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Full text of "Studii linguistici"

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6000896207 




STUDII 

LINGUÌSTICI 



STUBII 



LINGUISTICI 

DI 

B. BIONDELLI 



MEUlino EFFETTIVO DELL' I. R. ISTITUTO LOSIBAItM 

OiNORÀRlO DILLA SOCIETÀ FILOLOGICA, DI LONDRA 

E DI PARECCHIE ALTRE D* EUROPA 



MILANO 



COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI DI GIO. 
MDCCCLVI 



Jó^ò., àu.^. 



PREFAZIONE 



Parecchi anni sono trascorsi, dacché seguendo il nuovo 
impulso dato dai moderni filòlogi agli Studj linguistici 
in Europa, ed eccitato dal vivo desidèrio di promuòverne 
ed estènderne la cultura presso di noi, m'accinsi a svòl- 
gere in una serie di separate Memòrie le principali no- 
zioni sulP origine e sullo sviluppo della nuova scienza , 
sui fini ai quali tende, non che sui cànoni fondamen- 
tali della medésima; ed affine di chiarirne T importanza ' 
ed invogliar quindi la crescente generazione ad avviarsi 
animosa nel nuovo campo, quanto vasto, altrctanto fe- 
condo d'utili ammaestramenti, m'avvisai di venir mano 
mano sviluppando alcune delle moltéplici applicazioni di 
tali studj alla ricerca delle origini delle nazioni, e quindi 
eziandio dei loro vicendévoli rapporti; a quella delle ori- 
gini delle lingue dedotte dal loro organismo e dai natu- 
rali loro clementi ;^e quindi al ragionato ordinamento di 
alcune famiglie di lingue e dei rispettivi loro dialetti. 



TI PREFAZIONE 

Sebbene fra Queste pòvere , ma coscienziose mìe pro- 
duzioni, alcune di maggior lena fossero da me publicate 
in separati volumi, ciò nulladimeno, ho preferito inse- 
rirne un maggior nùmero in alcuni dei nostri più accre- 
ditati Giornali , allo scopo di rènderle con una maggiore 
publicità eziandio più proficue. Se non che F esperienza 
non tardò a dimostrarmi, che se i Giornali sono il mezzo 
più acconcio a propagare rapidamente le mio ve specula- 
zioni scientìfiche e letterarie, e perciò sommamente ùtili 
al sociale progresso , essi non sono del pari atti a con- 
solidarne la durevole tradizione , dappoiché , per la spe- 
ciale natura delle òpere periodiche destinate per lo più 
a svòlgere argomenti del giorno e d^occasione, Tappari- 
zione d^un nuovo fascìcolo caccia in disparte, e più spesso 
copre d^ oblìo gli antecedenti, sicché nella confusa com- 
pàgine degli svariati materiali sparsi qua e là in una serie 
indefinita di volumi, torna poi malagévole e quasi im- 
possìbile, lo sceverare ed ordinare gli elementi omogènei 
d'ogni sìngolo ramo di studj, nei medésimi racchiusi. 

Egli è appunto perciò che^ lusingato dalla benèvola 
accoglienza fatta successivamente ai ripetuti miei Sag- 
gi, intesi a svòlgere princìpj scientìfici, anziché argo- 
menti d'occasione, stimai òpera non del tutto infrut- 
tuosa il raccògliere in un solo volume e coordinare 
ad un medésimo fine alcuni de' miei Scritti linguìstici 
sparsi nel Politècnico, nella Rivista Europea, nelV En* 
ciclopedia popolare, neWJnnuario Geogràfico italia- 
fìQ, non che in alcune separate mie publicazioni , sce- 
gliendo a tal uopo quelli, che per la natura dell'argo- 
mento e pel modo col quale furono esposti', possono 
considerarsi come parti di un solo tutto , valendo gli uni 



PAEFA;eiON8 VII 

a complemento degli altri, sia collo sviluppo di nuove 
dottrine linguìstiche, sia colla pràtica applicazione delle 
medésime alla soluzione di speciali problemi. 

Quindi ad un breve cenno istèrico sull'orìgine^ sullo 
sviluppo e sullo scopo delta Linguìstica, pàrvemi oppor^ 
tuno soggiùngere alcune generali considerazioni sul mo* 
do, col quale essa potrebbe utilmente applicarsi alla 
ricerca delle orìgini itàliche ;*e poiché enumerando ivi i 
varii sistemi' di alcuni moderni eruditi su questo argo* 
nrento, mi feci a dimostrare T insufficienza dei mezzi che 
sono sin^om in nostro potere, e la necessità di premei* 
lere. uno studio profondo e circostanziato sui moltéplici 
dialetti sparsi in tutte le regioni della nostra penìsola, 
come precipua guida nella ricerca delle orìgini di quelli 
che li parlano, così ad aprire la via a questo incommen- 
suràbile campo di studj nuovi e pazienti, ho cercato 
sbozzare in due separate Memòrie un Prospello topo- 
gràfico-statìstico delle nazioni straniere, che in varii 
tempi fissarono stàbile dimora nella nostra penìsola , non 
che un generale Ordinamento delle lingue e dei dialetti 
successivamente nella medésima parlati. 

il primo fu da me tì*acciato allo scopo di mostrare allo 
studioso, che imprende la disàmina d^uno speciale dialetto, 
la necessità di sceverare gli elementi indìgeni e primitivi 
del medésimo dagli stranieri , che perla fusione, o pel com- 
mercio di straniera colonia vi fossero per avventura eom- 
penetrati. Così, p. e., quello che indaga le orìgini del pò- 
polo Vicentino non deve tener conto delle voci germàiliche 
introdotte in quel dialetto dalla colonia dei Sette Comuni, 
se non per eliminarle; così quello che esamina gli sva* 
riati dialetti della Sicilia e delP Italia meridionale, deve 



vili PREFAZIOKE 

sceverare le molte voci aràbiche, greche ed albanesi, non 
che francesi e spagnuole importatevi dalle moderne emi- 
grazioni, o dalle invasioni straniere. Devo peraltro av- 
vertire, che quanto alle cifre numèriche delle sìngole 
colonie da me riportate in questo lavoro, è d'uopo ri- 
ferirle al tempo in cui fu da me per la prima volta pu- 
blicato, vale a dire circa dieci anni addietro, non potendo 
ora senza gravi difficoltà, ne importando punto al fine 
precìpuo pel quale fu dettato, il rettificarle giusta le va- 
riazioni , che nel vòlgere di questo periodo dovettero ne- 
T^essariamente subire. 

Quanto al secóndo, vale a dire: air Ordinamento delle 
lingue e dei dialetti itàlici^ esso fu da me proposto 
come Prospetto generale delle varie parti d^un edificio 
da elaborarsi. E poiché la natura d'una sémplice disser- 
tazione non permetteva un esteso sviluppo d'ogui sìngola 
parte principale, così a compiere quel Saggio, ho teur 
tato svòlgere più tardi in separata publicazione (0 i som- 
mi capi d'una grande sezione, onde meglio chiarire, colla 
pràtica applicazione dei fondamentali princìpj della scien- 
za, la ragione ed il fine del piano generale da me propo- 
sto. I cànoni principali sui quali, a mio avviso, dovrebbe 
èssere elaborata ogni sìngola parte di quel Prospello 
furono da me compendiati nella Prefazione all'opera ac- 
cennata, e più diffusamente svolli in altra Memòria iii- 
^serita nel Politècnico (2), che perciò stimai supèrfluo ri- 
produrre nella presente Raccolta. 

(1) Saggio sui Dialetti Gallo-itàlici, Milano, Bernardoni, 1854. 
{^) Sullo studio comparatico delle Ungile. V. ne\ Politècnico , 
Voi. II, pag. 161. 



PREFAZIOKe IX 

Ld enumerazione impertanto delle antiche e delle mo- 
derne lingue italiche non poteva cronologicainente or- 
dinarsi $enza un cenno istòrico del modo col quale cia- 
scuna si venne successivamente sviluppando e cedendo 
alla sua volta il posto ad altre surte sulle sue rovine; e 
siccome questi rùderi medesimi sono in gran copia dif- 
fusi nelle svariate famiglie dei dialetti viventi, così il 
successivo quadro topogràfico dei medésimi posto a ri- 
scontro colle antiche sedi dei Carni, degli Euganei, dei 
Galli, degli Etrusci, degli Osci, degli Umbri, dei Sabelli, 
dei Lucani, dei Sìculi, e di tante altre primitive tribù 
italiane, varrà a mostrare al filòlogo, ove debba e possa 
rintracciare le relìquie delle antiche lingue rispettive, e 
dedurne sicuri critèrii per la ricerca delle loro orìgini. 

Non devo però lasciare di notare un errore sfuggitomi 
neir ordinamento dei dialetti càmici e vèneti, avendo 
collocato fra i primi il gruppo bellunese^ che appartiene 
essenzialmente ai secondi, e vale a collegare il gruppo 
vèneto occidentale al centrale^ ossia il veronese ed il 
trentino al trevigiano ed al padovano. Per tal modo 
dèvesi considerare la famiglia càrnica siccome racchiusa 
fra il Tagliamento ed il Timavo, e non già fra quest'ul- 
timo e la Piave, come erroneamente asserii nel corso 
della rispettiva Di^ssertazione. 

biella stòrica enumerazione delle antiche lingue suc- 
cessivamente parlate e scritte nella nostra penìsola ho 
resa manifesta la somma importanza della lìngua romana 
rustica f la quale come anello intermedio collega pa- 
recchie antiche lingue alle moderne; ed essendo la sola 
lingua ìndestruttìbile nei suoi radicali elementi^ quali 
sono i suoni e la formn, percliè parlata senza iuterru- 



X I^REFAZIONE 

zione dalle sìngole popolazioni, è ancora la sola atta a 
rivelarci le orìgini dei dialetti viventi e i loro rapporti 
colle* antiche lingue, ben più che la latina, la quale, 
mentre attinse in orìgine ai dialetti preesistenti gran 
parte de^suoi materiali, ricevette poi da retori stranieri 
alquante forme convenzionali. 

Queste proprietà delia lingua romanza, o piuttosto 
delle lingue romanze, giacché, siccome ebbi a dimostrare 
nel corso di questi miei Studj (i), tante furono nei sècoli 
di mezzo le lingue romanze, quanti i dialetti degli scrit- 
tori contemporànei in tutta P Europa latina, m'indussero 
a tracciare un sunto generale degli Studj instituiti sin' ora 
dagli eruditi d'ogni paese ad illustrazione delle medési- 
me, aflSne di mostrarne l'estensione e l'importanza, 
non che di appuntarne la varia direzione e le lacune. 
Tra queste ebbi ad avvertire un troppo scarso nùmero 
di produzioni intese ad illustrare il romanzo itàlico delle 
varie provincie colla scorta dei rispettivi monumenti Iet- 
terai], alcuni dei quali giacciono tutt'ora inavvertili o 
negletti in biblioteche pùbiiche e private; e quindi, cosi 
in Saggio dei medésimi, come a* corredo dei princìpj in 
quella Dissertazione esposti , posi a raffronto alcuni com- 
ponimenti èditi ed inèditi del XII e del Xili sècolo, nelle 
lingue romanze lombarda, vèneta, e sìcula. A questi 
brevi Saggi da me prodotti in via d'Appendice e senza 
quelle note illustrative, che sono atte a rivelarne l'im- 
portanza scientìfica e filològica, ho ancora aggiunto con 
separata prefazione il Poemetto inèdito di Pietro da Be^ 
scapè ^ da me testé publicato per la prima volta in picciolo 

(*) Vèggasi a pag. 125, non che a pag, 16« e scg. 



PREFAZIONE XI 

nùmero d^ esemplari (4), e corredato di quelle note che 
reputai più acconcie^ così ad agevolarne F interpretazione, 
come a tracciare la pratica applicazione delle dottrine 
. filològiche agli antichi monumenti di nostra lingua. 

Appunto ad interrómpere Tausterità di quelle dottrine 
ho inserito nella presente Raccolta alcuni Saggi di let- 
teratura popolare, nei Canti nazionali degli Epiroti e dei 
Serbi, ciò che mi porse occasione a svòlgere le princi- 
pali nozioni sulF istòria, sul caràttere, non che sulla lin- 
gua e sulla letteratura di quei pòpoli. Né. mi parve inop- 
portuno, in un libro inteso ad accennare le svariate 
applicazioni degli studj linguistici, il soggiùngere alcune 
considerazioni sulV origine , sullo sviluppo e suWim-' 
portanza delle lingue Furbesche, da me premesse al- 
cuni anni addietro a varj Saggi lessicali delle medésime. 
Ivi infatti ho cercalo brevemente adombrare, come un^atr 
tenta disàmina delle proprietà costanti di qoei gerghi di 
convenzione, ed un raffronto dei medésimi colle sém- 
plici lingue dei pòpoli più rozzi, possano rivelare allo 
studioso, almeuo in parte, il segreto processo della mente 
umana nella formazione de^ primitivi linguaggi. 

Ciò non pertanto, fra le molle applicazioni degli Studj 
linguistici, quella che propriamente costituisce lo scopo 
primario della scienza si é il raffronto di tutti gli ele- 
menti proprj dei singoli idiomi fra loro, allo scopo di 
coordinarli e di raggrupparli nelle rispettive famiglie; 
della qual finale tendenza^ non che del processo dalla 
scienza seguito onde raggiùngerla , ho pure tracciato un 

(1) Nell'Opera: Pome lombarde inèdite del sècolo XII L Mila- 
no, tip. Bernardoni^ i856. — Edizione di 4»0 esemplari numerati. 



Xlt PREFAZIONE 

Saggio nel generale ordinamento deth lingue germàni- 
che e scandinàviche y fondalo sulF anàlisi fonètica e gra- 
malieale delie medésime, quale venne proposto dal som- 
mo filòlogo dottor Jacopo Grimra. 

Tali sono le ragioni ed i fini che mi determinarono 
ad unire e riprodurre coordinati questi miei sparsi e fug- 
gitivi lavori nel presente Volume; ne perchè, richiaman- 
doli forse dair oblio, ardisco ridonarli alla luce, dèvesi ! 
argomentare, ch^io vi attribuisca speciale importanza; | 
né molto meno, chMo pensi di poter imporre allo stu- 
dioso i princìpj e le opinioni da me nei medésimi svi- 
luppati; opinioni e princìpj ch'io sono pronto a rettifi- 
care e modificare al cospetto di fatti diversi, o di più ' 
validi argomenti; ma dichiaro solennemente, che venni j 
a ciò trascinato solo dalP indòmito desidèrio che nutro 
dà lunghi anni di vedere maggiormente diffusa presso di | 

noi la cultura di questi importantissimi studj, in un 
tempo in cui elette e compatte schiere di benemèriti 
studiosi d' ogni regione procèdono alacremente in tutti i | 

rami di questa scienza, e strappandoci quasi di mano i | 
preziosi monumenti legatici dagli avi nostri, ne fanno | 
da qualche tempo argomento prediletto delle pazienti e 
dotte loro lucubrazioni. 

Giacché egli è pur d'uopo il confessarlo, che alla in- 
stancàbile operosità ovunque spiegata, ed all'appello 
fattoci dagli stranieri con tanti colossali lavori che tutto 
giorno ci piòvono giù dall'alpi, assai fioca rispose sin' ora 
l'eco italiana. Egli è vero bensì, che questa clàssica terrjBi ; 
non fu mai priva d'ingegni privilegiati alti a serbare illibato 
il pallàdio della glòria patria eziandìo nei linguìstici In- | 
di, dappoiché non appena si chiuse sulle onorate céneri 



PREFAZIOfiE XIII 

del Maj^ dei Rosellini, dei Gastiglioni e dei MezzofaDli^ 
ci porse uri Gorresio a rivelarci i tesori letlerarj del- 
r India, come il Peyron illustrava non ha guari quelli 
deirEgilto; e ci è sicura maltevadrice di nuovi e polenti 
ingegni nelh generazione crescente; egli è vero altresì, 
che alcuni benemèriti studiosi vanno qua e là del con- 
tinuo illustrando con più o meno vasti lavori i rispet- 
tivi dialetti, o parziali monuuìenli d'antiche lingue; né 
mancarono ai nostri giorni i generosi, che, sollevandosi 
in più alte' regioni della scienza, s'accinsero ad imprese 
ben degne del nome italiano; ma i ripetuti sforzi del Mar- 
zoilo e deir Ascoli rimasero sinora senza effetto, perchè 
mal sorretti dal cittadino concorso, e il tributo che il Bel 
Paese paga alla scienza è ben lungi dall'essere propor- 
zionato alla naturale dovizia de' suoi mezzi. 

Io ben m'avveggo, che la severità d'un tal linguaggio 
potrà per avventura dispiacere a taluni men curanti del 
reale, che dell'apparente onor patrio, e sento quanto meno 
si convenga a me, che in sommo grado abbisogno della 
pùblica indulgenza; ma sento altresì che verrei meno 
del tutto al propóstomi fine, ove perlai riguardo avessi 
a sopprimere una confessione sincera che reputo efficace 
a conseguirlo; che se, in onta a questa schietta dichia- 
razione, l'ingenua franchezza avesse per avventura ad 
attirarmi addosso la sfèrza della crìtica, e peggio ancora 
quella d'un ingiusto risentimento, sorretto dalla santità 
del fine, e forte nella coscienza del buon volere, non 
lascerò di ripètere coli' Ateniese : Ballimi pure; ma 
ascolla I 

A prevenire impertanto ogni fallace interpretazione, 
od a provare col fatto quanto più mi stia a cuore il ce- 



XlY PREFAZIONE 

Icbrarc solcniiemeiile le glòrie patrie, anziché Io sco- 
prirne le mende, valga una ràpida ispezione degli scritti 
del conte GarP Ottavio Gastìglioni sommo filòlogo ed ar- 
cheòlogo milanese, che mi compiaccio porre in fronte 
a^ miei pòveri Studj , onde ben più col suo nòbile esem- 
pio, che non colle mie esortazioni, infervorare la facol- 
tosa generazione crescente a seguirne le traccie. 




liilijflli&iiiiiiìi 



nllJliiJ 'IllJi 



DELLA VITA 



E 



DEGLI SCRITTI 

DEL CONTE 

CARLO OTTAVIO CASTIGLIONI 



Il sesto anno è ornai trascorso , dacché Milano e con 
hsssL Europa tutta deplorano la pèrdita irreparàbile d^uno 
de^piii benemèriti luminari del sècolo nostro, del conte 
CarF Ottavio Castiglioni. Eletto al nòbile ufficio di an* 
noverare le precipue virtù che gli assegnarono un seg- 
gio distinto nel Pàntheon della patria, non ìo^ protra- 
endo il generale lamento , turberò colle pietose làgrime 
che sinbra ne confortarono le céneri la gioja cittadina , 
che orgogliosa ne consacra quest^oggi F effigie alP ammi- 
razione ed air esempio de^ pòsteri ^*); né intrcccierò le 

(1) Questo Discorso fu letto il giorno 5 settembre 185», nella 
grand' àula deirl. R. Palazzo delle Scienze, Lettere ed Arti, per 
la solenne inaugurazione della statua monumentale, òpera del va- 
lente scultore Antonio Galli, eretta nel gran cortile del Palazzo 
medésimo, onde onorare la memòria dell' illustre defunto , per cura 
d'una Società di ammiratori. 



XVI DELLA VITA E DEGLI SCRITTI 

tetre viole e i pallidi giacinti del sepolcro fra le splèn- 
dide corone di gloria perenne da lui cólte nelP operosa 
sua vita. Dappoiché ben a torto si piange estinto colui , 
che vive nel puro affetto de^ suoi concittadini; il cui nome 
glorioso sta improntato con caràtteri indelèbili nei fasti 
delle lèttere e delle scienze; e che legò morendo alle età 
future i preziosi frutti de^ profondi suoi studj. 

Incalzato dalla brevità del tempo concesso a tanto su- 
bietto, non mi soffermerò punto a ricordare, come il conte 
GarP Ottavio traesse nel 1784 i natali da ricca famiglia 
patrizia milanese, che sin dai sècoli di mezzo numerava 
una schiera d^ illustri antenati, assai benemèriti della pa- 
tria, sia che nel bollore delle fazioni versassero il sangue 
sul campo di battaglia a tutelarne T indipendenza, sia che 
dalFalto dei rostri od al fianco de^ principi reggessero il 
destino dei pòpoli , sia che insigniti della sacra pórpora 
emergessero nei Concilj campioni della santità del Van- 
gelo, sia che dalle cattedre universitarie o dal recesso 
ilei loro studj dettassero gli inconcussi precetti del diritto, 
od insegnassero al Cortigiano i suoi doveri verso il prin- 
cipe, ai prìncipi Farte di governare le nazioni (*\ 

(1) La famiglia (Jastiglioni fu già illustrata dal conte Pompeo 
bitta fra le Celebri d^ Italia, Nel vòlgere di sette sècoli d'esistenza 
venne suddividendosi in più rami, ciascuno de' quali noverò parec- 
chi uòmini distinti in ogni magistratura polìtica^ miliXare e religiosa. 
Per accennarne alcuni fra i principali, si distìnsero nella carriera 
dell'armi: Baldassare, che fu condottiero d'armati presso il duca 
Filippo Maria Visconti , indi commissario generale degli esèrciti 
sforzeschi ; Cristoforo, condottiero presso il marchese di Mantova, uno 
degli eroi che si distinsero alla battaglia del Taro contro Carlo Vili; 
Giannotto, Gran-Maestro dell'Ordine di s. Lazzaro; Sabba,procura- 
tor Generale dell'Ordine Gerosolimitano, che difese Rodi contro i 



DEL CONTE CARL' OTTAVIO CASTIGLIOM XVII 

Oggimai le magnànime imprese degli avi non passano 
più coi feudi in retaggio ai nepoli; ne aquista gloria 



Turchi. Fallo Commendalor di Faenza, vi fondò parecchi pìi Isti- 
tuii , e legò ai pòsleri, morendo, il celebre suo libro intitolalo: 
Ricordi^ nei quali si ragiona delle materie che si ricercano a un 
K^ro gentiluomo. Nella carriera ecclesiàstica emèrsero precipua- 
mente: Goffredo, che nel i241 fu assunto al Pontificato col nome 
di Celestino IV; i due Branda, il primo deiquali^ dopo essere stato 
lettore di cànoni neiruniversttà di Pavia, fu eletto véscovo di Pia- 
cenza ; nel Concilio di Pisa contribuì alla deposizione di Benedet* 
to XIII e di Uregorio* Xli , non che all'elezione di Alessandro V. 
Fatto cardinale , fu legato in Germania, in Boemia, in Polonia e in 
Ungheria; si distinse nel Concilio di Costanza, ove pure contribuì 
alla pace della Chiesa , promovendo Martino V al Pontificato. Fu 
successivamente véscovo di Lisieux, di Porto e di Sabina; emerse 
nei Concilj di Basilea e di Firenze; e legò, morendo, alla patria l'in- 
signe Collegiata di Castiglione, ed un Collegio in Pavia, il secondo 
Branda fu prima véscovo di Como, poi ambasciatore io Francia, 
vicario ducale in Genova, Comandante della flotta pontificia a Cùr- 
zela e governatore di Roma. Giovanni, che dopo èssere slato let- 
tore neir università di Pavia , fu consigliere alla corte di Gianga^ 
leazzo Visconti ; indi véscovo di Vicenza. L'altro Giovanni, che dopo 
èssere stato eletto successivamente véscovo di Coulance e di Pavia, 
fu cardinale legato nella Marca d' Ancona. Giangiàcomo , che fu 
lettore di diritto nell' università di Pavia, indi arcivéscovo di Bari 
ed abate di s. Abondio in Como. Nella carriera politica, scientìfica, 
e letterària è assai ragguardévole la serie dei Castiglioni illustri. 
Citerò solo fra i principali: Corrado che fu Podesli di Cremona, e 
che autorevolissimo in patria sollevò i Torriani alla signoria di 
Milano; Franchino, che fu lettore di diritto nell'università di Pa- 
via, poi consigliere alla corte di Filippo Maria Visconti, ambascia-- 
tore ai Fiorentini, ai Genovesi, ai Veneziani, alla Casa di Savoja ; 
caldo promotore della libertà milanese all' estinzione dei Visconti , 
e per ùltimo consigliere del Duca Francesco Sforza ; Guido, che, 
adottato in figlio dall'arcivéscovo Ottone Visconti, fu Podestà di 
Como, e nel |2SG àrbitro della pace conchiusa in Lomazzo fr^ i 



Xyill DELLA VITA E DEGLI SCRITTI 

colui, che porta seco nascendo un nome illustre; ma 
bensì quei che lo illustra colla nobiltà dette proprie azioni. 
Tale -appunto, o Signori, fu il conte CarF Ottavio Casti- 
glioni. 

Dotato dalla natura di tenace memòria, di acuta e facile 



Torriani e i Visconli; Guarnerio^ già lettore di diritto neiruniver- 
sità di Pavia, che fatto consigliere alla corte di Filippo M. Viscon- 
ti^ sostenne molte importanti ambascerìe ^ sicché fu investito del 
feudo di Garlasco nella Lomellina; alia morte del Duca^ essendosi 
Milano costituita in repùblica^ Guarnerio fu eletto al supremo ma- 
gistrato de' Capitani; e quando la città cadde in potere dello Sfor- 
za^ fu il capo della delegazione spedita a Ylmercate ad offrirne al 
nuovo duca il dominio; Cristoforo^ che per la profonda dottrina in 
giurisprudenza fu snrnominato Monarca delle leggi, e lesse sue* 
cessivamente nelle università di Pavia, di Parma, di Torino e di 
Siena ; finalmente Baldassare già confidente del marchese di Man- 
tova, poi del duca d'Urbino, del quale fu ambasciatore a Londra, 
a Milano , a Roma ed a Madrid ; che militò contro i Veneziani, du- 
rante la lega di Cambra!, e che fra Tanni , fra gli intrighi polìtici 
ed il frastuono delle Corti , dettò fra gli altri queiràureo libro in- 
titolato Il Cortigiano, nel quale si mostrò non meno terso scritto- 
re, che profondo polìtico e filòsofo. Nò fa d'uopo rintracciare nei 
sècoli trascorsi le celebrità della famiglia Castiglioni, la quale serbò 
senza interruzione il proprio lustro sino ai giorni nostri ; dappoi- 
ché il padre di Cari' Ottavio, li conte Alfonso, si rese sommamente 
benemèrito della patria, coltivando con onore le scienze naturali, 
e fungendo con retta mente e magnànimo cuore le alte magistra- 
ture ; sicché creato conte dall' imperatrice Maria Teresa, fu poi sol- 
levato alle somme dignità del regno dall'Augusto Monarca France- 
sco 1. Né si rese meno benemèrito del suo paese il cavalier Luigi, 
fratello di Alfonso, che dopo alcuni viaggi in America introdusse 
pel primo in Europa nuove piante ùtili all'agricoltura; riunì una 
preziosa collezione di monete patrie da lui legata all'Ambrosiana; 
e sostenne con onore la Presidenza dell'Academia di Belle Arti 
in Milano, non che la dignità di Senatore delo'egno d'Italia. 



DEL' CONTE GÀRL' OTTAVIO CÀSTIGLIONI XIX 

penetrazione, di retto critèrio e di quanto costituisce un 
potente e lucido ingegno;» sin dagli anni giovanili si rese 
delizia delF affettuoso , non men che dotto genitore , il 
quale profondamente versato nelle scientifiche discipline^' 
sulle proprie orme lo vide procèdere a passi da gigante 
nei clàssici studj, àvido di aprirsi il varco al campo incorna 
mensuràbite della scienza, ove ben presto dovea conqui- 
stare tante splèndide corone. Nato ed educato perla scienza, 
e strascinato da irresistìbile avidità di sapere, ei tutti ri- 
volse gli anni suoi giovanili allo studio, togliendo le ore 
al sonno ed ai passatempi , giacqhè era per luì sollievo 
r alternare le discipline scientifiche; e mentre erudiva la 
mente alla scuola dei clàssici greci e latini colla scorta 
del Prefetto deìV Ambrosiana D. Gaetano Bugatti , perfe-* 
zionava il già retto critèrio al crogiuolo delle matemàtiche 
dottrine, guidato dal Padre Raccagni;e giovanetto ancora 
s^ addentrò negli artificiosi penetrali del càlcolo per modo, 
che tutta percorse ed afferrò col lùcido ingegno la Mecà* 
nica celeste del celebre La Place. 

Sebbene del pari iàgèvole a lui tornasse V addentrarsi 
in ogni ramo scientifico , sia che tendesse la mente alle 
scienze naturali, nelle quali unitosi al genitore volgeva 
t dalla germànica nelP italiana favella i pregiati lavori di 
Sprengel e Link sulla fisiologia vegetale, sia che sor- 
retto dal presidente Maineri attendesse alle dottrine ed 
alla stòria del diritto, nelle quali emerse per modo, da 
misurarsi coi più valenti jurisconsulti, ciò nulla di meno 
il prepotente suo genio sospingèalo sempre a coltivare dì 
preferenza gli studj stòrici e filològici, quasi presago del 
sommo lustro eh' egli avrebbe ai medésimi recato. 
Avvedutosi impertanto non potersi maturare qualsiasi 



XX BELLA VITA E DEGLI SCBITTI 

studio senza la cognizione delle lingue più eulte, onde 
esaminare in ciascuna i rispettivi trattati , égli attese di 
buon'ora ali^aquisto delle medésime, e yi fece i più rà- 
pidi e proiiigiosi progressi. Senza far cenno della greca e 
della latina, scopo fondamentale de^ primi suoi sludj, ucIIq 
quali era aopratutto profondamente versato, già' sin dalla 
giovinezza aveva egli appresa la tedesca in Vienna , ove 
in sullo scorcio del passato sècolo lo avea condotto F av- 
venturato genitore; per modo che quel feracissimo in- 
g^no non ebbe d'uopo di lunghi studj, quando rivolse 
la mente alla castigliana , alla portoghese , alla francese 
ed alla valacca, tanto affini alla latina^ o quando volle 
impossessarsi deir inglese, della neerlandese , della fri- 
sica, della danese, delP islandese e dei molteplici dialetti 
germànici e scandinàvici affini tra loro ed a parecchie 
famiglie deir Asia e delP Europa. Né le cognizioni di tal 
gènere dal Castiglioni aquisite coi proprj studj e quasi 
senza maestro, èrano superficiali, o dirette ad aquistarsi 
una stèrile fama di poliglotto, ostentando, in pùblico o^ 
in privato, spettàcolo straordinario di prodigiosa memoria; 
ma del pari modesto che sapiente, mentre studiava la fi- 
losofia delle lingue , analizàadone gli elementi ed. inve- 
stigandone r intimo organismo, considerava la cognizione 
delle medésime come preliminari di più ùtili studj, come 
materiali indispensàbili a procèdere nelle importanti dU 
squisizioni stòriche ed etnogràfiche. 

£ perciò non fu egli pago delle molte lingue europee 
antiche e moderne pienamente aquisite; ma rivolse ben 
più severi studj, e consacrò lunghe veglie alla cognizione 
dell'ebràica, onde aprirsi facile il varco alla famiglia dell^ 
semitiche dette volgarmente orientali; e colla fermezza 



DEL CONTE CARL* OTTAVIO CASTIGLIOM XXI 

delP indòmito volere, colla costanza di chi, conscio delle 
proprie forze , affronta ed atterra ogni ostàcolo, giunse 
in breve tanl^oltré, che fatto padrone della lingua ara* 
bica antica e moderna , non che de^ dialetti de^ Bèrberi 
e de^ Beduini , della lingua turca e della persiana , spaziò 
con sicuro piede nel regno di quelle importanti lettera-^ 
ture, e dettò ben presto alP Europa T illustrazione de' più 
astrusi monumenti orientali. 

Con tanto apparato d' erudizione , con sì dovizioso te- 
soro di materiali, non è maraviglia, se il Castiglioni svolse 
con pienezza di dottrina le più ardue controversie scien- 
tìfiche sottoposte al suo tribunale, e se coscienzioso e 
diligente osservatore, ampliò di nuove ed importanti sco- 
perte le scienze da lui con maggiore costanza e con ispe- 
ciale predilezione coltivate. 

Un primo Saggio bastévole a collocarlo fra i più distinti 
filòlogi d^ Europa diede egli sin dall'anno 1817, quando 
gii furono comunicati dalP abate Angelo Maj , dottore 
dell'Ambrosiana, i Còdici rescritti da quel benemèrito 
Colombo delle biblioteche allora appunto scoperti; dap- 
poiché sebbene raschiati in tarlate pergamene, sebbene 
in caràtteri ed in una lingua in parte ancora sconosciuta^ 
e mascherati da estràneo scritto sovraposto,ei non tardò 
a riconóscere i preziosi frammenti della gòtica versione 
ulfilana del Vecchio e Nuovo Testamento, e concepì Tarduo 
disegno di ridonarli alla luce, facendone tesoro per la 
compiuta rislaurazione della lingua dei Goti. 

E noto, come sin dalla metà del IV sècolo, quando i 
Coti già sommessi alle dottrine evangèliche stanziavano 
ancora in Dacia, il loro véscovo Ulfila volgesse nella na- 
tiva lor lingua l' A. e N. Testamento ^ primo e forse ùnico 



ILXn DELLA VITA E DEGLI SCRITTI 

monumento letteràrio di queir importante idioma ^^h Seb«* 
bene T originale di quel vasto lavoro andasse nelle poste- 
riori emigrazioni smarrito, non v^lia dubio che, trattane 
dosi del Còdice fondamentale del culto , se ne moltipli- 
cassero gli esemplari per òpera dei copisti, màssime ove 
si consideri , che i Goti si diffusero in sèguito in varie 
regioni , fondando separati regni in Italia , in GalKa e 
nella penìsola ibèrica. Ciò non pertanto questa loro dis- 
persione fra pòpoli inciviliti di vario stìpite influì pre- 
cipuamente ad alterare e modificare le primitive loro im- 
pronte nazionali , e quando soprafatti da nuovi conqui- 
statori scomparvero alla loro volta, fondendosi colle na- 
zioni poco prima loro soggette, scomparvero altresì coi 
monumenti le ùltime vestigia della lor lingua, come pur 
troppo vennero meno del pari le vestigia sinora invano 
desiderate delle lingue dei Franchi , dei Vàndali , degli 
Alani ^ dei Marcomanni, dei Gepidi, degli Unni e di tanti 
altri pòpoli sovvertitori delle romane provincie. 

(1) La versione ulfilana può dirsi infatti il solo monumento su- 
pèrstite della lingua gòtica ^ mentre non possono risguardarsi come 
monumenti lettcrarii le poche reliquie d'altro gènere sin ora sco- 
perte. Tali sono : un contratto di véndita fatto dal clero di S. Ana- 
stasia in Nàpoli, il quale è scritto in latino, e contiene a' piedi 
quattro testimonianze in lingua gòtica ; monumento che appartiene 
al principio del VI sècolo , e fu publicato da Sjerakowsky e da 
Massmann. Altro simile manoscritto dello stesso tempo^ che esisteva 
in Arezzo, col quale un diàcono goto chiamato Gottlieb vendeva 
ad un altro detto Alamud un podere , era pure scritto in bàrbaro 
latino, e la sola testimonianza di Gottlieb vi si legge in lingua gò- 
tica. Questi due monumenti furono publicati ed illustrati da Zahn 
neir òpera : Fersìàch einer Erlàuterung der gothischen Sprachiiber- 
reste in Neapelund^ vezzo j aU eine Einladungsschrift undJ^eilage 
ènm Ulphìhs vm 7. C. Zahn. — Braunschrveig ^ 180*. 



DEL CONTE C\RL' OTTAVIO CA3TIGLI0NI XXIH 

Per buona ventura non tutti i monumenti dei gòtico 
idioma furono dalle successive devastazioni distrutti, dap- 
poiché alcuni frammenti della versione ulfiiana dei quattro 
Evangelj si rinvennero in un Còdice del V secolo da gran 
tempo serbato nel monastero di Werden in Westfaiia, 
d' onde dopo varie vicende passò a decorare la reale bi- 
blioteca d^Upsala. Questo Còdice prezioso, detto argènieOy 
perchè le lèttere vi erano improntate con foglietle d' ar- 
gento, qual ùnico monumento supèrstite d^una lingua 
da oltre dieci sècoli obliata, fu publicato sin dal 1665 
dalle congiunte cure di J}inius e di Marshall, colla versione 
anglo-sassone-, e ristampato pochi anni dopo da Stiern- 
hielm a Stocolma, colle versioni islandese, svezzese, te- 
desca e latina , onde stabilire , mercè il raffronto delle 
lingue, r antico nesso dei Goti colie nazioni germaniche 
e scandinàviche (0. 

Altro frammento della versione ulfiiana dell'Epìstola 
di s. Paolo ai Romani fu scoperto intorno alla meta del 
sècolo passato da Knittel a Wolfenbùttel , in un palinsesto 



(1) Lingua Sueo-Gothica, etc, locupletata et illustrata. Bolmice^ 
4671. Una terza edizione del còdice argènteo fu pure apprestata 
dal D. Benzel, e publicata da Lje ad Oxford nel 17»a colla ver- 
sione latina e con parecchie osservazioni gramaticali. Questo còdice 
dal monastero di Werden fu primamente trasportato a Praga nel 
sècolo XVII, allo scopo di sottrarlo alla devastazione della guerra; 
ma essendo questa città caduta in potere del conte Kònigsmark^ il 
còdice passò in proprietà degli Svezzesi, e fu quindi deposto nella 
biblioteca di Stocolma. Quando Vossio visitò la Svezia, riuscì a fame 
Taquisto e lo portò seco in Olanda. Qui fu nuovamente venduto 
nel 1665 a PuÉfendorfio incaricato dal conte De la Cardie, il quale, 
dopo averlo fatto sontuosamente legare in argento, lo porse in dono 
alla biblioteca di Upsala. 



» 



XXIV DELLA VITA E DEGLI SCRITTI 

deir ottavo sècolo, detto poi Còdice Carolino, percliè pu^ 
biicato nel 1761 a spese dì Carlo duca dì Brunswick. 
Sul testo gòtico del .Còdice argènteo primo s^ accinse il 
valente filòlogo Hickes a determinare in un lavoro gra- 
matìcalc il naturale organismo di quella lingua ^*\ e poco 
dopo Edoardo Lye tentò compilarne il glossario (^); ma 
Tono e l'altro, mal discernendo le svariate forme ed in- 
flessioni delle gòtiche radici, le scambiarono sovente colie 
anglo-sàssoni , alle quali si sforzarono ravvicinarle , co- 
m'ebbe a dimostrare più tardi Erasmo Rask nella erudita 
prefazione alla sua gramàtica anglo-sàssone (^). Più tardi 
una serie dì ingegnose osservazioni gramaticali trassero 
da quei due Còdici con più retto critèrio llirc e Fulda a 
Weisseniels (^), sebbene, come venne in sèguito chiarito 



(1) Questa Gramàtica^ già publicata dairaiUore sin dall'anno 1689^ 
col titolo : Institutiones grammaticoe Anglo-SaxonicoB et Moeso- 
Gothicce^ formò poi la prima parte della grand-opera intitolata: Lin- 
gùarum {^eterum septentrionalium Thesaurus ^ auctore Georgia Hi- 
ckesio. Oxoniij 1708. 

(2) Dictionarium Saxonico-Gothico-Latinum^ auctore Eduardo 
Life. Accedunt fragmenta versionis ulphilanwj oc. Londini^ 1781. 

(5) Angelsaksisk Sproglcerej tilligemed en kart LoBsebog. Sto- 
ckholm^ 1817. 

• (4) Ihre J. Scripta vm^sioneni ulphilanam et linguam Moeso- 
Gothicani illustrantia. Edidit J, F, Biisching, Beroimi, 1775. — 
Fulda F, K, Mòsogothische Sprachlehre und Glossar j letzteres 
Umgearbeiiet pon V. F. H, Beinwaldj in Ulphilas Bibeliiberse- 
tzungy herausgegeUn von J. Ch, Zahn* Weissenfels^ 1808. — 
Oltre alle òpere sin qui mentovate, parecchi scritti di singolare 
importanza vennero più tardi in luce ad illustrazione cosi delle 
reliquie della versione ulfilana , come della gòtica lingua , i quali 
peraltro, lungi dall'avere servito di guida al Castiglioni, come ir- 
reiragabilmente attestano le date delle rispettive pnblicazionì , 



DEL CONT£ CARL'OTTAVIO CASTICLIOM XX? 

dal dottor Jacopo Grimm ^^\ non fossero seevte di ine- 
sattezze è di errori; per modo che il gran problema sulle 
forme primitive della lingua dei Goti rimase in parte ir* 
resoluto, né la esiguità dei materiali supèrstiti lasciava 
sperare un più felice futuro risuUamenlo. 

Mentre i più distinti filòlogi inglesi , tedeschi e scandi- 
nàvici se ne disputavano invano la soluzione, da questo 
remoto angolo dMtalia comparve d^ improvviso neir agone 
Carl^ Ottavio Gastiglioni , colle doviziose relìquie dei pa- 
linsesti ambrosiani, e sedendo àrbitro fra loro, coir au- 
torità dei fatti avvalorata da una serie di osservazioni e 
raziocinj, dissipò le dubiezze, rettificò gli errori ed ar- 
ricchì di nuovi elementi la gramàtica ed il lèssico sin al- 
lora appena incoati. 

Già sin dalPanno 1819, associando la propria dot- 
trina alle cure del benemèrito scopritore, publicò un primo 
Saggio della versione ulfilana, preceduto da un^ erudita 
prefazione ; e produccndo fra gli altri alcuni frammenti 
dei libri d'Esdra e di Neemia, provò col fatto, come Ul- 
fila traducesse non solo il N. Testamento, come s'era cre- 
duto sin allora, ma altresì T Antico (^). In sèguito attese 

furono in quella vece maturati sugli scritti del Gastiglioni medési- 
mo. I principali sono : Skeireins ^ivaggeljons tfmirh Johannen- 
^uslegung des Efpangelii Johannis in goth. Sprache, ecc. Erlàu- 
tert und hcrausgegeben von H, F. Massmann. Miinchen^ 1834.— 
Ulfilas. Feteris et Novi Testamenti versionis gothicce fragmenta^etc. 
Cum glossario et grammatica Gothica edidenmt II, C. de Gabe- 
lentz et Loebe. Jfltenb. et Lipsice, 1836-45. Voi. 2. 

(i) Vedi: Deutsche Grammatik. Gòttingen^ 1819-40. 

(2) UlpIiilcB partium ineditarum in Jtinbrosianis palimpsestis ab 
u4ngelo Majo repertarum specimen ^ conjunctis curis eju^em Maji 
et Caroli Octavii Castillioncei editum. Mediolàni^ 1819. 



XXVI BELLA VITA E DEGÙ SCRITTI 

con pertinace costanza a decifrare gli incerti caràtteri 
sulle sdruscite perganiene, sinché tutte ebbe recate salve 
in porto le tavole dì quel naufragio. Mei 1829 diede alla 
luce per intero la seconda epìstola di s. Paolo ai Corintj, 
corredandola d^ una versione latina , di profonde osserva-» 
2Ìonì filològiche e di un nuovo glossàrio (^). Nel 1854, 
onde soddisfare alF impazienza dei filòlogi settentrionali, 
publicò senza versione, ma con ampio corredo di note, 
i frammenti supèrstiti delle episteme di s. Paolo ai Romani, 
ai Gorintj ed a quelli di Efeso (^^^ nelPanno successivo 
le reliquie di quelle che lo stesso Apòstolo dirigeva agli 
abitanti di Galazia , di Filippi , di Colosse e di Tèssalo-» 
nica (9); e compieva la diffìcile impresa nel 1839, met- 
tendo in luce i frammenti della seconda epìstola a que* 
dì Tessalònica, non che delle epìstole a Timòteo, a Tito 
ed a Filemone (^). 



(i) Ulphilm gothica Persio dm Pauli od Corinlhio$ secundas, 
qvam ex AnibrosiantB Biòliothecce palimpsestis depromptam^ cum 
interpretationej adnotatianibus ^ glossario ^ edidit Carolm Octavius 
Castillioncens. Mediolani j 1829. 

(2) GothiccB persionis epistolarum dm Pauli ad Bomanos^ ad 
Corinthios prim(e^ ad Ephesios qum supersunt, ex jimbrosiance 
Bibliot/iecce palimpsestis deprompta^ cum adnotationibus edidit 
C. O. Castillionasus, Mediolani^ 4834, 

(5) Gothica ipersionis epistolarum divi Pauli ad Galatas^ ad Pài- 
lippenses^ ad Colossensesj ad Thessalonicenses primce quiB super- 
sunt, ex jimbrosiatuB BiblioUìeccd palimpsestis 4^prompta, cum 
adnotationibus edidit C. O. Castillionceus, Mediolani, 1855. 

(4) Gothicw versionis epistolarum divi Pauli ad Thessalonicenses 
secunda, ad Timotheum, ad Titum, ad Philemenem quw supersunt, 
ex AmbrosioMB Bibliothecm palimpsestis deprompta, cum adnotatio- 
nibus edidit C. O. CastiUionwus. Mediolani, 1859, 



DEL CONT£ CARI/ OTTAVIO CASTIGL10M XXVII 

Per tal modo , e per la copia dei preziosi materiali con 
coscienziosa diligenza ed instancàbile zelo da lui serbati 
alla scienza , e per la profonda dottrina colla quale li 
venne illustrando, ei fu a buon diritto salutato da tutta 
Europa fra i più benemèriti ristauratori deir antica lingua 
dei Goti, il primo che rivelasse in essa Panello di con- 
giunzione tra le antiche lingue germaniche e le scandi** 
nàviche. 

Sebbene la solerte operosità richiesta dalla natura di 
simili lavori , e la vasta dottrina indispensàbile onde in* 
traprènderli e condurli a compimento, possano per awen* 
tura bastare a riempiere ed illustrare V intera vita d' un 
uomo , ciò nulla di meno la publicazione della versione 
nlfilana non fu se non una parte dei lavori e degli studj 
svariati del nostro benemèrito concittadino , un Saggio 
degli importanti servigj da lui più tardi tributati alle 
scienze. 

In fatti, nel tempo stesso in cui ristaura va* colla ver- 
sione ulfilana la lingua dei Goti, dettava ancora pel primo 
air Europa il Còdice fondamentale della numismàtica arà- 
bica; e neiranno medésimo in cui produsse il primo Saggio 
della gòtica versione, mise in luce quel miràbile capo-la- 
voro, che sotto il sémplice tìtolo : Monete Cùfiche delVL R. 
Museo di Milano y racchiudeva per la prima volta in bel- 
r órdine disposta tutta la teòrica relativa all'illustrazione, 
ben più che delle trecento monete cùfiche del Museo mi- 
lanese , di tutte le moltéplici serie dei monumenti degli 
Arabi. Invitato dal mio benemèrito antecessore Gaetano 
Cattaneo a voler ordinare neir I. R. Museo le monete 
aràbiche da lui in alcuni viaggi aquistate, il Castiglioni, 
con quella magnànima benevolenza , colla quale finciiéi 



XXTill DELLA VITA E MGLI SCRITTI 

visse era tutto di tolti, accondiscese di buon gr^do all' in- 
vito, porgendo una compiuta illustrazione dei jnonunìenti 
che gli si posero inanzi , interpolata da erudite e pro- 
fonde osservazioni , nelle quali la vastità della dottrina 
gareggiava colla potenza deir ingegno. Ma quasi ciò non 
bastasse ali? insaziàbile sua mente, volendo pur rèndere 
ragione del mètodo da lui tracciato nella classificazione 
di tanle serie metàlliche, fe<^e precèdere quell'arduo la-^ 
voro da una prefazione, nella quale, col modesto titolo 
dì Ossers^azioni preliminari, dettò appunto i cànoni fon- 
damentali della scienza, che saranno sempre sicura guida 
agli orientalisti futuri.- 

Fedele intèrprete e depositaria della meravigliosa istòria 
di quel pòpolo errante^ che dagli àridi d^crti dell' Arabia^ 
sospinto da religioso fanatismo, estese il vessillo di Mao- 
metto dal Gange alP Atlàntico, dalle sorgenti del Mio e 
dai deserti deirAffrica sin nel cuor dell' Europa , la Nu- 
mismàtica cùfica abraccia un periodò stòrico di quasi nove 
sècoli, e quindi suddìvidesi in tanti rami quanti furono 
i regni da quel pòpolo fondati, non solo, ma quante an- 
cora furono le sette religiose nelle quali si suddivise, e 
quante le dinastie che in quel lungo perìodo si succèssero 
nel Califfato o nel reggimento di tante separate regioni. 
Ed appunto a tracciare questo quadro generale della 
scienza coordinato sulF autorità dei monumenti, cominciò 
col tèssere un' istòria dell' Islamismo nei primi otto sé* 
coli delV Egira considerato relativamente alla moneta. 
Seguendo quindi il mètodo dell' Eckhel nella sua Doctrina 
niimprum veterum, procedette alla disàmina delle epigrafi 
relative alla religione!^ nella quale, svolgendo i dissidii 
dplle varie sette islamitiche, porse i caràtteri distintivi dei 



DEL COISTE CAHL' OTTAVIO CASTIGLIOM XXIX 

rispettivi loro monumeoti; dalle epìgrafi passò alla ispe-? 
zione delle imàgioi, ciò che gli porse argomento a nuove 
ed importanti osservazioni, mostrando nei monumenti degli 
Arabi T orìgine delle imprese aràldiche d'Europa. 11 suo 
breve escurso sui nomi e sul valore delle monete dei yarj 
Califfi è un profondo trattato di economìa polìtica fondato 
sul sistema monetàrio dei medésimi, e comparato a quello 
degli altri prìncipi d' Asia e d' Europa ; e le belle osser* 
vazionì sui caràtteri improntati sulle monete dei varj Ca* 
lì(H e dei varj tempii col^e quali chiudeva i preziosi preli- 
minari, pòrgono una compiuta istòria delF àraba paleo* 
grafìa. 

Non v^ha argomento, che il Castiglioni non isvolgesse 
colla vasta erudizione del dotto, colla profondità' del filò- 
sofo, colla esuberanza e dignitosa modestia del vero sa- 
piente; e dovunque rivolse il penetrante suo sguardo 
lasciò improntate luminose tracciedcl portentoso ingegno. 

Tra le serie de^ monumenti aràbici neiraccennato capo- 
lavoro illustrati tròvansi ancora i vetri, o paste di forma 
simile a quella delle monete, le quali, perchè improntate 
di epìgrafi cùfiche , del pari che te più antiche monete 
degli Arabi, furono dagli eruditi collocale in questa classe; 
Wormio pel primo sin dal sècolo XVII avea fatto cenno 
di monete di vetro rinvenute in Sicilia (*); in sèguito 
parecchie furono publicate per cura di Adler e di Asse- 
mani, che le risguardàvano pure quali monete; e se più 
tardi alcune epìgrafi ambigue destarono qualche dubio al 
De Sacy, ad Olao Tychsen, ed a talun altro, ciò fu per 

(1) ^pud Eilianum Siorceum, Opmcula. T. II, pag. 210. 



XXX MLLÀ YITA E DEGLI SCRITn 

considerarle come tèssere , anziché come monete. Il Ca- 
stiglioni, fondato sugli ineluttabili argomenti, che il vetro 
fu antica matèria di estesissimo commercio, che in regioni 
poste a vicino contatto cogli Arabi ed in varie contrade 
deir Affrica, ancora o^idi tengon luc^o di moneta i glo- 
betti di vetro, detti appunto coti torte, forse dal verbo con-- 
tare W * che il nùmero considerévole dei vetri cùfici a« 
vrebbe potuto spiegare la pretesa deficienza della moneta 
di rame al tempo e nella contrada cui spettano, segui da 
princìpio r opinione più ovvia .e più accreditata , che li 
annoverava fra le monete. 

Non tardò però molto ad avvedersi del generale errore, 
dappoiché il successivo esame di parecchi monumenti con- 
gèneri Io condusse ben presto alla nuova ed importante 
scoperta,' non èssere i vetri cùfici né monete, né tèssere, 
ma bensì pesi destinati a verificare il peso delle monete; 
la quale scoperta egli annunziò sollécito alF Europa sin 
dairanno 1821(^), onde rettificare Fanteriore suo scritto, 
e la riprodusse nel successivo anno in un secondo opù- 
scolo, inteso come il primo a reprìmere la sfacciala im- 
pudenza di chi, plagiando le sue nuove dottrine, avea ten- 
tato usurparle ^^K Se non che, non pago quell'uomo in- 

(1) Tale è T opinione emessa da parecchi scrittori vèneti e stra- 
nieri, tra i quali citeremo: Bussolin^ nella Guida alle fàbbriche 
vetràrie di Murano; Pillasi^ nelle Ricerche stòriccHTÌtiche mila 
Laguna vèneta; Minutoli^ Ueber die Anf&rtigung und die Nutzan* 
ivendung der farbigen Glàser; nop che i Fiaggi il Valentia e di 
Brnce. 

(2) Osservazioni sulV òpera intitolata: Descrizione di alcune mo- 
nete cùfiche del Museo Mainoni. Milano^ iSSi^, pag. Itf. 

(3) Nuove osservazioni sopra un plagio letteràrio ed Appendice 
mi vetri con epìgrafi cùfiche, Milano^ tsas. — Il plagio del quale 



PEL COIST£ CARL' OTTAVIO GASTIGLIOSl XXXI 

stancabile del troppo àrido annunzio , SQorgendo , come 
i dotti orientalisti d^ Europa , tra i quali lo Stickel , Arri, 
Mortillaro e Pietraszewski , persistevano nel primo errore, 
veniano modificandolo , chiamando quei vetri monete 
OBsidionali y od assegnati ^^\ s^ apprestò a svòlgere su 
più ampia tela la propria scoperta in appòsito lavoro , 
che sebbene di pìcciola mole, non è meno un monumento 
irrefragàbile del colossale suo ingegno e della sua ster- 
minata erudizione (*). 

Anche qui, onde apprestare sòlide fondamenta al pro- 
prio assunto, imprese a risòlvere alcuni àrdui problemi 
delle scienze archeològiche ed econòmiche y e spaziando 

è fatto cenno in queste osservazioni e nelle summentovate , era 
stato commesso dal dottor Giuseppe Schiepati^ il quale, nella citata 
Descrizione delle monete cùfiche del Museo Mainoni^ si valse, e 
spacciò per proprie le nuove dottrine dal Castiglioni sviluppate nel 
suo capolavoro Monete cùfiche dell' L B. Museo di Milano^ il 
quale ^ sebbene stampato sin dal Ì8i9, non fu publicato se non 
nel 1821. 

(i) Lo Stickel, nello Handbuch zur morgenldndischen Muntz- 
kunde {Leipzig^ ìShH)^ designa infatti i vetri cùfici come Glassas- 
signaten oder Hùlfsmùnlzen. Arri sostenne la stessa opinione con 
nuovi argomenti nel tomo XXXIX degli Atti di Torino; il barone 
Mortillaro si adoperò onde convalidarla coir autorità dello stesso 
àrabo Makrisi, male interpretandone il testo, come avverte il Ca- 
stiglioni nella nota a pag. i del suo lavoro su questo argomento ; 
e per ùltimo, Pietraszewski, nella sua òpera: Numi Mohamedani 
(Berlino, 1843), distingue i vetri cùfici in due classi, Tuna di 
monete j l'altra di assegnati. 

1^1) Dell'uso cui èrano destinati i vetri con epìgrafi cùfiche j e 
della orìgine, est^sione e dur/ita di esso. Memòriadi Carlo Ottavio 
Castiglioni, Milano^ iB47. Questa Memòria fu dair Autore letta 
presso ri. R. Istituto Lombardo di Scienze, ec, e quindi inserita 
nel Giornale dell' Istiti^to medésimo, Tomo I della Nuova Serie. 



XXXIl DELLA VI3A T DEGLI SCRITTI 

con sicuro volo tra i sècoli remoli, e seguendo la stòria 
deir umano incivilimenlo presso gli antichi pòpoli , sor- 
retto sempre dall'autorità dei monumenti da lui medésimo 
per la prima volta illustrati, non solo dimostrò air evi- 
denza la propria scoperta , ma recò alla scienza nuovo te- 
soro d' importanti rivelazioni. 

Dopo una breve introduzione, nella quale viene con 
rara dottrina enumerando le varie sostanze che nel vòl- 
gere dei sècoli valsero di moneta pel cambio universale 
presso ì varj pòpoli , e dove di passaggio rivendicò ai no- 
stri padri r onore del sottile trovato della Caria mone- 
tafa^^\ procede a dimostrare colF autorità delle epìgrafi 

(i) Trattandosi di argomento^ che specialmente spetta alla stòria 
del nostro incivilimento^ gioverà qui riferire la Nota, nella quale 
ii Gastiglioni compendiava sagacemente le ragioni precìpue della 
propria induzione. <f Le scoperte dei moderni, egli dice^ ci hanno 
fatto conoscere, che molte delle invenzioni state attribuite agli 
Europei derivano invece dalla Cina, d'onde penetrarono inosser- 
vate in Europa^ sia per mezzo delle relazioni di commercio aper- 
tesi nei sècoli di mezzo fra queir antico impero e gli Arabi, indi 
colle repùbliclie d'Italia, sia più tardi ancora per quella comuni- 
cazione che l'immensa, sebbene effimera, estensione dell'impero 
dei Mogoli apri fra l'Occidente e T ùltimo Oriente. Quando consi- 
deriamo, che la carta monetata fu inventata alla Gina sino dal sè- 
colo IX, che vi ebbe corso per più sècoli, che di là, durante ap- 
punto la dominazione mogòlica, fu introdotta, sebbene per poco 
tempo e con èsito infelice, nella Persia, saremmo .tentati di cré- 
dere con Langlès, che questa invenzione di tanta utilità, ma in- 
sieme di tanto fàcile abuso, ne sia slata, come tante altre, di là in- 
trodotta presso di noi. Consideriamo però d' altra parte , che la 
Repùblica di Milano diede corso forzato alle sue carte di débito 
sino dall'anno 1240. Osserviamo inoltre, che il banco pùblico già 
introdotto in Venezia sin dal sècolo XII, mercè di un prèstito for- 
zato, e chiamato in allora Càmera degli imprèstiti, vi aveva prò- 



DEL CONTE CARL' OTTAVIO GASTIGLIOM XXXllf 

improntate sui vetri e col raffronto del loro poso con 
quello delle monete corrispondenti, desunto così dai mo- 
numenti, come dai sistemi monetar], che dessi èrano dei- 
stinati a constatare il -giusto peso delle monete medésime. 
Dopo una serie d'altre prove di fatto passa a dimostrare^ 
come quest^ uso fosse già in pieno vigore sin dai primi 
sècoli della monetazione islamitica, e continuasse di poi 
presso la dinastìa degli Ajubiti , e sotto ai Mamelucchi , 
sia oltre al sècolo XIV; e come, sebbene proprio dell'E- 
gitto , che somministrò il maggior nùmero di vetri cono- 
sciuti, pure si estendesse ancora in Barbarla, nelPlrak e 
persino in Sicilia. Accenna quindi, come gli Arabi affatto 
rozzi al tempo delle loro conquiste, dovessero derivare 
quest'uso dal culto Egitto, presso il quale l'arte di lavorare 
il vetro da èpoche remotissime avea raggiunto somma per- 
fezione ^^\ e del quale, in onta all'opposta sentenza della 



babìlmente già dato orìgine alla circolazione delle carte di pùblico 
débito; che in Milano, e così in Venezia, si diede corso alle carte 
di débito liquidato ; e che invece alla Cina si emisero carte da rim« 
borsare a tèrmine lontano. Osserviamo ancora^ che tutti questi fatti 
sono anteriori all' època in che la carta monetata fu introdotta dai 
Mogoli in Persia, ed anche a quella in cui i Polo padre e zio di 
Marco intraprèsero i loro viaggi. Ciò considerato, verremo, credo, 
neir opinione, che allo stato attuale delle nostre cognizioni intorno 
a quest'argomento non può aversi per dimostrato, e forse neppure 
per probàbile, che tale invenzione ci venga dalla Cina. » 

(1) Basterà avvertire, come i diversi processi dell'arte vetrària 
si trovino chiaramente rappresentati nelle grotte dipinte di Beni 
Hassan ed a Tebe ; e come fra i varj antichissimi monumenti strap- 
pati ai sepolcri siasi rinvenuta una palla di vetro verdógnolo, sulla 
quale è improntato il nome del Faraone Amuneitgouri, che regnava 
in sul principio della dinastia' XVIII, vale a dire alla distanza da 
noi di circa tre mila ottocento anni. 



XXXIV DEX.LA VITA E DECLf SCRITTI 

moderna crìtica , difende T antichissimo incivilimento (^K 
A provare la derivazione di quest'uso dall'antico Egitto 
produce la testimonianza di varj monumenti congèneri 
così dell' età faraònica , come dei tempi delia conquista ; 

(1) Le osservazioni .del nostro Autore so questo grave argomento 
sono cosi importanti^ ch'io reputo cosa ùtile riportarle letteralmente. 
«E^li è vero bensì (cosi egli si esprime a pag. 51), che le scoperte 
dei moderni hanno in gran parte scemata la fama di che godeva 
un tempo la scienza degli antichi Egl^j. É vero altresì ^ che colui 
cui , dopo Champollion , la cognizione delle antichità di quella na- 
«ione va debitrice dei maggiori progressi, ha dimostrato con quella 
estesissima erudizione di che è fornito, e con quel lùcido critèrio 
che in esso lui sùpera Terudizìone stessa, come gli Egizj negli ùl- 
timi periodi della loro indipendenza , ed avanti le conquiste dei 
Macèdoni, molto apprendessero da quei Greci, che i re nazionali , 
posta in non cale l'antica gelosìa, lasciarono stabilire in mezzo di 
loro. Egli è vero d'altra parte, che la moderna crìtica vuole anno- 
verata tra le fàvole la venuta di antiche colonie egizie che abbiano 
dirozzato i Greci , e che nega persino ai Greci dei tempi omèrici 
qualunque precisa contezza delle cose d'Egitto. Però (prosegue egli 
in nota separata ) i dati, sui quali si vuole esclusa la venuta di an- 
tiche colonie egizie oiella Grecia sono fondati sopra assai déboli 
congetture dedotte dalla poca simpatìa degli Egizj stessi pei viaggi 
di mare. Una tal presunzione è per altro ben poca cosa a rispetto 
della probabilità^ che Tantichìssima civiltà d'Egitto siasi comunicata 
alla nazione greca, e più ancora a rispetto delle concordi tradi- 
zioni dei Greci, che ci additano l'Egitto come autore del loro pri- 
mo incivilimento. D'altra parte le turbolenze e le guerre civili che 
agitarono l'Egitto all'època dei re pastori, e quelle che furono ca- 
gione di tante mutazioni nella sede di quell'impero, possono colà, 
come altrove, èssere state cause di emigrazioni ». Di questo passo 
egli procede poi coi più incalzanti ed irrefragàbili argomenti a di- 
mostrare rantichìs^imo incivilimento dell' Egitto di gran lunga an- 
teriore ai tempi, nei quali la Grecia era ancora avvolta nella bar- 
barie , e il sommo grado di perfezione che colà raggiùnsero molte 
»rti e molte scienze. 



DEL CONTE CAttL' OTTAVIO CASTiGLIONI XXXT 

e risalendo agli antichi sistemi monetar] di quella regione, 
sì fa a dimostrare, come gli Egizj non avessero moneta 
propria nazionale avanti la dominazione persiana^ vale 
a dire, nel tempo del màssimo loro Splendore; ma attri* 
boìssero ciò nulladimeno, colle altre nazioni, ai metalli 
nòbili r universale rappresentanza del valore della merce, 
ciò che appunto imporlo la necessita d^averc istromenti 
atti alla non fallace verificazione del peso dei varj metalli. 
Né potèasi a tal uopo scegliere sostanza più opportuna 
del vetro , dappoiché né i metalli , né le altre sostanze 
comunemente adoperate allo stesso uso offerivano eguale 
guarentigia. E qui sorprende lo scòrgere, come quelPuomo 
straordinario traesse argomento da questo fatto a di* 
mostrare con una serie d- esempj tolti dalla storia degli 
antichi pòpoli , che una nazione può raggiùngere un alto 
grado di civiltà e di potenza senza avere moneta impron* 
tata. Cosi appunto i vasti imperi del Messico e del Perù 
più ricchi d^ ogni altro in metalli nòbili, nelPéra ante* 
columbiana èrano surti a gran potenza senza moneta di 
sorta, né materia di cambio universale. Che se avèano 
essi pure un sistema d'imposte e di gabelle, le prime 
ventano pagate col lavoro , le seconde con parti aliquote 
delle merci. Cosi nella più remota antichità presso le più 
cuhe nazioni, ed ancora oggidì in molte contrade deirAsia 
e deir Affrica, le conchiglie dette cauris furono e sono 
la moneta corrente , come jo furono altresì lungamente 
nella eulta Cina , ove conchiglia e ricchezza sono rap- 
presentate con uno stesso caràttere. Così appunto ancora 
adesso, come nei sècoli remoti, i Cinesi non hanno mo- 
neta d^oro né d'argento, sebbene attribuiscano a questi 
metalli V universale rappresentanza dei valori. Cosi gli 



XXXTI BELLA VITA B DEGLI SCniTTI 

Bbrei non ebbero moneta propria avanti il regime dei 
Maccabei. Cosi Roma.ebbe solo moneta di bronzo sin oltre 
la metà del V sècolo dalla sua fondazione ; né fra i rù- 
deri delle potanti monarchie assira e babilonese si rin« 
vennero ancora monumenti ai quali possa con ragione 
attribuirsi carattere di monete. 

Ed ecco /o Signori, come il Castiglioni collegava le più 
àrdue questioni scientìfiche, e metteva a contribuzione la 
scienza universale alla soluzione d^un sìngolo problema. 
]Nè qui sta il tutto; dappoiché riscontrando egli nelle mo- 
nete delle varie dinastìe che successivamente governarono 
le Provincie poste lungo le coste affrica ne^ dàlia Cirenàica 
cioè sino alla Mauretània, nomi enigmàtici di città, sul- 
Vorigine, topografia e vicende delle cpiali la scienza errava 
ancora in molte dubiezze , non pago d' aver compiuta, 
r illustrazione delle monctp, volle che le medésime ser- 
vissero ad illustrare l'antica geografìa di quelle remote 
regioni , ciò che compì quasi per incanto in appòsito la« 
voro da lui publicato nel 1826 in lingua francese, col 
tìtolo : Mémoire géographique et numismatique sur la 
partie orientate de la Barbarie appelée jifrikia par les 
jirabes W. 

in questa Memòria , che come tutti gli scritti del 
Castiglioni racchiude un ampio tesoro di nuove dottrine, 
sorretto sempre dai monumenti e dalle testimonianze degli 
scrittori, egli non solavenne ordinando per la prima volta 



(I) Milan, de Vimptimerie /. et R. i826 ^ in-8.'' Questa Memò- 
ria è poi seguila da uà' altra intitolata : Becfiercfie$ sur les Berbè- 
res ^tlantiques anciens habitans de ces contrees. 



DEL CONTE €^aL' OTTAVIO CÀSTIGLIOM XXXVII 

ìin trattato geogràfico deirAfrikia degli Arabi (^); ma svolse 
altresì coii miràbile chiarezza la mal nota istòria delle 
singole, città di quella vasta regione dalla loro orìgine 
sino alla formazione degli Stati moderni, assegnando a 
ciascuna il suo vero posto, non che la rispettiva importanza 
commerciale , militare e polìtica nei varj tempi. Per tal 
modo, mentre i dotti orientalisti d^ Europa disputavano 
a lungo fra loro sulla retta applicazione di alcuni nomi^^ 
sul sito occupato da certe città, sulla dinastìa o sul prìn- 
cipe al quale attribuire i monumenti affricani, laMcmò* 
ria del Castiglioni apparve d'improvviso a spàrgere la 
più vivida luce su quelle astruse controversie ; sicché da 
queiristante non furono più enigmàtici i nomi di Àfrìkia, 
di Malìdia, di Àbbasia, di Gairoan, di Mansoura, e d'altre 
città fondate od illustrate dagli Àrabi ; sin d' allora fu 
squarciato per sempre il v€lo che ravvolgeva le orìgini e 
le vicende di Tunisi, di Trìpoli e di Algeri, e furono asse- 
gnati a ciascuna i monumenti che le spettavano. Che anzi, 
quasi ciò non bastasse al compiuto sviluppo del propóstosi 
argomento, ei volle ancora sotto forma di Note^ poiché 
male il comportava l'ordinato processo del principale su- 
bietlo, svòlgere le orìgini de^ Fathimiti, degli Almoravìdi, 

(i) VAfrìkia dei geògrafi orientali , oltre TAfrica propria dei 
Romani composta delle due grandi provincie di Zeugitana e di 
Byzacene., abracciava ancora le altre provincie marittime di Tri- 
poli e di Namidia con una parte della Mauritania Ccesariensis^ e^ 
giusta l'opinione d'alcuni^ ancora la Cirenàica. Inoltre, ne^r interno 
delle terre estendèvasi slVOasis d'Ammone e ad una parte del paese 
dei Pfiazanii, Per tal modo, raffrontata alle divisioni geogràfiche 
attuali, corrispondeva ai moderni Stati di Trìpoli e di Tunisi, alla 
parte orientale di quello d'Algeri, SLÌVOmh di Siomh^ a Gadamis, 
e ad una parte del regno di Fezzan. 



XXXVIII DELLA VITA E DECLI SCRITTI 

degli^ Almohadi , degli Agiabiti, non che i destini di aleunt 
re di Tunisi e dì parecchie tribù separate, che alla lor 
volta si ripartirono il possesso di quella vasta regione. 
Per ùltimo , quasi ad Jppendice^ aggiunse ancora le più 
ardite ricerche sulP origine dei Bèrberi atlàntici , antichi 
abitanti dell' Affrioa settentrionale , rivelando pel primo , 
col sussidio della lingua da loro parlata affittto distinta 
dalla pùnica, sebbene affine alle semitiche, e mercè la 
concorde testimonianza degli scrittori, la loro derivazione 
dairAsia occidentale in età remotissima di molto anteriore 
al tempi stòrici de^ Greci e dei Latini. 

A tanta dottrina , a tanto lustro recato alle lèttere ed 
alle scienze, era ben naturale, che T Europa riverente 
recasse debito tributo d^ omaggio e di riconoscenza; ed 
infatti quasi tutti i più distinti Corpi scientifici si pregia- 
rono annoverarlo fra i loro membri. Fra questi gioverà 
ricordare le RR. Società asiàtiche di Londra e di Parigi ^ 
le RR. Academie di Svezia e Norvegia, di Baviera e di 
Torino, la Società R. archeològica di Copenhagen, quella 
della lingua tedesca in l^erlino e la Econòmica agraria di 
Perugia, non che TI. R. Academia di Belle Arti in Milano; 
e ben meritato contrassegno di stima gli largiva F Augusto 
Monarca Ferdinando I, quando nel 1838 lo eleggeva al 
seggio presidenziale delPf . R. Istituto Lombardo di Scien- 
ze, Lettere ed Arti. Voi foste testimonj, o Signori, con 
quanta sollecitùdine e prudenza ei reggesse questo illustre 
Corpo scientìfico, ornamento precipuo della nostra me- 
tròpoli; né certo è dà imputarsi a difetto di buon volere, 
se nel troppo breve suo regime non gli fu dato impron- 
tarvi orme più profonde della retta e magnànima sua 
mente. 



D£L qONTE CARL' OTTAVIO CASTiOLIONI XXWK 

Sin qui liQ tentato adombrarvi alcuni fra gli scritti di 
quel grand' uomo , dai quali più chiara emerge la* sua 
vasta dottrina nelle scienze stòriche ed archeològiche , 
non che nelle lingue germàniche ed orientali propriamente 
dette. Essa peraltro non era meno estesa nelle altre scienze, 
nelle altre famiglie di lingue indo-europee, e persino nella 
mogòlica, nella cinese e nella copta, alle quali avea rivolti 
lunghi e pazienti studj. Ne diede irrefragàbile testimo^ 
nianza, allorché ragionando sul Lèssico della lingua copta, 
publicato nel i83a in Torino dal tanto benemèrito filò- 
logo piemontese Amedeo Peyron, estese un trattalo sui 
caràtteri distintivi e suir istòria di quell'antica lingua; in^ 
stituì un confronto fra la natura della copta e quella 
della cinese, non che tra i rispettivi loro sistemi di scrit- 
tura ideogràfica; e svolse con rara dottrina i successivi 
studii degli eruditi sui monumenti jeroglifici e demòtici 
degli Egizj (*K Ne diede non meno lùcide prove, quando 
illustrando il Còdice Cloziano publicato dalP erudito 
Kòpitar a Vienna , si mostrò profondo conoscitore delle 
lingue slave; e in onta alle dottrine proclamate dalla mo- 
derna crìtica, capitanata da Dobrowsky, si fece a provare 
la remota antichità delPalfabeto glagolitico che certamente 
precorse al cirilliana (^l Ne diede convincenti prove, al- 

(1) Quest'erudito lavoro del Casliglioni trovasi inserito nel Tomo 
LXXXI della -B»6/f oteca Jtaliam^ a pag. 21, sotto il tìtolo seguente: 
Lexicon lingwB copHccBj studio Amedei Peyron equitis, eie. Tau- 
rini^ 1855. 

(2) Quest'importante lavoro del Castiglioni trovasi inserito nel 
Tomo LXXXll della Biblioteca Italiana, voi. II dell' anno '1836-, a 
psig, aoo e segg. , ove col modesto velo dell' anònimo , rendendo 
ragione dell'opera intitolata': Glagolita Clozianus, poco prima pu- 



XL DELKiA VITA E DEGLI SCRITTI 

lorcbè, commentando le Glossw di Malberga publicate 
da Leo, si mostrò del pari valenle nelle lingue dei Celti, 



blìcata in Vienna dal eh. Bibliotecario Bartolommeo Kòpitar^ prese 
a sviluppare uno de' più astrusi e controversi problemi della lin- 
guìstica. L'opera che diede occasione a questo scritto era intesa 
a publieare ed illustrare un còdice antichissimo in lingua slava con 
caràtteri glagolitici^ appartenente al conte Pàride Cloz di Trento, 
dal quale prese appunto il nome di Glagolita Chzianus , e che 
racchiudeva la traduzione di quattro omelie attribuite ai Padri gre- 
ci, relative alla celebrazione dei mister] della Settimana Santa, cioè, 
per la doménica delle Palme , per il giovedì , venerdì e sabbato 
santo. Anzi tutto è d'uopo preméttere, come le tante nazioni slave, 
irrompendo sin dal VI sècolo dalle regioni orientali nel cuor del- 
l'Europa, vi si iniziassero a civiltà, adottandone l'uso delle lètte- 
re. Tre furono gli alfabeti dei quali fecero uso sino ai nostri gior- 
ni ; il latino^ cioè, adoperato da tutti gli Slavi aggregati al rito la- 
tino, tranne gli Istriani ed i Dàlmati, che per antico privilegio ot- 
tenuto dai romani Pontéfici celebrano la loro liturgia slava^ e fanno 
uso dell'alfabeto glagolìtico affatto distinto da tutti gli altri d' Europa. 
Esso è cosi denominato dalla voce slava glagol che significa parola, 
ed è ancora il nome proprio della lèttera G. Il terzo alfabeto è il 
cirillìano, così detto dal suo introduttore Cirillo, che nel sècolo IX 
lo trasse dal greco, aggiungendovi alcune lèttere alte a rappre- 
sentare i suoni slavi alla greca lingua mancanti ; e fu, ed è ancora 
usato da tutti gli Slavi cristiani di rito greco , compresi i Russi , 
non che dai pòpoli Valacchi. Se conosciute èrano le origini degli 
alfabeti latino e cirllliano, quelle del glagolitico furono soggetto di 
controversi pareri; dappoiché, mentre da un lato una remota tra- 
dizione ne attribuiva l'invenzione a s. Girolamo, dalF altro i dotti 
Kohl, Banduri e Parlati, e negli ùltimi tempi il boemo Dobrowsky, 
ne dimostrarono l'assurdità. Se non che, non conoscendosi a quel 
tempo monumenti glagolitici anteriori al sècolo Xill, lo stesso 
Dobrow^ky ne attribuì erroneamente l'invenzione intorno a quel 
tempo, il qual errore ebbe l'universale sanzione degli eruditi, sino 
alla comparsa del mentovato còdice Cloziano. CoU'autorità di ijne- 
st'ùltimo, che il benemèrito editore dimostrò appartenere al X e 



DEL CONTE CÀRL' OTTAVIO CASTIGLIONI XLt 

fcbe nella scienza della legislazione; o quando invitato a 
sciògliere alcuni dubj sulla natura delle lingue lèttiche^ 
dettò importanti osservazioni atte a dimostrare la remota 
orìgine indiana delle medésime, non che la derivazione 
dei Letti e dei Lituani dai Sàrmati • degli antichi W, In 

fors^ancbe al IX sècolo . e colla testimonianza d' altri monumenti 
glagolitici preesistenti^ ma non' bastevolmente sin' allora avvertiti^ 
Kòpitar dimostrò compiutamente ranteriorità dell'alfabeto glagolU 
lieo al cirillianoi, il quale aveva anzi tolte al primo le lèttere man^ 
canti nel greco alfabeto. Ora il Castiglìoni^ cfae prima di Kòpitar 
aveva esaminato quel prezioso còdice^ colse appunto TopportuiiitA 
Mìsk sua publicazione a svòlgere con nuova audizione e dottrina 
qaest* argomento^ provando, come l'alfabeto glagolitico fosse per 
avventura la. scrittura propria degli antichi Macèdoni ed Epiroti.) 
dai quali gli Slavi Tattin^ro prima ancora d* irrómpere nel cuor 
dell' Europa^ e come^ anziché rassomigliare al rùnico, come tentò 
dimostrare il dottor Jacopo Grimm , serbi maggiori punti di con- 
tano col samaritano. Procedendo quindi in una questione non meno 
ardua e controversa y come si è quella di determinare, quale fra i 
molti antichi dialetti slavi sia stato preferito e convertito in lingua 
litùrgica, . concordando pienamente coir^opinione vittoriosaitfente 
dimostrata dall'editore del còdice, -che concbiuse in favore del dia- 
letto moravo-^annònico , la venne avvalorando con una serie di 
nuove argomentazioni e nuovi esempj , confutando ancora V oppo- 
sta opinione delio stesso Grimm, che preferi derivare dal dialetto 
dei Bùlgari le orìgini della lingna litùrgica degli Slavi. 

(1) Mentre io stava maturando alcuni stndj pel ragionato ordina- 
mento del mio atlante linguistico d'Europa, mi trovai avviluppato 
nel vòrtice delle più disparate opinioni degli eruditi relative alla 
classificaaione delle lingue dei Prussi, dei Lituani e dei Lettoni; 
dappoiché gli uni le derivavano dalla latina, altri dalla greca, altri 
dalla cèltica; taluni ancora le risguardàvano come una miscela de- 
nvata dall'accozzamento e dalla fusione de.i pòpoli germànici e slavi; 
mentre altri vi ravvisavano l'antichissimo tipo proto-slavo; ed altri 
finalmente riconoscevano in quelle lingue uno stipite primitivo e 
distinto dagli altri. Avendo quindi in tanti dissldj comunicati i 



XLII DELLA VITA E DEGLI SCRITTI 

breve, ne diede le più chiare testimonianze in una serie 
di Scritti 9 cui troppo luogo sarebbe annoverare, in parte 
sparsi fra varj Giornali scientìfici , ed in parte tutt^ ora^ 
inèditi, sulla filologìa comparata, e su tanti svariati ar* 
gementi, dei quali, comecché immaturi^ sarebbe pur 
desideràbile la publicazione (^). 



miei dubj al copte CastigUoni , colla consueta sua geotiloEza com- 
piace vasi trasméttermi le dotte considerazioni su quest'argomento, 
che ho letteralmente inserite nella I.' Parte deir Atlante medésimo, 
a pag. 2^8 e seguenti , ove con quel lùcido critèrio che lo distin- 
gueva si fece a dimostrare^ che ì pòpoli lèttici non èrano né Ger- 
mani^ né Slavi ; che le loro sedi corrispóndono a quelle degli anti- 
chi Sàrmati ; che le tradizioni dei Lituani serbano ricordanza di 
un Palemone che introdusse appo loro la civiltà romana, e che nel 
tempo e nelle gesta coincide col Polemone re dei Sàrmati del 
Ponto ; e che quindi non potendosi méttere in dubio Tidentitiì delle 
nazioni lètti che e sarmàtiche, anche le loro lìngue dèvonsi coor- 
dinare come un ramo separato e distinto del grande stipite indo- 
europeo. 

(i) Essendomi stato concesso dalla gentilezza degli eredi l'esa- 
minare i vani manuscritti lasciati dal compianto nostro concitta- 
dino, credo far cosa grata al lettore , trascrivelido per órdine di 
materie un Indice dei medésimi ^ avvertendo ^ che alcuni constane 
di sémplici note e materiali raccolti per un lavoro da farri, altri 
sono Dissertazioni più o meao incomplete. Tra gli stadii lingui*- 
stici sono da notarsi i seguati : Memoria sulle lingue e 9ulla in- 
venzione dell' alfabeto , con un' Appendice mW alfabeto cinese. — 
Siitema Zanelli sulle scritture sacre ed arcane, — Anaiùgia fra il 
Maltese e VJrabo, — Sui segni fonètici ed ideogràfici, e figliazione 
delle Ihìgue^ giusta i princìjy di Schleiermachèr. *^ Osservazioni 
filològiche sulle òpere di Bopp e di Jacopo Grimm. — Ze lingue 
lèuiche appartengono allo stìpite indù-germànico. — Sopra un cò- 
dice greco de' SS. Padri. — Di due versioni glagolitica e slavo- 
rutènica di un Salterio. — Sulla scrittura dei Mussi nel dècimo 
sècolo, e deWalfabetù glagolìtico pi'esso i medésimi. — Confronto 



DEL COKTE CAHL'OTTAVIO GASTlGLIO?il XLUI 

Foroito dalla natura d^ vna mente si lùcida ^ di retto 
sentire, e ricco di tanta dottrina , torna vano avvertire , 
come il Castiglioni fosse in grado eminente religioso e pio, 
dappoiché il vero sapiente primo fra tutti si prostra devoto 
dMoanzi air infinUa Sapiènza; bensì è d^uopo avvertire, 
cb^ei non ardeva già di quella stèrile pietà, che s'appaga 
di ostentate pràtiche esterne , e che tìmida e sdegnosa ad 
un tempo sMmpenna sbigottita ad ogni annunzio di so- 
ciale pn^esso; ma di quella soda e santa ptéità che soU 
leva Tuomo a venerare il Creatore nella piena contem-* 
plazione del crealo , e che per mezzo della pura e toUer 
rante morale evangèlica, non che d' una vita onesta e la* 
boriosa , lo sospinge ad ùtili e generose azioni. Dopo ciò 



tra l'alfabeto glagolitico e cirilliano. — Sulla storia delle lingue 
slave di Eichlwff. — Sulle Glosse malberghiane publicate da Leo. 
-- Memòria sull'autore dei frammenti gòtici deW Evangelio di 
s. Giovanni. 

Fra gli studii stòrici ed archeològici noterò i seguenti : Memo- 
ria sull'origine e sulla stòria primitiva dei Turchi Ottomani. — 
Sulla Stòria delle Crociate di Michaud. — Lèttere sulla domi- 
azione saracena nella Sicilia, — Di alcuni Califfi illustri (tra- 
dazione dairàrabo). — Memòria intomo a due figurine di bronzo 
iisepellite alla Stradella. — Memòria su di un' epìgrafe etrusca 
illustrata dal Cicconi. — Memòria in confutaziotie di Link sul 
Mondo primitivo. — Memòria sul cerchio luminoso osservato nelle 
olissi totali di sole. 

Fra gli sludii poUtico-econòaiiei sono precipuamente da anno* 
verarsi i s^uenti : Memòria sull' introduzione del sistema feudale 
^l mezzodì dell'Europa. — Orìgine degli Statuti Coìnunali; olire 
dd una serie ragguardévole dì note Sui principali trattati polìtico- 
Gnòmici. — Facciamo voti onde sia quanto prima publicata una 
^^ di questi importanti scritti , i qiiali saranno per aggiùngere 
liuovo lustro alla memòria del benemèrito autore. 



XLIV bELLA VITA E DEGLI SCRITTI 

Won dirò, com'egli, ch^ era largo dispensatore di consìgli 
e di dottrina a chianque nel richiedeva, fosse ancora ol- 
tremodo generoso verso T indigente; dappoiché egli è as« 
isohito dovere del ricco distribuire il supèrfluo a prò del 
bisognoso; dirò bensì, oom^ egli, ch^ era rìgido ed avaro 
solo verso sé stesso, non prodigasse già le proprio ricchezze 
ih pnbKche elargizioni, o con fini diretti a maturare ambi- 
ziosi disegni ; ma nel silenzio e nella gioja delF incolpàbile 
sua coscienza profondesse a larga maiK) ben più che il 
supèrfluo, con miràbile sapienza a prò del Culto, del pari 
che dell'operoso e dell'onesto cittadino, contento di gio- 
vare con tutti i mezzi al miglior èssei'e sociale. 

Integèrrimo e magnànimo cittadino egli amò sempre 
di puro e sviscerato amore il proprio paese. Che se la mal 
ferma salute afiranta dalle veglie e dalia laboriosa sua vita, 
le cure domèstiche , i prediletti suoi studj e più di tutto 
l'innata modestia, gli vietarono di accettare le onorévoli 
magistrature che il voto cittadino unànime gli conferiva, 
non vegliava meno a tutelare e promuòvere la prosperità 
e l'onore della sua patria, né meno sollécito accorreva 
a confortarla e sorrèggerla colPòpera e col consìglio^ 

E pure chi crederebbe, che in mezzo a sì profondi studj 
ed a tanti colossali lavori, indefesso cultore dei domèstici 
affetti, emergesse del pari per pietà figliale, conjugale af- 
fezione e tenerezza paterna? Queir uomo insigne che colle 
assidue cure felicitò la vecchiaja del venerato genitore, 
impareggiàbile marito, rese pur dolce la vita alla virtuosa 
compagna (*), e padre affettuoso, attese ad informare 

(1) La signora contessa Carolina Borromeo ì, alia quale si uni in 
matrimonio sin dall'anno ÌSlb'. 



DEL CONTE CABL' OTTAVIO CASTIGLIOM XLV 

coi precetti e coIF esempio le non meno avventurate; sjxf^ 
figlie alle virtù dei parenti. Che più ? Compiacente verso 
i congiunti e verso gii amici , officioso vei^SQ i dotti cor; 
rispondenti d^ogpi. nazione, che a lui ricorrèano qu£)si 
a fonte d' universale dottrina , .parca che la profonda sa,- 
pieoza versata in tanta copia sulle dotte .carte , in lui 
congènita, fluisse spontanea dalla scorrévole penna, o 
gii venisse dMraprovviso inspirata da un genio tutelare. 

Sebbene affievolito dalla soverchia applicazione, seb- 
bene colla vista oltremodo malconcia dai pòdici e. dalle 
medaglie, quasi nulla avesse apprestato a prò della, scienza, 
già stava maturando vasti lavori sulle orìgini itàliche ^ 
sulla economìa polìtica delV antica Roma, auW elemento 
orgànico della prosodìa greca e romana^ e soyr' altre noiji 
meno importanti ricerche, quando le polìtiche vicende 
che nel 1848 scossero da^suoi càrdini tutta T Europa e 
minacciarono Teccìdio del suo paese, sùrsero d'improvviso 
a turbare la pace de' suoi studj , ed interrómpere i suoi 
preziosi lavori. Esagitato dalla nera procella che mugghiava 
sulla cara sua patria, dolente di non poterla soccórrere col 
proprio consìglio, col cuore insanguinato torcendo lo 
sguardo dal prospetto di maggiori sventure, cercò con- 
forto alF ànima straziata nella solitùdine d'una suburbana 
sua villa. Di là mentre pietà paterna il traeva al ligure 
spennino a confortare una figlia ammalata, sorpreso per 
via da violento morbo , spirava nel bacio del Signore il 
dieci aprile del 1849, prima ancora di compiere il Xill 
lustro. 

Così si spense repente la troppo breve e preziosa vita 
d'uno de' più splèndidi luminari d'Europa, d'uno dei più 
benemèriti figli della metròpoli lombarda. Così scomparve 



ytVì pKLLA VITA E DEGLI SCRITTI , CC 

quel grande, la cui vita incontaminata e laboriosa legò 
sì ricco patrimònio alle scienze e sì pura eredità d^ af- 
fetti alla sua patria. Lode a voi, o magnànimi cittadi-* 
ni^ che, penetrati delF ammirazione e riconoscenza do- 
vute alle sublimi sue virtù, ne voleste perpetuare la glo- 
riosa memòria erigendone il simulacro nel santuario delle 
scienzet Che se il nome venerando del Gastiglioni, già scol- 
pito a caràtteri indelèbili nei fasti della scienza y vivrà 
immortale nelle òpere monumentali da lui stesso appre- 
state^ scegli vivrà mai sempre improntato nel cuore rico- 
noscente de* suoi concittadini^ quella effigie che oggidì gli 
consacrate, varrà a ricordare allo straniero che vìsita la 
nostra metròpoli, che in questa clàssica terra non è ancora 
esausta la sorgente de^ sommi ingegni; che Milano sa ap- 
prezzare ed onorare come conviensi i benemèriti figli che 
la illustrano; e varrà ad infiammare le future genera- 
zioni a seguirne il magnànimo esempio. 



ORIGINE E SVILUPPO 



DELLA 



LINGUISTICA 



Volge appena la seconda generazione, dacché V Europa tutta, 
ammirando gii alti fini, e le importanti rivelazioni fatte nel corso 
di pochi anni da due scienze novelle, dalla Geologia e dalla 
Linguistica, ne segue ansiosa il progresso, e raddoppia i suoi 
sforzi per condurle con rapidità al loro perfezionamento. Mira 
Tuna a determinare gli annali della creazione, T altra quelli 
del genere umano, cui piacque alla divina Provvidenza abban- 
donare alle investigazioni dell'uomo. Il nostro globo è antico, 
e Dio sa per quanti secoli s' aggirò nello spazio de' cieli, prima 
che la sua crosta, elaborata dagli elementi, porgesse, raffred- 
dandosi; conveniente asilo alla creazione vivente ! Ora sconvolto 
dal fuoco, ora sommerso nel mare, questo suolo che ci dispu- 
tiamo diede un tempo ricetto ad altra creazione, della quale 
sussistono bensì le reliquie, ma non un solo motto tradiziona- 
le. Dopo tanti secoli di universale ignoranza , solo a' di nostri 
la geologia rivelò la prima, come, enumerando gli strati terre- 
stri, analizzandone la giacitura e gli elementi, e studiandone i 
nideri vegetabili ed animali, giunger si possa a determinare 
^n esattezza le età rispettive delle regioni e dei monti , le 



4 ORIGINE E SVILUPPO 

cause differenti che precipuamente contribuirono alla loro for- 
mazione, ed a ricomporre e conoscere buona parte dì quella 
creazione per tanti secoli ignota, che prestò soggetto a molti 
favolosi racconti. 

Dopo lunghi sconvolgimenti e misteriose vicende comparve 
finalmente Tuomo, che si nomò sovrano della natura e, rapi- 
damente moltiplicandosi, copri delle innumerevoli sue stirpi la 
superficie terrestre. Queste la percorsero più volte da oriente 
ad occidente, da borea ad austro; più volte cozzarono, si re-< 
spinsero o si fusero a vicenda le une nelle altre ; più volte in- 
civilirono, fondarono vasti regni, abbrutirono e scomparvero, 
prima che la storia ne apprestasse ai posteri gli annali. Le 
piramidi dell'Egitto, gli edifizii ciclopici, le vetuste necropoli, 
le città sepolte dell' America, dell' Europa e dell' Asia, e gli in- 
numerevoli monumenti disotterrati in Iberia, in Italia, e per- 
sino nelle più settadtrionali regioni dell' antico e del nuovo 
mondo, attestano la rimota esistenza di grandi e potenti nazio- 
ni, delle quali serbiamo appena alcuni nomi. La notte dei se- 
coli copri d'obblio tante splendide generazioni, e ravvolse ne' 
simbolici miti persino le origini d^Atene e di Roma, sorte sulle 
rovine di civiltà anteriori, dal sepolcro di potenti e colte nazioni. 

A spargere benefica luce su queste primordiali vicende del 
genere umano, a svolgere le intricate fila che ne collegano le 
molteplici stirpi,, ed a svelare i rapf)orti fra le antiche e le 
moderne generazioni, sorse appimto a' di nostri la linguistica^ 
interrogando il solo monumento indistruttibile, il linguaggio dei 
popoli, e diede quindi comiuciamento alle proprie speculazioni 
colà, dove la geologia poneva fine alle proprie. 

La serie dei risultamenti ottenuti nel breve spazio d' un mezzo 
secolo comprese di maraviglia la generazione vivente, e v' im-- 
presse tale un desiderio di sviluppare tutte le molle e la re- 
condita potenza di questi mezzi novelli, che ovunque sorsero 
rapidamente società geologiche e linguistiche intese ad unire i 
loro sforzi nella causa comune; ovunque furono ìnstituiti ed 
ordinati al medesima fine profondi studii, onde consolidare le 
fondamenta del nuovo edificio ; e mentre gli unì^ percorrendo 
le più inospite e più rimote contrade^ van tessendo l'istoria 
del mondo materiale, gli altri cercano nella disamina dei mo- 
derni e dei vetusti linguaggi quella dell' uomo. 



DELLA LINGUISTICA. H 

In mezzo a questo generale movimento, non dobbiamo ri- 
manere più oltre freddi ed inerti spettatori d* avvenimenti ch*e- 
mergeranno un giorno ne' fasti dell* umana iiltelKgenza; ma im- 
pazienti di eccitare al nobile arringo con maggiore alacrità i 
nostri connazionali, e nella fiducia di far cosa grata ai lettori, 
ci proponiamo di porger loro ini una serie continuata d* istorici 
sunti le principali nozioni sull* origine e sullo sviluppo della 
linguistica; sulle fondamentali sue leggi e sulle utili applicazioni 
delle medesime; sullo stato attuale di questo studio presso le 
più colte nazioni d'Europa, non die sulle vicende delle preci* 
pue letterature classiche e vernacole, onde si scorga dal già 
fatto quanto ancor resti a farsi, e qual tesoro di cognizioni no* 
velie possiamo riprometterci dall* incremento di questa scienza. 

Incominciando dalla sua origine e dal suo sviluppo, e medi- 
tando sulle cognizioni ottenute meroè lo studio comparativo delie 
lingue in si breve tempo, non possiamo immaginare, come tanti 
milioni d' nomini lasciassero trascorrere si lunga serie di secoli, 
senza avvertire questo vincolo naturale che insieme collega in 
famiglie le più disgiunte nazioni, e rivela stretta fratellanza cosi 
fra quei Greci e quei Persiani, che aSrontavansi a Maratona 
ed a Salamina, come fra quei Romani e quei Teutoni, che scan- 
naronsi per secoli- lungo le rive del Danubio e del Reno. Egli 
è vero bensì, che nei passati tempi parecchi filosofi meditarono 
suir origine del linguaggio, ed accennarono ad alcune ovvie af- 
finità di lingue disparate e lontane ; ma la direzione e V intento 
loro erano ben diversi da quelli dell' odierna linguistica, men- 
tre gli uni tendevano a fondare nuovi sistemi filosofici , mira- 
vano gli altri a convalidare con prove di fatto la storia mo- 
saica della dispersione del genere umano. Quindi gli uni, fra i 
quali Maupertuis, Volney, Rousseau; Fortia d'Urban, il presi- 
dente de Brosses, Herder e Bonnet, considerando V uomo come 
il muium et turpe pecus degli antichi, cercarono nel successivo 
sviluppo dello spirito umano T origine del linguaggio; gli altri, 
tra i quali Pezron, Webb, Astarloa, Sorreguieta, Bidassouet, 
Lipsio, Scaligero, Bochart e Vossio, ammettendo una lingua ri- 
velata all'uomo sin dalla sua prima creazione, rintracciarono 
il primitivo tra gli idiomi conosciuti, e fra tante gratuite as- 
serzioni non fu la più strana quella che fece belar l'uomo 
nei boschi a guisa di capre, né quella del Becano, che riguar- 



6 ORIGINB E SVILUPPO 

dava r idioma Piammiugo come V interprete degli affetti dei primi 
padri. Per tal modo , mentre con una sognata figliazione di 
lingue vollero provare la discendenza dell' uman genere da una 
prima coppia, distruggevano per avventura, senza avvedersi, la 
mistica storia della torre di Babele, che rivelava loro una su- 
bitanea e prodigiosa confusione di lingue! 

Questa serie di vuoti sistemi derivò appunto dalF erroneo 
assunto di discendere a priori dal principio ipotetico d'una lin- 
gua primitiva generatrice di tutte le altre air affinità delle de- 
rivatCi anziché salire a posteriori dair affinità scambievole di 
alcuni linguaggi conosciuti alla scoperta del comune lor ceppo. 
Dopo tante inutili dispute s'avvidero quindi, di' era d'uopo can^ 
giar sentiero, e fondare i principii sulla collezione dei fatti, an- 
ziché forzare i fatti alla norma di principii prestabiliti. E per- 
do le cure degli studiosi furono rivolte a compilare i vocabo- 
larìi delle lingue note, e tutti i viaggiatori imitarono l'esempio 
dell'italiano Pigafetta, il quale, accompagnando Magellano nel 
suo giro intorno al globo, ebbe primo il pensiero di raccogliere 
copiose serie di voci fra i popoli del Brasile, di Tehuel e del 
Tidor. Allora furono poste a contribuzione le tante speculazioni 
sulle lingue straniere, intraprese nel secolo XVI, ond' estendere 
le nuove dottrine religiose, alle quali riunendo i molti studii fatti 
dai missionari di vario culto presso le più rimote nazioni, fu- 
rono apprestati ben presto i materiali, che destarono più tardi 
nella magnanima imperatrice di Russia il pensiero di compilare 
un vocabolario comparativo di tutte le lingue del mondo. 

Mentre gli uni andavano raccogliendo nuovi lessid in Asia, 
in Africa ed in America, altri si diedero di proposito ad insli- 
tuime il confronto, e, approfittando delle preghiere cristiane vol- 
tate in più lingue per cura di zelanti missionari, scelsero a 
pietra di paragone l'orazione dominicale, della quale ben pre- 
sto pubblicarono doviziose collezioni Schildberger, Postello, Bi- 
bliander, Gessner, MùUcr, Ludeke, Stark, Wilkins e Chamber- 
layne, ampliate e riprodotte poscia da Fry, Marcel, Bodoni, 
Hervas, Adelung e Vater. 

Tra i benemeriti che prestarono maggior copia di materiali, 
si distinse precipuamente l'instancabile Hervas, il quale sin dal- 
l'anno 1784 pubblicò un Catalogo delle lingue conosciute, cor- 
redandolo di note sulla loro affinità e discrepanza ; compilò un 



DELLA LlN«DldTICA. 7 

Vùcabotario polighito con prolegomeni sopra cento cinquaBCa 
Uugue 9 e le iliuslrò o^ un Saggio pratico e con doviaa di 
oss^rvazioii. \ 

Sin qui per altro non si ebbero se non materiali informi 6 
sovente fallaci, confai^ eataioj^i di lingue, i cui nomi verniero 
dagli uni e dagli altri gratnitameute scambiati, ed Una congerie 
di sogni misti a verità mal (figonte, che rallentarono ed iiopàc- 
eiarono il eorso de' nuovi studii. Basti notare che, mentre il 
Pigafetta offre Una serie di voci proprie del sognato suo Gi- 
gante patagono, il Gessner porge nel Mitridate il Pater Noster 
voltato nella lingua degli DNn d'Omero^ un altro ragiona suUa 
favella dei Titani, e il presidente Duret, nel Thrésor de l'hi* 
sloire des langues de cet tmivers, annovera penfino la lingua 
degli animali e degli uccelli. 

In onta a simili stranezze, il primo passo era fotto, e co- 
mmique scarsi e fallad i primi materiali si fossero, racchiude* 
vano dò nullostante una congerie di fatti bastevole ad un ra- 
gionato confronto. Il pirao, che vi si accinse, fu quel potente 
ingegno del Leibnitz^ che^ presentendo la sublime meta, cui lo 
studio comparativo delle lingue avreUbe un giorno raggiunto, 
tracciò la vera strada che sollevato l'avrebbe a scienza posi- 
tiva, e ne pose i primi cardini. Egli ecdtò primamente gli amici 
a disporre in tavole comparative le voci delle varie lingue; li 
invitò a confrontare T armeno ed il biscajno coi copto, ralbsiH 
aese col greco, col teutonico e col lathno; e mostrò loro^ come 
per questa via giunger si potesse alla scoperta delle origini e 
delie migrazioni dei popoli antichi e moderni. 

Per inala ventura, dopo di lui, la scienza prese ben diversa 
direzione; perciocché, venuto questo studio alle mani d'uomini 
dotati di men retto criterio e men sagace potenza, degenerò 
nel più arido e stentato studio etimologico, che traviò troppo 
a liuigo i filologi del secolo trascorso. L'imperfezione e la fal- 
lacia dei materiali, là scarsezza de' linguaggi sin allora studia- 
ti, e ristretti ai classici greci e latini, e tutt'al più ai biblici 
ed a qualche celtico dialetto , ed una ridicola vanità nazionale 
diedero origine a molti errori e a disparati sistemi ; sicché, for- 
zando ed alterando ad arbitrio le voci e il loro significato, gli 
uni tentarono ridurre a celtico elemento, ciò che gli altri deri- 
vavano dair ebraico, dal greco, o dal latino, e Òhe apparteneva 



S ORIQINB E fiVILlPPO 

per io più a ben altre sorgenii. Per tal modo Menagìo, Batiet 
e lafiumeroia schiera de' loro s^uari, fnidalori deirÀecademia 
celtica di Parigi, deturparono e screditarono per qualche tempo 
quest* importantissimo stuéio» 

Se non che T inutilità dei loro sfibrai riveUt finabnente l'in- 
sufficienza dei mezei, e soprattutto quella det semplice confronto 
dei lessici , oade , abbandonata pomposo e fallace tirodnio 
deiretimologia, venne riconosciuta la necessità <M sceverare ne- 
gli idiomi la materia dalla iérma, e si procedette air analisi del 
loro organismo. Parecchie lingue antk^he e moderne dell'Asia, 
deirAfrica e dell'America furono quindi sottoposte ad esame» in 
sussidio delle nuove speculazioni; in breve se ne apprestarono 
le grammatiche , decomponendole ne' loro precipui elementi, e 
s instituirono per ultimo più giudizio^ confronti. 

Già fin dal declinare dello scorso secolo Giovanni Werdin, 
conosciuto ed nome di P. Paolino da S. Bartolommeo, illustrata 
l'antica lingua, la storia e la mitologia degli Indiani, tentò di- 
mostrare di proposito r affinità del sanscrito e dello zendo col 
latiiM e col germanico. Frattanto gli Inglesi, già divenuti arbi- 
tri del destino dell' bdia, ed avvisando quanto per {^vernare 
i popoli importasse il conoscerli, fondarono scientifici stabili- 
menti a Calcutta» a Madras ed a Bombay, ónde agevolare e 
diffondere lo studio di quelle lingue; e ben presto vennero 
HI luce ì pregevoli scritti di Gilchrist, Colebroobe, Wilson, Jo- 
nes , Wilkins , Davis e cB parecchi altri , inteà a tracciare 
r illustrazione delle molte lingue indiane. Il 1<n^ esempio fu se- 
guito da una schiera di dotti Tedesdìi e Francesi, che impre* 
sero.ad illustrare le altre lingue d'Oriente semitiche, chinesi e 
mongoliche, onde noi pagheremo un lieve tributo di riconoscenza 
ai benemeriti Schlegel, Lassen, Humboldt, Klaproth, Hammer, 
Eidpfaorn fra i Tedeschi, ed agli instancabili Anquetil du Per- 
ron, Ghezy, Remusat, Quatremère, Saint-Martin, de Sacy, Gham- 
pollion, Burnouf, tra i Francesi. 

Fra i moUtiì saggi comparativi. che successivamente rivelarono 
hi fratellanza di tanti idiomi da secoli disgiunti, venne prona- 
mente in lucè il profondo lavoro di Federico Schlegel Sulla 
lingìMÀ e sulla sapienza degli Indiani, dopo il quale non fu più 
dubbia la stretta affinità del sanscrito, vale a dire dell* antichis- 
sima lingua sacra dei Bramini, col persiano, col greco, col la- 



DELLA LhNGDISTlGA. 9 

lino e col germanico. Allora, conrrontando gli antichi coi moderni 
idiomi, si vide manifesto, che il lingaaggio è una distintiva im- 
pronte delle nazioni, come la struttura dello scheletro, o il 
colore ddla pdle; si conobbe, che le vicende delle lingue ac- 
compagnano quelle dei popoli che le parlano; e si riguardò 
quindi la linguìstica qual potente guida alla storia, nelF inda- 
gare gli annali delle rimote, non che le origini delle moderne 
generazioni, e come scorta sicura all'etnografia neir ordinamento 
dì tutta Fumana famiglia. 

E perchè le lingue estinte, che precedettero e diedero ori-^ 
^ne alle moderne, tracciando le fasi successive che Y arte della 
parola ebbe a subita neir avvicendarsi delle generazioni, apri- 
rono più facile varco alia scoperta di tanti mutui rapporti, fu- 
rono intraprese le più laboriose ricerche per la ricomposizione 
e l'analisi degli idiomi caduti in obblio; al qual uopo furono 
disottc»*rati vetusti monumenti dell' antico e del nuovo mondo; 
ritornarono in luce le ammuffite pergamene da secoli sepolte 
nei polv^osi archivi! , e furono salve tante preziose reliquie 
dell'antica letteratura, e di quella del Medio Evo. 

A questi generosi studii, dei quali a buon dritto il nostro 
secolo va superbo, siamo debitori appunto degli innumerevoU 
scritti, coi quali I>empstero, Passeri, Lanzi, Gori, Vermiglioli, 
Grotefend, Resini, Marini, Klenz, Spanemio, Reinesio, ed altri 
tritarono ricomporre i vetusti italici idiomi; Astarloa, Bidas- 
souet, Erro, Larramendi e Humboldt illustrarono gli antichi ibe- 
rici; Knittel, Ihre, Stiemhelm, Zahn^ Massman, Gròter, Nye- 
nip, Thorkelin, Hickes, Afzelius, Rask, Schmeller, Wiarda, 
Schwartzenberg, Bosworth, Grimm, Graff, ed altri molti, ri- 
composero, restituirono in onore gli antichi linguaggi gotico, 
islandese, frisico, sassone, anglo-sassone, francico ed alemanno. 
E in questo nobile arringo, fra V altre città d' Italia fa pur bella 
comparsa la nostra Milano, ove^ la Dio mercè, vive tutt'ora 
quel forte ingegno S che, sprezzando gli agi dell' avito retaggio, 

i Nella Bioqraphie Vnwerseile awitenns et moderne , voi. VII , pubblicata 
l'aoQo scorso a Parigi, non si sa per quale equivoco, o mal digestc ricer- 
che, tracciandosi la biografia del conte Cari* Ottavio Castiglioni, ne fu attestata 
la morte sia dall' anuo 1836. Facciamo voti, onde il benemerito lombardo 
possa ridersi ancora lunghi anni di queste tipografiche imprese, a vantaggio 
della scienza, ed a conforto di quelii che sanno apprezzare il valore de' suoi 
giorni ! 



10 ORIGINE B SVILUPPO 

illuslrù alcune antiche lingue d* Oriente» descrivendo le monete 
cufiche del Gabinetto Numismatico , e rìstaurò sui tarlati Re- 
scritti dell'Ambrosiana gran parte delle gotiche versioni evaiH 
geliche d'Ulfila, porgendo cosi alla sdenza nuova messe d'os- 
servazioni novelle per la ricostruzione di quella lingua. A questi 
medesimi studii la scienza va deUtrìce della monumentale gram^ 
matìca comparativa di tutte le lingue indo-«uropee di Francesco 
Bopp, di tutti gli idiomi germanici antichi e moderni di Jacopo 
Grimm, degli scandìnavici di Petersen, di tutti i latini di Ray- 
nouard, non che dei profondi lavori, coi quali Dobrov^sky, lin- 
de, Schaffarik, Rollar, Karadschisch e Hanka, illustrarono le an^ 
tiche e moderne lingue slave; Maittaire, Bumouf, Facius, Stur- 
tius, Thiersch, David ed altri le antiche e moderne ellenidie; 
ed una eletta schiera di benemeriti studiosi rivelarono all'Eu- 
ropa tante lingue delF Oceania, dell' Africa e dell'America. 

Fra le conquiste fatte dalla scienza negli ultimi tempi, merita 
distinto seggio la recente scoperta della lingua sacra di Persia^ 
nella quale Zoroastro dettava le salutari sue instituzioni« È noto^ 
come sin dalla fine dello scorso secolo, quando i caratteri chi- 
nesi ed i geroglifici egiziani, dopo la celebre invendone* della 
Tavola di Rosette, attirarono l'attenzione della dotta Europa^ 
Chardin e Cornelio Lebrun, copiassero per la prima volta dalle 
mura diroccate dei palagi di Persepoli, alcune, iscrizìimi in ca-^ 
ratteri sin allora sconosciuti. Sebbene la novità e la strana forma 
di quei segni avessero da principio dato luogo a dubitare, se 
fossero ornamenti destinati a decorare fe porte reali, anziché 
segni di scrittura ordinata, ciò nuUostante, dappoiché il celebre 
Niebuhr con una diligente relazione ne pubblicò esatti facsimile, 
non si tardò a riconoscerli per vere iscrizioni. Sin d'allora i 
viaggiatori che visitarono l'Asia meridionale andarono in traccia 
di tali monumenti, sicché in breve Y Europa ebbe doviziosa rac- 
colta d'iscrizioni cuneiformi^ tratte dalle rovine di Persepoli, 
d'Ecbatana, di Ninive e di Babilonia, per cura degli Harford, 
Jones, Morier, Ouseley, Ker Porter, Roberto Stevirart, Bellino, 
Ridi, Prudhoe ed altri molti, che successivamente percorsero 
l'Asia Minore, l'Assiria, la Caldea e la Persia. 

