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600075635W
1" .■ "J
AL PODESTÀ DI BRESCIA
NOB, CAV. LUIGI MAGGI
ED AGLI SPETTÀBILI ASSESSORI
DELLA CUI PRESENZA
IN QUESTA TIPOGRAFIA
ERA IL FAUSTO COMINCIAMENTO
DELLE STORIE BRESCIANE
DI FEDERIGO ODORICI
FELICEMENTE AUSPICATO
PIÙ LIETO PRINCIPIO ALL'OPERA PATRIA
NON POTEA SPERARE
IL TIPOGRAFO RICONOSCENTE
PIETRO GILBERTI
litui LCGLio mcccuti
STOBI BBESOÀNE
STOBIE
BRESCIANE
DAI PRIMI TEMPI
SIMO ALL' ETÀ NOSTRA
NARRATE
»A
FEDERIGO ODORICI
Vot. I.
BBESGU
PIETRO DI LOR. GILBERTI
TIVOOAArO - lIBAAf O.
1853
- j
2-
^' Tu,
JIO
Sotto la tutela delle leggi.
NON AD ALTRI CHE A TE
0 GENEROSA
CITTÀ DI BRESCIA
DEBBE SACRARSI
LA STORIA CHE ANCOR TI MANCA
DE' GLORIOSI TOOI FASTI
OND' IO LA TI PRESENTO
POVERA FORSE
MA CANDIDA TESTIMONIANZA
DI PATRIO AMORE
F. 0.
M. 1>CCC. LUI.
A' SUOI CONCITTADINI
L'AUTORE
Io non so per vero dire se i gentili che mi esor-
tavano a rifare dai primi tempi la storia nostra venis-
sero considerando la povertà delle mie forze, alle quali,
nonché Tadempiere con laude s) vasto imprendimento,
il cimentarlo soltanto ritornerebbe soperchio. Diciamolo
francamente. Dalle memorie di Rodolfo notajo \ da
quelle prime e più antiche tracce di storia patria, in-
genui, soffuse di natio candore, ma tronche, misere, di
un solo secolo, ai volumi del Bravo (e disiano ad un
bel tratto per meglio di nove secoli) chi mai, di quanti
Io si tentarono, ebbe risposto pur dalla lunge alla
I. l\.iJìOLrvs 'Sor ARivs^ff istorio la Giammaria Biemmi in fron-
BrisHane Civitatis imperati- le al tomo II della Istoria di
tibuè Franchisi ab anno llh^ Brescia. — Per Gìot. Colom«
usqM€ ad an. 86K, edita da ho 1748.
vili
grandezza dell'arduo tema, e fallo pago il desiderio
antico di tutti noi?
Però che, o nulla veggo, o dal Malvezzi in poi non
ha più negli scrittori nostri, toltone alcuno, che un an-
dazzo compassionevole di storia; una congerie di fatti,
di nudi fatti, narrati ad un modo in quelle loro pagine,
che mute alla mente e mute al cuore, quasi fossero
dettate a spegnere il concetto vero ed importante della
storia nostra, ci fa passare dall'uno all'altro secolo in-
differenti, come dinanzi a vuote larve brulle di vita e
di pensiero; né mai che ti arrestino a meditarli, a svi-
scerarne la tempera, il carattere, gli svolgimenti, e come
le pecorelle di Dante , facendo Y uno quello che l'altro
fa, non ti lasciano pur tempo di soffermarti ad una do-
manda, promuovere un dubbio, una questione sui varìi
adattamenti di natura umana nel corso delle lunghe
età: >' su quello stato " dirò con un illustre vivente *
99 cosi naturale all'uomo e cosi violento; cosi voluto e
99 cosi pieno di dolori; che crea tanti scopi dei quali
a
99 rende impossibile l'adempimento; che sopporta tutti
99 i mali e tutti i rimedi piuttosto che cessar un istante 9>.
Che se guardi alla parzialità dei tempi in quelle pa-
gine narrati, la cronaca volgarmente chiamata di Àr-
1. Manzoni, Discorso sopra al- gobardica in Italia. — Fi-
cuni punti della storia lon- renze, 4825.
dicio degli Aimoni ^ si contenta di pochi lustri; la pre-
ziosa per alcun Iato del nostro Malvezzi^ non aggiunge
che al secolo XIV, quella del Capriolo ^ non più che
al XVI, i due volumi del Biemmi ^ han fine col i 1 i 6;
gli ultimi del Bravo ^ coir assedio di Enrico VII.
Ma s'egli è tempo che per alcuno di noi si raccol-
gano in una con lungo e paziente amore le sparte e
venerande reliquie dei patri fasti, e a' posteri le si tra-
mandino, monumento di gloria municipale non perituro;
se la città più meritevole di storia fra quante allegrano
dal Lambro airAdriatico la lombarda valle più non debbe
invidiarla alle sorelle, che giurarono sugli altari di Pon-
tìda il patto stesso, temo assai non al santo e cittadino
proponimento di quegli spiriti bennati, che m'invita-
vano a incominciarla, sia pari la insufficienza del mio
corto ingegno.
Ma il dado è gittate, la promessa è fatta, ed io mi
proverò.
t. Breve Jteeordationis de Ar- Italicarum Scriptor. t. XIV,
dicio de Aimonihus et de col. 775.
A\ghi9i0 de Gambata, pub* 3. Chronica de rebìis Brixiano-
blìctfto dal Biemmi neiristo- rum. 1505 per Arundum de
ria di Ardicio degli Aimo- Arundis.
ni. — Brescia 175Q. ». Istor. di Bresc. — Bresc. 1798.
S. Chronicon Brixianumy messo 5. Delie Storie Bresciane. — Bre-
in luce dal Muratori (Rerum scia, per Venturini 1859.
Peisuaso che una sloria municipale debba ricever
luce dalle universali dltalia nostra, e tributar loro ad
un tempo la propria, parvemi, nonché opportuna, ine-
vitabile la divisione per modo, che i periodi moltiplici
della storia bresciana corrispondano appunto ai princi*
pali della lombarda: ed eccoli senza più.
I. I popoli primitivi - i Cenomani * la repubblica e
r impero di Roma sino al i76 di G. G. Ghe è quanto
dire dai tempi storici più remoti fino al totale dissolvi-
mento dell'impero italiano. '
II. I Barbari == Odacre - i Goti - i Greci - i Lon-
gobardi. Dal i76 al 774; nel qual anno colla caduta
di re Desiderio nobile bresciano spegnevasi di qua dal
Po la longobarda dominazione.
IH. Gl' Imperatori e i Re == Garlomagno - i Caro-
lingi - i re d'Italia - gl'imp. di Germ. Dal Ili al 1073.
Né già perchè solo a' tempi di Gregorio VII debbano
riferirsi le origini del Comune Bresciano; io lo proverò
il più antico dei lombardi risurti dopo il mille, o del
1. 9f Odacre non istimò rifare^ Ccsare B\lbo« Della Storia
fi a modo di Ricimero, niun Italiana. — Losanna 1816.
y* imperatore; e così fu fi- Età III, pag. K5. — G\rlo
9» nìto IMmperio occidenta- Trota, Storia d"* Italia del
» le, r imperio Italiano. ♦♦ Med. Evo, t. Il, pag. 17.
XJ
milanese ancora, benché per sentenza universale degli
storici nostri lo si predichi il primo: ma perchè solo a
quei tempi ^ , e ne vedremo le cause, parve allargarsi
la potenza e la vita del Comune italiano.
IV. Il Comune di Brescia =:: dal 4075 fino alla paco
di Costanza (4483): vale a dire Tetà più splendida e
più gloriosa, nonché di Brescia, deiruniversa Italia.
V. Il medesimo Comune = dalla pace di Costanza
alla caduta della Casa di Svevia (4483-4268).
VI. Gli Angioini, =: e gli ultimi anni della bresciana
indipendenza. Dal 4268 al 4332.
VII. Brescia signoreggiata da principi italiani =
Scaligeri - Visconti - Malatesta - i quali ci tennero dal
4332 al 4i26.
Vili. Il Dominio Veneto = 4426-4509.
IX. La Lega di Cambrai = ed il ritorno alla Veneta
Dominazione. = 4509-4546.
X. La Repubblica di Venezia =: dal 4546 al 4797.
XI. I TEMPI napoleonici = dal 4797 al 4844.
XII. Il Governo Austriaco.
1. n Prime a dar esempio delPe- t. I. Introduzione, pag. 114,
» rigersi a comune furono le a. 1086. — Veggasi ancora
n due principali città, Milano il Giuunt, Memorie Storiche,
n e PaTia n. — Rosmini, Delfi- parte IV, — ed il Vebbi, Sto-
storiadi Milano,— Mil. 1820, ria di Milano al 1086.
Eccovi la gran tela clic mi propongo ritessere. Ri-
voluzioni amplissime di tempi e di cose, nelle quali
m^è d' uopo addentrarmi con nuove e più larghe mire, e
delle quali è ad incarnarsi il racconto col mutato con-
cetto che dello storio municipali s'è fatto a' nostri di.
Disegno arduo, falicoso, dinanzi a cui per poco è che
la mente non si arretri quasi smarrita.
Solitario noUarduo sentiero, che nessuno con que-
gli intendimenti, nonché percorso, ha tocco, forse av-
verrà che al confidente ardire con cui mMnoItro su-
bentri lo sgomento, la convinzione dell' aver troppo
osato: forse ancora io cadrò suirorme da me segnate;
ma le anime cortesi, che indulgono pur sempre ai grandi
ardimenti, verranno io spero sollecite e pietose nelle
angustie del dubbio e nelle caligini intentate a soste-
nere il mio.
Questo in quanto alle diflicollà della storia. Riguardo
alla coscienza di chi la scrive, narrarla altrui con franca
e indipendente parola, ed animo aperto e risoluto, è
debito dello storico e del cittadino: e se Dio m'aiuti lo
adempirò.
INTORNO AI DOCUMENTI
DEI QUALI VERRANNO QUESTE ISTORIE CONVALIDATE
DALLA PREFAZIONE DELL AUTORE
AL CODICE DIPLOMATICO BRESCIANO
E pure la incontrastabile verità, che dove non si
raccolgano, non si consultino monumenti, non è spe-
ranza di storia bresciana^ e i monumenti nostri, se le
lapidi ne traggi, noi furono sin qui. Però che i pub-
blicati fin ora o volgono ad altre mire *, od errati si
mostrano % od incompleti ^^ inetti quindi al porci in-
nanzi un complèsso, una serie di documenti bresciani.
1. UvRATOhìf AfUiquUates It. M. jE.
Fumagalli , Codice Diplomatico
dell'Archivio di s. Ambrogio.
Lupo, Codez Diplomat Bergom.
2. Margarino» Bullarium Casinenst,
Ughelli, Italia Sacra. Dt Spùco-
pis Brix.
3. Gradonico, Brixia Saera.
AsTESATi, in Comment. -Ev. Man.
TiRABOSCHi, Della Badia di Nonan-
tola. — Monumenta Humiliàto-
ri^m. — Cod. Dipiom. Mutinense.
LUCHI, Codex Diplomaticus Brix.
autografo presso il cav. Labué;
per non ingolfarmi nelle raccolte
e codici diversi della Quiriniana,
xiy
che disveli a' posteri la viva e ineluttabile vicenda
de^ fatti nostri ^ quelP intrecciarsi maraviglioso di cause,
di avvenimenti, di conseguenze che formano il com-
plesso d^una storia municipale.
Dirò di più, che il tesoro dei monumenti locali,
qual tuttavia si giace inavvertito e sepolto negli ar-
chivi della città, dei comuni, delle chiese, dei mona-
steri presenterebbe senz^ altro, a chi vi s^ accostasse
fiducioso e paziente, cotanta e sì nuova messe di re-
condita ed evidente istoria nostra, quanta non emerge a
lunga pezza da tutto ciò che sino a^ tempi nostri si è
posto in luce. Questo ci avvertona le schede del Lu-
chi, del Zamboni, del Doneda, del Biemmi, del Maz-
zuchelli e d^ altri assai : questo ci apprendono gP inediti
statuti municipali dal XII al cadere del secolo XIV
in più codici raccolti ^ : questo le pagine del Liber
Poteris BrixuB ' ^ ampio volume , che alla guisa dei
libri sibillini, tutti ricordano, ma pochi han meditato :
\, Di spettanza del Gommale Archi-
▼io, ed ora depositati a comune
profitto nella Qmrim'ana unitamen-
te al Libtr Poteris per gentile
condiscendenza della Congrega-
zione Municipale ai voti dello scrit-
tore.
S. Documenti raccolti nel 1255 dal-
r arciprete di Trenzano Giovanni
Pontoglio in un codice pergame-
naceo custodito dal Municipio.
Altri atti vennero aggiunti per
altre mani; l'esemplare affidato alla
Presidenza della Qniriniana è in
pergamena anch'esso, e, quel che
più monta, contemporaneo.
XV
questo le carte moltiplìci ed importanti, ch^ io stesso
mi venia trascrivendo nel silenzio d^ obliati archivi.
Greneroso proponimento fu quello adunque del Mu-
nicipio bresciano, quando nel 4 823 facea nobile invito
all' accademia nostra ^ , perchè una storia filosofica e
ragionata del nostro Comune si facesse argomento
degli studi suoi. Allora il Sabatti, avvisando innanzi
tratto alla raccolta dei materiali, lamentava F incen-
dio che or fanno tre secoli distruggeva, com^egli a
noi racconta, il vecchio archivio municipale '. Ma più
di quella fiamma divoratrice a lamentarsi era certo
r ignoranza di un fattoi ed è che le cose involate a
queir incendio appaiono sol esse un tesoro inestimabile.
Sono codici, carte, documenti d'ogni fatta e d'ogni
tempo dal mille in giù, dei quali andrebbe lieto e su-
perbo qual vogliasi Comune d'Italia nostra.
Diviso dunque il progetto d' una storia municipale
nelle due grandi età, la Romana, e la poderosa non me-
no del Medio Evo, si pensò alla prima. Fu proposto un
Museo^ furono tentati degli scavi in questa terra ver-
gine ancora e inesplorata, e premio insperato delle no-
stre indagini , emerse, quasi ad incoronarle, quel mira-
colo dell'arte in cui tutti salutarono l'animosa Vittoria».
1. CommenUrì del patrio Ateneo. - 2. Nei Commcnt. sudd. - pag. 30.
1823, pag. 29. 3. Labus. Mus. Brcsc. illMlr. — 1. 1.
XVI
Intanto assai monumenti si discoprivano al Dosso
e^ illustravano ^; si popolava il Museo di patri marmi,
ed alle lapidi trascritte dal nostro Joli, alle ricerche
del Sabatti, del Vantini, del Basiletti veniva di pari
passo quell'aureo discorso intorno alle vicende bre-
sciane del nostro Nicolini, col quale si preludeva alla
grand-opera di un Panteon di bresciani illustri '.
Poi fu stampato il primo volume del Museo BrC"
sciano *5 ed al momento in cui scrivo, V archeologo
insigne Giovanni Labus va compiendo i Marmi An-
tichi Bresciani classificati e interpretatìj coi quali, e
se non paia superba la ricordanza, colle Antichità Cri'
stiane * e colla Brescia Romana ^, che in appendice al
Museo vo pubblicando , avran suggello per quella
prima età le nostre testimonianze.
Ma nell'ammasso confuso ed infinito delle pergamene,
degli atti municipali del Medio Evo, di quella splen-
dida e gagliarda . età della storia bresciana, cosi nuova
ancora, così cercata, e quasi dissi palpitante di un'altra
vita, che gli storici non han compresa, chi pose ma-
i. Labus, Monumenti antichi scoperti 4. La cui prima parte fu pubblicata
in Brescia. — 1823. dal 1845 al 1852 con parecchie
2. Della Storia Br. Ragionamento. tavole, e nel formato istesso del
3. Labus, Saleri, Vantini, Nigo- Museo Bresciano.
LINI ne furono i collaboratori, ed 5. Brescia Rom'ana illustrata. — Brc-
usciva in luce nel 1838. scia per Gilberti 1851.
lYll
no fin qui? Collo scopo di cui parliamo a un di presso
nessuno. Che se nel 4844 ricordando il Picei come
poche altre città d'Italia potrebbero alla nostra para-
gonarsi per abbondanza di memorie cittadine, e de-
plorandone la dispersione pei conventi, per le chiese,
per le famiglie, pei comunali archivi, proponeva rac-
c(^lierle tutte in un luogo sotto V egida della pubblica
autorità ^, quel patrio voto andò deluso.
Poiché dunque sui marmi antichi e sul Codice Di-'
plomatico Bresciano debbe fondarsi come su nuove
basi la storia patria, e poiché tutto per la prima, nulla
si é fatto ancora per la seconda età, santo consiglio fu
quello dei Presidenti della Quiriniana di volgere il pen-
siero ad un Codice Municipale, di radunare le sparte
reliquie dei documenti del Medio Evo, quali si ritro-
vavano dimenticate negli scafiali della Biblioteca, unirle
a quel codice, collocarle per serie, porle in luce con
una esatta ed integrale dizione: santo consiglio, che
al nobilissimo intendimento di cominciare quest^ edificio
del patrio codice da cotante città felicemente compiuto,
riunisce pur quello d^ una custodia di que' laceri e non
per tanto cosi preziosi atti nostri.
Ond'è, che allorquando la Presidenza faceami gen-
tile invito perché volessi pigliarmene la fatica ', non
1. ConuBent deU*AteiiM dì Brescia. 1 Lettera 9 febbrajo 185i.
XVUI
seppi scusarmele^ avvegnaché, se da un lato le difficoltii
delPimpresa mi s^ appresentavano gravi, moltiplici, d^ al-
tri omeri che de^ miei, dall'altro mi confortava il pen<-
siero, che l'indulgenza delle anime cortesi, per chi as-
sume con buona volontà un'opera buona, non viene
mai meno. Misi mano adunque al Codice Diplomatico;
ed essendo quello per appunto che verrà pubblicato
in queste istorie di conserva coi fatti dei quali sarà
nuova ad un tempo e solenne testimonianza, era in de-
bito narrarvene le origini.
È un codice in sette volumi di documenti bresciani
d'ogni maniera, dall' Vili al cadere del secolo XIII,
diligentemente trascritti , e per ordine cronologico
disposti.
Acchiude il primo le pergamene del secolo Vili
quasi tutte spettanti a re Desiderio ed Adelchi il
figliuol suo. Sedici soltanto potea registrarne il Mazzu-
chelii *, ed io son lieto di ofierirvene il doppio, ed
annunciarvi che faranno di sé bella mostra nel Codice
Diplomatico Longobardo, che il grande storico napo-
letano D. Carlo Troya va pubblicando *.
1. Monumenta Briziana Medii /E- 2. Storia Italiana del Medio Evo. —
vi. Codice Mazzuchelliano leste Napoli 1853, t. IV. — Codice Di-
acquistato dal nobile Clemente plomatico Longobardo — parte II,
Rosa. e. III.
XIX
Sono scrìtti nel secondo i monumenti bresciani del
secolo IX: contratti, placiti, diplòmi di pontefici, di
yescovi, d^ imperatori e cosi via, desunti dagli auto-
grafi, da codici, da fonti diverse.
Presenta il terzo i nostri atti del X secolo^ del se*
colo più povero di storici materiali , benché fra le
miserie di quella età si levasse la torbida, ma virile
indipendenza dei nostri Comuni, nella quale tanto av-
venire si maturava.
Spettano al quarto le carte pubbliche e private
deir XI secolo : di quel tempo così vitale per noi, e
nel quale sì dignitosa e vasta procede la storia patria.
Qui comincia il Comune Bresciano a fare da sé, e
qui ne giova seguirlo.
Ne' due consecutivi accolgonsi i documenti del se-
colo XII, in cui la storia bresciana, esuberante come
r energia di quel secolo, ci dispensa dal tener conto
d^ogni minuzia. Epperò abbiam fatto tesoro degli atti
pubblici più singolari, non omessi gP importanti ezian-
dio tra i privati.
L'ultimo è dedicato alle testimonianze del secolo
Xni, agli Statuti Comunali, al Liber Poteris BrixicB.
Possa questo Codice Diplomatico non essere indamo:
possa farci convinti dei tesori che ancor ci restano
di candida ed evidente storia patria . meritevoli delle
XX
tenaci contemplazioni del nostro intelletto, e quanto sia
necessario che, seguitando P esempio d^ altri italici co-
muni, i documenti della storia bresciana vengano in
luce a decoro e splendore della nostra città, che in
fatto di glorie municipali sopra V altre si leva.
n Vedrassi allora » e qui mi giovino le parole di un
tUuatre concittadino * n manifesta e senz^ ombra la
Il verace natura degli animi bresciani^ e che se in noi
»t ò altezza d^ animo , e molta è , vien ella temperata
n da d\iU sensi: e come nessun popolo tenne più fermo
n del nostro alle consentite obbligazioni, e come la
» lealtà e la fede fossero sempre per Brescia una re*
» ligione, ed essere la gloria che ne rapisce e ne ispira
n Tarderò dei 8<icrifici« Raccogliamo adunque " dirò con
queir eletto ingegno >» le patrie glorie ad accendere
» neir animo la più santa delle {passioni. Raccogliamole
» a far corona al nome italiano; a questo nome eoa
» ftHHUuIo di elevate e sublimi rìcordazìoni, a questo
^ nome rUvtn^UAtoiv ^\và jx^tente di fi>rti e magnani-
>» lui vxnumoviuieuti «^ «
I POPOLI PRIMITIVI
I CENOMAM
LA REPUBBLICA E L IMPERO
DI ROMA
LIBRO PRIMO
I POPOLI PRIMITIVI
I.
DELL AGRO BRESCIANO
lo non saprei veramente qual altra delle lombarde in so
medesima raduni, come la provincia nostra, le impronte mol-
tiplici e svariate della geologica natura di quasi tutta V Italia
settentrionale: ed è perciò che provincia delle subalpine io
non conosco né più caratteristica, né più amena, né compa-
rabilmente più produttiva di questa, nella quale se fra i ghiac-
ci camuni e triumplini ergesi immane il larice e rompe delle
brune sue masse T abbagliante candore delle nevi, tra le
molli e tiepid'aure benacensi dispiega T agave americana le
sue corolle ^
Ma per toccare dei confini attuali dell' agro nostro, lo cir-
coscrivono a mezzogiorno i limiti mantovani d'Asola, di Ca-
stelgoffiredo, di Castiglione (terre già nostre ') e gli aflfon-
1. Giro Pollini, Viaggio al lago di ValcamoBica, iI],terrìtorio d* Àsola
Garda e al Moatebaldo. -Ver. 1816. alla sinistra del Chiese, ed il co-
1 Decreto della Repubblica Gisal- mune di Pozzolengo, restituitoci
pina 13 maggio 1801, col quale quest* ultimo dalla legge 28 luglio
^ si tolse alla provincia bresciana la 1803 della Repubblica Italiana.
4 ' 1 POPOLI PRIMITIVI
(lati campi deir antica Arilica, oggi Peschiera. Poi da quei
luoghi, e precisamente dalle povere sponde di Passetta sul
lago di Garda sin oltre a Limone, molta parte abbraccia di
queir ampio lago, entro al quale si riflettono le spiagge in-
cantatrici della nostra Riviera.
Se non che da Gargnano ai dirupi di Gardola, e da quelli
infino a s. Marco, oltre il quale già si toccano le terre del
Tirolo italiano, il lago si fa più angusto, più chiuso, più ma--
linconico, i lidi più deserti e più severi. Ma di colà ripiegando
a tramontana lungo le creste e i gioghi inospiti di Tremalzo,
di Gel, di Leonina ^ , interrotta dalle tirolesi Giudicarle, dai
siti di Storo, di Rondone, di Moema, che si protendono tra
quegli andirivieni dei monti benacensi fino alla valle delle
Camerate, la provincia bresciana rimonta novellamente su
pei greppi e i vertici di Purìa, di Pennino, di Vesta e d'altri
comignoli per discendere al lago d'Idro, ermo e silente come
un Iago della Caledonia.
Quivi a ritroso del disi che lo alimenta, poi del Caffaro
che nel disio si riversa, seguitando la valle di Riccomassimo,
risale fino all'alpe dell'estremo Rroffione: poi ridiscende
ancora; e per le costiere di Mignolo, del lago di Yaja e le
catene di Rosette, di Corniolo, di Guardo e cosi via, circo-
scrivendo ad occidente tutta Valtrompia lungo i termini del
bergamasco, al quale da mezzo secolo soltanto s' è aggiunta la
Valcamonica, e toccando l'estremo culmine di monte Gu-
glielmo ^ declina infino al lago d' Iseo, del quale dalla rupe
dei trenta passi infino a Samico quasi tutta ne gira, coli' isola
che gli sorge nel mezzo, le parti meridionali.
1. M'attengo pei nomi e pei confini benché vi sia corso in quanto a*no-
alla ripatata Carta Topografica della mi qualche lieve errore.
Prov. Bresciana incisa dai geo- t. Golem presso i valligiani, da eoUm
grafi Manzoni e Monticelli nel 1826, forse culmine.
I POPOLI PRIMITIVI 5
Tra Sarnico e Riyatica si forma i' Oglio; maestoso fiume, !•
cui acque precludono con largo serpeggiamento da tramonta
na a mezzodì, separandola dal bergamasco e dal cremonese,
h provincia nostra, fin dove il Mella vi si getta dentro, che ó
quanto dire sino ai termini dell' asolano.
Dalla punta boreale dell' irto Broffione alle foci meridio-
nali del Mella, la provincia bresciana corre un tratto lineare
di presso che cinquantaquattro miglia locali, corrispondenti a
poco più di 44 geografiche di 60 al grado *; e da oriente ad
occidente, dai confini cioè della Lugana sino a Pontoglio, n'a-
vremmo una larghezza di circa quarantaquattro miglia dei no-
stri, pareggiati a circa trentasei di 60 al grado *. La su-
perficie complessiva di tutto il bresciano si farebbe ascen-
dere a miglia geografiche quadrate 917,888, pari a miglia
bresciane 1447,028 K Non sono però che calcoli approssi-
mativi. Dio voglia che l'esempio di Carlo Cattaneo * e le sue
calde parole sien seme che frutti una statistica bresciana
quale non ebbimo sin qui.
Questi sono i confini del territorio nostro. Ma se l' impro-
vido decreto del 13 maggio 1801 staccavano le parti amplis-
sime di Valcamonica, dieci secoli di convivenza civile, di
sventure e di glorie , di patimenti e di letizie comuni non
si cancellano con un tratto di penna. Come tra le nazioni.
1. Misure desunte dalla citata Carta
Topografica — non ostante la diffe-
renza di questi dati dai calcoli del
Sabatti (Quadro Statistico del Di-
partimento del Mella. — Brescia
i807); e del Pagani (Quadro Topo-
grafico àeUa Provincia Bresciana).
2- H miglio geog. è di metri i851 ,
23|97, mentre il bresciano non è
the di metri 1 474, 90.
3. Pagani, Quadro Topografico cit. —
La nuova misura censuaria di tutto
il bresciano risulterebbe di perti-
che 3147,765, cent. 46. Veggasi an-
cora il Cattaneo, Cenni Statistici
della Lombardia. — Milano 1835.
4. Ov' egli apra queste pagine, sappia
che trent* anni di separazione non
valsero a cancellare dairanìma mia
la sua cara memoria.
e I POPOLI PRIMITIVI
cosi tra i luoghi medesimi d'una provincia, è un legame
sacro, ingènito, profondo di monumenti, di aflfetti, di con-
suetudiniy'di tradizioni fraterne, che tenace e forte come una
religione, resiste ai mutamenti territoriali, né v' ha potenza
che sia da tanto di romperlo al tutto. Recenti ancora sono i
voti, le suppliche della valle, perchè venga restituita al ter-
ritorio antico, e incancellabile n'è il desiderio e la speranza.
E la storia dei nostri Gamuni, inseparabile da quella dei pa-
dri nostri, noi ci proveremo a tramandarla in tutta la sua vi-
rile ed alpigiana schiettezza; perchè le memorie di una valle,
che nei secoli poderosi del reggimento a comune con noi
divise il rischio e l' esultanza delle grandi imprese, brillino
ancora tra le più schiette , caratteristiche , severe della sto-
ria bresciana.
In quella remotissima età dei vulcanici ribollimenti, che
sfugge ai computi più lontani del nostro pensiero, e ci tra-
sporta ne' campi indefiniti della creazione , quando la terra
solitaria conteneva a stento Y igneo fiume che le arde ancora
in seno , né indurata era per anco la sua crosta immane ,
quale intema procella spinse in alto le nostre rupi , quale af-
fondarsi di sedimenti e contrasti d' incomplete emersioni for-
marono r intralciamento delle nostre valli?
Non è nostro proposito l'addentrarci nelle origini miste-
riose del terreno lombardo, discorrere di cataclismi che
sembrano ancora un sogno della mente umana. A noi basti
rivolgere uno sguardo alla provincia, e contemplarne come
da r alto la stupenda scena, perchè a' patrii fatti ( e parvemi
nonché opportuno consiglio, necessità) preceda un cenno
dell' agro bresciano, che ne fu pure il campo.
Dalla cerchia amplissima dell' alpi retiche , vero asse geo-
logico di tutta la Lombardia, con vario serpeggiamento si di-
ì POPOLI PRIMITIVI 7
partono le catene che formano Y ossatura , e come a dire il
sistema delle nostre montagne ; e quelle catene che preval-
gono su l'altre per altezze di cuhnini e per caratteri speciali,
si nomano Camonia, Orobia e Mesolcina ^
La prima , che si direbbe un colossale prolungamento del
Braulio, dopo le creste aeree dell'orrido Tonale che divido-
no la valle Camonica da quella di Sole , si raggruppa più
basso in un comignolo enorme chiamato il monte Adamo, dal
quale divellendo come raggi di un ventaglio, scendono tor-
tuosi dalle Sarche all' Oglio i lati fianchi dei nostri monti ,
suddividendo ( come più volle impeto primitivo di contorti
sollevamenti , o il profondarsi nelle voragini dei sedimenti
antichi ) l'ampio tratto del suolo tra i due fiumi compreso in
tre vallate, che accusano tutt' ora in alcun luogo l' atteggiarsi
di quelle emersioni a posture discordi e multiformi, impe-
riosamente contratte dalla violenza e dalla successione di
quegl' ignei rivolgimenti. '
LA VALCAMONICA
La più estesa delle nostre vallate, quella che più risale ai
gioghi settentrionali è la Gamunia , che è quanto dire la più
celebre delle lombarde.
Tra gli andirivieni e le punte del monte Gavia, le cui
vedrette risalgono fino a quelle dell' ultimo Tonale , un fiu-
micello si avvalla; e tutto chiuso da solitudini, da rupi ino-
spite e selvagge, rinvigorito a Ponte di Legno per altra simile
corrente, la Frìgidolfa, prende nome di Oglio, il quale aggi-
rantesi con larghe spire tra quei valloni, ora nabissando ru-
1. Cattanbo, Cenni Statistici della 2. Veggansi le opere geologiche del
Lombardia. ^ Milano 1835. Collbgno e del Gorini.
O I POPOLI PRIMITIVI
moroso giù pe' botri e i covi dell' ardue rocce , or lambendo
più effàso e più tranquillo i limiti silenti di qualche aperta
convalle , giugno ad Edolo , grossa terra montana , già rigo-
glioso pei confluenti moltiplici, che attraversate lor vallicelle,
se ne vengono a confondersi con lui. Di quivi accogliendo
tra via quinci e quindi, o le piene, o l' esile tributo, secondo
loro forze, dei torrentelli propinqui, giugno a Breno; e tra le
distrette e le morse di quel passo angusto, rugge e spuma e
s' accerchia per le biche e per gli scogli che intrecciano ac-
cavallandosi giù nella gora: ma superati que' cinghi e que'
ronchioni, allargasi di verso Cividate, e si rallenta come
riposando; e ricevute altre rabide correnti calate dalle tristi
gole di Loreno, di Lozio, d'Inferno e della Grìgna, procede
grave, placido, profuso lungo i piani, che vanno morendo ai
lembi estremi delle sue ghiaie, per gittarsi con due foci nel
lago d' Iseo.
Dal quale oltre ad Esine e Cividate s'apre maestosa la
nostra valle, sicché il lento declivio delle due catene che la
fiancheggiano, svolto in larghi seni e dirotto in poggi e in
valloncelli, scende a smarrirsi gradatamente nel piano che
rOglio recide in tutta la sua lunghezza. Gelsi, viti, campicelli,
frutteti a mezzo le chine; più su, verdi pascoli interrotti da
molta selva, e come a dire seminati di bei casolari che vi
biancheggiano nel mezzo; ultimi assurgono gli estremi grep-
pi e l'irte creste dei. monti, che sì disegnano in un cielo fan-
tastico, aperto, vaporoso; nell'orientale zaffiro del cielo
lombardo.
Assai grosse terre e villaggi minori e cadenti reliquie di
castelli antichi interrompono que' dossi e quelle chine. Bien-
no. Prestino, Esine, Montecchio, Darfo, Cividate, Cianico,
Piano e così vìa fino a Pisogne dal manco lato; a destra del-
l'Oglio, da Breno aLovere altri luoghi assai, de' quali tutti e
I POPOLI PRIMITIVI 9
dei monumenti loro sarà detto altrove. Questo è il tratto più
ameno, più sorridente della patria valle.
Ma poi, da Breno ad Edolo, e di quivi a Ponte di Legno ,
Valcamonica grado grado si restringe a tal che più non divie-
ne che un tortuoso aggiramento di solitarie montagne sparse
qua e là di capanne , di paeselli, di chiesicciuole più e meno
appariscenti , e come smarrite fra le brune masse dei larici ,
delle querce e degli abeti. Ponte di Legno è come il confine
oltre il quale, se alcuni gruppi ne togli dì rozzi abituri, di-
resti più non trovarsi anima viva. Aspre gole e dirupi e co-
mignoli di scogli immani ed inconcussi; erme riviere che
salgono coi lati fianchi insino a' ghiacci dell' aereo Tonale, ove
tra i pini selvaggi e le caverne e le gole de' suoi deserti,
altro non odi che il sonante buffo del vento, o lo strido ug-
gioso del falco, che sospeso in alto su quegli abissi, a larghe
ruote vi si ravvolge e perde.
Liete di popolo e di vita sono per quella vece le sponde
del Iago d' Iseo.
Formato dall' Oglio, che tra Lovere e Pisogne vi si riversa
per escire coir egual nome al capo estremo tra S amico e
Paratico, lungo da presso a diciassette miglia locali, non ag-
giugnendo ai quattro nella sua larghezza ^, ha il vantaggio su
quello di Garda, che le sue rive mai non isfuggono all' avido
sguardo dello straniero che l'attraversa; sicché dall'una
all'altra di quelle rive, d'in su que' poggi, per entro a que'
1. Secondo le misure dei geog. Man- del Dipartimento del Melia ecc.
ioni e Monticelli. Il nostro Sala pag. if); e realmente me lo allarga
( Guida di Brescia, parte III ) esat- per sette miglia iuliane ( Quadro
lamento risponde a quelle misure. Statistico cit. — Brescia, per Bottoni
Bea diceva il Torriceni, che dal 1807, pag. 14), che é quanto dire
Sahatti s* era preso un granchio più del doppio; il che ad una sta-
( Osserraiioni al quadro Statistico tistica non potea perdonarsi.
10 I POPOLI PRIMITIVI
seni, a quegli scorci ne discerne le ville, i casolari, tutto che
annunci la mano deir uomo sino all' ultima capanna. È un
caro \a%o, il quale, sìa che ne corri le rive dal lato di Fiso-
gne e di Sulzano per la bella via testé costrutta, sia che l'ac-
que ne solchi, ti si muta dinanzi ad ogni pie sospinto, vario
sempre d'aspetto, di carattere, di forme, secondo che l'una
0 r altra delle svariate sue punte s' avanza o si dilegua, per
aprirsi a luoghi taciti, a golfi ed a vallette riposte e inopinate.
La qual magia di prospetti e di mutamenti s'accresce per
risola che si leva nel mezzo, e che recisamente ne sembra
schiudere a primo tratto la scena, e più ancora per l' arduo
Como dei trenta passi; eretto e gigantesco dirupo, che ap-
pare da lungo come fantasima, il quale assurga dall' acque
minaccioso e fiero , quasi a temperare di suo tetro aspetto
r aperta giocondità del nostro lago ^.
Da Samico , dove .cessa il lago e V Oglio ricomincia, da
Iseo, dai luoghi moltiplici della sua Riviera, che sale per
r umili vallucce di Vello, di Marone, di Sulzano, e per altri
dossi, noi volgeremo il guardo a' poggi limitrofi, che sogliam
dire Pedemontani.
LA FRANCIACORTA
Non ha forse altra terra , che per vaghezza e feracità di
sue dolci chine, possa tra le lombarde , toltine forse i colli
fatti immortali dai versi del Panni \ a questa nostra parago-
1. Una scorsa nÙDUta per le terre di descrizione più scientifica ed ae-
Taleamonica ne precede la storia, curata di quella valle ci manca
scritta , come ognun sa, dal buon ancora.
P. Gbegorio sotto il titolo di Curio- %, Colli beati e placidi
si Trattenimenti dei popoli Camoni Che il Tago Espili mio
(Venezia 1698). Sono già passati Cingete,
da cento e sessant'anni; ed ima
I POPOLI PRIMITIVI li
Darsi ^ È come a dire una lenta e soave ondulazione di fa-
cili collinette, che svolgonsi per largo tratto ^in seni e val-
licelle, sino a che si ripiegano perdendo con insensibile pen-
dio tra i lati campi d'Ospitaletto e di Chiari, e che tutte sino
air ultimo clivo le diresti un sorriso del cielo.
E tale io stimo veracemente la Franciacorta; però che nei
meandri de' suoi recessi, per quel vago intrecciamento delle
sue pendici spuntano tra il verde rigoglioso ad ogni tratto e
ville deliziosissime e recinti e paeselli e nobili borgate \ che
è un incanto a vederle. Epperò dall'una all'altra, da questo
a quel casale, da un poggio all'altro viuzze e stradicene, che
salgono, che scendono con dilettevole e sempre vario ser-
peggiamento; e quale mette capo all'ampie vie comunali,
qual più solmga e piti modesta ti adduce al convento, al san-
tuario, quale più malinconica si perde tra le rovine di una
torre, o di un castello. Ovunque poi la vita operosa de' suoi
cultori, una letizia eifusa d'aure, di luce, di fonti, di verzure,
che mollemente si attempera aUa mitezza e leggiadrìa di
que' nostri colli, ai quali da cinque secoli dier nome arcano
memorie antiche di sventura e di sangue ^.
Allato a questi e lungo i fianchi della riviera d' Iseo cor-
rono i termini triumplini.
i. Gabrielb Rosa, La Franciacor- nel 1265 contro Tesercito di Fran^
ta, 1852. eia condotto da Carlo d*Angiò, ter-
2. Adro, Capriolo, Torbiato, Borgo- rei prima origine del nome; ed è
nato, Erbnsco, Passirano, Calino, pur questo il pensiero del Rosa
Caziago, Brione, ecc. ecc. (Franciacorta) e del Cocchetti
3. Una specie di Tespro siciliano, sol- ( Documenti Storici ). Ma di ci6
leTatosì per tutta la Franciacorta pia largamente a miglior luogo.
li I FOPOU PRIMITIVI
LA VALTROMPIA
Chi per la via della Stochetta, risalendo a ritroso del Mei-
la, si conduce a Gardone, giunto a Goncesio, direbbe che un
monte gli recida il passo: ma dove s' inoltri, superata la ri-
svolta che da Goncesio a Garcina si disegna con largo giro
appiè deir erta, si mette dentro ad una valle cupa, angusta,
solitaria, in cui perenne odi il suono del Mella, che rabido
avvolgendosi fra i massi e per gli scogli, ne la discorre tutta-
quanta dal Maniva in giù.
Presso la via reale che lo costeggia sono case e tuguri e
bei villaggi che rompono la mestizia del luogo; e quando fan
ala a siepe di lor umili fronti allo stradale, come le terre di
Garcina, di Sarezzo, d' Inzino, e cosi via, e quando appaiono
cosparti fra i clivi e su pei dorsi di quelle montagne. Poe' ol-
tre Gogozzo un murmure monotono, perenne d'acque cadenti,
di magli e di congegni, un tintinnio d' incudini e di martelli
ti avverte il fabbro triumplino, che assiduo intomo ai fuochi
della Valgobbia guadagna il pane alla povera famiglinola. Ca-
poluogo della Yaltrompia è Gardone
eh* oltre V Alpe, oltre V Egeo
L^anm tonanti del natio metallo
Mandava esperto fabbro, e n^ebbe grido
Che non é spento ^.
E qui ancora la valle si restringe, si fa più angusta e più se-
vera: ma poi, toccato Inzino e Marcheno, dispiegasi ad un
1. BuccBLLENi, Viaggio ti Mellt, ai Glisio ed al Benaeo. — Poemelto. —
Brescia 1821.
1 POPOLI PRIMITIVI 1 3
tratto e si dilata. È come a dire an' altra valle più aperta, più
serena, più luminosa, in cui si manifestano altri colli ed altre
fughe di culmini e di monti, ma sempre alcuna cosa più
espansi e maestosi, che digradando via via, si vanno a perdere
col cielo, e per entro ai quali mugge il Mella e si frange e si
travaglia ingrossato da fonti e rivi e scaturigini diverse agli
imi e torti passi di Bovegno e d' Inzino, mentre dai verdi
chiusi di Colombano, ^piè dell' alto Maniva in cui comincia,
non più che torrentello procede con lento e sparso guazzo
a CoUio K
La Valcamonica sorpassa i quaranta miglia nella sua lun-
ghezza: non aggiunge la Triumplina i ventidue ', mentre a
più di ventotto estendesi Valsabbia ( compresa per altro ia
valle di Bagolino), da cui la dividono le cime tortuose che dal
Maniva procedono con vario nome sino alle orìgini del Nozza
per risalire ad altre vette, le quali si avanzano fino a monte
Dragone.
VALSABBIA
La grossa terra di Vobamo attraversata dal Clisi è come a
dire l'adito, il varco della Valsabbia; oltre il quale, seguitando
il cammino, è quasi un' erma ed alpestre vallea chiusa da un
lato per la rìpidar^frana di un monte da secoli dirotto, dal-
l'altat) per le brulle costiere di Glibio e della Neve, protette da
un santuario ', corse a' piedi e recise dal fiume che vi mor-
t' Veggasi ÌDtorao a questa valle il (nella Strenna Bresciana 1850)
Brocchi ( Trattato Mineralogico ecc. ecc.
Slitte nriniere di ferro del dipar- % L*autore del Quadro Topografico
tiflaento del Mella. Bresc. 1808) — Statistico della nostra Provincia,
il Sala ( Guida di Brescia, parte pag. 2, darebbe alla Valtrompia la
ni. Scorsa pei monti metalliferi lunghezsa di miglia bresc. 2i.
della Provincia) -~ il Mazzoldi 3. La Madonna della Neve.
OROBICI, Sl9rit Brtse. VoL I. 3
14 I POPOLI PRIMITIVI
mora intorno profondo e cupo. Il luogo stesso in cui serpeg-
gia è un sedimento, un letto di vasta corrente per manco d'ac-
que abbandonato; enormi sassi e scoglioni e dicchi da tempo
immemorabile travolti e accavallati per la mesta landa, accu-
sano la piena che qui li spinse.
Ma poc' oltre Pavone eccoti assurgere spiccata e ritta sulle
creste di un' alta rupe la ròcca di Sabbio: svelta, fantastica,
tutta sola si contorna e risalta nell' aere sereno, mentre a
guisa di timide agnello serrate a' fianchi del fedele alano le si
aggruppano intorno le case del povero villaggio. Oltre ancora,
dilatano que' dossi loro spalle selvose, a tal che presso il ponte
di Barghe dispiegansi come vasto anfiteatro, e si allargano
pei colli di Preseglie verdi e feraci quant' altri mai delle no-
stre valli. Ma poi nuove chiuse e nuove gole ti adducono ai
castelli della Nozza, le cui pittoresche reliquie emergono da
lungo irte sul vivo e stagliato sasso, e ti ridestano memorie
di antichi fatti, che noi raccoglieremo in queste pagine.
Da Vestono alla valletta del torrente Biacolo, e di quivi più
ancora sino alla Pieve il Clisi affonda e tuona e rugge in un
angusto letto, serrato fra un'orrida scogliera che V onda vorti-
cosa avvolge e rode. Ma varcato il burrone di quella rotta
chiusura, un alito più molle e più soave ti spira in volto, sic-
ché noi vedi ancora, e già tu senti la vicinanza di un lago.
Ed eccolo aprirsi come per incantesimo dinanzi a te, pla-
cido e sorridente in grembo a' suoi deserti. Un ponte gettato
proprio là dove il lago si restringe, e prende corso e figura
il fiume Clisi , rende ancor più sensibile questa separazione.
Oltre il quale, da un lato i verdi prati del paesello che
diede nome al lago, o lo si prese più veramente da lui, e
quindi le falde altissime dei monti che scendono coperte di
paventose boscaglie per avvallarsi nell' Idro: dall'opposta riva
la terricciuola d'Ànfo e i nudi ed ardui ciglioni dell'imminente
1 POPOLI PRIMITIVI i 5
montagna, sulle cai punte maestosa e fiera torreggia la ròcca
d'Anfo. A quel guerresco edificio non si arriva che per sen-
tieri minati dalla Franca audacia nel duro sasso, e muraglioni
e ponti e contrafiòrti smisurati e saldi. Diresti che un monte
intero bastasse appena all' ardito che la piantò. Aspra di torri
e sbarri e batterìe con entrovi caserme e bastionate rìpide a
filo di que' ripidi scogli, che è un fremito a vederle, protegge
r unica via che la rasenta al piede e vi s' aggira come smar-
rìta. Più in là monti ancora e solitudini e dirupi per li quali,
com'irìde fra un gruppo di nebulonì, spiegasi il lembo sinuoso
di quella via, che rìpiegando a sera per la valle del Gaffaro,
mette capo a Bagolino. L'occhio rifugge da quegli orrorì, e
quasi senz' avvedersene rìtorna al puro e quoto specchio del-
l'acque, ai canneti del CaiTaro e diLodrone, che Io chiudono
dal nord, ed alla vergine luce che largamente diffusa pel so-
litario cielo, ti piove blanda nell' anima, e vi desta un senso
arcano come d' irresistibile eppur soave mestizia.
LA RIVIERA BENACENSE
Le giogaie di Hano , e l' altre di Reseco, di Palino e delle
Pore, dividono Valsabbia dall' agro meridionale della Riviera
benacense. Alla quale se da Brescia ti conduci, lasciati a
manca i suburbani colli, orgoglio e delizia della nostra città,
e loro a tergo la valletta di Botticino, presa la via reale, che
da Rezzato volge a settentrìone lungo le radici di una fuga
di monti che vengono a morire in sul cammino, giungi a Ga-
vardo, ragguardevole borgata sulle sponde del Clisi, e di
quivi, per Villanova e i Termini, a Salò nobilissimo castello
ira quanti allegrano di so Y aperto e splendido Benaco.
L'Alpi Retiche, o dirò meglio le prealpi loro, delle quali,
come dicemmo, sono a tenersi le nostre valli una lenta de-
16 I POPOLI PRIMITIVI
gradazione che poi scompare ai lembi delle nostre pianure,
abbracciano colle bocche di lor ultime catene da settentrione
a mezzogiorno il lago di Garda. La piccola e tirolese città di
Riva sorgevi air ultimo confine di verso borea, poco lunga
dal confluente principalissimo del lago, il fiume Sarca, le cui
pigre acque si confondono colle benacensi per due larghe
foci tra i salici ed i canneti. Di colà declinando alle povere
piagge di Campione ed alle rupi di tremosine, di Monteca-
stello e di Tignale, il nostro lago è asserragliato e stretto
fra due meste riviere. La veronese da un lato, che dirotta in
ampie falde e in vallonate, scende appoggiata ai dorsi im-
mani dell'altissimo Baldo; la bresciana dall'altro, che è tutta
un ripido scoscendimento, una barriera d'orride creste, le
quali fra torrentelli e gorghi e borri trarupati e cavernosi
adergono per V aere solitario lanciate ed irte paventosamente
come giganti. Con assiduo tonfo le flagellano al piede i lìerì
flutti, e mugghiano e vi si frangono in suono tra malinco-
nico e tremendo.
Onde non è meraviglia se ne toccò Virgilio il fremito
marino S e se fu già chi disse, come proscritto dalla terra
ov'era nato, ed accolto quell'esule divino dell'Alighieri
dsdla cortesia dd gran lombardo, qui posasse alcuna volta
r austero ad ispirarsi * , a meditare i carmi della città do-
lente, nel cui profondo come turbine si aggira
La buHera iiifèrnal che mai non resta 3.
Se non che poc' oltre Muslone eccoti spiegato ad ampia
curva il golfo di Gargnano, che gira e allarga oltre Villa e
1. Fluclibui et fremilu assurgens , 2. Maffei, Verona illustrata — par-
Denace, marino. te lì. — Vanetti, Lettere.
Georg, hb. II, T. 160. 3. Dante, Inf. — canto V, v. 31.
I POPOLI PRIMITIVI 1 7
Bogliaco tutto recinto de' suoi giardini, le cui snelle molti-
plici colonne biancheggiano salienti a mo' d' anfiteatro via via
per r erta fin sotto all' ima rupe tra il verde lucicante dei
cedri e degli allori. Da Gargnano a Salò è un aperto ed in-
cantevole prospetto di vaghissime pendici che scendono in
fino al lago seminate di ville, di giardini, di torrìcelle, di
saAtuari, che mezzo ascosi dai lauri e dagli oliveti, o spic-
cati suir erta di un colle o di una rupe, si riflettono capo-
volti nel largo specchio del lago; il quale accerchiandosi in
mille guise di capi, di punterelle, di placidi recessi, qui
cede il campo ai verdi piani del fiume di Toscolano, là s' in-
noltra e si distende nei golfi deliziosissimi di Mademo e di
Salò, coronati anch'essi di cedri e di laureti.
Corre quest' ultimo con piacevole e mite serpeggiamento
fino alla punta estrema dell' opposto Portese ed al sasso di
Scopeto cui era un tempo congiunta l' isola Lechi. Ed è da
quella vaga isoletta, dall' alto 'de' suoi giardini che ad ogni
muovere di capo tutta ti si dispiega la maestà del più bel
lago lombardo ^ Perchè se da un lato la contempli, ti si di-
lunga e perde in uno smarrimento di quell'alte giogaie del-
l' alpi tridentine, che dolcemente vestite dell' azzurro del
cielo, vanno smarrendosi con lui; se dall'altro, ed eccoti ma-
nifesta apparir tutta la Riviera di Salò ; né l' occhio che la
riguarda può staccarsene un istante, com' anima non può da
queUo spettacolo di letizia e di pace. E quindi affacciarsi
ad oriente i selvaggi antichi dorsi dell' ispido Baldo cosparsi
1. lo non dirò col Sabalti (Quadro que di lunghezza e dodici di larghez-
Statistico cil. pag. i9 ) che p^^r za: anzi più esalfc misure dareb-
qoaranti^ttro miglia si dilunghi bero un comptuo di metri 35058.
il lago di Garda, e n'abbia sedici per 11087, dal quale rìsulla non
di larghezza. — Secondo il Sala esservi lago lombardo che possa
( Guida di Brescia ciU pag. 161 ) vantare più vasto bacino. Polini,
non potrebbe averne che trentacin- Viaggio al lago di Garda.
18 I POPOLI PRIMITIVI
al basso di palagi e di ville popolose e felici, brani su per le
chine, per l'ombre dei folti olivi, ascoso l'alterò capo fra le
nubi: quindi a meriggio altre piagge bresciane, e al di là
dei vitiferi colli di s. Felice, ripido, stagliato a filo dell' acque
lo scoglio di Manerba: poi fuggirsene i lidi e curvarsi a lar-
go cerchio il seno amplissimo di Desenzano, intomo al quale
distingui tra'l verde ogni tugurio, ogni casa, ogni chiesetta,
e più da lungo il molo contro cui si riversa e rompe con
assidua lena la corrente del lago. Poi dilungarsi da un lato
fin dove basta il guardo quella ondata di colli deliziosissimi
e feraci che han nome dalla Valtenese, e confondersi più
lungo coir aere luminoso le facili colline Lonatensi e della
Lugana, le quali come s' irradiano del cadente ultimo sole e
si prolungano l'ombre vaporose, prendono aspetto di un'agi-
tata marina. Più da lunge ancora eccoti incedere quasi re-
gina dell' acque la pittoresca penisola di Sermione, graziosa
e vaga siccome i canti che un tempo la salutarono^ S oltre la
quale a basso lido fra i canneti e l' alighe del Mincio, l' e-
missario del lago, s' immorsano gli spaldi ed i torrioni della
ròcca di Peschiera, il bdlo e forte arnese.
Dovunque poi muovere e spaziarsi un'aura molle, un
dolce alito lieve
che il fior del cedro e il casto lauro odora '.
Onde a quei siti di calma e di riposo, a quei poggi fioriti che
si distendono soavissimi infino ai puri e limpidi cristalli del
nostro lago, e ne Io abbracciano a guisa di regale diadema,
air azzurro di quel cielo vasto, ' aperto, circonfuso di una
luce che ti sorride intorno e ti ricrea, tanta e si arcana dol-
cezza ti viene al cuore, che perdoni agli antichi, se tocchi
-1. Catull. Carm. — Arici, versi. 2. Anici, Scrmimie. — Poemetto.
I POPOLI PRIMITIVI
19
forse da meraviglia anch' essi, collocavano il Benaco fra i
loro Dei S perchè allorquando il bosco, la fonte, il dirupo,
tutto era nume, non mancasse di culto il più maestoso degli
ausonii laghi *.
LA PIANURA
Mi passerò leggermente dei nostri piani. Suddividendosi ,
0 dirò meglio, si dilatando nei distretti di Chiari, Ospitalet-
to, Orzinuovi, Bagnolo, Yerolanuova, Leno, Montechia-
ro , protendonsi da settentrione ad oriente a guisa di cono
1. • • • LO • • • A
BENACO
SVCCESSVS • Q •
SANICI - MIRINI
V • S • L • M .
Q • S IVS
SV • • S • ITER
Marmo che il Morosinì copiò nel
secolo XVI a s. Vigilio, ora nel
Museo Veronese (Maffei, Verona
ilL p. 1, pag. 89, 5). Fu pubblicato dal
Gnttero, dal Muratori, dairOrelli, ed
ultimameate dal nostro Labus nei
Marmi antichi bresciani classifi-
cati ed illustrati, (Epigrafi Sacre,
a i30, pag. 89). È un voto del
serro Successo al dio Benaco per
essere forse, dirò col dotto il-
lustratore, uscito sano e salvo da
furiosa procella.
2. Chi non sa come il lago di Garda
venisse ricordato assai volle, ed
assai pure descritto in opere innu-
merevoli antiche e moderne? E be-
ne scrisse il Rovida, che le due
grandi epopee dei tempi storici,
r Eneide e la divina Commedia, si
veggono riunite a decantarne i pre-
gi. Virgilio, Plinio, Catullo, Dante,
Strozzi (In laudem riparum Bena-
ci), Dolcino Secondo in un suo poe-
metto (Sirmio), ed il Guarino nelle
sue Proseuche ad Benacum, per
non dire del Filelfo, dell' lodoco
(Benaeus), del Vollolina (Hercules
Benacensis), dell* Alberti, del Cat-
taneo, del Bonladio, del Gratlarolo
(Istoria della Riviera di Salò), ver-
sarono sul nostro lago; mentre in
tempi a noi più vicini il Becelli,
TAlgarotli, TArici nel suo Viaggio
melanconico e nel suo Sermione, il
Betteloni (Poemetto sul lago di Gar-
da) il Puecber (Descrizione di quel
lago). Sala, Polini, Persico, Brunati
(Uomini ili. della Riv. di Salò), ed
altri assai più o meno diffusamente
ne favellarono, a tal che Tindice so-
lo di chi ne trattò sarebbe un do-
cumento curioso della sua celebrità.
H) I POPOLI PRIMITIM
fra le provincie di Mantova e di Cremona, correndo presso
i limiti della prima le acque del Clisi, dall'altra più este-
samente separandola il fiume Oglio, mentre il Mella che pur
neirOglio si getta, la scorre nel mezzo e taglia in due.
Da ciascuna di queste correnti si derivano conserve ed ac-
quedotti, che diramandosi alla lor volta in canali e docce e
rìgoletti, formano quel vitale ed animato sistema d' irrigazione
per cui s' addoppiano i prodotti del nostro suolo. Né già che
il suolo stesso presentisi uniforme nella sua feracità, ne' suoi
caratteri. A non dire di alcune lente ondulazioni, di quelle in-
sensibili pendici, di quelle alture che sparsamente si levano
qua e colà, come a Poncarale, a Castenedolo, a Montechiaro, a
Cs^rìano, e che rompono la inerte monotonia della pianura,
se da un canto i fertili campi d' Ospitaletto, di Chiari, de-
gli Orzinuovi, a mo' d' esempio, rispondono alle speranze ed
alla mano dei nostri cultori, hannovi dall' altro ampli tratti e
plaghe vastissime che ti si porgono dinanzi in tutta la deso-
lante loro nudità: squallide, deserte , ulliginose , sparse di
pruni, di salici, di felci e di canneti, non rotte che da nidi
ed inamabili ombre, tu vi ti accosti con un senso di oppres-
sione e di mestizia. Le selve che assiepano da Rudiano ad
Acqualunga la vasta e pigra correntia dell' Oglio, tristi e so-
litarie lande, s' aggiungono a quei deserti. Ma pur non sono
che tratti, lasciatemi dire, eccezionali; avvegnaché traversata
per ogni senso da una rete di belle ed ampie vie, popolosa
e lieta per molte e ricche terre e ville sontuosissime e ca-
stella, felice sovr' altre assai per le ben eulte campagne, se
ne vadi presso che tutta la provincia bresciana.
I POPOLI PRIMITIVI ìi
LA CITTÀ
In seno all' agro che abbiam descritto , al lembo estremo
dei colli deliziosissimi del Goletto, di s. Gotardo, di s. Cro-
ce, sorge da forse ventiquattro secoli ^ la nostra città.
Fastosa di templi, di portici, di palagi, di laiche vie; su-
perba dei monumenti di sue glorie antiche, animata dal
murmore perenne delle sue fontane, aOegra, simpatica, gen-
tile, altra forse non è che al pari di lei rappresenti la vita
energica e rigogliosa del popolo lombardo. Posta di mezzo
tra le valli e il piano, sicché diresti che più sensibile ne renda
la divisione , si partono dalle cinque sue porte, come raggi
divellenti da un asse comune, le vie resdi cui metton capo
altre infinite del territorio , che tutta ne discorrono l' am-
piezza : e quale di verso borea s' inerpica e s' aggira fra le
patrie montagne sino ai dirupi del Tonale, di Campello, di
Bagolino, o radendo le piagge dei nostri laghi ne lambe fles-
suosamente i seni e i promontori; e quale da mezzodì spar-
samente si dirama e perde per la vastissima campagna.
Ristretta un tempo e raggruppata intomo alle radici del
suo castello, di quel colle Cidneo sulla cui cima non è infon-
dato il sospetto che posasse nelle età remote il campidoglio
breseiano, allargavasi la città nel secolo XIII a tal confine
che forse parea grande allora, e non era pur la metà del-
r attuale; ma l' impulso, il bisogno di più estese muraglie fu
nuovamente sentito, ed era l' effetto della prosperità munici-
pale nel corso di qualche secolo gradatamente, cresciuta. Se
1. Quando non se ne fogth aUribnire eompaterci la costoro venuUinlorno
che ai Cenomani la sua foodauone, a cinque secoli e mezzo prima di C.
22
1 POPOLI PRIMITIVI
non che surte a più largo cerchio le nuove mura, si volsero
altri tempi, si mutarono le condizioni del nostro Comune, e
il nuovo cerchio rimase come quello dell' alga lasciata dalla
marea, quasi a testimoniare fin dove Y esuberanza dei flutti
r avea sospinta.
II.
I POPOLI PRIMITIVI
DELL'ITALIA SETTENTRIONALE
Quali schiatte stanziassero fra noi ne' remotissimi tempi ;
se dall' alpi, o dalle soglie del duplice mare , se per ambe
quelle vie ci venissero, ed in qual tempo e con qual succes-
sione apportatrici di popolo e civiltà, è tuttavolta un mistero.
Voler penetrare in quelle caligini gli è quanto ritessere
una contesa antica sui prischi popoli lombardi, che la te-
nace insistenza di pazienti e poderosi ingegni non bastò a
decidere. Cori*, Bardetti', Vico', Maflfei*, Guarnacci',
Figliasi ^ Freret ', Niebuhr^ Inghirami^ Lanzi *^ Micali *S
i. Museum Etruseum — Florentia
1737.
2. Della linpa dei primi abitatori
dltalia. — Modena 1772.
3. La Scienza nuova. — Nap. 1744.
4. Degli Etruschi e degrilaliani pri-
mitivi. — Osserv. lettor, t. IV, Ver.
5. Orìgioi italiche. — Lucca 1767.
6. Memorie dei Veneti primi e se-
condi. — Venezia 1796.
7. Oeuvres par Didot — Paris 1 796.
8. Hist. Romaine trad. de l'Alkmand
par Golbéry.
9. Monumenti Etruschi, o di etrusco
nome. — Firenze 1821.
10. Saggio di lingua etnisca. 1789.
il. Storia degli antichi popoli Italia-
ni. — Monumenti inedili per ser-
vire alla storia slessa. — Fi-
renze 1832.
I POPOLI PRIMITIVI 23
Pelit-Radel S Rosa», Mazzoldi ^ Muller *, Troja», Cantù* e
cento altri italiani e forestieri furono in campo: risultanze mi-
rabili emergevano da quelle lutto; assai monumenti vestivansi
di nuova luce, e a paro coi monumenti ne vantaggiava la sto-
ria. Ma se applaudi l'ardito che spinge l'acuto sguardo al
di là delle umane memorie, se tu lo sciegui nella sottigliezza
ingegnosa delle induzioni , tu rimpiangi ad un tempo il vano
sforzo di una mente, che giunta ai limiti supremi d' ogni te-
stimonianza, si arresta come l' onda che rompe al lido , e
retrocede, perchè non può varcarne di un dito Y inesorabile
confine.
Raccogliendo per altro i sommi capi delle più probabili
congetture, parrebbe indubitata l' idea fondamentale univer-
salmente assentita di remotissime invasioni continentali ed
orientali venute dall'Indo, dal Tigri, dall'Eufrate, dal-
l'Asia Minore, dalle spiagge del Ponto Eusino per allargarsi
in prima su tutta l'antica Europa, collocarvisi , popolarla,
dar nome alle nazioni che la compongono.
I Tirreni. — E per venire a Italia, sembrebbe dovuta ai
Tirreni, se non la prima, una per certo delle schiatte più re-
mote che l'abitarono. Ai Tirreni, che venuti dall'Asia Mino-
re, dai gioghi ultimi del Tauro; dirò breve, da quelle regioni
che poi Lidie si addimandarono, dieder nome di Tirreno al
mare che forse alcune loro colonie avean solcato. La me-
moria di questo loro pellegrinaggio durava tradizionale nel
secolo di Druse e di Tiberio; e non so come il Micali ne la
disprezzi ^.
I. Reeherekes iur le* monumenU aj- 4. Die Etnuker. — Breslavia 1838.
clopéetu Off pelasgiques. — Pa- 5. Storia d'IUlia. — Nap. 1850, 1. 1,
m 1841. part« IV.
1 I Pelasgi in Italia. 1847.— Genti 6. Storia Universale. — Torino 1848.
tra TAdda e il Mincio. — 1844. 7. Lltalia avanti il dominio dei Ro-
3. Origini italiche. — Milano 1840. mani — t. 1^ pag. 107, capo X;
Ar. C.
2600
1^
2i
I POPOLI PRIMITIVI
Pare ancora che in tre parti gli anivati si dividessero ; i
Tanrisci al nord, presso il nuovo Tauro, che è quanto dire al-
l'alpi settentrionali; gli Oschi a meziodi; tra gli uni e gli altri
i Tusci od Etruschi: come terremnio della migrazione istcssa
i Veneti primi oh' ebbero stanza nell' llliria e nella Venezia.
Ma se a' Tirreni o Tirseni o Raseni che dir si vogliano, deb-
basì il nome di Aborigeni <; se, vale a dire, venissero i prttm
ad abitare il suolo italiano veramente io non saprei. Direi anzi
che no: e il pensiero di un popolo primitivo a noi pervenuto
dal coDtinenle, e per gli ardui gioghi settentrionali disceso
con lento viaggio a collocarsi nelle valli lombarde ed appen-
nine invadendo I campi che venivano dall'acque abbando-
nati, questo pensiero, dove tace la storia degli uomini, è
confortato dalla storia della natura, che il Vico tra quei
silenzi ha interrogala *. Ed aborigeno ( «Tpof, mota ) è forse lo
stesso che montanaro ' , e parla Strabone di spedizioni
tirrene contro barbare genti (tsi' IlcSar fi«p^«fw/) alle spon-
de del Po *.
^
ove coafondendo gli Einischì coi
Tirreni , dia Dionisio d' Alicar-
natso. È perb «ingoiare che men-
tre apag. 72 (ediiione ài Geuon
1829) io t» dimentico ds' tuoi pro-
pri iMegnamenti tui dovtri d'ttno
lUtrieo, e reca un paeso di Saint-
Croix p«r dirci che to» primier
lipre ttl kjipolétiqiàe, qui poi con-
fessi aver Dionisio a fondo eta-
miitate t con impariùlità e con-
p-onta di molli avieri a noi
teoHoieiuti qauto pwnfo di itoria.
Paltò sta cheDioDJsio d'Alicarnassn
<ij ricollocata nel aecol noslro, ad
orila de 'suoi djfeUi, fra gli storici più
intigni di lulla quanta l' antichìlit.
t. Italia fultoru primi Ahorigiiies
fuere. — Justinls, lib. XLIII.
t. 1 Antiche iraditioni delta storia
■ italica ci firn vedere le prime
■ abitazioni dei no.strì popoli sulle
• alte cime dei monti . . . L'ìstorij,
• d'accordo colla natura, dalle re-
> gioni più eletale d'Italia ci mo- •
> slra discesi dall'uno e l'allro lato
• verso il mure i popoli antichi >.
UtCALi, op. cil. 1. 1, cap. 1, pag. SO.
3. Cantò, Storia Universale. Race.
i. Lib. V, e. I; e v'ha chi suppone
questi barbari essereiLigioLipri.
nominali forse primieramente da
Eschilo nella Tragedia di Prome-
teo. — Stbab. lib. V, epoca I.
I POPOLI PRIMITIVI 25
Se non che, quali erano questi popoli? Come venir nume-
rando quelle genti sdpine, che di generazione in generazione
aspettavano il ritirarsi dei due mari per occuparne il letto,
piantarvi le loro tende, adorarvi i loro Dei, e la cui storia
cammina di pari passo colle geologiche rivoluzioni della
terra italiana? Come distinguerle dalle colonie usurpatrici,
daUo straniero insomma, che fino d' allora, o poco appresso,
noi vediamo approdato ai nostri lidi ?
E qui la mente si arretra e si confonde, e tacita contem-
pla i coraggiosi pei quali ivi appunto dove incomincia
Difficoltà che all'impotente è freno.
Stimolo al forte ^
ha principio il bisogno irrequieto di mergersi fra quelle in-
dagini pur disperate. Natura, carattere, destino dell' intel-
letto umano, che postergata j' idea già conosciuta, s' avanza,
né riposo ha mai fino a che i limiti non tocchi, oltre i quali
tutto è arcano e incomprensibile, né trovi un elemento che
sia pari alla sua vastità : misterioso compagno di nostra vita,
che tenta sempre levarci all' infinito da cui deriva, ed a cui
non si giunge che per la via della tomba.
Forse quegli Aborigeni non erano in fine che gtiberici
ed i Celti, i quali per altri si farebbero posteriori ai Tirreni,
ond' è questione della loro precedenza.
Gl' Iberici ed i Celti. — Pare ad ogni modo che giunti
gl'Iberici nella nostra penisola, si dividessero, e quali pro-
gredissero al Rodano, airiberia, quali col nome di Ligi o
Liguri si fermassero all'Italia settentrionale; e che i CelU
Umbri (altro sciame di popoli, che dilagando come in da*;
i. Manzoni, Urania.
2G
i POPOLI PRIMITIVI
fiumane al di qaa e al di là dell' Alpi, risalia quinci al Da-
nubio, quindi scendeva per la terra lombarda) sovrappo-
nendosi ai Tirreni dall'Alpi in sino al Tronto, e questi pure,
spartendosi a grandi suddivisioni T italo suolo, per altri nomi
si distinguessero.
Importante al nostro caso è quello d' Insubri. Parrebbe
ancora che in dieci secoli ( dal 2600 al 1 600 ) queste immi-
grazioni popolatrici dell' antica Italia si fossero ornai compiu-
te. Ogni dubitazione si volgerebbe sull'ordine, sul modo, sulle
loro vicende. Ritessere le ragioni che all' ordine ricordato ci
accosterebbero di preferenza, e' sarebbe un perderci ne'
campi interminati della discussione.
I Pelasgi. — Duranti quei dieci secoli, e per quanto pare
intorno al 1900 avanti G. C. una serie di antichi popoli di
^^^^ semitica schiatta, cacciati forse dall'Egitto, dalla Fenicia,
dalla Palestina, venivano allagando la Grecia tutta ^
. Il loro nome di Pelasgi, o Phalesgi, che è quanto dire
navigatori collo Schlegel e col Bay, o più veramente disper-
si, come suona il semitico Phaleg ^, accusava lor carattere,
loro vita di nomadi e vagabondi. Stettero in Grecia, si me-
scolavano agli Jonj primitivi, li combattevano forse, ma da-
vano certo il loro nome alla penisola meridionale, invadendo
la Tessaglia. > Regnarono, guerreggiarono, sacerdotarono,
> incivilirono da per tutto > scriveva Balbo ^ : gentame di
if. e.
1600
1. FouRMONT, RifUxions sur l'ori-
ginedes anciens peuples. — Petit-
Radel, Recherches sur Its monu-
ments cyclopéen ou pelasgiques.
Paris 1841. — Tableau eompa-
ratif des synckronismes de l'hi-
stoire eie. de la Grece. — Clavier,
HUt. desprimitrs temps de la Grè^
ce, etc. eie. Paris 1 809. — Fre-
RET, Jlem. sur les premieri habi-
lans de la Grece; ed altri infiniti.
2. Fourmont, Balbo, Rosa, Martorelli
ed altri sarebbero di questa opinio-
ne del Salmasio.
3. Sommario di Storia Italiana. — Eia
prima. — 1 popoli primitivi.
I POPOLI PBIMITIVI 27
profonda e durevole barbarie gli accusava il Micali ^: sepolti
in una infanzia eterna (étémeUe enfance), accattatori degli
osi d'ogni terra che loro aprisse un asilo dicevali Raoul-Ro-
chette *. Una questione di storia, quando è ridotta a questi
termini da nomini di simil fatta, sei quasi certo che lunga-
mente verrà discussa, ma non decisa. Se non che il Segre-
tario dell'Istituto di Francia, sostenendo altrove i Pelasgi
apportatori in Italia della ciclopica architettura ^, parve ad-
dolcire alquanto i severi suoi detti; e noi dal canto nostro
accettiamo la sua ritrattazione che dalle indagini profonde
sui pelasgici monumenti di un suo contemporaneo ^ vien
su|[geUata.
Ma gli Jonj, che o vinti o rifuggiti alle patrie montagne pre-
ser nome di EUeni, si ribellarono da quegli stranieri, e con-
dotti dai loro eroi, tentarono riprendersi animosi la perduta
libertà ' ; e ne surse quella guerra lunghissima, gloriosa,
nazionale, che terminò dappoi coir incendio della pelasgica
Troja, e col riacquisto della greca indipendenza.
Ed ecco i Pelasgi errabondi un' altra volta venirsene per
sentenza di Dionisio ai nostri lidi; ed è per lui, pe' suoi rac-
conti, i quali superbamente alcuni chiamano fole, ma cui più
severi studi restituivano una fede quale non ebbero a lunga
pezza fin qui, che noi ci addentriamo per quelle caligini
eh' egli ritenta con un criterio contro al quale ornai tace la
crìtica più arcigna e permalosa.
1. Op. cit. lib. 1, e. VUI. 4. Petit-RjU)EL, Recherches sur Ics
S. HUt du coloniet grèeques, l I. monumentg qfclopéens ou pelasgi-
ci. il, 12. — Paris 1815. ques. — Paris 1841.
3. Mèmoiru d'archeologie eomparèe 5. Mars, Horx Pelasgica. — Cam-
Oiiatique, grécque et etrusque. brige 1815, parte I, capo I, pagi-
(Mém. de Vlnstit, t. XVI, 1848^. na 11
28 I POPOLI PRIMITIVI
La colonia piima di questi vinti stranieri fermavasi Ira
noi circa il 4600, e dal golfo dei Peacezi risaliva Italia pro-
babilmente fino agli ultimi Rieti. Dalle bocche del Po, dove
quattordici secoli avanti di G. G. fabbricavano Spina, proce-
dea la seconda; ma combattuta dai popoli primi, riusciva in
parte a rannodarsi ai loro connazionali. E nella Rezia, là nelle
regioni che furono probabilmente la sede antica degli Itali, si
formò quel nerbo della pelasgica schiatta, che spingendosi fra
gli Oschi, gl'Itali ed i Tuschi, pigliandone a viva forza le
terre, vi diffondevano l' arti proprie, le venivano popolando
delle loro città; ed essi le accerchiarono di quelle mura,
le quali, simili alle pelasgiche della Grecia, ne portavano il
nome, onde il celebre Petit-Radel, non riscontrandone fra
le etnische e le romane, gagliardamente ne sostenne la pe-
lasgica struttura ^
Ma i popoli primitivi ad>orrivano la servitù dei già potenti
Pelasgi : si riunivano ad una guerra d' indipendenza che lun-
gamente bastò, e il sacro nome d' Italia cominciò forse allora
a vestirsi del primo albore di quella luce che dovea poi farlo
venerato e grande. Ed è singolare la coincidenza di questa
guerra colla trojana degli antichi EUeni sollevati per lo stesso
motivo combattenti anch'essi per la loro libertà. E que-
sta Italia, che soi^e a francarsi dalla straniera servitù quasi
ad un tempo colla Grecia, darebbe segno di uno di que' pe-
riodi ne' quali il santo amore del paese natio diresti risolle-
varsi tra i popoli a ripigliare il suo posto e i suoi diritti.
I Pelasgi rincacciati al mare lasciarono Italia : ma Italia
non lasciò per lungo tempo riti, arti, simboli, costumi,
civiltà dei fuggitivi.
1. lUchercht» di.
I POPOLI PBIMITIVI 29
» La loro caduta cominciò circa sessant* anni innanzi la
1 guerra trojana » scriveva il Micali * , riportandosi a Dio-
nisio d' Alicamasso. Ma gli è molto che il Micali ammetta
pur r esistenza degli erranti Pelasgi; e mentre Omero li di-
cea divini (ùioi ri ntx«^oi) \ e chiamava Pelasgico lo stesso
Giove ^f quel per altro dottissimo italiano a un bel tratto ne
li battezza per un branco di venturieri.
Elleni. — E gli EUeni ancora, poich'ebbero battagliato
per la propria, venivano frequentemente a contrastarci la
terra nostra. Forse per inseguire i Pelasgi che avevano da
Troja espulsi; forse ancora per tórre di mano a que' nemici
Italia, migrarono anch' essi, e vennero alla volta dei no-
stri mari. E qui, come al solito, un' altra questione. Perchè
siccome la costoro venuta fu in varii tempi, accadde che i
primi Elleni approdati alle spiagge italiane venissero con-
fusi cogli ultimi Pelasgi, che qui cercavano rifugio. Pare per
altro che colonia Ellenica fosse quella di un Ercole (eroe»
mito, simbolo, quel che volete), la quale fermavasi in prima
ai Liguri, e quindi al Tevere; e Pelasgico-Trojana quella di
Antenore alle foci del Po, la quale accomunatasi per quanto
sembra ai Veneti, scacciati gli Euganei per largo tratto della
valle lombarda ^, non è improbabOe che fondassero, come
opina il Furlanetto, la città di Padova '.
ETRcscm. — Ma questi Greci mai non ebbero per altro
sottomessi ^i Etruschi, i quali sbarazzatisi dei Pelasgi e poi
dell'Itali, allargarono ai popoli conterminanti la potenza
loro. Erano dodici loro principali città confederate, e do-
1. Op. cit par. I, e. VII, pag. 72. Henetos, Trojanosque eas Unuisse
1 (Mytt. XIX. terrai. — Liv. Hùt lib. I. e 1.
3. lUad. XVI, ▼. 233. 5. Le antiche Lapidi PaUTÌne iU. —
4 EuganeuqMe , qui inler Padova, 1847. A spese del muni-
More A!peique mcolébant, pulsù, cipio di Padova, pag. XI.
Av. C
IIM
30
I POPOLI PRIMITIVI
dici i loro capi. È nota, indubbia, tradizionale la indipen-
denza, il florido commercio, l' arti splendide, i culti, le ci-
viltà uguali forse alle elleniche della loro epoca prima, di
poco minori al certo ^ assomigliantesi per grandi analogie ^.
Combatterono gli Umbri ^ e vinsero: combatterono i po-
poli circumpadani, e vinsero, e ne presero le province, quasi
Etruria seconda ^, fra l' Appennino e Y Alpi ed il mare, a cui
per una loro colonia fu dato il nome di Adriatico.
Ed ivi ancora, siccome neir Etruria antica, altre dodici
principali città, e gli ordini medesimi, e le medesime colture.
Brevemente : la potenza etnisca erede, né immeritevole, dei
riti e delle civiltà degli antichi Tirreni, dilatavasi ad ampli
confini, cui circondavano i Liguri alla marina col suolo che
ancor Ligure si noma, i Taurisci alle sorgenti del Po, i Ve-
neti all' Adriatico, gli Umbri a levante, gli Italo-Oschi e gli
EUeni a mezzodì.
Ma gli Etruschi medesimi, che incalzavano per ogni parte
la pelasgica gente, non erano popoli nuovi. Erano probabil-
mente que'Raseni o Tirseni o Tirreni o Tusci che dir si
vogliano, tutti di provenienza delle grandi tirrenie schiatte,
1. Divido Tarte greca col grande el-
lenico moderno Raoul-Rochette in
tre fasi prìncipalissime. Dell^antico
stile; del grande e bello stile; dello
stile grazioso. Sarebbe la prima
dalPorigine délParle sino a Fidia
(Raoul-Rochettb, Court d' Ar-
cheologie. Paris 1828, pag. 160).
Veggansi ancora intorno a questa
suddivisione le belle opere di Meyer
e di Thiersch.
A* tempi del Cori , del Passeri ,
del Caylo tutto era etrusco negli
italici monnmenli delfantico stile.
o
Sonvi adesso archeologi che tutto
vorrebbero ellenico. E bene a que-
sto proposito scriveva un illustre
vivente, che la science a set oc-
cés d'humeur et de caprke; nia
non è men vero che a questi ac-
cessi non potea condursi che per
la forza delle monumentali ana-
logie.
3. Umbria vero pars Tascùt. — Ser-
vius. XII, 755. — IsiD. Orig. XIV.
A. Liv. Hist, lib. V, e. XXXIII. Postea
traììs Apenninum . . . coloniis
missis eie.
I POPOU PRIMITIVI 31
le quali in ultima analisi popolatrici d' Italia ne' remotissimi
tempi, si allargavano per avventura su tutto l'agro subalpino,
sia che venute si dicano dal mare, e contrastate sul nostro
suolo dalle celtiche scorrerìe, vogliasi ancora che dalle parti
settentrionali ci fossero discese S o per ambo quelle vie.
E vi basti per ora questo povero cenno. Quante peritanze,
quanta varietà di opinioni siìir orìgine, sui fatti di questi
primi popoli italiani! Ne abbiam gettato un motto rapidissi-
mo, tanto per dare un saggio di quello spinalo nel quale
avremmo dovuto condurre il non sempre pazientissimo let-
tore, dove non le rìsultanze, ma il processo ingrato avessi
qui porto di si penose rìcerche.
Né crediate, per amor del cielo, queste nostre induzioni
sostenute da fatti, da monumenti, da testimonianze di certa,
indnbitabil fede. Misericordia 1 Chi può gittare securo il
guardo al di là di quaranta secoli ? Dissi induzioni; e la pa-
rola mi scolpi dalla presunzione di aver dettata una storia, la
quale s*awolge ancora ne' suoi non penetrabili misteri '.
III.
I POPOLI PRIMITIVI
DELL' AGRO BRESCIANO
E qui n' è duopo ri tessere la via che abbiam percofba.
Tirreni adunque si vollero i primi abitatori dell' iUiiù mjI^
tentrìonale, epperò della provincia nostra. Veneti, Eugat**?
ì. Ckvtù, Storia Um?eriale. — Ed. 2. In questo a»»ettU^t«* «i ^ <-^
VII. Torino. — Racconto. delle origini . itaJi'^**^ u^ v-^.^-*
32
1 POPOLI PRIMlTIVr
Stoni, Orobj, Reti, Camuni, Trumpilinij Etruschi, Opici,
Taurini ed altre genti ancora si pretesero derivazioni di quella
stirpe *: il perchè, chi notava in qualche nome di retico pae-
se una erigine tirrena * sosteneva i dubbi, le induzioni del
Tschudi ', del Quadrio S del Giovanelli ^, e d'altri assai.
0 posteriori o preceduti a que' Tirreni vedemmo i Liguri,
diramazione settentrionale dogi' Iberici , o come altri , dei
Celti, venuti forse a un tempo cogl' Iberi. E questo nome
di Liguri 0 Lìgui 0 Libui si direbbe esteso a quasi tutte le
props^ni tirrene che abbiam citate, come a comprenderie
sotto più vasta denominazione ^; il perchè T. Livio aperta-
mente scrìve, che dov' erano le città di Brescia e di Verona
stanziavano un tempo i Libui ^.
essere indamo fin qui pur la spe-
ranza che r arduo quesito venga
disciolto. Ippi da Reggio, che visse
durante la guerra persiana, era
forse il primo, di cui resti me-
moria, che quelle origini cercasse.
Da que' secoli a* di nostri non ha
storica vertenza con eguale acca-
nimento e cumolo di più sfondata
e profusa erudizione discussa. Ma
r erudizione s'ò fatta cosi cede-
' volo, così elastica, cosi multiforme,
che fu a danno più ch'altro deirin-
tento dì ciascuno.
i. E ben vasta dovea essere la co-
storo dominazione, se da Servio
( od Georjf. lib. II ) ci si narra
Mfiie od fnXvan Sicuium omnia
pouediiS6f e se dal loro nome chia-
mavano i Greci Tirrenia T Italia
nostra. ---Maffei, Degli Itali pri-
mitivi. Neirist. Dipi. — Mantova
17«7, pag. 206.
1 HoRMATR, Gesehvon Tiroi I. 27.
3. De prisca et vera Alpina Rhatia.
4. Dissertazione sulla Rezia di qua
dairAlpi.— Milano 1755.
5. Pensieri intomo ai Rezj. — Trento,
per Monauni, 1844.
6. • Il nome di Liguri fu pertanto il
• nome gentilizio con cui sMndi-
B cavano i primi abitatori d' una
• grandissima parte d'Italia • —
e altrove • pare che occupas-
• sere tutta quasi la regione tra
• l'Alpi, il mare e l'Amo •. —
MiCALi, L'Italia avanti il dominio
dei Romani, — e. Vili, lib. I, p. 80.
Si sa degli Stoni chiamali Liguri
in un frammento dei Fasti trion-
fali: in quanto ai Taurini veggasi
I'Oderigo, Lettere Ligustiche, pa-
gina 15; — il DuRANDi, Dell'antico
Vercellese e dell'Alpi Graje, ecc.
7. Alia snbinde manus Cenomano-
rum . . . «6i mine Brixia 0c Ve-
I POPOLI PRIMITIVI
33
Vedemmo come i Pelasgi succedessero da poi; come resi-
stessero indarno alla risorgente gagliardia delle antiche po-
polazioni^ rappresentate in quelle guerre da quasi che un
solo nome — TEtruria — prevalso corseceli agli altri tutti.
Da quali parti a noi giugnessero non è ben chiaro. Deri-
Yali Reinesio dalla Fenicia ', Buonarruoti dall' Egitto '« Maz-
zocchi e Maffei dalla terra di Canaan^, Cesare Balbo da
quasi tutti que' luoghi ^ ; né fu risparmiata la Scizia, e se
Dio mi salvi, quant' è di più remoto del mondo antico ^.
Fatto sta, che vinta la Grecia, vi si fermavano: ma gli El-
leni risollevati, come dicemmo, ne li cacciavano poi; ed ecco
le fughe dall'Arcadia secondo ^Iannelli^ dairArgolide se-
condo il Larcher ^, o com' altri ^ dalla Tracia e dalla Tessa-
glia, cosi bene descrìtte dal Marsch *^ e dal Clavier *^: ecco
il principio delle colonie approdate a Italia di quel popolo
disfortunato.
E delle genti moltiplici di tirrena o ligura derivazione quali
erano veramente le sparse pei siti componenti adesso la pro-
rofUR urbe* suni (locos tenuere
Libui) coiuidunt, — Hist. lìb. V,
capo XXXIV.
1. Cesare Canta li dicea soverchiati
da genti nuove (Storia Universale.
Race parte 1, ed. VU di Torino).
Per me non ?i ravviso con Balbo
che i primi Tirreni come che vo-
gìiansi venuti od appellati.
1 De Lingua Punica, Altembnrg
i830, e. II, I. 14.
3. Ad monumenta Dempsteriana, —
Lanzi, Saggio cit. t I, pag. 14.
4. Maffei, Degli Itali primitivi —
lib. citato. — Mazzocchi, Spicil,
Bibl, I. pag. 207. — Neapoli,
1702, p. 66, 78.
5. Meditazioni storiche. — Torino
1844. Med. XIII. Appendice.
6. Etiopi li farebbe Dupuis (Sur To-
rigin, des Pélasges, t. Ili, 48.
Mém, de Vlnstit) Celto-Indiani il
Fabbroni (Deriv. dei popoli d'IUlia,
pag. 15.) Indo-Germani il Moke
(Hist des Franes, Paris 1835,
pag. 49, 50, et passim) ecc. ecc.
7. Tentamen in Etruscas Inscriptio-
nef. 1840. — Errava poi, secondo
me, nel tenerti originarj d'Arcadia.
8. Chron. ad Herod, VII, pag. 274.
9. Fréret, Oeuvres, t. V, pag .225.
10. Horm Pelasgica. — Chambrige,
parte I, e. VII, pag. 12.
11. Op. cit. t. I.
34 I POPOLI PRIMITIVI
vincia bresciana? Ecco un altro mistero. Poiché ancor qui,
com' è naturale , ha un inviluppo di erudizione accomodata
ad arte per l'una più che per V altra idea, che è quanto dire
a bella posta per rendere più disperata la scoperta del vero.
Ma se narrarvi io debbo le risultanze di mie lunghe inda-
gini con quella indipendenza di pensiero che non iscema
per nulla il rispetto agli storici, e n' ha di gravi, dai quali ho
dissentito, dirò:
Fra le schiatte abitatrici del nostro suolo, e che ven-
nero comprendendosi da poi sotto il nome amplissimo di
Etruria, succeduto al Ligure ed al Tirreno, troverei le
seguenti.
Mi passerò degli Orobj. II solo Plinio, abbreviando Ca-
tone, li ricorda ^ : avevano stanza per le basse montagne fra
Como e il lago d' Iseo, ed è singolare che fino dai tempi di
Catone istesso ignorate ne fossero le origini. Non toccavano
tutt'al più della terra bresciana che le sponde del lago d'I-
/eo. Forse non erano che limitrofi: ma piacquemi fame
^ cenno ad ogni modo, perchè di loro e dell' ardua sentenza
del Gagliardi, che fossero Cenomani ed Orobj una gente
sola*, sarà detto altrove. II nome non ch'altro gli accusa
d' orientale origine ( opoc fito^ ) : se loro sia dovuta la fon-
dazione di Como, d'Inzino sul pian d'Erba (Licinio fo-
ro ) e di Bergamo è dubbio ancora ^, ed in questo sarei col
i . Orobiùrum stìrpis esse Comum ai- dai Sambuca. — Bcescia 1 750, per
que Bergomum, et Lieinii Forum Rizzardi, in f.
•t aliquot circa populos » auetor 3. Zanchi (de Orob. sive Cenom,
est Cato ; sed originem gentìs t- Origine, lib. II, — Rota ( Storia
gnorare se fateiur, quam docet di Bergamo, libro II, e. 1, pagi-
Come/ttM Alexander ortam e Gre- na 33), >- Gantù (Storia di Como,
eia, interpreiatione etiam nominis, lib. 1 ) han forse dedotto dal passo
vitam in montibus degenUs. Pu- di Catone ciò che a rigore non ri-
Nius, Hisior, Nat. lib. Ili, e. XVI. sulterebbe; gli Orob] non furono
2. Memorie dei Cenomani. raccoUe che dominatori di quelle comunità.
I
I POPOLI PRIMITIVI 35
nostro Rosa ^ Monte Orobio suir Adda è forse una traccia
del loro nome * probabilmente generico d'assai genti minori. j
Camunni. — Dai quali eì)be nome la valle Camonica, e
eh' io non so come il Bravo chiami Camuli ^. Secondo che
Plinio ci racconta, erano parte degli Euganei a quel modo
che lo erano i Trumpilini, gli Stoni, ed altre come a dire
tribù ^; tra le quali probabilmente i Sabini, gli Edrini, i Be-
nacensi; quando per altro Teuganea terra vantava trenta-
quattro non saprei se comunanze o città, e quando, al dire
di T. Livio, si allargava tra il mare e Y Alpi '.
E se i nostri valligiani di ligure o tirreno ceppo vediamo
tra gli Euganei compresi, gli è forse perchè questi ultimi occu-
patorì in sulle prime di un tratto lombardo fra l'Alpi e l'Adria-
tico, pare che ritirandosi dinanzi ai Veneti, e alla colonia
d'Antenore, che vedemmo approdata alle foci del Po, tra noi
portassero il loro nome, dilatandolo da Verona al lago Sebino^.
Ma poi che il nome di Reti agli Euganei ed agli Orobj
sovrastò ^, le nostre valli parteciparono di quel nome, fino a
1. Genti stabilite fra Y Adda ed il Nius, op. cit. lib. Ili, e. III. « La
Mincio, — Milano 1844, pag. 25. » sede degli Euganei debbe cer-
Orobj. • carsi nei monti Bresciani, Vero-
t. Mia\Li, op. cit 1. 1, e. IX. — Degli ■ nesi e Trentini ». Micali, 1. e.
Orobj, — pag. 93. Genova 1829. pag. 93; e prima di lui quella va-
— Carli, Ant. Ita]. — 1, 64. sta mente di Scipione Maffei, che
3. Slor. Bresc. 1. 1, pag. 35. Camun- tante archeologiche e gravi dubi-
ni son detti nel Trofeo dell' Alpi; tazioni ha promosse, tante ne de-
Caamtmi in due marmi egregia- cise, delle quali or si fa bello e spo-
mente iUoslrati dal nostro Labus. gliatore il secol nostro come di
(Marmi antichi bresciani, p. 174, cose testé sbucciate. (Itali primi-
177. Classe storica, p. 148, 156). tivi e Ver. illust Oiserv. Lcllcr.)
4. Euganei gentes, quarum oppida 5. Euganeisqw, qui inter tnarc Al-
Iriginiaquaiuar enumerai Cato, Ex pesque incolebant T. Livii, Histo^
Hi Triumplini, dein Camuni » riarum, 1. I, e. 1.
ampimregque twii/e*. PrcMtanies 6. Vcggansi queste istorie a pag. 29.
gtMrt Emganeoi; inde tracio no- 7. E questo forse avveniva quando al
mine. Capili «omm Stonof. — Pli- dir del Micali (cap. cit pag. 93)
36 I POPOLI PRIMITIVI
che Tetrusca preponderanza anche i Reti non soperchiasse: ed
etnisca fu allora la provincia nostra. Da qui per mio credere
r arbitrio dell'uso tradizionale di quei nomi principalissimi, e
ben lo vide il Maffei ^ E se i molti che si facevano a investi-
gare se dai Liguri, dagli Euganei, dai Reti, dai Toschi fosse
a que' secoli posseduta, avessero distinta la successione per
tempi della costoro preminenza, forse avrebbero veduto che
ciascuna di quelle italiche popolazioni comunicavaci alla sua
volta il proprio nome; e se non tronca, rischiarata andrebbe
una contesa che ancora non è fornita.
Stoni. — Nei Fasti trionfali pubblicati dal Grutero ' e
nella Epitome Liviana è segnata una vittoria dai Romani ot-
tenuta sui Liguri Stoni '; ed abbiamo da Plinio uno Stonos
capoluogo degli Euganei ^, che il grande Maffei ^ sospette-
rebbe rispondere al nostro Vestono, il Giovanelli^ molto
infelicemente a Stenico in vai di Rendena, a Storo il Bau-
drand ^. Non è probabile che gli Stoni si trovassero nel
mezzo dei Trumpilini, molto più che V Epitome Liviana fa
rebbe di essi una gente; comunque sia, lasciato il Giovanelli
da un canto, arduo sarebbe tra Vest(nie e Storo il decidere.
Anche propendendo per quest' ultimo, colloco gli Stoni or
« per ignote vicende costretti fu- sti ultimi ai monti. — Verona ilio-
• rono a ripararsi di bel nuovo ai strata — parie I, lib. I.
monti • accomunandosi forse allora 2. Q . Marcius . Q . F . Q.N. Rex .
coi Reti, presso i quali riparavano. Pro . Cot . Ann . DCX .De,Li'
Ed ecco, se mal non mi appongo, i guribfu . Stoenù . /// . Non . Dee .
Reti-Euganei, dai quali si volle te- — Grut. Thes. Inser. p. 298, n. ^
nuta la cilti di Verona, per quelle 3. Q. Mardui Consnl Stonot, gaUem
parole che furono sorgente di let- Alpinam, e^ugnavii. Epit lib. 02.
terarie contese. AAcetonim effusa- i. Caput eorum Siono$: passo cit e
fieofiMi Verona, Plin.1.UI,c.XX. recatoci da Plinio.
1. E il valentuomo anch'esso notava la 5. Verona illustrata» — parte I, lib. I.
mescolansa succeduta dei Reti e 6. Pensieri intomo ai Rezj, — pag. 88.
degli Euganei, e il ritirarsi di que- 7. Lexicon Gtog, in verh. Siono$.
I POPOLI PRIMITIVI 37
<I«i, siccome limitrofi ad ogoi modo coi nostri Edrani, od
Edrini (abitatori del lago d' Idro), perchè U pensiero di Sci-
pione Maffei non può essere dimenticato.
£drami. — De' quali è memoria questa lapide pubblicata
«ial Muratori *, dal Rossi *, dal Gomparoni ', e che trovasi
tuttodì alla Pieve d'Idro.
VOSSIS • PONTIS • F
SASSVS • ET • CVSSAE
GASSVMI • F • VXORI • ET
LVIDIAE • VOSSIS
F • EDRANI
Sabini. — Attestaci l' esistenza di questa gente bresciana
un sasso che parecchi * ci han dato con qualche varietà. Ecco
il monumento quale or si trova nel Museo bresciano, e che
leggevasi nella Pieve di Savallo.
F I R M V S • I N
GENVI • F • PRIN
CEPS • SABINOR
SIBI • ET • CORNELI
AE • RVSTICAE • CON
IVGI • M • CORNELI
O- PRISCO F • ANNOR
XIII.
TBOMPium. — Secondo la dizione del Trofeo dell'Alpi !!>
nundatoci da Plinio ", del quale appunto il frammeolo più
<• N. Tke$. V. Inser. p. MDUI. n. 13. A. Cohparoni, L e. pif. 17. _ hw^
^ Ifcat Bresc -^ ed. Vin. pag. 879. nati, Jfw. Bauetme
^■Stitìk valU Tromp. eSabb. p. 330. 5. Hi$t. Nat. lib. UI. o^ ti.
38 I POPOLI PRIMITIVI
singolare che leggesi ancora in Torbia ( Trophsea) air Alpi
marittime piemontesi, è il resto del nome a lettere cubitali
• • •
RVMPILI
Ben duole che il conte Spetalieri, illustratore diligentis-
Simo dei ruderi di quel trofeo, si poco abbia cerco dei
Trumpilini da collocarceli m VaheìUna, ossia neUa vàUe di
Troppia, fra Bergamo, Brescia e Verona *.
Altri marmi oltre alle storiche testimonianze parlano di
que' nostri alpigiani, che dapprima fra gli Euganei, Reti da
poi col cadere dell' euganea potenza ', s' aggiunsero a quella
Etruria della cui fama era già piena Italia dall' Alpi alle si-
culo marine ^.
Benacensi. — Abitavano intomo all' antico Benaco ( lago
di Garda): ed i marmi che essi locavano a M. Aurelio, a
Commodo, a Settimio Severo, a Claudio il Gotico in Tosco-
lano ^9 fanno supporre tenessero in quella terra le loro adu-
nanze, i comizi loro.
Salvete, vosque Lidìae lacus uudx.
1 . Sul inonamenlo dei Trofei d' Augu- 3. Ut jam non terras solum, sed . . .
alo di Torbia. — Memorie dell*Ac- ab Alpibus ad (return Siculum fa-
cademia di Torino. 1843, s. II, t. V, ma nominis sui implaset ttc, —
p. 161 e seg. — Ma ben mosse il T. Livius, UisU lib. I, e. Il
riso del Maffei quelfedilore di Pli- 4. Recati dal Rossi (Mem. Bresciane
ttio, che recando Tiscriz. Pliniana, pag. 200, 201. Ed. Vìnacc. cìt.) alla
lesse TRiUMPHi LIIII, per Trium- sua maniera già s'intende: dal Gat-
piiini ( ! ) TANBO (Giomate),dal Grattarolo
2. Una prova della potenza dei Reti, ( Istoria della Riviera di Salò. —
che cesse da poi, risulterebbe dal Brescia, 1599. pag. 94), dal Me-
famoso passo di Strabene, ov'è det- ratori, dal Grutero e per alti i
to che i Leponzii, i Tridentini, gli ancora. Noi li porremo in luce co-
stoni ed altre pìccole genti avtan me testimonianze storiche, secon-
tenuta Italia, Geog. lib. IV. do i tempi ai quali si riferiscono.
1 POPOLI PRIMITIVI 39
È un addio di Catullo alle acque del nostro Benaco: è un
moDumento prezioso» che n' assecura come a' bei tempi di
Roma corresse tradizionale il fatto dell' asiatica origine dei
prischi popoli Italiani, per la quale Virgilio dicea Lidio il
Tevere S e Lidia da Rutilio Numaziano fu chiamata l'Etruria.
Ma perchè nel trofeo d' Augusto, che tutte le comprende-
va daff uno all' àUro mare ' , non si trovano tra le genti
alpine i Benacensi? Forse perchè non furono nemiche, ep-
però non devigtìe ?
Di M. Aurelio Menofilo Sacerdos Tusculafd AediUs Brix.
in cui Brunati ^ e Tartarotti ^ riconoscono le tracce di un
sodalizio sacerdotale della benacense Toscolano, diremo al-
trove. Ora basti avvertir qui la impronta di un non so che di
toscano anco nel nome del capo luogo in cui (e non nella so-
gnata città di Benaco) il popolo benacense convocava per
avventura i suoi comizi '.
Vardagatensi. — Una pietra che il Manuzio ^ ed il Ga-
gliardi ^ han pubblicata parlaci di un patrono delle città
(ewUatwn) dei Vardagatensi e dei Dripsinati. Ottimamente os-
servava il cav. Labus, non altrimenti che unione, comunanza
di popolo, corpo civile debbe tenersi la dvitas del nostro
marmo, convalidando per tal modo il pensiero di Scipione
Maffei^. < Se tale il valor suo non fosse, come intendere Cesa-
\. . . , ubi Lydius arva -- Inter opi- Mariano. — Roveredo 1825, pa-
ma virum leni fiuit agmine Thififris. gìna 51 .
Mwn. ub. II, T. 781. 5. Maffbi, Verona illustrata. — Ver.
2. GE?«TES . ALPiNAE . QMNES . QVAE 1732, parte 1, Ub. IV, p. 138.
A MARI . SVPERO . AD . INFERVM — Cluverius, Italia antiq, t. I,
PERTINEBANT. — In cìL TropktBO. Hb. I, pag. 407, ecc. ecc.
' PuN. Hi8. Nat lib. lU, e. XX. 6. Ort Rat pag. 253, n. 2.
3. Leggendario dei santi bresciani.. — 7. Mem. Ccn. cit. p. 120. Fu data an-
Brescia 1834, pag. 95. cora dall' Averoldo, dal Maffei, ecc.
4. niastr. del Monum. di C. Valerio 8. Verona illustrata, —parte I, Kb.V.
40 1 POPOLI PRIMITIVI .
> re, coDchiude l'archeologo nostro^, ove dice di Àyarico,
> urbem quuB presidio sit cwitati '. Come Tacito» ove scrive
> che le città delle GaUie ragunavansi nd paese dei Remi » ^?
Secondo le argute induzioni del Maffei ^, nel nome istesso
di Gavardo, grossa borgata in sul Clisi alle radici delle ulti-
me diramazioni della Valsabbia, sarebbe un avanzo dei Yarda-
gatensi, o Gavardatensi, come attualmente si nomerebbero'.
Se di qualche altro popolo probabilmente stanziato a que'
tempi remotissimi nell'agro bresciano siaci rimasta memoria
veramente io non saprei , avvegnaché si debbano relegare
tra i sogni del Bravo e le altissime ròcche dei forti Breuni sulle
rupi di Breno in Yalcamonica, e i Vennoni in Yalsabbia a
Lavenone» e la città di Rogno capitale dei popoli Camiuli^.
Quali relazioni, quai patti legassero tra di loro questi
popoli sparsi pel territorio bresciano: quali arti, quai co-
stumi, quali colture, quali Dei ne confortassero la vita può
bene supporsi per quelle analogie che i primi popoli italiani
accomunavano; ma stabilire col testimonio dei monumenti
giammai. I nomi stessi di alcune stirpi dell'agro nostro noi
li dovemmo a' storici ed a' marmi posteriori da secoli ai
tempi remotissimi di cui parliamo.
Avevano probabilmente questi popoli, a quel modo che
gì' italici tutti ^, loro vici, loro pagi, loro comunità: forse Bre-
scia in allora non era più che l'una di queste: e forse ....
non era ancora.
i. Marmi antichi bresciani classificali pag. i3). La lapide che abbiam ri-
ed illustrati. — Epig. Storiche , cordata passava da Urago di Mella
pag. i60. neUa nob. famiglia Aneroidi, e da
2. De Bello Gallico, VII, 15. questa per patria offerta al Museo.
3. Hist lib. IV, e. 68. 6. DeUe Storie Bresciane — 1 1, lib. I,
i. Verona illustrata, — parte I, lib. V pag. 34, 35, 36.
in fine. 7. Micali, op. cit. t. Il, e. XXI, pa-
5. Gagliardi, Meni. Cenomanc (ed. cil. gina 80 e seg.
I POPOLI PRIMITIVI 4i
Come portava il carattere di quelle schiatte nomadi già
tempo e ventoriere, come troviamo a condizioni eguali da
per tatto V antico occidente, e forse più nell'antica Italia S
pare che da tribù a tribù, da gente a gente fosse una vera
indipendenza civile, e le vetuste federazioni degli Emici,
degli Equi, dei Volsci, dei Liguri, dei Sanniti, dei Toschi,
parecchie delle quali citate da T. Livio ', ricordo a so-
stegno delle mie congetture.
E però, comecché tra loro confederate a vicendevole sussi-
dio ed a reciproca potenza, quelle genti alpine dell' agro no-
stro che abbiam ricordate (conforme anch'esse all'altre con-
nazionali) avevano probabilmente una loro assemblea, quasi
(Ussi un loro senato in cui discutere le cose della pace e
della guerra, deliberare intomo alle volontà, ai bisogni del
popolo in quei comizj rappresentato.
Erano press'a poco repubbliche federative composte di più
genti deUa medesima natura f e contenevano propriamente,
i dirò col Hicali ^, il principio vitale della pubblica pro-
« sperità >.
Ed una traccia di questo legame noi la troviamo ancora
tra i nostri alpigiani molti secoli dopo, quando i Camtmm ed
i TVumpImì collocavano un marmo a Nerone Claudio Augu-
sto ^, e quando i TrumpUni e i Benacensi altro ne statuivano
a Giulia di Tito Augusto '. Ma non precorriamo la storia.
1. ■ Tutu malia trovossi cosi divisa 5. Couparoni, Storia delle valli Trom-
9 m tanti corpi di citt& e popoli con- pia e Satbbia, pag. 16, — Rossi,
■ federati ». — Micali ,op. citata, Mem. Bresc. ed. cit. pag. 201 , -«
e XXI, pag. 79. Mazzoldi , Della Vallrompia ecc.
1 HkL Rom, lib. IX. e XLIII; ~ ' (Strenna Bresciana dell 850) tatti
Ub. VI, e. Ili e XXXIII, ecc. con notevole diversità dal marmo
3. L. ciL originale ^'ih in Urago di Molla,
4. Labus, Marmi antichi Bresc. illust. ora presso il Museo. Noi lo pub-
— Classe storica, n. i7i, pag. 148. blicheremo a miglior luogo.
4^
I POPOLI PRIMITIVI
Sacro e forte legame era per questi popoli la religione.
Le italiche mitologie, derivate a non dubitarne dalle remo-
tissime orientali, ci lasciavano monumenti singolarissimi di
questo loro peregrinare coi venturieri che a noi le recavano.
Ed altro non erano quelle mitologie che misteri * sotto i
quali si nascondeva, dai quali fu pel corso dei secoli confuso
e travolto il primitivo monoteismo; sicché lorquando Erodo-
to e Pitagora per quelle falsate credenze faticosamente ten-
iaron di ritrovarla, era omai troppo tardi ^.
Fatto sta che Y adorazione di un solo Dio sotto i velami
di Bel, Ammone, Ormusd, Bram, Theos, Zeus, o qual altro
pur vogliasi, fu il primo nucleo intorno a cui si svolsero le
religioni. Qual era questo Dio? Forse l'Iehovah istesso, l' A-
donai, il vero Dio. Ma non fu che per poco ; la corruzione fu
rapida. Quanti nomi gli si aggiunsero divennero altrettante
divinità, furono V origine di altrettanti culti, riti, misteri, sa-
crifici; poi surse l' idolatria, e le grandi potenze cosmiche e
geologiche, come il sole, gli astri, la terra, quant' è di più
intimamente legato ai bisogni dell' uomo, come V aria, V ac-
qua, il fuoco, ebbero miti, simulacri, imagini, rappresentanze
strane, fantastiche, multiformi, ma simboli pur sempre, ma
reliquie miserande di un culto primitivo più semplice e
più puro.
E se un' ardita mia congettura coglie nel segno , avremmo
1. Rdigions de l'anliquitè: ouvrage
du D. F. Creuzer, traduit de Val-
Umand, complète et developpé par
GuiGNiAUT. — Par. 4825, 1. 1, lib. I.
t. Balbo, MedìUz. storiche. — Med.
vili, l Culli. — COLEBROORE, A-
siaiik Researche» , voi. Vili. Lon-
don, pag. 395'e seg. — Creuzer,
op. dì. Ma r idea splendida, origi-
nale di questo grande mitologo fu
modificata nel titolo stesso dal Gui-
gniaut. Il Creuzer intitolava Topera
sua col nome semplice Simbolik,
il traduttore col chiamarla Aett-
gioM de V arUiquUé considérées
prineipaiement dans Uurs forme*
eie. (alsa in alcun lato il profondo
f nuovo concetto dell'autor suo.
I POPOLI PRIMITIVI 43
hi qualche lapide bresciana, e sia pure degli imperiali tempi
di Roma, la indubbia traccia di quei culti italici, che la re*
maoa mitologia non potè spegnere all' intutto.
E innanzi tratto, io non dubito punto che un avanzo di
quei culti debba indagarsi ancora* fra le obsolete divinità
che noi troviamo sui marmi dei popoli cisalpini, le quali,
appunto perchè domestiche, radicate per cosi dire nell'inti-
ma natura delle prische tribù, religiosamente si custodivano,
si tramandavano di padre in figlio come una sacra e gelosa
eredità; epperò dovevano improntarsi delle significanze più
intatte e primitive, manifestarsi nei modi più genuini, più
semplici e originali dell' avito linguaggio. Sono quei poveri
numi, che l' Orelli *, lo Spanheim *, il Fabretti ^ venivano
raccogliendo, ma non investigavano, e che l' illustre MafTei ^
si afihrettava di relegare fra gli epicorj, quasi ad esimersi da
una ricerca disperata ne' tempi suoi, ma che tale non do-
vrebb' essere nei nostri.
Dalla terra di Roncadelle passava nel Museo patrio un
marmo singolarissimo, che il nostro Labus ^ ha dottamente
illustrato. Eccovelo senz' altro:
ALO
SEX • NIG
SOLLONIVS
VS LM
r Inscr. UUn. Colkct. e. IV, p. 36. 5. Marmi antichi bresciani raccoUi
t. De V. €t Pr. Numin, 1. 1, p. 435. nel patrio Musco , classificati ed
3. De Columna Trajana, p. 247. illustrati. — Classe sacra, pagi-
4. Arte critica lapid. — pag. 9i. na 97, n. 137.
44 1 POPOU PRIMITIVI
Il Tottit il Gnocchi ^ l' Ayeroldo, il Gagliardi \ il Vinac-
cesi ' trascrivevano dal sasso nel monastero di s. Fanstino
in Brescia qnest' altra, che il Mafiei tenne a torto in sospetto
di falsità ^, ma che il Labos ha giustamente rivendicata ', e
per la quale foggiate il Rossi un pajo di statue (però che
molto in cosi fatti ingegni si divertiva), le battezzava per un
dio Salumo Artalo K
DEO • ALO
SATVRNO
SEX . GOMMO
DVSVALERIVS
VSLM
Una terza epigrafe, che Y Ormanico ricopiava nella terra
d'Osimo in Yalcamonica, recata già dal Vinaccesi^ dal
Donati ^t dal Muratori, ^ facea seguire il Labus *® per quella
analogia che sapientemente vi riscontrava:
AUANTEDOBAE
SFX • CORNELIVS
PRIMVS
VSLM
1. Ucr. Bresciane. — Manoscritto 7. Mem. Bresc. — pag. 308, i3.
presso il cav. Labus, pag. 58- 8. Le antiche Iscrìziom Bresciane»
2. Schede autog. presso Labos. — pag. 52, 6.
3. Mem. Bresciane- — pag. i35. 9. N.Thes:V.In$enp. — pag.C,n.i.
4. Arte crìtica lapidaria — pag. 427. Peeuliaris aliqua brixianor, dea
5. Op. cit pag. 97, n. 136. /«erti Alantedoba.
6. Sulla religione degli antichi pò- 10. Marmi antichi Bresciani raccolti
poli Gamuni. — Brescia, per Riz- ed illustrati. — Epigrafi sacre ,
sardi 1639. — Sepolcri, pag, 4. pag. 14, n. 15.
1 POPOLI PRIMITIVI
45
nella quale il buca padre Brunelli, trovato un Sesto Cor-
nelio, cercava Iq, stipite dei Comara di Venezia * (1). Io tengo
poi da un tipo, da un concetto, da una conforme idea deri-
vato quest' ultimo nume ^.
I • O • M • ALANNI
NO • M • NONIVS • MA
CRINI • LIB • A&ATHO
NICVS • CVM • POR
TICVLA • V • S
Tra le più antiche divinità dei popoli italiani è per sen-
tenza universale Saturno '; e Saturnia fu detta la Italia stes-
sa \ e i Saturnali avevano preceduto da secoli la fondazione
di Roma ', sicché fìi il nume da molti sostenuto aborigeno,
esclusiTo degli itali primitivi ^.
Ma ringhirami, mettendo innanzi gravissime autorità ^,
proTollo d' origine orientale, spettante al cuho di Belo» nume
cosmico, solare. Tutto viene da un solo principio; ed Apol-
lo, Marte, Giove, Ercole, Bacco, Saturno simboleggiavano
tatti per ayventura nei primordi dei culti un solo Dio consi-
derato in ciascuno de' suoi particolari attributi, rappresentato
sotto diversi aspetti, secondo le varie proprietà dell' essenza
t. Valcamonica illastraU — p. 272.
t. Labus, Marmi anlichi bresciani
raccolti ed illustrali. — Epigrafi
Sacre, pag. 14, n. 15.
3 ■ In fronte airantica Mitologia vcg-
■ giam collocato Saturno •. — Mi-
CALi, op. cit. t. II, pag. 110. —
Veggasi Crbuzer , Inghirami ,
DeUPSTERO, Goni, P.4$SBRI OCC.
Oii«lli«l. SkTfe Brrtt. T«|.f.
4. ViRGiLia JStieid. lib. Vili. v. 319.
— Italia, regii nomine. Saturnia
appellata, Justini Hist. lib. 43. j
5. Tot siKulis Satumalia prcBcedunt
romana urbis atafem. — Ma-
CROBii Satum. 1. VIL
6. Fréret, Recher, tur Vorig. des
divers peuples de l'Italie, etc.
7. Monum. etruschi, — l. Ili, pag. fii.
s
46
1 POPOU PRmiTIYI
primitWa ^ Ecco T antica teogonia; ecco il perchè dal mo«
mento in cui Melkart, il fenicio Sole ', rappresentavasi inca-
tenato ' a imagine del calore frenato dal verno» troviam
presso i Romani tenuta in ceppi per una parte dell' anno la
statua di Saturno ^; e la scolpivano gli Etruschi colla catena
al fianco ^, ed idoli etruschi a noi reca il Cori fermati al pie
da un anello ^, a quella guisa che un leone incatenato sco-
priva il Botta negli avanzi di Ninive presso i tori simbolici ^.
Tutto viene da un solo principio; e il gruppo d'Ercole e del
leone , mito dell' ardore divorante del sole ^ , appare in
tutta una classe delle medaglie greche, nei nummi dell'Asia
Minore, nei cilindri, nei coni, nelle lamine babilonesi, ad un
modo che negli etruschi sepolcri di Core.
n medesimo Giove, e chi noi sa? non era che Y Amen '«
il Baal fenicio ^^ il portator della luce, la luce istessa ^^;
onde i Greci lo chiamavano ^m '': né Yarrone potea me-
glio serbarne 1' ellenica impronta, che nomandolo niovis,
DiESPER, padre dd giamo *^; e in un bronzo etrusco rìnoma-
1. Raoul-Rochette, Méta. d'Arch.
comparée» asiaiigìu, grécque et
étrusque. (Mém. de Vltulit t XVl,
1848).
1 EusEBius, PrcBp. EvangeL t. Ili,
e. % -< PoRPHTR. Iamblonski, ec.
3. Greuzer, Religions de V anti-
quité, t. IL pag. 172, augment.
par GuiaifiAUT.
i. Verr. Flacc apud BIìcrob. So-
tum, e. 8, — ApOLLODORi Frag-
metUa,
h, Ingrirami, Monumenti citati. —
Sepolcri.
6. Miiseum Eiruscum, t. I, pag. 15,
164, 165. — Dempsterus, Etrti-
ria regalis etc. eie.
7. Lettres sur les Monum. de Nmir
ve, Paris 1845.— Botta et Fian-
OIN, Monumenta de Ninive. Pa-
ris 1850, 1851, talk GLI.
8. Lajard, Mém, sur la Venus O-
rientale, — Neuv Journal de Vln-
stitut Arch, t I, pian. IV. — Mi-
CALI, Monumenti per servire kilt
stona degli antichi popoli d* Ita-
lia — lav. I, n. 10.
9. Plutarcus, De Isid. et OsiritL
e 1, § 9.
10. GiCERO, De Natura Deorum.
1 i Iamblonski, Panteon JEgyp.^ 19.
12. Visconti, Museo Pio Clemeniioo
— t. IV, pag. 99 e seg. Roma i79t.
13. VARR.Z)»/mflr./aM.lV,§10,p.i3.
1 POPOLI PRIBUTIVI 47
iissimo, pubblicato dal Gorì ^, dall' Inghirami *, dal Dempste-
ro ', leggendo il Visconti accanto al massimo degli Dei il
nome AV\ 1 i* (dina), non esitò a riscontrarvi quello di Giove,
il greco Ai«, che nei dialetti greco-italici, per V epentesi con-
sueta della n, si pronunciava dina ^. E quando penso che per
quel nome distinguesi tuttora dai villici bresciani il chiaro-
re del giorno, io maraviglio; ma godo a un tempo che super-
stite alle reliquie di tante generazioni, al lasso di tanti secoli,
vergine quale usciva dal labbro degl' itali primitivi suoni an-
cora sul nostro intatta nel senso e nell' accento la sacra pa-
rola luce.
Apprendasi da ciò qual fonte di nuove indagini sia lo
studio delle nostre favelle, e quanto importi rintracciarne la
struttura, i caratteri, le forme; avvertirne le orìgini, segnar-
le i pochi, ma venerandi avanzi.
Saturno e Giove s' accomunarono adunque a' numi cosmi-
ci, siderei, all' etere, al calore, alla luce, agli elementi fecon-
datori deir universa natura.
Ora la voce alo ha indubbia origine dall' obsoleto «aa» dei
greci, = far crescere, fomentare la vita (ab obsoleto «a» in cu-
jus loco successit axh» et «xd», foveo '). Donde V Mec del
tiepido raggio solare ( « xi«, color, tepor, qui est ex sole ^) :
brevemente; Y alan dei Celti, corrispondente appunto a
principio vitale ''. Ed ecco le arcane fonti àe\ dio ALO
1. Musemm EtruscumA. UMy.CTH, tav. 1774; ed è singolare che la
S. MoDiira. cit. — Bromi. — Serie IL voce Aio fra gli altri significati
3. De Eiruria regali cU. Uv. I. ellenici abbia quello di circolo si>
i. Visconti ed iNcanuNr, 11. ce dcrco, d'aureola del sole, o delU
S. FOBCEIXIKI ei FURLANETTI Le- luna (SCAPULiB ei MEUR18II Lexi-
xkon VniweNiB Latinitatis , in con. Lugd. 1563, p. 121).
r. Alo. 7. Edwakds, Reeherches sur les Lan^
S. EBNKsrrs.Crcprorum Lexicon Pa- guéM CsWgue*, pag. 163.
48
1 VOVOIA PHIMITIVI
(fecondatore), epperò dell' Alo Saturno, del Giove Alanmno ^
(Giove creatore, datore di vita), e della diva Alantedoba ^ la
quale, come bene osserva il cav. Labus ^, doveva essere non
molto diversa dal bresciano Alo, che appunto pel senso ca-
ratteristico delle prische teogonie che in sé racchiude, per la
impronta antica del nome suo, per la sua connessione al-
l'antichissimo Saturno, ritengo tra i primi numi nell'agro
nostro invocati avanti Roma.
E Saturno era nume presso la Italia settentrionale più
forse che per altri italici adorato : e nessun marmo ci dà il
Grutero S nessuno il Muratori ^ sacro a quel nume, che non
sia subalpino; e le città di Brescia ^, di Trento ^ e di Vero-
na ^ ne hanno sol esse più che tutte insieme le transpadane
città. Gli atti dei Martiri Anauniensi ^ narrano le cerimo-
nie colle quali anco nel IV secolo dell' era nostra si circuì-
1 . Il Maffei (Ars Crit. Laptd, p. 91)
lo fa derivare vel a loco, vel ab
homine, vel ab abitu. l\ Rosa
(Crepuscolo 17 marzo 1852, n. 10)
da unico: né so come lo Sponio
vi cerchi la voce Land, e spie-
ghi Giove Terrezzano. Land è pa-
rola teutonica più che celta; e
con pace dello Scaligero (Ad Pro-
pert. lib. IV), è pure alcuna dif-
ferenza (EiCKOFF, Parallèle des
langties celtiques).
S. L'Orelli pone ingiustamente questo
• marmo in sospetto di falsità (nu-
mero 1956). Il Saxi scriveva dubita-
re assai che denotasse divinità epi-
coria; crcdcvala anzi una donna.
(Ada Sociel. Trajeetin. t. II, pa-
gina 268). Ma fu dal nostro Labus
quel nume rivendicato (Marmi cit.).
3. Marmi antichi bresciani classificati
ed illustrati — pag 97, n. 138.
4. Corpus Inscr. — Di Verona veggasi
il n. 13, p XXV;— del Mantovano
il n. 2, pag. MLXVI.
5. Novus Thes, Veter. Inscrip. pag.
LV.- N.5 Anaunia, n. Stridenti.
6. Labus, Marmi cit, pag. 97.
7. GiovANELLi,Deiradorazione di Sa-
turno nell'Alpi Trentine; ms. nel
quale accoglie il iSa/urno Arvalo (!)
8. Maffei, Museum Ver. p. LXXX,
n. 2, ecc
9. Nel codice di Adone particolar-
mente: Enschenii et Papebrocchit
Ada Sanctorum, ad diem XXVI
Junj. — Labus, Fasti della Chiesa
26 giugno, e più ancora la Dis-
sert intomo Tantico marmo di C.
Giulio Ingenuo, pag. 56.
I POPOLI PBIMITIVI 49
TODO dagli Anauni ( valligiani di Non nell' agro tridentino )
con profano rito i campi, e si facevano sacrifici a Saturno :
e Rodolfo Notajo ci racconta come tre secoli dopo si radica-
to se ne serbasse il culto in Valcamonica, che Arìperto re
dei Longobardi» avendo imposto a' Camuni la distruzione di
una immagine di Saturno che ad Edolo si venerava, e sprez-
zando i nostri alpigiani V ordine supremo, il duca Ingelardo
fu costretto recarsi in valle con molta mano de' suoi, git-
tame a terra di viva forza la statua: ma sembra che il suo
culto non si spegnesse S e che Tarmi di un duca longobardo
non avessero bastato a soffocarlo; poiché più di un altro se-
colo dopo (a. 779) coli' armi proprie Raimondo , altro go-
vernatore (comes) dei tempi di Carlo Magno, omnes superstù
tiimes absiuUt a CaumonUs. Ma torniamo alla storia.
Le genti posseditrìci allora, come dicemmo, di questa e
delle prossime province, facenti quasi una sola confedera-
zione eoi Reti -Euganei al cui ceppo appartenevano, per
altri popoli risospinte (e questo pure abbiam ricordato) alle
alpi natie, lasciavano per alcun tempo ai sorvenuti il campo.
Ma le valli bresciane sembra che tuttavia non venissero ab-
bandonate fino a che, risollevata gli Etruschi la potenza loro,
^ai^ati coli' armi i loro limiti, non avessero fatta di quanto
l'Alpe circonda e gli Appennini e il Po, sarei per dire
una novella Etnirìa, l' Etruria Circumpadana.
Quai monnmenti, quali memorie varcarono que' lunghi se-
coli per ^ngnere insino a noi disvelatrici di storia bresciana?
I. Erma adkmc m Ola vaile pìuri- Hedulio (Edolo); et quum preeepti
«< pa§ami qui arborikus ei f<m^ regie ohbedieniia non feret ui illa
'iku mttimms oflerebemL In lem- iwutgo deetmetuft Ingelanhu dux
fre meqwt re§i$ Anberti {ette, Brieeia mieii arnuUarum wurnme,
VII ) IMAGO SATURNI wutgna qui iUam dùperderunt m frag-
freqmeniim vemereà^atur in Curie mentie, — ROD. NoT. Hiet eit.
50
I popou piummi
Tutto è scomparso; e noi dovremmo rìtessere quanto
sull'Etmria si è discusso e investigato, narrarvi la storia al-
trui per meditare la nostra» se V ampia via che appena ho
incominciata non imponesse un limite a ciò che per intimo
non tocchi le patrie cose, o non ci aiuti a indagarle.
Più sfortunati di Padova*, di Trento *, di Verona ^, e d'al-
tre consorelle vicine, noi non abbiamo dei popoli dell'alta
Italia che poche reliquie: ma il loro pregio compensa l'esi-
guità, e denno estimarsi fra le più rare della paleografia
de' primi popoli subalpini.
Nel campanile della chiesetta di Voltino, una di quelle
povere terricciuole che sono sparse qua e là per li dirupi
meridionali del comune di Tremosine, distretto di Gargnano,
è un marmo che il Gnocchi, comunque vogliasi, avea tra-
scritto S ma nulla più, che molli han veduto da poi, qualche
altro notato, ma che nessuno ha fallo scopo d' una ricerca:
passò inavvertito appunto perchè inesplicabile; eppure Y ar-
cano de' suoi caratteri doveva essere stimolo a ricercarne il
senso. Mia prima cura fu dunque il procurarmene la forma
in iscagliola, tanto più che la finitissima incisione di quel
monumento, compresa nelle tavole che si erano allestite pel
secondo volume del Museo Bresciano, il quale ci manca an-
cora, se nulla vi lascia desiderare dal lato dell' arte, paghi
a quel modo non sareste dal lato della fedeltà: come rìspon-
1. f'EZZA Rossa, Scavo di vasi etra-
sebi sul Mincio nei Mantovano. —
Giora. deirist. Lomb. t. XV, ano.
1847^ — ■ pei quali monum. venne
• levato ogni sospetto che Mantova
• pur essa non Cosse etrasca, avente
^ già parte (cosi Y aut) con Adria
t ed Aitino alla lì coofed. circump.
» cpnjerAiandosi per tal modo che
> il Lambro, TAdrge ed il Mincio
a erano divenuti etruschi nei primi
• tempi di Roma •. (Liv. e. V).
1 GiovANELLi.AniichitàRetio-Etni-
sche di Matrai. — Trento 1845.
3. Maffei, Mi». Veron. — Osserv.
lettor. — Verona illust
4. Lapidi Bresciane, ms. presso il
cav. Labofl.
I POPOU PRIMITIVI
51
dere non parmi al marmo stesso la trascrizione che se ne
legge nella sala maggiore del patrio Museo ^ È presso che
r unico avanzo di monumenti italici da noi posseduti, ed io
lo vi reco *.
TETVMVX
DVGIAVA
oFRAi^iw:-:iw
Né vorrò occultarvi che m' affrettai comunicarlo a parec'^
thi fra gli archeologi più insigni dell'età nostra, come un Bor*
ghesi, un Cavedoni, un Mommsen da Zurìgo, un Raoul-
Rochette, perchè la dottrina, che vastissima è in loro, soppe-
risse al mio scarso ingegno; ma se intorno all'ultime due linee
si tacquero, perchè tacervi alcune mìe congetture?
Dnopo è che vi annunci innanzi tratto come tre impronte
X figuline, per cura del nostro Ioli non ha molto acquistate dal
* patrio Museo, portino lettere che ad alcune delle soprascritte
t. Arcita IX. n, fi.
2. Alta e larga cesU 40,
53
I POPOLI PRIMiTlYI
si rassomigliano; e come i mattoni che ne vanno segnati a
noi provenissero da Cividate di Valcamomca, e sono le
presenti:
sy
Aggiugnerò T ultima linea d'altro marmo del Museo pa-
trio, rinvenuto già tempo a Sale di Marasino presso il lago
d' Iseo, che T Averoldi e il Rossi cangiavano in X - A ' I
X A ;|:
Le tre linee sottili dell' ultima lettera sono incerte.
Tanto l'epigrafe che i marchi figulini hanno lettere nuove,
delle quali il Cori, il Lanzi, l'Inghirami, il Micali, Pas-
seri , Canino , Dempstero , lannelli , Maffei , o qual altro si
voglia raccoglitore fino a' di nostri degli etruschi monu-
menti, non hanno a contrapporre un solo esempio. Da
ciò la impossibilità della interpretazione; perchè se a di-
spetto di tante indagini, sussidiate da centinaia di bronzi, di
marmi, di cammei e d'altri cimelj, s'avvolgono ancora gl'ita-
tici dialetti nelle tenebre del mistero, che direm poi di let-
tere che non hanno riscontri monumentali ? Bene osservava
t POPOU PRIMITIVI 53
il cav. Labus ^ ragioDando delle lAonete e delle tessere bi-
lingui, doversi al capriccio assai volte ed air arbitrio gue-
st' oso di dae lingue io una lapide romana. Ma comunque
si voglia, qual è il senso, il valore di quelle lettere? da
qual fonte a noi provennero ?
Se v'ha monumento che (senza farci immemori, direbbe
Guigniaut, delle nordiche provenienze di una delle schiatte
da cui discesero gli Aborìgeni') ci confermi sempre più nel
sospetto che la razza etnisca derivasse dai Tirreni, dagli
Iberici, dai Lidj e d'altre genti a noi venute dall'Asia; che
queste genti portassero tra noi colla religione e coli' arti la
loro lingua', gli è questo indubbiamente del villaggio di
Voltino. Qui più che altrove si vede la ragione per cui Va-
ter ^ giustamente accusava il Lanzi d' aver ristretto ad un
ciclo troppo esclusivamente ellenico il suo sistema, perchè
(^ fosse dato far luogo ad altrì elementi, che pure emergono
(indubbie propagini orientali) negli avanzi etnografici dei po-
poli italiani. Ma il Lanzi avea già ottenuta una grande vitto-
ria su quasi tutti gli archeologi toscani che il precedettero e
sulle prevenzioni dell' età sua. Eckhel , Barthelemy , Fab-
broni, Winckelmann, Morelli, Marini, Visconti applaudirono
atte sue risultanze, le quali a ciò si ridurrebbero, che la lin-
gua e i riti delle italiche popolazioni ritengono ( e di qui non
si fugge) del greco assai.
Sia luogo al vero: tutte le lettere dell' alfabeto etrusco si
trovano del pari nelle greche epigrafi più antiche; e se fino
1. Nella Dis. del Morcelli intorno t. I, p. 352), mais surtout avee
alle tessere degli spettacoli rom. 0. Mùller, (Die Etruscker, Bres-
S. CRCUZca, Relig, 1 11,1. Y,p. 396. lau 1828). Grbuzeh, II, l cìt.
3. CaUoptmomerapproeheàquel'' 4. liWiridaUi in Adelungs, p. 455,
^ncf egards, de motn quani auz — Crkuzer, Rdigions cii. t. If,
rem/tote, de #yf téme de M.Raoul- prem. partie, lib. V, Relig. de
hoaarrr,(Hi$. des Colon. Grècq. l'Italie» p. 398.
54 I POPOLI PRIMITIVI
a' di nostri s' è potuto leggere nelle etnische qualche nome
proprio, spiegare qualche motto, cogliere qualche frase, fu
col soccorso del greco, delle sue radici, degli alfabeti che ne
furono r origine o la derivazione *; a tal che il Lanzi, mara-
vigliato di queste analogie, cadea poi (perdonabile errore)
nell'opposto eccesso.
Lo dicemmo altrove, lo replichiamo or qui: non che alle
greche influenze dovessero gli antichi subalpini ed arti e dia-
letti e religioni; dico soltanto che l' ellenica impronta e' è.
Provare che a noi ci venisse da que' medesimi cui dovettero i
Greci le loro civiltà sarebbe probabile; ma V indagarlo or qui
ci svierebbe dal proposito nostro. Il Secretarlo dell'Istituto di
Francia, attribuita ai Fenici, razza di uomini essenzialmente
navigatori, portatori delle idee del mondo antico, una mirar
bile influenza nelle colture elleniche *, e spiegando per tal
modo quanto ha nelle etrusche di asiatico elemento; ritenuta
nel suo complesso V emigrazione tirrena, eh' egli trova giusti-
ficata da tutti i monumenti sino a noi pervenuti, conchiude:
Ce sont là deux nolions fondamentales . . . Sur ces deux poitUs,
tous ks travavx de la science exécutés dans ce qmrt de siècle,
tendent à confirmer le resultai de mes recherches . . . jpour expli-
quer, principakment a l'aide de Vantiqiiité figurée, les rapports
religieux de la Grece et de V Italie centrale atee V Asie antérieure
par le commerce des Phéniciens d'une party et de VatUre par
V émigrcuion des Tyrrhéniens de Lydie '.
E queste induzioni luminosamente or si comprovano dal
monumento bresciano; nel quale, o nulla veggo, o pajonmi in-
dubbie le orientali tracce. Nessuna mQjraviglia del resto,
i. Raoul -RocHETTE, Coura d^Ar- etc ObservatioMpreliminaires.--
chéologie. — Paris, 1 8J8. — Qua- ( Mèm, de V Instiiui . t. XVll,
trième le^n. 1848).
1 Mmoires d'Archeologie eomparée 8. Mém. eii, pag> 5.
I POPOLI PRIMITIVI
55
perchè abbiamo da Tacito ^ e da Plinio ^ ctie le lettere
istesse dai romani usate non erano in fine che le greche.
Della lettera segnata per cinque punti come a guisa di da-
do scrÌTevami Tommaso Gar, eletto e gentile ingegno, aver
veduto un riscontro in un fac-simile d' iscrizione sopra lami-
netta di rame, trovata anni sono nella Sicilia ^r e lettere a punti
ed a globetli poi rinveniva il Lamarmora nei monumenti più
antichi della Sardegna ^. La lettera ^ non venne osservata
fin ora se non sopra una moneta d' oro pubblicata dal p.
Caronni, rinvenuta dai monaci del s. Bernardo fra quei loro
sconsolati deserti ^; in una epigrafe greca data dal Lanzi ;
sul marmo di Todi messo in luce dal giornale arcadico e
dair Àufrechty e in una pietra mantovana ^.
Io credo avervi aitate reminiscenze non dubbie, nel mar-
mo bresciano, di caratteri a noi venuti dalle stirpi orientali
che abbiam nomate. In quanto al resto, delle arcane lettere
% % non mi constano sicuri e genuini esempi.
Un sospetto aveami colto su que' cinque punti disposti a
mo'di dado; e fu intorno al costume degli antichi di scol-
pire 0 di pingere sui funebri monumenti il dado col nu-
mero V supremamente fausto ^, che noi scorgiamo in
1. Forma liUtris latinis qucR vcter~
rimis Gracorum. — Ann. lib. XI,
e 11, 14. Le quali parole cita
Levesqus (Doutes ete, pag. 452),
a provare Tassunlo ìstesso.
1. Veteres Gntcas fuisse easdem pe*
ne, qu(B nuncsunt Latina, indicio
erii Delphica tabula antiqui mris,
qum est odie inPalatio. Hist Nat.
lib. VII, e. LVIII.
3. LeUera 16 giugno 1853.
4. Voyogé en Sardaigne. 1840. —
Atlas de la prem. partie, pL
XXXII, n. 2.
5. 11 Caronni facea quel nummo ispa-
nico» e reliquia del passaggio di
Annibale dalPAlpi. Mommsen di
Zurigo Tallribuiva per quella vece
ai Salassi della vaile d'Aosta, poi
debellati da Giulio Cesare.
6. Labus, Mus. Mant. f. Ili, tav. 41,
p. 237; e lo interpreta un N.
7. Raoul-Rochette, Tableaux dei
Catacombeif ehap. Ili, Perni.
5S I POPOLI PBIMITIYI
qoalche Uqpide S e ben quattro ?olte ripetoto in una colla
sepolcrale delle catacombe di Rmna nel cimitero di & Ca-
listo *. Ma poi riflettendo, che non ha lq>ide a me nota in
coi si troTi ad altre lettere mescolato, ritenni qoe' ponti Te-
spressione d' mia lettera sul fare di quelle che in meno al
petto di nn idolo sardo ammiraTa il dotto Lamarmora \ ma
non ispiegaYa, composte di tre, quattro, cinque o più globetti
disposti come a rappresentarci i contomi, ^ estremi capi
di lettere sconosciute. — Né Torrò tacerri di un genietto
recato dal Passeri, e indubbiamente etrusco, sorre^ente
una tabella o calendario con due mesi, i cui giorni sono se-
gnati con altrettanti cerchìolinì a tre per tre ^.
Ma perchè me^io si conoscano le difficoltà d'una inter-
pretazione di questo marmo singolarissimo, eccovi quanto
me ne scrìTera ¥ egregio amico mio Tommaso Gar K
> Circa l'iscrizione bilingue di Voltino, la recai meco a
Monaco, e l'ho mostrata a' più valenti in paleografia; ma
nessuno fu in grado d' interpretarne le due ultime linee,
n prof. Tiersch, gran filologo, desiderò di comunicare lo
stesso Eac-simile che mi regalaste al celebre archeologo
Mommsen professore a Zurigo, e mi promise di farmi
avere a suo tempo l'avviso di quel benemerito illustra-
tore delle italiane antichità >.
I. FAmnTi,/Mer^e.Tni,nLLIl. a. let hUm forméa pm- de» pémb
pag. 374. — MAFm, Mutemm mrdief^fm eompomai f
VerMk fa%. CCLXXEL, n. 1, ecc. ^wm,9»mifmr mamsfem mtdH-
1 BoiTAai.Pìttiire e Scoltnre di Ro- fdlet. ^ ^ofsf ^
m sottcmMa— t m, art CLX. f^rtk. AmtiqmiL — itifat, pimnce
16 soTTcme mtùn àà futi che XUn. u. 52.
aFahreOi eéilliafia scoi- 4. Pkimrm EÉnu€»nm m VMtmliM.
piTanne^aannì timbri a rappre- Ramm 1797, tai. Lll, ^ 77.
salart9elagnBe,nelìbaiMÙBaBl S. FrawMnto d* na raa kUera
pambfccju tfKsìo il caso nostre. 6 afosto éelì* anno correnlo.
1 POPOLI t^HlMlTIVI
57
Ed io devo alla colta e gentile marchesa di Serego Ali-
ghieri Gozzadini il po' che dair illustre Borghesi, archeologo
italiano di quel valore che tutti sanno , fu comunicato al
chiar. prof. Rocchi di Bologna intorno al marmo voltiniano.
La lettera stessa dal Rocchi alla Serego indirizzata, io la
pubblico tal quale appiè di pagina ^, siccome testimonianza
la più solenne del pregio di un monumento bresciano che
giacque fin ora o trascurato od ignoto, e pel quale, se ho
procurato di mettere negli archeologi d'Italia, d'Elvezia e
di Germania un po' di rumore, vorrete, o miei concittadini,
sapermene grado.
i
Non mancai di comunicargli (a/
Borghesi) il fac-sìmile della lapi-
de di Voltino; ma lo stesso prìn-
cipe degli archeologi poco o nulla
seppe dirmi intorno un monu-
mento cotanto singolare, e che
egli pure conobbe oltre modo
pregevole, siccome esempio unico
ói iscrizioni bilingui in quella
parte della penìsola, e di un dia-
letto affatto proprio e particolare,
qual che si fosse, del popolo che
Tabilava. Desiderò di ritenere il
fac-simìle per mandarlo airisti-
luto di corrispondenze archeolo-
giche, affinché sia fatto materia
di studio agli eruditi specialmente
germanici, che ora con tanto fer-
Tore si occupano di vetusti dia-
letti italici, ed ai quali solo com-
pete parlarne di proposito. Quan-
to alla parte latina, a me era
avriso di leggervi la memoria di
un Tetimio servo di Sesto Du-
gìava Samade,fra perchè la genie
• Bugiava per una iscrizione del
» Muratori (pag. MCCLXXIIl, n. 6.
» Nov. Thes. V. Inscr.) è nota in
» Brescia, ove anche più di fre-
» quente sono i ricordi lapidarj dell a
» Dugia, e perchè mi risulta Tìntera
» nomenclatura propria di un in-
• genuo 0 di un liberto, di cui Sesto
» sarebbe stato il pronome, Dugia-
» va il gentilizio, e Samade (o co-
» munque si abbia a leggere quel.
» terzo insolito carattere) il cogno-
» me. Ma il Borghesi mi oppose
» che in tal caso nella terza riga
» si avrebbe a leggere non Dugia-
» va ma Bugiava;; né lo scritto,
» che secondo lui si vuol riferire
» all'età di Cesare o d*Auguslo, è
» tale da presupporsi Tommissione
• del dittongo, come negli antichis-
> simi cippi del Bosco Sacro Pesa-
» rese (ove si ha Maire Matuta per
» Mairei o Matri MatuUe; Matrona
» Pùaurese per Matroim Pisau-
» renses): né la nitidezza dell' inci-
58
I POl'OU PRIMITIVI
Né certo le esitanze di un Cavedoni, di un Rocchi, di un
Borghesi sono tali da confortarci a più insistenti ricerche : il
perchè avrei potuto, avrei fors' anco dovuto tacermi, e se-
guitare il Furlanetto, che pubblicò i monumenti euganei senza
dirne accento ^ Eppur che volete? ho preferito avventurarmi,
e tentare d' una linea almeno, delle due inesplicabili, la so-
luzione : avrò forse errato ; ma chi sa forse, che appunto per
ciò non si ridesti qualche felice ingegno per compiere la via
che peritando ho tocca?
E prima di tutto : un non so che di vetusto e di rude in
quelle lettere, la loro informe disposizione, la circostanza della
promiscuità di caratteri antichissimi, anteriori alla romana
dominazione, mi farebbe congetturare il marmo voltiniano di
assai prischi tempi, di quelli cioè della repubblica di Roma;
epperò non improbabile nel nome Bugiava un caso dativo,
come nelle citate epigrafi Pisaurensi ' è da osservarsi la
stessa improprietà ottimamente dal Rocchi avvertita.
Della VV si troverebbe un esempio nella celebre iscrizio-
ne di Nola ^, lettera in cui Lamarmora stesso ed il Gesenio
• sione permette di sospettare che
• siasi in (ine perduta una lettera.
» Opinò pertanto che due sieno le
• persone ivi menzionate, proba-
• bilmente marito e moglie, o per
■ meglio contubernali, cioè un Te-
• tumo servo di Sesto ed una Du-
• giava serva di Samade: mi fece
• egli osservare che il nome Du-
^ giava sente del barbarico, e si
• può ritenere che sia in origine
• un nome proprio e servile; indi
» no' cognome passato finalmente
» in gentilizio ».
Il chiarìss. prof. Rocchi ma-
■ifestava un suo desiderio, ed é
che le opinioni sue proprie e del
Borghesi non si pubblicassero* Ma
le opinioni sapienti ed ingegnoso
non denno tenersi nascoste; e nel
fregiarne queste mie pagine, solen-
nemente dichiaro, che se trepidando
aggiungo le mie, non ò per essere
terzo fla cotanto senno ^ ma per
sopporle a que' valenti che sono a
porsi fra gli archeologi più insigni
del se col nostro.
1. Lapidi Patav. ili. tav. LXXVIII.
2. Maffei, Oss. Lctt.— t V. p. 187.
Olivieri, Marm, Pisaur. 1738.
3. Lamarmora, Voyage en Sardai-^
gne rit, lib. I. Monum. p. 3i9«
i f»opou pruotivi
fi9
leggerebbero ano ScIUns. Anche il Lanzi ne' suoi cinque al^
fabeti darebbevi egual valore ^ Ma forse ai caso nostro non
è che accoppiamento di due lettere; e questo io tengo più
semplice, più naturale significato.
Un J< segnato nelle semplici estremità con soli punU
alla guisa delle lettere lamarmorìane, supporrei la prima let-
fera della linea 5; e confortato da uguali combinazioni*
recate dal Maffei \ dal Furlanetto ^, da più altri assai, e per
r uso che gli Etruschi ne han fatto ♦, terrei un N etrusco ac-
«oppiato ad un I la terza lettera, cioò un ^/ (ni).
Ciò premesso io leggerei :
TETVMVS
SEXTI
DVGIAVAe
SADdADIS (Sammadisf)
KONIEGE CARù^fiuB
La spiegazione s' attaglierebbe alla natura stessa del mar
mo probabihnente funebre. Un'altra Dugìava figlia di Sesto,
pur di quei luoghi presso Tremosine, leggo in altra epìgrafe
supplita dal cav. Labus ', la quale trent' anni fa trovavasi a
Desenzano, ma che il p. Cipriano Gnesotti^ vedeva e trascri-
veva in Limone già fino dal i 788 nella casa Patuzzi.
i • Saggio dj Ling. Etr. — t. Ili, in fine.
1 jr«#. Ver. p. CXXI, n. 6.
3. Lapidi PaUv. tav. XLVUI, che poi
non osò interpretare.
i. GoRi, Lanzi, Passeri, Inghirami,
ecc. neUe citate loro opere.
5. Antichi moniunenti scoperti in
Brescia, r- Brescia 4823, pag. 89.
6. Memòrie per servire alla Storia
delle Giudicane. — Trento 1796.
La trascrizione di quella lapide di
mano dell'autore è per altro fra
le schede aggiunte posteriormente
al suo lavoro, comunicatomi dai
rr. pp. Cappuccini di Condino.
Anche il Tartarotti vedeva in Li-
00
r POPOLI PRIMITiVI
Né faccia caso la mescolanza di tanti elementi delle lingue
italiche nel marmo voltiniano. È in altri monumenti * più
assai che nel nostro, in cui preminente domina l' etnisca.
Indubbiamente etnische sarebbero p. e. le lettere |^ P ^
A come il punteggiare a cerchioletti è pur carattere etru-
sco; e punti scolpiti a quella guisa io veggo nel sepolcro tosca-
no pubblicato dall' Inghirami nella sua tavola li delle Urne^,
e accusa nel suo complesso un costume orientale. Oschi, Eu-
ganei, Umbri, Etruschi, Latini rimescolavano talvolta le let-
tere loro proprie, se le pigliavano ad imprestito vicendevol-
mente , né vorrei credere a capriccio, ma per bisogno di
suoni, di frasi, di significanze che non conosciamo. E le iscri-
zioni cosi dette dei Reti-Eugai)ei pubblicate dal Cavedoni ^,
dal Lanzi S dal Giovanelli ^ dal Furlanetto^, dal Maffei^ hanno
lettere d'ogni fatta; ed al sospetto di un ili. vivente che i Reti-
Etruschi e ritenendo la loro lingua orientale , prendessero
< dai vicini Euganei l' alfabeto ^ » il monumento bresciano a
lettere tutt' altro che rigorosamente euganee si opporrebbe.
Nessuna meraviglia del suo carattere bilingue: di simil classe
n' ha parecchie, e son note quelle di Pesaro •, di Trento *®,
di Basta, d'Àmitemo *^ e d'altri luoghi assai.
mone e si copiava il monumento
suddetto (Manoscritti citati del
p. Cipriano); ma poi congetturava
nomato in essa un Aronte (primio
STAI - ARRVNTI FiliuS SIBI ET DV-
GIAVAE SEX^t filiae etc. ) A7 re
degli Etruschi, che condusse la
sua gente nella Rezia!!
1. Saggio cìt. t. III.
2. Monumenti Etruschi o di Etrusco
nome — in più luoghi.
3. Monumenti antichi del Mus. Est.
(Ifl Calajo. — Modena, 18W.
4. Op. cit.
5. Antichità di Matrai. ~- Trento 1 8i5.
6. Lapidi Patav. — tav. ultima.
7. Della lingua dei primi popoli ital.
— Mus. Ver. e Osservaz. Lette-
rarie.
8. Cavedoni, Monum. Estensi del
Catajo cit.
9. Olivieri, Afarm.Pwflttr.n. 27 e GO.
10. Giovanelli, del culto di Saturno
ms. cit.
li. Lanzi, Saggio cit. — t. II, pa-
gina 270, e tav. Ili e Xlll.
I l'OPOLl PRIMITITI 61
SoQ queste adunque, o voi che sofferenti mi avete seguito,
quali si vogliano le mie congetture. Ma quellq di un erudito,
che tutta Italia onora, accrescono più assai che le mie noi
ponno al monumento voltiniano importanza e mistero; ond'io
m'affretto comunicarvele.
Modena, 21 Agosto 1853.
> Ebbi da Bologna la copia esatta della lapide di Voltino;
ma come le dissi altra volta, tra per ia difficoltà della cosa e
per essermi io limitato allo studio delle Medaglie Romane
e Greche, poco o nulla posso dimele. Meglio potranno
soddisfare alle di lei inchieste il chiariss. Labus (più eh' altri
esperto delle antichità patrie), ed i eh. Mommsen, che di
proposito studiò ne' dialetti dell'antica Italia, e p. Secchi,
che non teme affrontare cotali difficilissimi monumenti.
t Farmi che il lodato Labus mi scrìvesse che quei segni
peregrini gli parevano segni d' interpunzione. L' iscrizione
certo non pare dei tempi più remoti, e la direi fatta sotto
l'Impero o sulla fine del secolo VII di Roma. I cinque
ponti, 0 globetti, o cerchii cosi disposti a guincunce, ri-
corrono si nel fondo come nel coverchio della Cista Estrusca
del Museo di Bologna (OpuscoU letter. di Boi. Voi. I e II. —
Gebhard, Etr. Spiega, taf. 1, 4), e potrebbero contenere qual-
che cosa di mistico o di superstizioso. Il segno Mò frequente
nelle epigrafi delle medaglie Geltibere (Mionnet, Ree. B.
XVIII, 82, suppl. PI. Ili) e talora nelle Greche (Eckhel, 1. 1,
p. CU, n. %). In queste vale S a detta dell' Eckhel;
ma in quelle credo se ne ignori il valore. Anch' esso pò*
Irebbe nascondere un significato superstizioso, poiché ri-
corre non di rado per ornamento negli Specchi EtruschL
(Gerhard, taf. XXVI, Micau, ecc.) 1^ pare E arcaico eguale
al prisco Greco, Etrusco ed Euganeo ecc. p sarà Digamma
•MBia» tmrt€ Brut. ¥«11. i
62 I POPOLI pnnnTivi
> 0 sia F Latino; 4^ potrebbe valere x (cf^ gr->)> ^ P^i^
> composto di due F uniti insieme» o sia di due Digammi,
9 che darebbero un Taragamma i.
D. Celestino Catedoni.
Io rendo al dottissimo Cavedoni quelle grazie che per me
si possano le maggiori dell' erudito suo foglio, e della corte*
sia colla quale piacevasi accontentarmi del suo pensiero.
In quanto al mio, se mi è dnopo confessare che più ra-
gioni mi vi conducevano, anche rimpetto alle gravi testimo-
nianze da lui citate; se di queste n^oni parevami inoppor-
tuno «PI una storia più largo svolgimento, ammiro dall' altro
Teletta e squisitissima dottrina di un uomo che nelle scienze
archeologiche ha cosi ben meritato dall' età nostra.
Siami permesso aggiugnere soltanto che — dove non colga
errore — fra la lettera M ^^^ nostro marmo e le somiglian-
tesi, ma non eguali alle celtibere ed alle scrìtte sugli specchi
mistici, è tal differenza da porre in dubbio l'identicità del sen-
so. Bensì più conforme alla voltiniana è la scolpita in un sasso
del Museo di Mantova (se non ha dubbio per altro suU' esat-
tezza dell' incisione), e nella quale il nostro Labus conget-
turava, come abbiam detto, un N.
Io v* ebbi sospettato un nesso di due M capovolti e so-
vrapposti, uno di que' nessi cosi comuni ne' marmi antichi, a
quel modo che il Cavedoni pensò dei due F congiunti l' u-
no inverso all' altro. La lapide fu da me giudicata degli anni
della Repubblica: aggiungerò ora — degU ìdiimi suoi tempi; ed
eccoci d' accordo. Dei cinque punti, da me colla scorta di un
monum. sardo interpretati, ì due a destra sono di fatto più
concentrici a meglio rappresentare il < del K qual era que-
sto nella foima primitiva. Del resto, nessuna maggior di£B
colta ed angustia che il gittarsi fra queste discriminazioni.
t POPOLI PRIMITIVI
63
Gloria al Lanzi che arditamente s' è messo in qaesti diffi-
cili sentieri; ma gli arcani d'una lingua che attempi d'Àulo
Gelilo non si capiva nò pure in Roma ^ come apprenderli
adesso e disvelarli?
Ma ds^li scarsi monamenti (e son qui tutti 1) di etnische
impronte a noi rimasti, e che ho fatto precedere a bella posta
eome base della induzione che la provincia bresciana fosse
già degli Etruschi ', vediam ora come probabilmente si go-
vernassero in quel tempo le terre nostre.
L'Etruria circumpadana, o transalpina, molto sapientemen-
te congetturarono gli storici, che fosse imitazione dell'ante-
riore Etruria ^, epperò suddivisa anch'essa probabilmente in
dodici congregazioni politiche ^, dette allora dttày ciascuna
delle quali reggevasi da un capo, da un Locumone. Questi
Locumani, o come a dire governatori, obbedivano, per quanto
sembra e in certo qual modo , ad altro capo supremo ^
eh' altri chiamano re ^ (quale poteva essere a mo' d'esempio
1. AuL. Gkll. lib. II, OTe aarra di
na legniqOy che racimolando certe
frasi dismesse, facea ridere la bri-
gata» che non Tavea inteso, come
se avesse parlato Gallico o Toseor
no. Si sa che Roma ebbe duopo d'in-
terpreti fra gli OschL — Liv. t X.
S. Né la provincia nostra soltanto,
ma le circonvicine ancora. Il pago
degli ArusnaU in Valpulicella, te-
stificato da un marmo che il Maffei
ci spiega (Verona ili. lib. I, parte I),
U dea Udisna e il dio Cuslano
sconosciuto ai Romani, come pen-
sa il Maifei, i nomi ihamna e
e 5QHNA con suono orientale, per
non dire d* altre cose delle quali
sussistono monumenti sulFalto ve^
ronese, parvero air archeologo in-
signe testimonianze etnische, al
pari dei numi recitati da Tertul*
liane, e affatto ignoti.
3. DBiiPSTERUS,J&/r«rta Regaliscit.
4. » Dodici città fur loro attribuite
• anche in questo lato (subalpino)
» come colonie delle dodici che si
• dice avessero ndl' Etruria inte-
riore ». Maffei, Degli Itali primi-
tivi, — pag. 208; e più franca-
mente nella Ver. illustr. — lib.I.
5. Servius, lib. II, 273. — Cemso-
RINUS, lib. IV in fine.
6. Ex duodeeim populù commumier
creato itge, sUigulot sinQuU pò-
64
1 POPOLI PRIMITIVI
per r Etruria mferiore PorseDna)i e fors' anco ad un consi-
glio aristocratico di Lars.
I dodici capi erano elettivi del pari che il re; ed un illustre
vivente, seguendo una dotta congettura del Winckelmann S
spiega con ciò la simpatia degli Etruschi pei re di Roma,
e la noncuranza per gli altri, avvegnaché i primi non fossero
alla perfine che principi elettivi somiglianti ai loro '.
Pare ancora che il regime toscano fosse democratico '; il
che risulterebbe dal fatto, che le cose della pace e della
guerra venivano discusse nel seno di pubbliche adunanze
tenute dalle dodici comunità (dviuues) componenti la nazione
intera: convocazioni, che nella Toscana propriamente detta
si tenevano a Bolsena nel tempio della dea Voltumna ^. Ed
ecco la libertà degli Etruschi sotto l' ali auguste della reli-
gione ', giurata in sugli altari, divenuta essa medesima un
culto, una sacra e veneranda realtà.
Per simili istituzioni si governava la Grecia tutta nelle età
più remote ^; dal che la probabile comunanza delle orìgini:
con questa diversità, che il carattere preminente, nazionale
degli Etruschi, derivato per avventura da un arcano sistema
puli lictoret deierinLLiVim,Hi$L
tib. I, e. VUl. — Locumonei in tota
Tuiàa duodeeim fuiite mant/è-
$tum est' ex quibus unut omnibuè
imperavU. Servius, lib. Vili, 475;
lib. X, 202, ecc. ecc.
1. Monumenti inediti, - pag. XXXIX.
2. Raoul -RocHETTE, Court d'Ar-
cheologie, — Le^on IV, L'art è-
tnuqtie,
3. WiNGKELNANN, Mon. ined. XXIX.
4. Goil troviamo i Sabini ed i Latini
adunarsi per le feste popolari della
dea Ferronia. — Dionysius, /i-
6er III, 32. Dei conciUi degli Et-
nici, degli Equi, dei Volsci, dei
Latini, dei Sabini, ecc. è memo-
ria in Tito Livio, lib. IX, e. 43.
— lib. VI, e. 3 e 33, ecc.
5. Gens iiaque, ante omnes aliai eo
uMgii dedita religionibus ^ quod
excelUret arte colendi eat. — Li-
vius, lib. V, 1.
6. Il Blicali non accorderebbe per al-
tro alle confederazioni elleniche
rantichità delle itaUche. - - Lltalia
av. il domioio dei Romani — t. U,
pag. B4.
I POPOLI PRIMITIVI
CS
sacerdotale, era qaelb d' una sapefstizione severa, e direi
quasi crudele. I tremendi riti, la scienza terribile e misteriosa
degli Auguri e degli Aruspici è cosa etnisca ^: e quel sistema
profondamente ragionato a frenare i popoli, accolto in Roma
nascente, divenne la religione dello stato; e la mano ponti-
Gcale gravò sui destini dell' eterna città con quella intolle^
ranza gelosa ed assoluta che ne la fece per qualche secolo
arbitra e donna. Mentre dall' altro lato le stesse gravi cre-
denze, sottratte dagli ellenici all' impero del tempio, svolte
per la natura istessa di un popolo il più poetico del mondo,
sotto altri rapporti e ad altri e più miti concetti amplificate
dalle convocazioni e dalle feste nazionali, che davano alla
religione un carattere più espanso, più popolare, avean con-
dotte le greche menti a sensi più affettuosi e più gentili: e
mentre il grave etrusco improntava i sepolcri di larve, di
lemuri e di fantasime *, la sorrìdente Grecia li circondava di
liete immagini, di emblemi suggeriti da quanto ha di più
caro la vita, e quasi aggiunsi di più voluttuoso. E bene fu
detto che quelle dolci anime non potevano contemplare con
serietà nemmeno la morte '.
Ma per gettare uno sguardo allo stato dell'agro bresciano
prima che i Galli venissero a conquistarlo, non è forse in-
damo un cenno di quello dell' Etruria Circumpadana entro
1. Veterem ab ipns Diis immortali-
bus, ut kaminum fama t»U Etr»'
ria datam ditdplmam. — Cice-
ro, ile ifiinap. respoM» - e Tacito
te elise vetuttiuima Ilalitt iitci-
plituL Lib. XI, 15. — Vorrebbesì
tosco fl primo che linsegiussa alle
genti casus aperire futures —
(OviDius, Metam. XV, 558), ma
Ovidio è anche poeta (')
2. Non sempre però. Abbiam vedute
altrove come in qualche tosco
ipogeo messo in luce dal Gerhard
fossero dipinti e Indi e cacce e
pesche e geniali banchetti -«Ooo-
Rici, Antichità Cristiane di Bre-
ccia. 1850; — e Gerhard, PiUnre
Tarquinesi. Roma 1831.
3. Chateaubriand, Le Genie du
Ckristianisme.
66
1 POPOLI PRIMITIVI
a' cui limiti erayamo compresi, e della quale non vi sarebbe-
ro in tutta Italia più dirette analogie politiche, civili e reli-
giose, che nella rimanente Etruria. Da quest'ultima dunque
noi trarremo argomento a congetturare (per quanto il con-
sentono le condizioni diverse che disgiungono il vinto dal vin-
citore, r indigeno dal sorvenuto) qual si trovasse allora TE-
trurìa subalpina, e con essa la terra nostra che ne fu parte.
È un fatto, che la potenza, le colture, i commerci, le
industrie, i culti degli interiori Etruschi avessero tal grido
appo i Romani che nulla più. Hanno essi grandi forze in ter-
ra, grandissime nel mare, diceano gli Albani a Tullio re *: e
quando Tarquinio il superbo, loro alleato ^ deliberava di
compiere il tempio di Giove in sul Tarpeo, non altrimenti
potea metter mano alla fabbrica più insigne dei re di Roma,
che coir opera degli artefici toscani ', ai quali era dovuta la
Cloaca Massima, e i più vasti e solidi edifici di Roma na-
scente *. E le Yejensi fortificazioni non furono vinte che in
dieci anni dagli eserciti romani, e vinte più dall' arte . che da
guerresca virtù ^. Tutto in Roma era etrusco; arti, riti, co-
stumi: ed Alba era illustre città quattro secoli prima di
Roma ^ la quale fu dai Romani a Veja bellissima ^ pos-
posta ^, di cui fors'anco avrebbero abbandonata la op-
1. Mtdtum UH terra, plurimum ma-
ri poUent. Liv. lìb. I , e. XXlll.
2. Fcedus ewn Tuscia rtnovavit —
Liv. lib. I, e. LV.
3. Fabrii undique ex Etruria odor
tis, — Liv. lib. I, e. LV.
4. PiRANESi, Magnificenze di Roma, -
pag. 44 e seg. tav. II, III, ecc.
5. Quod decem cestates hiemefique
cotitinuas circunuessa» . . . ope-
ribus tamen» noi^ vi, expugnata est
— Liv. lib. V. e. XXII.
6. Unaque hora quadringentorum
annorum opus» quibus Alba ste-
Éerat\ excidio . . . dedit. — Liv.
Hist lib. I, e. XXIX.
7. Pulcherrima urbs Veii agerque Ve-
jentanus.,. uberior ampliorqueRo-
mam agro, — Liv. lib. V, e. XXIV.
8. Urbetn quoque urbi RonuB, vel
siiu, vel magnificeiUia pubblico-
rum privatorumque tectorum oc
locorum» prceponebant, — Livius,
Hist. 1. ci(.
I POPOLI PRIMITIVI 67
oppugnazione» se la speranza di una preda qual mai non
ebbero in tutte l' altre guerre assieme unite S non gli aves-
sero trattenuti dall' ardua impresa: e se Livio ci tacque la
ragione dell' assalto di Volsinio ', Metrodoro noi tacque; e
fu il bottino che ne speravano i Romani di forse duemila
statue ^. I dipinti di Cere si vantavano più antichi di quelli
di Lavinio e dei templi di Àrdea creduti anteriori a Roma;
e i doni ricchissimi da Cere offerti a Delfo, quando ancora
quella città si nominava Àgilla ^, non altrimenti si domanda-
vano dai Greci che il tesoro degli Àgillesi.
E questo avverto dell' Etruria interiore qual misura del
giudizio che dobbiam farci della circumpadana, in cui la
prima, come notammo, avea spedite quante colonie corri-
spondessero al numero de' suoi popoli confederati : misura,
presuntiva per altro, e nulla più.
Ma quand' anche dall' Etrurìa interiore non ci fosse rima-
sto monumento alcuno, abbiamo da Plutarco la descrizione
più lusinghiera che della subalpina ci sia rimasta. « Quella
1 terra tuttaquanta » egli scrive f è sparsa di molta selva, di
i pascoli feconda e di bestiami , ed ha fiumi qua e là che
> la discorrono. Diciotto belle e grandi città eranvi allora:
> doviziosa è d' opere d' arte, e di quanto è necessario alla
> vita. Cosi, ributtatine gli Etruschi, dai Galli fu posse-
» duta ' I. La gravità del passo ci mette in debito di re-
1 Quanittm non ornnibut in untm i. Petit-Radel, Examen de lave"
eonlatìe anie ìfellis fuissel — Liv. racite de Den^ d' Alicamoise de»
lib. V, e. XIX. 9on» récìt sur ks eolaniee pela»"
1 Hi», lib. XXXIV, e. VII. gique» en Italie. — Mém. de l'Inet.
3. Levesqde, Doute» »w différent» t. V, 1821. — Levesque, Donte»
poini» de VhietoireroMaine (Mém. itir différent» point» de Vhietoire
de r In»tiitU de Franu. — Paris * romaine. — cit.
1815, t. II, p. 307). 5. In vita Camilli.
«8
I POPOU PRIMITIVI
cario tal quale: Tir^« S* t^ri ìttìpopurot Ktrv Km òp^^tmai m^fio-
TOC, xm x«r«pp{/Te( Torcfeoic, x«i Toktn «X'^ oxTapxfluItxc ( e il
buon prete Bravo traduceva ottanta! ) x«x«( x«i fif7«\«c, x«f
x«T«^Xfu«^fitf«( TpocTf xP^P^ri^fior fp7«rix«( x«i 7po( Si«iT«r
«'«y«yi/pix«(^ oc Oi r«\«T«i, TO'c Tc/pptrot/c ix/S«XoyTt{,«r7oi xSrrtxo'*
Anzi da un passo di Polibio potremmo congetturare che la
circumpadana Etruria andasse innanzi a quella che abbiam
nomata per isplendore e per fortuna ^; il che per altro» se dal
Lanzi è sostenuto, non oserei affermare, sembrandomi che
Polibio riguardi piuttosto alla feracità del suolo che alle col-
ture dei popoli. E per dir vero nuir altro ei ci racconta fuor-
ché i Celti ( Etxroi ) lungo il confine dei Tirreni ( Tc//>piroi ),
veduta la bellezza del paese, per lieve pretesto vennero con
grande esercito ad occuparlo. E al capo consecutivo richiama
le tirrene pianure che ha descritte, per dirci che la interiore
Etruria assai ricchezze ne traeva. E qui sta tutto.
Tra quelle città non è dubbio alcuno che Mantova e Bolo-
gna si comprendessero, tanto più che V una e l' altra si vol-
lero capitali delle dodici comunanze o locumonie transalpi-
ne. Di Mantova lo sosterrebbe il suo Virgilio ^; .di Felsina
Plinio ^, ma forse quella preminenza non ebbero mai.
1. POLYB. lib. II.
S. Ille etiam pattiit agmen ciel Oc-
nut ab oris, — Fatidica Manttis,
et Tusei filius amnis .... Mantua
dive» avis, ted non genus omnibus
unum: — Gens illa triple^, po-
puìi sub gente guatemi; — Ipsa
caput populis: Tuseo de sanguine
vires.
XaAé. lib. X, r. 301 .
3. Bononia, Felsina vocitata^ cum
princeps ElrurÙB esset. Plin. HisU
Nat 1. Ili, e. \V. Àrduo sarebbe il
mettere un po'd'arinonia fra le due
contraddizioni. Virgilio mantovano,
al quale Petil-R%del reslitaìva uo
criterio storico, che fu per altri
negato al poeta, non doveva igno-
rare le origini della sua ciUà. E-
trusca era certo, e il Mantua Tur
scorum trans Pcpium sola reliqua
di Plinio vale per ogni testimo-
nianza (Hisl, Nat, lib. V, e. XIX).
Ed è bizzarro contro Servio, che
non assentirebbe, T asserire del
Panvinio quel Tusci filius amnis
I POPOU PRIMITITI
69
Arrogi a questo, essere probabile che i trentaquattro vici o
bollate poste da Cato nelle genti euganee delle quali era
Stono il capo luogo ^ sussistessero ancora; avvegnaché Plu-
tarco non ricordi e sciolga, per cosi dire, che le città più
degne dell' etrusco nome.
L' Orobia Barra, madre forse di Bergamo e di Como, do-
veva essere tuttavia*; e Melpo ancora, che Plinio esalta quale
oppido principaiissimo e dovizioso ^, e nel cui nome il Lanzi
non trovava etnisca impronta ^. Etnisca vorrebbe per quella
vece il Maffei la sua Verona ^: e tra i luoghi di toscana origi-
ne io tengo ne'benacensi e Vesio ^ e Toscolano (per ap-
pagarmi di pochi esempi) e a breve tratto da loro quel Pagus
Arumalimn ^ che il grande archeologo veronese avea letto
in un patrio monumento.
altro non essere che il Mincio. In
quanto a Bologna aspeUìam ora
dal marchese Giovanni Gozzadini
le illnstrazioni di trentacinque se-
polcri d' un campo cimiteriale etru-
sco dal medesimo scoperto nei pro-
pri fondi (solerte indagatore com'è
deTelsinei monumenti) a quattro
miglia dalla sua città, poco lungi
della Tia Emilia, con vasi ossuarj
einueki = e qui mi gioTino le pa-
role della illustre di lui consorte
marchesa Teresa di Serego Ali-
ghterì, la quale si compiaceva co-
fflonicAnni Timporlante notizia =
tom mUrovi ditfersi oggetti in broi^
wù» % quali chiariranno, come
bromti eoiutmt/t creduti romani
Mbano ritenersi etruschi (lettera
i6 giugno 1853). E non è a dubi-
tare che dairautorc della Cronaca
di Ronzano avremo indagini sa-
pienti sul difficile quesito.
1. Plin. Hist Nat Uh. HI, e. 3.
3. In hoc silu interiit oppidum Oro^
biorum Barra, unde Bergomates
Cato dixit ortos; etiam nune pro^
dentes se altius, quam fortunatius
siti, Plin. HisL ciL Uh. HI, e. 3.
3. Melpum pracipuum opuìentia op^
pidum. Plin. lib.lll, e. 17. — Di-
strutto da'Boj circa il 350 di Roma.
4. Saggio di Lingua Etnisca,— t. Ili,
pag. 550.
5. Verona illust — parte I, Uh. I -^
non disconoscendo per altro il passo
di Plinio. — Rhatorum et Euga^
neorum Verona,
6i GoRi, Mus,, Etrusc. tab. XIII, di in
etrusco il nome Vesius. E poco
lungi dal nostro Vesio fu trovato il
marmo hilingue da noi descrìtto.
7 VOISNAM . AVGUSTAM . LOCO
PRIVATO . ARVSNATIBVS . DEDIT.
Quanto quel nome Amns fosse
dagli Etruschi usato è indamo Tas-
70
I ropou pniMiTivi
Quali fossero i capoluoghi delle dodici locumonie transal*
pine ha cercato il Dempstero, e pone Brescia pel decimo *;
ma non ha certo nò più yaga nò più gratuita ipotesi. Eppure,
che sorgesse a que' tempi lontanissimi sulla vetta del colle
Cidneo comunque yogliasi un vico, una ròcca, un luogo in
somma presso al quale si fabbricassero posteriormente i
Calli Cenomani la loro Brescia, potrebbe congetturarsi. Ed
eccoci alle origini della nostra città, intorno alle quali ha
cosi rara e ghiotta varietà di fantasie negli storici nostri, che
è un incanto ad udirle.
Jacopo Malvezzi, per mo' d' esempio *, mi narra di un
Ercole, il quale poi ch'ebbe fabbricato il Campidoglio di
Valeria, udite le mirabilia dei nostri ronchi, se ne venne
cosi bel bello per deliziarsene un pocolino ^, e piantarvi la
ròcca Cidnea. Intorno alla quale, passato alcun secolo, pa-
recchi messeri venuti da Troja la circondavano (cosi egli)
di torri e di muraglie; vi si stanziavano, e i nostri mm.
Faustino e Giovita provenivano di poi dal loro sangue trojano.
Altri dicono fondatore della città un Trace, anch'esso ve-
nuto da Troja ne' tempi di Gedeone giudice d' Israele, e ne
discutono seriamente le ragioni^. Altri per altre origini
propendono, non saprei se più fantastiche o bizzarre ^. Ma
serìr qui. Io lo sospetto appella-
tivo di pubblico grado, come il Lo-
cumon e il Lars pur degli Etru-
schi. Locumon leggiamo in Livio
(Hùt. lib. I, e. XXXIII) per no-
me proprio di Tarquinio,il quale
forse non era che il Locumone di
Tarquinia: e il re dei Vejenti Larte
Tolombio (Liv. Ub. IV, e. XVI)
non fu per avventura che un Lara
t capo supremo delie congrega-
li oni popolari degli Etruschi.
1. Etruria Regalis. lib. IV, e. IX.
2. C&rontcon Brixianum — in Rer.
[tal. Scrip. t XIV, col. 780.
3. Et situm placidum fore conjpt-
eiens, necnon uvarum vel poma-
rum etc, faecundum. Malv. 1. dt.
i. CAPREOLUS,Cfontcacfereòtt«BrtiB.
lib. I.
5. Paino, RagguagUo della Signoria
di Brescia — 1658. Veggansi an-
cora ne*patrii loro scritti il Rossi
ed il Cozzando ecc.
I POPOLI PRIMITIVI 71
innanzi a tutti, per la franca sicurtà colla quale ti vien re-
galando alla recisa e senza circoli le stramberie della sua
mente, se noi conosci ancora, è il p. Saron ^ Odilo, te ne
prego, e statti grave ... se il puoi.
Brescia . ... più anticamente Briescitha, et nel suo primo
essordio Tracia, quasi Tijrracia fu detta : et se per aventura ti
rende maraviglia la moltipUcità de^saoi Nomi? Incolpane V An-
tichissima sua origine, essendo questa una delie piit antiche città
dell' Europa. — Chi la disse fabbricata da Hercole Egitio. —
Chi finalmente la fece futura di Cidno Nepote di Fetonte . ... et
perciò li popoli chiamarsi Cidnomani, e ciò neWAnni del mon-
do 2160.
Ma se vivi vago o Lettore di sapere la sua prima origine, et
ehi, dopo V universal DUuvio venisse prima a piantarvi V abita-
tione ? dico che fu Tyras figlio di Jafet, U di cui padre fu Noè.
Questo Tifras adunque; havendo udito dalV Avolo suo Noè U
paese Kytim (eh' ed presente si chiama Italia) esser il piti felice
d' Europa . . . tirando verso Ponente, passando per la Servia,
Croacia et Friuli, pervenne in questa nostra Reggiane . . .et con-
templato il sito del Colle (che poi fu detto Cidneo come a suo
biogo dirò) determinò piantarvi una roccha che dal suo nome fu
adimcmdata Tracia. Il restante de'suoi habitavano nelle Grotte de
Monti et cave d' Arbori. — Oh che bel veder quei primi habita-
tori hor al Garza hor al Melo ed ai quali il latte e 'l Cassio
servivano di nutrimento .... Ma quand' anche avessi durata
r erculea fatica di ricopiarvi le sue cento venti pagine, tutte
di un conio solo, non trovereste che Y insistenza un po' sin-
golare del povero Saron per farvi toccar con mano che noi
fummo governati dai re di Babilonia.
1. Vera origine della CiUà et Popolo tuceesH in Brescia dal tempo
di Brescia (Rizzardi 1691), dove del Uu^uvio Universale (!) fino
si descrivono le con più cospicue alla nascita del Redentore.
7J
1 rOPOU PRLUITITI
Al p. SaroQ viene di costa un fratello germauo; Giam-
battista Nazari, cui dobbiamo la rara notizia che Brescia nei
secoli remoti si chiamasse Troja; e investigando Vanno in
cui U Cidwmani furono fiorettili da Ciano, trova un avanzo di
questo nipote di Noè nei sig. Ceni da Bergamo ^ E però non
ha tutto il torto quel bizzarro ingegno del nostro Rossi, il quale
non sapendo a chi dar vanto della fondazione di Brescia, se
ad un certo Brimom Indiano o Gconìo Cojpiiano et Prencipe
dei popoli Germani, se a Brenne o ad Ercole o a Cidno, con-
chiude alla recisa che Brescia posand grembo di una nuoda^.
Della quale per altro noi tenteremo il velo per arrestar-
ci ad una tradizione, che sorridendo abbiam letta nelle ero-
nache del Saron e del Fajno, ma che spoglia di quanto
V ebbero avviluppata per farne un sogno, parrà più degna
delle nostre investigazioni.
Narra Pausania di un Cidno che fu re dei Liguri, e
tenne i luoghi presso l' Eridano : — Atyuvt T»y Hpit^w
A quel passo risponde un verso di Virgilio, che appella
Cidno fortissimo condouiere dei Liguri S e Servio lo con-
ferma, e Ovidio anch' esso lo ricorda ', ed Iginio con
ì. Brescia antica. — pag. 25.
S. Memorie Bresciane; — ed. Vinae-
cesi, 1694, p. 1. Molto prudente-
mente il nostro Rossi, toccate le
varie opinioni, risoWesi a nonprin-
cipiare che dai Cenomani; ma poi
mi comincia con due lapidi in-
ventate, e chi sa forse da lui (!)
3. Cycnum Ligurum, qui in Celtica
prope Heridanum sunt, regem
muaicoB clarum fuisse memo^
rant — Pausan. AH. e. 30.
La lezione in Gallia Transpadana
del Gagliardi acchiude un arbitrio
ed un anacronismo. — Sambuca.
Memorie Geoomane cit. pag. il.
4. Non ego te Ligurum duetor for^
iiisime bello — Transierim Cycne,
— ì£neid. lib. X: e]veggasi co-
me il fortissimo risponda alla tra-
dizionale gagliardia dei Liguri.
5. . . . ProUs Sienel^a Cyenus — Nam
Ligurum populosetmagnas rexe-
rat urhes. — Metam, lib. U, v. 367.
1 1H>IK>U PRIMITIVI
7J
lui ^. E quando io trovo chiamarsi Cidnea fino dal
secolo d' Augusto la ròcca bresciana * (Cycnea specula),
è scusabile il sospetto, che liguri si fossero per avventura i
suoi prìncipii. Arrogi ancora, che a' Liguri presumibilmente
spettavano un tempo le nostre terre Xrom vom Atyufmf ^; e
che Livio raccontaci avessero tenute i Libui (eh' erano for-
se una diramazione , come i Levi-Liguri, dei Liguri stes*
si ^ ) i luoghi dove ora sorgono le città di Brescia e di
Verona '.
E v' ha di più : il nostro sospetto viene convalidandosi da
ciò, che le testimonianze su cui si appoggia sarebbero di
scrittori al caso nostro preferìbili tra quanti facevano insigne
il secolo d'Augusto; perchè sendo nativi di quelle terre istesse,
che fur liguri già tempo, non poteano ignorare la condizione
antica del loro paese. Era Catullo da Verona; da Mantova
Virgilio; T. Livio padovano.
E notisi ancora, che non dvitas, non vicus, ma specula
(ròcca) è da Catullo nomato quel luogo cidneo : e specula è
voce militare, che dinota guardia, vedetta, fortezza. —
Emmens locus ubi vigUias miUtes agunt^; e quando il se*
vero Maffei traduceva coUe, se ad arte non so, ma certo
leggeva male ^. E i Liguri, per unanime sentenza di tutti gli
storici, avean grido su V altre schiatte primitive per valentia
1. Htginii fab. 154.
1 Gatulli Carm. LXVI.
3b Post hot (Libuos), Salluvii prope
wUiquam gentem LcBVOi, Ligures
ktcoUmtes circa Ticinum amnem.
€ic Liv. Hist. 1. V, e. XXXIV: e
il MiGALi, L Italia av. il dom. dei
Romiiù. — parte II, e iO.
4. Fra i ipiali ricorderò il giovane
Rosa, Genti fra l'Adda e il Min-
cio prima dell* impero di Aoma,
1844, p. 17.
5. Loeos tenuert Libuu tiy.Hitt. cit,
6. FuRLANETTUS, Lcxicon totius lai,
in V, SPECULA.
7. Dell* antica condizione di Verona.
Ricerca storica (nelle Mem. Gè-*
nomane del Sambuca — pag. 34).
74
I POPOLI PRIMITIVI
deirarmi: ^ e impavidi li chiama Eschilo in alcuni versi,
che Strabone ci ha conservati *. Ed era V istinto di quelle
schiatte, di tutte le razze fondatrici di popoli, e più delle
guerriere, di scegliere a nucleo delle stanze loro i luoghi
elevati; e si sa dei forti Liguri che soleano cingere di mura-
glie i loro vici, come è noto che le alture si tenevano sacre
appo le italiche genti più remote '; e i Ciclopi si collocavano
da Omero sulle cime dei monti, sulle quali troviamo innal*
zate molte etnische città, e le più antiche ^ ; e la cerchia
vaghissima dei nostri colli dovea pur essere dolce invito alle
prische generazioni dell' Italia subalpina, e quasi alletta-
mento a coUocarvisi, a porvi la loro sede, fondarvi una loro
comunUà.
Io non dico ora qui che il Cidno di Pausania sia proprio
desso il fondatore d' una ròcca qualsiasi, la quale probabil-
mente servi poi come di principio alla nostra città. Che più?
voglio concedervi ancora in quel Cidno una favola: ma di
quelle favole però che sono rappresentanza, magine, tradi-
zione, qualche cosa d' incontrastabilmente , storicamente re-
lativo a fatti 0 condizioni speciali di culti e civiltà della
ligure schiatta: in questo caso cidnea risponderebbe a ligure,
a quel modo che del nome di ercdee veggiam distinte le
colonie tirrene, alla cui testa era sempre mito, simbolo, si-
i. Serra, Storia delF antica Liguria.
Torino 1834. — Thierry, Hist
des Gaulois, p. IX. — Tonso,
Dell' Origine dei Liguri. — Pavia
1784. — Abbiam detto di spedi-
zioni guerresche dei Tirreni con-
tro i barbari del Po, ricordate
da Strabone. Che fossero Liguri?
f. Strado, Geograph. — Amstelod.
MDCCXVIII. lib. IV, e. 1.
3. DioN. Alicarn. lib. I.
4. AtU procul hinc saxo eoìUur furi"
data vetusto, — Urbis AgylUna
sedes; ubi Lydia quondam. —
Gens bello prceclara jugis insedit
etruscis. Virgilius, Mn. lib. Vili.
— E il Vico: « Si osserva le ciUà
I più antiche, e quasi tuUe le capi-
» tali essere poste sulle alture ».
Scienza Nuova.
I POPOLI PRIMITIVI 75
mulacro, condottiero, qual plùvi gradisse, queir Ercole feni-
cio, al quale fu ben tosto aggiunto il senso di nume viaggia-
tore ( f fCTopo( drcuitor, mercator); idea che viene manife-
stata dai fenicio motto Harckd, di cui facevano i Greci il
loro Heracles, l'Ercole tirreno ^
Carlo Cattaneo mio precettore avea notato * come il
Po fosse già noto ai navigatori fino da quei tempi in cui
presero forma le poetiche leggende della favola greca; e
che col nome di Eridano s'annoverava tra i fiumi di quel-
l'angusto orbe che la poesia popolò de' suoi sogni, e Ivi
» presso era approdato Antenore ■ cosi egli « fuggendo
> FAsia desolata. Qui le Eliadi si erano consunte in lagrime;
> qui la tradita Manto celava il suo nato nell' isola del lago
> etrusco; qui Cigno regnava sul fiume dei Liguri; qui Er-
> cole, il simbolo della potenza fenicia, nella sua via verso
» occidente aveva incontrato ■ neUa terra paiusire ( x^P^^
9 fftjcvd«xoV ) sparsa di sassi caduti dal cielo V esercito imper-
> territo dei Liguri, contro cui gli era vano il valore e V arco
> (Eschilo ap. Strab.) ».
Egregiamente; ma la fuga di Antenore, ma i Liguri sul Po
non erano nò simboli, né sogni; erano tradizioni antichissime
di fatti reali : e le Eliadi e Cidno ed Ercole e Manto avanzi
anch' essi e velami di vetuste realtà, delle quali non sarebbe
difficile trovare negli storici primi una qualche relìquia. Le
tradizioni locali rimontano in Italia fino alle origini delle na-
zioni e delle città, bene sclamava Petit-Radel '; e in Ateneo,
1. Raoul-Rochbtte, Mim. d' Ar- collocare il Cattaneo fra i pia va-
ehéolog, eomparée, (Mém, dt Vli^ lenti italiani, se già noi fosse per
stìL 18A8, t XVI. altri egregi suoi scritti.
S. !f otixie naturali e civili su la Lom- 3. Examen de la véracité de Deny*
bardia. — Milano 1844. — Aureo d'Alieamasse, eie, (Mém, de VlnsU
▼olome, che basterebbe egli solo a 1821, t. I, pag. 143.
76 1 POPOU PRUUTITI
Uacrobio, Servio, Suida e cosi via si trovano reliquie di an-
tica storia italiana ignorate sin qui; ed Eliano, che fa risalire
a 1197 i vici seminati per gli Appennini S comprendeva per
avventura que' siti pelasgici del libro I di Dionisio, che Cice-
rone con una frase energica chiama cadaveri di ciità^. Von fu
la poesia che popolò de' suoi sogni la terra subalpina; furono
le religioni, i sacerdozi che ne divinizzarono, per così esprì-
mermi, le origini tradizionali: il sogno per quella vece non
i nò simbolo, nò allusione; esso ò nulla.
Brevemente: a me basti la congettura di un luogo su l'alto
del nostro colle di orìgine anteriore alla discesa dei Galli,
che non ripugna nò alla storia, nò al carattere di quei po-
poli e di quei tempi, ed alla quale mirabilmente risponde-
rebbe una tradizione di venti secoli. E a cui non paresse
bastevoknente provata, dimanderò qual tradizione possa dirsi
documentata de' secoli di cui partiamo. Accontentiamoci
delle probabili congetture, ove nuir altro si possa avere di
più; e chi non assento, dia ragione almeno del suo dissenti-
mento: perchè negare per la più breve non è provare; è un
esimersi dalla questione; è un seguire la massima di certi
colendissimi zeri, che dove incominci difficoltà, si ritraggono
maestosamente in prudenziale silenzio: il silenzio, dicon essi,
è sempre gravità; il tacere non è sbaglio, e sopra tutto non
costa nulla, nei&meno la fatica di un pensiero.
Riassumendo adunque: nel celebre verso catulliano, che lo
stesso MafTei ha rispettato ', io trovo distinte due grandi ori-
gini: la ligure (cidnea) della specula bresciana, e la. gallica
della Brixia sottoposta.
BRIXIA. CYCNEAE SUPPOSITA SPECULAE. , '
1. JEuxsvs, Varia HUt. lib. IX, t. Ad FamU, Eptit lib. IV, «p, 5.
e. XVI. 3. Ittorìa cit.
I POPOLI PRIMITIVI 77
Del resto abbiam notato altrove come la vasta denomina-
zione Liguri ad assai popoli si dilatasse della Italia setten-
trionale. Dal che la ragione, secondo il Rosa S per cui gli
Stoni - Euganei, che pur troviamo alla loro volta compresi
nei Reti, venivano da T. Livio e da Stefano Bizantino col-
locati fra i Liguri, come Liguri furono chiamati gli Orobj
stessi, che già vedemmo stanziati fra il lago di Como e quello
d' Iseo. E questo a togliere il sospetto che per me si creda
eretto quel luogo Cidneo dai Liguri propriamente detti ne'
primordi oscuri delle loro colonie, bastandomi che lo fosse
da ogni altro popolo che dai Liguri tra noi prendesse nome.
Eccovi alcune induzioni sulle orìgini primitive di un luoso
^)po il quale fondavano i Galli la nostra Brescia. Induzioni
e nulla più : ma tacervele né avrei potuto, nò forse avrei
dovuto. Perchè se debito è dello storico sceverare il vero
dall'errore cui venne da uomini o ingannati o prevenuti
0 adulatori avviluppato, debito è ancora mettere innanzi
le risultanze di quelle indagini che potrebbero a' posteri»
sussidiati da nuove scoperte monumentali o dalla potenza
medesima del genio che mai retrocede, servire come di
base ad altre e più certe e più secure investigazioni.
Provata la indubbia dominazione etnisca tra V Alpi e il
mare e ì| Po, sospettatone il regime conforme all' avito dei
sopraggiunti dominatori, ci resterebbero a fare alcune do-
mande, la cui risposta ci condurrebbe a lavori d'altra natura
e d' altri intendimenti, che non sarebbero più la storia di
Brescia; ma domande gravissime nelle quali anzi, più che in
altro, starebbe la soluzione di un grande quesito.
