno  que'  del  Friuli  in  virtù  della  convenzione 
di  Worms,  e  i  triestini  e  gli  altri  popoli  marittimi  dello 

(1)  Tractatus  pacis,  ligae  et  perpetuae  confoederationis.  Du 
Moni,  t.  4,  par.  2,  pag.  53  e  seg. 


—  593  — 

stesso  Ferdinando  piena  libertà  di  navigazione  e  di  com- 
mercio; i  cinquemila  ducati  annui  dovuti  agli  emigrati  di 
Padova  e  di  Vicenza  depositasse  nel  Monte  di  Pietà  in  Pa- 
dova per  essere  là  ripartiti  ;  pagasse  le  doti  delle  mogli  loro; 
ad  Antonio  Bagarotto,  a  Nicolò  Trapolino,  e  al  conte  Leo- 
nardo Nogarolo,  siccome  ai  più  devoti  della  causa  impe- 
riale, restituisse  i  beni  confiscati  ;  rilasciasse  al  conte  Bru- 
noro  di  Gambara,  conforme  ai  patti  di  Bologna,  un  privi- 
legio in  forma  solenne,  esteso,  se  non  a  tutta  la  famiglia, 
almeno  al  fratello  di  lui,  vescovo  di  Tortona  ;  eseguisse  la 
sentenza  data  in  collegio  de'Pregadi  per  restituzione  de' beni 
a  Gio.  Battista  Taxis  e  a  David  Maffeo  e  Simone,  suoi  fra- 
telli, mastri  da  posta;  espedisse  con  giudizio  sommario  la 
lite  di  successione  intentata  da  Angela  di  Portonavone  (Por- 
denone) moglie  del  vicario  di  Gradisca;  togliesse  a  Barto- 
lomeo di  Alviano  la  signoria  della  città  stessa  di  Portona- 
vone, essendo  que' popoli,  stati  un  di  sotto  lo  scettro  di 
casa  d'Austria,  orribilmente  vessati;  levasse  il  bando  inflitto 
al  dottor  Pietro  Savorgnan,  a  Gio.  Antonio  Lombardo  ve- 
neziano e  ad  Antonio  de  Muran  vicentino,  reo  quest'ultimo 
di  un  omicidio  commesso  per  difendere  la  memoria  di  Mas- 
similiano imperatore;  pagasse  al  castellano  di  Musso,  il  qua- 
le aveva  già  assunto  il  titolo  di  marchese,  la  pensione  di 
duemila  scudi,  sospesagli  dacché  passò  ai  servigi  di  Ce- 
sare (i). 

Più  diffìcile  era  comporre  le  cose  del  duca  Alfonso  di 
Este  col  pontefice,  il  quale  ricantava  le  solite  pretensioni 
e  doglianze,  stese  in  apposita  scrittura  (2).  Ma  Cesare  che 


(1)  Instruccion  que  se  dio  à  Marino  Caracciolo  y  Juan  de  Me- 
moranti senor  de  Cuvriares,  y  Rodrigo  Nino  sobre  lo  que  liablan 
de  hacer  y  tratar  en  Venecia.  Bologna  17  febb.  1530.  archivio  di 
Simancas  Estado  leg.°  1308  msc. 

j2)  Klage  des  pabstes  Clemens  VII  gegen  den  herzog  Alfons  von 


già  lo  aveva  rimesso  segretamente  in  sua  grazia,  e  maggior 
assegnamento  faceva  sulla  obbedienza  di  un  piccolo  prin- 
cipe temporale,  che  di  un  papa  troppo  potente,  gli  ottenne 
infine  un  salvocondotto,  con  cui  la  notte  del  6  marzo  4530 
venne  a  Bologna;  e,  dopo  molte  pratiche  e  consultazioni, 
disperato  di  trovar  altro  esito  alle  controversie,  indusse  le 
parti  contendenti  a  farne  compromesso  in  lui  medesimo  (4). 
Vi  acconsenti  il  papa,  perchè  quel  compromesso  includeva, 
oltre  a  Modena  e  Reggio,  anche  Ferrara  che  per  la  guerra 
fattagli  dal  duca  reputava  devoluta  alla  sedia  apostolica,  e 
perchè  Cesare  gl'impegno  la  fede,  che  se  fosse  deciso  a 
favor  suo  sopra  le  due  prime  città  pronunzierebbe  il  giudi- 
zio; altrimenti,  lascierebbe  spirare  il  compromesso  (di  sei 
mesi)  e  tornerebbero  cosi  in  vigore  le  convenzioni  di  Bar* 
cellona  (2).  Anzi  per  sicurare  la  osservanza  del  lodo,  volle 
tenere  in  deposito  Modena  (3).  Il  qual  lodo,  come  diremo 
poi,  diede  vinta  la  causa  al  duca,  avendo  i  giureconsulti, 
che  la  discussero  con  molte  scritture,  conchiuso  non  esser 
state  quelle  città  comprese  nella  donazione  dell'esarcato  di 
Ravenna  fatta  ai  pontefici  da  Pipino  e  da  Carlo  Magno,  e 
perciò  non  aver  mai  cessato  di  far  parte  del  dominio  del- 
l' impero.  Per  tal  modo,  piuttosto  che  riconoscere  o  i  di- 
ritti de'  popoli  di  governarsi  a  lor  senno,  o  quelli  de'  trat- 
tati, o  quelli  che  dà  il  possesso,  si  ricorse  ad  un  apocrifo 
documento  di  un  secolo  barbaro  e  al  titolo  ideale  de5  con- 


Ferrara durch  die  pàbstlichen  gesandten  bei  demkaisergKarl  V  er- 
hoben  1529.  Sudendorf  Registrum  fùr  die  deutsche  gescbichte, 
par.  3,  pag.  187-195. 

(1)  21  marzo  1530,  Muratori,  Antichità  estensi,  par.  2,  pag.  11. 

(2)  Muratori  Annali  d' Italia,  t.  10,  pag.  237  e  Pauli  Jovii,  Vita 
Alfonsi  ducis  Ferrariae.  Basilea  1G78,  pag.  192. 

(3)  Le  formalità  della  promulgazione  del  compromesso  si  leg- 
gono nella  lettera  del  card.  Ercole  Gonzaga  a  Paolo  Porto  da  Bo- 
logna 22  marzo  1530.  Molini.  Doc  di  stor.  Hai,  t.  2,  pag.  295, 296. 


—  595  — 

trottatori  de'  Cesari,  senza  farsi  carico  di  sette  secoli  di  suc- 
cessivi rivolgimenti. 

Solo  Firenze  non  trovò  grazia  appresso  Y  imperatore. 
Già  vedemmo  le  genti  destinate  a  soggiogarla  essere  en- 
trate nel  suo  territorio.  11  principe  Filiberto  di  Orange  che 
le  guidava,  benché  con  gli  oratori  venuti  dinanzi  a  lui  (Lo- 
renzo Strozzi  e  Leonardo  Ginori)  detestasse  senza  rispetto  la 
cupidità  del  papa  e  la  ingiustizia  di  quella  impresa  (1),  non- 
dimeno aveva  chiarito  non  poter  mancar  di  continuarla 
senza  la  restituzione  de' Medici  (2).  Inoltrandosi  lenta- 
mente, giunse  il  27  settembre  4529  all'  Ancisa,  ove  stette 
fermo  insino  a  tutto  il  di  quarto  di  ottobre  aspettando  da 
Siena  le  artiglierie.  Comparve  infine  a  di  20  a  vista  della 
città,  e  gli  avidi  soldati,  affacciatisi  dal  colle  dell'  Apparita 
al  ridentissimo  prospetto  delle  sue  dovizie,  furono  uditi  gri- 
dare con  selvaggia  bramosia  :  «  appresta,  o  Firenze,  i  tuoi 
broccati  d'oro;  che  noi  veniamo  a  misurarli  colle  picche.  » 
Ma  quanto  l' avanzarsi  del  principe  aveva  fatto  non  pochi 
cittadini  inclinevoli  agli  accordi,  altrettanto  il  soprassedere 
vano  di  lui  inanimi  la  maggior  parte  alla  resistenza.  Poc'anzi 
molti  se  ne  fuggivano  per  timore,  e  solo  la  irrefrenabile  op- 
posizione del  gonfaloniere  Carducci,  e  del  magistrato  popo- 
lare dei  collegi,  impedi  che  si  eseguisse  il  parere  dei  dieci 
preposti  alle  cose  della  guerra,  di  spedire  a  Roma  libero  ed 
ampio  mandato  per  rimettersi  nella  volontà  del  pontefice. 
Ora  invece,  essendo  anche  bastato  il  tempo  a  mettere  in 
buon  punto  i  ripari,  e  venuta  nuova  che  il  capitano  prete 
Michele  Ramazzotto,  il  quale  per  ordine  del  papa  aveva 

(1)  Fr.  Guicciardini,  Storia  d' Italia,  t.  3,  pag.  451. 

(2)  Dal  principe  hanno  avuto  per  risoluzione  che  la  commis- 
sione sua  è  di  riporre  i  Medici  tn  Firenze  come  erano  innanzi  il 
passar  di  Borbone,  e  che  si  convengano  col  pontefice.  Carlo  Ca- 
pello alla  repub.  ven.  Firenze  24  sett.  1 529.  Alberi.  Relaz.  degli 
amb.  ven.,  ser.  2,  voi.  I,  pag.  222. 


-  596  - 

condotto  seco  tremila  villani  senza  danari  e  non  soldati, 
saccheggiato  ch'ebbe  Firenzuola  e  tutto  il  Mugello,  erasi 
ritiralo  nel  Bolognese  con  la  preda,  fu  preso  unanimemente 
più  presto  che  restituire  la  signoria  ai  Medici,  non  sola- 
mente sostener  la  mina  del  contado  e  la  j altura  delle  facoltà, 
ma  eziandio  ponervi  la  propria  vita  (4).  Laonde  alcuni,  o 
caduti  in  odio  della  moltitudine  per  esser  stati  sempre  nella 
contraria  sentenza,  come  Francesco  Guicciardini,  o  presa- 
ghi del  tradimento  di  Malatesta  Baglione,  esularono  dalla 
patria.  Tra  questi  ultimi  Michelangelo  (2),  il  quale,  passando 
per  Castelnuovo  della  Garfagnana,  dove  Nicolò  Capponi  re- 
duce da  Genova  ed  infermatosi  per  via  stava  attendendo 
l'esito  delle  instanze  fatte  alla  Signoria  di  chiamar  Cesare 
arbitro  nelle  controversie  colla  santa  sede,  gli  portò  notizia 
della  temerità  del  Carducci.  A  quella  nuova  il  sangue  del- 
l' ammalato  s' infiammò;  una  febbre  ardente  lo  consunse, 
e  dopo  otto  giorni  di  patimenti  spirò  il  dì  48  ottobre  4529 
tra  le  braccia  di  Lodovico  Ariosto:  lui  beato  che  non  so- 
pravvisse all'ultimo  eccidio  di  Firenze!  t 


(1)  29  sett.  1529.  Ibidem,  pag.  228. 

(2)  Dna  lettera  di  Giambattista  Busini,  mutila  nella  stampa  di 
Pisa,  ma  riferita  intera  da  Gaye  Giovanni  (Carteggio  inedito  di  Ar- 
tisti dei  secoli  XIV,  XV,  XVI.  Firenze  1839-40,  l.  3),  narra  i  motivi 
della  fuga  di  Michelangelo.  Ho  dimandato  a  Michelagnolo  quale 
fu  la  cagione  della  sua  partita.  Dice  così  che  ...  i  Dieci  dettono 
otto  pezzi  d'  artiglieria  a  Malatesta  che  guardasse,  e  difendesse 
una  parte  de'  bastioni  del  Monte,  il  quale  le  pose  non  dentro,  ma 
sotto  i  bastioni  senza  guardia  alcuna  .  .  .  Onde  Michelagnolo,  che 
come  magistrato  e  architetto  rivedeva  quel  luogo  del  Monte,  do- 
mandò  al  signor  Mario  Orsini  onde  nasceva  che  Malatesta  teneva 
così  trascuratamente  V  artiglieria  sua?  A  che  disse  Mario  :  sappi 
che  costui  e  d'  una  casa  che  tutti  sono  stati  traditori,  ed  egli  an- 
cora tradirà  questa  città.  Onde  gli  venne  tanta  paura  che  biso- 
gnò partirsi,  mosso  dalla  paura  che  la  città  non  capitasse  ??ìale, 
ed  egli  conseguentemente,  ecc. 


—  597  — 

Ai  24  ottobre  4529  postò  il  principe  di  Orange  le  sue 
genti  sui  dossi  di  Montici,  Gallo,  Garamonte,  e  cominciò 
a  battere  coi  cannoni  il  bastione  di  san  Miniato.  Gli  uomini 
di  ragione,  scrive  fra  Giuliano  Ughi,  stimavano  che  i  fioren- 
tini, esercitati  solo  alle  botteghe  in  arti  manuali  e  meccani- 
che, non  reggerebbero  alla  prova  di  un  pericolo  vicino, 
né  tampoco  al  vedersi  guastare  gli  orticini  (4).  Somiglianti 
dispregi  di  loro  aveva  fatto  poc'  anzi  anche  Forator  veneto 
Marco  Foscari  con  orgoglio  aristocratico  (2),  al  quale  diede 
solenne  mentita  il  Varchi  (3),  e  più  del  Varchi  la  storia. 
Quella  era  la  prima  volta  che  sentivano  l' artiglieria  alle 
mura,  e  nondimeno  stettero  di  costante  e  forte  animo,  e, 
dopo  distrutti  i  sobborghi  e  tanti  sontuosi  edifizi,  non  che 
li  movesse  F  amore  delle  ville,  vedeansi  recar  di  là  fasci 
di  aranci,  di  rosai,  di  ulivi  recisi,  per  crescere  le  fortifica- 
zioni; onde  l'oratore  Cappello  meravigliato  scriveva:  sebbene 
così  grande  rovina  non  può  fare  che  non  doglia,  pur  è  di 
molto  maggior  contento  veder  la  prontezza  di  ciascuno  in 
sostenere  ogni  danno,  ogni  pericolo  per  conservazione  della 


(1)  Cronica  di  Firenze.  Arch.  stor.  iteti.  Append.  n.°23,  pag.  148. 

(2)  Li  fiorentini  sono  deboli  uomini,  prima  per  natura  e  poi  per 
accidente;  per  natura  perchè  queir  aere  e  quel  cielo  producono  na- 
turalmente uomini  timidi  ;  per  accidente,  perchè  tutti  si  esercitano 
nella  mercanzia  e  nelle  arti  manuali  e  meccaniche,  lavorando  e 
operando  con  le  proprie  mani  nei  più  vili  esercizi  .  .  .  temono 
tanto  la  rovina  ed  incendio  dei  palazzi  loro,  che  vogliono  più 
presto  comporsi  con  donare  alli  nemici  cento  o  dugento  mila  du- 
cali, che  aver  danno,  rovina  e  incendj  per  un  milione.  Relazione  di 
Firenze  anno  1527.  Alberi.  Relaz.  degli  ami),  ven.,  ser.  2,  voi.  *, 
pag.  21  e  22. 

(3)  Io  air  opposito  mi  sono  meco  più  volte  meravigliato  come 
esser  possa  che  ...  si  ritrovi  poi  in  molti  di  loro  dove  e  quando 
bisogna  tanta  grandezza  d' animo  e  così  nobili  ed  alti  pensieri. 
Storia  fiorentina,  t.  %  lib.  9. 


—  598  — 

libertà  (i).  Non  una  mancò  loro  delle  virtù  di  Roma  antica. 
Alla  santa  causa  della  difesa  tolsero  auspice  Dio  :  fecero 
processioni,  tornarono  a  pietà  come  ai  giorni  del  Savona- 
rola, furono  proibiti  i  giuochi  di  zara,  corretto  il  lusso, 
punita  la  bestemmia  e  il  mal  costume,  e  benché  fossero 
di  varii  pareri  e  in  varie  parti  divisi,  tuttavia  si  astenevano 
fin  d'ingiuriarsi  colle  parole,  dicendo:  questo  non  è  tempo  di 
far  pazzie;  leviamoci  costoro  d'addosso,  e  poi  chiariremo  le 
partite.  Andavano  a  gara  nel  pagare  gì'  imposti  accatti  e 
sin  nel!'  offrire  spontaneamente  danari.  Messi  all'  incanto  il 
podere  e  il  palazzo  nelfquale  alloggiava  il  principe  di  Oran- 
ge,  se  ne  ritrovò  la  valuta,  come  si  saria  fatto  nei  tempi  fe- 
lici (2). 

Per  lo  che  gli  imperiali,  tratti  eh'  ebbero  invano  circa 
centocinquanta  colpi  di  cannone,  ridussero  le  fazioni  più 
presto  informa  di  assedio  che  di  oppugnazione,  appiccando 
qua  e  là  scaramucce,  nelle  quali  la  gioventù  fiorentina  levò 
di  sé  nome  onorato. 

Il  di  primo  dicembre  4529  succedette  al  Carducci  nella 
dignità  di  gonfaloniere  Rafaello  Girolami,  fratello  di  quel 
Jacopo,  prete,  che  il  papa  otto  mesi  innanzi  aveva  mandato 
al  re  Francesco  perchè  gli  dicesse  male  del  governo  di  Fi- 
renze (3)  :  uomo  savio;  e  come  tale,  e  per  aver  già  sostenuto 
l'officio  di  ambasciatore  appresso  Cesare,  propenso  alla  con- 
ciliazione (&).  Ma  questo  che  prima  sarebbe  stato  prudenza, 

(1)  15  ottobre  1529.  Alberi.  Relaz.  degli  amb.  ven.,  ser.  2,  voi. 
l,pag.234. 

(2)  Carlo  Capello  alla  repub.  ven.  29  ott.  1529.  Ibidem,  pag.  239. 

(3)  Il  cardinal  Gio.  Salviati  al  Montmorenci,  Parma  4  apr.  1529. 
Molìni.  Doc.  di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  162. 

(4)  Uomo  certo  di  governo  e  vedere  assai  :  e  fu  questa  ele- 
zione di  grande  allegrezza,  perchè  per  essere  stato  già  alla  ce- 
sarea maestà  ambasciatore  de' fiorentini  e  da  quella  molto  ono- 
rato e  stimato,  ciascuno  aspettava  che  dovesse  aver  con  Cesare 


—  599  — 

nelle  condizioni  d' allora,  essendo  per  la  pace  conchiusa  col 
duca  di  Milano  e  con  i  veneziani  cresciuti  in  baldanza  i 
nemici,  era  sventura  ;  imperocché  fu  causa  non  tanto  d'in- 
tepidire altri  molti  dal  proposito  che  solo  ornai  poteva  sal- 
vare Firenze,  ma  altresì  di  avvalorare  le  inique  pratiche 
del  Malalesta,  intento,  secondo  che  dimostreremo  poi,  a 
prostrar  P  animo  di  que'  cittadini.  Aggiungasi  che  il  voto 
del  gonfaloniere,  benché  portato  dal  consiglio  degli  ottanta 
nel  gran  consiglio  (4),  era  impedito  dalla  prepotenza  della 
parte  contraria;  onde  dopo  lunghi  dibattimenti  si  fece  una 
deliberazione  ripugnante  a  sé  medesima,  di  mandare  cioè 
due  nuovi  oratori  a  Bologna,  senz' altra  commissione  che 
di  rescrivere  quanto  fosse  loro  proposto,  eleggendo  a  tal  uopo 
Andreolo  Niccolini  e  Luigi  Soderini,  i  quali  sempre  eransi 
dimostrati  avversi  all'  accordo  (2). 

Uditi  dal  pontefice  privatamente,  ebbero  in  risposta 
aspre  riprensioni.  Cesare  non  gli  accolse  neanco  innanzi  a 
sé  ;  ma  fece  loro  ripetere  quel  che  continuo  aveva  in  boc- 
ca :  dolergli  del  male  pativa  la  città,  perchè  egli  non  era  ve- 
nuto in  Italia  per  nuocere  ad  alcuno,  ma  per  mettervi  pace; 
non  poter  già  in  questo  caso  mancare  al  papa,  né  credere  che 
voglia  il  papa  cose  incovenienti  (3).  Fra  Giovanni  Garzia 


convenevole  appuntamento.  Fra  Giuliano  Ughi.  Cronica  di  Firen- 
ze, 1.  e,  pag.  154. 

(1)  Carlo  Capello  alla  repubblica  veneta.  Firenze  3  genn.  1530. 
Alberi.  Relaz.  degli  amb.  ven.,  ser.  2,  voi.  1,  pag.  260. 

(2)  12  genn.  1530. Ibidem,  pag.  261.  «  Ora  e' vinsero;  ma  Puni- 
ci versale,  che  era  savio,  elesse  poi  due  che  erano  incorruttibili  e 
«  lunghi  più  che  la  quaresima.  »  Giambattista  Busini  lettera  18. 

(3)  Replicaronli  li  oratori,  che  la  città  desiderava  solamente 
mantenere  il  suo  governo  . .  .  Cesare  disse,  che  forse  il  governo 
parerebbe  loro  ragionevole,  nondimeno  haberebbe  bisogno  di  qual- 
che correctione.  Jacopo  Pitti.  Apologia  de*  cappucci.  Arch.  stor. 
ital.,  t.  4. 


-  600  - 

Loaysa,  vescovo  di  Osma,  suo  confessore,  dichiarò  nel  con- 
siglio intimo:  essere  Firenze  come  ribelle  decaduta  da'  suoi 
privilegi,  e  l' imperatore  in  pien  diritto  di  punirla;  aver  il 
papa  anche  senza  di  questo  per  sé  la  giustizia,  non  potendo 
il  vicario  di  Cristo  intraprender  nulla  d' ingiusto  (4).  Oh  ! 
certo  a  siffatta  ragione  non  piegò  Cesare.  Parendogli  poco 
onorevole,  e  manco  sicuro  il  partirsi  d'Italia,  lasciando  una 
si  grave  quistione  irresoluta  (2),  quanto  più  sarebbegli  pia- 
ciuto comporta,  al  par  di  ogni  altra,  in  danari  (3)  !  Ma  qui 
giova  ricordare  quel  che  scrisse  egli  stesso  al  fratel  suo  : 
sono  obbligato  al  papa;  egli  ha  speso  molto  per  mantenere 
buona  parte  delle  mie  genti;  troppo  mal  giuoco  gli  farei,  se 
ora  lo  abbandonassi  (4). 

VI.  Cesare  avrebbe  altresì  desiderato  di  recarsi  per 
due  mesi  a  Napoli  (5),  e  di  là  a  Roma  per  farsi  coronare 
secondo  l'antica  costumanza.  Fuor  di  Roma  dicevangli  al- 
cuni non  avere  alcun  valore  la  cerimonia  ;  altri  e  massime 
i  ministri  pontificii  opinavano  non  importar  tanto  il  luogo  (6), 
forse  reputando  che  non  si  convenivano  i  soliti  festeggia- 


ti) Benedetto  Varchi  (venuto  a  Bologna  in  compagnia  degli 
oratori  sopra  mentovati)  Storia  fiorentina,  t.  2,  pag.  338. 