Mentre gli uni erano intenti alla ricerca dei materiali, altri 
fecero ingegnosi tentativi, onde svolgere il recondito significato 
di quo' monumenli, i quali senza dubbio porger doveano testi- 



DELLA LINGUISTICA. 11 

moniànza ed illustrazione agli annali d' Oriente. Tycfasen, Hm* 
ster, Lichtenstein , Niebuhr e Grotefend, diedero principio a 
quest* ardua impresa con erudite Memorie, nelle quali accenna* 
rono ai mezzi che avrebbero precipuamente giovato alla solu- 
zione del gran problema. Grotefend più perspicace, e più av- 
venturato, precorse gli altri, e seguendo sagacemente Y ipotesi^ 
che alcune brevi iscrizioni esprimessero nomi istorici, riusci 
agevolmente a leggere quelli di Serse, Dario, Istaspe, e fissò 
per tal modo il valore di alcune lettere, le quali agevolarono 
la scoperta del valore delle altre. E perciò dobbiamo ingenua- 
mente attestare, che, se Grotefend non riusci poscia ad inter- 
pretare compiutamente le iscrizioni persepolitane, e se più tardi 
ebbe il torto di ostinarsi in un sistema di lettura insufficiente 
a svolgere le difficoltà dei monumenti, egli ebbe ciò nullostante 
il merito d'avere aperta, primo fra tutti, la via, e gettata la 
pietra angolare per T edificio della persiana paleografia. 

É manifesto, che, per procedere nella lettura delle iscrizioni 
cuneiformi, era d'uopo conoscere primamente la lingua nella 
quale erano state dettate, e che questa potevasi a buon drillo 
supporre un antico dialetto persiano, come fu appunto confer- 
mato dal fatto. Ora questo indispensabile sussidio mancava a 
Grotefend, del pari che agli altri paleografi, dappoiché, sebbene 
alcuni monumenti dell' antica Persia fossero stati prima d'allora 
tradotti, ciò nulla di meno ignoravansi ancora parecchie fra le 
antiche sue lingue, e richiedevansi molti studii preliminari che 
ne determinassero V organismo e le leggi fondamentali. E perciò 
vani riuscirono i tentativi fatti nel tempo stesso da Saint-Martin, 
da Price e da quanti s'accinsero a quest'impresa. 

Cosi il gran problema dell'alfabeto cuneiforme rivelò la ne- 
cessità di premettere la soluzione d'un altro più grave, qual 
era la ricostruzione degli antichi dialetti persiani, in particolare 
della lingua di Zoroastro. La cognizione già raggiunta della lin- 
gua sacra dell' India, alla quale la zenda era collegata con vin- 
coli stretti di fratellanza, i fausti risultamenti ottenuti da Silve- 
stro De Sacy nella interpretazione delle iscrizioni pelilvi dei 
Sassanidi, ed i confronti fra queste lingue instituili , giovarono 
al compimento della difficile impresa. La lingua zenda fu com- 
piutamente illustrata, mercè le cure sagaci d' Eugenio Burnouf, 
e sin d'allora la lettura e l'interpretazione delle iscrizioni cu- 



l!2 ORlGIlfE E SVILUPPO 

neiformi fu assicurata; perocché Bumoaf e Lassen, qaei due 
medesimi ingegni, che poco prima avevano unito ì loro sforzi 
per la ricomposizione della lìngua pali, non tardarono ad ap- 
plicare separatamente la cognizione della lingua poc'anzi ristau- 
rata ad una lettura congetturale delle leggende po^politane, e, 
sebbene per vie diverse , giunsero alla meta quasi inaspettata 
delle loro ricerche. Primo Bumouf annundò all'Europa T im- 
portante sua scoperta nel commentario sull'Ya^na, libro reti- 
gioso dei Parsi, fin dal 1825, e la sviluppò più diffusamente 
nella Memoria intorno a due iscrizioni cuneiformi irovaie presso 
Hamadan. lì dottor Lassen frattanto pubblicava nel tempo stesso 
a Bonn il suo lavoro intitolato: Die altpersischen Keil-Inschrifien 
von Persepolis. Entziffertmg des Alphabeis^ und Erkiàrung des 
Inhalts; nel quale, provata T insussistenza del sistema di Grò- 
tefend, propose un nuovo metodo fondato sulta natura degli 
antichi idiomi persiani, applicandone l'ingegnoso principiò alle 
iscrizioni persepolìtane in modo, da non lasciare alcun dubbio 
sulla rettitudine ed importanza della scoperta. 

Il risultamento finale d'ambedue questi metodi, sebbene se- 
paratamente imaginati e per vie diverse condotti, è affatto iden* 
tico, mentre ciascuno porge identica interpretazione dell' iscri- 
zione inedesima , e le poche loro varianti , lungi dall' influire 
sul complessivo sistema ortografico, appartengono solo agli ele- 
menti più variabili in tutte le lingue, quali sono le vocali e le 
finali flessioni. Checché ne sia, la consonanza dei loro principii 
nei punti principali del soggetto, e le mirabili applicazioni fatte 
di poi con tanto successo al compiuto svolgimento di molte leg- 
gende rinvenute più tardi, confermano irrevocabilmente l'esat- 
tezza delle loro dottrine. 

Abbiamo accennato ai particolari di questa linguistica scoperta 
per adombrare a quali alti finì essa tenda, ed a quante utili 
rivelazioni possa un giorno pervenire, ove sia retta da menti 
sagaci e spoglie di prevenzioni. Infatti, chi avrebbe mai potuto 
credere, che le sparse rovine di Ninive e di Babilonia, rimaste 
per tanti secoli mute, avrebbero rivelato un giorno gli avveni- 
menti polìtici, le tradizioni religiose e gli scambievoli rapporti 
di nazioni, delle quali la storia serba appena alcuni nomi? Chi 
avrebbe imaginato cinquant' anni addietro, che nel cuore del- 
l' Oriente sarebbesi rinvenuta un giorno una lingua, la quale. 



DELLA LINGUISTICA. 13 

mostrando alle nazioni attonite d'Europa i loro mi^i vincoli 
di fratellanza, avrebbe rivelata altresì F origine delle loro scienze 
e della prisca loro letteratura? Chi avrebbe potuto credere, che 
la lingua di Cicerone e'^di Virgilio, . aveva comuni gii elementi 
con quelle dei Goti e dei Franchi sovvertitori dell* impero; e 
che quelle poetiche leggende e filosofiche dottrine delle quali 
gloriavasi la dotta Grecia, non erano se non svisate tradizioni 
e guaste rimembranze d* una civiltà anteriore, che, trasportata 
dalie felde degli Imalai sugli scogli dell'Arcipelago, v'incominciò 
con vario aspetto un'era novella? Non v'ha dubbio: queiclas* 
sici idiomi, ai quali testé si prodigava il nome di madrilingue, 
e che si divisero per secoli l'esclusivo onore di lingue colte, 
non sono più pel linguista, se non dialetti affini e derivati, i 
quali hanno comune colle lingue credute barbare T origine! 

Colla scorta di tanti preziosi materiali, si venne con rapidità 
mirabile tessendo un vasto ordinamento di lingue, sulla cui 
norma furono classificate tutte le nazioni antiche e moderne del- 
l' orbe. Fin dal principio del nostro secoJo, Giovanni Cristoforo 
Àdelong imaginò il vasto progetto di ordinare in un qiradro 
generale tutte le lingue dell'Asia, dell'Europa, dell'Africa, del- 
l'America e dell'Oceania, ripartite in famiglie, e suddivise nei 
loro dialetti, corredandolo di molteplici notizie sulla loro strut- 
tura e Jetteratura, non che di saggi pratici e bibliografiche in^ 
dicazioni. Questo lavoro con eroica fermezza e vastissima eru- 
dizione incominciato, fu poi condotto a termine da Yater, per 
l'immatura morte dell'autore; esso contiene un'immensa con- 
gerie di preziose, sebben maldigeste, notizie; e porta in sé tutti 
i pregi ed i difetti comuni per lo più ad ogni primo tentativo 
d' una vastissima impresa. Klaproth, percorsa l' Asia da levante 
a ponaite, da settentrione a mezzogiorno, ci porse un Atlante 
linguistico deUa medesima, nella sua Asia polyglolta, ove co- 
ordinò le innumerevoU nazioni che la coltivano, sulla norma 
delle 1(H* lingue. Humboldt, pubbUcò impor^nti lavori su quelle 
dell' America, nell' intento di stabilirne una fondata classificazio- 
ne ; ed altri instituirono confronti su quelle dell' Africa e del- 
l' Oceania. 

Allora per la prima volta il celebre Malte-Brun, appUcò di 
proposito tante utili speculazioni all'etnografia, nel suo Compen- 
dio di geografia tmiversxUe^ ampliandole colle proprie osserva- 



14 OaiGINE E SVILUPPO 

zioni; e più tardi fu imitato da Adriano Balbi, il quale ebbe 
ancora il lodevole pensiero di compilare separatamente in un 
Aliante etnografico del globo, il frutto di tanti studii, redigendo 
la classificazione compiuta di tutte le nazioni antiche e moder- 
ne, fondata sulle loro lingue. Se non che, il compilatore di quel 
libro altro non fece, se non ripetere i vecchi errori, aggiungen- 
done parecchi dei propri; giacché se appena fosse penetrato 
sul limitare della linguistica, non V avrebbe confusa e scambiata 
ad arbitrio colla etnografia, essendo questa una sola delle molte 
applicazioni di quella; non avrebbe ripartito per regioni tante 
lingue disparate, non avendo verun rapporto la natura degli 
idiomi coi luoghi nei quali sono parlati , e trovandosi sovente 
in regioni diverse linguaggi affini d'una stessa famiglia; non 
avrebbe confuso le lingue lettiche tra le slave, né la pehivi tra 
le semitidie, né la turca e la ciuvassica tra le mongolidie, lin- 
gue di natura affatto diversa ; enumerando poi gli italici dialetti, 
non avrebbe per certo confuso e collegato in manipoli il ge- 
novese col piemontese, il bergamasco col bolognese, il bresciano 
col parmigiano e col jferrarese, né posto fra i dialetti occitanici 
il valdese, ch'é pretto piemontese. 

A porgere un saggio pratico del vero ordinamento filosofico 
dei linguaggi, adombreremo per ultimo la grande divisione, da 
noi altrove diffusamente svolta , di tutte le lingue dell* orbe in 
tre classi, alle quaU per avventura corrispondono i tre princi- 
pali stipiti, nei quali Tuman genere fu dai fisiologi ripartito. 
La prima classe comprende le lingue semplici, ossia affatto prive 
d'artificio grammaticale; la seconda comprende le afjissive; la 
terza le inflessive. 

Nelle prime ogni idea ed ogni modificazione della medesima 
è rappresentata da un segno o da una parola speciale, la qua- 
le, rimanendo sempre immutabile ed inflessibile, non può rice- 
vere, né dare modificazion di valore alle parole colle quali forma 
una proposizione. Non anunettendo quindi né declinazioni , né 
conjugazioni , né parole composte con ahra legge, fuorché per 
via di semplice sovrapposizione, ne viene, che indefinito è in 
queste lingue il numero delle radici, e nulla la sintassi. A que- 
sta classe appart^gono le lingue delle regioni orientali delF A- 
sia, in particolare la chinese e le sue affini, nelle quali appunto 
é fondata per avventura la ragione sufficiente della condizione 



DELLA LINGUISTICA. 1 5 

Stazionaria delle nazioni che le parlano, come pure della somma 
difficoltà d'impararle; molto più facile essendo l'ordinare nella 
propria mente un determinato numero di leggi granunaticali « 
che non un'indeterminata e pressoché inesauribile congerie di 
separate radici. 

Le lingue della seconda classe son quelle die, determinato 
un numero più o meno ragguardevole di radici atte a rappre- 
sentare la serie delle idee principali, ne ei^rimono poscia le gra- 
duazioni, le modificazioni ed i rapporti, per mezzo di affissi e 
di suffissi; vale a dire, affiggendo al princìpio o alla terminazione 
delie radici medesime altre parole, le quali, staccate, hanno de- 
terminata significazione lor propria. A questa dasse apparten- 
gono pressoché tutte le lingue indigene dell' America, la eopta, 
le basche anticamente diffuse su quasi tutta la penisola iberica, 
delle quali poche reliquie sopravvivono frd le balze de Pirenei 
occidentali; e le finniche, le quali possono eziandio collocarsi 
nella terza classe, facendo uso simultaneamente di affissi e d'in- 
flessioni. A questa dasse medesima potrebbero altresì ascriversi 
le lingue celtiche , le cui principali inflessioni corrispondevano 
io origine a pronomi , avverbii ed articoli , e nelle quali per 
conseguenza l'uso posteriore di pr^nettere l'articolo ed il pro^ 
nome ai nomi ed ai verbi, serbando le flessioni, forma altret- 
tanti pleonasmi. 

Le lingue della terza classe son qudle che esprimono le mo- 
dificazioni ed i rapporti delle idee, aiterando in varia foggia le 
i*adici primitive, sia mutilandole , sia variandone le vocali o le 
consonanti radicali, sia mutandone le desinenze, ciò che appunto 
i grammatid distinguono coi nomi di conjugazùme e declina- 
zione. É quindi chiaro che, mercé quest'ingegnoso artificio, le 
lingue inflessive possono esprìmere con picciol numero di ra- 
dici una varietà indeterminata di idee, precisandone i mutui rap- 
porti, ciò che le semplici non possono conseguire, se non con 
un numero indeterminato di voci. Nelle lingue inflessive esiste 
quasi un principio vitale, mercé cui possono variare all'infi- 
erito, senza cangiare natura, mentre le semplici ^ collo sviluppo 
delle idee, cangiano la materia e la forma. La vera cogni* 
^one ddle prime consiste nell' abbracciare d'un colpo d'occhio 
li complesso delle leggi sulle quali sono moddlate; quella delle 
seconde nell' imparare a memoria l'infinita. serie di voci stac- 



16 ORIOUffe B SVILUPPO 

cate , proprie d' ogni singola idea. Perciò appunto suol dirsi , 
che al più erudito Ghinese non basta il corso della vita per 
apprendere la propria lingua; mentre T Europeo ^ coi soccorso 
deir artificio grammaticale, può impararne simultaneamente pa- 
recchie. 

Da ciò appare manifestamente assurdo eziandio T intento di 
quelli che impresero a ricondurre tutte le lingue del globo ad 
un solo stipite primitivo^ mentre nessun fatto storico ci addita 
una sola lingua semplice, trasformata in lingua inflessiva, o 
viceversa; che anzi ve^amo la più antica fra le lingue sem- 
plici conosciute , cioè la chinese» attraversare quaranta e più 
secoli in tutta la primitiva semplicità, senza assumere una sola 
forma grammaticale, a malgrado dell' incivilimento cui giunsero 
da età rimota le nazioni che la parlano; e d'altronde scoliamo 
la più colta e perfetta tra le note favelle inftessive, ossia la san- 
scrita, perdersi nella notte d*una rimotissima antichità. 

In simil guisa, indagando k> speciale oi^nismo dei singoli 
idiomi, si procedette alla suddivisioDe di dasoona classe in fa- 
miglie, delle famiglie in gruppi, dei gruppi in lingue distinte, 
e delle lingue in dialetti. Di mano in mano che sì procedette 
nell'ardua disamina, apparve sempre più manifesta l'impor- 
tanza della cognizione dei dialetti parlati, per salire a quella 
degli antichi idiomi caduti in oblivione; ed a tal uopo s'insti- 
tuiroao laboriose ricerche in tutte le parti d'Europa. Gli alti 
fini di questa scienza ottennero finalmente eziandio la prote- 
zione dei governi, sicché in parecchie città d'Europa l'inse- 
gnamento delle lingue orientali, già fondato ad illustrazione delle 
dottrine religiose, non fu più ristretto alle sole semitiche; ma 
vi si aggiunsero la sanscrita e la chinese; in parecchi luoghi 
sorsero ogpnai cattedre di linguistica, dalle quali scaturirono 
importanti lavori ed allievi di belle speranze; sicché ci giova 
sperare, che in breve tempo questa scienza otterrà l'alto seggio 
che le si compete. 

Impazienti di vederla protetta e promossa anche fra noi, ci 
siamo proposti di svolgerne, in una serie continuata di ragiona- 
menti, la storia, l'intento, le le^ e lo stato attuale presso tante 
nazioni, nella fiducia di far cosa grata ai benemeriti del nostro 
paese. Valgano frattanto questi primi cenni ad accendere fra i 
nostri concittadini T amore per una scienza che, seM)en nata 



DELLA L^GUISTIGA. 17 

rigogliosa, ci porge ancora vastissimi regni a conquistare: e que- 
sta* terra lombarda, che amministrò le corazze e gli scudi al- 
l' Europa feudale; che prima insegnò agli altri poppli Tarte dei 
canali navigabili, e diede air agricoltore i prati perenni; che 
porse air astronomo i primi germi del calcolo trascendentale, al 
ehimico la Pila, al legislatore il Libro dei delitti e delle pene, 
possa emulare un giorno le altre nazioni eziandio nello studio 
comparativo delle lingue! 



II. 



DELLA LEiGOSTICA 



APPLICATA ALLA RICERCA 



DELLE ORIGINI ITALICHE 



La ricerca detlé Origini ttaHché fa soggètto di molti stiidii 
e degfi sforzi di molti ingegni nel ^colo scorso. Vàrii sistemi 
furono con vario sfoggio d* erudizione e con maggiore o mi- 
nore apparenza di verità itìstitniti ; e parecchi volumi comparvero 
successivamente alla hice, senza che per ((uesto si gtuiigeiàse allo 
scioglimento dell' mtricato problema. Ne fo causa Fitìsufiicienza 
dei metti ^ e pi& ancora la fatale consuetudine di premettere i 
prìncipn alla ricerca degli elementi che doveano costituh*!!. E 
perciò, ({uando ff mondo scientifico fa stando di st^emii abban- 
donò rimpresa alle future generazioni. 

Frattanto dalle sparse notine de* naviganti é de^ missionarii, 
riunite e coordinate da* moderni fitoìogi, venne a pciso a poco 
sviluppandosi la Linguistica, le cut opportune applicazioni alla 
storia svolsero sin da principio le ignote origini di alquante na- 
zioni antiche e moderne, e rivelarono fn altre sorprendenti 
rapporti di mutua affinità. Allora tornò in campo eziandio Tabban- 
donata questione ddfe Origini Itaiiche^ la quale, a nostro con- 
forto, non solo occupa oggidì la mente di chiari ingegni ita- 
liani, ma è scopo altresì delle profonde fucubrazioni di valenti 
scrittori stranieri. 



22 DELLA LINGUISTICA 

Lunghi e sudati lavori compajono tuttogiorno alla luce iii 
Germania, in Bretagna, in Francia ed in Italia, intesi a trac- 
ciare le migrazioni, a svolgere le origini, a determinare le an- 
tiche sedi e le vicende dei Reti , degli Etrusci , de* Tirreni , dei 
Pelasgi, dei Celti, dei Siculi, dei Bruzi, e di quanf altre genti, 
ripartitosi un tempo il suolo della nostra penisola, colla vicen- 
devole loro fusione diedero origine alla nazionalità italiana. Sono 
abbastanza note le erudite opere di Niebuhr, Miiller, Zeuss, 
Diefenbach, Leo, Grotefend, Lepsius, Fernow, Steub, Betham, 
Troja, Gorcia, Mazzoldi, Bianchi-Giovini, Balbo, e di tanti altri 
italiani e stranieri più o meno rivolte al medesimo fine. Se non 
che le differenti vìe da ciascuno calcate, il vario modo d'in- 
terpretare le antiche leggende e le testimonianze multiformi de- 
gli scrittori, la diversa applicazione delle teoriche linguistiche 
alle loro indagini, e quindi la discrepanza dei rispettivi loro ri- 
sultamenti, non valsero per avventura a spargere sinora sulla 
nostra primitiva istoria quella copia di luce, che dovevamo ri- 
prometterci da tanti lucidi ingegni, dai profondi e coscienziosi 
loro studii. 

Confortati dal vedere .tanti sommi in Europa prediligere le 
cose nostre,, prodigandovi le dotte lor vqglie, impazienti di rac- 
corne. pur una volta il frutto ^ allontanando la molUpIicazione 
dei sistemi, e conscii dell'importanza della Linguistica in simili 
$;tudii, ove sia opportuhamente applicata, reputiamo util cosa il 
richiamare T attenzione degli studiosi allo stato attuale della 
medesima, tracciando gli estremi coniìni della su^ influenza, 
vale a dire, determinando fin dove, nelia .presente coudizione 
di studii, essa valga a coadiuvare lo storico nella speciale ri- 
cerca delle Origini Italiche, si per difenderla dall'insultante ac- 
cusa di fallace ed inutile, scagliatale da taluno, come per fre- 
nare l'imprudente foga di altri, che^ s^tribuendole illimitata po- 
tenza , tentano forzarla ad imprese superiori agli attuali suoi 
mezzi. 

Noi non ci tratterremo a confutare la strana asserzione del 
signor Mazzoldi, il quale, prendendo a disan^ina il grave argo- 
mento delle Origini ItaUcke, elimino di tutto punto dalla que« 
stione la Linguìstica, qual mezzp inutile e fallace, preferendo poi 
riprodurre, in prova d'un vecchio e riprovato sistema da lui 
guasto e svisato, confusi brani di antichi scritloiii, scdli alFuo- 



'applicata alla ricerca delle origini italiche. 23 

pò, mutilati e sovente interpretati a capriccio. Invitando i lettori 
air esame delle Origini ftaliche del Gaarnacci, ed alla, confa* 
tazione del libro del signor Mazzoldi pabblicata dal nostro be- 
nemerito lombardo Bianchi-Giovìni, ci ristringeremo ad avverti* 
re, non essere lecito, a chiunque osa intraprendere siffatti stu- 
dii, r ignorare l'importanza d'una scienza coltivata con gloria 
da tanti luminari d'Europa, ed alla quale, comeccliènascente, il 
mondo scientifico va debitore di molte importanti rivelazioni. Se 
la Linguistica sol consistesse nel classificare a capriccio, o a 
sorte, come fece il Balbi^ i nomi delie antiche e moderne lin- 
gue, confondendo le note colle ignote, le semitiche colle giapeti- 
che, colle camitiche, senza badare ai mezzi, né al fine, la 
sentenza del signor Mazzoldi meriterebbe plauso d' equità ; ma, 
grazie a Dio, essa procede ben altrimenti, mentre, diretta ad 
alti fini, e provveduta di potenti mezzi, indaga quello che igno- 
ra, asserisce sol ciò che prova, e rivela quello che scopre ^ 
Egli è ornai tempo, che procediamo pur tutti per questa via, 
associando fraternamente e con retta coscienza i nostri agli 
studii altrui, giacché solo dalla concorde alleanza delle scienze 
affidi può scaturire quella verità che cerchiamo, e che 11 mondo 
ha diritto di esigere da noi! 

Molto meno ci faremo a tessere le lodi delia Lingnislica, o 
accecati da esagerala prevenzione per una scienza, che da molti 
anni forma il soggetto primario de' nostri studii , tenteremo re- 
stringere a questa sola il privilegio di rivelare le origini delle 



1 II Balbi, neWAtlante etnografico del globo, enumera fra le lingue greco- 
latine quelle che parlarono un giorno i Frigj , i Trojani , i Bitinii , i Lidj, i 
Carii, i Licj, i Cimmerii, i Tauri, i Traci, i Mesi, i Daci, i Macedoni, gli lUi- 
ij, i Pannoni, i Veneti, i Siculi, e tanti altri popoli, dei quali la scienza ignora 
tuttora r origine, non che le lingue ed i rapporti. Che anzi, se fosse lecito 
institaire qualche yerisimìle congettura sui loro nomi proprii, e sulle poche 
VOCI, péF]avventurft storpiate, serbateci dagli antichi scrittori, saremmo co- 
stretti a crederle di famiglie tanto diverse dalla greco-latina, quanto più ne 
differiscono le forme; a questa credenza siamo pure condotti dalla testimo- 
nianza degli antichi storici greci, i quali, parlando degli lllirj, dei Macedoni, 
e di parecchi altri fra i popoli surriferiti, d' unanime accordo asserirono, che 
parlavano barbaro, vale a dire non greco. Questo brano deW Atlante etnogra- 
fico, che non è de' peggiori, basta a porgere idea del modo col quale quel 
libro fu compilato. 

Veggansi su questo argomento le nostre osservazioni nella prima parie 
deir Atlante linguistico d' Europa , la continuazione del quale sta sotto i 
torchi. 



U DELLA LINGUISTICA 

nazioni, diiBindado tanle altre scienze affini ed importanti, tioùgi 
da eiò, conscii della sua breve esistenza, della vasta carriera 
che tuttavia le rimane a percorrere, e perciò ancora delle mol- 
teplici sue imperfezioni, è nostra mente esporne con esail^za 
lo stato attuale, ed ì mezzi de' quali può valersi oggidì , onde 
prendere utile parte neir astrusa ricerca delie nostre origini. 

La Linguistica, come abbiamo nel precedente discorso accen- 
nato, comecché nata rigogliosa, è ancora ne' suoi primonfii, e, 
sebbene coronata di brillanti scoperte, attende ancora chi ne 
raccolga e ne coordini le l^gi fondamentali, ne sviluppi le va- 
rie mendira, e ne colleghi sapientemente i destini a quelli delle 
scienze affini. Abbiamo ciò non pertanto avvertito, in qual modo, 
ricostruendo con pochi ruderi pflffecchie fra le antiche lingue 
cadute in obblio, pervenisse nel breve corso d' un mezzo secolo 
incirca a determinare con mirabile evidenza le origini di varie 
schiatte asiatiche ed europee, non che a scoprire rapporti di 
fratellanza tra disparate e lontane nazioni. Ai molti esempii pro- 
dotti ad illustrazione di quel rapido cenno potremmo ora ag- 
giungerne una lunga serie, se pur foese d*ttopo dimostrarne Tu* 
tilità e r importanza; e però non è più lecito dubitare, che, in 
parità di circostanze, e per identiche vie, possa raggiungere, 
col tempo e con opportune applicazioni, la scoperta di nuove 
orìgini e di nuovi rapporti. Solo è mestieri avvertire, che la filo- 
logia comparata, del pari che tutte le scienze positive, procede 
gradatamente dal noto air ignoto, eh* essa pure abbisogna dei 
dati del problema prima di tentarne la soluzione, che cioè ha 
d'uopo di tante equazioni quante sono le incognite che ricerca; 
e che in conseguenza, pruna di tutto, deve indagare e stabilire 
questi dati, senza i quali anche i suoi sforzi tornano inutili ed 
infruttuosi. Cosi, prima di giungere a determinare le origini e 
le affinità di tante schiatte indiane , persiane ed europee, o a 
collegare in famiglie tante tribù asiatiche, africane, o americane, 
essa dovette col lungo studio de' dialetti parlati, e colla scorta 
dei monumenti, ricostruire alcune fra le estinte favelle; col sus- 
sidio di queste pervenne alla cognizione di altre, sinché, ap^ 
prestati per tal modo i necessarii materiali, potè instituire i con- 
fronti, fondare i suoi ragionamenti, e pronunciare i giudizi. 

Ora, sebbene lunghi e severi sludii venissero in varii tempi 
instituiti intomo alle antichità italiane, pure questa raccolta di 



APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 25 

materiali necessarìi onde procedere alla lamina delle orìgini 
dei popoli è lungi aneora dair essere compiata; né sappiamo, 
se potrà compiersi un giorno, giacché noo possiamo creare i 
monumenti, né for risorgere i morti per interrogarli; e quindi 
avvisiamo, cbe, se é avventato giudicio ii dichiarare la scienza 
per questo fine insufSciente e fallace, non é meno immaturo 
consiglio, nel suo stato attuale, T invocarne con piena fiducia gB 
oracoli. 

Infatti la storia ci enumera una serie di popcrfi primamente 
stanziati sul nostro suolo, i quali da mìgliaja d'anni scompar- 
vero senza lasciar traccia di sé, né delle loro lingue. A quelli 
ne successero altri, che alla loro voha cedettero il posto a no- 
velle genti novellamenle giunte da rimoti lidi, e con esse si fu- 
sero; e quest'alterna vicenda, o commistione, si rinnovò più 
volte in tutte le regioni della penisola, e in ogni direzione, prima 
ehe la storia ne seguisse le orme, o ne fermasse reminiscenza^ 
tranne alcuni nomi. Ora questi nomi stessi, unica reliquia di 
tante genti, guasti e storpiati dagli scrittori^ talvolta erano col^ 
lettivi, e comprendevano parecchi popoli confederati, o raccolti 
sotto un medesimo freno; talvolta apponevansi dal conquistatore 
al conquìso, sebbaie d'origine diversa, come avvenne durante 
Tetrusca confederazione, e sotto la romana repubblica, e come 
aneora a' di nostri udiamo appellarsi Romano il pacifico pastore 
valacco, e romana chiama la propria lingua il riscattato clefta 
deir Arcipelago; talvolta ancora furono dati a caprìccio dagli sto- 
rici posteriori all'uno o all'altro popolo, per sceverarli fra di lo- 
ro, dinotandone le principali consuetudini, come é chiaro dai 
nomi dei Gimmerii^ dei Lueumoni e d'altrettali, che suonano i» 
greca favella abitatori delie grotte, e dei boschi, senza racchiu- 
dere verun indizio che alluda alla ricettiva loro nazionalità. 
Perciò Tirreni, Pelasgi, Liguri, Veneti, Euganei, Ausonii, Etru- 
sci. Lucani, Bruzi, Marsi, Piceni, Sanniti, Siculi, Aurunci furono 
sempre oscuri nomi di molteplice e vaga significazione per l' im* 
parziale indagatore delle origim. Ciò non pertanto, storiche te- 
stimonianze, la enorme pluralità de' viventi dialetti italiani e i 
pochi monumenti che si vanno qua e là dissotterrando^ ci fanno 
concordi non dubbia fede, che tutti questi popoli avevano lin- 
guaggi proprii e distinti; e questi pure interamente scomparvero, 
senza che ne venisse serbata notizia, giacché gli storici antichi 



26 DELLA LLNGUlSTiCA 

si curarono meno ddle lingue e dette sotiiatte, eiie dette favote 
e dei riti superstiziosi; e più tardi la politica dei regnanti, il 
ferro e il fuoco dei combattenti e l'orgoglio nazionale degli 
scrittori romani, o tentarono fondere nella conquistatrice le molte 
nazioni conquise, o distrussero le vestigia della primitiva toro 
civiltà, sprezzarono e ne occultarono ad arte le origini e le 
lingue. Basta avvertire, come tanti scrittori romani non ci tra- 
mandassero un solo cenno intorno atta lingua dei Cartaginesi, 
coi quali si disputarono .per qualclie secolo il dominio dei mari; 
nulla c'insegnassero della lingua etrusca, nella quale si rappre- 
sentavano commedie in Roma ai tempi d'Augusto e molti anni 
dopo di lui; né facessero bastevole menzione delle tante fevelle ibe- 
riche, celtiche, germaniche e traci lungo tempo soggette al loro 
dominio. Appunto per queste ragioni gli studiosi, che nel passato 
secolo tentarono svolgere le nostre origini, brulicando fra le an- 
tiche macerie^ o spigolando testimonianze fra gli antichi scritto- 
ri, fondarono solo vaghi sistemi che si distrussero a vicenda, e 
lasciarono più intricata la questione. 

In tanta inopia di mezzi sorgeva appunto ai di nostri la Lin- 
guìstica, novella face atta per avventura a diradare il bujo di 
tante tenebre, ed essa pure fu ben presto da parecclu studiosi 
interrogata. Ma questi non avvertirono, che, per rispondere alle 
intempestive loro dimande, essa avea d'uopo eonoscére, non 
solo le antiche lingue italiche, ma altresì quelle delle circostanti 
regioni che contribuirono a popolare le nostre; e che dell'in- 
determinata congerie di lingue parlate un tempo ndla nostra 
penisola non conosciamo sinora, oltre alla greca, alla latina ed 
all'osca, se non qualche svisato dialetto della celtica, ed assai 
poco l'etrusca; meno ancora sappiamo delle lingue degli antichi 
Fenicj, dei Trojani, dei Pelasgi, dei Traci, dei Tirreni, e di 
tante altre genti, che, per istorica testimonianza, fondarono sta- 
bili e separate colonie sul nostro suolo. Come potea quindi la 
Linguistica instituire confronti e pronunciare giudizi! su quello 
che ignora? Né giova richiamarla alla scorta dei monumenti, 
mentre molte fra le antiche lingue mancano affatto di monu- 
menti scritti, altre ne hanno di troppo esili. Arroge, che i Gre- 
ci, gli Etrusci, ì Celti ed i Latini estesero più o men lungamente 
il loro dominio sopra una maggiore o minor porzione della pe- 
nisola, ove imposero a vicenda a nazioni diverse, collegate solo 



APPLICATA ALLA RICKRGA DELLE ORIGINI ITALICHE. 27 

da una stessa le^e, i rispettivi linguaggi, e quindi rallaci, o al- 
meno dnbbiì sarebbero anche i giudicii fondati sui monumenti, 
giacché egualmente male si apporrebbe colui, che, scoprendo 
parecchie iscrizioni etrusche nelle venete provincia, attribuisse a 
quella popolazione etrasca origine, come chi la giudicasse latina 
per copia di latini monumenti. 

Resa per tal modo manifesta T impossibilità d'applicare nel 
presente stato di cose la filologia comparata alla ricerca delle 
nostre Origini, non ne viene, eh* essa non abbia a provvedersi 
un giorno dei mezzi necessarii a riempire questa importante la- 
cuna della storia d* Italia. Ghè anzi, se i vecchi idiomi scom- 
parvero, se il tempo e le conquiste ne distrussero le tracce, e 
se gli antichi scrittori li ignorarono, o vollero farceli ignorare, 
vi sono tuttavia de' monumenti indestruttibifi, mercè i quali essa 
potr^be per avventura ricostruirli, o determinarne almeno Y in- 
dole e la cognazione. Tali monumenti sono i viventi dialetti, e 
i nomi proprii de' monti, de' fiumi, de' paesi e deMuoghì, i quali 
sopravvissero alle rovine di tante superbe città ed alle nazioni 
dalle quali furono innalzate. 

Abbiamo altrove dimostrata l'invincibile tenacità dei popoli 
nel serbare le forme e gli elementi che costituirono le primi- 
tive, lor lingue, anche a traverso le migrazioni e le conquiste, 
e in onta alla violenta sovrapposizione di nuove favelle ^ Ab- 
biamo allora notato, fra ì principali e più distintivi elementi dei 
linguaggi parlati, la pronuncia, o il sistema sonoro, il vocabo- 
lario, ossia la raccolta delle voci proprie di ciascuna lingua, la 
grammatica^ o il vario modo di comporle e d'infletterle, e la 
sintassi, o meglio il sistema concettuale proprio d'ogni singola 
popolazione. Una lunga serie di esempi attìnti alla storia delle 
lingue meglio conosciute ci rese agevole il dimostrare l'impos- 
sibilità della . totale distruzione di questi elementi , senza la di- 
struzione del popolo che li ha succhiati col latte; ne abbiamo 
evidenti pròve sotto gli occhi nella lingua turca, alla quale l'araba 
conquista potè imporre bensì la massa de' proprii vocaboli, non 
già dettare le proprie forme; e nel linguaggio degli Scandinavi, 
nel quale troviamo la doviziosa congerie delle radici germaniche 

1 Sullo studio eomparaiivo delle lingue. Memoria inserita oel II volume 
del Politecnico, 



38 DELLA LlNGIllSTtCA 

sottoposta a mutazioBÌ, a leggi ed a forme per avvenlara anti* 
chissime, di natura a&tto diverea dall*organtstto deHe sUsas 
germaniche fevelle. 

Ora, non v* ha regione in Europa, ehe sopra egoal saperfieie 
seii)i tante discrepanti varietà di pronuncia, quante 1* Italia, 
prova non dubbia della pluralità delle antiriie sue lingne> giae* 
che veggiamo , i luoghi nei quali prevalgono i suoni nasali dei 
Celti, gli aspirati d^U Etrusei, la » dei Gred^ e simili, cor- 
rispondere precisamente alle antiche sedi assegnale a que* me* 
desimi popoli dagli scrittori ; per modo che si potrebbero, eolia 
sola scorta delle varie pronuncio, ddineare almeno^ le |MPÌncipi^ 
divisioni deir antica geografia^ I vocabdarii dei singoK diriélli, 
sebbene ricevessero dall* unità romana, e più tardi sotto T in- 
fluenza d^una sola lingua scritta g^erale, F impronta unUbrme 
e concorde della Imgua del Lazio, hanno dò nnllostanle mag- 
giore apparenza che realtà di simiglianza, mentre, analifiszali con 
attenzione, rivelano a vicenda migliaja eh radia esclnsivaoiattte 
proprie delFuno o dell'altro, estranee alla latina, e quindi ba- 
stevoli a provare le enormi varietà degli elementi primitivi ehe 
li costituiscono ^ Il £aitto generalmente palese della somma dis- 
sonanza delle vernacole nostre fiivelle, per la quale il Genovese 
non è da verun altro inteso^ né il Lombare) dal Napoitano, né 
il Calabrese dal Veneto, né il Friulano dal Bolognese, e vice* 
versa, in onta alla comunanza delta massa delle radid, attesta 
la molteplice varietà delle flessioni di queste presso le singole 
popolazioni. E per ultimo, se si porranno a riscontro le ma* 
niere del dire, gli idiotismi, T ordine rispettivo delle varie parti 
del discorso, saranno manifeste in tutti i volgari dialetti altret- 
tante forme e fiiveUe distinte italianamente vestite. 

Ciò premesso, siccome non v*ha dubbio, che questa radicale 
dissonanza di pronuncia, di radici, di flessioni e di sintassi de- 
riva per lo più dalla natura dd primitivi icfomi d'ogni singola 
nazione, gli elementi dei quali passarono successivamente in re- 
taggio dairuna all'altra g^erazione, cori e|^ è certo che, qua* 



i Dì questo fatto porgiamo nna prova manifósta nel Saggio sui Dialetti 
GaUo-ltaliei, prossimo a comparire ia luce, nel quale abbiamo inserite alcune 
migliaja di voci esclusivamente proprie di questi dialetti. Avvertasi però, che 
questa serie è appena un Saggio, e che qoe! numero potrebbesi agcvoinìeate 
moltiplicare con apposite diligenti indagini. 



APPLICATA AiLA MGIRCA OELUB ORIGINI ITALICHE. 99 

iora vmisse oon diligeiiU stadiì determinata in lutle le sue parti, 
e per .ogni nuniana regione d'Italia, si potrebbe per awentara 
stabilire con bastevole landamento il numero degli antidii idiomi 
sinara soononati; sarebbero tracciati i confini, entro i quaK 
daacnm fa n tenifM) parlato, non che i principali rapporti della 
mutaa loro aflSnità o discrepanza; si potrebbe talvolta coi po- 
chi «ruderi per tal modo raccolti e sceverati , col sus^dio dei 
nomi ppoprii ridonati aHe primitiv)e loro forme, e dei monumenti 
sopevstiti , ricoatmìrne forse i|uriche brano , che ne rivdi Tin- 
dole distintiva; e fisalnenle, instituendo on equo confronto colie 
antiche lingue oonoscinte, perverremo nn giorno a conoscere 
con ccitezEa, o ahneno con maggiore probabilità, a quali delle 
antiche sduatte rispettivamente appartenessero. Allora solo pò- 
Irono avventurarci ad interpretare le mistiche leggende e le 
oscure testimoniaiiae degli storici antichi, le (fuali, anziché in- 
e^f^pare i nostri passi, virramio a q»i^ere nnova luce suH* a- 
pcalo sentiero, e gioveranno a guidarci pin oltre aèHe nostre 
ricerche. V*ha dunque nn m»zo, col qiale poi la LingnisUca 
coadjavare lo storico neBa ricerca delle Origini liaHche; ma 
^esto mezzo richiede la piena cognizione di tutti i nostri dia- 
letti viventi, la quale non può essere, se non il risidtamento fi- 
nate di lunghi e coscienziosi studii fotti su tutta la penisola da 
molte persone bene intenzionate, che, bramose di scoprire 'la 
verità, si spoglino d*ogni anteriore prevenzione, e rìmmdando 
alla effimera gloria di costrah^ da sole ingegnosi sistemi , uni- 
scano i loro sforzi diretti sopra nn medesimo {nano ad uno 
stesso fine, e raocolgano con pazienza i materiali necessarii al 
solido monumento die dev^e ilhistrare la patria comune. 

Per nuda ventura >ostali studii, lungi dall* essere oompinti, o 
ahneno inoltrati , «Umto appena principio ai nostri giorni, e 
questo flave con malfermo passo, con varia critica e direzione 
diversaL Solo pochi voo^larii (fi alcuni dialetti principali com- 
pierò ainora alla luce aibtto msuffieienti ed oltremodo nn- 
perfetti, penehè «stretti per lo più alhi fovdh delle grandi città, 
e perciò difettosi del doviziosa patrimonio delle etmfogae e dei 
monti assai pin ricchi di vetuste radici, perchè più tenaci nel 
conservarle; che anzi, la sola favella della campagna e dei monti 
può dirsi propriamente h favella nazionale d*una regione, non 
solo perchè più pura, ossia meno guasta dal progresso della 



•)0 DELLA LI^'VGiasnCA 

dviilà, ma altresì perdiè le schiaUe irì si maolCBeoiio illese da 
comoiistioiìi slraniere, mentre la popobzioDe delle grandi dtlà 
d' ardioatìo può riguardarsi come una aùsceilaaiea £ gmti pia 
o meno disparate, insilane raccolte per ragponi poliliclie o eom- 
merciali , e necessariameme esposte di conlinoo a lìoMseofaursi 
con sempre nuovi elementi Inoltre i boiemeriti oompilatari dei 
vocabolarii gpà pubblicati, ai quali ciò non pertanto atiesliaino 
pubblicamente la nostra più conliale riconoscenza, diressero nna- 
nimi le loro indagini a chiarire al popolo la lincei italiano, am- 
maestrandolo a tradurre italianamente il proprio dialetto, senza 
eorar» della scelta, dell'organismo, della dm^azione, dei rap- 
porti, o ddle dreosfanae delle irod, ciò die rende preasodiè 
inutile al Ungpista Topera loro; che se taluno, sedotto dsdb 
cottsonsmza di alcune vod, si avventurò nd difficile campo del- 
fetimologpa, e^ mirò so|Hattutla a fiur pompa d* ingoino, od a 
sfoggiare una vana erudizione, forzando senza misura cosi le 
forme eslrinsedie, come il sanificato dd vocaboli, e raeeozzando 
ad un tempo fra le parole d'im medesimo dialetto le |Mà di- 
sparate analogie semitiche, indiane, shve, basche, cebidie, gre- 
die e latine antiche e moderne, qnasi die tutta la oongme de- 
gli umani lingpaggi avesse potato concorrere alla formazione 
d'un solo dialetto, o si volesse ancora ai nostri gìomi ricondurre 
per questa via tutte le lìngue. ad un solo |Nrincipìo, vale a dire 
al sopposto idioma primitivo f eneralore di tutti gli altri. 

Noi non d faremo ad esaminare di quanto vanto^gìo tornar 
posssmo indagini di simil fotta in libri specìabnente diruti alla 
istruzione popdare; rammentoemo beasi, altra cura essere la 
raccolta e Tordìnamaito delle vod d'un dialetto, altra rinvesti- 
gazione ddle loro originL Se per la prima bastano sano crite- 
rio, perseverante pazienza ed inddiesse inda>gpni, la seconda ri- 
chiede boi altra dote di severi stodii, vasto corredo di cogni- 
zioni e pn^pieada d'ingegno; e pmò gpoverà forse rammentare 
a taluno qud sempre memorabile detto: Suior, ne nlira crepi- 
dam! Prima di sottoporre all'analisi etimologi le vod d' un 
dialetto, devono queste subire una lunga elaborazione prepara- 
toria, senza la quale ogni indagine tornereUie frustranea ; Tale 
a dire, è d'uopo prima di tutto separare le vod primitive, di 
strana forma ed Musivamente proprie di ciascun dialetto, da 
quelle di forma evidentemente Ialina, codmuiì a molti dialetti, 



APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 31 

del pari che da lotte le moderne successivamente introdotte daHa 
conquista, dal commercio, dalla moda o dal progresso delle arti 
e delle scienze. Queste yocì devono quindi rappresentare omet- 
ti, idee semplici proprie di tutti i tempii quali sono i nomi 
della terra e del sole, delle piante e degli animali indigeni e si- 
mili, eliminando anche fra questi quelli die fossero per avventura 
importali in età posteriori. Depurata per tal modo la scelta delle 
voci atte ad essere sottoposte a confronto, è necessario ridurle 
con perspicacia alla loro più semplice forma radicale, sceverando 
il semplice dal composto , il significato primo e diretto dì cia- 
scuna dal traslato, ed eliminandone le accidentali flessioni. Solo, 
dopo che i materiali saranno per tal modo preparati e disposti, 
sarà lecito al Hnguista sottoporli al confronto cogli elementi delle 
antiche lingue note, per investigarne i rapporti di simiglimiza; 
al qual uopo eziandio non potranno mai bastare le apparenti 
analogie di forma e di suono, troppo spesso prodotte dal caso, 
essendo ristretto il numero de' suoni naturali, e più ancora dei 
segni convenzionali impiegati a rappresratarli ; ma dovranno al- 
tresì essere convalidate da un concorso di circostanze e di razio- 
cinii, cui solo una mente perspicace e spoglia di prevenzioni può 
con sicurezza ìnstituire. 

Queste brevi considerazioni, che unite ad altre parecchie ci 
proponiamo di svolgere su più ampia tela ne' successivi ragio- 
namenti^ basteranno a far conoscere quanto pochi ed imperfetti 
siano gli studii linguistici intrapresi finora, atti ad agevolare 
l'illustrazione delle antiche e delle viventi lingue d'Italia; e 
quindi apparirà di leggeri manifesto, quanto inmiaturi fossero i 
tentativi fatti per determinare con questo mezzo le origini ed 
ì rapporti delle nazioni che le parlano. Abbiamo premessa questa 
rapida dimostrazione a priori é! una tesi che ci si offeriva spon- 
tanea allo sguardo, anziché esporla a posteriori, manifestando 
r insufficienza, o meglio la discrepanza dei risultamenti finali di 
quanti impresero ad illustrare le nostre origini; e ciò, l."" per- 
chè ci parve più util cosa il provvedere air avvenire, tracciando 
la via più acconcia che dobbiamo percorrere, anziché arrestarci 
a deplorare i trascorsi del passato ; 2.'' perché non volevamo 
esporci alla taccia immeritata d'ingratitudme verso quei genero- 
si) che primi rivolsero i loro studii ad illustrare la patria co- 
mune, ed ai quali attestiamo stima e riconoscenza per le^nolte 



33 MIXA UMGOBnCA 

loro irtìli apecniaiMMii. Ciò bob pcrtaBlo, a porsero qBolclie pova 
di Ciito di niiBln starno tcbbIì io biovo c^poBeado, agg^inige- 
reoio OBoon lo poche oasenoDoai che ci a lAcdaroBo più ot- 
▼ie nella leltora di aknni reocBti IfatMi sa qaeslo arfomeDU), 
e che ci pijoBO più atto a copnriidaie il Boolro anonto; aia bob 
bseefOBo nd lenpo stesso di dichiarare, essere aostra iatea- 
zioBO, BOB gpi il detiarre poato dai aobili e preaoei abidii at- 
tmiy beasi Tassodani, qaali essi par siaao, aache i aostri, aeUa 
slessa gnisa» e per la seda ragpoao, die li assodaaio pare i ao- 
stri TOli e le nostro speraoze. 

Fra i beaoiBerilìy Ae applicaroBO negli nliiatt teaipi la Uà- 
gaislica alh sohmooe dd gna proUcaai delle Ontpm liaUehe, 
emersero GogBefano Betham eoi sooi fam^ sladii sogli Elrosd, 
Federico Stenb, die instilai laboriose iadagini sali* origine dd 
Reti, Cesare Balbo, die Icalò sr oigere coaiplessivaaMale b fa- 
sione ddle schiatte in Italia, ordinando una serie di severi sladii 
salle prìmitÌTe istorie ddh laedesimaj e Nicoela Corda, il qoale, 
laipreiideado a descrivere la storia dd regno ddle Dae Sicilie, 
iadagò negli aatichi nomi snperstìti Torigine degli Itali meridionali. 

Betham, odi* opera iBtìtofaita EtrwriorQsUka, testé pabbft- 
cala in due Yolami a Doblino» tentò dimostrare 1* ideatila delle 
lingne etneca ed iriaadese, e rw^iBe feaida d'calranriie. 
Per la prima parte dd sao diiBcile assanlo, si sforzò ialerpre- 
lare col meoo dcUa wcnte fMrdbi ibemoHedlica i priodpdi 
■MwnmeBa etnnd, lale a dire le cdefari tavole di Gobbio, e le 
iscrizioBi di Penq^ e di Moafideoac. Per la sceoada iaslilai eni- 
dili ed ing^ipion coafironti fina k aalìche mitologie, e, Ibrzaodo 
le testìmonianie degli slorid, voHe provare la mi^nuMie dd 
Pda^ daUa Feaida, e Fideatita kro cogli aotichi Eirvnd. Da 
qomito abbiamo premesso è fMile imagpaare b somma dMBeidtà 
di iastilaire nn confroalo fica la liagna eirasca, si poco aiaora 
oooosduta, e 1 kbndcae, bob che T ìmpofldUitò anahila di ri- 
fioontrarla coHa ienida affirtlo ipMta. En qmoA aalarale , die 
V aalore dovesse soppUre coU^iag^ao e coB' i mag in auoBe al di- 
fetto dd mezzi InfaHi, per raggiongere eoa «^tti f s il sao 
scopo, egli dovette aHangare, o restriagere all' uopo le «ori dra- 
sdie dei monamenti, dividerne le silhbe od nnirie a suo grado, 
permatandone, o sopprimendone le lettere, sinché glaase a for- 
altrellaBle -vod, che adl'irfamdese favela 



APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 33 

significazione. Ma tutt^ queste voci irlandesi, per tal modo rac- 
cozzale e disposte, anziché rappresentai*e un senso continuato, 
formano altrettanti indovinelli, mancanti per lo più del verbo 
principale, e spesso ancora del soggetto o dell* attributo; e per- 
ciò r autore ebbe ricorso a nuove trasposizioni, ad arbitrarie ag- 
giunte e violenze, sicché pervenne finalmente, non senza copia 
(l'ingegno, ad ordinarle in periodi, traendone quel complessivo 
conlesto che meglio conveniva al suo sistema, formando cioè de* 
monanienti etrusci altrettante descrizioni di spedizioni marittime, 
nautiche informazióni ; mezzo molto acconcio a provare i' iden-' 
tità degli Etrusci coi Fenicii, popolo, per testimonianze storiche, 
fra tatti gli antichi eccellente neirarte del navigare. 

Noi non ci tratterremo un solo istante a provare T insussistenza 
di tali ragionamenti, giacché egli è a tutti palese, che in simil gui- 
sa, e con egual forza d* argomentazioni, sarebbe agevole il provare 
r identità della lingua etrusca colla ebraica, colla bascuense, coHa 
cinese, o colFindiana, e formare delle tavole eugubine altrettanti 
trattati di pastorizia, o peregrinazioni nel deserto, o precetti bra^ 
minici, buddistiche tradizioni; avvertiremo in quella vece, non 
essere questo il metodo, col quale suole e deve procedere la scienza 
nelle sue investigazioni , e deploreremo tanti studii prodigati , 
e tante veglie inutilmente spese da uno scrittore, la cui vasta 
erudizione, da miglior criterio diretta, poteva condurre a solidi 
risultamenti, ed i cui generosi sacrificii meritavano senza dubbio 
miglior guiderdone. Se, nell'ignoranza in cui siamo deli' orga- 
nismo proprio della lingua etrusca , e nella scarsezza' dei mezzi 
concessi per rintracciarlo, é lodevole consiglio il tentarne, anche 
a sorte, un confronto con altre lingue note, per iscoprirne i rap- 
porti, non è però lecito, onde avvalorare un'opinione prestabilita^ 
ralterarne le forme, o il creare elementi che non esistono; peg- 
gio ancora l'ostinarsi nell' asserire ciò che il buon senso ricusa, 
ed il fatto smentisce. Per lo studioso che con retta coscienza indaga 
la verità, anche la scoperta della discrepanza fra due lingue è 
m utile servigio tributato alla scienza, un passo fatto nella lunga 
carriera che deve percorrere; ma, il ripetiamo francamente, non 
è questa la via più diretta, né molto meno la più sicura; prima 
di tutto è d' uopo apprestare i materiali, e determinare con pre- 
cisione qual sia l'organismo degli antichi idiomi , per poterne 
instituire con cognizione di causa i confronti. 



54 DELLA LINGUISTICA 

Non molto diversa da quella di Betham si fu la via calcata 
da Federico Steub nelle sue ricerche suir origine dei Reti. Que- 
sto filologo tedesco^ ammettendo con Betham, una sola essere 
stata la stirpe anticamente diffusa dal Tauro asiatico a Salisbur- 
go, dal Bosforo ai Pirenei, che per mezzo di due grandi mi- 
grazioni, runa per terra e T altra per mare, invase tutta l'Eu- 
ropa meridionale, ed attribuendole pelasgica origine, restrinse 
le sue indagini a provare l'affinità dei Reti cogli Etrusci, e 
quindi la derivazione di questi da quelli ; concordando in ciò 
cogli archeologi del secolo scorso, ì quali, suir ipotesi dell' uni- 
versale celticismo, fecero pure scendere gli Etrusci dalle Alpi, e 
li dissero derivati dai Reti. Anche lo Steub tentò dimostrare la 
sua tesi mercè il confronto delle lingue retica ed etrusca; ma, 
se questa è sinora assai poco nota , quella non lo è punto , 
e le deboli sue reliquie consistono in pochi nomi incerti di 
persone e di luoghi, più o meno guasti e mutilati dalle succes- 
sive generazioni di stipiti diversi. Lo Steub ciò nuUostante ne 
raccolse con diligenza un ragguardevole numero sui libri e 
sui luoghi stessi componenti l'antica Rezia, e li confrontò cogli 
etrusci dei vasi e dei sepolcri. Sin qui rese utile servigio alla 
quistione; se non che, non trovando spontanea quella corrispon- 
denza di forme e di suoni eh' egli aveva imaginato, il dotto au- 
tore si studiò fabbricarla coli' ingegno e colla violenza, perocché 
non era già stato indotto dall'analogia dei nomi a supporre 
l'affinità delle stirpi retica ed etrusca, ma bensì a ritroso^ dal- 
l' opinione prestabilita di quest' affinità a cercare e forzare le 
omonimie. Quindi con ingegnoso artificio si fece ad alterare cosi 
le reUcl^e voci come le etrusche, pretestando la necessità di 
ricondurle alla loro forma primitiva; permutò ad arbitrio gli 
elementi che le componevano; trattò come se fossero retiche 
alcune voci d'origine per avventura celtica, o germanica; ed 
avvalorando in tal guisa le proprie argomentazioni, diede per 
dimostrata un' opinione meramente gratuita. 

Non è d' uopo ripeter^, come questo erroneo processo dello 
Steub derivasse naturalmente dall'insufficienza dei mezzi impie- 
gati; piuttosto dimanderemo, con quanto maggior sicurezza e 
forza d'induzione non avrebbe egli potuto sviluppare le pro- 
prie indagini, e forse ancora dimostrare la sua tesi, se, anziché 
arrestarsi a pochi nomi incerti e fallaci, avesse depurato i pri- 



APPLICATA ALLA RIC1CRGA DELLE ORIGINI ITALICHE. S5 

mitivi elementi dei dialetti ora parlati nella Rezia e neir Etra- 
ria, e ne avesse instituito, scevro da prevenzioni, un giudizioso 
confronto? I nomi proprii prestano senza dubbio un forte argo- 
mento a quello che indaga le orìgini delle nazioni; ma anch'essi 
devono essere consultati con molta circospezione, né possono 
mai da soli aver forza di prova, se non siano convalidati da 
una serie di circostanze. Infatti, senza avvertire alle molteplici 
modificazioni, che devono aver subito nel corso di tanti secoli, 
per opera di tante stirpi diverse, e per le quali parecchi fra loro 
smarrirono quasi del tutto le primitive sembianze, sappiamo an- 
cora per esperienza, come non lieve parte degli antichi nomi ve- 
nissero imposti dai conquistatori ai luoghi conquistati, o come 
altri, serbando pure la stessa significazione, venissero trasportati 
più volte dall'una all'altra lingua. Cosi la parte settentrionale 
d'Italia fu prima denominata Etruria transpadana, indi Gallia ci- 
salpina, e poi suddivisa in Venezia ed Insubria; cosi la piccola 
Alba fondata in Bessarabia dai Romani, la quale presso il Moldavo 
colono serba ancora oggidi l'antico nome di Cilaii Alba, fu detta 
più tardi Weissenburg dal vicino Germano, prese il nome di 
Ackerman quando cadde in potere dei Turchi, e quello di Biel- 
gorod sotto la russa dominazione. Quanti esempi di simil fatta 
non ci porge la storia di tutte le nazioni antiche e moderne? 
e perciò, con quanta circospezione non dovrà lo studioso pro- 
cedere prima di fondarvi i propri giudicii? 

Cesare Balbo, rinomato per una serie di studii fatti sulle isto- 
rie della nostra penisola, non che dei popoli eh' ebbero colia 
medesima più o meno diretti rapporti , non s' addentrò abba- 
stanza nelle linguistiche discipline, per poter avvalorare colle 
proprie speculazioni le opinioni da lui stabilite sopra studii alla 
linguistica estranei, sebbene tendenti al medesimo fine. Ciò nul- 
lostante, riconoscendo l'importanza e l'autorità della filologìa 
comparata, non lasciò d' invocarla più volte in sussidio delle pro- 
prie argomentazioni, quando imprese a tracciare sommariamente 
la fusione delle schiatte in Italia. Ivi, senza arrestarsi punto sui 
particolari, posta la grande partizione primitiva delle schiatte in 
semìtiche, camitiche e giapetìche, premise fra gli altri, come 
dimostrati, e dalla filologia sanciti, i seguenti principìi : che tutte 
le genti primaiBente venute ad abitare l'Europa, tranne i Fé- 
nicii ed i Pelasgì, furono giapeliche ; che giapetìche sono tutte. 



36 QELLA LINGUISTICA 

quasi tutte le genti Indiaiie, tutte le Cinesi , e tutte quelle 
fino a' nostri di vaganti nei settentrione dell'Asia, comprese già 
sotto i varìi nomi di Geti, Sciti, Tartari, Mongoli, Cinesi, e via 
vìa; che i primi popoli venuti in Europa furono i Jonii ed i 
Tirreni; che i Jonii già stanziati nelle isole e penisole greche, 
propagandosi oltremisura, diedero origine alle tre grandi schiat- 
te: ellenica, la quale popcriò la Grecia; siculo-Iigure-iberìca, la 
quale occupò tutte le marine occidentali d' Italia, le meridionali 
della Gallia, e le orientali d'Iberia; e la celtica, che posterior- 
mente occupò le due falde meridionale e settentrionale delle 
Alpi; e che i Tirreni, dopo avere stanziato momentaneamente 
in Tracia, passarono in Italia, al cui mare ulteriore diedero il 
proprio nome. Restring^dosi quindi esclusivamente air Italia , 
enumera fra i suoi primitivi abitanti gii slessi Tirreni, suddivi- 
dendoli in Taurisci, Etrusci ed Osci; gli Iberi, che suddivide in 
Liguri, Itali e Siculi; e gli Ombroni pure suddivisi in Insubri, 
Vilombri, ed Olombri. A tutte queste schiatte da lui chiamate 
giapetiche aggiunge ancora pochi Fenicii e molti Pelasj^, i quali, 
congiunti cogli Etrusci e cogli Osci, scacciarono gli Iberi ed i 
Celli, e fondarono T etnisca potenza, e più tardi, respinti dagli 
stessi Etrusci, scomparvero, sia riprendendo la via del mare, 
sia confondendosi nelle italiche popolazioni. Mentre fondavasi per 
tal modo Tetrusca confederazione nel centro della penìsola, gli 
Elleni stabilirono un* altra civiltà nelle regioni meridionali della 
medesima, ed i Celto-Galli, respingendo alla lor volta gli Etru- 
sci, si stabilirono nella parte settentrionale; sicché, verso il 400 
di Roma la nazione italica era un rimescolio di genti tirrene, 
ed iberiche, e celto*umbre, e fenicie, e greche, e pelasgiche, e 
cdto-galliehe, e cimbriche. 

Noi non sappiamo a quali fonti il dotto scrittore attingesse le 
surriferite testimonianze; siccome peraltro esse per la maggior 
parte sono opposte ai risultamenti dalla filologia conseguiti, ed 
in parte superiori alle sue forze, cosi stimiamo qiportuno porre 
in diiaro il vero stato della questione. E lasdando in disparte 
la primitiva divisione generale delle schiatte in semitiche, cami- 
tiche e giapetiche, la quale non fu mai constatata dalla scienza 
deUe lingue, perchè troppo lontana, e per avventura affatto in- 
dipendente, osserveremo, come la filologia comparata, anziché 
racchiudere, escludesse sempre dalla denominazione convenzio- 



APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICIIC. 37 

naie di giapetidie parecchie fra le lingue indiane^ tutte le cine* 
si, e le innumerevoli parlate nelFAsia settentrionale dai popoli 
erranti citati dal signor Balbo, le quali tutte, sotto ogni aspetto, 
offronotcaratteri affetto diversi da quelli delle Indo-Europee, che 
rappresentano il puro tipo comunemente detto giapeiieo. A que- 
sta assoluta disparità di lingue si aggiunge il tipo flsiologìoo delle 
medesime nazioni asiatiche, il quale differisce da quello delle 
caucasiche per modo, che, se fosse lecito supporre nella umana 
famiglia pluralità di specie, ne formerebbe una fra le pM di- 
stinte. La filologìa poi non ha mai eliminato, né poteva elimi* 
Dare dalla grande famiglia giapetica la lingua peiasgica , della 
qaale non ha potuto scoprire sinora T origine, né T organismo; 
nulla importando il nome proprio di quella nazione, sul quale 
l'autore sembra fondarsi, e che, per la forma, può essere giape- 
tico del pari che senutico. Meno ancora essa potè constatare la 
divisione della stirpe Jaonia proposta dallo storico piemoatese, 
alla quale anzi si oppongono le sue positive speculazioni. 

Lasciando a parte la supposta consanguineità dei Siculi, dei 
Liguri e degli Iberi, la quale solo allora potrà essere attestala 
quando vengano rivelate le loro Svelle rispettive, egli è certo, 
che dalle poche reliquie delle antiche lingue iberiche tutt*ara 
superstiti fra le inospitali gole de* Pirenei occidentali , non si ò 
potuto sin<M*a scoprire il minimo nesso d* origine fra queste e 
le altre lingue europee, segnatamente T ellenica e la celtica, 
da le quali tutte i dialetti bascuensi differiscono essenzialmente 
in ogni riguardo. Nessun rapporto di simil fatta ci svelarono i 
pochi monumenti dissotterrati delle vetuste lingue iberiche ca^ 
dute in oblivione, i quali attendono ancora chi ne svolga i mi« 
stenosi caratteri. Che anzi, un diligente esame del sistema fo- 
nico bascnense, e delP ortografia di parecchi monumenti, rese 
più verisimile la supposizione (comecdiè gratuita) di un nesso 
semitico, p^ la quate ciò nonpertanto furono pure instituiti vani 
confronti. E perdo, lungi dal riconoscere vmeoli di frateiiaaza 
fra gli anUdii popoli iberici, gli EUeni ed i Cdti, la Lingoistiea 
li risguarda piuttosto come schiatte distiate. 

Dalle mdte osservazioni sin qui premesse è altresì manifesto, 
quanto estranea esser debba questa scienza air altra divisione 
proposta dal signor Balbo dei primi abitatori d* Italia, dei quali 
tuttavia ignora interamente le lingue. Fondandosi sulle storicbe 



58 DELLA LINGUISTICA 

tradizioni, essa può bensì prendere a prestilo i varii nomi di 
Tirreni, Pelasgi, Etrusci, Liguri, Ombroni ed altretali, e ripetere 
col nostro autore, che la nazione italica, verso il 400 di Roma, 
era una confusa miscela di questi e d'altri popoli; ma noi non 
ravvisiamo in ciò, se non una petizion di principio, mentre ci 
resteri poi sempre a dimandare, chi fossero i Tirreni, i Pe- 
iasgi, ec, ciò che vale lo stesso : quali furono le italiche orì- 
gini? Intendiamoci bene. La ricerca delle nostre origini non è 
già una semplice questione di nomi, ma bensì di stirpi. Si tratta 
di conoscere, non solo come si chiamassero, ma a quale schiatta 
appartenessero i nostri maggiori, e con quali altre si fondesse- 
ro, per determinare quali e quanti rapporti di consanguineità 
ci coilegano alle altre nazioni antiche e moderne. Finché non 
siano determinate queste stirpi e questi mutui rapporti, a che 
ci giova sapere, se i nostri primi padri si chiamassero Tirreni, 
Pelaagi ed Iberi, piuttosto che Aborigeni, Opicì, o Saturnii? 

Quest'ignoranza delle stirpi, alle quali tante primitive nazioni 
rispettivamente appartenevano, deve altresì renderci più cauti 
neir aggrupparle in manipoli, come fece il nostro autore, il quale 
(né sappiamo per qual ragione) riunì in una sola stirpe i Tau- 
risci, gli Etrusci e gli Osci; in un altra i Liguri, gli Itali ed i 
Siculi, e ne fece una terza degli Insubri, dei Vilombri e degli 
Olombri. Sebbene eziandio a queste gratuite asserzioni potessimo 
agevolmente opporre alquante osservazioni, per le quali più ve- 
risimile apparirebbe la varietà di stirpe, cosi fra i Taurisci e gli 
Etrusci, che fra gli Insubri e gli Olombri, ciò nuir ostante, nel- 
r assoluta mancanza di prove atte a determinare con certezza 
qualche positivo elemento su questo soggetto, ci restringeremo a 
notare, che un tale ordinamento dei primitivi popoli italici sup- 
pone quella serie di fatti e di speculazioni, che gli studiosi vanno 
da lungo tempo invano rintracciando, e che, per quanto possa 
essere per avventura conforme al vero, e fondato sulla testimo- 
nianza di alcuni scrittori» esso è tuttavia meramente ipotetico, e 
soprattttto assai lontano dal poter conseguire la sanzione della 
filologia comparata. Solo dopo che si saranno partitamente stu- 
diati i nostri dialetti, e che ne verranno precisati i rispettivi con- 
fini, essa potrà pronunciare i suoi giudici! sulle primitive stirpi ; 
allora forse potrà sancire in tutto, o in parte, le divinazioni del 
signor Balbo, o piuttosto ci porgerà un ordinamento diverso d'un 



APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 39 

magj^or numero di schiatte, delle quali chiederemo invauo i nomi 
alla storia, ma conosceremo le origini e le fratellanze. 

Dalle esposte premesse Fautore passa a determinare T anzia- 
nità delle varie schiatte europee, deducendola dalia rispettiva pò- 
sizion loro da occidente ad oriente, e stabilisce, che le posteriori 
in collocazione dovettero essere pure posteriori in tempo. Lo 
stesso abbiamo noi pure esposto e reso manifesto air occhio nella 
Carta generale delle lìngue parlate in Europa; ma, seguendo ap- 
punto lo stesso ragionamento, egli avrebbe dovuto accordare T o- 
nore deir anzianità altresì alle finniche nazioni sospinte e relegate 
nell'estremo settentrione dalle posteriori immigrazioni germani- 
che e slave, come lo furono neir estremo occidente i Cambrì ed 
i Gaeli, forse nel medesimo tempo; e meglio considerando le isto- 
rie e le lingue del freddo settentrione, già popolato da numerose 
ed ignote nazioni, sin da tempi anteriori ad ogni istorica remi- 
niscenza, avrebbe dovuto restringere la sua proposizione gene- 
rale, ed accennare le immigrazioni dei Jonii e dei Tirreni tutt'al 
più fra le prime che vennero a popolare V Europa meridionale» 
giacché non sappiamo quando la settentrionale venisse abitata, e 
non abbiamo verun fondamento, né T ignoranza, o il silenzio de- 
gli storici ce ne dà il dritto, per supporta affatto deserta, mentre 
namerose nazioni s'aggiravano e s'incalzavano lungo le coste 
meridionali. Togliamoci dagli occhi la benda: tutti questi sistemi di 
Fenicii, di Jonii, di Tirreni e di Pelasgi, sempre vuoti di senso, 
che occuparono gli studiosi dei secoli trascorsi, e che sotto vani 
aspetti si vanno riproducendo ai nostri giorni, furono fabbricati 
sttir autorità degK scrittori greci e romani, senza tener conto, che 
i Greci, o ignorarono, o non curarono quanto era accaduto al 
di là dell* Eusino e del Danubio, e che i Romani sorsero troppo 
tardi sulle rovine di civiltà anteriori, per poterci istruire sulle 
proprie origini , non che su quelle delle nazioni che li prece- 
dettero. Gli scogli dell* Arcipelago e la Tracia, la Magna Grecia 
e le sponde del Mediterraneo, ecco tutto il teatro della primitiva 
storia d'Europa. Ma, viva Dio! e al di là dell* Eusino, delFA- 
drìatico e deirAlpì, quell'immensa Europa, che ci scagliò addosso 
per tanti secoli le sue innumerevoli orde, non era forse per anco 
spuntata fuori dall* Oceano, o aspettava ancora deserta, che i figli 
dei Tirreni e dei Jonii abbandonassero il ridente cielo della Gre- 
cia e d'Italia, o che altri popoli affini lasciassero le fiorite sponde 



40 ^ DELLA L»6L'ISTiCA 

deU^Eofirale e deir lodo» per andare a raggiuogere le belve delle 
sue intermiDabili foreste? Pur troppo, le istorie della Grecia e 
di Roma formarono por lungo jempo la principal parte della sto- 
ria univo^e del mondo; oggidì, m«*oè il progresso, abbraeciano 
solo la storia primitiva d'Europa; speriamo, che non tsffderanno 
molto ad essere riconosciute per quello cbe sono, vale a dire, per 
la storia partiookire di due singole nazioni. Egli è (mnai tempo, 
che scuotiamo questo gic^o servile impostoci da noi medesimi. 
Impariamo dai Greci e dai Romani quello che seppero, o cbe vol- 
lero insegnarci ; studiamoli attentamente, ed interpretiamoli come 
eonvienst; vi scoprirano per avventura maggk>r copia di dottri- 
na, e minor numero d'errori ; ma non imitiamo il credulo Ma- 
sofanano, che indaga nel Corano Tìnvenzion della polvere e Tap- 
plicazion del vapore. Se le antiche istorie non bastano, abbiamo 
aperto dinanzi agli occhi il libro della natura, sul quale ornai la 
Geologia e la Linguìstica ci hanno tracciato ed ordinato due serie 
di novelle osservazioni. Perchè vorremo ancora fiibbricare i libri 
sai libri, ed i sistemi sui sistemi? 

Noi non seguiremo il signor Balbo negli ulteriori suoi ragiona- 
menti, ove, ign(»^ndo o prezzando i più chiari elonenti ed i 
risuhamenti fiix certi della filologia, ora attribuisce origine cel- 
tica agli antichi Macedoni, ora dùama illusione la fratellanza 
delle genti teutonidie ed indiane, e sconv<4ge gratuitamente il 
positivo ordinamento della scienza ; e tramandiamo queste erronee 
opinioni tanto più volentieri, quanto più sono ovvie e ci allonta- 
nano dalla qutttione principale delle nostre origini. Solo ci basta 
di avere rivendicata, contro la gratuita asserzione dell' autore, la 
filologia comparata da errori, cui, lungi dal sancire, solennemente 
riprova, e d'aver per tal modo fitto palese, che, se essa è in- 
siÉfficiente per ora alla soluzione del gran problema, è almeno 
bastevole a preservarci da parecchi falsi sistemi. 

Con più savio accoi^mento procedette il signor Coreia , il 
quale, nei prolegomeni alla storia del r^no delle Due Sicilie , 
imprendendo a svolgere le origini di qaeUe pc^lazioni, fondò le 
preprie indagini sulle omonimie etnografiche e geografiche. Egli 
rese iniatti non lieve servigio alla scienza, scoprendo ed ordi- 
nando una serie di nomi proprii dell'antico Sannio e d' altre re- 
gioni meridionali d'Italia, e eonfrontaadoti dilig^l^eiente con 
altri simìii di suono dell'amica Tracia e dell'Asia minore, ciò 



APPLICATA ALLA RlCKftCA DBLLI 0U6IH1 ITAUCBB. ^1 

che per avrentora, quando venga completato ed esteso ad dtre 
regkHii, potrà valere un gìomo a consolidare, o controbilanciare 
le opiniooi che saranno per sorgere dagli stndii ulteriori. Ciò 
nonpertanto, non potendo noi con si scarsi materiali associare 
i nostri giadidi a quelli del chiaro aoiore, osserveremo, che, se 
il &tto importante delle omonimie, opportunamente avvertito e 
convenientemente ripetuto, è un mezzo efficace per la ricerca 
éelle origini dei popoli, esso deve peraltro essere considerato 
quad mezzo puramente ausiliario, e non mai primario; mentre 
h ripetizione dei nomi proprii in r^oni appartate e lontane non 
prova sempre T identità d'origine fra k rispettive loro popola* 
zioni; ma talvdta segna appena la traccia d'una mq;razÌ4Hiie 
d' un popolo, talvolta la soa difTusione, o piuttosto la diffusione 
del suo potere per mezzo di postericHÌ conquiste; del che abbiamo 
i pia chiari e ripetuti esempi nelle antiche e moderne storie* 
Arroge, che se questa ripetuta consonanza di nomi, avvalorata 
da altri argomenti, è atta a constatare TalBnità o T identità 
d'origine fra due popoli, essa non lascia sovente meno indeter* 
minata per questo T origine stessa. E perciò, mentre pnvitiamo 
con grato animo il signor Corda e gli altri studiosi italiani! e 
stranieri, che progrediscono per questa via, a persistere nelle 
utili loro indagini, e ad arricchire di nuovi fatti la scienza, U 
esorteremo ancora a sospendere i loro giudicii, finché altre ricer- 
che di natura diversa, ed altri fatti linguistici possano compiere 
Tesarne, e maturarne le induzioni. 

Conchiudendo questi brevi cenni, ci pare bastevolmente dimo- 
strata dalla ragione e dai fatti T insufficienza d^li scarsi mezzi 
che abbiamo, per risolvere col mezzo della Linguistica il gran 
problema delle orìgini italiche, e quindi la necessità d' apprestare 
prima di tutto gli opportuni materìali. Perciò non cesseremo dal 
raccomandare ai nostri connazionali lo studio dei singoli dialetti 
viventi, massime di quelli che si parlano nelle campagne e nei 
monti, come più atto a guidarci pel dritto sentiero. Né lascieremo 
per ultimo di ripetere, che simili studii devono essere instituiti sce* 
vri da prevenzioni, spogli di sistemi^ e liberi dall' influenza del- 
l' orgoglio nazionale, giacché si tratta di rintracciare la verità, e 
non già di constatare un imaginario princìpio. 

La ricerca delle nostre origini non è diretta a promuovere 
un* inutile gara colle altre nazioni, contendendo loro anteriorità 



42 DKLLA LIIVGmSTlCA APPLICATA ALLA RICERCA, CCC. 

di natali, nobiltà di schiatta, priorità d' incivilimento; ma bensì 
a scoprire chi furono i nostri maggiori, onde stabilire quali rap- 
porti di fratellanza ci collegano agli altri popoli, e diradare una 
volta le dense tenebre, che ravvolgono la prima istoria del 
genere umano. L' Italia, da qualunque stirpe traesse i suoi primi 
abitanti, sia che prima svolgesse nel proprio seno i germi del- 
l' umana civiltà, sia che li ricevesse dai Fenicii, dai Pelasgi, dai 
Tirreni, o dai Greci, non ha bisogno dì mendicare' veruna 
gloria, né teme verun confronto colle nazioni più incivilite del 
mondo antiche e moderne. Nessuno le ha mai conteso il vanto 
d*aver contribuito fra le prime a stabilire e consolidare le 
fondamenta della sociale civiltà; nessuno ignora, come più]volte 
ella ne fosse il centro primario, dal quale emanarono per secoli 
raggi vivificanti di luce a rischiarare le più lontane regioni dei- 
Torbe; ma anch'essa alla sua volta fu avviluppata nelle tenebre 
dell'ignoranza, ed attinse al fuoco delle altre nazioni la scintilla 
che doveva riaccendere la spenta fiaccola della propria sapienza. 
Ciò nonpertanto^ insegnante o insegnata, dominatrice o doma, 
essa fu sempre grande; ed appunto perciò, qualunque sia per es- 
sere il frutto delle future sue speculazioni, con un pacifico e 
coscienzioso consorzio di studii, manifesti ancora adesso la pro- 
pria grandezza nelle virtù de' suoi figli, anziché nei natali dei 
suoi maggiori. 



III. 



PROSPETTO 

TOPOGRAFICO-STATISTICO 



DELLE 



COLONIE STRANIERE 

D'ITALIA 



Se abbracciamo con un solo sguardo la forma e la posizione 
della nostra penisola, e ne misuriamo colia mente le prolungate 
sponde, i cui porti numerosi porgono facile accesso egualmente 
airAsiatico ed all'Africano, che alFIbero, al Gallo, al Tèutono, 
al Sàrmata ed allo Scita, scorgiamo di leggeri, come la nume- 
rosa popolazione che la coltiva e la illustra, constar possa di 
cento disparati elementi, ravvicinati e frammisti dal caso, o dalla 
conquista. La tradizione in fatti e la storia ci additano in ogni 
tempo straniere colonie, che, dalle opposte rive d'Asia, d'Africa 
e d'Europa approdando sull'italo suolo, ne dirozzarono le de- 
serte campagne, vi innalzarono città, se ne disputarono il pos- 
sesso. Gli Etrusci, ed i Fenicii dall'Africa, i Liguri dall' Iberia, 
i Pelasgi e gli Ellenì dalla Tracia e dagli scogli dell'Arcipelago, 
i Veneti dalla Paflagonia , gli Albani dalla Troade, i Celti dal 
Nerico, dalla Gallia e dalla Rezia, ne invasero da rimotissimi 
tempi ogni contrada, e se ne ripartirono a vicenda il dominio. Se 
non che tutte queste nazioni diverse, strette più tardi ad un solo 
freno, e insieme riunite coi vincoli indissolubili d' una sola lingua 
e d' un solo culto, formarono sotto i consoli latini un solo po- 
polo» che si chiamò per alcuni secoli Romano, e che più tardi, 
frammisto ad altri elementi, Ai dettò Italiano. 



46 COLONIE STRANIERE 

Quando la signorìa romana, agitata da intestine discordie, ed 
oppressa dalle novelle instituzioni, mal seppe difendere i suoi 
lontani confini del Danubio e del Reno, novelle stirpi, dal set- 
tentrione irrompendo, ne invasero le scompaginate province, e 
numerose schiere d'Unni, Vandali, Goti, Bizantini, Lombardi, 
Franchi e Normanni straziarono a vicenda le itale contrade, vi 
fondarono stabile domicilio, e a poco a poco, seguendone gli 
usi, il culto e la lingua, si confusero coi vinti. Più tardi ancora 
gli Arabi dal mezzodì, i Tèutoni dal settentrione, i Greci, i Va- 
lacchi e gli Albanesi dair oriente, i Francesi, i Catalani e gli 
Spaghuoli dair occidente , varcando e rivarcando le inutili sue 
naturali barriere, dettarono alternamente air Italia le loro leggio 
vi fondarono stabili colonie, e vi consolidarono un potere, che 
durò sino a* di nostri. Sebbene però tanti disparati elementi 
antichi e moderni abbiano impronte indelebili tracce sulle sin- 
gole popolazioni italiche, sicché Io straniero che scende dall'Alpi 
possa agevolmente disceraere la stirpe Celtica dalla Slava, la 
Ligure dair Etnisca , la Latina dalla Sabella , ciò nulladimeno 
riserbandoci a svolgere di proposito in più vasto lavoro * que- 
sta varietà d'origini e di dialetti, risguarderemo per ora tutte 
le singole popolazioni italiche siccome parti integranti d*una sola 
famiglia, e solo distingueremo come straniere quelle colonie, le 
quali, sebbene da vari secoli formino parte della popolazione 
d' Italia, ne coltivino il suolo, ne osservino le leggi, pure ser- 
barono in gran parte la primitiva lor lingua, e rimasero stra- 
niere in mezzo agli Italiani. 

Di queste colonie appunto volendo or noi porgere un succinto 
prospetto, gioverà per maggiore chiarezza dividerle in vari 
gruppi, avuto riguardo alle lingue da loro parlate, e seguendo 
da settentrione a mezzogiorno il posto da loro occupato nella 
penisola. Tali gruppi sono: 1.** germanico; 2.** slavo; 3.** fran- 
cese; i!^ valacco; 5.** catalano; 6.** greco; 7/* albanese; 8.** ara- 
bico; ai quali potremo aggiungere gli Ebrei, gli Armeni ed i 
Zingari, che in maggiore o minor numero diffusi su tutta la pe- 
nisola, rimasero per varietà di culto, o di lingua e di costumi^ 
sempre stranieri nei luoghi da loro per vari secoli abitati. ' 



i Vedi VÀtlanU Unguiitieo d'Europa^ MìUq« 1S4F, e raa coatinnanone. 



d' ITALIA. 47 

1.* Colonie Germaniche. 

Considerando V Italia geograficamente , vale a dire ne* suoi 
naturali confini, troviamo diverse colonie germaniche da ami- 
chissimi tempi stanziate nella più settentrionale sua parte, ed 
ivi distinte per lingua e costumi. Esse, avuto riguardo air ori- 
gine ed alla varietà de' rispettivi dialetti, dividonsi in Burgundi 
e Bavaru 

Burgundi. Dalla vetta del Monte-Rosa scendono verso mez- 
zogiorno e verso oriente, quasi raggi concentrici, alcune valli, 
fra loro disgiunte da erte costiere d' inospiti monti, le quali dai 
rapaci torrenti che le percorrono presero i nomi di Val Lesa, 
Val Sesia, Val Sermenta, Val Mastallone e Val Ànzasca. I loro 
abitanti, sebbene soggetti al governo di Piemonte, ed attorniati 
in parte da Italiani, ofirono importante materia di studi!, rive- 
lando germanica origine nella fisica loro costituzione, nella fog- 
gia del vestire, nel modo di fabbricare le abitazioni, in molti 
costumi domestici e rurali, e finalmente nei loro dialetti. Ciò 
non pertanto il continuo contatto ed il commercio cogli Italiani 
circostanti, e la preponderante influenza del governo, nel volgere 
dei secoli, hanno reso quasi impercettibili queste tracce nella 
parte inferiore di tutte queste valli, cancellandovi del tutto l'im- 
pronta caratteristica della lingua, alla quale furono sostituiti i 
dialetti italiani confinanti, e solo venne serbata la favella germa- 
nica con alcune speciali costumanze nei villaggi più elevati, presso 
i perpetui ghiacci del Rosa, ove assai tardo e fiacco giunge T im- 
pulso dell'affollata società del piano. Questi villaggi sono: nella 
Val Lesa, la Trinità di Gressoney, colle frazioni di s. Giacomo e 
di s. Pietro, alla sorgente del torrente Lesa, composto di 260 
abitanti; s. Giovanni di Gressoney, colle frazioni di Schamsil, 
Zer Trina ed Àlbezon, di 900 abitanti ; ed Issime colle sue fra- 
zioni di Zerta, Gabi, Njelle e Drissig-stàg, abitato da 1600 tede- 
schi. Nella Val Sesia propriamente detta, ossia Val-Grande, con^ 
serva ancora un antico dialetto della linpa tedesca il solo comune 
di Alagna, composto di 750 abitanti. Nella Valle Sermenta, detta 
ancora Val-Pitta, o Val-Piccola, il solo Comune di Rima, posto 
presso le sorgenti del Sermenta, ed abitato da 374 pastori. Nella 
Valle Mastallone il solo Comune di Rimella, diviso in tredici Can- 
toni pittoricamente disposti sul pendio della montagna, e compo- 



48 GOLONIB STRANIERE 

Sto di 1290 abìlanti. Finalmente nella Valle Anzasca rimane il 
Comune di Macugnaga, alle sorgenti dell' Anza, presso le ghiac- 
ciaie orientali del Rosa^ composto di 630 abitanti. 

A malgrado dell' importanza loro, tutte queste colonie, for- 
manti insieme 5800 abitanti, rimasero per vari secoli sconosciu- 
te, inosservate fra gli inospiti loro monti, e solo in sul principio 
del nostro secolo il benemerito Orazio Benedetto di Saussure vi 
chiamò T attenzione dei dotti, quando calcò la prima volta le in- 
contaminate nevi del Monte-Rosa. Nel 1832 seguirono le sue 
tracce il consigliere Hirzel ed il colonnello Von Welden, i quali, 
nella descrizione del loro viaggio, pubblicarono alcune notizie 
intomo a quelle colonie. Più tardi, nel 1856, raccolse e pubblicò 
nel giornale Dos Ausland < un piccolo Saggio del dialetto di 
Rimella Massimo Schotlky; e finalmente, dopo appositi viaggi sui 
luoghi, e più maturo esame, pubblicò una compiuta illustrazione 
di quanto spetta a queste colonie il professore Alberto Schott, 
nelle due opere: Die Deutschen am Monte- Rosa, jiurichy 1840; 
Die Deutschen Colonien in Piemont, thr Land, ihre Mundarl 
und Herkunfl, Stuttgart und Tùbingeny 1842. Per modo che 
possiamo riguardare le piemontesi colonie tedesche come una sco- 
perta de' nostri giorni. 

Sebbene molte rettificazioni far si potrebbero sulF importante 
lavoro di Schott, e particolarmente nei Saggi da lui recati di 
quei dialetti, che da noi confrontati sui luoghi rispettivi, ap- 
parvero oltre modo inesatti, ciò nulladimeno dalle moltiplici 
sue ricerche storiche e linguistiche, sonunarìamente conformi alle 
nostre osservazioni ed ai nostri giudicii, appare dimostrato : che 
le colonie tedesche del Monte-Rosa da vari secoli sono stabilite 
negli attuali lor monti, essendovi penetrate per le inospìte gole 
che le dividono dal vicino Yallese ; che discendono in linea retta 
da quei Burgundi, che nel Y secolo dell'era nostra fondarono un 
potente regno sulle sponde del Rodano e dell' Aar, e che, sotto- 
messi nel VI alla signoria franca, formarono pur sempre uno 
stato separato; che mentre nell'opposta valle del Rodano i loro 
consanguinei ripartiti fra le corone di Germania e di Francia, 
smarrirono a poco a poco le primitive nazionali loro impronte. 



i Dos Ausland, iin TagUall filr Kunde des geistigen und tiHUchen Le- 
h$n§ dir Vm$r, Pf. 92, 93 delPanno i83G. 



d' ìtaua. 49 

questi, prolctli dalle iiiospitalì balze e dai perpetai gkiaeci che li 
circondano, serbarono in gran parte T antico linguaggio dei loro 
padri, giacché i dialetti da loro attualmente parlati hanno molti 
caratteri comuni coir antica lingua teutonica meridionale (allhoch- 
deiUsch), quale si serba nei monumenti dei secoli XI e XII; 
che questi dialetti furono in varia guisa modificati e corrotti per 
linfluenza dei dialetti circostanti, e del commercio coi popoli 
vicini, essendo quelli di Gressoney, Issime e Rimella i più puri, 
sebbene corrotti d' Italiano, ed il dialetto di Macugnaga tendendo 
alle moderne forme del Vallesano. E siccome, dacché il sociale 
progresso tende a ravvicinare ed unire in una sola famiglia tanti 
popoli d' origine varia, tra loro disgiunti da enormi distanze e da 
naturali barriere, anche questi dialetti vanno dileguando a gran 
passo, onde cedere il posto alle lingue prevaleteti della massa 
centrale, cosi egli é pur dimostrato, che farebbe cosa molto 
utile alla scienza quegli, che raccogliesse, finché si può, e sai* 
vasse dair eterno oblio tante preziose reliquie dei costumi di un 
popolo celebre nella storia, a monumento della sua origine e 
dispersione. 

Macugnaga e la sua valle appartengono air ampio bacino delia 
Toce, formato da molte picciole valli parallele, e politicamente 
soggetto al Piemonte. Anche gli abitanti di questo bacino, seb- 
bene da lunga stagione fatti italiani, manifestano nelle forme del 
corpo e nei costumi germanica origine, e quivi pure solo nelle 
parti più elevate fu serbato e parlasi tutt' ora un corrotto dia- 
letto della lingua tedesca. Questi luoghi, oltre al mentovato co- 
mune di Macugnaga, sono: nella Valle di Vedrò, i villaggi di 
Sirapeln o Sempione, e di Ruden o Gondo, presso le sorgenti 
del torrente Vedrà, i quali politicamente dipendono dal cantone 
svizzero Vailese, e geograficamente appartengono allltalia, con- 
tando circa 450 abitanti ; nella più alta Valle Pormazza, o Pom- 
raat, presso le sorgenti della Toce, trovasi il Comune di Pomr 
mal, colle sue frazioni Bettelmatt, Kerbachi, Auf der Frutt, Frutt- 
wall, W^ald, Zum-stag ed Unterstaiden, che insieme ricettano 
620 abitanti tedeschi. Da questa elevata regione altra piccola • 
colonia si diffuse più verso oriente, e varcando il vicino passo dei 
Forca, andò a formare il piccolo Comune di Bosco, composto di 
3S0 abitanti, nelF opposta Valle Rovana, frazione della Val Mag- 
gia dipendente dall'italiano Cantone Ticino. 



50 COLONIE STUANIERE 

A provare t'erigine germanica della popjlaziona aUualc di 
tatto il bacino della Toce, oltre air uniformità dei costumi comuni 
a tutti i villaggi, presta argomento il Comune di Omavasco, il 
quale, sebbene situato nella parte infima della valle principale» 
presso lo sbocco della Toce nel lago Maggiore, solo ai nostri 
giorni e colla crescente generazione attuale, perdette V uso della 
lingua tedesca, parlata ancora da molti vecchi ; e persino la vicina 
valle di Strona, le cui acque affluiscono neirinflmo tronco della 
Toce, serba non dubbie impronte germaniche, mentre la metà 
superiore ha una speciale foggia di vestire simile a quella dei vi- 
cini Tedeschi, e quasi tutti gli abitanti serbano frequenti rapporti 
commerciali con varie parti della Germania, ove alternano il loro 
soggiorno. 

Ciò premesso^ appare ancora di teneri dimostrato, che questa 
colonia deriva immediatamente dalla famiglia dei vicini Vallesaui, 
coi quali serbò sempre molteplici rapporti. Oltre air analogia dei 
dialetti Vallesani coi tedeschi della Val Formazza, ed alla con- 
sonanza dei nomi propri di famiglia, che trovansi ripetuti in 
ambe le falde del Scmpione, presta ancora forte argomento un' an- 
tica tradizione degli abitanti d' Ornavasco, per la quale eglino ere- 
donsi originari di Glys, presso Brieg nel Vqllese ; ed in fatti varie 
lapidi sepolcrali attestano T antica usanza di quei coloni di tra- 
sportare le spoglie dei loro trapassati da Ornavasco sino al ci- 
mitero di Glys, varcando ogni volta il dirupato e periglioso Seni- 
pione, il cui passaggio fu agevolato ed assicurato solo a' di nostri. 
Gli aUtanti di Scmpioue e di Gondo formano propriamente una 
continuazione naturale dei Vallesani, come pure i pastori di 
Pommat e di Bosco, i quali più agevolmente comunicano col 
Vallese, che non colle valli sottoposte. A tutti questi fatti ag- 
giungeremo r autorità del professore Hardmeycr il quale, nella 
sua descrizione della Val Maggia ^ cosi si esprime: « Gli abi- 
tanti di Bosco sono collegali coi Vallesaui superiori, per mezzo 
dei Tedeschi di Val Formazza. Anche il dialetto di Bosco, e il 
modo di fabbricare le case hanno tanta rassomiglianza con (quelli 
del Vallese superiore , da non potersi aver alcun dubbio sulla 
comune loro derivazione. » Altre colonie di Vallesani traspor- 
tarono in vari tempi il loro domicilio in altre più o men lon- 

ì Djs tcssinische Thal Mijgia und S3tns y^enwsìgungen. Zurich, 18il. 



d' itama. Si 

tane regioni, e vcggongi tutforra isolate e distinte per lingua 
e costumi fra i popoletti romanzi dell* aita e bassa Engadina, e 
nelle vallate di Rheinwald, di Savien e di Wals; altre final- 
mente, ai tempi dell'emigrazione dei celebri Walser, erano pe» 
nelrate sin neli* italica Val Pregillia e in Val Tellina, d'onde a 
poc3 a poco scomparvero, o si fusero cogV indigeni ; per modo 
che nessun germanico abituro conserva ancora il nativo linguag- 
gio in quest'angolo settentrionale d'Italia attorniato da germa- 
nica stirpe. 

Bacari. Seguendo verso oriente la naturale barriera dell' Alpe, 
entriamo nel vasto bacino dell' Adige, ove Salurno e le sue valli 
laterali segnano la divisione ddla stirpe italiana dalia teutonica. 
Ciò nullostante, se, inoltrandoci a destra ed a sinistra dell'Adige, 
nelle sottoposte valli^ osserviamo i nomi dei monti, dei torren- 
ti, dei villaggi e simili, ed analizziamo le forme, i costumi, ed 
i dialetti d^i abitanti, siamo costretti a concfìiudcre, die la ger- 
manica famiglia un tempo estendevasi alquanto lungo le rive 
dell'Adige e del Brenta, sino all'italica pianura. A monumento 
di questa antica diflusione della stirpe germanica, rimangono, in 
alcuni punti elevati ilelle valli appartenenti a questi due fiumi, 
diversi villaggi, i quali serbano tutt'ora antichi dialetti e co- 
stumi germanici, e formano quasi altrettante isole tedesche nel 
mezzo deir italica famiglia. Quésti villaggi politicameute appar- 
tengono parte al Tirolo italiano, parte alle Venete provincic di 
Verona e di Vicenza, e sono: nel Tirolo italiano, sul versante 
occidentale del monte Palù, dal quale scaturisce il torrente Fcr- 
Sina, i Comuni di. Fièrozzo, Frassilongo^ Roveda e Pergine, i cui 
abitanti ammontano a. circa 1250; nella Valle Sugana, presso 
le sorgenti del fiume Brenta, sono tedeschi i villaggi di Vignola, 
Levico, Borgo, Roncogno e Torcegno, i cui abitanti sono in nu- 
uiero di 1540, e sono distinti dagli Italiani coli' oscuro nome di 
Mì^ccheui. Più verso mozzodi, sovra un picciolo torrente sorge 
il tedesco villaggio di Foigaria composto di 918 abitanti e nella 
vicina valle ad oriente, presso le sorgenti deirAstica, parlano un 
germanico dialetto il villuggio di Lavarone, ed i piccioli cascinaggì 
di Laste Basse, Cà rotte, Brancafora, ricetto di circa 600 pa- 
stori. Finalmente, scendendo più verso mezzogiorno sino alle du- 
plici sorgenti del Leno, trovansi Terraguuolo e Val Arsa puro 
abitate da un migliaio di Tedeschi. 



52 COLO:«l£ STRANIERE 

Ora, se dall* orione del Leno varchiamo I*alpe che separa il 
Tirdo dalle Venete proviocie, diseendiamo nei XHI CoiHuni Ve- 
ronesi, in cui 9,000 abìtwli ftòriavaao lutti, non ha guari, un 
antico dialetto germanico» e rimontando sino alle sorgenti del- 
TÀstico, troviamo fra questo torrente ed il fiume Brenta i VII 
Comuni Vicentini, i cui abitanti, sebbene in numero di 50,000 
e dovunque attorniati da Italiani, ancora verso la fine dello scor- 
so secolo parlavano germanici dialetti. Se non che, il necessa- 
rio commercio coi popoli circostanti, e 1* influenza del governo, 
in alcuni secoli cancellarono ndla massima parte questa nazio- 
nale impronta nei XIII Comuni Veronesi, dei quali solo i più 
elevati villaggi di Chiazza e Campo-Fontana, abitati da i200 
pastori, usano ancora del proprio dìnleito nella famigtiare cor- 
rispondenza ; e nei VII Comuni Vicentini, ove pure la maggior 
parte degli abitanti sostituì il veneto al dialetto nazionale, i soli 
villaggi di Foza, Asiago, Roana, Canova, e Rozzo, con alcuni 
eascinaggi appartati, e sparsi sul pendio dei monti, hnno uso 
ancora della nativa favella negli usi eomoni della domestica vi- 
ta. Per ultimo, dalla valle del Brenta passando nella vicina e 
più spaziosa valle della Piave, e rimontando questo fiume sin 
presso alle sue solanti, trovasi il villaggio di Sapada, nella 
provincia friulana, abitato da circa 600 pastori, che parlano un 
germanico dialetto, sebbene tutti gli abitanti della stessa valle 
siano italiani ; ed a mezzogiorno di Sapada, varcando V erta ca- 
tena che separa il bacino della Piave da quello del Tagliameu- 
to, scorgonsi presso le sorgenti di questo fiume i due piccioli 
villaggi appellati Sauris di sopra e Sauris di sotto, pure abi- 
tati da pastori parlanti germanica favella, tra gli Italiani. 

Sebbene le storiche tradizioni ed un cumulo di affinità e di 
analogie rendano manifesta la comunanza d' origine in tntte que- 
ste colonie, ciò nullostante, mercè la varietà dei loro dialetti, 
vennero risguardate in ogni tempo quali membri di famiglie dif- 
ferenti, perocché le colonie tirolesi, più vicine alla massa ger- 
manica, colla quale serbarono continui rapporti, n^nlificarono e 
modellarono le forme del loro dialetto, seguendo il successivo 
sviluppo di quello della gran massa, e le colonie venete air io- 
contro, staccate molto prima da quella, e separate da maggiori 
distanze, isolate nei loro monti, ed in continuo commercio cogli 
Italiani^ ai quali sempre furono geograficamente e politicamente 



. I>' ITALIA. 55 

aggregale, serborooo più a lun^) le antiche forme del diateUo 
primiUvo^ corrompendolo solo con voci ed idioiisnn italiani. 

Questa circostanza, e il ntm comune fenomeno d'un popolo 
straniero ed ignoto stanziato da tempo immemorabile in mezzo 
air italica famìglia , attrasse di buon' ona T attenzione di vari 
dotti italiani e stranièri, e diede origine a favolose leggende; 
mentre gli uni lo riguardarono come reliquia di quei bellicosi 
Cimbri, che, sconfitti da Mario presso Verona, cercarono rifu- 
gio fra le balze dei vicini monti ^; altri coim reliquia degli 
Unni, che, dopo T ultima sconfitta sofferta da Attila, colà rico- 
verarono^; altri come avanzo dei Goli^; altri dei TigUrini ^; 
altri dei Danesi ^; e quindi attribuirono loro a vicenda lingua 
cimbrsca, unno, 'jgotìca^ tQulQiìicfì,r danese, senza curarsi di esa- 
minare da vicina i fatti clie assierirono. 

Il primo, che svolse con sana critica la quislione intorno alForigine 
di queste colonie, sì fu rabpte Agostino dal Pozzo, sul finire del 
passato secolo, le cui Memorie isloriche delle popolazioni alpine, 
dette Cimbriche ec furono pubblicaile a Vicep^sa solo neiranno 1820. 
Similmente vari Tedeschi, fra i quali Leibnitz, Fulda, Oberlin, e 
Sterobeisg^ fondali sui caratteri di quei dialetti, riconobbero la uoa 
dubbia origine delle colonie che li parlavano dalle tribù bavaresi 
ed alemaonicbe, le quali sin dai, primi secoli dell'era nostra invat- 
sero le alpi noriohe e le retielie; e me^^io d'ogni altro, dopo un 
diUgeote esame sui luoghi stessi, illustrò i tec|eschi colopi delle 
venete provinole^ il benemerito Dottor Andrea Sdimeller nella 
dotta Memoria Ueber die èogentmnten Cimbemder Vllvmd ^IIJ 
Commtmen auf den venediscken Alpen, und ihre Sprache, ietta 
nel i834, ed inserita nelle Memorie della R. Accademia di 
scienze di Monaico* Da questo pr^voUssìmo lavoro epiei^ono 
spontanee le seguenti induziwi, al completo scioglimento del gran 



1 SaraiBii, L$ HUt^ric e fatti àn Vgroneiù Verona 1542; PaDvtnio, Anti" 
quilaleM Veronenses. Veronae, 16 i8; Marco Pezzo, De' Cimbri Veronesi e Vi- 
centini, con un Dizionario Cimbrico. Verona, 1763; Maffei, Verona iUustrata; 
Muratori, Antiquitates ItaUeae; Bettinelli. Risorgimento d'Italia; ec. ec. 

2 Alfonso Loschi, Compendi Historici. Vicenza 1664. 

3 Mariani, Historia di Trento. Trento 4673. 

4 Gio. Costa Pruck, Disquisitio de cimòrica origine poptdorum viceniinas, 
veronenses, tridentinas ac saurias alpes incolentium. 

5 Zago, Calvi, Pogliano, Palle Laste, Salmon, Tentori ed altri. 



Ki COLONIE STRANII^RE 

problema ; che ciocs gii abUanli iedesdù deHe Vènete proviacìo, 
del pari die quelli deHe nientoYate valli Urolest, ebbero orione 
oomuae eolle popolasioni germaniche del Tirolo, deirAustria» della 
Baviera y derivando, come quéste, dagli amichi Ba\'ari ed Ale- 
manni; che, siccome i due bacini dell Adige e del Brenta un 
tetnpo furono inondati dalle medesime tribù, le quali a poco a 
poco si ritirarono verso il norte, o, sotto Y influenza immediata 
del romano incivilimento, cangiarono lingua e costumi, foodea- 
dost negli haliani, cosi i Tcfdesdii delle Tenete pi^vincie forma- 
rono altrettante isole sulla vetta dei lero monti; e< die finalmente 
re^ndo cosi divisi dai loro cònsoifuinei, e meno soggeMi al- 
r influenza del sodale progresso,, vi coiiservarono più a lungo 
le antiche forme della propria lingwt, la qaa'e serja manifesta 
affinità colla teutonica dei secoU XII e :^II K 

%"* Colonie Slave. 

Come i Tedeschi occuparono Y Italia a settentrione, gli Slavi 
vi penetrarono da oriente, e vi presero più vasto e più durevole 
domidiio. Riguardando sempre la catena delle Alpi come natu- 
rale confine della medesima, le nazioni slave occupano la massi- 
ma parte delF Istria e quasi tutta la regione. montuosa, compresa 
fra la catena dèlie A^pi carnldié e T Adriatico, óve fòrf|^<» parte 
dei governi dì Trieste e di Cariiiola , nel Regno d' Ilirla ; per 
modo che per quest' angolo orientale d* Italia con più di ragione 
potrèbbesi indagare, quali colonie italiane o straniere siano 
frammiste agli Siavi. Quest», avuto riguardo ai dialetti che par- 
lano, dividonsi in Istriani o Serbo-ÌUriiy e Slovenzi, o Vvido- 
riirii; ì firmi occupano propirìdmenie la penisola istriana, le 
cui città e borghi principali solamM^tté sono abitati da un po^ 
polo veneto, ed ammontano a 90,000 abitanti in circa; i se- 
condi sono diffusi a settentrione della stessa penisola, dall' Adria- 
tico, presso il Timavo, sino alle Alpi carnicbe, in tutto il eir- 



i OucUi che bramassero più esfese notizie sulle colonie germaniche delle Ve- 
nete Provincie, potranno consultare ancora lo scritto di Benedetto Giovanclli 
intitolato: DeW origim dei VII e XI fi Comuni, Trento, 18*i6, ove in massima 
parte è riprodotta Topera del Dal Pozzo ; e la bella Memoria di Gabriele Rosa, 
inserita nella Rivista Europea (N. 8 e 9 del i845), ove trovansi con sana 
critica compendiate le opiuiont dei vari scrittori. 



d' ITALIA. 5S 

rolo (li Gorizia, (Fonde si estendono, ad occidente sin per 
entro la veneto provincia del Friuli , ad oriente ed a settentrione 
sin nella Carniola e nella Carinzia, formando una sola stirpe cogli 
obitanti di qtieste due regioni. Insieme ammontano a 120,000 
circa, dei quali 20,000 appartengono alla popolazione del Friuli. 
Parlando di questi popoli , noi non tenteremo ora alzare il velo 
che ne copre le origini , né molto meno ci faremo ad indagare 
il tempo del loro stabilimento in queste terre; ci basterà accen- 
nare che, sebbene prevalesse sin (|uasi ai nostri giorni T opinione 
di molti scrittori^ che assegnavano alla prima comparsa degli 
Slavi in Europa il VI secolo dell' èra nostra, ciò nullostante, 
dopo le erudite indagini ed i molteplici argomenti prodotti nelle 
profonde opere di SchafTarik, Rollar, Kadlubek ed altri, appare 
più verisimile T antichissimo loro stabilimento in Europa, non 
che r orìgine slava di alcune popolazioni settentrionali d'Italia. 
Riserbandoci a dare, in luogo più opportuno, maggiore sviluppo 
a quest'importante argomento, avvertiremo solo, clieTantiea 
diffusione delle nazioni slave nelle Venete provincie al di qua 
deir Isonzo, viene fatta maniresta da molti nomi di villaggi, città » 
monti, fiumi e torrenti, di non' dubbia origine slava. A monu- 
mento irrefragabile di questo fatto, trovansi ancora nel Friuli, 
frammezzo agli Italiani, poche reliquie di Slavi, che in numero 
di 3400 conservano costumi nazionali, ed un corrotto dialetto 
della lingua vinda. Questi pochi ])astori vivono nel villaggio di 
Rustis posto nel centro della valle del Besia, piccolo torrente 
che mette foce nel Tagliamento presso Resciulta. I vicini vil- 
laggi nella stessa valle sono: Ossèaco, Gnìva, Stolvizza, Po- 
viey, Coritis, Clin; i monti che racchiudono la valle chiamansi 
Posgost, Canin, Brumand , Plananica, Slolac, ZIebac, nomi tutti 
di forma ed origine slava. Alcuni viaggiatori, che mossi da 
scientifica curiosità percorsero questa valle, credettero scoprirvi 
una piccola colonia di Serbi; ma i caratteri del dialetto ivi 
parlato non lasciano verun dubbio sulla consanguineità di quelli 
ahilanti coi vicini Slovenzi di Carinzia. Dobrowsky ne inslilui un 
piccolo confronto sul Dizionario vindico di Osualdo Gulsman, e, 
riconoscendo T identità delle due favelle, ne diede nel suo Slavin * 



1 Veggasi Dobrowsky' s Slaiin, Trag. 183i, pag. 118. Vcbcr die Slawsiiim 
T fiale R3sìa. ' 



86 COLONIE STRANIEAE 

un Saggio, ove notò alcune voci italiane innestate nel diaieilo 
di Resia pel continuo commercio coi popoli cireo^lanti. 

Discendendo poi verso mezzogiorno, nel cuore del Friuli 
stesso, troviamo i villaggi Pocenia, Precenico, Glauaico, Sclau- 
Dico, Corizza, Gradisca, Slrica, lovanizza, Stupizza, Castrini- 
vizza, e mohi altri nomi di radice evidentemente skiva; d'onde 
possiamo con fondamento asserire , che questa nazione un tempo 
erasi inoltrata di molto in questa parte settentrionale d* Italia. 

Z."" Colonie Fhancrsì. 

La numerosa popolazione di tutte le valli Cisalpine comprese 
fra la catena del Monte Bianco e il Monte Bom^ sebbene e 
geograGcamente, e politicamente italiana, parla tuttavia un dia- 
letto c(^rotto delia lingua francese meridionale , distinta dagli 
scrittori col nome di lingtia d'oc. Essa ammonta ad oltre 78,000 
abitanti, in massima parte pastori, e coltiva speeiakneute le 
scoscese valli di Challant , Pettina , Ferrex , e la principale valle 
d* Aosta, delia quale tutte le altre sono altrettanti rami collate- 
rali, sino al grosso borgo di Chàtillon, che, sulla strada po- 
stale, divide il dialetto piemontese dal francese. 

Questi popoli, lungi dall'essere una colonia straniera colà 
trapian^ta in tempi meno remoti, altro non sono, se non una 
delle primitive celtiche tribù, che ripartivansi ai tempi della ro- 
mana repubblica il settentrione d'Italia; e derivano direttamente 
da quei bellicosi popoli Salassi, che, sottomessi da Augusto, 
ricevettero sin d'allora colla legge anche la lingua latina. Più 
tardi furono da Carlo Magno aggregati al Franco dominio, e 
quando questo fu ripartito fra i suoi successori, gli Aostani 
* cogli abitanti delle vicine valli sino alla costiera che divide la 
Valle Challant dalla Val Lesa , formarono parte del regno di 
Francia propriamente detto , mentre la Val Lesa er le successive 
convalli del Rosa appartennero al Regno Germanico; della qual 
antica divisione politica sono mirabile ed irrefragabile monu- 
mento gli idiomi francese e tedesco tuttavia superstiti, e colà 
separati dalla medesima costiera di monti. Finalmente, dopo 
lunga e volubile vicenda, passarono gli Aostani sotto la signoria 
dei Conti di Savoja, e si serbarono fedeli a quella Casa sino ai 
dì nostri. Per tal modo vi fu a poco a poco introdotto e radi- 



D ITALIA. 57 

cato un dialetto romanza, ehe da princìpio assimilavasi a quelli 
della vicina Savoia, e più tardi fu corrotta da voci ed idiotismi 
piemontesi, dacché il ducato d'Aosta venne aggregato al governo 
di Piemonte. 