Supposto anche riprodotto, come sembra, nella seconda
Etruria il sistema federativo, come vi si adattarono quelle
prische tribù? Lasciaronci gli Etruschi loro leggi, loro costu-
1. Genti stabilite tra l'Adda ed il Mincio.
Omuci, Siorh Bitte. Voi. 1. '
78 1 POPOLI PRIMITIVI
mi, loro divinità^ o si tentò rifarli toscani? Fino a qual grado
l'arti^ le civiltà, i culti della vincitrice Etruria, madre antica
di sacerdozi e di provincie, si mescolarono, modificarono,
perfezionarono i rudi ed alpestri dei piccoli popoli subal-
pini? Fino a qual punto queir elemento, che forma il princi-
pio delle nazionalità caratteristiche di ciascun popolo, venne
gradatamente alterato dalle nuove costituzioni del vincitore?
E queste costituzioni sopraggiunte nel mezzo di popoli soli-
tari forse di lingua e di costume, come si svolsero nel seno
dei secoli e delle lente preparazioni storiche? Quale alterna
vicenda di riti, di commerci, di fatiche e d' armi costò agli
Etruschi il nuovo impero, e il propagarsi lungo i mari ed i
fiumi deir Italia superiore queir arcana unità di monumenti,
di lingua, di tradizioni, che indamo oramai vien combattuta?
E in questa cosi voluta e cosi bella parte d'Italia nostra
trovavan essi alcuna traccia fra i popoli sommessi della co-
mune origine tirrena?
A queste ed altre dubitazioni di eguale, cioè grandissima
importanza, si sente quanto la storia italiana ci manchi an-
cora, e quanto (se la scoperta non ci soccorre di più splen-
dide e decisive testimonianze) inette a riempirne il vuoto
sieno le scorte a noi rimaste.
Il sommo dei viventi storici italiani, Carlo Troya, dopo
averci guidati pei laberìnti delle nostre orìgini, e fattone
argomento di due volumi, con quella franca lealtà che
risulta dalle intime convinzioni di chi ha lungamente medi-
tato, conchiudea senz' altro < non saper egli di questi comin-
« ciamenti dire di più, e meglio, di quatito ne disse nella
e storia d'Italia Cesare Balbo ^ t.
1. Storia d'Italia del Medio Evo — Io rendo grazie a queir ilhi.s( re na-
Nap. 1843, voi. 1, p. lY, pag. 534. poletano per lo gentile più assai
1 POPOLI PHIMÌTIVl
79
Tommaso Gar, indagatore solerte e cescieRzioso delle me-
morie italiane, portatosi a Monaco per interrogare sugli
italici primordi V altrui pensiero, e profittare della germanica
dottrina, consultatevi le opere di Grimm, di Zeuss, di MùUer,
di Lepsios, di Mommsen, le inglesi di Betham e di Dennis,
le tedesche di Movers, di Murzel, di Lassen e d' altri assai,
confessavami poi non aver potuto da si vasto apparato di
erudizione ricavar tanto da quotare la mente peritosa K
A questi fatti cade V animo contristato e dolente, perchè
all' uomo scrutatore profondo ed assai volte felice delle ori-
gini primitive de' suoi medesimi affetti, non sia dato cono-
scere la storia non eh' altro delle proprie istituzioni.
Ad ogni modo la povertà prodigiosa — comparabilmente
agli altri italici Musei — di monumenti etruschi per tutta
la valle lombarda, nella quale primeggiano per quella vece
(parlo dei monumenti letterati) le impronte euganee ', ci
attesta le resistenze naturalissime degli indigeni alle nuo-
che meriUto ricordo ael Codice
Diplomalico Longobardo del po'
eh' io feci, perchè vedesse retificati
alcaai docomeati bresciani del se-
colo dì De$iderio, come dell' avermi
coUa serie slringente e inclultabilc
dei (alti e degli argomenti ricon-
dotto, intorno allo sialo dei poveri
htioi sotto la longobarda domina-
ziooe, ad un pensiero che franca-
mente 0i avea manifestato non es-
sere affatto il mio. Affretto col de-
siderio U tempo in cui dovrò toc-
care, per quanto spetta allo slato
del popolo bresciano neiretà lon-
gobarda, la grande questione: e a
cui paressero intempestive queste
parole ricorderò, che per compierà
un dovere di gratitudine ogni oc-
casione è buona.
i. Lettera 9 agosto 1853.
1 Lanzi, Saggio di Lingua Etrusca
cit. - tav. 17, n. 7, 8, 9, tomo II,
pag. 655. — FuRLANBTTO, Antichu
lapidi del Museo Estense, Padova
1837, pag. 174. — Cavedom, In-
dicazione antiquaria del Musco' del
Calajo, pag. 45, 82. — Ingiiirami,
Lettere di erudizione, pag. 210,
tav. 12. — Giov.\NELLi, Antichità
di Malrai, tav. I. — Orsatus, Mo-
•
ntun. Patavina, pag. 211 e 216. —
MAffei, Osserv. Letterarie, t V.
Museum Ver. (Mon. Etrusca). —
Venturi, Guida al Museo di Ve-
rona, tav. 1, pagr 13.
80 I POPOLI PRIMITIVI
ve, benché italiche e forse un tempo consuetudini fraterne:
indigeni, che la tradizione antica dipinge frugali, forti, agresti,
duri come le roveri delle selve natie S ^ che daUo stato di
popoli isolati e di tribù passavano probabilmente con assai
lentezza a quella vasta orditura di leghe repubblicane e di
federazioni, dalle quali era costituita la nazione gloriosissima
degli Etruschi. Ed è forse in quelle resistenze nazionali (co-
minciate già fino d' allora I ) eh' io trovo ragione degli scarsi
avanzi dell' arte etnisca fra di noi, sicché or fanno sei anni
destò maraviglia il discoprirsi appo il Mincio di un sepol-
creto etrusco; e il Pezza-Rossa, immemore di Plinio ' e di
Yii^lio ^, aspettava quel monumento per togliere di mezzo
ogni dubbio che anche Mantova sia stata una provincia del-
l' Etrurìa superiore.
In quanto all'agro nostro, gì' mediti monumenti che vi ho
recati, non foss' altra testimonianza, lo insegnano senza più.
Le lettere F\ (\ delle figuline di Yalcamonica rispondereb-
bero secondo gli alfabeti del Lepsius ^ e del Lanzi ^ ad un A,
l'uno etrusco od euganeo, l'altro osco-latino ; la lettera J* ad
un osco S; e la ^ replicata nel marmo voltiniano avviserebbe
un segno chi sa forse parziale, come sospetta il Borghesi ^
ad un dialetto delle nostre montagne. E poiché citato ho il
Lepsius, veduta anch' egli quel sommo in due monumenti
Nolani la lettera M^, confessando non penetrarne il senso ^
avvalorava nelle sue pagine quanto nelle nostre abbiamo
i. DuruM in armis genus cìùamali qw>t adhune reperUB nuil omtus,
Tito Livio. Duro de robore nati Lipiict 1841, lab. XIXII.
energicamente Virgilio. 5. Saggio di Lingua Etnisca, t. IH,
2. Mantua Tuscorum transpadum sola tav. ultima.
reliqua, Hist. Nat, 1. Y, e. XIX. 6. In queste istorie a pag. 57.
3. Tutco de sanguine vires. jEneid. 7. Inscrip, Vwhrita et Oscm di,
1. IX. . Uv. XXVI, n.31 e 33.
4. Inseriptiones Umbricaet Oscodquot- 8. Quid quod ignotam illam ìitktam
I POPOU PRIMITIVI
81
detto sull'uso di lettere svarìatissime degli italici dialetti in
un sol monumento ^ Del resto» a cui paresse un po' ardita la
interpretazione del segno VV P^i* ^^ i^^sso formato dalle let-
tere etnische^ ricorderò la sigla AA/ (mi) di due marmi a
noi dati dal Furlanetto ' e dal Haffei ^, la più analoga an«
Cora V^ per nt di un altro che il Sàxi ha riscontrato ^, e i
nessi moltiplici e singolari dell'osca paleografia, pubblicati
dal Lepsius e dal Demsptero.
E qui nel por fine a questo libro sento che un debito di
gratitudine a voi mi lega, o miei concittadini. Grazie a voi,
che di tanto e si cortese accoglimento confortaste le pagine
sin qui dettate, quale per certo non potea sperarsi che dalla
vostra indulgenza-
Ai doppio intento di apprendere i fasti della patria co-
mune, e di sovvenire coli' obolo vostro a un Istituto di orfani
cui vuoisi dedicato il reddito di questi volumi, in cotal nu-
mero v'accoglieste all'opera pia, che se da un canto più che
noi meriti lusinga il loro autore, dall'altro è splendida testi-
monianza della bennata e gentile anima vostra. Certo a voi
benedice di lassù quello spirito jsoave e intemerato del nostro
Pavoni, che aperto ai derelitti da voi beneficati un asilo,
cercato loro di porta in porta' il pane, spesovi tutto l'aver
fuartam primi alphabeti,
qtB mihi 9ibilan$ tue videtur,
Oerum reperii in interiptionet 3i
paterm Beroiinensis, Inscr. cit.
pag. 83.
i. MixUu ibi Vìdee liUerae oeeae, etrn-
eeas, greeeae et aliae proreue igno^
tae: nikUcminue hae ineeriptUmee
femuimae . . . habeo: eomparandm
turni eum iUii oiphàbeHe, quce i»
vateulie etruecie vel in eepulcrie
EirurÙB reperta et alibi (Ann. del-
l* IsL voi. lU, p. i88), a nobie eie.
1. cit.
2. Lapidi patatfine, tav. XLVIII, posta
nel testo al n. 236.
3. Mueeum Veron. pag. 230, n. i.
4. Lapid, Veiuiiior. eie, eyntagmata
in Supplem, ad mofiiMi. Thee. F. /•
LuD. M URAT. pag. 573.
83 I POPOU PRIMITIVI
SUO, terminato il compito del cristiano e del cittadino, gli af-
fidava tranquillo alle vostre braccia, perchè egli era aspettato
da quelle di Dio.
Eppur, che volete? Alcune gravi nullità, gittato l'occhiò alla
descrizione della provincia, troppo affetto, sdamarono, troppa
poesia : né s' accorgevano eh' era ad arte ; che fu posta in-
nanzi alla storia per temperarne T austerità. Era come, la-
sciatemi dire, una corona di fiorì posata al limite di un san-
tuario. Non s'accorgevano che la stona sarebbe venuta dòpo.
Che storia? Inventarj vuol essere, e tabelle da computista,
fra le quali non sia pencolo che la cenere del loro cuore
possa commoversi ; che la fredda anima loro non provi al-
cuna cosa che possa essere interpretata chi sa forse per un
palpito, per un sentimento.
LIBRO SECONDO
I GALLI GENOMANÌ
L
DONDE E COME CI VENISSERO
COSTUMI E CULTI LORO
Noi siamo per discorrere di un'altra età dubbiosa tuttavia,
nò sciolta da quelle archeologiche contese, le quali assai
volte, nonché diradarlo, addensano il velo della storia ita-
liana» — Duopo ò dunque, se mal non avviso, rinunciare
alla facile albagia della erudizione, ridurre per cosi dire a
più severi limiti l'altrui, e ricondurla a quelle semplici fonti
primitive, nelle quali più che in sdtro è il senso storico
delle grandi investigazioni. ^
Noi siamo per discorrere di un'altra età:
E come quei die con lena affannata,
Uscito fuor del pelago alla riva,
Si volge air acqua perigliosa, e guata ^^
r animo mio si volge indietro a contemplare la notte
dei secoli che abbiam percorsa, e dalla quale non siamo
ancora totalmente usciti. Ma in quella guisa che il divino
1. Dantz, Inf. e. I.
84 I GALU CENOMAM
Alighieri, veduto entrare nella valle oscura un po' di raggio,
scorse altri luoghi più brulli e più severi, e riprese la via
per la piaggia deserta, cosi noi, benché lieti delle passate
tenebre, noi siamo tanto che non ci sgomenti Y età cenema-
na d' altre tenebre avvolta e d' altri misteri.
Se non che dalla storia universale dell' Italia subalpina,
qui ne consolerà lo scendere, il raccoglierci alla nostra, toc-
carvi più certe le domestiche origini, narrarvi men contra-
stati, dubbiosi meno i fatti dei padri nostri; incominciare
alla perfine un po' di storia veramente bresciana, appren-
dervi con maraviglia e con orgoglio, che ventiquattro secoli
prima di noi la potenza cenomana a tanto s' accrebbe, che
Roma stessa non isdegnò d' averla consorte della sua: e
r ebbe, e non traditrice, come trovarono i Romani la po-
tenza d' altri popoli alleati.
E a dir vero, Brescia Cenomana, capoluogo d' una gente
agricola e guerriera ^, che a nessun' altra obbediva; chiesta
d' ajuti da chi tante ne avea soggiogate *; reggentesi con or-
dini repubblicani ', rudi, ma schietti, ma forti, ma suoi; con
senato suo proprio, indipendente; dominatrice di si largo
tratto della Cisalpina quanto per tanti secoli non ebbe, nò
avrà più mai, ci persuade che nei primordi di un popolo
stanno alcuna volta le sue più splendide memorie. Tutto è
in essi cotale un nerbo di vita rigogliosa e potente, che
aspetta impulso allo sviluppo, che freme direi quasi impa-
ziente di rompere sulla terra; ma che intanto si regge con
1. PoLTB. HisL Kb. II. cufU: ti Lmus, Uut. lib. V, e. 36,
2. Tm Livi Hisu lib. XXI, e. 25, oc C. Taciti Anml lib. Ili, e. 45.
45, 55, ecc. — Poltb. lib. II. — Veggasi ancora il Draghembor-
3. CiCS. ComiiienMib. I, c2;]ib. IV, chio ne* suoi commenti alleDe-
c 22, — Lib. VL e. 42. Princ^- cadi romane di Tito Livio — t II,
^pa^nwwoi inUr $uos jtu tf>- pag. 138.
I GALLI CENOMANI 85
quelle semplici istituzioni, nelle quali è pure alcuna cosa di
venerando e di sacerdotale, che a schiatte lontanissime attri-
bniscono i dotti, ma di cui non è forse origine ch'io mi
conosca altra che il cielo.
Variamente disputarono i dotti intomo alle cagioni che
spinsero un popolo intero a superare il 'vano schermo del-
l'Alpi, discendere nella valle lombarda e farla sua. Trogo
Pompeo, di gallica schiatta, attribuirebbe quel vasto ribolli-
mento d'intere tribù a domestiche sconcordie ^: altri a
ridondanza di popolo^: altri ancora alla invidiata ubertà dei
nostri campi, alla splendida bellezza del nostro cielo ^; e
più moderni scrittori all' urto irresistibile di grandi stuoli,
di sciami d'uomini venuti all'intime sedi dei Celti e dei
Germani, i quali cacciati anch' essi dai Gimmerj e dagli Sciti
che lor venivano a tergo quali ondate di vasta marea, s' era-
no spinti al Reno ^.
Noi staremo contenti alle cose narrate dagli antichi, e più
da Livio, da Trogo e da Polibio, escludendo il pensiero del
siculo Diodoro, pel quale i Celti sarebbero stati Pelasgi deu-
calianei venuti fino da quel tempo appiè dell' Alpi.
Narrasi adunque da Tito Livio (ed è questo il po' che
dice aver potuto raccogliere ^) che a' tempi di Tarquinio re di
1. Gailis eausa in Italia vetùendi, 4. Trova, Storia d'Italia. — Napoli
iedesque nowu qwtrendi, int&- 1839, voi. I, par. I, pag. 249, e
stkui diicardia et aaidute domi par. IV (1843), p. 86. — Buat, Hv-
diutnsionet fuere; quartm Uzdio stoire, 1. I , p. 36, 38 tt passim,
eie. — JuSTiNi, Hist lìb. XX. il quale, perchè nessuna ipotesi
i. Liv. Hist. Ub. V, e. 34. mancasse ad intralciare la storia,
3. MiCAU, op. fit parte U, e. IV, ia uscire Belloveso non dalle Gai-
p. 49. — E Polibio: eupiditatis He, ma dal Volga.
oemlis tu pukhemmam planiiiem 5. Hist. Rom. 1. V, e. XXXIV. — De
adiecU^ arrepta oeeasione levi ete, ^ transitu in Italiam Gallorum hme
lib. II, pag. 147; — ed. Amstel. aeeepimus. Prisco Tarquinio Ao-
trad. CasanbonL mm regnante eie.
86 1 QALU GENOMANI
Roma, e come troverebbe un grande istorìco ^ nella seconda
metà del VI secolo ay. Cristo, Àmbigato, che i Biturgi domina-
tori della Celtica (l'una delle tre parti di tutta la Gallia ')
aveano fatto re, sentendosi già vecchio, nò reggendo al go-
verno di una terra esuberante di popolo e di vita^, avea com-
messo a Belloveso e a Sigoveso, giovani gagliardi ed animosi,
nipoti suoi, d'andarsene con qual numero di gente piacesse
loro ad altre sedi; a quelle che gli Dei consultati avrebbero
loro concedute. Tratte le sorti , a Sigoveso toccò la selva
che poi fu detta Ercinia: più lieti destini accennarono a Bel-
loveso Italia, il quale trasse con sé quanto di Biturgi, di Ar-
vemi, di Senoni, di Edui, di Ambarri, di Carnuti, di Àulerci
sovrabbondava ^. Popolo immenso, che Giustino fa risalire a
trecentomila uomini ^, i quali si avanzavano cogli armenti e
le famiglie ( ^ipoftuf^r ttyikuìof xm T^f^rpeerm ^ ) come uno
sciame di selvaggi.
Partitosi Belloveso con lunghe schiere di fanti e di ca-
valli, venne di fronte all'Alpi nel paese dei Tricastini, ed en-
trò nelle valli del Rodano: e mentre cosi racchiuso fra quelle
inospite e paventose giogaje non mai tentate per anima
vivente, guardava pure come aprirsi un varco (dirò con Tito
Livio) tra quegli alti culmini congiunti al cielo, e che di un
i. Balbo, Storia d'Italia, Età L— 1 Po- bai, BUurges, Arvernoi, Senonet,
poli primitivi. Muoi, Ambarros, CamuÉu, Avk-
2. Gallia est omnis divisa in partes lereos txeivU, — Liv. I. e. ecc.
ires» quarum unam incolunt Bel" Si 8a che Aulerci erano ancora i
ga, aliam AquUani, tertiam, qui Cenomani.
ipsorwnlingwtCelt(B,nostraGalli 5. Treeentamillia homnum ad sedes
appellantur — CìBSar, de Bello novas qwtrendas, velui ver sa^
Gallico ; lib. I, e. I. erum^ miserunt, — Justini, HisL
3. Abundans multitudo vix regi videri iib. 1(.XIV, e. IV. — Numeroso cum
possit. — Lnrius, Hist lib. V. exereitu. Polyr HisL lib. IL
e. XXXI V. 6. STRAB0,£ri#tIÌb.IV.-PLnTARCU8.
4. Fs, quod eJHs ex populis oòttfkfo- in Vita CamillL
I GALLI CENOMAM
87
altro mondo gli contendevano la via S sapato che'i Lignri-
Salj 0 Salluvj, abitatori dell'Alpi marittime, erano in guerra
con una colonia di Focosi venuti per mare a stabilirsi tra i
Galli Segobrigi, soccorse quegli stranieri che poi fondaro-
no Marsiglia^. Indi ritentato il passo dell'Alpi Taurine, vinti
i Liguri, che dai nuovo Tauro si domandavano ^ valicavanle
alfine; e sbaragliati gli Etruschi, avendo i Galli inteso
nomarsi quella terra degli Insubri, nome pur esso d'una
borgata degli Edui, colto Y augurio del luogo, fabbricato un
loro vico, lo chiamarono Mediolano. — Cosi le Alpi si vali-
cavano, e forse non era la prima volta ^, dagli stranieri. Ma
quella colonia all' Adda, per quanto sembra, sostò.
Altro sciame di Galli chiamati Cenomani, condotti da Eli-
tovio, seguendo poco appresso Y orme dei primi, e secondati
da Belloveso all'ardue gole dell'Alpi, superavano que' di-
rupi, tra i quali era forse ancora recente la traccia dei con-
fratelli che li aveano preceduti; e attraversata l'Insubria,
passato l'Adda, si posero * dove ora sono, aggiunge Tito
« Livio, le città di Brescia e di Verona, stanza un tempo dei
> Liboi ' ^.
t. AlpeM inde opposiia crani; quas
inexsuperabiles visas haud equi-
dem mirar, nulla dum via... tupe-
rafas. Ibi quwn velut septo$ mon-
timm altUudo teneret Gaìlas, eir-
cumspeciarentque , quanam per
juncta rjrio juga ]in alium orbem
terrarum traMirent. — Liv. Hi4tt.
fiL lib- V, e 34.
1 SoLiMus, Poi e. II. — Scmxus,
nw. 200, «10.
3. DuRANDi, Sagfrio della Storia degli
antichi popoli dMulia — p. 125.
4. .\]cuiii moderili per un passo di Pc-
libio, dal quale parrebbe essersi i
Celli prima di Belloveso stanziati al
di qua dell'Alpi; dal nome d*Insu-
bria (antico pago degli Edui), che i
sorvenuli ritrovavano appo il Tici<-
no, rome Livio racconta (1. V, e. 3i, -
agrum Insubrium adpellari audi9-
tenl cognomine Insultribus pago
jEduorum e/c.j, e per altre testimo-
nianze, sosterrebbero altre celtiche
remotissime invasioni.
5. Alia subinde manus Cenomano-
88
I GÀLU QENOMÀNI
Che i Galli di Bello? eso inTitassero 0i altri a scendere,
e che a meglio adescarli, quasi a testimonianza di mi < pae-
» se abbondante di fratta e di vini generosi aUettantimmo, »
avviassero a quelli t canestri e boUeglie S » sono fantasie delle
quali, citando V Ariosto ', suole il Bravo ingemmare la storia
bresciana. Anche il Micali parlandoci di quella, com' ei la no-
ma, deliziosa sorgenU d'tMriachezza ^, quale soUevatrice della
gallica invasione, francamente aggiunge di non so che racconti
seducenti fatti dai Galli primi a' confratelli d' oltr" alpe. Po-
trebbe anche essere; e Y ubertà del suolo italiano fu sempre
stimolo ai barbari per farlo suo. Ma chi m' assicura dei rac-
conti seducenti e delle bottiglie di vino? Fortuna che la
storia è avvezza a indovinare.
In un tempo che non è ancora definito, ai Galli Cenomani
tennero dietro i Salluvj (razza di Liguri'e di Galli), e si lo-
carono tra i Levi-Liguri lungo il Ticino. Indi seguirono i
Lingoni ed i Boi, che trovata già ingombra dai Galli prede-
cessori la superiore Italia da l'Alpi al Po, valicato quel fiu-
me, cacciarono Etruschi ed Umbri dall' invasa terra. Pur si
tennero di qua dell' Appennino. Una quinta invasione di
Galli Senoni, passati gli Appennini, si diffuse tra gli Umbri
dell' Adriatico, e nel grembo della stessa Etruria fondarono
ftMi (Germanontm legge il Bra-
To!) Elitovio duce vestigia prU^
rum itcuta, eodem ioltu, faveti
te Btl/oveso, quum tratueendiuei
Alpet, ubi fittile Brixia oc Verona
wbes iunt (locoi tenuere Libui)
eoniidwU. — HisL 1. V. e. 35. —
E quei Libui, giudica V Oderigo
fossero Liguri Transpadani sparsi
da tempo immemorabile dall*Alpi
Retiche alle Taurine (Lettere Li-
gustiche; pagina 15, 18 et pat-
sim).
1. Storie Bresciane — LI, cap. VII,
pag. 31.
2. Orlando Furioso— canto XLI,ott. 8.
3. L'Italia avanti il dom. dei Romani,
part II, e. IV — troppo valutando
per avventura quel passo di Mar-
cellino, in cui le razse galliche sono
dette vtftt avidissima genms. Rer.
Gesi. Ub. Y.
I GALLI GENOMANI
89
Siena. — Tanto avveniva dal 587 al 521, secondo Badbo,
avanti V era nostra.
Cento e trent'anni dopo, ultimi venuti accenna Livio altri
Senoni, e furono questi che spinsero le loro genti infino a
Clusio, e da Glusio a Roma, « ed è poco avverato » così
Livio ^ f se da sé soli si accostassero, od ingrossati da tutti i
» popoli » il che per altro sembra più verosimile per un passo
di Polibio * e della Gallia Cisalpina » .
Che opponessero gli Etruschi alla invasione gallica le loro
armi è indubitato e per le parole di Livio fusisque ade Tu-
scis\ e pel soccorso prestato da Belloveso (favente) ai Ceno-
mani sorvenuti, e per la resistenza dei Toschi contro i Boj
rovesciatisi dall'Appennino a dispetto delle antecedenti scon-
fitte, e da queir inter Apermnium tamen sese tenuere (Senones)
dello storico Patavino S quasi costrettivi dalla etnisca perdu-
rante virtù.
Questo fatto è gravissimo, e si oppone alle facili e trop-
po vaghe sentenze del Micali sulla fiaccata gagliardia dei
Toschi, e sulla mollezza di quel popolo eh' egli chiama senza
più degenerato^. Né osservò lo storico illustre, che la durata
stessa e la moltiplicità di quelle invasioni venute dall'Alpi e
dal mare ^ suppongono contrasti e resistenze, convaUdate
da un passo importantissimo di Tito Livio ^: e tanto più,
i. Timi Senanet^ reeentiuimi odve-
narum, — Hane gerUem Clusium,
RomauH[ue inde, veniut campe-'
rio: id parum eertum est, so^
lamne, an ab omnibus CistUpmo-
rum Galiorum popìdis adjutam.
Liv. HisL l V, e. XXXV.
1 POLYB. Bist Ub. II, e. 18.
a T. Uvn Hi$i. lib. V, e. 35.
i.HisLl\, e. U.
5. L* Italia avanti il dominio dei Ro-
mani — par. Il, e. IV.
6. InvisUato atque inaudito hoste ab
Oceano (errarumque ultimis oris
beUum dente, Liv. HisL 1. V, e. 37.
7. Nie cum his primum Etruscorum,
sed multo ante eum iis, qui inter
Apenninum Alpesque ineolebant^
swpe exorcUus Gallici pugnavere,
Hist. lib. V, e. 33.
90
I GALLI CENOMAM
che quantunque ributtali dalle loro sedi antiche, durarono
gli Etruschi (dai primi agli ultimi Senoni) quasi un secolo e
mezzo. Né pare che alle galliche scorrerìe, le quali si dila-
tavano lungo le spiagge dell'Adriatico, fosse dato rimuoverli
per tutto quel tempo dalla rimasta e difesa loro terra: il cui
dominio, combattuto dalle moltitudini di quegli uomini feroci,
inusitati per armi e per aspetto S i quali con truci canti e
con sonito orrendo gii sfidavano alle battaglie ^, fu soltanto
per r assedio di Chiusi in bilico di suo totale disfacimen-
to. — E se valorosi erano i Galli e violenti all'urto primo,
quel profetico nata in vanos tumuUus gens di Tito Livio ^, che
sembra preconizzare ad alcuni fatti recenti della Francia in-
tera, spiega forse il motivo della mal vinta Etruria.
Epperò gli Etruschi si rivolsero per soccorsi ad una città,
che surta presso di loro da umili principii, levatasi in fortuna
colla via degli ardimenti e della prepotenza, era già fatta
conquistatrice di Faleria e di Yeja; e quella città si chiama-
va Roma. Secondo che narrano sue traduzioni incerte ^^
ebbe da prima i re (an. 754 * 509 av. G. C.)- Cacciato
r ultimo, si governò a repubblica quasi ad un tempo colle
comunità della Grecia: contemporaneità singolare, che ap-
i. Clusini, novo hello exierritif quum
muUitudimmj quum fornias homi-
num invisUalas cemereni et genus
armorum etc. — Liv. H si. 1. V,
e. XXXV.
2. Trv^i canili» clamoribusque variis
horrendo cuncta compleverant so-
no. — Liv. i. V, e. XXXVU.
3. Liv. — l V, e. XXXVIL
4. Levesque, Doutes tur différents
poinU de VHist$ire Romaine. —
Mém. de Vlnst i. II» Paris 1815. —
E questi dubbi abbracciano i prioii
quaUro secoli della storia di Ro-
ma. — Beaufort , Dissert. sur
Vincerlitude de VHisloire Romai-
ne. — Per le quali opere si è m^
nato nella boriosa Francia tanto
rumore, mentre un povero italiano,
l'obbliato Secondo Lancellotti,
co'suoi Farfalloni degli antichi
storici, Tavea da un secolo pre-
ceduta (Vcn. 1677). — Questa fin»
sogliono avere le scoperte italiane.
I GALLI CF.N0MAN1 9i
prende come questi commovimenti civili non si trovano quasi
mai solitari, nemmen tra gli antichi.
Ma i Galli già occupavano Roma, e circondavano dell'armi
loro il Campidoglio. Se nonché M. Furio Camillo, il più
grande forse tra le miglia] a di esuli Italiani, ritolta loro di
mano con un fatto clamorosissimo la stessa vittoria, ai con-
fini di quella che allora si chiamava Italia li rintanò ^ Che
in quell' aspra guerra anche i Cenomani si mescolassero,
non saprei decidere; probabilissimo è per altro, e con essi
r accorrere dei confratelli vicini: tanto parrebbe da un passo
di Floro, nel quale accomuna sotto il nome di Senoni quasi
tutte le galliche schiatte a noi venute ^.
Eccoli adunque ritornati alla Gallia Cisalpina, poiché tale
d'ora in avanti chiameremo quel tratto amplissimo dell'Italia
settentrionale, che le orde iterate dei Galli avean tolto agli
Etruschi.
Passati alcuni lustri, riprese V armi, combattevano i Galli
ad Albano, ma ne venivano sconfitti ^.
Pochi anni appresso ardivano per la via Salaria cac-
ciarsi fino a Roma^, e ne seguivano assai grosse fazioni; era
un continuo ripullulare di Galli, un ritornare a' luoghi per-
duti, sino a che battuti ferocemente da Cajo Sulpizio ', da
L. Furio Camillo e per altri, finalmente quotarono.
Non cercherò ora quali fossero questi ultimi Galli sem-
pre sbaragliati e sempre in campo. Fatto sta che dalle
1. T. Liv. HisL 1. V, e. XLIX. quidem eontentis, per ìtaìiamva^
1 Galli SenoMs ab uUimis terrarum gabantur. — Flor. De Gest. Rom.
crii eum cingeretur omnia Oceano, ' lìb. 1. e. XIII.
ingenti agmine profecti, eum jam 3. Liv. Hist l. VI, e. XLI.
media vasiatseni, poiitit inter i. Liv. lib. VII, e. IX.
Aìpet et Padum iedibui ne his 5. Liv. lib. VII, e. XV.
93 I GAtXI CENOMANI
prime alle ultime loro sconfitte (an. 391 - 346? av. G. C.)
continuarono intanto! Quiriti lor vicine conquiste; le segui-
tarono per altro mezzo secolo, e furono cent' anni di allar-
gamento mirabile di signoria; sicché nel 290 avanti l'era
nostra Cimbri , Campani, Lucani, Apulj ed i terribili Sanniti
eran già domi dalla romana insistente virtù. Rimaneano intatti
gì' Italo-Greci. Ma colla caduta di Taranto (a. 272) la potenza
s' allattò fino aiy ultima penisola. Poi vennero i conquisti di
Sicilia (264 - 241), poi della Corsica, poi della Sardegna;
e il già si lato e vario imperio s'accostava per l'aggiunto lUi-
rio alla Grecia. Poi vennero le guerre stabili contro i Galli
Cisalpini, sulle quali di proposito ci arresteremo.
Io scieguo le romane sorti, perchè ben presto le vedremo
congiungersi alle nostre, e perchè si conoscano le origini
di uno stato cui fummo aggiunti, dal quale ebbimo arti,
leggi, sacerdozi, governo, civiltà, e pel quale noi vedremo la
Colonia Civica Àtigusta di Brescia circondarsi di quelle glorie
municipali, che spente fra le rovine del romano impero, per
volgere di secoli non torneranno mai più.
Dalla cenomana invasione (an. 550?) alle estreme batta-
glie dei Galli assalitori dell' agro romano (an. 346?), da poi
per qualche tempo rispettati, corrono due secoli: un altro
mezzo secolo da quelle battaglie alle grandi riscosse tentate
dai popoli d'Etruria contro la prepotente fortuna di Roma,
nelle quali anche i Galli solleticati, e nuUa più, dalla merce-
de ^ si mescolarono alcuna volta, per cui si acerba trovarono i
1. Pecunia deinéU, qtta multum pò- bellum, (\, X, e. XHI); e più in-
terant, freti, socioi ex hosiibus nanzi al e. XVUI, et gallica atixi-
facere Gallos conatUur, Liv. 1. X, Ita mercede sollicitabantur; e al
e. X. E altrove i capi delle Tosche e. XX, Gallos praiio ingenti sol-
Diete (principes Etmscorum) si licitari eie — Dal che risulta evi-
lamentano, qnod non Gallos qua- dente il fatto di un accordo, di un
cumque eondictione tranxerint ad patto, di un* alleanza qualsiasi già
: I GALLI CCNOMAM Sj3
Romani a Clusio e a Sentinate la resistenza. Ma in questi
due secoli e mezzo di gallici conflitti quali furono i limiti^
le condizioni dell'agro cenomano, quali le origini della
cenomana Brescia, che i Galli, per quanto sembra, ac-
canto al colle, alla specula Cidnea s'avevano fondata? Quali
contendimenti coi Veneti, coi Reti, cogli indigeni che li
accerchiavano costò ai sorvenuti Y assodamento e il di-
latarsi della nuova conquista? Quali leggi, quali consue-
tudini, qual religione, quali arti portaron essi fra noi;
quale influenza sull'arti, sui riti, sulle abitudini dei vinti
esercitarono? Quali monumenti a noi restano della gallica
dominazione?
Ecco altrettante inchieste, ad alcuna delle quali rispon-
deremo.
ila innanzi che per me si progredisca nell' ampio lavoro
d'una stona bresciana, m'è duopo, lettori miei, far prece-
dere intomo a'patrii marmi, dei quali verrò convalidando
presso che tutto il primo volume, una mia dichiarazione.
Appena fu sparsa la voce che il cav. Giovanni Labus avea ^
già cominciala l' edizione delle nostre lapidi, fii nei dotti il
contento di chi vede presso a compiersi un desiderio antico.
Ed era anch' esso testimonianza della persuasione che i mar-
mi del museo bresciano, il più ricco degli italici dopo Ro-
ma, non potean essere tra noi più degnamente illustrati che
dal chiarissimo nostro concittadino, il quale fattone argo-
mento d' indagini e di meditazione per forse dieci lustri, e
circondatosi di quelle sacre memorie» acutamente le investi-
fioo d* allora fra Galli e Romani, eh* io tengo ancora per un accordo
0 iTtiiio spontineo proponimenlo già fino da quei tempi seguito;
ddi primi di non più farsi agli ul- tanto più, che nelle prime corru-
timi nemici: il che per altro si male zioni toscane, i Galli, come narra
risponderebbe al carattere d^ una Livio,8Ì rubarono il prezzo, e nega-
gente avida, . barbara, irrequieta, reno combattere contro i Romani.
0»o«lcl, Storit BrU€» VpL I. I ^
94 I GALLI CENOMANI
gò, e ne trasse quel coacetto nuovo, storico, ragionato, che
60I0 risulta dalle contemplazioni di un intelletto profondo.
Sperare in altri cosi eletta dottrina, e tatto egualmente
squisito nel cogliere il senso, V età, la destinazione di un
monumento, ed egual sicurezza nel sopperire alle corrusioni,
agli squarci cui forse più dobbiamo agli uomini che al tem-
po, sarebbe stato per avventura indarno. L'Ateneo bre-
sciano, sostenuto dal Municipio, allogala l'opera all' archeo-
logo illustre, pensò di riparare alla eventualità medesima
della sua morte, col pubblicarne, come in serbo per l'e-
dizione del II volume del Museo Patrio illustrato, il mano-
scrìtto, memore di quelle meste parole dell'autor suo.
» Nel venturo aprile ( 1851 ) conterò settantasei anni.
> Posso impegnare con devota obbedienza il mio povero in-
» gegno e le indebolite mie forze ai desiderìi della mia pa-
» tria e dell' inclita magistratura che la presiede: farò con
• zelo e fervore quel meglio che potrò e saprò; ma non
> posso aver fiducia che Dio mi conceda tanto di vita, per-
> che il lavoro non rimanga imperfetto » ^ — e È il te-
• stamento letterario di un povero vecchio • scrivevami da
poi , i e mi è duopo sollecitarmi il meglio «che possa, per-
• che la morte non m' incontri per via » .
Sperda il cielo cosi triste augurio: e siccome le sacre la-
pidi ebbero testé compimento felice, cosi le storiche, le ono-
rarie, tutto insomma il prezioso deposito dei patrj marmi si
vesta di quella luce che gli fu per tanti secoli desiderata. E
noi, cui lega al Nestore degli antiquari un affetto che sta nel-
l'intimo cuore fino dai lieti giorni della nostra gioventù, di
quella cara età il cui ricordo è indivisibile dai sentimenti
che ne allegravano la vita, affrettiamo coi voti nostri la
illustrazione dei marmi antichi bresciani, sui quali per molta
ì. Lettera SI marza 1851 indirizzata al Municipio CrcscìaoD.
1 GALU CENOMAm 05
pMle debbe erigersi, come so base indeclinabile, la storia
nostra. E ci congratnliamo già da quest' ora con esso lui per
le sacre lapidi ormai compiute, e per alcune delle storiche
delle quali aspettiamo il compimento.
La vigorosa e nitida sua mente, che sembra sfidare il peso
degli anni suoi ; la chiara e castigata spontaneità del suo det-
tato ; quel non so che di rapido e di conciso con cui non
pochi e rispettati errori vengono tolti con un tratto di penna,
per sostituirvi con un altro verità splendide, sicure, inaspe t<
tate ; la precisione austera dei monumenti e delle allegazioni,
la sottigliezza e l'acume dei supplementi e delle interpreta*
zioni ardue, moltiplici, e più d'una già messa in non cale per
disperata; la peregrina e svariata erudizione cui vengono
sostenute, formano di queste pagine un complesso del quale
può certo la patria nostra tenersi lieta e superba. E benché
ad altri sembrasse che le tavole dell' Arragonese e un pò* di
grammatica avrdbe bastato al lavoro, ben si pare alle diffi-
colta superate in questa parte soltanto qual potenza di studi
e di dottrina fosse d'uopo ad uscirne con laude.
Ora, poteva io metter mano senza colpa di ardito in quella
patria messe che il pubblico voto gli ha come a dire affi-
data? E d' altra parte, come progredire nella storia bresciana
senza recarne secondo loro età i monumenti più antichi e
più gloriosi? Altro non mi restava che di attendere il compi*
mento delle si vaste labusiane ricerche (ed era cosa incom*
patibile cogli obblighi assunti verso il numero insperato e
losinghiero de' miei soscrittori) od innalzare un edificio senza
base, dismettere ogni storica testimonianza, prendere il siste-
ma affermativo per la più breve, narrare senza provarvi la
realtà dei fatti , seguire in somma la via del Capriolo , del
Rossi, del Bravo, del Gambara, del Biemmi e d'altri più assai
che mi han preceduto.
96 I GALLI CENOMAM
Che fare adunque? — Rivolgermi al nostro Labus (e si
lo feci) perchè sapesse almeno che se nelle stòrie pre-
senti mi verrò pubblicando tutte le lapidi bresciane della
serie storica, le più importanti dèlie onorsóìe , e quelle an-
cora d'ogni classe che potessero venirmi (come vennermi sin
qui) soccorritrici nel dubbio e nella analisi, disvelatrici di
storia bresciana sia ne' fatti reali che nel carattere dei tempi,
non è già che voglia pormegli accanto , meno poi credermi
da tanto che per me possano dirsi intomo a que' marmi gra-
vissime cose; ma perchè anzi la loro pubblicazione sparga
quella luce sulle mie pagine che per sé avere non ponno, e
perchè dal cenno che peritando io ne farò , surga più splen-
dida ed evidente la loro importanza, e per ciò stesso più vivo
il desiderio di vederle illustrate dall' insigne antiquario, la
cui dottrina, ben più che la mia, risponde all'importanza del
nobilissimo assunto.
Questo adunque solennemente dichiaro a togliere il sospetto
di presunzione, la quale, se in nessuno è bella, lo è meno in
chi meglio di nessuno è compreso della tenuità del proprio
ingegno*
Ora veniamo a noi. E a raccontarvi dei Cenomani nostri,
ne cercheremo succintamente le orìgini prìmitive, il carattere^
il governo, la religione, i loro limiti nella Italia subalpina,
da ultimo lor domestiche avventure. — Nò crediate eh' io
v(^ia regalarvi quel tomo in foglio del Sambuca, nel quale
cotanto dei Cenomani si è cerco , si poco s' è conchiuso:
quella era lite letteraria, e questa è storia... o ha l'inten-
zione di esserto.
Obigini. — In qual parte delle Gallio stanziassero i Ceno-
mani non è bene ancora determinato. Tra i molti che ne par-
larono è però un uomo, che or fanno diciannove secoli lun-
I GALLI CENOIIANI
97
gamente li battagliò, si rettamente db scrisse, da lasciar die-
tro sé quanti lo seguitarono; e questi è Giulio Cesare ^.
Ne fa sapere egli dunque , aver trovati i Cenomani , gli
Eburoni, i Brannovici consorti degli Àulerci ', che è quanto
dire ove adesso è la moderna provincia del Maine, il diparti-
mento della Sarthe. Assicuraci altrove di Cenimane tribù da
lui rinvenute sulle rive del Tamigi; ma sono tutt' altra cosa.
Delle tre grandi famiglie galliche spettano quindi i Ce-
nomani alla centrale dei Celti , o Galli propriamente detti ,
separati dagli Àquitani per la Garonna, dai Belgi per la
Senna e per la Matrona ; e Cesare avverte i Galli di carat-
tere meno guerresco dei Belgi e degli Elvezi ^.
Amadeo Thierry trovava il nome Cenomano provenire da
Cenn radice gallica, e varrebbe sommità, e dal germanico
mann uomo : opperò, aggiunge il Rosa, l' origine dei nomi
Marcomano, Germano, Bramano e cosi vi^.
Che i Cenomani poi Dell'avvicinarsi all'Alpi s'arrestassero
presso Massilia sul tenere dei Volci, Plinio lo accerta ^ che
i Volci fossero di belgica schiatta lo sosterrebbe Thierry ^;
ed i Celti alla perfine non erano che Germani ^.
Vha chi suppone i Cenomani venuti anch'essi nelle Gallio
ventotto secoli prima di noi ^: ma noi che di quel tempo non
conosciamo le cose nostre, 6ome poi metterci nelle altnii ?
1. De Bello Gallico. Lejrden 1773
i. AuUreii Brannovieib. AulercU Ce^
nomojiff. Aulercii Eburonib. lib.
VII, e 75.
3. HùTum omnium fortUsimi sutU
Belga, 1. 1, e. 1. — E al e. IL Cum
virtuie (Helvetii) omnibus prcRita-'
ftni,
i. Cenomanos juxta Matsiliam Ao-
bitare in Volcis,auctor est Caio, —
Plinius, HisL Nat 1. Ili, e. XVIII.
5. Histoire des Gaulois, t I.
6. Plerosque Belgas use ortos a Ger"
manis , Rhenumque antiquitus
iransductos , eie. — C.€Sar, De
Bello Gali 1. II, e. IV.
7. Renouard, Essais historiques eie.
sur la Maine,
98
1 GALU CENOaCANf
Civiltà. — Se non il più severo, è fra gli storici di queHa
schiatta recentissimo il p. Yoisin S il quale innamorato delle
cenomane colture di quasi trenta secoli fa, cercate le Massi-
liesi letterarie influenze sulle genti Aulerk-Genomane più
di un secolo prima che Roma sonnecchiando bamboleggiasse
coi rudimenti primi dell' abicl ^, noverò colà des savans de
premier ordre, e scuole pubbliche in tutta la Gallia, e convegni
scientifici e letterari ; ond' è peccato che gli atti di quelle
accademie non ci sieno pervenuti. E però città splendide ,
maravigliose , grandi vie ed estese province coperte di skdn-^
Imenti per T agricoltura e pel commercio, Toro profuso
nelle opere d'arte, inventala la mitologia^, portataci forse
da loro quando i Genomani venivano cosi bel bello a colo*
nizzarci nel tempo della guerra di Troja ^. — Tanto dal
sig. Yoisin.
Ma noi rintracciando più sincere fonti, risaliremo a Cesare,
a Polibio, a Strabene, a Floro, a Marcellino, alle più antiche
in somma e più sincere testimonianze.
Il detto reciso ed assoluto di Giulio Cesare, che nota i
Galli, i Belgi e gli Aquitani diversi al tutto per lingua, per
leggi» per istituzioni ^, non ò compatibile a primo tratto con
quelle pagine splendidissime, in cui toccando del costume dei
i. Lei Cénomant aneient et modera
M$, Hiitoire du Département de
la Sarthe, Par V ahbé Aug. Voi-
SIN, memore du plusieurs Aeadé^
mies Ècientifiquts, 1. 1, Paris 1853.
S. Plui de cent an» avani que Rome
eùt un Seul écrivain, p. 10.
3. Op. cit. — Instllulions des Gaulois,
pag. 24.
i. Il primo fatto, secondo lui, che possa
A coloro che dando assai pe-
so ad un passo di Polibio, tro-
Terebbero gallici stanxiamenli di
qua deir Alpi assai prima de*tempi
di Belloveso, farò osservare che
parla bensì quel grande sierico di
commistione fra Tirreni e Celti, ma
non più che lungo il con/ine del-
le duo schiatte. — Polyb. lib. IL
e. i6. Ed è un* altra questione.
congiungersi alla storia dei Cenom. 5. De Beli Gali cit. I. I, e. I.
t CALLI CEN0MAN1 .99
Galli come UDiforml» a larghi tratti ce li descrive, quasi im*
memore dell'avvertita e positiva diversità^; e ci muove a chie*
dere di quali Galli, delle tre famiglie, intenda recarci le con-
suetudini» perchè la contradizione frequentissima in qualche
antico non è compatibile col criterio storico de' suoi Com-
mentarj.
Ma da un passo che a molti è sfuggito , risulta quasi evi-
dente, che pariandoci dei Celto- Galli propriamente detti, del
ceppo da cui la nazione intera ebbe nome, e che gli altri due
per frequenza di popolo ed ampiezza di limiti vantaggiava,
era sua mente che da quella si pigliasse imagine dei Galli
in generale. Il passo è là, dove narrandoci delle galliche fa-
zioni, artatamente aggiugne che la Gallia tuttaquanta s' ac-
comunava in ciò ^ ; quasi a distinguere un costume che fuor
dell'usato era proprio alle tre stirpi fra so diverse.
Ora sondo già noto come i Cenomani fossero fra i Gallo-
Celti in comunione cogli Aulerci^, è indubitato che le costu-
manze da Cesare descritte, più che ad ogni qual vogliasi
delle grandi famiglie dei Belgi e degli Aquitani , si debbano
senz'altro a quelle dei Gallo-CeUi, e per ciò stesso alla co-
nomana inferire.
Narra Cesare adunque , come non solo fra le Galliche co-
munità , ma SI Ira i loro pagi , nei medesimi loro vici , nel
seno stesso dei domestici focolari erano fazioni primeggiate
dai sommi del popolo , e che nelle costoro mani era posta la
cosa pubblica; opperò, gelosi del loro potere , delle loro in-
fluenze, sostenevano a spada tratta i clienti loro ^.
1. Di Edi Gali \. VI, e. XT, e/e. Gallia — fratto est omnis GaU
2. H(U eadem ratio est in summa lorum dedita eie.
totius Gallim, 1. cit. — E altrove 3. L. VII, e. 75. Aulercis Cenomanis
quando ùilendo dir sentire la co- totidem,
Bonanzi del eostnmc : In omms 4. L. VI, e. XL Son solum in omnibuà
fOO
I GALLI GENOBIAM
Due soli ordini di persone erano in credito appo i Galli ;
quasiché serva la plebe , nulla osava da sé , nò aperto erale
mai verun consiglio degli Ottimati ^ Il perchè lorquando per
debiti 0 tributi o prepotenza soperchiatrice veniva meno il
pane, que' poveri succhiellati si davano quali servi, anima e
corpo, ai nobili che li padroneggiavano come schiavi '.
Druidi e Cavalieri , ecco gli ordini , le caste privilegiate,
che è quanto dire sacerdozio e nobiltà preminenti più o
meno in tutti i corpi sociali ; ma il primo era più arcano e
più temuto impero. Alla religione, ai riti, alle preghiere, ai sa-
crifici presiedevano i Druidi , ed avean forse collegi e soda-
civiUUibui atque pagii partibus-
que, $ed pane etiam in singulù
domibui. Qui ed altrove Camillo
Ugóni tiaduccva città, e traduce-
va male. La civiias di Cesare
non aveva allora, e più pei po-
poli della Gallia e della Germa-
nia, quel senso che nel più comu-
ne, più ovvio signiOcato mantiene
a* nostri di. Se cosi non fesserie
Galliorum civiiates che si radu-
nano appo i Remi, come abbia-
mo da Tacito (Hist.l I, e. IV),
r oppidum Vedianiiorum Civita-
tis Cemelion di Plinio [Hist. Nat.
l. Ili, e. V) sarebbero inesplica-
bili. La città di Cesare non ò al-
trimenti che comunanza, raduna-
mento civile ; e di tante città fab-
bricate dal traduttore è ancora in-
certo se una sola di que* tempi
veramente esistesse (Polyb. 1. II,
!7. Galli habitant per vicos, sine
muris). Quand'anche a proposilo de'
Galli non potessi valermi di un
passo di Tacito che riguarda gli
affini Germani (Nullas Germano-
rum populii urbes habitari iotis
notum eit), e di quello in coi Ce»
sare narra dei Germani e degli
Svevi che amavano circondate di
solitudini le loro civitates (comu-
nità ) perché non osassero i ne-
mici avvicinarsi ai limili delle Pro-
vincie loro, avvertirò che da Ce-
sare stesso, dove si parli di mura,
di porte, di torri, di edifici in-
somma pe' quali sarebbe stato più
esclusivo il nome di città, ven-
gono sempre usate le voci oppidus,
urbs, non Taltra civiias, che il tra-
duttore accomuna come sinonimo,
senza distinguere la grave diversità.
1. Plebs pmne servorum habelur loco^
qum per se nihil audet, et nullo
adkibetur Consilio. — C.€S. Com,
de Bello Gallico, lib. VI, e. XIII.
2. PleriqUe, cum aut mre alieno eie*
preniuntur, sese in servilutetn di^
cani nobilibus. L. citv
I GALLI CENOMAM 101
lizi pe' quali s' iniziasse la gioventù nei misteri delle loro teo-
gonie, dei culli loro ^ Né sacerdoti soltanto erano i Druidi,
ma si, giudici ed arbitri d' ogni pubblico e privato contendi-
mento, premii e pene assegnavano; e per chi non curvasse la
fronte ai costoro decreti — anatema, esclusione dai sacrifici,
cosa appo i Galli non compatibile ; perchè lo sciagurato, cui
fosse tocco il fatale interdetto, era in orrore al popolo, che
lo fuggiva come cosa vieta ^. Avevano i Druidi un loro capo,
cui sempre succedeva il maggiore in dignità '.
Quanta analogia colle discipline degli Egizi, degli Indi, de-
gli Ebrei, di tutto l'antico oriente !
Il bosco sacro su quel dei Carnuti ritenuto centro delle
Gallie, era come il convegno di quella casta sacerdotale, che
fra quell'ombre si ragunava da tutta la Gallia per pronunciare
suoi temuti decreti ^.
I Druidi erano assolti dai tributi e dalla guerra; e vuoisi
che lor dottrine apprendessero altrui vestite di versi ritmici,
che gli adepti studiavano in que' collegi , ne' quali però non
si tramandavano per iscritto, benché nelle cose pubbliche e
private si preferissero i caratteri greci ^.
La trasmigrazione delle anime, la loro immortalità era in-
segnamento dei Druidi, perché il disprezzo della morte ripu-*
tavano come uno stimolo ad avventarsi spensieratamente
1. Adkotmagntu adolucentium nik" numero impiorum..,kabentur; ah
menu diseipUwB causa coneur- iis omnes decedunt,6tcAA,c.W\ì.
rU;\.\i,c,WLIndUeiplinamcon- 3. Druidibus prctsi «ntu, e. Xlll.
veniunt — Annoi vkenos in discp- i. Eorumque judiciis decreiisque pa^
plina permanent eie, e. XIV. Tanto reni. Capo citato,
a dociimentare i dniidici collegi. 5. Magnum ibi numerum versuum e-
% Fere de omnibus controversiis pu- discere dicunturetc, Neque fas esse
blieis privatisque conslituunt — exisiimant ea literis mandare, cum
Si qui ... . eorum decreto non in reliquie fere rebus. . . grxcis li-
sMit, sacrifieiii interdieunt — li kris utantur, e. XIV.
103 I GALU CENOMÀNt
nelle battaglie ^ E se a Cesare si presti fede, ragionavano
fra loro del corso degli astri , della vastità del creato , della
natura degli esseri e degli attributi della divinità: cose tutte
nelle quali erudivano la gioventù '.
Come tutti i popoli settentrionali , erano i Galli supersti-
ziosi. Nelle pubbliche e private calamità od immolavano l'al-
trui sangue, o votavano il proprio ; e coi ministeri e le disci-
pline dei loro Druidi questi riti tremendi si consumavano '.
Simulacri di smisurata grandezza contesti di vinchi si
riempivano spesso di vivi uomini; i delinquenti si preferivano;
ma lor numero si completava talvolta d' uomini innocenti, e
gli uni e gli altri una fiamma istessa miseramente avvolgeva ^.
Avevano un loro Mercurio, prediletta divinità; e Apollo e
Marte e Pallade ed un Giove, che alla guisa dei Greci e dei
Romani, facevano re del cielo '. Sacrificavano a Marte il so-
perchio de' cavalli nemici e le spoglie del campo; e queste,
raccolte a culmini che fino ai tempi di Cesare si contempla-
vano in luoghi a ciò consacrati ; né mai che alcuno ardisse
nascondere od appropriarsi le pigliate cose ^.
Loro progenitore insegnavano i Druidi essere Dite ^.
i. Hoc maxime ad virtutem exeitari ejus generis flatronum aut aUqua
putani, me/tt morlii neglecio, noxa comprehensium) copia dtfi-
De Bell, GjU. l. VI, e. XIV. cit, etiam ad innoceiUium supplì"
2. Multa di sidsribus ,,, de mundi ac eia descendunt, e XVI.
terrarum magnitudine, de rerum 5. Deum maxime Mereurium colunL
natura etc juventuli tradunt, Post hunc, Apollinem et Martem et
e. XIV. Jcvem et Minervam, e. XVII —
3. Aut prò viclitnis homines tmmo- De kis tandem (tre, quam reliqwB
lant, aut se immolaturos vcvent, gentes, kabent opinionem, e. XVII.
administrisque ad ea sacrificia 6. Multis in civitatihus karum rerum
Druidibus utuntur, e. XVI. exlrucfos lumulos locis conseeratis
i. Membra vivis hominibus complenl, conspieari licei, e. XVII.
quihus suceensiSyCircumventiflam" 7. Galli se ùmnes a Dite patre pnn
ma exanimantur homines, Sed eum gnatos prmdieani, e XVIII.
l GALLI CENOMAMI 103
L'altro corpo che abbiamo nomato è quello dei Cavalieri,
che è quanto dire dei militi: per essi Tarmi, gli eserciti, le
battaglie ' : e secondo maggioranza di chiara stirpe o di età,
han codazzo e circolo maggiore di mercenari e clienti, unica
distinzione che si conosca '.
E per yenire con Cesare alle domestiche costumanze , se-
gnare il tempo col numero delle notti; non permettere a' figli
di accostarsi loro se non che all' età delia milizia ^ ; ripu-
tarsi cosa turpe un padre che in pubblico si mostri con un
suo fanciullo ; mettere in comunione altrettanto dei loro beni
quaot'era la dote delle mogli per farne un capitale a prò del
sonivente ; aver diritto alla vita ed alla morte della moglie e
dei figliuoli ^ ; lo splendore delle esequie per quanto il com-
portassero le colture delle nazioni; il gettare sul rogo fune-
reo quanto era stato caro agli estinti, non esclusi gli animali,
e prima di Cesare anco i servi ed i clienti già prediletti del
trapassato ', sono altrettante galliche usanze, analoghe del re-
sto a quelle d' altri popoli di quasi tutto il mondo antico.
Una cosa dal fin qui detto eminentemente risulta , ed è la
base arcanamente sacerdotale di tutto il sistema governativo,
e lo scopo essenzialmente guerriero delle sue discipline, che
diresti meditate a formare un popolo di combattenti.
ì' AlkruM gmu9 e$t equiium.,, Omnet otto neeisque habeni potutatem.
in hello versantur, I. VI, e. XV. . 1. I, e. XIX.
t. Haue unam graiiam pofenltam^iM 5. Funera... magnifica et sumptuosa^
noveruni, e. XV. omniaque, qua vivis cordi fuisse
3. Spaìia omnii temporii, non nu- arbUrantur , in ignem inferunt,
wierodierwn, sed noctium finiunt etiam ammalia: ac panilo supra
Suoi liberos, nisi eum adoleverini hanc memoriam iervi et clientei,
ut munu9 militiiB tuitinere poS" quoi ab ii$ dilectos esse consta»
siut, palam ad se adire non pan hat, juslis funeribus confeetis, una
tianiur eie. e. XVIU. eremabantur, — De Bello Gal^
i Viri tu uxores^ siculi in liberos, lieo, 1. e.
Ì04 I GALLI CENONLANI
Il costoro governo assomigUavasi air etrusco. Le galliche
tribù non erano che altrettante comnnioni civili (cioitates); e le
comunioni aventi un senato loro proprio ^ mandavano rappre-
sentanze ai grandi consigli nazionali, dove poi, né altrimenti,
si discutevano le cose della pace e della guerra ^ . Come al
solito, solevano i magistrati nascondere al volgo tutto che lor
paresse , non manifestando che quanto sembrasse d' uopo.
Della repubblica non era lecito discorrere che nelle adu-
nanze S le quali talvolta si tenevano la notte in luoghi de-
serti ^. Guai se un giovane non vi si recasse in armi ^ : egli
era certo di essere straziato a morte.
L'alta statura e le vaste membra differenziavano i Galli, i
Bretoni, i Germani quasi tutti i popoli settentrionali, dalle
genti di mezzodì. I Nervii p. e. solevan dare dell'omiciattolo
ai cavalieri romani ' ; e Cesare conferma che la gallica sta-
tura non potea certo alla breve de' suoi paragonarsi ^. Can-
didi, bionda la chioma, di fiero sguardo, terribili alla voce,
provocatori e superbi ne li figura Àmmiano Marcellino ^; e
1. È nolevolo quel passo di Cesare republiea nUi per concilium io*
nel quale si ricordano i seicento qui non eoncediiur, 1. VI, e. XX.
senatori dei Nervj, dal cui eccidio 5. C. G^cs. de ^. G. 1. V, e LUI; e
non ne camparono che tre ( l. II, ]. VII, e. L
e XXVm ). Ez sexcerUit ad HI 6. CìBS. 1. e. L V, e. LVI.
Senatores, ez hominufnmillibusLX 7. Quibusnam mambìu,aut qutbus vi"
viz ad quifigenlos. ribus, prcesertim hominea ianlultt
Z, G. GiES. de B. G. in più luoghi, e spe- staturw^ete. Com, ciL I. Il, e, XXX.
cialmente al I. VI, e. III. — Con- 8. Nam plerumque homitùbus Gallis
eilio Gallioi primo vere, ut tntft- pra magnitudine corporum suo*
tuerat, indicto, cum reliqui prater rum brevitas nostra eontemtui est,
Senones ete,venis$ent. — Concilium l. cit.
Lutetiam Pariiiorum transfert. 9. Celsioris staturm et candidi pcene
i. Magistratus, qu(B visa sunt, occut^ Galli sunt omnes, et rutili^ lumi-
tanti queeque esse ez usujudic4i^' numque tornitate terribiles, avidi
verint, multitudini produnL De jurgiorum.etc.kiDi.ìÌKRC.Rerusn
1
1 GALLI CENOMANI 105
ricorda Ateneo le loro donne come le più belle di tutte le
barbare ^
La virtù militare dei Galli era in altissima estimazione ^
appo 1 Romani, benché a' tempi di Cesare (meno la Belgica)
già più noi fosse cosi ^; e le vesti variegate^ e Tarmi cesellate
in oro del gallo sfidatore di Tito Manlio ^, tre secoli e mezzo
prima dell'era nostra, e Tarmi imjgax di un altro che Tito Li-
vio ha notate ', provano che l'arti e le industrie non fossero
presso loro fin da quei secoli neglette. Il Gallo descritto da
Virgilio ^ è storico al pari dello scolpito in un monumento
che il Winckelmann ha pubblicato : ma l'uno e T altro erano
di tempi a noi più vicini.
Comunque vogliasi, le auree colanne dei Galli votate al
Campidoglio ^, quella che Tito Manlio toglieva alT uc-
ciso Gallo per adomarsene ^ egli stesso, d'onde il nome di
Gei/. 1. XV, p. 328; e pia innanzi : sicoìori veste pictisque ei auro ece-
MetuendiB voeat eompluriwn et latis refulgens armis. Liv. HUU
minacci, 1. VII, e. X.
1. Fierìssime, le dice Ammiano Mar- 5. Gallus processa magniituline aique
Cellino, manesche, irascibili e di armis insignis, Liv. HisL L VII,
fulmineo sguardo più degli uomini. e. XXV.
L. XV, l. ciL 6. jEneid. 1. Vili, f. 654:
S. Vacundia Gr€Bcos, gloria helU Gal- Aurea emsareis oUis, atque aurea
los anU Romanos fuisse, Sallu- vestis — Yirgatis ìucent sagulis:
STii Bellum CatUinarium, in Co- ium lactea colla — Auro tnite-
tonis orai. — Gens ferox, ei in- ctuniur\ duo quisque Alpina cor^
gemi avidi ad pugnam, Liv. HisL ruscant — Gessa manu, scuiis
I. VII, e. XXIIi. proteeii corpora longis,
3. Fuii aniea iempus, eum Germanos 7. De torquibus eorum aurcum irò--
Galli viriuie superarent, ultro phaeum lovi Flaminius erexU» —
bella inferreni, propter hominum Florus, De Gest. Rom. 1. II, e. IH.
multiiudinem agrique inopiam, 8. Et sublato iorqueo aureo, colloque
trans Rkenum colonias mitterent, suo imposiio, in perpetuum Tor--
C. Cms. de B. G. l. VI, e. XXIV. quato etc. Eutropii HisL Rom.
4. Corpus wMgnitudine extmttim/ver^ lib. I.
<06 I QALU CENOMAfa
Torquato (torques, colanna)» gli aurei vessQU cosi detti im-
mobili che la gente Insubre traea fuori nei casi estremi dal
tempio di Minerva^; i manigli e le armille d'oro deiGesati^
questi ed altri adornamenti indicavano un' arte.. Tutte cose
per altro delle Gallio a noi più vicine, le quali al dire di Po*
libio tenevano commercio coli' Etrurìa; e il commercio è via
di cultura '.
Feroci Livio *, rissosi Polibio, ' aspri Giustino *, legge-
rissimi PoUione ^, immanissimi li chiama Fioro ^ Aur. Vit-
tore di subita natura * , sprezzatori di stenti e di perigli
Amm. Marcellino ^®. Più temperato è Cesare ne' suoi giudizi.
Li dice degenerati dal valore antico, industri però e sottili
nelle astuzie del campo, volubili, ma intolleranti di schiavitù^^
Che procedessero alle battaglie compatti e serrati a grandi
masse *', nudi talvolta ^^, per lo più coperti da largo scudo»
1. Miliiaribui insignU,,. aureis eiiam UUt. Aug, Epit, pars altera in
illU qwB iaunobilia nuncupant ex flae) - CcSAit de Beli Gali. Com.
ade Minervm promptis. Polyb. l. Ili, e. X. — Omnes fere Gallot
Huioriar, l. IL e. 32. Ed. Casaub. novie rebus studere, et ad bellum
5. Maniads armillisque aureis ne- mobiliier celeritergue exdtari.
minem.,. non adornaium, PoL. 1. e. 10. Gelo duraiis artubus, et labore as^
Z. Adsibebant Tffrrhenis Galli, ideoque siduo , multa contempturus eie.
eum ipsis commercia frequenta^ Rer. GesL 1. V. Const. et Jul,
bant PoLTB. Hist. 1. U, e. XVII. il. /a consiliis eapiendis mobUes,ei
i. HisL 1. VII, 23. novis plerumque rebus studeni eie
6. Historiat. l. II. e. XXL De Bell. Gali. lib. IV. e V -^
6. Historiar. Philipp. 1. XXIV, e. IV. Omnes autem komines natura li"
Gens aspera , audax, bellicosa. berlaii studere et eonditionem #er-
7. Treb. Pollio. Trig. Tyr. in Po^ vitutis odisse, 1. Ili, e. X.
stum. - Galli novarum rerum sem' 12. Confertissimo agmine. De Bello
per sunt cupidi. . Gali. 1. IL e. XXIII.
8. Immanissimi gentium Galli atque 13. Scutum manu emittere, et nudo
Germ. - De GesU Rom. 1. HI, e X. corpore pugnare, L I, e. XXIV. «—
9. Nequid apud Gallos natura prò- Gmsatce nudi pugnabant. Polyb.
eipUes novaretur. — (De ÙEsar. Hist. L li. e 28.
1 GALLI CENOUANI 107
con angoni (specie di giavellotto) e dardi e lance e spade S
protetti da molta e valida cavalleria ', seguiti da lunghe sal-
merie di carri, e suwi le donne stimolanti alla pugna i loro
consorti, alla guisa dei Bretoni e dei Germani h che di truci
carmi e di ululati alto suonassero le loro file, rito fosse o
preludio o stimolo di guerra, è narrato dagli scrittori ^.
Le teste nemiche portavano con sé quasi a trionfo, le po-
nevano al petto dei loro cavalli, ficcavanle sulle lance, le ap-
pendevano alle porte delle loro case ^.
È incerto se a' tempi della cenomana invasione avessero
i Galli fabbriche murate. Più incerto ancora se avessero città
nel senso in cui suona oggidì questa parola: anzi pare che
no; perchè se Giulio Cesare parla dei molti britannici edifici
eretti alla guisa dei Galli ^ aggiunge altrove, che le costoro
case (domicUia) erano sparse lungo \ fiumi e cinte di alberi^.
Ed è noto, per la descrizione di Cesare, che i più bene co-
1. Lo stesso Cesare in più luoghi, coma Mox ululaius eatUusqut ditsonos
h più luoghi Polibio. vaganlibus circa mcenia turmatim
2. CesAR. De Beli Gali cìt. I. U, e. barbari* » audiebant. Liv. cit. 1. V,
XXIV; 1. V, e. Ili; l. VI, e. VII, era e. XXXIX. — DiOD. Siculi Hist
iusigoc fra i Galli per sentenza di 1. V , il quale aggiunge che essi
C. Cesare la cavalleria dei Tre- canlavano le imprese degli avi loro.
veri. — 1. cil. 5. Djodori Sic Hist, 1. V, p. 306 —
3. C.ES. 1. 1, e. LI; e al l. VII, e. XLVIII, Wincrelmann Monum, ani, par. II,
dice delle Franche donne, che pag. 201. — Livius, HisL L X.
air assalto di Gergovia de muro e. XXVI.
manus itndebant, suos obtestari, 6. Creberrimaque adificia» fere Gallici»
et more gallico passum capUlum consimilia, — Comm. cil. l.V, e. XII.
ostentare Itberosque in conspectwn 7. Quod adificio circumdato silva
proferrt caperunt, (ut sunt fere domicilia Gallorum,
I. Truci eantu elamoribusque varUs, qui.. . plerumque silvarum ac
horrendoeunctacon^leverantsono. fluminum petunt propinquitates)
Lnr. BisL Rom. L V, e XXXVU. — L VI, e. XXX.
i08
I GALLI CENOMAM
strutti oppidi loro non avean muraglie che di travi e sassi
conteste, con entrovi terreno a mo' d'arginate ^
Se la colonia Massiliesene traggi, venutavi dalla Focide,
pare che tutta rude ed incolta fosse la gallica schiatta: gente
agrìcola, non niego; ma si sa d'altra parte che i Nervj per
manco di ferri e di strumenti agricoli dovean tagliare i cespiti
colle spade ^ (forse per la distanza degli agricoli StabiUmenti
del sig. Voisin), cavare le fosse intomo agli oppidi ed ai
campi colle nude loro mani.
Are e numi rozzamente scolpiti e templi, come che vo-
gliasi, aveano i Celti forse fino d'allora; e forse Tacito
troppo severamente scrìveva non aver essi nò templi, né si-
mulacrì ^. Ma rozzezza e ferità dall' amore di patria e dal-
l'odio inestinguibile per la schiavitù di lunga mano era vinto.
La resistenza prodigiosa e tenace opposta air armi di Ce-
sare, tanto romano sangue profuso tra quei deserti, è un
fatto maraviglioso che insegna quali anime palpitassero nella
povera capanna deirAulerco e del Sequano. Tra gli incendi
e le rovine delle loro case, tra i campi arsi, calpesti, desolati,
recente ancora la vendita air incanto dei loro figli, delle mo-
gli, dei focolari, si rannodavano , risoUevavansi all' armi, agli
i. Muris autem otknibui Gallidg hoBc
fere forma est, Cms. L VII, e. XXIII.
2. Cesar, de B. G. 1. V, e. XLll. Sed
nulla hisferram^ntorum copia, qwB
sunt ad hunc ìMum idonear eie.
3. Notarono parecchi questo detto au-
stero del grande istorico» smentito
da Cesare, che dice aver veduto del
solo Mercurio ( Teutate ) plurima
simulacro, L VI, e. XVll. — Dio-
doro Siculo parla dei gallici scudi
coperti dì cuojo con figure dì ramo.
I monumenti pubblicati dal Mont-
faucon {Ani, ExpL 1. 1, p. il), dal
Blalliot ( Recherches sur les coutu^
mes eie. Paris 1808, t. HI ), ì
ruderi d'altri scoperti a Metz, a
Langres, e ultimamente nella slessa
Lutezi a (Mémoire de l'Insiitut, i^l,
parL 1, 1843^ escludono ogni dub-
bio sull'arte, benché roua ancora,
dei Galli antichi.
I GALU GEN0IIAN1
109
ultimi e disperati assalti : e quando io veggo i Nenj scavare
coll'ugne rabbiosamente a sé d' intomo una fossa, e fame in
tre ore un cerchio di dieci miglia ^ dimando se tra meno
barbare genti può giugnere a questo segno V esaltazione di
un nobile sentimento.
Eccovi i Galli di Cesare e di Livio ; eccovi di che natura
si fossero le genti che vennero condotte da Elitovio a sta-
bilirsi nell'agro nostro» a fondarvi la Cenomana Brescia ^,
Ma quali tracce , quai monumenti > quali testimonianze a
noi rimasero di quella stirpe? Grandi e gloriose^ ove si ascolti
l'ab. Voisin.
V Les Cénomans d'ItàUé, cosi egli» fondèretU un éiat lofné
d'un coté par Bobarno (Yobarno) près de Solano (Salò): d^
Vauire far l'Eridan, etc. Farmi leurs cités nons remarquons Ber'-
game. Chiari, Bresse, la colonie de Crémone, Mantoue, Verone,
Sabio, Lovere, Tusculanum, Trissino, Hostilia, Trente etc. 4..
pays vraiment prodigiewc (anche Sabbio I) parie nombre dee
hommes iUustres en totU genre ... et àia téle dee qués on eom^
pie VirgQé >. Lasciare agli Italiani (continua da poi) questi
uomini insigni è un insultare imperdonabilmente agli an-
tenati del dipartimento della Sarthe: perchè Catullo» Vale-
rio Fiacco, Tito Livio, Comelio Nepote» Valerio Massimo,
i. Manibus sagulisque terram exhaU'
rirt cogebantur . , , Minus horis
iribus millium passuum decem in
circuUu munilionem perfecerunL
Ccs. De Bell. Gali. lìb. V, e. 43.
1 Cesare Cantù (Milano e suoi din-
torni, 1844, Schizzo storico) fa-
rebbeiKscendere le galliche schiatte
Dove secoli prima di Belloveso,
per essere snidale dagli Elraschf,
▼•aulici anch*essi dai ghiacci delle
OMmici» Stor/4 Bruti T«L %,
Itezie apportatori di civiltà. Cono«
SCO le fonti gravissime che si git*
tano in mezzo alle grandi questioni
per tormentare i galantuomini che
tentano comporlo*, Tarli, le reli-
gioni, le civiltà che scendono, la-
eciatemi dire» dalle nevi dell* Alpi
mi sembran cose a rovescio. Tut-
tavolla rispetto il Thierry, ilNiebhur
e i suoi seguaci, i quali al sccol no-
stro sembrano avere il sopravvento.
|10 I GALLI CENOUANI
> i due Plinii, Svetonio,* e cento altri notissimi non sono ita-
9 liani; sono francesi^ •.
Il perchò ben vedete se grandi e gloriose a noi restarono
le galliche impronte.
Ma noi, che non vorremmo cedere si tosto ai Marsigliesi
Virgilio e Tito Livio, ricercheremo più sottilmente per
quanto spetti alle bresciane cose le tracce contestabili meno
della cenomana dominazione; e queste povere, ma indubbie
restanze , ritroveremle particolarmente nelle due più antiche
e più tenaci istituzioni — la religione e la lingua. — E per
dirvi della prima =
È indubitato che a noi venissero colla religione dei Galli
le loro caste sacerdotali che abbiam nomate , cui Strabe-
ne divide in Bardi, Vati e Druidi (poeti i primi, sacrifica-
tori i secondi, iniziatori gli altri delle mistiche loro dottrine^;
e che nelle antiche nostre selve rinnovassero le ceremonie
arcane che Plinio ci ha descritte^. A non dire della Gallia Ci-
salpina, in Roma stessa erano penetrati i sanguinosi lor sa-
crifici: il perchò Tiberio e Claudio s' adoperavano a sradi-
carli da tutto r impero; sbandivali da Roma il primo S Clau-
dio dalle Gallio stesse '.
Fra le celtiche divinità, delle quali a noi rimase ne' patrìi
marmi il nome, è senza dubbio il dio Bergimo.
Nel 1514 fu rinvenuta in Brescia un' epigrafe che il Gru-
tero ^, il Rossi ^, il Fabretti ^, il Muratori ' han riprodotta.
4. Le» CénomaiM anciens ei mo^ 3. Hùt. Nat. 1. XVI, e. XLIV.
dernes Hist du Département de la 4. Plin. HisL Nat. 1. XXXI, e L
Sarthe, par l'ab. Aug. Voisin, 5. Svet. tu C/atuf. e. XXVI, n. 14.
membre etc, Paris 1852. 6. Corpus Inscr. pig. 1553. n. 3.
f. Bardi, Vates et Druides: Bardi 7. Mem. Bresc. pag. 97.
cantilenas cantant, poetasque sutU 8. Inscrip. Dom, e. IX, n. 533.
eie. Strab. Geograph, l. IV. 9. Novus Thes, Vet. iMer p. 94, a. S.
t GALLI GENOMANI 1 i 1
che trovasi ^esso nel Museo bresciano , e ctie il Labus ha
ne' suoi fifanni sacri corretta ed illustrata * ; la lapide ò
ijaesta :
BERGiMo
M • NONIVS
M • F - FAB
SENECIANVS
VS
E il Rossi ciotto ciotto a collocarvi sopra non so che statua
di magistrato municipale o di filosofo greco > da lui forse
veduta in qualche libro, e darle nome di simulacro del
dio Bergimo : scambiata poi la destra per la sinistra mano»
ravvolta (com'era il costume) nelle pieghe del pallio, va trim-
pellando que' suoi versi
Iddio é Ufi gran centro in cui sia unno il mondo
sulla destra del nume cosi celata ^
Altra lapide aggiungo di assai maggior pregio, che passava
un secolo fa (1747) dal castello di Brescia ad arricchire il
Museo di Verona*
L • VIBIVS • VISCI • L • NYMP40D0TVS
BERGIMO • VOTVM
C-ASINIOGALLOCMARCIOCENSOR
COS
L-SALVIO- APRO O POSTVMIO- COSTA
1 h VIRIS • QVINQVENNALIBVS
i. Mtrmi aiiL brese. pag. i19, n. i58. 1 Mem. Bresc. L cit
112 I GALLI CENOMAflt
n Fabrettì *, il Torre \ il Muratori ' la pubblicarono; me-
glio di tutti il Sambuca ^, il Maffei ^ ed ultimamente il
Labus '.
Cbiuderemo la serie dei monumenti di questa celtica ^ di-
tinità, a noi probabilmente dai Galli Cenomani recata, col
celebre marmo benaoense ^ cbe i nostri raccoglitori han po-
sto in luce K
SEX • NIGIDIVS
FAB'PRIMVSAE
DIL-BRIX-DECVR
HONORE • GRAT • DD
EX • POSTVLATION • PLEB
ARAM ' BERGIMO -RESTIT
Se dair antecedente apprendiamo avere il liberto Lucio
Vibio Ninfodoto (che il Rossi mi cambia in un suo graziosis-
simo Àrtemidoro^^) innalzato un tempietto od un sacello a
Bergimo Y anno ottavo av. Y era nostra (arin. Varr. 746), at-
testatoci dal consolato di Cajo Asinio Gallo e Cajo Marzio
Censorìno; se da quel marmo trovato ti» specula Cydnea può
i. Inscripl cit e. IX, n. 488. Celti generis): e cento altri che
2. Monum, Yel, Ant. pag. 360. Taggiugnere sarebbe soverchio.
3. iV. T. 7. /. pag. 297, n. 4. 8. Lapis in hrixiana dUione a Ripa
4. Mem. dei Cenomani, pag. 150. Benacensi oppido mittiariis odo,
5. Mus. Ver. pag. 109, n. 1. repertus. Maffei, Mus, Ver. p 89,
e. Marm. ant. cit. pag. 113, n. 155. n. 6.
7. Che Celti in ultima analisi fossero 9. Donati, Inscr. pag. 51 , n. 12 --
i GalH è provato bastevolmente. Murat. iVot^. Thes. Vet. Inscr.
E Plutarco lo asserisce nella vita pag. 97, n. 4 — Labus, Tribù e
di Camillo, e Cesare lo conferma Decurioni del Mun. bresc. 1813,
« ne* suoi Commentai] (ipsorum Un- pag. 15 — Marmi ant bresc. ci. I,
gua CelUB, nostra Galli, 1. 1, e. l); n. 158, p. 120 — Maff. Mus. et/,
e Polibio con lui {Galli quisunt 10. Mem. Bresc. psg. 94.
I GALLI CENOIIA^a H3
dedursi che il tempietto del nume colà sorgesse fra le totrìci
divinità del campidoglio bresciano, da quest'ultimo siam fatti
certi della predilezione grandissima serbata per tanti secoli
dagli avi nostri a questa celtica divinità ; perchè da esso ri-
sulta come r edile Sesto Nigidio Primo , per richiesta della
plebe — EX posTULATiONE PLEBis — uo rostituisso l'altare
come a testimonianza di gratitudine per essere stato accolto
gratuitamente nel ceto decurionale : e quell'ara doveva essere
certamente di non ignobile scalpello.
Gli agiati cittadini, lorquando conseguivano magistrature,
cariche sacerdotali ed altre onorificenze, oltre il prezzo, il
canone, dirò cosi, della entratura, contrassegnavano quella
circostanza con sacre offerte , con opere di pubblico decoro
e spettacoli e simili magnificenze , per le quali di tanto più
s'accresceva colla propria riputazione il cittadino splendore.
E Sesto Nigidio, Decurio ìionore gratuito, non credea forse me-
glio appagare il voto , l' aspettazione della plebe, che ristau-
rande l'altare del dio Bergimo.
Il silenzio del Maffei ne fa ignorare il luogo dove la patria
lapide fa rinvenuta. La dice bresciana ad otto miglia dalla
trentina città di Riva. L' illustre incettatore di marmi, che
noi contentavamo con una bonarietà non perdonabile, troppo
sovente (ed è cosa indegna della sua dottrina) dimentico è
de' luoghi esatti onde a lui fioccavano. La provenienza è do-
cumento, è storia; l' ignorarla ò un porsi a rischio di con-
fondere numi, personaggi, magistrature, luoghi, tempi, isti-
tuzioni; e talvolta un'ardua questione fu sciolta dalla sem-
plice località del monumento. E salselo il Furlanetto, che
sodò lungamente a sceverare le patavine dalie pietre in Ulo
tempore a Padova raccolte dall' Istria e dalla Dalmazia, senza
indicazione di lor provenienza ^
1. La{ù4i Pataviae ìì!q5(. Pref pag. 9.
il4 1 QAtU C£N0VA:(I
Il p. Cipriano Gnesotti sul cadere del secolo, scorso assi-
curavaci che il marmo di Sesto Nigidio trovavasi nel vico be-
nacense di Tremosine S in cui vedemmo la pietra di Voltino;
la distanza ricordata dal Maffei risponderebbe al luogo.
Ma quand'anche il marmo nostro da qualche dotto Ri-
puano venisseci reclamato, io credo col cav. Labus ' che una
parte considerevole del territorio Trentino sia stata da Ce-
sare Augusto attribuita a questo couGnante Municipio e allor-
» che le genti Alpine tutte svd . imperivm . pop . r . redactac
• svNT ^, e i personaggi più prestanti dei paesi aggregati finiti-
» HIS . MVMCIPIIS . QVI . MERVISSENT . VITA . ATQVE . CENSV . PER .
• AEBILITATIS . GRADVlil . IN • CVRIAM . ADMITTEBANTYR S COme SÌ
» ha da un marmo di Trieste >.
Ma qual era questo patrio Bergimo, cui Lucio Yibio pò-
nea forse un tempietto nel campidoglio bresciano, e del
quale in un solenne istante il decurione S. Nigidio ripristinava
l'altare? Era un'alpestre divinità, un dio montano; il suo nome
proveniva dal gQrmanico Bergimm (abitazione, abitatore nella
montagna): della quale germano-celtica radice rimasero ap-
po noi reliquie insigni, vogliasi a testificare la propagazione
del culto di questo Gallico Bergimo, vogliasi a dinotare luogo
elevato (altura). Bergimo chiamavasi un colle in Valcamo-
nica, se dobbiam credere al p. Gregorio * che l'asserisce. Cim-
berga nomasi ancora un paese della valle stessa. Bergis sino
dal 774 ^ chiamavasi una terra, una comunità (forse il me-
i. Mem. per servire alla storia dello morie storico • filosof. dell' Accad.
Giudicane — Trento 1796, e. Vili, delle scienze in Vienna, p:ig. 337.
2. Marmi ani. bresc. ili. — pag. 121. 5. Curiosi trattenimenti sacri e profaDi
3. PuN. Hist. Nat, 1. III, e. 120. dei popoli Camunni. Venezia, per Tra-
4. Lapide recala dal Grulero pag. 408, morlino, Giorn. I.
p. I; e per tacere degli altri, ulti- 6. Curie domuncula quem haberevi^
mamente dal Labus nelle Antiche deor in Bergis — Lupus. Cod,
l^idi Tergestine ( t. I della Ma- Dipìom, Btrgovk U k
I fiALU CEPioaiAm il 5
desimo Berzo) di qaella valle, in capo alla quale è un altro
monte che Berg si chiama ancora. Bergamo non eh' altro
(la catoniana Barra ) non può venirci da origini diverse: o
bastino de' molli questi pochi e domestici nomi.
Né a sostenere con altre autorità il culto di Bergimo avrem
duopo della Nonia Macrina, sacerdotessa del dio Bergimo, la
cui statua, probabile invenzione di Ottavio Rossi S mai per
alcuno fu veduta. Non cosi dell'epigrafe, la quale assentita
dal Labus, dallo Sponio ^ dal Gnocchi ^ e da qualche più
recente scrittore, parrebbe nel suo fondo potersi accogliere;
ond' io r aggiungo.
NONIAE • MAC
RINAE • SACERD
BERGIMI
B M
CAMVN
Altre celto-germaniche divinità, se nulla io veggo, sareb*
bero le Matrone. Sei marmi bresciani le ci ricordano S dei
quali mi basti recarvi quest' uno già in Isorella, ed ora nel
Museo cittadino.
MATRONIS
PRO ' CORNELIA
MACRINA
CORNELIA • METILfa
V • S • L • M
1. MeoL Brése. pag. 03, 94. altro pure a Manerbio (n. i27),
S. Miicell, Et. Ani. — 1. HI, n. 102. per non dire di questo d* Isorella
3. Lapidi bresc. — n. 63. che noi replichiamo. Furono pub*
4. Si liavennero a Carzago (Labus blicati dal R.unesio, dal Gnocchi»
Marmi ant bresc. classe I, n. 12i), dal Donatl dal Maffe!, dal Kos-
a Manerbio (op. cit. n. 123), a Gal- si, dal Gruterc; e per ultimo dal
Yisano (a. 12i)» a Nuvoleolo (n. 125)» Labus egregiamente spiegati
US f GALLI CENOUANf
Cbe fossero di celta o germanica derivazione potrebbe col
dott. Labus congetturarsi da ciò, che noi le troviamo di pre-
ferenza in quelle parti dell' Italia subalpina che furono dei
Galli, e specialmente in Milano S Como *, Brescia, Novara ',
dov'erano tenute genj tutelari dei campi, dei vici, dei paghi
stessi; e noi leggemmo le Matrone degli Àusucaci su quel di
Como S dei Dervj sul milanese *; e le Vedianzie, le Vacalline,
le Cesatene, le Rumee Matrone occorrono con altre ne' marmi
de' luoghi gallici avvaloranti il sospetto che si fossero in cia-
scun luogo ciò che presso i Romani potean essere i Genj, i
Lari, gli Dei penati ^: e si rappresentavano le più volte in
tre, come le Driadi, le Grazie, le Orcadi, le Furie ecc. ^; e
quando sedute, e quando erette della persona, con fiorì e
frutti accolti alla rinfusa nel loro seno, o ciò che toma lo
stesso emblema dell' agricola abbondanza, il cornucopia ^
Dopo questo è inutile che vi ricordi le strane ipotesi fanta-
sticate suUe Matrone. Chi le chiamò Dee conjugate ', e quale
ben altrimenti Dìvimtà dei morti *°; altri le disse Vergini fa-
tidiche **, Parche *^ Stagioni **, le Gattie slesse: e il Rossi nostro,
che a nessuno la cede in codesti ritrovi, parlandoci di un
tribunale di dieci donne divinizzate nella Morea, vi cercò le
Matrone, facendole giudici santissime delta ptidicizia delle donne
\, Giorn. dcirisliuLomb.l.lII,p.i47. 7. Museum Veron, pag 378, n. 7.
S. Aldini, Marmi Comensi, pag. 94. 8. Labus, Marmi antichi bresciani,
3. Gkllakkti, Ant. Novar. Mon. n.30, pag. 84.
42, 44. 9. ToTTi, Monum. ant p. 64, n. 185;
4. .^MoaETTl, Viaggio ai Ire laglii, ms. presso il cav. Labus.
sesta ediz. pag. 287. 10. L. citato.
5. Labus, nel Giorn. dell' Istituì. Loro. 11. Keìsleu, De MuLfatid. Vet. Gem.
t. Ili, pag. 147. — Reinesius, Inscr, ci. 1, n. 175.
6. Eundemfere locum obtinuisse apud 12. Menestrier, Hi9t. Cons. dtLyon,
Galìos Germanosque, quam Lares, pag. 128» 129.
Penates, Genj, Junones apud Ro- 13. Lamey, Acta Acad. Theod* Palai,
mofiM. Orelu» Inscr. 1. 1, n. 2093. t. VI, png. 76.
I GALU C£NOMANI 117
bresciane^; e diede un bronzo letterato col quale una povera
bresciana che avea rotta fede al consorte si condannava ad
essere sepolta viva. Certo che a' tempi nostri non sarebbero
state quelle giudici cosi crudeli.
Ma fatto sta che il bronzo è forse un capriccio del no-
stro poeta, ed è ributtato come falso da Scipione MafFei ^ il
quale conchiuse: né saper egli che si fossero queste Ma-
trone ^, né averlo saputo que' miseri che inutili preghiere
spargevano ai loro altari.
A quali Fati ponea Rufino Severo quest'ara preziosissima
già dal secolo XYI in Cavalgese ^, ed ora custodita nel pa-
trio Museo ?
FATIS
DERVONIBVS
VS-L-MMRVFINVS
SEVERVS
È riferita dal Nazari ', dall' Aragonese ^ dal Rossi ' , dal
Grutero ^, dal Vinaccesi *, dal Grattarolo ^^; ed il Maffei, ma-
ravigliando la rarità del tìtolo, troppo affrettatamente lo ripu-
diava ^^ Molti si fecero ad indagarne il senso ^\ ma nessuno,
per quanto io sappia, pose innanzi più sottile ed ingegnosa
i. Vemorìe Bresciane — pag. 53. 6. Monum, Ani Urh. ed Agri Brix.
S. Qwu fabellas nuUus unquam ejD- n. 212.
eipit lapis, (Art. Crii. Lapid. in 7. Memorie Bresciane — pag. i6.
Novtu Thes. V. Inwr, Suppkm. S,"" Corpus Inscript pag. 1015; n. 9.
Luca 1765, pag. 98, f. 1) 9. Mcm. Bresc. — pag. 233, n. 12.
3. Neque ego scio, ncque ipsi seie^ 10. Istoria della Riv. di Salò — p. 113.
6aiil giti vota et preces misere ll.i4r/. Crit. Lapid. pag. 377.
disperdébant suas, — Museum Ve- 12. L'OrelIi fra gli altri leggeva in quel
ron, pag. 86. Doruones un nome locale, confor-
i. ToTTi, Monum. ani. Urbis et Agri talo forse dalle Matrone Dervonnc
Brix. n. 244. di Desio. Inscript. collecL t 1,
5. Brescia anliea — pag. 54. n. 1774.
i48 I GALLI CENOMAHI
idea di quella che il Labus ne' suoi Marmi bresciani raccolti.
ed illustrati.
Leggeva egli dunque assai felicemente — Fati distrug*
gitovi^. Se non che un sospetto aveami colto. Deru, sacra
voce fra i Celti, d'origine orientale ^, significava bosco ^ ed
anche quercia ^ D' onde la probabile congettura di Plinio,
che il nome stesso (}p^^) dei Druidi venerandi ne derivasse.
E un bassorilievo d'Augustodunno, che ci reca un Druido '
coronato di quercia ( per que' gallici sacerdoti sì predi-
letta, a tal che nulla di sacro incominciavano senza di lei ^\
mirabilmente risponde alle parole di Plinio e di Strabone.
Il bosco era pei Galli un tempio; e fra l'ombre, il silenzio,
la maestà delle selve- compivano i Druidi lor cerimonie ar-
cane. Il bosco era luogo assai volte di pubblici convegni; e
dentro alle foreste, in quella guisa che troviam dei Latini ^ e
degli Etruschi \ si radunavano le comunanze civili a discu-
tere le cose della pace e della guerra ^: il perchè non è im-
probabile che ai Fati silvestri o Demonici ( secondo che suo-
nerebbe la celtica voce) fosse locato il marmo di cui parlia-
mo, a quel modo che un' altra lapide ai Fati barbarici ve-
diamo sacrata *^. Non è per altro che un vago mio sospetto.
Che le druidiche superstizioni e i culti e i riti gallici fra noi
Galli Cenomani si propagassero, diventassero anzi il culto no-
i. Marmi ant pag. iOD, n. 140 — 6. Nec ulta sacra s ine ea frotidc con-
Ant. Monum. Bresc. pag. 109. ficiunt. Plin. HisL Nat 1. XV1«
t. laUrpretaiione grteca — Pllnius» c. 44.
HLU. Nat. l XVI. e. 44. 7. Tm Livii, Hist. l. VII, e. XXV.
3. EowARDS, Recherckes sur les /an- Concilia populorum Latinorum ad
gues céìtiques. — Paris, 18i4. lucum Fcrentinm habita; per ap-
4. Ut inde appellati ,. possint Druidi pìgirmi di ai solo esempio.
viderL — Plinius, 1. XVI, e. ciL 8. Demsterus, Elruria regalis, ere.
5. MoNTFAUCON, Anliquitos Explicata, 9. C. C.€S. Cjtnm. de B, G. in pia
t II, par. II, pagina 436, lavo- luoghi.
la 191 10. Labus, Marmi antichi ciL p. 100.
1 GALLI CENOMAM ii9
stro, chi può dubitare, se Roma, che Gallica non fu mai, ne fu
intinta per modo, che Tiberio s'argomentò, come abbiam ri-
cordato, di doverli proscrivere *?
Un illustre vivente ^ asseriva il dio Camulo, il dio Nottulio, il ,
dio Tillino venutici dai Celti: dirovvi per singulo di tutti e tre '.
Camulo. — Celtico si, ma locale de' Remi nella Gallia an-
tica fu questo nume. Celticufiiy dirò col Morcelli ^, vero satis
declorai hujus Dei affine nomen apud Ccesarem ^ Camulogenus,
quare Rhemorum Deus sine controversia habendum est: ed è noto
un marmo che il Morcelli ^, il Grutero ^ il Rosa ^ ed altri più
assai già pubblicavano; ma nessun monumento ci attesta che
Marte Camulo venisse in onoranza presso i nostri Camunni;
meno poi che fosse topico di que' valligiani, e che dal dio
si nomassero Camuli.
La medaglia d' argento col povero Marte Camulo incate-
nato e coir inscrizione camvlo . invicto . camvli regala-
taci dal Rossi ^ accolta dall' Ormanico ', non regge : è una
solenne impostura; e crederei soverchio il farvelo toccar
con mano. Astruso parve al Rosa quel Camulo legato, e
avea ragione; ricordava ignorarsi da Verrio Fiacco il perchè
fosse legato Saturno ^^. Abbiam veduto altrove il probabile
motivo di quei ceppi saturniani ^^
NoTTixio. — Altra celebre fantasia del Rossi, o come disse
il Malici, altro sogno veramente notturno ^^. Dio della notte
i. PUn, HisL Nat. lib. XI 11, e. I. 8. Mem. Bresciane — pag. 92.
1 Cattaneo, Notizie naturali e civili 9. Della religione antica dei Camuli q
su la Lombardia — Milano 1844, Camunni — 1639, p. 29, Marte.
t. I, Introduzione. 10. Cur autem Saturnus in eompedi'-
3. De Sfyto Inseriplionum, 1. 1, p. 93. bus visatur, Verrius FlaccuscaU"
4. De Detto Gallico, l. VII, e. 1 1. 9am se ignorare diciL -— Festus.
5. De Stylo InscripL Le. 11. In queste Istorie a p. 43. e seg.
6. Corpus Vet. Inscript.p,^f n. 11 12. DeumNoetuliumnoeturnisfantas"
7. Genti fra l*Adda e il Mincio ecc. — matis accenset, — ArL Crit» Lapida
pag. 8& L m. e. IV, pag. 425.
ìiO
1 GALU CENOMAM
il Nazari ^, dio del pensiero Io faceva il Rossi \ perchè la
notte, soggingneva, è la madre dei pensieri. Il Biemmi vi sco-
priva un Bacco, perchè i baccanali si facevano di notte '. Tutti
condotti ad ano stesso errore da una immane pensosa, ve-
stita in abito barbarico, replicata in più marmi, e dall'epigrafe
NOCTVRNO
VICTOR • BRIXIANORVM • V
letta assai male e peggio interpretata dai più, la quale poi
rettamente spiegava ne' suoi Marmi il Labus ^.
Notturno sì, per Tara Salonitana ^ è nume (nogtvilno
sacrtm); ma del fantastico Nottdio non ha fra noi memo-
ria; e questa medesima del nostro marmo non Io è per av-
ventura che di un cognome rarissimo virile, come la Abnt/r-
itta, il NottumiOg il Nottumiano dei marmi che il Grutero ha
dati ^ dei quali altra essendo la desinenza, mi tiene il nostro
in sospetto non per avventura sia nume anch' esso; il
che non oserei decidere. Bene ci reca maraviglia che il fa-
voloso Nottulio venisse ricevuto a braccia aperte da uomini
di chiara fama, come lo Sponio^, il Gagliardi ^ il Muratori ^ il
Montfaucon *^ il Donati ", il Banier **, il Furlanetto " ed altri.
Toccava al Labus togliere questo errore tradizionale e ve-
nerato *.
1. Brescia An ica— 1562, p. 60,69,70.
2. Mem. Bresciane — I. di.
3. Istoria di Brescia — 1 1, pag. 162.
4. Mannì Antichi Bresciani ecc. —
ci. 1, n. 16i, pag. iti.
5. Labus, Marmi ciL pag. 124.
e. Corpus Vet. Intcription, pag. 722,
n. 7; 811, b. 3;950, q 4.
7. BfisceU. E. A.
6. Parere intomo allo stato degli anL
Cenom. pag. 30 — Mem. Cenoni,
pag. 115.
9. Nov. Thes. Vet. Insc. pag. 98, n. 4.
10. AntiquU^ in compenditun redada.
tar. XLI, 3.
14. Inscript. Monum. Supplem. p. 1 12.
12. Mytholog. t. V, p. 168, 169
13. Lexicon Forcellin. V. Noctuliui.
14. Museo Bresciano illustralo — 1. 1,
p. 164. Creduto Nottulio, fig. HI.
I GALLI CENOUÀNI
121
Ttllino. — Stupende cose ha narrate il Rossi di questo
dìo *; e non è maraviglia che il Torre *, il Gagliardi ^ il
Biemmi ^, il Furlanetto ^ il Bravo ^ lo seguitassero: ma dopo
le crìtiche osservazioni del Labus ^, la statua di ferro ghir-
landata di lauro con una mano inchiodata in cima all' asta, e
con un teschio al piede, era ormai tempo che assieme alla
lettera del beato Ramperto colla quale persuadeva, or fanno
dieci secoli, ai popoli Trìumplini la distruzione dell'idolo, si
relegasse tra le poetiche ispirazioni del nostro Rossi, e duol-
ci vederle accolte come pretta istoria bresciana fino a' di
nostri ^. — La mano che era in dma all'afta era presso di
me, soggiunge il Rossi: e quella mano esiste tuttora nel pa-
trio Museo. *. Ma chi non vi conosce una mano votiva ^^ col
solito serpe di Esculapio attortigliatovi, come face vasi an-
cora dei pie votivi "? Povero Ottavio Rossi! Dice quella sta-
1. Menu Brcsc— pag. 129.
f. De Deo Beleno, pag. 266.
3. Parere intorno allo stato degli Ant
Cenom. pag. 114.
i. Slor. Bresc. t I, pag. 63.
5. Apud Foruìi V. TylUnus, In Ap.
6. Storie di Brescia, t. I, pag. 63.
7. Museo Bresc illastr. - 1. 1, p. 146.
8. Mazzoldi, Delia Vaìtrompia ecc.
(Strenna Bresciana del 1 851 , p. 8) —
Gahbara, Ragionam. di cose pa-
trie. Brescia 1839, p. 79 — Bra-
vo, Della Caccia, pag. 63. — Con-
PARom, Storia delle Valli Trompia
e Sabbia, L 1, pag. 15; per appa-
garmi di questi pochi.
9. Mos. Br. ili 1 1, p. 146. Uy. XLl,f. 4.
10. Una mano votiva col serpe è pos-
seduta dal Municipio di Trento quale
• erede dei monumenti raccolti dal
benemerito conte Giovanelli. Altre
uguali si trovano fra i bronzi di Er-
colano e di Pompei, e in quelli del
La-Ghausc (ExL in Grttv, Thes.
Ant. t. XI, tav. XIlIj; per non dire
d'altre mani votive pubblicate dal
MoNTFAUCON. Ant, ExpL I. IV,
e. IV — dal ToxASiNi, De Donar-
riis votivii e. II, ecc., alcuna delle
quali coireffigiate cicatrici, onde
erano affetti gli oblatori; quasi tutto
neiratto del benedire, di cui dicem-
mo nelle Antichità CrisL dì Brescia.
11. Un pie votivo col serpe metteva in
luce il BoNAXXi (Mus, Kirdier.
t. XXIII ), altro il Fabretti (Ins.
Dom. e. VI, n. 20) spettante al
Tiluseo d'Urbino.
122
1 GALLI CENOBUNl
tua infranta sino dal nono secolo, e poi ne dà il disegno che
pur capello non vi mancai Comecché riprodotta da più
recenti scrittori di cose nostre S falsissima e poco men che
ridicola è V inscrizione ttllino . et . germanico • feucita-
TEM . niYiNiTATEM . . . VLTRA . . • TRivMPLiNi, ed invenzione an-
ch' essa del medesimo cervello '. Qui hcec verta TylUno et
Germanico Felicitatem Divinilatem ( esclama il Maffei ) antiquo
lapidi indita fuisse putat, profecto neutiquam utitur ApoUine
dextro '.
Non confondiamD quella sognata statua e quella epigrafe
col sasso che qui vi porgo ^«
i. Mazzoldi, Della Valtrompia. Dis- 3. Art. Crit. Lapid, p. 475. Eppur
sertaz. cit. pag. 56 — Gagliardi, la danno Io Sponio, il Donati ecc.
Parere cil. — pag. 114 ecc. ecc. 4. Labus, Museo Bresciano illustrato -
S. Rossi, Mem. Bresc. pag. 124. t. I, p. 146.
1 GALLI CENOMANr 123
Leggesi tuttavia nel Museo bresciano, e venne air aprico
nella triumplina terra d'Inzino, alla quale fu attribuita la sta-
tua. Nulla di più probabile che quel titoletto desse orìgine
ai capricci d'Ottavio Rossi. Itala, o celta (e celtico si tenne
dal Furlanetto il suo Tyllino), o qual pretendasi l'origine del-
Tepicorio Tullino, qui lo ricordo a continuare il novero delle
più antiche fra le topiche divinità dell'agro bresciano.
Tra i numi dell' evo antico a noi pervenuti è la dea Tuti-
lina, della quale offre il Grevio ^ un'epigrafe, ed il Boissard *
l'icone intera. È una donna stolata con un tronco ivi presso
circoDvoluto da un serpe, e sottovi il titoletto
TVTILINAE
Per coloro che volessero conoscervi una tal quale analo-
gia col patrio TuUino aggiugnerei la diva istessa (che tiensi
tutelare - a tutando - degli agricoli raccolti ^, e della quale un
simulacro era nel Circo ^ in Roma) essersi coi varj nomi di
Tutilina, Tutelina ', Tetuliana ^ distinta; epperò nessuna sor-
presa che i villici Trìumplini se ne facessero il loro dio Tul-
lino, il che per altro non oserei francamente asserire. In que-
sto caso però non più straniera, direbbesi latina eredità.
Lo Sponio ^, il Donati ®, il Muratori * pubblicarono dopo
i. Corpus Inseript. 1 1, p. XCIX, n. 6. 6. Macrob. lib. I. — Saturn. e. 16.
2. Aniiquit. l V. 7. Miseellan, Erudii, Ant. Sectio l\\,
3. Varr. Apud Non, e, l, n. 343. n. 103.
i. Tertul. D3 Spect e. 8. 8. InscripL p. 3, n. 7, p. i, n. 6.
h. TuaMfidem,Tutdina,invoco.\iLKSi. d. Novus Tkes. Veleruin Inscript.
luogo ciL pag. Vili, D. 7.
124 1 GALLI CENOMAM
U Rossi ^ la bresciana epigrafe, ch'era già presso l'arbana
basilica di $. Faustino.
lOVI • BRAR
P • APfDIVS • P • L
OMVCIO
V • S • L • M
Se mal non mi appongo, avremmo quivi un Giove Brano
abbreviativo probabilmente di Briario, che è quanto dire forte,
gagliardo, dal greco ^/><«/>o( validus, robustus; donde il fortissi-
mo Briareo dalle cento braccia, che contro lo stesso Olimpo
volea dar di cozzo. E la forza era tra i massimi attributi cui si
volle recinto il padre degli Dei da tuttaquanta l' antichità.
Nessuna meraviglia però se noi lo vediamo incoronato dì
quercia; e panni impossibile che Q. Visconti ' si aggiri colla
sua vasta erudizione a tentarne il perchè, mentre spontanea
doveva sorgergli nella mente la parola forza, di cui era sino^
nimo appo i latini la quercia (robur) , e donde il verso di
Virgilio *
Sicut magna Jovis, antiquo robore quercus.
Altre cagioni facean sacra la rovere a Giove, e le accen-
nate dal Visconti in prima ^. Ma è noto al caso nostro come
il simulacro di Giove altro non fosse appo gli antichi Celti
che un' dta e vigorosa quercia ^ la cui fronda veneratissima
troviamo in tutte le Gallio '.
1. Mem. Bresc. pag. 81, 84. apuà eos simulacrum alta quef'
2. Museo GhiaramoQti (ed. LabusiaDa"^ cus. — Max. Tyr. Dis 38, p. S67.
Milano isso, pag. 39 e seg.). 6. A7^i7 habent Druidi . . . sacra-
3. Georg, lib. IH, e. 332. iius — Nec ulta sacra sine ea
L Museo Chiar. 1. cit fronde (rohoris) conficiutU, — Pu-
5. Jovem Cellm coloni ; Jovis autem nius, Hist, Nak lib. XVI, e. 44.
1 GALLI CENOMANI
125
Tanto a compiere la serie delie domestiche divinità d'ori-
gine forse anteriore alla romana dominazione fra di noi.
A compiere la serie ;* perchè l'epigrafe aeternvm . her-
CVLI . lOVI . APOLLINI . ROMANORVM . ET . BRIXIANORVM .
FOEDVS . CONTRA . POENOS . L . CAMVRVS . VIBVLVS . etC.
tàvrvm . AD . L1M1TES . PERGvss . per la quale il Bravo
ci viene favoleggiando di non so qual sacramento fermato
in nome d' Ercole, d' ÀpoUine e di Giove tra i Cenomani e
l'eterna città S ò un'altra pappolata del Rossi, e questa
volta fra le meno ingegnose, la cui recente invenzione do-
vea pure emergere agli occhi dei loro commentatori '
per cosi dire ad ogni verbo.
1. Delle Storie Bresciane — ti, pa-
gina 47.
1 Se coloro cbe lietamente accoglie-
Tano le due prime iscrizioni dei
Rossi avessero letta la franca sen-
tenza del Mafiei Brixianum Ru^
ha priore» dwu fjice (Art, CriL
Lapid. in Supplan, N. Tkes, V. L
pag. 475) non avrebbero esitato a
ripudiarle senz'altro. In quanto alla
prima di qfueste (ons patrus ber-
CVLI APOLLINI ARVALO tìc) impo-
stura la dice il Muratori ad oppi-
di Lonaii atUiquitaiem fingendam
(Nov. Tkes. V, L pagina 62, n. 8);
ed il Marini (Annali, pag. 476 e
812) la ri6uta senza più. Ma udiamo
il cav. Labus. • Le epigrafi ripor-
• tate dal Rossi a pagina 4 delle
i sue Memorie sono da porsi in ci-
• ma a tutte le lalsc ed inventate
» da lui. Quella poi che forma l'og-
» getto delle nostre ricerche (Dtw
» Patriis eie, ) è senza dubbio una
» solenne impostura. L' unione di
» Ercole, d'Apollo Arvalo e del Dio
> Trajano qualificati Dei patrii è una
i mostruosità. Un Edile ed uo Au-
i gure che concorrono a porre la
9 prima pietra di non sappiamo qua-
» le edificio è cosa nuova: primvm
i LAPIDBM è senza esempio ». LeiU
11 agosto 1832 direUa air abate
Giuseppe Zambelli. — Ambo i mar-
mi soprascritti si recavano anche
dal Gnocchi e dallo Spooio; ma
vedemmo altrove quanto facili ac-
cettatori di itiarmi si fossero co-
testerò. Del resto, di quante lapidi
sospette avrebbe il nostro Labus
rivedute le bucce, se morte non lo
ci avesse testé rapito!
Ommuci» S(0ri€ Brac. Voi. I.
IO
126 I r.ALLf CCN0SA5r
n.
AVANZI DI LINGUA GALLICA
CONFINI PRIMITIVI DELL* AGRO CENOMANO
E SUE PniME VICENDE
LiNGi-E. — Io non cerco ora qui se i Cenomanì trovassero
avanzi tra i Libui di quegli Umbri che alcuni farebbero di
gaUica progenie scesi dall'Alpi a conquistare trentadue secoli
prima di noi la valle del Po, a fondarvi seicento villaggi, a la-
sciarvi denominazioni per le terre lombarde, l'accento del no-
stro parlare, il tipo gallico specialmente nel contado delle no-
stre fisonomie *.
Queste parole gettate là per alcuni con una terribile fran-
chezza, se da un lato sorprendono per que' modi recisi ed
assoluti che prevengono le quìstìoni, o le tagliano di un colpo,
ti lasciano dall' altro con quel dubbio amaro che solo può
temperarsi dal nome autorevole del narratore. In quanto
al tipo gallico dei villici lombardi non troverei fra loro né le
nitee carni avvisate da Marcellino * e da Virgilio ^ , né il
truce sguardo ricordato dall'uno di questi *, né la inunane va-
stità degli arti, né la fulva chioma asseverata da tutti gli an-
tichi; nulla di tutto ciò: né pure il carattere morale della
gallica stirpe. Si piuttosto il marchio ingenito e speciale delle
schiatte primitive, d'una delle quali solca dirsi che scarmo li"
i. Milum) e il suo territorio neiroc- sunt Galli. — Rer. GesL 1. V.
casionc del VI Congresso degli Consl. et Just,
scienziati italiani. — , Milano 18i4, 3. Lactea colla. Virgilius, jEneid,
Schizzo Storico, pagina 4. — 1. HI, v. 658.
I Galli. 4. Lumìnumque tornitale terribile^-
2. Celsiores statunc et candidi pa^nc A. Margell. op. cit, I. V.
I
I GALLI CENOHAM 127
gure vtdea più di erculeo gallo ^ ; talché la descrizione che Dio-
doro Siculo ne fa d'uomini asciutti, agili, arditi, vigorosi si
attaglia più assai, se nulh veggo, all'indole preminente dei
subalpini dell'età nostra.
» Quegli Umbri si vollero Galli « aggiunge il Cattaneo > non
> ostante l'uso non gallico di murare le città minime; e si
> volle che ne venisse il nome d'Isombri o di Symbri dato dai
* Greci, non però dagli Italiani, agli Insubri. Ma questi scrit-
» tori, fra i quali Amadeo Thierry, noii conoscevano quella
• radicale differenza che distingue l'Umbria Tiberina dalla
> marittima, nella quale soltanto, e per posteriore influenza
> dei Senoni, rimasero vestigia dei Celti ^.
Qualunque siasi per altro l' umbrica origine primitiva , la
quale ad ogni modo sembra già involgere una più remota af-
finità non tanto coi Galli, quanto con tutte le svariate e vaste
famiglie celtiche in generale, noi troviamo nel dialetto bre-
sciano Tumbriche tracce in assai modi e radici, ma più an-
cora evidente, incontrastabile nella desinenza in u, che è base
caratteristica, e direi quasi fondamentale dell'umbrica paleo-
grafia. Le umbriche voci aitu ^, détu *, enetu 5, einantu ^
tela ^, atru ^, rnaletu ^ poplu *^, armanu *^ delle tavole Eugo-
bine richiamano il /nV, rasi^ cansvt, hu, marti, iti, sii, orasiii ^^
ecc. del vernacolo bresciano.
1. DioDom Siculi HUt. 5. Op. cìu Uv. V, n. U
1 Notizie naturali e civili su la Lom- 6. Op. cit. tav. V, n. X.
bardia. — Prefaz. 7. Op. cit. tav. VI, n. XXil,
^ Lepsius, Ifucripiiones Umbricoi et 8. Op. ciL tav. I, n. XXVIIL
Otcm quotquot ad huc reperta 9. Op. cit. tav. H, n.. XVIII.
sunt omìtes. -Lipsia 1841, tav. VI, 10. Op. cit. tav. VI, n. LIV.
n. XXVllIl ecc. 11. Op. cit. tav. I, n. XIX.
i Op. cìU Tabula Eugubinaet làw.M, 12. Leone, ragione, canzone, buono,
n. LVI ecc. marone, tuono, suono, orazione*
128 1 CALLI CENOMAM
Che poi dascan popolo sorvenuto, e langamente rimasto
fra di noi, lasciasse memorie di se medesimo in qualche ra-
dice, carattere, struttura, desinenza, accento dei nostri dia-
letti è naturale ad un tempo ed evidente risultato della per-
manenza altrui, e luminose più o meno emergono le tracce
a' nostri dì. Il perchè profonda dovea restarci, e restò, la gal-
lica impronta (diversa dall' umbrica) dei venuti con Elitovìo,
e dei seguiti da poi , quasi a compiere la gallica conquista
deir Italia superiore.
Né intere voci soltanto di cose, o delle loro qualità, come
bena ^ hregh ', ploc ^ ecc. ma interi nomi di paesi, di al-
ture, di luoghi a noi lasciarono, come Brescia, Darfo, Olda,
Irma, Cimberga, Breno, Comenduno e cosi via; a non con-
tare le galliche radici d' altri assai, come da bar (elevazione)
Barghe; da brìi, bro, bruig (terra, villaggio) Brezzo, Burago ecc.;
da briga (fortezza) chi sa forse la stessa Brixia o Brescia, della
quale un nucleo preesisteva probabilmente, e noi quasi di-
cemmo un oppido ligure sulla vetta Cidnea, d'onde forse l'o-
rigine del gallico nome. Da Ì9 (basso) Iseo, IsoreUa; da morì
(palude) Maclodio; da taw (luogo abitato) Tavemok, ed altri
infiniti: e celtico io tengo quel Maguzzano presso il lago di
Garda, che Y Ercole Magusiano dell' antica Germania a noi
ricorda con aquatici emblemi ^.
Numerosissimi poi riscontriamo nelle lapidi bresciane i
nomi gallici d' uomini vissuti fino agli ultimi tempi del ro-
mano impero; e bresciani erano Satrmucinone , Albicone, Ca-
1. Carro a dao ruote basse: Benna 3. P/oc bresc. «(m«o, come appo ì Celli.
lingua gallica genus vehieuli ap- 4. Bossi , La Germania antica. Keisl.
pellantur-^ Festus; e la beana è Ani. Germ, Ecrhbl, Docir, iVtim.
raccomaodata da Catone (De Re Veter. t. VII, pag. 444. Num, Po-
Rustica) per la vendemmia. slum» Aug. Murat. iV. T. V, Inscr.
2. Sbregh bresc. rottura. p. LXIV, n. 1. 2.
I GALLI CENOfilANI i29
riasse, Bitone, Bitumone, Oadone, Enidubrone, Esdrone, Giugo-
seme, Jamumme, Madicone, Mangone, Sepone ^, dei quali tutti
abbiamo consimili riscontri in Augone, Barone, Bucatone, Beco-
tèe, DÌ€Ìcone, Sapone, Tuistone a noi tramandati da medaglie
sincere che il Mionet ha pubblicate; ma più da Cesare ', da
Tacito ^, da Svetonio S da Marziale ', dagli antichi Scoliasti ^.
E Bivonia Priscilla, fvnerc pvbligo honorata, fu illustre ma-
trona bresciana di stirpe cenomana, perchè suo padre era affine
di Bivejone figlio di Triumone, gallici tutti, dai quali uscirono
personaggi insigni ^. Tutt'al più n^Ua preesistenza di que'
gallici nomi potremmo indurre la non ancora da quegli
uomini ottenuta cittadinanza romana ^ i quali poi davano ad
essi talvolta desinenza romana per accostarsi ai nomi de'tem-
pi loro e del preminente romano impero '.
Cosi di gallica derivazione è forse il raro nome Dugius di
una lapide bresciana consacrata al Dio Sole Invitto '^ prove-
niendo, siccome pare, dall' antico Bugiava latinizzato ^^ nella
celebre pietra di Voltino, e in altra che ancora sussiste a
Nave presso la chiesa parrocchiale di quella terra: ed è sin-
golare che nella sola Isola Lochi (Lago di Garda, Riviera di
Salò) più marmi segnati di nomi gallici notassero gli eruditi *^;
1. Labus, Mar. antichi brcsc. — p. il. pag. 54, n. 67); e C. Vossio, che
1 De Beli GaiL 1. 1, 13; 1. VI, U; ostentando la Fabia tribù si chia-
L Vn, 50. risce cittadino romano, cangiava
3. German. ]. L Tantico gallico Vosis Vosiis in Vo-
4. In Vita Vell^. 18. siu» (Monum. cit. pag. 71, n. 99).
5. Epigramm, XIV, 15. 10. Labus, Marmi cit. - pag. 41 , n. 58.
6u Ad Pers, V, 158; od Juvenal Vili, 11. Labus, 1. clL pag. 42.
200. IsiooRi Orti;. \X, 11. 12. L%BUS, Cernii suirisola Lechi. —
7. Labus, Marmi antichi bresc. pag. 11. Lettera indirizzata al conte Persico
8L Labus, L cit (Persico. Guida di Verona t. II).
^ Cosi Primione volgeva in Primio Felice Feliciano, Mar. Ant. —
Ulino il proprio nome ( Mon. cit. Amadi, Mar. Ant. - Rossi, Mero. Br.
130 I GALLI GEiNOXANI
argomento, soggiunse il Labus, eh' ivi ne' nomi più lunga-
mente che altrove alcuna traccia restasse del gallico linguag-
gio. Ed a farvela finita, il SoUboduo d'una pietra bresciana
ricorda il gallico Àkboduo segnato in un' altra nel Lazio ^
Confini. — Ed eccovi alla gran lite (innocentissima per al-
tro come tutte le letterarie) lungamente fra due valorosi com-
battuta nel secolo passalo, che per trentanni durò, che alla
guisa di quasi tutte le consimili trasse con sé propugnatori
assai delle opposte sentenze, e che terminò, solita conclusio-
ne, col lasciare che ciascuno la pensasse a modo suo.
Nessuna paura del resto. I due grandi campioni si contra-
starono il terreno con si cavalleresca urbanità, che la repub-
blica delle lettere, esclama il Sambuca con una specie dì
soddisfazione, non vi rimase sconvolta o perturbata ^.
Cominciò dunque ( non vi atterrite , sarò più brcA'e del
Sambuca) nell' anno di grazia 1718 con una dissertazione
del canonico Paolo Gagliardi su di un marmo bresciano e
d'altre antichità nostre, nella quale senz' altri complimenti so-
steneva la città di Verona comprjBsa nel cenomano terreno,
e per ciò a noi sottomessa. Non è a dire come i Veronesi a
quella sentenza si rimanessero scandalezzati. Se ne levò
gran rumore, si tennero provocali ed offesi ^; e il loro Maffei
rispose per essi ( ed era uomo da ciò ) colla Ricerca Storica
intomo aWmnica condizione di Verona. Contro al Maffei si
levò il Giorgi con poca fortuna: più fortunata fu la risposta
del Gagliardi, che usciva nel 1726 col titolo di Parere intomo
aWantico staio dei Cenomani, e cogli Elogi del sig. Aiìostolo
Zeno, col quale per altro, sia detto fra noi, era stala confe-
rita*. Quando (1733) la Verona illustrata del Maffei, medi-
1. Labus- Cenni suir isola Lechi. -Ì.C. 3. Lettera V del Maffei nel ci!, voi
2, Mem. Slor. inlorno air antico stato p. 303.
dei CcQom, — Drcsc. Ì750. Pref. 4. Mem. cil. — PreC
I GALLI CENOMÀNI 131
Ulo e solenne lavoro, parve* imporre silenzio ai confendenti.
Se non che un altr^piii ardito si pose innanzi, e quattro anni
appresso, commentando quel passo di Catullo Brìoda Veronce
nuiter amata mecB, che fu il perno della discordia, riprese le
parti abbandonate dèi nostro Gagliardi h poi venne in campo
il Lazzarini colle sue lettere sostenitrici della causa nostra;
poi di rimando alcune gravi pagine del Museo Veronese , al-
tra colossale fatica del grande Maffei, che al Lazzarini, agli
altri tutti facea risposta; e il Lazzarini, e il Piazzoni, ed il Bai-
telli a rimbeccarlo con alquante loro critiche Animadversionù
Finalmente il Sambuca, raccolti in un ampio volume come
a dire questi atti della lunga contesa, aggiuntovi un monte
di lettere che la riguardano, in isplendida edizione li pubblicò.
Ma da tutta quell'immensa congerie di documenti, di fatti,
di supposizioni, risulta un' umiliante verità; ed è che' nel
calore della discussione non s'è badato a distinguere i tempi,
le successioni, le restrizioni od allargamenti diversi, come
più volevano i casi della guerra o i patti delle tregue e delle
alleanze della cenomana dominazione.
Erano dunque al Clisi i limiti nostri? Fu tempo nel quale
per quanto sembra veracemente lo dovevano essere ; come
fu tempo in cui sembra che largamente abbracciando ampio
tratto del Veronese, i Cenomani si dilatassero al di là del-
l'Adige, escluse però sempre le parti alpestri del territorio
bresciano.
Con venia di questi atleti che lottarono nella palestra ce-
nomana, i passi di Giustino, di Livio, di Strabone non ha ro-
vesciati il MafTei, nò si è sbrigato il Gagliardi da un detto for-
midiJjile di Polibio. Per V uno si portavano all'Adige i no-
stri confini, per V altro si limitavano al Clisi.
I. Volpi, in ed. CattUli — Palavii, of, Comin. 1737.
432
I GALLI CENOMANI
» Farmi che col distinguere i tempi ( scriveva il Labus) si
potean di leggieri conciliar le opinioni. Dai fatti narrati da
quegli scrittori a que' che Polibio racconta v' ha Y inter-
vallo di trecent'anni all' incirca. Or sarebb'egli assurdo il
sospetto che i Galli della prima incursione occupasser Ve-
rona; che battuti poscia retrocedessero al Clisi; che final-
mente, ripreso il Mincio, vi si fermassero e mantenessero
stabilmente? Fortissima e naturai barriera tra i Galli ei
Veronesi fu certamente questo rapido fiume; e che varie
guerre si suscitassero tra questi popoli poco amici sembra
manifesto ^ > .
* Anche Cetego, prima di percuotere gì' Insubri, fermossi
oltre il Mincio, e mandò esploratori nei cenomani vici che
erano di qua '. Se non che la topografica divisione dei
luoghi, r indole peculiare degli abitanti , la diversa loro
pronuncia , la costante giurisdizione eh' ebbimo di là dal
Clisi, e qualche gallico sepolcreto che fino al Mincio rinven-
nesi ^, mi fa credere molto probabile cosi acconcio tempe-
ramento >.
Ecco ragione per cui mio malgrado l' indagine dei confini,
varj sempre col variare dei cenomani fatti, disgiungere non
mi è dato dai fatti stessi che rendono testimonianza di quel-
le varietà, e ne danno quasi dissi la storia. 11 perchè svol-
gerle dovremo assieme al racconto delle patrie venture di
questa età, dividendo i confini della prima conquista dai po-
steriori ultimamente stabiliti.
1. SiGONits» De Antiq. Jur. Ilal. 3. FiUASi, Veneti primi e secondi. —
L I. e. XXIV. Ed. II. Padova 4811. e. V,pag.l30,
2. Livius , HùL Rom. k XXXII , n. 4, nella quale descrive que*gal«
e. XXYIU. liei sepolcri.
I GALLI ClilNOMÀNI 433
li dire di Tito Livio, che i Cenomani si collocavano dove
or sono le città di Brescia e di Verona, non è dire che la
fondassero; e se noi non avessimo la povera testimonianza di
Giustino, e la celtica radice Brix del patrio nome, la gallica
orìgine dei padri nostri sarebbe ancora un mistero.
E certo, il sostenerla come fatto indeclinabile sarebbe pre-
sunzione: perchè in quanto al facile Giustino, mi fa dai Galli
erètte anco Trento, Vicenza, Verona; mi agglomera e con-
fonde in una le diverse genti venuteci di Gallia ; mi fa pro-
venire gli antichi Reti dai fuggitivi che lasciarono agli stranie-
ri la patria terra, e tutto questo in un periodo che la crìtica
ponderatrìce dell'età presente ha combattuto ': e in quanto alla
voce Brix ' altro è dare un nome, altro è fondare una città.
Ma dov'erano dunque i tanti oppidi noverati fra i soli Euga-
nei da Catone ^, il pib antico e diligente ricercatore delle
nostre orìgini? Dove le diciotto belle e grandi città subalpine
descritte da Plutarco ^? Che sparissero come nebbia dinanzi
ad Elitovio e a Belloveso?E crederem noi che i rudi Galli, qui
abitabant viccuim sine muros (£lxouf h x«t« x^fe^c «7tix<^^«/c %
i. Cum in Italiani venissent, sedibus Damnorix, Orgetorix, Vercingeto-'
Tuscos expulerunt; et Mediola" rùc argomenta la desinenza medesi-
num, Comum, Brixiam, VeroHam, ma della nostra Brixia, Brix, Tuno
Vergamum ( Bergomum), Triden-' villaggio, 1* altro città, si trovano
tum, Vicentiam condiderunt. Tusci ancora in Francia: nel Tirolo Brir-
quoque, duce Rhetto, avilie sedi- xen, Brixlegg: Brixkam in lughil-
hus amisiis, Alpee occupavere, et terra, Brixvier nella Norvegia ecc.
ex nomine dueii, gentet RtUetorum ecc. Bresello su quel di Modena ,
condiderunt. — JusTiNUS, Hist. (P. Bresega sul Padovano, Bressa ncl-
Trogi Epitom.) lib. XX. T Udinese; tutte celtiche radici.
S. Egregiamente avvertiva il Mafiei, 3. Quarum oppida trigintaquatuor
che la desinenza in rix per testi- enumerat Calo, Plin. Hist, Nat,
roonianza di Cesare e d*altri antichi lib. IH.
era (aoiigliare appo i Galli (Verona 4. in vita Camilli.
Illustrata, parte I, lib. 1), ond'e- 5. Polyb. Hittoriar. lib. II, ed. Ca-
gli ne^gallici nomi Biturix, Boiorix^ sauboni.
134
I GALLI CENOMAM
queirorde che, secondo Polibio, dormivano sul nudo suolo *
si fabbricassero ad ogni piò sospinto una città, piuttosto che
prevalersi degli esistenti vici?
Dicemmo come venisserci costoro probabilmente cacciati
da intestine discordie^, ma non dicemmo come alla lor volta
sembra che respingessero dal piano lombardo Tetrusca razza,
dacché Polibio francamente ci parla di Tirreni sroccia^i dalle
stanze loro {tì^tfictKof %k m^ Tipi roi Tl<tìoix^P^^ Tuppnfm^y x«ei
x^Ti^x^^ flfu«roi Tee tìÌm )•
Venivano dall' Adda, alle cui correnti s' erano fermati
gr Insubri*, i quali appoggiando la cenomana scorreria m'ho
sospetto le valicassero insieme, ritenendo assai terreno di
qua. Procedevano quindi probabilmente la cenomane schiatte
nel centro dell'agro circumpadano, scendevano col Po. Ed
è per questo che a conciliare le storiche tradizioni parrebbe
doversi credere che i vinti risalissero quinci su per l'Alpi
della Rezia, quindi si ritraessero agli Appennini dell' antica
Etruria, lasciando aperto il varco di quasi tutta l' Italia set-
tentrionale.
I riparati alla Rezia, che molti vollero materna, donde
forse, argomentano gU slessi ^ erano calati ne'secoli anteriori
1. Quippe simplex illis vivendi mo-
dus, ut quibus somnus in herhce ,
aut stramenti loro erat, alimbnium,
carnes tantum; nec quicquam aliud
cnrXy nisi res bellicoe et agrorum
cuUus; nulla alia, neque scientia,
ncque arte apud ipsos cognita.
PoLYB. Hisioriar, lib. II, e. 17.
2. Galli . . . prorsus in omnibus actio-
nibus suis ira atque impeiu, non
Consilio reguntur. PoLYB. L cit. E
narra ancora come i Galli, vinta
Roma, nella medesima appena in-
vasa Italia combattessero fra di lo-
ro. — Poslea vero Gallos bella
civiltà exceperunt. E si sa de'Boj
che neiritalia stessa uccidevano due
loro capi, si cozzavano coi Transal-
pini a Rimini, onde i Romani se
ne ritrassero lasciando che la di-
scordia pugnasse per loro. Poltb.
luogo cit.
3. Historiar. 1. cit.
4. Livius, Hist, Rom, lib. V, e. XXXIV.
5. .\ssai germanici scrittori, e con essi
qualche italico seguace.
I GALLI CENOMANI
135
ad ogni certa memoria, si sarebbero condotti da un Reto, e
del sao nome le Alpi Rezie distinte ^
Allegando altri antichi analogie di lingue, di costumi,
di monumenti, fu sostenuta ne' tempi nostri assai più vetusta
la retica stirpe derivazione dei Tirreni o Raseni, uguali agli
Euganei ', che poi vennero abbracciati (e questo pure ab-
biam detto) dall'ampio e glorioso nome di Etruria. E noi di
buon grado a questa ipotesi ci accosteremo.
In quanto a Verona, che pur si volle cenomana, quand'an-
che il passo di Livio debba leggersi tal quale ' ; quand'anche
all' impeto primo della invasione la cenomana gente si fosse
coU'armi stanziata infine all'Adige, e fermando per questo mo-
do la sua conquista al termine consueto di un vasto fiume ^
abbia tenuta Verona, io sospetto si contrastata e transitoria
quella dominazione, da non considerarsi come limite di più
1. JUSTINUS, Hist 1. cit.
2. Balbo, Sommario; Gantù, Storia
Univers,; Trova, Storia d'Italia;
GiovAMCLLi, Pensieri intomo ai
Rezj — Delle antichità di Matrai
ecc. ecc. — per appagarmi di pocbi
e nostri, ne farmi bello di stranieri
nomi, cosi facili a mendicarsi, e
COSI preferiti.
Veramente le parole chiarissime di
Livio Alpini^ quoque ea (cioè delle
prime colonie etnische ) haud du-
ìne origo est, maxime Rhxtis, rac-
chiudono un senso di losca e lut^
t* altro che sì recente origine quale
Giu&tino accenna. Omnibus Alpi-
niSy exceptis Liguritfus, origo etru-
sca est» aggiunge Cajo Sempronio ,
prcecipue Rhatis (in Diris. Al-
piò. ); t Dionisio d' Alicamasso
(Antiq. Rom, lib. I, e. 30) tiene
uguali Tirreni ed Etruschi.-- ^flrnc
gentem (Tyrrhenara) pervelusta est;
Romani ipsa Hetruscos appellante
In quanto alla loro medesimezza
cogli Euganei abbiam parlato al-
trove. Del resto Plinio medesimo,
narrandoci di Reto, pone in dub-
bio il fatto. — RhfBtum Tuscorum
prolem arbitrantur a Gallos pul-
SOS» duce Rhceto, Hist. Nat, lib. Hi,
e. XX.
3. n Maflci ( Ver. III. par. I, lib. I )
accumula ragioni (sempre ingegno-
se anche quando non convince),
per leggere in Livio - Ubi nunc
Brixiam oc Cremonam urbes sunt.
i. Territoria inter civitHtes ... alia flu-
minibus finiuntur, alia summis
montis jugis ac divergiis aquarum.
Flacccs SiCL'LUS. De Condilicni-
bus Agrorum, pag. 24, ed. Gossii.
136 I GALLI C£NOMAM
veri e stabiliti cenomani confini, sicché nessuna condizione o
mutamento politico derivasse alla eugama città dai Galli stessi
probabilmente poco appresso perduta. Quest' unica supposi-
zione porrebbe una qualche relazione fra le parole di Tito
Livio e quelle del più esatto geografo di tutta Y antichità ^
Fondata dunque dai Galli Cenomani, se cosi vuoisi ad
ogni costo, la nostra città, o dirò meglio, aggiunte al vico li-
gure, alla specula Cidnea^ le cenomane case, pronunciato una
volta quel sacro e dolce nome di Brescia, che per si lungo
avvicendarsi di glorie e di sventure a duro prezzo di la-
grime e di sangue serbiamo ancora intemerato e grande,
vorremmo noi credere che quel simulacro di città siasi recin-
to allora di torri e di muraglie da un popolo che alla guisa
dei Germani ' aborriva serrarsi, com' e' dicevano , a mo' di
belve nel cerchio di una fossa ^ ? No certamente: il Caput
gentis Cenomanorum di Tito Livio ^ tanto non acchiude e
non esige.
1. RcBtorum et Eugatieorum Verona, i. Tacit. HisL lib. IV, e. 64. Una
PuNius, HistNaS, lib. Ili, e. 19, prova insigne dell'asserto da Ta-
il quale esaltamente attenevasi al cito e da Cesare intomo avvici,
libro delie Origini di Catone, Vo- o dirò capanne di tutli i popoli
racolOyàìròco\yLBif![e\, delle [prische di razza cellica , sono le jrudi ed
età, e che visse piti di due secoli isolate casupole scolpite nella Co-
avanti fera nostra. lonna Antonina, poveri ma sinceri
2. l\ ligure e tosco uso degli oppidi monumenti della civile architettura
murati e delle rocche, a differenza di quelle schiatte. Di più, leggia-
del celtico, è già noto. Anco i Reti mo in Plinio che i popoli sotten-
di etnisca origine spesseggiavano trionali coprivano di paglia le loro
di rocche e di castella. — MultU case; in Tacilo, che i Germani le
urbium et castellorum oppugnatio- fabbricavano di legno, e senz' arte
nibui,.. gentes locis ttUissimas eie, alcuna ( Maffei, Ver. Hlust p. I,
Vellbjds Paterculus, 1. Il, e. 95. lib. XI. Corderò, Deir Italiana Ar-
3. Nullas Germanorum populis urbes chitetlura durante la loogob. domn
hahitari, tatù notum est, ne pati nazione — Brescia 1829, p. 1S9.
quidem inter se junctas sedes, ecc ecc ).
Tacit. Germ. 5. Hist, lib. XXXII, e. 29.
1 GALLI CENOMANI
i37
E se que' barbari, che forse non ebbero in patria veruna
città (nel suo più ovvio significato), mossi all' esempio delle
etrusche, si fecero ad imitarle, ad apprendere Y arte italiana
sopra italici monumenti , a dirozzarsi, a sentire colla mitezza
dell'aere lombardo il bisogno di più miti costumi, non potea
succedere che gradatamente, perchè le colture dei popoli non
vanno per salti.
Instabile se vuoisi e combattuta, ma fino all'Adige argo-
mento che pervenisse nell'urto primo della invasione la ce-
nomana conquista. E dove il MafTei sottilmente appuntando
la parola manus di Tito Livio oppone non essere possibile
che un pugno d'uomini giugnesse fino all'Adige, non avverti
che quegli uomini venivano facente BeUoveso S opperò spal-
leggiati dalla più numerosa e potente delle galliche genti a
noi venute, la Insubre ': cita Polibio, ma se ad arte o a caso
vagamente lo interpretasse non so; certo che male assai se
ne valeva, perchè lo storico alla perfine non circoscri-
ve qual fosse il paese che al di là dei Cenomani si ter-
minava dal mare Adriatico, e pare anzi che parli del po' che
restava presso l' adriaco seno. Quod superest deinde spatium
ad Adriaticum sinwn traduce largamente il Casaubono ^,
ma è cosa ben altra dal senso originale del passo di Polibio:
rtt Ì9 nrpoi ref Aìptotf nìn vpeffvxofrec , il che dovrebbe tra-
dursi qucB vero ad Adriam jam pertinent; e la testimonianza
non è più quella, e si sente a primo tratto che racchiude un
i. LiviDS, Hist lib. V, e. XXXIV.
2. Insubrei, gens inter omnes tunc
MOMMI. PoLTB. Hist, lìb. Il et
poieim. — Dua inier ilUu potetin
tistimm gentes Intubres et Boji 1&'
gationem ad eoe Gallos misere e/c
3. Ecco r intero passo. Primi seda
pasuerunt Lai, ae Lebecii: et qui
hos sequuniur Insubres — Deinceps
fluvium accolunt Cenomani: quod
superest deinde spatium ad Adria-
ticum sinum alius poputus longe
antiquissimus ohtinebaty Venetos
voeant, sermone diverso a Gailis
utentes; ccetera moribus et eultu
similes. PoL. ed. Casaub.XAl, e, 17.
138 I GALIJ CKNOHANI
senso direi quasi opposto, tanto più che Polibio stesso poche
righe dopo queste, toccando degli Egoni un po' distanti, ma
non quanto Verona, dalle marittime piagge, nota precisa-
mente che fossero come verso il mare.
Epperò i limiti di quella stanza prima parrebbero ad
oriente due grandi fiumi dell' Italia superiore , l'Adige
ed il Po.
Ma le parole di Livio tèi nunc Brixia ac Verona urbes
8unt * non potrebbero far supporre di verso gì' Insubri più
largo limite dell' Ogiio. Checché si pensi, le due città per le
quali ci vengono risolutamente deternlìnati dallo storico i
due capi estremi delle terre dai Cenomani occupate, tolgono
il sospetto di più vasti confini; perchè da Brescia all'Adda,
correndo spazio quasi maggiore che da Verona a Brescia,
nessuno avA'erti, né pure il Maffei, che i pretesi limiti del-
l'Adda addoppierebbero di altrettanta ampiezza l' agro ceno-
mano quanta fu quella da Livio circoscritta. Gl'Insubri si
fermarono all'Adda. Vero: ma chi ne dice che nell' unirsi ai
Cenomani ([avente Belloveso), passato l'Adda con essi, vi si
fermassero, ed allargassero per di qua le terre loro ?
Si opporrebbe Cremona, cui Plinio fa cenomana *; ma
questa io crederei ripigliata forse dagli Insubri ai Galli
nostri nell'alterna fortuna delle guerre civili che secondo
Polibio ardevano fra i Galli subalpini ^. In quanto al Po, é
certo che i Galli Cenomani ne abitassero le rive, sulle quali
più eh' altro sembra Polibio collocarceli (x«p« rotec «"«Toffior
KtfOfieO ).
La cui sentenza verrebbe convalidata dal fatto che i Lin-
goni ed i Boj, trovando posseduta dai confratelli sino ai mar-
1. Hist. lib. V, e. XXXIV. manorum agro. Vlìs. Hist Natur,
2. In mediterraneo regionis decimai lib. lU, e. 19.
colonia: Cremona, Brixia Cena- 3. Historiar. lib. II.
I GALLI CENOUUM 139
gìni deir Eridano la terra lombarda, valicarono il fiume per
gittarsi agli Umbri ed agli Etruschi ^
Un po' più difficile a investigarsi parrebbero i confini di
verso borea. Un passo è per altro in Polibio, che ad alcuno
sfuggi, e che rispondendo mirabilmente ad un altro dì Stra-
bone, parrebbe determinarli. Scrive il primo che %V Insubri
ed i Cenomani si erano fermati alla pianura lombarda; e ve*
ramente Polibio non parla mai che di piano *. Avverte Y al-
tro che i Reti occupavano dalle radici in su que' monti lom-
bardi che svolgonsi da Verona insino a Como ^; disgiunge gli
è vero i Tridentini, gli Stoni, e coi Leponzj altre minute
genti dalla Rezia istessa ; ma non è men vero che tutte alla
perfine sotto V ampio nome di Rezia si comprendevano *, e
Strabene medesimo le accerta dei Leponzi e dei Camunni (Oi
PflUTOi (itXP^ 7V( It«\i«( Ket^nxouffty 7f ( uTtp O'jnpvvof xect Kwftoir,
luerttfoufft 2f X0» ffttXP' *^<i^^ x^P^"^ ^'^ ^^ ^ Vitm ^iptreety vourou
V%ttTt TOif fjxou xxt AiTovTot xxt Kflfftouyo<). Epperò quant'è di
montuoso nell'agro bresciano, tutte insomma le valli che
abbiam descritte , e le alture dei benacensi, e qual altra pur
1. Pennino deinde Boji Lingonesque Lepontii et Tridentini et Stoni alii-
transgresst, quum jam inler Po- que complures etc.
dum atque Alpes omnia tenerentury 4. E qui Strabene contradice per dir
Pado ralihus trajectOy eJc. Liv. vero a se medesimo; acchiudere
Hist. lib. V, e. 35. Leponzi e Camunni nell*Alpi Reti-
S. Cupiditatis oculis in pulcherrimam che non è lo stesso che limitare
planiliem adjeciii . . . Etruscos it^ quest'ultime a qualche móntagnuo-
vadunt, ex regione circumpadana la sopra Como. Del resto: Hujus
ejiciunt, atque Jpsi planitiem i7- nationi f'Rhffiticae^ sunt Lepontii
iam occupanf. E più innanzi: Dein- et Camuni. Fertini et Tridentini
ceps fluvium ( Padum ) accolunt et Beruenses Rkwiica oppida scri-
Cenomam. Polyb. Hisioriar. l. IL ve Plinio (Hist. N. 1. Ili, e. XIX).
3. Strado, Geog, lib. IV. Supra Co- Rhxti ad Alpes Italia^ finitima»
mum, quod est ad radiccs Alpium quas Tridentina» nominant sede»
situm, ìiahitant versus orientem suas habent, DiONl CASSI I Hist.
Bhteti et Vennùnes. Alia ex parte lib. LIV .
140
I GALU CENOMANI
vogliasi diramazione dell' Alpe tridentina, dal cenomano pia-
no di Polibio si disgiungeva.
Genti indomite, irrequiete, ardimentose, liguri di sangue
e di coraggio, calavano sovente que' nostri alpigiani, irrompe-
vano con subite scorrerie, come abbiam da Strabone S la gal-
lica pianura. Che ne seguissero conflitti, che i Cenomani alla
lor volta si impadronissero, a frenarne l'ardire, di qualche op-
pido 0 vico delle propìnque valli è probabile assai: da qui
forse que' gallici nomi rimasti sopra lapidi valligiano a qual-
che terra, a qualche antica divinità dei nostri alpigiani, che
d'altronde non furono domati mai totalmente se non che
a' tempi d' Augusto *.
Nò vasti come il Gagliardi, né poveri come il MafTei si ar-
gomentava, parrebbero dal fin qui detto i cenomani confini
della prima conquista. Più generoso è il Bravo; e nove cittì,
Brescia, Bergamo, Cremona, Verona, Mantova, Trento, Be-
driaco. Crema e Vicenza largamente ai Cenomani concede '.
Ma possessori tranquilli di si gran parto dell'agro circum-
padano sembra che i Galli Cenomani non rimanessero gran
tempo; ed eccoci alla storia delle loro posteriori vicende.
1. Geograph. lib. IV.
2. Plin. Hitt Nat. lib. Ili, e. XX.
Troph. Aug. gentcs . alpinae .
OMiNCS . QVAE . A . MARI . SVPERO
. AD . INFERVM . DEVICTAE (Speta-
lieri, Trofei d* Augusto a Torbia.
Mem. dell' Accad. Toriucse, p. Il,
tomo V, pag. 161 e seg,). Tocchi
appena i 24 anni dell'età sua (an.
Varr. 739, av. Cristo 15), già fatto
questore, assumeva Druso la guerra
incontro ai Reti ( In qwEstura:
honore dux Rluefià Belli. Svbton.
tu Claud. e. I ), e loro fottost in'
contro gli sbaragliò ( DiON. Cass.
lib. LIV, e. 22): impresa che Ora-
zio ha celebrala ( Comi. lib. IV).
Seguitando però questi ad infestare
le nostre campagne, Tiberio e Dru-
so per comando d'Augusto mos-
sero loro aspra guerra (plurimo
cum earum sanguine, — Vell.
Paterc. Hist. Rom. lib. 2, e. 95),
colla quale fu terminata la Retica
indipendenza.
3. Storie Bresciane — lib. 1^ pag. 42.
i CAUX CENOBL\M
Uì
HI.
fatti cenomani dopo il loro stabilimento
nell'agro nostro
A due storici insigni tra i sommi di tutta Y antichità noi
dobbiamo il po' che n'è dato conoscere intorno a si lon*
lane eppur domestiche vicende: insigni, ma diversi d'ani-
ma, di stile, d'intendimenti -* Polibio e Tito Livio. — E per-
chè si conosca il valore di quelle fonti è duopo un motto
deD'ano e dell'altro.
Chiaro, semplice, posato, facilissimo narratore è il primo,
ma la sua posatezza non è altrimenti la profonda e severa di
queir arduo intelletto di Cornelio Tacito, con cui tirannidi,
miserie, depravazioni de' tempi suoi terribilmente flagella : ò
una certa più splendida e più serena tranquillità che tiene un
po' del Tucidide e del Senofonte, e che forse dobbiamo al-
l'esser nato ellenico. Polibio non declama, racconta : esatto,
imparziale^ investigatore, egli è lo storico più delle moltitu-
dini che di quei personaggi, di quegli eroi che sono la deli-
zia di Tito Livio. Brevemente: è il vero storico nel senso più
rigoroso della parola. E forse ignorato avremmo un trattato di
pace fra Cartagine e Roma, se un greco d'Arcadia non fosse
stato prigioniero dei Romani; e quel prigioniero è Polibio ^
1. Lo troYÒ scolpito in bronzo nel
tempio di Giove Capitolino in an-
tleo linguaggio; e nel darne un
sunto afferma che quel trattato, ed
altri ancora, non si conoscevano in
Roma, Levesque, Dautes, eonjè^
dura et dUausiom sur differenti
Ooomicf, Storie Breie, V^L I.
points de Vlstoire Romaine, Me-
moire» de VlfuHtut Ro^. Paris,
1815, tom. Il, pagina 307 e seg.
Polgbius bonus auctor in primis
dicealo Cicerone: Noti incerium
uuctorem kaud quanquam sper-
nendum un po' superbamente Livio,
II
142 1 GALLI GÈNOMANr
Altri modi, altro carattere, altro pensiero è quello di Tito
Livio. Ampio, grave, eloquente, con un andare maestoso che
ti rapisce, egli ti avvolge quasi senz'avvedertene tra il sogno
lusinghiero delle glorie antiche. Il suo racconto è quello di
un'anima romana che sente Torgoglio di un tanto nome; op-
però tutto vela del fascino di quella luce che brilla nei fasti
del latino impero, e par che sfugga l' indagine minuta per ti-
more che innanzi all'austera e discoperta realtà quell'aureola
luminosa impallidisca. Ed è perciò che fa levare a Porsenna
gli accampamenti, senza aver cuore di dirci che Roma era
vinta. Ma Tacito noi tacque ^
Non ha dubbio che sul romano lo storico d'Arcadia per
esattezza e rigore di narrazione si levi; e in alcun lato di
preferenza lo seguiremo: ma il nostro cuore sarà sempre con
quell'anima immensa di Tito Livio, che sola fu pari verace-
mente alla romana grandezza.
^IJBt' Poco più di un secolo e mezzo dopo il loro conquisto, di-
strutta la lombarda Melpo ^ i Galli tutti movevano, come ab-
biam notato, contro la stessa Roma, e ornai ne circondavano
il Campidoglio; e l'inconcepibile e prodigioso risollevarsi
delle sorti latine, che noi tutti conosciamo per le calde pa-
gine di Livio, quel rapido trionfo che un avanzo di scompi-
gliato esercito otteneva sulle vittrici moltitudini dei Galli con-
federati, è a collocarsi fra quei portenti che il grande storico
il quale poi talvolta ne copia fino 2. Meipum opulentia pntdpuum^ qui
i periodi. Non sono in Polibio le gra- ab Intuhribu» ei Bojis ei Setum-
zie del secolo di Pericle, ma è cri- bus deUium est eo die, quo Cornila
torio storico al pari e più di Livio. lus Ve^os capit, ut Cornelius Ne-
Ì.SedemJovis Optimi Maximi,..quam pos tradidil. Plinius, Hist. N.
non Porsena, dedita urbe, neque lib. III. Ove poi fosse quella ve-
Galli capta^ temerare potuissent tusla italica città è questione an-
eie, - Tkcir. HisL l IH, e. LXXII. cera fra gli eruditi.
I GALLI GENOMANI 143
a cagioni altre mai aon suole ascrìvere jche a romana virtù ;
le quali ad ogni modo inesplicabili sarebbero tuttavia, se Po-
libio con quel suo fare tranquillo e risoluto non le svelasse.
E la più grave era questa, che i Veneti, cogliendo appunto
r istante in cui tutto il nerbo delle gaUiche schiere trovavasi
lontano ed impigliato nelle guerre d' Etruria e di Roma, in-
grossati forse dai Patavini (altra veneta stirpe) invadevano il
territorio gallico * ad essi vicino; e non è a dubitare che non
irrompessero precipuamente in sul cenomano terreno.
L'ab. Furlanetto , archeologo patavino non ha molt' anni
perduto, supponeva quella mossa dei Veneti consigliata per
arrecare ajuto ai Romani \ Tanto da Polibio non risulta, nò
a?verato ò ancora se fosse a quel tempo tra Veneti e Ro-
mani qualche relazione. Parrebbe invece che profittassero
dell'occasione a riprendersi i luoghi dai Galli Cenomani con-
quistati.
Il perchè non ad un pugno di Ardeati che Furio Camil-
lo avea tratti con sè^ ma si all' annunzio tra le galliche file
pervenuto dell' ingrossarsi loro a tergo dell'armi venete
debbo ascriversi il subito scompiglio di tanta mole d'eserciti,
di vittorie e di speranze ^: ed è singolare che di Camillo non
si trovi nelle pagine di Strabene e di Polibio neppure il
nome; anzi abbiamo dall' ultimo che i Galli se ne ritrassero
colla preda intera. Un solo motto sfuggito a Plinio parrebbe
accennare al fatto dì Camillo; ed è là dove ricorda che
i* Mot interveniente caeu qui domwn 3. Justiore altero deinde predio . . . .
eoe rewocabat, quod Veneti ipto-^ ejusdemque ductu avr-
mm finei cum infesto exercitu epicioque Camilli vincuntur. Ibi
eranl ingressi, pace cum Romanie cmdes omnia obtinuit; castra ca-
facta, urbeque ipsius redita, ad suas piuntur, et ne nuntius quidem eia-
stdes redierunt. Polyb. 1. IL dis relictus (!) È un pò* Iroppo.
1 Lapidi PaUviae illustr. pag. IX. Liv. Hist. lib. V, e. 29.
144
I GAtU GENOMAM
A7. C.
M4
M. Crasso toglieva dal Campidoglio ventimila libbre d' oro,
di quello che l'esule insigne avea ripreso ai Galli *. Strabene
darebbe il vanto dell'averneli spogliati s^li abitanti di Cere;
e Svetonio racconta che la famiglia Livia sostenea doversi
Teroico fatto a Livio Druse K Del resto, un altro passo di
Polibio, che a tutti ò sfuggito, fa sospettare più ancora della
veracità di Tito Livio; ed ò dove narra che alcuni gallici am-
basciatori spediti oltr'Alpi, si vantavano coi Cesati aver pos-
seduta per sette mesi la città di Roma, averla abbandonata
a ìaro Ubera scélta^ ed essersi torneai illesi àUa patria loro
con tutte le spogUe '.
Ritornavano i Galli subalpini alla male abbandonata loro
sede: e pare che tra Veneti e Cenomani seguissero da poi
alcune guerre, nelle quali sembrerebbe riconquistato 'dai
Galli assai terreno, e che dopo una vicenda alterna di per-
dite e di guadagni territoriali, ne conseguisse una pace; dirò
di più, un'alleanza. Prova ne sia che gli uni li vedrem con-
giunti a fornire in altro tempo non lontano un esercito di
ventimila uomini a Roma, che di soccorso gli uni e gli altri
avea richiesti ^.
E che assai travagliassero i Galli subalpini in casa propria
Targomento da ciò, che per trentanni il territorio latino più
1. Hist. Nat. Ub. XXW, e. I.
2. SvETONius in Tibet, e. III.
3. Per teptem memes inpoiestaie sua
detenla, posteaquam tua spante
et benefica loco eam vietis tradir
dissoni: ilUesi ipsi .... cum omfit
pr€eda inpatriam reverterant. Poi.
Hist. lib. II, e. 22, ed. Casauboni.
Benché circondalo da tutti i leno-
cinli dell* eloquenza, ò però duopo
argomeulare nal fatto di Camillo
alcuna cosa di vero. La preda é
stata tolta: Sallustio e Plinio Io
afTermerebbero. E Livio, benché fa-
cile accoglitore di tradizioni glo-
riose, non avrebbe osato arrestarsi
con predilezione sopra la splendn
dissima e veramente italiana di Fu-
rio Camillo, se egli medesimo aves-
se dovuto sospettare della sua reilti;
e sono in questo col sig. Larcher.
4. PoLTB. Historiar. lib. U, e. U,
I GA^l CENOMANI 1 43
non Tìde un Gallo ^ Poi vennero altre loro fazioni contro i
Romani ^ e noi le abbiam notate: ma non furono per lo più
che tra i Cispadani susseguiti ai Cenomani e l'altre schiatte
occupatrìcì di quelle parti d' Etrurìa, deUa Campania e del
Piceno die più a Roma si trovavano dappresso; e noi li vedia-
ino sconfitti raccogliersi in Apuglia '.
E farono audaci, che s'erano avanzati per la via Salaria ad
accamparsi a tre miglia da Roma di là dell' Amene. Tuttavolta,
aggiuntisi ai Galli tutti que' che Polibio chiama Transalpini,
saccheggiarono in sul Romano; poi si ritrassero (battuti dall'ar-
mi romane secondo Livio, dalle proprie sconcordia secondo
Polibio) all'agro Tiburtino per internarsi nella Campania ^. E
una pugna fu sostenuta tre anni dopo contro i Galli venuti
da Preneste '; e contro ad altri venuti dal Lazio un'altra gra-
vissima ebbe luogo \ nella quale i vinti stranieri furono ri-
buttati atte piagge marine ed aUe navi ''.
Per lungo tempo i Galli lasciarono tranquillo il popolo
romano ^
1. Triginia jam anno» pacem eosian' 5. Quod Galloi mox Pmneste venisse.
ter servaverant. Poltb. 1. Il, e. 19. Liv. lib. VII, e. 12.
t. Hoc autem anno in Albatio agro 6. Liv. lìb. VII, e. 23, ove dice i
cnm Gallis, dieUUore M, Furio^ si-^ Galli gens fero» et ingenti avidi.
gna eollata, Liv. Hist. 1. VI, e. 42. ad pugnam.
3. Àpuliam maxime petentes, Liv. Hist. 7. Qui Gallos .... postremo in mare
lib. VI, e. 42. ac naves (populus romanus) fuga
4. Galhnun exereUus ...in Tiburtem compulerit eie. Liv. Hist. lib. VII,
ognun... mox in Campaniam tran- e. 32 ; e poco prima: Inde Apulia
nm/. Liv.lib.VII, e. 11. — Mutua ae mare iuferum peiierunt. Liy.
eapidiiate rerum eaptarum ad sedi- lib. VII, e. 26.
tionem impulsi, eiprasdm et exerev- 8. Q^ieia omnia apud Gallos esse ete.
tue sui honam partem amiserunt. Livius, lib. Vili, e. 17, annodi
FamiUaris est Iute Gallis ma- R. 422. — Satis explorata tem-
nia. . .ubi preesertim mero ct'òo- poris ejus quiete, a Gallis Priverà
qae sese ingurgitarunt, — Polyb. num omnis conversa vis. Lmus,
Hist. l. U, e. 19. lib. VIU, e. 20, anno di R. 426.
Av. e.
J03
{ 46 I GALLI CCNOMANI
Pur s'appressavano gF istanti in cui Roma, cessate le dh
fese in casa propria, . dovea cominciare ad offendere V altrui.
Narra T. Livio come una flottiglia di Greci approdati a Italia
prendesse la città di Turio nei Salentìni. Emilio Console, posti
in fuga gli arrivati, sospingevali alle navi. Cleonimo re di Spar-
ta era duce di quella fiotta, la quale balzata dai venti in mez-
zo all'Adriatico, vedendo a sinistra Italia senza porto alcuno,
a destra Illirici e Libumi fierissimi corsari, alle venete pi^
gè s'accostò; e udito esser queste nulla più che tenue lido,
oltre il quale stagnar paludi e maremme travagliate dalla ma-
rea, innanzi ancora apparir qualche campo, e più in là delle
colline, oltre le quali ampia foce di un fiume ( il Medoaco),
ora Bacchigliene ^, e dentrovi navigli che volteggiavano, ap-
prodò a quella foce ^.
Sbarcate le genti, si pose a correre , a dispogliare quelle
povere terre. I Padovani, ch'erano sempre (semper) in armi
contro i Galli probabilmente Cenomani loro limitrofi (agcolìe),
invadevano la flotta di quel re venturiero , e sostenuti dai
Veneti la ponevano in fiamme '.
Dunque i Cenomani giugnevano fin là?
Nò più né meno: il passo dello storico non ammette que-
stioni, e notisi che Livio ò padovano. Nò a tempi determiuati,
ma sempre egli dice che fosse in guerra coi Galli la sua città.
Vorrebbe il Maffei che alluda lo storico a guerra veneta più
che patavina ^. Ma se delle anteriori a questa ò inutile par-
1. FiLiASi, Mem. dei Veneti primi e galli habebant) in duas parUs
secondi — lom. 0, pag. 182. juvetUtUem dividunt de, Liv. 1. X,
2. Livius» EUtor, lib. X, e. 2. e 2.
*ò, Tribus maritimis Patavinorum vi- 4. Le guerre dei Galli non erano coi
eù eolentibui .... pen*enU. H(bc Padovani in particolare, ma coi Ve-
tt^t Paiavium sutU wintiaia (sex- noti tutti (Verona Illustrata, par. 1,
PKn au^em eos m armis accol.'E lib. I ).
l GALLI GENOMANr 1 47
lame, poiché là storia noa ci ha lasciato ricordo, di questa
ben si può dire che fu specialmente coi Padovani. Patavini
furono i vici posti a sacco dal re di Sparta (PcUavinoruinvicis),
a Padova l'annuncio se ne portò (ìkbc ubi Patachm mtU
nutuiaia), Patavini furono i militi che assalivano le navi. Che
più? i rostri delle navi elleniche e l'altre spoglie portate a
Padova in trionfo si appesero nel vecchio tempio patavino di
Giunone a ricordanza del fatto , di cui fino a' tempi di
Livio con giuochi nautici sul fiume che scorrea nel mezzo
della città solennizzavasi Y anniversario ^ (PatavU monumen-
Htm nacalis Oc.).
Dei Galli non è più parola per qualche tempo negli storici
antichi, e non ò infondato il sospetto che fossero venuti coi
Romani ad un patto, ad un accordo qual che si voglia: perchè
avendo sborsato loro gli Etruschi assai denaro per averseli
ausiliari, insaccato Y oro, levarono pretesti per non combat- a?, c
tere *. E quella guerra di Toscana fu lunga, ostinata, dolo-
rosa, tanto più che un' altra nel Sannio s' era levata ^.
Ma vinte ambo appena dai Romani, eccoti la notizia che Sa-
bini, Umbri, Toscani ammutinatisi, trascinavano con sé, com-
perati a gran prezzo, anche i Galli; e già i Senoni tagliata a
pezzi una legione romana, portavano penzolanti al petto dei ca-
valli e conficcati in sulle lancio, com'era l'uso di que'barbari,
le teste degli uccisi, e gavazzavano cantando loro carmi di
I. Rùilra fMviiM» ipoliaque Loco- 2. Liv. Hi$L lib. X, e. 10.
nmm, in cede JuMnU veteri fixa, 3. È nolo eome in quella gnerra del
mmUi ntpenuni, qui videruni. Po- Sannio il Console remano avesse
tavii moiMMiefiiui» navalis pugtut mandalo nel campo nemico gnaros
€ù dity quo pugnaium est, quotati- osca linpuB, explorandum quid
nis soUmni certamine navium in agitur eie, Livivs, Hist. 1. X, e. 20.
/liMiMe oppidi medio exereeiur. Era linguaggio adanqae ìncoropren-
Lfv. Hist. lib. X, e. 2. sibilo pei Romani slessi.
i.48 I GALLI CENÒ» ANI
guerra ^ Ma i Romani furono all' assalto un' altra volta: ìe
galliche moltitudini, soggiunge Livio, intolleranti della fatica
e del caldo, squagliavansi ^; lor non giovava né il combattere
in piedi sui cocchi e sulle benne con grande strepito di ca-
valli e d'armi ', né Tessere lo stesso Console rimasto sul
campo. Sanguinosissima fu la battaglia, ma la Repubblica di
Roma ne usci vincitrice.
Quattro anni dopo altro esercito di Galli assaltava Arezzo;
il perché la Repubblica, superate queir orde, padrona ornai
di tutto r agro che i Senoni avevano occupato, primo esem-
pio di romana colonia, freno ai resti di que' barbari, la già
gallica Sena colonizzava ^.
Tanto avveniva, soggiunse Polibio, tre anni prima della ve-
nuta di Pirro in Italia, che fu intomo al 280 av. C. — Galli
e Romani si rappattumavano, e seguiva al dire di Polibio
un' altra pace, che per quasi mezzo secolo durò '.
Indi nuova sollevazione d' altri Galli all' istante soffocata,
0 per meglio dire lasciata estinguere da sé; perche i Boj
1. Galiarvm equitei^ pectoribus equ(H pugua^ itatim m sudorem tic, (De
rum suspensa gestante» capita, et Gest. Rom, lìb. II, ci).
lanceU to/Sxa, ovantegque moris 3. Novum pugna conterruii genus;
sui Carmine eie, Lmus, Hist. lib. essedis carrisque supersians arma"
^, e. 26. ius hostis ingenti somtu....ad9e-'
2. Gallorum etiain corpora iutoleran- nit. Liv. Hist* lib. X, e. S8.
tissima lahoris atque cestus fluere, 4. Ita potiti universa Senonum diiio^
pritnaque eorum praclia plus guam ne^ primam in Galliam coloniam
virorum, postrema minus quam /<^- eo mittunt. Sena hsec dicitur de eo-
minarum esse. Liv« l. X, e. ±%. rum Gallorum nomine, Polyb. Hist.
E veggasi come Floro adoperi qua- lib. II, e. 19.
ai le parole istesse: Sicut primus im- 5. Gesta kasc sunt triennio prius quam
petus eis major quam virorum est, Pyrrhus in Italiam trajiceret. —
ita sequens minor quam feminarum, Quievere post hoc detrimenia Galli
Alpina quìppe corpora, humenticce- per annos quadraginta quinqueg
lo educata, habent quiddam simile pacem eum Homanis colentes.
nivibus suis, nam mox ut caluere PoLYB. lib. II, e. 20 e 2K
I GALU CCNOBIANI 149
■i
sdegnati che i capi avessero tenuti consigli absque mtdtitu-
dinis consensu ^, uccisi due loro principi, tumultuarono, e fu
strage fra di loro: Tesercito romano, che s'era messo in armi,
veduta combattere per lui quella fatale conturbatrice d' ogni
bella impresa, che è la discordia, se ne ritrasse. Ma cinque
anni dopo, avendo la repubblica di Roma spartite fra i militi
le terre dei Senoni ^, gì' Insubri ed i Boj, principalissimi dei
Galli subalpini, dispettando la invisa potenza romana, paven-
tando in una la sorte commiseranda dei nazionali , manda-
rono ambasciatori ai Cesati, ferocissimi Galli tra V Alpi ed il
Rodano, onde averseli compagni neir odio e nella riscossa ^.
In poco d' ora Y alleanza fu chiusa; i Cesati stessi movevano "'^i
con grandissimo rumore di guerra alla volta d'Italia l'ottavo
anno, secondo Polibio, della male augurata divisione ^.
Al sollevarsi di tanta procella, la Repubblica impaurisce, e
affrettata una più tregua che pace coi Cartaginesi ', s' ap-
presta air armi.
Non mai da quasi due secoli erasi commossa « .radunata
air insubre invito cotanta e si altera gente ^. Venia dall'Alpi:
era fiumana di popolo infinito , che non come orda selvag-
gia ed incomposta, ma con ordini ed armi e condottieri quale
di giusto esercito avea fermo decidere dei gallici destini di
Av. C.
1. PoLYB. Hiit. )ib. II, e. SI. i. Per la quale i Senoni Yenìvanodi-
S. Quinto ab Hoc tumulto anno... stérraiDali, e di si latta guisa da
Romani Gallim CUalpincR agrutn non rìmaner d* essi più vestigio
Fieenum dictum, quem devictU Se- alcuno. Jornand. De Ae^n. Succ.
nonibùs ademeran!, divUeruni. Po- 5. Itaque ( Romani ) Punica pace fir^
LTBIC8, lib. II, e. 21. mata • . . inprcuentem hostem co-
3. Statim igitur communi Consilio, duiB gilationes suas eonvertebant. Pol.
inter illas poteniisnma gente», bir lib. II, e. 32.
tubrcM et Boji, legalionem ad eos 6. Nunquam . . . tieque major exerci-
GalloM misere Gcuatieie. tus, neque prcMtantiorum . . . virth-
. POLYB. lib. Il, C3p. 22. rum exierit. PoLYB. 1. II, e 22.
150 1 GALLI CENOMANI
qua dall'Alpi: veniva per rannodarsi colle schiere de'Boj
e degli Insubri S ai quali da un detto di Polibio pare si rivol-
gessero inutilmente i Romani onde stoglierli dalla guerra ^.
Due sole genti subalpine stettero coi Romani, due genti
cui Roma stessa non isdegnò rivolgersi per alleanza ed ar-
mi: i Veneti ed i Cenomani, i quali accolta la preghiera ^
trassero in campo un' armata di ventimila uomini. Il perchè
fu duopo ai Cesati ed agli Insubri, ch'erano in sospetto,
porre ai confini grossa parte di queir esercito che intero do-
vea procedere co' suoi cinquantamila fanti e ventimila tra
carri e cavalieri nell' agro latino ^.
Né i Romani poltrivano; e se non que' settecentomila pe-
doni e settantamila cavalli che a conti fatti Polibio assegnava
a Italia ', validissime schiere già movevano incontro all'ini-
mico, mentre i Veneti ed i Cenomani aveano incarco di bat-
tere ai confini la campagna dei Boj per costringerli a lasciare
il campo e ritornarsene in difesa dei lor focolari •. Apprendia-
mo da ciò che un accordo fra que' due popoli già nemici
era seguito.
Una prima battaglia fu combattuta sul Fiesolano colla peg-
gio di Roma, la quale spedito in campo un altro esercito che
1. Cum exercitu omni annorum gene- lem prcBoptarunt, Polyb. lib. 0,
re magnifiee insÌTueto^ supereUis e. 23.
Alpihus^ ad Padum et dsalpinos 4. Ut necesse fuerii Gallonim regibui,
Galles venere, Pol. HisL I. II, e. 23. quod sibi ab isiià fneluerent, par^
2. Insubret qui4em ac Boji in susce- lem capiarum ad fines tuiastdos re-
pto semel Consilio persistebant linquere, 1. ciL
Queste parole premesse al fatto che 5. Poi.yb. Hist, 1. II, e. 23.
i Veneti ed i Cenomani di rincontro 6. E Veneti ac Cenomanis,milliapari-
stettero con Roma, fanno supporre ter XX, qui in Gallia finibus sunt
nei romani un inutile tenUitivo ap- collocati, ut facta impressione in
pò gr Insubri. Bojorum diliouem, eos qui exiù-
3. Veneti vero ac CeMmani accepta a rant retrocedere coactos a oatteris
Roìoanis legatione, horum società- divellerent» Polyb. lib. II, r. 23.
ì GALLI GENOAIANl 151
reniva di Sardegna, colse i Galli nel mezzo. Ristavano i bar-
bari come presi al laccio. Di fronte all'una condotta da L«
Emilio si volgevano gì' Insubri ed i Cesati; all' opposta armata
cui reggeva Atilio, i Taurini ed i Boj; fuor dell' una e dell' al-
tra i carri, le aalmerìe» gì' impedimenti, e su di un colle am-
montìccbiata la preda che per l'agro toscano avean raccolta.
Bracati erano gì' Insubri ed i Boj; se per disprezzo o per orgo-
glio non so, ma nudi s'appresentavano i Cesati; de' larghi loro
petti coprivano come una selva di gladiatori la fronte d' un in-
tero esercito, e l'auree collane e le armille e i bei monili che
lor brillavano sugli arti ignudi, facevano contrasto col truco-
lento aspetto di que' feroci deliberati a vincere od a morire S
i quali, spettacolo a tutto il campo per bellezza e per gio-
ventù, fremevano impazienti di venire alle mani.
Al primo scontro si fa orrìbile mischia. Cade il console Ati-
lio, e la sua testa è già trofeo dell'inimico; ma i Galli non ponno
rompere il ferreo cerchio delle insistenti legioni che gl'involge
e serra. Il clangore delle trombe, lo strepito dell'armi, l'ululato
di duecento mila uomini alto si leva, e ne risuonano i circo-
stanti colli. Un nembo di dardi già investe i Cesati, che non
potendo rispondere per la distanza ai colpi degli arcieri latini,
né ripararne col breve scudo le vaste membra , s' avvolgono
furibondi a quelle ferite senza vendetta e senza gloria : di-
sperazione gli accieca, non han più consiglio '.
i. Adhanepugnam ItMubns et Boji porum forma prcutanies, Jam in
hracaUi oc leviora$aga induH prò- primis cohorttbus neminem csme^
dieruni. Gasaianun vero tanta fuit res maniacis armillisque aureis
vanitas, tanta eonfidentia, ut brac^ non adomatum, L cit. e. 29.
ài sagisque abjeetis , nudi eum 2. Scutwn Gallicum protegere virum
iùlis armis primos ordine* occupa- non poteste quo majora erant korum
rtnt, PoLYB. lib. U, e. 28. Terri- corpora, et quidem nuda. Ita Ro-
inlii item eroi tum speeies, tum mo- mani jaculatores GcMotarum fero-
tutiUarum,quiinpr!maacienudi ces animos dejecerunt, Polyu.
itabanL viri, et flore tctaiis et cor- Historiar. 1. cit e. 30.
i 52 I G AUl CENOMAM
Rotte le loro file, Boj, Taurìsci, Insubri, tutti subeotrano a
più compatte ordiuauze; ma lor deboli scudi, loro spade pe-
santi e spuntate non resistono al forte scudo e alla pungente
spada del legionario italiano. A decidere finalmente le ro*
mane sorti eccoti V onda irresistibile della romana cavalleria,
la quale rimasta immobile sino agli estremi della giornata,
rovesciayasi come torrente da un colle vicino, omai certa
della vittoria. Ed allora si fa più strage che battaglia. Qua-
rantamila cadaveri nemici, spettacolo miserando, ingombra-
rono il campo desolato, e i gallici vessilli, e l'aure collane, e i
braccialetti dei vinti furono consecrati a Giove Capitolino *.
Quella vittoria persuase i Consoli di romperla affatto coi
Galli Circumpadani. 11 perchè nell' anno che seguitò Q. Ful-
vio e Tito Manlio con ingente esercito movevano all' impre-
AT. e. sa di ricacciarli oltr' Alpe '. Prima conquista fu quella de'
Boj, che si diedero all'impeto primo; ma le piogge, e forse
più ancora la pestilenza, fu per queir anno impedimento al
proseguire.
in Fatti consoli Publio Furio e Cajo Flaminio, traggono l' o-
ste in campo, e volti a Insubria, passatone il confine là
dove la Padusa mette foce nel Po, tentarono piantarvi l'ac-
campamento; ma duramente impediti dall' inimico, vennero
a patti , e promisero lasciar que' luoghi: e si gli abbandona-
rono; ed errando qua e colà per le prossime regioni, dopo
alquanti di trovatisi al fiume Clisi, lo valicarono, toccando per
tal modo l' alleata cenomana terra '.
i. Dttx» eoUeeta spolia, Romam mi- 2. Polyb. l. II, e. 31.
sU — Signis militarilms et mania~ 3. In reyianem Insubnun , qwt Padu^
ci» (ita voeaìU armillas aureaa ad sa in Padum infiuit, irajeeerunt,
coUum et manus gestari a Galli» Verum et in transitu et dum co-
solita») Capilolium Consul orna- straponerent casi, statim UH qui-
vit. Polyb. 1. 11, e. 30. dem nihil moverunt; aipostea /te-
I 0>LLI ÒENOMANI i53
li passo, col quale dà Polibio per confine all'agro nostro il
disi, è formidabile; non pub spiegarsi che per altri fatti, sui
quali è presso che indamo la congettura. Pare ad ogni modo
che i Cenomani fossero accoke dei Padovani, in tomo a' cui
limiti que' Galli rumoreggiavano sempre S onde smettere
non potea dair armi la gioventù patavina. Di qui non si fugge:
r una delle due; o che Veneti e Patavini dopo vinto il re di
Sparta volgevano Y armi contro i Galli per torsi di dosso
tanta molestia, e li cacciavano, quando che vogliasi, alle rive
del elisi ; 0 che i termini deir 2^0 cenomano al di là dd
Qisi non correvano allora lungo il Po, ma lasciata da un
canto la terra mantovana, serbatasi come parrebbe da Pli-
nio lungamente etmsca, risalivano verso Verona, rimanendo
cosi bastevol tratto del Olisi al passaggio dei Consoli Romani.
Che se volessi farmi bello d' una recente autorità per so-
stenere i Cenomani confinanti coi Patavini, potrei senz' altro
aggiungere che il Furlanetto pubblicava un' epigrafe padova-
na \ della quale altri forse avrebbe fatto al caso mio qual-
che scalpore; ed è questa:
• •••I •••••
•••ICENOMANI
• • • ESTITVTI
V • S • L • M
È scolpita a grandi e rozzi caratteri in un marmo paralle-
lepipedo dei colli patavini, che il rev. sac. Francesco Maggia,
éut iceruni, et ex poeto communi Quibus assumptU quod soeU e^
exeeiiere ilKi loeU. Deinde per «eti^ «/e. Poltb. Hùtor. l. II, e. 32.
proximat regioues multoe dies vor 1. Semper auiem eos in armis accola
goti, trammiteo flumine Clusio, in Galli habebatU. Liv. Hitt, \, X, e. 2.
Cmmnanotvm ditionem vtnerunt. 2. Lapidi Patavine illust — pag. 48.
i54 I GALLI GENOMANI
parroco di Monselice, avea scoperto nel 1837, che serba an^
Cora colà S ed alla cui gentilezza io debbo un esatto facsimile.
I È un danno per V antica erudizione < scri?eva il Furiar
netto » che questa lapide sia frammentata superiormente,
» sicchò... dobbiamo ignorare quale divinità cenomana fosse
i in essa indicata, a cui fu sciolto il voto *>.
i Quest'ara votiva < riprende il Giovanelli i che posteriori
» Cenomani dedicarono in adempimento di un voto promesso
» nel caso eh' eglino venissero restUidti in quelle terre ( del
> Veneto), è un evidente indizio che n' erano stati padroni
» un' altra volta ' » .
Ma diciamo il vero anche a scapito de' propositi nostri.
Invece del nome di un popolo non trovo nel marmo che
quello di un galantuomo chiamato Genomano Restituto, un
di cui liberto o figlio, o checché altro, poneva un marmo a
non so quale divinità, probabilmente per la costui salute ;
ond'io, poichò traccia di un L resterebbe ancora nella linea
prima, leggerei: . . .Pro . SaLute . MI • CENOMANI •
rESTITVTI . V . S , L • M .
II breve spazio laterale della lapide corrosa non lascia che
la supposizione di un pronome, o di un gentilizio d'una o due
sillabe al più; l'appostovi /utiì non è che per ipotesi. Non faccia
caso il nome derivato da una nazione, molto più che a'tempi di
questo marmo non dovea essere la nostra dimenticata. Attico è
U cognome di T. Pomponio in Cicerone, Afro quel di Domizio
in Tacito, Istro quel di S. Palpelio in un bel marmo che
falsamente ci è attribuito^ Italico quello di C. Silio Console
1. Io SODO Icnulissimo al rev. parroco fece. È dell' altezza di metri 1, 0iy
sig. Maggia d'avermi procuralo larga 0,52, profonda 0,44.
quel facsimile, pel quale m' è dalo 2. Lapidi Patavine — pag. 48.
riprodurre il marmo un po' più 3. Pensieri intorno ai Rezj ed all' ori-
esaltamenlc che il Furlanelto non gine dei popoli d' Italia — pag. 8.
r GALLI GENOMAM 155
neU'an. Varr. 82; né qui vi recito i cognomi Etruscus, Norbor
nus, NomerUanus, Preenestinus eie. delle epigrafiche raccolte.
Ma quand' anche fosse marmo cenomano, non ne abbiamo
di bisogno: sta il fatto che i Galli guerreggiavano sempre ai
confini del Padovano, ove arrivavano colle stanze loro (oc-
eobp ^ ). Respinti probabilmente da poi fin oltre al Mincio
ed al elisi, pare che posassero T animo , e ne venisse quel-
r alleanza, queir accordo, qual vogliasi tra gente e genie, cui
sembrano alludere le parole di Polibio ', e che durava an-
cora quando i consoli romani passavano il Olisi per condursi
coli' oste intero suir agro cenomano.
Nulla è di più probabile che i consoli P. Furio e Gajo Fla-
minio si recassero a Brescia {rpiod caput Cenomanorum genUs
erat ' ) per accogliervi, come dice Polibio, quanto d' armati e
d'armi lor sovvenire potessero quelle genti * ch'erano alleate;
tanto più che li veggiamo risalire alle parti settentrionali
della provincia per poi ridiscendere nel piano ìnsubre, e
metterlo a ferro e a fuoco. Epperò fu qui tra noi che si accolse
tutto il nerbo della potenza romana per rovesciarsi contro gli
avversi Galli. Gì' Insubri, che indamo avean tentato di smuo-
vere rinimico dal fiero divisamento, radunato l'esercito, le-
vate le insegne, tratti dal tempio di Minerva gl'immobili vessilli
d'oro, posero in campo al cospetto dei consoli romani cin-
quantamila uomini ^.
1 . Lnr. HUL lib. X, e. 2. 5. Insubrwnprincipes,., Omnibus,,, mi-
t. Yeneii vero ae Cmomani aecepta a lUarìhus tigni» in unum coaeiis;
Romani legatione, PoL. 1. U, e. 23. aureis eiiam Hit» qwB immobilia
3. Liv. Hist, lib. XXXII, e. 30. nuneupant, ex ade Minervmprom-
4. In Cenomanorum ditioihem vene- ptii.,.cumexereiiuinquoeraniho^
nmf. Quibut astumplis quod Socii minum ad L millia . . . . tn con-
essent Romani popuH, e Subalpinis tpectu hostium castra ponunt. Po-
lods in planitiem lusubrum exer- ltbius, 1. cit. Dal quale passo e-
eiiu infesto Ùerum venerunt, PoLT- mergc quanto potente fosse a quel
B1U8. Hist. lib. lì, e. 32. tempo Insubria.
I
At. C.
156 I GALLI CENOMANl
Inferiori di numero, si proponevano i Romani valersi dei
Genomani alleati: ma non si fidando, e per la gallica inco-
stanza, e pel timore che avversassero snudare il ferro contro
uomini del medesimo sangue, lor comandavano di tragittare
il fiume; valicatolo, ne distruggevano i ponti, sicché per l'onda
frapposta restasse tronca ai gallici sussidii la via di nuocere,
a sé medesimi la fuga, perché speranza più non rimanesse
che nella vittoria ^
ni" La vittoria fu dei Romani, e per queir anno la guerra
cessò. Cadute le sorti della vinta Insubria, e chiesta indamo
una pace ad ogni costo, ' si preparavano i Galli ad un' ultima
prova; ed avuto a prezzo un esercito di trentamila Cesati ,
ritornavano in campo, assediavano Acerra. Cn. Cornelio Sci-
pione e Marco Claudio Marcello s' avanzavano colle fresche
legioni: correva il secondo all'assalto della città; e poi che i Galli
venivano incontro all' inimico, ambo gli eserciti si aflfronta-
rono, e fu combattuto ferocemente dall' una parte e dall' al-
tra: ma respinti i Galli dalla oppugnata Acerra, si raggruppa-
vano in Mediolano come ad ultimo rifugio.
Milano fu preso d'assalto, fu strage d'Insubri senza mi-
sericordia 3, e per tal modo lo stato Insubre al già si vasto
della Repubblica piegò la fronte ^.
ì, AuxiUaribui Gallorum Éodorwn tpem uiUcam saiulis per victoriam
copiis uti in animo habebant; sed sibi reliquam faciunt, Polyb. 1. U,
quotiet Gaìlicam in foederibus in^ e. 32.
costantiam ad animum revoeabatit, 2. Inseeuto dein anfio, de pace legaiot
eimul cognationem eorwn quos at" miserunt Galli, qwucunque con"
sumerent cum ii9 quibue eroi bel- ditiones accipere parati, qua neii^
laudum eie, . . . Gallorum auxilia, lis concederentur, PoL. 1. 11, e 34»
fluviumlrajiurejubent'.ipsiadal' 3. Cmeus fugienies insecutus, agros
teram ejus parlem remanenti dein^ populatur , et Mediolanum per
de pontes flwnini impositott rescin- vim capii,
dunt: aique opera eadem et Gallie 4, Post ha/nc dadem principee InsU"
nocendi facultatem adimunt^ ei brum, omni spe saluti* omifM»
I GALLI CENO&iANl 157
Di si fatta guisa, conchiude Polibio, terminò quella guerra,
la quale se guardisi alla gallica strage, od alla disperata virtù
dei soccombenti, fu a nessuna delle subalpine seconda ^
E bene qualche italica sventura dall'insubre commo-
vimento si paventava, se tutta Italia accorrere fu vista con-
tro quo' barbari che avean giurato di non deporre il balteo
sa prima un' altra volta non avessero circondato il Campi-
do^io *. Settecentomila fanti e ottantamila cavalli, che Pli-
nio narraci preparati dai popoli italiani sol essi nel conso-
lato di L. Emilio Paolo e di G. Atilio Regolo non appena fu
inteso il gallico tumulto ', rispondono .press' a poco alla som-
ma che Polibio ci dà ^, ed a quella che nelle pagine d' Eu-
tropio è registrata ^: gloriosa e ineluttabile testimonianza
dell'italico splendore di que'secoli, che noi pusilli, chiamiamo
barbari ancora.
M Romanorum ^fdem se permise- Paulo, C. Atilio Regulo ConsuUL
U Gagliardi farebbe seguita la nuntiato Gallico tumuliu, sola sine
romana vittoria un anno prima (Pa* externis uUis auxiliis, atque etiam
rere intomo allo stato degli antichi lune sine Transpadanis, equitum
Cenomani, pag. 76), ma i marmi LXXXmillia,pediiumDCCmillia
Capitolini stanno contro lui. armavit. Plinius, Hist. Nat. 1. Ili,
L Siperditoìft kostium audaciam sptr e. SO.
des, pugnas in ilio pugiMtas, nu- 4. Universus vero numerus apt(B ad
dimicantium, et ocdsorum , militiatn tnuUUudinis eral, pediltun
umili eorum seeundum, qu€e hacle- millia septingenta, equitum sep-
Mu a scriptoribus swU commemo^ tuagifita. Polyb. Hist. l li, e. 24.
raitt^ PoLYB. Hist. 1. II, e. 35. & Sed prò Romanis tota Italia cofh'
t. Non prius soluturos se ballea , sensit traditum est a Fabio histo-
quam Capitolium ascendissentju- rico, qui ei bello interfuit, DCCC
raverant. Florius, Hist. lib. II, millia hominum parata ad id bel-
c iV. lum fuisse. - Hist Rom. lib. HI - ot-
3c Bste est Italia Diis saera , ha getir tocenlo mila, compresa già la caval-
ta ejus^ hme oppida populorum. lena, dagli altri storici divisa; eser-
Super kae Italia, qum L .€inilio cito inunenso e credibile appena.
Omuci, Simié Srete. Voi. I. It
458 1 GALLI CENOMAM
E qui Polibio racconta un fatto che^ questa volta mi getta
là come non avesse intenzione di avvertire cosa che vaglia,
benchò il più grave, il più maraviglioso della storia cisal-
pina di que' secoli oscuri: ed ò, che non molto dopo la di-
struzione della insubrica libertà, i Galli tutti venissero dalla
repubblica di Roma scacciati di qui, e ne fossero sbarazzali
i piani lombardi per si fatto modo da non restare agli espulsi
che pochi luoghi di sotto V Alpi ^.
Ma ond' è il silenzio degli altri storici tutti quanti e dei
marmi Capitolini? Onde il ricomparire dei Galli Cenomani
ausiliari dei consoli romani al Mincio ed al Po '? Onde il
risollevarsi di tutta la Gallia Cisalpina, che veggiam poco
appresso ammutinata dalla fortuna e dall' ardimento di on
uomo solo ' ?
Qualche cosa per altro di colore oscuro nascondesi fra
que' detti rapidi, significanti, misteriosi dello storico di Ne-
gala; qualche gallica sventura, della quale non sia rimasta
che nelle sue pagine la ricordanza.
E Polibio, quello storico meno eloquente, meno dramma-
tico, ma più cauto e più severo di Tito Livio, non era incetta-
tore come lui di tradizioni gloriose, ma di fatti. Per dir vero
la brama di tutta possedersi questa parte bellissima d' Italia
nostra doveva essere ne' Romani come pungolo acuto ed in-
sistente: e forse ancora non tanto la paura di quelle schiatte
omai battute, quanlo ambizione di più vasto impero stimolava
i consoli a restringere sempre più il cerchio angusto delle gal-
liche razze di qua da V Alpi. Però che certo non era in tutta
Italia nò più popolata nò più fertile nazione, della Cisalpina,
•
1. JVof igitur, gnari non multo post Alpibiu; duximus fadendwm tU.
fmue eoi ex dreumpadana plani- Polyb. HUi. lìb. II, e. 35.
Ite ufdvena expuUos, pauàt lo- 2. Liv. Hist.ììh. XXI, e. 25.
eis eueptii, ^[imb ipsiz subjaceiU 3. Annibale.
I GALLI CENOMANI i59
4i cui la nostra, come adesso lo è certamente» doveva essere
anche allora la miglior parte.
Se vaga e luìssnreggiante di fiori e di verznre forse più
amene che necessarie * fino da' tempi di Annibale disse Livio
la terra cisalpina, narra Polibio delle messi abbondanti, ma-
ravig^iose ^ de' prodotti moltiplici di una terra feconda cpian-
f altre mai, piena di popolo e di vita; sicché la opulenza
loro dovevano gli Etruschi non ai toschi loro campi, soggiunge
lo storico , ma veramente alla feracità dei campi nostri '
prediletti dal cielo, cui Tacito ^, Plutarco ', Diodoro Siculo ^
Vellejo Patercolo ^, Virgilio ^, Strabene •, Cicerone esal-
tano del pari. Che più? Y uno di questi francamente dichia-
ra, che il paese dei Veneti e dei Galli era il fiore, il sostegno,
r adornamento della repubblica di Roma ^^ Da qui si leva-
vano assai legioni che poi venivano spedite per tutto il mon-
i. Omnia wiogit ammnis puim necu- 6» IneolebatU terram celeberrimam »
iorUs fmetiìnu. Lmus, lib. XXIL eamque probe excolebani, largissi--
1 Quantum vero (Italia) exedlat re- me indt fructus percipiunt ....
ÒMMMMàitf kieterrarum tractus ThlovetUanamque fcteundUatenul-
( Circampadanas ), ne dici quidem H cedens tetris in late pateniibus
saiispoiest PoL. lib. II, é. 14. — campis recumbet eie Diodor. Sic.
