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6000896207
STUDII
LINGUÌSTICI
STUBII
LINGUISTICI
DI
B. BIONDELLI
MEUlino EFFETTIVO DELL' I. R. ISTITUTO LOSIBAItM
OiNORÀRlO DILLA SOCIETÀ FILOLOGICA, DI LONDRA
E DI PARECCHIE ALTRE D* EUROPA
MILANO
COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI DI GIO.
MDCCCLVI
Jó^ò., àu.^.
PREFAZIONE
Parecchi anni sono trascorsi, dacché seguendo il nuovo
impulso dato dai moderni filòlogi agli Studj linguistici
in Europa, ed eccitato dal vivo desidèrio di promuòverne
ed estènderne la cultura presso di noi, m'accinsi a svòl-
gere in una serie di separate Memòrie le principali no-
zioni sulP origine e sullo sviluppo della nuova scienza ,
sui fini ai quali tende, non che sui cànoni fondamen-
tali della medésima; ed affine di chiarirne T importanza '
ed invogliar quindi la crescente generazione ad avviarsi
animosa nel nuovo campo, quanto vasto, altrctanto fe-
condo d'utili ammaestramenti, m'avvisai di venir mano
mano sviluppando alcune delle moltéplici applicazioni di
tali studj alla ricerca delle origini delle nazioni, e quindi
eziandio dei loro vicendévoli rapporti; a quella delle ori-
gini delle lingue dedotte dal loro organismo e dai natu-
rali loro clementi ;^e quindi al ragionato ordinamento di
alcune famiglie di lingue e dei rispettivi loro dialetti.
TI PREFAZIONE
Sebbene fra Queste pòvere , ma coscienziose mìe pro-
duzioni, alcune di maggior lena fossero da me publicate
in separati volumi, ciò nulladimeno, ho preferito inse-
rirne un maggior nùmero in alcuni dei nostri più accre-
ditati Giornali , allo scopo di rènderle con una maggiore
publicità eziandio più proficue. Se non che F esperienza
non tardò a dimostrarmi, che se i Giornali sono il mezzo
più acconcio a propagare rapidamente le mio ve specula-
zioni scientìfiche e letterarie, e perciò sommamente ùtili
al sociale progresso , essi non sono del pari atti a con-
solidarne la durevole tradizione , dappoiché , per la spe-
ciale natura delle òpere periodiche destinate per lo più
a svòlgere argomenti del giorno e d^occasione, Tappari-
zione d^un nuovo fascìcolo caccia in disparte, e più spesso
copre d^ oblìo gli antecedenti, sicché nella confusa com-
pàgine degli svariati materiali sparsi qua e là in una serie
indefinita di volumi, torna poi malagévole e quasi im-
possìbile, lo sceverare ed ordinare gli elementi omogènei
d'ogni sìngolo ramo di studj, nei medésimi racchiusi.
Egli è appunto perciò che^ lusingato dalla benèvola
accoglienza fatta successivamente ai ripetuti miei Sag-
gi, intesi a svòlgere princìpj scientìfici, anziché argo-
menti d'occasione, stimai òpera non del tutto infrut-
tuosa il raccògliere in un solo volume e coordinare
ad un medésimo fine alcuni de' miei Scritti linguìstici
sparsi nel Politècnico, nella Rivista Europea, nelV En*
ciclopedia popolare, neWJnnuario Geogràfico italia-
fìQ, non che in alcune separate mie publicazioni , sce-
gliendo a tal uopo quelli, che per la natura dell'argo-
mento e pel modo col quale furono esposti', possono
considerarsi come parti di un solo tutto , valendo gli uni
PAEFA;eiON8 VII
a complemento degli altri, sia collo sviluppo di nuove
dottrine linguìstiche, sia colla pràtica applicazione delle
medésime alla soluzione di speciali problemi.
Quindi ad un breve cenno istèrico sull'orìgine^ sullo
sviluppo e sullo scopo delta Linguìstica, pàrvemi oppor^
tuno soggiùngere alcune generali considerazioni sul mo*
do, col quale essa potrebbe utilmente applicarsi alla
ricerca delle orìgini itàliche ;*e poiché enumerando ivi i
varii sistemi' di alcuni moderni eruditi su questo argo*
nrento, mi feci a dimostrare T insufficienza dei mezzi che
sono sin^om in nostro potere, e la necessità di premei*
lere. uno studio profondo e circostanziato sui moltéplici
dialetti sparsi in tutte le regioni della nostra penìsola,
come precipua guida nella ricerca delle orìgini di quelli
che li parlano, così ad aprire la via a questo incommen-
suràbile campo di studj nuovi e pazienti, ho cercato
sbozzare in due separate Memòrie un Prospello topo-
gràfico-statìstico delle nazioni straniere, che in varii
tempi fissarono stàbile dimora nella nostra penìsola , non
che un generale Ordinamento delle lingue e dei dialetti
successivamente nella medésima parlati.
il primo fu da me tì*acciato allo scopo di mostrare allo
studioso, che imprende la disàmina d^uno speciale dialetto,
la necessità di sceverare gli elementi indìgeni e primitivi
del medésimo dagli stranieri , che perla fusione, o pel com-
mercio di straniera colonia vi fossero per avventura eom-
penetrati. Così, p. e., quello che indaga le orìgini del pò-
polo Vicentino non deve tener conto delle voci germàiliche
introdotte in quel dialetto dalla colonia dei Sette Comuni,
se non per eliminarle; così quello che esamina gli sva*
riati dialetti della Sicilia e delP Italia meridionale, deve
vili PREFAZIOKE
sceverare le molte voci aràbiche, greche ed albanesi, non
che francesi e spagnuole importatevi dalle moderne emi-
grazioni, o dalle invasioni straniere. Devo peraltro av-
vertire, che quanto alle cifre numèriche delle sìngole
colonie da me riportate in questo lavoro, è d'uopo ri-
ferirle al tempo in cui fu da me per la prima volta pu-
blicato, vale a dire circa dieci anni addietro, non potendo
ora senza gravi difficoltà, ne importando punto al fine
precìpuo pel quale fu dettato, il rettificarle giusta le va-
riazioni , che nel vòlgere di questo periodo dovettero ne-
T^essariamente subire.
Quanto al secóndo, vale a dire: air Ordinamento delle
lingue e dei dialetti itàlici^ esso fu da me proposto
come Prospetto generale delle varie parti d^un edificio
da elaborarsi. E poiché la natura d'una sémplice disser-
tazione non permetteva un esteso sviluppo d'ogui sìngola
parte principale, così a compiere quel Saggio, ho teur
tato svòlgere più tardi in separata publicazione (0 i som-
mi capi d'una grande sezione, onde meglio chiarire, colla
pràtica applicazione dei fondamentali princìpj della scien-
za, la ragione ed il fine del piano generale da me propo-
sto. I cànoni principali sui quali, a mio avviso, dovrebbe
èssere elaborata ogni sìngola parte di quel Prospello
furono da me compendiati nella Prefazione all'opera ac-
cennata, e più diffusamente svolli in altra Memòria iii-
^serita nel Politècnico (2), che perciò stimai supèrfluo ri-
produrre nella presente Raccolta.
(1) Saggio sui Dialetti Gallo-itàlici, Milano, Bernardoni, 1854.
{^) Sullo studio comparatico delle Ungile. V. ne\ Politècnico ,
Voi. II, pag. 161.
PREFAZIOKe IX
Ld enumerazione impertanto delle antiche e delle mo-
derne lingue italiche non poteva cronologicainente or-
dinarsi $enza un cenno istòrico del modo col quale cia-
scuna si venne successivamente sviluppando e cedendo
alla sua volta il posto ad altre surte sulle sue rovine; e
siccome questi rùderi medesimi sono in gran copia dif-
fusi nelle svariate famiglie dei dialetti viventi, così il
successivo quadro topogràfico dei medésimi posto a ri-
scontro colle antiche sedi dei Carni, degli Euganei, dei
Galli, degli Etrusci, degli Osci, degli Umbri, dei Sabelli,
dei Lucani, dei Sìculi, e di tante altre primitive tribù
italiane, varrà a mostrare al filòlogo, ove debba e possa
rintracciare le relìquie delle antiche lingue rispettive, e
dedurne sicuri critèrii per la ricerca delle loro orìgini.
Non devo però lasciare di notare un errore sfuggitomi
neir ordinamento dei dialetti càmici e vèneti, avendo
collocato fra i primi il gruppo bellunese^ che appartiene
essenzialmente ai secondi, e vale a collegare il gruppo
vèneto occidentale al centrale^ ossia il veronese ed il
trentino al trevigiano ed al padovano. Per tal modo
dèvesi considerare la famiglia càrnica siccome racchiusa
fra il Tagliamento ed il Timavo, e non già fra quest'ul-
timo e la Piave, come erroneamente asserii nel corso
della rispettiva Di^ssertazione.
biella stòrica enumerazione delle antiche lingue suc-
cessivamente parlate e scritte nella nostra penìsola ho
resa manifesta la somma importanza della lìngua romana
rustica f la quale come anello intermedio collega pa-
recchie antiche lingue alle moderne; ed essendo la sola
lingua ìndestruttìbile nei suoi radicali elementi^ quali
sono i suoni e la formn, percliè parlata senza iuterru-
X I^REFAZIONE
zione dalle sìngole popolazioni, è ancora la sola atta a
rivelarci le orìgini dei dialetti viventi e i loro rapporti
colle* antiche lingue, ben più che la latina, la quale,
mentre attinse in orìgine ai dialetti preesistenti gran
parte de^suoi materiali, ricevette poi da retori stranieri
alquante forme convenzionali.
Queste proprietà delia lingua romanza, o piuttosto
delle lingue romanze, giacché, siccome ebbi a dimostrare
nel corso di questi miei Studj (i), tante furono nei sècoli
di mezzo le lingue romanze, quanti i dialetti degli scrit-
tori contemporànei in tutta P Europa latina, m'indussero
a tracciare un sunto generale degli Studj instituiti sin' ora
dagli eruditi d'ogni paese ad illustrazione delle medési-
me, aflSne di mostrarne l'estensione e l'importanza,
non che di appuntarne la varia direzione e le lacune.
Tra queste ebbi ad avvertire un troppo scarso nùmero
di produzioni intese ad illustrare il romanzo itàlico delle
varie provincie colla scorta dei rispettivi monumenti Iet-
terai], alcuni dei quali giacciono tutt'ora inavvertili o
negletti in biblioteche pùbiiche e private; e quindi, cosi
in Saggio dei medésimi, come a* corredo dei princìpj in
quella Dissertazione esposti , posi a raffronto alcuni com-
ponimenti èditi ed inèditi del XII e del Xili sècolo, nelle
lingue romanze lombarda, vèneta, e sìcula. A questi
brevi Saggi da me prodotti in via d'Appendice e senza
quelle note illustrative, che sono atte a rivelarne l'im-
portanza scientìfica e filològica, ho ancora aggiunto con
separata prefazione il Poemetto inèdito di Pietro da Be^
scapè ^ da me testé publicato per la prima volta in picciolo
(*) Vèggasi a pag. 125, non che a pag, 16« e scg.
PREFAZIONE XI
nùmero d^ esemplari (4), e corredato di quelle note che
reputai più acconcie^ così ad agevolarne F interpretazione,
come a tracciare la pratica applicazione delle dottrine
. filològiche agli antichi monumenti di nostra lingua.
Appunto ad interrómpere Tausterità di quelle dottrine
ho inserito nella presente Raccolta alcuni Saggi di let-
teratura popolare, nei Canti nazionali degli Epiroti e dei
Serbi, ciò che mi porse occasione a svòlgere le princi-
pali nozioni sulF istòria, sul caràttere, non che sulla lin-
gua e sulla letteratura di quei pòpoli. Né. mi parve inop-
portuno, in un libro inteso ad accennare le svariate
applicazioni degli studj linguistici, il soggiùngere alcune
considerazioni sulV origine , sullo sviluppo e suWim-'
portanza delle lingue Furbesche, da me premesse al-
cuni anni addietro a varj Saggi lessicali delle medésime.
Ivi infatti ho cercalo brevemente adombrare, come un^atr
tenta disàmina delle proprietà costanti di qoei gerghi di
convenzione, ed un raffronto dei medésimi colle sém-
plici lingue dei pòpoli più rozzi, possano rivelare allo
studioso, almeuo in parte, il segreto processo della mente
umana nella formazione de^ primitivi linguaggi.
Ciò non pertanto, fra le molle applicazioni degli Studj
linguistici, quella che propriamente costituisce lo scopo
primario della scienza si é il raffronto di tutti gli ele-
menti proprj dei singoli idiomi fra loro, allo scopo di
coordinarli e di raggrupparli nelle rispettive famiglie;
della qual finale tendenza^ non che del processo dalla
scienza seguito onde raggiùngerla , ho pure tracciato un
(1) Nell'Opera: Pome lombarde inèdite del sècolo XII L Mila-
no, tip. Bernardoni^ i856. — Edizione di 4»0 esemplari numerati.
Xlt PREFAZIONE
Saggio nel generale ordinamento deth lingue germàni-
che e scandinàviche y fondalo sulF anàlisi fonètica e gra-
malieale delie medésime, quale venne proposto dal som-
mo filòlogo dottor Jacopo Grimra.
Tali sono le ragioni ed i fini che mi determinarono
ad unire e riprodurre coordinati questi miei sparsi e fug-
gitivi lavori nel presente Volume; ne perchè, richiaman-
doli forse dair oblio, ardisco ridonarli alla luce, dèvesi !
argomentare, ch^io vi attribuisca speciale importanza; |
né molto meno, chMo pensi di poter imporre allo stu-
dioso i princìpj e le opinioni da me nei medésimi svi-
luppati; opinioni e princìpj ch'io sono pronto a rettifi-
care e modificare al cospetto di fatti diversi, o di più '
validi argomenti; ma dichiaro solennemente, che venni j
a ciò trascinato solo dalP indòmito desidèrio che nutro
dà lunghi anni di vedere maggiormente diffusa presso di |
noi la cultura di questi importantissimi studj, in un
tempo in cui elette e compatte schiere di benemèriti
studiosi d' ogni regione procèdono alacremente in tutti i |
rami di questa scienza, e strappandoci quasi di mano i |
preziosi monumenti legatici dagli avi nostri, ne fanno |
da qualche tempo argomento prediletto delle pazienti e
dotte loro lucubrazioni.
Giacché egli è pur d'uopo il confessarlo, che alla in-
stancàbile operosità ovunque spiegata, ed all'appello
fattoci dagli stranieri con tanti colossali lavori che tutto
giorno ci piòvono giù dall'alpi, assai fioca rispose sin' ora
l'eco italiana. Egli è vero bensì, che questa clàssica terrjBi ;
non fu mai priva d'ingegni privilegiati alti a serbare illibato
il pallàdio della glòria patria eziandìo nei linguìstici In- |
di, dappoiché non appena si chiuse sulle onorate céneri
PREFAZIOfiE XIII
del Maj^ dei Rosellini, dei Gastiglioni e dei MezzofaDli^
ci porse uri Gorresio a rivelarci i tesori letlerarj del-
r India, come il Peyron illustrava non ha guari quelli
deirEgilto; e ci è sicura maltevadrice di nuovi e polenti
ingegni nelh generazione crescente; egli è vero altresì,
che alcuni benemèriti studiosi vanno qua e là del con-
tinuo illustrando con più o meno vasti lavori i rispet-
tivi dialetti, o parziali monuuìenli d'antiche lingue; né
mancarono ai nostri giorni i generosi, che, sollevandosi
in più alte' regioni della scienza, s'accinsero ad imprese
ben degne del nome italiano; ma i ripetuti sforzi del Mar-
zoilo e deir Ascoli rimasero sinora senza effetto, perchè
mal sorretti dal cittadino concorso, e il tributo che il Bel
Paese paga alla scienza è ben lungi dall'essere propor-
zionato alla naturale dovizia de' suoi mezzi.
Io ben m'avveggo, che la severità d'un tal linguaggio
potrà per avventura dispiacere a taluni men curanti del
reale, che dell'apparente onor patrio, e sento quanto meno
si convenga a me, che in sommo grado abbisogno della
pùblica indulgenza; ma sento altresì che verrei meno
del tutto al propóstomi fine, ove perlai riguardo avessi
a sopprimere una confessione sincera che reputo efficace
a conseguirlo; che se, in onta a questa schietta dichia-
razione, l'ingenua franchezza avesse per avventura ad
attirarmi addosso la sfèrza della crìtica, e peggio ancora
quella d'un ingiusto risentimento, sorretto dalla santità
del fine, e forte nella coscienza del buon volere, non
lascerò di ripètere coli' Ateniese : Ballimi pure; ma
ascolla I
A prevenire impertanto ogni fallace interpretazione,
od a provare col fatto quanto più mi stia a cuore il ce-
XlY PREFAZIONE
Icbrarc solcniiemeiile le glòrie patrie, anziché Io sco-
prirne le mende, valga una ràpida ispezione degli scritti
del conte GarP Ottavio Gastìglioni sommo filòlogo ed ar-
cheòlogo milanese, che mi compiaccio porre in fronte
a^ miei pòveri Studj , onde ben più col suo nòbile esem-
pio, che non colle mie esortazioni, infervorare la facol-
tosa generazione crescente a seguirne le traccie.
liilijflli&iiiiiiìi
nllJliiJ 'IllJi
DELLA VITA
E
DEGLI SCRITTI
DEL CONTE
CARLO OTTAVIO CASTIGLIONI
Il sesto anno è ornai trascorso , dacché Milano e con
hsssL Europa tutta deplorano la pèrdita irreparàbile d^uno
de^piii benemèriti luminari del sècolo nostro, del conte
CarF Ottavio Castiglioni. Eletto al nòbile ufficio di an*
noverare le precipue virtù che gli assegnarono un seg-
gio distinto nel Pàntheon della patria, non ìo^ protra-
endo il generale lamento , turberò colle pietose làgrime
che sinbra ne confortarono le céneri la gioja cittadina ,
che orgogliosa ne consacra quest^oggi F effigie alP ammi-
razione ed air esempio de^ pòsteri ^*); né intrcccierò le
(1) Questo Discorso fu letto il giorno 5 settembre 185», nella
grand' àula deirl. R. Palazzo delle Scienze, Lettere ed Arti, per
la solenne inaugurazione della statua monumentale, òpera del va-
lente scultore Antonio Galli, eretta nel gran cortile del Palazzo
medésimo, onde onorare la memòria dell' illustre defunto , per cura
d'una Società di ammiratori.
XVI DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
tetre viole e i pallidi giacinti del sepolcro fra le splèn-
dide corone di gloria perenne da lui cólte nelP operosa
sua vita. Dappoiché ben a torto si piange estinto colui ,
che vive nel puro affetto de^ suoi concittadini; il cui nome
glorioso sta improntato con caràtteri indelèbili nei fasti
delle lèttere e delle scienze; e che legò morendo alle età
future i preziosi frutti de^ profondi suoi studj.
Incalzato dalla brevità del tempo concesso a tanto su-
bietto, non mi soffermerò punto a ricordare, come il conte
GarP Ottavio traesse nel 1784 i natali da ricca famiglia
patrizia milanese, che sin dai sècoli di mezzo numerava
una schiera d^ illustri antenati, assai benemèriti della pa-
tria, sia che nel bollore delle fazioni versassero il sangue
sul campo di battaglia a tutelarne T indipendenza, sia che
dalFalto dei rostri od al fianco de^ principi reggessero il
destino dei pòpoli , sia che insigniti della sacra pórpora
emergessero nei Concilj campioni della santità del Van-
gelo, sia che dalle cattedre universitarie o dal recesso
ilei loro studj dettassero gli inconcussi precetti del diritto,
od insegnassero al Cortigiano i suoi doveri verso il prin-
cipe, ai prìncipi Farte di governare le nazioni (*\
(1) La famiglia (Jastiglioni fu già illustrata dal conte Pompeo
bitta fra le Celebri d^ Italia, Nel vòlgere di sette sècoli d'esistenza
venne suddividendosi in più rami, ciascuno de' quali noverò parec-
chi uòmini distinti in ogni magistratura polìtica^ miliXare e religiosa.
Per accennarne alcuni fra i principali, si distìnsero nella carriera
dell'armi: Baldassare, che fu condottiero d'armati presso il duca
Filippo Maria Visconti , indi commissario generale degli esèrciti
sforzeschi ; Cristoforo, condottiero presso il marchese di Mantova, uno
degli eroi che si distinsero alla battaglia del Taro contro Carlo Vili;
Giannotto, Gran-Maestro dell'Ordine di s. Lazzaro; Sabba,procura-
tor Generale dell'Ordine Gerosolimitano, che difese Rodi contro i
DEL CONTE CARL' OTTAVIO CASTIGLIOM XVII
Oggimai le magnànime imprese degli avi non passano
più coi feudi in retaggio ai nepoli; ne aquista gloria
Turchi. Fallo Commendalor di Faenza, vi fondò parecchi pìi Isti-
tuii , e legò ai pòsleri, morendo, il celebre suo libro intitolalo:
Ricordi^ nei quali si ragiona delle materie che si ricercano a un
K^ro gentiluomo. Nella carriera ecclesiàstica emèrsero precipua-
mente: Goffredo, che nel i241 fu assunto al Pontificato col nome
di Celestino IV; i due Branda, il primo deiquali^ dopo essere stato
lettore di cànoni neiruniversttà di Pavia, fu eletto véscovo di Pia-
cenza ; nel Concilio di Pisa contribuì alla deposizione di Benedet*
to XIII e di Uregorio* Xli , non che all'elezione di Alessandro V.
Fatto cardinale , fu legato in Germania, in Boemia, in Polonia e in
Ungheria; si distinse nel Concilio di Costanza, ove pure contribuì
alla pace della Chiesa , promovendo Martino V al Pontificato. Fu
successivamente véscovo di Lisieux, di Porto e di Sabina; emerse
nei Concilj di Basilea e di Firenze; e legò, morendo, alla patria l'in-
signe Collegiata di Castiglione, ed un Collegio in Pavia, il secondo
Branda fu prima véscovo di Como, poi ambasciatore io Francia,
vicario ducale in Genova, Comandante della flotta pontificia a Cùr-
zela e governatore di Roma. Giovanni, che dopo èssere slato let-
tore neir università di Pavia , fu consigliere alla corte di Gianga^
leazzo Visconti ; indi véscovo di Vicenza. L'altro Giovanni, che dopo
èssere stato eletto successivamente véscovo di Coulance e di Pavia,
fu cardinale legato nella Marca d' Ancona. Giangiàcomo , che fu
lettore di diritto nell' università di Pavia, indi arcivéscovo di Bari
ed abate di s. Abondio in Como. Nella carriera politica, scientìfica,
e letterària è assai ragguardévole la serie dei Castiglioni illustri.
Citerò solo fra i principali: Corrado che fu Podesli di Cremona, e
che autorevolissimo in patria sollevò i Torriani alla signoria di
Milano; Franchino, che fu lettore di diritto nell'università di Pa-
via, poi consigliere alla corte di Filippo Maria Visconti, ambascia--
tore ai Fiorentini, ai Genovesi, ai Veneziani, alla Casa di Savoja ;
caldo promotore della libertà milanese all' estinzione dei Visconti ,
e per ùltimo consigliere del Duca Francesco Sforza ; Guido, che,
adottato in figlio dall'arcivéscovo Ottone Visconti, fu Podestà di
Como, e nel |2SG àrbitro della pace conchiusa in Lomazzo fr^ i
Xyill DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
colui, che porta seco nascendo un nome illustre; ma
bensì quei che lo illustra colla nobiltà dette proprie azioni.
Tale -appunto, o Signori, fu il conte CarF Ottavio Casti-
glioni.
Dotato dalla natura di tenace memòria, di acuta e facile
Torriani e i Visconli; Guarnerio^ già lettore di diritto neiruniver-
sità di Pavia, che fatto consigliere alla corte di Filippo M. Viscon-
ti^ sostenne molte importanti ambascerìe ^ sicché fu investito del
feudo di Garlasco nella Lomellina; alia morte del Duca^ essendosi
Milano costituita in repùblica^ Guarnerio fu eletto al supremo ma-
gistrato de' Capitani; e quando la città cadde in potere dello Sfor-
za^ fu il capo della delegazione spedita a Ylmercate ad offrirne al
nuovo duca il dominio; Cristoforo^ che per la profonda dottrina in
giurisprudenza fu snrnominato Monarca delle leggi, e lesse sue*
cessivamente nelle università di Pavia, di Parma, di Torino e di
Siena ; finalmente Baldassare già confidente del marchese di Man-
tova, poi del duca d'Urbino, del quale fu ambasciatore a Londra,
a Milano , a Roma ed a Madrid ; che militò contro i Veneziani, du-
rante la lega di Cambra!, e che fra Tanni , fra gli intrighi polìtici
ed il frastuono delle Corti , dettò fra gli altri queiràureo libro in-
titolato Il Cortigiano, nel quale si mostrò non meno terso scritto-
re, che profondo polìtico e filòsofo. Nò fa d'uopo rintracciare nei
sècoli trascorsi le celebrità della famiglia Castiglioni, la quale serbò
senza interruzione il proprio lustro sino ai giorni nostri ; dappoi-
ché il padre di Cari' Ottavio, li conte Alfonso, si rese sommamente
benemèrito della patria, coltivando con onore le scienze naturali,
e fungendo con retta mente e magnànimo cuore le alte magistra-
ture ; sicché creato conte dall' imperatrice Maria Teresa, fu poi sol-
levato alle somme dignità del regno dall'Augusto Monarca France-
sco 1. Né si rese meno benemèrito del suo paese il cavalier Luigi,
fratello di Alfonso, che dopo alcuni viaggi in America introdusse
pel primo in Europa nuove piante ùtili all'agricoltura; riunì una
preziosa collezione di monete patrie da lui legata all'Ambrosiana;
e sostenne con onore la Presidenza dell'Academia di Belle Arti
in Milano, non che la dignità di Senatore delo'egno d'Italia.
DEL' CONTE GÀRL' OTTAVIO CÀSTIGLIONI XIX
penetrazione, di retto critèrio e di quanto costituisce un
potente e lucido ingegno;» sin dagli anni giovanili si rese
delizia delF affettuoso , non men che dotto genitore , il
quale profondamente versato nelle scientifiche discipline^'
sulle proprie orme lo vide procèdere a passi da gigante
nei clàssici studj, àvido di aprirsi il varco al campo incorna
mensuràbite della scienza, ove ben presto dovea conqui-
stare tante splèndide corone. Nato ed educato perla scienza,
e strascinato da irresistìbile avidità di sapere, ei tutti ri-
volse gli anni suoi giovanili allo studio, togliendo le ore
al sonno ed ai passatempi , giacqhè era per luì sollievo
r alternare le discipline scientifiche; e mentre erudiva la
mente alla scuola dei clàssici greci e latini colla scorta
del Prefetto deìV Ambrosiana D. Gaetano Bugatti , perfe-*
zionava il già retto critèrio al crogiuolo delle matemàtiche
dottrine, guidato dal Padre Raccagni;e giovanetto ancora
s^ addentrò negli artificiosi penetrali del càlcolo per modo,
che tutta percorse ed afferrò col lùcido ingegno la Mecà*
nica celeste del celebre La Place.
Sebbene del pari iàgèvole a lui tornasse V addentrarsi
in ogni ramo scientifico , sia che tendesse la mente alle
scienze naturali, nelle quali unitosi al genitore volgeva
t dalla germànica nelP italiana favella i pregiati lavori di
Sprengel e Link sulla fisiologia vegetale, sia che sor-
retto dal presidente Maineri attendesse alle dottrine ed
alla stòria del diritto, nelle quali emerse per modo, da
misurarsi coi più valenti jurisconsulti, ciò nulla di meno
il prepotente suo genio sospingèalo sempre a coltivare dì
preferenza gli studj stòrici e filològici, quasi presago del
sommo lustro eh' egli avrebbe ai medésimi recato.
Avvedutosi impertanto non potersi maturare qualsiasi
XX BELLA VITA E DEGLI SCBITTI
studio senza la cognizione delle lingue più eulte, onde
esaminare in ciascuna i rispettivi trattati , égli attese di
buon'ora ali^aquisto delle medésime, e yi fece i più rà-
pidi e proiiigiosi progressi. Senza far cenno della greca e
della latina, scopo fondamentale de^ primi suoi sludj, ucIIq
quali era aopratutto profondamente versato, già' sin dalla
giovinezza aveva egli appresa la tedesca in Vienna , ove
in sullo scorcio del passato sècolo lo avea condotto F av-
venturato genitore; per modo che quel feracissimo in-
g^no non ebbe d'uopo di lunghi studj, quando rivolse
la mente alla castigliana , alla portoghese , alla francese
ed alla valacca, tanto affini alla latina^ o quando volle
impossessarsi deir inglese, della neerlandese , della fri-
sica, della danese, delP islandese e dei molteplici dialetti
germànici e scandinàvici affini tra loro ed a parecchie
famiglie deir Asia e delP Europa. Né le cognizioni di tal
gènere dal Castiglioni aquisite coi proprj studj e quasi
senza maestro, èrano superficiali, o dirette ad aquistarsi
una stèrile fama di poliglotto, ostentando, in pùblico o^
in privato, spettàcolo straordinario di prodigiosa memoria;
ma del pari modesto che sapiente, mentre studiava la fi-
losofia delle lingue , analizàadone gli elementi ed. inve-
stigandone r intimo organismo, considerava la cognizione
delle medésime come preliminari di più ùtili studj, come
materiali indispensàbili a procèdere nelle importanti dU
squisizioni stòriche ed etnogràfiche.
£ perciò non fu egli pago delle molte lingue europee
antiche e moderne pienamente aquisite; ma rivolse ben
più severi studj, e consacrò lunghe veglie alla cognizione
dell'ebràica, onde aprirsi facile il varco alla famiglia dell^
semitiche dette volgarmente orientali; e colla fermezza
DEL CONTE CARL* OTTAVIO CASTIGLIOM XXI
delP indòmito volere, colla costanza di chi, conscio delle
proprie forze , affronta ed atterra ogni ostàcolo, giunse
in breve tanl^oltré, che fatto padrone della lingua ara*
bica antica e moderna , non che de^ dialetti de^ Bèrberi
e de^ Beduini , della lingua turca e della persiana , spaziò
con sicuro piede nel regno di quelle importanti lettera-^
ture, e dettò ben presto alP Europa T illustrazione de' più
astrusi monumenti orientali.
Con tanto apparato d' erudizione , con sì dovizioso te-
soro di materiali, non è maraviglia, se il Castiglioni svolse
con pienezza di dottrina le più ardue controversie scien-
tìfiche sottoposte al suo tribunale, e se coscienzioso e
diligente osservatore, ampliò di nuove ed importanti sco-
perte le scienze da lui con maggiore costanza e con ispe-
ciale predilezione coltivate.
Un primo Saggio bastévole a collocarlo fra i più distinti
filòlogi d^ Europa diede egli sin dall'anno 1817, quando
gii furono comunicati dalP abate Angelo Maj , dottore
dell'Ambrosiana, i Còdici rescritti da quel benemèrito
Colombo delle biblioteche allora appunto scoperti; dap-
poiché sebbene raschiati in tarlate pergamene, sebbene
in caràtteri ed in una lingua in parte ancora sconosciuta^
e mascherati da estràneo scritto sovraposto,ei non tardò
a riconóscere i preziosi frammenti della gòtica versione
ulfilana del Vecchio e Nuovo Testamento, e concepì Tarduo
disegno di ridonarli alla luce, facendone tesoro per la
compiuta rislaurazione della lingua dei Goti.
E noto, come sin dalla metà del IV sècolo, quando i
Coti già sommessi alle dottrine evangèliche stanziavano
ancora in Dacia, il loro véscovo Ulfila volgesse nella na-
tiva lor lingua l' A. e N. Testamento ^ primo e forse ùnico
ILXn DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
monumento letteràrio di queir importante idioma ^^h Seb«*
bene T originale di quel vasto lavoro andasse nelle poste-
riori emigrazioni smarrito, non v^lia dubio che, trattane
dosi del Còdice fondamentale del culto , se ne moltipli-
cassero gli esemplari per òpera dei copisti, màssime ove
si consideri , che i Goti si diffusero in sèguito in varie
regioni , fondando separati regni in Italia , in GalKa e
nella penìsola ibèrica. Ciò non pertanto questa loro dis-
persione fra pòpoli inciviliti di vario stìpite influì pre-
cipuamente ad alterare e modificare le primitive loro im-
pronte nazionali , e quando soprafatti da nuovi conqui-
statori scomparvero alla loro volta, fondendosi colle na-
zioni poco prima loro soggette, scomparvero altresì coi
monumenti le ùltime vestigia della lor lingua, come pur
troppo vennero meno del pari le vestigia sinora invano
desiderate delle lingue dei Franchi , dei Vàndali , degli
Alani ^ dei Marcomanni, dei Gepidi, degli Unni e di tanti
altri pòpoli sovvertitori delle romane provincie.
(1) La versione ulfilana può dirsi infatti il solo monumento su-
pèrstite della lingua gòtica ^ mentre non possono risguardarsi come
monumenti lettcrarii le poche reliquie d'altro gènere sin ora sco-
perte. Tali sono : un contratto di véndita fatto dal clero di S. Ana-
stasia in Nàpoli, il quale è scritto in latino, e contiene a' piedi
quattro testimonianze in lingua gòtica ; monumento che appartiene
al principio del VI sècolo , e fu publicato da Sjerakowsky e da
Massmann. Altro simile manoscritto dello stesso tempo^ che esisteva
in Arezzo, col quale un diàcono goto chiamato Gottlieb vendeva
ad un altro detto Alamud un podere , era pure scritto in bàrbaro
latino, e la sola testimonianza di Gottlieb vi si legge in lingua gò-
tica. Questi due monumenti furono publicati ed illustrati da Zahn
neir òpera : Fersìàch einer Erlàuterung der gothischen Sprachiiber-
reste in Neapelund^ vezzo j aU eine Einladungsschrift undJ^eilage
ènm Ulphìhs vm 7. C. Zahn. — Braunschrveig ^ 180*.
DEL CONTE C\RL' OTTAVIO CA3TIGLI0NI XXIH
Per buona ventura non tutti i monumenti dei gòtico
idioma furono dalle successive devastazioni distrutti, dap-
poiché alcuni frammenti della versione ulfiiana dei quattro
Evangelj si rinvennero in un Còdice del V secolo da gran
tempo serbato nel monastero di Werden in Westfaiia,
d' onde dopo varie vicende passò a decorare la reale bi-
blioteca d^Upsala. Questo Còdice prezioso, detto argènieOy
perchè le lèttere vi erano improntate con foglietle d' ar-
gento, qual ùnico monumento supèrstite d^una lingua
da oltre dieci sècoli obliata, fu publicato sin dal 1665
dalle congiunte cure di J}inius e di Marshall, colla versione
anglo-sassone-, e ristampato pochi anni dopo da Stiern-
hielm a Stocolma, colle versioni islandese, svezzese, te-
desca e latina , onde stabilire , mercè il raffronto delle
lingue, r antico nesso dei Goti colie nazioni germaniche
e scandinàviche (0.
Altro frammento della versione ulfiiana dell'Epìstola
di s. Paolo ai Romani fu scoperto intorno alla meta del
sècolo passato da Knittel a Wolfenbùttel , in un palinsesto
(1) Lingua Sueo-Gothica, etc, locupletata et illustrata. Bolmice^
4671. Una terza edizione del còdice argènteo fu pure apprestata
dal D. Benzel, e publicata da Lje ad Oxford nel 17»a colla ver-
sione latina e con parecchie osservazioni gramaticali. Questo còdice
dal monastero di Werden fu primamente trasportato a Praga nel
sècolo XVII, allo scopo di sottrarlo alla devastazione della guerra;
ma essendo questa città caduta in potere del conte Kònigsmark^ il
còdice passò in proprietà degli Svezzesi, e fu quindi deposto nella
biblioteca di Stocolma. Quando Vossio visitò la Svezia, riuscì a fame
Taquisto e lo portò seco in Olanda. Qui fu nuovamente venduto
nel 1665 a PuÉfendorfio incaricato dal conte De la Cardie, il quale,
dopo averlo fatto sontuosamente legare in argento, lo porse in dono
alla biblioteca di Upsala.
»
XXIV DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
deir ottavo sècolo, detto poi Còdice Carolino, percliè pu^
biicato nel 1761 a spese dì Carlo duca dì Brunswick.
Sul testo gòtico del .Còdice argènteo primo s^ accinse il
valente filòlogo Hickes a determinare in un lavoro gra-
matìcalc il naturale organismo di quella lingua ^*\ e poco
dopo Edoardo Lye tentò compilarne il glossario (^); ma
Tono e l'altro, mal discernendo le svariate forme ed in-
flessioni delle gòtiche radici, le scambiarono sovente colie
anglo-sàssoni , alle quali si sforzarono ravvicinarle , co-
m'ebbe a dimostrare più tardi Erasmo Rask nella erudita
prefazione alla sua gramàtica anglo-sàssone (^). Più tardi
una serie dì ingegnose osservazioni gramaticali trassero
da quei due Còdici con più retto critèrio llirc e Fulda a
Weisseniels (^), sebbene, come venne in sèguito chiarito
(1) Questa Gramàtica^ già publicata dairaiUore sin dall'anno 1689^
col titolo : Institutiones grammaticoe Anglo-SaxonicoB et Moeso-
Gothicce^ formò poi la prima parte della grand-opera intitolata: Lin-
gùarum {^eterum septentrionalium Thesaurus ^ auctore Georgia Hi-
ckesio. Oxoniij 1708.
(2) Dictionarium Saxonico-Gothico-Latinum^ auctore Eduardo
Life. Accedunt fragmenta versionis ulphilanwj oc. Londini^ 1781.
(5) Angelsaksisk Sproglcerej tilligemed en kart LoBsebog. Sto-
ckholm^ 1817.
• (4) Ihre J. Scripta vm^sioneni ulphilanam et linguam Moeso-
Gothicani illustrantia. Edidit J, F, Biisching, Beroimi, 1775. —
Fulda F, K, Mòsogothische Sprachlehre und Glossar j letzteres
Umgearbeiiet pon V. F. H, Beinwaldj in Ulphilas Bibeliiberse-
tzungy herausgegeUn von J. Ch, Zahn* Weissenfels^ 1808. —
Oltre alle òpere sin qui mentovate, parecchi scritti di singolare
importanza vennero più tardi in luce ad illustrazione cosi delle
reliquie della versione ulfilana , come della gòtica lingua , i quali
peraltro, lungi dall'avere servito di guida al Castiglioni, come ir-
reiragabilmente attestano le date delle rispettive pnblicazionì ,
DEL CONT£ CARL'OTTAVIO CASTICLIOM XX?
dal dottor Jacopo Grimm ^^\ non fossero seevte di ine-
sattezze è di errori; per modo che il gran problema sulle
forme primitive della lingua dei Goti rimase in parte ir*
resoluto, né la esiguità dei materiali supèrstiti lasciava
sperare un più felice futuro risuUamenlo.
Mentre i più distinti filòlogi inglesi , tedeschi e scandi-
nàvici se ne disputavano invano la soluzione, da questo
remoto angolo dMtalia comparve d^ improvviso neir agone
Carl^ Ottavio Gastiglioni , colle doviziose relìquie dei pa-
linsesti ambrosiani, e sedendo àrbitro fra loro, coir au-
torità dei fatti avvalorata da una serie di osservazioni e
raziocinj, dissipò le dubiezze, rettificò gli errori ed ar-
ricchì di nuovi elementi la gramàtica ed il lèssico sin al-
lora appena incoati.
Già sin dalPanno 1819, associando la propria dot-
trina alle cure del benemèrito scopritore, publicò un primo
Saggio della versione ulfilana, preceduto da un^ erudita
prefazione ; e produccndo fra gli altri alcuni frammenti
dei libri d'Esdra e di Neemia, provò col fatto, come Ul-
fila traducesse non solo il N. Testamento, come s'era cre-
duto sin allora, ma altresì T Antico (^). In sèguito attese
furono in quella vece maturati sugli scritti del Gastiglioni medési-
mo. I principali sono : Skeireins ^ivaggeljons tfmirh Johannen-
^uslegung des Efpangelii Johannis in goth. Sprache, ecc. Erlàu-
tert und hcrausgegeben von H, F. Massmann. Miinchen^ 1834.—
Ulfilas. Feteris et Novi Testamenti versionis gothicce fragmenta^etc.
Cum glossario et grammatica Gothica edidenmt II, C. de Gabe-
lentz et Loebe. Jfltenb. et Lipsice, 1836-45. Voi. 2.
(i) Vedi: Deutsche Grammatik. Gòttingen^ 1819-40.
(2) UlpIiilcB partium ineditarum in Jtinbrosianis palimpsestis ab
u4ngelo Majo repertarum specimen ^ conjunctis curis eju^em Maji
et Caroli Octavii Castillioncei editum. Mediolàni^ 1819.
XXVI BELLA VITA E DEGÙ SCRITTI
con pertinace costanza a decifrare gli incerti caràtteri
sulle sdruscite perganiene, sinché tutte ebbe recate salve
in porto le tavole dì quel naufragio. Mei 1829 diede alla
luce per intero la seconda epìstola di s. Paolo ai Corintj,
corredandola d^ una versione latina , di profonde osserva-»
2Ìonì filològiche e di un nuovo glossàrio (^). Nel 1854,
onde soddisfare alF impazienza dei filòlogi settentrionali,
publicò senza versione, ma con ampio corredo di note,
i frammenti supèrstiti delle episteme di s. Paolo ai Romani,
ai Gorintj ed a quelli di Efeso (^^^ nelPanno successivo
le reliquie di quelle che lo stesso Apòstolo dirigeva agli
abitanti di Galazia , di Filippi , di Colosse e di Tèssalo-»
nica (9); e compieva la diffìcile impresa nel 1839, met-
tendo in luce i frammenti della seconda epìstola a que*
dì Tessalònica, non che delle epìstole a Timòteo, a Tito
ed a Filemone (^).
(i) Ulphilm gothica Persio dm Pauli od Corinlhio$ secundas,
qvam ex AnibrosiantB Biòliothecce palimpsestis depromptam^ cum
interpretationej adnotatianibus ^ glossario ^ edidit Carolm Octavius
Castillioncens. Mediolani j 1829.
(2) GothiccB persionis epistolarum dm Pauli ad Bomanos^ ad
Corinthios prim(e^ ad Ephesios qum supersunt, ex jimbrosiance
Bibliot/iecce palimpsestis deprompta^ cum adnotationibus edidit
C. O. Castillionasus, Mediolani^ 4834,
(5) Gothica ipersionis epistolarum divi Pauli ad Galatas^ ad Pài-
lippenses^ ad Colossensesj ad Thessalonicenses primce quiB super-
sunt, ex jimbrosiatuB BiblioUìeccd palimpsestis 4^prompta, cum
adnotationibus edidit C. O. Castillionceus, Mediolani, 1855.
(4) Gothicw versionis epistolarum divi Pauli ad Thessalonicenses
secunda, ad Timotheum, ad Titum, ad Philemenem quw supersunt,
ex AmbrosioMB Bibliothecm palimpsestis deprompta, cum adnotatio-
nibus edidit C. O. CastiUionwus. Mediolani, 1859,
DEL CONT£ CARI/ OTTAVIO CASTIGL10M XXVII
Per tal modo , e per la copia dei preziosi materiali con
coscienziosa diligenza ed instancàbile zelo da lui serbati
alla scienza , e per la profonda dottrina colla quale li
venne illustrando, ei fu a buon diritto salutato da tutta
Europa fra i più benemèriti ristauratori deir antica lingua
dei Goti, il primo che rivelasse in essa Panello di con-
giunzione tra le antiche lingue germaniche e le scandi**
nàviche.
Sebbene la solerte operosità richiesta dalla natura di
simili lavori , e la vasta dottrina indispensàbile onde in*
traprènderli e condurli a compimento, possano per awen*
tura bastare a riempiere ed illustrare V intera vita d' un
uomo , ciò nulla di meno la publicazione della versione
nlfilana non fu se non una parte dei lavori e degli studj
svariati del nostro benemèrito concittadino , un Saggio
degli importanti servigj da lui più tardi tributati alle
scienze.
In fatti, nel tempo stesso in cui ristaura va* colla ver-
sione ulfilana la lingua dei Goti, dettava ancora pel primo
air Europa il Còdice fondamentale della numismàtica arà-
bica; e neiranno medésimo in cui produsse il primo Saggio
della gòtica versione, mise in luce quel miràbile capo-la-
voro, che sotto il sémplice tìtolo : Monete Cùfiche delVL R.
Museo di Milano y racchiudeva per la prima volta in bel-
r órdine disposta tutta la teòrica relativa all'illustrazione,
ben più che delle trecento monete cùfiche del Museo mi-
lanese , di tutte le moltéplici serie dei monumenti degli
Arabi. Invitato dal mio benemèrito antecessore Gaetano
Cattaneo a voler ordinare neir I. R. Museo le monete
aràbiche da lui in alcuni viaggi aquistate, il Castiglioni,
con quella magnànima benevolenza , colla quale finciiéi
XXTill DELLA VITA E MGLI SCRITTI
visse era tutto di tolti, accondiscese di buon gr^do all' in-
vito, porgendo una compiuta illustrazione dei jnonunìenti
che gli si posero inanzi , interpolata da erudite e pro-
fonde osservazioni , nelle quali la vastità della dottrina
gareggiava colla potenza deir ingegno. Ma quasi ciò non
bastasse ali? insaziàbile sua mente, volendo pur rèndere
ragione del mètodo da lui tracciato nella classificazione
di tanle serie metàlliche, fe<^e precèdere quell'arduo la-^
voro da una prefazione, nella quale, col modesto titolo
dì Ossers^azioni preliminari, dettò appunto i cànoni fon-
damentali della scienza, che saranno sempre sicura guida
agli orientalisti futuri.-
Fedele intèrprete e depositaria della meravigliosa istòria
di quel pòpolo errante^ che dagli àridi d^crti dell' Arabia^
sospinto da religioso fanatismo, estese il vessillo di Mao-
metto dal Gange alP Atlàntico, dalle sorgenti del Mio e
dai deserti deirAffrica sin nel cuor dell' Europa , la Nu-
mismàtica cùfica abraccia un periodò stòrico di quasi nove
sècoli, e quindi suddìvidesi in tanti rami quanti furono
i regni da quel pòpolo fondati, non solo, ma quante an-
cora furono le sette religiose nelle quali si suddivise, e
quante le dinastie che in quel lungo perìodo si succèssero
nel Califfato o nel reggimento di tante separate regioni.
Ed appunto a tracciare questo quadro generale della
scienza coordinato sulF autorità dei monumenti, cominciò
col tèssere un' istòria dell' Islamismo nei primi otto sé*
coli delV Egira considerato relativamente alla moneta.
Seguendo quindi il mètodo dell' Eckhel nella sua Doctrina
niimprum veterum, procedette alla disàmina delle epigrafi
relative alla religione!^ nella quale, svolgendo i dissidii
dplle varie sette islamitiche, porse i caràtteri distintivi dei
DEL COISTE CAHL' OTTAVIO CASTIGLIOM XXIX
rispettivi loro monumeoti; dalle epìgrafi passò alla ispe-?
zione delle imàgioi, ciò che gli porse argomento a nuove
ed importanti osservazioni, mostrando nei monumenti degli
Arabi T orìgine delle imprese aràldiche d'Europa. 11 suo
breve escurso sui nomi e sul valore delle monete dei yarj
Califfi è un profondo trattato di economìa polìtica fondato
sul sistema monetàrio dei medésimi, e comparato a quello
degli altri prìncipi d' Asia e d' Europa ; e le belle osser*
vazionì sui caràtteri improntati sulle monete dei varj Ca*
lì(H e dei varj tempii col^e quali chiudeva i preziosi preli-
minari, pòrgono una compiuta istòria delF àraba paleo*
grafìa.
Non v^ha argomento, che il Castiglioni non isvolgesse
colla vasta erudizione del dotto, colla profondità' del filò-
sofo, colla esuberanza e dignitosa modestia del vero sa-
piente; e dovunque rivolse il penetrante suo sguardo
lasciò improntate luminose tracciedcl portentoso ingegno.
Tra le serie de^ monumenti aràbici neiraccennato capo-
lavoro illustrati tròvansi ancora i vetri, o paste di forma
simile a quella delle monete, le quali, perchè improntate
di epìgrafi cùfiche , del pari che te più antiche monete
degli Arabi, furono dagli eruditi collocale in questa classe;
Wormio pel primo sin dal sècolo XVII avea fatto cenno
di monete di vetro rinvenute in Sicilia (*); in sèguito
parecchie furono publicate per cura di Adler e di Asse-
mani, che le risguardàvano pure quali monete; e se più
tardi alcune epìgrafi ambigue destarono qualche dubio al
De Sacy, ad Olao Tychsen, ed a talun altro, ciò fu per
(1) ^pud Eilianum Siorceum, Opmcula. T. II, pag. 210.
XXX MLLÀ YITA E DEGLI SCRITn
considerarle come tèssere , anziché come monete. Il Ca-
stiglioni, fondato sugli ineluttabili argomenti, che il vetro
fu antica matèria di estesissimo commercio, che in regioni
poste a vicino contatto cogli Arabi ed in varie contrade
deir Affrica, ancora o^idi tengon luc^o di moneta i glo-
betti di vetro, detti appunto coti torte, forse dal verbo con--
tare W * che il nùmero considerévole dei vetri cùfici a«
vrebbe potuto spiegare la pretesa deficienza della moneta
di rame al tempo e nella contrada cui spettano, segui da
princìpio r opinione più ovvia .e più accreditata , che li
annoverava fra le monete.
Non tardò però molto ad avvedersi del generale errore,
dappoiché il successivo esame di parecchi monumenti con-
gèneri Io condusse ben presto alla nuova ed importante
scoperta,' non èssere i vetri cùfici né monete, né tèssere,
ma bensì pesi destinati a verificare il peso delle monete;
la quale scoperta egli annunziò sollécito alF Europa sin
dairanno 1821(^), onde rettificare Fanteriore suo scritto,
e la riprodusse nel successivo anno in un secondo opù-
scolo, inteso come il primo a reprìmere la sfacciala im-
pudenza di chi, plagiando le sue nuove dottrine, avea ten-
tato usurparle ^^K Se non che, non pago quell'uomo in-
(1) Tale è T opinione emessa da parecchi scrittori vèneti e stra-
nieri, tra i quali citeremo: Bussolin^ nella Guida alle fàbbriche
vetràrie di Murano; Pillasi^ nelle Ricerche stòriccHTÌtiche mila
Laguna vèneta; Minutoli^ Ueber die Anf&rtigung und die Nutzan*
ivendung der farbigen Glàser; nop che i Fiaggi il Valentia e di
Brnce.
(2) Osservazioni sulV òpera intitolata: Descrizione di alcune mo-
nete cùfiche del Museo Mainoni. Milano^ iSSi^, pag. Itf.
(3) Nuove osservazioni sopra un plagio letteràrio ed Appendice
mi vetri con epìgrafi cùfiche, Milano^ tsas. — Il plagio del quale
PEL COIST£ CARL' OTTAVIO GASTIGLIOSl XXXI
stancabile del troppo àrido annunzio , SQorgendo , come
i dotti orientalisti d^ Europa , tra i quali lo Stickel , Arri,
Mortillaro e Pietraszewski , persistevano nel primo errore,
veniano modificandolo , chiamando quei vetri monete
OBsidionali y od assegnati ^^\ s^ apprestò a svòlgere su
più ampia tela la propria scoperta in appòsito lavoro ,
che sebbene di pìcciola mole, non è meno un monumento
irrefragàbile del colossale suo ingegno e della sua ster-
minata erudizione (*).
Anche qui, onde apprestare sòlide fondamenta al pro-
prio assunto, imprese a risòlvere alcuni àrdui problemi
delle scienze archeològiche ed econòmiche y e spaziando
è fatto cenno in queste osservazioni e nelle summentovate , era
stato commesso dal dottor Giuseppe Schiepati^ il quale, nella citata
Descrizione delle monete cùfiche del Museo Mainoni^ si valse, e
spacciò per proprie le nuove dottrine dal Castiglioni sviluppate nel
suo capolavoro Monete cùfiche dell' L B. Museo di Milano^ il
quale ^ sebbene stampato sin dal Ì8i9, non fu publicato se non
nel 1821.
(i) Lo Stickel, nello Handbuch zur morgenldndischen Muntz-
kunde {Leipzig^ ìShH)^ designa infatti i vetri cùfici come Glassas-
signaten oder Hùlfsmùnlzen. Arri sostenne la stessa opinione con
nuovi argomenti nel tomo XXXIX degli Atti di Torino; il barone
Mortillaro si adoperò onde convalidarla coir autorità dello stesso
àrabo Makrisi, male interpretandone il testo, come avverte il Ca-
stiglioni nella nota a pag. i del suo lavoro su questo argomento ;
e per ùltimo, Pietraszewski, nella sua òpera: Numi Mohamedani
(Berlino, 1843), distingue i vetri cùfici in due classi, Tuna di
monete j l'altra di assegnati.
1^1) Dell'uso cui èrano destinati i vetri con epìgrafi cùfiche j e
della orìgine, est^sione e dur/ita di esso. Memòriadi Carlo Ottavio
Castiglioni, Milano^ iB47. Questa Memòria fu dair Autore letta
presso ri. R. Istituto Lombardo di Scienze, ec, e quindi inserita
nel Giornale dell' Istiti^to medésimo, Tomo I della Nuova Serie.
XXXIl DELLA VI3A T DEGLI SCRITTI
con sicuro volo tra i sècoli remoli, e seguendo la stòria
deir umano incivilimenlo presso gli antichi pòpoli , sor-
retto sempre dall'autorità dei monumenti da lui medésimo
per la prima volta illustrati, non solo dimostrò air evi-
denza la propria scoperta , ma recò alla scienza nuovo te-
soro d' importanti rivelazioni.