(2)  Et  devantaige  seroit  ung  grand  bien,  puisque  la  paix  est 
encommencee,  quelle  fut  partout,  afin  qui  ne  demeurat  quelque 
estincelle  pour  allumer  ung  nouveaul  feug.  De?'  kaiser  an  kònig 
Ferdinand,  Bologna  1 1  jan.  1530.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  368. 

(3)  Car  si  Florence  se  appoincte,  lon  en  tirerà  quelque  chose. 
Ibidem. 

(4)  Ibidem,  pag.  367. 

(5)  Car  je  vous  asseure,  quii  en  a  bon  besoing  :  et  dy  aller,  si 
ce  nest  pour  quelques  mois,  je  y  feroys  plus  de  mal  que  de  bien, 
Ibidem,  pag.  371. 

(6)  Car  jl  semble  au  commung  (combien  que  ceulx  que  scavent, 
dient  le  contraire)  que,  si  je  ne  me  coronne  a  Rome,  que  je  ne 
fais  riens.  Ibidem,  pag.  370. 


—  604  — 

menti  in  una  città  gemente  ancora  dello  strazio  patito;  onde 
ben  gli  parve  interrogar  prima  il  fratello  se  gli  affari  di 
Germania  permettevano  ch'ei  si  prendesse  questo  tempo  (4), 
e  com'ebbe  risposta  che,  quanto  prima  venisse,  tanto  meglio 
sarebbe,  che  se  andasse  a  Napoli  e  poi  a  Roma,  gli  avver- 
sarli non  avrebbero  più  creduto  al  suo  ritorno  (2),  deli- 
berò di  ricevere  in  Bologna  le  due  corone  di  Lombardia  e 
dell'  impero. 

Ebbe  la  prima  il  di  22  febbraio  4530  nella  cappella 
del  palazzo  pubblico;  la  seconda  due  giorni  dopo  nella  cat- 
tedrale di  san  Petronio,  il  di  di  san  Mattia,  trigesimo  an- 
niversario della  sua  nascita  e  quinto  della  vittoria  di  Pa- 
via. Fu  solennità  da  ottantanni  in  dietro  non  veduta  in  Ita- 
lia, straordinaria  non  men  per  la  chiesa  in  cui  la  si  fece 
che  per  altre  circostanze. 

Cesare  comparve  in  modo  ben  diverso  da'  suoi  prede- 
cessori. Gli  elettori  non  vi  furono  invitati.  Solo  un  principe 
tedesco  si  ritrovò  presente,  Filippo  duca  di  Baviera  conte 
palatino  del  Reno.  In  luogo  de'  cavalieri  tedeschi  che  sole- 
vano un  tempo  accompagnare  V  imperatore  in  sul  ponte  del 
Tevere,  stavano  schierate  nella  piazza  vicina  genti  di  varie 
nazioni,  capitanate  dallo  spagnuolo  Antonio_de  Leva,  il  quale 
crucciato  dalla  podagra  vi  si  era  fatto  portare  sopra  magni- 
fica sedia.  Aprivano  il  corteggio  imperiale  paggi  spagnuoli, 
seguitati  dagli  araldi,  e  questi  in  maggior  numero  delle  di- 
verse provincie  di  Spagna.  Portava  lo  scettro  Bonifazio  Pa- 
tologo VI  marchese  del  Monferrato;  la  palla  d'oro,  il  duca 


(1)  Toutesfois,  sì  la  neccessite  Dallemaigne  estoit  telle,  quii  my 
faillit  tost  aller,  je  laisroye  toute  la  reste  pour  remedier  a  ce,  car 
je  y  suis  oblige,  et  prendrois  mes  coronnes  deca  Rome,  quoy 
que  lon  en  sceut  dire,  que  scay  sera  assez.  Ibidem,  pag.  370. 

(2)  Ferdinando  a  Carlo  V.  Budweis  28  gcn.  1530.  Gévay  Urkun- 
den.  App.  n.  1,  pag.  65. 

38 


—  602  — 

Filippo  di  Baviera;  la  spada,  il  duca  di  Urbino;  la  corona, 
Carlo  III  il  buono  duca  di  Savoia,  il  quale  aveva  indosso 
un  abito  del  valore  di  trecentomila  scudi  (4).  Veniva  poi 
Cesare  in  mezzo  a  due  cardinali  diaconi,  Salviati  alla  de- 
stra, Ridolfl  alla  sinistra,  e  dietro  a  lui  procedevano  ga- 
reggianti per  vesti  pompose  i  grandi  di  Spagna  altrove  no- 
minati, e  quelli  d' Italia.  Tra  i  quali  sfolgoravano  Alessan- 
dro de'  Medici,  duca  di  Penna;  Giovanni  Luigi  Caraffa  prin- 
cipe di  Stigliano;  Alberto  Pio,  signore  di  Carpi;  Giovanni 
del  Carretto,  marchese  del  Finale;  Alessandro  Gonzaga 
de'conti  di  Novellara  ;  Ferrante  Gonzaga  principe  di  Molfetta; 
Gian-Francesco  Gonzaga  detto  Cagnino  ;  Luigi  Gonzaga  detto 
Rodomonte;  Luigi  Gonzaga,  signore  di  Borgoforte;  Gian- 
francesco  Pico,  principe  della  Mirandola;  Gianfrancesco Tri- 
vulzio  del  ramo  de' marchesi  di  Vigevano;  Giovanni  Tri- 
vulzio  dell'estinto  ramo  di  Borgomanero,  Porlezza  e  Boiano; 
Giacomo  e  Giovanni  fratelli  Dal  Verme,  veronesi,  e  sopra 
ogni  altro  per  fama  di  prodezze  militari  Andrea  Doria. 
Ferrante  Sanseverino  principe  di  Salerno,  e  Federico  Gon- 
zaga marchese  di  Mantova  non  intervennero;  l'uno  per 
non  aver  a  cedere  il  primo  luogo  al  duca  di  Ascalona  spa- 
gnuolo,  l'altro  per  non  contendere  della  dignità  col  marchese 
di  Monferrato.  Chiudevano  il  corteggio  i  membri  del  con- 
siglio intimo  ed  uno  stuolo  di  cavalieri  armati  a  corazze  guar- 
nite d'oro,  e  di  mazze  col  manico  d'argento  (2).  Allorché 


(1)  Monumenta  hist.  patriae.  Script-,  t.  1,  pag.  861.  Il  serche 
par  tout  a  emprunter,  voyre  a  pouvoir  vendre,  pour  fere  son 
voiage  :  et  pour  aller  jusque  a  Bouloingne  ou  la  environ,  il  espere 
trouver  moyen  de  soy  equipper;  mais  sii  luy  failloit  aller  jusques 
a  Rome,  je  croys  quii  luy  seroit  merveilleusement  dommageable 
le  fere.  Poupet  de  la  Chaux  an  den  kaiser,  Lion  23  sett.  1529.  Lanz 
Corresp.,  t.  1,  pag.  333. 

(2)  Gaetano  Giordani.  Cronaca  della  venuta  e  dimora  in  Bo- 


—  603  — 

per  il  soverchio  peso  di  questi  ultimi  e  dei  soldati  di  guar- 
dia, ruppesi  alla  distanza  di  pochi  passi  dal  monarca  il  ta- 
volato del  ponte,  che  con  dolce  pendio  per  una  linea  cur- 
va distendevasi  dal  palazzo  pubblico  sino  alla  gradinata 
del  tempio  di  san  Petronio,  pronosticarono  molti,  sarebbe 
quello  P  ultimo  imperatore  che  i  pontefici  coronassero.  E 
fu  cosi  ;  ma  Carlo  non  pensò  che  alla  sua  buona  fortuna, 
la  quale  anche  in  quel  momento  lo  aveva  preservato  (d). 

Giunto  al  limitare  del  tempio,  in  una  delle  due  cappelle 
erette  a  similitudine  della  basilica  vaticana  col  suo  titolo 
di  santa  Maria  delle  due  torri,  indossò  gli  abiti  da  canonico 
di  quel  capitolo,  e  nell'altra  a  sinistra  dedicata  a  san  Gre- 
gorio papa  li  depose,  per  mettersi  invece  i  sandali  di  vel- 
luto cremisino  fregiati  di  gioie,  la  lunicella  diaconale  d'oro 
a  ricami  di  perle,  e  il  piviale  preziosissimo,  sul  quale  vede- 
vasi  figurata  un'  aquila  nera  bicipite  ad  ali  aperte  e  grandi 
pur  tempestate  di  perle,  sormontata  da  Dio  padre  in  atti- 
tudine di  benedire,  e  dalle  due  bande  le  colonne  d' Ercole 
col  molto  plus  ultra,  inventato  per  lui  da  Luigi  Marliano 
medico  milanese  in  luogo  del  nondum  de'  suoi  primi  anni. 
Quindi  unto  coli' olio  sacro  ricevette  la  corona  di  Carlo  Ma- 
gno e  le  insegne  dell'universale  dominio  sopra  le  genti 
cristiane;  ma  nel  tempo  stesso  fece  anche  il  giuramento 
imposto  ai  Cesari  nei  giorni  della  prepotenza  pontificale, 
di  voler  cioè  difendere  i  possessiva  dignità  e  i  diritti  del  papa 
e  della  chiesa  romana. 

Fermavasi  così  ancora  una  volta  il  fittizio  accordo  tra  il 


logna  di  Clemente  VII  per  la  coronazione  di  Carlo  V.  Bologna 
1842,  pag.  111-117. 

(1)  Sed  intrepide  respectans  Caesar  leniter  arrisit,  ita  ut  fortu- 
nam  suam  certius  agnoscere  videretur,  quae  coeptis  et  votis  omni- 
bus benignissime  semper  aspirasset.  Pauli  Jovii,  histor.  sui  tera- 
poris,  lib.  27,  pag.  107. 


-  604  - 

pastorale  e  la  spada,  e  l'impero  di  occidente  risorgeva  come 
delegazione  del  papato.  Ma  il  tempo  suo  era  irrevocabilmente 
conchiuso.  La  gerarchia  universale  che  dicevasi  cristianità, 
e  sopra  cui  lo  si  fece  consistere,  non  sussisteva  più,  dacché 
alle  signorie  sminuzzate  sostituironsi  i  principati,  e  le  unità 
nazionali  già  consolidate  dispensavano  dal  ricercare  nell'im- 
pero quel  che  pur  non  aveva  potuto  mai  procacciare,  la  unio- 
ne degli  spiriti,  la  concordia  morale.  A  che  quella  cerimonia 
destinata  ad  imprimere  profondamente  nei  popoli  il  rispetto 
all'autorità  centrale,  se  al  principio  religioso  prevaleva  ornai 
T  elemento  regio,  e  la  vecchia  idea  del  supremo  arbitrato 
internazionale  di  Roma  era  soccombuta  dinanzi  alla  potenza 
de'  fatti  proclamati  dai  Cesari  medesimi  ?  Per  coscienzioso 
che  voglia  credersi  Carlo  V,  e  sincero  il  suo  giuramento 
quanto  alla  difesa  della  fede,  non  era  certo  campione  del 
papa  chi  poc'  anzi  lo  aveva  avuto  prigioniero,  ed  ora  gli  si 
prostrava  davanti  per  rialzarsi  unto  del  Signore,  non  col 
protettorato,  ma  col  dominio  dell'Italia  (d).  Né  Clemente 
si  lasciò  illudere.  Oh  se  non  fosse  stata  Firenze,  qual  dolore 
per  lui  veder  consacrato  ciò  ch'egli  stesso  e  tutti  i  suoi  pre- 
decessori sin  dai  giorni  di  Federico  II  adoperaronsi  con 
tanto  impegno  d'impedire!  Ancor  durante  la  cerimonia 
della  incoronazione  notò  il  vescovo  di  Tarbes5  ambasciatore 
francese,  eh'  ci  sospirava  quando  parevagli  di  non  essere 
osservato.  Veggo  bene,  gli  aveva  già  detto  Clemente,  che  mi 
s'inganna;  ma  debbo  fare  come  se  non  l' avvertissi.  Laonde 
P  ambasciatore  teneva  per  fermo  che  il  tempo  produrrebbe 
effetti  nelV  animo  del  papa,  dei  quali  il  re  Francesco  sareb- 


(1)  Je  desiroye  fort  et  desire  avoire  lamyle  du  pape,  qui  quelle 
soit,  et  de  Icntrctcnir,  ce  que  a  grand  peyne  peut  estre,  vuillant 
seignorier  Lytalie.  Der  kaiser  an  kònig  Ferdinand.  Bologna  1 1  genti. 
1530.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  305. 


-  605  - 

besi  compiaciuto  (d).  Basta  leggere  le  lettere  di  Cesare  al 
fratel  suo,  per  convincersi  che  anch' egli  diffidava  di  lui  (2). 

Ma  che  importa?  Rimasto  sovrano  incontrastato  di  Na- 
poli, di  Sicilia  e  di  Sardegna,  seppe  cogliere  il  momento  op- 
portuno in  cui  gli  italiani  spossati  imprecavano  al  tradi- 
mento di  Francia,  per  ispiauarsi  la  strada  alla  signoria  della 
intera  penisola.  Gli  italiani;,  scriss' egli  da  Piacenza  alPain- 
basciator  suo  a  Roma,  hanno  ben  di  che  dolersi  per  il  modo 
con  cui  furono  trattati  dal  re  Francesco,  e  riconoscendo  l'er- 
rore dell9  avergli  creduto,  vedranno  ragione  di  rimediarvi  e 
di  cercare  i  mezzi  del  riposo  (3).  Fu  proprio  cosi:  rotto  per 
le  antecedenti  invasioni  di  Carlo  Vili  e  di  Luigi  XII  l'equi- 
librio della  politica  artificiale  che  ancor  reggeva  in  brani  la 
patria  comune;  mancato  per  le  ultime  vittorie  degli  impe- 
riali il  contrappeso  di  quella  potenza  naturalmente  alleata, 
nella  quale,  più  che  nelle  forze  nazionali,  riponevano  la  loro 
salvezza,  non  restava  che  il  riposo  del  servaggio. 

11  papa  aveva  riacquistato  il  dominio  temporale...  ma 
la  sua  autorità!  La  sua  autorità  era  perduta.  Troppo  abuso 


(1)  Lettre  de  M.r  de  (ìramont  cv.  de  Tarbes  à  M.r  Y  Admiral. 
Boulogtie  25  fovricr  1530.  Le  Grand.  Histoire  du  divorce,  t.  3, 
pag.  386. 

(2)  Il  me  traicte  fort  bien  et  me  monstre  grand  amour.  Aucuns 
eraindent  que  ce  ne  soient  fainctos,  et  quii  nay  dautresjntelligences 
et  menees,  que  si  ainsi  cstoit  ne  me  seroient  prouffitables.  Bolo- 
gna 11  gen.  1530.  Lanz  Corresp.,  t.  I,  pag.  369. 

(3)  Cuanto  al  descontentamiento  que  decis  que  se  conocc  en 
los  italianos  que  tienen  de  la  manera  que  el  rey  de  Francia  los 
ha  tratado,  si  bien  lo  quieren  mirar  de  si  mismos,  ternan  justamente 
cabsa  de  estar  mal  contentos  por  no  haber  entendido  mas  presto 
cuan  errados  andaban,  y  reeonosciendose  ternan  razon  de  reme- 
diar sus  errores  y  buscar  medios  de  quietud  y  reposo  y  para  que 
esten  mas  seguros.  V  emperador  d  su  embajador  en  Roma.  Placen- 
ta 12  set.  1529.  Archìvio  di  Simancas  Estado,  leg.°  1555  msc. 


—  606  — 

ne  fece,  perchè  gli  italiani  potessero  ancora  confidare  nel 
ritorno  de'  tempi  in  cui  P  opporsi  alP  impero  formava  la  glo- 
ria e  la  potenza  di  Roma;  e  quando  bene  in  un  istante  di 
cruccio  ei  si  fosse  voltato  a  quella  via,  certo  è  che  la  cupi- 
digia di  Firenze  e  lo  spavento  della  riforma  luterana  basta- 
vano a  tirarlo  indietro. 

Né  men  sicuro  tenevasi  P  imperatore  del  duca  di  Mila- 
no, il  quale,  ben  sapendo  che  il  re  di  Francia  aveva  sempre 
in  cuore  la  Lombardia,  non  trovava  maggior  sostegno  del 
trono  che  nel  rannodare  le  proprie  catene.  Stavagli  accanto 
come  prima  Antonio  de  Leva  capitano  supremo  delle  armi 
imperiali  e  luogotenente  della  lega,  fatto  signore  a  vita  di 
Pavia,  non  tanto  a  ricompensa  della  gran  vittoria  per  lui  in 
quel  luQgo  stesso  procurata,  quanto  a  guardia  del  ducato. 

Anche  la  esistenza  degli  altri  principi  minori  cercò  Ce- 
sare di  far  dipendere  dal  beneplacito  suo.  Il  duca  di  Savoia 
stato  neutrale  durante  la  guerra,  e  poi  mediatore  di  pace 
tra  i  due  rivali,  non  senza  esprimer  voti  per  la  libertà  del- 
l'Italia  e  in  particolare  di  Firenze  (4),  venne  in  Bologna  a 
partito  vinto,  ed  ebbe,  non  P  ambito  titolo  di  re  di  Cipro, 
essendo  quella  isola  posseduta  dai  veneziani,  si  la  contea  di 
Asti  colle  signorie  di  Cherasco  e  di  Ceva,  ceduta  da  Fran- 
cesco nel  trattato  di  Cambrai  :  acquisto  importantissimo  al 
duca  per  P  assicurata  padronanza  della  valle  del  Tanaro  (2); 
ma  insieme  funesto,  perchè,  accrescendo  gli  odii  di  Francia, 
obbligavalo  a  ristrignersi  sempre  più  col  donatore.  Il  mar- 
chese di  Mantova  ottenne  il  titolo  di  duca,  e  Alfonso  d' Este 


(1)  A  Baldassare  Carducci  promise  farebbe  officii  perchè  il 
re  di  Francia  non  mancasse  di  fede,  affermando  la  casa  sua  es- 
ser sempre  stata  affezionata  a  Firenze.  4  genn.  1529.  Négociations 
dipi,  de  la  France  avec  la  Toscane,  t.  2,  pag.  1039. 

(2)  Ercole  Ricotti.  Storia  della  monarchia  piemontese.  Firenze 
1861,  t.  l,pag.  198. 


—  607  — 

la  contea  di  Carpi,  confiscata  in  danno  di  Alberto  Pio  par- 
tigiano di  Francia,  verso  il  pagamento  di  centomila  ducati, 
dei  quali  sborsò  subito  sessantamila  (i).  Al  duca  di  Urbino, 
allora  il  più  celebre  capitano  d'Italia,  offri  Cesare  il  comando 
de'  suoi  eserciti,  e  fece  grandi  dimostrazioni  di  stima  in  pub- 
blico e  in  privato. 

A  Siena  e  a  Lucca  lasciò  correre  la  forma  repubblicana, 
perchè  prevalendo  in  esse  l' antico  spirito  ghibellino  consi- 
deravansi  già  come  feudatarie  dell'impero.  Similmente  a 
Genova,  operando  in  guisa  che  la  gli  restasse  attaccata  con 
due  maniere  d' interessi  diversi  :  l'uno  dei  nobili  e  mercanti 
adescati  in  Ispagna  con  la  ingordigia  dei  guadagni,  mediante 
i  traffici,  e  con  la  paura  del  perdere  i  presti  che  cavava  da 
loro;  l'altro  di  Andrea  Doria  che  all'ombra  sua  vi  eserci- 
tava autorità  principale,  al  quale  diede  il  tosone  di  oro,  il 
principato  di  Melfi  con  seimila  ducati  di  rendita  e  venticin- 
quemila di  mancia  per  danni  avuti  (2),  e  nell'  atto  di  raf- 
ferma della  condotta  per  altri  due  anni  (10  marzo  4530) 
elevò  lo  stipendio  da  sessantamila  a  novantamila  ducati  al- 
l' anno,  opn  condizione  di  osservare  la  preminenza  impe- 
riale (3). 

Fin  di  Malta  fece  un  antemurale  ai  suoi  dominii  nel- 
T Italia  inferiore,  dando  in  dono  quell'isola,  insieme  con 
Gozzo  e  Cornino  ai  cavalieri  gerosolimitani  scacciati  da  Rodi, 
a  patto  che  consegnassero  qualunque  reo  di  alto  tradimento 
o  di  eresia  rifuggisse  tra  loro,  e  al  posto  dell'  ammiragliato 


(1)  Muratori.  Annali  d' Italia,  t.  10,  pag.  237. 

(2)  Guido  Rangone  al  Montmorenci.  Venezia  29  marzo  1530. 
Molinì.  Doc.  di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  301. 

(3)  Y  se  entienda  che  a  quella  republica  y  los  ciutadenos  della 
y  su  jurisdicion  sean  conservados  y  manlenidos  . . .  guardandole 
nuestra  autoritari!,  y  yreheminencia  imperiai.  L'atto  della  rafferma 
fu  pubblicato  dal  Sigonio  Historiarum  de  regno  Italiae. 


—  608  - 

eleggessero  sempre  persona  non  sospetta  a  sua  maestà  ed 
ai  regnanti  in  avvenire  di  Sicilia  (1). 

Sola  rimaneva  Venezia  coll'antica  riputazione  a  custodi- 
re gli  ultimi  avanzi  della  vera  libertà  italiana.  Ma  qui  pure,  co- 
me dicemmo  più  sopra,  in  opposizione  al  doge  Andrea  Gritti 
era  stata  conchiusa  la  pace  per  opera  di  un  partito,  il  quale 
aveva  bisogno  di  appoggiarsi  ad  Austria  e  a  Spagna,  e  si 
mantenne  autorevole  finché  durò  la  necessità  di  accettarne 
i  soccorsi  contro  i  Turchi.  Vennero  poi  giorni  migliori,  e 
allora,  mentre  tutto  piegava  ai  cenni  di  Spagna,  sebbe- 
ne continuasse  a  star  attenta  all'  oriente  come  avanguar- 
dia della  civiltà  europea,  sebbene  comprendesse  che  il 
tempo  del  distendersi  nella  penisola  era  passato,  essa  sola 
dalle  sue  lagune  fece  testa  alle  prepotenze  forestiere,  ed 
alle  pretensioni  curiali,  e  fra  tante  vergogne  salvò  l'onore 
della  sua  bandiera. 

Ma  quella  dell'  Italia  non  bastava  più  a  redimere.  I  pic- 
coli principi,  in  continue  gare  di  puntigli,  di  precedenze,  di 
cupidigie  (2)  schermendosi  e  soverchiandosi  a  vicenda,  ri- 
correvano all'  impero,  come  a  tribunale  supremo,  e  se  tal- 
volta voltavansi  alla  parte  opposta,  gli  era  solo  per  tornare 
a  quello  con  maggior  speranza  di  protezione  e  danari;  sic- 
ché divisi  e  sbattuti  in  siffatto  giuoco  di  altalena  e  tra  le 
ambagi  di  una  politica  indecorosa,  non  altro  frutto  potevano 
ritrarre  dal  loro  avvilimento  che  la  scemata  potenza,  la  mi- 
seria de'  sudditi  e  la  servitù  della  nazione,  perpetuando  le 
discordie,  fino  a  stabilire  nemici  uno  all'  altro  que'  sudditi 


{ì)Bosio  Giacomo.  Storia  dell'ordine,  pag.  81. 