Jam primum, frumenti ea copia HisU Rom.
egt,ete. PoL. lib. cit e i5. 7. Miti. lib. V.
3. Pkmiiiem istam tenuere quofìdam 8. Salve magna parens frugum, Sor-
Etrusei...Ieeirco.,.nan ad illam turnia tetlns — Magna virum.
Otionem quam nunc (Tyrrheni) oò- Georg, lib. IL
Usimi , oeuhs referre, verum ad 9. Geogr. lib. V. E Metrodoro ancora
campai de quUrtu verba fedmus citato da Plinio farebbe copiose le
(iUlicos), el opes gna ex eis locis rive del Po di quelle selve resinose,
coUigébant, Poltb. lib. II, c^ 17. le quali assieme ai folti querceti si
4. Floreniissimum Italia latus qua»' ricordano da Strabone. Arbor multa
tnm inier Padum Alpesque confi»- sit picea qwB pades Gallice vo-
gunt. Tacit. Misi. lib. UI. cetur, Padum hoc nomen accepisse.
5. Arhoribus regio perspicue Usta,,., Plin. lib. IH, e 16.
Vrbibus oeiodenu insignii atgue 10. Illa ftos lialim, illa ornameìiium
amplie. Plutarch. in Vita Camilli. popoli Romani. Cicbr. PhUipp. lY.
4 60 f • Galli cenomam
do S ed erano di que' militi che Polibio decanta per bellezn
di forme e per animo impavido e valoroso *. Onde non è
meraviglia se i Romani stessi confessarono alla per fine non
essere ginnti a cosi lata potenza se non dopo il conquisto dei
Transpadani ^ eredi ancora dello spirito guerresco di qne'
Liguri, de' quali esistevano forse tuttavia le munite castella ^
Al che se arrogi tanta essere in quel tempo Tabbondanza
tra noi degli agricoli prodotti, che mentre si patteggiavano
altrove dagli albergatori le singole vivande, qui per un asse
aveva^ il bisogno , che le città erano ampie, liete di popolo,
e di bella ed eletta postura ', che delle sole carni suine
per noi si empivano a Roma i magazzeni delle legioni ^ ,
ben si parrà quanto fertile e doviziosa doveva essere già da
que' secoli la terra bresciana. Un' altra prova della ingenita
ubertà, della pinguedine di questa settentrionale Italia noi
r abbiamo, e nessuno T avverti, nel culto di Saturno qui più
che altrove si latente, sì antico, si radicato nelle valli su-
balpine a dispetto dei culti mutati: di Saturno il dio dei
campi, awivatore, alimentatore dei mortali, a satUy asatiambus,
qui ódtor agrorum habetur ^. Ecco il perchè nella Rezia fera-
ce troviamo sino dai tempi di Nerva i Curatores Saturni ^ e
r Alo Saturno delle patrie valli.
i. GiBSAR. De Bello Civili eie. E qui uuUum utquam tempu»^ nul-
p^esì felici nomina i subalpini ne* lum laeum quieium aut seeunm
suoi CovML De Bello GiUlieo, esse sineret; oppugnatio necessa'^
lib. lU. ria muniiorum eastellorum lobo-
2.. Ineolantm multitudinem, corporum riosa simul periculosafne. Livius,
fR^ntliuitfieiii ae pukkritudinem, lib. IX, e. 1.
fi«cfioii awladam in bellis. PoL. 5« PoL. Historiar. lib. Il, e 17
lib. U, cap. 15. 6. Pol. 1. ciL
3. Tune fioruimus cum Transpadanos 7. Fbstds, in Opima. — LABUS,Map-
insoeietatereeepimus^lACir,HisL mi ani. bresc. — pag. 97.
lib. II, — CiCER. Philipp, V. 8. Labus, Fasli deHa Chiesa.— S. Vi-
4. Hostis levis, et veloz, et repsniintis, gilio.
I GALLI CENOMANi
161
Quel terrìbile detto di Polibio aon è però solitario nella
storia. Strabene ricorda essere i Boj stati espulsi da Italia, ed
aver cercato ricovero presso i Taurisci ^ Comunque vogliasi^
che a treno degli Insubri e de' Boj tosto dopo le guerre che
abbiam .narrate collocasse la Repubblica sull'agro piacentino
e sul cremonese due colonie romane, è un fatto bastevolmente
sicuro \ e che nessuno contrasta: ma queste cautele, questi
rigori, tutt' altro che distrutte e ributtate, a noi proverebbe le
galliche tribù perduranti neir agro circumpadano, e temute
ancora; e la rivolta de' Boj e la ripresa Piacenza, di cui di-
remo fra poco, retifica da sé una falsa congettura del Ga*
gliardi ', del Sigonio ^ e del Maffei ^ cui diede origine un
passo di Polibio e di Strabene.
Cremona colonizzata, i suoi terreni divisi tra i legionari
latini, la dichiarazione di Livio che i terreni s'erano tolti ai tmti
GaUi * proverebbe quasi air evidenza che non era in quel
tempo Cremona ^, come per altri fii detto, cenomana città, ma
si bene dalla Insubria risottomessa; perchè i Cenomani erano
coi Romani nella guerra insubre; perchè l'agro loro avea
servito per lo contrario d' asilo ai Romani respinti dal Po, e
1. Bojoi autem (Romani) mi* domki"
liU tjeeerunt; qui deinde ad Istrum
euM commigrauent » apud Tau-
ri$C09 habiiaruni. - Geog, 1. 1, 1. V,
p. f la, ed. Amstelod. 1707.
2. PoLYB. HUtoriar. lìb, IIL — Liv.
Hùi. lib. XXL
3. Parere inlomo agli antichi Ceno-
mani. — Race Sambuca, pag. 76.
4. De aniiq, Jure Italias» L 1, e. 24.
5. Verona Ulustr. — parte 1, lìb. 1.
«. T. Livil Hist. l. XX. Epitom.
7. Che fosse un vico di gallica origine
opinerei col Cluvprio ( Ital. Ani.
lib. I, p 253. Cremona, ipsum v<h
càbulum quod mere celiicam feri
formam . . saiis aperte indicat); ed
altrove (p. 259) a gallico vocabulo
Cremon , e col La-Martinier, il
quale ricorda una daknata Cre-
mona citala da Procopio De Bell.
Goth. (Dìction, in K. Cremone),
Polibio sembra alludere piuttosto al-
le fortificazioni erette dai Romani
per dedurre nel vico preesistente
una colonia.
463 I GALLI CE?(0»AM
perchè vediamo i Cenomaìii stessi soccorrere poco dopo a Ta-
neto nel fatto di Modena e di Piacenza il perìgliante esercito
romano; il che non sarebbe accaduto se Cremona fosse stata
da quei militi loro tolta. Le parole dell' Epitome Liviana sciol-
gono ogni dubbio: tosto dopo il trionfo di Claudio Macello
Cobnim deducUB in agro de Gattis capto Placemia et Cremona.
Ma quelle vaste ambizioni della già potente Repubblica
venivano per un istante scompigliate da un uomo, che attra-
versata Iberia con un popolo di Africani» trascinando con sé
lungo il passaggio delle Gallie transalpine un altro popolo
d'Iberi» calava dall'Alpi a conturbare Italia, riempirla di
stragi e di rovine.
È fama che sugli altari avesse Annibale» fanciulletto ancora,
giurato odio eterno ai Romani ^ Avuto Y esercito di Asdru-
bale, e meglio che un esercito Y anima irrequieta e prepo-
tente di Amilcftre il padre suo, nulla mancavagli per T arri-
schiata impresa: gagliardo, audace, sfidatore di stenti e di
perigli, severo con sé, cogli altri più che severo» disumano,
era in lui perfidia più che punica: non verità, non probità,
non fede, non tema nò degli uomini nò degli Dei *. Con
questa tempera e centomila seguaci che l'adoravano avea
fermo portare la guerra nel cuore stesso d' Italia.
Gallia e Spagna tenevano da lui, meno qualche gallica tri-
bù. Passato Annibale Tlbero, superati i culmini de' Pirenei,
s' era già sparso il grido per la Repubblica del turbine vicino;
e come avesse già varcate l'Alpi, i Boj sedotti dagli Insubri '
1. Fama eliam efi . • • • taetis sacrìs eti, nuUus Deum melus, nuUum
jurejurando adacium, «e . • • . ho- jusjurandum, wdla religio, Liy.
slem fore populo romano, LiviUS, 1. ciL e. 4.
Hitt. lib. XXI, ci. ^ Ae n Alpes jam trantiss^, Boji,
2. luhumatia crudelitas^ perfidia plus ioHicUaiis InsuMnu, defeceruut.
([uam Punica: nihil veri, tUlùl san- Liv. 1. cit. €• 25«
I GAI.U cenouant 163
si rìbetiaròno: PkceriEa è Cremona, due colonie romane
cacciate loro ai fianchi sui margini del Po, stavano lor fitte
in CQore, né si potevano comportarle in pace ^. Il perchè
non appena quelle colonie furono dedotte ^ che prese l'atmi,
le assaltarono d'tm tratto con tanto frastuono di guerra, che
non la plebe soltanto, ma gli stéssi Triumviri della Repub-
bUca, venuti a spartire fra le coorti le terre cremonesi e pia-
centine, riparavano a Modena ^^ ùve le mura erano intane
ancùra *.
E Modena anch' essa fu recinta di sollevati, i quali avendo
contro il diritto delle genti trattenuti alcuni messi, Lucio
Manlio Pretore comandante V assediato presidio, usci; ed
inoltrate le schiere tra dense mal conosciute boscaglie, in-
cappò negli agguati, né tranne che a stento grandissimo e
grande strage de' suoi potè sboccare all' aperto.
Qui pose il campo, e ricomposto, rianimato l' esercito, con-
tinuò suo cammino per que' luoghi aspri e silvestri, ma tem-
pestato acerbamente dai Galli fino a che da quello intralcia-
mento d' alberi e di macchie non fosse alla per fine uscito.
Ai bersagliati Romani più non restava che accogliersi e
rannodarsi a più sicuri luoghi. Si portarono a Taneto, bor-
gata ad otto miglia da Piacenza; vi si fortificarono alla meglio *,
1. Net Um ob veUres in papulum 3. Sed ipsi triumviri RoBumi, qui ad
Rom^mmm irai ( e pare che qui tra- a^m veneraci adùgnandum, dif"
doca Polibio stesso), quam quod fisi Placeniia mcenilnu, Muiinam
muper àrea Padum, Plaeeniiam* confugeritU,Lìy.Hist.\,Wl,ct^
Crtmonamque eolonias tu agrum 4. Segnis intaciis adsiderat nwris^
gallicum deduetat mgre patieba»' Liv. lib. XXL, e. 25. Dunque i
tur. Liv. Hist, lib. XXI, e. 25. Galli oon erano poi si distrultori.
1 Vi* erasU eolcnim ista deduda, Itale mura stavano ancora però.
quum Boj Insubribui tollidiaiis, .« 5. Finis et GaUis Urrilasuli, et pan
agros reuns divisos populari ad- vetuU Romanis fuii, ut e sattu
§r$dimUur. Polyb. Hisi. lib. III. invio aique impedito evasere, lu-
i64 t GALLI tENOMANI
traendo viveri dal fiame, lor provveduti per quanto sembra
dai Cenomani nostri sempre amici del nome latino. Ed
ardua certo sarebbe stata per le accerchiate coorti pur
la difesa del campo, se i GaUi Bresciani * non avessero so-
stenute in quel momento le parti loro, finché una fresca le-
gione, che con altri alleati Cajo Àtilio avea seco, non fosse
corsa a grandi passi a Taneto, onde i nemici, udito l'avvici-
narsene, lasciarono Y impresa '.
Dal Capriolo ' al Nicolìni ^ (il Bravo no, che mi salta quel
fatto a piedi giunti) hanno scrittori nostri parecchi, che atte-
nendosi forse ad alcuni chiosatori di Livio e di Polibio, ter-
rebbero accaduta quella fazione nel borgo di Canneto presso
Cremona, l'antico Bedriaco. Ma Tanetum io ritrovo ad otto
miglia da Parma nella tavola Peutingeriana ', Tamtam nel-
r Itinerario d' Antonino •, Tcmetum due volte in Tito Livio ^•
Che se nel Gerosolimitano scrivesi Canneto ^, sospettovi er-
rore, come il Cluverio lo sospetta *. Offidami Tanetard chia-
mali Plinio *°; e dove Polibio scrive «rw t«9vtc9 " Y aggiun-
gere del Casaubuono, e proprio nel testo, Aln Canetum dicmt
fu arbitrio, fu licenza tutta sua.
de, aperiis iocis facile tutantes 3. Chran* Brix. lib. L
aqmm. Romani Tanetum^ vicum 4. Della Storia Bresciana, Ragioua-
proptfi^ttttm Patfo, confendere. Liv. mento. — Brescia i825, pag. 7.
1. ciL e. 25. 5. Vblserus, Fraqm, Tah. AnL leu-
1. Ibi se munimenio ad tempus coiih Hng. BibL
mentUmsque fiuminis et Brixia- 6. Vbsselingius, Vet. Roman. Itiner,
tiorum Gallorum auxilio adversus 7. Lib. XXI, e. cit. e lib. XXX.
crescentem in dies muUitudinem 8. Vessbl. cit. Iliner, Jerosol.
ostium tutabantur. LiviUS, HisU 9. Italia antiqua, lib. l, pag. 274. .
lib. XXX, e. 25. 10. Hist. Nat. lib. Ili, e. 15.
2. Qui (G. Atilius) tine ullo certor 11. Hietoriar, lib. Ili, ed, Casauboni.
mine ( ahecssserant enim metu Ao- E il Casaubuono più volle agglu-
stes) Taneium pervenite LiY, Hist. gne qualche coscrella del suo; pur
lib. cit. e. XXVl. la sua Irad. è a tenersi fra le migliori
i GALLI tXNOMANI 165
Annibale intanto era sul Rodano, eh' egli facea passare a'
militi su infonni schifi dai Galli scavati nei tronchi di capaci
alberi, sugli otri, su mille congegni improvvisati dalla impa-
zienza di quelle barbare moltitudini: gli elefanti collocava su
immensi zatteroni. Fu sulle rive qualche contrasto di galliche
tribù, che con urli e cantici, com'era il lor costume, cor-
revano alle sponde quassando gli scudi, aggirando feroce-
mente lor giavellotti ^: ma vennero dispersi.
Preparavasi per t^S modo al gran passo dell'Alpi. Arin-
gata la moltitudine \ entrato negli Allobrogi, poi ne' Trìcorj,
giunse appiè di quelle.
P. Cornelio console, itagli a vuoto la speranza di raggiu-
goere l'inimico al campo stesso dei Cartaginesi, tornossi a Ge-
nova per difendere Italia coir esercito ch'era a campo sul Po.
Annibale intanto saliva l'Alpi: a siti aspri, inconditi de-
serti aggiugnevansi gli alpigiani, che dall' irte rupi sboccando
improvvisi e dalle macchie, molestavano il passaggio maravi-
^ioso di un esercito Numida fra le ghiacciaje del Tauro scon-
solato: e quell'esercito costretto a difendersi, non potea pro-
gredire che a stento, ed impedito. Preso qua e là coli' armi
qualche alpino casteOo ', superati ardui valloni e dirupi e so-
litudini infinite, trascinando con sé la mole inusitata de'
1. Cimi variù ululatibus canttique glie assai per ciò appunto del pre^-
wtms sui, quaiientes scuta super stigio cui piacque a Tito Livio
capila, vibranlesque dextris /e/o. circondare quel celebre passaggio;
LiT. lib. \XI, e 28. come pure al pensiero di altri, che
1 È notevole in queir aringa il passo l'Alpi fossero un tempo e forse più
in cui parla delFAlpi come di che adesso feraci e popolate.
monli ardui sì, ma popolati, colti- 3. Castellum inde, quod caput ejus re^
vati, già noti ad altri che li vjdi- gioms èrat... capii, Lib. XXI, e. 33.
carono; il che si accorderebbe col- Magno naiu principes castcllorum
1* osservatore Polibio, il quale to- otaiorts eie. Liv. 1. cit. e. 34.
166 I GALU CfiNOMANl
suoi elefanti, toccò la cima dell' Alpi: ma poi naoye rapi e
nooTi culmini e fondure e covi e spayentevoli deserti, e al
tramontar delle pleiadi Y annuvolarsi del cielo ed il cader
della neve. Finalmente si venne alla china, e seguitato da'Galli
e dai Liguri, che tra via gli s' aggiugnevano — discese.
Scrìvesi che avesse Annibale da centomila fanti e venti-
mila cavalli. Polibio non gli dà che ventimila dei primi *;
Lucio Cinzio Alimento, citato da Livio, ottantamila fanti e
diecimila cavalli. Tito Livio non sa decidersi. Certo è però
eh' e' venisseci dal paese dei Taurini; e il dire di Celio che
passò pel giogo di Cremona ' forse più importa pel nome al-
pino conforme alla Cremona circumpadana, che per la realtà
dell' asserto.
Stavasi Cornelio al Po come abbiam detto, e quand'egli
ponevasi a Piacenza la città capitale dei Taurini era già
presa dall'inimico. Pur bastò la presenza del console perchè
i Galli non ribellassero ad un tratto. Ha Scipione levato
r oste, insofferente d' indugi, mosse contro all' esercito Car-
taginese, piantossi al Ticino, e i due condottieri nelle cui
mani era il destino d'Italia si trovarono a fronte.
Gettato il ponte, passarono i Romani sull'agro insubre.
Sanguinosa fu la battaglia, e la vittoria dei Cartaginesi. Retro-
cedeva il console a Piacenza, ed eccogli a tergo Annibale porre
il campo a sei miglia da quella città. Una sommossa di due-
mila Galli, ch'erano passati nell' esercito nemico, metteva il
console in tema di più vasto ammutinamento; il perchè ta-
cito e sommesso, levate le tende, si ritrasse verso la Treb-
bia, presso la quale i due consoli avevano adunato lo sforzo
dell'armi loro.
!• Hhtoriar, Ub. II. Et ausum tameti 2. ùbIìuì per CremanU jugum dìeit
est HwMÙhat. XX millia kabnet. trwmsit, Liv. I. cit. e 38.
I GALLI CENOHANl 167
Teneano i Galli a quel tempo il paese fra la Trebbia e il
Po ^ ed aspettavano gli eventi per aggiungere Y armi proprie
alle altrui: il che spiaceva ai consoli ed ai Cartaginesi, i quali
come a vendetta misero a sacco i gallici casali; e perchè i
Galli avean chiesto ai consoli difesa, Cornelio non volea si
ascoltassero. Sempronio per quella vece spediva loro mille
arcieri, che avendo sbarazzati i piani della Trebbia dagli in-
festi Cartaginesi, parve lieto augurio. Il perchè Sempronio,
levato r animo a speranze, che il ferito e giacente collega pur
non aveva, trasse fuori T esercito, e come impaziente e soro,
faceane mostra all' inimico.
n quale, appiattati fra i canneti e i salici di un fiumicello
buon nerbo di cavalli, e stando il resto in ordine di battaglia,
mandato Annibale un branco di numidi cavalieri, perchè pas-
sata la Trebbia si recassero a sfidar V inimico fino alle poste
del campo, questi si fecero incontro a Sempronio, e si lo
tempestarono, che mosse con tutta V armata ad inseguirli ; e
i Numidi a ritrarsi fingendo pure alcun po' di resistenza, e
la romana cavalleria venir loro a tergo si, che gittata nelle
maremme, usciane intirizzita ( era il verno ), agghiadata, ab-
battuta, cosi che a stento reggeva Tarme, svenia per fame in
sol terreno *. Com' ebbe saputo aver T oste romana tragit-
tato il fiume, Annibale disposti gli armati alla leggiera in
fronte, il nerbo dei fanti nel mezzo con allato diecimila
cavalli e suddivisi a grandi schiere dagli elefanti, aspetta-
va il momento per avventarsi contro il console inavveduto.
i. Quod mier Trebiam Padumque eraipettorOnuteMuauctanocfur-
Mgri ut, Galli ium ineolebaìU, Liv. no mòri), ium utique egresiis ri-
lìb. XXI, e. 52. Dunque non ere- gere <mnUnu eorpora, ut vix ar^
no, come dice Polibio, stati respinti morum tenendorum potentia essenfy
tppiè dell'Alpi. et simuUauitudine procedente jam
1 Ut vero refugientes Numida» in- dia, fame etiam defieere, Liv. 1.
f^quentet aquam ingressi sunt (et cit. cap. 54.
i68 1 GALLI CENOMANI
Diecimila erano i Romani, ventimila gli alleati oltre i Geno-
mani, i soli dei Galli che avessero mantenuta la loro fede ^.
Cominciata la pugna, in poco d'ora la romana cavalleria
fu in rotta. Quattromila cavalli, e già spossati, non poteano re-
sistere all' urto di diecimila venuti di fresco sul campo. Ol-
treché gli elefanti, lanciati nel mezzo delle moltitudini, per
largo spazio a so dintorno le metteano in iscompigUo ^ fanti
e cavalli rovesciavano alla rinfusa; e le coorti latine percosse
di fronte dal nerbo degli Iberi e degli Africani, ai lati dagli ar-
cieri, avevano a tergo gli appostati Numidi, i quali non ap-
pena l'esercito nemico era passato, sboccavano da quegli ag-
guati e imperversavano alle spalle del già vinto romano.
Reggeansi ancora fra tanto rimestamento e tanta strage al
manco lato i Cenomani; né altrimenti potè Annibale rom-
perne le salde schiere, che lor cacciando nel mezzo, nuovo
genere di nemici, gli elefanti ^.
Sopraffatta in queir istante supremo la cenomana gagliar-
dia, tutto volse alla peggio. Diecimila Romani, duramente ser-
rati a cerchio da un esercito vincitore, con impeto disperato
s' apersero la via; rotto quel ferreo nodo, nò potendo tor-
nare alle tende, disgiunti com'erano dalla Trebbia, vinti»
affraliti dalla piova che rovesciavasi a dirotta in quel mo-
mento, si ritrassero in Piacenza.
La Trebbia contenne l' esercito africano d' inseguire i fug-
genti. Né la giornata fu ad Annibale si allegra; perchè il ri-
gore del freddo e la gelida pioggia e gli ultimi conati di
\. Sodwn fumifUs Latini viginti, 3. Ad sinistrwn eomu, adversus Gal
auxilia prosierea Cenomanorum; los (GenomaDOs) auxiliares agi
ea sola in fide manserat Gallica jussil Hannibah Exlemplo Aaud
gens, Liv. Hist lib. XXI, e. 55. dubiam fecere fugam; additus quo-
2« Ad hoc elephanti, eminenies ab ez- que novus terror Romanis, ut fih
tremis cornibus . . . fugam late fa^ sa auxilia sua viderunU Lìt. lib-
eiebant, 1. cit. e. 55. cit. e. 56.
I GALLI CENOMANI
i69
an edercito sconfitto, ma valoroso» avean fatta strage d'uomini,
dì cayalU e d'elefanti, onde appena sentirono i sorvissuti la
gioia della vittoria ^ Venuta la notte sul campo desolato, il
console Scipione condusse tacitamente le miserande reliquie
delle sue legioni a Piacenza ed a Cremona.
Fu questo il termine della battaglia sulla Trebbia, alla
quale il corso di venti secoli nulla tolse per anco della sua
celebrità, ed in cui, se infelice del pari, fu la cenomana più
costante della romana virtù.
Eppur, benché vinti, pare che a quei Genomani dovesse
in parte la spaventata Roma durante quel verno soccorso
di vittovaglie, avvegnaché, come suona la frase di Livio, sco-
razzando qua e là Celtiberi e Lusitani, chiudevanle per ogni
parte» se ne traggi le provenienti dal Po K
Seguirono altri fatti, ma di lieve^importanza. Tentò An-
nibale Piacenza, e fu indamo: tentò Yitturia, e l'ebbe: poi
trasse le moltitudini a' quartieri del verno.
Venuta la primavera condusse Annibale l' esercito nella
Liguria e nella Toscana. Vinse al Trasimeno un altro eser-
cito e un altro console, che in mezzo a quindicimila cadaveri
lasciò la vita: indi Cajo Centenio avvolse co'suoi quattromila
cavalli, e portò stragi e rovine sino a Spoleto. E l'atterrita
Repubblica, creatosi un dittatore (Quinto Fabio Massimo),
gli affidò la propria salvezzs^ ed era quel Fabio Massimo che
i. Imber mve mixlus, et intoleranda
vis frigarii, et hominei multoSf et
jumehtat et elq>hantos prope om-
net, ahiumsiL — Finis iiuequendi
koetii Poeme fiumen Trebia fuit:
et ita torpenles gelu in castra re^
àiere, ut viz latiiiam victorioi sen^
(tretU. Liv. 1. cit e. 56.
1 Omnes igitur dausi undique am^
meatus erant, nisi quos Pado nor
ves subveherent, 1. cit. e. 57. Tutta
losubrìa era già vinta; non rìma-
nea che la Gallia Cenomana e la
Venezia. 0nd*é che i Veneti qui
non sono secondo il solito coUV
sercito romano assieme ai nostri?
Filiasi e Furlanetto tennero che
fosservi; ma non consta.
i 70 I GALLI CENOMAXI
molestava Annibale piii cogli indugi ch^ colla gaerra, la qua-
le al fine non potè schivarsi a Canne.
Quarantamila fanti e diecimila cavalli sfilava Annibale
presso l'Anfido, una corrente che divideva i due campi. E-
rano Baleari ed arcieri di lievissime armi; Numidi su que'loro
fulminei cavalli; Africani coperti dell'armi romane prese
alla Trebbia e al Trasimeno; Galli ed Iberì di vaste forme,
terribili all' aspetto; i primi snudati gli arti dal belico in su,
cogli scudi consimili agli Iberi, colle spade lunghissime ed
ottuse; i secondi bellamente vestiti con bianche tunìchette
orlate di porpora ^ Asdrubale reggea la sinistra, Maarbale
la destra, teneva Annibale il centro. Fu battaglia più d' eroi
che di militi, ed ancor questa colla strage di due romani
eserciti, che Lucio Emilio console comandava. Ha causa di
quella strage fu il suo collega: fuggi questi a Roma; restò
vittima il primo di una colpa non sua.
E questa rotta valse a togliere dall' alleanza romana qua'
popoli stessi, quelle tribb che lungamente erano state alla
Repubblica fedeli. Fra le genti che Livio descrive risollevate
in quel tempo contro il popolo romano racchiude recisamente
i Galli tutti della Cisalpina K Con tutto ciò noi vedremo che
i Galli Cenomani noi furono.*
Fra tanto dissolvimento del proprio stato, in mezzo all'ab-
bandono de' suoi confederati, mirabile a dir vero fu la costan-
za di Roma; ed ebbe anima si grande e poderosa, che tutto
insieme il popolo romano mosse incontro al console che tor-
1. Afros • • • tto armaii erani, amUs Galli iuper umbilicum etani nudi;
et ad Trebiam, eeterum magna ex HUpani linteis prmtextis jmrpura
parte ad Trasimenum eaptis. . . . tunieiSf candore miro fulgeniibut,
Hispano eie. ante ceteros habitus constiterant, HisU lib. XXU» e 40.
geniium harum tum magnitudine 2. Et Cisalpini omnes Galli. Lw.Hiit.
corporumjumspeeieterribiliserat, lib. XXU, e. 61.
1 6ALU CEKOVÀM 171
Dava da si atroce sconfitta (e della quale era stato la ca-
gione) per onorarlo, per ringraziarlo che non avesse dispe-
rato della Repubblica ^ Nessuna meraviglia cbe in due secoli
ancora mandasse Roma le sue legioni per tutto il mondo.
La vittoria di Canne fu ad Annibale più fatale che una
disfatta.
Non è nostro intento narrarvi come Fabio Massimo, nelle
cai mani era la somma delle cose, con quel suo temporeg-
giare, né arrischiarsi che a certa fortuna, riuscisse a fiaccare
r esercito nemico, a strappargli di mano l' una dopo Y altra
le appena Tinte città di tutta l'Italia, benché assai delle trenta
colonie eh' erano allora del popolo romano avessergli negato
sussidio d' armi e di denaro *. Diciotto per altro stettero
con lui, e n'esultarono i consoli; e Tito Livio con letizia le
novera, ed erano tra queste Piacenza e Cremona ^. Ma la
fama della discesa di Asdrubale in Italia con un altro eser-
cito cresceva ognora più. Venia con armi e con denaro a
corrompere la Gallia^, la cui pretura a Lucio Perciò era tocca.
Asdrubale, più fortunato del suo predecessore, ebbe segnaci
ed amiche al passaggio più genti della Gallia e dell'Alpi che
non avesse sperato. E l'Alpi stesse trovò già fatte più age-
voli dalla pratica di dodici anni e per V indole più rammol-
lita degli alpigiani ', avvegnaché, riprende Livio, altro non
1. Lnr iib. XXII, e. 61. lia conducenda, Gallorum animo».
t. Lnr. Hùt. Iib. XXVll, e. 9. Liv. L. XXVII, e 30.
^ Ne nunc quidem post tot secula «t- 5. Et quum per munita pleraque
leantur, fraudenturvt laude tua. iransitu frairiif qws antea invia
Signini fuere ete. • . . e/ mediterà fueramt, dueehat; tumetiam^ DUO-
rami. Beneventani^ et Gemini, et drcim annorum adsuetudine per-
SpoUtini, et Piacentini, et Cremo^ vii» Alpihui faetis, inter mitiora
nente», Liv. lìb. cit. e. iO. jamhominumtran»ibatingenia\In-
^* Qma magnu» pondu» auri adtu- viiitati namque antea alienigenis^.
line dkeretuT ad mercede atix»- insociabiles erant etc, 1. cit. e. 39.
kr, C,
201
172 I GALLI GENOMANt
sieno quest'Alpi che un transito ^ jPrimo suo fatto fu Tasse*'
dio di Piacenza, che poscia abbandonò per avvicinarsi al
fratello: ma sconfitto a Sena, lasciò sul campo la vita.
Veniva intanto a Quinto Manlio consegnato Y esercito del-
la Gallia, ch'era stato del propretore Lucio Perciò, con or-
dine di dare il guasto alle terre dei Galli che alla discesa di
Asdrubale ne seguitarono le insegne *.
Ed eccoti giugnere al senato i legati di Piacenza e di Cre-
mona dolenti che V agro loro venisse corso e devastato d^
Galli, onde a Manlio fu ingiunta la difesa di quelle povere
colonie ; e poi che le due colonie s' eran fatte diserte dalla
fuga del popolo impaurito, fu decretato che tutti si ritornas-
sero alle terre loro ^.
^^' Terminate le due guerre puniche, le quali costarono a
Roma sessantatre anni di battaglie e di dolori con tanto ani-
mo sostenuti, seguiva tosto la guerra Macedonica; durante
la quale trovavasi Publio Elio qoI proprio esercito nella
Gallia Cisalpina, il cui regime toccò poscia a Lucio Furio
Purpureone.
303 Sotto il quale governo gl'Insubri, i Cenomani ed i Boj,
sollevati i Salj, gì' Uvatesi, e le altre genti della Liguria con-
dotte da Amilcare cartaginese (che colle reliquie dell'esercito
di Asdrubale s' era posto in quei luoghi), assaltata Piaceùza
l'avevan posta a ruba, messa a ferro e a fuoco S e lasciati
1. SaiU edueuerat, viam tantum Al' tionem Placentinortm et Cremo-
pes esse, Liv. I. XXVII, e. 39. nensium legati, querentee , agrum
2. Galliam cum exercitu, cui L. Por- euum ab adcolis Gallio tncur-
ciut propreUor prafuercU, ohtine^ sanacvaelarifmagHamqueparlem
rei, deeretum est: jussusque popu- colonorum suarum dilapsam ess^
lari agros Gallorum, qui adFos- e/c Liv. lib. XXVIIL e. 11.
ms sub adventum Hasdrubalis d^ 4. Gallici tumultus fama exorta est.
fecissent. Liv. lib. XXVIil, e. 10. Insubres» Cenàmamque, et Boji,
3. Moverant autem hujusu rei me»- excitis Salys, Ilvatibusque, et csr
I GALLI CÈNOlUNt
m
«ppeha fra gì' incendi e le rovine duemila uomini, tragittato
il Po, movevano al saccheggio di Cremona.
L'annuncio della caduta Piacenza dio tempo ai Gremo^^
Desi di serrare le porte, di mettere soldati alle mura, d' av*
visare il pretore romano: il quale trovandosi a Rimini, nò
s'arrischiando a muovere il campo, ne scrìsse ai Padri della
Repubblica. Comandarono questi al console Cajo Aurelio si
portasse nella Gallia per ispegnere la rivolta.
Arrivato Y esercito, passati di Galtia in Toscana per soste-
nerlo cinquemila alleati, Lucio Furio levò Toste, e mosse in*
contro ai Galli che assediavano Cremona; vi s'accampò non
più lungi di un miglio e mezzo ^. In poco d'ora i due ne*
mìci eserciti si trovavano di fronte. L' ala destra degli alleati
fu pòsta innanzi^; le due legioni della Repubblica nella retro-
goardia. Furio alla testa dei primi, lo era Marco Celio delle
seconde, Lucio Valerio Fiacco della cavallerìa.
Com' era lor costume, fatto impeto i Galli con tutto Io
sforzo dell'armi loro ad un punto, speravano dar déntro nel-
l'ala destra, ch'era la prima, ed opprimerne all'urto le falan^^
gi: ito a vuoto l'assalto, cercarono avvilupparla di fianco.
Ma Furio accorse con due legioni della retroguardia, e av«
valorata d'ambo i lati la combattente ordinanza, votò un
tempio a Giove, se vincitore il facesse della battaglia^ mentre
il legato Lucio Valerio col nerbo de' suoi cavalli facevasi ad
MiLigtulmU populii, Humilcare
PoHM dwe^ qui in Hi loci» de
S§$dntbaiis exereitu svbttiterat,
PkeaUiam imHi$eranl- et, direpia
wke, efe. me duùbut mUlibui Ao-
MtMi Inter incendia ruinasque
niieUi, irajeeto Pado ad Crema-
^amdiripiendam perguni. Livius,
lik XIXl, e. 10.
i. Lucius Furius, nuignis itineribue
ab Arimino adversus Galloe, Cre-
inonam tum absidenlee, prafeclue,
castra mille quingentorum pas^
suum intervallo ab hoste posuifm
Liv. lib. XXXI, e. 21.
2. Dextra ala . , . . in prima acie
I locata est, eie. Livius, lib. XXXI^
e 2k
Onuci, Storh Amcb ▼•!. I.
174^ I QAIXt GENOMANI
lOYestire di tatta forza i fianchi nemici ^. Accortosi Furio
che il centro dei Galli tentennaya, cacciatovi contro yiolen-
temente.i fanti, ne ruppe le file, che serrate a'fianchi dai ca-
valli di Lucio, più non reggendo, appena fu che trovassero
cpUa fuga e col raccorsi negli alloggiamenti uno scampo *.
Ed anco gli alloggiamenti furono in quel calore della vit-
toria presi d* assalto. Trentacinquemila Galli fra morti e pri-
gioni restavano sul luogo: settanta bandiere, dugento carri
gallici ricolmi di preda furono le spoglie di quella giornata,
in cui tre nobili condottieri dei Galli ammutinati e lo stesso
Amilcare pagarono col sangue Y audacia loro. Duemila Ro-
mani costò la vittoria, e pubbliche preci furono all'annuncio
in Roma per tre giorni interi '.
L' esercito Ttttorioso fu rimesso dal pretore nelle mani del
console C. Aurelio per questo appunto venuto nella Gallia
Cisalpina S dolente che Furio avesse fatto da sé; ma questi
desideroso del trionfo, tanto in Roma e nel Senato si mescolò,
che pur l'ottenne. Gli fu apposto a colpa quel non aver vo-
luto aspettare il console: ma le due colonie di Cremona e
di Piacenza, che si erano poste come un freno ( dicevano i
suoi fautori) a' gallici ribollimenti, doveva egli comportarsi
1. Primo Galli, omni mulUtudine in tunt, fugaque effusa repetunt ca-
uuum loeum connisi , obruere stra, eie. 1. cit
t^que obterere tese dexiram a- Z,[C(Bsaaut capta supraquinqueet tri"
lam, qum prima erat, spèrarunt ^tnto mt/Zia (hòmìnum) cii» «lyiii'
posse ete.Id ubi vidit prmtor^ . . . miUtaribus septuagitUa, earpen~
duàs legiones ex subsidiis dextra iis Gallicis, multa prasda oneratit,
. lavaque ake.qwB in prima aeiepu- plusduceniis.HamilearduxP^enut
gnabat, eireumdat, eedemque Deo eo prcelio cecidii, ei tresimperatoret
Jovi vovit , «t eo die hostes fu^ nobiìes Gallorum, 1. cit — E al
disset, 1. ciU capo 22 : Supplicalo in triduum
2. Et comua ab equitibus, et medii a decreta est,
pediu pulsi . . . Galli terga ver- 4. Lnr. HisU Ub. XXXI^ e, 22.
I l^ALU qENpMAMI } 75
in pace di vedersele avvolte da una fiamma istessa ^? E Fn- ^U*
rio trionfò dei Galli (a. di R. 554).
A C. Aurelio succedeva nell' esercito della Gallia Gn. Be-
bio Tanfilo, il quale essendosi arrischiato di toccare impru*
denteménte i confini dei Galli Insubri, lasciò sul campo più
che seimila uomini. Era dunque tuttavolta Insubria (ben al-
tro che perita dopo Claudio e Marcello') quasi che libera na-
Eione : e gli eserciti stanziati della Repubblica che non osavano
fermarsi al di qua di Piacenza e di Cremona, e un console,
che dopo i trionfi di Marcello commetteva lo sproposito di
toccare U confine insubre ' sono fatti che avvertono quella
parte della Gallia subalpina venuta a patti, se si vuole, ma
non air arbitrio del vincitore; opperò non provincia imme-
desimata air ampio stato romano, si piuttosto per condi-
zioni e privilegi larghissimi dipendente da Roma con usi,
magistrati, armi, leggi, libertà, religioni sue proprie*: conces-
sioni insolite ad una terra violentemente combattuta e vinta
1. Ex duabus eolaniis qwB vdnt dav^ infatui GaUonm Imulfrium fi-
tira ad cokibendoi Ga!lico$ li*- nes, prope eum toto exereitu est
nmtifu opposiiiB fuiaent eie- Cosi eircumventui, Lnr. HisL L XXXII,
Livio: è la ragione addotta da cap. 7.
Polibio, ma più da Tacito, che 4. Un errore gravissimo del Verri i
disse la colonia cremonese prih- T asserire che le colonie di Gre-»
pagnaeulum adver$us Galhs trans mona e di Piacensa si fossero
Padum agenies, et si qua alia piantate nel terreno insubre dopo
9if per Alpes rueret Hist. lib. ili, la vittoria di Marcello. Piacensa
cZi.'ksconiofinPison, fragm,) poi non era nemmeno insubre* U
DotaTa che la colonia di Piacenza dire che dopo quella vittoria la
fu dedotta sul cadere del 534 di Repubblica fondò sul vinto suolo
Roma. delle nuove città è un asserire
1 < Cosi perivano i Galli » (Gantù, che non corrisponde al criterio sto-
Schizio storico nel volume -Mtiano rico ili un tanto uomo (Verri,
e li suo f0frifono-tom. 1, 18U). Storia di Milano. — Milano 1783»
3. Gn. Btàfius Tamphilus ^ .. temere t I, e. I, pag. 9 ecc.).
I7I| . I GALLI CENOWANI
Fatto TOto di un tempio a Giunone Sospita» il console
nrtò fieramente con tutte le forze nel centro degli Insubri,
gli sgominò; ed è sospetto ancora (duolcene il dirlo) che ad
accrescere la strage e Io scompiglio dei debellati, i Cenomani
anch'essi nel boUor della pugna gli avessero bersagliati
alle spalle K Trentacinquemila uomini rimanevano cadaveri
sul campo, prigionieri cinquemila e settecento, e fra questi un
altro Amilcare comandante cartaginese, che il Bravo ^ ed
altri confondono col primo rimasto sotto Cremona, promo-
tore principalissimo della rivolta. Furono romana preda più
di cento bandiere, oltre a duecento carri, e le città ribelli si
diedero al cònsole vincitore '.
n quale fu a Roma col suo compagno, ambo chiedenti
r onore del trionfo. Sostenea Cornelio che avendo i Boj vali-
cato il Po dinanzi a lui per soccorrere gV Insubri ed i Ceno-
mani, devastando T altro console iloro vici, avean dovuto
Ir. r.. '
'** rivolgersi a difendere le cose loro *. Brevemente; a Cornelio
fu decretato il trionfo sugli Insubri e sui Cenomani, e giova-
fu$^ , • . pQ$t tigna in subsidiii tot narcele^ Ad ogni modo 1* a? er man-
loeavenuU. Liv. 1. clL dato il console a Brescia i snoi
1. Non iuleruni Imuhret prwiitMi legati, V aver i?i appunto verificalo
coneurtum; quidam ei a Ceno^ come il popolo non assentisse al
manis, terga repente in ipso ecr- moto della gioventù, Taver chia-
lamine àdgrueie, tumnltum anrt- mati i capi della naiione, e blan-
pitem injeetum aiteioree sunt eie, damente richiesti di parteggiare
1. eìl per esso, tolgono ogni sospetto,
% Storie BroK. y 1. 1, lib. I, p. 49. checché dica il Maffei, di reale e
3. In ii9 Hamilcarem PxMrum tm- nazionale cenomana rivolta.
peraiorem, qui belli causa fuisset 4. Bojos adversus se transgredienies
signa militaria cenium iriginta, Padum,ut Insubribus Cenomanis^
et earpeiUa supra ducenta. Oppi- que auxilio essent, depopuiants
da, qua defectionem secata erant, vicos eorum atque agros collega,
dediderunt se Romauis, Liv. 1. cit. ad sua tuenda aversos este, Liv*
Avrebbe iaUo fero meglio nomi- Hist. lib. XXXIU, e. 22.
I.QALLI QBMOHAIfl 179
• . . .... •,- . . / t
rono al decretp i Piacentioi e i Craiponesi exiTitì a rin^a-
ziare il console dell' aver liberate dalla ossidione le loro
città. Molte nemiche insegne trasse fuori Cetego nella popipa
trionfale; e carri e spoglie galliche e molta ^lic^ nobiltà
diQanzi al cocchio del vincitore veniva tradotta,, e Amilcare
tra questa: ma gli sguardi del popolo romano si volgevano
ai Cremonesi ed ai Piacentini, che in lungo ordine seguivano
la processione col berretto in capo *. Quinto Minucio trion- ^',-J-
fò per quella vece dei Liguri e de'Boj (a. di R. 556).
Ha questi non erano ancor vinti. Però che a M. Marcello,
assalito da un regolo di cotestoro, toccò gravissima sconfitta:
ma rifattosi, passato il Po, entrato in sul Comasco dove Co-
mensi ed Insubri lo aspettavano schierati in campo ^, riparò
con una sanguinosissima giornata Tonta di quello smacco.
Qaarantacmquemila Galli perirono in quel fatto; quattrocento-
trentadue carri, cinquecentosette bandiere, ed assai collane
d'oro, una delle quali di grave peso che recò Marcello in Cam-
pidoglio, rimasero pel vincitore '. La città di Como in, pochi
giorni fu presa, presi e distrutti ventotto castelli di colà, ed
il console trionfò degli Insubri e dei Comensi K
1. C. Corneliui de Iniubribus CeM- Triumph, Rom. a DLVII M, Mar-
maniigue . . . Iriumphavii; multa cellus de iMubribus et Comensi-
tignamilitariatulit, multa Ciclica bus triumphavit),
sfelia eie- Ceterum magie in se 3. Et aureos torques multos, ex qui"
emeerUt oculos Cremoneneium bus unum magni ponderis C/au*
Plaeeniinorumgue colonorum tur- dius in Capitolio Jovi donum etc
ba pUeatorum, eurrum sequentium, Liv. Hist- lib. XXXIH, e. 36.
Liv. lib. XXXIU, e. 23. 4. Et Comum oppidum intra dies
1 Uhi Insubres, Comensibus ad or- paucos eaptum. Castella inde duo^
WM exeUis^eastrahabebanttetc. le, detriginta ad consulem defece^-
e 36. L* anco 557 combina colle runt .... Triumpkavit Mareellue
note dei Fasti Cotuo/an illustrati de Insubtibus Comeoeibusque, L
dal Sigonio fComm. in Fast aò titato.
Iti
460 1 OALLt CENOMANI
La quale impresa due storici illustri del secol nostro. Catta*
neo ^ e Cantù ^ confondevano coir altra antecedente di un
quarto di secolo addietro^ che un altro Marcello contro gli stessi
popoli avea sostenuta, e della quale abbiam parlato '. E pare
che non a' tempi del primo, si veramente a questi accadesse
la sudditanza totale della vinta Insubria, e che punita venisse
della rivolta coli' esclusione dal diritto della cittadinanza ro-
mana, di cui parla Cicerone in un passo ricordato dal Carli ^.
Né per queste vittorie clamorosissime smettevano i Roma-
ni ogni sospetto. La vicinanza dei Galli, benché più volte de-
prèssi, costava a Roma una guerra inestinguibUe. Perchè in
quest'anno ancora L. Valerio Fiacco pugnò nella selva Litana
contro i Boj; ottomila ne uccise, disperse il resto : ma si tenne
coir armata in sul Po nell'agro piacentino e cremonese '.
Poi r anno appresso ( 558 di Roma ) altro soDevamento
d' Insubri e di Boj, che il console tagliava a pezzi nei contorni
di Milano ^: senonchè, ripreso ardire, obbligavanlo a chie-
dere che il console Tito Sempronio venisse con altri militi.
Non fu a tempo, e il campo romano fu assaltato e quasi vinto;
ma la romana perdurante virtù rese dubbio l'evento della
giornata^. — Fu quiete da poi ^. Terminati i comizj del 565
di RomaV spartite le province, a M. Furio toccò la Gallia.
i. Nolizie statistiche sulla Lombardia. 7. Liv. lib. XXXIV, e. 45.
Introduzione.
2. Milano e ta sua provincia. Schiz-
zo storico.
3. A. DXXXI. De Trinmpko M. Marcel.
Coni, de Gallit Insubribut ete.
et spoliii opimii ab eo relatis, —
FasL Cap. in Comm. Sigon. a. 531.
4. Antichità Italiche — parie I, p. iOl
e seg.
5. Liv. Hist lib. XXXI V, e. 21.
6. Liv. I. cit. e. 45,
8. Tranquillee res flterunt Livirs,
lib. XXXVIU, e. 27.
9. Una volta per sempre. Io seguo
i computi varroniani; non perchd
accertati a rigore di storia, ma
perché più generalmente rìce?uti.
Mancherebbe anche questa, che
avessimo a discutere snlf anno del-
la fondata città! Attenendoci ad En-
nio si avrebbe 1*879 av. C; se*
condo Timeo di Sicilia TSU; dai
t GALU CENOICANt
181
Non eran qaeti i Liguri però, che avendo lasciate le
nostre terre, non la ingenita gagliardia, travagliavano sem*
pre i consoli destinati a combatterli ^; più infesti, sog-
giunge Livio, che l'Asia intera \ fatti a posta per mantenere
nei mìliti romani la militar disciplina. Luoghi ardui, vie
ripide piene d'agguati, nemici rapidi, violenti, subitani,
castelli fortificati, diserti campi, non altro che uomini ed
armi ^ ecco gli avanzi dell'antica Liguria. Ed anche l'armi
sondo tolte ai Liguri dal console Flaminio, per fughe e preci-
pizi di monti inusitati passarono l' Appennino, e lungamente
delusero la caccia loro data per quegli andirivieni dalle pe-
santi coorti della Repubblica.
Pacificata la provincia, apriva il console la via Flaminia
che da Bologna mettea capo ad Arezzo ^, mentre il collega
M. Emilio, domati altri Liguri, altra via conduceva da Pia-
cenza a Rimini, che alla Flaminia si rannodava \
Le flaminie severità coi Liguri furono tosto, benché fuor di
luogo, unitale dal pretore M. Furio coi Galli Cenomani; av-
vegnaché suscitando nella pace cavilli di guerra, togliesse
a' nostri, che Livio chiama innocenti. Tarmi loro. Ma i Ge-
nomani altamente se ne lamentarono col senato romano, il
quale rimessa la querela nelle mani del console Emilio con
amplissimi poteri, dopo contrasti assai da Furio sollevati, fu
comandato al pretore che, rese Tarmi ai Cenomani, lasciasse
Fasti Capitolini o piuttosto da Ver-
rio Fiacco il 752; da Polibio il
751; secondo Ausonio il 736, e
così Yia. Per amor del cielo non
enlriaiDO in questo spinaio.
1. LiY. Hist. lib. XXXIX, e. ì.
^' Nam Aita . . . diliores, quam far-
twrti, extreilui faeubat dice Li-
^ nel luogo stesso.
3. Nihil, pmUr arma ti viro», Ltv«
lib. XXXIX, e. 1; la descrizione
di que* liguri guerilog ò tutta di
Livio stesso.
4. Viam a Bononia perduxit Arre^
tium. Ltv. lib. XXXIX, e. 2.
5. Viamque ab Placeniia, ut Flami^
nim commuterei, Ariminum per"
duxitf 1. cit e. 2.
182 I GALU CXNOÌIANI
la provincia ^ L'avvenimento è gravissimo^ e dinota come i'
Genomani già [dipendessero da Roma. Qui cessano dunque
«
i fatti rigorosamente cenomani , poiché più di questi non
è ricordo da poi nelle pagine della storia *: e qui dai fatti
stessi noi dedurremo come si reggessero e quali fossero in
ultimo i loro confini.
IV.
ULTIMI CONFINI DEI GALU GENOMANI
E COME QUEL POPOLO TRA NOI SI GOVERNASSE
E per incominciare dai confini, abbiam già notato come
giunta quella stirpe nell'impeto primo della invasione a tale
ampiezza qual più non ebbe, per lenti casi di guerra venisse
mano mano perdendo infino al Clisi si vasto suolo.
Dalle narrate storie pare da poi che giugnessero que'Galli
ad allargarlo fino ai margini del Mincio, esclusa Mantova,
il solo avanzo rimasto fra essi delle tosche città, e che perduta
Cremona ( fatta prima insubre, e poi romana) più non aves-
sero mutamenti notabili di territorio.
Quindi ad oriente il Mincio ; a mezzogiorno il Po; Camun-
1. In GalHa M. Fwrku prmtor in- permiserat magno urtamine eum
sontibus Cenomanis , in pace pratore habUo\ tenuerunt caur
speeiem belli qtuarens, ademerat sam; arma reddere Cenomanis»
arma, Id Cenomani conqtiesti /{o- decedere provincia prator jussus.
nue apud senatum, rejectique ad Liv. lib. XXXIX, e 3.
consulem jEmilium, cm^ ut co- 2. Maffei, Verona niustr. — par. I,
gnoeceret etaiueretque, oenatui lib. IL
I GALLI CENOKAra
183
1)1, Tromptlini, Sabini, Benacensi al nord; ad occidente chi sa
forse l'Adda, ove nel primo stabilimento loro non sembra da
T. Livio che si fermassero, collocandone egli la sede tra Ve-
rona e Brescia: ma tengo arrìvasservi posteriormente.
Vedemmo come giugnessero nei primi tempi sino ai ter-
mini patavini. Né varrebbe il credere col Pillasi che i Galli
infesti a que' termini non fossero Genomani, si piuttosto
Senoni ^ Gome supporre che un popolo separato dalla
Venezia per un' amplissima e turbolenta fiumana larga tal-
volta da Piacenza al mare più di dieci migUa ( sono parole
dello stesso Filiasi), stagnante in profmde pattuii ^ quasi sem-
pre allagate da frequenti piene, dirò breve, dal terribile Podus
di trenta secoli fa, obbligasse la gioventù patavina ad una
vigile guerra di confine sul patrio suolo cosi difeso da quella
che il Filiasi dice anch' esso barriera formidabile dei Veneti?
E non dal Po, ma dai Gami venivano que' Galli che intomo
all'anno 188 av. G. G. senza nò guasti nò conflitti si collo-
cavano dove poi surse Aquileja per fondarvi un castello ': e,
segno che 1 Veneti erano già Romani, non altri si occupò
del fatto che la repubblica di Roma K .
Recatisi tosto al di là dell'Alpi i legati romani per chie-
dere che si fossero codeste novità, rispondevano gli alpigiani
1. Memorie storiche dei Veneti primi
e seeoDdi. - Ediz. IL Padova 181 1,
tom. I, pag. 80 e seg.
1 Op. ciL pag. 83.
3. Galli Tramalpini, tramgretii in
Yeneiiam iine pajìulatione aut
hello, eie, locum oppido condendo
eepfmfif. Liv. HitU lib. XXXIX,
cap. 22.
i. E veggan -con quale immediata po-
testà: ^ Ltgaiii Rowumis, de ea
re trans Alpee miisie, respontum
est; neqne profectos ex auctoritate
gentis eos, nee, quid in Italia f<k-
cerent, se scire. Liv. 1. cit — E al
e. 54: Mareellus nunàum pro^
misii ad L. Poreium proconsulem,
fU ad novwn Gallomm oppidum
legUmes odtnovenL La Venezia era
quindi già fatta romana.
its
184 I GALLI OENOMANf
Bon essere eotestoro partiti assenziente il popolo, né sapersi
che mai facessero in Italia.
Tre anni vi dimorarono. Ma condotto da L. Porcio l' eser-
cito a quella nuova lor cittaduzza, i Galli si diedero per vinti.
Primo fatto di sudditanza dei Veneti alla preminente re-
pubblica di Roma citerebbe il Furlanetto ^ le dissensioni pa-
tavine del 580 di Roma: ben più grave gli è questo di venti
anni prima, che abbiam citato a posta onde si vegga che
la veneta dipendenza fu quasi alla nostra contemporanea. .
I Liguri soltanto fra Y itale genti ambite dalla Repubblica
non volevano servitù; e mentre i Veneti si comportavano che
l'agro aquilejense fosse diviso a tremila gregarj e non so
che centurioni ^ mentre Pisa offeriva il suo per un' altra co-
lonia, queir indomata ed ultima reliquia dell'italiana indipen-
denza facea fronte sol essa agli eserciti romani, che ornai do-
minatori di mezzo il mondo antico , non potevano togliersi
quel fuscello dagli occhi.
Dissi al Mincio gli stabili confini^ perchè al Mincio arresta-
vàsi, come abbiam detto, G. Getego, e perchè fino al Mincio
e non di là si trovarono i gallici sepolcreti che il Filiasi ^ ha
descrìtti. Goprivano interi scheletrì posti accanto l'uno (bell'ai-
tro su di un lastrico di ciottoloni con armi consunte ivi presso,
ed ai quali facea coperchio una gran lastra marmorea capace
assai volte per quattro cadaveri alla guisa di tumuli fre-
quentemente scoperti in Francia, in Inghilterra, nella Germa-
1. Informazione storica premessa al- 2. Liv. HisL lib. XL, e. 33.
la Guida di Padova 1842, p. 8.— 3. Memor. ciL t I, pag. 79 e 130,
U braT*uomo per altro egregia- e tomo IV, pag. 103, ove si as-
mente sospettò già suddita la Ve- serisce trovati non mai di là da
nezia circa la fine della seconda quei fiumi: di qua, dice il veneto
guerra punica, terminata nel 552 Filiasi; il che per noi suona pre-
di Roma^ come il Filiasi opina. cisamente lo stesso.
I GAIXI GENOMANf 185
nia, in tatta la zona celtica. E quando il Filiasi, data la nnova
di qne' sepolcri, candidamente confessa non esser lontano però
dall' accordare che in qualche occasione Mantova e Verona non
fossano essere state tributarie o soggette ai GaXa ^> aggiunge
alle nostre ipotesi una assai lusinghiera né certamente par-
siale 0 prevenuta testimonianza.
Ma più che questi monumenti di morte, un vivo e parlante
monumento lo attesta ancora: il dialetto veneto, si diverso
dalle galliche pronuncio fino dai tempi di Polibio, che non
al elisi, ma sul Mincio si arresta colla sua dolcezza, per colà
cedere il campo alle galliche asperità ^ le quali durano an-
cora tra di noi.
Un'altra testimonianza sarebbero le lapidi, che non dal
elisi, ma da Peschiera, dal Mincio, dal Benaco in qua s' im-
prontano per r ordinario della bresciana tribb dei Fabj,
e della veronese Poblicia per lo contrario al di là.
Esdudo Mantova la tosca ' e forte città, perchè non con-
sta che gallica fosse mai; ed oltre che da Plinio si noma solo
italico avanzo di qua dal Po ^« è noto come dopo la seconda
gnerra punica si mandassero nuove da Mantova a Roma, c&r-
ruscare prodigiosamente come d*onda sanguigna U fiume Min*
(io, ed uscirsene daU'akeo antico U lago mantovano: i quali
miracoli non si sarebbero a Roma divulgati come dome-
stiche sventure, uè con supplicazioni e sacrificj dell'ostie
<• Henarie citate, t lY, pag. 103. 3. MatUua et a Tuicis et a Yen^
IFiuASi, Hem. t. IV, pag. 104.* fu veni/. Servius, od i£iietU 1. X,
EcV è per questo ehe dietro a ▼. 201. Ttueo ée sanguine tires,
tali limiti (Tenezlani) trovasi an- Virgil. Mneid. lib. X.
eera un accento e una favella di- i. Hiit. Nat. lib. UI, e. 19. Mantua
veniasima dalF aspra e rozza che Tuscarum trans Padum sola re-
lodarono le orde celtiche. Uqua . . . auc/or est Cato.
i96 I «ALU CENOMAJa
maggiori si avrebbero placati gli Dei, se avesse Mantova spet^
tato a un popolo nemico ^ Epperò gallica non era.
Escludo Cremona: il suo nome {Cremon) l'appalesa di
celtica origine \ ma probabilmente venia tolta ai Cenomani
dai Galli Insubri o da' Boj. Frequentissime guerre civili
rompevano fra i Galli Cisalpini» come abbiamo da Polibio e
come noi stessi abbiam veduto, sicché talvolta i Romani la-
sciavano che la discordia civile combattesse per loro '. In
uno di que' fraterni conflitti sospetterei col Sigonio ^ (quan-
di anche vogliasi esatto' un passo di Plinio ^) dai Cenomani
perduta la città di Cremona.
L'inimicizia fra i Galli Cenomani ed Insubri era antica,
ed abbiam narrato come i primi combattessero più volte
nell' esercito romano contro i secondi. Ma quello che più ne
convince della perduta città gli è veramente che le due co-
lonie di Cremona e di Piacenza notammo erette dopo la
sconfitta acerrima toccata all' armi degli Insubri e de' Boj
sull'omo tolto a cotestoro ^. Volete di più? Spartite quelle
terre fra i militi romani, vedemmo accrescersi da un lato
1. Hac prodigia eum kostiis majorìr i. De antiquo Jure ItalicR^ libro I,
bus procurata, et guppHcatio om- e. 23.
nibus dij8, quorum pulviuariaRo- ^.Cremona, Brixia Cemomanorum
mcR iunty e/c. Liv. Hist, 1. XXIH. agro, HisL Nat. \ìh. III, e. 19.
2. Ipsum vocabulum quod mere ul^ 6. Exercitibus Roma$M tumprimum
ticam feri formam. Cluverius, trans Padum ductis. Galli InsU'
Itai Ani. t l, pag. 253; e più bres, aliquot prceliis fusi^in dedi'
innanzi: Pulo vicum fuisse a Gal- tionem venerunt. M. Claud. Mor-
ii» Cenomanii condilum, a gallico cellus consulf oeciso Insubrium
vocabulo Gremon, eie, Gallorum duce Virdomaro, opima
3. Plebs Bojorum sedinone excHa- spolia retulit. Colonia deducUB in
ta . . , multis ccedibus inter se agro de Gallis capto, Placentia et
sunt erassati, Polvb. HisU lib. II, Cremona, Florus, Epitom, m Liv.
e. 21. Familiarit est hoc Gallis Hist, lib. XX. — Chi parla di Ce-
insania, ^ Hist. e 191 nomaoì qui?
I GALU CENOMÀNI 187
negl'Iosobrì e ne'Boj la rabbia ed il dispetto per quel freno
loro posto ÌD bocca sui campi loro, e continuare all' opposto
tra Cenomani e Romani le amichevoli relazioni che abbiam ve-
dute; il che certo non sarebbe accaduto, ed avrebbero unite
alle insubri le proprie insegne , se per loro castigo, come
fuor di proposito dice il Maffei, la città di Cremona lor fosse
stata tolta per fame a dispetto dei Cenomani una colonia.
Del resto se v'ha pàgina che il Maffei non meditava, gli ò
quella in cui poco dopo il trionfo di Claudio Marcello sopra
^'Insubri (an. di R. 532, av. G. G. 222) mi farebbe i Galli tutti
della Cisalpina, ed i Cenomani con essi, fuor cacciati da tutto
Q piano lombardo, esclusi solamente alcuni luoghi po8ti\aUe radici
ddl'Alpi ^; immemore d' aver poi scrìtto nella pagina conse-
cutiva come gr Insubri, attraversando l'agro cenomano per
condursi al Mincio che n* era U confine, trascinassero seco la
cenomana gioventù.
Abbiam fissato a mezzogiorno il Po, perchè il fatto che
ostinatamente accerchiata, devastata, corsa da un capo al-
l'altro era pei Galli propinqui la colonia di Cremona ^ fa
sospettare non altri poter essere che Galli Cenomani. Ed al
Po li colloca Polibio (»«pJ Tóy TOTtffMViKtroptyoi ' ); e che
vi si trovassero è tanto vero, che i Boj poco dopo valicavano
il Po per congiungersi ( e questo pure abbiam veduto ) coi
Cenomani e cogli Insubri^; anzi quest'ultimi attraversando
l'agro cenomano dì verso il Po per piantare il campo alle
rive del Mincio , traevano con sé ( \Cenomanis adsunUis ) la
nostra gioventù ^. Ma quello che più ne convince gli è ve-
i. Verona UlnstraU — par. I, lib. II. 3. Hist lib. II, e. 17. — Maf. Mut. Ver.
Del passo di Polibio che diede ori- Appendix cum animadversionib,
gine a qnella credenza abbiam in Samb. Mem. Stor. pag. 235.
parlato altrove. 4. Livius, Hist lib. XXXII^ e 30.
t Uvius, Hist. lib* XXXI, e. fL 5. Livius» 1. cit.
Ì88 I GALLI CENOllANI
dere un console romano, non ostante le colonie padane che
abbiam citate, schivare coir esercito il confine del Po, per
condursi a piantare il campo di là del Mincio più sotto qual-
che miglia dai Galli, ed esplorare di colà dall' opposta riva
se i limitrofi Cenomani teneano da lui ^ A che tutto questo,
se tutto il piano lombardo fosse stato già suo ?
Gamunni, Trumpilini, Sabini, Edrani^ Benacensi locammo
al nord dei Genomani, perchè genti retiche, non mai domate
che all'età imperiale di Roma, come vedremo più innanzi.'
De' Trumpilini e de' Gamunni siamo accertati dal Trofeo di
Augusto ', dei Benacensi da un passo di Dione Gassio ^.
Termine occidentale dell'agro cenomàno abbiam supposto
presumibilmente l'Adda. Una obiezione potrebbe farsi per
altro. È noto Qome la gente insubre fosse de' Galli a noi ve-
nuti la più potente, sicché Plutarco dicea Milano capoluogo di
tutta la Gisalpina^^: Polibio poi, come notammo, esalta gì' In-
subri quali principalissimi de' Galli ( ©"fwyiwoF ^èt «/rtfr) «:
colloca Strabene al di sopra degli altri Galli i Senóùi,
gl'Insubri ed i Boj; e dice i Veneti, gl'Insubri ed i Liguri le
1. Livius, 1. eie niani, uno d&'(ina)i del 9ecoIo \VI,
2. Qui vi porto il facsimile del marmo, in cui* certo il monumento era più
ove nomansi gli Edrani, non ha molto assai conservato,
procuratomi dalla gentilezza del rev. 3. Plin. HììU NdL 1. III. — Spbtal.
parroco della Pieve d*ldro sacerd. Trofei di Torbia nelle Mem. dd-
Andrea Spinelli. T Accademia di Torino, 1846.
V0818 . ponTis . P i. Verona Illustr. par. I. Oion. Cass.
#ASSVs . bT . cvssAB Hi8t, Rom, 1. 54.
^ASSVMl . F . vxoRi . bT ^ 5. Urbem GailitB maximam et frt-
/ttiDiAB . vosis . F . EDRANI quentissimom Mediolanum vocant.
Lievissime sono le diversità dalla Hanc Galli Cisalpini prò eapiU
edizione che dietro i codici più habent, — Plutarchus» In vita
antichi e più pregiati ne facemmo Marcellu
<pag. 37): i supplementi deri- e. Polyb. HisUniar. lib. II, e 17;
vano da lesioni del marmo stesso ed ugualmente degli Insubri e de*
da me riscontrato ne* codici Quir»- Boj, lib. II, e. Ì2.
166
I* GALLI CENOMAM 189.
più estese genti del tempo In cui viveva ^/e Milano faeea
più insigne di Bergamo e di Brescia ^
Promotori principalissimi di vasti commovimenti, raduna-
toli più che tutti di grossi eserciti contro i consoli di Roma
testé gli abbiam notati ^; il loro nome suonava tant' alta,
che quando dei Cenomani più ricordo non era, la nazione
insubre citavasi nelle pagine di Appiano attempi dei trium-
viri, ed in quelle di Tacito nei giorni di Claudio ^, meo^
tre Sparziano la rammenta in quelli dell'avo d) Oidio ^ È
noto ancora come il Cluverio non accordi agr Insubri lo
estendersi né pure insino al Po ^, che ad occidente il Ticino
li racchiudeva, e che i Comaschi mede^mi non ispettavano
a qnellaxelebre nazione, perchè Marcello trionfava degli In^
subrì e dei Comensi come di due popoli diversi : oltreché
non pare che prima del 588 di Roma ( av. G. C. 166) le av e.
coorti romane valicassero il Tanaro ed il Ticino. Ma serrati
per tal modo gì' Insubri tra il Ticino e TAdda, la cénomana
terra verrebbe ad essere più che doppia della loro ^.
Ed altro ancora: abbiamo da Polibio che i consoli romani
prima di entrare nei Cenomani pel Ciisi, e di là tornare in
Insabrìa, tentavano assalirìa per la più br&ve, ponendo il
i. Geograpk, l V; — e a Mapfet: In 6. Italia Antiqua, lib. I, e. S6 e 87,
tota hoc Italia parte trium tan" ove si prova correggere oq passo
tvmmttio gentium hoc perenna^ di Polibio (Hiit, lib. Il, e. 22).
Tuni omni csvo nomina: Veneti, 7. Al di H di quel flame Novara ftt da
Intuhres, Liguret, — Musei Ve- Catone aUribuita ai Liguri, ed alle
roneniit App. genti Vertacomare da Plinio. Tt-
1 SiRAB. Geog. 1. cit. cino dalle Ligustiche fii edificata,
3. In questo , volume a p. ii9 e seg. come Plinio ci apprende e Livio
4. CoRN. Tacit. Annal. 1. Xt, e. 23. riconferma (HisL Bom, l V, e. 35),
An parum quod Veneti et Insu' quando non si preferisca la Storia
frref Curiam inruperiut eie. ^fiscella, che a* Boj la attribuisce.
5. ìEl. Spartian. In Didio Juliano. ( Hist. Misceli lib. V. Inet. ).
Omuci, Siork 9mc Voi. I.
14
190 I GALLI GENOMAM
carneo dOTe l Adda mette nel Po ^ Se al medesimo con-
finente giugno vano i Genomani, qual prò tanto giro per an-
darsene al elisi?
Tuttavolta seguiamo le congetture dello Zanchì ^ del Ro-
ta'» del nostro LabusS i quali si argomeìitavano portare insi^
no all'Adda i cenomani confini, che noi sospettiamo conqui-
stati posteriormente agli Insubri ^; ed anco per ciò, che nella
divisione italica d' Augusto, aggiuntosi V agro nostro alla Ve-
nezia antica ^, notiamo esteso probabilmente all'Adda il di
lei territorio ed abbracciata dalla decima regione che Plinio
ci ha descritta ^. 11 Sigonio per altro non porrebbe i Ce-
nomani oltre rOglio ^, Ad ogni modo un marmo che la devota
VENETIA collocava presso V Adda * agli Augusti Valentiniano
e Valente fa supporre sin li il di lei confine.
Ed anche Bergamo $i volle per alcuno dai Cenomani co-
strutta ^^ sicché di questi & degli Orobi lo Zanchi faceva un
popolo, un ceppo, una stirpe sola. Ed il Rosmini, che in fat-
to di storia non guardava poi pel sottile, piacendogli tirare
innanzi di molta lena, e Bergamo e Vicenza e Trento an-
cora volea cenomane ^^
. Gravissimo errore però, che certa ò l'origine dei Galli Ce-
1. M an^ttetstes Abdum et Podi flu-
vti. — Hiiior, lib. IL
2. Dt Orohiorum iive Cenomanorum
origine, L. 11, in Ital, lUustr.
Anore.« Scotti.
3. Storia di Bergamo, t. I.
4. Tribù e Decurioni del Munic. Bresc
5. Georg. De AtiL Italia Metro^
poUb. Roma 1722. — Cluv. It.
Ani. tom. I.
6. Spetal. Trofeo di Torbia.
7. Hiet. Nat. lib. HI, e. 19.
8. De Ant Jure Italim. lib. I. e 24.
9. FiUASi, Memor. Ven. - 1 I. p. 91.
10. Rota e Zanchi» op. ciL — Ga-
gliardi, Parere iatoroo agli anti-
chi Cenomani; vedi T edizione in
foglio del Sambuca a pag. 78. ^
Bravo, Storie di Brescia, t I,
lib. 1. — BiBJfxi, Storia di Bre^
scia, lib. IL pag. 84 ; e cosi via,
che saremmo infiniti.
11. Storia di Milano. — Milano 1820,
t I. Introd.
I GALLI jCENOMANI Ì91
Domani*; e degli Orobi l'antica e diligente Catone confessa peir
lo contrario di non conoscerla ^: diversità del resto da tutti
gfi eroditi ornai sancita. Che Bergamo provenisse dalla vecchia
Barra, Catone istesso lo afferma. Notisi per altro che le suo
parole non acchiudono la ricostruzione della città ( come
per altri fu detto ) stdle rovine di Barra, ma la derivazione
unica e sola dei Bergamaschi ^. Ora chi mi dice che gli Orobi,
lasciata Barra (che il Radaelli, né forse a torto, locava sul
monte Barro fra l'Adda ed il laghetto di Annone), per casi
di guerra od altra domestica sventura si riparassero al colle
sol quale ora si leva la città di Beliamo, prodentes sb àUius,
per usare una frase di Plinio, quam fortunatka sitif
Male si citerebbe, sproposito di Bergamo, Giustino com* '
pendiatore di Trogo S il quale poi per soprassello a rigore
di testo non parlerebbe che dei Senoni \ '
Che Tdomeo ponga Bergamo fra i Gehomanì ^ manco
male. Non ha scrittore di vecchia data che più di questo ab-
bia imbrogliate, come dice il Maffei ', le cose del mondo an-
tico. V Olstenio ^ il Cellario * ed il Cluveriò *® ce n' assecu-
rano. Sì sa che il buon uomo, dopo averci dato quant'era'
degli Euganei e della Rezia, facea venire il Po dal lago di
1. Alia tubinde numuà tU. Livius, YiceMiam condideruuL Qoi ,6ÌQ-
Hiii. lib. V, e. 35. stillo si conluta da sé. ^* L. cit
1 Sed originem geniti ignorare $$ 6. Geograph. lib. HI, ci. — Ber^
faldur. Plin. HììU Noi, lib. lU. gomum. Forum JiéiufUorum! Bri'
3. Orobiofum slirpìs e$se Comum ah ^« Cremona cf^onia. Verona^
pteBergomumet Liciniforum.„In Mantua, Trid^um, BiUrium ete,
hoc sita inieriii oppidum Orohio^ 7. Verona 111. — parte L
min Barra,nnde Bergomates Caio 8. Lue. Holdest. ad Cluver, pag. 17.
dixii ortos. Plin. lib. \VL, e. 17. 9. Noiitia Orbis Antiqui, tom. I,
4. Bistoriar, lib. XX, e 5, n. 8. lib. 11, e. 9. — Cenomanis tri-
h. Bis auiem Gallis (Seoonib.) ... Me- buit quoi sunt Euganeorum Rkce^
diolanam, Comum, Brixiam, Ve- torum eie
ronam, Yergamum, Tridentum, 10. Italia Antiqua, ì, I.
193 1 QAUJ c£N<niAiir
Como, U DoFa piemontese volgere ai lago di Garda, e cosi di
s^ìk) che è una consolazione ^
Celtico sapore ha tuttavolta il nome di quella città: ed
ecco ia sola ma rispettabile testimonianza di sua gallica orì-
gine. Se non che, posta in campo solitaria, senz' altro valido
argomento che la conforti, è troppo poco: ed è per questo
che peritando] ai Cenomani l' ascrìveremo. Onde vedete, let-
tori miei, che il confine cui tutti diedero per lo più facile e
risoluto, gli è proprio ancora il più sospetto ed incerto.
Comunque sostengasi all'Adda od all'Oglio conterminato,
l'agro cenomano che abbiam descritto era già di tale am-
piezza, che se non aggiugneva dal Lario al Bacchiglione, come
il Gagliardi^ ha sognato, non eraperò il breve cerchio entro
il quale n' avea chiusi il Maflei; non era però tale da non
vincere di lungo tratto la mz^gior parte delle itsdiche popo-
lazioni che pib^si erano opposte alla Repubblica.
In [quanto spazio, mi dite, erano Marsi, Vestini, Marrucini,
Peligni, Equi, Sabini, Gabii, Auronci^ Volsci? Non aveano per
lo più che un solo oppido; ed i Romani stessi dopo una guer-
ra di quattro sècoli non poterono allargarsi al di là di dieci
miglia: e in quanto ai Galli, sapete voi che non m«ix) di otto
loro genti colloca Polibio nell'agro subalpino^? E basti a
dedurne la parte non modica dai Cenomani tenuta.
Ma se largo territorio avevano, di più larghe istituzioni
eranb temperato ne' primi tempi della nuova dominazione
il reggimento.
Dopo ì fatti di Cornelio Cetego e di Lucio Furio alto
silenzio è negli storici delle cose dei Galli subalpini, altissimo
su quelle dei Cenomani bresciani. Ma ben vi parrà manifesto
da que' fatti medesimi che abbiam narrati non essere stato
I, Maffei, Verona 111 — par. l. 2. Polyb. lib. 11, e 17.
I 6ALU CEROIIANI I&3
mai l'agro cenomano aggianto risobitamente al romano im-
pero; aver sempre quelle genti formato come a dire una loro
nazioncella a sé, libera, indipendente, con Tarlo confine se-
condo i casi varj delle guerre coi Veneti e cogli Insubri, ma
di costante rappresentanza civUe nei popoli circumpadani.
Confederati ed asiici della Repubblica, non servi appaiono
i Cenomani nelle pagine di T. Livio fino a' tempi di Cornelio
Cetego. Che non fossimo governati allora da pretore alcuno,
che alleati fosdere mquo dei temuti Romani ci rimanessimo i
la condanna di Furio lo dimostra ^.
Chi narrava al Sala che i Romani del 555, preso possesso di
Brescia, vi proclamassero le loro leggi, dichiarandola provincia
ddla GaUia Cisalpina ^f donde traeva egli cosi grave notizia?
Vero è bensì che da que' fatti in poi qualche accordo, qual-
che trattato fra Cenomani e Romani debb' essere seguito:
uno di quei trattati che mutava in parte la condizione dei
padri nostri, ma lor non toglieva nò leggi, né costumi, nò li-
bertà nazionali; che riconosceva la* omai preponderante ro-
mana potenza, ina rispettava le domestiche istituzioni del
nostro paese; dirò breve; ne' primi tempi della cenomana
conquista la terra bresciana reggevasi a guisa d'indipendente
repubblica , » nò 'altrimenti che come alleata di quella di
Roma soccorreva dell' armi proprie le consolari insegne.
Prima ancora che Annibale varcasse l'Alpi )[)arra Strabene
che i Veneti ed i Cenomani sussidiassero i Romani coMro i
Simbri {sic) ed i Boj ^. Veneti e Cenomani erano dunque
1. Labus, Sulla tribù e sul necurioni 3. Cetwmani antem tt Ytntii anteAnr
dell* antico Maoicìpio Bresciano. — nibalicum bellum auxilia Romor
Brescia 1813, pag. 10. nis tulerutU eonira Bojos et Symr-
1 Guida di Brescia. — Brescia, per brioi, Strab. Geogr. lib. V. — In
Cavalieri 1834, p. 18. vece^di Simbrì alcani leggono In-
{94
I GAJ.Lt CENOUANI
fra di loro in qualche amiche?ole relazione: e che fra loro
fossero grandi analogie, fuorché nella lingua, Polibio il no-
ta^. Ed è Polibio che ci parla dei romani ambasciatori spe-
diti .ai Veneti ed ai Cenòmani per averneli confederati^, e
narra dei yentimila uomini che ne ottenevano, chiamati dal
grande ìstorìco sodarmn (mocilia '; e confederati gli avverte
pur dei Romani quando Cornelio Scipione giovossi di loro
per isbarazzarsi dei Cisalpini^. Bd i GalU Brixiard auxSiares '
di Tito Livio nella seconda guerra punica, e quel suo pree-
terea Cenomanorum auxilia ^ sono evidenti testimonianze di
un patto federativo, se vuoisi, fra le due repubbliche ceno-
mana e romana, ma nulla più 7.
Ma questa indipendenza senza patto alcuno che alla repub-
blica di Roma la vincolasse non durò, checché si voglia, sin
oltre il conquisto di Cornelio Cetego. Non. prima di ciò, per-
chè altriménti non avrebbe il console riparato di là dal Min-
cio l'esercito; né chiamati a sé i capi della nazione, bella-
mente non gli avrebbe con lusinghe adescati ( moliri ^ )
' sùbri, benché Strabene divida al-
. trove gli uni dagli altri, e collochi
i Simbrì al di sopra dei Veneti.
Ma qui forse ha errore nel testo
straboniano.
i. Sermcne diverso a Gaìlis utentes,
cce/era morilnu et cuUu iimiles.
Histor. lib. il e, 17.
5. Accepta a Romanis leyaiione, h<H
rum tocietaiem prceoptaruut, —
POLTB. Hiitoriar. lib. II, e 23.
3. Pou HÌMtoriar. lib. II, a 23.
4. POLYB. lib. I, e. 32.
6. HistRam. lib.. XXI, e. 25.
6. Hist àt lib. XXI, e. 55.
(De Bello Poenieo , L XX, v.
212. ) sotto le romane bandiere
nei campi fatalissimi di Canoe
omette i Bresciani. Vorrem noi
dire perciò che si trovassero nelle
file deir esercito cartaginese, men-
tre alla Trebbia furono anzi i più
accaniti nemici suoi? Silio Ita-
lico ,era poeta, e chi dicea tra
r altre cose fondata dai Trojani la
città di Aquileja non va poi preso
alla lettera, tanto più che tra gli
accorsi al campo mette gli Aqui-
lejensi, che in quel tempo non
sussistevano.
7. NeUegenU che Silio ItaUco descrive 8. Livius, Hist, lib. XXXII, e. 30.
1 GALLI GENOMANI Ì95
perchè stessero con Ini ; né quei rappresentanti avrebbero
risposto non poter essi tanto promettere che Tarmi loro
combattessero a campo aperto contro gT Insubri.
È la risposta di un popolo che non ha patti con alcuno;
e se un patto fosse preesistito , il console in quel caso non
avrebbe avute lusinghe da rammollire i Cenomani, ma de-
creti da imporre. Trionfò dei Cenomani Cetego;. ma della
sola gioventù, come abbiam detto, che s' era data a parte in-
subre contro il voto della nazione.
Quella rivolta giovanile per altro doveva essere di gra-
ve momento. Perchè dov' era finalmente il nerbo di un po-
polo guerriero se non nei giovani? Epperò le terrìbili parole
de Insubribus Cenomanisque triumphavit apprendono senza più
che il cenomano commovimento fosse cosi fatale, cosi vasto,
cosi temuto da meritare in chi V avesse coir armi soffocato
Toner del trionfo. Che Cetego per messi ed esploratori veri-
ficasse non averne parte la nazione, servì forse ad ottenere
larghezza di condizioni e patti amplissimi e generosi. Ma
il Senato, dal quale si analizzavano severamente i titoli dei
trionfi, assai volte da sottili oppositori contrariati e discussi ^,
non T avrebbe accordato sui vinti Cenomani se non gli avesse
ritenuti formalmente nemici e debellati.
Quest'unica e si naturale osservazione distrugge le molte
ipotesi agglomerate per sostenere oltre i tempi del console
Cetego sorvissuta la primitiva libertà bresciana.
Che i Cenomani d' allora in poi riconoscessero la premi-
nenza romana emerge ancora dalT armi loro tolte pei cavilli
di Furio pretore : il fatto, comunque opposto all' amichevole
sommissione già dai Romani ottenuta, dinota per altro un' in-
gerenza pretoriale di cui non lamentava T innocente nazione
i. Liv. lib. XXXI, e. 22; Ub. XXXIU, e. 23 ecc.
i% I GAttl CENOMANI
che la severità; e l'aver questa implorato^ dai senatori della
Repùbblica la reslitozione dell' anni loro è tale argomento
di sodditan^ seguita che nulla più.
Disse già il nostro Nicolini tanto solo sapersi dei Geno-
mani quanto i Romani ebbero a fare con essi loro \ Vedre-
mo adesso emergere da quello che non fecero la condizione
in cui r uno rimpetto all' altro si ritrovava.
E veramente il non aver dedotta nell' agro nostro colonia
alcuna, com eavean fatto altrove, il non averci privati del-
l'armi nostre, come avean fatto dei Ugurì^ e dei Galli ^
discesi nella Venezia, manifesta le tracce di quelle facili
ma pei vinti sempre care concessioni, delle quali solevano i
Romani confortare nelle prime loro conquiste i debellati \
Ond'io tengo avvenuto dei Cenomani quello che dei Ve-
neti sospetta il Pillasi, la cui dedizione fu quasi contempo-
ranea come di popoli affini^^per politiche relazioni, uniformi
poi sempre nell'amicizia romana; e quello che più dell'ami-
cizia valeva, ugualmente indispensabili alle mire di uno siato
già prepotente.
Vennero soggiogati a poco a poco, gradatamente: la rete
era già tesa. Fino a che gl'Insubri ed i Boj levarono alto il
capo, i Romani si tennero alleati Veneti e Cenomani del pari
(socios); ma dopo la seconda guerra punica, vinti i popoli che
abbiam nominati, cessato il bisogno dei blandimenti e delle
(i. Liv. Hist, lib. XXKIX, e. 3. pendant U^ demier siede de la
2. Ragionamento inlorno alla Storia Répuhlique (Mém, de V InstUnt
Patria — cap. I. Royale de Franee, t XII, Paris
3. Lmus, lib. XXXIX, e. 1. 1836, pag. 356).— Spanheiv,/»
4.' Maffei, Verona Uluslr. parte I, Orb, Rom. Exerc, — Burman, De
lib. II. — FiLiASi, Memorie dei Vectigalibus Romanor, — SiGO-
Veneli, tomo li, pag. U7. nius, De Ant, Jure Italia, —
5. DuREAU DE LA Malle, 5ttr /Md* BoucHAUD, De l'impót ckei les
ministration Romaine en Kfllie Romaint.
1 GAIXI qENOMANI
197
iosioghe, la sudditanza fa compiata, come quella dei Rqdia-
ni e de' Massiliesi. Il nostro paese fertile, popolato ed alla
portata come il veneto delle nazioni transalpine, alle quali
già pensava V irrequieta Repubblica, era troppo necessario a'
suoi vasti e procellosi disegni. Ella quindi trattò da pari a
pari con noi finché ci chiuse nelle sue conquiste. Il Micali
vorrebbe questa vera sommissione indubitatamente compiuta
quattro anni prima della seconda guerra punica. Non pare
dai fatti , e lo vedemmo. Il Carìi ^ sosterrebbe dichiarata
provincia la Gallia Cisalpina intomo al 563 Yarroniano, ma
né questo ancora esattamente risulta.
I primordi furono dolci, liberali; era tattica romana*: e
in generale, tratte le colonie, durante T ultimo secolo di
quella Repubblica godeva Italia una larghezza di libertà, di
reggimento condiscendevole e moderato h ma secondo carat^
tere, posizione, importanza dei popoli italiani dettava i patti
piùo meno partecipanti delle gradazioni di quei privilegi che
si chiamavano cittadinanza romana, diritto italico, diritto Ioli»
no ^. Ed anche dopo la sudditanza solea Roma chiamar sodi
e quasi fratelli questi sudditi suoi: del dolce nome son piene
le pagine di Cesare, di Livio, di Cicerone. Dione stesso nra
altrimenti chiama le italiche province ^; Quinto Curzio disse
Atfeb la dipendenza romana ^ e Cicerone chiamò i soggetti
1. AntìchiU ItaUche — t. II, e. 5.
1 Micali, L*lUilia;avaoli il dominio
dei Romani — t, VI, e X del-
rediaione IV di Genova.
^ SpAKHEiif , Orò. Rom, ExercU. e. I.
iHgut. Ub. IV, tit XV, leg. I e
Vili. De Cemibus.
^ Bureau oc la Malli, op. dt —
SiGomus, de /ure lUd. Ub. XXI;
e le opere di sfondata erudizione
che ne trattarono, del Panvinio,
del Manuzio, del Vaillant, del
Beaufort ecc. ecc.
5. HUt&r, Rom. lib. XXXVI, e 5.
6. Q. CunTii, Hùt lib. IV. Nune sub
tutela Romanee maneuetudinii re-
^tftefct/scrivea egli di Tiro, e pa->
re quasi una profonda ironia.
198 I GALLI CENOMANI
felici sotto la tnansuetudine di Roma K Crederem noi fidata-
mente a queste beatitudini? Lo yedremo più innanzi.
Come pare che agli Insubri ' ed ai Veneti avesse conce-
duto ^ continuarono quindi anche i Cenomani a governarsi
da so colle domestiche loro leggi» colle norme antiche loro
lasciate, con quel sistema di fondo repubblicano ma de-
clinante air aristocrazia, portato con sé dalla Gailia ond' era-
no venuti, e dove a' tempi di Giulio Cesare durava ancora.
Ma terrem noi che nò di un patto infrenassero le nostre
libertà? che simili larghezze venissero a piene mani, e non
come soltanto potean piacere alla gelosissima Roma? La di-
pendenza nostra doveva essere allora poco più di quella di
una schiatta cui vien lasciata da un' altra smisuratamente più
forte di lei quel sospiro di tutte che noi diremmo nazio-
nalità. Le concessioni del potente altro pel debole non sono
che un patto di servitù.
Come le dvitates della Gailia qui dunque si radunavano in
questa Brixia qwB caput Cenomanorum getUis eroi ^ i capi dei
nostri paghi, dei vici nostri a ministrare la cosa pubblica,
provvedere ai bisogni ed alla dignità della nazione , discu-
tere della pace e della guerra. Quivi dunque era il se-
nato bresciano (cosi comune del resto alle galliche del pari '
che alle italiche comunanze ^ anteriori al dominio romano),
queir adunanza de'seniori bresciani ricordata da Livio ^, che
non assenti la giovanile rivolta dei tempi di Cornelio Cetego.
Era quivi ancora probabilmente il ceto dei Primati che G.
1. CiCER. Dt Off. lìb. II, e. 5. 5. G.£S. De BelL Gali, in più luoghi
2. Verri, Storia di Milano, — t. i, 6. Dempsterus, Etruria Regalis. —
lib. I. MiGALi, Italia avanti il dominio
3. FiLiASi, Mem. Venete cit« — t IV, dei Romani.
pag. 151. 7. Non ex audoritate
4. Liv. Misi. lib. XXXII, e 30. Liv. HisL 1. cit
I GALLI GENOUANI 199
Cesare direbbe dei Cavalieri, ingenito cotanto nelle galliche
cwikues S in cui certo erano quelli che il console Cetego ebbe
chiamati nel romano esercito per adescarli coir arte romana'.
Né i costumi potean essere certo quali trovò Polibio, vissuto
due secoli prima dell' era nostra. Che se allora non avevano
par suppellettili; che se dormivano ' sulla ni^a terra o
avviluppati nelle pelli degli animali; s' altro cibo non avevano
che le cami^ altro letto che le foglie, altro pensiero che la
guerra, ignari dell' arti e delle scienze ^; se dai giorni di
Bellòveso e di Pitagora iSno a quelli dello storico di Mega-
ra non agognavano che armento ed oro, perchè Tuno e
l'altro potevano essere come le loro tende portati con sé ^
Fuso frequente coi Romani dovea rendere più italico e di-
rozzato, a preferenza degli altri Galli subalpini, il costume
dei nostri.
Polibio anch' esso nota le influenze tirrene su quella bar-
bara schiatta^; e Strabene medesimo narrava di Milano, che
povero pago lorquando i Galli abitavano sparsamente qua
e là pei loro vici , a quel tempo s' era già fatto splen-
dida città ^. Anzi, mentre Polibio stesso affermaci che
abitavano xm^uitif vicaiim, al capo 34 parlaci di oppidi od
assaltati o difesi. E Possidonio quello spettacolo brutale dei
teschi appesi all'uscio delle case più non trovò che oltr'Al-
pe^ Anzi e' si pare da quello storico vissuto intomo a'tempi
di Polibio che fosse nei Galli da lui visitati molta barbarie si,
1. C.€S. De Beli Gali Ub. VI, e. 12. 6. Hist. dt. lib. II, e. 17. Adsidebani
1 Exeiiis ad se prmetptftut. — Liv. Tyrrkenis Galli, ideoque cum iptis
Uk cìL commercia frequetUabant
3i PoLTB. Hiitoriar. pib. II, e. 17, 7. Mediolanumpagus olim,nuneurb9
t tatto qael che segue nella sin- prfeclara, nam per pagos ea (em-
golarissima descrizione. pestate habitabant omnes e/c —
4. Pou l cit Geograph. lib. V.
5. PoL 1. cit 8. PossrDONii, Hisioriar.
900 I GALLI GCNOIIAlfl
ma di molta grandezza contemperata. Non vorrò credere si
tosto le splendidezze del conyito degli Alvemi da Possidonio
yednte, perocché tengono nn po' del favoloso come i suoi
laghi ricolmi di sontuosi licori; ma che i bardi rallegrassero
le galliche mense dei loro canti altri lo afferma, e nessuno
contrasta ^«
Le quali cose aggiungo io qui, perchè non si creda che i
rudi costumi dei Galli cisalpini da Polibio descrìtti fossero
generali a tutte le classi di quella gente. Polibio da vero sto-
rico narra le usanze di quelle moltitudini che gli antichi
scrittori di due secoli dopo non credettero degne di storia :
ma citarne il brano più caratteristico della loro vita non ba-
sta per averne un' esatta e coscienziosa idea. Era natural-
mente il volgo parte massima di quella gente, ma non la sola,
ma non quella che pò tea rappresentare le nazionali colture,
le quali si raccoglievano tutte in quelle due caste privile-
giate, ch'arbitro e donne quasi delle masse, ne regolavano i
destini — sacerdozio e nobiltà.
Alla guisa di quelle dei Galli cisalpini, ed in Italia degli
Equi, dei Volse! , quant' erano sull'agro cenomano grosse
borgate formavano altrettante come a dire minori comunità;
e secondo il costume antico si radunavano a tempi stabiliti e
nei gravi casi della nazione in vaste diete per deliberare sui
trattati di guerra o d' alleanza, e d' ogni qualvogliasi urgente
necessità. Il luogo di quelle diete probabilmente era sacro,
come sacro era sempre appo i Latini, agli Etruschi, a tutte
le genti primitive: e la selva gallica dei Carnuti era imagi-
ne del bosco Ferentino. E poiché le religioni dei vinti furono
anch' esse dalla Repubblica lasciate, qui seguitarono le caste
sacerdotali dei Galli Cenomani lor cerimonie e sacrifizi co-
1. Trova, Storia d*lUlia — tom. I, lib. IV, pag. 259, e. 32.
I QALLI CENOIUNI 201
me sotto le roveri degli Aulerci e dei Sequani: e forse
r ara del gallico dio Bergimo, cui Nigidio ripristinava, non
era che pietosa e bramata restituzione della cenomana ornai
crollata per vetustà. E ben si pare che lungamente prediletto
rimanesse quel nume fra di noi, se a Nenia Macrina figlia di
Ania e di M. Nonio Macrino quindecemviro per le cose sa-
cre, pretore in Roma, console suffetto e governatore delle
dne Pannonie sotto Marco Aurelio^ piacque nomarsene sa-
cerdotessa ^.
E il popolo, chi sa forse, domandò ' V antico altare del suo
Bergimo, perchè sola memoria di quella schiatta indipen-
dente e fiera, della quale più non restavano che i numi.
i. Labus, Anlichi Moomnenti scoperti n. A. — Murat. Nov. Thes, V.
in Brescia. — Brescia i8S3; ìyì Irucr. pag. 109, n. 12. — Do-
t pag. 48 lo stemma delle fiuni- nati, pag. 339, d. 7, 8.
glie Maliena, Romania, Nonia e 2. ex . postvlation . plsb . aram .
Roscia bresciane. — Manutius, bergimo • rbstit — Vedi V inr-
Aucr. n. 120. - Gruterus, Cor^ tero marmo in questo Tolumo a
più Iiuerip. p. 887, n. 4; p. 893, pag. 112.
LIBRO TERZO
U REPDBBUCA E L'IMPERO
DI ROMA
I.
BBESCIANE TICEMDE NEGU CLTIMI ANNI
DELLA REPUBBLICA
Ed ecco Veneti e Cenomani fatti sem del popolo romano,
confasi neU* ampio nome di Gallia Cisalpina. Diyidevasi qne-
«a per le correnti del Po in dne grandi proyince. La trmw-
l«*»M, e comprenderà rispetto a Roma due genti, i Veneti
^ insaorL La cispadana, della quale non ò nostro proposito
J occnparei. L'agro cenomano era quindi nei confini deUa
Venezia, ed anco il nome di cenomano gli fu tolto.
Fondata la colonia d'Aquileja per contenere i barbari
confinanti, e fors' anco i GalU dell' Istria nominati da Li-
▼M>, i Carni alpini, fieri popoli non domati che nel 638 di
«orna (come dà, un avanzo recentemente scoperto dei
rastì Trionfali *) fieramente si opposero all'ingrata novità;
^ fa indamo. Cosi parve a' Romani bastevolmente guar-
ii ed infrenala Italia.
< h tnmit Mi 1816. Vedi a BoaCHBSi e fl Fé*: Framm. di Fasli GonsoL
At. C.
Iti
•ce.
204 REPUB. E IMP. DI ROMA
La via Gallica probabilmente era già incominciata; e da
Torino a Milano, indi per Brescia, Verona, Vicenza, Padova
ed Aitino attraversava tuttaquanta la valle del Po. E la Postu-
mia ancora per diverso giro ne la scorrea ; vasto manufatto,
che Genova^ Cremona, Mantova congiangendo , univasi alla
Gallica, passando con questa le città di Verona e di Vicenza,
dove staccandosi volgea pel Padovano; per non dire dell' E-
milia Parmense lastricata nel 567 S e che poi condotta di
qua- del Po, attraversava il Polesine indirizzata all'Alpi.
Strade tutte fabbricate dopo la conquista de' Senoni, dei
Liguri, de' Boj dall' opera poderosa delle legioni romane
quando svernavano pei campi debellati; a non dire della De-
cumana, della Germanica, della Gemina, dell' Aurelia e
d'altre benché più tardi aperte. E tutto questo a facilitare
i trasporti e le diete degli eserciti e delle salmerìe, a pre-
parare nei campi nostri quella rete magnifica di vie roma-
ne per le quali dovea poi rovesciarsi nella Gallia e nella
Germania tanta mole di guerra K
Con tutto ciò, tra l'ardue gole dell'Alpi, dentro ai valloni
ed ai deserti delia Rezia antica era ancora un avanzo di
quella ligure schiatta non mai spenta nò dalle sue sventure,
né dall'armi altrui. Fierissima, implacabile, risorgente più
ardita e sfidatrice dalla sconfitta e dalla persecuzione , tor-
mentava i consoli senza tregua, talvolta ancora senza neces-
sità; e mentre i monarchi del mondo antico chinavano la
fronte dinanzi ai proconsoli di Roma, non ò senza stupore la
energia di un popolo che solo, povero, inseguito, per amore
de' suoi casolari e della sua libertà teneva in soggezione la
romana potenza.
1. Liv. HisU lib. XXXIX, e. 2. — * 2. Bergier, i)e< anciens ehemhuro'
Maffei, Verona HI *— p. I. maim. - Pallad. De Rer. Far» Julì*
Kfil^UB. E IMI». DI IRmA ^5
Domati alla Brìo i Liguri mréditerraiiei fra gli Appennini e
il Po S vinti gli Apuani» non trovava il Senato mezzo migliore
a spegnerli che strapparli dai loro monti; e sordo ai loro \
preghi, quarantamila uomini colle mogli, colle famiglie facea
tradurre nei campi degli Irpini, ove dal console che gli avea
sconfitti presero il nome di Corneliani^ ^
Debellati gV Inganni ^, assaliti per ogni parte i Garulii i
Lapicini, gli Ercati ( ligustiche generazioni) parvero dal
577 al 78 di Roma cedere alla romana insistenza ^. Bnna- ^l^^'^
nevano gli StatièUati ^, che- soli tra i vinti fratelli ebbero cuo-
re di aspettare il console Popilio Lenate alle porte di Cari-
ato, insofferenti deir assedio. Caddero sul campo; Caristo fu
smantellata, e gli uomini venduti, e messi i campi all' asta '.
Tanto al di là dell'Adda, del Tanaro, del Ticino. Restava-
no i Liguri di qua, restavano i nostri Alpigiani, ultimi super^^
siiti di stirpe si generosa.
Dalle Legazioni di Polibio ci è fatto conoscere come il
console Tiberio Gracco nell' anno di Roma 590 debellasse i
Cammani ^. Con sottile accorgimento Scipione Maffei ^ quel
nome ignoto nell'antica geografia rettificava, leggendo Ca-
munni, tanto più che due anni prima tutte l' Alpi occiden-
tali, meno i Salassi, erano vinte ^. Oltre i Camunni direbbesi
però non essere penetrate l' armi romane per alcun tempo,
avvegnaché trentacinque anni dopo si registra nei Fasti
1. Oderigo, Leu. Ligustiche - p. 34. 5^ LiV. Hist. lib. XLIl, e. 7, 8, 9,
2. Livius, Histor, lib. XL, e. 25 e 28. 22, 28, ecc.
— Plutar. in Vita Pauli ^milii. 6. Polyb. Legai, n. 106.
3. Liv. Hist. lib. XLI, e. 12, 19. — 7. Verona llluslr. — parte I.
Florus, Hist. lib. II, e. 3. 8. Micali, L'Italia avanti il dominio
i. Malacarne, Dei Liguri Statiellali, dei Romani — ed. cit. tom. VII ,
pag. 72. e. 16, pag. 91.
Oftoftici, Storie Brue, Voi. f. IS
At.C
I2t
206' REPUB^ E IMP. DI ROliA
Trionfali e neir Epitome di Livio come i Liguri Stoni ve^
nissero debellati dal proconsole Quinto Marzio ^
Cacone di quella guerra contro i nostri valligiani era il
volerli sudditi ad ogni patto. Pretèsto le incursioni frequen-
tissime pei supposti vici della Gallia circumpadana. E vera-
mente quegli arrischiati calavano, come narra Dione Cassio,
dai loro monti mettendo a ruba ed a scompiglio per amplis-
simo tratto le nostre terre \ Dissi pretesto, perchò ben al-
trimenti venivano quelle terre dagli ingordi pretori e dai
proconsoli espilate, succhiellate come cose da rubello fino
air ultimo centellino '.
Frattanto un altro turbine daHa lunge s' addensava: ed era
fatale che dall' estrema Judlandia e dai deserti del Baltico,
dopo aver corsa e impaurita mezza Europa, venisse a rove-
sciarsi dall'Alpi nostre. I Teutoni ed i Cimbri, cui Roma
tenne in prima per Celti, quali furono detti da Sallustio, Fe-
1. Q.MARCivs.Q.F.Q.N.REX ptum eroi. Ut in eos, qui nullo
PROCOS . A . Dcxxvi ipsis es^ent foedere junetif ita sta'
DE . LiGVRiBVS . 8T0ENIS tueront, Sed praUer eos omnes ma-
m . N . DEC scnlos, quos comprekendisMnt ,
CmoT. pig. 39t. eiiam in utero adhue nuUrum (id
Stono», gentem Alpinam, expw- tnim quibutdam divinationibu» in- \
gnavit. Lmi Epitom, LXII. — Da vestigabani) moranies necabant (/) i
Plinio e da StraboDe parrebbero Dio. Gass. Hiit, Rom, lib. LIV. —
gli Stoni ' collocati dove press* a Era 1* età io cui s' era propagalo !
poco fu supposto da noi. Ma il il nome di Liguri ad assai popoli i
Cluverio me li caccia, senza ra- alpini (Trova, Stor. d'Italia —ti,
gione per altro, air Alpi marittime lib. IV, pag. 289).
( Not. Orò. Ant, pag. 529 ). 3. Cicer. in Var. ¥. 48 prò L. Mani, -
2. Hi proxùnam GaUiam frequenter Ad Fornii, t. 12. — Appian.
populati erant: eiiam ex Italia fin Bell. Civil, p. 605. — Plutarco.
nUnuprcedasegerunhRomanosque In Vita Grac. — Bodcheau, De
et eorum socios, iter per ipeorwn V impòt eie, ehex le» Romain», —
terra» faciinte», infe»taverant. Id Beaufort, Rep» Rom, eie. ^— Sh
quidem eonswtudint jam rece^ GONUJS, De AfU, Jur. Itak e/e.
AEPUB. E IMP. DI ROMA 207
Sto, Plutarco» Cicerone, si avvicinavano, mentre fgà attoniti
Romani contemplavano da lungi quel grande stuolo di guer-
rieri usciti da ignote sedi.
Il loro nome, come narrano Plutarco ^ e Pòssidonio, era
sinonimo di ladri, ed erano qua spinti da oceanici straripa-
menti, 0 dair urto di più lontane schiatte venute a cacciar-
neli dalle natio loro selve: tra Cimbri, Liguri ed Ambroni
erano simiglianze, analogie di lontane origini ^ ed Ambrone
vale quanf uomo di perduta vita. Adoravano un toro di rame,
di cui non ha guari s' ò trovato in Fionia un simulacro. In
una sacra caldaia ministravano per lo più lor sacrifizi, onde
le arcane leggende intomo alle caldaie di alcuni popoli set-
tentrionali. Bianche le vesti, nudo il piede, stretto il fianco
da una cintura di rame, e il brando in pugno, conducevano
i prigionieri di guerra agli orli di un bacino di venti anfore.
Scannavanli , e dal vario sprizzare del sangue traevano gli
augurj, ma più dalle fumanti loro viscere.
Queste razze feroci seguitate dai Teutoni apparivano la lìi"
prima volta intomo al 113 innanzi G. C. air oriente dell'Alpi
presso la Camia, tempestavano pel Norico e per l' lUiria,
indi gettatisi all'Eno, allaRezia, agli Elvetici trascinando con sé
adescati dalle cimbriche prede Tigurini e Tugeni, volsero al
Belgio, lasciando in prima un grosso di seimila uomini
sol Reno a guardia dei loro carri. Ma trovatavi lunga e per-
tinace la resistenza, piegavano sul Narbonese. Ivi era 0 con- ^[^*
soie Giulio Sillano: pregato da quelle moltitudini che loro
desse terreno la Repubblica, ed avutone in risposta non es-
servi terra pei Cimbri, nò i consoli aver d'uopo di barbari,
s' avventarono all' esercito romano, e lo posero in isconfitta.
1. In Vita CL Martin nella quale sono scutevano intorno ali* origine di
esposte le congetture mollipUci che que* popoli lontani
fino da* tempi dello sciitlore si di- 1 Plutarc /ji Vita dt.
Af.C.
IM
208 REPCe» E IMIH DI BOXA*
Pur nuovamente mandavano i Cimbri a Roma chiedendo^
paese, e n' ebbero più acerbe ripulse.
Le quali due anni dopo rivendicavano col sangue di xm
console , colla strage dì mezzo un altro esercito. Poi spar-
tendosi quo' vittoriosi come in due fiumane, rompevano i
Cimbri di verso i Pirenei; Teutoni, Tigurini, Ambroni ed altri
popoli seguaci rimanevano sul Narbonese. Servilio Copione,
console peggiore di un Cimbro, togliea loro di mano Tolosa
per rubare i tesori del tempio d' Apollo e del sacro lago: ma
Toro di Tolosa gli fu tosco amaro, e noi salvò dall' ignomi*
^^ nia della sconfitta di Scauro cui non volle soccorrere, e più
dalla sua in cui ducento e ventimila uomini rimasero sul
campo , trucidati due figli del console Manlio, i superstiti
strangolati ed appesi ai tronconi degli alberi. Era cimbrico
voto giurato dinanzi al sacro toro : opperò svenati i cavalli,
vesti, armi, bandiere gittate in Rodano coir oro e coli' argen-
to, arse o guaste le salmerie. Il vile Copione fra tanto sper-
pero campava a stento colla fuga.
'®' Fieri di tanta vittoria già meditavano l'eccidio dell' etema
città, e pingui d' oro e di preda moveano i Cimbri quasi tor-
rente alla volta d' Italia, ingrossati com' erano di Tolosensi e
di Marsi; ma l'anno passò senza che Italia ne fosse tocca.
C. Mario già console per la quarta volta, udito che i ne*
mici si approssimavano, fu al Rodano con forte esercito, e
posevi l'accampamento. Suo collega era il prode Lutazio
Catulo, al quale di un altro esercito era dato il comando.
101 Essendosi quo' barbari divisi in due, movevano i Cimbri
al di sopra de' Norìci contro Catulo; i Teutoni e gli Ambroni
dalla Liguria contro Mario, costeggiando il mare. Orribili
d'aspetto, e più nella voce e nel tumulto, provocavano il
console; ma Cajo contenne i suoi dentro il vallo, fino a che
più non reggendo i militi all' insulto ed alla sfida di trenta-
BEPUP. E 1MP. DI ROMA 209
• », » • *• ■
mila AmbróDi che venivano battendo in cadenza i loro scudi,
si rovesciarono dal campò', è li volsero in fuga: mai fuggitivi
altra pugna dovevano sostenere ; perchè le donne armate di
scari furono lor contro, e fieramente ributtandogli, si mesco-
larono anch'esse nella battaglia fino a che lanette non pose
fitìe al combattere. Parve oscuro al Dacier quel Rodano frap-
posto alla pugna. Ben più che oscuro è Plutarco là dove
dice che i RoioQani vi si eran posti senza valli e senza trin-
cee (cosa insòlita alla prudenza di Mario), mentre poco pri-
ma di valli ci parla e di campo da Mario stesso munito. Ma
pure se v' ha storico in questo fatto autorevole , Plutarco lo
è, perchè sappiamo aver egli desunta la guerra cimbrica
dalle memorie di Lucio Siila, che v" ebbe gran parte ; ondo
noi lo seguiremo. La notte passò tefrribile, paurosa pei lunghi
ulolati dei malvìnti Àmbroni, onde ne rintronavano gli spechi
del Rodano sanguinoso, e i monti che Io accerchiavano.
Surto il di, nuova pugna e nuova strage di barbari. Du-
gentomila fra Teutoni ed Ambroni diconsi uccisi nelle due
grandi giornate dell'Acque SeStie; novantamila rimasti pri-
gionieri. Narra Plutarco che i Massìliesi dell' ossa di quo'
cadaveri facessero muraglie intomo a' vigneti. L'esultanza di
Mario e dell'esercito fu immensa. Mario stesso coronato d'al-
loro, avuta in quel punto la nuova del suo quinto conso-
lato, volle accendere la pira delle spoglie sacre agli Dei.
Ma un triste annunzio turbò quella letizia, e fu della scon-
fitta di Lutazio Catulo.
Erasi posto, come dicemmo, a custodire i gioghi del-
l'Alpi minacciate; poi mutato consiglio, scese in Italia per
^eppiù tener conserte in una le sparte sue forze, e pose il
campo alle rive dell'Adige, sul quale avea gettato un ponte.
Ma i Cimbri già superavano le aeree punte dell'Alpi Re-
zie. Nudi su qu^i alti ghiacci, fra il turbine delle nevi e
SIO REPUB. E IMP. DI HOMA
degli aquiloni che lor saonàvano intorno, ristettero come
geni apparsi fra le nubi a minacciare V Italia, eh' essi ab-
bracciarano d'un guardo; ed intuonando il cantico delle bat-
taglie, fattasi come slitta degli scudi, vi si lasciarono andare,
e giù precipitosi per quelle chine sdrucciolavano insino al
piede, superbi di tanta e cosi indomita baldanza.
Giunti all'Adige, rovesciandovi come giganti e rupi e selve
e impedimenti agglomerati e confusi, ne fecero un ponte
a modo loro ; e di quivi per la rapida corrente spingevano
macigni enormi a battere le pile del ponte romano.
Alla destra del fiume era Lutazio, ed eragli compagno
neir arduo scontro Lucio Siila. Una mano di militi consolari
vegliava sulla sinistra, chiusi da minor campo. Tagliati fuori
dai Cimbri, con tanta virtù si difendevano, che i barbari sor^
presi accordavano loro amplissime condizioni giurate alla
cimbrìca sul sacro toro. Indi saccheggio, sperpero, devasta-
zione per r agro bresciano e veronese fino a' campi RaudJ
presso Verona (che dovean essere per loro una Capua se-
conda), gavazzando alla guisa dei popoli settentrionali.
Poi quotavano, se vogliam credere a Floro, e dimoravano
qualche tempo assecondati dalle genti alpine in ira, come
abbiam detto, agli eserciti romani.
Mario, che trovavasi a Roma, se n'accorse: richiamato l'e-
sercito dalle Gallio, passato il Po, collocava gli alloggiamenti
a difesa dell' Italia cispadana, guardingo tuttavia come se
in aspetto dei Teutoni fosse in sul Rodano. Né a' Cimbri
spiacevano gì' indugi: chiedevano anzi a Mario per la terza
volta un po' di terra italiana pei Teutoni e per sé. Già i
Teutoni^ rispondeva il console, n'ebbero per riposarsi quan-
fera br duopo. Compreso l'amaro detto Beroice re cimbrìco,
domandò al console il giorno del combattere, perchè fosse
deciso a chi si dovesse Italia. Fu stabilito il terzo dL
REPUB. E IMP. DI ROMA 211
Tenuto ristante supremo, scielti per T imminente battaglia
non so che piani delle vicinanze di Verona, cinquantaduemila
Romani aspettavano gli ordini del severo duce. Stava Catulo
nel centro delle legioni, erano a Mario affidati i fianchi : tanto
scrivea Siila, che in quel fatto, qui aggiunge Plutarco, si ritrovò.
Formidabile per selvaggia semplicità era l'aspetto dell'orde
nemiche: moltitudine immensa, che in un solo ma vasto e
quadrato battaglione raccolta, occupando uno spazio di trenta
stadj per ogni lato, ondeggiava con largo moto quasi mare
che volga in tempesta. Dinanzi a tutti stavano i più feroci; e
perchè la stessa morte rompere non potesse le loro file^
s' erano legati con catene di ferro. Quindicimila barbari a
cavallo ne proteggevano la fronte: orridi guerrieri, le cui
papille azzurre e minacciose erano adombrate da strani elmi
fatti a guisa di mostri con aperte gole. Bianchi avevano gli
scudi, ferree le loriche, e un dardo a doppia punta strìnge-
vano nella sinistra, mentre posavano la destra sul pomo di
una pesante spada.
Scuotendo spregiatamente le bionde loro chiome, entra-
vano questi nel campo, mentre il grido di duecentomila
barbarì intuonava il barrito, il cantico della morte.
Stavano i Romani aspettando l'assalto: ma la barbara ca-
vallerìa piegando a destra parea sfuggirne V incontro. S' ac-
colse Marìo del teso inganno, ma non è più a tempo, chò
rotto ogni ordine, s'avventano le legioni ad inseguirla, né si
avveggono che dall' opposta parte la smisurata massa dei
Cimbri U coglieva in mezzo. E qui dubbie sarebbero state
d'ambo gli eserciti le sorti, se un nembo di polvere solleva-
tosi dal movimento di tante schiere non avvolgeva i combat-
tenti cosi che Marìo stesso passò di fianco ai nemici senza
vederli. Ben li conobbe Catulo, e gli assali; poi sorvenne an-
che Mario, e fu disperato combattimento*
Hi KEPUB. E IMP. DI ROMA
Anche il sole, scrìvea Siila, parve combattere per noi. Era
poco dopo il solstizio d' estate; que' vasti corpi de' barbari
indurati sotto rìgido cielo Don potevano resistere al molle
aere lombardo, grondavano di sudore, anelavano, e mal
sofferendo l' assidua vampa del sole estivo , incalzati per
ogni parte, opponevano indarno l'estrema loro possa, si sen-
tivano infranti più assai dal clima che dall' armi latine, onde
la mischia in sanguinoso total macello era volta. Fuggono gli
scampati alle trincee: ma qui nuovo spettacolo gli arresta.
Imperocché le donne, ferme sui carri che circondavano l' ac'
campamento, vestite a bruno, pallide, scarmigliate, arresta-
vano, novelle Erinni, i fuggitivi; e fatta d'insù quei carri
un'ultima e disperata resistenza contro i militi romani che in^
vestivano il campo, orrendo a dirsi, padri, mariti, figli, fratelli
tutti scannavano del pari; strangolavano colle proprie mani i
teneri loro nati, buttavanli sotto i carri del campo desolato,
indi cieche di rabbia e di dolore si uccidevano, s' appicca-
vano colle lunghe loro chiome. E narrasi d' una madre che
misera I fu scorta pendere strozzata dall' alto di un timone
con due figliuoletti che penzolavano da due lacci assicurati a'
suoi piedi. Gli uomini furibondi anch'essi, per manco d'alberi
assicuravano il capestro, che s'avean messo in collo, alle coma
de' buoi stimolandoli alla fuga, onde correvano per la fune-
rea campagna seco traendo cadaveri già pesti e sanguinosi.
Altri per altra e più studiata morte perivano; e racconta
la fama che intorno a centosessantamila uccisi, e da sessan-
tamila prigionieri costasse a' barbari quella battaglia. L' oro
fu di Mario; ma le spoglie, le insegne, le trombe, cosi Plu-
tarco, vuoisi che fossero di Catulo.
Cosi ebbe fine quella giornata che piacquemi narrarvi per-
chè avvenuta presso i nostri confini, e perchè abbiate ima-
gine del feroce carattere di quelle razze che vedrem poi
REPCB. E IXP. DI ROUA 2i3
rovesciarsi un' altra volta sui nostri campi, e vincerli, e per
più secoli tenerli, e cancellarvi ogni traccia di latino imperio,
perchè pib traccia non era di latina virtù.
Dae gravi questioni sursero da quella cimbrìca sconfitta;
r una contemporanea del fatto, l' altra diciotto secoli dopo.
La prima, che in Roma fu discussa, trattava di chi fosse ve-
racemente quella vittoria, se di Catulo o di Mario. Favorivano
il primo le spoglie e Tarmi nemiche a lui portate, e più la
decisione degli ambasciatori di Parma, eletti arbìtri dalTe-
sercito, perchè presenti alla pugna; tenevano pel secondo la
dignità consolare e la vittoria dei Teutoni antecedente: ma
fatto sta che V esercito di Mario, travolto nella polvere, non
trovò più r inimico se non già in rotta per V assalto di Ca-
tulo. Fu deciso restasse a Mario la preminenza, ma trionfasi
sero del pari.
L' altra lite si fu tra i dotti del secolo passato e del pre-
sente, divisi come al solito in due partiti che ancora non sono
riconciliati: l'uno dice avvenuto il grande scontro appo la To-
sa, picciol fiume presso Vercelli ; per V altro è sostenuto ne'
campi Raudj presso Verona. Gluverio ^, Cellario \ Duran-
di ', Polidori *, Nieuport *, Ferrari • e cosi di seguito^ che
n' è proprio una litania fino al Napione ^, forse il più
recente e più sottile sostenitore della propria ipotesi,
tengono per la Tosa e pei campi di Ho non molto lungi
1. Italia Antiqua, IH). I, e. 23. 5. Hist. Reip, et Imp. Rom. t. 1I»1.VH.
% Geograph. Ani. 6. Epist. VII^ inter Insubricas Dis"
3. Della condizione dell^anlico Ver- sert.
cellese e dell' Alpi Graje. — Sag- 7. Galeani Napione. — Intorno alla
gio sulla Storia degli antichi pò- discesa dei Cimbri in Italia. Me-
poU d* Italia. morie dell* Accademia reale di To-
i. Il Gemetto. — Sciolti; nelle note rioo — serie II, tom. I, 1839,
storiche. pag. i.
214 BEPUB. E IMP. DI BOMA
da Vercelli; Maflfei S Carli «, Walckenaer ^ Fìliasi *, Pigno-
rio ^, Furlanetto •, Sigonìo ^, Panvinio ^ Giovanelli *, ed altri
per cotal numero da non invidiare i primi, tengono per Ve-
rona; e perchè nulla mancasse ad imbrogliare le cose. Clan-
diano stimò seguita la battaglia all' Alpi marittime ^^
Osservo per altro (non atterritevi, sarò breve) che Floro,
Valerio Massimo e Frontino apertamente dichiarano venu-
tici da Trento i Cimbri sconfitti all' Adige. Floro anzi li
dice ammolliti dal dolce clima della Venezia, e l'Epito-
me Liviana parla di un alto castello presso l' Adige da cui fu
in prima Catulo respinto ^^ In quanto al sig. Napione, oltre al
farmi avanzare Catulo invece di retrocedere, come di fatto
erasi ritirato ^', non avvertiva una solenne inconvenienza,
che nessuno però degli oppositori ha notata; ed è che la Tosa,
picciolo fiume, non poteva esser tale da costringere duecento-
mila barbari a gittarvi intere le divelto rupi e le selve per
farne una chiusa da cui spingere col favore dell' onda raccolta
i macigni enormi che urtassero nel ponte romano. Queste
son cose da larghi e procellosi torrenti, come l'Adige formi-
dabile appunto lo è; non della Tosa, che a quegli indomiti sel-
vaggi venuti dall'oceano settentrionale da noi descritti, dovea
1. Verona lilustr. — parte I. — Del- 6. Inform. Stor. ( Gaida di Padova,
r ant. condizione di Verona. Ri- pag. 7), e Lap. Palav. illustr. p. 13.
cerca Storica. 7. De Jure Ital,
2. Storia di Verona — parte I. 8. De Rom, Inip.
3. Mém, sur la ntuation des Campi 9. DelF Origine dei tredici Comuni
Raudj (Mém. de Vlnstit. Acad, tra T Adige e la Brenta — Trento,
des Inscnpt. l IV, Paris 1822), 1826.
che fa le meraviglie deirerrettr 10. Claudian. De Bello Getieo ek.
bien surprenant de' suoi oppo- in fine.
sitorì. il. Florus, in B^. — Plutaagh.
4. Mem. dei Veneti — t IV. in Mario et Sylla.
5. Origini di Padova — tomo I. 12. Liv. Epiiom. hh. LXVUL
HEPIJQ. E IHP. DI MUk 2i5
parere poco più che rìdevole torrentello. Oltreché i Domi
tradizionali, viventi ancora nell' agro veneto e nel trentino, di
Castel Cembra, di caste! Mariano, ed altri di simil fatta son
pure al caso nostro non ispregevoli testimonianze ^: tanto
più che talvolta nei documenti del medio evo V h%vo Vicen-
tino è detto Cimbrìo K
lOrabili cose narra il Filiasi. Opina T esercito di Gatulo
accampato sull'agro nostro di qua dal Mincio e dal disi;
che L. Cornelio Siila provvedesse dai Cerumani bresdani e
dair Insubrìa il vitto per le coorti che penuriavano, e trat-
tenesse i valligiani dall' offendere V esercito consolare. Dav-
vero che tanta franchezza ci muove a chiedere donde traesse
cosi belle notizie; ma pur troppo, siccome suole, non ne dà
le fonti.
Fu detto ancora che gli abitanti dei sette e tredici Comuni
tra l'Adige e la Brenta (compresi da un circondario che ab-
braccerebbe alcuna parte dei territori di Verona, di Trento
e di Vicenza) derivassero dai Cimbri e dagli Àmbroni ri-
coveratisi dopo la sconfitta nel seno di quelle valli; e cu-
rioso per nuovo genere di erudizione è il dizionario Cimbro-
Teutonico del Pezzo fondato sul dialetto di que^ valligiani.
Ma quand' anche la loro lingua, i loro costumi a noi li pro-
vassero di celtica derivazione, come poi determinare a quale
delle tante germaniche invasioni abbiano appartenuto ^ ?
Dirò di volo che gli storici mantovani terrebbero seguita
la giornata in una parte dell' agro loro che fu già tempo bre-
sciana ^, i Trentini presso il loro Castel Cembra, i Veronesi
presso Verona; è una gara singolarissima per avere il vanto,
il privilegio di essere stati percossi da una grande sventura.
1. Mirm, DeiranL cood. dì Verona. 3. Giovanelli, Dei sette e tredici
1 Trota, Storia d* Italia del Medio Comuni.
Evo — t I, p. U. 4. Anelli, Annali di MantOYa.
216 REPUB. E IMI». DI ROMA
Del resto non trovo ragioni per ascrìvere col Nieuport *
la precedente sconfitta di L. Cassio Longino al 646, e Tulti-
ma vittoria di Mario al 649 con Galeano Napione ^. Io sto
col Troya \ col Balbo *, col Filiasi *, col Furlanetto «.
Dopo la cimbrìca vittoria le ambizioni, le ingordigie, le su-
perbie crudeli dei proconsoli e dei pretori non ebbero più
ritegno. E la Gallia tutta, e noi poveri bresciani fummo assai
tempo le vittime delle avare loro voglie. Alle forti e generose
virtù della Repubblica era succeduta la prepotenza beffarda
e spregiatrice di quanto era allora di più sacro — il patto tra
vinti e vincitori. — E perchè non ha insulto Tatto agli oppressi
che Dio non vendichi, e nella intemperanza del dispotismo
sono già i semi della sua rovina, dal ferreo giogo proconso-
lare esasperati que' popoli d'Italia dal Rubicone ih giù (che
Roma dileggiatrice solea chiamare consorti)^ si riunirono d'un
tratto a quella guerra sociale, che fatta riparatrice della loro
dignità, terminò coli' obbligare la superba Roma ad ascriverli
fra i suoi concittadini ^. Ma benché né Veneti, né Trans-
padani, sempre fedeli a Roma, non facessero parte di quella
lega, non per questo l' arbitrio dei proconsoli era qui sic-
come da per tutto più sopportabile.
Non avemmo allora che privilegi assimigliati al diritto ita-
lico, ed era pur qualche cosa ^. Quindi facoltà d' essere go-
vernati dalle antiche nostre leggi, immunità speciali relative
ai tributi ed agli oneri delle terre (meno le colonie) e delle
i. Hist. Reip. et Imp. Rom, ciL 6. Memorie Venete — t. IV.
% Dìssert ciL 7. Appiano, Vellbjo Patercolo»
3. Storia d'Italia — tom. I, parte I, Floro, Plutarco, Eutropio,
lib. IV, pag. S98 e seg. Orosio, Diodoro Siculo ecc.
4. Storia d'Italia. — Sommario, ed. sono a consultarsi per quella no-
III di Losanna, età L « bile riscossa degli Italiani
5. Lapidi Patat. cit 8. Sigonius, Dà Jure Italico. L XXL
REPCB. E lìfP. DI ROMA
217
persone: e le terre medesime, o date ai coloni o lasciate agli
indìgeni, pagavano una tassa per ogni jugero; e gli aggravati
da quella taglia si dicevano VectigaU ^ ; ma fu poi tolta nel
694 di R. quando Metello Nepote liberò Italia dal diritto di
dogana ^.
Con tutto ciò, sottomessi a leggi poco meno che improvvi-
sate dai proconsoli, che nel partirsi di Roma meditavano lo
spogliamento, l'espilazione sistematica della provincia, erava-
mo sottoposti a ingenti spese per le loro corti '.
Taglie e balzelli sulle teste, sulle porte ^, sui ponti, sulle
cacce, sul passaggio dei fiumi \ sulle strade ^ magistrati po-
tenti d'illimitate autorità; proconsoli e propretori che bro-
gliavano, strisciavano per ottenerle ^, sono miserie che ci ri-
sultano dalla storia e dai rimproveri di Cicerone contro Verro,
Pisene, Gabino, e dalle calde sue parole per la legge Manilla.
I quartieri del verno erano per quegl' ingordi una miniera
d'oro ^; e province tassate per gli spettacoli degli edili, pei
voti dei proconsoli ^ per le deputazioni che si mandavano a
Roma; i sudditi costretti ad alimentare una insaziabile cupi-
dità ^^: onde accumulate nelle mani di pochi privilegiati le
i. Livius. Hist. lib. IV, cap. 36. —
Cicero, in Yen, UI, 11.
1 DURBAU DB LA MaLLE, Mm, SUT
l'Administrai. Romaiue. ciL
3. C:BSAR. De Beli Civ. lib. Ili, e. 32.
A. Exationem eapiium aique ostio^
rum. — BuRMANN, Vedigal. ciL
5. CiCBR. ad Fama. UI, 8.
6. Cesare manda Servio Galba con
iin*annaU tra il Rodano e l*Alpi.
Carnea miiUmdi fuU, quod iter per
Alpu, qwf magno eum perieulo
wifai$qu€pQTlomt mercaUnts ire
eonsueverantf paté/ieri votebai, —
C^SAR. De Beli Gali lib. Ili, e 1.
7. Sallust. In Bell. Jugurt. 36.
8. CiCER. Pro Lege Manilia 13 —
ad Aitic. V, 21.
9. Cicero ad Quint. fratr. 1, 1 , 9. —
Liv. XL, 44.
10. Patimur enim jam multoe annos,
et Milemtu eum videamw, ad patir
eoa homines omnes omnium na-
tionum pecunioi pervenisse. —
CiCER. ili Vtrr. V, 48, prò L.
Manii fi.
218 REPfJB. B IMP, DI ROMA
sfondate ricchezze delle nazioni ^ la licenza e le usare dei
gabellieri organizzate ^ vietato fin l' uso delle miniere e lo
scavarne di nuove '. E benché gli alleati romani fornissero
un contingente di militi due volte maggiore delle armate ro-
mane ^, la ricompensa delle vittorie fu talvolta minore della
metà rimpetto ai cittadini: ond'ò che nel trionfo di C. Clau-
dio Fulcro sui Liguri e sugi* Istrì (anni di Roma 577, av.
G. G. 177) i poveri alleati taciU, ut iraios esse senUres, secuU
sunt currum ^.
Il senato stesso non era omai più riconoscibile, a tal che
Giugurta, senato e consoli trovò si facilmente venali, che
tutta Roma credea potersi corrompere con un pugno d'oro ^:
né l'esercito anch'esso era immune di quella macchia ^. Breve-
mente; e la prepotenza e l' avarìzia, dirò con Sallustio, senza
> nò misura né modo, tutto cominciarono a invadere, violare,
> devastare, nulla rispettando di sacro, finché per se stessa
» crollò la corrotta Repubblica i.
La guerra sociale s' apparecchiò nel 95, scoppiò quattro
anni dopo. Mano e Siila erano per Roma. C. Papio per gl'Ita-
88 liei; durò tre anni. Vinse Roma é vero, ma fu costretta a cedere
i domandati diritti, che prima diede ai rimasti fedeli, quindi
a tutta r Italia: que' patti cioè che Druse quattro anni prima
volea pubblicati ^ ed estesi infino all' Alpi. In quanto a noi,
i. Non e»it in eivitaU duo milita lim pard jubentium. — Plinius,
kominmn, qui rem haberent. - Cic* Hi^L Nat, HI, SO.
De Off. II, 21. — Appian. De 4. Vbll. Pater. — li, 15.
Beli CivU, 5. Liv. Hist. lib. XLI, 13.
2. Ubi publicauus est, ibi aut jus 6. Sallust. De Beli Jugurt. e XY,
publicum vanum, ani libertatem XXIX, XXX.
sociis nuUam eM«.Liv. l.XLV, 18. 7. Sal. De Bell. Jugurt. e. VIIL
3. Metallorum omnium ferlilitaie uìU- 8. Vbll. Paterc. ciU Drusui dabat
Us cedit terrii; sed interdictum àvitaies omnibus ItaliSé.x exten-
id vetere consulto Pairum, lUk- debai usque ad Alpes.
At.C
M
•1
REPUB. E IMP. DI ROMA
219
la fedeltà mantenuta fra tanto turbine al popolo romano
làrebbeci quasi congetturare che meno espilatorì e crudeli
(fosse paura od arte premeditata per altri disegni) i procon-
soli della Gailia ci governassero, se anche dopo le concessioni
altri proconsoli non ci avessero afflitti con altre avanie.
Fatto sta che sondo console Gneo Pompeo Strabone in
sol cessare della guerra italica l'anno varroniano 665 (avanti
C. 89) il senato della Repubblica a rimunerazione della no-
stra fede concesse ai Veneti ed ai Transpadani la bramata
cittadinanza latina, dichiarandone le città (e quindi la nostra
Brescia) colonie latine, senza che nuovi coloni vi fossero de-
dotti ^ Sicché il cittadino che in Brescia fosse giunto a con-
seguire i primi carichi , cioè il duumvirato o V edilità o la
questura, potea salire a tutti gli onori pubblici della repub- >
blica di Roma.
Era perciò naturale che la piena cittadinanza romana cui
eravamo tanto vicini fosse da noi desiderata, molto più cho
dai prossimi cispadani già si godeva.
Giulio Cesare, che vedea già nei Veneti e negli Insubri un tr, e
futuro sostegno alle trepide e tempestose sue mire , reduce
dalla Spagna fu in mezzo a loro, guadagnandone il favore col
sollecitarli a chiedere la piena cittadinanza ': ed essi la
chiesero con tanta energia, che stavano già per venirsene a'
fatti, sicché al dire di Svetonio parecchie legioni si designa-
I. Vell. Paterc. — Cneut Pam^
p^ui Sirabo trampadanas colo^
niasdeduxit, non fMVÙ colotw,
9€Ì veterUms ineolit manentibus
jm dedii Laiii, ut posseni habere
jut, quod teiera latina colonia,
idut^ vi gerendo magietratus o-
vilaiem romamam adipieeereniur. -
Ascomus, in Cieer, Orai, in IH$,
Ed in quanto a Verona — Quam
coloniam Cn. Pompejtu aliquat^
do dedaxerat. — Anonym. Pane^
gyr. Comiant. e. Vili.
Deeedens Gasar f'qnaestor ex Hi-
spania^ ante tmput coIohìom la-
tina» de pelenda civitaie agiian"
te» adiit. — SvETONius in Co».
eap. VIH.
220 REPUB. E mP. DI ROMA
vano dal Senato contro i Veneti e gì" Insubri. Due guerre ci-
vili aveano già spossata la Repubblica; dirò anzi che in parte
s' erano commiste.
La guerra sociale fu rappresentata nelle medaglie Sanniti-
che da otto popoli confederati in atto di prestar giuramento S
0 dal Sannitico toro che tiene sotto di sé la lupa di Roma ^ o
dal sacro nome d' Italia ( viteliv ' ) e Italia incoronata d'al-
loro; e fu guerra sanguinosissima che trecentomila uomini
costò. Ma più terrìbile fu ancora tra Mano e Siila, datosi il
primo a parte popolana, l'altro a quella dei nobili, non per
amore di parte, che tutte le odiavano del pan, ma perchè
n' avean duopo a salire, a prendersi in pugno lo stato ch'am-
bo agognavano colla stessa irrequieta e smisurata brama.
Or veniva la terza, ed" era fra Cesare e Pompeo, e dieci
anni durò (a. 70-60 av. G. C). Sventata la congiura di Ca-
tilina, tornava Pompeo dalle riordinate province orientali:
tornava Cesare quasi ad un tempo dalla Lusitania. Cesare,
Crasso e Pompeo rivaleggiavano per aversi la Repubblica, e
questa rivalità fu chiamata il primo triumvirato. Il mondo
romano fu diviso tra di loro. Illirio e le Gallie tutte colla
guerra, che omai cominciava nelle transalpine per una inva-
sione di Teutoni (i quali già si chiamavano Germani), a
Cesare toccò; o meglio, coli' oro degli amici e dei clienti
quasi direi comperoUa per cinque anni. I voti piegaronsi
all' oro corrompitore; e Cesare ne fu si lieto, che alle tocche
province, futuri strumenti della sua grandezza, volse tutto
il pensiero.
1. MiCALi, Italia avanti il dominio dei LVIII-LX. — Inghirami, Moaum.
Romani. — tom. VII, e. XYILI, Etruschi o di etrusco nome,
pag. 145. 3. Lepsius, Monum. Umbr. et Ose,
2. MiCiLi, Monum. Etruschi — tav. adhuc reperta.
RKPUB. £ IMP. Di ROMA 221
Udita un' invasione di Elvezj, colse il pretesto, fa a Gè- * 4/'
noTa, indi all'Alpi; le valicò, respinse i nemici S vinse i Belgi, s?
i Veneti, gli Aquitani, la Gallia tutta*; e poste a'quartieri del
verno le sue legioni tra i Carnuti e gli Andì, ritornò solleci- m
to in Italia, volgendosi verso l'Illirico ^: ma nuovi moti gal-
lici colà il richiamarono. Messe a dovere quelle iribù, passò '^
nella Germania oltre il Beno ^, poi nella Britannia'; ma non
fa che incursione, dopo la quale fu nuovamente in Italia per u
isvemarvi come ogpi anno facea ^: e non è dubbio alcuno che
Cesare, il prediletto dei Veneti e degli Insubri, gli uni e gli
altri allegrasse in que' verni della sua presenza, venisse a pre-
siedere, dirò col Filiasì, a' conventi provinciali per piti catlivarsi
H cuore dei Transpadani'^ ; il che risulta da quanto Cesare
stesso di se narrava ^. E Brescia ancora senza dubbio al-
cuno r accolse ed ammirò.
E qusmd' anche nessuna testimonianza lo assicurasse , ba-
sti per tutte il marmo insigne che tuttavia si conserva nelle
esterne pareti del Monte di Pietà, locatovi già fino dal 1484.
Lo riproduco supplito dal nostro Labus, benchò dopo la voce
poNTiF. sia un largo e vuoto spazio che renderebbe sospetto
il complemento labusiano.
C • IVLIVS • CAESAR • PONTIF • max • dedit
1. Cjkar, De Bell. Gallico lib. I, iar in Italiam, ut quotannis fa-'
e. 27-28 cere consueverat. — C^s. De Beli,
1 Hi$ rebus gestii, omnia Gallia pa^ Gali. lib. V, e 1.
caia. — .Ci£8. Beli. Gali lib. U, 7. Memorie Venete— tom. IV, p. 242.
e 35. 8. De Bell. Gallico, lib. I, e. 54, -^
3. CiES. BelL Gali lib. HI, e. 7. Ip8eincilerioremGalliam,adcoi^
4. C.€8. BelL Gali, L IV, e. tS, 19. venius agendos profectus est.
5. CiES. Bell. Gali l IV, e. 28, 29. 9. Marmi antichi bresciani classiiicati
6i. Lucio Domiiio , Appio Claudio ed illustrali. — Classe li, E\ ig.
Cosi, disceudens ah kibernis Co," storiche, n. 172.
0»o«ici, Stm'ie Brete. Yel. I. 16
222 REPlfì. E nip. DI noxA
Eleganti ne sono le lettere, dell' altezza dì 30 centimetri;
<3 quello che fa più sorpresa, benché riprodotto dal Capriolo
due secoli e mezzo fa S dair Àrragonese ^ dal Nazari ^, dal
Grutero *, dal Vinaccesi *, dal Gagliardi •, dal Biemmi ^
nessuno lo degnò di un solo cenno. Il Bravo noi ricorda nò
pure; e si che la rarità dei monumenti marmorei di Giulio
Cesare ^ dovea muovere il desiderio di qualche indagine su
quello singolarissimo da noi posseduto.
Il pontificato massimo in quel marmo segnato gli è quello
che Cesare ottenne Y anno 63 av. C. (di Roma 691% trente-
:simo dell' età sua. Avuto il consolato, che resse con Bibulo
tre anni dopo ', avuto come notammo il proconsolato deir Illi-
rico e delle due Gallie per cinque anni, poi per altri cinque ^^
potò compiere in quel tempo le imprese che rapidamente ab-
liam citate.
Che la Gallia citeriore (subalpina dei Veneti e degli Insu-
bri) fessegli già da quel tempo affezionata, che aiFezionati
gli fossero i Bresciani, e eh' egli della sua predilezione li con-
traccambiasse, lo prova il monumento, avanzo non dubbio di
qualche splendido edificio, di cui venne dal giovane ed au<*
dacissimo duce a quel tempo donata la nostra città.
E queir epigrafe probabilmente leggevasi nel fregio di un
tempio. Torse tetrastilo, de' più bei tempi di Roma.
Senza pretendere di precisare qual fosse veracemente, se-
coTìdo le norme di Yitruvio ^^ fu dal Labus redintegrato ^'
i. CÀronic, Brix. lib. I, pag. 7. 7. Storia di Brescia — t. I, p. 131.
2. Afat». Ant, Urbis et Agri Briz. 8. Orellus, Inscrip. lai. cdL t I,
1564, n. 46. pag. 153, n. 579.
3. Brescia Antica — pag. 39. 9. Piranesi, Fasti Consul p. 29.
4. Corpus Inser. pag. 1022, o. 2. 10. Sveton. in ùbs. c. KXU. — DiON.
5. Mem. fìresc. — pag. 240, n. 13. C.k&s. HisL i. XXXVill, e 8.
6. Parere intorno allo stato degli an- i\. De ArehitecL 1. Ili, e. 3.
lichi Cenomani — e. XXV. 12. Marmi Bresciani cit. — pag 144w
REPUB. E ISIP. DI UOVA
223
citando a suo conforto il tempio di Roma e d' Augusto a Fola
città dell'Istria, misurato da Palladio ^ e dal Le Roy, * de-
scritto dal Carli ^ che fOtrehV essere, aggiugne, una ònxki^
ziont del nostro di parecchi anni più antico.
Rimeritaya Cesare chi sa fórse cosi Y armi e i soldati da
Doi proferti per le sue galliche, britanniche e germaniche im-
prese: perocché basta leggere i suoi Commentarj per conosce-
re come dalle province subalpine traesse non poche di quello
forti legioni che per lui battagliavano alla Senna, al Beno ed
al Tamigi, e che gli cdari transpadani si levavano dalla Ve-
nezia ^. La qual congettura piglierebbo valore da ciò che
narra egli stesso, od Irzio Pansa per lui ^; vale a dire, cho
sendo già .la Brìtannia^ e la Gallia stabilmente riconquistate
(a. di R. 703), tradotto l' esercito a svernare nella Gallia stes-
sa, ne qua pars GaUke vacua ab exerdtu esset, ritornò in provin-
cia rapidamente visitando tutte le nostre municipali convoca-
zioni, giudicando nelle pubbliche controversie, assegnando
retribuzioni ai benemerenti, lieto di aver conosciuti gli animi
nostri nella ribellione di tutta la Gallia, alla quale non abtrb*
menti avea potuto resistere che mercè la fedeltà e gli ajuti
dei sduLlpini ^, opperò dei Bresciani ancora.
Ed ecco la ragione per cui dietro, gli stimoli di Giulia
t. ArchilcKura — pag. i07.
1 Lu HuincÉ des plus beaux Mo^
numeats^
3. Aotichìtà Italiche ^ i IL tav. UU
W 149.
4.C1CW1. FamiL lib. II, ep. i7. —
CesAR. Comi» deBdl Ga//.Ub.l.
5. Com'è credeuza comune, e come da
Uk* epistola di Pansa a Balbo.
fi- C.€8. De Beli Gali lib. V.
'^' PoMcot dia ipn ùi Provinuia ma»
ratus, cum ccleriter omnes conven^
tus percurrissetf publicas contro^
versias cognovisset , bene meriiis
pnemia Iribnisget (cogncaeendi e-'
nim maximam facultaiem habebal,
quali quisque animo in rempubli»
camfuissettotius Galliw defectione^
quam sustinuerai fidelilate atque
auxiliis Proviuci» illius); hi$ rebu^
confeclis eie, — GìES. De BelL
GalL L VUl^ cap. 46.
224 REPUB. E 1M?. DI ROMA
Cesare, nell' anno stesso col quale si coronavano le sue con-
quiste, parlavasi già dell'ottenuta cittadinanza. Ond'è che
scrivendo Cicerone ad Attico, narrava (av. C. 51) essere cor-
sa voce che alle città della Cisalpina si fosse ordinata V ele-
zione dei quattuorviri, quasiché da colonie com'erano si fos-
sero innalzate al grado di municipi S benché da poi l' uno e
r altro titolo quasi egualmente valesse.
Crasso, debellato ed ucciso dai Parti, lasciava libera tra
Cesare e Pompeo dopo tanto contendimento la terribile gara:
due soli uomini erano arbitri delle sorti della Repubblica;
Tuno già forte della massima potenza \ l'altro deciso a non
sofferirla. Pompeo già console, già dittatore, ordinava a Ce-
^^9^ sare dimettesse il comando '. Era lo stesso che intimare la
guerra civile.
Coir esercito ingrossato dai suoi Transpadani, radunate in-
tomo a sé le sue vecchie legioni, passò il Rubicone, limite
orientale tra i Cisalpini e l'antica Italia; occupò Roma in
due mesi: fuggi Pompeo nella Grecia, ed allora si guerreggiò
per tutto il mondo antico.
Fu in quel trambusto, che a meglio cattivarci, a serbarci
per avventura nell' assunta impresa, venne fatta decretare da
Cesare omai vincitore la promozione dei Veneti al grado di
municipio; ma distratto dalla guerra, tardò a porre in effetto
quella ordinanza, che poi decretò, della legge Giulia Munici-
a pale, che valore non ebbe prima del 709 della fondata città, e
di cui parlano Cicerone S un frammento delle Tavole di
1. Erat rumor de Trampadanis, eos pi a Seleuco tuo litterat^ ttaiim
jusios IV viros creare. — Ciger. qwBsivi e Balbo per eodicUloa, quid
ad Att V, ep. % estet in lege (Julia municipali).
2. Vossius , in Qbs. Supph de Bell, Rescripsil eos, qui facereni pncco^
Civil. lib. I. nium, velari esse in deeurionibus;
3. Gas. De Bell. Civ, lib. I. qui fecissenU non vetari. — FuR-
i. Ad Famii, 6. ep. 18. Simul acce- lànetto, Lap. PaUv. p. XY.
REPUB. E JMF. DI ROMA 225
Eraclea * ed una lapide patavina \ per Y istituziorrer, dir6
eos^ Dell' agra cisalpino di altrettanti municipi, fra i quali
noD ultimo (il certamente il nostro.
Ed allora la celebre giornata di Farsaglia era già vinta
(a. C. 48). Vinto da Cesare tutto V oriente (a. 47), disperse
nell' Àfrica le pompejane reliquie (a. 46), perseguitate, di-
strutte, spente per ultimo nella Spagna (a. 45). Ma il ferro
di Bruto spense di un colpo il solo di tutta V antichità che
potesse abbracciare un mondo intero.
Cadde Cesare scannato il 15 marzo dell'anno 44 av. C,
e seguitavano quattordici anni di guerre civili, di proscrizio-
ni e di sangue. Quattordici anni per la nostra città, per tutta
la Transpadana infelicissimi. Decimo Bruto, che prima delle
idi fatali era stato da Cesare fatto luogotenente della Cisal-
pina in successione di Cajo Pansa', levatoglisi contro dopo
quel grave fatto il pofyolo romano, fag^ riparando alla sua
pro?incia S ed allora Soltanto ne fu proconsole.
Marco Antonio, suo cordiale nemico, tanto si adoperò, che
ottenne dal popolo con un plebiscito la Cisalpina invece di
Bruto; anzi tentò ritoglierla coli' armi al suo. rivale ^ e nd
i. Hazocbius, ad Tab^ Herad, Na-> i. Plutarch. in M. BpuU. — Ap-
poli 1754. Neve quis, qui proBC(H pian. De' BelL CtvìMìb. Il, e. 14, a
•xtifii dissignaiionem^ lihitiìMHive lib. III^ e. %.
faàet.., in Municipio, Colonia, pra-- 5. Cic Philipp, XIL e. 4. GallU»
futura duumviraium^ quatuonor- D. Bruti nutum ipsum, ne dicam
ro/tui», aliumve quem magistratum imperium, secuta„ armis, virin, pe-
peSito, neve capito, neve gerito, eunia, belli principia firmavit: eor-
■eoe haheio^ neve ibei senaton ne- dem cmdelitati if.. AtUonii suum
«e deeurio, ne eomcriptus esto, totum corpus ohjecit: exhauriturp
Me vententiam dieito. vastatur, ttritur. Omnes eequo ani--
1 FuRLANETTO» Lapid. Patavine ìUti- mo heliipatiiur injurias, dummodoi
(trate — n. LXXXV. repellat periculum servitutis. Et^
3. Dio Cass. Hiit. IJb. XLIV, e. 14. ut omittam reliquaspartes Gallim^
SvETON. tu àug, e 10. {uam tvod omnes pares^^ etc^
Av. CL
4*
296 REPUB. E I!tfP. DI ROMA
seguivano devastazioni ed incendi per le desolate nostra con-
trade: ma non l'ebbe che sul cadere dell'anno appressa
quando i triumviri sì divisero le province nostre in guisa
che Antonio avesse tutte le Gallio (la Celtica e la Cisalpina)
eccetto la Narbonese ^, ed Antonia mandava suo legato C.
Asinio PoUione in questa Gallia nostra con sette legioni per
governarci. Ebbimo dunque podestà proconsolare oltre quel-
la anno; e da un passo di Appiano * risulta che la risoluzione
di toglierci allo stato di provincia non fu che dopo le due
battaglie di Filippi, certamente accadute ad autunno inoltrato
V- del 712».
I nostri Cisalpini erano avversi ad Antonio, proclivi a
Bruto; amavano piuttosto un acerbo repubblicano, che l' im-
postura e r ambizione \ E quando rifletto che in mezzo a
tanti guai continuavano le terre nostre ad essere il fiore
d' Italia, la provincia più amabile e più laudata \ maraviglio
la ingenita feracità del nostro suolo a dispetto degli uomini
che pareano congiurati a mutarlo in un deserto, sicché Antonio
stesso facealo segno alla ingordigia de'suoi seguaci, dicendo
loro e condurli nella Gallia felice, dove ogni bene avrebbero
> goduto e gavazzato neir abbondanza » ^. E furono le venete
province che a Bruto somministrarono armi, denaro, viveri,
soldati a sostegno della Repubblica: esse, che sofferirono
d' essere per Antonio bruciate, devastate, saccheggiate, piut-
tosto che cedere alla servitù ^ , perchè tutte le loro città
4. Atpian. De Beli Civii. lìb. IV, ttudiosissimam Beipubliat, CìCEìl
e. 2. ad Fornii iib. kll, e 5.
5. Beìl, Civil. tib. V, e. 3. 5. ///e flos Italim. illud omameniMm
8. NoRis, Cenolaph» Pis. diss. II, e. 6. imperii P. A. efc Philipp Ali, e. 5*
i. Laudatur Provincia Gailia,.. quod 6. Sveton. in Jul. (ku. — Dio Cass.
Antonio reMterei. Cic£R. Philipp. HisL 1. XLI V. — App. De B. C. l HI.
VI. — Totam Galiiam tcntbamus 7. Philipp. XIl, e. i.
REPUD. E IMP. DI ROMA 227
s'accordarono in questo, di non sopportarla. Arrogi a tutto ciò
che proprio nella Gallia Cisalpina venivano combattute al-
lora le principali battaglie per le quali si decidevano i destini
del Romano Impero ^.
Mentre Asinio Pollione stava opprimendoci, Antonio ed
Ottaviano combattevano a Filippi. Il famoso triumvirato di
Lepido, Antonio ed Ottaviano^, formatosi dopo la battaglia di
Modena (a. 44), era ornai compiuto; bandita la proscrizione a
trenta senatori ed a duemila cavalieri, ed a migliaja di citta-
dini era già sentenziata o confisca o morte. Cassio e Bruto
non ebbero coraggio di sopravvivere alla sconfitta, si uccise-
ro da se medesimi, e con essi ebbe termine per sempre la
libertà latina.
Caduta nei campi di Filippi in Macedonia la repubblica
di Roma, veniva distribuito ai militi vincitori assai terre-
no di parecchie città d' Italia, ridncendole a colonie *. Ed è
noto come Asinio Pollione facesse altrettanto nella Cisalpina,
togliendo allo stesso Virgilio i suoi campi mantovani per
darli ai legionarj: ma non furono qui che spogliamenti par-
ziali e di poca terra.
Anzi Ottaviano stesso, che già proponeva di sbarazzarsi al-
l'mtatto degli emuli suoi, imitando T esempio di Cesare, co-
minciò dair amicarsi le province nostre; e fatta libera la Gal-
lia cisalpina, l'esonerava dai presidi che l'avean tenuta ^ Ed
i. Plutarchus. in Bruto, p. 993. — 2. Svrton. in Aug. e 13. — Appian.
T. Lnr. Epit. lib. CXVll, e. 94. De Beli Civ. lib. IV. e. 3.
— Vell. Pat. e. 60 -63.— Dio 3. Appian. De Beli CiviL lib. IV.
Cass. Hist. I. XLV. — Cic. PAt- Liberlafem donavii eie. Tantum
Uppica IV, p, 61 i. Episi, adFa^ erat formidolosa ejut vicinitas.
miliares^ l. VI, Vili e X. — Plu- Fimasi, Memorie dei Veneli prì-
TARCUS m Cfcer. et in U. Antonio, mi e secondi, t. IV, p. 276.
At. e.
41
iT. r.
41
5i28 AEPUB. -E nn>. Bl ROMA
essendo cessati per tal modo gli avari proconsoli che Teb*
bere governata, ne darem qui da Cesare in poi la serie K
lM.il K. Af. C.
704 — 50 G- Cesare.
705 — 49 M. Crasso, già suo questore K
706 — 48 M. Calidio, oratore ».
707 — 47 M. Bruto, ti congiurato *.
709 — 45 C. Pansa ».
710 — 44 D. Bruto •.
711 — *3 M. Antopuo^
Per si fatta guisa comprovasi Y accordo di cui parla ano
storico antico, dove narra come Ottaviano ed Antonio dopo
la fllippica vittoria, divise come al solito le province, stabili'^
vano di rendere indipendente la Gallia Cisalpina siccome
Giulio Cesare avea decretato ^.
'Dunque la legge Giulia del 709 non era che un preparare
le nostre province a indipendenza, e quasi a libertà: il
che accorda con un passo di Appiano nella guerra peru-
gina, in cui Mario si lamenta che la Gallia data ad An-
tonio fosse per dichiararsi indipendente ; e col detto di
Dione, che la Gallia togata (o Cisalpina) erasi ridotta al-
l' egual condizione che la restante Italia, perchè nìun altro
1. Lettera 15 settembre inserita nelle Appian. De Bello Civili — ClCER.
Lap. PaUY. del Furlanetto 1845 — ad Familiar. Vi, ep. 6.
Pret p. XV. 5. Cjcer. ad AU, XH, ep. 27.
2. Appian. De BeUo Civili lib. Il, 6. Dìo Cass. £/t«tlib.XLlV, cU.-
c. 41. SvETON. in Aug, e 10.
3. S. Gerolamo, Cron, Euaeb* a. IV, 7. Appian. Bel. Civ. 1. IV, e 2. —
OlUn. p. GLXX. FuRLANELLO» Lap. Patav. - Pref.
i. PLUTARai. in Marco Bruto, — 8. Appian. 1. cit lib. V, e. 3.
4f
AEPUB. E mP. DI ROX\ 329
potesse con ambiziose mire mantenervi un esercito ^ Ma
qnesto avTeniya più tardi, poiché Asinio PoUione per tutto il
713 di Roma la goyernò; e n'è prova la divisione da lui
fatta in queir anno ai veterani della guerra filippense dell' a-
grò di Mantova e di Cremona '.
Ma caduta Perugia nelle mani di Ottaviano , sbarazzatosi
questi di Lepido col dispogliarlo del triumvirato, più non ^
avendo ad emulo che Antonio, fu per quattro anni un tor-
bido duumvirato, che poi troncò Ottaviano colla decisiva
giornata d' Azio combattuta neir anno di Roma 723 ( 32 av. »
l'era nostra), colla quale la Repubblica serbava ancora per
qualche po' di tempo, quasi a dileggio, Y augusto nome.
Fu acclamato l'anno appresso imperatore; fugli data poco * u
dopo la tribunizia podestà perpetua (a. 30); poi venne il
consolato annuo, prima con due consoli suffecti, indi perpe-
tuo (a. 19); polla perpetua censura; finalmente il pontificato
massimo (a. 15), nulla più restando all' adulazione che non
gli avesse già dato. Così ebbe fine la Repubblica Romana.
Terminò dopo un secolo di guerre civili, di fraterni ribol*
Ihnenti, rimpetto a' quali scompaiono come baruffe le guer-
ricciuole del medio evo. Ma ond' è che in mezzo alle arsioni
delie vinte città, fra le stragi, le proscrizioni, le prepotenze
degli eserciti, dei tribuni, dei popoli, dei consoli, dei ditta-
tori, di tutto il romano impero, nascono, invigoriscono, as-
snif ODO gagliardi e maravigliosi uomini, ai quali s'inchina
da venti secoli la posterità? Cesare, Sallustio» Tito Livio,
storici insigni, anime vaste e generose che improntarono le
loro pagine di virili e romani concepimenti; Orazio, Vir-
1. Hiit. Rom. lib. XLVIII, e. 12. tercul. (Hist. lìb. II. 76). Ari-
1 AsiNius PoLL. Transpadatiam Prù^ nius PoUio diu retenia in poie^
viiiciam TtgebaL - Donat. in Vita state Antonii Veneiia cum seplem
Yirg. e. 36. — £ Velu Pa- iegit>nibu9, c/c
230 REPUn. E IMP. DI ROMA
gilio, Oyidio, al cui nome ti si desta nell' anima un senso ar^
cano indefinibile di gentilezza e di armonia; Bruto, Rufo,
Scevola, Ortensio, Cicerone, la cui vibrata e cittadina elo-
quenza sollevava le moltitudini commosse a quei jplebisciti
dai quali dovea dipendere la salvezza del mondo antico; que-
st' anime, queste menti io dico, erano figlie della Repubbli-
ca, e mal si chiamano del corrotto secolo d'Augusto. Tanto
è vero che le grandi concitazioni formano i grandi uomini,
onde questi alla lor volta son causa di grandi commutamenti,
perchè i forti hanno bisogno di forti età; e quando lor man-
chino i tempi, ed essi talvolta gì' incominciano, li creano, li
trascinano con sé, li rivolgono ad altre e più grandi mete.
IL
FATTI NOSTRI SINO AGLI ANTONINI
• •«
Era dunque in mano d' Augusto il più grande impero del-
Tuniverso. Ai gravi casi che lungamente conquassarono quelle
irrequiete generazioni dovea seguire la calma, e seguitò. È
legge di natura, che alle procelle dei popoli succedano le
loro paci, quasi a riprender le esauste vitalità, per poi fiac-
carle in altri e alcuna volta più terrìbili concitamenti.
Quarantaquattro anni di tranquillità godemmo allora; e fu
quasi mezzo secolo di gloria, di splendore, d'onnipotenza
romana. E mentre la Francia e l'Inghilterra non erano che
due deserti, due covi di razze barbare ed ignudo, noi man-
davamo le nostre legioni dall' elmo d' argento e dall' anime
poderose al Nilo, al Tigri, all' ultima Caledonia.
A questo mezzo secolo noi dobbiamo la massima prospe-
rità (per quanto valga ne' tempi d'Augusto riferibilmente
alle moltitudini questo nome) del Municipio Bresciano; che
BEPUB. È IMP. DI ROMA 231
già insignito da Pompeo Strabone ^ del ju$ latino, e da
Gialio Cesare della cittadinanza romana * (a. di R: 705, 49
ay. C.)f passala con tutto Y impero per la vittoria Àzziaca
(723 di R. 31 av. C.) sotto il dominio di Cesare Ottavia-
no, che fu tosto dopo chiamato Augusto.
li quale, scellerato repubblicane, avveduto e modesto prin-
cipe, serbò il nome, gli uffici della Repubblica, i maggiori per
altro avvocando a sé. Lasciò al popolo i comizi, larva e non
più delle libere convocazioni di un popolo repubblicano: lasciò
pretori, consoli, tribuni, sacerdoti, senatori, collegi, tutte le
forme antiche : ma fattosi eleggere imperatore perpetuo da-
^ eserciti, volle essere anche tribuno della plebe e sommo
sacerdote; agglomerava più tardi in tre potestà da lui solo
tenate la signoria del popolo, dell'armi e degli altari, gli
enti principalissimi delle nazioni; poi sotto il titolo d' impera-
tore tutto guadagnatosi, colle larghezze i militi, col pane il
popolo, ognuno col dolce riposo, cominciò lentamente ad
innalzarsi, ad assumere gli uffici del senato, dei magi-
strali, delle leggi, ninno più essendovi che osasse opporvisL
Già i pochi repubblicani erano morti o negli esilj o nelle
batta^ie; gli altri tanto più blanditi quanto più bassa curva-
vano la fronte '. Quetarono i vassalli al nuovo regime, spossati
di gare e di sospetti, indignati che più legge non fosse cui
l' oro non avesse bruttamente corrotta, o i prepotenti vio-
lentemente spezzata.
Trovò maturi i frutti della Repubblica. Uomini grandi che
dieder nome al suo secolo, ma eh' egli dovea all' altro di
Mario, di Cesare, di Siila e di Catone. E noi cisalpini di
qua dall' Adda andiam superbi d' avergli dato forse i più iUu-
i. A8C0H.mC/«r.— ORAT.mPw.— 2. Oio Cass. Hist. Rom. L XLVUL
Appun. De Beli Civ. lib. U, e. 26. 3. Tacit. Ann. iib. I, e 2, 9.
A?, e.
SO
Af. e.
23^ retub; e nip. df roba
stri: Virgilio mantovano, Catullo veronese, veronese Corne-
lio Nepote senatore e fors' anco Plinio il vecchio *, patavino
Tito Livio, sono glorie nostre. Ed è noto come la villa Ca-
tulliana, le cui rovine attestano ancora là fra gli oliveti della
penisola di Sermìone sul nostro Benaco la sua magnificenza,
ospitasse talvolta lo stesso Giulio Cesare quando per la via
romana passava di qui ^
Già fatto augusto, e già sicuro di sé, accoglieva Cesare
Ottaviano Y anno appresso Y adulazione di un tempio eretto
al nome suo; e già forte del sesto consolato, si mostrò mi-
glior principe annullando le iniquità che nel triumvirati avea
comandate. Forni di cittadini romani e di pubblici monu-
menti le venV otto colonie dopo la battaglia Àzziaca, che a
satollare Y ingorda brama de' militi vincitori avea fondate; e
quasi a ricompensarle del terreno che a quelle città coloniz-
zate avea UAlo per darlo ai militi ^ le facea risorgere come a
vita novella, riproducendo in esse alcuna parte del romano
^tendere ^. Tra le quali città sapientemente il Borghesi' ed
il Sigonio ® han dimostrato doversi comprendere la nostra.
Da qui 1* origine della Colonia Augusta Civica di Brescia:
Civica, perchè da Cesare insignita della romana cittadinanza;
Augusta ^, perchè da Ottaviano Augusto ripristinata, do-
nata d' angustali munificenze. E tosto i Bresciani^ anthe in
i, Maffei, Ver. Bl. — Filiasi , Ve- Ital lib. Ili, e. 4 — eV Eggeb^
seti primi e secondi, libro IV, Recherches sut les Augustala,
pag. 367. pag. 90.
% Maffei, Ver. Ili. tom. L — Ti- 4. Sveton. Aug, cap. cfL
RABOSCHi , Storia della Lelterat. 5. Arefaiv. Storico Ralrano — lib. \
' Italiana. — Aul. Gcll. Noci. Att e. 89 e seg.
lib. XIX, e. 9. — Catull. Cam, 6. De, Ant. Jur. IlaL lib. Ili, e 9.
e/c. eie, 7. Si sa che Ottaviano prendeva il pre-
3< SvET. in Aug, e. XLVIl — li Mon. dicato d* Augusto nel 27 av. Q. ù
drAflcira - il SiMìivo, De AnLJwe a. Varr. 727.
RfiPUB. E IMP. DI ROlU 233
questo imitatori di Roma, ponevano un altare al Genio della
loro Colonia sul Campidoglio. Il basamento che sorretto ne
area il simulacro fu discoperto sul colle Cidneo ^ là dove
appunto ho argomentato altrayolta che si levasse U Campido-
^0 Bresciano \ e portava Y epigrafe che sola resta del mo*
Dumento insigne '• .
GENIO
colONIAE • CIVICAE • AVG
BRIXI AE
Q • laRGENNIVS • Q • F • FAB
SAGITTA
SExvIR- AVGDECVRIO
PRAEP • FABR • PRAEF • I • D • Q
u • VIR • QVINQ
B P S
La Colonia Bresciana è ricordata ancora nel celebre mar-
mo deir augustale aquidotto ^, ed in un terzo, nel quale tre
figure assise ad una mensa, che il Rossi battezzò per ddizioso
banchetto, danno imagine di un epulo sepolcrale \
Abbiam già detto come i nostri Camunni, rìsospintì da
Tiberio Gracco alla Rezia natia Y anno di Roma 590 (av. G.
164), quotassero per allora.
1. Labus, Marmi antichi bresc p. 110. riscr. Perugina di Parta Mar*
Labof stesso lo rìnTeniva nel 1816. ùa), — Odorici^ 1. eit. pag. 17.
1 Odorici; Brescia Romana - par. I, i. Labus, Dell* Acquedotto e del Culto
il Campidoglio, pag. 17. dell* Acque nell*Aot Col. Bresc—*
3. Olivieri, /iMcr. Lai. Coli n. 66. *- (Brescia Romana cit pag. 48).
BoRGBBSi, Archivio Storico Ital. 5. Labus , Tribù e Decuriom —
parte 1 del t. XVL ( Mm. sul^ pay. 2a
234
REPUB. E 1»P. DI nOMA
Af. C.
at
it
Eccoti adesso per tutta la smisorata curva dell'Alpi Rezie
risollevarsi alto suono di guerra; e quelle razze alpestri, soli-
tarie come i loro dirupi S libere come il corso dei loro tor-
renti, rovesciarsi nel piano lombardo, che sempre ai Galli
stessi aveano contrastato ^ ed obbligare i legati d' Augusto
ad una guerra minuta. 9 faticosa. Le incompiute loro vitto-
rie ottenevano all'imperatore il decreto di un insigne tro-
feo ^ che più tardi ed. all'occasione d'altre vittorie gU fu eret-
to a Torbia; perchè mai que' popoli non furono domati che
dopo lunghi e pertinaci assalti. E mentre Augusto vedeva in
Samo accalcarsi intomo a lui le splendide legazioni dei Battria-
ni, degli Indi e della Scizia per bearsi di un detto e d'uno sguar-
do S la difficile Rezia nel cuor dell' impero, sotto agli occhi
dei consoli di Roma, affrontava le sue legioni. Ed è pur vera
che lo stesso Augusto preferì nomarsi alleato d' alcuno dei
capi di que'popoli bellicosi, piuttostochè ridursi ad una guer-
ra eterna od alla crudeltà del loro esterminio '.
Poiché sollevati a novelle speranze per la sconfitta che
Marco Lelio sulle rive del Reno dai Sicambri avea tocca \
!• Alpinis quoque ea gentibus haud zio V alpestre suo stalo, né rin-
dubie origo est (Elrusca), maxp^
me Rhcetis; quos loca ipsa efferor-
runt, ne quid ex antiquo, prceter
sonum iingwg, nec eum Mieorrn-
ptum, retinerenl, Liv. lib. V, e. 33.
S. Qui Alpes incolebatit, animadver-'
tenies Gallorum vires in dies «unir*
mopere augeri, plerumque versus
eosmovebatU, Polyb. lib. V.
8. Plin. HisL Nat lib. XX. — Spb-
DALiERi, Trofeo di Torbia.
i. Trota, St dlt t l, par. I, p. 3g3.
5. Cosi lo vediamo conservare a Co-
nirlo air impero che dopo la morte
di quel re dei Liguri. — Svetonius,
inNeronis vita, e. l8. — Sextcs
AuRBLnis Victor, in Nerone, —
Sextus Kufus, Eutropius, lib. VII.
— Paulus Diaconcs, Hist, Jfwc.
lib. Vili. — Vopiscus, in iiure/ift-
no. — - Cluverius, ItaL AnL 1. 1,
e. 12, tom. I, pag. 91, n. 30. —
Walckenaer, Geog. ancienne des
Gaules Cisalpin. ei Transalpk'^
Paris i839, t li. pag. U.
6. Taqt. Ann. lib. 1, e. 10.
REI^Uil. £ MP. DI ROMA 235
CamaDni e Vennoni ammutinavano h ridiscesero nei nostri
piani, ed obbligarono Augusto a spedir contro loro Silio Ita-
fico; tanto più che la rivolta ai Norici ed ai Pannonj si pro-
pagava. Repressi dal legato que' subiti ma fieri sommovi-
menti, non appena si allontanavano le vìttrìci coorti, ed ecco
Reti, Breuni, Vindelici risollevarsi; onde Augusto non sapen- ^ ^^
do torsi dinanzi tanta vergogna dell' armi latine, a suo fi-
gliastro Claudio Nerone Druso ' confidava la guerra del-
l' Alpi: al quale mandò poi come in sussidio con un secon-
do esercito Tiberio di lui fratello. Nò questi era ancora in
armi, che contro a loro ed ai Breuni ed ai Genauni (Genoa-
nes) appostavasi Druso a Trento: dall' Alpi tridentine scen-^
devano i ribellati contro di lui, onde aspettatili di piò fermo,
con una battaglia ne li fugò ^. Vorremo noi credere a Dione
Cassio le immani crudeltà che per le corse terre commette-
vano que' Rezj ? Ne rifugge inorridita la mento ^. Narraci
egli, che fatta strage degli uominii traevano le donne incinte
dinanzi ai loro indovini, e ne spegnevano le preconizzate già
madri di maschia prole. E il giovinetto Druso, che tocchi ap-
pena i ventiquattro anni, fra le gole dell'Adige assaltava i
terribili ' alpigiani, ebbe plauso in Roma e V onore dei versi
1. Dioif. Cass. Hist. Rom» lìb. LIV, 4. Vicinam Galliam frequenter popi^
cap. 20. — Comuni enim et Ve- lati, etiam ex Italia finibui pra-
nonet, gentei Alpinm^ arma cantra das egerant, Romanosqw et eo-
Romamos9umseruHt,vieliqueaPu- rum socios» iter per ipsorum ter-
Ilio Silio et subaeii sunt, ra» facientes, infestaverant. S3d
1 In fuesturm honore dux Rhatici preeter hoc, quidquid masculi <e-
belli, SvETON. in Claud. e. 1. ^ xus inter captivas non modo jam
3. Apud Alpe» Tridentina^ ohviam sili exstaret natum, verum ttiam inmu^
faetoe, preeìio eongressus celeriter lierum uterie adhuc per diviìuUio-'
fudiU i^utque victorite ergo pras^ nei etc — Dio Cass. Hi$U 1. e.
tofios honores adeptus est. - DiON. 5. Grave preelium, disse Orazio quella
Cam. Hi$t, Aon». Ub. LlV. guerra (Carm, lib. IV, od: IV); ed
236 REPUB. E »CP. DI ROMA
immortali di Orazio Fiacco ': ma fu breve trionfo, perchè
qoasi ad un tempo, ripreso ardire, Duoyamente invadevano le
nostre terre. Fu allora che aggiuntosi a Druso il fratel suo,
mossero di concerto a ripigliare le offese '; e dove lo storico
ci apprende come Tiberio, gettate alquante navi nel Iago, sba-
razzasse que' dintorni dell' orde nemiche, non è improbabile
la congettura di Scipione Maffei, che quella flotta romana
solcasse Y acque del nostro Benaco '•
Quelle battaglie furono gli ultimi ed infelici conati della Re-
tìca indipendenza. Le rocche dei Breuni e dei Genauni S e
que' difficili castelli seminati per l' ardue rupi dell' Alpi bre^
sciane e tridentine caddero anch' essi; e la virtù sventurata
degli insistenti propugnatori cesse a tanta guerra sol quando
la romana potenza era giunta al culmine del suo splendore.
Parrebbe quasi certo al Maffei non essere i Breuni che
gli abitanti di Breno. Ma lasciando stare che il trofeo d'Au-
gusto li disgiunge dai Gamunni frapponendovi due popoli di-
Tersi, dimando io dove poi collocheremo i Gamunni stessi, e
MMiaiiet i popoli della Rezia, che 2. Deinde quum ab Italia rejecUWm'
Cicerone omnium bellicosissimoi ti, niìUlominus Galliam urgerent,
nomava. — £p. lib. XI. Tiberium quoque conira eoi misiL
1. Videre Rhmtis bella sub Alpibus Proitide Drusus ac Tiberine, ipsi
Drusum genatem Vindelici etc, simnl et legati eorum, muliii l<h
B0R4T. ub. IV, od. IV. eie in RheRliam irrumpentet. Dio,
MUile nam tuo HisL lib. LIV, e 22.
DmeuiGenaunosimplacidumgenut 3. Tiberine etiam per lacum navigiis
Brennosqne veloces, et areee snbveetns,extermemntea re barba-
Alpibus impositas tremendit, ros: dieeipatoeque aggresei, haud
DejecU acer pine vice simplicL difficulter multis exiguie pneliii
Major Neronnmmox grave prmlium dispersas eomm copiae, diverso
Commieit, immanesque Rhattos tempore securre congressas deleve-
Anepieiii pepnlit eecundie. runt. Dio, I. cit.
HoftAT. Uk. IV, od. XIV. 4. Tàrtar. Mera. anU di Rovercdo.
REPl'B.E IMP. DI ROMA 237
come possa idearsi una comunanza nel centro di un'altra. Il
Tarlarotti *, leggendo negli atti di S, Corbìnìano, e più nei
versi di Venanzio Fortunato *, collocati argutamente i Breuni
fra r Alpi e la Baviera, ne prescriveva la stanza intorno al-
rinn, presso il monte Brenner fra Sterzing ed Inspruck, e
sospettava nei Genauni gli abitanti della Naunia tridentina
(valle di Non '). Che direm di Strabene , il quale Genauni
e Breuni mi getta nell' Illirico ^ ?
E parve tanta ventura all'orgoglioso popolo romano l'aver
domo quel nido dell' Alpi retiche, que' frementi avanzi delle
italiche tribù, che nel centro dei Liguri stessi, vicino a Tor**
bia di Monaco del Piemonte, presso la via Aurelia fu in-
nalzato con romano splendoie un monumento ad Augusto
trionfatore di tutte genti alpine. Su immenso basamento alto
levavasi T edificio come vasto mausoleo, circondato da co-
lonne S sorreggente per avventura la statua dello stesso
Augusto •.
Un' epigrafe salvata da Plinio ^, e di cui restano (miseran-
de reliquie) alcune parole, apprendeva ai posteri il nome dei
vinti popoli: e noi come patrio monumento ne daremo, se-
1. Mem. cit pag. 5, 7, 8 ecc. Si vacai ire viam, neque Dajoariut
1 la vita». Mari ini. - In ipso autem ohstat^ — Qua vicina sedeut Brco"
iUnere Romam perfjendo rutn in nmn loca» perge per Alpem, —
Bf tonta pervenil eie. . , . cwn aun Jmjrediens rapido qua gurgile voi-
lem ad Tridentinum caslrmn vir vitur /Enus, etc,
bei pervenil, — Il Walckcnaer, 3. Geograph. lib. lY, pag. 206.
f Géogr, ancienne des Gaules, l. lì, 4. Hojerus, Thealr, Pedemont.
p. 48) 8*accorda col Tartarolli, e 5. Spitaurri, Monum. dei Trofei
parrebbe iudubitatalor conclusione; d* Aagusto. — Mcm. delPAccad. di
errando per altro il d'Anville nel Torino 1843, t. V, p. 1G1.
collocarli al Iago Maggiore. I versi 6. Hist. N. 1. IH, e. SO e 24. — Grut.
di Venanzio non ammettono risposta: Corpus Inscr, p. tìQ, u. 7, ecc.
OiK»Riciy Storia Bretc, Voi. I. 17
238
lIEPrB. E IMP. Bl ROMA
condo lo Spitalierì che Y ha illustrata ^ , il brano in cui due
popoli dell' agro nostro sono compresi K
IMPERATORI • CAESARI • DIVI • FILIO ; AVGVSTO
PONT • MAX • IMP • XIV • TRIB • POTEST • XVIII
S • P • Q • R
QVOD . EIVS . DVCTV . AVSP . GENTES . ALPINAE • OMNES . QVAE . A
MARI . SVPERO . AD • INFERVM . PERTINEBANT . SVB . IHPERIVM . P . R
BVNT . REDACTAE . GENTES . ALPINAE . DEVICTAE . TRVMPIUNI
GAMVNI • VENNONETES . VENOSTES • HISARCI • BREVNI . NAVNES
FOCVNATES OtC.
Quello che a prima giunta maravigliava in questo marmo
Scipione Maffei K e che certo noi tutti sorprenderà» gli ò
tii tutte quante le popolazioni alpine trovar .proprio in
capo, <fuasi principalissime» le nostre dei Trumpilini e dei
Camunni.
Prime per numero di gente, per ampiezza di limiti, per
potenza, per difficoltà di conquista non crederei: più prò-
i. L'elenco degli eraditi che ThaQ
pubblicatajormerebbe sol esso uaa
curiosa monografia.
2. Lo Spitalieri ( Trofeo di Torbia ,
Mcm. dcir Accad. di Torino, 18i3,
loia. V, tav. I ) noterebbe la Trib.
PotesL XVIII, il che darebbe al
monumento la data dell' anno 750
di Roma, 4 av. C; ma se in Ciu-
verio ed in altri non ha, come no-
ta il Waickenaer (Géog. anc. da
Gaules t li, p. 44^, numero alcuno
di Potestà, Gluverio stesso (Italia
Antiqua U I, p. 64) sottilmente
avverte rarbitrio dei posteriori che
sulle tracce di Plinio cosi suppli-
vano. 11 Waickenaer ( 1. cit ) leg-
gerebbe in Plinio la Trib. PoleM,
XIV; ed allora sdrebbesi eretto il
mon. 4 anni prima. — Veggasi
MlLLlN, Vuyage daìxs les départe-
ments meridionaux ( t li, p. 581 ).
JoKFRED» Hist. de Nimes. - HoN.
6oucH£, Chorographie de Prove$^
ce ( t. 1, p. 99 ). PuNius^ Histor.
Nat, (\ìh. 111, e 24y. Morcelu,
Opp, Èpp, (i. L p. 96; ete.
3. Verona Ulustr. - parte 1.
KEPUB. E IMP. DI ROMA 21Ì>
babilmente furono le prime ad essere soggiogate; e forse
nella serie delle vinte schiatte ha una serie progressiva delle
vittorie: e se il lungo tema noi mi vietasse, sulle tracce di
Dione e di Svetonio potrei darvene ragione. Dirò soltanto
che certamente que' popoli non furono domati ad un punto,
che la guerra dell' Alpi durò parecchi anni, che intorno a
sette anni prima dell' erezione di quel monumento Gamunni
e TrompiUni erano già debellati.
Che i Benacensi, gli Edrani, gli Stoni ed i Sabini, altri
popoli nostri, si opponessero gran fatto all' armi romane non
riterrei; siccome dei Tridentini non parrebbe, fra i quali eb-^
be Dmso collocato il campo, e aspettò l'urto dell'irrompente
nemico h ed ecco forse il perchè non si trovano in quel trofeo
fra le genti dbvictae. Certo è per altro che venivano aggiunte al
vasto impero, e che a raffrenare per sempre i nostri alpi-
giani, Ottaviano Augusto aggregavano le terre ai finitimi
municipi *.
Ed io sospetto intomo a questo tempo a^enuta Tam-
pliamento del nostro, cui probabilmente furono date (meno
la Camunnia) le nostre valli; ed eccole comprese nell'Italia,
0 dirò meglio, portato l' italo confine al di là di esse. Ond' ò
che sul marmo s^olcrale di P. Atinio, che da Vobarno fu
traslocato nel cittadino museo, leggesi tuttodì:
FmiBVS . ITALIAE . MONVfilENTVM 1 VIDI . VOBERMA.'
1. Dio Cass. HUl, cU. lib. LIV, e ^. 3. Gagliardi^ Parere intorno allo sta--
Rk4BÌo$ ajmd alpet Tridentinas to degli ant. Cenomani,.p. Ii9. —
oMam siin faetot. Rossi, Mem. bresc. pag. 206. —
1 Grdt. pag* 408, n. 1. — Labus, Compargnu Stor. delle Valli Trom--
Antiebe Lapidi Tergeatine ( t. I pia e Sabbia, pag. 223..--' GaAT-
delle Mem. deirAccad. di Vienna, tarolo. Storia della Riviera di
pag. 337). — Labus, Marmi br&- Salò, p. 107. — Caprioli, CkroB^
sciani, pag. 121. de reo. Brix. lib. U,. ecc.
240 REPUB. E IMP. m KOMA
II che non significa, come tutti ritennero fin ora i miei pre*
decessori, si trovassero proprio a Vobarno i confini d'Italia;
, ma quel vico esser posto verso gì' itali confini S nei quali per
lo meno erasi compresa allora tutta Valsabbia, di cui Vobarrio
sarebbe il principio meridionale. E le nostre valli forse allora
venivano dai Cesari vincitori (cui dovevamo in quel tempo
la grandiosa via dell' Alpi') donate di belle strade, che colla
provincia bresciana e con tutto l' impero le ponessero in
relazione '.
V'ha di più. Sappiamo ancora come, ridotte in provincia
la Rezia e la Yindelicia, se ne vendessero all' incanto i pri-
gionieri ^. Non ò nuovo l' esempio. Sappiamo di Giulio Ce-
sare, che a disfarsi di ostinati ribelli, vendeva all' asta don-
ne, uomini, fanciulli, e colle intere tribù dei Nervj, le case, i
campi loro •. Un terribile del pari che misterioso passo di
* Plinio avvolge probabilmente una simile sventura, qualche
cosa di colore oscuro, che fino da que'tempi gravava sui mi-
seri Trumpilini. TrumpUm venalis ctim ngris suis populus ®.
Sia perchè V infausta ricchezza delle miniere ^ suggerisse
agli avidi Romani di porre la valle posseditrice all' incanto, sia
che fiera ed ostinata fosse in quegli intrepidi alpigiani la re-
sistenza, fatto sta che quella frase allude ad una sciagura, cui
forse i Trumpilini avevano comune coi Salassi, popoli della
1. Labus, Monum. brosc. illus. p. 5. 4. Trova, Storia d' Italia - 1. 1, 1. VII,
1. i^VAM . DliVSVS . PATER . ALPIBVS . pag. 387.
BELLO . PATKFACTIS . DEREXERAT: 5. C^.S. De Bell, €«//. lib. Il, C. 33.
cosi nelle colonne inil. di Feltro e Sectionem ejus oppiai univertam
di Bolzano spettanti alia via Clan- CoisaT rendidil.
dia da Claudio compiuta nel 46 di 6. Plin. Hist. Aa/. lib. Ili, e. 2i.
G. G. e sulla quale era la stazione 7. Vedremo altrove non la cerIczMi,
del ponte di Druso (Guarneri Ot- ma qualche probabilità che miniare
TONI, Via Claudia, 1789). fossero ne' romani tempi tra quei
3. Lahus, Marmi bresciuni, pag. i i5. valligiani; il che tanto si e cou-
— Colonna di ^aguzzano, p. 15. tra2>tuto fino a* di nostri.
REPrB. E LMP. XSt UOV.t
2il
Talle (f Aosta, che Terenzio Vairone per ordine d' Angusto
area disfatti dieci anni prima, vendendone mb basta trentasei-
milaS e a cui fùr tolte le terre loro. La parola venaìis var-
rebbe quanto da vendere; farebbe supporre la Valtrompia
del novero di quelle terre che si ponevano all'incanto da-
gì' ingordi Romani K Che poi fosse per castigo di resistenze
opposte parrebbe ancora e dalla pena dei Salassi per lo
stesso motivo, e dalle concessioni largite ai Gozj quia non frn^
rwa hostiks 3.
Non cosi dei Camunni , i quali oltre al sapersi che fu loro
lasciata l' indipendenza dai limitrofi municipi, ed ascrìtti per
questo alla Quirina tribù ^, sembra che tuttavia serbassero
come a dire una Repubblica a sé ^: testimonianza non liev^
0 dell' essersi facilmente accostati a Roma, o ddla costoro
importanza, cosi che giovasse ad Augusto tenerseli amici *•
Ma Tmmpilini e Camunni certo si riunivano a consacrare
a quel Druso che gli avea domati, forse per guadagnarsene
la benevolenza, un monumento del quale ancor sussiste la
epigrafe ^ che sorreggeva probabilmente una statua.
1. Trota, Storia d* Italia, 1. 1, 1. VII,
pag. 380 e 387. — Brocchi, Trat-
tato Hinerologico sulle miniere di
ferro. — Brescia 1808, t L
1 IfaCiiLi» L* Italia avanti il dom. dei
Romani. Ultimo capo.
t PuN. Hist Nat. lib. HI, e. 24.
i. Labvs, Trìb. e Decur. png. 22. •
RE . p . CAMVNNOR pare che
debba leggersi nel marmo di Cajo
Piacidio Casdiano pubb. dairAve-
rnldi, ed esistente nel patrio Mu-
»eo. — Labus (Trib. e Dee. p. fi)
S. A •
per altro non si fiderebbe di ([ue-
sta lezione; né dal marmo corro-
so chiaramente risulta. Veggast
H Rossi, Mem. Bì'esc. p. 2i9. —
P. Grbgor. Tratten. pag. 247. —
Muratori, iV. T, V. hiser, p. 1055,.
n. 5. — Donati, p, 333; tutti con
qualche diversil&.
6. 11 Yalckenaer medesimo nota que-
ste politiche indulgenze d*August«b
con altri popoli e coi Coz| parti-^
colarmente per tenerli in fede.
7. LvBUSf Marmi — pag. 148^
242
Aepi'b. e imp. di noMA
neRONI • CLAVDIO
DRVSO
camvnNI ETTRVfAPLINI
Af . C.
13
10
Né per queste vittorie cessarono le guerre. Dalmati, Pan*
noDJ, Norìci, Carni, Taurisci uniyansi ad altri barbari, tenta-
vano la sorte dell' armi; ed ecco Druso Tiberio in campo
un' altra volta.
Poi vennero i conquisti di nuove obliate genti là fra gli
ultimi Cauci , dove il Reno si frange neir oceano settentrio-
nale: povere ma coraggiose razze, che non comprendevano
cosa importasse ai padroni del mondo un pugno di scogli e
di capanne. Fu guerra biennale, che il solo Druso termyiò per
ripigliarne l' anno appresso un' altra con altri popoli della
Germania estrema.
Ma cosi glorioso di recenti vittorie morte il colse, troncan-
do il corso d' una carriera che Giulio Cesare avrebbe invidia-
ta ^ Temesi avvelenato, perchè d'animo troppo grande e ge-
neroso. Druso avea scritto a Tiberio il fratel suo persuadesse
Augusto a rendere all'impero la libertà. Tiberio, che sempre
fu timorato e dabbeney mostrò la lettera, e Druso n' andò con
Dio. Livia certo, che due Cesari ebbe mandati all' altro moih
do, n' era intinta, e Brevi troppo e sventurati sono questi
1 universali amori ' • .
Nella guerra di Germania succedeva Tiberio il fratel suo,
che allora ottenne il trionfo. Avea Tiberio cuore ed ani-
i. SvBTON. m Aug, — Taut. Ann, 2. Davanzati, nelle note agli Ano.
lib. I. cap. 3, 33. di Tacito.
R£P11B. E IMP. DI ROBIA 243
ma più che Liviana. Continuò per più anni suoi germanici fa-
sti, e n' ebbe laude. Ed eccoci al principio di tempi nuovi, i '
dell' età nostra, Tetà cristiana, che noi dal lato religioso più
largamente altrove discorreremo.
Benché tuttavia non si sappia quando precisamente G. C. sia
nato ^, che solo quattro secoli dopo un monaco^ pensava ad
indagarne il tempo, noi ci atterremo all' anno comunemente
ritenuto ^ corrispondente alla Podestà Tribunizia XXllI d'Ot-
taviano Augusto.
I Cesari, eh' emuli un giorno potean essere di Tiberio, car
devano intanto l'un dopo l'altro per arcane morti ^. Ed ecco
Tiberio, per arte di Livia fatto figliuolo del diserto Augusto, i
tornarsene in Germania un'altra volta, giugnere co' suoi
trionfi, per attestato di Plinio, al promonlorio dei Cimbri. Ma
di questi popoli e in quest' anno soggiogati, il più rimarche-
vole al caso nostro fu quello dei Longobardi.
La guerra di Germania durava incomportabile e perìglio- 7
sa, onde Augusto mandò rinforzi a Tiberio suo nipote del
pari che figliuol suo per adozione ', condotti da Cesare
Germanico figlio del misero Druso. Ma i rinforzi non *
evitarono la sconfitta di Varo e la strage del fiore di tutto
r esercito romano fra le solitudini e gli stagni di Teu-
toburgo \
Tre anni dopo, il trionfo di Tiberio sui Dalmati e sui Pan- "
DODj temperava il dolore della disfatta; di Tiberio, che nomato
1. • Quanto alla nascita del S. N. Gesù 4. Tacit. Ann, lib. I, — Vellfjits
• Cristo ne A tuttavia incerto Tanno». Paterc. HUL lib. II. — Sveton.
MuRAT. Ann. d' Italia, a. I. in Aug, e. 68.
1 Dionigi Esiguo, morto circa il 540. 5. Tacit. Ann, lib. XII, e. 25.
3. PP. BlAuaiNi , Art de vérifier le8 6. Tacit. Ann, lib. I, e 59. 62. —
date#, t. I. SvETON. ih Aug. e. 23.