Dopo una breve introduzione, nella quale viene con
rara dottrina enumerando le varie sostanze che nel vòl-
gere dei sècoli valsero di moneta pel cambio universale
presso ì varj pòpoli , e dove di passaggio rivendicò ai no-
stri padri r onore del sottile trovato della Caria mone-
tafa^^\ procede a dimostrare colF autorità delle epìgrafi
(i) Trattandosi di argomento^ che specialmente spetta alla stòria
del nostro incivilimento^ gioverà qui riferire la Nota, nella quale
ii Gastiglioni compendiava sagacemente le ragioni precìpue della
propria induzione. <f Le scoperte dei moderni, egli dice^ ci hanno
fatto conoscere, che molte delle invenzioni state attribuite agli
Europei derivano invece dalla Cina, d'onde penetrarono inosser-
vate in Europa^ sia per mezzo delle relazioni di commercio aper-
tesi nei sècoli di mezzo fra queir antico impero e gli Arabi, indi
colle repùbliclie d'Italia, sia più tardi ancora per quella comuni-
cazione che l'immensa, sebbene effimera, estensione dell'impero
dei Mogoli apri fra l'Occidente e T ùltimo Oriente. Quando consi-
deriamo, che la carta monetata fu inventata alla Gina sino dal sè-
colo IX, che vi ebbe corso per più sècoli, che di là, durante ap-
punto la dominazione mogòlica, fu introdotta, sebbene per poco
tempo e con èsito infelice, nella Persia, saremmo .tentati di cré-
dere con Langlès, che questa invenzione di tanta utilità, ma in-
sieme di tanto fàcile abuso, ne sia slata, come tante altre, di là in-
trodotta presso di noi. Consideriamo però d' altra parte , che la
Repùblica di Milano diede corso forzato alle sue carte di débito
sino dall'anno 1240. Osserviamo inoltre, che il banco pùblico già
introdotto in Venezia sin dal sècolo XII, mercè di un prèstito for-
zato, e chiamato in allora Càmera degli imprèstiti, vi aveva prò-
DEL CONTE CARL' OTTAVIO GASTIGLIOM XXXllf
improntate sui vetri e col raffronto del loro poso con
quello delle monete corrispondenti, desunto così dai mo-
numenti, come dai sistemi monetar], che dessi èrano dei-
stinati a constatare il -giusto peso delle monete medésime.
Dopo una serie d'altre prove di fatto passa a dimostrare^
come quest^ uso fosse già in pieno vigore sin dai primi
sècoli della monetazione islamitica, e continuasse di poi
presso la dinastìa degli Ajubiti , e sotto ai Mamelucchi ,
sia oltre al sècolo XIV; e come, sebbene proprio dell'E-
gitto , che somministrò il maggior nùmero di vetri cono-
sciuti, pure si estendesse ancora in Barbarla, nelPlrak e
persino in Sicilia. Accenna quindi, come gli Arabi affatto
rozzi al tempo delle loro conquiste, dovessero derivare
quest'uso dal culto Egitto, presso il quale l'arte di lavorare
il vetro da èpoche remotissime avea raggiunto somma per-
fezione ^^\ e del quale, in onta all'opposta sentenza della
babìlmente già dato orìgine alla circolazione delle carte di pùblico
débito; che in Milano, e così in Venezia, si diede corso alle carte
di débito liquidato ; e che invece alla Cina si emisero carte da rim«
borsare a tèrmine lontano. Osserviamo ancora^ che tutti questi fatti
sono anteriori all' època in che la carta monetata fu introdotta dai
Mogoli in Persia, ed anche a quella in cui i Polo padre e zio di
Marco intraprèsero i loro viaggi. Ciò considerato, verremo, credo,
neir opinione, che allo stato attuale delle nostre cognizioni intorno
a quest'argomento non può aversi per dimostrato, e forse neppure
per probàbile, che tale invenzione ci venga dalla Cina. »
(1) Basterà avvertire, come i diversi processi dell'arte vetrària
si trovino chiaramente rappresentati nelle grotte dipinte di Beni
Hassan ed a Tebe ; e come fra i varj antichissimi monumenti strap-
pati ai sepolcri siasi rinvenuta una palla di vetro verdógnolo, sulla
quale è improntato il nome del Faraone Amuneitgouri, che regnava
in sul principio della dinastia' XVIII, vale a dire alla distanza da
noi di circa tre mila ottocento anni.
XXXIV DEX.LA VITA E DECLf SCRITTI
moderna crìtica , difende T antichissimo incivilimento (^K
A provare la derivazione di quest'uso dall'antico Egitto
produce la testimonianza di varj monumenti congèneri
così dell' età faraònica , come dei tempi delia conquista ;
(1) Le osservazioni .del nostro Autore so questo grave argomento
sono cosi importanti^ ch'io reputo cosa ùtile riportarle letteralmente.
«E^li è vero bensì (cosi egli si esprime a pag. 51), che le scoperte
dei moderni hanno in gran parte scemata la fama di che godeva
un tempo la scienza degli antichi Egl^j. É vero altresì ^ che colui
cui , dopo Champollion , la cognizione delle antichità di quella na-
«ione va debitrice dei maggiori progressi, ha dimostrato con quella
estesissima erudizione di che è fornito, e con quel lùcido critèrio
che in esso lui sùpera Terudizìone stessa, come gli Egizj negli ùl-
timi periodi della loro indipendenza , ed avanti le conquiste dei
Macèdoni, molto apprendessero da quei Greci, che i re nazionali ,
posta in non cale l'antica gelosìa, lasciarono stabilire in mezzo di
loro. Egli è vero d'altra parte, che la moderna crìtica vuole anno-
verata tra le fàvole la venuta di antiche colonie egizie che abbiano
dirozzato i Greci , e che nega persino ai Greci dei tempi omèrici
qualunque precisa contezza delle cose d'Egitto. Però (prosegue egli
in nota separata ) i dati, sui quali si vuole esclusa la venuta di an-
tiche colonie egizie oiella Grecia sono fondati sopra assai déboli
congetture dedotte dalla poca simpatìa degli Egizj stessi pei viaggi
di mare. Una tal presunzione è per altro ben poca cosa a rispetto
della probabilità^ che Tantichìssima civiltà d'Egitto siasi comunicata
alla nazione greca, e più ancora a rispetto delle concordi tradi-
zioni dei Greci, che ci additano l'Egitto come autore del loro pri-
mo incivilimento. D'altra parte le turbolenze e le guerre civili che
agitarono l'Egitto all'època dei re pastori, e quelle che furono ca-
gione di tante mutazioni nella sede di quell'impero, possono colà,
come altrove, èssere state cause di emigrazioni ». Di questo passo
egli procede poi coi più incalzanti ed irrefragàbili argomenti a di-
mostrare rantichìs^imo incivilimento dell' Egitto di gran lunga an-
teriore ai tempi, nei quali la Grecia era ancora avvolta nella bar-
barie , e il sommo grado di perfezione che colà raggiùnsero molte
»rti e molte scienze.
DEL CONTE CAttL' OTTAVIO CASTiGLIONI XXXT
e risalendo agli antichi sistemi monetar] di quella regione,
sì fa a dimostrare, come gli Egizj non avessero moneta
propria nazionale avanti la dominazione persiana^ vale
a dire, nel tempo del màssimo loro Splendore; ma attri*
boìssero ciò nulladimeno, colle altre nazioni, ai metalli
nòbili r universale rappresentanza del valore della merce,
ciò che appunto imporlo la necessita d^averc istromenti
atti alla non fallace verificazione del peso dei varj metalli.
Né potèasi a tal uopo scegliere sostanza più opportuna
del vetro , dappoiché né i metalli , né le altre sostanze
comunemente adoperate allo stesso uso offerivano eguale
guarentigia. E qui sorprende lo scòrgere, come quelPuomo
straordinario traesse argomento da questo fatto a di*
mostrare con una serie d- esempj tolti dalla storia degli
antichi pòpoli , che una nazione può raggiùngere un alto
grado di civiltà e di potenza senza avere moneta impron*
tata. Cosi appunto i vasti imperi del Messico e del Perù
più ricchi d^ ogni altro in metalli nòbili, nelPéra ante*
columbiana èrano surti a gran potenza senza moneta di
sorta, né materia di cambio universale. Che se avèano
essi pure un sistema d'imposte e di gabelle, le prime
ventano pagate col lavoro , le seconde con parti aliquote
delle merci. Cosi nella più remota antichità presso le più
cuhe nazioni, ed ancora oggidì in molte contrade deirAsia
e deir Affrica, le conchiglie dette cauris furono e sono
la moneta corrente , come jo furono altresì lungamente
nella eulta Cina , ove conchiglia e ricchezza sono rap-
presentate con uno stesso caràttere. Così appunto ancora
adesso, come nei sècoli remoti, i Cinesi non hanno mo-
neta d^oro né d'argento, sebbene attribuiscano a questi
metalli V universale rappresentanza dei valori. Cosi gli
XXXTI BELLA VITA B DEGLI SCniTTI
Bbrei non ebbero moneta propria avanti il regime dei
Maccabei. Cosi Roma.ebbe solo moneta di bronzo sin oltre
la metà del V sècolo dalla sua fondazione ; né fra i rù-
deri delle potanti monarchie assira e babilonese si rin«
vennero ancora monumenti ai quali possa con ragione
attribuirsi carattere di monete.
Ed ecco /o Signori, come il Castiglioni collegava le più
àrdue questioni scientìfiche, e metteva a contribuzione la
scienza universale alla soluzione d^un sìngolo problema.
]Nè qui sta il tutto; dappoiché riscontrando egli nelle mo-
nete delle varie dinastìe che successivamente governarono
le Provincie poste lungo le coste affrica ne^ dàlia Cirenàica
cioè sino alla Mauretània, nomi enigmàtici di città, sul-
Vorigine, topografia e vicende delle cpiali la scienza errava
ancora in molte dubiezze , non pago d' aver compiuta,
r illustrazione delle monctp, volle che le medésime ser-
vissero ad illustrare l'antica geografìa di quelle remote
regioni , ciò che compì quasi per incanto in appòsito la«
voro da lui publicato nel 1826 in lingua francese, col
tìtolo : Mémoire géographique et numismatique sur la
partie orientate de la Barbarie appelée jifrikia par les
jirabes W.
in questa Memòria , che come tutti gli scritti del
Castiglioni racchiude un ampio tesoro di nuove dottrine,
sorretto sempre dai monumenti e dalle testimonianze degli
scrittori, egli non solavenne ordinando per la prima volta
(I) Milan, de Vimptimerie /. et R. i826 ^ in-8.'' Questa Memò-
ria è poi seguila da uà' altra intitolata : Becfiercfie$ sur les Berbè-
res ^tlantiques anciens habitans de ces contrees.
DEL CONTE €^aL' OTTAVIO CÀSTIGLIOM XXXVII
ìin trattato geogràfico deirAfrikia degli Arabi (^); ma svolse
altresì coii miràbile chiarezza la mal nota istòria delle
singole, città di quella vasta regione dalla loro orìgine
sino alla formazione degli Stati moderni, assegnando a
ciascuna il suo vero posto, non che la rispettiva importanza
commerciale , militare e polìtica nei varj tempi. Per tal
modo, mentre i dotti orientalisti d^ Europa disputavano
a lungo fra loro sulla retta applicazione di alcuni nomi^^
sul sito occupato da certe città, sulla dinastìa o sul prìn-
cipe al quale attribuire i monumenti affricani, laMcmò*
ria del Castiglioni apparve d'improvviso a spàrgere la
più vivida luce su quelle astruse controversie ; sicché da
queiristante non furono più enigmàtici i nomi di Àfrìkia,
di Malìdia, di Àbbasia, di Gairoan, di Mansoura, e d'altre
città fondate od illustrate dagli Àrabi ; sin d' allora fu
squarciato per sempre il v€lo che ravvolgeva le orìgini e
le vicende di Tunisi, di Trìpoli e di Algeri, e furono asse-
gnati a ciascuna i monumenti che le spettavano. Che anzi,
quasi ciò non bastasse al compiuto sviluppo del propóstosi
argomento, ei volle ancora sotto forma di Note^ poiché
male il comportava l'ordinato processo del principale su-
bietlo, svòlgere le orìgini de^ Fathimiti, degli Almoravìdi,
(i) VAfrìkia dei geògrafi orientali , oltre TAfrica propria dei
Romani composta delle due grandi provincie di Zeugitana e di
Byzacene., abracciava ancora le altre provincie marittime di Tri-
poli e di Namidia con una parte della Mauritania Ccesariensis^ e^
giusta l'opinione d'alcuni^ ancora la Cirenàica. Inoltre, ne^r interno
delle terre estendèvasi slVOasis d'Ammone e ad una parte del paese
dei Pfiazanii, Per tal modo, raffrontata alle divisioni geogràfiche
attuali, corrispondeva ai moderni Stati di Trìpoli e di Tunisi, alla
parte orientale di quello d'Algeri, SLÌVOmh di Siomh^ a Gadamis,
e ad una parte del regno di Fezzan.
XXXVIII DELLA VITA E DECLI SCRITTI
degli^ Almohadi , degli Agiabiti, non che i destini di aleunt
re di Tunisi e dì parecchie tribù separate, che alla lor
volta si ripartirono il possesso di quella vasta regione.
Per ùltimo , quasi ad Jppendice^ aggiunse ancora le più
ardite ricerche sulP origine dei Bèrberi atlàntici , antichi
abitanti dell' Affrioa settentrionale , rivelando pel primo ,
col sussidio della lingua da loro parlata affittto distinta
dalla pùnica, sebbene affine alle semitiche, e mercè la
concorde testimonianza degli scrittori, la loro derivazione
dairAsia occidentale in età remotissima di molto anteriore
al tempi stòrici de^ Greci e dei Latini.
A tanta dottrina , a tanto lustro recato alle lèttere ed
alle scienze, era ben naturale, che T Europa riverente
recasse debito tributo d^ omaggio e di riconoscenza; ed
infatti quasi tutti i più distinti Corpi scientifici si pregia-
rono annoverarlo fra i loro membri. Fra questi gioverà
ricordare le RR. Società asiàtiche di Londra e di Parigi ^
le RR. Academie di Svezia e Norvegia, di Baviera e di
Torino, la Società R. archeològica di Copenhagen, quella
della lingua tedesca in l^erlino e la Econòmica agraria di
Perugia, non che TI. R. Academia di Belle Arti in Milano;
e ben meritato contrassegno di stima gli largiva F Augusto
Monarca Ferdinando I, quando nel 1838 lo eleggeva al
seggio presidenziale delPf . R. Istituto Lombardo di Scien-
ze, Lettere ed Arti. Voi foste testimonj, o Signori, con
quanta sollecitùdine e prudenza ei reggesse questo illustre
Corpo scientìfico, ornamento precipuo della nostra me-
tròpoli; né certo è dà imputarsi a difetto di buon volere,
se nel troppo breve suo regime non gli fu dato impron-
tarvi orme più profonde della retta e magnànima sua
mente.
D£L qONTE CARL' OTTAVIO CASTiOLIONI XXWK
Sin qui liQ tentato adombrarvi alcuni fra gli scritti di
quel grand' uomo , dai quali più chiara emerge la* sua
vasta dottrina nelle scienze stòriche ed archeològiche ,
non che nelle lingue germàniche ed orientali propriamente
dette. Essa peraltro non era meno estesa nelle altre scienze,
nelle altre famiglie di lingue indo-europee, e persino nella
mogòlica, nella cinese e nella copta, alle quali avea rivolti
lunghi e pazienti studj. Ne diede irrefragàbile testimo^
nianza, allorché ragionando sul Lèssico della lingua copta,
publicato nel i83a in Torino dal tanto benemèrito filò-
logo piemontese Amedeo Peyron, estese un trattalo sui
caràtteri distintivi e suir istòria di quell'antica lingua; in^
stituì un confronto fra la natura della copta e quella
della cinese, non che tra i rispettivi loro sistemi di scrit-
tura ideogràfica; e svolse con rara dottrina i successivi
studii degli eruditi sui monumenti jeroglifici e demòtici
degli Egizj (*K Ne diede non meno lùcide prove, quando
illustrando il Còdice Cloziano publicato dalP erudito
Kòpitar a Vienna , si mostrò profondo conoscitore delle
lingue slave; e in onta alle dottrine proclamate dalla mo-
derna crìtica, capitanata da Dobrowsky, si fece a provare
la remota antichità delPalfabeto glagolitico che certamente
precorse al cirilliana (^l Ne diede convincenti prove, al-
(1) Quest'erudito lavoro del Casliglioni trovasi inserito nel Tomo
LXXXI della -B»6/f oteca Jtaliam^ a pag. 21, sotto il tìtolo seguente:
Lexicon lingwB copHccBj studio Amedei Peyron equitis, eie. Tau-
rini^ 1855.
(2) Quest'importante lavoro del Castiglioni trovasi inserito nel
Tomo LXXXll della Biblioteca Italiana, voi. II dell' anno '1836-, a
psig, aoo e segg. , ove col modesto velo dell' anònimo , rendendo
ragione dell'opera intitolata': Glagolita Clozianus, poco prima pu-
XL DELKiA VITA E DEGLI SCRITTI
lorcbè, commentando le Glossw di Malberga publicate
da Leo, si mostrò del pari valenle nelle lingue dei Celti,
blìcata in Vienna dal eh. Bibliotecario Bartolommeo Kòpitar^ prese
a sviluppare uno de' più astrusi e controversi problemi della lin-
guìstica. L'opera che diede occasione a questo scritto era intesa
a publieare ed illustrare un còdice antichissimo in lingua slava con
caràtteri glagolitici^ appartenente al conte Pàride Cloz di Trento,
dal quale prese appunto il nome di Glagolita Chzianus , e che
racchiudeva la traduzione di quattro omelie attribuite ai Padri gre-
ci, relative alla celebrazione dei mister] della Settimana Santa, cioè,
per la doménica delle Palme , per il giovedì , venerdì e sabbato
santo. Anzi tutto è d'uopo preméttere, come le tante nazioni slave,
irrompendo sin dal VI sècolo dalle regioni orientali nel cuor del-
l'Europa, vi si iniziassero a civiltà, adottandone l'uso delle lètte-
re. Tre furono gli alfabeti dei quali fecero uso sino ai nostri gior-
ni ; il latino^ cioè, adoperato da tutti gli Slavi aggregati al rito la-
tino, tranne gli Istriani ed i Dàlmati, che per antico privilegio ot-
tenuto dai romani Pontéfici celebrano la loro liturgia slava^ e fanno
uso dell'alfabeto glagolìtico affatto distinto da tutti gli altri d' Europa.
Esso è cosi denominato dalla voce slava glagol che significa parola,
ed è ancora il nome proprio della lèttera G. Il terzo alfabeto è il
cirillìano, così detto dal suo introduttore Cirillo, che nel sècolo IX
lo trasse dal greco, aggiungendovi alcune lèttere alte a rappre-
sentare i suoni slavi alla greca lingua mancanti ; e fu, ed è ancora
usato da tutti gli Slavi cristiani di rito greco , compresi i Russi ,
non che dai pòpoli Valacchi. Se conosciute èrano le origini degli
alfabeti latino e cirllliano, quelle del glagolitico furono soggetto di
controversi pareri; dappoiché, mentre da un lato una remota tra-
dizione ne attribuiva l'invenzione a s. Girolamo, dalF altro i dotti
Kohl, Banduri e Parlati, e negli ùltimi tempi il boemo Dobrowsky,
ne dimostrarono l'assurdità. Se non che, non conoscendosi a quel
tempo monumenti glagolitici anteriori al sècolo Xill, lo stesso
Dobrow^ky ne attribuì erroneamente l'invenzione intorno a quel
tempo, il qual errore ebbe l'universale sanzione degli eruditi, sino
alla comparsa del mentovato còdice Cloziano. CoU'autorità di ijne-
st'ùltimo, che il benemèrito editore dimostrò appartenere al X e
DEL CONTE CÀRL' OTTAVIO CASTIGLIONI XLt
fcbe nella scienza della legislazione; o quando invitato a
sciògliere alcuni dubj sulla natura delle lingue lèttiche^
dettò importanti osservazioni atte a dimostrare la remota
orìgine indiana delle medésime, non che la derivazione
dei Letti e dei Lituani dai Sàrmati • degli antichi W, In
fors^ancbe al IX sècolo . e colla testimonianza d' altri monumenti
glagolitici preesistenti^ ma non' bastevolmente sin' allora avvertiti^
Kòpitar dimostrò compiutamente ranteriorità dell'alfabeto glagolU
lieo al cirillianoi, il quale aveva anzi tolte al primo le lèttere man^
canti nel greco alfabeto. Ora il Castiglìoni^ cfae prima di Kòpitar
aveva esaminato quel prezioso còdice^ colse appunto TopportuiiitA
Mìsk sua publicazione a svòlgere con nuova audizione e dottrina
qaest* argomento^ provando, come l'alfabeto glagolitico fosse per
avventura la. scrittura propria degli antichi Macèdoni ed Epiroti.)
dai quali gli Slavi Tattin^ro prima ancora d* irrómpere nel cuor
dell' Europa^ e come^ anziché rassomigliare al rùnico, come tentò
dimostrare il dottor Jacopo Grimm , serbi maggiori punti di con-
tano col samaritano. Procedendo quindi in una questione non meno
ardua e controversa y come si è quella di determinare, quale fra i
molti antichi dialetti slavi sia stato preferito e convertito in lingua
litùrgica, . concordando pienamente coir^opinione vittoriosaitfente
dimostrata dall'editore del còdice, -che concbiuse in favore del dia-
letto moravo-^annònico , la venne avvalorando con una serie di
nuove argomentazioni e nuovi esempj , confutando ancora V oppo-
sta opinione delio stesso Grimm, che preferi derivare dal dialetto
dei Bùlgari le orìgini della lingna litùrgica degli Slavi.
(1) Mentre io stava maturando alcuni stndj pel ragionato ordina-
mento del mio atlante linguistico d'Europa, mi trovai avviluppato
nel vòrtice delle più disparate opinioni degli eruditi relative alla
classificaaione delle lingue dei Prussi, dei Lituani e dei Lettoni;
dappoiché gli uni le derivavano dalla latina, altri dalla greca, altri
dalla cèltica; taluni ancora le risguardàvano come una miscela de-
nvata dall'accozzamento e dalla fusione de.i pòpoli germànici e slavi;
mentre altri vi ravvisavano l'antichissimo tipo proto-slavo; ed altri
finalmente riconoscevano in quelle lingue uno stipite primitivo e
distinto dagli altri. Avendo quindi in tanti dissldj comunicati i
XLII DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
breve, ne diede le più chiare testimonianze in una serie
di Scritti 9 cui troppo luogo sarebbe annoverare, in parte
sparsi fra varj Giornali scientìfici , ed in parte tutt^ ora^
inèditi, sulla filologìa comparata, e su tanti svariati ar*
gementi, dei quali, comecché immaturi^ sarebbe pur
desideràbile la publicazione (^).
miei dubj al copte CastigUoni , colla consueta sua geotiloEza com-
piace vasi trasméttermi le dotte considerazioni su quest'argomento,
che ho letteralmente inserite nella I.' Parte deir Atlante medésimo,
a pag. 2^8 e seguenti , ove con quel lùcido critèrio che lo distin-
gueva si fece a dimostrare^ che ì pòpoli lèttici non èrano né Ger-
mani^ né Slavi ; che le loro sedi corrispóndono a quelle degli anti-
chi Sàrmati ; che le tradizioni dei Lituani serbano ricordanza di
un Palemone che introdusse appo loro la civiltà romana, e che nel
tempo e nelle gesta coincide col Polemone re dei Sàrmati del
Ponto ; e che quindi non potendosi méttere in dubio Tidentitiì delle
nazioni lètti che e sarmàtiche, anche le loro lìngue dèvonsi coor-
dinare come un ramo separato e distinto del grande stipite indo-
europeo.
(i) Essendomi stato concesso dalla gentilezza degli eredi l'esa-
minare i vani manuscritti lasciati dal compianto nostro concitta-
dino, credo far cosa grata al lettore , trascrivelido per órdine di
materie un Indice dei medésimi ^ avvertendo ^ che alcuni constane
di sémplici note e materiali raccolti per un lavoro da farri, altri
sono Dissertazioni più o meao incomplete. Tra gli stadii lingui*-
stici sono da notarsi i seguati : Memoria sulle lingue e 9ulla in-
venzione dell' alfabeto , con un' Appendice mW alfabeto cinese. —
Siitema Zanelli sulle scritture sacre ed arcane, — Anaiùgia fra il
Maltese e VJrabo, — Sui segni fonètici ed ideogràfici, e figliazione
delle Ihìgue^ giusta i princìjy di Schleiermachèr. *^ Osservazioni
filològiche sulle òpere di Bopp e di Jacopo Grimm. — Ze lingue
lèuiche appartengono allo stìpite indù-germànico. — Sopra un cò-
dice greco de' SS. Padri. — Di due versioni glagolitica e slavo-
rutènica di un Salterio. — Sulla scrittura dei Mussi nel dècimo
sècolo, e deWalfabetù glagolìtico pi'esso i medésimi. — Confronto
DEL COKTE CAHL'OTTAVIO GASTlGLIO?il XLUI
Foroito dalla natura d^ vna mente si lùcida ^ di retto
sentire, e ricco di tanta dottrina , torna vano avvertire ,
come il Castiglioni fosse in grado eminente religioso e pio,
dappoiché il vero sapiente primo fra tutti si prostra devoto
dMoanzi air infinUa Sapiènza; bensì è d^uopo avvertire,
cb^ei non ardeva già di quella stèrile pietà, che s'appaga
di ostentate pràtiche esterne , e che tìmida e sdegnosa ad
un tempo sMmpenna sbigottita ad ogni annunzio di so-
ciale pn^esso; ma di quella soda e santa ptéità che soU
leva Tuomo a venerare il Creatore nella piena contem-*
plazione del crealo , e che per mezzo della pura e toUer
rante morale evangèlica, non che d' una vita onesta e la*
boriosa , lo sospinge ad ùtili e generose azioni. Dopo ciò
tra l'alfabeto glagolitico e cirilliano. — Sulla storia delle lingue
slave di Eichlwff. — Sulle Glosse malberghiane publicate da Leo.
-- Memòria sull'autore dei frammenti gòtici deW Evangelio di
s. Giovanni.
Fra gli studii stòrici ed archeològici noterò i seguenti : Memo-
ria sull'origine e sulla stòria primitiva dei Turchi Ottomani. —
Sulla Stòria delle Crociate di Michaud. — Lèttere sulla domi-
azione saracena nella Sicilia, — Di alcuni Califfi illustri (tra-
dazione dairàrabo). — Memòria intomo a due figurine di bronzo
iisepellite alla Stradella. — Memòria su di un' epìgrafe etrusca
illustrata dal Cicconi. — Memòria in confutaziotie di Link sul
Mondo primitivo. — Memòria sul cerchio luminoso osservato nelle
olissi totali di sole.
Fra gli sludii poUtico-econòaiiei sono precipuamente da anno*
verarsi i s^uenti : Memòria sull' introduzione del sistema feudale
^l mezzodì dell'Europa. — Orìgine degli Statuti Coìnunali; olire
dd una serie ragguardévole dì note Sui principali trattati polìtico-
Gnòmici. — Facciamo voti onde sia quanto prima publicata una
^^ di questi importanti scritti , i qiiali saranno per aggiùngere
liuovo lustro alla memòria del benemèrito autore.
XLIV bELLA VITA E DEGLI SCRITTI
Won dirò, com'egli, ch^ era largo dispensatore di consìgli
e di dottrina a chianque nel richiedeva, fosse ancora ol-
tremodo generoso verso T indigente; dappoiché egli è as«
isohito dovere del ricco distribuire il supèrfluo a prò del
bisognoso; dirò bensì, oom^ egli, ch^ era rìgido ed avaro
solo verso sé stesso, non prodigasse già le proprio ricchezze
ih pnbKche elargizioni, o con fini diretti a maturare ambi-
ziosi disegni ; ma nel silenzio e nella gioja delF incolpàbile
sua coscienza profondesse a larga maiK) ben più che il
supèrfluo, con miràbile sapienza a prò del Culto, del pari
che dell'operoso e dell'onesto cittadino, contento di gio-
vare con tutti i mezzi al miglior èssei'e sociale.
Integèrrimo e magnànimo cittadino egli amò sempre
di puro e sviscerato amore il proprio paese. Che se la mal
ferma salute afiranta dalle veglie e dalia laboriosa sua vita,
le cure domèstiche , i prediletti suoi studj e più di tutto
l'innata modestia, gli vietarono di accettare le onorévoli
magistrature che il voto cittadino unànime gli conferiva,
non vegliava meno a tutelare e promuòvere la prosperità
e l'onore della sua patria, né meno sollécito accorreva
a confortarla e sorrèggerla colPòpera e col consìglio^
E pure chi crederebbe, che in mezzo a sì profondi studj
ed a tanti colossali lavori, indefesso cultore dei domèstici
affetti, emergesse del pari per pietà figliale, conjugale af-
fezione e tenerezza paterna? Queir uomo insigne che colle
assidue cure felicitò la vecchiaja del venerato genitore,
impareggiàbile marito, rese pur dolce la vita alla virtuosa
compagna (*), e padre affettuoso, attese ad informare
(1) La signora contessa Carolina Borromeo ì, alia quale si uni in
matrimonio sin dall'anno ÌSlb'.
DEL CONTE CABL' OTTAVIO CASTIGLIOM XLV
coi precetti e coIF esempio le non meno avventurate; sjxf^
figlie alle virtù dei parenti. Che più ? Compiacente verso
i congiunti e verso gii amici , officioso vei^SQ i dotti cor;
rispondenti d^ogpi. nazione, che a lui ricorrèano qu£)si
a fonte d' universale dottrina , .parca che la profonda sa,-
pieoza versata in tanta copia sulle dotte .carte , in lui
congènita, fluisse spontanea dalla scorrévole penna, o
gii venisse dMraprovviso inspirata da un genio tutelare.
Sebbene affievolito dalla soverchia applicazione, seb-
bene colla vista oltremodo malconcia dai pòdici e. dalle
medaglie, quasi nulla avesse apprestato a prò della, scienza,
già stava maturando vasti lavori sulle orìgini itàliche ^
sulla economìa polìtica delV antica Roma, auW elemento
orgànico della prosodìa greca e romana^ e soyr' altre noiji
meno importanti ricerche, quando le polìtiche vicende
che nel 1848 scossero da^suoi càrdini tutta T Europa e
minacciarono Teccìdio del suo paese, sùrsero d'improvviso
a turbare la pace de' suoi studj , ed interrómpere i suoi
preziosi lavori. Esagitato dalla nera procella che mugghiava
sulla cara sua patria, dolente di non poterla soccórrere col
proprio consìglio, col cuore insanguinato torcendo lo
sguardo dal prospetto di maggiori sventure, cercò con-
forto alF ànima straziata nella solitùdine d'una suburbana
sua villa. Di là mentre pietà paterna il traeva al ligure
spennino a confortare una figlia ammalata, sorpreso per
via da violento morbo , spirava nel bacio del Signore il
dieci aprile del 1849, prima ancora di compiere il Xill
lustro.
Così si spense repente la troppo breve e preziosa vita
d'uno de' più splèndidi luminari d'Europa, d'uno dei più
benemèriti figli della metròpoli lombarda. Così scomparve
ytVì pKLLA VITA E DEGLI SCRITTI , CC
quel grande, la cui vita incontaminata e laboriosa legò
sì ricco patrimònio alle scienze e sì pura eredità d^ af-
fetti alla sua patria. Lode a voi, o magnànimi cittadi-*
ni^ che, penetrati delF ammirazione e riconoscenza do-
vute alle sublimi sue virtù, ne voleste perpetuare la glo-
riosa memòria erigendone il simulacro nel santuario delle
scienzet Che se il nome venerando del Gastiglioni, già scol-
pito a caràtteri indelèbili nei fasti della scienza y vivrà
immortale nelle òpere monumentali da lui stesso appre-
state^ scegli vivrà mai sempre improntato nel cuore rico-
noscente de* suoi concittadini^ quella effigie che oggidì gli
consacrate, varrà a ricordare allo straniero che vìsita la
nostra metròpoli, che in questa clàssica terra non è ancora
esausta la sorgente de^ sommi ingegni; che Milano sa ap-
prezzare ed onorare come conviensi i benemèriti figli che
la illustrano; e varrà ad infiammare le future genera-
zioni a seguirne il magnànimo esempio.
ORIGINE E SVILUPPO
DELLA
LINGUISTICA
Volge appena la seconda generazione, dacché V Europa tutta,
ammirando gii alti fini, e le importanti rivelazioni fatte nel corso
di pochi anni da due scienze novelle, dalla Geologia e dalla
Linguistica, ne segue ansiosa il progresso, e raddoppia i suoi
sforzi per condurle con rapidità al loro perfezionamento. Mira
Tuna a determinare gli annali della creazione, T altra quelli
del genere umano, cui piacque alla divina Provvidenza abban-
donare alle investigazioni dell'uomo. Il nostro globo è antico,
e Dio sa per quanti secoli s' aggirò nello spazio de' cieli, prima
che la sua crosta, elaborata dagli elementi, porgesse, raffred-
dandosi; conveniente asilo alla creazione vivente ! Ora sconvolto
dal fuoco, ora sommerso nel mare, questo suolo che ci dispu-
tiamo diede un tempo ricetto ad altra creazione, della quale
sussistono bensì le reliquie, ma non un solo motto tradiziona-
le. Dopo tanti secoli di universale ignoranza , solo a' di nostri
la geologia rivelò la prima, come, enumerando gli strati terre-
stri, analizzandone la giacitura e gli elementi, e studiandone i
nideri vegetabili ed animali, giunger si possa a determinare
^n esattezza le età rispettive delle regioni e dei monti , le
4 ORIGINE E SVILUPPO
cause differenti che precipuamente contribuirono alla loro for-
mazione, ed a ricomporre e conoscere buona parte dì quella
creazione per tanti secoli ignota, che prestò soggetto a molti
favolosi racconti.
Dopo lunghi sconvolgimenti e misteriose vicende comparve
finalmente Tuomo, che si nomò sovrano della natura e, rapi-
damente moltiplicandosi, copri delle innumerevoli sue stirpi la
superficie terrestre. Queste la percorsero più volte da oriente
ad occidente, da borea ad austro; più volte cozzarono, si re-<
spinsero o si fusero a vicenda le une nelle altre ; più volte in-
civilirono, fondarono vasti regni, abbrutirono e scomparvero,
prima che la storia ne apprestasse ai posteri gli annali. Le
piramidi dell'Egitto, gli edifizii ciclopici, le vetuste necropoli,
le città sepolte dell' America, dell' Europa e dell' Asia, e gli in-
numerevoli monumenti disotterrati in Iberia, in Italia, e per-
sino nelle più settadtrionali regioni dell' antico e del nuovo
mondo, attestano la rimota esistenza di grandi e potenti nazio-
ni, delle quali serbiamo appena alcuni nomi. La notte dei se-
coli copri d'obblio tante splendide generazioni, e ravvolse ne'
simbolici miti persino le origini d^Atene e di Roma, sorte sulle
rovine di civiltà anteriori, dal sepolcro di potenti e colte nazioni.
A spargere benefica luce su queste primordiali vicende del
genere umano, a svolgere le intricate fila che ne collegano le
molteplici stirpi,, ed a svelare i rapf)orti fra le antiche e le
moderne generazioni, sorse appimto a' di nostri la linguistica^
interrogando il solo monumento indistruttibile, il linguaggio dei
popoli, e diede quindi comiuciamento alle proprie speculazioni
colà, dove la geologia poneva fine alle proprie.
La serie dei risultamenti ottenuti nel breve spazio d' un mezzo
secolo comprese di maraviglia la generazione vivente, e v' im--
presse tale un desiderio di sviluppare tutte le molle e la re-
condita potenza di questi mezzi novelli, che ovunque sorsero
rapidamente società geologiche e linguistiche intese ad unire i
loro sforzi nella causa comune; ovunque furono ìnstituiti ed
ordinati al medesima fine profondi studii, onde consolidare le
fondamenta del nuovo edificio ; e mentre gli unì^ percorrendo
le più inospite e più rimote contrade^ van tessendo l'istoria
del mondo materiale, gli altri cercano nella disamina dei mo-
derni e dei vetusti linguaggi quella dell' uomo.
DELLA LINGUISTICA. H
In mezzo a questo generale movimento, non dobbiamo ri-
manere più oltre freddi ed inerti spettatori d* avvenimenti ch*e-
mergeranno un giorno ne' fasti dell* umana iiltelKgenza; ma im-
pazienti di eccitare al nobile arringo con maggiore alacrità i
nostri connazionali, e nella fiducia di far cosa grata ai lettori,
ci proponiamo di porger loro ini una serie continuata d* istorici
sunti le principali nozioni sull* origine e sullo sviluppo della
linguistica; sulle fondamentali sue leggi e sulle utili applicazioni
delle medesime; sullo stato attuale di questo studio presso le
più colte nazioni d'Europa, non die sulle vicende delle preci*
pue letterature classiche e vernacole, onde si scorga dal già
fatto quanto ancor resti a farsi, e qual tesoro di cognizioni no*
velie possiamo riprometterci dall* incremento di questa scienza.
Incominciando dalla sua origine e dal suo sviluppo, e medi-
tando sulle cognizioni ottenute meroè lo studio comparativo delie
lingue in si breve tempo, non possiamo immaginare, come tanti
milioni d' nomini lasciassero trascorrere si lunga serie di secoli,
senza avvertire questo vincolo naturale che insieme collega in
famiglie le più disgiunte nazioni, e rivela stretta fratellanza cosi
fra quei Greci e quei Persiani, che aSrontavansi a Maratona
ed a Salamina, come fra quei Romani e quei Teutoni, che scan-
naronsi per secoli- lungo le rive del Danubio e del Reno. Egli
è vero bensì, che nei passati tempi parecchi filosofi meditarono
suir origine del linguaggio, ed accennarono ad alcune ovvie af-
finità di lingue disparate e lontane ; ma la direzione e V intento
loro erano ben diversi da quelli dell' odierna linguistica, men-
tre gli uni tendevano a fondare nuovi sistemi filosofici , mira-
vano gli altri a convalidare con prove di fatto la storia mo-
saica della dispersione del genere umano. Quindi gli uni, fra i
quali Maupertuis, Volney, Rousseau; Fortia d'Urban, il presi-
dente de Brosses, Herder e Bonnet, considerando V uomo come
il muium et turpe pecus degli antichi, cercarono nel successivo
sviluppo dello spirito umano T origine del linguaggio; gli altri,
tra i quali Pezron, Webb, Astarloa, Sorreguieta, Bidassouet,
Lipsio, Scaligero, Bochart e Vossio, ammettendo una lingua ri-
velata all'uomo sin dalla sua prima creazione, rintracciarono
il primitivo tra gli idiomi conosciuti, e fra tante gratuite as-
serzioni non fu la più strana quella che fece belar l'uomo
nei boschi a guisa di capre, né quella del Becano, che riguar-
6 ORIGINB E SVILUPPO
dava r idioma Piammiugo come V interprete degli affetti dei primi
padri. Per tal modo , mentre con una sognata figliazione di
lingue vollero provare la discendenza dell' uman genere da una
prima coppia, distruggevano per avventura, senza avvedersi, la
mistica storia della torre di Babele, che rivelava loro una su-
bitanea e prodigiosa confusione di lingue!
Questa serie di vuoti sistemi derivò appunto dalF erroneo
assunto di discendere a priori dal principio ipotetico d'una lin-
gua primitiva generatrice di tutte le altre air affinità delle de-
rivatCi anziché salire a posteriori dair affinità scambievole di
alcuni linguaggi conosciuti alla scoperta del comune lor ceppo.
Dopo tante inutili dispute s'avvidero quindi, di' era d'uopo can^
giar sentiero, e fondare i principii sulla collezione dei fatti, an-
ziché forzare i fatti alla norma di principii prestabiliti. E per-
do le cure degli studiosi furono rivolte a compilare i vocabo-
larìi delle lingue note, e tutti i viaggiatori imitarono l'esempio
dell'italiano Pigafetta, il quale, accompagnando Magellano nel
suo giro intorno al globo, ebbe primo il pensiero di raccogliere
copiose serie di voci fra i popoli del Brasile, di Tehuel e del
Tidor. Allora furono poste a contribuzione le tante speculazioni
sulle lingue straniere, intraprese nel secolo XVI, ond' estendere
le nuove dottrine religiose, alle quali riunendo i molti studii fatti
dai missionari di vario culto presso le più rimote nazioni, fu-
rono apprestati ben presto i materiali, che destarono più tardi
nella magnanima imperatrice di Russia il pensiero di compilare
un vocabolario comparativo di tutte le lingue del mondo.
Mentre gli uni andavano raccogliendo nuovi lessid in Asia,
in Africa ed in America, altri si diedero di proposito ad insli-
tuime il confronto, e, approfittando delle preghiere cristiane vol-
tate in più lingue per cura di zelanti missionari, scelsero a
pietra di paragone l'orazione dominicale, della quale ben pre-
sto pubblicarono doviziose collezioni Schildberger, Postello, Bi-
bliander, Gessner, MùUcr, Ludeke, Stark, Wilkins e Chamber-
layne, ampliate e riprodotte poscia da Fry, Marcel, Bodoni,
Hervas, Adelung e Vater.
Tra i benemeriti che prestarono maggior copia di materiali,
si distinse precipuamente l'instancabile Hervas, il quale sin dal-
l'anno 1784 pubblicò un Catalogo delle lingue conosciute, cor-
redandolo di note sulla loro affinità e discrepanza ; compilò un
DELLA LlN«DldTICA. 7
Vùcabotario polighito con prolegomeni sopra cento cinquaBCa
Uugue 9 e le iliuslrò o^ un Saggio pratico e con doviaa di
oss^rvazioii. \
Sin qui per altro non si ebbero se non materiali informi 6
sovente fallaci, confai^ eataioj^i di lingue, i cui nomi verniero
dagli uni e dagli altri gratnitameute scambiati, ed Una congerie
di sogni misti a verità mal (figonte, che rallentarono ed iiopàc-
eiarono il eorso de' nuovi studii. Basti notare che, mentre il
Pigafetta offre Una serie di voci proprie del sognato suo Gi-
gante patagono, il Gessner porge nel Mitridate il Pater Noster
voltato nella lingua degli DNn d'Omero^ un altro ragiona suUa
favella dei Titani, e il presidente Duret, nel Thrésor de l'hi*
sloire des langues de cet tmivers, annovera penfino la lingua
degli animali e degli uccelli.
In onta a simili stranezze, il primo passo era fotto, e co-
mmique scarsi e fallad i primi materiali si fossero, racchiude*
vano dò nullostante una congerie di fatti bastevole ad un ra-
gionato confronto. Il pirao, che vi si accinse, fu quel potente
ingegno del Leibnitz^ che^ presentendo la sublime meta, cui lo
studio comparativo delle lingue avreUbe un giorno raggiunto,
tracciò la vera strada che sollevato l'avrebbe a scienza posi-
tiva, e ne pose i primi cardini. Egli ecdtò primamente gli amici
a disporre in tavole comparative le voci delle varie lingue; li
invitò a confrontare T armeno ed il biscajno coi copto, ralbsiH
aese col greco, col teutonico e col lathno; e mostrò loro^ come
per questa via giunger si potesse alla scoperta delle origini e
delie migrazioni dei popoli antichi e moderni.
Per inala ventura, dopo di lui, la scienza prese ben diversa
direzione; perciocché, venuto questo studio alle mani d'uomini
dotati di men retto criterio e men sagace potenza, degenerò
nel più arido e stentato studio etimologico, che traviò troppo
a liuigo i filologi del secolo trascorso. L'imperfezione e la fal-
lacia dei materiali, là scarsezza de' linguaggi sin allora studia-
ti, e ristretti ai classici greci e latini, e tutt'al più ai biblici
ed a qualche celtico dialetto , ed una ridicola vanità nazionale
diedero origine a molti errori e a disparati sistemi ; sicché, for-
zando ed alterando ad arbitrio le voci e il loro significato, gli
uni tentarono ridurre a celtico elemento, ciò che gli altri deri-
vavano dair ebraico, dal greco, o dal latino, e Òhe apparteneva
S ORIQINB E fiVILlPPO
per io più a ben altre sorgenii. Per tal modo Menagìo, Batiet
e lafiumeroia schiera de' loro s^uari, fnidalori deirÀecademia
celtica di Parigi, deturparono e screditarono per qualche tempo
quest* importantissimo stuéio»
Se non che T inutilità dei loro sfibrai riveUt finabnente l'in-
sufficienza dei mezei, e soprattutto quella det semplice confronto
dei lessici , oade , abbandonata pomposo e fallace tirodnio
deiretimologia, venne riconosciuta la necessità <M sceverare ne-
gli idiomi la materia dalla iérma, e si procedette air analisi del
loro organismo. Parecchie lingue antk^he e moderne dell'Asia,
deirAfrica e dell'America furono quindi sottoposte ad esame» in
sussidio delle nuove speculazioni; in breve se ne apprestarono
le grammatiche , decomponendole ne' loro precipui elementi, e
s instituirono per ultimo più giudizio^ confronti.
Già fin dal declinare dello scorso secolo Giovanni Werdin,
conosciuto ed nome di P. Paolino da S. Bartolommeo, illustrata
l'antica lingua, la storia e la mitologia degli Indiani, tentò di-
mostrare di proposito r affinità del sanscrito e dello zendo col
latiiM e col germanico. Frattanto gli Inglesi, già divenuti arbi-
tri del destino dell' bdia, ed avvisando quanto per {^vernare
i popoli importasse il conoscerli, fondarono scientifici stabili-
menti a Calcutta» a Madras ed a Bombay, ónde agevolare e
diffondere lo studio di quelle lingue; e ben presto vennero
HI luce ì pregevoli scritti di Gilchrist, Colebroobe, Wilson, Jo-
nes , Wilkins , Davis e cB parecchi altri , inteà a tracciare
r illustrazione delle molte lingue indiane. Il 1<n^ esempio fu se-
guito da una schiera di dotti Tedesdìi e Francesi, che impre*
sero.ad illustrare le altre lingue d'Oriente semitiche, chinesi e
mongoliche, onde noi pagheremo un lieve tributo di riconoscenza
ai benemeriti Schlegel, Lassen, Humboldt, Klaproth, Hammer,
Eidpfaorn fra i Tedeschi, ed agli instancabili Anquetil du Per-
ron, Ghezy, Remusat, Quatremère, Saint-Martin, de Sacy, Gham-
pollion, Burnouf, tra i Francesi.
Fra i moUtiì saggi comparativi. che successivamente rivelarono
hi fratellanza di tanti idiomi da secoli disgiunti, venne prona-
mente in lucè il profondo lavoro di Federico Schlegel Sulla
lingìMÀ e sulla sapienza degli Indiani, dopo il quale non fu più
dubbia la stretta affinità del sanscrito, vale a dire dell* antichis-
sima lingua sacra dei Bramini, col persiano, col greco, col la-
DELLA LhNGDISTlGA. 9
lino e col germanico. Allora, conrrontando gli antichi coi moderni
idiomi, si vide manifesto, che il lingaaggio è una distintiva im-
pronte delle nazioni, come la struttura dello scheletro, o il
colore ddla pdle; si conobbe, che le vicende delle lingue ac-
compagnano quelle dei popoli che le parlano; e si riguardò
quindi la linguìstica qual potente guida alla storia, nelF inda-
gare gli annali delle rimote, non che le origini delle moderne
generazioni, e come scorta sicura all'etnografia neir ordinamento
dì tutta Fumana famiglia.
E perchè le lingue estinte, che precedettero e diedero ori-^
^ne alle moderne, tracciando le fasi successive che Y arte della
parola ebbe a subita neir avvicendarsi delle generazioni, apri-
rono più facile varco alia scoperta di tanti mutui rapporti, fu-
rono intraprese le più laboriose ricerche per la ricomposizione
e l'analisi degli idiomi caduti in obblio; al qual uopo furono
disottc»*rati vetusti monumenti dell' antico e del nuovo mondo;
ritornarono in luce le ammuffite pergamene da secoli sepolte
nei polv^osi archivi! , e furono salve tante preziose reliquie
dell'antica letteratura, e di quella del Medio Evo.
A questi generosi studii, dei quali a buon dritto il nostro
secolo va superbo, siamo debitori appunto degli innumerevoU
scritti, coi quali I>empstero, Passeri, Lanzi, Gori, Vermiglioli,
Grotefend, Resini, Marini, Klenz, Spanemio, Reinesio, ed altri
tritarono ricomporre i vetusti italici idiomi; Astarloa, Bidas-
souet, Erro, Larramendi e Humboldt illustrarono gli antichi ibe-
rici; Knittel, Ihre, Stiemhelm, Zahn^ Massman, Gròter, Nye-
nip, Thorkelin, Hickes, Afzelius, Rask, Schmeller, Wiarda,
Schwartzenberg, Bosworth, Grimm, Graff, ed altri molti, ri-
composero, restituirono in onore gli antichi linguaggi gotico,
islandese, frisico, sassone, anglo-sassone, francico ed alemanno.
E in questo nobile arringo, fra V altre città d' Italia fa pur bella
comparsa la nostra Milano, ove^ la Dio mercè, vive tutt'ora
quel forte ingegno S che, sprezzando gli agi dell' avito retaggio,
i Nella Bioqraphie Vnwerseile awitenns et moderne , voi. VII , pubblicata
l'aoQo scorso a Parigi, non si sa per quale equivoco, o mal digestc ricer-
che, tracciandosi la biografia del conte Cari* Ottavio Castiglioni, ne fu attestata
la morte sia dall' anuo 1836. Facciamo voti, onde il benemerito lombardo
possa ridersi ancora lunghi anni di queste tipografiche imprese, a vantaggio
della scienza, ed a conforto di quelii che sanno apprezzare il valore de' suoi
giorni !
10 ORIGINE B SVILUPPO
illuslrù alcune antiche lingue d* Oriente» descrivendo le monete
cufiche del Gabinetto Numismatico , e rìstaurò sui tarlati Re-
scritti dell'Ambrosiana gran parte delle gotiche versioni evaiH
geliche d'Ulfila, porgendo cosi alla sdenza nuova messe d'os-
servazioni novelle per la ricostruzione di quella lingua. A questi
medesimi studii la scienza va deUtrìce della monumentale gram^
matìca comparativa di tutte le lingue indo-«uropee di Francesco
Bopp, di tutti gli idiomi germanici antichi e moderni di Jacopo
Grimm, degli scandìnavici di Petersen, di tutti i latini di Ray-
nouard, non che dei profondi lavori, coi quali Dobrov^sky, lin-
de, Schaffarik, Rollar, Karadschisch e Hanka, illustrarono le an^
tiche e moderne lingue slave; Maittaire, Bumouf, Facius, Stur-
tius, Thiersch, David ed altri le antiche e moderne ellenidie;
ed una eletta schiera di benemeriti studiosi rivelarono all'Eu-
ropa tante lingue delF Oceania, dell' Africa e dell'America.
Fra le conquiste fatte dalla scienza negli ultimi tempi, merita
distinto seggio la recente scoperta della lingua sacra di Persia^
nella quale Zoroastro dettava le salutari sue instituzioni« È noto^
come sin dalla fine dello scorso secolo, quando i caratteri chi-
nesi ed i geroglifici egiziani, dopo la celebre invendone* della
Tavola di Rosette, attirarono l'attenzione della dotta Europa^
Chardin e Cornelio Lebrun, copiassero per la prima volta dalle
mura diroccate dei palagi di Persepoli, alcune, iscrizìimi in ca-^
ratteri sin allora sconosciuti. Sebbene la novità e la strana forma
di quei segni avessero da principio dato luogo a dubitare, se
fossero ornamenti destinati a decorare fe porte reali, anziché
segni di scrittura ordinata, ciò nuUostante, dappoiché il celebre
Niebuhr con una diligente relazione ne pubblicò esatti facsimile,
non si tardò a riconoscerli per vere iscrizioni. Sin d'allora i
viaggiatori che visitarono l'Asia meridionale andarono in traccia
di tali monumenti, sicché in breve Y Europa ebbe doviziosa rac-
colta d'iscrizioni cuneiformi^ tratte dalle rovine di Persepoli,
d'Ecbatana, di Ninive e di Babilonia, per cura degli Harford,
Jones, Morier, Ouseley, Ker Porter, Roberto Stevirart, Bellino,
Ridi, Prudhoe ed altri molti, che successivamente percorsero
l'Asia Minore, l'Assiria, la Caldea e la Persia.
Mentre gli uni erano intenti alla ricerca dei materiali, altri
fecero ingegnosi tentativi, onde svolgere il recondito significato
di quo' monumenli, i quali senza dubbio porger doveano testi-
DELLA LINGUISTICA. 11
moniànza ed illustrazione agli annali d' Oriente. Tycfasen, Hm*
ster, Lichtenstein , Niebuhr e Grotefend, diedero principio a
quest* ardua impresa con erudite Memorie, nelle quali accenna*
rono ai mezzi che avrebbero precipuamente giovato alla solu-
zione del gran problema. Grotefend più perspicace, e più av-
venturato, precorse gli altri, e seguendo sagacemente Y ipotesi^
che alcune brevi iscrizioni esprimessero nomi istorici, riusci
agevolmente a leggere quelli di Serse, Dario, Istaspe, e fissò
per tal modo il valore di alcune lettere, le quali agevolarono
la scoperta del valore delle altre. E perciò dobbiamo ingenua-
mente attestare, che, se Grotefend non riusci poscia ad inter-
pretare compiutamente le iscrizioni persepolitane, e se più tardi
ebbe il torto di ostinarsi in un sistema di lettura insufficiente
a svolgere le difficoltà dei monumenti, egli ebbe ciò nullostante
il merito d'avere aperta, primo fra tutti, la via, e gettata la
pietra angolare per T edificio della persiana paleografia.
É manifesto, che, per procedere nella lettura delle iscrizioni
cuneiformi, era d'uopo conoscere primamente la lingua nella
quale erano state dettate, e che questa potevasi a buon drillo
supporre un antico dialetto persiano, come fu appunto confer-
mato dal fatto. Ora questo indispensabile sussidio mancava a
Grotefend, del pari che agli altri paleografi, dappoiché, sebbene
alcuni monumenti dell' antica Persia fossero stati prima d'allora
tradotti, ciò nulla di meno ignoravansi ancora parecchie fra le
antiche sue lingue, e richiedevansi molti studii preliminari che
ne determinassero V organismo e le leggi fondamentali. E perciò
vani riuscirono i tentativi fatti nel tempo stesso da Saint-Martin,
da Price e da quanti s'accinsero a quest'impresa.