Questo dialetto estendevasi, non ha guari» in tutta la parte 
meridionale della stessa valle, come attestano i noini di quasi 
lotti i villag^ . disposti sulle due rive della Dora, quali sono: 
Saint-'Vincent, Ussey, Chamlon, Montjouet, Bard e simili; ne 
fanno fede altresì i rispettivi dialetti oitremodo commisti di voci 
ed idiotismi francesi; se non che tutte queste tracce vi si vanno 
di continuo cancelkindo per la prepotente influenza del com- 
mercio e del governo ; il dialetto piepobontese vi acquista tutto 
giorno nuovo terreno, ed è già penetrato sin nel cuore delia 
classe più devata della capitale; sicché egli è assai probabile, 
che un giorno eziandio questo estremo lembo d' Italia sia per 
divenire interamente italiano. 

i.** Colonie Valacche. 

Quando il musulmano torrente, irrompendo dall'Asia^ irrigò 
di cristiano sangue le orientali regioni d'Europa, e, cangiati in 
voluttuosi Harem i psdagi de* greci imperatori, fece scintillare 
la mezza4una colà dove torreggiava il vessillo di Cristo , una 
folla di nazioni atterrite , fuggendo T inesorabile scimitarra, ab- 
bandond al barbaro conquistatore il suolo nativo, e, trascinando 
seco i simulacri degli avi , cercò scampo nelle vicine province. 
Greci, Albanesi, Bùlgari, Serbi e Valacchi, dalla Mesia, dalla 
Macedonia^ dall'Epiro e dalia Tessalia, si sparsero in gran nu- 
mero, parte lungo Y Illirico sino alle isole del Quarnero e nel- 
ristria; parte, varcando il Danubio, o i Carpatici, cercarono 
rifugio in Ungheria e in Transilvaoia ; e parte, attraversando 
il mar Jonio, si gettarono sulle opposte rive della penisola ita- 
lica della vicina Sicilia. Dovendo or noi far menzione solo di 
quelli, che, ricoveratisi entro gli italici confini, vi presero sta- 
bile domicilio, e vi si mantennero come stranieri sino ai di 
nostri, accenneremo a pochi Valacchi, a molti Greci e ad un 
maggior numero di Albanesi. 

I Valacchi propriamente si diffusero in massima parte dal- 
Tantica Dacia in Transilvania e per entro i comitali meridionali 
deir Ungheria; alcune picciolo colonie per altro, percorrendo 



ss COLOIflE STRANIERE 

rilirico, s'inoltrarono sino alla penisola islrkiiia da noi consi- 
derata entro i naturali conGnì dell* Italia. Sebbene appaia, che 
da principio vari fossero i gruppi di fuggitivi colà ricoverati, 
ciò nullostante i soli abitanti del piccolo villaggio di Cepich, 
composto di 320 pastori, nel distretto di BeUay, serbano an- 
cora i costumi e la lingua dei loro padri. Il dialetto da loro 
parlato è affatto simile a quello dei Valacchi di Temesvar nel 
Sanato, ciò che rivela il primitivo loro vincolo di consangui- 
neità con quella numerosa nazione. Affatto privi di coltura eser- 
citano quasi esclusivamente la pastorizia, e, se si eccettui qualche 
canzone popolare, la loro letteratura reslringesi alla versione 
delle quotidiane preghiere, delle quali porgeremo un Saggio in 
un trattalo speciale dei dialetti istriani. 

Reliquie d'una colonia valacca sembrano ancora nelf Istria 
i i080 abitanti di Dignano, non che i 1130 di VaHe, i quali 
dagli Slavi che li circondano sono chiamati Latini. Questi con- 
servano un particolar modo di vestire diverso da tutti gli altri 
della penisola, e parlano un dialetto italiano distinto dal veneto 
delle altre città, lungo il litorale istriano. Siccome per altro 
molto affine al dialetto di Dignano e di Valle è ancora quello 
che parlano i 10,450 abitanti della città di Rovigno, cosi sem- 
bra ancor più verisimile, che queste popolazioni, anziché ap- 
partenere alle migrazioni moderne, derivino direttamente dalle 
antiche romane colonie stabilite quasi ad un tempo neirilìrìa 
e nella Dacia, le quali vi conservarono, a traverso tante vicende, 
r antico romano dialetto, diverso perciò dal veneto della peni- 
sola, ivi trapiantato più tardi col dominio della veneta re- 
pubblica. 

Tracce delP esistenza d'altra colonia valaeca trotansi final- 
mente nella vicina isola di Veglia , alla distanza di quattro miglia 
dall'antica Coritta, in alcime vallette, distinte nei linguaggio 
dell'isola col nome di Poglizze. Ivi alberga una pacifica fa- 
miglia di circa 800 individui , i quali , sebbene informati sai 
costumi ilirici ed avvezzi all' ilirica favella , serbano tuttavia Y in- 
certa tradizione , che un tempo gli avi loro parlassero un latino 
sermone. Parecchi ruderi di costruzione romana superstiti, al- 
cune monete e qualche medaglia romana ivi escavate attestano 
infatti , che un tempo in quelle amene vallette stanziava una ro- 
nìaria colonia ; ma ciò che soprattutto merita attenzione si è, 



d' ITALrA. 89 

die quelli incolli pastori serbano ancora {'orazione Donùnica e 
la Siduiazionc angelica in un dialetto valacco, il quale, come il 
mentovato di Cepidi ^ è simile a quello di Temesvar ! Da questo 
fallo, rinforzato dalla tradizione del luogo, sembra quindi veri> 
simile rorigìne valacca eziandio di questa pìccola colonia, la 
qaale, attorniata ed oppressa dal preponderante numero di Slavi ^ 
ne adottò col tempo gli usi e la favella. 

b*." Colonie àldanésu . . 

Il ragguardevole hmnero degli Albanesi e dei Greci stanziati 
da secolr ntir Italia meridionale, e la somma discrepanza dei 
loro costumi da quelli dei popoli italiani die li circondano, al- 
trassero più volte T attenzione dei viaggiatori e degli scrittori, 
sicché in vari tempi furono pubblicate più o meno estese rela- 
zioni intorno alla loro origine ed alla loro comparsa in Italia, 
Se non che il rito greco-unito professato, un tempo dal massimo 
numero , la contemporanea esistenza di nazioni diverse nelle 
medesime regioni-, la provenienza loro comune dalla Grecia o 
dalle iprre limitrofe, e Tiporanza dcMe loro lingue in quelli 
che impresero ad- illustrarle, diedero origine ai più favolosi rac- 
coati, dappoiché gli uni riguardarono tutti quei popoli indislin* 
lamenle come Greci, altri come Arabi, altri li credettero Zin- 
gari, altri finalmente scambiarono gC .Albanesi coi Greci, e 
>iceversa; o confusero coi moderni i Greci antichi. Ora sic- 
con)e. u^Ua p^rte più meridionale della penisola esistono infatti 
separate e distinte colonie greche ed albanesi; siccome vi si 
trovano inSotti colonie greche da lunga- età colà stabilite e co* 
Ionie gl'eche moderne; siccome vi sono eziandìo varie trupjie di 
Zmgari nomadi e tracce non dubbie d'arabe colonie; così, a 
depurare la verità da tanti erronei racconti, ed a svolgere con 
chiarezza quesf intricata miscella , preciseremo primieramente i 
luoghi abitati dalfuna o dall'altra nazione, per procedere poscia 
alla esposizione dei fatti, die sparger possono più sicura luce 
sulla loro origine e sulla loro istoria. 

Gli Albanesi, che formano la massa principale, erano un 
tempo in numero assai maggiore, mentre coir avvicendarsi delle 
generazioni obliarono in parte i primitivi costumi, e si fusero 
cogli indigeni. Ciò nulla di meno quelli che vi conservarono sino 



60 COLONIE STBANIBRE 

ai di nostri lìngua e costumi nazionali sono ancora in numero 
considerevole, ammontando quasi a 86,000 individui. 1 luoghi 
da loro esclusivamente abitati sono i segaenli: 



Nella Calabria Ultebiorb. 



Luoghi, 

Amato 
A odali 
Arietta 
Casalouovo 
Teca . . 
Zaogarona 



Dioceiù Popolai. 

i,420 
712 
Si 5 
608 
750 
732 

i,407 



Nicastro . 
Belcastro . 
S. Severino 
Gerace . . 
Nicastro . 
Nicastro . 



Nella Calabria Citeriorb. 



Acqua Formosa 
Castropeggio • 
Cavallari zzo . . 
Cecarvito . . . 
Cerzeto . . . 
Civita .... 
Falconara . . 
Farneta . . . 
Firmo .... 
Frascineto . . 
Lungro . . . 
Macchia . . . 
Marri .... 
M. Grassano . 
Piataci . . . 
Porcile . . . 
Rota .... 
8. Basilio . . 
S. Bened. UUano 
S. Caterina . . 
S. Cosmo • . 
S. Demetrio 
S. Griacomo . . 
S. Giorgio • . 

5. Lorenzo • . 

6. Martino • . 
S. So6a . . . 
Serra di Leo . 
Spezzano . . • 
Vaccarizzo . . 



Cassano • 
Anglona . 
S. Marco . 
S. Marco • 
S. Marco . 
Cassano • 
Tropea 
Anglona . 
Cassano • 
Cassano • 
Cassano • 
B essano • 
Bisignano . 
S. Marco . 
Cassano • 
Cassano . 
Bisignano . 
Cassano . 
Bisignano . 
Sw Marco . 
Rossano • 
Rossano . 
Bisignano • 
Rossano . 



Bisignano . 
Bisignano . 
S. Marco . 
Rossano . 
Rossano . 



Nella Basilicata. 

Barile .... Matera . . 

Brindisi . . . Matera . . 

Casalnuovo di Noia Anglona . 

Maschile . . . Matera . . 

S. Costantino . Anglona . 



4,218 

356 

560 

1,065 

520 

4,472 

1,565 

262 

958 

4,600 

2,570 

475 

308 

1,215 

1,420 

650 

814 

1,500 

1.330 

850 

514 

1,500 

750 

1,200 

950 

1,110 

1,200 

280 

1,700 

1,000 



30,812 



3,250 
2,060 
880 
3,780 
1,120 



10,090 



Nella Capitanata. 




Luoghi. Diocesi. Popolai, 


Campomarìno . Larino • . 


924 


Chioti .... Larino . . . 


1,230 


Casalnnovo . . VoUarara . . 


1,850 


easalvecchio . Volturara . . 


1,612 


PortO'Caonone Larino . . 


. 615 


S. Croce di Mi- 




gliano . . Larino . . . 


3,290 


S. Paolo . . . S. Severo . . 


2,850 


Ururi . • • . Lariao . • . 


1,234 




13,465 


Nella Terra d'Otranto 


. 


raggiano . . • Taranto . 


1,030 


Martignano . . Otranto . 


595 


M. Parano . • Taranto • 


720 


Roccaforzata . Taranto . . 


310 


S. Giorgio . . Taranto . 


1,242 


S. MariiHO . . Taranto . 


335 


S. Marzano . . Taranto . 


750 


Stemazia . . Otranto • 


1,280 


Zollino . . . Otranto . 


. 592 



6,84i 

Nell* Abruzzo Ulteriore. 
Badessa • . . Penna ... 220 



Nbll* Isola di Sicilia. 

Contessa . . . Girgentt . 

MezzoJQSo • • Palermo • 

Palazzo Adriano Girgenti . 

Piana de* Greci Monreale . 

S. Cristina . . Girgenti . 



Totale. 



, 3,000 
4,623 
, 5,450 
, 6,920 
. 750 

19,713 



Calabria Ulteriore 4,407 

Calabria Citeriore 30,813 

Basilicata 10,09(> 

Capitanato 13,465 

Terra d* Otranto 6,8U 

AbriUEo Ulteriore 220 

Isola di Sicilia 19.7i3 

85,5^1 



D ITALIA. 61 

Pochi anni sonò trascorsi, dacché gli Albanesi formavano al- 
tresì la popolazione esclusiva (l'altri villaggi, cosi sul continen- 
te , come in Sicilia , e sono fra gli altri : parecchi villaggi del 
monte Gargano, la cui numerosa popolazione era un tempo in- 
teramente epiroticd, ed ora ha per la maggior parte adottato 
liogua e costumi italiani; ed in Sicilia erano albanesi i vii* 
laggi di Bronte, Biancavilla, S. Michele e S. Angelo, che si 
fusero nella popolazione siciliana, serbando però varie tracce 
della primitiva loro nazionalilà. 

Ora tutti questi popoli separati non approdarono in Italia ad 
uno stesso tempo, ma in vari grtippi, da parti diverse, a più 
meno lunghi intervalli, si raggiunsero sulle italiche spiagge, 
dopo che, sconfitti da Maometto II, si videro esposti al furore 
ed alla vendetta dei Turchi. I primi comparvero verso Tanno 
1440 in Calabria , ove militarono sotto la condotta di Demetrio 
Reres Gastriota, il quale, pei servigi tributali al re Alfonso I, ot- 
tenoe éà lui terre e privilegi, e fu nominato governatore delta 
Calabria ulteriore. Suo iSglio Giorgio Gastriota , soprannominato 
Scanderbeg, prestò non meno importanti servigi a Ferdinando I 
figlio d'Alfonso, rìntuaszando valorosamente la celebre rivolta 
dei baroni, ed ottenne dal re il ducato di Ferrandina ed il 
marchesato della Tripalda, onde nuove colonie albanesi vi ap- 
prodarono dall'Epiro, e vi si stabilirono sin dal 1460 incirca. 
Caduto Scanderbeg nella sanguinosa guerra contro i Turchi, 
sno figlio passò con numerosa banda in Italia, ed ottenne nei 
1467 terre e privilegi dallo stesso Ferdinando, per le beneme- 
renze del padre. In seguito la protezione accordata agii Alba- 
nesi dai re dì Sicilia attrasse ogni anno moke famiglie di prò*- 
fughi dalla Grecia e dall'Epiro, sino alla fine del 1478, in cui 
quella regione cadde interamente in potere del Gran-Signore. 
Né con ciò terminarono quelle migrazioni, perocché le contìnue 
vessazioni sofferte di poi dagli Epiroti rimasti sotto il giogo 
musulmano, ed il favore loro accordato in Italia da Garlo V, 
attirarono nuove colonie nell'anno 1534 e nei successivi, a 
popolare le regioni più meridionali del regno di Napoli. Altre 
ancora vi penetrarono sotto il dominio di Filippo lì , e sebbene 
l'austera polìtica dei viceré abbia poscia interrotto per qualche 
tempo il corso a queste frequenti migrazioni, pure furono rin- 
novate più tardi sotto il regno di Garlo III , il quale fondò il 



62 COLOXJE STRANIERE 

Reggimenlo reale inacedone nella propria arrtiala , concesse vasto 
territorio neir Abruzzo ad una nuova colonia, e favori nel 1736 
la fondazione d' un vescovato di rito greco , e d' un collegio do- 
siioato air educazione dei giovani albanesi. Altro vescovato greco 
iiistitui più tardi in Sicilia il re Ferdinando iV, ed accolse ge- 
nerosamente in Brindisi una nuova coionia ^ accordandole terre 
e privilegi *. 

Per tal modo F Italia meridionale venne popolata da un nu- 
mero ragguardevole d'Albanesi, molti dei quali, come aocen- 
namnìo, nel corso di quattro secoìi adottarono la lingua, la 
religione ed i costumi degli Italiani, Essendo venuti separatamente 
in Italia, e in vari tempi, senza beni, non poterono mai formare 
un corpo nazionale, né abitare un'intera città; ma dispersi per 
ie valli e ))er le montagne, in piccoli ed appartati villani ^ ri- 
masero sempre estranei al progressivo incivilimento. 11 loro 
culto era in origine greco-scismatico; ma a poco a poco pre- 
valse r influenza dei vescovi latini per modo, die quasi due 
terzi sono attualmente cattolici. La loro lingua è TepiroUca, 
detta ancora albanese o skipelar^ divisa però in molte ^'arietà, 
dappoiché non solo vi si distinguono i vari dvadetti mirdìto^ liapo, 
tosco e sciamuro, ma ancor Fidrioto, e si quelli che questo vi sono 
più meoo misti d*itaiiano, d'arabo, o di greco, a norma del tempo 
e del luogo che occupano. Un esteso prospetto di queste varie 
favelle, corredato di Saggi e di filologiche osservazioni, formerà 
l'argomento d'un' opera che daremo in breve alla luce. Frat- 
tanto quelli che bramassero estese notizie intorno ai costumi, 
al culto ed ai particolari destini di quest- importante nazione, 
potranno consultare le Croniche ed Anliehiià di Calabria pub- 
blicate da fra Girolamo MarafioUi sin dalla fine del secolo XVI, 
e l'esteso trattato del Rito Greco in Italia del vescovo albanese 
Rodotà. Parziali descrizioni dello st$fto di queste colonie tro- 
vansi ancora nella Vita del conte d' Osmna scritta da Gre- 
gorio Leti, nei Viaggi in Calabria ed in Sicilia di Bartels, e 
nel più recente Viaggio in Italia di Stolberg ; ma più vaste e 

i Fra gli Albanesi dell* isola di Sicilia i primi che vi si stabilirono in colo- 
nia furono quelli di Contessa, ituii gli abitanti di Mniojuso, poi sopravven- 
nero quelli di Palazzo Adriano, e per ultimo quelli di Piana de* Greci, una 
parie dei qnnli, fuggendo al tempo del feudalismo, andò a fondare la colonia 
di S. Cristina. 



d' ITALIA 65 

più csalle iuformazioDi trovansi racchiuse nella Geografia Uni- 
versale del sempre celebre Maltebrun, e nelle preziose mono- 
grafie de* suoi Annates des Voyages intese air illustrazione delle 
nostre colonie, fra le quali raccomandiaaìo il coscienzioso la- 
voro del benem^ito albanese Angelo Masci, che ci servi di guida 
nel presente Prospetto ; sopra tulto poi commendiamo le inte^ 
ressanti Memorie dell' epirota prof. Giovanni Schirò, die ci co- 
municò parecchie delle presenti notizie. 

Quanto alla lingua, sebbene Tepirotica parlata in Albania ed 
in Macedonia sia stata illustrata in parte con grammatiche e di- 
zionari dal P. Maria da Lecce, da Xylander, e dal P. Rlanehi, 
ciò nulladimeuo nessuno, per quanto ci consta, fanprese ancora 
ad esaminarne i corrotti dialetti d* Italia , se sì eccettuino due 
vocabolari manuscrilti, uno dei quali serbasi nel Seminario 
Greco-Albanese di Palermo, opera di certo Gatclaiio di Mòszo- 
juso arcivescovo di Durazzo, e T altro, opera dell' abate Ni- 
colò Ghetta, è posseduto da monsignor Giuseppe Crispi, au- 
tore d* una Memoria sulla lingua albanese , il quale , con- altri 
dotti connazionali, sta ora compilando un vasto Vocabolario Al- 
banese-italiano. 

Oltre alle mentovate, altre piccole colonie albanesi trovansi 
stanziate sulle coste delF Istria, e propriamente nel viMaggio di 
Perei composto di 210 abitanti, poche miglia discosto dà Pola , 
e nel territorio di Parenzo, ove alquante famiglie albanesi vi- 
vono sparse in appartati casolari. Nessun documento istorico 
determina con precisione il tempo della loro comparsa in questi 
luoghi; solo è noto, che la veneta repubblica, con privilegio 
del 26 novembre 1657, per mezzo del suo rappresentante Gi- 
rolamo Priuli , accordò ad una diecina dì famiglie all)anesi gui- 
date da certo Miho Draicovich , e sfuggite alla oppressione ot- 
tomana, quello spazio dr terra che forma appunto il territorio di 
Perei. Quelle poclie famiglie componevano allora settantasette 
individui, che nel corso di due secoli triplicarono. Questi pure 
conservano lingua e costumi nazionali, e professano il rito gre- 
co. Arroge per ultimo una dozzina di famiglie albanesi stan- 
ziate da secoli in Venezsa per ragion di commerd'o, nella par- 
rocchia di S. Cassiatio, ève ammontano a 50 individui incirca. 



2j 



64 COLONIE STRANIERS 

6.* GoLo^riB Greche. 

Se rammentiamo, che Tltaiia meridionale era un tempo abi- 
tata da greci coloni» dai quali ricevette T antico nome di Afa- 
gna Graecia; ehe gli imperatori bizantini nei secoli di mezzo 
vi fondarono per ben due volte stabile dominio, e cbe il solo 
Mar ionio* la separa dalla Grecia, non saremo sorpre^, tro- 
vandovi anche ai di nostri interi villaggi abitati da greche co- 
lonie. Se non che le terribili vicende alle quali nel volgere dei 
secoli andò soggetta, e le successive invasioni di Romani, di 
Greci, d'Arabi, di Normanni, di Francesi e di Spagnuoli, agi- 
tando e fondendo le varie stirpi , distruggendo gli storici monu- 
menti, e confondendo nella barbarie le antiehe tradizioni, spar- 
sero un fitto velo sulle origini di tante popolazioni, parte delle 
quali sembrano indigene delle terre da loro abitate, e parte vi 
si stabilirono in tempi moderni , onde sottrarsi al ferreo giogo 
dei Turchi. 

I luoghi da loro attualmente occupati sono: nella Caiabrìa 
Ulteriore, la città, i monti ed i contorni di Gelso, ove am- 
montano a poche migliaia; il territorio di Reggio, in partico- 
lare nei contorni di Braucaleone sopra Spartiveato, le piccole 
città di Bova, Amygdalia, Leucopetra, Agatba, ed i villaggi ài 
Misoripha, di Gardetum e di Pentedactylon. Molti Greci vivono 
ancora sparsi in maggiore o minor numero su vari punti della 
Terra d' Otranto, per modo , che insieme ammontano ad oltre 
18,000 individui, serbando ancora greca favella, e professando 
in massima parte il rito greco. 

La varia alterazione dei loro dialetti, e la mescolanza delle 
moderne colonie colte antiche, non ci permettono di precisare 
il tempo del rispettivo loro stabilimento in Italia. Interrogando 
gli scrittori e i documenti dei vari tempi , troviamo non dubbie 
tracce della presenza non mai interrotta di colonie greche nella 
parte più meridionale della nostra penisola. Senza rimontare agli 
antichissimi tempii nei quali ò indubitato, che la massa prin- 
cipale de' suoi abitanti era greca, vi troviamo nel IX e nel X 
secob deirèra nostra stabilito il greeo dominio, onde furono 
celebrate le greelte scuole di NarcU e d'Otranto, dalle quali 
emerse il Teologo Pietro Ghrysolamo, e nelfXI secolo vi fiori 
il celebre islorico greco Bartolommco Basiliano nativo di Ros- 



B' ITALIA. 65 

sano in Calabria. Duponte il Normaooo dominio reggiamo di- 
stinta in Sicilia ed in Calabria ia lingua greca dalla nordica, 
dair italiana e dali* araba, e vi trovianio seriUe nel greco idioma 
le dotazioni di varie chiese. Sotto gli inìperatori della Casa di 
Svevia vi fnrono tradotte nella stessa lingua le costituzioni det- 
tate dà Federico II, per uso dei sudditi greci di quel regno, 
e molti greci documenti trovansi pure sparsi in quelli archivi, 
appartenenti ai 'tempi dei principi' Angiovini. Nel secolo XIV 
vari dotti calabresi, tra i quali Barlaam e Leonzio Pilato, si 
spacciavano nativi ddla Grecia, e dettavano dalla cattedra in 
Firenze i precetti della propria lingua. Nel XV secolo il celebre 
medico Galateo asseriva, che ai tempi di sua giovinezza gli 
abitanti di Gallipoli parlavano greco; il che ripeteva nella prima 
metà del XVI Ascanìo Persio, parlando degli abitanti di Gali- 
mera, di Maglie, di Martano e di Capo-di*Leuca. Il geografo 
calabrese Gabriele Barri ci racconta, che la chiesa di Rossano 
nella Calabria Citeriore conservò lingua e rito greco sino a' suoi 
tempi (1600), e che gli abitanti delle città e dei villaggi si- 
tuati netr estrema punta meridionale della Calabria parlavano il 
medesimo linguaggio. Non interrotte sono le testimonianze degli 
scrittori posteriori dell' esistenza di greche colonie nelle mede- 
sime regioni, onde ci sembra di poter con fondamento con- 
chiudere, che buona parte dei greci coloni deir Italia meri- 
dionale sono reliquie d'una molto più numerosa popolazione, 
colà da tempi assai rimoli stabilitai e che, mentre dall'una 
parte un gran numero, coir avvicendarsi delle generazioni, per- 
dette le naturali primitive impronte, adottando la Ungila ed i 
costumi d'Italia, altri Invece, nella parte più meridionale, for- 
marono quasi un nocciolo, intorno a cui molli esuli inoderni 
saccessivamentfi si raggrupparono. 

Altra piccola colonia di Greci Mainoti trovasi stanziata nel 
villaggio di Cargese in Corsica , "poco discosto da Ajaccio , ed 
ammonta a circa 640 individui. Questi ricoverarono colà da 
Maina nelPanno 1676, guidati da Costantino Stefanopulo, e vi 
trapiantarono il proprio rito , la lingua ed i costumi propri. Per- 
seguitati a lungo, per causa di religione, dai montanari dei vi- 
cini villaggi di Niolo e di Vico , i quali più volte li assalirono e 
saccheggiarono, quei poveri esuli dovettero cercare sovente ri- 
fugio in Ajaccio^ ove alcune famiglie presero stabile domicilio. 



66 COLONIS STRANIBRE 

La loro lìngua da priacipio era la romttica, ossia greca mo- 
derna; ma r incessante commercio coi vicini isolani li costrinse 
a (ar uso delF italiana e della francese, che parlano con pari 
facilità, riserbando la nativa solo fra le domestiche pareti. 

Finalmente parecchie centinaia di Greci soggiornano da lunga età 
nei principali porti dell* Italia superiore , ove formano altrettante 
colonie, avendovi chiese di vario rito , stabilimenti di commercio, 
e collegi destinati air educazione della loro gioventù. Sebbene 
siano più o meno diffusi in pressoché tutte le città marittime 
deir Adriatico e del Mediterraneo, tuttavìa trovansi in maggior 
numero nel porto di Venezia, ove oltrepassano 600 individui, 
in quello di Trieste^ ove ammontano a SOO incirca, ed a Li- 
vorno, ove oltrepassano il numero di 400. Non è possìbile 
determinare con esattezza il tempo del loro stabilimento ìb 
questi luoghi, essendovisi raccolti a poco a poco, in vari tempi, 
per ragion di commercio, da varie parti del continente e delle 
isole greche. Quei di Venezia per altro, vi si recarono in mas- 
»ma parte dalle isole Jonie, sin dal tempo in cui queste di- 
vennero baliagi della veneta repubblica. Quantunque nelle loro 
scuole si insegni la lingua greca antica e la moderna, e nei riti 
ecclesiastici facciano uso della greca letterale, ciò nullostanle, 
negli usi civili, adottano per lo più il dialetto della città, nella 
quale soggiornano. 

7.* Colonie Catalane. 

Il viaggiatore, che, percorrendo la penisola,, udi frammisti al 
poetico accento italiano i suoni teutonici, islavi, francesi, vaiaceli!, 
albanesi e greci, non sarà meno sorpreso, approdando nelle va- 
rie sue isole, d'incontrarvi ancora l'amoroso linguaggio degli an- 
tichi Giullari e il rauco accento dell'Arabo del deserto. Abbiamo 
testé accennato alla colonia greca dell' isola di Corsica ; passando 
da questa nella vicina Sardegna, vi troviamo la città ed i con- 
torni d'Alghero abitati da una colonia di circa 8000 Catalani, 
i quali, sebbene attorniati da italici dialetti e retti da italiche 
leggi, vi eonservano la patria lingua ed i costumi spagnuoli. 
Questa colonia prese ivi stabile dimora sin dall'anno 13K4, in 
cui Pietro IV re d' Arragona, scacciandone i Genovesi, uni quei 
tei ritorio ai propri dominii. Penetratavi in tal modo, e divenuta, 



D ITALIA. 67 

dopo alcune generazioni, indigena del saolo conquistato col san- 
gue, e dirozzato col sudore del propri niaggiorì, vi serbò in- 
contaminato il nazionale retaggio ancora dopo, che la volubile 
dispensiera dei regni la sottomise a dominio straniero. 

8.^ Colonie àraae. 

L'isola di Malta, del pari che tutte le altre del Mediterraneo, 
soggiacque a vicenda air antica dominazione de' Fenici!, dei Greci 
e dei Romani. Caduto l'impero, fu conquistata sin dalla metà 
circa del secolo VII dai Saraceni, onde vi si formò un araba 
colonia, la quale, in cinque secoli di dominazione, vi stabili coi 
propri costumi anche la lingua. Nell'anno 1127, gli abitanti 
della città e del litorale, stanchi del decrepito governo saraceno 
ed infiammati da zelo di religione, insorsero contro i dominatori, 
ed assistiti dal conte Ruggero di Sicilia, riuscirono in breve a 
liberarsi. Per tal modo cangiarono col governo eziandio il culto ; 
ma la favella, che avea gettate profonde radici in tutta la po- 
polazione di Malta e di Gozzo, rimase a monumento dell'arabo 
dominio; né la ragguardevole colonia colà introdotta neiranno 
1530 dai cavalieri dell'Ordine Gerosolimitano, che ne acquista- 
rono il dominio, valse ad estirparla. Ciò nuli* ostante, dopo quel 
tempo, essendosi colà stabilite molle famiglie di varie nazioni, 
il dialetto locale vi assunse molte voci spagnuole, francesi, ingle- 
si, e sopratutto italiane, e vi perdette buod numero delle primi- 
tive sue forme. 

Varie e strane furono le opinioni dei dotti, che scrissero in- 
torno la medesima, Ira i quali Abela, Ciantar, Grevio, fioccar- 
do, Scalìgero, Niedersted ed altri la dissero, a vicenda, derivata 
dalle antiche lingue ebraica, samaritana, siriaca, cartaginese, fe- 
nìcia, greca ed araba. Arrigo Majo pretese dimostrarla affine alla 
punica, nel suo Specimen linguae punicae in hodiema Melilen- 
sium superstitis (Jessae, 1718); ed Agius Soldanis tentò ag- 
giungervi novelle prove nel suo libro intitolato: Della lingua 
punica usala dai Mallesi, ec. (Roma, 1750). Con tutto ciò 
dalla stessa opera di Soldanis, che racchiude un Saggio di grara- 
malica ed una lista di vocaboli, emerge chiaro; che la lingua 
maltese è un dialetto della lingua araba occidentale, ossia afri- 
cana, misto di molte voci tratte sopratulto dalle lingue latine. 



68 COLONIE STRANIERE 

Questo dialetlo è pariaio con maggior purezza negli inlerni vil- 
laggi, detti easaliy nei quali la pronuncia è varia ; ma non cosi, 
che vi si possano discernere dialetti differenti. Nella città di 
Valletta poi, capo-luogo dell'isola e residenza del governo, il 
dialetto arabo é relegato tra il vulgo, mentre la lìngua civile 
è r italiana. 

Altre colonie arabe esistevano, non ha guarii nella prossima 
isola di Sicilia ed in Calabria, già invase più volte dalle orde 
saracene. Ne abbiamo una testimonianza in Ugone Falcando^ il 
quale asserisce che un tempo interi villaggi erano popolati da 
Saraceni. Inoltre il celebre storico Signorelli (Voi. I, pag. 277) 
racconta, come l'imperatore Federico II facesse trasportare una 
colonia di Saraceni dalla Sicilia a Lucera-di-Pagani, d'onde sì 
sparsero in tutta la Capitanata; ma di queste popolazioni non 
appare oggidì veruna traccia, se si eccettuino alcune voci sparse 
nei dialetti meridionali, sia che più tardi facessero ritorno 
ai lidi africani, sia che si fondessero, come è più verisimile, 
negli indigeni. 

Finalmente restano tracce d'un antica araba colonia nella 
provincia Sulcìtana in Sardegna, i cui abitanti, ancora detti Mau- 
relli, sono riguardati da alcuni come discendenti da quei Mauri, 
che, per testimonianza di Procopio, espulsi dall'Africa ai tempi 
di Belisario, furono deportati in Sardegna, e si stabilirono nei 
monti prossimi alla metropoli dell'isola. Sebbene però la costitu- 
zione fisica, i costumi e la pronuncia dei Maurelli concorrano in 
favore di quest'opinione, ciò nullostante, essendo tutt'ora argo- 
mento di controversia presso gli scrittori, ed avendo essi da lunga 
età adottati i costumi e la lingua dei Sapdi, non possiamo an- 
noverarli fra i coloni stranieri. 

9.*" Colonia Israelitiche. 

Gli Ebrei, che, colla loro diffusione sulla massima parte del- 
l' orbe, porgono uno de' più interessanti fenomeni nella storia 
delle umane stirpi, sono sparsi altresì in gran numero sulla no- 
stra penisola, ove abitano principalmente le qìllà ed i porti ma- 
rittimi, formandovi altrettante colonie separate raccolte per lo 
più in appartati quartieri, e professandovi il cullo mosaico. Dai 
più recerili' censimenti dei vuri Stali d'Ilalia il' loro numero 



d' ITALIA. 69 

aseende ad oltre 40,000 individui, i quali sono ripartiti nel modo 
segtienlc: 



Xelle Province Illiriche. 

Trieste 4,600 

Gradisca 7&0 

Gorizia 850 

3,200 

Nel Regno Lombaedo-Veneto. 

MiUoo 230 

Mantova 2,600 

Sabbionetta, Viadana, OstigKa, \ 

Bozzolo, Rivarolo, Gover- | 900 
Dolo, eec. ecc. ) 

Venezia 4,950 

Padova 600 

Bovigo 390 

Verona 750 

Treviso 400 

Udine 50 

Vicenza 60 

7,630 

Nel Regno di Sardegna. 

Torino 4,600 

Vercelli 500 

Acqai 500 

Casate 780 

Alessandria ........ 580 

Genova . • 360 

Cbieri, Trino, Ivrea, Bietta, 
Asti, Ganeo, Garmagnola, 
KondoT), Ciierasco, Saluz- 
zo, ecc. ecc. 



2,500 



6,;»20 
TYkl Dogato di Modena. 

Modena i,f40 

Reggio 770 

Pioale ilo 

Correggio 200 

Carpi 160 

Novellara 400 

Brescello 30 

2,710 



Nel Ducato di Parma. 

Parma 420 

iF^irenzaola 130 

Borgo S.vDonlno 70 

Bosseto <0 

GuasUUa i30 

Monticelli 50 

Colorno e Soragna 80 

Corte Maggiore 80 

680 

Nel Grandccato di Toscana. 

Livorno ^J^O 

Firenze 720 

Siena 3»0 

Pisa . . . 370 

PitigUano ........ 340 

Arezzo 30 

Ebrei erranti 500 

7,060 

Negli Stati PoNTiricii. 

Roma 4,500 

Ancona *»820 

Senigallia ........ M» 

Pesaro . . ^ -«0 

Urbino 160 

Ferrara 1,800 

Lugo 300 

Cento 160 

Perugia, Bologna, Spoleto, 
Terni, Gobbio, eco. ecc. 



oleto, ì 

e. 5 



450 



40,090 

Nel Regno delle Doe Sicilie. 
Ebrei erranti 2,000 



Totale. 
In tutta la penisola . . 



40,490 



70 GOLOiNIE STRANIERE 

E ancora argomento di controversia fra gli eruditi il tempo» 
ili cui questa singolare nazione prese stabile domicilio in Italia. 
Non essendo ora nostra intenzione il discutere quesf intricato 
problema, ci basterà notare alcuni fatti più importanti dai quali 
potrà emergere per avventura un più fondato giudicio. Lasciando 
a parte le favolose leggende rabbiniche» per le quali la prima 
apparizione degli Ebrei in Italia rimonterebbe sino ai tempi di 
Giacobbe e dei re pastori, egli è indubitato, che un secolo 
prima che la Giudea fosse ridotta a romana provincia, molli 
Israeliti viveano diffusi nel romano impero; egli è certo altresì 
che, allorquando le civili discordie li espulsero dalle rive del 
Giordano e dalle mura di Gerusalemme, una moltitudine d'esuli, 
regnando Erode, cercarono rifuso a* piedi del Campidoglio. I te- 
trarchi e i re di Giuda chiesero più volte soccorso alla romana 
repubblica, per salvare il minacciato scettro di Davidde, man- 
dando ambasciatori a Roma. Lo stesso Erode vi approdò per 
ben tre volte; ed Àgrippa vi soggiornò parecchi anni con molti 
de* suoi. Egli è quindi assai verisimile, che sin d' allora alquanti 
Ebrei si stabilissero nella capitale del mondo e in altre città 
d'Italia. Infatti, verso la fine del regno d'Augusto, più di 20,000 
individui di questa nazione furono annoverati fra gli abitanti 
del quartiere di Transtevere ; e Strabone ci attesta, che a' suoi 
tempi assai poche erano le città d' Italia, che non racchiudessero 
mercanti e liberti israelitici. Da questi pochi fatti ci sembra di 
poter con ragione conchiudere,' che almeno un secolo prima 
dell'era cristiana molli Ebrei stanziavano in alcune parti della 
nostra penisola, ove perseguitati, respìnti e richiamati più volte, 
a poco a poco si diffusero dalle Alpi sino al mar Jouio. 

Se antichissimo è lo stabilimento degli Ebrei in Italia, non 
tutte però le attuali colonie vi penetrarono ad un tempo; che 
anzi è provato dalla storia, come il maggior numero vi si suc- 
cedesse a poco a poco, da v^rie parti d'Asia e d'Europa, in 
tempi diversi, di mano in mano che le persecuzioni religiose 
gravitarono sopra di loro. Per notare alcune epoche principali, 
accenneremo, come al tempo delle Crociate, perseguitati e prò* 
Sicritti a morte in Germania , molti Ebrei cercassero rifugio in 
Italia J Altri vi approdarono più tardi dal Portogallo, ed altri 
dalla Spagna, dopo che il celebre editto di Filippo II li pro- 
scrisse dalla penisola iberica, d'onde ricoverarono nei principali 



l>' ITALIA. 71 

porti del Médìterraiieo e delFArcipelago, risospinti dal loro de- 
stino sino a Costantinopoli ed in Asia. Perciò appunto distin* 
goonsi ancora nel culto mosaico in Italia quattro diversi riti, 
/'fto/iano cioè, il tedesco, lo spagnuolo ed il portoghese, dai 
quali possiamo arguire l'anteriore soggiorno di quelli che li 
professano, non che il tempo del rispettivo loro stabilimento 
nei vari luoghi. Da questa osservazione appunto appare più ve- 
risimile, che gli Ebrei stanziati negli Stati Pontificii e nelle 
più interne regioni della penisola, siano i phi antichi d'Italia; 
che buona parte di quelli che vivono diffusi nelle provincie set- 
tentrionali della medesima, vi prendessero domicilio sin dal XII 
secolo; e che le principali colonie marittime, in particolare 
quelle del Mediterraneo, vi approdassero in buon numero dalla 
Spagna e dal Portogallo in tempi moderni, come, per quelli di 
Livorno, fanno non dubbia fede e il dialetto commisto di voci 
spagnuole, ed alcune preghiere ancora oggidì recitate in lingua 
castigliana. 

Avvertirem per ultimo, che, mentre nei luoghi sopra notati gli 
Israeliti formano generalmente altrettante colonie, i soli duemila. 
incirca del regno di Napoli vivono dispersi ed erranti, dappoiché, 
dopo r ultima loro espulsione da quel regno, avvenuta sotto Carlo 
Ili, verso la metà del secolo scorso, non è più loro permesso 
riunirsi in comunità, ed appena fu loro concesso poco terreno 
presso Napoli ad uso di Campo-santo. 

Quelli che bramassero copiose notizie sui destini di questo 
popolo interessante, dall'epoca della sua dispersione sino a noi, 
potranno consultare la Storia filosofica degli Ebrei di Capefigue, 
l'anteriore di Schudt, ed il pregevole lavoro, che sta ora ap- 
punto pubblicando su questo argomento il benemerito nostro 
lombardo Bianchi-Giovini. 

IO.*" Armeni e Zingari. 

Ci rimane finalmente a far menzione degli Armeni e dei Zin- 
gari, i quali, sebbene propriamente non formino colonie separate 
in Italia, perchè sparsi ed erranti, ciò nulladimeno, per la loro 
dimora non inai interrotta da più secoli , formano parte deUa 
sua popolazione. 

Gli Armeni, dopo la distruzione del loro regno in Asm, avve- 
nuta nel primo periodo del secolo XV, si dissenrinarono nelle 
occidentali regioni d'Europa, e precipuamente cercarono asilo 



72 COLONIE STRAPJIEUE 

m\ vicini imperi <li Russia e d'Àuslrìa. Un ragguardevole nu- 
mero di questi esuli passò da quel tenapo in Transilvania, in 
Ungheria ed in Galizia ^ ove occupano oggidì interi villaggi » e 
popolano alcuno città. Altri si diffusero in pari tempo , lungo 
le spiagge del Mediterraneo e dell'Adriatico, nei principali porli 
di Grecia, di Spagna, di Francia e d'Italia, affidando ad un 
esiguo commercio la propria esistenza; onde qualdie centinaio 
vive ancora sparpagliato nei porti di Trieste, Venezia, Genova, 
Ancona, Livorno e Napoli. In Venezia, e propriamente in un 
isolotto della veneta laguna, trovasi pure da alcuni secoli sta- 
bilito un armeno chiostro dell'ordine di Mechitar, retto da un 
arciv^covo, ove una cinquantina di giovani Armeni sono istruiti 
da monaci laboriosi e pazienti, cosi i^l culto cattolico, come 
nei principali idiomi d'Asia e d'Europa, onde propagarci semi 
della civiltà europea tra i loro connazionali, colle versioni a 
stampa delle- opere classiche d'ogni nazione. Si gli uni, che gli 
altri fanno uso del proprio idioma nelle domestiche pareti, par- 
lando ancora nell' esterno commercio il dialetto delle cidà da 
loro abijtate. 

I Zingari erano un tempo diffusi nella penisola in numero 
assai maggiore, che non ai nostri giprni; mentre, dopo che 
provvide leggi posero un freno al vagabondaggio, la maggior 
parte di questi nomadi Indiani si disperse per entro le foreste 
dell'Ungheria e della Germania, ed appena qualche centinaio 
è ancora superstite frù le montagne dell'Istria e della Calabria. 
Poche famiglie vivono eziandio erranti negli Stati Pontificii, nel 
Regno Lombardo-Veneto e nel vicino di Sardegna, conservan- 
dovi colla rapina e col vagabondaggio una misera e pi'ecaria 
indipendenza. Abbiamo per altro tulta ragione di credere, che, 
mercè la paterna vigilanza dei Governi, eziandio queste poche 
reliquie spariranno ben presto dal suolo italiano. 

Sull'origine e sulla prima apparizione in Europa di questo 
popcJo misterioso ragionarono a lungo in dotte opere parectìii 
moderni scrìtb^ri d'ogni nazione; onde stìmianio inopportuno, 
dilungarci ora in vane ripetizioni. Siccome d'altronde è nostro 
proposito di polvere in breve in un trattato speciale il frutto 
delle 'nostre speculazioni su quest'argomento, ed un'illustra- 
zione della Imgua zingarica, da noi con molte fatiche e dispendi 
studiata, non già sui pocW libri follaci, ma al cospetto di qual- 
che centinaio. di Zingari appartenenti a varie regioni d'Europa, 



D ITALIA. 



75 



cosi riputiamo superfluo i* avventurare in questo luogo un arido 
cenno, affatto sterile, perchè sfrondalo d' argomenti e di prove. 

Raccogliendo ora in un solo manipolo i dispersi ramoscelli 
di nazioni diverse da noi sin qui partitai]iente annoverati , 
veggiamo circa seicento quaranta mila stranieri divenuti indi- 
geni d* Italia, mercè un soggiorno non mai interrotto di più 
secoli. L'importanza di questo fatto ci indusse a sottoporlo 
air attenzione dei nostri connazionali, giacché la maggior parte 
delle mentovate colonie furono interamente, o in parte, obliate 
da quelli, che in vari tempi impresero a descrivere la nostra 
penisola ed i suoi abitanti. Onde meglio riuscire nel nostro 
scopo, abbiamo attinto le molteplici notizie che siam venuti 
esponendo sui luoghi stessi, o alle più autorevoli fonti rispet- 
tive; se qualche fatto apparirà per avventura meno esatto, in- 
vitiamo i nostri compagni di studio ad emendarlo, nella spe- 
ranza, che vorranno condonare le inesattezze sopra tutto alla 
natura di simili ricerche, nelle quali le cure più solerti riescono 
sovente frustranee. Confortali dalla coscienza del buon volere e 
dalla speranza d'aver potuto riempire, almeno in parte, un'impor- 
tante lacuna nella statistica italiana, saremo tanto più solleciti 
nel pubblicare in breve una illustrazione delle lingue proprie 
di queste medesime colonie, quanto più vicina ci sembra, pel ra- 
pido sviluppo de' nuovi sistemi stradali, la totale loro scomparsa, 
e la fusione compiuta di quelli che le parlano nei popoli italiani. 

Sunto Generale 
del Prospetto Topografico-Statislico delle Colorile Straniere (T Italia. 



Stati 



> 
< 

C/3 



0S 



s 

-1 



« 

« 



Si 






N 



K."d'miria 
R."Lomb.Vcn. 
Tirolo Italiano 
R.» Sardo . 
D.» di Parma 
D." di Modena 
6. Ducato di 

Toscana . 
Si. Pontificii 
B.*" deHe Due 

Sicilie . . 
Canton Ticino 

e Vallese . 
Is.* di Malto 
Is/ di Corsica 

ToUle . . 



iSOOO 

40000 

550U 

^424 



190000 
20000 



8S0 



300 500 
50 600 



78000 



100 



400 
150 



85551 18000 



800 



640 



64724 210000 78000 320 85901 20390 8000 130000 40190.740 638265 



8000 



3200 
7630 

6820 

680 

2710 

7060 
10090 

2000 



130000 



100 

60 

100 

100 



80 
300 



206420 

68340 

5600 

99444 

680 

2710 

7460 
10320 

105851 

800 

130000 

640 



: - 



IV. 



DELLA 



LETTERATIRA POPOLARE 

DELL'EPIRO 



Due secali circa sono trascorsi, dacché il perspicace Leìbtiitz, 
presentendo la riniota consanguineità degli Albanesi colle na* 
zioni italiche e greche, proponeva agli studiosi il confronto 
delle rispettive lor lingue, e li precedeva col nobile esem- 
pio. Dopo di lui più* maturi studii, intrapresi intomo alla lingua 
epirotica dal P. Da Lecce, Leake^ Kavallioti, Daniel, Bianchi, 
Hobhouse , Malte-Brun , Xylander ed altri, dimostrarono la ri- 
mota antichità della medesima , la sua primitiva estensione so- 
pra una gran parte delF Europa Orientale, non che la verisi- 
mile sua identità o fratellanza colle antiche lingue di Macedonia, 
llliria, Tessalia, Tracia e Dacia, e la sua origine comune 
con quella delle greche e delle latine. Né solo venne con ciò 
constatata l'esistenza della nazione albanese, nelle regioni poste 
al settentrione della Grecia propriamente della, sin da tempi 
auteriori ad ogni storica reminiscenza; ma le più accurate in- 
dagini posteriori di Leake, Hobhouse, Pouqueville, Xylander 
e di parecchi moderni viaggiatori avverMrono il non dubbio 
stabilimento rimoto di albanesi colonie > altresì in varie parti 



78 DELLA LBTqCERATiJilA POPOLARE 

delle isole e penisole greche» in particolare in parecchi luoghi 
elevati della Beozia, deirAttica, dell' Àrgolide, dell' EUide e della 
Laconia^ ove testé eselusivamente occupavano interi distretti; e 
traccio non dubbie d'origine albanese serbavano non ha guarì 
gli abitanti delle isole d'Hydra e di Spezia, non che d'alcuni 
scogli dell' Arcipelago. 

Relegati da tanti secoli nelle più elevate regioni, e circon- 
dati in molti luoghi dalla stirpe ellenica, d'indole, di costumi 
e di lingua diversa, e in ogni tempo lor naturale nemica, 
sembra fuor d' ogni dubbio , che gli Albanesi primamente oc- 
cupassero le greche penisole, dalle quali successivamente re- 
spinti per le frequenti e numerose immigrazioni degli Elleni e 
de' lenii, popoli informati alla civiltà asiatica , furono costretti, 
dopo inutili conflitti, a ricoverarsi nelle regioni più elevate, ove 
serbarono più a lungo la impronta della nazionalità, onde fu 
dato loro il nome di Albani, ossia montanari^ usato per la 
prima volta da Tolomeo. 

Ora, r unanime testimonianza delle tradizioni antiche ci rap- 
presenta la Grecia primamente invasa dalla stirpe pelasgica, la 
quale sopraffatta dalla ionica e dall'ellenica, parte andò ad oc- 
cupare le regioni più settentrionali di quel continente, parie 
emigrò sulle coste d'Italia, ove fondò slabili colonie. Sebbene 
su tali tradizioni fondati i Greci e gl'Italiani riconoscano ahneno 
in parte questa comune loro pelasgiba origine, e sebbene, 
ignari dello stipite al quale i Pelasgi appartennero, errino da vani 
secoli fra i più disparati sistemi , coliegandoìi a vicenda ora alla 
famiglia semitica, ed ora alla giapetica, ciò nulladimeno quella 
forte concordanza e verisimile identità degli antichi Pelasgi 
cogli Albani non fu peranco avvertita , o. almeno sottoposta 
a quel severo esame che l' importanza del soggetto richiedeva. 
E pure ampia messe d' utili e preziose rivelazioni ci porge ornai 
il confronto della vivente lingua epirotica eoi dialetti greci ed 
italici antichi e moderni ; importantissima ed amena congerie di 
scoperta ci promette quello dei costumi e dell'indole degli at- 
tuali Albanesi colle svariate peculiarità e vulgari superstizioni 
dei viventi popoli greci ed italici. 

Un t^le vuoto nei moderni stadii deriva necessariamente dal- 
l' assoluto difetto dei principali elementi, sui quali devono essere 
fondati., giacché, in onta alla molteplice importanza della uà- 



DELL EPIRO, 79 

zioiie albanese, essa non rimase meno sconosciuia all'Europa 
sino ai di nostri, e, ciò ehe più importa, eziandìo la massima 
parte dei costumi e dei dialetti delle singole popolazioni italiche 
meridionali attendono tuttora dii, raccogliendone i materiali, li 
coordini ad un determinato scopo scìentiflco, e, sceverandone le 
doviziose reliquie della veneranda antichità , ne svolga i simboli 
misteriosi e fi illustri. E pure non v-ha luogo a transazione: 
solo dal confronto delle nazioni colle nazioni, e delle lingue par- 
late colle parlate possiaaio riprometterci la sospirata scoperta 
delle nostre origini. 

Ciò non pertanto la nazione albanese ebbe sovente, e in ogni 
tempo, somma influenza e parte principale nei grandi avveni- 
menti delle storie antiche e moderne d' Europa e d'Asia. Lasciando 
da parte la verisimile loro origine pelasgica, e la non dubbia con- 
sanguineità loro cogli antichi Macedoni, Traci, Daci ed lilirii, 
delle cui gesta riboccano gii antichi annali; ommettendo la 
pretesa origine epirotica del saggio Ulisse, al quale fu sempre 
tributato in Epiro^ culto divino , troviamo celebrato in Plutarco 
il valore dei prischi re d'Epiro, massime del saggio Tarrita, 
che dettò leggi ai popoli, ^ volle introdurre in patria le lettere 
e la coltura dei Greci. Alleati a Filippo, e aggregati al regno 
macedonico, gli Epiroti sottomisero Y indomabile Grecia, e con- 
tribuirono fra ì , primi alla gloria ed alle conquiste d* Alessandro 
loro consanguineo, che accompagnarono in Asia ^ Riordinatisi 
nelle loro terre alta morte di quel monarca, comparvero più 
tardi formidabili in Italia sotto la condotta di Pirro, che, de- 
bellate le romane falangi , minacciò la rovina di Roma. Ritornati 
da quella spedizione alle native montagne, sostennero con eroica 
fermezza Y invasione dei Galli eh' aveano devastata la Macedonia 
e la Grecia, e si collegarono ad essi contro i Greci ed i Ro- 
mani. Debellati alla lor volta da questi ultimi, ebbe fine bensì 
la loro potenaa ed il loro splendore, ma non l'indomito loro 
coraggio, né molto meno la loro indipendenza; dappoiché, seb- 



i Quanto a' miei Albanesi, tu non li conosci. Noi discendiamo dai Ma- 
cedoni, ^che hanno dato, per vincitore ali* India, Alessandro ; discendiamo 
dagli Epiroti che hanno dato Pirro per nemico ai Romani. Così scriveva 
ScaDderbeg al principe di Taranto , quando salpò dall' Epiro' in Jltalia, onde 
ricuperare a Ferdinando il trono di Sicilia usurpalo dagli Angtovini e dai 
Baroni congiurati. 



80 DELLA LETTERATURA POPOLALE 

bene distrulle le pofM))òse loro città, e massacrato il nerbo dei 
loro eserciti, per òpera della romana vendetta, che per testi- 
monianza di Strarbone e di Plinio fece della lor patria un or- 
rido de^rto, essi mantennero sempre, all'egida degli ioospiti 
loro gioghi, le immacolate impronte della nazionalità e dell' in- 
dipendenza, e tali si serbarono, pascolando gli armenti e com- 
battendo, attraverso le successile immigrazioni di Goti, Siavi, 
Talari, Mogoli, Bulgari e Turchi, che invasero e devaMarono 
senza posa i loro territorj, ma non ne domarono mai la natu- 
rale fierezza. Dopo tanti irreparabili disastri , viitìmà sempre delle 
varie fasi coi soggiacque l'impero orientale, non che delle in- 
terminabili e sanguinose guerre di religione, gli Albanesi diedero 
asilo ai Normanni ed ai crociati Latini, e sostennero fremendo 
le angherie dei €omneni e dei Paieologhi ; ed allorché questi ul- 
timi, soprafatti dall'ottomano torrente, mal seppero difinidere il 
vacillante trono di Bisanzio , i soK Albanesi imperterriti resìstet- 
tero all'incalzante invasore, e con un pugno di combattenti, 
guidali dal forte Gastriotta Scanderbeg, riportarono le più se- 
gnalate vittorie, spiegando il vessillo delia Groce, contro Ama- 
rai H e Maometto II. Abbandonati soli dall' Europa atterrita in 
quel disuguale conflitto , cedettero bensì alla prepotenza dell' oste 
le loro terre, ma per la maggior parte ne ricusarono il giogo, 
mentre gli uni si arrampicarono sugli erti gioghi dei monti Acro- 
«cerauni, del Pindo e della Tessalia, altri, gettandosi in mare, 
mendicarono profughi un asilo in varie parli d' Europa, ed in grau 
numero ricoverarono fra i monti della Calabria, della Puglia e 
della Sicilia, chiedendo ospizio a quel naonarcd, al quale pochi 
anni prima aveano salvalo il trono contro T alterìgia de' baroui 
congiurati. 

Dall' allo dei loro monti nativi non cessarono mai i prodi fi- 
gli della Silieide dì molestare con incessanti scorrerie i nuovi 
oppressori , e se una parte di loro , aggregati iU' islamismo e 
forzali dalle lusinghe e dalle torture dei bascià ottomani, pre- 
starono loro mano contro i propri fratelli, allri serbarono in- 
contaminata la virtù e l'indipendenza degli avi sino ai nostri 
giorni; onde ancora negli ultimi tempi, comecché ridotti a po- 
che migliaja ed estenuali dalle fatiche d'una vita di privazioni, 
si attrassero l' ammirazione ed il compianto di tutta Europa col- 
r eroica resistenza che opposero al feroce bascià di Giannina , e 



IMSLL'£PIB0. ^1 

per la parie che presero alla rigeneritetoae delia Grefli^a d^p? 
poiebè non dabbianDio più oltro conCiHidere eon aleimì ^torifii # 
Albmesi coi Grecia come suoliare il nostro volgo dot Tedesi^bb 
dei Magiari e degK Slavi,. ma riconoscere piuUoBtO coiqìb alba- 
nese .^aelfa timbei irrequieta di parodi, cbe sacee$aÌYiimeat^^ù^ 
dati da ZuveUa, Odisseo ^ Bozzari/ Kanari, Miaiili, Tombasi (9 
Sactari, quasi foriera e.ooiìnistra del fiilmitie celeste, piomba dal 
Pindo e dal Tomaro ad ineeiierire fe tende e le navi degli io* 
Meli. 

Da questo rapido, ma genuino, prospetto dell0 principali vÌt 
cende, cw quflHa generosa naaóòne soggiacque né volgere di tau|i 
secoli, appare evidente, quanto ne sarebbe imporlanite te/ com- 
piate istoria , che potremmo denominare à buon dritto la stprja 
deir indipendenza, anziché quella d' una singola nazione. E pure 
essa altrairers^ tanti séooii operando prodigi di valore ; domò 
r alterigia delle, greche republicbe e dei re di Persia e di Ba-r 
bilonia, a favore de' principi macedoni; represse le prepotenze dj 
Roma, a sollievo, dei miseri Tarantini; frenò per breve i^^mpo» 
a prò del Cristianesimo, i rapidi progressi delF istomi$mO 1 salvò 
il trono. ai re di Sicilia, rialzò qittlio di Grecia, né accora ebbe 
UDO storico, il qual pur le pagasse un tributo di riconosoen^; 
ma in quella vece tutti* gli scrittori antichi e moderni, tr^ne 
qualche visf^ialore poeta , retribuendola sempre col titqlo . di ^- 
Wd, accennarono appena a quelle fra le innumerevoli sue ge- 
sta, €^e necessariamente collegansi aUa storia delle altre. nazioni* 

Prauanlo, in mezzo a tante guerre non mai interrotte da.s) 
lunga serie di secoli, e relegata sempre fra inospiti d^upi^.e^sa 
non restò ìrfyùi meno estranea ai progressi deir iocivilimento, 
sicché appena iròvansi pochi Albanesi in patria, che sappiano 
leggere e scrivere la propria lingua. .Esterminata e dispersa sin 
dal (empo delia romana conquista, essa non potlè più rialzarsi, 
ne ricoistruire le sne magnifiche città , né riordinarsi in perma-^ 
nente forma sociale. Oppressa dalle crudeltà dèi bei, sparpagliata 
ed< eside in vteie/ parti d'Europa, smembrata in patria da va-^ 
rietà di lenito e di governo e d^ politiche dissensioni., diminuì 
sempre rapklànieiiiQ in liumerò, onde, ridòtta a ciri^ due mìr 
lioni d'anioM ai tempi d'Ali Irascià di Giannina, ora non = giungo 
ad un trilione t. mezzo, cbe va ogni: giorno scemando; . 1 

Le sue esterne colonie, represse da stranieri governi e sotto 

6 



8^ DELLA LETTHIATURA POPOLARE 

IMmniedlata influenza^ delle nanoni che le circondano, simili a 
robusta quercia alpestre, che trasportata al. piatti» viea oMioo 
traligna , smarriscono a poco a poco persino le traocie della pro- 
pria nazionalità» fondendk)8Ì.nei.popdi circostanti, o adoUandone 
lingua e costami; come appunto avvenne. di paceocbie migliaja 
Tra loro in Grecia ed in Italia, sulle vaste lande. del micinte Gar- 
gano ed in parecchi luoghi di Calabria, di Puglia e di.SìciUa; 
per modo che, persistendo F attuale oaiiiiie di.eose, tsgli è certo, 
che un giorno questa magnanima ed importante nazione sparirà 
interamente dal mondo. Con essa vengono. mepo. altresì a poco 
a poco i costumi, le Kogue e le tradizioni avite, deUe quali 
serbavasi, non ha guarì, dovizioso retaggionei monti salivi sotto 
la forma di canfti nazionali, ohe in buona parte sono ornai se- 
polti neH*obllo« 

Appunto collo soo(k> di salvare, finché è ancor ten»po, dal- 
r universale naufragio le poche ^ ma preziose, reliqtiin di quanto 
può concorrere air illusirazioae di quél popolo sventurato, ab- 
biamo da lungo tempo instituite labioriose e reiterate indagini, 
onde riunire il maggior numero possibile di notizie, sia racco- 
gliendo e rettificando le sparse relazioni de* viaggiatori , aia po- 
nendo a contrAuzione T opera d'alcuni emcfiti Albanesi/ che ci 
somministrarono importanti materiali e ci furono, larghi de* loro 
consigli, in saggio di tali studj abbiamo testé tracciate nel Pro^p^ito 
t^ppografkO'Slalisiico delle colonie straniere d'IiaUa^ le sedi di 
quasi 90,000 Albanesi, stanziati da secoli nella nostra. penisola, ed 
ivi parlanti ancora il nativo linguaggio. Ne abbiano etManerato 
i vari dialetti, ed accennato al posto che occupano nella grande 
famiglia delle lingue indo^enropee, noli* Introduzione atr.4l/af»(e 
tinguislico d'Europa, ove abbiamo fatto menaione de! principali 
illustratori di quella lingua , e dove esporremo in seguito i carat- 
teri peculiari di ciascun dialetto, corredandolo di Saggi' compara- 
tivi. E poiché alla parte grammaticale ha testé basievolmente prov- 
veduto il benemerito Xylander, coir opera intitolata: Die Spror 
che der Albanesen oder Sohkipeiaren,(F)rankfurt a M. 1835), 
fu ancora nostra intenzione di provvedere al difetto d- un esteso 
lessico, valendoci di due preziosi lavori manoacritti già da lungo 
tempo inoperosi in alcune biblioteoke di Palermo, quando fummo 
per buona ventura prevenuti dai benemeriti nostri corrispondenti 
Albanési Monsignor Grìspi e prof. Giovanni Sclurò, autori di ya- 



DELL* EPIRO. 83 

rie Memorie alla nazione albanese spettanti , i qaali, col soccorso 
appunto de' citati iiìanoscrìtti e d*aicani connazionali^ impresero 
testé la compilazbne d^un vasto Vocabolario Albanese-Italiano. 
Che anzi quesf ultimo ci annunziava non ha guari per lettera 
la prossima publicazione d* un suo lavoro inteso a provare V o* 
rìgine pelasgica, non che a tracciare le vicende e le mìgraEzionl 
de* prodi Mirditi. 

Mentre godiamo di poter annunciare ai nostri lettori la vicina 
comparsa di due opere, delle quali possono ornai bastevolmente 
apprezzare i* importanza , è nostra mente di riempiere almeno in 
parte un'altra lacuna dì non minore interesse, porgendo loro 
una sommaria idea della letteratura popolare dell* Epiro; di quella 
letteratura semplice, espansiva, nella quale sola 1* indomito spìrito 
del guerriero-pastore suol riflettere colla propria immagine i so- 
spiri e gli affetti , i piaceri ed i dolori , onde in varie età fu pe- 
netrato , e i cui frammenti , comecché solo monuménto di tante 
magnanime gesta e d* un popolo morente , sopravvivono appena 
nelle bocche d* alcuni vecchi. Invano se ne ctHcderebbe notizia 
alla letteratura scritta, la quale, come abbiamo altrove avver- 
tito, ristringesi a poche grammatiche, a Saggi di vocabolario ed 
alla versione del Gatechisf )0^ di Bellarmino e della Bibbia; in- 
vano forse richiederebbesi più tardi alle novelle generazioni , le 
quali, ristrette a sempre minor numero, e di continuo soggette 
alla prevalente influenza delle novelle instìtuzioni sociali e dei 
popoli che le circondano, smarriscono tutto giorno colle nazio- 
nali impronte eziandio le memorie degli avi loro. 

Ora la letteratura popolare dell* Epiro , come quella di tutti t 
popoli non ancorainformati alla moderna civiltà, consta di canti 
nazionali intesi a celebrare pubblici e privali avvenimenti. Ira* 
mandando ai posteri le gest^ degli eroi , descrivendo i costu- 
mi, gli amori e le fazioni del popolo, che ne è ad un tempo 
autore e depositario. Questi canti , passando a viva voce di pa- 
dre in figlio, vengono cantati con apposito metro, per lo più tri- 
ste e monotono, e sovente con accompagnamento di pastorali 
strumenti, in determinati giorni, ali* occasione di solenni ceri- 
monie religiose domestiche , nuziali o funebri , e formano quasi 
il perno dell' istruzione che le madri impartiscono ai figli ^ in- 
segnando loro sin dall* infanzia a ripetere i nomi dei prodi che 
comp(»*arono col proprio sangue 1* indipendenza deUa lor patria. 



84 DELLA LETTpUkTUHA POTOLABK 

Figli <Mla natuni, ed iooonUmiìiuili dalle fittZMii e dal tirodiiio 
dell'arte, essi raccbiadoiio quella purezza d'iouiiagini, quella 
vergvoilà d' erigiiìali concetti e qoeUa forza d* espressioni, cui solo 
mercè IlUighi stodj e reiterati sferzi perveofpiM ad imitar d' or- 
dinario i nostri poiti; uè crediamo tfascendere a delirio d' esa- 
gerato partilo, proponendoli a modello della poesia incontami- 
nata di semplice natura. 

PocU tafllri aoBo trascorsi, dacché T Europa tutta ap|dau- 
diva e volgeva ne* suoi multiformi liaguaggi i melanconici 
cami dei bardi scozzesi Più tardi, ricca messe di simili compo- 
nimenti, raccolti sulle montagne di SeAisk, Erzegovina, Bosnia, 
Honteaen^, Dalmazia ed lUiria, ordinava in quaitro Volumi V in- 
atadcabile Karadcich, deVa cui importante raccoha porgevamo un 
Saggio nel IV Volume dd PoUuenico; altrettali collezioni pub- 
Uicarono in, s^to Kollar dei canti nazionali d^ Slovacchi 
d'Ungheria, Celakowsky, Hanka, Dobrovvsky, Swoboda, Busse, 
Dietrich e Kaseich di quelli de' Polacchi, de* Boemi, de* Rossi 
e d* altri popoli slavi; Schrdier de*Finni; Faurid de* Greci 
moderni; e parecchi altri di rimote ed Incolte nazioni, lo 
tutte queste naturali produzioni furono ammirate nuove e pe- 
regrine bellezze, in oirta alla rozzezza dei loro autori; ed in 
latte emersero distinti i caratteri dell*originafità, quanto furono 
8eiiq>re distinte fra loro le nazioni, delle quali riflettono 1* indole 
ed i concetti. 

Ck)nsiderate sotto questo punto di vista, non ci apparvero 
meno interessanti le poetiche inspiràzioai dei figli della Silleide; 
giacché, se nelle prime domina la mestizia delle nebbie caledo- 
niche, il pallido raggio della luna che siede sui monti scozzesi, 
il silenzio dei campi desolati dalle fazioni, il IBragwe del rauco 
torrente, od il fischio del vento aquilonare fra le deserte vòlte 
dei solitari castdB; se dipingono altre il puro cielo orientale, 
la maestà della natura che, cinta di sempreverde corona, versa 
in larga copia il fiume de* suoi tesori; se descrivono altre la 
semplicità de pastorali costumi, il pacifico commercio d'affetti 
nella vita patriarcale, o la mesta litania delle sofferte sventure 
e della passata grandezza, i canti epirotici, in quella vece, sono 
sempre animati da belVco entusiasmo e da gesta d*eroi, dalla gioja 
deU* indipendenza e della vendetta, dalla speranza d'un miglior 
avvenire. I soli, coi quali serbano alquanta simiglianza, perdiè 



DELL* EPIRO. 85 

nati sotto il medesimo délo e dettati da ^oali ciroostaoze 6 da 
comuni sventare, sono i canti popolari de' Greei, dei quali Faii«- 
riel pubblicava doviziosa raccolta. Che anzi dobbiamo avvertire ^ 
come alcuni di questi siano propriamente albanesi, ed altri cò^ 
munì del pari agli Albanesi ed ai Greci, perchè trasportati a vi* 
cenda dall'una aH' altra lingua, e perchè gli Albanesi cristiam 
meridionali del Pindo, della Kamuria, della Sulìollde, d'Idra e 
di varie altre parti , sempre associati ai clefti greci , fecero «so 
alternamente delle due lingue epìrotiea e romaica, talvolta an- 
cora solo di quest'ultima. Né recherà perciò meraviglia, se al- 
cune di queste poesie sono dirette contro gli Albanesi medesimft, 
alludendo esse a quei Liapi ed a quelle tribù degenerate, ehe, 
professando l' islamismo, furono principale strumento delle cru- 
deltà dei Turchi. 

In prova di quanto siamo venuti brevemente esponendo, val- 
gano i pochi Saggi che sottoponiamo al pubblico giudicio, e di 
cui ci limitiamo a porgere fedelmente la versione letterale, 
onde serbarne intatte cosi le bellezze come i difetti, giacché 
in tali componimenti, né l'eleganza della dizione^ né l'armo- 
nia del verso costituiscono il principal pregio ; solo, ove ci parve 
necessario, abbiamo premesso un caano storico del soggetto 
al quale si riferiscono, e senza la cognizione del quale, o non 
sarebbero intesi, o verrebbero male interpretati. 

Ciò premesso, alcuni fra i canti epirotici appartengono ai se- 
coli trapassati, rimontando in parte a età lontane, altri sono 
opera de' nostri giorni , o di tempi a noi più vicini. I primi col- 
legansi ai nazionali costumi che descrivono, o celebrano le im* 
prese d' antichi eroi , mentre i secondi illustrano o deplorano i 
fatti più memorabili delle moderne generazioni. Gli uni e gli 
altri però serbano impronto il suggello del medesimo autore, 
mentre gli stessi colori ed eguali sentimenti prevalgono in tutti. 
Fra i più antichi emerge un inno guerriero, che la volgare 
credenza attribuisce ai tempi di Pirro, e che gli odierni Alba- 
nesi con superstiziosa venerazione intuonano tuttora prima d'ac- 
cingersi a qualche bellica impresa. Sebbene manchino le prove 
necessarie onde anmiettere l'antichità attribuita a questo canto, 
ciò nullostante non è lecito dubitare della sua lontana origine, 
e siamo dolenti di non averlo potuto ancpra ottenere, in onta 
alle reiterate nostre sollecitudini, onde produrlo in capo al pre- 



86 DELLA LETTERATURA . POPOLARE 

sente Saggio. Gli altri componimenii più antichi si riferiscono 
in parte aUe imprese di Scanderbeg, dal quale ebbero princi- 
pio quegli odj e quelle sanguinose lotte contro i Maomettani, che 
dorarono senza interruzione sino ai di nostri; ma eziandio que- 
sti «comparvero in massima parte, ed appena alcuni, frammenti, 
interrotti da considerevoli lacune, sono ricordati da pochi ?e- 
ghardi, che invano deplorano T infermità della propria remini- 
scenza.. Fra i pochi superstiti di quel tempo e serbati nella loro 
integrità si annovera un canto relativo ad un'avventura di Co- 
stantino il Piccolo, fratello df Scanderbc^ il quale, essendo stato 
avvertito, come taluno avesse accaparrata la mano della don- 
zellala cui stava per unirsi in matrimonio, accorse a rivendicare 
i propri diritti. Eccone la letterale versione: 

Costantlaa il Piccolo 

• CostantìDo il Piccolo, tre giorni aviDtì le sue nozxe, 

Ebbe uà sogno na sogno terribile ! 

ImprovTiso si scosse, e mandò nn^sospiro; 

Un sospiro sì forte, che il suo s^^ore V udì. 
Il signore fé* battere i tamborri a raccolta, 

E tosto radunò tutti i suoi schiavi. . 
E disse loro : a chi mai fra voi, 

Chi mandò quel profondo sospiixi? » 
Costantino rispose: « Io fui quegli che sospirò. 

Oggi è sabbato, e dimani d(»iflai6a; 
Porgeri ad altri la mano la mia .fidaniata. 

La fidanzata dd sincerò- mio cuore. » -^ 
(( Prendi queste nove chiavi ; va nella scuderìa. 

Troverai nove cavalli: scegli quel che ti piace; 
Sì il bianco che il bigio, sì il rosso che il papavero. 

Sì il nero che. r olivastro, sk U veloce che lo sparviere. » 
Costantino scelse 1* ultimo tra questi, e partì; 

Partì subito a gran. galoppo* 
Per via incontrò sua. sorella Fiorenza — n Oye vai 

giovinetta ?.-^.yo a gettanni in un abisso. 
Poiché domani, domenica, si manta mìa cognata, 

La fidanzata di mio fratello Costantino •— 



dcll'epho. 87 

Sono io, SODO io quel Co8la»tiiio*. -^ Galofipa, 

Galoppa* STCRDUirato, se nwi gCiw^ero a tempo. 9 
Per Tia iocooirò Mm madre -*• « Oto li raeln, 

O buona donna? — > Vo a f^tanni in un abisso, 
Poiebè domani, domenica, si marita mia nuora, 

La idaniala di mio figlio Connotino -*- 
8f no ié, tdtfo lo il ino Castanttael — Oa|q»pa, 
> Gatefipa, stentutato, aa tuoì gianeere a tei»^o. f» 
Costantino galoppò, mò floflSsnnossi se non innanzi aUa casa, 

. AUif caeé delia tua «ildaniata. 
Piiiitò il -fianmiero nel meno delia piasxa, dove 

Gli abitanti del villaggio stavan raecolii ; 
Poi disse loro: « Signori, la mia fidaniata 

Non appartiene ad akri, ma a me solo ; 
Eeeo, vi reco in poeva le^ eocene nuziali, 

Vedete, s*io non sia il vero fidanzato. » 
II pretendente confuso e abbandonato da tutti 

Divenne allora lo scherno del villaggio : 
E Costantino menò la fidanzata al tempio. 

La fidanzata del cuor suo. 



Sebbene sìa difficile stabilire con verisimile fo|ìdameoto, in 
qual tempo abbiano avuto origine alcune canzoni erotiche e nu- 
ziali che trovansi diffuse presso varie tribù epirotiche, ciò nul- 
r ostante egli è fuor d*ogni dubbio, ch'esse contano qualche 
secolo d'esistenza, ed è probabile, che in parte derivino dai 
tempi di Scanderbeg, fors' anche da età anteriori, alludendo a 
volgari superstizioni a costumi d'antica origine, e trovandosi 
ancora presso gli Albanesi di Calabria e di Sicilia, che in mas- 
sima parte emigrarono colà sin dai tempi dell'invasione otto- 
mana. Checché ne sia, eccone alcuni Saggi: 



Accorrete, o garzoni, ad intrecciar carole; 
Venite, o vergini, ad intuonare i canti; 
Venite a vedere, venite ad imparare 
In qual guisa si cogKe T amore. 



ss DELLA LETTEiUTOEi POPOLARE 

Egy 8i prende col flirto ^U oc<;hi; 
Di là ec^fdiscettde «uUe Mbbf^; 
DaUe hAìbra s' iosiiioh nel enore, 
E ael cuore egli stende le jbim radici. 

Questa leggiadra cansoBe oi risv^lia la rim^iibranza d'un 
delicato epigraimnsi italijmo >. ehe leggevamo nei fH^imi anni 
giovanili, e del qnaie raflamentÌMno i \em^ ma non il nome 
dell'autore: T analogia del concello « la.deiìealeasa colla quale 
è esposto ci allettano a riprodurto ia <{kieslo luogo, comecché 
indigeno fiore di culto giardini m Un serio di piaule silvestri: 

Ami, e li lagni 

Cke fra' tuoi palpiti 

Mai oon ti toccM 

Ora di ben? 
Non sai, che Amore; 

Come le 'lagfimè, 

NàBcè ^li oodù 

E cade in sen? 

Fra gli altri canti epirotici affettuosi, o nuziali, non ci par- 
vero meno degni di ì*icórdauza ì seguenti : 

IPer Nozze 

, Cbè ta sìa la ben venuta, o giovane sposa! 

, l'u seiy vergine, sotto il tetto dello sposo, 
Come il vino ed il sale sul desco del bancbelCo, 
Comp il sole che isorge attorniato da* suoi raggi. 

L^ Amante sTentnrata 

Se avvieo eh' io muoja àlella, sepaHfccimr nel tuo sepolcro, 
Onde quando tu verrai meno, io possa riposare nel tuo seno. 

Quand'io sarò piprta, « m'afvete 4ep(»9ta niMa tomba, 
Allora saranno terminate, le mie pepe. 

Quand' io sarò morta, ed avrete port^ il mio cadavere al tempio, 
Allora incomincino i vostri piloti. 



DILt EPIRO. ri^ 

L'Amante mal corrlapoata 

Io Ali piagato dal tao amore, 

Ed amai, ma solo per mio tormento. 
Tu mi hai trafitto, o vergine, 

Tu m'hai squarciato il cuore. 
Io dissi, che non bramava altra dote, 

Se non i tuoi occhi, e le tue ciglia. 
Io non chiedeva V esecrata dote. 

Ma te, te sola amava. 
Dammi i tuoi vezzi e le tue grazie, 

E getta la dote alle fiamme. 
Io t'amai, o donzella, con puro cuore, 

Tu m' bai abbandonato, come inaridita pianta ! 

Fra le canzoni di più lontana origine dobbiamo ancora an- 
noverare alcune poesìe religpose, che il popolo intuona in de- 
terminati giorni deiranno. A queste appartiene un inno sulla 
Risurrezione di Lazzaro, che gfi Albanesi di Sicilia e di Ca- 
labria^ ripartiti in coppie» vanno cantando di porta in porta per 
le città e per i villaggi, durante tutta la notte della vigilia di 
san Lazzaro. Anche i sacerdoti seguono questa nazionale usan- 
za, intu(mandolo processionahnente con una cantilena propria 
della loro nazione. Eccone un brano letterale, quale ci fu co- 
municato dal dotto professor Schira: 

mmrée é Utonnreztoiie di LaaEzar» ^ 

Buona sera. 
Buon mattino! 
Venni a dirvi 
Una buona parola i ; 

Ed «ft.mimcDlo 
Che fé* U Signore 
In quei paese 
Che si chiama Betania. 

4 Con tal frase sogKoni} gK Albanesi esprimere la parola deir Evangelo. 



90 DELLA LETTKnATDRA FOPOLARE 

Eravi un uomo 
Chiamato Lazzaro, 
Amato da Cristo 
Con compassione; 

Avca due sorelle 
Sòie, e non più, 
Ambe orfanelle, 
f E senza beni. 

Lazzaro morì, 
La morte il colse; 
E il loro cuore 
Si sciolse in pianto. 

Lo sepellirono, 
Svellendosi il crine; 
n chiusero con una pietra, 
E si posero a lutto, ec. ec. 

Sebbene, percorrendo TAIbanià e TEpiro con'dif^nza ed osser- 
vazione ma^iore di quella che sinora vi applicarono ì pochi viaggia- 
tori, e con miglior agio e sicurezza personale, potrebbesi fare per 
avventura doviziosa messe di tali canti erotici e religiosi, cìònulio- 
stante gli argomenli, pei quali gli Epiroti ebbero sempre speciale 
predilezione, e in cnt ripongono le lor maggiori compiacenze, 
sono le imprese guerriere, lagrime di riconoscenza ai loro duci, 
i fòtii principali delto storia patria. Per conseguenza i canti 
di questo genere vi sono più numerosi, td a preferenza ven- 
gono ripetuti dai vecchi e dalle madri ai figli nelle sere in- 
vernali e fra 'gli 02(ii domaslict/ Né dobbiamo ' tacere a que- 
sto proposito , come le donne albanesi , sebbene oppresse 
dalle nazionali consuetudini, e condannate alle più dure fatiche 
della campagna e della domestica vita , manifestassero in ogni 
tempo un carattere fermo ed intrapr end^te , ed avessero parte 
principale nei più memorandi aweiùmenti della lor patria, sia 
animando i loro congiunti a consaeFare alla libertà la vita , sia 
accompagnandoli nelle più ardue imprese, sia affrontando tran- 
quillamente la morte anziché cedere al nemico. Le storie e le 
tradizioni di quel popolo sventurato sono ripiene delle prove 
di questo muliebre eroismo, che non si smenti mai nelle più 
luttuose circostanze; e parecchie poesie nazionali forono ezian- 



dell'Epiro. 91 

dio deslifi«te a sfMirgerei alcuni (ìori sulla tomba delle più di- 
stinte Amazzoni dell' Epiro. 

Più oltre, fra le molte prove, accenneremo alla non meno de- 
plorabile che Q^iebre i^o^te delle sessanta donne di Zalongo, 
le quali, risolute di morire prima di cadere nelle mani dei Tur- 
chi, si gettarono una dopo T altra coi loro bambini dalla' 
vetta d'un orrido precipizio; e rammenteremo il valore delle 
donne di Suli, che» guidate dair iatrepida Mosco moglie di Lam- 
pro Zavella, sr slanciarono furibonde nella poischia, e posero 
in fuga ì nemici ^ Osserveremo frattanto, come a quest'indole ed 
a questi sentimenti delle donne epirotiche debbansi sopra tutto 
attribuire i prodigi di valore e lo spirilo d'indipendenza, che 
segnalò per tanti secoli quella prode nazione. 

Ora, fra le canzoni di questa classe, comunemente distinte 
col nome di clefliche^ varie sono d'incerta età, ed in maggior 
numero si riferiscono ai grandi avvenimenti che echeggiarono 
per tutta Europa sul finire del passato secolo e nel primo pe- 
riodo del presente. Abbiamo scelto^ a saggio delle prime, due 
componimenti, il primo in morte di Paolo Golemo, del quale 
non abbiamo potuto rinvenire alcuna notizia scritta o tradizio- 
nale, e che sembra aver appartenuto ai primi clefU d'Epiro, 
trovandosi questo canto diffuso presso le colonie albanesi d'I- 
talia, ove Io abbiamo attinto; l'altro descrive la morte di Di- 
me, che non sappiamo a quale dei clefti di tal nome si rife- 
risca, essendone stati parecchi; esso per altro, comecché epi- 
rotico, appartiene ancora alla Grecia, ove si trova generalmente 
diffuso. Seguono quindi alcuni versi intorno alla prigionia d' altro 
defila, ed un frammento sujla liberatone d'un prigioniero f)ure 
anonimo, che ignoriamo dove, quando e perchè fosse cattivo. Si- 
milmente ci è impossibile determinare, se questi due ultimi com- 
ponimenti alludano a qualche storico avvenimento, o siano da 
annoverarsi fra le poesie di pura finzione; tanto è vero, che le 
patrie tradizioni si vanno tutto giorno dileguando. Chiuderanno 

4 Dicesi che Mosco, trovando sul campo fra te vittime di quella battaglia 
il cadavere di suo nipote Cristo Zayella, dopo averlo baciato e coperto [col 
proprio grembiule, pronunciasse il seguente miriologo: Amato^^ipote^ io 
giunsi troppo tardi per salvarti la vita ; ma posso almeno vendicare /« tua 
morte su' tuoi nemici e tu* tuoi assassini. Indi inseguì furente i Turchi fug- 
gitivi. 



99 DELLA LETTERATFRA POHMJkAB 

poi i|iKsto S9fpo alarne poesie gloricbe 



quali 



per maggiore diiarezza espùnemo a suo luogo gli «rgoneati. 



IB ■•rie dU 



QvesUBOfteai 
Udissi m ^m ì 
Non era 1 
Paolo ( 
Cke snppfiem i smi compagni. 

« O miei coinpasBi, • wm fralcOi. 
Vi prego con latte le ttàt fon». 
Che m*«ppRStiile ira sepolcro 
Cosi brgo, come taago; 
E alla lesU del sepolcro 
Mi lasciate ima finestra, 
Vattacthiate i komccMni: 
Ed a*iNcdì dd sepolcro 
Sospendiate le mie armi ; 

rat sentiate mm lettera. 

Che mi CBcisca i|nclla camicia 
Sol col filo de'mià eapHH; 

Sol col sangae deOe gote; 
Che mi tari quella camicia 
Sol colle lagrime de|^ occhi; 

Sol col fooco M sno cnore: 

Che Bri 

Sol col Tento de*i 

m Poi scnriate atta i 
Ok ricami quei laiiolcllo 
Sol col sangae delle gote; 

Le diciate, dhe si i 
Che si rechi là nel tempio. 
Yolga gfi occhi a ( 
ContcmpG i mici i 




dell' epiho. 95 

« £ mi mandi od sol sospiro; 
« Un tal sospiro, un gemito, 
<K Che la vòlta ne rimbombi! » 

La HoMe di Dimo 

Il sòie tramontava, e Dimo dava i suoi ordini; 
a O miei compagni, apportate dell'acqua per la vostra cena; 
« Tu, Lampraki, nipote mio, siedi al mio fianco; 
« Prendi, rivestiti delle mie armi, e sii capitano. 
« E voi, miei bravi, prendete la mia povera diletta sciabola, 
« Tagliate verdi ramoscelli, ed appresutemi un soffice letto; 
« E chiamatemi un confessore, a cui riveli, 
« A cui dir possa tutti i peccati che ho commesso. 
« lo fui trent* anni Armatola, vent* anni Clefla, 
« Ed or la morte è giunta ; io son presso a morire. 
« Apprestatemi la tomba, e sia larga ed alta, 
« Sì ch*io possa combattere in piedi, e sparare di Ganco. 
« Lasciate a dritta una finestra, onde le rondinelle 
« Possano annunziarmi il ritorno della primavera, 
« E gli usignuoli cantarmi il dolce mese di maggio, o 

La Prlgianla del Clefta 

Una madre piangea suo figlio. 
Ella piangeva V unico suo figUo. 
i3rera iri^mersa netr afflizione, 
Perch* ei languiva prigioniero, lontano. 
Il poveretto in terra straniera 
Non potea più mandarle sue nuove. 
Le scrisse alfine una lettera 
Che attaccò alle piume d* un augello ; 
E r alleilo andò a posar sur un albero, 
Sotto cui la povera madre piangeva. 
Repente scosse F augello le piume, 
£ la lettera cadde a* di lei piedi. 
Accorse frettolosa» la raccolse, 
E vi lesse queste tristi parole : 
a Madre^ io tornerò a voi solo quando 



94 DELLA LETTERATURA POPOLAttE 

« Mi cucirete una camicifl eoi vostri capelli, 
a E la laverete colle vostre lagfime; 
« Quando il mare diverrà un giardino di fiori, 
« Quando il sambuco produrrà fichi, ed uva ilnoce! o 

La Llberazloae 

r 

Una giovine sposa di notte 
Attraversò la neve sino alia cintura ; 
Franse il ghiaccio sino alle ginocchia, 
Sinché pervenne al tetro carcere 
Ove gemella il suo signore, 
11 signore che tanto amava. 

Essa lo liberò, restandovi in sua vece. 
Poi sciolse il labbro in mestissimo canto : 
« O mio signore, per la tua^ bionda età, 
« Per la tua vita, io ti scongiuro^ ^ 
« ?fon lasciar tempo <aJIa salvatich' «rha 
« Che su me cresca, od io mi dispero ; 

e Io sciorrò ali* aure i ouei lunghi capelli, 
I capelli intrecciati con fila d* oro , ec. ec. » 

Le seguenli canzoni sono storici monumenti di alcuni particolari 
dellorribile guerra d'Ali di Giannina contro Sali, che durò dal 
d792 al 1804, e nella quale ì Suliottì operarono prodigi di valore. 
Sebbene questa confusa miscela di atroci misfatti e d' eroiche 
prove più tardi fosse descritta da Guglielmo Ealon, da Pouque- 
ville, da Perevos, da Hobhouse, e con più speciale cura da Fauriel, 
riputiamo ciò nullostante util cosa riassumere brevemente i fatti 
particolari, intorno ai quali sopratutto s'aggirano i canti da noi 
prodotti, onde agevolarne Tinterpr^tazione. 

È nolo, con quale fermezza i Suliotli, che insieme formavano 
appena mille trecento guerrieri, respingessero dagli inospitali 
lor monti i ripetuti assalti di Ali, che ad un'armata di quin- 
dici mila combattenti, alimentata da nuovi rinforzi e provve- 
duta d' ogni mezzo, accoppiava di contfanio la periidia e il tra- 
dimento. Risoluto di schiantare daHe fondamenta il ricovero 
di que' poveri montanari, e distruggerne a qualwMiQe prezzo ogni 



Dfi&L EPino. / . SKS 

relìquia, perretine nell'almo 1792 a saf)e?are, sebbene oou per- 
dite ragguardevoli, i difficili passaggi ddleangaste gole che 
proteggevamo Sulì, ed a spìagere una. forte araqata sino alla 
cima dei suoi monti, inontaair.inces^aAte.fuo^O'de^i abitanti, 
che, estiemia|ti- dal ealdo, dalia feme e dalla fatica, dopa una 
lotta ostinata ' d* un giorno intero, erano vicini a soccoriibere. 
Neir estremo generate perìgtio, tMosco^ moglie del Gondottiei«o 
Lainpra Zavella, convocate le donne di Suli, raccolse quante 
armi potè rinvenire nei deserti abiuri, spezeò con wa scure 
tre graniTi casse di munizioni da.guierra, delle quali; «no marito 
assente custodiva le, chiavi, e, fattane dìstribusioiie alle compa- 
gne, volò alla loro testa in soccorso de' propri fratelli Ivi, man^^ 
dando disperate grida ed animando t loraicomps^nratla pugria^ 
si gettarono taitte con. iimpeto nella mischia, ed incussero ben^ 
tosto un tale spavento neir animo degli assalitori, c)ie prèsero 
a prec^io la foga. Allora Zavella e Bozzarì, quasi richiamali 
a novella vita,! circondarono i fuggitivi da ogni parte, facendone 
orrida scempio, sicché ì pochi sfoggiti a quel massacro; male- 
dicendo i capitani ed ìl'bascià che li aveva mandati, dichiara^ 
rono di non voler più combattere, non già Scontro ^ uon^rnl, 
msk contro i demoni incarnati di Suli. Dopo lina tale sconfltta, 
dovuta precipuamente al. valore delle donne Sdiotte, Ali chiese 
e comperò a caro prezzo una pace .ve^g()gnosa, e per atenni 
anni devette reprimere la sete delia vendetta. 

Solo nel 1800, rimarginate le vecchie ferite, potè darvi li* 
bere sfogo. Apprestata una scelta e Jiumerosa armata, assali 
d'improvviso i Suliotti, che frattanto aveano pèrduto i. prodi 
loro condottieri. Ma Foto Zavella e Kizzo Bozzarì d^i eredi 
delle paterne virtù, con nuovi prodigi di valore, assistiti dalf in- 
trepido Dimo Drako e da Ktitsonika, seppero rintuzzare la 
perfidia e> inaspettato assalto d'Ali. Se non che, disperancb dì 
poterli . vincere colla forza delie armi, la tigre di Giannina ebbe 
ricorso all'astuzia ed al tradimento. Dopo aver corrotto colle 
lusinghe e jcoU'oro alcuni principali Suliotti, e comperato al- 
cuni )raggoardèvoli ostaggi, fra i quali un fratello di Foto Za- 
vella ed un figlio di Dimo Drako, li fece proditoriamente 
sgozzare nelle carceri di Giannina. Air annunzio del nuovo 
tradimento, Zavella radunò tutti i suoi, invitò i sacerdoti ad 
intuonare rinno dei morti per quegli infelice, e, rìsoluto di 



96 DELLA LETtERÀTUKA POPOLARE 

vendicarne la morte, assali airinifrovvisla i Tureèi acquar- 
tierati, e ne fece orrida strage. 

Ma tutti questi sforzi non furono se non ruUihia vampa d'ima 
fiaccola morente. Circondati per ogni dove dalle- rinaacenlì schiere 
del mostro ognor più sitibondo <U vendetta, qtei prodi montar 
nari fiirono éà prima consunti dalia fame, che isopportarono con 
non meno eroica fermezza; in seguito perdettero molte vittime 
per nuovi tradimenti; sinché, oppressi dalle incessanti sventure 
« dalla prepoteioa del nenneo, furono m gran parte massacrati, 
ed i prìnoipali loro villaggi di Siidi, Avar&»^ Smntniva, Kiun- 
ghi e Kiafa successivamente presi, arsi ed atterrati dalla rabbia 
maomettana. > 

In sepito a tanti infòrtanii, della popolazione ddla Suliotide, 
che prima di quella guerra sorpassava dodici mila auime, ri- 
masero appena due mila, per la maggior parte domie, vecchi 
e fuiciulli, sotto la scorta di Zavella e di Drako, i qoiait, scac- 
ciati dai nativi dirupi, s*avviarono verso Parga a .mendicarvi un 
asilo; un -altro migliajo; guidato da Bozzari è da Kutsoaikày ri- 
coverò sulla montagna di Zalongo ; e poche centkiàja ' erano 
disperse a Borgareli neHa Sciamuria, a Renitssa ed in alcuni 
angoli d* Epiro. I primi, in onta al salvocondotto stipali^ eoa 
Ali, furono assaliti per via e sbaragliati. Quelli di Zalongo furono 
raggiunti e circondati da un* altra masnada di Turclii, e, dopo 
una disperata resistenza, furono per la ms^ior parte massacrati, 
neutre cento cinquanta appena pervennero a salvarsi col favor 
delle tenebre. Allora fu, die sessanta donne SnUotte, vedendo 
r esterminio de' lor cari, prima di cadere nelle mani dei Turchi, 
preferirono gettarsi dalla vetta d*un. precipizio coi loro figli. 

fia Zalongo i Turchi passarono a Reniassa, e, trovandola sprov- 
vista d'uomini, trucidarono le donne ed i fanciulli. Ivi la soia 
Despo moglie di Giorgio Bozzi oppose resistenza al nemico; 
dappoiché, radunate le figlie e le nipoti, lo respinse per brevi 
istanti dalle finestre a colpi dì fucile, ed allorqutodò scórre i 
Turchi entrare nella propria abitazione, diede fuoco ad un barile 
di polvere apprestato nel mezzo della stanza, sepellendosi cotte 
figlie e coi nemici sotto le rovine del proprio tetto. 

Finalmente i Suliotti di Borgareli, ai quali eransi unite con 
Bozzafi le poche reliquie sfuggite al massacro di Zalongo, te- 
mendo la persecuzione del mostro di dianniua , cercarono un 



DBLLfilU^O. 97 

rifugio sulle moiUagne d*Àgrafa; luago le dirupato sponde del- 
rAspropòtamo. Ma quivi pare Turooo pr^io inggiunti dalfinsa- 
ziabile rabbia d*Ali, che vi mandò nu»ve truppe coN* ordine di 
esterminarli. Risolati di. perire colle armi ^lla mano, quegli in- 
felici si difesero, sinché ebbero provirigioni é forasa ; ma, oppressi 
dal numero, ed estenuati dalla fome e dalla fiitica, furono tru- 
cidati , ed appena cinquanta riuscirono a salvaci prodigiosa- 
mente con Bozseari, ricoverandosi in Parga. In qiiesc^ultimo di- 
sastro le donne Stiiolte non ismentirono il disperato coraggio 
delle vittime di Zajongo, mentre le onde spumanti del rapido 
Aspropòtamo inghiottirono ben oltre centocinquanta infelici, che 
dair eccelse rupi vi si precipitarono cai propri figli. 

Per tal modo, e solo eolla distruzione quasi totale di quella 
magnanima popolazione, ebbe fine nel 1804 la sanguinosa I 

guerra della Suliotide; ma non per questo ebbe fine la fermezza I 

ed il valore degli Epiroti, oìentre più tardi, come accennam- 
mo, le poche reliquie di quella ^strage con(i:ibuirouo precipua- 
mente alla rigenerazione della Grecia. 

Tali sonogii avvenimenti speciali, ai quali si riferiscono le se- 
guenti canzoni, che, tradotte nei vari dialetti epirotici e greci, 
sono diffuse per tutta T Albania, la Macedonia, la Tessalia, la 
penisola e risole del nuovo regno di Grecia. Noi le riportiamo 
come Saggio, mentre raggnardevole é il numero dei canti rela- 
tivi alle ultime guerre, avendo avuto i Liapi stessi, nemici de' 
Suliotti, i loro poeti, ebe celebrarono il valore e la potenza 
d'Ali. Altri componimenti s* aggirano sul miserando eccidio di 
Gardichi, nuovo testimonio terribile dell* estrema perfidia e cru- 
deltà di quel priacipe; e sarebbe pure a desiderarsi, che qual- 
che culto Epirota imprendesse a < farne raccolta, nella speranza 
di riempiere per tal mezzo tante lacune dell* oscura istoria di 
qaella regione. 

Kataonika e nioaco 

^ A Zeritsana, sui confini di SuK, 
Presso la vecchia eappella stanno i capitani Turchi, 
OsserYanda il combatlimeuto de' Suliotti ; 
£ come i fanciulli e le donne pugnano al par dei mariti. 
Kutsonika esclama dal suo posto: 
« O miei Ogli, coraggio ! siate valorosi ; 

7 



98 DELLA LETTBRATUtlA POPOLARE 

« Ecoò, Tiene Miàtar eoa dodici nUla Torcili t » 

Poi rirolge improyTiao la pvoia ai Tmclii: 
K Ove eorri, llnktar figlio. d'jklk, todardo liapof 
« Ifen è questa Kormoron, noft è san BasUio,^ 
« Per Curvi prìgiom i feoenlli e le donae ; 
« È questa la tremenda S«li, rìoomata pei mondo, 
« Ove ia moglie di Zavekta conAMte cerne un eroe; 
« Coi cartocci nel greml^iole, eoUa sciabola io maniib 
<t E col focile nell'altra, essa ve ian«UEi a tutti 1 1» 

HLutsonika e ttosasarl 

Tre augelli si posarono suir altura di 6. BUa: 

Uno osserva Giannina; l'altro Suli, 

11 terze, il minore, si lamenta, e dioe: 

Gli Albanesi sono riuniti contro Suli; 

Tre stendardi partirono sohierati ; 

Uno è del bascià Huktar, Taltro di Missobone, 

Il terzo, il più valoroso, è del SeliUar. 

La moglie d*mi papà li mira da un colle, er grida: 
« Ove siete, figli di Bozzari e^i KuCsonika? 
ir Gli Albanesi ci assalgono, ci fanno prigioni, 
ff Ci condurranno ja Tebeien per flirci Turcbi ? » 

Ma dall'alto d*AvaHko, Kutsonika gridai 
ir Non temere, o donna, allontana tali pensieri; 
« Vedrai una battaglia, ed i fucili dei Glefli; 
« Vedrai come pugnano i Cleftl ed i Suliottil » 

£i non avea pronunciati questi detti. 

Che i Turchi fuggirono a piedi ed a cavallo. 

Cbi fuggiva, e chi gridava : « Maladetto bascià, 
a Quest'anno ci recasti grande sciagura; 
a Quanti Turchi hai perduto t quanti Spahì ed Albanesi 1 » 

E Bozzari, colla sciabola sguainata, gridava: 
« Vieni dtinque, o bascià; perchè t'arretri e fuggi? 
« Bitorna ai nostri moliti , alla povera Kiafìi; 
« Vieni a porvi il tuo trono, a ferviti sultane! » 

Zanella e Bozzari 

La moglie d'un papà dalla vetta d'Avarìko esclama: 
«Ove siete, o figli di Zavella, e di Bozzari? 



DELL ENaO. 99 

« Una nube dì eombattenU a pi^di ed a eavatió s* appressa; 

« Nop son ano, né dae, né tre, né cinque mille ; 

<r Sodo diectoUo o dilcitìove mfgliaja. — ' 

« Eh! venga queste tareaglia! eli» può mai fiirei*? ' 

« Venga a provare i fatili dei Gleftf, 

« La sciabofa di Zavélla, il moschetto di Bozzari, 

L' armi delle donne di Sali, della celebre Mosco ! » 

Cominciata la pugna, ed acceso il fuoco de' fucili, 

Zavella esdaraò fe Banarì ed a Zerva: 
« Cessi il fuoco, ora è t«mpe d* Bdoprars la .sciabola. » • 

Ma Bozzari risponde dal suo posto, 

E grida: a Non è ancora il Bioitftalo deUa sciabola: 
« Rimanete nel bosco, schermitevi difHfo g^ scogli, 
« Poiché i Turchi son molti) e pochi i Suliotti. » 

Zavella allora gridò t' suoi prodi; 
« E sino a quando aspettsrei&o ^uiesU ctAi d'Albanesi? » 

Tutti allora spaisaroiio il ibdcuro delle scinole, 

fi cacciarono i Torciti a guisa di montoni. 

Veli esortava i suoi a nOD volere il. dorso; 

Ma i suoi rispolideaiio colle iagtime. agli .occhi: 
« Non é questo Delvino, nou é Vidiiio; 
«f È la famosa Siili, risomata.nel'Woadoi; 
« Quivi é la sciabola di Ztf velia, Jbof nM.4i /^«(^o sangue, 
« Che avvolse tutta V Aibatiia m abi&i di Imtto» 
« Che fa pianger le madri pei i/)co £|sl^ . 
« Che fa piangere le spose pei loro mariti i » 

OH astottl iJfadMi 

Nere nubi coprono Suli e Kiafa; 
Piovve tutto il giorno, nevicò tutta la notte, 
Ed agile un Suliotto arriva dalla parte di Sistrani. 
£j recfi novelle, tristi novelle da Giannii^ka ; 
• <f Oli alleati hanno tradito i valorosi ; . 

« Figli di Foto^ prodi di Di^ko, udite: ' , 

« Delvino Ài traditore ha venduto i nostri fratelli; 

« Ei li mandò tutti e sei insieme al bascià. 

« AH ne fé' morir quattro ; concesse a due la vita, 

« Al fratello di Foto , al figlio di Dimo Drako« » 



100 DELLA LETTCAATUa/l POPOLARE 

Foto e Btfko si cocraeciano a Ule «Dnwizio. 
cr Protopapàt i» ambo gridano alcifpo de* sacerdoti, 
« latuona 1* uffizio de* morti pe^ 4|ue* sei valorosi ; 
« Per noi soa tutti oiotrti, s^ i due^ che i quattro. 
« U basciÀ non fa graiia deUa Tìla fi Soliotti ; 
« Ogni Suliotto. in sua potere, per noi, é morto. » 

La Caduta di Klana^tai 

Un augello è giolito da Sufi; 
1 Parganiolti l' interrogarono , 
1 Parganiotti gli chiedono: 
<k Avgello, é^onde' vieni? 
« Augello, dove vai ? -^ 

« Vengo dalla miseva Suli; . 
« Vo al paese dei Franobi. -^ 
« Augello, deh! ei raoconu, 
« Becaci quatehe fausta novella — 

« Qual novella recarvi? 
« €he mai poss*io dirvi? 
« Che i Turchi han preso Soli, 
« E la valente Avaritto; 

a Han preso Kiafa la forte, 
« Han preso Kinngbi U prode» 
« Ed ab1>rociarono il sacerdote 
« Con quattro valorosi i. » 

De«po e le mne Bglììe 

Odesrun gran rumore; 
Piovono i colpi di fucile: 
Si festeggiano forse alcune nozze? 
sì celebra qualche festa? 



i Quando i Suliotti abbandonarono Kiunghi, vi lascSorono ff monaco Sa- 
muele con quattro uomini, incaricate di consegnare ai Toachi ia fortezza e 
le poche munizioni che vi rimanevano. Di^ ufficiali turchi s*avai)zarono, onde 
riceverne le chiavi, e vedendo Samuele imperterrito, che li aspettava seduto 
sopra una grande cassa di polvere, gli chiesero sorridendo, qual trattamento 
ei s'aspettasse dal Vizir, dacché era ca<kito nelle sue mani? Samuele gra- 
vemente rispose : Chi fa della vita quel conto eh* io ne tengo, non teme al- 
r.un Vizir ; e sì dicendo, appiccò il fuoco alla polvere, e saltò in aria coi due 
ufficiali e co* suoi. 



" Non si oelebnn nonf. 
Né alean lieto ftiliDa. 
Ella è DeB^o dM coubaiu 
Colle figlie e colle ni|iotÌ. 

GU Albanesi V hanno asMiita 
Nella toire di INnola. ' 
« Bendi 1* armi,, moglie di Gloif;ié, 
« Non è qne^ SiàL 

« Qvk sèi schiava del baicilw 
« Prigioniera degli Albanesi. *— 
« Se la prode Sali s* arrese, 
e Se taate è fatta tutta, 

« besp^ non ebbe, e non avrà mal 
tt De* vili Liapi per signori. » 
Essa ailbrra un titzone, 
Raduna lo figlie e le nipoti, 

« Foggiamo la schiavitù, de' Torchi, » 
Esclama, « segvittmi» o mie figlie ! » 
Ella dk ftioco ala polvere, * 
E tutte aeomp^ono nel Amen. 

Dalla forma e dalla natura di questi componimenti è mani^ 
festo, come una compiuta raccolta dei medesimii valer potrebbe 
a documentare, non che a riempiere alquante lacune nella storia 
di questa regione d*Europa. Una simile impresn compi con inge* 
gno ed erudizione pari alle difficoltà il benemerito Fauriel, per 
ciò che riguarda i cand popolari dei Greci , parecchi dei quali 
appartengono alla storia épirotica, o sono |N^odùzioni degli Epi* 
roti atessi. Òltremòdo importante si é poi il'CQnfronio di que^i 
canti cogli epirotici, rivelandoci sovente fra le due nano» molla 
simigfianza nei domestici costumi , nel modo di eostruife i 
sepolcri, nei coneettì, e quel ch*è più nélta nNréiera di rappre- 
sentarli. €o9t negli uni conte negli altri> il mNMitano augello é 
sovente messaggiero ed- interprete delle sciagure e dei voli n«- 
zionaK, T amore delF indipendènza, il dispmm della tortura e 
della morte, il eommereio de* domestici afètii, il desio deHa 
pugna persin nel sepolcl^o; la noncuranza del presente,, la spe- 
ranza ileltavtenire, sono te molle prinépali cosi detsreei»«he 
degli eptrotici ccmipontitienti. 



102 . DELLA LETTERATURA POPOLARE 

Avvertiremo per ultuno, come una aimile raccolta opportuna- 
mente ordinata formerebbe il ^o motHimenCo vivo e indestrutti- 
bile, cosi della lingua, come àé didetti parlati dalle varie tribù epi- 
rotiche , giacché poco valgono a rappresentarla le versioni ser- 
vili della Bibbia e del Galedhismo, uniche fonti alle quali il 
filologo possa attingerne la cognizione. Riserbandoci a parlare 
altra volta di proposito della varietà di questi dialetti, e delle sin- 
gole proprietà che li distinguono, basterà per ora avvertire, 
come siano a notarsi neirAIbanià sei- distetti principali, e come 
fra le stesse colonie di Grecia e d' ItaUa vi siano parlati con 
alquante varietà. Questa distinzione deriva, non solo dalla no- 
tevole differenza della pronunoia; ma filtpesl> dalla varia loro 
mistura con altre Kngae, prevalendo Bell'uno buona copia di 
radici turche; le slave o bulgari^h^ in. altri ^ le romaiche e le 
italiane negli ultimi. Alla qual nùstiira, prodotta in tempi mo- 
dèrni dair immediato commercio. con tanle diverse nazioni, fa 
pur mestieri avvertire con itfpeeiale: cura; onde non essere stra- 
scinati ad illusorie' induzioni nelle etnogri^cAe ricerche. 

A compiere questo rapido cenno ci resterebbe a parlare de- 
gli autori, ai quali tanti ooHftp<HiitteBtì d/ ordinario s'attribui- 
scono, il che faremmo tanto più volontieri, quanto più dovuto 
ci sambrsi un tributa di.riooni^aceiwi. p 4i lt>dQ ai. ^0!l)ili onori, 
che seppero colte spontanee inspirazioni deil9 fiiMura dipingere 
i nazionali eoatomi,, o trama&cùrB ai posteri la nnemoria dei 
generosi loro eompag^i di sventura.; ma i bardi epiroiid, 
del . pari che quelli di tante altre nafùo^i > . sono sconosciuti 
in patria, come qbrovt. Egli, è un fatto xhe veggiaaio rin- 
novarsi tuttogiorno eziandio, nel seno d^ile nazioni- incivili- 
te, ove qua$i per iQkcant^^imo apparei; d* i^»i|^ovvìsp una po<h 
sia pòfMlare^ colla Kelocità del lampo si diffonde. per le ciuà 
te le campagne presso un iqtera popoUzioB!e,.sqp^randotaholu 
^ni natjuralie Wrieitd, né mai; viene accoapasaata daln^nnedi 
quello ehe ne Cu. autore. t!mo è» c)ie le canzoni delle quali 
abbiamo recato un Saggio furono He^CaQe pel popolo da uomini 
'inculti «he M divid^vapo co^t i.sentìn^ti) come i destini; e 
quindi le une dovettero esseit^ i<ikS{N[rate ad un clefta negli ozj 
delia. pace, le altre ad un irr^^quifito eor^ro,; ^itijq-^ MU pia- 
«ilio pastore; e si le u^ che le. altre sono opera» 9 i(^ guerriero 
cuija rabbia dell'oste avea rapito il duce,.o dell' amante mal 



dell'Epiro. 103 

coprisposlo, o della sposa cui fu involalo il marito, od ì figli. 
Egli è vero bensì, ehe eziandio T Epira ha i suoi rapsodi er- 
ranti, per lo più ciechi, o vegliardi, i quali ricercano di vil- 
laggio in villaggio i popolari convegni nelle pubbliche feste, e 
cantano sulle piazze i componimenti proprj, o raccolti nelle 
continue loro peregrinazioni; ed è pur vero, che in generale 
vengono risguardati come autori dei medesimi; ma facendo at- 
tenzione alla varietà dello stile, dei colori e dei dialetti, non 
che al vario genere dei componimenti da ciascuno prodotti, 
non ravvisiamo nei menestrelli orientali se non i raccoglitori ed 
i depositari dei multiformi prodotti della musa nazionale, i cui 
prediletti cultori sono confusi nella moltitudine delle varie classi. 
Checché ne sia, e comunque inferiori apparir possano gli 
esposti Saggi a tante sublimi produzioni dell* arte, non che alle 
popolari inspirazioni d'altre stirpi, nutriamo ciò nuUoslante 
fiducia d'aver recato una nuova e non inutile pietra all'edificio 
della nuova scienza, sottoponendoli per la prima volta al giudi- 
ciò de' nostri studiosi connazionali, mentre dichiariamo franca- 
mente, che non fummo punto allettati e condotti a simili ricer- 
che da vaghezza di novità, o da ammirazione per le poetiche 
peregrine bellezze, che in qualche riguardo, e almeno per l'ori- 
ginalità del soggetto, della forma e del concetto, hanno pur dritto 
alla nostra attenzione, ma bensì dalle molte ed importanti ap- 
plicazioni che far si possono di questi componimenti allo stu- 
dio etnografico ed a quello delle nostre origini, persuasi che 
solo allora perverremo a solide e irrefragabili induzioni, quando 
avremo intimamente e in ogni riguardo studiato noi stessi ed 
i popoli dai quali siamo da lunghi secoli circondati. 