244
HRPIB. E IMP. DI ROMA
nn anno prima consorte dell'impero S avea comune collo
stesso Augusto la potestà Tribunizia, ut (eqiwm ei jus in onmir
bus ffùtindis ex^ciiibusque esset K
Queste eran guerre al di là dell' Alpi: di qua godeasi pace,
durante la quale, non si sa precisamente a qual tempo, ma
certo negli ultimi anni del viver suo ^^ pfmcipiava Ottaviano
Augusto un acquedotto che dalla Valtrompia conducesse ad
allegrare di vivide fontane la Colonia Augusta di Brescia. Ove
almeno a quell'opera si riferisca (ed è assai probabile) la
pietra insigne che qui vi porto ^, la quale parrebbe incisa
non molto dopo il 767 di Roma (di C. 14), in cui furono de-
cretati all' estinto Augusto gli onori divini ^ e Tiberio stesso
avea assunto il predicato d' Augusto.
r
DIVVS • AVGVSTVS
TI • CAESAR • DIVI
AVGVSTI • F • DIVI • N
AVGVSTVS
AQVAS- INCOLQNIAM
PERDVXERVNT
J
Fu scoperta nel 1776, scavando;^i le fondamenta della niio-
Ta cattedrale di Brescia ^ insieme a reliquie di non volgare
4. Collega imperii, cousors TribunidcB
Poleitatis eie Tag. Ann. 1. 1, e. 3.
2. Vell. Patbrc. Hist. 1. II.
3. Lkbvs^ Marm. bresc. ili. - p. 145.
4. Fabret. In$er, e. X, n. 398. —
AvEROLDi, Pitture di Brcsc. p. 3. —
ViNACCBSl, Mem. 6r. p. 242, n. 4.
— Gasato, Mar. Erud. letlcr. XI.
ed. Com. — Maffei, AoL coud.
di Verona N. T. F. /. § XVUL-
MuRATORi, pag. 441, n. 4. — Ga-
gliardi, Parere ciL § XXIII. —
Odorici, Brescia Romana, p. 48;
ed ivi il LABUS,DeirAcquedottó del-
Tantica Colonia Bresc. — Labus,
Marmi ant bresc. p. 145, 173.
5. Tacit. Ann, I, 54.
d Bianchi, Diario ms. a. 1676.
RETUB. E IMP. DI BOMA Si5
edificio ed a colonne adirne stanttbus in antiqua sua sede^. Ti-
berio certamente, cosi Morcelli, terminato V acquedotto che
Ottaviano incominciava» comandò che al nome di Augusto
fosse in quella epigrafe aggiunto il suo \
Riscontri simili abbiamo nell' iscrizione di Rimini, a cui gli
stessi Cesari jxmfóx dedere^ e in quella di Lodi vecchio,
dove Tiberio e Druse portam raciundam curarunt ^.
Morto Augusto, succedevagli Tiberio Nerone, il cui prelu-
dio d'impero fa T uccidere Agrippa Postumo, nipote d'Augu-
sto, il solo a cui potesse competere V impero \
Frattanto in Roma e correvano al servire consoli, padri,
• cavalieri, i più illustri con più calca e falsati visaggi da non
> parere né troppo lieti per la morte dell'uno, né troppo tristi
• per l'entrata dell'altro principe ; lagrime con allegrezza, la-
• manti con adulazioni si mescolavano ^>: pregava il Senato,
inginocchiavasi dinanzi a lui perché accettasse l' impero; ed
egli peritoso ad arte di tanto più quanto bramava tenerselo in
pugno, oscuri delti rispondeva; cupo sempre anche quando
si apriva, ora poi che nascondevasi, doppiamente fra tenebre
ed ambagi si ravvolgeva. E i Padri a fingere di non intender-
lo ( ed era la loro paura ), a piangere, a scongiurarlo. Fi-
nalmente senza mai chiarirsi, come sforzatovi assunse l' au-
torità ^
Le cose di Germania si reggevano mirabihnente da Cesare ^if*
Germanico figlio del magno Druse, nipote a Tiberio, che
odiavalo profondamente perchè amato e caro al popolo ed ai
1. Anon. postillatore del Rossi (M. B.) 5. Tacit. Anfk lìb. I, e 6.
nella HaccolU Labusiaua. 6. Tacit. Ann. lib. 1, e. 7; traduzio-
1 Opp. Epp. t lì, p. 129. ne del Davanzali.
d. Tonini, Rimini av. il principio del- 7. Dio Alicarn. Hist. Rom, lib. LVIL
Pera volgare — p. i'SÒ. — Sveton. in Tib, e 24. — Tac
i Zaccabji, Kpisrjip. Land. Sér. p. 12. Ann. lib. cit
246
REPUB. E IMP. DI ROMA
Die.
soldati. Epperò col sottile pretesto del ribellato oriente
strappavalo dalle legioni troppo sue ^ Venisse tosto, scrìve-
vagll, air apprestato trionfo ed al duplice consolato. Conob-
be Germanico Y infinta. Se ne dolse e tacque. Fu a Roma;
e nulla di più probabile che, attraversando nel suo ritorno la
via Emilia, le venete città corressero a gara per festeg^ame
i trionfi e la venuta, plaudenti a questa bella e solitaria
virtù, dannata a spegnersi nella lontana Seria.
Ma che i Bresciani a memoria del suo passaggio gli collo-
cassero Decreto Decuriomm il monumento di cui più non ri-
mane che questa epigrafe *
f
1
GERMANICO
CAESARI
TIFAV&NPONTQ
COS • Il
D D
1?
it
non pare ; si piuttosto a celebrarne V assunzione al conso-
lato per la seconda volta, la quale non appartiene che all'an-
no penultimo del viver suo;'perchè la trabea non ebbe assun-
ta che a Nicopoli città dell'Àcaja il primo gennajo del 771 ',
nò servisse da poi che sedici mesi. Pisene lo avvelenava per
ordine di Tiberio ^. L' idea del Rossi, che i Bresciani gli dedi-
1. Tacit. iififi. lib. Il, e 5.
8. Tad. Solazio, Inscr. Ms. labus. —
Super Platea magna Brix, et prius
in fundo turrUPaganoriB rtpertum
est — Ferràrini, Inscr. Ms. —
Grutero, p. 236, D. 2. •— Rossi,
M. B. p. 103. — Gaglurdi, Pa-
rere, § XXVII. — Sambuca, Meo.
Cen. p. 109.
3. Tacit. Ann. lib. II, e 54.
4. Tacit. Ann. lib. Ili, e. 16; beDchè
narri la cosa non più che qual tra-
dizione, ch'egli però non dispreui.
— SvBT. in Tiber, art 68. p. i 17
REPUB. E IMP. DI ROUX
247
cassero on t arco trionfale nella contrada or chiamata d'Ar-
» co vecchio > è un sogno fra i mille del nostro pittore. Il
Bravo poi, come al solito» V accoglieva non senza aggiungervi
del proprio, quasi per vezzo, un errore di tre anni sul rìtor-
DO di Germanico, ed un altro errore facendo eretto quell'arco
> lorqnando Germanico reduce dalle vittorie awiavasi a Ro«
> ma per conseguirne il trionfo ^ >. Il doppio consolato,
posteriore di quasi un anno a quelle vittorie, basti per altri
motivi, che sarebbero troppi ad una storia.
Spento Germanico, tutti gli sguardi erano volti a Druso
di Tiberio, che fortunato debellatore di Haroboduo, compiu-
te fra i barbari assai belle imprese, vedovasi riconferita nel
776 di R. (di C. 23) la seconda tribunizia podestà con esul-
tanza di tutto r impero ': e che quella esultanza i Camunni
manifestassero con un monumento, parrebbe dal marmo che
vi dò maestrevolmente supplito dal nostro Labus '«
Die
ss
1
I
DRVSO - GAESARI
TI • AVO • F • DIVI • AVO • N
DIVIIVLIPRoNPONTip
SODAL-AVGVsTcosn-TR
POT • 1 1 • X V • Via • SA€RIS • FAC
CIVIT • CAin^NN
Ma tanta esultanza non valse a camparlo da morte. Elio
Sejano, uomo infame per scelleraggini coperte o disvelate
1. Storie BreMiane, 1 1, lib. lU, p. 93.
1 Tacit. AmL lib. lU, e 56u
3. Ianni ant Bresc ili. — Classe
storica, pag. 156. n. 177. Fu pub-
blicato dal Muratori (Tu. Y. Inscr,
p. 324, n. 8), dal Sambuca (Mem.
Genom. p. 120;, dall' Orelli (Col!.
Itucr. a. 652), dal Bravo (Storie
Bresc. 1 1, p. 35); da tutti però cosi
malconcio da non parere più desso.
248 BEKB. E IMP. DI R05L1
come tornasse più conto, invescato coll'arti Io stesso Tiberio,
coU'oro i soldati e le magistrature^ già pensava airimpero. Se
non che i Cesari erano troppi: ammazzarli tutti insieme non
si poteva; cominciò da Droso. Finse amarne la moglie perchè
questa avvelenasse il marita» e Livia sorella di Germanico
l'avvelenò •.
Fu allora che commosso Tiberio (e fu toccante scena),
presentati al Senato i due figli di Germauico, Druso e
Nerone, raccomandavali come secondi suoi fi^i. Ed ecco la
casa di Germanico risorgere un istante: onde non è meravi-
glia s' anco i Bresciani ambissero cattivarsi Y amore dei gio-
vinetti col proferire all' un d' essi (Nerono che poco dopo
morì) il quinquennale duumvirato^, e porgli chi sa forse ad
esultanza questo marmo ^:
NERONI • CAESARI
GERMANICI • F
TI • AVG • NEPOTI • DIVI
AVGVSTI • PRONE?
L' animo cupo astuto sospettoso di Tiberio, morto Ger-
manico, morto Druso, voltò alla peggio. Si sa di lui che, ptu-
rimis chitatibus et privatk veteres itnmunUateSy et jus metaUorum
et vectigalkm adempia^, rompesse cosi ogni patto, ogni coih
cessione. Furono anni di crudeltà^ d' inerzia» di servitù, di
f. Tacit. Ann. lib. IV, e. 2. Pastore avgvr . ii . vir . pbakf.
2. Tacit. 1. ciL e. 3. — Si sa che il neronis . caesaris . ii . vir.
gioTìoetto Nerone, relegato sei anni qvinq. ora nel patrio Moseo.
dopo nell'isola di Ponzia, ranno i. Già nella fortezza degli Orziovovi.
appresso mori. Gnocchi, p; 34. — Tom, p. iOft
Z. Labus, Marmi ant. bresc. illustr. — Vinaccbsi, p. 240, ecc.
p. 117, inscr. 157 di C. Papirìo 5. Sveton. tn Tiba\ e. 49.
i- Tjiar. ^«11. cit. 1. IV, 4. Labus, Marmi' ant bresc. — Crasse
1 SvETON. t» Tiber, e 60. — Tacit. Storica; in un brano di bozze co*
Ann, l VI, e. 2, 3 e 4. municale air autore.
3. Tacit. Ann. l VI, e. 1» ecc. 5. Tacit. A»n. lib. VL
il
REPUB. E IMP. m noMA 249
sofferenze vili, ingloriose, che Tacito notomizzò ad acerbo
ma salutare insegnamento dei popoli futuri ^. Sejano stimo-
lava Tiberio, ed era demone che valea per mille : comanda-
menti atroci, accuse senza limiti moltiplicavano; appuntate
le parole per fame un delitto; ed era peggio per lui, sendo-
che non curate svaniscono, adirandoti ne confessi la verità^:
e Tiberio se n' adontava; ma i supplizi non gli tolsero T infa-
mia, ed il suo nome è un improperio ancora. Tutto era colpa,
fosse riso o lamento, foss' anco celia, fino ai sensi dell' ebro
bastavano per essere dannati a morte.
Cacciatosi nell' isola di Capri, ivi nascose il vecchio im- di e
pudico le sue sporcizie ^.
Nuove morti contristavano in questo mentre la infelice
Agrippina vedova di Germanico, e nuovi delitti lo stato. Dru-
so Cesare di lei figlio, calunniato presso Tiberio da Emilia
Lepida sua medesima consorte, fu gittato in un carcere, vi
penò tre anni; poi toltogli il cibo, lasciava per fame la vita
dopo aver rose le lane del proprio letto ^. E due, tra so
diceva intanto , veduto in carcere Druse, queir anima ne-
ra di Sejano, eh' avea sedotta Emilia perchè rovinasse
il marito '.
Eppur Vellejo Patercolo que' due mostri di Tiberio e di
Sejano nelle sue pagine incensava: pochi rivali ebbe quello
storico nell'ingegno; ma più assai n'ebbe nella viltà del ven-
dersi a chi più paga, e n' ha tutt' ora; ed è un' infamia che
mai non vedemmo estinta.
Tre marmi nostri b ci ricordano, l' uno presso Nave, ora
nel patrio museo.
BBvsl • ET . GERHANia . caESARVM • |-
L'ultima lettera è un frammento di un H: ma interpre-
tarne il senso sarebbe sempre troppo arrischiato ^. Leggo Druso
il figlio secondogenito di Germanico, non già Druso il vecchio»
poiché Ccesam tituhm numquam babuit; non il gìofane, che
figlio di Tiberio e nipote d' Augusto è ne' marmi distinto.
U altro marmo già tempo a Pieno di Valcamonica*, ora
nell' ateneo di Bergamo, cosi fu supplito dal nostro Labus ':
DIS • MANIBVS
DRVSI • CAESARIS • OERtAanici Fa.
Il Bravo, che fedelmente lo si accoglieva da^i errati apo-
grafi S ledendovi per quella vece divi caesaris gervanici,
imaginò Germanico divinizzato dai nostri Bresciani t mentre
> trasportavano a Roma le ceneri per T apoteosi • che mai
non ebbe, nò mai gli venne attribuita. Il terzo marmo è un
frammento che appio di pagina rechiamo \
i. Labus, Lettera 24 apr. 1828 pre&- ma II marmo che esiste aoa fa
to ioli. che malamente copiato.
S. ViNACCESi, Mem. Bresc. p. 239, 3. Marmi anlicbi brcse. ili. — nel ó-
n. il — Ormanico, Dell'antica tato brano di bozze.
Religione dei Camonni, pag. 2 — 4. Storie Bresc. lib. HI, p. 94»
P. Gregorio, Valcamonica illsstr. 5. D R U S I
p. 232 — Murai. Tkes. Inscr. pa- xim . tridun
gina 1807, n. 5 -* ed il Biemmi, che il Labus suppliva: Tito . CIm-
Stofie Bresc. t. I, lib. IH, p. 172 dio.hWJsi.FXoisari.Aug.Genik
sospettarono della sua autenticità; PoiU . maxm . tribvn . Potcsiak.
REPUB. E IBfP. DI ROMA 251
Ma Sejano, colto alla rete da Tiberio stesso, miseramente
fioiya i giorni suoi un anno prima che Druso morisse d'inedia.
Segaitavano altri tempi di più violenta e sospettosa tiranni-
de; e i decreti di morte yenivano dagli antri infami di Capri »
0 da qualche nido presso Roma, in cui quel lercio augusto
aspettava i rescritti dei consoli annunciatori, che il carnefice
e le Gemonie non quetavano. Ma Tiberio ancora sentiva man- n'
carsi la vita; e a' sedici di marzo tenutosi per morto, C. Ca-
ligola, impaziente di regno, facevasi gridare imperatore: quan-
d'eccoti novelle, tornarsene Tiberio in sé. Cesare agghiaccia;
Hacrone più coraggioso, che si affoghi ne'panfd sclamò: e
Tiberio mori soffocato *.
Fa principe che variò coi tempi la vita, scriveva Tacito:
diretta fama ne' giorni d'Augusto, coperto e simulatore in
quelli di Germanico e di Druso, tra buono e rio vivente la
madre, crudelissimo e perduto nel tempo di secreto sozzurre,
quand'ebbe di Sejano amore o sospetto; all' ultimo la die' pel
mezzo ad ogni scelleratezza, quando il rimorso e la vergogna
secondò sua natura K
Gajo Caligola^ pessimo figlio dell' ottimo Germanico, sa- »
Uva il trono. Strano, bestiale, ferocissimo ^, superò Tiberio,
del quale non avea pur la scaltrezza: lamentavasi perchè il
popolo non avesse un capo solo da recidere ad un colpo; e
Ufl suo cavallo, che si teneva a tavola servito in vasi d' oro,
era li per farlo console. Ballerino e commediante sotto Àpelle
ed Elicone, questo pazzo, emunto l'oro dei cittadini, veniva
*• SnroH. in Cajo, e 12. 4. Svetonius, in Cajo, cap. 24. —
^ Taqt. Ann. lib. VI, e. 51. Tacit. Ann, lib. VI, et in Vita Ar
^Ubos, (Epigr. Egiziana ecc.) fa- gricola. — Dio Cass. Hist.Rom,
^be Caligola imp. neir anno 37. lib. LIX.
252 REPUD. E IMP. DI ROMA
ad espilare le province nostre con un esercito di duecento-
mila uomini; e attraversò, desolò probabilmente Y agro bre-
sciano correndo la via Gallica per condursi al Reno: poi fu
nelle Gallio a far denaro; indi all'oceano, contro il quale
schierò 1' esercito, mosse battaglia; e ne tornò coi soldati ca-
richi di conchiglie, qual preda opima da portare in trionfo al
Campidoglio *• La spada di Cassio Cherea fini quest' uomo
infame, per cedere quel miserando impero a un' anima sci-
munita, a' Claudio Druso Germ<anico, fratello di Germanico
Cesare che, accovacciatosi dietro ad una tappezzeria del
palazzo tutto in armi pel grave caso, aspettava la morte. Pas-
sando un soldato, vistine i piedi, trassel fuori cosi allibito
dalla paura, e condottolo a' suoi, buttatolo in lettiga, levavanlo
in alto e lo gridavano imperatore *.
» Debole, ghiotto, donnaìuolo, governarono per lui donne
^ > e liberti: Agrippina, Messalina, Fallante, Narciso, nomi in-
• Huni 1. Che gli valse l'aver avuto maestri Seneca e Livio?
Pur cacciatosi in mente di voler sommettere i Britanni, com-
battuti sempre ^ ma sempre liberi ed in armi S s'è fatta una
guerra di qualche grido, non pel fatuo principe, ma pe'suoi duci.
Che se lo stesso Claudio navigò in Brettagna, accolte pel nulla
che vi fece non so quante salutazioni d' imperatore, lascia-
'^l^' tovi Plauzio e Vespasiano, uomini valorosi, che terminassero
l' impresa, tornò in Italia; e tornandovi probabilmente per la
via che novantasette anni prima di lui avea Dniso ai>erU
qual varco ai popoli danubiani, attraversò vai d' Adige ap-
presso i Benacensi per condursi al Po ^; né fu indai*no pei
i. AuREL. ViGT. De QBsarib, 3. SBRvirs, m Virg, Gc^. 1. UI.
2. SvBTONius, in CAaud, cap. 10. — 4. Strabo, Geograph, lili. II.
Josfipui AiUiquit. Jud. lib. XIX. 5. Plìn. Hut, Nat lib. III. e. 16.
REPtB. E nip. DI RcnrA 257
Veneti, perocché viste incompiote ancora le dne grandi vie
per ordine di Druso incominciate, ne comandò il compimen-
to; e tre anni dopo ^à venivano fomite di lor colonnello
militari K
E tra qne' cippi sono insigni quei di Contenere presso Fel*
tre, e di Maresch presso Bolzano, per cui si' apprende che la
basilica via di trecentocinquanta miglia, qvam . nnvsvs . pater
ALPiBvs . PATEVACTis . OEREXEUAT, fu compinta da Claudio
suo figlio nel 79^di Roma, 46 di G. C K
Nove anni dopo Agrippina sua moglie awdenavalo. Avea ^l^-
fermo che Nerone, figlio del primo suo marito G. I>omiziD
Enobarbo, avesse^ il trono, che al giovane Brit^mnico figlio di
Claudio era dovuto. E l'annuncio di Claudio morto e Nerone
imperatore fu ad un punto. Ma intanto che si allestivano le
cose, la feroce Agrippina avea stretto al seno v^ una stanza
remota Y innocente Britannico, come a struggersi per lui; e
Bon era che a tenerlo finché; Tannundo di Nerone imperatore
non fosse giunto air impaciente anima sua '. Quest' erano le
successioni: romane*.
Non aveva Nerone che diciolto anni; e fatto avvelenare ss
Britannico di quattordici, lo si levò dinanzi ^. Gittatosi a'chias-
si ed alle tresche^ imbestiali: a ventun anno avea già fatta
scannare la madre; e Smecà, il grave, il filosofico, uomo gli a»
(enea bordone '. Fatto istrione e giocoliere^ correva Cesare-
le vie sulle carrette colla cetra in man^ e circondato da una
canaglia infame, avea fatto di Roma un lurido bordello. Ucci- #»
dera la moglie per piacerà a Poppea; uccideva Poppea per
1. fiUMr Veni- Venete — t IV. 3. Tacitus, Ann. ìib. XII, eap. 6e
1 LkBUs, Mannì eit» pag. ii6. — e 69.
GoARNEai Ottoni, Via Claudia, A. Tagit. i4fifi. lib. XIU, e. 15»
1789. , 5. Tàcit. Ann. lib. XIV.
OMftici» Staiie Bt€t€. V«L L ni
DI r.
254 REPUB. fi IMP. DI IlOMA
rabbia ignota; mettea fuoco a Roma, ond* arse per olire a sei
di: e perchè non mancassero altre infamie, celebrava sue
nozze coli' eunuco Pitagora, onde fu messo in capo a Cesare
il mistico velo, fatti gli auguri, la dote, il letto nuziale;
nulla mancava ^ ... ed era imperatore.
Queste non erano che sventure di Roma. Adesso ven-
gono le italiche: perchè succhiellate le famiglie romane fino
all'ultimo centellino, fu addosso alle città d'Italia, e ne
sperperava le province intere con balzelli e taglie stermi-
nate; ed è probabile che pur la nostra venisse colta, se vuo-
tata ed esausta quasi V Italia intera, mandava poi per V Asia
e per la Grecia, e se vassalli collegati e città libere non
furono esenti da tanta rapina ^.
m' Ma ogni cosa volgendosi per Cesare alla peggio, sentendo
levarsi la stessa Roma contra di lui, quel brutale che per
quasi tre lustri Tavea straziata, si die' perduto. Ultimo ed il
più infame di tutti i Cesari, fuggi, trasse un pugnale, ne
tastò la punta, cercò chi l'aiutasse a darselo nella gola, ed
Epafrodito l' ajutò; ond' egli cadde con torvi occhi e di sas-
so ^. Così moriva Nerone Claudio.
Salutato imperatore dall' esercito e dal senato, veniva
Sulpicio Galba ad assumere V ambito grado. Vecchio avaro
e crudele, fu disamato prima che accolto.
n Ed eccoci a' tempi coi quali a^re Tacito la stona sua:
tempi di battaglie atroci e di più atroci congiure. Quattro
imperatori morti di ferro, tre guerre civili, avversità de'popo-
li settentrionali neiriUirio e nelle Gallio mal ferme, perduta
la Rritannia, sollevati i Sarmati e gli Svevi, sollevati i Pai ti
1. Tacit. Ann. lib. XV, e. 37. 3. DiON. CkSS,HÌ9t flom.l.LXin.—
2. Tacit. Ann. 1. W, e. 45; e Svet. Sveton. m NerQne, e 57. —
lib. VI. e. 38. Provincias privato^ EuscBius» tu Ckrot^ Eutropii;eA
rum.jue eensus prope exhansìL altri.
REPUB. E IMP. DI ROMA 27)5
ed i Daci. E quindi tremuoli ed incendi, e santità profanate, e
stupri e adulterj, ed isole riboccanti di confinati, e scogli mar
colati di sangue: quinci ferocità d' ogni fatta commiste a se-
gni di nobile sentire; opperò da un lato ire magnanime e più
magnanimi sensi ; dall'altro delatori ( peste infame quanto
il delitto e più) pagati a peso d' oro, a prezzo di consolati
esacerdozj: e tra splendidi esempi di romana Tirtù, schiavi
morenti piuttosto che tradire, e grandi che terminavano la
vita con alti e virili fatti, con laude antica e generosa.
Roma intanto pendeva incerta cui darsi: fra Ottone e Gal-
ba non v^ era tumulto, non quiete, ma torbido silenzio quale
nelle grandi paure o nell'ire compresse dei popoli esagitati ^'
Ma Vitellio, sostenuto dai presidi, dai pretori, dai Galli,
dai Germani, udita la morte di Galba, preparavasi alla guerra.
Diviso in due V esercito, l' una parte, alla cui testa era Fabio
Valente, avvicinavasi a Roma per l'Alpi Cozie, mentre Cecina
vi s' appressava per le Pennino coir altra.
L' imperatore, briaco da mane a sera, pesante e grasso,
trascinavasi lento lento da poi ^ dietro all' esercito.
L' intrepido Cecina, accertato tra gli Elvezj che la Sillana
cavalleria sul Po, datasi per Yitellio, avea tratte al mede-
simo partito Milano, Ivrea, Novara e Vercelli, forti città ^,
varea;va i passi dell'Alpi Retiche, mentre Ottone veniagli
contro con un altro esercito. Tutta Italia era sossopra per la
guerra civile, e quella guerra prevedevasi già che sarebbe
scoppiata nelle povere terre circumpadane.
Arrivarono intanto le genti di Cecina, e i Vitelliani già te-
nevano Milano, Bergamo, Brescia, Verona, tutto il piano
lombardo dall'Alpi insino al Po, U fior d'Italia^. Presero
1. Tacit. HùUtriar. lib. I, e 40. 3. Tacit. HUier. lib. I, e. 69.
1 Tacit. i/w/or. lib. I, e. 62. 4. Tacit. Hùtar. lib. U, e 17.
256 BEPUC. E niP. BI ROMA
intorno a Cremona la coorte di Pannonia, e cosi farono pa«
(Ironi delle rive importantissime del fiume. Gli Ottomani, che
le occnpavano in prima, si ritrassero in Piacenza.
Cecina passò per Italia tranquillamente; non licenza, non
crudeltà, ma superbo e vestito alla barbara, visitò le subal-
pine colonie, i municipi ^. Varcato il Po, fu sotto Piacenza; e
ciato l'assalto, dovette ritrarsene. L'anfiteatro piacentino fuor
delle mura, il più capace ed U più beUo d' Italia, arse in quel
fatto \ Ita indamo Y impresa. Cecina ripassato il Po, fa a
Cremona. Annio Gallo che, appostato lungo la via Postumia
nelle terre di Mantova e di Verona, movea per soccorrere
Cecina, udita salva Piacenza e ripassato da Cecina il Po,
fermossi a Bedriaco, chi sa forse il nostro borgo di Canneto ',
poco lungi dal fiume.
Cecina, che si rodeva delle sue sconfitte, presso Castore
a dodici miglia da Cremona prepara agguati e tranelli lungo
la via Postumia, sulla quale si trovavano gli Ottoniani. La
battaglia in poca d' ora si fa sanguinosa; cedono i Vitelliani
sbrancali per ogni parte, e al disfatto Cecina riparava in
qualche modo Svetonio Paolino col suonare a raccolta.
Valente, eh' era in Pavia, congiunte le proprie alle forze
del battuto compagno, stette in aspetto dell'inimico, che
appostavasi quattro miglia distante da Bedriaco, mentre
Ottone riparava in Brescello ad osservare col meglio dei
1. Tacit. Hist lib. II, e 20. Omaium faustusque ( Tagit. Hist lib. II,
ipsiiu mtmicipia H eolonias in «u- e. 23 ); ma si sa che dislava da
perfrtam irakebani, quad versico" Verona due posate militari, cioè
lori sagulo, bracas barbarorum quaranta miglia romane; ed era
tegmen indutue eie: sulla via Postumia che passando
2. Tacit. HìmU lib. li, e. 21. da Coito volgeva a Cremona. Cor-
3. È questione su questo vico. Be^ rea dunque lunghesso una parte
dnaeuermuauis cMihm uùtus in- deU' agro bresciano.
REPUn. E IMP. DI nCMA 257
pretoriani gli eventi. Gli Ottoniani furono i primi a muovere
le loro schiere: benché impedite ed angustiate tra carri e ba-
ga^^i rimescolati in sulle guaste vie, tra gli accorrenti o fuggi-
tivi, secondo ardire o viltà, pure accettavano la battaglia. Cosi
già stanchi e senz' ordini s'affrontavano a gruppi, a torme in
sagli argini della via, tra vigneti ed alberi e inceppamenti e
per le fondure dei campi e come a caso: si urtavano coi petti
e cogli scudi; poi gittate Y aste, si percuotevano colle scuri,
sfondavano celate e corazze.
Tra il Po e la via Postumia si attaccarono due legioni, la
Yitelliana XXI Rapace, la prima Aiutatrice Ottaviana; vinse
la XXI. Gli Ottaviani cedean sconfitti, ma pur lentamente.
Quand' eccoti Varo Àltieno coi Batavi, che rotti i gladiatori
sul Po, venivano ad urtare la battaglia degli Ottoniani: i
quali ornai non avendo più scampo, si rannodavano a Bedriaco
per vìa lunghissima impacciata di traini e di cadaveri, quaran-
tamila dei quali facean di sé lurida mostra. L'esercito di Vitel-
lio si piantò presso Bedriaco; la dimane quello degli Ottoniani
cercò i patti, e fu spettacolo commovente. Vinti e vincitori,
soluti in lagrime di miseranda allegrezza, si mescolarono male-
dicendo la rabbia civile; nelle medesime tende si medicava-
no le ferite dei fratelli b dei congiunti S piangevano fra loro
come in domestico lutto i morti compagni.
Ottone si uccise, e parve posata la guerra; ma non cessò lo
sperpero e la rovina delle nostre campagne: perchè i Vitel-
liani alloggiati a discrezione per le terre subalpine, spoglia-
vano, taglieggiavano, stupravano, rapinavano senza riguardo
né a sacra nò a profana cosa^; e non è a dire quanto la pove-
ra provincia nostra ne rimanesse malconcia.
1. Plutarchus, m Othone. — Dio sag. — Tacit. Ann. lib. II, e. 16
Cass. Hiif. Rom. lib. LXIV. — e seg. sino al e. 46.
SvrroNiUS, in Othone » cap. 8 e 2. Dispersi per municipia et calomas
258 BKPrB. E VMP. DI ROMA
L'ebete Vitellio veniva intanto dalla Germania a pìccole
giornate con una piuttosto marmaglia di giullari e baccanti che
soldati; fu a Cremona, visitò il campo della pugna. Sozza di
sangue, orrida per corpi laceri e fetenti, per ossa ammontic-
chiate n'era la terra, alberi e siepi calpestate od arse, ovun-
que solitudine e silenzio; e in mezzo a que'cadaverì e a quegli
orrori, strano a vedersi, la via Postumia parata a festa dai
Cremonesi con archi e .lauri e rose e fumanti altari. Impie-
tosivano i soldati allo spettacolo miserando; ma il corpulento
Vitellio passava oltre accogliendo con im risolino di com-
piacenza i sacrifici K
Un tempo nero si levava d'oriente anco per lui. Fla-
vio Vespasiano era gridato imperatore dalle sue legioni;
già compiuta era 1' impresa di Gerusalemme nella quale
avea compagno M. Nonio Minucio Macrino * nativo di Bre-
scia, tra i primi dell'ordine ejquestre e tra i pretori, cosi
modesto che nulla dell'opre sue chiese compenso '•
Fiero duce era Flavio; primo sempre nelle battaglie, di
e notte mulinava, cibavasi a caso, poco più nel vestire che
soldatello, simile ai duci antichi, trattane Tavarizia, era uomo
da ciò . Antonio Primo stavagli a fianco, già dannato per fal-
sano, poi rifattosi senatore, sprezzato dagli Ottomani, s'of-
ferse a Vespasiano; pessimo in pace, terribile in guerra, gli
valea tant'oro^
vUdlioHi spoliare, rapere, vi et Dro Ciss. HUt e. 41. — Tacit.
Mlupris poUuere: in omne fas et HisL lib. II, cap. 70-
nefas avidi aut veiiales non sacro, 2. Bianchi, Marmi Crem. p. 63.
non profanò abttinebant. — Tao. 3. Plin. lib. I, ep. 5. — LABus,Ep.
Hiéloriar. lib. II, cap. 56. bresc nuovamente uscita. 1830.
1. Jos£BUUS» De Beilo Judaico. — 4. Tacit. Uistor. iib. Il, e. 86.
REPUB. £ IMP. DI ROUA 259
GiontoaRoma Vitellio co' suoi trecconi, udite le nuove
inrauste di Vespasiano, mandava il suo Cecina con fanti e
cavalli a tener Cremona ed Ostiglia.
Antonio Primo, fulmine di questa guerra *, volava co' ves-
sniarì e coi cavalli alla volta d' Italia. Il prode Anio Varo,
forse de^ Anj nostri, gli era seco. L'uno e l'altro occupa-
vano Aquileja, Ravenna, Aitino, Padova ed Este; Si fermò
che il centro della guerra fosse Verona *.
Nel passare si prese Vicenza, la patria del fiero Cecina,
duce nemka benché venduto,, il quale intanto presidiata Cre-
mona, poneva V oste fra il Tartaro ed Ostiglia. Elntrata la di-
scordia fra le legioni, Antonio pigliò il destro per co^ierle cosi
divise. Venne con due posate da Verona a Bedrìaco ^ mandò
gli ^uti sul cremonese a satollarsi di preda, ed incontratisi
questi coi Vitelliani di Cremona eh' erano usciti a rannodarsi
coir esercito d'Ostiglia, Anio Varo fii primo ad offenderli, ma
fu respinto. Son^enne Antonio, rincalzò la pugna, e ributtò i
nemici alla male abbandonata città.
Era il 26 di ottobre; volevano i Flaviani neli' impeto della
vittoria prendere Cremona di viva forza, quand' eccoti V e-
sercito d' Ostiglia, forte di sei legioni, venire in soccorso dei
vìnti. S'arrestano i Flaviani; disponli Antonio, cosi tra il buio
della sera, per modo che dalla terza legione si tenesse l'argine
sulla via Postumia, ed il piano a sinistra dalla VII Galbiana;
occulta in un fossato la VII Claudiana, e posta fra le macchie: la
XIII, mette ne'fianchi la cavalleria: ma fanti e cavalli avvolse di
^. TxciT. Histor. lìb. II, e 1 Bicerra Islorica, ecc. — Vallar«5-,
2. Tacit. Historiar. lib. II, e. 8. in Chron, Eustb. ( S. Hyeronim.
^. Cu VRuio , hai Ant. lib. I — Op. t. XllI ce. ) Irovano rispop-
CtAGUAiiLi, Parere, § U ^ Uaffei, dere a Dedriaco l*alliule Gauncl^
2G0 REPIB. i: IMP. DI ROMA
tenebre la crescente notte S di cui già suonava l' ora terza.
1 Vitelliani, che sfatti per fame e per stanchezza andavano dif-
filati a Cremona, ove cibo e riposo gli aspettava, si trovaDO
tra quella oscurità circondati dall' armi nemiche. Rislanno; e
pongono come a tentoni la quarta Macedonica al destro lato,
la quinta, quindicesima e parte della nona Britannica nella
battaglia, la decimasesta, ventesimaseconda e prima a sinistra;
r Italica, la Rapace, i cavalli e gli aiuti all' azzardo.
Si venne all' assalto, e pendeva incerta la vittoria; quan-
do levatasi a mezzanotte la luna, scoprendo il campo, al-
zavasi a tergo dei Flaviani: e le lunghe ombre dei cavalli
e dei fanti raddoppiavano agli occhi dei Yitellìant 1' av-
versa armata, i quali col lume in faccia e discoperti, si vede-
vano assaliti da un nembo di saette uscenti dalla massa te-
nebrosa dell' esercito Flaviano che pur s' avanzava *. Oscu-
rato da qualche nube sparìa talvolta il raggio, e con esso la
vista del campo. Quotava allora la pugna, e tra loro quasi
uniti fraternalmente, come narra Dione, favellavano i soldati;
ma rotta la nube, ricomparsa la luce, tornavano agli sdegni
ed alla strage. Tutta la notte durò lo strano combattimento.
Apparsa l'alba, spuntato appena il sole, la terza di Sona con
alte grida, seguendo suoi riti, salutava l'astro sorgente: riten-
nero i Vitelliani che fosser giunti rinforzi all'inimico, e vol-
sero in fuga ^.
L'esercito vincitore corse a Cremona; ma circondata di forti
e di muraglie, fu d'uopo assaltarla: onde spartite le Fla-
i. Tacit. Hist. lib. Ili, e. 21 e 2S. favor di Vìtellio, ponevaco quei
2. Tacit. Hist, lib. Ili, e. 23. monuinento al morlo compagno
3. Un marmo è ancora, che il Labus nel luogo stesso della mischia,
ha posto in luce, di vessillaij che. Si veggano i Commentar] deli' A-'
battagliando in questa guerra a teneo di Brescia neU*anao ìtiìQ.
REFUB. E IMP. DI nOHA 261
Tiane legioni alle porte ed alle trincee, la terza e la settima
poqeTansi alla via di Bedriaco, V ottava e la settima Claudia-
na alla trincea destra, la tredicesima fu dair impeto traspor-
tata oQa porla bresciana K
Comparivano in questo mentre dai prossimi vici del cre^
nonese e del bresciano zappe, falci, picconi, scale, congegni
d'assalto; e fatta testuggine s'investirono le mura, oppu-
gnate e difese, dirò con Tacito, alla romana. I Yitelliani con
gran colpi di sassi infrangono e macellano la coll^ata testug-
gine; ma i Flaviani già scuotono le porte, e per la via della
testuggine rifatta saltano sulle mura; e qui mischia orrenda
dì sani, di boccheggianti, di moribondi agglomerati alla rin-
fusa in istrane attitudini ed imagini di morte. Il campo è fio-
$tro, gridò in quella una voce; e fatto nuovo impeto, la città
fu presa. Altre muraglie, altre porte, e soldati e popolo ere-*
monese, tutto dei Yitelliani, e mezza Italia concorsa per la fi^
ra che in que'giomi cadeva, restò a combattere, finché omai
sgominate le forze nemiche, si diedero a discrezione. In odio
a^i amici ed ai nemici, eppur sfacciato e tronfio uscia Ceci-
na il traditore in pretesta da consolo, nò i suoi littori lo
salvarono dalle maledizioni di un popolo venduto K Quaran»
tamila uomini, la feccia di tutto l' esercito, si rovesciò in Cre*
mona : gli abitanti fur messi a fil di spada; i vecchi e disutili
sgozzati e derisi, le fanciulle sbranate per istrapparsele di
mano, V esercito vario di lingue, di voglie, di costumi, gavaz-
zava in mezzo all' incendio, che quattro giorni durò, come
un' orda di demoni tra le fiamme delle bolge natie.
Arse ogni cosa; il solo tempio di Mefite restò davanti alle
mura. Cosi cadde Cremona quasi tre secoli dopo che la paura *
deli'inmiinente Annibale suggerì la costruzione delle sue mii-
I. Tacit. Hishriar. Ub. UI. e. 27. 1 Tacit. Hiti. lib. Ili, e. 31.38, 33.
D.C.
10
2&i nEPUir. E mp. di roma
raglio per fronteggiarlo al Po ^ Tomaya U popolo alle rovine
della patria, non mai forse cosi amata come allora che quasi
non era più; e templi e luoghi pubblici risorsero.
Terminarono cosi queTatti d' armi, che combattuti in gran
parte suIF agro nostro, pocQ meno che sotto gli occhi dei no*
stri concittadini» i quali Flaviani anch'essi yì battagliarono da
valorosi, ho creduto descriverli, seguendo Tacito il fiero ed
imparziale narratore.
La guerra si rovesciò intorno a Roma, e nella stessa città;
ond'arso il Campidoglio, ucciso Yitellio e (^ttato per le scale
giemonie, tutto volse a favore di Vespasiano.
Fermata nelF impero la pace, terminate le guerre di Ger-
ii mania e di Giudea, fu chiuso il tempio di Giano. Ristoratore
della scompigliata Rq)ubUica pensò Vespasiano a Roma,
cui rese il Campidoglio ^; pensò alle colonie della povera
Italia, ed esortava i Cremonesi a ristaurare la propria città ^:
e non è infondato il soletto che, riconoscente verso i Bre-
sciani pei soccorsi probabilmente prestati ad Antonio Primo
n^e batta(^e che abbiam narrate S e dai quali fu agevolata
la grande vittoria, abbia voluto rimeritarli collo splendido
edificio sulle cui rovine fu poi compiuto a' tempi nostri l' in-
signe museo*
I pochi resti della epigrafe, che a bei caratteri si le^ea
scolpita nel fregio del magnifico prospetto, dottamente sup-
plivansi dal nostro Labus per questa guisa ':
i. Tacit. HUt. lib. ni, e. 3i. veetani. Tum, datò super eapits
«. Tacit. HUt. lib. lU, e 53. seutis eie, - Tac. Hist. I. HI, e 27.
3. Tacit. Hist. lib. Ili, e. 34. 5. Ladus, Antichi Monuin. scoperti n
i. E proxfmis agrit litjones^ dola- Brescia 1823, pag. 117. — Blusco
hras, tt olii falces scalasque cow" Brest. Iliustr. t 1, pag. 41 e sci;.
ÈErUB. E IMP. DI ROMA 2C3
• m
iMT • CAES ' vEsPASIANVS • AvGVSTvs
fmtbibpoteSTIIII-IMP-XPPCOS:IiiICENSOR
DaUa quale risalta che l' edificio medesimo fu dedicato ^ìl'
nel primo semestre dell'anno Varr. 825, 73 dopo G. C. *.
Taccagno era il principe alcuna volta per Toro, ma splen-
didissimo per fabbriche ed arti. Le pubbliche strade del
Tasto impero furono da lui risarcite; città parecchie cadute o
roTinate rifece di tutto punto; fonde colonie pel vasto impe-
ro ^: tanto più dovrebbero congetturarsi protette e ristorate
le sobalpine che decisero della sua vittoria.
Morto Vespasiano, riordinatore della sovvertita Roma, n
Tito Flavio gli succede V2^ eragli figlio di sangue e di vir-
tù, e in questa per animo clemente lo superò. SI bella vita
in un attimo fu spenta; e Domiziano il fratel suo copertamen-
te la insidiava, sicchò incerto ò ancora se morisse per colpa
di quest' avido, che agonizzante ancora T ottimo Tito, face-
vasi chiaatnare imperatore. te
Superbo, invido e soro, immaginava guerre e trionfi '
con lunghi traini di gente rasa e vestita da prigionieri, p^a-
ta per quelle finte.
Fu intomo a questo tempo che i barbari cominciarono a
scuotere più fortemente il giogo della romana servitù. Più
volte Domiziano fu in Germania: vi si conduceva con eserciti
sbrigliati; e sciagurate le italiche province attraversate da
lai ^ Ma non erano che mostre: tornava poi per le saluta-
si
1. Lab. Nel I toI. del Mas. Bresc. p. U. 2. Aurbl. cit.
AuASLius Victor, ìii Bnv, e le 3. Tacit. m Ajfrieola, e. 99.
iascr. del Gratero e del Moratorì. 4. Plin. in Panegyr.
264 REPUB. E IMP. DI ROBIA
zioni di Germanico e di Dacio, benché lo si sapesse dei Daci
^ villssimo tributano ^ . . . e Stazio ne cantava i trionfi!
'' Morto Agrìcola, Domiziano proruppe quasi turbine in ogni
efferata sevizie : morti senza fine, e carceri ed esigli, e san-
gue per tutta Italia \
Immischiato d' infame amore colla bellissima e voluttuosa
Giulia di Tito sua medesima nipote, e sposa di Flavio Sabi-
noi uccisole il marito la si prese per moglie; e avendole dato
poco appresso il titolo d' Augusta ', fu salutata, festeggiata
da tutto r impero. Allora forse i Trumpilini e i Benacensi
ponevano a Giulia il marmo ^ scoperto ad Urago di Mella
che ora si legge nel cittadino museo, ove serbasi ancora una
rara sua protome in bronzo dorato.
I V L I A
A V & V S T a
DI V I • T ITI
TRVMPLINi
ET*BENACENSes
Quivi appare il vero nome di lei: erroneamente dicevala
Sabina il Paravia. E di fatti, chi avrebbe ardito, vivente Do-
miziano, eternare sui marmi e sulle monete con un epiteto
importuno i più nefandi delitti di quel violento ? E non è
improbabile che i poveri valligiani volessero blandire V amo-
revole Giulia, onde per lei meno affliggesse V imperatore
i. SvETON. in Domitiano, e. 6. — 3. Svbton. in Domit, e. 22. — La-
Troya, Storia d* Italia del Medio . bus. Museo di Mantova, t I.
Evo, U I, parte II, pag. 537. i. Labus, Mus. Bresc. 1 1, p. i77. Ma-
8. Plul m Panegyrico, et lib. VII, lamente pubblicalo dal Vinaccesi
epist 14. — Tacitus, in Vita (p.20i.M.B.),dalCoinparom(Stor.
Agricola, e. S, ecc. delle valli Trùmpia e Sabb. p. IG).
anruB. e imp. di roma 265
le loro terre ne' suoi frequenti passaggi quando recavasi ol-
tr'Aipe a quelle immagini di guerra ch'abbiam cennate. Av-
Tegoacbè» non gii quale di principe amico era la sua venuta,
ma come di barbaro devastatore; ed erano nunci al venir suo
gl'incendi e le rapine. — Volendo uccidere la moglie, Domi-
zia lo prevenne, e fu scannato da un pugno di congiurati.
Se, come parrebbe al Labus S M. Coccejo Nérva saliva
il trono cesareo nel 18 sett. del 95, è duopo riferire a
m
queU'anno la morte di Domiziano. Certo è che de^ sodici
mesi ne' quali fu imperatore, giorno quasi non fu che ri-
cordevole non andasse per qualche sua beneficenza: pro-
scritte le infami spie, minorate le gabelle, aperti ricoveri al
derelitto; e la chiesa del vero Dio non solamente respirò, sed
éfjom daUm ef floridius' enituU *. Con tqtto ciò non è senza
meraviglia la povertà de' suoi monumenti onorar], però che
mentre a que' mostri di Commodo, di Tiberio, di Caracalla
tanti se ne ponevano, la sola Brescia del buono e generoso
Nerva era memore coir innalzargli una statua. E forse questa
ancora g|i sarebbe mancata, se Macrino ed Àciliano non aves-
sero, come può supporsi', persuasa la Curia Bresciana a de-
dicargliela. Ed eccovi alcune induzioni. — L'insigne Lucio
Giunio Àruleno Rustico venia dannato da Domiziano a morte ^
Giunia Rustica* accasata in Brescia con Minicio Àciliano, era
fij^ia dell'infelice'^: ed è noto che a Minicio questore, tribuno
e pretore * fu patria questa città, ex iUa mstra Italia, dice
dal Mazzoldi (Slremui brese. 1851, Tamenle uscita dalle escavazioni
pa|. 56); più esatlam. dal Bru- bresciane. Milano 1830, pag. 9.
nati ( Mui. Beuaum, ElhtUeum, 2. Lactantius, De Mori, Penec e 2.
Ci Hisi, Mu, eie.). Anche il Mu- 3. Labus, Epig. éit - pag. 7.
mofi ( T. VeL Ine. pag- 1089, 4. Tacitus, m i4^rie. cap. 2. — Dio,
B. 1 ) lo iacea manchevole di due lib. LXVII, e 13.
righe. 5. Plin. lib. I, ep. 14.
i. L.1BU6, Di un* Epigrafe ant nuo-- 6. Plin. lib. I, ep. 14, 15; II cp. 10.
266 REPUB. E IMP. DI ROMA
Plinio, qu€B muUwn adhuc verecundke, fmgàlitatisy aique eiiam
rusticitaiis anttqme retinet oc serbcu ^; come gli fu padre quel Hi-
niciaMacrino pur nostro, che fra i primi dell'ordine equestre,
reduce dair assedio di Gerusalemme, benché volesse Valen-
tiniano colmarlo di meritate onorificenze, preferi vitere in
patria nel silenzio e nella tranquillità de' lari suoi K
La morte di Aruleno e l'esilio di Gratilla sua moglie dorea-
no giugnere a questi ed agli attinenti loro, che ve n'erano assai
tutti di gravi carichi insigniti, oltre ogni credere aceiiri; e do*
lorosi non eh' altro all' intera città, che nell' oppressione de'
migliori suoi avvisava la comune sventura. Onde appena fu
sparsa in Brescia -la morte di Diocleziano e 1' assunzione al
trono dell' ottimo Nerva, e t'aver egli restituita agli amici ed
ai congiunti Gratilla ', può bene congetturarsi che i decu-
'ft*" rioni bresciani attestassero la letizia loro col dedicare nel
tempio di Vespasiano a Coceo Nerva una statua, del cui ba-
samento restaci ancora un brano di epigrafe dal nostro La-
bus co^ supplita ^:
IMP • NERVAE
caesaRI * Avo
gerM • PONT • MAX
TR • pOT • Il • IMP . ITER
cos-llll-P-P
D * D
M Morì Nerva dopo eletto a successore Mano Ulpio Trajano,
eh' era spagnuolo. Trovavasi questi nella Germania; un solo
i. Plin. lib. 1, ep. U. iu$tii8imo quoque ìttìkonm oc
% SvBTON. M Vesp, e. 9 narra che provineialium tuUeeio.
Vespasiano ampliisimoi ordinu 3. Plin. lib. I, ep. 5.
edbaiMlof coAt varia iupplevii ho^ 4. Epìgrafe scoperta in Bresc ec. p. i
tlEPUB. E IIIP. DI ROMA
267
proponimento avea, quello di sovrastare a tatti nella virtb :
pochi lo imitarono, nessuno V agguagliò.
Scese in Italia questo modesto senza rumore di traini e bac-
cano di sfrenata bordaglia; e ne stupivano le nostre subalpine
città, memori ancora di Domiziano ^ Fu a Roma, ;a piedi vi
entrò, di tanto più caro. Gran capitano, grand' uomo di stato,
temperò le potestà, rese al popolo i comizj, al senato la li-
bertà delle elezioni: poi monumenti e strade pubbliche e
splendidezza romana e guerre contro i Daci, i Parti, gli A-
rabi, gloriose sempre ^ sicché stese i confini oltre a quelli di
Angusto. E que' Daci, eh' altro ii^ne non erano che i Galli
Ceti (al cui famoso Decebalo avea Domiziano poc'anzi
pagato tributo), aggiunse alle provìnce romane '. E in tanta
letizia di tutto V impero è a supporsi che le città subalpine
nelle frequenti spedizioni d'Adriano per la germanica guer-
ra accorressero plaudendo al suo passaggio lungo le vìe
romane che adducevano al Danubio ^; com' è probabile che
Brescia ancora qualche volta ricevesse tra sé, od avviato
contro i Daci, o di ritomo dalle vittorie, o dalle galliche o
germaniche perlustrazioni, Y ottimo ' dei principi.
Poi si diede all'oriente, e assoggettava l'Armenia, la Me-<
sopotamia ed altri siti colà; fu contro i Parti, e n'ebbe la
capitale ^ e Partico fu salutato : ma i Parti erano stati vinti.
Die
n
1Q7
114
111
i- Dio Cass. Hist. Rom, I. LXVIU.
^ Puh. t» Pancgyr, Trojan,
^ Tbota, Storia d* lUdia -- tom. I,
parte U, pag. 539.
^ Wo, L cit — Iscrizioni della Tra»-
ùlTuùa pnbb. dal Grutero ( Corp.
^'crj e dal Muratori, nelle qoali è
^elto della Colonia di Sarmigetusa.
^ Sospetterei dedicatagli in uno di
qae^suoi passaggi per TAlpi dt
Marco Apuleio legato nella Rezia
la pietra che il Giovanelli e il La*
bus ( Manno di C. Giulio Ingenuo
illustrato, Milano 1827) han pub-
blicata: imp . nerVA . traìaHO •
ecuuKE . aug . ^m . dae •
f , m , ecc. ecc.
6. SPARTIANUS, in YUa Hadriam.
ut
2G8 KEPUD. E IMP. DI ROMA
noD domi; e Trajano già sentendo vicina la morte, Tide
^^n prese dagli indigeni le terre che loro avea tolte.
Elio Adriano cugino dell' estinto, e già nomato saecessore
dallo stesso Traino per incitamento di notina sua moglie,
ascese al trono ardentemente da hù deaderato. Rappattumate
alcune paci coi popoli d' oriente, che il sno predecessore avea
conquistati, ne abbandonò V impero. Uomo più da corte che
da campo, invido della ^oria del trapassato *, poco mancò
che non restituisse la Dacia ai barbari \ Generosissimo nei
primordi suoi, rimetteva il tributo coronario (un balzello che
si pagava per le vittorie degli imperatori e per le assnuioni
al trono) a tutte le città d' Italia, perdonava i debiti assunti
verso r imperp da tutti i privati da sedici anni in pd. Sap-
piamo di lui che la Curia di Como, ufficio di molta importane
za e proprio dell' ordine senatorio, affidava a Publio Clodio
Suro', distintissimo personaggio bresciano ch'avea fatto ezian^
dio curatore di BerganK>.
Abbiamo di lui questo marmo emerso da' ruderi ddla feI^
brica antica sulla quale fu eretto il tempio di Vespasiano.
Non ò che misero ma importante frammento; e noi Io dare- '
mo come dal Labus venne compiuto S
M • AGRIPPA
UIP .CAJES .DIVI . TRMANI . PARTICI * FIL .DIVI . NERV AE . N
TRAINVS . fUDRlAMVS • AVG . PONT • BfAX . TRIB . POT .11. COS . li
In altro marmo ancora, emerso air aprico fra le. macene
del tempio di Vespasiano, è ricordanza di queir imperatore»
i. EuTROPius, in Breviar, 3. Gmtero» p. ^2^ o. i.
2. Trova, Storia d* Italia — tom. I, 4. Di un'antica lapido egizia scojperU
parie il, pag. 587. dal BeUonL Uilaiio, Ì92!L
REPUfi. £ IMP. DI ROMA 269
È inedito ; e noi lo vedremo, discorrendo pib innanzi dei
collegi.
Una testimonianza della devozione degli arcavoli nostri
per quel principe libéralissimo parmi ancora il tempio che in-
nalzavano a Plotina Augusta, da cui esso riconosceva l'impero.
Lei defonta, volle Adriano che altissimo corruccio se ne fa-
cesse; ed è naturale che alle onoranze di Roma per la vedo-
va di Trajano si unissero pur quelle di tutto lo stato : e a
quel modo che lo stesso Adriano le avea costrutto nella città
di Nimes un tempio insigne S altro tempio le dedicavano i
padri nostri, del quale Procilla, moglie di Sesto Valerio decu-
rione delle città di Trento, di Brescia e di Verona, appare
in im bel marmo sacerdotessa K
E qui comincia la parte più intralciata in quanto attempi
della vita di Adriano, e più de' viaggi suoi. Tillemont', Pagi S
Eckhel^ Mezzabarba^ Bianchini^, Muratori^, Greppo ' non si
accordano fra di loro, e nessuno storico antico diede un ordine
cronologico ai fatti di quel principe: voler sopperire al loro
silenzio sarebbe presunzione. Tuttavolta potrebbe supporsi
ancora che un viaggio italico d'Adriano avvenisse nel 120,
come Labus *^ Brunati " ed io stesso altravolta " scriveva.
Abbiamo da Dione Cassio *^ che circa il 119 recavasi Adriano
contro i Sarmati ed i Bosolani. Questo afiérmerebbe Sparzia-
^* SpARTUNUS, in Adriano. — - Per 5. Dottrina Num, Vekrum.
idem tempu9 in honorem Plotinm 6. Numismal. Imperai.
boiilieom apnd Nemausum opere 7. Ad Anastasiim.
atrabili extruxit. Sul che yeggasi 8. Ann. d*ItaUa, a. 121.
fl Casanbono. 9. Voyages d'Adrien. Paris, 1842.
^Iabus, Tribù e Decur. p. 18. — 10. Fasti della Chiesa, e Museo Bre-
MoRAT. iV. T. y. Inscr. pag. 163, sciano illustr. l. I, pag. 175.
^1 — Mem. Cenom. p. 88; e il. Leggendario dei Sanli Bresciani —
quivi r annotazione del Sambuca. pug. 15 e 23.
^- Mémotref des Empereure, 12. Brescia Romana. — Il Campidoglio.
^ CrUiea in Ann. Card. Ban>n. 13. Hist. Rom. lib. G9, e. 5.
<^Bma Starig Brac. VoL I. l#
Di C.
121
I2C
133
270 REPUB. E IMP. DI ROMA
no ^ Eutropio di converso racconta che non si mosse ^; e la
cronaca alessandrina ^, seguita dal Pagi S che tutto era volto
all'impresa di Gerusalenmie. Nò le medaglie adventvi avo.
GALLI AE =^ GERMANIA = ADVENTVI AVG. rTALIAE =ss ADRIAN VS
AVG. CO. ni. EXERGiTvs RAETicvs s. c. ' souo monumenti da
togliere slitte date ogni dubbiezza, perchò il III consolato
ascrivesi tanto al 119 in cui l'ebbe, come agli anni con-
secutivi, ne' quali, non essendo più stato console, fu il III
ripetuto. Sola rimane, debolissima face, la potestà tribunizia.
11 perchè la sicura notizia ^ di suo passaggio nel 120 per la co*
Ionia bresciana ò tuttavolta un po' dubbia.
I tempi de' viaggi suoi ravvolgonsi ancora nel mistero; nò
certo avremmo toccata l' ardua ricerca, se questi non si legas-
sero colla storia de' primi martìri bresciani, de'quali terremo
a miglior luogo discorso.
Per induzioni, che qui risparmieremo, sembra che intomo
all'anno Varr. 876 intraprendesse Adriano un italico suo
viaggio, arrestandosi com'ò noto pressoché ad ogni città, os-
servatore minuto e rigoroso di quanto riguardasse l'ordine, il
ben essere, la sicurezza loro; indi presa probabilmente la via
Emilia, poi la Gallica, nelle Gallio si conduceva. Di colà pas-
sò in Germania; visitò i campi e vi rimise la militar discipli*
na: poi fu nella Bretagna ^, ov' altri abusi divelse e moderò.
Indi reduce nelle Gallio, visitò la Spagna ^ e cosi via Del-
l' Àfrica, neir Asia minore, per tutto l' oriente, ultima serban-
do la Sicilia. Nò qui ristette; ma in Affrica, ma nell' Asia ri-
tornò, sempre in volta per tutto Y impero.
1. Audito tumulto , Sarmatarum et 4. In eU. Crii.
Roxolanorum , Mmnam petiii. 5. Eckhel, D. N, V, t VI. AdrìanMì-
Spart. tn Hadriano. 6. Mus. Bresc. illustr. 1 1, p. 176.
2. In Breviar. 7, Spàrtianus, in Hadriano.
3. Cronich. Paschaìe, Il HistBysanL 8. AuL. Gbll. lib. XVI, e. Il
REPLB. E IMP. DI ROMA 271
Elettosi poco tempo dopo un cattivo successore — L. Elio ^\[i'
Vero — che poi mori, fattone un altro assai migliore — Anto-
nino Pio -— , attristati gli ultimi suoi anni con alcune morti
(poiché invecchiando pendea nel crudele), restò dal vivere a
Bajanel 138 dell'era nostra ^
Ma in quale de' primi anni di que' lunghi suoi viaggi comin-
ciarono le sue persecuzioni contro i martiri Faustino e Giovita,
cbe poi furono da Italico suo legato dannati a morte ? Vana
ricerca.
L'ab. Bronati s'accosterebbe adesso al Birago, congetturan-
do il martirio nel 135: ina per dissentire di date non è però
man vero. Se temperato fu il secondo nell' accogliere pro-
dìgi senza necessità, dobbiamo al Brunati una vita crìtica
e severa, spoglia di quanto vennero miseramente quegli
atti preziosissimi infarciti; perchè v^ hanno intomo ad essi
tradizioni e leggende strane, ridevoli, da mettere in perì-
colo il po' di vero che dagli atti evidentissimo risulta ^
desanti per quanto sembra dai medesimi atti proconsolari.
HI.
FATTI NOSTRI DAGLI ANTONINI
SINO AI COSTANTINIANI
Eletto imperatore Tito Elio Adriano Antonino Pio t accrèb-
> bela pace, l'ordine dell'impero, e si contentò difenderlo pe'
* suoi legati contro alle genti che l' assalivano d' intomo ' » .
i. Capitoun. tu Mare, Aurei, IìIartinengo — Zacchi *- Coz-
1 Parecchie Leggende dei ss. Martiri zamdo — Paino, ecc.
Faustino e Giovila. — Canale — 3. Balbo, Storia d' Italia. Età III.
Di e.
272 hepub* g imp. di roma
Veramente non fu di lai, dopo Trajano, principe migliore;
il perche a gara le città d'Italia n'esaltavano la clemenza
iM* e la pietà: e non è meraviglia se, appena salutato console per
la seconda volta, un Collegio Bresciano probabilmente sacer^
dotale, ma del quale son dubbie le mansioni e gli attributi, agli
altri Cesari adepti suoi lietamente l' aggiugnevs^ e questo ri-
sulta dal marmo inedito e prezioso quant' altri mai, che dare-
mo altrove. Usci dagli scavi del patrio museo Tanno 1825:
monumento singolarissimo, de' pochi a quali possa darsi il
nome di palimsesto marmoreo, avvegnaché sul!' abraso nome
di alcuni Cesari altri nomi venissero scolpiti.
Sotto il buono Antonino passarono alcuni anni veracemente
tranquilli: limitò i privilegi fiscali, ristaurò templi, porti^ acque-
dotti ed altri edifici; pubblicò savie leggi ricordate da M. Au-
relio ^ e da s. Agostino \ altre severe troppo ne cancellò h
il sacro titolo di Padre ddla Patria che gli fu dato, pochi al
pari di lui si meritarono.
ici Marco Aurelio Antonino, che qual suo figlio adottivo gli
succedea, diede V esempio di un filosofo sul trono; né fu tale
per albagia, ma per opere, natura, convincimento; e Giuliano
l'apostata, che è tutto dire, lo rispettò ^. Se non che un atto
fatale e senza esempio fu quello al certo di accomunare al
trono Lucio Vero, a lui non attinente che per adozione del-
l'estinto Antonino. Fu segno d'anima generosa, ma funesto.
m Un anno dopo dall'ultime sedi dei popoli settentrionali
levavasi rumoreggiando Aerò turbine di guerra. Parve a' bar-
bari giuntò il tempo della riscossa; e premuti chi sa forse a
tergo d' altre razze di barbari più lontani ^ o indignati del
1. M. AuR. De Rebus suis; lib. I, 3. Zonar. mi Annal. — • Pausanias,
cap. 16. lib. vili.
2. ÀUG. De Adulter. Conjug. lib. IL 4. Julian. De Ctesaribiu.
cap. 8. 5. Capitolinus, in M, AureJ.
REPUB. E IHP. DI ROMA
273
lungo senaggio, giuraroDo d'infrangerne il ferreo nodo. Celti,
BribDoi, Daci, Sarmati ed altre fiere genti furx)no in armi ^
L' oriente anch' esso tumultuava. Ma i due consorti Augusti
quotavano que' bollimenti dei Parti e degli Armeni, ed Artne^
niad li salutava Y impero, alla cui letizia per tanta vittoria
affiratellandosi i Benacensi, ne tramandavano a' posteri la me*
morìa con un marmo letterato che leggesi ancora presso
la chiesa di Caino, terrìcciuola del comune di Toscolano, che
noi continuando la serie promessa dei patrj monumenti, vi ri-
portiamo dietro il facsimile dal nostro Joli con somma esat*
tozza rilevato '.
La nostra lapide, che molti con qualche differenza rìprodu-
covano ', porta realmente il II consolato: ma gli è forse uno
sbaglio delio scultore; come non esiterei correggere la potestà
tribunizia, sostituendo — tris . pot . xvii . cos . in —, alla qua*
lo dizione ottimamente rispondono gli annali di quella età S
lo aureliane monete ^ e più di tutto il marmo Panormense
ch'io tengo dell'anno stesso, e che il Muratori ed il Reinesio
ci portano ^. Né l'epigrafe benacense debbo ascriversi tra quel*
Die.
U4
1. Trota. Slot. d'It. 1. 1, par. Il,p. 6i4.
1 Nel patrio Museo. Classe Storica.
IMP - CAES * DIVI
ANTONINI • AVG
PII • FIL • DIVI
HADRIANI • NEP
mn . TRÀIANI . PAR
THICI . PROnSP • DIVI
RERVAE . ABUEP . H . AVRE
LIO . ARTONDfO . AVG . AR
■ERUGO . POKT . MAX
TUR . POT . xvini . IXP . U
cos . II
R£rUC£?IS£S
3. ViNACGESi, Mem. Bresc. pag. 200,
D. 1. — Grutero, Corpus Inscr.
pag. 260. — Gratarolo, Storia
della Riviera di Salò, pag. 84. -^
Gattanko, Giornale* pag. 25. ^
Panvinius, Antiquiiate4 VaroneiH
ges, p. 225.
4. MuRAT. Ann. d* Italia, a. 164.
5. ECKHBL, Doctr, Num. Ve/er. t. VII.
— Aurelius Antoninus,
6. Nùvus Thet. Veter. Inscr. Cloisù
HUtofiea, U I, pag. 240, n. 1. --
Reinesius, Classe III, n. 24. —
MBD10B.VRBUS, ih NwnUtMi. lì^
peraL
274
REPUB. E IMP. DI ROMA
Di C.
lei
l«7
t«t
i«»
l6 che al principe si posero neir ultima e più strepitosa vittO'
ria poco dopo sui Parti ottenuta S e perchè sarebbesi fatto
cenno del suo coUega Lucio Vero ricordato in tutte le lapidi
che a quella vittoria si riferiscono ', e perchè ottenevano al-
lora tutti e due V acclamazione imperatoria terza, e perchè
il titolo di Partici fu loro aggiunto ^.
Ma queste vittorie si funestavano per un'altra sventura. La
corte di Lucio Vero, corte di saltimbanchi e giuocolieri, por-
tava con sé la peste contratta in oriente ^. Da Roma dila-
tavasi poi per l'Italia e per le Gallio insino al Reno, disertando
province intere: la Venezia poi ne fu desolatissima '. Arrogi
a questo il vivere scapestrato di Lucio, degno dei tempi infa-
mi di Caligola e di Nerone; le risorte audacie dei Marcoman-
ni ^ di tutti i popoli settentrionali dall' ultime rive dell' oceano
sino a quelle del mar Nero, varj di nomi, di lingua, di na-
tura, non uguali che neir odio e nel disprezzo contro i Ro-
mani ^ Per cui M. Aurelio e L. Vero seguiti da validissimo
esercito si portavano nella Venezia.
Ma poco stante, alla peste che nell' esercito infieriva s'ag-
giunse la morte di Vero, avvenuta fra Concordia ed Aitino,
i, LUCI.VN. De Consertò, HUloria,
% Grut. Corpus Imct. Class. HisL
— MuRAT. Piovus Thes, ci<« 1. cit.
3. MuRAT. Annali (a. 165, 166.) --
EcKHEL, D.N. V. l VII, p. 51.
4. )UL. Capitol. in L. Vero et M, Au^
relio. .— LuciAN. Dt Conscrib.
Hist. — AxM. Marcelu 1. XXIU.
— Orosius, Histor, lib. Vili. —
Supporrebbe iJ Labus di passag^o
in quest'anno Lucio Vero coire*
sercito da Milano, indirizzalo con-
tro i Marcomanni (Monum. epigr.
ant. della città e prov. dì Milano,
Giom. dell* Istituto, 1845). Io con-
getturo che del 167 non pas-
sassero in Germania che due suoi
generali.
5. EUTROP. e. 71. - AUREL. VlCT. «
Aurei. " Aristid. in Orai, - Dio,
Hist 1. LXXV. ~ FiLUSi, Man.
dei Veneti, tom. IV, pag. 391.
6. Capitol. in M. Avr. — Dio, ^Tix^
lib. LXXl.
7. Troya, Storia dltalia, 1 1, par. II,
pag. 616 e seg.
• •
RK̻rB. E IMP. DI ROMA 275
ma scorreria di Marcomanni, cacciatisi arditamente con
dito esempio fino alla veneta Piave ^. Aurelio, tornato a i^i ^
a, stremo di militi spazzati dalla moria, schiavi, banditi, *'^
atori, tutta la bordaglia dei popoli raccolse in legioni, e
indusse in Pannonia, ove respinse i Marcomanni al Da- ^n
0. Altre germaniche vittorie coronarono per più anni
i-i79 di G. C. ) Tarmi di M. Aurelio, che la colonna
nina porta raffigurate; e vi è singolare una pioggia ri-
itrìce ad estinguere Y arsura dell' esercito romano \ rap-
entata da un Giove che la rovescia sui militi assetati,
urelio rimase vittima della pestilenza che nelT esercito in
eggiava '.
he fatto alcuno di guerra seguisse allora nelT agro subal-
non risulta. Narra Capitolino per quella vece ^ che,
loriti dell'apparato, i popoli settentrionali mandavano
augusti in Aquileja proteste di sommessione. E forse allo-
per si facile conquisto ponea Marco Satrio a Cavato-
mi cremonese quella Vittoria di bronzo dorato, che fu
erta nel 1836 ', recante intomo al globo, so cui poggia,
igrafe:
VICTORIAE • AVG
ANTONINI • ET • VERI
M-SATRIVS- MAJOR
JTROP. ift Breviar. allora fu detta miracolosa, alle
0 Cass. lìb. LXXI. — Capitol. preghiere dei cristiani miliUnti
i M, Aurei — Themistius, in in gran numero neir esercito di
hot, ad Imper. Theodos. — Clau- M. Aurelio.
lAKUS, in Setto Consolatu Ho- 3. Vulcatius Gall. in Avidio Cassio,
orti. — CusEB. Hist. EccL I. V, — Dio Cass. HisU Rooi. lib. LXXI.
. 5. — Teiìtull. Apohget, e. 5. [ A. Capitolin. in M. Aurelio,
" Cito questi ultimi cristiani au- 5. Labus> Mus.Bresc. ili. 1. 1, p. 137.
ni attribueuti quella pioggia, che Marmi Ànt. Dresc. — pag. 104.
276 REPCB. £ UfP. DI ROMA
Potrebbe anche dirsi locata nel ritorno degli angusti (UI-
la Pannonia e dairiUirio, dove riescirono a mettere in para
quelle povere terre corse dai barbari S onde n' aveTaDO 0
titolo d' imperatori per la sesta volta \
Principe incomparabile fu Marco Aurelio, ma cui dobbiamo
il tristo esempio di colonie barbare da lui stanziate ed assol-
date neir Italia subalpina e più nella Venezia ', e quello de-
plorabile non meno di due augusti sul medesimo trono.
Tuttavolta, fortunato Y impero se un uomo di simil vaglia se-
guitate ne avesse le magnanime vestigia. Ma di converso a
tanto principe uno pessimo seguiva, ed era suo figlio.
Marco Aurelio Antonino Gommodo troncò la bella serie
di quegli augusti che da Nerva in poi riconfortavano V im-
pero. Tornarono i tempi di Caligola, di Nerone, di Domizia-
no, e forse Commodo que'suoi predecessori sopravanzò. Tro-
vavasi egli sul Danubio: udita la morte del padre, scese in
ibi" Italia per avviarsi a Roma; e le città subalpine, memori di
Aurelio, ne festeggiarono a gara la venuta ^: ma ben presto
svanirono quegli amori e quelle speranze. Comperata ooa
pace coi Marcomanni, si gettò nel lezzo d' ogni bruttura; vile,
crudele, sospettoso, dissoluto, facea l'Ercole, T istrione, il
gladiatore in sui teatri; e attorniato da trecento meretrìci, la-
sciava Roma in balia degli avidi liberti, che la succhiavano
"I infino air ossa. Avendo i Brettoni riprese V armi, Ulpio Mar-
cello ne gli sperdeva. Ed ecco l'augusto salutato imperatore
per la settima volta ^, maravigliandosi che stando per le bi-
sche e fra i trecconi fioccassero trionfi a buon mercato; sicché
!• EusKBius, in O^ron. pag. 395. — Murat. Aon. a. 175.
«. EcKHKL, D. N. Vet. t VII. — Quel — Dio Cass. Kb. LXXI.
mooum. che stette a lungo nel no- 4. Dio Cass. lib. LXXIL — Luipri-
stro Museo, passò in mani straniere. dius, in Commodo,
3. FiLiASi, Memorie Venete, tom. IV, 5. Mbdiobarb. in Numism, Imp,
REPOB. E IMP. DI ROliU
277
gli storici noD sanno capacitarsi del trovarlo dne anni dopo
acclamato imperatore per V ottava S essendo console per la
qninta volta.
Poco appresso, e correndo la tribunìzia potestà sua XIV,
il soldato Aulo Materno, uomo di maravigliosa audacia, ordi-
va in Roma una congiura contro di lui ^ ; se non falliva Y in-
tento, r oscuro gregario avrebbe avuto e statue e consolati e
quanto si largiva allora al delitto fortunato: ma tradito prima
del tempo, fu messo a morte. Non fu provincia del vasto im-
pero che non si congratulasse con segni di letizia, comandata
0 suggerita dalla paura, del campato periglio. E i Benacensi
ponevan forse allora questo marmo air inviso prìncipe ^ ,
dolenti probabilmente che la congiura non V avesse colto. E
poi dite che i monumenti non adulano. Trovasi adesso nel
museo veronese, a cui dalla benacense Toscolano bonarìa-
mente fu trasportato.
E M. ;Nonio Arno Mudano nostro concittadino (del
qnale dovrò narrarvi parlando più innanzi delle famiglie
bresciane di questa età), quindecemviro per le cose sacre ,
pretore , console romano neir anno 954 di Roma ( 200
Die.
188
i. TiLLKMONT, Mém. dei Empereurs.
1 HEaoDiAN. Hist lib. I.
3. Esisteva in Toscolano nel giardino
dei canonici lateranensi: è adesso nel
Museo Veronese. - Gnocchi, Inscr.
pag. il — FELiaANO, Inscr. Ms.
pag. 80. — Volpato, p. 140. —
Corsini, Inscr. p. 214. — Catta-
neo, Giornate, pag. 25. — Gratt.
Stona deUa Riv. di Salò, p. 94. --
Mapfei, Mus. Ver. p. 101, n. 2. —
Grut. Corpu$ Inscr. p. 262, n. 4.
IMP ' CAES • M • AN
TONINI • PII • GERM • SAR
FIL . DITI . PII . NEP . DITI . HA
DRIANI . PRONEP . DITI . TRA
lANI . PARTH . ABNEP . OPTI
NERV . ABNEP . M . AYR . COH
MODO . ANTONIKO . PIO . PEL
ATG . SARH . GERM . HAX . BRIT
MAX . TRIB . POT . XIIH . IMP
Tin . COS . V . P . P . NOBI
LISSIMO . PRINCIPI
BENAGENSES
278
REPUB. E IMP. DI ROMA
di G. C. *), curatore e patrono dei Veronesi, plaudiva * an-
ch' esso, ed innalzava a Commodo nella nostra città questa
tavola onoraria che ancora sussiste nel prospetto del Monte
Nuovo. Secondo il Ferrarini e TArragonese altra ugualissima
esisteva pur di quell'anno, di quel personaggio, colle formolo
stesse '.
IMP • CAESARI
DIVI . M . ANTONINI . PII
GERMAN . SARMA TIC . FILIO
DIVI . PII . NEPOTI . DIVI . HADRIANI
PRONEPOTI . DIVI . TRAIANl . PARTHIC
ABNEPOTI . DIVI . NERVAE . ADNEPOTI
M . AVRELIO . COMMODO • ANTONIN
PIO . PELICI . AVO . SARMAT . GERM . MAXIM
BRITANN . PONTIF . MAX . TRIB . POTEST . XIII
IMP . VIII . COS . V . P . P
FORTISSIMO. PRINCIPI
M . NONIVS . ARRIVS . MVGIANVS
J
Il Foro Nonio Arrio bresciano*. Tara genio arvorvm arru*
del borgo di s. Eufemia, tanti marmi che degli Arrj traman-
darono coi nomi le cariche, gli onori, le attinenze cospicue,
sono monumenti d'una gente insigne.
1. Labus, MoRum. anlichi scoperti in
Bres. 1823; ivi lo stemma genL degli
Arrj, ecc. — Gruter. p. 442, n. 1.
2. Labus, Della Lap. di M. N. Àrr.
Muciano, scoperta in Verona nel
1810. Milano 1811.
3. Labus, Diss. cit. ^ Ferrìlrini,
Cod. Labusiano, p. 154. - Sbb. Ar-
RAG. M. Ant, Urb. et Agr, Brix,
4. Mus. Btesc. ili. t. 1. — Odorid,
Brescia Romana. II Eoro Arrio.
5. Labus, Diss. cit. — Rossi, Hem.
Bresc. p. 184. — Bianchi, Marmi
Cremi p. 65. — Murat. p.76, n.6.
DI C.
HEPCB. E niP. DI ROMA Ì79
Deduce Tarcheologo Giovanni Labus da questi marmi stes^
si una predilezione de' padri nostri per codesto principe gla-
diatore ^: e dal vederne alzale le statue fra di noi, dall' argo-
mentare antonianldi carattere e di stile i marmi di Matieno^ e
di Atilio Filippo ^ che sussidiò la fabbrica dell' anfiteatro di
Brescia, trarrebbe l'arguto sospetto che quell'anfiteatro sor*
gesso a' tempi di Commodo ; tanto più che di simili co-
struzioni e degli spettacoli anfiteatrali fu promotore, che Bre-
scia dal lato edilizio parve sotto Commodo fiorire ^, e che
di lodi ne' solenni incontri assai pigliava diletto, come par-
rebbe dal marmo istoriato che vi reco a fronte.
Veramente le pazzie commodiane si rovesdavano più che
altro su quella babilonia che diceasi Roma. Ma che Brescia ^'•à'
r amasse di cuore non so capacitarmi. È noto che quando i
messi romani corsero per le province a spargere la nuova
della morte di Cesare, lo temettero un pazzo giuoco di Com-
modo stesso per tentarne la fede ^: e la gioia di tutta Roma
tosto che da Narciso atleta fu soffocato, e le sue statue atter-
rate per ordine del senato, e le imprecazioni alla sua me-
moria di tutto r impero, non rendono probabile nei nostri
Bresciani, che Plinio descrive di semplice e castigato vivere,
una predilezione.
Elvio Pertinace, un buon vecchio, veniva eletto a succeder-
gli; ma i soldati che a' tempi di Commodo gavazzarono con lui,
noi volevano, e cadde trafitto da un pretoriano. E furono i
pretoriani che mettean poscia all'uicanto l'impero, sicché
Didio Severo Giuliano, del quale nerbiamo nel nostro museo
l'effige in bronzo dorato, promettendo a ciascuno di loro
1. Herodian. Uut. lib. 1. 3. Luogo eit. pag. 104.
1 Labus, Moxromenti antichi, 1823, 4. Luogo cit.
pag. 23. 5. MuRAT. Ann. pag. 11^.
Di e.
19i
280 REPUB. E IRIP. DI ROMA
yenticinquemila sesterzj, lo comperò ^ Ma quel broDzo d'on-
de ci venne? — Ecco alcune induzioni.
Ucciso per decreto del senato l'imperatore Giuliano,
Vibia Salvia Varia sua cognata riparava con tre figli a Bre-
scia ^ allorché Settimio Severo che dalle Pannonie era sceso
in Italia a prendere V offerto impero amicos JuUani incusatos
proscriptioni au4 ned dedU '. Due di questi portano il nome di
Nummio loro padre, frateUo dell'imperatore; il terzo noman-
dosi L. Roselo, si palesa entrato per adozione nella bresciana
gente dei Roscj. Nulla di più probabile che quei profughi,
nel riparare a Brescia fra i parenti e gli amici, portassero con
so il ritratto dell' infelice augusto.
Ha Settimio Severo dovea combattere Pescennio Negro,
un potentissimo rivale, che sollevatogli contro tutto l' oriente,
196 r obbligò a recarsi egli stesso fin sotto Bisanzio. Trionfò Se-
vero, e distrutta Bisanzio, portò la guerra agli Arabi ed ai
Parti che gli si erano ribellati ; ed eccolo salutato Psurtico,
Arabico, Adiabenico, imperatore per la settima volta. L'accla-
mazione di Partico rifiutò; ed ecco il perchò nella seguente
lapide, che i nostri Benacensi unendosi al plauso dell'impero
gli consecrarono, non si trova. Gli è singolare per altro che
la Riviera di Salò per epigrafici monumenti di storia patria
del secolo di cui parliamo vada innanzi alla medesima Brescia.
•
Nessuna terra delle circonvicine supera in questo le dovizie
del patrio Benaco, dal quale passò taluna per troppo facile
condiscendenza nostra nel museo veronese.
L Dio Cass. Hist, 1. LXXIII, e, 17. 2. Mas. Bresc. ili. — t 1, p. 181.
— Erodian. lib. II, e. 7. 3. Spartianus, ia Did. et Sevtr,
REPC6. E IMP. DI ROHA
28i
IMP • CAES • DIVI
M . ANTONINI . PIl . GERM
SARM . FIL . DIVI . ANTON . PII
NEP . RIVI . HADR . PRONEP . DI
VI . TRAIAN . PARTHIC . ABNEP
DIVI • NERV . ABNEP . L . SEPTIMIO
SEVERO . PIO . PERTINACI . AVG . ARA
RICO . ADIARENICO . PONT . MAK
D . TRIS . POT . Ili . IMP . VII . COS . II
PP . PROGOS . DESIGN
L.
BENA • CEN • SES
Trovasi la pietra in Toscolano, dov'era probabilmente la d-
vitas dei Benacensi nel senso antico della parola. Fu regi-
strata nelle raccolte lapidarie ^ Le potestà tribunizie, le im-
peratorie salutazioni, il numero dei consolati ottimamente
rispondono alla celebre colonna di Salisburgo' a Settimio lo-
cata nel medesimo anno, per le medesime vittorie; né trovo
ragione perchè il Grutero abbia a sorridere sul pftocos . design.
del nostro monumento.
Bensì ' il dotto Brunati, se mal non mi appongo,
sembra cogliesse errore col Tartarotti^ nel credere bre-
sciano un marmo acefalo che a Settimio Severo ( per
i. Ferrarini, Inscr. Ms. Labnsiano, viera, p. 94. ^ Gnocchi, p. 43, ec.
t les. - Felice Feliciano, Inscr. Rossi M. B. pag. 200, ecc. ecc.
L 79. — Volpato, n. 135. — 2. Grut. Corp. Inter.
Saraina, p. 52. — Grut. p. 263, 3. Leggend. o Vite dei Santi Brescia*
D. 8. — Cattaneo, Giornate, p. 24. ni, pag. 95.
— Grattarolo, Storia della Ri- 4. lllostr. del Monnm. a C. Val. Mass.
^82 REPtB. E mP. DI ROMA
quanto pare) fu da M. Aurelio Menofilo dedicato, e Del-
l'asserire che fosse quel Menofilo sacerdote del vico bena-
censo di Toscolano.
Quel marmo fu trascritto a Fola nell'Istria dal Marcano-
va ^, poi da Pietro Martire ^ e dallo Sponio \ ed a Fola fu
ascrìtto dal Tetti *, dal Carli ', dal Fanvinio •, dal Grute-
ro ^. Il Rossi lo riferì come a Garda di Yalcamonica ^ ed a
colorire l'impostura cambiò la formola aedil. polens. in aedo..
BRix. per indi dedurne che Menofilo era sacerdote • di quel-
* l'idolo che fatto in forma d'ariete ed alzato sopra quattro
I colonne di serpentin bastardo, si vide m Toscolano sino ai
t tempi di s. Carlo Borromeo .... rappresentando questo
> montone, che era in pietra nera, o l'immagine di Giove
> come si può provare colla medaglia di Cherea, o quella di
» Marte secondo queir altro rovescio di Temistocle ecc.'».
A questi sogni del Rossi, cui prestarono fede il Cluverio *^
il Cellario ^^, il Biemmi ^* ed altri, risponderemo che Menofilo
nativo di Fola fu sacerdos Tusculanorum, cioè del Sodalizio
sacerdotale di Tuscolo, oggi Frascati. Dell'idolo fatto in pez-
zi dal Borromeo (da porsi ad un fascio colla medaglia di Te-
mistocle) non ha memoria negli scrittori nostri.
Ed ecco un secolo intero di mortali contendimenti per
aversi un trono lordo ancora del sangue di Pertinace e di
Giuliano. Imperatori succedentisi senza numero con una gara
i. God. della Bibl. di Parìgi. 7. Inscr. pag. 263, 7.
2. Seconda Relazione ecc. pag. 12. x 8. Mem. Bresc. pag. 212. ^* Vinacc.
3. Voyag. t. I, pag. 358. pag. 202.
i, Monum. Ani. Urbis et Agri Brix, 9. Rossi, 1. cit
pag. 109, D. 323. Folte ad cam- 10. Ital. Ant — U I, pag. 107.
panilem ccd* Pont ms, 11. Notitia Orbis Antiqui, tom. I,
5. Ant. lui. t. II, pag. 76. pag. 692.
6. De Civit, Rom, e. XLI.- Fastor. 12. Storie Bresciane — tomo. I,
l. 2, e. 357. pag. 46.
1. Dio, lib. LXXV. 4. Murat. Novut Thes. Vet. Imer.
1 Dio, 1. eie. pag. 348, n. 5. ^ Labus, Mo-
1 Hebodian. lib. III. — Spaetian. numenti antichi, pag. 48. Stemma
in Sever. gent. ecc.
DI e.
1»7
REPUB. E IHP. DI ROMA 283
di ambizioni e di rabbie desolatrici del cadente imperio;
marmaglie che applaudono al fioccar dei congiarj e delle tes-
sere, nulla importando se per Y inviso tiranno che in vol-
to gliele buttò suoni poi Roma d'imprecazioni e di lai; sol-
dati che gli si vendono, pur ch'abbia T ardire di compe-
rarti (ne vada T erario) a peso di sesterzj; senatori senza
coraggio e senza dignità, che gli tremano dinanzi, che regi-
strano ne' trionfi i suoi baccanali, ' che innalzano altari alle
sue prostitute; sacerdoti che ridono di sott'occhi, e popolo e
soldati e imperatori santamente corbellano e raggirano a pia-
cer loro.
Settimio Severo, muniti i passi dell'Alpi S veniva egli stes-
so coli' esercito nell' Italia circumpadana, recandosi alle Gallio
per combattervi Albino che s' era fatto imperatore '. Fu nei
campi di Lione uno scontro sanguinosissimo. Severo trionfò,
attraversò di ritomo queste povere province nostre per at-
terrire coi supplicj e colle minaccio la rimbambita Roma; poi
volse r armi contro i Parti 3, e il nome di Portico questa vol-
ta non ricusò. Fu prode in guerra, ma disumano e senza fede;
anima fiera, cui paventavano gì' interi eserciti; buon soldato
più che buon capitano, però che un' araba cittaduzza due
volte gli tenne fronte e il ributtò, nò aversela più mai non
gli fu dato.
M. Nonio Arrio Mudano da Brescia gli fu console nel 200 ^; *^
e l'austero imperatore lo si ebbe caro; nò caro ebbesi meno il
padre suo M. Nonio Macrino, siccome quegli che colle due le-
gioni prima e seconda Adjutrice, le quali reggea nella Panno-
284
BEPUB. E ÌMP. I>I roma
nia inferiore da lui governata sotto M. Aurelio, avevalo so-
stenuto perchè occupasse T impero ^
Nonio poi facea per nozze nostra concittadina quell'Arria
famosa che traeva le orìgini dalla Campania e dal Sannio, e
che portò TArrio nome già consolare a'Nonii bresciani, di
cui restano ancora nel piazzale del Novarìno le reliquie K
Settimio stesso aveala in concetto di egregia donna e d'alto
ingegno. Studiosissima di Platone, circondandosi dei dotti del-
l'età sua, l'uno di questi supra onrnkm iibi catissimemi la. di-
chiara^: gracile di salute, ammalò; ed è singolare che il truce
Settimio Severo (il quale di scienze mediche si dilettava) le
apprestasse di propria mano un farmaco da lui stesso e da
suo ISglio Antonino preparato, che la guari ^. Nulla di più
probabile che gli Dei Conservatori, cui sciolse Macrino prò
salute un voto, altro non sieno che gli stessi augusti Severo
ed Xntonino.
DIS
CONSERVATORIB
PRO • SALVTE
ARRIAESVAE
MNONIVS
MACRIN • CONSECR
1. Labus, Marmi ant. bresc. Classe
sacra, pag. 92.
2. Odorici, Brescia Romana. Il Foro.
Eccl, 8, Zeni de Foro NoniiArrj. -
GradonicuSi Brix. Sacra ( p. 83 ).
Contr. Mercati Nonii Arrj in as-
sai pergamene del secolo XIV. —
LxBUS, Monumenti cit — pag. 26.
3. Galen. Opp. t XIIL p. 932.
4. Jam vero Arriam multo omfittMi
mihi charissimam qtue et ip$a «ii-
pra modum ab eis (AugusLis)
commendabatur quod,,, et Piatoti
maxime libris gaudente agrotanr
tem qiuindoque gravUer sanarwtU
etc. -* Galen. Opp. L cit.
REPLB. E IMP. DI ROMA 285
Il marmo, già ia Toscolano fino dal secolo XV ^ passò nel
museo di Verona '. Forse la guarita matrona veniva tra di
noi presso i congiunti, ed all' aure salutari del patrio Benaco
riconfortava le deboli sue forze.
Apriva Settimio il terzo secolo co' suoi viaggi per l'Egitto "^^J;-
e per la Giudea. Caracalla suo figlio, già consorte all'impero,
Io seguitava. Alcuni scontri avuti cogli irrequieti Britanni
acquistavano all' augusto nel 207 il saluto d' imperatore per
la dodicesima volta; e Marco Nonio Paolino Apro bresciatio
anch'esso ignoto ai fastografi sin qui, rivendicatoci dal Labus
non ha molt' anni, reggeva in quel tempo i fasti consolari ^.
Indi a poco associavasi al trono Settimio Gota, ben al-
tro figliuol suo che lo stolto Caracalla non fosse, onde il
padre mori lasciando quest'ultimo già perduto nel fango d'o-
gni nequizia. Tre anni dopo Caracalla facea scannare il fra-
tello in grembo alla propria madre S poi tutti gli amici o clienti
del misero Geta metteva a morte: era un macello d' uomini;
ventimila ne conta Dione, senza numero li fa Sparziano '.
Estese il diritta di cittadinanza, ò vero, a tutte le province: ma
non per farle più libere; si perchè fossero più gravate delle
pubbliche imposte, avvegnaché di quel secolo più pagassero i
cittadini che i provinciali. Ed ecco estinto quel primato che
gl'Italiani si guadagnavano con tanto sangue nella guerra
sociale.
^ SoLATius./fUcr.p. 103, Ms. Labus. i6tG; dal Morcellì, Opp, Epig.
1 IL\FFEI, Mus. Veron. pag. 91, n. 7. t. I, pag. 2S; ed uUimamente dal
Fu trascrìtta ancora dal Panvinio, Labus, Marmi anticki ecc. Glasse
AmL Veron. l Vili, p. 232; dal- sacra, n. 131, pag. 90.
TArragonese. Monum. Ani. p. 145; 3. Labus, Antico Marmo di G. Giulio
dal Gmtero, p. 19, n. 2; dal T(h Ingenuo illuslr. Milano 1827.
masini, De DonaHis, e. V; dal 4. Dio, I. LXXVIIl. — IIbrod. 1. IV.
Rossi, Mon. Bretc pag. 276, ed. 5. Spartianus, in Caracalla.
Omuci, Stortt Brtte. Vt 1. I. ^
209
S13
SII
286 REPUB. E IMP. DI ROMA
'^,',f'- Fu Caracalla pugnalato per ordine di Macrino prefetto del
pretorio, il quale anch'esso poco più di un anno saggiò T im-
pero: ma Elagabalo, un giovane sacerdote del Sole, gli si levò
•
contro, e disfattolo compiutamente in battaglia, tolse a Ma-
^'' crino collo scettro la vita. Venne a Roma vestito all' orientale
con tiara e' vesti da sacerdote; promosse per tutto l'impero
il culto del Sole Elio, ballando egli stesso intomo ai nuovi al-
tari h giovinastro infame, che avvoltolato nelle sue libidini, am-
morbò tutta Roma di non più intese laidezze ', sicché ne fa
stomacato, ed è pur molto, l' esercito. Non è quindi meravi-
m glia se da una mano di guardie venia messo a morte.
Alessandro Severo di lui cugino, adolescente anch'esso
ma di tutf altra natura, fu assunto al trono. Bando a' nani, a'
musici, ai buffoni, alle sgualdrine; restituzione a' templi delle
loro statue, dei loro altari; severità nei mìliti, disciplina, di-
gnità negli uffici della RepubbUca furono i primi frutti di un
3a« imperatore a quindici anni; il quale fu primo ancora che rico-
noscesse in G. G. la divinità, che ne adorasse le immagini,
ed al quale dovettero i cristiani un po' di requie '.
no Guerreggiò contro i Persiani; e l' esercito che loro mosse
incontro fu levato per tutte le province italiane; passò per la
Venezia onde recarsi al campo della guerra; poi ritornò vin-
citore, seco traendo, inusitato seguito, lunga fila di quelle genti
nuove, ed elefanti e belve non mai più vedute.
1S4 Pochi anni dopo attraversava con fioritissima armata litalìa
subalpina per combattere i Galli ed i Germani^. Ma un bran-
co di soldati, di que' cotali cui dispettava la disciplina dal-
l'ottimo principe sostituita ai baccanali di ElagabaIo> spintivi
1. Herodian. lib. V. 3. CusEBius, Hisior, Ecciti, lib. VI,
2. Dio, lib. LXXIX. — Lampridius, capo 28,
in Elagabah, eie. 4. Lamprid. in Alexandro.
REPUB. E IMP. DI nOMA. 287
•
da an Massimino, trucidavano l'infelice Alessandro nella sua
tenda ^. Occupò Massimino Y ambito seggio, un pastore della s»"
Tracia d' erculea forza e di piglio feroce» eh' ebbe carichi
nella milizia sotto tre imperatori ^ yoluto adesso dalle legioni,
imposto al senato che tuttavolta non sapea chi fosse. Erano
tempi di miserabile dissolvimento d' ogni ordine sociale; il
soldato facea da sò^ creava e decapitala gì' imperatori a Te-
glia sua, le province ammutolivano: erano burrasche alle
quali non osavano resistere, e lo sbrigliato esercito le correa
signore del campo.
Quinci Massimino batteva i Germani, e incendiava, co-
m' ei scrìvea, t loro viUaggi di legno ^; quindi espilava pe' suoi
fiscali quante fossero province d' Italia e dell' impero. Ma
intanto altri prìncipi faceasi Roma: due Gordiani, levati a
sonuno onore dall' esercito d' Àfrica, venivano acclamati dal
popolo romano. L' Italia tutta per loro si dichiarò. Ma uccisi <»
da Capelliano procuratore della Numidia, il senato non
ismarrì; nomonne altri due, Pupieno Massimo e Celio Balbi-
no; radunò le sue legioni, bandi la rivolta per le italiche città
contro il barbaro Trace, che fremente di sdegno avea giu-
rato il sacco e lo sterminio ditalia intera, cui era già presso
con tutto l' esercito.
Giunto all'Alpi, trovò gli altari colà eretti ab antico per
gli Dei custodi d'Italia nostra, e vi sacrificò colla strage in
cuore onde averseli propizj: poi fu sotto Aquileja, ed è cele-
bre nella storia la resistenza di quella città, le cui donne of-
frivano le loro trecce a farne" corda occorrente agli archi
degli arcieri ^.
1. Lahfrid. in Alex. — Capitolinus» 4. Mbnestrier, Méd. des Emp. i69S,
IH Maximino. pag. 45. — Filiasi , Menu dèi
% Capitolin. m Max, Seniore, Veneti primi e secondi, U Vi,
^ Capitolin. L cit. pag. 413.
Die.
288 REPUB. E IMP. DI ROMA
Ma r esercito già stanco , Yolea disfarsi di Massimi^
no; e un pugno di gregarj lo trucidarono S mentre per le
yie di Roma altri militi scannavano Pupieno e Balbino. Restò
cosi l'impero al giovinetto M. Antonio Gordiano» salitovi
ui adolescente di tredici anni. Fu in oriente (a. 242) con-
tro i Sarmati e gli Alani: conquistava Mesopotamia e Sona.
Ma Giulio Filippo» un avaro che sotto il giaco del tribuno
sospirava l'impero, suscitò nell'esercito la rivolta» e Gordia-
no vi lasciò la vita. Acclamato imperatore dalle coorti» reduce
Filippo dalla Seria» s' avviò per alla volta di Roma. Due anni
dopo faceasi compagno all'impero Filippo il suo figliuolo,
ma d'ambo fu breve il regno» benchò felicemente inaugurata
24» A sedare gravissimi tumulti nella Mesia e nella Pannonia
due Filippi mandavano colà Q. Trajano Decio. Appena giun
tovi» ecco r esercito salutarlo imperatore^ volemelo ad ogni
patto, ed a risolverne le titubanze» minacciandolo di morte ^
(nuovo metodo di elezione) traean le spade. Filippo il padre
si mosse allora per opporsi ai ribelli militi che già scende-
vano dall' Alpi : le nemiche armate s' incontravano presso
Verona 3» e forse ne' medesimi campi dove già tempo i Cim-
bri venivano disfatti» che ò quanto dire ai limiti dell'agro
nostro nei piani della Lugana e dell' antica Arilica ( oggi
Peschiera), lungo le vie consolari» di cui più innanzi di-
scorreremo.
Terribile fu l'urto primo; e certo le semibarbare legioni *
venuteci di Pannonia» aggirandosi furibonde per la selva Lu-
1. Capitolinus» in Maximinc Se- 4. Qìh fìno da questo tempo era ornai
niore, prevalente negli eserciti romaoi il
2. Altro che feceti acclamare, siccome numero degli assoldati barbari a
scrisse il Filitei ! — Mem. Venete, quello dei militi italiani. — Trota»
t. IV, pag. 420. Storia dMtalia» tomo I, parte ih
3. AuREL. ViCT. in Epit p. 659.
Die.
U^PVB. E IMP. DI ROMA 289
cana dal Clisi al Mincio e lungo la via basilica fin sotto Ve-
rona, seminavano pei campi veronesi e del bresciano spa-
vento, rovina» desolazione.
Vinse Trajano Decio; il misero Filippo mori sul campo.
Un anno dopo, la vigorosa e crescente schiatta dei Goti fatta "^^
ardita pel manifesto dissolvimento dell'impero, passato il Da-
nubio, invadeva la Ds^cia Romana, correndola e saccheggian-
dola da un capo all' altro.
Accorreva Decio a trattenerla, ed è probabile che nel con-
dursi al Danubio attraversasse la provincia bresciana per poi
salire lungo la via Claudia Augusta, ed a ritroso dell'Adige, al-
l'Alpi Rezie ^. Come pure non è infondata la congettura, che in
quel passaggio appunto i soprastanti alle vie ponessero i cippi
militari ad ogni miglio romano, perchè attestassero all' eser-
cito ed all' augusto il compimento di que' ristauri che dopo
la battaglia soprascritta avea Decio per quelle vie basiliche
ordinati a togliere ogni traccia dei bellici guasti. Due di que'
cippi 0 colonnette milliarie serbiamo ancora; e l'una veronese
conservatissima *, che marca il miglio XVIII, mirabilmente
sopperisce alle corrosioni della bresciana, che rinvenuta pres-
so il convento di Maguzzano, ove press' a poco dovea passare
la via, leggesi adesso nel patrio museo ^.
IMp . Caes
C . Maesivs . Q
TRAIAn . DECCIVs
p . F . AVG . P . M . TRiB . pOT
Il .COS. Il .p.p
XXIII .
1. Ladus, Sopra una colonna letterata 3. Grutero, pag. 1021, n. 6, con
diMaguzzano. Lettera. Bresc. 1812. . molti errori. Labus correttamente
2* )l.iFFEi, Museo Veron. p. 102, 3. nella citata Lettera.
Di e
290 REPUB. B IMf. DI ROHA
Il secondo consolato, aggiunge Labiis S che segnano unito
que'.due bellissimi cippi alia II potestà tribunesca (per
dirla con una frase del Davanzati), quadra con tal circostanza
si bene» che nulla più.
Infelicissima fu la guerra di Decio contro ai barìbarì, e ^i
uT costò la vita. Gajo Treboniano Gallo fu proclamato mpevdr
toro come al solito dalle arbitro legioni, e come al solito
dalle legioni ucciso: acclamavano Emiliano, ed uccidevaido
anch'esso; poi facevano Yaleriano* È qui una sepie confusa di
tiranni usurpatori che spariscono appena sorti, non lasciando
di sé che il vuoto nome, e questo ancora incerto : e intanto
gli eserciti, che or Tuno or l'altro dei principi rivali soste-
neano coli' armi, a correre la terra nostra come terra nemica.
Però che mentre Gallo ed Emiliano si disputavano Tim-
pero, invadea Valeriane le province del Nerico e della Re*
zia; e udita la morte di Gallo, fattosi chiamare imperatore egli
stesso da quegli alpigiani, scendeva in Italia, ed abbattute
presso Trento le coorti del suo rivale, coglieva un premio del
quale sarebbe stata in altri tempi follia pur la speranza.
3M Ma di questo parapiglia vantaggiavano i barbari: gli Sciti, che
passato il Danubio desolavano la Tracia, la Mesia, la Macedo-
nia; i Porsi che ripigliavano Mesopotamia e Seria; i Germa-
ni che rovesciavansi nelle Gallie vicine. Valeriane si trovò da
per tutto a difendere i limiti già intaccati della pericolante do-
sso minazione. Ma i Persiani lo faceano prigioniero; e Gallieno
a lasciare che il padre languisse fra barbare catene per usur-
parne lo scettro •.
1. Labus, lettera cit. pag. 11. Lactantius, De Mort. Persec
2. ZoNARAS, in Annalibus. — Tre- Eusebius, in Orai. Constantìn.
DELLius PoLLlo, in VaìtHano. — Orosius, lib. VII, ecc.
HEPUn. EIMP. DI BOHA 291
Fa allora, secondo Zosimo, che gli Sciti (lo stèsso che i '^^[^'
Goti) si leyarono in massa per invadere riUirico e l'Italia; e
1 uno e l'altra per un istante fu invasa. Anche i Sarmati — forse
di schiatta uguale — si univano ad essi ; e Quadi e Gatti e
Franchi ed Alemanni e tutto il settentrione dal Danubio al Reno
si ammutinò. Visi oppose l'augusto; ed abbiamo da Zonara che
treceatomila ne fugasse a Milano. Se non è a credersi tanta ri-
volta, certo ò per altro che segnalò Gallieno di qualche fotte
egregio le sue battaglie, ma non bastava: e ridevole poi fu il m
suo trionfo con uomini vestiti da^armati» da Goti, da Franchi
per simulare i debellati nemici: v'erano finti anche i re di
Persia, mentre Yaleriano lor prigioniero ancor viveva.
Certo è però che Gallieno, vedendosi minacciato dai bar-
bari imminenti, premuniva le città subalpine di castelli e di
muraglie, si che la cerchia delle mura di Verona, incomin-
ciata neir aprile del 265 ^ colla furia di chi aspetta un ne-
mico e cogli avanzi di crollate fabbriche, fii compiuta in
nove mesi. Duopo è congetturare che Brescia ancora ed al-
tre città di frontiera poste ai piedi dell'Alpi venissero for-
tificate, recinte di opere militari, con ristauri od amplia-
menti delle vecchie mura. Ma torri e mura non bastano
dove manchi virtù. La povera Italia subalpina contrastata
fra due rivali, Aureolo e Gallieno, vide il primo calarsene
dall'Alpi, attraversare Padova, Vicenza, Verona e Brescia .
probabilmente per condursi a Milano; accorrere Gallieno
con tutto l'esercito, vincere l' inimico, che in Milano sì
chiuse; ma cader esso poi sotto il pugnale de' suoi soldati, sm
Certamente il Pillasi errò col supporre che tutto avvenisse
nell'agro veronese *.
I. Maffci, Ver. Waslr. — Panvinio, Ì. Mem. Venete, t. IV, p. 428. Scam-
Aniiq. YtTon, bia qui certo Milano con Veroiuu
292
REPUn. E IMP. DI ROMA
Claudio II trovavasi a Pavia; nomato imperatore, fu incon-
tro ad Aureolo suU'Adda, lo assaltò, e debellatone l'esercito
r uccise. Ivi costrusse un ponte e nomoUo Aureolo; e ne rima-
ne ancora memoria ^ nella terra di Pontirolo a poche miglia
da Bergamo: memoria però del nome^ poiché nuli' altro più
v'ha di antico *.
Nuovi barbari frattanto invadevano l'Italia: duecentomila
di costoro, ed erano Alemanni, la cui venuta era stata già
tempo eccitata dallo stesso Aureolo, attraversate le Rezie, dila-
tavansi per l'agro benacense. finché stanchi del distruggere e
dello spogliare, poneano campo ne'silvestri piani della Lugana,
probabilmente sulla via basilica. Ivi Claudio li colse, e tal
rotta loro die, che fattone macello, la metà sola di tanto po-
polo campò colla fuga ^
Ed ecco i Benacensi, liberati cosi da tanta sventura, porre
a Claudio, come in segno di esultanza e di gratitudine, que-
sto marmo, che forse reggea la statua del vincitore. Serbasi
tutt'ora in Toscolano *.
IMPCAES
M • AVR • CLAVDIO
P • F • INVICTO
AVGVSTO
BENACENSES
1. Treb. Pollio, in Trìginta Tyrann.
e. X. — ZoziMUS, lìb. 1.
2. BiRAGO, Epitafio Rom. su dì un* olla
cineraria di Cerousco. - Monza 1 849.
3. AuR. Victor, De ÙBsorih. e. 34.
—T EuTROPius, lib. IX, e. 10. —
Claudius., . adversus ducenta mil-
Ha Alemannorum, haud proeul a
lacu Benaco in stiva qum Luca-
na didtur, dimicans, t<mUim nw/-
titudinem fudit, ut itgn pan di-
mtdia superfueriL
4. JoLi, Marmi Bresciani disegnati ed
offerti al patrio Ateneo; ms. —
Panvin. Antiq. Veronenits, p. 225.
— Gràtarolo, Storia della Ri-
viera di Salò, pag. 95. — Vwac-»
CESI, M. B. pag. 200.
REPUB. E IHP. DI ROMA
293
Eppur non per questa, si per altra più clamorosa vittoria
sui Goti avuta, e nella quale trecentoventimila di cotestoro
perirono sul campo lasciandovi duemila navi e i lidi bian-
cheggianti dell' ossa loro» ebbe Claudio Y acclamazione di
Gotico. Ma la peste, che i Goti aveano seminata nel campo
romano, colse l' augusto e ne troncò miseramente a mezzo il
eorso de' suoi trionfi la vita.
Fuvvi un imperatore di pochi giorni, Quintilio: poi sali al
trono Domizio Aureliano, il quale portatosi nella Pannonia
per combattere i Galli, fu costretto a retrocedere per difen-
dere Italia da un' invasione di Sciti, di Giutunghi, di Marco-
manni. GÌ' incontrò a Piacenza, li disperse a Fano, e ne fagò
gli avanzi fin oltre ai campi di Pavia ^
E qui tra noi M. Aurelio Rufiniano, prestantissimo perso-
naggio, al plauso di tutta Italia si affratellava dedicando al
vincitore una statua, della quale ancor, sussiste la base lette-
rata; e noi ve la porgiamo '.
E laude veramente di fortissimo principe^ gli si competeva;
poiché dispersi altri Goti nella sempre desolata Italia, rinno-
vando le glorie dei tempi d'Augusto e di Trajano, passò
in oriente, ove sconfisse la virile Zenobia regina di Palmi-
m e,
210
STI
373
1. AuHEL. Victor, in Epiiom. de ùb-
9ar. e» 35. — Iste (Aurelianus)
iribut pntliis Victor fuit, apud
Plaeeniiam^ juxta fiumen Uttav^
rum ae Fanum Fortuna; postre-
mum Ticinensibus in campii. —
CuTROPius, lib. IX, e. 12.
1 Questo marmo prezioso, benchò
mnliiato, fii generosamente largito
con altre lapidi ai museo patrio dai
nobili CrateUi Averoldi.
n
IMP . Cae»
L . hOmitio
A\neliano
PIO . velie , Invic
ro . k\g . P . M . Trib.
POT . p . P . Co» . Procos
u . kwrelius
fCffinianui
PPNE
FOhiiss . Principi
294
HEPDB. E IMP. DI ROMA
Di e.
374
ra i soUevatrice dell'Egitto, della Sina, dell'Asia minore:
e al trionfo che Y anno dopo splendidamente celebrò, non
prigionieri travestiti, ma veri Sarmati ed Alani e Rossolani,
veri Persi e Franchi e Vandali con lungo ordine precedevano
l' imperatore, e il carro gotico tirato da quattro cerve, e la
superba Zenobia legata con catene d' oro K Brevemente —
quotate le rivolte galliche, iberiche, britanne; lasciati, è vero,
i limiti di Trajano coli' abbandonare la Dacia, ma restituiti a
Roma tutt' intorno quelli d'Augusto, potè chiamarsi Aurelia-
no ristauratore del latino imperio.
Reduce a Roma pel decretato trionfo, attraversava con tanto
e si nuovo seguito di domate genti la Italia subalpina maravi-
gliata e plaudente. Forse allora i decurioni bresciani gli col-
locavano una statua, della quale non ha che il basamento nella
fronte delle carceri di Piazza Vecchia, recante la epigrafe '
I 1
MAGNO
AVO V S T O
PRINCIPI • MAX
IMP • FORTISSIMO
CONSERVATORI • ORBIS
L • DOMITIO • AVRELIANO
P • F • PONT • MAX • TRIB • POT • V
P • P • COS • III • PROCOS • GOT MAX
PALMYR • MAX • GERM • MAXIM
OR DO • BRIXIANOR*
1. ZoziMUS, lib. I, e. 50. — Voptscus, — EoTBOPius, il» Bnviar. —
m Aureliano. ZoNARAS, in Ann. ete.
"i. TniB. PoLU i» Triginta Tyran. 3. Veggasi il facsimile nel patr. oaseo.
REPCD. E IMP. DI MìUl 295
Ma trovandovi il terzo consolato e la quinta potestà tribuni- ^i^^-
zia, ch'egli non ebbe che Tanno dopo, sospetterei che V Ordi*
D6 Bresciano gliela ponesse quando costretto a portarsi per
nuovi tumulti nelle Gallio, vedeva un' altra volta le province
subalpine.
Con tutto ciò Aureliano dopo cinque anni di glorie fu uc-
ciso anch'esso e e ricadde T impero nello strazio consueto i.
» Segui anzi > continua Balbo ^ « strazio nuovo; un interregno
» di sei mesi, ed esercito e senato che si rimbalzavano la scelta:
» nonché conteso, Y imperio non era più desiderato > . Tacito,
vecchio settuagenario, fu principe per altri sei mesi; sùcee-
devagli Annio Floriano il fratel suo, che in breve ucciso an*
eh' esso, lasciava il trono a Marco Aurelio Probo. ^»^
U quale passò nelle GalUe, vi guerreggiò felicemente, poi
reduce nella Rezia, provide per le difese dell' Alpi; fu sul m
Reno e sul Danubio, vi battagliò più volte; uè questi pure
schivò il furpre de' suoi soldati, che l'uccidevano in Sirmio,
la patria sua.
I posteri dell' infelice, come narra Yopisco ', riparavano >»
al Lario ed al Benaco, dove portavano con sé (larem loca/De--
rwu) ì domestici lari. L' antico Umen superiua di una porta,
ora nel fianco a mattina del campanile di Toscolano coli' e-
pigrafe '
r
AVGVSTIS • LARIBVS
1. Storia dMtalia. Eli III. Degli Irope- pag. 49. — Grut. p. 106, n. li.
ratorì — > pag. 45; ed. di Losàn- — Gratarolo, Storia della Ri-
na, 1846. viera, pag. 95. — Rossi, Mem.
2. Vopiscus, in Probo. Bresciane, pag. 234. — Murat.
'd. Cicogna, Viaggio di And. Morosiui, pag. 85, 3.
296 REPCD. E IMP. DI ROMA
DO farebbe supporre che ad asilo preferissero i fuggìti?i la
riviera benacense, e che un tempietto vi dedicassero ai Lari
Augustei ^: l'eleganza dei caratteri non parrebbe doversi
^' attribuire a più bella età. Caro, Carino e Numerìano tennero
l'impero da poi; ma Tun dopo l'altro venivano uccisi per gare
di principato, che in ultimo rimase a Diocleziano, e Tristo
1 secolo, deplorabile impero, noiosa istoria ' > .
E qui per la prima volta ritroviamo un correttore della
Venezia, Giuliano Valente, e quel che è più competitore al-
l' impero ed emulo di Carino '. La Venezia lo proclamò; gli si
usi ta Pannonia, battè Carino, ma questi ributtatolo fino a
Verona, lo costrinse alla pugna e il debellò ^
Prima cura di Diocleziano, astutissimo dalmatino, fìi di
*
togliere le contese di successione col farsi un compagno
in Marco Aurelio Valerio Massimiano» il quale recandosi
»> nelle Gallio, frequentemente attraversava l' Italia subalpina.
Diocleziano fu intanto a combattere nella Pers|a, e ne tor-
nò vincitore. I due consoli Augusti non avevano posa. Sona,
Pannonia, Mesopotamia risoggettavano; poi venuti entrambi
nell'Italia subalpina, l'uno scendendo dalle Gallio, da Pan-
nonia il secondo, si fermavano in Milano.
E se Roma spedia colà suoi legati per ossequiameli, mol-
to più doveano accorrere i decurioni delle italiche città, fra
le quali questa nostra, non ultima per certo della Venezia, e
dalla quale Diocleziano era passato per unirsi al collega.
f . Questa almeno ò congeUura del La- ( pag. 95 )» ove spiega e conimenU
bus (Mus. Bresc. lllus. 1. 1, p. 49 ). quel tiloletlo, la ponga in non cale.
Per me non so persuadermi sì io- 2. Balbo, Storia d* Italia - 1. cit.
sto, e sembra che il Labus me- 3. Victor, De Ctcsaribus,
desimo ne' suoi Marmi Illustrali 4. Filiasi, Mem. Yen. — t. IV, p. 437.
REPDB. E IMP. DI ROMA 191
Costanzo Cloro e Galeno Massimo venivano intanto eletti
Cesari; figlio adottivo di Massimiano il primo, l'altro del suo
collega.
Ed ecco la potestà di tutto l' impero nelle mani di quattro
nomini concordi e risoluti, che quell'impero senz'altro si di-
videvano fra loro. À Massimiano Augusto Italia ed Àfrica; a ms'
Galeno Cesare toccò Illirico, Tracia, Pannonia, Grecia, Ma-.
cedonia; a Costanzo (altro Cesare) Gallia, Spagna, Britannia,
Mauritania; l'Asia e l'Egitto ritenne Diocleziano per so. E poi
che gli augusti serbavano a so il primato, fu per tal modo fino
d'allora suddiviso il regno in due sezioni, orientale e occiden-
tale, che poi varie nei loro limiti per altri due secoli durarono.
Quattro corti, quattro eserciti, quadruplicati uffici e pom-
pe e gare di quattro imperatori ci dilaniavano intanto, e per
si fatta guisa che, al dire di Lattanzio, assai furono che
non reggendo alle imposte gravissime ed ai balzelli, abban-
donavano i loro campi ^ fuggivano la patria terra. Italia già
fino da Caracalla fatta quasi provincia^ ne pagava ora come
fosse vandalica il tributo.
Pare al Filiasi ' che la Venezia venisse compresa nel-
r Illirico toccato a Massimino Galerio; e aggiunge che Domi-
ziano coli' adottivo Cesare, poi che ebbe posta in lUiria la
«
propria corte, dimorasse nelle venete città, e leggi emanas-
se in Aquileja ed in Verona. Ma il Filiasi prende abbaglio
gravissimo, e confonde Massimiano Galerio con Massimiano
Angusto , al quale fu data colla Venezia l' Italia ancora , e
dal quale in Verona quegli editti si pubblicavano ^.
Noi dunque fiinuno di Massimiano Augusto, il quale piace-
vasi di questa Italia circumpadana a lui cara quant' altre mai
i- LACTAirrius, De Martibus Perse- 3. Gothofred. in Cod. Theod. —
cttlor. e. VII. Maffei, Verona llluslrata, tom. 1,
2. Mem. Veo. ^ t IV, pag. 440. pig. 146.
298
REPL'B. K lUP. DI ROMA
Di C.
del proprio impero, ov' egli assestava l' esercito quando per
le guerre che assai frequenti sostenne al Reno e sul Danubio
attraversaya la prossima Rezia. La città di Milano, che cinse
di muraglie ^ a doppio giro e confortò di terme, fu sollevata
da xjueir augusto a tanto splendore, che Y epigramma d' Àu*
sonio dicevala senz' altro seconda Roma*. Se yogliam crede-
. re al Malvezzi ed al Capriolo, tradizionali erano in Brescia
gli avanzi di fabbriche massimìane; e non è improbabile con*
gettura che un pensiero da quell' augusto fosse volto alla
nostra città, molto più che certamente risulta, dominanti quei
cesari e quegli augusti, ristorata la via basilica da Milano a
Brescia, già guasta non ha dubbio per lo frequente passaggio
degli eserciti avviati al Reno ed al Danubio e dalle incorsioni
degli Alemanni che abbiam descritte. Che fosse poi rifornita di
sue milliarìe colonnette appare da questa che al Zocco di Erbu-
sco fu rinvenuta, e che adesso leggiamo nel museo cittadino K
IMpP . CAESS . C . AVB
(A tergo)
VALERIO . DiocLE
TIANO . ET . 11 . ATB
•
VALERIO . MAXI
DN • FL
MANO . ET . FLAVIO
lOVIANO • TRI
VALERIO : CONsTAN
VMFATORI • SEM
TIO . ET . GALERIO
PER • AVG
VAI. . MAXIIDANO
NOBILISSIM. CAESS
XVII
XVII
■
\. AuR. Victor, De Cms, e. 39. 3. Labus, Intorno ad un' antica Iv
2L Ant Longob. Hil. ti. — Giulini, pide nuovamente scoperta in Pa-
Mem. 1. 1. — • AusoN. De Urb. tic. dova. — Disseriazione.
REt>ÙB. E IMP. DI BOBIA 299
Né il marmo discoperto io Padova, illustrato dal Labus e
posto da un correttore dell' Istria e della Venezia ad Aurelio
Valerio Massimiano, debbe tenersi di tempo eguale, perchè
divìsa fra loro la potestà, vennero ne' marmi tutti e quattro
pubblicamente applauditi ^
I correttori d'Italia, dell'Istria, della Venezia venivano
sovente a presiedere: male per altro avvisavano coloro che
teneanli stabili governatori '. Il loro ufficio non era sempre
quel desso; era straordinaria magistratura^ che si creava per
occasioni e per motivi particolari, e per lo più a rendere ra-
gione '. Se ciò non fosse non sarebbersi questi annoverati fra
giudici S non si vedrebbero qua e colà ora nell' una, ora
nell' altra parte, ora in tutte ad un tempo, nò il loro tempo
sarebbe indeterminato.
Correttori della Venezia e dell'Italia, che è quanto dire
con potestà sul municipio nostro, furono a' tempi di Massi-
miano nel 285 Giuliano ^; a. 287 Onorato ^; a. 288 Justejo
Tertollo autore del marmo patavino a Massimiano ^ ; a. 290
Nomidio nomato nel Codice di Giustiniano; poi Flavio Postu-
mio Tiziano, che fu console ordinario nel 301 ^: indi Gejonio
Rnfio Volusiano corregtor italiae peb annos ogto ^, fatto poi
cornile da Costantino e prefetto in Roma nel 310, cioè pres-
so al tempo della nuova riordinazione politica d'Italia.
1. Panvinius, Fast p. 385. — Grut. lia, voi. 1, p. 45. — Morcelli,
p. 58, 4 - i79, 1 - 279, 2. — De Stylo Inscr. pag. 83.
Reimesius, Glasse III, n. 48. •-- i. De Vita Ani. Beneveni. tom. L
Fabretti, c. V, n. 288, — Doni, pag. 149.
Classe II, n. 107. — Muratori, 5. Victor, tu CcBsar, e. 39, 10.
pag. 461, 7, 8. — Haffei, Mus. 6. Labus, Marmo patavino illustrato.
VeroD. pag. 103, 1, 2. 7. Labus, 1. cit
2. FiLiASi, Mem. Yen. — t IV io fine. 8. Grutbr. pag. 459, 7. — Fabr.
3. Maffei, Verona Illustrata, tom. 1, pag. 208, n. 510.
lib. 7. — Carli, .antichità d' Ita- 9. Gruter. pag. 387, 5.
300 BEPUB. E IMP. DI BOMA
Le accennate munificenze di opere edilizie, che noi
dovemmo a Massimiano, non facevano più dolce sotto il ferreo
suo giogo la vita dei padri nostri.
Nato in Pannonia fra gli sdenti della povertà» prese l'armi,
combattè sul Reno, sul Danubio S sull' Eufrate. Fatto Cesare,
quindi Augusto, V anima rude mai non dispogliò dalla inge-
nita ferocia che tenea del brutale K Se non che gli augusti
dopo vent'anni di regno trovavansi costretti dalle minacce
dell'orgoglioso Galerio a deporre l'impero. Si proposero due
Cesari: fatto audace dalla sua potenza, Galerio li designò, e
furoito Severo e Daja Massimino, due suoi cagnotti da farne il
voler suo. Galerio e Costanzo assunsero l' ambito seggio, e
fatti augusti, divisero l'impero. Toccarono a Costanzo le Gal-
lio, r Affrica, r Italia; ma Italia ed Affrica, pago del titolo au-
gustale, a Severo cesare lasciò ^, con questo che salva gli fosse
la preminenza. E Severo cesare, sentina di lordure, briaco
tutto il di, espilatore di province, fu serenissimo signor nostro.
jÒc" Costantino, giovane figlio di Cesare Costanzo, fremeva im-
paziente di togliersi dall' ugno del sospettoso Galerio; conob-
be i tempi, e li trovò pari all' ardore delle sue ambizioni ^.
Fuggi dal tiranno, volò nelle Gallio per essere col padre, che
seco r ebbe ad una guerra contro i Caledonj, dove Costanzo
mori. Ed ecco l' esercito acclamare il figlio Imperatore Au-
gusto, e rivestirlo della porpora imperiale.
Mentre queste cose accadevano, altri emuli volenti l'impe-
ro si levavano in armi. Massimino, Erculeo, Massenzio il figliuol
suo carpivano del pari quel titolo d' augusti che Galerio e
Severo professavano anch' essi.
1. Mamertinus, m Panegyrico. 3. Eutropius, in Breviar, — Aurb-
%, AuRELius Victor, m Cessar. — lius Victor, in QBiarib.
EuTROP. in Breviar. eie. 4. Zozimus, Aurel. Victor, eie.
AEPCB. E IMP. DI ROMA 301
IV.
CONTINUANO I NOSTRI FATTI DA COSTANTINO
AL DISSOLVIMENTO DELL' IMPERO
Costantino intanto preparavasi destramente a sbarazzar- ^]^^'-
sene di tutti, lasciando che nel bollore di quelle rabbie si
consumassero tra di loro. Fra le quali Massimiano facea scan-
nare Severo Massenzio; poi corrotto l' esercito di Galeno, co-
stringeva Tabbandonato augusto ritrarsene furente in Panno-
nia dond' era venuto. Sbucciava in questo mentre un altro au-
gusto» ed era un Licinio fatto su da Galeno: ed eccone cinque
per un solo impero. Il più irrequieto, Massimiano Erculeo, non ms
potea darsi pace; fu da Galeno, da Domiziano, da Costantino
per averseli compagni, e n'ebbe ripulse. Tentò uccidere Costan-
tino, ma colse uno schiavo, e Massimiano fu dannato a morte
poco prima che Galeno perisse vittima delle sue dissolutezze.
Massenzio intanto si preparava alla guerra, né Costantino ,t,
meno di lui: s'accomodò con Licinio prima; poi spartito
r esercito, ne trasse parte al mare, e passò l' Alpi col resto.
Vinta Susa d' assalto, ch'avea serrate le porte, fu a Torino
e r ebbe; quindi a Milano, che plaudendo V accolse; e dato ai
militi un po' di riposo, venne sotto le mura della nostra città,
ove Ruricio Pompeiano, prefetto del pretorio, che per Massen-
zio comandava i militi della Venezia, rapidamente avea man-
dato un polso di cavalli catafratti per le difese : scontravano
cotesti ne' campi suburbani V esercito nemico ; ma rovesciati
all'urto primo, furono respinti fino a Verona in cui si chiusero.
Era quivi Ruricio con tutto il nerbo dell'armata Massenzia-
na; e pare che Trento, Brescia, Verona ne favorissero le parti.
O»o»ici. Siorie Brese. Voi. L 31
302 RCPUB. E IXP. Dt ROMA
Nella terra di àtì è ancora forse questa pietra, che il Tarta-
rotti ha pubblicata h
IMP • CAES
M • AVR • VAL
MAXENTIO
PErp • iNviCTO
E r adesione del Veneto alla causa di un prìncipe si cru-
dele * a Jacopo Pillasi non ò sfuggita. Appena Ruricio in-
tese ravvicinarsi dell'esercito nemico, piantato il campo
all'Adige, lo trìnceò per modo che indamo tentò Costantino il
passaggio del fiume: ma trovato \\n guado, fra le tenebre
della notte lo superò. Accortosene Rurìcio, levata l' oste, rien-
trò in Verona, cui pose Costantino l'assedio, che virilmente
dai Massenziani fu sostenuto. Durante il quale, veggendo
Rurìcio assottigliarsi nelle sortite senza prò le file del suo
presidio, usci di notte, e messo in armi l' esercito eh' era a
campo sul Vicentino, marciò sopra Verona.
Ed ecco le due grandi armate schierarsi l'una contro l'altra
ne' campi Raudj fatali ' a decisiva battaglia presso i limiti del
bresciano, la via basilica ed il Mincio. Centotrentottomila
uomini contava Ruricio, novantottomila Costantino. Benché
non tutte dall' una parte e dall' altra si dispiegassero quelle
forze, rimanendone buon dato sotto Verona ^, tanta mole di
guerra si rovesciava con si diversa gente sui nostrì campi.
Finni, Catti, Cheruschi ed altri popoli della Germania, quali
armati di mazze, quai della lancia e della scure, tutti di alte
forme, di selvaggio aspetto; Galli dalla lunga chioma con que'
i. Tartarotti, Mem. di Roveredo. gidi, sospettandolo corrotto delPan-
8. Mem. Venete — t. IV, p. 447. tico, a cui ci atteniamo.
.3. Guuri dice il Maffei coi nome d*og- 4. Nazar. Paneg, - Inceri. Paneg,
REPUB. E IMP. DI ROMA
303
loro calzoni alla guisa dei Traci; Numidi e Garamanti avrolte
le brune membra in una clamide» col fido arco a tergo; Fran-
chi vestiti delle pelli dei pesci marini, coi loro angoni a due
punte, e coir anello di ferro al bràccio, cui aon toglievano
che sul cadavere d' uno spento nemico. Tutte barbare gene-
razioni, quali venute dalle sabbie ardenti dell' Affrica, quali
dai ghiacci della Selva Ercinia a spargere il terrore del loro
nome e il nostro sangue ^. Cominciò la battaglia eh' era già
notte, nò forni che al mattino colla distruzione dei Massen*
ziani e colla morte del loro duce stesso. Concordano gli scrit-
tori accadesse la mischia tra Verona e Brescia non lungi
dal nostro Benaco e dalla selva Lugana, opperò probabile
mente, come abbiam detto, sui piani ornai famosi ne' patrj
fasti per sanguinose battaglie. Verona fu cinta un' altra volta
dall' armi dèi vincitore, poi vinta d' assalto e posta a sacco.
Vinta la Venezia, fu Costantino a Roma, vi batto Massenzio;
ne' più dopo la morte di Massimino fu alcuno che gli con-
trastasse r impero.
Ma per tornare alle cose nostre: o per decretati ristauri
alla via Emilia quivi disfatta per la battaglia veronese che
diede vinta a Costantino la lite, o in plauso del vincitore, si
ponevano forse lungo il tratto di via che tocca i limiti bre-
sciani le patrie colonnette militari, che qui siccome storiche
riporteremo.
PI e.
D • N • FLAVIO • CONSTANTINO
MAXIMO • PIO • FELICI
INVIC • AVGVSTO
M • P • XXUI
D • N • IMP • CAES
FL • CONSTANTINO
MAXIMO
l. L* esercito di Rurìcio componevasi
d'Itali, di Siciliani e d* Africani.
In quello di Costantino erano tutti
Galli, Bretoni e Germani.
304
REPLB. E IMP. DI ROMA
Die.
S3S
S38
Passò la prima dalla terra di Rivoltella al museo di Verona <;
stassi tatt' ora la seconda in Sermione *. Ma leggendovi solo
il nome di Costantino, mentre s£q[)piamo che avea comune con
Licinio r impero» potrebbero que' cippi congetturarsi di po-
steriori tempi, quando cioè nimicatisi T un T altro, battuto
in guerra Licinio da Costantino, più non ebbe compagni al-;
l'impero, che tutto a lui restò. Narra Ottaziano che largo ri*
stauratore fu quel principe delle italiche città ^; e che Flavio
Costantino visitasse poclTi anni dopo la nostra parrebbe in*
dubitato da ciò che noi lo sappiamo nell'aprile del 326 ad
Aquileja, e poco appresso in Milano ^ (come ò certo che vi
fosse nel 313 ^ in cui Licinio sposava Costanza sorella di Co«
stantino augusto ^), tanto più che recandosi tre mesi dopo
nella Pannonia, tenne la via di Spoleto (settemb.)» Milano
( ottob. ), Sirmio (dicemb.)» arrestandosi ad ogni luogo, sic-
come pare dalle sue leggi.
Fatto avvelenare un innocente suo figlio ^, svenare la mo-
glie ^ scannare Licinio nipote suo, ordinava poi quel timorato
di Costantino che i chierici si togliessero dagli indigenti, che
non se ne facessero che pel bisogno, ed affrettavasi di richia-
mare in patria il terribile Àrio^, l'eresiarca sollevatore di
tanto scisma, che ne fu per secoli dilaniata la Chiesa.
1. Gnocchi, Iscr. pag. 46. *— Mcrat.
N. The», Y, Inscr. p. 463, n. 5. —
Seb. Arag. M, Ant, d. ISl. -^
Rossi, M. B. pag. 274.
2. Se ne aspetta dair Orti T illustra-
zione in un suo lavoro.
3. Optatianus, Panegifr. Constantiiis
apud Velserium»
4. Chronologia Codicis Theodosianù
Ediz. di Lipsia 1736, pag. 6, e. 27.
5. Lactant. De Mori, Persecut. e. 48.
6. Euthopius, in HisL ììh. X. — Zo-
siMUS, tfi Hist, lib. II.
7. Idacius, in Fastis, — Zosmos,
Hist, lib. II, e. .29. — ÀM1IIANUS
Margell. lib. XIV, e. H, — Zo-
NARAS, in Annalib, — Aurelius
Victor, in Epitom. — Philostor-
Gius, in Hislor, etc,
8. ZosiMO, Aurelio Vittore, Sido-
NlO ed altri.
9. SoCR. SozoMENo, Paci, Baron. ce
BEPUB. E IMP. DI BOttA 305
Ma il colpo fatale da lui dato all'impero fu V averlo diviso» ^
e portata in Bisanzio la sede imperiale^. Sia luogo al vero: il
superbo risentimento di un uomo solo non ebbe mai nò pib
intera, né più terribile soddisfazione. E ben disdegnoso do-
veva essere quest' uomo, se a vendicarsi (come fu detto al-
meno ') di un personale insulto potò sacrificare il ben essere
di tante generazioni. Vogliono alcuni che lo facesse per va-
nità. Comunque siasi» la corte imperiale fa da lui trasportata
suir Ellesponto, e con seco la metà almeno della gloria e della
potenza italiana: dispogliate di colonne, di statue, di artefici,
di monumenti le città dell' impero per abbellirne la barbara
Bisanzio; largite rendite, concessioni, privilegi a quanti ve-
nissero, abbandonando le italiche, nella nuova città; vietati a
Italia sino i grani dell' Egitto, arrestato a Costantinopoli tutto
r oro d' oriente che come a suo centro si versava in Roma,
e non diminuito in mezzo a tanto desolamento, a si voluta
inopia l'antico tributo. Ecco le gesta di Costantino il grande \
Epperò non indamo lamentava s. Gerolamo le città no-
stre mutate in un deserto ^ : onde non ò meraviglia se do-
po la morte di Costantino si grave danno fu maggiormen-
te sentito; perchò mentre le gare accanite di alcuni fra' suoi
successori*, l'arrogante inerzia degli altri, l'ambizione di tutti
struggeva l'esercito, l'avidità dei ministri vessava le inte-
re province, e la impotenza dell'arrestare il torrente dei
barbari, che un figlio di Costantino avea chiamati, manifesta-
vasi sèmpre più. < E veramente, a rovinare tanto imperio,
1 fondato sopra il sangue di tanti uomini virtuosi, non conve-
i. AuRZUUS Victor, De Casarib» 4. Consiatitinopolis dedicaiur pene
S« ZosiMUS, Hitt. lib. II, e 30. omnium urbiwn nuditaU. — HlEiu
3. MoNTEiOUiEU, Grandepr et dècor in Chronoh
dcnu da Romains, cbap. XYll. 5. Muaat. Ann. a. 338 o s€g.
306 REPUB. E HIP. DI ROMA
» niva eh 'e' fosse meno ignavia nei principi, nè^ meno infe*
> deità nei ministri, nò men forza o minore ostinazione in
> quelli che lo assalirono ^ >• E certo non è sapienza il dire
con Cesare Balbo, che tal fondazione dèlia nnova Bisanzio à,
dimostrasse opportunissima dall'essere caduta poi Roma,
non Costantinopoli mai sotto a quelli od altri barbari setten-
trìonsdi, e dall' aver durato l'imperio colà poco men che mille
anni più che a Roma*. Roma cadde si, ma per esseme da Co-
stantino tagliati i nervi prima della sua caduta; per averla esso
il primo abbandonata, emunta di militi e di forze. Durò mil-
r anni sul Bosforo l' imperio di più che in Roma ;. ma dei
mill'anni quanti furono quelli di verace imperio? Lo ve-
dremo più innanzi.
Non saprei veramente qual fede possa darsi ad Eusebio,
dove narra levato da Costantino ai popoli di tutto lo stato
il quarto deli' annua prediale. È noto che il vescovo di
Nicomedia, scaltro fomentatore nell'animo del principe dei
dogmi ariani, cui sempre fu intinto, era sottilissmo adu-
latore di Costantino, a dar giudizio del quale, stremi di
più imparziali narratori, siam costretti a seguire i suoi pane-
girisli ', che è quanto dire fabbricatori di storia, o come repli-
cherebbe il Manzoni, guastamestieri. Certo è che novatore fo
Costantino, terribile novatore di tutta un' età; di que' colali,
che stretta in pugno la forza materiale delle nazioni, la svol-
gono potentemente a voglia loro, e guidano e, poco men ch'io
non dissi, trascinano i popoli ad altri destini. I tempi s' im-
1. Macchiavelli, Storia di Firenze - — Nazarius, Panegyr, Cousianl.
libro I. — OpTATiANUS , Panegffr. ihL
2. Balbo, Sommario della Storia d' I- — Incertus, Panegyr. Maxima».
talia. Età terza, § 10. et CoMiant. (Beila unione da pa-
3. EusEB. Vita Constant, ibi Paneg. negirico!) etc.
REPUB. E niP. DI ROMA 307
prontano dei loro nomi, quasi a testimoniare che s'erano pie-
gati alla energica prepotenza/ agli arbitrj di loro anime gar
gliarde e risolute.
Di due prefetti del pretorio, a contentare le ambizioni
crescenti di sua corte già tutta orientale, ne inventò quattro.
Era il primo di essi prefetto del pretorio d' Italia^ che diviso
in tre diocesi, Italia, Illirico ed Africa, abbracciava Italia tutta
e Sicilia e Corsica e Sardegna, e colla Rezia il Nerico, V I-
stria, la Dalmazia, le coste dell' Àfrica dalle Sirti a Cirene ^.
L' Italia stessa in diecisette diocesi divise. Benché ci sembri
che la Venezia coir Istria venisse dichiarata una provincia
consolare (a quel modo che prima di Costantino formavano
una sola provincia) erano i Veneti sommessi al vicario della
diocesi italica. Lacerato in quattro parti l'impero, moltipli-
cati gli augusti, stanziati di qua dal Po grossi eserciti e
grosse corti per paura dei barbari, gravate le terre nostre dal
peso di vettovaglie enormi, noi stessi disertavamo per dispe-
raziene i colti. Vedemmo che si fossero i correttori già isti-
tuiti da Diocleziano: i Omites di Costantino risponderebbero
ad un dipresso al medesimo ufficio *; e male il Pillasi ' ed
il Maffei ^ credevanli governatori. Incerto ed oscuro gli è per
altro ancora il politico sistema di quella età.
Pare che Adriano a quattro consolari affidasse Italia * co-
me a giudici supremi. Aurelio Vittore confermerebbe sussi-
1. Z0ZIMU8, lib. li, e. 32 6 seg. — sempre dintorno a sé. — Trota,
GoTHOFRED. t VI, in Cod. Theo- Storia d* Italia, 1 1, parte II, p. 553.
doi, — Pancirol. NotiUa Utriui- 3. Mem. dei Veneti — t IV, p. 452.
ftte impera, — BuLANGBaus, De 4. Ricerca Isterica, cap. 34, 35.
Imi^, Rem, lib. ili. 5. Quaiuof eontulares per amnen lior
S. i (inali per altro sembrerebbero di liam Judieei constituiL — Spar-
germanica orìgine, ugnali ai ùm^ tianus, in Hadrian. pag. 198, ed.
fo^ilcomìtes) che i principi ger- 1671, Lugd. — Salmasius, i»
manici de* tempi di Tacito aveano Spartian. tt Jul, Capiiol
308
hepub. e imp. di roma
stenti nell'età propria questi ordini che yof^ìomìadrianei^poca
da Costantino mutati ^; ma pare che colga errore, perchè M.
Aurelio cambiava in giuridici i consolari*. Certo che unTetri-
co fu correttore d'Italia fino dai giorni d'Aureliano augusto ^.
Né però la mentovata distribuzione in province pare che
in tutto il III secolo avesse luogo. Che l' una delle diecisette
province fosse la Venezia e V Istria^ che Brescia si com-
prendesse nelle molte sue città gli ò indubitato. Valerio Pai*
ladio fa consolare della Venezia, e il marmo che lo ricorda
è tra i rarissimi segnati con quella dignità ^. Fiaviano an-
ch' esso fu consolare ' della Venezia, e un altro in Pomponio
Gomeliano ne addita il Maffei \ Confondendo per altro i
consolari coi correttori, vorrebbe questi che fossero tutt' uno;
il che non pare , perchè a' consolari spettava il governo delle
province^: e i correttori dovean essere inviati straordinarj con
precario mandato, benché il Labus paia tenere diverso pen-
siero nel Museo Bresciano che non ebbe altrove, tuttoché ta-
luno di questi portasse il titolo di conte, come certamente
n'era insignito quel nostro Gaudenzio, del quale serbiamo due
marmi ancora ^ che spettavano forse ad un medesimo edificio;
ed io sospetto a' due fianchi di un ponte sul Garza, essendo
altro ufficio dei correttori di soprastare alle vie.
i. Sex. Aur. Victor» Epitom. in
Hadriano,
2. Datti Jurididiy Italim eonsulit ad
id exemplum^ quo Hadriantu Con-
sulares virot eie* — Capitol. in
M, AntOMn. PkiL t l, pag. 132.
3. Trebell. Poll. in Teirico, —
Salmas. m Trebeli — Abbiam
già deUo degli altri correttori; Nu-
midio de' tempi di Diocleziano (Cod.
Jur, Civ. lib. VII, lit. 35, 1. 3 ).
Post. Tiziano cbe fu cons. nel 30f
(Grut. 459). Cejonio Volosiano
(Grut. p. 387) ecc.
4. Panvin. AfU. Veron. lib. VIIL —
Maffei, AnL Gond. di Ver. § 25.
5. Cod. Theod. lib. XI, tìL 7, n. 10.
6. Deir Ant. Gondiz. di Verona, § 25.
7. Cod. Theod, lib. VI, til. 19. —
Lex Honori. De ConnUaribus.
8. A 8. Agata la prima, ora esiste nel
patrio Musco; T altra sotto il por-
REPVB. E lUP. DI ROMA 309
COR • GAVDEN COR • GAVDEN
TIVS VP- COM TIYS VP- COM • ET
ET • CORR • YEN CORR • YEN • ET
ET . HIST HISTCYRAYIT
CYRAYIT
Che poi residenza del correttore fosse Brescia, eh' ivi an-
cora soggiornassero i Ticarj imperiali sono belle fantasie del
Gagliardi, a lai suggerite da queir amore delle nostre cose, il
quale assai volte s' ai^omenta di porle più alto che non den-
DO locarsi. Oad' io temo che nel suo Nigrino Vicario m'abbia
cangiato nn nome proprio in dignità ^.
Il teologo imperatore frattanto cancellava nel suo concilio
di Tiro dai vescovi cristiani s. Atanasio, ed in quello pur suo
di Gerusalemme accoglieva nella chiesa cattolica l'eretico Ario,
mentre il povero Atanasio supplicante giustizia fu relegato
nelle Gallio *; poi fatti cesari Costanzo, Costante e Costantino
suoi figli ', divise fra costoro V ancor vasto impero. Africa, Illi-
rico ed Italia a Costante assegnò ^. Sciagurato sminuzzamento:
che se Diocleziano avea dato V infausto esempio, non era de-
bito che Costantino lo seguitasse. E forse allora per esul-
tico delle carceri di Piazza Vec- 2. Baron. Ann. Eccl. Labbej Concilia,
cbia. — Brunati, Lcggcnd. dei — Fleuri, HisL Eccl, eie.
Santi Bresciani, p. 194. - M.vffei, 3. Idacius, in FasUs. Chronicon AU-
Deir Ant Gond. di Verona, § XXV, xandrinum, — Hieron. in Chron.
art 25. — Ferrabini, Inscrìz. ms. 4. Anontv. Valesianus, Zonaras,
pag. 156. — Gagliardi, Parere in Ann, — Aurel. Victor, ia
ecc. Cd. Sambuca, art. XXXI, § XI. Epitome; e quasi tulli gli storici
1. Labus, Lettera presso T autore. costanliniani.
Dir.
S35
f-
310
REPl'B. E lUP. DI ROMA
tanza ponevasi questo marmo, riavenuto già nella piazza di
Palazzolo.
DD . NN . FL . CLAVDIO
CONStANTlNO • ET
FL . IVLIO . CONSTANTIO
NOBB ■ CAESS • FILIS
D • N • CONSTANTINI
MAXIMIVICTORIS
AVGVSTI
NEPOTIBvs . DIVI
CONSTANTI • PRINCIPIBVS
IVVENTvTis
AggiaDgo ia esultanza, perchè ad essi unicamente e con
quel solo titolo di cesari e principi della gioventù fu lor dedica-
to ; mentre quest' altra colonnetta militare, in cui precede
il nome del padre, sembrerebbe locata nell'occasione di
comandati rìstauri lungo la via Emilia, in cui presso Be-
dizzole fu rinvenuta; ed eccola senza più:
DDDD NNNN
FL CONSTANTINO MAXIMO
VICTORI • SEMPER • AVGVSTO • ET . pl
CLAVD . CONSTANT . ET . FL . IVL . CONSTANTI
ET FL IVL CONSTANTIO NOBB CAESS
REPUB. E IMP. DI ROMA 311
(A ttrgo.*)
DDNN
MAGNO MA
XIMO ET FIL Vie
TORI INVIC
TIS ET PERPETVIS
AVGVS
TIS BR P M
IIIIII
Ma Costantino anch' egli dovea morire; già presso al-
l'estremo istante dimandò l'augusto il battesimo, che dif- »7^'
ferì sino allora per cancellare cosi d' un tratto i suoi
peccati*; onde cristiano Teracemente non fu mai fuorché
in punto di morte '. .
Prima cura dei figli di Costantino, e più di Costanzo, fu im
quella di uccidere i nepoti che ad alti uffici il padre avea
leTati. Poi Costantmo, mosso Y esercito dalle Gallio, passò 140
l'Alpi, fu sulla via Emilia, poi tutta scorrendo per tal modo la
provincia bresciana, si rovesciò nella Venezia , e sotto Aqui-
leja scontrò V esercito del fratello Costante, che in buon
punto avea spedito. La battaglia fu sanguinosa, Costantino
disfatto, e il suo corpo gettato nell' Alsa, fiume veneto presso
il Tagliamento. Cosi l' Italia, con tutto V impero del fratello
estinto, fu aggregata dal vincitore al proprio stato ^. Venia
<. Era in BoUonago di Bedìuole; ora 1 Euseb. m Vita Constant. — HiE-
nel patrio Museo per dono dei si- ron. in Chron, eie. eie
gnori Filippioi. — Brunati, Jkftf- .3. Vales. Adnotaliones ad Euseb. -—
seum Benaeenu £(AfitciMii. Gass, Tillemont, Mém. des Empereurs.
Misi. mi. 4. AUREL. Victor^ in Epilom.
312 BEPUB. E IMP. DI ROMA
questi da poi nella Venezia, fu in Brescia probabilmente,
quindi a Milano S in cui trovossi nel 346.
^^^. Ed anco i suoi giorni erano numerati, e Magno Magnenzio
gli troncò sul Rodano la vita^. In poco d'ora fu padrone il bar-
baro della Gallia, della Bretagna, d' Iberia, dell' Africa, del-
l' intera Italia. L' anno dopo trovandosi a Milano, decretava
cesare il fratel suo Decenzio ^, poi l'avviava nelle Gallio,
corse allora dai Sassoni e dai Germani, pagati e spinti da
Costantino augusto ^. Epperò Magnenzio rigonfio d' ira, con
esercito immenso fu nella Venezia, le cui città, non esclusa
certo la nostra, furono piene di quelle coorti. Galli, Britanni,
Sassoni, Germani^ attraversavano le nostre campagne; qual
ne facessero governo Iddio vel dica. Finalmente pel Norico
passarono in Pannonia ^ ove sconfitto l'imperatore nella ce*
lebre giornata che spense il fiore degli eserciti romani, ridi-
3f> scese in Italia, e vi si fermò lungamente; ma poi ributtato
fuor dell'agro aquileiense, tempestato a tergo dall'armi
nemiche, passò foggitivo dai nostri vici, ed oltre Pavia si
disperse ^. Pare che fosse da Costanzo medesimo inseguito,
perchè troviamo l' augusto (3 novembre) in Milano per abro^
gare i Magnenziani decreti. Magnenzio ritentò nelle Gallio la
sorte dell' armi; ma vedutosi perduto, uccisa in prima la ma-
dre, si tolse disperatamente la vita.
3SS Prediligeva Costanzo nelle sue posate militari la città di
Milano, ed assai tempo alcuna volta vi soggiornò: vi dettò
leggi, vi raccolse un sinodo in cui depose un'altra volta
1. Cod, Theodos. ediz. Lipsia 1730, 4. Libanius, OraL XIL
pag. 6 e 27. 6. Jolian. Orat. L
2 ZoNARAS, in Annalibus, 6. Zosimus, h'b. II, e. 45 e id
3. ZosiMUS, Ub. II, e, 45^- Zonaras, Zonaras, in AnnaL
in Annoi, 7. ÀiREL. Victor, in EpUom,
REPUB. E IMP. DI ROMA 313
s. Atanasio, e in mezzo all' esercito vi dichiarò cesare Flavio
Claudio Giuliano suo cugino ^. Altra città dall' augusto pre-
ferita parve ancora Aquileja; sicché non è a dire come di
sovente, recandosi dall' uno all' altro sito, attraversasse la
nostra.
Milano, Ravenna ed Aquileja erano allora le città più fre-
quentate dagli imperatori nell' alta Italia, onde abbiamo da
Vittore che alla Venezia, alla Emilia, alla Liguria, al Piceno,
alla Flaminia era dato il carico d' alimentare quelle corti delle
sostanze d'interi popoli'. Fu Costanzo a Roma; poi sentite le
invasioni degli Svevi nella Rezia tornò a Milano, e passando 3^'
probabilmente da Brescia pare che per la via di Trento si
recasse nelle Pannonie '. Giuliano intanto facea miracoli
nelle Gallio col mantenerne i minacciati confini, sicché i soldati
ne r acclamavano imperatore sollevandolo sui loro scudi ^. sgo
n perchè mosso l'esercito, invase l'Illirico, e fattovi prigionie-
ro Lucilliano, conte e generale di Costantino, entrò vittorioso
nella Macedonia e nella Grecia. La Venezia e V Italia quasi
da sé senz'altra guerra venivano in poter suo ^; poi la morte
di Costanzo lasciò libero a Giuliano l' ambito seggio.
Da otto anni sofferivano le povere province nostre i pas-
saggi devastatori degli eserciti di Magnenzio e di Costanzo;
ed é probabile che lieto dell' ottenuta vittoria decretasse Giu-
liano riattamenti alle nostre vie, ridotte poco meno che all'ul-
tima rovina: due colonne militari l' attesterebbero, scoperta
i. Idacius, in Fastis, — SocitvTES, 3. Ammiax. Marc. HisL I. XVf, e. 10.
Hist. Hb. II, e. 27. — HiERON. 4. Zos. lib. Ili, e. li. — Julian. w
in Chron. eie. Ammian. lib. XX, e 4. — Liba-
2. Trota, Storia d' Italia — tom. I, nius, Orai. ^IF.
parte II, pag. 729. 5. A^IMIAN. Marceli, Hist lib. XXI.
314
REPUB. E ISfP. DI ROMA
runa ^ in Palazzolo nel 1779» l'altra tuttavia nella penisola
di Sermione *.
(Sermione.)
mP . CÀE88
DN . FL • GL . IVLIANO
P . F . VIGTORI . KC . TRIVMF
SEMP • AVG . PM . IMP
vn GONSS m bono . r . p
NATO PATRI PATRIAE
PROGONSS
fPalaxxolo.)
IHP • CAESARI . D . N . FL
CLAYDIO . IVLIANO
VIGTORI . AG . TRIVMPHATORI
«
SEBfPER . AVG . PONT . MAXIMO
IMP . SEPTIES . GONSULI
III . BONO . REIPVBLIGAE . NATO
PATRI . PATRIAE . PROCOS
Osservando che la colonnetta militare diMaguzzano (g .mes-
si vs • Q . TRAiAN . DEGivs otc:) portava il M . p . %xm , che
r altra consimile scoperta non molto lungi da Desenzano e
pubblicata dal MafTei marcava il m . p . xviin , questa di Ser-
mione andrebbe a cappello colle distanze da Verona seguendo
r Emilia. Ma di ciò quando sarà paiiato delle vie Romane: bene
avvertiremo che il consolato III da Giuliano assunto nel 360 fa
r ultimo suo» e che il saluto imperatorio VII è a tenersi pura-
mente tra le militari acclamazioni delle molte sue galliche
vittorie, mentre imperatore veracemente non fu che da quel-
r anno al 363. Fu Y ultimo dei Costantiniani e dei prìncipi
gentUi, sondo già Y idolatria presso che vinta e profuga nei
paghi e tra le valli, tenaci sempre degli aviti altari. Filosofo
1. P. Tommaso Brescianini , Iscrìz.
Ms. labusìano» pag. 115.
2. Gnocchi, Iscr. Ms. p. 47. — Fé-
LiciANO, 1 211. -T- Panv. Antiq.
Veron. lib. Vili, p. 126. — Gru-
TERus, pag. 285. — Donati, Sap-
plem. ad Murat. p. 220. — Bru-
NATI, Mtueum Benacense EtM-
eum me Iiueriptiones Btnacenu9
in Saeroif Historicas ei Fwubreg
distribuUB, CommefUariis mò/e-
efis. Mi, Cktsiis Histor. — Maf-
PEI, Museum Yeronensef pag. 102,
num. 167.
REPUB. E IMP. DI ROMA 315
a modo suo, di svegliato ingegno, buon capitano ed uom di
stato, fo persecutore della religione, eh' ei prevedeva trionfa*
trìce, che professata rinnegò: il perchè fa detto V Apostata:
cadde trafitto da ignota mano presso il Tigri, combattendo
valorosamente contro i Persiani. su*
Gioviano suo generale fu dall' esercito acclamato impera-
tore, il quale fatto consolo un suo bambinello non ancora
slattato S stipulata una pace coi Persi, indi a pochi mesi
morL Due patrj monumenti abbiamo dell'ottimo ed infelice
augusto, scoperto il primo in Àsola nel secolo passato K
D • N • FL ' lOVIANO
VICTORI • AC
TRIVMPHATO
RI • SEMRER • AVG
BRPN
X
L' altro è pur cippo militare che abbiam già dato: lapidi
tutte di vie rimarginate sotto il breve suo regno.
£d anche adesso i mìliti facevano da so; imperatore ac-
clamavano Valentiniano, il quale issofatto nomò compagno al-
l'impero Flavio Valente '. Tenne Valentiniano Italia, Illirico,
Gallio, Spagna, Bretagna ed Affrica per sé. Due leggi pub-
blicava, che al Baronie non garbavano punto: libertà di co-
scienza e restrizione delle opulenze sacerdotali.
1. AnoAMO Harcell. lib. XXV, e. 10 Donati, m Inser. — Murat. Sup-
racconU il fatto, e dice che il nobi- plem. pag. 157. — Grut. p. 285,
lissimoianciulloaTeva circa an anno. n. 5. — Maffei, Museum Fis-
2. Furiasi, Mein. Venete, 1. 1, p. 139. ronense,
— Nofelle Venete, 1754, p. 20. — 3. Zosim. lib. VI, e 21.
316
REPUD. E IMP. DI ROMA
DI C.
Fu a Milano per timore degli Alemanni che minacciavano la
Rezia ^ Che in questi tempi visitasse parecchie città della
Venezia risulta da leggi per lui dettate in Verona, Aquileja
e Lucerla del Mantovano ^ o del Guastallese.
I curatori, gì' imprenditori delle vie certo allora o per lo
passaggio di quei prìncipi consorti che da Costantinopoli si
recavano a Milano (364) \ o per comandate riparazioni, ri-
pristinavano le colonnette militari della via Emilia, delle
quali ancor una ci resta, che da Maguzzano passata in pro-
prietà del liceo di Desenzano, leggesi adesso nel nostro
museo ^.
r
DD • NN • FL • VALEN
TINIANO • ET • FL
VALENTI • DM
NIS • FRATRIE
VS • SEM • AV
G • DEVO
TA • VENETIA
COLLOCAVIT
XXVI
Ma elettosi (367) compagno all' impero Flavio Graziano
suo figlio, ecco dai soprastanti a quelle vie, per volontà for-
s' anco dei limitrofi municipj, aggiugnere su que' marmi anco
il nome del novello augusto adolescente d' in sugli otto anni,
1. Amxian. lib. XXVI, e. 5.
2. MuRAT. Ann. a. 365.
3. GoTHOFREDUS, in Chronoìog. Cod,
Theod.
4. Bagatta, Opere, tom. I, pag. 200.
Ceduta dal Co. L. Lechi con più
di ottanta lapidi bresciane al Mu-
seo cittadino.
REPUB. E lAiP. DI ROMA 317
e rispondere alla gioia colla quale fa dall' esercito accolto il
fausto aYvenimento. Preziosa è perciò, benché pubblicata ^,
la colonnetta che due sorelle bresciane * donavano al nostro
Moseo. Non appare il numero delle miglia, ma rinvenuta in
Monteroscio, gli è probabile spettasse alla via Emilia.
D • D ' NN • FL • VALENTINIa
NO • ET • FL • VALENTI • DIVINIS
FRATMBVS • ET • SEMPER
AVGVSTIS • DEVOTA VE
NETIA CONLOCAVIT
DDD NNN VALENTINIANO
VALENTI ET GRATIANO PERPE
TVIS PUS FELICIBVS SEMPER
AVGVSTIS
Morto Valentiniano, imperò Graziano, che associossi al ^»'
trono il fratel suo Valentiniano II. — Valente reggeva intanto
le parti orientali; spento il quale in un fatto d' armi contro i m
Goti, quelle barbare genti stanziarono sul Danubio nella
vinta regione. Vedutosi Graziano i barbari alle spalle, fa-
1. IsabeHa ed Emilia Randini; ed ò ratori, N. Thes. Vekr. InicHp.
bene che anche nel sesso gentile pag. 261. — Filiasi, Hem. Yen.
abbia lode 1* amore dei monumenti tom. I, p. 177, il quale poi pren-
cittadinL de Terrore di dividere in due
1 ViNACCESi, Mem. Bresc. p. 238. — quest* unico monumento, attribueu-
Maffei, Mui. VerofL pag. 379. do la seconda epìgrafe ad altra
Verona ili. lib. I, par. I. — Mu- colonna mililarc.
OMAiCi, Siwrit Brut. Tol. I. 22
318 REPUB. E IMP. DI ROMA
cova imperatore Teodosio, dandoj^i le minacciate province
d'oriente e dell' Illirico ^ Italia, Spagna, Gallio, Bretagna ed
^',^- Africa ritenne per so: venne a Milano, attraversò la Venezia,
fu ad Aquileja pubblicando leggi che ci restano ancora. Da Mi-
lano passò per la Rezia contro i Germani e i Longobardi * che
invadevano le Gallio, spintivi a tergo da più lontane genera-
zioni. Nò voglio tacervi una bella osservazione di G. Balbo:
che i confini dell'impero, stabiliti da Ottaviano augusto nel-
Tultimo quarto di secolo av. C., oltrepassati da Trajano nel 75,
ripresi intorno al 175, perduti nel 275, rotti affatto dopo il
375, furono cancellati colla distruzione dell' impero nel 476.
Le grosse fazioni barbariche diresti che andassero per secoli ^
Mo Reduce vincitore, soffermossi Graziano a Milano e ad
Aquileja, passando certamente più volte dalla nostra città,
come Teodosio, che in Milano, a Padova, a Verona pubbli-
cava sue leggi.
m Ma un oscuro proscrìtto sollevatosi contro Graziano, Bri-
tannia e Gallia trasse con sé; e radunata una bordaglia di sca-
pestrati al pan lui, lo assaltò, lo sconfisse. Graziano cadde uc-
ciso a* tradimento ^. L'usurpatore fu chiamato augusto, e il
nome di Massimo, noto appena a qualche gregario della Bre-
tagna, comparve bentosto sulle lapidi imperiali. Procuratasi
una pace col mezzo di s. Ambrogio \ restò a Massimo la GaDia,
la Bretagna e Tlberìa: rillirico, l'Italia e l'Africa al giovane
Yalentiniano, al quale fu aggiunto, novello augusto, Arcadie.
i. Pagius, in Crii, Baron, — Tille- 4. Zosiv. cap. 35. — Sozomenus»
MONT, Mémaires des Empereurs. lib. VII. — Marcelunds Comes,
— SozoMENus, Hist, Eccl. I. VII. in Chron-
2. Prosperus, m Chroik 5. Ambrosius, in tfp, — Paulinis,
3. Balbo, Storia ItuUa. £tà ili. in Vita S. Ambr.
REPUD. E IMP. DI ROMA 319
Ed anche Valenliniaao trovavasi non di rado nelle città di
Milano e d'Aquileja; ed è nota una legge che pubblicava in
Brescia il 10 maggio del 382 ^
Massimo intanto, il rude gregario cui non bastava mezza ^nf
Europa, scendeva in Italia ': Catti, Franchi, Svevi, Alemanni
avea con seco; e tutla la Venezia, meno per qualche mese
Aquileja, rendevasi all' armi sue. I soggiogati Bresciani can-
cellavano allora dai cippi militari il nome dei loro Valenti-
niani per iscolpirvi 1' odiato di un disleale ; e due pietre ci
restano ancora, Tuna delle quali abbiamo veduta, l'altra
già in Bedizzole (ora nel veronese museo ^) reca V epigrafe:
DD • NN
MAGNO • MAXIMO
ET • FL • VICTÒRI • INVI
CTIS • PERPETVIS
AVGVSTIS
B • R • P • N
La fretta con cui su que' marmi venne scolpito il nome,
dinota con quale violenza piombasse i! tiranno su di noi.
Qual divenisse l'Italia subalpina, e con essa la povera no-
stra città, potremmo argomentarlo da quanto s. Ambrogio
scrìvea di^odena, di Beggio, di Brescello e di Piacenza, m
città dinanzi floridissime, fatte cadaveri ^; e dalle piaghe mor-
tali ^ onde narra Pacato fosse in allora dilacerata Italia*
Teodosio dal canto suo con un esercito d' altri barbari ^ fu
1. Cod. Theod, lìb. XII, t. \% 1. 9. 3. Maffei, Mus. Veron. p. 106, n. G.
2. SozoMENUS, lib. VII, cap. i4. — 4. Ambrosius, episU 39, ci. I.
SocRAT. lib. V, e. ii. — Theo- 5. Alla vubiera. - Pacat. in Paneg,
DOA. lib. V, cap. 14. 6. Pacatus, in Pane(fyr.
320 REPCB. E nip. DI nOMA
sopra la già vinta Aquìleja, ove Massimo erasi chioso: l'assali,
vi colse Massimo, a cui fa tronca la testa S e le città d'Italia
furono da Teodosio riconquistate.
Che dopo quello sperpero e quella rovina pensassero gli
augusti a ristorare le derelitte città dell'agro circumpadano,
e più le frequentate dalle loro corti, parrebbe indubitato;
avvegnaché Milano, Vicenza, Padova, Concordia, Verona,
Aquileja soventi volte accogliessero gl'imperatori nel loro
seno, ai quali più che Y altre di tutto V impero erano care;
Milano poi sopra tutte, se vogliam credere al novero delle
leggi colà per quei principi soscritte. Brescia trovavasi ap-
punto sulla via che da Milano conducevali ad Aquileja: da
qui le probabili posate degli augusti fra di noi, che non sa-
peano staccarsi dalla terra lombarda *.
'jfi' Ucciso da un Arbogaste ribelle lo sventurato Valentinia-
no II, mettea Y indegno sossopra la Gallia intera; poi fattosi
generale d'Eugenio, altro ribelle, minacciava Italia. Afiretta-
vasi Teodosio a farsi augusto il proprio figlio Onorio; poi rao
colta un'armata si mosse alle difese dell'impero, e sforzò il
passo dell' Alpi Giulie.
Al fiume Freddo scontravansi gli eserciti; fo accanito e
sanguinoso combattimento, e la vittoria fu di Teodosio, il
quale portatosi ad Aquileja, attraversò coU'esercito vittorioso
la città nostra per condursi a Milano; il che presuppongo, poi-
ché notano gli storici con quanta rapidità dopo la vittoria
si recasse l' imperatore suU' agro milanese. Avea scelta egli
dunque la via più breve , Y Emilia. Ma sentendosi vicino
a morte, chiamati i figli Arcadie ed Onorio, diede al secoa-
1. loAGius, m Foitù. — SocRAT. 2. GoTHOPRED. ili Chron. Midi
Ub. V, e. 14. TheodoiiafU.
REPUB. E IMP. DI ROMA 321
do r Italia, le Galliei le Spagne, la Bretagna, tutta l'Africa
e r Iliirìco; ad Arcadio V Oriente: indi a pochi giorni mori, ^u'
I due melensi figliuoli non avevano di principi che il
nome, e due rapaci ed ambiziosi militi li volgevano a loro
talento. Rufino e Stilicene erano questi: soppiantato il pri-
mo dal secondo, si cacciò negli Unni, e solle volli contro
l'impero ^ Quasi ad un tempo i Goti con alla testa il terribile
Alarico si rovesciarono su mezza Europa, e via correndo la
Macedonia e la Grecia furono a Bisanzio.
Spento Rufino dall'arti del suo rivale ^ Stilicene trionfò: ma
un altro rivale sursegli contro, il feroce Eutropio; sicché tra
r ano e V altro il misero impero si disfaceva.
Qualche legge abbiamo in quest' anno da Onorio pubbli-
cata in Milano, ov'era sua corte: è a notarsi in una la data di
Brescia ' (1 novembre), ma sappiamo che fuwi ancora nel
399 (19 giugno) ^ e nel 400; come pare visitasse in quegli
anni la Venezia tutta, dettando qua e là molte provvide leg-
gi, facendo ristaurare le nostre vie, obbligando al loro man-
tenimento il provinciale concorso di tutti i popoli, ordinando
una leva militare qual mai nessun prìncipe avea decretato: i
barbari imminenti lo impaurivano, e quella incetta di militi
non lo salvò da un'invasione di Goti. Radagaiso ed Alarico li
conducevano; ma non fii per allora che una rapida correria.
Fu come il tuono annunciatore dell' imminente bufera.
Omai si avvicinavano i giorni di un'alta sventura, e la caduta
di si vasto impero già maturava pei decreti di Lui che spoglia
% regi del dnto, e lega % loro fianchi colla fune ^. Non più incur-
sioni rapide e passeggiere, ma stanziamenti voleano i barbari
1 Marcell. Comes, in Chron. — 3. Co<L Theod. lib. VI, t. 4, 1. 27.
Zosiirus, lib. V, e. 5. 4. Ivi, lib. XV, t. 2, i. 34.
% CtAOD. in Rufino. 5« Job. c XII, t. 18.
3^2 REPUB. E IMP. DI ROMA
sulla terra italiana, nel cui seno medesimo le lunghe schiere
(li ostaggi e di prigioni colonizzati, non più pegni di fedeltà, ma
crescenti nemici, faceano paura. Le ignave cure de' consoli e
dei senatori, le intolleranze della plebe, la mollezza dei co-
stumi, la turpitudine dei pubblici costumi; e in mezzo a que-
sto r audacia, la militare virtù, tanto nei barbari cresciuta
quanto smarrita fra di noi, preconizzavano il fatale dissol-
vimento.
Cominciarono gli Unni, covo, ceppo immenso di vaste ge-
nerazioni, spinte od ingrossate anch'esse da più lontane tribù
del Caucaso, della Sarmazia e della Meotide ^ Passato il
Tanai (374), avevano allagata per lungo tratto l' Europa set-
tentrionale. Seguivano i Goti o Ceti, già fatti superbi della stra-
ge di Adrianopoli (378), poi Svevi ed Alemanni e Longobardi
(379), i celebri Longobardi d'esigue tribù, superbi della loro
esiguità^ senz'arti, senza leggi, senza lettere, cosi che giunti
fra noi penarono a ricordarsi d^ nome di recentissimi loro
re. Ibbo ed Aggio figli di Gambaja, una seconda Veleda, furo-
no i primi che trassero i Yinuli dall'ultima Scandinavia, dalle
spiagge desolate dell'oceano settentrionale ^. Ma Italia per
allora da tutti que' barbari fii salva. Gli unni e goti discorri-
menti fra il Bosforo e l'Alpi Giulie (395) sono descritti nelle
calde pagine di s. Gerolamo, e Per ogni dove scorre il sangue
> romano » cosi quel padre della Chiesa, e n Gofo, l' Unno,
» l'Alano, il Sarmata, il Quado, il Marcomanno, il Vandalo
» saccheggia l'Epiro, la Dalmazia, la Macedonia e la Panno-
> nìa. Le chiese rovesciate, gli^ altari violati, i vescovi uccisi
» fanno testimonianza del furor di costoro, a cui servono di
» ludibrio le vergini e le matrone * ••
1, Trova, Stor. d' lUlia t I, par. II, 3. Trova, 1. cit. pag. 85».
2. Tacit. in Anna!» 4. Uibron. Epp,
1. S. Gaudentii Eps. Serm. III. Inter 3. Sigon. De Occident. Imp.
ferieula imminentium barbarorum 4. Museo Bresciano ìllustr. - t. I.
auxilio protegi divino merebimur 5. Gothofred. Chron,inCod. Theod.
(PP. Brix, opera omnia), 6. Claudi an. De Bell. GeOc. et de
2, Cod. Dipi Uenjom. l. L Consul. IV Houor.
Dir.
nEPUU. E IMP. DI ROMA 323
Erano le potestà dell' impéro confuse ed incerte: Treveri,
Lione» Milano, Àquileja, Costantinopoli, Antiochia erano le
corti auguste. Ma Roma co' suoi monumenti, col suo senato
era imponente ancora; e quel venerando suo nome era ancora
pei barbari un fascino^ un prestigio. E mentre i Goti pas-
seggiavano alteramente la splendida Bisanzio, rispettavano la
cadente Roma, alla quale pmai non rimaneva che la sua
maestà: tanto è vero che, involando agli imperj le statue e le
colonne, non si rapiscono le memorie della loro grandezza.
Ma finalmente il visigoto Alarico, rotto ogni freno, giurò la "ioì
costai rovina; e sostenuto gagliardamente d' armati della Re-
zia, toccava omai l'Alpi Giulie. Fu allora per tutta Italia uno
scompiglio, un tumulto, un chiudersi nelle rocche e nelle
città : e qual consigliava alla resa, qual giurava di vincere o
di morire; più non si alzavano altari che per bagnarli di
pianto, e i vescovi gridando penitenza annunciavano dall'alto
ai popoli atterriti essere'venuto il giorno dell'ira del Signore ^
Calato dall'Alpi tridentine, fama è che tutto il Veneto
allagasse, battendo coli' esercito la sguernita nostra città, de-
predandola spietatamente. Lupo ^ Sigonio ^, Labus medesi-
mo ^ terrebbero succeduta quella incursione un anno prima.
Non so persuadermene , sendochè troviamo di queir anno
Onorio dettar leggi in Milano ed in Aitino '; e Claudiano rac-
conta che solo nell'anno 402, dopo aver sottomesse varie
terre circumpadane, cacciossi nel cuore della Lombardia,
che tutta invase con potente esercito *: dirò di più, che una
324 REPUB. E IMP. DI ROMA
prima scorreria condacevasi nel 401 per Alarico e per Ra-
dagaiso; questa invece guidava solo ma fieramente il primo:
batteva allora la orientale Venezia; veniva adesso desola-
tore di tutta la settentrionale Italia.
Onorio fuggia nelle Gallie ; ma Stilicene con un esercito
di altre barbare genti si fattamente il colse e battagliò ^,
che sgomentito si ritrasse astutamente ripiegandosi agli Ap-
pennini: e qui Stilicone ad avvolgerlo delF arti sue, perchè
proposta ed accettata una pace, parve che tutto felicemente
si terminasse. Se non che il fiero visigoto si raggruppò nei
campi di Verona; e qui pure toccatagli un'acerba sconfitta, si
rintanò fra le gole dell' Alpi vicine ; dove pur tempestato
dall'armi nemiche, come leone che si rinselvi, lasciò l' Italia.
^^^- Ed ecco nuovo nembo settentrionale rìdiscendere l' Alpi.
Unni, Alani, Quadi, Sarmati, Marcomanni; dugentomila uo-
mini secondo alcuni ^ il doppio com' altri ^, seguitavano Ra-
dagaiso, che pel Friuli discese ad Ostilia. Ma serrato ne'Fie-
solani monti dall' intrepido Stilicone, ricadde egli stesso fra
lo scompiglio e la strage di tutti i suoi ^.
4Pg Moriva intanto l' inerte Arcadio; moriva quasi ad un tempo
per decreto di Onorio l'operoso ma coperto Stilicone, il quale
già teneva forse accordi con Alarico; ed Alarico fii a Roma.
1. Jordan. Ih Reb. Gttie. — Gas- 4. Pauun. in Vita Sancii AmbrosiL
8I0D0RUS, in Chron, — Claudia- — Margellinus, HisL ^ Sigo-
NUS, De Bell, Gei. — S. AuG. De nius, De Regno OcddenU lib. X.
CiviL Deiy cap. 23 ecc. — Pru- — Paci, Adnot m* Baron, —
DENTius, ùinira Symmaetu. Prosperus, Chron. — Isidorus,
2. Margellin. Com. in Chron. t li, Chron. De Rebus Gei, — S. Pao-
p. 27a — Oros. lib. VII, e. 37. linus, in AnecdoL Laiin. etc. ti
3. ZosiM. HUt, lib. V, e. 26. in Vita 5. AmbrosiL
REPUB. E IMP. DI ROMA 325
Lasciata indietro Aqnileja, Concordia ed Aitino, passato a ^l^-
Cremona il Po, giunto a Rimini, prese il Piceno, saccheggiò
Italia fin sotto le mura deiretema città, cui strinse d'assedio,
che poi satollo d'oro a lai pagato, disciolse; ma in Italia re-
stò. Veniva intanto, già da lai chiamato, per la Venezia con
altro esercito il cognato Ataulfo; ond'ambo tornati a Roma
Tassediavano un' altra volta, poi dato l'assalto ne la pone-
vano a sacco S fino a che stanchi di preda, si rovesciavano 410
sulla Campania e pel Calabrese, dove Alarico mori.
Ataulfo, eletto re da' suoi Goti, tenevasi prigioniera la ce-
lebre Galla Placidia sorella di Onorio imperatore, alle cui
nozze aspirava; e forse a lei dobbiamo la costui mitezza.
Costantino, un altro tiranno improvvisatosi nelle Gallio,
scendeva intanto dall'Alpi Giulie, poi per Milano e Brescia
giunse a Verona, e per la via Claudia sino al Mincio. Fuoco
fatao che subito fu spento; perchè morto Allovico, un gene-
rale d'Onorio con cui era indentato, ritornò dond'era venuto.
Ataulfo ripassate l'Alpi guerreggiò nelle Gallio, fondovvi un ^<'
regno Goto, e sposatasi Placidia (414), fatta pace coli' im-
peratore di lei fratello, moriva ucciso da un servo a tradi-
mento. Restituita dai Goti l'augusta Galla ad Onorio, co-
stringevala questi a prendersi Costanzo per marito, il quale
assaggiato per pochi mesi l'impero, spirò. Brevi anni gli so-
pravvisse Onorio nella sua Ravenna. E qui lo storico Clan- *^*
diano scrive di un vecchio innamorato per si fatta guisa del-
l' amenissimo Benaco, che vi credea raccolto il mondo inte-
ro * : testimonianza fra si barbari tempi della ingenita delizia
di quella terra, in cui tanti eserciti calati dalla Rezia vicina.
1. Orosius, lib. IL 2. Claudian. m Epigram,
41f
43S
437
444
326 REPCB. E IMP. DI nOM.V
e moltituJÌDi di schiatte devastatrici nulla toglievano air in-
canto della sua bellezza.
4»^' Valentiniano III, benché giovinetto, fu assunto air impero;
e Galla Placidia che n' era tutrìce, in Ravenna eh' essa pre-
diligeva ponea la corte.
Sotto il cui regno s' inoltravano i Sassoni nella Britannia,
che i Romani avevano abbandonata, ed ai quali Genserico re
dei Vandali e di Spagna avea tolta di mano T Africa intera:
e mentre i Borgognoni conquidevano l'Elvezia e la Calila
orientale, bonariamente cedevansi all' orientale impero il bo-
rico, la Dalmazia e la Pannonia. Poi Attila re degli Unni,
il flagello di Dio, raccolte intorno a sé le unniche moltitudini
e le germaniche e le slave, si volse all'impero d'orienle,
che per allora se ne passò con un annuo tributo; ma ripie-
gatosi ad occidente, attraversò la Germania intera, e seco
traendo altri popoli ribollenti e feroci piombò sulle Gallie.
Terribile uomo fu costui. Irrequieto nel guardo e nel por-
tamento^ con una spada in pugno che credea di Marte, facea
tremare T esercito sol della voce: chiudendo nel vasto suo
petto un'anima bollente e poderosa, colla gioia feroce d'una
belva che corre alla preda, nelle battaglie co<ae in proprio
elemento si ravvolgeva; prudente ad un tempo ed avveduto,
fu il primo che guidasse con preconcette astuzie un campo
di barbari, e tenesse in soggezione un esercito di settecento-
mila uomini. Indulgente coi vinti e coi supplichevoli, ine-
sorabile cogli altri, bruno, tarchiato, di breve statura, di su-
perbo incesso, avea seco interi popoli venuti dai ghiacci della
Nova, coperti d'ispide pelli, indurali ai geli ed alle nebbie dei
loro deserti *.
450
i. Pniscus, Legat, U I. Hist. Byst, — Hist, Màtcll. /?. /. Scrip, t. L
REPTID. E IMP. DI ROMA 327
Moriva Teodosio già tributario d'Attila, e Marziano gli sue-
cedeva; moriva pnre Placidia, e T imbelle Yalentiniano restò
solo di fronte agli Unni, i quali traversata Pannonia e var-
cato il Reno, invadevano la Belgica. °4m'
II valoroso Aezio, generale dell' impero, fu loro incontro
con un altro esercito di barbari d'ogni fatta: ornai ne*campi
romani altre schiatte non s^ accoglievano che di Franchi,
Sannati, Sassoni, Armoricani, Riparj, Borgognoni, Visi-
goti e più altre oscure genti, che già nemiche eteme del nome
romano, or combattevano per lui. Una delle battaglie più
sanguinose di tutta Y antichità fa combattuta nei piani Gata-
launici. Duecentomila cadaveri costarono ai due rivali; ed
Attila sconfitto, nell' ampio cerchio de' suoi carri si chiuse ;
poi tacito e cupo, pensando alla vendetta, nelle Pannonie si
rintanò ^ E la vendetta fu pronta, e ne fu segno Italia: ed 453
ecco un'altra volta Gepidi, Alani, Unni, Sarmati, Goti con
alla testa il loro Attila irrompere dall' Alpi Giulie (facilissimo
varco) sulla povera Venezia, e recingere d' assedio la co*
raggiosa Àquileja, che serrate le porte fu ardita resistere tre
mesi ad un esercito di forse duecentomila uomini *.
E già gli Unni frementi pensavano rivolgersi ad altra preda,
quando Attila scorse in alto un volo di cicogne fuggenti la
sventurata città, portarsene altrove loro implumi nel becco.
Era sacro l'augello ^: colse l'augurio, e rinnovato l'assalto,
1. Jordan. De Reb, Getie. — Misto- 3. Puji. lib. X. — Plutarch. De
ria MiicelL lib. XV. — Idagius, IM. et Onrid. I Tartari tutf ora
mChron- — Isidorus, m CAro a. 1* hanno per tale (Torr, Voyag,
— GregorujsTuron. Hat, Frane de la Crimée); e tale rimase anca
1 Marcellim. in Ckran. — Gas- in Italia fino al cadere del secolo
SIODOR. in Chron, — Procop. De XIV. > Murat. Ant. Dal. M. jEm.
Bell. Vandai lib. I ecc. - Filiasi, Mem. Yen. t IV, p. 523.
328
REPUB. E IMP. DI ROMA
superate le mura, furono i barbari in Àquileja. Poi sperpe*
ro, distruggimento» desolazione e sangue; fatta strage degli
uomini, senza misericordia violate le donne, tradotte in ser-
vitù; denudate le case, profanati gli altari, quanto il ferro la-
sciò ravvolsero le fiamme; e tra il gemito dei moribondi e
r urlo dei barbari baccanti, la più splendida capitale della
Venezia cadde per sempre ^ Falso è per altro cbe pietra,
come dissero alcuni, non vi restasse; perchè reduci sei anni
dopo alcuni aquilejensi alla patria loro, vi trovarono rimari-
tate le loro donne K La distruzione di quella città sappiam
essere succeduta più lentamente da poi '.
Arsa e dispogliata Àquileja, furono gli Unni a Concordia S
che volle anch'essa benché indamo resistere; ma che poi
gli abitanti lasciarono vuota, rifuggendo all' estuario di Caor-
le, ove gli Opitergi, gli Altinati e i Patavini riparavano esu-
lando dalle vinte città. Era intanto per queir isole, per que'
lidi della veneta laguna una fuga di popoli miseranda '. Ate-
ste, Trevigi, Vicenza, Verona, i castelli moltiplici della Ve-
i. Marcellinus, tfi Chron. (Come
capitale già s* intende ). — ^ Sigo-
Nius, De Regno Oeeident. l XIII.
— Cassiod. tfi Chron, — Jordan.
De Rebus Gei.
% Lbonis PP. Epùt a. 458 in Baron.
Ann. Eccl.
3. Jam pridem ab Attila Hunnorum
rege Àquileja civitas nostra fw^
ditus est deslrucia; et postea Go--
thorum incursu et ceterorum Bar"
barorum quassata, vix respirata
etiam filine Langobardorum ne-
fandiB gentis flagella sustinere
non valens, ^ Andreas Danduli
Chron. lom* XII, Rer. ItaL — Si
sa che a' tempi di Giordano Io Sto-
rico ( sec. VI ) non restavano d^ A*
quileja che poche vestigia (Jord.
De Reb. Gei. cap. 42 ), e circa il
786 Cividale del Friuli era in luo-
go di Ravenna la capitale della
Venezia ( Paul. Diag. De Reb. G.
Langob. ). Come poi si possa con-
ciliare il passo di Liutprando(ffù/.
lib. IH, e. 4), Aquilejam et Ve-
ronam pertranseunt ( Gli Dogherì
del 912) munitissimas civitaies,
lo vedremo da poi, molto più che
altrove egli parla della irreparar
bile sua rovina (1. ciL e 2 A
4. Dandulus, in Qwon, R. L S. L XIL
5. Procop. De Beli Gothic lib. I,
capo 4.
BEPl}B. E IMP. DI ROMA
329
nezia cadeano intanto sotto il ferro nemico S ma non senza
vendetta; e la loro caduta è una prova sol essa, quand'anche
tacessero le storie, che virilmente i Veneti pur essi aveano
combattuto per la patria comune. Fu detto che resistessero
i Bresciani a tanto esercito; ma pare in vece che l'esempio
delle cadute città consigliasse le rimanenti subalpine a più
miti e riposati consigli, poichò gli storici contemporanei no-
tano distintamente le città distrutte e le non più che vinte
e poste a sacco *. < Che vinta la città, rovesciasse Attila e
> case e palagi e templi, e perchè le fiamme potessero cor-
> rompere i marmi stessi ne facesse coprire di resine e di
• catrami i meglio lavorati, sicché ancor le colonne del tem-
> pio di Vespasiano si veggono corrose da un fuoco artifi-
> ciale » sono facili supposizioni del facilissimo nostro Bravo '.
E poi come supporre un popolo che fugge a rintanarsi nei
boschi, abbandonando e focolari e patria, e una città cosi
vuotata che resiste a duecentomila uomini? Nullo resistenr
te ^, dopo i diroccamenti della Venezia da Padova ad Aqui-
leja, occuparono gli Unni le città lombarde: opperò non ò
probabile che Brescia, l'ultima quasi della disertata Venezia,
volesse accignersi ad uno stolto esperimento di sangue.
Avrem chiuse le porte, avrem resistito per aver qualche patto
0 qualche segno di misericordia; ma la fuga descritta dal Mal-
1. Diripiunt, vastant crudeliter, spo-
lianip quid plui ? necdum roma"
no sattguine satiati, per reliquas
Veiteiorttm Civitates Hunni òoe-
ehantur. JOR. De Reb, Gei. lib. III.
i. Ptura prmUrea ^uidem regionis
castella immanis hostis, extindis,
vel capiis eivibui, iuceendit ae di"
ruii, Concordiatn, Altinum sive
Paiavium, vicinas Aquilejae ctvi-
tates,,., soto cocequavit Exinde
per universas Venetarum urbes, «t-
ve Vicentiam, Veronam, Brixiam,
Pergamwn ... Hunni bacchanlur.
— Hist. Misceli lib. XV.
3. Bravo, Storie Bresc. - 1. V, tom. I.
4. Hist. Misceli, in Rer, Hai. Scrip.
tom. I, lib. XV.
u
Pir.
453
330 REPLB. E 1MP. DI ROMA
vezzi risponde a tutte le tradizioni antiche, mentre per quella
vece di resistenza bresciana memoria alcuna non ò; e tra gue-
st'ultima prova ed una triste ma necessaria fuga io terrei
per quest' altra ; e queir ab igne tamen abstinentes et ferro ^
degli Unni baccanti per la Cisalpina mi avverte che nessun
contrasto loro opponessero gì' Italiani, o leggiero assai.
Posta a sacco la città di Brescia, poi Bergamo e Milano,
volsero gli Unni all' Emilia, depredandola come al solito; e
ripiegati a Governolo, dove il Mincio mette foce nel Po ^
piantarono gli accampamenti. Stavasi in bilico il loro duce
per avviarsi a Roma^ desiderio e paura dei barbari; quan-
do si mosse ad incontrarlo un personaggio, verso il quale si
rivolgevano i voti di tutta cristianità: e lo straniero conqui-
statore, esso che non arrestarono intere nazioni, stette dinanzi
alla maestà veneranda di un sacerdote^ che prese le parti del
popolo italiano e della Chiesa, veniva inerme a difenderne i
sacrosanti diritti '. Discese Attila agli accordi, e ripassò le
Alpi. Il Carli * ed il Maffei * sosterrebbero avvenisse l' incon-
tro d' Attila e di Leone sulle rive del nostro Benaco presso
Peschiera; ma gli argomenti loro non vincono V autorità di
quelli del Filiasi®, del Muratori^ e d' altri assai.
Alla morte d' Attila seguiva due anni dopo quella di Va-
lentiniano III, che poi venne ucciso da Massimo senatore,
il quale per pochi mesi ne usurpò la corona; mentre Gen-
serico e i Vandali venuti dall' Africa, approdati a Italia, sac-
cheggiata Roma, tornarono carichi di preda ai loro lidi.
1. Hist, Misceli 1. cit. scelL cU. — Cassiod. Jordan.
2. btinde umiliai civilaiibus simili'' 1. e. — Spisi, Sommaci PP» «^
ter expolialiSf novissime eo loco, i. Antichità d'Italia.
quo Mincius in Padum influii, ca-- 5. Verona illustrala.
stramentati sunt. - HisUMisc. cit, 6. Mem. Venete, tom. IV io fine.
3. PnosPEH. in Chron, — Hist, Mi- 7. Annali d' Italia, a. hot.
nEPLB. E IMP. m ROMA 331
Indi Avito, un altro imperatore, noi vediamo deposto e ^'J*
quindi ucciso da Ricimero condottiero di barbare genti, il
quale, sostituitovi un Livio Severo, com' arbitro dell' armi ro-
mane teneva in pugno lo stato. E lo stato fu a rischio d'essere
invaso (464) dagli Alani, che guidati da un Beorgor, valicate
r Alpi, già toccavano il bergamasco. Se non che Ricimero fu
loro addosso, e appiè del colle di Bergamo ^ fattane strage,
al barbaro loro duce troncò la vita, come pare la troncasse
a Severo, avvelenandolo un anno dopo *. 4<5
E qui due anni d' interregno dal prepotente Ricimero so- 46?
stenuti, indi Antemio posto in seggio dall' usurpatore mede-
simo, il quale poco dopo (471) raccoglieva un esercito in Mi-
lano per abbattere Antemio stesso. .
Poi morto Ricimero il despota superbo dispensatore d'im-
perj, morto Olibri altro misero imperatore di pochi mesi,
vediamo assunti al trono Glicerio in Italia, e Nipote in Co-
stantinopoli, il quale cacciò Glicerio e ne fu cacciato egli
stesso da Oreste maestro dei militi.