Cosi il gran problema dell'alfabeto cuneiforme rivelò la ne-
cessità di premettere la soluzione d'un altro più grave, qual
era la ricostruzione degli antichi dialetti persiani, in particolare
della lingua di Zoroastro. La cognizione già raggiunta della lin-
gua sacra dell' India, alla quale la zenda era collegata con vin-
coli stretti di fratellanza, i fausti risultamenti ottenuti da Silve-
stro De Sacy nella interpretazione delle iscrizioni pelilvi dei
Sassanidi, ed i confronti fra queste lingue instituili , giovarono
al compimento della difficile impresa. La lingua zenda fu com-
piutamente illustrata, mercè le cure sagaci d' Eugenio Burnouf,
e sin d'allora la lettura e l'interpretazione delle iscrizioni cu-
l!2 ORlGIlfE E SVILUPPO
neiformi fu assicurata; perocché Bumoaf e Lassen, qaei due
medesimi ingegni, che poco prima avevano unito ì loro sforzi
per la ricomposizione della lìngua pali, non tardarono ad ap-
plicare separatamente la cognizione della lingua poc'anzi ristau-
rata ad una lettura congetturale delle leggende po^politane, e,
sebbene per vie diverse , giunsero alla meta quasi inaspettata
delle loro ricerche. Primo Bumouf annundò all'Europa T im-
portante sua scoperta nel commentario sull'Ya^na, libro reti-
gioso dei Parsi, fin dal 1825, e la sviluppò più diffusamente
nella Memoria intorno a due iscrizioni cuneiformi irovaie presso
Hamadan. lì dottor Lassen frattanto pubblicava nel tempo stesso
a Bonn il suo lavoro intitolato: Die altpersischen Keil-Inschrifien
von Persepolis. Entziffertmg des Alphabeis^ und Erkiàrung des
Inhalts; nel quale, provata T insussistenza del sistema di Grò-
tefend, propose un nuovo metodo fondato sulta natura degli
antichi idiomi persiani, applicandone l'ingegnoso principiò alle
iscrizioni persepolìtane in modo, da non lasciare alcun dubbio
sulla rettitudine ed importanza della scoperta.
Il risultamento finale d'ambedue questi metodi, sebbene se-
paratamente imaginati e per vie diverse condotti, è affatto iden*
tico, mentre ciascuno porge identica interpretazione dell' iscri-
zione inedesima , e le poche loro varianti , lungi dall' influire
sul complessivo sistema ortografico, appartengono solo agli ele-
menti più variabili in tutte le lingue, quali sono le vocali e le
finali flessioni. Checché ne sia, la consonanza dei loro principii
nei punti principali del soggetto, e le mirabili applicazioni fatte
di poi con tanto successo al compiuto svolgimento di molte leg-
gende rinvenute più tardi, confermano irrevocabilmente l'esat-
tezza delle loro dottrine.
Abbiamo accennato ai particolari di questa linguistica scoperta
per adombrare a quali alti finì essa tenda, ed a quante utili
rivelazioni possa un giorno pervenire, ove sia retta da menti
sagaci e spoglie di prevenzioni. Infatti, chi avrebbe mai potuto
credere, che le sparse rovine di Ninive e di Babilonia, rimaste
per tanti secoli mute, avrebbero rivelato un giorno gli avveni-
menti polìtici, le tradizioni religiose e gli scambievoli rapporti
di nazioni, delle quali la storia serba appena alcuni nomi? Chi
avrebbe imaginato cinquant' anni addietro, che nel cuore del-
l' Oriente sarebbesi rinvenuta un giorno una lingua, la quale.
DELLA LINGUISTICA. 13
mostrando alle nazioni attonite d'Europa i loro mi^i vincoli
di fratellanza, avrebbe rivelata altresì F origine delle loro scienze
e della prisca loro letteratura? Chi avrebbe potuto credere, che
la lingua di Cicerone e'^di Virgilio, . aveva comuni gii elementi
con quelle dei Goti e dei Franchi sovvertitori dell* impero; e
che quelle poetiche leggende e filosofiche dottrine delle quali
gloriavasi la dotta Grecia, non erano se non svisate tradizioni
e guaste rimembranze d* una civiltà anteriore, che, trasportata
dalie felde degli Imalai sugli scogli dell'Arcipelago, v'incominciò
con vario aspetto un'era novella? Non v'ha dubbio: queiclas*
sici idiomi, ai quali testé si prodigava il nome di madrilingue,
e che si divisero per secoli l'esclusivo onore di lingue colte,
non sono più pel linguista, se non dialetti affini e derivati, i
quali hanno comune colle lingue credute barbare T origine!
Colla scorta di tanti preziosi materiali, si venne con rapidità
mirabile tessendo un vasto ordinamento di lingue, sulla cui
norma furono classificate tutte le nazioni antiche e moderne del-
l' orbe. Fin dal principio del nostro secoJo, Giovanni Cristoforo
Àdelong imaginò il vasto progetto di ordinare in un qiradro
generale tutte le lingue dell'Asia, dell'Europa, dell'Africa, del-
l'America e dell'Oceania, ripartite in famiglie, e suddivise nei
loro dialetti, corredandolo di molteplici notizie sulla loro strut-
tura e Jetteratura, non che di saggi pratici e bibliografiche in^
dicazioni. Questo lavoro con eroica fermezza e vastissima eru-
dizione incominciato, fu poi condotto a termine da Yater, per
l'immatura morte dell'autore; esso contiene un'immensa con-
gerie di preziose, sebben maldigeste, notizie; e porta in sé tutti
i pregi ed i difetti comuni per lo più ad ogni primo tentativo
d' una vastissima impresa. Klaproth, percorsa l' Asia da levante
a ponaite, da settentrione a mezzogiorno, ci porse un Atlante
linguistico deUa medesima, nella sua Asia polyglolta, ove co-
ordinò le innumerevoU nazioni che la coltivano, sulla norma
delle 1(H* lingue. Humboldt, pubbUcò impor^nti lavori su quelle
dell' America, nell' intento di stabilirne una fondata classificazio-
ne ; ed altri instituirono confronti su quelle dell' Africa e del-
l' Oceania.
Allora per la prima volta il celebre Malte-Brun, appUcò di
proposito tante utili speculazioni all'etnografia, nel suo Compen-
dio di geografia tmiversxUe^ ampliandole colle proprie osserva-
14 OaiGINE E SVILUPPO
zioni; e più tardi fu imitato da Adriano Balbi, il quale ebbe
ancora il lodevole pensiero di compilare separatamente in un
Aliante etnografico del globo, il frutto di tanti studii, redigendo
la classificazione compiuta di tutte le nazioni antiche e moder-
ne, fondata sulle loro lingue. Se non che, il compilatore di quel
libro altro non fece, se non ripetere i vecchi errori, aggiungen-
done parecchi dei propri; giacché se appena fosse penetrato
sul limitare della linguistica, non V avrebbe confusa e scambiata
ad arbitrio colla etnografia, essendo questa una sola delle molte
applicazioni di quella; non avrebbe ripartito per regioni tante
lingue disparate, non avendo verun rapporto la natura degli
idiomi coi luoghi nei quali sono parlati , e trovandosi sovente
in regioni diverse linguaggi affini d'una stessa famiglia; non
avrebbe confuso le lingue lettiche tra le slave, né la pehivi tra
le semitidie, né la turca e la ciuvassica tra le mongolidie, lin-
gue di natura affatto diversa ; enumerando poi gli italici dialetti,
non avrebbe per certo confuso e collegato in manipoli il ge-
novese col piemontese, il bergamasco col bolognese, il bresciano
col parmigiano e col jferrarese, né posto fra i dialetti occitanici
il valdese, ch'é pretto piemontese.
A porgere un saggio pratico del vero ordinamento filosofico
dei linguaggi, adombreremo per ultimo la grande divisione, da
noi altrove diffusamente svolta , di tutte le lingue dell* orbe in
tre classi, alle quaU per avventura corrispondono i tre princi-
pali stipiti, nei quali Tuman genere fu dai fisiologi ripartito.
La prima classe comprende le lingue semplici, ossia affatto prive
d'artificio grammaticale; la seconda comprende le afjissive; la
terza le inflessive.
Nelle prime ogni idea ed ogni modificazione della medesima
è rappresentata da un segno o da una parola speciale, la qua-
le, rimanendo sempre immutabile ed inflessibile, non può rice-
vere, né dare modificazion di valore alle parole colle quali forma
una proposizione. Non anunettendo quindi né declinazioni , né
conjugazioni , né parole composte con ahra legge, fuorché per
via di semplice sovrapposizione, ne viene, che indefinito è in
queste lingue il numero delle radici, e nulla la sintassi. A que-
sta classe appart^gono le lingue delle regioni orientali delF A-
sia, in particolare la chinese e le sue affini, nelle quali appunto
é fondata per avventura la ragione sufficiente della condizione
DELLA LINGUISTICA. 1 5
Stazionaria delle nazioni che le parlano, come pure della somma
difficoltà d'impararle; molto più facile essendo l'ordinare nella
propria mente un determinato numero di leggi granunaticali «
che non un'indeterminata e pressoché inesauribile congerie di
separate radici.
Le lingue della seconda classe son quelle die, determinato
un numero più o meno ragguardevole di radici atte a rappre-
sentare la serie delle idee principali, ne ei^rimono poscia le gra-
duazioni, le modificazioni ed i rapporti, per mezzo di affissi e
di suffissi; vale a dire, affiggendo al princìpio o alla terminazione
delie radici medesime altre parole, le quali, staccate, hanno de-
terminata significazione lor propria. A questa dasse apparten-
gono pressoché tutte le lingue indigene dell' America, la eopta,
le basche anticamente diffuse su quasi tutta la penisola iberica,
delle quali poche reliquie sopravvivono frd le balze de Pirenei
occidentali; e le finniche, le quali possono eziandio collocarsi
nella terza classe, facendo uso simultaneamente di affissi e d'in-
flessioni. A questa dasse medesima potrebbero altresì ascriversi
le lingue celtiche , le cui principali inflessioni corrispondevano
io origine a pronomi , avverbii ed articoli , e nelle quali per
conseguenza l'uso posteriore di pr^nettere l'articolo ed il pro^
nome ai nomi ed ai verbi, serbando le flessioni, forma altret-
tanti pleonasmi.
Le lingue della terza classe son qudle che esprimono le mo-
dificazioni ed i rapporti delle idee, aiterando in varia foggia le
i*adici primitive, sia mutilandole , sia variandone le vocali o le
consonanti radicali, sia mutandone le desinenze, ciò che appunto
i grammatid distinguono coi nomi di conjugazùme e declina-
zione. É quindi chiaro che, mercé quest'ingegnoso artificio, le
lingue inflessive possono esprìmere con picciol numero di ra-
dici una varietà indeterminata di idee, precisandone i mutui rap-
porti, ciò che le semplici non possono conseguire, se non con
un numero indeterminato di voci. Nelle lingue inflessive esiste
quasi un principio vitale, mercé cui possono variare all'infi-
erito, senza cangiare natura, mentre le semplici ^ collo sviluppo
delle idee, cangiano la materia e la forma. La vera cogni*
^one ddle prime consiste nell' abbracciare d'un colpo d'occhio
li complesso delle leggi sulle quali sono moddlate; quella delle
seconde nell' imparare a memoria l'infinita. serie di voci stac-
16 ORIOUffe B SVILUPPO
cate , proprie d' ogni singola idea. Perciò appunto suol dirsi ,
che al più erudito Ghinese non basta il corso della vita per
apprendere la propria lingua; mentre T Europeo ^ coi soccorso
deir artificio grammaticale, può impararne simultaneamente pa-
recchie.
Da ciò appare manifestamente assurdo eziandio T intento di
quelli che impresero a ricondurre tutte le lingue del globo ad
un solo stipite primitivo^ mentre nessun fatto storico ci addita
una sola lingua semplice, trasformata in lingua inflessiva, o
viceversa; che anzi ve^amo la più antica fra le lingue sem-
plici conosciute , cioè la chinese» attraversare quaranta e più
secoli in tutta la primitiva semplicità, senza assumere una sola
forma grammaticale, a malgrado dell' incivilimento cui giunsero
da età rimota le nazioni che la parlano; e d'altronde scoliamo
la più colta e perfetta tra le note favelle inftessive, ossia la san-
scrita, perdersi nella notte d*una rimotissima antichità.
In simil guisa, indagando k> speciale oi^nismo dei singoli
idiomi, si procedette alla suddivisioDe di dasoona classe in fa-
miglie, delle famiglie in gruppi, dei gruppi in lingue distinte,
e delle lingue in dialetti. Di mano in mano che sì procedette
nell'ardua disamina, apparve sempre più manifesta l'impor-
tanza della cognizione dei dialetti parlati, per salire a quella
degli antichi idiomi caduti in oblivione; ed a tal uopo s'insti-
tuiroao laboriose ricerche in tutte le parti d'Europa. Gli alti
fini di questa scienza ottennero finalmente eziandio la prote-
zione dei governi, sicché in parecchie città d'Europa l'inse-
gnamento delle lingue orientali, già fondato ad illustrazione delle
dottrine religiose, non fu più ristretto alle sole semitiche; ma
vi si aggiunsero la sanscrita e la chinese; in parecchi luoghi
sorsero ogpnai cattedre di linguistica, dalle quali scaturirono
importanti lavori ed allievi di belle speranze; sicché ci giova
sperare, che in breve tempo questa scienza otterrà l'alto seggio
che le si compete.
Impazienti di vederla protetta e promossa anche fra noi, ci
siamo proposti di svolgerne, in una serie continuata di ragiona-
menti, la storia, l'intento, le le^ e lo stato attuale presso tante
nazioni, nella fiducia di far cosa grata ai benemeriti del nostro
paese. Valgano frattanto questi primi cenni ad accendere fra i
nostri concittadini T amore per una scienza che, seM)en nata
DELLA L^GUISTIGA. 17
rigogliosa, ci porge ancora vastissimi regni a conquistare: e que-
sta* terra lombarda, che amministrò le corazze e gli scudi al-
l' Europa feudale; che prima insegnò agli altri poppli Tarte dei
canali navigabili, e diede air agricoltore i prati perenni; che
porse air astronomo i primi germi del calcolo trascendentale, al
ehimico la Pila, al legislatore il Libro dei delitti e delle pene,
possa emulare un giorno le altre nazioni eziandio nello studio
comparativo delle lingue!
II.
DELLA LEiGOSTICA
APPLICATA ALLA RICERCA
DELLE ORIGINI ITALICHE
La ricerca detlé Origini ttaHché fa soggètto di molti stiidii
e degfi sforzi di molti ingegni nel ^colo scorso. Vàrii sistemi
furono con vario sfoggio d* erudizione e con maggiore o mi-
nore apparenza di verità itìstitniti ; e parecchi volumi comparvero
successivamente alla hice, senza che per ((uesto si gtuiigeiàse allo
scioglimento dell' mtricato problema. Ne fo causa Fitìsufiicienza
dei metti ^ e pi& ancora la fatale consuetudine di premettere i
prìncipn alla ricerca degli elementi che doveano costituh*!!. E
perciò, ({uando ff mondo scientifico fa stando di st^emii abban-
donò rimpresa alle future generazioni.
Frattanto dalle sparse notine de* naviganti é de^ missionarii,
riunite e coordinate da* moderni fitoìogi, venne a pciso a poco
sviluppandosi la Linguistica, le cut opportune applicazioni alla
storia svolsero sin da principio le ignote origini di alquante na-
zioni antiche e moderne, e rivelarono fn altre sorprendenti
rapporti di mutua affinità. Allora tornò in campo eziandio Tabban-
donata questione ddfe Origini Itaiiche^ la quale, a nostro con-
forto, non solo occupa oggidì la mente di chiari ingegni ita-
liani, ma è scopo altresì delle profonde fucubrazioni di valenti
scrittori stranieri.
22 DELLA LINGUISTICA
Lunghi e sudati lavori compajono tuttogiorno alla luce iii
Germania, in Bretagna, in Francia ed in Italia, intesi a trac-
ciare le migrazioni, a svolgere le origini, a determinare le an-
tiche sedi e le vicende dei Reti , degli Etrusci , de* Tirreni , dei
Pelasgi, dei Celti, dei Siculi, dei Bruzi, e di quanf altre genti,
ripartitosi un tempo il suolo della nostra penisola, colla vicen-
devole loro fusione diedero origine alla nazionalità italiana. Sono
abbastanza note le erudite opere di Niebuhr, Miiller, Zeuss,
Diefenbach, Leo, Grotefend, Lepsius, Fernow, Steub, Betham,
Troja, Gorcia, Mazzoldi, Bianchi-Giovini, Balbo, e di tanti altri
italiani e stranieri più o meno rivolte al medesimo fine. Se non
che le differenti vìe da ciascuno calcate, il vario modo d'in-
terpretare le antiche leggende e le testimonianze multiformi de-
gli scrittori, la diversa applicazione delle teoriche linguistiche
alle loro indagini, e quindi la discrepanza dei rispettivi loro ri-
sultamenti, non valsero per avventura a spargere sinora sulla
nostra primitiva istoria quella copia di luce, che dovevamo ri-
prometterci da tanti lucidi ingegni, dai profondi e coscienziosi
loro studii.
Confortati dal vedere .tanti sommi in Europa prediligere le
cose nostre,, prodigandovi le dotte lor vqglie, impazienti di rac-
corne. pur una volta il frutto ^ allontanando la molUpIicazione
dei sistemi, e conscii dell'importanza della Linguistica in simili
$;tudii, ove sia opportuhamente applicata, reputiamo util cosa il
richiamare T attenzione degli studiosi allo stato attuale della
medesima, tracciando gli estremi coniìni della su^ influenza,
vale a dire, determinando fin dove, nelia .presente coudizione
di studii, essa valga a coadiuvare lo storico nella speciale ri-
cerca delle Origini Italiche, si per difenderla dall'insultante ac-
cusa di fallace ed inutile, scagliatale da taluno, come per fre-
nare l'imprudente foga di altri, che^ s^tribuendole illimitata po-
tenza , tentano forzarla ad imprese superiori agli attuali suoi
mezzi.
Noi non ci tratterremo a confutare la strana asserzione del
signor Mazzoldi, il quale, prendendo a disan^ina il grave argo-
mento delle Origini ItaUcke, elimino di tutto punto dalla que«
stione la Linguìstica, qual mezzp inutile e fallace, preferendo poi
riprodurre, in prova d'un vecchio e riprovato sistema da lui
guasto e svisato, confusi brani di antichi scritloiii, scdli alFuo-
'applicata alla ricerca delle origini italiche. 23
pò, mutilati e sovente interpretati a capriccio. Invitando i lettori
air esame delle Origini ftaliche del Gaarnacci, ed alla, confa*
tazione del libro del signor Mazzoldi pabblicata dal nostro be-
nemerito lombardo Bianchi-Giovìni, ci ristringeremo ad avverti*
re, non essere lecito, a chiunque osa intraprendere siffatti stu-
dii, r ignorare l'importanza d'una scienza coltivata con gloria
da tanti luminari d'Europa, ed alla quale, comeccliènascente, il
mondo scientifico va debitore di molte importanti rivelazioni. Se
la Linguistica sol consistesse nel classificare a capriccio, o a
sorte, come fece il Balbi^ i nomi delie antiche e moderne lin-
gue, confondendo le note colle ignote, le semitiche colle giapeti-
che, colle camitiche, senza badare ai mezzi, né al fine, la
sentenza del signor Mazzoldi meriterebbe plauso d' equità ; ma,
grazie a Dio, essa procede ben altrimenti, mentre, diretta ad
alti fini, e provveduta di potenti mezzi, indaga quello che igno-
ra, asserisce sol ciò che prova, e rivela quello che scopre ^
Egli è ornai tempo, che procediamo pur tutti per questa via,
associando fraternamente e con retta coscienza i nostri agli
studii altrui, giacché solo dalla concorde alleanza delle scienze
affidi può scaturire quella verità che cerchiamo, e che 11 mondo
ha diritto di esigere da noi!
Molto meno ci faremo a tessere le lodi delia Lingnislica, o
accecati da esagerala prevenzione per una scienza, che da molti
anni forma il soggetto primario de' nostri studii , tenteremo re-
stringere a questa sola il privilegio di rivelare le origini delle
1 II Balbi, neWAtlante etnografico del globo, enumera fra le lingue greco-
latine quelle che parlarono un giorno i Frigj , i Trojani , i Bitinii , i Lidj, i
Carii, i Licj, i Cimmerii, i Tauri, i Traci, i Mesi, i Daci, i Macedoni, gli lUi-
ij, i Pannoni, i Veneti, i Siculi, e tanti altri popoli, dei quali la scienza ignora
tuttora r origine, non che le lingue ed i rapporti. Che anzi, se fosse lecito
institaire qualche yerisimìle congettura sui loro nomi proprii, e sulle poche
VOCI, péF]avventurft storpiate, serbateci dagli antichi scrittori, saremmo co-
stretti a crederle di famiglie tanto diverse dalla greco-latina, quanto più ne
differiscono le forme; a questa credenza siamo pure condotti dalla testimo-
nianza degli antichi storici greci, i quali, parlando degli lllirj, dei Macedoni,
e di parecchi altri fra i popoli surriferiti, d' unanime accordo asserirono, che
parlavano barbaro, vale a dire non greco. Questo brano deW Atlante etnogra-
fico, che non è de' peggiori, basta a porgere idea del modo col quale quel
libro fu compilato.
Veggansi su questo argomento le nostre osservazioni nella prima parie
deir Atlante linguistico d' Europa , la continuazione del quale sta sotto i
torchi.
U DELLA LINGUISTICA
nazioni, diiBindado tanle altre scienze affini ed importanti, tioùgi
da eiò, conscii della sua breve esistenza, della vasta carriera
che tuttavia le rimane a percorrere, e perciò ancora delle mol-
teplici sue imperfezioni, è nostra mente esporne con esail^za
lo stato attuale, ed ì mezzi de' quali può valersi oggidì , onde
prendere utile parte neir astrusa ricerca delie nostre origini.
La Linguistica, come abbiamo nel precedente discorso accen-
nato, comecché nata rigogliosa, è ancora ne' suoi primonfii, e,
sebbene coronata di brillanti scoperte, attende ancora chi ne
raccolga e ne coordini le l^gi fondamentali, ne sviluppi le va-
rie mendira, e ne colleghi sapientemente i destini a quelli delle
scienze affini. Abbiamo ciò non pertanto avvertito, in qual modo,
ricostruendo con pochi ruderi pflffecchie fra le antiche lingue
cadute in obblio, pervenisse nel breve corso d' un mezzo secolo
incirca a determinare con mirabile evidenza le origini di varie
schiatte asiatiche ed europee, non che a scoprire rapporti di
fratellanza tra disparate e lontane nazioni. Ai molti esempii pro-
dotti ad illustrazione di quel rapido cenno potremmo ora ag-
giungerne una lunga serie, se pur foese d*ttopo dimostrarne Tu*
tilità e r importanza; e però non è più lecito dubitare, che, in
parità di circostanze, e per identiche vie, possa raggiungere,
col tempo e con opportune applicazioni, la scoperta di nuove
orìgini e di nuovi rapporti. Solo è mestieri avvertire, che la filo-
logia comparata, del pari che tutte le scienze positive, procede
gradatamente dal noto air ignoto, eh* essa pure abbisogna dei
dati del problema prima di tentarne la soluzione, che cioè ha
d'uopo di tante equazioni quante sono le incognite che ricerca;
e che in conseguenza, pruna di tutto, deve indagare e stabilire
questi dati, senza i quali anche i suoi sforzi tornano inutili ed
infruttuosi. Cosi, prima di giungere a determinare le origini e
le affinità di tante schiatte indiane , persiane ed europee, o a
collegare in famiglie tante tribù asiatiche, africane, o americane,
essa dovette col lungo studio de' dialetti parlati, e colla scorta
dei monumenti, ricostruire alcune fra le estinte favelle; col sus-
sidio di queste pervenne alla cognizione di altre, sinché, ap^
prestati per tal modo i necessarii materiali, potè instituire i con-
fronti, fondare i suoi ragionamenti, e pronunciare i giudizi.
Ora, sebbene lunghi e severi sludii venissero in varii tempi
instituiti intomo alle antichità italiane, pure questa raccolta di
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 25
materiali necessarìi onde procedere alla lamina delle orìgini
dei popoli è lungi aneora dair essere compiata; né sappiamo,
se potrà compiersi un giorno, giacché noo possiamo creare i
monumenti, né for risorgere i morti per interrogarli; e quindi
avvisiamo, cbe, se é avventato giudicio ii dichiarare la scienza
per questo fine insufSciente e fallace, non é meno immaturo
consiglio, nel suo stato attuale, T invocarne con piena fiducia gB
oracoli.
Infatti la storia ci enumera una serie di popcrfi primamente
stanziati sul nostro suolo, i quali da mìgliaja d'anni scompar-
vero senza lasciar traccia di sé, né delle loro lingue. A quelli
ne successero altri, che alla loro voha cedettero il posto a no-
velle genti novellamenle giunte da rimoti lidi, e con esse si fu-
sero; e quest'alterna vicenda, o commistione, si rinnovò più
volte in tutte le regioni della penisola, e in ogni direzione, prima
ehe la storia ne seguisse le orme, o ne fermasse reminiscenza^
tranne alcuni nomi. Ora questi nomi stessi, unica reliquia di
tante genti, guasti e storpiati dagli scrittori^ talvolta erano col^
lettivi, e comprendevano parecchi popoli confederati, o raccolti
sotto un medesimo freno; talvolta apponevansi dal conquistatore
al conquìso, sebbaie d'origine diversa, come avvenne durante
Tetrusca confederazione, e sotto la romana repubblica, e come
aneora a' di nostri udiamo appellarsi Romano il pacifico pastore
valacco, e romana chiama la propria lingua il riscattato clefta
deir Arcipelago; talvolta ancora furono dati a caprìccio dagli sto-
rici posteriori all'uno o all'altro popolo, per sceverarli fra di lo-
ro, dinotandone le principali consuetudini, come é chiaro dai
nomi dei Gimmerii^ dei Lueumoni e d'altrettali, che suonano i»
greca favella abitatori delie grotte, e dei boschi, senza racchiu-
dere verun indizio che alluda alla ricettiva loro nazionalità.
Perciò Tirreni, Pelasgi, Liguri, Veneti, Euganei, Ausonii, Etru-
sci. Lucani, Bruzi, Marsi, Piceni, Sanniti, Siculi, Aurunci furono
sempre oscuri nomi di molteplice e vaga significazione per l' im*
parziale indagatore delle origim. Ciò non pertanto, storiche te-
stimonianze, la enorme pluralità de' viventi dialetti italiani e i
pochi monumenti che si vanno qua e là dissotterrando^ ci fanno
concordi non dubbia fede, che tutti questi popoli avevano lin-
guaggi proprii e distinti; e questi pure interamente scomparvero,
senza che ne venisse serbata notizia, giacché gli storici antichi
26 DELLA LLNGUlSTiCA
si curarono meno ddle lingue e dette sotiiatte, eiie dette favote
e dei riti superstiziosi; e più tardi la politica dei regnanti, il
ferro e il fuoco dei combattenti e l'orgoglio nazionale degli
scrittori romani, o tentarono fondere nella conquistatrice le molte
nazioni conquise, o distrussero le vestigia della primitiva toro
civiltà, sprezzarono e ne occultarono ad arte le origini e le
lingue. Basta avvertire, come tanti scrittori romani non ci tra-
mandassero un solo cenno intorno atta lingua dei Cartaginesi,
coi quali si disputarono .per qualclie secolo il dominio dei mari;
nulla c'insegnassero della lingua etrusca, nella quale si rappre-
sentavano commedie in Roma ai tempi d'Augusto e molti anni
dopo di lui; né facessero bastevole menzione delle tante fevelle ibe-
riche, celtiche, germaniche e traci lungo tempo soggette al loro
dominio. Appunto per queste ragioni gli studiosi, che nel passato
secolo tentarono svolgere le nostre origini, brulicando fra le an-
tiche macerie^ o spigolando testimonianze fra gli antichi scritto-
ri, fondarono solo vaghi sistemi che si distrussero a vicenda, e
lasciarono più intricata la questione.
In tanta inopia di mezzi sorgeva appunto ai di nostri la Lin-
guìstica, novella face atta per avventura a diradare il bujo di
tante tenebre, ed essa pure fu ben presto da parecclu studiosi
interrogata. Ma questi non avvertirono, che, per rispondere alle
intempestive loro dimande, essa avea d'uopo eonoscére, non
solo le antiche lingue italiche, ma altresì quelle delle circostanti
regioni che contribuirono a popolare le nostre; e che dell'in-
determinata congerie di lingue parlate un tempo ndla nostra
penisola non conosciamo sinora, oltre alla greca, alla latina ed
all'osca, se non qualche svisato dialetto della celtica, ed assai
poco l'etrusca; meno ancora sappiamo delle lingue degli antichi
Fenicj, dei Trojani, dei Pelasgi, dei Traci, dei Tirreni, e di
tante altre genti, che, per istorica testimonianza, fondarono sta-
bili e separate colonie sul nostro suolo. Come potea quindi la
Linguistica instituire confronti e pronunciare giudizi! su quello
che ignora? Né giova richiamarla alla scorta dei monumenti,
mentre molte fra le antiche lingue mancano affatto di monu-
menti scritti, altre ne hanno di troppo esili. Arroge, che i Gre-
ci, gli Etrusci, ì Celti ed i Latini estesero più o men lungamente
il loro dominio sopra una maggiore o minor porzione della pe-
nisola, ove imposero a vicenda a nazioni diverse, collegate solo
APPLICATA ALLA RICKRGA DELLE ORIGINI ITALICHE. 27
da una stessa le^e, i rispettivi linguaggi, e quindi rallaci, o al-
meno dnbbiì sarebbero anche i giudicii fondati sui monumenti,
giacché egualmente male si apporrebbe colui, che, scoprendo
parecchie iscrizioni etrusche nelle venete provincia, attribuisse a
quella popolazione etrasca origine, come chi la giudicasse latina
per copia di latini monumenti.
Resa per tal modo manifesta T impossibilità d'applicare nel
presente stato di cose la filologia comparata alla ricerca delle
nostre Origini, non ne viene, eh* essa non abbia a provvedersi
un giorno dei mezzi necessarii a riempire questa importante la-
cuna della storia d* Italia. Ghè anzi, se i vecchi idiomi scom-
parvero, se il tempo e le conquiste ne distrussero le tracce, e
se gli antichi scrittori li ignorarono, o vollero farceli ignorare,
vi sono tuttavia de' monumenti indestruttibifi, mercè i quali essa
potr^be per avventura ricostruirli, o determinarne almeno Y in-
dole e la cognazione. Tali monumenti sono i viventi dialetti, e
i nomi proprii de' monti, de' fiumi, de' paesi e deMuoghì, i quali
sopravvissero alle rovine di tante superbe città ed alle nazioni
dalle quali furono innalzate.
Abbiamo altrove dimostrata l'invincibile tenacità dei popoli
nel serbare le forme e gli elementi che costituirono le primi-
tive, lor lingue, anche a traverso le migrazioni e le conquiste,
e in onta alla violenta sovrapposizione di nuove favelle ^ Ab-
biamo allora notato, fra ì principali e più distintivi elementi dei
linguaggi parlati, la pronuncia, o il sistema sonoro, il vocabo-
lario, ossia la raccolta delle voci proprie di ciascuna lingua, la
grammatica^ o il vario modo di comporle e d'infletterle, e la
sintassi, o meglio il sistema concettuale proprio d'ogni singola
popolazione. Una lunga serie di esempi attìnti alla storia delle
lingue meglio conosciute ci rese agevole il dimostrare l'impos-
sibilità della . totale distruzione di questi elementi , senza la di-
struzione del popolo che li ha succhiati col latte; ne abbiamo
evidenti pròve sotto gli occhi nella lingua turca, alla quale l'araba
conquista potè imporre bensì la massa de' proprii vocaboli, non
già dettare le proprie forme; e nel linguaggio degli Scandinavi,
nel quale troviamo la doviziosa congerie delle radici germaniche
1 Sullo studio eomparaiivo delle lingue. Memoria inserita oel II volume
del Politecnico,
38 DELLA LlNGIllSTtCA
sottoposta a mutazioBÌ, a leggi ed a forme per avvenlara anti*
chissime, di natura a&tto diverea dall*organtstto deHe sUsas
germaniche fevelle.
Ora, non v* ha regione in Europa, ehe sopra egoal saperfieie
seii)i tante discrepanti varietà di pronuncia, quante 1* Italia,
prova non dubbia della pluralità delle antiriie sue lingne> giae*
che veggiamo , i luoghi nei quali prevalgono i suoni nasali dei
Celti, gli aspirati d^U Etrusei, la » dei Gred^ e simili, cor-
rispondere precisamente alle antiche sedi assegnale a que* me*
desimi popoli dagli scrittori ; per modo che si potrebbero, eolia
sola scorta delle varie pronuncio, ddineare almeno^ le |MPÌncipi^
divisioni deir antica geografia^ I vocabdarii dei singoK diriélli,
sebbene ricevessero dall* unità romana, e più tardi sotto T in-
fluenza d^una sola lingua scritta g^erale, F impronta unUbrme
e concorde della Imgua del Lazio, hanno dò nnllostanle mag-
giore apparenza che realtà di simiglianza, mentre, analifiszali con
attenzione, rivelano a vicenda migliaja eh radia esclnsivaoiattte
proprie delFuno o dell'altro, estranee alla latina, e quindi ba-
stevoli a provare le enormi varietà degli elementi primitivi ehe
li costituiscono ^ Il £aitto generalmente palese della somma dis-
sonanza delle vernacole nostre fiivelle, per la quale il Genovese
non è da verun altro inteso^ né il Lombare) dal Napoitano, né
il Calabrese dal Veneto, né il Friulano dal Bolognese, e vice*
versa, in onta alla comunanza delta massa delle radid, attesta
la molteplice varietà delle flessioni di queste presso le singole
popolazioni. E per ultimo, se si porranno a riscontro le ma*
niere del dire, gli idiotismi, T ordine rispettivo delle varie parti
del discorso, saranno manifeste in tutti i volgari dialetti altret-
tante forme e fiiveUe distinte italianamente vestite.
Ciò premesso, siccome non v*ha dubbio, che questa radicale
dissonanza di pronuncia, di radici, di flessioni e di sintassi de-
riva per lo più dalla natura dd primitivi icfomi d'ogni singola
nazione, gli elementi dei quali passarono successivamente in re-
taggio dairuna all'altra g^erazione, cori e|^ è certo che, qua*
i Dì questo fatto porgiamo nna prova manifósta nel Saggio sui Dialetti
GaUo-ltaliei, prossimo a comparire ia luce, nel quale abbiamo inserite alcune
migliaja di voci esclusivamente proprie di questi dialetti. Avvertasi però, che
questa serie è appena un Saggio, e che qoe! numero potrebbesi agcvoinìeate
moltiplicare con apposite diligenti indagini.
APPLICATA AiLA MGIRCA OELUB ORIGINI ITALICHE. 99
iora vmisse oon diligeiiU stadiì determinata in lutle le sue parti,
e per .ogni nuniana regione d'Italia, si potrebbe per awentara
stabilire con bastevole landamento il numero degli antidii idiomi
sinara soononati; sarebbero tracciati i confini, entro i quaK
daacnm fa n tenifM) parlato, non che i principali rapporti della
mutaa loro aflSnità o discrepanza; si potrebbe talvolta coi po-
chi «ruderi per tal modo raccolti e sceverati , col sus^dio dei
nomi ppoprii ridonati aHe primitiv)e loro forme, e dei monumenti
sopevstiti , ricoatmìrne forse i|uriche brano , che ne rivdi Tin-
dole distintiva; e fisalnenle, instituendo on equo confronto colie
antiche lingue oonoscinte, perverremo nn giorno a conoscere
con ccitezEa, o ahneno con maggiore probabilità, a quali delle
antiche sduatte rispettivamente appartenessero. Allora solo pò-
Irono avventurarci ad interpretare le mistiche leggende e le
oscure testimoniaiiae degli storici antichi, le (fuali, anziché in-
e^f^pare i nostri passi, virramio a q»i^ere nnova luce suH* a-
pcalo sentiero, e gioveranno a guidarci pin oltre aèHe nostre
ricerche. V*ha dunque nn m»zo, col qiale poi la LingnisUca
coadjavare lo storico neBa ricerca delle Origini liaHche; ma
^esto mezzo richiede la piena cognizione di tutti i nostri dia-
letti viventi, la quale non può essere, se non il risidtamento fi-
nate di lunghi e coscienziosi studii fotti su tutta la penisola da
molte persone bene intenzionate, che, bramose di scoprire 'la
verità, si spoglino d*ogni anteriore prevenzione, e rìmmdando
alla effimera gloria di costrah^ da sole ingegnosi sistemi , uni-
scano i loro sforzi diretti sopra nn medesimo {nano ad uno
stesso fine, e raocolgano con pazienza i materiali necessarii al
solido monumento die dev^e ilhistrare la patria comune.
Per nuda ventura >ostali studii, lungi dall* essere oompinti, o
ahneno inoltrati , «Umto appena principio ai nostri giorni, e
questo flave con malfermo passo, con varia critica e direzione
diversaL Solo pochi voo^larii (fi alcuni dialetti principali com-
pierò ainora alla luce aibtto msuffieienti ed oltremodo nn-
perfetti, penehè «stretti per lo più alhi fovdh delle grandi città,
e perciò difettosi del doviziosa patrimonio delle etmfogae e dei
monti assai pin ricchi di vetuste radici, perchè più tenaci nel
conservarle; che anzi, la sola favella della campagna e dei monti
può dirsi propriamente h favella nazionale d*una regione, non
solo perchè più pura, ossia meno guasta dal progresso della
•)0 DELLA LI^'VGiasnCA
dviilà, ma altresì perdiè le schiaUe irì si maolCBeoiio illese da
comoiistioiìi slraniere, mentre la popobzioDe delle grandi dtlà
d' ardioatìo può riguardarsi come una aùsceilaaiea £ gmti pia
o meno disparate, insilane raccolte per ragponi poliliclie o eom-
merciali , e necessariameme esposte di conlinoo a lìoMseofaursi
con sempre nuovi elementi Inoltre i boiemeriti oompilatari dei
vocabolarii gpà pubblicati, ai quali ciò non pertanto atiesliaino
pubblicamente la nostra più conliale riconoscenza, diressero nna-
nimi le loro indagini a chiarire al popolo la lincei italiano, am-
maestrandolo a tradurre italianamente il proprio dialetto, senza
eorar» della scelta, dell'organismo, della dm^azione, dei rap-
porti, o ddle dreosfanae delle irod, ciò die rende preasodiè
inutile al Ungpista Topera loro; che se taluno, sedotto dsdb
cottsonsmza di alcune vod, si avventurò nd difficile campo del-
fetimologpa, e^ mirò so|Hattutla a fiur pompa d* ingoino, od a
sfoggiare una vana erudizione, forzando senza misura cosi le
forme eslrinsedie, come il sanificato dd vocaboli, e raeeozzando
ad un tempo fra le parole d'im medesimo dialetto le |Mà di-
sparate analogie semitiche, indiane, shve, basche, cebidie, gre-
die e latine antiche e moderne, qnasi die tutta la oongme de-
gli umani lingpaggi avesse potato concorrere alla formazione
d'un solo dialetto, o si volesse ancora ai nostri gìomi ricondurre
per questa via tutte le lìngue. ad un solo |Nrincipìo, vale a dire
al sopposto idioma primitivo f eneralore di tutti gli altri.
Noi non d faremo ad esaminare di quanto vanto^gìo tornar
posssmo indagini di simil fotta in libri specìabnente diruti alla
istruzione popdare; rammentoemo beasi, altra cura essere la
raccolta e Tordìnamaito delle vod d'un dialetto, altra rinvesti-
gazione ddle loro originL Se per la prima bastano sano crite-
rio, perseverante pazienza ed inddiesse inda>gpni, la seconda ri-
chiede boi altra dote di severi stodii, vasto corredo di cogni-
zioni e pn^pieada d'ingegno; e pmò gpoverà forse rammentare
a taluno qud sempre memorabile detto: Suior, ne nlira crepi-
dam! Prima di sottoporre all'analisi etimologi le vod d' un
dialetto, devono queste subire una lunga elaborazione prepara-
toria, senza la quale ogni indagine tornereUie frustranea ; Tale
a dire, è d'uopo prima di tutto separare le vod primitive, di
strana forma ed Musivamente proprie di ciascun dialetto, da
quelle di forma evidentemente Ialina, codmuiì a molti dialetti,
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 31
del pari che da lotte le moderne successivamente introdotte daHa
conquista, dal commercio, dalla moda o dal progresso delle arti
e delle scienze. Queste yocì devono quindi rappresentare omet-
ti, idee semplici proprie di tutti i tempii quali sono i nomi
della terra e del sole, delle piante e degli animali indigeni e si-
mili, eliminando anche fra questi quelli die fossero per avventura
importali in età posteriori. Depurata per tal modo la scelta delle
voci atte ad essere sottoposte a confronto, è necessario ridurle
con perspicacia alla loro più semplice forma radicale, sceverando
il semplice dal composto , il significato primo e diretto dì cia-
scuna dal traslato, ed eliminandone le accidentali flessioni. Solo,
dopo che i materiali saranno per tal modo preparati e disposti,
sarà lecito al Hnguista sottoporli al confronto cogli elementi delle
antiche lingue note, per investigarne i rapporti di simiglimiza;
al qual uopo eziandio non potranno mai bastare le apparenti
analogie di forma e di suono, troppo spesso prodotte dal caso,
essendo ristretto il numero de' suoni naturali, e più ancora dei
segni convenzionali impiegati a rappresratarli ; ma dovranno al-
tresì essere convalidate da un concorso di circostanze e di razio-
cinii, cui solo una mente perspicace e spoglia di prevenzioni può
con sicurezza ìnstituire.
Queste brevi considerazioni, che unite ad altre parecchie ci
proponiamo di svolgere su più ampia tela ne' successivi ragio-
namenti^ basteranno a far conoscere quanto pochi ed imperfetti
siano gli studii linguistici intrapresi finora, atti ad agevolare
l'illustrazione delle antiche e delle viventi lingue d'Italia; e
quindi apparirà di leggeri manifesto, quanto inmiaturi fossero i
tentativi fatti per determinare con questo mezzo le origini ed
ì rapporti delle nazioni che le parlano. Abbiamo premessa questa
rapida dimostrazione a priori é! una tesi che ci si offeriva spon-
tanea allo sguardo, anziché esporla a posteriori, manifestando
r insufficienza, o meglio la discrepanza dei risultamenti finali di
quanti impresero ad illustrare le nostre origini; e ciò, l."" per-
chè ci parve più util cosa il provvedere air avvenire, tracciando
la via più acconcia che dobbiamo percorrere, anziché arrestarci
a deplorare i trascorsi del passato ; 2.'' perché non volevamo
esporci alla taccia immeritata d'ingratitudme verso quei genero-
si) che primi rivolsero i loro studii ad illustrare la patria co-
mune, ed ai quali attestiamo stima e riconoscenza per le^nolte
33 MIXA UMGOBnCA
loro irtìli apecniaiMMii. Ciò bob pcrtaBlo, a porsero qBolclie pova
di Ciito di niiBln starno tcbbIì io biovo c^poBeado, agg^inige-
reoio OBoon lo poche oasenoDoai che ci a lAcdaroBo più ot-
▼ie nella leltora di aknni reocBti IfatMi sa qaeslo arfomeDU),
e che ci pijoBO più atto a copnriidaie il Boolro anonto; aia bob
bseefOBo nd lenpo stesso di dichiarare, essere aostra iatea-
zioBO, BOB gpi il detiarre poato dai aobili e preaoei abidii at-
tmiy beasi Tassodani, qaali essi par siaao, aache i aostri, aeUa
slessa gnisa» e per la seda ragpoao, die li assodaaio pare i ao-
stri TOli e le nostro speraoze.
Fra i beaoiBerilìy Ae applicaroBO negli nliiatt teaipi la Uà-
gaislica alh sohmooe dd gna proUcaai delle Ontpm liaUehe,
emersero GogBefano Betham eoi sooi fam^ sladii sogli Elrosd,
Federico Stenb, die instilai laboriose iadagini sali* origine dd
Reti, Cesare Balbo, die Icalò sr oigere coaiplessivaaMale b fa-
sione ddle schiatte in Italia, ordinando una serie di severi sladii
salle prìmitÌTe istorie ddh laedesimaj e Nicoela Corda, il qoale,
laipreiideado a descrivere la storia dd regno ddle Dae Sicilie,
iadagò negli aatichi nomi snperstìti Torigine degli Itali meridionali.
Betham, odi* opera iBtìtofaita EtrwriorQsUka, testé pabbft-
cala in due Yolami a Doblino» tentò dimostrare 1* ideatila delle
lingne etneca ed iriaadese, e rw^iBe feaida d'calranriie.
Per la prima parte dd sao diiBcile assanlo, si sforzò ialerpre-
lare col meoo dcUa wcnte fMrdbi ibemoHedlica i priodpdi
■MwnmeBa etnnd, lale a dire le cdefari tavole di Gobbio, e le
iscrizioBi di Penq^ e di Moafideoac. Per la sceoada iaslilai eni-
dili ed ing^ipion coafironti fina k aalìche mitologie, e, Ibrzaodo
le testìmonianie degli slorid, voHe provare la mi^nuMie dd
Pda^ daUa Feaida, e Fideatita kro cogli aotichi Eirvnd. Da
qomito abbiamo premesso è fMile imagpaare b somma dMBeidtà
di iastilaire nn confroalo fica la liagna eirasca, si poco aiaora
oooosduta, e 1 kbndcae, bob che T ìmpofldUitò anahila di ri-
fioontrarla coHa ienida affirtlo ipMta. En qmoA aalarale , die
V aalore dovesse soppUre coU^iag^ao e coB' i mag in auoBe al di-
fetto dd mezzi InfaHi, per raggiongere eoa «^tti f s il sao
scopo, egli dovette aHangare, o restriagere all' uopo le «ori dra-
sdie dei monamenti, dividerne le silhbe od nnirie a suo grado,
permatandone, o sopprimendone le lettere, sinché glaase a for-
altrellaBle -vod, che adl'irfamdese favela
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 33
significazione. Ma tutt^ queste voci irlandesi, per tal modo rac-
cozzale e disposte, anziché rappresentai*e un senso continuato,
formano altrettanti indovinelli, mancanti per lo più del verbo
principale, e spesso ancora del soggetto o dell* attributo; e per-
ciò r autore ebbe ricorso a nuove trasposizioni, ad arbitrarie ag-
giunte e violenze, sicché pervenne finalmente, non senza copia
(l'ingegno, ad ordinarle in periodi, traendone quel complessivo
conlesto che meglio conveniva al suo sistema, formando cioè de*
monanienti etrusci altrettante descrizioni di spedizioni marittime,
nautiche informazióni ; mezzo molto acconcio a provare i' iden-'
tità degli Etrusci coi Fenicii, popolo, per testimonianze storiche,
fra tatti gli antichi eccellente neirarte del navigare.
Noi non ci tratterremo un solo istante a provare T insussistenza
di tali ragionamenti, giacché egli è a tutti palese, che in simil gui-
sa, e con egual forza d* argomentazioni, sarebbe agevole il provare
r identità della lingua etrusca colla ebraica, colla bascuense, coHa
cinese, o colFindiana, e formare delle tavole eugubine altrettanti
trattati di pastorizia, o peregrinazioni nel deserto, o precetti bra^
minici, buddistiche tradizioni; avvertiremo in quella vece, non
essere questo il metodo, col quale suole e deve procedere la scienza
nelle sue investigazioni , e deploreremo tanti studii prodigati ,
e tante veglie inutilmente spese da uno scrittore, la cui vasta
erudizione, da miglior criterio diretta, poteva condurre a solidi
risultamenti, ed i cui generosi sacrificii meritavano senza dubbio
miglior guiderdone. Se, nell'ignoranza in cui siamo deli' orga-
nismo proprio della lingua etrusca , e nella scarsezza' dei mezzi
concessi per rintracciarlo, é lodevole consiglio il tentarne, anche
a sorte, un confronto con altre lingue note, per iscoprirne i rap-
porti, non è però lecito, onde avvalorare un'opinione prestabilita^
ralterarne le forme, o il creare elementi che non esistono; peg-
gio ancora l'ostinarsi nell' asserire ciò che il buon senso ricusa,
ed il fatto smentisce. Per lo studioso che con retta coscienza indaga
la verità, anche la scoperta della discrepanza fra due lingue è
m utile servigio tributato alla scienza, un passo fatto nella lunga
carriera che deve percorrere; ma, il ripetiamo francamente, non
è questa la via più diretta, né molto meno la più sicura; prima
di tutto è d' uopo apprestare i materiali, e determinare con pre-
cisione qual sia l'organismo degli antichi idiomi , per poterne
instituire con cognizione di causa i confronti.
54 DELLA LINGUISTICA
Non molto diversa da quella di Betham si fu la via calcata
da Federico Steub nelle sue ricerche suir origine dei Reti. Que-
sto filologo tedesco^ ammettendo con Betham, una sola essere
stata la stirpe anticamente diffusa dal Tauro asiatico a Salisbur-
go, dal Bosforo ai Pirenei, che per mezzo di due grandi mi-
grazioni, runa per terra e T altra per mare, invase tutta l'Eu-
ropa meridionale, ed attribuendole pelasgica origine, restrinse
le sue indagini a provare l'affinità dei Reti cogli Etrusci, e
quindi la derivazione di questi da quelli ; concordando in ciò
cogli archeologi del secolo scorso, ì quali, suir ipotesi dell' uni-
versale celticismo, fecero pure scendere gli Etrusci dalle Alpi, e
li dissero derivati dai Reti. Anche lo Steub tentò dimostrare la
sua tesi mercè il confronto delle lingue retica ed etrusca; ma,
se questa è sinora assai poco nota , quella non lo è punto ,
e le deboli sue reliquie consistono in pochi nomi incerti di
persone e di luoghi, più o meno guasti e mutilati dalle succes-
sive generazioni di stipiti diversi. Lo Steub ciò nuUostante ne
raccolse con diligenza un ragguardevole numero sui libri e
sui luoghi stessi componenti l'antica Rezia, e li confrontò cogli
etrusci dei vasi e dei sepolcri. Sin qui rese utile servigio alla
quistione; se non che, non trovando spontanea quella corrispon-
denza di forme e di suoni eh' egli aveva imaginato, il dotto au-
tore si studiò fabbricarla coli' ingegno e colla violenza, perocché
non era già stato indotto dall'analogia dei nomi a supporre
l'affinità delle stirpi retica ed etrusca, ma bensì a ritroso^ dal-
l' opinione prestabilita di quest' affinità a cercare e forzare le
omonimie. Quindi con ingegnoso artificio si fece ad alterare cosi
le reUcl^e voci come le etrusche, pretestando la necessità di
ricondurle alla loro forma primitiva; permutò ad arbitrio gli
elementi che le componevano; trattò come se fossero retiche
alcune voci d'origine per avventura celtica, o germanica; ed
avvalorando in tal guisa le proprie argomentazioni, diede per
dimostrata un' opinione meramente gratuita.
Non è d' uopo ripeter^, come questo erroneo processo dello
Steub derivasse naturalmente dall'insufficienza dei mezzi impie-
gati; piuttosto dimanderemo, con quanto maggior sicurezza e
forza d'induzione non avrebbe egli potuto sviluppare le pro-
prie indagini, e forse ancora dimostrare la sua tesi, se, anziché
arrestarsi a pochi nomi incerti e fallaci, avesse depurato i pri-
APPLICATA ALLA RIC1CRGA DELLE ORIGINI ITALICHE. S5
mitivi elementi dei dialetti ora parlati nella Rezia e neir Etra-
ria, e ne avesse instituito, scevro da prevenzioni, un giudizioso
confronto? I nomi proprii prestano senza dubbio un forte argo-
mento a quello che indaga le orìgini delle nazioni; ma anch'essi
devono essere consultati con molta circospezione, né possono
mai da soli aver forza di prova, se non siano convalidati da
una serie di circostanze. Infatti, senza avvertire alle molteplici
modificazioni, che devono aver subito nel corso di tanti secoli,
per opera di tante stirpi diverse, e per le quali parecchi fra loro
smarrirono quasi del tutto le primitive sembianze, sappiamo an-
cora per esperienza, come non lieve parte degli antichi nomi ve-
nissero imposti dai conquistatori ai luoghi conquistati, o come
altri, serbando pure la stessa significazione, venissero trasportati
più volte dall'una all'altra lingua. Cosi la parte settentrionale
d'Italia fu prima denominata Etruria transpadana, indi Gallia ci-
salpina, e poi suddivisa in Venezia ed Insubria; cosi la piccola
Alba fondata in Bessarabia dai Romani, la quale presso il Moldavo
colono serba ancora oggidi l'antico nome di Cilaii Alba, fu detta
più tardi Weissenburg dal vicino Germano, prese il nome di
Ackerman quando cadde in potere dei Turchi, e quello di Biel-
gorod sotto la russa dominazione. Quanti esempi di simil fatta
non ci porge la storia di tutte le nazioni antiche e moderne?
e perciò, con quanta circospezione non dovrà lo studioso pro-
cedere prima di fondarvi i propri giudicii?
Cesare Balbo, rinomato per una serie di studii fatti sulle isto-
rie della nostra penisola, non che dei popoli eh' ebbero colia
medesima più o meno diretti rapporti , non s' addentrò abba-
stanza nelle linguistiche discipline, per poter avvalorare colle
proprie speculazioni le opinioni da lui stabilite sopra studii alla
linguistica estranei, sebbene tendenti al medesimo fine. Ciò nul-
lostante, riconoscendo l'importanza e l'autorità della filologìa
comparata, non lasciò d' invocarla più volte in sussidio delle pro-
prie argomentazioni, quando imprese a tracciare sommariamente
la fusione delle schiatte in Italia. Ivi, senza arrestarsi punto sui
particolari, posta la grande partizione primitiva delle schiatte in
semìtiche, camitiche e giapetìche, premise fra gli altri, come
dimostrati, e dalla filologia sanciti, i seguenti principìi : che tutte
le genti primaiBente venute ad abitare l'Europa, tranne i Fé-
nicii ed i Pelasgì, furono giapeliche ; che giapetìche sono tutte.