(2)  Di  queste  misere  gare  abbiamo  indizii  fin  nel  giorno  della 
incoronazione  di  Carlo  nella  scandalosa  rissa  di  precedenza  iti- 
sorta  tra  gli  ambasciatori  di  Siena  e  di  Genova,  e  tra  questi  ultimi 
e  Marco  Pio  da  Carpi,  oratore  del  duca  di  Ferrara.  Gaetano  Gior- 
dani. Cronaca  della  incoronazione,  pag.  121. 


—  609  — 

medesimi,  i  quali  pur  non  avevano  che  un  nemico  solo.  Già 
la  divozione  al  nome  imperiale,  non  mai  bene  estinta  nel 
medio  evo,  e  rinvigorita  dagli  studii  classici,  diede  tanta 
mano  a  Carlo  V  per  la  signoria  della  penisola,  eh'  egli  vi 
entrò  non  a  modo  di  conquistatore,  ma  come  legittimo  si- 
gnore in  terra  degli  avi  suoi.  Che  se  qualche  scintilla  di 
amor  patrio  balenò  in  petto  ad  alcuno,  essa  non  fu  secon- 
data da  fiamma.  Ugo  Bohcompagni,  divenuto  papa  quaranta 
e  più  anni  dopo  col  titolo  di  Gregorio  XIII,  toccato  dalla  vi- 
cina partenza  di  Cesare  da  Bologna,  disse:  faccia  lui:  ben 
siamo  certi  di  aver  maggiore  allegrezza  della  partita  che  ne 
avessimo  della  venula  (1).  Ma  la  voce  degli  individui  non 
trovava  eco  nelle  moltitudini,  stanche,  sbigottite,  intente  alle 
feste,  che  il  disegno,  la  poesia,  la  teatrica  fecero  splendidis- 
sime, avvezze  dai  principi  alla  vita  godereccia  ed  alle  adu- 
lazioni, e  perciò  ripetenti  non  esser  mai  potuto  immaginarsi 
tanto  affabile  e  cortese  1'  autore  di  si  orribili  disastri. 

Della  loro  corruttela  è  specchio  fedele  la  letteratura. 
La  quale  avuta  in  conto  di  distrazione  o  d' industria  fu  sol- 
lecita unicamente  della  forma,  senza  calore  di  sentimento, 
né  profondità  di  pensiero,  senza  dignità  nella  morale  e  negli 
argomenti.  Fin  le  arti,  perduto  il  senso  delle  semplici  bel- 
lezze, si  fecero  ministre  a  lascivie  e  a  piacenterie,  contri- 
buendo, esse  eh'  erano  stale  la  eletta  gloria  dell'  Italia,  a 
crescerne  le  vergogne. 

Vero  è  che  non  pochi  de'  nostri  mantenevansi  in  fama 
di  maestri  invecchiati  nella  politica,  di  cui  avevano  in  casa 
la  viva  scuola;  ma  non  la  politica  antiveggenza,  si  le  virtù 
popolari  e  il  vigor  degli  ingegni  che  il  culto  del  vero  e  del 
bello  non  separavano  da  quel  della  patria  illustrarono  le 


(i)  Ugo  Boncompagni  a  M.  Fabio  Arca  de  Narni,  romano,  leg- 
gente nella  università  d'Ingolstadt.  Bologna  18  marzo  1530.  Ibidem. 
Docum.,  pag.  183. 


-  640  — 

città  libere,  e  di  queste  era  passato  il  tempo.  Tutte  le  gran- 
dezze provinciali  essendo  oggimai  compresse  o  in  limile  an- 
gusto confinate,  altri  e  più  vasti  concetti  si  chiedevano  alla 
comune  salute;  onde  allorché  ogni  vita  nazionale  fu  distrut- 
ta, alcuni  di  que'  maestri  o  andarono  venturieri  fortunati 
alle  varie  corti  di  Europa,  o  si  diedero  a  scriverne  le  isto- 
rie, o,  nulla  più  sperando,  tristamente  si  tacquero.  L'antica 
maestria,  celebrata  fuori,  fatta  impotente  in  patria,  era  lu- 
dibrio allo  straniero. 

Oh  !  come  doveva  sorridere  a  Carlo  V  la  fiducia  di  tener 
serva  Italia,  quando  in  casa  di  Veronica  Gambara  a  Bologna, 
ne' giorni  stessi  in  cui  ivi  preparavasi  materia  di  lunghi 
pianti  futuri,  adunavansi  letterati  di  buon  grido  a  gareg- 
giare in  lavori  poetici  lussureggianti  di  fiori  e  di  fronde,  o 
a  scapricciarsi  in  discussioni  sopra  frivoli  soggetti,  e  princi- 
palmente sopra  la  natura  e  gli  usi  di  quella  lingua  nostra 
che  due  secoli  innanzi  era  stata  adoperata  insignemente  (i); 


(1)  Tra  questi  erano  Mauro  Giovanili  de' signori  cP  Arcano  nel 
Friuli,  noto  per  poesie  burlesche;  monsignor  Pietro  Bembo  scello 
allora  a  storico  della  repubblica  veneta;  Molza  Francesco  Maria 
di  Modena,  buon  rimatore,  perduto  dietro  le  donne;  Cappello  Ber- 
nardo gentiluomo  veneziano,  bandito  dalla  patria  ob  immodera- 
tam  iti  concioni  bus  dicacitatem,  e  per  aver  tentato  sconvolgere  la 
repubblica  (Giustiniano.  Hist.  ven.,  lib.  13),  chiamato  dal  Baronio 
(Annal.  venet.,  lib.  1 1),  poetica  et  oratoria  arie  clarissimus;  Berni 
Francesco  celebre  per  l' Orlando  innamorato  ;  Camillo  Giulio  da 
Portogruaro,  detto  Delminio,  piccola  terra  della  Dalmazia,  donde 
ebbe  origine  la  sua  famiglia,  autore  della  idea  a"  un  teatro,  dive- 
nuta allora  la  favola  del  mondo,  nella  quale,  quando  comparve 
alla  luce,  si  trovò  tutto,  eccetto  quello  che  il  titolo  prometteva; 
Giannantonio  Zambrini  da  Cotignola,  soprannominato  Flaminio, 
maestro  di  belle  lettere,  e  Marc' Antonio  suo  figliuolo,  nato  a  Serra- 
valle  della  marca  Trevigiana,  il  più  amabile  e  il  più  modesto  poeta 
latino  del  secolo  16°;  monsignor  Claudio  Tolommei  di  Siena,  repu- 
tato uno  de'maggiori  letterati  del  suo  tempo,  autore,  frale  altre  ri- 


-  641  - 

quando  Romolo  Àmaseo,  arringando  davanti  a  lui  e  al  papa, 
sostenne  doversi  lasciar  l'italiano  ai  trecconi  e  al  vulgo  da 
cui  trae  il  nome,  nel  tempo  appunto  che  cominciavasi  a  di- 
rozzare il  tedesco,  e  gli  spagnuoli  inspirati  da  Andrea  Nava- 
gero  attingevano  alle  fonti  nostrali  per  migliorare  le  lettere 
loro;  quando  in  casa  d'Isabella  di  Este  madre  del  marchese 
di  Mantova,  pur  venuta  a  Bologna  per  le  feste  della  incoro- 
nazione con  damigelle  di  -famigerata  libidine,  facevansi  orgie 
nefande,  funestate  da  scene  tragiche  (1);  quando  col  fascino 
d' immoderati  tripudii  attutavasi  fin  il  senso  de'  patimenti, 
ed  allo  spogliatore  di  ogni  dignità  nazionale  dedlcavansi 
storie,  orazioni,  poemi  laudatorii,  ne'  quali  la  eccellenza 
della  forma  non  è  vinta  che  dalla  bassezza  delle  idee. 


me  e  stanze  amorose,  Mi  quella  canzone,  indegna  per  il  soggetto  e 
per  lo  stile  del  nome  suo,  con  la  quale  volle  vendicarsi  di  una  . 
ingiuria  fattagli  in  Firenze  poco  prima  dell'assedio  ;  Giangiorgio 
Trissino  da  Vicenza,  notissimo  poeta,  ed  atto  quanto  altri  mai  agli 
affari  politici;  Bernardino  Dardano  di  Parma,  il  quale  cantò  le  lodi 
di  Carlo  V,  e  n'ebbe  poetica  laurea  con  titolo  di  cavaliere  pala- 
tino; Danese  Cataneo  di  Carrara,  scultore,  architetto  e  poeta;  Fran- 
cesco Denaglio  di  Reggio,  poeta  volgare;  Camillo  Ghilini,  mila- 
nese, segretario  ed  ambasciatore  di  Francesco  Sforza,  pari  in  sa- 
pere agli  uomini  più  colti  di  quella  età;  Pietro  Antonio  Montagna, 
modenese,  maestro  di  grammatica;  mons.  Sigismondo  Paolucci  da 
Spello,  di  cui  abbiamo,  oltre  alcuni  poemi,  parecchi  centoni,  con 
versi  del  Petrarca,  in  lode  di  Carlo  V;  Lodovico  Parisetti  il  gio- 
vane, che  nelle  sue  Epistole  scrisse  contro  il  mal  costume  di  un 
prelato,  da  lui  conosciuto  in  questo  tempo  a  Bologna;  mons.  Mar- 
co Girolamo  Fida  da  Cremona,  autore  della  Cristiade,  dell'  arte 
poetica,  del  giuoco  degli  scacchi,  del  baco  da  seta;  Eurialo  Moriani 
da  Ascoli,  poeta,  ed  Agapito  Schio  di  Vicenza,  scrittore  ecclesiastico 
benemerito.  Gaetano  Giordani.  Cronaca  cit.,  pag.  77,  78. 

(1)  Nella  notte  del  21  marzo  1530  furono  uccisi  diciotto  spa- 
gnuoli dai  loro  rivali  ;  il  che  diede  occasione  ad  ognuno  di  spar- 
lare pubblicamente  e  determinò  la  Marchesana  a  partire  per  Man- 
tova nei  giorno  susseguente.  Ibidem,  pag.  172. 


-  6i2  - 

Tutti  pensano  a  questo  proposito  quel  che  disse  Ben- 
venuto Celli  ni  :  io  servo  a  chi  mi  paga.  Paolo  Giovio,  venale 
dispensatore  di  gloria  e  di  scherni,  stava  già  temperando  le 
sue  due  penne,  una  d' argento,  una  <T  oro,  per  proporzio- 
nare la  lode  ai  regali;  ed  ecco  farcisi  innanzi  il  più  svergo- 
gnato esempio  del  domandare,  dell'encomiare,  del  censurare 
a  suo  libito,  Pietro  l'Aretino,  terribile  testimonio  di  quella 
età  sciagurata,  al  quale,  siccome  a.masnadiero  della  stampa, 
inchinavansi  letterati  e  principi.  Cacciato  da  Roma  per  i  se- 
dici sonetti  descrittivi,  coi  quali  corredò  altrettanti  volut- 
tuosi atteggiamenti  dipinti  da  Giulio  Romano  ed  incisi  da 
Marc' Antonio  Raimondo,  non  potè  trovarsi  in  quo'  giorni  a 
Bologna,  con  gran  dolore  del  marchese  Federico  di  Mantova, 
il  quale  avrebbe  fatto  ogni  poter  suo  per  riconciliarlo  col 
papa  (4).  Ma  egli  era  già  stato  a  Venezia,  dove  conobbe  e 
della  sua  amicizia  contaminò  Tiziano  Vecelli;  onde  col  mez- 
zo del  cardinale  Alessandro  Farnese  gli  ottenne  di  essere 
chiamato  a  ritrarre  Carlo  V  a  cavallo  in  armatura  e  di  gran- 
dezza al  naturale.  Eseguita  la  commissione  il  dì  4  mar- 
zo 4530,  ebbe  Tiziano  in  premio  mille  scudi  d'oro,  e  fatto 
cavaliere  e  conte  palatino  fu  fermato  con  annuo  stipendio  al 
servigio  imperiale.  E  subito,  entrato  di  moda  fra  i  cortigiani, 
divenne  il  pittore  dei  monarchi,  né  potè  più  tenersi  sempre 
alle  ispirazioni  de'  suoi  maestri,  la  patria  e  la  fede. 

Così  anche  nella  scuola  veneta  entrò  il  veleno  della  de- 
pravazione universale.  Il  Tintoretto  (Giacomo  Robusti)  per 
vero  ambi  la  gloria,  purché  senza  macchia;  ma  i  discepoli 
ne  imitarono  i  difetti,  non  la  virtù. 

Fra  tante  opere  egregie,  appare  egli  mai  che  si  credesse 
l'arte  obbligata  ad  alcuna  cosa  più  elevata  dell'arte  stessa? 
Piacere,  adulare  i  potenti,  crescere  in  guadagni  era  l'unico 
intento.  Periva  la  Italia,  e  cantavasi;  periva,  e  pochi  tra  i 

(!)  Ibidem  nota  580,  pag.  149. 


—  643  — 

molti  che  scrissero  storia  l' animarono  con  quei  magnanimi 
dispetti  che  rimangono  come  una  protesta  indelebile  delle 
nazioni;  periva,  e  nessun  grande  (dice  Cesare  Cantù)  avea 
voce  per  intonare  P  epicedi  o,  il  quale  rimbombasse  nei  se- 
polcri, per  risonare  un  giorno  qual  tromba  della  resurre- 
zione. 

VII.  Alle  feste  della  incoronazione  di  Carlo  V  giova  con- 
trapporre la  descrizione  che  delle  miserie  di  quel  tempo  fece- 
ro Nicolò  Carew  e  Riccardo  Sampson,  venuti  ambasciatori  di 
Enrico  Vili  a  Bologna.  «  Non  s' è  visto  mai  nella  cristianità 
»  desolazione  pari  a  quella  di  queste  regioni.  Le  buone  città 
»  sono  distrutte  e  spopolate;  in  molti  luoghi  non  si  trova 
»  carne  di  ninna  sorta.  Tra  Vercelli  e  Pavia,  per  cinquanta 
»  miglia  del  paese  più  ubertoso  di  vigne  e  di  grano  che  vi 
»  sia  al  mondo,  tutto  è  deserto.  Né  uomo,  né  donna  incon- 
»  trammo  a  lavorar  le  campagne,  né  anima  viva,  eccettuate 
»  in  un  luogo  tre  povere  donne  che  racimolavano  la  poca 
»  uva  rimastavi;  giacché  non  si  è  seminato  né  fatto  raccolto, 
»  le  vigne  sono  inselvatichite,  e  i  grappoli  si  guastano  senza 
»  che  si  venga  a  coglierli.  Vigevano,  già  buona  terra  con  una 
»  rocca,  oggi  è  rovina  e  deserto.  Pavia  fa  pietà;  nelle  strade 
»  i  bambini  piangevano  domandando  del  pane,  e  morivano 
»  di  fame.  Ci  dissero,  e  il  pontefice  lo  confermò,  che  la  po- 
»  polazione  di  que' paesi  e  di  parecchi  altri  d*  Italia  fu  con- 
»  sunta  da  guerra,  da  fame,  da  pestilenza,  e  che  vi  vorrà 
»  molti  anni  prima  che  l'Italia  si  riduca  in  buona  condizio- 
»  ne.  Siffatto  sperpero  è  opera  dei  francesi  non  meno  che 
»  degP  imperiali,  e  ci  dicono  che  il  signor  di  Lautrec  deva- 
»  sto  dovunque  passò  »  (1). 

A  queste  miserie  universali  rispondevano  in  modo  an- 
cor più  spaventevole  le  fiorentine.  La  peste  che  infierì  quel- 
Panno  stesso,  4527,  in  cui  le  sfrenate  bande  tedesche  e  spa- 
ti) Bologna  12  sett.  1529.  State  papers,  t.  7,  pag.  226. 


—  6i4  — 

gnuole  irruppero  a  Roma,  tolse  di  vita  da  trentacinquemila 
persone  dentro  le  mura  di  Firenze,  e  venticinquemila  di  fuo- 
ri (i);  ed  ora,  orribile  a  dirsi!  papa  Clemente  rivolgeva 
contro  di  essa  quelle  bande  medesime  della  cui  ferità  Roma 
era  stata  vittima.  Che  più?  Accanto  al  principe  di  Orange 
stava  col  titolo  di  commissario  generale  degli  assedianti  quel 
Girolamo  Morone  che  poco  prima  aveva  congiurato  col  pon- 
tefice per  la  indipendenza  dell'Italia  ai  danni  dell'  impera- 
tore. Però  sembra  che  in  mezzo  agli  orrori  del  sacco  di  Roma 
e  tra  le  fazioni  guerresche  desolatrici  del  regno  di  Napoli 
gli  fosse  entrato  nelP  animo  qualche  rimorso,  e  forse  da 
Napoli  meditava  trafugarsi  a  Venezia  nel  tempo  che  quella 
repubblica  resisteva  ancora  al  destino  della  penisola.  Indi  i 
sospetti  di  Carlo  V  e  l'ordine  dato  al  viceré  di  arrestarlo  nel 
caso  eh'  ei  prendesse  quel  cammino  e  di  condurlo  al  suo 
campo  (2).  Laonde,  benché  tenuto  in  istima  di  leale  dal  vi- 
ceré medesimo  (3),  e  da  lui  e  dal  Leva  largamente  benefi- 


(1)  Relazione  di  Firenze  di  Marco  Foscari.  alberi.  Relaz.  degli 
amb.  ven.,  serie  2,  voi.  I,  pag.  29.  L' esattissimo  Varchi,  1.  9,  nota 
in  fatti  a  questa  epoca  soli  70000  abitanti  dentro  le  mura,  mentre 
Giovanni  Villani,  1.  11,  qualche  anno  avanti  vi  contava  90000. 

|2)  Visto  Io  que  nos  habeis  fecho  saber  en  lo  que  toca  a  la  per- 
sona de  Geronimo  Moron  escrebimos  al  Principe  Dorange  que  pro- 
vea  con  toda  diligencia  y  cuidado  de  personas  que  estan  cerca  del, 
y  miren  el  camino  que  quiere  hacer,  y  viniendo  adonde  està  el 
dicho  Principe  le  traggan  y  el  con  toda  disimulacion  se  asegure 
del,  de  manera  que  su  persona  no  se  pueda  ausentar,  y  que  si 
antes  que  llegue  al  dicho  Principe  el  dicho  Geronimo  Moron  quie- 
re tornar  otro  camino  sospechoso,  en  especial  el  de  Venecia,  Io  to- 
men  fc  llevcn  donde  està  el  dicho  Principe  para  que  el  haga  lo  que 
le  escrebimos.  L'émperador  Carlos  V  al  cardenal  Colonna.  Piacen- 
za 12  sett.  1529.  Archivio  di  Simancas  Neg.d0  de  Estado,  leg.° 
1555  msc. 

(3)  Il  extime  fort  le  Moron,  et  desperit  et  de  loyaulte  en  votre. 
service,  ores  quii  ma  assez  confesse,  quii  croit  ledit  Moron  estre 


—  615  - 

cato  (4),  non  è  improbabile  che  venisse  per  forza  sotto  Fi- 
renze. Ma  qui  Dio  riguardando  alle  buone  opere  della  sua 
vita  anteriore,  ebbe  pietà  di  lui,  non  soffrendo  che  contri- 
buisse alla  caduta  della  illustre  città;  perocché  a  sette  mi- 
glia da  essa,  a  san  Cassiano,  mori  il  di  45  dicembre  4529 
di  apoplessia,  nella  età  di  cinquantanove  anni. 

Narrare  i  casi  estremi  di  un  popolo  è  cosa  dura  all'ani- 
mo, non  fosse  altro  perchè  d' ordinario  ci  manca  ragione  a 
confortarlo  di  un  meritato  compianto.  Non  è  cosi  di  Firenze, 
perchè  quanto  la  ostinata  resistenza  fece  testimonianza  del 
poco  senno  in  quelli  che  governavano,  ciechi  ministri  della 
fazione  che  non  curava  veder  distrutta  la  città  qualora  non 
ci  avesse  potuto  più  oltre  signoreggiare,  altrettanto  onorò 
essa  i  cittadini,  i  quali  opponendo  alla  contraria  fazione  dei 


liomme  quii  veult  fere  ses  besoignes,  et  que  aussi  il  se  fera  informer 
de  sa  conduicte,  semblablement  de  son  secretaire  Bernardin  Marti- 
rano,  ores  que  je  congnois  bien,  quii  se  fie  de  lui  mervcilleuse- 
ment.  L.  de  Praet  an  den  kaiser.  Roma  30  luglio,  3  e  5  ag.  1529. 
Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  3*28.  Et  de  Moron,  yl  est  vray  que  je 
leur  dis  (agli  ambasciatori  di  Napoli  che  lagnaronsi  dell'ammini- 
strazione infedele  del  regno)  que  le  secretayre  estoyt  la,  lequel 
vouloyt  estre  a  tout  paragon,  que  de  tout  ce  que  lon  a  dit  de  luy, 
ce  sestoyt  manterie  ;  et  que  je  croyoys  que  le  Moron  en  feroyt  au 
semblable,  au  moyens  de  sy  grant  somme  que  lon  a  dit  ;  et  que 
je  vousisse  dire  che  lon  a  point  derrobe  au  royaume.  Derprinz 
von  Oranien  an  den  kaiser.  Florence  15  dee.  1529.  Ibidem,  pag.  357. 
(1)  Dal  principe  di  Orange  ebbe  il  Morone  la  città  di  Boiano  col- 
le terre  di  Pettorano,  di  Cainano  e  di  Monfiredano,  e  i  feudi  di 
Albarello,  Collestefano  e  Fondone,  il  tutto  netto  di  censo  sino  alla 
rendita  annua  di  scudi  duemila  d'oro  del  sole;  e  da  Antonio  de 
Leva  in  compenso  per  Lecco  ceduto  al  marchese  di  Musso  l'an- 
nua entrata  di  5604  lire  imperiali  e  l' utile  del  sale  che  versavano 
alla  camera  cesarea  gli  abitanti  delle  borgate  di  Uglone,  Missa- 
glia,  Brivio,  Geriate  ed  Aliate  oltre  il  Lambro.  Tullio  Dandolo.  Ri- 
cordi inediti  di  Girol.  Morone,  pag.  288-291. 


—  646  — 

palleschi  un  amore  di  libertà  divenuto  affetto  religioso  per 
le  predicazioni  del  Savonarola,  redivivo  in  fra  Benedetto  da 
Fojano,  fra  Zaccaria  da  Fivizzano,  fra  Bartolomeo  da  Faen-* 
za,  sostennero  intrepidi  lunga  incursione  di  eserciti  rapacis- 
simi, devastazione  de'  campi,  arsione  di  ville,  sacriflcii  di 
ogni  maniera,  per  cui  la  repubblica  visse  anche  le  ultime 
ore  all'  antica  sua  gloria,  e  d' una  vita  che  parve  riaccendersi 
quanto  più  le  si  avvicinava  la  morte. 