Ultimo in fine un Romolo Augustolo figlio di Oreste, de- 47c
ironizzato l' anno dopo da Odacre. Il quale passato da Italia
in Pannonia, ridisceso per la Venezia con una marmaglia
di gentame ragunaticcio d' Italia e di Germania datosi a
loi per amore di preda, attraversò l' agro bresciano, avendo
io cuore il sacco delle nostre province, che lor donò per un
terzo, più non essendovi spoglie onde saziare la cupidigia a'suoi
seguaci. Oreste patrizio, radunato a furia un esercito, si
piantò sulle rive dell'Adda; ma impaurito e levatosi di là, si ri-
1. Lupo, Cod. Diplom, Beryom. — 2. MLUAToni, Ann. a. 4Gj. — Cas-
ioROAN. De Rcb. Gei, e. 45. sioDoaus, m Chron,
332 REPUB. E IMP. DI ROMA
trasse a Pavia* Sopraggiunse Odacre; presa Pavia, messala a
ferro e a faoco, fattovi Oreste prigioDiero, ne decretò la mor-
te. Fu a Roma colla vittrice canaglia; ed assegnati ad Augo-
stelo sei mila soldi d'oro, lo mandò in un castello della
Campania, e Odacre non istimò rifare, a modo di Ricimero,
• niun imperatore; e cosi fu finito • esclama Balbo e r im-
• pero occidentale, l'impero italiano •.
Dal fin qui detto apparirà chiaramente che i successori di
Teodosio, eredi dell'impero non della virtù e fortuna sua,
non ebbero animo a sostenere lo stato; il perchè si muta-
rono col principe i tempi. È chi attribuisce la vittoria dei
barbari a un non so che di più virile, di più rubesto, di più
indomito e gagliardo proprio di quelle schiatte, quasi recas-
sero con sé la natura di lor selve selvagge: è chi accusa di
tanto danno il molle cielo d'Italia nostra e le delizie non
eh' altro dei nostri colli; cose tutte che affievoliscono, dicon
essi, i popoli e li portano a indolenza fastosa e a voluttà.
Sogni d' infermo ; quasi che il dolce aere e i lieti colli della
forte e virile Italia dei tempi di Camillo e di Scipione non
fossero gli stessi di quelli d' Augustolo e di Glicerio. Ben al-
tre furono le cagioni.
Con tutto ciò sonvi di coloro ancora che attribuiscono ad
Alarico, ad Attila, agli Unni, ai Vandali, agli Ostrogoti, a non
so qual altro malanno la nostra risurrezione, la civiltà ita-
liana; e quasi quasi ringraziano il cielo che ci sieno piombati
addosso, e n' abbiano conci a quel bel modo che tutti sanno.
FINE DEL PRIMO VOLUME.
INDICE DEL VOLUME PRIMO
Dedica Pag. v
L* autore a' suoi conciUadini • . , vii
Intorno ti documenti dei quali verranno queste istorie convalidalo . xiu
I popoli pplinltiTl.
(4r. C. ao. 3600*U0?)
' ' • -■
Capo l. Dell'agro bresciano . . .... . . 3
■ li I popoli primitivi dell* Italia se Itcnt rionale . .22
• HI. I popoli primitivi dell'agro bresciano . , . . . 31
I
I Calli CeBomaBl.
air. esso?- 181.)
t
• f. Donde e come ci venissero; costumi e culli loro • . . 83
• II. Avanzi di lingua gallica; confini primitivi dell' agro cenomano
e sue prime vicende 120
• HI. Fatti ccnomani dopo il loro stabilimento nell'agro nostro . 141
• IV. Uitiir.i confini dei Galli Genomani, e come quel popolo tra
noi si governasse 182
La repubblica e V impero di Roma.
(At. C. 181-476 die.)
• I. Bresciane vicende negli ultimi anni della repubblica . 203
• 11. Fatti nostri sino agli Antonini 230
• IH. Fatti nostri dagli Antonini sino ai Gostantiniani . . 271
• lY. Continuano i nostri fatti da Gostantino al dissolvimento del-
l'impero 301
Obmici. iturk Brest, VoL I. 33
BUATà rOMlCB
Pag. M, MU • ' Aiier^pMncr Aiicr^Aloiif
•0, UoM It iradviMBl mdUioil
•I, MU 2 eimgfntw €ingeraUur
9f, • 4 oppUntt W<A(M,
IM, Ubm II eobOM céOmt
m oeu e ttnartU tmamtet
108, • l Jés^tèmit JéskUbna
tu, • 3 p€rv4iutta etti indfgmmm tiHUitimmU.
• a ■ ipta 4^an
• • • JIAcPhan Bk^lot
• • • 0a/A»f > ^«ril/i
^ ■ s Brtxhm mt Crmuamam Mrtxia m CNmenm
1S8, Umi 14 a^vlort spiale
US, MU t ^pMhu nata, ^ptit r$Him,
14S, • 7 JpHUa J^Uam
346, Itoea 4 ValeoitalaM VctpMlMO
247, • Il Gali! GtU Daoo^ctt
3C«« • t4 Sv» 8«t
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DÀ FEDERICO ODORICI
ASSOCIATI IN BRESCIA
I signori
Abeni Rag. GioTanni Battista.
Agazzi Carlo.
Agosti Francesco.
Albrici Giuseppe.
Almici Antonio.
Almici Tommaso.
Amadio Att. Francesco.
Andreoii Antonio.
Araldi Cesare*
Archeri Giovanni*
Archetti Ing. Romoaldo.
Arici Nob. Luigi.
Armanni-Lagorio Paolina.
Ateneo Patrio*
Averoldi Nob. Angelo.
Aneroidi Mob. M. R. D. Antonio.
ATcroldi Nob. Cesare.
Averoldi Nob. Faustino.
Averoldì-Longo Nob. Ermellina.
Azzoni Cesare.
Baccaglioni M. R. P. Giovanni.
Bagnalasta Giuseppe.
Balardini Dottor Lodovico, Me^
dico Provinciale.
Balestrìni Chìr. Sigismondo.
Bailini R.mo Arcip. D. Angelo.
Balacanti Nob. Conte Gio. Batt.
Balzarìni Avv. Michele.
Baratti Luigi.
Barbetta Anselmo.
Barbogi io Loreìizo.
Barbogi io Pietro.
Barezani Eugenio.
Bargnani Ippolito.
Bartoli Pietro.
Barucchelli Avv. Paolo.
Barucco Ing. Carlo Lorenzo.
Bariletti DotL ^Francesco.
Basi letti Luigi, Pittore.
Basi letti Orazio.
Bazzani Rjdo Mons. Canonico
D. Bartolommeo.
Bazzoli Giuseppe.
Beccalossi Avv. Cesare.
Beccalossi Francesco.
Bellini Ing. Giovanni.
Benaglia 'Giuseppe.
Benaglia Pietro.
Benassaglio Giuseppe.
Benedetti Dott. Ernesto*
Benedini Dott Felice.
Berardi Francesco.
Beretta Aw. Antonio.
Bergomi Vincenzo.
Bernardelli Giovanni.
Bertaccagni Rag. Lodovico*.
Dettoni Conte Lodovico.
Bettoni Cazzago Nob. Cont. Mar.
Bianchi De-Yiliata Carlotta*
Bona Nob. Conte Agostino.
Bona Torre Nob. Cont. Emilia.
Bonaidi Ottavio.
Bonometti Luigi.
Bonomi Nob. Giovanni.
Bontempi Vincenzo.
Bonvicìni Giovanni.
Bonzanini Luigi.
Bordogna Doti. Gio. Maria.
Borghelti M. R. D. Giuseppe.
Borghelti Ing. Lodovico.
Borghetti Luigi.
Borgondio-Sala Nob. Federico.
Boschetti Dolt. Antonio.
Bozzoni Gio. Battista.
Braga Bortolo.
Braga Dominatore q.m Gius.
Brenta Rag. Carlo.
Bresciani Angelo.
Brigia Nob. Cesare.
Brognoii Nob. Orazio.
Brozzoni Camillo.
Brunati Giuseppe.
Bruni Francesco.
Bruni Aw. Gio. Battista.
Brusa Dott. Giacomo.
Brusaferri Giuseppe.
Buffali Dott. Eugenio.
BuHali Dott. Pietro.
Caldera Luigi.
Calini Nob. Baronessa Anna,
nata Conlessa Bolognini*At-
tendolo.
Calini Nob. Dott. Cesare.
Galiai Nob. fratelli Fran. e Piet. I
Calzoni Cristoforo..
Campana Giovanni.
Camplani Dott. Gio. Battista.
Cantoni Antonio.
Caponati Chirurgo Antonio.
Capretti Adolfo.
Capretti Pietro.
Caprioli Nob. Conte Giovanni.
Caprioli Nob. Conte Tartarino.
Caprioli Nob. Conte Tommaso.
Caravaggio Rag. Artidoro.
Carboni Domenico.
Carenzoni Claudio.
Carpani Fi*ancesco.
Carpani Paolo.
Carpella Angelo.
Carrara Dott. Sigismondo.
Castellini Rag. Nicostrato.
Castellini Tommaso, Pittore*
Causini M. R. D. Pangrazio.
Cavalieri Francesco, Librajo.
Cavalli Nob. Achille.
Cazzago Nob. Annibale.
Cazzago Nob. Antonio.
Cazzago Nob. Carlo.
Cazzago Nob. Giulia.
Cazzago Nob. Luigi, per C6f>. 1
Cazzago Nobili Sorelle.
Cerasoli Rag. Francesco.
Cesana Faustino.
Chiappa Gaetano.
Ghinea Giovanni.
Chinelli Nob. Carlo.
Chiodi Ing. Paolo.
Chizzola-Calegari Paolina.
Cigola Nob. Vincenzo.
Ci maschi R.mo Mons. Canonico
D. Giuseppe.
Clinger Frani^esoo.
Cochetti Dott. Giuseppe.
Cochard Francesco.
Coggi Vincenzo.
Congregazione Municipale, per
top. 6.
Collegio dei RR. PP. Gesuiti.
Colò Angelo.
Center Francesco.
CoDter llarione.
Center Nob. Scipione.
Conti Giacinto.
Cortesi Achille.
Cortinovi Giovanni.
Crifelli-Cicogna Maddalena.
Croce Maria. .
Crottogini Ernesto.
Cuzzetti AvY. Francesco.
Dalla-Vecchia Rag. Ales$andi*o.
Damiani Federico.
Damioli DotL Fulvio.
Daoni Gaetano
Da*Ponte Dott. Lodovico.
Degli-Emilj Nob. Conte Pietro.
Belia-Vìta Rag. Pietro.
Denolti Carlo.
Deruschi M. R. Cur. D. Bortolo.
Desiderati Giacomo.
De Zoppola Conte Alessandro.
Di-Bevilaqua Duchessa Felicita.
Di-Rosa Nob. Cav. Clemente.
Donati Ing.
Doni G. Giuseppe.
Dossi Rota Carlotta.
Duoco Nob. Lodovico.
Ducos Dott. Marziale.
Duina Angelo.
Dujardin Ettore.
Dusina M. R. Rettóre D. Pietro.
Elena Francesco.
Erra VroL Luigi.
Ettori Rag. Amadio.
Faccanoni Angelo.
Facchetti Antonio.
Fachetti Girolamo.
Facchi Giovanni.
Fadigati Conte Cristoforo.
Fadìgati Conte Francesco.
Fanti Gio. Battista.
Farina Giovanni.
Farisogiio Dott. Giovanni.
Fauconié Dott. Giuseppe.
Faustini M. R. D. Gio. Battista,
Rettore del Collegio Peroni»
Faustini M. R. Padre D. Luigi.
Faversani Annibale.
Fé Nob. Andrea.
Fé Rev. Ch. Nob. D. Luigi.
Federici Fedetùco.
FenaroU Costantino.
Fenaroli Nob. Conte Girolamo.
Fènaroli-Ferraroli Nob. Pietro.
Fenni Eugenio.
Feriti Vincenzo.
Feroldi Nob. Gaetano.
Feroldi Nob. Loi*enzo.
Ferrari Giovi ta.
Ferreri Angelo.
Filippini M. R. D. Bortolo.
Filippini Giuseppe.
Filippini Ing. Pietro.
Filippini Pietro.
Finadri. Luigi.
Fiorentini Dott. Lucio.
Fisogni-Crotta Nob. Girolamo*
Fontana Pietro.
Formentini Gìo. Battista.
Fornasini Dott. Ottavio.
Foscarini Gaetano.
Franchi Attilio.
Franchi M. R. D. Bernardo.
Francinetti M. R. D. Girolamo.
Franzini Giovanni.
Fugini Luigi.
Fumagalli Cesare.
Gaggia Luigi, Farmacista.
Gambazza Giuseppe.
Garzoni Antonio.
Gasparìni Antonio.
Gazzola Fnincesco.
Ghidini Giuseppe.
Gilberti Pietro di Lorenzo, Li"
braJihTipografo*
Girardini Giulio.
Giuliani Cesare.
Giuli tti Luigi*
Glisenti Francesco.
Gomo Nob. Paride.
Grioni Dott. Antonio.
Guainerì Nob. Pietro.
Guaita DotL Bortolo.
Guaita Francesco.
Guata Giuseppe.
Guerrini Rag. Lodovico.
Guidetti Gio. Battista.
Guidetti Michele.
Gussago Stefano.
Istituto (Pio) dei Figli di Maria,
per eopm S.
Laffranchi Ing. Felice.
LaCfranchi Dott. Giulio.
Latus Paolo.
Lazzarini Dott. Giulio.
Lazzaroni Luigi, yeterinario.
Lechi Conte Luigi.
Li netti Giovanni,
Livraga Luigi.
Locati Ing. Francesco.
Lodrini Emilio.
Lombardi Archinto, Farmacista*
Longhena Nob. Costanzo.
Longhena Nob. Girolamo.
Longhena-De-Paretioo Nob. Fau-
stino.
Longo Nob. Francesco.
Luchini Gio. Battista.
Luscia In^ Giovanni.
Luzzago R.mo Mons. Can. Nob.
D. Vincenzo.
Luzzardi M. R. D. Gio. BatL
Madoni Carlo.
MaSei Ing. Bortolo.
MalTei-Bianchi Maddalena.
MaiTezzoli Basilio.
Maggi Giuseppe.
Maggi Nob. Conte Onofria
Maggi-Torre Nob. Clementina.
Magnocavallo Giovanni.
Mal visi Santo.
Mandini Rag. Giuseppe.
Manziana Giuseppe.
Manzini Angelo.
Maraglio M. R. Cur. D. Angelo.
Marchetti Bernardo.
Martinengo-Cesaresco Nob. Fer-
dinando.
Martinengo-Cesaresco Nob. Te-
baldo.
Martinengo-Villagana Nob. Co.
Giovanni.
Masperi Davide.
Mazini Rag. Gio. Battista.
Mazza H R. D. Giovanni;
Blazzoldi Francesco fu Giacomo.
Blazzoldi Livio.
Blazzoni Fi'ancesco.
Mazzucchelli Luigi.
Mazzucchclli-Longo Nob. Con-
tessa Manetta.
Melchiori Angelo.
Blelérì Gabrìele.
Menghìni Cesare.
Mensi Alessandro.
Mensi Angelo.
Mezzadri Luigi.
Micheli Gaetano.
MicoTik R.mo Mons. Can. Arcip.
B. Angelo.
Migliorati R.mo Mons. Canonico
D. Angelo.
Mìgnoni Luigi.
Milani Benedetto.
Mìnelli M. R. D. Luigi.
Mompiani Nob. Giacinto.
Biondella Nob. Antonio.
Mondelia Nob. M. R. D. Luigi.
Mondella Nob. Luigi.
Monti Nob. Flaminio.
Monti-Toccagni Nob. Elena.
•Montini Ing. Angelo.
Montini M. R. Prof. D. Luigi.
Mora Bartolommeo, Farmacista.
Morari M. R. Cur. D. Aristide.
Morari Francesco Orazio.
Moretti Felice.
Moretti AvY. Gaspare.
Moretti Ing. Paolo.
Moro Nob. Cecilia.
Moro Luigi.
Morosi Avv. Giuseppe.
Muzzarelli Giuseppe.
Nicolini Gaetano.
Novelli Gìo. Maria.
Noy R.mo Mons. Can. D. Angelo.
Nullo Francesco.
Odorici Carlo.
Odorici Nob. Contessa Clemen-
tina Tarsis.
Ognibene Gaetano.
Oldofredi-Tddini-Longhena Nob.
Contessa Taddea.
Ongarì Tommaso.
Onofri R.mo Prev. D. Giuseppe.
Onofri Pietro.
Orefici Simone.
Ottoni Giovanni.
Pagani Avv. Gio. Battista.
Palazzi Nob. Faustino.
Pancheri M. R. D. Francesco.
Paratico-De-Lantieri Nob. Carlo.
Passerini Angelo.
Passerini Giacinto.
Passerini Luigi.
Patrini Vincenzo.
Pavoni Nob. Cesare.'
Pavoni Nob. Dott. Giuseppe.
Pavoni Nob. Vincenzo.
Pedercini Gio. Battista.
Pedessi Giuseppe, Librajo*
Pedrali Girolamo.
Pedrali Ing. Pietro.
Perini Sisto.
Pernici Dott Giuseppe.
Peroni Nob. Ing. Bortolo.
Peroni Rag. Luigi.
Peschera Nob. Pietro.
Picei Prof. Giuseppe.
Pilati Nob. Giuseppe.
Pini Augusto.
Pitozzi Antonio, jérnministra-'
tore degli Ospitali.
Pitozzi Luigi*
PÌYetti Battista.
Pizzini-Santi Baronessa ^leride.
Pochetti M. R. Cur. D. Giacomo.
Poli Giovanni.
Polottt AvT. Andrea*
Pontoglio Giuseppe.
Pozzi Sperandio.
Provaglio-Fisogni Nob. Giulia.
Quadri Girolamo, Librajo,
Eaccagni Rag. Pietro.
Ragazzoni Giuseppe, Farmacista*
Raineri Francesco.
Ramaroli Orozimba
klegts Giuseppe.
Regola M. R. D. Antonio.
Regola Giovanni.
Riccardi Carlo.
Richiedei Nob. Paolo.
Rizzardi Giovanni.
Rodolfi Dott. Rodolfo.
Romelii Ayy. Giovanni.
Ronzoni Giovanni.
Rosani Bernardo.
Rossa Dott. Giuseppe.
Rossi Antonio.
Rossi Luigi.
Rossi Napoleone.
Rota Antonio.
Rota Filippo.
Rota Luigi.
Rovetta Agostino.
Rovella Francesco.
Rovetta M. R. D. Giuseppe»
Rovetta Giuseppe.
Rubagotti Paolo.
Rubbi Aw. Luigi.
Ruggeri M. R. Curato D. Fer*
dinando.
Sabelli Nob. Antonio.
Saleri Aw. Domenico. .
Salvadego Conte Pietro.
Salvi Francesco.
Sandi Yetlor Cav. Conte GìoliOé
Sangervasio-Camplani Nobile
Paolina.
Sandri Dott Antonio.
Santinelli Rag. Vincenzo.
Sai*esini GiovannL
Savoldi Nob. Aw. Giovanni.
Savio Giovanni.
Sayler Francesco, CavalUrixso
della città.
Schena M. R. D. Giuseppe, J?e^
tore del proprio IsHtiUo di
Educazione.
Schivardi Antonio.
Seccamanti Lorenzo.
Secco d'Aragona Conte Giro.
Sedaboni Nicola.
Siena Matteo.
Signori Domenico.
Silva Giuseppe»
Silvani Antonio.
Simoni Ing. Trajano.
Soardi Nob. Antonio.
Soletti Filippo.
Soncini Nob. Aw. AntoniOb
Soncini Nob. Ing. Giovanni.
Soncini Nob. Pietro.
Sora Alessandro.
Spagnoli Ing. Battista.
Spalenza £ltore.
Spttxiani Eugenio.
Stefiuiellì Sebastiano.
Tnoooni Domenico.
Taerì Ing. Antonio.
Tagliaferri Giovanni.
Taglietti Rag. Antonio.
Terrochini Luigi.
Tirandi Bortolo.
Togni Paolo.
Torre Adele.
Torre Giuseppe.
Tortima M. R. D. Faustino.
Tosana Paolo.
Treccani Rag. Angelo.
Uberti Dott. Giacomo.
Ugoni Nob. Filippo, per cop, S.
Valotti Nob. Giuseppe.
Yantini Rodolfo, architetto.
Yaschinì Att. Giovanni.
Ventura Giuseppe.
Venturi Antonio.
Venturini Dott. Carlo.
Vergine Nob. Maria.
Vergine Nob. Michele.
Vergine Nob. Pietro.
Veronesi Carlo.
Verzeri lU.mo R.mo Mons. Nob.
Gio. Batt., Vescovo di Brescia.
Vigliani Ing. Agostino.
Vignola M. R« D. Faustino.
Violini Nob. Dott Piccino.
Vita Ing. Faustino.
Vitalini Marzio di Stefano.
Zambeili Nob. M. R. D. Pietro,
Diret. dell'I. M. GinnaeiihLic*
Zamboni Ing. Girolamo.
Zanardelli Dott. Giuseppe.
Zanetti Gaetano.
Zappamiglio M. R. D. Frane.
Ziletti Bartolommeo.
Zuccoli Avv. Giulio.
Zuliani Rag. Alessandro.
ASSOCIATI IN PROVINCIA
BD IN àLTRB CITTÌ
I Signori
Alberti M. R. D. Bartol., di Salò.
Alloizio Dott. Elia, presso Vi.
Jt JYibunale in Bergamo.
Ambrosio Giacomo, di Salò.
Amighetti Giacomo LibraJOj di
LoTcre.
Andreola Tipografia di Venezia,
per cop. 5.
Angeli Dott. Modesto, di Cal-
cinato.
Antonioli M. R. D. Paolo, di
Iseo.
Apostoli DotL Zefferìno, di Bot*
ticino*
Ateneo di Salò.
Arrighi Nob. Teodosio, di Salò.
Avanzi DÌ Giacomo, di Gargnano.
Bagatta Dott. Giovanni, di De*
senzano.
Baronio R.mo Arcip. D. Pietro,
di Serie.
Bazza Antonio, di PresegUe.
Bazza Michele, di Mompiauo.
Beccalossi Dott. Carlo, di Barghe.
Belegni Giacomo, di Odolo.
Bellini Dott. Giambat., di Salò.
Belpietro Dott. Giovanni Batt.,
di Borgosatollo.
Bericchia M. R. D. Gio., di Salò.
Berlacchini M. R. Curato D.
Giovanni, di Chiesa Nuova.
Bcrlaglio R.mo Arcip. D. An»
gelo, di Piano di Borno.
Bertazzi M. R. D. Gio., di Salò.
Bianchi Vincenzo, di Salò.
Bianchini M. R. Cur. D. Luigi,
di S. Eufemia.
Bolis Fratelli Libraj^ di Berga-
mo, per cop. 5.
Bonardelli R.mo Arcip. D. Do-
menico, di Barghe.
Bonardi M. R. D. Carlo, di Iseo.
Bonardi Giovanni Farmaciata^
di Salò.
Bonetti Ing. — e Zamboni^ di
Salò.
Braga R.mo Arcip. D. Antonio,
di Odolo.
Brcda Celestino FarmcLcisla^ di
Montechiaro.
Brescianini Giuseppe, di Ca.^d«
Covati.
Brigola Gaetano e Comp. Libraio
di Milano, ptr cop. 3.
Brivio M, R. DotL D. Giovanni
Battista, di Caslenedolo.
Brunati Nicola, di Salò.
Buccelleni Dott. Cesare, di Mom«
piano.
Buffali Rag. Aless., di Rovato.
Bulgari ni Dott. Michele, di Salò.
Cadorini M. R. D. Gius., di Salò.
Gagnola Giovanni, di Milano.
Calcinardi Antonio, di Salò.
Caldana M. R. D. Giusep., Par-
roco di Yerziano.
Calzavcglio Paolo Pittore, di
Mademo.
Campana M. R. D. Giuseppe,
di Erbusco.
Cantoni Luigi, di Salò.
Cappa Ing. Bortolo, di Vestone.
Capra Dott. Giovanni, di Salò.
Castelli Domenico, di Salò.i
Caucossi M. R. D. Pietro, di Noce.
Chinelli Nob. Ottav., di Gussago.
Chiodi R.mo Arcip. D. Giovanni
Battista, di Remedcllo-sotto.
Cochetti Carlo, di Rovato.
Cominelli Dott. Girol., di Salò.
Costantini M. R. D. Bartolom-
meo, di Mocasina.
Cucco Yiaroli Marina, di S.
Eufemia.
Da Schio Nob. Co. Giovanni, di
Vicenza.
Davide M. R. D. Callo, di Quia-
zano.
Dossi Avv. Antonio, di Leno.
Fautoni Lodovico, di Sa!i\
Fassati March. Luigi, di Milano.
Felini R.mo Arcip. D. Giovanni
Battista, di Passii*a no.
Fci'i'iirì Lelio Giù., di S. Eufemia.
Fesli M. R. D. Luigi, di Salò.
Filippini Dott. Carlo, di iSalò.
Fiori ani Carlo, di Salò.
Floiioli Andrea, di Salò.
Foresti M. R. Curato D. Giulio,
di Travagliato.
Fossati Dott- Francesco, di Salò.
Galli Francesco, aggiunto all'J.
R. Tribunale in Slantova,
Gatti Ing. Alfon., di Castrczzato.
Gigola Giacomo, di Fasanc.
Glisenti Bortolo, di Manerba.
Gliscnti Giacomo, di Manerba.
Glisenti Orazio, Perito Jgrim.
Gnaga Avv. Eugen., di Gardoae.
Gola Giacomo, di Salò.
Gorisjo Dott. Giovanni, di Salò.
Guadagni Francesco, di Rovaio.
Lacabi Ippolito, di S. Eufcuiia.
Laengner Teodoro Librajo^ di
Milano.
Lazzaroni Antonio, di Rovato.
Lieonesio Alessandro, di Salò.
Linetti M. R. D. Erasmo, di S.
Eufemia.
Lineiti M. R. D. Gius,, di Salò.
[ LÌTraga R.mo Prevosto D. Luigi,
di Gambara.
Lonati R.mo Arcip. D. Gio., di
Ballici no Mattina.
Longlii Rag. Antonio, di Casti-
glione delle Stivie:*e.
Maceri Doti. Bernardo, di Salò.
Trladoni Ing. Francesco, di Chiari.
Magrogrossi R.mo Prevosto D.
Giacomo, di Quinzano.
Mainetti Eugenio, di S. Eufemìa.
3Iaj Andrea, di Travagliato.
Manghcnoni M. R. D. Giovanui,
di Rovato.
Marangoni Stefano, di S. Fran«
ccsco di Paola.
Marinoni Carlo, di S. Eufemia.
Martelengo M. R. Cur. D. Bar-
tolommeo, di Calviniano.
Mascarini M. R« D. Agostino,
di Lonato.
Mauri Dott. Paolo, di Pisogne.
Mazzoldi Aw. Angelo, di Mon-^
techiaro.
Mazzoldi Beniamino, di Bovcgno.
Merenzi Pietro, di S. Eufemia.
Meschini Dott. Marco, di Caste*
nedolo.
Micovick Angelo, di Ghedì.
Mingotti R.mo Prcv. D. Gio*
vanni, di Gussago.
Monselicc M. R. D. Fran.,di Salò.
Montini R.mo Arcip. D. Celso,
di Bovezzo.
Mossini R.mo Arcip. D. Luigi,
di Visano.
Negrctli M. R. Cur. D. Andi*ea,
di Bovegno.
Nember Giuseppe, di Quinzano.
C^nibene M. R. D. Bortolo^ di
Barghe.
Oli vari Antonio, di Salò.
Omboni Dott. Giovanni BattÌ!»Ui,
di Palazzoio.
Pacherà Luigi, di Caprino Ver.
Panneggìani Giù., di S. Eufemia.
Paroli R.mo Arcip. D. Mauro,
di Monti rone.
Paterlini Faust., di Gottolengo.
Peroni Bortolo e Nipote, di Quin-
zano.
Perini M. R. D. Francesco, DiretU
delle Scuole di Orzifiuavi.
Pezzolìni Dott Bortolo, di Yo-
bamo.
Pighetti Angelo, di Salò.
Pirlo H. R. D. Carlo, di Salò.
Poli Gìo. Ant., di Hontechiaro.
Ponzoni Do(L Pieti*D, di Carcina.
Prò Antonio» di Calvisano.
Pulusella Ang., di S. Eufemia.
Quaranta Dott. Ettore, di Leno.
Quistini Benedetto, di Villa di
Cogozzo.
Quistini Bernardo, di Villa di
Cogozzo.
Rambosio M. R. D. Girolamo,
di Remedello Sopra.
Rebughi Francesco, di Odolo.
Regosa R.mo Arcip. D. Angelo,
di Castrezzato.
Ricci Nob. Cav. Marchese Ami«
co, di Macerata.
Rini Dott. Giambattista, di Salò.
Rizzi M. R. D. Bortolo, Rettore
del Collegio di Pisogne.
Rizzi ni Luigi, di Cazzago.
Romano R.mo Arcip. D. Anto-
nio, di S. Eufemia.
Rossini Domenico, di Salò.
Rossini Dott. Vincenzo, di Quin-
zano.
Saleri Francesca dì Nave.
Saletti Francesco, di Salò.
SalTi M. R. Cur. D. Benedetto,
di Montirone.
Schubard Libreria di Trieste,
per cop, 19.
Scovolo Nob. Alessandro, Direi"
tore degli Uffici dell' L R.
Tribunale di Oetnono.
Secco d* Aragona -« dei Conti
Buoni March. Carlo Fran-
cesco, di Milano.
Serego Gozzadini Nob. Co. Ma-
ria Teresa, di Bologna.
Si menni Pietro, di Verona.
Simoni IL R. D. Giuseppe, di
Adro.
Sizzo De-Norìs-Monti Nob. [Co.
Camilla, di Trento.
Tabladini Giuseppe, di S. Fran-
cesco di Paola.
Tasso Girolamo 7Vpopra/b,Gasa
filiale di Verona, per top. 9.
Tebaldini Dott.Luigi, di Portese.
Tedeschi BL R. D. Faustino, di
Adro.
Tenchini R.mo Arcip. D. Ant.,
di Verola Vecchia.
Torre M. R. Cur. D. Luigi, di
Zanano.
Torri Dott Giovanni Battista,
di Castrezzato.
Traccagni Conti Fratelli, di Salò.
Trappa Carlo,Tdi Quinzano.
Ti'eccani BI. R. D. Domenico, di
Montechiaro.
Turrinelli R.mo Arcip. D. Do-
menico, di Nave.
YenturcUi M. R. Dott. D. Giu-
seppe, di Gussago.
Viani Dott. Lauro, di Monte-
dìiaro.
Vivenzi Gio. Batt., di Gussago.
Volpi Giuseppe, di S. Eufemia.
lArloL Dott. Apollonio, di Ro-
dengo.
Zambelli Nob. Prof. Andrea, di
Pavia.
Àampiceni Dott. Bortolo, di
Presegli e.
Zampiceui Gio. Maria, di Pre-
seglie.
Zanelli M. R. D. Giacomo, di
Morgiiaga.
Zanoni Giusep., di S. Eufemia.
Zavetti Pietro, di Salò.
2iOCchi Alberti R.mo Ab. D. Pie-
tro, di Montechiaro.
Ove si trovasiero errori od omissioni nel presente Elenco, si pregano gli
associati ad avvertirne il Tipografo per le debite rettificazioni.
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STORIE
BRESCIANE
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FEDERICO ODORICI
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BRESCIA
PIETRO DI LOE. 61LBERTI
Tirocairo - libaaio
1854
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Sotto la tutela delle leggi.
APPENDICE AL VOLUME L
BRESCIA ROMANA,
E BRESCIA CRISTIANA
aVL CADERE DEL SECOLO V
'
LIBRO QUARTO
BRESCIA ROMANA
L
LA CITTADINANZA ROMANA — LA COLONIA CIVICA AUGUSTA
LA TRIBÙ E LE CARICHE MUNICIPALI
Giunti ai limiti estremi di due grandi età, noi rivolgiamo
lo sguardo a quella che abbiam discorsa; e fedeli per quanto
ci basti la povertà dell' ingegno agli ardui proponimenti, qui,
dove sciolto l'antico sistema italico, nuovi ordini, nuove leggi,
nuovo culto subentra, ed incomincia la vasta rivoluzione che
mutò governo, istituzioni, altari come in tutta Y Italia cosi
nella nostra città che n' è parte si bella, duopo è che per
noi si retroceda un istante, perchè si vegga per intimo qual
fosse il reggimento della patria comune da Ottaviano in giù;
quali arti, quai costumi, quali commerci allegrassero la vita
dei padri nostri; quali culti la temperassero col freno sacro
del tempio, del sacerdozio, della diviniti quai monumenti
restassero fra noi ad attestare nei secoli narrati le glorie e
le sventure del municipio bresciano.
E voi gentili, che mi seguiste sin qui, non vorrete permet-
tere che tanta mole di monumenti romani pei quali a tutte
italiche città, se Roma ne traggi, procede innanzi alteramente
n finESCIA ROMAKA
la nostra, che i martiri bresciani del cui sangue fu suggellata
la nostra fede, e i primi altari che sursero ad attestarne il
trionfo, e i vescovi pur nostri che la diffusero colla forte elo-
quenza di chi combatte per lei, cosi gravi memorie della
storia bresciana non abbiano in queste pagine ricordo.
» Accostiamoci dunque ai monumenti dell' antica città; e
u Puì clic la ctiritu del natio loco n
« ci fé' raccogliere a' di nostri quelle sparte relique come
» Dante i ramuscelli intorno all' albero doloroso, serbiamole
> con lungo e profondo amore, avvegnaché tra la solenne
> mestizia di quei ruderi cadenti a noi parli un suono di
» glorie municipali che per volgere di secoli non torneranno
> mai più ^ ».
Fatti come dicemmo ne' tempi d' Augusto cittadini romani,
venimmo ascritti ad una delle trentacinque tribù, o a meglio
dire convocazioni \ nelle quali si dividevano i comizj di Ro-
ma, ed alle quali non intervenivano che i cittadini per di-
sputare sulle leggi, decretare la guerra e la pace, eleggere
magistrature, sentenziare dei delitti di stato, e cosi vìa.
Queste tribù avean nome da luoghi o da famiglie, ed in
rustiche ed urbane si dividevano \ non furono maggiori mai
di trentacinque ^, e la città di Brescia fu registrata nella
Tribù dei Fabj \
1. OoORicr, Dresda Rom^a. Inlrod. d. 275, 276), e dal GruU!ro(p3-
2. Labus, Della Tribù e dei Decu-- giaa CCXLVI, lu 5 ), e da quaoto
rioni deir antico Municipio Bre-* ne scrìve il dottissimo Morcelli
sciano. Dissertazione. Brescia 1813, (De Stylo Inscript. pag. 69).
pag. 8. — Manutiub, De Comit. 3. Rusticce Tribus laudatissma tic,
Roman. E furono sempre a quel Urbana vero, in quas transfem
numero ( Quihus numerus expletus ignominia esset, eie Plin. XVlli, 3.
est Cic. in Verr. 1. 1, e. 5, n. \i)f 4. Grut. Inscr. 1. cìt
come apprendesi anche dai marmi 5. SiG0Nius,Z)ei4nt./vre/to/.ljb.l li-
die il Fabretti ha raccolti (e. V, — Bi.VNCur, Mar. Crem. p. 98.
BRESCIA ROMANA 0
E per risalire alle origini della colonia bresciana, fa clii
pretese ridotta la Cisalpina in provincia quando a' tempi di
Claudio Marcello si diede luogo alla ricostruzione (a. di
R. 535) di Piacenza e di Cremona: ma i Romani, vessati
dagli eserciti cartaginesi, non che fondar province, bastava*
no appena in quel tempo a difendere le proprie; etnìa pau-
ra ^ che suggerì la deduzione di quelle due colonie.
Il Bravo, più ardito di tutti, mi fa Tanno dì R. 558 en-
trare Claudio Marcello nella nostra terra per dichiarare io
staio cenomano provincia romana \
Vuoisi per altri che da Pompeo Strabene ci fosse dato
il diritto latino verso Tanno varroniano 665; e che Taver
sostenute un anno le coloniche magistrature fosse condizione
per ottenere, purché domandata, la cittadinanza romana '.
> Ma le nostre lapidi, tutte a Cesare posteriori, si rara notizia
t non danno, e molto meno gli scrittori, che del come e quan-
• do si deducesse tra noi questa colonia latina non fanno pa*
» rola t . E il celebre passo di Plinio in mediterraneo regionis
decinuB colonice: Cremona, Brixia Cenomanorum agro ^ meglio
forse è a leggersi col Carli: in mediterraneo regionis decinue co-
Ionia Cremona: Brioda Cenomanorum agro ^: e sappiamo che
Patercolo dalle colonice dedmtce jussu Senatus esclude la nostra
città. L'aQVAS in COLONIAM PERDVXERVNT, la COLONIA CIVICA
AVGVSTA BRixiAE dei marmi che abbiam pubblicati ^ il decvrio
1. EuTROP. lib. HI, ci.--* Tacit. Pompejus Strato pater Cnei Pom^
Misi, 1. HI, il quale dichiara che le pei Magni iranspadanat colonias
colonie furono ereUe ingruente in deduxerat; t. VI, p. 0:24, ed. Delf.
Italiam Annibale; e vi risponde mi* k. Plìn. Hist Nat. 1. IH, e. XIX, n. 20.
rabilmente Polibio (Histor, lib. liL 5. CARLf, AnL hai, t. II, lib. I, p. 44*
e 40), Patercolo (HisL lib. I, 6. Labus, Dell* antico AcquedoUo del-
e. 14 ), l* Epitome Liviana (l. XX). la Colonia Aug. di Brescia; lei in-
S. Slor. di Bresc. - 1. I, lib. I. serita nella mia Brescia Romana,
3. AscoN. Pedia.m. in Cicer, Pison. par. I, p. 48.
io
BRESCIA ROMANA
IN COLONIA di un altro che dal .Manuzio *, dal Muratori ^ e
dal Gagliardi ' è dato, sono cose posteriori ad Augusto, dal
quale soltanto fu Brescia intomo al 727 di Roma rifornita
di cittadini romani e convertita in colonia ^, ed al quale si
denno trentadue colonie che in Italia ha dedotte.
Che le colonie si nominassero talvolta municipj parrebbe
suadercelo il veder chiamata colonia augusta ad un tempo e
municipio su due marmi Verona '; e apertamente il Volsero
ne apprende che anche Augusta Colonia era descritta nelle
epigrafi qual municipio ^
Erravano quindi certamente il Biemmi ^ , il Bravo ^ , il
Gagliardi ^ ed il Maffei ^^ ed altri assai. E certo non era
duopo che Giulio Cesare tanto s' afTaccendasse per ottenere
ai transpadani il diritto di città quando già fosse preesistito.
Dirò di più: l' orazione di Cicerone per Balbo fu recitata
Tanno 697; ivi, accennate le varie cittadinanze concesse
da Mario, da Siila, da Metello, da Crasso e dallo stesso
Pompeo Strabene, neppur motto si fa dei famosi diritti dd
Lazio onde i moderni fan pompa. Lo stesso Tullio perfine,
vuotando il sacco contro Pisene, lo chiama sacrilego sicario
insubre, chiari facendoci che Tlnsubria non era allora a mi-
glior condizione di prima ^^
1. Ort Rat. pag. 35, n. 2.
2. Nov. Thes^ Vet Ins. p. DCCXLl, n. 1.
3. Parere intorno allo stato degli an-
tichi Genomani - art XXY.
4. Labus, Marmi antichi bresc. rac-
colti ed illustrati - pag. 111.
5. La pietra insigne della Porta dei
Borsari (Colonia Augusta), l'al-
tra pubblicata dal Panvinio (Mus.
Veron. pag. 96) e dal Maffei, A4.
Ver. p. 126, n. 1 (Municipium),
6. Augustam Coloniam in noslris Inr
script. Municipium appellaiam et-
te invenio (Rer. AugusL lib. V,
^ pag. 109).
7. Stor. Bresc. - lib. U.
8. Stor. Bresc. - lib. IL
9. Parere ecc. - pag. 105.
10. Antica condizione di Verooa, irt 8.
— Verona illustr. par. I.
11. Cicero, in L Pisonem, capo V
e XVL
BRESCIA ROMANA 1 4
Dione Cassio gli è quello che apertamente ci narra come
Cesare conferisse ai Galli transpadani la romana cittadir
nanza ^; lo che da Cicerone in più luoghi ^ e da Strabo-
ne ^ ci yien confermato. E il dirsi da Claudio imperatore che
i Romani stettero in pace al di dentro, fiorirono al di fuori
quando si fecero cittadini quei d' oltre Po ^, sembra piutto-
sto alludere a' tempi di Cesare e di Augusto che ad altra
età. Tanto pib se si rifletta che assai tardi l'Italia rigoro-
samente cosi chiamata, venne protratta dal Rubicone al
Po, e che dalla sola mano d'Augusto ne vennero allargati fin
oltre Vobamo i limiti K
A questo termine ci condurrebbero le dotte argomenta-
zioni del nostro Labus: il perchè n'avremmo intomo al 705
di Roma (48 av. C.) accaduta la gran metamorfosi ordinata
senza guerra, per sola virtù di un decreto di Cesare Dit-
tatore. E forse allora fu da lui stesso eretto quell'edificio,
i cui ruderi notati dal Zamboni ^ servirono sino dal 4484
ad erìgere il Monte di Pietà e le fabbriche circonvicine; e a
quella età rìferir si potrebbero le lapidi transpadane che
portano Tribù, e la nostra di Publio Atinio innanzi a tutte ^.
Ed anche il dono della tribù fu brevissimo dono; perchè
assunto da Cesare l' impero, la libertà dei suffragi ne' pub-
blici comizj quasi al tutto cessò ^. Altro metodo fu da Otta-
viano sostituito ^; e traslocando Tiberio gli adunamenti (Oh
i. BisU Rom. lib. XLl, n. 36, e so- iib. II ), dal Grattarolo ( Storia della
pra quel passo il Reimaro. Riviera di Salò, p. 107 ), dal Gru-
2. Philipp. Xllf % i ecc. tero (Corpus Inscr, pag. 903) ecc.
3. Geograph, lib. V al principio, e 6. Fabbriche di Brescia - e. IV.
pag. 211, 227. 7. La stessa, ricordata alla nota 5
i. Tacit. Ann, lib. XXX. di questa pagina.
5. FINIBVS . ITALIAE . MONVMENTVM 8. SVETON. in Jul Cou. C. XLI, ed
VIDI . VOBERNA. Lapide bresciana ivi le annotazioni del Lipsie,
portata dal Capriolo (Hist, Brix, 9. Sveton. tu Aug. e. XLVI.
a BllESCIA ROMÀNA
mitia) dal campo al senato S piti non rimase della tribù che
una formola. Indarno tentò Caligola rivendicare ì suffragi del
popolo ^ perchè spenta la repubblica, il tiberiano sistema
si raffermò '. Il perchè, cessata l' importanza politica della
tribù, vediamo i padri nostri censiti nella Fabia, come ab-
biam detto, ascrìversi ad altre; sicché fu libero a ciascuno
tenersi con lievissimi pretesti a quella tribù che più gli ta-
lentasse ^. Epperò una fatta eredità, un'adozione assunta,
un cangiato domicilio, una carica, il capriccio medesimo ba-
stava per cangiare tribù; e de'Bresciani assai la si mutarono^,
e sopra tutti Q. Minicio Macro indubbiamente di Brescia,
che in un marmo insigne gli piacque ascrìversi alla trìbù
Poblicia di Verona ^.
Teneri bambolotti e fanciulli di pochi anni, inetti all'uso
della romana cittadinanza, vediam notati colla tribù ^, e li-
berti e figli di liberti se ne vantavano ^: e figli hanno ancora
di tribù diversa del padre ^ e magistrati e militi che trìbù
ben altra scioglievano della patrìa '^ ed uomini insomma che
si registravano ad un tempo in diverse tribù ^^; finché a' tem-
i, Tacit. Ahìl lib, I, e. XIV. 8. Smet. pag. 182, 6. — Fabretti,
2. SvETON. I» e. Calig, e. XVI. Coi Trajan. qui vidit. ci. VII,
3. Lipsius, ad Sveton, in Cou, e. XLI. n. 9. — Manut. 0. R p. 1 i6 —
4. Labus, Tribù e Decur. ; ove ne reca Doni, ci. X, n. 86. — Cori, Inscr.
esempi iniiaiti del preso arbitrio. Etr. tom. I, pag. 156. — Labi\S
6. Nominali ad un per mio dal Labus Marmi bresciani, pag. 108.
nelle Tribù e Decur. cit. p. 13. 9. Grut. p. 448, 4. — Marini, /rurr.
6. ftks« Veron. p. 190. Alb. pag. 120, ecc.
7. Manut. Ort. Rat p. 146. — Smet. 40. Grut. p. 469, 10. — Malvasia,
pag. 135, 6. — Grut. pag. 380, Marm, Felsin, pag. 118. — Oli-
n. 4 ecc. — Mur. p. 1128, 5 ecc. vieri^ Marm. Pisaur. n. 38, 39.
— Zacgar. Istor. Lelter. t. XII, — Gori, laser, Etr, L I, pag. 316;
pag. 667. ~ Orelli, Inscr. Lai t 11, pag. 95, 96.
Coli. i. Il, u. 3093. 11. Gori, Inscr, cit, l. I, p. 316, 61.
BRESCIA ROMANA
13
pi di Caracalla, fatto cittadino di Roma tutto l'impero, scad-
dero affatto le inutili tribù, sicché al quarto secolo non ha
più traccia.
Tutto ciò a togliere la pompa che della Fabia tribù s' è
(atta dal Biemmi, dal Gagliardi, dal Bravo e da più altri.
Tuttavolta il contrastato passo di Àsconio ^ è dal Borghesi
ammesso , il quale terrebbe a noi dato il diritto latino da
Pompeo Strabene Tanno 665; ma la cittadinanza romana ri-
conosce anch' esso da Giulio Cesare a noi largita nel 705 ,
come dalle parole di Dione ^ e che non avessimo per al-
tro uno stabile ordinamento municipale se non per la
legge Giulia del 709 di Roma.
Ammette ancora che morto G. Cesare, fossimo tolti alla
condizione di provinciali ed uniti all' Italia; per lo che ot-
teneouno d' essere amministrati nella giustizia da cariche
municipali secondò un'altra legge, della quale fu scoperta
una tavola a Velleja \ essendo cosi cessati gli avari procon*
soli che ci avevano tenuti.
Non altrimenti che ad Ottaviano Augusto dobbiamnoi dun-
que la riordinazione di Brescia in Colonia Civica Augusta;
1. Cu. Pompe ju9 Slrabo trampada"
nas eoloniat deduxit: non novis
colonii, nd veUribus incoi* fna-
neniibui ju$ dedit Laiii, ut pos^
seni habere jus, quod ceterm lor
tmm colonùt, id est, ut gerendo
magiitratus civitatem romanam
adipuuntàuT, *- Ascon. in Cic,
Orai, in Pitonem. ì\ passo è con-
fortato dair autorità di Appiano
(De Bell. Ctv. lib. U, e 26), e
parrebbe incontrastabile. É duopo
quindi sospettare che il nostro La-
bos non abbia bene distinto il Di*
ritto Latino dalla cittadinanza. H
primo ci venne da Pompeo Stra-
bene, da Cesare la seconda. Ed
ecco sciolta, se nulla veggo, la que-
stione. Di Verona dedotta Colonia
da Gn. Pompeo farebbe testimo-
nianza r ignoto autore del Panegi-
rico a Costantino (Quam Colo-
niam Cn, Pompejut atiquatèdo de"
duieral; e. 8).
2. HUt. Rom, lib. XLI, e. 36.
3. Serbasi ora nel Museo di Parma.
(De Lama, Tav. Legislativa della
Gallia Cisalpina. Parma 1820).
u
BBESCIA BOMÀNA
e fa runa per certo di quelle che dopo TAzziaca vittoria ^
ricondusse o fondò in Italia (come sapientemente il Sigonio*
e forse più ancora il Borghesi ' han dimostrato), rifornen-
dole nel 727 di Roma di cittadini romani; e tra quelle ancora
eh' egli stesso operUms oc vecHgàlUms pubìicis pbirifariam in-
struxU: etìam jure oc dignaUone urbi quodam modo prò parte
àliquaadwquaioii^.
E che le sue colonie adomasse di sontuosi edificj lo ab-
biamo dal monumento Àncirano ': e si sa che Rimini colo-
nia . AVG. * fu da lui rabbellita di un arco e di un ponte sulla
Marecchia; che Fano gol . ivlia ^ fu circondata di muraglie,
rifornita d'una porta detta ancora l'Arco d'Augusto; che Par-
ma COL . ivl . AVG. ^ donò di un teatro non ha molt' anni sco-
perto; e a quella guisa che a Yenafro (coloniAu . ivl . avg .
VEnafrum) largiva un aquedotto che da Volturno per cinque
migUa conduceva l' acqua nella città ^, non è improbabile
che appunto per ciò incominciasse per la colonu . civica .
AVG • BRixiAE l' aqucdotto che poi Tiberio ha terminato ^^
La romana cittadinanza consisteva precipuamente nella
facoltà di maritarsi, di testare, di ricevere legati; nella piena
1. £ singolare per altro la discrepan-
za di data che al fatto strepitosissi-
mo venne dai dotti attribuita. Al
16 genn. 726 il Labus ( Trib. e Dee.
cit. pag. 20); al 10 settemb. 723
il FurlaneUo ( Lap. Pat p. 174 ).
Ma la seconda è confermata dalle
Rettificazioni del Sanmicheit nei
Fasti Consolari.
1 De Ani. Jure Hai. lib. Ili, cap. 9.
3. Archivio Storico Italiano - t XVI,
parte I, pag. LXXXIX e seg.
k SvETON. in Aug. e 46.
5. Eggbr, Recherches sur Us Augur
stales, pag. 90.
6. Tonini, Rimini avanti V era vol-
gare - pag. 343.
7. Grut. pag. 416, n. 8.
8. Lopez, Lettere intomo alle ruine
del Teatro. - Parma 1847.
9. Gorgia, Storie Sicule, U, 19.
10. Labus, Suir Acquedotto e sol culto
dell'acque deirantica Colonia Bre-
sciana. — Lettera cit.
BRESCIA ROMANA 15
potestà sulla moglie, sui figli, sulla propria casa ^; nell'arbi-
trio di poter assumere la protezione, la rappresentanza dei
clienti, delle città, dei collegi, delle province intere; nel di-
ritto del suffragio e della eleggibilità; nel privilegio di non
essere dannato a morte o battuto colle verghe *; di poter
anzi per quella vece prevenire una condanna capitale col
volontario esilio ^ od appellare al popolo sulla decisione dei
magistrati K
La cittadinanza romana non era dunque nel suo complesso
che una rivendicazione dei diritti deir uomo, uno sforzo della
ragione per emanciparsi dalla ferrea catena di quei patti
umani che d'una legge di natura, sacra, ingenita, universale
faceva un' esclusione, un privilegio.
E tra i privilegi che colla cittadinanza furonci dati è a
noverarsi la costituzione amministrativa che tutta venne in-
formandosi a quella dell' eterna città per guisa da presentarne
come a dire una piccola imagine.
E anche qui, come in ogni tempo e da per tutto ove sia
traccia d' uomo, la solita separazione di popolo e nobiltà; dei
pochi nelle cui mani o data o voluta è la forza, e dei molti
che pur quella forza energica e materiale costituiscono, ma
che si lasciano carpire quasi senz' avvedersene, che cer-
cano talvolta chi la governi ... o ne faccia il suo prò : istinto,
condizione, fatalità della moltitudine, che sbarazzatasi di chi
abusa delle sue soff^erenze, ha già in collo un altro padrone.
i. SiGONlus, De Ani. Jure lial. in dans lesprovineet eie. (Mém, de
Pùlm. Ani. t. II. r In»t Royal de Franee, t. XII,
2. CiCBR. De Suplie. 61, 62 eie. 1836). Veggansi del resto suirar-
3« CiCER. prò Cecina. XXXIV. gomento le dotte lacubrazioni del
4. DuRBAu DB LA Mallb, Mém. sur Panvioio, del Manuzio, dello Spa-
tAdministr» Rom, en Italie, et iTlietm, del Vaillant ecc.
16
BRESCIA ROMANA
La civile comunanza bresciana, come quella degli altri
municipj, si componeva di decurioni e di plebe ^ Era nei
primi l'ordine, il senato, il ceto del municipio ', al quale
non si aggregavano che i ricchi (come abbiamo da Plinio dove
narra di decurioni comensi) per centomila nummi di cen^
so ^ 0 per ampli commerci, e i distinti dal volgo per arti
belle, per merito, per sapere; benché Callistrato talvolta in
caso di scarsezza non escludesse dal decurìonato neppure i
venditori di utensili, si facuUates habébani ^ e benché tal altra
Tessere senza lettere non pregiudicasse '.
Era quindi naturale che i servi ed i liberti ne fossero
esclusi del pari che i delinquenti, gT inonesti , gT infami ^;
perchè T innocente condizione di servo era una macchia al-
lora, direi quasi un delitto; ed inonesti dichiarava Callistrato
personas flageUorum ictibus subjectas, le quali mettea fuori
dell' Ordo^
Il perchè i decurioni diceansi padri e possessori da Ulpia-
no ^; prindpes, summates prindpales della colonia da Tacito '
e da Finnico ^^; civiUUum paires, mtmicipiorum senalus,
curiales per altri. I decurioni dei municipj e delle co-
1. Panv. Imper. Rom. - p. 747, 748.
2. Gruter. Corpus Inscr. pag. 275,
n. 2; i100,n. 8; 276, n. 5; 481,
n. 9 ecc. ecc.; ed ordo . Piissi-
Mvs tra le medesime nostre lapidi.
— Manut. pag. 627, n. 14.
3. Esse autem Ubi (Firmo) centum
millium censum satis indicai quod
apud nos (Comenses) Decurio es.
Plin. 1. 1, ep. 19. - De-Vita, Ani,
Benev. Diss. IV, p. 127. - Tartar.
M. di C. Val. Mariano, p. 63. - Il
censo presuntivo di 130 milaMire.
4. In Digest lib. L, Ut 2, 1. Xfl.
5. Cod. Theod. lib. X, titolo 31.—
Pancirollus, De Magisfr. Muni-
cipalibus,
6. Cod Theod. De Decur. lom. IV,
pag. 127.
7. In Digest, lib. L, L cìL
8. De Decur. ab ord. f, lib. I.
9. HisU lib. I, e 57. -- In quanto al
Principali» vedi i marmi nel Gru*
toro, pag. 509, tu 3; nel Muratori,
pag. 1329, n. 4.
10. ÀSTRON. lib. Ul, e 4 e 11
BRESCIA ROMÀNA 17
Ionie sembra che in prima non oltrepassassero i cento ^ Il
che si conferma da un passo di Cicerone S dalla tavola Ca-
Dosina, ove coir albo dei magistrati della colonia Canosa '
sono i nomi di cento decurioni, trentotto patroni e venticin-
que pretestati (giovani figli dei decurioni), a' quali era lecito
come a quelli dei senatori in Roma l'intervento alle adunanze
decurìonali, checché ne dica V Creili ^. Cento pur sono nelle
iscrizioni di Vejo *, di Casino ^ di Perugia ^, di Bojano ^.
E se talvolta sacerdoti e magistrati oltre il numero pre-
scritto si rinvengono dai primi tempi dell'impero in giù,
nessuna meraviglia che del decurionato ancora si facesse un
titolo di distinzione soprannumeraria, la quale però non alte-
rava menomamente il corpo civile prestabilito. Ed è si vero,
che Plinio stesso, parlandoci dei decurioni della Bitinia sotto
Trajano, aggiunge che questi oltrepasss^vano il numero piai
che non comportasse la imperiale indulgenza *. Da sette la*
l« Fabretti, hscr. p. 107, n. 32 i. ,più; ma sembra coglicssero errore
2. De Lege Agraria, % e. 35. Huc come il Tartarotti ( Mon. di d
(icil. Capuamj isti deexmuiri, Val. Marìaao, pag. 62).
emm numerum eolonorum ex Lege 4. Inscr. ColL n, 37:21.
Rulli deduxeriiU» cenlum decuno- 5. Marini (Frai. Arv, p. 191 e S31 ).
mes, deeem augures» sex ponti/ices — Nibby ( Viagg. ant, tomo, i,
eonstituerint. pag id ). — Ma&isi (Iscr. Alb.
3. Ora nel Museo èì Firenze. Fa pub- pag. 60 ).
blìcata dallo Spon. (Misceli End, 6l Gruterus, pag. 100, n. 8. ~ Ro-
uni. p. 280 ). dal Fabretli ( p. 599, jianelli, Tapogr. Nap. tomo IU«
a 9 ), dal Lami (auL Tab, wn. etc ). pag. 391.
L* Creili (ColUeL Inscr. LaL nu- 7. Veemiglioli, Antiche Iscr. Perug.
mero 3721 ): il Savigny (Hist. pag. 394, ed. 11.
dn droii roim. au moyen àge» 1. 1, 8. Avellino, Bullet. arch. Nap. a. IV,
jng. 65), il Labtts stesso (Tribù pag. 114.
e Decurioni cit. ) ne trovavano 9. Plinius« Epp. . - lib. X, tpisUÀs,
in quella lamina Ganosìna assai di ad Trajaaum.
0»<mici, Starit Brtst. Voi. II. j
1 8 BRESCIA ROMANA
pidi Vejentane^ li decurioni sono detti centumviri^ e Cice-
rone a cento e non più fa risalire quelli di Capua.
La Curia del Duumvirato nelle calende di marzo con
molta solennità si convocava * per sostituire altri coUegbi
agli estinti od ai cassati ; nò sempre il merito, ma l' oro cor-
rompitore potea talvolta sugli animi degli elettori ', sicché un
cotale fu nomato a dodici anni ^; e v'ha esempio di un bim-
bo fatto decurione a quattro '.
Proposti dal duumvirato i nomi dei candidati ^ procede-
vasi allo scrutinio, ed il più favorito nei voti rimanea decu-
rione. L' eletto venia poi solennizzando con pubbliche largi-
zioni ed opere monumentali e feste V ambito onore; ed era
spendio gravosissimo, a non dire del canone dell' entratura,
quando per altro, come di Sesto Nigidio abbiam veduto,
per merito o per favore non ne venisse francato ^, il che ne'
marmi solevasi a buon diritto segnare ^.
Una Curia adunque avemmo indubitabilmente in cui l' Or-
dine Bresciano si radunava per l' amministrazione delle cose
pubbliche ^, ed era sacra come un tempio ^^. Gli annonarj
provvedimenti, la tutela della pubblica proprietà, i ristauri,
1. FURL4NETT0, Lapide mi del Mu- 7. Plin. Ep. cit.
seo di Este, pag. 48. — Lapid. 8. Labus, Marmi antichi brese. d. I^
Patav. pag. 75 e 26. n. 159, pag. 120.
2. Cod. Theod. De Decur. 1. XXVIII. 9. Odorici, Brescia Romana. — La
3. CiCER. in Verr, lib. Il, e. 49, quamF- Curia.
vis puer quamvis indigniu praUio 10. Hoc illis Curia iemplum. Virgiu
factum esse etc, — Cod, Theod, De ^n. l Vili, v. 174. Abbiam ve-
Decur. lib. XIX. duto come presso i popoli più an-
4. MuRAT. N. T. V. L p. 1028, n. 6. tichi (Galli, lUlici, Germani) era
5. Marmo presso la chiesa di Paganica come sacro il luogo delle loro
nei Veslini(GuDio,p.l63,num.2). convocaiioni, le quali alcuna voi-
6. Plin. Ep. LXXVllI ad Trajan. et ta si faceano nei templi e Delle
cp. LXXX. sacre selve.
BAESCrA ROMANA (0
gli assegnamenti dei luoghi pei templi, per gli acquedotti^
pei sepolcri, pei sacri e civili monumenti d' ogni maniera, la
destinazione dei ludi scenici e gladiatorj, la nomina dei
duumirirì, dei pontefici, degli auguri, dei sacerdòti, dei pre-
cettori, dei medici municipali, dirò breve ; quidquid mwerscB
eimtati tranquiUitatis erat ac commodi ^ era scopo delle loro
adunanze, attributo principalissimo dell' ufficio loro.
I primi dieci per merito avevano il carico di riscuotere le
pubbliche entrate, e quando al cadere dell'anno non arri-
vassero a pareggiare la somma prestabilita dovevano riparare
col proprio ^. Dagli altri si governava con obblighi diversi la
cosa pubblica.
L' insigne monumento di Gabino ' ci fa sapere che i de-
creti decurìonali post tres rehuiones si ripetevano a conferma:
ed ecco l'ufficio dei banditori; ecco gli editti, ch'erano di
legno imbiancato a lettere nere o rosse; le tavole di bronzo
e di marmo per gli archivj, per le piazze, per la posterità ^.
Avevano i decurioni seggio distinto al teatro, al circo, ai
pubblici spettacoli ' ovunque si celebrassero; e forse la no-
stra città, rallegrata già fino d'allora delle sue fontane, con-
cedea loro, come ad altri era concesso, una fonte ^.
Gli ornamenti decurionàli tanto celebri nei nostri marmi e
nelle pagine dei dotti erano il davo, la toga bianca, i senatori
calzari, ad omettere più minute cose ^. Di quegli ornamenti è
1- PaKCIRol. De Magistr. Municip. 5. Mazzocc. Tab. Heracl, pag. 450,
% Lex civica C. 9i eurial, relicia eie. n. 151; pag. 452, col 2.
3. E. Q. Visconti, Monum. Gabini 6. Grut. C. Inscr, pag, 482, n. 3. —
della Villa Piciniana — pag. 144. Morcell. De SfyL Inscr. p. 81. --
4. B.iissoN. De Formula — Maz- Chimbntello , De Hon, BiselL
zocCH. Tab^ Heracl. — EciTius, cap. 37.
De BacckanaK eie. 7. Paol. De Decw\
io
BflESClA ROMANA
ricordo in una pietra bresciana ^, come in un' altra Io è dì
un decurione di Brescia, di Trento e' di Verona insignito
dall' Ordine nostro d' una statua equestre aurata e del fu-
nerale a pubbliche spese; ed era Sesto Valerio Publicola K
Decurione di Brescia e di Trento è Val. Mariano cui
spetta un marmo dei tempi di Ottaviano Augusto ', nel
quale vien detto flamine di Roma e d'Augusto, un cui
tempio, ov' era forse addetto, potrebbe congetturarsi tra noi,
se ai marmi del Rossi avessimo a prestare più larga fede ^.
Fu ancora prefetto quinquennale, cioè delegato a rappre-
sentare fra noi lo stesso imperatore lorchè mancando per
le contese dei candidati le magistrature ', U municipio
delegava direttamente l'imperatore medesimoi Che reggesse
la prefettura invece d' Augusto o d' altro Cesare non decide
il Labus: pur dal sapersi ancor vivente Ottaviano, per l'am-
missione del predicato divo terrei chiara, se nulla veggo,
la soluzione.
1. Gruter. pag. 469, n. 4< — Rossi,
Mero. Bresciane, pag. 251. — Cor-
sini, Mon. Ani. Ur. et Agri Brix.
. pag. 82 del Ms. già presso Labus.
^4 Labus, Tribù e Decur. cit. ecc.
Zé Nel castello di Trento sulla piazza
dei Leoni. — Apianus et Aman-
Tlus,yrMcr. sacr. vet. Ing. 1534. -
Pbrucci, Pompe funeb. - lib. Ili,
pag. 57. — Mattei, Dell' Ant Tu-
scolo, p. i 10. — Manut. Ortogr*
Rat pag. 764. — Grut. p. 479, 6.
— Velsbrius, AfU. Aug. Vindd.
pag. tì% D. 16. — Panvin. Ants
Veron. lib. II, e 12, pag. 59. —
De CivU. Rom, e. tli — Labds,
Trìb. e Decur. e. 18. — Lipsius^
M, Smet. Inserip. Ani, p. 169, 9.
— Tartahotti, Mon, dì C. Va-
lerio Mariano. - Roveredo iSìL
4. Rossi, Mero. Bresciane, p. 237. —
Gnocchi, Iscr. Bresciane, p. 32. -*
Donati, Inscrip, pag. 54, n. 9. —
GruterOi pag. 105, n. 8. FaUo
sta che il marmo è genuino, ma di
Pola città dell* Istria ov^ era il lem-
pio. - Labus, EpigraO antiche ann
messe da* patij scrittori tra i mo-
numenti bresciani, benché spettanti
ad altre città. Ms. presso TautO'
re; Tantog. è possed. dall'Ateneo.
5« NoRiSi Cefiotaph, Pisan.
BRESCIA ROMÀNA 21
Altri decurioni ci tramandarono i patrj marmi» e fra questi
un C. Placidio Casdiano della tribù Quirina ^ (alla quale i
Camunni erano ascrìtti» separati com' erano allora dal bre-
sciano), e Macro Minicio questore dell'erario, che è quanto
dire tesoriere della città; carica importantissima dell' ordine
decurionale, cui era dovuta la riscossione e la; custodia dei
redditi municipali, e che sempre davasi ad uomini di. conto.
Né lascierò quel Settumio Galliniano cfa' oltre a quelle ca-
riche sostenne l' edilità, altro ufficio municipale tenuto» dirò
con Cicerone» dai curatores urbis, annonce, ludorumque so*
kmnium *.
Àveano cura gli edili delle pubbliche e private costruzioni»
dei viveri cittadini e di ciò che suol dirsi adesso ' polizia ur-
bana. Nelle colonie governate dai un viri costituivano un
corpo chiamato talvolta Quatuotvircaus ^dUiiue potestatis ' »
come Quatiiorviri ab (erario ^ solean dirsi i medesimi questori.
Ma la carica suprema dei municipj e delle colonie era il
tanto discusso duumvirato od anche quattuorvirato, secondo la
colonia che di due o di quattro personaggi vantasse ordinata
quella massima magistratura; e Taggiugnere del Furlane tto
che in ogni municipio fossero i quattuorviri è grave errore '•
1. P. Gregor. Trattenim. Gamuni, Mappei, Mus. Ver. p. 116, n. f,
pag. 247. — AvEROLDi, Pitture, — Morcelli, De Siylo Inscript.
pag. 283, che da Givìdate recò il t. I, p. 92« — Fabretti» p. 485,
marmo a Brescia nei 1689. — n. 160. — Mazzocchi, in JEnea
Muratori, pag. 1035, n. 5, — Tab. Heraci pag. 409. — Poli-
Donati, pag. 333, n. 2: talU con castro, Rom, Inter. Fascie, p. 69.
molta Tarietà che il Labus, Tribù ^ Trevisan, Sigillo di Padova»
e Decur. pag. 22 e 45, nota e ret- p. 93. -— Orelli, n. 3676 ecc.
tifica. 4. FuRLANBTTO» Lap. Patav. p. XXllL
2. De LegiìnUf e. III. 5. Illustrazione del Monrnn. di G. Val.
3w PiGNORiA, De Servis, pag; 19. — Mariano. - Roveredo 1824, p. 52»
Orsato, Monum. Patav. p. 229. e. X, ove combatte la suddivisione.
2i BRESCIA ROMANA
Reggevasi Brescia pel duumvirato, checchàne dica Tarcheo^
logo patavino, sottilissimo però sempre nelle sue opposizioni.
Distinguevasi in Quinqtiennale ed in JuridiceiUe ^. Massimo gra«
do era il primo *: nò si creda perciò duraturo a cinque anni,
come il Gagliardi ', il Biemmi ^/ il Bravo ' copiandosi Y un
Taltro han sostenuto; perchè i duumviri Apro e Costa del mar-
mo di Ninfodoto che abbiam recato ^ non avrebbero segnato
il loro nome, come nota il Labus, ad uso di epoca dopo
quello dei consoli; nò, a dir breve, la plebe urbana di
Pesaro avrebbe posta una statua ad Àbejena Balbina nel-
Tanno della quinquennalità di suo marito ^ nò si vedreb-
bero iterate, triplicate, quadruplicate talvolta le quinquen-
nalità ^.
Ài duumviri quinquennali spettava il registro dei citta-
dini e del censo loro, adunare, presiedere la curia, prov-
vedere alla costruzione, al mantenimento ed al decoro de-
gli edifici pubblici e delle vie, frenare con censoria facoltà
il cittadino costume, sorvegliare Y ordine pubblico, gover-
nare insomma con amplissima facoltà Y affidata colonia. Qum-
quennaUtas enim non est àUud quam Censura MumcipaKs *.
ì, DuumvirQuinquennalis. — Duum- Caro. NORIS, Cenot Pisda. diss. 1,
vir JurUdicufidCt ed anche Duuin- per accontentarci di poche cita-
vir semplicemente. zioni. Sulle quali testimonianze
% Velsbrus, Rer. August, lib. V. tranquillamente noi riposiamo.
pag. 101. — Panvin. Anlìquilaies 3. Parere cit. § XVill, pag. 9.
VeronetMes. — Mafpei, Verona 4. Storia di Brescia, t I, pag. i51.
illustr. parte I. — Labus, Mar- 5. Storie Bresciane, t I, pag. 90.
mi antichi bresciani, p. 76 e 111. 6. In questo volume a pag. 111.
E tutti sostenitori della suddivi- 7. Olivieri, Mar. Pesaresi, n. XXVill,
sione da noi accennata, cui assen- pag. 67.
tono il Chimentello, De Honore 8. Labi;s, Marmi Bresc. - pag. 117.
Bmllii, e. V. - ScHWARZio, Mi' 9. Morcelli, Ih St^lo Inscr. p. 38,
«ce//. Politic hum. e. 1, p. 20. - ed. di Roma.
BRESCIA ROMÀNA 23
Q. Largenio Sagitta, Cajo Numazio Tirone, Lucio Àciizio
Primo S Lucio Salvio Apro, Cajo Postumio Costa ^ Settimio
Macrino, che fa anche cavaliere (eques publicus) ed altri anco-
ra furono duumviri quinquennali del municipio bresciano; ma
nessuno prima del nostro Labus ebbe osservato che Nerone
Cesare figlio di Germanico parimente lo fu. Ecco la pietra
che per questo lato passò inavvertita ^:
CPAPIRIVSP-FPASTOR
AVGVR • Il ' VIR • PRAEF • FABR
PRAEF • NERONIS • CAESARIS
IIVIRiQVlNQSIBIET
CN • PAPIRIO • FVSCO • PATRI • Il • VIRo
CN • PAPIRIO • CVRSORI • FIDO
CN • PAPIRIO • FVSCO • FILIO • PONTIFici
È noto che gli augusti ed i cesari per cattivarsi le predi-
lette città non isdegnavano accettarne i carichi municipali, e
non potendo esercitarle colla loro presenza vi mandavano un
vicario che si nomava Prwfectus. È noto che Nerone e Druse
furono quinquennali di Formia ^ e di Cartagena ^ che Ger-
manico e Druse lo furono di Palestrina ^ ed Augusto stesso
d'altra citta ^. E dottamente osservava il Borghesi che quando
Y uno dei due posti del duumvirato si teneva da un principe»
1. Marmo già presso la Baitella» ora p. ilO; ma non seppero spiegarne
nel patrio Museo. il senso.
2. Labus, Marmi ciUti-p. il3, 116. i. Grut. Corp, Inscr, p. 401, n. 10.
3. Labus, Op. ciL pag. 117, n. 157: 5. Vaillant,co1.1, 147. — Morcell,
e prima di lui Grutero, p. 447, tab. XV. — Rox. Aug. p. 542.
iO. — ViNACC Mem. Bresc. p. 285. 6. Foggin. in Fast, Verr, Flac, Pmf.
— GAGLIARDI) Parere, § XXVIII, 7. Avercampius, in Camm. ad Tkes.
pag. 97. — SAxaucAy Mem. Cen. Morell. pag. 452.
24 BRESCIA ROMÀNA
l'altro da un particolare, la magistratura si rinveniva composta
di un prefetto e di un duumviro ^ E questo accadeva quando
PROPTER • GONTENTIONES . CANDroATORVM . MAGISTRATVS • NON
erant', cioè quando per gare o dispareri non potendo i
decurioni convenire nella scelta dei duumviri, si rivolgevano
talvolta agli stessi imperatori ed ai cesari, perchè ne assu-
messero il carico delegando un vicario col titolo di prefetto ';
e somigliavano allora per alcun lato ai Curatori d'Italia, del-
l'Istria, della Venezia, che vennero da poi.
Dopo ciò evidente risulta come sbagliasse il Tartaro tti
quando nei prefetti da noi ricordati non riconosceva che
un magistrato sopraintendente a' ludi sacri quinquennali ^.
Che poi consoli o pretori si chiamassero talvolta i duum-
viri, e sotto quel nome ad imagine dei consoli romani ci
governassero, è un sogno del Gagliardi, che il Biemmi ed
. il Bravo han replicato; avvegnaché i consoli ed i pretori dei
nostri marmi altro non fossero che consoli suffetti o pretori
veracemente romani ^. Bensì V essersi offerta dai decurioni
municipali ai cesari ed agli imperatori la (;arìca cittadina del
duumvirato quinquennale prova da sé come fosse V ufficio
più insigne della colonia, senzachò non avrebbero ardito
profferirla al capo di tutto Y impero ^.
Che se non temessi di convertire la storia (Dio ne liberi)
in un trattato d'archeologia, d'altri carichi potrei parlarvi. Non
tacerò per altro dei prefetti de'fabbri, i quali non già che pre-
i. Osser?. Numism. decad. X, osa. V. pag. 123^ — Jgarra, De [Ptdtiir,
(Vaillant, coloa. I, pag.141 — NeapoliL pag. liO. — |BIarin;,
Havercamp. ad Tkes. Mordi Far Attì Arralici, t. I, pag. 175.
mil pag. 235, 237, 239 ). 4. Mem. di Gajo Val. Marìaao - e Vi,
2. C. Nori8, in Cenotaph, Pisan, pag. 33.
3. Noris, Cen. Pis. diss. I, e. 3. — 5. Labds, Marmi ant bresc.-pili9.
De-Vita, Ant Beneifent. lom. I, 6. Luogo cit.
BRESCIA HOUANA
25
siedessero a tutte l'arti fabbrili e meccaniche del municipio, co-
me^opinava il Furlanetto S né alle miniere sopraintendessero,
come il Biemmi * ed il Gagliardi ^; ma si creavano dalla Re^
pubblica, dai cesari frequentemente, perchè provvedessero
ut qmdquid exercUui necessarium videbatur numquam in castris
deesset S* e bene il Visconti ' assomigliavali ai comandanti del
genio de' tempi nostri. Le laminette di Zeuano della Yal-
trompia non hanno da questo lato il senso che lor si volle-
attribuito; molto meno donno dirsi col Mazzoldi ^ monumenti
d' ospitalità, di patti, di confederazione fra i valligiani dell'a-
gro nostro ed alcune città dell' Àfrica.
Sono tutte dei tempi di Tiberio, ne' quali stanziando in
Africa la III legione Augusta di cui Silio Aviola (prefetto
dei fabbri chi sa forse Triumplino) era Tribuno, qualche
popolo di colà conosciuta la costui bravura, facevalo con
quelle tavolette ^ suo protettore. I legati affricani che ven-
gono a Brescia per supplicare Aviola di farsi patrono delle
loro città sono abbagli del Rossi, del Biemmi, del Bravo e
cosi via. Nò però il Maffei dovea dire quelle tavole mercor
twrcB grafia foggiate dal Rossi ^. Sapevaselo egli il grand' uo-
mo, che due ne aveva nella sua città, non esserci forse mo-
numenti più genuini: né a combattere gli errori cui dieder
i. Lapidi Patavine iilusL - p. XKVl.
2. Storia di Brescia -Li, pag. 177.
3b Parere intorno agli ant. Genomani,
pag. 129.
4. VBGBTius,lDe3re7mt7i7an, lib. II,
cap. 11. —^Biagio Cariofilo, Dt
antiq, atiro fodinis. — Bethe,
De aiUiq. re metaìlica, parte HI.
5* leonograph. Grécque, t I, p. 23i.
6.. Strenna bresciana 1851.
7* Furono pubblicate da parecchi; p. e.
Rossi, Mem. Bresc. f. 175. — Ga-
• GLiARDi, Parere, art. 35. — Gru-
TERUS, Inscr, pag. 470, n. 1, 2.
— ToMMAS. De Tesser, Hosp, e. 2.
— Maffei, Mus, Veron. p. 189.
-* Sambuca, Mem. Genom. p. 223.
— GoMPARONi, Storia delle Valli
Trompia e Subb. in fine. - Bravo,
Stor. Bresc. tom-. I, pag. 76. —
Mazzoldi, Op. cit.
8. Maffei, Mus. Yeron, l. cit.
26 BRESCIA ROMANA
luogo era duopo rifiutarle; bastava rettificarne il valore, impe-
rocché potesse qaalvogliasi ragguardevole cittadino ricevere
in allora il patronato di collegi, di colonie, di municipj ^
II.
COLLEGI E RELIGIONE
Erano in Brescia nobilissimi collegi sacri e civili. E pre-
stante più eh' altri mai doveva essere il vostro, o giovani bre-
sciani. Al coLLEGivM . ivvENVM . BRixiANORVM cho vi raccogUcva
era dato in custodia un simulacro del dio Vulcano '; ed era
sacerdote del sodalizio L. Cornelio Prosodico ^ Seviro augu-
stale di Brescia e di Verona; ed Asinia Polla moglie del vo-
stro concittadino M. Nonio Arrio Mudano, che fu poi console
romano, avea da quella vostra congregazione ob HERrrA un
monumento ^ che leggesi nel patrio museo.
Dei sodalizj de' fabbri, dei dendrofori, de' centonai mol-
tissime poi sono ed insigni le testimonianze. Si aggregavano
al primo gli esercenti ogni arte fabbrile e meccanica ^; nel se^
condo, cui non accoglie di buona lena il Maffei ^ si raduna-
vano i legnajuoli.
1. Labus, Mon. ant. 1S23 - pag. 20. i811. — Manut. Or. Rat. p. 608.
2. Labus, Monum. ant 1. cit. — Grut. Inscr, p. 3G6, n. 6 ecc.
3. Marmo bresc. pubblicato dal Fer- 5. Furlanetto, Lapidi Patavine il-
rarini, p. 161; dal Gnocchi, p. 16, lustrate, e Guida di Padova dt
Ms.; dal Grulero, pag. 397; dal pag. 16.
Volpato, n. lU; dal Rossi, p. 112, 6. CoUegium Denaro forum nullo ex
n. 3; dal Corsini, f. 189; dal Tolti, genuinis nostris haetenut vidi Àr-
pag. 25, n. 75. te CriU Lapid. lib. I, 3 e 4. Ep-
4. Labus, Epig. di M. Non. Ar. Mu- pur di genuine ne abbiam noi soli
ciano, scolpila in Verona. Milano una mezza dozzina per lo meno.
BRESCIA ROMANA 27
Dendrofori chiamavansi anticamente coloro cbe nelle feste
bacchiche e dendroforìe o nei trionfi *■ portavano rami d' al-
beri; da qui la loro derivazione ^ Erano i centonai fabbri-
catori di schiavine o dirò meglio dei centoni, stoffe di lana
consarcinate di brandelli a vari colori per farne tende, co*
perte e rustici mantelli pei soldati, pei villici, pei servi, non
che per altri usi civili e militari; erano gli artefici qui cento-
nos consuebatU atU venundc^HM^. Oh ma il Bravo poi la sa
più lunga!
I poveri cucitori dei brandelli di lana mi solleva d'un
tratto, e me ne fa il collegio dei possidenti bresciani; mi fa
dendrofori legnajuoli tutta la plebe ^ : e dividendo il popolo
bresciano in quattro classi, me ne compone quattro Gomitati
(miserìcordial buon per lui che non viveva nel quarantotto),
che ò un incanto ad udirlo. Ma dove poi sarebbesi argomen-
tato di porre il quinto non ha molto uscito in luce, quello
dei gìumentarj?
Fuor degli scherzi, ogni collegio avea patroni, attributi,
privilegi, esenzioni, rendite sue proprie; cose tutte delle quali
sarebbe il discorso infinito.
Abbiamo dalle patrie lapidi che il sodalizio de' centonai
ponesse monumenti a Petronia Bebiana ^ a Bebia Nigrina,
ed Emilia Equa sacerdotessa della diva Plotina ^; eh' altri ne
1. Visconti, Musco Pio Chiaramonti - 4. Storie Bresc. — « Quello dei pos-
pag. 257. e Mus. Pio Ciem. t V. • sidenti Collegio dei Ceutuarj, e
1 Visconti, Museo Pio Clem. L V, • Collegio dei Dendrofori quello
pag. 51 , ed Milan. labusiana. — » della plebe ».
FoRCELLiN. et FuRLAN. in voce 5. Labus, Marmi antichi brésc. p 19,
Dendrophorus» e Lapide nel patrio Museo.
3. Labus, Lettera intomo ad una Iscri- 6. Gnocchi Ms. pag. 24. — Murat.
zione antica scoperta in Venezia, Thes. hucr. pag. 513, 7. — Vi-
pag. 13. NACGESi, pag. 329» 95.
28 BRESCIA ROMANA
consacrasse a C. Vibio Giusto ed a G. Vibio Burdono ^; mentre
congiunto a quello dei fabbri dedicava marmi a Lucio Glau-
dio Sabiniano eqyo . pvblico *, a Q. Clodio Ursino ob . honor .
QVAEST . Eivs ^, a G..Emilio Proculo q . adlecto . inter .ii .
viR . FLAH . DIVI . AVO. S a Bodosia Giusta ^ a Bittalia Festa ^:
ma soprattutto a quel Sestio Onesigeno ^ che troviamo decorato
degli ornamenti decurionali di Brescia, seviro augustale, e
patrono dei collegi de' fabbri, dei dendrofori e de' centonai;
a P. Clodio Sura flamine del divo Trajano (duumviro
quinquennale, tribuno della legione II Adjutrice Pia Fe-
dele, curatore delle repubbliche di Bergamo e di Como * )
e ad altri.
Né i dendrofori volean essere da meno, avvegnaché van-
tassero per loro patrono quel nostro Marco Nonio Arrio Pao-
lino Apro Clarissmtis Vir, quindecimviro delle cose sacre, que-
store, pretore, curatore della via Appia e delle repubbliche
Nicomediense e Nicasiense, al quale per aver egli ottenuto al
collegio la riconferma delle sue immunità ponevasi una sta-
1 . Lapidi nel palrio Museo. pag. 19. — Rossi, M. B. p. 231
± Sull* architrave della porta di s. Bar- — Corsini, Iiucrip. t 177.—
nabainBresc. — Veggansi le Race Totti, p. 12. — Grutbao^ Inscr.
Gnocchi, Inscrip. M$. pag. 6. — pag. 1091. Il ecc.
ToTTu M. Urb. et Agr. pag. 19, 6. Gnocchi, pag. 24. — Muratori,
n. 55. — Ferrarini, biscr. f. 159. p. 516, 4. — Corsini, pag. 196.
— Grutero, Inscr. p. 390, n. 1. — Totti, p. 25. — Arago, M. A.
— Corsini, f. 184. — Fabretti, n. 43. — Rossi, M. B. p. 252 et,
Inscr, pag. 744, n. 526. 7. Tom, p. 17, n. 46 ecc.
3. Gnocchi, p. 24. — Totti, p. 41, 8. Manut. Ort. Rat, pag. 375, 26. —
n. 130. — ÀRRAG. n. 101. — Ferrar. M. labusiano, f. 158. —
Grut. 103, 3, n. 1. Grut. p. 392, 7. — Felice Fe-
4. Lapide nel patrio Maseo. liciano, t 39. — Corsini, f. 193.
5. Lapide nella fronte delle prigioni — Rossi, 254, 11. — Volpato,
di Piazza Vecchia. — Gnocchi, n. 128. — Appian. f. 62. — Pan-
Inscr. Ms. pag. 24. — Volpato, vinio, De Urb, Rom. e 27 ecc.
BRESCIA ROBIANA 29
tua, la cai base recentemente usciva dagli scavi di Torre-
lunga ^: ed Emilia Onelia Àgrestina ebbe un monumento dai
nostri dendrofori ', come Tebbe C. Grispo Esperio seviro di
Brescia e di Verona ^.
Ma il collegio più insigne della nostra città pare che avesse
la propria sede appo il tempio di Vespasiano. Di natura pro^
babilmente sacerdotale^ 'sarebbe indarno, e Y abbiam detto,
sugli uffici suoi qualunque indagine. Certo è però che il
trovarvi ascritti gli stessi imperatori è prova della sua nobiltà.
Scrivevansi loro nomi sovra lastre di marmo, delle quali ci
restano ancora preziosissimi frammenti. Questo eh' io vi reco
è inedito; e noi verremo compiendone le gravi lacune fin
dove non parrebbe arbitrario il supplemento.
TRiBVn • POTEST •
XX ;
IN • coLLE&IVM • RECEptvs
tRIB • POTEST -Il
IMP -CAES-niVr TRAIANrPARTHlCI ' FlL ' DIVI "NERVAE'NEP
TRAiANvs • ADRiANvs ' AVO ' MAX "TRlB* POT* Il •Cos'ii
In cui: risulta, dopo altri cesari od augusti, aggiunto come
ricevuto nel collegio lo stesso Adriano. Al secondo censo*
lato risponderebbe la tribunizia potestà IL — Altro avanzo
di simil fatta porrò nelle note ^.
i. Ora nel patrio Haseo; 3. Lapide nel Museo Bresciano; dono
8. Mas. Patr. - Gnocghl Ms. p. 23. del sig. Alf. Rosa.
— MuRAT. TkesJnscr, p. 515, n. 1. i. • « . . • Trib. f otest .
— ToTTi, pag. 112, n. 342. — ...... in collegium Receptus
Bossi, M. B. pag. 256. — Do- • . . CaesARis . kug
NATI, pag. 227, S« . . H • PAter. Patriae
30
BRESCIA ROMANA
Più prezioso è qaest' altro uscito come il primo nel i825
dalle macerie del tempio di Vespasiano.
ANT
ONINVS»PIVS'FELJMkTRIB'P ot
L'AELIVS-CAESAR lAl^P^C^ESAR
rMP.HADRIAlI-.^a Dt\^HAl)RiAN F
FlL^TRIBPOTCOS-II Em^lTIL|MAi«
L^SEPTIMIVS^I DIVl-NER
SEVEFSTSPEBTINaX ìt^ AELIVS • HA.
TRIBVNIOPOTCOS iANTONINv
FONT-MAX
f/COS»DES
YAE • PRON
DRIANVS
S-AVGPn'^
TRIB • FOT
Ivi agli accolti Augusti vediamo aggiunto e registrato dal
sodalizio il nome di Tito Elio Trajano Antonino Pio, di quel-
l'ottimo dei principi, cui fatto console appena per la seconda
volta, lai^a,. spontanea, riconoscente sì volse l' ammirazione
delle nostre città, e non imposta da quella servile bassezza
di tutti i tempi, che applaude e trema. Testimonianza della
BRESCIA ROMANA
31
gioja di Brescia Ti basti il marmo che abbiam pubblicato;
della vicina Bergamo lo attesta un altro forse inedito ancorai
Dalla condizione politica alla religiosa è breve passo, poi-
che la religione de' tempi di -cui parliamo propriamente non
fosse che un' arte politica, uno strumento arcano d' impero in
mano al patriziato.
Simile nelle sue origini alla teogonia degli antichi popoli -
d' Italia, erede anch' essa della greca mitologia, prese di que-
st' ultima più intimo aspetto e carattere: vi si accomunjf) to-
talmente non senza improntarsi di riti, di* credenze, di numi
occidentali; e nel suo tollerante politeismo abbracciò, serban-
do le proprie, quant' erano allora più venerate straniere di-
nività. Ma preminente fu però sempre il tipo, la forma sarei
per dire italo -greca.
Più di trenta epìgrafi attestano il culto di Giove nell' agro
bresciano. Paganico lo salutammo, e sette altari gli ponevano
due Pomponii per decreto del nostro pago FarralicanOy quasi
a metterne sotto la sua protezione i lati campi '; e dal San-
tuario di Doliche lo dicemmo Dolicheno ^; e quando sciogliem-
mo voti alla sua Tutela ^, e quando a dispetto di Omero e
di Lattanzio lo dichiarammo arbitro dei fcui inesorabili ^ o
i. Ci Tenne comunicato dal sig. Ga-
briele Rosa. Noi lo suppliremmo
così:
Imp • Caesar
DIVI . HADRtani . F
Dm . TRAiAnt . Parthiei
NEPOTi . DIVI . vervae
Pronep . TUus . Atlius
Hadrianus . Antonimi
Aug . Pifu . Pont . Max
2. Labus, Marmi ant. bresc. ecc. --
Epigr. Sacre, n. 1, p. 1 ( Peder-
gnaga ).
3. Labus, p. 7, n. 3. — Rossi, Mem.
Bresc. pag. 80. — Mdrat. Thes.
Inscr. pag. Vili, n. 3. — Donati,
SuppL p. 3, n. 8.
4. Labus, Mod. citati, png. 6, n. 2
(Poncarale). — Totti, Mon. Ant.
Ms. pag. 99, n. 271. — Morat.
Op. .cit. p. X, n. 10.
5. Labus, 1. cit p. 9, n. 4 ( Brescia ).
32 BRESCIA ROMANA
colle invocazioni d' Augusto S di Brario *, A' AlantUno, di
Conservaiore ^ lo distingaemoìo sui cippi e sopra V are.
E quel Giove Conservatore delle possessioni dei Roscii
(nobilissima famiglia nostra ^), del quale poco lungo dal
Molla era forse un tempietto od un sacello ', ricordandomi
il bronzo di un altro Giove Conservatore che fu scoperto a
Gardone ^ pure appo il Molla, mi fa sospettare in quella di-
vinità un Giove preservatore degli straripamenti del patrio
fiume, presso cui fu rinvenuta l'immagine e l'iscrizione, ugua-
lissimo al Giove arbitro dei nembi e delle piogge che tro-
viamo rappresentato nella colonna Antonina ^: tanto più che
di que' secoli è memoria dell' irrompere di fiumi subalpini
desolatori di si bella e cara parte d' Italia nostra; e non è
a dubitare che il Molla anch' esso, rotti gli argini, si rove-
sciasse devastatore alcuna volta dell' agro triumplino.
Trovava inesplicabile Raoul-Rochette ^ lo stringersi al pet-
to che fa il Giove gardoniano della patera sacra; ma dove si
rifletta eh' anco i fulmini contiene raccolti al seno, chiaro ne
sembrerà il senso jeratico di un nume raffrenatore dei tur-
1* Labus, pag. 10, n. 5 (Sermione). sciane famiglie Roscia, Nooia e
% Lab. p. 14, n. 16; ove si fa prò- Matìena.
venire il Giove Brario dal nome 5. Labus, Marmi antichi bresciani,
iorse di un vico scomparso da se- pag. 21. — Museo Bresc. illustr.
coli. Noi lo derivammo da Brior pag. 126.
rios forte, potente. 6. Museo Bresciano illustr. - lem. U
3. Ferrarini, Inscr. Brtx. (a. 1475) p. Ifó, tav. XXXV. Giove Custode,
pag. 167. Ms. labusiano. — So- 7. Coli. ant. ili.
LAZIO, Iscr. Bresc Ms. labusiano. 8. La patire appuyée eontrt k tàn
— Caprioli, Chrof^> de Aefr. Brtc doit $e rapporUr à queique mie»-
p. IX ecc. — Per ultimo Labus, Han particulière , . . . ei doni j' a-
1. e. pag. 21, n. 26 (Concesio).. voim ^ue^e ne eamprends pat le
&. Monum. antichi scoperti in Bre- moUf. - Journal des Savants, sep-
scia 1823. — Stemma delle bre- iemb. 1745, ^ 531.
BDESCtA ROMANA
33
bini e dell'acque, quasi in atto di raccoglierli a sé, come
altrove allarga le braccia per lasciar libero il corso alle
seconde '.
Un marmo solo abbiam di Giunone, ed è un'ara di Givi-
date^, 0 v'era probabilmente una statua; diecinove ne restano
di Minerva ^, divinità ch'ebbe in Brescia templi ed altari ^.
Ma desumere dal numero delle pietre a noi rimaste il
grado di preferenza e di venerazione dell'una sull'altra
divinità non terrei potersi fare con esattezza. Ghi vorrà
credere p. e. che il culto di Nettuno in questa provincia
nostra, superba del più bel lago lombardo, dlegrata dal Se-
bino e dall' Edrino, corsa da fiumi, ravvivata dal tesoro pe-
renne di sue dolci fontane, non istesse a paro dopo Giove a
qual altra pur vogliasi divinità? Eppure quattro lapidi sol-
tanto ne attestano il culto '•
E di Vulcano ancora poche iscrizioni pervennero insino a
noi ^ ma preziose per la memoria di un tempio che a pub-
bliche spese gli decretarono i padri nostri, e d'una statua
erettagli probabilmente presso il collegio dei Giovani Bre*
sdani ': come presso il teatro doveva essere il tempio del
Sole Elio, nume di cui tre lapidi ci parlano ^ l'una poi
I. P. HooifAN, Colonna anlonina cit.
tav. XXIIL
f. Gnocchi, pag. U» 99. Hs. Guada-
pùni, schede inedite labusiane. —
Labus, Marmi cit. - p. 26, n. 31.
3. Eccoli secondo il ca?. Labus (op.
cit.) colle loro primitive localiU:
■. 32 già scoperta alla Ponte-
Tiea, 33 Mademo, 3i Ceilatica,
35 Oninnovi, 36 Nigolera, 37 Ver-
uno, 38 8. Euferob, 39 Onzato,
40 Manerbio, il Bedizzole, 42 Gi-
▼idate, i3 Brescia, 44 e 47 Ma-
nerba, 45 Valcam., 46 Calcinato,
48 Noce, 49 Inaino, 50 Mauano.
4. Museo Bresc illust. - p. 145, 157.
5. LAfiUS, Marmi cit n. 51 ( s. Fe-
lice ), 52 base di statua ( già in
Toscolano, presentemente a Salò),
53 Gussago, 54 Gargnano.
6. Labus, Marmi cit. n. 55, 56-, 57.
7. Labus, Mon. ant bresc. - p. 1;).
8. Labus, Marmi bresciani cit n. 58,
59, 60; tutti municipali.
OMtici, start* BrMse. Voi. U.
34
BRESCIA ROMANA
per caratteri e per concisione maravigliosa, collocatagli dalla
nostra bespvblica ^ ove ora sorge, come dissi altra volta, il
tempio di s. Maria de Solario '.
Ed eccoci al Cauto Paté, oscurìssimo nume degli inferì e
dei morti, mitrìaca divinità, la quale dicea falsa il Mafifei,
solito mezzo di quel vasto ed arguto ingegno a liberarsi di
alcuni marmi bresciani dei quali non voleva il grand' uomo
capacitarsi, benché per altro ghiottissimo ne fosse pel pro-
prio museo. Quindi falso il Vulcano Mukibero ', false pre-
dicava le Forze ^ (viribvs), sospetto il nostro Marte ', e cosi
via che è una consolazione.
Lapidi tutte non ha guarì dal Labus rivendicate, il quale
restituito alla sua dizione il misterioso Cauto Paté, recavaci
sei monumenti del mal creduto nume ^.
Mi passerò d' Apolline ^ e di Diana ^, come dell'unico
voto sacro a Marte ^ un cui tempietto era forse a Yobamo:
ma bene a trenta arrivano i dedicati a Mercurio ^^ : chiara
per altro n'è la ragione. Mercurio, comunque vogliasi presso
i Galli distinto, era loro principalissimo nume, ond'appo i Ce-
nomani doveva il suo culto radicarsi profondamente; perchè
, a dispetto delle sorvenute divinità, era culto più antico, più
i. Odorici, Monumenti Cristiani di
Brescia - parte 1, tav. III.
2. Odorici, Brescia Romana, p. 44. -
Il tempio del Sole. — Gnida di
Brescia rapporto ali* Arti ed ai Mo-
numenti. — 5. Maria de Solario»
3. Art. critic lapid. - pag« 385.
4. Art. crit. cit. - pag. 475.
5. Art crit. cit. - pag. 279.
6. Lab. Marmi ani cit - p. 43 a 50.
7. Op. cit n. 62 ( Gussago ), 63 ( Gal-
.cinato), 65 ( Gottolengo ).
8. Op. cit n. 64 (Predorebergam.).
9. Op. cit n. 66 ( Vobarno ).
10. ^em et Siffnum, Tempio e statua
del nume era nel borgo di s. Eu-
femia. — Labus, 1. cit p. 54:
né la statua certo sarà stata come
il Mercurio del Rossi con un oC"
ehio in fronte e col pugnale m
mano/ Le altre lapidi si rinvennero
a Moniga, Ronco, (vhedi, Brescia,
Cividate, Inzìno, Nuvolento, Er-
busco, Fiero, Sermione ecc.
BRESCIA ROMANA 3S
fiatatale ^ Un suo tempio certamente sorgeva a s. Eufemia,
come un secondo a Moniga, ed altri, com' io sospetto, altrove.
Undici marmi abbiamo sacrati ad Ercole ^, quattro soli a
Silvano ^, sei collocati alle misteriose Matrone S mentre dieci
ne conosciamo delle Giunoni, deità di senso arduo non meno
e tenebroso^. Più gentili e graziose ci si presentano le Fonti^;
poi le Ninfe ^, il Benaco ^ gli Dei Conservatori ®, la sorridente
Gioventti ^^ che forse aveva un tempietto nella nostra città
probabilmente là dove poi surse quello di s. Agostino.
Ragionammo altrove dell'Alo Saturno e della Diva Alante-
doba: ricordammo i Fati Demoni, il Dio Bergimo, l' uno e
gli altri di gallica e severa impronta, per cui diresti fra i colli
deliziosissimi dell' agro nostro e T ineffabile sorriso del nostro
cielo s^bassero tuttavia l'austerità selvaggia delle antiche
loro lande.
Poche memorie dei Lari Atàgusti ^S dei Fati e delle Fate ^^'
poche ne abbiamo della Fortuna ^^; maggiori della Vittoria ^S
benché si rare altrove.
1. Bianchi, Marmi Crem. tav. II, 6 seg« 8. Labus, Marmi cit. n. 130, e in
2. Labus, l.c. u. 96 a 107 (Maderno, queste Istorie, tomo I, pag. 19.
Brescia, Cremezzano, Ghedi, Ma- 9. Labus, Marmi cit. n. 131, pag. 90.
nerba, Fiumicello, s. Eufemia). 10. L. e. n. 132, pag. 93.
a Lab. 1. e. n. 108, 109, HO Brescia; 11. L. e. n. 133 Mazzano, 134 Tosco-
111 Lomas nelle Giudicane. lano, 135 Sermione.
4. L.cn. 122al27;Carzago, Maner- 11 L. e. n. Ul Toblinò in Tirolo,
bio, Calvisano, IsorellaeNuvoIento. 142 Botticino.
5. L. e. n. 112 a 121; nove di Bre- 13. L. e. n. 143, 144, 145 Brescia e
scia, uno di Manerbio. Lumezzane.
6. L. e* n. 128, pag. 87 (Breno di 14. L. e. n. 146, 147, 148,149, 150
Valcamonica ). — Odorici, Bresc. Inzino, Nuvolenlo, Loseno, Ser-*
Romana. - Le Fonti. mione, PoYognago. (Gito sempre
7. L. e n. 129, pag. 88 ( Gardone di i luoghi della loro scoperta pri-
Valtrompia). — Odorici, L ciL mitiva).
3G BRESCIA BOMANA
Il Genio delia Colonia Civica di Brescia ^ yeneraYasi nel
campidoglio bresciano, ed abbiam memoria dei Genii di
quattro paghi ^ di quello del pago Livio ^ (se pure il marmo
è genuino ) e del collegio dei Vetturali ^.
Anco i titoletti del dio Re vino ' e della Tutela Augusta \
monumenti d'Arco e di Riva registrati dal nostro Labus
ne' patrj marmi, perché assai parte del territorio di que' due
luoghi presso il lago di Garda fu da Ottaviano Augusto, come
opinerebbe queir erudito, all' agro nostro aggiunta.
E d' Iside qui pure, amabile divinità, penetraronq i mi-
steri^: benché più volte dal senato romano fuor d'Italia
proscritti ^ più rigogliosi ripullularono ^, e molto più quando
Commodo ne ripristinava gli altari, onde un sacello in Ac-
quanegra sappiamo a quella diva innalzato; ed un voto
ed un' aretta conviviale di lei ci rimangono. E forse il nome
Iseo, più che dalla celtica radice Is (basso) come altra volta
ho sospettato, potrebb'esser derivato da questa divinità, tanto
più che in un documento del secolo Vili veggo nomata
quella terra nostra Hisigies^
Dello stranissimo Notturno abbiam toccato altrove. Più chia-
ro senso hanno i titoli sacri a Castore e Polluce ^^ (de'quali
numi era forse un tempio dove ora sorge il vecchio Monte di
Pietà), a' patrj Dei^S che certamente dovean essere i tu-
4. Borghesi, Arch. Slor. Ital.tXVI, 6. L. e. n. 161 Castello d^Arco.
p. 1. — Odohici, Bresc. Roma- 7. L. e. d. 162 Acquanegra; n. 163
Da. 11 Campidoglio. — Labus, Mar- e 166 Brescia.
mi bresc. amichi, p. 110, u. 151; 8. Visconti, Museo Chiaram. - p.So.
Tara scoperta sul colle Cidneo. 9. Labus, Museo di Mantova, tom.ll,
% Labus, 1. cit. d. ìbt lozino. pa^i;. 121 e seg.
3. L. e. D. 153 Bovegno. 10. Labus, Marmi antichi bresciuui,
4. L. e. n. 154, pag. 112 Brescia. n. 165, pag. 126, Offlaga.
5. L. e. n. 160, p. 121 Riva di Trento. 11. L e n. 167.
BRKSCIA AOMàNA 37
telari di Brescia, ed al consesso universale dei Numi e delle
Dive (diis . DEABvs . oiimevs^). E qui ci tocca il cuore quel
povero Trifone che, servo in terra straniera, dedicava una
pietra agli Dei del suo paese, cui era certo fors'anco di non
vedere mai più. Ed è noto come frequente fosse Y uso di re-
care con sé, lasciando la patria terra, quasi compagni indivi*
sibili i Numi Paiemi 'eie geniali domestiche divinità; e forse
a quel modo ci venne il Cauto Paté.
Rapporto al quale Mitreo siami lecita una mia congettura.
All'acume del Labus non era sfuggito l'errore universale Gn
qui di chi pretese che le immagini virili scolpite costante-
mente ad un modo ^ su alcuni marmi bresciani di funebre
natura, protette assai volte da una nicchia, pileate, bracate,
con barbarico sago, tutte stanti della persona, ma col volto
reclinato in una palma e incrocicchiate le gambe, fossero
effigi del Dio Nottulio, confuso poi con notturno, il pianeta
di Venere personificato da Omero ^ e da Esiodo ^ salutato not*
TURNO da Plauto ^ da Stazio^, da s. Gerolamo ^ e del quale
esistono le imagini *. Ma dichiaravale per quella vece di
schiavi custodi del sepolcro ^^; al quale sospetto i celebri
Raoul-Rochette ^^ e De-Hammer ^^ aderivano del pari.
i. L. e. n. 169 Brescia , 170 Cividate. 0. Raoul-Rociiette, Monum, ined.
% L. e. n. 171 Rcnzanp: ed è ra- tomo I, pi. 72. — Labus, Mus.
rissimo litolo. ^'ant. lomo IH, f^iv. 13.
3. Museo Bresc. illustr. - tav. XLV, ; 10. Labus, Monum. figaraii nel citato
n. 3; la?. XLVl, n. 1, ^ Museo Bresciano, p. 16i — cr&-
A. lUad. Wìì, ▼. 317. duto Nottuiio.
5. Tkeog. v. 381. 11. JounuU des Savants; aoùi ii se]^
& AmpluL lib. 1, 110. tem, 1845.
7. Tkeb. VI, 240. 11 Gazzetta UiQciale di Vienna, 5 feb-
S. Adven^ Vigilant brs\jo 1845.
38 BRESCIA ROMANA
Noi per altro non possiamo persuaderci ancora del caral'
tere totalmente servile di quelle imagini. La posa, convenia-
mo, è la stessa che troviam replicata nei monumenti a rap-
presentare il corruccio. È posa tradizionale, ritmica diremmo
quasi dell' arte antica per gli atteggiati di mestizia e di dolo-
re^: ma l'espressione unica ed esclusiva in quelle imagini di
un alto cordoglio non è il senso della vigilia e della guardia
servile ; è la manifestazione di un sentimento più delicato e
gentile, e per poco è che non aggiugnemmo l'apoteosi, il
genio del dolore istesso. L' abito barbarico non è tanto esatto
costume del servo romano, quanto indeclinabibnente lo è
delle inferno mitrìache divinità, del genio mitriaco dei tra-
passati *; e da questo lato quanto jeraticamente scielto a
vestirne un simbolo che personificasse qualche altra divinità
mestissima del sepolcro 1 Ed altro ancora. La guardia, la cu-
stodia supporrebbe anche un mezzo di difesa dell'oggetto affi-
dato; e gli uomini e gli Dei guardiani rappresentati dai gen-
tili non ne mancano quasi mai. Le nostre imagini per quella
vece sono affatto inermi; non ha in esse che un' impronta,
un simbolo, un concetto — la malinconia. Ma e la nicchia, quel
segno, quella rappresentanza uniforme, eppur consueta del
sacello, non pare che avverta nell'acchiuse e custodite figure
qualche cosa di non affatto servile? Mitrìache divinità le di-
chiarava il Rosa': opponeva Labus quest'ultime trovarsi non
di spesso, ma costantemente con due faci ^. Eppure Felice
i. Apul. Melam. Ili, 13. — Phi- S. Lajard, Rechercket sur U cuUe
L08TR. Sen. Imag, II, VII, p. 64. et la myst de MiUua. — Mém.
— Raoul-Rochett. Monum, inéd, de l'InstUuL T. XIV, i840, p. 54.
pi. XXVI, i; pag. ÌZ% 4. — ViN- 3. Crepuscolo 7 mano 1852. Art di
CKELM.VNN, Monum. ined. d. 129. Gabriele Rosa, n. 10.
— Visconti, Op. Var. - tom. U, 4. Labus, Marmi anL bresciani rao-
pag. 273, n. 365. colli ed illustrati, pag. 132-
BRESCIA ROMANA 39
Lajard pubblicava imagini reggenti un' unica face, ed altre
ancora che quella face non hanno ^
Non era dunque la face un segno, un attributo indeclina-
bile. Che poi le figure scoperte dal Rosa a Provaglio ', le già
note di Brescia ^, di Padova S di Pavia ', non tedifere, non
in attitudine di dolore, non sieno Genj assessori di Mitra
accordo. Io non trovo in esse che V immagine del dolore.
Dirvi de' collegi sacri, de' seviri augustali attestati da più
che cinquanta lapidi bresciane, dei sacerdozj moltiplici, dei
sacrifici municipali e di cento altre cose pertinenti al culto
antico sarebbe infinito, uè basterebbe un volume: sono que-
siti più spettanti alla storia delle religioni di cui parliamo
che alla colonia nostra; e il lungo tema ne stringe a non di-
vagarci, ma starcene contenti alle cose puramente municipali.
Ben più vasto e prediletto argomento siaci adesso l'indagine
altra volta da noi tentata, ma non compiuta = Qual fosse
ne' romani tempi la nostra città.
III.
AVANZI E TRAUIZIONI DOCUMENTATE
DI BRESCIA ROMANA
E innanzi tratto : non crediate ad ogni modo che la città
di Brescia, come dal Malvezzi in poi tutti narravano, avessero
gli Unni del 452 totalmente disterminata. Popoli avidissimi
di qual più fosse facile e preziosa preda, non abbattevano che
i. Op. cìt in più tavole. i. Furlanet. Lap. Patav. tav. LXXI.
2. Giornale di Bergamo 1847, p. 222. 5. Capsoni, Mem. sloriche di Pavia,
3. Museo Bresc. illuslr. t 1, p. 147. tom. 1, n. 198.
40 BRESCIA ROMAiNA
quanto bastasse a levarne Y oro, l' argento, il bronzo : popoli
nomadi, che spogliata una città correvano all' altra per nuo-
va preda, non è probabile si fermassero a bella posta per la
matta voglia di scassinare con etemo e faticoso lavoro e sen-
za prò i massicci avanzi dei già spogliati edifici, consumando
un tempo che ad altri dispogliamenti potevano impiegare.
Vi basti r esempio di Roma, che scopo eterno dell' ingordìgia
di tanti barbari, assediata per ultimo e dispogliata dal terri-
bile Alarico, serbava ancora ne' tempi di Cassiodoro ^ il Cir-
co massimo intatto, intatto il Colisseo, dischiuse al pubblico
le Terme, splendida de' suoi monumenti la piazza di Trajano
e il Campidoglio, sicché Fulgenzio vescovo del secolo VI,
maravigliando cotanta grandezza, sclamava: t Qual mai, se
> questa ò Roma, potrebb' essere la celeste Gerusalemme? >
Abbiam notato che quegli Unni stessi , abbattute le prime
città della Venezia, perchè avean resistito coli' altre subalpine,
correvano al sacco ed allo sperpero, ma si astenevano dal
ferro e dal fuoco; e lo sappiamo da quell' Historia Miscdìa cui
bisogna pur chinare il capo: e nella Brescia Romana ', se non
è il rìcordarvelo alterezza, panni aver dimostrato più a lungo
r errore d' una tradizione cittadina più replicata che medi-
tata sin qui. Quanti castelli dell' agro nostro non fa rasi a
terra dalle guerre municipali il nostro Malvezzi, che poi veg-
giamo, voltata pagina e talvolta poche righe più sotto, ricom-
parire a un bel tratto come surti per incantesimo! È sfoggio
di eloquenza a scapito del vero: è la smania di que' prosatori,
cui l'analisi ed il confronto sondo intoppo alla piena della
loro eloquenza, non fecero per lunga età delle barbariche in-
cursioni e delle guerre di parte del medio evo che un favo-
1. Cassiod. Variar, lib.lll. — Cico- 2. Brescia Romana illustrata, art I. -
GNARA, Storia della ScoUura, L I, Brescia non al tuUo annicbilaU
capo IV. dai barbari.
BRESCIA ROMANA 41
rito soggetto di declamazione. Ornai le pagine di Balbo, di
Troya, del Maratori ci persuadono che il numero de' barbari
calati dall' Alpi nostre non fosse poi cosi grande come h scris^
sero i vinti sbigottiti ^.
E per tornare alla nostra città; se Brescia risorta, come
vedremo sotto lo splendido Teodorìco, sfasciavasi, crollava
poi e questo non fa che per lungo e faticoso avvicendamento
» di cittadine sventure » . Narra il Malvezzi di romane fabbri-
che distrutte nel secolo XII ad erìgere toni e palazzi V
ed altre ne atterrava il crudele Eccelino onde cogli sculti
marmi piantare a freno della nostra città due forti castelli;
ed altri ' diroccamenti accenna il Capriolo nel secolo XV,
noD per furore di barbari sorvenuti, ma per mutamenti
edilizj e per decreti municipali. Che se gli avanzi dei mo-
nomenti romani non cosi tosto discomparivano, egli e
naturale che nei contratti del medio evo> su quelle po-
vere pergamene che noi degniamo appena d' un guardo, ma
che pur sopravvissero alla prisca città, ne rimanesse memoria;
ed è su questa via quasi intatta tra noi che nuove ancora
e né pur sospettate fabbriche romane accenneremo.
Il Campidoglio. — Dovea sorgere sulla vetta del colle
Cidneo. Se tutte le città romane gareggiavano tra loro per
farsi un campidoglio, molto più quelle cui si prestasse ad
erigerìo, come nella nostra, la presenza di un colle '; il che
si francamente l' Olivieri ed il Baronie ^ asserivano, che so-
f. Balbo, Storia d'Ilalia, t I, note. i eh* ebbero colle dentro di sé, ov-
— SARTOaiuSt Essai sur le got^ i vero accanto, anche il lor campl-
vémemsHt des Goths, cA. 2. — • doglio si fecero •. Cosi il Maflei»
Trova, Storia d* Italia del Medio Verona illustr. pag. i2i.
£▼0, t II, I. XXXIV. 4. Olivieri, Mem. del Porlo dì Pc-
2. Ckrowe. Brix. in R. L S, t XIV. sarò, p. 3. — Baronius, Mariyr.
3. » Il perchè le città più illustri e Aom. 29 decemb.
42 BRESCIA ROMAiNA
Stennero senza più non conoscersi municipio appo il quale
non si levasse il glorioso edifizio. Noi ricordammo quei di
Trento» di Verona, di Ravenna, di Perugia, d'Anzio, di Tu-
scolo, di Capua, d'Avellino e d'altre italiche città; ed al
cenno del dotto Brunati ^ per lo bresciano aggiugneamio al-
trovo le nostre indagini \
Gli atti dei nostri martiri Faustino e Giovita non più re-
centi del secolo Vili ^ parlano del campidoglio bresciano;
ed, avanzo di un grande altare, fu rinvenuto sulla vetta del
colle Cidneo il marmo de' tempi d' Augusto sacro al Genio
della colonia civica di Brescia, che abbiam recato ^. Sappiamo
che nei campidogli coUocavasi appunto l' idolo più venerato
della città, che le imagini dei Genii e della Fortuna si col-
locavano pel consueto in alto a vigilanza delle rocche e delle
mura ^. Ond' io non posso trattenermi dal riportare le stesse
parole dell' illustre archeologo Giovanni Labus. « Probabi-
lissima è quindi la congettura dell' Odorici, dedotta dal sito
ove da immemorabile tempo l' ara trovavasi, che quivi fosse
il Campidoglio Bresciano, e vi si adorasse il Genio della
Città, come a Roma nel suo Campidoglio, più che altrove
e presso all' ara di Giove Tonante, templi vi aveano eretti
alla Fortuna, assimilata al Genio, e di sovente con esso con-
fusa ^ t . Onde il nostro Ticheo non altrimenti dovea sor-
gere che nella patria rocca — nel Campidoglio. CapUoUum
arcem esse urbis manifestum est ''. E ch'altro era in fine
1. Leggend. dei Santi Bresc. - p. 24. 4. Nel primo volume di queste Islo-
2. Brescia Romana. - 11 Campidoglio. rie - lib. Ili, pag. 233.
S. LabuSi Fasti della Chiesa 15 feb. 5. Labus, Fasti 5 agosto.
— Graden. Brix. Sae, p. 18, 19. 6. Labus, Marmi antichi bresciani
— Brunati, Leggend. dei Santi raccolti, classificati ed illustrati -
Bresciani, p. 21 ec. — Enscken. pag. 111.
in Bulktnd, Ada SS. 15 febbrajo. 7. Servius, in jEaeid. lib. VIIL
BRESCIA ROMANA 43
la specula Cydnea di Catullo che il campidoglio bresciano?
Specula, come abbiam detto, dinota guardia, vedetta, for-
tezza. Eminens ìocus ubi vigilias milites agunt ^ Che se poi
cadde il campidoglio con Brescia romana, restOYvi Yarx
cittadina, della quale se per alcuni scrittori non si tiene più
antica del secolo XIV, hanno memorie preziose fino dal
secolo Vili *.
Le Mura. — Abbandoniamo il giro fantasticato dal Mal-
vezzi ', dal Biemmi ^, dal Sala ', dal Gambara \ dal Bra-
vo ^, dall' Ercoliani ^ dagli altri tutti, i quali or te ne fanno
un cerchiolino di poche tese, ora un amplissimo giro con
entrovi non so quanti de' nostri colli.
Dalle domestiche memorie, dalle poche vestigia che di
quelle muraglie a noi rimangono parrebbe corressero le ro-
mane mura da Porta Bruciata per via diretta verso le rive
del Garza, e di quivi ripiegando verso l' attuale teatro se-
guissero la via delle antiche mura, che ancor sussiste, pro-
lungandosi a mattina per le ubicazioni di s. Maria di Pace,
di s. Spirito e di s. Siro presso Torrelunga.
Quand' anche il verso di Catullo
Flavun quam molli percurrit fiumine-Afelo '
non si volesse a rigore di storia, ò noto che scavandosi re-
centemente appiè de' resti di antichissimo edificio che ancor
i. FURLAN. Lexicon, in V. Specula, 6. Ragionamenti patrj — ti, Rag. 1.
t. B. Ramperti, Serm, in traslat. * 7. Slor. Brcsc. - tomo l, lib. 1.
*. Filastni. É del secolo IX, ma 8. Nei Valvassori. È romanzo Horir
y\ si parla di mi fatto de' tempi di co; ma non credo che il romau-
Ausvaldo vescovo sul cadere dei- ziere abbia il diritto di trasportare
r ottavo. a sua posta le nostre città dove
a Chr. Brix, Dist. l(R.LS.t XIV). gli garbano meglio.
4. Storie Bresciane -ti, pag. 307. 9. Eleg. ad Januam. Biemmi, Stor.
5. Guida di Brescia - pag. 33. Brcsc. - tomo 1, lib. VI.
44 BRESCIA ROMANA
si veggono nella piazzetta di s. Giuseppe, risultò poggiarne
quegli avanzi sul piano di massiccia muraglia, e dal suo ciglio
equabilmente distanti. L'ordine alternato delle grosse e qua-
drate sue pietre, la forte ed esatta loro compagine manifesta-
vanii residui di antiche mura, le quali correndo lungo le rima-
nenze di queir edificio volgeano al Garza. Oltredichè per un
documento del secolo IX gli antichi granai si comprendevano
dal cerchio delle mura^ L' attuai Granarolo vecchio, tradizio-
nale avanzo dell' horretim cittadino, non altrimenti potrebbe
chiudersi nella città. Arrogi la Curia Duds, che all'asserire del
Malvezzi extendebatur usque ad ripam fkmiims Carzias^ perlo-
chò sarebbe assurdo il crederla suburbana; ed ò noto per
documenti del secolo XHI ' come fosse vicinissima a s. Am-
brogio: il che aggiungo perchè ho sospetto che Y antico
palazzo regio fra noi del basso romano impero si conver-
tisse agli usi della curia longobarda.
La Porta Milanese. — Che la Porta Mediolanesis (ora
porta Bruciata) dei patrj documenti del secolo Vili debba
tenersi di romana origine ò indubitato, e lo apprende il
romano costume d' apporre i nomi delie porte secondo i luo^
ghi cui adducevano. Aprivasi questa per l' appunto rimpetto
alla via Emilia che da Milano passando per Brescia attraver-
sava la Venezia tutta. Prope Portata Mediolanensem loco qui di-
diur Parevaret^ leggiamo in un contratto bresciano del 761;
e nel Parevaret è a tenersi un avanzo della stazione dei Pa-
«
revaredi (o direm noi stallaggi) rammentati nei codici di Teo-
dosio e di Giustiniano, i quali si locavano presso le porte della
1. God. Dipi. Quirìn. - t. Il, a. 889. 4. ì&v^kTOKhAniiquUates Italia Med.
% Ckronicon Brix. Dist. IV, e. 31. jEvi, t. Ili, col. 759. — Astesati,
3. Lucei, Cod. Dipi Brix. Aulog. la- Indice Gronolog. dei Docom. Giu-
busiano, a. 1291, 3 feb. In Contr. }iam. — God. Dipi. Qair. see. Vili,
S, Ambrosii Curie Ducis, ed ivi T antico apog. pergam.
BRESCU ROMANA 45
città. 1 nostri Pareraredi ricevono poi luce da un marmo
discoperto a porta Torrelunga, per Àmmia Firmia collocato
al Genio dei Giumentarj ^
Ma la porta Milanese pare che sostenesse a cavaliere quel
grandioso edificio, le cui reliquie patenti ancora nella piaz-
zetta di s. Giuseppe v' ho menzionate più sopra. Alla guisa
d' altre porte innalzate in Roma ed in altre città ne' tempi
d' Aureliano Augusto ^ levavasi d' in sul massiccio delle
antiche mura nelle quali aprivasi precisamiente la Porta
Mediolanensis. Che poi questa porta palatina si convertisse
agli usi della curia longobarda sonmi altrove ingegnato dimo-
strarvi, ed a suo luogo con nuove testimonianze vi proverò.
Di queste porte palatine del basso imperio (simili alle arces
palatina! che già dal secolo IV al dire d' Ausonio sorgevano
in Milano) hanno esempi nell' antichità che indamo abbatte il
Canina '. Il palazzo delle torri di romana struttura e che
levasi a cavaliere d' una porta romana nella città di Torino,
ad appagarmi di un solo esempio, darebbe imagine pre-
suntiva della porta bresciana di cui parliamo, quale sui po-
chi avanzi che ci restano ancora potrebbe ricostruirsi.
La Porta Cremoniìise. — Schiudevasi probabilmente ove
surse da poi l' antica e forse longobarda porta Matulfa, cioè
Delle ubicazioni di Fontana Coperta.
Che si chiamasse Cremonese lo argomento dal nome stesso
della via per la quale era aperta, molto più che negli atti
1. Presso U Museo Patrio, e pubbli- 3. Canina, Architettura Romana. —
cato nella Brescia Rom. pag. 28. Ivi V Atlante , e più il testo
2. Corderò, Dell' Ital. ArchiteL du- ali* articolo delie Porte Romane,
rante la Longob. Signoria - p. 289. cui opporremo p. e. il Laborob»
— D'Aginc. HUU de l'Art Ank plance 2Q. Parte à Tréves (palais
iab. 53. — Odorici, Brescia Ro- prétorien).- Lemaitrs, la Fran^
mana - Parte L Porta Milanese. ce, premier pariie.
46
BRESCIA ROMANA
medesimi dei ss. martìri Faustino e Giovita è cenno di
quella via probabilmente romana ^; senzachò abbiamo in
Tacito che la porta Cremonese, a cui la via medesima
conduceva, era detta porta Bresciana K
Che la porta e la via Cremonese fossero poco lungi da
s. Afra parrebbe da ciò che fuori di quella porta e su quella
via, là dove i nostri martiri furono decollati, corre tradizio-
ne antichissima che sorgesse un cimitero cristiano cosi detto
di s. Latino '.
Porta Orrintale. — Che una porta Romana fosse là
dove sino dal principiare del secolo IX era quella di s. An*
drea ^ non è quasi a dubitarne, perchè avanzi dell' antica via
sussistono ancora lungo i margini dei colli suburbani, e per-
chè il tempio di s. Andrea, principalisshno tempio nostro fino
dagli ultimi romani tempi ', dovea sorgere lunghesso quella
strada; e non è improbabile che la porta romana, mutati i
culti, dal tempio vicinissimo di s. Andrea si domandasse, come
la milanese dai ss. Faustino e Giovita nel secolo Vili si do-
mandò \ Questa porta romana m' argomento si chiamasse
Orientale, perchè là via massima che da porta Milanese at-
traversando il Foro Nonio mettea nell' altra di cui parliamo
era detta la via d' Oriente ^ fino dai tempi di Desiderio: e
1. BuLLAND. Acta ss. 15 febr Extra 5. S. Filastrìo vi Ycnìva sepolto il
portdm civitatis in via Cremonensi.
% Tertia decumanoa ad brixianam
portam impetus tulit, — Histor.
lìb. lU, capo 27.
3. Brunati, Leggend. cit p. 182. -
BoLDETTi, Osserv. sui Cimiteri ec.
lib. Ili, e 17, pag. 599. 603. —
4. Amizo Presb, prope Portam «. An-
arti, Perg. autog. dell' 824, nel
Cod. Dipi. QoirìD. - sec. IX.
cadere del IV secolo. -^ Brunati,
Leggend. citato, pag. 33, n. i.
6. Cod. Dipi. Quir. - sec VUI, a. 767.
7. Unque ad viam OrietUis ctm ecd.
S. Benedietv cosi nel Dipi di Be-
•
rengario (962) concesso ai monaa
Leonensiy nel quale si dichian noo
essere che replica di concessiooi
già fotte da Desiderio ( ZacgìRM;
Dell^ant. Badia di Leno, doc XII ).
BRESCIA BOMANA
47
notate di grazia quanto quel nome alla parte orientale della
proTìneia, per la cui porta si andava, mirabilmente risponda.
Altra Porta Romana. — La janua Paganorum del Mal-
vezzi * non pò tea locarsi per mio senno che dove nel piano
topografico di Brescia romana ho segnata una porta, la tra-
dizione antica d' una porta pagana *. GY ingenti ruderi d' im-
portantissimo edificio a quel luogo scoperti, se portiam fede
al Capriolo, tre secoli prima di lui e che il Malvezzi ricor-
da \ ne fanno assai probabile la congettura.
Il Teatro. — Ne rimangono magnifici resti nel cortile di
casa Gambara poc' oltre la chiesa di s. Zeno. Poggiato col
dosso dell' ampia curva all' ultime radici del patrio colle, svol-
gesi ampiamente a cotal giro, che il più lontano emiciclo ri-
sponde a un raggio di quarantadue metri ^. Sonvi robusti
avanzi dei Yomitorj, del proscenio, de' corridoj; più vasto di
quello di Ercolano, agguagliava in ampiezza quello di Cata-
nia e di Taormina. Ho già notato ' come nel 1173 servisse
di pubblica magistratura pei consoli bresciani. Die Mercurj
ultimi mensis januarj MCLXXIII in Theatro chntatis brixim
tuper gradum in quo morantur consules pronunciavano i
consoli di Brescia una sentenza ^. e Quasi un fatale e mi-
» sterioso amore incatenasse queir anime sdegnose dei padri
1. Qr(nL Brix. DisL IV, e. 31. dieta fovea loeus ille fadereiur
1 Erra il Malvezzi oell'orìgioe della iiOfiiiw//a confraela mcenia et edt'
tradizione. I sepolcri noo si eoa- ficiorum fundamenta . tempia
(oDderaao dai pag<uii coi templi e qtioque et aitarla, sepulcra etiam
co^ altari. ttc Maltetu, Ckrot^ L cit. in ÌL
3. A fovea mm wtolendino s. Georgii /. Serip, L IIV.
versus wteridiem extemdiiur usque i. Se ne veggano i rilievi pubblicali
ad parlam aliam CUladelUe «ih4b nel Museo Bresc. illustr. tav. L
Pagamsra dicàmr, et extendebatur 5. Brescia Romana. — Il Teatro,
ad oceasum usque ad ripam fio- 6. Cod. DiplooL Quirioiano, sec. XII.
minis Carzix. — Porro dum prct" Autografo pergamenaceo.
48 BRESCfÀ ROMANA
■ nostri air ultime reliquie d'una gloria antica ^: quasi venis-
i sero fra que' marmi ad inspirarsi, a palpitare d'orgoglio
• anco una volta, e tutte chiuse nei saldi proponimenti che
> fecero sanguinosa la battaglia di Legnano, vi cercassero
» il coraggio e la speranza » .
L' ANFITEATRO. — Attestatoci dal marmo scoperto nell'ot-
tobre del 1823, che il nostro Labus ha dottamente supplito^
P • A T I L I O
P H I L I P P O
ORNAMENTiS
DECVRION - BRXIae
VERON * CREMON - honorato
ET • IVRE • QVATTVOR • liberor
VSQ • ANVLOR • A • Donato
EX • POSTVLATIONe • popvli
OB . LIBERALITÀ? . eivs . qvod
IN • OPVS • AMphiteatri
HS N . • • . REIP . DEDERIT
DEC . DEC
Emerge da questa base letterata che P. Atilio si largamente
avea sovvenuto dell' oro proprio la costruzione della patria
arena da meritarsi una statua. Anche il numero Y, scoperto
in un dado marmoreo di que'medesimi che servivano a con-
trassegnare gli sbocchi e le riuscite dell' anfiteatro; anche i
frammenti di concave cornici, ma d' una curva unirorme
come parti di vasto non so se circolare od elitico edificio
ivi presso rinvenuti, avvalorano la congettura ^.
1. Brescia Romana cit - pag. 40. 3. Monnm. cit. pag. 77, e la Bela-
2. Monumenti ant. scoperti in Brescia zione dell' arcb. Yanlìni in fine
1S23. Mon. HI, pag. 49, tav» I. ad essi.
BRESCIA nOMANA 49
AI che aggiungasi la pietra che il maestro degli arenari
poneva ad Antigono provocatore ^ (volteggiatore ne' ludi anfi-
teatrali), quella d' Tantino reziario^ e il monumento singolaris-
simo del seviro Asiatico, nel quale sono rappresentati giuochi
atletici e gladiatorj, dal medesimo largiti al popolo brescia-
no h monumento che' inciso all' acqua forte abbiam recato a
pagine 279 del primo volume. Né quella tavola soltanto
piacque al bravo e benemerito pittore Luigi Basiletti offe-
rire gratuitamente a decoro dell'opera nostra ed al pio di-
visamente che la suggeriva, ma più altre monunientali da lui
medesimo incise coir usata e squisita disinvoltura del suo
belino, onde noi gli attestiamo la nostra gratitudine.
Come per l' ordinario di quasi tutti gli anfiteatri doveva
essere il nostro fuor delle mura, e presso forse la Bruttano-
me; nel qual termine direbbesi tuttavia, siccome avverte il La-
i)us, una reliquia dei fornici anfiteatrali. Del bresciano anfi-
teatro è cenno ancora negli atti dei nostri martiri Faustino
e Giovila ^
Il Foro deiNonj. — Diede il suo nome alla piazza del Nova-
rino (Nonio Àrrio) che tutta la comprendeva. La prossima chiesa
di s. Zeno chiamavasi anch'essa, or fanno sette secoli, de Fo-
ro^. Fu detto dei Nonj o perchè n'ajutassero la costruzione,
o perchè ivi fossero le loro case o le statue loro ^; e forse
noi lo dovemmo in gran parte ad Arria di M. Nonio Macrino,
illustre matrona, che oriunda dalla Campania e dal Sannio,
1. Labus, Monum. cit. pag. 78. — 3. Labus, Mon. cit. pag. 87.
Rossi, M. B. p. 255. — Vinac- 4. Bull and. Ada Sancloi-um i5 feln
CESi, M. B. pag. 280. brajo.
t, Grutero, pag. 333, n. 9. — Ga- 5. Gradenicus, Brix. Sacra, p. 83.
GLIARDI, Mem. Ceaom. p. 104. — — Odorici, Guida di Bresc. p. 50.
MuRAT. pag. 613, 4. — Labus, G. Labus, Anlichì Monum. scoperti ia
L cit. pag. 81. Brescia ecc. 1823, p. 31 e GG.
O»0Blci, storia Brtse. Voi. IL 4
50 BRESCIA ROMANA
accasatasi iu Brescia, vi portò dovizie, splendidezze ed un
nome che negli avanzi di quell'edificio sorvive ancora ^.
Fiancheggiato da nobilissimi porticati, chiuso a merìggio dal
magnifico tempio di Vespasiano, cui faceva riscontro la Cuna,
prolungavasi per quasi duecento metri fin presso i limiti
della piazzetta del Beveratore ^. E nelle sostruzioni di casa
Martinengo nobilissimi avanzi rimangono tuttavia del Foro
bresciano; ed altri più magnifici ancora (e questa volta con
una sposizione ingenua più dell' usato) descrive il Rossi '.
Sia luogo al vero; que' suoi portici ^ sostenuti da un vago
marmo caristio, con basi e capitelli delle nostre cave di Bot-
ticino, e dell' ordine più bello che l' arti greche ci traman-
dassero, coronati in alto dal solito loggiato ', dovean fare di
sé mirabil mostra. < Che se a. tanto aggiugni le statue delle
> quali probabilmente era cinto, e se fra quegli immobili
» simulacri ti rappresenti il murmure, la vita, il movimento
« del popolo accorrente al mercato, ai sacri riti del tem-
» pio, ai tribunali, o stipato e plaudente agli spettacoli dei
> gladiatori, ti verrà compreso perchè si viva ne sia rimasta
1 appo noi per forse dieciotto secoli la ricordanza » .
La Curia. — Dicemmo altra volta doversi credere sospetta
l'epigrafe del Gnocchi cvria . brixianorvm ^. Che una Curia
fosse in Brescia non è per altro a dubitare, perch' eravi sem-
1. Labus, Lettera indirizzatami il 16 i. • Poggiavano ... su di un patimento
giupo 1851. » per tre gradi elevalo dal piano
8. Museo Bresciano ìllustr. tom. I. — » del foro >. — Mus. Bresciano il-
Del Foro. lustrato, t. I, pag. 36.
3. > Ci si trovano le colonne ancora 5. » Di esso porge indizio il risalto
I intere sulle loro basi ... il suo • che fa cornice sul vivo di eia-
• ordine è Corinthio . . • . i capi- > scuna colonna ». — L. cit
i telli sono di pietra candidissima, 6. Iscr. Bresciane. Codice presso gli
• lavorati a foglia d* oliva i. (Mero. eredi Labus, del quale è copia
Bresc. pag. 4G ). nel seminario di Bresc. ed altrove.
ÈRESGI A ROMANA 51
pre in ogai città governata da un senato municipale, ossia dal*
r ordine dei decurioni (ordo brixianorvm), detti curiali sul
declinare dell' impero appunto perchè nella Curia si raduna-
vano. Quegli avanzi d' una fabbrica romana che tuttora ve-
diamo al Beveratore non male si addicono alla Curia e per
la loro magnificenza, e per la poca loro attinenza al carcere^
all' erario, alla basilica, e per essere fabbrica isolata, rettan-
golare, prossima al Foro ^
Il tempio di Vespasiano. — Rifacimento indubitato di più
antico edificio, del quale si ammirano tutt' ora i sotterranei
resti, surse nel 73 di 6. C. con quella maestà che spira an-
cora dalle sue reliquie. Che debba tenersi un tempio diviso
in tre sacre celle pare bastevolmente argomentato dall' ar-
chitetto Vantini \ Ma il Bravo non sapea capacitarsene; e
•
in luogo del patente concetto dell' edificio , sognò un' or-
chestra, e più in alto il proscenio, la scena, tutte le parti
d'un teatro antico '. La fabbrica maravigliosa per augustale
grandezza e per attica venustà fu in ogni parte sapiente-
mente illustrata dai compilatori del primo volume del Museo
illustrato, e si tenne dono larghissimo di Vespasiano, quasi a
rimunerarci dell'aver combattuto per lui ne'campi di Bedriaco.
E poi eh' è noto come l' imperatore ponesse nel tempio ro-
mano della Pace le spoglie di Gerosolima non solo, ma la sta-
tua del Nilo rammentata da Plinio, e il bellissimo Ganimede
ricordato da Giovenale, e la tavola insigne d' Jaliso, non ò
improbabile che quel principe, inomne hominum genus liberaUs"
sknus S decorasse questo patrio edificio col simulacro della
i. Mas. Bresc illustr. - p. 38. 3. Storie Bresciane - tom. I, lib. lU,
2. Risposta alle osservaz. di Raoul- cap. 15 e 16. Brescia, per Ventu-
RodkeUe sul Mus. Bresc. ili. tom. 1 noi 1840.
(Journal dei Savanis, 1845). 4. Sveton. in Vesp. e. 17.
52
BRESCIA ROMANA
Vittoria, quel miracolo dell'arte greca, di cui non ha monU'
mento in bronzo fuso che Io pareggi ^ Qui dedicavano i pa^
dri nostri ai benemeriti cittadini, agli augusti ed alle divinità
imagini e donarj : qui sorgeva la statua di Nerva maggiore
del vero ; qui raccoglievasi un collegio sacerdotale cui con
rarissimo esempio non isdegnavano come abbiam detto es-
sere inscritti gli stessi augusti.
Di quelle registrazioni scolpite sul marmo già diemmo
(pag. 30) un avanzo, in cui sovrapposti a grandi cancellatu-
re ' leggonsi nomi augustali secondo le sostituzioni volute dai
tempi 0 dai cesari mutati o dalia versatile adulazione. Ulu^
strarvi quel marmo sarebbe un eccedere i nostri limiti; e forse
anche troppo sulla romana età ci slam fermati. Non debbo
tacervi ad ogni modo come que' fasti, que' palimsesti mar-
morei lastricassero il fianco ad oriente di quella parte cen-
trale dell' alto stereobate dell' edificio, che sporgendo all' in-
fuori sorreggea le colonne del portico di mezzo: registrazioni
emule quasi dei Fasti Capitolini che il Panvinio e il Sancle-
menti ^ hanno illustrati.
Sui ruderi di questa fabbrica discoperti nel 1823 con otti-
mo divisamente fu eretto il museo cittadino.
Il Tempio del Sole Elio ed il Solario. — Ridirvi quanto
fu da me stesso già replicato altrove suU' antico Solario
1 . Mas. Bresc. ili. tom. I. - Vittoria.
2. La parte da noi circoscritta ia quel
marmo con linee punteggiale com-
prende una vasta cancellatura sulla
quale fu scolpito il nome di Sett.
Severo. Notasi quel getae die il
Labus ( Ep. lat. scoperta in Egit-
to 18S6 in fine, tav. U ) leggeva in
BomiDalivo. Anche a m . aghippa
d*una lapide imperiale che ab-
biam recata (t. 1, pag. 268) se^
gue un punto che noi omettemmo
attenendoci al Labus ( op. citala,
tav. 1 ), ma che nel marmo sta
come a segno di continuazione.
Tanto a correggere quel monu-
mento.
3. Enrici Sanclementi, Dt vuìgari
are emend. Ivi le tavole Capi-
toline.
BRESCIA ROMANA 53
bresciano^ parrebbemi soverchio. Le meridiane si colloca-
vano dove i circhi, i templi, gli anfiteatri, le magistrature
promovevano V affluenza dei cittadini: onde il Solario nostro
m' argomentai si collocasse dove poi fu eretto il tempio cri-
stiano di s. Maria che dd Solario ^ ebbe nome; cioè presso il
teatro, il foro, la curia, il campidoglio bresciano, ed appo il
tempio del Mitriaco Sole, il quale sorgeva appunto colà pres-
so quel santuario medesimo; e n'ò testimonio la grande ara
che tuttodì ne sostiene le volte, colle parole :
SOLI * DEO
RES • PVB
Ottimamente fu locata vicino al Foro, perchè di nume tu-
telare della giustizia; vicino al Campidoglio, perchè di nume
d' affinità jeratica coi Capitolini ^. In un codice antico del
monastero di s. Giulia leggeva il Rossi queste parole: Ad
radices Cidnei orientem versus contra Theatrum et apollinis tem-
PLVM, quod olim insuper insidehai, Divce JulicB . . . monasierium
eie. ^: e grandi frammenti decorativi di < un edificio sacro ad
* Apollo od altra affine divinità (cosi l'archeologo G. Labus),
» e che doveva essere tra i più ragguardevoli del Municipio
» Bresciano ' » furono rinvenuti qui presso, come il Rossi ne
accerta, ed accolti nel patrio museo; e fra quelle decorazioni
ha il Grifo col ceppo della vite e colla posa in cui trovasi
ne' templi dedicati al Sole ^.
1. Ant. crisliane di Brescia, illustrate ivi la lettera su quell' ara indi-
in appendice al Mas. Bresc. e. lY. rizzatami dal Labus. — Labus,
2. S. Maria de Solario; non in, non Marmi antichi Bresc. illustr. n. 60.
ad Solarium leggo nei Godici Giù- 4. God. Quirio. - G, I, 2.
liani presso la Quiriniana. 5. BIus. Bresc. illustr. - t. I, p. 61.
3. Odorici, Antich. Grìstiane citate; 6. Naroini, Roma ant - U I, p. 320.
54 BRESCIA ROMANA
Le Fonti. — Che la nostra città, fino da quando vi s' ad'
ducevano V acque per munificenza d' Ottaviano Augusto e di
Tiberio, s' allegrasse delle vivaci sue fonti non è a porre in
dubbio. Il cesareo condotto della Colonia Bresciana forse
era quello di cui restano lungo Valtrompia ed i colli suburbani
le reliquie. Eppure, dove ne togli due fonti scoperte appiè
deir ampia scalea del tempio di Vespasiano ^ un marmo che
parla di bagni, un altro che dell' acque nella Co\inia tra-
dotte, e gli avanzi di un antico ninfeo, non si conoscono
di romane fonti altre insigni restanze. Tuttavolta e quel-
r acque ebber culto ed altari dai padri nostri ^ e fonti urba-
ne svolte ai collegi, ai templi, al foro, all' anfiteatro dovea-
no diramarsi per tutta Brescia Romana; e Cosmo VHUco dei
Bresciani (vilicvs brixianorvm) che poneva un marmo a Ni-
grìno Vicario (delle fontane^, e non d'Italia, come credeva il
Gagliardi ^) non era che un fontaniere municipale ^
Il Bagno. — Fino dal 1569 presso il cessato monastero
di s. Maria di Pace rinvenivasi questo marmo ^:
Q • CORNEL • • •
llll • VIR • I • D • Q • Il • V • • •
IN • BALINEVM • FAC • • •
il quale ci apprende come Q. Cornelio quattuorviro giudi-
ciale, questore e duumviro sovvenisse denaro alia fabbrica di
un bagno, ch'io supponeva non senza esitamento sorgesse
1. Museo Bresc. iilustr. - tom. I. 3. Fabretti, hacr, cap. IV, n. 26.
2. Labus, Suir acquedotto e sul culto i. Parere intorno allo stato de^ an-
deir acque dell* antica Colonia Bre- tichi Cenomani. Ed. Samb. p. 116.
sciana. Dissertazione inserita nella 5. Labus, Marmi Bresc. ili. - p. 125.
mia Brescia Romana - pag. 48. 6. Gnoc. p. 27. — Murat. p. 474, 3.
BRESCIA ROMÀNA 55
colà. Quando a confortare i miei sospetti scopersi un tronco
d'acquedotto romano, che partendo probabilmente da) massi*
mo trasversale (che da Porta Milanese conducea V acqua ai
foro, al teatro e cosi via) scendeva lungo le ubicazioni che
noi direnuno di Cittadella. Quel tronco mi fu gentihnente in-
dicato dal sig. Antonio Venturi, ed attraversa la di lui casa
N.^ 217, accennando colla sua direzione alla via di s. Pace.
Ed è forse quell' acquedotto che, in uso ancora nel seco-
lo XIV, proveniva dalla Mater FonHum ricordata negli Statuti
del 1385*.
Le Terme od altro consimile edificio. — Che pubbliche
terme od altra fabbrica di simile natura sorgesse un tempo
dove poi fu eretta la chiesa di s. Pietro de Dom narrano i
cronisti '; e parlano del celebre marmo d'Augusto e di Tibe-
rio, che generosamente aqvas . in . coloniam . perdvxervnt, rin-
Tenuto nel 1766 cum pluribtis quadratis lapidibus et coìumnis
sepidtis, sed adirne stantibtis in antiqua sua sede ^. Quel marmo
noi già portammo a pag. 224 del tom. I, e ci fa sovvenire l'e-
pigrafe dell' arco dell' acque romane Marzia e Giulia, ove è
detto quasi che con identiche parole come Antonino Pio aqvam .
1IARCIAM ... in . SACRAM . VRBEM . SVAM . PERDVCENDAM . GVRAVIT ^.
E nulla di più probabile che il nostro edificio fosse un Lacus,
un CasteUum, un luogo in somma da cui derivassero i condotti
animatori delle fonti urbane, ed al quale più propriamente
s' addirebbero i sensi del patrio marmo.
1. A tero parte ecclesie^ uu Rospi- Slat. autogr. perg. municipali del
Uilis i, Julia est quidam locus 1385 presso la Quiriniana.
sive aqwBdudus ... ex quo loco 2. Rossi, Mem. Bresciaae - p. 17.
hauriuntur omnes aqua fontium 3. Anonim. Adnotat. Ms. A* margini
qum sunt a dicto loco a mane deìle Memorie Bresciane di Otta-
parte civitatis, sicut trahit platea vio Rossi. - Cod. Labusiaoo.
dfi Calcharia versus mane et ap^ 4. Canina, Architeli, aulica, sez. 111.
pellalur illa buca Mater Fontium. Arcb. Romana. Allaiile, pag. 167.
56 BRESCIA ROMANA
Il Ninfeo. — Le sue reliquie da me illustrate nella Bre-
scia Romana ^ si conservano ancora dal nominato signor
Antonio Venturi, che le discoperse alla profondità di poco
più che due metri e mezzo del di lui cortile nella yia di
s. Giuseppe. Si compongono di un ampio pavimento tessulare
e di muraglie con tracce di scannellature per le fistule e pei
tubi diramatori dell'acque. Due tessularì epigrafi rendono
prezioso il pavimento, e il fanno della classe dei letterati.
BENE SALVV
LAVA LOTV
Come non altrimenti che ad un bresciano Ninfeo debbano
quelle epigrafi attribuirsi abbiam veduto; e le nostre induzioni
vennero convalidate dalle testimonianze tradizionali del medio
evo. In un documento dell' 889^ è un Gasimberto habitator
de prope fisitda limphevs (che cosi pure chiamavansi gli antichi
Ninfei); ed un altro del 1037 ne insegna che la fistula que
didtur AMPHEO era intomo alle ubicazioni di s. Giorgio e di
Porta Bruciata '. Non ci voleva di più per convertire la
nostra congettura in una realtà. Io lessi allora salve lote; ma
parrebbe quivi meglio sostituito il nominativo salvvm lotvm:
ed io debbo alla cortesia del dotto canonico Birago ^ la comu-
nicazione di un passo degli atti sincroni di s. Felicita e Per-
petua, scoperti dall' Oldstein ^ pubblicati dal Ruinart ^ at-
tribuiti a Tertulliano (sec. III)» lodatissimi da s. Agostino,
1. n Ninfeo Bresciano - pag. 60. 4. Lettera 6 gennajo i852.
2. Cod. Dipi. Quirin. - t. Il, sec. IX. 5. Luca Holstenio, Ada ete. art 21.
Della nuova Classificazione. 6. Acta Marttjr, Sincr. - Ed, Arnsit-
3. GiiADEN.J5rix.Sflc. Udulricus Eps. hd, 1713, pag. 101.
BBESCIA ROMÀNA 57
dove appunto si legge Y acclamazione stessa del Ninfeo bre-
sciano. Item Salumtis . . . tn fine spectOctdi leopardo objectus,
de uno morsu ejus tanto perfusus est sanguine, ut populus reoer-
tenti HU baptismatis secundi testimonium reclamaverit salvvm
LOTVM, SALVVM LOTVM. Ed il uostFO Ninfoo Spiega d' un tratto
il senso di quella salutazione gridata dalla moltitudine nel
circo, perchè già popolare ne' suoi lavacri.
Quali sorridenti imagini non ricordavano agli antichi i loro
Ninfei 1 Ivi la incantatrice bellezza delle marmoree Oceanidi
flessuose e molli quasi come Y onda fuggevole delle loro con-
chiglie che, 0 pregavano silenzio al passeggiero ', o posavansi
dolcemente addormentate sull'urna^ lo scorrere, il concento
l'esuberanza di quelle fresche e dolci acque, che sembravano
comunicare all'immobile Ninfeo la loro vita, tutto destava
il seducente pensiero di quelle fantastiche e voluttuose cre-
denze della mitologia, che nate fra l' aure vitali del più bel
cielo dell' universo , anima greca non seppe dimenticare
giammai.
E però la vostra mente non può ricorrere agli avanzi del
Ninfeo bresciano senza figurarselo tutto fastoso di portici, di
edicolette, di xisti e di giardini salienti per avventura sul
dolce pendio del colle vicino, popolati di statue, rabbelliti di
quanto potea lor crescere vaghezza e maestà. Dovunque
poi uno scorrere di rìvoli tra l' erbe, un suono d' acque ca-
denti, un elevarsi dalle espanse conche di getti e di zampilli;
e dove accogliersi Y onda e di sé fare speglio ad una Drìade,
e dove rapida sfuggirti quasi dicesse : tu passerai cosi.
Il Palatium. — Che fosse qui pure il Palazzo regio co-
me in Milano, in Verona, in Ravenna, in Àquileja, per non
i. NTHPRIS . LOCI . BIBB . LAVA 2. POLEM, AtUiq. Supplem, tomo IV,
TACE ( BoisSARD. Ani. t IH ). pag. 608.
58 BRESCIA ROMANA
dirvi d'altre città parecchie, risulterebbe dagli atti dei nostri
martiri, ove si narra >^e qua giunto Adriano se recepii in Pcb-
latium^. II PatoHum regium Brixice di un documento dell'847
(ove credasi al Rossi che lo dà % il locus PaJazo di un altro
del 1014 sembrano alludere al nome tradizionale del Pala-
tium di cui parliamo; ed era quello probabilmente che sorge-
va sulla porta Milanese, dal quale forse Valentiniano ed
Onorio pubblicavano le leggi che abbiam citate. V'ha di più:
neir XI secolo non erano palazzi tra di noi ; prova ne sia
quel raccorsi che facevano allora i consoli bresciani nelle
laubie di legno o nelle chiese o tra gli avanzi del teatro an-
tico. Molto meno dovean essere nel X e nel IX; i secoli
più miserandi per la nostra città, per tutta l'Italia. Eranvi
però le curie o palazzi ducali; e la curia nostra sorgea pro-
prio nel luogo da noi congetturato. Epperò le memorie, le
tradizioni che abbiam citate non alludevano che al Ptdatium
del basso romano impero (o se vuoisi de' tempi di Teodo-
rìco), ereditato dai Longobardi.
L' HoRREUM. — Che è quanto dire il pubblico granajo, del
quale ha memoria in un documento del secolo IX ^. L' attuai
Granaroh vecchio è traccia forse ancora del nome antico. Era
chiuso dalle mura come l' Horreum Pìpiniano della carta di
Verona pubblicata dal Biancolini ^, in prefata dvitate. E notisi
ancora che nella carta bresciana dell' 880 che abbiam citata,
leggesi — locum ubi dicitur Orreo — quasi a richiamare piut-
tosto un nome tradizionale di un'antica fabbrica distrutta
(ubi dicitur) che una fabbrica tutt' ora in pie.
1. BuLLAND. Act. SS. 15 febr. 4. Biancolini, Vesc e Govern. di Ve-
2. Storie Bresciane. — Manoscritto rona, tav. I. — E giovami ricordare
Quiriniano. che nella stessa Verona la Curia
3. Et in prefata Civitate prope Curte Ducale inalzavasi probabilmente a
que dicitur Orreo, cavaliere d*uaa porta urbana.
BRESCIA ROMANA 59
Il Ponte AIarmoreo. — e Lo ponte che è li presso alla
» Fontana Rotonda se chiama lo Ponte de Marmoro >. Cosi
il Nassino ^ E gli Statuti Municipali del secolo XIII e le re-
gistrazioni del Lìber Poteris pur di quel secolo * apprende-
rebbero che fino dal 1254 la bresciana ubicazione Pons Mar-
tnoreus sul Garza era presso il Mercatum Ponticelli, cui sen-
z' altro alludono gli Statuti del 1294 ' e del 1435 S relativi
al Pons Marmoreus super Garciam versus Ecd. S. Faustini.
Eccovi , se nulla veggo, le tradizioni di un ponte marmoreo
de' romani tempi, simile al Pons Marmoreus della Verona Pi-
piniana ^
Altro Ponte Romano. — Doveva essere gittate sul Garza
presso Varco romano che levavasi ad Arco Vecchio; e forse
gli appartenevano le due lapidi del correttore Gaudenzio af-
fatto uguali, scoperte non lungo dalla medesima località, in-
cassate probabilmente nelle pile del ponte, ripetute appunto
per simmetria, come troviamo in altri ponti antichi.
I Templl — Che quello di Giulio Cesare sorgesse ove ora
sono le prigioni urbane e il Monte di Pietà parrebbe dall' a-
versene impiegati gli avanzi nelle escavazioni per la fabbrica
di quegli edifici. Fu detto che basti di quello di Vespasiano,
del Sole Elio e dei templi nel campidoglio sacri al Genio della
Colonia civica di Brescia e al Dio Bergimo; ma dove fosse l'e-
retto alla Diva Platina^ (di cui era sacerdotessa Clodia Pro-
cilla), a Giove Dolicheno ^, a Minerva Augusta ^ a Mercurio»
i. Memorie autografe presso la Qui- 6. Muratori, p- 163, n. 2. — Sam-
rìniana - e. 13. buca, Mem. Cenom. pag. 88. —
2. Ora presso la Quirìniana, a. 1287. Labus, Tribù e Decurioni^ p. 19.
3. Cod. Perg. ora Quiriniano. 7. Labus, Marmi ant. - p. 7, n. 3.
i. Arch Munic. Indice Poncarali, p. 45. 8. Luogo citato, pag. 33, num. 45. —
5. BiANCOLiNi, Op. cit. Ivi la carta top. Muratori , Thet, InscripUonis ,
di Verona, creduta del IX secolo. pag. 53, 2.
60 BRESCIA ROMÀNA
del quale in Brescia e più ne' luoghi suburl>aQi di s. Eufemia
dovean essere templi ed altari S è indarno la ricerca. L' ae-
DEM ET siGNVM ^ che Primiotie Cariasse di gallica schiatta lo-
cava SOLO svo a quella divinità presso i Galli veneratissima,
era forse nell'orto dell'isolata casetta Pedercini, dove si
discoversero avanzi di una edicola a facce ricurve, che mi-
surate dal benemerito ingegnere Pietro Filippini ' darebbero
un diametro al tempio di otto metri e mezzo. I marmi di
s. Eufemia dedicati a Mercurio trasmigrarono alla torre
Cremonese dei Picenardi ^. Bensì parrebbe doversi credere
un sacello da Ercole vicino al Foro, non tanto per un tìtoletto
di Gunopenno Secondo fabbro Tignuarìo ^, quanto per la
tradizione della torre e del fonte d' Efcole, che risale fino al
secolo XIII (Fons de HircuUs a. 1292 in Skxt. Municip.); e
poco lungo un altro a Silvano, della cui statua fu rinvenuto
fra le macerie del tempio di Vespasiano il basamento^. Di un
altro tempio d' Ercole sulle parole del Capriolo avea sospet*
to il Labus ove adesso è la chiesa di s. Barnaba ^.
Ma né quello delle Giunoni (delle quali fu scoperta a
Torrelunga un'ara che L. Clodio liberto della celebre Clodia
Àrbuscula consacrava ^), né gli altri d'Alo Saturno e della
Fortuna lasciaron traccia di sé.
Un tempietto di Vulcano trovavasi probabilmente fuor
delle mura presso Torrelunga, però che suburbani erano
quasi sempre gli altari suoi; e sulla fronte di quel tempio
1. Bianchi, Marmi Cremonesi - p. 47. 4. Bianchi, Marmi Cremonesi
2. Labus, Marmi illustrati - pag. 54 5. Labus, Marmi ant illustr. - p. 70>
e seguenti: s. Eufemia n. 67, 68, num. 97.
82, 83, 84, 85, 86, 87, 80, 92; 6. Labus, Marmi - pag. 74, n. 108,
Brescia n. 72, 73, 76, 81. 109, 110.
3. Lettera 23 aprile 1853 gentilmente 7. Monum. ant 1823 - pag. 68.
indirizzatami. 8* Marmi ant - pag. 80, n. 116.
BRESCIA ROMANA 61
era posto il titolo volgano , sacrvm . pvblicae rinvenuto po-
c' oltre quella porta *. Il geniale delubro della cara Gioven-
tù ^ per un marmo ch'era in s. Agostino più di due secoli fa,
terrei sorgesse vicino a quel santuario; come seguendo il La-
bus crederei Y altro dì Castore e Polluce presso il tempietto
di Giulio Cesare ^.
Gli Archl — Di quattro soltanto ci resterebbero memorie,
dove almeno l'edificio scoperto nel 1844 a sei braccia sot-
terra nelle sostruzioni dell' osteria del Bel Soggiorno a Tor-
relunga — ch'io ritengo ad ogni modo una porta— vogliasi un
arco. Il frammento acclamatorìo MAX. a grandi ed eleganti let-
tere scolpite nel fregio di un architrave lo dice consacrato ad
un augusto od eretto da lui. Se gli scavi si fossero continuati
sarebbero esciti assai pregevoli monumenti bresciani; ma
spesse fiate si troncano a mezzo i più nobili divisamente
Era un secondo ad Arco Vecchio, del quale, se vogliam cre-
dere al Róssi, trovava un Todeschini gli avanzi nell' attuale
piazzetta di quel nome. Ma ben più che al Rossi crederemo alle
testimonianze del medio evo, le quali ci parlano di un Alber-
to e Giovanni f. q. Joanni de ìocus Arco fino dall' 889 *, e che
nel 1041 Arderiais Archipresbiter fil, q. Alberti foris civit. Brix.
habitat, locus Arco soscriveva un contratto ^ La Platea de
Arcu era già fino dal 1110 ^ la Contrata de Arcus et s. Ago-
the si noma in una cronaca bresciana sotto l'anno 1184 ^
a talché dall'arco romano o dalle sue rovine passò quel nome
(a. 1294) a tutta una quadra^; e il templum Archi civit. Brix.
1. Labus, Monum. anL - pag. 13. monib. et de Algiso de Gambara;
2. Labus, Marmi ant. - p. 90, n. 132. ed. dal Biemmi.
3. Marmi cit. - pag. 68. 7. Chron. #. Salvatom, Doneba, Zec-
i. Codice Diplom. Quirìn. nuovamente ca di Brescia in fine; edizione del
compilato - t II, sec. IX. Zanetti.
5. Luogo cit. - t. IV, sec. XI. 8. Come da pergamena ^he si trova
6. Brevz Record, de Ardicio de Ai-* presso fautore.
62 BRESCIA ROMANA
(li una pergamena del 1069 ^ altro forse non è che la chie-
sicciuola antichissima di s. Zeno, detta nelle carte del secolo
XIII S. Zenoms de Arca '. — Il terzo potremmo congetturarlo
sulla via Emilia nell'antica località di Rebuffone, cosi mutando
il sepolcro del re dei giuocolierì di Ottavio Rossi in un arco
romano. Il che mi argomento da un passo del Ltber Poteris,
dov" ha il nome assai meno corrotto di quella località (Arcu
huffono ^), abbreviato poi negli Statuti del sec. XIII in quello
di Ar-buffono. Ma perchè queir epiteto di buffone ? Gli è uno
di que'motti pungenti del volgo, cui vennero battezzati da se-
coli e monumenti e luoghi moltiplici (Furca de CarUs, Curte
Travalio etc.), ne'quali s' asconde quasi sempre un fatto che
la storia non ha trasmesso. — Il quarto era forse dove ancora
serbasi la denominazione d'Arco del Vino, la quale per altro
non ho potuto rinvenire più antica del secolo XV ^.
Collegio dei Giovani. — Vedeste mai nel fianco di s. Am-
brogio un marmoreo pezzo di lesena, e suvvi una epigrafe
mezzo profondata nella via? Eccone le poche parole:
• RIVS • MV
TELAM • H
* • *
Il rev."^ prevosto di s» Agata nob. sacerd. Onofrì fu appe-
na in tempo or fanno pochi mesi ad arrestare la mano dello
scalpellino, che le avea bellamente cosi per vezzo già
punzecchiate qua e colà : quelle poche parole potrebbero
supplirsi
M . Nonius . ilfRIVS • MVctantis . Coli . luven
Brix . In . TuTELAM . H . S . . . . Dedit
1. Cod. Dipi. Quir. - t IV, sec. XL 3. Ora Cod. Quirìo. carte 204.
2. Pergam. presso Fautore. i. Rossi, ed. Vinaccesi, M. B. p. 116.
BRESCIA ROMANA 63
Quand' io rifletto che una statua di Vulcano Augusto do*
veva essere fra quelle ubicazioni di s. Agata ^ che la cura
della statua di quel nume affidavasi al Collegio dei Giovani,
per cui sembra che quel collegio non dovesse trovarsi dal
simulacro assai distante, e che alla moglie di M. Nonio Arrio
Muciano poneva quel sodalizio un monumento, sono quasi
per sospettare che il collegio non fosse lontano dai siti del-
l' Horreum corrispondenti alla chiesicciuola di s. Ambrogio,
e che il franunento santambrosiano v' abbia relazione.
Collegio dei Giumentarj. — Il marmo scoperto fuori di
Porta Torrelunga che lo ricorda e che citammo altrove, non-
ché il fatto che le stazioni dei Giumentarj (Parevaredi) si
collocavano alle porte, prescrivono ad un dipresso V antica
località di questo volgare ma necessario collegio.
I Mosaici. — Un lavoro che tutti disegnati ed illustrati
accogliesse i nostri mosaici getterebbe gran luce sui monu-
menti romani della nostra colonia. A mostrarvene Y impor-
tanza, ed a documento della mia Brescia Romana, eccone la
serie comunicatami dal bravo Joli custode del patrio museo.
0
1. Grande mosaico a varj colori, scoperto P anno 1820 in casa
Emilj conti*, dei Cappuccini. — Ora nel Museo.
3, Idem frammentato a colori: esiste nella cantina di casa Fer-
rini contr. s. Giulia, trovato Tanno 1840.
5. Gran pezzo di fascia attortigliata pure a colori, trovatasi alla
Bruttanome presso il negozio Donegani il 4 aprile 1857, indi
nuovamente sepolta con altro mosaico vicino.
i. Gnocchi, p. 86. — Totti, p. 103, un tempio, ma per la base ivi tro-
nam. 281: non tanto per le pa- vata e posta da tre devoti al nume. -
role del Rossi, che vi pone anzi Veggasi Labus, Mon. ant. p. 21.
64
BRESCIA ROMANA
4. Mosaico scoperto nella cantìua Bonfanti contr. s. Bainaba,
con altro micino in casa Bonizzardi (1839).
tf. Mosaico (del Ninfeo) a colori ed iscrizioni, scoperto in casa
Venturi a s. Giuseppe (4- luglio IS'tK). •
6. Idem a colori, scoperto il d\ 1 aprile 1849, e totalmente di-
strutto, in casa Fenaroli a s. Maria Calcherà.
7. Il piti grande mosaico fin ora scoperto tutto a colori dietro
la chiesa e vìcolo di s. Domenico (10 maggio 1844); non ne
rimangono che due soli pezzi nel Museo.
8. Frammenti rinvenuti nel cessato convento di s. Paolo.
9. Altro mosaico rinvenuto in casa Piazzoni a s. Zeno ^.
Gerolamo Ioli.
Acquedotti. — Che V acquedotto di cui parlano i docu-
menti del sec. Vili, e che sino d' allora volgendo ad un tratto
da monte a mezzodì recava l' acque al monastero di s. Giu-
lia, fosse romano non è a porre in dubbio: lo accertano i suoi
resti di romana struttura, il ninfeo delle cui acque s' alimen-
tava, le due fonti al tempio di Vespasiano animate da lui.
Si sa che del 767 bastavano queir acque per un molino che
re Desiderio donava ad Ànsilperga sua figlia ^ e che correndo
apud portam heatiss, mart, Faustini et Jovitce radea quindi
le muraglie della curia*^ : è quel desso ancora di cui parla
un contratto del 761 ^. Delle quali cose tutte potrei più lar-
gamente ragionarvi se il lungo tema non mi stringesse.
1. Questi mosaici furono veduti e di-
segnati da Gerolamo Joli custode
del Museo patrio. Il mosaico della
Rotonda (Brescia Romana, tavola
top. in fine al voi. 1 ) ò citato in
una Prov. Municipale del 1495
(Indice Poncarali), e Io ritengo
scoperto nello scavare le fonda-
menta del coro.
2. Cod. Diplom. Quirìn. sec. VUI. —
.\nt. apog. perg. 17 novemb. 767.
— Margàr. Bull Casin, t. I.
3* Vel ad curtem ducalem pertinuii
neir apog. stesso. E i molini di
s. Giorgio poggiavano realmente
ai resti della curia ducale.
4. 17 aprile 761. De curriculo ilio
per quam gradUur aqua ad tu-
, BRESCIA ROMANA 65
Vedete, lettori miei, come a stento dobbiamo andarcene
racimolando gli avanzi di Brescia Romana. Ben più facile fu
a' miei predecessori il fabbricarsela di tutto punto co'palazzi,
co' templi, cogli archi, colle vie, che ciottolo non vi manca.
> All'entrare della città » dicon essi t dalla parte occidentale
> s'incontrava per la prima fabbrica maestosa l'arco trionfale
> di Germanico .... Passato T arco ed un ponte di pietra
» sul Garza, s'incontrava una via lunga, discretamente spazio-
» sa, ornata di fabbriche. Sulla sinistra stava il palazzo dei
« seniori, sulla destra il tempio di Castore e Polluce, presso il
> quale altro tempio a Germanico; di rimpetto a questo una
> piazza, poi le terme ossia bagni pubblici ... ^ ». E cosi trion*
falmente passeggiano per le vie d'una Brescia teatrale di
nuovo conio^ e la vi porgono dinanzi con un candore, una si-
curezza maravigliosa. Diecisette sontuosissimi templi«v'ima-
gina Ottavio Rossi, e il sepolcro del re Bullone, e le botteghe
degli armajuoli, e la piazza dei contadini, e il sacrario del
Dio Nottulio nelle fosse di MombcUo, e più altre fantasie '
sul fare di quelle che il Violi ci narra quando ne fa sapere
che Vespasiano Augusto pigliava in moglie la sorella del
conte Carlo Lavellongo ^.
Eccovi quali indagini ardue, penose, avviluppate nella
caligine dei secoli, travolte dai sogni dei cronisti facciano
duopo. Eccovi come le lacere contrattazioni del medio evo
disvelino talvolta con una sola parola una gloria cittadina.
perMcriptum mcnasUrium, e dice 1. Gambara, Ragionameoti. Brescia
che il Tenditore Bovorcolo trova- 1839, t. I, pag. 22 e seg.
Tasi presso la medesima sua ca- 2. Rossi, Memorie Bresciane, ed. Vi-
setta a Porta Milanese. — God. naccesi 1693.
Dipiom. Quirin. 1. cit. — Murat. 3. Gronichetla breve e dilettevole ecc.
Ant. Ital. l ni, pag. 759. Brescia 1677.
0»<MUCl( Storie Brese. Voi. II. 5
66 BRESCIA ROMAMA
aggiungano un fatto al tesoro dei già conosciuti, ed all' errore
per molti secoli creduto sostituiscano la verità per altri se-
coli ignorata.
Non sono tuttavolta queste mie pagine che povere inve-
stigazioni quali può mettervi innanzi la povera mia mente.
Altri di maggior lena compia la via che forse il primo con
queste mire ho tocca; e gli dovremo la inaspettata rivelazio-
ne dell'antica nostra grandezza, negataci dal sommo ^ a cui
la potenza delle colonie cisalpine era in uggia per ciò solo
che ne temeva eclissata la sua Verona.
Ed è stolta invidia; che i fasti municipali non si cercano
per quella gloriola cittadina che non pa^a più in là della
cerchia che ci serra, ma si raccolgono perchè ne aderga lo
splendido edificio della storia italiana.
Per Italia nostra si deggiono accogliere in una i monu-
menti delle nostre città. Largamente disseminate fra i calabrì
deserti o sulle rive dell' acque solitarie di Taranto e di Mes-
sina, orgogliose di quelle del Tevere, festanti fra gli oliveti
dei colli toscani, sparse pei dolci clivi e nei bei piani ìorn^
bardi, addossate alle giogaje dell' Alpi, sono tutte italiane; e
a questa che è pure
Sempre la stessa veneranda terra '
debbo volgersi la mente e il cuore di chi medita sulle rovine
de' suoi municipj.
1. ScrpioNB Maffei. 2. Spolverini, Colt, del Riso. - Pocm.
BRESCIA ROMÀNA 67
IV.
LE ACQUE, LE STRADE, IL TERRITORIO BRESCIANO
ne' tempi pel ROBfANO IMPERO
Dappoiché i popoli circonvicini alle colonie, domata la
Rezia, furono da Ottaviano Augusto, per dirla con una frase
di Plinio, finUimis cutributi municipiis, pare che il territorio
nostro giugnesse quinci all' Oglio, quindi al Mincio ed al Be-
naco. E per cominciare dall' acque =
V Oglio. — Che racchiudesse con amplissima curva da oc-
cidente a mezzogiorno i limiti bresciani parrebbe anco perciò
che r isola di Suzaria fino dall' 880, i luoghi di Murgola e di
Fontana nell' 883 erano nostri ^; che Vidicelo e Scandolara
lo erano del 101 1^ e che bresciano nel 978 ^ chiamavasi
V agro sul quale per cinque miglia possedea qualche ragione
il vescovo di Cremona; ed è noto che l'ecclesiastica giurisdi-
zione di Brescia giugnesse del 1037 all' Oglio ed al Po ^. E
il Portum fhminis Olei prope Alfianum poco lungo dalla via
Pretoria, donato da Desiderio nostro concittadino nel 759 ^
ad Ansilpergà sua figlia, sosterrei dell'agro nostro colla
padana isola Cicomarìa ed altre terre colà , tanto più
1. Murai. Ant. hai. - t. I, col. 361; diss. XVIII, col. 997. — Cod. Dip.
L n, col. 205; t IH, col. 69. — Qairin. tomo III, a. 978.
AnL Est. parte I, e. VII, p. 41. — i. Ughclli, Hai. Sacra, tomo IV,
Cod. Diplom. Quiria. sec. IX. col. 539, 541. — Gagliardi, Ta-
% MuRAT. Ant. Est. parie 1, e. XIV, rare ecc. nel Sambuca - 'p. 122.
pag. 119. 5. Cod. Dipi. Quirin. -ti, sec. VIII,
3. MuRAT. Ant. hai. M. jEvì, t. I, an. 759.
68 BRESCIA ROMANA
che r Oglìo fino dal 761 era in finibus Briaiana ^ Male avvi*
savano però il Bianchi^ ed il Gagliardi ^ quando pel marmo
di Giove Paganico trovato a Pedergnaga, vi leggendo in fini-
bus Cremonensibus ^ , tennero che questi di qua dall' Oglio si
dilatassero; perchè la frase monumentale non significa più
che verso il confine dei Cremonesi. Anche il vico bresciano
di Vobarno in altra lapide romana si pone ai confini d'Ita*
Ha, benché fossero più in là parecchie miglia.
Il Mella. — Forse non tutti sapranno come si rapido e
minaccioso torrente avesse nome da un vago fiore, l'Amelio,
che ne' tempi di Virgilio ^ a cespiti gli serpeggiava in sulle
sponde, se pur dal fiume non ebbe nome il fiore.
Est etiam flos in pratis, cui nomen Jmello
Feccre cgricolas: tonsis in valUbus illum
Paatoies et curva legunt prope (lumina Mella.
Che le sue rapide piene fossero temute dai padri nostri
è duopo congetturarlo dal tempio di Giove Conservatore,
cui si votavano probabilmente, come abbiam veduto, i limi-
trofi al Mella rovinoso. Negli atti dei nostri martiri è chia-
mato qualche volta Ymella.
Il Clisi . — Già confine dei Cenomani ricordato da Polibio
venti secoli fa ^. Qusius presso i latini, ed è nome d' etnisca
impronta ^. Cleosa nomossi dall' autore di un inno a s. Fila-
strìo del secolo IX ^ denominazione che richiama il Qeusis
delle tavole itinerarie ricordate dal Cluverio •.
i. Cod. Dipi, -ti, sec. Vili, an. 761. 6. Transmisso flumiìie Clusio, -HisL
2. Marmi Cremonesi. lib. IL
3. Parere cit. pag. 122 ; edizione del 7. Bardetti, Della Ungua dei popoli
Sambuca. primitivi d* Italia. — Lanzi, Mi-
4. Labus, Marmi antichi, n. 1 . cali, Lepsius, Cori, Passeri ec
5. Georg, lib. lY. — Servius , in 8. Galeard. m Opp. Patrum Brix.
VirtjiL ibi 9. Hai AtU. l. I, pag. 413.
BRESCIA ROMANA 69
Garza. — Nomino questo povero torrentello che viene
dalla vallicella di Nave, perchè fatto celebre da un verso di
Catullo e dalle dotte controversie cui fu cagione ^ Chiama-
vasi Melo, e correa forse rasente le mura dell'antica città '.
E quel nome gli fu serbato nel secolo XII, per documenti
autografi citati dal nostro Biemmi ^.
Acquedotti territoriali. — Che vasi e cunìcoli ed acque-
dotti si diramassero ne' romani tempi dai nostri fiumi e
dai laghi ad irrigare la terra bresciana non è a porre in
dubbio ^; e assai canali di romano lavoro, smessi nel corso
delle lunghe età, ripristinavansi in quella operosissima del
medio evo: ed errore io credo l'attribuirli adesso tutti quanti
a' tempi del nostro Comune, ne'quali grandiosissime rima-
nenze dovean essere ancora dei manufatti antichi.
Ma r acquedotto romano che visibil traccia lascia an-
eora di sé gli è quello che a cominciare da s. Apollonio,
giunto ai colli suburbani, conduceva il tesoro dell' acque
nella nostra città ^. La muratura cementata col signino che
Yitruvio prescrive per la conserva dell'acque è affatto roma-
na, romana la forma ^; nò saprei come al dotto avv. Mazzoldi
sia parsa o gallica od etnisca ^. Parrebbe non improbabile
per quella vece la congettura che all' acquedotto di cui par-
liamo si riferisca il marmo che abbiam recato, dal quale risul-
terebbe quel manufatto principiato da Ottaviano Augusto,
compiuto da Tiberio ^.
4. Gatoll. EUg, ad Januam, 5. Labus, Marmi ant. pag. 147. — '
5. Sambuca^ Memorie Cenomane. Biemmi» Stor. Bresc. 1. 1, p. 125.—
3. Storie Bresciane - t I, p. 308. Grandoni, Delle Acque Minor, p. 9.
4. Odorici, Brescia Romana; ivi la 6. De Arch. lìb. Vili, e. ultimo.
Disseit del Labus sulP acquedotto 7. Mazzoloi, nella Stren. Bresc. 1851.
e sui colto dell'acque in Brescia. 8. In queste Istorie, t. I, pag. 244.
70 BRESCIA ROMÀNA
De' cai resti preziosi, che tutti ricordano ma che nessono
ha investigati, mercè le indagini pazienti degli egregi signori
Giuseppe Ragazzoni e Pietro Filippini (poiché di tanto mi
furono cortesi d'aggiugnersi meco a rintracciarli) posso darvi
tal cenno quale non ebbimo sin qui.
Non da Lumezzane come fu creduto, ma più alto, dalla
sorgente di s. Apollonio sembra che principiasse l'acquedotto
romano. La qualità dell' acque di quella fonte, la loro esu-
beranza riferibilmente alle povere scaturigini sottoposte, al-
cuni avanzi di fabbriche romane a s. Apollonio testé rinve-
nuti avvalorano la congettura. Di là seguiva dal manco lato il
torrentello Valgobbia; e veramente a manca del ponte di quel
nome cominciano i latenti avanzi dell' acquedotto, i quali con
subita risvolta si drizzano a Pregno, la cui Seriola colà si
getta nel condotto antico e tutto il corre fino a Costorio, dove
poi ne sbocca per dilatarsi a' campi. Qui l'opera romana corre
vuota sotterra; ma passato Concesio, riceve l'acque del fiume
Celato, né le abbandona che aConichio(da cuniculus, condot-
to), dove passando il Garza, ripiegando ad oriente per girare
intorno al dosso Colmetto, riprende sua direzione di mezzodì
per cessare al di sopra di Mompiano, la cui vallicella n'era tutta
recinta, come risulta dagli avanzi per noi veduti al di là di
Pontalto, nel ronco Regola. Al di sopra di Pontalto un git-
tare di sasso emersero testò non pochi franmienti dell' acque-
dotto di cui parliamo, il quale radendo per questa guisa le
radici flessuose dei colli suburbani entrava in città. La curva
che sotto le patrie mura dovea descrivere andò distrutta; il
colle Cidneo fu separato dal Goletto; ma il tronco urbano
dell' acquedotto quale segnammo nella tavola topografica di
Brescia Romana esiste ancora; il popolo, che suol battezzare
i monumenti a modo suo, non conosce quell'opificio romano
che pel nome di Condotto del Dia/colo^ il quale parrebbe fab-
BRESCU ROIIANA
74
brìcato coU'uso di una mobUe fartna, su coi direbbesi gittato
mano mano, indi spalmato dei cementi vitraTiani.
\
y
Lim deU*acqiiedftt:o nelfai iiroporxiooe di 1 a 3i*
La sua costruzione laterizia presenta i caratteri dell' opus
wcertum di Yitruvio : lo spessore delle pareti varia da cen-
timetri 30 a 45; V altezza della luce risulterebbe di metri
i, 30; la sua larghezza di cent. 55.
Benché il Bravo lo supponga distrutto sino dai tempi di
Teodosio, gli statuti nostri ci apprendono che a quelli di Gian-
galeazzo Visconti recava, come a' tempi romani, la copia del-
l' acque nelle nostre fonti ^.
Il Lago d' Iseo. — È l'antico Sebino ricordato da Plinio ^.
Non pare per altro che a' tempi del latino imperio fossero i
Camunni, cui spetterebbero queir acque, aggregati al muni-
cipio bresciano. Costituivano indubbiamente una comunanza
1. Ita sttttutum quod cuniculum de
Priegfèo teneaiur ila cliisum, mu-
ratum et e:q>editum, quod atpta
qum solita est per ipsum cunieu^
/«m discurrere et discurrit, pos-
ipsum cuniculum usque in civi-
tatem Brixiee, Statuto Municipale
del 1385. God. Perg. Autog. presso
la Quiriniana, carte 203. — De
Cuniculo Priegwi es^^ediendo-
sii ei debeat .... discurrere per 1 Hisl. Nat. lìb. IH.
72 BRESCIA ROMANA
a sè S come lo prova V essere ascrìtti nei marmi alla tribù
Quirìna. E quando le tre ultime linee di una lapide sieno fe-
delmente dall' Averoldi portate (a . re . p . camvnnor . *), costi-
tuivano que' valligiani un ordo, una resp.vblica loro propria,
disgiunta dall' ordine e dalla repubblica bresciana. 11 più anti-
co esempio del nome Isex dato all'acque risulta dalla Tavola
Teodosiana (Isex fluvius). Nessuna meraviglia. Non troviamo
citato da Plinio un fiume Brixia nelle regioni del Tigri ^?
Il Benaco. — Secondo il nostro Labus i popoli bena-
censi parrebbero coi Trumpilini, coi Sabini, cogli Edrini
aggiunti al territorio nostro per opera d'Augusto, a talché i
marmi stessi d'Arco e di Riva dicea bresciani ^.
Le lapidi benacensi della sponda orientale tutta quanta
portano per vero dire la Fabia tribù, come nella occidentale
s'improntano della Poblilia o Poblicia veronese; ed è in-
contrastabile che non solo i popoli vicini alle colonie venis-
sero aggiunti a quelle, come dal celebre passo di Plinio,
ma ben anco i più insigni personaggi delle terre aggregate
FINITIMIS . &IVNICIPnS . QVI . MERVISSENT . VITA . ATQVE . CENSV .
PER . AEDILITATIS . GRADVM . IN . GVRIAM . ADMITTEBANTVR '.
E la stessa Briosa Cobnia Civica Augtista ideo appeìkuur, tU
videtur, quod non milites, sed togati cives deducti erant *.
Il marmo della torre dai cento piedi decretata da non so
quale senato di Toscolano è un' invenzione un po' scipita del
i. Labus, Tribù e D«ic. p.22 — • Che . non fidandosi per altro di quella
» nella tribù Quirina fosse descritta frase.
» la comunanza Camunna, separa- 3. Hist. Nat. lib. IV, e. 27.
• ta allora dalla Bresciana, non v'ha 4. Labus, Monum. ant - pag. i21.
• contrasto >. 5. Gruter. Corp. Inser. p. 408, n. 1.
2. Rossi^ Mem. Bresc. ediz. Vinac- — Mem. dell' Accad. di Vienna,
cesi, pag. 249. — Labus, Tribù t. I. - Ivi Labus, Lapidi TergesL
e Decurioni Bresciani, pag. 22, 6. Zumpt, Comm Epigr. pag. 350.
BRESCIA ROMANA
73
Rossi *, come lo è certo di qualche epigrafista del secolo XIV
r altro pur letterato di Giulio Cesare, accolto dal Capriolo ',
replicato dal Dugazzi^, dal Ferrarini, dal Volpato ecc. ma
non dalla critica lapidaria. Quello poi di Marco Àgrippa non
ha linea che non possa dirsi una vera mostruosità.
Né però questa come pur vogliasi aggregazione dei Bena-
censi al territorio bresciano togliea loro affatto le prische
libertà. Continuavano i loro comizj, le loro adunanze» le indi-
pendenti loro deliberazioni, e ne son prova i marmi che ab-
biam recati. Era presso eh' io non dissi riunione territoriale,
che lasciava comunque vogliasi ai paghi, ai vici di quella
terra i loro statuti, le leggi, gli uffici, le consuetudini loro.
Pare ad ogn^ modo che le rive del nostro lago, le circo-
stanti colline, sparse in prima di qualche retico vico, di qual-
che povero altare, s' abbellissero sotto i romani di palagi, di
templi, di sacelli, di xisti e di giardini ^ Sia luogo al vero; quel
popolo dominatore che nelle lande inseminate della selva
Ercinia cotanta orma stampava della sua magnificenza, come
avrebbe dimenticato il più bello degli italici laghi ?
Una maestosa via romana, che noi diremmo Emilia, ne
toccava presso Àrilica le terre, mentre un' altra, la Claudia,
seguendo a ritroso il corso dell'Adige, salia di là dal Baldo i
dorsi della Rezia. E chi uscito dal porto di Arilica, oggi Pe-
schiera, in cui stanziava un collegio di nocchieri benacensi ^
1. Mem. Bresciane, pag. 233.
2. Capriolo - Solazio - Volpato. -
ToTTi, pag. 35. — Rossi, p. 281.
— ViwACCESi, pag. 239. — Due-
KERO, pag. 106. — Grattarolo,
pag. 95; e non saprei quanti al-
tri lo danno in Salò. È una so-
lenne impostura.
3. Storia della Riviera. — Fu dato
ancora dal Rossi, pag. 295; dal
Duekero, pag. 166, che lo dicono
in Salò.
4. Walckenabr, Géog, ancienne des
Gaules Cisalp, et Transalp. t. II,
Paris 1850. — Maffei, Verona
illustr. parte I. — Wesselingius,
Itiner. ani.
5. Orti, Ant di Garda e Bardolino.
}
74
BRESCIA ROBUNA
volgeva ai lidi della florida Sirmione, stupia dinanzi a quel
nobile palagio, che manifesta ancora nelle sue reliquie la ro-
mana grandezza; e quinci biancheggiare le colonnette miliarìé
della via che abbiam nomata, non intercetta che dalle stazioni
per le romane coorti; quindi levarsi un sacello a Giove Mas*
Simo Augusto S e sulla rupe vicinissima di- Minerva bian-
cheggiar fra gli olivi un tempio a quella dea'. Dovunque poi
monumenti, edicolette ed altari a Nettuno 3, a Bergimo S .
al Benaco ^, a Marte ^ alla Vittoria ^, alle Giunoni^ a tutti
i sogni della mitologia.
Nell'antica lor Toscolano si radunavano i Benacensi; e
benché di quella terra cosi nomata non mi conosca monu-
mento anteriore al XII secolo^, il nome stesso d'etnisca
derivazione, le imperatorie lapidi quivi erette dad Benacensi
valgano per tutta prova della sua vetustà.
Le marmoree colonne qui dal Cattaneo vedute ^ le scol-
ture di cui parla il Grattarolo ^^ erano avanzi di tosculanensi
edifici. Presso la chiesa parrocchiale sono resti ancora del-
1. lOVl . OPT . MAX . AVG . SACRVM eC.
— Labus, Ceuni ricord, ne' quali
attribuisce il marmo airisola Lechi:
ma Labus medesimo lo si trascri-
veva del 1813 nella penisola di
Sermìone. (Marmi ant.illus. p. 11 ).
È nota r epigr. lOVl a lettere cu-
' bilali di Bedìzzole, lOvi . o . M di
Salò, il Giove Àlannino dell'isola
suddetta ecc. ( Brunati, Mus. Ben.
Ethnicum. Ms,).
2. MuRAT. pag. 52, n. 8. — Rossi,
Mem. Bresciane, pag. 72. — Ca-
priolo, Chron. Brix* f. X ecc.
3. Odorici, Brescia Romana: ivi la
DisserL del Labus sul culto an-
tico dell'acque nella Colonia Bre-
sciana. — Saraina, Iftt*. Teron.
— Panvin. AfU, Vcrofi. p. 223.
Grutero, p. 61, 6; 112, 9.
A. Maffei, Mu». Veran, - p. 89, 6.
5. Brunati, Miueum Benac. Ethnk,
Cica, Sacr. — Maffei, Iftì*. Ver.
pag. 89.
6. Volpato, p. 130. — Solat. Ms.
pag. 103. -— Donati, pag. 25, ed
altri assai; per ultimo Labus,
Marmi ant p. 52, n. 66.
7. Labus, Marmi - p. 104, d. 146.
8. Marc. BulL Casin. ConsL 197. /n
pleb. Salaude, Materno, Tusoh-
lano eie. a. 1123.
9. Silvano Cattaneo, Giornate.
10. Storia deUa Riviera di Salò.
BRESCIA ROBIANA 75
Vopm reticulatum di Vitruvio; frammenti di bei terrazzi a mo-
saico si rinvengono tuttodì: e qui pregava gli Dei Conserva-
tori per la sua consorte quel M. Nonio Macrino che fu con-
sole, prefetto in Roma, governatore delle due Paononie
sotto M. Aurelio ^; e qui forse riparavano i posteri infelici di
Probo Augusto *.
Quando si rifletta che una delle pib facili vie per tradurre
viveri ed armi alla legione III Italica, stanziata nella prossima
Rezia, dominante Settimio Severo ^ quale proteggitrìce degli
itali confini, era appunto il nostro lago; che una mansione di
militi era presso Arilica; che pib d' ogni altra terra muni-
vasi di legionarj la benacense, perchè solita via dei barbari
(]uando invadevano la Venezia; che fucine d'armi pensò che
fossero Ferrarla di Montebaldo e Campione il grande Maffei,
soggette agli arsenali di Mantova e di Verona ^; che final-
mente le derrate del piano si portavano per queste vie be-
nacensi, dalle quali venivaci di rimando ferro, legname, qual-
vogliasi prodotto delle loro vallate, si apprenderà di che
importanza fosse a que' tempi la benacense navigazione ';
e come ottimamente vi provvedesse il collegio Nautico in
Arilica, cui spetta il marmo dal Maffei già pubblicato, e
sostenuto da lasciti, Y un dei quali ascendeva a dodicimila
seicento sesterzj, purché i navicellai rinnovassero ogni anno le
parentali e i serti di rose alla tomba del testatore ^: sodalizio
1 . L \Di}8, Marmi ant. p. 90. — Maffei, 5. Tamburini, BeiMcus. 1756. — Mi-
Mas. Veron, pag. 91^ n. 7. — nìscalcui. Risposta al Tamburini.
MoRCELLi, Opp. Epp, t I, p. 22. 6. Maffei , Verona illustr. e Musco
— Panvin. AA, Ver. 1. 8, p. 232. Veronese. — Orti, Ant. di Garda
2. Labus, Museo Bresc. illustr. t. I. e Bardolino. — Panv. Ani. Ver.
3. Labus, Del Marmo di C. Giulio pag. 2i3. — Grut. p. U9, n. G.
Ingenuo - Milano 1827. — Dal Pozzo, Garda e Garde-
i, Maff. Verona ili. - t I, par. 11. sana, pag. 10 ecc.
76
BRESCIA ROMÀNA
al quale probabilmente rispondeva dalla nordica estremità
del nostro lago altra scuola romana di navicularj benacensi;
ed era forse a Riva, come parrebbe almeno dalla frase coll.
N . B . di un' altra epigrafe colà rinvenuta ^.