36 QELLA LINGUISTICA
quasi tutte le genti Indiaiie, tutte le Cinesi , e tutte quelle
fino a' nostri di vaganti nei settentrione dell'Asia, comprese già
sotto i varìi nomi di Geti, Sciti, Tartari, Mongoli, Cinesi, e via
vìa; che i primi popoli venuti in Europa furono i Jonii ed i
Tirreni; che i Jonii già stanziati nelle isole e penisole greche,
propagandosi oltremisura, diedero origine alle tre grandi schiat-
te: ellenica, la quale popcriò la Grecia; siculo-Iigure-iberìca, la
quale occupò tutte le marine occidentali d' Italia, le meridionali
della Gallia, e le orientali d'Iberia; e la celtica, che posterior-
mente occupò le due falde meridionale e settentrionale delle
Alpi; e che i Tirreni, dopo avere stanziato momentaneamente
in Tracia, passarono in Italia, al cui mare ulteriore diedero il
proprio nome. Restring^dosi quindi esclusivamente air Italia ,
enumera fra i suoi primitivi abitanti gii slessi Tirreni, suddivi-
dendoli in Taurisci, Etrusci ed Osci; gli Iberi, che suddivide in
Liguri, Itali e Siculi; e gli Ombroni pure suddivisi in Insubri,
Vilombri, ed Olombri. A tutte queste schiatte da lui chiamate
giapetiche aggiunge ancora pochi Fenicii e molti Pelasj^, i quali,
congiunti cogli Etrusci e cogli Osci, scacciarono gli Iberi ed i
Celli, e fondarono T etnisca potenza, e più tardi, respinti dagli
stessi Etrusci, scomparvero, sia riprendendo la via del mare,
sia confondendosi nelle italiche popolazioni. Mentre fondavasi per
tal modo Tetrusca confederazione nel centro della penìsola, gli
Elleni stabilirono un* altra civiltà nelle regioni meridionali della
medesima, ed i Celto-Galli, respingendo alla lor volta gli Etru-
sci, si stabilirono nella parte settentrionale; sicché, verso il 400
di Roma la nazione italica era un rimescolio di genti tirrene,
ed iberiche, e celto*umbre, e fenicie, e greche, e pelasgiche, e
cdto-galliehe, e cimbriche.
Noi non sappiamo a quali fonti il dotto scrittore attingesse le
surriferite testimonianze; siccome peraltro esse per la maggior
parte sono opposte ai risultamenti dalla filologia conseguiti, ed
in parte superiori alle sue forze, cosi stimiamo qiportuno porre
in diiaro il vero stato della questione. E lasdando in disparte
la primitiva divisione generale delle schiatte in semitiche, cami-
tiche e giapetiche, la quale non fu mai constatata dalla scienza
deUe lingue, perchè troppo lontana, e per avventura affatto in-
dipendente, osserveremo, come la filologia comparata, anziché
racchiudere, escludesse sempre dalla denominazione convenzio-
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICIIC. 37
naie di giapetidie parecchie fra le lingue indiane^ tutte le cine*
si, e le innumerevoli parlate nelFAsia settentrionale dai popoli
erranti citati dal signor Balbo, le quali tutte, sotto ogni aspetto,
offronotcaratteri affetto diversi da quelli delle Indo-Europee, che
rappresentano il puro tipo comunemente detto giapeiieo. A que-
sta assoluta disparità di lingue si aggiunge il tipo flsiologìoo delle
medesime nazioni asiatiche, il quale differisce da quello delle
caucasiche per modo, che, se fosse lecito supporre nella umana
famiglia pluralità di specie, ne formerebbe una fra le pM di-
stinte. La filologìa poi non ha mai eliminato, né poteva elimi*
Dare dalla grande famiglia giapetica la lingua peiasgica , della
qaale non ha potuto scoprire sinora T origine, né T organismo;
nulla importando il nome proprio di quella nazione, sul quale
l'autore sembra fondarsi, e che, per la forma, può essere giape-
tico del pari che senutico. Meno ancora essa potè constatare la
divisione della stirpe Jaonia proposta dallo storico piemoatese,
alla quale anzi si oppongono le sue positive speculazioni.
Lasciando a parte la supposta consanguineità dei Siculi, dei
Liguri e degli Iberi, la quale solo allora potrà essere attestala
quando vengano rivelate le loro Svelle rispettive, egli è certo,
che dalle poche reliquie delle antiche lingue iberiche tutt*ara
superstiti fra le inospitali gole de* Pirenei occidentali , non si ò
potuto sin<M*a scoprire il minimo nesso d* origine fra queste e
le altre lingue europee, segnatamente T ellenica e la celtica,
da le quali tutte i dialetti bascuensi differiscono essenzialmente
in ogni riguardo. Nessun rapporto di simil fatta ci svelarono i
pochi monumenti dissotterrati delle vetuste lingue iberiche ca^
dute in oblivione, i quali attendono ancora chi ne svolga i mi«
stenosi caratteri. Che anzi, un diligente esame del sistema fo-
nico bascnense, e delP ortografia di parecchi monumenti, rese
più verisimile la supposizione (comecdiè gratuita) di un nesso
semitico, p^ la quate ciò nonpertanto furono pure instituiti vani
confronti. E perdo, lungi dal riconoscere vmeoli di frateiiaaza
fra gli anUdii popoli iberici, gli EUeni ed i Cdti, la Lingoistiea
li risguarda piuttosto come schiatte distiate.
Dalle mdte osservazioni sin qui premesse è altresì manifesto,
quanto estranea esser debba questa scienza air altra divisione
proposta dal signor Balbo dei primi abitatori d* Italia, dei quali
tuttavia ignora interamente le lingue. Fondandosi sulle storicbe
58 DELLA LINGUISTICA
tradizioni, essa può bensì prendere a prestilo i varii nomi di
Tirreni, Pelasgi, Etrusci, Liguri, Ombroni ed altretali, e ripetere
col nostro autore, che la nazione italica, verso il 400 di Roma,
era una confusa miscela di questi e d'altri popoli; ma noi non
ravvisiamo in ciò, se non una petizion di principio, mentre ci
resteri poi sempre a dimandare, chi fossero i Tirreni, i Pe-
iasgi, ec, ciò che vale lo stesso : quali furono le italiche orì-
gini? Intendiamoci bene. La ricerca delle nostre origini non è
già una semplice questione di nomi, ma bensì di stirpi. Si tratta
di conoscere, non solo come si chiamassero, ma a quale schiatta
appartenessero i nostri maggiori, e con quali altre si fondesse-
ro, per determinare quali e quanti rapporti di consanguineità
ci coilegano alle altre nazioni antiche e moderne. Finché non
siano determinate queste stirpi e questi mutui rapporti, a che
ci giova sapere, se i nostri primi padri si chiamassero Tirreni,
Pelaagi ed Iberi, piuttosto che Aborigeni, Opicì, o Saturnii?
Quest'ignoranza delle stirpi, alle quali tante primitive nazioni
rispettivamente appartenevano, deve altresì renderci più cauti
neir aggrupparle in manipoli, come fece il nostro autore, il quale
(né sappiamo per qual ragione) riunì in una sola stirpe i Tau-
risci, gli Etrusci e gli Osci; in un altra i Liguri, gli Itali ed i
Siculi, e ne fece una terza degli Insubri, dei Vilombri e degli
Olombri. Sebbene eziandio a queste gratuite asserzioni potessimo
agevolmente opporre alquante osservazioni, per le quali più ve-
risimile apparirebbe la varietà di stirpe, cosi fra i Taurisci e gli
Etrusci, che fra gli Insubri e gli Olombri, ciò nuir ostante, nel-
r assoluta mancanza di prove atte a determinare con certezza
qualche positivo elemento su questo soggetto, ci restringeremo a
notare, che un tale ordinamento dei primitivi popoli italici sup-
pone quella serie di fatti e di speculazioni, che gli studiosi vanno
da lungo tempo invano rintracciando, e che, per quanto possa
essere per avventura conforme al vero, e fondato sulla testimo-
nianza di alcuni scrittori» esso è tuttavia meramente ipotetico, e
soprattttto assai lontano dal poter conseguire la sanzione della
filologia comparata. Solo dopo che si saranno partitamente stu-
diati i nostri dialetti, e che ne verranno precisati i rispettivi con-
fini, essa potrà pronunciare i suoi giudici! sulle primitive stirpi ;
allora forse potrà sancire in tutto, o in parte, le divinazioni del
signor Balbo, o piuttosto ci porgerà un ordinamento diverso d'un
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 39
magj^or numero di schiatte, delle quali chiederemo invauo i nomi
alla storia, ma conosceremo le origini e le fratellanze.
Dalle esposte premesse Fautore passa a determinare T anzia-
nità delle varie schiatte europee, deducendola dalia rispettiva pò-
sizion loro da occidente ad oriente, e stabilisce, che le posteriori
in collocazione dovettero essere pure posteriori in tempo. Lo
stesso abbiamo noi pure esposto e reso manifesto air occhio nella
Carta generale delle lìngue parlate in Europa; ma, seguendo ap-
punto lo stesso ragionamento, egli avrebbe dovuto accordare T o-
nore deir anzianità altresì alle finniche nazioni sospinte e relegate
nell'estremo settentrione dalle posteriori immigrazioni germani-
che e slave, come lo furono neir estremo occidente i Cambrì ed
i Gaeli, forse nel medesimo tempo; e meglio considerando le isto-
rie e le lingue del freddo settentrione, già popolato da numerose
ed ignote nazioni, sin da tempi anteriori ad ogni istorica remi-
niscenza, avrebbe dovuto restringere la sua proposizione gene-
rale, ed accennare le immigrazioni dei Jonii e dei Tirreni tutt'al
più fra le prime che vennero a popolare V Europa meridionale»
giacché non sappiamo quando la settentrionale venisse abitata, e
non abbiamo verun fondamento, né T ignoranza, o il silenzio de-
gli storici ce ne dà il dritto, per supporta affatto deserta, mentre
namerose nazioni s'aggiravano e s'incalzavano lungo le coste
meridionali. Togliamoci dagli occhi la benda: tutti questi sistemi di
Fenicii, di Jonii, di Tirreni e di Pelasgi, sempre vuoti di senso,
che occuparono gli studiosi dei secoli trascorsi, e che sotto vani
aspetti si vanno riproducendo ai nostri giorni, furono fabbricati
sttir autorità degK scrittori greci e romani, senza tener conto, che
i Greci, o ignorarono, o non curarono quanto era accaduto al
di là dell* Eusino e del Danubio, e che i Romani sorsero troppo
tardi sulle rovine di civiltà anteriori, per poterci istruire sulle
proprie origini , non che su quelle delle nazioni che li prece-
dettero. Gli scogli dell* Arcipelago e la Tracia, la Magna Grecia
e le sponde del Mediterraneo, ecco tutto il teatro della primitiva
storia d'Europa. Ma, viva Dio! e al di là dell* Eusino, delFA-
drìatico e deirAlpì, quell'immensa Europa, che ci scagliò addosso
per tanti secoli le sue innumerevoli orde, non era forse per anco
spuntata fuori dall* Oceano, o aspettava ancora deserta, che i figli
dei Tirreni e dei Jonii abbandonassero il ridente cielo della Gre-
cia e d'Italia, o che altri popoli affini lasciassero le fiorite sponde
40 ^ DELLA L»6L'ISTiCA
deU^Eofirale e deir lodo» per andare a raggiuogere le belve delle
sue intermiDabili foreste? Pur troppo, le istorie della Grecia e
di Roma formarono por lungo jempo la principal parte della sto-
ria univo^e del mondo; oggidì, m«*oè il progresso, abbraeciano
solo la storia primitiva d'Europa; speriamo, che non tsffderanno
molto ad essere riconosciute per quello cbe sono, vale a dire, per
la storia partiookire di due singole nazioni. Egli è (mnai tempo,
che scuotiamo questo gic^o servile impostoci da noi medesimi.
Impariamo dai Greci e dai Romani quello che seppero, o cbe vol-
lero insegnarci ; studiamoli attentamente, ed interpretiamoli come
eonvienst; vi scoprirano per avventura maggk>r copia di dottri-
na, e minor numero d'errori ; ma non imitiamo il credulo Ma-
sofanano, che indaga nel Corano Tìnvenzion della polvere e Tap-
plicazion del vapore. Se le antiche istorie non bastano, abbiamo
aperto dinanzi agli occhi il libro della natura, sul quale ornai la
Geologia e la Linguìstica ci hanno tracciato ed ordinato due serie
di novelle osservazioni. Perchè vorremo ancora fiibbricare i libri
sai libri, ed i sistemi sui sistemi?
Noi non seguiremo il signor Balbo negli ulteriori suoi ragiona-
menti, ove, ign(»^ndo o prezzando i più chiari elonenti ed i
risuhamenti fiix certi della filologia, ora attribuisce origine cel-
tica agli antichi Macedoni, ora dùama illusione la fratellanza
delle genti teutonidie ed indiane, e sconv<4ge gratuitamente il
positivo ordinamento della scienza ; e tramandiamo queste erronee
opinioni tanto più volentieri, quanto più sono ovvie e ci allonta-
nano dalla qutttione principale delle nostre origini. Solo ci basta
di avere rivendicata, contro la gratuita asserzione dell' autore, la
filologia comparata da errori, cui, lungi dal sancire, solennemente
riprova, e d'aver per tal modo fitto palese, che, se essa è in-
siÉfficiente per ora alla soluzione del gran problema, è almeno
bastevole a preservarci da parecchi falsi sistemi.
Con più savio accoi^mento procedette il signor Coreia , il
quale, nei prolegomeni alla storia del r^no delle Due Sicilie ,
imprendendo a svolgere le origini di qaeUe pc^lazioni, fondò le
preprie indagini sulle omonimie etnografiche e geografiche. Egli
rese iniatti non lieve servigio alla scienza, scoprendo ed ordi-
nando una serie di nomi proprii dell'antico Sannio e d' altre re-
gioni meridionali d'Italia, e eonfrontaadoti dilig^l^eiente con
altri simìii di suono dell'amica Tracia e dell'Asia minore, ciò
APPLICATA ALLA RlCKftCA DBLLI 0U6IH1 ITAUCBB. ^1
che per avrentora, quando venga completato ed esteso ad dtre
regkHii, potrà valere un gìomo a consolidare, o controbilanciare
le opiniooi che saranno per sorgere dagli stndii ulteriori. Ciò
nonpertanto, non potendo noi con si scarsi materiali associare
i nostri giadidi a quelli del chiaro aoiore, osserveremo, che, se
il &tto importante delle omonimie, opportunamente avvertito e
convenientemente ripetuto, è un mezzo efficace per la ricerca
éelle origini dei popoli, esso deve peraltro essere considerato
quad mezzo puramente ausiliario, e non mai primario; mentre
h ripetizione dei nomi proprii in r^oni appartate e lontane non
prova sempre T identità d'origine fra k rispettive loro popola*
zioni; ma talvdta segna appena la traccia d'una mq;razÌ4Hiie
d' un popolo, talvolta la soa difTusione, o piuttosto la diffusione
del suo potere per mezzo di postericHÌ conquiste; del che abbiamo
i pia chiari e ripetuti esempi nelle antiche e moderne storie*
Arroge, che se questa ripetuta consonanza di nomi, avvalorata
da altri argomenti, è atta a constatare TalBnità o T identità
d'origine fra due popoli, essa non lascia sovente meno indeter*
minata per questo T origine stessa. E perciò, mentre pnvitiamo
con grato animo il signor Corda e gli altri studiosi italiani! e
stranieri, che progrediscono per questa via, a persistere nelle
utili loro indagini, e ad arricchire di nuovi fatti la scienza, U
esorteremo ancora a sospendere i loro giudicii, finché altre ricer-
che di natura diversa, ed altri fatti linguistici possano compiere
Tesarne, e maturarne le induzioni.
Conchiudendo questi brevi cenni, ci pare bastevolmente dimo-
strata dalla ragione e dai fatti T insufficienza d^li scarsi mezzi
che abbiamo, per risolvere col mezzo della Linguistica il gran
problema delle orìgini italiche, e quindi la necessità d' apprestare
prima di tutto gli opportuni materìali. Perciò non cesseremo dal
raccomandare ai nostri connazionali lo studio dei singoli dialetti
viventi, massime di quelli che si parlano nelle campagne e nei
monti, come più atto a guidarci pel dritto sentiero. Né lascieremo
per ultimo di ripetere, che simili studii devono essere instituiti sce*
vri da prevenzioni, spogli di sistemi^ e liberi dall' influenza del-
l' orgoglio nazionale, giacché si tratta di rintracciare la verità, e
non già di constatare un imaginario princìpio.
La ricerca delle nostre origini non è diretta a promuovere
un* inutile gara colle altre nazioni, contendendo loro anteriorità
42 DKLLA LIIVGmSTlCA APPLICATA ALLA RICERCA, CCC.
di natali, nobiltà di schiatta, priorità d' incivilimento; ma bensì
a scoprire chi furono i nostri maggiori, onde stabilire quali rap-
porti di fratellanza ci collegano agli altri popoli, e diradare una
volta le dense tenebre, che ravvolgono la prima istoria del
genere umano. L' Italia, da qualunque stirpe traesse i suoi primi
abitanti, sia che prima svolgesse nel proprio seno i germi del-
l' umana civiltà, sia che li ricevesse dai Fenicii, dai Pelasgi, dai
Tirreni, o dai Greci, non ha bisogno dì mendicare' veruna
gloria, né teme verun confronto colle nazioni più incivilite del
mondo antiche e moderne. Nessuno le ha mai conteso il vanto
d*aver contribuito fra le prime a stabilire e consolidare le
fondamenta della sociale civiltà; nessuno ignora, come più]volte
ella ne fosse il centro primario, dal quale emanarono per secoli
raggi vivificanti di luce a rischiarare le più lontane regioni dei-
Torbe; ma anch'essa alla sua volta fu avviluppata nelle tenebre
dell'ignoranza, ed attinse al fuoco delle altre nazioni la scintilla
che doveva riaccendere la spenta fiaccola della propria sapienza.
Ciò nonpertanto^ insegnante o insegnata, dominatrice o doma,
essa fu sempre grande; ed appunto perciò, qualunque sia per es-
sere il frutto delle future sue speculazioni, con un pacifico e
coscienzioso consorzio di studii, manifesti ancora adesso la pro-
pria grandezza nelle virtù de' suoi figli, anziché nei natali dei
suoi maggiori.
III.
PROSPETTO
TOPOGRAFICO-STATISTICO
DELLE
COLONIE STRANIERE
D'ITALIA
Se abbracciamo con un solo sguardo la forma e la posizione
della nostra penisola, e ne misuriamo colia mente le prolungate
sponde, i cui porti numerosi porgono facile accesso egualmente
airAsiatico ed all'Africano, che alFIbero, al Gallo, al Tèutono,
al Sàrmata ed allo Scita, scorgiamo di leggeri, come la nume-
rosa popolazione che la coltiva e la illustra, constar possa di
cento disparati elementi, ravvicinati e frammisti dal caso, o dalla
conquista. La tradizione in fatti e la storia ci additano in ogni
tempo straniere colonie, che, dalle opposte rive d'Asia, d'Africa
e d'Europa approdando sull'italo suolo, ne dirozzarono le de-
serte campagne, vi innalzarono città, se ne disputarono il pos-
sesso. Gli Etrusci, ed i Fenicii dall'Africa, i Liguri dall' Iberia,
i Pelasgi e gli Ellenì dalla Tracia e dagli scogli dell'Arcipelago,
i Veneti dalla Paflagonia , gli Albani dalla Troade, i Celti dal
Nerico, dalla Gallia e dalla Rezia, ne invasero da rimotissimi
tempi ogni contrada, e se ne ripartirono a vicenda il dominio. Se
non che tutte queste nazioni diverse, strette più tardi ad un solo
freno, e insieme riunite coi vincoli indissolubili d' una sola lingua
e d' un solo culto, formarono sotto i consoli latini un solo po-
polo» che si chiamò per alcuni secoli Romano, e che più tardi,
frammisto ad altri elementi, Ai dettò Italiano.
46 COLONIE STRANIERE
Quando la signorìa romana, agitata da intestine discordie, ed
oppressa dalle novelle instituzioni, mal seppe difendere i suoi
lontani confini del Danubio e del Reno, novelle stirpi, dal set-
tentrione irrompendo, ne invasero le scompaginate province, e
numerose schiere d'Unni, Vandali, Goti, Bizantini, Lombardi,
Franchi e Normanni straziarono a vicenda le itale contrade, vi
fondarono stabile domicilio, e a poco a poco, seguendone gli
usi, il culto e la lingua, si confusero coi vinti. Più tardi ancora
gli Arabi dal mezzodì, i Tèutoni dal settentrione, i Greci, i Va-
lacchi e gli Albanesi dair oriente, i Francesi, i Catalani e gli
Spaghuoli dair occidente , varcando e rivarcando le inutili sue
naturali barriere, dettarono alternamente air Italia le loro leggio
vi fondarono stabili colonie, e vi consolidarono un potere, che
durò sino a* di nostri. Sebbene però tanti disparati elementi
antichi e moderni abbiano impronte indelebili tracce sulle sin-
gole popolazioni italiche, sicché Io straniero che scende dall'Alpi
possa agevolmente disceraere la stirpe Celtica dalla Slava, la
Ligure dair Etnisca , la Latina dalla Sabella , ciò nulladimeno
riserbandoci a svolgere di proposito in più vasto lavoro * que-
sta varietà d'origini e di dialetti, risguarderemo per ora tutte
le singole popolazioni italiche siccome parti integranti d*una sola
famiglia, e solo distingueremo come straniere quelle colonie, le
quali, sebbene da vari secoli formino parte della popolazione
d' Italia, ne coltivino il suolo, ne osservino le leggi, pure ser-
barono in gran parte la primitiva lor lingua, e rimasero stra-
niere in mezzo agli Italiani.
Di queste colonie appunto volendo or noi porgere un succinto
prospetto, gioverà per maggiore chiarezza dividerle in vari
gruppi, avuto riguardo alle lingue da loro parlate, e seguendo
da settentrione a mezzogiorno il posto da loro occupato nella
penisola. Tali gruppi sono: 1.** germanico; 2.** slavo; 3.** fran-
cese; i!^ valacco; 5.** catalano; 6.** greco; 7/* albanese; 8.** ara-
bico; ai quali potremo aggiungere gli Ebrei, gli Armeni ed i
Zingari, che in maggiore o minor numero diffusi su tutta la pe-
nisola, rimasero per varietà di culto, o di lingua e di costumi^
sempre stranieri nei luoghi da loro per vari secoli abitati. '
i Vedi VÀtlanU Unguiitieo d'Europa^ MìUq« 1S4F, e raa coatinnanone.
d' ITALIA. 47
1.* Colonie Germaniche.
Considerando V Italia geograficamente , vale a dire ne* suoi
naturali confini, troviamo diverse colonie germaniche da ami-
chissimi tempi stanziate nella più settentrionale sua parte, ed
ivi distinte per lingua e costumi. Esse, avuto riguardo air ori-
gine ed alla varietà de' rispettivi dialetti, dividonsi in Burgundi
e Bavaru
Burgundi. Dalla vetta del Monte-Rosa scendono verso mez-
zogiorno e verso oriente, quasi raggi concentrici, alcune valli,
fra loro disgiunte da erte costiere d' inospiti monti, le quali dai
rapaci torrenti che le percorrono presero i nomi di Val Lesa,
Val Sesia, Val Sermenta, Val Mastallone e Val Ànzasca. I loro
abitanti, sebbene soggetti al governo di Piemonte, ed attorniati
in parte da Italiani, ofirono importante materia di studi!, rive-
lando germanica origine nella fisica loro costituzione, nella fog-
gia del vestire, nel modo di fabbricare le abitazioni, in molti
costumi domestici e rurali, e finalmente nei loro dialetti. Ciò
non pertanto il continuo contatto ed il commercio cogli Italiani
circostanti, e la preponderante influenza del governo, nel volgere
dei secoli, hanno reso quasi impercettibili queste tracce nella
parte inferiore di tutte queste valli, cancellandovi del tutto l'im-
pronta caratteristica della lingua, alla quale furono sostituiti i
dialetti italiani confinanti, e solo venne serbata la favella germa-
nica con alcune speciali costumanze nei villaggi più elevati, presso
i perpetui ghiacci del Rosa, ove assai tardo e fiacco giunge T im-
pulso dell'affollata società del piano. Questi villaggi sono: nella
Val Lesa, la Trinità di Gressoney, colle frazioni di s. Giacomo e
di s. Pietro, alla sorgente del torrente Lesa, composto di 260
abitanti; s. Giovanni di Gressoney, colle frazioni di Schamsil,
Zer Trina ed Àlbezon, di 900 abitanti ; ed Issime colle sue fra-
zioni di Zerta, Gabi, Njelle e Drissig-stàg, abitato da 1600 tede-
schi. Nella Val Sesia propriamente detta, ossia Val-Grande, con^
serva ancora un antico dialetto della linpa tedesca il solo comune
di Alagna, composto di 750 abitanti. Nella Valle Sermenta, detta
ancora Val-Pitta, o Val-Piccola, il solo Comune di Rima, posto
presso le sorgenti del Sermenta, ed abitato da 374 pastori. Nella
Valle Mastallone il solo Comune di Rimella, diviso in tredici Can-
toni pittoricamente disposti sul pendio della montagna, e compo-
48 GOLONIB STRANIERE
Sto di 1290 abìlanti. Finalmente nella Valle Anzasca rimane il
Comune di Macugnaga, alle sorgenti dell' Anza, presso le ghiac-
ciaie orientali del Rosa^ composto di 630 abitanti.
A malgrado dell' importanza loro, tutte queste colonie, for-
manti insieme 5800 abitanti, rimasero per vari secoli sconosciu-
te, inosservate fra gli inospiti loro monti, e solo in sul principio
del nostro secolo il benemerito Orazio Benedetto di Saussure vi
chiamò T attenzione dei dotti, quando calcò la prima volta le in-
contaminate nevi del Monte-Rosa. Nel 1832 seguirono le sue
tracce il consigliere Hirzel ed il colonnello Von Welden, i quali,
nella descrizione del loro viaggio, pubblicarono alcune notizie
intomo a quelle colonie. Più tardi, nel 1856, raccolse e pubblicò
nel giornale Dos Ausland < un piccolo Saggio del dialetto di
Rimella Massimo Schotlky; e finalmente, dopo appositi viaggi sui
luoghi, e più maturo esame, pubblicò una compiuta illustrazione
di quanto spetta a queste colonie il professore Alberto Schott,
nelle due opere: Die Deutschen am Monte- Rosa, jiurichy 1840;
Die Deutschen Colonien in Piemont, thr Land, ihre Mundarl
und Herkunfl, Stuttgart und Tùbingeny 1842. Per modo che
possiamo riguardare le piemontesi colonie tedesche come una sco-
perta de' nostri giorni.
Sebbene molte rettificazioni far si potrebbero sulF importante
lavoro di Schott, e particolarmente nei Saggi da lui recati di
quei dialetti, che da noi confrontati sui luoghi rispettivi, ap-
parvero oltre modo inesatti, ciò nulladimeno dalle moltiplici
sue ricerche storiche e linguistiche, sonunarìamente conformi alle
nostre osservazioni ed ai nostri giudicii, appare dimostrato : che
le colonie tedesche del Monte-Rosa da vari secoli sono stabilite
negli attuali lor monti, essendovi penetrate per le inospìte gole
che le dividono dal vicino Yallese ; che discendono in linea retta
da quei Burgundi, che nel Y secolo dell'era nostra fondarono un
potente regno sulle sponde del Rodano e dell' Aar, e che, sotto-
messi nel VI alla signoria franca, formarono pur sempre uno
stato separato; che mentre nell'opposta valle del Rodano i loro
consanguinei ripartiti fra le corone di Germania e di Francia,
smarrirono a poco a poco le primitive nazionali loro impronte.
i Dos Ausland, iin TagUall filr Kunde des geistigen und tiHUchen Le-
h$n§ dir Vm$r, Pf. 92, 93 delPanno i83G.
d' ìtaua. 49
questi, prolctli dalle iiiospitalì balze e dai perpetai gkiaeci che li
circondano, serbarono in gran parte T antico linguaggio dei loro
padri, giacché i dialetti da loro attualmente parlati hanno molti
caratteri comuni coir antica lingua teutonica meridionale (allhoch-
deiUsch), quale si serba nei monumenti dei secoli XI e XII;
che questi dialetti furono in varia guisa modificati e corrotti per
linfluenza dei dialetti circostanti, e del commercio coi popoli
vicini, essendo quelli di Gressoney, Issime e Rimella i più puri,
sebbene corrotti d' Italiano, ed il dialetto di Macugnaga tendendo
alle moderne forme del Vallesano. E siccome, dacché il sociale
progresso tende a ravvicinare ed unire in una sola famiglia tanti
popoli d' origine varia, tra loro disgiunti da enormi distanze e da
naturali barriere, anche questi dialetti vanno dileguando a gran
passo, onde cedere il posto alle lingue prevaleteti della massa
centrale, cosi egli é pur dimostrato, che farebbe cosa molto
utile alla scienza quegli, che raccogliesse, finché si può, e sai*
vasse dair eterno oblio tante preziose reliquie dei costumi di un
popolo celebre nella storia, a monumento della sua origine e
dispersione.
Macugnaga e la sua valle appartengono air ampio bacino delia
Toce, formato da molte picciole valli parallele, e politicamente
soggetto al Piemonte. Anche gli abitanti di questo bacino, seb-
bene da lunga stagione fatti italiani, manifestano nelle forme del
corpo e nei costumi germanica origine, e quivi pure solo nelle
parti più elevate fu serbato e parlasi tutt' ora un corrotto dia-
letto della lingua tedesca. Questi luoghi, oltre al mentovato co-
mune di Macugnaga, sono: nella Valle di Vedrò, i villaggi di
Sirapeln o Sempione, e di Ruden o Gondo, presso le sorgenti
del torrente Vedrà, i quali politicamente dipendono dal cantone
svizzero Vailese, e geograficamente appartengono allltalia, con-
tando circa 450 abitanti ; nella più alta Valle Pormazza, o Pom-
raat, presso le sorgenti della Toce, trovasi il Comune di Pomr
mal, colle sue frazioni Bettelmatt, Kerbachi, Auf der Frutt, Frutt-
wall, W^ald, Zum-stag ed Unterstaiden, che insieme ricettano
620 abitanti tedeschi. Da questa elevata regione altra piccola •
colonia si diffuse più verso oriente, e varcando il vicino passo dei
Forca, andò a formare il piccolo Comune di Bosco, composto di
3S0 abitanti, nelF opposta Valle Rovana, frazione della Val Mag-
gia dipendente dall'italiano Cantone Ticino.
50 COLONIE STUANIERE
A provare t'erigine germanica della popjlaziona aUualc di
tatto il bacino della Toce, oltre air uniformità dei costumi comuni
a tutti i villaggi, presta argomento il Comune di Omavasco, il
quale, sebbene situato nella parte infima della valle principale»
presso lo sbocco della Toce nel lago Maggiore, solo ai nostri
giorni e colla crescente generazione attuale, perdette V uso della
lingua tedesca, parlata ancora da molti vecchi ; e persino la vicina
valle di Strona, le cui acque affluiscono neirinflmo tronco della
Toce, serba non dubbie impronte germaniche, mentre la metà
superiore ha una speciale foggia di vestire simile a quella dei vi-
cini Tedeschi, e quasi tutti gli abitanti serbano frequenti rapporti
commerciali con varie parti della Germania, ove alternano il loro
soggiorno.
Ciò premesso^ appare ancora di teneri dimostrato, che questa
colonia deriva immediatamente dalla famiglia dei vicini Vallesaui,
coi quali serbò sempre molteplici rapporti. Oltre air analogia dei
dialetti Vallesani coi tedeschi della Val Formazza, ed alla con-
sonanza dei nomi propri di famiglia, che trovansi ripetuti in
ambe le falde del Scmpione, presta ancora forte argomento un' an-
tica tradizione degli abitanti d' Ornavasco, per la quale eglino ere-
donsi originari di Glys, presso Brieg nel Vqllese ; ed in fatti varie
lapidi sepolcrali attestano T antica usanza di quei coloni di tra-
sportare le spoglie dei loro trapassati da Ornavasco sino al ci-
mitero di Glys, varcando ogni volta il dirupato e periglioso Seni-
pione, il cui passaggio fu agevolato ed assicurato solo a' di nostri.
Gli aUtanti di Scmpioue e di Gondo formano propriamente una
continuazione naturale dei Vallesani, come pure i pastori di
Pommat e di Bosco, i quali più agevolmente comunicano col
Vallese, che non colle valli sottoposte. A tutti questi fatti ag-
giungeremo r autorità del professore Hardmeycr il quale, nella
sua descrizione della Val Maggia ^ cosi si esprime: « Gli abi-
tanti di Bosco sono collegali coi Vallesaui superiori, per mezzo
dei Tedeschi di Val Formazza. Anche il dialetto di Bosco, e il
modo di fabbricare le case hanno tanta rassomiglianza con (quelli
del Vallese superiore , da non potersi aver alcun dubbio sulla
comune loro derivazione. » Altre colonie di Vallesani traspor-
tarono in vari tempi il loro domicilio in altre più o men lon-
ì Djs tcssinische Thal Mijgia und S3tns y^enwsìgungen. Zurich, 18il.
d' itama. Si
tane regioni, e vcggongi tutforra isolate e distinte per lingua
e costumi fra i popoletti romanzi dell* aita e bassa Engadina, e
nelle vallate di Rheinwald, di Savien e di Wals; altre final-
mente, ai tempi dell'emigrazione dei celebri Walser, erano pe»
nelrate sin neli* italica Val Pregillia e in Val Tellina, d'onde a
poc3 a poco scomparvero, o si fusero cogV indigeni ; per modo
che nessun germanico abituro conserva ancora il nativo linguag-
gio in quest'angolo settentrionale d'Italia attorniato da germa-
nica stirpe.
Bacari. Seguendo verso oriente la naturale barriera dell' Alpe,
entriamo nel vasto bacino dell' Adige, ove Salurno e le sue valli
laterali segnano la divisione ddla stirpe italiana dalia teutonica.
Ciò nullostante, se, inoltrandoci a destra ed a sinistra dell'Adige,
nelle sottoposte valli^ osserviamo i nomi dei monti, dei torren-
ti, dei villaggi e simili, ed analizziamo le forme, i costumi, ed
i dialetti d^i abitanti, siamo costretti a concfìiudcre, die la ger-
manica famiglia un tempo estendevasi alquanto lungo le rive
dell'Adige e del Brenta, sino all'italica pianura. A monumento
di questa antica diflusione della stirpe germanica, rimangono, in
alcuni punti elevati ilelle valli appartenenti a questi due fiumi,
diversi villaggi, i quali serbano tutt'ora antichi dialetti e co-
stumi germanici, e formano quasi altrettante isole tedesche nel
mezzo deir italica famiglia. Quésti villaggi politicameute appar-
tengono parte al Tirolo italiano, parte alle Venete provincic di
Verona e di Vicenza, e sono: nel Tirolo italiano, sul versante
occidentale del monte Palù, dal quale scaturisce il torrente Fcr-
Sina, i Comuni di. Fièrozzo, Frassilongo^ Roveda e Pergine, i cui
abitanti ammontano a. circa 1250; nella Valle Sugana, presso
le sorgenti del fiume Brenta, sono tedeschi i villaggi di Vignola,
Levico, Borgo, Roncogno e Torcegno, i cui abitanti sono in nu-
uiero di 1540, e sono distinti dagli Italiani coli' oscuro nome di
Mì^ccheui. Più verso mozzodi, sovra un picciolo torrente sorge
il tedesco villaggio di Foigaria composto di 918 abitanti e nella
vicina valle ad oriente, presso le sorgenti deirAstica, parlano un
germanico dialetto il villuggio di Lavarone, ed i piccioli cascinaggì
di Laste Basse, Cà rotte, Brancafora, ricetto di circa 600 pa-
stori. Finalmente, scendendo più verso mezzogiorno sino alle du-
plici sorgenti del Leno, trovansi Terraguuolo e Val Arsa puro
abitate da un migliaio di Tedeschi.
52 COLO:«l£ STRANIERE
Ora, se dall* orione del Leno varchiamo I*alpe che separa il
Tirdo dalle Venete proviocie, diseendiamo nei XHI CoiHuni Ve-
ronesi, in cui 9,000 abìtwli ftòriavaao lutti, non ha guari, un
antico dialetto germanico» e rimontando sino alle sorgenti del-
TÀstico, troviamo fra questo torrente ed il fiume Brenta i VII
Comuni Vicentini, i cui abitanti, sebbene in numero di 50,000
e dovunque attorniati da Italiani, ancora verso la fine dello scor-
so secolo parlavano germanici dialetti. Se non che, il necessa-
rio commercio coi popoli circostanti, e 1* influenza del governo,
in alcuni secoli cancellarono ndla massima parte questa nazio-
nale impronta nei XIII Comuni Veronesi, dei quali solo i più
elevati villaggi di Chiazza e Campo-Fontana, abitati da i200
pastori, usano ancora del proprio dìnleito nella famigtiare cor-
rispondenza ; e nei VII Comuni Vicentini, ove pure la maggior
parte degli abitanti sostituì il veneto al dialetto nazionale, i soli
villaggi di Foza, Asiago, Roana, Canova, e Rozzo, con alcuni
eascinaggi appartati, e sparsi sul pendio dei monti, hnno uso
ancora della nativa favella negli usi eomoni della domestica vi-
ta. Per ultimo, dalla valle del Brenta passando nella vicina e
più spaziosa valle della Piave, e rimontando questo fiume sin
presso alle sue solanti, trovasi il villaggio di Sapada, nella
provincia friulana, abitato da circa 600 pastori, che parlano un
germanico dialetto, sebbene tutti gli abitanti della stessa valle
siano italiani ; ed a mezzogiorno di Sapada, varcando V erta ca-
tena che separa il bacino della Piave da quello del Tagliameu-
to, scorgonsi presso le sorgenti di questo fiume i due piccioli
villaggi appellati Sauris di sopra e Sauris di sotto, pure abi-
tati da pastori parlanti germanica favella, tra gli Italiani.
Sebbene le storiche tradizioni ed un cumulo di affinità e di
analogie rendano manifesta la comunanza d' origine in tntte que-
ste colonie, ciò nullostante, mercè la varietà dei loro dialetti,
vennero risguardate in ogni tempo quali membri di famiglie dif-
ferenti, perocché le colonie tirolesi, più vicine alla massa ger-
manica, colla quale serbarono continui rapporti, n^nlificarono e
modellarono le forme del loro dialetto, seguendo il successivo
sviluppo di quello della gran massa, e le colonie venete air io-
contro, staccate molto prima da quella, e separate da maggiori
distanze, isolate nei loro monti, ed in continuo commercio cogli
Italiani^ ai quali sempre furono geograficamente e politicamente
. I>' ITALIA. 55
aggregale, serborooo più a lun^) le antiche forme del diateUo
primiUvo^ corrompendolo solo con voci ed idioiisnn italiani.
Questa circostanza, e il ntm comune fenomeno d'un popolo
straniero ed ignoto stanziato da tempo immemorabile in mezzo
air italica famìglia , attrasse di buon' ona T attenzione di vari
dotti italiani e stranièri, e diede origine a favolose leggende;
mentre gli uni lo riguardarono come reliquia di quei bellicosi
Cimbri, che, sconfitti da Mario presso Verona, cercarono rifu-
gio fra le balze dei vicini monti ^; altri coim reliquia degli
Unni, che, dopo T ultima sconfitta sofferta da Attila, colà rico-
verarono^; altri come avanzo dei Goli^; altri dei TigUrini ^;
altri dei Danesi ^; e quindi attribuirono loro a vicenda lingua
cimbrsca, unno, 'jgotìca^ tQulQiìicfì,r danese, senza curarsi di esa-
minare da vicina i fatti clie assierirono.
Il primo, che svolse con sana critica la quislione intorno alForigine
di queste colonie, sì fu rabpte Agostino dal Pozzo, sul finire del
passato secolo, le cui Memorie isloriche delle popolazioni alpine,
dette Cimbriche ec furono pubblicaile a Vicep^sa solo neiranno 1820.
Similmente vari Tedeschi, fra i quali Leibnitz, Fulda, Oberlin, e
Sterobeisg^ fondali sui caratteri di quei dialetti, riconobbero la uoa
dubbia origine delle colonie che li parlavano dalle tribù bavaresi
ed alemaonicbe, le quali sin dai, primi secoli dell'era nostra invat-
sero le alpi noriohe e le retielie; e me^^io d'ogni altro, dopo un
diUgeote esame sui luoghi stessi, illustrò i tec|eschi colopi delle
venete provinole^ il benemerito Dottor Andrea Sdimeller nella
dotta Memoria Ueber die èogentmnten Cimbemder Vllvmd ^IIJ
Commtmen auf den venediscken Alpen, und ihre Sprache, ietta
nel i834, ed inserita nelle Memorie della R. Accademia di
scienze di Monaico* Da questo pr^voUssìmo lavoro epiei^ono
spontanee le seguenti induziwi, al completo scioglimento del gran
1 SaraiBii, L$ HUt^ric e fatti àn Vgroneiù Verona 1542; PaDvtnio, Anti"
quilaleM Veronenses. Veronae, 16 i8; Marco Pezzo, De' Cimbri Veronesi e Vi-
centini, con un Dizionario Cimbrico. Verona, 1763; Maffei, Verona iUustrata;
Muratori, Antiquitates ItaUeae; Bettinelli. Risorgimento d'Italia; ec. ec.
2 Alfonso Loschi, Compendi Historici. Vicenza 1664.
3 Mariani, Historia di Trento. Trento 4673.
4 Gio. Costa Pruck, Disquisitio de cimòrica origine poptdorum viceniinas,
veronenses, tridentinas ac saurias alpes incolentium.
5 Zago, Calvi, Pogliano, Palle Laste, Salmon, Tentori ed altri.
Ki COLONIE STRANII^RE
problema ; che ciocs gii abUanli iedesdù deHe Vènete proviacìo,
del pari die quelli deHe nientoYate valli Urolest, ebbero orione
oomuae eolle popolasioni germaniche del Tirolo, deirAustria» della
Baviera y derivando, come quéste, dagli amichi Ba\'ari ed Ale-
manni; che, siccome i due bacini dell Adige e del Brenta un
tetnpo furono inondati dalle medesime tribù, le quali a poco a
poco si ritirarono verso il norte, o, sotto Y influenza immediata
del romano incivilimento, cangiarono lingua e costumi, foodea-
dost negli haliani, cosi i Tcfdesdii delle Tenete pi^vincie forma-
rono altrettante isole sulla vetta dei lero monti; e< die finalmente
re^ndo cosi divisi dai loro cònsoifuinei, e meno soggeMi al-
r influenza del sodale progresso,, vi coiiservarono più a lungo
le antiche forme della propria lingwt, la qaa'e serja manifesta
affinità colla teutonica dei secoU XII e :^II K
%"* Colonie Slave.
Come i Tedeschi occuparono Y Italia a settentrione, gli Slavi
vi penetrarono da oriente, e vi presero più vasto e più durevole
domidiio. Riguardando sempre la catena delle Alpi come natu-
rale confine della medesima, le nazioni slave occupano la massi-
ma parte delF Istria e quasi tutta la regione. montuosa, compresa
fra la catena dèlie A^pi carnldié e T Adriatico, óve fòrf|^<» parte
dei governi dì Trieste e di Cariiiola , nel Regno d' Ilirla ; per
modo che per quest' angolo orientale d* Italia con più di ragione
potrèbbesi indagare, quali colonie italiane o straniere siano
frammiste agli Siavi. Quest», avuto riguardo ai dialetti che par-
lano, dividonsi in Istriani o Serbo-ÌUriiy e Slovenzi, o Vvido-
riirii; ì firmi occupano propirìdmenie la penisola istriana, le
cui città e borghi principali solamM^tté sono abitati da un po^
polo veneto, ed ammontano a 90,000 abitanti in circa; i se-
condi sono diffusi a settentrione della stessa penisola, dall' Adria-
tico, presso il Timavo, sino alle Alpi carnicbe, in tutto il eir-
i OucUi che bramassero più esfese notizie sulle colonie germaniche delle Ve-
nete Provincie, potranno consultare ancora lo scritto di Benedetto Giovanclli
intitolato: DeW origim dei VII e XI fi Comuni, Trento, 18*i6, ove in massima
parte è riprodotta Topera del Dal Pozzo ; e la bella Memoria di Gabriele Rosa,
inserita nella Rivista Europea (N. 8 e 9 del i845), ove trovansi con sana
critica compendiate le opiuiont dei vari scrittori.
d' ITALIA. 5S
rolo (li Gorizia, (Fonde si estendono, ad occidente sin per
entro la veneto provincia del Friuli , ad oriente ed a settentrione
sin nella Carniola e nella Carinzia, formando una sola stirpe cogli
obitanti di qtieste due regioni. Insieme ammontano a 120,000
circa, dei quali 20,000 appartengono alla popolazione del Friuli.
Parlando di questi popoli , noi non tenteremo ora alzare il velo
che ne copre le origini , né molto meno ci faremo ad indagare
il tempo del loro stabilimento in queste terre; ci basterà accen-
nare che, sebbene prevalesse sin (|uasi ai nostri giorni T opinione
di molti scrittori^ che assegnavano alla prima comparsa degli
Slavi in Europa il VI secolo dell' èra nostra, ciò nullostante,
dopo le erudite indagini ed i molteplici argomenti prodotti nelle
profonde opere di SchafTarik, Rollar, Kadlubek ed altri, appare
più verisimile T antichissimo loro stabilimento in Europa, non
che r orìgine slava di alcune popolazioni settentrionali d'Italia.
Riserbandoci a dare, in luogo più opportuno, maggiore sviluppo
a quest'importante argomento, avvertiremo solo, clieTantiea
diffusione delle nazioni slave nelle Venete provincie al di qua
deir Isonzo, viene fatta maniresta da molti nomi di villaggi, città »
monti, fiumi e torrenti, di non' dubbia origine slava. A monu-
mento irrefragabile di questo fatto, trovansi ancora nel Friuli,
frammezzo agli Italiani, poche reliquie di Slavi, che in numero
di 3400 conservano costumi nazionali, ed un corrotto dialetto
della lingua vinda. Questi pochi ])astori vivono nel villaggio di
Rustis posto nel centro della valle del Besia, piccolo torrente
che mette foce nel Tagliamento presso Resciulta. I vicini vil-
laggi nella stessa valle sono: Ossèaco, Gnìva, Stolvizza, Po-
viey, Coritis, Clin; i monti che racchiudono la valle chiamansi
Posgost, Canin, Brumand , Plananica, Slolac, ZIebac, nomi tutti
di forma ed origine slava. Alcuni viaggiatori, che mossi da
scientifica curiosità percorsero questa valle, credettero scoprirvi
una piccola colonia di Serbi; ma i caratteri del dialetto ivi
parlato non lasciano verun dubbio sulla consanguineità di quelli
ahilanti coi vicini Slovenzi di Carinzia. Dobrowsky ne inslilui un
piccolo confronto sul Dizionario vindico di Osualdo Gulsman, e,
riconoscendo T identità delle due favelle, ne diede nel suo Slavin *
1 Veggasi Dobrowsky' s Slaiin, Trag. 183i, pag. 118. Vcbcr die Slawsiiim
T fiale R3sìa. '
86 COLONIE STRANIEAE
un Saggio, ove notò alcune voci italiane innestate nel diaieilo
di Resia pel continuo commercio coi popoli cireo^lanti.
Discendendo poi verso mezzogiorno, nel cuore del Friuli
stesso, troviamo i villaggi Pocenia, Precenico, Glauaico, Sclau-
Dico, Corizza, Gradisca, Slrica, lovanizza, Stupizza, Castrini-
vizza, e mohi altri nomi di radice evidentemente skiva; d'onde
possiamo con fondamento asserire , che questa nazione un tempo
erasi inoltrata di molto in questa parte settentrionale d* Italia.
Z."" Colonie Fhancrsì.
La numerosa popolazione di tutte le valli Cisalpine comprese
fra la catena del Monte Bianco e il Monte Bom^ sebbene e
geograGcamente, e politicamente italiana, parla tuttavia un dia-
letto c(^rotto delia lingua francese meridionale , distinta dagli
scrittori col nome di lingtia d'oc. Essa ammonta ad oltre 78,000
abitanti, in massima parte pastori, e coltiva speeiakneute le
scoscese valli di Challant , Pettina , Ferrex , e la principale valle
d* Aosta, delia quale tutte le altre sono altrettanti rami collate-
rali, sino al grosso borgo di Chàtillon, che, sulla strada po-
stale, divide il dialetto piemontese dal francese.
Questi popoli, lungi dall'essere una colonia straniera colà
trapian^ta in tempi meno remoti, altro non sono, se non una
delle primitive celtiche tribù, che ripartivansi ai tempi della ro-
mana repubblica il settentrione d'Italia; e derivano direttamente
da quei bellicosi popoli Salassi, che, sottomessi da Augusto,
ricevettero sin d'allora colla legge anche la lingua latina. Più
tardi furono da Carlo Magno aggregati al Franco dominio, e
quando questo fu ripartito fra i suoi successori, gli Aostani
* cogli abitanti delle vicine valli sino alla costiera che divide la
Valle Challant dalla Val Lesa , formarono parte del regno di
Francia propriamente detto , mentre la Val Lesa er le successive
convalli del Rosa appartennero al Regno Germanico; della qual
antica divisione politica sono mirabile ed irrefragabile monu-
mento gli idiomi francese e tedesco tuttavia superstiti, e colà
separati dalla medesima costiera di monti. Finalmente, dopo
lunga e volubile vicenda, passarono gli Aostani sotto la signoria
dei Conti di Savoja, e si serbarono fedeli a quella Casa sino ai
dì nostri. Per tal modo vi fu a poco a poco introdotto e radi-
D ITALIA. 57
cato un dialetto romanza, ehe da princìpio assimilavasi a quelli
della vicina Savoia, e più tardi fu corrotta da voci ed idiotismi
piemontesi, dacché il ducato d'Aosta venne aggregato al governo
di Piemonte.
Questo dialetto estendevasi, non ha guari» in tutta la parte
meridionale della stessa valle, come attestano i noini di quasi
lotti i villag^ . disposti sulle due rive della Dora, quali sono:
Saint-'Vincent, Ussey, Chamlon, Montjouet, Bard e simili; ne
fanno fede altresì i rispettivi dialetti oitremodo commisti di voci
ed idiotismi francesi; se non che tutte queste tracce vi si vanno
di continuo cancelkindo per la prepotente influenza del com-
mercio e del governo ; il dialetto piepobontese vi acquista tutto
giorno nuovo terreno, ed è già penetrato sin nel cuore delia
classe più devata della capitale; sicché egli è assai probabile,
che un giorno eziandio questo estremo lembo d' Italia sia per
divenire interamente italiano.
i.** Colonie Valacche.
Quando il musulmano torrente, irrompendo dall'Asia^ irrigò
di cristiano sangue le orientali regioni d'Europa, e, cangiati in
voluttuosi Harem i psdagi de* greci imperatori, fece scintillare
la mezza4una colà dove torreggiava il vessillo di Cristo , una
folla di nazioni atterrite , fuggendo T inesorabile scimitarra, ab-
bandond al barbaro conquistatore il suolo nativo, e, trascinando
seco i simulacri degli avi , cercò scampo nelle vicine province.
Greci, Albanesi, Bùlgari, Serbi e Valacchi, dalla Mesia, dalla
Macedonia^ dall'Epiro e dalia Tessalia, si sparsero in gran nu-
mero, parte lungo Y Illirico sino alle isole del Quarnero e nel-
ristria; parte, varcando il Danubio, o i Carpatici, cercarono
rifugio in Ungheria e in Transilvaoia ; e parte, attraversando
il mar Jonio, si gettarono sulle opposte rive della penisola ita-
lica della vicina Sicilia. Dovendo or noi far menzione solo di
quelli, che, ricoveratisi entro gli italici confini, vi presero sta-
bile domicilio, e vi si mantennero come stranieri sino ai di
nostri, accenneremo a pochi Valacchi, a molti Greci e ad un
maggior numero di Albanesi.
I Valacchi propriamente si diffusero in massima parte dal-
Tantica Dacia in Transilvania e per entro i comitali meridionali
deir Ungheria; alcune picciolo colonie per altro, percorrendo
ss COLOIflE STRANIERE
rilirico, s'inoltrarono sino alla penisola islrkiiia da noi consi-
derata entro i naturali conGnì dell* Italia. Sebbene appaia, che
da principio vari fossero i gruppi di fuggitivi colà ricoverati,
ciò nullostante i soli abitanti del piccolo villaggio di Cepich,
composto di 320 pastori, nel distretto di BeUay, serbano an-
cora i costumi e la lingua dei loro padri. Il dialetto da loro
parlato è affatto simile a quello dei Valacchi di Temesvar nel
Sanato, ciò che rivela il primitivo loro vincolo di consangui-
neità con quella numerosa nazione. Affatto privi di coltura eser-
citano quasi esclusivamente la pastorizia, e, se si eccettui qualche
canzone popolare, la loro letteratura reslringesi alla versione
delle quotidiane preghiere, delle quali porgeremo un Saggio in
un trattalo speciale dei dialetti istriani.
Reliquie d'una colonia valacca sembrano ancora nelf Istria
i i080 abitanti di Dignano, non che i 1130 di VaHe, i quali
dagli Slavi che li circondano sono chiamati Latini. Questi con-
servano un particolar modo di vestire diverso da tutti gli altri
della penisola, e parlano un dialetto italiano distinto dal veneto
delle altre città, lungo il litorale istriano. Siccome per altro
molto affine al dialetto di Dignano e di Valle è ancora quello
che parlano i 10,450 abitanti della città di Rovigno, cosi sem-
bra ancor più verisimile, che queste popolazioni, anziché ap-
partenere alle migrazioni moderne, derivino direttamente dalle
antiche romane colonie stabilite quasi ad un tempo neirilìrìa
e nella Dacia, le quali vi conservarono, a traverso tante vicende,
r antico romano dialetto, diverso perciò dal veneto della peni-
sola, ivi trapiantato più tardi col dominio della veneta re-
pubblica.
Tracce delP esistenza d'altra colonia valaeca trotansi final-
mente nella vicina isola di Veglia , alla distanza di quattro miglia
dall'antica Coritta, in alcime vallette, distinte nei linguaggio
dell'isola col nome di Poglizze. Ivi alberga una pacifica fa-
miglia di circa 800 individui , i quali , sebbene informati sai
costumi ilirici ed avvezzi all' ilirica favella , serbano tuttavia Y in-
certa tradizione , che un tempo gli avi loro parlassero un latino
sermone. Parecchi ruderi di costruzione romana superstiti, al-
cune monete e qualche medaglia romana ivi escavate attestano
infatti , che un tempo in quelle amene vallette stanziava una ro-
nìaria colonia ; ma ciò che soprattutto merita attenzione si è,
d' ITALrA. 89
die quelli incolli pastori serbano ancora {'orazione Donùnica e
la Siduiazionc angelica in un dialetto valacco, il quale, come il
mentovato di Cepidi ^ è simile a quello di Temesvar ! Da questo
fallo, rinforzato dalla tradizione del luogo, sembra quindi veri>
simile rorigìne valacca eziandio di questa pìccola colonia, la
qaale, attorniata ed oppressa dal preponderante numero di Slavi ^
ne adottò col tempo gli usi e la favella.
b*." Colonie àldanésu . .