Furono,  è  vero,  sacriflcii  senza  frutto.  Contro  alla  li- 
bertà stavano  i  Medici,  antichi  guastatori  delle  forme  buone, 
fatti  onnipotenti  da  che  univano  oro,  spada,  croce,  e  col  voto 
de' loro  creati  portavano  alle  cariche  le  persone  raen  degne, 
affinchè  screditassero  quel  modo  di  governo;  stavano  i  prin- 
cipi tutti  risoluti  a  spegnere  le  franchigie  del  medio  evo; 
stavano  l'odio  delle  Provincie  mal  governate,  come  al  solito, 
dalla  repubblica,  il  dispetto  dei  grandi  conculcati  dai  popo- 
lani, la  immensa  turba  dei  servili,  e  della  nuova  nobiltà  i 
più  corrotti,  che  sono  sempre  il  maggior  numero.  Nondi- 
meno finché  durò  l' assedio,  tutti  gli  occhi  e  le  ansietà,  non 
che  d'Italia,  di  Europa,  erano  addosso  a  Firenze,  e  l'esem- 
pio suo  valse  almeno  a  far  vergognare  le  tralignate  genera- 
zioni della  loro  inerzia  colpevole.  Bello  è  ricordare  che  sotto 
le  insegne  cittadine  trovavansi  i  più  elevati  ingegni.  Miche- 
langelo Bonarotti,  richiamato  a  furia,  vi  rimase  insino  al- 
l'ultimo, benché  presago  della  tremenda  catastrofe;  Donato 
Giannotti  serviva  da  segretario  di  stato  ;  da  cancelliere  Fran- 
cesco Aldobrandini;  Luigi  Alamanni,  Bartolomeo  Cavalcanti 
e  Pier  Vettori  oravano  degli  ufficii  della  milizia;  Andrea  del 
Sarto  dipingeva  ad  infamia  i  traditori;  il  Nardi,  il  Varchi, 
il  Segni,  il  Busini,  l'Adriani,  il  Nerli,  ed  altri,  nei  quali  più 
che  le  sottigliezze  politiche  e  le  ambiziose  gare  poteva  la 
carità  della  patria,  cooperavano  ad  imprese  che  poi  dove- 
vano tramandare  alla  posterità. 

Il  principe  di  Orange,  trovata  ardua  oltre  il  creduto  la 


—  617  — 

commessagli  fazione,  De  ricevendo  regolarmente  i  sessanta- 
nni ducati  al  mese  promessigli  dal  pontefice  a  Bologna, 
stava  in  continuo  timore  di  doversi  fuggire  dal  campo  per 
ammutinamento  delle  sue  genti  (1).  La  notte  del  dì  44  di- 
cembre 4529  Stefano  Colonna  capitano  della  gioventù  fio- 
rentina con  mille  archibugieri  e  quattrocento  tra  alabarde 
e  partigiane,  tutti  in  corsaletto  e  all'  uso  spagnuolo  incami- 
ciati, assaltò  il  colonnello  di  Sciarra  Colonna,  alloggiato  nelle 
case  vicine  alla  chiesa  di  santa  Margherita  a  Montici,  ammaz- 
zando e  ferendo  molti  uomini,  senza  perdere  uno  solo  dei 
suoi.  A  questa  gioia  succedette  quattro  giorni  dopo  il  dolore 
per  la  morte  di  due  valorosi,  Mario  Orsini  e  Giulio  Santa- 
croce, pur  di  casa  Orsini,  nipote  di  Renzo  da  Ceri,  feriti  sul 
poggio  di  san  Miniato  dai  rottami  di  un  pilastro  fracassato 
da  una  cannonata  (2).  Ma  ben  tosto  rilevaronsi  gli  animi  alla 
notizia  che,  andando  Pirro  da  Castel  san  Pietro  per  pigliare 
Montopoli,  terra  del  contado  di  Pisa,  i  fanti  ch'erano  in 
Empoli,  tagliatagli  la  strada,  lo  avevano  rotto  e  fatto  non 
pochi  prigioni.  In  quella  sortita  si  segnalò  Francesco  di  Ni- 
colò Ferruccio,  uomo  austero,  che  in  tempi  ordinarii  sarebbe 
vissuto  alla  campagna  o  al  fondaco  oscuramente  per  sottrarsi 
alla  dipendenza,  ed  ora  l' amore  di  patria  levò  a  tipo  del- 
l'eroe  popolano  (3).  Appresa  l'arte  militare  nelle  Bande 
nere,  e  mandato  in  principio  della  guerra  ad  Empoli  commis- 


(1)  Je  vous  promes  ma  foy,  que  sii  nest  ycy  (il  denaro)  avant 
quatre  ou  cine  jours,  queje  tiens  sertain  la  mutinacyon  generalìe 
de  toutes  les  nacyons  de  votre  camp,  et  seres  forse  de  menfuyr. 
Der  prinz  von  Oranien  an  den  kaiser.  15  dee.  1529.  Lanz  Corresp., 
t.  1,  pag.  359. 

(2)  Carlo  Capello  alla  repub.  ven.  Firenze  26  tììc  1529.  Alberi. 
Relaz.  degli  amb.  ven.,  serie  2,  voi.  I,  pag.  255. 

(3)  Donato  GiannotU.  Opere,  t.  1,  pag.  55,  26*2,  263.  Vedi  an- 
che Documenti  alla  vita  di  Francesco  Ferrucci.  Archivio  stor.  ì/a/., 
t.  4,  par.  2. 

39 


—  618  - 

sario  di  alcuni  pochi  cavalli  con  pochissima  autorità,  aveva 
messo  insieme  buon  numero  di  soldati  eletti,  fra  i  quali 
seppe  mantenere  V  abbondanza,  e,  che  più  era  difficile,  la 
disciplina;  e  sebbene,  persuaso  che  i  parliti  medj  guastino 
e  non  salvino,  non  si  rattenesse  dalle  crudeltà,  pure  inse- 
gnava ai  Dieci  che  le  terre  si  conservano  co?  soldati,  non  col 
perseguitare  i  cittadini  per  opinioni  politiche,  soggiungendo: 
la  salvazione  di  questo  luogo  non  è  quattro  persone  piti  o 
manco  ;  e  piti  presto  mi  pare  bisognerebbe  le  forze  eh9  io+v9  ho 
chieste,  e  renderemoci  piti  sicuri  che  per  questo  altro  ver- 
so (1).  Ma  non  ben  conosciuto  da  quelli,  stette  lungo  tempo 
in  condizione  non  rispondente  al  merito  suo.  Alla  pazienza, 
scriveva  egli,  mi  sono  acconcio  prima  che  ora,  perchè  da 
poi  che  sono  qui,  non  ho  domandato  cosa  quale  abbia  otte- 
nuta (2).  Parendogli  necessario  l'ardimento  ne' casi  estremi, 
proponeva  si  divertisse  la  guerra  da  Firenze  a  Roma,  al 
modo  che  già  tenne  il  Borbone,  vi  si  strascinasse  gente  colla 
speranza  del  saccheggio,  si  corrompessero  i  tedeschi,  si  pi- 
gliasse prigioniero  il  papa  ;  ma  la  signoria  trovò  troppo  pe- 
ricoloso il  disegno  (3).  Certo  è  che  se  Firenze  commetteva  a 
lui  la  dittatura,  non  avrebbe  almeno  sofferto  il  fallo  che  le 
fecero  nel  giorno  supremo  le  armi  pagate. 

Tra  le  quali  quanto  scarsa  fosse  la  fede  e  più  il  timore 
del  vincere  che  della  sconfitta,  abbiamo  prove  molteplici. 
Massime  de'  capitani  mercenarii  che  avevano  stati  proprii,e 
meglio  che  ad  altro  badavano  a  conservarseli. Ercole  di  Este, 
condotto  al  soldo  de'  fiorentini  per  capitano  generale,  gli  in- 
gannò con  reiterate  promesse  (4),  perchè  Alfonso  suo  padre, 


(1)  Empoli  12  ott.  1529.  Ibidem,  pag.  552. 

(2)  Però  giudico  di  non  lo  acere  meritalo.  Empoli  20  nov.  1529. 
Ibidem,  pag.  580. 

(3)  Varchi,  lib.  9,  pag.  213. 

(4)  lo  non  vedo  1*  liora  di  esser  gionto  nel  mio  stato,  per  poter 


—  619  — 

non  solo  impedi  che  vi  andasse,  secondo  che  sapevasi  a  Ro- 
ma sin  da  principio  (i),  per  non  chiudersi  ogni  via  di  ricon- 
ciliazione con  Cesare  e  il  papa ,  tra'  quali  egli  accortissimo 
aveva  prevista  P  alleanza,  ma  durante  ancora  il  tempo  della 
condotta  del  figliuolo,  il  quale  ne  percepiva  Io  stipendio,  die- 
de quattro  pezzi  di  artiglieria,  e  poi  duemila  guastatori  agli 
imperiali;  onde  i  fiorentini  abbandonati  dall'Estense  caddero 
in  Malatesta  Baglione.  Questi,  che  per  lo  innanzi  n'era  quasi 
il  luogotenente  con  titolo  di  governatore,  fu  eletto  in  suo  luogo 
a  di  45  gennaio  del  1530.  e  la  mattina  seguente,  convocati 
tutti  i  capitani  nella  chiesa  di  san  Nicolò,  dopo  aver  udita  la 
messa,  esso  prima  e  poi  i  capitani  medesimi  giurarono  sopra 
l'altare  di  difendere  la  città  insino  alla  morte  (2).  A  questo 
atto  solenne  e  sacro  ponga  mente  il  lettore,  per  conchiuder 
appresso  che  sarebbe  orribile  spregio  della  virtù  sotto  qualsi- 
voglia titolo  specioso  cercar  scusa  allo  spergiuro  (3).  Primo  a 

mettere  ordine  a  fare  le  gendarme  che  ho  da  fare.  E  benché  . . . 
cognosca  ch'io  me  expongo  a  manifesto  pericolo,  pur  non  volen- 
do mancare  a  quanto  io  son  tenuto,  e  pensando  di  far  servitio 
alla  maes.  del  re  per  esser  sempre  stato  quei  Sign.  Fiorentini  boni 
amici  et  servitori  di  quella,  ho  deliberalo  non  solamente  in  que- 
sto caso  aventurare  la  persona  mia  et  de  tutti  li  miei  servitori,  ma 
anche  dove  sappia  che  sia  per  essere  ad  utile  di  sua  maes.  exporla 
prontamente  in  suo  servitio.  Ercole  d' Esle  al  Montmorenci.  Susa 
28  olt.  1528  e  Ferrara  8  ag.  1529.  Mulini.  Doc.  di  stor.  ital.  t.  2, 
pag.  109  e  237. 

(1)  Questi  de  qua .  .  .  discorrono  chel  duca  de  Ferrara  non 
manderà  el  suo  figliuolo  in  Fiorenza.  //  cardinale  Agostino  Tricul- 
zio  a  Evangelista  Cittadini.  Roma  15  luglio  1529.  Ibidem,  pag.  231. 

(2)  Carlo  Capello  alla  repub.  ven.  Firenze  21  genn.  1530.  Alberi, 
Relaz.  degli  amb.  ven.  serie  2,  voi  I,  pag.  265. 

(3)  Alludo  all'  opera  di  Gio.  Battista  Vermiglioli  (Vita  e  im- 
prese militari  di  Malatesta  IV  Baglioni.  Perugia  1838),  nella  quale 
si  dà  anzi  lode  al  Malatesta  di  aver  patteggiato  coi  nemici,  per- 
chè altrimenti  i  fiorentini  sarebbero  caduti  nei  pericoli  delle  di- 
scordie intestine. 


-  620  - 

bruttarsene  apertamente  fu  l'abate  di  Farfa  Napoleone  Orsini. 
A  costui  avevano  spedito  i  fiorentini  alcuni  mesi  innanzi  tre- 
mila ducati  affinchè  ragunasse  mille  fanti,  e  Clemente  VII  che 
li  ritenne  facendo  spogliarne  il  portatore  presso  a  Bracciano 
da  Girolamo  Maffei  romano,  capitano  delle  sue  guardie  a  ca- 
vallo, dovette  bentosto  restituirli,  perchè  l'abate  ordinò  che 
fosse  assalito  e  preso  il  cardinale  di  Santa  Croce  Francesco 
Quignonez  (in  quel  tempo  che,  insieme  co'suoi  colleghi  Ales- 
sandro Farnese  ed  Ippolito  de'  Medici,  andava  a  Genova  in- 
contro all'imperatore)  e  menatolo  prigioniero  noi  rilasciò  fin- 
ché non  riebbe  i  danari  (i);  ma  come  li  ricevette  tornò  al 
suo  Bracciano  a  riconciliarsi  col  papa  e  con  Cesare  (2). 

In  questo  mezzo  giunti  erano  al  campo  imperiale  grossi 
rinforzi.  Za  guerra  di  Firenze,  nota  acutamente  il  Guicciardini 
nella  sua  storia  d' Italia,  giovò  alla  pace  degli  altri  ;  ma  la 
pace  degli  altri  aggravò  la  guerra  sua.  In  fatti  Cesare  sciolto 
dalla  paura  de'  Veneti  vi  mandò  quattromila  fanti  tedeschi 
col  conte  di  Lodrone  e  con  Felice  di  Werdenberg,  duemila- 
cinquecento fanti  spagnuoli  con  donPedroVelaz  de  Guevara, 
ottocento  italiani,  e  più  di  trecento  cavalleggieri  con  venti- 
cinque pezzi  di  artiglieria  ;  alle  quali  genti  si  aggiunse  Fa- 
brizio Maramaldo,  né  condotto,  né  chiamato  come  gli  altri  (3) 
con  quattromila  calabresi,  la  maggior  parte  malandrini  non 
pagati.  Quelle  genti,  passati  eh'  ebbero  i  monti,  occuparono 
in  nome  del  pontefice  Pistoia,  Prato  e  Pietrasanta  abbando- 
nate dai  fiorentini,  e  poi,  fermatesi  dall'altra  parte  dell'Arno, 


(1)  L'abate  Nero  viene  in  posta  da  Roma,  e  riporta  in  conci- 
storo essere  stato  deliberato  di  dare  all'  abate  di  Farfa  i  ducali 
tremila  per  liberazione  del  cardinale.  Carlo  Capello  alla  reyub. 
ven.  Firenze  14  ag.  1529, 1.  e,  pag.  196. 

(2)  L' abate  di  Farfa  se  ne  andò  a  Bracciano.  17  genn.  1530.  Ibi- 
dem, pag.  264. 

(3)  Varchi,  lib.  10,  e  Lettere  volgari.  Venezia  1545,  t.  1,  pag.  8. 


—  621  — 

alloggiarono  a  Peretola  presso  alle  mura  di  Firenze  sotto  il 
governo  del  marchese  del  Guasto,  benché  a  tutti  fosse  su- 
periore in  autorità  il  principe  di  Orange.  Nel  tempo  stesso 
Cesare  Maggi  napolitano  con  le  sue  bande  italiane,  alle  quali 
il  pontefice  aggiunse  più  che  tremila  fanti  romagnoli  con 
quattordici  pezzi  di  artiglieria  e  la  propria  guardia  a  cavallo 
capitanata  dal  predetto  Girolamo  Maffei,  riduceva  alla  obbe- 
dienza di  lui  Castrocaro,  Devadolo,  Moiina,  Murato  ed  altre 
terre  della  Romagna  fiorentina  (1). 

Contavano  gli  assediati  soli  diecimilaquattrocento  fanti 
mercenari^  sebbene  per  le  solite  frodi  de'  capitani  ascendes- 
sero a  diciasettemila  paghe  (2),  e  non  per  tanto  al  poderoso 
esercito  nemico  mancò  l'animo  di  assaltare  la  città  che  spe- 
rava vincere  colla  fame  (3).  Ne'  primi  mesi  del  1530  si  fece- 
ro pochissime  fazioni  appena  degne  di  essere  scritte.  Ai  12 
marzo  avvenne  la  eroica  sfida  di  Lodovico  Martelli  e  Dante 
da  Castiglione  per  mantenere  contro  Giovanni  Bandini  e  Bet- 
tino di  Carlo  Aldobrandini  eh'  essi  e  tutti  i  fiorentini  i  quali 
si  trovavano  nel  campo  avversario  erano  traditori  della  pa- 
tria e  nemici  d'Iddio  {£).  Ai  25  battè  il  principe  d'Orango  la 


(1)  (ùntile  Luca.  Istoria  de'fatti  di  Cesare  Maggi  da  Napoli.  Pa- 
via 1564,  tag.  60,61. 

fi)  Cailo  Capello  alla  repub.  ven.,  Firenze  12  gen.  1530,  1.  e, 
pag.  262. 

(3)  Si  veie  chiaramente  l'intenzione  loro  essere  di  costringere 
questa  città  ton  l'assedio  alla  dedizione,  e  .  .  .  rispondono  pale- 
semente :  noi  ìon  vogliamo  combattere,  ma  vogliamo  che  la  fame  vi 
vinca,  ed  averci  con  la  cintura  al  collo.  Firenze  26  apr.  1530.  Ibi- 
dem, pag.  286. 

(4)  rarefatti,  li.  «  La  fine  del  combattimento  fu  che  Dante 
«  da  Castiglione  ftee  prigione  ed  ammazzò  P  Aldobrandino,  e  Lo- 
ti dovico  Martelli,  stvrabbondandogli  da  una  ferita  nella  fronte  il 
«  sangue  negli  occhN  restò  prigione  del  Bandini.  Da  questo  com- 
«  battimento  ne  sono  in  campo  nati  infiniti,  di  modo  che  ogni 
«  giorno  si  combatte.  »  Firenze  24  marzo  1530.  Ibidem,  pag.  280. 


—  622  — 

torre  accanto  al  bastione  di  san  Giorgio,  perchè  offendeva 
molto  le  sue  genti  ;  ma  trovandola  solidissima,  dopo  molte 
cannonate  se  ne  astenne. 

Qui  sorge  spontanea  la  domanda,  perchè  da  tanta  len- 
tezza de'  nemici  non  pigliassero  ardimento  i  fiorentini  a  ten- 
tare con  un  sol  colpo  decisivo  la  fortuna.  Ne  abbiamo  ragio- 
ne anzitutto  nella  imperizia  de'governanti,  i  quali,  mancando 
di  quella  energia  che  in  tempi  procellosi  supplisce  al  difetto 
di  ogni  altra  virtù,  continuavano  a  trattare  inutilmente  col 
papa  e  colPOrange,  e  intanto  i  cittadini  illudevano  con  le  so- 
lite baje  de'  soccorsi  di  Francia,  e  fin  del  Turco  (d).  France- 
sco I  rimase  qual  prima,  non  meno  largo  che  perfido  promet- 
titore :  assicuravali  non  esser  la  pace  che  uno  stratagemma 
per  ricuperare  i  figliuoli  ;  del  resto  tenessero  saldo  e  quanto 
prima  e'  sarebbe  ad  aiutarli  ;  eppure  ai  fiorentini  mercadanti 
in  Francia  proibiva  di  spedir  danari  alla  patria  pericolante: 
ordinò  a  Malatesta  Baglione  e  a  Stefano  Colonna  si  toglies- 
sero  dal  servire  que' ribelli;  eppure secretamente gli  avvisa- 
va non  obbedissero  :  richiamò  da  Firenze  il  suo  ambasciato- 
re; eppure  ve  ne  conservò  uno  privato,  Emilio  Ferretto,  che 
tenesse  ben  edificati  i  cittadini,  e  promettesse  che,  ippena 
pagato  il  riscatto,  li  soccorrerebbe  a  viso  aperto.  Per  questi 
o  per  altri  incidenti, o  per  mancamento  di  danari, speravano 
quegli  infelici  che  gli  assalitori  non  vi  starebbero  lunga- 
mente. 

Ma  quando  bene  non  avesse  ciò  menomato  il  valore 
inaspettatissimo  in  gente  mercadante,  bastava  a  sperderlo  la 


(1)  Jeri  hanno  avuto  per  via  di  Ancona  lettere  dei  14  da  Ra- 
gusa che  quella  potenza  (del  Turco)  preparava  grande  armata  da 
mare  e  da  terra  ...  di  modo  clic  si  può  qiasi  essere  certi  che 
questi  signori  abbiano  fatto  intendere  al  Tu*co  il  bisogno  loro; 
e  di  ciò  mi  è  stato  eziandio  fatto  motto  di  buon  loco.  Firenze 
24  marzo  1530.  Ìbidem,  pag   279. 


—  623  — 

tristizia  di  Malatesta  Baglione.  Le  trattative  non  mai  inter- 
rotte dalla  Signoria,  e  da  lui  astutamente  caldeggiate  (4), 
avevangli  già  porta  occasione  d'intendersi  con  Ridolfo  Pio, 
vescovo  di  Faenza,  il  quale  venuto  come  ambasciatore  del 
papa  sotto  colore  di  cercare  accordi,  ed  albergato  in  casa 
sua  (2),  ben  si  vuol  credere  che,  promettendogli  di  rimetterlo 
in  Perugia,  gli  abbia  ordinato  che  per  straccare  la  città  trat- 
tenesse la  guerra  con  far  bastioni  ed  altre  dimostrazioni,  ma 
non  dovesse  mai  permettere  che  si  facessero  fatti  d9  arme,  af- 
finchè la  città  consumata  di  danari  e  di  vettovaglie  fosse  co- 
.  stretta  ad  arrendersi  (3).  Tanto  operò  il  Malatesta,  e  quando 
non  potè  più  oltre  impedire  gli  animosi  guerrieri  di  uscir 
fuori  contro  i  nemici  (4),  studiò  il  modo  che  solo  tremila  di 
essi  si  avessero  in  lor  malora  a  sfogare,  designando  a  punto 
di  assalto  il  campo  più  forte  degli  spagnuoli  (5).  Tuttavia  il 
di  5  maggio  4530  affrontarono  intrepidi  per  quattr'ore  i  sol- 
dati veterani  di  Antonio  de  Leva  e  del  Pescara,  e  fu  opinione 
comune  che  li  avrebbero  superatile  l'esercito  fermatosi  dal- 
l'afra parte  dell'Arno  non  fosse  accorso  in  aiuto  dell'  Oran- 

(1)  Sua  Signoria  sebbene  afferma  questa  città  non  poter  essere 
sforzata,  nondimeno  non  dissuade  V  accordo.  Ma  sebbene  da  ognu- 
no generalmente  la  composizione  col  pontefice  si  tiene  per  dispe- 
'  rata,  pur  questi  uomini  del  signor  Malatesta  vanno  e  ritornano  spes- 
so. Firenze  12  genn.  e  2  febb.  1530.  Ìbidem,  pag.  262  e  270. 

(2)11  detto  vescovo  alloggialo  col  signor  Malatesta,  il  quale  ha 
questa  pratica  nelle  mani.  Firenze  3  genn.  1530.  ibidem,  pag.  257. 

(3)  ira  Giuliano  Ughi.  Cronica  di  Firenze.  Arch.  star.  Hai.  Ap- 
pend.  n.°23,  pag.  154. 