ORIGINE, DIFFUSIONE 
ED IMPORTANZA 



DELLE 



LINGUE FURBESCHE 



f fc '.. 



Vi SODO in naiura alcuni feDomeDi, ai quali, il ordinario la 
mente delFuomo si abitua sin dall infanzia per mo<do, che, in 
onta al continuo loro avvicendarsi, passano per secoli inosser- 
vati, negletti e reputati di nessun conto, sebbene p^r lo più 
racchiudano il germe fecondo di nuove ed importanti rivelazio- 
ni, porgendo il t)andolo atto a svolgere le più intricate ricer- 
che. Fra questi appunto ci sembra di poter annoverare un fatto 
generale e costanle, comecché non per anco poste in chiara luce 
da alcuno, ed è: che Tuomo stretto ad un patto sociale, oltr^ 
alla lìngua generale, comune a tutta la società cui appartiene, 
si studia per lo più dì formarsi un* altra lingua secreta , con- 
venzionale, onde frangerlo impunemente. Questo fatto, che astrat- 
tamente e parzialmente considerato porge novella prova del oon- 
tinno stato d'azione e reazione ndruomo sociale, e conduce ad 
importanti osservazioni sul processo dello spìrito umano nella 
formazione de primitivi linguaggi, è talmente generalizzato, che 
non v'ha quasi società pubblica o privata, presso la quale non 
si trovi più meno ripetuto. 



i08 OlilGlKE, DIFFUSIO^ ED IXPQRTA.^ZA 

Egli è generalmente palese, come nella grande società, presso 
tutte le nazioni incivilite, e in ogni tempo, quelle turbe abbo- 
minate insieme e compiante d' individui che sprecano la vita , 
aguzzando di continuo V ingegno onde appropriarsi ingiustamente 
la roba attrai, si formassero una lingua convenzionale, mercè 
la quale possono di leggeri intendersi non intesi, deludere la 
pubblica vigilanza, é concertare talvolta le proprie difese, per- 
sino fra le mani della giustizia che li ha colpiti. Quest'artificio 
e ormai a tutti palese, dappoiché il fatale segreto fu strappato 
più volte di mano agli iniqui dalla vigilanza della pubblica tu- 
tela, e spontaneamente rivelato da alcuni ravveduti, o indotti 
dalla speranza di minor pena; sicché odesi risuonar tuttogiorno 
sulle bocche de* monelli che frequentano le pubbliche vie. Che 
anzi uno strano capriccio de' secoli scorsi introdusse talvolta 
questo barbaro gergo nella nostra letteratura, mentre valenti 
scrittori lo adattarono air italiana poesia, altri ne compilarono 
Saggi di Vocabolario e lo introdussero sul teatro, altri si fecero 
ad imitarlo, raccozzando per trastullo una insipida lingua figu- 
rata, cui diedero il pomposo nome di Jaìiaiatlica, profanando 
cosi i classici dialetti ionico ed Attico ' ; ed ancora ai di nostri 
un gusto non meno strano, risorto sulle rive della Senna, ri- 
produsse il gei^ de'* malandrini' in {orécchi mcklerni eomponi- 
mentl , intesi a descrivere i corrotti costumi delle dassi più 
abbiette *. 

Ciò non pertanto questo fenomeno non àVviené solo appo le 
cfassi malefiche e proscritte, per* k qtiialt un sprèto linguaggio 
é un naturale bisogno; ma, addentrandoci nei costumi d'ogni 

*1 È tioto coinè» ti èfofiigtUi, il Jaliti, il Goarinlmd nhui iMdriera di senttwi 
toflcanì dettassero compoaimeoti di vario genere in questa lingua. Un tal 
delirio occupa una brutta pagina nella storia delle nostre lettere; gli tenne 
dietro ta ridicola moda di scrivere senza senso, e peggio in eonirosenso, del 
che ahbiite^ oii insigne modello. aeir-AdranilfeiMi, tngicemfdia d*aa sena- 
tore piemontese, che è un capo'lavoro di melensaggine e di follia. Noi ci 
siamo dispensati dal parlare a lungo di questi traviamenti, che vorremmo se- 
pelli in perpetuo obblio, e solo dobbiamo avvertire, come pa)«6cfai «erittori 
odnfciBdaiioa torto la lingua ca»vQnaiaii4e de* i^AltpdiHiM ooUa janadaftlioB 
degli scrittori» essendo quesU bensì formata ad imitazione di quella, ma ciò 
itullòstante dalla medesima distinta. 

. « Veggasi: L$ détnim jour d*fàn c(m4am»é, pkr Vieiar B^o; IfÓtr^ Mkam 
d9 Pa^U, dello stesso autore j l^s Mffslèt&B de Paris, le /h»7 Brrmnt par 
Eugène Sue, Les mais Mystères de Paris, par Vidocq, e parecchi altri com- 
ponimenti di minor conto. 



DELLE LINGUE runDBSCHB • 1(19 

altra classe,. k> veggiamo rinno.varsi eziandio, •conveeché sotlQ al7 
tre forale, e. con meno colpevoli, fiai, cosi fra le ip|iust4*iali e be^ 
nemerite della società, come JfraJe. comunioni scolasliche, eif^- 
$iao fra le tranquille pareli delle società domestiche. Non v' ha 
quasi arte meccanica esercitata in comunione da parecchi indi- 
vidui riuniti, presso la quale non si rinvenga qualche gergo con- 
venzionale ; non v' ha società pernianente graud^e o picpola, pub)-* 
biica privata, ove, in alcuni tempi e circostanze, non abbig 
luogo un modo convenzionale d' eaprimersi diverso da quello 
che è comune a tutti i membri della medesima. Cosi i muratori 
hanqp per lo più un gergo particolare, col quale sogliono co- 
municarsi a vicenda i loro progetti, e deludere la sorveglianza 
de' loro, padroni ; e questo gergo, con poche e leggere varietà, è 
talmente diffuso in tutte le nostre provincie, che agevolmente il 
muratore dell' una intende quello delle altre, comecché lontane c^ 
da politico reggimento disgiunte. 1 tessitori, e tutti gli artìgiaiù 
avvezzi a passare in comunione intere stagioni in vasti laboratoi^ 
hanno essi pure un gergo proprio; i calderai, che, scendendo 
dai nfitivi ior monti, percorrono intere provincie, onde esercitarvi 
Tarte propria, incontrandosi per le vie, si consigliano a vicenda 
con una lingua convenzionale. Cosi finalmente nelle case d' edu- 
cazioiìe e nelle famiglie odonsi talvolta confusi linguaggi, coi 
quali i vispi alunni tentano celare frivoli g'mochi ai superiori, o le 
inesperte donzelle raccolte al lavoro, versando nel seno dell' a- 
mica la pienezza del loro cuore commosso da un sorriso della 
vigilia, sottraggono i loro palpiti alla vigilanza materna. 

indotti dalla sorprendente generalità d'un fatto cotanto stranio, 
e guidati dalla speranza di cogliere pur qualche utile insegna- 
mento in un campo sinoxa affatto inesplorato, abbiamo instituite 
lunghe indagini, onde ragg^ingere la cognizione de' principali fra 
questi linguaggi, e siccome, dopo averli parzialmente esaminati e 
confrontati fra loro, vi abbiamo rinvenuto parecchi elementi che 
iutcre^s^r possono lo studio delle lingue, del pari che quello del- 
l' uomo, cosi abbiamo stimato util cosa il .chiamarvi l' attenzione 
degli studiosi, pprgendo loro brevemente le nostre os^ryazioui 
sull'origine, sulla formazione e sulla natura dei medesimi^ non 
che sulle cause della loro diffusione, sui Iqyo rapporti e pul pri- 
mario loro scopo. 3opra tutto abbiamo rivolte le nostre indagini 
al più importa^ite e più dannoso fra i. linguaggi furbeschi, ai 



ORIGINE, DIFFUSIONE 
ED IMPORTANZA 



DELLE 



LINGUE FURBESCHE 



ìli ORIGINA) DiFFUSIOlfB SD IMPORTANZA 

vameaie dsercita^ di^i abitigli di ciaseuo villaggip, per una 
parie delle nostre luontpgiie; il qual lavoro poirebbe giovare a 
molte Picerche di natura diversa, ove fosse comfMUto , per tutte 
le nostre regioni. Ora la maggior par][« di questi arii^ani so* 
gliono appunto emigrare annualoftente dai ;mpnti o dalle terre 
native, spargendosi più o meno per (e varie città d'Italia, di 
Francia, e persino di Spagna e di Gerrnanìa, ove si. recano ad 
esercitarle i rispettivi mestieri,, e frattanto conducono seco i pro- 
ibì figli, ai quali^ diveniri adulti, pÌEiaftciano le proprie clientele, 
ritirandosi a chiudere fra i monti nativi T operosa lor vita. In 
qualunque paese scelgano stanza» si associano ben presto ai loro 
collegbi d'arte, cqì quali dividono sovente le latich# ed i guada- 
gni, e nel comune interesse vanno . iHodftUnndo a poco a poco 
una medesima foggia di vita, la quale prende un aspetto uni- 
forme sopra una maggiore o minor estensione di terreno, a 
norma del)a maggiore o minor diffusione d'ogni. singoia classe. 
Per tal modo appunto anche i rispettivi loro gergfii si estendono 
dall'una all'altra provincia, e passano senza interruzione dall'una 
all'altra generazione^ inavvertiti dagli stessi artigiani che li parla- 
no, i quali, trasferendosi da un luogo all'altro» non senza sor- 
presa trovano dovunque colleghi iniziati in ciò che credevano 
proprio segreto esclusivo* 

Ben diverse dalle accennate sono le .cause della diffusione del 
gergo de' malandrini , il quale tuttavia è il. più esteso fra tutti, 
giacché l'osservazione costante dimostra, uno solo essere il gergo 
comune cosi ai miserabili che vau popolando gli ergastoli di 
Padova, di Mantova e di Milano» con^p a queUi che trovansi rin- 
chiusi nelle .carceri di pafec^hi; akri Stati d! Italia. Questo sor- 
prendente fenomeno devisi attribuire l."" alle frequenti migra- 
zioni, cqHe quali i colpevpli tentano sottrarsi alle ricerche della 
giustizia ; 2.'' al frequente loro commercio, giacché, se non hanno 
un centro di convegno nelle officinp, nelle fabbriche pd in one- 
ste adunanze, non mancano loro le taverne, i lupanari ed i 
tri vii, nei quali ageyoloiente s'iDConlrano, si riconoscono e 
si associano; sovente accora le stesse carceri giovano all'esten- 
sione dei loro rapporti, onde più volte si videro malandrini, di 
recente liberati dal carcere, recarsi d' improvviso da un luogo 
all'altro, a consumare delitti eoqcertati molto tempo innanzi a 
parecchie miglia di disianza; 3.'' finalmente al libero vagabon- 



DBtLB LINCenB PURBBSCHE. 113 

daggio troppo diffuso e tollerato ai tempi delle peregrfiiazìoni 
religiose, nei quali è probabile, che l'attuale gergo furfantino 
avesse origine, prpvata essendo T identità del medesimo con 
qaello degli antichi -questuanti, i quali sovente solevano coprire, 
sotto la veste del pellegrino penitente reduce dalla Palestina, i 
loro iniqui disegni. Questa osservazione, provata ad evidenza dal 
confronto dei Saggi di lingua furfantina pubblicati, ne* secoli 
scorsi con quella che parlano oggidì i nostri borsajuoli, ci il^• 
segna eziandio, come questo malefico gergo vada propagandosi 
tradizionalmente, non solo da luògo a luogo, ma da secolo a 
secolo, senza veruna interruzione, in onta ai cangiamenti delle 
iostituzìoni civili,, ed alla crescente vigilanza delle leggi. 

Ma v' ha un' ossei^vazione ben più importante a questo pro- 
posito, e consiste nella grande rassomiglianza che la lingua fur- 
besca d* una nazione serba con quella d' <^ni altra ; dappoiché 
tutte concordano nel principio fondamentale di rappresentare 
gli oggetti per mezzo delle precipue e pia ovvie loro proprietà 
peculiari circostanze. Per darne alcuni esempi, il malandrino 
italiano suole denoniinare ingegnósa la chiave, bruna la notte, 
travaglioso il carcere, cruda la morte, giusta la bilancia, dan- 
nosa h lìngua, calcose le scarpe, polverosa la strada; il Fran- 
cese appella dardant V Sifùove , carrante U tavola, filoche la 
borsa, monfà regret la ghigliottina, bouffàrde la pipa, oornan/ 
il toro; r Inglese chiama bhwer la pipa, bones i dadi, bighop 
il vino misto con acqua, glaze la finestra, guspel-shop la chie- 
sa, galtopar il cavallo; il Tedesco denomina Langohr l'asino, 
Langfusz la lepre; Schnee la. cera, Rothhoseh le ciriege, Blan-^ 
c*er/ la neve, Piali fusz Toca, Grunling il prato. Questa si- 
miglianza appare ancor più manifesta in alquante omonimie, che 
non sembrano tutte opera del caso. Cosi Y italiano ed il Fran- 
cese chiamano del pari arlon il pane; il primo appella lenza, 
ed ilvsecondo lance, Tacqua; quello Carlo, bria, Rabuino^ crea, 
e questo Carle, bride, Raboin, criole, il danaro, la catenella d'o- 
riuoloy il diavolo, la carnei Tltaliano, del pari che il Tedesco» 
appella Hck T orinolo; lluno bianchina, e l'altro Blanckerl là 
neve; quello grugnanle, questo Grunickel il majale, che l'In- 
glese dal canto suo denomina grunting. Altrettali omonimie rin- 
vengonsi agevolmente^ ove si confrontino fra loro i Vocabolarii 



Ili ORIGINB, .DiPPUSIOflTE ED IMPORTANZA 

furbéschi di queste naziout coi rispettivi dell'inglese e della 



Ora siccxune quest'analogìa di principii e di forme è costante 
in tutte le lingue furbesche, da noi parzialmente esajnipate, 
come è manifesto nei >Saggi di Vocabolari! diversi che abbiamo 
pubblicato > cosi ci si affaccia spoQtfiilea la dimanda : come mai 
uomini di varie stirpi^ separali da barriere politiche e naturali, 
nei segreti loro conciliaboli hanno calcato una medesima via, e 
formato separatamente più lingue, comecché dissimili di suono 
e di radici, at&tto identiche nella loro essenza? 

Una tale questione , puramente psicologica , potrebbe per av- 
ventura fruttarci col suo sviluppo utili ammaestramenti sul pro- 
cesso della mente nella formazione de' primitivi idiomi, giacché 
Tuomo rozzo che, privo d'ogni morale instituzione , ed abban- 
donato alle. prave inclinazioni di natura, si accinge a formarsi una 
nuova lingua che provveda ai bisogni d' una società novella , 
differisce poco dal selvaggio, che, privo ancora dei beneficii del- 
rincivilimento, fa i prinoii sforzi per rannodarsi in società co' suoi 
siffidli, ed apre commercio con loro, desipando col mezzo de' 
suoni gli ometti che lo circondano. Se consideriamo il ragguar- 
devol numero di onomatopee sparse in ogni lingua, e sopra tutto 
in quelle che serbano aticora inlatte le impronte delia primitiva 
loro formazione, appare mani<esta la naturale tendenza dell'uomo 
a rappresentare gli oggetti per mezzo delle loro proprietà più di- 
stinte; ma questa medesima tendenza noo emerge solo dalla 
imitazione de'suoni ; xlappoiehé, persino nelle lingue più semplici 
e rozze, essa appare neHa espressione delle forme e delle pro- 
prietà soggette agli altri sensi. Ce ne somministra parecchi esempi 
la lingua dei Zingari, la quale, per la stazionaria sua rustichezza 
e semplicità, può riguardarsi tuttora come ^primitiva. Ivi ti^Viamo 
lippunto espressi parecchi nomi d'animali o di oggetti comuni, 
nel. modo stesso, sebbene con radici diverse, col quale sogliono 
essere rappresentati dai malandrini europei. Infatti, vitando i 
seguenti nomi letteralmente dalla lingua -zingarica nella of^tra , 
r anitra é quella dal largo becco , l' asino quello dalie grandi 
or^cchie^ il capro dalla boi^a d' uccello y il cervip quello ilalle 
molle corna , la testuggine é la ratta dal guscio, V anguilla i< 
pesce lungo o sottile, il lago è l'acqua fet^ma, la rugiatla Cacqm 
della sera. In simìgliante maniera procede l'errante figlio del- 



DELLE LINGUE FURBESCHE. 11$ 

rindo ad esprimere uaa serie di oggetti per lui nuovi, appellando 
la secchia quella dalle due orecchie^ la forchetta il da tre pun-- 
tCy r aggettivo pallido . coir espressione senta satigue y e si* 
mìli ' ; per modo che tutte queste favelle, mercè un ristretto nu- 
mero di radici variamente combinate, pervengono di leggeri ad 
esprimere un considerevole numero d' idee e d' oggetti. Sebbene 
potremmo ora convalidare questa generale osservazione con una 
serie d'eseinpi tolti alle rozze favelle dei Lapponi, dei Samojedì, 
(lei Vogali e di tanti altri popoli incolti, che, relegati fra i ghiacci 
deir estremo settentrione , ed estranei air influenza del sociale 
progresso, conservano ancora illesi i costumi dei primi loro pa- 
dri, ciò nullostante basterà per ora averla tracciata in prova della 
nuova importanza delle lingue furbesche, ove siano opportuna- 
mente studiate^ e comparate fra loro. 

Procedendo alla disamina del rispettivo loro artificio, e dei 
precipui elementi che le compongono» fa mestieri prima di tutto 
avvertire, che, sebb.ene le abbiamo sin qui designate coir onore- 
vole nome di lingue, esse non sono all'opposto, sfi non artificiose 
e parziali corruzioni dei dialetti viventi.^ Inoltre esse dividonsi 
naturalmente in due classi, la prima delle quali racchiude le lin- 
gue innocue e semplici, cui meglio potremmo denominare di 
trastullo; la seconda abbraccia le figurate ^ e queste sono le fur- 
besche propriiamente dette. Le prime affatto innocue Sjóno ri- 
strette in poche famiglie, ove più spesso sono impiegate dai gio- 
vani per trastullo, anziché per fini indiretti o colpevoli;- le seconde 
sono molto diffuse, e tendono per lo più. a- sottrarre airaltrui' vi- 
gilanza più meno colpevoli disegni. 

Vario , sebben puerile, è sempre Tartificio delle prime^ e d'or- 
dinario consiste nelFinvertire l'ordine delle sillabe nelle voci cor 
muni, neir interporre fra queste alcune sillabe convenzionali, 
che possono variare a capriccio. Cosi, invertendo lordine delle 
sillabe nella . proposizione : La lingua furbesca è parlata da'mo- 
nelli, si otterrebbe la seguente: Al gualirk scabefur e lalapar ad 



1 Avendo noi avuto opportane occasioni per conversare a lunga con un 
ceotioaio e più di Zingari, stanziati iti varii paesi d'Europa, ed avendo quindi 
attioto dalla loto bocca quel maggior numero di notizie che ci fu possibile 
inturno alla loro lingua," ci proponiamo di pubblicare iu breve inuovi studii 
su questo argemento da noi iustituiti, 1 quali ci sembrano tanto più impor- 
laoii , quanto più discordano dalle relazioni di quelli che ne pubblicarono 
speciali trattati. 



116 ORIGllfB, DirPUSIONB ED IMPORTANZA 

linemo ; divenendo per tal n\odo una lin^a affatto oscura a chi 
ne ignora la formazione» ed assumendo Y aspetto d' un linguag- 
gio assai diverso dairitaliano, comecché composto delle medesime 
sillabe. Similmente frapponendo nella stessa proposizione altret- 
tante sillabe ad arbitrio, verrebbe mascherata net modo seguen- 
te: Lapa lipinguapa fupurbepescapa epe paparlapatapa dapa 
moponepelipi. Quésti ed altrettali arlificii puerili sono troppo fri- 
voli per meritare una speciale menzione, non che un ulteriore 
schiarimento ; siccome peraltro sono generalmente usati in parec- 
chie società domestiche, cosi non potevamo trasandarK, parlando 
delie lingue furbesche in generale, a documento della prima no- 
stra asserzione, che in ogni società^ grande o piccola, pubblica o 
privata , Tuomo si studia sempre, a norma delle proprie idee e 
de'propri bisogni, di occultare agli altri, 8òn un linguaggio fitti- 
zio, i propri pensieri. 

A questa classe medesima appartiene ancora il poetico e strano 
linguaggio, con cui le infelici odalische, nei profumati ìiaremy so- 
gliono ingannare la noia d'una vita di privazioni e di desiderii, 
e celare i propri sospiri alla vigilanza degli evirati loro custodi. 
Questa lingua, conosciuta col' norme di lingua de fiori, ed alla 
quale molti favolosi racconci ed ingegnose finzioni * attribuirono 
negli ultimi tempi soverchia importanza in Europa, non è meno 
frivola delie precedenti, còme rese manifesto il barone dì Ham- 
mer-Purgstall colle notizie da lui raccolte in Cosltantinopoli presso 
le donne greche ed armene, alle quali solo é concesso penetrare 
nel Serraglio del Gransignore. Sulla testimonianza di parecchi 
viaggiatori, si credette lungo tempo, che, mercé la lingua dei 
fiori, le prigioniere del Serraglio^ rinchiuse per delizia d'un solo 
uomo, pervenissero a stabilire inosservate segreto commercio con 
esterni individui di loro predilezione ; e col favore di questa ge- 
nerale credenza furono inventati e pubblicati più volte alquanti 
voeabolarii , nei quali si tesserono capricciose ghirlande tolte alla 
FJora d'Asia e d'Europa, a rappresentare gli affetti e le idee che 
possono formar parte d'una corrispondenza amorosa ; ma, lungi 
dal confermare la minima parte di cotali finzioni, le più diligenti 
indagini fatte sul luogo ne smascherarono l'impostura , e ci rive- 
larono, come la lingua de' fiori venisse inventata ed usata dalle 
odalische per comunicarsi tra loro i desiderii e le pene comuni, 
ed ingannare la noia d'una vita monotona ed inoperosa, essendo 



DELLE LINGUE FURBESCHE. 117 

loro'^affatto im|)ossibile qualsiasi commercio esteriore >' si per la 
gelosa vigilanza colla quale sono custodite, come per la pena ca- 
pitale a cui sarebbero esposte ^i loro custodi. 

Ora questa lingua» lungi dall'essere esclusivamente de fiorii 
come suole denominarsi, è altresì la lingua delle frutta^ dei pro- 
fumi, dei giojelti , e dei molteptici inetti esposti di continuo alk> 
sguardo di quelle che T hanno composta; dappoiché e le Une e 
gli altri vi hanno egualmente la. loro parte, come si vedrà dagli 
esempi che ne addurremo più oltre. Sembra a primo aspetto^ che 
la fervida immaginazione delle giovani musulmaiie, seguendo il 
costume di tanti, popoli orientali, avesse a designare nei fiorì, 
nelle frutta e negli altri oggetti da loro prescelti, lespressione di 
quei traslati rapporti ch^ questi possono avere colle idee astratte; 
come appunto i nostri poeti sogliono raffigurare nel verde la gio- 
veutù, e quindi la speranza ; il candore, e quindi Tinnocen^a nel 
bianco giglio ; la verginità nel bottone di rosa non ancora sbuc^ 
ciato; il pudore nella mammola^ che umile si nasconde sotto 
Tombra del pruno Che le sovrasta; ma in quella vece la mam- 
mola, la rosa, il cedro, il fico, Fambra, l'oro e la seta non por- 
sero alle orientali concubine^ se non 11 suono de' rispettivi loro 
nomi, onde, scelte altrettante voci che fanno rima con quelli, co- 
strussero -altrettante frasi, o intere proposizioni^ ciascuna delle 
quali viene rappresentata dal nome che porse la rima. Cosi, per 
la voce Kakm (penna) scelsero la rima melhem , ch^ significa 
angoscia, e sopra questa voce formarono la proposizione: Korkma 
toeririm sana bir melhem^ vale a dire: io raddolcirò le vostre 
angosce. Per tal modo la voce Kalem richiama alla mente la pa- 
rola con cui fa rima, e questa ricorda la proposÌ2^ione rispetti- 
va, la quale nella. lingua de' fiori è rappresentata dalla sola voce 
Kalein. Quindi è chiaro, come con poche voci si possano esprì- 
mere varie proposizioni, le quali, ove formino unite un senso 
continuato, possono racchiudere un intero racconto, una dichia- 
razione, qualsiasi altro componimento. Valgano d'eseinpio le 
poche voci: -4foe, giunchiglia^ creta , thè, vinco y le quali unite 
significano quanto segue: 1. Corona del mio capo, medicina del 
wiio cuore; 2. guariscimi; 3. ridonami la ragione smarrita; 
^. tu, mio sole, e tu mia luna, hai dato la luce a' miei giorni, 
il chiarore alle mie notti ; 5. deh/ vieni a consolarmi. Simil- 
mente bottone di rosa e garofano esprimono: Tu sei bella come 



118 OnHSIflBy DJFPtJSlONE ED IMPORTANZA 

un bottone di rosa presso a sbucciarCy come un gm^ofano olez- 
zante i io ti adoro da lunga stagione,- e tu mi sprezzi. Ed ecco 
tutto l'artificio di questa lingua troppo celebrata e troppo frivola 
ad un tempo, la cognizione della quale/ come si vede, consiste 
ne) ritenere a memoria le proposizioni^ o le frasi rappresentate 
dalle singole voci che ne formano il dizionario *. Né si creda, che 
queste voci siano in numero considerevole, perocché ristrette a 
dare uno sfogo alFardente e malpaga voluttà inspirata dal caldo 
cielo di Bisanzio, e da una vita molle ed oziosa, sorpassano ap- 
pena un centinaio; che anzi, siccome la maggior parte, compene- 
trandosi, ripetono sotto varia forma le stesse espressioni, cosi 
possono ancora ridursi ad un numero minore. 

La seconda classe delle lingue furbesche racchiude propria- 
mei^e i gerghi parlati dai vari artigiani, e sopra tutto quello dei 
malandrini, al quale di preferenza abbiamo rivolti i nostri studii. 
Noi li abbiamo testé designati eziandio col nome di lingue figura- 
te, perché appunto consistono in una serie di tropi e di ligure 
convenzionali, essendo ivi pure cosi le voci come la sintassi 
proprie della lingua o del dialetto della rispettiva nazione. I po- 
chi esempi di sopra addotti ne porgono bastevole prova ; ciò non 
pertanto é da notarsi , come vi si rinvengano ancora alquante 
voci antiquate , o tolte a lingue straniere. La voce orlon , per 
esempio , da noi accennata , ed usata d^l mariuolo italiano e dai 
francese ad e^rimere pane, è di origine evidentemente greca; 
siccome peraltro egli é certo, che il malandrino non può averla 
attinta a quella fonte , cosi é più verisimile , che appartenesse a 
qualche vetusto dialetto italico al greco affine, giacché la troviamo 
ancora fra i dialetti alpestri di Lombardia, nelle voci arto- 
ni7a:= panporcino, adrobasto^^^fame casalingo; d'origine greca 
embra pure la voce cera per mànO; e la sua derivata cerioli per 
guanti ; in quella vece corniate per ifrumento, spillare per giuo- 
care, e simili, rivelano orìgine germanica dalie voci cQrn, e spie- 
len. La radice lenza per acqua, anziché arbitraria, sembra un'an- 
tica voce italica, mentre abbiamo tra gli affluenti del Po il fiume 
Enza, che il volgo chiama tuttora la Lenza, il fiume Liveuza 
nelle venete provincie, ed altre acque di minor conto in Lom- 



i Anche di questo dizionario dèlia lingua^ de' fiori abbiamo dato uu Saggio 
negli Studii sulle lingue furbesche , già mentoYati. 



DBLLfe. UNGUE FURBESCHE. 119 

bardia, espresse colla medesima radiee. D'altronde questa seiim 
ufi'affiiritd di suona e di lignificato colla parola celtica leisa^ che 
ne'dialetti àrmorici signifiài appunto bagnare y come lenzare nel 
furbesco italiano. Cosi nei gerghi dei malandrini francesi, inglesi 
e tedeschi ti^vansi parecchie voci tolte a vicenda ad altre lingue ; 
nel vocabolario francese, per esempio, veggiamo le voci esgana- 
cm., estrade , gonze i messière, iabar, cadenne, naze^ nigoieur 
per ridere, strada , gonzo, messere, tabarro; catena, naso, 
bigotto, prese dall'italiano; nell'inglese le voci pure italiane 
m per cacio, cutp per colpo, college per carcere^, nel te- 
desco, caddel per Candéla , zickus per cieco , hwissen per co- 
noscere, cavai, strada, terra, truffe^ botili, per cavallo, strada, 
terra, lrja£^, bottìglia; vi trpviamo ancora puschka per fucile, 
tolto alla lingua boema, ed altrettali f ^empi di voci tolte ad altri 
idiomi; sebbene cofóli voci potrebbero forse essere slate un tempo 
comufii agli uni ed a^i altri, od essere ancoi^a in vigore presso 
alcuni virenti dialetu^ francesi, inglesi, o tedesctii, ciò che potrà 
agevolmefite venir chiarito da un diligente esame dei medesimi* 
Alla quale opinìone^siamo tanto più inclinati, quanto maggiore si 
manifesta la mutua affinità delie medesime lingue di mano in 
mano che risaliamo alle origini ^rispettive. 

Checché ne m, egli è evidente, che 'tutta, la scienza di codesti* 
gerghi consiste nella cognizione dei rispettivi loro vocabolarii e 
dei frasarii, o, ciò che vale lo stesso, delle figure da ciascuno im- 
piegate a rappresentare le varie idee. Ora questi vocabolarii, lungi 
dall'essere molto estesi, ristringonsì a quel determinato circolo 
di oggetti e di circostanze, che hanno immedialo rapporto con 
ciascuna classe , restandone esclusi gli oggetti estranei. Perciò 
lavoro, giornata, secchia, malta, boccale, vino e simili, sono gli 
oggetti principali rappresentati nel vocabolario de muratori; spo- 
la, telajo, filo, matasse j padrone, ed altrettali, quelli de' tessi- 
tori ; ftorsa, orinolo, moccichino, meretrice, sglierri , taverna, 
carcere, forea e shnili, gli oggetti principali del vocabolario dei 
ladri. 

Quest'ultimo, come di leggeri può scorgersi, è pur^troppo il 
più ricco fra tutti, non solo perchè usato da un maggior numero 
d' individui, ma altresì perchè esteso ad un maggior numero di 
idee, avendo pur troppo il mestiere del ladro estesa su tutta la 
società la sua malefica influenza. Ciò non pertanto, essendo esso 



130 ORIGINE 9 DIPFUSIONB SO IKPORTàlfCA » ECC. 

perciò appunto il più interessante fra tutti,' vi abbiamo principal- 
mente, rivolte le nostre ricerche, e ne abbiamo raccolto il mag- 
gior numero di voci che ci. fu possibile neir operetta mento- 
vata di sopra. Siccome poi, instituendo queste indagini, non fu 
sola nostra intenzione l'apprestare ai lettori un laezzo onde pre- 
servarsi dalle insidie de' vagabondi, ma ahresi quella di giovaie 
in pari tempo alla scienza, porgendo ai linguisti ed ai psicolcgi 
nuovi materiali per più elevate disquisizioni, cosi fra le voci del 
gergo vivente ne abbiamo notate parecchie andate fuor d'uso, ed 
al vocabolario furbesco italiano abbiamo aggiunto il francese ed 
il tedesco, nella speranza, che un opportuno confronto possa 
fruttarci nuove ed utili considerazioni. 

Invitando perciò gli studiosi che né bramassero più estese 
notizie alla lettura di questo nostro teni^e lavoro, ci compiac- 
ciamo (ji'aver (Riamata per la prima volta la loro attenzione so- 
pra un terreno affatto inesplorato sinora ^ e tanto più stiodamo 
util cosa il farlo, quanto più ^periamo vicina la distruzione di 
tante lingue malefidie in un tempo, in cui la crescente vigi- 
lanza delle leggi , la riforma delle carceri, il patronato per quelli 
che vi subirono la pena, e tante altre henefidie ìnstituzioni 
poUtiche ed industriali, diffuse per opera degli amici cteU* uma- 
nità, promettono a questo nostro vecchio pianeta uà miglior 
avvenire. 



VI. 



STUDJ 



SULLE 



LINGUE ROMANZE 



Se é grato allo studioso T annunzio. d*una teorica novella, 
che gli apra inesp!ot*ata via alla conquista di utili verità^ non 
gli è man dolce , soffermandosi talvolta a risguardare lo slato 
delle scienze già adulte e' provette, il raccogliere e coordi- 
nare la svariata congerie de* sudati lavori, onde Teletta schiera 
de' saggi le sollevò a n)iràbile altezza. Buon per noi che, men- 
tre da un lato abbiamo dischiusi innanzi gli inesauribili tesori 
di nuove dottrine, possiamo dall' altro confortarci nella disamina 
delle già compiute conquiste, e farci sgabello delle dotte lucu- 
brazìoni altrui» per sollevarci a più sublimi ed inesplorate re^ 
gioui! Se non che, a rendere proficui i risultamenti delle al- 
trui speculazioni, non basta raccoglierli ed ordinarli ; ma egli è 
d'uopo altresì confrontarli fra loro, ed esaminare le differenti 
vie dagli studiosi calcate, per determinare, sulla norma delle 
verità dimostrate, sino a qual punto la scienza sia pervenuta ; 
quanta via le riiasuìga ancora a percorrere; ^ quale Sia la di- 



124 STDDJ 

reziane a seguirsi, onda raggiungere ta propostasi meta. Cosi 
appunto prudente nocchiero, diretto per lungo viaggio alla sco- 
perta di sconosciuti lidi, raccoglie talvolta le gonfie vele, mi- 
sura il percorso cammino e, rettificando colle nuove osser- 
vazioni i primi errori, determina la giusta direzione della sua 
prora. 

Mossi appunto da^ queste considerazioni, e sovra tutto dal desi- 
derio di vedere svolta alla fine una delle più intricate quistionì, 
che strettamente collegasi air istoria delle nostre origini, della 
nostra lingua e di tutta quasi la moderna civiltà europea, 
ci siamo accinti all'impresa di sbozzare ai nostri lettori un 
ordinato prospetto degli studj instituili sinora intorno alle 
lingue romanze, a quelle lingue, cioè, che cogli svariati lor canti 
celebrarono le volubili vicende, i costumi, i delirj, non meno 
che le sagge instituzìoni del medio evo; dalle quali un inve- 
terato pregiudizio, sorretto da autorità rispettale, suol derivare 
la formazione di tutte le moderne lingue dell'Europa latina ; e 
che da circa due secoli prestano argomento alle veglie di cele- 
brati Jngegni. Impresa, per verità, alquanto ardua, dappoiché 
non è nostra intenzione di porgere solo una lista bibliografica 
delle opere che vennero successivamente in luce su questo ar- 
gomento (ciò che pur sarebbe assai malagevole, avuto ri- 
guardo al numero indeterminato dei tentativi fatti presso le eulte 
nazioni d'Europa); ma bensì, restrinjgendoci ai lavori che più 
di propòsito furono diretti ad illustrare quelle lìngue, è nostra 
mente stabilire piuttosto, q^uale ne sia lo scopo principale, 
quale la via in ciascuno seguita, e quanta la concordanza e la 
rettitudine, delle loro indizioni. Né lèmiamo che ci venga ap- 
posto a soverchia presunzione, se, imprendendo ad esaminare ac- 
creditati lavori d'uomini benemeriti e d'alta rinomanza, osiamo 
emettere opinioni dalle loro discordi, dappoiché, s'egli è vero, 
che iacil cosa sia aggiungere agli altrui ritrovamenti, egli é al- 
tresì indubitato , che dal cozzo appunto di contrarie sentenze 
suole più sovente scaturire la verità/ 

Il tema delle lingue romanze è vecchio assai, e in varia guisa 
fu omai sviluppato in parecclii volumi; e appunto perché è 
vecchio, egli é tempo di radunarne gli sparsi risultameoti, e di 
misurarne il ricolto. Prima però d^entrare in materia, gioverà 
stabilire con precisione 1%^ che cosa intendasi per lingua roman- 



SULLE LlNOUl ROBIANZ&. f!2$ 

2a; %^ a quale scopo debbano essere diretti gli stodii intomo 
alla medesima ; S."" con quali mezzi o materiali i medesimi studj 
abbiano ad essere insiiiuiti. 

Per lingua romanza d'ordinario. intendesi quell'idioma, che 
nei secoli di mezzo venne sostitnilo come lingua scritta al la- 
tino, e che, disciplinato primamente nella Gallia meridionale, sotto 
gii auspicj delle splendide córti di Tolosa e di Barcellona , -(xk 
illustrato dai mollipUci canti dei Trovatori. Qtiesta definizione, 
peraltro, restringe il' concetto di lingua romanza ad un pecu- 
liare dialetto, meglio distinto col nome Ax^ocdtanicOy mentre hi 
denominazione di nmanza è generica, ed estendesi a tutte le 
svariate favelle che, dopo la dissoluzione dell'imperò occiden- 
tale, furono scritte nelle roniane province, in luogo della latina 
già dimenticata e negletta. E siccome egli è omai dimo- 
strato, che in ogni provincia, anzi in ogni singolo paese, quelle 
lingue differivano fra loro, cosi in quel nome generico si com- 
prende uua famiglia di lingue più o meno dissonanti dalla la- 
tina, giusta gli accidentali rapporti delle primitive favelle pro- 
prie di ciascun paese e la varia influenza di quella ; giacché 
non v'ha più dubbio che, non solo il romanzo gallico differiva 
dall'ispanico, dall'italico, dal retico e dal dace; ma nella stessa 
Gallia altro era il romanzo meridionale, altro il settentrionale, 
che, illustrato a la sua volta dai poemi oavallereschi de' Tro- 
vieri, prevalse più tardi sul meridionale^ e divenne lingua scritta 
cooìune a tutte le, nazioni comprese nel regno di Francia; cosi 
nella Spagna differiva il romanzo catalano dal casligliano e 
dal gallego, i quali ultimi, prevalendo, diedero poi origine alle 
moderne lingue castigliaua e portoghese; cosi in Italia il ro- 
manzo siculo differiva dal tosco, dall' insubrico e dal veneto; 
cosi il. retico superiore dissonava dall'inferiore; il dace trans- 
carpatico dal transigano; senza tener conto delle minori discre- 
panze, che i monumenti ci attestano, e che doveano pur essere 
numerosissime. 

Di tutte queste lingue, costruite in orìgine sopra eleménti 
essenzialmente diversi, e poscia collegate in una sóla famiglia 
per r influenza della sovranità latina, fu prima coltivata l'oc- 
citanica, la quale per un fortuito concorso di circostanze fu 
prescelta da numerosa schiera di poeti nazionali ed esteri, e 
pervenne prima e più. d'ogni altra ad altissima rinomanza. Ciò 



1S6 STU0J 

DuUadHneiio vennero in pari tempo cokivati altresì neiralta e 
nella bassa Italia i rispettivi rooianzi/cbe ebbero letteratura pro- 
pria e distinta, comecché non pochi ingegni italiani, sedotti dai 
prestigio e idalia fama del provenzale, il preferissero al proprio 
nei loro componimenti. In pari* guisa e nel medesimo tempo si 
svolse, benché separatamente, il gallico settentrionale, che fu poi 
sempre distinto per una splendida letteratura originale. Cosi 
avvenne del castigliano, sebbeu represso dall'arabo domìeio; 
e soli per lungo tempo languirono- il rèiico ed il dece, i quali, 
sottopi(^sti> air incessante flagello delie migrazioni dei popoli e 
i|elle,politiclie sveature, non poterono essere disciplinati se non 
varj secoli di poi. 

Ciò premesso, ne emerge: che lo studio deUe favelle 
romanze può essere diretto a duplice scopo; cìoé« o a rin- 
tracciare nei loro intrinseci elementi le vestigia e le re- 
liquie delle anticfie lingue che le precedettero, per poi rag- 
giungere le origini o i rapporti dei popoli rispettivi, non che 
le più recondite etimologie debile moderne lingue che vi suc- 
cessero; ad agevolare T interpretazione dei loro monu- 
menti, a schiarimento della storia e dei costumi del me- 
dio"evo. 

Dalle medesime premesse é chiaro» altresì, che, se per rag- 
giungere la cognizione di quelle lingue valgono i. monumenti 
contemporanei, vale a dire le ci'onaclie, le poesie e le molte 
iscrizioni dei se;coli di m^zo^ onde intraprenderne un' ade- 
quata illustrazione , é altresì necessaria la cognizione degli 
-antichi idiomi che più o .meno contribuirono alla loro forma- 
zione, per poterne instiluire un ragionato confronto. 

Ora, egli é noto, come, «sin dalia metà ilei secolo XflI, presso 
che. tutte le nazioni meridionali d'Eucopa, disgustate dalla plu- 
ralità di lingue, che venivano mano mano svolgendosi nelle 
varie parti d'ogni r^ione, e dalla soverchia licenza degli scrit- 
tori, prodotta dalla mancanza d' una norma comune, costrette 
dalla necessità di provvedere ai bisogni della vita socievole, 
s'adoperassero a stabilire iin solo linguaggio comune a tutti i 
municipi dells^ rispettiva provincia, siccome nodo principalmente 
atto a congiungerle in altrettante indissolubili famìglie. Ne fanno 
irrefragabile testimonianza in Italia le ripetute querele e gli 
anatemi scagliati dall' Alighieri contro gli scrittori plebei^ onde 



SULLE LINGUB ROMANZE. 437 

teodeva solo a reprimere la pluralità dei volgari romanci » 
ed a ricondunre i popoli d' Italia air unità della linpa. Gli 
sforzi reiterati di molti gàierosi, che seguirooo i esempio e rio* 
Vito del gran maestro, idiedero ben foresto alla nostra penisola^ 
e successivamente a eiasc4Da delle altre nazioni latine, una lin« 
gua generale lor propria, cbe /u poi la sola interprete comune 
all'una airaltra, provincia ; e le romanze, o piuttosto i vulgar 
diaieltì, furono quindi relegati al trivio nei rispettivi municipi, 
meotre i loro mouumeoti,. abbandonaci air obblio,^ furono dalia 
nuova riforma in gran parte distrutti. Cosi trascorsero alcun 
secoli, senza che quelle lingue prendessero parte nelle iBlolo^ 
^iche disquisizioni, successive ; .tutte le cure degli scrittori ita* 
liaoi e stranieri furono. rivolte per lunga pe^za al perfeciona^ 
meato della rispettiva lingua generale , sinché ì ripetuti la- 
menti delle Accademie per le nuove licenze introdotte dagli uni 
e dagli altri , le gelosìe e le controversie nìunicipali che si 
contesero a vicenda il primato, mostrando la necessità di ri- 
condurre alla SU4 primitiva purezza il linguaggio, e di fissarlo 
sopra determinata jaorma che ne prevenisse (»er .sempre gli 
arbitrj e gli abusi, attrassero lattenzione dei dotti alla disamina 
degli antichi monumenti, dalla quale appunto e|)bero origine 
gli studj sulle lingue romanze. , 

Primi in Eurtipa, eziandio in questo genere di ricerche, fu- 
rono gli Itahaui ; se non che la ])revalenza sempre accordata ai 
poemi dei frovaturi, l>a i quali veneravasi la memoria di parecchi' 
nazionali, quali erano il Sordello, BriiuettA) Latini, Pier dalle 
Vigne, Gin da Pistoja, . Lucio Drusi, Calvi, Nicoletto, Doria ed 
altri parecclìi rammentati nelle istorie di letteratura occitanica 
trasse i primi, che vi si adoprarono, piuttosto alla disamina de 
monumenti provenzali, che non a quella dei patrii. Mario Equi- 
cnla, nella Natura cCaniore ' fece menzione dei Trovatori, e pro- 
dusse alcuni brani delle loro poesie; il cardinal Bembo descrisse le 
vile dì qne' poeti, e tentò raccogliere quanti manoscritìi di loro 
opere per lui si potè : Giovanni Maria Barbieri ne parlò' di 
proposito nel libro intitolato: Dell'origine della poesia rimala, 
e ne tradusse alcuni componinjentì ; Lodovico Castelvetro, am- 



I Wfro De .\jtura de Amore. Vmeliis, 1525. Id-4. 



Ì30 STUDI ^ . 

strare» apprestando una grammatica ed un vocabolario proveo- 
zaie, corredati da scelle poesie. Ha, per mala ventura, (]uesU) 
vastissimo lavoro fu interrotto sin da principio, e la parte, che 
ne fa pubblicata, restringesi appena ad una lunga prefazione, 
ripiena bensì d* importanti notizie, ma contaminata da una stuc- 
chevole e tronfia prolissità. 

Suir esempio degli Italiani, non tardarono i Francesi a col- 
tivare uno studio, die '8 buon diritto avrebbe dovuto ^essere 
d'esclusiva loro attribuzione; ed in ìspecie vi Si distìnsero i 
zelanti Membri deirAcademia d* Iscrizioni e Belle lettere, sgom- 
brando dalla polvere degli archivj una congerie di codici, e 
pubblicando parecchie Memorie intese per Io più a chiarire le 
origini della lingua, della poesia e delle lettere nazionali. Co- 
mecché poca luce emanasse altresì da questi loro tentativi per 
lo più guasti da vecchi pregiudizi e fondati su erronee sappo- 
sizioni, ciò nulladimeno, per non lasciare incompiuto il nostro 
assunto, né defraudare della giusta riconoscenza i più beneme- 
riti fra i primi che appianarono questa via, faremo speciale 
menzione dei rinomati Duclòs, Gaseneuve, Leboeuf, Huet, SÌermet, 
Fouchet, Tripault, Guichart, Bonamy, Barbazan, che ragio- 
narono con vasta erudizione suif origine della lingua e della 
poesia provenzale, suUorigine e sulle vicende della lìngua d'oui, 
sudile più antiche traduzioni francesi, suir origine dei [Romanzi 
e dei giuochi fiorili , sulle Corti d* Amore e su altrettali argo- 
menti ^ Sopra tutti emerse pel suo zelo il signore di Sainte- 
Palaye, che impiegò la maggior parte della sua vita in racco- 
gliere i materiali necessarj alla compiuta illustrazione d^l pa- 
trio idiòma; ma fu sorpreso dalla vecchiaja, prima che il vasto 
silo piano fosse ordinato, e di tanti lavori preparalorj solo 
venne in luce, per opera di Moucbel, il primo volume d* un 
gran Dizionario, che doveva constare di dieci volumi in folio ^; 
i rimanenti materiali, che ammontavano a quaranta volumi io 
folio, rimasero infruttuosi per la morte deir autore, e solo al- 
cuni valsero più tardi alla storia letteraria dei Trovatori, 



i Tutti questi speciali trattali sono inseriti nelle Mémoires de VAcadémie 
des inscriptions et belles lettres. Paris, 1701-93, in-4. 

S Glossaire de Vancienne langue frangatie deputi ion origine jtuqu*au 
iiècU de Louis XIV. Paris, i756. 



SULLB LINGUS ROMANZE. 131 

compilata senza critica e seni» scopo deiefmiaato dall' abale^ 
Millol*. 

Io sèguito, il delirio della moda. traviò la crescente schiera 
degli studiosi, i quali, allucinati dalle speciose asserzioni dei 
loro predecessori, scambiarono ben presto la quistione deirim- 
portanza della lingua romanza con quella della letteratura; 
cosicché se ne indagarono ovunque i monumenti, non già per 
istudiarvi la lingua, ma onde porgerli a modello delle rina- 
scenti lettere patrie ; e, mentre dall'una parte s' innalzavano a 
cielo le virtù e i delirii dei parassiti delle corti di Tolosa e 
di Barcellona, dalf altra si ponevano le poesie provenzali a ri- 
scontro coi più puri modelli delle classiche lettere, e si accu- 
sava senza verecondia di plagio lo stesso Petrarca ; la qual 
bestemmia, comunque stolta e gratùita, fu avvalorata da pa- 
recchi scrittori , ed in ispecie da Basterò , Beuter , Escolano , 
Argoti, Caseneuve, Puster, non che dal rinomato vescovo d'A- 
storga. Sebbene vana tornerebbe ora la cura di rintuzzarla con 
una serie di prove già prodotte in parte dal Tassoni e da pa* 
recchi moderni scrittori, ciò nullameno gioverà ricordare al- 
cuni versi d* un sonetto provenzale , la perfetta coincidenza de' 
quali con altri del Petrarca diede appunto origine e forza alla 
mentovata calunnia. Questo sonetto fu gratuitaftiente attribuito 
a Mossen Jordi, poeta catalano del secolo XIII, assai pregevole, 
per riguardo ai tempi in cui visse, ma troppo barbaro per es- 
sere paragonato all'inarrivabile cantore di Laura. Eccone i 
versi : 

Moss. E non he pau, et non tincb quim guarreig. 

Petr. Pace noo trovo, e doq ho da far guerra. 

Moss. Voi sobr^el cel, et non mevi de terra. 

Pbtr. e volo aopra il cielo, e giaccio in terra. 

Moss. Non estrench res, et tot lo mon abras. 

l^BTR. E Qulla strìngo, e tutto il mondo abbraccio. 



4 HiiioirellHtéraire dei Troubadoun , contenant leurs vies , Ui'exlraits 
de leurs piéces» ecc. Paris, 4774« Tre voi. in-15. 



159 STUOJ 

Mo8S. Boy bè de mi, et tuU altri graa bè, 

Pbtr. . Ed ho ìq odio me stesso, ed amo altrui. 

Moss. SìDO Amor, dooc azò qua sera? 

Petr. Se Amor doo èj ch*è dunque quel eh* io seuto? 

Qui il plagio è abbastanza manifeslo; ma aon è meno distinto 
r originale dalla copia, la quale è troppo inferiore, per poter 
essere scambiata con quello! 

In tanto fanatismo, mentre le menti degli studiosi erano oc- 
cupate dovunque delle poesie provenzali, ne esageravano le 
originali bellezze, ne tentavano le più strane imitazioni, e ne 
pubblicavano confuse raccolte, venne trascurato lo studio prin- 
cipale^ vale a dire il grammaticale ed etimologico, il quale do- 
vea porgere la norma per lo stabilimento della lingua nazio- 
nale. Se sì eccettuino alcune osservazioni grammaticali fatte al- 
l' occasione nelle Memorie sin qui mentovate, nessun tentativo 
speciale, per quanto ci consta, venne intrapreso, onde stabilire 
i cànoni fondamentali dell'antica lingua di Provenza. Né pos- 
siamo attribuire a questa medesima lingua i Saggi di Vocabo- 
lario per la prima volta compilati da Borei, Lacombe, Jeaa 
Francois e simili, nei quali, più che la lingua provenzale, eb- 
bero parte i dialetti della Francia settentrionale, fi lavoro di 
Borei ^ non è se non un indigesto ammasso di notizie riunite 
senza critica e senza ordine, e tratte piuttosto dai manoscritti 
settentrionali. Il Dizionario di Lacombe ^ è una pura compila- 
zione di voci tratte dai Dizionarj di Trévoux, di Le Roux, di 
Joinville, di Barbazan, aggiunto alF Ordene de Chevalerte, e 
d' altri, e quindi è presso che estraneo alla lingua provenzale. 
Finalmente il Dizionario del monaco Benedettino Jean-Francois, 
sebbene decorato del pomposo titolo di Dkiionnaire Roman^ 
Wallon , Celtique et Tudesque ^, porge solo una scarsa ed 
arida lista di antiche voci francesi, tratte da Borei e da Ober- 



i Trésor de$ recherches et antiquités gauloises et fran^oises réduites en 
ordre cdphabétique, ecc. Paris, 1655, in-i. 
S Dictionnaire du vieufs langage jfranfois. Parùy 1766. Voi. S, in-S. 
3 BouUhn, 4777, ia-4. 



SULLE LINGUE ROMANZE. 135 

lin S arrestandosi appena ad alcuai costumi peculiari del Du- 
cato di Lorrena e delie Fiandre. 

E perciò lo sviluppo degli studj sulle lingue occìtaniclie venne 
differito sino ai tempi nostri» nei quali vi diede valido impulso 
la nuova scienza comparativa delle lingue, dirigendoli per vie 
più brevi a più nobile meta. Infatti solo ai nostri giorni com- 
parvero per la prima volta nel Parnasse occitanien \ per 
opera di Rochegude, le scelte poesie provenzali, corrette sulle 
migliori lezioni, 'corredate di notizie, intorno alla vita ed alle 
opere de' rispettivi autori^ e chiarite da apposito vocabolario ; 
solo ai nostri giorni il celebre Roquefort, riunendo con molta 
doUrina in uh sol corpo tutte le ricerche di quanti il prece- 
dettero sui dialetti meridionali e settentrionali , le coordinò nel- 
r eccellente Glossario della lingua romanza, che gli valse poi 
dì guida nella compilazione del Dizionario etimologico della pa- 
tria favella '. Finalmente solo a' di nostri il celebre Raynouard 
aecingevasi air immane lavoro che gli fruttò V ammirazione dei 
contemporanei, ed al quale pur troppo non bastò la laboriosa 
saa vita. 

Quest' opera pregevolissima, la sola che, abbracciando quanto 
esclusivamente appartiene alle lingue ed alle lettere occitaniche^ 
ne porge un compiuto prospetto, incomincia con una lunga 
ed erudita introduzione, diretta a svolgere Y origine e la 
formazione di quella lingua, porgendone al tempo stesso 
r analisi grammaticale sino al X secolo. |Iu sèguito, la rap- 
presenta in tutta la sua pompa , con una doviziosa rac- 
colta delle migliori poesie, ordinando cronologicamente e sepa* 
rando le amorose dalle storiche e dalle religiose. Quindi porge 
la grammatica comparativa di tutte le lingue latine, ove prende 



1 Essai tur U patoit lorrain dés environs du eomté du Ban'de-^a-Ro» 
che, suivi d'un glossaire patois-lorrain, Strasbourg, i776, io-8. 

2 Le Parnats9 Occitanien, o« choix de poésies originales det Troubadours 
tirées des manuscrits nationaux, Toulouse, 4819, ia-8. A corredo di quest'o-' 
pera, T editore Rochegude ha nello stesso tempo pubblicato la seguente: 
Essai (firn vac^Maire occitanien, pour servir à VinteUigenee des poésies 
des Troubadours, Toulouse, 1819. in-8. 

3 Roquefort'flaméricourt, Glossaire de la langue romane. Paris , 1808. 
Voi. 9 , ia-8. -^ Dictionnaire 4tymologique de la langue fran^aise, ecc. Paris, 
m». Voi. S, in-«. 



iZi STl'OJ 

ad esaminare eziandio alcuni dialetti italiani; e Onìsce con nii 
vasto Vocabolario occitanico, arricchito di note etimologiche, di 
filologiche osservazioni e di copiosi esempj. La vastità di que- 
sto lavoro, r immane congerie di notizie i\i raccolte ed i molti 
sacrifizi, cui Fautore dovette soggiacere, bastano a raccoman- 
darlo alla riconoscenza dei posteri; e già l'Europa intera gli 
ha tributato unanime il giusto premio, proclamandolo il più 
gran monumento innalzato sinora all'idioma ed alle lettere oc- 
citaniche. Ciò non pertanto, mentre noi faceiam eco alF unanime 
giudizio di tanti studiosi, non possiamo intralasciar d'avvertire 
alcune mende principali, che potrebbero essere per avventura 
di grave nocumento al progresso della scienza. 

Raynouard era f(H*nito di grande ingegno, versato profonda- 
mente in ciò che più davvicino collegasi al suo argomento, so- 
pra tutto paziente, leale e bramoso di giovare alla scienza più 
che di gloria; se non che egli era fondalo ancora sulle vecchie 
instituzioni, delle quali professava i pregiudizj, senza aver il co- 
raggio di svincolarsene ; egli ignorava la maggior parte delle an- 
tiche, non che delle moderne lingue, indispensabili al disimpegno 
della vasta sua impresa; e, digiuno delle teoriche generati della 
scienza comparativa, non seppe sollevarsi a quell'altezza; donde 
solo, spaziando per più nasto orizzonte, si possono determinare 
con certezza i rapporti delle romanze colle antiche e colle mo- 
derne lìngue d'Europa. Quindi, finché troviamo il benemerito 
autore occupato a raccogliere ed ordinar monumenti, a scoprire 
ed interpretar manoscritti, riducendoli alla vera lezione e de- 
purandoli dagli errori degli amanuensi; finché lo scorgianv) in- 
tento a radunare notizie atte ad illustrare il suo tetoia, e a porre 
in chiara luce le astruse e più spésso favolose vicende de 
suoi eroi; finalmente finché lo risguardiamo qual lessicografo, 
egli é sommo, paziente, instancabile, profondo conoscitore della 
lingua che illustra, e leale i/iterprele de', suoi monumenti; ma, 
quando ci si affaccia come grammatico, e, ragionando sui rac- 
colti elementi, instituisce confronti, o detta novelle teorie, il suo 
criterio vien meno, e le induzioni, del pari che le premesse^ so- 
vente sono fallaci. Per ciò appunto, nel tempo istesso in cui è 
inteso alla ricerca dell'origine della lingua occitànica, egli si 
fonda, senza avvedersene, sulla vecchia. gratuita supposizione, che 
la risguarda siccome una successiva corruzione della latina. Fon- 



SULLE LIKCIUe ROMANZE. 135 

dato sa questo principio, egli prende in esame antichi monu- 
menti estranei alla lingua occitanica, fra i quali i troppe volte 
mentovati giuramenti dei Carlovingi, alcune leggi dei cali6 di 
Spagna, o documenti di guasta latinità, che non si devono con- 
fondere con veruna lingua romanza, meno ancora colla proven- 
zale; e, procedendo in tal guisa sino ai più puri monumenti 
occitanici, stabilisce la derivazione dì quella lingua dalla Ialina, 
e determina il tempo della sua formazione verso il X secolo , 
vale a dire, quando incominciò ad essere scritta in sostituzione 
alla latina. 

Per sìhhIì ragioni, di mano in mano che s inoltra nelf ana- 
lisi grammaticale, egli scorge dovunque flessioni e forme latine 
mutilate od alterate, e quindi l'uso delle preposizioni e dell* ar- 
ticolo nel latino, del pari che nel provenzale ; e trova Tarticolo 
persino nella lingua gotica, sebbene gli scarsi frammenti super- 
stiti non ne serbino veruna traccia. Per modo che tutta la 
saa grammatica è una continua serie d'ingegnosi ^ sforzi , coi 
quali tenta ridurre la liàgua provenzale alle forme della latina, 
e, dove quella assolutamente si oppone, con facile transazione 
riduce la latina alle forme occitaniche. 

Ciò non pertanto, egli è fuor d'ogni dubbio, che, qualora quel 
benemerito filologo, spogliandosi d'ogni vecchia prevenzione, 
avesse con saggio accorgimento considerata la radicale ed in- 
trinseca discrepanza di forme tra quelle due lingue; qualora 
avesse notato a parte il ragguardevol nùmero di radici primi- 
tive proprie dell'una e dell'altra lingua romanza, ed ignote od 
estranee alla latina, e, rafforzandosi più sui fatti che sulle con- 
ghietture e sulle induzioni, avesse istituito confronti colle anti- 
che lingue dell'Europa meridionale, avrebbe riconosciuta la ri- 
motissima origine di quella che imprese ad illustrare, ed avrebbe 
potuto con maggior fondamento determinare quanta e quale 
influenza esercitassero a vicenda in tempi diversi le favelle ro- 
manze sulla latina, e questa su quelle. Non essendo ora nostro 
scopo il porgere una circostanziata analisi del prezioso monu- 
mentale lavoro del celebre Raynouard, ciò che d' altronde richie- 
derebbe un lungo trattato speciale, anziché un cenno in fugace 
dissertazione, ci basterà d'^aver fissata l'attenzione dei nostri lettori 
suir importanza di quell'esìmio lavoro, e d'aver almeno propo- 



136 . STfJOi 

sta uua prudente diffidenza intorno al sisteiHia nel medesimo 
prestabilito. 

Il generale favore, meritamente accordato in Europa agli scritti 
dei Raynouard, destò più intenso T amore per questi studj, i 
quali, fecondati dalle nuove dottrine linguistiche, diedero orione 
a nuovi pregevoli scritti. Per tacere dei minori, farem men- 
zione delle profonde Observatìom sur la langm et la litiéra- 
ture provengaleSf di Guglielmo Schlegel ^ nelle quali, prendendo 
a disamina le precipue questioni con vasta erudizione e pro- 
fonda cognizione dì molti idiomi, mentre pagò al Raynouard 
ingenuo tributo di lode, ne rettificò alcune mende, ed espose 
quest'argomento sotto più nobile aspetto. A^cceaneremo ancora 
agli studj sulla poesia provenzale instituiti in Germania dal fi- 
lologo Diez 3, che arricchì Ja scienza di materiali e di osser- 
vazioni novelle; al quadro comparativo delle moderne lingue 
latine apprestato da Diefenbach ^; ed agli Elementi di Gram- 
matica Provenzale pubblicati dal signor Adrian. Né passere- 
mo per ultimo sotto silenzio i sudati lavori del benemerito no- 
stro italiano Giovanni Galvani, che, sulle traccie del Raynouard, 
e sorretto da profondi studj sui monumenti occitanici inediti, 
superò tutti i suoi connazionali in quest'arringa. 

È noto, come sin dalF anno 1829 egli pubblicasse in Mo- 
dena le sue Osservazioni sulla Poesia dei Trovatori , nelle 
quali porgeva per la prima volta agii Italiani uua compiuta 
notizia di quella poetica, sviluppandone i metri, illustrandoli 
con una ragguardevole raccolta di componimenti, ed intessendo 
quindi con vasta erudizione T istoria pratica della letteratura 
occitanica. Or sono due anni, dacché, riprendendo i suoi studj 
orditi sopra scala più ampia, egli pubblicava nella nostra Mi- 
lano il Fiore di storia letteraria e cavalleresca della Oceita- 
nin in un grosso volume, che, unito ad un secondo sulla bio- 
grafia dei prindpalt Trovatori, deve predisporre i suoi conna- 
zionali ad un più esteso sviluppo della stessa arte poetica, che 
si propone in séguito riprodurre. Dal metodo seguito in quesUi 



i Pariti 4848, in-8. 

2 Die Poesie der Trouhadowré^ nach gedruckien und .handschrifUicken 
Werken derselben dargestellt, Zwickau, 4826, in-8. 

3 Ueber di$ jetxigen romanisehen Sehriftspraehen, Leipzig^ 4834, in 4 



SULLE LiNfiUB HOMANZR. 137 

nuova prodazione chiaro apparisce^ come, valendosi delle posi- 
tive speculazioni di quanti il precedettero, il chiaro autore av- 
visi di dar nuova forma al soggetto, e rendere il suo lavoro 
originale italiano, ordinandolo in epoche distinte, corredandolo 
dì nuove osservazioni, ed apponendo ai componimenti occita- 
nici r italiana versione. Ciò basta ad assicurare al signor Gal- 
vani distinto seggio fra i benemeriti della patria comune, ed a 
raccomandare agli studiosi la sua malagevole impresa, compiuta 
la quale, non farà più mestieri agli Italiani d'andar mendicando 
allo straniero le notìzie sulla lingua e sulla letteratura occi- 
tanica. 

Se non che, noi vorrenmio, e ciò sia detto in buona pace 
dell* autore, al quale attestiamo pubblicamente riconoscenza e 
stima, che, come seppe valersi con sana critica dei precedenti 
studj nello sviluppo dato ampiamente -alle ricerche sulf indole 
di quella letteratura, cosi avesse messo a profitto le più ele- 
vate speculazioni ed i canoni positivi della scienza comparativa, 
neir applicare le proprie osservazioni air origine deir italiana fa- 
vella; dappoiché non solo egli non seppe svincolarsi dal men- 
tovato pregiudizio, onde la lingua romanza rìsguardasi come 
rampollo della latina, ma, quasi obliando come quella venisse 
trasportata dalle aquile . romane in Occitanta , vi attribuisce 
troppa influenza alla formazione ed alio sviluppo deir italiana. 

Le opere sin qui brevemente accennate, alle quali potremmo 
aggiungere una serie di Memorie e monografie sparse in varj 
giornali letterari!, si riferiscono esckisivamente alla lingua e lel^ 
teratura occitanica, alla quale contese per lungo tempo il pri- 
mato, pei numero e per V importanza de* suoi componimenti, 
quella del romanzo d'oil^ ossia gallico settentrionale; dappoiché, 
se r Occitania vantò un* eletta schiera di Trovatori , anche la 
Normandia e la Borgogna ebbero alla lor volta copiosa serie 
di Trovieri. Né la congerie superstite delle loro produzioni ri- 
mase lungamente infruttuosa per gli Academici francesi, quando 
impresero a rintracciare le origini della propria lingua. Infatti 
quel medesimo zelo, con cui furono pubblicati ed illustrati i 
monumenti della lingua d'oc, animò parecchi filologi francesi a 
porre in piena^ luce quelli della lingua d'oU: Sono celebri tra 
questi le Leggi di Guglielmo il Conquistatore, più volle pub- 
blicate ed illustrate ; il poema di Carlo Magno, conosciuto col 



i 58 STUDJ 

titolo: Voyage de Charlea Magne à Jérusalem et à Constan- 
linople, pubblicato con note e con un glossario da Francesco 
Mìofaél S editore di parecchi monumenti letterari del medio 
evo; e il rinomato romanzo della Rosa di Guglielmo Lorris \ 
che vanta molte edizioni e vari illustratori. Aggiungansi le rac- 
colte di Novelle, distinte col nome di Fabliat^y pubblicate da 
Le Grand , Barbazan , Méon e Jubinal ^ ; la Bible Guiot de 
ProvinSf illustrata dallo stesso Barbazan ; il Romanzo di RovSy i 
Lai di Maria di Francia^ riprodotti ed illustrati da vari studiosi, 
ed altrettali ; e sarà abbastanza chiaro , come alla copia dei 
monumenti dell' antico idioma settentrionale corrispondesse io 
Francia anche il numero degli illustratori. Assai più lunga tor- 
nerebbe dopo di ciò Fìmpresa di annoverare le parziali mono- 
grafie sulla lingua de' Trovieri ^ 9 gli autori che ne ragiona- 
rono per incidenza, come fece il Fabri neir^lr^e retorica^ Gar- 
pentìer nelF isioria di Cambrai , ed altri, in opere di varia 
natura. D'altronde questi eruditi intesero piuttosto ad illustrare 
r antica letteratura nazionale, a schiarimento delia storia e dei 
costumi del Medio Evo, anziché a svolgere l'origine e la for- 
mazione della favella d'oi/; la quale per mala ventura non 
trovò alla sua volta un Raynouard, che imprendesse ad ana- 
lizzarne di proposito la grammaticale struttura,, le radici, se 
si eccettuino' le considerazioni filologiche del sullodato Roque- 
fort, e le Osservazioni pubblicate a parte daUo stesso Raynouard 
sul Romanzo di Roux. Questo difetto di speciali trattati anali- 
tici sulla più influente fra le lingue romanze devesi sopra tutto 
attribuire alla falsa supposizione da secoli prevalente in Francia, 
là quale considera l'idioma francese e l'occitanico siccome cor- 
ruzioni accidentali del latino ; né alcuno si curò mai di rin- 
tracciarne altrove l' origine , se si eccettui il delirante stuolo 



i LondreSf 1S36, io- 8. 

2 Le Roman de la Rose, commencé par Guillaume de Lorris, et achevé 
par Jean de Meung, In-folio fig. 

3 Fabliaux et contea dee i^." et 13.* siècles traduitspar Le Grand d'Aus- 
3y. Paris, 1779. 4 voi. ÌD-8. — Fabliaux et contea des poètes frangais des 
42.» 13." 14.« et 15.* siècles, par Barbazan. Paris, «808. 4 voi. ÌD-8. — Noti- 
veau recueil de Fabliaux publiés par Héon» Paris^ i^%'^. 2 voi. ia-8. ~ Aou- 
veau recueil de contee dite Fabliaux etc» mie au jour par JubinaL Paris, 
1839-42. 4 voi. ia-8. 



SULLI L1N6UB ROMANZI. 159 

dei Balletisti , che tentarono rìdarre a puro cellicismo , colla 
lingua del Lazio, eziandio quella dei Fenici e dei Caldei. 

Se reca sorpresa questa negligenza <li tanti filologi francesi 
nel rintracciare le origini di loro lingua, a più forte ragione 
dobbiamo stupire considerando, come gli Italiani, che primeg- 
giarono sempre fra le nazioni d'Europa nelle filologiche disci- 
pline, e presero tanta parte nelle illustrazioni delle lingue ro- 
manze straniere, massime dell' occitanica, trascurassero. in ogni 
tempo la propria , e ne lasciassero perire i monumenti , sjsnza 
quasi avvertirne resistenza! Eppure egli è fuor d'ogni dubbio, 
che ritalia, del pari che tutte le provjncie latine, ebbie alla 
sua volta le proprie favelle romanze, che precedettero d'al- 
i]uanli secoli, e poscia diedero origine alla favella aulica gene- 
rale ; e furono scritte e vaalarono poemi , canzoni e prose 
d'ogni specie, sebbene la Ialina perdurasse nella penìsola più 
a lungo che altrove, e quantunque parecchi Italiani preferis- 
sero talvolta , come avvertimmo , il linguaggio de' Trovatori. 
Ce ne fa testimonianza l'esule fiorentino^ il quale rammenta 
alquanti scrittori a lui precorsi, veneti, lombardi, emiliani, ro- 
mani, càlabri e siculi; e rammenta pure componimenti da lui 
medesimo rivedati , dei quali più tardi non si rinvenne vesti- 
gio, scritti nei diversi italici volgari. 

Di tanti preziosi monumenti, alcuni dei quali, la Dio mercè, 
tuttora esistono, e dov« a preferenza i nostri filologi avreb- 
bero dovuto rintracciare le origini e la formazione del no- 
stro idioma , troviamo ap()ena riprodotti i titoli nelle svariate 
istorie della patria nostra letteratura ; né alcuno si curò mai 
farli di pubblica ragione, lasciando altrui la cura di trarne gli 
opportuni vantaggi. Nessuno , per quanto ci consta , venne di 
proposito, o per incidenza illustrato, se si eccettui il Tesorelto 
del Latini, scritto piuttosto in lingua provenzale che italica; o 
il suo sconcio Pataffio^ che, pervenutoci guasto e travisato dal- 
l'ignoranza dei copisti, fu reso affatto inintelligibile dall' insuf- 
ficenza dei commentatori. Né dobbiamo annoverare fra i primi- 
tivi componimenti romanzi le molte poesie, onde compoogonsi 
le raccolte delPAIIacci, del Crescimbeni, o del Giunti, nelle quali, 
anziché il puro romanzo italico, ravvisiamo i primi tentativi di 
stabilire in Italia una lingua di general convenzione, dappoiché 
Toscani, Napoletani e Siculi vi fanno uso d*uno stesso linguag- 



140 tTU0j 

gio. Il solo scrittore che, persuaso deirioiftorlanza degli antichi 
monumenti, porgesse un puro modello del patrio romanzo, si 
fu il dotto archeologo Giovanni Brunacci, il quale sul declinare 
dello scorso secolo pubblicò in Venezia un singolare poemetto, 
scritto in volgare padovano, rinvenuto fra le tarlate pergamene 
di que* pubblici archivj , ove una sposa derelitta lamenta la 
lontananza del marito per la Crociata bandita da Urbano IV ^ 
Quel benemerito scrittore, illustrando con filologiche osserva- 
zioni il prezioso monumento del 1300, mostrava a' suoi conna- 
zionali quanta luce potrebbesi spargere per tal modo sulle ori- 
gini della patria favella, ed accennava, come altri monumenti 
di simil genere giacessero obbliati nei patri archivj. Ma il suo 
nobile esempio non ebbe imitatori^ e, peggio ancora, il suo li- 
bro ridotto omai a pochi esemplari, e quasi del tutto obbliato, è 
nolo appena a pochi studiosi, più forse per accidentali citazioni, 
che non per lettura propria. 

Né dobbiamo attribuire la presente scarsezza di sifìTatti mo- 
numenti all'opera delle frequenti invasioni dei barbari, o alle 
rappresaglie delle fazioni , che devastarono tante volte il no- 
stro paese; ma sibbene all'incuria dei nostri; peggio ancora al- 
l'insana avidità dell'oro, che^ eziandio negli ultimi tempi, arric- 
chì le biblioteche oltramont9ne dei più preziosi codici de* no- 
stri padri. 

Non ha guari, che il manuscritto originale, ove racchiu- 
devansi gli svariati componimenti poetici di frate Buonvicino da 
Riva, esisteva in Milano in una claustrale biblioteca, colla quale 
per mala sorte scomparve, né più se n' ebbe notizia. In simi- 
gliante maniera scomparvero altri preziosi manoscritti, che a 
nostra vergogna vedianro notati nei cataloghi delle biblioteche 
britanniche e francesi; e cosi spariranno quelli che ci riman- 
gono, obbliati nei nostri archivj pubblici e privati, se ci sta- 
remo ancora colle mani a cintola, contenti delle stucchevoli po- 
stille del Dante o del PataflBo^ aspettando che gli stranieri in- 
tessano la storia ragionata di nostra lingua, pubblicando quei 



4 Lezione d* ingreeto neW Accademia de* Ricovrati di Padova del signor 
abate Giovanni Brunacci, ove si tratta delle antiche origini deUa lingua 
Volgare de' Padovani § d'Italia. Venciia, i7&9« iii-4. 



SULLE LIIIGUB ROMANZE. 14t 

materiali medesimi che ci banao carpiti. Ma qui^le strazio non 
faranno essi di monumenti, che non possono intendere^ né ap- 
prezzare? Ce ne porse pur ora cliiaro un esempio il dotto filo- 
logo inglese Bruce-Wbyte nella Scorta <klle lingue romanze^ 
per lui dettata in lingua francese, e testé pubblicata a Parigi ^ 
Si è questa , a nostro avviso , la miglior opera sioora venuta 
in luce su quest'argomento; la sola che, abbracciando un mas- 
simo numero di positive notizie* ed estendendosi a tutte le lin- 
gue deir Europa latina, (la sola portoghese eccettuata), svolga 
con fina critica e profonda penetrazione le più controverse que- 
stioni vitali, e sollevi Timportante subbietto al livello della scienza 
moderna; noi quindi raccomanderemo questo lavoro ai nostri 
connazionali, siccome quello che, procedendo spoglio di pregiu- 
dizi, atterra colla scorta dei fatti e del raziocinio i vecchi er^ 
rori, e solleva finalmente lo studioso a contemplare dalfalto il 
vasto campo delle origini e dei rapporti delle lingue. Ciò nul- 
ladimeno non ci ristaremo dal lamentare Io strazio per lui 
fatto degli antichi monumenti d'ogni lingua, e sopra tutto dei 
nostri. 

Gettiamo un velo pudico sulla sua introduzione alla storia 
della letteratura lombarda, ove, cacciando la Lombardia niente 
meno che oltre T alpi ed oltre mare, cosi si esprime : Quii- 
tant paur un moment il bel palese ch'Appennin parte, ci inar 
circonda e fAlpe, nous sommes obligés de diriger nos poè 
vers le Milanais , et d'examiner^ ecc. K Similmente taceremo 
lo strazio per lui fatto dei nomi proprj, specialmente degli italia- 
ni, giacché in tal materia invano avrebbe egli osato disputare il 
vanto ai Francesi od ai Germani. Restringendoci quindi alle 
sole citazioni dei monumenti, accenneremo, per cagion d'esem- 
pio, alla illustrazione dall'autore offertaci di alcuni brani d'un 
poemetto di Frate Buonvicino, del secolo XIII. È questo inti- 
tolato: De le zinquanta cortexie da tavola; ed é un interes- 
sante Galateo per chi siede a mensa , nel quale sono cliiara- 
meute descritti i costumi di quel tempo. Sebbene T originale» 



i Hittoìre des langues romane» et de leur littérature deputi ìeur origine 
jusqu'au XIV.* si^ele , par M. A, Bruce-Whyte. Paris, i%U,\ol 3, ia-8. 
3 Veggasi nel 3.* Tolume, pag. iS3. 



143 STUDI 

come accennammo, andasse di fireseo smarrito, per buona ven*- 
tara se ne conserva ona copia, comecché alquanto inesatta, 
nella Biblioteca Ambrosiana; dalla quale T Autore ne trasse una 
seconda di gran lunga più inesatta e fallace. Ecco la prima 
cortesia, o cànone di civiltà, come trovasi da lui riportata: 

La primiera è questa : Che quando tu è a men$a 
Del poener lexegnoso imprimamente inpenta ' ' 

Che quando tu pesi lo poener tu pasci lo to Signore 
Che te posterà poxe la toa morte in Uj eternai dolzore. 

Accintosi quindi colla miglior volontà del mondo a svolgere 
questo bizzarro indovinello , senza avvedersi che le difflcoltà 
scaturivano dalla mala lezione del codice, il chiaro Autore cor- 
redò alcune voci di note etimologiche, facendo derivare ;;oener 
dalla voce latina poena; T altra lexegnoso pure dalla latina 
leignoms ^; sicché finalmente procedette alla seguente tradu- 
zione da lui medesimo con più sano accorgimento denominata 
congetturale: Voici la première: Lorsque wus vous asseirez à 
table^ pemez (Tabord à vos vils. péchès, et quand vous les 
aurez bien pesés , priez le Seigneur quaprés votre mori il 
vous place dans la félicité éternelle. 

Quanto^' lontana dal vero sia questa interpretazione, lo atte- 
sta bastevolmente la seguente lezione per noi trascritta fedel- 
mente dal codice istesso: 

La primiera i questa: Che quando tu è a mensa. 
Del pò ver bexognoso imprimamente inpensa; 

Che quando tu pasci lo povero^ tu pasci lo to' Segnare, 
Che te paseerày poxe la toa morte, in lo eternai dolzore. 

Appunto allo scopo di emendare i molti e gravi errori di si- 
mil fatta, dair Autore commessi nel riportare saltuariamento altri 
brani di questo interessante poemetto sinora inedito, e più an- 
cora nella fiducia di chiamare Fattenzione degli studiosi alFim- 



i Veggasi neir Opera ciuta, yol. 3.^ pag. 484. 



SULLE LINGVK HOMANZE. 143 

pariaoza dei nostri antichi monumenti, abbiamo avvisato far 
loro cosa grata, pubblicando pfer la prima volta e per in- 
tero questo poemetto del Buonvicino , con alquanta fatica per 
Doi copiato fedelmente dall' inesatto manoscritto d'ignorante 
amanuense, quale conservasi neUa nostra Ambrosiana bibliote-. 
ca. Dobbiamo imperlanto avvertire che, in onta alle diUgenti 
cure da noi poste nel decifrare quello scritto sovente oscuro 
e fallace, trovammo alcune voci di forma strana e di signilSca- 
ziooe a noi ignota , ciò che per avventura deveà attribuire a 
colpa del copista medesimo. Checché ne sia, anziché procedere 
in coagetlure, abbiamo preferito per ora trascriverle quali ci 
si aifaccìarono nel codice, poche essendo di numero, e tali da 
non poter nuocer punto alla chiarezza delF intero poemetto. 

Per simiglianti ragioni abbiamo soggiunto il poemetto sincrono 
in romanzo padovano, riferito dal Brunacci, e per noi ridotto a 
più chiara lezione, ed una breve cronaca scritta nello stesso tempo 
in romanzo siciliano, onde, posto a riscontro il romanzo lombardo 
col più vicino e col più lontano della penisola, appaja evidente la ri- 
mota discrepanza delle lingue parlate in Italia, e Tantichilà delle 
forme caratteristiche rispettive. Lasciando per ora alla perizia de* 
nostri filologi la cura di svolgerne le preziose induzioni e di ap* 
plicarle alla scienza comparata, ci gode l'animo di poter an- 
nunciare, che, a malgrado della distruzione e dispersione di tanti 
nostri monumenti , ne resta ancora bastevoi suppellettile ne- 
gli archivj, da poter intraprendere con fondamento la nuova 
illustrazione delle origini di nostra lingua ; che anzi una rag- 
guardevoi serie di poesie e prose inedite, anteriori al secolo ter- 
zo-decimo, fu già da noi apprestata per la stampa, a corredo 
d'ano scritto su quell'importante argomento. Nell'assoluta in- 
digenza d'opportuni materiali e di sludj preparatorj, valgano 
adunque di Saggio i monumenti che qui soggiungiamo, e possa 
quest'esempio essere sprone agli studiosi, onde salvare dall' ob- 
blio le preziose pergamene tuttora sepolte negli archivj. 

Ci resterebbe a parlare degU studj intrapresi ad illustrazione 
delle altre lingue romanze, le quali non occupano minor parte 
delle accennate nell'Europa latina; ma per mala ventura esse 
non furono, più che V italica , oggetto delle investigazioni dei 
dotti. Non diremo della catalana, la quale, formando per lungo 
tempo coir occitanica una medesima lingua, fu concessa svolta 
ed illustrata ; né molto meno parleremo della retica e della da- 



144 STUDJ 

ce, che, soggette per luoghi secoli airinflaeosa di barbare lia- 
gae^ solo negli ultimi tempi deposero le ruvide lor vesti e eo- 
midciarono ad essere scritte. Bensi ci duole di veder colle altre 
negletta la romanza castigliana» di cui numerosi mooumenii at- 
testano resistenza sin dal VI secolo delfE. V., e della quale 
non è meno estesa ed importante T antica letteratura per epici 
poemi e storici componimenti. Ciò non p^tanto, per non la- 
sciare privo di utili citazioni questo ramo primario della fami- 
glia latina, rammenteremo fra i tentativi diretti ad illu- 
strarlo, r erudito discorse tn^omo all'origine della lingua 
eastigliana premesso al gran Dizionario della R. Àcademia 
spagnuoia ; é noteremo fra gli scritti più degni di men- 
zione su questa materia: le Origenea de la poesia castellana 
di Luigi Vèlazquez ' , la Paleografia spagnuoia di Terreros ^, 
le Origenes de la lengua espanola compiiate da Mayans y Si- 
scar ', le varie opere, di Sanchez *, le edizioni illustrate del 
Cid, e per ultimo la Sioria della lelieralura spagnuoia di Bou- 
terwek, tradotta e commentata da Gomez e da Hogalde ^. Tutte 
queste opere ciò non pertanto, comecché riboccanti di pre- 
ziose notizie e di solidi materiali , mancano di quella critica 
filologica, che sola può condurre ad utili induzioni, né lasciano 
meno vivo il desiderio di vedere con più elevate mire ìllnstrati 
gli antichi monumenti spaguuoli, e svolto il gran problema che 
ne forma il soggetto. 

Finalmente il romanzo gallego, dal quale scaturì poscia la 
moderna lingua portoghese, essendo stato assimilato agli altri 
dialetti iberici, prima che fosse fondato il regno di Portogallo, 



i Malaga^ i797, ìq-4. 

3 Paleografia espanola que contiene todos los modo» conoeidoi, que ha 
/ndtido de eseriòir en £$pana, desde su prineipio y fundacion, hcuta el pre^ 
sente, ec. ce. de Esteve Terreros y Pando. Madrid, 1758. 4." fig. 

3 Madrid, 1737. 2 toI. io-S. 

4 Coleccion de poesias easiellanas anteriores al siglo XV. Madrid, in^-OO. 
4 voi. in-8. 

5 La grand-opera di Bouterwek intitolata: Geschichts der Poesìe und 
BeredsamkeiU pubblicata a Gottinga dal 1801-{3, contiene un Tolume per la 
letteratura spagnuoia, che fu tradotto, arricchito e pubblicato col titolo se- 
guente: Historia de la literatura espanola, tradueida al castellano, y adi- 
cionada por Don Jozé Gomex da la Cortina, y Don Nicolas Hugalde y 
HolHnedo. Madrid, 4819, ìn-4. 



$ULLB LINfiCB ROMANZE. 145 

venne sempre confasò nel castigliano, né ebbe in verun tempo 
monumenti proprj, o speciali illustfatori. li solo Alfonso di Ri- 
beira, per quanto ci consta, ne pubblicò aicuni Saggi nel Gin- 
foneiro de poetas aniiguos^ e Ribeyro dòs Sanlos ne fece 
drìda menifione in un trattalo sull'origine della lingua por-- 
toghescy del quale sinora fu pubblfcato un semplice sunto. 

Ecco in breve mentovati i principali studj apprestatici sinora 
dai nostri predecessori ad illustrazione delle lingue roman- 
ze; pur troppo da questo rapido pix)spetto emerge evidente 
quanto la strada a percorrere sia più lunga della già percorsa, 
massime per ciò che riguarda i dialetti romanzi d'Italia; ma 
possiamo nel tempo stesso confortarci nel vedervi segnata la 
giusta direzione che dobbiamo seguire. Abbastanza Tesperienzsi 
e le fallite speranze di quanti d precorsero ci rendono avver- 
titi, come alla via delle congetture e dei sistemi debbasi omai 
sostituire quella dei fatti e del iora confronto, i fatti sono 
chiaramente registrati nei monumenti; la scienza comparata ci 
insegna il modo di usarne ; a noi tocca raccoglierli, ordinarli e 
pubblicarli, onde possano gli studiosi fondarvi con sicurezza le 
proprie speculazioni! 



ROMANZO LOMBARDO DEL 1270. 



De le lelnqnanta eortesle da tavola 
de lira Ben Texino da Riva. 



Fra boa Vexiao da riva, che siete io borgo Legniaoo ' 
De le'cortexie da descho ne dixe primauo < ; 
De le cortexie cinquanta che se dea servare a descho. 
Fra boQ Vexino da Riva ne parla mo de frescho. 

4 Primiero. ^ 



i46» STvw 

.La primera è questa: che quando tu è a ineoas» 
Pel povero bexoguoxo imprimameate iapensa ; 
Che quan4o tu pasci io povero, tu pasci lo to Segoore^ 
Cbe te pascià, poxe i I4 toa morte, ia lo eternai dolzore.. 

La cortesia segoada : se tu sporse aqua alle man» 
Adornamente la sporse ; guarda no sii vilan ; 
Asay ghe ne sporze, no tropo, quando el è tempo d'jestae; 
D'inverno per lo fregio in pizina quantitae. 

(a terza cortesia si è: no s\ tropo presto 

De corre senza parola per asetare ^ al descho ; , 

Se alchun te invida a noze, aoze che tu sie asetato. 

Per ti no prende quello axio 3; d*onde tu fuzi deschasato.. 

L*oltra è: Anze che tu prendi lo cibo aparegiao 

Per ti, over per to mayore, fa sì ch*iil sie segniao. 
Tropo è gordo> e vilan» e incontra Crisla malegna 
Lo quale atli oltri guarda, ni Io so condugio ^ no segnau 

La cortesia zinquena: sta aconzamente al descho^ 
Cortese, adorno, alegro, e confortoso e fresche ; 
1^0 di' sta convitoroso a, ni gramo, ni travachao 7; 
Ki con le gambe in erose, ni torto, ni apodiao 8. 

La cortesia seseoa : da poy che 1* omo se fiada, 
Sia cortese no apodiasse sovra la mensa bandia ; 
Chi fa dra mensa podio ^, quello homo non è cortese, 
Quando el gh'apodia le gambe, over ghe tea le braxe destese» 

La cortesia setena si è : in tuta zente 

No tropo mangiare, ni pocbo; ma temperadaraente ; 

Quello homo on eh* el se sia <0, che mangia tropo, ni pocho. 

No vego qoentro prò fi ghe sia al* anima, ni al c^orpo. 



4 Dopo — 2 sedere — 3 seggio — 4 ingordo — 6 piatto, pietanza #- 
6 pensieroso — 7 sdrajato — s appoggiato — 9 appoggio — 10 chiunqae 
egli sia — il quanto profitl(^. 



SULLE LINGUB ROMANZE. H7 

La cortexia ogeùa si è: che Deo ii*acrescba, 

No tropo imple la bocha, ni tropo mangia impressa; 

Lo gordo che mangia impressa, e che mangia a bocba piena, 

Quando el isse apellavo i« no yo responde apena^. 

La cortexia novena si è: a pocho parlare, 

Et a lenire pox qaello che V à tolegio 3 a fare ; 

Che Tomo tan fin ch*el mangia, s*el usa tropo a dire. 

Le ferguie 8 fora dra bocbtf sovenzo pon insire 4. 

La cortesia dexena si è: quando tu è sede 5, 

Travonde 6 inanze Io cibo, e furbi la bocha, e beve ; 
Lo gordo che beve inpressa, inanze ch'el voja la chana 7 
Al*oUro fa fastidio che beve sego in compagnia. 

E la undexena è questa: no sporze la copa aPoltro, 
Quando el ghe pò atenze 8, s* el no te fesse acorto o ; 
Zaschuno homo prenda la copa quando ghe plaxe; 
E quando el Tà bendo, Tà de mete zoxo in paxe.^ 

La dodexena è questa; quando tu di* prende la copa, 
Con dove mane la rezeve, e ben te furbe la bocha; 
Con r una conzamente sUo se pò la ben rezeve ; 
Azò ch'el vino no se spanda, con doe mane di' beve. 

La tredexena è questa : se ben tu no voi beve, 

S*aIchon te sporze la copa, sempre la di* rezeve; 
Quando tu Tà rezeuda, ben tosto la pò mete via; 
Over sporze a un oitro eh* è tego in compagaia. 

L*oItra che segue è questa: quando tu è alli convivi, 

Onde si à bon vin in descho, guarda che tu no t*invrie <0; 
Che se iovrià malamente H, ìq tre maynere offende; 
£1 noxe al corpo e al* anima, e perde lo vin ch*el spende. 



4 Fosse appellato — J tolto, impreso — 3 bricciole — 4 sovente possono 
Qscire — 6 bai sete — e trangugia — 7 che vuoti il gorgozzule — 8 quando 
vi può giungere. BnOa voce latina attingere — 9 facesse accorto -*- iO non 
t'ioebrii — il ubriacarsi stoltamente. 



i48 Siro/ 

La qaindexeaa è questa? teben terao arifa^ 

No- lera in pè dal deseho, se grande eason no ghe akr; 
Tan fin tu mangi al deseho, non di* mof eroi inlora, 
Per amore de foro earezo a qoilli che te teraf eno ^n. 

La sedexena apresso con t eritae : 

No sorbilar f la bocha quando tu mangi con cugial »; 
Quello fa sic6m bestia, chi con cugial 8orii>ilia; 
Chi doncfaa h questa usanza, ben fa s*d se dispolia. 

la desetena apresso si 9: quando tu stranudi» 

Oyer ch*el te prende la tosse, guarda con tu l&forl S 
In olirà parte te folze, ed è cortexia inpensa, 
Azò che dra sarlTa i no^ zesse 8 sor la mehsa. 

La desogena è questa ; quando Tomo sente ben sano^ 
No faza onch*el se sia del companadego pan; 
Quello eh' è lechardo de carne, over d*0Ye, over de formagio. 
Anche n'abielb d*afanzo, perzò no dt'ì fa stragìo A. 

La dexnof ena è questa : no blasma li condugi 7 

Quando tu è alli convivi ; ma d), che V ia bon tugi 81 
In questa rea usanza multi homint ò za trovao, 
Digando : quetto è mal cogio, o questo è mal salao, 

E là XX.* è questa: ale toe mehestre ateode; 

Entre altra* no guarda, se no forse per imprende 

Lo meoistrante, s*el gbe manca ben de guarda per tato; 

Mal s* el no menestresse clave e se lovo è bruto. 

La XXI.* è questa : no mastrulare ^ per luto 

Como avesse carne, over ove, over semiante condugto; 
Chi f olze, over chi mastrulia sur lo taliere zerchando, 
È bruto, e fa fastidio al compagnon maogiando. 



♦ Sorbire — 5 cucchiajo — 8 labbra — A della saliva — 5 gisse; cades- 
se—e non dee fare strazio — 7 non biasimare i cibi ^ 8 che se» tulli 
buoni — 9 rimescolar brancolando. 



«VLLB LIIf6CJ« 4\0MAI!ZB. 149 

La XXU/ è questa: no te rese i Tiiaoamente; 

Se tu mangi con veran d* ano pan «omunaroente, 
Talia lo pan per ordine, -no va taliandQ per luto; 
No va taliando da le parte, se tu no voi essere bruto^ 

I.a XXIII.*: no df metere pan ia vino, 

Se tego d* un n^po medesmo bevesse Fra Bon Vexiao ; 
Chi vole j)eschare entro vin, bevando d*an napo conmego. 
Per meo grao 3, se yo poesse 'no beverave consego. 

La XXIIII." è: no mete in parte per mezo lo compagnoa 
Ni grelin, ni squela *, se no gbe fosse gran raxon ; 
Over grelin, over sqaela se tu vói mete inparte^ 
Pet mezo ti lo di' mete pur da la Ioa parte^ 

La XXV.* è : chi fosse con femene sovra tin talier mangiando. 
La carne a se e a lor gbe debia esser taliata; 
Lo homo de? più esse intento, più presto e bonoreure. 
Che no de' per razon ia femena xagonzente. ' 

La XXVI.* è questa: de grande bontà inpensa. 

Quando Io to bon amigo mangia alla toa mensa; 

Se tu talie carne, over pesso, over oltre bone pitanie^ 

Do la più bella parte gbe debie cerne > inanze. 

La XXVII.* è questa: no di' tropo agrezare^ 
L* amigo a caxa tova de beve, ni de mangiare; 
Ben df tu receve T amigo e Targhe bella cera, 
E darghe lìen da spende e consolare voluntera. 

La XXVIII.* è questa : apresso grande homo mangiando , 
Àscalete 7 de mangiare tan fin che 1* è bevando ; 
Mangiando apresso d*un vescho *, tan fio ch*el beve dra copa. 
Usanza drita prende; no mastegare dra bocha. 



^ Non Vadoprare -* 3 per mi^ grado »- S s'io potessi — 4 né scpddla — 
* scegliere; dcdla uooa laf«>»a eeceraere -*«6 eccitare — 7 astieati, «essa -* 
«^«scov*. 



ISO STCDJ 

La XXyUII.' è qaesta: so grande homo è da provo i. 
No di* beve sego a una bota % anze gbe di' dà logo ; 
Chi fosse a provo. d*an vescho, tan fin ch*el beverave. 
No di* leva lo so napo, over ch*el vargarave. 

E la trentena è qaesta : che serve abia neteza ; 
No faxa in Io prexente ni spuda, ni bruteza ; 
Al* homo tan fin ch'el mangia, più tosto fa fastidio; 
No pò tropo esse neto chi serve a uno convivio. 

Pox la XXX.* è questa: zaschun cortexe donzello 

Che se vore monda lo naso, con li drapi se faza bello; 
Chi mangia, over chi menestra, no de* sofia con le dia; 
Con li drapi da pey se monda vostra corlexia. 

L*oltra che ven è questa: le toe man siano nete; 

Ni le die entro le oregie, ni le man sul chp ' di* mete; 
No de* r omo che mangia habere nudritura, 
Aberdugare 4 con le die ^ in parte^ onde sia sozura. 

La terza poxe la XXX.*: no brancorar 6 con le man, 
Tan fin tu mangi al descho^ ni gate, ni can ; 
No è lecito alio cortexe a brancorare li bruti 
Con le man, con le que jl al toca li condugi. 

L'oltra è: tan fin tu mangi con hommi cognosenti. 
No mete le die in bocha par destolzare li dengi ^ 
Chi caza le die in bocha, anze che Tabia mangiao, 
Sur lo taUer conmego no mangia per me grao* 

La qainta poxe la trenta: U\ na di* lenze le die 9; 
Le die chi le caza in bocha brutamente furbe; 
Quello homo-^che se caza in bocha le die impastraliate <0, 
Le die no in <i più nete, aoae son più brute. 



4 Da presso — t ad un tempo — * 8 capo — 4 razzolare ^ 5 diti -^ 
6 brancolare, accarezzar colle mani — 7 con le quali — S per pulire i 
denti ^ 9 leccare le dita — iO le dita impiastricciate — ii sono. 



^ULXE LINGUE ROMANZE. l5l 

ILn sesta cortexta poxe la trenta : 

S'el te fa mesterò parla, no parla a bocfaa piena; 
Chi parla» e chi risponde, se Tà piena la bocha, 
Apena clipei possa laniare i negota. 

Poxe questa yen guest* oltre: tan fin eh*el c«mp&giìo 
Avrà lo napo alla bocba, no ghe fa domando , 
Sé ben tu lo to' apelare; de zò te fazo avezudo S; 
No rimpagià^, daghe logo tan fin che Tavrà beudo. 

Ca XXXVni.' è questa: no recnntare ree novelle, 

Azò che quiUi chMn tego» no mangiano con recore 4; 
Tan fin che li olir! mangiano, no d) boto 8 angoxose; 
Ma taxe, over dì parole clìe siano confortoxe. 

lj*oltra che segue è questa: se tu mangi con persone, 
No fe remore, ni tapie, se ben gh'avise raxoae; 
S' alchun de li toy targasse 6, passa oltra fin a tempo 7, 
Azò che quilU eh* in tego, no abiano turbamento. 

L* oltra è: se dolia te prende de qualche infermitade, 
AI più in poy conprime 84t toa necesitade; 
^e mal te senti al descho, no dimostra la pena; 
Che tu no fazi recore a quilli che mangiano tego insema. 

Pox quella ven quest* oltra: se entro mangiala» vagisse t« 
Qualche sghivosa cossa, ai oltri no desisse li ; 
Over moscha, over qaal sozura entro mangiai vegando, ^ 

Taxe, che li no abiàno sghiyo al descho mangiando. 

I^* oltra è : se tu porte squelle al descho per servire» 
Sur la riva dra sqnella le porexe ti di' tenirc: 
Se tu apili t8 le squelle cor porexe sur la riva, 
Tu le poy tnete zoxo ha so logo senza oltre che t'ayda <%. 



i Balbettare — 2 di eie ti faccio avvisato — 3 non f impacciate — 4 t<- 
litezzo-*5 non dire novefle — 6 trascendesse; commettesse mancamento-^ 
? lascia passere sino a tempo opportuno -» 8 <][uanto più puoi reprimi -* 
« « cibo — 10 tu vedessi — 44 non dirle agli altri — 42 sull'orlo della 
Modella devi tenere il pòllice — > 4B pigK -^ 14 che t* ajuti> 



ìm STCOi 

Là .terza poxe la qaaraata si è: chi noi odire: 

Ni greliD, ni sqaelle, ni^i^napo ao di' trop' iinpUn; 
Mesura e modo de* esse io tute ie cosse 1 che sia ; 
Chi oltra zò vargasse, do ave fa cortexia. 

L* oltra che segue è questa : reten a ti lo cogiale. 

Se te fi tol^gio 3 la s quella per azonzere de lo mangiale; 
Se r è lo cugial eotro la squella, lo meaestrante inpifia ; 
la tute le cortexie beo fa chi s* asetilia. 

L' oltra è questa: se tu mangi con eagial. 

No dehie.iufolcire 3 tropo pan eotro mangiale, 
Quello che fa impiastro entro 4 ; mangia da fogo S» 
£1 fa fastidio a quiUi che ghe mangiano da provo. 

L* oltra che segue è questa: s*el to«migo è tego, 

Tao fin ch*el mangia al descfao, sempre bocboBa sega *; 
Se forse l' ascalasse, ni fosse sazio ancora. 
Forse anchora s* ascalarave per yergogna inlora. 

L* olirà è : mangiando con oltri a qualche intiamento 7, 
No mete entro gnayna ìò to cprtelo anze lempo ; 
No guerna 8 lo cortello anie eh* alo compagnon ; . 
Forse oltro ven in descho d* onde va no sé raxon. 

La cortexia segnent^ è : quando ta ò maogiao 9, 
Fa sì che Jesu Xristo nersia glorifieao. 
Quel che rezeve servixio d* alchun obedtente. 
Se. lo no lo regraUa, tropo è deschognosente. 

La cinquantena per la darera ^: 

Lavare le man, po]r beve dro bon vino dra carerà ; 
Le man poxe lo convivio per poche pan fi lava** 
Da grassa e da sozura el in netezae. 



i Vi dev'essere modo in ogni cosa; V$tt modus in r ehm d'Qiuzio- 
S se ti fia tolta — 3. tu non debba insaccare — 4 ciò che imbratta lo sto* 
maco — 5 mangiar da fuoco; modo lombardo che significa mangiare eoo 
avidità — • 6 maogia lievemente con lui — 7 invito ^ 8 non riporre; mod^ 
lombardo — 9 tu hai mangiato — 10 per Ultima; 



I 
J 



SULLE LIRGUI ROMANZE. 193 



ROMANZO VENETO DEL 1270. 



Laneato d^ana apoaa per la lontananza del marito 
ehiamato alle Crociate* 



Retponder voi a dona Frìxa 

Ke ine cooseia ea la soa guisa» 
E dis, k*eo lasse ogni grameza l» 
Vegandome ) senza alegreza. 
Ke me marto se n'è andao» 
K* el me cor cum lai à portao ; 
Et eo cum ki me deo confortare, 
Fink'el starà de là da mare? 
Zamai noi ver el vegnire z. 
No ai peata d* envegolire, 
Ke la speranza me mantene 
Del me Segnor, ke me sovene. 
Eq lai è tatto el me conforto ; 
Zamai non voi altro deporto; 
Ke de lui sol zela me nascer 
R*el me fortin noriga e pasce. 
El no me par k* el sia luitano t 
Tanto m^è el so amore prastmano; 
Eo sto en la cambra, piango e phird» 
Per tema k' el no sia segaro ; 
Ke d* altro mai no ai paura; 
E la speranza m* assegura, 

i Trìsteza « S veggeadomi — 3 non vedendolo venir maL 



154 STDDJ 

K'ei de* Tegaire ea questo logo; 
Tatto el me pianto torna en zogo, 
E i me sospiri yen en canto, 
Membrandome ) del ben cotanto^ 
Veder mia faxa eo mai no qoero ^ 
En spleco; k*el no fa mesterò; 
Ke non ai cura d* esser bela. 
Eo men sto sola en camarela, 
E an tal ora mei la sala; 
No ai que far zo de la scala, 
X^è a baicon, né a fenestra; 
Ke (rovome luUan la festa 
Ke pia desiro a celebrare. 
Co guardo en za de verso el mare, 
Si prego Deo ke guarda sia 
Del me segnor eo compagnia; 
E faza sì k* el marìo jneo 
Alegro e san sen tome endereo ; 
E dono vencea > ai Cristiani ; 
Ke tatti regna legri e sani. 
Ke quando ai fato questo prego. 
Tute el me cor romon entrego %; 
1SÌ k* el me viso U, ko sia di^oa, 
K* el me segnor tosto seo vegna. 
Eo no crerave altro conseio ; 
£1 vostro è bon, ma questo ò nieio. 
E qaesto me par de tegoire; 
Nexun men porave departire« 
Le done oidi 6 zò ke la disse; 
Nexuna duello coatradisse;. 
Anzi fo tegouo tato per bene, 
E cosa ke beo se coavene. 
E fò eia tene, fé liale, 
Cam bona dona e naturale» 
Ke la teodó tanta al marto, 



i Rimembrando — 2 non cerco mai di vedere il mio volto entro Io spec** 
chio ~ 3 e dia vittoria — 4 rimane tranquillo — 6 sicché m'avviso — 6 te 
donne adirono. 



SULLE LINGUE ROMANZE. Ì5S 

K*el 80 deserio fo compho.. 
Eq verso lui mostra legreza. 
Lassando tutta la grameza; 
Zamai penser do volse avere. 
Se no coni se poes plaxere i 
Et el a lei, et eia a lui. 
Zilusi i gera entrambi dui; 
Mai bo miga de rea creenza ; 
Entrambi eran d* una sentenza, 
K*i se portava tanto amore, 
K' i gera entrambi d* un sol cure. 
£1 volse zò k'ela volea; 
Et eia zò k*a lui plasea. 
No ave mai teozon, né ira, 
Ke ben tegnisse da terza a sera. 
Questa fo bona zilos^a, 

K'el fin amor la guarda e guìa 3. 
E questa voi Io pelegrino 
Aver da sera e da mattino. 
E an no i ave desplaxere, 
S* ella volesse ancora avere ; 
En verso lui no clian S ella, 
K' ancora un poco li revella; 
Ma el à sì ferma speranza, 
K* el ere* complire la soa entendanza ^; 
E far s\ k*ela l'amerà,, 
E fé* Hai li porterà. 
,, £k li sta col- viso darò, 
Quan li favela, mai de raro ; 
I aven quella rica aventura 
Ke r è s\ alta per natura ; 
Ke quando el è da lei apresso, 
De dir parole sta confesso S, 
E sta contento en lo guardare. 
Altro ao ia elsa 6 demandare; 



i Se non come potesse piacere — 2 che il vero amore difende e guida — 

8 inclinando •— i eh* ei crede raggiungere il suo scopo — 5 è incapace — 

9 altro non le osa< 



liW STCDJ 

E ÈÌ, i flferafe el bei^ qoe din! 
Qaerir mercè, mercè qaerire 
Mille fiae e pla-eocora, 
Se li basCasse tempo e ora. 
E ki credi YU k'ella sia? 

Eia è de tal beltaecompUa, 
K' el QO è miga meraveia, 
S* el pelegriQ per lei se sveìa. 
Ad A DO devrave'l mai dormile; 
Ma pur a lei mercè querire; 
Mercè k*ela el degoasse amare» 
Ke malamentre el fa peoare. 
Mai el non osa el pelegrino; 
Tutore sta eoi cavo enclioo; 
Mercè no quere; mai sta muto: 
Sospira el core^ « arde iato. 



ROMANZO SICULO DEL 13ST. 



HI la Tinntii di fa re Mpicn Im Catania. 

Notizia di lu P. Fr. Atauasia di Aci '• 

La viniilsi di lu re Japicù a la gitati ^ di Catania fo la prima 
di Maja di l'aDDU 1287 ali* Ave Maria; trasìu ^ per la porta 



1 Bgli avrebbe pur che dire I -*- 2 ansi. 

3 Questo prezioso monumento si conservò sino -a* giorni nostri nel mona- 
stero di San Nicolò TAreha in Catania, al quale appunlo apparteneva 1* au- 
tore; e fu pubblicato dal Beoti venga a Palermo Tanno i760, neiropera ioti- 
folata: Opuscoli di autori Steiliani^ fra i quali fu appunto inserito e se- 
polto. Trovasi fatta menzione di quest* autore nella Bibliotheca Siculo ad 
Mongitore , nelle Memorie storiche di Catania di Pietro Carrera , ed in al- 
tri scrittori siciliani. L* importanza per altro di questo scritto, màssime (ler 
^1i studj linguistici, non ci sembra^ mai abbastanza raccomaDdata. 

4 Alla citte ^ 6 entrò. 



SULLS LINGUE ROSAliZB« [l^Z 

di Jaci , e fcÉ incontratu di tatti li gitatini cu alligrizza ; in^ 
ehial di tutti viriìa nmltu maleDconicu , pirchl havìa vidutu 
multi galeri franzisi vicinu di Catania, e si cridia chi nlxianui^ 
di la portu di Catania; ma pirchl sti galeri havianu^vioutu 
cu r antri Franzisi per terra chiamati* da alcuni nimici, per fari 
gualchi movimentu ; ma a la vinuta^ di la re haveodu voluta 
feri certa bravarla, foru cacciati. E standu lu re a lu castella 
ci foru portati boni novi, e li gitatini stavanu cu l'armi a li 
manu, aspéttandu li cumandi di lu re; ed avendu vistu, chi a 
li Pranzisi ci atrinixiu sfalla ^, havendu tentatu per mari e 
per terra V assautu di la gitati ; Martinu Lopes eriatu di la 
re, bomu di grandi ardiri, da subitu dii inlisi> chi li Franzisi 
si ritiravanu ad Augusta, zoè, di chi vìnnìru per terra, n ixiu 
di Catania cu deci cavalli ali* ammucciuni \ e cinquanta autri 
Catanisi cu li balestri e saitli, quali foru Misser Forti Tudiscu 
figliu di Giusta Tudiscu ^ e chistu fu lu capu di Y autri , zoo 
Franciscu Anìgitu, Petra Puglisi, Antoniu Andronicu, Micheli 
Viperanu, Carlu Banaju, Franciscu Rosa, Petra Platania, Ze* 
bedea Castruvillarip Franciscu Santunucitu, Ameriu Niculosu^ 
Petra Ramundettu, Cristofalu di Lau, Xinàeni Costa ,^Muni di 
Stefanu, Salvaturi NaQttia, Gurradu Tarantu, Girlandu Riganu» 
Rumanu Anigrtu, e li soi frati, e multi autri, quali n' ixeru di 
la porta di Chiana, cl.i poi chista porta subitu si murau. Qui- 
sti sinni jeru \ per assicutari ' li Franzisi chi fuianu di la facci 
di li^ re Japicu; e caminandu a la via di lu xiumi ^grandi, in* 
cuntraru un armentu di vacchi, chi la a la via di la^Chiana; 
ed una cani, chi si truvau di pressu a li Catanisi, accuminzau 
a bajari, ed assicutari li stissi vacchi, i quali accuminzaru a 
foiri cu grandi impetu; e li F^anzisi, videndu chista rimurata ^ 
pirchl era di notti^ accuminzaru ad aviri pagura e, eridendusi 
chi era qualchi cavallaria, sinni fuieru; e li Catanisi cu Mar- 
tina Lopes spagnolu sìcutarn bravamenli , e cinni ammazzara 
chiù di ottanta, e nni pigliaru multi vivi, pirchl li cavalli ii 

i Escivano — 2 andò faUito il colpo — 3 di nascosto. — IMtsi che, in 
dialetto veronese, mucci significa «i«o; Forse da muti; sicUe mutil 11 Si- 
ciliano, come vedrassi più oKre, ha anche il verbo ammucciari per nascM»- 
dere, appiattare — 4 se n'andarono ; se ne girono. — Notisi come il dialetto 
Siciliano a qael tempo serbasse intera la conjugaxionè de! verbo tre — B in- 
seguire - e fiume — 7 rumore. 