Il ragguardevole hmnero degli Albanesi e dei Greci stanziati
da secolr ntir Italia meridionale, e la somma discrepanza dei
loro costumi da quelli dei popoli italiani die li circondano, al-
trassero più volte T attenzione dei viaggiatori e degli scrittori,
sicché in vari tempi furono pubblicate più o meno estese rela-
zioni intorno alla loro origine ed alla loro comparsa in Italia,
Se non che il rito greco-unito professato, un tempo dal massimo
numero , la contemporanea esistenza di nazioni diverse nelle
medesime regioni-, la provenienza loro comune dalla Grecia o
dalle iprre limitrofe, e Tiporanza dcMe loro lingue in quelli
che impresero ad- illustrarle, diedero origine ai più favolosi rac-
coati, dappoiché gli uni riguardarono tutti quei popoli indislin*
lamenle come Greci, altri come Arabi, altri li credettero Zin-
gari, altri finalmente scambiarono gC .Albanesi coi Greci, e
>iceversa; o confusero coi moderni i Greci antichi. Ora sic-
con)e. u^Ua p^rte più meridionale della penisola esistono infatti
separate e distinte colonie greche ed albanesi; siccome vi si
trovano inSotti colonie greche da lunga- età colà stabilite e co*
Ionie gl'eche moderne; siccome vi sono eziandìo varie trupjie di
Zmgari nomadi e tracce non dubbie d'arabe colonie; così, a
depurare la verità da tanti erronei racconti, ed a svolgere con
chiarezza quesf intricata miscella , preciseremo primieramente i
luoghi abitati dalfuna o dall'altra nazione, per procedere poscia
alla esposizione dei fatti, die sparger possono più sicura luce
sulla loro origine e sulla loro istoria.
Gli Albanesi, che formano la massa principale, erano un
tempo in numero assai maggiore, mentre coir avvicendarsi delle
generazioni obliarono in parte i primitivi costumi, e si fusero
cogli indigeni. Ciò nulla di meno quelli che vi conservarono sino
60 COLONIE STBANIBRE
ai di nostri lìngua e costumi nazionali sono ancora in numero
considerevole, ammontando quasi a 86,000 individui. 1 luoghi
da loro esclusivamente abitati sono i segaenli:
Nella Calabria Ultebiorb.
Luoghi,
Amato
A odali
Arietta
Casalouovo
Teca . .
Zaogarona
Dioceiù Popolai.
i,420
712
Si 5
608
750
732
i,407
Nicastro .
Belcastro .
S. Severino
Gerace . .
Nicastro .
Nicastro .
Nella Calabria Citeriorb.
Acqua Formosa
Castropeggio •
Cavallari zzo . .
Cecarvito . . .
Cerzeto . . .
Civita ....
Falconara . .
Farneta . . .
Firmo ....
Frascineto . .
Lungro . . .
Macchia . . .
Marri ....
M. Grassano .
Piataci . . .
Porcile . . .
Rota ....
8. Basilio . .
S. Bened. UUano
S. Caterina . .
S. Cosmo • .
S. Demetrio
S. Griacomo . .
S. Giorgio • .
5. Lorenzo • .
6. Martino • .
S. So6a . . .
Serra di Leo .
Spezzano . . •
Vaccarizzo . .
Cassano •
Anglona .
S. Marco .
S. Marco •
S. Marco .
Cassano •
Tropea
Anglona .
Cassano •
Cassano •
Cassano •
B essano •
Bisignano .
S. Marco .
Cassano •
Cassano .
Bisignano .
Cassano .
Bisignano .
Sw Marco .
Rossano •
Rossano .
Bisignano •
Rossano .
Bisignano .
Bisignano .
S. Marco .
Rossano .
Rossano .
Nella Basilicata.
Barile .... Matera . .
Brindisi . . . Matera . .
Casalnuovo di Noia Anglona .
Maschile . . . Matera . .
S. Costantino . Anglona .
4,218
356
560
1,065
520
4,472
1,565
262
958
4,600
2,570
475
308
1,215
1,420
650
814
1,500
1.330
850
514
1,500
750
1,200
950
1,110
1,200
280
1,700
1,000
30,812
3,250
2,060
880
3,780
1,120
10,090
Nella Capitanata.
Luoghi. Diocesi. Popolai,
Campomarìno . Larino • .
924
Chioti .... Larino . . .
1,230
Casalnnovo . . VoUarara . .
1,850
easalvecchio . Volturara . .
1,612
PortO'Caonone Larino . .
. 615
S. Croce di Mi-
gliano . . Larino . . .
3,290
S. Paolo . . . S. Severo . .
2,850
Ururi . • • . Lariao . • .
1,234
13,465
Nella Terra d'Otranto
.
raggiano . . • Taranto .
1,030
Martignano . . Otranto .
595
M. Parano . • Taranto •
720
Roccaforzata . Taranto . .
310
S. Giorgio . . Taranto .
1,242
S. MariiHO . . Taranto .
335
S. Marzano . . Taranto .
750
Stemazia . . Otranto •
1,280
Zollino . . . Otranto .
. 592
6,84i
Nell* Abruzzo Ulteriore.
Badessa • . . Penna ... 220
Nbll* Isola di Sicilia.
Contessa . . . Girgentt .
MezzoJQSo • • Palermo •
Palazzo Adriano Girgenti .
Piana de* Greci Monreale .
S. Cristina . . Girgenti .
Totale.
, 3,000
4,623
, 5,450
, 6,920
. 750
19,713
Calabria Ulteriore 4,407
Calabria Citeriore 30,813
Basilicata 10,09(>
Capitanato 13,465
Terra d* Otranto 6,8U
AbriUEo Ulteriore 220
Isola di Sicilia 19.7i3
85,5^1
D ITALIA. 61
Pochi anni sonò trascorsi, dacché gli Albanesi formavano al-
tresì la popolazione esclusiva (l'altri villaggi, cosi sul continen-
te , come in Sicilia , e sono fra gli altri : parecchi villaggi del
monte Gargano, la cui numerosa popolazione era un tempo in-
teramente epiroticd, ed ora ha per la maggior parte adottato
liogua e costumi italiani; ed in Sicilia erano albanesi i vii*
laggi di Bronte, Biancavilla, S. Michele e S. Angelo, che si
fusero nella popolazione siciliana, serbando però varie tracce
della primitiva loro nazionalilà.
Ora tutti questi popoli separati non approdarono in Italia ad
uno stesso tempo, ma in vari grtippi, da parti diverse, a più
meno lunghi intervalli, si raggiunsero sulle italiche spiagge,
dopo che, sconfitti da Maometto II, si videro esposti al furore
ed alla vendetta dei Turchi. I primi comparvero verso Tanno
1440 in Calabria , ove militarono sotto la condotta di Demetrio
Reres Gastriota, il quale, pei servigi tributali al re Alfonso I, ot-
tenoe éà lui terre e privilegi, e fu nominato governatore delta
Calabria ulteriore. Suo iSglio Giorgio Gastriota , soprannominato
Scanderbeg, prestò non meno importanti servigi a Ferdinando I
figlio d'Alfonso, rìntuaszando valorosamente la celebre rivolta
dei baroni, ed ottenne dal re il ducato di Ferrandina ed il
marchesato della Tripalda, onde nuove colonie albanesi vi ap-
prodarono dall'Epiro, e vi si stabilirono sin dal 1460 incirca.
Caduto Scanderbeg nella sanguinosa guerra contro i Turchi,
sno figlio passò con numerosa banda in Italia, ed ottenne nei
1467 terre e privilegi dallo stesso Ferdinando, per le beneme-
renze del padre. In seguito la protezione accordata agii Alba-
nesi dai re dì Sicilia attrasse ogni anno moke famiglie di prò*-
fughi dalla Grecia e dall'Epiro, sino alla fine del 1478, in cui
quella regione cadde interamente in potere del Gran-Signore.
Né con ciò terminarono quelle migrazioni, perocché le contìnue
vessazioni sofferte di poi dagli Epiroti rimasti sotto il giogo
musulmano, ed il favore loro accordato in Italia da Garlo V,
attirarono nuove colonie nell'anno 1534 e nei successivi, a
popolare le regioni più meridionali del regno di Napoli. Altre
ancora vi penetrarono sotto il dominio di Filippo lì , e sebbene
l'austera polìtica dei viceré abbia poscia interrotto per qualche
tempo il corso a queste frequenti migrazioni, pure furono rin-
novate più tardi sotto il regno di Garlo III , il quale fondò il
62 COLOXJE STRANIERE
Reggimenlo reale inacedone nella propria arrtiala , concesse vasto
territorio neir Abruzzo ad una nuova colonia, e favori nel 1736
la fondazione d' un vescovato di rito greco , e d' un collegio do-
siioato air educazione dei giovani albanesi. Altro vescovato greco
iiistitui più tardi in Sicilia il re Ferdinando iV, ed accolse ge-
nerosamente in Brindisi una nuova coionia ^ accordandole terre
e privilegi *.
Per tal modo F Italia meridionale venne popolata da un nu-
mero ragguardevole d'Albanesi, molti dei quali, come aocen-
namnìo, nel corso di quattro secoìi adottarono la lingua, la
religione ed i costumi degli Italiani, Essendo venuti separatamente
in Italia, e in vari tempi, senza beni, non poterono mai formare
un corpo nazionale, né abitare un'intera città; ma dispersi per
ie valli e ))er le montagne, in piccoli ed appartati villani ^ ri-
masero sempre estranei al progressivo incivilimento. 11 loro
culto era in origine greco-scismatico; ma a poco a poco pre-
valse r influenza dei vescovi latini per modo, die quasi due
terzi sono attualmente cattolici. La loro lingua è TepiroUca,
detta ancora albanese o skipelar^ divisa però in molte ^'arietà,
dappoiché non solo vi si distinguono i vari dvadetti mirdìto^ liapo,
tosco e sciamuro, ma ancor Fidrioto, e si quelli che questo vi sono
più meoo misti d*itaiiano, d'arabo, o di greco, a norma del tempo
e del luogo che occupano. Un esteso prospetto di queste varie
favelle, corredato di Saggi e di filologiche osservazioni, formerà
l'argomento d'un' opera che daremo in breve alla luce. Frat-
tanto quelli che bramassero estese notizie intorno ai costumi,
al culto ed ai particolari destini di quest- importante nazione,
potranno consultare le Croniche ed Anliehiià di Calabria pub-
blicate da fra Girolamo MarafioUi sin dalla fine del secolo XVI,
e l'esteso trattato del Rito Greco in Italia del vescovo albanese
Rodotà. Parziali descrizioni dello st$fto di queste colonie tro-
vansi ancora nella Vita del conte d' Osmna scritta da Gre-
gorio Leti, nei Viaggi in Calabria ed in Sicilia di Bartels, e
nel più recente Viaggio in Italia di Stolberg ; ma più vaste e
i Fra gli Albanesi dell* isola di Sicilia i primi che vi si stabilirono in colo-
nia furono quelli di Contessa, ituii gli abitanti di Mniojuso, poi sopravven-
nero quelli di Palazzo Adriano, e per ultimo quelli di Piana de* Greci, una
parie dei qnnli, fuggendo al tempo del feudalismo, andò a fondare la colonia
di S. Cristina.
d' ITALIA 65
più csalle iuformazioDi trovansi racchiuse nella Geografia Uni-
versale del sempre celebre Maltebrun, e nelle preziose mono-
grafie de* suoi Annates des Voyages intese air illustrazione delle
nostre colonie, fra le quali raccomandiaaìo il coscienzioso la-
voro del benem^ito albanese Angelo Masci, che ci servi di guida
nel presente Prospetto ; sopra tulto poi commendiamo le inte^
ressanti Memorie dell' epirota prof. Giovanni Schirò, die ci co-
municò parecchie delle presenti notizie.
Quanto alla lingua, sebbene Tepirotica parlata in Albania ed
in Macedonia sia stata illustrata in parte con grammatiche e di-
zionari dal P. Maria da Lecce, da Xylander, e dal P. Rlanehi,
ciò nulladimeuo nessuno, per quanto ci consta, fanprese ancora
ad esaminarne i corrotti dialetti d* Italia , se sì eccettuino due
vocabolari manuscrilti, uno dei quali serbasi nel Seminario
Greco-Albanese di Palermo, opera di certo Gatclaiio di Mòszo-
juso arcivescovo di Durazzo, e T altro, opera dell' abate Ni-
colò Ghetta, è posseduto da monsignor Giuseppe Crispi, au-
tore d* una Memoria sulla lingua albanese , il quale , con- altri
dotti connazionali, sta ora compilando un vasto Vocabolario Al-
banese-italiano.
Oltre alle mentovate, altre piccole colonie albanesi trovansi
stanziate sulle coste delF Istria, e propriamente nel viMaggio di
Perei composto di 210 abitanti, poche miglia discosto dà Pola ,
e nel territorio di Parenzo, ove alquante famiglie albanesi vi-
vono sparse in appartati casolari. Nessun documento istorico
determina con precisione il tempo della loro comparsa in questi
luoghi; solo è noto, che la veneta repubblica, con privilegio
del 26 novembre 1657, per mezzo del suo rappresentante Gi-
rolamo Priuli , accordò ad una diecina dì famiglie all)anesi gui-
date da certo Miho Draicovich , e sfuggite alla oppressione ot-
tomana, quello spazio dr terra che forma appunto il territorio di
Perei. Quelle poclie famiglie componevano allora settantasette
individui, che nel corso di due secoli triplicarono. Questi pure
conservano lingua e costumi nazionali, e professano il rito gre-
co. Arroge per ultimo una dozzina di famiglie albanesi stan-
ziate da secoli in Venezsa per ragion di commerd'o, nella par-
rocchia di S. Cassiatio, ève ammontano a 50 individui incirca.
2j
64 COLONIE STRANIERS
6.* GoLo^riB Greche.
Se rammentiamo, che Tltaiia meridionale era un tempo abi-
tata da greci coloni» dai quali ricevette T antico nome di Afa-
gna Graecia; ehe gli imperatori bizantini nei secoli di mezzo
vi fondarono per ben due volte stabile dominio, e cbe il solo
Mar ionio* la separa dalla Grecia, non saremo sorpre^, tro-
vandovi anche ai di nostri interi villaggi abitati da greche co-
lonie. Se non che le terribili vicende alle quali nel volgere dei
secoli andò soggetta, e le successive invasioni di Romani, di
Greci, d'Arabi, di Normanni, di Francesi e di Spagnuoli, agi-
tando e fondendo le varie stirpi , distruggendo gli storici monu-
menti, e confondendo nella barbarie le antiehe tradizioni, spar-
sero un fitto velo sulle origini di tante popolazioni, parte delle
quali sembrano indigene delle terre da loro abitate, e parte vi
si stabilirono in tempi moderni , onde sottrarsi al ferreo giogo
dei Turchi.
I luoghi da loro attualmente occupati sono: nella Caiabrìa
Ulteriore, la città, i monti ed i contorni di Gelso, ove am-
montano a poche migliaia; il territorio di Reggio, in partico-
lare nei contorni di Braucaleone sopra Spartiveato, le piccole
città di Bova, Amygdalia, Leucopetra, Agatba, ed i villaggi ài
Misoripha, di Gardetum e di Pentedactylon. Molti Greci vivono
ancora sparsi in maggiore o minor numero su vari punti della
Terra d' Otranto, per modo , che insieme ammontano ad oltre
18,000 individui, serbando ancora greca favella, e professando
in massima parte il rito greco.
La varia alterazione dei loro dialetti, e la mescolanza delle
moderne colonie colte antiche, non ci permettono di precisare
il tempo del rispettivo loro stabilimento in Italia. Interrogando
gli scrittori e i documenti dei vari tempi , troviamo non dubbie
tracce della presenza non mai interrotta di colonie greche nella
parte più meridionale della nostra penisola. Senza rimontare agli
antichissimi tempii nei quali ò indubitato, che la massa prin-
cipale de' suoi abitanti era greca, vi troviamo nel IX e nel X
secob deirèra nostra stabilito il greeo dominio, onde furono
celebrate le greelte scuole di NarcU e d'Otranto, dalle quali
emerse il Teologo Pietro Ghrysolamo, e nelfXI secolo vi fiori
il celebre islorico greco Bartolommco Basiliano nativo di Ros-
B' ITALIA. 65
sano in Calabria. Duponte il Normaooo dominio reggiamo di-
stinta in Sicilia ed in Calabria ia lingua greca dalla nordica,
dair italiana e dali* araba, e vi trovianio seriUe nel greco idioma
le dotazioni di varie chiese. Sotto gli inìperatori della Casa di
Svevia vi fnrono tradotte nella stessa lingua le costituzioni det-
tate dà Federico II, per uso dei sudditi greci di quel regno,
e molti greci documenti trovansi pure sparsi in quelli archivi,
appartenenti ai 'tempi dei principi' Angiovini. Nel secolo XIV
vari dotti calabresi, tra i quali Barlaam e Leonzio Pilato, si
spacciavano nativi ddla Grecia, e dettavano dalla cattedra in
Firenze i precetti della propria lingua. Nel XV secolo il celebre
medico Galateo asseriva, che ai tempi di sua giovinezza gli
abitanti di Gallipoli parlavano greco; il che ripeteva nella prima
metà del XVI Ascanìo Persio, parlando degli abitanti di Gali-
mera, di Maglie, di Martano e di Capo-di*Leuca. Il geografo
calabrese Gabriele Barri ci racconta, che la chiesa di Rossano
nella Calabria Citeriore conservò lingua e rito greco sino a' suoi
tempi (1600), e che gli abitanti delle città e dei villaggi si-
tuati netr estrema punta meridionale della Calabria parlavano il
medesimo linguaggio. Non interrotte sono le testimonianze degli
scrittori posteriori dell' esistenza di greche colonie nelle mede-
sime regioni, onde ci sembra di poter con fondamento con-
chiudere, che buona parte dei greci coloni deir Italia meri-
dionale sono reliquie d'una molto più numerosa popolazione,
colà da tempi assai rimoli stabilitai e che, mentre dall'una
parte un gran numero, coir avvicendarsi delle generazioni, per-
dette le naturali primitive impronte, adottando la Ungila ed i
costumi d'Italia, altri Invece, nella parte più meridionale, for-
marono quasi un nocciolo, intorno a cui molli esuli inoderni
saccessivamentfi si raggrupparono.
Altra piccola colonia di Greci Mainoti trovasi stanziata nel
villaggio di Cargese in Corsica , "poco discosto da Ajaccio , ed
ammonta a circa 640 individui. Questi ricoverarono colà da
Maina nelPanno 1676, guidati da Costantino Stefanopulo, e vi
trapiantarono il proprio rito , la lingua ed i costumi propri. Per-
seguitati a lungo, per causa di religione, dai montanari dei vi-
cini villaggi di Niolo e di Vico , i quali più volte li assalirono e
saccheggiarono, quei poveri esuli dovettero cercare sovente ri-
fugio in Ajaccio^ ove alcune famiglie presero stabile domicilio.
66 COLONIS STRANIBRE
La loro lìngua da priacipio era la romttica, ossia greca mo-
derna; ma r incessante commercio coi vicini isolani li costrinse
a (ar uso delF italiana e della francese, che parlano con pari
facilità, riserbando la nativa solo fra le domestiche pareti.
Finalmente parecchie centinaia di Greci soggiornano da lunga età
nei principali porti dell* Italia superiore , ove formano altrettante
colonie, avendovi chiese di vario rito , stabilimenti di commercio,
e collegi destinati air educazione della loro gioventù. Sebbene
siano più o meno diffusi in pressoché tutte le città marittime
deir Adriatico e del Mediterraneo, tuttavìa trovansi in maggior
numero nel porto di Venezia, ove oltrepassano 600 individui,
in quello di Trieste^ ove ammontano a SOO incirca, ed a Li-
vorno, ove oltrepassano il numero di 400. Non è possìbile
determinare con esattezza il tempo del loro stabilimento ìb
questi luoghi, essendovisi raccolti a poco a poco, in vari tempi,
per ragion di commercio, da varie parti del continente e delle
isole greche. Quei di Venezia per altro, vi si recarono in mas-
»ma parte dalle isole Jonie, sin dal tempo in cui queste di-
vennero baliagi della veneta repubblica. Quantunque nelle loro
scuole si insegni la lingua greca antica e la moderna, e nei riti
ecclesiastici facciano uso della greca letterale, ciò nullostanle,
negli usi civili, adottano per lo più il dialetto della città, nella
quale soggiornano.
7.* Colonie Catalane.
Il viaggiatore, che, percorrendo la penisola,, udi frammisti al
poetico accento italiano i suoni teutonici, islavi, francesi, vaiaceli!,
albanesi e greci, non sarà meno sorpreso, approdando nelle va-
rie sue isole, d'incontrarvi ancora l'amoroso linguaggio degli an-
tichi Giullari e il rauco accento dell'Arabo del deserto. Abbiamo
testé accennato alla colonia greca dell' isola di Corsica ; passando
da questa nella vicina Sardegna, vi troviamo la città ed i con-
torni d'Alghero abitati da una colonia di circa 8000 Catalani,
i quali, sebbene attorniati da italici dialetti e retti da italiche
leggi, vi eonservano la patria lingua ed i costumi spagnuoli.
Questa colonia prese ivi stabile dimora sin dall'anno 13K4, in
cui Pietro IV re d' Arragona, scacciandone i Genovesi, uni quei
tei ritorio ai propri dominii. Penetratavi in tal modo, e divenuta,
D ITALIA. 67
dopo alcune generazioni, indigena del saolo conquistato col san-
gue, e dirozzato col sudore del propri niaggiorì, vi serbò in-
contaminato il nazionale retaggio ancora dopo, che la volubile
dispensiera dei regni la sottomise a dominio straniero.
8.^ Colonie àraae.
L'isola di Malta, del pari che tutte le altre del Mediterraneo,
soggiacque a vicenda air antica dominazione de' Fenici!, dei Greci
e dei Romani. Caduto l'impero, fu conquistata sin dalla metà
circa del secolo VII dai Saraceni, onde vi si formò un araba
colonia, la quale, in cinque secoli di dominazione, vi stabili coi
propri costumi anche la lingua. Nell'anno 1127, gli abitanti
della città e del litorale, stanchi del decrepito governo saraceno
ed infiammati da zelo di religione, insorsero contro i dominatori,
ed assistiti dal conte Ruggero di Sicilia, riuscirono in breve a
liberarsi. Per tal modo cangiarono col governo eziandio il culto ;
ma la favella, che avea gettate profonde radici in tutta la po-
polazione di Malta e di Gozzo, rimase a monumento dell'arabo
dominio; né la ragguardevole colonia colà introdotta neiranno
1530 dai cavalieri dell'Ordine Gerosolimitano, che ne acquista-
rono il dominio, valse ad estirparla. Ciò nuli* ostante, dopo quel
tempo, essendosi colà stabilite molle famiglie di varie nazioni,
il dialetto locale vi assunse molte voci spagnuole, francesi, ingle-
si, e sopratutto italiane, e vi perdette buod numero delle primi-
tive sue forme.
Varie e strane furono le opinioni dei dotti, che scrissero in-
torno la medesima, Ira i quali Abela, Ciantar, Grevio, fioccar-
do, Scalìgero, Niedersted ed altri la dissero, a vicenda, derivata
dalle antiche lingue ebraica, samaritana, siriaca, cartaginese, fe-
nìcia, greca ed araba. Arrigo Majo pretese dimostrarla affine alla
punica, nel suo Specimen linguae punicae in hodiema Melilen-
sium superstitis (Jessae, 1718); ed Agius Soldanis tentò ag-
giungervi novelle prove nel suo libro intitolato: Della lingua
punica usala dai Mallesi, ec. (Roma, 1750). Con tutto ciò
dalla stessa opera di Soldanis, che racchiude un Saggio di grara-
malica ed una lista di vocaboli, emerge chiaro; che la lingua
maltese è un dialetto della lingua araba occidentale, ossia afri-
cana, misto di molte voci tratte sopratulto dalle lingue latine.
68 COLONIE STRANIERE
Questo dialetlo è pariaio con maggior purezza negli inlerni vil-
laggi, detti easaliy nei quali la pronuncia è varia ; ma non cosi,
che vi si possano discernere dialetti differenti. Nella città di
Valletta poi, capo-luogo dell'isola e residenza del governo, il
dialetto arabo é relegato tra il vulgo, mentre la lìngua civile
è r italiana.
Altre colonie arabe esistevano, non ha guarii nella prossima
isola di Sicilia ed in Calabria, già invase più volte dalle orde
saracene. Ne abbiamo una testimonianza in Ugone Falcando^ il
quale asserisce che un tempo interi villaggi erano popolati da
Saraceni. Inoltre il celebre storico Signorelli (Voi. I, pag. 277)
racconta, come l'imperatore Federico II facesse trasportare una
colonia di Saraceni dalla Sicilia a Lucera-di-Pagani, d'onde sì
sparsero in tutta la Capitanata; ma di queste popolazioni non
appare oggidì veruna traccia, se si eccettuino alcune voci sparse
nei dialetti meridionali, sia che più tardi facessero ritorno
ai lidi africani, sia che si fondessero, come è più verisimile,
negli indigeni.
Finalmente restano tracce d'un antica araba colonia nella
provincia Sulcìtana in Sardegna, i cui abitanti, ancora detti Mau-
relli, sono riguardati da alcuni come discendenti da quei Mauri,
che, per testimonianza di Procopio, espulsi dall'Africa ai tempi
di Belisario, furono deportati in Sardegna, e si stabilirono nei
monti prossimi alla metropoli dell'isola. Sebbene però la costitu-
zione fisica, i costumi e la pronuncia dei Maurelli concorrano in
favore di quest'opinione, ciò nullostante, essendo tutt'ora argo-
mento di controversia presso gli scrittori, ed avendo essi da lunga
età adottati i costumi e la lingua dei Sapdi, non possiamo an-
noverarli fra i coloni stranieri.
9.*" Colonia Israelitiche.
Gli Ebrei, che, colla loro diffusione sulla massima parte del-
l' orbe, porgono uno de' più interessanti fenomeni nella storia
delle umane stirpi, sono sparsi altresì in gran numero sulla no-
stra penisola, ove abitano principalmente le qìllà ed i porti ma-
rittimi, formandovi altrettante colonie separate raccolte per lo
più in appartati quartieri, e professandovi il cullo mosaico. Dai
più recerili' censimenti dei vuri Stali d'Ilalia il' loro numero
d' ITALIA. 69
aseende ad oltre 40,000 individui, i quali sono ripartiti nel modo
segtienlc:
Xelle Province Illiriche.
Trieste 4,600
Gradisca 7&0
Gorizia 850
3,200
Nel Regno Lombaedo-Veneto.
MiUoo 230
Mantova 2,600
Sabbionetta, Viadana, OstigKa, \
Bozzolo, Rivarolo, Gover- | 900
Dolo, eec. ecc. )
Venezia 4,950
Padova 600
Bovigo 390
Verona 750
Treviso 400
Udine 50
Vicenza 60
7,630
Nel Regno di Sardegna.
Torino 4,600
Vercelli 500
Acqai 500
Casate 780
Alessandria ........ 580
Genova . • 360
Cbieri, Trino, Ivrea, Bietta,
Asti, Ganeo, Garmagnola,
KondoT), Ciierasco, Saluz-
zo, ecc. ecc.
2,500
6,;»20
TYkl Dogato di Modena.
Modena i,f40
Reggio 770
Pioale ilo
Correggio 200
Carpi 160
Novellara 400
Brescello 30
2,710
Nel Ducato di Parma.
Parma 420
iF^irenzaola 130
Borgo S.vDonlno 70
Bosseto <0
GuasUUa i30
Monticelli 50
Colorno e Soragna 80
Corte Maggiore 80
680
Nel Grandccato di Toscana.
Livorno ^J^O
Firenze 720
Siena 3»0
Pisa . . . 370
PitigUano ........ 340
Arezzo 30
Ebrei erranti 500
7,060
Negli Stati PoNTiricii.
Roma 4,500
Ancona *»820
Senigallia ........ M»
Pesaro . . ^ -«0
Urbino 160
Ferrara 1,800
Lugo 300
Cento 160
Perugia, Bologna, Spoleto,
Terni, Gobbio, eco. ecc.
oleto, ì
e. 5
450
40,090
Nel Regno delle Doe Sicilie.
Ebrei erranti 2,000
Totale.
In tutta la penisola . .
40,490
70 GOLOiNIE STRANIERE
E ancora argomento di controversia fra gli eruditi il tempo»
ili cui questa singolare nazione prese stabile domicilio in Italia.
Non essendo ora nostra intenzione il discutere quesf intricato
problema, ci basterà notare alcuni fatti più importanti dai quali
potrà emergere per avventura un più fondato giudicio. Lasciando
a parte le favolose leggende rabbiniche» per le quali la prima
apparizione degli Ebrei in Italia rimonterebbe sino ai tempi di
Giacobbe e dei re pastori, egli è indubitato, che un secolo
prima che la Giudea fosse ridotta a romana provincia, molli
Israeliti viveano diffusi nel romano impero; egli è certo altresì
che, allorquando le civili discordie li espulsero dalle rive del
Giordano e dalle mura di Gerusalemme, una moltitudine d'esuli,
regnando Erode, cercarono rifuso a* piedi del Campidoglio. I te-
trarchi e i re di Giuda chiesero più volte soccorso alla romana
repubblica, per salvare il minacciato scettro di Davidde, man-
dando ambasciatori a Roma. Lo stesso Erode vi approdò per
ben tre volte; ed Àgrippa vi soggiornò parecchi anni con molti
de* suoi. Egli è quindi assai verisimile, che sin d' allora alquanti
Ebrei si stabilissero nella capitale del mondo e in altre città
d'Italia. Infatti, verso la fine del regno d'Augusto, più di 20,000
individui di questa nazione furono annoverati fra gli abitanti
del quartiere di Transtevere ; e Strabone ci attesta, che a' suoi
tempi assai poche erano le città d' Italia, che non racchiudessero
mercanti e liberti israelitici. Da questi pochi fatti ci sembra di
poter con ragione conchiudere,' che almeno un secolo prima
dell'era cristiana molli Ebrei stanziavano in alcune parti della
nostra penisola, ove perseguitati, respìnti e richiamati più volte,
a poco a poco si diffusero dalle Alpi sino al mar Jouio.
Se antichissimo è lo stabilimento degli Ebrei in Italia, non
tutte però le attuali colonie vi penetrarono ad un tempo; che
anzi è provato dalla storia, come il maggior numero vi si suc-
cedesse a poco a poco, da v^rie parti d'Asia e d'Europa, in
tempi diversi, di mano in mano che le persecuzioni religiose
gravitarono sopra di loro. Per notare alcune epoche principali,
accenneremo, come al tempo delle Crociate, perseguitati e prò*
Sicritti a morte in Germania , molti Ebrei cercassero rifugio in
Italia J Altri vi approdarono più tardi dal Portogallo, ed altri
dalla Spagna, dopo che il celebre editto di Filippo II li pro-
scrisse dalla penisola iberica, d'onde ricoverarono nei principali
l>' ITALIA. 71
porti del Médìterraiieo e delFArcipelago, risospinti dal loro de-
stino sino a Costantinopoli ed in Asia. Perciò appunto distin*
goonsi ancora nel culto mosaico in Italia quattro diversi riti,
/'fto/iano cioè, il tedesco, lo spagnuolo ed il portoghese, dai
quali possiamo arguire l'anteriore soggiorno di quelli che li
professano, non che il tempo del rispettivo loro stabilimento
nei vari luoghi. Da questa osservazione appunto appare più ve-
risimile, che gli Ebrei stanziati negli Stati Pontificii e nelle
più interne regioni della penisola, siano i phi antichi d'Italia;
che buona parte di quelli che vivono diffusi nelle provincie set-
tentrionali della medesima, vi prendessero domicilio sin dal XII
secolo; e che le principali colonie marittime, in particolare
quelle del Mediterraneo, vi approdassero in buon numero dalla
Spagna e dal Portogallo in tempi moderni, come, per quelli di
Livorno, fanno non dubbia fede e il dialetto commisto di voci
spagnuole, ed alcune preghiere ancora oggidì recitate in lingua
castigliana.
Avvertirem per ultimo, che, mentre nei luoghi sopra notati gli
Israeliti formano generalmente altrettante colonie, i soli duemila.
incirca del regno di Napoli vivono dispersi ed erranti, dappoiché,
dopo r ultima loro espulsione da quel regno, avvenuta sotto Carlo
Ili, verso la metà del secolo scorso, non è più loro permesso
riunirsi in comunità, ed appena fu loro concesso poco terreno
presso Napoli ad uso di Campo-santo.
Quelli che bramassero copiose notizie sui destini di questo
popolo interessante, dall'epoca della sua dispersione sino a noi,
potranno consultare la Storia filosofica degli Ebrei di Capefigue,
l'anteriore di Schudt, ed il pregevole lavoro, che sta ora ap-
punto pubblicando su questo argomento il benemerito nostro
lombardo Bianchi-Giovini.
IO.*" Armeni e Zingari.
Ci rimane finalmente a far menzione degli Armeni e dei Zin-
gari, i quali, sebbene propriamente non formino colonie separate
in Italia, perchè sparsi ed erranti, ciò nulladimeno, per la loro
dimora non inai interrotta da più secoli , formano parte deUa
sua popolazione.
Gli Armeni, dopo la distruzione del loro regno in Asm, avve-
nuta nel primo periodo del secolo XV, si dissenrinarono nelle
occidentali regioni d'Europa, e precipuamente cercarono asilo
72 COLONIE STRAPJIEUE
m\ vicini imperi <li Russia e d'Àuslrìa. Un ragguardevole nu-
mero di questi esuli passò da quel tenapo in Transilvania, in
Ungheria ed in Galizia ^ ove occupano oggidì interi villaggi » e
popolano alcuno città. Altri si diffusero in pari tempo , lungo
le spiagge del Mediterraneo e dell'Adriatico, nei principali porli
di Grecia, di Spagna, di Francia e d'Italia, affidando ad un
esiguo commercio la propria esistenza; onde qualdie centinaio
vive ancora sparpagliato nei porti di Trieste, Venezia, Genova,
Ancona, Livorno e Napoli. In Venezia, e propriamente in un
isolotto della veneta laguna, trovasi pure da alcuni secoli sta-
bilito un armeno chiostro dell'ordine di Mechitar, retto da un
arciv^covo, ove una cinquantina di giovani Armeni sono istruiti
da monaci laboriosi e pazienti, cosi i^l culto cattolico, come
nei principali idiomi d'Asia e d'Europa, onde propagarci semi
della civiltà europea tra i loro connazionali, colle versioni a
stampa delle- opere classiche d'ogni nazione. Si gli uni, che gli
altri fanno uso del proprio idioma nelle domestiche pareti, par-
lando ancora nell' esterno commercio il dialetto delle cidà da
loro abijtate.
I Zingari erano un tempo diffusi nella penisola in numero
assai maggiore, che non ai nostri giprni; mentre, dopo che
provvide leggi posero un freno al vagabondaggio, la maggior
parte di questi nomadi Indiani si disperse per entro le foreste
dell'Ungheria e della Germania, ed appena qualche centinaio
è ancora superstite frù le montagne dell'Istria e della Calabria.
Poche famiglie vivono eziandio erranti negli Stati Pontificii, nel
Regno Lombardo-Veneto e nel vicino di Sardegna, conservan-
dovi colla rapina e col vagabondaggio una misera e pi'ecaria
indipendenza. Abbiamo per altro tulta ragione di credere, che,
mercè la paterna vigilanza dei Governi, eziandio queste poche
reliquie spariranno ben presto dal suolo italiano.
Sull'origine e sulla prima apparizione in Europa di questo
popcJo misterioso ragionarono a lungo in dotte opere parectìii
moderni scrìtb^ri d'ogni nazione; onde stìmianio inopportuno,
dilungarci ora in vane ripetizioni. Siccome d'altronde è nostro
proposito di polvere in breve in un trattato speciale il frutto
delle 'nostre speculazioni su quest'argomento, ed un'illustra-
zione della Imgua zingarica, da noi con molte fatiche e dispendi
studiata, non già sui pocW libri follaci, ma al cospetto di qual-
che centinaio. di Zingari appartenenti a varie regioni d'Europa,
D ITALIA.
75
cosi riputiamo superfluo i* avventurare in questo luogo un arido
cenno, affatto sterile, perchè sfrondalo d' argomenti e di prove.
Raccogliendo ora in un solo manipolo i dispersi ramoscelli
di nazioni diverse da noi sin qui partitai]iente annoverati ,
veggiamo circa seicento quaranta mila stranieri divenuti indi-
geni d* Italia, mercè un soggiorno non mai interrotto di più
secoli. L'importanza di questo fatto ci indusse a sottoporlo
air attenzione dei nostri connazionali, giacché la maggior parte
delle mentovate colonie furono interamente, o in parte, obliate
da quelli, che in vari tempi impresero a descrivere la nostra
penisola ed i suoi abitanti. Onde meglio riuscire nel nostro
scopo, abbiamo attinto le molteplici notizie che siam venuti
esponendo sui luoghi stessi, o alle più autorevoli fonti rispet-
tive; se qualche fatto apparirà per avventura meno esatto, in-
vitiamo i nostri compagni di studio ad emendarlo, nella spe-
ranza, che vorranno condonare le inesattezze sopra tutto alla
natura di simili ricerche, nelle quali le cure più solerti riescono
sovente frustranee. Confortali dalla coscienza del buon volere e
dalla speranza d'aver potuto riempire, almeno in parte, un'impor-
tante lacuna nella statistica italiana, saremo tanto più solleciti
nel pubblicare in breve una illustrazione delle lingue proprie
di queste medesime colonie, quanto più vicina ci sembra, pel ra-
pido sviluppo de' nuovi sistemi stradali, la totale loro scomparsa,
e la fusione compiuta di quelli che le parlano nei popoli italiani.
Sunto Generale
del Prospetto Topografico-Statislico delle Colorile Straniere (T Italia.
Stati
>
<
C/3
0S
s
-1
«
«
Si
N
K."d'miria
R."Lomb.Vcn.
Tirolo Italiano
R.» Sardo .
D.» di Parma
D." di Modena
6. Ducato di
Toscana .
Si. Pontificii
B.*" deHe Due
Sicilie . .
Canton Ticino
e Vallese .
Is.* di Malto
Is/ di Corsica
ToUle . .
iSOOO
40000
550U
^424
190000
20000
8S0
300 500
50 600
78000
100
400
150
85551 18000
800
640
64724 210000 78000 320 85901 20390 8000 130000 40190.740 638265
8000
3200
7630
6820
680
2710
7060
10090
2000
130000
100
60
100
100
80
300
206420
68340
5600
99444
680
2710
7460
10320
105851
800
130000
640
: -
IV.
DELLA
LETTERATIRA POPOLARE
DELL'EPIRO
Due secali circa sono trascorsi, dacché il perspicace Leìbtiitz,
presentendo la riniota consanguineità degli Albanesi colle na*
zioni italiche e greche, proponeva agli studiosi il confronto
delle rispettive lor lingue, e li precedeva col nobile esem-
pio. Dopo di lui più* maturi studii, intrapresi intomo alla lingua
epirotica dal P. Da Lecce, Leake^ Kavallioti, Daniel, Bianchi,
Hobhouse , Malte-Brun , Xylander ed altri, dimostrarono la ri-
mota antichità della medesima , la sua primitiva estensione so-
pra una gran parte delF Europa Orientale, non che la verisi-
mile sua identità o fratellanza colle antiche lingue di Macedonia,
llliria, Tessalia, Tracia e Dacia, e la sua origine comune
con quella delle greche e delle latine. Né solo venne con ciò
constatata l'esistenza della nazione albanese, nelle regioni poste
al settentrione della Grecia propriamente della, sin da tempi
auteriori ad ogni storica reminiscenza; ma le più accurate in-
dagini posteriori di Leake, Hobhouse, Pouqueville, Xylander
e di parecchi moderni viaggiatori avverMrono il non dubbio
stabilimento rimoto di albanesi colonie > altresì in varie parti
78 DELLA LBTqCERATiJilA POPOLARE
delle isole e penisole greche» in particolare in parecchi luoghi
elevati della Beozia, deirAttica, dell' Àrgolide, dell' EUide e della
Laconia^ ove testé eselusivamente occupavano interi distretti; e
traccio non dubbie d'origine albanese serbavano non ha guarì
gli abitanti delle isole d'Hydra e di Spezia, non che d'alcuni
scogli dell' Arcipelago.
Relegati da tanti secoli nelle più elevate regioni, e circon-
dati in molti luoghi dalla stirpe ellenica, d'indole, di costumi
e di lingua diversa, e in ogni tempo lor naturale nemica,
sembra fuor d' ogni dubbio , che gli Albanesi primamente oc-
cupassero le greche penisole, dalle quali successivamente re-
spinti per le frequenti e numerose immigrazioni degli Elleni e
de' lenii, popoli informati alla civiltà asiatica , furono costretti,
dopo inutili conflitti, a ricoverarsi nelle regioni più elevate, ove
serbarono più a lungo la impronta della nazionalità, onde fu
dato loro il nome di Albani, ossia montanari^ usato per la
prima volta da Tolomeo.
Ora, r unanime testimonianza delle tradizioni antiche ci rap-
presenta la Grecia primamente invasa dalla stirpe pelasgica, la
quale sopraffatta dalla ionica e dall'ellenica, parte andò ad oc-
cupare le regioni più settentrionali di quel continente, parie
emigrò sulle coste d'Italia, ove fondò slabili colonie. Sebbene
su tali tradizioni fondati i Greci e gl'Italiani riconoscano ahneno
in parte questa comune loro pelasgiba origine, e sebbene,
ignari dello stipite al quale i Pelasgi appartennero, errino da vani
secoli fra i più disparati sistemi , coliegandoìi a vicenda ora alla
famiglia semitica, ed ora alla giapetica, ciò nulladimeno quella
forte concordanza e verisimile identità degli antichi Pelasgi
cogli Albani non fu peranco avvertita , o. almeno sottoposta
a quel severo esame che l' importanza del soggetto richiedeva.
E pure ampia messe d' utili e preziose rivelazioni ci porge ornai
il confronto della vivente lingua epirotica eoi dialetti greci ed
italici antichi e moderni ; importantissima ed amena congerie di
scoperta ci promette quello dei costumi e dell'indole degli at-
tuali Albanesi colle svariate peculiarità e vulgari superstizioni
dei viventi popoli greci ed italici.
Un t^le vuoto nei moderni stadii deriva necessariamente dal-
l' assoluto difetto dei principali elementi, sui quali devono essere
fondati., giacché, in onta alla molteplice importanza della uà-
DELL EPIRO, 79
zioiie albanese, essa non rimase meno sconosciuia all'Europa
sino ai di nostri, e, ciò ehe più importa, eziandìo la massima
parte dei costumi e dei dialetti delle singole popolazioni italiche
meridionali attendono tuttora dii, raccogliendone i materiali, li
coordini ad un determinato scopo scìentiflco, e, sceverandone le
doviziose reliquie della veneranda antichità , ne svolga i simboli
misteriosi e fi illustri. E pure non v-ha luogo a transazione:
solo dal confronto delle nazioni colle nazioni, e delle lingue par-
late colle parlate possiaaio riprometterci la sospirata scoperta
delle nostre origini.
Ciò non pertanto la nazione albanese ebbe sovente, e in ogni
tempo, somma influenza e parte principale nei grandi avveni-
menti delle storie antiche e moderne d' Europa e d'Asia. Lasciando
da parte la verisimile loro origine pelasgica, e la non dubbia con-
sanguineità loro cogli antichi Macedoni, Traci, Daci ed lilirii,
delle cui gesta riboccano gii antichi annali; ommettendo la
pretesa origine epirotica del saggio Ulisse, al quale fu sempre
tributato in Epiro^ culto divino , troviamo celebrato in Plutarco
il valore dei prischi re d'Epiro, massime del saggio Tarrita,
che dettò leggi ai popoli, ^ volle introdurre in patria le lettere
e la coltura dei Greci. Alleati a Filippo, e aggregati al regno
macedonico, gli Epiroti sottomisero Y indomabile Grecia, e con-
tribuirono fra ì , primi alla gloria ed alle conquiste d* Alessandro
loro consanguineo, che accompagnarono in Asia ^ Riordinatisi
nelle loro terre alta morte di quel monarca, comparvero più
tardi formidabili in Italia sotto la condotta di Pirro, che, de-
bellate le romane falangi , minacciò la rovina di Roma. Ritornati
da quella spedizione alle native montagne, sostennero con eroica
fermezza Y invasione dei Galli eh' aveano devastata la Macedonia
e la Grecia, e si collegarono ad essi contro i Greci ed i Ro-
mani. Debellati alla lor volta da questi ultimi, ebbe fine bensì
la loro potenaa ed il loro splendore, ma non l'indomito loro
coraggio, né molto meno la loro indipendenza; dappoiché, seb-
i Quanto a' miei Albanesi, tu non li conosci. Noi discendiamo dai Ma-
cedoni, ^che hanno dato, per vincitore ali* India, Alessandro ; discendiamo
dagli Epiroti che hanno dato Pirro per nemico ai Romani. Così scriveva
ScaDderbeg al principe di Taranto , quando salpò dall' Epiro' in Jltalia, onde
ricuperare a Ferdinando il trono di Sicilia usurpalo dagli Angtovini e dai
Baroni congiurati.
80 DELLA LETTERATURA POPOLALE
bene distrulle le pofM))òse loro città, e massacrato il nerbo dei
loro eserciti, per òpera della romana vendetta, che per testi-
monianza di Strarbone e di Plinio fece della lor patria un or-
rido de^rto, essi mantennero sempre, all'egida degli ioospiti
loro gioghi, le immacolate impronte della nazionalità e dell' in-
dipendenza, e tali si serbarono, pascolando gli armenti e com-
battendo, attraverso le successile immigrazioni di Goti, Siavi,
Talari, Mogoli, Bulgari e Turchi, che invasero e devaMarono
senza posa i loro territorj, ma non ne domarono mai la natu-
rale fierezza. Dopo tanti irreparabili disastri , viitìmà sempre delle
varie fasi coi soggiacque l'impero orientale, non che delle in-
terminabili e sanguinose guerre di religione, gli Albanesi diedero
asilo ai Normanni ed ai crociati Latini, e sostennero fremendo
le angherie dei €omneni e dei Paieologhi ; ed allorché questi ul-
timi, soprafatti dall'ottomano torrente, mal seppero difinidere il
vacillante trono di Bisanzio , i soK Albanesi imperterriti resìstet-
tero all'incalzante invasore, e con un pugno di combattenti,
guidali dal forte Gastriotta Scanderbeg, riportarono le più se-
gnalate vittorie, spiegando il vessillo delia Groce, contro Ama-
rai H e Maometto II. Abbandonati soli dall' Europa atterrita in
quel disuguale conflitto , cedettero bensì alla prepotenza dell' oste
le loro terre, ma per la maggior parte ne ricusarono il giogo,
mentre gli uni si arrampicarono sugli erti gioghi dei monti Acro-
«cerauni, del Pindo e della Tessalia, altri, gettandosi in mare,
mendicarono profughi un asilo in varie parli d' Europa, ed in grau
numero ricoverarono fra i monti della Calabria, della Puglia e
della Sicilia, chiedendo ospizio a quel naonarcd, al quale pochi
anni prima aveano salvalo il trono contro T alterìgia de' baroui
congiurati.
Dall' allo dei loro monti nativi non cessarono mai i prodi fi-
gli della Silieide dì molestare con incessanti scorrerie i nuovi
oppressori , e se una parte di loro , aggregati iU' islamismo e
forzali dalle lusinghe e dalle torture dei bascià ottomani, pre-
starono loro mano contro i propri fratelli, allri serbarono in-
contaminata la virtù e l'indipendenza degli avi sino ai nostri
giorni; onde ancora negli ultimi tempi, comecché ridotti a po-
che migliaja ed estenuali dalle fatiche d'una vita di privazioni,
si attrassero l' ammirazione ed il compianto di tutta Europa col-
r eroica resistenza che opposero al feroce bascià di Giannina , e
IMSLL'£PIB0. ^1
per la parie che presero alla rigeneritetoae delia Grefli^a d^p?
poiebè non dabbianDio più oltro conCiHidere eon aleimì ^torifii #
Albmesi coi Grecia come suoliare il nostro volgo dot Tedesi^bb
dei Magiari e degK Slavi,. ma riconoscere piuUoBtO coiqìb alba-
nese .^aelfa timbei irrequieta di parodi, cbe sacee$aÌYiimeat^^ù^
dati da ZuveUa, Odisseo ^ Bozzari/ Kanari, Miaiili, Tombasi (9
Sactari, quasi foriera e.ooiìnistra del fiilmitie celeste, piomba dal
Pindo e dal Tomaro ad ineeiierire fe tende e le navi degli io*
Meli.
Da questo rapido, ma genuino, prospetto dell0 principali vÌt
cende, cw quflHa generosa naaóòne soggiacque né volgere di tau|i
secoli, appare evidente, quanto ne sarebbe imporlanite te/ com-
piate istoria , che potremmo denominare à buon dritto la stprja
deir indipendenza, anziché quella d' una singola nazione. E pure
essa altrairers^ tanti séooii operando prodigi di valore ; domò
r alterigia delle, greche republicbe e dei re di Persia e di Ba-r
bilonia, a favore de' principi macedoni; represse le prepotenze dj
Roma, a sollievo, dei miseri Tarantini; frenò per breve i^^mpo»
a prò del Cristianesimo, i rapidi progressi delF istomi$mO 1 salvò
il trono. ai re di Sicilia, rialzò qittlio di Grecia, né accora ebbe
UDO storico, il qual pur le pagasse un tributo di riconosoen^;
ma in quella vece tutti* gli scrittori antichi e moderni, tr^ne
qualche visf^ialore poeta , retribuendola sempre col titqlo . di ^-
Wd, accennarono appena a quelle fra le innumerevoli sue ge-
sta, €^e necessariamente collegansi aUa storia delle altre. nazioni*
Prauanlo, in mezzo a tante guerre non mai interrotte da.s)
lunga serie di secoli, e relegata sempre fra inospiti d^upi^.e^sa
non restò ìrfyùi meno estranea ai progressi deir iocivilimento,
sicché appena iròvansi pochi Albanesi in patria, che sappiano
leggere e scrivere la propria lingua. .Esterminata e dispersa sin
dal (empo delia romana conquista, essa non potlè più rialzarsi,
ne ricoistruire le sne magnifiche città , né riordinarsi in perma-^
nente forma sociale. Oppressa dalle crudeltà dèi bei, sparpagliata
ed< eside in vteie/ parti d'Europa, smembrata in patria da va-^
rietà di lenito e di governo e d^ politiche dissensioni., diminuì
sempre rapklànieiiiQ in liumerò, onde, ridòtta a ciri^ due mìr
lioni d'anioM ai tempi d'Ali Irascià di Giannina, ora non = giungo
ad un trilione t. mezzo, cbe va ogni: giorno scemando; . 1
Le sue esterne colonie, represse da stranieri governi e sotto
6
8^ DELLA LETTHIATURA POPOLARE
IMmniedlata influenza^ delle nanoni che le circondano, simili a
robusta quercia alpestre, che trasportata al. piatti» viea oMioo
traligna , smarriscono a poco a poco persino le traocie della pro-
pria nazionalità» fondendk)8Ì.nei.popdi circostanti, o adoUandone
lingua e costami; come appunto avvenne. di paceocbie migliaja
Tra loro in Grecia ed in Italia, sulle vaste lande. del micinte Gar-
gano ed in parecchi luoghi di Calabria, di Puglia e di.SìciUa;
per modo che, persistendo F attuale oaiiiiie di.eose, tsgli è certo,
che un giorno questa magnanima ed importante nazione sparirà
interamente dal mondo. Con essa vengono. mepo. altresì a poco
a poco i costumi, le Kogue e le tradizioni avite, deUe quali
serbavasi, non ha guarì, dovizioso retaggionei monti salivi sotto
la forma di canfti nazionali, ohe in buona parte sono ornai se-
polti neH*obllo«
Appunto collo soo(k> di salvare, finché è ancor ten»po, dal-
r universale naufragio le poche ^ ma preziose, reliqtiin di quanto
può concorrere air illusirazioae di quél popolo sventurato, ab-
biamo da lungo tempo instituite labioriose e reiterate indagini,
onde riunire il maggior numero possibile di notizie, sia racco-
gliendo e rettificando le sparse relazioni de* viaggiatori , aia po-
nendo a contrAuzione T opera d'alcuni emcfiti Albanesi/ che ci
somministrarono importanti materiali e ci furono, larghi de* loro
consigli, in saggio di tali studj abbiamo testé tracciate nel Pro^p^ito
t^ppografkO'Slalisiico delle colonie straniere d'IiaUa^ le sedi di
quasi 90,000 Albanesi, stanziati da secoli nella nostra. penisola, ed
ivi parlanti ancora il nativo linguaggio. Ne abbiano etManerato
i vari dialetti, ed accennato al posto che occupano nella grande
famiglia delle lingue indo^enropee, noli* Introduzione atr.4l/af»(e
tinguislico d'Europa, ove abbiamo fatto menaione de! principali
illustratori di quella lingua , e dove esporremo in seguito i carat-
teri peculiari di ciascun dialetto, corredandolo di Saggi' compara-
tivi. E poiché alla parte grammaticale ha testé basievolmente prov-
veduto il benemerito Xylander, coir opera intitolata: Die Spror
che der Albanesen oder Sohkipeiaren,(F)rankfurt a M. 1835),
fu ancora nostra intenzione di provvedere al difetto d- un esteso
lessico, valendoci di due preziosi lavori manoacritti già da lungo
tempo inoperosi in alcune biblioteoke di Palermo, quando fummo
per buona ventura prevenuti dai benemeriti nostri corrispondenti
Albanési Monsignor Grìspi e prof. Giovanni Sclurò, autori di ya-
DELL* EPIRO. 83
rie Memorie alla nazione albanese spettanti , i qaali, col soccorso
appunto de' citati iiìanoscrìtti e d*aicani connazionali^ impresero
testé la compilazbne d^un vasto Vocabolario Albanese-Italiano.
Che anzi quesf ultimo ci annunziava non ha guari per lettera
la prossima publicazione d* un suo lavoro inteso a provare V o*
rìgine pelasgica, non che a tracciare le vicende e le mìgraEzionl
de* prodi Mirditi.