(4)  E  sebbene  hanno  qualche  speranza  nelle  cose  di  Francia,  e 
mollo  maggiore  neili  moli  del  Turco  che  per  ciò  questi  eserciti 
si  possano  divertire  da  questa  impresa,  nondimeno  sono  deside- 
rosissimi di  iscire  da  sé,  e  di  combattere,  e  di  questo  continua- 
mente instano  il  signor  Malatesta.  Carlo  Capello  alla  repub.  cenet. 
Firenze  26  apr.  '530, 1.  e,  pag.  286. 

(5)  Essendosi  gli  eserciti  di  fuori  di  ciò  avveduli,  e  lutti  in 
battaglia.  Firenze  7  mag.  1530.  Ibidem ,  pag.  291. 


-  624  - 

gè,  e  se  poco  innanzi  il  combattimento  Stefano  Colonna,  per 
privato  sdegno,  non  avesse  ammazzato  Amico  da  Venafro, 
onde  avvenne  che  la  schiera  da  lui  capitanata  non  si  mos- 
se (4). 

Mentre  che  queste  cose  accadevano  sotto  le  mura  di  Fi- 
renze, la  città  di  Volterra,  non  la  fortezza,  erasi  arrenduta 
ad  Alessandro  Vitelli  in  nome  del  pontefice.  Francesco  Fer- 
ruccio,  sollecitato  alla  ricuperazione,  rispose  :  quando  vostre 
signorie  si  vogliono  servire  di  me  in  alcun  loco,  quelle  mi 
troveranno  sempre  a  ordine,  pronto  e  presto  a  mettere  la  pro- 
pria vita  per  la  liberazione  della  patria  (2),  e  partito  da 
Empoli  con  duemila  fanti  e  centocinquanta  cavalli  assaltò  e 
prese  la  infedele  città  il  di  26  aprile  4530,  guadagnando  ezian- 
dio l'artiglieria  venuta  da  Genova,  colla  quale  i  nemici  ave- 
vano incominciato  a  battere  la  fortezza  (3).  Dopo  la  vittoria 
fece  impiccare  quattordici  spagnuoli  caduti  prigioni,  e  mess3 
poi  le  mani  in  sulle  robe  degli  abitanti  e  sull'argenteria  si- 
cra,  e  comandato,  pena  la  vita,  che  nessuno  uscisse,  alloggiò 
i  soldati  nelle  case  loro  con  modi  aspri  e  insolenti.  Altrettan- 
to rigore  usò  nel  trovar  danari,  facendo  impiccare  per  tal 
conto  due  cittadini  alla  finestra  del  palazzo  dov'  egli  alita- 
va (A).  Ma  V  acquisto  di  Volterra  costò  caro  assai, perchè  gli 
imperiali  guidati  dal  marchese  del  Guasto,  giovandosi  dell'as- 
senza del  Ferruccio,  si  volsero  contro  Empoli,  e,  bencaè  da 


(1)  Di  questi  della  città  ve  ne  sono  stati  tra  morti  e  feriti  cento- 
ventotto  (tra  i  morti  Lodovico  di  Nicolò  Machiavelli  e  pochi  gior- 
ni dopo  Ottaviano  Signorelli,  luogotenente  del  Malatestr,  di  ferite). 
Di  quelli  di  fuori,  per  quanto  da  più  vie  si  conferma,  m  sono  mor- 
ti sei  capitani  e  più  di  settecento  soldati,  e  guasti  da  mille,  sì  dal 
combattere,  come  dall'  artiglieria  della  città.  Ibidem 

(2)  Empoli  31  apr.  1530.  Docum.  alla  vita  di  Rane.  Ferrucci, 
1.  e,  pag.  652. 

(3)  Ferrucci  ai  Dieci.  Volterra  27  apr.  1530.  lUdem,  pag.  654. 

(4)  Bernardo  Segni.  Istor.  fiorent.  1.  2. 


-  625  - 

prima  ripulsati,  lo  ebbero  il  di  29  maggio  per  tradimento  di 
Andrea  Giugni  mandatovi  in  sua  vece  commissario  (1).  Que- 
sti era  stato  nella  sua  giovanezza,  scrive  Jacopo  Nardi,  ri- 
putalo di  natura  mollo  audace  e  brava,  ma  di  quella  manie" 
ra  che  sogliono  essere  i  giovani  licenziosi  e  poco  civili.  La 
guai  condizione  di  costanza  e  generosità  d'animo,  prosegue 
T  illustre  storico,  ed  io  ne  riporto  le  parole,  perchè  non  sarà 
inutile  che  la  gioventù  italiana  le  mediti,  abbiamo  veduto, 
per  esperienza  di  questa  guerra,  essere  molto  differente  dal 
valore  dell'arte  militare:  come  ancora  per  Vopposilo  abbiamo 
visto  molti  giovani  di  vita  ben  composta  e  modesta  e  civile, 
esser  diventati  nella  guerra  valorosi  soldati  (2).  Perduta  Em- 
poli, mancò  ai  fiorentini  il  luogo  più  opportuno  che  avessero 
a  far  massa  di  gente  per  mettere  in  difficoltà  l'esercito  allog- 
giato da  quella  parte  dell'  Arno,  e  per  aprire  la  entrata  alle 
vettovaglie.  Indi  la  generale  afflizione,  aggravata  dal  sospetto 
di  altri  somiglianti  tradimenti  (3),  e  dalla  baldanza  che  ne 
prendevano  gì' instigatori  di  accordi  a  qualunque  patto  (A). 


(1)  La  perdita  di  Empoli  non  è  occorsa  dal  valore  delle  genti 
di  fuori,  le  quali  a' 28,  avendo  dato  un  assalto  e  fatta  la  batteria, 
erano  state  rigettate  con  molto  danno,  ma  dal  mancamento  e  dalla 
perfidia  di  Andrea  Giugni.  Carlo  Capello  alla  repub.  ven.  Firenze 
31  maggio  1530, 1.  e,  pag.  294. 

(2)  Istoria  di  Firenze,  lib.  8. 

(3)  Massimamente  vedendosi  un  Andrea  Giugni,  eletto  dal  ma- 
gistrato de'  Dieci  per  uno  dei  buoni,  essersi  così  ribaldamente  por- 
tato. Carlo  Capello  alla  repub.  ven.  Firenze  31  mag.  1530,  1.  e, 
pag.  295. 

(4)  Despues  de  la  presa  de  Empoli  por  lo  que  se  entiende  de 
Florencia  estan  muy  alterados  los  de  la  ciudad,  y  ya  empezan  à 
decir  entre  ellos  que  seria  bien  tornar  algun  partido,  y  los  que 
hasta  allora  no  taan  podido  hablar  de  esto  ya  lo  empiezan  à  decir 
publicamente.  Gio.  Antonio  Muscettola,  ministro  imperiale  a  Roma 
all'  imperatore.  Roma  6  giugno  1530.  Archivio  di  Simancas  Neg.° 
de  Estado,  leg.°  849,  f.°  41.  msc. 


Nonpertanto,  fatta  deliberazione  nel  consiglio  degli  Ottanta  di 
voler  durare  quanto  il  pane  e  l'acqua  durerà  (4),  e  correndo 
il  popolo  con  tanta  prontezza  e  prestezza  a  portar  l'oro  e  l'ar- 
gento alla  zecca,  quanta  non  usò  mai  per  andare  a  riscuotere 
gli  interessi  de'  suoi  crediti  del  monte  (2),  non  così  prima 
seppesi  essere  diminuiti  alquanto  gli  eserciti  di  fuori  per  le 
genti  mandate  a  tentare  il  riacquisto  di  Volterra,  che  fu  for- 
za soddisfare  al  desiderio  universale  di  combattere.  Il  di  24 
giugno  4530,  un'  ora  innanzi  giorno,  Stefano  Colonna  e  Pas- 
quino Corso  uscirono  con  duemilacinquecento  fanti  incami- 
ciati per  assaltare  da  due  parti  verso  Fiesole  e  verso  Arno  i 
tedeschi  trincerati  intorno  al  convento  di  san  Donato.  Con  al- 
trettanti mosse  Malatesta  a  distendersi  lungo  il  fiume  per 
opporsi  all'Orange,  se  mai  volesse  passarlo  a  guado  e  venire 
in  soccorso  de'  suoi.  I  due  primi  entrarono  felicemente  nelle 
trincee  del  nemico,  e  vi  posero  lo  scompiglio,  ammazzando 
cinquecento  lanzi;  ma,  sopraggiunta  la  cavalleria  posta  in  or- 
dinanza dal  conte  di  Lodrone,  parve  al  Malatesta  di  aver  fallo 
assai,  e  fé'  sonare  a  raccolta  (3);  sicché  l'ardita  impresa  non 
partorì  verun  frutto. 

In  questo  mezzo  a  Firenze  faceansi  le  prove  estreme 
colla  fame  (4),  ed  alla  fame  teneva  allato  la  peste,  la  quale, 


(1)  Lettera  sopraccennata  di  Carlo  Capello,  pag.  295. 

(2)  Della  quale  provvisione  sebbene  non  speravano  di  trarre  più 
di  ducati  ventimila,  tanta  è  stata  la  prontezza  e  la  realtà  d*  ognu- 
no nello  apprescntare,  che  per  quanto  finora  si  può  giudicare  ne 
trarranno  da  ducali  cento  venti  mila.  Firenze  21  giugno  1530.  Ibi- 
dem, pag.  291). 

(3)  Firenze  21  giugno  1530.  Ibidem,  pag.  301,  302. 

(4)  Della  carne  e  del  vino  e  dell'olio,  essendone  quelli  della  città 
già  gran  tempo  privati,  li  soldati  ancora  dal  principio  di  questo 
mese  ne  fanno  del  tutto  senza  ....  la  carne  a  quattro  e  cinque 
carlini  la  libbra,  il  vino  a  dieci  scudi  il  barile,  e  l' olio  venti,  e  si 
è  venduta  questi  giorni  la  carne  d'asino  carlini  tre  la  libra,  e  li  sorci 


-  627  - 

scrive  Porator  veneto  Carlo  Capello,  era  di  tanto  maggior 
spavento  ad  ognuno  quanto  I'uoìho  non  aveva  il  modo  di  prov- 
vedervi, né  con  il  levarsi  dalla  città,  né  con  buoni  cibi,  né 
con  medicine,  essendovi  di  esse  in  liuto  mancamento  (4).  Non- 
dimeno era  delitto  parlare  di  accordi,  e  benché  non  restasse 
più  alcuna  speranza  nel  re  di  Francia,  il  quale  aveva  già  ria- 
vuto i  figliuoli  da  Cesare  e  mandato  il  conte  Pierfrance^co  da 
Pontremoli  a  trattare  la  riconciliazione  col  papa  (2),  pure  ri- 
levaronsi  gli  animi  alla  notizia  della  gloriosa  difesa  di  Vol- 
terra. Il  marchese  del  Guasto  e  Fabrizio  Maramaldo,  andati 
ad  assaltarla  con  circa  diecimila  uomini,  trovarono  nel  Fer- 
ruccio un  guerriero  infaticabile  a  coprire  la  breccia,  un  mec- 
canico industre  a  ripararne  i  guasti.  Un  trombata  spedito- 
gli dal  Maramaldo  ad  intimare  la  resa,fece  appiccar  alla  mu- 
ra (3),  dalla  quale  intanto  i  soldati  sbeffeggiavano  con  un 
miagolare  che  somigliava  al  nome  di  quel  capitano  (Mara- 
maus),  e,  respinti  per  ben  quattro  volte  i  nemici  (4),  li  costrin- 

tredici  soldi  l'uno;  de'galti  e  de' cavalli  ormai  non  se  ne  trovano 
più.  Firenze  14  luglio  1530.  Ibidem,  pag.  305. 

(1)  Ibidem  ]wg.  30C. 

(2)  El  rey  de  Francia  envia  un  hombre  que  se  dice  el  caballero 
el  escudier  francesco  pura  que  desengane  los  florentines  y  haga 
lodo  lo  que  el  Papa  le  mandare.  Michele  Majo  (Maggi)  ambasc.  im- 
per.  a  Roma  a  Carlo  V.  Roma  13  luglio  1530.  Archivio  di  Siman- 
cas  Estado,  leg.°  849,  f.°  38-39,  msc. 

(3)  Ne'  Ricordi  del  Capitan  Goro  da  Montebenichi  (msc.  nella 
Magliabecchiana.  Archivio  star,  ital.  Append.  14, pag.  349)  sta  scrit- 
to che  lo  fece  impiccare  sì  perchè  Maramaldo  avea  impiccato  al- 
cani  de' suoi  il  giorno  dinanzi,  et  sì  perchè  portava  lettere  di  nasco- 
sto  ai  Volterrani. 

(4)  A  Volterra,  despues  del  que  con  otra  carta  escribi  a  V.  M., 
han  dado  dos  combates  y  corno  fueron  algo  voluntarios  con  de- 
fenderse  los  de  dentro  reciamente  fueron  dos  veces  rebotados  con 
algun  darlo  de  la  gente,  que  ha  sido  gran  desgracia  por  el  animo 
que  cobraran  los  enemigos.  Michele  Majo  a  Carlo  V.  Roma  27  giug. 
1 530.  Archivio  di  Simancas  Estado,  leg.°  849,  f.°  26  msc. 


-  628  — 

se  infine  il  di  24  giugno  a  levare  il  campo  con  tanta  vergo- 
gna che  il  marchese  del  Guasto  se  ne  parti,  né,  per  instanze 
che  gli  facesse  il  pontefice  (4),  tornò  più  all'esercito  impe- 
riale. 

Allora  si  conobbe,  ahimè!  troppo  tardi,  che  solo  il  Fer- 
ruccio avrebbe  potuto  salvare  Firenze.  Laonde,  occorrendo 
aprire  la  strada  per  Prato  e  Pistoia  a  rinfrescare  le  provigio- 
ni,  si  mandò  a  lui  che,  congiunte  le  proprie  forze  con  i  cin- 
quemila fanti  e  cinquecento  cavalli  alloggiati  a  Pisa  sotto  il 
comando  di  Giampaolo  da  Ceri  (Orsini),  piombasse  sopra  gli 
assediatori,  mentre  gli  assediati  farebbero  una  sortita  con 
tutta  la  gente  di  guerra  e  la  milizia  cittadina;  avendo  deter- 
minalo che  quei  che  rimanevano  alla  custodia  delle  porte 
e  dei  ripari,  se  vedessero  rotti  i  combattenti,  uccidessero 
subito  con  le  mani  loro  le  donne  ed  i  figliuoli,  mettessero  fuo- 
co alle  case,  poi  uscissero  alla  stessa  fortuna  degli  altri;  ac- 
ciocché distrutta  la  città  non  vi  restasse  che  la  memoria  della 
grandezza  degli  animi  di  quella,  e  fossero  d'immortale  esem- 
pio a  coloro  che  sono  nati  e  desiderano  di  vivere  liberamen- 
te (2).  Venne  il  Ferruccio  a  Pisa,  ma  v'infermò  di  febbre  che  lo 
trattenne  tredici  giorni  (3),  e  fu  non  ultima  cagione  della  ro- 
vina della  impresa,  avendo  dato  agio  agli  imperiali  di  dispor- 
re le  cose  loro  in  modo  che  gli  si  fecero  incontro  appunto 
nel  tempo  che,  presa  ed  incendiata  la  rocca  di  san  Marcello, 
entrava  a  Gavinana.  A  quella  volta  era  stato  traviato  dai  Can- 


(1)  Y  porque  la  ida  del  marques  del  Vaste  en  este  tiempo  les 
cresccria  mucho  mas  animo,  parccio  al  Papa  que  se  le  escribiese 
quo  sobrcseyese  en  su  partida,  basta  que  V.  M.  fuese  informado 
y  respondiese  en  esto.  Ibidem  msc.  Vedi  anche  Ruscelli.  Lettere 
de' principi,  t.  2. 

(•>)  Carlo  Capello  alla  repub.  ven.  Firenze  14  luglio  1530, 1.  e, 
pag.  306. 

(3)  Commissarii  di  Pisa  ai  Signori  Dieci.  18,  23  e  25  luglio  1530. 
Arch.  stor.  ital.  t.  4,  par.  2,  pag.  G73,  677  e  678. 


—  629  - 

cellieri  di  Pistoia  in  odio  ai  Panciatichi  loro  avversarli  e  pal- 
leschi. Uscito  di  san  Marcello,  se  in  cambio  di  andare  a  Ga- 
vinana,  avesse  pigliato  un  sentiero  a  manca  cinto  di  rupi,  pel 
quale  vedeansi  salire  file  di  donne  fuggenti,  nò  gli  inimici 
forti  di  cavalli  e  gravemente  armati  potevano  seguitarlo,  sa- 
rebbe arrivato  salvo  a  Scarperia.  Ma  poiché  venne  di  fronte 
a  loro,  gli  ripugnò  abbracciare  un  partito  che  facea  vista 
di  timido,  benché  dovesse  combattere  con  un  esercito  tre 
volte  più  numeroso  (4).  Il  principe  di  Orange,  assicura- 
to dalla  promessa  del  Baglione  di  ritenere  ogn9  impelo  che  la 
città  volesse  fare  (2),  avea  seco  condotto  la  maggior  parte 
delle  genti  levate  dal  campo.  Ai  3  agosto  4530  presso  a  Ga- 
vinana  avvenne  lo  scontro  terribile.  Due  giorni  innanzi 
scrisse  Ferruccio  ai  Dieci  ;  se  li  nemici  faranno  esperienza 
di  noi,  allora  faremo  vedere  chi  noi  siamo  (3),  ed  in  fatto  do- 
po un  combattimento  di  tre  ore,  nel  quale  l'Orange  trovò  la 
morte  e  fu  sbandata  la  sua  cavalleria,  apparivangli  non  pochi 
segni  di  prossima  vittoria,  quando  Alessandro  Vitelli,  rotta  la 
squadra  di  Giampaolo  daCeri,sopraggiunse  con  tremila  fanti 
e  con  molti  villani  di  san  Marcello  ad  assaltare  di  fianco  il 
suo  scarso  e  stanco  drappello.  Non  avendo  più  intorno  a  sé 
che  un  pugno  di  valorosi,  interrogato  dal  medesimo  Giam- 
paolo: signor  commissario,  non  vogliamo  ancora  arrenderci? 
No  I  rispose  risolutamente,  e  scagliosa  nella  mischia  (A).  In 
ultimo  si  ritrasse  con  soli  dieci  superstiti  in  una  casa,  ove, 
dopo  una  disperata  difesa,  fu  preso  (5).  Fabrizio  Maramaldo, 


(1)  Sed  Ferruccius  elato  spiritu  id  consilium,  quod  timoris  et 
fugae  iudicium  proebere  posset,  detestatus,  recta  progredì  coepit. 
Pauli  Jovii,  liistor.  sui  temp.  1.  29,  pag.  163. 

(2)  Fra  Giuliano  Ughi  Cronica  di  Firenze.  Arch.  stor.  Hai, 
Append.23,  pag.  162. 

(3)  Pescia  1.°  ag.  1530.  Arch.  stor.  Hai.,  t.  4,  par.  2,  pag.  680. 

(4)  Mariti  Sanuto,  t.  LII. 

(5)  11  vivo  capitano  fu  trovato  quasi  solo  con  la  sua  spadona  in 


—  630  — 

per  le  molte  vergogne  che  con  le  armi  in  mano  fatte  gli  ave- 
va quell'eroe,  volle  vederlo  trascinato  a' suoi  piedi,  e  pro- 
rompendo in  ogni  maniera  di  villanie  gli  ficcò  lo  stocco  nella 
gola  (i).  Tu  uccidi  un  uomo  morto,  disse  Ferruccio  (2),  ed 
esalò  la  grande  anima. 

Con  esso  lui  cadde  Firenze.  Quegli  che  avevano  in  ma- 
no la  pubblica  autorità  ascoltarono  bensì  i  chiassoni  deliran- 
ti nelle  imputazioni  fraterne,  ed  ai  loro  sospetti  contro  uno 
che  trattò  di  vendere  Pisa,  contro  un  frate  che  voleva  in- 
chiodare le  artiglierie,  contro  Lorenzo  Soderini  che  delle 
cose  interne  ragguagliava  il  nemico (3),  risposero  colla  forca; 
ma  o  non  tennero  occhio  al  Malatesta  Baglione,  o,  per  timo- 
re de' tremila  fanti  che  aveva  condotti,  non  furono  usi  far 
quello  che  sarebbe  stato  la  salute  comune  secondo  i  consigli 
del  Ferruccio,  cioè  mandar  per  lui  e  tagliargli  il  capo  (A). 
Lasciarono  anzi  che  continuasse  quelle  pratiche  che  non  po- 
nevano riuscire  a  veruna  composizione,  ed  ei  seppe  volgere 
perfidamente  a'  suoi  fini  (5).  Nel  mese  di  giugno  4530  diede 
segreto  avviso  ai  nemici  che  i  governanti  mandavano  un  uo- 


mano;  et  aveva  intorno  de'nimici  morti  e  tagliati  in  pezzi  più  di 
cinquanta,  e  lui  poco  ferito.  Fra  Giuliano  Ughi.  Cronica  di  Firen- 
ze, 1.  e,  pag.  1G4. 

(1)  Al  contrario  Paolo  Giovio:  nequaquam  ex  privata  injuria, 
sed  .  .  .  ne  incolumis  hostium  dux,  postquam  tantus  imperator 
(Orange)  cecidisset,  servarelur.  Histor.  sui  temp.,  J.  29,  pag.  165. 

(2)  Maria  Sanuto,  t.  L1I. 

(3)  Carlo  Capello  alla  repub.  ven.,  Firenze  14  luglio  1530, 1.  e, 
pag.  304. 

(4)  Fra  Giuliano  Ughi,  1.  e,  pag.  161. 

(5)  Los  florentines,  o  por  mejor  decir,  Malatesta,  en  nombre  del- 
los,  porque  es  el  gue  lo  gobiema  todo,  inviò  à  decir  que  inviase  den- 
tro de  la  ciudad  un  personage  para  tractar,  y  que  fuese  si  Ics  pa- 
recia  al  principe  Don  Fernando  de  Gonzaga. Michele  Majo  all'impera- 
tore. Roma  18  luglio  1530.  archivio  di  Simancas.  Neg.do  de  Estado, 
leg.°  849,  f.°  35  e  36  msc. 


—  631  — 

mo  per  avvelenare  il  papa  (1).  Se  vero  o  falso  l'attentato,  non 
m' ardirei  decidere.  11  principe  di  Orange  riferi  aver  fatto 
prendere  queir  uomo  e  trovategli  indosso  le  denotate  due 
fiale  di  veleno  (2)  ;  ma  considerando  quanto  importava  al 
Malatesta  che  Clemente  sapesse  esser  venuto  da  lui  ravviso 
medesimo,  diede  nel  segno  conchiudendo:  questo  a  me  pare 
buon  indizio  per  la  pronta  espedizione  della  impresa,  perchè 
egli  si  vede  così  al  basso  che  cerca  riconciliarsi  col  papa  (3). 
Somigliante  illazione  fece  pure  don  Garzia  Loaysa  confessore 
di  Carlo  V,  creato  di  fresco  cardinale,  allora  a  Roma  (4),  e 
da  Roma  scriveva  Michele  Majo,  ambasciatore  imperiale,  che 
il  Malatesta  in  tutto  quell'anno  andò  dicendo  voler  essere 
servitore  di  Cesare  (5). 