Io non dirò delle lapidi storiche, sacre, funebri, onorarie
che r agro benacense largamente somministra alle indagini
degli archeologi, perchè molte già da me pubblicate in que-
ste pagine, e tutte poi raccolte in un volume che aspettiamo
dalla dottrina del nostro Brunati '.
L' Idro. — Che fosse bresciano non è a porre in dubbio;
come non è a dubitare che i Sabini ed i Trumplini, delle cui
miniere sarà detto a miglior luogo, lo fossero del pari.
Chi tiene che il marmo di P. Atinio fissi a Yobarno il li-
mite d' Italia s' inganna certo a partito; perchè le lapidi sabi-
ne e degli Edrani, popoli a parecchie miglia più su, portano
tutte la tribù Fabia: ed è noto per un passo di Plinio che i
Trumplini furono con altre genti propinque aggregati al pros-
simo municipio.
Ed in quanto a Fermo Ingenuo che in un marmo è detto
principe dei Sabini ^ e ad Esdra che in un altro an-
ch' esso è nomato principe dei Trumplini S sarebbe errore
i. Gnesotti, Mem. delle Gìadicarìe,
p. 26 i. — Tamburini, Benacus.
2. Mw. Ben. Fra le quali una felice
lezione di un marmo, in cui sareb-
be nomata risola di Garda.
ELVIAE .... 80N ....
.... aGAPlTO ....
INXttLA . BCNACI
vxoRi . BEfunetae
M . CORNELIO
SECVNDO . EMILI . F
LEG . XXI . RAPACIS
OEFVNCTO
3. Da noi pubblicato nel t. I, p. 37.
A. STAIO . ESDRA . GASS . P . VOBEN
PRINCIPI . TRVMPLINORVM . PRAEP
COHORT . TRVMPLINORVM
SVB . C . VIBIO . PaNSA . LEGATO . PRO
. . . . IMP . iVerONIS . CABSARI8
MESSA VA VECI . P . VXOR.
GoMPAR. Storia delle valli Trom-
pia e Sabbia. Salò 1805, p. 321 -
Brocchi, Delle Miniere del dipar-
timento del Mella ecc. — e per
ultimo Taw. Mazzolai , Cenni
sulla Valtrompia. Slr. Brest. 185i.
BRESCIA ROMANA 77
il dedurne la indipendenza loro, moderata come vollesì da
un principe di quelle valli. E qui di buon grado parli per me
Giovanni Labus, quel chiaro lume dell' archeologia che non
ha guari abbiam perduto; il quale favellando d^i due Com-
paroni, che scrivevano essere Fermo un generale di soldati
Sabini, soggiungeva h
> Abili entrambi neir arte medica che professavano, e ine-
sperti a leggere le antiche iscrizioni, non si avvidero esser
Cornelio Prisco un ragazzo di tredici anni, figlio di Fermo,
nipote d' Ingenuo, che appena potèa presiedere al caprile
e al pollajo >.
» Non più felice fu il Brocchi dove stanziò che Fermo prin-
CEPS . sàbinorvm non era un generale, né un comandante di una
fortezza^ né un gran dignitario, come altri si é dato ad inten-
dere, ma un semplice soldato gregario. Nel che ingannossi a
partito*. Fermo per esser soldato anche semplice dovea ap-
partenere ad una legione o ad una coorte o ad altro corpo
qual che si fosse di romano esercito; e di coorti roma-
ne composte di soldati Sabini, come ve n' ha di Alpini, di
Montani, di Norici e di Trumplini, non si ha fin ora no-
tizia alcuna. Notar si dee che principi e primi e prima-
rii e principali si diceano specialmente coloro che nelle
province, nelle colonie, ne'municipj, nelle città, nei pa-
ghi, nei vici, per nobiltà, ricchezze, decoro (e taluno per
grado, autorità o giurisdizione lor conferita) soprastavano
agli altri; e frequenti ne sono le memorie ne' classici auto-
ri e nei marmi t .
1. Illustrazione del Manno di C. Fer- e eh* io farò di pubblica ragione
mo Ingenuo; lavoro inedito di Gio- interamente altrove.
Tanni Labns, da lui oflertomi pò- 2. Trattato delle Miniere del Dipar-
chi giorni prima della sua mofte, timento Meila - t. I, p. 18.
78
BRESCIA ROBIANA
» Laonde, Fermo figlio d' Ingenuo, anziché generale di sol-
dati sabini o semplice soldato gregario, sarà il protopoUte
delle genti sabine come Aurelio Ganartha princeps geniium
Baquaticum popolo della Mauritania Tingitana di una lapi-
de del Fabretti ^ ; ma senza andare si lungi, nel raro e
prezioso marmo che abbiam nel museo, Stajo Esdra è prin-
ceps Tmmplinorum^: e della sua prestanza nel proprio
paese fa sicurezza* il grado conferitogli di prefetto d'una
coorte di soldati tratti da quella valle, che militarono
sotto Cajo Vibio Pausa legato di Nerone Cesare nelle
guerre germaniche e retiche. 11 Cajo Yibio qui nominato
non è il celebre Cajo Yibio Pausa di cui si hanno tanti
donarli con stipi diversi molto eruditi e curiosi ' > .
> 11 Reinesio ravvisa in Fermo princcps . sàbinorvm il pri-
mo decurione del municipio Sabino : Sabii mumcipU de-
curio primm^; nel cui parere conviene Everardo Otto-
ne ', e vi aderisce il Savigny * . . . Effettivamente da più leggi
dei codici Teodosiano e Giustinianeo si ha che prmc^pcdes
in ordine curialium diceansi qui reliquia anlistabant; e ne
abbiamo splendide prove ne'marmi dello Smezio ^ e nei
bronzi del Cazzerà ^: ma qual documento ne accerta che
in Sabbio vi fosse l'ordine decurionale, la curia, i duum-
viri, i quattuorviri, gli edili e i questori che al regime
municipale si addicono? Chi ne dice come si governassero
1. Irucrip. n. XXXII, p. 379.
2 Arcata li, 13. —- Gnocchi, Ant
Iscr. Bresc. p. 112. Ms. ecc. ecc.
3. Fontana, Serie Gods. p. 113. —
Cavedoni, Saggio di Osser. ecc.
pag. 69, n. 101. — Riccio, Mo-
nete di Famiglie Rom. p. 233.
A. Epistol. ad Rupert, n. 46, p. 394.
5. De /Edil. Colon, pag. 125.
6. HistoirB de Droit Roman au wo-
yen óge, l. I, pag. 68.
7. InscripL Aniiq. pag. 363, 11.
8. Di un decreto di patronato e clien-
tela - tov. XXVll.
BRESCIA ROMANA , 79
> le nostre valli allorché furono conquistate dai figli d'Au-
> gusto*? Yienmi un barlume da'marmi autentici che i Ca-
> munni fossero risguardati con parziale indulgenza, e ne
9 dissi altrove alcun che'; ma quanto ai Trìumplini, ai
» Sabini, ai Benacensi ho gran sospetto fossero trattati
> come i Carni situati anch'essi entro l'Alpi, e non senza
» grido, perchè qualificati illustri da Plinio ^. Si sa che (Utri-
» buti furono ai Tergestini ubi eorum foro oc jurisdictioni
> parerera ^; ed anco i nostri terrei congiunti a quel modo
> al municipio bresciano » .
Ma per tornare al territorio, credete voi che tutte V ac-
que bresciane che abbiam descritte serbassero da venti
secoli lo stesso letto, contenute dai loro margini quali ven-
gono lambendo a' nostri di? Non mai. Le belle osserva-
zioni del Filiasi ^ dell' Odoardi, del Betussi, del Volta, del
Yallisnieri sulla dismisurata larghezza e sulla mole rovinosa
degli antichi fiumi ci avvertono come vasti sui piani che
adesso rigogliano di gelsi e di vigneti movessero i nostri; e
latenti ancora lungo il Mella ed il Chiese adergonsi pei campi
le rupi accumulate dalla potenza irresistibile dell' acque, le
quali a tanta piena per volgere^di secoli non torneranno mai
più: e le sponde abbandonate che si prolungano quinci e
quindi come enormi ciglioni, al cui limite si troncano ad un
tratto le soprastanti campagne, sono restanze dei letti im-
mensi di que' vergini fiumi.
1. Vedi i Marmi antichi bresc. n. 174, Fabio Severo nelle antiche Lapidi
pag. i49, e correggi An. Var. av. Tergestine nuovamente illustrate
C. 38. nel tom. I delle Mem. Stor. Filos.
2. Marmi ant bresc — Classe sto- dell' I. R. Àccad. di Vienna. 1849.
rìca, n. 177, pag. 159. 5. Veggasi intorno a codesti autori
3. Hist. Nat. m, 20, 24, Tesarne che il Filiasi ne fa. —
4. Vedi r insigne base onoraria di L. Mem. Venete, tomo 1, e L
80 BRESCIA ROMANA
L' ampiezza del nostro Benaco noi V avemmo sino dsu tem-
pi di Polibio; e sarebbe di cinquanta miglia di lunghezza,
largo quindici. Tanto bacino che Strabone ci dà S checché
ne dica il Giovanetli, non è a credere si tosto : ma gli è non
disprezzabile argomento a dedurne fosse allora più vasto che
attualmente non è.
Dieci secoli innanzi a noi la penisola di Sermione toccava
nel suo principio il letto del Mincio, e Minciade era detto
in quel secolo Vili ^ il lago di Garda. Prova indeclinabile
della vastità di queir emissario verso V antica Àrìlica.
Poco a dire ci resta dell'antica pianura bresciana: divisa in
paghi, siccome tutto il rimanente della provincia, è indamo
qualunque indagine sui loro nomi.
Deir uno di questi ( il Farraticano ) restò memoria. Le
rustiche popolazioni dei nostri paghi già fino d'allora avevano
un patrono che le rappresentasse nel maggior municipio;
e questa supremazia parve a quel tempo desideratissima.
Il pago si componeva d'altrettanti vici quant' erano le
terre sue: della maggior parte di questi ancora non è me-
moria. Non mi garba la pietra che porta il nome del pago
Livio, benché dal Labus già messa in luce ^.
Senonché la romana origine di alcuni lugohi si attesta dalle
cronache, dalle carte del medio evo ^ raccolte nel Codice
Diplomatico Bresciano che vi abbiam promesso, dagli statuti
e dalle lapidi; e Scopidtis, Grebia, Minerva, Munkhia, Maga-
tianus, Palatiolum, Decentianus, ecc. sono tutti o vici o pa-
ghi della stessa orìgine.
1. Géograph. — GiovANELLi, Memo- 3. Labus, Marmi aoL p. ili, n. 151
rie intorno a' Rezj, pag. 51. 4. Malvetii, Chron. — Rod. Not.
2. God. Diplom. Quiriu. - tomo 1, Hist, — Cod. Diplom. Quir. l I|
sec. vai, a. 769 e 774. li e 111. — Lilter PoUrU eie
BRESCIA BOMÀNX
81
Ma il monumento più insigne che attestava tra di noi
la romana grandezza erano le vie. Eppure ditemi un po' se il
tratto di via consolare principalissima che attraversava tutto
l'agro bresciano, per alcuni chiamata Gallica, per altri Emi*
lia, venisse mai rintracciata un istante ? Ripariamo, se tanto
ci è dato, air altrui noncuranza.
La via militare da Milano a Ponte Aureolo fu già dal Bira-
go ^ sapientemente illustrata. Tredici miglia romane correvano
da Ponte Aureolo a Bergamo, 12 da Bergamo a Tellegate,
IS da Tellegate a Tetello, altre dieci da Tetello a Brescia ^.
Che Palazzolo fosse un pago romano attraversato da quella
via parrebbe dall' antico nome (Palatiolum), simile ad altra
mansione di una delle vie Claudio Auguste ^ ; e più dalle
colonnette militari ^ che a Palazzolo si discopersero '.
Di quivi la strada passava per lo Zecco di Erbusco; e lo
insegna il cippo militare di colà,' dove i mp . xvii ^ risponde-
rebbero mirabilmente colle distanze attuali. Oltreché da un
altro marmo deduceva il Labus ^ che dalla via basilica non
fosse lungi l' antico cimitero di Bornato. Epperò non a sud-
ovest di Monte Orfano, si bene a nord-est correva V antica
strada; nò precisamente a Rovato, ma forse un miglio più ver-
so Brescia e qualche cosa più su verso Bornato collocherei
la Mutatio TeteUus: solo mezzo a conciliare i X mila passi
1. BiRAGO, EpìtaOo aot. di Cernusco.
2. Iliner, Jeroiolim. — Wesseun-
GIUS, De Itin. Rom,
3. BIansio ad Palatium. Itin. Anton,
4. Militari, perché parti d' una via mi-
litare (Bergerio, Cellario, Wes-
6ELINGI0 ecc.) e per cento altre
ragioni ch'io non dirò, perchè non
è lecito stancare la pazienza altrui
OpfMìctf storie Brtic. Voi. il.
per le sofisierie di qualche ma-
gro appuntatore.
5. T. I delle Storie, p. 310,314.
6. T. 1 delle Storie, pag. 298.
7. Labus, Tribù e Decurioni, p. 33.
» Il cimitero comune ( di Bornato )
> era lungo la via consolare, e si
• estendeva in . FRonto . Pedes . XL
» A • VIA . IN . AGRO . Pedu . e ».
82 BRESCIA ROMANA
deir antico itinerario, segnati cosi da Tellegate a Tetello
come da Tetello a Brescia^ coi cippi militari che ancor ci
restano; perocché ritenendo l'attuale Rovaio risulterebbero
nove miglia di quivi a Tellegate, undici da Tetello a Brescia.
Pare ancora che dai limiti dell' agro di Bomato volgesse
a Castegnato, a' luoghi chiamati la Casa del Diatolo^ attra-
versati realmente dagli avanzi di vetusto cammino, il cui
tronco volgente a Rovato sospetterei derivazione od appendice
(romana se vuoisi) della consolare, che teneva più alto. Che
direm poi del Cellario che poneva Tetello alla Baitella poco
meno che suburbana ^? Dalle terre di Castegnato pare che
diritta venisse al Mella, il cui ponte delle Grotte gli è forse
avanzo di ponte romano, pel quale volgendo a Brescia pro-
cedeva la strada Emilia; una derivazione della quale (secon-
do il Walckenaer) staccandosi dalle porte di Bergamo e pas-
sando rOglio più basso qualche miglio, sembra che risa-
lisse a congiungersi presso Brescia con quella che abbiam .
descritta '. L' antica via di s. Giacomo dd MeUa potrebbe ri-
spondere a quest' ultimo ramo.
Attraversata la città nostra, passata la porta che poi dicem-
mo di s. Andrea, svolgevasi la via Emilia lungo le radici dei
nostri colli, e ripiegando a mezzodì verso il borgo attuale di
s. Eufemia dirizzavasi a' campi di Bedizzole : testimonianza le
lapidi milliarie colà scoperte ^, ma più la Mansio ad Fìexum
dell'Itinerario Gerosolimitano di h . p . xi dalla città.
Nò crederei che questa posata fosse a Ponte s. Marco; ma
più su verso Ponte di Nove, appo cui le colonne si rinveniva-
i, Mutatio Teiellui u - x — Civilas ei eomparée da Gaules. Alias,
Brixia m . x. — (lUn. Jeroso- Carte des liinér. ancienne^ datu
lym. in Wessdingius, p. 557 ). les Gaules Cisaìp. et Transalp.
2. Itin. Ant. lib. I, e. 25. 4. Da noi pubblicate nel 1. 1, p. 310,
3. \Yalcken\er, Géog, ancien, hist. 317, 319 delle ci(. Istorie.
BRESCIA ROMANA 83
no, e tenendo press' a poco la direzione di Maguzzano, come
pare dal cippo h . p . xxvi colà rinvenuto a 26 miglia romane
precisamente distante da Verona: anzi nelle Tav. del Dufour
la via terminerebbe con un porto sul Benaco nel seno di Paden-
ghe in relazione coi porti Sermionense ed Arilicense, mentre
un secondo ramo continuerebbe più basso verso Rivoltella.
E a vero dire questi due rami concilierebbero le colonnette
che abbiam recate.
UAd Flexwn per altri fu letto aUa curva del Qivi; ma per*
che non Mansio ad Qeocumf al Cleusis delle Tavole Itinerarie?
V Itinerario Burdigalense qui pone di seguito una
MvTATio Beneventvm . m . X — CiviTAs Verona . M . X
Ma qui senza dubbio ha un' omissione d' una posata inter-
media» della Mansio Sirmiane dell' Itinerario d' Antonino ,
della quale pubblicammo le colonne militari, e eh' io tengo
scambiata nel Burdigalense e confusa con Benevento, l' at-
tuai Castelnuovo.
La colonna milliarìa m. p. xxxii ^ di Bedizzole darebbe la
distanza precisa dal Ponte di Nove a Verona, come la da-
rebbe il M. p. xxni dell' altra di Rivoltella '.
Certo è che le povere colonne militari facevano l'ufficio
di palimsesti marmorei. ÀI mutare dei prìncipi o si muta-
vano le colonnette, o abraso il nome dell' estinto, vi si no-
tava il succeduto, o capovolta la colonna cancellavasi col
nome del trapassato la sua memoria, scrìvendo sul cippo ca-
povolto i nomi del novello augusto.
Che più? sulle mal cancellate epigrafi s'accomodavano
alla meglio altri nomi, altri titoli, altre salutazioni; ed è
1. Veggasi più innanzi. 2. Pubbl. nelle Storie a pag. 303.
84 BRESCIA ROMANA
singolarissimo da questo lato il patrio cippo di Bedizzole che
abbiamo ricordato. È custodito nella sala massima del Museo
cittadino: chi lo vede a primo tratto lo giudica una pazza fan*
tasia di qualche bizzarro per tribolare il prossimo, o ghiribizzo
della cabala per caYarne i numeri del lotto, o segni d'un astro-
logo per evocare un diavoleto/Ma sono per quella vece tre
belle iscrizioncine che mai le più graziose, da mettere in suc-
chio e far venire l'acquolina in bocca agli antiquarj, che sapete
gente innocua, dabbene, amante del quieto vivere, la quale
per un sassolino etrusco ti lascerebbero mezzo mondo. So-
no tre belle epigrafi rimescolate assieme l' una su l' altra, e
se noi credete leggiamole in compagnia.
DB . NN . VALENTINIANO . ET . FL
VALENTI . BFVINIS . FRATRIBVS
ET . SEMPER . AVGVSTIS . BEVO
TA . VENETIA • CONLOCA VIT
BBB . NNN . AVO . PERPETVIS . VALENTINIANO
VALENTI . ET . GRATIANO . PERPE
TVIS . FRATRIBVS . SEM
PER . AVGVSTIS
XXXII
BB . NN
MAGNO . MAXIMO
ET . FL . VICTORI . IN'VIC
TIS . PERPETVIS
AVGVSTIS
B . R . P . N
BRESCIA ROMANA 85
E sopra queste sono sparsi qua e là gì' incerti avanzi d'una
quarta ... ma state lieti , eh' io la vi salto a pie' pari.
La prima epigrafe saluta gli augusti Valentiniano e Valen-
te (364); s'applaude colla seconda all'assunzione di Gra-
ziano (367); sull'una e sull'altra, spento da Magno Massi-
mo (383) l'infelice Graziano (388)» fu apposto a caratteri
più profondi il nome del barbaro usurpatore. Eccovi tutto.
Che poi Valentiniano si compiacesse di questa subalpina
Italia, che soggiornasse frequentemente a Milano, a Verona,
ad Aquileja non è a muovere dubbio alcuno. Forse ancora
questa sua predilezione il conduceva ad assestare le vie che
qui mettevano capo e congiungevano fra loro le nostre città;
forse i nomati cippi, e l'altro che a quattro miglia dall' Adda
sul Bergamasco fu rinvenuto , alludono a que' ristauri.
E d' altre vie dell' agro nostro dovrei parlarvi, però che
tutto ne doveva essere discorso, avvegnaché sepolcri e vie fu-
rono sempre e saranno dove sia traccia d'uomo. Lo stradale
montano per esempio che adduceva lungo il Olisi nella valle
Sabina è attestato dalla toccante epigrafe di Vobarno, l' una
per certo delle rarissime romane in cui l' affetto cerchi le
vìe del cuore. * Si legge nel Museo cittadino, e si direbbe in
versi scomposti dallo scultore per comprenderli nel marmo.
E veramente sulle rive del Clisi a poco tratto da s. Pietro
Liano sono i ruderi di un ponte che ancora si chiama il Ponte
Pagano: ed altro ponte di romano carattere gli è quello su
1. P . ATINIVS . L . F . FAB . HIC SAEPE . TVIS . FINIBVS . ITALIAB
8ITV8 . EST . SI . LVTVS . SI MONVMENTVM . VIDI . VOBERNA
PVLVIS . TARDAI . TE . FORTE IN . QVO . EST . ATINI . CONDITVM
VIATOR . ARIDA . SIVE . SITIS — GrUTERO, pag. 903. -RosSI,
NVNC . TIBI . ITER . MINVIT Memorie Bresciane, pag. 206. —
PERLEGE . CVM . IN . PATRIA Non fu possibile Fccarla nelle note
TVLERiT . TE • DEXTERA . FATI coUa distribuziooe Bialcrialo delle
vr . REaviETV'S . avEAS . DiGERE linee.
86 BRESCIA ROMANA
cui venne gettato il più recente di s. Anna presso Cacavero
ad un miglio circa da Salò, per tacervi d' altro.
La via cremonese rammemorata negli atti dei martiri bre-
sciani (cui di rimpetto aprìvasi in Cremona la porta Bresciana
data da Tacito) correva lungo le ubicazioni dell' attuale stra-
done di Manerbio ( Vicus Minerva) e di Bagnolo (Baniolum):
e Pontevico (Pontis viicus) è indubitabile sito romano presso
un ponte suU' Oglio. Arrogi che in un contratto di undici
secoli fa è nominata presso Alfiano la Via Pretoria, malamente
dagli amanuensi dell' XI secolo cangiata in Via Tretoria^; e
sono accertato che presso Folzano hanno luoghi abbandonati
che portano ancora il nome di Via Cremonese. — Una stra-
da militare passava per Asola, ed era forse la Postumia; ed ho
sospetto che alcune vie dette PrindpaU negli Statati Bresciani
del 1200 corressero sulle tracce delle romane. — La porta
Bresciana di Trento nominata negli atti di s. Vigilio attesta
una via romana che da Trento adduceva nella nostra città.
V.
FAMIGLIE ED UOMINI ILLUSTRI
Nomi. — 11 più antico a noi noto parrebbe un Marco No-
nio, che poi fu padre a M. Nonio Muciano, quindecemviro
per le cose sacre e console suffetto a' tempi di Antonino Pio.
Sposatosi ad una figlia di M. Romanio Macrino, bresciano an-
ch', esso e d'aito lignaggio, n'ebbe il famoso M. Nonio Ma-
crino, che fatto quindecemviro come il padre, saliva quin-
di al seggio pretoriale di Roma: ed è quel desso che noi
vediamo console suffetto, legato d' Augusto e governatore
1. Prope viam Treioriam, - Cod. Dipi. Quiriniano. scc. Vili, a. 759.
MESCtA ROMANA
87
(Propr(^tor) delle due Pannonie sotto Marco Aurelio*. Arria
la diletta moglie sua, donna insigne quant' altra mai delle
romane, proveniente dal Sannio e dalla Campania ^ recava
ìq Brescia vaste ricchezze, attinenze cospicue ed un nome il-
lustre che vive ancora nella tradizione del foro Nonio Arno
(Noarino), il quale chi sa forse dovemmo gran parte a lei ^
che aggiunse ai Nonii l' altro titolo gentilizio degli Arrj chia-
rissimo e di etrusco origine ^. Gli è quella che in Roma era
in pregio grandissimo di Settimio Severo, e il cui marito
colle due legioni prima e seconda Adiutrice, che reggea nella
Pannonia, spalleggiò V imperatore ad occupare Y imperio \
Di lei parla Galeno, e supra omnium sibi carissimam la dichia-
ra ^; e noi vedemmo come a rinfrancarsi della mal ferma sa-
lute, si portasse a respirare le vivide aure benacensi ^.
Cinque figli pare avesse Macrino ^.
Il celebre M. Nonio Atrio Mudano quindecemviro co-
me il padre per le cose sacre, pretore, console ordina-
rio del 954 di Roma (di C. 20i) assieme ad Annio Fabiano
curatore e patrono dei Veronesi^: ed è quel desso che
alcuno ci contrastò; d'onde poi nacque breve lite, cui La-
bus trionfahnente decìse. A quest' Arrio dovettero i Vero-
nesi il compimento delle Terme Giovenziane *^; sappia-
mo di lui che dedicava in Brescia un monumento ad Aurelio
1. Labu8, Marmo di M. Non. Arr. Mu-
oiano illustrato. — Moaum. aot.
p. 48, e Marmi illustr. p. 90, 91 .
2. Borghesi, Della Gente Arria. - Ali-
lano 1817.
3. Labus, Marmi illustr. pag. cit.
4. Borghesi, 1. cit.
5. Labus, Marmi antichi bresciani il-
lustrali, pag. 9!^.
6. Galen. Opp. t. XIII, p. 932.
7. Tomo I delle Storie, pag. 284.
8. Labus, Mouum antichi scoperti in
Brescia 18-23, pag. 48 e 27.
9. Lab. Marmo di M. Nou. Arr. Mu-
oiano scop. in Verona. -Mil. 1811.
10. QVOD . AT . TUERMAS . IVVEN-
TIANAS . PERFICIENDAS CtC. — La-
pide cit. presso il Museo Veron.
88
BRESCIA ROMANA
Gommodo ^ ed un altro a Diana nel tempietto di Predore ^
e che Sestia Àsinia Polla gli fu consorte^. — Noma Macrina
sacerdotessa come abbiam detto del Dio Bergimo patria di-
vinità*. — Nonio Arrio. — Nonio Macrino Gmniore. — M. No-
nio Arrio Paolino Apro quindecemviro per le cose sacre,
console dell' anno varr. 960, conosciuto nei fasti col sólo no-
me di Apro, e per le cui attinenze cospicue meritò il predi-
cato di Chiarissimo Giovane ^. Sciolse voti a Mercurio nume
tutelare del municipio ^. Rosela Pacula sua moglie ^ QUaris-
sima Femina, nientemeno che pronipote dell'imperatore Giu-
liano, moriva in Brescia dopo aver lasciata in Nonia Arrìa
Ermionilk una figliuola.
I nobilissimi avanzi di marmorei edifici che intorno alla
piazza del Novarino ci restano. Tara genio . arvorvm . arii ^
del borgo di s. Eufemia, sono monumenti di palagi cospicui e
di vasti poderi eh' erano forse di quella celebre famiglia.
MiNicii. — Dalla consorte Minicia Fortunata^ figlia di Marco
Minicio avea Quinto Minicio un figlio cui nomò Quinto Mi •
nicio Macro, il quale fu quattuorviro e questore in Verona,
ove sposò la bresciana Gassia Festa probabilmente allor-
1, Ferrabini, Imct. pag. 154. —
Grut. pag. 262, n. 5 ecc. ecc.
% Labus, Lapide di M. N. Arr. Mu-
dano citata.
3. Manut: Or. Rat. p. 608, n. 4. -^
Grut. pag. 362, n. 5, ecc. ecc.
4. Tomo I delle nostre Istorie, p. 115.
5. Ma poi • cogli anni divenne Chia-
• rissimo Uomo . . . Per la dignità
• di consoie doveva essere neces-
• sanamente stato questore, pre-
■ tore, curatore di qualche repub-
» blica, di qualche via ecc. ; fu
» uomo di pace, e contentossi di
I onori non militari ». — Labus,
Lett a G. Joli del 4 febhr. 1847.
6. Labus, Marmi ani. illustr. p. 55.
7. Labus, Mon. antichi, p. 29, 30. 48.
— GruteruS, Corpus Inscriptùh'
num, p. 441, 9.
8. Rossi, Mem. Bresc. pag. 184. ~
Bianchi, Marmi Cremon. pag. 65.
— MuRAT. pag. 76, D. 6.
9. Labus, Epigrafe antica nuovamente
uscita dalle escavazioni bresciane.
Milano 1830, p. 14.
BRESCIA ROMANA 89
quando maneggiò V erario municipale *; ed è quel desso che
i dotti veronesi del secolo passato, e innanzi a tutti il Maffei,
volevano della loro città, ma che Labus poi seppe rivendicare
alla nostra. Minicio Macrino suo figlio, modestissimo uomo
fra i primi dell' ordine equestre; benché ammesso da Vespa-
siano al seggio pretoriale, terminò col preferire la quiete do-
mestica al fasto dei carichi più insigni K Ebbein isposa Àcilia
sorella di quel Publio Acilio ^ tanto lodato da Plinio, e forse quel
desso che in un marmo bresciano è detto Nutritor ^. Mini-
cio Aciliano fu suo figliuolo (a. varr. 820), bellissimo gio-
vanetto, dì maestosa presenza e di vaste facoltà ^ : ottenuta
in Roma la questura e il tribunato, fuwi eziandio pretore.
Lasciò morendo molta parte de' beni al giovane Plinio , per
intromessa del quale ^ avea sposata Giunia Rustica sorella
del console Q. Giunio (a. 872) e figlia di quel celebre tri-
buno L. Giunio Àruleno Rustico che fu dannato a morte da
Domiziano ^: non pare che avessero i due coniugi discen-
dente alcuno; del che ci suaderebbe la stessa testamentaria
disposizione, di Minicio a favore d'un amico.
Non vi dirò d' altri Minicii assai, bresciani lutti, pago d' a-
vervi ricordati i più distinti ed accennata Y attinenza loro
colla celebre famiglia Giunia Rustica consolare. Cosi pure se
dei Giovenzj, dei Postumj, dei Comelj, dei Quinzj ^ e d'altre
famiglie di prestantissimo nome diramatesi fra noi volessi
pur dire alcuna cosa, non basterebbero assai pagine. Non
omettiamo per altro le seguenti:
1. Labus, Dissert. cit. in fine. 7. Tacit. m Agrie. capo 2. — Dio
2. Plin. lib. I, cp. 15. Cass. Histor. lib. LXVU, 13. —
3. Plin. lib. I, ep. 15. Plutarc. De Curiosit
4. MuRAT. iMcr. pag. 162, n. 4. — -8; Labus, Ant Epig. nuov. scoperta
Labus, 1. cit. pag. 32. ecc. Ivi lo stemma dei Minicii. -
5. Plin. L I, ep. 14, 15; L II,'ep. 16. Lapide del. Gòns. M. .Non. Arr.
6. Plin. lib. I, ep. li. Muciano ecc.
90
BRESCIA ROMANA
Matieni. — Il cui più antico stipite parrebbe un Publio
Matieno Exorato dal nostro Labus rinvenuto ^. Congiun*
tosi alla bresciana Romania Terzia ^ n' ebbe quel Publio
Matieno Proculo Ronianio Massimo che, morto a sei anni
e cinque mesi, i decurioni bresciani onoravano d' una sta*
tua equestre di bronzo dorato e di pubblico funerale : te-
stimonianza non dubbia, al pari de' cinque nomi di quel
bamboletto, dell' illustre casato a cui spettava.
RoMANiL — Marco Romanie Macrino; benché non abbia
ne' bresciani marmi che il titolo di Veterano ^, i molti liberti
suoi che per altre lapidi risultano ci apprendono la signorile
sua condizione.
Romania Terzia che abbiam nomata, Publio Romanie, Ro-
mania Severa e Romania Macrina, che fu poi sposa di H. No-
nio Mudano, provennero da lui ^.
Rosea. — L. Roselo Giuliano Paculo Salvie Giuliano nipote
dell'imperatore Didio Giuliano apre lo stipite più glorioso di
questa famiglia ^. Fu console suffetto a Manilio nel 937, e
nacque da Nummio Albino fratello dell' imperatore suddetto.
Sposatosi a Domizia Vettilla ^ n' avea due figli: Rosela Pacula
e quel Lucio l^oscio Àeliano Paculo pronipote dell' impera-
tore Giuliano, le cui proprietà di Concesio e di Monte Ro-
selo si- ponevano sotto la tutela di Giove Conservatore ^ nel
224 di G. C. — L. Roselo Àeliano era suo figlio; e da un mai^
1. Lab. Mod. ant 1823; ivi lo slemma
Matieno, Romanio, Nom'o e Roscio.
2. Rossi, Mem. Bresc. pag. 275. —
Labus, Mem. cit pag. 26.
3. MuRAT. iMcr, pag. 848, 1.
4. Labus, Moh. ant pag. 48, e Mar-
mi bresciani pag. 90.
6. Manut. Ori. Rat. pag. 585. —
Labus^ Moq. ant. Ivi lo stemma ec.
6. Ranza, Iscriz. scoperta ecc. 1783.
Vercelli.
7. Grut. p. 18, n. 10. -— Fabretti»
Inscript, pag. 695. — Labus,
Marmi antichi illustrati, pag. 21,
n. 26. --- Ferrabini, Inscr. Brìx.
pag. 167. — SoLAZio, Volpato,
Capriolo, ecc. — Labus, Moo.
ant 1823, pag. 48.
BRESCIA ROMANA 91
mo risulta che fosse console nel 976 di Roma S di Cristo
223. Ben ci fa merayiglia come il Bravo, che ha infarcita la
storia bresciana di consoli e magistrati da lui veduti in sogno,
dimentichi poi questo che realmente ci spetta. E per toc-
carvi di qualche altro personaggio limiterommi a questi:
ÀNTEROTE Asiatico. — Ne abbiam recato il monumento.
Fu seviro bresciano : fosse poi degli urbani ^ degli edilizj ^,
dei giuniori ^ non so certamente; ma sostegno agli edili nella
tutela degli edifici, delle terme, delle vie, degli spettacoli,
dell' annona, di tutto che spetta all'ordine della città, dei quali
era Azio Fusco *, Sesto Cazio •, Elvio Ursione ^, Rufo fi-
glio di Brigo vico •, Giunio Valentino ^ e Cajo Atestazio *^
Quarzione. I bassirilievi di quel marmo sono d'altissima im-
portanza, però che più di quaranta figure vi sono aggruppate;
e duolci che il marmo corroso ci tolga di coglierne con esat-
tezza il senso. Terrei simbolici gli stessi fregi. L'uno di
grossa vite ricca di grappoli, con un giovinetto recante ad ar-
macollo una pala nautica, direbbesi emblema dell' agro be-
nacense; l'altro d'altra vite più sfrondata, con. un uomo co-
perto il capo del rustico galero ^^ e satiri che ne discen-
dono, parrebbe rappresentanza dei nostri valligiani recanti
doni al sacrificio appiè dell'albero scolpitovi, tanto più che
on oblatore già vi depone le offerte. Ha il simulacro di un
i. Lapide suddetta dì Giove Con- 6. Manut. Or. Rat, pag. 161.
servatore, al quale noi crediamo 7. Rossi, Mem. Bresc. pag. 273.
dedicala quella che il Labus porta 8. Donati, Itiscr, pag. 261, 8.
a p. 23, e che non ardi supplire. 9. Murat. pag. 300, 1.
2. Grut. pag. 358, n. 6; 471, n. 5. 10. Murat. pag. 1373, 6. — Labus,
3. Grut. pag. 486, n. 7. Monum. antichi, pag.. 89.
4. Cyriac. Nov. Fragra, pag. 30. — 11. Labus, Del modo di coprirsi il
Bagnolo, Gente Curzia, p. 78. capo presso gli antichi Romani. -
5. Ro.ssi, Mora. Bresc. pag. 261. Leti era.
92 BRESCIA ROMANA
Ercole o di un Mercurio Enaganio, e presso la base due pa-
lestrìni ignudi e ludenti. Tutte imagini dei giuochi, dei do-
ni, dei sacrifici che forse Asiatico largiva neir assumere il
sevirato. Siede Asiatico sull'alto di un tribunale: ma più
che in aspetto delle sue largizioni diresti che i supplichevoli
chieggano ascolto alle loro querele. Tutt' altro che gran po-
polo spettatore deUa solennità ^, è a destra invece assai gra-
ve composizione : Y ingresso per avventura di Asiatico al se-
virato. Staccatosi dalla turba de' suoi clienti frenata da due
littori, sembra confabulare con chi debbe guidarlo al proprio
seggio, mentre un togato diresti porgere il decreto della sua
nomina : cose tutte per altro eh' io pongo nelle semplici in-
duzioni cui lascia luogo il carattere del monumento.
C. SiLio AviOLA— del quale Apisia, Siagita, Timiligia e Te-
metra città dell' Africa cercarono il patronato e la clientela;
e noi citammo altrove gli aenei decreti scoperti a Zenano di
Valtrompia '. Era prefetto dei fabbri, o come a dire del ge-
nio^; era tribuno della terza legione Augusta stanziata in
Africa neir età di Tiberio ^. Vedemmo per altro l' esagerato
valore a quelle tavolette attribuito.
MuNAZio PiCAZL\NO — equo publico honorato ', forse proce-
dente in origine dai Munazj Romani, celebri nei fasti consolari,
nelle medaglie, nelle pagine di Livio, di Tacito, dì Cicerone.
Lucio Acuzie Primo — cavaliere, decemviro, edile, questo-
re alimentario, flamine del divo Giulio, cui dedicavano i de-
1. Labus> MoDum. cìt. - pag. 97. Gnocchi, p. 30, 3l. — Morcelli»
2. Storie Bresc. . tomo li, p. 25. — De Stylo Inscript. eie* etc.
Rossi» Mem. Bresc. p. 177. — 3. Labus, Moa. ant. pag. SO, n. 1.
ToMASiN. De Tess. Hospit, eli. 4. Tàcit. Hist lib. lY, e. 48.
— Gagliardi, Mem. Cenomane, 5. Era quindi fra gli equUes mtcìuci-
pag. 223. — Grut. pag. 470. — paUi di Giovenale.
BRESCIA ROMANA 93
curìoni bresciani una statua ^; ed è noto che per essere ca-
valiere facea duopo del censo di 400 mila sesterzj.
Sesto Valerio Publicola — decurione di Brescia, di
Trento, di Verona, di Nicomedia; e Publio Postumio Fuscino,
ai quali V Ordo Brixianorum statuam auratam equestrem et fu-
nus publkum decrevit K
Publio Atilio Filippo — omam. decurion. BrixÙB, VeroncB,
CremowB honorato, cui fu eretta una statua per la sua mu-
nificenza nella fabbrica dell' anfiteatro bresciano '.
Sesto Valerio Vettiliano — patrono delle città dei Drip-
sinati e dei Vardagatesi (lo stesso che Gavardatesi, secondo
il Maffei), flamine perpetuo e sacerdote di Roma ^.
Non dirò dei seviri augustali, perchè più di cinquanta
lapidi a noi li ricordano, e perchè questo grado sì ambito in
prima, divenne poi comunissimo, sicché parve da ultimo
destinato ai soli liberti '.
H. PuBLiGio Sestio Calpuriano — flamine del divo Giulio,
prefetto, edile, questore, dove almeno un marmo del Rossi e
del Capriolo sia genuino ®.
P. Clodio Sura — flamine del divo Trajano, duumviro
quinquennale, curatore delle repubbliche di Bergamo e di
Como per decreti di Trajano e d' Adriano 7.
P. Stazio Paullo Postumio — cavaliere, tribuno della
legione VII Gemina Felice, seviro, questore delle province
•
1. Labvs, Marmi illustrati p. 65. — 4. Gagliardi, Mem. Cenom. p. 120.
2. Labus, Decur. e Tribù, p. 18, ove 5. Tartarotti, Marmo di C. Valc-
omise il nome di Nicomedia. rio Mariano. - Trento 182i, e. V.
3. Labus, Monumenti antichi scoper- 6. Rossi, Mem. Bresc. pag. 113. —
ti in Brescia 1823. — Odorici, Gapr. Histor. Brix, lib. l. —
Brescia Romana illustrata. L*An- Gagliardi, Mem. Genom. p. 106.
fiteatro. - E nelle Storie, tomo li, 7. Gruter. p. 392, n. 7. — Rossi,
pag. 48. M. B. p. 254 ecc.
94
BRESCIA ROMÀNA
dell' Àfrica, tribuno della plebe, prefetto, legalo, priore del
Ponto e della Bitinia, proconsole della Betica, al quale C.
Gominio Aufileno Miniciano come a concittadino ed optimo
et fwrissinuB fidei amico dedicava un monumento *.
L. Gabonio àrunculeio Pacilio Sevèro — Vir Clarissimus,
jusdicente della regione transpadana, proconsole designato
della provincia di Cipro *.
Gaudenzio — correttore dell' Istria e della Venezia, quan-
do però sia questi dei Gaudenzj bresciani, come sospetta il
Brunati, de' quali sono memorie nell' agro benacense \
Staio Esdra — fra i principali della Yaltrompia, e pre-
fetto della coorte Trumpilina ^.
Publio Postumio Mariano — curatore delia repubblica
Torinese per incarco degli augusti Severo ed Antonino '.
RixA Post. Pansa Valler. Giuvenzio Secondo * — che so-
stenne il consolato, ed al quale donno forse attribuirsi le Terme
Giovenziane della repubblica di Verona, compiute da M. Nonio
Arrio Muciano. Fu proconsole, tribuno della plebe, prefetto
dell' erario; fu legato d' Augusto nell' Aquitania, curatore al
Tevere, e per altri carichi principalissimi distinto.
L. Antonio Quadrato — Donatus Torquibus et ArmUlis a TQf.
Ccesare'', — C. Mesio Pigaziano, tribuno della legione prima
1. Gnocchi, p. 19. — Man. p. 100, 3.
— Ferr. p. 164. — CoRS. p.207,
— Grut. pag. 471, 2. ecc.
2. Gnocchi, pag. 26. — Ferrarini,
p. 136. — Murai, p. 704, n. 6.
— Doni, ci. V, n. 281.
3. Legg. dei SS. Bresciani (S. Gau-
denzio, note).
4. Labus, Monum. di F. Ingenuo il-
lustr. Ms. presso 1* autore.
5. Manutius, 0, R, pag. 627. —
Grutbro, pag. 306. — Ferra-
rini, pag. 168. — Volpato,
n. 104. — Corsini, pag. 205. —
Tom. 52.
6. Labus, Lapid. di M. Nonio Arr.
Muciano. — Bianchi, Manuzio,
Rossi, Grutero, Sambuca, Ga-
gliardi, ecc. — Lapide gii in
s. Urbano, ed attualmente nel pa-
trio Museo.
7. Lapide presso il Monte di Pietà.
BRESCIA ROMANA ' 95
Italica, questore della provincia dell' Africa *. — C. Ponzio
Peligno, dae volte legato pretorìale ex S. C. per decreto di
Tiberio Cesare *. — Lucio Settimio Macrino, duumviro, jus-
dicente e cavaliere. — Sesto Nigidio Primo, decurione
honore gratuito, ristauratore dell'ara di Bergiìno ^. — Aurelio
Giuliano, prefetto del pretorio, cui l'Orcio Brixianorum come
a patrono collocava una statua^. — Sesto Valerio Rufo,
prefetto quinquennale, jusdicente, che sappiamo da un mar-
mo funere publico honorato assieme con Bivonia Priscilla ^; e
cento altri che il nomare per singolo sarebbe infinito : nò
avremmo certo a ricorrere al nostro Bravo, creatore di con-
soli e di proconsoli maraviglioso. Il perchè noi chiuderemo
con Marco Nummio Umbrio Primo Senecione Albino , console
nel 206 con L. Fulvio Rustico Emiliano. Un marmo bresciano
or sono due lustri venuto all'aprico reca di Nummio per filo
e per segno le cariche supreme. E tanta fu la meraviglia del
Labus al discoprire di quella pietra, che scrivea tutto lieto :
» Questa iscrizione vale per me un tesoro; Marco Nummio ò
» cosa mia; viveva or fanno appunto 1638 anni: lo conosco, l'ho
i accarezzato, nò lui solamente, ma i suoi parenti, gli amici,
» le amiche, e ho dato un bacio al suo balio Erhodo e alla
» sua balia Sabina, e che so io. Egli non è bresciano, ma fu
» in Brescia, e deve ai Bresciani gran parte della sua fortu-
t na ^ » . E qui porrò fine, altri assai risparmiandovi; poiché
non è quasi grado civile, religioso o militare appo i Romani
1. Manuz, 502, 2. — Reinesius, pa- Labus, Tribù e Dee. p. 15. - Mar-
gina 466, 136. — GnuT. p. 433, 7. mi anU illuslr. pag. 120. n. 159.
— Gnocchi, p. 113. — Panvin. 4. Lapide scoperta a Torrelunga nel
De Uro. Rom. 61. — Tom, 1844.
Arago, Corsini ecc. ecc. 5. Lapide rinvenuta presso il ponte
2. Lapid. Averoldi, ora nel Museo. delle Grotte.
a Odorici, Slor. Dres. 1. 1, p. 112.— 6. Lettera a G. ioli 8 aprile 1844.
06
BRESCIA ROMÀNA
che sostenuto non veggasi da qualche nostro concittadino o
chiaro ospite nostro.
Mi guardi il cielo per altro eh' io v' abbia ricordati come
bresciani tutti gli uomini egregi di questa rapida nomencla*
tura. Quasi tutti per altro lo sono ; e gli altri, od ebbero of-
fici nostri municipali, come il trentino C. Valer. Mariano, che
spettando alla tribù Papia o Papirìa, sostenea nullameno il
decurionato di Brescia e di Trento, la curatela della Repub-
blica Mantovana ed altri carichi illustri; ^ o fra noi dimora-
rono lasciando un nome caro ed onorato, che vinse di tanti
secoli il silenzio.
i. Tartarotti, Monumento di G. Va-
lerio Mariano illustrato.
Altermine della Brescia Romana
siami permessa una rettificazione:
A pagina 58, linea 13, ove é detto:
Eranviperò le curie o palazzi du-
cali — piacciavi leggere : Doveva
essere ancora però quello della
Corte 0 palazzo ducale. Che poi
la Corte ducale di Brescia fosse
ad una palazzo regio ve lo prò*
vero più innanzi con un passo di
Rodolfo Not che viene mirabilmen-
te a suggello delle mie congetture.
— Cosi pure alla stessa pagina,
lin. 24, correggete: E notisi an--
cora che nel documento suddetto
dell' 889 (Codice Diplomatico Qui-
riniano, sec IX) leggesi — qua
dicitur Orrea.
LIBRO QUINTO
BRESCIA CRISTIANA
FINO AL CADERE DSL V SECOLO
L
I VESCOVI
Fumavano ancora sul campidoglio bresciano gli altari del
gallico dio Bergimo e del Genio Municipale; intomo air are
del mitrìaco Sole e delle capitoline divinità si raccoglievano
i tribuni, gli edili, i collegi, i decurioni; il sangue delle vittime
rigava ancora il pavimento del tempio di Vespasiano, e già
fuor delle mura nel silenzio di povere pareti si compievano
dai primi credenti altri riti ed altri misteri: un' aura ìstessa
portava con se la recita dell' istrione, il plauso della plebe
stipata nel teatro appo il foro dei Nonj, l' urlo delle belve
che nell' anfiteatro si custodivano, e la lenta salmodia de' po-
veri cristiani accolti nel cimitero di s. Latino , di cui parlano
il Brunati, il Boldetti, il Papebrocchio.
Chi fossero i primi propagatori del nuovo culto in questa
diocesi nostra, ed in qual tempo si gettassero i primi semi
fecondatori di un' altra età, è tuttavolta un' indagine avvilup-
pata di tenebre e di mistero.
OvoBia, Storie Srtte. Voi. IL '
98
BRESCIA CRISTIANA
Pare che sino dalla seconda metà del primo secolo Tao
mo di Dio s. Anatalone vangelizzasse fra noi S primo dei
nostri pontefici, di greca orìgine» che molti fanno discepolo
di s. Barnaba, altri sostengono mandato da s. Pietro istesso'.
Ma questo apostolato, questa imssione del presule di Mila-
no e di Brescia fu per altri contesa ^. Ad ogni modo, per ya-
lidissime ragioni che il Brunati adduce S non potea Barnaba
1. Per gè ... ad orientalem versus piar
gam, lapide sezagesimo Brixiam ...
qua est Alpibus contigua; et una ex
Venetiarum urhibus haud ignobi-
lis ... salutaria verbi pabula impera
tire. --Hisior, Datiana (Mil. 1848)
edita ed illustrala dal dotto cano-
nico Birago, il quale contro Topi-
ninne del Muratori e d* altri assai
rivendicherebbe quel codice prezio-
so al VI secolo. - Primus domnus
Anathalon eps. s. Catal. dei Vesc.
Bresc. prob. del sec. XII| e pub. dal
Graoen. (Brixia Sac. p. XXXIU,
Proem.).-E in unCod.Quìr. del X?
sec. A,1, 8. Primus Eps. Brix. fuit
Anathalon Mediolanensis Archiep,
% Paul. Warnbprious, t. YIU. Bi-
blioth. Colon. PP. p. 315, in Chron>
Ep. Metens. — Grad. Brix. Sac,
pag. 2. — 0N0PRi,De Sanctis
Episeopis BrixiawB Eccl, — Lo
Scaligero, il Grutero ecc. a noi tra-
mandaTano l* epigrafe che il dotto
Birago ha riprodotta (L cit. p. XLl).
D.Anatholoni Attico Secundo Epo.
PetriHospesSanetiBque Anatholon
Domne Probate Atque Idem Soeius
Bamabm etc. = Dum Tua Membra
Metu Rigidis Subducta Tjirannis
Brixia Vicino Detinet In Loculo
etc, — Sarà poi genuina? Benché
ristoria Daciana farebbe Anatalone
ordinato tcscoto da s. Barnaba (ti
imponens UH manus), hanno al-
cuni che lo sosterrebbero consacrato
da s. Pietro. Un erudito sacerdote
bresciano è fra questi, il cui pen-
siero in sì fatte indagini è sempre
di grave momento.
3. BuLLAND. Acta Sanctorum ad diem
XXV septembris. — Mabillon,
Musceum Italieum tomoi, pag. 109.
— TiLLEMONT,Jtii notis ad Vitam
s, Bamabce. — Bacchini, in Lib,
deEcel Hier, p. II. - Catena, Del-
Torigine della Chiesa Milanese ecc.
— Ed é poi messa per lo meno
in dubbio da Tristano Calco, il
quale per altro confessa di aver
trovato neir Itinerario di Clemente:
Barnaba ab Roma in Gatliam
profectus. — - Per non dire di
Arnolfo scrittore deli* XI secolo,
che citando storie antichissime già
fino d* allora, narra deirapostolato
di s. Anatalone, da s. Barnaba tras-
messo. Rerum Ital. Script, t IV,
col. 45. — Sassi, Vind. de adv.
s, Barnaba etc
4. Leggendario dei Santi Bresciani -
Note alla Prefazione, pag. 8.
BRESCIA CRISTIANA
99
trovarsi nell'Insubrìa e nella Liguria prima del Concilio di
Gerusalemme, nò prima della venuta di e. Pietro in Roma; nò
il vescovato del nostro Anatalone avrebbe dovuto incomìn^
ciare prima dell'anno 54 di G. C : priorità bastevole per as-
serire la nostra Chiesa più antica d'altre parecchie dell'Ita-
lia subalpina; e certamente delle Chiese di Bergamo, di
Trento e di Cremona.
Argomento dell' affetto di Anatalone per la nostra parmi
la circostanza che moriva tra noi, e che sepolto indubbia-
mente fu in un tempio suburbano della nostra città ^ Jacet
apud Brixiam urbem in Monte s. Floriani ; cosi un catalogo del-
l'XI secolo ^* — jacet m Eccl. s. Floriani^ in una cronaca antica
milanese; — e negli atti dei ss. Faustino e Giovila, juxta altare
Domini non longe a muro Brixice ^. Ed ecco già nominato un
tempio cristiano dei padri nostri all'età di Claudio e di Nero-
ne, di cui resta la tradizione infino a' nostri di nel colle di
s. Fiorano. Avea già prescelto a se medesimo Anatalone un
successore ' : Clateo nostro vescovo secondo, ma che nella
serie preziosissima del B. Ramperto apparirebbe primo ^
Se sapeste quanto s' ò detto e ventilato per ciò soltanto ! E
non riflettevasi che Anatalone, più che vescovo nostro, nel
più stretto rigore della parola dovea dirsi fondatore, istitutore
i. BiRAGO, Histor. Daiianaf pag. 16.
2. L. ciU Veggasi VOrdo antiq. Epite,
S, Mediai Eccl, - R. Ital. Script.
t I, par. U, col. 228.
3. Cod. Ambros. H, 56.
4. BuLLANO, AA. SS. 15 febr. e il
Lezioaar. Perg. Quirin. anteriore
al 1067. — A, I, 8.
5* Ordinavit iibi successores duoa,
allenm Mediolanemis, alterum
Brixiensia civUatis Episcop, —
Hist DaUana, e iV, p. 16, ed. ciU
6. Tract. de Transl. B. Pkilcutrii
a. 838, io etti nomina s. Filastrio
VII non già VIU vescovo di Bre-
scia; perchè a' tempi di s. Anatalone
Brescia non per anco faceva dio-
cesi da sé, ma era parte della Mi-
lanese. — Brunati, Leggend. Note
alla vita di 84 Latino, pag. 34.
100
BRESCU GRISTUNA
della Chiesa Bresciana; e che da Clateo soltanto principiò la
bella serie di que' vescovi esclusivamente bresciani. Ecco ra-
gione del silenzio di Ramperto, che getta qualche luce sulla
condizione dei vescovati primitivi.
Clateo dunque fu il primo vescovo dell' esclusiva diocesi di
Brescia. Successe Yiatore, di cui si vorrebbero custodite nella
cattedrale di Bergamo ^ le sacre ceneri. Ma se d' una trasla*
zione di s. Viatore ha memoria colà, non è poi certo che sia
Viatore di Brescia. 11 Lupi anzi lo sospetta un altro, e con-
temporaneo di s. Ursicino ^.
. Dal primo al settimo secolo abbiamo una serie d' uomini
virilmente e santamente operosi: e per limitarmi ai soli del-
l' epoca fin qui discorsa, rammenterò s. Flavio Latino proba-
bilmente nativo di Brescia, d' una cui figliuola, LatiniUa,
parla il marmo a lui posto da una sua nipote, cui Gradenigo^
Zaccaria ^, Ferrarini *, Volpato •, Tetti ^ , Arragonese *,
Labus ^ Brunati ^^ Manuzio ^^ ed altri han messo in luce.
Mancata la moglie ^^ assunta la stola sacerdotale, fu eletto
vescovo in luogo dell'estinto Viatore. È celebre la tradizione
1. Gradonicus, Drix. Sacr. pag. 11.
— Ferrarius, Topogr. in Martyr.
Rom, pag. 2. — Galearous, m
notis ad Martyr, Brix. — Ughel-
Lus, It. Sacr. t. IV, p. k\% ecc.
S. Cwi, Dipi. Bergom, t. I.
3. Lettera nel Giornale di Roma del
1752, 1753.
4. 'Storia Letter. d* Italia - tomo XI,
pag. 161, 164.
5. Jnscrip. — Cod. della Biblioteca
di Reggio. Viiohi nel Codice tra-
scritta fino dal sec. XV, a e. 160.
6. Inseript ant. Ms. trivigiano.
7. Mon.Ant. Urb. et Agr. Brix. p. 19.
8. Man. Ant, Urb. ei Agr. Brix.p.Zì.
9. Fasti della Chiesa 24 marzo.
10. Leggend. - pag. 29, 38, 39.
1 1 . Ortog. Lai. Rat. 1 561 , car. 589. ~-
MuHAT. Gruter. Baron. ecc. - Ee-
co la lapide:
FL . LATINO EPISCOPO
AN . Ili . M . VII . PRESB
AN . XV . EXORG . AN . XII
ET LATINILLAB ET FL
MAGHINO LECTORI
FL . PAVLINA NEPTI8
B . M . M . P
12. Anche ammogliato poteva ricevere
in quel tempo gli ordini minori.
BRESCIA CRISTIANA iOl
del cimitero cristiaDO di s. Latino S suburbano probabilmente»
e in sulla via Cremonese nelle ubicazioni dell' attuale s. Afra
(già tempo di s. Faustino ad sanguinemy o ad càrceres), o
perchè da lui costrutto, o perchè y' ebbe sepoltura.
Fiorì Latino sul cadere del secolo III a' tempi di Diocle^
ziano» e s'adoperò ad estirpare l'idolatrìa non estinta in
Brescia neppure nel quarto secolo '.
Intorno a questo tempo già il sangue dei martiri bre-*
sciani suggellava tra noi la santità del nuovo culto. Dissi
altra volta di un viaggio d'Àdrìano verso le Gallio, che
Brunati e Labus attribuivano all' anno 120. Aggiunse il
primo che, visitata la Gallia^ volle vedere eziandio la Germa-
nia; e che nel passare perciò da Brescia ebbe contezza delle
resistenze dei ss. Faustino e Giovita agli ordini suoi. Ma per
passare dalle Gallio in Germania non era duopo rivalicas-
se l'Alpi, e tornasse ai piani lombardi per poi risalire la via
Claudia Augusta, diversione poco meno che incomprensibile.
Fu nelle Rezie; la medaglia retica lo insegna, e sia: ma non
insegna il tempo, e molto meno che v'andasse di ritorno dalle
Gallio ^. Un' altra obiezione qui viene aggiunta ^ ; ed è che
Adriano, indulgente più eh' altro negli anni primi del proprio
impero, non infierì contro i cristiani che negli ultimi ^ ne'
quali Pagi ^ ed Enschenio ^ ancora terrebbero avvenuto il
martirio dei nostri santi. Ond'io mi rallegro col dotto Brunati,
il quale, per quanto mi sappia, nell' imminente edizione del
1. Brunati, Lcgg. p. 182. — Bul- 3. Greppo, Let Voyages d'Hadrien,-
LAND, 15 febr. p. 812, e 18 apr. Paris 1842, Il partie.
p. 525. — BoLDBTTi, Osserv. sui 4. Birago, Del marlirio dei ss. Fau^
Cimit 1. li, e. 17. — Enschen. - slino e Giovila. - Milano 1853.
Gradenigo. — Gagliardi, Adnot. 5. Hist. Datiana, capo Xlli. — Dio
Ms, ad Mari, Brix. Autog, Onofrù Cass. Hitt. lib. LXIX.
2. Galeardus, t» O/p. Patrum Bri- 6. in Baron, Hist. Eccl. AdnoL
xieimum, p. 319. 7. Ada SS, — In Vita s. AfriB.
102 BRESCIA CRISTIANA
8110 Leggendario (lavoro che per esattezza ed acume di spo-
sizione avrà certo il plauso de' miei concittadini) s' accoste-
rebbe coir erudito Birago ad ascrivere il costoro martirio al
135, molto più che de' viaggi d'Adriano non si ha data certa
fin qui ^ Ed è perciò che del passaggio di Adriano in Bresda,
per quanto riguardi le gesta dei martiri, non fa il Birago parola.
Ma gli atti di quei martiri ne parlano con tanta asseveran-
za, che fino a quando non vengano contraddetti da più valide
prove, dobbiam seguirli; tanto più che della sincerità del loro
complesso, dopo il dettone dal Labus, dal Bnmati, dall' Eo-
schenio (checché vi notino il Guadagnini^ e il Tillemont')
non è a muovere questione.
Narrano adunque che, usciti que' due fratelli bresciani da
cospicuo casato, abbracciavano poco più che adolescenti la
religione di Cristo, e che il nostro vescovo, detto negli atti
Anatalone, battezzasse que'due neofiti giovanetti.
Scendeva Italico (pt*obabilmente quel desso che una lapide
farebbe legato della legione XIII e XIY ^) neir Italia subal-
pina ad incontrare Y imperatore per ossequiamelo. Fattosi
tradurre in queirincontro a so dinanzi gl'invitti fratelli, tentò
indamo distorli dal nuovo culto.
Gli è però singolare che in un codice pergamenaceo Maz-
zuchelliniano di quegli atti stessi, non più recente dell' XI se-
colo, ed or posseduto dal reverendo prevosto di s. Agata, si
nomi questo Italico Comes Venetiarum. Senza dubbio gli fu
dato un officio di tempi assai posteriori, come quello di Co-
mes ItaliCB ^ che in altri esemplari antichissimi gli vien dato.
1. Les voyages d*Athènesel d'Alexan^ 3. Ménk i. II, pag. 259.
driesontlesseuhsurlesqueUnous 4. Gruterus, Corpus Inscr, p. 493,
ayons quelque chose de sur, Grcp- n. 1. — Birago, opuscolo cit
PO, 1. cit. p. 46. 5. Eccovi quanto me ne scnveva il
2. Animad, in Rom. Brev, art. 36. Labus: • Curiosa è la lezione Comtt
BRESCIA CRISTIANA
103
Passava in questa (cosi gli atti) Adriano dalla nostra città,
e udito come insistessero que' due cristiani, comandò loro
un sacrificio al Dio Sole Invitto S nel cui tempio furono tra-
dotti; ma non per questo piegavano.
Dannati alle fiere del nostro anfiteatro ^, ne uscivano illesi.
Salito r imperatore al campidoglio bresciano, fattosi tradurre
i due campioni, apriva loro il tempio di Giove ^ perchè
T* adorassero il nume supremo — fu inutile. Trattili col suo
corteggio a Milano, a Roma, a Napoli, sofferirono per quelle
capitali disumani tormenti; poi rimandati a Brescia, coglieva-
no in sulla via Cremonese fuor delle patrie mura la palma
del martirio.
Un po' diversa è la storia loro per altri atti che il Brunati
non ha preferiti, e che il Birago seguitò. Ma queste diver-
sità nulla tolgono al complesso dei fatti, i quali poi per tal
Veneliarum del Cod. Maizucbel-
liniano; cooveDgo pieDamente con
▼oi che la Venezia aulica esten-
desse i propri confini insino al-
TAdda. La colonna che a Va-
leotiniano ed a Valente Devota
Veuetia colloeavit a Verdello,
quattro miglia di qua da quel
fiume, ne fa sicurezza. Il titolo
di Comes Yenetiarum dato ad
Italico non prova però che i Cor*
rettori dell'Alpi Retiche esten-
dessero la loro giurisdizione per
tutta la Venezia. I Correttori fu-
rono istituiti da Diocleziano, i
Conti da Costantino; e nei nostri
marmi abbiam Cornelio Gauden-
zio Comes et Corrector VenetiO'
rum et Histrùt. — Forse Tau-
tore degli atti che scriveva nel
» VI 0 VII secolo ha dato ad Ita-
i lieo, equivocando, un titolo che
■ rettamente scrivendo non gli
■ apparteneva •.
1. DEO . SOLI . INVICTO è in un mar-
mo bresc4 che il Rossi nelle Mem.
Bresc. ha pubblicato.
2. In medio ludL - Bulland. 15 feb-
brajo, t. II. — Acta SS. MM. Faust
et Jov. p. 809, 812, 813, 817, cre-
dati deir XI secolo. - Codici Quirin.
degli atti stessi. — Brun. Leg-
gend. pag. 13 e seg. — Labus^
Fasti 15 fcb. — Birago, op. cit
3. Una tradizione di cinque secoli, che
il Malvezzi ha conservata, ci farebbe
supporre innalzata la basilica di
s. Pietro in Olivete appo i ruderi
di un tempio di Giove. — Chron.
Brix. in Ber. Hai, Script, t XIV.
104 BRESCIA CRISTIANA
modo nelle patrie leggende si travisavano, che muovono ad
un tempo rìso e pietà.
Sotto b tempo de s. Apolonio dei Cropelli gentiluomo bresscmo
(cosi quelle povere leggende) . . . essendo lo imperatore Adriano
nelle parte de Italia, lo venne a sapere el rabbiato cane conte YtaU-
co^ — e COSI di seguito; che non mi regge l' animo di darvene
più lati saggi per narrarvi della statua di Saturno, che ad un
cenno dei nostri martiri discende rispettosamente dai suo
piedestallo a tenere un pocolino di conversazione con Trajano
Augusto, e dei fratelli Ugoni accusatori dei nostri gentihumm
ss. Faustino e Giovita fratelli Pregnacchi^, discendenti da Scipio-
ne Cartaginese, e di cento altre fanfaluche rispettate quasi
fino al cadere del secolo passato. E' mi ricorda che in una
di quelle medesime leggende, dopo averci narrato di s. (huh
rio vescovo di Brescia, figliuolo di Costante, fratello di Costantino
Imperatore, che b fece marcime di Monferrato, duca di Ve*
nezia e conte di Savqja, termina poi con questa dicliiarazione:
Io Stefano dei Marini bresciano andai con s. Onorio a levar U
detto corpo (di s. Gervasio della Corte) et in fede ha exemplato
il suddetto Marini et scritto di sua mano. ^ (!)
Ma leviamci da queste pastoie ^, e ringraziamo la sana cri-
tica che, a stento pur troppo e contrariata, ce ne ha libe-
rati. Noi non diremo né di s. Clateo martire , né di s. Afra,
la cui patria non risulta, né dei ss. Alessandro, Evasio, Epi-
meneo; e ci associamo alle dubitazioni dell'abate Brunati.
Supposto è il titolo di vescovo bresciano a s. Evasio '; il
s. Alessandro di Brescia è un patente anacronismo del mar-
i. Coti. Quirùi. - D, VII, 21. iadignamur. Galbardus, m notir
2. BuiXANo. 25 septem. Marti/r. Brix, - Cod. autog. press<»
3. Cod. Qttirìn. - D, VII, 15. il prev. Onofri.
4. Merito putidas hujusmodi fabulas 5. Brunati, Legg. ciL — Prefaiion^
in Mttrtfirohgium Briz. irrepsisse e note alla stessa.
BRESCIA CRISTIANA 4 05
tire s. Alessandro di Bergamo S del quale si hanno veridici
atti ^ : s. Epimeneo non fu bresciano giammai ', come noi fu-
rono mai né Onorio (del lY secolo), né Savino, nò Cipriano,
DÒ Calocero, nò Secondo, nò Massimo, nò Venerando ^.
Questo mettere la falce in un martirologio già fatto popo-
lare, accarezzato dalla indulgente pietà dei fedeli; questo rì-
cidere crudamente le pie credenze delle anime cristiane,
attentare al culto (sia pure infondato) di religiose memorie,
parrà forse audacia. Ma il vero innanzi a tutto: e questa re-
ligione, che è tutta verità, non ha bisogno di santificare gli er-
rori tradizionali del volgo, di radicarli col suggello fatale delle
sue sanzioni, di porre altari ad esseri che mai non furono,
di confondere il culto dei veri santi coi sogni e coi fantasimi
del medio evo, di permettere che a que' fantasimi ed a quei
sogni si prostrino le genti, e porgano le offerte e i sacrifici
come ad una realtà.
Ma per tornare ai presuli bresciani dei primi tempi, una
dolcezza, un compenso al perduto - imperio avevano in que'
giorni le italiane città, e al pari di tutte la nostra — ed era-
no i vescovi.
S. Filastrio consecrato sacerdote verso il 360, d' ignota
patria, d' ignoti natali ^ di notissime virt ù. Propugnatore del
Vangelo contro gli ariani, compiva il suo Catalogo delle Eresie
prima che s. Epifanio ne pubblicasse il Bimedio ^. Fu a Mi-
lano (365-374) contro all'insidie dell'eretico Aussenzio^, vi
I. Bull. 26 aug. t. V, p. 798, 808. okilu «. Philasitii (PP. Bresciani,
% Labus, Fasti, 26 agosto. pag. Zl\ ).
3u BuLLAND. i8 /èòr. t UI, pagi- 6. BRUNATi,Leggend.-pag.&5,Dota9.
na 63tf — Hazoccht, CaUndar, 7. SedtibhAuxenti, miser» imperite -
Neapol. t I, pag. 62, 63. Restitit — Inno di s. Filastria
4. Brunati, Leggcnd. cit Prefazione ch'io riterrei composto dal mede-
pag. 2, ed. 8-9 nelle note. simo B. Ramperto. (Pubblicato dal
&. S. Gaudbntu, Sermo de viia et Gagliardi nei Padri Bresciani),
f06
BRESCIA CRISTIANA
conobbe s. Ambrogio : fu a Roma , fu in altre città dispensa
tore deir evangelica parola. Fatto vescovo di Brescia verso
il 380, in una città rozza, ma avida di dottrina ^, vi abbatteva
qualche profano altare sostituendovi la croce ^. Fu perse-
guitato in Milano dal giovane Yalentiniano II (385 - 386), o
piuttosto da Giustina sua madre, esso e il fortissimo s. Am-
brogio e quel Benivolo che, piuttosto di soscrivere un de-
creto fatale ai cattolici, sprezzate le lusinghe dell' imperatrice,
sciolto il cingolo, segnale della sua dignità (magister memo-
rice), lasciò la corte per chiudere nel silenzio i giorni suoi ^.
Ricordo quest'uomo, perchè da tutti gli storici nostri e
dal Labus medesimo creduto bresciano: fu detto che termi-
nasse la vita sulle rive del patrio Benaco, ma il monumento
che gli fu attribuito non è suo ^. Che fosse nostro concitta-
dino potrebbe argomentarsi dall' essere stato discepolo di
s* Filastrio ed intimo amico di s. Gaudenzio.
1. Gli è singolare la tradizione per 3. S.. Gadobnt. Opp. pag. 217, 2i9.
secoli serbata dal primo secolo in
poi della nostra alpestre sempli-
cità. Alla frugalitas atqut enim
TUstieiUu antiqua di Plinio, ag-
giugneremo il rudis, sed avida
doctrinm di s. Gaudenzio (Sermo
de vita eie.), Vagrestibtu animis
della Histor, Datiana ( e. Ili, pag.
13, ediz. del Birago) eie parole
deirinno di s. Filastrio (secIX)
quasi identiche a quelle di s. Gau-
denzio medesimo, ma che acchiu-
dono per altro un lusinghiero elogio.
Et rudem, sed tunc cupidam mone-
ti - Insciam quamquam^ tamen ad
doeendum - Firmiter promptam,
2. S. Gaud. pag. 253, 277, 319, 372
nei PP. Bresciani.
— RuFiNUS, Hist. Ecd. lib. XI,
e. 15. — SozoMEN. lib. VII, e. 13.
— NlCEFORO, lib. XII, e 19. —
4. Brunati, Leggendario, pag. 94.
Vita di 8. Gaud. Mote. — Labds,
Fasti 4 aprile: e neifuno e ne(-
r altro la celebre lapide cosi detta
di Benivolo, della quale non re-
reslano che pochi frammenti Ma
il Brunati (Dizion. degli uomini il-
lustri della Riviera di Salò —
Benivolo ) trovava col Gagliardi
neir INDYSTftlO . AG . BENITOLO
della ricordata epigrafe di To-
scolano due epiteti di M. il«-
relio Dubitato, e cancellava dai
monumenti di Benivolo un marmo
che per tal modo non gli spetta.
BRESCIA CRISTUNÀ 107
Conversò Filastrio col sommo s. Agostino *; tornò in Bre-
scia, dove poco appresso mori dominando Teodosio.
Sepolto in s. Andrea, vetustissimo tempio suburbano che
sorgeva di rìmpetto air attuale rivellino del Ravarotto, fu dal
B. Ramperto trasportato in s. Maria, Y attuale rotonda, cin-
que secoli e mezzo dopo la sua morte, con questa epigrafe *:
PHILASTRIVS
BEATISSIMAE MEMORIAE
HIC REQVIESCIT IN PACE
Il celebre s. Gaudenzio padre della Chiesa', che nato
probabilmente secondo le induzioni dell' abate Brunati sulle
rive del nostro Benaco, e forse in Toscolano ^, peregrinò in
Gerusalemme ^ fu in Antiochia, e vi conobbe il Crisosto-
mo \ Morto Filastrio, il clero ed il popolo bresciano accla-
mavano Gaudenzio loro vescovo. Rifiutavasi l'eletto; ma poi,
costrettovi da s. Ambrogio, fu a Brescia, ed ebbe dalle sue
mani l' episcopato '.
i. AuG. Ad Quodvttltdetun. — Frmf, Brescia non sì potrebbe asserire:
in libr. de Hmrts. né mai (jnel vescovo chiamò pa-
8. B. Rampertus, De Trans. B. Phi-- tria sua la nostra città. Tanto ar-
to/ni, pag. 388, in Galbaro. Op. gomentava V autore del Leggen-
PP. Brix, p. XIX. — Gradonicus, dario.
Brit, Sac. pag. 46. — Brunati, 5. S. Gauo. Sermo de Dedie. Ecci
Leggend. pag. 52. - Lezion. Quir. Condì, Sanctorum, pag. 340: td,
anteriore al 1067. A, I, 8. Galeard.
3. Dei Sermoni di #. Gaudenzio ven- 6. Tillemont, Mémoires, tomo X,
ne fatta dal canon. Gagliardi nei pag. 582. — Gradenigo, Brix.
PP. Brix, una splendida ed ac- Sac, pag. 56. — Brunati, Leg.
curata edizione. 7. Tillemont^ Mém. ci$, pag. 582,
4. D'una Damigiia Gaudenzia parlano 583, tomo X. — S. Gauo. Sermo
ì marmi di Toscolano; il che di iti die ordinai, eui.
1 08 BRESCIA CRISTIANA .
Amico di quel Benivolo che abbiam nomato, e eh' era capo
dei decurioni di Brescia, gli diresse alcuni ragionamenti
(Sertnones) venuti insino a noi, che recitava egli stesso nella
casa deli' amico ^ tra fidati convegni; ed in uno degli anni
(400-402) in cui Alarico invadeva l'Italia ^ consacrava un
tempio da lui medesimo fondato nella nostra città, e depo-
nendovi le sacre ceneri che dall' oriente avea recate con sé,
gli dava nome di CondKo dei Santi '.
Del 406 lo vediamo spedito con altri vescovi da papa In-
nocenzo I air imperatore Arcadie per ottenere la liberazione
di s. Giovanni Crisostomo, deposto ed esiliato da Arcadie
stesso. L'ambasciata ebbe un esito infelice ^; ma Criso-
stomo lo seppe, ed il nostro Gaudenzio ne ringraziò \ Il
quale tornato alla sua città, onorato dal celebre Rufino di
Aquileja colla dedica delle tradotte Ricognizioni attribuite al-
lora a Clemente Romano^ (a. 410), chiuse un anno ap-
presso nella pace del Signore i suoi giorni, e fu sepolto nel
tempio di s. Giovanni da lui medesimo innalzato '.
Questi erano vescovi : le fidenti anime loro s' informavano
tuttavia della mansueta pietà dei tempi apostolici, dei quali
cosi recente, sì venerata era ancor la memoria. Non è dub-
bio alcuno che all' evangeliche fatiche dei santi Filastrio e
Gaudenzio fosse allora dovuta la propagazione per l'agro
bresciano del nostro culto, e l' accostarsi delle moltitudini
ai battisteri, e lo innalzarsi delle nostrechiese, che poi do-
vevano moltiplicarsi fino a' limiti estremi della diocesi na-
1. Quos apud te oUm eie, (p. 220). 3. Gagliardi, PP, Brix, pag. 191,
2. E quelle invasioni già il santo ve- 4. Stiltiny, Ada Sanetor. 1 4 #q»l.
scovo avea prenunciate. Inter /le- 5. Lett. 18i del Crisostomo, secondo
ricula imminentium harbarorum T edizione del Monlfattcon.
auxilio protegi divino mereamur 6. Brunati, Leggend. - p. 89, t02.
(Ili Traci, e/c p, 317. PP. Brix.) 7. Grad-^hx. Sac, Proem. p.XXXlIL
BRESCIA CRISTIANA 409
scente. E un inno preziosissimo . del secolo IX Sabini,
Trumpilini, Benacensi, tutti invita del pari ad intaonare col
popolo bresciano al venerando Filastrio un cantico di gra-
titudine.
Fertilem cantum, habilator omnis,
Quo fluii Cleosa^ fluii a(que Mella,
Circuit currens Ollium recurvum,
Concine mecum.
Istius cantus tnodulalor adsit
Nostra Benaci habitans et ora^.
E mentre que'due pontefici spargevano cotanta luce, quasi
a compiere e confortare il santo apostolato, negli anni stessi
un altro sacerdote, il martire Vigilio vescovo di Trento, scor-
rea le terre del bresciano, del trentino, del veronese, bat-
tezzando anch'esso i popoli accorrenti alle sue predica-
zioni, benedicendo altari al vero Dio. Tanto abbiamo dagli
atti suoi, pubblicati dal Papebrocchio ^, ritenuti dal Tarta-
rotti ^ anteriori al secolo IX , e giudicati dal Mabillon nel
loro complesso verìdici narratori ^. E quegli atti raccontano
che, lapidato a morte (an. 400) dai valligiani di Randena
tenaci adoratori di un loro Saturno, mentre i discepoli dell'e-
stinto lo si recavano a Trento, venisse contrastata loro la spo-
i. Galeard. PP, Brix. p. 289. — Sì 1 Aeta SS. ad diem XXV jun. Vigi-
osserri come sino dal IX sec. i con- lius . . . exit ad ierriloria Vero-
fini deli* agro nostro abbracciassero nensium et Brixianorum ; et mut"
Torà fio«/ra BefMcì, che tanto dal titudinem populorum agresiium
Maflei ci venivano contrastati. Ri- Christo per baptisma acquisivit
tengo nel Olisi (il Clewi3 degli Itin. fundaiis ultra triginta ecelesiis,
cìU dal Cluver. IL Ani. 1. 1, p. i\Z, ) 3. De Orig. Ecel. Trident. § 14.
e nel Mella poeticamente sottintese 4. Pntf, in smc V Ord. Benedica.
le valli coi sono discorse. VI, n. 93.
1 10 Baescu cristiana
glia da una turba di Bresciani presso il fiume Sarca, e che
alcuni mercadanti salodiani (ex Salonitis quoque mercaUmbus)
seco recassero un velo inzuppato nel sangue del martire.
Ove non sia questa una interpolazione, il che rimarrebbe
per altro a dimostrarsi, n' avremmo la notizia che fino dal
cadere del secolo IV la terra di Salò già si levasse a qualche
floridezza pe' suoi commerci colle città vicine : ed è a notarsi
per queste vicendevoli relazioni la Porta Bresciana di Trento,
che forse dal secolo V nomavasi negli atti di s. Vigilio. È
certo ad ogni modo che neirVIII quelle exuoim del mar-
tire erano fra i Saloniti veneratissime ^
Altri vescovi seguirono da poi, tutti accolti nel novero dei
santi, ma dei quali non ha memoria che nella serie del B.
Ramperto, il più prezioso martirologio bresciano da noi co-
nosciuto, ed in qualche sinodale sottoscrizione: onde noi rie-
pilogandola, v' aggiugneremo quelle date che risultano dalla
storia, e nulla più.
DI CrUt* -
L tt4-67. S. A?r\TALoinB. — Lezion. Quirin. del sec. XL — SUL
Datiana. — Paulus Diaconus. — Arnulphi Hi'-
star. MedioU — Serie del Tolti (secolo XII)
pub. dal Gradenigo, ecc.
IL 07. S. Clateo. — Lezion. Quirin. del sec XI, e Serie
del Tolti.
IIL S. YiATORE. — B* Ramp. Ep. De Trans* S. PhiU
ly. S. Latoto. — Epigraf. ant.
V. 120? S. Apollonio. — Atti dei Ss. Martiri Faustioo e
Giovila. — Cod. Quirin. del sec. XL (Sede va-
cante per due secoli, ne^ quali non e infon-
dato il sospetto che la Chiesa Bresciana si
reggesse dai vescovi di Milano).
i. Uhi NVNC Ckristus per auwn fide- parole delio scrittore di quegli atU,
lem plurima signorum insignia che all'VlU secolo dalla critica più
indesinenter,,. operatur eie Sono severa si attribuiscono.
BRESCIA CRISTIANA 111
VL 5h7, S. Unsicmo. — Lei. Quirin. delPXI secolo. — Serie
del Tolti. -^ Atti dei Concilio Sardicense.
VII S. FAusTiifo. — Lezion. Quirin. 1. e. — Adonis Mar*
tyrol. sec. IX in Grad. Brix. Sae, p. XIV.
Vili. 580-387. S. FiLASTRio *. — Lib, De hteresibus ejusdem epis,
— S. Jugust Epist et S, Gauden. Serm, —
Carmen, et Serm. B. Ramperti. — Concilium
Jquil. Aeta^ ete»
IX. 390-410. S. Gaudenzio. — S. Jo. Chrisost.ef. 184. — BufintiS^
in lib. Beeogn. — S. Gaud. Opera. — Pallad.
Fita S. Jo. Chrisostomi etc.
X. »../., S. Pàolo. — B. Bamp. Serm. — Caìend. ani. '; —
ed è felice la congettura di chi io sospettò fra-
tello di 8. Gaudenzio 3.
XL S. Teofilo. — B. Bamperti Serm.
XII ^ S. SaviRO, fi
Xill S. Gaudioso. n
XIV. • . 451. S. Ottaziaro *. n et ConcH. Mediol. Ada.
XV S. Vigilio.
XVr S. Tiziano. »
fi
IL
LE CHIESE
Ma quali templi si erigessero allora dalla cristiana pietà,
dove surgessero i primi nostri altari, succintamente ricer-
cheremo.
i. Chiamato npiimut dall* Inno del 6. Qui . . . crediiur eum ipstun esse cui
Ramperlo,e ne vedemmo le ragioni. Diacono Gaudentius Tractatum
2. É un Calendario dell* XI secolo inseripserat . . . quemque fratrem
pubblio, dallo Zaccaria (Excurs, suum nominat carnìs ete,
Litter. p. 352). 4. Fu presente al Concìlio Milanese
3. Onofri, de Sanctis Episcop. Brix. del 451.
112 BRESCIA CRISTIANA
La più antica delle chiese di cui resti memoria parrebbe
la suburbana che poi fu detta di s. Floriano, già suir alto del
colle di quel nome. In essa poc' oltre alla metà del primo se*
colo pare fossero sepolte le ceneri di s. Aoatalone ^ : la trovo
ricordata in un documento del 1023 * e neir elenco delle
chiese bresciane del 1150 '; e a tacer d'altro, raccontaci il
Nassino che aveva la gesta de le capette sotto terra, e che fu
distrutta nel 1517 con t7 ccnvenlo K
S. Andrea. — Si levava rimpetto alla porta bresciana di
quel nome, che aprivasi allo sbocco della via del Ravarotto,
là dove termina colle mura. Che fosse anteriore al secolo IV
non è a porre in dubbio. Il B. Ramperto (secolo IX) ci fa
sapere che già da cinque secoli prima di lui vi riposavano le
ceneri di s. Filastrio '. È nominata da Rodolfo Notajo (anno
825 ^), e già fino da quel tempo la porta bresciana ivi
presso Irovo chiamarsi di s. Andrea ^. I documenti di
quella che ancor ci resta sono custoditi dal colto sacerdote
Onofri prevosto di s. Agata, alla cui gentilezza io debbo ia
loro trascrizione. I più antichi non risalgono che al XII se-
colo; vi si parla però di collegi, di sacerdoti a quella chiesa
uniti, e di un ospitale. Ma tutto fu raso a terra nel 1 438,
perchè non servissero quelle fabbriche nel celebre assedio
d'i appoggio agli inimici ^.
,i. Testimonianze citate più addietro. 7. Contr. priv. dell* 824 nel Codice
2. Cod. Diplom. Quirio. secJXI. Diplom. Quirìniano, secolo IX.
3. Pubblicato dal Doneda neQa Zecca S. Provis. Municipali dì quel tempo.
Bresciana e di Bologna. — Da un atto del 1287 abbiamo
i. Memor. Autog. Quirin. C, I, 15. che la chiesa era vicinissima alle
5. Quod ferme centum lustris , , . oc- fosse della città: in fundum fonati
euUavit corptM eie. — Sermo m juxta regiam predictte eeeletia cui
Trarulat B. Philasirii ete, eoheret ... a maiiie murum fot'-
C. HisioHoìa pubblic. dal Biemmi - «o/t, a sera murum portm em-
tomo II delle Storie Bresciane. taii9 Brim- — Arch. di s. Agata.
miESCU CRISTIANA 413
S. Apollonio. — Era tempio suburbano Ticinissimo a
s. Andrea. Più ragioni suaderebberci locarlo fra i primi della
Chiesa Bresciana, tanto più che il presule di quel nome
si vorrebbe sepolto juxta aliare Domini non longe a muro
BrixicB ^: parole che alludono forse al tempio soprascritto.
Antichissimo era il culto del santo vescovo, e sì diffuso era
già nel secolo Vili, che il duca Marcoaldo legava le sue ric-
chezze alla basilica triumplina di s. Apollonio ^. Alla subur-
bana di cui parliamo, nominata dal Biondo ^ e dal Malvezzi ^,
rapiva nel X secolo il marchese Attone alcuna relìquia ^; il
perchè Goffredo vescovo traslocava le ceneri di s. Apollonio
in s. Pietro de Dom. Ha un documento del 1133 ^ stipulato
in confessione s. ApoUonii. La chiesa fu spianata con altre assai
delle suburbane sul principiare del secolo XVI '.
S. Faustino Martire. — Basilica nominata dal martire ivi
deposto nel IV secolo dal santo vescovo Faustino^. È di
quel tempio ricordo nel libro IV dei Dialoghi di s. Gregorio
(a. 594?^) per un Valeriane patrizio nostro che, immerite-
vole di tanto conforto, vi fu sepolto. Dissi accaduta nel IV
i, Lezion, Qair. anter. al 1067. A, I, 8. 8. Qui eorpora ss. Faustini et Jo-
2. RiDOLFUS NoT. HisU E noliosi que- vita colUgit. (Excerpta Martyr.
ste parole: Et in ipsa Ecclesia Adonis), — Graden. B. S. Prcef,
«. Apollonius et s. Filaster Pa^ Ecco la traslazione di cui tanto
ganorum iram fugientes, sacra si è cercata finora la presuntiva età.
officia persolvebant. Che dal solo nome di s. Faustino
3. Decad. Ili, lib. IX. la basilica s'intitolasse non è
4. ChromeouBrix. R, It, Set, t. XIV. meraviglia. Di essa ìihi corpus B.
5. Lezioaario suddetto. — Sigonius, Mari, Faustini quiesdt scrive nel
De Regno Italico. — DoNizo, in IX secolo il vescovo Agano (Lupo,
Vita MaUldis, in Ber. Ital. Script Cod. Diplom, Berg. t I, p. 693. —
tomo V^ col. 350. Mabil. AnaL Ben, eie, p. hHl.
6. Codice Diplom. Quirìn. sec. XII, 9. Trova, Cod. Dipi. Long. n. CXXL
ed autog. presso di me. — Graden. Brix, Sacr. p. 83. —
7. Nassino, Mem. Cod. Quir. C 1, 15. S. Greg. Dial. 1. IV, 32.
Ototici, storti Bnse, V»L II. S
1 i 4 BRBSdA CRISTIANA
secolo la traslazione ricordata dal codice Adornano per Ta*
lidissime ragioni che il dotto Brunati verrà sviluppando nella
prossima pubblicazione del suo Leggendario. Quella basi-
lica non era forse che l' attuale s. Giacomo od altra chiesie-
ciuola ivi presso, dalla quale Petronace di Brescia togliea nel
secolo Vili la celebre reliquia di Monte Casino S e da cui
Ramperto trasportava nel tempio e monastero da lui co-
strutto nel secolo consecutivo, e secondo alcuni presso la
chiesa di s. Maria in Sylva, le ceneri dei martiri Faustino 6
Giovita *.
Concilio nEi Santi. — Basilica probabilmente fondata da
s. Gaudenzio, cui forse benediceva nel tempo dell' invasione
d' Alarico (400 - 402), e chiamata CondUum Sanctorwn ^ per
le ceneri quivi depositate dei quaranta martiri di Sebaste,
per quelle d' altri santi, e più di s. Giovanni il Precursore.
Gli era forse la stessa chiesa di s. Giovanni Evangelista ri-
cordata da un documento muratoriano del 761 ^.
Neir Historia Datianas altrimenti De situ civit. Mediolam,
hanno queste parole: Sancta DeposiHo ipsius (Anaihalofds), ad
Concilia SanctQrum ^, sacro luogo che parrebbe anteriore alla
basilica gaudenziana: se non che il Brunati sospetterebbe
con quel nome indicata la basilica di cui parliamo ^
Essendo fuor delle mura cittadine, assunse nome di s. Gio-
vanni de foris, come si legge in una carta del 1109 ^, nonché
i. Brunati, Legg. p. 2ì1.-—Zagcar. 5. Birago, HisL Daliana,
Storia della Badia di Leno. — 6. Ma il passo che abbiam recato: j*-
Mai, Scrip. Veter. Vatic. Coli, eet apud Èrixiam in Eed. s. FA»-
tomo V, pag. 51. — Leo Mar- rioni, lo tiene in sospeso.
8ICANUS, Chron. Casin, lib. I. .7. In suburb, urbis Brit, apud Eed.
% Brunati, Leggendario, pi 18. s. Joan, de Foris. Memorie e
3. S. Gaud. De dedic, basii. Concila documenti della chiesa parroo-
Sanctorum (PP. Brix, p. 336/ chiale di s. Giovanni, raccolti dal-
4. Amiq. hai M. jEvi, t. Il, col. 407. F abate Zucchini
BHBSCI A CRISTIANA 115
nel catalogo del Tolti pur di quel secolo. Fu incendiata nel
1151, e rìcostrutta da pcH K
Cimitero di s. Latino. — Non ha vetusto documento che
ne convalidi l'esistenza, dove tale non sia la tradizione che lo
colloca presso il tempio di s. Afra, e la sacra epigrafe di La-
tino vescovo che abbiam recata. Stella ', Boldetti ^, Bruna-
ti S Doneda ^ Papebrocchio ^ favellano di quel cimitero. Il
sapersi che appunto sulle vie suburbane si aprivano quegli
asili dì morte ai primi fedeli, che quivi era proprio la via
Cremonese, e eh' ivi parrebbe scoperto il marmo di s. Latino»
ci fa credere assai probabile la congettura. In quanto a
s. Faustino ad sanguinem, creduto antichissimo sacrario, non
ha memoria che mi conosca prima del secolo XII. Che s. La-
tino vi possedesse degli orti parve indubitato al Bravo : d' on-
de avesse la notizia chi'l sa?
IIL
LE COLTURE
Alle glorie degli uomini succedevano quelle di Dio; ed
era fatale che già presso a dissolversi il vasto edificio della
potenza italiana, d'ond'era dal luogo stesso partita, derivas-
se un'altra potenza, una scintilla rionovatrice che dovea scor-
rere d'un tratto per quanto è vasta la terra. S' egli è vero
che già fino dalla metà del primo secolo fosse una Chie-
i. UocannoEccl.s.JoantUs de ForU 4. Leggend cil. pag. i82.
combussit. Cron. di s. Salvalore. 5. Sacro Pozzo di s. Afra. Ms.
2. Risposta ai PP. Bollandisli. 6. Apr, tomo IL r- PropyL Anti^.
3. Osservaz. sui Cimilerì — lib. U. p. 111.
i 1 6 BtlESCl A CRISTIANA
sa fra noi Bresciani, non è a dubitare che odiati, com«
battuti, perseguitati ne fossero gli adunamenti: opperò qui
come a Roma e da pertutto al primo nascere di que' poveri
sodalizj, riti e preghiere di soppiatto, martiri che sfidano gli
apprestati supplicj, neofiti accorrenti ai lavacri battesimali,
vescovi che pregano per chi soffre e per chi fa soffrire, pre«
sidi romani che tentano di spegnere a viva forza fra noi que-
sto culto, strettivi dai decreti di Nerone, di Domiziano, di
Trajano, di M. Aurelio, di Sett. Severo, e cosi via; quale pre-
scrivente la strage, la sevizie, V immanità; qual più mite bat-
taglia, ma legale, insistente, organizzata. E non per questo
le stoltezze, com' e' dicevano, cristiane già empivano le intere
province, sicché lagnavasi Plinio che derelitti omai restas-
sero gli altari delle patrie divinità. E tutto un altro secolo
durò, crebbe, soffri questa, che taluni osan chiamare so-
cietà secreta ed altri scuola filosofica, ma che era moltitu-
dine e forse già pluralità neir imperio.
Da un altro lato la cristiana operosità subentrava con al-
tre colture alle colture affievolite e cadenti dello stato lati-
no: alla dinervata parola, ed ai sensi e concettini e astruserìe
degli scolastici e dei rettorìci, subentrò la semplice, grave,
persuadente eloquenza cristiana. È naturale; non ha elo-
quenza ove non sieno gravi fatti, importanti a discutere od a
ritrarre: le colture antiche seguivano l'inerte, irresoluto, va-
cillante impero; le cristiane si nutricavano della importanza
della missione, si esaltavano dal sentimento e dalla convin-
zione di loro celeste orìgine, sentivano di farsi vendicatrìci
della libertà dell' uomo e della sua dignità.
Ond' è che la coltura cristiana doveva essere sacerdotale,
ispirarsi all' aura sacra del tempio, schietta e semplice come
il Verbo da cui proveniva. Epperò non è meraviglia se la
rude Brescia venisse ben presto a rìscuotersi . per le calde
BR£S€1À CRISTIANA 117
parole di Filastrio e pel Catalogo che di lui ci rimase delle
Eresie S da s. Agostino rammentato ': e di questo s. Gauden-
zio n'assecura'; di quel Gaudenzio probabilmente brescia-
no, ne' cui sermoni le patrie lettere diremmo rappresen-
tate. Ed è da questi che alcun lume ci viene sulla coltura
della nostracittà nel lY secolo: perchè non può credersi che
a noi dal pulpito rinfacciasse e r argento accumulato, le mar-
» moree case, le seriche vesti e i compri monili, preziosi di
> gemme e d' oro, a dispetto delle angustie dei tempi > se
realmente queste opulenze non fossero state nella patria
nostra: e se le donne f che se medesime coprivano e le
> figlie loro d' aurei vezzi e di margherite, e se i cavalli
» bardati a fregio d'oro e d' argento » non erano tra noi, con
qual fronte rimproverarceli *?
L' eloquenza di questo padre bresciano risente di quella
gravità un po' concitata che è propria dei più grandi oratori
cristiani del IV e Y secolo, quando la parola dovea sorgere
animosa per combattere con vigore i potenti nemici del
nuovo patto: è l'eloquenza che sempre ammiriamo nelle
grandi rivoluzioni dello spirito umano. Epperò non è mera-
viglia se, mentre dal pulpito predicava Gaudenzio, ne scri-
vessero secretamente i notar] gli eloquenti sermoni, attalchò
lagnossene alcuna volta egli stesso *.
Ma l'arti non andavano, non potevano andare di pari passo
colle sacre lettere : é ne' bassirilievi che si conservano nel
i, Gaguardi, Opp, Pairum Brix, 4. Sermone II sopra alcuni capitoli
Praf. — Gallano, Bibi Patr, degli Evangeli, in cui come nel
t. VII, prò leg. p. 17. sermone III prenuncia T imminente
% S. AuGUST. IH-cBfaiio ad librum irruzione dei barbari: quella certa-
dc Hxruibus ad QuodvuUdeum. mente guidata dallo stesso Alarico*
3. S. Gaudentius, Sermo de Vita 5. Galeard. in Praf. ad Opp, Po-
s. Philaatr. — Opp. PP. Brix, ciL trum Brixienùum.
/
/
416 BRESCIA CRISTIANA
sa fra noi Bresciani, non è a dubitaif i ^ I0
battuti, perseguitati ne fossero gli adr e ^^ ^ ^
come a Roma e da pertutto al prii^ | f '^ irose
sodalizj, riti e preghiere di soppif J j > ^^^j^.
apprestati supplicj, neofiti acc^/f \ ; ^ìjì gj^
vescovi che pregano per chi /-^ / ^7 - / ( jbe, quel
sidi romani che tentano di , • / i > f .• ,a l' epigrafia
sto culto, strettivi dai d ; ^ .- ' •' jila che Agostino
Traiano, di M. Aurelio. / i ;' / a sua dolcissima con-
scrivente la strage, 1'. .- , ' .da poneva ad Azio Pro-
taglia, ma legale, / ^ il marmo di Flavia Paolina,
le stoltezze, com' / anilla sua figlia ed al leitme Marti-
province, sicch ' monumento di Flavio Iggo scvtarivs
sere gli aitar .itri parecchi. Né io dirowi della lapide
durò, creh"
cietàsec COELIAE PATERNAE*
dine e MATRI SYNAGO&AE
D' BRIXIANORVM
trp
r ^a quale ritenuta dal Gagliardi ^ dal Bravo ^ da più altri
^sciani monumento di una congregazione cittadina dei
^. Presso il Museo Bresciano. Lab. Fasti della Chiesa 24 mano.
i. Serve di pavimento alla chiesic- —E noi pure Tabbiam riprodotto
ciuola di quel titolo. in queste pagine.
^. P. Zaccaria, Monum. della Badia 6. Rossi, M. B. p. 275. — Grot.
di Leno, pag. 61, 62. — Ga- pag. i052. — Fabretti, p. 222,
/ guardi. Parere ecc. — Brunati, n. 588. — Gagliardi, Parere ec
/ Leggend. citato: ivi le EpigraQ Cri- § 36. — Gori, VII, pag. 337. —
stiane dell'agro bresc. p. 191 e seg. Brunati, 1. cil. p. i95. — Murat.
4. ToTTi, ÌÌQnvm. Ani. Urbis et Agri p. 1873. Già suburbaaa al Patro-
Brix. — Manutius, Oriograph. cinio, ora nel patrio Museo,
pag. 89. — . Fabretti, pag. 584, 7. Parere sugli ant. Cenom. § 36.
n. 178. — Brunati, L c. p. 192. 8. Storie Bresciane, tomo I, Wi. V,
5. Brunati, 1. cit. pag. 29, 38, 192. - pag. 142.
BRESCIA CRISTUN A i 1 9
•
primi fedeli, non lo è per quella vece che del quartiere fem-
minile di una sinagoga di bresciane ebree, come sottilmente
avvisava il dotto Brunati ^ Ha un marmo ebraico *, che rArra-
gonese ci dà; ma il Bravo lo si vorrebbe de' primi cristiani, e
per soprappiù artatamente vestito alla giudaica! — Bensì mi
è caro aggiugnere come alle scuole milanesi aperte già fino
dal secondo secolo convenissero i giovani bresciani, avvegna-
ché di uno che in Milano avea compiuti gli studj suoi — nisci-
pvLATVM iNiBAT MEDioLANO (sic) — cl rosti la pietra funebre ^*
Nò vuoisi omettere la memoria insigne di un coltissimo
Bresciano del quinto o sesto secolo di Cristo, ignoto agli
storici nostri, ma non al Marini, che pubblicò nelle sue di-
spute sul papa Felice il marmo che in Roma gli si collo-
cava, e che dal Brunati venne illustrato ^.
E per tornare a' costumi, se le parole di s. Gaudenzio al-
ludono ad opulenza municipale, ha un altro passo in cui
parlerebbe di fameliche turbe alimentate dalla carità sa-
cerdotale della nostra Chiesa, la quale ben altra della Ro-
mana potrebbe doversi congetturare a que' di, se vogliam
credere alla testimonianza d' Ammiano Marcellino, il quale
fa dei vescovi provinciali meritato elogio.
> Quando considero il fasto mondano (sono le sue parole)
> con cui vive chi tiene in Roma quel seggio, non meraviglio
> se chi lo sospira non perdoni a sforzi e ad arte per ottener-
> lo. Però che avutolo, sono certi di farsi opulenti per le obla-
» zioni delle pie matrone, d' andarsene in carrozza pomposa-
» mente vestiti, tener buona tavola, pareggiare ne' lauti con-
1. Leggendario p. 190. - E termina: 3. Epigrafe illustrata dal Can. Birago
BRixuQ. DOMO ET FVIT cvi CIU8P0 neli' Amico Cattolico, gennajo 1853,
NOMEN. in una lettera a me diretta.
2. Ora nel patrio Museo. 4. Leggendario, 1. cit pag. 205.
120 BRESCIA CRISTIANA
> viti gì' imperatori. E non s'avveggono che potrebbero chia-
» marsi egualmente felici . . . seguitando l' esempio di alami
» vescovi provinciali, che colia temperata frugalità, coir abito
• dimesso e colla modestia del portamento rendono venera-
» bile ed accetta al loro Dio come a' suoi cultori la purità
> dei loro costumi ^ > .
L' ambizione è mal vecchio e di tutti i secoli, conchiude il
buon Muratori; e dove sono ricchezze sono sempre conten-
zioni. Onde s. Gerolamo racconta di un nobile consolare,
che invitato da s. Damaso a farsi cristiano, fatemi vescovo di
Roma, soggiunse, e mi faccio subito battezzare '.
Ma nella nostra Chiesa il bastone di s. Filastrio era ancor
mo' rumile baculo del pastore '; e la bresciana semplicità di
Plinio s' era fatta cristiana virtù. E bene dovevan essere que'
vescovi nostri come i diocesani descritti da Marcellino, se
tutto il popolo e r ordine bresciano dopo la morte di Fila-
strio facea sacramento di non volere altro vescovo che il suo
discepolo Gaudenzio ^; però che mentre per miserandi sov-
vertimenti di setta pericolavano i dogmi ecumenici, la città
nostra, ignara di quello scisma che si presto intorbidava
il sereno della Chiesa nascente, non avea che la fede candi-
da ed ingenua dell' evangelo '.
1. Ammiàn. Marcell. 1. XXVII, e. 3. dal Gradenigo • benché non troppo
2. S. Jeronim. Epist. LXI. fedelmente.
3. Si venera tuttavia custodito quel 4. Sacramento quo temere vot ipsos
povero bastoncello nel santuario obligatis adscripiL — S. Gauden-
della vecchia Cattedrale, destinalo Tius, Sermo de Ordinaiione sttL
alle SS. Croci ; e fu pubblicato 5. Fleury, Storia EccL lib. IX e X. ^
ODOACRE
I GOTI, I GREa I LONGOBARDI
A. CDLXXVl - DGCLXXIV
LIBRO SESTO
ODOACRE
Già qaelF ombra d' occidentale imperio si dileguava. Lu-
dibrio del primo che fosse venuto con una bruzzaglia di bar^
bari a conquistarlo, più non restavano al monco stato che
alcune galliche città, e coU'Illirio la penisola d'Italia, cui
guardava impaziente di là dall' Alpi V avido gentame che
scioltosi dal freno di Attila, non avea stanziamenti, perico-
loso di tanto più.
Dall'imperatore scendevano i poteri di tutto lo stato;
e più que' due primi, civile e militare, per cui si moderava. I
consoli, non più che da comparsa; i nobili, nuovi e cortigiani:
dei senatori più non restava che un nome, un ordine dila-
vato e racchiuso nell' àmbito municipale. Nel proposto alia
sacra camera, nel segretario di stato, nel questore, nel conte
delle sacre largizioni, nel conte delle cose private, nei due
conti dei eavalli e dei fanti domestici si radunavano ì reali
124 ODOACRE
ed importanti uffici: titoli e sfarzi di corte, non salda e reale
vigoria d' impero *.
Aveva Italia un prefetto del pretorio, come un altro n'avea
Roma a sé: e Italia e Roma in due vicariati si dividevano, e
questi ancora suddividevansi in province. La Venezia coiri-
stria, TEmilia, la Liguria col Piceno governate dai consolari,
TÀlpi Cozie e le Reliche (prima e seconda) lasciate a' presidi,
componevano le VII province del vicariato d' Italia; ed erano
que' presidi, o rettori di province, quasi altrettanti prefetti*.
Era quindi la città di Brescia nel vicariato della Venezia.
Libertà italica non era più da lunga pezza: ma pure nel V
secolo vediamo rappresentanti delle città, delle diocesi, delle
province, del vicariato intero adunarsi per mandare ai pre-
fetti del pretorio od agi' imperatori lor legazioni. Fatto assai
grave (benché monumento solitario nella storia, epperò com-
battuto nel secol nostro), sorgente di un altro ancor più
grave — dell' ordine municipale che tenta comporsi tra le
rovine dell' ordine centrale di tutto lo stato '.
Eranvi anche allora i quattuorviri, o quinqueviri juridiam-
do, giudici quasi nomadi delle cause provinciali; ma per Io più
dopo i rettori seguivano i giudici municipali. Non più il nome
della colonia civica, non più diritto italico nella nostra città;
1. Notilia DigiUtatum Utriusque Im- 2. NoL Imp, pag. 1791. — Maffeo
perii etc. Pancirol. Commenta-- Verona illastr. 1. 1, pag. 290; t li,
rium (Gr.cv. 7^. Antiq. Rom» p. 15, 27, 31. — GuisoT, Comn
tomo VII, pagina 1777). — iVo- de 1829, // lefon. — Pellegri-
titia Dignitatum seu AdministrO' ni, Hist Princip, Langobardonum,
tionum tam civilium quam mili- 3. Raynouard, HisL du Droii Mu"
iarium eie, in calce al Codice Teo- nicip. lib. I, capo 28, 29. Valga
dosìano. — Mùller, De Genio per tulti V esempio di Onorio e dì
sxculi Theodosiani, — Nanoet, Teodosio, che ordinavano fino dal
DeschangemensopérésdaììsVEm- 418 le cittadine convocazioni del
pyre Rom, soua Diocletien eie. municipio di Arlcs. — Balbo,
Paris 18^27 eie. etc. Storia dMtaiia, ti, Ub. I, p. 16.
ODOACRE ì 25
6 il popol nostro, divìso in due parti principalissime, le quali
poi dovevano combattersi ne' bassi tempi con tanta e si male
avventurata virtù — Y ordine o ceto decurìonale, e la plebe.
Ne' quali corpi civili covava un germe soffocato a vìva forza
per qualche tempo dai Longobardi, ma risorto da poi; ed era
di queir incondito ma gagliardo complesso d'istituzioni civili,
che gettarono qualche secolo dopo le basi del Comune Ita-
liano. Ed è meraviglia che l' imperatore affidasse ai decurioni
delle città la riscossione dei tributi; sicché il decurionato, già
splendida magistratura, divenne un peso, un obbligo severo,
e difficile ad ottenersi la grazia dell' esserne fatti esenti ^
Gli uffici municipali traevansi dai decurioni, ed il loro con-
sesso avea nome d'ordine o di senato. Era un difensore del
popolo, dal popolo nomato e dalla plebe; larva nullameno
degli antichi tribuni.
Più libere, più popolari seguivano allora nelle nostre chiese
le commoventi elezioni dei nostri vescovi; e quei padri vene-
randi, chiamati al grave seggio dai loro concittadini, ne pro-
pugnavano talvolta innanzi ai prepotenti i calpestati diritti: e
quest'indole popolana della religione di Cristo è. lo spetta-
colo più bello de' secoli di cui parliamo. Tutti gli uomini
liberi, non decurioni, formavano la plebe. Eranvi l'arti coi
protettori, colle loro corporazioni, chiamate ancora Comuni;
e questo caro nome sospetta Balbo ereditassero dai collegi
dell'arti le intere città K Quest' erano le condizioni come
di tutti, cosi ancora del municipio bresciano.
1. È noia reiezione obbligata dei de- Teod. lib. Xll, XIII, XIV, XV.
curìoni del basso impero, come Digest, 1. 1, ecc. ecc. — Bou-
8on note le risponsabilità decurìo- chard, Diss. sur les Colonies Ro^
nali sui tributi, sul tesoro citta- mahies, — Roth, De Re Muniei"
dino, sugli edifici, sui donativi ec. pali, — Sigonius, De Antiquo
2. Sugli ord. municip. veggasi il God. Jure Itaìim. — Panciroi . De
I2& ODOACRE
Delle collare di que' secoli non ba che oscura ed inglo-
riosa memoria. La sola giurìspnidenza, ed è pur molto, sn
V altre tutte si leva; il più nobile monumento che a noi la-
sciasse r antichità.
E per toccare delle pubbliche contribuzioni; era un censo
a ragione di fortuna; era un tributo sul commercio, ed un
altro per le solennità dello stato e dei decurioni, a tacervi
di quelle taglie cittadine che V Ordine imponeva secondo i
bisogni alla plebe. — Nò dell'arti, né delle lettere civili
è reliquia fra noi che meriti ricordo. Arti e lettere s'eran
chiuse nel tempio; e valga per tutti Gerolamo, Gregorio,
Ambrogio ed Agostino : ma non fu che un secolo; poi nuove
tenebre, nuova barbarie.
E r esercito ? Era quale voleasi a lunga mano dagli impe-
ratori che han paura dei loro soldati : opperò nomi e cariche
nò civili nò miUtarì, le terrìbili legioni scompaginate, dimi-
nuite, rimpastate, suddivise. Sei conti e dodici duchi di limite
0 di confine obbedivano al maestro dei fanti.
Oltre il mobile esercito erano i presidj, dei quali uno in
Ravenna, un altro in Foro Fulvio a Valenza sul Po, altri an-
cora in Padova, in Oderzo, in Cremona ed in Verona; eran-
vene degli altri a noi lontani: ma i sedici presidj non am-
montavano che a tredicimila uomini, come l' esercito stanziale
non aggiugneva che cinquantamila pedoni e duemUa cavalli K
Gettato per tal modo uno sguardo sugli ordinamenti poli-
tici dell' età che imprendiamo a discorrere > torniamo ai fatti
che per qualche istante abbiam sospesi.
Magistrat, — Murat. Aniiq. hai. cessione dei. goTemi muaicìpalL
diss. i7, 22, 45 ecc. ecc. — Bergamo 1823 — ed altri assaL
Maffei, Verona illustr. tomo I» i. Vedi la Notitia utrùuque IwtperiL
— Pagnoncelli, Origine e sue- — Pangirol. GonmejU. eie
ODOACRE 127
Segaendo gli storici contemporanei S narrammo già della
discesa di Odoacre (Odovacar, Otacar^ o com' altri Oda-
cre) raccoglitore dei vagabondi Turcilingi, ultimi resti delle
orde dì Attila. Dicemmo com'egli scendesse chiedendo al
solito il terzo delle terre d'Italia, ed appoggiando l' in-
chiesta colla invasione , cui Gibbon darebbe nome di nulla
più che una romana rivolta senza barbare incursioni, quasi
gli Enili, i Rugi, gli Sciri, i Turcilingi che Odoacre avea
con sé ^ non fossero barbari. Rado è che V usurpatore pensi
a giustificare l'usurpazione. Odoacre, benché barbaro, volle
onestarla; e non avendo in pronto la formola insigne del
fatto compiuto, la rara scoperta del nostro secolo per la quale
anche il ladro e l' assassino potrebbe giustificare i suoi colpi
di mano per questo solo che gli sono riusciti, chiese il titolo
di patrìzio che Ricimero, Gondebaldo ed Oreste avevano
ottenuto. Poi fatto sapere a Zenone dominatore d' Oriente ^^^^^-
bastare al mondo un solo imperatore, sondo morto pochi anni
dopo Nipote (vana imagine d' occidentale imperio), con qual-
che uccisione già s'intende S rimase libera ad Odoacre la
corona: ma quelle uccisioni furono poche per un principe
nuovo, anche di tempi non cosi lontani. ^ ^''
Eppure, modestia singolarissima per uno scita, si tosto
non ardi assumere le imperiali insegne; non pubblicò leggi
1. Procopius, De Bello Goih. - Jor- di usammo del nome di Odacre e
MAND. De Regnorum Suecetsìone d' Odoacre senza timore aicono.
in Rerum Italicar. Scripk t. 1. 3. Trova, Storia dltalia - 1 II, p. I,
— Histaria Miscella iu Rer, Ital, lib. XXVI, pag. 17, 18.
Script, t 1, ecc. i. Bravilla, Oreste, Paolo ed^Oyìda |uc-
2. Nella yita di a. Severino scrìtta cisi da Odoacre. — Chronológtu
quasi che a* tempi di Odacre (Acta Cuspiani, — Cassiooorus, t'ji Fa"
SS. ad diem 8 Januar,) vien cbiit- itis. — MuRAT. Ann. — Balbo.
mato 0(actar e Odocfcar; noi quin- Stor. d*Ital. t. I, p. 37 ecc.
128
odoache
nuove, non coniò moneta coli' imms^ine saa^ Fosse vene-
razione per questa larva d' impero italiano, per questa terra
infortunata, ma splendida tuttavia di sue gloriose memorie,
sarei per dire che i barbari si arrestassero pensosi fra le
reliquie delle spente città col senso di chi medita sui resti
di un santuario. Alcuna cosa di arcano e di sacerdotale pa-
reva emergere da quegli avanzi, che i fieri animi scuoteva
d'insolito commovimento; e questa povera Italia, santificata
dalla sventura, ebbe almeno il rispetto dei suoi nemici.
Serbato ogni uso, ogni titolo, ogni ufficio romano, lasciate
alle città le loro curie, lor carichi municipali, mantenuta in
Ravenna la sedia di tutto l' impero, sola una cosa, oltre V abo-
lizione dell' impero italiano, Odoacre aggiunse ai nostri mali
— la distribuzione del terzo delle terre — promesso ai
barbari che l' avean messo in trono. « Ed ecco > soggiunge lo
storico Carlo Troja < l' antico desiderio dei Cimbri e degli
> ausiliari' di Bojocalo, per aver una parte delle terre dei
» Romani, fu dopo molta età esaudito in favore prima dei
1 Franchi accolti come Leti e Gentili, poi de' Visigoti e dei
> Borgognoni federali: ma niun popolo fra i barbari sperò
» gianunai nel mezzo de' suoi giocondi sogni di conseguire
» le terre insieme colla signorìa d'Italia* >.
Benché ariano, rispettò Odoacre un concilio di vescovi
contro gli arìani ^; rispettò noi cattolici e gli ordini si liberali
1. MURAT. il»», a. 476, 480, 481. —
Gassiod. t» Chron, — Thierry,
Letires sur VExst, de France, -
Lettre VII. — Càrlt, Zecche
d^talia 1784, pag. 28i. — Ba-
RUGGHI, MoD. d* Odoacre (Accad.
di Torino, tomo XXX, p. 813 ). —
Stbinbùghbl, Not, sur le» médal-
lions eie. 1826, lib. XXXV, e. 10.
2. Storia d* Italia - voi. II, parte I,
pag. 290.
3. Né sti se altri esempi vi sieno (qui a
diritto riprende Carlo Troja) di un
rispetto più intero e leale verso
la religione dei vinti. — Storia
d* Italia del Medio Evo, tomo U,
parte l, lib. XXIX, pagina 179.
Napoli 1846.
ODOilCRE 129
a quel tempo della sedia pontificale, che Giovanni di Ravenna ^\^
incolse acerba minaccia, perchè avea consecrato un vescovo
di Modena senza il voto dei cittadini. Ascoltò soventi volte
le supplicazioni dei vescovi, e diede segni di giustìzia e di
misericordia ^.
Teodorìco degli Amali condottiero dei Goti, che avea ri-
posto sul trono d' oriente Zenone augusto ^ s' acquistava
larghissimo stipendio, la maestranza dei militi e il consolato
dell' anno appresso; e soffocata coli' armi la sommossa colà ai
d'Ilio patrizio ^ parve ristoratore dell' orientale imperio.
Ma r ambizioso Amalo voleva un regno: e stimolato dagli
Ostrogoti, che impazientì di preda chiedevano che li traesse
a qualche fatto audace ^, fu dinanzi all' imperatore chiedendo
il riconquisto d' Italia, di quella Roma eh' ei dicea signora
di tutto il mondo ^ tenuta da un barbaro che Zenone
augusto non conosceva ^. Zenone acconsentì; e rivestito
l'Amalo d'amplissimi poteri e d' una presso che donazione
d' Italia, raccomandò all' ardito il popolo romano. Altri sto- 4m
rici asseriscono venisse il pensiero dallo stesso augusto ^.
Raccolti allora Teodorico dalle stanze di Mesia, d' II-
liria e di Pannonia ^ sue gotiche genti , collocate sui
1. Eppure non ha laude per luì negli 7. ProgopiOS, De Bello Gcth. lib I,
storici: un solo nel. dice di btiona capo 1. — Evagrius, lib. Ili, e. 27.
volontà (Ano(Ktm. Valbs.). — Teophan. iti Chorenogr» eie.
2. Enmodius, in Panegirico Theodo- 8. Innumeroi diffusa per populei
ria, — Anonym. Valesian. gens una contrahitur, migrante
3. Evagrius, lib. lU, capo 27. — Ni- tecum ad Ausoniam mundo (le
CEPHORUS Callistus, lib. XVI, solite spampanate dei panegiristi )
capo 23. sumpta sunt plaustra vice iectO"
4. Hist Misceli, tomo I. Rer. IlaL rum . . , omnia servitura neeessi-
Script tali . i • . oneralee faetibus matres
5. Urbs illa caput Orbis et domina, iiUer familias tuas oblila sexus
— JoRNAND, De Reb, Gct, e. LVII. et ponderis etc eie — Ennodius,
6. lile quidem non mstis, in Panegyr. — Cassiod. Variar.
O»0»iCf, St9ri€ 8ru€, V«l. II. *
m &
oo
130 ODOACRE
carri le donne ed i fancioUi alla guisa dei barbari più an«
tichi di lui» fu suir Isonzo S dove aspettò che nuovi barbari
oltre i Sarmati ed i Bugi venissero con luL
Scompigliato T esercito d'Odoacre, lo costrìnse a chiudersi
nel Campo Minore della città di Verona, presso alle cui mura-
glie nuovamente assalito dagli Ostrogoti, cesse il campo al-
l' impeto del vincitore '. Ed è a supporsi che presa Verona,
e volto a Milano coli' esercito esultante, passasse Teodorìco
dalla nostra città, che debole vi ritrovasse la resistenza, se
non forse aiico letizia ed applauso della sua venuta; poiché
sappiamo che Roma anch' essa non volea più saperne del
vinto scita, che Milano al vincitore aperse le porte con un
trattato di paoe, e che gli mandavano i Pavesi lor deputati,
come forse accoglieva nel suo campo i nostri \ Ma per subito
risollevarsi delle sorti di Odoacre, Teodorìco si ritrasse in
Pavia con tutta la mole dello smisurato esercito ^ che, rac-
chiudendosi nella piccola città, die' segno quanto minori
assai delle esaltate da Ennodio ne fossero le schiere.
Odoacre intanto, sia che a lui serbasse fede, sia che in fede
gli tornasse, rifuggivasi a Cremona '; e radunati gli sparsi mi-
1. Si veggano per questi falli: — Mu- «K^* — Anon. Vales. — Chroic.
RATORI, an. 488, 489. — Paogop: Gusp. ecc. Ma eoo tutto ciò la ero-
De Bello Goth, lib. I. — Job- nologia di .que* fatti è si confusa,
NANO. De Relms Getieis, e. 14, che i diligenti Muratori e Lebeau
' 24, S5, 34, 35, 36, 50, 51, 52 e non possono trovarvi il bandolo,
seguenti. — Hist, Mùeeli eie. — Theodericm in Italiam prof-
2. HiiU MiicelL R. /. S. l I, p. I. dscitwr. Goiki se eomite» adjum-
3. • E stando in Milano non poche xerunt, parvulis faaninisque m
1 genti concorsero coli a rìcono- plausirà impoii^trefc. Hist. Mise
» scerto per signore •. — Mura- R. I. S. ti, p. 248.
TORI, Ann. an. 489. 5. n Muratori suppone Cremona ri-
4. Per queir esarcilo e per que*moti masU fedele {Ann, a. 490). Balbo
si legga; — SiGON. De Imp, Occì- e troya la fanno ripresa. — Sto-
dent. pag. 409. — Ennodius, Pa- rie d' Italia ciUte.
ODOAGIUB 131
liti riprese Milano; sicchò Teodorìco, lasciata Pavia nelle
mani di s. Epifanio, scontrò V esercito nemico sulle rive del-
l'Adda, e dopo sanguinosissima battaglia lo volse in foga K
Le città subalpine, che mentre duravano incerte le sorti
della guerra venivano corse dai Borgognoni, si rendevano
adesso al vincitore, innanzi a cui per altro Cesena e Ravenna ^^
cUudean le porte ': Ravenna, dalla quale irrompendo assai
volte Odoacre, portava lo scompiglio e la strage nei valli
nemici. Ma quello che il ferro non valse potò la fame; e dopo
lungo assedio, per intromessa dell'arcivescovo (a quali patti è m
ignoto) si sottomise K E qui Teodorico macchiavasi d' un
infame assassinio; perchè invitato a' suoi banchetti Odoacre
istesso, lui co' suoi conti uccise tra le mense ospitali del
palazzo di Laureto ^. Sono di quei delitti poco meno che
solitari nella vita degli uomini grandi, e più dei grandi rin-
novatori di popoli e di stati: delitti violenti, rapidamente con-
sunti neir ansia procellosa di un gran disegno, fra le trepide
impazienze di un'anima che ferve pensando al trono; so-
no misfatti che i loro colpevoli, a soffocare inutilmente il
rimorso di averli compiuti, appellano fatali necessità di stato,
ma cui la storia non perdona, e Dio registra come fosse
la colpa del più abietto fra gli uomini.
Eppur l'indole generosa di Teodorico manifestavasi ad
ogni tratto. Perchè supplicato da s. Epifanio vescovo di Pa-
via del rilancio di tutti i Liguri condotti a servitù nella Bor-
i . EpiPHAN. pag. 399. - HUt Misceli Agnellus, Arckiep. Ravem. Rer.
pag. 100. — 6ASS10D. in Chron. It S. t. II, p. I. — Chron. Gusp.
2. Anon. Vales. — Hist MiicelL — 4. Ab eodem Theoderico perjwiii il-
Cassiod. tfi CArcm. — Agnellus, lectus, interfecfus est (Marcbll.
Vit, Archiepiseop. Ravenn. Comes, in Chron.); e la Mìscella:
3. Procop. De Bello Goth. lib. I, a Theoderico in fidem suscepHu
capo I. — Anonyx. Vales. — ab eo trueulenU interemptus est.
132
ODOACRE
^ogna dalle Franche seorrerìe, cesse alle calde esortazioni del
presule, ed alla patria lungamente desiderata restituì queg^'in-
felici. Era Epifanio di que' vescovi, che al candore dei tempi
di Latino ^ e d' Apollonio aggiugnevano allora, quasi nuova
potenza, V autorità nelle pubbliche cose. L' ambiron essi, o
lor venne dal non restare ai vinti conforto altro che in loro?
Non è da noi la sentenza. Bastici il dire che fu provviden-
ziale autorità, propugnatrice le più volte della causa italiana.
Sui tempi della sedia episcopale di
s. Lalino noi ci associammo alle esi*
tanze dell* ab'. Brunati; e però lo
seguimmo nel dirla del secolo lU,
e Dell* apporre altrove a s. Apol-
lonio Tanno 120? dubitativo, ben-
ché vescovo a s. Latino certamente
posteriore. E poi che in quanto a
8. Apollonio v*hanno argomenti gra-
vissimi pel II cosi come pel IV se-
colo, stemmo in bilico segnando am-
ba le ipotesi; benché parrebbe in
ultimo doversi congetturare che il
presule fosse vissuto nel IV. Vi
risparmio le citazioni, che ve nlia
una litanìa. Sono dì quelle questio-
ni sul fare del sepolcro dì s. Anata-
lone, che Tab. Catena opina d* igno-
to luogo con una filza di prove
(Guida di Milano - i8U), e che
noi facciam nostro con un* altra;
ma queste poi sono dì tal valore
che ti fecero scappar dalla penna
la parola un pò* troppo recisa -
indubbiamente sepolto tra di noi
(pag. 99) - la quale d* altronde ho
poi corretta altrove in uà prtt«
dentissìmo pare:
LIBRO SETTIMO
iGOn
I.
TEODORICO
Ed ecco Teodorìco senza rivali e senza paure, abbando- ^m
nato il titolo d'imperatore, chiamarsi re, vestire la porpora S
battere moneta sua propria ^ raflfermarsi nella signoria, sa-
nando coUa clemenza le ferite inevitabiU delle mutazioni '•
Diede a' suoi Goti, o più precisamente Ostrogoti, quel terzo
delle terre che Odoacre a' suoi barbari avea distribuite S i
quali furono poi cacciati nel seno di qualche valle alpina,
altra testimonianza della loro esiguit4.
Epperò r agro bresciano venia coltivato, posseduto dagli
Ostrogoti: ma come vivessero cogli indigeni spogliati di tanta
i. SiGONius, De Imp, Occià, p. 285. 3. Balbo, Storia d*Ilalìa,l. L Odoa-
— MuRAT Ann. a. 493, 494, 495. ere. Goti, Greci. — Torino, per
— Cassioo. Yariarum, libro II, G. Pomba 1830, pag. 51.
pag. 16. 4. Cassiodorus, Variar, II, 15, 16,
% Sartorius, Essai sur le Gouvem. e I, 18. — Sartorius, Essai sur
des Goths, pag. 32, 258 e 261. le Gouvemement dei Golhs, e 2,
^ Carli, Zecche d'Italia, art. 2. oom. 24, ed oltre.
134 l GOTI
parte del loro suolo, qual limiti avessero le terre di proprietà
ostrogota è dubbio ancora; e lo immedesimarsi dei vinti e
dei vincitori non è forse che un sogno del Sismondi. Le su-
balpine sorti venivano comunque vogliasi da quel barbaro, ma
grande, risollevate; e la lettera deirAnkalo colla quale onora il
sfto più acerrimo nemico per ciò soltanto che era stato fedele
al suo signore, è una lezione dell' ostrogoto a tutti i re. Repli-
chiamone alcuni sensi, e non saranno replicati abbastanza.
Liberio non si rivoke a noi neUa condizione vUissifna di tror
fuggitore: non finse odio al suo re per farsi accetto aUrui. Aspettò
integro i giudizj divini, e non cercossi un padrone prima di aicer-
ne perduto un altro. Noi per tanto ricompensiamo volentieri chi
ha fedelmente conibiJtttuto pel nostro nemico.
A noi sudditi di un uomo di si alti sensi non poteva inco-
gliere che bene.
Ma che intanto i Bresciani avessero già dilatate a cotal
giro le patrie mura da racchiudere s. Faustino, s. Giovanni,
le vie delle Battaglie, della Majolica, della Pallata, è uno sva-
rione del Bravo ^ e di coloro eh' ei sonnecchiando ricopiò,
senza badare ai contratti del secolo Vili, ne' quali è chiamato
suburbano V acquedotto di s. Giorgio, suburbane alcune case
0 per lo meno vicine alla porta Milanese ora detta Bruciatai
Non è per altro senza peso la congettura, che lo splendido
Teodorico, ristauratore dei monumenti romani, ordinasse
ripari e sostruzioni alle nostre mura ed ai crollanti edifici di
Brescia romana; tanto più che sua città prediletta fu la pros-
sima Verona ', di cui ricostrusse le mura e gli acquedotti, e
i. Storie Bresciane - tomo I, lib. VII, hatori, AiU. Ital, M. JSvi, t HI,
pag. 210. col. 759 ecc.
2. God. Diplom. Qoirimano, tomo 1, 3. Dwn apud Verimam tuam. Cosi
sec VIU. — Margarinus, Bull. scrìveva Ennodio rivolgendosi a
Casin^ (omo I, pag. 11. — Mu- lui nel panegirìco.
I GOTI 135
nella quale faceva erigere terme, portici, e come vogliono al-
cuni * un suo palazzo. E fu ne' tempi suoi che venne imposto
ad ognuno levasse dai campi e donasse alle città propinque
i marmi di cui fossero ingombri, perchè avessero compimento
le riedificazioni cotanto da Gassiodoro raccomandate ': e fu
per lui che i bagni d'Abano ^, l'anfiteatro di Pavia, gli
acquedotti di Ravenna, le mura, i templi, Vhorreum cittadino,
il teatro di Pompeo vidersi allora poco meno che ricostmtti
neir etema città ^ , onde a' suoi tempi (cosi egli a Simmaco
scrìvea) antiquikis videatur decentius renovaia ^.
Riparazioni e fabbriche sui prischi ruderi costrutte do*
vean qui pure, per quanto lo comportassero i tempi, rin-
novellare quasi dissi dal V al VI secolo l'antica Brescia;
ed una prova non dubbia la troviamo in quel passo di
Teofane, oy'è detto come nel 563 fosse a Costantinopoli
recata la notizia di aver Narsete ritolte ai Goti le due città
munitissme di Brescia e di Verona ^.
Falso è per altro che l' acquedotto romano, cui dovemmo
ad Augusto e a Tiberio, dall' Unnica devastazione distrutto,
venisse da Teodorico abbandonato per sostituirvi quello di
Mompiano ^. Vedemmo più addietro invece come l'augustale
condotto continuasse fino al cadere del secolo XIII a ravvi-
vare dell' acque trumpiline le fonti della nostra città.
I. Venturi, Storia di Verona, t I, 5. Gassiodorus, 1. cit.
pag« 107. — Maffei, Verona ilL 6. Duasarees munitmima», Veronam
parte 1, lib. IX. et Brixiam a Gothis rtupiue. —
8. Gassiod. Yariar. 1. II, ep. XXVIII. Theoph. Ckoretiog, HisL BUanL
Universis Gothis et Romanis. tomo IV, pag. 16D*
3. Gassiod. Variar. 1. II, ep. XXXIX. 7. » Teodorico fece in vece di quello
Aloyiio Architecto, » costrurre con assai minor ope-
4. Fka, .Delle rovine di Roma. — » ra T acquedotto di Mompiano i.
Galleani Napionb, Àrchit. ani Bravo, Storie Bresciane, tomo I,
tomo I, lett XIV. — Gassioikh lib. VII. — Biehmi, Storie di Bre-
BUS, Variar, lib. II, ecc. ecc. scia, tomo I, pag. 314.
186 I GOTI
Hanno di coloro che narrano le mirabilia del tempo fe*
lice di Teodorìco. È un errore ancor questo: furono tempi
meno infelici, ma non lieti però. Il terzo dell' agro italiano
concesso ai Goti e ad altre barbare genti (non due ter-
zi » come scambiando le esigenze dei Visigoti e dei Bor-
gognoni colla DeputcUio Tertiarium di Cassiodoro, scrìsse
il Maffei % disciolto V esercito romano, tolte affatto le ita-
liche coorti, e la forza materiale della nazione tutta in mano
degli stranieri, vietata della romana libertà fin la speran-
za \ e negli ultimi tempi dell' Amalo proibite V armi , in-
flessibili le imposte fiscali ^ risorti i delatori, sono tutt' altro
che nazionali felicità.
Dell' imperatore, che scrivere non sapeva il proprio nome,
fu secretario Gassiodoro, di cui restano le lettere importan-
tissime. Serbò Teodorico l'ordinamento imperiale, i nomi
dei magistrati civili; serbò gli ufiici e gli ordini municipali;
elesse giudici romani per la schiatta italiana, e giudici ostro-
goti pe' suoi connazionali col nome germanico di graffioni;
diede leggi poco meno che comuni ad ambo i popoli, e tale un
accorto componimento d' istituzioni che Romani e Goti rima-
sero in pace fino agli ultimi anni del viver suo. Il perchè le
condizioni bresciane doveano da un uomo di simil fatta ri-
sollevarsi. E fu da lui, so più lenta che non sarebbe acca-
duta vedemmo tra noi la decadenza dell'arti; ed era italiano
un citaredo e cantore che il re dei Franchi avea chiesto
allo stesso Teodorico, italiani gli orinoli ad acqua ed a sole
spediti a Gundebaldo re dei Borgognoni ^ L'architettura
poi, tutta romana ancora, parve nel V secolo risorgere al-
i. Verona illustrata, parte I, lib. IX. 3. Sartorius, op. dt p. 44 e seg.
2. Qnal delitto fìi imputato a Boezio e la nota pag. 263. — Pagmon-
Vavere sperato ancora nella /h celli, tomo I, e. 19.
berta romaica. — Boet. Com. 1. 1. 4. Cabs. L II, ep. 40, 4i; L I, epi 45»
I GOTI 437
cnn po'. Che presso i Goti non si fossero perdute le tra-
dizioni deli' arte dacica, degli edifici di Zamolxi, di Deceba*
lo, di DeceneOy potrebbe darsi ^; e sottilissime argomenta-
zioni mette in campo il Troya per additarcela; ma fino a che
non mi si mostri quali impronte la differenziasse allora dalla
romana, fino a che scorgo latini sempre i caratteri delle
costruzioni durante la gotica signoria (però che lo stesso
mausoleo di Ravenna non è che libera imitazione di quello
d' Augusto ^ con lieve traccia delle forme orientali che già
da un secolo fra noi si adoperavano ) non saprei suadermi
cosi tosto che gli Ostrogoti un' arte loro propria portassero
con so.
Hanno in Brescia restanze di fabbriche teodorichiane ? —
Bissivi già di un palatium del basso impero , se non pure
é
dei tempi di T^odorico. Potrebbe anche supporsi da questo
ristauratore delle città latine come che vogliasi rimarginato:
e la cornice che sporge dai ruderi di quel palatium a s. Giu-
seppe ha forma che assai le rassomiglia, se mal non mi ap-
pongo, a quelle degli edifici teodorichiani di Ravenna, di
Spoleti, di Terracina. Ma ciò che tiene affatto del carattere
ornamentale di queir età, sono alcuni capitelli dell' antichis-
simo tempio di s. Filastrio (a cui si discende per una scala
praticata nel pavimento della Rotonda), che molto si acco-
stano ai notissimi ravennati.
Clodoveo re dei Franchi sbaragliava intanto a Tolbiaco un
esercito d' Alemanni; ed inseguendone gli avanzi per le terre
ond' erano usciti, costrinse i vinti a passar l' Alpi, a rinta-
narsi nei gioghi del Nerico e- delle Rezie. Ascoltate da
1. Trota, Slorìa d'Italia - tomo 11^ 2. Corderò, Dell* Architettara italiana
parte I, 1. 30. Codice Diplomatico, durante la longobarda dominazione,
parte II, pag. 68. Brescia, 1829.
PIC«
138 I GOTI
re Teodorico le loro supplicazioni, perchè sudditi suoi ne
li facesse, die' loro assai di quel terreno lombardo ^, ma
of il più diserto d' uomini, ma il più bisognoso d' agricole co-
lonie. E non è infondato il sospetto che gli abitanti dei VII
e XIII Comuni tra l'Adige e la Brenta su quel di Trento,
di Verona e di Vicenza, provengano dai rimasugli di quei
miseri Alemanni '.
SH Chiudeva Teodorico il secolo V recandosi a Roma \ la
quale per anco non avea veduta, seguitovi, come dicono
gli storici, da tutta Y Italia superiore: fu accolto da papa
Simmaco, e fra il plauso del popolo prometteva V osservanza
degli ordinamenti romani. Poi feste, giuochi, trionfi, larghezze
alla plebe, ristaurì al foro di Trajano, alle mura, agli acque-
dotti, al campidoglio. Indi, lasciate alcune leggi ^, tornò dopo
sei mesi alla sua Ravenna. Uno è per altro di quei decreti
che vorremmo passato dagli Ostrogoti all' età nostra, ed ec-
colo = AUe occulte delazioni non si creda. (M accusò venga in
giudizio, e se non prom sia morto. Che se Teodorico invec-
chiando se ne scostò, umana cosa è l'errare, ma il legit-
timar cogli ordinamenti le delazioni è infamia, e pur troppo
succeduta ^.
SOI Fu celebre intomo a questi tempi un concilio tenuto a
Roma per le colpe a Simmaco pontefice attribuite. Sappiamo
1. AlamanniiB generaliias intra Italim 3. Cassiod. in Chron. — Anontk.
ierminos sine detrimento romance Valles. — Bulland. Ada SS. ad
posstssionis inclusa est. — En- diem 1 Jan, in Vita s. FulgentiL
NODius, in Panegyr, TheodericL 4. Che furono poi chiamale VEditU.
% GiovANELLi, Memorie dei VII e Gassiod. Variar, iib. Ili, ep. 24. -
XLII Commii ec. - Trento 1826. ^ Ediet. Theod. 145, 89, 43, 18, 108,
FuRLANETTO, Lapidi Patav. Pret 110, 111 , 143, 50, 58, 59. —
pag. XIII. — Cassiod. Variar. 5. Balbo, Storiajd' Italia - tomo I,
Iib. II, ep. 41. ' Iib. I, pag. 66.
Die,
t GOTI 139
che re Teodorico v'ebbe delegati fra gli altri vescovi Eu*
stazio di Cremona, Lorenzo di Bergamo, Servus Dei di Ve-
rona. Forse allora, o vacava la nostra chiesa, o il vescovo era
sospetto di parte Lorenziana, come l'anonimo veronese, nar-
ratore contemporaneo, le si mostra in que' fatti parziale assai.
A quelle misere gare pontificali saccedevano poco dopo le ^*
civili; e spediva Teodorico oltr'Àlpi un esercito a vendi-
care alcuni soprusi dei Bulgari, ed a sedare la guerra insorta
fra Clodoveo re dei Franchi ed Alarico re dei Visigoti. Ritolte
ai Bulgari le invase province del Sirmio S profittando, non
80 con quale giustizia, dell'opportuno momento per impa-
dronirsi egli stesso di quasi tutte le Gallie ', mandowi a reg-
gerle Gemello^: e mentre dalla sua Ravenna pubblicava de-
creti ordinatori di stato, facea tagliare i boschi alle rive del
Po pe'suoi dromonionavi da trasporto; volea libero il corso
del Mincio, dell' Óglio, del Tevere, del Serchio, dell'Amo, in-
ceppati dalle reti dei pescatori; preparavasi in Ravenna
un' armata numerosa da opporre in ogni caso ad Anastasio.
Accomodata una pace coli' intrepido Clodoveo il franco m
re competitore di Teodorìco, fondatore di uno stato che do-
vea ne' secoli levarsi a tanta gloria e a nostre spese, dilatava
l' Amalo ne' Visigoti di Spagna il proprio impero, e conti-
nuava intanto a provvedere per la sicurezza dei propri stati
conquistatore a un tempo e assodatore delle sue conquiste.
i. Ennodius, m Panegfr. Vita t. OBtarii apud Surium ad
2. Galliat, Franeorum depredatione diem 27 aug. et apud Mabillo^
eonfuioi, victis hostibiu oc fuga' nium, - Ada SS. t h ^ Ivi. par-
tis, suo adquUivit imperio. - Cass. rebbe, come anche da Procopio,
in Ckron. — Procop. De Bello che Teodorico fosse andato in per-
Golh. lib. I, e. 12. — Muratori, sona a queli* impresa.
Ann. a. 508. — ìokojm, De Reb, 3. Cassiooorus, lib. UI, epist. 16,
Getic- e. 58. — Gyprunus, in 17, 32, 41 , 44 ecc.
Pie.
497
MI
138 I GOTI
re Teodorico le loro supplicazioni, pere^
li facesse, dieMoro assd di quel ter^ ^
il più diserto d' uomini, ma il più h. ^ f
Ionie. E non è infondato il sospet^ | E ;!
e XIII Comuni tra l'Adige e \^ ^-^ , i
di Verona e di Vicenza, pro^ Ì fi ^ • ' ^
miseri Alemanni \ ^Pi i * ^^'
SH Chiudeva Teodorìco il / /f^ J *
quale per anco non a^// r J > * ''^ ^ "^*^"
gli storici, da tutta r / J '^ ' , feodorico; ma
Simmaco, e fra il p^ ; ( ? 1 -^' ^? '^ chiamassero
degli ordinamenti ' P ^ ^^ ^i ^^"'^ ^^» ^^^
alla plebe, rista/ ^ ^'"^ repubbhca romana una
dotti, al campv ^^ '^' ^«^ '^^'- ^'"^^ ^'^ ^^^P^t^
sei mesi all' ' "^^"^^ ^^^ ^ ^^^ accettò per opporli
che vorrei ^^®^*^ all'italo confine, si collocassero tra le
(.qIq -_- ^n escluse alcune parti delle nostre valli.
akidizi ^^^tanto Clodoveo, solo re cattolico deir età pro-
chia' *^'^ ^^^ P®^ ^*^^* ^ militari virtù potesse paragonarsi
ijp ^alo, e più di lui fortunato istitutore d'imperio.
i, Impetus Gentilis (in R<BtiÌ8) e»- d'Adige deiregual nome, e nona
cipituf, e$ Jaculis sauéiatur furir più. - Gar, Caleod. Trentino iS54.
hwìda prcuwnpHo. — Gassiod. - Frapporti, Della Storia e Con-
Var. lìb. VII, form. 4. — Trota, dizione del Trentino sotto ì Gob\ i
Storia d* Italia, tomo II, parte I, Franchi e i Longob. Trento 1840.
pag. 334. — Gaudenti, Note soirorìgìne dei
S. Gassiod. Variar. Ili, 48. — Iodi- Gimbrì Veron. e Vicent del Pezzo
rizzata ai Goti ed ai Romani ahi" (Ms. citato dal Frapporti e da lai
fofi^t circa il casUllo di Verruca. posseduto), che sospetta di un* altra
— GiovANELLi, Trento città dei Verruca, come dubita il FrapportL
Rezj, e Pensieri intomo ai Rezj. 3. Trota, Storia d' Italia, tomo II,
— Parlaci Balbo ( Ist. cit. 1. I, parte I, pag. 439.
pagina 85) dì un castello in Val 4. Grbg. TuronbnsiSj lib. II, e 43.
I GOTI 141
Teodorico ne profittò col togliere a' suoi figliuoli qualche ^\^'
città visigota; poi rappattumossi con loro e coi Borgognoni ^.
Epperò Italia fu seggio per la seconda volta di un am-
pio regno. Sicilia, Dalmazia, Svezia, Pannonia, il Sirmio, il
Nerico, le Rezie, la Provenza, la Narbonese fino ai Pirenei
costituirono un solo stato; nò ciò per Tarmi soltanto, ma
per gli ordinamenti di un uomo solo.
A questi tempi si attribuiscono particolarmente le opere su
monumentali ed edilizie del grande Teodorico. Ravenna, Ro-
ma, Abano, Verona, Milano, Pavia, Val d'Adige, Spoleto,
Terracina, Monza, Civitella gli denno fabbriche insigni, dove
rimarginate, dove costrutte dalle fondamenta*. Ma se nelle
lettere due soli uomini troviamo alzarsi come a decoro di
un regno che parea sorgere promettitore alT Italia di potenza
e di gloria — Boezio e Cassiodoro ' — , a ravvivare i com-
merci, le condizioni dei popoli, provvedimenti larghissimi
vediamo non solo comandati o proposti, ma compiuti.
Resi navigabili assai fiumi, Mincio ed Oglk) tra noi, sui quali
galleggiavano i mille dromoni fatti costruire da Teodorico
per vittovagliare le nostre città, rìnsanguinandone gli esausti
magazzini ^; pagati a soldi d' oro settimanalmente i Gepidi
perchè nelle loro posate sulT agro veneto e della Liguria non
fossero a carico delle nostre terre '; tentato Tessiccamento del-
1. Cassioo. lib. I, ep. II. — Sahto- 3. TmABoscm, Ietterai. Ital. t HI,
nius, op. cit — Gassiod. t. Il, lib. I, e 4. — Cantù, Storia de-
VII, 4; I, 40; HI, 25 e 26; VII, gli lUUani, tomo III, lib. VI, e. 59.
24 ; V, 24 ; UI, 50 ; li, 23, 24 ecc. Torioa 1854.
— Anonym. Vales. Vita s. llarj, 4. Gassiodorus, Yarianm.
Atta SS. ad dUm 5 mait. -« Maf- 5. movete pelicitbr, ite modbra-
FEI, Verona illustr. parte 1. ti, tale sit iter vestrum, quale
% Cassiod. in assai lettere ehe sa- debet etse qui laborant prò salute
rebbe ìufioito citarvi. cuneiorum scriveva quel barbaro
142
1 GOTI
le maremme di Spoleto, il miglioramento delle Pontine; ac«
cresciuto il commercio, Y agricoltura, la pubblica sicurezza;
diminuite le vittovaglie d'un terzo in questa Italia ^à tanto
affamata sotto gì' imperatori: e in mezzo a tutto ciò qualche
anno di pace non comprata a prezzo di viltà, ma serbata col
nome romano risollevato da uno straniero, e ciò che monta
più, anteposto a quello della sua nazione ^. Questi ed altri
magnanimi ordmamenti noi dovemmo a un Ostrogoto due
secoli dopo che Costantino l' italico avea diserta la terra
italiana. Qual era grande veracemente dei due? Eppure, a
Teodorico, dell' empio pel capo *; a Costantino, panegirici . . ,
ed altari.
a' suoi barbari. Quale usurpatore
nella civile età nostra comande'*
rebbe altrettanto a* suoi soldati?
i. Per tutto ciò si consulti: — Cas-
8I00OR0, lib. Y, ep. 10, 11; lY,
BO; I, 25; HI, 53; li, 21, 32,
33. Sulle paludi Pontine, Teggasi
il Nicolai (Bonificam. delle terre
Pontine, e. 20 ) e Sahtorius,
op. e. p. 259, 316 ec — Pei grani,
Gassiod. IV, 5, 7, e T Anonimo
Valesiano. - Sul commer. il ricor-
dato Sartorio. - Per V indulgenza
dei tributi, Gassiod. Var, lib. lY,
ep. 34. Dud(B Sajoni, — Ep. 50.
Fausto PP. — Trova, Stor. d' I-
talia, tomo II, parte il, pag. 761.
-Gassiod. ep. 17, lib. II. Hotun
ratis Poasessoriims , Deftnsoribus
ei Curialibus Tridentini^. Per V a-
gricoltura. — Trova, Stor. d* Ita-
lia, L cit. pag. 763 (La lunga pace
fa fiorire i campi ecc.). •— Gas-
siod. lib. I, 34, 35. Fausto PP.
lib. Ili, 29, Argoìico ecc. —
Trova, Storia d'Italia citata, pa-
gina 764 e seg. -- Gassiod. 1. YIII,
form. 9 ecc. — Per le fabbriche,
vedi Corderò (deirArchitet dei
Longob.) e le epistole di Gassio-
doro, in una delle quali marafi-
gliando ne* monumenti romani /ìgfiMl
dùamus columnarumjuneeam pro^
ceritatem? eie, eie.) quelle fogge
ch'altri poi dichiarava recateci dai
Goti, ci fa memori del prò eolum'^
nis enim statuuntur calami di Yi-
truvio. Qual maggior prova che
quelle fogge si conoscevano tn
noi prima di Odoacre e di Teo-
dorico? — Gassiod. Variar. 1. YII,
• 15. — YiTRUVius, ArcÀ, lib. VII,
e. 5. — Trova, Leggi di Liutpran-
do sui Maestri Gomacini. 1854.
2. Ma l'enfio Teodorieo ecc. -Mu-
ratori, Ann. a. 5:^6.
Die.
I GOTI 443
Vegga ognuno da ciò quanto mutata dall'Italia imperiale
fosse allora l' Italia gotica.
E nella pace quasi che imperturbata dal 512 al 522 riter- '»>
rei, se nulla veggo, risorta dalle sue rovine la città di Bre-
scia, non essendo probabile che prima di questa posa del-
l'armi barbariche potesse riaversi cosi da trovarla poi, come
vedremo, a mezzo il secolo sesto fortissima città.
E per quanto riguardi V agricoltura bresciana, mi soccorre
un dubbio; ed è che nei vini retici ed acìnatici descritti da
Cassiodoro, preferiti per la propria corte dallo stesso Teo-
dorico ^, s'abbiano ad intendere i vini benacensi, di quelle
parti dell'agro bresciano e veronese che tuttavolta potean
serbare l' antico titolo di retiche. Imperocché di quali vini pe-
lea venir copia per le mense reali dalle nevi e dalle ghiac-
ciaie dell' ultima Rezia? Però che in quanto a' Tridentini
non pare fosse tra loro tanta prosperità, se per erigere o ri-
costnirre il castelluccio di Verruca ebbero duopo che i Fel-
trini venissero in loro ajuto, e che il re Teodorico sopperis-
se alle paghe '. E notisi che di que' vini tal descrizione Cas-
siodoro ci fa ^ , che molto si attaglierebbe al celebre vin
santo dei colli benacensi; poiché dice che raccolta l'uva, ser-
basi fino a dicembre; indi si pigia, e se n'ha vin ^nuovo
quando principia ad essere già vecchio.
Ma già ricominciavano nuovi semi di guerra. Teodorico,
negoziato un accordo tra' due figli di Clodoveo, contro i Bor-
gognoni spediva un esercito di là dell'Alpi conquistatore di
alcune città. Triumphus me pugna, sine labore pai/ma, sine
ccede Victoria^.
i. Cassiod. Variar, lib. V, ep. 10, 2. Frapporti, op. cit. - Filiasi, 1. e.
11, 16. — FiLUSi, Mem. Venete, 3. Cassiod. Variar. XII, i.
(omo I, e. 6, e tomo V, pag. 19. 4. Cassiodoro, libro Vili, ep.' 10.
i44 I GOTI
m Non ha rivolta senza ragioni; e la sìcula del 52SK ci fa
sospettare che V animo di Teodorico intorbidasse, che il reg-
gimento dei popoli ne risentisse gli effetti. Quasi ad un tem-
po i barbari della Germania rumoreggiavano; opperò l'Amalo
recavasi a Verona, dove un infausto editto dell' imperatore
d'oriente contro gli ariani rompeva tra l' impero e il già so-
spettoso re la calma lungamente durata. Epperò la protezio-
ne, il rispetto di Teodorico verso i cattolici voltavasi in odio
ed in persecuzione : odio per altro miseramentB suscitato, è
duopo dirlo, da noi stessi. Perchè il pacato animo di Teodo-
rico, veneratore de'nostri vescovi e dei nostri altari, soppor-
tatore indulgente degli altrui culti, non dovea dai cattolici
turbarsi cogli incendi delle sinagoghe di Roma e di Ravenna.
Ed ecco in poco d'ora col mutarsi dell' innasprito re, scom-
pigliarsi il regno, incrudelire queir uomo già tanto clemente,
bruttarsi di delatori e di cotali infamie la corte, di scellerati
e piaggiatori il senato: epperò all' infelice Boezio, a Simmaco
patrizio e consolare ^ tronca la testa; spirato fra gli stenti
iu del carcere un pontefice ^; rianimarsi più accanita che mai
la guerra fra cattolici ed ariani. Ma quando appunto dovea
pubblicarsi contro i secondi un' austera sentenza. Teodorico
ft2c morì (26 agosto). E tosto le cronache a vaneggiare d'un ro-
mito di Lipari, da cui venne veduta in quel giorno l' anima
di Teodorìco buttarsi da Simmaco e da papa Giovanni, per
lui fatti perire, nelle caldaie di queir isola K
1. Gobi, Thes. Vet» Dyph, tomo I, 2. XhkstììS. Biblioth, in JoanneL —
pag. 151. — Hist MiseelL 1. XV, àgnell. in Vita Episeoportm
Tol. I, Ì{. Italicarum Scrip, — Ravenn, parte I, t 11. Aer. /te-
Procop. De Bell, Goihico, lib. I, licarum Script
e. 1. — Marius àyiticensis, in 3. Marius Avitic — Marcell. Co-
Chron, — Gassiod. in Ep. lib. I, mes. — Theophan. in Ckrou, —
ep. 2; lib. IV, ep. 40, 'Y, 5. — Chron. Ponlif. apud HfiNSCBBK.
Agnell. Lib, Pont. p. I, o. 3, p. 67. in Propyhgo.
1 Goti 145
> Cosi deturpato per una breve tirannia un lungo e glo-
» rìosissimo regnare, il grande ostrogoto, il massimo fra tutti t
> barbari fondatori di regni moriva Tanno settantesimoquarto
> dell' età sua » ^ Dicevasi da' suoi terrazzani Teodorìco da
Verona (Dietrichs Beni) per le sue lunghe dimore colà. Gli
Scandinavi lo esaltavano nelle loro saghe, nomandolo bar*
Caramente Thidrikr, Thidreke, Thiodrikur.
Re degli Ostrogoti o Goti orientali, generazione fermatasi
al Danubio quando i Visigoti loro fratelli (Goti occidentali)
n' erano partiti a dilatarsi lungo il Rodano e la Spagna, Teo-
dorico degli Amali fu educalo a Bisanzio, dove ostaggio in pri-
ma, poi capitano, indi avversario a quella corte, poi condot-
tiero fortunatissimo de' suoi nazionali, mostrò pensiero ed
anima anìbiziosa, ma grande. Fu il primo barbaro al quale un
imperatore concedesse di riacquistare per l' impero Italia; e
veramente riconquistolla, ma per sé, ma facendosi capo di
un' altra guerra (ed era la terza) d' indipendenza italiana*, che
dura da tredici secoli. Teodorico non fu distruggitóre,
riparò il male a noi fatto da Costantino ', richiamò le tradi-
DI C.
SS!
1. Balbo, Storia d* Italia - lìb. I, (Principibui ) eomparandut. (Ed.
pag. 101. Havercampii), La voce vtxfu poi
2. S. Martin, Note al Lebeau, 1. 37. tolta dai copisti. E T imparziale
Z* Le récit.,n des meurtres qui souil^ Ammìano Marcellino.: Proximorum
Ureni lei demiers annés de Cot^ fauees aperuit primus Contanti'
itaimn dannerà au lecieur judir- nut, lib. XVl, capo 8. - Eusebio
eieux V idée d* un prènce qui eor stesso conviene di questo abuso.
erifioU eans peine à seepateiont \% Costantino faceva il teologo: 1* aria-
ni» d «et intéréti les loix de la no Teodosio per lo contrario dlchia-
jueiiu ei lu mottMmeiilf de la rava non iapettargli nelle sacre co-
wUute. * GiBBON, Hiet, de laD^ se cbe la riverenza. Nec aliud ad
cad, ek, (irad.) tonte ÌV, Paris se, prmter reeereutiamy de eccle-
1789, ekap.XVIII. - Eutropio lo siasiieis negotiis pertinere. E ba-
dice negli ultimi anni vix mediis sU quest' unico confronto.
Ombici, St9ri9 Brttt, Yd. II. M
i46
I GOTI
zioni, gli ofiBci, TartL le leggi, i costumi, l'esercito del già
caduto ma venerando imperio, dilatando col senno e colla
mano V italo regno: a Italia cosi risorta restituiva uno splen-
dore del quale avea perduta da quattro secoli fin la speran-
za, tal che e per trentotto anni che regnò In Italia, la ridusse
» in tanta grandezza che le. antiche battiture più in lei non si
i conoscevano ^ » . Ariano, venerò i nostri vescovi, gli altari di
un culto che non era il suo '; ostrogoto, protesse le nostre
civiltà. Ed è singolare che questa sua tolleranza dei culti af-
fliggesse lo zelo degli ortodossi, i quali se non toccavano
r eresia armata dei Goti, lor dispettava che sotto re Teodo-
rico sfogar non potessero la santa loro bile contro gli ebrei
che avean la colpa d' essere senz'armi ed opulenH, e che sot-
to la protezione delle leggi aprivano commerci e sinagoghe
per le italiche città ^.
Più che dalle lettere di Ca^siodoro, belle si, ma tronfie e
cortigiane, la gloria di Teodorico è provata dalla pace e dalla
prosperità di un lungo regno (foss'anco esagerata), dalla stima
de' suoi contemporanei, dalla venerazione che barbari ed ita-
liani serbarono lungamente alla memoria sua. Il famoso par-
taggio delle terre gli fu apposto a colpa; ma Y esempio di
Odoacre, ma il diritto di conquista, l' obbligo di mantenere
un popolo che sulle sue promesse l' avea seguito, le esigenze
1. Macchiavblli, Le Istorie Fioren-
tioe, lib L
S. Anontmus Valbs. — Pnocopius,
De Bello Gothieo, lib. I, capo II.
— Cassiodorus, Varianm, li-
bro 1,9; Vili, 15, 24; XI, 23 pei
Vescovi: lib. ìf 26; II, 29, 30
Immanità: IV, 17, 20 Terre deUa
Chiesa: II, 1 1 ; III, 47 Santuaij ec ec.
D'oUt eoncbiude lo storico Gib-
bon, il résulU qu'il eioii Chef
de V Èglite en mime tempi gite
de VÉtai (Hist de la Déead. ei
de la ChiUe de l'Empire Ramaio,
t IV, e. XVIII. — La conclusione
non può essere più inglese.
3. Basnage, Histoire dee Juift, tomo
VUI, capo 7.
I GOTI Ì47
di un esercito di dugentomila uomini che gli avean dato
li regno lo scusavano in parte; molto più che a dispetto
di quel partaggio arricchivano gì' italiani per modo, eh' era
ornai proverbiale a que' tempi l'opulenza dei conquistati mag-
giore di quella dei conquistatori. Un pazzo decreto della corte
orientale che, immersa nelle sue sporcizie, facea la devota ful-
minando gli ariani, mosse ad ira TAmalo. Da qui le mutate
sorti del popolo italiano.
IL
CADUTA DEI GOTI
Amalasunta di Teodorico, moglie d'Eutarico figlio adottivo
del trapassato, già chiara per ingegno e per beltà , e madre
del fanciuUetto Àtalarico, assunse le redini dello stato; e fat-
tone re r adolescente, ella medesima regnò per lui, e saggia-
mente ne' primordi regnò. Cassiodoro la consigliava, ed era
da ciò. Ma sotto Àtalarico cessarono i decreti del senato di
Roma, ed è singolare che l' ultimo riguardi la simonia, però
che forti radici avea prese nell' elezione dei papi ^.
In questo mentre l' imperatore Giustiniano, l' autore del »|^
Codice che da lui prese il nome, a riempierci' esausto era-
rio confiscava i beni di chi non era cattolico; e i tesori de-
gli ariani rimpolparono la corte orientale. D' altra parte i
Goti più non sopportavano che una donna stesse loro in ca-
i. Manso, Athalarici ediela. — Gas- vernement da Goth, pag. 39,
810D0RU8, Yariarumt lib. IX, epì- 137 ; e note alle pagiae 26S,
stola 16. •— Sartorius, Le ^oii- 391.
m r.
148 I GOTI
po, e apertamente imponevano ad Amalasunta che sgombras-
se air istante la reggia: ma donna altera, virile, ambiziosis-
sima, negò ^
'sii ' Principiava intanto la guerra di Giustiniano contro i Van-
dali dell' Africa, e Belisario la conducea« Occupava questi as-
*** sai luoghi: Sardegna, Corsica, Ippona, le Baleari, Ceuta e
Cesarea, ogni terra vandalica tranne Lilibeo ripreso dai Goti,
il cui stato italiano pericolava. Morto Atalarico^ succedeva-
gli Teodato, figlio di Amalafreda, innalzato al seggio per Ama-
lasunta sua zia, purché facesse a modo suo. E Giustiniano
a cogliere pretesti onde aversi T ambita Italia, come T Africa
s'avea già debellata; cominciò coir arti e colle trame, delle
quali due vescovi tendean la rete ^ mentre Teodato sbaraz-
zatosi di Amalasunta, faceala porre in carcere, poi strozzare
in un bagno K
$H L'anno 535 ricominciò la guerra, e Belisario guidava Tar-
mi di Giustiniano. Ma quale esercito mio Dio I un grosso di
tremila tra federati e Romani, un altro pugno d'Isauri, un
^quecento tra Mori ed Unni; e quella mostra d'esercito
undici generali si dividevano. E il popolo italiano? Non sa-
pea cui darsi, poltriva inerte, indifferente che la servitù ve-
nisse dal Bosforo o dal Danubio, mentre il pusillanime
Teodato stipulava colT accorto ambasciatore di Giustiniano
poco meno che la vendita di quel popolo irresoluto ed
avvilito *.
SIC Ma non per questo cessò la guerra. L* imperatore man-
dava duce in lUiria il conto delle sacre staUe (vile abie-
zione d' nomini e di titoli), la quale in breve colla Dalmazia e
1*. MuftAT. Ann. a. 5^6. 3. Muratori, negli Annali d'IUUa,
S. BALBo,|Storia d' Italia - libro I, an. 534.
pag. 117. 4. Procopius , De Bello Gotk, I. ciL
I GOTI 149
la Liburnia fu aggiunta all'impero. Poi la guerra si portò
nella Sicilia. Siracusa, Palermo, Reggio/ Messina presidiaTa
Belisario; indi recatosi ne' Bruzzi e nella Campania, pigliava
d'assalto la città di Napoli ^. Cadeva intanto uccìso da un
traditore il fuggitivo Teodato ^ mentre Vitige suo capitano
gridato re dai Goti, raccolto il nerbo dell'armi loro ^ sparso
per le Gallio, ma più ancora nelle città della Venezia, cui
(l'abbiam detto più volte) era ascritta la nostra, chiudevasi
ad aspettare gli eventi nella città di Ravenna. Perseguitato
da Belisario, cercò siccome al solito l'armi straniere; ed
ecco i franchi re Childeberto, Teodeberto e Clotario, avu*
ta in prima la pattuita Provenza, disporsi al passo già tante
volte rìvalicato dell'Alpi. À Belisario intanto s'aprivano
le porte di Roma, le cui mura fortificò di merli e di fos-
sati, maravigliandone gl'imbelli Romani, e Tale e tanto an-
> tico esempio hanno coloro che pretendono per le capitali il
» privilegio di non difendersi mai > ^.
E qui finalmente una bella fazione di guerra, che fra tanto ^U"
e si vigliacco aprirsi di porte vinte già prima che vedute, si
risente almeno di militare virtù: vuo' dire V assedio che Vilige
avea posto all' eterna città coi Goti, che da tutto il Veneto
e dalle Gallie avea chiamati, e la pertinace difesa dell' as-
sediato Belisario minutamente descritta dallo storico Proco-
pio ch'era con lui \
Vitige alfine se ne ritrasse abbandonando la disperata im- 539
presa. Milano intanto gli si ribellava; spedla messaggi a Beli-
la Progop. De BdU Goth. lib. I, 4. Balbo, Storia <r Italia, t. I, iib. I,
e 7, 8, 9, 10. — Hist. Misceli. pag. 141.
lib. XIV, pag. 106. — jReriiM 5. Procopius, Ds Beli Golh, lib. I,
lua. Scrip. t. 1. e. 14, 17, 25, 2J; iib. Il, e. I,
2. JORNANDES, De Reb. Gelar, e. CO. 7, 10. - Murat. Am. a. 537. -
3b Cassioo. lib. 10, ep. 32. Libervt. in Breviar. e XXU.
i50 I GOTI
sano perchè mandasse a proteggere coir armi la cittadina ri-
Tòlta ^» e Belisario t1 mandò un migliaio di Goti: eppar ba-
starono perchè la rivolta si dilatasse a Como, a Bergamo, a
Novara, ad altri siti della Liguria.
Udite Yitige quelle rivolte, mosse coir esercito a sedarle ;
ed ingrossato da diecimila Borgognoni che Teodeberto re dei
Franchi gli avea spediti, fu a Milano cui cinse d'assedio. Il
presidio stremo di viveri ^ e di soccorsi venne all'unico ed in-
fame patto che la sua vita e quella de' suoi seguaci si rispet-
tasse. Nulla valsero i sensi magnanimi del greco Mandila, per-
chè le parole dei prodi non arrivano al cuor dei codardi.
^l^' Entrata l' oste nemica, non fuvvi crudeltà che non com-
piesse: le fanciulle donate ai Borgognoni, le fabbriche spia-
nate, gli uomini passati a fil di spada. Esagerò Procopio nel-
r asserire cadute trecentomila vittime '. Tristano Calco non
parla che di trentamila ^: merita maggior fede; ma è sempre
orribile carneficina. Per tal modo peri miseramente quella
Milano che l'epigramma d'Ausonio descrive su l'altre del
piano lombardo maravigliosa.
Tanta sciagura dovevano i Milanesi allo zelo indiscreto di
un arcivescovo, promotore della sommossa. E certo, come
applauda il Baronie ^ a questo rimescolarsi dei sacerdoti per
incitare i popoli a sciagurate rivolte, io non so. Vero è che
Dazio, rovinata la propria città, pensò per lo migliore di
abbandonarla.
In poco d' ora le terre della Liguria furono dai Goti ripre-
se, i quali spedivano messaggi ai Longobardi per averli com-
pagni, ma l'ambasciata non fruttò '. Narra il Filiasi che nel
1. Procop. De Beli Goth. 1. II, e. 10. 4. Hist Patria, lib. ili, pag. 69.
2. HUt. Misceli. 1. XVI. — Oltroo 5. Baron. Ami. EccL ed a. 538.
CHI, Hisi, Ligustica. 6. Procop. De Bell Qoth, lib. IH,
3. Procop. De Bell, Gotk. 1. Il, e. 21. e. 33. — Muràt. Aam. a. 539.
1 GOTI 151
calore delle vittorìe, passato l'Adda, si dilatassero per le no-
stre contrade ^ ma come al solito nulla ti prova. Pare per
quella vece che ripiegandosi al Po, volgessero verso Tor-
tona. Certo ò per altro che gli Eruli seguaci di Narsete
ribellarono, né valse T autorità di Belisario; e venduti al ne-
mico i servi e gli armenti rubati a noi, entrarono nella Vene-
zia. Eruli per Goti probabilmente prendeva 1' autore delle
Memorie Venete; ed è precisamente il contrario.
Vitige intanto dalla sua Ravenna, quasi alla povera Italia
non bastassero i barbari che la straziavano, cercava uomini
ed armi al re di Persia. Ma quando appunto e Goti e Greci
rivaleggiavano per istrapparsela di mano, vennero i Fran-
chi a prenderla per so *.
Guidati dal loro Teodeberto, valicate l'Alpi con centomila
uomini armati della franca scure, la quale scagliavano al dato
segno contro i nemici, giunti a Pavia, scannavano le donne
ed i fanciulli dei Goti, che giltavano in Po come primizie ai
loro Dei (erano cristiani cui doleva lo smettere si umani
riti ^), poi correvano per la Liguria e per l' Emilia disertan-
do il paese; ma colti da un morbo devastatore se ne torna-
vano all'Alpi con quella furia che qui gli avea cacciati.
Liberato d£^ que' barbari, s' accolse Belisario collo sforzo
dell' armi all' assedio di Ravenna. Giugneano intanto amba-
sciatori di Giustiniano al campo desiderosi di pace: propo-
nevano serbasse Vitige la metà del regio tesoro coli' Italia
transpadana; s' avesse Giustiniano l' altra metà del tesoro e
un annuo tributo de' Cispadani ^. Avversava Belisario quei
i. Mem. Venete, t V, pag. 24. 3. Procop. 1. cit. — Balbo, Storia
2. Marius AviTicENSis, III CkrotL Italiana, lib. I, pag. 204.
— GoNTiNUATon Marcellini, in 4. Procopius, De Beilo GoiMeo, li-
Cknm. eie» bro U.
DI C.
152 I GOTI
patti che toglieTangli di mano la vittoria, ma i suoi Goti per
quella vece li soscrivevano; e Belisario disobbedito dall' eser*
cito, fu chiesto prìncipe da' suoi nemici, che dalla stessa Ra-
venna mandavano pregando pigliasse le redini dell' occidente.
Belisario non ruppe fede al suo signore : ma l' atto gene-
roso bruttò coir insidia; perchè finse aderire non per altro
che per sorprendere la capitale, la quale cosi ripresa da un
pugno di Greci, non per virtù ma per vigliacchi tranelli,
tolse ai forti presidii dell' agro veneto ogni speranza di salute:
<«« opperò quant' erano città dall' Adda all'Adriatico diedersi al
fortunato Belisario, che vincitore dei Goti, arbitro e donno
delle italiche sorti, tutto parea sorridergli. Caduta Verona, è
indubitato che Brescia dovea subire lo stesso destino.
Ma nell'auge sovente d'una grande fortuna è il germe d'im-
minenti sventure; e dove a un popolo caduto resti un po' di
coraggio e il sentimento della sua dignità, sollevasi talvolta
a egregi fatti, e si riveste dell'antica virtù: ed è appunto da
quei grandi e generosi commovimenti, da quegli istanti di ec-
citata energia, che suole emergere la redenzione di mol-
titudìni schernite e conculcate.
Richiamato da Giustiniano quel Belisario le cui vittorie gii
suscitavano contro al suo nome V operosa calunnia, commet-
teva Italia ad altri duci: s' accorsero allora i Goti d' essere
stati poco men che venduti all' imperatore. S' adunavano in
Pavia sconsolati ad un tempo e disdegnosi, e facevansi ardi*
tamente un altro re, benché meglio fosse stato non fame al-
Cune; ed Ildibaldo, che tenea Verona, fu assunto al trono di
una gente che non volle perire ad ogni costo senza vendetta
e senza gloria.
s«t Intimata Ildibaldo la rivolta ai mille seguaci che s' accol-
sero in armi alle mura di Pavia, gli tenner dietro le città della
Liguria e della Venezia, e Brescia con loro, alla nobile riseos-
1 GOTI
153
sa: il perchè la potenza dei Greci, appena risurta coir acqui-
sto di Ravenna, pericolava. Un Alessandro s' aggiunse ai loro
duci, che terminò di spegnerla: un tristo, fatto su per calun-
nie gittate a tempo; di que' cotali che risparmiano Y altrui
per impinguare se stessi; e tosator sottilissimo di monete,
js' avea mercato il nome di Forbicetta.
Ressa, Y audace greco, tenea Piacenza, ed Ildibaldo rumo-
reggiava in Treviso: ma Ildibaldo cadeva intanto per donne-
sche trame barbaramente ucciso. Un Erarico tenne per poco
il trono. Ucciso anch' esso per altre congiure, fu dato il sor-
gente regno a Raduilla nipote dell' infelice lldebaldo S noto
fra i Goti più assai pel nome gloriosissimo di Totila \ che in
loro lingua significava immortale.
I capitani greci se ne stavano intanto inoperosi: pur sen-
tita la morte di Erarico, furono a Ravenna; poi con dodicimila
uomini, ch'era tutto il loro esercito, posero le tende nei piani
tra Mantova e Verona, ed a sessanta stadj da questa. Un Mar-
ziano, signore di non so quale castello vicinissimo a Verona,
corrotte le guardie, introduce notturno un arrischiato drap-
pello di Goti: ma il vile esercito non asseconda Y impresa;
fattosi innanzi a rilento trova le porte chiuse, il nemico in
armi, e que' valorosi compagni, che a tanto periglio s' erano
gittati, opponenti indamo la resistenza estrema ^. Totila rin-
corato, non potè accogliere dintorno a sé ( a tanta inopia di
DI e.
iti
i. Jordan. De Regnar, success.
S. Baduilla^ qui et Totila dicebatur,
{Hist Misceli lib. XVl).
3. Satius visum est, ante omnia Ye*
rofMim, aqti veneti urbem, infesto
exereitu petere, eaque capta cum
ipsius preesidio GothicOy Totilam
ae Tidnenses invadere, Exerci-
tus hie Xllconstabat millibus..,.
Castra stadiis LX procul metati
sunt in ejus planilie :circum jo"
cent enim equitabiles campi, qui ad
urbem usque Mantuam patent diei
iter Verona dissitam. — Procop.
De Bello Goih, lib. Ili, e. 3, m
Rer, Ital. Script, t. I, col 304.
154 I GOTI
combattenti era cadata la sua nazione) che an' annata di cin^
quemila nomini. Pur seppe valersene con tanto senno che,
debellate le greche ordinanze, corse ToUla vincitore V Italia
intera, né si fermò che air assedio di Napoli ^ Poi volle che
s. Benedetto profetizzasse di lui *: un monaco di grido altis*
Simo, d' austera vita, di santi costumi; di que' cotali che nelle
età rilassate e vilipese serbano intatto lo spirito severo, e han
nerbo ingenito di gagliarda virtù; opperò si ritraggono alcuna
volta 0 dispettosi dei tempi, o bersagliati dagli uomini, nella
solitudine. « E fu bella solitudine, perchè austera, occupata
» e religiosa come se la fecero i monaci antichi ' » .
^^^' Presa Napoli, fu inerzia d' armi per quasi un anno, ma non
cessavano i nostri guai; la pestilenza e la fame spazzavano le
intere città ^. Poi l'armi greche perdevano la stessa Roma,
MI perdevano Piacenza , V unica città dell' Emilia che fosse
imperiale.
Fra tanta rovina dell' orientale potenza, Belisario, il solo
che potea sollevarla, ricompariva, ma con più*infausti auspicj;
117 avvegnaché ripresa con un colpo di mano la stessa Roma,
battagliò con avversa fortuna pe' campi latini, calabrì e luca-
ni. Era una vicenda minuta, staccata, ingloriosa e senza sco-
po. Esausti i Greci, stanchi ed esausti anco i Goti, sana stato
per gì' Italiani un istante pib adatto a francarsi degli uni e
degli altri, e fare da sé : ma non erano allora nò popoli con-
cordi e risoluti, né condizioni civili, né forze militari al gran-
de scopo; e perdute le grandi occasioni, passano talvolta in-
teri secoli di ribadita servitù.
1. Greg. Magn, Dial. lib. II, e li. i. Evìigrius, i» EUU — Procop.
2. BuLLANDUS, BuTLER, MABaLON, Dt Beli Per». Ub. % e SI —
in 8. Benedelto. Victor Turon. in Chroi^^ Con-
3. Balbo, Stor. d' Ital. - lib. I, p. 233. tinuator Marcbll. e/c.
'I GOTI . 155
Per nuovi intrighi di corte Belisario fu richiamato; e la-
sciando Italia, se n' andò senza gloria, impotente, svogliato,
disobbedito da' suoi; lasciolla più deplorabile di prima, vuota
d' armati e d' armi, espilata da lui. Tomowi, ma con poco
frutto: il perchè Giustiniano, dismesso ogni pensiero di con-
quista, lasciava che Totila ristorasse l'esercito e la fortuna de'
Goti suoi neir Italia circumpadana, e ripigliasse Piacenza;
permetteva che i Gepidi si ritogliessero il Sirmio e la Da-
cia; Pannonia e Nerico donava ai Longobardi. L'uno de'
quali, un Ugiso, si gittò con seimila intrepidi al pari di lui
nell'Italia per unirsi ai Goti; ed iscontratisi nella Venezia
con un pugno di Greci, indietreggiarono. Preludio ^lontano
d' una grande invasione, fu come nube che annuncia il tem-
porale. D' altra parte anco i Franchi ci ambivano: parea loro
che non fossimo denudati bastevolmente.
Teodeberto, il più potente dei loro re, occupate l' Alpi Co-
zie, scéndeva con un esercito nella Venezia, della quale ri-
prendevasi alquante città S dirò anzi là maggior parte, se
vuoisi credere a Procopio; ed è duopo congetturare che si
trovasse tra le vinte la nostra: e se nuli' altro ai Goti rimase
che qualche castello, certo è per altro che ancor tenessero
Verona'. Tre popoli diversi possedevano adunque l'Italia
di qua dal Po. Tenevano i Franchi probabilmente la parte
DI e
I. Paulo ante, Fnmcwum rex Theo- Gotk. lib. lY, e. 24. — R. It S. -
debertus morbo obierat, eum sibi ma Teggasi ancora il lib. IV, e. 33,
nullo negotio tributaria feciiset Rer, Ital. Scriptor. pag. 367. —
nanmtlla Ligurioi loca, Alpes Cot- Franci in agro Veneto stationa-
iiat, agrique Veneti partem man narii etc. ed altrove: Alpee Vene-
ximam . . . Venetorum pauea op- tat nullo jure itipendiarioi Theo-
pida Gothie iupererant: nam jRo- debertue sibi fecit - 1. lU, e. 23,
mani n^tima^ Franci etBtera 24. - Filiasi, M. Yen. t Y, 30.
occuparant. ^ Progop. De Beli 2. MuRAT. Amk a. 548.
i56 1 GOTI
alpigiana e subalpina, compreso per avventura V agro bre«
sciano; signoreggiavano i Goti le pianure colla città di Ve«
rona lor prediletta; i Greci la parte marittima che Procopio
accenna.
Ed eccoci stipendiai] d'un re straniero; senonchò rnor*
te il colse a mezzo delle sue vittorie ^ Narra Procopio
che Giustiniano mandasse allora da Teodebaldo figliuolo e
successore del franco re chiedendo restituzione dei Ino-
ghi liguri e veneziani. Ma Teodebaldo mantenne la sua
conquista.
DI e. ^
<«• Roma intanto nuovamente da Totila riconquistata, rìfaceasi
gota: poi Totila correva Y intera Sicilia, e postala a sacco,
ritornava in Italia carico d'armenti e d'oro siculo. Un vecchio
eunuco scelto da Giustiniano all'impresa d'Italia, raccolto
un esercito a modo suo, venne a riaccendere una guerra che
procedeva lenta e come a caso. Era questi Narsete *. Te-
mendo i Goti la mala pasqua, proponevano gli accordi; e fra
gì' inutili negoziati e i grandi apparecchi venne la primavera
m del 552. Raggruppava Narsete le barbare sue genti a Salo-
na. Venturieri gepidi e persi, qualche migliajo d'ondi ca-
valli, qualche altro di Longobardi e soldati di Tracia, d' llli-
rio, di Costantinopoli, che tratti all' esca dello splendido eu-
nuco e dell'aperta Italia, già toccando i limiti del Veneziano,
s'avviavano a conquistarla. Aspettavali Totila: e posto in
Verona con un esercito intero il prodissimo Teja, contrappo*
1. PftOCOP. DeBeìl. Goth, 1. IV, e. 24. iereluderet. Sic ret erpA. Ac Téiat
% Totilas delectum exercitua Gothici quidem, ubi Veronam aUigii, adi-
fiorem, duce Teia, Gotho fre//tcom- tus omnes illius traeius ofrilm-
Simo, VERONAM, GOTHicc DiTio- xìt hosU, — Progop. De Belh
MS URBEM, [fiaim«e/, tU prò vi- Golk. Ub. IV, e. 26. - Aer. Ilal*
ribustransitwnRomaniseopiisin- Script, tomo I, pag. 36 1.
i GOTI 157
Deva impedimenti ed armi a' più facili passi S tanto più che
qaelli dell'agro veneziano avea Narsete ridomandati ai Fran-
chi; segno qui, s^giunse il Muratori, che Padova, Vicenza ed
altri luoghi di colà si tenevano ancora da quegli stranieri. Ma
i Franchi si rifiutarono, e Teja frattanto guardava le chiuse
dei nostri monti e dei veronesi, dando il guasto alle vie lun*
ghesso il Po.
Costretto a mutare assalti, l'ottogenario eunuco prese altra
via. Giunto a Ravenna, vi s' appostò; poi fu a Rimini ^ sforzò
quel passo. Totila e Teja, ricongiunte allora le proprie file,
dolenti che tanto apparato, di resistenze nel Veneto fosse
stato indamo, mossero in cerca dell'inimico; e udite le nuove
del mutato cammino, s' appostarono come in aspetto fra Gub-
bio e Matelica. Giuntovi Narsete, pose il campo a un centi-
najo di stadj da quello dei Goti, su cotal piano in cui era
voce che i Galli venissero tagliati da Furio Camillo; e ve*
ramente chiamasi tuttavia la sepoltura dei GaUi '.
Adesso era Narsete che offeriva gli accordi, esortatore di
pace: ma Totila era un prode, ed all' infamia d' una ritirata
preponeva la sorte, dubbia sempre ma sempre nobile, del-
l'armi.
Ottomila saettatori greci tenevano i fianchi dell' esercito
imperiale, che da manca poggiavasi ad un- colle ov'era Nar-
sete col fiore de' suoi soldati: all' ala destra Valeriane; sta-
vano gli Eruli e i Longobardi nel mezzo. Aveano i Goti non
dissimili ordinanze. Il vecchio Narsete scorrea le proprie gri-
dando ladra, usurpatrice la nemica armata, ma scuotendo
I. Cum proxime agrum veniisei Ve- — Procop. 1. cit eapo 26. - Aer.
neium, misso nttiicto ad Franco^ IL Scrip, pag. 361.
rum dueety qui loca iUa feniani 2. Procop. De Bello Goihieo, lib. IV,
pfWfidiis,posÌulavU ut Hhi, tom- capo 49.
quamamieii, tramitum darent tic, 3. Cldvbrius, lial. Ani, lib. II, e. 6.
158 I GOTI
ad un tempo» eccitamento a' suoi barbari» i braccialetti e gli
aurei freni che anch'egli aVea rubati.
Totila intanto a pigliar tempo caroleggiava nel mezzo d'am-
bo gli eserciti girando su di bellissimo destriero; e tutto
splendido di superbe armature» con brio cavalleresco correva
il campo» intrattenendo amici e nemici con ludi gotici e leg*
giadrie» finché giunti duemila cavalli da lui tanto aspettati»
dopo alquanto mutar di schiere d'ambo le armate» sondo gii
prossimo il tramonto» s' incominciò la battaglia.
I cavalli dei Goti rompevano i primi a gran carriera come ad
urtare la parte nemica; ma tempestati da una grandine di
saette» vacillanti da prima» poi scompigliati e vinti cedevano:
incalzati per ogni parte non trovano più scampo; e recando
nei fanti la certezza» il terrore della sconfitta, seco avvolgen-
doli» trascinandoli confusamente nella dirotta loro fuga» fanti e
cavalli trailbujo delle tenebre s'avviluppano» s'uccidono» si
calpestano fra loro; e alla notturna mischia» all'orrore della
strage» che nel campo di Totila fu miseranda» succede lo scon-
solato silenzio della morte. Totila stesso da un Gepido tra-
fitto, in quella notte spirò ^.
Teja» l'animoso difensore di Verona e dell' alta Italia» cam-
pato colle reliquie del disfatto esercito a Pavia» gridato re
da' suoi Goti» rinfrancava gli spiriti ad altre imprese. Narsete
intanto rimandava gran parte di quo' suoi barbari devasta-
tori» che satolli di scelleraggini e di preda» fu duopo scortarii
fino ai confini per pietà delle povere terre cui dovevano at-
traversare. Quindi lasciato a Yaleriano altro duce il pen-
1. Procop. De Beli Goih. lìb. IV, Storia d'Italia, tomo 11» parte UI,
dal e. 19 al 33 ìnclusi?L — lib. I, pag. 1617. — Gdazzbsu
EvAGRius» in Bi»t G. 23. — Pau- DisaerL IV sulla disfatta e morte dì
Lus DiAcoNUS, Dt GetUsLango- Totila (Pisa 1761); che si acoor-
bardorum, lib. II, e. 1. — Trova, da col Clttverìo e coli* Holdstenu).
1 GOTI 159
siero di farsi incontro a Teja, si volse a Roma che d^ assalto
pigliò ^
Yaleriano si pose a Verona; ma combattuto dai Franchi,
tatto il nerbo della guerra si rìduceva nella Campania sotto
Cuma, dove Teja, guerriero infaticabile, più grande nella
sconfitta che nella vittoria, corse rapido co' suoi.
Presso Nocera trovaronsi gli eserciti rivali, e fu battaglia
sanguinosissima: e in mezzo a quella strage il terribile Teja
rinnovando i prodigi degli antichi eroi, così appiedi com'era,
ferocemente si ravvolgeva; e quando lo scudo grave dell'aste
e dei dardi nemici conficcativi dentro più levar non potea,
pigliavano un altro; e la vicenda lungamente durò finché un
dardo il colse. Bella morte, qui esclama Cesare Balbo \ e
che parrebbe imaginata ella stessa, se non ci fosse narrata da
un detrattore dei Goti; ma che vera e indubitabile, nobilita
la loro caduta, e ne fa increscere ai posteri.
Questa morte cosi degna dei cantici che risuonano talvolta
ralla tomba dei prodi, e che fa sacro il sangue per la patria
▼ersato, apprendeci che dove un popolo mal caduto senta do-
lore di una sconfitta senza gloria e senza dignità, rado è che
non trovi chi lo sollevi tanto almeno da ricadere più no-
bilmente.
Nò i Goti venuti piuttosto a morire che a combattere si ^j J^-
ritrassero però, finché inoltrata la notte, più valsero le tene-
bre che la indomata virtù.
Cessata la strage, venivano a patti; e ne' patti splendeva
l'orgoglio, la dignità di una gente che cede alla forza, ma non
!• Postquam Langobardi ex romano id studio prohilfuere,reponemsiln
solo pedem extulerunt, castra Yon vindicanUs suas. — Procop. De
lerianu» ad urhem Veronam pò- Beli Goth. (Rer. Hai, Serip. i. I,
smi . . . Hoc nuncio exciti Frat^ col. 367, lib. lY, e 33).
ci, in agro veneto stationarii omni 2. Storia d* Italia - lib. I, p. 315.
160 I GOTI
si rende a nessuno: chiesero i Goti di passarsene oUr'Àlpi, e
fii concesso. Ma una mano de' più indomiti di cotestoro stette
salda ne' suoi proponimenti; e valicato il Po» tomossi all'Italia
superiore. Ed anco è dubbio se realmente partissero gli altri.
E qui Procopio, come di guerra già fornita» chiude i racconti
suoi. Ma un Agatia» vissuto anch'esso in que'di, narra di Goti
qua e là vaganti e resistenti per la Liguria» per la Venezia,
dove fino da Odoacre erano le sedie più antiche e più forti
dei barbari frammiste nel tempo di cui parliamo colle re-
centi dei Franchi ^
I quali chiamati a soccorso da quelle reliquie sventuratis-
sime dei Goti» se ne scusava per essi il loro tardo ed imbelle
Teodebaldo; ma Leutari e Buccellino, due fratelli e duci de-
gli Alemanni a Teodebaldo soggetti» accettarono l'invito;
ed accolto un esercito di settantacinquemila tra Goti» Fran*
chi ed Alemanni» si preparavano alla guerra.
Con questo più popolo che giusto esercito calavano impe-
tuosi nella valle del Po» mentre Narsete lasciato al blocco di
Cuma alquante schiere» mandò innanzi il resto a grandi gior-
nate perchè si collocasse al Po. Ma i Franchi e gli Alemanni
come vasta fiumana correvano insino a Roma» e giunti al
Sannio si dividevano in due.
iu' Buccellino piegò verso i Bruzzi e la Campania, Leutari lun-
go le coste dell'Adriatico; l'uno e l'altro saccheggiando» in-
cendiando (le solite galanterìe) senza misericordia. Se non
che il secondo» carco di preda risalendo all' agro veneto» po-
nevasi neir ultime diramazioni dell'Alpi Retiche tra Verona
e Trento» vicino al lago di Cardai o com' altri sospettano a
a
1. Progop. 1. cit lib. IV» capo 35. ad pairiam cuperet reverti, »ter
2. Tertiut - quoque Francorum dux Vtronam et Tridenium, juxta Ut-
nomine Leuiharius Buceellini ger^ eum Benaeum propria mork dt-
matius» dum multa prceda onustus funetus est — Paulus Diaconus,
DI e.
I GOTI 161
Ceneda nell' attuale Venezia che un tempo aveano i Franchi
posseduto; quando per altro V oppidum Cenesce non alludesse,
com'io sospetto, a Cesano vico benacense dell'agro veronese.
Agatia, scrittore contemporaneo e di molta gravità, non
determina in qual parte della Venezia, cui spettava lo stesso
Benaco S fosse queir oppido ; e lascia libero il campo a
quest'ultima supposizione, tanto più che Cesano veronese
giace appunto colà dove mirabilmente risponde il passo di
Paolo Diacono che abbiam recato. Lo stesso Muratori, igno-
rando quest' ultimo vico, non sapea combinare la Ceneda
veneziana colle parole del Wamefrido ^. Neir agro bena-
cense adunque, e non a Ceneda, Franchi ed Alemanni, chec-
ché ne fosse la cagione, colti da morbo inesorabile, cade-
vano spenti^. Leutari stesso come preso da rabbia, con
torvi occhia spumante la bocca, dilaniando se stesso misera-
mente moriva.
Cosa facesse Narsete non so: certo lasciava che i Franchi
desolassero come loro paresse le terre del Bresciano, del
Veronese, di tutta la misera Italia subalpina. Eppur pre-
dicava esser venuto a renderle il suo posto fra le nazioni.