Mentre godiamo di poter annunciare ai nostri lettori la vicina
comparsa di due opere, delle quali possono ornai bastevolmente
apprezzare i* importanza , è nostra mente di riempiere almeno in
parte un'altra lacuna dì non minore interesse, porgendo loro
una sommaria idea della letteratura popolare dell* Epiro; di quella
letteratura semplice, espansiva, nella quale sola 1* indomito spìrito
del guerriero-pastore suol riflettere colla propria immagine i so-
spiri e gli affetti , i piaceri ed i dolori , onde in varie età fu pe-
netrato , e i cui frammenti , comecché solo monuménto di tante
magnanime gesta e d* un popolo morente , sopravvivono appena
nelle bocche d* alcuni vecchi. Invano se ne ctHcderebbe notizia
alla letteratura scritta, la quale, come abbiamo altrove avver-
tito, ristringesi a poche grammatiche, a Saggi di vocabolario ed
alla versione del Gatechisf )0^ di Bellarmino e della Bibbia; in-
vano forse richiederebbesi più tardi alle novelle generazioni , le
quali, ristrette a sempre minor numero, e di continuo soggette
alla prevalente influenza delle novelle instìtuzioni sociali e dei
popoli che le circondano, smarriscono tutto giorno colle nazio-
nali impronte eziandio le memorie degli avi loro.
Ora la letteratura popolare dell* Epiro , come quella di tutti t
popoli non ancorainformati alla moderna civiltà, consta di canti
nazionali intesi a celebrare pubblici e privali avvenimenti. Ira*
mandando ai posteri le gest^ degli eroi , descrivendo i costu-
mi, gli amori e le fazioni del popolo, che ne è ad un tempo
autore e depositario. Questi canti , passando a viva voce di pa-
dre in figlio, vengono cantati con apposito metro, per lo più tri-
ste e monotono, e sovente con accompagnamento di pastorali
strumenti, in determinati giorni, ali* occasione di solenni ceri-
monie religiose domestiche , nuziali o funebri , e formano quasi
il perno dell' istruzione che le madri impartiscono ai figli ^ in-
segnando loro sin dall* infanzia a ripetere i nomi dei prodi che
comp(»*arono col proprio sangue 1* indipendenza deUa lor patria.
84 DELLA LETTpUkTUHA POTOLABK
Figli <Mla natuni, ed iooonUmiìiuili dalle fittZMii e dal tirodiiio
dell'arte, essi raccbiadoiio quella purezza d'iouiiagini, quella
vergvoilà d' erigiiìali concetti e qoeUa forza d* espressioni, cui solo
mercè IlUighi stodj e reiterati sferzi perveofpiM ad imitar d' or-
dinario i nostri poiti; uè crediamo tfascendere a delirio d' esa-
gerato partilo, proponendoli a modello della poesia incontami-
nata di semplice natura.
PocU tafllri aoBo trascorsi, dacché T Europa tutta ap|dau-
diva e volgeva ne* suoi multiformi liaguaggi i melanconici
cami dei bardi scozzesi Più tardi, ricca messe di simili compo-
nimenti, raccolti sulle montagne di SeAisk, Erzegovina, Bosnia,
Honteaen^, Dalmazia ed lUiria, ordinava in quaitro Volumi V in-
atadcabile Karadcich, deVa cui importante raccoha porgevamo un
Saggio nel IV Volume dd PoUuenico; altrettali collezioni pub-
Uicarono in, s^to Kollar dei canti nazionali d^ Slovacchi
d'Ungheria, Celakowsky, Hanka, Dobrovvsky, Swoboda, Busse,
Dietrich e Kaseich di quelli de' Polacchi, de* Boemi, de* Rossi
e d* altri popoli slavi; Schrdier de*Finni; Faurid de* Greci
moderni; e parecchi altri di rimote ed Incolte nazioni, lo
tutte queste naturali produzioni furono ammirate nuove e pe-
regrine bellezze, in oirta alla rozzezza dei loro autori; ed in
latte emersero distinti i caratteri dell*originafità, quanto furono
8eiiq>re distinte fra loro le nazioni, delle quali riflettono 1* indole
ed i concetti.
Ck)nsiderate sotto questo punto di vista, non ci apparvero
meno interessanti le poetiche inspiràzioai dei figli della Silleide;
giacché, se nelle prime domina la mestizia delle nebbie caledo-
niche, il pallido raggio della luna che siede sui monti scozzesi,
il silenzio dei campi desolati dalle fazioni, il IBragwe del rauco
torrente, od il fischio del vento aquilonare fra le deserte vòlte
dei solitari castdB; se dipingono altre il puro cielo orientale,
la maestà della natura che, cinta di sempreverde corona, versa
in larga copia il fiume de* suoi tesori; se descrivono altre la
semplicità de pastorali costumi, il pacifico commercio d'affetti
nella vita patriarcale, o la mesta litania delle sofferte sventure
e della passata grandezza, i canti epirotici, in quella vece, sono
sempre animati da belVco entusiasmo e da gesta d*eroi, dalla gioja
deU* indipendenza e della vendetta, dalla speranza d'un miglior
avvenire. I soli, coi quali serbano alquanta simiglianza, perdiè
DELL* EPIRO. 85
nati sotto il medesimo délo e dettati da ^oali ciroostaoze 6 da
comuni sventare, sono i canti popolari de' Greei, dei quali Faii«-
riel pubblicava doviziosa raccolta. Che anzi dobbiamo avvertire ^
come alcuni di questi siano propriamente albanesi, ed altri cò^
munì del pari agli Albanesi ed ai Greci, perchè trasportati a vi*
cenda dall'una aH' altra lingua, e perchè gli Albanesi cristiam
meridionali del Pindo, della Kamuria, della Sulìollde, d'Idra e
di varie altre parti , sempre associati ai clefti greci , fecero «so
alternamente delle due lingue epìrotiea e romaica, talvolta an-
cora solo di quest'ultima. Né recherà perciò meraviglia, se al-
cune di queste poesie sono dirette contro gli Albanesi medesimft,
alludendo esse a quei Liapi ed a quelle tribù degenerate, ehe,
professando l' islamismo, furono principale strumento delle cru-
deltà dei Turchi.
In prova di quanto siamo venuti brevemente esponendo, val-
gano i pochi Saggi che sottoponiamo al pubblico giudicio, e di
cui ci limitiamo a porgere fedelmente la versione letterale,
onde serbarne intatte cosi le bellezze come i difetti, giacché
in tali componimenti, né l'eleganza della dizione^ né l'armo-
nia del verso costituiscono il principal pregio ; solo, ove ci parve
necessario, abbiamo premesso un caano storico del soggetto
al quale si riferiscono, e senza la cognizione del quale, o non
sarebbero intesi, o verrebbero male interpretati.
Ciò premesso, alcuni fra i canti epirotici appartengono ai se-
coli trapassati, rimontando in parte a età lontane, altri sono
opera de' nostri giorni , o di tempi a noi più vicini. I primi col-
legansi ai nazionali costumi che descrivono, o celebrano le im*
prese d' antichi eroi , mentre i secondi illustrano o deplorano i
fatti più memorabili delle moderne generazioni. Gli uni e gli
altri però serbano impronto il suggello del medesimo autore,
mentre gli stessi colori ed eguali sentimenti prevalgono in tutti.
Fra i più antichi emerge un inno guerriero, che la volgare
credenza attribuisce ai tempi di Pirro, e che gli odierni Alba-
nesi con superstiziosa venerazione intuonano tuttora prima d'ac-
cingersi a qualche bellica impresa. Sebbene manchino le prove
necessarie onde anmiettere l'antichità attribuita a questo canto,
ciò nullostante non è lecito dubitare della sua lontana origine,
e siamo dolenti di non averlo potuto ancpra ottenere, in onta
alle reiterate nostre sollecitudini, onde produrlo in capo al pre-
86 DELLA LETTERATURA . POPOLARE
sente Saggio. Gli altri componimenii più antichi si riferiscono
in parte aUe imprese di Scanderbeg, dal quale ebbero princi-
pio quegli odj e quelle sanguinose lotte contro i Maomettani, che
dorarono senza interruzione sino ai di nostri; ma eziandio que-
sti «comparvero in massima parte, ed appena alcuni, frammenti,
interrotti da considerevoli lacune, sono ricordati da pochi ?e-
ghardi, che invano deplorano T infermità della propria remini-
scenza.. Fra i pochi superstiti di quel tempo e serbati nella loro
integrità si annovera un canto relativo ad un'avventura di Co-
stantino il Piccolo, fratello df Scanderbc^ il quale, essendo stato
avvertito, come taluno avesse accaparrata la mano della don-
zellala cui stava per unirsi in matrimonio, accorse a rivendicare
i propri diritti. Eccone la letterale versione:
Costantlaa il Piccolo
• CostantìDo il Piccolo, tre giorni aviDtì le sue nozxe,
Ebbe uà sogno na sogno terribile !
ImprovTiso si scosse, e mandò nn^sospiro;
Un sospiro sì forte, che il suo s^^ore V udì.
Il signore fé* battere i tamborri a raccolta,
E tosto radunò tutti i suoi schiavi. .
E disse loro : a chi mai fra voi,
Chi mandò quel profondo sospiixi? »
Costantino rispose: « Io fui quegli che sospirò.
Oggi è sabbato, e dimani d(»iflai6a;
Porgeri ad altri la mano la mia .fidaniata.
La fidanzata dd sincerò- mio cuore. » -^
(( Prendi queste nove chiavi ; va nella scuderìa.
Troverai nove cavalli: scegli quel che ti piace;
Sì il bianco che il bigio, sì il rosso che il papavero.
Sì il nero che. r olivastro, sk U veloce che lo sparviere. »
Costantino scelse 1* ultimo tra questi, e partì;
Partì subito a gran. galoppo*
Per via incontrò sua. sorella Fiorenza — n Oye vai
giovinetta ?.-^.yo a gettanni in un abisso.
Poiché domani, domenica, si manta mìa cognata,
La fidanzata di mio fratello Costantino •—
dcll'epho. 87
Sono io, SODO io quel Co8la»tiiio*. -^ Galofipa,
Galoppa* STCRDUirato, se nwi gCiw^ero a tempo. 9
Per Tia iocooirò Mm madre -*• « Oto li raeln,
O buona donna? — > Vo a f^tanni in un abisso,
Poiebè domani, domenica, si marita mia nuora,
La idaniala di mio figlio Connotino -*-
8f no ié, tdtfo lo il ino Castanttael — Oa|q»pa,
> Gatefipa, stentutato, aa tuoì gianeere a tei»^o. f»
Costantino galoppò, mò floflSsnnossi se non innanzi aUa casa,
. AUif caeé delia tua «ildaniata.
Piiiitò il -fianmiero nel meno delia piasxa, dove
Gli abitanti del villaggio stavan raecolii ;
Poi disse loro: « Signori, la mia fidaniata
Non appartiene ad akri, ma a me solo ;
Eeeo, vi reco in poeva le^ eocene nuziali,
Vedete, s*io non sia il vero fidanzato. »
II pretendente confuso e abbandonato da tutti
Divenne allora lo scherno del villaggio :
E Costantino menò la fidanzata al tempio.
La fidanzata del cuor suo.
Sebbene sìa difficile stabilire con verisimile fo|ìdameoto, in
qual tempo abbiano avuto origine alcune canzoni erotiche e nu-
ziali che trovansi diffuse presso varie tribù epirotiche, ciò nul-
r ostante egli è fuor d*ogni dubbio, ch'esse contano qualche
secolo d'esistenza, ed è probabile, che in parte derivino dai
tempi di Scanderbeg, fors' anche da età anteriori, alludendo a
volgari superstizioni a costumi d'antica origine, e trovandosi
ancora presso gli Albanesi di Calabria e di Sicilia, che in mas-
sima parte emigrarono colà sin dai tempi dell'invasione otto-
mana. Checché ne sia, eccone alcuni Saggi:
Accorrete, o garzoni, ad intrecciar carole;
Venite, o vergini, ad intuonare i canti;
Venite a vedere, venite ad imparare
In qual guisa si cogKe T amore.
ss DELLA LETTEiUTOEi POPOLARE
Egy 8i prende col flirto ^U oc<;hi;
Di là ec^fdiscettde «uUe Mbbf^;
DaUe hAìbra s' iosiiioh nel enore,
E ael cuore egli stende le jbim radici.
Questa leggiadra cansoBe oi risv^lia la rim^iibranza d'un
delicato epigraimnsi italijmo >. ehe leggevamo nei fH^imi anni
giovanili, e del qnaie raflamentÌMno i \em^ ma non il nome
dell'autore: T analogia del concello « la.deiìealeasa colla quale
è esposto ci allettano a riprodurto ia <{kieslo luogo, comecché
indigeno fiore di culto giardini m Un serio di piaule silvestri:
Ami, e li lagni
Cke fra' tuoi palpiti
Mai oon ti toccM
Ora di ben?
Non sai, che Amore;
Come le 'lagfimè,
NàBcè ^li oodù
E cade in sen?
Fra gli altri canti epirotici affettuosi, o nuziali, non ci par-
vero meno degni di ì*icórdauza ì seguenti :
IPer Nozze
, Cbè ta sìa la ben venuta, o giovane sposa!
, l'u seiy vergine, sotto il tetto dello sposo,
Come il vino ed il sale sul desco del bancbelCo,
Comp il sole che isorge attorniato da* suoi raggi.
L^ Amante sTentnrata
Se avvieo eh' io muoja àlella, sepaHfccimr nel tuo sepolcro,
Onde quando tu verrai meno, io possa riposare nel tuo seno.
Quand'io sarò piprta, « m'afvete 4ep(»9ta niMa tomba,
Allora saranno terminate, le mie pepe.
Quand' io sarò morta, ed avrete port^ il mio cadavere al tempio,
Allora incomincino i vostri piloti.
DILt EPIRO. ri^
L'Amante mal corrlapoata
Io Ali piagato dal tao amore,
Ed amai, ma solo per mio tormento.
Tu mi hai trafitto, o vergine,
Tu m'hai squarciato il cuore.
Io dissi, che non bramava altra dote,
Se non i tuoi occhi, e le tue ciglia.
Io non chiedeva V esecrata dote.
Ma te, te sola amava.
Dammi i tuoi vezzi e le tue grazie,
E getta la dote alle fiamme.
Io t'amai, o donzella, con puro cuore,
Tu m' bai abbandonato, come inaridita pianta !
Fra le canzoni di più lontana origine dobbiamo ancora an-
noverare alcune poesìe religpose, che il popolo intuona in de-
terminati giorni deiranno. A queste appartiene un inno sulla
Risurrezione di Lazzaro, che gfi Albanesi di Sicilia e di Ca-
labria^ ripartiti in coppie» vanno cantando di porta in porta per
le città e per i villaggi, durante tutta la notte della vigilia di
san Lazzaro. Anche i sacerdoti seguono questa nazionale usan-
za, intu(mandolo processionahnente con una cantilena propria
della loro nazione. Eccone un brano letterale, quale ci fu co-
municato dal dotto professor Schira:
mmrée é Utonnreztoiie di LaaEzar» ^
Buona sera.
Buon mattino!
Venni a dirvi
Una buona parola i ;
Ed «ft.mimcDlo
Che fé* U Signore
In quei paese
Che si chiama Betania.
4 Con tal frase sogKoni} gK Albanesi esprimere la parola deir Evangelo.
90 DELLA LETTKnATDRA FOPOLARE
Eravi un uomo
Chiamato Lazzaro,
Amato da Cristo
Con compassione;
Avca due sorelle
Sòie, e non più,
Ambe orfanelle,
f E senza beni.
Lazzaro morì,
La morte il colse;
E il loro cuore
Si sciolse in pianto.
Lo sepellirono,
Svellendosi il crine;
n chiusero con una pietra,
E si posero a lutto, ec. ec.
Sebbene, percorrendo TAIbanià e TEpiro con'dif^nza ed osser-
vazione ma^iore di quella che sinora vi applicarono ì pochi viaggia-
tori, e con miglior agio e sicurezza personale, potrebbesi fare per
avventura doviziosa messe di tali canti erotici e religiosi, cìònulio-
stante gli argomenli, pei quali gli Epiroti ebbero sempre speciale
predilezione, e in cnt ripongono le lor maggiori compiacenze,
sono le imprese guerriere, lagrime di riconoscenza ai loro duci,
i fòtii principali delto storia patria. Per conseguenza i canti
di questo genere vi sono più numerosi, td a preferenza ven-
gono ripetuti dai vecchi e dalle madri ai figli nelle sere in-
vernali e fra 'gli 02(ii domaslict/ Né dobbiamo ' tacere a que-
sto proposito , come le donne albanesi , sebbene oppresse
dalle nazionali consuetudini, e condannate alle più dure fatiche
della campagna e della domestica vita , manifestassero in ogni
tempo un carattere fermo ed intrapr end^te , ed avessero parte
principale nei più memorandi aweiùmenti della lor patria, sia
animando i loro congiunti a consaeFare alla libertà la vita , sia
accompagnandoli nelle più ardue imprese, sia affrontando tran-
quillamente la morte anziché cedere al nemico. Le storie e le
tradizioni di quel popolo sventurato sono ripiene delle prove
di questo muliebre eroismo, che non si smenti mai nelle più
luttuose circostanze; e parecchie poesie nazionali forono ezian-
dell'Epiro. 91
dio deslifi«te a sfMirgerei alcuni (ìori sulla tomba delle più di-
stinte Amazzoni dell' Epiro.
Più oltre, fra le molte prove, accenneremo alla non meno de-
plorabile che Q^iebre i^o^te delle sessanta donne di Zalongo,
le quali, risolute di morire prima di cadere nelle mani dei Tur-
chi, si gettarono una dopo T altra coi loro bambini dalla'
vetta d'un orrido precipizio; e rammenteremo il valore delle
donne di Suli, che» guidate dair iatrepida Mosco moglie di Lam-
pro Zavella, sr slanciarono furibonde nella poischia, e posero
in fuga ì nemici ^ Osserveremo frattanto, come a quest'indole ed
a questi sentimenti delle donne epirotiche debbansi sopra tutto
attribuire i prodigi di valore e lo spirilo d'indipendenza, che
segnalò per tanti secoli quella prode nazione.
Ora, fra le canzoni di questa classe, comunemente distinte
col nome di clefliche^ varie sono d'incerta età, ed in maggior
numero si riferiscono ai grandi avvenimenti che echeggiarono
per tutta Europa sul finire del passato secolo e nel primo pe-
riodo del presente. Abbiamo scelto^ a saggio delle prime, due
componimenti, il primo in morte di Paolo Golemo, del quale
non abbiamo potuto rinvenire alcuna notizia scritta o tradizio-
nale, e che sembra aver appartenuto ai primi clefU d'Epiro,
trovandosi questo canto diffuso presso le colonie albanesi d'I-
talia, ove Io abbiamo attinto; l'altro descrive la morte di Di-
me, che non sappiamo a quale dei clefti di tal nome si rife-
risca, essendone stati parecchi; esso per altro, comecché epi-
rotico, appartiene ancora alla Grecia, ove si trova generalmente
diffuso. Seguono quindi alcuni versi intorno alla prigionia d' altro
defila, ed un frammento sujla liberatone d'un prigioniero f)ure
anonimo, che ignoriamo dove, quando e perchè fosse cattivo. Si-
milmente ci è impossibile determinare, se questi due ultimi com-
ponimenti alludano a qualche storico avvenimento, o siano da
annoverarsi fra le poesie di pura finzione; tanto è vero, che le
patrie tradizioni si vanno tutto giorno dileguando. Chiuderanno
4 Dicesi che Mosco, trovando sul campo fra te vittime di quella battaglia
il cadavere di suo nipote Cristo Zayella, dopo averlo baciato e coperto [col
proprio grembiule, pronunciasse il seguente miriologo: Amato^^ipote^ io
giunsi troppo tardi per salvarti la vita ; ma posso almeno vendicare /« tua
morte su' tuoi nemici e tu* tuoi assassini. Indi inseguì furente i Turchi fug-
gitivi.
99 DELLA LETTERATFRA POHMJkAB
poi i|iKsto S9fpo alarne poesie gloricbe
quali
per maggiore diiarezza espùnemo a suo luogo gli «rgoneati.
IB ■•rie dU
QvesUBOfteai
Udissi m ^m ì
Non era 1
Paolo (
Cke snppfiem i smi compagni.
« O miei coinpasBi, • wm fralcOi.
Vi prego con latte le ttàt fon».
Che m*«ppRStiile ira sepolcro
Cosi brgo, come taago;
E alla lesU del sepolcro
Mi lasciate ima finestra,
Vattacthiate i komccMni:
Ed a*iNcdì dd sepolcro
Sospendiate le mie armi ;
rat sentiate mm lettera.
Che mi CBcisca i|nclla camicia
Sol col filo de'mià eapHH;
Sol col sangae deOe gote;
Che mi tari quella camicia
Sol colle lagrime de|^ occhi;
Sol col fooco M sno cnore:
Che Bri
Sol col Tento de*i
m Poi scnriate atta i
Ok ricami quei laiiolcllo
Sol col sangae delle gote;
Le diciate, dhe si i
Che si rechi là nel tempio.
Yolga gfi occhi a (
ContcmpG i mici i
dell' epiho. 95
« £ mi mandi od sol sospiro;
« Un tal sospiro, un gemito,
<K Che la vòlta ne rimbombi! »
La HoMe di Dimo
Il sòie tramontava, e Dimo dava i suoi ordini;
a O miei compagni, apportate dell'acqua per la vostra cena;
« Tu, Lampraki, nipote mio, siedi al mio fianco;
« Prendi, rivestiti delle mie armi, e sii capitano.
« E voi, miei bravi, prendete la mia povera diletta sciabola,
« Tagliate verdi ramoscelli, ed appresutemi un soffice letto;
« E chiamatemi un confessore, a cui riveli,
« A cui dir possa tutti i peccati che ho commesso.
« lo fui trent* anni Armatola, vent* anni Clefla,
« Ed or la morte è giunta ; io son presso a morire.
« Apprestatemi la tomba, e sia larga ed alta,
« Sì ch*io possa combattere in piedi, e sparare di Ganco.
« Lasciate a dritta una finestra, onde le rondinelle
« Possano annunziarmi il ritorno della primavera,
« E gli usignuoli cantarmi il dolce mese di maggio, o
La Prlgianla del Clefta
Una madre piangea suo figlio.
Ella piangeva V unico suo figUo.
i3rera iri^mersa netr afflizione,
Perch* ei languiva prigioniero, lontano.
Il poveretto in terra straniera
Non potea più mandarle sue nuove.
Le scrisse alfine una lettera
Che attaccò alle piume d* un augello ;
E r alleilo andò a posar sur un albero,
Sotto cui la povera madre piangeva.
Repente scosse F augello le piume,
£ la lettera cadde a* di lei piedi.
Accorse frettolosa» la raccolse,
E vi lesse queste tristi parole :
a Madre^ io tornerò a voi solo quando
94 DELLA LETTERATURA POPOLAttE
« Mi cucirete una camicifl eoi vostri capelli,
a E la laverete colle vostre lagfime;
« Quando il mare diverrà un giardino di fiori,
« Quando il sambuco produrrà fichi, ed uva ilnoce! o
La Llberazloae
r
Una giovine sposa di notte
Attraversò la neve sino alia cintura ;
Franse il ghiaccio sino alle ginocchia,
Sinché pervenne al tetro carcere
Ove gemella il suo signore,
11 signore che tanto amava.
Essa lo liberò, restandovi in sua vece.
Poi sciolse il labbro in mestissimo canto :
« O mio signore, per la tua^ bionda età,
« Per la tua vita, io ti scongiuro^ ^
« ?fon lasciar tempo <aJIa salvatich' «rha
« Che su me cresca, od io mi dispero ;
e Io sciorrò ali* aure i ouei lunghi capelli,
I capelli intrecciati con fila d* oro , ec. ec. »
Le seguenli canzoni sono storici monumenti di alcuni particolari
dellorribile guerra d'Ali di Giannina contro Sali, che durò dal
d792 al 1804, e nella quale ì Suliottì operarono prodigi di valore.
Sebbene questa confusa miscela di atroci misfatti e d' eroiche
prove più tardi fosse descritta da Guglielmo Ealon, da Pouque-
ville, da Perevos, da Hobhouse, e con più speciale cura da Fauriel,
riputiamo ciò nullostante util cosa riassumere brevemente i fatti
particolari, intorno ai quali sopratutto s'aggirano i canti da noi
prodotti, onde agevolarne Tinterpr^tazione.
È nolo, con quale fermezza i Suliotli, che insieme formavano
appena mille trecento guerrieri, respingessero dagli inospitali
lor monti i ripetuti assalti di Ali, che ad un'armata di quin-
dici mila combattenti, alimentata da nuovi rinforzi e provve-
duta d' ogni mezzo, accoppiava di contfanio la periidia e il tra-
dimento. Risoluto di schiantare daHe fondamenta il ricovero
di que' poveri montanari, e distruggerne a qualwMiQe prezzo ogni
Dfi&L EPino. / . SKS
relìquia, perretine nell'almo 1792 a saf)e?are, sebbene oou per-
dite ragguardevoli, i difficili passaggi ddleangaste gole che
proteggevamo Sulì, ed a spìagere una. forte araqata sino alla
cima dei suoi monti, inontaair.inces^aAte.fuo^O'de^i abitanti,
che, estiemia|ti- dal ealdo, dalia feme e dalla fatica, dopa una
lotta ostinata ' d* un giorno intero, erano vicini a soccoriibere.
Neir estremo generate perìgtio, tMosco^ moglie del Gondottiei«o
Lainpra Zavella, convocate le donne di Suli, raccolse quante
armi potè rinvenire nei deserti abiuri, spezeò con wa scure
tre graniTi casse di munizioni da.guierra, delle quali; «no marito
assente custodiva le, chiavi, e, fattane dìstribusioiie alle compa-
gne, volò alla loro testa in soccorso de' propri fratelli Ivi, man^^
dando disperate grida ed animando t loraicomps^nratla pugria^
si gettarono taitte con. iimpeto nella mischia, ed incussero ben^
tosto un tale spavento neir animo degli assalitori, c)ie prèsero
a prec^io la foga. Allora Zavella e Bozzarì, quasi richiamali
a novella vita,! circondarono i fuggitivi da ogni parte, facendone
orrida scempio, sicché ì pochi sfoggiti a quel massacro; male-
dicendo i capitani ed ìl'bascià che li aveva mandati, dichiara^
rono di non voler più combattere, non già Scontro ^ uon^rnl,
msk contro i demoni incarnati di Suli. Dopo lina tale sconfltta,
dovuta precipuamente al. valore delle donne Sdiotte, Ali chiese
e comperò a caro prezzo una pace .ve^g()gnosa, e per atenni
anni devette reprimere la sete delia vendetta.
Solo nel 1800, rimarginate le vecchie ferite, potè darvi li*
bere sfogo. Apprestata una scelta e Jiumerosa armata, assali
d'improvviso i Suliotti, che frattanto aveano pèrduto i. prodi
loro condottieri. Ma Foto Zavella e Kizzo Bozzarì d^i eredi
delle paterne virtù, con nuovi prodigi di valore, assistiti dalf in-
trepido Dimo Drako e da Ktitsonika, seppero rintuzzare la
perfidia e> inaspettato assalto d'Ali. Se non che, disperancb dì
poterli . vincere colla forza delie armi, la tigre di Giannina ebbe
ricorso all'astuzia ed al tradimento. Dopo aver corrotto colle
lusinghe e jcoU'oro alcuni principali Suliotti, e comperato al-
cuni )raggoardèvoli ostaggi, fra i quali un fratello di Foto Za-
vella ed un figlio di Dimo Drako, li fece proditoriamente
sgozzare nelle carceri di Giannina. Air annunzio del nuovo
tradimento, Zavella radunò tutti i suoi, invitò i sacerdoti ad
intuonare rinno dei morti per quegli infelice, e, rìsoluto di
96 DELLA LETtERÀTUKA POPOLARE
vendicarne la morte, assali airinifrovvisla i Tureèi acquar-
tierati, e ne fece orrida strage.
Ma tutti questi sforzi non furono se non ruUihia vampa d'ima
fiaccola morente. Circondati per ogni dove dalle- rinaacenlì schiere
del mostro ognor più sitibondo <U vendetta, qtei prodi montar
nari fiirono éà prima consunti dalia fame, che isopportarono con
non meno eroica fermezza; in seguito perdettero molte vittime
per nuovi tradimenti; sinché, oppressi dalle incessanti sventure
« dalla prepoteioa del nenneo, furono m gran parte massacrati,
ed i prìnoipali loro villaggi di Siidi, Avar&»^ Smntniva, Kiun-
ghi e Kiafa successivamente presi, arsi ed atterrati dalla rabbia
maomettana. >
In sepito a tanti infòrtanii, della popolazione ddla Suliotide,
che prima di quella guerra sorpassava dodici mila auime, ri-
masero appena due mila, per la maggior parte domie, vecchi
e fuiciulli, sotto la scorta di Zavella e di Drako, i qoiait, scac-
ciati dai nativi dirupi, s*avviarono verso Parga a .mendicarvi un
asilo; un -altro migliajo; guidato da Bozzari è da Kutsoaikày ri-
coverò sulla montagna di Zalongo ; e poche centkiàja ' erano
disperse a Borgareli neHa Sciamuria, a Renitssa ed in alcuni
angoli d* Epiro. I primi, in onta al salvocondotto stipali^ eoa
Ali, furono assaliti per via e sbaragliati. Quelli di Zalongo furono
raggiunti e circondati da un* altra masnada di Turclii, e, dopo
una disperata resistenza, furono per la ms^ior parte massacrati,
neutre cento cinquanta appena pervennero a salvarsi col favor
delle tenebre. Allora fu, die sessanta donne SnUotte, vedendo
r esterminio de' lor cari, prima di cadere nelle mani dei Turchi,
preferirono gettarsi dalla vetta d*un. precipizio coi loro figli.
fia Zalongo i Turchi passarono a Reniassa, e, trovandola sprov-
vista d'uomini, trucidarono le donne ed i fanciulli. Ivi la soia
Despo moglie di Giorgio Bozzi oppose resistenza al nemico;
dappoiché, radunate le figlie e le nipoti, lo respinse per brevi
istanti dalle finestre a colpi dì fucile, ed allorqutodò scórre i
Turchi entrare nella propria abitazione, diede fuoco ad un barile
di polvere apprestato nel mezzo della stanza, sepellendosi cotte
figlie e coi nemici sotto le rovine del proprio tetto.
Finalmente i Suliotti di Borgareli, ai quali eransi unite con
Bozzafi le poche reliquie sfuggite al massacro di Zalongo, te-
mendo la persecuzione del mostro di dianniua , cercarono un
DBLLfilU^O. 97
rifugio sulle moiUagne d*Àgrafa; luago le dirupato sponde del-
rAspropòtamo. Ma quivi pare Turooo pr^io inggiunti dalfinsa-
ziabile rabbia d*Ali, che vi mandò nu»ve truppe coN* ordine di
esterminarli. Risolati di. perire colle armi ^lla mano, quegli in-
felici si difesero, sinché ebbero provirigioni é forasa ; ma, oppressi
dal numero, ed estenuati dalla fome e dalla fiitica, furono tru-
cidati , ed appena cinquanta riuscirono a salvaci prodigiosa-
mente con Bozseari, ricoverandosi in Parga. In qiiesc^ultimo di-
sastro le donne Stiiolte non ismentirono il disperato coraggio
delle vittime di Zajongo, mentre le onde spumanti del rapido
Aspropòtamo inghiottirono ben oltre centocinquanta infelici, che
dair eccelse rupi vi si precipitarono cai propri figli.
Per tal modo, e solo eolla distruzione quasi totale di quella
magnanima popolazione, ebbe fine nel 1804 la sanguinosa I
guerra della Suliotide; ma non per questo ebbe fine la fermezza I
ed il valore degli Epiroti, oìentre più tardi, come accennam-
mo, le poche reliquie di quella ^strage con(i:ibuirouo precipua-
mente alla rigenerazione della Grecia.
Tali sonogii avvenimenti speciali, ai quali si riferiscono le se-
guenti canzoni, che, tradotte nei vari dialetti epirotici e greci,
sono diffuse per tutta T Albania, la Macedonia, la Tessalia, la
penisola e risole del nuovo regno di Grecia. Noi le riportiamo
come Saggio, mentre raggnardevole é il numero dei canti rela-
tivi alle ultime guerre, avendo avuto i Liapi stessi, nemici de'
Suliotti, i loro poeti, ebe celebrarono il valore e la potenza
d'Ali. Altri componimenti s* aggirano sul miserando eccidio di
Gardichi, nuovo testimonio terribile dell* estrema perfidia e cru-
deltà di quel priacipe; e sarebbe pure a desiderarsi, che qual-
che culto Epirota imprendesse a < farne raccolta, nella speranza
di riempiere per tal mezzo tante lacune dell* oscura istoria di
qaella regione.
Kataonika e nioaco
^ A Zeritsana, sui confini di SuK,
Presso la vecchia eappella stanno i capitani Turchi,
OsserYanda il combatlimeuto de' Suliotti ;
£ come i fanciulli e le donne pugnano al par dei mariti.
Kutsonika esclama dal suo posto:
« O miei Ogli, coraggio ! siate valorosi ;
7
98 DELLA LETTBRATUtlA POPOLARE
« Ecoò, Tiene Miàtar eoa dodici nUla Torcili t »
Poi rirolge improyTiao la pvoia ai Tmclii:
K Ove eorri, llnktar figlio. d'jklk, todardo liapof
« Ifen è questa Kormoron, noft è san BasUio,^
« Per Curvi prìgiom i feoenlli e le donae ;
« È questa la tremenda S«li, rìoomata pei mondo,
« Ove ia moglie di Zavekta conAMte cerne un eroe;
« Coi cartocci nel greml^iole, eoUa sciabola io maniib
<t E col focile nell'altra, essa ve ian«UEi a tutti 1 1»
HLutsonika e ttosasarl
Tre augelli si posarono suir altura di 6. BUa:
Uno osserva Giannina; l'altro Suli,
11 terze, il minore, si lamenta, e dioe:
Gli Albanesi sono riuniti contro Suli;
Tre stendardi partirono sohierati ;
Uno è del bascià Huktar, Taltro di Missobone,
Il terzo, il più valoroso, è del SeliUar.
La moglie d*mi papà li mira da un colle, er grida:
« Ove siete, figli di Bozzari e^i KuCsonika?
ir Gli Albanesi ci assalgono, ci fanno prigioni,
ff Ci condurranno ja Tebeien per flirci Turcbi ? »
Ma dall'alto d*AvaHko, Kutsonika gridai
ir Non temere, o donna, allontana tali pensieri;
« Vedrai una battaglia, ed i fucili dei Glefli;
« Vedrai come pugnano i Cleftl ed i Suliottil »
£i non avea pronunciati questi detti.
Che i Turchi fuggirono a piedi ed a cavallo.
Cbi fuggiva, e chi gridava : « Maladetto bascià,
a Quest'anno ci recasti grande sciagura;
a Quanti Turchi hai perduto t quanti Spahì ed Albanesi 1 »
E Bozzari, colla sciabola sguainata, gridava:
« Vieni dtinque, o bascià; perchè t'arretri e fuggi?
« Bitorna ai nostri moliti , alla povera Kiafìi;
« Vieni a porvi il tuo trono, a ferviti sultane! »
Zanella e Bozzari
La moglie d'un papà dalla vetta d'Avarìko esclama:
«Ove siete, o figli di Zavella, e di Bozzari?
DELL ENaO. 99
« Una nube dì eombattenU a pi^di ed a eavatió s* appressa;
« Nop son ano, né dae, né tre, né cinque mille ;
<r Sodo diectoUo o dilcitìove mfgliaja. — '
« Eh! venga queste tareaglia! eli» può mai fiirei*? '
« Venga a provare i fatili dei Gleftf,
« La sciabofa di Zavélla, il moschetto di Bozzari,
L' armi delle donne di Sali, della celebre Mosco ! »
Cominciata la pugna, ed acceso il fuoco de' fucili,
Zavella esdaraò fe Banarì ed a Zerva:
« Cessi il fuoco, ora è t«mpe d* Bdoprars la .sciabola. » •
Ma Bozzari risponde dal suo posto,
E grida: a Non è ancora il Bioitftalo deUa sciabola:
« Rimanete nel bosco, schermitevi difHfo g^ scogli,
« Poiché i Turchi son molti) e pochi i Suliotti. »
Zavella allora gridò t' suoi prodi;
« E sino a quando aspettsrei&o ^uiesU ctAi d'Albanesi? »
Tutti allora spaisaroiio il ibdcuro delle scinole,
fi cacciarono i Torciti a guisa di montoni.
Veli esortava i suoi a nOD volere il. dorso;
Ma i suoi rispolideaiio colle iagtime. agli .occhi:
« Non é questo Delvino, nou é Vidiiio;
«f È la famosa Siili, risomata.nel'Woadoi;
« Quivi é la sciabola di Ztf velia, Jbof nM.4i /^«(^o sangue,
« Che avvolse tutta V Aibatiia m abi&i di Imtto»
« Che fa pianger le madri pei i/)co £|sl^ .
« Che fa piangere le spose pei loro mariti i »
OH astottl iJfadMi
Nere nubi coprono Suli e Kiafa;
Piovve tutto il giorno, nevicò tutta la notte,
Ed agile un Suliotto arriva dalla parte di Sistrani.
£j recfi novelle, tristi novelle da Giannii^ka ;
• <f Oli alleati hanno tradito i valorosi ; .
« Figli di Foto^ prodi di Di^ko, udite: ' ,
« Delvino Ài traditore ha venduto i nostri fratelli;
« Ei li mandò tutti e sei insieme al bascià.
« AH ne fé' morir quattro ; concesse a due la vita,
« Al fratello di Foto , al figlio di Dimo Drako« »
100 DELLA LETTCAATUa/l POPOLARE
Foto e Btfko si cocraeciano a Ule «Dnwizio.
cr Protopapàt i» ambo gridano alcifpo de* sacerdoti,
« latuona 1* uffizio de* morti pe^ 4|ue* sei valorosi ;
« Per noi soa tutti oiotrti, s^ i due^ che i quattro.
« U basciÀ non fa graiia deUa Tìla fi Soliotti ;
« Ogni Suliotto. in sua potere, per noi, é morto. »
La Caduta di Klana^tai
Un augello è giolito da Sufi;
1 Parganiolti l' interrogarono ,
1 Parganiotti gli chiedono:
<k Avgello, é^onde' vieni?
« Augello, dove vai ? -^
« Vengo dalla miseva Suli; .
« Vo al paese dei Franobi. -^
« Augello, deh! ei raoconu,
« Becaci quatehe fausta novella —
« Qual novella recarvi?
« €he mai poss*io dirvi?
« Che i Turchi han preso Soli,
« E la valente Avaritto;
a Han preso Kiafa la forte,
« Han preso Kinngbi U prode»
« Ed ab1>rociarono il sacerdote
« Con quattro valorosi i. »
De«po e le mne Bglììe
Odesrun gran rumore;
Piovono i colpi di fucile:
Si festeggiano forse alcune nozze?
sì celebra qualche festa?
i Quando i Suliotti abbandonarono Kiunghi, vi lascSorono ff monaco Sa-
muele con quattro uomini, incaricate di consegnare ai Toachi ia fortezza e
le poche munizioni che vi rimanevano. Di^ ufficiali turchi s*avai)zarono, onde
riceverne le chiavi, e vedendo Samuele imperterrito, che li aspettava seduto
sopra una grande cassa di polvere, gli chiesero sorridendo, qual trattamento
ei s'aspettasse dal Vizir, dacché era ca<kito nelle sue mani? Samuele gra-
vemente rispose : Chi fa della vita quel conto eh* io ne tengo, non teme al-
r.un Vizir ; e sì dicendo, appiccò il fuoco alla polvere, e saltò in aria coi due
ufficiali e co* suoi.
" Non si oelebnn nonf.
Né alean lieto ftiliDa.
Ella è DeB^o dM coubaiu
Colle figlie e colle ni|iotÌ.
GU Albanesi V hanno asMiita
Nella toire di INnola. '
« Bendi 1* armi,, moglie di Gloif;ié,
« Non è qne^ SiàL
« Qvk sèi schiava del baicilw
« Prigioniera degli Albanesi. *—
« Se la prode Sali s* arrese,
e Se taate è fatta tutta,
« besp^ non ebbe, e non avrà mal
tt De* vili Liapi per signori. »
Essa ailbrra un titzone,
Raduna lo figlie e le nipoti,
« Foggiamo la schiavitù, de' Torchi, »
Esclama, « segvittmi» o mie figlie ! »
Ella dk ftioco ala polvere, *
E tutte aeomp^ono nel Amen.
Dalla forma e dalla natura di questi componimenti è mani^
festo, come una compiuta raccolta dei medesimii valer potrebbe
a documentare, non che a riempiere alquante lacune nella storia
di questa regione d*Europa. Una simile impresn compi con inge*
gno ed erudizione pari alle difficoltà il benemerito Fauriel, per
ciò che riguarda i cand popolari dei Greci , parecchi dei quali
appartengono alla storia épirotica, o sono |N^odùzioni degli Epi*
roti atessi. Òltremòdo importante si é poi il'CQnfronio di que^i
canti cogli epirotici, rivelandoci sovente fra le due nano» molla
simigfianza nei domestici costumi , nel modo di eostruife i
sepolcri, nei coneettì, e quel ch*è più nélta nNréiera di rappre-
sentarli. €o9t negli uni conte negli altri> il mNMitano augello é
sovente messaggiero ed- interprete delle sciagure e dei voli n«-
zionaK, T amore delF indipendènza, il dispmm della tortura e
della morte, il eommereio de* domestici afètii, il desio deHa
pugna persin nel sepolcl^o; la noncuranza del presente,, la spe-
ranza ileltavtenire, sono te molle prinépali cosi detsreei»«he
degli eptrotici ccmipontitienti.
102 . DELLA LETTERATURA POPOLARE
Avvertiremo per ultuno, come una aimile raccolta opportuna-
mente ordinata formerebbe il ^o motHimenCo vivo e indestrutti-
bile, cosi della lingua, come àé didetti parlati dalle varie tribù epi-
rotiche , giacché poco valgono a rappresentarla le versioni ser-
vili della Bibbia e del Galedhismo, uniche fonti alle quali il
filologo possa attingerne la cognizione. Riserbandoci a parlare
altra volta di proposito della varietà di questi dialetti, e delle sin-
gole proprietà che li distinguono, basterà per ora avvertire,
come siano a notarsi neirAIbanià sei- distetti principali, e come
fra le stesse colonie di Grecia e d' ItaUa vi siano parlati con
alquante varietà. Questa distinzione deriva, non solo dalla no-
tevole differenza della pronunoia; ma filtpesl> dalla varia loro
mistura con altre Kngae, prevalendo Bell'uno buona copia di
radici turche; le slave o bulgari^h^ in. altri ^ le romaiche e le
italiane negli ultimi. Alla qual nùstiira, prodotta in tempi mo-
dèrni dair immediato commercio. con tanle diverse nazioni, fa
pur mestieri avvertire con itfpeeiale: cura; onde non essere stra-
scinati ad illusorie' induzioni nelle etnogri^cAe ricerche.
A compiere questo rapido cenno ci resterebbe a parlare de-
gli autori, ai quali tanti ooHftp<HiitteBtì d/ ordinario s'attribui-
scono, il che faremmo tanto più volontieri, quanto più dovuto
ci sambrsi un tributa di.riooni^aceiwi. p 4i lt>dQ ai. ^0!l)ili onori,
che seppero colte spontanee inspirazioni deil9 fiiMura dipingere
i nazionali eoatomi,, o trama&cùrB ai posteri la nnemoria dei
generosi loro eompag^i di sventura.; ma i bardi epiroiid,
del . pari che quelli di tante altre nafùo^i > . sono sconosciuti
in patria, come qbrovt. Egli, è un fatto xhe veggiaaio rin-
novarsi tuttogiorno eziandio, nel seno d^ile nazioni- incivili-
te, ove qua$i per iQkcant^^imo apparei; d* i^»i|^ovvìsp una po<h
sia pòfMlare^ colla Kelocità del lampo si diffonde. per le ciuà
te le campagne presso un iqtera popoUzioB!e,.sqp^randotaholu
^ni natjuralie Wrieitd, né mai; viene accoapasaata daln^nnedi
quello ehe ne Cu. autore. t!mo è» c)ie le canzoni delle quali
abbiamo recato un Saggio furono He^CaQe pel popolo da uomini
'inculti «he M divid^vapo co^t i.sentìn^ti) come i destini; e
quindi le une dovettero esseit^ i<ikS{N[rate ad un clefta negli ozj
delia. pace, le altre ad un irr^^quifito eor^ro,; ^itijq-^ MU pia-
«ilio pastore; e si le u^ che le. altre sono opera» 9 i(^ guerriero
cuija rabbia dell'oste avea rapito il duce,.o dell' amante mal
dell'Epiro. 103
coprisposlo, o della sposa cui fu involalo il marito, od ì figli.
Egli è vero bensì, ehe eziandio T Epira ha i suoi rapsodi er-
ranti, per lo più ciechi, o vegliardi, i quali ricercano di vil-
laggio in villaggio i popolari convegni nelle pubbliche feste, e
cantano sulle piazze i componimenti proprj, o raccolti nelle
continue loro peregrinazioni; ed è pur vero, che in generale
vengono risguardati come autori dei medesimi; ma facendo at-
tenzione alla varietà dello stile, dei colori e dei dialetti, non
che al vario genere dei componimenti da ciascuno prodotti,
non ravvisiamo nei menestrelli orientali se non i raccoglitori ed
i depositari dei multiformi prodotti della musa nazionale, i cui
prediletti cultori sono confusi nella moltitudine delle varie classi.
Checché ne sia, e comunque inferiori apparir possano gli
esposti Saggi a tante sublimi produzioni dell* arte, non che alle
popolari inspirazioni d'altre stirpi, nutriamo ciò nuUoslante
fiducia d'aver recato una nuova e non inutile pietra all'edificio
della nuova scienza, sottoponendoli per la prima volta al giudi-
ciò de' nostri studiosi connazionali, mentre dichiariamo franca-
mente, che non fummo punto allettati e condotti a simili ricer-
che da vaghezza di novità, o da ammirazione per le poetiche
peregrine bellezze, che in qualche riguardo, e almeno per l'ori-
ginalità del soggetto, della forma e del concetto, hanno pur dritto
alla nostra attenzione, ma bensì dalle molte ed importanti ap-
plicazioni che far si possono di questi componimenti allo stu-
dio etnografico ed a quello delle nostre origini, persuasi che
solo allora perverremo a solide e irrefragabili induzioni, quando
avremo intimamente e in ogni riguardo studiato noi stessi ed
i popoli dai quali siamo da lunghi secoli circondati.
ORIGINE, DIFFUSIONE
ED IMPORTANZA
DELLE
LINGUE FURBESCHE
f fc '..
Vi SODO in naiura alcuni feDomeDi, ai quali, il ordinario la
mente delFuomo si abitua sin dall infanzia per mo<do, che, in
onta al continuo loro avvicendarsi, passano per secoli inosser-
vati, negletti e reputati di nessun conto, sebbene p^r lo più
racchiudano il germe fecondo di nuove ed importanti rivelazio-
ni, porgendo il t)andolo atto a svolgere le più intricate ricer-
che. Fra questi appunto ci sembra di poter annoverare un fatto
generale e costanle, comecché non per anco poste in chiara luce
da alcuno, ed è: che Tuomo stretto ad un patto sociale, oltr^
alla lìngua generale, comune a tutta la società cui appartiene,
si studia per lo più dì formarsi un* altra lingua secreta , con-
venzionale, onde frangerlo impunemente. Questo fatto, che astrat-
tamente e parzialmente considerato porge novella prova del oon-
tinno stato d'azione e reazione ndruomo sociale, e conduce ad
importanti osservazioni sul processo dello spìrito umano nella
formazione de primitivi linguaggi, è talmente generalizzato, che
non v'ha quasi società pubblica o privata, presso la quale non
si trovi più meno ripetuto.
i08 OlilGlKE, DIFFUSIO^ ED IXPQRTA.^ZA
Egli è generalmente palese, come nella grande società, presso
tutte le nazioni incivilite, e in ogni tempo, quelle turbe abbo-
minate insieme e compiante d' individui che sprecano la vita ,
aguzzando di continuo V ingegno onde appropriarsi ingiustamente
la roba attrai, si formassero una lingua convenzionale, mercè
la quale possono di leggeri intendersi non intesi, deludere la
pubblica vigilanza, é concertare talvolta le proprie difese, per-
sino fra le mani della giustizia che li ha colpiti. Quest'artificio
e ormai a tutti palese, dappoiché il fatale segreto fu strappato
più volte di mano agli iniqui dalla vigilanza della pubblica tu-
tela, e spontaneamente rivelato da alcuni ravveduti, o indotti
dalla speranza di minor pena; sicché odesi risuonar tuttogiorno
sulle bocche de* monelli che frequentano le pubbliche vie. Che
anzi uno strano capriccio de' secoli scorsi introdusse talvolta
questo barbaro gergo nella nostra letteratura, mentre valenti
scrittori lo adattarono air italiana poesia, altri ne compilarono
Saggi di Vocabolario e lo introdussero sul teatro, altri si fecero
ad imitarlo, raccozzando per trastullo una insipida lingua figu-
rata, cui diedero il pomposo nome di Jaìiaiatlica, profanando
cosi i classici dialetti ionico ed Attico ' ; ed ancora ai di nostri
un gusto non meno strano, risorto sulle rive della Senna, ri-
produsse il gei^ de'* malandrini' in {orécchi mcklerni eomponi-
mentl , intesi a descrivere i corrotti costumi delle dassi più
abbiette *.
Ciò non pertanto questo fenomeno non àVviené solo appo le
cfassi malefiche e proscritte, per* k qtiialt un sprèto linguaggio
é un naturale bisogno; ma, addentrandoci nei costumi d'ogni
*1 È tioto coinè» ti èfofiigtUi, il Jaliti, il Goarinlmd nhui iMdriera di senttwi
toflcanì dettassero compoaimeoti di vario genere in questa lingua. Un tal
delirio occupa una brutta pagina nella storia delle nostre lettere; gli tenne
dietro ta ridicola moda di scrivere senza senso, e peggio in eonirosenso, del
che ahbiite^ oii insigne modello. aeir-AdranilfeiMi, tngicemfdia d*aa sena-
tore piemontese, che è un capo'lavoro di melensaggine e di follia. Noi ci
siamo dispensati dal parlare a lungo di questi traviamenti, che vorremmo se-
pelli in perpetuo obblio, e solo dobbiamo avvertire, come pa)«6cfai «erittori
odnfciBdaiioa torto la lingua ca»vQnaiaii4e de* i^AltpdiHiM ooUa janadaftlioB
degli scrittori» essendo quesU bensì formata ad imitazione di quella, ma ciò
itullòstante dalla medesima distinta.
. « Veggasi: L$ détnim jour d*fàn c(m4am»é, pkr Vieiar B^o; IfÓtr^ Mkam
d9 Pa^U, dello stesso autore j l^s Mffslèt&B de Paris, le /h»7 Brrmnt par
Eugène Sue, Les mais Mystères de Paris, par Vidocq, e parecchi altri com-
ponimenti di minor conto.
DELLE LINGUE runDBSCHB • 1(19
altra classe,. k> veggiamo rinno.varsi eziandio, •conveeché sotlQ al7
tre forale, e. con meno colpevoli, fiai, cosi fra le ip|iust4*iali e be^
nemerite della società, come JfraJe. comunioni scolasliche, eif^-
$iao fra le tranquille pareli delle società domestiche. Non v' ha
quasi arte meccanica esercitata in comunione da parecchi indi-
vidui riuniti, presso la quale non si rinvenga qualche gergo con-
venzionale ; non v' ha società pernianente graud^e o picpola, pub)-*
biica privata, ove, in alcuni tempi e circostanze, non abbig
luogo un modo convenzionale d' eaprimersi diverso da quello
che è comune a tutti i membri della medesima. Cosi i muratori
hanqp per lo più un gergo particolare, col quale sogliono co-
municarsi a vicenda i loro progetti, e deludere la sorveglianza
de' loro, padroni ; e questo gergo, con poche e leggere varietà, è
talmente diffuso in tutte le nostre provincie, che agevolmente il
muratore dell' una intende quello delle altre, comecché lontane c^
da politico reggimento disgiunte. 1 tessitori, e tutti gli artìgiaiù
avvezzi a passare in comunione intere stagioni in vasti laboratoi^
hanno essi pure un gergo proprio; i calderai, che, scendendo
dai nfitivi ior monti, percorrono intere provincie, onde esercitarvi
Tarte propria, incontrandosi per le vie, si consigliano a vicenda
con una lingua convenzionale. Cosi finalmente nelle case d' edu-
cazioiìe e nelle famiglie odonsi talvolta confusi linguaggi, coi
quali i vispi alunni tentano celare frivoli g'mochi ai superiori, o le
inesperte donzelle raccolte al lavoro, versando nel seno dell' a-
mica la pienezza del loro cuore commosso da un sorriso della
vigilia, sottraggono i loro palpiti alla vigilanza materna.
indotti dalla sorprendente generalità d'un fatto cotanto stranio,
e guidati dalla speranza di cogliere pur qualche utile insegna-
mento in un campo sinoxa affatto inesplorato, abbiamo instituite
lunghe indagini, onde ragg^ingere la cognizione de' principali fra
questi linguaggi, e siccome, dopo averli parzialmente esaminati e
confrontati fra loro, vi abbiamo rinvenuto parecchi elementi che
iutcre^s^r possono lo studio delle lingue, del pari che quello del-
l' uomo, cosi abbiamo stimato util cosa il .chiamarvi l' attenzione
degli studiosi, pprgendo loro brevemente le nostre os^ryazioui
sull'origine, sulla formazione e sulla natura dei medesimi^ non
che sulle cause della loro diffusione, sui Iqyo rapporti e pul pri-
mario loro scopo. 3opra tutto abbiamo rivolte le nostre indagini
al più importa^ite e più dannoso fra i. linguaggi furbeschi, ai
ORIGINE, DIFFUSIONE
ED IMPORTANZA
DELLE
LINGUE FURBESCHE
ìli ORIGINA) DiFFUSIOlfB SD IMPORTANZA
vameaie dsercita^ di^i abitigli di ciaseuo villaggip, per una
parie delle nostre luontpgiie; il qual lavoro poirebbe giovare a
molte Picerche di natura diversa, ove fosse comfMUto , per tutte
le nostre regioni. Ora la maggior par][« di questi arii^ani so*
gliono appunto emigrare annualoftente dai ;mpnti o dalle terre
native, spargendosi più o meno per (e varie città d'Italia, di
Francia, e persino di Spagna e di Gerrnanìa, ove si. recano ad
esercitarle i rispettivi mestieri,, e frattanto conducono seco i pro-
ibì figli, ai quali^ diveniri adulti, pÌEiaftciano le proprie clientele,
ritirandosi a chiudere fra i monti nativi T operosa lor vita. In
qualunque paese scelgano stanza» si associano ben presto ai loro
collegbi d'arte, cqì quali dividono sovente le latich# ed i guada-
gni, e nel comune interesse vanno . iHodftUnndo a poco a poco
una medesima foggia di vita, la quale prende un aspetto uni-
forme sopra una maggiore o minor estensione di terreno, a
norma del)a maggiore o minor diffusione d'ogni. singoia classe.