15d STUDJ 

dssicutara a ia cuda, e lì balistreri d* arretu li mura di li vi- 
gni, e non si tinnirUy si no li purtara pirfioa a lu iiumi, e li 
ficiru passari a mollu ^ pìrchl li Caianisi tagliaru la corda di 
la Giarretta \ e smni annigaru mulli di li Fraozisi. La ma^ 
lina rifireru chislu a lu re, chi sinni pigliau grandi piacili, e 
lu successu lu facia cuntari di unu in unu , e poi a talli rir 
munerau, e ci dunau dinari ed aulri cosi, ed a Nisser Forti 
Tudiscu r onurau cu farilu Goveroaturi di Jaoi. 

Lu re stava aspellandu a Ruggieri Lauria, per sicutari li 
Pranzisi; chi vinni cu li galeri a Catania, e si fici una gran 
gazzara ', e li galeri, clii purtau, foru vintiselti, ed allrì iridici 
vinniru di poi; e pure si pigliaru li galeri di 'Catania^ chi eranu 
homini valenti di supra, ed in parlìculari Ànloniu la Gurrula, 
chi allunava cu li jenchi \ e li vincia ; e sinni ju ad Augusta. 
In chistu tempu lu re ascutava a tutti , e si assillava ^ *ntrà 
lu curtigliu dì lu caslellu, e dava audieoza a lutti, e facia la 
giustizia ; ma vosi ^ sapiri , cui erano quilli chi tinianu la in- 
tilligenza cu li Pranzisi, e s' inforuìau di tulli persuni da beni, 
e sacerdoti; ed avenduli sapula, fingia nun li sapiri; ma a 
tutti niustrava bona cera ; ed havendusi di 3pusdri la figlia dì 
Gioanni Munticatinu, lu re ju a li nozzi vistulu di virdi, ac- 
cumpagnalu di li nobili di gilali ; 'ma nun ci vosi mangiari, 
pirchl havia di spediri a diversi Curreri chi Y aspittavanu, e 
BÌnni ju a lu caslellu a cavallu; e a la so spalla ci era la 
Baruni di Schitinu, e Pranciscu Brandinu; e junlu a lu ca- 
slellu^ truvau a Micheli Protupapa, chi purlava qualtru Pran- 
zisi attaccati, chi la sira di Tassautu per paura si havianu 
ammucciatu tra li canniti a lu panlanu. Lu re T appi assai a 
caru, e delti a lu ditlu di Protupapa quaranta xiurini ^ di 
biviraggiu, e ci fici multi carizzi. In quislu sinni acchianau ^ a 
mangiari, e si tinia qualtru di Catania cu illu^ di li quali nu 
imi lassau n'exìri, zello ^ dui; ma quannu si parliu li lassau, 
€ nun si sappi la causa di chistu traltenimentu. 



4 A guazzo ; a molle — 2 Giarretta chiamasi anche adesso il fiume Simeto 
{Simaethus) celebralo dai poeti — 3 Festa, tripudio. Di qui forse il verbo 
gozzovigliare — 4 giovenchi — h sedeva — 6 volle — 7 Fiorini. — Avver- 
tasi che il fioriuo siciliano constava di sei tar\, trenta dei quali formavano 
un'oncia d*oro — 8 salì — 9 eccetto; tranne. 



8ULÌ.B UNGVE R0IIIA1|Z«. f$9 

Qoannu vlunìnu li galeri cu Lauria, tutli li gilaftfìi li jeru 
a \idiri» chi vinniru la sira di li dudifn di Maju, e si facia uua 
festa a la marina ; ed a Ruggieri Lauria si lu pigliau Misser 
Antoni Pape di la gitali dì Piazza» homu assai valurusu, ed 
amica di lu re, e si lu purtau a lu caslellu accunfìpagnalu di 
gran genti ; ed arrivatu, si misi a parlari cu lu re a la fine- 
stra UQ gran pezzu. In cliistu vinni unu, gridandu^ chi a la 
casa di Cola Yajasinnì ci eranu ammucciati multi Pranzisi; e 
ci fu dittu a lu re, quali mandau a vidìri la cosa ; ed arri- 
truvau a dudidf Pranzisi. amnuicciati arretu li vutti ^ chi avianu 
trasutu ^ di notti ; e ci dicia , chi havianu trasulu ammucciunì 
di lu patruni di la casa, chi era di fora ; ed liavenduli misu a 
li turmenli separati, ci cunfissaru tulti una cosa : chi havianu 
stati chiamati a Catania di alcuni; ma lu re non li vosi appa- 
lisari pri allura ; e chissi la notti si haviauu a impatrunirsì 
di la porla di la marina, e apriri a li Pranzisi, e lassarili tra- 
stri intra. Lu re, saputi chilli chi cunsinteru, pri alhira lu fin- 
gh], nun ci pareadu tempu pri risintirisi, pirclii allura a la gi- 
tali ci eranu giuviui assai vuluntirusì. In chistu vinni Misser 
Luca di Giovanni di Missina. Chistu havia slatu Monacu, e si 
spugliau, pirehi nun putia stari seapilli'; e lu re lu mandau^ 
chi issi ^ a truvari a Lauria , pìrchi chistu giuvinì era assai 
valenti, e bravu suldalu, e cunsìglieri ancora. Chistu muriu a 
Catania in subitu chi vinni» e lu re lu chiangiu ^, e li fici fari 
li esequij. 

In quistu tempu lu re stava in grandi ansia di haviri la 
vittoria di Augusta ; ma si muslrava allegru ; ed ogni ura si 
mannavanu curreri, e lutti li Signuri di lu regnu vinniru a Ca- 
tania, e snidati assai, e cavalli, chi paria un reduttu di armi. 
^ lu re vulia fari lu parlamenlu pri abbuscari dinari; ma li 
Catanisi li desiru ^ quanlu abbisognava, ed una fimmina cai- 
liva ^ , chi nun havia figli , dunau a lu re ducentu unzi , e li 
so cosi di oru, chi lu re Tappi assai a caru, e ristau cunlenlu. 
Quista donna si chiamava Àgata Semìnara. Lu re Japicu sì 
partiu per assediari li Pranzisi ad Augusta; ma sinni jeru pri- 



* Dietro le botti — 2 erano entrati — 3 senza capelli ; o meglio : col capo 
«coperto e tooso — 4 andasse — 6 pianse — C diedero — 7 vedova. 



Ì60 STUDi iUtLS UROUE ROMANZI. 

ma; e li g«i)li di lu regnu ancora nuu erana femi; chi eoi 
dicia ttoa eosa, cui un' aatra ; ina tatti vìnianu inchinati a lu 
re Japictt. É veru chi ognuhu slava a lu vidiri , coma ianu li 
cosi di lu regnu. 



ROMANZO FRIULANO DEL 1105. 



Isei'jtelone esistente sul eampanlle di Recln», tUIus- 
gìo situato nel frinii, sulla sinistra sponda del 
Tagllamento^ tre miglia distante da Vnja i. 

MCI II Chrisli Domìni fo chomenzat lo tor de Redus lo 
primo di de Z\igno. Pieri e Toni so fradi de Buja. 



ì A protAre Fantica esistenza delle lingue romanKe itaUche» e la perfetta 
loro coasonanza coi viventi dialetti, abbiamo avvisato di soggiungere ancora 
queBtMn^ottante iscrizione, onde soHrUrìa alla distrnsione dei secoli; 



VII. 

ORDINAMENTO 
DEGLI IDIOM[ E DEI DIALETTI 

ITALICI 



11 



Abbiamo annoverato in un precedente Discorso * le straniere 
favelle che parlansi tutf ora entro i naturali confini della no- 
stra penisola, ed abbiamo accennato air origine, al numero ed 
alle sedi prei^ìse delle nazioni che le parlano. Ivi abbiamo ri*- 
sguardato come straniere tutte le lingue importate nel nostro 
paese, in tempi più o meno lontani^ dai popoli circostanti; ed 
abbiamo considerato quali membri dell* italica famiglia i molte- 
plici dialetti parlati dair una air altra estremità del bel paese, 
comecché realmente alcuni diversifichino fra loro ben più che 
la lingua italiana dalla francese, dalla catalana o dalla valacca» 
e sebbene in massimo numero derivino dall' accozzamento di 
straniere favelle importate, del pari che le moderne, da colonie 
approdate in remotissimi tempi sul nostro suolo. Comunque di- 
verse infatti sì fossero in origine queste primitive colonie fra 
loro, d' indole, di culto, di costumi e di lingua, egli è fuor d'o- 
gni dubbio, che sin dai tempi che precedettero la fondazione 



1 Vedi retro a pag. 43 il Prospetto topografico statistico delle colonie stra-- 
««ere d' Italia. 



164 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI 

di Roma, i Tirreni col vasto loro dominio sulh parte inferiore 
della penisola , gli Strusci nella centrale , ed i Celti nella set- 
tentrionale, erano pervenuti nel volgere dei primi secoli ad 
imprimere sopra una massa più o meno grande di nazioni dì- 
stinte un suggello uniforme, riunendole a vicenda sotto il ves- 
sillo d'un medesimo culto e d'una stessa legge^ e per quanto 
era possibile eziandio coi vincoli d'una sola lingua scritta^ la 
quale col tempo dovette più o meno influire sulla parlata. Per- 
ciò appunto alcuni secoli prima che l'aquila romana spiegasse 
il volo oltre agli angusti confini del Lazio, prevalsero in Italia 
quattro lingue principali , vale a dire , la greca , Y etnisca , la 
celtica e l' umbrica, dalla quale scaturirono più tardi l' osca e 
la latina ; e queste quattro lingue furono per lungo tempo ge- 
neralmente scritte ed intese, e forse anche parlate , comecché 
in differenti dialetti, nelle rispettive regioni, ove rimasero chia- 
ramente distinte eziandio varii secoli dopo che tutta la penisola 
fu riunita sotto il romano dominio, ed ebbe una sola lingua 
scritta, la lingua del Lazio. Oltre ai molteplici momunenti su- 
perstiti ed alla concorde testimonianza degli antichi scrittori, 
ne abbiamo una prova irrefragabile nella legge Giulia^ la quale 
accordava gli onori ed i privilegi della cittadinanza romana a 
tutti quei popoli, che nella guerra italica eransi serbati fedeli 
alla repubblica; ed era implicita condizione dell'ottenuta citta- 
ilifnanza l'adozione della lingua e del culto latino. 

Ma questa lingua altro non era in origine , se non un rozzo 
dialetto parlato in un angolo d'Italia da una bellicosa stirpe di 
rozzi pastori che , depredando i popoli vicini , a poco a poco 
divennero potenti, ed aggregandoli in un sol corpo, formarono 
col tempo una sola nazione. Ne son valide prove gli informi 
darmi saturnini^ gli Axamenta dei sacerdoti salii, i frammenti 
delle leggi di Numa serbatici da Pompeo Pesto , non che l' i- 
scrìzione della colonna rostrata eretta iiì Roma a Duillio, circa 
due secoli e n^zzo prima d'Augusto ; dai quali monumenti ap- 
pare manifesto, come la latina favella, comecché costituita sopra 
il sanscrito elemento , mancasse affatto di quella regolarità di 
forme e di flessioni che assunse posteriormente , dopo che i 
retori greci insegnarono ai Romani a modellare sulla loro gram- 
matica la propria lingua. 

Egli è inoltre assai verisimile , che a formare questa liu- 



E OEl DIALETTI ITALICI. ^'^r\ 165 

gua universale ed atta a provvedere ai multiformi bisogni di 
una grande nazione nascente» ogni singolo popolo aggregato 
contribuisse colla propria favella primitiva ad accrescerne i 
materiali, introducendovi colle nuove idee pròprie, colle nuove 
cognizioni e colle proprie usanze , eziandio i' segni couven* 
zìonalì atti a rappresentarle. Ed è altresì naturale e fuor 
d*ogni dubbio che, mentre in forza dell* unità del gover- 
no, del culto e dell* interesse comune, la stessa lingua a 
poco a poco si generalizzava presso tutte le singole popolazioni 
italiche, ciascuna dal canto suo dovesse parlarla a suo modo, 
vale a dire colla distintiva sua pronuncia, colla propria sin- 
tassi , e serbando un maggiore o minor numero d* idiotismi e 
di voci proprie della rispettiva lingua primitiva, eleinenti in* 
destrultibili, cosi prèsso le rozze come fra le eulte nazioni. 

Di qui appunto ebbe origine quella moltiplice varietà di dia* 
letti, che distinse in ogni tempo in Italia tanti popoli estranei 
fra loro, e le cui discrepanze di suono, di radici e di forma 
segnano tuttavia più o meno precisamente i confini della prisca 
etnografia italiana. Di qui appare eziandio manifesto, come l'i- 
dioma latino , i cui numerosi monumenti furono sempre mo~ 
dello principale alle moderne letterature, fosse bensì la lingua 
generale del governo, del culto e degli scrittori di tutta quanta 
la penisola, il centro di perfettibilità», al quale tutti i singoli 
dialetti mano mano si andavano accostando , e che , reso og- 
getto primario def pubblico insegnamento , divenne eziandio il 
solo interprete del foro e della tribuna, e s'insinuò persino 
nelle eulte conversazioni; ma restando sempre ciò non pertanto 
per sua natura lingua artificiale ed esclusiva degli studiosi, non 
potè essere parlato generalmente da veruna singoia popola- 
zione. 

Nella stessa guisa appunto sorsero e si perfezionarono pres- 
soché tutte le moderne lingue scritte d'Europa, Y iialiana, 
la francese , la tedesca , T inglese ; la romaica ed altre , attin- 
gendo e scegliendo i necessari! materiali ne' varii dialetti ri- 
spettivi, che furono sempre esclusivamente parlati né' vari luo- 
ghi, sebbene tendessero poi sempre, e tendano tuttavia ad ac- 
costarsi alla lingua eulta comune, insegnata e conservata dalle 
grammatiche e dai libri , e non mai dalla viva voce d' alcun 
popolo privilegiato. 



t66 ORDINAMBNTO DEGLI IDIOMI 

Tale per avventura fu, a parer nostro, T orìgine della 
lingua latina, la quale fece la sua prima comparsa con 
veste grammaticale nei drammi dello schiavo greco Livio 
Andronico, imitato poscia e superato da Ennio, da Pianto 
e da, Terenzio. Sebbene però sin da quel tempo ella divenisse 
lingua del governo e degli scrittori, egli è mestieri avvertire 
che, non solo il popolo romano serbò poi sempre il proprio 
dialetto; ma altre^ le favelle diverse della penisola, ed in ispe- 
eie la greca, T etnisca e la celtica, continuarono ad essere 
parlate nelle rispettive regioni varii secoli posteriormente, dopo 
i quali alia fine la prevalente influenza della lingua aulica ge- 
neralizzata valse a modificarne notevolmente la forma ed il 
lessico, non già ad estirparne gì' indestruttibili elementi 

Della verità di questi due fatti abbiamo non dubbie prove nella 
separazione della lingua nobile o scritta dalla romana rustica 
parlata, asserita in ogni tempo dagli stessi scrittori romani, 
e constatata dalle opere d'Apuleio, di Pesto, di Palladio e di 
tutti gli scrittori di comedie, nelle quali Tuomo del popolo 
compariva sulla scena parlando il rustico dialetto. Né meno va- 
lide testimonianze abbiamo in molti classici scrittori, dai quali 
chiaro emerge, come la lingua etrusca sussistesse in pieno vi- 
gore qualche secolo dopo Augusto, rappresentandosi in Roma 
j»tessa le Atellane in quella lìngua ; come la celtica fosse pa^ 
lata nello stesso tempo e dopo nelle province transappennine, 
e come la greca si conservasse senza interruzione veruna sino 
ai tempi moderni in varie parli delf Italia meridionale. 

Frattanto la lingua latina , come ogni favella artificiale , segai 
tutte le fasi della romana potenza colla quale era sorta, imperoc- 
ché solo allora quando Roma , compiuta la conquista d* Atene, 
di Tebe e di Corinto, possedette i tesori letterarii deirOriente, 
e divenne capitale del mondo incivilito, la prosa latina fa svolta 
in tutta la sua eleganza per opera di Crasso, d'Ortensio, di 
Cesare e di Cicerone; e solo dopo che pel conflitto di Farsa- 
lia al reggimento repubblicano successe il monarchico , i poeti 
vi diedero 1* ultima mano, adattandola ai nùmeri ed al metro. 
Allora infatti Virgilio porse la latina epopea coW Eneide; Ovi- 
dio svolse le allegorie mitologiche nelle Metamorfosi; ed Orazio 
tentò gli ardimenti della lirica. 

Finché Roma ricevette i ^tributi dell' Asia , delf Africa e del- 



E DEI DIALETTI ITALICI. 167 

fEaropa, anche ia sua lingua diffusa in tante regioni straniere^ 
e coltivata da tanti popoli diversi, conservò Talto seggio su cui 
le immortali opere d*una schiera d*elevati ingegni Taveano col- 
locata ; ma allo splendido secolo d*Augusto successero ì sangui- 
nosi regni dei Caligola e dei Neroni, e la musa romana, side- 
gnando gli ozi! di Titiro e le fole mitologiche^ converti i brìndisi 
ad Augusto ed a Mecenate , i voluttuosi epitalami! ed i cantici 
epicorei in profonde meditazioni su) naturale diritto, imprimendo 
negli scritti di Lucano, di Giovenale, di Quintiliano, di Seneca, 
di Plinio e di Tacito, la severità e la tristezza dei tempi. 

Ammutolita sotto Toppressione della tirannide, ricomparve per 
un istante, come il lampo nella procella, sotto il pslcifico governo de- 
gli Antonini; ma quando Farbitrio militare franse quei nodi che col- 
legavano le mire del trono agli interessi della nazione; quando il su- 
premo potere venne usurpato da Barbari mercenari!, e le orde 
incalzate dal freddo Settentrione inondarono là penisola, costrin- 
gendo gii imperatori a trasportare in Bisanzio il crollante lor 
trono, anche la lìngua scritta a poco a poco dileguò colla pri- 
miera coltura , e Y Italia rimase co' suoi multiformi primitivi 
dialetti, mentre i soli apostoli del cristianesimo si fecero depo- 
sitari delle lettere latine, consacrandole alla Bibbia ed al 
Vangelo. 

Alternata colla sorte della latina si fu impertanto quella dei 
dialetti parlati, i quali, dopo aver principalmente contribuito a 
formare ed arricchire delle proprie spoglie il latino idioma, ri- 
masero negletti nei trivii, nelle campagne e fra le domestiche 
pareti , durante la lunga carriera di quello ; nel qual periodo , 
come accennammo, furono appena introdotti talvolta sulla scena 
a render lepidi i pubblici spettacoli; ma quando la lingua no- 
bile scomparve colla nazionale coltura , sorsero di nuovo , e 
provvidero ai bisogni della vita socievole , finché giunse un' era 
novella, in cui, ricomposto in Italia un nuovo ordine di cose, 
contribuirono per la seconda , o piuttosto per la terza volta , 
alla formazione d' ima lingua -generale interprete comune di 
tutte le nuove italiche generazioni, alla quale fu data la più 
giusta e competente denominazione di italiana. 

Infatti quando col romano reggime scomparvero a poco a poco gli 
studiosi che sapevano scrivere latinamente, ogni provincia, cosi in 
Italia, come in Gallia, in Iberia ed altrove^ per sopperire ai bi- 



168 oRpmÀMBNfp DeGLiimoni 

sogpi della yUo, ebbe ricorso al. proffriioi diaktlo, al quale volle 
pur imprtaiere un grado dì coUura, forzi^ndolo alle forme ed 
alle flessioni latine ; .dal che ebbe origiue quella vasta ed im< 

.portante, sebben ia generale fiao(»i e tùzm letteratura del me- 
dio evo/ la cui liqgufi venne con taqto ingegno e perseverante 

.fatica riassunta dal Du. Gange nel suo gran Dizionario, mona- 
mento preziosissimo e documenta irrefragabile .della rimota an- 

: tichità dejgii italici dialetti. Se non che il mostruoso e ca- 
priccioso organismo di. qoell' incondito latino poco inteso del 
pari al popdo che ag)i studiosi, ed i continui sforzi necessarii 
ad ovviarne la crescente deformità, nell'assoluto difetto di prin- 
cipii, di regole e di studii, consigliarono ai più avveduti il li- 
bero uso del volgare dialetto, in tutta la sua naturale sempli- 
cità, e questo da prima fu svolto nell^ tenzoni e nelle serven- 
tesi dei trovatori si italiani che catalani, provenzali, francesi e 
castigliani, assumendo il nome generale di lingua romanza. 

Ma questa lingua romanza, lungi dall'essere una lingua universale 
comune a tutta la nostra penisola, non che alle romane provin- 
cBf altro non era, se non il dialetto proprio del paese, dei ri- 
spettivi scrittori, più meno forbito e modellato sopra una 
norma comune, e quindi variò notevolmente da luogo a luogo, 
come consta dai numerosi monumenti superstiti di quell'età; 

{Sicché, come abbiamo altrove dimostrato, tante furono le lin- 
gue romanze, quanti i. dialetti parlati ip tutta TEuropa latina; e 

. perciò appunto , nella classificazione d^ile lingae d' Europa da 
noi proposta nell'ai ^tonfó linguistico^ abbiamo riputato necessa- 

, rio raccogliere tutti quei dialetti in varii grup{M, cui desinam- 
mo coi nomi di romanzo italico ^ gajLUcfhf iberico^ retico e dace. 
Ora, i primi i/k Ualia, e forse in tutta T Europa latina, 
che sollevassero il proprio dialetto alla dignità di lingua scrit- 
ta , furono i Siciliani , dappoiché Federico li e Manfredi pre- 
miarono 0: stipendiarono alle, loro corti trovatori nazionali, ed 
alternarono cpUa patria mpsa )e cure dello Stato. Carlo. d' An- 
giòre di Napoli segui il loro esempio, e poiché Tarte di scri- 

,vare n^I proprio dialetto^ e sollevarlo allonore. del verso trovò 
mecenati in tutti i principi italiani, ognÌMCÌttà'ebbe presto i suoi 
trovatori; imperocché, se in Sicilia, oltre air imperatore Fede- 
rigo, e ad Enzo sua. figlio, emeifsero fra gli altri Guido dalle 
Colonne e, Iacopo, da Len(|ino, anche Genova ebbe Folchelto, 



E DEI DIALETTI ITAUCl. i69 

Calvi e Dona; Ti9*ìno, Nicoletlo; Venezia, Giorgi; Padofva, 
Brandiuo; Mantova, il Sordello; Faenza, i Pucciola; Bologna, 
Guido Guìnìcelii, Ghislieri, Fabrizio, Onesto, Semprebene, Ber- 
nardo e Iacopo della Lana; vantò Arezzo il suo Guittone; 
Lucca il Buonaginnta; Siena, Folcacchìero » Mino^ Moccato ed 
altri; Pisa, Lucio Drusi e Gallo; Pistoia, messer Gino; Todi, 
lacopone; Barberino, messer Francesco; Firenze, Cavalcanti, 
Brunetto Latini, Guido Lapo, Farinata degli liberti, Dino Fre- 
scobaldi ed altri molti; Capua, Pietro delle Vigne segretario 
deir imperatore Federigo II; e cosi tante altre città ebbero 
scrittori e poeti volgari di maggiore o minor pregio, i cui com- 
ponimenti, ed in parte ancora i nomi, furono col tempo 
smarriti. 

Ma tutti questi scrittori, come accennammo, fecero uso 
del rispettivo dialetto municipale, end' è evidente, che, cosi pro- 
cedendo, r Italia, priva d' una lingua atta a rappresentare T u- 
nità nazionale , e smembrata in tanti piccoli Stati, sarebbe ri- 
caduta nella pristina pluralità di lingue; imperocché, mentre gli 
uni andavano pulendo il volgare fiorentino, o sienese, altri scri- 
vevano il siciliano, altri il napolitano, ed altri preferivano an- 
cora il provenzale, o il barbaro latino. La gelosia di tanti Stati 
e delle piccole repubbliche già sorte, imponeva a ciascuno Fuso 
del proprio dialetto ; né v'era città, che col peso del suo pri- 
mato dettar potesse una sola lingua a tutta la nazione. 
' Arroge, che ad accrescere le difficoltà deHunione, ed a corrom- 
perne in parte i dialetti, eransi già introdotti in Italia stranieri , 
elementi, per opera dei Goti, dei Longobardi, dei Normanni e 
degli Arabi, che successivamente la invasero, la devastarono, e 
dopo varìi secoli dì dominio vi si sohimersero fra gli indigeni, 
non senza lasciar alcune traccio della loro nazionalità ed in- 
fluenza. 

A liberarla quindi dalla nascente confusione di lingue era 
necessario, che un potente ingegno, spoglio di pregiudizii 
municipali, rivolgendo i suoi sludii alla patria intera, riu- 
nisse in un sol gruppo tanti svariati dialetti, ed estraendone la 
parte nobile comune a tutti, o almeno al maggior numero, 
fondasse la lingua nazionale , cui s' addicesse a buon dritto il 
nome d' ilalica. A tale impresa appunto accingcvasi in sul 
principio del secolo XIV Dante Alighieri , il quale , concepito 



i70 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI 

Tallo disegoo, lo espose nel suo trattato del Vulgare Eloquio 
e nel Convivio^ lo svolse nella Divina Commedia, e la lingaa 
italiana fu stabilita. 

Quando F Alighieri scrisse il poema con parole illustri, 
e quando nel libro del Vulgare Eloquio ómdannò coloro 
che scrivevano un solo dialetto, allora diremo eh' ei fondasse 
la favella italiana, ed insegnasse ai futuri la certa legge 
d' ordinarla, conservarla ed accrescerla. Cosi avvisava il 
Perticari , e cosi • fu : perocché tutta Italia invaghita ben 
presto degli aurei scritti dell' esule Gorentino , abbandonò Y or- 
goglio municipale, segui a popò a poco l'esempio del grun 
maestro, ed ebbe una sola lingua scritta interprete ed ausilia- 
re , cosi nelle politiche e nelle civili , che nelle scientifiche e 
letterarie lucubrazioni. 

Da questo rapido ed imparziale prospetto del successivo 
sviluppo linguistico in Italia emerge evidente, come dalla 
varietà delle stirpi in origine stanziate nella nostra peni- 
sola e successivamente riunite sotto il reggime dei Tirre- 
ni, degli Strusci, dei Galli e dei Latini^ traessero origine 
in rimotissimi tempi i mohìformi italici dialetti ; come dalla riu- 
nione artificiale dei medesimi, imposta dai bisogni della vita 
socievole, ed operata per cura degli studiosi, prendessero for- 
ma successivamente le lingue scritte convenzionali latina ed 
italiana, le quali, mentre dall'una parte scaturendo dalla mede- 
sima fonte, contrassero la più stretta affinità fra loro^ dall'al- 
tra, mercè la generale lor diffusione su tutta la penisola, con- 
tribuirono alla lor volta, nel corso di più secoli, a spargere su- 
gli italici dialetti quella tinta uniforme che li rannoda in una 
sola famiglia, comunque diversi fossero in origine , e composti 
de' più disparati elementi. E ne consegue altresì qual manifesto 
corollario, come^ anziché nella latina, T origine della lingua ita- 
liana, insieme a quella della latina stessa, e di tutte le italiche 
popolazioni^ debbansi rintracciare nei molteplici dialetti della 
nostra penisola , fedeli depositarti dei ruderi delle prische fa- 
velle. 

Ciò premesso, é d'uopo ripetere ciò che abbiamo altrove 
dimostrato, come nel volgere dei secoli, prima e dopo la 
formazione dell'italiana lingua scritta, oltre agli accennati po- 
poli settentrionali, che invasero la penisola, e vi si fusero co- 



B DEI DIALETTI ITALICI. 171 

gli indigeni, altre straniere nazioni, varcando e rivarcando da 
ogni parte le inolili sue naturali barriera, o vi dettassero al- 
ternamente le proprie leggi, o vi fondassero stabili colonie che 
serbarono in parte incontaminati i costumi e la lingua loro, o 
vi consolidassero un potere che in alcune parti durò sino ai di 
nostri. 

Tali furono precipuamente i Teutoni e gli Slavi , che pe- 
netrarono in Italia da? Settentrione; gli Arabi dal Mezzogior- 
no; gli Albanesi, i Greci ed i Valacchi dairOriente; { Francesi, 
i Catalani e gli Spagnuoli dair Occidente ; per modo che , non 
solo r immediato commercio con tanti popoli di differenti lin- 
guaggi introdusse nei nostri dialetti radici e forme straniere, 
ma vi si stabilirono eziandio nuove lingue , le quali , oltre ai 
dialetti indigeni ed all'idioma scritto generale, vi sono in va- 
rie parti distintamente parlate. 

Quanto alla lingua universale italiana, appena fissata ed eslesa 
per tutta la penisola, vi percorse sotto la disciplina degli scrittori 
e dei filologi la propria carriera, affatto indipendente da quella 
dei dialetti, che, ristretti di nuovo entro i rispettivi municipali 
confini, rimasero sempre interpreti esclusivi dei pubblico e pri- 
vato commercio d*ogni singola popolazione ; e solo, mentre som- 
ministrarono alla lingua scritta alcuni materiali opportuni al suo 
progressivo sviluppo, per la continua loro tendenza concentrica 
verso la medesima, si vennero mano mano dirozzando, ed avvi- 
cinando fra loro. 

Sin qui si ravvisa una manifesta ripetizione di quanto 
era avvenuto quindici secoli prima, durante lo stabilimento 
e la diffusione della lingua latina. Se non che, allora la 
necessità d'una lingua generale e comune a tutta la penisola 
veniva imposta dalF unità del governo, mentre nei tempi mo- 
derni venne determinata dall' inveterata consuetudine delfin- 
iera popolazione d' Italia, da quindici secoli affratellata e resa 
una sola, prima per opera d* un solo culto e d' una sola leg- 
ge, e poscia per un cumulo di glorie, d* interessi e di sventure 
comuni. Allora il peso del primato di Roma e dell' Italia cen- 
trale impose alle numerose nazioni settentrionali e meridionali, 
di favelle assai diverse, la propria lingua, la quale fu solo ar- 
ricchita e modificata dai linguaggi dei popoli conquistati; men- 
tre nei tempi moderni tutti i dialetti d'Italia, già ravvicinati e 



172 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI 

fatti simili fra loro in tanti secoli dì comuni destini , concor- 
sero insieme ed in pari tempo alia formazione della lingua co- 
mune. Allora finalmente T universale rozzezza dovette ricevere 
la prima norma da nazioni straniere, e la lingua nazionale fu 
modellata per la prima volta da grammatici greci, che Fassog- 
gettarono a forme ed a flessioni meno consentanee alla matura 
della pluralità de' linguaggi parlati ; mentre la moderna litfgua, 
formulata da scrittori nazionali su principii comuni a tutta la 
nazione, ricevette un orgmismo ed un aspetto molto più con- 
corde colla massa dei dialetti viventi. E perciò tostochè le ci- 
vili discordie e gli esterni nemici fransero quei nodi che col- 
legavano tutta Italia ad un solo freno, e venne menò la gene- 
rale cultura, anche la lingua latina, meno intesa alla massa delle 
nuove generazioni, a poco a poco scomparve, cedendo il posto 
air italiana, la quale su più solidi e più durevoli principii costi- 
tuita, e affatto- indipendente dall' unità del governo, che sin dal 
suo nascere non ebbe mai luogo, o da quella del culto, die fa 
uso della latina, non potrebbe venir meno, se non coir intera 
distruzione dell' italica famiglia. 

Per verità, dopo che Dante, riunendo i primi sforzi dei trovatori 
italiani a prò della patria grande, ebbe poste nel divino poema le 
solide fondamenta della nuova lingua, il Boccaccio, svolgendo col 
Decamerone .la prosa italiana, come quello che s'era nudrito alla 
scuola de' retori greci e latini, tentò piegare a costruziime latina il 
periodo , sostituendo alle congiunzioni gli infinitivi assoluti , ed 
introducendovi le più stentate ed oscure trasposizioni; ma per 
buona ventura non ebbe in ciò gran ninnerò di s^guaci, né si 
tardò molto a ricondurre la sintassi della lingua scritta alla sem- 
plicità della parlata^ Allorché l'AUghieri fulminando gli scrittori 
plebei, richiamava gì' Italiani allo studio dei Credi e dei Lati- 
ni, egli intendeva sbandire dal suo paese quel falso gusto pro- 
venzale, che aveva affascinato . una turba di servili imitatori. E 
voleva mostrare a' suoi concittadini nelle opere degli avi i mo- 
delli della vera letteratura dell'uomo pensante^ colla quale spe- 
rava condurli a meditare seriamente sulle sorti della patria; ma 
non appare da' suoi concetti , nò molto meno da' suoi Scritti , 
ch'egli intendesse /orzare la lingua italiana alle forme delia la- 
tina« Né men vano sarebbe riuscito il tentativo; perocché i 
Latini , ohe solevano attribuire molta importanza air armonia 



/ 



E DEI DIALETTI ITALICI. '. 173 

del periodo, e ciie, niercò la varietà delle 'flessioni e col reg^ 
gimento d'ogni parie del discorso» ne precisavano i rapporti, 
potevano ad arbitrio invertirne F ordine nelle proposizioni ; ma, 
oltre che questa arbitraria trasposizione , deviando dal rigido 
principio libico, nuoce alla chiarezza del discorso, non poteva 
introdursi mai nella lingua italiana, ove, per difetto dì speciali 
flessioni, i rapporti delle voci vengono spesso determinati dal 
rispettivo lor posto. 

Quegli che, versato profondamele nelle' classiche lette- 
re, serbò alia nuova lingua la pura forma del romanzo 
italico y si fu il Petrarca^ Egli è vero bensì che, educato 
alla scuola provenzale in Avignone, segui precipuamente quél 
falso gusto di letteratura snervata e molle che T Alighieri 
avea riprovato ; ma mentre con raro ingegno seppe sollevarsi 
sopra quanti il precedettero, celebrando T amore con un lin- 
guaggio puro, spiritoale e quasi celeste, egli mostrò ancora di 
quanta forza , concisione, chiarezza e grazia il volgare italico 
fosse capace, senza prendere a prestito nuove forme dalia lìn« 
gaa latina. 

II suo sviluppo venne frattanto agevolato dall'amore al- 
lor rinascente per le lettere e per le scienze; le opere de- 
gli antichi furono dissotterrate ; la stampa ben presto ne mo^ 
tiplicò rapidamente gli esemplari, e la novella civiltà s'avanzò 
per modo; che verso la fine del* secolo XV, presso che tuttq le 
città d'Italia vantavano accademie sdentifiche e letterarie. 

Per verità il culto per le lettere classiche fu spinto alla supersti- 
zione ai tem|M di Nicolò V, d^Atfonso di Napoli e di Cosimo 
de* Medici; e l'italiana livella ne senti la dannosa inftuenza, 
poiché, mentre gli uni la sdegnavano^ preferendo la latina, altri 
v'insinuavano voci, frasi e forme latine, italianate a forza. I 
dotti che, alia caduta dell* impero d* Oriente, eransi rifuggiti in 
Italia, vollero persino esiliarla del tutto dalia repubblica delle 
lettere. Pomponio Leto fondò T accademia romana, i cui mem- 
bri, sdegnando persino un nome italiano, lolatinizzarobo; e 
Filelfo sognò distruggere colla derisione i sublimi lavori dei tre 
primi padri deir italiana letteratura. È celebre nelF istoria della 
nostra lingua quel Romolo Amaseo che neiranno 1K29 sosten- 
ne a Bologna in presenza di Carlo V e del pontefice Cle- 
mente VII, dover la lingua latina regnar soia , e relegarsi T i- 



174 ORDÌRAHBNTO I>BGL1 IDIOMI 

taiiana presso ia plebe. Sogni cosi stolti, come inulUi ed in- 
tempestivi ! L* idioma latino già da più secoli era spento ; un 
altro più consentaneo air indole logica della nazione intera 
v'era ornai dovunque successo ; il volerlo riporre in seggio era 

10 stesso che voler risuscitare i morti! Se questa sfrenata 
nimistà arrestò per breve tempo lo sviluppo dell' idioma vol- 
gare, Io agevolò oltremodo di poi; perocché lo studio indefesso 
dei classici latini fece gustare agli Italiani T eleganza dello sti- 
le, e diede bando alle forme pedantesche degli Scolastici che 
tenevano inceppate le menti colla dialettica. La vittoria fu com- 
piuta, quando Leone X a Roma, Lorenzo de' Medici a Firenze, 
quindi gli Sforza , i Gonzaga ed i principi d' Este in Lombar- 
dia, profusero premii agli uomini di lettere. 

A poco a poco la nuova lingua si diffuse anche nelle classi inferio- 
ri. Il popolo italiano aveva incominciato a gustare i racconti caval- 
lereschi, e seguiva con diletto i rapsodi, che nei trivii e nei mercati 
gli narravano le prodezze dei reali di Francia e di Spagna, e 
mille sogni di giganti, dì fate, di castelli incantati e di mostri 

11 Pulci diede forma italiana a colali leggende, e lesse il suo 
Morgante Maggiore alla conversazione di Lorenzo de' Medici ; 
il Cièco da Ferrara recitò il suo Mambriano alla corte di Man- 
tova, e Matteo Boiardo YOrlando innamorato a quella di Fer- 
rara. Lo splendido successo di questi componimenti diede 
spinta al capo-lavoro di Lodovico Ariosto, ammirato di poi da 
ogni eulta nazione; e cosi divenne pienamente popolare il gu- 
sto per la lingua e la poesia italiana. 

Mentre gli uni porgevano all'Italia il poema romanzesco, il 
Trissino, zelante cultore delle lettere greche e latine, tentò 
rinnovarne l'epopea, cantando Xlkdia liberala dai Goli; e 
se non raggiunse l' altezza dei modelli che imprese ad imi- 
tare, valse almeno a destare il genio di Torquato Tasso che 
li emulò nella Gerusalemme liberala dai Turchi. 

Non vi fu genere di composizione che non venisse italiana- 
mente trattato: Sannazzaro , Muzio e Rota diedero italiche 
forme alla pastorale; Alamanni e Rucellai alla didascalica; 
Vinciguerra ed Ariosto alla satira; Trissino e Rucellai alla 
tragedia. Che anzi venne pure creata la commedia satirica, 
coltivata di poi con tanto successo dalle nazioni straniere. 

Per tal modo fu stabilita colla lingua eziandio la let- 



E DEI DIALETTI lUkLICl. 175 

teralura italiana ; e siccome il suo sviluppo precedette quello 
di tutte le altre lingue moderne, cosi, anziché subirne F in- 
fluenza, valse di modello alla successiva loro formazione. 

Con tanti materiali più non doveva riuscir difficile T or- 
dinamento d'una grammatica e d*un dizionario, che trac- 
ciassero la eomun norma ai futuri, e ne frenassero l' arbi- 
trio. Dopo il Bembo > cominciò il Grazzini a dame saggio ; 
quindi comparvero le Regole gnmmaticali di Fortunio, le 
Eleganze vulgari di Liburnio, ed i Prindpii fondamentali 
della lingua toscana di Corso. Luna, Accansio, Ruscelli, San- 
sovino ed altri compilarono frattanto vocabolarii che porsero 
materiali agli accademici pel Vocabolario della Crusca. 

Ma questi benemeriti fondatori, in onta al caldo zelo per la lingua 
e le lettere patrie , erano ben lontani dal poter redigere una 
grammatica ragionata del loro idioma. A quei tempi gli stu- 
diosi non aveano ancora spaziato collo sguardo sopra una va- 
sta famiglia di lingue , per discernere la varietà degli organici 
loro elementi, né avevano alcuna idea della Grammatica gene- 
rak^ sicché potessero applicarne i principii ad una lingua spe- 
ciale. Essi conoscevano la grammatica greca e la latina , come 
s'insegnavano allora, e trascrivendone i capitoli ed i paragrafi 
neir ordine in cui li trovarono, vi sostituirono gli esempi ita- 
liani, senza avvedersi della radicale discrepanza organica , per 
la quale il moderno idioma distinguesi affatto dall'antico. Niente 
infatti maggiormente si oppone air indole dell' italiana favella , 
quanto T attribuirvi i casi nei nomi, la voce passiva, il reggi- 
mento ed altrettali flessioni granomaticali, che sono il fonda- 
mento della latina, e mancalo interamente alla nostra! 

Ciò non pertanto non mancarono valenti prosatori, che ricondus- 
sero la lingua alla propria semplicità e naturale eleganza, svinco- 
landola dalle stentate inversioni e dai lunghi periodi, nei quali 
erasi tentato introdurre di nuovo la costruzione oratoria dei La- 
tini; e parecchi porsero ottimi modelli di quello stile semplice 
e piano, che appunto costituisce l'indole della nostra lingua. Mac- 
chiavelli, Guicciardini, Nardi, Segni e Varchi, scrivendo le sto- 
rie patrie, seppero talmente accoppiare il vigore e la concisione 
all'eleganza ed alla purezza del dire, da non invidiar punto alla 
lingua di Tucidide e di Senofonte, o a quella di Tito Livio, di 
Cesare e di Tacito. 



176 ORDINAMENTO DBGLl IDIOMI 

Frattanto il Canzoniere del Petrarca divenne modello a tutti 
gli scrittori del secolo XVf ; ma ciò che avrebbe dovuto pro- 
muovere il perfezionamento della lingua, fu causa in quella 
vece della sua decadenza; perocché la numerosa schiera dei 
petrarchisti) anziché studiare nel Canzoniere la purezza e Te- 
leganza delia lingua , si credette imitarlo , cantando' un amore 
che non sentiva , e coordinando vane frasi in forma di sonetti 
e di canzoni. Privi di quella spontaneità di sentimento, ch*é som- 
mo' pregio del Canzioniere, sostituirono Farte alla natura, F af- 
fettazione alla grazia, 1* esagerazione al giudicio. 

Per tal modo il nostro idioma, divenuto Kngua simbolica, 
una lingua di tropi e di figure, ebbe mestieri ben presto d*UDa 
riforma; e questo bisogno fu ancor più sentilo, quando i pro- 
gressi delle sette religiose e gl'interni dissapori trassero i go- 
verni d'Italia ad una politica austera. La severità dei tempi 
influì sulla direzione degli studii; e se le carceri, T esilio, le 
torture ed i roghi tardarono i passi alla filosofia rigenerai^ da 
Pico della Mirandola, Telesio^ Campanella, Cardano, Bruno^ Ga- 
lileo, Sarpi, Torricelli, la critica letteraria si svolse nelle dotte 
speculazioni di Beni, Politi, Leonardo Salviati, Benedetto Buorn* 
mattei, Cittadini, Mombelli e Bartoli. Principale occupazione dei 
letterati di quel tempo si fu il Dizionario della Crusca y che 
in breve tempo ricomparve tre volte aumentato e corretto. Né 
questo era ancor tutto; ebe, a precisare i canoni fondamentali 
del linguaggio nostro , si avvicendarono le opere apologetiche 
di Mazzoni sul Dante, le considerazioni del Tassoni sul Pe- 
trarca, la retorica di Gaslelvetro, i precetti del Pallavicino, ed 
un gran numero di scritti più o meno pregevoli, intesi a fondar 
le regole della lingua e dello stile. 

Se tutti codesti studii vabero ad approfondire la teoria dell'arte 
del dire, non bastarono a proscrivere il ialso gusto diffuso da 
più d' un secolo in tutta la penisola. Una falsa ristaurazione delle 
patrie lettere fu ancora tentata dal Marini, uomo d'ingegno e di 
sapere, il quale, trasportato dalla foga d'una calda imaginazione, 
smarrì il vero scopo della riforma , e occupato più delle parole 
che delle cose , più della bellezza apparente , che della ragione 
del linguaggio, sostituì colori sfolgoranti alle scolorite figure dei 
petrarchisti , e lasciò ancora l'Italia immersa in quella vuota let- 
teratura, che, priva di filosofia, rende fiacca ed insulsa la lin- 



t bBI I>IALSTT1 ITALICI/ 17^ 

gaa. — A ednlrariare la slorta direzione delia seuola mariner- 
sca , ù fondò in Roma l' Arcadia sotto gli anspicii di Cristina 
di Svezia. Da principio ottenne qualche sucdesso , mercè T o- 
pera di Gnidi e di Menzini ; ma alla morte dei fondatori la 
lingua e la poesia ricaddero nel vuoto primiero ; perocché l'in^ 
numerevole stormo degli Arcadi, preso a modèllo Teocrito, 
senza inspirazione e senza naturalezza, stemprò gli argomenti 
più nobili e gravi in insipide e stocchevoli cantilene pastorali. 

Mentre Y Italia sciupava in tal goisa il suo genio, la Fran- 
cia coltivava con pari ardore le scienze positive e le filosofi- 
che» e la rapida dilffusione del sapere nelle infime classi , e il 
moto impresso nelle menti dallo splendido secolo di Luigi XIY, 
maturarono una riforma sociale europea. Allora gl'Italiani sen* 
tirono più che mai imp^ioso il bisogno d*un linguaggio conciso 
e filosofico, e T insufficienza del vocabolario fra loro invalso li 
spinse ad introdurre parole e frasi straniere , che attinsero a 
capriceio , ora daUe lìngue classiche , ora daHa francese. 

Di qui sorsero nuove contese fra i puristi ed i novatori. 
I primi vollero rinvenire nei classici e nel Vocaboljarìo della 
Crusca quanto era d*uopo a rappresentare e svolgere le no- 
velle dottrine del secolo ; i secondi , non meno incauti , avvi- 
sando r imperfezione dei materiali sin allora raccolti, pretesero 
ristauraice la lingua assoggettandola a voci e forme straniere. 
Cesarotti, uomo di vastissima erudizione e di vigoroso inge- 
gno , introdusse molti gallicismi nella lingua , sotto pretesto di 
liberaria dalla tirannia de* cruscanti , e propose a modello di 
nuova e spontànea poesia i rozzi canti dei bardi scozzesi, onde 
svincolarla dalle rancide favole milologielie e dalle stentate e 
vane esagerazioni dell' Arcadia. Ma per la causa della purità 
gramnoiaticale si gettò nella Isuffa Giuseppe Barettt, il qéaìe ani- 
maio da contrarie pfissioni a non riguardare né al vero né al 
falso» lanciò invano frustate a destra ed a sinistra. Panni ed 
Alfieri frattanto, trasportati dal proprio genio, ripresero digni^ 
tosamente il gusto depravato dei loro tempi, ed offersero aurei 
modelli d'una più solida letteratura. -^ I luttuosi disastri che 
agitarono negli ultimi tempi Finterà Europa, assopirono per al- 
euni anni le controversie letterarie , finché ricomparve nell'a- 
rena il P. Cesari, perorando la causa de Fiorentini, e risusci- 
lundo nella ristampa del loro Vocabolario gli obliati riboboli 

12 



178 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI 

degli antichi. Sebbene si appoggiasse a molla dottrina, T esage- 
rato ed intempestivo suo nuovo attentato venne con molta forza 
d* argomentazioni respinto da Vincenzo Monti, che, sorretto da 
Perticari, da Gherardini e da uno stuolo di valenti filologi , tentò 
distruggere colla Proposta il despotismo letterario mttnicipaie, 
e rivendicare i diritti dell'intera nazione. Sebbene per tal modo 
molti scrittori italiani risguardassero la qaislione come svolta 
e decisa, pure nessuno s'accinse di poi alla riforma del Voca- 
bolario italiano; e mentre dalFuna parte prevalse quello degli 
Accademici fiorentini^ come sola autorità costituita» dair altra 
prese soverchia baldanza un arbitrio, il quale, ove non sia da 
provvide leggi diretto e circoscritto , sarà per nuocere un gior- 
no, cosi alla purezza, come air unità della lingua nasionak. 

Dalle esposte considerazioni impertanto suir origine e sullo svi- 
luppo della medesima , appare ad evidenza dimostrato , come 
queste leggi debbano precipuamente fondarsi sopra un severo 
studio dei patrii dialetti, dei quali la lingua nazionale esser deve 
rapprc^sentante comune; giacché, s'egli è vero, che il dialetto fio- 
rentino illustre, parlato solo dalla minima parte della popola- 
zione d'una sola provincia d'Italia s'accosta piti d'ogni altro 
alla lingua scritta generale , sicché ne disti piuttosto per vizia- 
tura di pronuncia e di solecisnu, che non per discrepanza d'in- 
dole e di radici, egli é vero altresì, che desso é iusulffidente 
a provvedere ai moltiformi bisogni dell'intera nazione, mentre 
tutti gli altri membri della medesima, per varietà di drcoslan- 
ze, vale a dire di posizione, di clima, d'indole e di cultura, e 
perciò ancora d'idee, di forme, di naturali prodotti e di costu- 
mi, posseggono doviziosa congerie di materiali atti a riempire 
i difetti e le lacune del fiorentino dii^ietto, noa che a rettifi- 
carne le improprietà. E quand' anche talvolta un' idea , od un 
oggetto rappresentato in modo pecuUafe presso aleone pc^la- 
zioni, avesse in pari tempo un segno rappresentativo nei dia- 
letti toscani, perché non potrà cosi l'una come l'altra voce 
avere un posto nel Vocabolario nazionale, e dovranno quelle 
piuttosto rinunciare alla propria lingua per adottare le voci di 
un'altra? Qual privilegio d'anzianità o di casta può rendere 
meno italiane le voci dei Veneti^ dei Lombardi e dei Siciliani, 
che quelle di Val d'Arno, di Val Cecina o di Val d'Elsa? 

Noi siamo d' avviso, che i generosi dai quali fu tante volle io- 



B DSI DIALETTI ITALICI. i79 

dagata la vera norma per ia flssazione d'una lingua nazionale^ 
nella foga delle loro controversie, smarrissero sempre di vista Tog- 
{etto primario, quello cioè d'intendere e d'essere agevolmente 
intesi in ogni angolo della penisola dai proprii connazionali. Qui 
non sì tratta di determinare » quale fra .gli italici dialetti sia il 
più puro ed il più nobile; quale fosse il consiglio di Dante nel 
porre le prime pietre del volgare eloquio; qual lingaa scrives- 
sero i trecentisti, o quale sancissero più tardi gli scrittori detti 
classici; ma si tratta bensì dì fissare una Imgua italiana egual- 
mente accessibile, per quanto il consente b natura del sogget- 
to, al freddo pastore dell'Alpe, che all'abbronzito pescatore di 
Gariddi; una lingua che provveda a tutti i bisogni degl'Italiani, 
e sìa agevole a tutti; eiò che infine vuol dire : una lingua va- 
sta e più consentanea all' indole generale dei dialetti parlati, o 
meglio un' equa e ragionata rappresentante dei medesimi. 

Lungi da noi le gare e gli odii municipali^ che inceppa- 
rono in ogni tempo la soluzione dell' importante problema) 
Sia lode ai Fiorentini, che primi dettarono all'Italia con 
opere immortali una lingua nazionale, e primi ancora s^adope- 
rarono a stabilirla su cardini fissi , redigendone con instanca- 
bile zelo la Grammatica ed il Vocabolario I Ma concorriamo 
pur tutti al grande edificio comune ; uniamo i nostri ai loro 
sforzi, fondendo nel loro la parte nobile e pura dei nostri dia- 
letti, ed avrem ben presto una isola lingua ricca di materiali e 
di forme tutte nostre , ed intesa del pari da ogni popolo dal- 
l'Alpe a SeiUa, dall'Adriatico al Tirreno. Ma perchè una tale 
impresa raggiunger possa il compiuto suo fine, non dobbiamo 
giaBomai (perdere di vista questi fondamentali prìncipii; ifi Si 
tmofe una lingua atea ad agevolare e mantenere nn commer- 
eio letterario fra tutti i popoli italici; 2.^ Non è italiana, 
né duratura quella lingua, che cento popoli italiani debbono 
studiare con lunghe veglie sui libri; 3.® Quanto piti la lin- 
gua scritta 8 allontana dalla parlata , tanto piti s avvicina 
aWa propria dissoluzione. 

Dialetti italiani. 

Stabilito il principio fondamentale ed inespugnabile, che il 
nostro volgare idioma traesse così T origine come lo sviluppo 
dalla fusione scambievole degli italici dialetti, e che quindi da 



180 OADINAMERTO DEGLI IDlOlll 

un adequato studio dei medesimi emanar debba altresì la norma 
certa pel suo perfezionamento e per la sua futura conserva- 
zione, gioverà determinare brevemente in quante grandi famiglie 
siano essi naturalmente ripartiti nella nostra penisola, in quante 
varietà principali ciascuna famiglia sia suddivisa, e quali studii 
venissero di proposito instituiti sinora intorno ai medesimi , a 
fine di constatarne le proprietà rispettive. 

Sebbene indeterminate e presso che innumerevoli siano le va- 
rietà dei dialetti italiani vìventi, ehe, non solo da luogo a luo- 
go, ma sovente ancora nella stessa città dall'uno air altro quar- 
tiere diversificano fra loro, ciò nuUostante, afferrando le più 
caratteristiche e più diffuse loro discrepanze, si possono coor- 
dinare, a nostro avviso, in otto grandi famiglie, ciascuna delle 
quali , sopra ufla maggiore o minore superficie diffusa , decom- 
ponesi in miaggiore o minor numero di membri , a norma della 
fisica costituzione e della posizione del suolo dalla stessa occupato. 

Procedendo, da settentrione a mezzogiorno > e traendo i nomi 
rispettivi dair antica etnografia italimia, deHa quale ciascuna se- 
gna con mirabile precisione i c(mfini, tali -famiglie sono: 1.^ la 
carnica; 2.® la veneta; Zfi la gallo-italica; 4.* la ligure; 5« la 
toscihlatina; 6.^ hsanmtico-iapigia; 7 fi la lucano-sicula; 8.^ la 
sarda, 

1/ Famiglia Omiica. 

La prima è Fioretta nella parte più elevata delle Venete 
province, racchiusa fra le due valli ddla Piave e dd Timavo, 
fra h vetta e le estreme falde delle -Alpi Giulie e Carrnche, 
per le quali è separata dai dialetti tedeschi e slavi del Tirolo 
e della Garniola. Suddividesi in tre gruppi distinti, cui, dal ri- 
spettivo rappresentante primario, abbiamo denominato friulano, 
goriziano e bellunese. 

Il gruppo friulano, posto nel eentro, è rappresentato dal dia- 
letto d'Udine (Forum Julii), e le sue principali varietà sono 
parlate a Spilimbergo, Ampezzo, Godroipo e Palmanova. 

Il goriziano occupa tutta la valle dell'Isonzo sin presso alla 
foce di questo fiume, ed è rappresentato dal dialetto di Gorizia, 
suddiviso in poche e leggere varietà. 

Il ^vuipfo bellunese f parlato in tutta la superiore valle della 



B DBl DIALETTI ITALICI. 181 

Piave, è ra|4)re8eDtalD dal dialetto proprio della città di Bellu- 
no, e ne sono varietà distinte il cadorino^ lagordino ed il fel- 
trino. Esso colleg^si ai dialetti alpini del Tirolo italiano che sono 
come gli anelli che uniscono la carnica alla veneta famiglia, 

2." Famiglia Veneta, 

Questa famiglia^ conìe appare dalla denominazione che vi 
abbiamo apposta, occupa precipuamente quella parte settentrio- 
Dale della penisola, ove fissarono le prime sedi gli antichi Ve- 
Deli, d'onde si estese più tardi verso occidente in una parte delle 
regioni primitivamente occupate dai Galli e dai Reti. Essa è quindi 
conterminata a settentrione dalle Alpi retiohe e dalla fiwiiglia carni- 
ca; ad oriente dalle rive deirAdriatico racchiuse tra la foce del Ti- 
mavo e quella del Po ; a mezzogiorno dair inferiore tronco del Po, 
tra la sua foce e quella del Mincio; ad occidente 'dal corso di que- 
sto fiume, dal lago Benaco, dai monti che dividono le valli della 
Sarca e del Mincio, e dalF eccelsa catena Gamònia; pei quali 
confini occidentali e meridionali essa è divisa dalla grande fa- 
mìglia gaUoritalica. Oltre a ciò la Veneta Signoria» estesa per 
secoli lungo le opposte rive deir Adriatico in lUiria ed in Dal- 
mazia, trapiantò pure il proprio dialetto in quella provincia, ov'è 
tuttora parlato in tutte le città e nei principali borghi lungo le 
coste iDarittime. — Sopra si vasta superficie suddividesi propria- 
mente in tre gruppi che, per la rispettiva posizion loro, distin- 
gueremo in centrale^ occidentale ed orientale, 

11 gruppo centrale occupa tutta la vasta pianura dall' Adria- 
tico sino ai colli che dividono il bacino dell'Adige dalla valle 
del Bachiglione, e dalle falde delle Alpi Giulie sino al Po. Esso 
è rappresentato dal dialetto veneziano proprio della capitale e 
di alcune sue isole, e principal tipo di tutta la veneta famiglia. 
Le sue varietà più distinte sono: il dialetto chioggiotto^ il tor- 
cellese^ il trevigiano^ il rovighese^ il padovano ed il vicentino^ 
ciascuno dei quali è poi suddiviso in un numero indeterminato 
di gradazioni. 

11 gruppo occidentale è parlato in tutto il bacino dell'Adige, 
da Salurno discendendo sin oltre a Lc^ago. I suoi principali dia- 
letti sono: il veronese ed il trentino, ciascuno dei quali è circon- 
dato da un numeroso gruppo di varietà. 



182 ORDINAMENTO DfiGLI IDIOMI 

li gruppo orientale, che si potrd)be denominare anehe marit- 
timo, estendesi lungo le spomie dell' Istria e della Dalmazia, ed 
è, rappresentato dal dialetto triestino. Sne principali varietà sono 
i dialetti di Parenzo, Rovigno, Dìgnano^ Fiume, Veglia^ Zara e 



3.* Famiglia Gallo-italica, 

La famiglia gallo-italioa , più vasta della precedente, copre 
tutta là rimanente parte settentrionale d* Italia, tranne T angusto 
lembo occupato dalla famiglia ligure , ed un angolo settentrio- 
nale, ove, come notammo , si parlano francesi dialetti. I suoi 
naturali confini sono: a settentrione, la catena deHe Alpi Co- 
zie, Lepontiche e Rezie , le quali la separano dai dialetti fran- 
cesi, tedeschi e romanzi della Svizzera ; ad oriente, gli indicati 
confini occidentali della veneéa famiglia, pie le rive dell' Adria- 
tico daUa foce del Po sino a Pesaro ; a meszogiomo, la catena 
degli Appennini liguri e toscani , dalle Alpi Marittime sin oltre 
la Marecchia, i quali la dividono dalle famiglie ligure e to- 
sco-latina; ad occidente, le Alpi Marittime e Graie, che la se- 
parano dai dialetti occitanici della Francia meridionale e della 
Savoia- 
Avuto riguardo alle più discrepanti varietà di suono, di ra- 
dici e di forme fra i dialetti in si vasta regione parlati,* li ab- 
biamo ordinati in tre grandi rami, che designammo coi nomi 
di lombardo, emiliano e pedemontano, concordando questi 
quasi precisamente, se non coll'attuale, almeno^ colla più antiea 
divisione politica corrispondente. 

l."" Il ramo lombardo, che a settentrione è contenninato dalla 
catena alpina, dal Rosa sino alla catena Camonia, e ad oriente 
dai' veneti dialetti, è separato ad occidente dal ramo pedemon- 
tano per mezzo dell'intero corso della Sesia ^ dalla sorgente 
sino alla sua foce nel Po; e a mezzogiorno éAVemiliamo per 
mezzo del Po, dalla foce della Sesia sino a quella del Mincio, 
tranne due piccoli seni che abbracciano^ la città di Pavia co* suoi 
vicini distretti, e quella di Mantova con una parte del suo ter- 
ritorio circostante. Esso consta di due gmp}N di dialetti geogra- 
ficamente separati presso a poco dall'intero corso delFAdda, e 
che perciò abbiamo distinto in occidentale ed orientcUe. 



B DEI DlALfiTTI ITALICI. 183 

Il gruppo occidmiale è rappresentato dal dialetto milanese, 
che ne è princqsal Upo. I suoi (mé notevoli suddialetti , parlati 
in maggiore o minor numero di varietà^ sono: il lodigianoy il 
comasco, il vaUellinese^ il bormiesey il ticinese ed il verbanese. 

Il gruppo orientale è rappresentato dal dialetto bergamasco^ 
e ne sono principali suddialetti il cremasco, il bresciano ed il 
cremonese. 

2.^ Il ramo cmiiiano, racchiuso principabnente tra il Po^ TAp- 
peoBÌno e le rive dell' Adriatico, è separato dal pedemontano ad 
occidente per mezzo d'una linea trasversale che da Valenza sul 
Po ragginnge serpeggiando l'Appennino presso Bobbio ; ed a mez- 
zogiorno è diviso dalla femigUa hiina per mezzo della F<^Ra. 
Abbraccia inoltre al di là del Po i dialetti pavese e mantovano. 
Esso è ripartito in tre gruppi distinti, che designammo coi nomi 
di bolognese^ ferrarese e parmigiano. 

Il pruno gruppo è rappresentato dal dialetto bolognese pro- 
priamente detto, ed eslendesi fra l'Enza e T Adriatico^ fra l'al- 
veo abbandonato del Po di Primaro,. l'Appennino e la Foglia. 
I suoi principali suddialetti sono: il romagnolo^ del quale sono 
varietà distinte il faentino, il raioennate, Vimolese^ il forlivese^ 
il cesenate ed iì riminese; il modenese, il reggiano ed il fri- 
gnanese. 

Il grappo ferrarese, posto a s^tentrìone del primo, è rap- 
presentato dal dialetto di Ferrara, del quale sono principali sud- 
dialetti il nuMovano ed il mirandalese. 

11 grappo parmigiano, nella parte^ più occidentale di questo 
ramo, è separato dagli altri due gruppi per mezzo del corso 
dell'Enza, ed abbraccia, oltre al dialetto parmigiano propria- 
mente detto, il borgotareae, il piacentino ed il pavese. 

3.^ Il rmno pedemontano inq)ortante sopratutto^ perchè vale 
a coUegare i dialetti italiani eof^i occitanici, e quindi cogli spa- 
gmioli e coi francesi , è conterminato a settentrione dai monti 
ehe dividono i tronchi superiori della Val Sesia e della Valle 
d'Aosta dalle sottoposte valli M Cervo, dell'Orco e della Stu- 
ra; ad oriate con&a coi dialetti lombardi ed emiliani; a mez- 
zogiomo colle Alpi Marittime e coli' Appennino Ligure; ad occi- 
dente colle stesse Alpi Marittime e colle Graie. Esso è ripartito 
in tre gruppi distinti di dialetti, die abbiamo designato coi némi 
di piefnontese, monferrina e canavese. Egli è però mestieri av- 



)84 ORDINÀHBVTO PJB6LI 1I>I0M1 

vertire che» luogo i confini oecideotalì e seitenlrìiNiaft, questi 
dialetti si vanno assimilando af^i occitanici; lui^ i meridionali 
ai liguri; mentre ad occidente si fondono nei lombardi e negli 
emiliani. 

Il gruppo Piemontese t posto nel oentiN), estendesi in tutto il 
bacino superiore del Po, dalla sua sorgente sino alla foce del- 
l' Orco nello stesso fiume, ed è rappresentato dal dialetto Tori- 
nese principal tipo di tutto questo ramo. I suoi principali sud- 
dialetti sono: i vernacoli di Ghieri, di Pinerolo, di Saluzzo, di 
Savigliano e di Cuneo. 

Il gruppo Monferrino si estende ad oriente del Piemontese, 
dal Po sino all'Appennino ligure, ed è rappresentato dal dialetto 
Astigiano. Le sue più distinte varietà sono: i dialetti d'Acqui, 
d'Alba, dì Ceva e di Gasale, 

Il gruppo Canavese^ posto a settentrione dei due precedenti, 
fra l'Orco e la Sesia, è rappres^tato dal dialetto d'Ivrea, e sud- 
diviso in tante varietà, quai^ sono le piccole valli che frasta- 
gliano la r^one dal medesimo occupata. > 

4/ Famiglia ligure, 

Attoi^niata dai dialetti Occitanici ^ Pedemontani 9 Emiliani e 
Toscani^ comecché ristretta nell'angusto leodio racchiuso fra le 
coste del Mediterraneo, dalla foce della Magra a Mentone, e l'Ap- 
pennino ligure, questa famiglia non si serbò meno distinta dalle 
altre, per suoni, radici e forme esclusivafnente sue proprie. Seb- 
tiene suddivisa in un numero indeterminato di dialetti, pure non 
si riscontrano radicali discrepanze bastevoli a costitmrne più 
rami. Siccouìe per altro, da Genova procedendo lui^ la costa 
orientale, il linguaggio va a poco a poco assimilandosi ai dia- 
letti Toscani 9 e in quella vece verso oeoidente si accosta agli 
Occitanici, cosi per maggior prerìsiooe l'abbiamo ripartita nei 
due gruppi orientale ed occidmtale, ciaseuno dei quaK è rappre- 
sentato dal dialetto della capitale. Avvertasi però, che lungo il 
lembo settentrionale vanno fondendosi coi lisÀrofi dialetti Mon- 
ferrino e Parmigiano. 

Il gruppo Orientale consta precipumnente dei dialetti di Chia- 
vari, di Spezia e di Sarzana, suddivisi in molte varietà. 
' Il gruppo Occidentale ha per varietà principali i dialetti di 



B DEI MALBTTI ITAUCf. 185 

Savona, Albenga, s. Remo e Ventìmiglia, parlali con vario ac- 
cento e varia flessione nelF interna parte dei monti. — L' in- 
dustria genovese poi ha fondato eziandio piccole colonie nei 
villaggi di Mons e d'Escragnolles nella Provenza francese, e nel- 
l'isolotto di s. Pietro in Sardegna, abitato da Genovesi pesca- 
tori di corallo^ che vi parlano^ sebbene alterato^ il dialetto na- 
zionale. 

5/ Famiglia Tom^Latina. 

Sede principale dei più celebri dominatori della penisola, e 
quindi principale sorgente delle successive lingue eulte etnisca, 
osca, latina, ed italiana^ la parte centrale della nostra penisola 
è occupata da una famiglia di dialetti, cui^ dal nome dei primi- 
tivi abitanti abbiamo appellata tosco-latina. Sebbene alle molte 
e reiterate nostre dimando uno stuolo di valenti letterati toscani 
e romani rispondessero asseveratamente ed unanimi, il dialetto 
de' rispettivi loro luoghi nativi essere la pura favella d'Italia, 
ciò nullameno più accurate ed imparziali indagini fatte sulla na- 
tura vivente e sugli scritti dei secoh trascorsi, ci resero mani- 
festo, essere quella regione, del pari che ogni altra, occupata 
da un indeterminato numero di dialetti, quanto più prossimi alla 
lingua scritta generale, altrettanto distinti fra loro per varietà 
dì suono, di radici e di forme; giacché per dialetto ^ noi inten- 
diamo la lingua parlata dalla massa della popolazione d'un pae- 
se, e non quella della minima casta privilegiata, che> modificata 
senapre dallo studio e retta da una mente ordinatrice, è opera 
dell'arte, anziché, della natura. 

Questa importante famiglia é conterminata a settentrione del- 
l'Appennino toscano, che dalla sorgente della Magra si estende sino 
a quella della Foglia ; poscia dal breve corso di questo fiume e dalle 
rive deir Adriatico racchiuse tra le due foci della Foglia stessa e del 
Tronto; ad oriente dal corso di questo fiume e dall'Appennino 
abruzzese, che serpeggia sin presso alla sorgente del Garigliano; e 
di là da una linea che discende, attraverso le Paludi Pontine, sino 
al Mediterraneo; a mezzogiorno e ad oriente, dalle rive del Me^ 
diterraneo racchiuse tra le Paludi Pontine e la foce della Ma- 
gra; poscia dal corso di questa fiume. Oltre a ciò estendesi an- 
cora sul mare in tutto, le . isole del mar di Toscana , non che 



186 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI 

in quella di Corsica. Essa naturalmente dìvidesi nei due grandi 
rami tosco e latino, geograficamente separati pei* mezzo d'una 
linea serpeggiante, che dalle sorgenti del Tevere raggiunge il Me- 
diterraneo, seguendo da presso T attuale divisione pofitica del 
granducato di Toscana dagli Stati pontificii. 

1.** Il ramo toscoy posto nella parte settentrionale^ suddividesi 
propriamente in quattro gruppi distinti, che abbiamo denominato 
Fiorentino, Sienese, Tiberino e Corso, 

II gruppo Fiorentino abbraccia tutto il bacino dell* Arno, non 
che le valli del Serchio e di Cecina. Ivi è suddiviso in molti 
dialetti, dei quali è principal tipo il fiorentino. Questo si stende 
dalla superiore valle della Sieve sino air inferiore delFEIza, e 
ne sono suddialetti il pratese ed II pistoiese. Le sue varietà 
più distinte sono: il lucchese, il pisano, che si estende lungo 
le valli deir Era e della Cecina , ed il livornese , eh' è il più 
corrotto. 

Il gruppo Sienese, distinto dal fiorentino e dal tiberino, cosi 
per varietà di pronuncia, come di radici e di forme, espandesi 
lungo il bacino dell' Ombrone, ed è rappresentato dal dialetto 
sienese propriamente detto. Le sue principali varietà sono: i dia- 
letti di Volterra, di Massa, di Grosseto e d*OrbiteIlo. 

Il gruppo tiberino, meno puro degli altri, è ristretto nella sn- 
periore valle Tiberina, ed in quella di Chiana. I suoi più note- 
voli dialetti sono parlati a Boi^o s. Sepolcro, a Cortona ed a 
Montepulciano. 

Il gruppo corso, o meglio, marittimo, è diffuso nell'isola di 
Corsica, in quella d*Elba, e nelle molte isolette sparse nel mar 
di Toscana, ove è assai corrotto. In Corsica ir dialetto princi- 
pale è quello di Corte, e ne sono suddialetti distinti quelli di 
Bastìa, Calvi, Alacelo, Sartene e Bonifacio. Neil' Elba è princi- 
pale il dialette di Capoliveri, le cui pia distinte varietà sono 
parlate a Porto-Ferraio, a Porto-Longone ed a Campo. Per 
ultimo sono distinti ancora i dialetti di Capraia e del Giglio. 

2.^ Il ramo latino , posto a mezzogiorno e ad oriente del 
tosco, suddividesi in due grandi gruppi, che designammo coi 
nomi di romano e di umbrico, fra loro separati dalia crésta 
deir Appennino, che divide F ampio bacino del Tevere dai nu- 
merosi fiumicelli che dall'opposto declivio mettono foce nell'A- 
drìatico. 



E DEI orAUTTl ITALICI. 187 

Il gruppo romano esiendesi quiDdi su tutto il bacino del Te- 
vere, ed è rappresentato dal dialetto di Roma, che ne è princi- 
pal tipo. Le sue più distinte varietà sono i dialetti di Gubbio, di 
Perugia, di Foligno, di Spoleto, d' Oi^'vietoi di Todi, di Viterbo, 
di Civitavecchia, di Rieti e di Yelletri. 

Il ramo timbrico, esteso fra T Appennino e 1* Adriatico, dalla 
Foglia al Tronto, è rappresentato dal dialetto anconitano. Ne 
SODO varietà principali i vernacoli d' Urbino, di Fano, di Siniga- 
glia, di Macerata, di Fermo e d'Ascoli. 

6/ Famiglia Sannitico-Iapigia. 

Conterminata a settentrione dalla latina, la vasta famiglia, 
che abbiamo denominato sannitico-iapigia, perchè diffusa nella 
regione primamente occupata da queste due potenti nazioni, 
estendesi dall' un mare all'altro, in tutta la rimanente parte 
della penisola, tranne la punta più meridionale costituente le 
tre Calabrie. In cosi vasta regione, successivamente inondata 
per lunga serie di secoli da innumerevoli tribù di varie stirpi, 
questa famiglia porge all'etnografo in massimo numero i più 
strani fenomeni linguistici da luogo a luogo, sicché assai diffi- 
cile torna ^ neir inopia dei mezzi, e nella ruvidezza della mag- 
gior parte di quelle popolazioni, lo stabilire un circostanziato 
ordinamento di quell'immensa congerie di volgari favelle. Ciò 
nonostante, restringendoci per ora alle divisioni generali, e fon- 
dandoci sui fatti da noi osservati e sulle notizie raccolte con 
malagevoli cure sui luoghi stessi, crediamo di poterle equamente 
distribuire in quattro gruppi, che abbiamo denominato abruz- 
zese ^ campano, appuliese e tarantino. 

11 primo estendesi per tutti gli Abruzzi, non che nella più ele- 
vata parte della Terra di Lavoro , ed è rappresentato dal dialetto 
di Cbieti, che abbraccia tutte le proprietà dei dialetti che lo 
circondano. I principali e più distinti fra questi sono : i vernacoli 
di Teramo, di Nereto, d'Aquila, di Città-Ducale, di Sulmona, 
di Lanciano e di Vasto. 

Il gruppo campano, rappresentato dal dialetto della capitale, 
abbraccia, oltre alla provincia di Napoli ed alla terra di La- 
voro, eziandio i due principati Ulteriore e Citeriore. I suoi princi- 
pali dialetti sono quelli di Pozzuoli, Sorrento, Capua, Gaeta, So- 



18S ' ORDiNAMENTO ])JBGLI iaiOMI 

ra,^Nola, Avellino » ArìaDo; Salerno, Campagna, Sala, Vallo e 
Camerota. 

Il gruppo appuliese, posto a settentrione del Napolitano, dal 
quale è diviso per mezzo dell* Appennino, estendesi lungo le 
Provincie di Molise e di Capitanata, ed è rappresentato dal dia- 
letto di Foggia, sebbene molte e strane siano le varietà dei dia- 
letti in questa regione/ Le principali e più distinte sono quelle 
dì Bovino, Lucerà, s. Severo, Rodi, Serracapriola, Campobasso, 
Molise ed Iseroia. 

Finalmente il gruppo tarantino, formato del pari che il pre^ 
cedente da una indeterminata congerie di svariate favelle, oc- 
cupa le terre di Bari e d'Otranto e la Basilicata. Ivi è rap- 
presentato dal dialetto tarantino; e le sue più distinte varietà 
sono: i dialetti di Potenza, Lagonegro, Melfi, Matera, Altamura, 
Bari, Brindisi, Lecce e Gallipoli. 

7." Famiglia Bruzio-Sicula. 

Le prische sedi dei Bruzi e dei Siculi tanto celebri nelle sto- 
rie d'Italia sono ora occupate da una distinta famiglia di dia- 
letti, i quali, estendendosi ancora in tutte le isole del mar di 
Sicilia, e persino nella provincia della Gallura posta nella parte 
più settentrionale delF isola di Sardegna^ rivelano antichissimi 
rapporti di fratellanza fra i popoli che li parlano. 

Questa famiglia si espande nel continente per tutte le tre Ca- 
labrie, e nel Mediterraneo occupa risola di Sicilia coi gruppi 
che ne dipendono, ed il lembo settentrionale della Sardegna tra 
il Limbara e lo stretto di Bonifacio. — Avuto riguardo alle mol- 
teplici discrepanze di pronuncia e di forma nei dialetti che la 
compongono, dividesi naturalménte in tre rami, che abbiamo 
denominato calabrese, siciliano e gallwese. 

1.^ Il primo, denominato calabrese perchè esteso nelle tre 
Calabrie, è rappresentato dal dialetto di Cosenza, che ne è prin- 
cipal tipo. Con tutto ciò esso consta d'un immenso numero di 
varietà distinte, fra le quali le più notevoli sono: ì dialetti 
di Castrovillari , di Rossano, di Paola,. di Nicastro, di Catan- 
zaro, di Squillace, di Monte Leone, di Gioia, di Gerace e di 
Reggio. 

%"" Il ramo siciliano, diffuso nell'isola di Sicilia, suddividasi 



fi DII DIALETTI ITALICI. i89 

in due gruppi geograficamente separati dalla catena di monti 
posti fra il bacino della Giarretla e quella del Salso; e perciò 
dalla rispettiva poSizion loro li abbiamo denominati occidentale 
ed orientale. 

Il gruppo occidentale è rappresentato dal dmletto di Paler- 
mo^ e ne sono varietà distinte quelli che si parlano a Trapani» 
a Marsalla, a Mazzara, a Girgenti ed a Caltanisetta. 

Il groppo orientale è rappresentate dal dialetto dt Gata-* 
nia, e ne sono distinte varietà: il siracusano^ quel di Modica^. 
il nicosiano ed il messinese, che si collega al calabrese. 

S."" Per ultimo il ramo sardo, diffuso neir estremo lembo 
settentrionale di Sardegna, dal golfo di Terranova a quello 
d'Alghero, è rappresentato dal dialetto di Sassari, e ne sono 
varietà i dialetti di Tempio ^ di Castelsardo, di Sorso e di 
Aggius. 

8/ Famiglia Sarda. 

Quest'ultima famiglia si allontana da tutte le nieoftovate per 
proprietà grammaticali e lessicali > in guisa da poter essere con- 
siderata come una lingua distìnta dair^liana, del pari che la 
spagnuola, dalla quale attinse colle forme parecchie radici. Ove 
per altro si rifletta ai suoi stretti rapporti colla Knrgtfa del La- 
zio, della quale serba intatte le più chiare impronte^ ed ove 
si consideri la sua dipendenza geografica e politica dall* Italia, 
non si può a meno di enumerarla fra le italiche famiglie. Essa 
occupa quasi interamente l'isola di Sardegna cogli isolotti che 
ne dipendono, tranne il descritto kmbo settentrionale della me- 
desima, la città d* Alghero col suo territorio, ove si paria il cch 
talanoy e T isolotto di s. Pietro, abitato dair accennata colonia 
genovese. la co^ vasta regione essa è ripartita in due grandi 
rami, che per la posizion loro furono denomfinati setten^ionale 
e meridionale^ o meglio logudorese e eompidanese. 

l."" Il logudorese è il più puro, ed è separato dal campida- 
nese per mezzo d' una linea serpeggiante, che da Baunei attra- 
versando tutta rìsola raggiunge il Capo Manno. La comune lin- 
gua scritta logudorese y che già possiede una copiosa letteratu- 
ra, non è propriamente parlata in verno luogo privilegiato; ma 
con leggere modificazioDi è sparsa in tutti i suoi moltiplici dia- 



190 ORDINAMENTO DEOLl IDIOMI 

letti. Il più puro fra qaes4i> e quindi il più atto a rappresen- 
tarla^ si è quello di Bonorva; le altre yarietà più distinte so- 
no: i dialetti di Bitti, Gakelii, Dorgali, Fonni, Gavoi, Arizzu, 
Baunei, Canusei, Osilo, Posade^ Austis, Ghilarza, Buddusò, Bo- 
no, Nulvi ed Ozieri. 

S.*" Il ramo campidanese viene d^ordioario rappresentato dal 
dialetto di Cagliari capitale dell' ìsola; esso p^r altro suddivì- 
desi in due gruppi distinti, che abbiam denominato campida- 
nese proprio e subitane. 

Il campidanese proprio^ parlato in tutta la regione del Cam- 
pidano e nella provincia di Cagliari, ha per suddialetti princi- 
pali quelli che si parlano ad Oristano, Ales, Isili, Iglesias, Tor- 
toli, s. Vito e Carbonara. 

Il gruppo sulciianoy pariato nella provincia d' egual nome po- 
sta suirestrema punta meridionale delF isola, ha per varietà prin- 
cipali i dialetti di Palmas, Santadi^ Chia e Pula. 

Riserbandoci a svolgere in appartati volumi i malagevoli studi! 
che ci dettarono l'esposto ordinamento sommario della indefi- 
nita^e svariata serie dei nostri dialetti , procederemo a rintracciare 
quali studii venissero nei varii tempi instituiti intorno ai medesimi. 

Per quanto ci consta dai monumenti superstiti, egli è fuor 
d'ogni dubbio, che in oiassima parte essi furono parlati e scrìtti 
in ogni angolo d'Italia, con leggiere modiGcazioni, qualche secolo 
avanti la formazione dell'italiana favella, la quale appunto, solo 
per impedire quella moltiplicazione dei linguaggi fu loro nel 
XIII secolo sostituita. Ma quei primi tentativi, come accennam- 
mo, furono promossi dalla necessità di provvedere ai bisogni della 
vita socievole, mentre nell'assoluto difetto di coltura, in cui le 
politiche sciagure avevano immersa Italia tutta, la lingua latina 
studiata da pochi non era pià4nteda dalle popolazioni; né altro 
interprete rimaneva loro, se non il rispettivo linguaggio plebeo. 

Non mancarono però uomini di lettere, che tentassero ezian- 
dio coir armonia del verso nobilitare e diffondere in patria l'uso 
dei rispettivi dialetti, del die abbiaftì dato nel precedente di- 
scorso irrefragabili prove di fatto, pubblicando un saggio degli 
antichi loro monumenti editi ed inediti; ma tostochè l'Alighieri 
porse una sola lingua a tutto il paese, i vernacoli linguaggi ri- 
caddero nel primiero abbandono, e tutte le cure degli studiosi 
furono a quella rivolte. 



B BEI DIALETTI ITALICI. 191 

Solo verso il secolo XVI, quando collo sviluppo delie patrie 
lettere, alcuni iogegai italiani crearono la comedia satìrica, i dia- 
letti ricomparvero nelle rustiche lor vesti, onde rappresentare 
sulla scena Tuomo del popolo e i suoi costumi. In Toscana, in 
Lombardia, nella Venezia, a Napoli, ed in altre regioni si molti- 
plicarono ben presto i componimenti di questo genere, cui ten- 
nero dietro nuovi tentativi^ onde sottoporre air armonia del verso 
le più rustiche favelle. 

In breve quasi tutti i dialetti italici ebbero una più o meno 
vasta letteratura lor propria, sicché^ avuto riguardo alla immensa 
congerie delle produzioni di ogni genere, ardua sarebbe l'im- 
presa di redigere una compiuta bibliografia dei medesimi. Ma 
tutti questi innumerevoli componimenti vernacoli erano preci- 
puamente intesi a trastullare il popolo con lepide rappresenta- 
zioni, le brigate con giocose poesie d'indole satirica; sovente 
ancora furono vani sforzi diretti a provare l'energia, la ricchezza, 
la flessibilità e la grazia dei singoli dialetti ; né mai venne instituito 
uno studio speciale collo scopo di rivelarne V organismo o le pro- 
prietà distintive, meno ancora a fondarne un ragionato confronto. 

Solo nella seconda metà delio scorso secolo venne intrapresa 
da alcuni studiosi la compilazione dei vocabolarii di alcuni prin- 
cipali dialetti d'Italia, massime di quelli che possedevano mag- 
giore e più importante numero di produzioni. E questi primi 
tentativi furono imitati, o compiuti ai nostri giorni per opera 
d'una schiera di zelanti cultori delle cose patrie, sicché final- 
mente un gran numero di municipii italiani possiede ormai il 
proprio vocabolario vernacolo, e taluno ancora un saggio di gram^ 
maticali osservazioni. 

Gioverà ciò non pertanto avvertire, come tutti questi lavori 
venissero per lo più ristretti a rappresentare i singoli dialetti 
delle città rispettive, escludendone quasi affatto i più doviziosi 
e puri delle campagne e dei monti; e noteremo^ come tutti fos- 
sero diretti, ad agevolare agli estranei la lettura e T inter- 
pretazione delle poesie vernacole rispettive, o ad insegnare alle 
singole popolazioni ia lingua aulica generale, mercè il confronto 
della stessa coi volgari linguaggi. E perciò, comunque utili sif- 
fatti lavori tornar possano allo scopo dei loro autori medesimi, 
egli è indubitato, che ben poco giovamento arrecano al filologo, 
il quale, rivolto a più nobili fini^ indaga in più vasto orizzonte 



192 ORDINAMENTO 0BGLI IDIOMI, ECC. 

r indole ed i rapporti dei nazionali dialelli. Per buona ventura 
lo studio comparativo delle lingue, sorto e sviluppato ai di no- 
stri, ha finalmenie rivelato la moltiplice importanza di qaesli 
studii y e ci giova sperare , che non tarderemo ad averne una 
compiuta illustrazione, a schiarimento, ed in prova delle origini, 
cosi della lingua, come delF italica famiglia^ 



vili. 



POEMETTO INEDITO 

DI 

PIETRO DA BARSEGAPÈ. 



13 



PREFAZIONE 



La somma importanza dello studio sugli antichi mo- 
numenti di nostra* lingua neir astrusa ricerca delle ri- 
mote orìgini della medésima, fu^ da noi bastevolmente 
avvertita nella precedente dissertazione Sulle lingua 
romanze^ ove per la prima volta abbiamo publicato per 
intero Tinteressante poemetto dì Fra Buonvicino, scritto 
intomo alla metà del sècolo Xlll. Fra gli incunàbuli 
della volgare letteratura in Lombardia peraltro ha di- 
ritto al primo posto, per la maggiore sua mole, per *rim- 
portanza deir argomento e pel modo col quale dalP au- 
tore fu svolto, il celebrato Poemetto di Pietro da Bescapè 
contemporàneo del Buonvìcino medesimo. Lo abbiam 
detto celebre^ perchè menzionato più volte dagli scrit- 
tori che imprèsero a svòlgere gli annali delFitàliche lèt- 
tere, sulPautorità forse delF Argelati , che nel I Tomo, 
Parte U della Bibliotheca scriptorum mediolanensium 
ne porse un àrido cenno. Ciò non pertanto esso non è 
meno inèdito , né meno ignoto al mondo letterario che 
ne parla come di cosa che esiste , ma che non conosce. 
Esso infatti esiste in ùnico esemplare manuscritto in per- 



496 POEMETTO INEDITO 

gamena nella preziosa Biblioteca Archintea, ove ci fu 
concesso dal benemèrito possessore di trarne copia fe- 
dele, allo scopo di renderlo finalmente di pùblica ra- 
gione. Nessuna parte ne comparve sinora alla luce, ove 
si eccettuino pochi versi deirintrodùzione, ed alcuni di- 
stici posti in fine del còdjce, prodotti in Saggio dalFAr- 
gelati a corredo della mentovata notizia. Ivi latinizzando 
giusta Tuso dei tempi il nome delF autore, lo designa 
Petrus a Basilica Petri^ denominazione constatata forse 
da antiche pergamene che fanno ripetuta menzione del- 
r antichissima e nobilissima famiglia a Basilica Petrij 
alla quale per avventura Fautore del poemetto apparte- 
neva. Questi peraltro si designa nel componimento col 
nome: Petro de Barsegapèj che traccerebbe il primo 
passo alla storpiatura successiva di Bescapè, 

Ili questo poemetto , come apertamente dichiara nel- 
r Introduzione, il poeta si propone di tracciare un\islò- 
ria delPÀntico e del Nuovo Testamento, ed a ma^iore 
chiarezza, dopo di aver invocato Tajuto del Dio uno e 
trino , onde lo inspiri e K> Vegga , enumera i sommi 
capi che imprende a trattare, e che in sèguito viene con 
mirabìl ordine svolgendo, quali sono: » 

Como Deo à fato lo mondo ; 

E corno de terra fó lo homo formo ; 

Cum'el descendè de Gel in terra, 

In la Vergine regal polpetta; 

E cum' el sostene passìon 

Per nostra grande salvation; 

E cum vera al di de Tira, 

Là o'serà la grande roina; 

Al peccatore darà grame?a; 

Lo juslo avrà grande alegrega. 

Ed in fatti, sulle traccie della Bibbia, procede quindi 
a descrìvere la creazione delP universo , quella dei prò- 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 497 

genitori delF umana famiglia , e il loro primo errore e 
le funeste conseguenze. Quivi s' arresta a dipingere la 
lottfi dell'anima colle passioni corporee, e svolge per òr- 
dine i sette vizj capitali , la superbia , la gola , la lussùria, 
r avarizia, Tira, T accidia e la vanagloria. 

Descritti per tal modo i precipui mali che derivarono 
air umanità dal peccato originale , si rivolge pieno di 
conforto alla storia circostanziata del divino riscatto. 
L^annunciazione della Vèrgine, la sua vìsita ad Elisabetta, 
r apparizione dell'Angelo a Giuseppe, il viaggio a Bet- 
lemme, la nàscita di Cristo, l'adorazione dei pastori e 
dei Magi, la presentazione al tempio, la fuga in Egitto, ed 
il ritorno in Nazareth dopo la strage degli Innocenti, vi 
sono svolti per órdine, e con un candore singolare. Pro- 
cede quindi a descrìvere la vita, la passione e la morte 
di G. G., adornando il racconto con una serie di anèddoti 
ed episodj, che, se non nuovi, perchè sparsi nei sacri 
Còdicfi , tornano almeno strani pel modo ingènuo col 
quale. sono esposti. 

Dopo alcune pie riflessioni sull'Agnello immolato e sul- 
1' empietà de' suoi carnéfici, s'arresta descrivendo lo spà- 
simo della Vèrgine e. celebrando la pietà delle Marie, 
di Giovanni , di Giuseppe d'Arimatea e di Nicodemo , 
dopo di che passa a raccontare la discesa all'inferno, la 
risurrezione ed ascensione al cielo , e le successive appa- 
rizioni del Redentore agli Apòstoli. Gonchiude dimo- 
strando, come la dispersione e le predicazioni di questi, 
le persecuzioni degli infedeli, e l'eròica fermezza dei 
Màrtiri , compiessero l' òpera divina , gettando ovunque 
le fondamenta imperiture della Chiesa di Cristo. 

Compiuto per tal modo il pio racconto, l'autore si fa 
a dichiarare , che vuol ancora far conóscere , come iddio 
sarà per rrtornare l'estremo giorno a giudicare i vivi ed 
i morti ; e si studia di tracciare un quadro commovente 



498 POEMETTO INEDITO 

deir universale giudizio , dal quale trae argomento per 
esortare i suoi uditori alla preghiera ed a calcare il sen- 
tiero della virtù. 

Dai contesto delF intero componimento appare eviden- 
te, come il Bescapè si proponesse di svòlgere per órdine 
la paràfrasi dei sommi capi del Sìmbolo degli Jpòstoli, 
che appunto incomincia col professare Iddio creatore del 
Cielo e della terra^ e finisce rappresentandolo giùdice ine- 
soràbile deir umana famiglia; e ne deriva ancora un forte 
criterio per poter concbiùdere con fondamento , che lo 
stesso autore appartenne a qualche Ordine religioso o 
monastico , i soli depositarli a quel tempo delle scarse 
dottrine scientifiche e letterarie. E scarse davvero pos- 
siamo asserirle al tempo del Bescapè , se ne misuriamo 
Faltezza dal suo componimento , affatto privo di originali 
concetti , di pensieri elevati , di osservazioni filosofiche o 
di poètiche grazie. Bensì dobbiamo notarvi un' ordine 
miràbile nella condotta^ molta chiarezza nelle espressioni, 
per quanto era conciliàbile con una lingua priva ancora 
di règole fisse, e molta diligenza ed esattezza, che pos- 
siam dire monastica , nella parte descrittiva. 

Quanto alla prosodia, e piuttosto alla misura del verso, 
a dire il vero non vi abbiamo riscontrata norma costante, 
mentre, senza parlare degli accenti che non seguono ve- 
runa legge, anche il nùmero delle sìllabe vi è indetermi- 
nato e varia in ogni linea, che perciò non osiamo chiamar 
verso. Per tal modo con tutta ragione potrèbbesi risguar- 
dare r intero componimento come una prosa rimata, seb- 
bene anche le rime bene spesso siano sbagliate , e pòr- 
gano appena talvolta lontane assonanze, quali sono per 
esempio : resplendente e sempre, mondo e formo, terra 
e polzella^ ira e rovina, ed allretali. Con tutto ciò bene 
osservando lo sforzo, che talvolta appare manifesto, dei- 
Fautore, per conseguire una determinata misura ne^suoi 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. i99 

versi , e prendendo norma da quelli ne^ quali pure riuseì, 
possiamo stabilire , che tutto il poemetto consta di dìstici 
rimati , ora in versi alessandrini , che più tardi furono 
detti martelliamo attribuendone erroneamente T introdu- 
zione a Pier Jacopo Martelli , ed ora in ottonarj. Ma ben 
più spesso , devo ripèterlo , non vi si riscontra misura 
veruna. Taluno potrebbe per avventura riconóscere qua 
e là alternato dàìV autore il verso ipermetro , o dodeca- 
sìllabo, che si è attribuito ai primi poeti italiani, in ispe- 
eie a Dante da Majano , e col quale Alessandro de^ Pazzi 
scrisse unMntera tragedia; ma ben più verisimile spiega- 
zione deir incerta misura ci poi^e rimperizi^delFautore, 
e più ancora T ignoranza e la negligenza del copista, al 
quale dèvonsi sopratutto attribuire alquante omroissioni 
ed aggiunte , che alterarono così la misura del verso , 
come la rima, e talvolta ancora violarono le leggi della 
sintassi, rendendo oscura la frase, o zoppo il perìodo. 

La lingua*, come ho avvertito, si è Fincòndita favella 
parlata allora in Lombardia, sebbene modificata e forzata 
alle forme della latina già da lungo tempo negletta e meno 
intesa, alla quale per conseguenza si tentava sostituirla, 
come lingua scritta. Egli è vero bensì , che al tempo dei 
Bescapè avèano i Siciliani preso ad illustrare con poètici 
componimenti il proprio dialetto , fra i quali emèrsero 
Giulio d'Alcamo , Pier delle Vigne, Federico II, Enzo e 
Manfredo, Guido dalle Colonne, Jacopo da Lentino, Ar- 
rigo Testa , Ranieri da Palermo , Stefano da Messina , 
Guarzolo dia Taranto ; così pure i Toscani Cavalcanti , 
Folcacchieri , Brunetto Latini , Guitton d'Arezzo , Fa- 
bruzzo da Perugia , Jacopone da Todi ventano raddriz- 
zando il proprio, ond'èbbeix) imitatori anche nelF Emilia, 
in Semprebene, Bernardo, Gtiido Guinicellied Onesto 
da Bologna , Tommaso ed Ugolino Bùcciola da Faenza , 
Riccobaldo da Ravenna ed altri; ma gli sforai di que' 



2Ò0 POEMETTOONEDITO 

primi ordinatori delF itàlico idioma èrano ristretti nella 
cerchia delle rispettive provincie , né V influenza loro avea 
per anco varcate le rive del Po ; ond' è che gli scrittori 
vèneti , lombardi e pedemontani itiossi da pari necessita 
tentarono alla lor volta di dar forma ai dialetti rispettivi, 
senza dipèndere dai lavori simultànei e malnoti delle altre 
Provincie. Di qui appunto ebbero orìgine le varie favelle 
fra gli scrittori del XIII sècolo, e di qui ancora nel suc- 
cessivo le giuste querele delFÀIighieri , che vedendo per 
tal mode rinnovarsi in Italia la confusione di Babele, si 
accinse alla santa impresa di collegare tutta la patria 
grande con una sola lingua , chiamando a tributo tutti i 
dialetti itàlici , ed escludendo i privilegi municipali , fonti 
perenni di letali discordie. Considerato quindi sotto Tas- 
petto della lingua, sebbene appartenga a quella serie di 
componimenti plebei che il sacro fuoco del Dante fulmi- 
nava, il poemetto del Bescapè torna oltremodo prezioso al 
filòlogo, e come documento della pluralità di lingue che 
nel sècolo XIII si venivano sviluppando, e qual monu- 
mento della lingua parlata sei sècoli or sonò in Lombar- 
dia, e come specchio della cultura degli avi nostri a queP 
tempo. Pel primo riguardo, esso coUègasi alla storia delle 
origini di nostra lingua ; pel. secondo , a quella dei dia- 
letti lombardi, comprovandone la remota antichità; pel 
terzo finalmente , alla storia del nostro incivilimento. 

Allo scopo appunto di chiarirne l'importanza in questo 
triplice aspetto, mi accinsi all'ardua impresa di publicarlo 
per intero trascrivendolo fedelmente dal citato Còdice ar- 
chintèo , e corredandolo d' una serie di note filològiche, 
le quali mentre dalF una parte chiariranno la significa- 
zione dei vocàboli e dei modi meno ovvii e men cono- 
sciuti , dair altra varranno a tracciare le molte ùtili ap- 
plicazioni di si fatti monumenti agli studj stòrici e lin- 
guistici. Fra le molte rivelazioni che emèrgono spontànee 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. SOI 

dalla sémplice ispezione di questo poemetto , non ùltima 
si è quella che ci rappresenta un ravvicinamento alle 
forme del linguaggio vèneto di quel tempo, ciò che pro- 
verebbe , che la lingua volgare , prima ancora che in 
Lombardia, cominciò ad essere scritta nelle provincìe vè- 
nete , sotto gli auspicj deir indipendenza republicana. 
Questa influenza traspare ad ogni passo e dalla scelta 
delie voci , alcune delle quali sono simili alle vènete , e 
dalle flessioni, sopràtutto dalle terminazioni, e dalle ma- 
niere del dire; ond'è, che sebbene il racconto del Bescapè 
serbi chiaramente improntati i caràtteri della propria t>ri- 
gine lombarda, pure una certa tinta generale lo assimila 
ai componimenti contemporànei vèneti, come puòssi age- 
volmente riconóscere confrontandolo col Lamento della 
sposa padovana per la partenza del marito alle Cro- 
ciate ^ già publicato dal Brunacci (0 e da me riprodotto 
nella precedente mentovata dissertazione. 

Quanto alla norma da me seguita nella trascrizione del 
Còdice, devo dichiarare , che mia prima e sola cura si fu 
quella di pòrgerlo agli studiosi fedelmente integro e ge- 
nuino , giacché il solo scopo che m^ indusse a publicarlo 
si è quello di pòrgere, nuovi fatti agli studiosi, e non già 
di far prevalere le mie opinioni. Perciò ho ancora serbata 
intatta Fortografìa dell'amanuense, per non alterare punto 
la forma delle voci, né recare inipaccio alla giusta inter- 
pretazione della primitiva loro pronunzia. Bensì, siccome 
non si trattava di dare un fac^simile del Còdice , ma di 
pòrgerne il contenuto, cosi mi sono permesso di aggiùn- 
gervi i punti e le virgole che mancano nel Còdice stesso, 
e che sono indispensàbili a ben intènderlo , màssime trat- 



(1) Lezione d" ingresso nell'Accademia de* Ricof?eraU di Padova , 
del signor Giovanni Brunacci, ove si tratta delle antiche origini della 
lingua volgare de' Padovani e d' Italia. Venezia, 1759, in^." 



aOS POEMETTO INEDITO 

tàndosi di una lingua ìncòndita, nella quale le leggi gra- j 
maticali sovente violate e la malfertna sintassi non pos- 
sono valere di guida. Per la stessa ragione ho creduto 
opportuno apporre le apòstrofi e gli accenti che mancano 
affatto neir originale ^ ogni qualvolta questi mi parvero 
necessaij o almeno ùtili a tògliere le ambiguità, ed a chia- 
rire la mente dello scrittore , ciò che non reca alterazione 
veruna alla forma delle voci. Così p. e. ho apposta F apò- 
strofe alla o' quando significa ore^ per distinguerla dalla 
disgiuntiva ; ed ho apposto Taccento alia voce comenfày 
quando esprime 1- infinito del verbo incominciare^ per 
distinguerla dalla voce comenfa^ terza persona singolare 
deir indicativo presente dello stesso verbo, ciò che P im- 
perizia o la negligenza del copista non avverti di fare , 
con grave danno della chiarezza. £ poiché questa impe- 
rizia , o negligenza del copista si manifesta sovente , ora 
staccando le sillabe d^una sìngola voce, ora congiungendo 
due voci distinte e separate , ora ommettendo qualche 
lèttera o qualche sillaba in vocàboli che, riprodotti altrove, 
vi sono giustamente espressi , cosi ogniqualvolta ho po- 
tuto constatare V errore o V ommissione , vi ho apposto 
r opportuno rimedio , nella certezza di non avere punto 
alterato arbitrariamente le forme della dizione. 

Per tal modo ho fiducia d'aver reso chiaro ed accessi- 
bile a tutti un manoscritto non molto facile a decifrare. 
Che se talvolta (ciò che avvenne di rado) ebbi a rinvenir 
qualche voce ambigua od oscura , sia per V incertezza 
dello scritto , sia per la stranezza della forma , anziché 
avventurarne una spiegazione congetturale , preferii tra- 
scriverla tal quale si trova nel Còdice, lasciando agli stu- 
diosi la cura d' interpretarla. 

A norma impertanto di quelli che rivolgeranno i loro 
studj a questo patrio monumento, poiché vi ho conser- 
vato i segni ortogràfici convenzionali delF originale, debbo 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 203 

avvertire , che' la a: vi è adoperata ad esprimere il suono 
dolce della s^ come nelle voci italiane riso^ hiswo; che la 
e vi esprime il suono duro della Zy come nelle voci «o- 
stanzUy allegrezza; che la k vi serba il pr.oprio suono 
duro, e vi tien luogo delle eh in italiano; e la lèttera h 
non vi rappresenta alcun suono, ma vi è posta ad imita- 
zione delle corrispondenti voci latine, come homo^ herba 
e simili. Basteranno, spero, questi pochi cenni ad agevo- 
larne la lettura ed a precisarne la pronunzia , mentre a 
rischiararne il significato varranno le annotazioni che 
accompagnano il testo medésimo. 



No è cosa in sto mundo^ tal è là mia* credenza, 
Ki se possa fenire*, se la no.se comen^a. 
• Petro de barsegapè si voi acomen^are, 
E per raxon fenire^ segondo k'el gè pare. 
Ora omiunca ^^^ homo intenda e stia pur in pax (^) 
Sed kel ne gè plaxe audire d^un bello sermon verax(^); 

(i) Omiunca. Voce composta di omnisunqtuimj che significa ogni. 
L'aggiunto unquam impiegato a dar maggior valore alla voce^ alla 
quale è suffisso^ pare che «anticamente fosse applicato a molte voci 
andate fuor d'uso. Se ne serba la traccia in poche supèrstiti^ come: 
chiunque j qu>alunqile^ comunque. In molte voci per altro nel vòl- 
gere del tempo si preferi sostituire T equivalente italiana mat, 
dicendosi : ormaij oggimai^ sempremai^ e simili. 

(2) Questo verso propriamente esprime : Ora ognuno presti at- 
tenzione e stia cheto. Ove si scorge^ che intenga non aveva ai 
tempi del Bescapè il significato più comune e più ovvio oggidì di 
capire; ma bensì il suo vero e primitivo significato di tèndere la 
mente^ o , ciò che torna lo stesso , fare attenzione. Si avverta poi 
come la g venga sostituita alla d^ ciò che in sèguito si ripete in 
parecchie voci Y come vecudo fer veduto ^ creguo per creduto j e 
simili^ e ci porge un sicuro criterio per dedurne il modo col quale 
erano allora quelle voci pronunziate. 

(5) In questo verso il copista^ che si manifesta del continuo ignaro 
e negligente ^ ha lasciato sfuggire dalla penna alcune lèttere che 
imbrogliano il senso. Dalle osservazioni fatte nello studio dell'intero 
poemetto^ credo che dèbbasi con ragione ristaurare nel modo se- 
guente: Sed el gè plaxe audire d'un bel scnwow perox, vale a dire : 



206 POEMETTO INEDITO 

Cumtare eo ^*' se volio e trare per raxon (^\ 
Una istoria veraxe de libri e de sermon, 



Se gli piace udire un bel serinone Veritiero. La voce sed per se tro- 
vasi qui usata solo allora che il poeta vuole ovviare la elicone colla 
vocale seguente^ mentre scrive sempre se^ quando segue una conso- 
nante. Cosi vedremo in sèguito la congiunzione che o ke mutarsi in 
ked ogniqualvolta è sanità da vocale '; di modo che la d non ha qui 
alcun valore^ tranne quello d'impedire Telisione; cosi appunto i 
poeti moderni cangiano allo ste3S0 fine la particella tiè in ned 
quando è seguita da vocale. Questa osservazione ci prova^ quanto 
addietro risalga l'uso della d a tale ufficio. • 

El gè pkixe per gli piace è maniera pretta lombarda^ dicendosi 
tutt'ora : el ghe pias. Avvertasi, c^ie la buona ragione c'insegna a 
considerare come duro il suono della g nejla voce gè che significa 
gli; i.'' perchè nel sècolo xiii l'ortografia italiana non ave^a ancora 
verun segno convenzionale per esprimere quel suono colle vocali e 
ed i, giacché Tintroduzione della lèttera A a tal fine frapposta tra le 
c^ g eie vocali in che, chi^ ghe^ ghi, pare che non venisse general- 
mente sanzionata se non versola metà del sècolo xiv. Solo ad espri- 
mere il suono duro della c^ come consta dal nostro còdice e da iiìtli 
i contemporànei, facèvasi uso del k, scrivendo ke^ ki^ e talvolta 
ancora delle gtij scrivendo que, qui, H qual ùltimo modo, già intro- 
dotto dai Provenzali, si è conservato nelle moderne ortografie francese 
e castigliana. 2.^ Perchè tutti i dialetti dell'alta Italia pronunziano 
durala voce ghe, e la tradizione e le vecchie carte ci attestano, che 
la pronunziarono sempre allo stesso modo. Quanto poi alla forma 
plaxej piace, ossia alla permutazione della i in f^ che vedremo ri- 
pètersi costantemente in pari circostanze , si è puro effetto della 
naturale tendenza, a quel tempo generalizzata presso tifiti gli scrit- 
tori italiani ed occitànici, di serbare, per quanto si poteva, le prime 
forme delle radici latine. 

{{) £o per io, manifesta contrazione dell'egro latino. Talvolta, ed 
ispecie negli scritti del Buonvicino, trovasi eio, dal quale più 
presto derivò l'italiano io. 

(^) Trare per raxon è fraae più vplte ripetuta nel corso del poe- 



DI PIETttO DA BARSEGAPÉ. 207 

In la qua! se contèn guangii (*) e anche pistore ^^^ 
E del novo e del vectre (^) testamento de Crìste. 

Alto Ueo patre segnior, 
Da a mi forija e valor; 
Patre Deo segnior veraxe, 
Mandìme la toa paxe; 
Jesu Cristo filiol de gloria, 
Da a mi seno e memoria, 
Intendimento e cognoscan^ 
In tuta grande lialtanca ^^>, 
Si me adrica in quella via 
Ke pla^a a tbà grande segnioria. 
Spirito sancto, de toa bontà 
Eo ne sia sempre inluminao; 
Inluminao e resplendente 
Del tò (^) amore sì sia sempre. 

metto^ onde esprimere! dUporre per órdine giusta ii deUalo della 
sana ragicne. 

(1) Guangii j per Fimgeli; coiruziooe frequente nei dialetti lom- 
bardi che sovente permutano va^ ve in gua, gue^ ed inversamen- 
te^ come: varda per gwtrda. Cosi pure la terminanone plorale in 
it Ifévasi rq^elttta in parecchi nomi lombardi. 

(^) Pi%^or9j per epistole i altra corrazione propria del dialetto 
lombardo I) che pèrmuta sovente la / in r^ ed iaversamente. 

(3) Fectre^ per vecchio, dalla radice latina vetuSj veteris, alla 
quale Tautore lenta aocoetarsi. Nel corso peraltro del poemetto 
fti uso costante della parola i>egiOj cormsione di vecchio ^ che tut- 
t'ora ii pòpolo milanese pronumia vecc^ e vegia pel femminile. 

(4) LiaUanfa, per lealtà, sincerità. Questa desinensa è comune 
a tutti gli scrittori volgari contemporànei che l'attinsero dai Tro- 
vatori occitànici. 

(5) Tòj f^ ttéo, è manim^a lombarda usata anche. a' di nostri. 
Cosi in sèguito ve(ta*emo la forma lombarda odierna in tutti i prò- 



£08 POEMETTO INEDITO 

< . E clamo (^) marce al me (^) segniore 
Pàtre Deo creatore , 
Ke possa dire sermon divìù, 
E comen^à ^^) e trare a fin , 
Como Deo à fato lo mondo, . 
E comò, de terra fò lo homo formo (*' ; 
Cam el descendé (^) de cel in terra 
In la vergene regal polgeìla; 
E cum el sostene passion 
Per nostra grande salvation; 
E cum vera al dì de Fira^ 
Là o^ sera la grande roina; 
Al peccatore darà grame^ ^*) , 

nomi possessivi mè^ tò^ sò^ per miOj tuo^ stio^ come pure mia^ ioa^ 
sottj pei rispettivi femminili. 

(i) Clamo j per chiamo^ ad imitazione della corrispondente ra- 
dice latina e provenzale. ^ 

(2) Mi^ per mio, come si è avvertito di sopra. 

(3) Cùmencà, per incominciare; maniera pròpria del dialetto 
milanese, che suole sopprimere la sìllaba finale re in tutti i modi 
indefiniti nei verbi dì prima conjugazione. 