Così,  o  non  sorvegliato  o  temuto,  potè  compiere  impu- 
nemente nella  ultima  ora  della  repubblica  i  suoi  tradimenti. 


(1)  Florentines  acordaren  de  dar  hierbas  al  Papa  y  enviaron 
un  hombre  a  este  efecto,  y  corno  Malatesta  es  cabaltero  y  vasallo 
del  Papa,  aunque  agurasirve  a  florentines,  secretamene  dio  aviso 
dello  al  Principe  (d'Orauge)  y  al  mesrao  Papa,  diciendo  que  el  sirve 
a  florentines  de  capitan  y  de  hombre  de  guerra  y  no  de  verdugo. 
Michele  Majo  all'  imperatore.  Roma  27  giug.  4530.  Ìbidem  Estado 
leg.°  849,  i.°  26  msc. 

(2)  Il  portatore  confessò  all'  Grange  che  il  bottigliere  e  cinque 
altri  servitori  di  sua  santità  erano  complici  nel  delitto.  Der  prinz 
von  Oranien  an  den  kaiser.  23  giug.  1530.  Lanz  Corresp.,  t.  1, 
pag.  390. 

(3)  Malatesta  dit  a  cellui  a  cui  il  parla,  quii  vouloit  le  pape  sceut, 
que  cest  advertissement  estoit  venu  de  luy  ...  Ce  que  je  pense 
boti  signe  pour  la  brieve  expedition  de  ceste  emprinse;  car  il  se  voit 
si  bas,  quii  veult  bien  se  rabiller  avec  le  pape.  Ibidem. 

(4)  Yo  le  respondi  (al  papa)  que  esperaba  que  presto  ternia  fin 
aquella  empresa,  y  que  si  la  cosa  no  estuviera  i/iuy  al  cabo  nunca 
lo  revelara  aquella  persona.  Ansi  lo  cree  S.  Sd.  Roma  27  giugno 
1530.  D.r  G.  Heine  Briefe  an  kaiser  Karl  V.  geschrieben  von  seinem 
beichtvater  in  den  Jahren  1530-1532.  Berlino  1848,  pag.  354. 

(5)  Diciendo  el  comò  ha  diclio  todo  estè  ano  que  quiere  ser  ser- 


—  632  — 

Ricusò  assalire  il  campo  mentre  l'esercito  s'era  volto  contro 
Ferruccio  (4),  ed  anche  allora  che  correvano  voci  di  vittoria 
e  pareva  a  ciascuno  si  dovesse  profittare  della  piena  dell'Ar- 
no, per  cui  le  due  parti  dell'esercito  medesimo  si  trovavano 
separate,  impedi  la  concertata  sortita  esponendo  in  quattro 
successive  scritture  le  pretese  sue  giustificazioni;  quindi  (non 
che  dimettersi  dal  comando,  come  voleva  onestà  se  fosse  vero 
il  contrario  di  quello  ch'è  ad  esuberanza  provato, lo  rattenesse 
cioè  dalPoperare  questo  solo  motivo  del  conoscere  le  cose 
senza  rimedio  ),  accolse  a  colpi  di  pugnale  Andreolo  Nic- 
colini  che  gli  intimò  il  congedo  in  nome  della  Signoria  (3), 
e  voltò  contro  le  porte  della  città  le  artiglierie  che  aveva  ri- 
sparmiate in  prò  de?  nemici  (4).  In  tanta  confusione  ed  ab- 
battimento, fra  gli  sterminii  della  fame  e  della  peste,  P  im- 
perversar delle  fazioni  e  le  minacce  di  una  battaglia  intesti- 
na, spettacolo  già  quasi  certo  e  pure  a  pensarlo  miserabile  e 
spaventevole  (5),  essendo  ornai  tutto  governato  dal  Malate- 
sta  (6)  e  liberati  per  suo  ordine  i  prigioni  palleschi  (7),  fu 


vidor  de  V.  M.  Michele  Majo  all'  imper.  Roma  18  lugl.  1530.  Archì- 
vio di  Simancas.  Neg.°  de  Estado  leg.°  849,  f.°  35  e  36  msc. 

Il)  Carlo  Capello  alla  repub.  veri.,  Firenze  13  agosto  1530, 1.  e, 
pag.  312. 

(2)  Avevano  ordine  dal  principe  ...  di  non  uscire,  anzi  in  caso 
di  difficoltà  di  ridursi  insieme  tutti  nel  forte  della  piazza  di  esso 
principe,  abbandonando  il  Sassetto,  Rusciano,  Geramonte,  il  Gallo 
e  gli  altri  luoghi  forti.  Ibidem,  pag.  313. 

(3)  Ibidem,  pag.  314. 

(4)  E  cominciò  pubblicamente  a  dire,  che  o  per  forza  o  per 
amore  voleva  che  la  terra  si  desse  al  papa.  Fra  Giuliano  Ughi,  1. 
e,  pag.  167.  Lo  stesso  il  Nardi,  1.  9. 

(5)  Carlo  Capello  alla  repub.  ven.  Firenze  13  agosto  1530, 1.  e, 
pag.  315. 

(6)  Né  altrimenti  fanno  li  signori  se  non  come  è  ordinato  da  lui. 
Ibidem,  pag.  315. 

(7)  Ìbidem,  pag.  315  e  316. 


—  633  — 

forza  rassegnarsi  e  capitolare  con  Ferrante  Gonzaga  sotten- 
trato air  Orange. 

Papa  Clemente  sentiva  strignersi  il  cuore  a  tanto  stra- 
zio della  patria  ?  Al  vescovo  di  Tarbes,  che  quasi  colle  parole 
stesse  già  usate  da  Gaspare  Contarini  (4)  cercava  distoglier- 
lo dal  proposito  indecoroso  di  vendere  sin  ventisei  cappelli 
per  continuare  la  guerra,  rispose  eh'  ei  comprendeva  bene 
la  verità  M  suoi  delti,  ma  ch'era  costretto  daW  onore  di  far- 
lo (2);  ma  quando  il  vescovo  medesimo  si  volse  a  lui  non 
come  oratore,  sì  come  cristiano  e  prete  e  vescovo,  e  quando 
gli  mise  innanzi  l'onore  della  Chiesa  vilipeso  e  il  ghigno 
de'  luterani,  allora  anche  quel  misero  mandò  fuori  il  grido 
della  coscienza,  sospirando  :  vorrei  che  Firenze  non  fosse 
mai  stata  (3).  Misero,  in  vero,  più  assai  di  quanti  perirono 
in  Firenze  uccisi  dal  boja,  o  languirono  di  poi  consunti  da 
quegli  interminabili  tedj,  che  seguitarono  ai  primi  danni.  Chi 
varrebbe  a  descrivere  l' osceno  trambusto  che  in  cuor  suo 
fecero  durante  l'assedio  l'ansietà  del  vincere  e  il  timore  che 
il  difetto  di  danari  o  la  lentezza  degli  imperiali  o  nuovi  vi- 


(1)  A  me  pare  che  V.  Beat,  habbi  una  occasione  di  acquistarsi 
grandissimo  merito  apresso  Dio  et  immortai  gloria  apressp  tuto 
il  mondo  che  è  .  .  .  appresso  questi  Cesarei  la  procuri  la  inden- 
nità della  sua  patria,  et  monstri  a  tuto  il  mondo  che  in  lei  non  è 
quel  appetito  di  dominarla,  come  molti  credono.  Gaspare  Conta- 
rini al  Senato.  Roma  31  lugl.  1529.  Biblioteca  Marciana  ital.,  ci. 
VII,  cod.  MXLIII,  lib.  6,  msc. 

(2)  Il  me  dit  que  je  savoys  bien  que  la  chose  de  ce  monde  qu'  H 
faisoitle  plus  envys  estoit  de  crèer  cardinaulx,  encores  gens  de  bien, 
pour  la  multitude  qu'y  est,  et  quii  congnoissoit  que  ce  que  luy  df- 
soys  estoit  toute  veritè,  mays  qu'  il  estoit  constrainct  póur  son  hon- 
neur  de  le  faire.  Lettera  del  vescovo  di  Tarbes  a  Francesco  I.  Ro- 
ma aprile  1530.  Molini.  Doc.  di  stor.  ital.  archivio  stor.  ital.  Ap- 
pend.,  n.  9,  pag.  476. 

(3)  Il  me  dist  qu'  il  estoit  contant  que  Florance  n'  eust  jamais 
esté.  Ibidem. 

39 


—  634  — 

luppi  politici  guastassero  la  impresa?  Come  esausto  avesse 
l'erario,  e  quanti  stenti  gli  costasse  il  provvedere  a  scadenza 
i  soldi  convenuti,  addimostralo  abbastanza  la  sopraccennata 
proposta  di  vendere  ventisei  cardinalati,  costantemente  ri- 
gettata al  tempo  della  guerra  per  la  indipendenza  italiana,  e 
pur  ora  di  buon  animo  accolta,  siccbè  poco  mancò  alla  con- 
clusione de9  negoziati  introdotti  con  parecchi  postulanti  (1). 
Allorché  il  principe  di  Orange,  dopo  ricevuti  i  sessantamila 
ducati  per  il  mese  di  maggio  ed  altri  mille  per  Fabrizio  Ma- 
ramaldo, gli  domandò  un'aggiunta  di  diecimila  scudi  per 
le  genti  mandate  alla  espugnazione  di  Volterra,  fu  tanta  l'an- 
gustia sua  che  Gio.  Antonio  Muscettola  commissario  impe- 
riale a  Roma,  non  si  sentendo  la  forza  d'insistere,  tolse  so- 
pra di  sé  il  carico  di  contribuirvi  colle  rendite  del  regno  di 
Napoli  (2). 

Più  grave  ancora  il  sospetto  di  essere  ingannato  da  Ce- 
sare. Per  dimostrazioni  che  questi  gli  avesse  fatto  di  ami- 
cizia, nulla  valse  a  cancellare  la  memoria  degli  oltraggi  pas- 
sati e  la  impressione  di  que'  consigli  di  moderazione  e  carità 
evangelica  con  cui  nell'ottobre  dell'anno  antecedente  cercò 
muoverlo  a  pietà  della  sua  patria  (pag.  575).  Tutt' altro  che 
crederli  inspirati  da  sentimenti  generosi,  pratico  com'era 
delle  arti  diplomatiche,  ben  si  appose  argomentando  dalle 

(1)  Et  la  negociacion  estè  menée  de  sorte  qu'  elle  estoit  prés 
de  conclusion,  voyre  d' en  faire  jusques  à  vingt  et  six,  doni  il  y 
en  avoit  qui  donnoient  soixante  mil  escuz,  comme  le  frère  du  ca- 
stellan  de  Musso,  et  le  patriarche  d' Aquillèe  et  les  autres  jusques 
à  trent  cinq  mil,  autres  trente,  et  autres  vingt  et  cinq,  et  s'eslo- 
ient  les  moindres.  Ibidem,  pag.  474. 

(2)  No  veo  manera  corno  se  le  pueda  tambien  decir  que  paguen 
estos  otros  diez  mil . . .  aqui  por  cierto  està  todo  va  consumido, 
con  todo  esto  me  esforzare  de  sacar,  sino  todo,  parte,  y  tambien 
da  P  otre  parte  solicitare  que  se  procuren  sacar  dal  reyno.  Gio.  Ant. 
Muscettola  all' imper.,  Roma  29  mag.  1530.  Archivio  di  Simancas 
Estado,  leg.°  849,  t.°  45  insc. 


—  635  — 

sante  parole  alla  intenzione  dell'astuto  esortatore  di  far  l'in- 
teresse suo,  senza  curarsi  dell'altrui.  Ed  ignorava  egli  forse 
quel  che  1*  Orange  aveva  detto  più  volte  contro  il  governo 
de' preti  e  la  ingiustizia  della  guerra,  di  cui  gli  era  affidato 
il  comando?  Chi  poteva  assicurarlo  eh'  ei  non  ripetesse  il 
brutto  tiro  del  Borbone  ?  Parrà  strano,  eppur  abbiamo  per 
certo  questo  essere  stato  il  motivo,  addotto  persino  in  con- 
cistoro, che  affrettò  la  sua  partenza  da  Bologna  il  di  31 
marzo  4530  (4).  Quante  volte,  considerando  ora  il  tardo  pro- 
cedere degli  imperiali,  ora  i  guasti  che  recavano  daper- 
tutto  (2),  e  i  pochi  fatti  d' arme,  e  i  successi  non  mai  ri- 
spondenti alle  forze,  quante  volte  nel  dubbio  tremendo  di 
rimanersi  o  deluso  o  tradito  sarebbesi  voltato  alla  parte  op- 
posta, pur  che  avesse  veduto  modo  di  riuscire  più  presto  e 
con  minor  vituperio  al  suo  fine  !  Ma  la  sete  di  vendetta  lo 
aveva  spinto  in  un  sentiero,  la  cui  strettezza  e  il  lubrico  pen- 
dio arduo  gli  rendevano  il  fermarsi  a  sua  posta,  non  che  il 
tornare  indietro. 

Né  conturbarono  meno  i  portamenti  ambigui  del  re 
di  Francia  (3),  massime  allora  che,  ristrignendosi  con  En- 
rico d' Inghilterra,  dava  a  supporre  di  non  voler  osservare 
la  pace  (4),  e  sapevasi  inoltre  essere  tornato  con  larghe 

(1)  Gaetano  Giordani.  Cronaca  della  venuta  e  dimora  in  Bolo- 
gna di  Clemente  VII  per  la  coronazione  di  Carlo  V  (dagli  Annali 
mss.  di  Bologna  1530  di  Gio.  Francesco  Negri),  pag.  182. 

(2)  Bien  sera  que  se  quiten  por  està  via  (mandandoli  in  Unghe- 
ria) o  por  otra  aquellos  enfantes  espanoles  que  mandò  V.  M.  despe- 
dir, porque  hacen  cosas  muy  reeias  en  la  tierra  y  no  bay  remedio 
en  elio,  y  el  Papa  lo  siente  mucho.  Gio.  Ant.  Muscettola  all'iwper. 
Roma  29  mag.  1530.  Archivio  di  Simancas  Eslado,  leg.°  849,  f.° 
45  msc. 

(3)  S.  Santidad  està  muy  escandalizada  aunque  lo  disimule  del 
rey  de  Francia  porque  tiene  por  cierto  que  da  calor  y  subsidio  se- 
creto à  florencia.  Ibidem  msc. 

(4)  Escribe  el  Nuncio  (di  Francia)  que  franceaes  no  tienen  buena 


-  636  - 

profferte  del  Turco,  Antonio  Rincon,  emigrato  spagnuolo  (4), 
da  lui  spedito  nell'anno  4527  alle  corti  dell'  antire  Zapoly  e 
di  Costantinopoli  per  eccitarle  a  nuova  guerra  contro  P  im- 
peratore (2).  Ad  ogni  movimento  degli  antichi  vassalli,  quan- 
do nel  giugno  del  4530  Sigismondo  Malatesta  faceva  armi 
per  rientrare  a  Rimini,  e  a  lui  collegavansi  i  pretendenti 
di  Faenza  e  di  Forlì,  parvegli  veder  la  mano  nemica  di  Fran- 
cia (3).  E  perchè  da  Venezia,  dove  viveva  con  provvisione 
di  quel  senato,  era  stato  bandito  poc'anzi  Sigismondo  per 
aver  cercato  sforzare  la  casa  di  una  donna  dietro  la  quale 
andava  perduto,  temette  non  forse  questo  fosse  il  pretesto 
per  isguinzagliarlo  a'  suoi  danni.  Nel  qual  sospetto  basta- 
rono a  confermarlo  e  l'avviso  del  bando  portogli  dall' am- 
basciatore veneto,  quasi  a  discolpa,  il  di  innanzi  a  quello 
in  cui  giunse  nuova  de'  sopraccennati  armamenti  (4),  e  l'an- 
data a  Venezia  del  duca  di  Ferrara,  alla  corte  del  quale  sta- 
vano la  madre  e  le  sorelle  di  Sigismondo  (5).  Che  più?  At- 

intencion  de  servar  las  paces,  y  que  alla  era  llegado  un  hombre  del 
rey  de  Ynglaterra  y  que  lo  hacian  esperar  hasta  que  se  mirase  el 
exito  de  estos  de  los  hijos  por  tratar  que  se  habia  de  hacer  despues. 
Gio.  Ant.  Muscettola  all'  imper.  Roma  6  giugno  1530.  Ibidem  leg.° 
849,  f.°  41  msc. 

(1)  La  cual  negociacion  el  Rincon  tratò  por  mano  de  Luis  Grit- 
ti,  y  volvio  con  la  respuesta  en  Francia.  Don  Rodrigo  Nino  (amò. 
imper.  a  Venezia)  a  Carlo  V.  Venezia  18  giugno  1630.  Ibidem  Neg.d0 
de  Estado,  leg.°  1308  msc. 

(2)  Giuseppe  Molini.  Documenti  di  stor.  ital.  t.  2,  pag.  116.  11 
precitato  dispaccio  da  me  trovato  nell'  Archivio  di  Siraancas  ri- 
sponde al  quesito  proposto  da  quel  benemerito  raccoglitore  di  do- 
cumenti circa  alla  prima  andata  del  Rincon  alle  corti  di  Ungheria  e 
di  Costantinopoli,  dieci  anni  avanti  quella  di  cui  parlano  gli  storici. 

(3)  Michele  Majo  all'imperatore.  Roma 27  giugno  1530.  Archi- 
vio di  Simancas  Estado  leg.°  849,  f.°  26  msc. 

(4)  Suelese  decir  que  dar  desculpas  cuando  no  se  pide  es  acu- 
sarse  el  hombre  o  confesar.  Ibidem. 

(5)  Y  son  todos  una  cosa  con  el  duque  de  Ferrara.  Ibidem. 


-  637  - 

terrivalo  fin  il  pensiero  di  una  stabile  amicizia  tra  i  due  po- 
tenti rivali,  prevedendo  che  in  tal  caso  il  re  Francesco  ado- 
prerebbesi  a  farlo  deporre  dal  seggio  papale.  Questa,  scriveva 
l'ambasciatore  imperiale  da  Ruma,  questa  è  la  sua  gran  pau- 
ra, perchè  repula  non  poter  esservi  intimo  accordo  del  cri- 
stianissimo con  la  maestà  vostra  che  a  lui  non  arrechi  pre- 
giudizio (i).  Laonde  a  renderselo  propizio,  e  a  distorlo  dal 
confortare  di  speranze  i  fiorentini,  pose  in  opera  le  arti 
consuete.  Mandò  l'ambito  cappello  al  grancancelliere  Du 
Prat  e  non  molto  dopo  la  legazione  del  regno  di  Francia,  e, 
mentre  da  una  parte  prometteva  non  avrebbe  fatto  mai 
altro  in  vita  sua  che  promuovere  gli  interessi  di  Cesare  (2), 
e  al  sol  vedere  il  ritratto  di  Margherita  promessa  ad  Ales- 
sandro de' Medici  mostravasi  il  più  allegro  uomo  del  mon- 
do (3),  creava  dall'  altra  cardinale  il  vescovo  di  Tarbes  ora- 
tore francese  (4),  e,  dichiarando  confidar  poco  nell'esercito 

(1)  Crea  V.  Magestad  queste  es  todo  su  miedo  del  qual  no  se 
puede  asegurar,  que  piensa  que  si  V.  M.  y  el  Cristianissimo  son 
mucho  amigos  no  puede  ser  sin  su  perjuciopor  mas  que  le  ase- 
guremos  dello.  Michele  Majo,  ambasc.  imp.  a  Carlo  f  Roma  30sett. 
1530.  Ibidem  Secretaria  de  Estado,  leg.°  850,  f.°  101  e  102  msc. 

(2)  Me  dixio  que  el  siempre  no  haria  otro  sino  pensar  y  procu- 
rar mas  las  cosas  de  V.  M.  que  las  propias  suyas.  Gio.  Ani.  Mu- 
scettola  all'  imper.  Roma  29  mag.  1530.  Ibidem  Estado,  leg.°  849, 
f.°  45  msc. 

(3)  El  papa  habia  enviado  un  obispo  a  besar  las  manos  à  ma- 
dama, la  prometida  al  duque  Alexandro,  y  es  vuelto,  y  ha  traido 
su  retracto  y  la  relacion  de  su  vivez  y  buena  manera,  de  que  està 
el  Papa,  y  con  razon,  el  mas  allegre  hombre  del  mundo.  Michele 
Majo  all'  imper.  Roma  18  lugl.  1530.  Ibidem  Neg.do  de  Estado,  leg. 
849,  f.°  35  e  36  msc. 

(4)  Està  manana  el  papa  ha  hecho  cardenal  piossiur  de  Tar- 
ba  . . .  porque  este  le  ha  prometido  hacer  obra  que  el  rey  de  fran- 
cia  dexie  de  dar  esperanzas  à  Florentia  y  que  no  los  ayuderia  en 
manera  alguna,  y  este  le  ha  dado  à  entender  que  mas  sera  creido 
en  hacer  està  obra  si  se  hallara  hecho  cardenal  que  si  no  lo  es, 


—  638  — 

imperiale,  dava  segno  di  voler  rimettere  nel  re  Francesco 
la  controversia  di  Firenze  (1). 

A  tutto  ciò  aggiugnevasi  il  timore  che  la  città  andasse 
a  sacco.  Avvenuta  la  resa,  come  rimuovere  le  fameliche  tur- 
be dalle  prede  lungamente  appetite  ?  Scriveva  V  Orange 
che  solo  per  scostarle  non  ci  vorrebbero  meno  di  dugento- 
mila  ducati,  e  di  altri  centomila  duranti  le  trattative  della 
capitolazione;  onde  il  pontefice  si  dava  alla  disperazione, 
parendogli  impossibile  far  tanto  danaro  (2). 

Clemente  non  voleva,  e  s' intende,  regnare  sopra  un 
cadavere;  né  certo  abbisognava  che  altri  gli  mettesse  in- 
nanzi gli  orrori  di  un  saccheggio.  Indi  le  instanze  a  Cesare 
che  desse  al  principe  di  Orange  efficacissima  commissione 
per  impedirlo;  che  invero,  per  essere  la  patria  mia,  mi  tre- 
ma il  cuore  quando  penso  allo  strazio  che  si  faria,  tanto  che 


porque  no  siendolo  no  le  puedan  decir  que  por  ser  cardenal  lo  pro- 
cura. Dios  quiera  que  un  frances  no  haya  engaiìado  un  florentin 
corno  he  dicho  al  papa.  Ha  hecho  una  vez,  y  si  no  fuese  hecho 
quien  sabe  si  se  haria.  Gio.  Ant.  Muscettola  all'  imper.  Roma  8 
giugn.  1530.  Ibidem  Estado,  leg.°  849,  f.°  43  msc. 