Per tal modo appunto anche i rispettivi loro gergfii si estendono
dall'una all'altra provincia, e passano senza interruzione dall'una
all'altra generazione^ inavvertiti dagli stessi artigiani che li parla-
no, i quali, trasferendosi da un luogo all'altro» non senza sor-
presa trovano dovunque colleghi iniziati in ciò che credevano
proprio segreto esclusivo*
Ben diverse dalle accennate sono le .cause della diffusione del
gergo de' malandrini , il quale tuttavia è il. più esteso fra tutti,
giacché l'osservazione costante dimostra, uno solo essere il gergo
comune cosi ai miserabili che vau popolando gli ergastoli di
Padova, di Mantova e di Milano» con^p a queUi che trovansi rin-
chiusi nelle .carceri di pafec^hi; akri Stati d! Italia. Questo sor-
prendente fenomeno devisi attribuire l."" alle frequenti migra-
zioni, cqHe quali i colpevpli tentano sottrarsi alle ricerche della
giustizia ; 2.'' al frequente loro commercio, giacché, se non hanno
un centro di convegno nelle officinp, nelle fabbriche pd in one-
ste adunanze, non mancano loro le taverne, i lupanari ed i
tri vii, nei quali ageyoloiente s'iDConlrano, si riconoscono e
si associano; sovente accora le stesse carceri giovano all'esten-
sione dei loro rapporti, onde più volte si videro malandrini, di
recente liberati dal carcere, recarsi d' improvviso da un luogo
all'altro, a consumare delitti eoqcertati molto tempo innanzi a
parecchie miglia di disianza; 3.'' finalmente al libero vagabon-
DBtLB LINCenB PURBBSCHE. 113
daggio troppo diffuso e tollerato ai tempi delle peregrfiiazìoni
religiose, nei quali è probabile, che l'attuale gergo furfantino
avesse origine, prpvata essendo T identità del medesimo con
qaello degli antichi -questuanti, i quali sovente solevano coprire,
sotto la veste del pellegrino penitente reduce dalla Palestina, i
loro iniqui disegni. Questa osservazione, provata ad evidenza dal
confronto dei Saggi di lingua furfantina pubblicati, ne* secoli
scorsi con quella che parlano oggidì i nostri borsajuoli, ci il^•
segna eziandio, come questo malefico gergo vada propagandosi
tradizionalmente, non solo da luògo a luogo, ma da secolo a
secolo, senza veruna interruzione, in onta ai cangiamenti delle
iostituzìoni civili,, ed alla crescente vigilanza delle leggi.
Ma v' ha un' ossei^vazione ben più importante a questo pro-
posito, e consiste nella grande rassomiglianza che la lingua fur-
besca d* una nazione serba con quella d' <^ni altra ; dappoiché
tutte concordano nel principio fondamentale di rappresentare
gli oggetti per mezzo delle precipue e pia ovvie loro proprietà
peculiari circostanze. Per darne alcuni esempi, il malandrino
italiano suole denoniinare ingegnósa la chiave, bruna la notte,
travaglioso il carcere, cruda la morte, giusta la bilancia, dan-
nosa h lìngua, calcose le scarpe, polverosa la strada; il Fran-
cese appella dardant V Sifùove , carrante U tavola, filoche la
borsa, monfà regret la ghigliottina, bouffàrde la pipa, oornan/
il toro; r Inglese chiama bhwer la pipa, bones i dadi, bighop
il vino misto con acqua, glaze la finestra, guspel-shop la chie-
sa, galtopar il cavallo; il Tedesco denomina Langohr l'asino,
Langfusz la lepre; Schnee la. cera, Rothhoseh le ciriege, Blan-^
c*er/ la neve, Piali fusz Toca, Grunling il prato. Questa si-
miglianza appare ancor più manifesta in alquante omonimie, che
non sembrano tutte opera del caso. Cosi Y italiano ed il Fran-
cese chiamano del pari arlon il pane; il primo appella lenza,
ed ilvsecondo lance, Tacqua; quello Carlo, bria, Rabuino^ crea,
e questo Carle, bride, Raboin, criole, il danaro, la catenella d'o-
riuoloy il diavolo, la carnei Tltaliano, del pari che il Tedesco»
appella Hck T orinolo; lluno bianchina, e l'altro Blanckerl là
neve; quello grugnanle, questo Grunickel il majale, che l'In-
glese dal canto suo denomina grunting. Altrettali omonimie rin-
vengonsi agevolmente^ ove si confrontino fra loro i Vocabolarii
Ili ORIGINB, .DiPPUSIOflTE ED IMPORTANZA
furbéschi di queste naziout coi rispettivi dell'inglese e della
Ora siccxune quest'analogìa di principii e di forme è costante
in tutte le lingue furbesche, da noi parzialmente esajnipate,
come è manifesto nei >Saggi di Vocabolari! diversi che abbiamo
pubblicato > cosi ci si affaccia spoQtfiilea la dimanda : come mai
uomini di varie stirpi^ separali da barriere politiche e naturali,
nei segreti loro conciliaboli hanno calcato una medesima via, e
formato separatamente più lingue, comecché dissimili di suono
e di radici, at&tto identiche nella loro essenza?
Una tale questione , puramente psicologica , potrebbe per av-
ventura fruttarci col suo sviluppo utili ammaestramenti sul pro-
cesso della mente nella formazione de' primitivi idiomi, giacché
Tuomo rozzo che, privo d'ogni morale instituzione , ed abban-
donato alle. prave inclinazioni di natura, si accinge a formarsi una
nuova lingua che provveda ai bisogni d' una società novella ,
differisce poco dal selvaggio, che, privo ancora dei beneficii del-
rincivilimento, fa i prinoii sforzi per rannodarsi in società co' suoi
siffidli, ed apre commercio con loro, desipando col mezzo de'
suoni gli ometti che lo circondano. Se consideriamo il ragguar-
devol numero di onomatopee sparse in ogni lingua, e sopra tutto
in quelle che serbano aticora inlatte le impronte delia primitiva
loro formazione, appare mani<esta la naturale tendenza dell'uomo
a rappresentare gli oggetti per mezzo delle loro proprietà più di-
stinte; ma questa medesima tendenza noo emerge solo dalla
imitazione de'suoni ; xlappoiehé, persino nelle lingue più semplici
e rozze, essa appare neHa espressione delle forme e delle pro-
prietà soggette agli altri sensi. Ce ne somministra parecchi esempi
la lingua dei Zingari, la quale, per la stazionaria sua rustichezza
e semplicità, può riguardarsi tuttora come ^primitiva. Ivi ti^Viamo
lippunto espressi parecchi nomi d'animali o di oggetti comuni,
nel. modo stesso, sebbene con radici diverse, col quale sogliono
essere rappresentati dai malandrini europei. Infatti, vitando i
seguenti nomi letteralmente dalla lingua -zingarica nella of^tra ,
r anitra é quella dal largo becco , l' asino quello dalie grandi
or^cchie^ il capro dalla boi^a d' uccello y il cervip quello ilalle
molle corna , la testuggine é la ratta dal guscio, V anguilla i<
pesce lungo o sottile, il lago è l'acqua fet^ma, la rugiatla Cacqm
della sera. In simìgliante maniera procede l'errante figlio del-
DELLE LINGUE FURBESCHE. 11$
rindo ad esprimere uaa serie di oggetti per lui nuovi, appellando
la secchia quella dalle due orecchie^ la forchetta il da tre pun--
tCy r aggettivo pallido . coir espressione senta satigue y e si*
mìli ' ; per modo che tutte queste favelle, mercè un ristretto nu-
mero di radici variamente combinate, pervengono di leggeri ad
esprimere un considerevole numero d' idee e d' oggetti. Sebbene
potremmo ora convalidare questa generale osservazione con una
serie d'eseinpi tolti alle rozze favelle dei Lapponi, dei Samojedì,
(lei Vogali e di tanti altri popoli incolti, che, relegati fra i ghiacci
deir estremo settentrione , ed estranei air influenza del sociale
progresso, conservano ancora illesi i costumi dei primi loro pa-
dri, ciò nullostante basterà per ora averla tracciata in prova della
nuova importanza delle lingue furbesche, ove siano opportuna-
mente studiate^ e comparate fra loro.
Procedendo alla disamina del rispettivo loro artificio, e dei
precipui elementi che le compongono» fa mestieri prima di tutto
avvertire, che, sebb.ene le abbiamo sin qui designate coir onore-
vole nome di lingue, esse non sono all'opposto, sfi non artificiose
e parziali corruzioni dei dialetti viventi.^ Inoltre esse dividonsi
naturalmente in due classi, la prima delle quali racchiude le lin-
gue innocue e semplici, cui meglio potremmo denominare di
trastullo; la seconda abbraccia le figurate ^ e queste sono le fur-
besche propriiamente dette. Le prime affatto innocue Sjóno ri-
strette in poche famiglie, ove più spesso sono impiegate dai gio-
vani per trastullo, anziché per fini indiretti o colpevoli;- le seconde
sono molto diffuse, e tendono per lo più. a- sottrarre airaltrui' vi-
gilanza più meno colpevoli disegni.
Vario , sebben puerile, è sempre Tartificio delle prime^ e d'or-
dinario consiste nelFinvertire l'ordine delle sillabe nelle voci cor
muni, neir interporre fra queste alcune sillabe convenzionali,
che possono variare a capriccio. Cosi, invertendo lordine delle
sillabe nella . proposizione : La lingua furbesca è parlata da'mo-
nelli, si otterrebbe la seguente: Al gualirk scabefur e lalapar ad
1 Avendo noi avuto opportane occasioni per conversare a lunga con un
ceotioaio e più di Zingari, stanziati iti varii paesi d'Europa, ed avendo quindi
attioto dalla loto bocca quel maggior numero di notizie che ci fu possibile
inturno alla loro lingua," ci proponiamo di pubblicare iu breve inuovi studii
su questo argemento da noi iustituiti, 1 quali ci sembrano tanto più impor-
laoii , quanto più discordano dalle relazioni di quelli che ne pubblicarono
speciali trattati.
116 ORIGllfB, DirPUSIONB ED IMPORTANZA
linemo ; divenendo per tal n\odo una lin^a affatto oscura a chi
ne ignora la formazione» ed assumendo Y aspetto d' un linguag-
gio assai diverso dairitaliano, comecché composto delle medesime
sillabe. Similmente frapponendo nella stessa proposizione altret-
tante sillabe ad arbitrio, verrebbe mascherata net modo seguen-
te: Lapa lipinguapa fupurbepescapa epe paparlapatapa dapa
moponepelipi. Quésti ed altrettali arlificii puerili sono troppo fri-
voli per meritare una speciale menzione, non che un ulteriore
schiarimento ; siccome peraltro sono generalmente usati in parec-
chie società domestiche, cosi non potevamo trasandarK, parlando
delie lingue furbesche in generale, a documento della prima no-
stra asserzione, che in ogni società^ grande o piccola, pubblica o
privata , Tuomo si studia sempre, a norma delle proprie idee e
de'propri bisogni, di occultare agli altri, 8òn un linguaggio fitti-
zio, i propri pensieri.
A questa classe medesima appartiene ancora il poetico e strano
linguaggio, con cui le infelici odalische, nei profumati ìiaremy so-
gliono ingannare la noia d'una vita di privazioni e di desiderii,
e celare i propri sospiri alla vigilanza degli evirati loro custodi.
Questa lingua, conosciuta col' norme di lingua de fiori, ed alla
quale molti favolosi racconci ed ingegnose finzioni * attribuirono
negli ultimi tempi soverchia importanza in Europa, non è meno
frivola delie precedenti, còme rese manifesto il barone dì Ham-
mer-Purgstall colle notizie da lui raccolte in Cosltantinopoli presso
le donne greche ed armene, alle quali solo é concesso penetrare
nel Serraglio del Gransignore. Sulla testimonianza di parecchi
viaggiatori, si credette lungo tempo, che, mercé la lingua dei
fiori, le prigioniere del Serraglio^ rinchiuse per delizia d'un solo
uomo, pervenissero a stabilire inosservate segreto commercio con
esterni individui di loro predilezione ; e col favore di questa ge-
nerale credenza furono inventati e pubblicati più volte alquanti
voeabolarii , nei quali si tesserono capricciose ghirlande tolte alla
FJora d'Asia e d'Europa, a rappresentare gli affetti e le idee che
possono formar parte d'una corrispondenza amorosa ; ma, lungi
dal confermare la minima parte di cotali finzioni, le più diligenti
indagini fatte sul luogo ne smascherarono l'impostura , e ci rive-
larono, come la lingua de' fiori venisse inventata ed usata dalle
odalische per comunicarsi tra loro i desiderii e le pene comuni,
ed ingannare la noia d'una vita monotona ed inoperosa, essendo
DELLE LINGUE FURBESCHE. 117
loro'^affatto im|)ossibile qualsiasi commercio esteriore >' si per la
gelosa vigilanza colla quale sono custodite, come per la pena ca-
pitale a cui sarebbero esposte ^i loro custodi.
Ora questa lingua» lungi dall'essere esclusivamente de fiorii
come suole denominarsi, è altresì la lingua delle frutta^ dei pro-
fumi, dei giojelti , e dei molteptici inetti esposti di continuo alk>
sguardo di quelle che T hanno composta; dappoiché e le Une e
gli altri vi hanno egualmente la. loro parte, come si vedrà dagli
esempi che ne addurremo più oltre. Sembra a primo aspetto^ che
la fervida immaginazione delle giovani musulmaiie, seguendo il
costume di tanti, popoli orientali, avesse a designare nei fiorì,
nelle frutta e negli altri oggetti da loro prescelti, lespressione di
quei traslati rapporti ch^ questi possono avere colle idee astratte;
come appunto i nostri poeti sogliono raffigurare nel verde la gio-
veutù, e quindi la speranza ; il candore, e quindi Tinnocen^a nel
bianco giglio ; la verginità nel bottone di rosa non ancora sbuc^
ciato; il pudore nella mammola^ che umile si nasconde sotto
Tombra del pruno Che le sovrasta; ma in quella vece la mam-
mola, la rosa, il cedro, il fico, Fambra, l'oro e la seta non por-
sero alle orientali concubine^ se non 11 suono de' rispettivi loro
nomi, onde, scelte altrettante voci che fanno rima con quelli, co-
strussero -altrettante frasi, o intere proposizioni^ ciascuna delle
quali viene rappresentata dal nome che porse la rima. Cosi, per
la voce Kakm (penna) scelsero la rima melhem , ch^ significa
angoscia, e sopra questa voce formarono la proposizione: Korkma
toeririm sana bir melhem^ vale a dire: io raddolcirò le vostre
angosce. Per tal modo la voce Kalem richiama alla mente la pa-
rola con cui fa rima, e questa ricorda la proposÌ2^ione rispetti-
va, la quale nella. lingua de' fiori è rappresentata dalla sola voce
Kalein. Quindi è chiaro, come con poche voci si possano esprì-
mere varie proposizioni, le quali, ove formino unite un senso
continuato, possono racchiudere un intero racconto, una dichia-
razione, qualsiasi altro componimento. Valgano d'eseinpio le
poche voci: -4foe, giunchiglia^ creta , thè, vinco y le quali unite
significano quanto segue: 1. Corona del mio capo, medicina del
wiio cuore; 2. guariscimi; 3. ridonami la ragione smarrita;
^. tu, mio sole, e tu mia luna, hai dato la luce a' miei giorni,
il chiarore alle mie notti ; 5. deh/ vieni a consolarmi. Simil-
mente bottone di rosa e garofano esprimono: Tu sei bella come
118 OnHSIflBy DJFPtJSlONE ED IMPORTANZA
un bottone di rosa presso a sbucciarCy come un gm^ofano olez-
zante i io ti adoro da lunga stagione,- e tu mi sprezzi. Ed ecco
tutto l'artificio di questa lingua troppo celebrata e troppo frivola
ad un tempo, la cognizione della quale/ come si vede, consiste
ne) ritenere a memoria le proposizioni^ o le frasi rappresentate
dalle singole voci che ne formano il dizionario *. Né si creda, che
queste voci siano in numero considerevole, perocché ristrette a
dare uno sfogo alFardente e malpaga voluttà inspirata dal caldo
cielo di Bisanzio, e da una vita molle ed oziosa, sorpassano ap-
pena un centinaio; che anzi, siccome la maggior parte, compene-
trandosi, ripetono sotto varia forma le stesse espressioni, cosi
possono ancora ridursi ad un numero minore.
La seconda classe delle lingue furbesche racchiude propria-
mei^e i gerghi parlati dai vari artigiani, e sopra tutto quello dei
malandrini, al quale di preferenza abbiamo rivolti i nostri studii.
Noi li abbiamo testé designati eziandio col nome di lingue figura-
te, perché appunto consistono in una serie di tropi e di ligure
convenzionali, essendo ivi pure cosi le voci come la sintassi
proprie della lingua o del dialetto della rispettiva nazione. I po-
chi esempi di sopra addotti ne porgono bastevole prova ; ciò non
pertanto é da notarsi , come vi si rinvengano ancora alquante
voci antiquate , o tolte a lingue straniere. La voce orlon , per
esempio , da noi accennata , ed usata d^l mariuolo italiano e dai
francese ad e^rimere pane, è di origine evidentemente greca;
siccome peraltro egli é certo, che il malandrino non può averla
attinta a quella fonte , cosi é più verisimile , che appartenesse a
qualche vetusto dialetto italico al greco affine, giacché la troviamo
ancora fra i dialetti alpestri di Lombardia, nelle voci arto-
ni7a:= panporcino, adrobasto^^^fame casalingo; d'origine greca
embra pure la voce cera per mànO; e la sua derivata cerioli per
guanti ; in quella vece corniate per ifrumento, spillare per giuo-
care, e simili, rivelano orìgine germanica dalie voci cQrn, e spie-
len. La radice lenza per acqua, anziché arbitraria, sembra un'an-
tica voce italica, mentre abbiamo tra gli affluenti del Po il fiume
Enza, che il volgo chiama tuttora la Lenza, il fiume Liveuza
nelle venete provincie, ed altre acque di minor conto in Lom-
i Anche di questo dizionario dèlia lingua^ de' fiori abbiamo dato uu Saggio
negli Studii sulle lingue furbesche , già mentoYati.
DBLLfe. UNGUE FURBESCHE. 119
bardia, espresse colla medesima radiee. D'altronde questa seiim
ufi'affiiritd di suona e di lignificato colla parola celtica leisa^ che
ne'dialetti àrmorici signifiài appunto bagnare y come lenzare nel
furbesco italiano. Cosi nei gerghi dei malandrini francesi, inglesi
e tedeschi ti^vansi parecchie voci tolte a vicenda ad altre lingue ;
nel vocabolario francese, per esempio, veggiamo le voci esgana-
cm., estrade , gonze i messière, iabar, cadenne, naze^ nigoieur
per ridere, strada , gonzo, messere, tabarro; catena, naso,
bigotto, prese dall'italiano; nell'inglese le voci pure italiane
m per cacio, cutp per colpo, college per carcere^, nel te-
desco, caddel per Candéla , zickus per cieco , hwissen per co-
noscere, cavai, strada, terra, truffe^ botili, per cavallo, strada,
terra, lrja£^, bottìglia; vi trpviamo ancora puschka per fucile,
tolto alla lingua boema, ed altrettali f ^empi di voci tolte ad altri
idiomi; sebbene cofóli voci potrebbero forse essere slate un tempo
comufii agli uni ed a^i altri, od essere ancoi^a in vigore presso
alcuni virenti dialetu^ francesi, inglesi, o tedesctii, ciò che potrà
agevolmefite venir chiarito da un diligente esame dei medesimi*
Alla quale opinìone^siamo tanto più inclinati, quanto maggiore si
manifesta la mutua affinità delie medesime lingue di mano in
mano che risaliamo alle origini ^rispettive.
Checché ne m, egli è evidente, che 'tutta, la scienza di codesti*
gerghi consiste nella cognizione dei rispettivi loro vocabolarii e
dei frasarii, o, ciò che vale lo stesso, delle figure da ciascuno im-
piegate a rappresentare le varie idee. Ora questi vocabolarii, lungi
dall'essere molto estesi, ristringonsì a quel determinato circolo
di oggetti e di circostanze, che hanno immedialo rapporto con
ciascuna classe , restandone esclusi gli oggetti estranei. Perciò
lavoro, giornata, secchia, malta, boccale, vino e simili, sono gli
oggetti principali rappresentati nel vocabolario de muratori; spo-
la, telajo, filo, matasse j padrone, ed altrettali, quelli de' tessi-
tori ; ftorsa, orinolo, moccichino, meretrice, sglierri , taverna,
carcere, forea e shnili, gli oggetti principali del vocabolario dei
ladri.
Quest'ultimo, come di leggeri può scorgersi, è pur^troppo il
più ricco fra tutti, non solo perchè usato da un maggior numero
d' individui, ma altresì perchè esteso ad un maggior numero di
idee, avendo pur troppo il mestiere del ladro estesa su tutta la
società la sua malefica influenza. Ciò non pertanto, essendo esso
130 ORIGINE 9 DIPFUSIONB SO IKPORTàlfCA » ECC.
perciò appunto il più interessante fra tutti,' vi abbiamo principal-
mente, rivolte le nostre ricerche, e ne abbiamo raccolto il mag-
gior numero di voci che ci. fu possibile neir operetta mento-
vata di sopra. Siccome poi, instituendo queste indagini, non fu
sola nostra intenzione l'apprestare ai lettori un laezzo onde pre-
servarsi dalle insidie de' vagabondi, ma ahresi quella di giovaie
in pari tempo alla scienza, porgendo ai linguisti ed ai psicolcgi
nuovi materiali per più elevate disquisizioni, cosi fra le voci del
gergo vivente ne abbiamo notate parecchie andate fuor d'uso, ed
al vocabolario furbesco italiano abbiamo aggiunto il francese ed
il tedesco, nella speranza, che un opportuno confronto possa
fruttarci nuove ed utili considerazioni.
Invitando perciò gli studiosi che né bramassero più estese
notizie alla lettura di questo nostro teni^e lavoro, ci compiac-
ciamo (ji'aver (Riamata per la prima volta la loro attenzione so-
pra un terreno affatto inesplorato sinora ^ e tanto più stiodamo
util cosa il farlo, quanto più ^periamo vicina la distruzione di
tante lingue malefidie in un tempo, in cui la crescente vigi-
lanza delle leggi , la riforma delle carceri, il patronato per quelli
che vi subirono la pena, e tante altre henefidie ìnstituzioni
poUtiche ed industriali, diffuse per opera degli amici cteU* uma-
nità, promettono a questo nostro vecchio pianeta uà miglior
avvenire.
VI.
STUDJ
SULLE
LINGUE ROMANZE
Se é grato allo studioso T annunzio. d*una teorica novella,
che gli apra inesp!ot*ata via alla conquista di utili verità^ non
gli è man dolce , soffermandosi talvolta a risguardare lo slato
delle scienze già adulte e' provette, il raccogliere e coordi-
nare la svariata congerie de* sudati lavori, onde Teletta schiera
de' saggi le sollevò a n)iràbile altezza. Buon per noi che, men-
tre da un lato abbiamo dischiusi innanzi gli inesauribili tesori
di nuove dottrine, possiamo dall' altro confortarci nella disamina
delle già compiute conquiste, e farci sgabello delle dotte lucu-
brazìoni altrui» per sollevarci a più sublimi ed inesplorate re^
gioui! Se non che, a rendere proficui i risultamenti delle al-
trui speculazioni, non basta raccoglierli ed ordinarli ; ma egli è
d'uopo altresì confrontarli fra loro, ed esaminare le differenti
vie dagli studiosi calcate, per determinare, sulla norma delle
verità dimostrate, sino a qual punto la scienza sia pervenuta ;
quanta via le riiasuìga ancora a percorrere; ^ quale Sia la di-
124 STDDJ
reziane a seguirsi, onda raggiungere ta propostasi meta. Cosi
appunto prudente nocchiero, diretto per lungo viaggio alla sco-
perta di sconosciuti lidi, raccoglie talvolta le gonfie vele, mi-
sura il percorso cammino e, rettificando colle nuove osser-
vazioni i primi errori, determina la giusta direzione della sua
prora.
Mossi appunto da^ queste considerazioni, e sovra tutto dal desi-
derio di vedere svolta alla fine una delle più intricate quistionì,
che strettamente collegasi air istoria delle nostre origini, della
nostra lingua e di tutta quasi la moderna civiltà europea,
ci siamo accinti all'impresa di sbozzare ai nostri lettori un
ordinato prospetto degli studj instituili sinora intorno alle
lingue romanze, a quelle lingue, cioè, che cogli svariati lor canti
celebrarono le volubili vicende, i costumi, i delirj, non meno
che le sagge instituzìoni del medio evo; dalle quali un inve-
terato pregiudizio, sorretto da autorità rispettale, suol derivare
la formazione di tutte le moderne lingue dell'Europa latina ; e
che da circa due secoli prestano argomento alle veglie di cele-
brati Jngegni. Impresa, per verità, alquanto ardua, dappoiché
non è nostra intenzione di porgere solo una lista bibliografica
delle opere che vennero successivamente in luce su questo ar-
gomento (ciò che pur sarebbe assai malagevole, avuto ri-
guardo al numero indeterminato dei tentativi fatti presso le eulte
nazioni d'Europa); ma bensì, restrinjgendoci ai lavori che più
di propòsito furono diretti ad illustrare quelle lìngue, è nostra
mente stabilire piuttosto, q^uale ne sia lo scopo principale,
quale la via in ciascuno seguita, e quanta la concordanza e la
rettitudine, delle loro indizioni. Né lèmiamo che ci venga ap-
posto a soverchia presunzione, se, imprendendo ad esaminare ac-
creditati lavori d'uomini benemeriti e d'alta rinomanza, osiamo
emettere opinioni dalle loro discordi, dappoiché, s'egli è vero,
che iacil cosa sia aggiungere agli altrui ritrovamenti, egli é al-
tresì indubitato , che dal cozzo appunto di contrarie sentenze
suole più sovente scaturire la verità/
Il tema delle lingue romanze è vecchio assai, e in varia guisa
fu omai sviluppato in parecclii volumi; e appunto perché è
vecchio, egli é tempo di radunarne gli sparsi risultameoti, e di
misurarne il ricolto. Prima però d^entrare in materia, gioverà
stabilire con precisione 1%^ che cosa intendasi per lingua roman-
SULLE LlNOUl ROBIANZ&. f!2$
2a; %^ a quale scopo debbano essere diretti gli stodii intomo
alla medesima ; S."" con quali mezzi o materiali i medesimi studj
abbiano ad essere insiiiuiti.
Per lingua romanza d'ordinario. intendesi quell'idioma, che
nei secoli di mezzo venne sostitnilo come lingua scritta al la-
tino, e che, disciplinato primamente nella Gallia meridionale, sotto
gii auspicj delle splendide córti di Tolosa e di Barcellona , -(xk
illustrato dai mollipUci canti dei Trovatori. Qtiesta definizione,
peraltro, restringe il' concetto di lingua romanza ad un pecu-
liare dialetto, meglio distinto col nome Ax^ocdtanicOy mentre hi
denominazione di nmanza è generica, ed estendesi a tutte le
svariate favelle che, dopo la dissoluzione dell'imperò occiden-
tale, furono scritte nelle roniane province, in luogo della latina
già dimenticata e negletta. E siccome egli è omai dimo-
strato, che in ogni provincia, anzi in ogni singolo paese, quelle
lingue differivano fra loro, cosi in quel nome generico si com-
prende uua famiglia di lingue più o meno dissonanti dalla la-
tina, giusta gli accidentali rapporti delle primitive favelle pro-
prie di ciascun paese e la varia influenza di quella ; giacché
non v'ha più dubbio che, non solo il romanzo gallico differiva
dall'ispanico, dall'italico, dal retico e dal dace; ma nella stessa
Gallia altro era il romanzo meridionale, altro il settentrionale,
che, illustrato a la sua volta dai poemi oavallereschi de' Tro-
vieri, prevalse più tardi sul meridionale^ e divenne lingua scritta
cooìune a tutte le, nazioni comprese nel regno di Francia; cosi
nella Spagna differiva il romanzo catalano dal casligliano e
dal gallego, i quali ultimi, prevalendo, diedero poi origine alle
moderne lingue castigliaua e portoghese; cosi in Italia il ro-
manzo siculo differiva dal tosco, dall' insubrico e dal veneto;
cosi il. retico superiore dissonava dall'inferiore; il dace trans-
carpatico dal transigano; senza tener conto delle minori discre-
panze, che i monumenti ci attestano, e che doveano pur essere
numerosissime.
Di tutte queste lingue, costruite in orìgine sopra eleménti
essenzialmente diversi, e poscia collegate in una sóla famiglia
per r influenza della sovranità latina, fu prima coltivata l'oc-
citanica, la quale per un fortuito concorso di circostanze fu
prescelta da numerosa schiera di poeti nazionali ed esteri, e
pervenne prima e più. d'ogni altra ad altissima rinomanza. Ciò
1S6 STU0J
DuUadHneiio vennero in pari tempo cokivati altresì neiralta e
nella bassa Italia i rispettivi rooianzi/cbe ebbero letteratura pro-
pria e distinta, comecché non pochi ingegni italiani, sedotti dai
prestigio e idalia fama del provenzale, il preferissero al proprio
nei loro componimenti. In pari* guisa e nel medesimo tempo si
svolse, benché separatamente, il gallico settentrionale, che fu poi
sempre distinto per una splendida letteratura originale. Cosi
avvenne del castigliano, sebbeu represso dall'arabo domìeio;
e soli per lungo tempo languirono- il rèiico ed il dece, i quali,
sottopi(^sti> air incessante flagello delie migrazioni dei popoli e
i|elle,politiclie sveature, non poterono essere disciplinati se non
varj secoli di poi.
Ciò premesso, ne emerge: che lo studio deUe favelle
romanze può essere diretto a duplice scopo; cìoé« o a rin-
tracciare nei loro intrinseci elementi le vestigia e le re-
liquie delle anticfie lingue che le precedettero, per poi rag-
giungere le origini o i rapporti dei popoli rispettivi, non che
le più recondite etimologie debile moderne lingue che vi suc-
cessero; ad agevolare T interpretazione dei loro monu-
menti, a schiarimento della storia e dei costumi del me-
dio"evo.
Dalle medesime premesse é chiaro» altresì, che, se per rag-
giungere la cognizione di quelle lingue valgono i. monumenti
contemporanei, vale a dire le ci'onaclie, le poesie e le molte
iscrizioni dei se;coli di m^zo^ onde intraprenderne un' ade-
quata illustrazione , é altresì necessaria la cognizione degli
-antichi idiomi che più o .meno contribuirono alla loro forma-
zione, per poterne instiluire un ragionato confronto.
Ora, egli é noto, come, «sin dalia metà ilei secolo XflI, presso
che. tutte le nazioni meridionali d'Eucopa, disgustate dalla plu-
ralità di lingue, che venivano mano mano svolgendosi nelle
varie parti d'ogni r^ione, e dalla soverchia licenza degli scrit-
tori, prodotta dalla mancanza d' una norma comune, costrette
dalla necessità di provvedere ai bisogni della vita socievole,
s'adoperassero a stabilire iin solo linguaggio comune a tutti i
municipi dells^ rispettiva provincia, siccome nodo principalmente
atto a congiungerle in altrettante indissolubili famìglie. Ne fanno
irrefragabile testimonianza in Italia le ripetute querele e gli
anatemi scagliati dall' Alighieri contro gli scrittori plebei^ onde
SULLE LINGUB ROMANZE. 437
teodeva solo a reprimere la pluralità dei volgari romanci »
ed a ricondunre i popoli d' Italia air unità della linpa. Gli
sforzi reiterati di molti gàierosi, che seguirooo i esempio e rio*
Vito del gran maestro, idiedero ben foresto alla nostra penisola^
e successivamente a eiasc4Da delle altre nazioni latine, una lin«
gua generale lor propria, cbe /u poi la sola interprete comune
all'una airaltra, provincia ; e le romanze, o piuttosto i vulgar
diaieltì, furono quindi relegati al trivio nei rispettivi municipi,
meotre i loro mouumeoti,. abbandonaci air obblio,^ furono dalia
nuova riforma in gran parte distrutti. Cosi trascorsero alcun
secoli, senza che quelle lingue prendessero parte nelle iBlolo^
^iche disquisizioni, successive ; .tutte le cure degli scrittori ita*
liaoi e stranieri furono. rivolte per lunga pe^za al perfeciona^
meato della rispettiva lingua generale , sinché ì ripetuti la-
menti delle Accademie per le nuove licenze introdotte dagli uni
e dagli altri , le gelosìe e le controversie nìunicipali che si
contesero a vicenda il primato, mostrando la necessità di ri-
condurre alla SU4 primitiva purezza il linguaggio, e di fissarlo
sopra determinata jaorma che ne prevenisse (»er .sempre gli
arbitrj e gli abusi, attrassero lattenzione dei dotti alla disamina
degli antichi monumenti, dalla quale appunto e|)bero origine
gli studj sulle lingue romanze. ,
Primi in Eurtipa, eziandio in questo genere di ricerche, fu-
rono gli Itahaui ; se non che la ])revalenza sempre accordata ai
poemi dei frovaturi, l>a i quali veneravasi la memoria di parecchi'
nazionali, quali erano il Sordello, BriiuettA) Latini, Pier dalle
Vigne, Gin da Pistoja, . Lucio Drusi, Calvi, Nicoletto, Doria ed
altri parecclìi rammentati nelle istorie di letteratura occitanica
trasse i primi, che vi si adoprarono, piuttosto alla disamina de
monumenti provenzali, che non a quella dei patrii. Mario Equi-
cnla, nella Natura cCaniore ' fece menzione dei Trovatori, e pro-
dusse alcuni brani delle loro poesie; il cardinal Bembo descrisse le
vile dì qne' poeti, e tentò raccogliere quanti manoscritìi di loro
opere per lui si potè : Giovanni Maria Barbieri ne parlò' di
proposito nel libro intitolato: Dell'origine della poesia rimala,
e ne tradusse alcuni componinjentì ; Lodovico Castelvetro, am-
I Wfro De .\jtura de Amore. Vmeliis, 1525. Id-4.
Ì30 STUDI ^ .
strare» apprestando una grammatica ed un vocabolario proveo-
zaie, corredati da scelle poesie. Ha, per mala ventura, (]uesU)
vastissimo lavoro fu interrotto sin da principio, e la parte, che
ne fa pubblicata, restringesi appena ad una lunga prefazione,
ripiena bensì d* importanti notizie, ma contaminata da una stuc-
chevole e tronfia prolissità.
Suir esempio degli Italiani, non tardarono i Francesi a col-
tivare uno studio, die '8 buon diritto avrebbe dovuto ^essere
d'esclusiva loro attribuzione; ed in ìspecie vi Si distìnsero i
zelanti Membri deirAcademia d* Iscrizioni e Belle lettere, sgom-
brando dalla polvere degli archivj una congerie di codici, e
pubblicando parecchie Memorie intese per Io più a chiarire le
origini della lingua, della poesia e delle lettere nazionali. Co-
mecché poca luce emanasse altresì da questi loro tentativi per
lo più guasti da vecchi pregiudizi e fondati su erronee sappo-
sizioni, ciò nulladimeno, per non lasciare incompiuto il nostro
assunto, né defraudare della giusta riconoscenza i più beneme-
riti fra i primi che appianarono questa via, faremo speciale
menzione dei rinomati Duclòs, Gaseneuve, Leboeuf, Huet, SÌermet,
Fouchet, Tripault, Guichart, Bonamy, Barbazan, che ragio-
narono con vasta erudizione suif origine della lingua e della
poesia provenzale, suUorigine e sulle vicende della lìngua d'oui,
sudile più antiche traduzioni francesi, suir origine dei [Romanzi
e dei giuochi fiorili , sulle Corti d* Amore e su altrettali argo-
menti ^ Sopra tutti emerse pel suo zelo il signore di Sainte-
Palaye, che impiegò la maggior parte della sua vita in racco-
gliere i materiali necessarj alla compiuta illustrazione d^l pa-
trio idiòma; ma fu sorpreso dalla vecchiaja, prima che il vasto
silo piano fosse ordinato, e di tanti lavori preparalorj solo
venne in luce, per opera di Moucbel, il primo volume d* un
gran Dizionario, che doveva constare di dieci volumi in folio ^;
i rimanenti materiali, che ammontavano a quaranta volumi io
folio, rimasero infruttuosi per la morte deir autore, e solo al-
cuni valsero più tardi alla storia letteraria dei Trovatori,
i Tutti questi speciali trattali sono inseriti nelle Mémoires de VAcadémie
des inscriptions et belles lettres. Paris, 1701-93, in-4.
S Glossaire de Vancienne langue frangatie deputi ion origine jtuqu*au
iiècU de Louis XIV. Paris, i756.
SULLB LINGUS ROMANZE. 131
compilata senza critica e seni» scopo deiefmiaato dall' abale^
Millol*.
Io sèguito, il delirio della moda. traviò la crescente schiera
degli studiosi, i quali, allucinati dalle speciose asserzioni dei
loro predecessori, scambiarono ben presto la quistione deirim-
portanza della lingua romanza con quella della letteratura;
cosicché se ne indagarono ovunque i monumenti, non già per
istudiarvi la lingua, ma onde porgerli a modello delle rina-
scenti lettere patrie ; e, mentre dall'una parte s' innalzavano a
cielo le virtù e i delirii dei parassiti delle corti di Tolosa e
di Barcellona, dalf altra si ponevano le poesie provenzali a ri-
scontro coi più puri modelli delle classiche lettere, e si accu-
sava senza verecondia di plagio lo stesso Petrarca ; la qual
bestemmia, comunque stolta e gratùita, fu avvalorata da pa-
recchi scrittori , ed in ispecie da Basterò , Beuter , Escolano ,
Argoti, Caseneuve, Puster, non che dal rinomato vescovo d'A-
storga. Sebbene vana tornerebbe ora la cura di rintuzzarla con
una serie di prove già prodotte in parte dal Tassoni e da pa*
recchi moderni scrittori, ciò nullameno gioverà ricordare al-
cuni versi d* un sonetto provenzale , la perfetta coincidenza de'
quali con altri del Petrarca diede appunto origine e forza alla
mentovata calunnia. Questo sonetto fu gratuitaftiente attribuito
a Mossen Jordi, poeta catalano del secolo XIII, assai pregevole,
per riguardo ai tempi in cui visse, ma troppo barbaro per es-
sere paragonato all'inarrivabile cantore di Laura. Eccone i
versi :
Moss. E non he pau, et non tincb quim guarreig.
Petr. Pace noo trovo, e doq ho da far guerra.
Moss. Voi sobr^el cel, et non mevi de terra.
Pbtr. e volo aopra il cielo, e giaccio in terra.
Moss. Non estrench res, et tot lo mon abras.
l^BTR. E Qulla strìngo, e tutto il mondo abbraccio.
4 HiiioirellHtéraire dei Troubadoun , contenant leurs vies , Ui'exlraits
de leurs piéces» ecc. Paris, 4774« Tre voi. in-15.
159 STUOJ
Mo8S. Boy bè de mi, et tuU altri graa bè,
Pbtr. . Ed ho ìq odio me stesso, ed amo altrui.
Moss. SìDO Amor, dooc azò qua sera?
Petr. Se Amor doo èj ch*è dunque quel eh* io seuto?
Qui il plagio è abbastanza manifeslo; ma aon è meno distinto
r originale dalla copia, la quale è troppo inferiore, per poter
essere scambiata con quello!
In tanto fanatismo, mentre le menti degli studiosi erano oc-
cupate dovunque delle poesie provenzali, ne esageravano le
originali bellezze, ne tentavano le più strane imitazioni, e ne
pubblicavano confuse raccolte, venne trascurato lo studio prin-
cipale^ vale a dire il grammaticale ed etimologico, il quale do-
vea porgere la norma per lo stabilimento della lingua nazio-
nale. Se sì eccettuino alcune osservazioni grammaticali fatte al-
l' occasione nelle Memorie sin qui mentovate, nessun tentativo
speciale, per quanto ci consta, venne intrapreso, onde stabilire
i cànoni fondamentali dell'antica lingua di Provenza. Né pos-
siamo attribuire a questa medesima lingua i Saggi di Vocabo-
lario per la prima volta compilati da Borei, Lacombe, Jeaa
Francois e simili, nei quali, più che la lingua provenzale, eb-
bero parte i dialetti della Francia settentrionale, fi lavoro di
Borei ^ non è se non un indigesto ammasso di notizie riunite
senza critica e senza ordine, e tratte piuttosto dai manoscritti
settentrionali. Il Dizionario di Lacombe ^ è una pura compila-
zione di voci tratte dai Dizionarj di Trévoux, di Le Roux, di
Joinville, di Barbazan, aggiunto alF Ordene de Chevalerte, e
d' altri, e quindi è presso che estraneo alla lingua provenzale.
Finalmente il Dizionario del monaco Benedettino Jean-Francois,
sebbene decorato del pomposo titolo di Dkiionnaire Roman^
Wallon , Celtique et Tudesque ^, porge solo una scarsa ed
arida lista di antiche voci francesi, tratte da Borei e da Ober-
i Trésor de$ recherches et antiquités gauloises et fran^oises réduites en
ordre cdphabétique, ecc. Paris, 1655, in-i.
S Dictionnaire du vieufs langage jfranfois. Parùy 1766. Voi. S, in-S.
3 BouUhn, 4777, ia-4.
SULLE LINGUE ROMANZE. 135
lin S arrestandosi appena ad alcuai costumi peculiari del Du-
cato di Lorrena e delie Fiandre.
E perciò lo sviluppo degli studj sulle lingue occìtaniclie venne
differito sino ai tempi nostri» nei quali vi diede valido impulso
la nuova scienza comparativa delle lingue, dirigendoli per vie
più brevi a più nobile meta. Infatti solo ai nostri giorni com-
parvero per la prima volta nel Parnasse occitanien \ per
opera di Rochegude, le scelte poesie provenzali, corrette sulle
migliori lezioni, 'corredate di notizie, intorno alla vita ed alle
opere de' rispettivi autori^ e chiarite da apposito vocabolario ;
solo ai nostri giorni il celebre Roquefort, riunendo con molta
doUrina in uh sol corpo tutte le ricerche di quanti il prece-
dettero sui dialetti meridionali e settentrionali , le coordinò nel-
r eccellente Glossario della lingua romanza, che gli valse poi
dì guida nella compilazione del Dizionario etimologico della pa-
tria favella '. Finalmente solo a' di nostri il celebre Raynouard
aecingevasi air immane lavoro che gli fruttò V ammirazione dei
contemporanei, ed al quale pur troppo non bastò la laboriosa
saa vita.
Quest' opera pregevolissima, la sola che, abbracciando quanto
esclusivamente appartiene alle lingue ed alle lettere occitaniche^
ne porge un compiuto prospetto, incomincia con una lunga
ed erudita introduzione, diretta a svolgere Y origine e la
formazione di quella lingua, porgendone al tempo stesso
r analisi grammaticale sino al X secolo. |Iu sèguito, la rap-
presenta in tutta la sua pompa , con una doviziosa rac-
colta delle migliori poesie, ordinando cronologicamente e sepa*
rando le amorose dalle storiche e dalle religiose. Quindi porge
la grammatica comparativa di tutte le lingue latine, ove prende
1 Essai tur U patoit lorrain dés environs du eomté du Ban'de-^a-Ro»
che, suivi d'un glossaire patois-lorrain, Strasbourg, i776, io-8.
2 Le Parnats9 Occitanien, o« choix de poésies originales det Troubadours
tirées des manuscrits nationaux, Toulouse, 4819, ia-8. A corredo di quest'o-'
pera, T editore Rochegude ha nello stesso tempo pubblicato la seguente:
Essai (firn vac^Maire occitanien, pour servir à VinteUigenee des poésies
des Troubadours, Toulouse, 1819. in-8.
3 Roquefort'flaméricourt, Glossaire de la langue romane. Paris , 1808.
Voi. 9 , ia-8. -^ Dictionnaire 4tymologique de la langue fran^aise, ecc. Paris,
m». Voi. S, in-«.
iZi STl'OJ
ad esaminare eziandio alcuni dialetti italiani; e Onìsce con nii
vasto Vocabolario occitanico, arricchito di note etimologiche, di
filologiche osservazioni e di copiosi esempj. La vastità di que-
sto lavoro, r immane congerie di notizie i\i raccolte ed i molti
sacrifizi, cui Fautore dovette soggiacere, bastano a raccoman-
darlo alla riconoscenza dei posteri; e già l'Europa intera gli
ha tributato unanime il giusto premio, proclamandolo il più
gran monumento innalzato sinora all'idioma ed alle lettere oc-
citaniche. Ciò non pertanto, mentre noi faceiam eco alF unanime
giudizio di tanti studiosi, non possiamo intralasciar d'avvertire
alcune mende principali, che potrebbero essere per avventura
di grave nocumento al progresso della scienza.
Raynouard era f(H*nito di grande ingegno, versato profonda-
mente in ciò che più davvicino collegasi al suo argomento, so-
pra tutto paziente, leale e bramoso di giovare alla scienza più
che di gloria; se non che egli era fondalo ancora sulle vecchie
instituzioni, delle quali professava i pregiudizj, senza aver il co-
raggio di svincolarsene ; egli ignorava la maggior parte delle an-
tiche, non che delle moderne lingue, indispensabili al disimpegno
della vasta sua impresa; e, digiuno delle teoriche generati della
scienza comparativa, non seppe sollevarsi a quell'altezza; donde
solo, spaziando per più nasto orizzonte, si possono determinare
con certezza i rapporti delle romanze colle antiche e colle mo-
derne lìngue d'Europa. Quindi, finché troviamo il benemerito
autore occupato a raccogliere ed ordinar monumenti, a scoprire
ed interpretar manoscritti, riducendoli alla vera lezione e de-
purandoli dagli errori degli amanuensi; finché lo scorgianv) in-
tento a radunare notizie atte ad illustrare il suo tetoia, e a porre
in chiara luce le astruse e più spésso favolose vicende de
suoi eroi; finalmente finché lo risguardiamo qual lessicografo,
egli é sommo, paziente, instancabile, profondo conoscitore della
lingua che illustra, e leale i/iterprele de', suoi monumenti; ma,
quando ci si affaccia come grammatico, e, ragionando sui rac-
colti elementi, instituisce confronti, o detta novelle teorie, il suo
criterio vien meno, e le induzioni, del pari che le premesse^ so-
vente sono fallaci. Per ciò appunto, nel tempo istesso in cui è
inteso alla ricerca dell'origine della lingua occitànica, egli si
fonda, senza avvedersene, sulla vecchia. gratuita supposizione, che
la risguarda siccome una successiva corruzione della latina. Fon-
SULLE LIKCIUe ROMANZE. 135
dato sa questo principio, egli prende in esame antichi monu-
menti estranei alla lingua occitanica, fra i quali i troppe volte
mentovati giuramenti dei Carlovingi, alcune leggi dei cali6 di
Spagna, o documenti di guasta latinità, che non si devono con-
fondere con veruna lingua romanza, meno ancora colla proven-
zale; e, procedendo in tal guisa sino ai più puri monumenti
occitanici, stabilisce la derivazione dì quella lingua dalla Ialina,
e determina il tempo della sua formazione verso il X secolo ,
vale a dire, quando incominciò ad essere scritta in sostituzione
alla latina.
Per sìhhIì ragioni, di mano in mano che s inoltra nelf ana-
lisi grammaticale, egli scorge dovunque flessioni e forme latine
mutilate od alterate, e quindi l'uso delle preposizioni e dell* ar-
ticolo nel latino, del pari che nel provenzale ; e trova Tarticolo
persino nella lingua gotica, sebbene gli scarsi frammenti super-
stiti non ne serbino veruna traccia. Per modo che tutta la
saa grammatica è una continua serie d'ingegnosi ^ sforzi , coi
quali tenta ridurre la liàgua provenzale alle forme della latina,
e, dove quella assolutamente si oppone, con facile transazione
riduce la latina alle forme occitaniche.
Ciò non pertanto, egli è fuor d'ogni dubbio, che, qualora quel
benemerito filologo, spogliandosi d'ogni vecchia prevenzione,
avesse con saggio accorgimento considerata la radicale ed in-
trinseca discrepanza di forme tra quelle due lingue; qualora
avesse notato a parte il ragguardevol nùmero di radici primi-
tive proprie dell'una e dell'altra lingua romanza, ed ignote od
estranee alla latina, e, rafforzandosi più sui fatti che sulle con-
ghietture e sulle induzioni, avesse istituito confronti colle anti-
che lingue dell'Europa meridionale, avrebbe riconosciuta la ri-
motissima origine di quella che imprese ad illustrare, ed avrebbe
potuto con maggior fondamento determinare quanta e quale
influenza esercitassero a vicenda in tempi diversi le favelle ro-
manze sulla latina, e questa su quelle. Non essendo ora nostro
scopo il porgere una circostanziata analisi del prezioso monu-
mentale lavoro del celebre Raynouard, ciò che d' altronde richie-
derebbe un lungo trattato speciale, anziché un cenno in fugace
dissertazione, ci basterà d'^aver fissata l'attenzione dei nostri lettori
suir importanza di quell'esìmio lavoro, e d'aver almeno propo-
136 . STfJOi
sta uua prudente diffidenza intorno al sisteiHia nel medesimo
prestabilito.
Il generale favore, meritamente accordato in Europa agli scritti
dei Raynouard, destò più intenso T amore per questi studj, i
quali, fecondati dalle nuove dottrine linguistiche, diedero orione
a nuovi pregevoli scritti. Per tacere dei minori, farem men-
zione delle profonde Observatìom sur la langm et la litiéra-
ture provengaleSf di Guglielmo Schlegel ^ nelle quali, prendendo
a disamina le precipue questioni con vasta erudizione e pro-
fonda cognizione dì molti idiomi, mentre pagò al Raynouard
ingenuo tributo di lode, ne rettificò alcune mende, ed espose
quest'argomento sotto più nobile aspetto. A^cceaneremo ancora
agli studj sulla poesia provenzale instituiti in Germania dal fi-
lologo Diez 3, che arricchì Ja scienza di materiali e di osser-
vazioni novelle; al quadro comparativo delle moderne lingue
latine apprestato da Diefenbach ^; ed agli Elementi di Gram-
matica Provenzale pubblicati dal signor Adrian. Né passere-
mo per ultimo sotto silenzio i sudati lavori del benemerito no-
stro italiano Giovanni Galvani, che, sulle traccie del Raynouard,
e sorretto da profondi studj sui monumenti occitanici inediti,
superò tutti i suoi connazionali in quest'arringa.
È noto, come sin dalF anno 1829 egli pubblicasse in Mo-
dena le sue Osservazioni sulla Poesia dei Trovatori , nelle
quali porgeva per la prima volta agii Italiani uua compiuta
notizia di quella poetica, sviluppandone i metri, illustrandoli
con una ragguardevole raccolta di componimenti, ed intessendo
quindi con vasta erudizione T istoria pratica della letteratura
occitanica. Or sono due anni, dacché, riprendendo i suoi studj
orditi sopra scala più ampia, egli pubblicava nella nostra Mi-
lano il Fiore di storia letteraria e cavalleresca della Oceita-
nin in un grosso volume, che, unito ad un secondo sulla bio-
grafia dei prindpalt Trovatori, deve predisporre i suoi conna-
zionali ad un più esteso sviluppo della stessa arte poetica, che
si propone in séguito riprodurre. Dal metodo seguito in quesUi
i Pariti 4848, in-8.
2 Die Poesie der Trouhadowré^ nach gedruckien und .handschrifUicken
Werken derselben dargestellt, Zwickau, 4826, in-8.
3 Ueber di$ jetxigen romanisehen Sehriftspraehen, Leipzig^ 4834, in 4
SULLE LiNfiUB HOMANZR. 137
nuova prodazione chiaro apparisce^ come, valendosi delle posi-
tive speculazioni di quanti il precedettero, il chiaro autore av-
visi di dar nuova forma al soggetto, e rendere il suo lavoro
originale italiano, ordinandolo in epoche distinte, corredandolo
dì nuove osservazioni, ed apponendo ai componimenti occita-
nici r italiana versione. Ciò basta ad assicurare al signor Gal-
vani distinto seggio fra i benemeriti della patria comune, ed a
raccomandare agli studiosi la sua malagevole impresa, compiuta
la quale, non farà più mestieri agli Italiani d'andar mendicando
allo straniero le notìzie sulla lingua e sulla letteratura occi-
tanica.
Se non che, noi vorrenmio, e ciò sia detto in buona pace
dell* autore, al quale attestiamo pubblicamente riconoscenza e
stima, che, come seppe valersi con sana critica dei precedenti
studj nello sviluppo dato ampiamente -alle ricerche sulf indole
di quella letteratura, cosi avesse messo a profitto le più ele-
vate speculazioni ed i canoni positivi della scienza comparativa,
neir applicare le proprie osservazioni air origine deir italiana fa-
vella; dappoiché non solo egli non seppe svincolarsi dal men-
tovato pregiudizio, onde la lingua romanza rìsguardasi come
rampollo della latina, ma, quasi obliando come quella venisse
trasportata dalle aquile . romane in Occitanta , vi attribuisce
troppa influenza alla formazione ed alio sviluppo deir italiana.