(K) Formo, per /ormato. Licenza poètica, onde aver forse almeno 
qualche assonanza con mondo. D'ordinario peraltro questi parti-* 
cipj dei verbi di prima conjugazione hanno la terminazione ào, 
propria del dialetto vèneto antico e moderno, come ; andAo, dào, 
mostrào, per andato, dato, mostrato. 

(8) Descendé; per discese. È da notarsi la fonna regolare ser- 
bata nella flessione di questo verbo, che è conforme alla latina 
descendit, e ci prova, come la irregolarità nd passato perfetto e 
nel participio, cosi di questo, come di parecchi altri verbi, ve- 
nisse introdotta posteriormente. Ne vedremo in sèguito molli 
esempi . 

(A) Grame^a, per tristezza. Radice itàlica antica andata fuor di 
uso, sebbene sopraviva l'aggettivo gramo e l'astratto gramaglia. 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 209 

Lo tasto avrà grande alegre^a. 
Ben è raxon ke l^omo intenda 
De ke traila sta legenda. 
L^ altissimo Deo creatore 
De tuti ben comen^dore 
Plaque a lui in comen^amento (^^ 
Lo cel e la terra el creò, 
La luxe resplendente a far dignò; 
Lo sol, la luna e le stelle, 
Lo mare, e lì pissi, e li ol^elli <^) 
Aer, e fogo, el firmamento, 
Bestie tute e li serpente. 
Partì la lux da tenebria (^); 
Parti la nocte da la dia W; 
Et alla terra de bailia (^) 

(1) Quivi appare manifesto, che il copista dimenticò di trascri- 
vere un verso che compieva la proposizione rimasta perciò sospe- 
sa, e che formava il dìstico rimato in ento, 

(2) Oìgelli per wcce/K. 

(5) Divise la luce dalle tenebre. Il verbo partire è quivi adope«- 
rato dall'Autore nel primo significato suo proprio; cioè nel senso 
di separare^ o divìdere ; né mai in séguito viene adoperato ad 
esprìmere il passaggio da uno ad altro luogo lontano, che è un 
significato traslato e remoto introdotto posteriormente, esprimendo 
re£fetto per la causa; giacché l'uomo andando lontano si separa 
dal luogo primo e dagli oggetti che vi si trovano. 

(4) Divise la notte dal. giorno, È da notarsi il nome la dia di 
gènere femminile, ciò che potrebbe considerarsi come derivato 
dal latino, ove dies è più sovente adoperato dagli scrittori come 
femminile ; ma quando si rifletta , che lo stesso nome, e pochi 
versi prima e nel corso del poemetto, è adoperato dairAutore in 
gènere maschile, appaile manifesto, che quivi deviò dalla règola 
solo per servire alla rima. 

(5) Bailia, Antica radice italiana estranea alla lingua latina^ che 

44 



210 POEMETTO INEDITO 

Potestà et segnoria. 
De lè (*) nasce lo alimento , 
Herbe e lenie W e formento, 
Biave e somen^a d^onna gran ^^\ 
Arbori e fruite d^omiunca man (^K 
E vide Deo e si pensare < 
Ke tuto tjuesto par ben stare. 
Possa W de terra formò Forno, 

vale pieno ed assoluto potere j e che Tautore traduce nel verso seguente 
in potestà e signorìa. Con qualche modificazione nel significato e 
neiruso perdura ancora in nostra lingua nella voce balia, È noto, 
come sino da' suoi primordj la vèneta repùblica desse il titolo di 
Bailo al magistrato al quale coi pieni poteri affidava il governo 
delle lontane provincie ^ ciò che prova come più esattamente^ an- 
ziché balìa y dir si dovrebbe bailìa, 

(1) De lè, voce lombarda tutt'ora usata per esprimere da lei, 

(2) Lenie, per legne, femminile plurale. Il lombardo adopera 
questo nome anche al singolare^ la legna, che manifestamente de- 
riva d^l latino plurale neutro Ugna, 

(5) Biade e sementi d'ogni grano. Qui si ripete a mo' del latino 
e' del provenzale la permutazione della t in l, nella voce biave; e 
ciò che pib importa ^ della d in p; attestandoci^ che sei sècoli in- 
nanzi il Milanese proferiva come oggidì biava per biada, come 
pure somenza per semente, 

(*) Alberi e frutta d'ogni specie, È invero meritévole d'osserva- 
zione^ come l'anomalia esistente nella declinazione del nome frut- 
to, cosi in italiano^ come nel dialetto odierno milanese (ove es- 
sendo maschile nel singolare, diviene fenuniniie nel plurale, di- 
cendo: le frutta, la firuta), si rinvenga ancora ai tempi del Be- 
scapé, giacché la voce fruite al plurale è indubiamente di forma 
femminile. Ciò prova ancora meglio la tenacità dei dialetti nel ser- 
bare le pimitive loro forme. 

{^) Possa, per poscM. Questa voce, come si vedrà in sèguito, è 
resa dall'autore in varia forma, cioè: pò, pos, pox, poxe, ed è 
una manifesta derìvazicme dalla latina post. 



DI PIETRO Di BARSEGAPÉ. StH 

Et Adam gè mette (^) nome; 
Si li dà una compagna; 
Per la soa nóme (^) Eva se clama; 
Femena feda d^una costa, 
La qual a V omo era posta. 
De cinque sem el gè spiròe ^^\ 
In paradiso ì alogò. 
El g^è d^ugni fructo d^arborxello 
Dolce e delectevele e bello: 
Tal rende vita san^a dolore, 
E tal morte con grande tremore. 
In questo logo i a ponù (^) 
Segond(T^^) quel ki g'è plaxù. 
Ouatro fiumi, <jo me viso W, 

(1) Mette j per mise. Come ho già osservalo alla voce descendé^ 
il Bescapè serba intatte le radicali dei verbi in tutti i tempi pas- 
sati e tei participj , evitando le anomalìe già^ sanzionate dall' uso 
e dalla gramàtica italiana. 

(9) Avvertasi, come la voce nome sia qui di gènere femminile, 
mentre in latino è neutro , e negli odierni dialetti maschile. Que- 
sta permutazione del gènere , ove si ripeta sovente , è chiaro in- 
dizio della sovraposizione d'una lingua ad altra di natura diversa. 

(3) Nel còdice da me esaminato sta chiaramente sòritto : De 
cinque sem el gè spiroe; siccome peraltro la voce sem è d'ignota 
significazione, cosi pare che debba annoverarsi fra i molti errori 
del copista, e lèggersi piuttosto sensi^ nel qual caso significhereb- 
be: e gli inspirò i einqne sensi^ cioè l'alito della vita, ciò che 
pienamente concorderebbe col racconto biblico. 

(4) Ponùj per po^i, serbando al sòlito la radicale di pónere, 

(5) SegondOj in luogo di secondo^» ove si scorge la permutazione 
della e in gr, come accade tuttavia nel vivente dialetto milanese. 

(6) Ancora oggidì il pòpolo milanese, e sopratutto quello della 
campagna, dice: el me dtVts^ oppure el me duvis^ per esprimere: 
mi pare^ mi sembra ^ o, dò che toma lo stesso: mi è (T avviso. 
Allo stesso modo anche i Provenzali dicono appunto: m'es d*am. 



212 POEMETTO INEDITO 

En (*) in quésto paradiso; 
Lo priraer a nome Physon; 
Lo segondo à nome Geon; 
Tigris fi giamao W lo tertio ; 
Lo quarto a nome Eufrates. 
Questo logo veraxè mente <') 
\jO piantò al comen^amento. 
In lo qual Deo segniore 
Adam è facto guardaorè '*). 

(1) Oltremodo importante è questa voce én per significare sonOj 
terza persona plurale del presente indicativo del verbo èssere ^ 
dappoiché essa ci attesta la tenacità dei dialetti nel serbare le 
prime radici. È noto ^ come in origine il presente indicativo del 
latino esse^ serbando la radicale eSj fosse esum^ esj est^ esumus, 
estisj esunt^ delle quali voci le due prime persone e la terza plu- 
rale sin dai tempi della romana repùblica avean perdita la radi- 
cale e; essa per altro perdurò nel dialetto nella terza persona 
plurale , ove in quella vece fu contratta la flessione caratteristicd. 
Per tal modo in luogo della strana anomalìa per la quale la terza 
persona è del singolare in italiano si trasforma in ^ono nel plu- 
rale ^ si ebbe nel dialetto la forma regolare én^ ove la caratteri- 
stica n disitingue il plurale dal singolare^ come nei verbi normali. 

Ed è pure a notarsi^ come la stessa forma perdurasse nel dia- 
letto milanese sino ai di nostri con lieve modificazione^ dicendosi 
tutt'ora in per sano, 

(2) Anche in questa voce si ripete la permutazione della e ingj 
dicendosi tuttora ciamà per chiamato. Ha sopra tutto dèvesi no- 
tare la desinenza ào data costantemente ai partioipj dei verbi di 
prima conjugazione ^ la quale è esclusivamente propria del vèneto 
dialetto. 

(3) La formazione degli avverbj italiani terminati in mente ap- 
pare manifesta dal còdice Bescapè, ove sono sempre separate le 
due voci che li compóngono, mostrando cosi la loro derivazione 
dall'ablativo assoluto latino mente preceduto da qualche aggettivo. 

(4) Guardaorè per guardiano, custode. 



DI PIGTBO DA BARSEGAPÈ. 213 

Sì ii fa comandamento , 
De le fruite k'è là dentro 
Uè ^ascun possa mangiare; 
tfn gè n^è k^ei laga (^) stare; 
E l'è un fruito savoroso, 
Dolce e bello e delectoso, 
Da cognoscer e ben e '1 mal; 
Per^ò li ào vectao de man^à (^). 
Si li dixe perme^o lo viso (^) 
Li aloga (^) in lo paradiso: 
Qual. uaca di tu mangirae, 
Tu a morte morire (*), 
Tute le cose vivente 
D'avanzo Adam li im presente W 
Serpente, oycto 90 k'el criò (^) 

(i) Fé n'ha uno eh* egli deve lasciare. Qui troviamo Ioga per 
la$cii' così appunto come ancor s'usa in alcuni luogbi dell'agro 
milanese. 

(2) Perciò gli ha vietato di mangiare. Quivi, oltre alla forma 
vèneta nella flessione del participio vectao ^ è da notarsi la desi- 
nenza tronca dell' infinito mancai propria del vivente dialeUo 
milanese. 

(5) Gli dice permessa la vista, S* intende del frutto proibito. 
(4) Lì aloga significa ivi; aloga pare derivato dal latino ad lo- 

cum, come pure l'altra voce di egual «ignificazlone e più volte 
ripetuta nel corso del poemetto VcAt7o(|ia^ la quale indubiamente 
è una corruzione di Aie loci. Quest'ultima voce òdesi ancora so- 
vente nell'agro milanese. - 

(b) Si è questa la versione letterale del morte morieris della 
versione biblica latina, 

(6) D'inanzi ad Adamo^ ivi all' istante, 

'(7) La voce oycto in questo verso è cosi di forma strana, come 
d'ignota significazione. Anche questa peraltro sembra un'aberra- 
zione del copista, e in ogni caso significa: tiUtociò ch'egli creò. 



S4 4 POEMETTO INEDITO 

Ad Adam ii apresentò; 
K^el miti nomi com'i plaxe (^^; 
E quilli seran nomi veraxe. 
Adam mete nome ale cose 
Segondo quel ked el vose ^^^. 

Or sen partì Io creatore 

Si cum gè plaxe cum a segnìore (^\ 
Lo serpente qe (^) ad Eva 
Drita mente là o^ eV era (^^; 
PIen de venin n' era M serpente 
Tosegoso e remordente, 

(i) Che apponga i nomi come gli piace. Ella è forma puramente 
lombarda e caratteristica dell' odierno dialetto^ quella che inco- 
mincia un discorso od un perìodo colla congiunzione che^ la quale 
appunto perchè congiunzione^ richiede un membro precedente 
della proposizione. Cosi il Milanese odierno va dicendo^ ch'eldin 
on pò; ch'el vaga pur, per esprimere: dica un po'; f?ada pure; 
ove si vede che la voce che non fa l'uffizio di congionzione, o se 
vuoisi considerare come tàìe^ è d'uopo sott' intèndervi una pre- 
messa; del che non troviamo verun esempio, non solo nelle lin- 
gue latina ed italiana ; ma ancora in tutti gli altri dialetti della 
penisola. 

(i) Giusta dò ch'egli f?olle. In questo verso sì ripete l'inser- 
zione della lèttera d, onde ovviare la elisione della voce ke con ei • 

(5) Siccome piacque a Lui ch'era il Signore ^ 

(k) In tutto il corso di questo poemetto si trova ripetuto fé per 
ando^ la qual voce è indubiamente un derivato della radicale gire, 
antico verbo italiano, del quale solo alcune flessioni di alcani 
tempi ci rimangono ancora , essendo il maggior nùmero andato 
fuor d'uso. 

(tf) Direttamente colà ove eli' era. La voceo' per ove corrisponde 
alla u' dei nostri poeti moderni, non che alla où dei Francesi , le 
quali tutte sono una manifesta storpiatura deirtiM latino. 



DI MBnO DA BARSBGAPÉ. 345 

Si portò mala novella * 

Comen^mento de la guera. 

Dix quella figura soca e rea: 

Perquè no mangi, madona Eva, 

Del fruito bon del paradiso? 

E molto bello, co me viso'(^)! 

Eva dissi a lo serpente: 

De le fruite k^én ^a dentro ^^^ 

De tute mangiar possemo; 

Mo un gè n^è ke nu schivemo, 

Nu no Tosemo ca (^) mangiare, 

K^ el partisce lo ben dal male. 

Quel Segnor ke ne criò (*) 

Duramente nel comandò, 

Ke nu de quel no fesomo torto ('), 

Ke nu seravem (^) ambi morti. 

(1) Come ho già avvertito di sopra, ^ me viso è modo lombar- 
do^ che significa: fui sembra. 

(2) Delle frutta che sono qui dmfro. In questo verso dobbiamo 
notare tre voci di forma lombarda, e sono ; le firuite in gènere 
femminile, come tati' ora s'usa nei dialetto milanese, che nella voce 
la fruita abbraccia ogni specie di frutta mangereccie ; il verbo ih 
per sovùo^ che Fattuale milanese eq>rime con tn^ e corrisponde 
all'antica voce toscana etmo; e l'avverbio (ux tutt'cMra usato nell'a- 
gro e dal pòpolo milanese per esprìmere qui. 

(5) La voce ^ che d'ordinario significa qui ^ in questo luogo 
corrisponde all'italiana già, > 

(*) Ne criòj vale a dire ci creò. Ne per ci è proprio di tutti i 
dialetti dell'alta Italia. 

(5) Cosi sta scritto nel còdice, ove pare che il copista abbia 
alterata l'ultima voce ; giacché sebbene sia facile indovinarne il 
significato , questo non emerge dalla frase far torto. 

{(i)Nù^seravemy^er noi saremmOj è maniera esclusivamente pro- 
pria dèi dialetto veneziano. 



2i6 POEMETTO INEDITO 

Dìx to serpente a madona Eva : 
Or ne man^e |>en volentera (^); 
Vu seri W si comò Dee; 
Gognos<)erì lo bon^ el reo(^); 
Vu seri de Deo inguale (*>, 
Ke vu savrì el ben, el male. 
Eva si à crecuo (^) al serpente; 
Lo fructo prende e metel al dente ^^\ 
Pò ne de al compagntou 
Ke Adam Tapella nome (^). . 
Quando Tavén mandegao^?). 



(1) Ben {>ol€nt€ra è maniera pretta lombarda. 

(2) La terminazione tronca in i delle seconde persone plurali, 
che trovasi costantemente usata dal Bescapè è pure caratteristica 
di tutti ì dialetti dell'alta Italia. Cosi veggiamo nei versi succes- 
sivi : cognoscerì^ serì^ sa^ì per conoscerete ^ sarete j saprete j, ecc. 

(5) £1 reo 3 vale a dire: il malvagio, 

(4) Àncora oggidì l'uomo del pòpolo milanese dice inguai s in- 
guaia per eguale. 

(5) Oltre alla permutazione ddla d in e nella voee crecùo che 
significa creéutqj è ancora da notarsi la desinenza ùo propria del 
dialetto vèneto ^ e costante in tutti i participj della stessa conja- 
gazione. La stessa osservazione abbiamo fatto più sopra nei parti- 
cipi di prima conjugazione terminati in ào; di modo ehe pare non 
potersi dubitare della primitiva prevalenza del dialetto vèneto nelle 
forme della lingua scritta nell'alta Italia. 

(6) Metter al dente j per mangiare ^ è frase lombarda. 

(7) Qui dovrebbe dire : l'appella a nome. 

(8) Qtmndo l'ebbero mangiato. È costante in tutto questo poe- 
metto ia regolarità nella conjugazione dei verbi ^ mentre tutte 
le terze persone singolari divengono plurali col solo aumento di 
un'n finale; né mai v'ha luogo alcuna di qudle permutazioni 
nella sìllaba radicale, o di quelle svariate flessioni , che formano 
tante anomalie nei verbi italiani. Cosi appunto i^ mentre il verbo 



Di PIETRO DA BARSEGAPÉ. 247 

Zascàun se tea per inganao (^), 
E kiUi se vìdeno scrini'dhi Wj 
Vergoncià , grami e unidln (''. 
lili se vol^én intro le frasche ^^\ 

italiano avercj ba ebbe nella terza persona singolare del passato ^ 
ed ebbero nella terza plurale, presso il Bescapè serba la forma 
regolare ape pel singolare , apèn pel plurale. Similmente dare j 
che in italiano si trasforma in diede^ diedero^ nel nostro poemetto 
forma dèj dm; andare^ che nel singolare passato ha andò^ e nel 
plurale andarono^ nel poemetto invece ha andò^ andònj cosi gli 
altri : fó^ fin in luogo di fu^ fàronoj odìj odìn per udìj udirono j 
e così di sèguito , come verremo appuntando nel corso dell'opera. 

(i) Ciascuno si riconobbe ingannato. Qui si ripete la forma vè- 
neta del participio colla terminazione ào^ la quale, come vedremo 
in sèguito, talvolta si cangia in ado^ come: troipadOj mangiadOj 
comandado. Avvertasi per altro, che questa pure è propria di 
qualche dialetto vèneto, e propriamente del veronese, mentre i 
Lombardi la troncano, dicendo: mangiàj trom^ comanda^ e simili. 

(5) E quelli si videro scherniti. È strano nella voce scriifhidhij 
come pure nella successiva unidhi ed altri participj , come tro- 
vadhOj mang^iadhoj e simili, il vedere la lèttera h unita alla d^ 
ciò che dovrebbe èssere un segno convenzionale di particolare 
pronunzia a noi sconosciuto , non potendosi attribuire a negligenza 
del:copiàta, mentre è più volte ripetuta la stessa combinazione di 
lèttere in simOi voci. Può darsi, che per tal modo si volesse a 
quel tempo esprìmere un raddolcimento della dj come più tardi 
si espresise quello della t, colle th. 

(5) Svergognati^ tristi ed ignudi. il copista ha commesso un 
errore, scrivendo unidhi^ in luogo di inùdhi^ cornei pare dai versi 
seguenti, ove lèggesi sempre nudho per ignudo j o il poeta alterò 
ad arbitrio questa voce per servire alla rima. 

(4) Eglino si rax>vòlsera entro le foglie. Qui troviamo un esem- 
pio, comecché isolato,, pur e sufiGciente a provare, che Tuso della 
lèttera h a rèndere duro il suono della e era già introdotto ai 
tempi del Bescapè, sebbene prevalesse ancora quello del k; ne ab- 
biamo un altro esempio nella voce schipemo in una delle pàgine 
precedenti, e nelle parole ncftt, riche tra le seguenti. 



218 POniBTTO INEDITO 

Come fai lì ribaldi entro le $trace; 
De folle de figo, dixe la scriptura, 
Ke illi se fé^ (^) la covertiira. 
Pòs me^ dì (') vallando a lor 
UH odìn (3) la voxe del Segnior; 
UH s^ascondén intrambi du (^) 
De grande timore k^ illi àn abiù (^\ 
Quando U Segnor gè fò apresso 
Et elo clama li adesso : 
0^ etu W, Adam? dixe lo Segnior; 
Et el responde con grande tremore: 
E' odi, Meser, la toa voxe, 
De pagura ('^) me rescose ; 
In per quelo ki era nudho 
Si me sonto (^) asconduo. 

(1) Fénj per fecero^ giusta quanto ho osservato neHa annotazione 
(8) alla pag. «6. 

(2) Maniera lombarda ancora in uso ond*esprfanere dopo mezio 
giorno, 

(5) Odtn per udirono. Vèggasi la nota (8) a pag. M. 

(4) Eglino s*a8CÒsero entrambi. Qui troviamo nella voce s^astm- 
dén un nuovo esempio della costante regolarità nella conjugazione 
dei verbi , sebbene subissero alquante anomalie nella lingua ita- 
liana posteriore. 

(K) ^biù per avuto è voce tuttavia usata nel contado milanese. 

(6) O* età? Ove sei tu? Questa forma si accosta molto alla pro- 
venzale ed alla francese : où es-tu? 

(7) Ancor oggidì il Milanese pronunzia pag%xra per paura. 

(8) Reca invero sorpresa^ e nel tempo, stesso nuovo ai^omento 
a provare Tirresistibile tenacità colla quale i dialetti serbano le 
primitive loro forme ^ la voce sonto per io sono; mentre ancora 
dopo sei sècoli il Milanese conserva nella stessa voce la t finale 
che lo distingue da tutti gli altri dialetti^ dicendo: sonfandà,^ 
sono andato; aonV arivà^ per sono arrivato^ e simili. 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 949 

Dix lo Segnior: ki t'à mostrao 

Ki t^à quillo nudhe trovadho, 

Se no lo fructo ke tu è mangiadho? 

De Io qual t^ aveva comandadho 

Ke non mangiasi e tu mangiasi (*) , 

Gontra 1 meo dito <^) tu andasti. 

Adam casona la compagniesa (') , 

E dix: Meser, eia fó desa, 

La femena ke tu m^è dao 

Me de lo fructo, eo Pò mangiao. 

La femena caxona lo serpente 

Ke rompe W gè fé lo comandamento. 

Lo Segnior fé a lo serpente (^); 

El maledixe fortemente, 

Per fo kVà fato sta folia: 

Lo pegio tò andarà per la via (g), 

(1) Non v'ha dubio che qui dèbbasi lèggere mangiasti^ si per 
il senso, come per la rima, annoverando l'ommissione della t fra 
le innumerevoli negligenze del copista. 

(3) Dito per dettato j Ol precetto. 

(3) Adamo ne accagiona la compagna. É da notarsi la caratte- 
ristica essa per la formazione del femminile, che in italiano s'ap- 
plica solo ad alcuni nomi, come: poeta ^ profeta j abate ^ che nel 
femminile si cangiano in poetessa^ profetessa^ abadessa; ì quali con 
pochi altri formano piuttosto oggidì eccezione alla règola generale. 

(H^) La soppressione della sillaba re finale in tutti gli infiniti dei 
verbi è tuttavia un caràttere distintivo del dialetto milanese, che 
pronunzia andà^ credj romp^ finì; per andare^ crédere^ rompere^ 
finire. 

(8) È costante in tutto il poemetto la voce fé per andòy la quale 
senza dubio è una delle molte flessioni del verbo gire^ ire, andate 
fuor d'uso, come ho avvertito di sopra. 

(6) Il tuo petto striscierà per ^ra. È ancora proprio del dia- 
letto milanese il permutare le tt in è in alcuni nomi terminati in 



3S0 POEMETTO INEDITO 

Sempre mai ke tu sii vivo ^% 

La^terra sera to inimigo; 

Entre ti e dona Eva 

No sera mai pax ni tregua; 

Lo fiiio ked (^) bela avrà 

E li toi ki nascerà 

E^ge melerò ten^oil e guera, 

Fin kene sera suso la terra. 

Suso io co ìlli te daran ^)^ 

La testa toa illi la tufaran; 

UH guardarao li pei da te; 

Tu ior vorai grande mal per fé. 

Pò dixe lo Segnior a dona Eva 

Una menaca molte fera: 

Multiplicarò li toi erore, 

E t'aparturirè con grande dolore. 

Tu avra^ sempre de lo lupo grande pagura, 

Et elo sera tò segnior san^a rancura. 

etto^ come tettOj lettOj che pronunzia teòj lei. Pare quindi che que- 
st'uso nei tempi addietro fosse più esteso e forse generale, mentre 
ne abbiamo un esempio nella voce pegio per peltOy ed in altre che 
verremo successivamente indicando. 

(i) Finche viipraL La forma sempre mai nella quale V avverbio 
mai anzi che distrùggere aggiunge il màssimo valore al significato 
dì. sempre j è una forma esclusivamente itàlica, della quale non si 
trova traccia nella lingua latina. 

(SK) Oltre alla d eufònica aggiunta alla congiunzione che onde 
ovviare T elisione, qui troviamo ancora la vocale seguente prece- 
duta da hj forse a prevenire ancor più V elisione medésima ; ciò 
jche lascia supporre, che la lettera h valesse come segno di aspi- 
razione. 

(3) Co per capo, è voce propria del dialetto milanese ,. mentre 
smo per sopra è comune a tutti i .dialetti vèneti; di modo che 
suso lo cój forma una mistura di elementi eterogènei e dissonanti 
air orecchio del linguista. 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 221 

Or se vol^e inverso l'omo: 

Brega gè dà in questo mundo (0, 
Dixe: per co ke mi non obedistì, 
A toa moier ancoi credisti,' 
Maledhegia (^) la terra sia ! 
In la tua lavorar ia 
Zermo nascerà gar^on e spine ^^), 
E vivere a grande fadige (*); 
Lo pan avra^con grande sudore, 
In grande grame^a e in dolore, 
De chi (*^) a che to retornerà 
Da la terra unde V è crea (^). 

(i) £rega in luogo di briga, per cura, affanno; e quiadi questo 
verso esprime^ come il Creatore rivolto all'uomo, h condanna a 
mille cure in questo mondo. 

(2) Ho avvertito di sopra, come il Lombardo permuti talvolta 
le U in e nella terminazione etto; maledhegia per maledetta, è un 
nuovo esempio deirantichità ed (estensione di quest' uso. 

(5) Nella terra da te coltivata germoglieranno cardi e spine, 
È forma vèneta nascerà per nasceranno, mentre i dialetti vèneti 
non distìnguono il singolare dal plurale nella terza persona dei 
verbi ; e la voce gargon è lombarda , dicendosi ancor oggi in 
dialetto milanese cardón per cardi. 

' (4) Il Milanese termina ancora in è la seconda persona singolare 
del futuro, dicendo : te fare, te vivarè, te dare, per farai, vivrai, 
darai. 

(5) La forma pretta lombarda, e precisamente milanese, è mani- 
festa nella espressione: de chi a che te retornerà, per esprimere, 
finché ritornerai, quasi volesse dire : da qui, cioè da questo istante, 
sino a che, ec. 

(6) ^lla terra di cui sei creato. Rivela facilmente orìgine lom- 
barda la forma data terra per alla terra, dicendosi comunemente: 
l'è andà da la zia, l'è torna da so mamma, per esprìmere : andò 
a visitare la zia, è ritornato a sua madre, e simili. 



2S3 POCMETTO INEDITO 

Pulver fti8lo -e pulver ee (*), 
Et in pulver tornar tu di (^). 
Ora a ior fa vestimente 
De pelioe verax mente 
Si li vesti. li aloe (^); 
Del paradix lì descomioe ^^) 
Esen fora e vasen via 
En W intrambi du in compagnia. 
Fora df^l paradiso li apresso 
Le habitaxon gè féa (^) adesso; 
Ora sen stan entrambi du 
En quelo logo o^ illi én venu; 

(i) Pólvere fosti e polvere sei; qui forse il copista ha raddop- 
piata la e che significa sei^ per esprimere che dev'èssere prolun- 
gato il suono. 

(2) Pare che anzi che di dovrebbe lèggersi de' che meglio con- 
verrebbe al senso devi^ ed alla rima. In questo luogo ^ come in 
parecchi altri^ si scorge chiara l'intenzione dell'autore di pòrgere 
la versione letterale del testo ecclesiàstico: memento homo quia 
puhis eSj et in pulverem reperteris; ed è talvolta miràbile la chia- 
rezza e la precisione colla quale il testo originale è volgarizzato. 

(3) Varia nel poemetto .la forma di questa voce, forse per ser- 
vire alla rima; lì aloe è lo stesso che lì aloga^ che significa tVt^ 
e deriva forse dal latino illic ad locum. - 

(4) Li scacciò dal paradiso. La voce descomioe corrisponde al- 
l'italiana accommiatò^ la quale peraltro ha ora un senso più mite^ 
qual è quello di dar licenza j o congedare. 

(5) Escono e se ne vanno ambedue in compagnia. La voce in, 
che significa sono ^ pare qui intrusa dal copista , essendo fuori di 
posto e soverchia. Del pari è da notarsi il pleonasmo intrambi du, 
il quale è ripetuto più volte, e corrisponde alla voce italiana am- 
bedue, che pure è pleonasmo ; ma se questo nella buona lingua è 
tollerato colla voce ambo di egual significazione^ non è poi lécito 
colla voce entrambi che sta sempre da sola. 

(6) La sòlita forma da noi avvei^ta nel passato dei verbi è 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. SSS 

Intrambi du in conpagnia 
Fano li Talbei^aria. 
lUi lavorai) fera mente 
Per ben viver nudria mente, 
E si dan aver fiol anche loro^*). 
Tal è rè W, e tal è bono. 
Tuli semo de loro ensudhi W 
Ki in questo mundo semo venudhi (^); 
Tal fan ben e tal fan M male 
Segondo quel k'i a plaxé fare. 
De Eva e de Adam ormai lasemo; 
De qo ke pò essere dìxemo, 
E si acomen^a tal istoria 
Ke sia de seno e de memoria; 
Et eo ho ben in Deo fiduxia (^) 
Senga omiunca meneman^a, 



quivi constatata dal nuovo esempio fén per fecero derivato dal, sin- 
golare fé, 

(I ) Ed attèndono a procreare anch'essi. La frase darsi a qualche 
cura per imprèndere^ o intèndere le proprie forzej è maniera pe- 
culiare italiana^ che gioverebbe raffrontare colle corrispondenti 
delle antiche lingue per raggiùngerne l'origine. 

(a) Bey per reo o rèprobo. 

(3) Tutti siamo da loro usciti ^ vale a dire derimti^ o discesi,^ 
Non si può determinare èe la voce ensudhi sia stata qm modifi- 
cata per la rima con venudhij o se infatti in luogo di ensidhi si 
pronunciasse ensudhi ^ sebbene appartenente^ come i^enudhi^ ad un 
verbo terminante all'infinito in ire. 

(4) La voce ki in questo luogo corrisponde alla latina quiye si- 
gnifica noi che^ o noi i quali. La voce semo per siamo ò di pura 
forma vèneta ed assai pròssima alla odierna milanese che è: sèm. 

(5) Qui pare che dòbbasi lèggere fidane onde concordi nella 
rima con menemanfa. 



224 POEMETTO INEDITO 

Ke ve dito tin tal semblato (^>, 

Ke no sera para seofo de sanato (^^ 

In questo mundo è una discordia; 

Là o' no pò esser concordia , * 

Se ilii no se voleno aoomùnare 

De 50 ke voi i'un F altro fiire. 

L'omo a in si una cosa 

Ke no voi laxà star en possa (^>. 

L'anima è Puna, el corpo è T altra, 

K'el fa speso de freda calda (^>; 

L'anima voi stare in penitentia. 

Et aver grande affltgentia; 

Voi Deo servire e onderare <*) 

Et a li soi comandamenti stare; 

Lo corpo no vóre <*) de ^o far niente; 

(i) La stranezza della voce semblato che non ha chiaro riscon- 
tro in italiano rende malagévole rinterpretazione di questo verso, 
il quale sembra esprimere : ch'io vi detto un tat riasiuntOj me- 
glio , ch'io in porrò d' inanzi tali imà-gini. 

(2) Quivi pure è d'uopo indovinare il significato che manca alle 
voci cosi disposte. Pare non potersi dubitai^e ^ che il copista ba 
svisato alcune voei^ come proverebbe eziandio la dissonanza della 
rima semblato e sancto. Onde riassumendo tutto intiero questo pe- 
riodo ^ sembra più verisimile doversi interpretare nel modo se- 
^guente: Ed io confido pienamente in Dio^ che H detterò tale un 
sermone^ che non avì^à l'aspetto se non di santo. 

(5) Possa per riposo^ quiete. Ancor oggi dicesi in dialetto possa 
per riposare. 

(4) Che sovente da fredda ( ch'ella è ) la rende calda. Far di 
freddo caldo per alterare^ sconvòlgerej violentare^ è modo prover- 
biale vernàcolo ancora usato. 

(5) Onderare per onorare. 

(6) F'ore per t7uo{e è proprio del dialetto milanese, che ancora 
adesso pronuncia vòr col suono eu francese. 



DI PIETRO DA BAnseaÀPÉ. S25 

Ma sempre voi iroplir lo ventre^ 
Carne de bò e bon oapon <^\ 
Implire se voi ben Io magon (^); 
Ben vestido e ben cal^ado, 
E ben voi esser consolado. 
« L^ anima col mondo se tenzona ^ 
Forte de lu la se caxona, 
La lo reprebende in molte guise 
E la clama: monde, e si gè dixe: 
Orme di nmndo plen de iniquità 
Fate Cam el scorpion ki è inveninà, 
Ke da pruma sta piato (^), e posa a la fin 
Forte remorde l^omo e pon^e col venin, 
En cos'i ètu fato e plen de traimento; 
Zò ke tu imprometi no yen a complimento; 
La scriptura lo dixe, è la veritai, 
Tu è a un sol pongio, si traversarai (^). 

(1) Tutto questo varso è in puro dialetto milanese, ehe ancor 
oggi direbbe : carne de bò e bon capón^ per esprimere : carne di 
bue e buoni capponi. 

(2i) Magón è voce vernàcola, che nei. dialetti vèneti significa 
propriamente ventriglio^ ed ha molta affinità col tedesco Magen^ 
che significa stomaco^ o ventrìcolo. Nei dialetti lombardi è pure 
generalmente usata; ma in senso figurato, vale a dire, ond' esprì- 
mere accoramentOj oppressione prodotta da molti dispiaceri accu^ 
mulati. In questo luogo ha il primitivo significato di ventricolo. 

(5) Nell'agro milanese dicesi ancora priima per prima ; sta 
piato significa sta chetamente steso al suolo j da piatto ^ che vale 
piano j d'onde derivò la voce traslata appiattarsi p«r nascondersi. 
Quindi questi due versi esprìmono : che da prima s' appiatta ( lo 
scorpione), e poscia alfine morde crudelmente Vuomo e punge co/ 
veleno. 

(K) Tu sei sopra un sol punto, se T oltrepasserai.... /'ongfto per 
punto è maniera lombarda ancora iu uso nel nùmero plurale. 

1» 



SS6 POEIIETTO INEDITO 

Vele la toa gloria a que ^rà venua ('), 

Tota apernìente eia sera ca^ua (^). 

Lì homini ki te segueno aeran de&lrugì (^) e morti 

Gonduti al\ inferno firan afHictì e morti. 

Se Tonio peùsase ben sovra lo tò afare, 

In alcuna guisa noi porìsi inganare; ^ 

S^el ponese lo seno sover la toa fin, 

No serave magiao d^ alcun so^o venin (^l 

E lo W no gè pensa e no gè mète cura, 

Ma pensa pur de qiiel, und^el Tavrà grande dolie (^); 

De viver a rapina, aver dinar ad usura 

Ke la rason i avance; de questo meteU cura; 

De lare le grande caxe con li rkhi solari (^), 

Fé grosse torre e ahe, depengie eben merlae (^); 

(I) Fenua per. venuto serba la desinatiza dei participi nel dia- 
letto vèneto. 

(i) Anche la voce aperniente coir eufònica a che la precede ba 
forma veneziana^ del pari che il pronome èia e la voce ca^ua per 
imduia, 

(3) Destmgi per distrutti ci porge un nuovo esempio della per- 
fluutazione già avvertita delle tt in g. 

(4) No serave fnagidojch^ significa non sarebbe nmcchiatOs è 
forma veramente veneziana. 

ifi) Ritenendosi duro il ^uono della g nella voce gcj tutto questo 
verso è in puro dialetto vj^aeto per esprimere: ei.non vi penta 
e r»m (>i mette curu. 

(6) Ma pensa invece a quello d'onde aivrà grandiaffmnù El renerà 
per egli avrà^ grande per grandi sono manifeste forme vernàcole. 
.^^.{^y Solari per soffitte^ o cieli delle starne^ è voce propria del 
dialetto vèneto, coip'era proprio dei tempi del Bescapè il prò- 
ìfòndere stucchi dorati e pre;ùo6i dipinti in questa parte delle sale 
e delle stanze. 

(8) Depengie per dipinte è proprio del dialetto milanese, come 
è del 'Vèneto la desinenza merlae. 



DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 3Ì7 

D^aver càl^e de saia et esser beli vestio; 
D'aver riche vignie ke facan Io bon vino (*), 
Bosco da fegnie, io molin e pò lo forno. 
Vasà lu voi asaì^ kì gè stiàn de torno ^^\ 
Ora se sta superbo e molto iniqui toso; 
Nesun li vaga preso, ke Tè fato rabioso; 
Sete ancelle el à, e ^ascuna el amortosa (^^, 
De so aver le pasce, con quele se demora. 
L^una la superbia ke tene Lucifero; 
Sego s^àmigoe quando era tropo bello, 
E fo ca^ao del celo con essa in abisso. 
Posa rà dada al mundo ke la stia con eso; 
L^omo Fa piliada e tenia per amiga, 
Per 90 fira ca^ao (^) da la corte divina. 
La segonda è la gola , quella malvax ancella 
^ Ke fa vender la casa, la terra e la vignia; 

(1) Senza arrestarci sulla forma vernàcola delle parole ke fafan 
per esprimere che facciano j o producano ^ aurvertiremo còme tro- 
vandosi costaatdnente usato il k nelle voci ke, ki, si ripeta sem- 
pre l' uso delle eh nelle voci riche j vichi e in talun'altra^ òiò che 
prova la remota introduzione di questa combinazione di lèttere^ 
ma non il frequente uso delle medésime che solo più tardi fu gè* 
neralìzzato. 

(2) Ei vuole molti vosmIU che gli stiano d'intorno. È da notarsi 
ali tempi del Bescapè la voce vasà per ser^i o vassalli, 

(5) Cosi è scritto nel còdice , e pare debba intèndersi : egli ha 
sette ancèlle, e ciascuna egli amoreggia; siccome peraltro la voce 
amortosa ha una forma nuova e strana^ sicché fa d'uopo indovi- 
narne il significato, e siccome d'altronde male consuona con de- 
mora colla quale deve rimare, così dobbiamo supporre che sia 
.stata alterata dalla negligenza del copista. 

{K) Perciò sarà scacciato é., È da osservarsi, che sebbene fosse 
pure usata la forma sera, seràn, per sarà, saranno, pure gene- 
rriiuente prevale l'altra firà, firàn, derivata dal latino fieri. 



328 POEMETTO INEDITO 

No la sa dar per Dee nesuna caritadhe <*), 
Ke tato voi per sì e anche deF altro asaì; 
Per tè (^) no roman a fare ni furto ni rapina , 
Ad omiunca pasto le vuol esser servia, 
E la fé tol lo pomo a lì prumer parintì (^); 
Cento anni gè pari ki li aveseno a li dinti ^^\ 
In paradiso illi erano, e stevan (^) cortexemente; 
llli foi cacai (^) de fora molte villanamente. 
Adam romase nudo e la compagna nuda. 
No cala a la gora (^), pur Velia sia ben passuda. 

(ì) Sebbene caritadhe sia voce italiana di forma lungamente 
usata di poi^ pure^ avuto riguardo alla voce assai colla quale deve 
rimare i, ed alle desinenze che l'autore suol dare a slmili voci, 
pare che qui dèbbasi lèggere piuttosto caritdi^ come abbiam visto 
superiormente veritài. 

(2) Per lei non resta a fare. . . fé per fet> e roman per rimane 
sono corruzioni proprie dell'attuale dialetto milanese. 

(5) Essa fé cògliere il pomo ai primieri parenti. Td, per prèn- 
dere^ è tutt' ora usato dal Milanese^ come tor dal Vèneto^ le quali 
voci sono manifeste contrazioni dell'italiana tògliere. 

(4) Ecco una frase comune a tutti i 4ì^l6tlì dell'alta Italia, i 
quali per esprimere desiderio ardente, impazienza di conseguire 
alcuna cosa, dicono : già mi paiono cent'anni gli istanti che sono 
frapposti — E quindi questo verso esprime letteralmente : Essa 
(la gola) ardeva del desiderio che lo mangiassero. 

(K) Nell'agro milanese ed in altri dialetti lombardi dlcesi tut- 
t'ora steva in luogo di stava. 

(6) Essi furono scacciati. Nella voce foi è chiaro che il copista 
ha posta la i in luogo d'una n^ mentre altrove ha sempre scritto 
fonj per furono. Nella parola cagai sì conserva poi la desinenza 
dei participj veneziani. 

(7) Nulla cale alla gola ^ purché sia ben pasciuta. No cala è 
modo vernàcolo ancora usato nello stesso significato, e deriva dal 
latino calere^ essendo, come questo, adoperato solo in terza persona 
singolare. Giova poi notare la permutazione della / in r nella pa- 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 229 

De 4}o dixe sancto Paulo in soà predtcan9a, 
Ke Tomo debia vive con grande temperanza. 
L^omo Fa piliada e tenela per amiga; 
Però firà ca^ao da la maxon divina. 

La ter^a ancella e la fornication: 

Molto desplaxe a Deo, 90 dix lo savìomo: 
Fornicatori e adulteri de^Deo fudigare, 
Et el è tal peccato, ke Dee. noi voi portare, 
E le piexor citae (^) venin a grande arsura , 
Gum se fa mention in la sancta scriptura. 
Si è un tal peccato, cuoi più W Tomo lo faxe, 
Zamai no sen despartise da k'el cor gè giaxe. 
L^omo Fa piliada, e tenia per amiga, 
PerQÒ firà cacao da la corte divina. 

La quarta ancella si apella avari tia; 
Una de le ree ke in questo mundo sia; 
De tuti li mai eia pare radixe, 
Segondo quelo ke Salamon dixe. 
Lo povero sta a V usgio (^) e crida carità ; 
No li vale clamare marce, né pietà; 
El'è fata tenevre W cum^è Jata la raxa (^), 

rola gora che ancora adesso è pronunciata dal pòpolo milanese 
allo stesso modo. 

(1) Il Veneziano odierno direbbe ancora le pezar zitae ad espri- 
mere le peggiori città^ ciò che riconferma V antica influenza del 
dialetto vèneto sulla lingua scritta in Lombardia. 

(2) Anche la forma coni più per esprimere quanto più è propria 
di tutti i viventi dialetti dell'alia Italia. 

(3) Usgio per useioj porta della casa. 

(4) Tenevre per tenace^ ipiscosa^ come appunta è la pece alla 
quale è assimigliata. 

(5) £axa o rasa chiamasi ancora in dialetto la pece gomma 
di terebentina. 



SSO POEMETTO INEDITO 

No voi veder del ben indir fora de eaxa (*). 
L'omo Fa piliada, e tenela per amiga, 
Per^o firà ca^o da la inaxon divina. 
La cinquina ancilla m^è vix ke sia Tira, 
La qual non adovra de la ley^e divina. 
Dolente la famelia o' eia brega speso <^) ! 
E Tè piena de lagnia più ke lo mar de peso (^); 
Partire fa fra elli e metege tengone (^>, 
E metege grande discordia entro K eompagnione; 
La guera va crescendo e metege tesura ^^); 
Del mal fa queja asai m ke lì no g'èmensura. 
Ardese le case, le tegie e li paliari (*); 
Morti finon li horoine, prisi e maganai (^). 



(1) Non vuol ipedere mcir di casa le proprie soskmtze. La voce 
del ben per sostanze è ancora u^ata in giaietto lombardo, nel qua- 
le, per esprìmere che uno è lautamente provveduto, dicesi: el 
gh'd del ben de Dio. 

(2) Dolente la famiglia ov'essa briga spesso/ 

(3) Essa è piena di guai ben più che il mar di pesce. Pare che 
peso per pesce sia qui posto onde servire alla rima. 

(4) Ecco di nuovo il verbo partire per divìdere^ disunire. Di- 
pide fra loro^ e mette guerra e discordie fra gli amici. Tale è il 
significato di questo e del verso seguente, ove dobbiamo notare la 
forma vèneta fra elli, e la voce occitànica coinpagnoni, per amici. 

(K) La forma di questa voce tesura è affatto strana; pare per 
altro che debba intèndersi scissura, 

(6) j^rdoHsi le case^ le tettoje ed i fienili. Tesa e pajar diconsl 
ancora in alcuni dialetti le tettoje campestri destinate a ricéverò 
degli attrezzi rurali , e quelle che serbano il fi^o e la paglia per 
la stagione invernale. 

(7) Morti (uccisi ) persino gli uomini, presi e makeup. M4k- 
fognai per malconci, ^orpi e vaieHidinarj è voce propria del 
dialetto vèneto. 



DI PIETRO PA BARSEGAPÈ 231 

Gaym W la tene un tempo in $oa compagnia; 
Olcixe lo frsfeiio, tropo fé grande folia; 
El fó maledegio da Dee omnipoentè (^) , 
Gagao té a 1^ inferno entro qfueto fogo àrdente. 
LMra rooiase al mondo per fané desviare 
L^ omo e ta fcimena, lei de sego bregare. 
Del odio e de invidia eVè fata fontana; 
Fa despartire l^omo da la raxon soprana. 
L'omo Vb piliada e tenela per amiga, 
Per^ò firk cacao da la corte divina. 
La sexena ancella me par forte secura; 
Accidia s'apella in la sancta scrìptura; 
Aver in fiastidio lo bon sermon divino, 
No voi odir messa, ni ter^a, ni matino t'); 
No voi andar in ecclesia a Deo marci clamare (^); 
Odir no voi vangeli, ni pistole spianare ('); 
E vasen per lo mundo pur pensando vanita!. 
No lasa far Tomo cosa de utilitae W, 

(4) Caym per, Caino. 

(2) Fu maladetto da Dio onnipotente. Qui si ripete la permuta- 
xione delle tt in g nella voce maladegiOj e nuova prova della ne- 
gligenza del copista^ che ommise una t in omnipoentè, 

(5) Qui Tautore accenna alle preghiere ecclesiàstiche per le ore 
di terza , del mattutino, e slmili, prescritte nei divini ufficj. 

(K) In questo verso è da notarsi la soppressione della preposi- 
zione a nella frase andar a Deo marci clamare^ mentre l'italiano 
direbbe : andare a chièdere perdono a Dio, La qual soppressione 
è propria delle lingue francese ed occitànica; come pure appar- 
tengono alle medésime le forme clamare per chièdere^ e merci 
per mercè, 

(K) È da notarsi la voce spianare per ispiegare^ chiarire. 

(0) È proprietà costante del dialetto vèneto il terminare in ae 
i nomi astratti italiani troncati in d^ dicendo: bonùie^ fedeltaé è 
simili. La stessa desinenza troviamo sempre usata dal nostro auto- 



^33 POEMETTO imeOfTO : 

L'ofiM> rà pìliada e tenela per amiga, 
Però firà cacao da la mtixaM ditinà. 

De la setena ancella e' voio ^*) far memoria; 
Eia me par ypoerìta> ^oè la vanagloria; 
De tuto lo ben k'el fax no volDeo laudare, 
INi fiage gratia, ni gloria a lui dare; 
Voi si laudare e faìse laudare lo mundo, 
Va segliando k^el plà^a ad omiuaea homo (^); 
E de costoro à dito lo segnor Jesu Xristo 
Entro lo vangelio, sicum el se trova scripto: 
La lor marce illi an ^a recevudhi , 
Zoe r ostia mundana la qual i àiì vomdlii ^^\ 
L^omo Tà piliada, e tenela per amiga^ 
Per i^ò firà descacà (^) da la maxou divina. 

Gum tute sete ancelle Fomo se demoni; 
El ve la mo^te scuira ki ga pilia la gora ^^), 
No cala W si Ta morto e tralo a mala fin, 

re, sebbene talvolta il copista trascrivesse per errore ai, come nel 
verso precedente vanitai. 

(1) f^oio per voglio è pure maniera vèneta. 

(2) Non si saprebbe da qual radice derivare la voce segliando^ 
qualora per avventura non fosse corruzione di scegliendo ^ che ia 
questa luogo dovrebbe pur significare cercando. 

(5) Cioè l'ostia mondana ch'essi hanno {>oluto. Qui si ripete la 
combinazione delle dh^ da noi sopra avvertita, nei due participi, 
che in onta alle buone règole son fatti plurali. La permutazione 
poi della / in r nella voce t^onid/n è propria del dialetto milanese. 

(4) Mentre in tutti gli ùltimi versi relativi ai sei vizj capitali 
precedenti, Tautore ripete Per go firà cacao j in questo introduce 
la variante descacà^ che è forma lombarda, mentre la prima è 
vèneta. 

(tt) Fede l'oscura morte clke gli piglia la gola. La permutazione 
della / in r nella voce gora è tutt'ora propria del dialetto milanese. 

(6) No cala per non importa^ . non cale, è proprio di tutti i 
dialetti vèneti. 



DI PIETRO DABARSEGAPÉ. SS3 

Mena arinfernain quel logo tapin. 
No ìè valtudo (^) grande^ ^ solaio ^ ni riche^a^ 
Ke no sia morto in la grande grame^a (^).' 
Inlò è lagreme e pianti e d'ogni mah dolor (3); 
Omiunca homo li plance e. cria > e tati fan rumor. 
Tal voi aqua e tal fogo; no pon sofrer la pena; 
No gè vai niente, ke grossa è la catena! 
Tu no gè vai, o mundo, un festugo de palla W, 
Ke posa trar nul homo de quela grande travalia (^). 
Oi mundo misero, fato e cativQ et orco^ 
L'omo ki te segue si è destrugio e mòrto; 
Zohane lo comandò ke Tomo no t'amasse, 
Le toe cose sempre me (^) le refutasse; : 
Sempre fuisti inestabile , fat'ee (^) com lo vento 
Fa cambiar lo tempo segondo lo so valor; 
Ora piove et ora fiocha et ora scolda lo sol ^^\ 
En cosi fé de Tomo k'è in toa bailia (^l 

(1) Non gli è valso, o meglio, non gli valse grandezza^ ec. 
Faliudo porge un nuovo esempio della forma regolare dei parti- 
cipj, che in italiano deviano dalla règola. 

(2) Oramela per miseria, tristezza è voce andata ftior d*uso. 
(5) Inlò per colà, ivi deriva manifestamente dal latino in loco 

{ipso)^ alla qual origine talvolta s'accosta ancor più, trovandosi 
scritto inloga, del pari che dhilò, chiloga, per esprimere qui. 

(4) Festingo de palia è voce vèneta, ed è corruzione di fusto, 
reso diminutivo , onde significa un gambo di paglia. 

(5) Travalia per travaglio, pena, dolore, è qui fatto di gènere 
femminile forse per servire alla rima. 

(6) Me per mai pronunziato alla francese. 

(7) Fatto sei come il vento^ e qui sott'intèndesi t7 quale fa can- 
giare il tempo ec. 

(8) Fioca per neiHcare , e scoldà per scaldare sono modi pro- 
prj. dell'attuale dialetto milanese. 

(9) Così fai tu delVuom ch'è in tua balìa. 



ÌS4 MESETTO WtmW 

E (elo e caldo e fame, sécUie e càTÌstia(^);^ 
No pò star in una on sta alegro on gramo (^), 
Ora ben et ora mal, ora prò et ora dagnio; 
Un dì no stan alegro, ked el no sé conturba; 
Mollo spesa mente del seno se remuda <^); 
Per f ò no me fido in ti , ke tu no m^ par niente. 
Seguirò la vìa de Deo, lo ineo Segnior vivente; 
Da lu vene le bontae, le gratìe e li honoi*, 
De tuti li savii ePé sopran dootor, 
Et è lume resplenderite, ki ven in questo mundo, 
Divina maiestae receve forma d^omo, 
E Té segnior de lo celo e de la matre terra; 
Vene de la vergene gentil sancta pollila. 
Gom el vene in lo mundo eo vel volip camtare 
Segondo la vangelio, e lo tracio in vulgare. 
Ki va coronando e par k^el stia lento sempre W, 

Lo Segnior del paradiso patre glorioso 
El tramix lo Gabriel angelo pretioso 
Ad una cita k^à nome Nazareth 
À Maria vergene sponsa de Joseph; ^ 
Et intra T angelo là o'era la pólfelia, 

{i) E gelo^ e caldo^ e fhme^ sete e carestia, 

(9) La voce on ripetuta in qaesto verso è uno sbaglio manifesto 
del copista , che dovea scrivere ora^ come fece nel verso seguente. 

(5) È da notarsi la frase molto espressiva del seno se remuda^ 
per esprimere: cangia consiglio, 

(4) Toma impossibile il raggiùngere il significato di questo ver- 
so ^ che doveva essere seguito almeno da un altro che compiesse 
il dìstico, ed il quale rimase nella penna del copista. D'altronde 
sembra , che anche la voce coronando sia stata alterata dal medé- 
simo in luogo di corando per correndo^ giacché allora si avrebbe il 
principio d'un periodo-: Chi va correndo ed appar sempre lento^ec. 



DI PIETRO DA BARSBCIAPÉ. SSft 

La salutane le. faxe moUe bella, 

E dix : piena de giratia domina Deo te salve ! 

Domino Deo è tego^ lo rex celestiale; 

latro le femene tu è benedegia, 

Sovre le altre savie casta et neta; 

Benedicto Io fructo del tò ventre, 

Filiol de Deo omnipoente. 

Quando Maria odi questo sermon, 

Multo inlora si ave tnrbatioD; 

E in so pensè 31 ave grande turbane ^^\ 

Gomente fosse questa ^lutan^ ^^\ 

Dixe r angelo: oi, Verg<»ie Maria, 

No te stremila (^) la parola mia; 

Apreso Deo verax segnior 

Si è trova gratia e valor, 

Ke tu avrè in lo tò sancto ventre 

Lo fiol de Deo vivente; 

Jesù Griste de -li vera 

Filiol de r Altissimo damao firà; 

E lue darà segnio de fortega, 

Lo segnor de ki regna in alegreca; 

In cà W de Jacob sempre regnerà, 

(i) In mo pernierà ebbe gran turbamento. Il Milanese odierno 
direbbe pure : infel so pensée come ai tempi del Be8(^pè. 

(d) Comente deriya senza clubio dal latino qua mente s die . più 
tardi prese le due forme diverse : come e qualmente. 

(5) Stremìss è voce propria del dialetto milanese^ per spaven- 
tareij temere, ed è singolare il rinvenirla affatto eguale nel sè- 
colo XIII. Non ti spaienti la parola mia. Anche resdamainone ai 
colla quale l'angelo apostrofa la Vèrgine , con lieve modificaeione 
- è tuttavia usata dal pòpolo. 

(4) In cà per esprimere nella casa è del pari tutt' ora usala 
nel dialetto milanese. 



936 POEMETTO INEDITO 

E delo so regno mai fin no sera. 
Dixé Maria a T angelo de Griste: 
Gum pò esser in mi questo? 
D^ avanzo ti ben lo digo ('), 
Ke homo nesun non cognosco eo. 
Dix r angelo, e responde a le: 
Spirito Sancto vera in ti, 
Et de r altissima grande virtue 
Tu sere conpressa de lue; 
Per co ke de sancto nascerà , 
Fiol de Deo clamao firà. 
Elixabeth la parente toa, 
Ke iotro la vegeca soa (^) 
^A incenera un tal fiol ^') 
Ke a Deo sera fmcto bono, 
Ancora no -è sex mixi passati (*> 
K^ela non aveva in^nerao; 
E apresso Deo veraxe • 
Ben pò esser 90 k^ el gè piaxe. 
Responde la Vergene Maria: 
Zò ke ài dito a mi si sia; 
Ecame , ke sonto don^ela (^^ , 

(1) Sopra ogni altra forma merita osservazione la trasposizione 
del pronome {{avanti alVavverbio ben, la quale è caratteristica 
del dialetto veneziano e ripugna alla sintassi di tutti i dialetti 
lombardi. 

(2) Che nella sua vecchiezza. 

(5) Ha concepito un tal figlio. Ingenerare per concepire è voce 
andata fuor d'uso, sebbene molto espressiva. 

(4) Non sono ancor trascorsi sei mesi. Sebbene là voce sex sia 
pura latina, non dobbiamo lasciar d'avvertire, che nei dialetti 
lombardi dicesi ancora ses. • 

(5) Eccomi j che sono ancella. Abbiamo altrove awer4ito, come 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 387 

E del Segnior eo sonto ancella , 
K^eo 81 sonto soa veraxe; 
Fa^a de mi 90 k^ el gè piaxe. 
In la cita là o^ sta Qacharia 
La è andada la Vergene Maria; 
In chà ^*) de (^acharia eia intrò; 
Elisabeth si la salatòe. 
Quando la gè fé lo saludo, 
Elisabeth si ave cbgnosudo (^), 
Solamente a la loquella, 
Ke Maria gravida era. 
Elisabeth per la divina (^^ 
De Spirito Sancto si è conplida. 
Lo so dolce fantin si se exaltoe (^) 
Dolcemente in lo ventre soe; 
Ad alta vox damar prese, 
Inverso Maria guarda, e dixe: 
Oi, gloriosa tu intro le vergene, 
Oi, benedicta tu intro le femene, 
Benedicto Io fructo del ventre tó, 
Benedicta T anima, el corpo tò. 



l'odierno Milanese pronunci ancora sont per sono; strana forma 
in vero, della quale non si saprebbe rintracciare l'origine; don- 
zela poi per serva ancella è voce milanese ancor viva. 

(i) In cà per in casa^ come ho già notato, è proprio del dia- 
letto milanese. 

(2) Anche la voce cognossudo per conosciuto, col raddolcimento 
della n in gn, è caratteristico dei dialetti dell'alta Italia, 

(5) Qui è manifesto, che il copista pretermise Jl nome al; quale 
l'aggettivo divina si riferisce, e che pare doversi congetturare 
òpera^ o volontà. 

(h) Il 5tio dolce infante si scosse. 



38ft POEMETTO INEDITO 

E tèe biada ke tu credìsti (^ 
Quel ke te dixe 1^ angelo de Xristel 
Dixe Maria con grande amore: 
Magnifica T anima mia lo Segnore, 
E Tè exultaho k) spirito meo 
In lo $aludho del meo Deo. 
Quando Maria sponsa de Joseph 
Gravida de Jesu Nacareth 
EPàcomen^à ad ingrossare, 
Et Josepo forte a dubitare; 
EFera insto homo e itale, 
Mo qsi no la voleva inflamae (^). 
Si gè vene in so talento 
Da le partise inascosamenrte. 
Pensando pur de questo fare, 
L^ angelo de Deo a lu se pare^ 
E dix: oi, Josepo filiol de David, 
No temOT tu de toa Maria; 
Ere vergene pol^a 
La meliore ke sia In terra , 
Ni chi foe, ni chi serae, 
Ni chi mài se trovarae. 
Infenerao si è in le (^) 
Jesu Criste filiol de Deo 
Spirito Sancto, e insi 



(i) E te beata, che credesti. Quivi tu credisti serba la pura 
forma latina. 

(3) Péfò ntm la voleva infamare (disonorare). É evidente l'in* 
curia del copista, che nella voce inflamae ommise la r nell'ilti- 
ma sillaba, e forse intruse di soverchio la I. 

(5) Qui si ripete la voce ingenerao per concepito, colla termi- 
nazione vèneta ao, ed il pronome lombardo. tó per lei. 



DI HfiTRO DA BAHSEQATÉ. 389 

Fìrà clamao Jesn da ti. 

Lo popolo salvo farà, 

D'entro li peccai lì trarà (*). 
In quclo tempo era on grande homo 

Ke Octaviano ave nome; 

Elo in terra si è segnior, 

Et era fato imperatore; 

Si a fato comandare 

Per lo mundo universa (^) , 

Zascaun se debia pur andare 

Tuti a farse designare 

A la cita o' ilPin nadi;^^) 

Si se facan scriver lai W. 

Si Pavé inteso lo bon Joseph, 

Und' el insì de Nazareth, 

E si se mise pur in la vìa; 

In Bethleem va con Maria , 

Per quelo k'ili g'àn lor parentado, 

Et ke David si g'era nado; 

Illi én dela casa de David; 

Per 50 gè van a farse scrìve ^^K 
Quando illi fon a quella cita 

Ke Bethleem si à noma, 



{i) Li redimerà dal pec&Uo (originale). 

(2) Àoche qui vèdesi chiaro^ come il <»)pista obliterasse per ne- 
gligenza ràlUma sillaba le nella parola uni'Oeréak. 

(5) j^lki dtià cv'eglino sono natL Qui il verbo in per sono 
ha la pcedsa forma dell'attaale dialetto milanese. 

(k) Si f4ccia»Q inscrìvere colà. 

(b) Perciò vi pornio a farsi inscrìvere. La fìrase è afhtto lom^ 
borda^ 6 si usa tuti'ora in senso di disprezso. Goal t m a f<U scriv 
lignifica : va in tua malùra. 



S40 P0BM6TT0 INEDiTa 

Li de fora molto apresM 
Maria à parluri li adeso 
In UQ logo poverile, 
Lo qual fi (^) dito bovile. 
Là partorisce sancta Maria 
Del fantin V en si aveva. 
E de li pagni eia faxoe (^) 
In lo presepio reclinoe ^^l 
No trovò logo de plaxere , 
Ma s'il faxe por li ^rer W. 
Nato lo fantino de lo Salvatore 
Jesu Criste de lo mondo creatore, 
Yasen T angelo apresso li pastori 
Ke de Io gre^o eran gnardaori (^); 
A quili k^ erano in quela r^ion 

(1) Forse il copista per errore scrisse fi per fò. 

(2) Lo fasciò cpt pannilini. Ancor oggi il Milanese pronuncia 
pagn per pannilini. 

(5) Ricùverossi nel presepio. 

<4) Dobbiamo crédere, che il copista, come avvenne sovente, 
scambiasse qualche lèttera o qualche sillaba , poiché la voce ca- 
ref'j che cosi é scritta nel Còdice, è di forma alquanto strana e 
d' ignota significazione. 

(K) Ch'erano custodi della greggia. Si noti, come il nome greg- 
gia sia qui di gènere maschile e di forma diversa da quella che i 
nomi latini di terza declinazione prèsero più tardi , come : /!;/, mei, 
eh' ebbero la desinenza in e; il fiele.^ il miele , del pari che grex, 
il gregge. Cosi pure è da osservarsi l'assoluta mancanza dell' arti- 
colo ilj che solo nel sècolo successivo comparve nella lingua vol- 
gare, trovandosi sempre lOj de lo j a lo pel maschile, la pel fem- 
minile. Dalla quale osservazione è chiaro , che non si può con ra- 
gione far derivare Tarticolo t7 dal pronome latino ilkj essendo 
stato introdotto dopo che la lingua volgare aveva gii assunte le 
proprie forme ed avea supplantata la latina. 



DI PIETRO DA BABSBGAPÉ. 244 

Per anuntiare la sancta nassion. 

La ,cWe9a de Dee li circumplexi (*) , 

Del grande timore son tuli presi; 

Dixe 1^ angelo: no abiai timore, 

Ke y^anontio lo Salvatore. 

Jesu Cristo fi clamato , 

Lo qual anchò (^) sì è nato 

In Bethleem elo si èe; 

Grande alegre^a questo ve ^^\ 

In ogni popolo él sera 

Ke so fedehel (*) se trovarà. 

In lo presepio si lo vederi 

Lo dulcissimo fantin; 

Vu 1 trovarì volto m pagni ; 

Questo signo si v'è grande (^). 

Quando T angelo ave dito 

La nascion de Jesu Cristo , 

£1 fó dali angeli celestià 

(i) É chiara la derivazione di questa voce dalla latina circum- 
plectere per circondare^ ra^tgere, 

(2) Jlncó per oggi è voce puramente vèneta ; con lievi modifi- 
cazioni peraltro è comune a molti dialetti italiani ed occitànici. Il 
Milanese iH*onuncia incòj il Piemontese ancoi; i Provenzali enquey^ 
che si pronuncia come nel piemontese. 

(5) Cosi sta scritto n^X Còdice. La voce pe non ha qui un chiaro 
significato ^ sebbene debba interpretarsi per appentmento^ fatto; 
né pare che venisse scambiata dal copista ^ poiché consuona nella 
rima col verso precedente. 

(h) È strana l'ortografia di questa voce ^ che s' incontra scritta 
altre volte egualmente^ e darebbe a crédere , che fosse prolungata, 
o aspirata nella pronuncia ; màssime ove si consideri che nella 
radice latina fidelis non entra Vh. 

(tt) Questo contrassegno vi basti, 16 



S4S POBfllfiTTO INEPITO 

Molto tosto aconpagnià, 

Ke van laudando lo Segnior: 

Gloria in excel$o a Dee creator, 

Et in terra pax et humilità 

Entro li homini de bona volunta. 
L^ angelo sen va con li altri in conpagnia 

E van laudando Dee lo filiol de sancta Maria. 

Al partimento de T angelo s'axembia li pastu Wj 

Parlando Tun contra T altro, e digando inter lor W: 

Andenio in Bethleem in quela cita, 

Vegemo sta parola ke Deo n'à monstfà. 

llli sen van via dritamente alo logo; 

Trovòn 1) Joseph, Maria e io filiol, 

Et avèn cognosudo ke J^era verità 

Quelo ki del fante i era annuntià (^). 

llli s'en tornòn in dreo <^) digando per la ^ente, 

Nato si è Xriste lo filiol omnipoente: 

De quello ke illi àn ve^uo van Deo laudando, 

An 90 ke illi àn 0I9U lo van gloriando (^). 

(1) Alla partenza dell'Angelo si radunano i pastori. Si scorge^ 
che la voce francese assembler j rassembleTj per méttere assie- 
me, radunare, era comune allora al volgare itàlico, il quale serbò 
alcuni derivati, come assemblea^ assembramento. In prova poi della 
negligenza del copista, devo notare la voce pastu che dovrehb'ès- 
sere invece pastor^ come richiede la radice latina pastor e la ri- 
ma stessa, e come la stessa voce trovai scritta alcuni versi prima. 

(9) Dicendo tra loro. Diga/ndo per dicendo è tutt' ora usato nel 
contado milanese. 

(3) Quello che dell'Infante loro era annunciato. La voce i per 
loro^ a loro è ancora in uso presso alcuni dialetti lombardi. 

(4) Il Milanese dice ancora indrè per indietro j dedrè per di 
dietro. 

(5) In questi due versi veggiamo ripetuta la lèttera ^ per d^ in 



DI PIETRO DA BARSBGAPÈ. 84$ 

La ^enle ki l^oldiano sen dan meravelìa ^^^ 
De quelo ke van digandp lì pasta per la via. 
Sa nota Maria matre, la vergane beata 
Tiito 50 k'ela vedeva, tuto 90 eia governava W; 
Tute governava, et in so core poneva; 
De 90 ke del sa filiol pretioso vedeva 
Oil cum ePè biada e piena d^dlegre9a, 
Ha ver un tal filio ki è de tal grande9a ! 
Al signo de una stella resplendente 
Tri Magi venen da oriente 
I evan (^) quirando lo filiol de Deo, 

vepw per veduto^ ed ol^ per udUo^ dò che acetìbnerebbe ad una 
speciale pronuncia. Cosi pure la voce an per in nel secondo verso 
consuonerebbe colla en frapcese si nella pronuncia, che nella si- 
gnificazione. 

(i) Le genti che li udiano^ ne stupiscono. La forma della voce 
oldire per tulire è costante in tutti i suoi derivati nel corso del 
poemetto. 

(2) in questo luogo governava sigidfica: ne facea tesoro j doè 
osservava attentamente tutto ciò che vedeva, e T imprimeva neUa 
mente e nel cuòre. GoUa stessa significazione viene usato auQor 
oggi il verbo governare in quasi tutti i dialetti vènelti. Cosi, p. e., 
Ciapeh e ga^emèlo significa: prendetelo ed abbiatene cura, ossia 
riponetelo in luogo sicuro e custoditelo con cura. Quest' uso del 
verbo ^opemare è affatto sconosciuto a quasi tutti i dialetti lombardi. 

(5) Cosi sta ù«l Còdice , ove la lèttera e certamente è soverchia 
o doveva precèdere la i^ dicendo : E i {?an quira;ndOj ossia: ed 
essi ipanno cacando ^ dalla radice latina inquirere^ che l'autore ri- 
pete due versi dopo coU'afGsso in^ e permutando nella flessione la 
e in a^ col aire; inquirùndo in luogo di inquirendo. Se male non 
m'appongo, questa permutazione costante della e in a nei parti- 
cipi pi^ekiti dovrèbbesi attribuire all'influenza della lingua qocì- 
tanica, alla quale una tal. permutazione è propria, e dalla quale 
passò alla francese, 



244 POEMETTO INEDITO 

Lo qual è nado rex.de li Qùdei. 
De questo rex van ìnquirando ; 
Per Jerusalem si vaa digando: 
Mg o^è culù lo qùal è nado 
Ke deli (Judè fi apelado?^*) 
La soa stella avem ^a ve^ui . 
Per 50 somo quilòW venni; 
In oriente si n^aparì^ 
Yen udì lo somo per adorar qui. 
Herodes odi questa novella 

Ki era segnore de quella terra; 

El ne fó dolento ^^^ e gramo 

Con tuli quili de lo $ò reniamo ^^l 

El congregò tuti li majori, 

Li sacerdoti e li doctorì, 

Ked el da lor saver voleva 

La o' Cristo nascer deveva. 



(1) Non v' ha dubio^ che in questo verso il copista ha scritto ke 
in luogo dì Re^ oppure ha obliterata la parola re^ senza la quale il 
senso è nullo, e dovrebbe esprimere : che re de' Giudei fu (o sarà) 
appellato. ' 

(2) Quilò per qui; sebbene questa voce sia ripetuta in varia 
forma e con ortografìa diversa , come chilo ^ kiloga ^ essa è pur 
sempre la stessa derivazione da hic loci, 

(5) Il pòpolo milanese distingue tutt'ora i gèneri anche negli 
aggettivi italiani terminanti in e colle desinenze o pel maschile, 
a pel femminile, dicendo: dolento^ fedeUij ^et dolente j fedele. Nel 
dialetto vèneto peraltro quest'uso è più generale e più chiaramente 
manifesto, dicendosi tuttodì grando e granda in luogo di graiide; 
mentre nel milanese questa distinzione è chiaramente espressa 
solo in alcuni aggettivi, essendo gli altri pronunciati tronchi, 
come appunto grande che solo nel femminile è granda» 

(t^) Reniamo j per regno regnarne. 



DI PIETRO Di BARSEGAPg. 245 

Quili diseno la verità; 

In Bethleem in quella cita, 

Per lo propheta lo dissi e Tè scrilo (*); 

Lì de' nascer Jesu Cripte. 

Odi qùe disce la scriplura ^^^ 

De Bethleem terra Joda : . 

De ti un duxe nascerà 

K' el populo de Israel re^erae (^). 

Erodes suso im pei si se levoe ^*)^ 

Li tri magi a si sì damoe; 

Con grande amore imprese da lor ^^^ 

Quando la stella si àparì a lor; 

I eseri, lo tempo e li contràti (^^, 

(i) Pokìiè il Profeta lo disse j e sta scritto. È maniifesta T im- 
pronta Idtina nel verbo dissi da dixit^ sicché pare , che solo più 
tardi venisse scambiata la desinenza in e per distìnguere la terza 
persona dalla prima. 

(i) Ascolta ciò che insegna la Scrittura, Il verbo latino discere 
è affatto scomparso dalla lingua italiana ^ nella quale sèrbansi ap- 
pena alcune voci derivate ^ éome : discépolo^ disciplina e talun'al* 
tra; si vede peraltro ch'era usato nel senso d' insegnare ai tempi 
del Bescapè. 

(5) Recerae per régi^/erà attesta chiaramente la prevalenza della 
forma vèneta , poiché è proprio esclusivamente dei dialetti vèneti 
il permutare in ^ ossia z dolce il suono schiacciato della g, che 
il lombardo proQunoia assai distinto^ dicendo: regg^ legg^ gionìo^ 
Giorg^ laddove il Vèneto dice : rézer^ lézer^ zomo^ Zorzi e simili. 

(4) Si few in piedi, Im pei è fórma lombarda, dicendosi lutt'ora 
im pè, 

(5)- Pare che imprese in quésto luogo significhi richiese^ piut- 
tosto che apprese j o seppe. 

(5) Forse dobbiamo interpretare questo verso cosi : Le cose ^ il 
tempo e le circostanj^ej sebbene non. si conosca esempio della voce 
contràti usata in questo senso. 



S46 POEMCTTO ÌNi»)IT0 

Per ben saver tuli li fati; 
E dixe a loro: or ve n'andà<*> 
In Bethleétai queia cita ; 
Del fantin domandari; 
Pò verri, sì m'el diri 
Li o' vu l'awi tre vado, 
Et in qual logo el sarà nado; 
Ked e' vorò venire a lui 
Per adorar sicomo vui. 
lui se miseno in la vìa; 
Ecco la stella li aparia; 
Quella ke pare in oriente (^) 
D^ avanzo loro i aparì seiiì}u*e; 
Et illi seguivano quella stella 
Andando dreo W de terra in terra. 
Quando la stella fó andada 
Sover Io fantin, là o' eia era nada (^), 
La stella e li demorò, 
E più inan^e no andò. 
Videno la stella ke lì stava, 
E più inan^e no andava^ 
De grande alegre^a si s^alegròn; 

(4) Or ve n'andate. La forma onda in questo luoga ò evidente- 
mente forzata per servire alla rima con cittò^ mentre cosi il Leni' 
bardo eome il Vèneto dicono, e forse anche allora dicevano: 
andè. 

(f ) Pare in laogo di apare è non dnbia negligenza del copista, 
mentre nel verso precedente si trova aparta^ e nel seguente aparì. 

(5) j4ndà udrò ih dialetto mifànese, e andar drio net vèneto , 
significano seguire. 

(*) Per rettificare il senso di questo verso, pare che dèUbasi 
lèggere: Idj 'o^ egli era natOj il qoal errore venne forse com- 
messo dal copista per la consonanza della rima. 



DI PIETaO DA BARSEGAPÉ. 347 

Entro. la casa si entròn (^) , 
Lo faiìtìn trovòn li stare 
Gum Maria soa matre. 
Quando quisti Tavèn ve^u. 
Si se 9otòn d' avanzo hi (*^; 
Si io coaien^òn adorare 
E de lor presenti a fare, 
Et aver sov^r lor Ihesoro (^), 
Si gè offrìn mirra et oro, 
Oro et incenso et mirra offréà 
Questue lo don ked illi gè fén W. 
QuaMlli s^eveno a partire W, 
Una vox i^ è- parili a dire W: 
Al^re Herodes no tomabi , 

(4) Giova ripètere la osservazione già fatta sulla regolarità co- 
stante nella formazione dei plurali dei verbi coiraumento della n. 
Qui troviamo due nuovi esempj ^ in entròn ^ alegròn ^ per entra- 
rono^ 8i rallegrarono. 

(2) Si gettarono a lui d'inanzi. Le voci Iti ^v lui e le per lei , 
sovente adoperate dal Bescapè •^ sono ancora proprie ttel dialetto 
milanese. 

(5) Cosi sta letteralmente scritto^ e pare che debba intèndersi^ 
o^ ad averlo »opra ogni lor tesoro ^ oppure, a versargli sopra i 
lor tesori, 

(4) Fén, ed òffrén sono due nuovi esempj della formazione dei 
plurali col solo aumento della n. Abbiamo pure un nuovo esempio 
della licenza del poeta, o del copista nella voce offrén^ invece di 
offrin, come tràvasi scritto nel verso precedente, perchè non era 
vincolato dalla rima. 

(tf ) Quando stanano per partire. Anche qui sono manifeste le 
sillabe ommesse dalla negligenza del copista , che scrisse qua per 
quanyio, e «'^moper si anpeano. 

(•) Letteralmente questo verso significa: Una pace loro è ap- 
parsa a dire. La forma fè^ per loro è ^ si usa ancora in vari dialetti. 



248 ^ POEMETTO INEDITO 

Per altra via Ve n'andai. 
E quili sen van per altra vìa, 
Zascun sen torna in la soa villa (^). 
Li nomi dili magi Pun è Guaspar, 
L'altro Marchion, T altro Balde?ar(*); 
Zascun se va in soa region 
Sicomo per T angelo a lor ven in vision (^l 
Quando la Vergene se levò de parlore. 
Si cum se trova intro le carte. 
E quando in la eglesia eia introe\ 
La sancta mesQ se gè eanloe W- ' 
La mesa sancta e lì sermon 
Et oldin lo canto san Simeon. 
La m<ssa fó si sancta e verax, 
Ke li bastón devene cera. 
Tale meravelia Deo faxeva , 
Ke li bastón de (lama ardeva; 
Per 50 gè dixe li pluxor delera (^) 

<^ 

(1) F'illa per città è voce provenzale. 

(2) Ancora adesso i nomi proprj Melchiorre e Baldassarre nel 
dialetto milanese si esprimono: MarcMòn e Baidissàr. 

(5) Ciascuno sen va nella propria regione^ siccome ordinò l'an- 
gelo loro apparso in mione. 

(4) Egli è invero sorprendente lo strano zoticismo dell'Autore, 
che introduce la messa cantata ai tempi della Vergine. Giova però 
crédere^ ch'egli usasse tale espressione per èssere meglio inteso 
da' suoi uditori, giacché non possiamo suppcnre in un cenobita 
banditore della Bibbia e del Vangelo ignoranza di tal fatta. 

(byDehra è voce sconosciuta, e forse resa tale da qualche &- 
rore del copista ; il significato complesso peraltro dell' intero pe- 
riodo è chiaro quanto basta. Basterebbe d' altronde ' permutare h 
d in o per renderla intesa, giacché si avrebbe: o'el'era, cioè: 
o^>e ella era. 



Di PIETBfh DA BABSEOAPÉ. 249 

Sancta Maria candellera, 

E si s^apella eatro la mesal 

Saneta Maria ciriaL 
No fé pò longa deinoran^a 

K'el fé si richa desD^o^tran^a ^^^ 

A le noge d'Architeclin 

Là o' Ifé de raiguavin (2). . , 

Sen^a omiunca meneinan^a/^^) 

£1 fé inlò ^^) tal demon^tran^a. 

Posa ?e elio per vale e per montagnie (*) , 

Fin k^elPavé passao trenta anni^^); 
Et ecco r angelo. lo messo spirituale^ 

Messo del Segi)ior; lo rex celestiale , 

Ven' a Josepo in vision^ e i à dito (^); 

Tó Maria, el faptin, e fu^e in Egipto W; 

Herodes quere Jo fantin per degolare^^^); 

(4) Che ne diede ampia prova. 

(2) Colà ^ dove con^ferti raqua in Kino, 

(5) Si noti la forza di questa espi^essioneviatesa a constatare la 
verità del racconto. ^Letteralmente significa : senza la mìnima sol- 
trazione^ e quindi corrisponde alla frase italiana : senza levarci 
un ette, 

(4) Inlò, che talvolta ^gnifica colà, come avverbio di luogo, in 
questo verso pare piuttosto avverbio di tempo ^ e sanifica allora, 

(5) Poscia egli. andò per. min e per montapie. Elio per egli è 
pretto veneziano. 

(0) Finch'eàbe compiuti trent'annl La desii^za in ào dei par- 
ticipj di prima conjuga^ioae è costante. - 

(7) / à dito, per gli disse, 

{S)^To' per prendi. teco è voce vernàcola propria dei Vèneti; i 
Lombardi pure dicono tó. La radice da cui deriya sembra senza 
dubio il verbo tògliere. 

(9) Erode cerca l'Infante per farlo decapitare. Anche il verbo 



S50 P06Mfi?T0 INEDITO 

Lì con eso loro no dibli demorare (^); 
E slare in Egipto, e no ten despartire, 
De qui a quelo tempo 4e f el vero a dire <*). 
Yoseph sen va tosto in Egipto, 
Segondo quel ke T angelo i a dito; 
Vasen de nocte drito per là via 
Con lo fantin e con saneta Maria. 
Herodes vide ke r è schemudo 

Da li mai, ni ke tornòn'a lui (^^, 

EI fó pien dMra e de iniquità. 

Va in Bethleem in quela cita, 

Fa degolar fantin per soa iniquità; 

E fon cento quaranta e quatro milia. 

In lo sancto paradiso la lor mason è scripta (^\ 

D'avanzo lo creatore, in lo regno de vita; 

E le lor madrane forte mente plorava ('>, 

Ve9ando li soi filiol ki Herodes degolava. 

Or lasemo stare de questo ki è dicto, 

E si andemo inange segondo ke Tè seripto. 
Venudo è lo tempo k^el sona la novella; 

Morto sì è Hérode^, e meso soto terra. 

L'angelo si sen va, et a Joseph a dito: 

querere per cercare «comparve dalla lingua ilaliana^ alla quale ri- 
mase solo qualche derivato ^ eome : queHto^ qttegtìone^ e slmili. 

(1) Toma vano avvertire, come dibli per cfept sia voce alte- 
rata per incuria del copista. 

(2) La forma propria del dialetto lombardo è manifesta nella 
frase : de qui a quelo tempo kej onde esprimere : «tuo a che. 

(5) Mai per Magi è pura dimenticanza del copista. 

(h) Mason per ^abitazione; corrisponde al maison de' Francesi^ 
ed air italiano tnagUme. 

(B) Madrane per madri è forse errore dd copista^ a meno che 
non si consideri come derivato da matrone» 



DI PIETRO DA BABSEGAPÉ. 851 

Tò Maria, e\ fantin, et exe de Egipto (^); 
Va in Israel , mort^ è lo de&liale, 
Ouelo ki Hìena9ava Io fatttin degalare. 
El se leva suso (<>, e metese in< la vi£^, 
Va io Isrl con U fante e con Maria. 
Ave olendo ^^) Joseph e temeva de Tandare, 
K' el filici de Herodes regnava per so patre. 
L^ angelo, de Deo in vision i apare^ 
In terra de Gallìlea el devese andare; 
El g'è una cita k^à noQoò Nai^aretb, 
Li sta Maria, el fautin et Joseph; s 
UH demoraii insen^a in sancta carità; 
El fantin creseva m seno e in bontà ; 
Seno e saver e tuta, cortesia , 
E tuti bon eximpli de sòa boca ensiva. 
La 9énte ki Todiva w dano mwavelia 
De 90 ke dixe lo filio de saneto a Maria. 
Po^ se n^andoe per pian e per montagnie 

Fin k^el Tavè passao trenta anni. 

Si sen 9e al fiume Jordane, 

Quand'el bate^ó san Qoane; 

Si gè mise (^) Jhane Baptisto, 

Et elo bate^à Jesum Xriste. 

(i) Esci dall' Egitto; la forma di questa frase imperativa è prettai 
latina : et exi de JEgyfOo. 

(2) El 96 leipa suso è frase pretta veneziana. 

(5) La forma particolare del verbo ol^ire^ come ho già avver- 
tito ) si trova conservata in tutte le voci derivate. Cosi in questo 
luogo ave olgudo^ per ebbe udito. 

(4) In'que3to luogo il copista scordò la voce nome^ senza la 
quale manca il senso , dovendosi interpretare: gli impose nome 
Giovanni Battista. 



Ì52 POEMETTO fNÈWTO 

E quilì ki ènlora se bate^an, 
Si avén nomi Oistìan. 
Quando el in trenta anni son cresue <^), 
El coroencò le grabde virtue. 
Una grande mera velia el fé, . 
K'el resuscitò lo fiol del re, 
K' entro Faigua^era fondao 
Fin a! ter^o di el gl'era stao. 
Ouand^el ke (^) li mandò a dire, 
K'el se voleva convertire, 
S' el gè rendeva lo so filiol 
D^ond'el n'aveva grande dolo i^\ 
Jesu Xriste no se dementegò (♦>, 
K^el Sancto Spirito si gè mandò; 
A lui mandò lo Sancto Spirito, 
Sì U fé* tornare da morte in vita 
E si '1 trasse' fora ale rive; 
E tuta la ^ente si lo vide^ 
Cosi lo rendè al patf« soe ^^\ 

(4) È costante errore del pòpolo vèneto, quando pur tenta di 
parlare italianamente , il far uso della voce ^ano nella terza per- 
sona singolare del tempo presente ^ nel verbo é^^er^^ dicendo: que- 
sto sono bellOj e simili. Cosi troviamo ora in questo verso qtumio 
el son eresile^ ad esprìmere : quando egli è cresciuto. É poi chiaro, 
che il poeta ha cangiato cresuo in cresm^ per servire alla rima 
con virtue. 

(2) Sebbene nel Còdice stia scritto ke^ egli è però evidente, che 
debba lèggersi rcj ossia : quando il re gli mandò a dire. 

(5) Ond'egli n'avea gran dolore. 

(4) Dalla forma di questo verbo parrebbe doversi interpretare 
non si dimenticò; ma conviene meglio al senso: non si smenA, 
oppure, non ricusò. 

(K) Rendè in luogo di rese^ serbando sempre intatta la sìllaba 
radicale , giusta quanto ho osservato sin da principio. 



DI PIETRO DA ^BS£GÀPÉ. 253 

Gom el gè dixe e i cotdandò. 
Molte 9ente a lui credevano 
Per queste cose ke ìUi crédevano; 
Mo disemo lo re è bate^ao 
Con tuti quili del ^ò regnapio^ . 
Jesu Cristo se n,^alegrjGi, 
E da lì inan^e el predica 
Facendo a luti grande sermont, 
Segondo ke dixe la raxon. 
Lo patre nostro Jesu Xriste 
D^omiunca saver el è magislro^ 
El fé la sancta compagnia 
Molto bella e ben complia. 
Li apostoli mise in soi capituli , . 
Gom li sexanta e du disipuli. 
Za no se fé longa demora ^^^ 
Ke molta gente se convertir iniòra 
Ouand'el passò per li desèrti 
E per li strigi e per li avete W; 
E mandò sci predicatore 
De fin in India la maiore. 
Sancta Susana liale 
Guarì de falso criminale ; 



(4) Tutta insieme la frase di questo verso significa: beìtprestOj 
oòsia ìwn andò guari tempo. 

(3) Colla sòlita negligenza il copista ha scritto a^ete, in luogo di 
averti^ come richièggono il ^enso e la rima^ onde si avrebbe : pei 
deserti stretti e per gli aperti. ^Strigi per stretti ricorda la viziosa 
permutazione lombarda delle tt in cc^ dicendosi ancor oggi strecc 
in luogo di stretti. 



254 POfiMfiTTO INEDITO 

E san Jona xe de la barena <^); 
Quando lo ^ite W entro T arena. 
Lo re de gloria Jesu Cristo 

D^omiunca saver «I è magistro; 
El descendè de cel e yen a ou 
Facendo a nu le grande verta W. 
Li morti de terra su levò, 
Visibel mente K suscitò; 
* • Storti^ 9opi e anche sidrae ^^^ 
De lor gè vene pietae. 
Infirmi , cegi (^) e cotal jente 
El gi (^) sanava incontinente; 
El convertiva li peccatore 
Tra^eva fora deli errore. 
El fé una cossa ke fó grande mei-avelÌQ 



(4) Sovente il Lombardo pèrmuta la l in r. Abbiamo altrove ap- 
puntato gora per gola; così adesso troviamo barena per balena, 

(2) Non è fàcife avvertire tutte le inesattezze e gli errori com- 
messi dal copista; qui troviamo gitta in luogo di' gettò j come nel 
verso précédente xe.in luogo di ext, ond' esprimere esci. 

(5) La voce virtù in questo poemetto ha sempre significato di 
prodigio j o miracolo. 

(4) Sebbene di strana forma, la voce gidrae^ già ripetuta altro- 
ve, significa senza dubio scianmto^ o checché di slmile ; forse an- 
cora è corruzione di assiderato, 

(5) Infermi^ ciechi e coiai genie. 

(6) È proprietà distintiva dei dialetti vèneti il permutare il sqodo 
delle II molli in Ig^ pronunciando famil-gia^ el-gi in loogo di fa- 
miglia^ egli. A provare quindi la prevalente influenca del dialetto 
vèneto in Lombardia ai tempi del Beseapè , troviamo ancora tn^ 
da di questa vèneta viziatura nella frase el gi sanava in luogo di 
ei gli sanava. 



DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 255 

Ih li homìni k' erano cinque milia (*); 
Sor un monte eie li fé assetare (^\ 
A grande large^a li de mancare ^^\ 
De du pisci e de cinque pane or^ai (^) 
Tuti afati a ii a saziai. 
Dodex còfeni W fó T avanzamento 
Segondo ki in lo evangelio se ie^e inlò dentro ^^K 
Inlora quela ^ente si acomenzòn 
D^ avanzo Jesu Xristo butàse in oraxòn; 
Levar le man in alto, e preseno adorare; 
De 90 k^elg^àdonao comen^ano regratiare (^). 
Or digemo (^) del Ségnore veraxe 
Como nosco el fé paxe W; 
K^ el se degnò a nu venire 



(i) li nùmero mille è sempre espresso latinamente colla voce 
milia, 

(i) Ancora oggidì il pòpolo milanese dice: setà^ setàss^ per se- 
dercj sedersi. Il vèneto dice : sentarse, 

(5) In gran copia lor diede a mangiare. 

(4) Con due pesci e cinque pani; non mi riuscì interpretare Tag- 
gettivo orceaij che si riferisce o alla qualità^ alla forma e gran- 
dezza dei pani, 

(8) Ne sopravanzàrono dódici canestri. Ancora adesso il Mila- 
nese dice : dòdes còfen^ ad esprimere dodici canestri. 

(6) Giusta quanto si legge entro il Fangelo. Segondo per se- 
condo è forma lombarda. 

(7) Se in luogo dì comen^no leggeremo comén^ a, corregge- 
remo forse altro errore del copista^ ed avremo: cominciarono a 
ringraziarlo di quanto ha loro dato. 

(Sf) Il Venezimo dice ancora «{t^cjmo^ per diciamo ^ favelliamo; 
.il Lombardo , disèm. 

(9) Come si rappacificò con noi. La voce nosco in luogo di con . 
noi è dunque di vecchia data nella lingua volgare. 



S56 POGKCTTO INfiDITO 

A aiagÌ8trare et semoqìre ^^\ 

Predicando omiunca homo, 

E facendo grande setmon 

Ke nu devesem obedire 

E la drita via pur lenire. 

Quando questo a nu diseva 

Lo so regno n^inprometeva (^); 

Quelo regno glorioso 

Sovra li altri pretioso , 

K* el no gè va nesun si 9opo, 

Ke lì no corona e vaga tosto (^^ ; 

Ni si infermo, ni sidrao, 

K' el no sia drito e resanao. 

Nesun gè more, ni g^à grame^a; 

Omiunca homo è pieno de alegre^a. 

El descendé de celo in terra 

Per nu intro la grande guera; 

Per sostenire sede e fame 

Per lo peccao de Eva e d^Àdame 

E li disipuli drè veniando (^) 

De terra in terra el andando; 



(1) Jld ammaestrare ed ammonire. 

(2) Inprovèéier per prométtere è fornii propria dei dialetti 
vèneti. 

(5) Che m noti corra e non cammini tosto. Più v(^fe incontrasi 
in questo poemetto il verbo coronare, per correre , ciò che è por 
^moritèvole d'osservaziooe, quando per altro aon sia per ne|^- 
gonza del copista. 

(4) Abbiamo altrove avvertito andar drè per seguire^ quf tro- 
viamo venir drè collo stesso significato; e troviamo pure ripetntai 
. la desinenza ondo invece di endo, sebheoe tenóre appartenga alla 
quarta conjugazione. 



DI PIETBO DA BARSEGAPÈ. 257 

Promettendo a nu la vita 
Se nu gessemo (*) per la drita ; 
Digando a nu li bon exetnpti 
Li eser «li conveneftte^^J 
A quili ke volen ia cel montare 
- Per avere vita eternale. 
D' un grande miracolo ve volio dire 
Ke fé Xrìste, senja mentire; 
Queio nostro graade.Segniore 
Und' ave li Qudei grande dolore, « 

Sacerdoti e Farisei, ^ ^ 

Li principi deli (^udei 
Invidiosi e grami e forte; 
K^ el suscitò Labaro da morte , 
Lo qual era in lo monumento 
K'el marciva ga là dentro; 
Quatro di éì stete in morte^ 
Si k' el pudiva molte forte. 
Jesu Criste si lagremoe, 
Ad alta voxe Labaro clamoe. 
Quand^el clamao, Labaro vene fora, 
Incontinenti ^') el insi fora ; 
Labaro fó in pei levao, 
Da morte a vita suscitao; 
E lo Segnor li in presente 

(i) Ecco uà nuovo derivato del verbo tre o gire nella voce 
^ssemoj per gissimo^ o andassimo. 

(2) Esser èglino necessarj. La voce eH per èglino è propria dei 
dialetti vèneti. 

(5) É manifesta la derivazione di questa voce dalla latina incoi»- 
iine^ter, 

17 



S5S POEMETTO llfEQITO 

Comandò ali soi desoentri W^ 

K' eli lo deveseno desligare, 

E laxarlo via andare. 
Ora YU avi intesso un bel sermon , 

E molto ben trato per raxon. 

Glamemo marce al creatore^ 

Ki è nostro patre segniore, 

Ke el ne dia intendimento, 

Segondo lo so boa piacimento , 

Ke nu possemo dir e fiB^ 

Zo k' el ne volese comandare ; 

Ke nu possemo portar in paxe 

Questo mundo reo e malvaxe, 

A 90 ke nu possemo andare 

Et in alta gloria demorare. 
Ora homiomo (^) inten9a e stia pur in paxe, 

Se d^un belio dito audire ancora ve plaxe; 
* Et eo si prego tuta ^ente 

La qua^ è qui comunamente 

Ke me debia intende et atooitare 

De 90 ked eo volto cumtare. 

Et el ve dixe meser san Poro: 

Inló 0' è 7 tò core, ilio è 7 tò texoro (^)j 



(I) In luogo (ti discépoli^ disipulij l'autore fece qui uso delia 
\oce digcentij per ragione della rima con presente; ma il copista 
vi ha interposta un r^ che guasta e la rima e la parola. 

(3) Altrove abbiamo sempre rinvenuto omnmca homo; qui il 
copista ha messo fuori di posto Vh ed obliata la finale iinca. Gò 
nulla di meno è chiaro il significato : Ora ognuno presH aUen- 
zione e 9tìa cheto. 

(5) Colà ov è il tuo cuore j ivi è il tuo tesoro. È interessante la 
distinzione ivi fatta tra i due avverbj inlòj ed iilò. 



DI PIETAa DA bArscgapé. 959 

Questo dìgto sapiài, Segaore, 

Ki r intende, el è da honore 

E de gloria è de bontà ^ 

E de omìunca utilità, 

De grandega e de cortexia, 

E de verità senga biixia. 

Sapiai, Segnor, questo sermon, 

Non è miga de bufon (^); 

An^e (^) en sermon de grande pagura , 

D^onde eo si n^ò molto grande rancura W, 

Petro de Barsegapè san^a tenor (^) 

Questo si fó lo ditaor <») 

Ke dito questo ditao:, 

E dal so core si 1- à pensao; 

Mo el è pluxor W ditaori 

Ki àn dito de beli sermoni; 

Ank^eo ven dirò, se a Deo plaxe, 

A quel homo Segnore yeraxe 

Ki m^an dato cognoscan^a, 

Et in lu tenio grande fidanza. 



(i) Questo 'modo di dire è invero troppo basso e disdicèvole ad 
un sacro oratore ^ ciò che può solo escusare la rozzezza dei tempi. 
Siecome egli si accinge a narrare la Passione di G. C. , così pre- 
dispone con questa introduzione il lettore , assicurandolo^ che non 
è raccanio ifwentato. 

(2) Aitzi un racconto si spaventoso. 

(5) Bancufn per rancore; forse per formare la rima con pagura, 
(4) San^ tenor ^ cioè francamente j veracemente. 

(8) Ditaor^ Yale a dire: quello che lo ha dettato^ come chiara- 
mente esprime nel verso seguente. 

(6) Pluxor^ cioè parecchi^ dal provenzale e dal francese plu- 
sieursj o meglio dal latino plures* 



à60 POEMETTO INEDITO 

Ora ve volio comen^are e direy 
E per raxon molto beri fenire; 
Mo eo prego tuta 9ente 
Sed eo fallase àvu presente (*) 
Ke vu rae debiè perdonare, 
E no reprehende lo meo ditare. 
Et eo ve dirò dra (*) pàssion 
Ki sostene lo nostro Segoore, 
E ciim el resascìtò, 
E cum r inferno el spoliò, 
E cum el ne trasse Ir soi amixi 
Si cum la scriptura dine. 
Una grande maravelia denan^ v'è dita (^), 
La qual de sovra si è scrìpta 
In sto libro motto bon, 
Lo qual si a pluxor sermon; 
K^ al fó trato da morte a vita 
San Labaro de Ebitania; 
Così farà de V altra ^ente 
Quando el sera io so placimente; 
Poi receve palma e oliva. * 
Mate^a fan quilK ki la schiva W! 

(4) S'io fallassi^ rammentatevi, i$*ed per se^ porta suffissa la d, 
ond' evitare V elisione con eoy aver presente per ricordarsi^ avver- 
tire j è modo di dire ancor proprio di parecchi dialetti. 

(2) A meno che non voglia attribuirsi ad errore del co{Hsta^ ciò 
che è molto probàbile^ reca sorpresa il trovare in questo luogo 
l'articolo dra per della^ che è proprio dei dialetti Hguri e di al- 
cuni pedemontani ^ sebbene non ha guari fosse ancora in uso 
.pressò i dialetti deiralta Lombardia, verbanese e ticinese. 

(5) D&nan^e v'è dita^ vale a dire : vi fu già ratcontata^ o)pfmre 
vi ho già testé r<tccontato. 

(4) Stolti quelli die la ricusano ! 



DI METRO DA PEItSEGAPÉ. 261 

La ifobìa fé con li soi frai (^)^ 

Con lor mangiò in carità; 

Pò gè lavò le man e li pèe. 

Jesu Xriste filiol de Deo 

Cum el fó ven9U0 ^^^ in quela nocte 

Dal traitò Juda Scariote, 

Per trenta dinar, ke più non prese, 

Per mego la gola sen apesse ^^\ 

D'onde queste cose a vu dona ^^^ 

Za ve cuntarò molt tosto per man ^^l 

Se vu intendi pur ancora <^^ . 

Eo no ve farò tropo demora. 

Quando Labaro suscitò in Betania, . 

Li (^udè pensòn grande folìa, 

E sì fon grami et molte tristi 

De questo miracolo ki fé Griste; 

E se voren (^^ pur pensare 

(4) Passò il yi(Ked% co^ suoi fratelli { discepoli), Lsl voce cobia 
per giovedì è ancora propria di alcuni dialetti* vèneti, specialmente 
del veronese. Il Veneziano pronuncia zióba; l'antico milanese, 
come consta dai documenti, pronunciava giòbbittj e ancora adesso 
in molti luoghi dei contado è viva la voce giòbia, ' . 

(2) Nella parola venguo per venduto si rinnova la permutazione 
della dìng già più volte avvertita, e la desinenza dei participj vèneti. 

(5) Apesse per appese^ vale a dire : s*appicò per la gola, 

(4) Dobbiamo crédere, che il copista ommettesse in questo luogo 
alcune lèttere, o ne scambiasse altre, poiché la voce dona:, che 
non consuona colla rima, non si connette colle altre nel periodo. 
Forse dèvesi lèggere diymàn^ cioè: dimani, 

(5) Per man 3 vale a dire: per ordine^ a ìnano a mano. 

(6) Il verbo intèndere è sempre usato dall'autore, pel senso di 
prestare attenzione. 

(7) f^oren per pòg/tono è pura forma del dialetto milanese, che 
tutl' ora pronuncia : voren. 



t69 IPOBIETTO INBDITO 

Gum lo posseno a morte trare; 
À traimento et a grande torto 
Pur Yoleno far sì k^eLsia morto. 
E di e lìocte van pensando, 
El traimento si van cercando, 
Gum illi posseno ol9Ìre ^^\ 
Ke illi no veleno k^el debia vivere. 
Un de M s^axembla W ii Pharisei 
E li principi deli (^udei; 
Si sen van a Jèsu Xriste, 
Si Io clamòn per magistro; 
In mal dire et in mal fare 
UH sei credevano inganare 
Con falsità e con buxia. 
De lu pensavano felonìa 
Quela 9ente invidiosa, 
Bruta e falsa et inodiosa^ 
No calavano ^^) de pensare 
Como illi Io possano accusare 
D^ avanzo lo pòvolo e del segnore 
Ke de loro era imperatore. 
No li cessavano dei maldire, 
Per farlo prender et olfire. 
In parole l'avraven reprenguo (*^ , 

(i) Anche il verbo olfir^ per uccìdere serba la forma costante, 
che abbiamo avvertito in oldire per udire, 

(9) Axemblarse^ per tmtV^t^ conpentre^ è voce molto aflBne al- 
roccitànica ed alla francese s'assembler^ te ras9embler, 

(3) Non cessavano di pensare. Ancor oggi nel dialetto inilanese 
calàj fra gli altri ^ ha il significato di «lentr meno^ diminuire. 

(h) Lo avrebbero ripreso nei detti j se pur to avessero potuto. 
La forma della parola a^^àven. del pari che quella dei partkìpj ^ 
è pretta veneziana. 



DI ramo DA SARSCGAPÉ. MS 

Se jllì avessenò pur posuix 
EI nostro Segnore Jesu Xriste. 
Lo qual et*a bon magistro, 
Sape ben lo lor affare 
Li lor penserLe li lor andare »*); 
Vide la lor iniquitae^ 
Mo el era pien de liumilitae. 
Humel mente gè respose, 
Parlando cum plana voxe 
El i asponfeva la scriptura^^), 
Parlando con grande mensura ^?\ 
El contenda a semonire^ 
UH no volevan pur audire; 
E li (^udè mìseno man ale prede (^>^ 
E si gè trasevano drè ^^\ 
El fu^i delo tempio e si ^'a^ose 
Ke illi ravravan morto a YOxe. 
Ora sen va de terra in terra, 
E li Qudè li fan la guerra; 
Ora sen vau li (^udei 
£ li falsi Pbarisei 
Gonsiliando molte forte. " 
Com el Signore omnipoente 
A si clamò li soi descentre, 
In li que è la fidanza W, 
Si lì faxe la predicaùga^ 

(i) / lor pensieri e la loro cotictotto. 

(3) Egli esponeva hro la Scrittura. 

(5) Menmraj fer predsiùney moderazione. 

(H) Ancora adesso il Lombardo pronanda prede per pietre^ som. 

(tt) Trar drè per gettar contro è maniera lombarda. 

(6)r Nei quali è pura la fede. 



Si64 POEVGTTO INEDITO 

El gè dixe: ora m^aseoltoe; 

In Jerusalem mego tornae (^). 

Heu ve dìgo ia verità 

Ke firò inloga passiona ^^). 

Li Io filiol del Creatore 

Com el Segniore pò esser morto (*) 

Sera trahìdo ali peccatore; 

Illi me Iigaran alo palo 

Come fosse pur un latro ; 

No gi lagaràn de roba iiidolo ^^^f 

Dati ^udè da Jet al meritogo ^') 

Illi spudano suso lo volto, 

E diran k' el sia stolto; 

Si li daran suso lo galon 

E de vergelle e de baston ^^); 

Tal gè darà suso lamaxella^ 

Ke sangue g'andarà^de qui in terra. 

Po^ lo meteran in t^roxe, 

(1) Meco tornate. Pare che le vocaili ae nelle parole ascoltai, 
tomae dèbbansi lèggere come il dittongo latino ae, nel qual caso 
avrebbero rodiema. pronuncia : oscoftè, tome. 

(2) Che colà subirò i miei patimenti. Sono per lo più derivate 
dalla radice fieri le voci del verbo essere; perciò troviamo firò 
per sarò. 

(5) Questo verso deve eliminarsi, come intruso per distrazione 
del copista. 11 sen3o e le rime lo esclùdono interamente, dovendosi 
lèggere.: Ivi il figlio del Creatore sarà tradito dai peccatori. 

.(A) Non gli lasceranno veste indosso. La parola lagdper lasciare 
è ancora viva nel contado milanese; 

(tf) Lo strano accozzamento ddle parole di questo verso rende 
assai malagévole indovinarne il significalo. 

(6) E di ipergìì» e di bastoni: Fergella per pergfo è voce an- 
cora viva nel contado milanese. 



DI PIETRO DA RARSEGAPÉ. 365 . 

Sì l'ulciran tuti a xoxe (*); 
Al tergo dì s^rà lévao, 
Da mòrte suscitao* 
Quando el i ave ben predicai, 
E molto beo amagistrai, 
Vasen drito per la via 
Gom li disìpuli in conpagnia. 
Quando el fó a Belfagie 
Al monte de oHìve, 
Si clamò du deli frai, 
Et a lor dise: or ve n^ andai, 
E si andai intramhi du . 
In quel castello ki è contra nu. 
Li aloga (*) trovari 
Una asena con Pasenìn; 
UH én ligai, e vu li desligai <'), 
Et a mi si li mene. 
Se vu trovè in lo castello 
Ki ve faca alcun revello W, 

(1) Neir ùltimo \ef^o del capo precedente sta scritto : l'avr^^an 
morto a spoxe^ ossia Vavrèbbero ucciso colle grida. Pare quindi che 
qui pure debba lèggersi a voxCj anziché a xoxe ^ parola d' ignoto 
significato. 

(2) Ecco una diversa forma del ripetuto avverbio di luogo inloga, 
iniòjilloga e simili^ derivato sempre dalle forme latine in loco, 
eo locOy ilio loco. 

(5) Essi sono legati, e voi slegateli, e conduceteli a me. Abbiamo 
qui ui^a prova del modo col quale dèvesi pronunciare desligai 
(che forse dovèasi scrivere desligae).^ dalla voce mene colla quale 
dev'èssere rimato. E ciò ci somministra novella prova della negli- 
genza costante del copista^- che scrisse la medésima voce in tante 
forme diverse^ cioè : andai, andae, andè. 

(k) Remilo per rilievo, opposizione. Si vede chiaro ^ che fu in- 
vertito l'ordine delle sillabe, per conseguire la rima. 



366 POENETTO INEDITa 

Diri, k^el non abia sognia ^^^ 

Ke alo Segnor fano besognia. 
UH se metèn in la via 

Intrambì du in compagnia, 

Et al castello illi andòn 

E r asena si deslìgòn ^^>) 

UH la deslìgòn H adeso, 

Eia , V asenÌQ con esa apreso ; 

UH la menòn com esso loro^ 

Si dan alo Segnore; 

Suso gè mente ^^)'Ie Yestimente; 

So ver r asena verax mente 

Lo Segnor gè fén montare , 

Per più suave cavalcare (^). 
Elo se mete in la via , 

E la grande ^ente lo seguiva. 

In Jerusalem va io Segnore, 

Et asai gè fan lo ^nde honore. 

Partìa g^è de quela (ente 

Ke soleveno le vestimente^^^ ^ 

E rame de palma, 

Si le metevano suso la strada ; 

La strada van tuli adeguando (®) 

(4) Sognia per euraj pensieroj dalla voce francese mn. 

(9) E slegarono V àsina. È sempre costante la forma regolare 
per la formazione delle terze persone plnrali. 

(5) Per negligenza sta scritto menfe in luogo di meim^ osai 
méttono. 

(h) Onde più agiatamente cavalcasse. 

(5) Che si lèfpano le vestimento. Per errore il oojjiista scrìsse 
solcQeno^ anziché se lei?ano. 

(6) È molto propria ed espresriva la frase adeguare la via, per 
tògliere gli inciampi, e rènderla piana e netta. 



DI PIBTRO DA BARSEGAPÉ. 367 

La o^ era le prede e lo fango ; 
Ke la asena non habia male , 
E ke ta vaga più soave. 
Oraiunca homo va cantando, 
El Deo del cel si van laudando; 
OsanaJ Jesu Xrìste^ 
Fané salvi bon magistro (^); 
Benedigio sia lo Creatore 
Ki n' à dato si bon Segnore ! 
Tuti qui li dela cita 
Grandi e piceni, e tal e quali^ 
Incontra vèneiio al so Segnore; 
Si gè fan lo grande honore, 
Si com^ in la Scriptura se trova scripto , 
llli gè fén quél honòr ki v'è dito. 
In Jerusalem si sen andòe 
Et in lo tempio si entrée. 
Trovò li mercadandia (^); 
Tute le merce ^eta via , 
Et desbregò tuto lo tempio (^). 
Dise a quili k^ erano là dentro : 
Gasa mia , et oi , casa de oration , 
Fata v' àn speronca da latron (*) ! 

(i) Fané sahi per fa noi sahi, o facci sahi, è maniera propria 
cosi dei dialetti vèneti ^ come dei lombardi. 

(9) /pt trow mercato. Si yed^ che sin dal sècolo XIII èrano In uso 
ambe le voci merce e mercatanzìa, poiché nel verso seguente 
soggiunge: tutte le merci getta via/ ma con significato diverso. 

(5) Desbregàr, o c(es6rigfdr per sbarazzare, tògliere tutte le cose 
Jnùtili e moleste, è voce ancora usata nei dialetti vèneti^ ove ha 
ancora il significato di sbrigare, per far presto, spicciare. 