S'abbattè finalmente inBuccellino presso al Volturno. Era-
no i Franchi trentamila; diciottomila i Greci. Da costoro,
da un vecchio eunuco, da Bisanzio e da un selvaggio della
Germania pendeva V Italia nostra. Dopo acerrimo conflitto,
Buccellino restò sul campo; e la vittoria fu di Narsete, che
al vinto esercito non perdonò la strage.
De Gegt. Langob. lib. H, e. 2, muso, in Vetutiam deflectunt, -
9el potiui. — Land. Sagacis Ad^ OBnetaque eonsùtunt, quod tum
dim, ad Hist, Misceli R, L S, 1. 1. oppidum in ipsorwn erat potestà-
ì . Benaeus lacus Veneiiarum, — te .., Mox otta lues .... monetali-
Paulus Diac. lib. II, e 14. tur interim ,... nec remisit ma-
% Ann. a. 554. lum, donec omnes absumerai, —
3. Pado non cUra dificultatem trans- Agathmb De Bello Gotkicc, lib. II.
Ommci, Siark Bnte. Voi. n. H
i62 I GOTI
D. e
Un anno dopo altro popolo di Franchi battagliava coi
Greci, e disperdevali non so poi se ne' campi Liguri o Vene-
ziani. Ma per ultimo risollevatosi Narsete, con nuovi armati
lor toglieva di mano Italia insino all' Alpe.
E qui cessano le storie dello stesso Àgatia: quindi silenzio
e tenebre sui dispersi avanzi di quella schiatta generosa dei
Goti, che certo era degna di migliori destini.
Della quale un' ultima resistenza fu al castello di Consa,
dove da settemila Goti s' erano chiusi, e cui difesero coli' an-
tica virtù. Avutolo Narsete a stento e dopo lunghi ed ardui
conflitti, que' gagliardi propugnatori mandava tutti alla sua
Costantinopoli. « I rimanenti Goti vissero irosi, ma sotto-
» messi > S balestrati qua e là per le italiche province, come
un tempo degli antichi Liguri abbiam narrato. Sono già corsi
tredici secoli, e nessuno ha investigato mai se qualche traccia
di lingua, di costumi, di tradizioni sia nell' Alpi o nel piano
lombardo di quella nobile e forte generazione.
ftss La sua memoria estrema parrebbe ad ogni modo quella
di Widino (altri Guidino) conte dei Goti ^, che ribellatosi al-
l'imperatore, soccorso da un Amingo generale dei Franclu
non ostante la tregua fra i due popoli di cui parla Monandro \
contrastò potenteme'nte a Narsete il passo dell'Adige ^: ma
vinto e rimasto prigioniero, fu relegato in ceppi a Bisanzio.
Cadde in quel fatto Amingo, e pare che tutta Italia venisse
allora, come narra l'Aviticense, in potestà di Narsete, eccet-
to Brescia e Verona.
1. Trova, Storia d* Italia - t. Il, par- Niebhur assegnerebbe a qfoesti latti
te HI, pag. 1646. Tanno 561.
8. Widin Gothorum Corniti, contra 4. Muratori, Am, a. 56^ 563. —
Narsetem rebellanti. — I\ Diac. Paul. Diac. De Gest Langoìfard,
De Gest Lang. lib. Il, e. 2. lib. li, e. 2, 3. -— Menanor.
3. Menanor. Protect. tu Excerptis Protect. Histor, BixanL tomo I»
Legation. p. 347, Edit. Don. lì pag. 133.
f GOTI 463
Riterrei questo fatto legarsi a ciò che narrano le Sto- ^l^'
rie Bisantine; come cioè si mandassero nel 563 laureati nunci
fino a Bisanzio, significando aver Narsete ritolte ai Goti le
due munitissime città di Brescia e di Verona h tanto più che
Menandro Protettore narra del contrastato passo alle rive
dell'Adige come d'avvenimento prossimo alla pace che Giu-
stiniano avea compra dai Persi nel 562 ', e che Agnello Ra-
vennate assecura non aver potuto Narsete sbarazzarsi total-
mente dei Franchi se non che all' anno 565 ^. Veramente
presso Cedrone copiatore di Teofane le due città son chia-
mate con un po' di storpiatura Viriam et Brimas. Tuttavolta,
benché al dire del Muratori manchino alia storia lumi per de-
cidere questi fatti S l' Adige nomato come luogo appo il quale
si combattevano quelle fazioni, ne fa supporre non altra città
munitissima dover essere in que' nomi accennata fuor che
Brescia e Verona. Chi non sa come quest' ultima p. e. era
dai Goti stessi chiamata Bem^f E i nunci laureati che da Ro-
ma si mandavano a Bisanzio per ciò soltanto che la vittoria
di quelle due città s'annunciasse alla corte orientale, palese-
mente dimostrano l' importanza dei vinti luoghi^ e quanto a
Narsete fosse costata la bresciana vittoria. Ond'è, che ne'due
nomi bizzarri del copista Cedrone ha indubbiamente un errore.
Gravissimo fatto ad ogni modo, fra i più gloriosi della sto-
ria nostra, fu la rivolta dei Goti nelle città di Brescia e di Ve-
rona, la quale ci avverte come le nostre mura fossero l' ul-
1. Eodem etiam anno, mense 2. Menano. 1. cit. — Balbo, Siorja
victorÙB triumphalea nuncii Roma d'Italia, tomo i, lib. I, pag. 335.
Conitantinop. delati» pervenerunt; 3. Liber Pontifie. Rawnn. in Rerum
Nartetem videlicet Patrieium duas hai. Script l. Il, parte 1, p. 114.
urbes muniiissimas Veronam et 4. Ann. a. 563.
Brixiam a Gothis recepisse. — 5. Dieiricks-Bern. Verona di Teodo-
Teophan. Choronog, Histor, Bi^ rico. — Giovanelli, Trento città
M»l. Parigi, 1755, p. 201. dei Rezj, pag. 41 ecc.
164 I GOTI
timo asilo dei dispersi avanzi di quel popolo infortanatOj che
vìnto sull'Adige dai Greci, morto Amingo e perduto Widino,
chiudeva le porte contro un esercito trionfatore. Senz' opere
fortificate non resistono le città; ond' anco perciò potrebbe
argomentarsi come la gotica potenza risollevasse le condizioni
bresciane; e come forse Teodorico medesimo e i successori
suoi ne riparassero gli edifici S e più la rocca e le mura, sic-
ché a lei competere potesse il nome di munitissima città dei Goti.
E quel fatto ci apprende ancora che nella nostra città ritro*
vassero i Goti un popolo anelante a indipendenza, e lo scuo-
tessero a quella rivolta, che se fosse riuscita, da noi Bresciani
e da Verona saria venuta la redenzione d' Italia; e che (sicco-
me di Verona è certo ^) nella nostra non i Goti, ma i cittadini
battagliavano a francarsi una volta dalla straniera servitù, però
che Brescia fu presa in quel medesimo conato. E per fermo il
nome italiano avrebbe potuto risorgere se non avessimo pre-
ferito ai discendenti dello splendido e buono Teodorico ^ un
evirato della corte orientale, corte infame, superba, depreda-
trice. Volemmo la fiaba della risurrezione dell' impero roma-
no S nò ci avvedenuno che con quell'offa intanto l'astuta
1. Che il Palazzo regio dì Brescia mani tempi facea capo quello di
possa per avventura credersi eretto Vallrompia, ed in altri quello di
da lui dicemmo altrove; che Tac- Mompiano, come attualmente lo (a.
quedotto di Mompiauo debha dirsi 2. PugnaverufU cantra Véronemses ei^
opera sua lo suppone il Biemmi: ves, et capta est Verona dvitoi
e il Bravo V asseriva con una fran* a militibas» Agnel. L. Pont* p. li,
chezza tutta sua, come a sosti- R. I, S. tomo II, p. 1, pag. 108.
tuzione deir acquedotto romaiiu, 3. Balbo, Sommario di Storia lu-
ch*ei vorrebbe dall' unnica inva- liana, eia IV, an. 476, 764. —
sione pienamente distrutto. Noi so- Magchiavelli, Storia Fiorenlina,
spettiamo di romana fabbrica Tac- lib. 1, e. IV; ed ivi l'elogio insi-
quedutto che ancor sussiste ra- gne che di Teodorico ci fa.
sente i ruderi dell'antico edificio 4. Balbo, Speranze d'Italia - e. VII,
di Porta Milanese, nel quale a' ro- pag. 47.
I GOTI 165
Bisanzio venia struggendo Italia, rimpicciolendola sino a
compome una provincia orientale.
Teodorico ben egli volea redimerla: tentollo anzi più vol-
te, ma non riusci; ed ebbe infausto dissolvimento un' impresa
che fu proseguita ma non compiuta mai per tredici secoli.
Tramarono gli ottimati di Roma contro i Goti anco perchè
non erano cattolici; quasi che nella corte di Giustiniano la
religione di Cristo non fosse più che una larva, un pretesto
come tutte le altre.
a
Ma la vittoria di Narsete, della quale un fatto massimo e
decisivo fu la espugnazione di Brescia e di Verona, e che nel
celebre marmo della Via Salaria ^ ò detta Vittoria Gotica
restitutrìce della libertà di tutta l' Italia, rispettò coloro che
nelle rivolture bresciane e veronesi non si erano mescolati;
rispettò i loro possedimenti. Un editto del 13 febbrajo 565
attribuito a Giustiniano, che il Cuiacio ha pubblicato ^ e che
il Marini ha derìso ^, ma che gli editori di Lipsia del Corpus
Juris han ristampato, ricorda^ la romana stirpe dei Tizioni, che
sparsa per le Rezie, qui si profuse; e nel rammentarla coman-
da che sieno rese le terre loro tolte dai Goti per lo Bresciano,
per r Insubrìa, per la Ligurìa. Se tal documento ò vero, la
probabile restituzione in sul Bresciano ^ ed altrove degli averi
di que' Tizioni provenne dagli ultimi conati dell' eunuco Nar-
sete contro i Bresciani ed i Franchi d' Amingo già padroni di
1. POST viGTORiAif GOTHiGAM 4. Dopo le Nofelle stampate in Lipsia
LlBERTATB TOTlvs iTALiiB RESTI- 1849 AHi' Ossenbruggen in Cor-
TVTA, etc. Intcrìpt apud Baro- pore Juris, tomo HI, pag. 740.
nium iub anno 555, n. 10. 5. Trova, Storia d* Italia, t III, par. I,
2. Cuucius, ObservaiUmum, lib. X, pag. 224, 225. — Lettere 23 mar-
capo XII (a. 1569). zo ed 8 aprile p. p. genlilmeote
d. Marini, Nota al Papiro, num. 79, da quello storico indirizzate air au-
pag. 264. loro delle pagine presenti.
Die.
66»
166
I GOTI
largo tratto della Venezia e della Liguria ^. Ed eceo una il-
lustre famiglia di parte greca, un dì cui ramo si trapian-
tava per avventura fra noi Bresciani durante il basso impe-
rO| ignorata da tutti gli storici nostri» e risorta dopo i fatti
di Narsete all'antico splendore: e sieno grazie al Troya
ed ai Lipsiani editori del documento d' avercelo rivendicato.
i. Secondo T edizione dì Lipsia Te-
ditto comincia cosi: Constitut VI
Jmp. Justiniani privilegium prò
Titionibus — Flavius Justinianus
CcM. Imp. Alamaniaeus eie. eie
Narseti Patricio m Italia S, - Mira
animi {egritudine percepimus eie
Si lamenta delle gotiche avanie
contro li nobilissimi Tizioni, de*
iiuali cen^ttf» ei XX capita ad Vin-
delicos Rhigtosque mgrarunt; par-
la delle loro prodezze contro V ar-
mi nemiche, dice dei beni loro
involati ti» Cenomanis, maxime
Insubribus VercelleMtb. TaurinU
oc Liguribus, ì quali per hnga
temporwn spatia possidere soliti
eranl, e loro que' beni restituisce
e conferma nulla eomm habiia
ratione eie
LIBRO OTTAVO
I GRECI
V liaKa intcMo si godeva una buona pace. Cosi un grande
istorico ^. Ma ignominiosa, replicheremo noi; qual potè*
Tano goderla i servi di un uomo che adoperava l' oro italiano
per alimentare le sue meretrici, o pagare i barbari perchè
stessero lontani dalla minacciata Bisanzio K Oltrecchè par
chiaro non aver Narsete compiuto affatto il conquisto d' Ita-
lia, né tenutala tranquilla mai se non verso gli anni 566 e
567, che fur gli ultimi del suo reggimento; e più lor quando
a sbarazzarsi dei Goti, sempre battuti e sempre in armi,
aveali relegati nelle parti orientali del mal difeso imperio.
Quale avessimo governo sotto Narsete ne' suoi dodici o
tredici anni che durò, non è ben chiaro; e il po' che dalle
cronache risulta non è che di abbandono, d'abbiettezza,
di servitù. La tradita Italia che, come parrebbe da certi ac-
l« MuRAT. ilfifi. a. 556, 563. Anml, anno 565. — Evagrius^
% ZoNARAfl, t» Chron. — Mdrat. 1. lY ec.
DI C.
168 I GRECI
cordi fra Belisario e Yitige, avea sperato in Roma V impera-
tore, non ebbe che un evirato goverDatore, e sotto lui un An-
tioco prefetto del pretorio, nelle cui mani era posta V autorità
civile: e mentre la córte di Giustiniano accusava i tempi ne-
fandissimi della gotica ferocias dispogliava le nostre città del-
l' ultime romane impronte. Brevemente; fu governo da stra-
nieri lontani, peggior sempre che quello degli stranieri stan-
zianti. Sedea Narsete frequentemente in Ravenna; gli si dà
lode alcuna volta di ristauratore, ma più frequentemente
quella di pio. Sarà; ma nessuno gli terrà il biasimo di espi-
latore S d'invitatore di nuovi barbari in Italia ^.
Erano già morti quasi ad un tempo Belisario e Giustinia-
no (marzo e novembre del 565), cui succedeva neir impero
Giustino II, molto dammeno, ma che con nuovo esempio
un'ombra di consolato risuscitò per una sola volta Tanno
566^; esempio seguito da' suoi successori, ond'è che rara
debbe tenersi la bresciana lapide recante il suo consolato.
E noi di buon grado siccome inedita la vi daremo, supplen-
done ad un tempo e sin dove ci è dato le gravi lacune ^.
. . . . Q . IN . I . . reQuiescit . in . Pace
v . INGOX vtr , mcouparabilù
avi VIX . ANN . LX QVI . VIXÌ^ . ANN . LX
. . p . SBD . Y N AGfi de? . SUB . Die . V . non . AUGtUte?
. . 1 • D. iiu ARMiNv innictione ? mi . arminv«
• . V • PUB • QVI . vixiT . ,venerab . PRe^Btier . qvi . VIXIT
• . . . N . Lxvi . DP8 B ann . lxvi . heposiius . emì
. . . AG IND . mi . . kUdUSti . WDÌCt . UH
p . ET GN lUSTiNi imperotorU . et . cohìuIìì . ivstini
. . G ANNO VI aUGUiti . ANNO . VI
i, Agnel. Z.. Pofi/.mV. 9. Pe^nSen. 3. HuRAT. Ann. a. 566.
2. Paul. Diacon. De Geat. Langob, 4. Già nei ronchi del Patrocinio pas*
— Anastas. Biblioik, — Land. so al patrio Museo per dono deOa
Sagac. HisL Mise Add. eie. signora Stella GazoIL
I GRECI
169
Ho sospetto che sia reliquia di un cimitero cristiano. È pre-
ziosissima perchè determina a capello il 571, e nota gli an-
ni del consolato e dell' impero di Giustino II il Giuniore, tan-
to confusi e dibattuti fra gli archeologi, che il Muratori levò
a cielo per questo solo il marmo della badessa Giustina ^
Abbiam detto che nel 566 Giustino rinnovò lo spento con-
solato; ma non dicemmo che il volle per gli unici impera-
tori, e comandò che gli anni s' addimandassero dall' impero
e dal consolato, fatto allora perpetuo colla perpetuità della
carica imperiale. Nell'agosto del 571 correva ancora l'indi-
zione IV; e avendo Giustino cominciato a regnare nel 1 4 no-
vembre del 565, non compiva l' anno sesto che nel medesi-
mo giorno del 571. Cosi dicasi del suo consolato che princi-
piò col primo giorno del 566. Ha una lapide che la nostra
mirabilmente rischiara, e che portaci 1' anno terzo e il terzo
consolato di Giustino quasi che colle stesse formole del mo-
numento bresciano = svB . d . kal . febr . ind . prim . imp •
ET . CONS . D . N . IVSTINO . PP . AVG • ANNO . TERTIO *.•[••[••[•
Giustino intanto per lamentele dei Romani richiamava
Narsete ^ ; ed aggiugnendo Sofia la imperatrice al castigo lo
scherno, deh venisse, replicava; ìe fanciulle del Ginkeo aspeU
tarlo per la distribuzione déUa lana. Cui dicono rispondesse
le ordirebbe tal tela da non potersene ella disimpacciare
DI e.
ì. Annali - a. 569.
2. MuRAT. Thet. V, Ins, p. 429, 2.
Devo al colto « gentile canonico
Birago un* assai dotta illustrazione
di questo marmo, nella quale acco-
gliendo, meno qualche piccola va*
rìetà, la mia lezione, dimostra Tìm-
portanza del marmo di Armino ve-
nerabile prete bresciano.
3. Tertio vero anno Jusiini minori»
imp, Narsis patrieiiu de Ravenna
evodtatui est — Agnell. in Vita
«. Agnelli, t lì, parte I, p. 414,
Rer* IL Script — Paulus War-
NEPRIDUS, De Gest Langobar-
dorwn, libro II, capo 4, 5, ecc.
tit Rerum Italicarum Scr^iores,
tomo 1.
i70 1 GRCCt
mai più. E la parola mantenne, ed esortò i Longobardi a
cangiare i deserti della Pannonia nei floridi campi dell' Ita-
lia subalpina ^ Fu a Narsete sostituito Longino con più vasti
poteri, assumendo le due potestà, la militare del maestro dei
militi, la civile del prefetto del pretorio.
Durante il regno misero dei Greci continuarono i duchi
probabilmente a reggere le nostre città con territori secondo
che i casi della guerra od il caprìccio avevano divisi. Soggetti
ai duchi erano i giudici o governatori civili, supremazie degli
ordini municipali, ma date dai duchi o dai vescovi; non eletti
dai municipj, e perciò chiamati datwi: e questi ordini anch'essi
non più si domandavano decurioni, ma vagamente prinàpaU
0 consoli, che d' antico più non serbavano altro che il nome.
Il terzo barbarico delle terre, la sors barbarorum, pare che
a' duchi ed agli altri Greci venisse distribuito, se non forse
dichiarato proprietà fiscale. Ed ò falso ad ogni modo che
Narsete, come il Rosmini ci narra, tenesse pia anni Italia senza
punto alterare U sistema di governo introdotto ^.
Solo conforto in mezzo alla perduta libertà erano i vesco-
vi, i quali rispettati, venerati dai Goti stessi, mantennero
sempre sul municipio una potenza che nemmeno dai Longo-
bardi fu tolta. Ond' è, che se qualche rappresentanza vediam
serbata, e direi quasi temuta dai medesimi dilaniatori d' ogni
ordine italiano, fu in ogni tempo il sacerdozio. — Ma de' vescovi
che tennero ne' tempi gotici la sedia nostra, misere, oscure so-
no pur troppo le notizie. Soli nomi, date incerte, più incerti
fatti; onde noi li daremo in ordine cronologico, limitandoci
i. Paul. Diagon. De Gest Langob, pag. 20. E in genere tutti gli sto-
libro II. — Zanetti, Del regno nei dell* età longobarda.
4e] Longobardi in Italia, tomo I, 2. Storie di Milano -ti. Introd.
1 GRECI
171
al po^ che più serbi carattere di storia, dolenti che il Gra-
denigo tiri innanzi da sé dove taciono i suoi predecessori.
Ann. • , . S. Vigilio • • • . Martirologio Rambertiano (sec. IX),
ed Elenco del Totti, sec. XI?
• . • S. Tiziano .... Martirologio nominato.
. • • S. Paolo n
. . . S. Cipriano .... n
... 8. Ercolano. . . . Oltre i suddetti documenti è un
marmo del secolo XIII, che ha tutti i caratteri per essere ge-
nuino, e che il Rossi produce come scoperto in Campione, sulla
sponda orientale del lago di Garda, riviera di Salò.
n
fi
n
n
MCCLXXXIII
CVM TRIDENTINIS PACE CONPECTA BRIXIA HIC VBI DIWS BER
CVLANVS VITAM SANGTISSIMAM HABVIT SAGRAM AEOÌCVLAM EX
TRVXIT. PROCVRANTIBVS GHIRARDO DE GAMBARA ET VLDE
BRANDO DE GOMITIBVS DE CONGESIO RIPERIAE PRESIDES (fio) *
n BraTO anch' egli non dimentica i vescovi bresciani di
questa età; solo incorre nello sbaglio di attribuire a' tempi
dei Goti cinque vescovi che spettano al basso romano im-
1. U Rossi (Mem. Bresciane, ed. Vi-
naccesi, p. 199) porta quel mar-
mo datoci ancora nelle manoscritte
sue Storie (Cod. Quir.)> riportan-
dosi al Cattaneo : ma non cita scrìt-
to alcuno di questo benacense. Il
Gradenigo (Brixia Sacra, p. 80)
lo riproduce con qualche variazione,
fioi proveremo altrove colla realtà
di questa pace a rigore di storia
r autenticità del monumento. Non
so poi da qual fonte deducesse il
Gradenigo che del 1282 seguisse
la traslazione delle ceneri dì s. Er-
colano nella chiesa di Mademo. 11
Gambara nomato' nel marmo pò-
trebb* essere, o quello a cui venne
del 1295 consegnata Tuna delle
chiavi delle ss. Croci (notisi però
che negli statuti municipaU di quel
172
I GRECI
pero, ed altrettanti registra neir età longobarda» che sono in-
vece di quella dei Goti. È una scappatella di un solo secolo.
Per lui s. Ottaziano che soscrisse il concilio milanese nel 45i
sarebbe il penultimo della gotica dominazione, benché V ul-
timo neppur fosse della romana ^
tempo è detto Gherardinus), o più
probabilmente il celebre podestà di
Firenze, cortigiano di Carlo d*Aii-
giò ( C. Madii HisL de rebus por^
ina, p. 67, Co± Quir.), fautore
caldissimo delle ambizioni di Be-
rardo Maggi, sedatore dei tumulti
di Bergamo e Valcamonica (1390-
1301), presente forse, compio so-
spetto, al matrimonio di Cancel-
liera Maggi con Simone di Gi-
berto da Corre^'o ( 1304), ed mio
dei dieci eletti dagli intrinseci di
Brescia per la pace del 1313.
Tanto dai documenti della &mi-
glia Gambara, che con penose inda-
gini ho potuto raccogliere, e daUe
tavole inedite di quella famiglia
compilate dal conte Pompeo Litta«
cortesemente favoritemi daU* illu-
stre autore.
i. Bravo, Storie Br. - 1 II, p. ultima.
LIBRO NONO
I LONGOBARDI
I.
LA CONQUISTA LONGOBARDA
A questo nome di dolorose memorie, di tenebre e d' igno-
minia, ch'altri chiamarono espiatriceS si sente che noi ci
avviciniamo a vicende più domestiche, più popolari, più le-
gate alle condizioni civili e religiose, che alimentando i germi
della lombarda civiltà, svilupparono la potenza del Comune
Italiano. È un nome che in sé raccoglie due secoli di servitù;
eppur tu lo ascolti con quell'aspettazione pensosa con cui
si assiste al racconto delle grandi sventure. Un non so che di
più intimo, di più (rateile volo ha in questo nome, che ti avverte
come r analisi del pensiero qui dovrà cedere sovente ai pal-
piti del cuore, e come d' altro carattere omai s' impronti la
storia nostra. Vedemmo Brescia Y ultimo dei municipj lom-
bardi che rinunciasse alla speranza di migliori destini; lo ve-
demmo il primo e quasi solo che nella risottomessa Italia le-
1. Balbo, Stona d* Italia, l H.
174 I longobàbdi
vasse a' tempi di Narsete il capo iDtolleraDte di servitù. Or lo
vedremo accarezzato e prediletto dai Longobardi, dar loro
qualche duca e l'ultimo re: quel Desiderio nobile bresciano,
della cui famiglia nessuno tra gli storici nostri ha radunate
sin qui le splendide memorie, narrate le commoventi sciagu-
re di quella vittima infelice degli sdegni pontificali. Nessuno
ha trovato nella scena più toccante dell' Adelchi di Alessan-
dro Manzoni non tanto una felice ipotesi del poeta, quanto
un fatto probabilmente accaduto; e la morte di Ermengar-
da, di quella sconsolata
Che della rea progenie
Degli oppressor discesa ^
a si duro prezzo pagò la colpa non sua, non fu pure da un
solo di quegli storici avvertita. Né ciò soltanto, ma la storia
delle moltitudini, ma le relazioni tra il vinto e il vincitore,
tra gì' infelici avanzi degli indigeni Bresciani e i sorvenati
a spegnere ogni resto di nazionale rappresentanza, fra il de-
bole ed il forte, tra due masse d' uomini cosi diversi di leggi,
di carattere, di potere, di civiltà che presentarono il porten-
toso fenomeno d' una convivenza di ben due secoli, quando
furono mai scopo alle indagini de' miei predecessori? Eppur
sorpassando a queste indagini è un farvi attraversare senza
curiosità due secoli di un carattere nuovo, sorgente ancora
di scoperte recondite ed importanti. Ma noi ne segui-
remo le prime orìgini; ricercheremo lo svolgimento, gli
adattamenti di natura umana a leggi, a convenzioni imposte
dalla prepotente volontà del più forte: e tra le gesta fastose
dei duchi e dei gasindi, e i patimenti e le speranze dei popoli.
1. Adeicki, atlo IV^ scena 1.
I LONGOBARDI 175
mediteremo le triste vicissitudini di quello stato di violenza
ad un tempo e di rassegnazione che è forse il carattere
più singolare dell' età longobarda.
Chi fossero veracemente i Longobardi è incerto ancora.
Tutti ricordano il passo di Tacito ^; non tutti Vellejo Pater-
colo, Strabene, Svetonio, che prima di Tacito ne favellarono*.
Chiamavansi Vinili ^, che è quanto dire vaganti, nò dovean
essere molto lontani. Narrasi di loro che, sovrabbondando la
schiatta nel natio terreno, si dividessero in tre gettando le
sorti a cui toccasse migrare. Gli usciti a partirsene, condotti
da due fratelli Ajone ed Ibur dei Gungici cui era madre una
Gaimbara^y narrasi che volgessero all'isola di Rugen, poi com-
battessero i Vandali, e il racconto si mescola di favole set-
tentrionali; fra cui non è forse a notarsi che un lontano mi-
grare di Vandaliy denominazione per altri fatta eguale ai Vi-
nili 0 Vendeli, e forse ai Veneti od Eneti ^. Strabene gli dice di
razza Sveva ^, Vellejo Patercolo i più feroci della feroce
Germania ^, e Tacito ^ e Tolomeo ^ li fanno Svevi anch' essi;
e narra il primo che si teneano superbi della loro esiguità,
perchè recinti di molte e valide nazioni, più sicuri col me-
scolarsi nelle pugne che coli' obbedire.
Sembra omai certo che prima si rovesciassero nel Rugi-
land lungo l'argine sinistro del Danubio, che si facessero
ariani, ma non si fattamente che non serbassero gli avanzi
!• Tacit. De mono. Germ. R. Lang, — Trova, God. Dìplom.
2. MuRAT. Ann, a. 563 in fioe. parte II, n. CCGXIII).
3. Paul. Diacon. De Gest Lanyob. 5. S. Marlin.^ Noterai Lebeaa
i. Dueum mater nomine Gambara. -^ 6. Strab. lib. II, pag.'291.
P.DiACop. ciULI,c. 3. /fi/er ^itt- 7. Vell. Faterò. lib.^II, c.]^106.
bus erat gens parva quce Winni- 8. Tagit. Ann. lib. II, e 45, 46. -
lis vocabatur» et erat cum eis mu- Germania, capo 40. — Ptolom.
ìier nomine Gambara etc- Chron. lib. II, capo 11.
seu ProLRo(har. (\E$Mt, Edida 9. Ptolom. Gtogr. Lib. II, e. 11.
176 I LONGOBARDI
dell'antica idolatrìa. Occuparono le terre degli Erali, poi
trassero (a. 526) nella Pannonia e nel Nerico. Alboino dila*
tava sui Daci Ripensi e sopra i Gepidi quei barbari loro con-
quisti; e fa Alboino che mandò a Narsete (552^ cinquemila
de' suoi, che poi furono rimandati per la loro baii)arìe. Anzi
da un passo dell' Historia MisceUa risulterebbe come appena
estinto Totila sul campo, e non per anco eletto re il fortis-
simo Teja, que' Longobardi ausiliari soccorressero Narsete a
togliere di mapo ai Goti (a. 552) Je due città mumtissime di
Brescia e di Verona *; parole tanto conformi a quelle di Teo-
fane per consimile vittoria pur di Narsete, le quali recammo
altrove, che sciolgono da se sole il dubbio sulla storpiatura
cedreniana Viriam et Brincas. Gli è però singolare che Pro-
copio, partiti que' Longobardi, narri d' assedio posto intomo
a Verona da quei medesimi Greci, che secondo la Miscella
erano già donni della città *; il che non può farci supporre
che una rivolta.
Da quella lega di Narsete coi Longobardi provennero i
nostri guai; perchè Alboino continuò l'alleanza coli' impero, e
focene un' altf a con Bajano cacano degli Avari, unnica razza:
^ vinse i Gepidi (a. 566), e tolta Rosmunda figlia del loro re,
accrebbe al nome suo potenza e terrore '. L' anno appresso
Narsete, a vendicarsi dei sarcasmi dell'altera Sofia, mandava
1. Deinde (post TotUce mortem) «r- solo pedem extulerant, castra F«-
bes eorum ( Gotkontm ) munitas lerianus ad urbem Veronam piH
duaseapiens^VeronameiBrixiam, suU ete, — Procop. Hist. sui
ttRomatiam dvitatem, universam-' temp, de Beilo Gotk. col. 368. —
que Italiam ad Reip. jura reduf Rerum hai. ScripU t. 1, parte L
xit» et Langobardos . , . ,ad prò- 3. Fumagalli, Antich. LoDgobardic<H
pria remisit ete, — Hist. Miscbll. Milanesi, parie I. — Paul. Diac
Rer. ItaJ. Scrip. 1 1, par. 1, f. 107. lib. I. — Gibbon, Hùt. dtlaDé-
2. Poslquam Langobardi ex romano cad, lib. XLV, i9.
1 LONGOBARDI 177
ad Alboino la celebre ambasciata, inutile del resto, perchè
Alboino avea già ferma l'invasione d'Italia.
Ed or la compiva. Sassoni, Gepidi, Bulgari, Sarmati, Pan- ^l^
noni, Svevi, Norìci e forse Bavaresi seguitavano i destini e
le speranze di quel feroce rimestamento d'uomini che trae-
vano con so le donne,, i figli, e sui barbari carri le domesti-
che loro tende : benché non fosse moltitudine sterminata
cotanto quale a noi la dipinsero i cronisti, e qual forse ap-
parve in quel primo conato ai vinti sbigottiti.
Quel flageUum Dei usci di Pannonia nel due d'aprile
del 568 «.
Toccata la cima dell' Alpi, ristette a contemplare la sotto-
posta Italia, che dell' antica più non serbava altro che il no-
me. Gl'indigeni scemati di numero e di cuore, in quello stato
di stupida inerzia e di avvilimento che è sempre il risultato
delle grandi sciagure quand' è cessato il coraggio di sofferirle
con dignità: i Greci mal fermi, affievoliti, inetti e non cu-
ranti della difesa *. Più non restava al barbaro che scendere
eoi brando nella vagina. Giunse Attila nel Friuli, che ne fece
un ducato pel suo nipote Gisulfo maestro delle stalle (cui
nomavano i Longobardi Marpakis, mariscalco) ', lasciandovi
quelle /ar« o schiatte di Longobardi che più gli talentassero.
Fuggiva intanto Paolino arcivescovo di Aquileja nell' isola
di Grado; Felice al contrario, vescovo di Treviso, fecesi in-
contro all' invasore, che premiava quest' atto fiducioso ed ar-
t. Mente Aprilis per mdìHiantm pii- resùtere posseni, — Paulus Dia-
mam alio die post S. Paeeha . . . cónus. De Gest Langobardorum,
cum jam a Dom, Ineamat anni lìb. Il, capo 26.
fuingenli sexaginia • odo eeseni 3. Eidem strator erat guem lingua
evoluii. — Paul. Diac. De Reb, propria Marpahis appellant. —
Geit, Langob. lib. II, e. 7. Rer. It Paul. Diacon. libro li, capo 9.
Ser. tomo 1, 428. Rerum Ilalicarum Script, tomo I,
S. Nu eroi lune virtus Romanu, ut pag. 429.
«MBici, SroRfe are$etan€, V«L If . it '
Di C
M9
178 I LONGOBARDI
dito con un privilegio ^ Onorato di Milano fuggia pur esso
col clero, con assai nobili Milanesi riparando a Genova ^
mentre Alboino avea già presa Vicenza, Verona, quasi tutte
le altre città della Venezia^; ma non pare ch'oltre l'Adige
od il Mincio passassero in queir anno i Longobardi.
Mantova probabilmente cedeva Tanno dopo, né senza con-
trasto; e con Mantova, Trento, Brescia e Bergamo ^: e pare
che sola con inaudito coraggio resistesse Cremona^ la quale
più tardi apri le porte, mentre di Bergamo e di Brescia
non ci risulta se opponessero all' armi Longobarde una
qualche resistenza ^.
Se non che il Malvezzi vissuto nel secolo XIV, [seguace
alcuna volta sino alla lettera dello stesso P. Diacono, qui ag-
giunge come accampatasi Toste longobarda nei nostri piani
di Pralboino, Narsete medesimo persuadesse il barbaro du-
ce a trattare con noi; al che piegandosi Alboino, ricevesse in
campo i nostri legati, e convenisse intorno alla resa. Non so
dove togliesse il cronista simili avvenimenti. Certo che i nomi
1 . Igitur Athoin eum ad fluviùm 2. S. Gregorio, lib. Ili, ep. 30. MuUi
Alpem venissei, ibi ti Felix ept- coacii barbara feritoie.
seopus Tarvisana Ecelesim oecup- 3. Jgitur Alboin Vincenliam, Veronanh
rit. Cui Rex, ut erat largissimuSf que ei reliquas Veneiice cintateti
omnes swb Ecclesia facultates exceptis Patavio, ei MotUesUidt, et
postulanti concessa. — Paulus Mantua, upU. — Paul. Diacon.
DiAGONUS, Hiit. Langob. lib. II, De Gest. Lang. lib. II, e 14, ti,
e. 12. -^ TaoTA, Codice Diplom. Rer. Ital S. p. 451. Qui P. Dia-
Longobardo, n. 1 (tomo IV della cono avverte che la Veneiia loc-
Sioria d* Italia, parte 1). Quel pri- cava TAdda, ma non pare che ia
vilegio combattono a torto il Maf- queir anno Alboino giugnesse fin li
fei (Verona illustr. lib. IX) e lo Za- 4. Murat. Ann. a. 568. -- Lupi» Cod.
netti (Regno dei Longob. lib. I, Dipi Berg. tomo I. Prodr. e V.
capo 20). Fu sostenuto dal Mabil- 5. Murat. Ann, a. 569.
lon, dal Sigonio, dal Muratori, da 6. Murat. 1. cit. • Senza apparire se
Rampaldo Can. degli Azzooi^ e più » la forza deirarmi, o il solo timore
dal Lupi e dal Troya. » le inducesse ad aprire le porte i.
t LONGOBARDI '179
di Gambara e di Prato-ÀlboiDo sono due nomi di longobarda
origine, intimamente legati agli eventi primi della barbara
invasione; poiché fu Gambara la madre di due condottieri di
quella gente, come abbiam veduto, ed Alboino il massimo di
tutti. Notano Balbo e Muratori come si piacessero i Lon-
gobardi serbare tra i vinti popoli le loro denominazioni ^
Ma Narsete nel tempo di cui parliamo era già morto; e
forse di tutto il capo XXII, dist. IV del Malvezzi non è vera
che la posata dell' esercito longobardo ne' campi di Pralboi-
no', a quel modo che intomo a Mantova, che gli avea ser-
rate le porte, s' era posto a svernare.
Avutasi per Alboino (3 settembre 569^ la città di Mi-
lano ^, si dilatò nell' intera Liguria : fu all' assedio di Pa-
via, l'ostinata città che vediamo per più di tre anni sal-
damente resistere al nerbo dei Longobardi S mentre una
mano di cotestoro correva insino a Roma'^. ^l^p-
In somma, gran parte d' Italia e la maggiore del regno
dei Longobardi fu conquistata durante Y assedio di Pavia, la
quale anch' essa non si arrendeva che strettavi per fame.
y entrò il re longobardo, e nel palazzo di Teodorìco, prima
curia longobarda, piantò la sua corte ^. Ma nessuno fin qui
degli storici nostri, nemmeno il Balbo, ha chiesto con quali
1. Balbo, Storia d'Italia, tomo U, Pratum-Albotni appdlatus est -^
pag. 18. — MuRAT. Ann, a. 569. Malv. Chron, dist. IV, e. ^.
— Bajovaria, villa del Modenese, 3. Paulus Diaconus, Dt Gest Lan-
avea nome dai Bavari; Suavia da- gobard, lib. II, e. 25. — Murat.
gli Svevi, ed il contado di Bui- Ann. a. 569.
garia dai Bulgari. I nomi di quelle 4. Paul. Diag. lib. II, capo 27.
genti serbaronsi a que' luoghi d* 1- 5. Et transierunt Tuèciam uaque ad
talia fino attempi nostri. Rom, eie. "Kgìì. Lib, Pont. inPetri
2. Alboin.., ab ea urbe... in campii di- Seniori vita. R. I. S, U 1, 124.
stanlibus castra eonstruit,quamob 6. Murat. Ann. an. 572. — Balbo,
eausam, ex eo tempora Iqcus ille Storia citata, lib. II.
571
STI
i80 ì LONGOBABDI
forze Mantova, Cremona, e colle città marittime della Ligu^
ria la coraggiosa Pavia ributtasse tanta ^ mole di eserciti stra-
nieri. Soccorsi da Bisanzio non potevano venire: non ne
avea che bastassero neppure a sé '. Era il popolo adunque,
erano gli avanzi della razza italiana» %V indigeni che fra tanto
dissolvimento mandavano lampi dell' antica virtù. Resisteva-
no; e per chi? forse per quella larva ingannatrice di roma-
no imperio che lungamente ci affascinò : forse ancora per un
opposto pensiero, per quel senso sdegnoso di chi vedutosi
abbandonato si rivendica da so, tenta risollevarsi a quello
stato che non ha più bisogno di nessuno. Certo è ad ogni
modo che non trovasi menzione di Greci, non di condottieri
loro alla riscossa.
Fatto scannare dall'adultera sua moglie, moriva intanto
Alboino il condottiero d' un esercito cui nessuno avea potuto
respingere; lasciava un regno in cui V istituzione dei duchi
sorvenuti ai consolari, ai presidi, ai correttori, ma con po-
tenza civile e militare, avea già incominciato '.
Io non so qual valore possa darsi all'asserire di Cesare Bai-
bo, che questi duchi subentrati al governo civile, gelosi del-
la somma potenza, lasciando altrui l' amministrazione secca-
i. • Padova espugnata solo nel 601 , 2. Interim Albùin iniwuit omnia m-
> Cremona e Mantova nel 603, ed que ad Tusciam . . . Nee eroi Urne
> Opitergio nel 641 ». Sono pa- virtus Romanis, ut resistere po9^
role di G. Frapporti (Della Sto- sent, quia et ftestilentia . . . ^^
ria di Trento — I Longobardi, rimos in Liguria et Venetiit ez-
pag. U9); ma qui forse è incorso tinseraU — Pauu Warnbfrioi
errore di stampa: e benché nel De Geet. Langobardorum, lib. U,
Warnefrìdo eh' egli cita, non ri- e. 26. R. L S. tomo I, 434.
saltino tutte quelle date, mi con- 3. Veggasi intomo a ciò il Sigooio,
gratulo collo storico pel robusto De Regno Italito , lib. I. — Agì-
dettato e per la critica del suo la- tia, lib. 1. — Lupi, Proér, ùd,
vero, a cui qualche labe non può Berg, — Pagnoncelli, Dei Mn-
togliere il pregio. uicip. Hai. 1 1, capo SO, p. 159.
% LONGOBARDI 181
darìa, distruggessero ogni sorta di magistratura, sostenitori
della sola municipale ^ Fatto è che in quanto ai duchi lon-
gobardi non erano questi che imitazioni di un ordine impe-
riale che Narsete o Longino avea messo in Italia, e che tanto
affacevasi al carattere speciale di quella razza germanica
composta di un re, di ottimati, di moltitudine; tre potenze
cui soglionsi temperare gì' imperi. Alboino per altro non sep-
pe 0 non potè frenare neir auge della conquista le ambizioni
dei grandi che lo seguivano, i quali arrestandosi a qualche
parte della vinta Italia vi si fortificarono, vi si fecero più o
meno indipendenti. Ed ecco il ducato longobardo, cui diede
infausto esempio lo stesso re colla istituzione di quello del
Friuli. Per quelli di Pavia, di Milano, di Spoleto, di Brescia,
di Bergamo, di Trento e d'altri ancora non ha memoria
certa dell' origine loro.
Che Àlachi lo fosse di Brescia è indubitato; se postovi per
Alboino, se fors' anco da Clefi, o creatosi alla barbara da so
non è deciso. La tradizione, qual eh' ella sia, ne ricorda il
senno e la clemenza. Una lapide sepolcrale che il Rossi ^
afferma d' aver letta fra i manoscritti di Taddeo Solazio, e
che il Biemmi accolse ^, raffermerebbe la tradizione. Ma chi
può credere al Rossi? Del resto quell'epitaffio m'ha sapore
di antico. Delle iscrizioni ritmiche tanto in voga presso i
Longobardi, e già ^ dal Troya pubblicate, molte vi si po-
trebbero paragonare ': e 1' alta columba ritiene assai del
longobardo, avvegnaché usassero que' barbari piantare
sulle tombe dei loro prediletti un' asta con sopravi la colom-
1. Storia citata - tomo 11, p. 29. 4. Paulus Warnefridus, De Geit.
2. Con questi versi traseritti dal Sola^ Lang. libro HI, e. 19.
/io. Rossi, Hi8t, Bresc. Cod. Quir. 5. Codice Diplomatico Longobardo,
B. VI, 27. t IV della Stona Ital. parte I,
3. Ut di Br. -LI, lib. VI, p. 325. 11 e IH.
iSÌ ì LONGOBARDI
ba, soave imagine dell' anima del trapassato ^ Il perchè 5ìqo
dai tempi di P. Diacono cbiamavasi alle Pertiche il luogo di
un cimitero longobardo presso Pavia. Ecjco la lapide, che il
Troya stesso ebbe accolta:
lilG EST IN TVMBA ALàHIS DVX ALTA COLYMBA
FVIT VIR PRVDENS ET PRINGEPS OPTINE STVDENS
VT BRIXL\ FLORERET ET PACI PVLGRA ADERBRET
CRISTIANA QVI MORTE GAVDET BIA&IMA SORTE.
Ad ogni modo se è vero che lasciasse Alachi alla nostra città
qualche reliquia di un ordine latino, il che pan^e ad alcuno
da quel Yaleriano patricium in cimiate quce Brixia dicitur ',
di cui narra s. Gregorio, e che moriva patrizio benché sor-
venuta la longobarda dominazione, fu segno in lui d'in-
dulgenza.
Che il duca di Brescia movesse guerra ad Elmichi ed a
Rosmunda i parricidi ^, gli usurpatori del trono narra il Mal-
vezzi ', e non è tradizione a disprezzarsi. La catastrofe mise-
randa che tutti sanno a mente compievasi in Verona. È fatto
che i Longobardi inorridirono, e sursero contro gì' indegni,
ai quali altro scampo non restò che fuggirsene in Ravenna;
e più di tutti dovea porsi in armi il vicinissimo Alachi. Anche
la Curia Ducis gli viene attribuita ^. Che Alachi la fabbricasse
1. Intra sepulchra swt perikamfige' 4. Si sa che Elmichi era fraldlo il
hant, in cujus iummitate columbam latte delP infelice Alboino, e che
eie. -P. DiAC. De G. L 1. V, e 34. sostenuto da Rosmunda volea fai^
2. Trova, Storia d'Italia, voi. iV, si re.
parte 1. — God. Dipi. Longobardo, 5. Chron. dist. IV, e. 30, in Rer. IL
p. 318, n. GXX - Napoli 1852. Script turno XlV, col. 824.
3. S. Gregorii Dialog, lib. IV, e. 52; 6. Malv. Chron. dist. IV, e. 31 . ^
e su quel brano importantissimo Capreolus, Bist, Brix, — Ma-
le note del Troya, 1. cit p. 310. DiuSi De A. Brix, (Cod. Quir.)
I LONGOBARDI 18S
di tutto punto è gratuito asserto. I Longobardi a quel tempo
non avean arti nò buone né cattive. Popoli barbari, numero
eocigui S che recavano per le vinte città i fieri costumi delle
antiche loro selve, quale architettura potean essi avere que-
sti WinUi^ (vagabondi), se non quella delle natie capanne che
la colonna Antonina ci ha tramandate^? Pochi edifici, e questi
fuori d'ogni buon ordine e disadorni sorgevano a que' di nelle
nostre contrade; perocché se il X ne traggi, mai l'arti non fu-
rono tanto infelici come nel VII secolo S il secolo di Alachi.
Eppure chi al Malvezzi ed al Capriolo rifletta, là dove a noi
descrivono i vasti ruderi della curia bresciana, troverebbe
come alle volte la verità sbucci e trapeli anche a dispetto
delle croiiache municipali, che la travolsero nelle origini pri-
mitive. Perchè l'uno estende le rovine dèlia curia da s. Gior-
gio a porta Paganora, e da questa sino ai margini del Garza;
parla di grandi e levigati marmi miro opere intercisi, da lui
medesimo ancor fanciullo veduti ^: l' altro, di amplissime ve-
stigia della curia, d' ingentia saxa miro opere kvigata atque
tersa ^ le quali opere od all' età imperiale od alla ristora-
trìce di Teodorico si debbono attribuire, non a popoli ve-
nuti appena dalle solitudini dell' Elba, che ingegni ed arti
non si recavano se quelle ne traggi dell' opprimere e dello
spogliare ^.
Guardate ai pochi avanzi che del palazzo reale rimangono
ancora nella piazzetta di s. Giuseppe, accanto al caffè Bel*
Ieri; ammirate quella magnificenza di esecuzione che li fe-
cero attribuire da Sebastiano Arragonese ad un tempio di
1. Tacit, De Morihus Germanorum. 4. Corderò, Dell' Italiana Arcbiletlnra
2. P. Warnefridus, De GesL Lang. durante la longobarda dominazione,
lib. L capo 7. 5. Malv. Chron, Brix, dìst. IV, e 31.
8. P. Magnan, Colonna Antonina il- 6. Capreolus, Chron. de Reb, Brix,
lustrata. 7. Odorici, Brescia Romana, parte I.
i84 I LONGODABDI
Giove S e poi ditemi se vado lungi dal vero col sospettare cbe
Alachi, seguitando l'esempio d'Alboino, il quale vinta Pavia
cangiò, come abbiam detto, il palazzo reale di Teodorico in
curia longobarda *, facesse altrettanto nella nostra città. Che
palazzo e curia fosse ad un tempo Y edificio bresciano risulta
da ciò, che Lodovico II non altrove collocò, quando fu in
Brescia, la propria corte, nò in altro sito emanò i reali de-
creti suoi che nella curia bresciana '.
Se il Pàlatium bresciano fosse lavoro del basso romano
impero od opera dei Goti, è disperata indagine. E quando
io dissi non potermi (pag. 137) suadere che questi un'arte
bro propria portassero con so, non ò già ch'io negassi le go-
tiche fogge, profondamente investigate dal Troya ^: dico sol-
tanto che queste ancora non erano alla perfine che tradizioni
dell' arte orientale, corrompitrice della romana, venute sul
Danubio e sul Tevere dall'Asia veneranda, la sacra terra
delle origini e del mistero. Ecco il perchè quando lo sto-
rico più insigne dell'età nostra piacevasi, né certo era
duopo, interrogare sul tipo delle colonnette Pennoniane del
monumento Canciano la povera mia mente, non esitai ri-
spondergli =
» Romana è Y esilità di quelle colonnine quali vediamo nei
> sarcofagi cristiani dal IV al VI secolo riprodotti dagli aa*
> tori moltiplici della Roma Sotterranea; esilità per altro tanta
> in voga sino dai tempi bellissimi dell'impero di Roma nelle
» dipinte decorazioni, e più in quelle di Ercolano e di Pom-
» pei, che appunto pel capriccioso loro carattere sono ricor-
t. Rossi, Mem. Bresc. pag. 77. die... tdktum eUmentie et teme
t. Paul. Warnefridus, De Gesiib, publieare fecii.
Lang. lib. II. e 27. 4. Trota, Leggi dei Maestri Cooia-
3. RiDOLFUS NoT. Historiola in fine. cini pubblicate da re Liutprando. -
QuumadCuriamveiiisset.eequenH . Napoli 1854, p. 9, 22, 35 e sef.
I LONGOBARDI 185
• date da Plinio e da Yitruvio Ho un qualche sospetto
» che il tipo GeticO'OrierUale, diverso affatto dal romano, fosse
» penetrato qualche po'di tempo prima della venuta dei Goti
> ad improntare di so Y arte romana; e se mal non m'appongo,
> ne troverei già le tracce in quelle immense rovine del pa-
» lazzo di Diocleziano a Spalatro, che TÀdams con isplendide
> tavole ha poste in luce » ... conchiudendo alla perfine, quelle
fogge sembrarmi a noi penetrate per due vie, due tempi di-
sparatissimi: colle romane gotiche conquiste, e coli' altre dei
Goti sui Romani. Che se allo storico illustre piacque plaudire
alla mia risposta, pubblicarla nella Storia Italiana eh' ei va
compiendo, è piuttosto una prova della sua gentilezza, che
del merito di quelle poche ed affrettate parole.
Morto Alboino, regnò Clefi per soli diciotto mesi: eppure
fa in tempo di spegnere molti nobili romani che non ebbero
nò il coraggio di combattere, né la viltà di nascondersi; di
cacciarne altri assai fuori d' Italia, e più d' impadronirsi delle
terre vacanti per quelle morti, per quegli esilj, per fughe vo*
lontane dei vescovi e degli ottimati.
Pare che prima fosse capo d' una Fara o tribù di Ber-
gamo ^; cadde per mano di un fan^Mullo, ed al suo regno
breve, tirannico, violento successero dieci anni che noi di-
remmo d' indipendenza longobarda, se l' arbitrio dei duchi
non fosse stato peggiore di quello dei re.
Furono trentasei : sui nomi loro non ha memoria che di iu '
Zabano duca di Pavia, Uvallari di Bergamo, Alachi di Bre-
scia, Evino di Trento, Gisolfo di Foro Giulio, Alboino di
Milano e Farvaldo di Spoleto. Si battagliarono l' un l' altro,
si disputarono, si carpirono vicendevolmente alcuni brani
i. HuRAT. Ann. d*U. a. 573, 57 i. — getturare fosse Clefi daca di Ber-
Erra il Lupi (Prodr. e. VII) nel con- gamo, o almeno non insulta.
186 I LONGOBARDI
dei proprj ducati, e dilatarono ad ogni modo la loro potenza;
sicché levato l' animo ad altre imprese S passate l'Alpi, corre-
"^i^f- vano ardimentosi le terre dei Franchi. Ma i Franchi alla lor
volta calarono per l' Alpi tridentine, e ci prendevano il ca-
stello di Agnani, cioè Castel Nauno appo il Noce in valle di
Non (Anagnis castrum quod super Tridentmm in confinio Italia
posUum est^). Il perchè Regillone conte di Lagare tentò ri-
prenderlo, ma essendogli fallita l' impresa, gittossi a predare le
terre circonvicine; poi carco delle spoglie se ne ritraeva, sin-
ché tagliato a pezzi da Crannichi duca dei Franchi, pagò nei
campi Rutiliani assai cara l' audacia sua. Ma Crannichi stesso,
che lieto della vittoria traeva sopra Trento, duramente assa-
lito da Evino duca di quella città, vi lasciò la vita, né più
Franco ardi restarsene suir agro tridentino ; ed Evino ex-
pulsis Francis, Tridentinum territorium recepii.
Surse questione sul Comes Langobardorum de Lagare del
Wamefrido. Cluverio ^ Berretta* e Muratori* supplivano (fe
Lacu Garda. Parve al Tartarotti altro non essere quel Lagare
che il Ligeri dell' anonimo Ravennate ®. Ma sembra omai do-
versi ritenere per la valle Lagarina notissima parte della
diocesi di Trento ^. Ad ogni modo la dizione del Berretta e
del Muratori seguita dal Bravo é la meno probabile.
Certo è Che negli atti di s. Vigilio ha memoria di vai Lor
garina, come lo é nei documenti del secolo XII ^. Giace fra
Verona e Trento, ed é divisa dall'Adige.
1. Per hos Langob. duces septimo arir 6. Memorie antiche di Ro?eredo, p. 48.
no ah adventu Alboini . . . Italia ex > Non lungi dall* Alpi sono gli op-
maxima parie capta ,.,,est — > pidi di Semiione, Garda, Ligeri
Paul. Diagon. lib. Il, capo 32. • e Trento » : questo è il passo
2. Paul. Diac. lib. Ili, capo 9. * dell' anonimo di Ravenna.
3. C1.UVERIUS, Ital. Aiti, lib. I, e. 15. 7. Frapporti, Della Slor. di Trento -
4. Berretta, Tab. Chorogr. Trento 1850, pag. 131.
5. Annali, a. 577. 8. Murat. AhL Est t. I, pag. 3i1.
T LONGOBÀRDr i87
Queste vittorie potentemente alimentavano le ambizioni
dei duchi, che non avendo più freno, sospingevanli a trucidare
gran parte dei romani ottimati, ed a dividere il resto fra essi
duchi e gli altri Longobardi. I nobili cosi divisi, dal Yar-
nefrido chiamati hospites (ospiti) od hostes (nemici) e parole
> che ben possono variare pel suono ^ ma non pel significato
» infausto sempre al vinto i , furono creati tributarj * , co-
stretti a dare il terzo delle raccolte del suolo italiano a cia-
scuno dei privati longobardi fra i quali erano spartiti.
Più barbari di Glefi e di Alboino, spogliavano le chiese,
uccidevano i sacerdoti, diroccavano le città, angariavano i
popoli cresciuti già come biade. Ninna differenza fra le pro-
vince, niuna gradazione dell' imposto tributo; il quale se non
era in fine che il già voluto da Odoacre, mantenuto da Teo-
dorico, il modo fu assai peggiore: perchè i due Goti, paghi del
terzo delle terre, lasciaronci l'altre: ma i Longobardi to-
gliendo il terzo dei prodotti non lasciarono terra né uomo
libero, e tutto si dividevano fra sé ^»
Era quindi naturale che la schiatta longobarda restasse co-
me straniera e odiata razza, racchiusa per le ville e per le
città, e i militi alloggiati a discrezione per le case italiane:
quindi V avversione italica, V ira nazionale contro i Longo-
bardi che sgorga dalle cronache, dalle memorie contempo-
ranee, e più dalle lettere pontificali.
i. Trova, Della Condizione dei Ro- • allora agli avviliti Ilaliani meno
mani vinti dai Longobardi, XXI. • crudele; ma che fu in realtà più
2. Reliqui... tributarii egiciuntur, - •barbaro negli spogliatori, più or-
Paul. Diac. lib. 11, capo 32. • ribile agli spogliati = il terzo
3. Balbo, Slor. d* It. t. II, p. 36. — » dei frutti che facea tutte le terre
Della fusione delle schiatte in • servili, che facea tutti i posses-
Italia, p. 48. — « Presero il solilo • sprì, grandi e piccoli, servi della
» terzo in modo che potò parere • gleba •.
188 1 LONGOBARDI
Io non dirò di quegli scrittori che» travisando tempii leggi,
consuetudini, testimonianze, ci venivano soavemente delizian-
do di non so che longobardiche beatitudini; e sognando un
regno di giustizia e di pietà,* imprecavano ai papi, che di
quelle dolcezze mal persuasi, flagellavano nelle veementi lo-
ro lettere la razza d'Alboino. Lasciamoli di buon grado
inebriati dei cari tempi di Clefi e dell' interregno.
Furono poi di coloro che propugnando più cauta senten-
za ^, credettero cessata nei Longobardi coli' ebrezza della vit-
toria r antica ferocità; e concesso ai vinti l' uso almeno delle
antiche loro leggi, Romani e Longobardi costituissero alla
perfine un popolo solo. Altri opinavano per quella vece i
debellati Romani inesorabilmente ridotti a servitù, loro tolto
Qgni resto di cittadinanza latina, ogni italica magistratura,
ogni uso pubblico delle leggi native, la proprietà medesima
delle terre avite, riducendoli allo stato miserrimo degli aldj
0 dei tributar] K
Gravissimo fra i primi è il venerando Muratori. Le sue
penose indagini intorno a popoli non ancora ben conosciuti
lo affezionavano a loro ; ma non però singolare dovea chia-
marla il Tiraboschi questa sua predilezione: accarezzava, di-
rò cosi, quel grand' uomo il più nobile frutto de' vasti suoi
lavori; la risultanza cioè di alcuna cosa più lusinghevole
alla persuasione che l'età di cui cercava la storia fosse
affatto una età di tenebre e di barbarie. Forse pensava U
Muratori esser più facile che passi inosservata sulla terra una
serie di generazioni senza lasciarvi un vestigio, di quello che
possa esistere un istante nel quale sia cancellato da tutti i
cuori di un popolo ogni sentimento di giustizia e di pietà.
I. Maccbiavelli, Giannone, Grandi, Do- 2. Sìgonio, Tanucci, SismoDdi, Enrico
nato d'Asti, Muratori, PagDoncelli, Leo, Balbo, De Vesme, Sclopis,
Rezzonico, Savygni ecc. ecc. Fossati, Manzoni, Cario Troya. ecc.
1 LONGOBARDI 189
Più singolare egli è come il Denina invidiasse ai nostri
la civile prosperità di que' tempi, preferisse la longobarda
alla romana giurisprudenza, salutasse la ricondotta rozzezza,
chiamassela rigeneratrice d' Italia nostra. Queste a suo senno
erano le rugiade del medio evo. Dio ne scampi, direbbe il
Manzoni, le erbe dei nostri nemici ^. In quanto a noi, scevri di
prevenzione, ricchi delle indagini altrui, non al tutto nelle
nostre infortunati, svolgeremo nelle varie sue fasi, per quan-
to a noi spetti, la longobarda età; e vedremo che a scioglier-
ne l'intralciamento non fu bastevolmente distinto, fuorché da
un solo^ r ordine dei tempi. Epperò non sarà indagine stac-
cata, ma fusa colla storia da cui troppe volte fu disgiunta.
IL
CONDIZIONI E VICENDE BIVESCIANE DUIiANTE LA
LONGOBARDA SIGNORIA
Qual fosse la condizione dei nostri padri dalla venuta di
Alboino al cadere dell'interregno ducale già noi toccammo;
e fino a quel punto siamo d'accordo. Solo per altro non fu
notato che le stragi dell' interregno non erano per lo più
che di duchi meridionali; ed ho forte sospetto che le ter-
ribili parole di Paolo Diacono e di Gregorio Turonense in-
tomo alle ducali camificine non alludano che all'agro lon-
gobardico del mezzodì, sembrandomi con Balbo ' che me-
no crudeli ( il che non vuol dire clementi ) fossero i duchi
tra noi, e che tutti volti allora que' militi settentrionali a
venturose correrie sui Franchi, ad egual modo perfidias-
1. Ragionamento intorno ad alcani 2. Carlo Trota.
• punti della Storia Longobardica 3. Storia d* Italia, lib. IL -— Murat.
in Italia. Ann. a. 579.
190 I LONGOBARDI
sere nelle nostre città. Pel nostro Alachi lo proverebbe la
tradizione antica del suo men aspro governo, e V epigrafe se-
polcrale a noi rimasta, quando anch' essa per altro non sia tristo
esempio di quelle basse adulazioni di tutti i tempi che sì co-
mandano agli schiavi, e che le anime vigliacche hanno in serbo
per tutti. Ed è a notarsi, che V arduo reggimento dei duchi
parrebbe ovunque d' una severità indipendente dal carattere
speciale di clemenza o di nequizia di ciascun duca, cui so-
prastavano più potenti di loro le superbe consuetudini o Ca-
darfrede longobarde S la legge insomma della loro nazione, la
quale non concedendo al romano il guidrigildo, ch'era il prezzo,
l'estimazione pecuniaria, la multa che dovea pagare chi avesse
ucciso od offeso un Longobardo, gra\e più o meno secondo la
persona offesa' (presso che sola misura della rappresentanza
del libero Germano), ne veniva che gl'Italici consideravansi
cassati (sotto i duchi almeno) dal grado di cittadini, come
àldj, come servi. Servi per altro, non ischiavì; anzi Y oidio
non era che il primo passo appo i Germani d'alleviamento di
servitù; era il tenitore, o più propriamente il terziatore della
gleba datagli da coltivare ^. Ma qual differenza tra il po-
vero oidio latino e il guerriero, il cittadino longobardo, a
cui lo scendere allo stato aldionale era un castigo! Né illu-
diamoci sulla voce liospes di Paolo Diacono, della quale si
vegga nel Ducange il senso più rigoroso ^. — Qual era dun-
que il popolo bresciano sotto Y alta columba del buon duca
Alachi, ut Brixia floreret et paci palerà adereret f
Cittadini vinti e ripartiti fra ciascuno dei privati vincitori
(ospiti), obbligali al tributo del terzo delle rendite loro (ter-
1. Trova, I Rom. vinti dai* Long. - 3. Roth. lex 239. — LiUTPit £€x 1*>
ed. di Milano 1844, p. 23, n. XXllI. Hb. VI.
2. RoTHARU Leges, leg. XI ecc. — 4. Ducange, Class, ad vocem Ho^
LiUTPR. Leges, l. VJ , leg. 9 ecc. talicum.
I LONGOBABDI idi
ziatori), cassati dal guidrigildo, che è quanto dire dal prez-
zo del cittadino (servi) ^
La spada longobarda tagliò tutti i nodi, svincolando le terre
come vendute all' asta; ed i beni rustici ed urbani vacanti per
gli esiglj e per le morti, la proprietà delle chiese, delle curie,
delle pubbliche costruzioni e delle selve non fu più per noi.
A qual miserrimo stato si ritrovassero nel ducale inter-
regno le fabbriche cittadine lo dica per noi la legge di Rota-
no, che vieta T uscire liberamente dalle smantellate mura-
glie delle città ^. Né men deplorabile fu l'oblio d'ogni an-
tica magistratura, e più della curia, queir unico e squallido
resto di municipio romano, quella sola rappresehtanza del-
l' indigeno e del cittadino.
Noi vedemmo splendidissima la nostra, superba de' suoi
duumviri, de' suoi decurioni, presiedere al decoro ed alla mae-
stà del municipio bresciano. Ma diviso l' impero, denudate le
curie di quanto potevano renderle ambite, cadeano si basso,
che vivente Costantino, il rigor delle leggi non era tanto a
rattenere i decurioni che ne fuggivano il carico abbietto, in-
glorioso. Le leggi costantiniane ci rappresentano già fino
d' allora deserta la Curia, ed il Curiale farsi milite o sacer-
dote, 0 mettersi all'ombra di qualche potente; sicché Giuliano
puniva i ricettatori dell' infelice Curiale ^, mentre il grande
Teodosio vietava il tormento dei flagelli piombati che da-
vasi ai decurioni ^. ,
Che più? Libertà civile chiamavasi a' tempi di Giustiniano
Tessere sciolto dai nessi (ceppi) delle curie^ al servizio
i. Reliqui vero (dei non uccisi) per 2. Leg, 248 Roth.
hospiUs divisi, ut tertiam partem 3. Trova, Stona d'Italia, tomo I,
Muarum frugutn Langobardis per* p. 1098.
solvereni, tributarti efficiuntur. — 4. Leggi di Teodosio il grande rieor-
P. Di AC De Gest. Lang, li, 31. date all'uopo da Carlo Troya.
192 I LONGOBARDI
delle quali per una legge di Onorio * e per un'altra di Giù-
stiniano ' si deputavano a castigo i chierici maritati. Non è
quindi meraviglia se la curia bresciana cessasse al tutto col
cessare di quelle dell' Italia longobarda.
Né la curia soltanto, ma qualsivoglia romana magistratura
fu tolta ai terziatorì; e non ad altri che al Longobardo spet*
tava il patrocinio del nobile romano che gli era tocco nel
fatale riparto.
Ma in mezzo a tanto abbiettamento, come debil face che
brilli solitaria ov'è più squallido il deserto, era una potenza,
un ordine italiano cui s' inchinavano talvolta gli stessi barbari,
e che fu degli oppressi tal altra fiduciosa ed intrepida soste-
nitrice — il sacerdozio — al quale non fu barbaro mai che
avesse cuore di togliere il nome di cittadino. Era un avanzo
germanico di quel sacro terrore che soleano incutere nelle
barbare moltitudini gr interpreti privilegiati della divinità?
Non so : so per altro che anche di questa sacerdotale poten-
za fu chi si dolse e n' accusò la tiara : ma quando pensiamo
che a quella misteriosa potenza dovemmo l'asilo dell'arti
e delle scienze latine;. che agli irruenti Vandali non era ornai
più freno tranne la voce di un solo; che a quell'unico ita-
liano si rivolgevano pensosi come ad uomo in cui fosse rac-
colta la maestà rediviva di un estinto imperio, sarem costretti
a rispettare anco in ciò un ordine previdenziale, che affidava
le reliquie del nostro nome, reverendo ancora, ai penetrali del
santuario, dal cui profondo poteva emergere anco pe' bar-
bari una minaccia che il fiero animo ne impaurisse di arcani
spaventamenti '.
All'elezione dei loro vescovi si radunavano i terziatori
nei santuarj, dove potevano farlo, al tempo dei duchi;
i, Leg. 59, Cod. Teod. De Episeop, 3. OooRia, Mon. Cristùiii di Brescia*
2. Leg. 53, Cod. Gìustin. De Epi9c, parte I.
I LONGOBARDI 193
ed ecco un respiro poco meno che solitario di libertà cittadina
sorgere accanto all'altare, rìnnovellarsi all'aura sacra del tem-
pio: vedremo più innanzi come da quel secreto anelito si fomen-
tasse la seconda vita del Comune italiano. E fu pure il sacer-
dozio che in mezzo agli aldii ed ai tributari, circondato da un
popolo di servi e dai cadaveri delle antiche città, depositario
presso che solo della dignità del nostro nome, mai non cesse
dall' altero e profetico indirizzarsi fra le miserie longobarde
agli ordini ed alle pl^ dei municipi che il Longobardo avea già
spenti, come se tuttavia si circondassero della gloria antica: di c.
esso, che mentre infierivano i duchi, si raccoglieva in Grado
«iccusando la rabbia longobarda S e che sólo fra il silenzio
mestissimo dei vinti, vinto egli stesso, ma non servo, ergevasi
minaccioso d' una forza arcana che il barbaro non seppe di-
sprezzare giammai K
Eppure non era soltanto il sacerdozio che in so custodisse
gli avanzi del pensiero latino. I collegi dell' arti duravano
ancora, e comunque fosse la povera ed inceppata loro vita,
ottimamente il Balbo ^ ed il Rosa ^ vi ritrovavano come
un altro elemento in cui per cosi dire covavano i germi del
nostro Comune.
Quest'era la condizione di Brescia longobarda sotto il regime
d' Alachi; questo il savio governo, la pubblica nostra felicità fanta-
sticata dal Biemmi^; questa la gente fortunatissima del Bravo *;
1. RjJBZVS^ De SehUmaUAquU^eHsi. 3. Storia d* Italia lib. II.
— Dandolus, Ckron. Verni. -— 4. 1 Feudi ed i Com. di Lomb. p. 81.
Noma, Diis. de Synod. V, e. 9. — Colgo 1* occasione per congratu-
Labbeus, Condì. - Mubat. Ann. larmi coli* egregio amico del dotto
a. 579. e filosofico suo lavoro.
2. Trota, I Romani vinti dai Lon- 5. Istoria di Brescia -Li, lib. VI,
gobardi, pag. 47, art XLI, a 580- pag. 325.
584, ed. di Milano. a Delle Stor. Bresc. t II, l. Vili, p. 16.
Ommci, Stm'e Brest, V«l. II. IS
194
I LONGOBARDI
DI C.
SS4
questo il nostro fiorire per ricchezze , per popolo, per arte
di guerra, per ogiÀ maniera di felicità sognato dal Capriolo ^
È a rispettarsi ad ogni modo la tradizione che Alachi ve-
nisse riparando le nostre mura, e chi sa forse la curia, sua
probabil sede '. Duca e guerriero, minacciato ad ogni istante
dalle Franche audacie, non potea comportarsi in pace lo
sfasciamento delle muraglie cittadine.
Fosse paura d'una imminente correrìa di Franchi, o biso-
gno di compatta ed uniforme potenza, o fastidio prevalso nei
duchi stessi di quella barbara licenza che avevano suscitata,
fosse ancora stanchezza dei loro dissentimenti, fatto sta che
dopo dieci anni d'interregno secondo alcuni, e dodici se-
condo i calcoli del Troya', i duchi giudicarono doversi
eleggere un re. Scelsero Autari figlio di Clefi, il celebre
assuntore del titolo di Flavio che i re dei Longobardi
ereditarono dai vinti. E qui nuovi miracoli che. il War-
nefrìdo ci narra. Perchè se nell' era dei duchi , molti dei
nobili romani erano messi a morte per cupidigia, e fatto il
resto tributano ^, eletto Autari, tutto si cangia come al mutar
d'una scena: non più furti, non più violenze, non più dispo-
gliamenti, gli uomini sicuri e senza alcun sospetto '. Ma que-
\. Hist Bnx, lib. IV.
2. Alais auUm Brixiensium Dux tir-
òem, ceteraque sui jurù oppida
fortUer munierat. Malv. Chron.
Brix, disi IV, capo 33.
3. Codice Diplom. Longob. parte li,
pagina 5 e 77. Sostenuto dal Grò-
naco Fredegarense (Scalig. lìe
Emend. Temp. lib. VI) e dal Ro-
tarìano, secondo il Codice di Cava.
4. Hit diebui multi nobUium Roma'
norum ob eupiditatem interfeeii
surU, reliqui vero per kostes diviti,
ut tertiam partem tuarum frugum
Langobardit persolvereni» tributa^
rii efiàunlur, — P. Diac Ub. II,
capo 32. — Trota, Cod. Diplom.
num. XII della parte I, p. 36.
5. Eroi sane hoc mirabile tu reguo
Langobardorum , nulla erat no-
lentia, nulla struebantur nuidim,
Nemo aliquem injuste angariabat,
nemo spoliabat etc* eie, — Paul.
Di AC. lib.' UI, capo 16.
I LONGOBABBl 195
Sta felicità prodigiosa, cosi rapido passaggio dal male al bene
è uno di que' fatti che non si credono se non si vede come
sieno avvenuti ^ Ed il Giannone ^ che stese la nuova beati*
tudine a tutta la durata della signoria longobarda, non avvertì
come P. Diacono al solo ed unico regno d'Àutari la riferisca.
Fatto sta che a tutto quell'apparato di cittadine dolcezze
precedono nel Wamefrido certe parole di colore oscuro che
molti diversamente interpretarono; ma che se alcuna cosa ti
lasciano travedere, gU è tutt' altro che di giustizia e di
misericordia^. Certo che a mutamento, a completa ristau-
razione di regno accennano le parole di P. Diacono: ma
quale fu desso veracemente? Che valgono a rigore di storia
que' misteriosi suoi detti: Le genti aggravale divisero in favore '
dei Longobardi gli ospizj loro ^ f E questa che è traduzione,
interpretazione di Balbo, sarà poi la vera? Capponi, Rezzo*
nico, Troya, Gibrario, Trevisani, Savigny sono tra gì' infiniti
che variamente ne ragionarono; e poiché a dir vero non ha
storico italiano che non abbia voluto ritentarne i sensi, arduo
sarebbe, e peggio ancora, fuor di luogo tesservi qui la storia
d'una questione che tuttavolta non è decisa. Pare ad ogni
modo che, anche lette diversamente, acchiudano qualche
cosa di allusivo ad uno stato infelice, ma non quanto lo
era sotto la dura e prepotente volontà dei duchi: pare che
in luogo di continuare a vivere quasi ospiti i Longobardi o
soldati stranieri in casa nostra, e d'esigere il terzo delle no-
1. Manzoni, Disc, intorno ad alcuni Ambr. Per Langohardis hospicia
punti della Storia Longobarda. partiuntur). Quattro Codici Vali-
2. Istoria civile - lib. V, capo IV. cani ed uno Chìsìano in vece di
3. Manzoni, Discorso cit. partiuiUurAajinopatiuìUur.VkVL.
4. PopuH tamen aggravali, per Lan^ Diaconus, De Rebus Geslis Lang.
gobardot hotpUes partiuntur {QoD, lib. IH, capo 16.
196 1 LONGOBÀBDf
8tre entrate» rimettessero in vigore l'antico e sempre bar*
baro sistema dei loro predecessori, esigendo il terzo delle
nostre terre, partendo per avventura le stesse abitazioni, le
quali continuarono a chiamarsi ospizj: bel nome di triste si*
gnificato, com'era triste in quel tempo anche appresso i Bor-
gognoni S benché a dir vero anche le terre degli aldii e
dei terziatori chiamavansi talvolta ospizj ^.
A tutto ciò si riduce V allégro stato del Pecchia ' e del
Pagnoncelli ^. Largo assegnamento faceano i duchi della metà
d' ogni loro sostanza agli usi regali, a sostegno e decoro della
corte ristaurata ' : la metà cioè di quello che ci aveva-
no rubato durante il misero interregno; la metà dunque
dei nostri poderi, degli oppidi nostri, ed era facil dono:
erano larghezze diplomatiche di tanto comoda imitazione
e tanto imitate, e nulla di meraviglia. — E fu anche un
bene, perchè gli aldii e i terziatori ceduti al re con quelle
terre cominciarono ad avere qualche campo, e la speranza
deir essere affrancati, di farsi cittadini longobardi. Ed ecco i
regii terziatori saliti ad onorevole aldionato, fatti poi scul-
•
1. M.4NZ0NI, neir aureo già ricordato provato da due nuovi Codici pa-
suo ragionamento -- capo 41, rigini.
pagina 410, noie (ed. di Firenze 3. Storia della G. C. della Vicaria -•
1825). tomo I, pag. 32 e seg.
S. TnoYA, I Romani vinti dai Lon- 4. Origine e successione dei Governi
gobardi - ed. di Milano, pag. 53. Municipali nelle città italiane.
E in quanto al partiuntur, le dotte 5. Duces qui (une crani» omnem suIh
fatiche del Troya, le indagini ul- statitiarum suarum medittatem rt^
lime del Da-Vesme, ricordate in galibus usibus tribuunL — War-
una noU del Codice Diplom. Lon- nep. lib. IH, capo 16. — Trota,
gobardo dello Storico Napoletano Codice Longobardo airartic. iVe-
( parte III, pag. 146), ci fanno tesa ristaunuione della cittadi'-
preferire il sempre doloroso pa- nama romana, — Storia d' Italia,
tiuntur , sostenuto recentemente tomo IV, ed ivi la parte I del Co*
dal Merkel di Norimberga, e com- dice Diplom. Longeb. pag- 37.
I LONGOBAltDI 197
i ed aitori eoa guidrigildo, che è quanto dire col prezzo
dell' uomo libero.
Pa qui r orìgine delle regie possidenze, delle corti molti-
plici che sparse ritroveremo ben tosto per tutta la provincia
bresciana, i cui fattori da gast haltea (tenitori d' ospizio) chia-
maronsi gastaldi, uomini indipendenti dai ducili, ma inferiori
ad essi.
Anco fra i Longobardi è menzione dei conti, e noi vedem*
mo quello di Lagare. Si nomano assieme coi duchi quasi
principi della nazione indipendenti gli uni dagli altri forse
antichi fra barbari del pari; ma radi fra i Longobardi, e più
negli ultimi anni della loro dominazione. I duchi bensì eman-
cipavansi quanto più lor fosse dato dalla regale sudditanza,
ed afforzandosi nelle loro province, ne formavano altrettanti
statarelli; sminuzzamento infelice della nazione, incremento di
forze moltiplici e divergenti, che quella dei re soprawanzavano.
Non erano semplici reggitori, come i duchi greci, ma veri
principi. Alboino segui dunque un uso italiano quanto al
mettere governatori nelle città col nome di duca: ma segui
r uso della nazione nel lasciar loro la forte ed assai volte in-
fausta libertà del principe feudale ^. Ond' ecco ragiona per
eui non valse la potenza longobarda contro Childeberto, che
sceso in Italia co' Franchi suoi, non se ne tolse che a
prezzo d'oro'.
Autari poscia movea guerra ai Greci, gli etemi ed aperti ^^f^-
stimolatori dei Franchi ^. Portavala Evino duca di Trento nel
cuore deir Istria; e vinta la penisola, ne faceva un ducato
1. Maffei, Ver. ni. l. X. 3. Lettera di uà officiale greco aChil-
2i Gregor. Turon. lib. VI, e. 42. — deberlo re. — Freherus, p. 207.
Ddchesnb, Script Rer. Frane. — Duchesnb, 1, 870. — Bou-
tomo I, pag. 87i. quet, IV, 86-87.
198
1 LONGOftARDt
longobardo. Narra il Malvezzi d' armi bresciane all' impresa
di Evino ^ : come al solito non dà le fonti della storica circo^
stanza; e benché probabile, staremcene in sospeso.
A quel modo cavalleresco e gentile che tutti sanno sposa-
vasi in tanto Autari la bellissima Teodolinda figlia di Cari-
baldo duca di Baviera. Re Ghildeberto, eh' avea negata ad
Autari la sua sorella, non sapea comportarsi le nozze regali
d' una sua vassalla, poiché tale dovea dirsi Teodolinda; e ra-
dunato un esercito, alleatesi V armi greche, preparossi a tal
guerra quale affrontata non ebbe mai la longobarda fortuna.
Primi a romperla in Italia furono i Greci. Presa d'assalto
Modena, Mantova ed Aitino *, ebbero a patti dai duchi lon-
gobardi Reggio, Parma e Piacenza, mentre lo sforzo dei
Franchi partito in due varcava i limiti dell' Italia subalpina;
a destra per le Rezie nelle insubri campagne ^ a manca per
vai di Trento nel Bresciano e nel Veronese. Delle due ar-
mate quest' ultima si conduceva da quindici duchi Franchi,
e da Chedino fra gli altri.
Fu correria di esercito devastatore, che a guisa di rapido
fiume , larghissimo tratto dell' Italia circumpads^a mise a
ruba ed a scompiglio; assai castelli dell' agro tridentino fu-
rono spianati S e i castellani tradotti a servitù. Ma poi di-
1. Rex Authari ad Isiriam exercitum
mittens, ex Brixiana urbe ma~
gnam militiam elegiU — Chron.
Brix, dist. IV, capo 36. Rer. IL
Script, tomo XIV, col. 827.
2. Lettera di Romano a re Childc-
berto. — Freherus. pag. 208.
— DuCHESNE, I, 871. — Bou-
quet, IV, 88. — Trova, Codice
Diplomatico, n. 46 ; ma più la let-
tera citata di mi ufficiale greco.
— Pfos pugnando ingredi fecif,
pariter et Aitinonam ei Mantua-
nam civitatem pugnando et rum-
pendo muros e/c. — Fbeberus,
p. 207.— DucHESNE, I, 870. —
Trova, Codice Dipi, al n. XLV.
3. Paul. Diac. De Gest. Laug. lib. Ili,
capo 30. — Greg. Turon. HitL
Frane, lib. X, e. 3.
4. PerPlacentiam vero exerdtusFran-'
corum usque Yeronam venerunt
e/c . . . Nomina auttm castrorum,
qwB diruerunt in territorio Tri'
I LONGOBARDI 199
geriate quelle valli italiane, flagellati da morbi pestilenziali
e dalla fame, dileguarono i Franchi, rinnovando l' esempio
dei loro predecessori.
ÀI passare di quel turbine Autari s'era chiuso in Pavia.
Che il duca di Brescia, messa in armi la città, vigilasse ga-
gliardamente alle difese, non è improbabile, avvegnaché gli
altri duchi avean serrate le porte delle loro castella, pronti a
respingere Y insulto nemico ^
Sperperati i Franchi dal caro e dalla moria, soli restarono
i Greci a quella guerra infelice; ma loro aggiuntosi un Os-
sone ed un Nordolfo longobardo (e quel «he è più, patrizio ^
come lo era Valeriano da Brescia del quale sarà detto più
innanzi), ripresero ai Longobardi parecchie città. Del che
V esarca scrivea lieto a Ghildeberlo, esortando a riprendere
la male abbandonata impresa, pregando perchè nella riscossa
l'esercito dei Franchi non metta a sacco ed in cattività le genti
romane ^. Parlasi qui già d' italici possedimenti fra i Longo*
bardi? Non crederei, benché sembrasse al medesimo Balbo ^
dentino, ùta sunt: Tesana, Male- ciale dell* imperatore Maurizio dal
tum, Semiana, Appianum, Fagi- Muratori tenuta erroneamente di
tana^ Cimbra, Vitianum, Brenta- Maurizio stesso. Aliique ducen, om-
nieum, VoleneSf Ennemase, et duo nesque ejus exercitus per diversa
in AUuca, et unum in Verona ... se castella recluseranl.
Cives universi ab eie ducti sunt 2. Nam et gloriosus Nordolfus Pa-
captivi. - P. DiACON. lib. Ili, e. 30. tricius. Lettera di Romano Esarca
Accemianri le discussioni degli eni- a re Childeberto, a. 590. — Cod.
diti su que' castelli del Warnefrido biplom. Longob. n. 46.
cbe Don ispettano a noi sarebbe 3. Duchesne, Script, Rer, Frane. 1. 1,
nn abusare della pazienza vostra. pag. 871. — Murat. Ann. a. 5d6.
Muratori, Maffei, Cellario, Tarla- — Bouquet, Script. Rer. Gali,
rotti. Berretta, Frapporti ecc. ecc. IV, 88. — Freherus, Rer. Gali,
▼arìaraente ne ragionarono. pag. 208.
I. Balbo, Storia Ital. lib. II, p. 50; e i. Storia dMlalia, lib. II, pag. CI. •-
la replicala Lettera di un ulB- Torino, 1830.
•I r..
5fl
200 ] LONGOBAWI
Ma intanto moriva non senza sospetto di veleno Aotarì.
Fu prìncipe glorioso, il primo e più potente ordinatore del
regno, il primo che ai vinti serbasse un resto di misericor-
dia: ma r indulgenza dell'animo non lo assolse dall'odio dei
cristiani, i quali diceano perfido e nefandissimo il popolo ed
li re dei Longobardi ^ Non fu propizio a' cattolici; e da questo
i cattolici sdegni sfogati nelle lettere dei vescovi e dei papi,
i quali tra le persecuzioni d'Àutari, lo scisma d'alcuni vescovi
dell' Istria e della Venezia, che desolava la Chiesa ^ non
poteano darsi pace. Ma quando io penso che nel sacerdozio,
nella Chiesa Italiana quant' era in quel secolo di coltura, di
gloria, di virtù si raccoglieva, chino il capo e sorpasso alla
violenza degli anatemi contro un popolo violento, straniero
e spogliatore. Che gli stranieri, alla cui sistematica espila-
zione d' Italia si opponeva in quel tempo un uomo solo, le-
vinsi adesso contro i nostri papi, e ne parlino con ira e con
sarcasmo, manco male; ma che noi ci facciamo per vezzo di
forestieri concetti a calunniare quegli unici propugnatori
delle nostre sorti, massime ne' tempi di cui parliamo, non
so capire.
Rimaritavasi Teodolinda, ed Agilulfo duca di Torino ebbe
quasi ad un tempo la mano della pia regina ed il trono dei
Longobardi a lui dato in Milano dal consesso degli ottimati;
perchè il popolo non ebbe quasi mai che ad ubbidire, od al
più salutare fra comandate letizie il suo padrone.
Prima cura del nuovo re fu la pace coi Franchi, sendone
mediatore E vino (od Ebuino) duca, ed Agnello vescovo di
1. Baronius, Aliti, a. 58i, 585. — e nelle ieUere di Pelagio. Ib Pe-
Troya, Lettera dell* ufficiale sud- lagio non avera ailora, checché
deUo. — Et univena nefandù^ ne dica il Muratori, tatto (juanlo il
«imi Auikarit regis eie. — Cod. torto.
Diplom. par. l, n. HLY, p. i2i, 2. Baronius, Awa. End. In Appeitd.
I LONGOBARDI 201
Trento S dei quali vi narrerà più a lungo Tommaso Gar nella
storia tridentina che da lui si aspetta. Guidolfo (altri Gandolfo)
duca di Bergamo gli si ribellava; e chiuse le porte della sua
città, preparavasi all'armi. Poi fatta pace, dati gli ostaggi al
re, fu air isola Comacina, e ricco di tesori colà trovati, ribel-
lavasi un^ altra volta; ma ripreso nella medesima sua Ber-
gamo quotò, fortunato del regale perdono '. Aggiunge il
Malvezzi che a reprimere Y ammutinarsi di Guidolfo si va-
lesse il re longobardo del duca di Brescia ^. Pongo il fatto
probabile, ma non certo.
Le arianesche persecuzioni d'Autari contro i cristiani,
fattesi più crudeli al termine della sua vita, continuarono sotto
r ariano Agilulfo. < Agilulfo rovescia i castelli e le città > scri-
vea s. Gregorio « e viene spopolando le campagne col ridurle
» in solitudine. Arrivano in Roma uomini colle mani recise, al-
• tri condotti in servitù, ed è dovunque lo strazio degli infelici
9 e rimmagine della morte ^ > . Arrogi che vietato il battesimo
ai nostri figli, serrate le nostre chiese, martirizzavansi i sacer-
doti come attempi d' Autari '; e la Santa Repubblica (per que-
1. MuRAT. Ann. a. 591. — Paul. 4. ^. Gregorio, Omel. VI, lib. Il,
DiAC. lib. IV, e. i. in Ezschielem. Poniamo pure sta
2. Lupo, Cod. Diplom Bergomatis, qualche esagerazione: ma erede-
tomo 1, Prodromi e. X. rem noi per questo alle bealilu-
3. Hac Brixiana Civita* . . . regi suo dini di Paolo Diacono?
atfxi7»tti» deferebat. Nam Verona, 5. De-Meo, Ann, tomo I, a. 790. —
ManttM et Cremofia, Pergamum Pro eripiendis sacerdotUnu qui de
quoque, et Tridentium expream, re- eorum immolatione evadere potue^
heUùnUi inimicitias exercaUet , runt. Cosi la cit. lettera d' un uffi-
BrixiemHum urbem undequaque ciale dell' imperatore Maurizio a
vexabani etc. — Malvet. C%rofi. Childeberto re (giugno 590); e
Brix, dist. IV, e. 37. Qui certo il S. GaEGoaio, epistola 17, lib. I,
buon cronista ci viene agglome- a. 590. — Quoniam nefandissi-
rando in un solo parecchi fatti che muM Autkarit . . . Langobardorum
sulle cren, longob. sono distinti. fUios . • . baptiutri prohibuit etc
202
I LONGOBARDI
Sta guisa coraggiosamente chiamavano ancora i pontefici
que' laceri avanzi dell'antico imperio) gemea vessata per
ogni parte. Ma Gregorio facea comandamento a'icescovi
della Venezia, cui spettava in quel tempo l'agro bresciano,
che alla Santa Repubblica nelle sacre ordinazioni giurassero
fedeltà*: atto, comunque vogliasi, d'intrepidezza civile, che
il Muratori tutto inebriato delle rugiade longobarde non
registrò.
Se non che la persecuzione d'Agilulfo, intercedente la pia
Teodolinda, fu per poco, però che tutto l'episcopato levò ben
tosto alle prische onoranze *. Qualche tempo dopo (603), sua-
so probabilmente dalla sua 'consorte, facea battezzare Ada-
loaldo suo figlio, ed apriva pel sacerdozio tempi migliori, am-
mettendolo ai diritti civili dei Longobardi, e permettendo che
i vescovi acquistassero grado grado e r influenza antica eser-
» citando la volontaria giurisdizione fra i Romani tributari, i
9 quali per le manomissioni, divenute meno rare, si cambiaro-
> no in liberi Longobardi^ >. M'arresto sulle condizioni sacer-
dotali, perchè nessuno degli storici patij le ha cerche, e perchè
quelle della Chiesa Bresciana non vengano soltanto conosciute,
ma sentite. Un lago d'inchiostro s'è gittato dagli eruditi pei
nomi e perle date dei nostri vescovi; non un motto per la loro
condizione civile e religiosa, pei rapporti coi vinti e coi vin-
citori, per la loro autorità sugli uni e sugli altri, varia sem-
1. S. Grbg. Libelliu, a. 590, in Ba-
RON. Annales Ecclesiastici, IX,
904 in Appendice, Nos fidem tn*
tegram sancim ReipublioB serva-
turos.
2. Pene omnes Ecclesiarum substatir-
iias Langobardi .... invaserunt:
sed hujtts (Theodolindce) salubri
supplieationUnu rez (Agilulfus)
permotus . . . episeopos, qui w de-
pressione et abjectione erant, ad
dignitaiis soHtm honorem reduxii.
Paul. Diac. libro IV, capo 6. —
Trota, Cod. Dipi, parte I, p. 167.
3. CiBRARio, Nota d*Ursicino vescovo.
Atti delPAccad. di Torino, t. vm,
ser. IL, 1845. — Trota, Cod. DipU
parte I, pag. 41.
1 LONGOBARDI
203
pt*e al variare dei tempi e delle circostanze, che è quan-
to dire per la storia loro darante la signoria dei Lon-
gobardi.
Pur d'Agilulfo non si fidando, il vescovo, il clero ed
assai nobili milanesi non si partivano dalla città di Genova,
cui nella venuta dei Longobardi s'erano condotti; vi elegge-
vano anzi nel 593 (perocché al clero ed al popolo *■ spettava
in quel tempo la scelta de' suoi pastori, serbando intatta la
forma evangelica e popolare del rito cristiano) il loro vescovo
Costanzo^. Prova dell'ordine latino, che disfatto nelle civili,
continuava regolatore nelle sacre magistrature ^.
Pare che intomo a questo tempo cessasse di vivere Àlachi
duca di Brescia; non è che un' induzione. Ve ne racconti il
Bravo a modo suo le illustri esequie ^: noi sarem paghi di
supporre scolpito durante il regno di Teodolinda il costui
marmo sepolcrale che abbiam pubblicato, e per lo stile cri-
stiano di quei versi ^ e pel cenno della quiete pubblica, la
quale ne' primi anni d'Agilulfo, comunque vogliasi, risulte-
rebbe dalle storie longobarde ^.
i . Cierum etpapulum ad eligendum eie.
( S. Gregorio. Ep. lib. Ili, n. S6. -
apr. 593).
2. Greg. ep. 30, lib. IH, ove parla
dei Milanesi (viri fU)biH»8Ìmi da
lui chiamali, lib. IV, lett. 2) che
in Genova eoacti barbarica feri^
tate si erano rifuggiti. — Oltroc-
CHI, Hist, MedioL pag. 382. Me-
diolanensis Genuam translata se-
des. E non è a dire quanti la si
credono continuata in Milano.
3. L' esistenza in queir atto della Leg^
gè, della Curia, della Romana iVo-
biltà spiegherebbe Troya con ciò,
che i Milanesi dimorando in Ge-
nova, eh' era dell' esarcato, segui-
vano le leggi deir impero.
4. Storie Bresc. t. il, lib. Vili, p. 20.
5. Trova, Cod. Diplomatico Longo-
bardo - parte 1, pag. 318, n. 120
nel voi. lY della Stor. d^talia.
6. D'allora in poi (dopo la pace coi
Franchi ) per più di un secolo non
si rinnovarono guerre tra Franchi
e Longobardi, e sappiamo che ver-
so questo tempo Agilulfo non avea
più nemico esterno.
204
I LONGOBARDI
Di G.
MI
Ma un'altra morte negli anni di cui parliamo ricordano le
patrie testimonianze: quella di Valerìano Patrizio di Brescia;
e vienci narrata dal pontefice Gregorio ^
Lercio vecchio, perduto nel brago d'ogni dissolutezza, mo-
ria Valeriane in patria di morte inonorata: vietavano i ca-
noni al costui cadavere il conforto di sacra sepoltura. Se
non che il vescovo di Brescia, che Bmnati sospettò chia-
marsi Berticano^, vinto da un pugno d'oro, gli concedeva la
tomba nella chiesa probabilmente di s. Faustino Martire. La
notte appresso, cosi Gregorio, eccoti 1' ombra del santo
apparir corrucciata dinanzi al custode di quella chiesa, e
dirgli che ìntimi al vescovo sien gettate quelle fetide carni
fuori del tempio; noi facendo, in tre di sarebbe morto. Il timido
custode non osò tanto, e il vescovo al terzo giorno morì '.
Tanto probabilmente avveniva intorno all' anno 390 per
quanto risulta dai calcoli dei dotti. Ignoto ad ogni modo è il
vescovo di Brescia si duramente punito: simoniaco parreb-
be dalle parole di s. Gregorio, opperò non accolto, o can-
cellato dai sacri ditici; ragione per cui non trovasi nel-
r elenco preziosissimo del B. Ramperto (sec. IX) e nel ca-
talogo antico che il Gradenigo ha pubblicato.
Ma lo scisma cui furono cagione i Tre Capitoti, e del quale
Teodolinda anch'essa era intinta, avea tocco il nostro vescovo
1. Mihi teitattts est Valerianwn, Po-
tricium in civitaie, qwB Brixa
(Brixia) dicitura fuisse defun^
ctum eie, — S. Gregor. Dia!og,
lìb. IV, Gap. 52.
2. Leggend. dei Santi Bresciani; al-
la serio cronologica dei primi 29
vescovi (pag. 187), e con lui Ot-
tavio Rossi, Fiorentini, Ughelli, e
più il .Gagliardi e il Gradenigo.
Il Biemmi per altro molto prodi
temente, dirò più, sapientemente
lo dichiarò di nome ignoto. Ed
anche il Bravo, se volete, ha trat-
tenuto su quel nome la penna.
3. Eadem vero noete, qua sepuUm
est, bealus Faustinus Mattgr, in
cujus ecclesia corpus ilHus fmerai
humatum, custodi suo apparuìt
dicens eie, S. Greg. L cìL
t LONGOBARDf 205
d' allora, probabilmente à. Paolo III, e con esso i cittadini
di Brescia: imperocché toltisi dall'obbedienza della sedia
milanese, dichiaravano che non vi sarebbero tornati se
non che giurando Costanzo non aver egli condannati i tre
Capitoli, ch'altro non erano infine che alcune formole d'Iba,
di Teodoro e di Teodoreto. Il vescovo di Milano chiedevano
Gregorio *; e n'avea si temperato consiglio ^ che per esso il
patrio scisma cessò. Ed è singolare che di tutto il regno
longobardo nella diocesi bresciana quest' eresia giungesse a
turbare le menti dei cittadini, a staccarli dalle cattoliche
comunioni, e che il pericolo di una vasta e fiera lotta di re-
ligione, cui Gregorio s' era levato a scongiurare con tutta la
ferma tenacità dei suo carattere, venisse pure da noi. Più sin-
golare lo imporsi dai cittadini bresciani all'arcivescovo Co*
stanze un sacramento a modo loro. E bello ancor suona e
glorioso il nome di cittadini quando romana cittadinanza più
non restava nella terra longobarda. Co' fatti alla mano l' au-
sterissimo Troya pur questo ci contende: ma noi non possia-
mo distoglierci da quelle voci tradizionali che s' improntano
ancora dell'antica libertà, ed accarezzano nostro malgrado
r idea che spenta non ne fosse allora sino all' ultima favilla.
Se non che, gli ò poi certo che nei vescovi compianti da
papa Gregorio si trovasse il bresciano? Della loro sede a
buon conto non fa motto il pontefice nelle lettere che li ri-
guardano ^. L' Oltrocchi poi taglia il nodo a modo suo, dicen-
1. S. Grbc. Ep. Ub. IV, epist 8. 3. S. Greg. Epp. 1. IV, ep. 2, 3, 39.
2. In gravi vos marore esse eogno^ Quest* ullìma è posta dal Troya
vimuSf maxime propter Episcopo^ sotto i* anno 594. Corrisponde a
ti Cive» BrixÙB, qui vobis man- meraviglia V ind. Xil sotto cui vien
dant ut eis epittolam trantmitta- pubblic. dai PP. Maurini (S. Greg.
Itf eie S. Greg. Epp. lib. IV, 39. Opp. tomo li. col. 719).
206 1 LONGOBARDI
doli senz' altro della provincia milanese S mentre noi spet*
tavamo alla Venezia. Forse un' epìstola di s. Gregorio, che pur
ci mancai qualche lume avrebbe messo nell'intralciato que-
sito. Un passo di papa Pelagio fa per altro sospettare che
da scisma i vescovi della Liguria, della Venezia ( VeneUd)
e dell' Istria non fossero esenti ( an. 555-558 ).
Bensì r Hegel vorrebbe trarre dal Cives Brixite delia let-
tera gregoriana vastissime conseguenze intomo all' ordine
municipale della nostra città, tutt' altro a suo dire che dai
Longobardi annichilato.
In quanto a me trovo assai gravi queste parole del grande
Maffei: < Dalla cacciata dei Goti all'occupazione fatta dai
t Longobardi smarrì Y Italia ogni yestigio non solamente
> della sua repubblica universale, ma de' suoi magistrati cit-
> tadineschi ^ » , Parole severe troppo, non esenti da qualche
eccezione, ma che dettate da un tanto uomo ti mettono in
guardia sulle facili asserzioni del Rezzonico, del Pagnoncelli,
del Savigny. Ad ogni modo nulla impedisce, dirò collo sto-
rico napoletano, che la porzione scismatica fosse composta
dei cittadini longobardi padroni di Brescia^.
Due cose donno avvertirsi. La prima, che arbitrava il Bìem-
mi ^ neir attribuire ad un vescovo solo i fatti della scissura
pei tre Capitoli, e del cadavere di Valeriane, la cui morte
dovrebb' essere accaduta, per sentenza del Troya^ e secondo
la serie cronologica del Brunati ^, prima dello scisma sopra-
1. Tres provificm nostra Episcopi. 6. Trova, Cod. DiplooL Longobardo,
— Hist MedioL LigusL p. 400. parte 1, pag. 319. Napoli 1851
2. De Episeopis vero eie. aliam epi- 7. Brunati, Leggend. dei Santi Bre-
stolamfeciGREG.Epp, I. IV, ep. 2. sciani, pag. 187. — Serie Crono-
3. Ver. in. 1. X, col. 257. logica dei primi XXIX vesc. bre-
4. C. D. L. parte I, n. 119, p^ 314. sciani tutti santi, eccettuato Ber-
5. BiEMMi, Stor. di Bresc- 1. 1, p. 33. ticauo.
I LONGOBARDI 207
scrìtto. . La seconda, che Valerìano, mancato in decrepita età»
doYe?a essere già patrìzio prìma dei tempi di Alboino; ep-
però il patriziato sendo in lui cosa tutta romana, il vicario
di Roma, narratore del fatto a papa Gregorìo, non doveva
quel titolo negargli: perchè quand'anche Alachi gliel' avesse
tolto, non poteva essere pei Romani quello spogliamento che
una soperchieria longobarda. Tanto a cessare il dubbio che
patriziato-latino ^ durasse in Rrescia nel medesimo Valeriano
a dispetto dei Longobardi, tra i quali e Roma era un odio
inestinguibile. Se nella morte dei Longobardi avessi vohOo mi-
schiarmi, sclamava Gregorio, né re, né duchi, né conti pia
non avrd>bero i Longobardi da questo dì '. Eppur trattava Gre-
gorio, carteggiava coi Longobardi stessi, e donava de' suoi
Dialoghi Teodolinda; « la quale, regina di un popolo quasi
> tutto arìano, e moglie di due prìncipi arìani, cattolica era,
* e durava ' > , e che toltasi, non al tutto per altro ^, dallo scis-
ma degli oppositori al sinodo Calcedonense, fra i quali
primeggiavano i cittadini bresciani, se ne ricredeva alquanto.
' Tentò Gregorio Magno ancora di metter pace fra i Lon-
gobardi e la Santa Repubblica Cristiana, com' ei chiamava l' im-
pero, ma non riusci, e continuarono le guerre più micidiali "in
di prìma. Poi nuova pace, e questa pure condotta dall' ope- 59«
roso Gregorìo '; poi guerra ancora (a. 604 ), e questa volta coi
neir Italia superiore, e proprìo allora che parea volgere a mi-
1. Di-Meo, Anodi - t. I, p. 321. 4. Lettera di s. Colombano (a. 612)
S. Si ego servtu eorum in morte Lan- a Bonifacio IV intorao allo scisma
gohatdorum me miscere voluii- d'Aquileja. Trota, Cod. Diplom.
$em, hodie Langobardorum geni n. S84. — Rossetti, Bobbio il-
fiec regem, nec duces, nee comi- lustrato, II, 125, 144.
tes haberet. — S. Gregor. Ep. 5. S. Greg. EpisL lib. V, epist 36;
lib. IV, epìsU 47. lib. Vi, ep. 30, 31; lib. VII, ep. 29;
3. Balbo, Storia d*Ilalia - lib. II, lib. IX, ep. 4, 6 - tutte recente*
pag. 80. - Torino. mente pubb. dal Troya.
DI e.
208 I LONGOBARDI
glìori destini. Avvegnaché persuaso probabilmente dalla mo-
glie Teodolinda S voltosi Agilulfo alla nostra fede, anche il suo
popolo a poco a poco ne seguitava V esempio, riaprendosi
per tal modo un' epoca novella d'ordinamento longobardo,
un' altra età caratteristica della storia italiana; e forse lo av-
vicinarsi lento e restio delle due razze italica e forestiera sa-
rebbesi compiuto, se viva e presente non palpitava nelle ani-
me romane la memoria del passato imperio da' suoi resti me*
desimi alimentata. Onnipotenza delle glorie tradizionali, che
nò la superba ignavia, né la indolente viltà, né la bar-
barie di quell'ombra d'impero che si chiamava esarcato,
espilatore e nulla più, emulatore in ciò solo dei Longobardi,
non era tanto a spegnere la illusione dolcissima della Santa Be-
pubblica, sotto il cui nome un pugno di Greci ci trattavano
come cosa da rubello: non era tanto a spegnere negli animi
nostri quello splendido e maestoso nome d' Italia, che fra le
miserie longobarde risuona ancora nelle lettere pontificali e
nei lamenti di Gregorio Magno ' in cotale accento di so-
lenne mestizia, che ben si pare altro conforto, sostegno al-
tro non fosse per la patria italiana ^ del secolo VI che la
voce di un uomo.
» E mentre le ragioni di equità, di antica proprietà,
» di diritto sul proprio suolo non sarebbero state né ascol-
1. Epp. lib. IX, ep. 41 - Agilulpho 2. S. GREG.fpp.l. II, ep. 5i.( Trota,
regi. Ep. 43, iib. cit. - Theode- God. Dipi. p.I,p.279); 1. V, ep. 40
linda regina. Ut apud excel- (God. Dipi. p. 3S7, n. 140, par. 1).
lentitsimum eonjugem vestrum ita 3. Inde Itaha ...sub Langobardonm
agaiis, quatenu» Oiriitiance Rei- jugo eaptiìM ,..De uHIiUae Reiptir
pMìcm soàetatemnonrejiciai,,. bliea et causa ereptUtnis Italia.
Vos ergo, more vestro, qnm ad lib. V, episL 40, e al Iib. IX,
gratiam et concUiaHonem partium epist 194. Miseram et dqetìam
pertinent, eemper atudete eie. etc. diligere fecit Italiam etc ^-^
I LONGOBinBI 209
» Ute né comprese dai barbari, i quali avevano un loro si-
» stema di diritto pubblico fondato sulla conquista, questo
* solo personaggio potea pronunciar parole che diventavano
> un soggetto di attenzione e di discussione : era un romano,
1 che avea promesse e minacce da fare * ».
Quando e come precisamente si rompesse la guerra non
è bene determinato. Corrotti forse dall' oro greco, imitando
l'esempio dei duchi di Parma, di Reggio e di Piacenza^ (an.
590), rivoltavansi adesso contro Agilulfo il duca di Verona
Zangrulfo, e quel Guidolfo di Bergamo a cui non valsero due
perdoni, e Yamecauzio di Pavia, della quale fors' anco era
duca: ma venuti nellej^ani del re, furono messi a morte. Più
fortunati Gandoaldo duca di Trento ^ e Gisolfo di Forlì, al-
tri (come al solito di que' duchi) traditori del loro popolo,
yili e codardi tutti, ebbero in dono là vita. Cadea Padova in-
tanto benché virilmente dai Greci sostenuta. Poi gli Unni, gli
Avari, gli Scalvi o Slavi, e i Longobardi ^ recentemente al-
leatisi a' nostri danni assediavano Cremona ^ la prendevano
per assalto, la radevano al suolo (28 agosto); e nel furore ^l^^'
Nel volume del Rosa / Feudi ed rinvenirio nel Syllabus Regum
t Comuni della Lombardia al- Langobardorum (set, l\) Ae\ CO'
V articolo Della Patria Italiana dice cosi detto dall* ab. Brunati Ne-
anei desiderato questo po' di giù- crologico Liturgico dì s. Giulia :
stizia che dovea rendersi a Gre- Eoin dux Tridenti. Il Codice tro-
gorìo deU* aver propugnata la cau' vasi presso la Quiriniana, ed è
sa nostra, ch*ei divise più volto trascritto dal Luchi.
da quella dell'impero. 4. P. Diac. lib. IV, e. 18. — Murat.
i, Manzoni, Discorso storico, e. V. Ann. a. 003.
2. Lett di Romano a re Cbildeberlo. 5. Agilulfiurex,.-, obsedit eivilatem
3. Gaidoaldo o Gondoaldo secondo il Cremonen»em cum Scalvi* quos ei
Gar (Calend. Trentino i854), col Caeanw rex Avarorum in solar'
quale assentiamo nel rinvenire in tium miserata et cepit eam . , .Et
Ennio, Annio, Coino, Cous, Covs, ad solum usque deMruxit, - Paul*
Como od Evino un solo personag- Diac. De Rebtis Gesti* Langob.
gio. U suo vero nome godemmo lib. IV, e. 29.
OMumstì, Siuié Brtse. Voi. II. Il
240 1 LONGOBARDI
della vittoria, battute cogli arieti le mura di Mantova (13 set-
tembre), la conquistavano di viva forza, rimandando all'e-
sarcato il greco presidio.
Altre castella venivano in potestà di Agilulfo, cui sembra
che in quella vasta rivolta restasse Brescia fedele ^. Quasi ad
un tempo con quelle vittorie aveva Teodolinda un figlio che,
assenziente il padre, fu battezzato, nomato Adaloaido, tenuto
al sacro fonte da Secondo abbate nativo di Trento '.
N' esultava Gregorio, chiamavalo eccellentissimo figliuol
suo'; e mentre, né qui certo è a scusarsi, quell'anima irre-
quieta supplicava V empio Foca di soccorsi ad espellere
Greci e Longobardi ^, congratulavasi ad un tempo con Agi-
lulfo, non più nefandissimo ma eccettente, della pace con-
chiusa '.
E questa pace non era in fine che una povera tregua
dopo quasi tre anni di stragi e di furori, che cesse il campo
ad altre guerricciuole, le quali terminarono con nuove soste,
ma brevi, misere, interratte ad ogni istante, comperate dai
ili" Greci a peso d' oro e di vei^ogna.
Vantaggiavano intanto le condizioni del popolo italiano.
Buon capitano sul campo e provido reggitore sul trono per
quanto a re barbaro fosse dato, lasciò di se medesimo Agi-
lulfo non ingrata memoria; Teodolinda era seco, e forse a
lei dobbiamo r ampliata libertà dei popoli per la elezione dei
i. Malv. Chron, ^nxdist. IV, e 36. barbaro Foca più temperato eol-
f. Paul. Diag. lib. IV, e. 28. Tltalia assai dello stesso Maurilio.
3. S. Creo. Epp, lib. XIV, epist. 12 — Trova, Cod. Diplom. pag. 551.
Secundo abbati (S. Gregorio, 5. Vi txcellentmmo fUio nottrort-
lib. XIV, ep. 12), lo slorìco senza gi vestirò prò nobis de factapau
dubbio dei Longobardi. — Bonbl- gratioi referatis. — Epist 13,
LI, M. EccL Trident. IV, 11. lib. XIV. Theodelinda reginm. —
4. S. Greg. Epp. lib. XIII, epist. 31 , Trova, Cod. Diplomatico Loago-
38. Notisi per altro essere stato il bardo, n. 277.
M e
I LONGOBARDI 211
«
loro vescovi S il guidrigildo ai sacerdoti concesso, le dota«
zioni di* terra longobarda patrimoniale del regno ai vescovi
largite, e colle terre gli aldii ed i servi germanici alle me-
desime legati. Ond' ecco i vescovi dispensatorì del Mundio
come nobili longobardi. Ne siano prova Secondo ed Agnello,
abbate V uno, Y altro vescovo di Trento.
Quivi ha principio una più larga forma del governo lon-
gobardo, e il piegarsi d' Agilulfo a miti consigli e al tempe-
rato pensiero della vita civile.
« I cittadini longobardi, cresciuti pel facile sviluppo di un
popolo vigoroso trapiantato in questa fertile Italia strema
r un di più che Y altro degli indigeni suoi, s' aumentavano
per l'aggregazione dei militi stranieri (guargangi) omai fatti
del comune longobardo: la religione degli oppressi accolta
già, come notammo, dagli oppressori, ne ammansava gli
animi e le menti. Il patrimonio delle chiese, come narra
Paolo Diacono, fu in quel tempo restituito. Sursero basiliche
cristiane per longobarda volontà; e poiché prima d'ora non
vedemmo che reggimento di conquista e di prepotenza, qui
è propriamente che incomincia il grande quesito sulla con-
dizione dei vinti.
In un dotto ragionamento di Francesco Rezzonico^ gli ho-
spUes dwisi di Paolo Diacono assumono carattere mite, ami-
chevole, eccezionale: dalla domalibera vivente a legge longobar-
da, e dal servo emancipai) dai Longobardi delle leggi 205 e 229
di Rotari si deduce Y esistenza di donne libere viventi a legge
romana, di servi emancipati da non Longobardi, e si notano
1. CLEavM POPVLViiQVE coiiENSEif = 2. lolorno al volume di Coirlo Troya
RECTOREM TANTVif QVi PETiERE sulla coodìcione dei Romani vinti
8IBI. — Iscr. sepolc. d' Agrìppino, dai Longobardi, rislampalo in fine
Trova, Cod. Dipi. n. 291. -idem; a quel volume neir edizione di
Romani vinti dai Longob. art 62. Milano.
iii I LONGOfiARDl
liberi latini non isolati soltanto, ma in grandi masse di pò"
polo, in mezzo a popolo longobardo. Più largamente Savigny
trova r ordine romano continuato dai sottomessi, rispettato
dai vincitori, V identico ordine decurionale dei municipi amichi.
A tutti questi ed a più altri rispose gagliardamente lo sto*
rico napoletano Carlo Troya, del quale se acerbo troppo è
r accogliere sua crudele sentenza, siamo condotti a seguirio
nostro malgrado nelle indagini profonde, svisceratrìci della
questione, e le più volte trionfalmente conclusionali. Ma en-
trare in quelle indagini sarebbe lo stesso che riassumere V e-
tema lite, distemperarla (Dio ne liberi la pazienza de'miei leg-
gitori) in un volume. A noi giovi ricordare ciò solamente che
basti ad apprenderci la condizione del popolo bresciano sotto
il dominio del Longobardi. Questo è il nostro argomento.
Come il giogo dei vinti Romani sotto Agilulfo si allegge-
risse, Tabbiam veduto: pare per altro che tanto avvenisse non
per condizioni universali dello stato, ma per manumissioni di
servi od aldii affrancati, di liberi livellarii, che ottenuta la lì*
berta, privi di beni, si accomodavano a coltivare gli altrui. Vi-
venti a legge longobarda, da meno però sempre del longobar-
do milite, presentavano come a dire il nucleo d' una cittadi-
nanza inferiore, di un terzo stato. Ma lor questioni mettevano
costoro nelle mani del vescovo; e il sacerdote sorgea rivestito
in quelle cause loro d' autorità sinceramente romana, e col
romano diritto si decidevano le più volte i compromessi e le
arbitranze. È qui dov'io trovo campato l'ordine, la curia
antica recentemente dal Rosa ^ rivendicata non ali* or-
dine augustale, ma si al municipio italico risaliente alle
congregazioni degli Etruschi e delle italiche tribù maestre a
Roma, e respinte, circoscritte da secolari sventure all'ori*
i. Dei Feudi e dei Comuoi di Lombardia. Bergamo 1854.
I LONGOBARDI 213
gine primitiva sacerdotale. Ed è per la voce dei sacerdoti
unica, ma generosa, che solitario nell'età longobarda ri-
suona ancora il nome d' ordine» di popolo, di curia, di citta-
dino italiano, sofferto, condonato da chi era padrone delle
realtà, e purché il sacerdote de' tempi d'Agilulfo s'acconten-
tasse di ([uella parte del diritto romano che riguardava le
antiche immunità sacerdotali ^ (scambiate dal Savigny col di-
ritto universale dei cittadini), e purché vivesse come chierico
a legge romana, ma seguisse qual suddito la longobarda.
Tutto ciò nel regno d'Agilulfo, poich'egli é vezzo giudi-
care in massa la càusa longobarda: e il confondere in una le
fasi moltiplici e svariate della condizione dei vinti assumente
caratteri e forme parziali secondo la successione delle leggi,
delle arbitranze, dei casi longobardi, é cagione che ancorasi
documenti la tenuità del popolo d'Agilulfo col numero exigtU
della Germania di Tacito.
Colla memoria della pia Teodolinda le condizioni cristiane ^l^['
della nostra città cominciano a vestirsi di qualche luce. Per-
ché replicando in Brescia quanto avea fatto in Monza, dove
la splendida regina fabbricava presso il palazzo di Teodorìco
la basilica del Precursore, appo il nostro della Curia Ducale
fondava il battisterìo anch' esso di s. Giovanni, quando al-
meno si voglian credere genuini due marmi riferiti dal Soia-
zio ^ dal Paciaudi ', dal Gradenigo ^, dal Biemmi ^ dal Bru-
1. Trova, 1 Romani vinti dai Lon- ho forte sospetto che non esi-
gobardi, pag. 71 stino (Storia cit. L ì\, pag. ciuta).
2. Solatio, Iscrìz. portata dal Rossi 3. Ani. Chrùt. De CuUu s. Jean.
nelle sae Istor. Bresciane. Ms. cit Baptisia.
dal Biemmi. Veggasi ancora FUghel- 4. Brix, Sae. pag. 93.
li, Italia Sacra, tomo IV, col. 531. 5. Storia Bresciana, tomo li, pag. 2,
Ma il Biemmi non ha veduta la da cui li tolse il Bravo, Storie
raccolta del Solaaio, nella quale Bresciane, tomo li.
^(4
I LONGOBARDA
nati S dal Troya ^. Noi seguiremo nella dizione V
Leggendario.
autore del
t D • N • F • THEODVLINDA
AEDIFICARE FECIT HOC BAP
TISTERIVM VIVENTE D- N- p-
AGILVLPHO
f D • N • F • THEODVLINDA
CONSECRARE FECIT HOC
BAPTISTERIVM VIVENTE
D • N • F • ADALVALDO
SSS • CCCCCCXVII •
A dirvela col cuore in mano non mi garbano gran fatto:
non ha formola lapidaria, non ortografìa di quel tempo '; il
SSS CGGCCCXYII è una stramberia sul fare dell' iscri-
zione Frisiana del 628 ^; ma l' essere accolte dal Brunati e
dal Troya tempera in parte i miei sospetti ^ e me le fa
1. Leggend. dei Santi Bresciani; ivi
delle Epigr. Crist. Ant. dell* Agro
Bresc. Lettera al card. Mai, p. 203.
2. Cod. Diplom. Longob. Napoli 1853,
parte I, pag. 509, n. 287.
3. Si confronti colle quattro Teodo-
lindiaoe di Monza e ài Santià. —
Troya, Cod. Diplom. p. 555, 557,
558, 570. — Maffei, Storia Di-
ploinat. Vita di s. Zenone, p. 318.
^ Frisi, Mem. di Honia. Ili, 58,
61. — MoRiGiA, Chronicon M(h-
doeiienie (Rer. UaL Scriptoms,
t. XU ). — MuRAT. Ann. an. d03,
ecc. ecc. ove non domna mostbì
FLAVIA, ma leggesi regika e nulla
più, a non contare la troppo acco'
modata dizione, specialmente dei
nomi tutt* altro cbe scritti alla lon-
gobarda: Teodulinda per Teode*
linda; Adahaldo invece d*Adlo-
aldo, come nell* iscrìiìone Tori*
nese di Onorata (BauDii e VssaiE,
Edieta Reg. Langob. col. 2()9,
210, an. 18i6) ecc. ecc.
4. Troya, Codice Diplom. n. 20ì,
1 LONGOBARDI
215
giudicare di origiDe sincera, ma impiastricciate da qual-
che guastamestieri ^.
Certo è per altro che il battistero breseiauo sorgea di
fronte alle odierne cattedrali di s. Maria, detta la Rotonda, e
dell'Assunta, precisamente là dove s' apre il Caffè del sig. De-
notti. Era una fabbrica circolare, che spianata nel 1603 \
non lasciò più reliquia, come non ha parola descrittiva negli
storici nostri che ne dia qualche contezza, nu^ della quale per
somma ventura mi fu dato rinvenire la pianta; sicché tra
essa e le colonne di queir edificio Teodolindiano, disegnate
in un codice della patria biblioteca ' ed in un altro della
Vaticana ^, potremmo a un bel di presso rìcomporne il con-
cetto antico.
«
La pianta per vero dire ci si presenta quadrata, ma que-
sta comprende la forma rettangolare delle sostruzioni di tutto
V edificio Tealmenta rotondo, come appare da una planime-
tria di Brescia del 1599, premessa nei Codice Quiriniano
C, I, 1, ricordata dal dotto ab. Zamboni, benché per vero
dire cosi minuta e confusa da non poterne desumere, oltre
la circolare sua forma, più preciso concetto.
1. BtBiiifi, Storie di Brescia, 1. eit.
2. Bianchi, Diario Brese. Ma. presso
TauL — Zamboni. Fabbr. p. 107.
a Man. AnL Urh. et Agr. Brix. A, LI,
li, p. 80. La descrizione di quelle
colonae fu barbaramente cancel-
lala. Con un pò* di pazienza ho po-
talo leg^erri ancora: Apresso al
domno in s. Giovanni vi sono otto
colonne; Valtesaa del fusto si è
Brasua XUI, quatto de pietra de
Boiesinò sono tanaiale a questo
modo; e altre quatto sono de tmat-
mote bianco con delle machie azw-
re = Queste non sono eanalaie
et tute sono entiere con li ea-
pitelif et batamenli loro. Ed a
fianco ad altro capitello: Questo
capitello con la colonna di al"
teia braza tredici.
i. Non é che una copia del Codice
Quiriniano.
246
I LONGOBARDI
Otneva di M. Lazaro
Q
u
cs
t
:^
II.
O
«0
S. Giov. Batta
Piazza (iti ihcMM)
In margine al disegno è una misura lineare anonima, di-
visa in dieci parti. La fronte del tempio avrebbe la lun-
ghezza di trentaquattro di que' decimi.
Al principiare del secolo XVII scendevasi nel battistero
per una scala di dodici gradini: le colonne d'ordine co-
rintio sorreggenti la cupola furono involate (come usavano
barbari e non barbari del tempo d'Agilulfo) a non volgari
fabbriche romane. Loculi e cappelle rettangolari e curve al-
ternativamente si aprivano intorno all'ambito del tempio, e
di vaghissime forme sono i capitelli che V autore delle Jtfon.
Amiqm (Cod. Quir. A, II, ì 4) ci ha conservati; i soli anzi, che
per lo pregio dell'arte credette meritevoli d'essere disegnati.
I LONGOBARDI 217
Nel loro cenno, che alla nota 3 della pag. 215 abbiam reca-
to, sono detti de pietra deBotesino: dal che la vetustà romana
di qnelle cave bresciane, le quali sappiamo d' altronde come
fornissero i marmi delle basi e dei capitelli che decoravano le
carintie colonne del Foro Nonio S e come tutte di quel mar-
mo si levassero le gravi muraglie della Curia * che face a
riscontro al tempio di Vespasiano. — Le cappelle di s. Gio-
vanni furono aggiunte probabilmente quando Bonifacio dei
Castellani, podestà dì Brescia, riedificava la chiesa.
REDIFICATA- EST- H
ECCLIA sci lOHElS BATISTE
TPR BONIFACII q DNI CASTELANI
CIVIS BONONIENSISETPOTESTATIS BRIXIE
A-D-M-CCLIIII • INDIC-
XII-
Questo Epiiaphio è de fora de la gesta de s. Zoane Baptisia che
zase su la piaza del domo da mane dritta voiendo andar in ditta
gesia. Cosi le Memorie del buon Nassino^ ; ed era forse quel
marmo appresso la tomba di Teodaldo vescovo ^ (secolo Vili)
indicata nel catalogo del Tetti (secolo XII) ante regiams. Jo-
hannis Baptistce^. E ^Ercoliani^ che minutamente non so se
inventi o descrìva la piazza bresciana di s. Pietro de Dom
del secolo XII, perchè non dirci del battistero di cui fu sa-
1. Museo Bresc. ili. -ti, pag. 56. 4. Gradonicus, Brix. Sae, - p. 103.
2. Ivi, pag. 57. 5. Gradonicus, Op. cit pag. XXXIII.
3. Codice Quirìn. C, I, 15. — Zax- 6. / Valvassori, Romanzo slor. t. I,
BONI, Fabb. di Bresc. p. 107. pag. 51
218
I LONGOBARDI
cerdote lo stesso Aimoni, e dov' era proprio la concione cit-
tadina dalia quale il suo prolagoìmta Àrdicio scuoteTa il po-
polo bresciano colla potenza della sua parola?
Vuoisi ancora che dall' opposto lato della piazza il vescovo
Anastasio fabbricasse nella prima metà del settimo secolo la
chiesa di s. Pietro de Dom. A vero dire, narra la cronaca di
Rodolfo Notajo che il santo vescovo erigesse una basilica a
s. Pietro in rendimento di grazie per una sua vittoria sullo
scisma degli ariani. Certo non era duopo ricorrere col Gra-
denigo ai Goti del sesto secolo per ispiegare la serpeggiante
eresia dì cui forse la città nostra era tocca ^ Moltissimi an-
cora dei Longobardi, cui prediletta fu sempre la città di Bre-
scia ^ professavano le ariane credenze: nulla di più probabile
che lentamente s'appigliasse a' padri nostri il veleno di qual-
che scisma, e che il vescovo riescisse ad estirpamelo. Anche
il popolo ed i preti milanesi residenti in Genova conseguivano
nel 601 un' eguale vittoria ', non si curando delle minacce
di re Agilulfo, che avrebbe voluto eleggere un vescovo pro-
babilmente eretico, onde il pontefice 'raccomandava loro di
resistere agli ariani. Queste lotte inevitabili nelle nostre cit-
tà doveano combattersi dai nostri vescovi; la gravità della
vinta per Anastasio è testimoniata dalla erezione d' una ba-
silica e dalla splendidezza di questo voto sacerdotale. Quella
1. Basilica «. Petti, quam AnastO'
tius Epìscapus edificavtrai prò
mercede Ariane heresos, de qua
triumphaverat , igne eonsvmpta
fuit. — RlDOLFUS NOT. HistO'
riola Briisiane Civitatis imperan-
iibtts Franckis. Nel tomo II delle
Storie Bresc. del Biemmi, p. XXI.
1 P. DiAC De Gest. Lang, 1. V, 36.
3. Rbzzonico, Inloroo al discorso di
Carlo Troya, art U. -— Trota.
Appendice al discorso sulla condi-
zione dei Romani Tinti dai Lon-
gobardi, art. 3, an. 601. — Gio-
vanni Di AC nella Tita di s. Gre-
gorio. Clertu et Plths Mediola-
nensis .... Agilulfo rege terrete
tur, quatenue ete. — Fumagalli,
Ant. Longob.'MU, t. I, p. S5. —
S. Gregorio, lib. XI, epist i.
I LONGOBARDI 219
chiesa vorrebbesi la stessa che ricordata più volte da Ro-
dolfo Notajo, cadde per ud incendio del 799 ^ Potrebbe
nascere sospetto sulla identicità di questa coli' altra chiesa
par di s. Pietro dallo storico distintamente chiamata ntiag-
giore ^, tanto più che il tempio Ànastasiano risulterebbe igne
amsumpto, e potrebbe congetturarsi per quello di cui parla
Ramperto, mentre la maggior chiesa in cui fu sepolto Rai-
mone (a. 789) noi la vediamo sotto Landolfo (sec. XI) vetu-
sta sì, ma in piedi, e per quel vescovo rabbellita ^.
La chiesa di s. Pietro de Dom era un edificio quadrilate-
ro: sorgea nello spazio dell' attuale cappella di s. Nicola e
del prossimo cappellone in duomo ntiovo; il suo lato a sera
scorrea paralello alle prigioni del Broletto; fra s. Pietro e la
Rotonda era un portico e la chiesicciuola dei ss. Crisanto e Da-
ria^. Le tre navi della basilica, terminate in alto da un tetto a
soppalco, si dividevano, siccome quasi tutte le longobardiche,
per due file di colonne diverse ne' marmi, ne' diametri, nelle
altezze ', tolte probabilmente a costruzioni romane \ Il prò*
spetto per un' altra consuetudine di que' tempi volgeva ad
occidente '. Le due colonne alla porta della Carità, l' altre a
i. Ilistoriola de Reb. Frane. 1. cit. cumeoli del secolo Xil ( Ecciti,
3. Ad. 775. Eulesia majorii s. Pe- s, Petri majoris apud pusterulam
tri, - a. 789. Sepultus m Ecclesia etc), — Totti, Calai, de' Vescovi.
majori #. Petri. 4. Florentinus, Index Chron, Antist.
3. Trilfunal hasilicm Beati Petri Ap. Brix. — Donbda, Notìzie della
jam veiueiate iurpiesimum eui Cattedrale. Ms. Zamboniaoo. —
labms novitaie onestava, ani sub Zamboni, Fabbriche della città di
eadem domum puld^errimam absi" Brescia, capo ultimo, pagina 117,
dum testudine expolitam patroni num. 60.
sui dedieavit, Cod, Quir. .\, I, 8. 5. Rossi, Mem. Bresciane, p. 16 e 46.
Per altri riscontri è indubitato che 6. Zamboni, Fabbriche di Brescia,
qui si parli di s. Pietro de Dom, det- capitolo ultimo.
to di «. Pietro maggiore in altri do- 7. Zamboni, 1. cit.
2Ì0
I LONGOBARDI
quella del Broletto sodo avanzi delle ventiquattro di s. Plet-
tro de Dom S come lo sono parecchie depositate appresso il
duomo, ed altre che ancor si veggono a Ciliverghe. Un pic-
colo disegno della facciata di s. Pietro fu rinvenuto dall' arch.
Yantini. Pare che il pavimento fosse a mosaico, ed ha un
resto di epigrafe cristiana tessulare, che forse vi appartene-
va \ chiusa da comicetta o disegno circolare. La credo ine-
dita, ed è di anime pie che voleano registrato sul pavimento
medesimo col nome proprio lo spazio dell'opera tessulare
da loro fatta eseguire a decoro della basilica, come fecero
due Grescenzi nella basilica d'Inzino, e Siro Diacono (sìrvs
DiAG = H. L. T. e. s. 3) m tempio 8. MarÙBj chi sa forse la
medesima Rotonda.
MAXIMIANVS
ET LEOTIVS
CVM S V I S
Pedes Qemvm
Di stucchi ad animali e bizzarrie che adomavano la chiesa è
ricordo in una provisione del secolo XV ^ e nel Capriolo '.
Servi la basilica soventi volte ai convegni municipali del
Comune Bresciano, specialmente nei secoli XII e XIII ^.
1. Monmm, Ant Vrbi$ et A^ Brix,
Codice Quirìn. A, II, 14.
2. Inpavim. dni Peir» Eecies, e nel
Cod. A, 1, 4, D. 289. In EccUi.
Cothedrali in Altari t, Antonii,
3. Monumenta aniiqtUL Urbis et Agri
Brix, Cod. QuìrÌD. A, I, 4.
4. Provvisioni Municipali del sec. XV.
5. Capriolo, Ist Bresciane, lib. li,
capo 24. — Rossi, Mem. Bresc.
car. 16. -~ Zamboni, op. cit ca-
po ultimo, pag. 119.
6. In Eeel. $. Petri de Dom, in pM.
coneione ctim tuba eie. «i. USO,
Lib, Poterti Brix. — Zamboni,
Fabbr. - 1179. Adum est in Eed.
s, Petri de Dom, — Lucri, Cod.
Dipi. - 1119. Ardicio degli Ai-
moni stipula un contratto in s. Pie-
tro de Dom.— Z.ÌMBONI, Fabbr. ciL
t LONGOBARDI 221
Ma torniamo alla storia. Morto Agilulfo, succedevagli Ada-
loaldo il figliiiol suo d' in sui dodici anni. Teodolinda go-
vernò per lui; tutta volta del resto a fondazioni di chiese ed
a sacre offerte ^ passarono dieci anni presso che in pace,
e per que' miseri tempi non al tutto infelici.
La longobarda cittadinanza ai vescovi concessa * accrebbe
al sacerdozio bresciano venerazione e potenza; ond'ecco al-
largarsi anco per ciò la giurisdizione che le plebi e gli ordini
cittadini avean dato ai vescovi sopra di sé. Ai già spenti uffici
decurionali della nostra città subentrarono lentamente le libe-
re arbitranze sacerdotali, e più ne' tempi di Teodolinda, lorchò
r aldio avea già migliorate le sue condizioni, e gli stessi guer-
rieri longobardi cominciarono ad invocare il giudizio dei sa-
cerdoti. Dagli aldii e dai servi affrancati, ammessi dai pa-
droni air inlera cittadinanza longobarda provenivano i liberi
livellari assuntori di terre altrui per coltivarsele, onde veni-
vasi incarnando come a dire un terzo stato, una cittadinan-
za inferiore a quella del milite; poiché la sola ed eletta citta-
dinanza deir Italia longobarda era la spada, e non era il libe-
ro livellano che un di mezzo tra la squisita condizione del
soldato e la servile dell' aldio antico. Ed é nei livellar] che
noi porremo col Troya que' maestri comacini de' quali é ri-
cordo nelle leggi Rotariane '; fabbricatori probabilmente del
battisterio bresciano, i quali altro non erano in fine che gli
architetti, i costruttori, gì' imprenditori di edifici. L' arte
i, Pavlvs DikCOhVS, De GuLLang. 3. Roth. L^g. Hi, 145. — Ber-
lib. IV, capo 43. tini'. Memorie e documenti di
2. Atque Episeopoi . , ,ad diynitatis Lucca 1818, tomo 11, 9. — BoR-
solita honorem reduxit, - Paul. sacchini, Mem. Lucchesi, t. 11,
DiACONus, lib. IV, e. 6. — Trova, pag. 243, 267. Lucca 1837. —
Dei Romaui vinti dai Longobardi, Trova, Gondiz. dei vinti Romani
ed. di Milano, p. 69. ecc. p. 79, 80; edizione citala.
222 I LONGOBARDI
loro li chiarisce d'origine romana; e nelle due leggi Ro-
tarìane appaiono Uberi, capaci di convocarsi a collegio, di
contrattare.
m * Dopo que' dieci anni del mite governo di Teodolinda, Ada-
loaldo impazziva. Cacciato dal trono, gli subentrò Arìoaldo,
un ariano duca di Torino, del quale nulla da Paolo Diacono,
<3« poco più che novelle si raccontarono dagli altri. L' oscuro
suo regno durò intorno a dodici anni; ed un Sifiabus Regum
Langobardorum *• del IX o X secolo, che noi pubblicheremo,
decide su quegli anni le dubitazioni del Balbo ' e del Muratori '.
La morte d'Adaloaldo e di Teodolinda avea tronche fin le
speranze di progredimento longobardo nella romana civiltà,
le quali non risorgevano che nel regno della stirpe di Baviera.
Intanto la bella Gundeberga vedova di Arìoaldo, poichò
tanto gli concedevano i Longobardi, proferiva se stessa e col-
le nozze il trono a Rotari degli Arodi duca di Brescia, eh' al-
tri chiamano Crotario. Ammogliato com'era, lasciò la sposa
per unirsi a Gundeberga, o più veramente per salire un tro-
no : inflessibile ariano, fu persecutore de' nostri vescovi, sic-
ché per ogni città se ne videro di bel nuovo ^ V uno del pro-
prio scisma, r altro cattolico; ed è probabile che la vittoria
d'Anastasio vescovo di Brescia sull'ariana eresia debba rìfe-
rirsi a qualche fatto del tempo di cui parliamo.
Gli ingrati e gli spergiuri noi sono mai con un solo : e il
duca di Brescia, già fatto re, gettò in un carcere colei che gii
1. Docum. ìned. desunto da un Cod. 2. Storia d'Italia, tomo 11, pag. 105.
Giuliano eoa registrazioni dal IX 3. Murat. Ann. a. 636.
al secolo XIV, di cui Bninati (Leg- 4. Uujus tempoiibus (Rotharis) pene
gend. ) e Muratori (Ant. It, M. JEvi) per omnes civitaies regni epu duo
diedero alcuni frammenti, ma che eratU episcopi; nnus Quholicmt,
intero e degno di miglior luce esi- et tUler Arimius. — Paul. Que-
ste copiato dal P. Luchi alla Quirìn. De Gest Lang. lib. IV, e. AO.
I LONGOBARDI
223
avea dato un regno '; e convertito in un bordello il palazzo
di Pavia, quel venerando asilo della pia Teodolinda conta-
minò con un branco di meretrici. Cinque anni la misera
figlia di Teodolinda sopportò le mestizie della prigionia, fin-
che Rotari, paventando gli sdegni di Clodoveo re de' Fran-
chi, rese alla meschina e trono e libertà. E questa già due
volte respinta dagli adulteri consorti, due volte uscita dal car-
cere, sfiduciata dagli uomini, coli' animo santificato dalla
sventura, tutta si diede alla materna pietà.
E già i vescovi stessi divenuti cittadini longobardi pib non
ripugnavano chiamarsi gente longobarda nelle stesse formolo
sacramentali^: e cattolici e sacerdoti di puro sangue longobar-
do erano già ^, e la gens parva qwB Winnilis vocabatur della
cronaca Rotariana ^ si amplificava tra di noi, ma rude ancora
e senza leggi tranne lor cadarfrede, o consuetudini, che tutta
serbavano l'antica e tenace impronta delle germaniche di
Tacito. Né fu piccola gloria per la nostra città che un suo
duca fatto re longobardo, dopo lunghe vigilie, dopo una sottile
indagine degli usi antichi fatta dagli anziani, assentito dai pri-
mati, dai giudici e dall' esercito', pubblicasse il primo un co-
di e.
•41
<IS
i. Frbdbgarius, in Ckronieon de Re-
hui Frane, capo 71.
& Noi, hoc eit gentim Longobardo'
rum, nella forinola di giuramento
dei vescovi longobardi. — Veggasi
il celebre Liher Diurnui dei P.
Garnier. Parigi 1680.
3. Il primo prete longobardo a me
noto é im Voalpert, cui Alarchilk
duca di Cremona vendeva nel 640
una casa (Trova, €od. Diplom.
n. 309); vendita fatta in CiviL
NOVA Cremone» in Curie Ducis, la
qual corte per un altro doc. (n. 295)
era separata dalla Curie Regia.
L Vesme, Edieta Leg. Langoh. 1846.
5. Prologue et Condono Rotharis, —
Vesme, Leg, Langoh. ma più il
Trova, Cod. Diplom. Longobardo,
n. CCCXllI; ristampa diligentissi-
ma del famoso Codice Cavense<
Pari Consilio» parique conteneu
cum Primalibue Judieibus, cuncio^
• que felieisiimo exercilu nostro.
,224 I LONGOBARDI
dice longobardo, e raccogliesse nel famoso editto di trecento
novanta leggi le difese del povero e dell' oppresso ^. Né pei
Longobardi soltanto furono pubblicate, come seguendo il
Muratori fu creduto dal Pecchia, dal Bertini, dal Poggi, dal
Meo, dal Savigny; ma dilatate quasi tutte ai vinti, come il Lupo
dapprima ', indi il Radaelli ^ ed il Troya han dimostrato ^:
e quei vinti indigeni longobardizzati con guidrigildo sovra-
stavano ai vincitori per lettere ed arti; perchè i sacer-
doti in prima, poi gli aldii e i servi di romana razza si
facevano propagatori di civiltà nei Longobardi. L' editto
anch'esso comparve nella lingua dei vinti Romani, razza
la più numerosa tra i sudditi del nuovo legislatore; e non
fu poca umiltà per l' orgoglio dei vincitori. Assai cadarfrede
longobarde raccolte dalla voce dei seniori vennero per
tal modo convalidate; e le nuove leggi s' annunciavano tali '
da Rotarlo stesso, il quale se loro avesse data virtù per gli
unici Longobardi, non ne avrebbe poi comandato l' adempi-
mento a tutti i sudditi suoi, com' egli nel Prologo si esprìme ^
Ma pur troppo in quell'editto non è ricordo alcuno d'ita-
lica cittadinanza; e se Rotari non avesse parlato nell' unica
legge 194 della serva romana, anco il nome romano nell'am-
pio editto non sarebbe. Ecco tolto ai provenuti dal tributario
e dal terziatore, nonché il diritto di cittadino, fin la speranza
d' averselo quando che sia: ecco i discendenti dei nobili con-
quistati da Clefi e dai duchi, confusi cogli aldj e coi Germa-
nici, dai quali non poteano escire che coli' essere affrancati.
1. Tarn propier auiduas fastigatio^ 4. Cod. Dipi. - parte li, n. 313, p. 118.
tionespauperum eie, VroìoQO idem, 5. Leg. 231, 270, 353 ecc.
2. CoéL Diplom. Berg. tomo I. 6. Leg. 386. Cod. Cavense. Ab omaì-
3. Annali Slatislici di Milano - X, but nostris iubjeetù (Trota, Cod.
235, 241. Diplom. parte II, pag. 362).
I LONGOBAUDl 225
ed ecco la donna longobarda (geruUe) apprezzata quasi il
doppio della italiana ^
Ma se da un lato il vescovo, il sacerdote era costretto ac-
cogliere i barbari e superstiziosi sacramentali per giudizio di
Dio, nella sua casa potea fuggire il servo come ad asilo; tan-
to rispetto serbavano i Longobardi air ordine sacerdotale ^ t
Brevemente; coir editto di Rotari le romane generazioni e
i Bresciani con elle s' avvinsero per sempre ai vari ordini
stranieri d'aldii, di servi alla germanica, di manomessi o di
patteggiatori ascritti alla cittadinanza longobarda, coir egual
sorte in ciò dei guargangi o forestieri longobardizzati. L' e-
ditto fermò per assai tempo le sorti dei vinti nostri concit-
tadini, state incerte sin qm ^. Il Comune Longobardo, sì bene
investigato dal Troya ^, si piantò stabilmente fra di noi per
accogliersi air elezione dei giudici o gastaldi o sculdasci che
si fossero, in ciò diversi dai gastaldi del re.
Del resto, quel primo codice scritto fra Longobardi dopo
un secolo di convivenza romana, ed altri assai di cadarfrede
0 consuetudini tradizionali, mostra un popolo più lento e più
rozzo di tutti i barbari. Non è l'editto, come di tutti i codici "iii
barbarici, che un' accozzaglia informe, avviluppata di leggi
politiche, civili, criminali raccimolate, ailastellate a casaccio,
fondate sulle abitudini o sulle tradizioni, e per le quali la
donna incinta è apprezzata poco più che una cavalla nel
medesimo stato ^. Da queir editto per altro assai lumi ri-
i. RoTU. Leg. 194 (Cod. Caveiisc). 3. Trova, Cod. Dipi, parie 11, p, 433.
2. Lcg. 277. Si in Ecclesia, aut in 4. Luogo citato, pag. 44:2.
domo Sacerdotis mancipium cu- 5. Leg.^^'Ò.Siquispercusserilaquatn
juscumque confutjium fecerit et prmtjnantem etc, E poi tosto come
Episcopus eie. — NoQ ha legge di cosa della stessa categoria
che più di questa chiarisca la na- ( Leg. 334 y. Si qui» pereusserit
tura territoriale dcir editto. ancillam alienam yravidam eie.
Ooofticf, Storie Brcs:, Vo!. II. Ift
DI C.
226 I LONGOBARDI i
traggo la crìtica, e manifestazioni recondite ed imporU&ti ì
storia nostra. Esso, non Paolo Diacono^ è a consultarsi (^
le condizioni cosi di Brescia come di tutte le longobarde cirj
nella signoria di Rotarì. Ai^omentando il nostro dallo sUlo^
trai, ne deduciamo che noi fossimo governati da un duca etb
gastaldi e sculdasci ed attori tolti dai re longobardi alle eoe
dizioni servili del nostro popolo. Era loro ufficio Tioda^ii^
dei yiolatori de' sepolcri ^; di mettere sotto la protew
(manus) del re le donne ingenue colpevoli d' impudicizia ^
e di relegarle £ra le ancelle fikurid quando sposassero «&
servo '; di porre sotto la regale tutela le ingenue sposate per
forza; di riscuotere i 40 soldi pel sacro altare dal padrone
che non adempisse il voto di vendetta del servo fuggitivo Se
di proteggere gli esercitali (atti all'armi o militi) control
duchi stessi.
I giudici 0 gastaldi o sculdasci o giudici locali del Co-
mune Longobardo uopo è credere fossero ancora in Bre-
scia; ma radunantisi alla germanica ^ con potestà popolane
dkerse dalle regie ^: ed avean carico di sequestrare il cavallo
ed il bue del debitore ^ ; davano le licenze di escire pei
muri delle città, o ne scacciavano i lebbrosi per la salute
del popolo ^; vigilavano perchè i campioni con sé non recas-
sero maleficio nella pugnai e innanzi a cui seguivano qne'
duelli, que' giudizi di Dio ^^ che lungamente durarono da poi.
1. RoTHAR. Lcg. 15. 6. Leg. 24, 35, 269.
2. Lcg. 189. 7. Leg. 256.
3. Leg. 222. 8. Leg. 1 76.
4. Leg. 277. 9. Leg. 371 secondo Vedinone Mu-
5. EHguntur in eisdem concUiis et ratoriana.
Prineipes qui jura per pago» vi- 10. Leg. 9. Liceat ti per campkionem,
cosqwreddanf (Tacit. in Germ,). idest per pufjnam eie.
^XHd!
f LONGOBARDI 227
recoiMfiiee^: Erano giudici ad un tempo e cavalieri; avean carico di
^i^com,éìZ' guidare i cittadini della lora giurisdizione alle guerre longo-
ni bitte lek barde '; e nel tassare i gmdrigUdi dei cittadini uccisi avean
'ìdoìliìùyti:i seguito di popolo e di soldati. E doppia potestà suU'e-
memàLi sempio degli altri dovea pur vantare il duca di Brescia nei
ijrék;:^ tempi di cui parliamo =» civile e militare; testimonio quel
rà loroà^ Wolphrit duca di Cremona, che sentenziava nel 624 in Curie
n sotij ii ^^Sft^ ^ Laubia ejusdem curtis^ in platea magna qusdem Civita-
Wri ii^ ^^^ ^* E quella potestà manifestavasi nel suo vigore, sia che
j^^ijf^ r,^ tumulto si levasse negli eserciti o che gli esercitali non ri-
spettassero la ducale autorità ', o si riGutassero di seguitarlo
in guerra^; opperò non è rado veder nell'editto compresi i
^1^^^.^ duchi nella classe generale dei giudici '.
Come i clienti degU antichi Romani, facean corteggio cosi
al nostro come ad ogni altro duca, ed ai re del pari che al
privato potente, i longobardi gasindii^ od ossequiosi, uomini
che nella guerra e nella pace seguivano i principi, i . magi-
strati, il re, traendone lor prò, sicché deliziosi talvolta si ad-
dimandavano '.
E qui pure in questa nostra città, nelle piazze, innanzi ai
templi* si univano le longobarde convocazioni a discuterete
cose della pace e della guerra, eleggere i capitani, i magistrati
alla guisa dei conventi Alemanni '; cosi pure nelle laubie e
0 ^■'
■I"
1. Anliquit. Ualim M. jEvì, I, 524. 6. Leg, 167 e 228, in cui Gasindium
2. Sentenza di Wolphrit duca di Gre- nel testo muratoriano rispondereb-
mona, pronunciata nel 624 (Trova, be ad ossequium,
Cod. Diplom. Longobardo, n. 295, 7. Trova, Codice Longob. parte il,
pag. 585. pag. 445.
3. RoTB. Lex 20. 8. Lex 8, tòt de conciliU, - Ed altro-
4. RoTH. idem, ve : AuU eceluiam in conventus.
5. Trova, Cod. Diplom. Longobardo, 9. Lex Alemanortm» tii. XXXVI, de
parte li, pag. 445. Conventu,
228 1 LONGOBAlìDI
sotto gli atrìi delle chiese venivano agitate le liti, pronunciate
le sentenze. Romano costume imitato dai Longobardi, seguito
per più di nove secoli.
Ma ond' è che neir editto di Rotari non ha parola delle
curie dei vìnti? E quando pur fossero, come disgiungerle dai
cotwenti (nome delle adunanze longobarde) del vincitore?
Come separare due popoli e due cittadinanze soggette ad
un' unica legge che Rotari pubblicava per tutti i sudditi suoi ?
Neil' editto non ha parola d' imposta: non ve n' era una sola
in tutto il regno, tranne le multe pagabili al re, od al danneg-
giato. Ma tenuti alla milizia erano e vinti e vincitori '; unica
obbligazione del cittadino verso lo stato era la spada, e il
debito di sostenere le cariche del Comune Longobardo '.
1 gasindi andavano a campo, ed erano talvolta alimentati
dal re; essi e i gastaldi e gli sculdasci venivano parecchie
volte guiderdonati, e que' doni avvertiremo nel Codice Lon-
gobardico Bresciano.
Quest' erano le condizioni della nostra città sotto Rotari,
che duca in prima, quindi a noi fu re. Sotto Rotari; che l'età
sua fu troppe volte confusa coi tempi di Liutprando, e questi
cogli altri di Rachi e di Astolfo; ragione per cui sin qui fu
sempre de' Longobardi giudicato in massa. E Balbo, il co-
scienzioso ed italiano istorico, parmi errasse là dove della le-
gislazione longobarda s' argomentò potersi dare un concetto
che tutti amalgamasse in uno gli svariati caratteri che al
mutare di tempi e di legislatori venivano mutando l' ordine,
la forza, la natura dei cinque editti da Rotari ad Astolfo.
La vera legislazione longobarda non è che nell'editto di
Rotari, distruggitore della curia italiana in tutta la vastità
della sua parola, alla quale più omai non rìmanea che fare.
1. RoTH. Lex vigesima, 2. TnOYA, Cod. Long. par. II, p. U9.
1 LONGOBARDI 229
Non vi essendo imposte, non erano decurioni per riscuoterle.
I gastaldi e gli sculdasci del Comune Longobardo dopo i de-
creti decloro conventi disimpegnavano gli. affari delle città e
delle province. I duci ed i giudici eletti dal re guidavano l'e-
sercito alle battaglie. Regi gastaldi e regi sculdasci ammini-
stravano pel fisco la metà di tutte le terre date dai duchi ad
Autari e le conquistate da poi nella Liguria e nella Vene-
zia, che è quanto dire il terzo del regno longobardo. Che
più restava per la povera curia del vinto fuorché raccogliersi
nel tempio, l'unico asilo del nome latino?
. Seguendo nell'editto la divisione muratoriana *, si avreb-
bero tre leggi di religione; diciassette di cittadinanza, ser-
vitù, mundio, guargangi; diciotto sulla dignità e casa del re;
otto sulla milizia e sicurezza esterna; quindici suU' intema
sicurezza; d' agricoltura e commercio due (!); caccia e pesca
tredici; polizia urbana e rurale cinquantaquattro; ordine giu-
diziario ventiquattro; leggi criminali cento settantasette; civili
sulle persone ventitre; civili sulle cose trentasei.
L'autorità del re non arbitraria, ma infrenata e poco
meno che contrastata dai principi, dai duchi. Rotari stesso
non pubblica l'editto che assenzienti i magnati e l'eser-
cito *. Ma il re, arbitro delle vite altrui ^, variava la potestà
dei duchi, dei conti e degli sculdasci, non però diversa da
quella di giudici e capitani, i sommi uffici del regno longo-
bardo. Le multe e i redditi del patrimonio regale sola entrata
del re; le città e le terre di quel patrimonio tenute da' regi
1. Rer. Hai. Script, tomo I, p. II. bre e più recente e più completo
2. RoTH. Legum^Prohgui ei Cùn/ir- di lutti che va pubblicando Carlo
tnatio. — Trova, Cod. Dipi. Long. Troya.
parte II, ti. 313. D*ora in avanti 3. Lex II (Cod. Cavcnse). Non est
quando verrà citalo il Codice Di- possibile ut homo possi t se edo-
plomatico Longobardo senza no- niare ( justificare) quem rex oc--
me d' autore s' intenderà il cele- cidere jusserit.
230 I LONGOBARDI
gastaldi con potestà suprema S e le corti di minor conto afC-
date agli attori del re. Eranvi messi regali, perchè gli ordini
dei duchi, dei conti, dei giudici governatori fossero annun-
ciati ed obbediti: carico importante allargato più ancora da
Carlo Magno K Del cortigiano gasindio^ notammo che basti; .
e r arrestarsi siVostiario (usciere), allo scUpuaro (scalco),
al vesterario , al marpahis ( scudiero ) de' tempi di cui
parliamo ^ sarebbe infinito.
Nelle longobarde convocazioni^ popolari, soldatesche,
alla germanica non pare intervenisse anima romana se non
longobardizzata; né forse i medesimi guargangi od avanzi dei
barbari predecessori, o seguaci dei Longobardi '.
È però singolare che ninna legge Rotariana delle trecento
novanta parli del consiglio nazionale^ tranne una sola ®. La
quale assemblea non è a confondersi colle adunanze parziali
dei ducati e dei contadi, longobarde anch' esse, più regolari,
più frequenti; molto meno poi colle municipali pur di quel
. popolo d' onde provenne quella gerarchia di adunanze gene-
rali e particolari che vedremo stabilita nei secoli più vicini ^.
n duca supremamente capitanava i Longobardi del suo
ducato, e talvolta l'esercito nazionale, ed era giudice de'
suoi. Nessun cenno ha dei conti nell' editto quali conduttori
di militi, frequente per quella vece ritrovasi nei documenti *:
1. ROTH. Leges 15, 23, 24, 277, 378. 4. Mirat. Diss. IV citala, 28. 25, 26.
— Brunetti, Cod. Diploro. Tose. 5. Ralbo, Stor. d*Ilal. ari. 11, p. 333w
p. 1, pag. 310 e seg. -Da Vbsmb, 6. Lex Vili, Si quù in concilio ani
Edieta Reffum Lang, Torino 1846. in qwìibet conventum eie,
2. MuRAT. Diss. IX. — Fumagalli, 7. Balbo, Ist. cit tomo II, p. 335;
Ant. Long. Milanesi, t. I, p. 103. e queste parole dello storico pie-
3. Murai. Antiq. Italia Med. jEvi, mootese valsero vc^ di commetili.
tomo IV, 28. — Brunetti, Co- 8. Murat. Ann. a. 756. — Ant.
dice ciUlo, parte I, pag. 323, 324. Hai, diss. VUI, pag. 69.
t LONGOBARM 231
ma forse neir editto s'abbracciavano dal nome di gastaldi, e
più di giudici; nome pei Longobardi non ispeciale ma uni-
versale a tutti quelli che governavano all' antica, giudicando
e conducendo gli eserciti ^ come gli sculdasci (reggitori d'un
luogo, od anco di minor conto^), a non dire degli attori o in^
quisitori dei giudici, e dello stolezaz non ben ancora definito^.
Erano ancora i centenari o governatori di cento case^;
erano i decani che ne reggevano dieci; i saltuari o guardie
dei boschi ^; gli scavioni per la custodia delle corti, delle
É
chiese, dei monasteri ^; e i decani ed i silvani: cariche tutte
delle quali però non veggo nell' editto memoria.
Suddivisione minuta d' autorità venutaci dalle steppe scan-
dinave, da un popolo di soldati che fino dai tempi di Germa^
nico era sempre in guerra o vagabondo colle sue fare, od ac-
campato nelle terre altrui. E a' vinti, a noi Bresciani quale
rappresentanza, qual ordine, qual municipio restava?
Nel senso italico a un bel di presso nessuno, e meno nella
nostra città. E poi che il sig. Rezzonico non assente al Troya
che tutti i liberi Romani entrassero nel comune longobardo,
né al Pagnoncelli che i Longobardi al comune romano si
accostassero, né al Savigny che i soli Romani componessero
il comune; poi che ho sospetto ivi essere stata romana cu*
ria dove romano popolo prevaleva, e longobardo li dove a'
Romani soprastasse di numero lo straniero ^, alla città di
Brescia comune altro non sarebbe concesso che il longo-
1. RoTH. Leges 23, 25, 167. 5. Liutpr. V, i5.
2. Trota, Codice Diplom. parte H, 6. Liutpr. 1. cìt.
pag. 438, 43U. 7. Intorno al Discorso delio storico
3. LiNDEOROCius, in Clou, ad Leges Carlo Troya sulla condizione dei
Barò, pag. 1483. Romani vinti dai Longobardi -
4. MuRAT. DisserL \. — Brunetti, p. 409 dell' ediz. Milanese di qnel
Cod. Diplom. Tose, parie I, p. 338. discorso.
232 I LONGOBARDI
bardo; avvegnaché per le celebri parole di Paolo Diacono
Brixiana denique civitas magnani semper nobiUum Langobar-
dorum moUitudinem ìiabuit ^ risulterebbe indubitata nella
città e provincia nostra la preminenza dei Longobardi. Buon
per me che in quanto a Brescia la questione sarebbe decisa.
Uno splendido ufficio del municipio, dirolla intera, longo-
bardico-bresciano doveva essere lo scabifìo, non dissimile ne-
gli attributi al cessato decurione romano \ al cessato duum-
viro. Era carica municipale talvolta sostenuta dall' indigeno
divenuto fulfreale (pienamente libero) ^, o dai guargangi
(waregang) o forestieri ai quali fu ingiunto di vivere con
legge longobarda, salvo che avessero dalla regale pietà la
propria legge *. Tanto è vero, che se qualche cosa di ro-
mano ci avessero lasciato ne parlerebbe l'editto. Gli aldj
erano i più: né liberi, né affatto servi, capaci di libertà, ca-
paci di possedere servi e tenute, ma pure aventi un padrone.
Infinito é il numero dei Romani di simil classe un po' singo-
lare. Aldio vuol dire tenitore: da qui le voci gast-aidio,
mund'àldio. Non era in fine che un affittuale obbligato a ri-
siedere, a differenza del libero coltivatore ^.
Del resto, comandate le sollecite sentenze, destata la pi-
grizia dei giudici (leggi desiderabili nella nostra giurispru-
denza), le liti decise per giuramento o per combattimento ^
dannato a morte Y adultero ^, multati gli altri delitti meno
alcuni capitali, e quella graduale multa chiamata il guidri-
1 . P. Warnefridus, De Gest Lang. dal Vesme, e più dìUgentemenle
lib. V, 36. Rerum Italie, Script, dal Troya (Codice Diplom. Long,
tomo l, col. i87. parte II, pag. 336).
2. Balbo, Storia Ual. - t. Il, p. 340. 5. Brunetti, Codice Diplom. Tose
3. RoTH. Lex 226. doc. XXV, pag. 287.
4. RoTH. Lex 390 sec. il Murai. - 367 6. Roth. Leges 9, 198, 364, 371.
secondo il Codice Cavense puhbl. 7. Roth. Leges 189, 202, 203.
I LONGOBARDI 233
gildo (la pagarsi parte all' offeso od al padrone dell' offeso ,
e parte al re; multa sulle cui gradazioni è volta la metà delle
leggi longobarde: tanto è vero essere in quella, come Troya
sostenne, la misura dell' entità civile del longobardo apprez-
zato *, e che solo compenso al diritto della vendetta (faida)
era il guidrigildo. Epperò minutamente tassate secondo per-
sona le colpe e le ingiurie, gravissima delle quali per V uo-
mo fu l'accusarlo di arga (poltrone), per le donne di mosca
(strega) ^
Vietato ad ognuno l'uscir del regno': le donne soggette al
mundio itutélB,) ed al mundualdo (tutore), fosse un parente, il
marito, in ogni caso il re ^: determinato secondo persona il
dono alla sposa pel di delle nozze, o alla domane (morgimcap
0 meta'): cacciati dalla propria casa, spogliati degli averi, guar-
dati come spenti i leprosi e gli ossessi ^: comandato il rispetto
ai sepolcri ^: repressi gli scandali nelle chiese ®: concesso l'a-
silo nel tempio e nella casa del sacerdote al servo fuggitivo ^:
determinate le leggi matrimoniali del padrone colla serva,
del servo colla libera, dell' aldio colla liberta, e così via.
Non dirò della trasmigrazione delle fare o famiglie inte-
re *^ delle pene a' maestri comacini **, non delle ffuadie o
fidejussioni longobarde **, non dei sacramentali, dei combatti-
menti giudiziarj, dei loro campioni ^^, della locazione od enfi-
i. Wider-geld, denaro in compenso. 7. Roth. Lex 15.
2. Roth. 198, 379, 384. 8. Roth. Lex 277.
3. Roth. 17 a 28, 177, 169 ed alire. 9. Roth. Leges 217 a 226.
4. Roth. Lex^OÓ, ed altre assai. — 10. Roth. Leges 144, 145.
FuM.VGALLi, Anlicli. Longal). Mi- 11. Cod. Diplomalico Long, parte II,
lanesi, disscrt. VII. — Muratori, doc. 650.
An\ Hai. M. JEvu diss. 20. 12. Roth Lex 255.
5. LiuTPR. Il, 1, VI, 35, 49, 64. 13. Roth. Leg. 165, 214, 361 a 368,
6. Roth. 176, 180. 370, 371. f^uUus campino pre-
234 I LONGOBARDI
tensi che a dispetto dell' editto Rotariano veggiam soscritta
in un documento cremonese del 650 ^ da Cataldo figlio dì
Liutprando duca di Cremona tn laubia s. Marice, alla quale
altro prete sedici anni dopo nel giorno di s. Barnaba' do-
nava alcuni beni. Il che per altro abbiam voluto notare per-
chè si vegga come non ostante Tedio Rotarico per le romane
forme, già i Longobardi apprendessero i contratti alla roma-
na. Il Savigny non trovò nell'editto altre imitazioni del diritto
latino che il peculio castrense dei figli e le cause del disere-
darli ^. Ma il cielo d' Italia svolgeva irresistibilmente i germi
d'una vita novella fra i barbari conquistatori della penisola^.
Né vorrò scendere alla minuta nomenclatura delle multe
secondo il luogo, la qualità delle percosse e delle ferite, e
più secondo la persona offesa. Tanto per l' occhio, pel dente
strappato, pel labbro, pel naso, per Y orecchia lacerata o fe-
rita; tanto pel pollice, medio, anulare, mignolo tagliato, esat-
tamente tassati ad un per uno: né delle mani soltanto, ma
dei piedi ancora'; e la ferita delTaldio, del servo, del liberto
avean prezzi diversi ^. Ammasso incondito di leggi, di costu-
manze, di tradizioni barbariche, la cui metà destinata pei
guidrìgildi: ma dalle quali un forte, studiato, geloso propo-
nimento emerge a chi le medita, ed è di separazione fra il
conquistato ed il conquistatore. Questa separazione restò;
ed a coloro che dal Macchiavelli in giù più non vedevano di
forestiero tra i Longobardi altro che il nome, trionfalmente
sumat qtuindo ad pugnandum . . . veva : in fasto sanctissimi Patrit
vadit quod ad mahficia pertinet nostri BanuLba^ apost. {!) doe. 333,
super se habere. Neir indicolo delle luogo citalo.
Paganie (superstizioni) longobarde 3. Savigny, tomo il, pag. 133.
pub. dal Canciani (Leg Barbar.). 4. Trova, Dei vinti Romani, p. ili.
1. Cod. Dipi. Long. - parte II, n. 320. 5. Roth. Leges 46, 47, 48 e/c usqne
2- E notisi che un Grazioso, prete ad ito,
cremonese del secolo Vi cosi seri- 6. RoTU. Leg. i\, 71, 103, 129 e/c.
I LONGOBARDI 235
ha già risposto Alessandro Manzoni, come noi dal nostro
lato, quasi senz'avvedercene abbiam risposto ad alcuna delle
sue domande ^
> Del resto, nel regime longobardo hanno forme svaria-
» tissime di governi : monarchia ereditaria sacra od elettiva,
> e guerriera; assemblea di liberi discutenti i comuni inte-
» ressi; patronato aristocratico del capo della banda, del pa-
> dre sulla famiglia e sui servi. Erano embrioni d' ordina-
• mento civile* >.
Gettato uno sguardo sull' editto di Rotari e sulla condi-
zione della nostra città quando Y editto si pubblicava in Pa-
via, torniamo a que' fatti che più materialmente costituisco-
no le vicende longobarde.
A Rotari che moriva nel 652 succedeva Rodoaldo II fi- ^^52 '
gliuol suo ^, del quale non si sa che il breve regno ^ il de-
litto con cui lo macchiò e l' ignobil fine. Cadde per mano di
un Longobardo, cui aveva disonorata la moglie.
Ariperto cognato dell' ucciso e figlio del bavaro Gundoal- «»
do sali sul trono; ed ecco risollevarsi la stirpe di Teodolinda.
Nove anni costui regnò, ed è dubbio se cristiana od ariana
professasse la religione^: fondò in Pavia la basilica suburbana
di s. Salvatore; vicino a morte divise lo stato tra' due suoi
figli Bertarido e Godeberto. Nuli' altro è narrato di lui ^. 6si
1. Ragionamento sulla Storia Longo- dre: ma del Malvezzi non è a fi-
barda, pag. 369, ed. di Fir. 1825. darsi gran che.
2. Cantò, Storia degli Italiani. 4. Erra con Paolo Diacono il Sillabo
3. Paul. Diac lib. IV, e. 49. — n Giuliano neirattribuirgli 5 anni dire-
Afalvczzi (Chron. Brix. dist. IV, gnOi scambiando i mesi in anni. Ma
capo 47) aggiugne di Rodoaldo non err^ il Murai. (Ann, a. 654).
eh' ci fosse duca di Brescia: Qui 5. \\ Muratori lo dice cattolico, ma
kane urbem . . . regebai; nulla di non reca testimonianze,
più probabile, sendone slato il pa- 6. MuR. Ann. a. 653, 659, 660, 661.
Di C.
S62
236 I LONGOBARDI
Lagnasi Balbo che il Muratori abbia promessa, ma non data
r epigrafe d' Àriperto. Il buon preposto V avea data in
vece in due luoghi: nelle Antichità Estensi, e negli An-
nali, anno 700 *.
La divisione d' Àriperto fu la prima territoriale tra i Lon-
gobardi, fomite di sconcordia e di tumulto. Godeberto avea
seggio in Pavia, Bertarido in Milano. Garibaldo duca di To-
rino, cui l'altezza del grado non impediva l' essere mariuolo,
mandato per soccorsi da Bertarido a Grimoaldo duca di Be-
nevento, stimolò invece quest' ultimo a ribellarsi contro i due
fanciulli, e farsi un regno di si facil preda. Grimoaldo noi si
fé' dire due volte. Caduto vittima dei tranelli di Garibaldo,
lasciò Godeberto un figlio da' suoi fedeli sottratto all' ugne
del duca usurpatore. Fuggi Bertarido. Cuniberto suo figlio
fu cacciato a confine in Benevento *.
Che Àriperto I fosse cattolico lo dice il Muratori', ne
dubita Balbo ^: ma due basiliche fondate o protette da quel
Longobardo, il testamento dell'arcivescovo Giovanni, di cui
parla un inno che l' Oltrocchi ci ha dato *, rivendica la sto-
ria muratoriana, e più la rivendica un fatto che la cronaca
di Rodolfo ha tramandato.
Narra egli dunque ^ come i rudi Camunni ne' medesimi
tempi del cònsole Raimone, che nel cadere del secolo YIII
1. Tomo I, p. 73. — Vedi ancbe il 5. Hisi. Mediolan. Ligusl. pag. 5i5.
Cod. Dipi. ciL par. Ili, n. 368 ecc. Queir arcivescovo ivi si dice dal-
2. àSiGiBERTUS, t» Chron, — Sigo- Tinno medesimo nato n:;! vico di
Nius, De Regno Italico, — Paul. Camulo; sarebbe forse un avanzo
DiACONUS, lib. V. di gallica divinità nella Liguria?
3. Annali, a. 659. 6. EraiU adhuc in valìe plurimi Po-
4. Storia d'Italia - lib. Il, pag. 115. gani, qui arboribus, tt fotUibut
» È detto cattolico dagli, scrittori victimas offereòant. In tempore
» moderni, ma non ch'io sappia da usque regis Ariberti imago So-
» ninno antico ». turni magna frequenda veneraba--
1 LONGOnAIlDI
23'
governava pe* Franchi la nostra città, sacrificassero agli al-
beri ed alle fonti; ed è singolare che T unico voto sacro alle
fonti a noi rimasto provengaci da quo' valligiani ^
Regnante Ariperto, veneravano questi, così Rodolfo, una
loro imagine di Saturno, che si tenevano nella corte di Edolo
(Hedidio), detta forse a quel tempo la Curte Iduli per questa
imagine pagana. E poi che indarno Ariperto re facea loro
comandamento si gittasse a terra il simulacro, fu duopo che
Ingelardo, nostro duca, mandasse in Yalcamonica le proprie
schiere, perchè di viva forza coli' armi in pugno spezzassero
que' resti dell' antica mitologia.
Ma distruggere una statua non è spegnere la prepotenza
tenace della superstizione. Le consuetudini pagane fra quei
popoli alpestri si rinnovarono; non poteano staccarsi dai riti
che facean sacre le fonti e le boscaglie, onde si bella per
maestà selvaggia è ancora la patria valle; e forse né lo stesso
Raimone, distruggitore fra quelle genti d' ogni culto profano,
fu tanto a vincerne ogni traccia; e noi lo vedremo.
Ingelardo, duca di Rrescia, lo era forse degli stessi Camu-
ni? 0 non bastando i militi del duca di quella valle, fu duopo
dell'armi bresciane? Non saprei decidere: ma se troviam
ducati di svariatissima entità, quanta n' è certo fra il princi-
pato di Benevento e l'isola d' Orla*, qual meraviglia se Tam-
tur in curte Hedulio: et quum
precepli Regis obbedieniia non fier-
rtt ut Uh imago destruereiur. In-
gelardus dux Brissie misti arma-
forum manum, qui illam disper-
derunt in fragmentis. — Ridol-
Fus NoTAnius, Historiola^ p. XVl,
XV li dell* edizione del Biemmi.
1. Labìjs, Marmi antichi, pag. 87,
num. 128. — Odorici, Rrescia
Romana. — Più curioso è il Bra-
vo quando ci fa sapere le fonti
essere Dee Cenomane confinatesi
tra t Rezii Alpini all' apparire dei
numi di Roma (Storie Bresciane,
tomo I, pag. 63, 64).
2. Gantìi, Storia dei Popoli italiani -
tomo ili, pag. 62.
238
I LONGOBARDI
Di C.
«71
pia Yalcamonica vantasse il proprio duca, come certo 1' ave?a
sotto il regno di Desiderio ^?
L'armi d'Ingelardo in valle non violavano i confini; ob-
bedivano al re, che a' duchi di Brescia e di Cividate pur so-
prastava. Vero è che Ingelardo, consanguineo forse della
stessa Teodolinda, lasciava buon nome di sé nel reggimento
bresciano ^. E per dimostrare che Ariperto distruttore del-
l' idolo Gamunno dovea essere il primo di quel nome, sa
tutte le ragioni del Biemmi basti la parola m tempore usqite
di Rodolfo Notajo.
Ed è per avventura sotto il medesimo Ariperto che Ana-
stasio vescovo di Brescia fondava, come dicemmo, per non
80 quale sua vittoria sull'ariane credenze una basilica di
s. Pietro. Fatto che ha riscontro notabilissimo con altro del
medesimo tempo e della prossima chiesa bergamasca di
Fara, la quale già detta Autarena per Autari re, serbatasi
lungamente ariana, fu poi convertita, ribenedetta da Giovanni
vescovo di Bergamo pel cattolico rito ^; ond' ò che lo stesso
Grimoaldo re longobardo a Giovanni la concedeva ^.
Ma dopo nove anni di regno e settanta di una vita presso
che romanzesca e venturiera, mori Grimoaldo nel 67i . Uomo
1 . Foleorinus . . . dux CivUaUs in fein-
pore regis Dtsiderii. — Ridolfus
NoTARius, HUL cit. pag. XV.
2. Legiuuifum de genere RegiM Teo^
delinde et gloriost recordaiionii
Ducis Dri9sie Ingelardù Rio. NoT.
citalo - pag. XII.
3. Lupi, In Cod, Diplom, Bergom.
Prodrom.
4. Qualiter Grimoaidui rtx quondam
Longobardorum ecclesim nuB eon-
tulerai basilieam que dicilur Fara
ei nominatur ecclesia Aulareni ab
Autari rege eo quod quidam ipsins
loci episeopus nomine Johannes a
schismate Ariano eamdem ecclesiam
ad /idem quondam catkolicam CM-
vertit. (Cod. DipU Long. n. 338).
Quanta analogia colle orìgini deUa
foodaz. di una basilica di s. Pietro
in Brescia! (Lupi, Cod. DipUm.
Bergom. tomo I, pag. 937, 940).
La donazione di Grìmoaldo ìtì ter-
rebbesi del 670. Trova per altro
se ne sta in sospeso (Cod Dipi.
Long. ì, cit).
I LONGOBARDI 239
singolarissimo ne' suoi delitti e nelle sue virtù» avverso ai
Romani * che Y odiavano cordialmente dal canto loro, si
mantenne ariano fino all' anno estremo del viver suo. Ma
in queir anno lasciò tra noi dell' abbracciata fede assai lar-
ghe testimonianze.
Perocché Marcoàrdo che era duca di Brescia, non si sa
proprio a qual tempo, ma forse negli anni primi del regno di
Grimoaldo, non avendo potuto compiere la incominciata fab-
brica d' una grande basilica bresciana, Frodoardo suo figlio
terminava l' opera del padre, largamente soccorso dalle ob-
blazioni di Grimoaldo re.
Ov' era poi questa basilica f È ignoto. Quali argomenti
confortano la tradizione che quella fabbrica insigne sussista
ancora neir attuate rotonda? Nessupo. Se ben vi ricorda, noi
dubitammo, e non a torto, di s. Pietro de Dom. E non sa-
rebbe quest' ultima la principiata da Marcoàrdo, compiuta
dal figlio, sovvenuta di offerte da re Grimoaldo? Sulle origini
della Rotonda, Biemmi ^ Zamboni ^, Gagliardi S Doneda ^
Sala^ Brunati^ Nicolini^ per appagarmi dei più severi
storici nostri, con dolorosa peritanza variamente opinavano.
Ma quando avessero . tenuto dietro alle parole di Rodolfo
Notajo poteano capacitarsi =
I. Che ìa grande e celeberrima basUica della città ' non
poteva essere che la cattedrale.
1. Paul. Diac. lib. V, capo 28. De 5. Nolizie sulla Rotonda, citate dal
ceffo quod Grimoaldus habuil con- Bruuali e dal Zamboni.
ira Romatwi. 6. Guida di Brescia - pag. 39.
2. Storia di Brescia - lib. li. 7. Leggendario Bresciano - pag. 58.
3. Fabbriche di Brescia - capo ul- 8. Museo Bresciano illustrato. Discor-
limo. so storico al t I del Mas. Bresc.
4. Noie al Martirologio del Paini. — 9. Grandem ei edéberrimam basili--
Autog. presso il rev. prcv. Onofrì. cam civitatis.
iiiO 1 LONGOBARDI
li. Che questa cattedrale due volte ci addita Rodolfo nella
chiesa maggiore di s. Pietro *, detta poscia de Dom.
III. Che la Basilica s. Petriy di cui narra il cronista l'inceo*
dio, non solo a distinguerla dall' altra de Dom vi omette il
titolo maggiore, ma nota esser quella che Anastasio aveva
eretta pel suo trionfo sopra gli ariani *; a non dire che Vigne
consumpta fuit potrebbe acchiudere il senso d' una total di-
struzione.
IV. Che quando avesse il buon Rodolfo inteso di darci l' o-
rigine della chiesa da lui già due volte nominata di s. Pietro
maggiore, l'avrebbe fatto in sul primo discorrerne, od alla
pag. XIII, 0 XVII; non mai quasi al termine della cronaca.
V. Che poi due chiese urbane dedicate a s. Pietro aves-
simo nel secolo Vili è indubitato, e noi V abbiam veduto.
Bensì del VII potrebbe credersi la sotterranea chiesa di
s. Filastrio, cui si discende per una scala praticata nel fianco
del quarto pilone a destra della Rotonda. Chi la disse del
IV secolo ^ non ha veduto un solo de' longobardi e goti suoi
capitelli si diversi, benché rude imitazione dell'arte latina, da
quelli del secolo costantiniano. Del quale se si tengono per
altri le chiesicciuole di s. Maria in Sylva, di s. Faustino ad
castrum, di s. Faustino ad sanguinem, non ha documento
che r ipotesi avvalori.
Divisa in cinque navi, due delle quali si troncano ben tosto
per non lasciarne che tre, le quali si chiudono all' estremo
dalle absidi consuete, la basilica di s. Filastrio è il più intatto
edificio che di que' secoli a noi resti nell' Italia subalpina.
1. Portam Ecclesia majoris s, Peiri, mercede AriaM kfresciìs Uè.- Hùt.
pag. XllL — In Ecclesia majori cit. pag. XXL
«. Petri, pag. XVIL Hisi. ciL 3. Sala, Guida di Brescia, p. 36. —
2. Basilica s. Pelri quain Anasla" NicoLiNi, Ragionamento slorìco,
aius Episcopus edificaverai prò tomo 1 del Museo Brcsc. ecc. ecc.
I LONGOBARDI 241
La sua massima lunghezza è di undici metri, cent, venti; la
sua larghezza maggiore di metri dodici e trenta centimetri, né
levasi che all'altezza di tre metri e settantacinque centimetri.
Quelle navi anguste han sostegno per moltiplici colonne
reggenti lor volticelle a croce disegnate fra gli archi che
si curvano a tutto sesto su capitelli svariatissimi d' arte, di
tempo, dì marmi, di proporzioni, la maggior parte roma-
ni, e due di questi elegantissimo lavoro del primo secolo.
Ve n' ha del secolo di Teodorico, di quello d' Autari e di
Teodolinda^ cioè dal quinto al settimo secolo: i fusti quasi
tutti di trasporto , diversi anch' essi di marmi , di propor-
zioni , quale tronco del plinto, e qual sopperito da sostru-
zione murata per manco di lunghezza.
Pare che luce non ricevesse quella cripta, o che Y avesse
per aditi e per fenestre aperte nelle volte; del che per altro
non è traccia antica. Perocché i loculi a tutto sesto e a lati
paralleli delle muraglie laterali si legano ed immorsano a
tal segno con quelle muraglie, da persuaderci non essere
finestre otturate da poi, ma sedie sacerdotali o ripostigli.
Arrogi che in uno scavo da me intrapreso nel vano di . una
mezzaluna, che s' apre in quel santuario quasi all' altezza
delle sue volte, opperò al di sopra di que' loculi, ho trovati
sepolcri antichissimi con volticelle sorrette da colonnine a
coni di terra cotta, spezzati appunto per far luogo alla co •
struzione del tempio, nelle cui pareti assai di que' coni si
veggono adoperati per materiale. S' era dunque distrutta una
specie di catacomba cristiana, e fatto luogo al santuario. Che
poi dalla Rotonda per altre scale vi si potesse discendere è
indubitato; ed una se ne decretava nel secolo XY ^ E la
i. Lti>er Provisionum eivU, Brix, in episcopi, - Quod fiat in dieta ca*
Areh. Munieip. a, 1456. Ibi più- pella una alia scala ultra illam
rima de inventione B. Philastrii que nwtc est.
Odomci, StOTìt Mrttc. YtlU. IS
242 I. LONGOaARDI
medesima distribuzione di ambiti laterali a preferenza di un
ingresso centrale, che certamente ab antico non esisteva,
danno tutto il carattere air edificio d' una cripta sotterranea
forse unita ad altra chiesa precedente all'attuale Rotonda*.
Dissi precedente: poiché nessuno può assicurare che il
tempio di s. Maria, dinnanzi alla cui porta veniva deposto pri-
ma del 774 il vescovo Benedetto, fosse proprio l'attuale Ro-
tonda, tuttoché si francamente Tasseriscail Gradenigo ': anzi è
duopo congetturarlo un altro; avvegnaché la serie dei nostri
vescovi da lui pubblicata, e che per la massima parte fa
scritta nel 1173, a meglio distinguere la cattedrale dal-
r altre chiese di s. Maria, la chiama costantemente s. Maria
Maggiore ^; ed Ecclesia Maior Dei Gemtrids la noma Ro-
dolfo Notajo^, e s. Maria de Dom la dice il noto laterco-
lo' Donediano del 1153, e le cattedrali s'appellavano già dal
1, A quella chiesa precedente sera- quiescil (Murat. Ani, liaL t. f,
brano alludere le parole del beato col. 50), è duopo arguire che si tre-
Ramperto, ove dice che dove si vasse nella confessione di s. Maria
trovava la sedia dei trenta vescovi magg. 1* attuale Rotonda. Ch*^ più?
anteriori a Filasi rio ^ttòi pr(B«crip/o- Rodolfo Nolajo ce n* assicura, ove
rum Ponti ficwneratsedesjer^htne dice che il b. Ramperto collocò
che riposassero le ceneri del santo, le ossa di s. Filastrìu in eonfu-
da lui trasportate consulUi uni- sione matris Eccles. s. Dei Geni-
versis sacerdotibus suis nella Ro- tricis. - Hist. cii. p. X\1V. - lu
tonda Panno 838, o a meglio dire quanto alla sedes potrebbe darsi
nella medesima cripta ^titmanfioreo che, fabbricata la Rotonda, vi si
reeondentes antro). Né qui la vope recasse dalla cattedrale antece-
antro risponderebbe ad urna: si dente, ch'io suppongo prossima
' piuttosto a confessione o martirio. alla cripta di cui parlammo, poi-
Poiché Ramperto non altrimenti che non ha cripta senza chiesa,
chiamando la cella sotterranea di 2. Brixia Sacra, p. 105.
s. Andrea (clandestino antro), e li 3. Gradonicus, L c. p. XXXIII, eseg,
sepoltura di Lodovico 11 locandosi 4. Historiola cit. pag. XXIV.
dal cronaco di Andrea Prete (an. 5. Doneda , Osservazioni Ist. Erri. -
874) uhi corpus $. Philastrii re- Presela 1749.
ì LONGOBARDI 243
Secolo di Ardicio chiese Maggiori ^ Chi potrebbe oppormi
che il sepolcro di s. Benedetto fosse in Vece nella prossima
basilica di s. Maria, la quale sorgeva presso il monastero dei
«s. Cosma e Damiano ? Perchè se in un documento del 1298
è detta in Solario *, per altra carta del 1156^ rileviamo si
chiamasse nulla più che dal semplice nome di Maria, quale
appunto leggiamo nella nota della deposizione di Benedetto.
<jli è pure a desiderarsi che più non s' adattino i documenti a
preconcette opinioni : lasciamoli una volta parlare da sé.
Non è dunque provato che fossero in Brescia nel secolo
VII due cattedrali. Anzi il teniplum Brixianorum della lapide
di Liutprando (dove sia genuina) del pari che la grandem et
celeberrimam civitatis basilicam di Rodolfo Notajo non possono
alludere, se Dio m'ajuti, che ad una. Qual fosse poi ch'il
sa? Ma ritorniamo a s. Filastrio.
Fra i suoi capitelli, di carattere certamente longobardo, l'un
d'essi par copia si precisadi quelli del famoso ciborio veronese,
che sarei per credere l' edificio intero della stessa età, che è
<pianto dire del VII secolo. Due altri sorreggono il cuscinetto
o cimasa tanto frequente nelle costruzioni di que' tempi e
più nelle opere Teodoricbiane. Avanzi preziosissimi dell'arte
bresciana di quei secoli sventurati, da me pazientemente
raccolti in altrettanti disegni che voi troverete nella secon-
da parte delle Antichità Cristiane di Brescia, dove tanto mi
sia concesso da compierne la serie.
La chiesa di s. Filastrio è il più ignorato, ma più certo e
più insigne esempio dell'arte latina degenerata, quale usavasi
1. Ambas majores ecclesias, - Breve slruzione del monasL di s. Cosmo e
Hecordationis de Ardicio de Aim, dilla prossima chiesa di s. Maria.
etdeAlghisio de Gambara, p. 99. 3. Brizia Sacra, p. 215. - Decreto
3. Bolla di Bonifacio Vili pub. dal La- di Raimondo. In Ecclesia s. Ma--
chi nelle Mon, Menasi. Leon, Per- rioe que etc. Ivi era sepolto anche
mette al Comune di Brescia la di- s. Tiziano, altro vescovo nostro.
Sii I Longobardi
ancora ne' secoli della dominazione longobarda: arte infelice:
stentata e misera imitazione della romana, che alle crollanti
fabbriche dell'impero (quasi più non avesse una qualche ispi-
razione ^ un concètto né pure pel santuario) rapiva basi,
colonne, comici, capitelli, tanto da reggere alcune vòlte,
da compiere un edifìcio di forma e di pensiero totalmente
italiano.
Qui è che dinanzi alla realtà severa, indeclinabile dei
monumenti cadono i sogni, le fantasie di Pietro Selva-
tico *, del Sacchi *, del Romagnosi *, del Ferrarlo *, del
Bossi *, del d'Agincourt ^ e d'altri assai; di que'cotali che tro-
vano la basilica di s. Frediano uno spurio edificio di poca
considerazione,
'ftcì^ Ma torniamo alla storia. Lasciò Grimoaldo un editto nel
quale (a. 668) ^ già si chiamano in sussidio dai longobardi
quasi sens' avvedersene alcune leggi romane ^, dichiarandolo
emesso per stiggestionemjudicum omniumque consensum ^, che è
quanto dire col voto universale dei cittadini, la cui ra-
gione rispettarono le barbare, deridono le colte generazioni.
Ma né qui pure ha per noi libertà, non mutamento alla con-
dizione servile dei padri nostri, non alcuna di quelle conso-
lazioni che strappavano dal labbro del Ferrari queste cor-
diali parole : t Certo è che non mai ebbero forse a godere
» gr Italiani sotto i Longobardi una più ampia libertà civile,
• una tranquillità, una ricchezza, una prosperità che gl'Ita-
1. Simbolica crìsliana. Gvrm. pag. 205), dal Lindebor-
2. Archit. Italiana dei secoli VI, VII gio, dal Goldstad, dal Muratori, per
ed vili. ultimo dal Troya (Codice Diplo-
3. Rivista Europea. malico, n. 336).
i. Il Costume di tutu i popoli. 8. Legcs 1, 3, 3 e/ 5 Grimoaidi
5. Storia d' Italia. regis, Savignt, tomo II, p. 33.
6. Hist. de VArL Archiiéct. 9. Grimoaldi Lege». Prctf. Trota,
?> Pubblicato dairEroldo (Origines iib. ciL
Df C.
I LONGOdAElDI S45
» ìiani sotto i Greci con dolore invidiavano^ >. Addirittura;
le delizie del paradiso. Ma il certo si è tosto annubilato,
s'è mutato in dubbio, e più tardi nella certezza che la fac-
cenda correa precisamente il contrario.
A Garibaldo figliuolo dell'estinto re, benché giovane "iù
ancora, passò Io scettro dei Longobardi. Ma Bertarido suo
zio, eli' era profugo tra i Franchi, fu alle Chiuse, quindi a
Pavia, donde cacciato Garibaldo, riebbe il trono eh' era
suo; riebbe la moglie Rodelinda e Cuniberto loro figlio, e
datosi alla pietà, fondò basiliche e monasteri * : né di pio
soltanto, ma di giusto ebbe fama e di misericordioso. La
fede cattolica regnò allora supremamente nell' Italia longo-
barda acconciatasi colla sedia pontificale; e Italia respirò
consolata da lunghi anni, e n'avea duopo, di pace. Ag-
giuntosi al regno il figlio suo, signoreggiò con esso per «??
altri dieci anni tranquillissimi del pari. Si ristoravano tra
Longobardi ed Italiani gli abbandonati commerci; fiorivano
principalmente suir Adda e sul Po, rinsanguinati dall' ope-
roso Esarcato e dalle venete lagune, donde col saie venivano
le merci alle città di Brescia, di Parma, di Piacenza, di Lodi,
di Mantova, di Cremona. Da ciò le gabelle che Liutprando
confermò più tardi, adducendo la ragione della vecchia usati--
da: perché non era bene che le usanze inpinguatrici del fisco
venissero tolte ^. E i Longobardi, ad esempio di Cuniperto e
di Bertarido, aprivano chiostri al solitario ed ospitali al
povero ed all' infermo: e qui comincia la serie delle carte
1. Coslume di lutti i popoli. Antiquitates JtalìctB Medj A^vi,
2. Pai:l. DiacOìN. lib. V, e. 3i ecc. Il, 23, 23.
3. Item in Porto Brixiano Riparios Di quanto maggiore movimen-
IV insiUuimus secundwn an/i- to commerciale era dunque ne*
quum eie. „ Item in Porto, qui vo- tempi di Liutprando (scc. Vili)
catur Cremona, providemus con- la città di Brescia rispettivamente
firmare duos Riparios. — Muiut. a Cremona , eh* era pure sul Po !
S46
I LO.NtiÓUAUDl
6C«
longobardéi in cui da Bertarido a Desiderio una sola non ha
che parli di romana legge conceduta ai vinti, non della stessa
cittadinanza romana.
Ma si lieto regno per le ambizioni di Alachi si conturbò.