(1)  Di  Francia  liabiamo  lettere  freschissime  corno  monsig.  di 
Tarba  ha  mandato  uno  suo  homo  al  re  per  le  poste  cun  farli  intende- 
re che  '1  papa  pocho  confida  ne  lo  exercito  imperiale,  et  è  contento 
per  non  vedere  più  ruina  di  quella  ha  visto  di  fiorenza  rimettere 
le  sue  differentie  ne  la  maiestà  sua  che  lui  la  concia  conio  mel- 
gio  si  potrà,  purché  forausciti  tornino  in  casa.  Lettera  di  A.  N.  a 
Matteo  Casella  oratore  del  duca  di  Ferrala.  Ferrara  4  giugno  1530. 
Archivio  imperiale  di  Parigi.  B.  2,  n.°  27  msc. 

(2)  Por  haber  el  principe  designado  que  ha  menester  dos  ciento 
mil  ducatos  para  retirar  un  poco  el  ejercito  . . .  y  mientras  el  acor- 
dio  se  tractara  otros  cien  mil  que  seran  por  la  paga  de  un  mes, 
lo*  cuales  diz  que  pagara  la  mesma  florencia,  y  elpapa  està  de- 
sesf  erado  por  estoy  pareciendole  imposible  hacer  tanto  dinero,  aun- 
que  »e  esforcara  à  hacer  lo  mas  que  podra.  Michele  Majo  ali1  imper. 
Roma  13  lugl.  1530.  Archivio  di  Simancas  Estado,  leg.°  849,  f.°  38, 
39,  msc. 


—  639  - 

non  avrei  salisfazione  d*  esservi  rientrato,  entrandovi  con 
tanta  mina  (i). 

E  ne  restò  contentato,  men  per  P  autorità  di  Carlo  V 
che  per  opera  di  Malatesta  Baglione,  essendo  a  questo  sol 
patto  la  osservanza  delle  promesse  verso  di  lui.  Nella  ca- 
pitolazione del  di  12  agosto  4530  (2)  si  convenne  anzitutto 
che  partisse  P  esercito  imperiale,  fermo  l'obbligo  di  pagar- 
gli ottantamila  ducati.  Pur  troppo  a  questa  condizione  sa- 
lutare andò  aggiunta  un'altra,  onde  si  pare  sempre  più  il 
danno  del  non  esser  stati  seguiti  a  tempo  i  consigli  deìni- 
gliori  cittadini  e  in  particolare  di  Nicolò  Capponi.  Dicemmo 
già,  e  giova  ripetere  :  nulla  onora  i  cittadini  più  dell'  aver 
posposto  beni  e  vita  alla  dignità  della  patria  (3)  :  a  lor  si 
deve  l'ultima  luce  di  che  rifulse  Firenze,  splendidissima 
sopra  ogni  altra  città  per  tante  glorie  di  lettere,  di  arti,  d'in- 
dustrie. Ma  la  caduta  sua  era  inevitabile,  e  ben  la  previde 
lo  stesso  Carlo  Capello,  allora  oratore  della  repubblica  ve- 
neta, argomentando  dalle  molte  miserie  del  governo  popo- 
lare (i).  A  que'  giorni  la  scienza  di  stato  doveva  rivolgersi 
non  a  escogitare  il  modo,  fatto  ornai  impossibile,  di  tener 


(1)  Clemente  VII  a  Carlo  V.  Roma  3  giugno  1530.  Ruscelli.  Let- 
tere di  principi,  t.  2,  pag.  194. 

(2)  Fu  conchiusajda  Bardo  Altoviti,  Lorenzo  Strozzi,  Jacopo 
Morelli  e  Pierfrancesco  Portinari,  mandati  oratori  a  Ferrante  Gon-* 
zaga,  essendo  già  stati  trattati  gli  articoli  relativi  con  Bartolomeo 
Valori  commissario  generale  del  pontefice.  Carlo  Capello  alla 
repub.  ven.,  Firenze  13  ag.  1530,  1.  e,  pag.  316. 

(3)  In  tre  anni  di  libertà  spesero  t,386806  fiorini  d'oro.  Giuseppe 
Canestrini.  La  scitnza  e  l'arte  di  stato,  op.  cit.,  pag.  371-374. 

(4)  Mi  ricordo  che  ritrovandomi  io  col  clarissimo  messer  Carlo 
Capello,  allora  ambasciatore  in  Firenze  nel  tempo  della  mal  go- 
vernata repubblica,  il  detto  signore,  che  era  pieno  di  dottrina  e  di 
spirito,  mi  disse  un  dì,  vedendosi  tante  miserie,  che  quello  stato 
tanto  tumultuosamente  governato  non  poteva  durar  molto  tem- 
po, e  predisse  la  rovina  sua  e  la  sua  servitù.  Vincenzo  Fedeli.  Re- 


—  640  — 

viva  la  repubblica,  si  unicamente  a  ovviare  cbe  in  luogo 
di  essa  non  sorgesse  una  tirannide  assoluta  e  feroce.  Fu 
conseguenza  invece  di  quel  governo  che  sortissero  alle  ca- 
riche uomini  inetti  o  perversi,  i  quali,  pascendosi  di  vane 
illusioni,  sforzarono  agli  estremi  della  difesa  senz'aver  prima 
cercato  di  ottener  quello  che  si  poteva  pretendere,  né  reca- 
ronsi  tampoco  a  coscienza  di  blandire  la  superstizione  che 
gli  aiuti  miracolosi  di  Dio  si  avessero  a  dimostrare,  ma  non 
prima  che  condotte  le  cose  a  termine  che  quasi  piti  niente  di 
spirito  vi  avanzasse  (1).  Indarno  anche  in  questa  occasione 
non  rimase  inoperoso  il  senno  politico  di  Francesco  Guic- 
ciardini (2),  e  la  città  dovette  infine  sottoporsi  a  una  vera 
umiliazione  di  vassallaggio  forestiero,  rimettendo  nell'impe- 
ratore l'arbitrio  di  ordinare  fra  tre  mesi  la  forma  del  suo 
governo,  salva  nondimeno  la  libertà,  e  dandogli  ostaggi  fino 
all'intero  adempimento  de' capitoli  (3). 

Non  fu  prima  fatto  l'accordo  che  la  ristorazione  de'Me- 
dici  si  effettuò,  e  questa  terza  volta  iù  modo  ancor  più  iniquo 
che  non  nelle  altre  due  passate  :  si  perchè  le  cose  generali 
del  mondo  erano  divenute  tanto  più  propizie  alle  tirannidi, 
e  si  perchè  come  le  rivoluzioni  de'popoli  cosi  le  ristorazioni 
de'  principi  maggiormente  eccedono  col  rinnovarsi.  Il  com- 

lazione  di  Firenze  1561.  alberi.  Relaz.  degli  amb.  ven.  ser.  2,  voi.  1, 
pag.  328. 

(1)  Frane.  Guicciardini.  Storia  d'  Italia,  t.  3,  pag.  466. 

(2)  È  bene  conveniente  collocare  la  speranza  sua  in  Dio,  racco- 
mandarsi con  le  orazioni  e  con  le  buone  opere;  ma  di  poi  pigliare 
i  partiti  con  la  ragione.  Discorso  sesto.  Delle  ragioni  che  debbono 
persuadere  la  Signoria  di  Firenze  ad  accordarsi  con  papa  Cle- 
mente VII.  Opere  inedite,  t.  2,  pag.  352. 

(3)  Mandarono  oratore  al  pontefice  in  poste  Bartolomeo  Ca- 
valcanti per  ottenere  dalla  santità  sua  che  gli  ostaggi,  quali  sono 
richiesti  da  Cesare  alla  città  in  numero  di  cinquanta,  non  abbiano 
ad  essere  più  di  venticinque.  Carlo  Capello  alla  rep.  ven.  Firenze 
13  ag.  1530, 1.  e,  pag.  316. 


—  641  — 

missario  apostolico  Bartolomeo  Valori,  intesosi  col  Malate- 
sta,  convocato  in  piazza  il  popolo  a  far  suo  senno  della  vo- 
lontà del  vincitore,  lo  indusse  a  eleggere  una  balia  di  do- 
dici palleschi,  i  quali,  senza  aspettare  l' oracolo  imperiale, 
cominciarono  le  violenze  d'una  tirannide,  avida  di  sangue  e 
di  vendetta  :  nulla  giovando  che  fra  i  patti  della  capitola- 
zione fosse  la  solita  e  sempre  manomessa  condizione  del 
perdono,  alla  quale  si  oppose,  come  note  il  Guicciardini, 
cavillosa  interpretazione  data  dal  pontefice,  che  il  perdonare 
chi  avesse  ingiuriato  lui  e  gli  amici  suoi  non  s' intendesse 
cancellare  le  ingiurie  ei  delitti  commessi  nelle  cose  della 
repubblica  (i).  Francesco  Carducci  già  gonfaloniere,  Ber- 
nardo da  Castiglione  ed  altri  quattro  fervorosi  patriutti  fu- 
rono decapitati,  moltissimi  relegati,  ad  altri  confiscati  i  be- 
ni. Fra  Benedetto  da  Fojano,  fatto  ritenere  dal  Malatesta  (2), 
fu  mandato  a  Roma  in  caste!  sant'Angelo  a  morire  non  me- 
no di  sporcizie  e  di  disagio,  che  di  fame  e  di  sete. 

I  soldati  dell'  esercito  nemico  vennero  spesso  alle  mani 
tra  loro,  e  fu  sanguinosa  la  zuffa  del  dì  23  agosto  1530  tra 
italiani  e  spagnuoli  (3).  Finalmente  col  pagarne  i  soldi  si 
ottenne  che  partissero.  Alcuni  di  essi  sbandaronsi  (4);  altri 


(1)  Perchè  così  fu,  benché  lo  manifestasse  a  pochi,  la  intenzione 
del  pontefice.  Frane.  Guicciardini.  Storia  d'Italia,  t.  3,  pag.  468. 

(2)  Carlo  Capello  alla  rep.  ven.,  13  ag.  1530, 1.  e,  pag.  316. 

(3)  A  los  23  de  Agosto  se  seguio  en  el  felicisimo  exercito  de  v. 
magestad  un  gran  desorden  de  una  question  muy  trabada  que  fue 
entre  los  Italianos  y  Espanoles,  a  los  quales  despues  ayudaron  los 
Tudescos,  que  hasta  que  vieron  las  cruces  blancas  no  se  movie- 
ron  corno  cuerdos  y  buenos  bombres  ....  fue  quasi  milagro  no 
morir  mas  gente  de  la  que  murio,  ni  solevantarse  la  tierra  de  floren- 
tia,  la  qual  està  oy  dia  tan  a  la  obedientia  quanto  se  puede  desear. 
Michele  Majo  all'  imper.  Roma  4  sett.  1530.  archivio  di  Simancas. 
Secretaria  de  Estado,  leg.°  850,  f.°  88  e  89  msc. 

(4)  Avvisi  del  campo  presso  a  Firenze  4  sett.  1530.  Molini.  Doc. 
di  stor.  ital.  Arch<  stor.  ital^  Append.  n.°  9,  pag.  481483.. 


—  642  — 

e  in  maggior  numero  andarono  a  Siena  per  comporre,  co- 
me allora  credevano,  le  cose  di  quella  città.  Solo  un  pic- 
colo presidio  di  fanti  tedeschi  col  conte  Lodovico  di  Lodrone 
entrò  in  Firenze,  quando  Malatesta  Baglione  ne  uscì.  Gli 
agenti  imperiali,  non  si  fidando  di  lui,  benché  avesse  giu- 
rato fede  a  Cesare,  ne  affrettarono  la  partenza  (4),  ed  egli, 
dopo  esser  pur  stato  a  Siena,  giunto  a  Perugia  restituitagli 
dal  pontefice  cominciò  un  sontuoso  palazzo,  al  quale  pose 
nome  Firenzuola,  perchè  lo  faceva  co9  danari  rubati  ai  po- 
veri fiorentini.  Ma  la  divina  giustizia  non  glielo  lasciò  veder 
finito,  perchè  in  fra  un  anno  mori  a  Betona  il  di  24  dicem- 
bre 4534,  e  appresso  alla  morte,  scrive  fra  Giuliano  Ughi, 
gli  scoppiò  un  occhio  con  tanto  strepito,  che  si  udì  più,  di 
trenta  braccia  lontano,  e  poco  stante  gli  scoppiò  V  altro  ;  e 
così  rendè  l9  anima  al  gran  diavolo  {come  si  crede) ,  an- 
dando a  stare  con  Giuda  e  con  gli  altri  traditori  (2). 

Con  decreto  28  ottobre  4630  dichiarò  Cesare  la  forma 
del  governo  di  Firenze.  Ben  era  a  prevedersi,  e  P  amba- 
sciator  suo  a  Roma  teneva  per  fermo,  eh'  ei  non  avrebbe 
tollerato  vi  si  risuscitasse  la  repubblica,  non  solo  per  il  na- 
turai desiderio  di  far  trionfare  da  per  tutto  il  principio  della 
monarchia  assoluta  da  lui  rappresentato,  non  solo  per  non 
dispiacere  al  papa,  che  gli  giovava  avere  amico,  ma  ancora 
perchè  aveva  sperimentato  come  i  fiorentini  sotto  il  reggi- 
mento popolare  erano  stati  sempre  inclinati  a  Francia  (3). 

(1)  Solo  nos  obsla  Malatesta  que  querriamos  hechar  de  alti  o 
ponerle  alguno  por  corretivo,  porque  no  estuviese  en  su  mano 
poder  hacer  mal  quando  quisiese.  Dispaccio  sopraccennato  di  Mi- 
chele  Majo  msc. 

(2)  Cronica  di  Firenze.  Arch.  stor.  Hai.  Append.  n.°  233  pag.  168. 

(3)  Pienso  que  sera  servicio  de  v.  Magestad  tenerles  Io  mas  so- 
metidos  que  pudiere  ser,  que  pues  en  general  son  franceses  mas 
baldra  tener  que  hacer  con  la  casa  sola  de  Medicis  que  con  ellos 
todos,  y  quanto  mas  a  està  casa  se  otorgara  mas'temera  de  per- 


-  643  — 

D' altra  parte  importavagli  pure  non  allargar  di  troppo  la 
mano  co'  Medici,  per  obbligarli  a  meritare  con  nuovi  servigi 
nuove  concessioni,  e  lasciare  a  sé  aperta  la  via  di  trar  pro- 
fitto dalle  congiunture  (1).  Non  osservata  pertanto  la  restri- 
zione del  compromesso,  salva  la  libertà,  restituì  ai  Medici 
i  diritti  che  avevano  avanti  il  4527,  ed  ai  cittadini  i  privi- 
legi soltanto  conferiti  da  lui  e  da' suoi  predecessori,  con  con- 
dizione che  ne  ricadessero  ogni  volta  che  attentassero  cos'al- 
cuna  contro  alla  grandezza  di  quella  famiglia.  Ordinò  inoltre 
che  Alessandro  de'  Medici,  duca  di  Civita  di  Penna,  fosse 
capo  del  reggimento  per  sé  ed  eredi,  ma  non  gli  attribuì 
altro  titolo,  e  gli  assegnò  unicamente  ventimila  fiorini  al- 
l' anno,  non  la  totale  entrata.  In  tutto  poi  il  decreto  inserì 
parole  che  dimostravano  fondarsi  non  tanto  nella  potestà 
trasmessagli  dalle  parti,  quanto  nell'autorità  e  dignità  im- 
periale (2). 

Cosi  dalla  codarda  vendetta  di  Clemente  VII  restava  ri- 
badita la  supremazia  dell'  impero  sopra  la  città  più  guelfa 
dell'  Italia.  Vedremo  appresso  che  la  sovranità  limitata  con- 
cessa al  nipote  non  garbò  né  a  lui,  né  a  coloro  che  si  erano 
assunto  l'ufficio  odioso  di  perseguitare  i  nemici  de' Medici; 
sicché  bastò  eh'  ei  li  lasciasse  fare  perchè  si  togliesse  ogni 
rimasuglio  di  libertà,  ed  Alessandro  fosse  dichiarato  duca 

der  y  qui  no  se  les  revoque  no  haciende)  lo  que  deben  —  y  si  estos 
tienen  lo  que  garfaran  de  v.  m.  revocable  corno  sera  poniendolo  à 
beneplacito  ...  se  podra  tener  mas  esperanza  de  ellos.  Michele 
Majo  all'  imperatore.  Roma  4  e  15  sett.  1530.  archivio  di  Siman- 
cas  Secretaria  de  Estado,  leg.°  8£0,  f.°  88-89,  e  98-99  msc. 

(1)  Y  si  es  posible  de  una  parte  membrar  la  casa  de  Medicis,  y 
de  otra  dar  lo  que  se  darà  no  à  conternplacion  de  la  casa,  porque 
revolviendose  el  mundo  estè  en  mano  de  v.  m.  darlo  a  quien  quie- 
ra,  y  esto  se  ha  de  hacer  secretamente  y  con  cautelo,  porque  son 
agudos  y  siempre  piensan  mal.  Ibidem  msc. 

(2)  Du  Moni,  t.  4,  par.  2,  doc.  51,  ed  anche  presso  Sudendorf 
Registrum  fùr  die  deutsche  geschichte,  pag.  204-206. 


-644  - 

perpetuo  ed  ereditario  con  un  potere  sfrenato.  Qui  mi  basta 
ridurre  a  mente  la  inondazione  del  Tevere  accaduta  nei  pri- 
mi giorni  di  ottobre  di  queir  anno  4530  (i);  la  più  fiera  che 
Roma  ricordasse,  con  rovina  di  molti  edifizii  e  di  molte  vite, 
e  un  conseguente  lezzo  che  fomentò  micidiale  epidemia. 
Clemente  patì  pure  sin  di  fame,  e  tornando  da  Ostia  pe- 
ricolò della  vita;  onde  il  vulgo  vi  vide  la  mano  di  Dio  con 
un  giudizio  bensì  superstizioso,  ma  più  espressivo  assai  delle 
ire  postume  rinfocatesi  attorno  al  fatto  miserando  di  Firenze. 
E'  si  vuol  credere  invece  non  vengano  dall'alto  segni  che  poi 
tornino  inutili.  Ed  invero  Clemente  non  si  emendò  per  que- 
sto della  sordida  politica;  anzi,  non  potendo  perdonare  a  Ce- 
sare il  lodo  proferito  poco  dopo  in  favore  di  Alfonso  di  Fer- 
rara, né  le  sue  sollecitudini  per  la  convocazione  di  un  concilio 
universale,  ritorceva  verso  Francia,  e  spiava  occasione  di  ven- 
dicarsi. 

Vili.  Carlo  V  non  istette  in  Italia  aspettando  la  catastro- 
fe fiorentina.  Pressato  dalle  necessità  politiche  altrove  espo- 
ste, che  lo  determinarono  a  non  perder  tempo  col  recarsi  a  Ro- 
ma per  la  corona  (  pag.  578  e  601  ),  si  tolse  il  dì  22  marzo 
4530  da  Bologna  (2),  dove  già  da  qualche  giorno  non  po- 
chi de'suoi  soldati  venivano  uccisi  di  notte  per  le  strade  (3). 
A '23  entrò  a  Modena,  poi, senza  arrestarsi,  a  Correggio,  accol- 
to con  gran  pompa  da  Veronica  Gambara,  e  di  là  a  Gonzaga 
e  a  Mantova,  nella  qual  ultima  città  dimorò  dal  25  di  quel 
mese  sino  al  20  del  seguente,  sempre  servito  e  spesato  da 


(1)  Muratori  Annali  d'  Italia,  t.  10,  pag.  241. 

(2)  Non  seguo  la  data  del  24  marzo  accettata  dal  Giordani  nella 
sua  Cronaca,  avendo  in  contrario  la  testimonianza  non  solo  del  Dia- 
rio riportato  dal  Rinaldi,  ma  eziandio  di  Vandenesse  segretario 
privato  di  Cesare  che  ne  scrisse  l' itinerario.  William  Bradford 
The  itinerary  of  the  emperor  Charles  V  from  1519-1551,  London 
1850,  pag.  495. 

(3)  Gaetano  Giordani,  Cronaca  citata,  pag.  177. 


-  645  - 

Federico  Gonzaga  promosso  alla  dignità  di  duca.  Indi  per 
Peschiera,  Ala,  Roverbella  andò  a  Trento  (24-28  apr.). 
Di  là  a  Neumarkt,  a  Bolzano,  a  Bressanone,  e,  congiuntosi 
col  fratello  Ferdinando  a'piedi  del  Brenner,  entrò  il  di  4  mag- 
gio ad  Innsbruch.  Ivi  fermossi  sino  al  5  giugno,  e  poi,  sostan- 
do a  Rufstein,  a  Rosenheim,  a  Valley,  a  Monaco  (4(M4), 
a  Bruck,  venne  il  dì  45  giugno  ad  Augusta,  ove  si  era  già 
raccolta  la  dieta  da  lui  convocata  a  Bologna. 

Vi  venne  con  animo  deliberato  di  compiere  grandi  cose. 

Ferdinando  suo  fratello  aveva  richiesto  più  volte,  e  con 
maggiore  caldezza  nel  Ì524,  non  solo  la  investitura  del  duca- 
to di  Milano,  ma  ancora  la  elezione  a  re  de'Romani,  metten- 
do innanzi  da  una  parte  il  vantaggio  dell'  aver  in  lui  un  prin- 
cipe tanto  più  devoto  e  sommesso  quanto  più  fosse  innalza- 
to (4),  dall'altra  il  pericolo  che,  indugiando  più  oltre,  mancasse 
il  mezzo  di  eseguirla.  Imperocché  (scriveva  egli)  il  popolo  te- 
desco è  già  persuaso  che  si  debba  omettere  quella  formalità 
venuta  in  mano  di  pochi  principi  venali,  ed  escludere  almeno 
gli  elettori  ecclesiastici  (2).  Tempo  era  dunque  di  soddisfare 
un  desiderio  sopra  ogni  altro  rispondente  al  lo  scopo  di  perpe- 
tuare la  grandezza  famigliare,  ponendo  termine  ai  tentativi 
a  ogni  tratto  rinnovantisi  per  ischiantarne  il  principale  soste- 
gno. E  a  ciò  qual  momento  più  opportuno  di  questo,  in  cui 
Cesare  era  al  colmo  della  sua  fortuna  e  potenza  ? 

(1)  Nos  reperiet  tanto  magis  deiectos,  et  ut  ita  dicamus,  submis- 
sos  et  paratiores,  quanto  placuit  i  1  li  Nos  sic  evehere,  Instruction 
erzherzog  Ferdinanda  von  Oesterreich  /tir  Cari  von  Burgund,  herrn 
zu  Bredam,  den  er  zu  seinem  bruder  kaiser  Karl  V  abgesendet  hat. 
Juni  1524.  Archiv  fur  kunde  usterreichucher  geschichts-quellen 
Wien  1848,  anno  1.°,  fase.  2,  pag.  118. 