(4) Fàtta'v' hanno spelonca di ladroni. La permutazione della { 



268 POEMETTO INEDITO 

E po' va vìa per la* terra, 
Ke nesun homo no Tapella; 
No gè fó ki Falbregase (^), 
INI ki de beve lì n'iid <lasse; 
Ma ese de la cita a man a man , 
Quìdexe mìlligìa ben iuitan (^), 
A casa dela Madelena, 
E U ave rìcha cena. 
Maria fóalegra forte, 
K^el suscitò Io fradelo da morte. 
Si Io receve alegramente, 
E po' li dona de Tinguente (^) 
Pretipso e pien d'odore, 
E si ne unfe io Segiiore. 
Li alo èn albregai (^) 
Lo Segnore con li soi frai» 
IVla sì g'è un falso frado W 
Ki Juda traitò fi clanlao; 

in r nella voce speroma si ripete ancor oggi nel dialetto mila- 
nese , come in parecchie altre voci da noi avvertite. 

(i) Anche l'inversione del posto della r in albregase, per alber- 
gasscj òdesi tuttogiorno dal pòpolo milanese. ^ 

(^) Quìndicimiglia ben lontano. Ho già avvertito di sopra come il 
Vèneto in generale inverta il suono delle II molli ^ che in italiano 
si rappresenta con gli^ in Igi, Questa influenza deHa pronuncia 
vèneta è qui manifesta nella parola millgia^ nella quale il copista 
ha di più inserito una i. Vedi la Nota (0)^ a pag. 2tf4; 

(5) Inguento dice tutt'ora il pòpolo milanese per unguento. 

(ft) /pt sono albergati: La voce én per sono e .albregai per al- 
bergai sono proprie del dialetto milanese. 

(B) Poiché nel plurale è sempre scritto frai per fratelli o discé- 
poli , non rv'ha duhio^ che in singolare dovrebb* èssere firao, tanto 
più che meglio consuonerebbe con clamao, ossia chiamato. 



DI PIETRO DA BARSEGy^PÉ. 269 

Del Segnore efa sènescaico, 

E canevé si era questo trailo ^^\ 

Si comen^a a businare W 

El de grande ramporgnie a trare, 

De i}o ke sta Maria feva ^^\ 

Und'al Segnore eia onjeva W; 

E si deseva entro li frai: 

Za (') yegnì, si m^ ascoltai : 

Per que se perde questo unguento 

Ke ben vale dinari d'argento? 

Ben se porave esser vencù ^^^ 5 

E de bon dinar aver ablù <^), 

Et aver fato carità 

A quili qui àn necessità. 

Ora respondea lo Segnore, 

E dixe a Juda lo traitore: 

Perque vatu <•) ramporgniando, 



(i) Ed era cantiniere questo traditore. La voce caneipé è ancora 
viva nel dialetto milanese. A qual fonte poi il nostro autore attin- 
gesse la notizia di questa professione di Giuda, non ci è dato co- 
nóscere. # 

(^) Egli comincia a buccinare, vale a dire a mormorare, ed a 
calunniare. 

(5) Fe^ per faceva è ancora usata da alcuni dialetti lombardi. 

(4) Poich'essa ungeva il Signore. 

(5) Zi^ per qua è voce vernàcola generale. 

(6) Ben potrebbe èssere venduto. Ecco un nuovo esempio della 
forma vèneta in porave, e della permutazione della d in ^ nella 
voce vengu. 

(7) Qui dovrebbe èssere scritto abiù^ voce ancor viva nel con- 
tado milanese per avuto. 

(8) Perchè vai tu rampognando.^ La voce vatuhsi forma occità- 



270 POEMETTO INEDITO 

E Maria molestando? 

Era fato boiì lavore, 

Ke Tà ungio (*) lo Segoore; 

De li. poveri avri asai eoa vuj 

Mo eo no seró sempre con vu, 
Dixe li frai alo Segnore, 

Parlando con grande amore : 

Dì, Segnore, là o^el te plafa 

0' nu devemo far la pascha? 

Et el dixe: or ve n^ andai 

In Jerusalem quela cita , 

Vu vederi un homo andare 

Con un vasello d^i^qua portare , 

Et portarà un vasello de aqua^ 

t)ige, ke farò sego la pasca ^ 

Com eso lu ve n^ andari, 

Et a casa soa demorari. 

Li aloga aprestà (^) 

De quel ki besognia de fa; 

Tute cose a complimento , 

Ke no gè sia mancamento. 

Questo volio ke vu sapia, 

Ke meo tempo si è aproximà. « 
Du dili frai vano via 

Entrambi du in cOnpagnia. 

P)o caiòn, si fon andai W 

nica e vèneta ad un tempo ^ mentre^ cosi li Provenzale, come il 
Veneziano dicono ancora : vas-tu, 

(1) Ungio per unto^ colla permutazione della t ing propria del 
dialetto milanese. 

(2)«/(pì apprestate, 

(5) No calòn per non cessarono, non desistettero. Abbiamo al- 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 271 

Drita mente ala cita ; 
Lo boQ homo avèn ve^u; 
Si sen fèn drito a lu; 
Li in presente si li àn dito 
Zò ki li manda lo magistro; 
Ked hel sego voi albregare W^ 
E la festa de pasca li voi fare. 
Et illi receve alegra mente, 
A casa li mena incontinente. 
Li aprestan lo mangiare, 
E quel ki g^ è mestér ^^> de fare. 
Lo Segnor con li soi frai 
In questa casa én albregai. 
In l'ora de vespro el g'intrò 
Tuli afati si là salutò; 
Dixe: frai mei:, mandegemo (^) , 
Entremo a desco e si cenemo. 
Quando illi fon tuti asetai (^), 
E' si à dito ali soi frai : 
Un grande tempo ò desidrao (^) , 
(E, leva la man, si à segnao), 
De mangiar con tuti vu 
In .questa pasca k'è vegnu; 



trove appuRtato il verbo calare col significato d'importare^ come 
derivato dalla radice latina calere. In questo luogo, ha il significato 
suo proprio di venir meno. 

(1) Cji'egli vuole albergar seco, 

(2) £ quanto vi è mestieri di fare. Si vede che la frase italiana 
esser mestieri, far di mestieri è molto antica. 

(5) Mandegemo, ^er manduchiamo, mangiamp. 
(4) Asetai per seduti è voce lombarda. 
(8) Già da gran tempo ho desiderato. 



272 POEMETTO INEDITO 

Or mangierno in carità, 

A ^ò ke sia passiona. 

Or manduga Io Segnore 

In carità con eso loro , 

E pò da desco se levòe;' 

Li soi frai a si clamòe, 

E si gè dise : oi , frai mei , 

Eo ve volio lavar li pei. 

E si respose un deli frai, 

Ke san Pietro si clama, 

E dixe: Meser, ke vota fare <*)? 

Perquè votu li nostri pei lavare? 

Dixe lo bon Segnor veraxe : 

Fra Petro ^^\ sta in paxe; ^ 

Quando t'avrò lavai li pei, 

Ben tei dirò perqu'^1 fa?' eo (^\ 

Alo Segnore Petro respose, 

E si li dise a piena- vòxe: 

Li mei pei no lavare^ 

INi im perpetua no li sugare (^). 

Dise lo Segnore ali frai soi : 

Si li toi pei no lavarò, 

Non avere mego a partire, 

INi a fare, 'ni anche a dire. 



(1) Mésser per Signore^ che vuoi tu fare? 

(2) È strano il predicato fra', col quale i mònaci più tardi si 
denon^inàvano tra loro. v. ^ 

(5) Ben ti dirò perch' io lo faccia. 

(4) / miei piedi non tacerai, né giammai li asciugherai. 
Ancor oggi il Milanese ed il Vèneto usano .la terminazione è 
nella seconda persona singolare del faturo, e la voce sOgà^ o 
sugar per asciugare. 



DI PIETBO DA BAitSEGAPÉ. 273 

Dixe Petro: Meser, e' son tò, 
Lavarne li pei, e le man e lo co <^); 
Fa, Meser, quel ke tè plaxe, 
Ke tu è me Segaor veraxe. 
Quando illi avéne tuli li pei lavai, 
E tuti a desco iirin tornai, 
Si li comen^a à magistrare, 
E si gè dise in so parlare : 
Questo exemplo e' V ò dao ^^^ 
Deli pei ke v'ò lavaò, 
Si corno e' li ò lavadi a vu 
Ke li debiai lavar int^ vu; 
E questo ve volio comandare , 
Ke ve debiai intér vu. amare. 
Or se lamenta lo Segnore, 
E dixe ali frai lo so dolore; 
Si li dixe con grande suspiro: 
Un de vu me de^traìre) 
Li frai ne fon molto dolorosi , 
E molto grami e pehserosi ^ 
Mormorando entre loro: 
Qual è quel ki è traitore? 
Juda trailo era a désco, 
E crida forte: sont' e' deso <^)? 
Lo Segnor si gè respose 
Humél mente, in plana voxe: 
] Tu è dito: sonfe* deso? 

Noi palese ni anche per questo ^*). 

(i) Co per mpo è vece propria del dialetto milanése^ 
(^) Qmsf esempio io v' ho dato. 
(3) Son io dmo? Y^di la nota (5), a pag. %M, 
(k) Non lo paleso neppur per questo. La forma ni anche è pro- 

18 



274 . POESETTO l!f£QirO 

El g'à li un de ii frai, 

Ke san (^ohane fi clamaó ; 

In scoso (^) dèi Segnore dormlya^ 

Grande fidanca in lu aveva , 

Ke aveva grande dolore 

D^eser traido lo so Segoore; 

Si le comen^ò a dhre: 

Ki te de', Meser, traire? 

El gè respose humel mente : 

Quel farà la trai&on (^) 

Kt mangiarà questo bocon. 

E lo Segnor dixe a Juda : 

Toi , lo' sto bocon e sì M manduga ^') : 

Quel ke tu à pi&nsao de fare^ 

Tralo tosto a desbregare W. 

La boca avrì lo trailo Juda, 

Tol el bocón e si '1 mandoga* 

Quando Tayé mandugao, 

Sathanas gè fó intrao; 

Da desco se levò , e si ^é vìa (^\ 



priamente vernàcola, perocché i Vèneti dicono gnam^a, i Lombardi 
gnan, 

(1) In grembo del Signore ei dormiva. Ecco una voce pretta 
milanese, che dice in scoss per esprimere in grembo; e quindi 
chiama scossa il grembiule. 

^ (2) f! ben ovvia la consonanza dì questa voce con trahison fran- 
cese, che. significa del pari tradimento. 

(5) Prendi questq^ boccone, e mangialo. Le voci'toi^ to', da tò- 
gliere, sono lombarde. 

(4) In questo luogo desbregare è adoperalo nel senso proprio di 
spicciare. SpìcciaU presto. 

(5) Si alzò dal desco, e se n'andò. 



DI PIETRO DA BÀRS&QAPÉ. 27 5 

E lasa star Id compagaia. 

Lo Segnor dìxe sili frai : " 

Sia guarntdi et aprestadi (^), 

E ben aeorti et a^e^udi (*>, 

Ke questa noete siri asalìudi. 

Scandaii^i vu sari 

Quando preso me vederi. 

Dixe Petro un diU frai: 

(Ja no serò scandalifao« 

E gè dixe Io Segnore: 

Tu avrè lo grande tremore, 

Quando tu vedere li Qudè 

E Seri vanti (3> e Pharìsei; 

Et ancora questo te volio aregordare (^); 

Ke trea via ('> me di renegare ; 

Inanze k^el gallo habia cantao 

Trea via m'avrè renegao. 

Dixe Petro molto forte: 

E' troverò ioan^e la morte (^^. 

(i) 4$%ite agguerriti eprtmti. 

(i) Bene attenti ed avveduti, pùichè in questa notte sarete assaliti. 

(5) £ Scribi e Farisei, 

(4) jiregordare per ricordare è ancora proprio del pòpolo mi- 



(5) Trea via per tre volte^ tre fiate. La voce via per fiata è an- 
cora usata in aritmètica, dicendosi : dù via> dU fa quàtter, ossia : 
due fiate due fanno quattro. 

(6) la subirò prima la morte. L'influenza della lingua proven- 
zale nelle forme di quella del Bescapè rèndesi sovente manifesta 
nelle flessioni dei verbi. Abbiamo visto più volte tu è onde e^ri- 
mere tu sei; ora troviamo qui eo troverò, ad esprìmere il futuro 
troverò, che nelle lingue occitànica e francese è aiy^^unlo trou- 
nevai. 



276 POHIBTTO INEDITO 

Li altri dìseno come fé Petro : 
Morì voliemo se Ve mesterò <*>, 
E ^ascaun de nu si sera gramo 
De questo ke nu te vederamo ; 
Et UQca da ti no samo parire (^> 
Per laxarse tilti olcire. 
Or lasemo questo stare, 
Ke innante eo volio andare. 

Lo Segnor im pei levò, 
E li soi frai a si clamò; 
Con eso. loro el ^é via 
Drita mente ad una villa. 
Quando illi fon lì arivai , 
llli erano stangi W et afadigai ; 
Li frai se dano alo possare (^), 
E lo Segnor ^e adorare. 
Si se butò in oriente (^), 
Le man levò incontinente-^ 
E si dise: oi, patre meo, 
Ti ki è Segnore del cel, 

Sa questa morte a ti si pialle , 
Ben la volio portare in paxe; 



(I) Ecco un nuovo esempio della frase esser mestieri^ per far 
d'uopo, abbisognare, 

()) Qui in luogo di samo parire è chiaro ehe deve lèggersi 
s'avemo a partire, giacché il significato di questo verso è il se- 
guente : iVe mai ci divideremo da te, e poi continua : per lasciarci 
ticcider tutti. 

(5) Anche qui la g ha suono duro cotne in gè, e quindi suona 
evidente : stanchi e affaticati, 

(4) Fossore per riposare è voce vernàcola lond>arda. 

(5) Si rivolse \;erso V oriente, ' 



DI NETfiO DA BABSEGAPÈ. 277 

Da k'eo cognoseo Io tò talento ^^\ 

Ben volia soffrire questo tormento, 

Per salvare la humana ^ente 

La qua! se perdeva mala mente. 

Per questo passio (^) ke tlebio portare, 

Ben volio ke tugi (^) se deban salvare; 

Et, oi, dolcissimo patre meo, 

A ti recomando lo spirito meo. 

Quando el ave asè oradho (*>, 

A li sot frai^se.n^è tornao. 

loro si dixe cum carità : 

No dormì, ma sì vegià (^); 

Stahi tuli in oratione^ 

Ke non intrè in temptatione. 



(1) Dappoiché io, conosco il tfw volere. Sebbene il verbo cogfno- 
SCO sìa pretto latino, pure debbo avvertire, che tutti i dialetti 
lombardi e vèneti serbarono il suono gn, a differenza della lingua 
italiana. È pure da notarsi la voce talento per volere, volontà. 

(2) Passio è la voce latina generalmente sancita ad esprimere 
la Passione di G. C. È però singolare ^ come un nome femminile 
e in latino e in italiano, sia fatto maschile , co^i dall'autore, che dice 
chìdiT^kmenie quesio passio, come dal, pòpolo ne* vari suoi dialetti, che 
ancora denòmina el Passio, il racconto della Passione di G* C. tra- 
mandatoci dagli Evangelisti. Ciò deriva probabilmente dalla desi- 
nenza in distintiva dei nomi maschili. 

(3) Ho avvertito altre volte, come il Milanese permuti sovente le 
tt in fi scbiacoialo, màssime nel plurale dei nomi, dice,ndo: el tèe, 
i tee, ossia il tetto, i tettìj cosi: tUtt per tutto, e tiiè per tutti. La 
voce tugi per tutti, ci attesta che allo stesso modo pronunctàvasi 
anche nel sècolo XIII. 

(4) Quando egli ebbe alquanto- pregato. La voce asse, per abba- 
stanza, assai, è del pari vèneta e lombarda. 

(tt) Non dormite, ma tegliate. 



278 POfMBTTO INEDITO 

Trea via ^é ad orare <*> 
Al so patre spiritaale; 
Pagura si a delo morire, 
Mo in paxe el voliò (^) tolfirire , 
Da k'el plaxe alo so patre 
In piena pax lo voliò portare. 
Et el se retoma alt soi frai; 
Si lì trova adorminthai; 
Or gè dixe lo Segnore, 
E si gè dixe con grande amore: 
Or dormi e 6Ì posse 
K^el meo tempo è aprosimao. 
Juda traitór desliale, 

ApensMido lo grande male (^) 
Et apensando lo. grande dolore 
De traire lo Segnore, 
No cala di e nocte pensare (*> , • 
Gum el ne possa haver denare; 
El se n^andò ali Qudei, 
Per vender lo filiol de Deo. 
Gomen<;a dire inter loro: 
Or m^ biscottai, l^li s^or^ 
Un grande tempo avi querudo, 



(1) Tre volte andò a preg&re. 

($) f^oliò per volle, ci è nuova prova d^lo sforzo col cfiiale ai 
tempi del Bescapè si evitavano tutte le ilrregolaiilà dèi verbi., màs- 
sime nella formazione dei tempi passati e dei participj. Possiamo 
asserire, che le règole gramaticali a ciò destinate èrano senza ec- 
cezione. 

(3) L'uomo zòtico del volgo suole ancora preméttere l'eufònica 
a al verbo pensare. • 

(4) Non cessa di pensare dì e notte. 



pi PIETIIO DA MUSEGAPÈ. 27$ 

Domandò et an voliudo ^^) 
Quel ke se dixe re deli Qudei, 
E dixe ke F.è filiol de Deo; 
Se vu'I vorì, e' vel darò ^^\ 
Entro le man vel melerò ; . 
Questo volioke vu sapiai, 
Ke voljo esser ben pagao. 
Li (^udei fon adun (^) 

Consertando pur inter lar 
De quel ki a dito lo traitò^ 
K^el voi vender lo Segnor. 
In lor conselìo àn ordenao 
Ke Juda fica (^) ben pagao. 
Trenta, dinar d^ariento , . 

Questo sera lo pagamento; 
Si li fan venir li in presente, 
Si Fan pagao incontinente. 
Quando Juda fó ben pdgao, 
E li dané ave governao (^^, 



(1) Lungamente avete cercato j dimandato ed anche voluto. È chia- 
ro^ che il copista ha per errore scritto domando, in luogo di d(h 
manda, o domandap. La voce an per anche è ancora usata tra i 
Lombardi. 

(2) Se poi lo voiete, io vel darò. La permutazione della / in r 
nella voce t?ori è propria del dialetto milanese ^ del pari che la 
flessione finale^ 

(3) In questo componimento è ripetuta più volte la frase èssere 
ad un per unirsi, adunarsi. 

(4) Fissa per fosse òdesi ancora in molti luoghi del contado mi- 
lanese. 

(tt) Ecco un nuovo esempio del verbo governar per riporre^ 
custodire. Vèggasi la Nota (^) a pag. 245. 



280 POGHCTTO rNEDITO 

Dixe: Segnor, ora m' intendi ^ 
L^omo è ve^aò e scaltrio ^^^^ 
Ke l^omó sa de plaxor arte^ 
Ke Io cognoseo ben in parte. 
Per 90 volk) ke vu sapiai, 
Ke vu sia pur «jente asai , ' 
E de le arme ben gUarnidi, 
E tuti afati me seguidi. 
Àndarò inan^e^ e tu apreso; 
Quel ke baxarò, el sera deso; 
Vu Io pilià e si M tegnari; 
Farine po' quel ke vu vori. 
Et illi cridan: sia, sia, 
No vestale, (^) sì, andemo via* 
Juda se mete in la via 
Gom li (^udei in conpagnta. 
Tal porta spada, e tal folfon (^), 
E tal cortelo da galon W ; 
lUi gè van con grande lumere (^) , 



(1) Uvjomo è avi?eduto e scaltrito. Pare die m hiogo di vefdo 
debba lèggersi avegiu)^ come altrove sì è visto. 
' (2) Non sostate (non indugiate), partiamo. Al verbo a^talarsi 
per sostare^ sospèndere, è affatto sconosciuto cosi al dialetti, come 
alla lingua italiana. 

(5) Folción per grande falce .^ coltello potatorio, è voce an- 
cora viva in tutto Tagro milanese. • 

(^) Cortelo da galon significa quel coltellaccio , che uo tempo 
solca Tùomò del pòpolo portare al fianco pendente dalla cintola. 
Ancor oggi il Vèneto ed il Lombardo pronunciano cortelo o cartkl 
in luogo di coltelhj colla sòlita permutazione della l in r. 

{ìi)Liimera lUmierà per làmpada è ancora in uso presso il 
pòpolo milanese. ^ 



DI PIETRO DA MRSEC;APÈ. 984. 

E con lanterne et cervelere (*>. 
Or va via Io traitpre 
Dritamente alo Segnore, 
E si dixe a Jesu Xriste: 
De' te salve , oi , magistre ! 
In quelo logo li presente 
Si Vk baxao incontinente; 
E Jesu Xrìste dixe a lue: 
A mi perquè è vegnue (*)? 
Li (^udei si Io pillane 

Si gè ligòn de drè le. man. 
Or lo comen^àn a blastemare, 
E de grande guan^ ade a dare ; 
V un lo tira ^ e Taltro lo fere ('^ , 
E r altro gè va criando dreo. 
Li altri frai fucino via (^), 
Lasòn stare la conpagqìa 
De pagura ke illi àn abiudo 
Quando ilio se videno assalìudo« 
Un gè ne fó. ki se defese 
Quando li l'avevano preso; 
Zo fó Petro l'un deli frai 
Ki a lo cortelo ben amolao (^) ; 

(1) La voce cervelere che assai probabilmente significa cèreij o 
fiàccole^ se non è una nuova alterazione del cppista, è voce inte- 
ramente perduta. 

(^). Perchè sei tu venuto u me? Ecco un nuovo esempio del 
verbo è per eei^ dal latino e dal francese tu és. 

(5) Fere per ferisce, com'è tutt'ora in uso nella poesia itòliana. 

(4) Fufìno per fuggirono, in luogo di fucin. Questa volta il €o< 
pista yfiiòr dell'usato^ vi aggiunse una o alla ». 

(tf) Amolao, o molaa, dice ancora il Venead^o per aguzziUo; il 
Lombardo diee mola. 



283 POEMETTO INKDtrO 

Si Io trase fora dola guadine (^) , « 

E vasen a loro con grande ira 

Ki era habluto (^) contra lo Segnore 

Si taliò Toregia (^) ad un de loro. 

E Jesu Xriste si la piliò 

Et incontinente gè la soldo <^), 

E si a digto alo so fra^ 

Gum la grande humilita : 

Petro, mete lo cortelo tò, 

E si lo torna in lo logo rà; 

Ke agiadio sol ferire (^)' 

A gladio è degno de morire. 

Dixe lo Segnore ali (^udei, 

Ke gè ligòn le man de drè: 

E con spade e con lan^on 

Preso m^avi com^un latron; 

Za fue il tempio spesa fiada (^) 

Là dentro ke v^amagistrava; 

Vu, Qudei, no me prendistì) 

Ni nesuna fiada me lenisti. 

(1) Cruadina per vagina^ o fodero è yoee ancora viva nei dia- 
letti vèneti. 

(2) Dalla strana forma dì questa voce^ probabilmente guasta per 
òpera del copista^ non ho potuto ritraore veran significato. 

(5) Oregia per orecchio in gènere femminile è voce ancor pro- 
pria del dialetto milanese. 

(4) Soldo per mUò^ attaccò j dieesi ancora dal pòpolo milanese. 

(B) Il copista colla sua consueta negligenza scrisse agiadio in 
luogo di a gladio, com'è ripetuto nel. verso seguente; e quindi il 
significato di questi due versi è: Chi colla spada suol ferire è de- 
gno di morire colla spada; dò che fu reso con Ueve modfficazione 
nel vecchio proverbio: Chi di coltel ferisce^ di ooltel perisce. 

(6) Qui è d'uopo lèggere: Già fui nel tempio spesse flaie. 



DI PIETRO DA BARSEGAPI^. S88 

El g^è un soxero de Caifax 
Ke voi savef quel vit'el fax (*). 
Si nel domanda palexe mente 
Velando quili kì g'in presente. 
El gè responde lo Segnore 
Guni planeca e con amore: ^ 
in lo tempio ho predicao, 
In palese et non in privao . 
In sinagoga et in contradi, 
Là oe li Qudei éq oongregadi; 
Querine quili ki m'àn ol^ù (^\ 
Ke molto speso g'in abiù; 
UH ve diranla verità . 
De quel ke li à magistrà. 
Un deli Qudei lì in presente 
Levò le man incontinente^ 
Si gè de tal (^) suso la maxelta, 
Ke sangue gè ce inintro <*> in terra; 
Forte Grida contra lui: 
Tu mala mente responcù. 
Responde a lu lo filiol de Deo, 
Alo crude falso <^udeo; 
Humel mente et in grande paxe, 
Dixe lo bon Segnor veraxe : 

(4) Jlovi un nèòcero di Caifa, che wol sapere qMi pàa ei meni. 
La frase /or lu x4jta è propnamente lombarda. 

(5) ChiédÀteto a quelli che m'hanno udito. 

(5) Qui doU>iamo crédere, che restasse nella penna del eopista 
la parola schù^ffOj o guandaia^ od altra equivalente. 

(4) In iniro in terra contiene per certo qualche ^Ulaba di trop- 
po ^ a meno che non iatendesse esprimere : sin entro ferra. 



36 4 POfiMETTO INEDITO 

Se digo mal, rendi provane ^^^, 
E si lAonstrai te$tiaiODÌan^; 
Se digo ben, perqué me dai, 
Digando eo la verifai ? 
La (ente rea e malvaxe e. falsa 
. Si meDÒn Xriste a Cdi£Ba.e ; 
A furo (*) et a grande ira 
Con tra iu lo populo crida ; 
San Coh^n^ ^ san. Petro 
No se tolevano ^a deò ('). 
Un grande fogo era in la casa 
0^ la f ente se scaldava ; 
Petro fé là molto to^to 
Ke poca roba aveva indOsO. 
In quelo tempo era sorada ^^^ 
E tuta nocte aveva vegiado; 
Or se scalda pianamente ^^). 
Una ancella ke lì era 
A Petrp pari molto fera (®); 
incontra Iu eia i à dito : 
Tu è de quili k' erano con Xristo. 
Responde Petro, e si ^1 negòe; 

(1) Provati fa per prova è forse licenza del poeta per conseguire 
la rima. 

(2) Non v'ha dubio, che qui deve lèggersi furor o furore. 

(5) Forse deye lèggersi dreo^ volendo esprìmere^ che Pietro e 
Giovanni non gli stavano appresso^ ma bensì a qualche distanza.. 

(4) Dovrebbe dire sorado, come richiede il senso e la rima, e 
significa raffreddato* La voce sordr per raffreddare, ossia divenir 
freddo j è viva generalmente nei dialetti vèneti.. 

(tf) In questo luogo il copista oblitwò di trascrivere un verso, 
che dovea rimare con phunafnefUe^ e formare il distico. 

(6) Si fece a Pietro con alterigia. 



DI .PIETRO IVA BARSEGAPÈ. 285 

Oi, femenay dise, quelo niente no soe ^^h 

Un'altra ancela li in presente 

Si a dito lo someliante; 

Petro aferma e si ^ura W , 

K'ei noi cognosce ni M vide unca ^^K 

Un altro homo dise a Petro: 

Tu eri con Jesu Nazareno; 

La toa loquela lo manifesta. 

Petro cura e si protesta: 

]Ni lo cognosco, ni lo so. 

Trea fiada lo renegò. 

Lo gallo cantò li'n presente; 

E Petfo Todi incontinente. 

Quando el odi lo gallo cantare, 

Si s^à comenca aregordare 

De quelo ke i aveva dito 

Lo segnor De Jesu Xriste, 

Ked el lo deveva renegare 

An^e k'el gallo devese cantare. 

Vergonca n'avé te dolore, 

K'el renegò lo so Segnorej 

Or se concò a lagremare W^ 

E de grami suspiri a trare. 

Li principi deli Qudei 

Sacerdoti e Pharisei, 

Quando tornòn tuti adun , 

(1) Non lo conosco punta. 

(2) Zuràr per giurare è nianiera propria, dei Vènetr. 

(5) Che noi conosce^ né lo vide mai. Troviamo costantemente 
unca per mai, dal latino unquam, 

(4) Ora cominciò a piàngere. Non v' ha dubio^ che si doveva 
scrivere comengò. 



2^86 PO^ETTO INEDITO 

Grande conselio fan enter loro. 

En coiitra Xriste àn cmlenao 

Ke a morte fi^ condemnao. 

IIK menano Xriste a Pillato 

Bt àolo lato lu legato (^). 
Juda vide, lo Segnore 

In grande pene et in dolore 

Amaramente et a grande torto 

Dali Qvidei dever fi morto (^); 

E penssb ke Tà mai fato, 

E voleva retrare in dreo lo pato <^^. 

Si sen va ali (^udei, 

E domandò lo fiiiol de Deo. 

)Hi resposeno incontinente, 

Ke illi ne yoleno far niente. 

Lo falso Jnda peccatore 

Li dinar ^et6 enter loro; 

Dal bon Segnore se desperò 

Et incontinente si Tapicò. 
Pillato clama lo fiiiol de Deo, 

E dixe: è tu re deli )Qudei? 

Et responde Jesu Xriste, 

Et si gè dixe: tu è dito ^^^ 

Li princìpi deli <^udei, 

Sacerdoti e Pharisei 

Li comen^ano acufeare, 

E de falsi testimonii dare. 

(1) Legato, per giùdice^ drbiiro, 
(a) Dover èssere ucciso 

(3) E voleva annullare il contratto. Ancor oggi il milanese di- 
ce: tira in dfé nel medésimo senso di annullare^ 
(f^) Maniera latina, letteralmente tradotta da dtxÌ9lti* Iti tm ietto. 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. ' 2&7 

Pillato dis^ al Segnore: 
Odi que te dixe qiiestor (*)? 
Ke illi te dan testimoniane , 
E contra ti fan provan^a. 
Lo Segnor sta humelmente, 
No gè responde de niente. 
Pillato ke a grande torto. vide, 
Jesu Xriste voi fi morto. 
Ad falsità et a buxia 
Ulcire lo voleno per invidia, 
Laxsa lì lo filiol de Deo^ 
E vasen fora ali Qudeir 
Illi én congregai li apressQ, 
Et a lor dixe li adesso: 
Vu avi ordenao, 
Ad omiunca pasca de fi laxao ^^^ 
Un de quili ki aveseno offeso, 
Qe in vostra possa fosse preso. 
Qual voli ki vaga in paxe 
D^entre Xriste e Barabaxe? 
Tuti crian: Barabaxe; 
Quel voliemo ke vaga in paxe; 
E criano molto forte, 
Jesu Xriste fi^a morto. 
Pillato responde, et a lor à dito: 
Que sera de Jesu Xriste? 
Non à fato nesun torto, 
Perqué deves^e esser morto; 
No trovo in lu ^a cason, 



(I) Questor per costoro. r 

(3) Che ogni anno nel giorno di Pasqua sia liberato dal càrcgre. 



288 POEMETTO INBUtTO 

Perqué in la abtà rasofi ^^^ 
De far Xriste degoltare,' 
]Ni a torineato tormentafe. 
E li Qudei erian ad alta roxiti^ 
Pur moira^ moira in la croxe^^) - 
Grucificare pur lo voltemo^ 
Sor la eroxe deb legno. 
Pillato vide lo ramore ' 

Ke illi fan contva '1 Segnore , ' 
Ke niente el gè ^ova ^% 
Quando per lu ei li pregava; 
Ma maior iniquitae , 
Li cresceva par assae (^); 
Venir el fé de bela aqna 
In un vaxelo k^à nome la caga (^); 
El le mane si se lavòe^ 
Et un donzello a. si elamòe^ 



(i) Perchè in lui abbiate ragione o causa. 

(2) Moira per muoja; il Milanese direbbe: ch'el mora ; ed il 
Vèneto: ch'el mora, 

(3) Zova per gftova è proimnoia vàaeta. La rima peraltro e la sin- 
tassi accennano all'errore del copista, «che dov^.scrivere giovai». 

(4) Gli dispiaceva assai. Nel dialetto milanese dicasi rincrès per 
rincrescere. 

(tf) Forse ai tempi del Bescapè chìamàvasi caga il caiino, o k 
catinella, che serve a contener Taqua destinata a lavarsi le mani. 
La voce cazza peraltro nei dialetti vèneti ed in lingua italiana 
esprime solo il ramajnoto^ che a guisa diicooeèiaja serve a trafi* 
portar Taqua dai grandi recipienti nel catino. Questo medésimo 
strumento dicesi in dialetto milanese tazzaj e chiamasi poi cazzi 
la cazza di pìcciola dimensione, che serve a mestare e scodellare 
le vivande. 



Di PIETRO DA BARSEGAPÉ. 289 

K^el gè portasse un mantile (^\ 

Et ali Qudei cometica dire : 

Segnor, eo me lavo le man ^ 

Vedente vuì tiiti per man (^); 

Ancora sì è a loro digando: 

K'eo no volio esse colpando (^) 

In lo sangue de questo homo. 

Li Qudei disseno a iu: 

Tuto sìa sover nu^ 

Sovra li filio^ke nu habiemo 

Tuto lo peccao recevemo. 

Ala per fin Pillato de Xriste ie de bailia, 

Ke illi fai^no 90 ke illi voliano 

Per soa grande folia. 

UH perdonòn a Baraban, 

E tolén Xriste a man a man; 

Si lo despoKòn tuto nudo, 

Si comici fosse pur mo' nassudo (^\ 

E no gè lasòn de roba in dosso. 

Fora la trasen molto tosto, 

(i) Questa voce^ ch'è pure italiana ad esprimere tomgliola 
salpietta^ sì pronuncia ora dal Milanese mantìn/ quando peraltro 
vuol esprimere il pannolino destinato a rasciugarsi, lo distingue 
col nome di siigamàn, 

(^) ^l cospetto di {>oi tutti. L'aggiunto perman significa aduno 
ad uno, vale a dire: nessuno eccettuato. 

(5) Colpando per colpàbik colpévole. Qui per certo il copista 
ha obliterato un verso , che collegando insieme il periodo do- 
vrebbe rimare e formare il distico col verso seguente , il quale 
perciò rimane solo e staccato. Di una tal negligenza abbiamo già 
visto, e troveremo nuovi esempi. 

(4) Appena nato. La frase pur mo' per appena , H fresco, fu 
sempre di buona lingua, e deriva manifestamente dal latino mox. 

19 



390 POEHJBTTO niEDtTO 

Po^ se Io ligòn ala palio, 
Si com^el fosse par un latro, 
E de ver^elie molle grosse 
Si lo ferivaoo sover le coste. 
E tanto gè de (^) per le bra^ee per le gambe, 
Ked el pioveva vivo sangue; 
E la carne bianca motto s'ascoriva ^^\ 
Più negra ka coldera eia si pariva (^). 
D^una corona li fan presente 
Fata da spine ben pon^ente. 
Più ka lesena elWa aguda (^), 
Suso lo co si gè Tàn metua; 
Et illi gè la melén de tal virtù (^>, 
K^el sangue fora g^è insù (^); 
E d'una porpora Tàn vestio, 
A ?o k'el fi^e ben screnido<^). 
D'avanzo gè stan in flnogion (^> 
Per far de lu deresion; 

(I) Qui il copista ha dimenticato la n caratteristica del plora- 
le^ ond'esprimere : gli diedero. 

{%) S'ascùriva ^er' a^oscura^mj annerna, 

(5) Purea più nera ch'una taldaja, É tott'om praprio del bassa 
pòpolo e del contado milanese il pronunciare cold per ca&io ; di 
qui appunto coldera per caldaja. 

(4) Esm era acuta più, che lésina. La Yoce tóèena è jNropria di 
tutti i dialetti vèneti , mentre il Milanese pronuncia leena. 

(tt) flirta per ferza^ giusta il significato radicale ddla parols. 

(0) Che il sangue gli uscì fiwri. 

{!) SorenUo per schernito. Giova avvertire l'uso di qoesta voce 
nel sècolo XIII .^ essmido per avventura una delle amiche nuUd 
itàliche. 

(8) Gli stanno d*inanzi in ginocchioni. Il Vèneto pronuneia an- 
cora oggidì ini zenogión^ ed il Lombardo tu genogiòn. 



DI PifiTRO DA BARSEGAPè. 294 

E per iiìiqaita e per grande ira 

Tuto Io pòvelo sen scregiìiva (*) ; 

E si deseviano a mala fé: 

Deo te salve y meèer lo rex! 
In Golgatha va li (^udet 

Con eso Io filiol de Deo <^l 

Li (^udei vìdeno un homo 

Ke Simon aveva nome; 

Si gè fan la croxe portare 

E grama mente lo voi fare <*); 

No sei atenta a contradire, 

Ke gran pagura ha del morire. 
Quando illi fon là andai, 

E luti afati congregadì, 

Lo povolo cria tuto a voxe: 

Pur moira Xriste in la croùce! 

Ora fó Xriste li arivado, 

E molto tosto Tàn crucificado. 

Là suso in la croxe si Tapitòn, 

Le man e li pei si g^ ingiodòn <^); 

Or io comencan a ferire 

Si com^homo kMli voleno olcire; 

Et in me^o de du latrone 

Xriste sostene passione. 

Com eso loro in croxe levao 



(1) Tutto il pòpolo lo 8cherni(>a. 

(2) / Giudei vanno mi Gòlgota col figliuolo di Dio. È dà no- 
tarsi il modo con esso in luogo di con, che non danza eloganea è 
ancora usato nella buona lingua. ^ 

(5) £ lo fa a mal* in cuoi*e^ di mala voglia. 
(4) È comune cosi ai dialetti lombardi come ai vèneti il verbo 
inciodàj inciodàr per inchiodare. 



292 POEMETTO JNEDfTO 

Et in me^o loro è ^ydigao. 
LJun era reo et peccatore , 
Forte screniva lo Segnore; 
ÀF altro ne fice grande peccdo (')^ 
Marce gè vene e pietà; 
A Jesu Xriste marce clamoe, 
E dixe: Meser, in lo regno toe 
Quando vorrè li andare, 
De mi te debii aregordare. 
E Jesu Xriste si gè dixe: 
Àncoi sere mego in paradiso (^). 
Lo Segnore vide la matre stare 
Plangorenta e grama strare ^^\ 
Dolorosa e molto trista 
Con san Qobane evangelista. 
IntrambL du prese a clamare, 
L'uno aP altro a comandare W. 
A la matre si dignoe:^ 
Oiy (emina , ecco lo filiof toe. 
ÀI disipulo disc apreso, 
Zò era ^ohane li adeso: > "'^'""^ 

Ecco ta matre toal^ 

(4) V altro n'ebbe gran compassione. É frase comune e generale 
nei dialetti vèneti e lombardi il far pecà, per ai^er compassione, o 
destar compassione. Giova notarla come usata anche ai tempi del 
Bescapè. 

(2) Oggi sarai meco in paradiso. 

(5) Strare non ha verun significato; forse dovea ripètere stare, 
o qualche verbo di simile significazione. 

(i^) Comandare per vaccomandare^ dalla radice latina comendare. 
Quindi il significato delFintiero periodo è il seguente : Gesù Cristo 
chiamò a sé S. Gioipanni e la Madre Maria^ e cominciò a racco- 
mandare Vuna alValtro, 



DI PIETRO DA BÀRSEGAPÉ. 293 

Et elo la tén ormai per soa (*\ 
(Juand' el vene a traversare (^\ 
Ad alta voxe prese a clamare: 
Oiy patre meo, domine Deo, 
A ti comando lo spirito meo; 
Et oiy patre meo celestiale. 
No me dibli abandonareJ 
E la soa testa si inclinòe, 
E da beve domandòe* 
E un deli Qudei fó tosto acorto; 
Axeo con fere g'avé sporto <'). 
E quando el n'avé ben cercao^. 
Et ali Qudei disc: el è consumao. 
Ora traversò Jesu Xriste (^) , 
Quando el ave questo dito. 
Ora plance e plura sancta Maria 
Del so filiol, ke la vedeva 
In la crox esser penduo, 
Despoliado e tuto nudo; 

(i) Ed ei la tenne ormai per sua (madre). 

(2) Quando si sentì venir meno. È strano il verbo traversare , 
ond' esprimere il passaggio da questa all'altra vita. 

(5) Gli porse aceto con fiele. Il Veneziano pronuncia ancora aséo 
per ojceto; il Milanese, asé. La voce fere per fiele poi attesterebbe 
che la permutazione della /in r ^ che abbiamo già avvertita in 
gora^ barena ed altre, per gola^ balena^ ec, era un tempo più 
frequente che non ai giorni nostri. 

(4) Cercao per assaggiato. Questo senso traslato, ma pure espres- 
sivo del verbo cercare^ è ora affatto perduto. 

(5) Il Bescapè non volle valersi del verbo morire^ né d'altro di 
eguài significazione, parlando di Gesù Cristo ; ma ripete il verbo 
traversare, cioè passare da un luogo ad un altro, come fece Cri- 
sto, che scese alle regioni inferne, e* poi sali al cielo. 



S94 POEMBTTO INEDITO 

Dal co ali pei el san^enava ('), 

In la croxe o' el picava (*>, 

E passionado molto forte 

In la crox o^ el pende in morte. 
Li Qudeì pieni de venin 

Sì gè menòn Tavogal Longin (^); 

E Longin Favogal apenào (^), 

La lan^a gè mise per lo costao; 

E per sì grande for^a lo feriva , 

Dentro dal core ella sentiva; 

E fora per la sancta plaga 

Si insì sangue et aqua. 
Lo sangue e Taigua vene in pla^ ^\ 

Et el sen lavò li ogi e la fa^a; 

Li ogi sen lavò e li mentoh (^), 

Posa vide più claro ka un falcon. 

Quando el vide, sì lagremò, 

Et in greve colpa si clamò. 

El vene al sangue, e si'l covrì <^); 

Et a Deo tanto servì, 

Tanto gè fé servisii da bon grao W, 

(1) Dal capo ai piedi versala eangue, 
(i) Ov> era appeso. 

(5) Noa mi fu dato scoprire la radice deirepiteto avogal dato a 
Longino^ che sappiamo èssere stato un milite romano. 
{k) uipenao per impietosito^ mosso a compassione. 

(5) Pla^j cioè sul piazzale ove sorgeva la croce. Forse l'autore 
si valse di questa voce per la rima con foga. 

(6) Dopo aver detto nel verso precedente^ che Longino se ne 
lavò gli occhi e la faccia., ripete lo stesso sostituendo a faccia la 
voce mentonj cioè il mento, perchè acconcia alla rima con fake»» 

(7) Si accostò al sangue (versato al suolo), e il ricoperse. 

(8) Grao per grado^ giusta la pironuncìa veneziana. 



DI PIETRO DA BARSEGàPt S95 

K^ el fó po^ martiro clamao. , 

Posa s^è leva un tempo tale (^), 

Ke fó molto greve e mortale* 

Tuto lo mando s^atenebrie, 

La nocte fó da me^o die ^^); 

Pestelentie e terremoti, 

Da mefo di devene nocte^ 

Tuta la (ente si se smarìva, 

Asai g^en fó ki sen pentiva ('). 

Per 5Ò fé ben lo re Pillato, 

K^el se lavò da quel peccato. 
A mala mente et a grande torto 

Jesu Xriste si è morto. 

Tuta la twra si tremòe 

Quando Xriste traversòe. 

Multi corpi én suscitadi, 

E da morte én su levai; 

La luna, el sol si se obscuri, 

El tempio grande se desparti (^)» 
DeuSy aida ^^\ dix sancta Maria, 

Questa $i è grande mahasia (^) 

Ki à fa sto ^udeo 

In lo dolce fillol meo. 

Or clama e dix sancta Maria: 

(i) Qui il nome tempo ^ adoperato per procella ^ temporale , 
com' è tutt' ora in uso in tutti i dialetti cispadani. 

(SK) Tutto il mondo fu coperto di tenebre^ sicché fu notte a mezzo 
il giorno, 

(5) Fé n'ebbero moUi che si pentirono. 

(1^)' Spartisse per fèndersi^ dioidersi è ancora viro nei dialetti 
lombardi. 

(5) ^ida per ajuto, soccorri. In italiano dlcesì pure aitò. 

(6) Malvasia per mahagilà, iniquità. 



S96 POfiHETTO INEDITO 

^ f^u ke traversai per la, via, 

E tai e guai a mi pegi (^^^ 
Lo meo dolor si vederi 
S'al n^è nesun lo someiante 
Jl meo dolor hi è cotanto. 
Sin gMnvìda le soe serore W, 
Ke sego plangan sto dolore. 
Or pianali e phiran molte forte 
Del so filio, k^ela ve morto 
A gran peccao e mala mmite 
Flagelao, e grave mente. 
DeuSy aida, dìx sancta Maria, 
Plangemo tute in compagnia; 
Piange mego le me serore, 
Piangi mego lo grande dolore. 
Piangi mego del meo filiol, 
D'ond'eo ne porto lo grande dolo, 
Ke sempre è "%tado hon e Hate, 
Sanga peceao e sanca male, 
Da k'el insi dal meo ventre. 
Casto e puro è vivudo sempre; 
E da k^el fó ingenerao\, 
Sanga macula, è akvado; 
Sempre à servido ali Qudei 
Lo dulcissimo filiol meo; 
. Dal meo filio illi àn abluo 
Tufo quel ke li àn voliudo. 

{i) A me guardate, È manifesto^ cbe (fui Taiilore imprese a 
voltare lètteralmeiite nella sua lingua la lamentazione del Profeta: 
O POS qui transitis per viam^ attendite^ et videte^ si est dolor sieul 
et dolor rnetis. 

(2) Serore per sorelle^ dal latino sorores.' 



DI PlITftO l)A BCnSfiGAPÉ. S97 

Per insidia y et a grande torta 
Li ^udei si me V<M morto. 
Quando eHayé 90 dito et aitata flada, 
Si fó in terra strdngosada^(^). 
Le tre Marie g^éa presente 
Le que^ si n^én grame e dolente^ 
E le ne portan lo grande dolore 
De la morte del Salvatore. 
Plan^en tute in compagnia 
Con la Vergene Maria; 
Or plaoQen tute tre serore 
Con grangì suspiri e con> dolore ^') 
Del bon Segnore Jesu Xriste, 
Lo qual in crox è fa finito, 
Si com'eo ve n'ò aregordào, 
E denan^e n^abiemo parlào. 
Certo li ^udei si ne fiki aogura 
Gontra U Segtior ie fén cura; 
UH perdonòn a Baraban; 
Xriste olciseno a man a man , 
Ki era iusto, e bon Segnor; 
E quelo era latro e traitor,. 
Et, oi tapin, miseri, dolenti I 
Com poivo esser grami sempre <^) 
Li latron mìseri (^udei, 
Aver morto lo filio de Deo? 



(1) Cadde a terra angosciosa e «pentito. 

(9) Grangi suspiri per grandi sospiri. La permutazione della d 
in g nella voce grangia è la stessa della ^ in c^ che abbiamo' av- 
vertito pia sopra. 

(5) Come poterono èssere sempre tristi. La voce poiDO è forse 
alterata per incuria del copista. 



298 POEMETTO INEDITO 

Oi, Deus, akia, sancto patre, 
Goni pensÒD questo a fare, 
KW mundo aveva in soa bailia^ 
Pensar de lu cotal folìa ? 
E Io fiol de Deo veraxe 
Tute lo reòevè in paxe, 
Ke ilio fó prò e forte (^), 
Et obediente de.fin ala morte; 
Quand^el vene a traversare^ 
A lor degnò a perdonare; 
Al so albergo el gMnvidò, 
Quando lo co el g^ inclinò. 
Et 01, Jesu Xriste Deo veraxe, 
Manda a nu la toa paxe. 
Lì im presente era un homo , 
Ke Josepo aveva nome, 
El era d'una terra maralvaxia ('); 
Vene a Pillato , e si 'I queriva W; 
E questo Josepo era bon e liale, 
E molte ie desplaque questo male, 
E dixe: eo son stao tò soldaero (^), 
Ni anche altro da ti no quero (^), 
Se no quel propheta, s'el te plaxe; 
K'el volio metere entro la vaxe. 



(1) Poiché egli fu prode e forte, 

(^) Non sapendo come interpretare questa voce, Tho trascritta 
letteralmente come sta nel còdice. Egli è per altro evidwle^ che 
qui Tautore park di Giuseppe é'jirianakm. 

(3) Femke a Pilato, e il richieieva. 

(4) Io fui tuo soldato. É singolare l'affinità, forge aceideatale^tr» 
questa voce èoldaero e la corrispondenle inglese sùldier. 

(5) Né altro da te chieggo. 



DI PIETRO OA BABSE6APÈ. S99 

Pillato g^eiì dà la parolla^^), 

Ke con la bona ventiura la lolla (') . 

S^n fa^a $oa vofainta, 

Ke ^a no li sera veda <^l 

Josepo Pilbto regratià, 

Et a Jesu Xriste si è retoma. 
Et Josepo e Nicodemo 

Si gè desclavò le man e li pei W^ 

Per amore e per grande servixio 

Lo trasseno 90SO del crucifixo ^^\ 
Et Josepo aveva un bel pano 

Lavorào e ben fato; 

Inlò deatro si Tinvoliò ^^\ 

E po^ M portan via da inlò; 

Si lo portòn al monumento 

Ke ole più ke no fa plumento (^); 

(1) Pilato gliel promette. 

(2) Cile con biuma pace se lo prenda. Tutti i dialetti vèneti e 
lombardi fanno sempre uso del verbo tògliere per prèndere j il 
qaal aitino è esdusivamente proprio della buona lingna. Cosi il 
Milanese direbbe: ek'el s^el tSju; to; to/i/y ed il Venesiana: el se 
lo Ioga; tò; tolilo; per esprimere : se lo prenda; prendi; prenderlo, 

(5) Ne faccia ciò che fmole^ che non gli sarà vietato. Feààr^ o 
tsedàj per vtetore è affatto ignoto ai dialetti cispadani^ che faono 
uso del verbo proibire. 

(4) GH schiodarono le mani ed i piedi. 
{$) Lo trassero giù dalla croce. La voce zoso per giuso^ è pro- 
pria del Veneziano. 

(6) Colà dentro l'involse. Il Milanese direbbe: el l'à imolHà. 

(7) Che olezza ben pia che melissa. Il verbo ole deriva manife* 
stamente dal latino olere. L'espressione che no fa ò maniera tutta 
propria del dialetto lombardo^ ancora in uso. Ho poi interpretato 
plumento per melissa, come Terfoa aromàtica più olezzante e più 



300 POEHfiTTO INEDITO 

E quele sancte compagnie 
Et asè plura le tre Marie^ 
K^elle portoli per bon tallento 
Lo sancto prétìoso unguento. 
Lo sancto corpo si è ingorvernio (^). 
L^ anima sen ^é aP inferno drita. 
Quando ad inferno (é Jesu Xriste, 
Passò serpenti e basilischi , 
Tanto g^intrò e ferro e forte, 
Ke tute se dexbrixò le porte <^); 
Le porte rompe e dexbrixò, 
E Lucifero incadenò; 
Lucifero se mise in cadena, 
E li soi amixi trase da peiia. 
Quando el trase fera Eva et Adame , 
Isac, Jacob et Àbrame, 
Isaia ne à trato in quela dia, 
Natan propbeta, et Ysaia, 

nòta^ e come quella che in lingua provenzale denominàvasi ap- 
punto pimént Da questa^ radice medésima trassero forse gli Spa- 
gnuolì il nome pmiento da Joro dato ai pepe^ ossia al capsicus 
annum. 

(1) La voce ingorvernio è certamente alterata dal copista^ che 
vi aggiunse un r e vi omise una t^ dovendo scrivere tngfovemfto, ^ 
che meglio consuonerebbe colla rima dritto^ e derivando dalla 
radice giwemare^ che abbiamo appuntata alla nota (2), pag. 245^ si- 
gnificherebbe riposto deposto. 

(%) Che tutte si spezzarono le porte. Seguendo la règola costante 
dovrebbe èssere scritto dexbrixòn per il plurale. In questa voce è 
manifesta l'affinità col briser Aeì Francesi^ e col brechen dei Te- 
deschi^ che hanno il medésimo significato. Eguale affinità serba 
altresì col verbo sbregàr dei dialetti vèneti e collo strega del mi- 
lanese, che significano lacerare, stracciare. 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 301 

El propheta Sacariel, 
Jeremia et Israel (^)', 
SMn trase Moises et Aaron, 
David profeta e Salamon, 
E tato lo povol de Israel, 
E la compagnia de Moises, 
E thomasen et anoe (^) 
Inlora partì li bon dali re\ 
Quando V inferno el spoliò, 
Al monumento retornò; 
AI tergo dì k^el resuscitò, 
Partise da lì^ e si sondando, 
E si sen qé in Gallilea, 
Per fugire la fente i^udea. 
Le tre Marie portòn un unguento, 
E si sen^andòn al monumento, 
Là oe Tera metuo; si guardòn; 
Lo sancto corpo no gè trovòn. 
Lo sancto angelo g^aparì 
Li o^ era le tre Marie, 
E tute tre suso un predon (^) 
Si stasevano in grande pensaxon (*); 
E fén semblanga de tremore, 
Quando eie videno lo splendore. 

(1) Forse voleva esprimere Esdra^ forzandolo alla rima. 

(2) Ho trascritto questo verso tal quale sta nel còdice, onde il 
lettore di me più sagace possa indovinarne il significato. Vorrebbe 
dire per avventura : e Tomaso, ed anche Noè? Il senso e la rima 
non vi ripugnano; ma non è chiaro. 

(5) Abbiamo visto preda per pietra, che ancor oggi nel contado 
dicesi préa; ora troviamo predòn per masso, gran pietra.. 

(4^) Pensaxon per meditazione, pensiero. Forse la. desinenza è 
stata forzata per la rima. 



302 POEKBTTO INEDITO 

Lo sancto angelo si li a sàlutoe^ 

Po^ le querì, e domandoe; 

E si gè disse con grande amore: 

Non abià tu 9a Umore ^ 

Mo que aspectayn (^)) tre Marie? 

Eie resposeno, e si deseyano: 

Nu aspectemo lo Deo possente, 

Ki è insuo del monuoiento; 

Ke ancoi aPalba del maitin 

Apari un sancto pélegrìn; 

Nu Tatendemo e li soi ministri, • 

Ked illi cttintan ^^\ k^el sìa Xrìste, 

K^ è verax padre e Segnore , 

Ke de tuto lo mondo è o^eatore, 

Ke soffrì la grande pena, 

Ke Vk ve^tt la Madelena (^>; 

Andrea e Petro lo van cercando, 

E li dìscipuli e li altri sancti. 

Dix r angelo: vu querì Jesu Na^are 

Crucificao dali (^udei ? 

In Gallilea ve u^ andari; 

E li aloga lo trovare 

Or ve n^ andai. Le tre Marie 

Gum sancta gratia replenie 

Didi (*) ad Andrea et a Petrò 



(4) li pronome posposto al Terbo interrogativo colla forma 
ctspectà'VU, accenna alla rimota inflaenza dei dialetti occitànici e ! 
francesi : che aspettate ? 

(3) Cùintan per raccontano, li Milanese odierno direbbe ciinkrL 

(5) /\>tc/i6 la Maddalena la vide. 

(h) Didi è senza dubio errore del copista , che dovea scrivere j 
dixe, dissero. " 1 



DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. ^03 

Et ali altri sancti ki ^1 requerono,. 

A sancta Maria et a sao Qoane , 

Ke li alò lo trovaraa. 
In Gallilea fé li sancti, 

Là o^ era suscita dolo e pianti 

La soa matre gloriosa, 

Kè fó de Deo regina e sponsa, 

E soa matre et soa filia; 

Questo fó grande mera velia 1 

Et elio filiol e patre 

Si com^ el vose comandare (^)« 
E in alo tergo di k^ el suscitò 

Ala Madelena se monstrò; 

E la Madelena entro Porto era; 

E Jesu Xriste gè là o^ ePera; 

E quela prese a guardare, 

E Jesu Xriste vide lì stare. 

Quela a lui si scusando, 

Et ali soi pei si se butò; 

E li comengà mercè clamare, 

Si com^ eP era usada fare« 

E Jesu Xriste si la segnore ^^\ > 

Partise da li, e si sen^andoe, 
A san Petro et ali altri frai 

Pluxor fiada si s^è monstrà; 

E per terra e per mare 

Pluxor fiada a lor g^ apare. 



(4) SkcomB ei volle comandare. 

(3) Per Aliavo errore sta scritto segnore ia luogo di segnòej 
vale a dire : la benedisse. Cosi almeno richiede il senso e Id rima 
andòe. 



304 POEMETTO INEDITO 

Una sema (^) k- i eran vegnui 

In t'una casa tati adoni, 

Molto grami et penserasi 

(Per li Qudei eran ascusi), 

Àvevan serao le feneslre e li usgi <^) , 

Et in grande pagura stevan togi; 

Molto staxevano in grande error, 

Quaddo Jesu vene mtre lor; 

Jesu Xriste vene in me^o, 

Et a lor parlò adesso; 

Entre lor vene, e disse: stè in pax. 

E tuti cognovén Deo verax <^\ 

Pax a vai, el dix a lor, 

E'son doso, non abiai timor. 

Si ke ^scaun T afigurò (^); 

Ma san Thomax gè dubitò. 

San Thomax illora no g'era, 

Quand^el vene la sancta spera (^); 

Quando Jesu fó ben cognosuo, 

E san Thomax si fó vegnuo, 

El no crete W) la verità. 

Fin k'el no tocò le plage; 



(i) Qui pare che debba lèggersi una $eraj giaccbà^ema^ com'è 
scritto nel còdice, non ha verun significato, a meno che non vo- 
gliasi risguardarlo come un derivato della radice latina semel, che 
appunto significa una volta. 

(2) Aveano chiuso le finestre e gli usd. 

(5) Cognovén per riconóbbero, 

(4) Sicché ciascuno il riconobbe. 

(5) Spera è per me voce ignota, giacché la significazione di 
sfera che ha in nostra lingua mal s'addice in questo luogo. 

(6) Crete per credette. Nuova trascuranza del copista. 



m PIETRO DA BARSfiGAPÉ. 305 

E Io SegQor dixe: Thomax, 
No critu ke^fiia Deo verax? 
Vedi le man^ vedi li pei, 
Vedi le plage, fpadi mei. 
E Jesu Xrisie si annuntià; 
Beati ki vite ^^^ e ki crederà! 
Ma più beato sera poiù 
Ki no vile, e <;redem a nul 
Inlora sape sen^a tenore (^^, 
Ke Fera ben lo verax Segnore. 
Quando (fó si ferma la oreden^sa^^ 
La pasca fén per alegranfa. 
Tri di avevano -5Ì5unao^^i 5 
Per lo S^nor ki fó penao; 
Ki no mangiaven, ni bevevano, 
Per gramega k'ili avevano;. 
Ma lo Segnor si li alegra, 
De sancta manna si li sagia; 
Gum plane9a e con mensura^ 
Si g' avarse la Scriptura ^% 
Ked ili credano con? la mente ^ * 
K^el sia deso verax mente. 
Quaranta di apari a lor 
Jesu Xriste lo Salvator; 
De sancto regno k'el gè parlava, 
E de ben far li amagistrava. 

(1) f^ite per vide. 

(S) Allorfi seppe senza visiva (senza alcun dubio). 

(5) ^Hgunao pc^ digiunato. Nuovo esempio della frequente per- 
mutazione della d in e, 

(4) Apre loro la Scrittura. Aderse per apre è voce aqcor viva 
nei dialetti vèneti. 20 



306 POEVETTO INEDITO 

E poMixe ala soa matre, 
Ke la se debia confortare; 
In breve sarà in tal compagnia^ 
Ke mai no sentirà de lagnia ('), 
Più luxerà le speritale ^^^ 
Ke no fa stella (ornale; 
Sempre staremo mi e le 
In la marce del patre meo, 
A reclamare solo timore (^) 
Marce per tuli li peccatore. 
Lo patre meo si creò lo mundo 
De fin al cello in lo profundo (^); 
E cel, et airo, et aqua, et terra, 
E tuto quanto Àover eFera. 
Za intro loro m' à trametuo , 
E mal cambio me n^àn ren^uo (^); 
Yu savè ben la verità, 
Si cum^eo fu crucificao; > 
La mia morte e^ ò lasao soripta, 
E cum^eo son tornao in vita; 
E vu diri entro li sermon 
La mia morte e la mia resurrection. 



(1) Lagni per lamenti, e lagna ss o hgnarse^ per querelarsi son 
voci comuni a tutti ì dialetti cispadani. 

(2) Forse significa spirituale^ cioè: Ella (Marra) fatta spirito- ri- 
splenderà ben più che stella mattutina. 

(5) G)si sta scritto , né è possibile dame fondata interpreta- 
zione. Bensì potrebbe darsi, che l'ignorante copista invertisse il 
posto di due vocali , scrivendo solo tìmore^ in luogo di soHlo 
more, ciò che darebbe un giusto senso al periodo. 

(4) // Padre mio creò Vuniverso^ dall'alto de* deli sino all'abisso. 

(5) E me n'han reso un cattivo concambio. 



DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 307 

E dixe anjcora a Qoane et a Petro^ 
^ Cum lo mundo era Io so guerero; 

Lo mundo ve laso, e si 1 refudo, 

Quel mundo si nò m^à cognosuo; 

AI mundo vigni, al mundo cognovi, 

E Io mundo no cognove mi (^). 

Cosi ve digo e ve responso, 

Ki è con mego no si con 'I mundo (^). 
Vedente loro el se levò , 

In Paltò cello si scusando; 

In quelo regno glorioso, 

D'avanzo alo so patre pretioso. 

Li disipuli delo Segnore 

^Àn abiù lo grande dolore, 

Li que romasen (oso in terra <^), 

In dolor et in grande guera; 

Und^al Segnor li a laxadi 

K^ el no li a sego menadi; 

E si in romasi de dreo 

In quelo monte de olive; 

Et levan li ogi inverso cel, 

Et al Segnor si guardano dreo. 

Du angeli veneno adesso a loro, 

Si com plaque al creatore, 

Molto belli et avinenti (*), 



(i) jél mondo venni ^ il mondo conobbi ^ ed il mondo non mi 
conobbe. Sono evidenti le radici e le forme latine. 

(2) Chi è con me, non sia col mondo. 

(5) Essi che rimasero giù in terra. 

{t^) Anche la voce a{>^enente, ossia di vago aspetto, era dunque 
usata coll'odierno significato anche ai tempi del Bescapè. 



308 POEMETTO INEDITO 

Vestidi de bianco, e belli e ^entì ('); 
Si gè diseno incontinente: 
Que fava (^) qui , bona ^enle ? 
Là suso in cello perquè guarda, 
Drè alo Segnor, là o' el è andà? 
Si com Favi ve5uo montare, 
Lo veri ^a $oso tornare. 
E li angeli si ^éno via (^) 
'Entrambi du in conpagnia; 
Là suso in celo si én tornadi, 
Là illi staràn sempre exaltadi. 
Li disipuli vano via; 
Ouela bona compagnia 
In Jerusalem sen van ascusi 
Molto grami e penserusi, 
Und^el Segnor li abandonò; 
Perqué in terra li lasò, 
K' el no se li menò dreo 
Ouand^el montò là suso in celo. 
Lo Segnar sì li amò tanto, 
K'el gè tramise lo Spirilo Sancto; 
Jli dise du vene in lor (*), 
Aprisi fon de grande amor, 
E de seno e de scriptura , 



(1) Forse significa dn^i, qualora non fosse una sincope di gentili. 

(2) Che fate voi quì^ buona gente? 

(3) E gli angeli partirono, 

{h) Ho trascritto questo verso come sta nel còdice., ma non mi 
fu dato ridurlo a chiara lezione, correggendo gli errori del co- 
pista che lo rèndono oscuro. Si vede peraltro che dovrebbe signi- 
ficare: Appena lo Spirito Santo scese in loro, furono compresi 
da grande amore , ec. < 



DI PIETRO DA BARSfifiAPÉ. 309 

E àe grande bona ventura, 
E de sapientìa e de bontà, 
E! de tuta grande Italtà. 
Grande mente én confortai, 
K'illi se tèneno asegurai; 
Spirito Sancto si è in lor 
Ki gè dà for^a e valor, 
E grande seno e grande memoria, 
De dire delo Segnòr de gloria; 
E quando illi se veneno a despartire, 
Tuli se baxòn sen^a mentire (*>. 
Ora se despar^eno per .lo mundo W, 
E digando ad omiunca homo, 
Ke Jesu Xriste si fó morto 
Amaramente et a grande torto, 
E da morte è su levao^ 
In alto cel si n'è andao; 
E van digando in palexe 
La sanda vita ked el iaxeva; 
Gum^ el vene, in questo mundo , 
Per scampar omiunca homo 
Dele man de vegio antico 
Sathanas crude inimigo; 
E van digando ste novelle 
E per cita e per caslelle. 
Là o' è li grangi imperatori (^), 
Marchixi e conti e grandi segnori ('*^; 

(i) E qìmndo sisepatàrono, si baciarono cordialmente, 
(2) Si spàrseno per lo mondo. 
(5) Là Oipe sono i grandi imperatori. 

(k) Se non bastassero la lìngua ^ lo stilè e l'intero tessuto del 
racconto a pòrgerci idea esatta delFassolbta rozzezza deirAutore , 



310 POBMETTO INEDITO 

Palexe mente , vedente omìoroo 

De questa sancta passion 

Ke sostene Jesu Xriste^ 

Lo qua! fé lor magistro. 

No temeven de niente, 

Ke illi no deseseno palex mente; 

Ke illi no splanaseno ^^^ la scriptura 

Là o^ ePera la pia dura, 

Tuta (ente amagistrando, 

E lo batexemo predicando. 

Meravelia quel k^illi diseno 

Dela fé e del batesemo, 

Predicando la Trinitai, 

Ke omiunca homo vegnia a cristinità. 

Asai dela 9ente segueno lor 

E con la mente e con lo cor; 

Predicando franca mente, 
. La Gesia (^) cresce grande mente; 

Tuto lo mundo ra parlando 

De 90 ke quisti van digando, 

E de seno e de savere, 

De grande vertù ke illi paren avere. 
Lo patre Deo creatore 

Grande vertù ai ia per (or (^>; 

No vene a lor a men de niente (^), 

K^el con lor regiia sempre, 

potremmo ora appuntare t marchesi ed i conti del sècolo d'Au- 
gusto ! 

(1) Splanaseno per illustrassero. 

(2) Il Lombardo pronuncia ancora adesso Giesa per Chiesa, 

(3) Per mezzo loro fa grandi mòrécolL 

(4) Pare che debba intèndersi: Non ricusò loro cosa akmm. 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. ^ 314 

Et a lor si fé una impromessa , 
Ke a lor fó de grande grande^a <*); 
Ked el nolia abandonare ^^\ 
Fin k^el mundo sia durare, 
No a fidel li sol corpi, 
Ke per lu debiano esser morti. 
Or se stan d'avanzo li re, 
Predicando la sancta fé; 
D^ avanzo conti e marchixi, 
Et aferinano in palex, 
Ke Jesu Xriste si é Segnor 
Verax, patre et salvator; 



9 



K^ el fé celio et la terra, 

E descendé in la pon^ela; 

Recevé morte verax mente ^ 

Per salvare la humana jente; 

E cum^el ter^o dk el resuscitò, 

E cum r inferno el spolìò, 

E trase fora li soi amixi, 

Si cum la Scriptura dtxe. 

Incadenò lo inimigo, 

Quel superbo vegio antigo; 

E trase fora et Adame et Eva, 

E tuti li bon ke lì era; 

Li propheti e li sancti patriarchi (^), 

E li menò in vita eterna, 

(1) Non v'ha dubio che in luogo di grande^ qui doveva èssere 
scritto: allegrezza. 

(2) Qui troviaiho un esempio del verbo latàno nolle volgarizzato: 
Ch'Ei non ipoglia abandonare il mondo, finché sarà per durare, 

(3) Quivi il copista obliterò un verso, che^ rimando con patriar- 
chi, dovea compiere il distico. 



34 2 / POEMETTO iNBDrro 

E li aloga li governa (*\ 
E ki voi lì andare 
In questo a demolire , 
Tegnia Xriste per so Deo,- 
E lasa stare lo van e reo ; 
Tegnia la fé drita e veraxe. 
E faxg'a quel ke a Xriste plaxe; 
Et adora in Trinità 
La divina maiestà; 
E schivie Satanaxe, 
Omiunca idola se destruga ^% 
Entro lo fogo se conduga, 
Ke non àn intendimento, 
]Ni alcun cognoscimenlò; 
Ben è raxon ke le siano destruge^ 
E tute afate siano conbuste. 
Quisti regi et imperatori , 

Conti e markixi e grandi segnori 
Si fon irati contra li descentre 
De Jesu Xriste omnipoente; 
Si li fan marturiare, 
E de grande pene durare, 
In la croxe pene soffrire, 
Taliare le teste, e morire; 
Ili se leganao scortegare ^^\ 

(i) Ed ivi li conserva. Giova avvertire il costante uso del verbo 
goipernare per porre in serbo, custodire, 

{%) E cosa strana il trovare il nome ìdolo in gènere femminile. 
Forse l'autore dal nome latino neutro plurale idola trasse la ca- 
ratteristica del femminile volgare. 

(5) Colla sòlita negligenza il copista scrisse fegfanao in luogo di 
lagaipàn^ vale a dire : lasciavano, dal verbo tagà, sul quale vèg- 
gasi la nota (4) a pag. 264. 



DI PIETRO DA BÀRSEGAPÈ. SÌS 

Ange ke illi voliano Deo negare *); 

Et sì stano moJte fojrte, 

Et in grande. paxe toleno la morie ^- . 

Àlegrameole e cum bon core, 

Sì ke la morte no gè dorè ^^\ 
En cosi van T anime de lor 

In paradiso alo so Segnor, 

In questo logo resplendente, 

E li stan alegramente; 

Jesu Xriste lo bon Segnor 

Si gè fé a lor grande honor. 
Li sancti corpi pretiusi \ 

Privadamente fin ascusi, 

Sepelìdì e governadi (*^ ; 

Tuti son sanctificadi, 

Deo fare per lor vertù ^^^ 

Segondo kello ^^^ ke nu avemo ve?u; 

Geàie g' è fate alo so honor <^^; 

In nostra terra n' è pluxor. 
Glamemo marce a Jesu Xriste, 

Lo qual si è verax magistro, , 

Kè n' dia gratia de ben fare ; 

(4) Questi due versi insieme sigaìficano : Eglino (gli Apòstoli) 
si lasciàoano scorticare piuttosto che rinegare G, C. 

(2) Toleno la morte per subiscono, o ricèi?ono la morte. È co- 
stante Tuso del verbo tògliere per prèndere, ricevere, 

(5) Il dialetto milanese si fa di nuovo manifesto nella voce dorè 
pel duole, essendo ancor viva la voce dm^ colla stessa significa- 
zione. 

(4) Governadi per riposti; veggasi la nota (SI) a pag. 24.3. 

(5) Iddio operò prodigi per mezzo loro, 

(6) Il copista per negligenza scrisse kello per quello, 

(7) Chiese ( cioè templi ) furono edificate in loro onore. 



314 POEMETTO INEDITO 

Ke nu abiemo vita eterna 
D^ avanzo Falta segnorìa 
Gum qaella nobel compagnia 
In secula seeulorum. Jmen, 
Petro de Barsegapè si voi ancora 
Tractar, e dir del Segnore, 
K'el vora dir e fare., 
E li bon e li rei ^udigare; 
E se vu volisi, bona ^ente, 
Questo dito ben intende, 
Si ven dirò in grande parte 
Si cum^ el è scripto in queste carte; 
Et eo prego per bon amore, 
Ke vu debiè intende, boni segnor, 
E vu donan (*) , ke si presente , 
Prego ke vu debiai intènde; 
Questa non è pan^anega d'inverno (^), 
Quando vu stè in grande so^orno (^), 
E stè a grande asio a pè del fogo (*), 



(1) In questa voce o fa d'uopo trasportare rultìma n inanzi Va 
che dovrebb'essere e^ formando cosi e voi donne, che siete pre- 
senti; oppure staccare la sillaba an che significa anches pure, leg- 
gendo : e voi pure^ o donne, ec. Ancor oggi il Milanese pronuncia 
nel plurale t donn per le donne, 

(3) Qitesta non è fàvola d*m>emo; vale a dire di quelle che si 
raccontano al fuoco nelle lunghe sere d'inverno. La voce panzà- 
nega è ancora viva nel dialetto milanese colla stessa significazione 
di fola. 

(5) In grande socorno qui significa : per lunghe ore. 

(4) Tutto questo verso con lievi modificazioni s'accorda nelle 
forme col dialetto milanese odierno. E i^ ne sUate agiatamente a 
pie del focolare. 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 345 

Cam pere e pome quando e^ le^o (^^; 

Mo se va intendi ben la raxon, 

Vu sì n^avrì grande pensaxon (^^ 

Se più de prede no seri duri, 

Vu vi n'avri de grande pagure W; 

Si intendi questo sermone 

Ke ve volio dire per raxon , 

E se vu ve de ben ad intendimento, 

Qualche cosa n' avivo imprende (*>. 
Quel homo si è mato^ke tropo s^asegura 
In avere grande richè^eestare in aventura (^); 
Ke i^ ò ve$uo ventura e grande rike^e 
Ki én devenue a grande baserà. 

Lo secolo è fragele e vane; 

Tal g^ è ancò^ no g^ è doman ; 

Zascaun devrìa pur pensare 

En (^) in ben dire et in ben fare; 

E sovra li quatro pensamento, 

Ond^ omo vene a salvamente. 

Lo prumer si è de strapasare <^); 

(1) Coa pere e mele quand^io leggo, 

{i) Ne avrete argomento di grande 'meditazwiie. 

(5) Sono costanti le forme vernàcole di pagwra per paura , 
preda per pietra^ e simili. 

(4) Qualche cosa ne apprenderete. 

(K) In questo luogo aventura e fpentura^ com'è ripetuto nel verso 
seguente , significano pròspera fortuna, 

(6) Per errore dell'amanuense è scritto en per et. 

(7) Il primo si è quello della morte. Ancor oggi nel dialetto mi- 
lanese rùstico k t di primo viene scambiata in u^ die èndosi el priim. 
La voce strapasare è la stessa che Titaliana trapassare per morire; 
noi abbiamo già visto i^ata dal Bescapè V altra : tra^^ersare collo 
stesso significato. 



3\6 POEMETTO INEDITO 

E lo segondo de resuscitare; 

Lo tergo si è del paradiso; 

Lo quarto è inferno; $o m^è viso. 

Ki penserà sovra quistì quatro, 

Za no farà mortai peccato; 

E quel ke no gè pensarà, 

Se ben el vive, mal g'avrà. 
Àyemo dito de questo mundo, 

E de que è fato Pomo; 

E cum Xriste vene in terra 

In la sanctissima'polgella; 

E cum el portò grande passìon, 

Per nu aver salvation; 

Ancora g' è un poco a dire; 

INo ve recresca del odire, 

Com lo Segnor^omnipoente 

Zudigarà Fumana gente. 
Àio gudistO) al dì de Tira 

Ke li sera de grande ruina, 
. E li sera podestà 

Forte mente acompagnià, 

E la celestià cavalarìa, 

Zoe li angeli* gloriusi, 

Cum tuti li sancti pretiusi; 

Li sera lo grande splendore, 

Ki resplenderà cum fa (*) lo sol : 

La divina maiestà, 

Pretiosa podestà, 

Jesu Xriste possente^ 

Molto forte e grande mente 

(1) Odesi tutto giorno nella bocca del pòpolo lombardo com'fi^ 
per siccome, del pari che. 



DI PltlTRO DA BARSEGAPÉ. 3Ì7 

Se penerà suso la cadrega ^*^; 

E d'avaiifo lù la nobel schiera, 

E cureri e tubaturì (^) , 

E li grangi e li menuri,(^); 

Omiunca persona debia lì andare 

A quelo aregno genera ^*'; 

Molto tosto e prestamente 

Àsemblarà tuta la ^ente; 

Le grande vertue dal cel vera, 

In Josaphat la condurà 

L^ altissimo verax Deo^ 

Per cudigare lo bon dal reo. 

Mo li sera si grande fortuna <^) 



(1) Cadrega per sedia è voce comunemente usata nel dialetto 
milanese; il vèneto dice: carega. Qui peraltro dobbiamo interpre- 
tarla per trono. 

{^) Tubator chiama il Milanese il pùblico banditore^ perchè fa 
uso di tuba, o tromba. 

(5) E i grandi e i subalterni, vale a dire: tutta la gerarchia 
celeste. 

(4) /4 qmirarringo generale. Il copista ha messa anche qui fuori 
di posto la nj che dovea precèdere e non seguire la g^ formando 
arengo; dicèvasi ancora volgarmente rengò e renga; ma questa 
voce scomparve del tutto dai dialetti, dacché cessarono le concioni 
popolari. 

(5) Una prova evidente della prevalenza del dialetto vèneto nella 
lingua scritta del sècolo Xill ci porge la frase: sarà sì grande 
fortuna^ ond' esprimere una tremenda procella , mentre il Vene- 
ziano distingue appunto ancora oggidì col nome di fortuna le 
burrasche più pericolose e più fatali dell* Adriatico. Che tale è 
quivi pure il significato di questa voce, è chiaro dai versi seguen- 
ti, ove dice: che farà turbare il sole^ la lunn, le stelle e gli ele- 
menti, ec. ec. 



318 POEMETTO INEDITO 

Turbar fena lo sol e la luna (*> , 

Le stelle del cel e li alimenti (^^ , 

E Faìro e tuti li firmamenti. 

E ben vel.dixe la Scriptura, 

Ke li apostoli avran pagura, 

Quando ilii vederan lo cel piegare (^^ , 

E li archangeli an tremare. 

Mo quando quili avran tremor^ 

Que porà dire li peccator, 

Ke no saran mundi ni lavai 

Dali crudelissimi .peccati ? 

Multi poran esser dolenti, 

Ke la no trovaran parenti, 

Ke posa Tun Fallro asconder, 

Ke molto avran desi a dir (*). 

Oi Deo, cum seran beati 

Killi, k^eran W iusti trovali! 

Partir i avrà lo Segnore 

Si cum fa lo bon pastore, 

Ki mele le pegore da Tuna parte, 

E li capri li mete desvarte W; 

K^el melerà li bon dalo lado dextro, 

E li malvaxi dalo lado senestro; 

(4) In luogo di fena lèggasi farà^ essendo manifesto V errore 
del copista. 

(2) Qui pure in luogo di alimenti^ dèvesi lèggere elemmtL 

(5) Piegare per piegare; cioè, quando vedranno U cielo ««mi- 
porsi, 

(h) Che rnolto avranno a pensare a sé stessi. 
(8) In luogo di k'eran^ lèggasi ke firan o seran j vale a dire: 
che saranno trovati giusti/ 

(6) E mette i capri in disparte. 



Di PIETBO DA BAB8EGAPÈ. 319 

E si farà comandameatì , 
Ke omiunca homo intenda queta mente x 
La sen lentia k^el voi dare, 
E manifesta lo ben dal hiale. 
Ki avrà fato bea, so sera, 
E cum eso lu lo trovarà (^); 
Ki mal avrà fato, lo someliente, 
Gum eso lu. el sera sempre ^^h 
Ora arenga ^^) Jesu Xrbte 

laverso li boa dalo lado drito (^), 
E a lor dixe lo boa Segaor, 
Gum graade piaae^a e cum amor: 
Vu, benedicti, veni a mi, 
Ke vu stai li ben venui! 
Vegai via alo regao meo, 
Ki v'è aprestado dal patre meo; 
Fame e sede me vedisti, 
Graade pietà de mi avisti; 
Vu facisti caritae, 
Viai e paae me deste asae; 
Vu me vedisti peregriaare, 
* Gum esso vu me fisi stare (^); 
Nudo me vedisti e mal guaraido, 
E ben da vai fue vestido; 
Infermo me vedisti et in prexon, 



(i) Chi avf'à fatto del benej sarà smj e lo troverà sempre in se 
stesso. 
(2) Similmente chi avrà fatto il male^ lo porterà sempre seco, 
(5; Arenga per arringa. 

(4) Rivolto ai buoni dal lato destro. 

(5) Presso voi mi ricovraste. 



320 POEMETTO INEDITO 

De mi portasi compassion ^^); . 
E se eo veneva povero e nudo, 
Cum alegreya fu recevudo; 
Per carità m^albregasti, 
E vestimente me donasti; 
Sed eo fuMnfermo et amalao, 
Da VII fiva ben revisitao (^); 
Molto n'avisi pesan^oa e dolo (^), 
Sicum^eo fose vestro filio. 
Diran li insti ad una voxe 
Là o' sera la reràx croxe: * 

Quando te videmo, palre sancto, 
Ke nu te servimo cotanto (*)? 
Dix li iusti ancora a Xristo: 
Dì, Meser, quando fó questo, 
Ke nu te videmo in povertà, 
E ke nu te fessemo carità ? 
E lo Segnor dirà a loro 
Humelmente con grande amor : 
Quando vedisti lo povero stare 
D'avanfo vu marce clamare^ 
Nudo e crudo (^) e mal guarnido , 

(1) Di me aveste compassione. 

(2) S'io fui infermo ed ammalato^ da voi veniva rifocillato. In 
luogo di remitao dovrebbe lèggersi revisiao^ cioè refiziao ^ come 
lutt' ora dice il Veneziano ond' esprimere rifocillato, 

(5) Ne aveste grande afflizione e dolore. La voce pesangoa deriva 
manifestamente dalla provenzale pesance che appunto significa af- 
flizione, e dalla quale ebbe origine la voce eastiglianapesoduiwftre. 

(4) Qìiondo avvenne^ o Padre santo ^ che noi ti f^edemmo e ti 
seì^immo m tal modo? 

(8) É frase ancor viva presso i dialetti vèneti, ond'esprimere la 
perfetta indigenza d'un infelice , il dirlo : nudo e crudo. 



DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 331 

E mai cal^ado e mal vestido, 
Sostenir feme e sede, 
De lor yen file grande marce ; 
A vu ne prese pietà, 
Vui li albergasi in carità; 
De vostro. aver ie fisti ben (^); 
Et eo tal don ke a vu ne ven , 
Vu seri sempre beati ^ 
Benedicti et incoronati , 
Ke quando vidisti li mei menor, 
E gè fisi ben per lo meo amore (^) , 
Inlora lo fisi a mi insteso <^) , 
Ke (ascaun de lor era meo messo. 
Mo è venuta la saxon (^) , 
Ke vu n^avrì grande guiardon ^^); 
.Gum esso mego in lo regno meo 
Sempre stari d'avango lo patre meo; 
Li insti pon stare onne (^) in paxe; 
Zo ke g^è dito mo'ge plaxe. 
Zoan lo dixe, Marco et Matbeo 
Et ancbe Luca lo disipulo de Deo, 
Lo rex de gloria si li apellare, 
Et a presente domandare 



(1) Colle vostre sostanze li beneficaste, 

(2) E li beneficaste per amor mio. 

(5) Allora lo faceste a me medesimo, 

(k) Ora è giunto il tempo, È ovvia l'affinità della voce sassfm 
coll'occitàniea saison^ che significa stagione^ ed anche tempo. 

(tf) Anche la voce guiderdone quivi corrottamente espressa nella 
parola guiardon , se è ^ come pare indubitato, di orìgine germàni-v 
ca , fu introdotta nella nostra lingua da parecchi sècoli. 

(6) Onne per tutti , dalla voce latina omnes. 

21 



S22 POEMETTO INEDITO 

Quili k'in dala man senestra^ 

Ke no fon dìgni de la destra. 

E po^ parla lo Segnore 

Da lado senestfo, o'è^l dolor: 

Maledicti, andàven via 

In la grande tenebrìa, 

Entro io fogo eternale, 

Ke sempre mai devi li stare 

Gum lo crudel inimigo, 

Lo diabolo v^io antigo. 

Pio me valse marce clamare, 

Ke vu me volisi albregare; 

Vu me vedisi afamado, 

jNudo e crudo, et amalao; 

JNon avisì pietà, 

Ke a mi fisi carità; 

Vu no credisti ali mei ministri 

Ke dela lege erano magistri; 

Ke ben savevano la doctrina, 

Ki è veraxe medesina; 

Da fare li mei comandamenti, 

Vu ve ne mostresi molto linti (^^, 

E mala mente si én recevui 

De quili k' erano infirmi e nudi; 

Vu me vedisi incarcerao, 

Povero e nudo e despoliado; 

Eo soffrì dolor e tormento, 

Et afamao e sedolento ^^\ 

(1) NelFeseguire i miei precetti vi mostroite moUo lentL In luogo 
di Unti lèggasi lentis cioè re^tiip come richiede anche la rima. 

(2) Sedoìento per assetato è voce ouova che non ha riscontro 
in verun dialetto. 



DI PIETRO DA BARSGGAPÈ. 3S3 

Et in carcere et in prexon 

Sosteni fera passion, 

Et molto grande infirmità; 

De mi non arisi pietà; 

No me volisi sovenir 

Per uno pogie guarire <*). 
Responde li peccato!* 

Con grande dolìa e con tremor: 

Mo^ quando te videmo int'al besognia (^\ 

Ke unca de ti non avessemo sognia (^)? 

Se altra persona nel dissese, 

A nu no par k'el g'el credesse W; 

Ke nu te vedesemo infirmila^ 

Ni soffrir necessità, 

Ni quando te videmo nudo essere, 

Povertà , fame e sede. 
Responde lo bon Segnor, 

E si dira incontra lor: 

Quando vu vedissi lo povero stare 

D^ avanzo vu marce clamare, 

Ke a lor fasisti carità, 

Vu non a visi pietà. 

Illi se reclamòn da me, 



(1) Toma difficile restituire questo verso alla sua vera lezione; 
pare peraltro che dèbbasi intèndere : Non mi voleste soccorrere 
ondHo potessi guarire. 

(9) È caràttere proprio di tutti i dialetti cispadani V esprimere 
la preposizione nel, o nelh colle parole infel, 

(5) Sognia per cura^ dal provenzale e dal francese soin^ come 
abbiamo altrove avvertito. V. la nota (1) a pag. 2C6. 

(4) Se altri, fuor di te ^ cel dicesse , ci pare che nessuno gliel 
crederebbe. 



324 POEMETTO INEDITO 

Non avisi in lor marce. 

Òr ve n^ andai j vu mala ^nte, 

Entro lo fogo k^ è luto ardente. 

Maledicti et bli^stemai 

Vu stari là sempre mai, 

Ke quando vedisi li minimi vaei 

Ke ve quer ivano lo ben per Deo ^^\ 

Vu non volisi unca albregare^ 

Ni gè dese bever né mangiare. 

Mo quando lor non albregasi 

A mi medesimo lo vedasi (^). 

Lo merito ke devrì avere 

In proximan Tavì vedere (^); 

Vu andari in fogo ardente , 

Grudel e pessimo e boliente, 

In greve puca et in calor, 

In tormenti et in dolor 

Infimo, grande e tenebroso 

Ke molto è forte et angososo. 

A provo dela grande calura (*) 

(i) Che pt chiedèf?ano elemòsina in nome di Dio. 

{i)^ me medésimo il ricmaste. Torna supèrfluo Tav venire, come 
in tutti questi verbi , oltre ai tanti errori ed alle molte inesattez- 
ze , il copista omettesse sempre la t, scrivendo fpolisi^ albregasi, 
vedisi, vedasi, in luogo di polisti, albregasti, vedisH, vedasH, e si- 
mili, nei quali tutti ha serbata la i della flessione latina, in luogo 
della e finale italiana. 

(5) /h breve lo vedrete. Forse deve lèggersi in proximum, op- 
pure in proximam, sottintendendo horam. 

{h) Nel contado milanese dicesi ancora a prov^ oppure a prof, 
ond' esprìmere appresso, che è appunto il significato di a provo in 
questo verso del Bescapè. Ne abbiamo un esempio nel Canto XII 
deir Inferno dell'Alighieri, al verso 95, ove trovasi a pruovo pure 



DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 325 

Àvri SÌ pessima fregìura W , 
Ke tati cridan: fogo, fogoJ 
E (a mai no trovarì bon logo; 
E fame, e sede avrì crudel; 
Ma non avri lagie ni mei (^); 
Inantje avri diverse pene 
De crudelissime cadene; 
Ad un ad un siri ligai, 
E molto firì marturiadi 
De scorpion e de serpenti , 
E de dragon molti mordenti 
Ki van per epe e devorare (^); 
Mo si no ve poran luiare W ; 
E quilì marturii seran tanti, 
Doli, angustie, cridi et pianti, 

per appresso; ed ha egual significato Va prob del Provenzale, non 
che il prope dei Latini , dal quale verisimìlmente tutti gli altri 
derivano. 

(i) Fregiura per freddo. Ho già avvertito Tueo del Lombardo di 
permutare sovente le tt eie dd in ce ed in gg schiacciati. Infatti, 
ancora adesso pronunciasi frèèj o firèg^ per freddo. Dalle pre- 
messe osservazioni la versione italiana di questo periodo è la se- 
guente: appresso all'ardente calore avrete sì intenso freddo^ che 
lutti grideranno: foco^ foco! Anche la voce fogOj come è scritta, 
del pari che la seguente logOj ha la pura forma veneziana, mentre 
il Milanese pronuncia fiig^ log, 

(2) Abbiamo un nuovo esempio della pennutazione delle tting, 
nella parola lagie per latte^ che ancora adesso il pòpolo milanese 
pronuncia laè. * 

(5) La voce eoe è certamente storpiata dal copista, sicché torna 
assai difficile indovinarne il significato , che pur dovrebbe èssere 
quello di cògliere^ afferrare. 

(K) Luiare, forse per dilaniare; anche questa voce pare muti- 
lata dal copista. 



326 POEUETTO INEDITO 

Kì ve para mille anni una bora (^); 
E più seran nigri ka mora (^) 
Quilli ke y^àn marturiare; 
E ca mai no devrì requiare W. 
Or stari destrugi e malmenai , 
E dala mia parte siè blastasmai. 
Quand^el avrà sententiao, 
Et asolvudo et condempnao , 
Et condempnao li peccatori 
Entro Io fogo infernore, 
Molto tosto e ben viaco 
Gè dark lo grande screvago ^*) 
In la scuira tenebria 
Gum demonii in compagnia. 
In quella dura passion 
No g'è più redemption! 
Lasemo stare li condempnai, 
KMIIi seran li mal fadai; 
E digemo deli asolvui; 

(i) È comune ai dialetti vèneti e lombardi la frase: sembrar 
mille anni un' ora^ ond'esprìmere, che il tempo parrà molto lungo 
per Tintensità del dolore. 

(2) Siccome il cofpìsta non fece uso dì lèttere majùscole^ se non 
per le sole iniziali d'ogni verso, cosi non si può determinare^ se 
per mora egli intenda una Negra, o Etiope, oppure il frutto del 
rovo {rubus fruticosus) che spesseggia nelle nostre siepi, e che 
distinguesi col nome di mòra, 

(5) Nei dialetti vèneti dlcesi ancora requiàr^ nei lombardi requie, 
per riposare, aper pace. 

(4) Nei dialetti vèneti scravazzo significa dt'/tipto^ roi>escio tTa- 
qua. Pare quindi che qui debba intèndersi, che, pronunciata la fa- 
tale sentenza, immantinente precipiterà lo stuolo dei peccatori nel 
tenebtvso regno insieme ai demonj. 



DI PIETRO DA BARSEGAPE. 327 

Quilli serali li ben venui. 
Vu ki m^odì et ascoltai, 
Et in vostro core pensò, 
E vu vori ben odire 
Zò k^el Segnore ve manda a dire; 
Vu sempre inai stari con lu, 
Ni (a no sa partir da vu; 
E si ve dark vita eternale 
E gloria celestiale; 
' E de nela di ase alu paxe (^) 

E a quilli, ke le soe pvre faxe. 
In io libro de vita li insti si én scripti, 
Et lauda da Deo e benedigii; 
Gum Jesu Xriste la compagnia 
UH faran T albergarla 

In lo regno resplendente ^^\ 

• 

(i) Ho trascrìtto questo verso letteralmente come sta nel còdi- 
ce , sebbene mi sembrasse , che debba ridursi alla lezione seguen- 
te: E Deo ne la dia, se a lu plaxe, vale a dire : E Dio ce la 
conceda (la gloria celestiale), se a lui piace, 

(2) Questo è l'ultimo verso del Poemetto del Bescapè serbatoci 
nel còdice archìntèo, o piuttosto, come sembra, sin qui trascrisse 
il copista, né procedette oltre, sebbene appaia manifesto^ che po- 
che linee dovèano mancare al compimento del medésimo. Ora , 
siccome con questo verso medésimo é terminata la pàgina , cosi 
ad annunziare la continuazione del periodo sospeso^ trovasi a' piedi 
della pàgina stessa il richiamo della prima parola del verso che 
dovea seguire, che é d'ai;>ango; ma nella pàgina che segue, in luogo 
della continuazione del Poemetto, trovasi un'orazione pure in 
volgare, evidentemente scritta da altra mano, e con lingua e modi 
diversi, sebbene presso a poco dello stesso tempo. Nell'averso di 
questa carta, che è l'ultima del còdice, dopo la preghiera ^ trò- 
vansi alcune dichiarazioni scritte collo stesso caràttere della pre- 
ghiera. La prima è questa : 



328 POEMETTO INEDITO DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 

Pietro da Barxegapè^ ke era un /untone 
Si à fato sto sermon. 
Si compilliò e si Va scripto 
Ad honor de Jesu Cristo. 

Qui peraltro devo osservare, che ìa tutto il corso del Poemetto il 
nome dell' autore è ripetutameQte espresso de Barsegapè ^ e non 
mai da come in questa nota <) né colla' x in luogo della s. Oltre a 
ciò soggiunge, ch'era un fantòn; e poiché fantòn è voce strana, 
priva di significato, dobbiamo lèggere santòn^ cioè, ch'era un san- 
fuomo; ciò mostrerebbe chiaramente, che l'autore era già morto, 
, quando fu scritta questa dichiarazione , e che quindi non può in 
verun modo èssergli attribuita. Se V Argelati , che pel primo fece 
menzione di questo còdice, ed il Giulini che appuntò Terrore 
della data^ avessero avvertita e Timperfezione del Poemetto, e la 
scrittura diversa delle ùltime due pàgine, ed il vero signifiicato di 
questa nota, ne avrebbero dato certamente un diverso giudizio. 

La seconda dichiarazione, a differenza della prima, che risguarda 
l'autore del Poemetto, si riferisce al tempo in cui il còdice fii 
trascritto , ed è la seguente : 

In mille duxento sexanta e quattro 
Questo libro si fò fato^ 
Et de junio si era lo prumer dì 
Quando questo dito se fenir; 
Et era in secunda diction 
In un venerdì abassando lo soL 

Ilo già avvertito nella Prefazione V errore dell' amanuense che 
scrisse sessanta in luogo di settanta, giacché solo Tanno 1274 con- 
corda colla indizione e col giorno e mese indicati. Aggiungerò ora, 
che questa data si riferisce al tempo in cui il còdice fu scritto., e 
non già al tempo in cui fu dettato il Poemetto dalT autore 3 il 
quale, come consta dalla prima nota, non era già più. E. quindi ne 
viene , che l'età del Poemetto risale ancora verso ^ e forse avanti 
la metà del sècolo XIII. 



IX. 



DELLE LINGUE GERMANICHE 

E 

DELLA LORO GRAMMATICA. 



n 



iTermaniche , sin dai tempi di Roma , quasi per tacita con- 
venzione degli scrittori, cbiamaronsi tutte quelle nazioni, che, 
alcuni secoli prima delKéra nostra^ coprivano gran parte del- 
l' Europa settentrionale, che poi si sparsero in tutte le Pro- 
vincie del decadente impero occidentale, ed ì cui discendenti 
hanno tuttavia grandissima parte nei destini della moderna 
Europa, non che di parte dell' America, dell* Africa, dell'Asia 
e dell'Australia. Teutoni, Suevi, Teutteri, Sicambri, Cherusci, 
Cauci, Brutteri, Riarsi, Tubanti, Catti, Frisi, fiatavi, Tungri, 
Ermuaduri, Menapii, Taurisci, Turingi, Marcomanni, Quadi, 
Éruli, Alemanni, Vàndali, Goti, Franchi, fiurgundi, Angli, 
Sàssoni, Langobardi, Juti, Svetoni, Suioni, Normanni, Va- 
reghi , ed altri popoli ancora loro congiunti e con diversi nomi 
distinti, appartennero tutti alla grande famiglia delle nazioni 
germaniche. 

Col progresso dei tempi, le tante migrazioni, le fluttuazioni 
perpetue, ed i tanti accozzamenti del genere umano, cangia- 
rono interamente l'aspetto di questa numerosa famiglia di po- 
poli, e la dispersero in tante regioni, e la mescolarono ad 
altre genti greche, latine, basche, gaeliche, cambriche, slave, 
finniche, semitiche e turche. Alcuni scomparvero interamente, 
senza lasciar traccia; altri, fondendosi in nazioni d'altra ori- 
gine, cangiarono nome e natura; altri, aggruppandosi fra loro 
medesimi, formarono nuovi popoli misti, ^i quali fu dagli storici 
applicato un diverso nome : cosi che , in onta ai soccorsi del- 
l'istoria, della geografia, della tradizione e dei monumenti, in- 
vano cerchiamo nelle tante nazioni supèrstiti le vestigia di varj 
antichi popoli germanici. 

I Tèutoni, che con formidabile moltitudine minacciarono la 
romana repubhca, pienamente sconfitti da Mario, andarono poi 



332 DELLE LINGUE GEUMÀMCHE 

confusi nel nome generico di latta la nazione. I Marcomanni, 
i Quadi, i Gepidi ed altri popoli, fondendosi nei Goti, forma- 
rono con questi un solo pòpolo, e con essi frammisti poi 
alle tante nazioni meridionali, smarrirono la propria naziona- 
lità. I Franchi, dopo aver collegato sotto il nome loro i Teut- 
teri, i Catti, i Brutteri, i Camavi, i Cauci, dopo aver regnato 
dal Reno ài Pirenei , dopo aver riedificato V impero d' Occi- 
dente, si fusero nelle nazioni celto-Iatine, e perdettero quasi 
ogni traccia della loro origine germanica. Gli Angli, i Sàssoni, 
gli Juti, ed una parte dei Frisi, invadendo la Gran Brettagna, 
si amalgamarono a quelle nazioni celtiche, e più tardi fram- 
misti ancora ai Dani ed ai Normanni, che li soggiogarono, con- 
corsero a formare la potente nazione inglese. I Vareghi, com- 
posero il primo nùcleo della potenza russa, ma si dispersero 
per entro le nazioni slave da loro sottomesse. I Vàndali, dopo 
aver signoreggiato ambo le opposte rive del Mediterraneo, e fon- 
dato in Àfrica un dominio, che estendevasi dalle Colonne d^ Ercole 
allaCirenaide, lasciarono solo un'orma del loro passaggio in una 
provincia della Spagna. Gli Svevi ed i loro confederati anda- 
rono compresi nel nome collettivo di Alemanni; poi furono da 
Clodoveo sottomessi ed incorporati coi Franchi; poi riebbero 
nome nella Germania moderna per perderlo di bel nuovo. Gli 
Slavi e gli Ungari frattanto s'impossessarono d'una gran parte 
delle terre di queste nazioni, nel mezzo delle loro antiche sedi; 
nuovi interessi e nuove leghe li congiunsero, e li scomposero 
più volte nei tempi moderni; nuovi costumi e nuove credenze 
successero al prisco culto d'Odino, e di Thor; cosicché appena 
trovansi incontaminate poche reliquie dei primitivi popoli ger- 
manici nella remota Islanda, difese da un mare inóspite e dalla 
sterilità del suolo ; e altre poche in alcuni recessi della Frisia, 
ove, sebbene minacciati dalle onde del Zuydersee, che ingojè 
successivamente le loro città e i villaggi, i pochi Frisoni im- 
perterriti si conservano all'ombra della loro povertà, pressoché 
immuni dalle invasioni straniere \ 

* II celebre Malte-Brun ^ parlando delP indole di questo valoroso popolo, 
ebbe a dire: Dix-huit siècles ont vu le RKin changer son courSj et l'Océan 
englouHr ses rivages; la nalion Frisonne est reslée débout^ cofìtme un moRU* 
memi hisiorique^ dégne d'iniéresser également Ics desccndans des FraneSj de* 
Anglo-Saxons et des Scandina^es, Vedi, PrécU de Gcographie universelle, Pa- 
ris^ 1810. 



E DELLA LORO GRAMMATICA. 333 

A sviluppare T immensa compàgine di tutte queste stirpi venne 
fia dallo scorso secolo chiamata in sussidio la Linguistica , la 
quale in breve corso di vita, già riempi molte lacune di quel- 
Tintricatissima istoria. S'iniziò lo studio di tutte le lingue set- 
tentrionali moderne, e se ne accertarono le grammatiche ed i 
dizionarj; vennero dissotterrati anti/;hi monumenti di nazioni 
estinte ; si ricomposero le vetuste lingue da tanti secoli perdute; 
si sottoposero a confronto i moderni idiomi cogli antichi, e sopra 
questo fondamento si stabili una quasi compiuta classificazione 
di quei popoli. 

Tutte le lingue germaniche finora note , vennero prima di 
tutto compartite in due grandi famiglie, distinte per singolari 
proprietà grammaticali^ e sono: la famiglia delle lingue teuto- 
niche, e quella delle scandinaviche. La prima comprende tutte 
quelle lingue germaniche^ antiche e moderne, che furono, o 
sono parlate sul continente europeo, al di qua del Baltico, e 
nelle Isole Britanniche. La seconda comprende le lingue par- 
late in Islanda, nella penisola scandinava e nelle isole danesi, 
ohre alle antiche colonie svezzesi nella Finlandia e lungo le 
coste orientali del Baltico, appartenenti alla monarchia russa, 
le quali conservano in parte la lingua svezzese. 

La numerosa famiglia delle lingue teutoniche si suddivide in 
due rami , denominati , per la rispettiva posizione geografica , 
meridionale ChochdeutschJ, e settentrionale (niederdeut$ch , o 
plattd'CUtschJ, Al primo ramo appartengono : V antica lingua dei 
Franchi e degli Alemanni (althochdeutschj, e la moderna tede- 
sca (heuhochdeutsch) mista dei due dialetti meridionale e setten- 
trionale, e determinata primamente da Lutero colla sua versione 
della Bibbia. Al secondo appartengono : la lingua gotica, detta an- 
cora da molti mesogotica; T antica lingua sàssone (altnieder- 
deutsch, altsàchisich) ; T anglo-sàssone, mista di varj dialetti 
deir antica sàssone; l'antica e la moderna frjsica, T inglese 
e r olandese colla fiamminga (hiederlàndischj. Qui dobbiamo 
osservare, che i linguisti discordano intorno al posto da asse- 
gnarsi alla lingua gotica. Il celebre Malte-Brun, che la consi- 
derava come sorella secondogenita delF antica islandese, la col- 
locò nel gruppo delle scandinave; mentre il dotto danese Erasmo 
Rask, che sospinse più avanti di tutti lo studio delle lingue 
settentrionali , la ripose fra le teutoniche meridionali. Noi ab- 
biamo altrove accennato le principali ragioni, che ci indussero 



334 



DELLE LINGUE GERMANÌCHE 



a considerare la gotica siccome anello intermedio che insieme 
congiunge i due gruppi meridionale e settentrionale, e perciò 
abbiamo preferito riporta accanto all'antica sàssone, alla quale 
più che ad ogni altra si accosta col suo sistema fonetico , e 
con certe forme distintive. 

La famiglia delle lingue scandinaviehe comprende infine Tantica 
e la moderna islandese, la svezzese diffusa ancora in Finlandia 
ed in Estonia, e la danese parlata con qualche varietà nella 
Danimarca propria, e nella Norvegia. Per maggiore chiarezza 
porgiamo la seguente tavola: 

Lingue germaniche distinte in due famiglie 



TBDTOIIIGHB 

Meridionali 
{Hochdeutsch) 



Settentrionali (lifiederdeutsch ) 



Tedesca antica Gotica (GotMschj o Hfcesogothisch) , 
(althochdeutsch) lingua degU antichi Goti e della versione 
lingua dei Fran- biblica di Ulfila. 

chi , Alemanni , Sassone anliea ( Jltniederdeutsck j o 
Svevi, ec. Mlsàchsiseh)^ lingua degli antichi Sassoni, 

Tedesca nnh e di tutte le nazioni che abitavano la Gut- 
dema(neuhoch' manta settentrionale. 
deutsch) parlata Jnglo-Sassone ( AngeUSachsisch) ^ mi- 
oon varj dialetti sta dei dialetti degli antichi Sassoni , An- 
In tutta la Ger- gli e Juti. 

mania meridlo- Frisica {Allfriesisch)^ parlata dagli 
naie, forma \\ antichi Frisi e Cauci, e con varie modiO- 
fondo della lin- cazloni ancora adesso dai Frisoni moderni, 
gua scritta, cosi in varj dialetti, a Uindelopen, nella Frisia 
della Germania propria, a Schiermonnikog, nel Saterland 
superiore, come e nella Frisia settentrionale. 
deir inferiore, e Sassone moderna {Neuniederdeutsch , o 
di varj popoli Neitsàchsisch o Platldeutsch) , parlata in 
delle Provincie varj dialetti nella Germania settentrionale, 
russe del Bai* Olandese e Fiamminga {Neuniederlàn' 
lieo. dischj Dutcfi) parlaUi nei Paesi Bassi, 

ossia nelle provincie olandesi e in gran 
parte del Belgio. 

Inglese ( ]}feueng lisca) , lingua domi- 
nante della Gran Brettagna. 



SCAHDUfAVlCIIi 



Islandese [an- 
tica y ( Jltnor- 
disch o Islàn- 
disch ) , lingoa 
degli antichi 
Scandinavi e 
delle antiche Sa- 
ghe del Norie; 
si parla e scrive 
ancora oggidì 
quasi Inconta- 
minata, nell'I- 
slanda. 

Svezzese 
( Schwedisch ) , 
lingua parlata 
in varj dialetti 
in tutla la Sve- 
zia e Finlandia. 

Danese {Dà- 
nisch) , parlata 
con qualche va- 
rietà nelle Isole 
danesi , nella 
Jutlanda ed in 
Norvegia. 



E DELLA LORO GRAMMATIGA. 5^5 

Tra i primi the propagarono lo studio delle lingae setten- 
trionali merita singolare menzione T inglese Hickes^ che. nel suo 
Tesoro publicò , fin dal principio dello scorso secolo , gli ele- 
menti grammaticali delle lingue anglo-sàssone , meso-gotica , 
francica ed islandese. Gli tennero dietro i celebri Schilter, Ju- 
nins, Marshall, Lye, Sdmner, Peringskjòld, Wilkins, Wormio^ 
Manning ed altri, che illustrarono varie delle antiche lingae 
germaniche, e ne publioarono successivamente le grammatiche 
ed i lessici. L* olandese jLaraberto Ten-Kate tentò tracciare una 
classificazione ragionata di tutti quegli idiomi. Ma questi studj 
non furono con particolar cura coltivati , e direUi ad alto e 
nobil fine , se non verso la fine dello scorso secolo , e meglio 
ancora nel presente. 

Abbiamo dimostrato in un precedente lavoro * quanto con-> 
tribuissero all' illustrazione dell'antica lingua gotica Ihre, Sti- 
ernhielm^ BenzeI, Fulda, Reinwal, Knittel, Zabn^ Ca^tiglioni, 
Massmann, Sjerakowsky ed altri; in simil guisa venne illustrata 
r antica lingua islandese da varj dotti in Danimarca e Svezia. 
Molte delle antiche saghe furono publicate, tradotte ed illu- 
strate, per opera del celebre istorico Suhm e deìV Istituto 
Arna-Magneano, al quale negli ultimi tempi successe la Regia 
Società degli Antiquarii del Norie. Questa, fra i tanti studj 
diretti all'illustrazione delle patrie antichità, intraprese la pu- 
blicazione di tutti gli antichi manoscritti nordici, colle versioni 
jn Ialino e danese. Oltre a ciò Groeter, Kofod-Àncher, Lan- 
gebek, Nyerup, Thorkelin, Afzelius, Thorlacius, Rafn ed altri 
posero in chiara luce tutto quello che si riferisce alle anti- 
chità , alla mitologia , al diritto ed alla primitiva letteratura 
scaudinavica. Con tutti questi materiali il celebre Rask com- 
pose una grammatica ed un dizionario delf antica lingua islan- 
dese , e una dottissima dissertazione sulF origine di queir i- 
dioma, e sulla affinità sua colle altre lingue japetiche ^ Dopo 
le quali opere di Rask comparve alla luce, nel 1829 » Finge- 
gnosa Grammatica istorica delle lingue danese, islandese e 
svezzese del professore Peterssen ^. 

* Reliquie del testo d' Ulfila^ edile dal Conte C. O, CastigUòni {Politecnico^ 
voi. II, pag. 461). 

* UndersÓgclse om del gamie IVordiskej ellcr Jslandske Sprogs Oprindelscj 
for fatteli af R. K, Rask. Kjóbenhavn^ 1016. 

^ DelDanskej Norske og Svenskc Sprogs JiisloriCj af N, M. Peterssen. 
Kjòbenhavnj I82u. 



536 DELLE LINGUE GERMANICHE 

Là liogua degli antichi Frisi ebbe ad iiiastratori Wiarda, 
Hettema, Schwartzenberg , Eplceroare, Wierdsnaa e Brantsma, 
che ne publicarono, tradussero e commentaroBO gii antichi mo- 
numénti , somministrando ampia materia a Aask per la com- 
pilazione della grammatica , e all' aitró distinto danese Outzen 
per la redazione del Dizionario. Tra i più benemeriti dì que- 
sto interessantissimo idioma merita siiigolar^ menzione il dotto 
nostro corrispondente I. H. Halbertsma, commentatore di Gi- 
berto lapiks, ed autore di preziosi scritti linguistici ^ 

L'antica lingua sàssone, sebbene esclusa dalla letteratura 
germanica fin dai tempi delta riforma religiosa , fu ricomposta 
ed ampiamente illustrata dai dotti Schmeller, Kinderling, Mone, 
Baumann e Hoflfmaun di Fallersleben, che ne resero di publica 
ragione! principali monumenti, quali sono il poema di Helìdnd, 
r Armonia degli Evangelii di Taziano , ed il poema allegorico 
Béineke Vos. 