Et*a questi duca di TrentOi il quale avendo combattuto e
disfatto un conte o graffione bavaro *, signore di Bolzano e
d' altri siti, alzò l' animo superbo a più additi fatti; e ribella-
tosi al proprio t^e, favoreggiato per quanto sembra dai Lon-
gobardi di Brescia, si chiuse in armi nel castello di Trento '.
Bertarido ve l'assediò. Ma T arrischiato Alachi ne usci con
impeto si gagliardo che, sperperato il campo di Bertarido, lo
volse in fuga^. Certo che la guerra sariasi fatta più grave se
r intromessa di Cuniperto non avesse ottenuto al ribellato
Alachi il perdono del padre, che pieghevole troppo alle sup-
pliche filiali, concedea facilmente al perdonato la signoria
di Brescia, la città prediletta dei nobili Longobardi, riunendo
1. Allre fazioni sono attribuite ad Ala-
chi dal nostro Malvezzi (Chron.
Brix, disU IV, e. 59), nelle quali
suppone intervenute rarmi bre-
sciane.
fi. Se poi credasi al Malvezzi, la mi-
lizia bresciana ebbe parie in que'
falli principalissima. Qui (gravio)
Bauzanum siveBolzanum, et reli-
qua casteila reyebaL cantra Bri-
xiettsium uique Trìdvntinorwn dn-
cem nomine Alais exercitum da-
xit etc. , , . std Alata mot eh-
ctam BrixiensiuM militiam sécum
irakens cum TridetUiuis etiaih etc.
Alachi però non era per anco du-
ca della nostra città; e qui con-
fonde il cronista e tempi e cir-
costanze. Non ha che un passo di
Paolo Diacono, il quale metta so-
spetto d'intelligenza fra i nobili
Longobardi Bresciani ed il ribelle.
Quorum (tiobilium) auxilio m«-
tuebat Bertariduf Alaehis pofeii-
tiorem fare, (De Gest. Long. lib. V,
cdpo 36).
di Cum^iue in magna pace degeremi...
surrexit cantra eos fiUus iniqui-
tutis^ Alachis nomine,.,, cantra re-
yan suum Berluridum manum le-
vavit, atque se intra Tridentinum
tastellum rebellans communivit etc
regemque ipsum fugampeiere com-
pulit etc, — Paul. W\rnefrioi,
De Rebus Gestis Langobardcrum*
lib. V, capo 36.
I LONGOBARDI
247
«consigliatamente due vasti ducati nelle mani di un solo e
di dubbia fede ^
E veramente; rimasto a Cuniperto per la morte del pa^
dre r intero stato , lo sconoscente Àlachi, sostenuto da un
pugno di validi ed irrequieti al pari di lui, e più da due fra*
telli bresciani^ Aldone e Grausone ^, cui bene chiamava il
nostro Nicolini facitori e disfacitori di re, sollevatosi un' altra
volta, occupato il palazzo regale mentre Cuniperto non era
in Pavia, cbiamossi re egli stesso. Fuggi Cuniperto ; e forse
Alachi più lungamente avrebbe tenuto il regno: ma gittatosi
a tirannidi soperchiatrici, 3' inimicò la classe più reverend<^
e più ascoltata dei cittadini — il sacerdozio.
Numerava un giorno Alachi non so che monete; caduto-
gli un tremisse^ v&nivagU restituito da un figliuolo di Aldone.
> Assai ne tiene tuo padre, > gli diceva Alachi « ma se Dio voglia
i me li darà >. Il bamboletto ritenne; replicò al padre quelle
parole, e lo indignato Aldone, radunati a consulta col fratello
gli amici, ordivano in quell'istante una congiura, sacramentan?
do di spegnere il tiranno. Alla domane persuadevano il re
se ne gisse pure al)e sue cacce, stessono di buon animo, che
in breve il capo di Cuniperto sarebbe suo: guarderebbero
intanto la città. Alachi usci, e fu alle selve d' Orta. Aldone
e Grausone volavano air isola Comacina; e gittatisi a' pie di
Cuniperto, chiesto ed ottenuto il regale perdono, fragiuramenlj
Di r>.
ME
«99
i. Net desfiiit (Cuniperlus) apud pa-
ttern obtinere quia etiam ti du"
eatum Brixia eontribueret,.. bre-
XlANA DENIQUE CIVITAS MAGNAM
SBMPER NOBILIUM LANGOBARDORUM
MOLTITUDINEM RABUIT, qUOrumaii-
jtilivm metnebat Bertaridus etc,
«— P, WA«ifEPRipus, iDOgo citato.
2. Alachis vero .... annuentibiu Aldone
et Grausone Brexianis civihus, sed
et aliti multis ex Longohardin ...
Palalium intra Ticinum poiitum
invasit, Op. cit lib. V, cap. 38.
- 11 Bravo poi la sa più langa, e mi
dice Aldone duca di Brescia (Siov.
Brcsc. tonjo II, lib. Vili. p. Al j,
S48 1 LONGOBARDI
e lagrime fermavano i modi, il giorno della riscossa. Brefo-
mente; a quel modo con cui s'ebbe lo sfortunato Àlachi il pa-
lazzo ed il regno» palazzo e regno Cunìperto gli tolse; e n' esul-
tavano i, cittadini, i sacerdoti: tutta Pavia moveva al plauso ed
alla gioja. Reduce Àlachi, e udito non la testa soltanto, ma tutto
Cuniperto essere dai fratelli bresciani portato in città, lasciò
irato la occidentale Italia, o come allora dicevasi la Neastrìa,
e per lo Piacentino fu in Austria (cosi chiamandosi a quel
tempo la parte orientale); e per amore o per forza trasse que-
st'ultima ne' suoi disegni. L'esercito di Alachi passato l'Adda,
scontrò l'inimico ne' campi di Coronata. Cuniperto sfidava il
traditore, né questi ardiva sostenerne lo scontro, perchè ve*
dea sulle insegne longobarde l'arcangelo Michele, dinanzi al
quale avea giurato a Cuniperto fedeltà. Eppur si venne a
giornata, ed Alachi restò sul campo cadavere informe. Quindi
fuga e strage di tutti i suoi lungo i margini dell'Adda, meno
de' Friuliani, che venuti a forza, ritornarono ai loro monti
senza combattere.
Una carta cremonese del 693 ' nomina un Rachi diacono,
che per l' anima sua, per quella del duca Alachi e Brunichilde
suoi genitori comanda preci ed espiazioni ai sacerdoti della
basilica cremonese di s. Maria, alla quale con testamento
fa donazione del suo. Chi non potrebbe sospettare in quel
diacono un figlio del duca di Brescia?
Io v'ho nomata l'Austria e la Neustria longobarda*; né
certo vorremcene tener paghi del motto, desiderosi di cono-
1. Trova, Cod. Diplom. Long, neiraa- parie occidentale della Lombardia,
no 693, parte III, n. 361 A questo modo anche i Franchi
% A parere di Balbo ( Storia d'Ila}ia, nomavano Austria e Neustrìa le
1. li ) r Austria dicevasi la parte due parti occidentale ed orientale
del regno Longobardo subalpino fra del vasto loro impero. — Era certo
settentrione e levante, Ncuslrìa la a bramarsi precisione maggiore.
1 LONGOBARDI 249
scere non foss' altro a quale delle due spettasse la deliziosa
provincia nostra.
Abbiamo dalla cronaca di Andrea Dandolo, che vinta dai
Longobardi nel secolo VII ^ la Venezia terrestre, Ulam vaca-
re ceperunt Longobardiam ; e )1 dottissimo Lupi ' costante-
mente asserisce l' Austria non essere che la Venezia, la qua-
le in quel tempo arrivava insino all'Adda ^; Neustria per
quella vece nomarsi Liguria ^. Indarno tentò prescrivere il
Muratori più minuti confmi ^. Paolo Diacono per altro nei
fatti che abbiam narrati aggiugne siccome Alachi dalle
sleppe Ticinensi per Placentiam ad Amlriam rediit^. Nel par-
tirsi da Brescia, la città sua propria, era quindi uscito dall'Au-
stria longobarda: e poi che lo stesso "Varnefrido ^ racconta si
ribellasse Alachi osteggiando il proprio re Cuniperto cum
omni Austria ^ duopo è conchiudere che tra gli ammutinati
si ritrovassero i Bresciani sudditi suoi. Era dunque l' agro
nostro del pari che il Bergamasco infino all'Adda ne' limiti
dell' Austria.
Di Aldone e di Grausone da Brescia più non ha motto
nelle cronache longobarde, fuorché di una storiella; ed è, che
un bel moscone posavasi un giorno alla fenestra del palazzo
di Pavia. Re Cuniperto era li consigliandosi collo scudiero
per mandare all' altro mondo i due bresciani, la cui potenza
mettevagli timore; e visto l'animaletto immobile sul davan-
zale, nel volerlo uccidere gli staccò una gambuccia, onde il
1. Chron. Ventt. in Rer, llal. Scrip. 6. De Reb. Gest. Lang. lib. V, e. 39.
t. \ÌL Veggasi ancora il Mappei, 7. Noi continueremo questo nome tra-
Ver. III. lib. XI, col 300. dizlonale non ostante le osserva-
2. Cod, Diplom. Bergom. tomo I. — zioni critiche del Bethmann.
Ptodrom, dissert. II, p. 126. 8. L. cit. E il Malvezzi fa condottiero
3. Lupi, 1. cit , Alachi de' suoi Bresciani nelle guer-
4. MaPFEi, Ver. ni. col. 301. rescbe fazioni di Trento e di Pavia.
5. Aniiquit. Hai. M. jEvì. Diss. li. Chron. Brix. disi. IV, e. 59.
250
1 LONGOBARDI
moscone levossi, e via ronzando per l'aere dispaire. Poco
appresso i minacciati fratelli s' abbattevano in uno sciancato
(vedete mo' se il diavolo zoppo è più antico di Lasage) che del
turbine imminente gli ammoniva: ond'essi cercavano rifugio
nella basilica di s. Romano, dolila quale trattili Cuniperto, e
udito donde loro venisse l'avviso, ricordandosi dello zoppo
moscone, s' accorse che il diavolo e' entrava, e senza più li
venne assicurando dell' amicizia sua. Nessuna meravìglia di
simili fanfalucche: n' ha ben di peggiori, e più nei tre secoli
che vennero da poi, secoli miserandi quant' altri mai della
storia umana; e questa poi che vi ho narrata è beuta dal
nostro Malvezzi come cosa ghiotta ^
Che direste ora voi sé vi aggiugnessi d'aver trovato come si
chiamasse il figliuolo del bresciano Aldone, di quel briccon-
cello che fu innocente motivo della rovina del padre? A
tutti è noto il celebre atto di Senatore e di Teodolinda da
Pavia, col quale convertivano la loro casa in un monastero K
i, Chro». Brix, disL IV, capo 65. -
E nel consecutivo atlribuisce i due
celebri fratelli alP antica famìglia
dei Casaloldi. Sono le solite fan-
tasie del cronista. Né già ch'io
sospetti per V aggiunto cognome.
Nomi e cognomi furono sempre in
ogni secolo frequenti più o meno;
ed è falso, falsìssimo che Tuso
dei cognomi non incominciasse nel
medio evo che intomo ali* XI £e«-
colo. Gli Agilolfiogi del secolo V,
dond* erano usciti Ariperto, Ber-
tarido e Cuniperto (Trota, God.
Long.); Agiimnndo d* Aja dei Gu-
gìnghi (Chran, Rotk.); Teodorico
degli Amali nel secolo VI; Rotari,
so nel 643, ne sono amplissima te-
stimonianza. E i re longobardi a-
vean cognomi assai che leggonsj
ancora nella Cron. Rotartana; e la
legge dei Bavarì distingue i Trom,
gli Eunioni, i Sagana ecc. (Trota,
Cod. Diplom. parte II, pag. 540).
Non è dunque nel cognome dove
sta r arbitrio del cronista , ma nel-
l'asserire senza provare: non ab-
biam noi un Garibaldo Tosabarba
del 723 (Trota, Codice Diplo-
matico , n 441 ) ? Né questo ag-
giungo per conchiudere fosse lar-
gamente il cognome in uso a que*
dì, che rarissimo era; solo aTrerlo
che non ci mancavano esempi.
che degli Arodi chiamasi egli stes- 2. Lupi, Cod. Dipi. Berg. II, 815,-^
I LONGOBARDI 251
Ebbene; fra i testimoni si nomina un Broningo uomo illustre,
figlio del defunto Àldone: V età combinerebbe a meraviglia
per congetturarlo figliuolo dell' infelice Aldone da Brescia.
Morto Bertarido, regnò Cuniperto dodici anni *; e chiuso ^ìw'
colla vita il proprio secolo^ a Liutperto giovinetto suo figlio
lasciò lo stato.
Ragimperto nipote di Bertarido e duca di Torino gli si
mosse contro: Ànsprando tutore dell'adolescente, spalleggiato
da Rotari duca di Bergamo, aspettavalo di pie' fermo con
*
un'altra armata; ma Ragimperto la volse in rotta, ed ebbe il
regno. Indi a poco morì lasciandolo ad Ariberto 11 il figlino!
suo, vivente Liutprando ancora. Ed ecco Rotari ed Àns-
prando ridiscendere in campo sostenitori del figlio di Cuni^
perto, le cui parti altri duchi aveano prese. Ma tutti vinse
Ariberto; e fatto uccidere Liutperto in un bagno, Rotari nei*
l' esilio, rapi Io scettro al secondo, eh' avea preso nome di
re di Bergamo e di Lodi ^ È impossibile che la provincia bre-
sciana tuttaquanta non si commovesse all' alternarsi dei lon-
gobardici conflitti: ma il silenzio della storia Io impone a noi.
Ariperto li lasciò di sé terribile memoria: incrudelì vi-
gliaccamente contro i miseri congiunti del proscritto . An-»
sprando; e al solo e disprezzato Liutprando figlioletto dell' e*
sule lasciò che se ne gisse al duca di Baviera, all' ospite del
padre. Tanto nei loro timori s'ingannano i tiranni I Cessate
le crudeltà raffermatrici più d'odio che di potenza, Ariper-
to II ammansò l'animo come belva secura della preda, resse
Trota, Cod. Diplom. Long. n. 40i, pertus cum magno excrcilu prin
a. 714. Ne parlano Maffei, Mu- ficiscens» expugnata primum et
HATORI» Mabillon, Campi, Ro- Capta Laude, Bergamum ohsedità
SOLINI ecc. eamque cum arietiims et diverain
i . At vero Rotharit duXf Bergamum belli machinis cepit ... comprehew*
civitatem suam rediens, regnum sumque[Rotharil pseudo - regemi
urripuiL Contra quem rex Ari- (P. DiAC lib. VI| capo «20 )i
Di C
712
252 I LONGOBARDI
noD male il mal rapito stato, ed ebbe fama di giasto, di pio,
di gODeroso: ma forse meglio descrisse il Yarnefrido la costui
dominazione facendola un misto di barbarie e di prosperità ^
Si sa di lui che restituiva i patrìmonii pontificali nel!' Alpi
Cozie alla sedia Romana ^ usurpati dai Longobardi ariani, e
che in un suo diploma si veggono per la prima volta nomi-
nare in Italia gli Arimanni ^, i quali dall' Erculiani ^ si fanno
sinonimi di servi, e noi farem sinonimi di liberi ^.
Ansprando intanto calava dall'Alpi a grandi giornate con-
tro l'usurpatore, il quale schivata una seconda battaglia, fu
abbandonato da' suoi: vistosi perduto, fuggi carico d' oro; ma
nel passare il Ticino affogò. Per pochi mesi ebbe Ansprando il
regno ^. Liutpfando, il massimo dei re longobardi, gli sussegui.
Col mutarsi del principe si mutarono i tempi, e la bavarìca
stirpe di Teodolinda in questo rigeneratore di popoli e di
stati più splendida rifulse: ed è per lui, se la schiatta longo-
barda vedremla ben altra che sotto Rotarì e Grimoaldo. E
T13 ad un principe che nel primo anno del suo regno non pub-
blica sue leggi, se non chiamati i giudici dello stato e inter-
rogato il voto di tutto il popolo ' (cvncto popvlo adsistente),
inchiniamoci riverenti, non foss' altro che per apprendere da
un barbaro come alle umane moltitudini si renda la dignità,
1. De Ge.st. Lang. 1. VI, 35. 5. Trova, Dei Romani vinti dai Lon-
2. Baronius, I» Annal. Eccles» ad gobardi — p. 121, ed. di Milana,
an. 704, 712. — Anast.\s. Bibl. 6. La sua lapide sepolcrale molto ri-
in Joann, pp, — Paulus Diag. tiene dello stile di quella d'Ala-
lib. VI, capo 28. chi duca di Brescia. — Murat.
3. DuRANDi, Cacciatori Pollentini, Ann. an. 712.
pag. 91. 93 (1773). — Tenivel- 7. Solenne uso dei barbari, e più dei
LI, Biog. Piem. dee 1, 117,127. Franchi, furono i campi Marzii ii
— PEYRON,/ft>t. Palr. Afo». 1836. collegi nazionali. Re Liutprando
— Trova, C. D. n. 377, an. 706. apre 15 volle in marzo le sue quin-
4. I Valvassori. — Romanzo storico. dici addizioni al Cod. RoUrìaoo.
t LONGOBARDI 253
che il cinismo di più colti secoli può irridere, ma non can-
cellare dalla nostra natura.
Non ad un tempo, ma in quindici anni promulgò Liutpran-
do gli editti suoi. I sette dell'anno primo riguardano per lo
più la successione. Permette altrove di affrancare il servo
dinnanzi all'altare ^: onde al cessare della manumissione di
Rotari si ricorse alle antiche formolo romane; e servi al mo-
do liutprandico vedrem francati nel IX secolo dal vescovo
Bilongo. Il guidrigildo rotariano, o prezzo, od ammenda pel
diritto della faida (la vendetta privata dell'offeso) rimase
mutato di formolo, non di severità. I provvedimenti che ri-
guardano la religione danno al codice liutprandico una im-
pronta romana quanta negli usi longobardi non fu mai ^ e
mutamento singolarissimo nel pensiero longobardo riceveva
Liutprando per le sacre discipline dal pontefice Gregorio ^.
Dirò breve; le analogie del diritto latino col nuovo diritto
longobardo risultano evidenti, frequentissime nel nuovo co-
dice di Liutprando re. Ha per altro in quel suo codice una
legge singolare; ed è che il giudice in ciascuna città cavar
facesse un carcere sotterra pei ladri, ed ordinasse alla ro-
mana il marchio ai recidivi ^. E per una legge di Carlomagno
(a. 801) che parla di piazze e d' altri luoghi pubblici mante-
nuti dagli esattori e dai procuratori, e per altre di Pipino
che attestano consuetudini longobarde i ristauri delle chiese,
Calendarum marciarum Ind. A\ Longob. parie III, n. CCCXLVI.
una cum omnibus Judicibus tam ì'rologus.
de^Austrim et Neusirice partù nec \. De an. octavo, Lez XVII ì.
non et Tuscice fiuibus vel eum re- 2. Log. J, 3, 4, lib. V Liutprandù
l liquis fidelibus meÌ8\ langobardis 3. Papa Urbis Romce , . . per suam
cunto populo adsistenie. — Testo epistolam nos adhortatiis est. Lng.
Cavense delle "^ leggi ^liutprandine 4, lib. V di Liutprando.
pubblicate dal Troya colle giunte A, Lib. IV, leg. 26 Liotprandina. Veg-
del testo Vesmiano (Cod. Diplom. gasi Ted. del Troya,
254 t LONGOBARDI
dei prati, delle vìe S si può dedurre che non le sole carceri^
ma ì porti, le strade, i ponti, le piazze cittadine avessero cu-*
stodi fra i medesimi dovrò dirlo? curiali del Comune
longobardo con titolo speciale ed esclusivo di esattori o di
procuratori *.
Le terre pubbliclie delle leggi liutprandine non erano le
comunali, si veramente il patrimonio del re^: e la legge
con cui toglieva tra le colpe della serva romana e della gen-
tile* la rotariana distanza', e l'altra ancor più providente
intomo agli scribi ^ svelano il concetto profondamente civile
di avvicinare le schiatte indicene colle dominatrici della di<*
visa Italia. Perché nella prima è ottenuta V uguaglianza dei
servi, nella seconda è concesso a tutti di ricorrere nei reci*»
proci contratti al latino diritto ^. Ed ecco il Longobardo
farsi bello di un diritto straniero più vasto e più sapiente del
suo — il diritto romano. L' idea pagana contemperata dalla
religione di Cristo rifulse nel VII secolo di nuova luce; e
l'editto del 727 non è che il trionfo dell'intelletto latino sulla
forza e suir arbitrio di chi non conobbe che la franca scure
o il brando dei Longobardi.
Un altro di quei trionfi cristiani ò la riprovazione del
duello per giudizio di Dio^ che Liutprando chiamava iniquo,
ma che togliere non poteva dalle consuetudini del Longobardo.
Né faccia maraviglia un nome fecondo di storiche illusioni,
che trovasi per la prima volta nelle leggi longobarde — l'tio-
1. Amerbachii, PrtBcip. CoìUtU. Caroli 7. De Scribis hoc prospexùnus ut qni
Magni. Ingolstadt, 1545. chartam scripserii sive ad legem
2. Prmf. ad Capitul, arL 50. Longobardorum, qua aptissima
3. Lib. VI, Leg. 24. Liut a. 7:26. ei pene omnibus noia est, site ai
A, Troya, God. dèi Romani vinti dai legem Romanorum, non aliter fa-
Longobardi - pag. 148. eiant nisi quomodo in illis Ugt^
6 Leg. 194. Roth. bus coniinelur, an. 7:Ì7.
e. Leg. 37, lib. VI. Liut. 8. Lib. VI, leg. 66 Liutprandi.
1 LONGOBARDI 25*1
mo romano — della legge LXXIV Uutprandina : quell'e-
ditto è del 731 ^. Liutprando allora già possedea l'Esar-
cato di Ravenna, o per lo meno i luoghi d'Imola e di Bologna.
Gli è poi singolare che Cesare Balbo, accomunate le leggi
di Rotari, di Grimoaldo e di Liutprando, le ti presenti come
un'opera uniforme, di un concetto, di una mente, di un ca-
rattere parziale, ma consentaneo ^; e nonché meditata, non
abbia pure distinta questa grande rivoluzione morale nelle
condizioni dei popoli pensata ed ottenuta da un uomo solo.
E noi credemmo debito nostro venirla disaminando, per-
chè si comprendano le migliorate sorti della città, nelle cui
vicende longobarde nessuno ha mai distinte le varietà dello
stato politico e civile, che al mutare di tempi, di principi, di
circostanze dal VI al secolo Vili seguivano latenti, profon*
de, caratteristiche, preparatorie del nostro Comune.
Due congiure soffocò Liutprando ne' primordi del regno ^\J'^
suo. Indi ebbe pace; nò in quella pace poltrì. Fermò trattati ui
d'alleanza col duca di Venezia*, surta già qualche secolo
prima nel mézzo delle sue lagune, dalle venete isolette che
non erano comprese nello stato longobardo ^; e fattosi amica
la romana corte, presentò lo spettacolo d'una gente, già ere-
tica e nelle lettere pontificali maledetta ed esecrata, or cat-
tolica sostenitrice di papa Gregorio III contro Y eretico im-
peratore. Ma fu per poco, poiché Liutprando terminò col-
r appropriarsi , come vedremo, buona parte dell'Esarcato*;
ed è detto che Sutri già spogliata donasse Liutprando agli
apostoli Pietro e Paolo: e forse Gregorio li coglieva il
1. Si romanus homo mulierem Loti- \, Danouli, Chron, Yenet. tomo XII.
gohardorum tulerii. -MvRAT.n.lh. Rerum Italie. Script,
2. Secondo le varianti del Codice Ver- 5. Anast. in Gregor. IL — Paulus
cellense parrebbe del 729. DiAC- lib. VI, capo 40.
3. Storia d'Italia, lib. Il, p. ?38, 325. 6. Murat. Ann. a. 715.
m e.
250 1 LONGOBARDI
momento per farsi uno stato a sé, e profittare a proprio
vantaggio degli altrui dissentimenti.
iti' Intorno a questi tempi * un Petronace da Brescia *, che l'ab.
Morcelli farebbe decurione della nostra città ^, lasciato il so-
gno delle umane grandezze, volea recarsi pellegrino in Terra
Santa. Papa Gregorio li suadevalo per quella vece a preferire
le solitudini di Monte Casino, a togliere quel monastero dallo
squallore in cui*l'avea gittato la spada longobarda: il perchè
avuti da Gregorio alcuni monaci*, fu alla tomba di s. Bene-
detto. Ivi gli accolti solitari * lo si facevano abbate; poi co-
strutte alcune celle, cresciuta la monastica famiglia, ristabi-
lite le discipline, vi dimortf trentanni. Ne' quali, aggiunto alla
chiesa di s. Martino un altare alla Vergine ed ai martiri Fau-
stino e Giovita, vi ripose un braccio di s. Faustino colà recato
al ritorno di un altro suo viaggio fatto a Brescia da poi, la-
sciandone per quella vece un altro di s. Benedetto, che
veneriamo ancora nella nostra cattedrale di s. Maria detta
la Rotonda.
i. Circa hijBc tempora Petronax civis rum Patrumconstitutus est Abbas.
BrexiancB urbis , divino amore — Petri, Proloff. Vili m. Palio-
compunctus, venit. horlatuque tunc nis, Tatonis et Tasonis, in Ckron,
Grcegorii Apostolicce sedia Pa- Voliurn. (Rer. It. Script, l 1, p. U,
p(B Cassinumcasirum petit ... Ibi pag. 351 ). In quanlo diranno 718
cum aliquibus simplicibus viris» seguilo il Muratori (Ann, a. 718).
jam ante residentibus, habitare il De -Meo (Ann. II, 269, a 718),
eepit, qui eundem venerabilem vi- ii Trova ( Cod. Diplom. n. 318),
mm Pfitronacem sibi seniorem il Brunali (Legg. in fine).
statuerunt, — Paulus Diaconus, 2. Detto ancora Petronio. — iOàN.
De Gest. Laìhg. lib. VI, e. 40. — Standelu, Chron.
Petronax» qui de Brixia adve- 3. Commentar, ad an. 717 - par. 1,
niens, orationis gratia idem mo^ capo 4, pag. 167, 168.
nasterium ascendens, ea» quce Dei 4. Chron. Voltum. Rer, hai. Script
servi egerant, viderat . . . Idem Pe- tomo IV, pag. 257.
tronax eledione istorum Sancto^ 5. Pietro Diacono, De Vir. ili e. 7.
I I.0NC0BARD1
257
Ebbe il monaco Petronace a discepoli s. Starmio che fu
abbate di Fulda, s. Willibaldo vescovo di Aicbstadt, Carlo^
manne fratello di re Pipino, Ermoaldo ch'ebbe poscia fondata la
badia di Leno S e Rachis medesimo re dei Longobardi, la cui
moglie Tasia colla figlia Ratruda si ritrassero a quel sacro
asilo per aprirvi un monastero, affidandone la direzione al
pio Bresciano. Papa Zaccaria lo si tenne aflezipnatissimo; lo
donò dei monetici statuti che s. Benedetto avea scritti, esone-
rando il cl^ustro dalla vescovile autorità. Avea già eretto Pe-
tronace un altro asilo di sacre vergini su quel di Benevento,
chiamato di s. Maria in C^Ua* per la cui sicurezza e disci-
plina provvedeva Gisolfo duca beneventano con suo decreto
del 745 K V abbate Cassinense morì nel 750, ed il più insi-
gne monastero dell' orbe cristiano dovette alla D03tra città
^1 suo più grande ristauratore ^.
1. Epit Chron. dasin. Rer. Itali-
carum Script, tomo li, f. 357. f
Vir Petronax Hermoaldum Casin,
monaehum cum aliis duodeeim ...
direxit ttf Liguriam (!) juita Civit.
Brixianam in loco, qui vocatur
ad LeoneSf ibique mona9terium eie.
S. Trova, Cod. Dipi. Longob. nella
Storia d'Italia del Medio Evo -
t. IV, par. IV, 1854. Napoli, p. 179,
docum. n. DLKXXll,' an. 745. —
Gattola, HisL Coiin. t. I, 27.
3. Intorno a Petronace si vegga: —
Leo Marsicanus, Chron, Casin.
ìib. I, capo 4 e 8. — P. Diac.
De GuU Lang. lib. VI, 40. Rtr,
Hai. Script tomo 1, f. 357. - An-
drea DA Ratisboiì^a, Chronicon
in Eckard. tomo I. — Petrus
PiACON. De Ortu et obitu Just,
e. 21. — Chron. Volturn. (Rer.
Hai Script tomo IV). — Chron.
ViNDÙRN. — Labbe, BibL Ms. t. X.
— Chron. Fuldense (Eckard,
Corp. HisU Med. jEvi), tomo I.
Brevemente; la serie delle aalo-
rità registrate dal Brunati nelU
sua Vita di Petronace in fine al
Leggendario de' Santi Bresciani ,
pag. 207, fra le quali non è ad
omettersi il Mabillon, Ann. Ben,
ed Ada SS. Ord. Bened. e i Bol-
lano. 6 inaggio, t. il, p. 121, il
Laureto (De Exist s. Benedit-
eti) e il Margarino (Bull. Casin,
tomo li , cost. 1), recano la bolla
di Zaccaria pontefice a Petronace
(18 febbr. 748?) colla quale ac-
compagna il dono degli Statati dj
È. Benedetto, e largisce alPabatf
P90miCT, Si9H§ Mrtte. V*). 11.
«f
2r)8 ' 1 LONGODABDI
PI C
72ft
Ma se la Chiesa di Cristo tra noi vigoreggiava» Leone
Isauro altrove per poco non abbattevala dalle sue fondamenta.
Perchè vietato il culto delle sacre imagini, ne successero con-
17» giure, ammutinamenti, guerre ostinate, desolatrici di quasi
tutta la Italia meridionale. Né queste concitazioni di popoli
passavano inosservate a re Liutprando, il quale rovesciatosi
nell'Esarcato, prese Bologna, Ravenna, MontebellioS e colla
Pentapoli altri siti di colà. Ebbe Sutri: ma è poi narrato che
già dispogliata l'oiTerisse a s. Pietro; primo esempio di città
rapite altrui, e donate alla Chiesa: ma esempio troppo presto
'" seguito e oltrepassato *. Ravenna tornò imperiale, come sem-
bra ritornassero colla Pentapoli parecchie città latine.
»o Duca di Brescia era in quel tempo Gaidoaldo; ma nuU'altro
mi so di lui fuorché delle nozze di Ranigonda sua figlia spo-
733 satasi al duca di Benevento Romoaldo II ^, il quale poi moriva
f3c pochi anni dopo ^. Indi ammalatosi re Liutprando, gli ottimati
longobardi nomavano a succedergli un Ildebrando suo nipo-
te*: riavutosi, continuò Liutprando a dividere coir eletto lo
splendore del trono, ma non le cure, che tenne per sé. Cor-
amplissimi privilegi. II Baronio habuU . . . et aliam conjugem no-
(Hist. Eccl. ad a. 748) muove so- mint Ravigundam fUiam Gaidoal-
spello intorno all' autorità del do- di Brexiani ducis. — P. Warne-
cumenlo. Ma il dottissimo Mura- pridus, De GesL Langob. lib. VI,
TORI (Rer. Rai Script, tomo IV) capo 50.
nelle note al Cronaco di Leone 4. Blangus, in nolis ad Pani, Diac
Ostiense imprende a sostenerne tomo 1. Rer. R. Scr. — Mcrat.
r autenticità. Ann. a. 731.
1. Paul. Diac. lib VI. — Agnell. 5. Paul. Diac. lib. VII, capo 53. —
Vit. Ravenn. Episcop. i. JI. Re- De-Meo, Ann. II, p. 306. — Si
rum Ralicarum Scriptores. De s. ha di questo duca un*ofler(a del
Jokanne XXXIX» pag. 170. — suo patrimonio alla chiesa di Mas-
MuRAT. Ann. a. 728. sano. — Trova, Cod. Diplomai.
t. Balco, Storia dMlalia - lib. II, n. 4^, an. 7t9, ed una donaiione
pag. 214. ad Orso Vetterario (Codice citato,
3. RomoalduMdeniquedtixBencventì... n. 430, an. 720).
t LONGOBARDI 259
reano istanti procellosi per le ambizioni dei duchi del Friuli,
di Spoleto, di Benevento, i principali del regno longobardo,
coi quali ebbe gravissimi contendimenti. Massima di quelle
guerre fu contro Tarmi Spoletane conturbatrici d'Italia, so- \o'
stenute dalle romane di Gregorio III. Fra quei disordini in-
tanto, e come a dire da quelle rovine, levavasi già grande
un'altra potenza, ed era lo stato della Chiesa.
Gregorio!, l'intrepido parteggiatore d'Italia quando ap-
punto non era chi osasse pensare a lei, fu avanzatore geloso
ed irrequieto di una forza pontificale comunque si domandasi
se. Ma quando il greco impero sfasciavasi irresoluto ed indo-
lente (sec. VII), e r italiano Esarcato pericolava, fra il solle-
varsi di alcune città indipendenti al pari di quelle dell' XI
secolo, e l' animoso rannodarsi fra loro alle rare ma belle
confederazioni (la Decapoli e la Pentapoli) che nutricavano i
germi della nostra libertà, si emancipavano que'municìpi dalla
impotente Bisanzio: il re delle preghiere e del sacrifizio si
facea prìncipe italiano; e le adunanze municipali, senza aspet-
tarli dal Bosforo, creavano allora da se ì loro duchi, e ma-
gistrati e militi e istituzioni.
Fra le isauriche persecuzioni (a. 726) maravigliosa non
ch'altro allo stesso impero rifulse la resistenza magnanima
di Gregorio II (726-731). Forte pontefice, ma più gagliardo
cittadino, raccolse il popolo italiano ad una grande rivolta
che diresse a libertà nazionale, a difesa rivendicatrice del
nostro diritto, che era pure il suo. Trascurato dagli storici,
noi sarà più mai quando Italia indipendente cerchi e glorifi-
chi tutti i periodi, lutti gli eroi delle sue indipendenze. Ebbe
altri fini, e sia. Ma il principale, il sommo, di vita o di morte
per le nostre città; ma l' intenzione che noi non fossimo più
la vittima delle arbitranze altrui, era o non era? Si decida
questo, e poi si cerchi pure se ì papi meditavano acquisti.
&60
I LONGOBABUI
Resterà che la loro ambizione li portò a redimere il popolo
italiano dall' ugne dei barbari; e quando l'ambizione produce
simili effetti si suole chiamarla tirtù^ Non son questi i pon-
tefici sui quali, poichò sotì uomini anch' essi, debba cadere
l'arduo giudizio della storia: noi li vedremo più innanzi.
Gregorio III, che al li era succeduto, fu primo alla fatale
chiamata dei Franchi; e deplorabilmente i suoi successori
l'hanno iterata. Se colpa è qui, come pare, gli fu certo nell'aver
dubitato della tiazione italiana. Ma questa nazione che avreb-
be allora potuto mai ? Del resto la è cosa che muove a sde-
gno veder nel secol nostro vituperati que' primi pontefici da
coloro stessi che accusavano di stolto e di presuntuoso lo
sventurato il quale a redimere Italia volea fare da sé: noi
sorridemmo a quel forse intempestivo, ma sempre nobile suo
motto; fu fatto segno allo schef no di alcuno di noi, perchè
non abbiamo potuto rivendicarlo colla nostra virtù.
D' altronde Gregorio III aveva chiesto Carlo Martello *, ri-
stauratore gloriosissimo della Franca nazione, eh' avea grido
in allora del più temuto propugnatore di tutta cristianità; e
fu peccato men grave. L' autorità di Martello sui Longo-
bardi che gli erano alleati, di queir amico di re Liutprando
eh' avea soccorso un anno prima, pare salvasse il papa, come
furono salve ancora le nostre città, cresciute anzi di libertà e
*>j^,^- di vita municipale. Ma Gregorio, Carlo Martello e l'Isauro
Leone, questi tre commovitori e novatori della propria età,
pe' quali Europa fu conquassata ne' suoi destini, nelle sue
1. Manzoni, Di alcuni punii coubro- BaboniuSj Ann. EccL ad a. 740.
versi di Storia Longobarda. -*» Du-Chesne, Rer, Franeorum.
S« Continuator Fredegarh Inter tomo 111. — Baluzius, Capitular.
Opera Greg. Turoti. — Anast. Itegum Frane, tomo I, pa^. 685^
w Greg. Ili ei in Addit4itni — — Labbe, Cenciiior. tomo Vl«
DI G.
742
ì LONGOBARDI 261
I
credenze, nella sua civiltà, Tun dietro T altro morirono; ep-
pur non quetava quell'onda che avean sollevata. Liutprando
continuava sua guerra; e circondato da tutto il fiore dell' e-
sercito longobardo, era innanzi a Spoleto. Zaccaria pontefice,
a Gregorio succeduto, di que' cotali che dopo Dio fidano più
in sé che in altrui, trattò personalmente col re, e n'ebbe
di ritorno quattro città ed una pace di vent' anni col ducato
Romano ^ Ad ogni modo però potentissimo fu in Italia Liut-
prando re; venia secondo il papa, ma di potenza non per
anco assentita: l' esarca ridotto a supplicare misericordia per
la sua Ravenna; l' imperatore disprezzato, disobbedito, non
riconosciuto se non quando facea donazioni.
Ed anche Liutprando moriva. Nessun documento bre- ué
sciano restò di luì, fuorché del Porto Bresciano, del piede
statutario di Brescia e d' una lapide che il Brunati ed il Maz-
zuchelli ci danno.
La notissima capitolazione commerciale di Liutprando
coi Comacchiensi, stranieri allo stato longobardo; pel sale
e per le merci da recarsi nei porti del Po ' è un trattato
regolatore delle tariffe pei varj generi di colà, e più pel
sale ne' porti padani del liutprandlco regno : ivi parlan-
dosi di pace, duopo é fissare al trattato l'anno 730. Perché ne
dubita il Muratori? Per essa capitolazione sono prescritti
in Porto Brixiano^ quattro Riparli secondo l'uso antico, e
i. Anastasius, in Zachar. — Cam. 523, pag. 663, parte IH (Napoli
Pellbgr. Hùt Long* t. il, Rer. 4853).
Jtal, Script, — Gretserus, Cod, 2. Muratori, A. U. M, M, t. li, 23,
Carolinus 1613. — Cenni, Codice '25. — Trova, Cod. cil. o. 480.
Carolino colle correzioni del Gen- 3. Ilutn in Porto Brixiano Riparios IV
tilolU. — Lambecio, Codice Ca- insiiluimus seeundum antiquum -^
rolioo, 1673. — Murat. Rer. Ji, Decimas vero dare debeani gale
Script, U IH, parte il. — Trova , modios quindecim, et palo solveiir
Codice Diplomatico , num. 522, dum tremisse uno, et modio pen^
Ì6i 1 Longobardi
più moggi di sale, ed un tremisse pel palo a cui si legavano
le navi. Nessuno ayyerti la conseguenza importantissima di
quel trattato al caso nostro; ed è che il numero de'Riparìi
bresciani, cioè dei gabellieri destinati a' porti fluviali per ri-
scuotere il Ripatico delle navi, o transiture o portonatici o
palifatture che dir si vogliano, sendo in numero maggiore dei
Cremonesi, Mantovani, e dei collocati a' porti di Parma, di
Campo Marzio (veronese?), di Lodi e cosi via, duopo è con-
chiudere che maggiore ne fosse il bisogno e più frequenti ed
affollati i transiti dei patrj fiumi, ed il commercio più vivo
ed animato che altrove.
Né pei soli commerci della patria nostra provvedeva Lìut-*
prando; ma si ancora per la magnificenza delle nostre chiese,
quando almeno sia genuino il marmo che l'ab. Brunati sulla
fede del Gnocchi * ha messo in luce '.
EGO LIVTPRANDVS VIR EX
CELLENTISSIMVS REX GENTIS
LONGOBAROORVM AD SOLAM
SVASIONEM MEAE FIDEI ER
GA DEVM PROPITIVM IPSIVS
DEI SERVATORIS TEMPLVM
HOC BRIXIANORVM EXTRVXI
Lo stile a dir vero tiene assai dell' epigrafe liutprandioa
cosi detta di Città Nuova ', e del povero brano di quella di
tato de librit triginta cum ipsa 3. Tiraooschi, apud Hai, Script. Ve-
decima dare debeaut. Trova, 1. e. terum Nova ColUctio. V, 3i8. —
1. Monum. Aut. Urbi* et Agri Eric. Murat. AM- Hai. M. ^vi, II. 196.
Ms. pag. 120. Ann. a. 73*. — Trova, Codice
I. Lcggend. cìUto, pag. -203. Dìplom. d. 497, p.59d, an. 734(*>-
I LONGOBARDI 263
Civìdate ^ Nella bresciana poi Liutprando parla di sé, come
appunto neir iscrizione famosa della basilica di s. Atanasio'
dal re medesimo fondata; e parmi altra prova della sua sin-
cerità. E Paolo Diacono racconta siccome il re gloriosissimo
multas in Christi honore per singula loca ubi degere solebat Ba^
sUicas construocit ^: e quanto il titolo del Salvatore gli fosse
caro, Paolo Diacono lo accerta dove ci narra dell' Oraculum
Domini Salvatoris che si avea costrutto nel suo medesimo pa-
lazzo ^. Nulla di più probabile adunque che lo splendido
e pio Liutprando fabbricasse il templym brixianorvh dei
SERVATORis del patrìo marmo.
Qual era poi questa basilica, che sembra alludere ad una
chiesa cattedrale di Brescia? Checché ne dica il Mazzu-
chelli *, é inutile ricerca.
Non udiste mai qualche vecchio muratore bresciano par-
larvi del pie di Liutprando (pè de Prand) ? Egli suona tuttora
nelle quistioni agricole decise alla vecchia dai nostri villici,
dove trattasi di termini, di stillicidio e di misure. È l' antico
piede cosi bresciano come d'altrove: è una misura lineare, che
alcune cronache vogliono derivata dalla lunghezza del piede
dì Liutprando ^ ma che tale a mio credere si dice perché
1. Bertoli, Ànt. d^Aquìleja, p. 441. ' pag. 50. Ivi pubblica il marmo
— Mai, Op. cìt. V, 159. liulprandino che abbiam recato;
% Grutbrus, InscT, p. 1168, n. 10. non dice però donde^lo traesse.
«— Baronio, Ann. £rc/. XIl, 308. 6. Uorum vero pedum (Liu(prandi)
— Mai, 1. cit. V, lib. 4t7 fra mensura prò consuetudine inter
le Marioiaoe. — Trota, Codice Longobardo» ienetur in metiendis
Diplomatico, n. 543. arvis usque in prcuentem éicm,
3. Paul. Diac. De Gest. Long. 1. VI, — Du-Chesne, in Scrip, Rerum
capo 58; e più innanzi: Multa per Frane, tomo 11, pag. 223. De ex-
loca singula divina tempia in-- ped. Caroli Magni ex Yet. Cod,
itituit. Novaliensis, Ma il Croaaco No-
4. Luogo citato. Tallesa è insigne per le sue pa*
5. Piede statuario di Brescia (175i) role; e noi ne sentiremo dj bellii
264
I LOrtGODARDl
DI C.
74S
»U
da lui stabilita. Sulla bresciana di quel nome scrìsse un opu«
scotetto il Mazzuchelli; e sul pie di Liutprando in generale si
veggano te dotte indagini del Troya *: bene assentiamo al
Promis, checché ne dica il Merkel, altro non esser che T an-
tico piede romano fatto longobardo.
Liutprando, l'espugnatore di Ravenna, governò trentatre
anni di rispettata ed ampliata signorìa, della quale è dubbio
ancora se fino a morte serbasse il re le sue conquiste: ma
dubbio non è che, tenute con ordini e regime ben altro da quello
dei fieri duchi dell' interregno, i nuovi sudditi potean chiamarsi
territorialmente liberi sul loro suolo, sicché loro continua
nelle proprie leggi il nobile e dolce e inusitato nome di
uomini romani '. Né quel nome soltanto, ma la sacra cit-
tadinanza, ma le patrie leggi avea lasciate Liutprando ai
popoli deir Esarcato; il che rìsulta dall' effètto medesimo de-
gli editti suoi.
Allo spento Liutprando succedeva Ildebrando nipote suo,
già collega del trono, ma per soli sette mesi. Cacciatone da
Rachi duca del Friuli ^ non è più verbo di lui, che fu T ul-
timo re della stirpe gloriosa di Teodolinda.
Pregato da papa Zaccaria, confermò Rachi la tregua Liut-
prandina di quattro lustrì: ma longobardo vero, mal fidan-
dosi di Roma, guardavala con occhio scrutatore e sospettoso,
vietando ai Longobardi lo spedire messaggi a Roma, Spoleto,
a* tempi di Desiderio. Si sa che
in quelli di Giovanni Villani (se-
colo XIV) il pie d'Eliprando era
una misura (Storia Fior. lib. IV,
capo VII), come lo era in quelli di
TrìsUno Calco ( Stor. Mil. lib. IV»
pag. 94); e forse ì% di questi
piedi litttprandici erano già fino
itA secolo Vili la pertka legipti-*
ma nomata nei documenti bresda-
ni dei secoli VUI, IX, X ecc.
1. Cod. Dfplom. Long. - parte lY,
pag. 76. Del piede di Liutprand».
2. Trota. Codice Diplom. parte iU,
D. 488, p. 569, leg. LXXIV se-
condo il Muratori, CCXXVII secon^
do il Codice Cavense.
3. SiGiBBRTUS, tfi Chron,
1 LONGOBARDI 265
Benevento e cosi via, comandando V esame in sul confine
del regno suo d'ogni pellegrino che 3'avviasse a qneste città.
Spoleto e Benevento eransi dunque già tolte al longobardo
giogo, e forse levate a indipendenza municipale.
Duca di Brescia era in quel tempo Àjone *, il cui figlio Li-
colfo noi lo vedremo traditóre della causa longobarda nella
calata di Carlo Magno: ed al rompersi per cause ignote della
tregua pontificale (a. 749)* è probabile che Tarmi del nostro ^ù!'
ducasi radunassero ad ingrossare l' esercito longobardo quan-
do Bachi minacciava il conquisto della Pentapoli e di Perugia.
Dinanzi alla quale, sendo a campo nel mezzo de'suoi, vedea
farsegli innanzi un pontefice romano. Era la quarta volta che
papa Zaccaria, calmati gli sdegni di due re longobardi, pie-*
gavali a miti componimenti colle città latine: ma Bachi si f^^tta^
mente mutò, che gittato il brando si fece monaco, e Erano
i di quelle smanie 0 mode che si vedono in certi tempi
» correre, e come appiccarsi d'uno in altro paese >. Nella
sola metà del secolo Vili tre duchi e due re ^ vestita la co-
colla del solitario, morivano in un convento. E Bachi, già re
dei Longobardi, vediam discepolo del nostro Petronace in
Montecasino due anni dopo che il bresciano claustrale ave-
va accolti i voti di Carlomanno duca d'Austrasia. Tasia a
Ratrude anch'esse, consorte e figlia di Bachi, si chiude-
vano ad un tempo, come abbiam toccato, in m monastico
asilo che a Petronace affidavano, il sommo ristaur^tore deh
l'ordine Benedettino^.
i. RiDULFi NoT. Hùtoriola, p. XI. Unaldoducad'Aquitania(745), Car^.
Liculfus filitu Aionis, qui tempon lomanno duca d'Austrasia (747), Ra-
Racchii regie . . . Ducatum Bris- chi re dei Longobardi (749), Ina
iianum rexerat re anglo-sassone (728),
% Anast. Bibi,. in Vila ZacharitB.' 4. Leo Ostiens. Qiron, Cmiii. lib.f,
3. Anselmo duca del Friuli (750), e. 7, 8. — Sigibebtus, in C^ro»,
2GG I LONGOBARDI
Astolfo duca del Friuli e fratello di Rachi fu assunto al
trono, e Uno di quegli uomini, che avventati alle cose facili,
» avviliti alle diffìcili, pajono mandati a posta da Dio quando
» vuol perdere i regni * i.
pi e.
7&1 Ricominciata la guerra del ducato romano, assaltò Ravenna
ed occupoUa*, poi s'allargò nella Pentapoli; il perchè Ste-
fano II ^, succeduto a Zaccaria, tanto s'adoperò che piegollo
ad un patto di quattro anni di pace. Ma non passarono quat-
tro mesi, che rotta fede al pontefice fu nuovamente in armi.
E Stefano a scongiurarlo mantenesse i giuramenti, rispettasse
una volta il popolo romano ^: e il Longobardo a raddoppiare
le sue minacce. Yolgeasi il papa all'impero; ma quale spe-
ranza da una larva senza vita e senza virtù? Volgeasi a' Fran-
chi, e ne venivano promesse confortatrici. Ivi era succeduto,
che deposto Childerico l'ultimo re Merovingio, Pipino di
Carlo Martello s'era fatto re. Stefano li, passate l'Alpi a
consacrare in Francia Pipino stesso e i figli suoi, ne ot-
teneva ben tosto servìgio per senigio, imperocché scendea
Pipino da quell'Alpi; ed assediato Astolfo, e costrettolo alla
754 restituzione delle sue conquiste, ritornava in patria. Ma non
compiuto r anno, eccoti Astolfo in campo; fu sotto Roma, e
quindi i lagni e le lettere pontificali ricominciarono: tornò
Pipino, e riassediato Astolfo nella male abbandonata Pavia, lo
costrinse a cedere le sue conquiste, le quali poi cedea Pipino
all'altare di s. Pietro. Mori poco dopo Astolfo (756) lascian-
do tributario, ma ne' limiti antichi, lo stato longobardo.
Pagics, in noi, ad Ann, Baron, nosciuto, e il Fatteschi (Mem. dei
a. 749. — MuR. i4. 7(. diss. LXX. duchi di Spoleto, pag. 264) ba
1. Balbo, Sommar. Età lY. Dei Bar- pubblicato. — Trota, I Romani
bari, pag. 85. vinti dai Longobardi, a. 751.
{. Che la presa di Ravenna fosse nel 3. Anast. in Vita Slephani IL
75t parrebbe da un documento 4. Chron. Valium, parte II, tomo 1,
Farfense che il Muratori ha co» Rer. lial. Script,
I LOxNGOBAUDl 26/
Di Ce
755
Abbiam di lui pubblicate alcune leggi, donde si pare come
la guerra non rallentasse i nostri commerci e le costui prov-
tidenze. L'una di queste prescrive che i negozianti maggiori
s' abbiano cavallo, scudo, lancia e lorica; i minori, archi e
saette ^ Ecco adunque i mercanti bresciani fra i cittadini e
guerrieri longobardi.
Vietasi con un' altra il trafficare con uomini romani, ì suoi
nemici; coi quali era tanto in ira, che all'arimanno trasgres-
sore deir editto si confiscavano gli averi, e si tosava siccome
a ladro la chioma. Altri editti manifestano sapienza civile >
religione, umanità.
Quest' erano le provvidenze del re, quand' egli meditava
impadronirsi di Roma e cancellare col brando la donazione
che Pipino avea fatto a s. Pietro della Pentapoli e dell' Esar-
cato, se donazione potea dirsi veracemente queir atto, o non
piuttosto accordo tra i Longobardi, i Franchi ed il pontefice
romano ^. — È questo un argomento nobilissimo che aspet-
tiamo trattato da Carlo Troja.
Poco appresso il fatale trattato, che facea tributario lo stato f^»
longobardo, ed agli antichi limiti lo respingeva, era seguita,
come dicemmo, la morte di Astolfo ^.
Desiderio, nobile di Brescia, che appunto in quell' anno
era duca dell'Istria^ signoreggiata allora dai Longobardi,
non mise tempo in mezzo. Trovavasi probabilmente egli
allora nella Toscana, colà mandato dal proprio re. Radunato di
tutta fretta per le tosche città assai gagliardo esercito*, si fece
aperto competitore di chi volesse contrastargli la corona.
i, Leg. Ili, Aistulphi itUer novas. 5. Tunc Desiderius quidam dux Law
2. Cosi .almeno lo giudica il Troya. gobardorum qui ab eodem' nequis^
3* Cgin. in Ann, — Ann, Melenses. * simo Aistulfo Tuscie inpartes e-
SiGiB. Caroti.- McjR. An. a. 756 ec rat direclus illieo aggregane
4i Dux Istria. Dandulus, in Chron. ipsius Tuscioi univertam txerci*
S6S f LONGÓBARt)f
Ma Ud altro esercito venivagli contro: e un monaco
di Montecasino, un discepolo di Petronace lo conducea. Nod
potendo contenere sotto il sajo benedettino la risvegliata
bramosia di regno, fu nuovamente in campo, ed assai duchi
lo seguitavano. Pare che in que' moti si dividesse lo stato, e
che la parte subalpina, e forse Brescia ancora, tenesse per
Rachi. Certo è che Pisa nel 757 gli obbediva ^ Desiderio si
volse al pontefice perchè il monaco tornasse al suo convento;
promise di rimanergli amico, di compiere la resa delle città
pattuita alla Repubblica , d'aggiugnervi altri doni.
Stefano II mandò Paolo Diacono, Cristoforo consigliere ed
un Fulrado commissario di Francia, perchè trattassero con
Desiderio. Stipulata e giurata la restituzione delle chieste città,
Fulrado s'avanzò colle schiere a sostegno di Desiderio nostro:
poi Stefano prete condottosi da Rachis, mostrate le lettere
pontificali, tanto s'adoperò, che ricomposto il grave dissenti-
mento, lo indusse a ritornarsene a Montecasino, per cui solo
e incontrastato rimase re Desiderio.
Non è a dire se il papa ne fosse lieto. Le sue lettere a
Pipino ridondano d'una passione tutt' altro che divina: ivi è
pur troppo adulazione da un lato, odio ingiusto dall'al-
tro, e imprecazioni più ingiuste ancora contro le ceneri di
un trapassato, e mal celata ambizione di terrena potenza. E
il dire Astolfo divoratore del sangue dei cristiani, distruttore
delle chiese di Dio, immerso nella voragine dell' inferno ', quando
iuum multitudinem eie. Anastas. bfuario per Indietione decima. At-*
BifiL. De Vitis Rom,^ Ponlif, - to pubblicalo dai Muratori nelle
Vita Stephani III - R. L Script, Ant. Hai M. Mvi, U lU, Appetti.
t. Ili, p. 171. pag 1007.
i. Governante Domno Ratchis famulo 2. Epittuke Stephani Pont, in p. Il
Christi Jesuprincipem gentis Lan- Codici Carotm. — £p. Vili. Es^
gohard. antho primo, mense fc plert lingua etc*
i LONGOBAKlDt 269
Sat)piamlo fondatore anzi di chiese e di sacri asili S larghissi-
mo donatore di privilegi alle basiliche» agli ospizj, alle abba-
zie ', morto poi nelle braccia dei monaci suoi prediletti ^
non parmi giustizia e carità sacerdotale. Era in guerra col
papa e con Roma; trasgredì gli accordi Pipiniani, ma non
fu nò divoratore del nostro sangue, né distruttore dei nostri
altari, che anzi protesse e Venerò. Nella lettera istessa papa
Stefano dice mitissimo mmo Desiderio fatto re dei Longobardi.
Vedremo più innanzi come lo si abbia battezzato da poi^
Ma qui giunti al punto in cui lo stato longobardo comincia
lentamente a scomporsi, a cedere il campo ad altri barbari
desiderati e chiamati da una sacra voce, vegga il Troya se la no-<
stra mente s'è mutata alquanto sul concetto longobardo, vinta
oramai, dalla evidenza delle sue pagine» e più dal suo Codice
Diplomatico Longobardo, che abbiam meditato. Se non che mi
gode r animo ascoltare da lui queste parole: « Sono piena-
t mente d' accordo coir Odorici nel pensare che un rispetto
* involontario comprimeva i barbari ad udir solo il nome di
1 Roma; e che se neir Italia mancavano i patrizj e le curie,
» gli stessi re amarono di nobilitarsi col nome di Flavj ^ i.
Noi vedremo a quale stato di servitù dall' interregno ad
Ariperto II fosse condotta la patria nostra: ma regge ancora
quant' io scriveva sulla dignità rispettata del nome latino.
No certamente; quei re longobardi, che da noi mendica-»
vano il nome di Flavio ed il diadema gemmato, chiedevano
ii Construzii etiam oracula, ubi . , . 3. Sed vatde dilexit monachos, et in
$UM filias dedicavit etc. Necnon eorum est mortutu manibus, — '
et sibi ad sacra monachorum eoe^ ànonym. Salern. cit.
nobia adificanda per cerlas prò- 4. Storia d' Italia, del Medio Evo, vo-
vincias multa est dona largitus. lume IV, parte 1 del Codice Diploma
ÀNONYM. Salernitanus. Longobardo. — Napoli 1852. Pr««
fi Leg. Aistulphi, 3, 7, 9, 10 ecc. fazione, p. XLé
S70 I Longobardi
lettere a manifestare le loro leggi, arti ad erigere i loro mO'
tiumenti; che nella potente necessità della preghiera e del
culto cercavano i nostri templi, i nostri altari, il nostro Dio,
non potevano disprezzarci. Ed alzi pure il Sismondi la voce;
ricordi pure un insulto pronunciato nel calore di un deluso
messaggio h le memorie solenni di un grande impero, i pro-
dìgi dell'arti e della religione, le distrette medesime della
sventura questa classica terra santificavano; e noi abbiamo
un diritto, diòiamolo pur francamente, alla venerazione di
tutti i secoli *.
III.
La FAMIGUA BRESCIANA DI DESmpJUO E LA CADUTA
DEL REGNO DEI LONGOBARDI.
Qui troviamo persone di nostra conoscenza, direbbe un
illustre vivente; e qui. pure il Malvezzi, benché ricettatore
qua e colà di qualche fola, comincia ad essere degno della
nostra attenzione: e la congettura che da buone fonti abbia
attinta la storia compassionevole di questo re sventurato, in
noi s' è fatta certezza, quando a' tempi del Muratori non era
più che un sospetto '.
Narra il Malvezzi che fosse Desiderio nostro concittadi-
no ^, e parla della sua nobiltà, de' suoi carichi militari, de'
suoi vasti possedimenti.
1. LiUTPRANDi Legatio apud Cani- 3. » Pare che abbia qualche fouda*
SIUM eie. — MuRAT. Rerum hai, » mento quesla iaunagìnaxione •*
Script, t. II, parie 1. — Pertz, Muratori, Ann, a. 766.
Monum. Germ. tomo V. 4. Chron* Brix» dist. IV, e 66, ih
!!. Odorici, Monum. Gristiaoi, parie I. Rer. Hai. Script tomo XIV»
1 LONGOBARDI
271
Che fosse nobile cittadino di Brescia, la cronaca di Ro-
dolfo Notajo, scoperta dopo il Malvezzi, ce V assecura * ; e
quella di Eginardo Io dice comestabile di Astolfo re ^ e l'al-
tra preziosissima di Andrea Dandolo il fa duca dell'Istria
intera ^ mentre per un passo di Anastasio Bibliotecario * fu
sospettato dal Sigonio * governatore di Toscana; al che per
altro egregiamente il Muratori si oppone *. Che poi dovizio-
sissimo fosse, che avesse tenimenti suburbanì a Leno, a
Ghedi, a Gottolengo, lungo i margini dell'Oglio e così via ^,
dal cronista Malvezzi annoverati, risulterebbeci nientemeno
che dai diplomi di quel re longobardo ^. La tradizione delle
cui dovizie lungamente durò tra noi Bresciani, sicché il Bre-
ve Recordationis di Ardicio degli Aimoni racconta di tesori
Desiderìani scoperti dall' Aimone medesimo ^; e il cronaco
1. Cujus (Brizim) ipse Desiderius No-
bilis erat. — Ridolfus Notar.
Historiola. — Biemmi, Stor. Brcse.
t. 11, p. IX.
% Qui (Desiderius) comes stabuli
Aistulfi erai (Eginardi, AnnaL
Fraihcorum).
3. AndrBìC Danduu Chron. Yen, in
Rer, ItaL Script, t. Xll.
4. InStephani III Vita» n. 48, p. 122,
ediz. Vìgnoli. L' abbiam già recato
più addietro.
5. De Regno Italico,
6. MuRAT. Ann, a. 756.
?• Non longe ab ipsa urbe etc. . , »
Lenum quoque ... Guttulengum in-
super ei Gambara Pavonumque . . .
Malvetii, Chronicon Brixianum»
in Rerum Italicarum Scriptores»
l. XIV, disi. IV , e. 87.
S In quanto a Leno sappiamo che vi
teneva probabilmenle una sua villa,
che Desiderio vi erigeva una ba-
silica al Salvatore antequam re-
ynum cepissel ( A non. Leon. Chr,
Ant. It. Meda .€vi. t. IV). Di Ghe-
di e Gottolengo, secondo lo Zacca-»
ria, ne accerterebbe un dipi, di Be-
re.ngario (a. 958, n. IV dei Mon.
Leonensi pubbl. dallo Zaccaria ) in
cui si confermano le antiche pro<»
prietà del monastero di Leno.
Per rOglio si arreca il Diploma De-
sideriano concesso al monastero di
s. Giulia il 4 ott. 760 , pubblicato
dal Margarino (Bull, Casin. 1. 11),
per appagarmi di queste poch • te-
stimonianze.
9. Breve Record, de Ardicio de Ai^
monib. et de Alghisio de Gambara
nel t. Il delie Storie Bresciane del
Biemmi,
VJi I LONGOBARDI
Salernitano parla esso pure delle ricchezze di quel re
nostro che venivano dai ribelli longobardi promesse a
Carlo Magno.
Ma chi avrebbe detto che un attento esame dei documenti
di quella oscura età dovea darci che basti da comporre uno
stemma di sua regale famiglia probabilmente bresciana e la
più illustre? Eccovi adunque rimpetto lo stemma di Desiderio.
Per que' soltanto a cui là novità di quest' albero facesse
dubitare, che so io? della sua sincerità; e che, trovando
ne' monumenti cristiani da me illustrati un Verissimo qua!
padre di Desiderio, maravigli^sero vederlo adesso per quella
vece di Ansa, credo mio debito toccar di volo, poiché la
storia ci attende, le ragioni dello stemma Desiderìano.
Il diplonta 3 marzo 766 ci fa sapere come Verissimo fosse
padre e suocero dei genitori di Adelchi ed avo suo: né troppo
fidandomi del testamento di Attone, che il Muratori S il Giu-
lini*, ij Lupì^ il Tiraboschi*, il Beretta^ ed altri mettevano
in sospetto di falsità, preferiva il diploma. Ma poi la ga-
gliardissima difesa che poco dopo i miei monumenti ha fatto
del testamento di Attone lo storico napoletano Carlo Troya^
Tessersi accolto e rivendicato dal Mai ^ dovea bastarmi ad
accettarlo. E v'ha di più. Nel documento giuliano il Troya
stesso, a cui non poteva esser noto che per la tronca ed er-
rata edizione del Margarino, facea Verissimo non (whne di
Adelchi, n^a varamente àldione; ed era cosa ben altra. Ne
scrissi al Troya comunicandogli l'apografo Queriniano, e fu
1.. Antiq, Ital, Medii ^vi. 6. Discorso intorno ad Everardo figlio
2. Mem. di Milano, I, 217; III, 134. di re Desiderio ed al vescovo Al-
3. Cod. Dipi. Bergom. t. II. tono di Vercelli. - Napoli 1845.
4. Storia della Ietterai. lUl.'- t Ili, 7. Mai, Prmfaiio ad tomum VI Serip.
lib. 3, capo 2, § XXIX. Yaiic. pag. XXI. Muratorius vi-
5. Tab, Chronoqr. n. 46. In Rer. lU vidi fune ingemi iuvenis eaptmndm
Script, tomo X. fama stwUosut et audaz eritie^9^
r
Voi. II, pag. 272.
Albero genio re dei Longobardi-
r
ARACHl 3
chierìco
a. 776
VERISSIMI 1
_IU
^L;
DONNOLO
a. 766-
icia
1
I
MALOGERIO »
a. 774
JL
~ir
FOTONE »
duca di Brescia
a. 774
EVERARDO i
GUIDO >
conte
ATTONE
ANSCARIO «
marchese
f
ALDIGERIO >
detto
Ermenulfo
L
■n
ANSPRANDO "
1. .
~]
osa Nobilitas Vicccomitum. -lied. 1671, p. 29),
card. Mai (Script. Vaticani Rom». 1832 , t VI,
\rdo figlio di Desiderio (Museo di scienze ecc.
I
:asin. t. II), e da noi completoìnenie recato nel
.1 ;
ATTONE « I
vesc. di Vercelli |
a. 945
— I il, M. Mvi, T. I, diss. I, p. 43.
AUPE
i
L
I
\
I LONGOBARDI 273
tra noi per quella voce qualche ricambio di lettere; nò credo
inutile recarvi un brano della scrittami nel 1847*
» Eccoci ad Everardo. Egli comparisce come figlio di De-
> siderio re in uno dei due testamenti di Àttone vescovo di
• Vercelli del 15 maggio 945: testamento dato in luce dal
i rev. ab. Aresi, dato per falso e per sospetto dal Mura-*
» tori, e massimamente dal P, Beretta autor della tavola
i corografica ed avversario, com'ella sa, del suo confratello il
> P. Astezati; difesa da pochi ma valorosi, ed ultimamente
• ristampata e difesa contro il Muratori sopra una copia Ya^
» ticana dal card. Mai (T. VI, par. I; 2, Scrip. Vatic, a. 1832),
p Quel testamento io lo difendo come vero, arcivero ecc. ».
Ed in altra del mese appresso:
> Or questo insuperabile ostacolo (dell'aldionato) svanisce
merco la diligenza con Qui ella pubblica per la prima volta
il principio di quella carta (3 marzo 766 ), e ne toglie via
le lacune. Per ciò la carta del 766 può dirsi presso che
inedita prima di lei . . . dalla quale risulta che Adelchi re
non fece ivi se non confermare il precedente precetto di
suo padre Desiderio intorno alle sostanze di Verissimo; e
non essendo nominati altri se non Desiderio ed Ansa . . ,
nel brano inviatomi daMei è chiaro che Verissimo socer et
pater ipsorum fu suocero di Desiderio e padre di Ansa . . ,
per la precedenza del socer al pater; e cade perciò Y obie«
zione che il P. Beretta faceva contro la verità del testa-^
mento di Attone vercellese, che Verissimo e non altri fosse
il padre di Desiderio ».
Mi si perdoni questa mia giustificazione, la quale vi pro^»
vera, non foss' altro, che la sostituzione di Ermenulfo qual
padre di Desiderio non ò certo a caso. Il resto dello stemma
si fonda su tali documenti e di tale autenticità, che non ò
certo né contrastabile né contrastala,
fipwmi, storit Mrtit. Voi. i|. ff
274 I LONGORARDI
Ma siami permesso che a raccogliere in una gli sparsi
fatti di Desiderio si torni alla storia che fu già tocca, rìtes-
sendo alcun po' di quella via che abbiam percorsa.
Salito Astolfo il trono (749), cominciò poco dopo, e lo di-
i>i e. cemmo, a conturbare l'Italia/ Entrava nell'Esarcato: ed oc-
cupata Ravenna, scendea per l' agro delle dieci e delle sette
città, le prime confederazioni d' Italia da Costantino in giù *:
poi tolte ai Greci quelle ancora dell' Istria ', ne facea duca
Desiderio suo comestabile. Nò il Filiasi ', né il Muratori ^, né
storico italiano che mi conosca determinò quando per quegli
acquisti il comestabile bresciano fu innalzato a duca. Dal
ysi contesto delle cronache parrebbe che al 753 quetassero i
Longobardi, contenti a mantenersi negli oppidi rapiti. La in-
vasione di Astolfo era compiuta: perchè assediato nell'anno
is« consecutivo da re Pipino in Pavia, non fece per allora che
negoziare coi Franchi e promettere quanto avea già pel capo
di non mantenere, mentre che al 754 tutto Io sforzo dell'ar-
mi sue rovesciava nel ducato romano, per poi retrocedere
agli antichi limiti longobardi, lasciando col ducato l'Istria
medesima e quanto avea conquistato. Dal 752 al 753 par«
rebbe adunque fatto duca Desiderio dell' Istria soggiogata.
Già fino dalle incursioni del 52, e questo pure abbiam
notato, riesciva il papa ad ottenere una tregua di quaran*
t'anni ^ che non bastò quattro mesi.
E qui papa Stefano a supplicare per lettere la corte Bi-
Santina perchè mandasse un esercito liberatore, sendochè
1. La Decapolì e la Pentapoli. Pon- 2. Ada Concil. Mantuan. — Lj
gono gli storici quesf invasione Conct/ta. an. 8Ì7. — Mcrat.Aumc^.
al 752; ma un diplomn Farfense an. citato 751
del 751 farebbe Astolfo in quel- 3. Filiasi » Memorie Venete, tomo V,
Tanno già padrone di Ravenna pag. 262.
(MuRAT. Ant. hai M. ^vi, dis- 4. Murat. Ann. a. 752.
sert. LXVll, e gli Annali, a. 752). 5. Anast. Bibl. tu Vita Siepkùm IL
ì LONGOBARDI
275
Roma teneasi ancóra tenacemente a quella larva sparata
e disprezzata che tuttavolta si chiamava impero. E di con**
verso re Astolfo a imperversare di tanto più, onde il pon*
tefice, cui dal Bosforo non venivano che ciance sonore, si
decise al grave passo, di darsi alla Francia e di condursi
olir' Alpi a consecrare egli stesso la spada vendicatrice di re
Pipino, ponendogli sul capo una corona che si era tolta da sé.
Ma nel recarsi allltalia terrei certo che Stefano II, accompa*
guato dai messi del re di Francia ^ e dallo splendido corteg'^
gio de' suoi cardinali, si fermasse in Brescia per benedirvi
con solenne rito il cenobio di s. Michele Arcangelo eretto da
Desiderio ed Ansa, di cui fu prima badessa la loro figlia An-^
silperga '. Di questo fatto è ricordo in un antico rituale di
quel monastero, serbatosi fra le poche reliquie de'monumenti
giuliani ^. Assecondava in queli'iatante il pontefice le suppli-
cazioni del già potente Desiderio, perchè meglio alla corte di
Astolfo si ascoltassero le sue.
Il più antico documento ( anno 759 ) che Y un dietro
e altro i miei predecessori notavano a stabilire la fondazione
i. Che i messi di re Pipioo accom- 3. Anno ab Incar. Dni CCCCCCCLIIL
pagnassero il papa nel viaggio fa-
tale, noi r abbiamo dal Muratori.
Annali, a. 753.
S. Flavius De . . . , rexet Gloriosa
atquePrecellsaAnsa . . . moruuterio
dui... Arcangeli sei Miehaelis aique
Aposlolorum principis Petri quod
uos dno auxilianie a fuìvdamentis
erexhnus intra citntatem nostrani
Brixianam et Deo dicala Ansil"
perga abbalissa filia nostra. —
AsTEZATi, Com, Manelm, e FaaU
tApog. pergam. Quirìn. n. i.
Inchoatum fuit monasierium no-
strum . . , et similiter dolaium per
excellenlissimam dtiam Ansam Re*
ginam. Posteaeonsecratum fuit per
dominum Papam cum suis cardi^^
nalibus prout invenitur in Cnno*
NICIS SATIS AUTBNTICIS in dictO
monaslerio nostro. Codice Quiri-
ulano perg. cui la Baitelli, non ba-
dando alla chiusa recante il 1438
(l'anno delPassedioI), disse lon*
gobardo. Anche il Malvezzi nota
la fonduz. del monastero al 753»
H6 i LONGOBARDi
in que'giomi del sacro asilo, è ben lungi dal fissarne la data;
ivi anzi parr^be che Astolfo medesimo avesse già prima con-'
cessa r area per fabbricarvelo h e la consacrazione del 753,
confermata dal Rituale, si lega mirabilmente con alcuni fatti
teali, come sarebbe la venuta di Stefano IH in Lombardia, e
le sue relazioni con Desiderio, eh' e' dicea miiissimo ^ e che
sostenne potentemente nella lotta contro il monaco Rachi.
E in quanto alla venuta. Verso la metà di ottobre inco-
miiiciava Stefano qilel viaggio ', ed alla fine del mese è posta
nel Rituale la memorata consacrazione. Non so come la Bai-
telli v' introduca di suo capo il nome di Paolo L
Erravano quindi Labus ^, Biemmi ^ Brunati^ Astezati^,
Sala *, Nicolini •, Corderò *^ Manzoni " e gli altri tutti che
attribuirono la fondazione del monastero giuliano a Desiderio
già fatto re. Ho ancora un mio pensiero, ed è che Astolfo
medesimo, depredatore nelle catacombe romane ^* delle ce*
neri dei santi, donasse al monastero del suo contestabile,
alcuna reliquia di s. Pimenio.
Ed a chi dubitava che il titolo del Salvatore, di cui vedia«
ino posteriormente insignito il claustro Desideriano, altro non
fosse che l'antico di s* Michele ^', non era duopo che ossenare
i. Qualiier jam dudum à predeces- 8; Guida di Brescia.
sore noitro Aistulfo rege nobis 9. Discorso Storico premesso al t. 1
concessa fuit, Docom: cit. del 759. del Museo Bresciano.
2. Cod. Carolin. Ep. Stephani IL 10. Dell* Archiletlura dei Longobardi.
3. Anast. BìBhi Ren Italk: SeripL 11. RagioDàménto Storico.
(omo III} pag. 167; 11 Anast. Bibl. in Suph, III, e il
4. Fasti della Chiesa ^ magg. e Mu- poot. Paolo in un suo atto del 761.
seo Bresciano illustralo^ pag. 197. (Baron. ilnii. Ecd. a. 761).
5. Storie Bresc. - tomo li, lib. 1, 13. BrunatIj Leggend. Vita di s. Gin-
pag. 35» 36. lia, note, pag. 215. E reca vera--
6. Leggendario - pag. 213, 214. munte un passo di un codice Ta^
7. Com, Manelm, ed lad; Giuliano. licauo n. 4470, in cai V arcangelo
1 LONGOBÀADt 877
ed dni Salvaioiris nostri Jesu Oìristi della bolla di Paolo I
26 ottobre 763 *.
Nò questa basilica di è. Michele fa il solo edificio che dal
pio Desiderio si fabbricasse prima ch'ei fosse re* Un' altra ne
area eretta in Leno alla Vergine, all' Arcangelo prediletto dai
Longobardi, ed al Salvatore. Già i monastici sodalizi non po-
tean essere stranieri né alla provincia nostra, nò alla nostra
citta, dentro la quale, se mal non m'appongo, pare che fosse
già il chiostro di s. Maria e dei martiri Cosma e Damiano:
perchò se intomo alla metà del secolo 'nono ò un Monaste-
riùm Honorii intitolato alla Vergine ed ai ss. Cosma e Da-
miano, risulterebbe piii che da un s. Onorio del sec. IV,
cui prestò fede il Lupì^ fondato da Onorio nostra vescovo
vissuto in sul cadere del VIP. --^ Ho per altro un mio
sospetto. Quei nome Honorius gettato là nel documento
senza que' titoli che precedono sempre i nomi sacerdo-
tali (eps. pater, venerabilis etc.) mi fa congetturare quel
monastero fondato da un personaggio di molta entratura «
ma non ecclesiastico. La cronaca latina del Capriolo parla
di un Onorio bresciano ' condottiero nell' esercito di Liut-
prando> poi di Astolfo re, per ultimo di Desiderio ; e narra
è detto Salvatore. Si sa eh* era bolla n'avrebbe fatto ricordo, e
1* angelo proteggitore dell* armi che di nessun viaggio pontificalo
longobarde, coniato sulle monete, ha in queiranno memoria nello
dipinto sulle insegne militari di cronache italiane,
quel popolo soldatesco e venturiero. 2. Abb. Monasterii Honorii quod tȓ
ì. CoCQUELiN. Bull Rom.ada.l^Z. coMtruetwn in honore Genitrici^
— Marc. BulL Ctuin, t. II, p. 7. Dei Maria et SaueloruM Martyrwn
. God. Dipi. Quirin. an. 763. Da qui (Jo«iimb et Damiani. — Lupi, Cod,
r invalso errore che Paolo 1 con- Diplom. Bergom. tomo 1, ibi Dipi
secrasse in queir anno ed in quel Ludovici II an. 865, col. 764.
mese personalmente il monastero 3, Capreolus, Chron, de Reb, Brix.
bresciano, non avvertendo che la lib. Y, p. 26, 27.
!i78
1 LONGOBAilÓi
le mirabilia del suo valore. Nulla di più probabile delia
realtà del personaggio, e che veracemente a lui si dovesse
il Manasterium Honorii di cui parla il diploma di Lodovico II.
Del quale cenobio hannosi documenti deir883S del 1152*.
1156», 1498* ecc.
Stefano intanto, non ascoltato in Pavia, fu alle Chiuse del-
l' Alpi, e dalle Chiuse in Francia (754). Gli storici Franchi
narrano che il papa e i sacerdoti si prostravano ginocchioni
dinanzi al re; gì' italici al contrario, che Pipino gittavasi umi-
lissimo a' pie del papa. Come avvenissero quelle genuflessioni
hon so: certo che radunato il campo marzio alla barbara, fu
bandita dai Franchi l'impresa d'Italia. Pipino co' figli suoi
Carlo I e Carlomanno (il discepolo di Petronace da Bre^
scia) furono consacrati re dei Franchi, ed ebbero titolo
di patrizj romani. Come Stefano II conferisse un grado ch6
dagli imperatori soltanto solea darsi agli csarchi, non io cer-^
cherò: che fra il papa e l'impero corresse allora perciò una
qualche intelligenza non è impossibile; ma è più probabile
che il papa dispensasse quei titolo tanto e tanto facendosi
capo, volere o non volere, di quella che allora chiamavasi
RepiAblica romana, e non era tutt' al più che un principato
belle mani di un sacerdote.
i. Ardesasà abbalUsa niotuuUni is»
tnm. CosnuE ei Damiani, — Con-
tratto privalo edito dair Astezati
{Comm. Manelmi).
2. Himilia abbattala prafati mona-
tterii eie. — LucHi» Cod. Diplom.
Brix. Autografo presso V egregio
dotL Pietro Labus, figlio del cele-
bre archeologo --< p. 104.
3; GnADONicus, Brixia Saer, p. 215.
— Bidla Raymundi episcopi.
4. BoUa di Bonifacio Vili, neOa quale
si permette la distruzione dd mo^
nastero ai Comuoe di Bresda. U&
antico apografo è presso la Qniri-
uiana, ma del resto fu già pubbli-
calo dal Lucbi fra le MonumaiU
MonasL Leonensis nelT Appmdis
documenlorum ad tria aUa
naskria Brixiana spedatUit
Roma 1759, coi tipi del Picei-
nclli, pag 197.
I LONGOBARDI 279
. Scendea Pipino da Val di Susa in compagnia del papa.
Fugato r esercito longobardo, serrato Astolfo in Pavia, per
intromessa di Stefano si rinnovarono i negoziati. Astolfo
piegò la fronte, promise pace, restituzione delle città rapite,
Tornò Stefano in Roma, Pipino in Francia.
Ma il vario e disleale Astolfo rifacea la guerra (755). Sac- ^w'
cheggiava intorno a Roma i campi latini, assaltava la stessa
città. E il pontefice a supplicare per lettere, a scongiurare
dinanzi al Dio vivo e vero gli eccellentissimi reali di Fr^cia,
perchè volassero alle difese ed alla vendetta. In una di quelle
epistole scritta in nome di s. Pietro, dove e la Chiesa vi si«
9 gnifica » soggiunge il Fleury ^ e non l'assemblea dei fedeli
» ma i beni temporali, si mescolano le promesse terrene
» dell'antico patto colle spirituali dell'Evangelo, e i motivi più
» santi della religione sono impiegati per un affare di stato »,
Sì, ma gli era un affare gravissimo di vita o di morte per
qualche milione di uomini, ai quali né speranza, nò difesa più
non restava che nella voce riverita ancora di un solo italiano.
Si mosse Pipino, e con Tassilone duca di Baviera^ fu
nuovamente alle Chiuse fatali, e all'assedio di Pavia. Co-
stantino Coprontmo, lagnavasi con Pipino perchè la restitu-
zione di Astolfo si pattuisse non più per l' Esarcato, cui spet-
tavano le città involate, ma pel ducato romano. E Pipino a
dichiarare aver egli combattuto per amore di s. Pietro e
per mercede de' suoi peccati, né che ad altri darebbe ciò che
•
avea offerto all'altare^. < Cosi fu troncata brevemente nel
I. Hist Eccl. I, 43, 17. nUi prò amore B. Petti, et viaiif^
% Che fa poi marito di Liulperga, delictorum; asterens et hoc, quod
figlia di Desiderio e nostra con- nulla eum thesauri copia suadent
cittadina. valeret, ut quod semel B, Petro
3. Afirmam etiam sub juramento , obtulit , auferret. Anast. Bi bl. t»
quod pernullius hominis favorem Rerum Italicanm Script, t. HI,
se se certimini smpius dedissef p. 171.
IN C
280 I LONGOBARDI
» fatto quella questione sul diritto, della quale s' è disputalo
» fino ai nostri giorni inclusivamente ». — t Tanto l' ingegno
» umano » concbiude il Manzoni e sì ferma con diletto in
» una questione mal posta * ».
È a notarsi per altro come V autore illustre dell' Adelchi
non ci porti della questione decisa che la testimonianza molto
sospetta di Anastasio Bibliotecario, da lui stesso dichiarato
altrove parzialissimo per la parte romana.
Il più forte ha sempre ragione, e troppo spesso la vuole;
può toglierti il tuo, rivenderlo ad un altro, e oflendersi per-
che ti lagni. Ed al più forte cedette Astolfo, ripromettendo
al papale altrui città, le quali donò Pipino a s. Pietro, che è
quanto dire al papa. Yentidue ne novera Anastasio, che vide
la donazione, compreso Comacchio, che pur non era del*
r Esarcato. Più che donazione era forse un trattato: perchè
non'si donano ventidue città per amor dì Dio da un uomo
ch'avea fatto balzare dal trono un legittimo re per averne
la corona.
Moriva intanto, come abbiam detto, Astolfo; né lasciando
figli, restò libero lo scettro longobardo alle ambizioni dai
duchi. Desiderio, nobile dì Brescia, duca allora dell* Istria,
messo in armi V esercito di Toscana in cui si trovava, e
questo pure abbiam detto, si dichiarò competitore di quanti
gli contrastassero lo stato. Come Bachi, gittata da un canto
la cocolla di Montecasino e ripigliata la spada, ridomandasse
il trono, vedemmo già; notammo ancora siccome per in tre*
messa di un prete se ne tornasse al male abbandonato con-
vento, lasciando al suo rivale incontrastato il regno, benché
gli avesse ammutinate le città della Toscana '.
i. ìlANzoNi,Notiiie Storiche premesse 2. Murat. Ann, a. 756. È a nolani
air Adelchi. questo passo del seg . doc. pisano;
I LONGOBARDI 281
Non è a dire se papa Stefano n' andasse lieto. Scrive*
vane tutto giulivo a re Pipino, chiamandolo suo compadre
spirituale, nuovo Mosé, nuovo Davidde; raccomandando
(ben intesi) la restituzione delle città rimanenti, senza le
quali non potea vivere il popol suo. Parlava di Desiderio
promettitore al beato Pietro delle città di Faenza, d' Imola,
di Ferrara, d' Osimo, d' Ancona , d' Umana e di Bologna ,
delle giustizie insomma di s, Pietro, della Chiesa e della
repubblica di Roma; narrava della universalità Spoletana,
che s'era fatto il suo duca da so, e della federazione di
Benevento; supplicava perchè ascoltasse Pipino quel De*
siderio che volea pace coi Franchi, ma V ammonisse a un
tempo e gì' imponesse l'adempimento dei patti ^ Lettera
importantissima in cui non ò parola, siccome in quasi tutte
di quel pontefice, della piaga profonda che lacerava la
Chiesa per gì' iconoclasti conturbatori d' ogni piii santo rito,
e poche di cose veramente vitali per la Chiesa di Cristo; ma
tutto volge ad interessi di grandezza terrena e materiale, la
quale del resto nessuno vorrà negarmi che fosse ad un tem-
po italiana grandezza.
Poco dopo quella lettera, che noi diremmo il testamento
pontificale di Stefano II, moriva questi che fu sommo, irre«
quieto, arditissimo propugnatore della potenza temporale dei
papi, da lui tanto cresciuta e avvalorata. Non parliamo dei
mezzi ; che se il giudicare della legittimità di quelli che j
Governante domno Ratchù famulo Rom, eie — EpisL Stephani IL
ChrisH Je$u, principem geniis a. 756, ep. VI. Expiere lingua
Langobardorum, anno primo men- eie, — Pagius, Adnoiaiionet in
se februario, per Indiciione decima, Baronu Hisi, Eeeles. a. 756; ben-
— MuRAT. Antiquii. ItaL Medii che per le ragioni addotte dal
. ^Evi, tomo HI. Append, p. 1007. Muratori debba tenersi dell' anno
j. Cod. Carol, — Cocquei«in. Bull. consecutivo.
282 t LONGOBABDI
potenti del nostro secolo chiamano onesti è ingrato assunto,
doppiamente difficile ed ingrata gli è la indagine dei pubblici
diritti, dei rapporti indefiniti, tradizionali e delle condizioni
caratteristiche, particolari di un tempo che è pure al di là di
dieci secoli.
. L' allettatrice successione alla tiara fu disputata. Vinse la
parte di Paolo Diacono fratello del trapassato; ma nuovi
guai lo aspettavano per le non anco restituite città.
Imola, Bologna, Ossimo ed Ancona ritenea Desiderio, il
cui regno per le dotte investigazioni dell' Astezati S del Lupi^
del Muratori potremmo credere incominciato non prima
^7S7' del mese di marzo del 757, tanto più che nel febbrajo di
quell'anno duravano ancora le opposizioni di Rachi. '.
w L'emanoipazione di Benevento e di Spoleto non era in fine
che una solenne rivolta, gloriosissima, nazionale: ma la rivolta
si macchiò colle usate viltà, di non togliersi di dosso un giogo
senza cercarne un altro. Fu chiesta la soggezione a Francia S
4. Comm. Matulmi, de Obsid. Brix, Docum. di s. Giulia, Ms. QairìniaQO
% Cod. Dipi. Berg. tomo I, Annali, pel confronto di 23 dqcum. loa«-
an. 7bQ. gobardi, la maggior parte Giuliani)
d. MuRAT. Ani. Ital. M. ^vu tomo I, rimase convinto di quella data,
col. 762 (benché titubi negli An- Desideritu incerto die Januarj atU
nali). Ma noi staremo colla lesti- Jfar/it Ind. X non ante oii. 757
monianza del Breve Chron. Regum iniisse regnum, Astezatus, Comm,
Jjongob. in Ani. Ital, Medii ^vi, flanelm, — Regni imttHm sum-
tomo IV, col. 944. Gubemavit" psisse anno Chriiiilol ante die%ì
gue palaliwn Ticinenae Ralchis .,. Martii. Murat. Ant. It. coL 76S,
dttdum rex, Tunc autem Christi 4. Se sub vestra a Beo servata po^
famulus a decembrio usque mar- testate contulerunt. — Codice Ca-?
tium. In mense vero martiosvr- rolino, Ep. Pauli I: il che alla
seepit Regnum Langobardor, vir carlona vuol dire che i duchi di
gloriosissimus Desiderius rexan^ Spoleto e Benevento si erano ri-
fio ... Domini 757. E veramente il bellafi a Desiderio per darsi aj
dotto Astezati (Indice Croool. dei Franchi,
1 L0N«ÓBA1\DÌ 28^
Voluta poi (lai papi e dai RomaDÌ, che per togliersi ai Longo^
bardi stanziati si promettevano ad altri barbari discosti e
dubbiosi, tio qualche sospetto che le rivolture di Benevento
e di Spoleto si eccitassero ad arte da Stefano II: certo è che
tutto lieto ne dava a re Pipino l' avviso; ed era fatto che
si legava probabilmente coi misteriosi accordi cui certo al^^
lude r epistola pontificale.
Da qui le rotture, i dissapori fra Paolo I e Desiderio, il
quale giustamente irritato movea coir esercito a comprimere
l'audacia de' sollevati; a correre le terre della complice Ro^
ma, e attraversando le città della Pentapoli, porle a sacco ed
a scompiglio. Devastato l' agro di Benevento e di Spoleto S
messo in ceppi Alboino ch'era duca della seconda, e cacciato
Liutprando dalla prima città, vi collocava Arichis forse genero
suo fino d'allora. Indi, qual meraviglia? cercò, benché indarno,
soccorsi ai Franchi, ed a Gopronimo dromonl siculi e bisan-
tini per l' assedio d' Otranto, in cui Liutprando s' era mes80<
Pur venne Desiderio a Roma, e chiesto da Paolo restituisse w e
le rimanenti città, rispondea gli si mandassero di Francia gli
statichi longobardi, si confermasse la pace, tratterebbe allora
col papa, gli renderebbe Imola. Scriveane il papa a re Pi-
pino; ma poi con altre lettere raccomandava si rifiutasse la
proposta; non averla fatta che per ottenere a' suoi legati il
passo delle terre longobarde, onde portassero queste let-'
tere totalmente opposte; non rimandasse gli ostaggi, costrin->
gessd Desiderio alla restituzione. In altra di quelle epistole '
(pur troppo nel Codice Carolino rimescolate alla rinfusa)^
che direbbesi del 758, narra d'aver trattato con Desiderio per
1. Ad magnum' upreium regni vestri, e Paolo. — Cod, CaroL ep. XXIX
amarameote scrivea Paolo a re Pauli L — Quoliens perspicua.
Pipino: aitre parole cbe annunciano 2. Epistola XXIV di Paolo i. - i4 De§
il colpevole accordo fra i sollevati in$titut€B eie.
759
iU
I LONGOBARbt
Ottenere da tutte le città dei Longobardi le giustizie di Roma
e di 8. Pietro, ch'erano in particolare < il soggetto della resti-*
i tuzione che i papi pretendevano dai re longobardi ^ »» ma
più generalmente < tutto ciò ch'era dovuto alla Chiesa ». Lo
stesso Paolo I definisce * la questione; ed ecco le sue parole:
Le giustizie di s. Pietro, cioè tutti i patrimoni, i diritti, % luoghi,
i confini, i territorj delle diverse città della repubblica dei Ro'
mani. Dopo ciò non saprei per qual motivo Balbo 'i Si*
smondi ^, Fumagalli ^ Muratori ^ ne cerchino il senso*
Nò queste cure di stato impedivano a Desiderio e ad Ansa
di volgere un pensiero al claustro bresciano di s. Michele e
di s. Pietro, del quale Ànsìlperga loro figlia era badessa; e al
principiare del 759 ^ gli concedevano la corte di Cerropicto
che loro avea data il medesimo Astolfo. Quella corte deno-
minossi ancora Gerpento, come or si chiama dai villici Ser-
pent. Aggiugnevano eziandio probabilmente a quell'asilo di
vergini benedettine un altro cenobiolo col nome di s. Ma'-
ria ^ di cui forsi è un avanzo il titolo di s. Maria del Solario.
1. Man'zop)!, Discorso Storico» capi-
tolo 1, § iV. Delle Giuslixie di
s. Pietro.
3. Cod. Carolin. XXI.
à. Storia dUlalia. lib. Il, p. 271.
4. Histoireda* Francais, 1. 11, p. 281.
5. Aotichilà Longobardico -Milanesi)
dissert. 1, page 83»
6. Annali, a. 769.
7. ÀSTEZATi, in Com, Manelm, de
Obsid. Brix, — MuRAT. AnL Hai.
M. jEvi, tomo V, pag. 497, erro-
neamente sotlo Tanno 758. Cod.
Quirin. Dipi, tomo 1.
8» 11 che parrebbe da una carta del
17 settembre 75!) pubblicata dal-
rAslezati, Com. Maneìmi in finé«
e dal Muratori, AnL ItaL M. ^vi*
tomo HI, pag. 555, colla quale lp«
polito ^rescovo di Lodi, come rap-
presentante Gisolfo ttratort longo-
bardo, vende a Guìderio rettore del
monastero di s. Maria la metà della
Corte di Alfiano (presenti t giudici
ed i germani di Radoara, la ve-
dova dello stratore or Beo dicala)
posta vicino alla via Pretoria, colla
metà del Porto in Ollio ftumo^
coi servi, colle ancelle. Radoara
sottoscrive supplicante la regia po-
testà per la vendita (per poti»-
lalionem sui principi»).
i LOiNGOBARDl ^So
Avvenimento ben altro del medesimo anno rallegrava la
bresciana famiglia di Desiderio; ed era Y assunzione al trono
del giovane Adelchi assieme al padre, che il diligente Astezati
proverebbe celebrata dal 25 luglio al 20 agosto del 759
colla testimonianza di trentaquattro documenti ^
Pur non cessava Paolo I d'informare per filo e per segno
la corte di Francia de' componimenti ottenuti dai Longobar-
di per[opera dei legati di re Pipino in Italia e degli ambascia-
tori della Pentapoli intorno alle giustizie di s. Pietro, e come
in quanto a' limiti delle città romane nulla fosse per anco re^
stituito, essendosi deciso che i deputati della Pentapoli e di
Francia sarebber iti a Pavia per discutere dinanzi al re l'ar-^
dua questione K Ma Desiderio fu egli stesso a Roma, s'acco-
modò col papa in quanto ad alcuni risarcimenti, poi si venne
ad un accordo che per l' aprile del 760 fosse compiuta la
restituzione di tutte le giustizie, ovvero, dice Paolo, dei luoghi,
confini, territofj delie diverse nostre città della Repubblica
Romana. Frase ambigua ripetuta altrove, ma di un senso
bastevolmente caratteristico per chi la pronunciava '<
Fra questi andirivieni e il lento accondiscendere di Desi- ni ci
derio alle esigenze papali, respirava Italia; tanto più che Tan-
no appresso per opera e consiglio di re Pipino s'accostavano
i due contendenti, V uno per timore di Francia, l'altro per
quello dei Greci, che Paolo solea dire nefandissimi ^; genti-
lezza consueta per chi non era cristiano, o piuttosto per chi
era nemico dello stato pontificale. Pipino intanto confortava
i. DifcsH di tre Documenti Giuliani. versarum nostrarum civitatum
Brescia 1728, in fine al Commen- Reipublica Roma.
iariotuin Evang. Mathelmi de Obsi- i. Non era dunque pei lebroai longo-*
dione BrixifE, bardi soltanto quel titolo d' igno'>
1 Ep, Pauii /, n. XVII, Cod. Caro- minia. (Cod, CaroL ìeiU XXI). co-
liu. — MuRAT. Ann, a. 759. me troppo presto asseriva il Man--
3. Lett. XXI Codtx Carolin, — Di-* soni. — Discorso Storico.
S8(j 1 LONGÓBAllI)!
i Romani a fedeltà; del che il senato ed il popolo assicurava
i il signore eccellentissimo e più che eccellentissimo grande
» vincitore Pipino ».
Di questa più tregua che pace profittavano Desiderio ed
Adelchi per accrescere decoro e splendore al prediletto loro
cenobio, aggiugnendone un altro col titolo del Salvatore, ed
innalzando, probabilmente sui resti della chiesa di s. Michele
arcangelo e di s. Pietro da me descritti S quella basilica di
cui si ammirano le venerande reliquie. Poi confermava col
suo diploma del 760 a quel monastero la proprietà dei sacri
vasi e dei palii donati air altare colle corti di Pisserisse sol-
rOglio, Casale Seniciolo, Polticmo e Recona sul Po, la corta
ducale d'Isola Cicomaria, e l'altra di Ronca o Ranco muovo
(Roncadelle?) appo il Mella, il bresciano casale Ernefridy e
Gussenagio in finibus Sermianensi; oltreché l' ospizio e la ba^
Bilica Pavese di s. Maria e di s. Pietro apostolo, l'uno e l' altra
costrutti da Desiderio, sommetteva con queir atto al mona*
stero bresciano. Alcuni servi donati colle terre al monastero
si dicono di Cuntmglacay di Quintiano e di Lediino (Lodrino).
Notiamo artatamente che la basilica di s. Salvatore fu
eretta dai fondanienU '; perchè un recente scrittore non
potendo capacitarsi delle romane forme dell'edificio che di-
struggevano sue ritmiche illusioni, facevate senza più dei
primi secoli della Chiesa ^. E piuttosto ad Ansa che a Desi-
derio dobbiam noi l'istituzione del monastero di s. Salvato^
te. Che se il reale consorte, a quel modo che il figlio Adel-
chi, se ne chiama l'autore, non è che a riconoscere qual opera
comune l'istituzione della pia regina. E Paolo 1 a chiare note
i. Odorici, Aalìcbità Crist. di Bre- ereximus eie Cosi nei documeoti
scia - parte 1. Desiderìanì.
t. Dno auxilianteafundamentiModi' 3. Sacchi, ArchitoUora Italiana dd
ficévmus;eA9Ì\n^e:fundavimu8, secoli VI, Vii ed VUL
ì LONGOBARDI 287
il dice quam noviter [andare visa est Ansa ^ e Adelchi mede-
simo apertamente il confessa ia un diploma del 766 ^.
Sorge tutt'ora nell'ambito del monastero alle falde del
colle Cidneo. È un'ampia sala quadrilunga, divisa in tre
navate da due peristili di otto colonne per ciascuno. Girano
su queste altrettanti archi a tutto sesto» e fanno sostegno a
muraglie che s'alzano d'ambo i lati della nave di mezzo, co-
ronate in alto da modèsta fascia che tutta circonda la nave ^
ìstessa; cui non già che attualmente lo sia , come fa scritto,
ma terminava probabilmente un abside o tribuna circolare
fiancheggiata fQrs' anco da due absidi minori corrispondenti
alle minori navate. Le colonne presso che tutte di marmi, di
proporzioni diverse, sorrette nella maggior parte da romane
basi (varie pur esse nelle forme, nelle misure, e tolte comei
fusti a più antichi edifici), sono adorne di capitelli quali scoU
piti nell'arenaria, quali nel marmo, imitanti l'ordine corinzio.
Alla estremità delle navi laterali discendesi per due scale
nella cripta.
È un piccolo edifìcio quadrangolare, cui suddividono otto
angustissimi peristili di cinque colonnette per ciascuno^ Gli
archi a tutto centro, che volgonsi pel lungo e pel largo del
santuario d'in su queiresili'colonne, disegnano altrettanti ret-
tangoli, acchiudenti ognuno un volticello a croce. Fra quelle
dense longobarde colonne, fra il tacer mesto di quel cadente
sacrario, in mezzo all'arcana oscurità delle sue volte una mano
sacerdotale pare che muova il velo cui sono ravvolte le me-
morie antiche. Vi cerchi indarno un altare, eppur vi stai con
1. Bolla 26 ottobre 763. ~ Marg. Ama regina a fundamentù adi^
BulL Coiin, tomo II, pag. 7. — ficavit- 20 geon. >- BIarg. Bufi
CoQUELiNES, Bull. Rom. a. 763, Casin. tomo II, f. 9. Cod. Dipi,
e il Cod. Diplom. Quirinìano - 1. 1. Qiiirin. perg. XI.
% Quam domina et genetrix nostra 3. Sala, Guida di Brescia.
288 I LONGOBARDI
quel silenzio col quale vi si prostravano tante vergini regali
undici secoli prima di te.
Ecco dunque una basilica, la quale se non fossimo certi
averla dai fondamenti edificata la pia consorte di un re lon-
gobardo, terrebbesi costantiniana : tanto è vero altre fogge
non essersi adoperate durante la longobarda dominazione che
le latine dei tempi di Liberio, d'Innocenzo, di Gelasio I.
Quivi abbiamo un pensiero, che suggerito dalle basiliche vi-
tniviane, modificato dai nuovi riti, fatto poscia immobile per
renderlo sacro, lo vediamo riprodotto in tutte le cristiane
basiliche dal IV al secolo Vili colla costanza di una tradi-
zione sacerdotale ^ , sicché fino i deserti dell' alto Egitto ve*'
devano imitate ad Erment e nella Eptanomide le basiliche
di Roma e di Ravenna \ Che più? nel seno di Bisanzio istessa
quell'italico pensiero fu conservato: testimonio il Menologio
basiliano e le basiliche in (edibus Cyri et in Blachemis.
Le inesatta opinioni di Pietro Selvatico, dei fratelli Sac-
chi, e di quanti le venivano dividendo con essi ^ intomo
alla forma delle nostre basiliche ne' tempi di cui par-
liamo, non meritano a dir vero una seria confutazione:
perocché il travolgere tempi, caratteri, testimonianze; V op^
porsi a monumenti di dieci secoli; l' asserire nulla essere di
longobardo nelle basiliche di Lucca, ci sdebita dall' obbligo
di farne risposta.
1. Stabilito nel IV secolo dalle chiese nate dello Spìnto Santo, opera d«i
costantiniane, lo vediam mantenuto tempi costantiniani (D*Agincourt»
in s. Agata maggiore di Ravenna, ArchiUct. tavola 73), risponde mi-
sec. V ( D* Agincourt , ArchiU rabilmente a questa nostra del Sal^
tabi. 7^); in s. Apollinare, sec. VI, valore.
). cit. tav. 47; in s. Agnese sulla S. Déioription de l' ȧfpU. — iW«>
via NomenUna, sec. VU (Yiebe- 1809. t. IV, pi 67; ei t. Upl 97.
KING, Arch. tav. XXV. - Corderò, 3. Museo Bresciano illustrato, t. I, ^
Arch. long.). - E la basilica raven* Brescia, 1845,
I LONGOBARDI 289
Siccome parmi aver provato altrove» i capitelli della bre-
sciana basilica di s. Salvatore venivano tolti air antecedente
pur nostra di s. Michele *, sulle cui rovine surse per avven-
tura la prima.
Né dell' abside, né del tetto, che di semplici contignazioni
a cavalloni doveva essere contesto, non é più traccia. Non
del ciborio (della cui fronte sono forse un avanzo due mar-
mòrei pavoni a bassorilievo, l'uno frammentato e scoperto,
dame, l'altro già pubblicato), non dell'altare, non della
facciata primitiva. E bene deplorabile debb' essere stato lo
sperpero e la rovina degli italici monumenti, se questo tem-
pio qual ci rimane debba tenersi fra i più conservati del
secolo ottavo.
Che in alcuni capitelli di s. Salvatore sìeno caratteri. e
foggie bisantine, qual meraviglia? Ne'tempi della servile imi-
tazione il capriccio talvolta ( non parlo dei miti ) o il pro-
pendere dell'artefice italiano più all'uno che all'altro stile
determinava la scelta dei caratteri ornamentali. E i fram-
menti decorativi dell'età longobarda potrebbero dividersi
in allegorici, in bisantini, in romani degenerati.
Fra que' medesimi capitelli direi della prima classe qu al-
cuno dei pubblicati nel Museo Bresciano: tra i bisantini, que'
due singolarissimi da me rinvenuti ed illustrati ne' Monumenti
Cristiani: tutti poi della terza, cioè dell'arte romana, i nume-
rosi della basilica, e non pochi della cripta. Alla quale fu
tolto il solo da me conosciuto fra tutti gl'italici capitelli dell'età
longobarda che sia coperto di storiche rappresentante. Fu già
lungamente illustrato ne' ricordati miei Monumenti ^ ed ogni
suo prospetto recatovi nei disegni della Tavola seconda.
i. Ant Crist. di Brescia - parte I. spendente tav. Il, d. 1,2, 3, 4; con
3. Nelle eitate AnL Crist - parte I, che diflusam ente s'illustra queirim*
pag. 35, 36, 37, 38, e la corri- portante monumento bresciano.
OtOMcr, Storit Brut. Voi. II. Il
290 I LONGOBARDI
Nel primo è s. Giulia in abito monacale (andlJa Dei^), cui
strìnge il marmoreo braccio la coronata moglie di Deside^
no fondatrice della basilica e del monastero: le monache
Anselperga ed Ermengarda figlie di Ansa levano accanto
alla madre il velato loro capo, quando non si vogliano però
quelle due supplichevoli come simboleggianti il coro delle
vergini claustrali.
È nel secondo la crocifissione della santa, il cui spirito
in forma di colomba viene accolto in cielo dalla mano di Dio.
Sonda illa anima ad astra ccelorum petit volitatum ^.
Rappresenta il terzo l' istante solenne in cui s. Ippolito
carceriere, vestito del balteo e della tunica militare, dai fer-
rei cancelli della prigione riceve per le mani di s. Lorenzo
diacono il vangelo '.
Nel quarto si raffigura il martirio di s. Ippolito disce-
polo di s. Lorenzo, qui per altro scambiato (e non è nuovo
anacronismo) con s. Ippolito da Porto in aUam foveam aquis
plenam praM:ipitatti$ ^ . Prudenzio medesimo fu accusato ex tri-
bus Sanctis Hippolytis in hymno XI unicum confasse ^. Potreb-
be anche supporsi rappresentato Y istante in cui s. Pimenio
è gittate nel Tevere dal ponte Sublicio ^ a' tempi di Giuliano
apostata: e in vero nel Chron. Officiorum del monastero dì
s. Giulia, codice pergamenaceo del 1438 presso la Quiri-
niana, parrebbe che le ceneri di s. Pimenio fossero in
s. Salvatore colle reliquie di altri martiri ^.
i. RuiNART, Historia Vandaì. Acta 6. Marifr, Rom, die 24 marHL -
«. JtUim. Arringhius, Roma SMer, t l,
5. Luogo ciuto. p. 219, n. 8.
3. Martyrol Rom. 13 aug. 7. Ausa ornavit dictam Eceksiam,..
4. Martyrol. Rom. 22 aug. - Baro- de Vili eorporibtu aanciis ìjOa-
Nius, Ann, EccL a. 229, n. 6. gru scilieet corjms òmIù».
5. In Mari Hippoìyti. Julie et tre$ filie $. Sofie ...etdwo
I LONGOBARDI ^91
Ma intorno a que' bassirilievi ed ai costumi degli scuUivi
personaggi bastevolmente nelle citate AnticfUtà v' ho intratte-
nuto. Qui basti il dettone a non mercarmi la taccia d' aver
io dimenticato il più insigne monumento della scoltura bre-
sciana e dell'arte longobarda nel tempo di Desiderio.
Accoppiamento singolarissimo di ornamentali caratteri,
tutti di un tempo, di un edificio solo, le cui cause non altri-
menti potremmo investigare che in quel torbido stato d'irre-
soluzione dell'arti, che fra il lento cadere di uno stile dege-
nerato e i semi lontanissimi di un altro stile, nonché pre-
scrivere, svincolava d' ogni legge que' rudi esecutori, i quali
fra tanta incertezza pendevano naturalmente per le forme più
note, più antiche, più venerande. Lo attestano i monumenti
bresciani del secolo Vili: monumenti per altro in alcuno de'
quali è tal finezza di magistero quanta non trovi per avventura
ne' marmi dell' età di Alessandro Severo e di Costantino.
Oh r arti belle divisero sempre con noi le nostre glorie e
le nostre sventurel II loro amore è un compagno antico delle
anime italiane. Levossi a portentosi concepimenti nei giorni
della sociale potenza; si chiuse romito e dolente nel nostro,
cuore in quelli della servitù: ma fra le tenebre che si adden-
savano un tempo a soffocarlo, questa face divina mandò
scintille a manifestare che mai non si sarebbe estinta. 0 cir-
condassero fra il silenzio delle catacombe cogli emblemi del
perdono e della speranza le ceneri dei trapassati, o più larga-
mente ne improntassero la basilica e l' altare; confortassero di
quella soave loro luce la mestizia del vinto, erigessero coman-
date i monumenti orgogliosi del vincitore, no, l' arti belle non
ci lasciarono mai: invidiato retaggio di una passata grandezza,
corpora Innocentium ...In altare In areha III sunt Corpora s. Pi-
de medio ut corpus s, Ypoliii menii ci s. Jwti etc. Croo, cit.
292
I LONGOBARDI
Staranno ispiratrici delle italiche menti fino a che il sole
f risplenderà sulle sciagure umane » .
Quello che del convento di s. Michele e di s. Pietro ve-
demmo farsi da Desiderio ed Ansa, avea già fatto il primo
della sua basilica in Leno col titolo di s. Michele e di Maria,
alla quale, già da lui fondata antequam regnum cepisset, ag-
giugneva nel 758 un monastero chiamato anch'esso del Sal-
vatore ^ Né si tosto fu dato a' monaci: avvegnaché, recan-
dosi Desiderio nell'anno appresso in Roma \ pare che di là
si portasse a Benevento, il cui duca Àrichi era suo genero, e
quindi a Montecasino, dove ottenuta una dozzina di monaci
compreso Ermoaldo che fu poi loro abate, mandavali ad
istituire la congregazione benedettina di Leno. Ma prima di
separarsi dai loro fratelli impetravano que'solitari una reli-
quia di s. Benedetto; e con essa passando lietamente a Roma,
dove Leone IV consacrava Ermoaldo abate Leonense, se ne
venivano a Brescia colle spoglie de' ss. mm. Vitale e Marzia-
le, che forse, a meglio gratificarsi per le trattative delle note
restituzioni lo stesso re Desiderio, avea loro dato il pontefice^.
1. Anno DominioBlncarn. DCCLVIll.
Jnd. XI, ceptum est Monasterio
Domila Salvatoris locus, qui dici-
tur Leones a prmfato glorìosissi-
mus Desiderius Rex. — Anonym.
Leon, in Ant. Hai M. /Evi» t. IV,
col. 944. — CoD ciò si rettifica il
Sigonio, che pone il fatto al 757
(De Regno Ital. lib. IH, col 508),
e il Mabillon, che lo dice del 759
(Ann. Bened. lib. XXIII, n. 53).
2. Zaccaria, Dell' aDticbissima Badia
di Leno - lib. I, capo I, pag. 6.
% Sa tut 0 cioè a leggersi 1* anonimo
Leonense: Non longe post tVi/rot-
tum Regni (Desiderj)...trandalum
est (cooperante Rege)...a Civ.Bene-
ventwn de Cassino castro qu€edam
Corporis parte/n Beatissimi
Benedtcti...et ab Urbe Roma Cor-
para BB. MM. Vitalis et Martia-
lis etc. Picsfuil autem ipso tempore
in ipso Canobio, hoc est Leone, ITr-
moaìd Abbas, quod ipse pnxfatus
Rex ex Beneventum Monasterio
secum adduxit. Recammo Ietterai*
mente in queste note i passi del-
Inanonimo co' suoi errori di lìngua.
Veggasi d' altronde il LucBi, K>
Zaccaria, il Chron. Casinenst ecc.
I LONGOBARDI 293
La quale reliquia del fondatore di Montecasino non è a \f
confondersi col braccio di quel santo che forse Petrone o
Petronace medesimo ^ portava in Brescia come a ricambio
del braccio di s. Faustino martire con sé recato al claustro
casinense^ ove serbasi ancora in argentea teca, sulla quale ha
un' iscrizione probabilmente longobarda ^ e che però ne' do-
cumenti longobardi vi porteremo.
Anco il monaco Ermoaldo, primo abbate di Leno, era
bresciano; e narrasi di lui, che sondo già pievano ^ della
Valtenese, deliziosissima parte della Riviera di Salò, le ca-
lunnie di alcuni malevoli lui costringessero scolparsi dinanzi
al vescovo, che trattovi dal grave caso a quella pieve erasi
condotto. Posta in campo la prova del giuramento, Ermoaldo
si rifiutò; bensì laudanda il Signore, staccatosi dal lido be-
i . Ristauratore, il che ahbiam detto , larum, quod secum de Brezia m-
non solo di Monlecasiao, ma fon- portaverat, decenter recondidit —
datore del convento di Vergini Be- Leo Card. Ep. Ostiensis, Chron.
nedctline a s. Maria in Cella, come Casin l 1, e. i, R. L S. t. IV.
appara dildocum importantissimo 3. Gradsnigo, ^rma Sacra, p. 101.-
del 745, che il tiattola (Historia Zaccaria, Storia della Badia di
Ca8fn. L 1, 27), ha pubblicato, ed Leno, pag. 8. - Paino, Vite dei
il Troya (Cod. Dipi. par. IV, n.582) santi martiri Faustino e Giovila. -
ha riprodotto ed il ustrato, con cui Card. Mai (Paino e Mai: quale an-
Gisolfo duca di Benevento prov- iagonisiùol ) Script. Veler. Vatican,
vede alla sicurezza del monastero Colleciio, t. IV, p. 51.-Brunati,
di s. Maria in Cella o Gingia. — Note alla vita di s. Petronace, p. 211
In un contralto privalo (Murat. Ani del Leggendario. - Querini, Lettera
ILM. ^vi. diss. XI, col. 700) ha al p. Beda (t IK, delle Decad.
un Petronis de Briziani del 736. delle LelL Quii in.). - Trova, Cod.
La data combinerebbe a meraviglia; Dipi. Long, nel t. IV, parte IV delU
mi le date non bastano. Storie Italiane del Medio Evo ,
2. Ibidtmque absidatn elficiens, in ho- n. 612, pag. 265.
noreb.Alfiri(B...tt is.mm FausAni 4. Cum in plebe Tenetm emterii che-
eiJovittB. in ea aitar ium statuii» in ricis prfBessei. Malvezzi, Chron.
quo etiam, et brachium unius il- disi. IV, e. 02.^L* officio corrispon-
294 I LONGOBARDI
nacense di rincontro all' Isola di Garda S entrò con franca
passo nel lago, e attinse incolume l'opposta riva di quella
vaga isoletta. Malvezzi ^ Luchi ^, Zaccaria ^, Bagatta ^ Bni-
nati^ parlano del fatto: e veramente, queir ivi accennarsi a
riti, a leggio a superstizioni longobarde, potrebbe condurci a
credere nel racconto alcuna cosa di vero, dappoiché storico
e di quel tempo è il personaggio a cui si riferisce. Perocché,
spogliate l'aneddoto da quanto v'aggiugnevano i cronisti per
farne un miracolo, ed eccovi le tracce di que' giudizj di Dio
cui fanno ricordo le leggi, le consuetudini dei Longobardi ^.
Desiderio, se vogliamo credere al Malvezzi ed al Ca-
priolo, solennemente assisteva con Adelchi ed Ansa in Leno
alla consecrazione del monastico ritiro e della basilica
costrutta. La qual cosa ne piacque di rammentare , perchè
omai di bresciane basiUche ricorre frequentissima negli atti
del secolo ottavo la ricordanza. Una carta del 761 o d' in
quel torno determina le misure, la proprietà di alcuni acque-
dotti fra parecchie basiliche cittadine. Venticinque piedi ne
stabilisce a Sabazio arciprete (chi sa forse della cattedrale) e
custode di s. Desiderio; cinquanta piedi a Deusdedit rettore
di s. Giovanni Evangelista; sessanta per la basilica di s. £u-
femia, trenta per Y Ospitale Bresciano cosi detto di Pere-
sindo — prima ed importantissima nozione di un asilo tra
dercbbe a quello di corepiscopo , la 2. Chron. Brix, disC. IV, e. 92.
cui residenza non sapremmo a qual 3. Montini, Monast. Leonensis.
terra della Valtencsc attribuire : 4. Dell' antichissima Badia di Leno.
perchè se corre a favore di Ma- 5. Opere postume - L I, p. 204, 211.
nerba la tradizione , fatto è però G. Dizionario degli uomini illustri della
non sussistere di quella chiesa me- Riv. di Salò. Ennoaldo.
morie più antiche del secolo XIV; - 7- Murai. Ani. hai. M. ^^Evù in più
Bagatta, Opere postume - t. I. luoghi. - Trova, Rom. ,vinti dai
1. Ad insulam ipsius taci pervcnit. Longob. e Cod. Diplom. Longo*
Malv. luogo cit. bardo ecc. ecc.
I LONGOBARDI
295
noi pietosamente aperto dai padri nostri al povero , all' in-
fermo, al pellegrino S che appare sottoposto al medesimo
nostro vescovo Benedetto.
E ornai la proprietà dell'acque bresciane ambivasi dai luo*
ghi sacri, e più dal nuovo cenobio di s. Salvatore, cui Godolo
suddiacono della Chiesa Bresciana vendeva in quell'anno
sessantasei piedi d'un acquedotto ch'egli ebbe da Olvet e
Faraone de Oflaga *, mentre Valeriano e Liodoaldo altri pur
ne cedevano: e Maurenzio di Àristeo, che abitava prope por-
tam Mediolanensem loco qui dicitur Parevaret, trenta piedi ce-
dea pur egli del condotto per cui V acque si portavano al
monastero; il quale in cambio di terre lasciate dalla Chiarissi-
ma Natalia ^ moglie di Àlechi reale gastaldo, e da Pelagia
di lei sorella, badessa del convento lodigiano di s. Giovanni
eretto da Gisulfo loro padre, avevano altri beni in Alfiano fi-
nibus brexiana, ed ivi presso a Recona, o come io sospetto agli
argini dell' Oglio ^, sondo presente al contratto il cremonese
Lazzaro gastaldo di Ansa, e tra i periti un Arivaldo orefice.
Ma tornando alle basiliche, hanno alcuni che pur so-
spettano la serie Tottìana dei nostri vescovi da s. Anata-
lone a Rusticiano doversi credere lavoro di qualche ama-
nuense del secolo XII, desunto da registrazioni dell' Vili e
dal Martirologio Bresciano smarrito si, ma che nei tempi
del beato Ramperto esisteva': ciò per quanto spetterebbe ai
ì. Et de Senodoctio cauta quoddam
Presindo qui permanet ditioni pon-
tifici (Benedicti)etc. Murat. Antiq,
It. t. II, p. 407. Cod.Dipl. Quir.t 1.
2. Ant. Il Meda jEvì t. 1 , p. 750.
3. Clarissima, Eredità romana. (Mu-
rat. Ant. It. M, jEvi, t. V, p. 500).
4. D\4rco, Meni.- deir Econom. Poli-
tica del Municip. di Mantova (1845)
pag. 360. - Romani, Dell* Antico
Corso dei fiumi Po, Oglio ed Adda.
5. Appare nominato nei documenti rac-
colti dal b. Ramperto relativi a
s. Filastrio vescovo, i quali ben si
potrebbero intitolare Cotlectanea
Rampertiana de Philastrio Epi^
scopo, God. Quirin. (A, 11, 14) del
sec. XI.
296 I Longobardi
semplici nomi di qué' vescovi, come per quelli ancora delle
basiliche indicate quali custoditrici delle ceneri loro. Se
COSI fosse, quelle basiliche tener si dovrebbero non poste-
riori al secolo di cui parliamo. Il perchè alle da noi già
ricordate sin qui dovremmo aggiugnere s. Faustino ad san-
guinem, s. Eusebio (suburbana), s. Pietro in monte^ s. Ales-
sandro, s. Lorenzo, il monastero di s. Faustino e Giovita,
s. Zenone de foro, s. Stefano, s. Eufemia (suburb.J e s. Ger-
vasio presso s. Andrea. Ma fra le molte dubitazioni mi arre-
sterò su queste due sole; cioè sul titolo di s. Faustino ad san-
guinem, che parmi posteriore al secolo YIII, e sul mona-
stero di s. Faustino, che certo in quel secolo non esisteva.
^^7^2^' Pare che intorno a questo tempo la sedia pontiBcale ser-
basse pace con Desiderio: e difatti una lettera di Paolo I ^
avea già prima sollecitato Pipino perchè ottenesse dal re lon-
gobardo rinforzo di militi contro i Greci che minacciavano Ra-
venna: ma più lo desumo dalla bolla pontificale cui largiva
7<3 nel 763 V abbadessa del monastero Desideriano di s. Salva-
tore in Brescia quod noviter [andare viso est Ansa exceUenlis-
sima regina ^ decorando il cenobio di sacri privilegi nel di-
ploma descritti, non lo assoggettando che alla pontificale aa-
torità. Non ostante il dissentire del Pagi e la confusione
grandissima del Codice Carolino, in cui le lettere pontificali
si trovano affastellate alta rinfusa, propendo col Balbo ' e col
Muratori ^ che la buona concordia fra Desiderio e Roma du-
rasse fino alla morte di Paolo I.
Pipino istesso immischiato in altre guerre scrìveva al papa
di tenersi amico il re dei Longobardi; nò parci che grave
1. Cod. Car. Epp. PauH /, ep. XXXIV. 3. Storia d* Italia - lib. U, p. 47. an.
9. Margarinus, Bull, Casin. t. If , - 766. Ediz. di Torino , per Gro-
CocQ^RL. Bull. Rom, 1 1, an. 765. seppe Pomba, 1830.
t LONGOBARDI S97
dissentimento conturbasse in allora i buoni accordi tra Pao-
lo I e la corte di Pavia.
Nella quale proprio intorno a questa età Cunimondo fi-
gliuolo dì Cunimondo dell'isola di Sermìone sul lago di Garda,
uomo di splendidi natali e di più splendide fortune, a cui lo
stesso re Desiderio avea donate alcune terre ', come che av-
venisse il fiero caso, uccideva Maniperto gasindo di Ansa*.
Secondo la legge trentesimasesta di Rotari * doveva essere
dannato a morte; e benché pare si fosse da Cunimondo r^d^-
ta, dirò alla longobarda, V anima sua. Desiderio confiscava
secondo T editto i beni dell'omicida, facendone dono al reale
monastero di s. Salvatore in Brescia *, cui già dal 760
avea ricevuto sotto la immediata real protezione. Ma poi rat-
temprata per le supplicazioni della pia regina l'aspra sen-
tenza, non ne faceva erede il claustro verginale che dopo la
morte di Cunimondo, cui furono i suoi beni ad usofrutto re-
stituiti. Né la indulgente regina fu paga di quel perdono; e
tanto s'adoperò da ottenere a Cunimondo che donar potesse
a qualche basilica Sermionense a redenzione dell'anima
sua parecchie terre delle già confiscate.
Di quell' atto importantissimo di donazione esiste ancora
un antico apografo pergamenaceo presso la nostra Quiriniana.
Fu pubblicato dal Margarino, e lo verrà nuovamente dal nob.
cav. Orti Manara di Verona, splendido illustratore de' mo-
numenti italiani.
1. Pratum meum quod mihi ex dono 3. Si quis inira Palaiium M preesf
dni regis advenit, Cod. D. Q. t. I. Rex scandalum perpetrare pre-
2. Cunimund filius Cunimundi de sumpserit, anime sue iiicurrai pe-
Sermione commisit scandalum t/i- riculum, aut animam suam redi-
ira sacrum palacium nostrum, et mat etc.
occidit ibidem Manipertum Gasin" i. Rotharii Lex XXXVì, documento
dum gloriosa Ansa etc. ... Doc. ciU citato.
DI e.
HI
298 I LONGOBARDf
Sono in quella carta nominate le chiese di s. Martino e di
s. Vito m Cdslro Sermionense; di s. Martino m Gussenaqo pur
da SermioneS e di s. Pietro in Marina, che sorge tuttora sul
colle deliziosissimo di quella classica terra poco lungi dalle
vaste rovine che ancor si chiamano il Palazzo di CatuUo: rovi-
ne che r Orti dopo indagini, e scavi accurati e dispendiosi, e
risultanze ben altre di quelle del sig.MilIiny^ trovò pertinenti
ad un grandioso edificio termale del basso romano impero.
E fu nell'aspettazione di queste sue risultanze, che noi là
dove più adatto ne sarebbe venuto il cenno, abbiam preferito
il silenzio ad una ipotesi gratuita ed avventata. Che Valerio
Catullo avesse nella penisola una sua villa non si nega, ma
che le Grotte di Catullo (cosi chiamano i Benacensi le reliquie
di quelle terme) ne sieno gli avanzi, non si concede.
Offre Cunimondo alle basiliche soprascritte prò lunUnari*
bus 8uis una corte in Gussenago appo il fiume Aliaione che
non lontano doveva essere dal Mincio, il casale Stolengario
co' suoi tributar] , quello di Marmolendolo, nonché il Prato
e la Selva datagli dal re, avvertendo che già le chiese di
s. Martino e di s. Vito doveano possedersi dopo sua morte
dal monastero di s. Salvatore, poiché altrimenti non si pos-
sono interpretare le parole Manast. Dni Salcatoris cui per-
tinent predictce ecclesice, quce miAì Cunimundo in hoc swado
1. In finihus Sermionensi: così nel primo dairajutante di campo HìJ-
precitato diploma dei 760. Dunque liny la pianta dei ruderi di quella fab-
il fiume Alisioue dovea lambire, o bricaromana(1801),e pubblìcarala
poco meno, que'confini. Molto a prò- in Torino con un cenno d*iUustra-
posito sospetta il Conte d*Arco (lett. zione (Journal eie. n. 19, p. H). -
13 agosto 1854) altro non essere Persico, Guida di Verona, p. II,
che il langioìitm del p. Zaccaria. pag. 220. M<( toccava air Orli beo
2. Sia lode per altro al generale La- altra illustrazione di quello splen-
combe che, fra il tumulto deirarmi dido edifizio, su cui bizzarramen-
trovandosi colFesercito ne'dintomi te avea già fantasticato il nostro
del lago di Garda, facea rilevare il Ercnliani.
1 LONGOBABDI 299
pertinent; e chiude la pia largizione coH'ordinare per sé e per
la moglie Contruda (Celtruda secondo l'apografo) che dopo
la loro morte i servi e le ancelle loro sinl liberi et absolati.
E v'ha di più. Da un diploma di Carlo Magno del 774
apprendiamo che la devota consorte di Desiderio aveva eret-
to in Sermione un picciolo monastero intitolato al Salvatore^,
e certamente soggetto al bresciano che Y eguagliava di titolo
e di origini. I pochi resti della basilica di quel nome sussistono
ancora; od esistevano almeno pochi anni sono quand'io veni-
vami disegnando i monumenti di queir isola co) pensiero di
porli in luce *. Nulla di più probabile che quel monastero si
aprisse dopo la morte di Cunimondo, per la quale tanta parte
deir isola di Sermione passava in proprietà del Giuliano ce-
nobio, e che Ànsilperga vi mandasse alcuna delle nostre
vergini per Y istituzione del monastico asilo.
Anche il monastero e la basilica di s. Pietro in Clivate sul
milanese, che si dicono in parte sussistere di pretto stile latino,
voglionsi eretti da Desiderio ^ e ne parla il Malvezzi nelle cro-
nache bresciane*. Latina doveva esserne la forma, come abbia-
mo dal CoriQ *: ed il Muratori, commentando i racconti di Lan-
dolfo il giovane, scrittore del secolo XII ^ e' citando Tristano
i. Monasteriolo ilio intra ipso Castro scg. - Era il tempio di s. Pietro di
(Sermionense), quem Ansa novo Clivate edificato dal re Desiderio;
opere construzit, guod est in ho- e il Vasari lo dice a somiglianza
nore«.5a/va/om. Bouquet, fler. degli edifici di Teodolinda e delle
Gali et Francicar. Script, t. V, basiliche ravennati del V e VI se-
p. lU, - Martene, Ampi, Coli. colo (Vile dei pittori, nel proemio,
t. I, col. 37 ecc. - Voi. 1, p. 225, ed. di Siena).
2. Io sono lieto che il conte Orti m'ab- 4. Chronicon Brixianum, distiuz. IV^
bia preceduto: da lui più che da cap. 89.
me doveva attendersi un lavoro 5. Storia di Milano — parte I, car-
suir isoletta del veronese Catullo. te 40.
3. Milano e suoi dintorni -(. Il, p.lGic 6. Hist, Mediol. cap. 14.
Di C
7M
U1
300 I LONGOBARDI
Calco, argomenta che il nostro Desiderio fondasse quel tem-
pio verso r anno 755 h né può senza valide ragioni rifiatarsi
la tradizione antica recataci dal Malvezzi cronista del sec.XIV»
che il bresciano cenobio di s. Pietro summa quoque Alpe qum
ah urbe Brixia distai circiler mUiaria XIV*, dovessero i padri
nostri alla sua pietà; come siami certi che un altro ne de-
dicasse agli apostoli Pietro e Paolo in valle Tritana', ed al-
tro ancora in Milano col titolo di s. Vincenzo» del che ci
narra Landolfo il vecchio, per non dire del Monastero Mag-
giore di colà ^.
Alle proprietà di Cunimondo impinguatrici del monastero
seguivano altri doni e privilegi coi quali si concedva per Adel-
chi all'amata sorella quanto al padre ed a se stesso era prove-
nuto da Verissimo (genitore probabilmente di Ansa ed avo del
donatore), non che dal chierico Arichi e da Donnole fratelli
per quanto sembra della pia regina. La Corte di Temoninay
che Arichi chierico ad Adelchi avea ceduta, è fra que' doni :
rafferma il regal donatore alla badessa quanto già posse-
deva quel sacro asilo nei limiti dell' Austria, della Neustrìa
e della Toscana ^ Soggiùgnerò che l'anno appresso il mona-
stero bresciano permutava col sabinense di s. Maria parec-
chie proprietà •.
1. Rer. hai Script, t. V, pag. 50. 3. Chronicon Yoltburn. In Rer. It.
Veggasi del resto quanto ne dice il Scr. t II, par. il, 1. 3.
Corderò (Dell' Architettura ilaliaoa 4. Diploma di Arduino del 1002.-Ant
durante la signoria dei Longobardi, Long. Mil. t. 1, p. 9Ì.
pag. 276. E veramente le parole 5. Cod. Dipi. Quirin. t. I, perg. IIL
del Corio = Desiderio fece edificare Diploma in parte non ancor pubbli-
quel tempio.., a Hmilitudine det' calo : e troppo affretiatanenle il
la chiesa pontificale di Roma = Margirino con quel — per multa*
oeinducca crederlo somigliante alla lineae qua» ob veluslalem et co-
costanti liana basilica del Lalerano. rusiunem legi non potuì — se ne
2. Malv. Chronicon Brixianum, di- scusava (Bull Casin. t. II).
slinzionc IV, e. 89. 6. Bill. Farfense, t I, ptg. 73.
I LONGOBARDI
30{
Aache Jobiano suddiacono offeriva con altri ad Ansil-
perga alcune peschiere nell'agro Feroniense S ed altri
beni acquistava la badessa da Rotari abbate di s. Salva-
tore in Montecellio sul Po' (an. 768), da Natalia di Gi-
solfo stratore e da Staville in Alfiano (769). Il perchè non a
torto scriveva il Muratori, che per V opulenza questo ceno-
bio nostro la&ciavasi addietro qual altro fosse di sacre ver-
gini in Italia^. L'Astezati medesimo ebbe a numerare da
venti castelli e sessantatre fra chiese e monasteri a quella
congregazione sottoposti *.
Né certo dovea tornare discaro ad Ansilperga il dono che
Desiderio le facea di due molini situati fuor delle patrie
mura innanzi alla porta di s. Faustino e Giovita (l'attuai porta
Bruciata) assieme colla piazza che le si apriva dinanzi,
proprietà tuttequante della Curia o Corte Ducale di Brescia'.
Durarono que'molini lungamente da poi. Sorgevano precisa-
mente dove s' apre adesso il caffè Bellori nella piazzetta di
s. Giuseppe, come altrove dicemmo, e col nome di Molini di
s. Giulia 0 di s. Giorgio sono ricordati dal XII al sec. XVIII.
Ma il cielo d'Italia nuovamente si annubilava. Morto Pao-
lo I, fatto papa quasi per forza un Costantino laico dal duca
Totone, pontificò per un anno. Cristoforo primicerio e Ser-
Di r.
76«
ì. MuRAT. AnL hai M. ^vi, t. U,
pag. 219.
2. Marcar. Bull, Casin. t. II, p. 11.
— AsTEZATl» Indice Univers. del
Monast. dis. Giulia. - Ivi gli estesi
annali del monastero (Cod- Quir.).
3. MuRAT. Ann. a. 766.
4. Indice ricordato dei docum. Giu-
liani (Cod. Quirìn.). Ivi gli Annuii
del Monastero. — Comm, Manel-
mi, p. LXVllI.
5. Molina* duas posilns in aqua quc
exit de cuniculo qui decurrit in-
tra suprascripta civitale brixiana
foris muros civitatis ante portam
bealissimorum Faustini et J ovile
siculi ad Curlem nostram public
Cam vel ad Curtem Ducalem perii-
nuil una cum areales et platea ibi
posila. Marcar. Bull. Casin. t. Il,
pag. 11^ che lo pone per errore al
768. — Cod. Dipi. Quir. apogr.
pergam. Xlll, XIV, XV, XVl, 1. 1.
nei quali è qualche piccola varietà.
30:^ 1 LONGOBARDI
gio sacellario gli si levarono contro; ed eccitate l' armi del
duca di Spoleto e di re Desiderio, correvano le terre italiane
agitando i popoli longobardi per la causa loro, togliendo a
Costantino l'eterna città, dove il clero, il popolo, i soldati ac*
clamavano pontefice Stefano III, un monaco siciliano. Poi se-
vizie, crudeltà più che barbare contro i vinti, che Stefano
lasciò correre: e fur veduti i vescovi del concilio Laterano
ordinare che fosse battuto il già confesso ed accecato Co-
stantino.
Sul cadere di quell'anno (24 sett.) anche Pipino chiudeva
i giorni suoi lasciando a' suoi due figli Carlo I e Carlomanno
il regno. Era tocca al primo l'Àustrasia, che è quanto dire la
valle Renana, la Turingia, la Sassonia e la Baviera: Borgogna,
Provenza, Linguadoca, Alsazia ed Allemagna pel secondo restò.
''7«9^ Stefano III rinnovava intanto contro re Desiderio il solito
lamento. Che Desiderio già soddisfatto avesse alle dimande
pontificali apparirebbe da una lettera di Paolo ^ Uopo è quindi
sospettare che nel bollore degli ultimi commovimenti dello
stato romano il Longobardo avesse profittato a danno delle
giustizie della Chiesa.
Desiderio il quale, più che dal papa, era pressato alla re-
stituzione da Cristoforo e da Sergio, per intrighi di Paolo
Àssiarta cubiculario fattosi amico il papa, gittò sospetti e
paure nell' animo suo contro i due romani che pareano fatti
arbitri delle romane sorti; poi pretessendo non so che voti
a compiere in s. Pietro, mosse a Roma con un intero eser-
cito ^. Sergio e Cristoforo fatta gente per la Toscana e per
i. Cod. Caroliti, Pauli Pont. ep. XXV, giunge) de Ducatu Spoletmo ...ju-
n. XiX secondo le sciolte dal Bou- stitias fecimus oc recipimus, Std tt
QUET, ove confessu d'aver ricevute le reliquas . . . modis omnibus pUnis^
giustìzie de partibus Benevetitanis siine inter partes facere studeni.
etque Tuscanensibus,,,Nam (sog- 2. Anastas. Bibl. ti» VitaSiepk ilL
I LONGOfiARDt 303
la Campania, sostenuti dai Franchi di Dodone legato di Car^
lomanno, chiudevano la città. Giunto Desiderio coir oste a
s. Pietro in Vaticano, accolse il papa in quel giorno stesso*
Ma non quetando il tumulto che due potenti romani avean
sollevato, Stefano si chiuse coi Longobardi nel Vaticano; poi
spediti due vescovi alla porta della città, fece bandire si riti-
rassero Cristoforo e Sergio in un convento, o si ponessero
nelle sue mani. Preferivano l'uno e l'altro il secondo partito.
Stefano III, aggiunge Anastasio, volendoli salvi, feceli far mo-
naci; ed affidatili a Desiderio, si ritornò nella sua riconqui-
stata città. Ebbe l' Assiarta que' due ribelli per condurneli
salvi ai monasteri, ma trattili in s. Pietro, ne li accecò. Pare
che Desiderio levato il campo tornasse al regrro senza più.
Tutti questi guai, conchiude il parziale Anastasio, proven-
nero dalle trame secreto di Desiderio re dei Longobardi.
Narrò il pontefice a Carlo I i casi della ribellione; accusò \^'
di nefandissimi Sergio e Cristoforo, insidiatori della sua vita;
e giurando non aver cooperato alle crudeltà cui rimasero
vittima, chiamò in quella sua lettera Desiderio dilettissimo ed
eccellentissimo figlio, restitutore a s. Pietro di tutte le sue
giustizie, salvatore de' giorni suoi *. E dove il p. Cointe^ ed il
Pagi ^ argomentano scritta quella lettera per forza^ non pare
che alcuna valida prova mettano in campo, e Certo è * chiu-
deremo col Muratori • che il papa la scrisse dopo terminata
» quella scena, e in tutta sicurezza, ed acciecati già essendo
» Cristoforo 'e Sergio ». Il che accadeva, secondo Anasta-
sio, e non è poco, essendo già tornato il papa nella sua
Roma ^. Che più? Gli ò già noto come Adriano medesima
1. Cod. Carolin. cp. XLVI pp. Fie- A. Murat. i4n». a. 769. -Anastasius,
phani III. Bouquet, t. V, p. 536. in Vita Stephatii III (vale a dire,
2. Ann. Francorum. qualsiasi 1' autore di quella vita ,
3. Adnot in Baran. Ann. Eccl, come nota il Muratori^
Di C.
770
304 1 LONGOBARDI
ascoltasse dalla bocca di Stefano d'aver egli per suggestione
di Desiderio fatto accecare que' dae sgraziati, mentre nella
epistola quarantesimasesta giura di non essersi mescolato
in quelle crudeltà. Io non so poi come qui la intenderanno i
laudatori di Stefano IH.
Era surta fra Carlo e Carlomanno qualche sconcordia.
Berta la madre loro quetò gli animi fraterni; e rallegrandosi
per lettere Stefano III della tornata concordia, profittavano a
supplicarli perchè volessero costringere i Longobardi alla re-
stituzione delle giustizie. Non parla di Desiderio; ma nella
vita di Adriano I è detto che il re, benché giurato avesse
quella restituzione sulle ceneri di s. Pietro, nulla per anco
avesse mantenuto *. Poco appresso il pontefice ringraziava
re Carlo dei beni ricuperati a Benevento: né qui pur anco di
Desiderio é verbo *.
In questo mentre la vedova di Pipino e madre degli ap-
pena conciliati fratelli, restituita la pace nella corte dei reali
di Francia, si proponeva di mettere in concordia que' suoi
figliuoli co' principi stranieri. Riuscitavi con Tassilone duca di
Baviera, fu in Italia e a Roma; fu nella corte di Desiderio, al
cui figlio Adelchi volea dare la sua figliuola Gisela fanciol-
letta ancora d'in sui tredici anni ^, e torre una o due figlie di
Desiderio; una secondo il Zanetti ^ per Carlo, o secondo il
Baronie ^, il Fumagalli ^ ed altri per Carlomanno, se non
1. Cod. Carolin. lett. XLVII. -^Sieph. 4. Memorie dei Longobardi ^ t li,
pp. Caroli et Carolimnnni regibus. lib. VI. — Confutando il Baronio,
2. Cod. Carolin. ep. XLIV Steph, IH che tiene altro avviso, si conforta
BerthcD regina et rege Carolo, pub- di una noia del Duchesne per ve-
blicata dal Bouquet, Rer, Frane, riti, come avviene di sovente, un
et Gali. Script, i V, col. 538. po' male a proposito citata.
3. An. 757. Nativit<u Gislaw. — Aì^ 5. Ann. Eecl. a. 770.
nal. Petav. Bouquet^ in Rer. Fran" 6. Antichità Longobardico-Milanesi —
ciear. et Gali. Script, t. V, p. 13. iJisserlazione I.
, I LONGOBARDI 305
forse tutte e due per V uno e per. Y altro. Benché già principi
ammogliati, a quo' tempi, e massime poi da quella famiglia (e
più da Carlo), non erano i vincoli matrimoniali tenuti per sa-
crosanti e indissolubili. Dubita il Muratori che i due fratelli
avessero consorte, opperò dice apocrifa la lettera di Ste-
fano III, che ne farebbe sicuri. Ma in quanto a Carlomanno,
lo narra l'annalista di Metz: e il Muratori medesimo, che
al 771 degli Annali suoi non sa persuadersi come idue re fos-
sero già ammogliati, mi fa comparire l'anno appresso Gerberga
vedova di Carlomanno con due figliuoli. (I) È fatto incontrar
stabile ad ogni modo che in picciol conto si tenevano i re
di Francia il nodo conjugale. E perciò, ma forse più ancora
per sue ruggini con Desiderio, scriveva.il papa la cele-
bre lettera quadragesimaquinta del Codice Carolino, in coi
prima di biasimare siccome contrarie ai canoni le proposte
nozze, esce con quelle fiere parole che danno imagine viva,
caratteristica dell'odio pontificale contro i Longobardi.
» Quale stoltezza è codesta, o figli eccellentissimi, o grandi
> re, che la vostra nobilissima e regia schiatta si voglia cosi,
» deh non sial lordare colla perfida e fetentìssima gente dei
> Longobardi, che nemmeno frale genti non si numera, e da
» cui certo è provenuta la genia dei leprosi? Ninna mente
» sana potrebbe pur sospettjare si fatto imbrattamento di si
9 nobili re >. Chiude l'acerbo scritto pregando che ninno dei
re Franchi presuma torre in consorte figlia alcuna di Deside-
rio, né concedere la sorella al costui figliuolo; prega si levino
ad obbligare i Longobardi alla restituzione delle proprietà di
s. Pietro e della Repubblica Romana; i Longobardi trasgres-
sori delle loro promesse, dispogliatori delle terre latine, sper-
giuri a'patti già convenuti: e fulminando anatema contro chiun-
que trasgredisse il divieto pontificale, benedice a coloro che ne
l'adempiono. Lettera strana, veemente, passionata cotanto che
Odorici, Stertt Sntc^ Voi U. 30
306
1 LONGOBARDI
il Muratori la si tenne finta da qualche bd cervdlo di queBa
eia ^ Pur quella lettera è vera, e n'ha ben altre pontificali
e di quel secolo che ponno starle a fronte.
Ma se le nozze di Gisa furono tronche, sapendosi di lei
che giovinetta ancora s'era fatta monaca ^ quelle di Deside-
rata od Ermengarda figlia di Desiderio col fatale Carlo Ma-
gno seguirono senza che il re si curasse gran fatto della
scomunica; ed anzi la medesima Berta o Bertrada condusse
in Francia Ermengarda '. Questo parrebbe nondimeno che
r intromessa di Berta valesse alla corte romana la resiita-
zione di parecchie terre ^.
Mentre si fatte cose avvenivano, moriva Sergio V arcive-
scovo di Ravenna, e ne usurpava la cattedra Leone pur di
quella città. Un Michele archivista, volendo quel seggio ad ogni
costo, fu dal pontefice, cui molto e ricco presente, quasi a
corromperlo, proferì: ma ributtavalo Stefano III; onde il re-
jetto a Desiderio si volse, ne invocò l'armi, e riebbe con
esse la contrastata sedia. Fatto pago il superbo suo voto,
con profano ardire denudata ^ la Chiesa, l'episcopio di Ra-
venna de' suoi tesori, di que' sacri arredi facea dono a re
Desiderio ^ da cui riconosceva l' usurpato ufficio. Nulla di
più probabile che fra le sante suppellettili si ritrovasse la
1. Annali - a. 770.
2. A puellaribus annis religiosm con-
veraationi mancipata, — In Vita
Karoli, 18.
3. Berta duxit fUiam Deaiderj regis
Langobardorum in Franciam. —
Ann, Nazar, in Bouquet, Rer, Fr.
4. Et redditm sunt Civitaics plurima
ad partem s. Pttri. — Ann. Vtt,
Francar. - Murat. Amu a. 770.
5. Denudans, atgue in magnam pmf^
ptrtaiem ndigens. Anast. Bibliot.
' in Vita Slepkani IV. DaMqm€
plurima munera Desiderio, et cf-
milia» et oruatus ipiius eeeletim,
6. Et profanum et sacrum, quod De-
siderio munerum amplissimmm do-
naret. Rubeus, Hist. Ravenn, - in
GhJBY. Tkes. AfUiquiiaium Ao*
manarum.
I LONGOBARDI 307
gemmata croce che noi dicemmo di Galla Placidia, e che dai
soppresso monastero di s. Giulia passò fra i cimelj prezio-
sissimi della Quiriniana ^
Desiderio stesso, a calmare chi sa forse le paure della co-
scienza, potentissime allora anco nei re, ne presentava pro-
babilmente la propria figlia Ànsilperga badessa, come notam-
mo, del monastero di s. Salvatore, alla cui basilica fors'anco
assieme coi vasi sacri, al tesoro ed alle gemme, agli aurei
adornamenti ricordati nel diploma Giuliano di poco tempo
dopo (771) veniva offerta. Non è dunque appoggiata su debole
argomento^ come il Sala scrivea, la tradizione ^ di questa croce
qual dono venutoci da Desiderio. E vaglia il vero; dacché mi
assente egli stesso la ravennate origine della croce Quirinia-
na, nulla è più probabile del nostro sospetto. Il monu-
mento è tra i più insigni che vanti la nostra città, e tale a
noi lo rende sull'altre cose il vetro aureografico del se-
colo V che ne Tadorna, recante le immagini di Galla Placidia,
di Onoria e di Valentiniano IH.
Bonnerio vasajo del quinto secolo, greco artefice ma forse
domiciliato in Ravenna, sulla piana superficie di un vetro cir-
colare stendeva una foglietta d' oro, e suvvi con sottilissimo
magistero, conducendole a tratti ed a punteggiature come su
liscia lamina, vi terminava quelle imagini. Le gemme poi,
gì' imperiali paludamenti de' personaggi augusti paziente-
mente in argento lavorò: quindi lasciatovi d'oro il proprio
nome, levato il soperchio delle metalliche foglietto, sovrap-
I. Si vegga da me illustrala nelle An- Ila. Codice Quiriniano B, V, 28 -
tichità Cristiane di Brescia, in ap- dal Nazzari, Storia del monastero
pend.al Museo Bresciano - in fol. di s. Giulia — dalla Baitelli,
parte I, tav. VII. Annali dd Monastero sudd. - dal
% Serbataci dal Bigiielli , Osserva- Capriolo, Storie Bresciane, lib. I,
zioni sulla croce gemmala di s. Giù- ecc. ecc.
308 1 LO.NGOBAHBl
pose all' opera cosi condotta una tinta azznrro-cnpa; e co-
prendo i tratti del finissimo bulino, ne risultarono distinte le
gradazioni del chiaroscuro, la varietà dei contorni, le sfuma-
ture più dilicate delle impercettibili mezze tinte, sicché la
morbidezza, lo sviluppo del ricco panneggiamento a mille
cotanti da quel bruno fondo spiccò. — Ecco il vetro della
croce Quiriniana. — Quanta vita in que' volti I E fu T opera
«
di un vasajo de' tempi di Àtaulfo e d' Alarico.
Ma per non dire che della sola Placidia, i suoi nummi de-
scritti dall' EckelS pubblicali dal Banduri' e dal Dacange^
mentre commentano la nostra effigie, sono ben lungi dell' e-
gualiarla; il perchè indamo l' aspetto caratteristico di Galla
rìcercheresti, dove appiè' non lo cerchi della nostra croce.
La fronte aperta, ma pur pensosa; l'arco del nero sopracciglio
risentito ; il nero occhio sporgente, un po' velato dalla lunga
palpebra, ma di tanto più vivo; le gote di un contomo deli-
cato e dolcemente scemo; le labbra sottili ed espressive,
danno a quel volto una impronta orientale che a prima giunta
vi ammiri. La chioma divisa nel mezzo per'una sottile dirizza-
tura, scende a contomarle quel volto, ma con un abbandono
che fa contrasto colla studiata capellatura della giovane sua
figlia. Un vezzo le cigne il collo; voluminoso eppur semplice
paludamento le si raccoglie in sul petto e si raggruppa, ma con
un nodo senz'arte e come a caso; unico segno dell'alto suo
grado è tra quegli inviluppi come smarrita la imperiale trabea.
La veste puerile del giovinetto farebbe credere compiuto
l'aureografico lavoro quando Valentiniano non aggiugneva per
anco al suo settimo anno, in cui Teodosio lo decorava delle
imperiali insegne: il perchè opinerei col diligente SalaS do-
vei^i il vetro ascrivere al 425.
1. Doctrina Nummorum Veterum. 3. Famiglia di Teodosio.
2. Medaglie di Galla Placidia. 4. Monuiù. Qu.'rJD. iltustr.
^
1 LONGOBARDI 309
Matomaado alla storia, già sul capo innocente della misera
Ermengarda incominciavano a cadere le maledizioni pon-
tificali ^
Ripudiata poco appresso le infauste nozze da Carlo Ma- %f'
gno, lo vide sposarsi la nobile Ildegarda. Qual fosse la ca-
gione del subito divorzio è tuttavolta un mistero. Il monaco
di s. Gallo, scrittore del secolo IX, l'uno dei primi guastame-
stieri che alle poche notizie autentiche sostituirono favole in-
coerenti •, r attribuisce ad infermità della rejetta ^, cui se-
guirono il Basnage ^ ed il Fleury ^. Ma Eginardo scrittore
contemporaneo, notaio di Carlo stesso, dichiara di non cono-
scerne motivi ^. Ed è narrato nella vita di s. Adalardo cugino
di Carlo ed abbate di Corbeja, come sondo in palazzo, e gio-
vinetto ancora dannando il connubio d' Ildegarda e ricusan-
dole ossequio, deplorasse che per costei, cacciata il re la
legittima sua moglie, avesse fatta spergiura la nazione dei
Franchi che alle nozze della figlia di Desiderio avea giurato;
e come lasciata la corte^ si facesse monaco per non essere
presente ed immischiato in queste cose ^. E perchè Adalardo
1. Balbo, Storia - lib. II, p. 291, 292. de genie Suavorum eie. Eginhar-
2. Manzoni , Discorso sopra alcuni Dus, in Vita KaroU Magni, - Rer.
punti della Storia Longobarda -e. 1. Frane, t. V, 18.
3. Quia e9sei clinica et ad propagane 7. Sed culpabal modis omnibus tale
dam prolem inhabilis, judicio sat^ connubium, et getnebat puer beata
etissimorum saeerdotum, relieta v»- indolii, quod ...rex inliciio utere-
lut mortua, — Monac. Sangal. De tur thoro, propria, sine aliquo cri-
Rebus Bell, Caroli M. lib. U, 26, mine» repulsa (alii reprobata) uxo-
in Bouquet, Rer, Frane et Gali, re. Quo nimio telo succensus eie-
t. V, pag. 131. gitplus sceculum relinquere adkuc
4. Rer. Frane, 1. cit. Ivi la nota. puer, quam talibus admisceri ne-
5. Histoire Eccl. lib. 43, 59. gotiis. Pascasius Ratperthus .
6. Cum matris kortatu, fUiam Deside- B. Adalardi \i(a. E notisi che
rii regis Lang, duxisset uxorein, Ratperto fu discepolo di s. Ada-
incertnm qua de causa, post an- lardo. - Murat. i4fi». a. 771. -
num repudiava, et Hildegardem Bouquet, Rer. Frane, t. V, 1. cit
3iO I LONGOBARDI
non avrebbe potuto chiamare legittima neppur Desiderata
quando fosse vero il contenuto dell' epistola di papa Stefano
ove parla delle mogli di Carlo e Garlomanno, v' ha chi so-
spetta falsa quella lettera, e il Muratori è tra questi.
La sventurata figliuola di Desiderio, nel seno de' suoi più
cari si ritornò : e colei che dovea pur essere la candida in-
segna di pace e d' amistà, fu resa al padre
9> Coir ignominia d^un ripudio in fronte^ n.
Biasimò Bertrada quel divorzio, e fu questa cagione della
sola sconcordia che nata fosse mai fra la madre e il figlio ^.
Desiderata per vero dire si chiama quella misera fanciulla da
Pascasio Ratperto contemporaneo; altri la dicono Ermen-
garda, e fra questi Alessandro Manzoni: ma richiesto il gran-
d'uomo da me quali testimonianze convalidassero quel nome,
rispondevami con gentile sua lettera 8 marzo 1847 dolergli
anzi d' aver lasciato correre sulla duplicità del nome di De-
siderata in una seconda edizione dell' Adelchi quel suo, co-
m'egli dice, avventato lamento. Quello di Ermengarda è dichia-
rato dal Sassi nullo veterum 'scriptorum testimonio subnixm ^-
Ma il fatto sta che nessuno prima di Bianchi Giovini sospettò
valere i due nomi nel senso loro la medesima cosa, e deri-
vare Garde- Giardei, lo stesso che desiderio, brama intensa.
Ed ecco la < Ermengarda o la Desiderata dei guerrieri; > (sono
le sue parole) t avvertenza che il chiarissimo Manzoni avrebbe
' dovuto fare ecc.^ >. Sappiamo già come anche Ansilperga
1. Manzoni, Adelchi. Allo 1, Scena l. 4. Bianchi Giovini, Delia condizione
t. Egin. in Vita Kar. 18. dei Romani vinti dai Longobardi. -
3. Note all'opera del Sigonio. Dt re- Articolo inserito nella Rivista Eu-
^no Italico. ropca - giugno 18 io.
I LONGOBAnDI Hll
sorella di Ermeogarda altrimenti si domandasse Ori-
pergà *.
Quando avvenisse la restituzione di Ermengarda al padre
non è noto: certo è che nel mese di luglio veniva questi a
salutare in Brescia la monaca Ànsilperga di lui figliuola,
rinnovando alla stessa per amore dei santi, le cui spoglie si
custodivano nel verginale cenobio, le donazioni di Adelchi e
di Ansa in finihus nostris Austrice, Nemtrice, Spokti et Tuscice,
compreso il monastero di s. Salvatore in Pavia.
Né Ànsilperga lasciava correre occasione a migliorare lo
stato del sodalizio. Avvegnaché nel settembre di quest' anno
Andrea chierico di Adgemundo da Gossenago finibus Sermio-
vensiy ricevuti dall' abbadessa alcuni fondi in Axegiatula sul
Vicentino, le dava in cambio altre terre di Gossenago, e
precisamente nei vici .di Bonomo e di Febresa, lavorate da
Rodoald€ homo libero (!), con altre in Regola pure di Cosse-
nago presso il fiume Mentim, in Mavino, Caonno, Magrina,
MonticeUo, Cuniculo, Golegiano (tutti luoghi Sermionesi), e
case e campi intra Carte Sermionen^i, nella selva in Ligana,
in Summo Loco, nel vico que nomenatur Arq.no e vico
Pranlio: in tutto dugento ottanta jugeri, salvo Y usofrutto di
Altrude madre del chierico. L'atto é firmato da Bertone sca-
fardo donne regine, da Liutfred vesterario, da Belleri fonsuan
di Ansa, e dal marscale Adone: tutte cariche longobarde già
dal Troya dottamente investigate '. Poi l'anno dopo compe-
1. Marc. Bull. Cesiti, t. II, p. 14. 2. lì documento rimasto inedito fino
Cod. Diplom. Qoirin. t. I. perg. al 1845 fu da me pubblicato, ma
n. XIX. Diploma di Desiderio e di non intero, nelle Antichità Cristiane
Adelchi. Ivi Ànsilperga è detta di Brescia, par. 1, p. 18, doc. 1.
Deo sacrata etc qua Oriperga Ora quasi ad un tempo se ne fa-
abbatissa esse noscuntur. - Ma- ranno tre pubblicazioni. Da me nrl
BiLLeN, Ann, Bencdert. ao. 112. Codice Diplomatico aggiunto alle
312 I LONGOBARDI
rava la badessa dal duca Giovanni altri predii sul Modeeese
presso la Mucia, limitrofi a non so che tenute del monastero
di Leno * ; e dal fratello Adelchi otteneva che il monastero
Cremonese di s. Maria loco qui dicitur Vado (Guado, il Vò dei
pescatori bresciani ) presso l' Oglio, già eretto da Emìsoind,
largamente dotato di proprietà in Ludago ed altrove» si di-
chiarasse tu potestas et defensione del suo monastero^ come
in mmdio e potestà del palazzo reale *.
Ornai gli eventi precipitavano. Morto Carlomanno a ven-
t' anni il 3 dicembre del settantuno, lasciò con Gerberga
sua vedova due figlioletti. Quindi Carlo chiamata in Carbo-
naco l'assemblea nazionale, si fa eleggere dai Franchi loro
re. Che il Manzoni trovi consuetudine dei Franchi l'elezione
per voti del più adatto al trono nella famiglia del morto si-
gnore, ed arbitraria la parola di usurpcoore che scaglia il
Muratori contro il nuovo re, sia con Dio; ma che i Franchi
ottimati non fossero a ciò condotti dall'arti di Carlo sembra
emergere dal complesso dei fatti. Pur tenevano ancora per
gli orfani di Carlomanno parecchi della nazione: ma sbigottita
0 minacciata Gerberga, fuggi co' suoi due figli, e con alcuni
primati passò l' Alpi, e diessi nelle mani di Desiderio. Unaldo
già duca d'Aquitania, poi monaco, poi duca un' altra volta,
poi gittate in un carcere da Carlo Magno , ne fuggi per ag-
giugnersi ai nemici del Franco re , i quali facevano conve-
gno nelle terre longobarde. Qualche gran fatto era imminente.
Stsrie Bresciane; M nob. ean 1. Mdrat. Ani. /te/. Jfatf. ^Gri,L I»
Orti, msl Sinnione niastrato; dal col. 151. - Tiraboschi» Cod. Dì-
Trota, Bel Codice Dipi. Longob. plora. Modenese,
parie IV. - Tanto amore s* ò messo 1 Margarinus, Bull. Cann. L II, 15.
aireU Bostra nella iodate dei Cod. Dipi. Qiurin. (. I, sec. Vili,
jponumenti longobardi. pergaro. XX.
I LOiNGOBARDl 313
Perchè spento poco dopo Stefano III, successogli nel ponti- ^^u'
ficaio Adriano I, Desiderio, cui la fuga di Gerberga e dei Fran-
chi nemici, presa da Carlo a sdegno come d' oltraggio S avea
eretto V animo a procellosi disegni, cominciò in prima dal
cattivarsi Adriano: mandò a lui Teodicio duca spoletano,
•
Prandolo vesterario e Tunnone duca d' Ivrea con parole di
pace. < La pace desiderarla con tutta cristianità, t rispondeva
il papa e bramarla più ancora tra' Franchi, Romani e Lon-
» gobardi: ma come credere al loro re dopo quanto ebbe
> udito di lui dal suo predecessore? Aver Desiderio mentito
> a' suoi giuramenti sulle ceneri di s. Pietro per le giustizie
t della Chiesa; per lui cavati gli occhi a Sergio ed a Cristo-
» foro; aver esso risposto ai legati di Stefano — s' accontcn-
» tasse d'aver tolto di mezzo que' due magnati, né di giustizie
t lo si cercasse mai più — . Esser questa la fede longobarda,
t questi i pegni della confederazione per cui erano venuti ».
Protestavano i legati, sacramentavano che Desiderio tenuto
avrebbe il patto delle giustizie, nuH'altro più standogli a cuore
che r amicizia del sommo pontefice ^.
Ma le parole ai fatti non rispondevano. Perchè Desiderio
personalmente imperversando nell' Istria, vivente ancora
Stefano III, costringeva que'vescovi, que' sacerdoti all' obbe-
dienza del patriarca d'Àquileja, togliendoli violentemente alla
Chiesa di Grado ^. Eppure Adriano mandò il celebre Assiar-
ta e Stefano notajo siccome ambasciatori al re dei Longo-
bardi: ma non avevano questi passata Perugia, che Desiderio
già corsi aveva ed occupati coli' armi i luoghi di Comacchio,
di Ferrara e di Faenza; poi continuando , assediava T altre
1. Bex mUem hanc eorum profectio' 2. Anastas. In Vita Hadriani I,
nem, qtMui supervacuam, impa- 3. Danduujs, Chronic. Veiiet t. XI L
titnfertuHt, Egin. Annoi. a.771. Her. It. Script
314
] LONGOBARDI
città dell' Esarcato, invadendo le ravennati campagne, traen*
done con sé gli armenti, le famiglie, le masserizie, quanto il
ferro e la rabbia longobarda non avea distrutto ^ E gli uo-
mini rapiti, angustiati già dalla fame, spedivano al papa ì
loro tribuni chiedendo misericordia; e il papa li rinviava co'
suoi lamenti al re spergiuro, desolatore delle città che due
Stefani e Paolo avean tenute. Rispondea Desiderio voler
bene restituirle , ma prima essere duopo eh' ei parli ad
Adriano.
Era suo proponimento di trarlo a consecrare in re dei
Franchi i due figUuoli di Gerberga; né per altro forse avea
testé rapidamente occupate le romane città.
19 Qtie^ figli
Noi condurremo al Tcbro, e per corteggio
Un esercito avranno: al Pastor sommo
Comaiidcrem che le innocenti teste
Unga, e sovr' e^^se proferisca i preghi
Che diinno ai Franchi un re. Sul Franco suohi
Li portercm, dovrebbe regno il padre,
' Ove ha n faulori a torme, ove sopita,
Ma non estinta in mille petti è V ira
Contro r iniquo usurpalor. »
1. Fainilias eliam, seu pecuha ipso^
rum, velquaqua in ipsis prcMÌdiis
habere videbuntur absiulii. Anast.
BiBL. In Rei\ It. Scr. t. l, Vita
Stephani IV, - Fines ingressus (E^
Torcati), omnia deripit. - Ri'bel'S,
Hist. Ravenn. Nessuno forse ha
badato alla origine storica del pri-
vilegio che Sigualdo patriarca d'A-
quiloja firmava io Pavia (dato Tici-
no) pel claustro bresciano di s. Sal-
vatore chiesto per Ansilpcrga da
Prandulo cubiculario del re, e dal
preposto del monastero (Blanchi-
NUS, Evang. Quadrupìex, M\R-
GARLNUS, Bull. Casin. t. H, p. 15).
Notinsi le parole Qua propter pius
iJesiderius vestrÌ9 [avente ei no-
stra auctoritate del diploma; si noti
r Esarcato invaso dal re longobardo.
I LONGOBARDI 315
In queste calde parole che Desiderio pronuncia nell'A-
delchi di Alessandro Manzoni S è tutta la storia degli ar-
dui divisamenti di quel re dei Longobardi. Ma Desiderio,
soggiunge il Manzoni ^ non era abbastanza amico, né abba-
stanza grande nemico per ottenere un tanto favore; ed ebbe
un aperto rifiuto ^.
Arse di sdegno il re deluso; e in quella subita ira levato
r esercito, si rovesciò per le terre d' Urbino, di Gubbio, di
Montefeltro, di Sinigaglia, mettendo a ferro e a fuoco le mise-
rande città: e corsi i campi di Blera mentre i cittadini stavano
mietendo, fatta strage di que' sorpresi, quanti ebbero la vita in
dono seco trasse con tutta la preda sopravvanzata agli incendj:
quindi, occupata Otricoli, spingeva il sacco infino a Roma.
Spediva il papa, supplichevole schiera, i monaci Sabinensi,
che giunti al cospetto di Desiderio e dei principi longobardi,
prostrati a terra pregavano s'arrestasse l'esercito devastatore,
le città della Chiesa restituisse. Ma Desiderio volea per patto
l'abboccamento. Insisteva il pontefice promettendo innanzi
a Dio che, rese all'altare di s. Pietro le sue giustizie, ver-
rebbe egli stesso a Pavia, sarebbe in qual altra città gli ta-
lentasse. Fu quindi un irsene e redire d'ambascerie siccome
ne' gravi casi, ma senza frutto alcuno: e lo sperpero, le ra-
pine; le correrie dei Longobardi suH' agro latino pur conti-
nuavano, ed alto se ne udiva il lamento per le città rapite.
per le cui armi fu messo in cai- autorità. E notevole in quella Bolla
tedra un [arcivescovo di Ravenna, il divieto di vendita o di dono dei
e più ancora Taver tolto vescovi codici e dei sacri vasi del mo-
air Istria , e] sottomessi alla Cliiesa nastero (Codices, aut vasa sacra),
d'Aquileja; e si vedrà come i pa- 1. Atto I, scena 11.
triarcbi di questa Chiesa, potente- 2. Nozioni sloriche premesse aU* A-
inenlc sostenuti e protetti da De- delchi - a. Tri - 774.
siderio, già dilatassero a largo li- 3. Anastasii Bibliotu i» Vita Ha--
mite pel regno longobardo la loro driani 1, 181.
ni e.
J7J
316 I LONGOBARDI
Altri destini sovrastavano a Italia, e Desiderio stesso con
quelle incondite vendette sollecitavano il compimento.
Come a presagio degl' imminenti guai, levatosi dalle gole
di Valcamonica un tempo nero con vento e nubi che batta-
gliavano, calò sui nostri campi, e rovesciandosi a dirotta scop
piò in un turbine si vasto e ruìnoso, che ne fu quassata e
sconvolta l'impaurita città ^ Fra le tenebre di un cielo tutto
chiuso, lo schianto delle folgori, il grido, il parapiglia dei fug-
gitivi, crollavano con tonfo rumoroso d' imo a fondo le nostre
case; per impeto e sussulto irresistibile divelta la basilica di
s. Matteo precipitò, e le rovine dei circostanti edifici seppel-
livano i malvivi 0 sfracellati alla rinfusa. Cinquecento cada-
veri si rinvennero da poi fra le macerie; Ariperto nipote di
Yalperto duca di Lucca vi lasciò la vita, e paventavano le
genti inorridite il di novissimo dell' ira del Signore *.
Rotta ogni pratica di componimento, ricorreva papa Adriano
a Carlo re; mandavagli per mare ambasciatori pregando ve-
nisse come Pipino il padre suo propugnatore delle giustizie
di s. Pietro, esigesse da Desiderio le mal tenute città '.
Re Desiderio intanto con Adelchi suo figlio, coll'esercito»
cogli orfani e colla vedova di Carlomanno s'avviava a Roma.
Andrea referendario lo precedeva significando al papa la sua
1 . IJujus grandis tribulationia presa- 2. Hoc seculum stare non amplini vi-
^{'ttftt fuit sevissima tempestas ven- dereiur ibi. lo noa so per quali
torum et nubum, que ex partibus sospetti dubiti adesso il BethnMiin
Vallis Caumonie adveniens, die dell* autenticità della cronaca di
decimo leriio exeunte mense Se- Rodolfo (Vibusseux, Arcbiv. Sto-
ptembre tempore mafutino maynam fico Ital. Append. 27, pag. 718 -
partem finium Brissianoruin et e lettera a me diretta da C. Tro-
proximam civitatem . . . dissipava ya). Questo aggiungo soltanto, che
et everta domos in/initas. Basilica può tenersi a fidanza tra le croni-
s, Maihei cecidil cum omnibus casis che lombarde più genuine.
e/c.RoDULF.NoT. ^Mtono/<i«p.lX. 3. Anast. In Hadrian. pp.
1 LONGOBAKbl
317
venuta: e questi saldo ad esìgere in prima le giustizie dell'al-
tare. Poi radunata gente di Toscana, di Campania, della
Pentapoli, muniva i minacciati castelli, i tesori delle basiliche
suburbane dei santi Pietro e Paolo recava dentro le mura, e
la sua Roma chiudea gagliardamente, fulminando cosi rac-
chiuso anatema contro V esercito nemico.
Ristette Desiderio: ed uomo d'audaci proponimenti, ma pu-
sillanime ed incerto nel porli ad atto, di que'cotali che affret-
tano colle titubanze le cadute dei regni, non ebbe il coraggio
di vincere le paure d' una romana minaccia. Intanto giugne-
vano legati di Garlomagno Wulfardo abbate ed Alboino suo
confidente (delizioso ^) perchè si accertassero di veduta se
Desiderio avesse restituito, come asseriva, le città occupate.
Chiariti del no, ritornando in Francia, si fecero incontro a
Desiderio anco una volta, esortandolo a nome di Carlo ren-
desse a Pietro il debito: ma il Longobardo apertamente
negò '. I legati del Franco re si presentarono a Carlo, e
quasi ad una giugnea con essi l'ultimo messo pontificale
implorante un esercito '.
Aveva Carlo compiuto appena il conquisto di Sassonia.
Ripatrìato sul cadere del settantadue, s'accinse di proposito
a quello di Lombardia.
Come suole negli eserciti tenuti a stento dall'anime fiacche
e irresolute, cominciò nelle file dei Longobardi il mal seme
della sconcordia e del tradimento; e alcuni primati s'affaccen-
1 . Albinui delidosus ipiius regis, Ana-
STAS. 184. - Vedi Muratori, Ant.
Ital. M. jEviy éìSfi, IV. - Delizioso,
che è quanto dire famigliare, com*
mensale del re.
% Aiterens u Minime quidquam red-
diturum. Anast. ivi.
3. Gli Annali Tiliani, Loìicliani, la
Cronaca Mosiacense ed altre nel
t. V, Rerum Francorum. In ge-
nerale, continua il Manzoni, gli an-
nalisti di que* secoli che noi chia-
miamo barbari, o che sanno nelle
cose di poca importanza copiarsi
Tun r altro al pari di qualunque
letterato moderno.
318 J LONGOBAnOI
darono a tener pratiche secrete col medesimo Carlo. La
slealtà non era infamia sconosciuta nei duchi longobardi; e
alcuni di questi mandavano copertamente oltr' Alpi solleci-
tando i Franchi alla venuta, promettendo non ch'altro dar
loro nelle mani lo stesso re Desiderio co' suoi tesori ^.
Carlo tenne il campo a Ginevra, e la guerra vi fu delibe-
rata ^ Non ha che l'anonimo Salernitano da cui risulti quella
tacita congiura di alcuni principi longobardi. Ma queste pra-
tiche dei traditori con Carlo si accomodano cosi bene col resto
dei fatti (replica il Manzoni), e ne sono una spiegazione tanto
naturale, che si è inclinati a credere all'anonimo. Ora poi
per una pergamena bresciana^ di quest'anno medesimo
possiam cangiare Y inclinazione a credere in una risoluta cer-
tezza. Per quella carta Siam fatti securi che prima dell'un-
dici novembre le mene del tradimento si maturavano.
È un diploma di Adelchi, che richiamando i privilegi dì
Ansa^ pel costei cenobio, non che i decreti del padre,
conferma le monastiche proprietà di s. Salvatore nei con-
fini Spoletani, dell'Emilia, della Neustria, della Toscana;
sottomette al claustro Giuliano i monasteri tutti quanti per
Ansa eretti nelle città longobarde ^; ed altri ancora del ceno-
1. Sed dum iniqua cupiditaie Longo^ peravit. Anonym. Salern. Ckro»,
bardi inter se consurgevent, qui- e. 9. Rer. ìtal. l. II, par. lU p. 180.
dam ex proceribus Longobardi^ Scrìtt del sec. X.
talem legationem mittunt Ca- 2. Eginard. Annal. a. 773.
rolo Francorum regi, quatenus 3. Fu pubbl. dal Margarino, ^u//. Cos.
veniret cum valido exercitu, et rer- {. U, pag- 16, il quale poi per ab-
gnum Italice sub sua dilione obii- baglio la dice nel 774.
neret, asserenUs , quia istum Z>e- 4. Precellentissima domna Ansa . . .
siderium tyrannum sub poiestate ipsum monasterium a fundamenits
ejustraderentvinctum,eiopesmul-- construxit et singulàs res^., inibì
tas eie Quod ille pradictus per suum confirmavU precepium.
rex Carolus cognoscens, cum ... 5. Per singulàs civitates . . . sub pò-
ingenti multitudine Italiam pro^ testate ipsius monasteri etc.
I LONGOfiARBI
319
bio stesso, fra i quali uno in Pavia, l'altro in Castro Sermòh
nense, a tacere di quelli dell' agro Sabino, di Bologna, di Pi-
stoja, di Sestunno, d'Amitemo, di Rieti, di Benevento, già
donato quest' ultimo di s. Liberatore ad Ansilperga da suo
cognato Àrichi duca beneventano ^. Riconosce da poi nel di-
ploma istesso non so che beni di Vobrandoaldo gastaldo della
città di Reggio, la corte di MiUiarina che fu già di Gunimondo,
ed altro ancora: indi t concede le famiglie, le proprietà di
» Aquino ch'era fuggilo in Francia, e tutte le corti e i territorj
« e le famiglie di Sesenno, di Raidolfo, di Stabile, di Goardo,
» di Ansaelo, di Gotefrid, di Teodosio e d'akri congiurati;
9 beni tutti passati al fisco longobardo pel costoro delitto
» d'infedeltà*».
Ecco i traditori del Salernitano, ecco una pergamena clau-
strale che viene in sussidio della storia. Il partilo di Rachis
non era distrutto, e la vittoria di Garlo saria costata più cara
senza l' infamia dei venduti a Francia. Io sto col Muratori ,
che la corte romana fomentasse di celato le mene di quella
trama, e ne tenesse per avventura le somme fila ^ serven-
dosi di Anselmo abbate Nonantolano, cognato di quel Rachis
monaco e re che mai dal suo convento non iscordò la coro-
na. Ma quei sospetti, desunti dai larghi doni di Garlomagno
air abbate, e dall' esilio che re Desiderio ad Anselmo aveva
inflitto^, si mutano in sicurezza per la cronaca di Rodolfo
ì> Ad i, Liveraiore finibus benevm'
tefit consensum . . . vobi$ ab Ari"
ghiso glorioso duce ìioitro eie, 1. e.
2. Concedimus etenim . . . omnes ree
vel familias Aquino qui in Fran^
eia fuga lapsus est, et omnes eur-
tes vel singula lerritoria atque fa-
milia que fuerunt Sesenno, Rai^
éulU, Stabili, Coardi, Ansaheli,
Gotefrid et Teodosi, vel de alti
consentientes eorum quam ipsi prò
sua perdiderunt in/idelitate , et
potestate palata devenierunt • L e.
3. Annali d* Italia - a. 774.
4. Et ex his septem (annis) passuè
est exilium a Desiderio apud Casi-
num. Ugbell. Italia Sacra, t V,
Episeop, Tarvisin,
320 1 LONGOBARDI
Notajo, che dipinge il monaco fautore in Brescia dei re di
Francia, comecché non riescisse m allora la sua missione *.
Re Carlo intanto con due Franche armate s'avvicinava;
r una pel monte Giove o s. Bernardo, l'altra da lui medesimo
comandata pel Moncenisio. Della prima nuH'altro si sa. Cod*
tro quella di Carlo piantavasi Desiderio ad aspettarlo con
tutto r esercito in vai di Susa, là dove strìngendosi la valle,
sembra chiudersi quasi per lo sporgere di una rupe suHa
quale fu eretto il monastero di s. Michele chiamato ancor
della Chiusa.
Ivi, secondo che ci narra quel frate bizzarro della No*
vallesa, a sbarrare il passo ristaurarono i Longobardi quel-
l'ardue muraglie, i dicchi, le torri, gl'impedimenti che forma-
vano dlorail sito della Chiusa, ed altri ne aggiunsero a mag-
gior sicurezza ^ Quell'opera d'ignota orìgine vienci descritta
dd monaco novalicense, che ne vide i resti dal monte Por-
ziano (le Alpi della Porzia) insino a vico Gabrio ^.
Trovando Carlo insuperabile quel passo, replicava i mes-
saggi e le già fatte proteste di quattordicimila soldi d'oro;
poi contentavasi di tre statichi per la restituzione delle città
latine: ma del cedere in quanto a Desiderio non fu nulla, e
già meditavano i Franchi di ritornarsene sbaldanziti dond' e-
i, Anselmusvero Nonantulantts abbas do de Ponti f. Rom. (scrìu. dei
ingressus est Civìlatem . . . , at im- sec. X). - Bouquet, iJ. Fraiic
mobiles et intrepidos (Potonem et t. V, p:ig. 463 ecc.
Ansoaidum) permanere cognovit, 3. Nam usque tu presentem diem
RoD. NOT. Hist. pag. X. fundamenta apparent: quemadmih-
2- Quiu fabricis et diversis maceriis dum faciunt de monte Porcarimnò
curiose munire nisi sunt, Anast. etc. vsgue ad vicum Cabrit
BiBL. R. IL Scrpt. t. Ili, p. 184. - ubi palaHum UUs diebus /a-
Firmis qui ( Desiderius ) fabricis cium fuerat etc. Chron. Noval.
priBcludeM limina regni , arc^- In Rer, ìt. Script, l. 11, par. 11,
hat Francos aditu. Ex Frodoar- lib. HI, e. 9, co}. 717.
r LONGOBARDI 321
i
rano venuti. Tanto più che il gagliardo ed arrischiato Adelchi
nostro concittadino, uso a brandire una mazza di ferro, appo-
stava dalle Chiuse i Franchi, e scagliandosi fra loro col suo
cavallo , martellavali fieramente alla sprovveduta ^. Ha in
quella che già pensavano al ritomo * s'udì annunciarsi nel
campo di que' novelli stranieri un diacono italiano. Era
Martino spedito da Leone arcivescovo di Ravenna, che giù-
gneva inaspettato ad insegnare ai Franchi la via d' Italia '.
Era quel personaggio che fa si bella e splendida comparsa
neir Adelchi del Manzoni, che il Muratori sospettò inven-
tato dagli storici di Ravenna, della coi realtà si è dubi-
tato cotanto; ma che noi lo vi proveremo un buon cremo-
nese figlio di Paolo e di Sabina, che lasciò memoria del
fatto suo e del difficile et Umgum iter da lui medesimo
intrapreso.
Mandò Carlo sollecitamente per ardui scoscendimenti
un^eletta de' suoi più valorosi, la quale riuscendo a tergo dei
Longobardi, piombò loro addosso; e fu tanto il subuglio e lo
spavento degli assaliti, che volsero in foga precipitosa: la
quale per Anastasio, colla solita temerità degli scrittori da
partito, si dice prodotta dallo spavento che Dio medesimo
aveva messo in cuor dell' esercito e come se un uomo po-
i. A juventuie sua fotiis viribus, Hic p. 184. Clauttrisque repuln = In
bMCulum ferreum equitando iolitui sua prcBcipUem mediianiur regiia
eraifern tempore kosHii, . . . Cimi regrestvm. - Frodoardus, luogo
autem.., . Francos quiescere cer^ citato.
neret, subito super ipsos irruens, 3. Mie (Leo) primus Francis Italia
pereutiebai cum suis a dexiris el iter ostendit per Martinum Dia-
a sinisiris, et maxima ecede eos conum suum, Agnbll. Ravknm.
prostemabat. CHROificcm Noval. Pont. Aer. Ital. Ser. U lì, par. I,
lib. Ili, e. 10. p. 177. * Visae Agnello noi se-
2. Dum velleni Franti dio die ad colo IX, conobbe e descrisse il
propria reverti, Anastas. Bibuot. diacono Martino.
0»omiCf, Siane Brttt. Voi. II. *' ai
Di C.
771
322 I LONGOBARDt
•
> tesse indovinare quando Dio metta qualche cosa in cuore
» altrui ^ 1.
Fatto sta che senza le parole paladinesche del monaco no-
vallese od i miracoli d'Anastasio Bibliotecario, quella sconfitta
e quella fuga mirabilmente si concilia col partito venduto a
Carlo, collo scoperto sentiero, coH'assalto alle spalle dell'e-
sercito longobardo. Desiderio non si arrestò che dentro Pa-
via; vi si racchiuse, vi si fortificò^ circondato dal fiore dei pri-
mati e dei giudici longobardi ^. Ansa era seco ed una sua
figliuola probabilmente Desiderata, e chi sa forse anco il fi-
glio Everardo, mentre Adelchi seguito dagli orfani e dalla
moglie di Carlomanno serravasi nella forte Verona. — Giunto
re Carlo dinanzi a Pavia, fermatosi ad assediarla, e fatti ve-
nire al campo i propri figli ed Ildegarda sua moglie, mosse
con parte dell' esercito a Verona, donde usciti gli orfani e la
moglie di Carlomanno, a lui si diedero: indi fu di ritorno al-
l'assedio di Pavia, che per sei mesi durò. Fu Carlo intanto a
Roma ', confermò le donazioni del padre suo; poi ritomossi
all'ostinata Pavia. Ma sondo tra gli assediati penetrata la peste,
e più della peste la discordia, la cittì si aperse. L'infelice De-
siderio, prigioniero di Carlo, fu mandato oltr'Alpe^ con Ansa
ed una figlia. Cosi ebbe termine il regno dei Longobardi, cosi
fu spenta V indipendenza loro, non la loro memoria.
Se non che l'ultimo dissolvimento, la commovente cata-
strofe di quella regale famiglia merita bene che noi più lar-
gamente vi raccontiamo, perchè la sorte miserrima di un
4. Manzoni, Discorso storico - e. I. nei contemporanei raccolti dal Du-
1 GoDOFRiDUS ViTERB. In Glrofi. CHESNB e dal Bouqukt - Rerum
3. AvkBT,BiBL,InHadrianipp, Vita, Franeieanm et Gallonm Saipi.
- Ghron. Volturn. R I.S. l II, tomo V.
parte II, p. 40 — e tutti gii sto- 4. Anast. Bibl. I. cit.
I LONGOBARDI 323
re già nostro coDcittadino, e il grave, caratteristtco, violento
mutarsi delle cose nostre non ci basti a conoscerlo, ma sen-
tirlo. E di que' fatti estremi, non separabili certamente daUa
Franca vittoria di cui furono la causa e in molta parte lo
scopo, noi pensammo discorrervi ad una colla conquista di
Carlo Magno e co' primordi ben altro che tranquilli del
nuovo regno, sui quali, seguitando la cronaca di Rodolfo No-
tajo, diffusamente v' intratterrò.
Ha taluno, il quale vorrebbe nelle storie municipali conci-
sione di fatti e di parole; e non si accorge, che sondo quelle
storie come il dettaglio delle universali, richieggono circo-
stanziata la narrazione. Epperò il Macchiavelli non d' altro si
lamentava, scorrendo il diffusissimo Poggi, se non d'aver esso
le cose fiorentine qua e colà < brevemente descritte , che ai
> leggenti non poono arrecare utile o piacere alcuno ^ i .
Ed a chi temeva nelle storie parziali tal debolezza di azioni
da tenersi indegne di essere tramandate alla posterità, ri-
spondeva essere anzi quel timore • indegno degli uomini
» grandi; perchè se niuna cosa diletta od insegna nella sto-
> ria, è quella che particolarmente sì descrive ' > .
Indarno ricercherebbesi la cognizione intima dei fatti dove
non si raccontino per filo e per segno; indarno il sentimento
e la certezza della loro veracità senza una prova, un docu-
mento che gli avvalori. E noi quando vorrem conoscere ben
addentro la condizione politica e morale delle repubbliche
italiane, non fra le pagine del gramo transunto che ci ha dato
il Sismondi dell' opera sua, si veramente nell' opera stessa
la cercheremo; dalla quale, e non dai compendi e dagli
estratti, ebbe fama il Sismondi che non morrà. Perchè il
profondo concetto d' una storia qualunque non può venirci
1. Maccbuvblli, Storie Fiorentine. Proemio. 1 Macchuvblli, 1. cit.
324 1 LONGOBARDI
altrimenti che da quello dei singoli particolari; e molte glorie
cittadine, e molta ed importante storia italiana s' avvolge-
rebbe ancora nelle sue caligini senza le indagini pazienti ed
accurate degli scrittori municipali.
Arrogi che nessun popolo al pari di noi senti l'orgoglio e
la vita de' suoi municipj ; che l' età più viiile, più generosa
della storia nostra è appunto quella delle nostre comunità;
che dall' undecimo al cadere del secolo decìmoquinto non
ha complesso di tradizioni, di documenti che abbraccino
r Italia intera; ma documenti e tradizioni circoscritte, spe-
ciali di comuni, di terre, di repubbliche italiane ; e che pre-
scindere daUa storia parziale delle nostre città, gli è un to-
glierci fin la speranza di una storia nazionale.
FINE DEL SECONDO VOLUME.
INDICE DEL VOLUME SECONDO
COMPRESE LE APPENDICI DEL VOLUME I
Brescia* Bomana,
Capo I. La cittadinanza romana — la Colonia Civica Au^sta — la Tribà
e le cariche municipali . . . . Pag. 7
• IL Collegi e religione 26
> III. Avanzi e tradizioni documentate di Brescia Romana 39
» IV. Le acque, te strade, il territorio bresciano ne' tempi dei ro-
mano impero 67
> V. Famiglie ed uomini illustri 86
Breaela CrUitiana.
• LI vescovi 97
• II. Le chiese Ili
1 III. Le colture 115
Odoacre.
(DI Grill» 480- 49S)
» — Condizioni e fatti dei Subalpini fino al cadere del suo repo. 123
I «ott
(DlCrMoISS-SU)
> L Teodorico 133
• II. CaduU dei Goti 147
1 C&reci.
(DI Grisù» 6M-SS7)
• — Stato nostro durante il costoro dominio ... ». 167
I Longoliardi.
(DI essa -774)
• I. La conquista longobarda 173
» IL Condizioni e vicende bresciane durante la longobarda siporia. 189
1 III. La famiglia bresciana di Desiderio, e la caduta àeì repo dei
Longobardi 270
U imta 4dF^e|iM4pff9 4a mDocwiì a pif Si, ftOà M Tmph « rufukn» a pH- 7«^
EBRATA CORKIGE
rag. 33, Bou I MocNAN, Ukonin,
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33,
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43,
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morta, eoo questa epigrafe (3) :
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d'oail'era dal liio(o «tessa partita»
117,
«
3
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287,
«
1
quam
«
nota
2
Quam.
tolge quindi a (In tOeuni cienptarC^
qui
nrarte. Era io ». Andrea ^aesta epigrafe (3)s
dai luogo iteaao d* and' era pàtXa^
qnel
fMOtf
Quod
diippleiueuio aSù cXeu/CO denu^ q]\s>òòociccàa>.
IN BRESCIA
1 SIf nori
Basìlettì Lorenzo.
IMzzani R."« Mons. Can. D. Bar-
tolommeo.
Bclotti Rag. Francesco, successo
a Pavoni DotL Giuseppe.
Di netti Gio. Battista.
Borbone Chir. Luigi.
Corazzina M. R. Curato Vicario
D. Andrea.
Dalola Leopoldo, Ispettore MU'
nicipate all' Annona.
Frigerio Pietro.
Gelmini Giuseppe, successo a
Caprioli fa Conte Giovanni.
Moli nari Giuseppe.
Pallavicini Avt. Pietro.
Poncarali Nob. Guido, Conser-
vatore presso l'I. R. Ufficio
delle Ipoteche.
Rodella Giovanni.
Ugoni Nob. Bar. Camillo.
Vender Gio. Battista.
IN PROVINCIA ED IN ALTRE CITTÀ
I Signori
Avanzini Dott. Gio. Batt. di To-
scolano.
Benati Giovanni, di Torino.
Bolchesi Domen. Libr. di Milano.
Cerioli Nob. Gio. Batt. di Sonci no.
Di Riva Nob. Giulio, di Adro.
Fiorani R."» D. Pietro, Arciprete
di Marmentino.
Franz Giorgio, Librajo di Mo-
naco, per copie 5.
Ghida Do(t. Pietro, di s. Battolom.
Grubissich Nob. Agostino Anto-
nio, di Milano.
Lupi M. R. C. D. Luigi, di Ghedi,
successo a Taglietti Antonio.
Mommsen Pr.Teodoro,di Zurigo.
Tavelli Giu.4. di Verolanuova.
Teffli Dott. Pietro, Amministra-
tore dei LL. PP. Elemosi-
nieri di Milano.
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Braga Bortolo. Leggasi: Braga Roberto Girolamo.
Palazzi 'Nob. Faustino. i Palazzi Faustino.
Dossi Ayy. AnL dì Leno. • Dossi Avv. Ant. di Leno, p^r cop. 2.
Cantoni Antonio. » Cantoni Alessandro.
Armanni-Lagorio Paolina. • Lagorio-Armanni Paolina*
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