(2)  Non  eam  celare  debet,  quod  populus  germanus  jam  per- 
suasus  est,  nihil  oportere  ceremonias  illas  servare  amplius  eli- 
gendo rege  per  paucos  eraendos.  Et  ob  odium  cleri,  quod  lutbe- 
ranum  dogma  peperit,  saltera  ecclesiasticos  electores  submoven- 
dos  esse.  Ibidem,  pag.  119. 


—  646  — 

Bisognava  inoltre  trovar  modo  una  volta  di  collegare  le 
forze  di  Germania  contro  i  turchi,  essendo  questa  condizione 
indispensabile  al  mantenimento  di  casa  d' Austria.  E  ben  po- 
teva Carlo  impromettersi  che  i  tedeschi,  fatti  accorti  dagli 
ultimi  avvenimenti  come  ne  andasse  anche  della  loro  salvez- 
za, sarebbonsi  mostrati  più  pronti  che  per  Io  passato.  Non 
credo  facesse  del  pari  assegnamento  sugli  aiuti  di  tutta  Eu- 
ropa. In  ogni  modo  giovavagli  la  bolla  d'imposizione  di  mezzo 
ducato  su  ogni  cento  uomini  pubblicata  dal  pontefice  a  Bolo- 
gna per  la  difesa  della  fede  (4).  Né  manco  opportuni  erano  i 
fulmini  del  Vaticano  lanciati  contro .Pantire  Zapoly,cbe  aveva 
macchiato  il  nome  cristiano,  ricevendo  lo  scettro  di  Ungheria 
dalle  mani  del  terribile  Solimano  (2). 

Pi  ù  avanti  ancora  andavano  i  suoi  disegni.  Avrei  a  dichia- 
rarvi altre  cose,  scriss'egli  da  Bologna  al  fratello,  ma  noi  posso 
che  a  voce.  Questo  solo  vi  dico,  che  desidero  intendermi  con  voi 
su  ciò  che  dovremo  fare  in  avvenire  :  se  stare  contenti  a  quel 
che  abbiamo  e  pensare  a  conservarcelo,  ovvero  dar  opera  ad 
accrescerlo  contro  i  turchi  e  contro  qualsiasi  quando  ci  venga  il 
destro  ;  o  se  meglio  torni  aspettare  grandi  occasioni  a  maggiori 
imprese  giustificate  dal  diritto  e  dalla  coscienza  (3).  Di  qual 

(1)  Bulla  impositionisdimidii  ducati  prò  quolibet  centenario  viro 
defensione  fìdei  christianae,  datum  Bononiae  anno  1529,  quarto  idus 
decembris.  Gaetano  Giordani.  Cronaca  citata,  pag.  49,  nota  137. 

(2)  In  tale  occasione  un'altra  bolla  pontifìcia  27  génn.  1530,  con 
promessa  delle  consuete  indulgenze,  intimò  la  crociata  a  favore  di 
Ferdinando. 

(3)  Je  vouldroys  encoires  vous  pouvoir  declairer  dautres  cho- 
ses  plus  au  long,  que  ne  peut  estre  que  de  bouche  ...  Si  ne 
me  puis  je  tenir  de  vous  en  dire  ung  mot  en  bref,  quest  que  voul- 
droye  vous  pouvoir  parler  de  ce  que  povons  faire,  soit  contre  le 
Ture  ou  autre,  et  ce  que  en  ladvenir  devrions  faire,  et  si  nous 
devrions  avoir  fin  a  entretenir  ce  que  avons  bien  et  sans  rien 
perdre,  ou  travailler  daccroistre,  ou  contre  Turcs  jnfideles,  ou  a 
quelque  petite  occasion  contre  qui  ce  peut  estre,  ou  si  devryons 


-  647  - 

diritto  poteva  egli  parlare  fuor  di  quello  preteso  in  nome  del- 
l'impero, e  di  qual  coscienza  fuor  di  quella  che  la  causa  reli- 
giosa identifica  colla  politica  ?  Ben  si  vede  :  all'aspetto  dell'Ita- 
lia serva,  creduta  cadavere,  eransi  in  lui  riaccesi  i  giovanili 
pensieri  lungamente  dissimulali  (1):  in  questa  terra  di  glorie, 
dove  ogni  oggetto  parla  una  rimembranza,  ogni  monumento 
testifica  una  grandezza,  qual  meraviglia  fantasticasse  egli  pure 
dietro  la  monarchia  di  Carlo  Magno,  per  sostituire  1'  Austria 
alla  Chiesa  nel  rappresentare  F  autorità  centrale  del  medio 
evo  ?  Tutto  dipendeva  dal  successo  della  dieta  di  Augusta 
convocata  allo  scopo  di  ricondurre^  tedeschi  alla  unità  di  fe- 
de, e,  per  essa,  all'obbedienza  di  lui.  Ma  la  Germania, che  ri- 
vedeva dopo  otto  anni  di  assenza,  era  al  tutto  trasformata; 
quel  che  nel  452-1,  quando  proscrisse  Lutero,  eragli  sembrato 
nulla  più  che  errore  di  un  uomo,  dovette  ornai  comprendere 
essere  divenuto  credenza  della  maggior  parte  del  popolo.  La 
quale  se  contribuì  a  dargli  vinta  l' Italia,  valse  almeno  a  sven- 
tare la  più  grave  minaccia  di  una  dominazione  universale  im- 
pendente sopra  tutte  le  nazioni  europee;  onde  F  animo  con- 
tristato dalle  memorie  di  tanti  e  durissimi  patimenti  si  rileva 
ne'conforti  di  quella  legge  suprema  imperscrutabile,  per  cui 
il  male  rientra  nelF  ordine  de'  beni. 

actendre  une  grande  occasion  et  raison,  et  veoir,  avec  quel  droit 
et  cor  science  et  par  quel  moyen  ce  se  devroit  faire,  etcomment 
jl  se  garderoit  et  preserveroit.  Der  kaiser  an  kùnig  Ferdinand.  Bo- 
logna 11  genn.  1530.  Lanz  Corresp.,  t.  1,  pag.  372. 

(1)  Vous  voyez,  mon  bon  fiere,  quii  convient  que  ces  choses 
soient  secretes.  Car  je  ne  les  vouldroys  fyer  que  de  vous.  Ibidem. 


FINE  DEL  VOLUME  SECONDO. 


INDICE. 


Capitolo  primo» 

Timori  di  guerra  universale  per  la  elezione  di  Carlo  all'  impero;  sol- 
lecitudine dell'  Inghilterra  e  di  Venezia  per  impedirla  ;  contrarli 
disegni  di  papa  Leone  X.  —  Consigli  inquieti  di  Francesco  I  e  suo 
accordo  segreto  col  papa,  non  ratificato  ;  contemporanee  trattati- 
ve di  quest'ultimo  con  Cavie  — Tentativo  del  papa  contro  il  duca 
di  Ferrara  ;  sospetti  di  Venezia  intorno  a  lui  e  al  re  di  Francia, 
e  sue  negoziazioni  con  Carlo.  —  Angustie  di  Carlo;  arti  adopera- 
te per  guadagnar  tempo  e  per  assicurarsi  l'alleanza  inglese.  —  Tu- 
multi in  Ispagna  ;  partenza  di  Carlo  e  suo  abboccamento  col  re 
Enrico  a  Douvres.  —  Successivi  abboccamenti  di  Enrico  con 
Francesco  nel  campo  dei  drappi  d'  oro,  e  di  nuovo  con  Carlo  in 
Gravelins  ;  trattati  di  Calais.  —  Incoronazione  di  Carlo  in  Aquis- 
grana  ;  progressi  della  riforma  in  Germania  ;  disputazione  teolo- 
gica a  Lipsia  ;  opere  di  Ulrico  de  Hùtten  ed  ambigui  portamenti 
di  Erasmo;  bolla  di  scomunica  contro  Lutero  e  sue  conseguenze. — 
Continuazione  delle  pratiche  del  papa  coli'  imperatore,  e  de'  suoi 
infingimenti  col  re  di  Francia  e  con  Venezia  ;  occupazione  di  Pe- 
rugia, di  Fermo  e  dif  altre  città  delle  Marche  ;  nuovo  tentativo 
contro  il  duca  di  Ferrara.  —  Dieta  di  Worms  ;  ordinamenti  del- 
l' imperatore  ;  trattato  segreto  di  alleanza  offensiva  tra  lui  e  il  pa- 
pa ;  decreto  di  bando  contro]  Lutero  ;  rinnovazione  della  tregua 
quinquennale  con  Venezia.  —  Insurrezione  dei  comuni  di  Casti- 
glia  ;  provocazioni  di  Francesco  I  alla  guerra  nella  Na varrà,  nei 
Paesi  Bassi  e  in  Italia pag.  5-90 

Capitolo  secondo. 

Infinta  mediazione  del  re  d' Inghilterra  ;  congresso  di  Calais  ;  andata 
di  Wolsey  a  Bruges  ed  accordo  segreto  con  Cesare;  sue  sollecitu- 
dini per  un  armistizio  —  Guerra  nei  Paesi  Bassi  ed  ai  confinì  del- 

40 


—  650  — 

la  Spagna;  prosperi  successi  delle  armi  francesi;  ritirata  degli 
imperiali  sotto  Valenciennes  ;  occupazione  di  una  parte  della  Na- 
varca e  di  Fontanarabia  —  Guerra  in  Italia  )  calata  di  seimila  te- 
deschi da  Trento  ;  assedio  posto  da  Prospero  Colonna  a  Parma  e 
sua  ritirata;  passaggio  del  Po;  venuta  del  cardinale  Giulio  de'  Me- 
dici al  campo  degli  alleati  —  Fatti  d'arme  di  Giovanni  de'  Medici 
contro  i  Veneziani,  e  del  vescovo  di  Pistoia  e  di  Vitello  Vitelli  con- 
tro il  duca  di  Ferrara;  errori  di  Lautrec;  congiunzione  degli  Sviz- 
zeri cogli  imperiali  e  pontificii  ;  diserzione  degli  Svizzeri  dell'  e- 
sercito  francese  :  passaggio  dell'Adda  di  Prospero  Colonna  e  riti- 
rata de'  Francesi  a  Milano  — Condizione  di  Milano:  crudeltà  com- 
messevi da  Lautrec;  entrata  degl'  imperiali;  proclamazione  di 
Francesco  II  Sforza  a  duca;  Girolamo  Morone  suo  governato- 
re —  Continuazione  e  scioglimento  del  congresso  di  Calais  ;  pre- 
tendenze di  Carlo  V  manifestanti  il  disegno  della  monarchia  uni- 
versale; alleanza  tra  il  papa,  l'imperatore  e  il  re  d'Inghilterra  — 
Restituzione  di  Parma  e  Piacenza  alla  santa  sede  ;  morte  di  Leo- 
ne X pag.  91-120 

Capitolo  terzo. 

Conseguenze  della  morte  di  papa  Leone  ;  reintegrazione  de'  principi 
da  lui  spodestati  —  Contrasti  del  conclave  ed  inaspettata  elezione 
di  Adriano  d'  Utrecht  —  Inutili  pratiche  di  Carlo  V  per  la  con- 
fermazione del  trattato  conchiuso  col  suo  predecessore  ;  santi  pro- 
positi di  Adriano  ;  governo  di  Roma  durante  la  sua  assenza  —  Ri- 
cominciamento della  guerra  in  Lombardia  ;  disfatta  de'  Francesi 
alla  Bicocca;  statuto  concesso  dallo  Sforza  al  ducato  di  Milano; 
espugnazione  e  saccheggio  di  Genova  ;  turbolenze  in  Toscana  — 
Andata  di  Carlo!  V  in  Inghilterra  e  poi  in  Ispagna  ;  guerra  di  En- 
rico VIII  contro  la  Francia;  invasione  della  Picardia  —  Venu- 
ta di  Adriano  VI  a  Roma;  sue  prime  azioni  e  portamenti  verso 
l' imperatore  —  Vittorie  de'  Turchi  ;  caduta  di  Rodi  ;  progressi 
della  eresia  luterana;  disegni  di  Adriano  per  la  riforma  della 
Chiesa  ;  nunziatura  di  Francesco  Chericato  di  Vicenza  alla  dieta 
di  Norimberga  —  Pratiche  di  Adriano  per  il  ristabilimento  della 
pace,  e  ragioni  che  lo  indussero  finalmente  a  congiungersi  col- 
rimperalore  —  Portamenti  della  repubblica  veneta  sin  dal  prin- 
cipio della  guerra  tra  i  due  rivali  ;  motivi  della  sua  alleanza  con 
Carlo  —  Nuovi  apparecchi  militari  de'  Francesi  ;  congiura  del  du- 
ca di  Borbone  contro  a  Francesco  I  ;  calata  di  Bonnivet  in  Ita- 
lia; morte  di  papa  Auiiauo  e  sue  lodi.      .    .    .    ,    «     pag.  421*194 


—  654  — 


Capitolo  quarto. 

Lunghezza  del  conclave;  candidatura  del  Wolscy  ;  elezione  del  cardi- 
nale Giulio  de'  Medici  col  nome  di  Clemente  VII  —  Fallita  inva- 
sione della  Francia;  prosperi  successi  delle  armi  imperiali  in  Ita- 
lia; pestilenza  in  Milano—  Invasione  della  Provenza;  discordie 
tra  il  Pescara  e  il  Borbone;  assedio  di  Marsiglia;  ritirata  degl'im- 
periali —  Prime  azioni  di  papa  Clemente  ;  governo  di  Firenze  ; 
sua  politica  vacillante  —  Venula  di  Francesco  I  in  Italia  ;  presa  di 
Milano;  deboli  aiuti  de'  confederati  italiani  a  favore  di  Carlo  V  — 
Infinta  neutralità  del  papa  e  sua  lega  segreta  con  Francia;  ade- 
sione di  Venezia  —  Assedio  di  Pavia  ;  prigionia  del  re  France- 
sco     pag.  195-243 

Capitolo  quinto. 

Prime  conseguenze  della  vittoria  di  Pavia;  generosi  intendimenti  di 
Venezia;  irresolutezza  di  papa  Clemente  e  suo  accordo  con  Car- 
lo V  ;  infinta  moderazione  di  Cesare  —  Angustie  di  Cesare  nei 
Paesi  Bassi  e  nella  Germania  ;  dieta  di  Norimberga  e  proposta  di 
un  concilio  universale  ;  convegno  particolare  di  Batisbona  e  ri- 
formazione del  clero  promulgata  dal  cardinale  Campeggi  ;  pro- 
gressi della  eresia  luterana  e  loro  cagioni  ;  guerra  de'  villani  e  co- 
munismo religioso  di  Tommaso  Mùnzer  —  Condizione  della  Fran- 
cia ;  provvedimenti  della  reggente  Luigia  di  Savoia;  relazioni 
colla  Porta  ottomana  —  Disposizioni  dell'Inghilterra  verso  Cesa- 
re ;  sua  confederazione  colla  Francia  —  Controversie  tra  il  papa  e 
T  imperatore  ;  disegno  di  una  lega  fra  gli  stati  italiani  per  difesa 
della  loro  indipendenza  ;  discordie  tra  i  capitani  imperiali  ;  ma- 
neggi di  Girolamo  Morone  col  marchese  di  Pescara  ;  scoperta  del- 
la trama  ;  assedio  del  castello  di  Milano  ;  egregii  portamenti  del 
senato  milanese  ;  morte  del  marchese  di  Pescara  —  Negoziazioni 
di  pace  tra  Carlo  V  e  Francesco  I  ;  trattato  di  Madrid  e  condizioni 
della  liberazione  ;  matrimonio  di  Cesare  con  Elisabetta  di  Porto- 
gallo —  Inosservanza  dei  patti  di  Madrid  ;  lega  di  Cognac  fra  il 
papa,  il  re  di  Francia  e  i  Veneziani  contro  l'imperatore,  pag.  244-328 

Capitolo  sesto. 

Grido  dell'Italia  contro  gli  spagnuoli;  circostanze  favorevoli  alla  guer- 
ra d' indipendenza  ;  cagioni  generali  di  sua  mala  riuscita  —  Arti 


-  682  — 

di  Cesare  per  rompere  la  lega  d'Italia  con  Francia  ;  commissioni 
date  a  don  Ugo  di  Moncada  —  Diffidenza  del  dnca  d' Urbino  nelle 
forze  italiane  ;  ritardo  degli  Svizzeri;  conquista  di  Lodi;  tentativi 
di  soccorrere  il  castello  di  Milano  ;  capitolazione  dello  Sforza  — 
Successi  infelici  delle  imprese  di  Siena  e  di  Genova  —  Corruttela 
dei  fanti  italiani  ;  avidità  degli  Svizzeri  ;  diffidenza  reciproca  dei 
confederati;  inazione  dei  redi  Francia  e  d' Inghilterra,  e  loro 
pretensioni  —  Assalto  dei  Colonnesi  a  Roma  ;  tregua  tra  il  papa  e 
gì'  imperiali,  non  osservata  —  Conseguenze  della  inimicizia  tra 
il  papa  e  l' imperatore  rispetto  ai  progressi  della  riforma  religiosa 
in  Germania;  lega  evangelica  di  Torgau;  dieta  di  Spira  e  sue  deli- 
berazioni —  Calata  de'  lanzichenecchi  tedeschi  con  Giorgio  di 
Frundsberg  ;  loro  progressi  ;  accordo  del  duca  di  Ferrara  con  Ce- 
sare; morte  di  Giovanni  de'  Medici  —  Congiunzione  del  duca  di 
Borbone  con  Giorgio  di  Frundsberg;  vani  tentativi  di  assaltare 
Piacenza  e  Bologna  ;  tregua  del  papa  col  viceré  Lannoy  —  An- 
data del  Borbone  in  Toscana;  tumulti  di  Firenze;  nuova  confe- 
derazione del  papa  col  re  di  Francia  e  con  i  veneziani  ;  assalto  e 
sacco  di  Roma  —  Spogliazioni  de'  domini i  pontificii;  mutazione 
di  stato  in  Firenze  ;  disegno  di  Carlo  V  di  por  termine  alla  pote- 
stà temporale  dei  papi pag.  329-440 

Capitolo  settimo. 

Accordo  di  Enrico  Vili  con  Francesco  I  ;  motivo  personale  del  primo; 
nuova  confederazione  tra  loro  ad  Araiens  —  Fatti  d'arme  in  Lom- 
bardia; venuta  di  Lautrec  con  un  esercito  francese  ;  acquisto  di 
Genova;  presa  di  Alessandria  e  di  Pavia;  entrata  del  duca  di  Fer- 
rara e  del  marchese  di  Mantova  nella  lega  contro  V  imperatore  *— 
Contumacia  dell'  esercito  imperiale  a  Roma;  liberazione  del  papa 
e  sua  fuga  ad  Orvieto;  vacillarla  ed  ambagi  della  sua  politica  — 
Tane  pratiche  di  pace  tra  i  due  rivali  ;  andata  di  Lautrec  a  Na- 
poli; vittoria  navale  de' francesi;  difficoltà  dell'assedio;  disfida 
al  duello  tra  Francesco  I  e  Carlo  V  —  Venuta  del  duca  di  Bruns- 
wick con  nuove  truppe  tedesche  ;  ricuperazione  di  Pavia  ;  assedio 
di  Lodi  ;  progressi  de'  francesi  in  Lombardia  sotto  Francesco  di 
Borbone  conte  di  Saint-Poi;  ripresa  di  Pavia;  miserie  de'  Mila- 
nesi —  Fatti  d'arme  intorno  a  Napoli  ;  passaggio  di  Andre  Doria 
alla  parte  imperiale  ;  disordini  nell'  esercito  francese,  sua  rotta  e 
capitolazione;  indipendenza  di  Genova  e  riordinamento  della  sua 
repubblica  —  Negoziazioni  del  pontefice  con  Cesare  e  con  la  lega 
avversaria;  suoi  portamenti  col  re*d' Inghilterra  riguardo  al  di- 


-  653  — 

vorzio,  e  con  la  repubblica  veneta  ;  ambasceria  di  Gaspare  Conta- 
rmi —  Elezione  dell'arciduca  Ferdinando  a  re  di  Boemia  e  di  Un- 
gheria; turbolenze  in  questo  ultimo  regno;  opposizione  della 
Germania  a  casa  d'Austria;  frode  di  Ottone  de  Pack,  e  sue  conse- 
guenze; dieta  di  Spira  e  protesta  de'  luterani  —  Declinazione  dei 
francesi  in  Lombardia  ;  loro  sconfitta  a  Landriano  —  Condizione 
di  Firenze;  amministrazione  del  gonfaloniere  Nicolò  Capponi  ;  sua 
caduta  ;  ragioni  che  mossero  Carlo  V  alla  pace  di  Barcellona  col 
papa  —  Trattative  di  Cesare  colla  Francia  ;  pace  di  Cambray  ; 
adesione  del  re  d' Inghilterra  ;  dignità  di  Venezia.    .     pag.  442-566 

Capitolo  ottavo. 

Venuta  di  Carlo  V  in  Italia;  sue  strettezze  di  danari,  e  suoi  disegni— 
Nuovi  indizi  della  dubbia  fede  di  Francesco;  ritardata  liberazio- 
ne de'  principi  ostaggi ,  e  loro  trattamento  —  Turbolenze  in 
Germania  ;  discordia  tra  i  luterani  e  i  riformati  elvetici;  collo- 
quio di  Marburg;  invasione  de'  Turchi  ;  assedio  di  Vienna  —  Rin- 
novazione della  guerra  in  Lombardia  ;  fermezza  de'  fiorentini  e 
loro  preparativi  di  difesa;  pratiche  per  la  pace  generale  d'Italia  — 
Ritirata  de'  Turchi  ;  congresso  di  Bologna;  Francesco  Sforza  in- 
nanzi a  Cesare  ;  capitolazione  de'  veneziani  e  restituzione  allo 
Sforza  del  ducato  di  Milano;  convenzione  col  duca  di  Feirara  — 
Incoronazione  di  Carlo  V  ;  considerazioni  sulla  rinnovata  potestà 
dell'  impero  e  sullo  stato  politico  della  penisola  in  correlazione  a 
lui  —  Miserie  dell'  Italia  ;  assedio  di  Firenze  ;  Girolamo  Morone 
commissario  generale  dell'  esercito  ;  sua  morte  ;  tradimento  di 
Malatesta  Baglione;  imprese  di  Francesco  Ferruccio;  fatto  d'ar- 
me di  Gavinana  ;  capitolazione  de'  fiorentini  —  Ritorno  di  Cesa- 
re in  Germania;  cagioni  che  lo  affrettarono,  e  suoi  intendi- 
menti  pag.  557-647 


ERRATA 


CORRIGE 


Pag.  32  Un.  16  insofferen. 

»  47  »  19  comunicate 

»  61  »  16  opinione 

»  159  »  19  Lorenzino  de*  Medici 

»  134  »  17  della  mia  coscienza. 

»  385  »  JO  minaccio 

»  393  »  31  Sudendorf  ...  Jena  1849. 

»  569  »  10  conte  di  Caiazzo 


insofferente 
comunicavate 
opinion  pubblica 
Lorenzo  de'  Medici 
della  mia  coscienza  ? 
minacce 

Sudendorr  ...  Berlin  1864 
conte  di  Gaiazzo  (Luigi  Gonzaga  de* 
marchesi  di  Castiglione) 


^ 


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