Huydecoper, Tinstancabile Willems, Siegenbeek, Blommaert, 
Yan der Hagen ed altri molti illustrarono tutti i monumenti 
deir antica lingua neerlandese. 

L' Anglo-sàssone, già riprodotta in chiara luce nelle erudite 
opere di Hickes, Junius, Lye, Wilkins, Thwaites, e Manning, ebbe 
negli ultimi tempi più profondi illustratori in Couybeare, Schmid, 
Price, Thorpe, Ingram^ Thorkelin, Kemble, Turner, Palgrave, 
Bosworth e Rask, i quali ultimi due lasciarono i migliori trat- 
tati grammaticali di questa lingua. 

Finalmente anche 1* antica tedesca meridionale (hochdeutsch) fa 
minutamente analizzata negli ultimi tempi, per le laboriose cure 
di Graif, Wackernagel, Fulda, Lachmann, Docen, Massmann, 
Hoffmann, Schmeller, Yan der Hagen, Benecke, ec. Per evitare 
le troppo frequenti ripetizioni, abbiamo taciuto nel corso di 
queste rapide citazioni il nome dei due fratelli Grimm, che in- 
defessamente contribuirono air illustrazione di tutti quegli an- 
tichi e moderni idiomi. Le belle edizioni dell'Edda, del poema 
dei Nibelunghi, delle antiche leggi germaniche, ec. publicale 
con dotte osservazioni dal dott. Jacopo Grimm, basterebbero 
ad assicurargli quell'alta riputazione, di cui meritamente gode 



I Tra i promotori e cultori della letteratura frisica son degni d** onore 
varj allri eruditi , come Posthumus , Wassenberg, Uoelcstra^ Hoeuffl, Wiclinga.. 
Uubcr, ec. 



E DELLA LORO GRAMMATICA. 337 

ili Europa Ve là quale non poirà mai venir meno nella rico- 
noscenza dei pòsteri. 

Quest'uomo raro, scorgendo negli antichi documenti delle 
lingue germaniche molti punti che le ravvicinavano assai più 
che non appaja dal confronto delle moderne, e trovaiido un* 
considerevol numero di documenti atti a determiùare, pel corso 
di venti secoli circa , le successive variazioni , che recarono a 
tutti questi idiomi le vicende dei tempi, concepì la gigantesca 
idea di tesserne un'istoria filosofica mediante una grammaliea 
comparativa e cronologica, la quale, mostrandone i tratti di- 
stintivi, ne mostrasse allò stesso tempo la commune orìgine da 
un tipo commune. La prima parte di questo pregevolissimo: 
lavoro vide la luce a Gottinga, nel 1819, con un'introduzione,, 
nella quale 4' autore , mostrando il disegno dell'opera, ed an- 
nunciando alcuni principali risultamenti delle laboriose sue 
speculazioni, enumera le tante fonti, alle quali attinse i mate-* 
riali per la redazione della grammatica di tutti quégli idiomi ^ 

Per procedere coir ordine richiesto dalla natura, egli distribuì 
tutte le Jingue germaniche cronologicamente, partendo dalle più 
antiche , e discendendo gradatamente alle moderne e tuttora 
viventi. Non è mestieri accennare ^ come tutti questi moderni 
idiomi siano derivati direttamente dagli antichi; è noto ad 
ognuno, che la moderna lingua tedesca derivò dalla lingua degli 
antichi Franchi ed Alemanni, combinata con quella degli anti- 
chi Sàssoni; T attuale olandese, che prima dell'Unione delle 
Sette Provincie, chiamavasi fiamminga, si formò sulle mine delle 
antiche lingue sàssone e frìsica; l'inglese derivò dall' anglo*' 
sàssone , la quale alla sua volta surse dalla mescolanza 4egli 
antichi dialetti sàssone, anglo e juto; e le attuali lingue scau- 
dinaviche, danese e svezzese si formarono sùll' idioma reso il- 
lustre dagli antichi Scaldi, cioè sull'islandese, che si conservò 
quasi intatto, fino ai nostri giorni, nell'Islanda. 

Ciò nullostante, confrontando tutti questi moderni idiomi coi 
tipi primitivi dai quali emanarono , si trovano talmente diversi 
da quelli, che> non ostante la più profonda cognizione dei mo- 
derni , non si possono interpretare gli antichi , senza un lungo 
studio speciale; tante sonò le modificazioni, a cui nel corso di 
pochi secoli gli antichi idiomi ebbero a soggiacere! Ora codeste 

* Veut9che Grammatik von Jaeob Grimm, GóUingenj 1819-37. 



338 DELLE LINGUE 6BRMANIGBE 

modiflcazioDi non poterono esser T opera d'un istantaneo rÌTol- 
gimento operato nelle moderne generazioni; ma bensì un lento 
effetto del tempo, che a poco a poco cangia T aspetto di tntte 
le cose. Dì fatti , poco dopo il mille , generalmente parlando , 
taiii gli antichi idiomi si scomposero , o disparvero , come 
risulto dai monumenti posteriori a quell'epoca; e sappiamo 
d'altronde che tutti gli idiomi moderni, poco più, poco meno, 
non furono determinati colle forme che. attualmente li distin* 
gnono, se non verso il 1500. Perlochè ci riroane nn inter- 
vallo d'oltre quattro secoli, durante il quale le antiche lin- 
gue, sottoposte qua^i a fusione novella, subirono quella gran 
trasformazione , onde ricomparvero poscia a novella vita e con 
si diversa forma nelle moderne. In simil guisa le moderne lin- 
gue meridionali, l'italiana, la francese, la spagnuola e la por- 
toghese, non ricomparvero colle attuali lor forme, che deri- 
varono dagli antichi dialetti rispettivi^ se non nel secolo Xlll 
all'incirca , dopo che la lingua latina , dalla quale trassero tanta 
copia di materiali, erasi per varj secoli rifusa, sotto L'influenza 
delle tante nazioni straniere componenti il vasto imperio ro- 
mano, in esso penetrate, non che delle nuove discipline della 
moderna civiltà. 

Ciò premesso, siccome non era possibile tracciare un'istoria 
compiuta delle varie fasi delle lingue germaniche, senza seguir 
passo passo tutte quelle intermedie modificazioni, che sono 
quasi anello tra le antiche e le moderne, così il dott. Grimm, 
considerando il sovraindicato intervallo come il medio evo delle 
Hngue germaniche, costruì sui monumenti di quel tempo le 
grammatiche di tutti questi idiomi ìntermedj, denominandoli: 
mittelhochdeutsch , millelniederdeutsch , mittelniederlandisch , 
mittelengliìieh , ossia alio- tedesco del medio tsó ^ basso-tedeteo 
del medio evo, ec, ec. , e distribuì quindi nella sua granraia- 
tica tutte le lingue germaniche nell'ordine seguente: 
6oli<cA Gotica 



Lingue an lidie 
dall'anno suo 

incirca 
. fino al 1100 



AUhochdeulsch Alto-tedesca antica 

Aliniederdeuisch Basso-tedesca antica 

Jngelsàchnsch Anglo-sassone 

Jltfrie^isch. frisica antica 

JUnordisch Nordica antica, o islandese 



. ^ • f « • i MUtelhochdeuUch Alto-tedesca del medio evo 

Lingue aci lempi i MitlcMederdeutsch Basso-tedesca del medio evo 

di mezzo , uai j Mittelniederlandisch Fiamminga o neerlandese del med. evo. 

1100 fino al *«t>of j|f,7(efc«fif/McA Inglese del medio evo 



E DELLA LOnO GRikMMATICA. 339 

f Neuhoehdeutich Tedesca propriamente delia 

^Neuniederdeutsch Basso-tedesca, o sàssone moderna 

Lingue moderne j Pfeuniederlàndisch Olandese moderna 

dal »«oo incirca \Neunordisch Islandese moderila 

fino a noi ÌSchwedUch Svezzese 

[ Dànisch Danese 

\NeuenQli9ch Inglese 

L'idea di coordinare nella medesima grammatica tutte le suc- 
cessive fasi intermedie , per le quali una lingua passò prima 
d'acquistare le attuali sue forme, é veramente nuova e filo- 
sofica. Egli è pur bello il vedere , come dalle molteplici fles- 
sioni e dalle ricche forme delle antiche lingue sassone ed islan- 
dese, Tarte della parola sia passata a poco a poco all'estrema 
semplicità delle grammatiche inglese e danese, senza perdere 
punto del suo vigore e delle sue attrattive! Vi s'intravede in 
certo modo tutto il corso della mente umana nella evoluzione 
del pensiero , e l'istoria del pensiero medesimo. Ma non era 
egualmente filosofico e giusto il voler rappresentare tutta la 
serie A\ quelle successive modificazioni in una supposta lingua 
di transizione, che propriamente non fu mai. Quando una lin- 
gua, bastevole ai bisogni ed alla condizione fisica e morale 
d'uifa nazione, è determinata sopra regole costanti, attraversa 
più secoli, senza soggiacere a sensibile alterazione. Ma quando 
il popolo che la parla, cangiando religione, costumi e territorio, 
risorge a nuovo modo di vita e diverso ordine di cose^ e sentendo 
imperioso il bisogno di chiarire con nuovo processo d'idee il pen- 
siero, imprime diversa forma al linguaggio, s'inoltra lentamente 
nella modificazione di questo, e solo di mano in mano che una 
generazione va introducendo una nuova forma, quella che vi suc- 
cede dimentica insensibilmente l'antica, e ne introduce una se- 
conda; e cosi procede di generazione in generazione, finché ridotto 
il regime intellettuale a livello del mondo esteriore, senza av- 
veder3i, si arresta, mette in ordinanza tutte le modificazioni e 
le ampliazioni date al suo novello modo di rappresentare il nuovo 
modo d'esistenza, e, stabilitele come càrdini fissi, vi si adatta 
ciecamente per nuovo corso . di secoli, finché un ordine novello 
di cose tragga le future generazioni a nuova riforma. 

Così appunto avendo proceduto le nazioni germaniche, quando, 
messe in prossimo e continuo contatto colle nazioni meridionali, 
abbracciarono col nuovo culto anche la civiltà novella, ne con- 
segue che, durante tutto il corso di quella rigenerazione, non 



S40 DELLE LINGUE 6BRMANIC0E 

ebbero, propriamente parlando, lingua stabile e fissa; ma, come 
abbiamo altrove dimostrato svolgendole origini di nostra lingua \ 
ogni anno del medio evo era un passo verso un nuovo Hn- 
guaggio; e quindi il voler accertare le regole fondamentali della 
lingua di queir instabile intervallo , è lo stesso che voler deli- 
neare i contorni d'un albero dall'ombra fugace che progetta 
sul suolo; tanto più, cfhe alla continua mobilità naturale della 
lingua aggiijngevasi ancora, in quell'era di transizione, il ca- 
priccio e r esitanza degli scrittori, i quali, simili a nocchiero 
senza bùssola, erravano incerti sul loro cammino. Ora, se 
ogni anno, ogni paese, ogni scrittore aveva il proprio modo di 
inflettere i vocaboli e d'esprimere, i suoi pensieri, come sarà 
, mai possibile racchiudere in una sola grammatica, come appar- 
tenenti ad una medesima lingua, tante diverse forme, che non 
furono mai contemporanee, né mai furono generali? Giova cre- 
dere, che se all'autore si fossero affacciate simili considera- 
zioni, forse non si sarebbe accinto all'ardua impresa di co- 
stringere tutte quelle lingue intermedie in forma di gramnMtica; 
e non avrebbe avvalorato la supposta esistenza di certi dialetti 
misti , come quello del poema eroico sulla lotta di Hildibrath 
e Hadubrant, nel quale, anziché ravvisare uno speciale dialetto 
misto, sembra più ragionevole riconoscere con Bouterweek lo 
sforzo d'un Sàssone che tenta scrivere nei dialetti francieo. Le 
forme diverse hévan, hewen^ hèbhan e himil, alcune delle quali 
si riscontrano altresì nel poema di Heliand, non potranno por- 
gere fondata prova sulla patria dell'autore di quest'ultimo, 
come pur si vorrebbe. 

Prescindendo per un istante da tutte queste considerazioni, 
e riguardando tutte le lingue intermedie, ordinate dal dotL 
Grimm nella sua grammatica, non già come lingue proprie di 
una data età, ma come rappresentanti in complesso le varie 
forme assunte da quegli idiomi nel mentovato intervallo, non 
vediamo come non abbia seguito lo stesso procedimento anche 
perle lingue soandinaviche; ma passi di salto dall'antica islan- 
dese alle moderne svezzese e danese, senza curare i gradi in- 
termedj, pei quali nel corso di quattro secoli anche queste lin- 
gue passarono prima d'assumere le attuali lor forme. Questa 

» Vedi la Memoria intitolata: Origine e sviluppo della lingua italiana 
(Polileenfco, voi. in, pag. IM). 



E DELLA LORO GUAMMATICA. 341 

nijincanza rìesee tanto più sensibile, quando consideriamo, che 
i dialetti nordici posseggono considerevol copia di docamenti 
del medio evo, i quali avrebbero potuto fornire ampia materia 
a compilar la grammatica di quella lingua intermedia. Il cele- 
bre professore Kolderup-Rosenvinge publicò in tre volumi in 
quarto gli Statuti e le leggi danesi del medio evo, aggiungen- 
dovi la versione danese e dotti commenti. Le tante leggi pro- 
vinciali della Svezia e della Norvegia, appartenenti alla stessa 
età, non contengono minor dovizia di materiali, come appare 
dalla bella edizione di Collin e Schlyter. Oltre a ciò, il trat- 
tato che ha il titolo di Konungastyrilse (istituzione dei re), 
la raccolta delle leggi ecclesiastiche della Zelanda, publicata 
da Thorkelin *, e molti altri importanti documenti, sarebbero 
siale fonti preziose, come lo furono poi pel professore Peterssen, 
che ne trasse ottimo partito nella sullodata istoria delle lingue 
nordiche. 

Un'altra osservazione oseremmo fare intorno all'ordine ge- 
nerale di quest'opera, e più particolarmente intorno alla di- 
stribuzione delle materie. Se si riguarda all'intrinseca tessitura 
di tutti gl'idiòmi della famìglia germanica , vi si scorge una 
mirabile consonanza; ma assai più nel dizionario, che non nelle 
inflessioni e negli artificj grammaticali. Il doppio articolo ora 
premesso, ora posposto ai nomi , le differenti forme delle voci 
passive, il diverso modo d'inflettere le principali parti del di- 
scorso ed il vario ordinamento della frase, pongono una troppo 
grande separazione fra le lingue scandinaviche e tutte le teutoni- 
che, sicché si possano raccogliere in un solo quadro, come fa l'au- 
tore. Similmente le proprietà, che distinguono i dialetti della 
Germania settentrionale da quelli della meridionale , sembrano 
abbastanza evidenti, perchè non si possa assimilarle in un mi- 
nuto confronto. Saremmo quindi d'avviso, che l'autore avrebbe 
meglio raggiunto l'alto suo fine, qualora avesse separati i tipi 
principah, come levarle tinte d'una tavolozza, apponendovi 
immediatamente e di séguito le successive modificazioni a cui 
ciascuno soggiacque nelle varie età. Per tal modo il gran qua- 
dro dell'opera, che ora è frastagliato in mille brani, e nel 
quale tante lingue si trovano confuse, verrebbe ripartito in pic- 
coli quadri separati e indipendenti, in ciascuno de' quali più 

' Thorkcllm sammling af Danske Kirkclovc» Kjdbcnhavn^ 1787. 



549 DELLE LINGUE GERMANlCtlE 

facilmente si potrebbe scorgere con una^ sola occhiata Y anda- 
mento «delle singole lingue, dalla origiue loro fino a noi. Al- 
l' intento poi d'inslituire nn generale confronto fra le sepa- 
rate membra del vasto corpo, avrebbero meglio potuto ser- 
vire, alla fine di ciascun libro, alcuni prospetti che rappresen- 
tassero il riassunto comparativamente ordinato di tutte le os- 
servazioni nel libro medesimo svolte. E perciò il seguente 
prospetto sarebbe riescito forse più consentaneo alla natura ed 
al fine dell'opera. 

I II ni. 

Lingua gotica Sàssone anlica Anglo-sassone 

. . . . . . . Sassone dei mediò evo Inglese del medio evo 

Sàssone moderna Inglese moderna 

IV. V. V. 

Frisica anlica Teutonica anlica Islandese antica 

Neerlandese del m. evo Teutonica del m. evo Islandese del medio evo 

Olandese moderna Tedesca moderna Islandese moderna 

. . Svezzese 

Danese 



Con simile distribuzione, oltre che ogni parte, sebbene parte 
integrante del tutto, potrebbe reggere isolata e da sé, si ver- 
rebbe a conseguire ancora meglio T intento dell'autore, di 
porgere allo studioso un sussidio per fondarsi nell'intima co- 
gnizione della lingua nativa ; giacché per conoscere la natura 
e l'organismo della propria lingua, non è necessario al germano 
meridionale lo studio delle scandinaviche o delle, neerlandesi, 
come non è quello delle teutoniche al giovine danese od islao- 
dese. 

Ma queste considerazioni non terranno, che la superficiale 
idea sin qui abbozzata di quest'opera, non basti a mostrar 
l'alta importanza della gigantesca impresa del dott. Grimm, e 
la somma dottrina e le laboriose veglie che il suo conaponi- 
mento richiedeva. A mostrarne il merito intrinseco ed i veri 
vantaggi, valgano pochi cenni sul contenuto dei primi quattro 
volumi, finora venuti in luce. 

Prima di publieare il volume secondo, l'autore di^de, nel 1822, 
una seconda edizione del primo, e vi produsse un lunghissimo 
trattato intorno alle lettere proprie di tutti gl'idiomi germanici, 
per rappresentarne il sistema fonetico , e gettare insieme le 
fondamenta del connesso ordine ortografico. 



R DELLA LORO GRAMMATICA. 343 

Abbiamo già in altro scritto * dimostrato di qual momento 
sia il sistema fonetico delle nazioni per io studio comparativo 
delle lingue, e come ne sia necessario un diligente esame^ per 
determinare con certezza i rapporti delle nazioni che le parlano; 
ma abbiano dimostrato altresì, che i principj costituenti il si* 
stema fonetico d'una lingua debbonsi raccogliere dal labbro 
stesso della nazione che la parla, e non dagli scritti, i quali li 
possono rappresentare solo in modo imperfetto , e più sovente 
riescono fallaci od equivoci, per la generale insufficienza di tutti 
gli alfabeti conosciuti, e per la varia ed arbitraria applicazione 
e combinazione dei medesimi segni a rappresentare suoni af* 
fatto diversi. Se questo è vero per tutte le lingue viventi e 
meglio conosciute» del cui sistema fonetico non è possibile for- 
marsi idea dietro la sola scrittura, senza un apposito studio 
della natura delle lettere medesime, e senza che la viva voce 
del maestro supplisca alle loro imperfezioni , quanto più non 
dovrà apparir manifesta T impossibilità di stabilire la pronunzia 
e r ortografia di lingue estinte da secoli, sul mero fondamento 
di pochi manoscritti malconci dal tempo, ed alterati dai copia- 
tori? Ciò premesso, faremo le seguenti avvertenze: l."" varj 
erano gli alfabeti usati dalle antiche nazioni germaniche, cioè, 
il runico, il gotico, T anglo-sàssone ed il latino, delle cui let- 
tere , massime nel runico e nel gotico , non si può assegnare 
con certezza, in molti casi , il preciso valore '^. %° La maggior 
parte di quegli alfabeti furono dai popoli germanici presi in 
altre lingue, ed adattati alle proprie, cosicché non v'ha dubbio, 
che varj di quei segni vi prendessero un valore diverso dal 
I primitivo, come vediamo neir applicazione dell* alfabeto greco 
alla lingua gotica, e del latino alle slave e finniche, alle viventi 
germaniche, e persino ai dialetti affini della stessa famiglia la- 
tina. 3/' Molti degli antichi manoscritti germanici non sono 

> Vedi la Memoria: Sullo studio comparativo delle lingue (Politecnico ^yoL II, 
pag. ibi). 

» Egregiamente esprimevasi a questo proposito il rinomato Halberlsma , 
nell' opera intitolata : Bosworth'9 Origin of the germanic and scanditiavian 
language». London j isise^ pag, stt. 

AU knowledge in thi» mailer depends upon the written letlers^ and upon 
determining the sound of Ihose lellers. Yhis howéver is a very difficult task. 
There is no connection at ali betwecn marks and audible sounds : t/w lellers 
serve more to indicale the genus j than the species of the sounds j and use 
alone con teach w the thades of pronunciation. 



344 DELLE LINGUE GERMANICUE 

originali^ ma copie fatte in età posteriori, e forse presso a na- 
zioni diverse, cosicché non si poteva conservare sempre intatta 
la vera forma del luogo e del tempo al quale i documenti ap- 
partenevano. 4.^ Non è certa resistenza d*un sistema ortogra- 
fico generalcv particolarmente nel lungo intervallo di transizione, 
al quale nulladimeno là massima parte dei manoscritti appar- 
tiene ; ma (^ni scrittore, come aveva un dialetto proprio, aveva 
un suo sistema ortografico, come appare dalle tante varianti 
dei manoscritti di quella età. Potremmo citare ad esempio di 
questo disordine ortografico gli stessi manoscritti nostri del 
medio evo e dei secoli ancora posteriori, nei quali troviamo 
indistintamente scambiato nel medesimo paese il 6 in t?^ il v 
in u, Vu in h^ e viceversa^ la x in ss, le consonanti geniinate 
in semplici; disordine, che non avendo sovente altra orìgine 
che l'arbitrio degli scrittori,'trarrebbe facilmente in errore chi 
si attentasse a spiegarlo altrimenti. 

Tutte queste considerazioni mostrano troppo evidènte Tim- 
possibiiità di stabilire una fondata dottrina delle lettere proprie 
dei singoli antichi idiomi germanici; e sebbene il dott. Grimm, 
intento a superare le più gravi difficolta, abbia congiunto a la- 
boriose speculazioni profonda dottrina ed acutissimo ingegno, 
non potè preservarsi dal cadere nel labirinto d'un intricato 
sistema, <;ostrulto secondo un partìcolar suo modo di vedere e 
di sentire. Appunto per questo non possiamo comprendere, come 
egli condanni quelli che fanno uso delle lettere gotiche ed an- 
glo-sàssoni nella publicazione dei rispellivi documenti, mentre, 
per renderne i suoni perfettamente identici coir alfabeto latino, 
r editore sarebbe sovente costretto ad alterarli, o interpretarli 
a suo talento, rappresentandoli con una combinazione di lettere^ 
che non conviene egualmente ai varj sistemi ortografici, intro- 
dotti presso tante nazioni. La difficoltà ch« la lettura di questi 
caratteri presenta, non è ragione che possa prevalere ai sovra- 
detti inconvenienti, tanto più che i caratteri gotici ed anglo-sàs- 
soni derivano immediatamente dai greci e dai latini, dei quali 
non può ignorare il valore chi coltiva simili studj. 

S'egli è impossibile, sulla semplice norma d^gli antichi mano- 
scritti, stabilire con certezza il compiuto sistema fonetico di 
tante nazioni, non ne viene perciò che non si possano fino ad 
un certo punto determinare, almeno sommariamenVe, i caratteri 
principali; e quindi con quella osservazione non intendiamo dire 



E DELLA LORO GRAMMATICA. 345 

che Fautore dovesse trascurape affatto- questa parte importan- 
tissima della grammatica; ma bensì che la trattasse con quella 
somma cautela che un soggetto. cosi arduo, e dubio richiedeva, 
anziché costruire un sistema ipotetico di suoni per questa e 
per quella lingua, per condurre poi lo studioso a quelle con- 
clusioni ch'agli voleva. Cosi, per esempio, l'importanza ch'egli 
attribuisce alle vocali* a preferenza delle consonanti , è tanto 
sistematica, quanto insussistente; ejl è contraria air ordine na- 
turale, nonché airopinione universale dei linguisti, che rico- 
nobbero sempre nelle consonanti la vera ossMura del sistema 
fonetieo d^lle nazioni. Gli Orientali spinsero ancora la cosa più 
oltre, mentre da loro o non si scrivevano le vocali, o se ne in- 
dicava solamente il posto nei vocaboU; ciò cbO' mostra mani- 
festamente qual caso ne facessero. 11 voler poi pretendere ^be 
le vocali presso le nazioni germaniche fossero più persistenti 
che non presso i Greci ed i Latini, viene a smentirsi piena- 
mente dal fatto. 

Prima d^entrare nei particolari, crediamo opportuno riportare 
un brano dì lettera d' un dotto nostro corrispondente olandese, 
che cade appunto in acconcio sul fs^tto mostro. On sait^ cosi 
egli scriveva non ha guari, gue Grimm et autre» font autant 
et plus de-cas des voyelles que des eonsonnes; en vous demanr 
dant, Monsieur^ V explkation de ce phénomèmj je vom débite 
mon opinion, Les Altemands se piquent d'eire ks vrais Ger- 
mani de Tacite, et par conséquent frères des Goths, des Chaur 
ces,^ des Frisons, des Anglo-SaxonSy etc; mais ils voient fort 
bien que kwrs eonsonnes ne kur accordent pas cette place ; 
au contraire elks leur destinent celle de neveux abàtardis. 
Le développement, ou plùtot l'endurcissement des eonsonnes t 
est une marque irrécusabk de l'àge des langues et des dia- 
kctes, Frater, dens, sont plus anciens que brothar, thunthus, 
qui à kur tour sont plus anckns que V alkmand pruoder , 
zand. Dans ks voyelks au contraire les Alkmands ressenv- 
blerU autant que nous aux Goths, et voilà pourquoi ces mes- 
sieurs, pour se rapproeher d' avantage au vrai sang des Ger- 
mani, mettent les voyelles au premier rang. Lasciando a parte 
le opinioni, e venendo ai fatti, varranno a far conoscere la si- 
stematica condotta dell' autore alcune delle tante osservazioni, 
che ci venne fatto d' appuntare qua e là nella lettura di que- 
st'opera. 

• 25 



546 "^ DELLE LINGUE GERHANICHE 

Prima di tutto e^i stabilisce una divisione di vocaK io pure 
e torbide, che a nostro avviso è affatto imaginaria; e chiama 
pure a, o, %i, torbide e, 6, u; che anzi considera la e piattesto 
èome una corruzione delfa^ che exìme una vocale priimtiva, e 
pretende, che abbia cominciato a figurare come vocale distinta, 
soltanto C4>ir antica lingua franca ed alemanna, perchè nei pri- 
mitivi caratteri runici non sì trova rappresentata eoo segno 
proprio. A questo potremmo rispondere, che -dagli Orientali si 
scrivevano propriamente tre sole vocali, sebbene ne avessero un 
numero maggiore; e T autore non ignora, che le nazioni set- 
tentrionali portarono le loro rune dall'Asia; cosicché non si 
potrebbe trarre argomento alcuno, quand'anche nelle antiche 
rune mancassero i segni d'altre vocali. Oltre ciò l'autore stesso 
(pag. 2) confessa, che la maggior parte degli antichi scritti 
runici furono alterati dai copiatori che li tramandarono ; epperò 
r alfabeto runico desunto da quei frammenti potrebbe fornire al 
più un principio di prova. D'altronde se, come non v'ha du- 
bio, l'antico germanico era un dialetto d'una lingua più antica, 
perchè non avrà tratta da quella colle altre vocali anche la e? 

In simil guisa procedendo, egli asserisce (p. 11), che negli 
antichi dialetti germanici la geminazione delle consonanti è molto 
rara, mentre abbiamo contraria testimonianza nei monumenti 
gotici, presso i quali è frequente. Cosi egU colloca a torto fra 
le lettere composte la sch e le aspirate dei moderni Tedeschi, 
le quali invece, presso gli Slavi, gli Armeni, e le tante nazioni 
semitiche, vennero sempre e giustamente riconosciute come sem- 
plici, e rappresentate con segno proprio. Che se i Tedeschi, 
adattando alla loro lingua l'alfebeto della latina, che mancava 
di questi suoni, furono costretti a rappresentarli colla combi- 
nazione di varie lettere, questo non potrà in verun modp can- 
giarne la natura. 

Quando l'autore si fa a rintracciare le fondamenta dell'an- 
tica prosodia germanica, si appoggia all'analogia delle lingue 
greche e romane, e vuole che, siccome queste dalla quantità 
delle sillabe passarono nei tempi moderni agli accenti, cosi le 
lingue germaniche abbiano seguito eguale procedimento. Ora , 
perchè l'analogia servir possa di prova, sarebbe necessario di- 
mostrare , che tale è la legge universale delle lingue , ciò che 
sembra impossibile nei caso nostro , poiché le lingue greca e 
latina non sostituirono l'accento alla quantità, se non dopo aver 



B DELLA LORO GRAMMATICA. 347 

oltrepassalo il calmine del loro perfezionamento, e propriamente 
al tempo della loro massima decadenza; mentre le lingue ger- 
maniche avrebbero subito questo cangiamento al tempo del loro 
primo sviluppo, ciò che rende inopportuno il paralello. £gli 
era forse più naturale, ed egualmente appoggiato all'analogia, 
il riconoscere che, siccome i Latini fondarono la prosodia loro 
sulla quantità delle sillabe, ad imitazione dei Greci, cosi le na- 
zioni tedesche fondassero la propria sugli accenti, ad imitazione 
delle moderne lingue meridionali. L'autore parte dal principio, 
che siccome molte voci attualmente lunghe e monosillabe erano 
anticamente dissillabe, ed avevano lunga la seconda, cosi la prima 
dovrebbe essere ^tata breve, poiché, posando il tono sulla se- 
conda, varia doveva essere la quantità della prima; e ne fa 
r applicazione alla lingua latina* della quale riferisce alcuni 
esempj. Ma qui, senza avvedersi , confonde la prosodia antica 
eolla moderna dottrina^ degli accenti, affatto sconosciuta agli 
antichi e di natura affatto diversa , mentre la quantità delle 
sillabe poteva essere e lunga e breve, vi cadesse, o no, Tao- 
cento. Tanto è vero, che le lingue latina e greca offrono indi- 
stintamente voci dissillabe , nelle quali le quantità variano in 
tutte le combinazioni possibili *"", ,"""■,"*". Oltre a ciò è 
a notarsi, che i principj della prosodiarlatina sono in certi casi 
diametralmente opposti a quelli della germanica, mentre in la- 
. lino la. vocale seguita da due consonanti generalmente è lunga^ 
e lo è sempre se è seguita da una consonante raddoppiata. Ma 
in tedesco invece suole avvenire il contrario , massime se la 
vocale è seguita da consonante doppia. Quindi è assolutamente 
falsa r induzione, ch'egli ne vuol ricavare, che il raddoppia- 
mento delle consonanti, ed il prolungamento delle sillabe operato 
daH'A posposto, hanno la medesima origine; poiché il primo 
abbrevia la sillaba, accentuandola, laddove il secondo, accentuan- 
dola, la prolunga. Se quindi questi due effetti sono analoghi 
nella teoria dei toni , sono invece opposti neir antica prosodia, 
e potrebbero servire a provare, che questa si fondava piuttosto 
sulla dottrina degli accenti, che delle quantità. 

Troppo sottili , e quindi impossibili ad applicarsi nei casi 
pratici, sono le distinzioni che il dolt. Grimm tenta avvalorare 
(pag. 108) intorno ai dittonghi iu, io, ^o, mentre gli scrittori 
germanici , egualmente che gli esteri , erano trpppo incostanti 
neiruso dei medesimi, e sovente li confondevano del pari che 



548 DELLE LINGUE GERHANiCHr 

le cODSonaDti d, t, th. Nella nota dello 3tesso paragrafo egli 
pretende dimostrare che diutìsc, ieudiscus (tedesco) deriva dalla 
radice tkiuthsj e non da thitida, poiché il derivativi) possessivo 
dovrebbe essere thiudaivisk^ V analogia per altro e V uso co- 
stante delle lingue germaniche ci mostra invece che se^ manna 
forma mannisks , anche thituia deve formare thiudisks, e ne 
abbiamo una chiara conferma nella gotica versione dell' epistola 
ai Gelati, testé publicata dal conte Ottavio Gastlglioni. 

Ogniqualvolta T autore trova negli anlichi monumenti fatU 
centrar] al suo sistema^ è troppo facile ad imputarlo alla fal- 
lacia dei copisti, ed a moltiplicare le eccezioni, le. quali talvolta 
sorpassano le sue regole. Cosi attribuisce ad errori di scrittura 
ì tanti esempj dei dittonghi oe, oi, che si riscontrana nella 
cantica di Yilleramo; pretende falsa la lezione Ltiilpraiufo in- 
vece di LiutprandOf come pure di tutti gli ut, che a suo cre- 
dere devono essere tu, oppure vi; e quando trova il nome di 
Hessen (Assia) derivato da quello degli antichi Chatti che Ta- 
bìtavano, impugna la verità istorica piuttosto che ammettere 
lo scambio del t, in s. 

Più oltre r autore s'interna in nuove distinzioni, per deter- 
miniHre la differenza tra il t; e la /^ e qua trova uà errore , 
là crea un* eccezione , mentre in sostanza tutta là difBeoltà è 
sciolta quando si consideri T attitudine organica, sia orale, sia 
aurìculare, propria delle- naziom germaniche. Non vediamo noi 
rinnovarsi lo stesso tutto giorno dai tanti, i quali anche stabi^ 
liti da molf anni in Italia, non mostrano di distinguere il v 
dair/; il b AdA p, il d dal t, ee.ì Les Allemanda, ci scrìveva 
schers^ando, ma giustamente, il succitato nostro corrispondente 
olandese , peuvent bien prononcer toutes les consonneè, mai» 
ih ont l' ergane de fom assez imparfaitj pour ne pouvoir en 
discerner toules les nuances. Si un AUemand entend quun 
Hollandais va à la chasse des beren (degli or&i)^ il veut ètte 
du par li j el tuer lui aussi les peren (le pere). 

ÀI contrario, T autore attribuisce altrove (pag. 173) a varietà 
di pronuncia ciò che deriva puramente dalF imperfezione della 
scrittura. È noto, come presso tutte le nazioni che adottarono 
r alfabeto latino^ la lettera e avanti le vocali e, i, si pronunci 
diversamente che avanti Va, Yo qYu; non è quindi da. sor- 
prendersi se , nelle glosse d'Isidoro si trovano le due forme 
diverse fleische, scheinit, e scaffan, scribaitf per rappresentare 



E DELLA LORO GRAMMATICA. 349 

il medésimo suono. Ora siccome la forma sch fu adoperata da 
aftrì scrittori a rappresentare il suono sci italiano, tanto diverso 
dair altro ski, cosi il nostro autore attribuisce all'idioma d'I- 
sidoro una pronunzia diversa, e di più pretende, che la pronun- 
zia del suono «et incominciasse dalle voci che hanno Ve e Vij 
e passasse poi a quelle che hanno Va, Vo e Tu; ciò è un 
confondere stranamente i modi di scrivere colla pronunzia, gli 
effetti colle cause. Che se Isidoro e tanti altri scrittori germa- 
nici erano incostanti nel rappresentare la sibilante sei, questa 
circostanza non può somministrar prova favorevole o contraria, 
mentre era solo conseguenza dell* imperfezione deiralfabeto, e 
della mancanza d'un sistema ortograflco, che vi supplisse. Non 
è mestieri ricordare , come ancora oggidì , mentre i Tedeschi 
rappresentano quel suono colle lettere sch, gli Inglesi invece 
adoperano le sole sh^ e gli Svezzesi le sk; cosi tra le nazioni 
romane, mentre T Italiano usa se avanti e ed i, e sei avanti a, 
0, u, il Francese invece ed il Portoghese fanno' uso delle eh, 
che in italiano rappresentano il suono duro del k, e nello spa- 
gnuolo quello del et italiano. 

La causa che indusse V autore a quella strana opinione , si 
è r aver voluto sostenere, che negli antichi monumenti tedeschi 
la e, avanti Ye e Vi, equivalesse a ke, ki, ciò che sarà forse 
vero in alcune glosse; ma Taziano, Kerone, Notkero, ed altri, 
non usano mai la lettera e in simil guisa, non trovandosene un 
solo esempio. Per dimostrare che il fatto era tale neir antica 
lingua sàssone, egli si appoggia alle voci ecid, cruci, palencèa, ec. 
nelle quali attribuisce ai e il suono duro del k. Ma se avesse 
osservato, che ecid era pronunziato dall'antico germanico ezih, 
e dal moderno essig; che eruct viene pronuirziato dagli odierni 
Tedeschi kreutZj e dagli Inglesi cross; che palencèa corrisponde 
all'antico germanico pallanzy onde forse il nome di Pakncia 
in Ispagna, e di Pallanza sul Lago Maggiore, in 'tutti i quali 
derivati non riscontrasi ombra di k, non avrebbe certamente 
attribuito questo suono al ce, ci degli antichi Sàssoni. 

Parlando poi della lingua anglo-sassone, l'autore, non po- 
tendo opporsi alle prove che militano contro la sua opinione, 
confessa, che in luogo dell' anglo-sassone ce, ci, cy, le lingue 
romane usano la z, o la ce italiana; che il Frisone vi impiega 
le sz, tz; che lo Svezzese, sebbene usi la lettera k, la pro- 
nunzia come il Tedesco tseh, simile all'italiano ci; che anche 



3S0 DELLE LlIfGLE GEBMATIICBE 

r Islandese, servendosi del k. Io raddolcisce, interponendovi un 
j tra il k e Ve, Ma , ad onta di ciò , finisce per meltere in 
dabio, se gli AngloHsàssoni raddolcissero, o no, la r avanti 
Ve e Vi; e si fonda sqU* osservazione, che il e avanti a, q, u 
forma alliterazione con ce, cu Ma qui egli non pon mente, che 
ralliterazione degli antichi Germani non era fondata puramenle 
sul suono, come le nostre rime ; ma bensì sulla forma materiale 
del segno, e che tutti i sistemi riamici ci forniscono esempj di 
tali irregolarità. Anche la prosodia francese si appaga talvolta 
della forma materiale, de foculaire, come si esprìme Olivet 
nella sua Prosodia francese, anziché delia pronuncia. D'altronde 
non solo egli è fuor d'ogni dubio , che la e raddolciva avanti 
Ve e Tf^.ma egli è certo ancora che lo stesso k dei Sàssoni 
assunse nelle isole britanniche il suono della ce italiana in 
molti vocaboli; suono, che posteriormente passò in retarlo alla 
moderna inglese, la quale pronunzia church, chief, ec, eh rap- 
presentando il *suono della nostra ce. Ora siccome questo suono 
non si ritrova precisamente identico in veruna delie altre lin- 
gue germàniche, egli è certo, che nella lingua anglo-sàssone fu 
introdotto dalle nazioni celtiche colà stanziate e sottomesse, le 
quali, mentre sostitiurono al loro antico idioma la lingua dei 
conquistatori, vi adattarono la nativa loro pronuncia. Troviamo 
ancora Videntico fenòmeno net dialetti lombardi, i quali scam- 
biano il suono duro delle voci italiane chiodo, chierico, chia- 
mare, chiaro, nell'altro più dolce cfod, eèregh, dama, dar, ec. 
Dal che si può trarre argomento per credere , che le nazioni 
celtiche della Gran Brettagna avessero una più stretta analogia 
coi Celti cispadani, che non coi Galli propriamente detti, ai quali 
é assai verisimile che questo suono fosse affatto sconosciato. 

Potremmo qui aggiungere una serie d* osservazioni intorno 
alla teoria sviluppata dal dott. Grimm per le altre lettere , e 
specialmente per le gutturali, che gli presentarono i fatti meno 
conciliabili col suo sistema, essendo questo, in fine, sempre di- 
retto a mostrare raffinila del gotico coi dialetti germanici me- 
ridìonidi. Impresa assai difficile invero, mentre il sistema fone- 
tico, ch'è pur di sommo rilievo air etnògrafo ; ci rappresenta 
invece la lingua gotica molto più affine alle soandinaviehe ed 
alle germaniche inferiori. Ci basterà per ora avere accennata 
r impossibilità di fondare una teorìa certa dei suoni di lingue 
estinte, desumendoli dai segni che li rappresentano; poiché sic- 



E DCLLiV LORO GRAMIRATICA. 3K1 

eome i segni sensibili non hanno altro rapporto coi suoni, se 
Don quello che assegnò loro la recondita convenzione delie 
nazioni che li usavano, cosi, finché non ci vengano rivelate le 
fondamenta di. questa convenzione, qualunque tentativo, rivolto 
a scoprire quei rapporti, non potrà essere se non sistematico 
ed ipotetico. 

Il dott. Grimm non ommise d'adattare al suo sistema anche 
la teoria delle flessioni, nel secondo libro, ove prende a trattare 
delle declinazioni e delle conjugazioni. Anche qui egli entra 
in una folla di raffinatezze grammaticali, le quali, stancando il 
lettore, rendono arduo fuso della sua grammatica. Dopo aver 
moltiplicate le declinazioni e le conjugazioni, talvolta oltre i 
limiti della precisione e della chiarezza, introduce una nuova 
distinzione grammaticale , separando le declinazioni e coujuga- 
zioni forti dalle ofe6ó/t. Chiama forti (»tarke) le più antiche, 
e proprie delle radici primitive; deboli (schwaché) quelle delle 
voci derivale, nella cui forma venne intrusa una n per le de- 
clinazioni, od altra consonante per le conjugazioni. Questa di* 
stinzione,. quand'anche giusta, rende più complicata la tessitura 
dell'opera^ ed accresce il già soverchio numero delle suddivi- 
sioni, t 

Quanto ai verbi, egli propone quindici conjugazioni di verbi 
per le lingue gotica, e germanica; quattordici p^r T antica sàs-* 
sene, anglo-sàssone, frisica ed islandese; mentre i varj filologi 
che compilarono la grammatica di queste lingue, ne additano 
un numero assai minore. Cosi il rinomato autore produce tre 
forme per i passivi gotici, delle quali la terza, essendo perfet- 
tamente identica alla prima, si potrebbe ommettere, comunque 
appartenente alia terza conjugazione debole. Qui si potrebbero 
in quella vece^ introdurre più opportunamente ì varj esempj, 
che offrono i rescritti delfÀmbrosiana publicati posteriormente 
dal conte Castiglioni. ^ 

Mentre dall'una parte si estese alquanto nella teorica delle 
conjugazioni delle antiche lingue gotica, islandese, anglo-sàsso- 
ne, ec, lo troviamo poi troppo arido nelle conjugazioni iiMt'^n^ì<^^ 
lingua frisica, delle quaU non dà che un cenno, senza citar le 
fonti dalle quali le attinse. Basti il dire, che in una sola pagina egli 
racchiude tutte le flessioni di quattordici conjugazioni di verbi, 
compresevi le osservazioni ed eccezioni rispettive. Ommette poi 
interamente le conjugazioni dei verbi inglesi del periodo di 



3S3 DBLLG LIN6UE GCRMANICHE 

mezzo , per modo che. anche per la luigiia inglese manca in 
parte quest* importantissimo anello intermedio» come per le sean- 
dinaviche. 

Il secondo ed il terzo volume^ che insieme ammontano a 1800 
pagine, racchiudono F interessante teoria dc^Ha formazione delle 
varie parti del discorso. È questa forse la parte più importante 
dello studio grammaticale, sebbene quasi ignorata dagli aaiicfai, 
e troppo negletta dai moderni. Nello studio comparativo delle 
lingue è di sommo rilievo, perchè rivela rapporti, che non 
lasciano dubbj sulla loro affinità , o differenza , ciò che non è 
sempre vero dei rapporti etimologici sovente fallaci» 

Possiamo considerare. lo sviluppo filosofico di questa dottrina 
come opera dei nostri giorni, dovuta particolarmente ai Ger- 
mani, tra i quali Adelung, Buttmann, Grotefend, Becker e Rask, 
che ne mostrarono Futilità e T importanza, e ne applicarono 
i principi a varie lingue. Dopo aver appreso l'artificio usato 
in una lingua per la formazione delle parole, il dizionario non 
atterrisce più lo studente, che se lo vede, quasi per incanto, 
di grosso volume ridotto a poche carte. Le radici di tutte le 
lingue sott poche assai, e^i nove decimi circa delle parole che 
impinguano i nostri vocabolarj sono derivate, per modo che lo 
scolare esperto della formazione delle voci, ne ha già appreso 
i nove decimi. Taylor, nella sua edizione del Dizionario greco* 
latino di Schrevelio, introdusse una raccolta di sentenze, le 
quali comprendono tutte le voci greche primitive; ed il testo 
greco occupa appena quattro fogli; si picciolo ò il numero degli 
elementi, dai quali si genera la ricchissima lingua greca i 

Non possiamo qui dissimulare, che, nella grammatica del dott 
Grimm, avremmo desiderato vedere questo trattato premesso 
alla teorica delle flessioni, ciò che sarebbe stato senza dubio 
più consentaneo all'ordine naturale; giacché egli è chiaro, che 
debbasi premettere la divisione^ ragionata delle parti del discorso 
alle regole particolari di ciascheduna ; e la divisione delle parti 
del discorso porta seco la necessità di stabilire coi caratteri che 
le distinguono anche le leggi della loro formazione. 11 dotto 
autore amò meglio posporla, e noi non vorremo eertamente 
apporglielo a colpa. Certo è , che mostrò di conoscere ed ap- 
prezzare la somma importanza di questa teoria,. coi profondi 
studj manifestati ne' due citati volumi, nei quali trovasi larga- 
mente profusa tutta la dottrina dal soggetto richiesta. Ma, men- 



E DELLA LORO GRAMMATICA. 383 

tre ammiriamo T impassibile costanza e T indefesso zelo nel rac- 
cogliere tanti e si preziosi materiali, non possiamo imsiginare 
che alcuno voglia e possa percorrere qnasi due mila pagine 
fitte, generalmente composte di semplici parole staccate» di 
cifrOy e di abbreviazioni e citazioni, interrotte da diversi carat- 
teri, ed in varie lingue. La distribuzione di tanti materiali, ed 
il modo con eui vi sono rappresentati, sembrano veramente de^ 
stinati a mettere alla prova la pazienza del più impavido e 
Treddo specnlatore. Lo studioso che vi cerca le leggi proprie 
d'una data lingua per la formazione delle sue voci, è costretto 
a balzure'di qua, di là a tentone, per cercarvi le linee sparse 
che vi si riferiscono, e per leggère una sola pagina, deve per- 
correrne cento. In quella vece il linguista che vi cerca ì* rap- 
porti delle leggi delle varie Knguev al quale oggetto soltanto 
l'ordine delle materie sembra diretto, vi trova una congerie di 
fatti, senza dilucidazioni, ^e talvolta senza appoggio, dai quali 
poco vantaggio può ritrarre, se prima non chiede a sé stesso 
€ùme e dove e perchè? 

Oltre a ciò, sembra che T autore, troppo inclinato alle sotti * 
gliezze metafisiche, ed alle divisioni air infinito, abbia voluto 
semplifieare le radici»' anche dove ne manca del tutto il fonda- 
mento. Finché egli divide la voce inglese drinker, nella radicale 
drink, e nell'affisso derivativo er, ohe serve à cangiare F attri- 
buto in soggetto, anzi ad unire soggetto ad attributo nella stessa 
voce, la cosa é tanto chiara, quanto esatta. Ma se poi riprende 
la radice drink, e suddividendola in drin e k, ci presenta anche 
quest'ultimo come affisso derivativo, avremo diritto di chiedere, 
quale sia il primitivo significato di drin, e quale influenza vi 
esèrciti r affisso kf Ora tale è appunto il modo dell' autore,, il 
quale (pag. 279) divide le parole inglési. 6eneA, stork, thanky 
folk, worki ec., e ^lichiara le finali eh, k, affissi derivativi, senza 
esaminare se ben, $lor, than, fot, ec. siano poi vere radici, 
quale ne sia il valore, e simili. 

11 quarto volume, che vide la luce nelKanno 1837, non è 
minore degli altri, e contiene presso. à mille pagine egualmente 
fitte, con un prodigióso numerò di notizie. Ivi il chiaro autore ^ 
tratta della sintassi, e ne sviluppa teoricamente e praticamente 
le due prime parti. Egli divide questo . trattato in cinque se- 
zioni: nelle due prime, che formano il soggetto di questo vo- 
lume, prende. ad esaminare là proposizione semplice, conside- 



354 DELLE LINGUE OERMANiqPB 

rata nel nome e nel verbo; nella terza comprenderà le leggi 
della proposhione composta; nella quarta tratterà della con- 
gìonsione e della negazione; nella quinta finalmente si estenderà 
sulla disposizione ordinata delle varie parti del discorso, ndile 
sentenze. Per modo che se». dopo la sintassi, T autore intende 
sviluppare ancora le regole della prosodia e della versificazione, 
presso le varie nazioni germanicbe, dobbiamo ancora aspettarci 
per lo meno due grossi volumi, a compimento di questa gram- 
matica laboriosissima e monumentale.. 

Il metodo è lo stesso dei volumKprecedenti; tiitto vi è egual- 
mente ordinato, secondpilsuo particolar. sistema, ed egualmente 
copiose e fitte vi sono le citazioni. Se noa.che.vi. si mostra 
menò arido neir esposizione di quanto appartiene ^r indole .par- 
ticolare delle varie lingue, e da profondo conoscitore della loro 
tiessitura e dei loro monumeiiti, presenta numerose osservazioni 
affatto nuove ed interessanti. Verremmo ad oUrepasisare. i con- 
fini d' una Memoria, se dovessimo entrare nei particolari di que- 
sto volume, il quale ci fa sperare, che Fautore voglia estendersi 
più convenevolmente ndla quinta sezione, come quella che, me- 
glio d' ogni altra, è atta a rappresentare Ja filosofia delle lin- 
gne, ed a mostrare i caratteri irrefragabili dei loro rapporti. 
Se non che, per quanto riguarda le antiche lingue^ l'impresa 
«ì sembra superiore ai mezzi; i quali ^ per la lingua gotica, 
per la franca^ e per T antica sàssonein partieols^e, si riducono 
a mere traduzioni^ anzi a traduzioni dei libri aacri, le quali, 
per la natura del soggetto, essendo rìgida fedeltà alla lettera, 
dovettero allontanarsi talvolta dalla costruzione più consentanea 
al genio delle diver^ lingue. Epperò al filologo , che su tali 
documenti cerca le leggi deUja costruzione degli antichi idiomi, 
non rimane altro sussidio^ fuorché dVadalrtarsi . ciecamente a 
queste violente inversioni preserilte dalle circostanze, o inter- 
pretare arbitrariamente T ordine naturale, che le varie parli 
del discorso avrebbero dovuto seguire in ciascuna lingua. 

Conchiuderemo, riassumendo quanto abbiamo sin qui .esposto, 
cbe la Grammatica 4el dott. Jacopo Grimm è una miniera ine- 
sauribile delle più preziose notizie sui priueipj costituenti gFi- 
diomi germanici^ non die sulla loro letteratura antica e mo- 
derna; ma perchè tutte queste notizie possano riusetre di verace 
vantaggio ai coltivatori di simili .studj, è prima. necessario che 
siano alquanto depurate dall- influenza del siskema, che le rese 



E DELLA LOnO 6ftAI|BIAT|CA. ^^ 

sovente peiieolo86'e scMsp^tte» e pia di tutlo ancora elie.siaiitf 
convenevolodeiite ordibate, e eon maggiore chiarezza esposte < 
sviluppate. Faceiamo qaiiidi voti^ efae- qualche, dotto sett^Btrio-- 
naie, interpretando la m^nte dell' illustre aittore, si accinga a 
questa utilissima impresa, e renda atta quest'opera ad essere 
posta nelle mani della gioventù , alla quale è riservato racco-' 
glìere le tant utilie deduzioni, che da simile lavora possono sca- 
turire. Ma^ perchè le deduzioni siano giuste^ naturali e apon*? 
tauee, è dttopo sopratutto che il rifonditore della Grammatica 
del dott. Grimm si spogli di qualsiasi prevenzione, e da osser** 
vatore imparziale esponga i fatti quali sono, e non quali de^ 
vrebbero essere, per giungere a conclusioni prestabilite. Ove poi^ 
nella rifusione delPc^ra, venga ordinando in serie separate 
le successive modificazioni cui soggiacque nei secoli ciascuna 
lingua, risulteranno molto più sensibili levarle lacune dall'au- 
tore lasciatevi, massime nello sviluppo delle lingue scandina- 
viche.) e di alcune fra le teutoniche inferiori, quali sono: la 
frisica moderna, l'inglese dei tempi di mezzo e la moderna 
sàssone, considerata ne' suoi molteplici dialetti. 

OHre a ciò, per conseguire pienamente il fine, al quale una 
grammatica isterica deve ordinarsi , sembra ancora necessario 
che, mentre si vanno gradatamente enumerando le varie mo-^ 
dificazioni subite da una lingua, si accennino nello stesso tempo, 
per quanto è possibile, le varie cause estranee che più vi con- 
corsero. Per tal modo, oltre al far manifesta l'origine delle 
tante irregolarità che rendono difficile lo studio delle lìngue , 
e rendono perplesso l'etnògrafo, vengono ancora opportunamente 
distinte tutte le forme che le lingue assunsero spontaneamente, 
nel corso dei secoli, da quelle che vi furono per violenza in- 
trodotte dalle altre nazioni. 

Un altro desiderio ci resta a manifestare prima di lasciar 
questo grave argomento, ed è, che il nobile esempio dell'autore 
possa essere- sprone ad altre nazioni, e trovar valenti seguaci, 
che s' accingano all' impresa di tessere l' istoria filosofica delle 
varie loro lingue. Una simile impresa sarà senza dubio fe- 
conda de' più felici effetti, ed aprirà vastissimo campo alle spe- 
culazioni dei pòsteri. Allora almeno avremo preparati, come 
osserva egregiamente il dott, Grimm, i veri materiali per la 
primitiva istituzione della gioventù, la quale in tutto il mondo 
incivilito consacra gli anni più preziosi della vita allo studio della 



356 DELLE LINGUE GEtlHAlllCRB E DELLA LORO GRAMIIATICA. 

lingua latina , senza altro fine che la lettura di tfnei classid. 
Raccoglìanio pare ed insegniamo i precetti delie antiche lingae, 
ma rappresentiamole come studio fondamentale di quelle di 
cui dobbiamo valerci negli usi communi della vita, come fonti 
da cui queste scaturirono, e come congiunte aHe lingue d'altre 
nazioni , che vennero considerate per secoli come tante razze 
diverse. Ma non risvegliamo le rivalità^ non introduciamo le 
passioni nella scienza! Abbiamo bisogno di scoprire la verità, 
di mostrare coirirrefragabile testimonianza dei naturali rap- 
porti, che siamo fratelli. Poco monta se tremila anni fa gli an- 
tenati nostri conquistassero il mondo, o, come le tribù pro- 
scritte dei Paria, errassero ignobili per foreste e deserti! Apriamo 
senza ambagi il libro dell' universo , e svolgiamone le miste- 
riose pagine: questa è la gloria alla quale dobbiamo aspirare. 



X. 

SUI 

CANTI NAZIONALI 

DEGLI SLAVI 



f^^ 



X ra i sublimi quadri the la naiura semplice ed inculta offre 
talora, egli è pur commovente allo straniero, che osa inoltrarsi 
negli inospiti gioghi della Servia, della Bosnia, deirErj^egovina, 
del Mónte-Negro, della Dalmazia, lo scorgere un vigoroso stuolo 
di giovani pastori, raccolti alFonobra d* atHichissima pianta, in- 
torno ad un canuto vecchio, che col flebile liuto sulle ginoc- 
chia, assorto nelle avite tradizioni, ripete loro canzoni amorose, 
patetici lai e gesta di guerrieri. La quiete che regna in quelle 
valli ridenti attorniale d'inaccessibili balze, gli armenti sparsi 
qua e là senza custodi, la reciprocanza degli affettr, la sempli- 
cità dei costumi, le lagrime che talvolta i modulati accenti del 
vecchio traggono da queir attònita turba, forifiano mirabile con- 
trasto col pugnale che scintilla al fianco delle doilzélie, e col 
pesante archibugio che pende dagli omeri del pastore. 

Questa nazione , ammiratrice della sublime natura , sobria , 
'naturalmédte proclive alla vita campestre, oltremodo gelosa dei 
suoi diritti e della sua liberta, percorrendo le native nìontagne 
colla canna pàstoreccia in una mano' e Farehibugit) al dorso, 
alterna le cure della vita, ora guidando gli armenti, ora confi-- 
battendo i nemici. Anch'essa ebbe i valorosi, che caddero 
per la patria e per Cristo, e ne immortalò le gesta con carmi 
inspirati; ma invano ricerchi i nomi degli antichi suoi bardi, 
le pergamene cui affidarono le loro saghe. Qui la natura e 
il cielo maestoso e ridente profusero ovunque il dono della 
poesia e della musica; i vecchi, neire ore di riposo, ripetono 
di figli i canti che appresero dai padri, e mentre, col racconto 
delle prodezze degli avi, informano gli animi alia virtù, col di-^ 
pìngere le sciagure della patria, li infiammano contro i nemici. 

Questa nativa attitudine alla poesia, commune a tutte quasi 
le primitive società , apparo oggimai generale presso tutte le 



360 SUI CAKTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 

nazioni slave, e il prodì^oso numero di canzoni nazimialì, che 
si vanno qua e là raccogliendo presso gli Slavi dì Russia , di 
Polonia, di Boemia, di Lnsazia, d' Ungheria, d' IHiria, potrebbe 
porger materia di paragone colle memorie dei, rapsodi Greci, 
degli Scaldi di Scandinavia , dei Bardi di Scozia. Noi non ver- 
remo rimescolando le antiche controversie suH' autenticità dei 
poemi d'Omero e d'Ossian. Diremo però, che i molti canti na- 
zionali propri delle popolazioni illiriche^ somministrano un chiaro 
esempio ti' antiche poesie sparse in una vasta regione e con- 
servate oralmente, le quali, aggirandosi per lo più sopra te tra- 
dizioni li' un popolo, ed essendo modellate sulla natura del 
hiogo che le inspirò, potrebbero, opportunamente distribuite, 
comporre un comples^ regolare e proporzionato nelle varie 
sue parti. Che anzi ve n'ha taluna che, per ampiezza di tes- 
suto e regolare condotta, forma un compiuto poema. 

Prima però d'entrare nei particolari di quest' argomento, giova 
premettere alcune notizie istoriche e geografiche intorno alle na- 
zioni alle quali questi componimenti appartengono, ed alla lingua 
in cui furono esposti. E prima di tutto avvertiremo, che il nome 
di nazione serbica non è qui ristretto ad esprimere il piccolo 
numero di Slavi che vive nell'attuale principato di Serbia o 
Servia, ma comprende altresì Uitte le nazioni illiriche le quali, 
sebbene separate da varj secoli, palesano una commune origine, 
e parlano dialetti d' una medesima lingua» 

L'antico lUirUo, ai tempi romani, abbracciava la vasta regione 
posta fra l'Adriatico, il Danubio,. il mar Nero e il monte Emo;, 
ed i suoi abitanti primitivi formavano un numeroso popolo 
strettamente collegato coi Traci. Versa la metà del secolo VI, 
questa parte d'Europa, devastata dalle frequenti guerre degl'im- 
peratori, e dalle repentine invasioni degli Unni, dei Goti, degli 
Avari, venne inondata da immenso sciame di Slavi , i quali 
furono poi distinti col varj nomi di Bùlgari, Servi, Bosnii, Croati, 
Slavpni e Dàlmati, Alcuni istorici, conservando l'antica deno- 
minazione data dai Romani al paese , li indicarono complessi- 
vamente col nome d' lllirii. Naturalmente inclinati alla vita pa- 
cifica e sobria, gli Slavi, tosto che furono a prossimo contatto 
colle incivilite nassioni meridionali, abracciarono il Cristianesimo, 
nel corso dei secoli VII, Vili e IX, e fondarono diversi regni, 
che , dopo essere stati a vicenda più o meno potenti , furono 
da nuovi invasori alla loro volta distrutti. Le rivalità che, fin 



SUI CANTI NAZIONALI ITEGLI SLAVi: 36i 

dalla loro prima comparsa nella istoria, li* trassero tra loro ad 
aspre guerre, e la varia sorte cui furono alternamente soggetti, 
cadendo sotto la dominazione di priaeipi italiani, tedeschi, mà- 
giari e turchi, finirono a separarli in tante nazioni distinte, 
interrompendo fra loro ogni commercio. 

Tra ì primi i Bulgari forono battezzati da Cirillo e Metodi», 
benemeriti propagatori del Cristianesimo presso le nazioni slave, 
cui providero' eziandio d' una versione dei libri sacri. H regno 
loro fu in continua guerra contro i Serbi, i Grpci, gli Uiigari 
ed i Turchi. Dopo aver trionfato dei Serbi, caddero, nell'an- 
no H7S sotto il domìuio degl' imperatori greci, dal quale pas- 
sarono, nel 1396, sotto il giogo ottomano, e vi trassero una 
calamitosa esistenza fino ai di riostri. Ma non ostante T intro- 
duzione dell'Islamismo nelle lóro terre^ si serbarowo fedeli dita 
chiesa greca. Alcune mìgliaja vivono ancora in Macedonia, eolà 
trasportati dal torrente delle vicende. 

I Serbi, propriaménte detti, ftirono governati per alcuni sè- 
coli da principi nazionali, chiamati Shupm. Otto re e dm 
imperatori discesero dalla chiara stirpe Nèmanic. La loro isto- 
ria è pure una serie continua di guerre contro gì' imperatori 
bizantini, e i chan dei Bùlgari, dai quali ftirono per un istante 
soggiogati; ma liberatisi ben presto, si riordinarono, e divennero 
oltre modof potenti, sotto il loro Czar Stefano Duscban, il quale 
dettò all'imperatore di Bisanzio condizioni di pace, e domina 
sulla Serbia, sulla Bulgaria e sulla Macedonia. All'immatura 
sua morte, i suoi Stati furono divisi da varj piccoli prinripr, 
tra i quali il valoroso Lazzaro peri a Kossovo, combatteido 
per la religione e la libertà K È questi uno <kgli eroi celebrati 
nelle canzoni serbiche, le quali tuttora odonsi ripetere fra i 
monti che furonn il teatro delle sue gesta. 

Indeboliti dalle discordie intestine, i Serbi, nel 1565i ^ 
giacquero al dominio turco , sotto il quale fremettero fin qu^ 
ai nostri giorni. Negli ultimi tempi però un raggio di libertà 
rifulse ancora sul loro orizzonte; poiché, rési solo tributari 
della Porta e retti da un principe nazionale, possono far riso- 
nare liberamente fra le loro balze i canti <^ i:ammentano la 

• Nella slessa battaglia cadde eziandìo il sultano Amurat 1 , per mano di 
JUilosc 0|}iU(i, genero di Lazzaro Grebliànoviò. 

24 



$6Ì SVI GANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 

memoria di DiuelMiD^ di. Uozaro, di Marco Kraljeyìc e di A^ 
J^an ^ 

Oltre. a qnelli cbe eompoa^po la popolazione dell'attuale 
principato di Serbia, trovansi aleane migliaja dì Serbi neirim- 
pero austrìaco, più particotarmente nel Sanato, e nelle contèe 
meridionali d'Ungheria, da Semlino a S. Andrea presso Buda, 
ì quali \i 81 rifuggirono 9 in varie età, per sottrarsi al flagello 
oÉtomano* Fin dal 1690, ii.potriarea Arsenio IH eonigrò dalla 
Seriiia in Ungheria con treaitasette mila femiglie; e nel 1737, 
Arsenio IV segui le sue tracce, con unnumevo ancora mag- 
f^e; ciò che portò una ferita insanabile air agonizzante cul- 
tura di queUa nazione. 

I Bosnii, dopo essere stati uniti ai Serbi fino al secolo XIV, 
iMidarono un regno separato, che comprendeva il Monte-Negro 
e r Erzegovina, cosi clamala dopo che Federicp III conferi 
al principe Stefano il titolo di JDfica (JUerzog). Ma questo regno 
eU>e assai breve, durata, peroecbè. nel secolo seguente cadde 
ki potere degli Ungari, e nel XVI divenne preda dei Turchi, 
die vollero imporre ai vinti il Corano. La ma^ior parte però, 
in onta aBa scimitarra tutca, si conservò fedele al Cristianesimo, 
ed< appartiene aUa diiesa grecai cento mila in circa sono cat- 
tolici. 

Di tutti gli Slavi che fonnano parte dell' antico regno di 
j^snia, i soU Montenegrini non furono mai soggiogati dai Tur- 
chv; ma fra le imóspite rupi si . reggono a forma di republica 
militare, cui presiede , il :ye$eov4>. coi^ a^ai limitato potere. 

i Croati fondarono verso Tanno 640 un reg^o n^Ua i*egìone 
da loto attualmente occupata , dppo averne espulsi gli 4vari. 
I Alcuni slatttori pretendono, cbe questa tribù stanziasse in 

Europa, prima ancora degli altri Slavi meridiioi^li; alla quale 
ofunione préslapo forte argdmentp. alcune impronta fisiche e 
morali, che li di&tingoono dagli altri tutti, e la posizione loro 
■ '■ ■ * ' » • 

• )9f>n un trattato fra la Porta e la Serbia, guarentito dalla Uussia, la Serbia 
venne riconosciuta semplice tributaria della Porta. Il Firmano spedito non tia 
guari dal Gran Signore al ba$cìà di Belgrado , Ira vàrj privilegi , accorda ai 
Serbi ancora i seguenti t ki^piiena Ubcrtli del catto; la fao«Uà di scegliere i 
capi del loro governo ; l' indipendenza dell^ amministrazione ; V integrità del- 
r antico territorio; la libertà di commerciare in tutto r impero ottomano con 
passaporti serbici; la facoltà di stabilire scuole, stamperie ed ospitali ; 1* in- 
terdizione a tutti i Turchi di risiedere in Serbia^ eccetto ì presidj d* alcune 
fortexze , eie. ec. 



9U1 CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 363 

più inoltrata vèrso' il centro d'Europa. Ma la loro isttffia è 
molto oscura, e resa ancora più incerta dalle discrepanze degH 
scrittori. Certo è, che sostennero lunghe e sanguinose lotte con- 
tro gli Ungarì, ai quaH furono poscia aggregati per eredità; e 
formando piarle del regno ungàrico, passarono poi <^on questo 
sotto la dominazione austriaca, alla quale obbedirono , senza 
interruzione, fioo al presente. 

Gli' SlavonI si stabilirono nella picoola striscia di terra com* 
presa fra la Drava e ia Sava; anehe il loro regno fu di breve 
durata, poiéhè lìlrono con quello di Croazia incorporati nel- 
r Ungheria, quando Lepa, sorella di s. Ladislao, riunì sul capo 
fraterno le due corone. Cogli Ungari passarono poscia air ob- 
bedienza austriaca. 

I Dàlmati stanziarono lungo le cos|e deirAdriatico, da Fiumci 
fino a Càttaro, e vi fondarono ai tempi delF imperatore Er,af^ 
dio un regno che conservò T antico nome di quel paese. 
Dopo aver lottato con varia sorte contro fa republica vèneta'» 
passarono per diritto di successione sotto la eorotia ungàrica, 
de' cui domiAj formano parte ancora. Nel regno di Dalmaz^p 
intendianào comprendere eziandio la piccola repuWica di Ragusi^ 
la quale, sebbene per tanto. tempo sqparata ^'interessi politici 
dalle terre circostanti, può riguardarsi Cornee cUtta e sede della 
cultura ilUrica. •* 

Vi si comprendono inoltre quei Moriacclu che, sebbene apr 
partengano ad naia famìglia distinta^ formano partci dei Dàlmati, 
e parlano il medesimo dialetto. Sogliono i Dàlmati battolici . apr- 
pellare Vfidacchi (Vlach) ì loro fratelli addetti alla chieda grfica; 
e quindi hanno dato ad altri il nome di Morlaecbi (Marvla^), 
che significa, secondo alcuni; Valacchi neri; secondo altri, -con 
più ragione, Valacchi marinimi; diciamo con più ragione, poi- 
ché infatti i Morlacchi di Rotar e d^Ile pianure di Segna e di 
Knin non sono bruni, ma biondi. 

• Ora, tulli questi popoli, abitando da varj secoli le regioni 
deirantieo /Mmco^ furono coll^tivamente designati dagli scrit- 
tori col nome commune :di UHtii, i soli Bùlgari. eccetMiati.; i 
<iuali, avendo adottata la lingua ilHrica, sebbène. corrotte dalla 
vetusta forma della primitiva e dalle voci Uirche> dèvwo pur§ 
esservi compresi. Siccome poi, non ostante la separazione non 
interrótta da tanti secoli, e il dominio di tante nazioni alle 
quali soggiacquero, conservarono presso cl^e intana la medesima 



564 SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVK 

feyeHa, cosi venne applicato anche a questa il nome à'Iltiriea. 
Ma negli ullimi tempi essendosi osservato da moderni seriltori^ 
come T antica denominazione A'Illiria cangiasse più volte si- 
gnificato nel corso di pochi secoli, a misara che il fluttuare 
continuo delle vicende politiche ne allargò, o ristrinse i confini, 
e trovandola quindi troppo vaga a precisare i limiti entro i 
quali quest'idioma si paria, T abbandonarono, e vi sostituirono 
l'altra di nazione e lingua serbica. Siccome peraltro questa se- 
conda denominazione non è meno impropria della prima, e 
vnle solo a destare frivole rivalità nei varj membri d*una me- 
desima famiglia , così comprenderemo tutti questi popoli , che 
dalla Stiria e dalla Garin tio si estendono tra T Adriatico ed il 
Danubio sino al mar Nero, nel nome collettivo di Slavi meri-^ 
dionaH , il qnal nome si potrà applicare egualmente alia loro 
lingua, ove non si voglia preferire quello d'Illirica.. 

Riassumendo:' questa lingua si parla, con lievi modificazioni, 
da oltre cinque miKoni di Slavi sparsi in Bulgaria , in Mace* 
donia, in Servia, in alcune contee meridionali dell* Ungheria, 
in Bosnia, in Erzegovina, nel Monte-Negro, in Dalmazia^. Sia- 
vonia^ Istria, Croazia, Gapniola, Stiria e Garintia. Le difierenze 
de' suoi dialetti sono di poco momento, e consistono. principal- 
mente nella pronuncia. U chiaro rieoglitore dai loro Ganti 
nazionali, il benemerito Wuk Stephànovic Karadeio *, il quale, 
naio in Serbia e dedito sin dalla prima gioventù allo studio 
della patria lingua , ne percorse con occhio indagatore tutto il 
dominio, appuntò fra tutte quelle nazioni tre soli dialetti > e 
sono: l."" il dialetto erzegavdnieo, parlato in {Erzegovina, Monte- 
Negro, Bosnia, Dalmazia, Groazia, Garintia», e nella parte su- 
perióre della Servia fino aMatschva^ Yaljevo e Karanovac; 
2.^ il ressàvico parlato in Brariitscevo, fino ni Timok, in 
Ressava , nei distretto di Parakin ed in Kriseevac fino a Kofr- 
sovo; 5." il sirmico, parlato in Sirmia, in Batschka, nel Sanato 
di Temesvar, ed in Servia, tra la Sava, il Danubio e la Morava ^. 

Di qui si scorge, come egli escluda da questa famiglia i Bùl- 
gari, che in numero di oltre mezzo milione, trovansi sparsi in 
Bulgaria e Macedonia. Di fatti» oltre che i primitivi abUanti di 
questa regione, coi quali i Serbi si fusero, non erano in ori- 

• NaroUns Srb$k» Piesme^ ec. ossia, Haccolta di Canzoni serbiche. Lipsia, 
1841. Voi. 4. 

* Per quanto spella alla classificaiione di quéste lingue ed alla loro lettera- 
tura veggasi il mio Aliante Linguislico (TEuropa. Voi. I^ pag. sos 



SUI (UNTI NAZION/IlLI PPGLl 9LAVI. 36i(^ 

gtae Stevi, ma Traci, come abbiamo acoen^ato^ vi si aggianseTd 
poi altre nazioai; e ne risultò uo papale mista di Slavi,. Greci, 
Albanesi e Tatari. In una proporzione presso che eguale, apche 
il dialetto ivi parlato assunse voci di tutte le disparate^ Ijague 
di qvelle nazioni, eosicehò si può con ragione riguardarlo, come 
dialetto distinto; ma non cessa per questo d'essere un dialetto 
slavo afSne al sèrbico, eoi quale ha eomBumi alquanti caràtteri 
fondamentali. 

Se la separazione degli Slavi meridionali in tanti piccoli Stati, 
se hi varia loro sorte ed iK continuo eommereio con nassioo^ 
diverse non infittirono ad alterare sensibilmeate 1^ communi^ 
loro favella, era però naturale che dovessero contribuiire al vario 
suo sviluppo, aceelerandolo colà, dove fioriva uno Stato, er^lr, 
lentandolo sotto r oppressione straniera. Goal avvenne di fattir 
e possiamo dire, che qvasi tutte le provincie a vicenda ebberp 
letteratura propria, senza che T incremento dell' una abbia po- 
tuto esercitare influenza nell'altra^ 

Tra le cause che principalmente concorsero a tracciare una 
divisione indelèbile nello svihippo letterario dei dialetti slayi 
meridionali^ dobbiamo annoverare la religioner per la fatale se- 
parazione deHa chiesa greca e iella latina. Il primo monumenti^ 
scritto che si conosca presso quei popoli cooiparve col Cri- 
stianesimo nella versione deHe saere Carte. Siccome furono piro<- 
pagate per le predicazioni di missionari greci e latini, ne venne, 
che i primi introdussero presso gli Slavi orientali l'alfabeto 
ciriUkùy ed i secondi fecero usò del laUno presso gli occidentali. 

Questo semplice fatto, ebe in origine fu naturale conaegi^eiizfi 
della posizione delle varie provincie, bastò col tempo a separare 
i figli della chiesa greca da quelli ^ella Ialina; imperocché 
quando la corte di Roma, proscrivendo la veraifOne^ biblica di 
Metodìo, impose a tatti i fedeli Tuso della latina o della greca, 
quelli ohe vi si opposero, tra i quali i Serbi propriamente detti, 
conservarono r alfabeto cirillico, ed i Dàlmati che possi^eirano 
la versione slava della. Bibbia nelF antichissimo alfabeto glagali- 
tico, attribuito a. s. Girolamo, ottennero dal Pontefice di valersi 
della propria lingua e di quella versione nelle pratiche reU- 
^ose; per modo che sin da principio tre furono gli alfabeti 
che vi prevalsero '. Comunque inefficace sembrar possa. questa 
' ' * • • } 

• Veggasi d questo proposilo fa Mola («) a pag.xxxix nel precedente discorso 
Sulla yUa^ sugli Scritti del conte C O. Castiglioni. 



556 SOI e ARTI KAZIONALI »BGLI SLAVK 

diversità d' alfabeti, essa ìaAqI particotarmente presso qvei po- 
poli ad impedire la formazione d'una sola repnUica letteraria, 
unico mezzo per determinare una lingaa, e avanzar rapida^ 
mente nelle istituzioni oiviK. 

A questa prima divisione si aggiunse una ^seconda, presso 
^t Shvi cattolici; perociehè gli Slavoni ed i Croati, che usavano 
r alfabeto Matino, adottarono nella loro letteratura profana no 1 
sistema ortografico diverso da quello dei Dàlmati; onde avvenne j 
che, mentre tutte quelle genti potevano conversare facilmeate 
f^ loro per eommunanza dì dialetto, non s* intendevano negli 
scrìtti per discrepanza ortograica, e i loro libri apparteaoero 
esclusiTamente alla rispettiva provincia. Fu questa una dellecause 
che tennero dividi i letterati di Serbia da quelli di Slavonia e 
di Dalmazia. Per questo appunto ctaseuna provincia ha lette- 
ratura propria e indipendente , pur parlando uda Hiedesinii 
lingua. I 

Per buona ventura vi si apprestò rimedio ai no$iri giorni, 
coir introdurre una nuova ortografia empiite e ragionata, che 
sf adottò da molti Slavi neri^nali , isoli Serbi eccettuati^ i 
quali conservano l'alfabeto cirillico* Da qvesta riforma^ la coi 
diffusione è in parte dovuta al benemerito dott. Lodovico Gaj, 
dobbiamo riprometterci i pia fawistì effetti; e facciamo voto, ehe j 
quella generosa nazione si spogli dcMe rivriilà municipali, e tatta ' 
si unisca sotto una norma conunune a formare una sola lette- 
raria republica. 

A rallentare lo sviluppo delle lettere iUirìdie contribuì ancora 
Tnso dell' antica slavónica, ossìa lingna ecclesiastica, neUa qoaie 
furono compilate sin dai primi secoli molte opere preziose saere 
e profane. Più tardi ^i Slavi meridionali estivarono eommuno- 
mente la latina, sopratutto dopo le vicende della. riforma reli- 
giosa; e r italiana ebbe moki cultori in Rugosi e nelle Provin- 
cie più occidentali delFIlBria; cosicché se fiorirono in varie eli 
ie rettore e le scienze in Serbia ed in Dalmazia, prineipahneate 
in Ragusi, TAtene degU Slavi marittimi, sotto la direzione di 
dotti italiani e greci, che vi trovarono ospitale rifuso dalhi stra- 
iÉteì*a perseeuzione , la lingua nazionale vi rimise per lunga 
stagione negletta. 

^ i primi ohe sentirono la necessità di coltivarla e farla stra- 
mento del sociale progresso, furono i Dàlmati, i quali, se cre- 
diamo a Làseari, Gaboga e Gradi, ebbero distinti poeti nazionali 



SOI CANTI NAZIdNALi DEGLI fiLAVK 567 

sin dal secolo X. Con tutto cid i priori padri della poesia illi- 
rica apparvero solo verso la fine del XV in Ragasi , e fturoao 
Giorgio Darzìc, Sigismondo Menze, Marco Vetrame e Niccolò 
Dimitri. ^ 

V abate Ignazio {iiorgi, il più lodato poeta dello scorso secolo, 
sopranomò i due i^riini il Petrarca di il Boccaccio degli Illirici^ 
Sipmmndvi^ Menzius, cosi egli si esprime^ inler p0eia8 i%- 
rioùs primus , mtaie comvus Georgia Darma ; iiuim ineunto 
anno ÌS90 uterque floruiL Aunm ex his altemun Petrarchamt 
Boceacium alterum Utyrieas poeseos appellare; nam et elegarilia 
iéioimatìg et senieniiarum maviias in ipris passim emineL Sulle 
traccie di questi padri della poesia nazionale mossero nel corso 
del secolo XVI molti distinti scrittori, tra i qnsii citeremo An* 
drea Subranovic, Niccolò Noie, Francesco Lóccari, Marino Bo^ 
resic, Domenico Ragnina, Simone e Domenico Zlataric, Savino 
e Francesco Bodoli, i due Boùa, Andrea Sorgo, Stefano Gozze 
e Marino Mazibradio. In particolare Ragnina e Zlatarie promos- 
sero il nazionale incivilimento , voltando nella pàtria favella le 
prmeipalrproduzioni strania*e. Dopo questi comf^irve Gianfran*^ 
Cesco Góndola, il quale apprestò, forse primo fra gli stranieri, 
una bella versione della Gerusaleniane liberata^ e avendo soUet 
vaio alla perfezione il Dramma nazionale, fu venerato dai pòsteri 
come il miglior poeta della nazione. Nel secolo precedente, Ve* 
tranic avea tradotto dal greco T^uòa d'Euripide, Luccart il 
Pastor fido, Domenico Zlàtarrc WElettra di Sofocle e X Andini» 
del Tasso; Botta la Gioeasta. 

È pure da osservarsi, come eziandio gli ecclesiastici, seguendo 
fi generale impulso, secondassero gli sforzi della nazione; ma i 
loro tentativi di volgarizzare i libri sacri, furono. repressi. Ban*- 
dùlovie tradusse, neirauno 1613, gli Evangelj e le Epistole, dei 
quali non si permise la stampa. Cionullostante Kascic e molti 
ecclesiastici di alto ordine pnblicarono nel vulgare dialetto molte 
opere destinate all'istruzione religiosa, che contribuirono a spai^ 
gere anche nel popolo i semi della civiltà. 

Dopo questi pretiminari, abbiamo tutta ragione di credere, 
che , fiorendo aHora in Dalmazia le classiche lettere , anche le 
nazionali vi si sarebbero rapidamente perfezionate; se non che 
la fatala' sventura che, nel 1667, sepeUì Ragusi sotto le sue 
mine, troncò troppo presto rincominciata carriera, ed il se- 
colo XVII terminò nello squallore d'un triste silènzio, solo in- 



368 SOI -CANTI NAZlOKAIil DBGLI SLAVI. 

terroCto da qualche Ingabre canto nazionale^ dhe il padre An- 
drea Kascie Miossic por raccolse e pablicò. 

Rislaurata Ragnsi dall'orribile disastra, anche le lettere ri- 
presero r interrotto corso. La lingua vulgare trovò un caldo 
difensore neir abate Resa, il quale eWe a vantarsi pabUeamente 
d'aver cacciata in perpetvo bando T antica slavonica. Egli tra- 
dusse con rara diligenza tutta la Bibbia ed altre opere sacre, 
ed inviatele al sommo pontefice, chiese infratluosamente il per- 
messo di sostituirle alle antiquate versioni slavoniche. Con tutto 
ciò non cessò mai, finché visse, di promuovere la cultura delFì- 
dioma nazionale, il quale fu interamente sostituito alla lingua 
slavonica, e ordinato con grammatiche e dizionarj. 

Già fin dal principio del secolo XVIIl aveva coinlneiato il 
padre Cassio ad illustrare le /ondaménla della lingua vulgare 
nell'opera intitolata: InstUutionum lingwB itlyriew libri duo: 
Romae, 1604; ed il padre MLsalia aveva fissate quelle del- 
l'ortografia , nel suo Thesaurui lingum. iltyriecB: Laurasii et 
Anconm, 1651 ; le quali opere, non essenda coronate da felice 
successo, iurpno poi seguite dalla gramiMitica e dal dizionario, 
che Ardelio della Bella publicò a Venezia nell'anno 1728. Ivi 
l'autore propose una nuova ortografia, pekrchè fosse commune 
a tutte le provincie dàlmato-serbii^e; ma non. fu più avven- 
turato de' suoi predecessori. 

Sul principio dd corrono, secolo, Giovanni Voltiggi propose 
un terzo sistema d'ortografia, che non fu séguito, nel dizionario 
illirico-italiano'tedesco S il quale é preceduto da breve pamr 
matica. Più commendevoli sono e il Lexicon laiino-iialieo-'illyri' 
ctan, puUicato a Vienna, nell'anno 1801, da Gioachino Stulli, 
la Grammatica illirica d'Appendini, stampatala Ragusi nel 1808, 
e l'altra più recente di Babukic, intitolata: €rundziÀge det^ lUi- 
rischen Grùmmaiik. Wien, 1839. 

Mentre i Dàlmati si dedicarono con ardore ad illnstrare il dia- 
letto nazionale, gli Slavoni non si mostrarono inclinati a se- 
guirne l'esempio, e prender parte in una causa commune*. Oltre 
4;he presso loro le lettere non furono in verno tempo con par- 
ticolare cura educate, la lotta delle fazioni religiose contribuì 
ancora a soffocarne per tempo il nascente amore. I propaga- 
tori della riforma religiosa, esposero nel dialetto del popolo le 

• Bicsoslomik HUrieBkoga, i4alianskoga i umuicshùgaj u Beau. (Vienua). 



SIU GANTI NAZIONALI DBCLI SLAVI. 369 

loro dispute; ma la loro caduta sventò quei primi tentativi , e 
presso i pochi scrittori fece preferire alla lingua vulgàre la la- 
tina , sino ai di nostri. Ecco le principali cause, per le quali 
il nativo dialetto venne generalmente trascurato presso gli Sla*- 
voni. Ciò nullostante anche tra loro qualche studioso contribuì 
all'incremento degli utili studj; come tale inerita particolare* 
menzione il professore Katancic le cui opere» benché latine, 
sono ricche di filologiche dottrine sul dialetto slavonico. 

I Serbi, propriamente detti, ed i Bosnj loro confinanti fecero 
uso deir antica lingua slavonica, fin quasi ai nostri giorni, e 
quindi li troviamo fra gli ultimi che si prestarono a nobilitare 
il dialetto nazionale. Soltanto verso la metà delio scorso secolo, 
nacque in Temesvar un uomo destinato a scuoterli dall' inerzia, 
e ri&yegliare in loro T amore della lingua nativa. Fu questi Do- 
siteli Obradovic, il quale, dopo aver percorso per venticinque anni 
tutta r Europa, riportò neirinculta patria le adunate cognizioni, 
e tentò inalzare il.diaielto all'onore di lingua scritta. Per ve- 
rità egli non ebbe, prima di morire, il conforto di trovar se- 
guaci della bella impresa, e mori nelFanno 1811, senza aver 
compenso alle sue fatiche. Ma il seme vitale era sparso, e non 
tardò a germogliare rigoglioso, per opera di Davidovié e Wuk 
Stephànoviò Karadcic, i quali , protetti da un principe magna- 
nimo, fecero ogni 'sforzo per condurre i loro cittadini a scri- 
vere come parlavano. Davidoviò publicò in Vienna, dal 1814 
al 1822, una gazzetta politico-letteraria, la quale, essendo scritta 
in lingua serbica , sparse una benefica luce nella sua patria. 
Wuk Stèphànovic compilò una grammatica ed un dizionario i, 
sulla nornia dei migliori lavori consimili delle più eulte lingue 
d' Europa, 

L' instancabile Jacopo Grimm pagò un tributo di stima al- 
l' autore, trasportando in tedesco questa eccellente grammatica, 
corredandola d' osservazioni e d'una dotta prefazione, alla quale 
abbiamo attinte molte notizie, non che l'analisi del poemetto che 
abbiamo scelto a corredo di questa breve dissertazione. 

II chiaro esempio di quo' valenti produsse il desiderato effetto 
sull'intera nazione. Luciano Muscitzky fu meritamente applau- 
dito come poeta lirico; Milutinovii! descrisse epicamente la guerra 
patria dell'anno 1812, e publicò alcune tragedie. Altri valenti 

» Srbski Jiiecnik; u BccUj I8i8. 



370 SUI CANTI NAZIOSIALI DBGLl SLAVI. 

coltivarono eón Telice successo varj generi di letteratura; gli 
sforzi della nazione vengono promossi dalie cure di quel go- 
verno, per modo che abbiamo ragionata speranza di veder 
quanto prima rigenerata quella nazione, e la sua letteratura 
messa ai pari di quella degli altri popoli slavi. 

Fra i lavori,. coi quali Wuk Stephànovic Karadeic illustrò 
là sua lingua e la patria, è sommamente commendevole la ci- 
tata raccolta di canti nazionali. Tutti i popoli slavi , come ab- 
biamo accennato , ebbero da natura una particolare attitudine 
alla musica ed alla poesia; e la manifestarono con un prodi- 
gioso numero di canzoni popolari. Varj dotti d'ogni nazione 
si diedero a raccogliere queste testimonianze irrefragabili delle 
congènite facoltà dell'umana natura, e delle antiche tradizioni 
di quei popoli. Sono generalmente note le raccolte di canzoni 
boeme, polacche, russe, ec. illustrate dai chiari linguisti Hanka, 
Dobrowrsky, Dietrich, Gelakowsky, Swóboda, Busse, Kascic, 
Rollar * , e già tradotte in varie lingue. Ma fra le nazioni slave 
primeggia V illirica , come quella che possiede maggior copia di 
simili componimenti , e la cui lingua meglio si presta alla va- 
rietà dei concetti ed air armonia del metro. 

Il chiaro Stephànovic, ammirando sin dagli anni giovanili que- 
sta prerogativa della sua nazione , dedicò lunghi studj a rac- 
cogliere dal labbro de' suoi queste native inspirazioni, e tra- 
scrivendole fedelmente, ed ordinandole per tempi, quanto era 
possibile, le diede alla luce in quattro volumi. Racchiuse nel 
primo le canzoni amorose, nelle quali le passioni più delicate, 
sebbene in contrasto coi rozzi costumi, sono dipinte colle più 
nobili imàgini. Distribuì nel secondo e nel terzo tutte le poesie 
eroiche, nelle quali vengono celebrati i valorosi che versarono 
il sangue per la patria e la religione; e vi si vedono talvolta 

* Igor Swatoflavic. Htldengeiong vom Zuge gegen die Pohvzerj aus dem 
Altrussischen neu uberselzt^ ec. voh JVenceslaw Hanka, Prag ji»%i, — Huko^ 
pi8 Kralodworsky^ wydan od F asiaca Hanky, w Praze ^ isio. — Jtussische 
Volks-màrchcn hcrausgegeben von Dietrich. Leipzig ^ f»3i. — Fùrsl Vladi- 
mir und dessen Tafelrunde^ herausgegeùen vfon Busse, Leipzig j ibi 9. — Ce- 
lahowsky^ Slovanské Narodni Pisné. w Praze^ f ess. — Kóniginnhdfer Mind- 
scriften; Sammlutig allbohmischen Gesànge^ herausgegeùen von Swòboda. Prag^ 
1829. Kascic j Bazgovor ugodni narodna Slovinskoga* 9 Mleszi^ 1 7tto. — Pistìé 
svétske lidu Slovenskcgo . w Uhrich . Pestj I8«5. — Malo-rossiskija pesni, 
Moskaw 1829. — Nàrodnié ZpiewankyjCili Pisne svetské slowakuw^ odJana 
Kollàra, ìV Budjne^ t83». 



SUI GANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 371 

t moderni campioni, travestili ed involti negli antichi miti degli 
avi. Dispose nel quarto una selva di poesie sacre e profane, 
raccolte più tardi, alcune delle quali potrebbero ordinarsi nei 
precedenti volumi. Non solo tutte queste popolari poesie odonsi 
ancora dalla bocca dei pastori, nel mezzo delle loro montagne, 
ma molte altre , che col tempo si potrebbero raccogliere ^ se 
la peregrinazione per quegli inóspiti monti fosse meno perigliosa. 

Tra gli eroi, che trovansi celebrati nella maggior parte di 
esse, primeggia Marco Kraljevic, al cui padre la tradizione at- 
tribuisce la fondazione della fortezza di Sciìtari, ed il quale 
colle più segnalate prove di valore, tentò salvare la patria 
agonizzante dall' oppressione ottomana. La varietà dei colori, 
coi quali le prodezze di questo eroe sono descritte, desta sempre 
nuovo interesse in chi sa gustare le bellezze di quella lingua. 
Se quelle canzoni fossero artiGciosamente ordinate , potrebbero 
formare una compiuta descrizione della vita e delle imprese 
di Kraljevic, come nei canti d'Omero, di Virgilio e di Ossian 
trovansi descritte quelle d'Ulisse, d'Enea e di Fingallo. 

Non appena quest'opera vide la luce, che varj giornali let- 
terari di Germania, d'Inghilterra, d' Olanda, tributarono ad una 
voce sensi di lode e riconoscenza alla dottrina del ricoglitore, il 
quale non cessò di ben meritare della patria con nuove fati- 
che i. Non mancarono eruditi che, per far conoscere alle- loro 
nazioni le peregrine bellezze di quelle poesie, le traducessero 
in varie lingue. L' instancàbile JBowring, che sfiorò presso che 
tutte le letterature d'Europa, le trasportò in lingua inglese. 
La sempre lodata Talvi ne voltò buon numero in lingua tede- 
sca a Halle. Gerhard ne publicò una seconda versione a Lipsia, 
e v'introdusse varie canzoni ommesse dalla Talvi; e Gòtze 
quasi nello stesso tempo ne diede una terza versione a Pie- 
troburgo. 

Dolenti che l'esempio non siasi per anco seguito dagli Ita-^ 
liani, ai quali, per quanto sappiamo, quest'opera non fu an- 
cora annunciata, crediamo far cosa gradita ai lettori, offren- 
done un Saggio nel sunto d'un componimento, il quale, per l'or- 
dine col quale è svolto, e per essere composto di oltre i200 ver- 
si, può risguardarsi come un breve poema. 

* Piavania Zernogorska i Herzegovacka, u LeipzigUj 1857. — Narmtne 
ric$me Po»hviz€t Na Zetìgna^ isse. 



372 SUI GANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 

LE NOZZE DI MASSIMO GERNOJEVié. 

Ivan Cernojevic, il potente signore di Sbablak, si reca a Ve- 
nezia con tre tonnellate d'oro, per chiedere sposa a sao figlio 
Massimo la figlia del Doge. Il Doge si mostra lungamente av- 
verso. Ivan, pertinace nella impreca, profonde Toro apportato, 
ed in capo a tre anni ottiene la bramata promessa. La sposa 
accetta T anello, e si fa patto di celebrar le nozze dopo che Ivan, 
ritornato a Shablak, vi avrà fatto il ricolto del grano e del vino. 

Ivan prende congedo, dicendo, che condurrà seco mille con^ 
vitati; invila il Doge a mandare altretanti Latini ad incontrar 
lo sposo, e soggiunge: Fra tutti questi e quelli, nessuno sarà 
bello quanio mio figlio e tuo genero. Il Doge, punto dalle in- 
aspettate parole : Or bene, risponde; s'ella è cosi, tuo figlio 
avrà giojellie ricchi doni; ma, guai a te, se mentii Ivan ritorna 
a Shablak; ma qual fu il suo stupore, quando rivide il figlio tal- 
mente malconcio dal vajuolo, che appena uno fra mille p^tevasi 
dir più deforme. 

La moglie, accortasi del suo turbamento, gli chiede se gli si 
fosse per avventura rifiutata la donzella, o gli increscesse il pro- 
fuso denaro? Egli risponde: ottenni la fede della fanciulla/ 
ella à assai vezzosa. Nulla mi cale dell'oro: ben sai, che ne ab- 
biamQ in Shablak ripiena una torre, sióchè non appare che un 
obolo vi manchi. Mi cruccia solo d'avere attestalo al Doge che, 
fra mille Serbi e mille Latini, nessuno sarebbe avvenente al par 
di Massimo; ed ora^ poiché lo trovo fra mille e mille il più de^ 
forme, temo una vendetta. 

La mqglìe Io colma di rimproveri. Perchè sei tu ito oltremare 
a cercare una sposa al nostro Massimo? Non ve n Ita forse di 
vezzose ed illustri nelle nostre terre^ e nelle circostanti cestella 
a noi soggette? Ivan arde di sdegno , e grida; Nessuno ardisca 
pronunziare parola Su questo sinistro argomento: se alcuno 
verrà a porgermi gli augurj suoi, gli strapperò colle mie memi 
gli occhi. Questa minaccia corre di bocca in bocca , e nessuno 
ardisce profe^rir motto sulla malaugurata ventura. 

In tal guisa passano nove anni. Sul principio del decimo, ar- 
riva un messo, con lettere del vèneto congiunto: Se tu acquisti 
un prato, o lo irrighi e lo coltivi , o lo affidi alle cure altrui ^ 
affinchè la brina e la neve non cadano sugli appassiti fiori. 



sul CANTI NAZIONALI DCGLI SLAVI. 37? 

Cosi devi condur teca la figlia, della quale chiedenti la. fede ^ a 
lasciarla libera, sicché pc^sa congiungersi ad altro sposo. 

Questo messaggio conturba Ivan, e poiché non si vede intorno 
alcun ministro, al quale palesare il suo dolore^ si volge alia con- 
sorte, è le chiede consiglio: se debba, colla risposta, rif>orre la 
nuora in libertà di scegliere altro sposo, o tener la data pro- 
messa? La moglie risponde: Possente Ivan Cernojevii, e quando 
mai le mogli hanno prestato consiglio ai mariti? Quando verrà 
quel giorno, in cui potranno prestarlo, esse, cui fu data lunga 
la chioma, e breve la mente? Tuttavia prosegue: Sarebbe ingiu- 
sto inanzi a Dio, e vituperoso in faccia agli uomini rinunziare 
alla donzella. La sventura può cogliere qualunque mortale; se 
i nostri nuovi congiunti sono saggi e bufoni, non ci daranno a 
colpa il terribile morbo da cui nostre figlio venne assalito., Oie 
se temi la guerra, e tu radwna, non già mille, ma due mila 
compagni, scegli i più valorosi, dà loro i piti generosi destrieri 
e vanne a precidere la sposa. 

Ivan imbaldanzito scrive al Doge: In breve io verrò a te; 
poni a guardia alcuni de' tuoi. Tosto ch'io giunga alla spiaggia^ 
fa che vi ritrovi le tue navi. Trenta cannoni dall'alto dei ba- 
luardi daranno il segno della mia partenza. 

Non appena ebbe inviata questa lettera , che ordinò allo scrì- 
vano di apprestare fogli d'invito a quelli che dovevano fargli 
scorta. Invia la prima lettera a Bar ed Ulcin (Antivari e Dulci- 
gnò), terre del suo domìnio, al voivòda Milosch Obrenbégovic , 
il quale dev'essere il primo fra i compagni di quella spedizione 
nuziale, e deve condur seco molti de' suoi. La seconda viene 
spedita sulle rupi di Monte-Negro , al suo nipote Giovanni Gar 
pitano. Questi deve condur seco almen cinquecento de' suoi , ed 
essere paraninfo della leggiadra Latina. Cosi^ soggiunge, io e tu 
avremo i primi onori. Manda la terza lettera a Kuc ed a Bra^ 
tonoscìc, al voivòda Likovìc Ilia, coUa quale gU impone di recarsi 
a Shablak con tutti i suoi. La quarta s'invia a Sceremetovic, 
in Drekaióvice, con queste espressioni: Raduna tutti i figli di 
Drekalóvice, fino al verde Lim '. Quanto madore sarà il nu- 
mero, tanto meglio per te! 

Invia la quinta nella città di Podgoritza, presso Scn tari, per 
tutti i suoi numerosi congiunti , al celebre guerriero» a Falco 

» Fiume che separa la Scrvìa dair Erzegovina. • 



374 SUI cAMTi hazionali dbgli slavL 

KujiradciG Gjarol Nah fraporre indugiay'ma (' affretta a wfi con 
tutti i tuoi riccamente vetiiii. Raduna tufii i congiunti, i mi- 
liti pie i)eUo9'Ó8t.ed i più bei eavalU. Siano questi magnifica- 
mente ùddoÒbati con 9eUe e.^uaidrappe turche e ludcafiti ar- 
mature ; indoseino qùelU ve$ii di seta e di velluto purpureo, le 
quali ulta pioggia ed .mi (kok si farmo più rubiconde e splen- 
denti: assettino al capo i più ricchi ornameli, sicché non v' ab- 
bia tra i Serbi ù tra i.JLatini più ricco vestimento. I Latini 
profondono tutto lo splendore neUe vesti; ma non hanno il mae- 
stoso aspetto, né gU oeehi scintillanti, .dei valorosi figli di Pod- 
goritza. 

Ciò fatto, invita eoa oiessi, e seaza lettere, i prodi di Shablak 
e dei eontomi. Tutti t méssi vami^ rapidaoteote: e tutti i capi- 
tani e \ gueprierì (fella Servia, dppo i più soUoiciti prepararvi, si 
radunano a torme, e s^aSrettajio a far parte del nuziale corteg- 
gio. A queir insolito movioìiento , a quel magnifico spettacolo, 
accorrono da ogni parte i vecchi ed i figli, d^ campi. Questi 
gettano l'aratro; i pastori .abbaiidonaiio rairm^nto, e lutti s'af- 
follano neiia spaziosa pianura atte.(alde di ShabÌla)L, ove lo stuolo 
dei prodi deve radunarsi. 

Allo spuntare del di, Giovanni Capitano, il figlio della sorella 
d*lvan^ destinato ad essere paraninfo, sale sulla torre di Shablak, 
accompagnato a qualche distanzia da.duefidi« Come infausta co- 
meta gira lo sguardo, sulla raccolta turba» e guiata i cannoni 
delle torri. Giunto alla cima^ inoooira Ivan Cernoìevic, che in 
atto di sorpresa, gli chiede: ;G6é t^iipi tti^ qui si di piattino? 
Giovanni gli rammeola il grave perieok) che sovrasta alle sue 
terre, se lo lascia senza difesa:, ^ lQ)P^*eg9! a trasceglier quelli 
che debbono scortare la sposa a Shablak* QU r^ppreseota come, 
restando tutta la terra indì&sat efA a temersi improvisa irruzione 
dei Turchi, essendo che il viaggio a Y^ezia non si patria com- 
piere in meno di quaranta giorni. Dopo ciò,. gli racconta un in- 
fausto sogno della trascorsa notte, nel qu^^ vide un'orribile 
procella infuriare sopra Shablak; repenle scoppiare il fulnaine, 
ehe atterrò il ti^pio esmosse.le pii dure p.ieti*e; T altare cadde 
sul capo di Massimo, il quale nuUostaate sopravisse. Agitato, 
dopo il racconto di. que^ ^0910 sinis4ro^ riouQVia più calde pre- 
ghiere ad Ivan: Zio, memdfite soh i convitaci. 

Sdegnato Ivan, rampogna il nipote: Iddio , esclama, vibrerà 
il suo flagello sopra il t^o capo} I sogni sono ombre fallaci 



SUI CATiTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. S7ÌS 

della notte. Dio solo è la pura verità! Arrossisco pur troppo 
d'avere indugiato cotanto, e lasciata la sposa per nove anni 
negletta; egli è tempo ormai di celebrare le nozze! Quindi' 
manda il nipote agli artiglieri, colP ordine di earieare i cannoni, 
e dare il segno delia sua partenza; ne rende avvertiti tutti i se- 
guaci, onde non si sgomentino, né lascino balzare nelPaqua i 
sorpresi cavalli. Cosi fu fatto: il cupo tuono dei bellici strumenta 
odesi rimbombare tra Teco dei vicini monti, ed imprime uh senso 
di terrore negli animi degli astanti; alla fine vi succede un grido 
di gioja, e si mettono in cammino. 

Di mano in mano, che la festevole turba s* allontanava oltre 
i monti e le patrie campagne, tornava la serenità nei loro petti. 
Dai lontani spaziosi campi del mare vedevano i naviganti on- 
deggiare i bellicosi destrieri e le aste lucicanti. Ivan Cernojevic 
era attorniato dai suoi; da un lato cavalcava T intrepido Milosch, 
e Massimo dall'altro. Poiché il buon vecchio ebbe chiesto silenzio 
a tutti, cosi lor parla: Udite, fratelli, il mio consiglio. Un giorno 
io feci protesta al Doge, che fra mille dermici scelti compagni 
ed altretanti Latini, nessuno sarebbe avvenente quanto mio figlio. 
Per mala ventura, it morbo lo rese fra tanti più deforme, ed 
io sarò detto mentitore dal mio vèneto congiunto. Or dunque, 
poiché il voivòda Milosch ha fra tutti il più maestoso sembiante, 
io m'avviso, ch'egli indossi le dorate piume e le principesche 
insegne di Massimo, e rappresenti lo sposo, finché abbiamo con-, 
dotta in patria la nuora. 

Nessuno del numeroso stuolo osa risponder parola , poiché 
tutti temono Timpeto feroce di Massimo. Finalmente, dopo uà 
cupo silenziQ, Milosch risponde: Tu sei il nostro principe; tu 
induci Massimo ad acconsentirvi di buon grado, ed io farò come 
ii piace; ma colla sacra promessa, che tutti i presenti che ver- 
ranno fatti dai novelli congiunti aito sposo restino miei. A piena 
gola rise il vecchio Ivan , e «t, soggiunge, tutti i presenti sa- 
ranno tuoi; nessuno li divida teco ; e al ritorno in Shablak , 
altro ne aggiungerò io stesso; da quest'ora ti prometto unpajo 
di calzari ricamati d' oro, adorni di ricche gemme, la mia tazza 
d'oro pesante, e cingerotti al fianco una sciabola preziosa. 

Ciò detto, ^i posero a Milosch le dorate piume di Massimo, ie 
la comitiva raggiunse la spiaggia del ceruleo mare, ove trovale 
le venete navi, s'imbarca, e con prospero vento approda a Ve- 
nezia. 



378 SI3J CANTI NAZIONALI DEGLI &LAVI. 

veba eè$ére sposai Massimo, mio sposo, ascolla: Se non ritogb 
quei doni allo straniero, ti giuro, che non farò più oltre un 
passo; ma volgendo il destriero alla spiaggia del mare, pren- 
derò una faglia dell' albero Scemiscikla, e la segnerò di san- 
gue, e l'affiderò al mio grigio falcone , onde la rechi al veceUo 
genitore; egli radunerà i Latini, e volerà ad atterrare Shabkk, 
e vendicare V insulto. 

A tati detti si cormccia T animo di Massimo, e fariboudo 
sprona il destriero , che sanguinoso e spumante spicea orribili 
salti. Nessuno osa trattenerìo; impauriti tutti gli cedono il passo. 
Milosch con un sogghigno» esclama: ove corre Massimo, m\ 
queèl' impeto forsenjmto .^ Ma questi, gli piomba addosso, gli vi- 
bra la lancia^ lo coglie tra le piume, nel mezzo della fronte, ^sic- 
ché cade esangue» Poi gli recide il capo, lo. ripone nella bisaccia, 
e tolta la sposa dalle mani del paraninfo, yola a recarne novella 
a sua madre. 

Eterno Iddio! Sia lodaia optai sempre la tua volontà! Ha chi 
non torse io sguardo inorridito dalla strage accanita che successe 
alla caduta del maestoso capitano? I suoi. congiunti, riguardatisi 
attonitamente , si gettano furibondi a vendicare la .morte del 
ducè. La scarica dei loro ardhibusi copre Torizzonte d'una densa 
nube; il fragore delie spade e delle lancie, il cozzare degli elmi 
e degli scudi , rese più orribile la mischia. In breve le madri 
furono immerse in perpetuo dolore; le sorelle si avvolsero io 
aero velo; le spose ritornarono vedove al tetto paterno. 

Ivan Cernojevie nuota in un lago di sangue. Quella terribile 
giornata preparò perpetue angoscie al suo cuore. Egli invoca 
Iddio che mandi un vento a sperdere quella nebbia , e ^i ri- 
sditari il campo , e gli conceda di veder T èsito della mischia. Il 
vento soffia e dissipai la nube. Ivan gir.a rapido lo sguardo , e 
vede miseranda strage. Guerrieri e cavalli 9ìutilati; ode i so- 
spiri dei feriti , e palpitante s'avanza; cerc^ tyn il sangue e gli 
estinti suo figlio; in quella vece passa accosto a Giovanni Ca- 
pitano moribondo; ma no U riconoscendo, prosegue. Quello, con 
Sdea voce il rampogna: Possono dunque i riccìù doni nuzié 
tenderti cotanto altero, che non degni d'uno sguardo lo sven- 
turato nipote mprif^ondo, e ti allontani senza chiedergli dell^ 
sue ferite? Il vecchio si volge stupito, e visto il nipote^ languente, 
versa amare, lagrime; guarda le sue ferite, e sporgendo, che vi- 
Gina gli sovrasta la morte, gli chiede di Massimo e della sposa ^ 



SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVf. 379 

che poco prima gli stavano appresso. Quello risponde con 
tronchi accenti , che Massimo s' era involato colla sposa , rivol- 
gendo i passi verso la madre; cosi dicendo, manda I ultimo so- 
spiro. 

I Ivan corre a Shablak. Giunto alla porta del castello, vede una 
lancia ed un destriero, cui erasi apprestato un canestro d'avena. 
Più oltre vede Massimo sedente che scrive sulla ginocchia una 
lettera al suocero , e a lui dinanzi T infelice donzella. Raduna, 
tali erano le parole della lettera, raduna i tuoi Latini, e vieni 
ad abbattere Shablak, e riprendere la tua vergine. Il mio regno 
è giunto al suo termine; io vado a Costantinopoli a farmi Turco. 

La novella dell' infausto evento si éiffuse per tutto il paese. 
Non appena giunse .alle orecchie di tvan Obrenovic fratello di 
Milosch , che posta la sella al eavallo vi balzò sopra , e prese 
congedo d&i suoi , come se andasse ad incontrar la morte. Io 
parto , miei fratelli , vado a Costantinopoli per la vostra sal- 
vezza. Massimo Cernojèviò spera forse indurre il Sultano con 
promesse e lusinghe a mandare un esercito contro di vm. Ma 
finch' io sarò colà, saprò render vani i suoi sforzi. 

Giungono entrambi a Costantinopoli; ode il Sultano delle loro 
discordie. Egli fa loro accoglienza ^ e gli ascrive tra' suoi fedeli , 
imponendo ad Ivan il nome di Mahmud Bey Obrenbégovic, ed 
ed a Massimo quello di Skanderberg Ivan-Bégovie. Dopo nove 
anni, ebbero in premio nove poderi; li cambiarono con un ba- 
scialato, e col diritto di portar bianche code. Ivan ebbe Ipek, e 
Massimo Scùlari; il primo, un fertile e ricco paese; il secondo, 
il paese delle rane, del sale e dei bùfali. Da quel tempo a noi, 
tra i loro pòsteri non vi fu pace. 



Fine. 



INDICE 



Prefazione ................ Pcuj. v 

Della Vita e degli Sorìtti del couU^G. 0. Ca$UgUani . . » xv 
Origine e sviluppo delift Liiiguìstiea. . . . . «....» 5 

Della Linguistica applicata alla ricerca dalle origini itàliche »* 81 
Prospetto topografico-stalistico delle Colonie straniere ditalia « 45 
Djella.letterativa popolare dell'Epiro . . i . . . . » 77 

Orìgine^ diffusione ed importanza delle lingue furbeschi^, . » i07 
Studj sulle lingue romanze . .... .... . >» U3 

Ordinamento degli idiomi e dei dialetti italici » t63 

Poemetto inèdito di Pietro da Barsegapè ....... 495 

Delle lingue germaniche e della loro grammatica . . . » 531 
Sui Canti nazionali degli Slavi ........." 559 



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