Le opere sin qui brevemente accennate, alle quali potremmo
aggiungere una serie di Memorie e monografie sparse in varj
giornali letterari!, si riferiscono esckisivamente alla lingua e lel^
teratura occitanica, alla quale contese per lungo tempo il pri-
mato, pei numero e per V importanza de* suoi componimenti,
quella del romanzo d'oil^ ossia gallico settentrionale; dappoiché,
se r Occitania vantò un* eletta schiera di Trovatori , anche la
Normandia e la Borgogna ebbero alla lor volta copiosa serie
di Trovieri. Né la congerie superstite delle loro produzioni ri-
mase lungamente infruttuosa per gli Academici francesi, quando
impresero a rintracciare le origini della propria lingua. Infatti
quel medesimo zelo, con cui furono pubblicati ed illustrati i
monumenti della lingua d'oc, animò parecchi filologi francesi a
porre in piena^ luce quelli della lingua d'oU: Sono celebri tra
questi le Leggi di Guglielmo il Conquistatore, più volle pub-
blicate ed illustrate ; il poema di Carlo Magno, conosciuto col
i 58 STUDJ
titolo: Voyage de Charlea Magne à Jérusalem et à Constan-
linople, pubblicato con note e con un glossario da Francesco
Mìofaél S editore di parecchi monumenti letterari del medio
evo; e il rinomato romanzo della Rosa di Guglielmo Lorris \
che vanta molte edizioni e vari illustratori. Aggiungansi le rac-
colte di Novelle, distinte col nome di Fabliat^y pubblicate da
Le Grand , Barbazan , Méon e Jubinal ^ ; la Bible Guiot de
ProvinSf illustrata dallo stesso Barbazan ; il Romanzo di RovSy i
Lai di Maria di Francia^ riprodotti ed illustrati da vari studiosi,
ed altrettali ; e sarà abbastanza chiaro , come alla copia dei
monumenti dell' antico idioma settentrionale corrispondesse io
Francia anche il numero degli illustratori. Assai più lunga tor-
nerebbe dopo di ciò Fìmpresa di annoverare le parziali mono-
grafie sulla lingua de' Trovieri ^ 9 gli autori che ne ragiona-
rono per incidenza, come fece il Fabri neir^lr^e retorica^ Gar-
pentìer nelF isioria di Cambrai , ed altri, in opere di varia
natura. D'altronde questi eruditi intesero piuttosto ad illustrare
r antica letteratura nazionale, a schiarimento delia storia e dei
costumi del Medio Evo, anziché a svolgere l'origine e la for-
mazione della favella d'oi/; la quale per mala ventura non
trovò alla sua volta un Raynouard, che imprendesse ad ana-
lizzarne di proposito la grammaticale struttura,, le radici, se
si eccettuino' le considerazioni filologiche del sullodato Roque-
fort, e le Osservazioni pubblicate a parte daUo stesso Raynouard
sul Romanzo di Roux. Questo difetto di speciali trattati anali-
tici sulla più influente fra le lingue romanze devesi sopra tutto
attribuire alla falsa supposizione da secoli prevalente in Francia,
là quale considera l'idioma francese e l'occitanico siccome cor-
ruzioni accidentali del latino ; né alcuno si curò mai di rin-
tracciarne altrove l' origine , se si eccettui il delirante stuolo
i LondreSf 1S36, io- 8.
2 Le Roman de la Rose, commencé par Guillaume de Lorris, et achevé
par Jean de Meung, In-folio fig.
3 Fabliaux et contea dee i^." et 13.* siècles traduitspar Le Grand d'Aus-
3y. Paris, 1779. 4 voi. ÌD-8. — Fabliaux et contea des poètes frangais des
42.» 13." 14.« et 15.* siècles, par Barbazan. Paris, «808. 4 voi. ÌD-8. — Noti-
veau recueil de Fabliaux publiés par Héon» Paris^ i^%'^. 2 voi. ia-8. ~ Aou-
veau recueil de contee dite Fabliaux etc» mie au jour par JubinaL Paris,
1839-42. 4 voi. ia-8.
SULLI L1N6UB ROMANZI. 159
dei Balletisti , che tentarono rìdarre a puro cellicismo , colla
lingua del Lazio, eziandio quella dei Fenici e dei Caldei.
Se reca sorpresa questa negligenza <li tanti filologi francesi
nel rintracciare le origini di loro lingua, a più forte ragione
dobbiamo stupire considerando, come gli Italiani, che primeg-
giarono sempre fra le nazioni d'Europa nelle filologiche disci-
pline, e presero tanta parte nelle illustrazioni delle lingue ro-
manze straniere, massime dell' occitanica, trascurassero. in ogni
tempo la propria , e ne lasciassero perire i monumenti , sjsnza
quasi avvertirne resistenza! Eppure egli è fuor d'ogni dubbio,
che ritalia, del pari che tutte le provjncie latine, ebbie alla
sua volta le proprie favelle romanze, che precedettero d'al-
i]uanli secoli, e poscia diedero origine alla favella aulica gene-
rale ; e furono scritte e vaalarono poemi , canzoni e prose
d'ogni specie, sebbene la Ialina perdurasse nella penìsola più
a lungo che altrove, e quantunque parecchi Italiani preferis-
sero talvolta , come avvertimmo , il linguaggio de' Trovatori.
Ce ne fa testimonianza l'esule fiorentino^ il quale rammenta
alquanti scrittori a lui precorsi, veneti, lombardi, emiliani, ro-
mani, càlabri e siculi; e rammenta pure componimenti da lui
medesimo rivedati , dei quali più tardi non si rinvenne vesti-
gio, scritti nei diversi italici volgari.
Di tanti preziosi monumenti, alcuni dei quali, la Dio mercè,
tuttora esistono, e dov« a preferenza i nostri filologi avreb-
bero dovuto rintracciare le origini e la formazione del no-
stro idioma , troviamo ap()ena riprodotti i titoli nelle svariate
istorie della patria nostra letteratura ; né alcuno si curò mai
farli di pubblica ragione, lasciando altrui la cura di trarne gli
opportuni vantaggi. Nessuno , per quanto ci consta , venne di
proposito, o per incidenza illustrato, se si eccettui il Tesorelto
del Latini, scritto piuttosto in lingua provenzale che italica; o
il suo sconcio Pataffio^ che, pervenutoci guasto e travisato dal-
l'ignoranza dei copisti, fu reso affatto inintelligibile dall' insuf-
ficenza dei commentatori. Né dobbiamo annoverare fra i primi-
tivi componimenti romanzi le molte poesie, onde compoogonsi
le raccolte delPAIIacci, del Crescimbeni, o del Giunti, nelle quali,
anziché il puro romanzo italico, ravvisiamo i primi tentativi di
stabilire in Italia una lingua di general convenzione, dappoiché
Toscani, Napoletani e Siculi vi fanno uso d*uno stesso linguag-
140 tTU0j
gio. Il solo scrittore che, persuaso deirioiftorlanza degli antichi
monumenti, porgesse un puro modello del patrio romanzo, si
fu il dotto archeologo Giovanni Brunacci, il quale sul declinare
dello scorso secolo pubblicò in Venezia un singolare poemetto,
scritto in volgare padovano, rinvenuto fra le tarlate pergamene
di que* pubblici archivj , ove una sposa derelitta lamenta la
lontananza del marito per la Crociata bandita da Urbano IV ^
Quel benemerito scrittore, illustrando con filologiche osserva-
zioni il prezioso monumento del 1300, mostrava a' suoi conna-
zionali quanta luce potrebbesi spargere per tal modo sulle ori-
gini della patria favella, ed accennava, come altri monumenti
di simil genere giacessero obbliati nei patri archivj. Ma il suo
nobile esempio non ebbe imitatori^ e, peggio ancora, il suo li-
bro ridotto omai a pochi esemplari, e quasi del tutto obbliato, è
nolo appena a pochi studiosi, più forse per accidentali citazioni,
che non per lettura propria.
Né dobbiamo attribuire la presente scarsezza di sifìTatti mo-
numenti all'opera delle frequenti invasioni dei barbari, o alle
rappresaglie delle fazioni , che devastarono tante volte il no-
stro paese; ma sibbene all'incuria dei nostri; peggio ancora al-
l'insana avidità dell'oro, che^ eziandio negli ultimi tempi, arric-
chì le biblioteche oltramont9ne dei più preziosi codici de* no-
stri padri.
Non ha guari, che il manuscritto originale, ove racchiu-
devansi gli svariati componimenti poetici di frate Buonvicino da
Riva, esisteva in Milano in una claustrale biblioteca, colla quale
per mala sorte scomparve, né più se n' ebbe notizia. In simi-
gliante maniera scomparvero altri preziosi manoscritti, che a
nostra vergogna vedianro notati nei cataloghi delle biblioteche
britanniche e francesi; e cosi spariranno quelli che ci riman-
gono, obbliati nei nostri archivj pubblici e privati, se ci sta-
remo ancora colle mani a cintola, contenti delle stucchevoli po-
stille del Dante o del PataflBo^ aspettando che gli stranieri in-
tessano la storia ragionata di nostra lingua, pubblicando quei
4 Lezione d* ingreeto neW Accademia de* Ricovrati di Padova del signor
abate Giovanni Brunacci, ove si tratta delle antiche origini deUa lingua
Volgare de' Padovani § d'Italia. Venciia, i7&9« iii-4.
SULLE LIIIGUB ROMANZE. 14t
materiali medesimi che ci banao carpiti. Ma qui^le strazio non
faranno essi di monumenti, che non possono intendere^ né ap-
prezzare? Ce ne porse pur ora cliiaro un esempio il dotto filo-
logo inglese Bruce-Wbyte nella Scorta <klle lingue romanze^
per lui dettata in lingua francese, e testé pubblicata a Parigi ^
Si è questa , a nostro avviso , la miglior opera sioora venuta
in luce su quest'argomento; la sola che, abbracciando un mas-
simo numero di positive notizie* ed estendendosi a tutte le lin-
gue deir Europa latina, (la sola portoghese eccettuata), svolga
con fina critica e profonda penetrazione le più controverse que-
stioni vitali, e sollevi Timportante subbietto al livello della scienza
moderna; noi quindi raccomanderemo questo lavoro ai nostri
connazionali, siccome quello che, procedendo spoglio di pregiu-
dizi, atterra colla scorta dei fatti e del raziocinio i vecchi er^
rori, e solleva finalmente lo studioso a contemplare dalfalto il
vasto campo delle origini e dei rapporti delle lingue. Ciò nul-
ladimeno non ci ristaremo dal lamentare Io strazio per lui
fatto degli antichi monumenti d'ogni lingua, e sopra tutto dei
nostri.
Gettiamo un velo pudico sulla sua introduzione alla storia
della letteratura lombarda, ove, cacciando la Lombardia niente
meno che oltre T alpi ed oltre mare, cosi si esprime : Quii-
tant paur un moment il bel palese ch'Appennin parte, ci inar
circonda e fAlpe, nous sommes obligés de diriger nos poè
vers le Milanais , et d'examiner^ ecc. K Similmente taceremo
lo strazio per lui fatto dei nomi proprj, specialmente degli italia-
ni, giacché in tal materia invano avrebbe egli osato disputare il
vanto ai Francesi od ai Germani. Restringendoci quindi alle
sole citazioni dei monumenti, accenneremo, per cagion d'esem-
pio, alla illustrazione dall'autore offertaci di alcuni brani d'un
poemetto di Frate Buonvicino, del secolo XIII. È questo inti-
tolato: De le zinquanta cortexie da tavola; ed é un interes-
sante Galateo per chi siede a mensa , nel quale sono cliiara-
meute descritti i costumi di quel tempo. Sebbene T originale»
i Hittoìre des langues romane» et de leur littérature deputi ìeur origine
jusqu'au XIV.* si^ele , par M. A, Bruce-Whyte. Paris, i%U,\ol 3, ia-8.
3 Veggasi nel 3.* Tolume, pag. iS3.
143 STUDI
come accennammo, andasse di fireseo smarrito, per buona ven*-
tara se ne conserva ona copia, comecché alquanto inesatta,
nella Biblioteca Ambrosiana; dalla quale T Autore ne trasse una
seconda di gran lunga più inesatta e fallace. Ecco la prima
cortesia, o cànone di civiltà, come trovasi da lui riportata:
La primiera è questa : Che quando tu è a men$a
Del poener lexegnoso imprimamente inpenta ' '
Che quando tu pesi lo poener tu pasci lo to Signore
Che te posterà poxe la toa morte in Uj eternai dolzore.
Accintosi quindi colla miglior volontà del mondo a svolgere
questo bizzarro indovinello , senza avvedersi che le difflcoltà
scaturivano dalla mala lezione del codice, il chiaro Autore cor-
redò alcune voci di note etimologiche, facendo derivare ;;oener
dalla voce latina poena; T altra lexegnoso pure dalla latina
leignoms ^; sicché finalmente procedette alla seguente tradu-
zione da lui medesimo con più sano accorgimento denominata
congetturale: Voici la première: Lorsque wus vous asseirez à
table^ pemez (Tabord à vos vils. péchès, et quand vous les
aurez bien pesés , priez le Seigneur quaprés votre mori il
vous place dans la félicité éternelle.
Quanto^' lontana dal vero sia questa interpretazione, lo atte-
sta bastevolmente la seguente lezione per noi trascritta fedel-
mente dal codice istesso:
La primiera i questa: Che quando tu è a mensa.
Del pò ver bexognoso imprimamente inpensa;
Che quando tu pasci lo povero^ tu pasci lo to' Segnare,
Che te paseerày poxe la toa morte, in lo eternai dolzore.
Appunto allo scopo di emendare i molti e gravi errori di si-
mil fatta, dair Autore commessi nel riportare saltuariamento altri
brani di questo interessante poemetto sinora inedito, e più an-
cora nella fiducia di chiamare Fattenzione degli studiosi alFim-
i Veggasi neir Opera ciuta, yol. 3.^ pag. 484.
SULLE LINGVK HOMANZE. 143
pariaoza dei nostri antichi monumenti, abbiamo avvisato far
loro cosa grata, pubblicando pfer la prima volta e per in-
tero questo poemetto del Buonvicino , con alquanta fatica per
Doi copiato fedelmente dall' inesatto manoscritto d'ignorante
amanuense, quale conservasi neUa nostra Ambrosiana bibliote-.
ca. Dobbiamo imperlanto avvertire che, in onta alle diUgenti
cure da noi poste nel decifrare quello scritto sovente oscuro
e fallace, trovammo alcune voci di forma strana e di signilSca-
ziooe a noi ignota , ciò che per avventura deveà attribuire a
colpa del copista medesimo. Checché ne sia, anziché procedere
in coagetlure, abbiamo preferito per ora trascriverle quali ci
si aifaccìarono nel codice, poche essendo di numero, e tali da
non poter nuocer punto alla chiarezza delF intero poemetto.
Per simiglianti ragioni abbiamo soggiunto il poemetto sincrono
in romanzo padovano, riferito dal Brunacci, e per noi ridotto a
più chiara lezione, ed una breve cronaca scritta nello stesso tempo
in romanzo siciliano, onde, posto a riscontro il romanzo lombardo
col più vicino e col più lontano della penisola, appaja evidente la ri-
mota discrepanza delle lingue parlate in Italia, e Tantichilà delle
forme caratteristiche rispettive. Lasciando per ora alla perizia de*
nostri filologi la cura di svolgerne le preziose induzioni e di ap*
plicarle alla scienza comparata, ci gode l'animo di poter an-
nunciare, che, a malgrado della distruzione e dispersione di tanti
nostri monumenti , ne resta ancora bastevoi suppellettile ne-
gli archivj, da poter intraprendere con fondamento la nuova
illustrazione delle origini di nostra lingua ; che anzi una rag-
guardevoi serie di poesie e prose inedite, anteriori al secolo ter-
zo-decimo, fu già da noi apprestata per la stampa, a corredo
d'ano scritto su quell'importante argomento. Nell'assoluta in-
digenza d'opportuni materiali e di sludj preparatorj, valgano
adunque di Saggio i monumenti che qui soggiungiamo, e possa
quest'esempio essere sprone agli studiosi, onde salvare dall' ob-
blio le preziose pergamene tuttora sepolte negli archivj.
Ci resterebbe a parlare degU studj intrapresi ad illustrazione
delle altre lingue romanze, le quali non occupano minor parte
delle accennate nell'Europa latina; ma per mala ventura esse
non furono, più che V italica , oggetto delle investigazioni dei
dotti. Non diremo della catalana, la quale, formando per lungo
tempo coir occitanica una medesima lingua, fu concessa svolta
ed illustrata ; né molto meno parleremo della retica e della da-
144 STUDJ
ce, che, soggette per luoghi secoli airinflaeosa di barbare lia-
gae^ solo negli ultimi tempi deposero le ruvide lor vesti e eo-
midciarono ad essere scritte. Bensi ci duole di veder colle altre
negletta la romanza castigliana» di cui numerosi mooumenii at-
testano resistenza sin dal VI secolo delfE. V., e della quale
non è meno estesa ed importante T antica letteratura per epici
poemi e storici componimenti. Ciò non p^tanto, per non la-
sciare privo di utili citazioni questo ramo primario della fami-
glia latina, rammenteremo fra i tentativi diretti ad illu-
strarlo, r erudito discorse tn^omo all'origine della lingua
eastigliana premesso al gran Dizionario della R. Àcademia
spagnuoia ; é noteremo fra gli scritti più degni di men-
zione su questa materia: le Origenea de la poesia castellana
di Luigi Vèlazquez ' , la Paleografia spagnuoia di Terreros ^,
le Origenes de la lengua espanola compiiate da Mayans y Si-
scar ', le varie opere, di Sanchez *, le edizioni illustrate del
Cid, e per ultimo la Sioria della lelieralura spagnuoia di Bou-
terwek, tradotta e commentata da Gomez e da Hogalde ^. Tutte
queste opere ciò non pertanto, comecché riboccanti di pre-
ziose notizie e di solidi materiali , mancano di quella critica
filologica, che sola può condurre ad utili induzioni, né lasciano
meno vivo il desiderio di vedere con più elevate mire ìllnstrati
gli antichi monumenti spaguuoli, e svolto il gran problema che
ne forma il soggetto.
Finalmente il romanzo gallego, dal quale scaturì poscia la
moderna lingua portoghese, essendo stato assimilato agli altri
dialetti iberici, prima che fosse fondato il regno di Portogallo,
i Malaga^ i797, ìq-4.
3 Paleografia espanola que contiene todos los modo» conoeidoi, que ha
/ndtido de eseriòir en £$pana, desde su prineipio y fundacion, hcuta el pre^
sente, ec. ce. de Esteve Terreros y Pando. Madrid, 1758. 4." fig.
3 Madrid, 1737. 2 toI. io-S.
4 Coleccion de poesias easiellanas anteriores al siglo XV. Madrid, in^-OO.
4 voi. in-8.
5 La grand-opera di Bouterwek intitolata: Geschichts der Poesìe und
BeredsamkeiU pubblicata a Gottinga dal 1801-{3, contiene un Tolume per la
letteratura spagnuoia, che fu tradotto, arricchito e pubblicato col titolo se-
guente: Historia de la literatura espanola, tradueida al castellano, y adi-
cionada por Don Jozé Gomex da la Cortina, y Don Nicolas Hugalde y
HolHnedo. Madrid, 4819, ìn-4.
$ULLB LINfiCB ROMANZE. 145
venne sempre confasò nel castigliano, né ebbe in verun tempo
monumenti proprj, o speciali illustfatori. li solo Alfonso di Ri-
beira, per quanto ci consta, ne pubblicò aicuni Saggi nel Gin-
foneiro de poetas aniiguos^ e Ribeyro dòs Sanlos ne fece
drìda menifione in un trattalo sull'origine della lingua por--
toghescy del quale sinora fu pubblfcato un semplice sunto.
Ecco in breve mentovati i principali studj apprestatici sinora
dai nostri predecessori ad illustrazione delle lingue roman-
ze; pur troppo da questo rapido pix)spetto emerge evidente
quanto la strada a percorrere sia più lunga della già percorsa,
massime per ciò che riguarda i dialetti romanzi d'Italia; ma
possiamo nel tempo stesso confortarci nel vedervi segnata la
giusta direzione che dobbiamo seguire. Abbastanza Tesperienzsi
e le fallite speranze di quanti d precorsero ci rendono avver-
titi, come alla via delle congetture e dei sistemi debbasi omai
sostituire quella dei fatti e del iora confronto, i fatti sono
chiaramente registrati nei monumenti; la scienza comparata ci
insegna il modo di usarne ; a noi tocca raccoglierli, ordinarli e
pubblicarli, onde possano gli studiosi fondarvi con sicurezza le
proprie speculazioni!
ROMANZO LOMBARDO DEL 1270.
De le lelnqnanta eortesle da tavola
de lira Ben Texino da Riva.
Fra boa Vexiao da riva, che siete io borgo Legniaoo '
De le'cortexie da descho ne dixe primauo < ;
De le cortexie cinquanta che se dea servare a descho.
Fra boQ Vexino da Riva ne parla mo de frescho.
4 Primiero. ^
i46» STvw
.La primera è questa: che quando tu è a ineoas»
Pel povero bexoguoxo imprimameate iapensa ;
Che quan4o tu pasci io povero, tu pasci lo to Segoore^
Cbe te pascià, poxe i I4 toa morte, ia lo eternai dolzore..
La cortesia segoada : se tu sporse aqua alle man»
Adornamente la sporse ; guarda no sii vilan ;
Asay ghe ne sporze, no tropo, quando el è tempo d'jestae;
D'inverno per lo fregio in pizina quantitae.
(a terza cortesia si è: no s\ tropo presto
De corre senza parola per asetare ^ al descho ; ,
Se alchun te invida a noze, aoze che tu sie asetato.
Per ti no prende quello axio 3; d*onde tu fuzi deschasato..
L*oltra è: Anze che tu prendi lo cibo aparegiao
Per ti, over per to mayore, fa sì ch*iil sie segniao.
Tropo è gordo> e vilan» e incontra Crisla malegna
Lo quale atli oltri guarda, ni Io so condugio ^ no segnau
La cortesia zinquena: sta aconzamente al descho^
Cortese, adorno, alegro, e confortoso e fresche ;
1^0 di' sta convitoroso a, ni gramo, ni travachao 7;
Ki con le gambe in erose, ni torto, ni apodiao 8.
La cortesia seseoa : da poy che 1* omo se fiada,
Sia cortese no apodiasse sovra la mensa bandia ;
Chi fa dra mensa podio ^, quello homo non è cortese,
Quando el gh'apodia le gambe, over ghe tea le braxe destese»
La cortesia setena si è : in tuta zente
No tropo mangiare, ni pocbo; ma temperadaraente ;
Quello homo on eh* el se sia <0, che mangia tropo, ni pocho.
No vego qoentro prò fi ghe sia al* anima, ni al c^orpo.
4 Dopo — 2 sedere — 3 seggio — 4 ingordo — 6 piatto, pietanza #-
6 pensieroso — 7 sdrajato — s appoggiato — 9 appoggio — 10 chiunqae
egli sia — il quanto profitl(^.
SULLE LINGUB ROMANZE. H7
La cortexia ogeùa si è: che Deo ii*acrescba,
No tropo imple la bocha, ni tropo mangia impressa;
Lo gordo che mangia impressa, e che mangia a bocba piena,
Quando el isse apellavo i« no yo responde apena^.
La cortexia novena si è: a pocho parlare,
Et a lenire pox qaello che V à tolegio 3 a fare ;
Che Tomo tan fin ch*el mangia, s*el usa tropo a dire.
Le ferguie 8 fora dra bocbtf sovenzo pon insire 4.
La cortesia dexena si è: quando tu è sede 5,
Travonde 6 inanze Io cibo, e furbi la bocha, e beve ;
Lo gordo che beve inpressa, inanze ch'el voja la chana 7
Al*oUro fa fastidio che beve sego in compagnia.
E la undexena è questa: no sporze la copa aPoltro,
Quando el ghe pò atenze 8, s* el no te fesse acorto o ;
Zaschuno homo prenda la copa quando ghe plaxe;
E quando el Tà bendo, Tà de mete zoxo in paxe.^
La dodexena è questa; quando tu di* prende la copa,
Con dove mane la rezeve, e ben te furbe la bocha;
Con r una conzamente sUo se pò la ben rezeve ;
Azò ch'el vino no se spanda, con doe mane di' beve.
La tredexena è questa : se ben tu no voi beve,
S*aIchon te sporze la copa, sempre la di* rezeve;
Quando tu Tà rezeuda, ben tosto la pò mete via;
Over sporze a un oitro eh* è tego in compagaia.
L*oItra che segue è questa: quando tu è alli convivi,
Onde si à bon vin in descho, guarda che tu no t*invrie <0;
Che se iovrià malamente H, ìq tre maynere offende;
£1 noxe al corpo e al* anima, e perde lo vin ch*el spende.
4 Fosse appellato — J tolto, impreso — 3 bricciole — 4 sovente possono
Qscire — 6 bai sete — e trangugia — 7 che vuoti il gorgozzule — 8 quando
vi può giungere. BnOa voce latina attingere — 9 facesse accorto -*- iO non
t'ioebrii — il ubriacarsi stoltamente.
i48 Siro/
La qaindexeaa è questa? teben terao arifa^
No- lera in pè dal deseho, se grande eason no ghe akr;
Tan fin tu mangi al deseho, non di* mof eroi inlora,
Per amore de foro earezo a qoilli che te teraf eno ^n.
La sedexena apresso con t eritae :
No sorbilar f la bocha quando tu mangi con cugial »;
Quello fa sic6m bestia, chi con cugial 8orii>ilia;
Chi doncfaa h questa usanza, ben fa s*d se dispolia.
la desetena apresso si 9: quando tu stranudi»
Oyer ch*el te prende la tosse, guarda con tu l&forl S
In olirà parte te folze, ed è cortexia inpensa,
Azò che dra sarlTa i no^ zesse 8 sor la mehsa.
La desogena è questa ; quando Tomo sente ben sano^
No faza onch*el se sia del companadego pan;
Quello eh' è lechardo de carne, over d*0Ye, over de formagio.
Anche n'abielb d*afanzo, perzò no dt'ì fa stragìo A.
La dexnof ena è questa : no blasma li condugi 7
Quando tu è alli convivi ; ma d), che V ia bon tugi 81
In questa rea usanza multi homint ò za trovao,
Digando : quetto è mal cogio, o questo è mal salao,
E là XX.* è questa: ale toe mehestre ateode;
Entre altra* no guarda, se no forse per imprende
Lo meoistrante, s*el gbe manca ben de guarda per tato;
Mal s* el no menestresse clave e se lovo è bruto.
La XXI.* è questa : no mastrulare ^ per luto
Como avesse carne, over ove, over semiante condugto;
Chi f olze, over chi mastrulia sur lo taliere zerchando,
È bruto, e fa fastidio al compagnon maogiando.
♦ Sorbire — 5 cucchiajo — 8 labbra — A della saliva — 5 gisse; cades-
se—e non dee fare strazio — 7 non biasimare i cibi ^ 8 che se» tulli
buoni — 9 rimescolar brancolando.
«VLLB LIIf6CJ« 4\0MAI!ZB. 149
La XXU/ è questa: no te rese i Tiiaoamente;
Se tu mangi con veran d* ano pan «omunaroente,
Talia lo pan per ordine, -no va taliandQ per luto;
No va taliando da le parte, se tu no voi essere bruto^
I.a XXIII.*: no df metere pan ia vino,
Se tego d* un n^po medesmo bevesse Fra Bon Vexiao ;
Chi vole j)eschare entro vin, bevando d*an napo conmego.
Per meo grao 3, se yo poesse 'no beverave consego.
La XXIIII." è: no mete in parte per mezo lo compagnoa
Ni grelin, ni squela *, se no gbe fosse gran raxon ;
Over grelin, over sqaela se tu vói mete inparte^
Pet mezo ti lo di' mete pur da la Ioa parte^
La XXV.* è : chi fosse con femene sovra tin talier mangiando.
La carne a se e a lor gbe debia esser taliata;
Lo homo de? più esse intento, più presto e bonoreure.
Che no de' per razon ia femena xagonzente. '
La XXVI.* è questa: de grande bontà inpensa.
Quando Io to bon amigo mangia alla toa mensa;
Se tu talie carne, over pesso, over oltre bone pitanie^
Do la più bella parte gbe debie cerne > inanze.
La XXVII.* è questa: no di' tropo agrezare^
L* amigo a caxa tova de beve, ni de mangiare;
Ben df tu receve T amigo e Targhe bella cera,
E darghe lìen da spende e consolare voluntera.
La XXVIII.* è questa : apresso grande homo mangiando ,
Àscalete 7 de mangiare tan fin che 1* è bevando ;
Mangiando apresso d*un vescho *, tan fio ch*el beve dra copa.
Usanza drita prende; no mastegare dra bocha.
^ Non Vadoprare -* 3 per mi^ grado »- S s'io potessi — 4 né scpddla —
* scegliere; dcdla uooa laf«>»a eeceraere -*«6 eccitare — 7 astieati, «essa -*
«^«scov*.
ISO STCDJ
La XXyUII.' è qaesta: so grande homo è da provo i.
No di* beve sego a una bota % anze gbe di' dà logo ;
Chi fosse a provo. d*an vescho, tan fin ch*el beverave.
No di* leva lo so napo, over ch*el vargarave.
E la trentena è qaesta : che serve abia neteza ;
No faxa in Io prexente ni spuda, ni bruteza ;
Al* homo tan fin ch'el mangia, più tosto fa fastidio;
No pò tropo esse neto chi serve a uno convivio.
Pox la XXX.* è questa: zaschun cortexe donzello
Che se vore monda lo naso, con li drapi se faza bello;
Chi mangia, over chi menestra, no de* sofia con le dia;
Con li drapi da pey se monda vostra corlexia.
L*oltra che ven è questa: le toe man siano nete;
Ni le die entro le oregie, ni le man sul chp ' di* mete;
No de* r omo che mangia habere nudritura,
Aberdugare 4 con le die ^ in parte^ onde sia sozura.
La terza poxe la XXX.*: no brancorar 6 con le man,
Tan fin tu mangi al descho^ ni gate, ni can ;
No è lecito alio cortexe a brancorare li bruti
Con le man, con le que jl al toca li condugi.
L'oltra è: tan fin tu mangi con hommi cognosenti.
No mete le die in bocha par destolzare li dengi ^
Chi caza le die in bocha, anze che Tabia mangiao,
Sur lo taUer conmego no mangia per me grao*
La qainta poxe la trenta: U\ na di* lenze le die 9;
Le die chi le caza in bocha brutamente furbe;
Quello homo-^che se caza in bocha le die impastraliate <0,
Le die no in <i più nete, aoae son più brute.
4 Da presso — t ad un tempo — * 8 capo — 4 razzolare ^ 5 diti -^
6 brancolare, accarezzar colle mani — 7 con le quali — S per pulire i
denti ^ 9 leccare le dita — iO le dita impiastricciate — ii sono.
^ULXE LINGUE ROMANZE. l5l
ILn sesta cortexta poxe la trenta :
S'el te fa mesterò parla, no parla a bocfaa piena;
Chi parla» e chi risponde, se Tà piena la bocha,
Apena clipei possa laniare i negota.
Poxe questa yen guest* oltre: tan fin eh*el c«mp&giìo
Avrà lo napo alla bocba, no ghe fa domando ,
Sé ben tu lo to' apelare; de zò te fazo avezudo S;
No rimpagià^, daghe logo tan fin che Tavrà beudo.
Ca XXXVni.' è questa: no recnntare ree novelle,
Azò che quiUi chMn tego» no mangiano con recore 4;
Tan fin che li olir! mangiano, no d) boto 8 angoxose;
Ma taxe, over dì parole clìe siano confortoxe.
lj*oltra che segue è questa: se tu mangi con persone,
No fe remore, ni tapie, se ben gh'avise raxoae;
S' alchun de li toy targasse 6, passa oltra fin a tempo 7,
Azò che quilU eh* in tego, no abiano turbamento.
L* oltra è: se dolia te prende de qualche infermitade,
AI più in poy conprime 84t toa necesitade;
^e mal te senti al descho, no dimostra la pena;
Che tu no fazi recore a quilli che mangiano tego insema.
Pox quella ven quest* oltra: se entro mangiala» vagisse t«
Qualche sghivosa cossa, ai oltri no desisse li ;
Over moscha, over qaal sozura entro mangiai vegando, ^
Taxe, che li no abiàno sghiyo al descho mangiando.
I^* oltra è : se tu porte squelle al descho per servire»
Sur la riva dra sqnella le porexe ti di' tenirc:
Se tu apili t8 le squelle cor porexe sur la riva,
Tu le poy tnete zoxo ha so logo senza oltre che t'ayda <%.
i Balbettare — 2 di eie ti faccio avvisato — 3 non f impacciate — 4 t<-
litezzo-*5 non dire novefle — 6 trascendesse; commettesse mancamento-^
? lascia passere sino a tempo opportuno -» 8 <][uanto più puoi reprimi -*
« « cibo — 10 tu vedessi — 44 non dirle agli altri — 42 sull'orlo della
Modella devi tenere il pòllice — > 4B pigK -^ 14 che t* ajuti>
ìm STCOi
Là .terza poxe la qaaraata si è: chi noi odire:
Ni greliD, ni sqaelle, ni^i^napo ao di' trop' iinpUn;
Mesura e modo de* esse io tute ie cosse 1 che sia ;
Chi oltra zò vargasse, do ave fa cortexia.
L* oltra che segue è questa : reten a ti lo cogiale.
Se te fi tol^gio 3 la s quella per azonzere de lo mangiale;
Se r è lo cugial eotro la squella, lo meaestrante inpifia ;
la tute le cortexie beo fa chi s* asetilia.
L' oltra è questa: se tu mangi con eagial.
No dehie.iufolcire 3 tropo pan eotro mangiale,
Quello che fa impiastro entro 4 ; mangia da fogo S»
£1 fa fastidio a quiUi che ghe mangiano da provo.
L* oltra che segue è questa: s*el to«migo è tego,
Tao fin ch*el mangia al descfao, sempre bocboBa sega *;
Se forse l' ascalasse, ni fosse sazio ancora.
Forse anchora s* ascalarave per yergogna inlora.
L* olirà è : mangiando con oltri a qualche intiamento 7,
No mete entro gnayna ìò to cprtelo anze lempo ;
No guerna 8 lo cortello anie eh* alo compagnon ; .
Forse oltro ven in descho d* onde va no sé raxon.
La cortexia segnent^ è : quando ta ò maogiao 9,
Fa sì che Jesu Xristo nersia glorifieao.
Quel che rezeve servixio d* alchun obedtente.
Se. lo no lo regraUa, tropo è deschognosente.
La cinquantena per la darera ^:
Lavare le man, po]r beve dro bon vino dra carerà ;
Le man poxe lo convivio per poche pan fi lava**
Da grassa e da sozura el in netezae.
i Vi dev'essere modo in ogni cosa; V$tt modus in r ehm d'Qiuzio-
S se ti fia tolta — 3. tu non debba insaccare — 4 ciò che imbratta lo sto*
maco — 5 mangiar da fuoco; modo lombardo che significa mangiare eoo
avidità — • 6 maogia lievemente con lui — 7 invito ^ 8 non riporre; mod^
lombardo — 9 tu hai mangiato — 10 per Ultima;
I
J
SULLE LIRGUI ROMANZE. 193
ROMANZO VENETO DEL 1270.
Laneato d^ana apoaa per la lontananza del marito
ehiamato alle Crociate*
Retponder voi a dona Frìxa
Ke ine cooseia ea la soa guisa»
E dis, k*eo lasse ogni grameza l»
Vegandome ) senza alegreza.
Ke me marto se n'è andao»
K* el me cor cum lai à portao ;
Et eo cum ki me deo confortare,
Fink'el starà de là da mare?
Zamai noi ver el vegnire z.
No ai peata d* envegolire,
Ke la speranza me mantene
Del me Segnor, ke me sovene.
Eq lai è tatto el me conforto ;
Zamai non voi altro deporto;
Ke de lui sol zela me nascer
R*el me fortin noriga e pasce.
El no me par k* el sia luitano t
Tanto m^è el so amore prastmano;
Eo sto en la cambra, piango e phird»
Per tema k' el no sia segaro ;
Ke d* altro mai no ai paura;
E la speranza m* assegura,
i Trìsteza « S veggeadomi — 3 non vedendolo venir maL
154 STDDJ
K'ei de* Tegaire ea questo logo;
Tatto el me pianto torna en zogo,
E i me sospiri yen en canto,
Membrandome ) del ben cotanto^
Veder mia faxa eo mai no qoero ^
En spleco; k*el no fa mesterò;
Ke non ai cura d* esser bela.
Eo men sto sola en camarela,
E an tal ora mei la sala;
No ai que far zo de la scala,
X^è a baicon, né a fenestra;
Ke (rovome luUan la festa
Ke pia desiro a celebrare.
Co guardo en za de verso el mare,
Si prego Deo ke guarda sia
Del me segnor eo compagnia;
E faza sì k* el marìo jneo
Alegro e san sen tome endereo ;
E dono vencea > ai Cristiani ;
Ke tatti regna legri e sani.
Ke quando ai fato questo prego.
Tute el me cor romon entrego %;
1SÌ k* el me viso U, ko sia di^oa,
K* el me segnor tosto seo vegna.
Eo no crerave altro conseio ;
£1 vostro è bon, ma questo ò nieio.
E qaesto me par de tegoire;
Nexun men porave departire«
Le done oidi 6 zò ke la disse;
Nexuna duello coatradisse;.
Anzi fo tegouo tato per bene,
E cosa ke beo se coavene.
E fò eia tene, fé liale,
Cam bona dona e naturale»
Ke la teodó tanta al marto,
i Rimembrando — 2 non cerco mai di vedere il mio volto entro Io spec**
chio ~ 3 e dia vittoria — 4 rimane tranquillo — 6 sicché m'avviso — 6 te
donne adirono.
SULLE LINGUE ROMANZE. Ì5S
K*el 80 deserio fo compho..
Eq verso lui mostra legreza.
Lassando tutta la grameza;
Zamai penser do volse avere.
Se no coni se poes plaxere i
Et el a lei, et eia a lui.
Zilusi i gera entrambi dui;
Mai bo miga de rea creenza ;
Entrambi eran d* una sentenza,
K*i se portava tanto amore,
K' i gera entrambi d* un sol cure.
£1 volse zò k'ela volea;
Et eia zò k*a lui plasea.
No ave mai teozon, né ira,
Ke ben tegnisse da terza a sera.
Questa fo bona zilos^a,
K'el fin amor la guarda e guìa 3.
E questa voi Io pelegrino
Aver da sera e da mattino.
E an no i ave desplaxere,
S* ella volesse ancora avere ;
En verso lui no clian S ella,
K' ancora un poco li revella;
Ma el à sì ferma speranza,
K* el ere* complire la soa entendanza ^;
E far s\ k*ela l'amerà,,
E fé* Hai li porterà.
,, £k li sta col- viso darò,
Quan li favela, mai de raro ;
I aven quella rica aventura
Ke r è s\ alta per natura ;
Ke quando el è da lei apresso,
De dir parole sta confesso S,
E sta contento en lo guardare.
Altro ao ia elsa 6 demandare;
i Se non come potesse piacere — 2 che il vero amore difende e guida —
8 inclinando •— i eh* ei crede raggiungere il suo scopo — 5 è incapace —
9 altro non le osa<
liW STCDJ
E ÈÌ, i flferafe el bei^ qoe din!
Qaerir mercè, mercè qaerire
Mille fiae e pla-eocora,
Se li basCasse tempo e ora.
E ki credi YU k'ella sia?
Eia è de tal beltaecompUa,
K' el QO è miga meraveia,
S* el pelegriQ per lei se sveìa.
Ad A DO devrave'l mai dormile;
Ma pur a lei mercè querire;
Mercè k*ela el degoasse amare»
Ke malamentre el fa peoare.
Mai el non osa el pelegrino;
Tutore sta eoi cavo enclioo;
Mercè no quere; mai sta muto:
Sospira el core^ « arde iato.
ROMANZO SICULO DEL 13ST.
HI la Tinntii di fa re Mpicn Im Catania.
Notizia di lu P. Fr. Atauasia di Aci '•
La viniilsi di lu re Japicù a la gitati ^ di Catania fo la prima
di Maja di l'aDDU 1287 ali* Ave Maria; trasìu ^ per la porta
1 Bgli avrebbe pur che dire I -*- 2 ansi.
3 Questo prezioso monumento si conservò sino -a* giorni nostri nel mona-
stero di San Nicolò TAreha in Catania, al quale appunlo apparteneva 1* au-
tore; e fu pubblicato dal Beoti venga a Palermo Tanno i760, neiropera ioti-
folata: Opuscoli di autori Steiliani^ fra i quali fu appunto inserito e se-
polto. Trovasi fatta menzione di quest* autore nella Bibliotheca Siculo ad
Mongitore , nelle Memorie storiche di Catania di Pietro Carrera , ed in al-
tri scrittori siciliani. L* importanza per altro di questo scritto, màssime (ler
^1i studj linguistici, non ci sembra^ mai abbastanza raccomaDdata.
4 Alla citte ^ 6 entrò.
SULLS LINGUE ROSAliZB« [l^Z
di Jaci , e fcÉ incontratu di tatti li gitatini cu alligrizza ; in^
ehial di tutti viriìa nmltu maleDconicu , pirchl havìa vidutu
multi galeri franzisi vicinu di Catania, e si cridia chi nlxianui^
di la portu di Catania; ma pirchl sti galeri havianu^vioutu
cu r antri Franzisi per terra chiamati* da alcuni nimici, per fari
gualchi movimentu ; ma a la vinuta^ di la re haveodu voluta
feri certa bravarla, foru cacciati. E standu lu re a lu castella
ci foru portati boni novi, e li gitatini stavanu cu l'armi a li
manu, aspéttandu li cumandi di lu re; ed avendu vistu, chi a
li Pranzisi ci atrinixiu sfalla ^, havendu tentatu per mari e
per terra V assautu di la gitati ; Martinu Lopes eriatu di la
re, bomu di grandi ardiri, da subitu dii inlisi> chi li Franzisi
si ritiravanu ad Augusta, zoè, di chi vìnnìru per terra, n ixiu
di Catania cu deci cavalli ali* ammucciuni \ e cinquanta autri
Catanisi cu li balestri e saitli, quali foru Misser Forti Tudiscu
figliu di Giusta Tudiscu ^ e chistu fu lu capu di Y autri , zoo
Franciscu Anìgitu, Petra Puglisi, Antoniu Andronicu, Micheli
Viperanu, Carlu Banaju, Franciscu Rosa, Petra Platania, Ze*
bedea Castruvillarip Franciscu Santunucitu, Ameriu Niculosu^
Petra Ramundettu, Cristofalu di Lau, Xinàeni Costa ,^Muni di
Stefanu, Salvaturi NaQttia, Gurradu Tarantu, Girlandu Riganu»
Rumanu Anigrtu, e li soi frati, e multi autri, quali n' ixeru di
la porta di Chiana, cl.i poi chista porta subitu si murau. Qui-
sti sinni jeru \ per assicutari ' li Franzisi chi fuianu di la facci
di li^ re Japicu; e caminandu a la via di lu xiumi ^grandi, in*
cuntraru un armentu di vacchi, chi la a la via di la^Chiana;
ed una cani, chi si truvau di pressu a li Catanisi, accuminzau
a bajari, ed assicutari li stissi vacchi, i quali accuminzaru a
foiri cu grandi impetu; e li F^anzisi, videndu chista rimurata ^
pirchl era di notti^ accuminzaru ad aviri pagura e, eridendusi
chi era qualchi cavallaria, sinni fuieru; e li Catanisi cu Mar-
tina Lopes spagnolu sìcutarn bravamenli , e cinni ammazzara
chiù di ottanta, e nni pigliaru multi vivi, pirchl li cavalli ii
i Escivano — 2 andò faUito il colpo — 3 di nascosto. — IMtsi che, in
dialetto veronese, mucci significa «i«o; Forse da muti; sicUe mutil 11 Si-
ciliano, come vedrassi più oKre, ha anche il verbo ammucciari per nascM»-
dere, appiattare — 4 se n'andarono ; se ne girono. — Notisi come il dialetto
Siciliano a qael tempo serbasse intera la conjugaxionè de! verbo tre — B in-
seguire - e fiume — 7 rumore.
15d STUDJ
dssicutara a ia cuda, e lì balistreri d* arretu li mura di li vi-
gni, e non si tinnirUy si no li purtara pirfioa a lu iiumi, e li
ficiru passari a mollu ^ pìrchl li Caianisi tagliaru la corda di
la Giarretta \ e smni annigaru mulli di li Fraozisi. La ma^
lina rifireru chislu a lu re, chi sinni pigliau grandi piacili, e
lu successu lu facia cuntari di unu in unu , e poi a talli rir
munerau, e ci dunau dinari ed aulri cosi, ed a Nisser Forti
Tudiscu r onurau cu farilu Goveroaturi di Jaoi.
Lu re stava aspellandu a Ruggieri Lauria, per sicutari li
Pranzisi; chi vinni cu li galeri a Catania, e si fici una gran
gazzara ', e li galeri, clii purtau, foru vintiselti, ed allrì iridici
vinniru di poi; e pure si pigliaru li galeri di 'Catania^ chi eranu
homini valenti di supra, ed in parlìculari Ànloniu la Gurrula,
chi allunava cu li jenchi \ e li vincia ; e sinni ju ad Augusta.
In chistu tempu lu re ascutava a tutti , e si assillava ^ *ntrà
lu curtigliu dì lu caslellu, e dava audieoza a lutti, e facia la
giustizia ; ma vosi ^ sapiri , cui erano quilli chi tinianu la in-
tilligenza cu li Pranzisi, e s' inforuìau di tulli persuni da beni,
e sacerdoti; ed avenduli sapula, fingia nun li sapiri; ma a
tutti niustrava bona cera ; ed havendusi di 3pusdri la figlia dì
Gioanni Munticatinu, lu re ju a li nozzi vistulu di virdi, ac-
cumpagnalu di li nobili di gilali ; 'ma nun ci vosi mangiari,
pirchl havia di spediri a diversi Curreri chi Y aspittavanu, e
BÌnni ju a lu caslellu a cavallu; e a la so spalla ci era la
Baruni di Schitinu, e Pranciscu Brandinu; e junlu a lu ca-
slellu^ truvau a Micheli Protupapa, chi purlava qualtru Pran-
zisi attaccati, chi la sira di Tassautu per paura si havianu
ammucciatu tra li canniti a lu panlanu. Lu re T appi assai a
caru, e delti a lu ditlu di Protupapa quaranta xiurini ^ di
biviraggiu, e ci fici multi carizzi. In quislu sinni acchianau ^ a
mangiari, e si tinia qualtru di Catania cu illu^ di li quali nu
imi lassau n'exìri, zello ^ dui; ma quannu si parliu li lassau,
€ nun si sappi la causa di chistu traltenimentu.
4 A guazzo ; a molle — 2 Giarretta chiamasi anche adesso il fiume Simeto
{Simaethus) celebralo dai poeti — 3 Festa, tripudio. Di qui forse il verbo
gozzovigliare — 4 giovenchi — h sedeva — 6 volle — 7 Fiorini. — Avver-
tasi che il fioriuo siciliano constava di sei tar\, trenta dei quali formavano
un'oncia d*oro — 8 salì — 9 eccetto; tranne.
8ULÌ.B UNGVE R0IIIA1|Z«. f$9
Qoannu vlunìnu li galeri cu Lauria, tutli li gilaftfìi li jeru
a \idiri» chi vinniru la sira di li dudifn di Maju, e si facia uua
festa a la marina ; ed a Ruggieri Lauria si lu pigliau Misser
Antoni Pape di la gitali dì Piazza» homu assai valurusu, ed
amica di lu re, e si lu purtau a lu caslellu accunfìpagnalu di
gran genti ; ed arrivatu, si misi a parlari cu lu re a la fine-
stra UQ gran pezzu. In cliistu vinni unu, gridandu^ chi a la
casa di Cola Yajasinnì ci eranu ammucciati multi Pranzisi; e
ci fu dittu a lu re, quali mandau a vidìri la cosa ; ed arri-
truvau a dudidf Pranzisi. amnuicciati arretu li vutti ^ chi avianu
trasutu ^ di notti ; e ci dicia , chi havianu trasulu ammucciunì
di lu patruni di la casa, chi era di fora ; ed liavenduli misu a
li turmenli separati, ci cunfissaru tulti una cosa : chi havianu
stati chiamati a Catania di alcuni; ma lu re non li vosi appa-
lisari pri allura ; e chissi la notti si haviauu a impatrunirsì
di la porla di la marina, e apriri a li Pranzisi, e lassarili tra-
stri intra. Lu re, saputi chilli chi cunsinteru, pri alhira lu fin-
gh], nun ci pareadu tempu pri risintirisi, pirclii allura a la gi-
tali ci eranu giuviui assai vuluntirusì. In chistu vinni Misser
Luca di Giovanni di Missina. Chistu havia slatu Monacu, e si
spugliau, pirehi nun putia stari seapilli'; e lu re lu mandau^
chi issi ^ a truvari a Lauria , pìrchi chistu giuvinì era assai
valenti, e bravu suldalu, e cunsìglieri ancora. Chistu muriu a
Catania in subitu chi vinni» e lu re lu chiangiu ^, e li fici fari
li esequij.
In quistu tempu lu re stava in grandi ansia di haviri la
vittoria di Augusta ; ma si muslrava allegru ; ed ogni ura si
mannavanu curreri, e lutti li Signuri di lu regnu vinniru a Ca-
tania, e snidati assai, e cavalli, chi paria un reduttu di armi.
^ lu re vulia fari lu parlamenlu pri abbuscari dinari; ma li
Catanisi li desiru ^ quanlu abbisognava, ed una fimmina cai-
liva ^ , chi nun havia figli , dunau a lu re ducentu unzi , e li
so cosi di oru, chi lu re Tappi assai a caru, e ristau cunlenlu.
Quista donna si chiamava Àgata Semìnara. Lu re Japicu sì
partiu per assediari li Pranzisi ad Augusta; ma sinni jeru pri-
* Dietro le botti — 2 erano entrati — 3 senza capelli ; o meglio : col capo
«coperto e tooso — 4 andasse — 6 pianse — C diedero — 7 vedova.
Ì60 STUDi iUtLS UROUE ROMANZI.
ma; e li g«i)li di lu regnu ancora nuu erana femi; chi eoi
dicia ttoa eosa, cui un' aatra ; ina tatti vìnianu inchinati a lu
re Japictt. É veru chi ognuhu slava a lu vidiri , coma ianu li
cosi di lu regnu.
ROMANZO FRIULANO DEL 1105.
Isei'jtelone esistente sul eampanlle di Recln», tUIus-
gìo situato nel frinii, sulla sinistra sponda del
Tagllamento^ tre miglia distante da Vnja i.
MCI II Chrisli Domìni fo chomenzat lo tor de Redus lo
primo di de Z\igno. Pieri e Toni so fradi de Buja.
ì A protAre Fantica esistenza delle lingue romanKe itaUche» e la perfetta
loro coasonanza coi viventi dialetti, abbiamo avvisato di soggiungere ancora
queBtMn^ottante iscrizione, onde soHrUrìa alla distrnsione dei secoli;
VII.
ORDINAMENTO
DEGLI IDIOM[ E DEI DIALETTI
ITALICI
11
Abbiamo annoverato in un precedente Discorso * le straniere
favelle che parlansi tutf ora entro i naturali confini della no-
stra penisola, ed abbiamo accennato air origine, al numero ed
alle sedi prei^ìse delle nazioni che le parlano. Ivi abbiamo ri*-
sguardato come straniere tutte le lingue importate nel nostro
paese, in tempi più o meno lontani^ dai popoli circostanti; ed
abbiamo considerato quali membri dell* italica famiglia i molte-
plici dialetti parlati dair una air altra estremità del bel paese,
comecché realmente alcuni diversifichino fra loro ben più che
la lingua italiana dalla francese, dalla catalana o dalla valacca»
e sebbene in massimo numero derivino dall' accozzamento di
straniere favelle importate, del pari che le moderne, da colonie
approdate in remotissimi tempi sul nostro suolo. Comunque di-
verse infatti sì fossero in origine queste primitive colonie fra
loro, d' indole, di culto, di costumi e di lingua, egli è fuor d'o-
gni dubbio, che sin dai tempi che precedettero la fondazione
1 Vedi retro a pag. 43 il Prospetto topografico statistico delle colonie stra--
««ere d' Italia.
164 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
di Roma, i Tirreni col vasto loro dominio sulh parte inferiore
della penisola , gli Strusci nella centrale , ed i Celti nella set-
tentrionale, erano pervenuti nel volgere dei primi secoli ad
imprimere sopra una massa più o meno grande di nazioni dì-
stinte un suggello uniforme, riunendole a vicenda sotto il ves-
sillo d'un medesimo culto e d'una stessa legge^ e per quanto
era possibile eziandio coi vincoli d'una sola lingua scritta^ la
quale col tempo dovette più o meno influire sulla parlata. Per-
ciò appunto alcuni secoli prima che l'aquila romana spiegasse
il volo oltre agli angusti confini del Lazio, prevalsero in Italia
quattro lingue principali , vale a dire , la greca , Y etnisca , la
celtica e l' umbrica, dalla quale scaturirono più tardi l' osca e
la latina ; e queste quattro lingue furono per lungo tempo ge-
neralmente scritte ed intese, e forse anche parlate , comecché
in differenti dialetti, nelle rispettive regioni, ove rimasero chia-
ramente distinte eziandio varii secoli dopo che tutta la penisola
fu riunita sotto il romano dominio, ed ebbe una sola lingua
scritta, la lingua del Lazio. Oltre ai molteplici momunenti su-
perstiti ed alla concorde testimonianza degli antichi scrittori,
ne abbiamo una prova irrefragabile nella legge Giulia^ la quale
accordava gli onori ed i privilegi della cittadinanza romana a
tutti quei popoli, che nella guerra italica eransi serbati fedeli
alla repubblica; ed era implicita condizione dell'ottenuta citta-
ilifnanza l'adozione della lingua e del culto latino.
Ma questa lingua altro non era in origine , se non un rozzo
dialetto parlato in un angolo d'Italia da una bellicosa stirpe di
rozzi pastori che , depredando i popoli vicini , a poco a poco
divennero potenti, ed aggregandoli in un sol corpo, formarono
col tempo una sola nazione. Ne son valide prove gli informi
darmi saturnini^ gli Axamenta dei sacerdoti salii, i frammenti
delle leggi di Numa serbatici da Pompeo Pesto , non che l' i-
scrìzione della colonna rostrata eretta iiì Roma a Duillio, circa
due secoli e n^zzo prima d'Augusto ; dai quali monumenti ap-
pare manifesto, come la latina favella, comecché costituita sopra
il sanscrito elemento , mancasse affatto di quella regolarità di
forme e di flessioni che assunse posteriormente , dopo che i
retori greci insegnarono ai Romani a modellare sulla loro gram-
matica la propria lingua.
Egli è inoltre assai verisimile , che a formare questa liu-
E OEl DIALETTI ITALICI. ^'^r\ 165
gua universale ed atta a provvedere ai multiformi bisogni di
una grande nazione nascente» ogni singolo popolo aggregato
contribuisse colla propria favella primitiva ad accrescerne i
materiali, introducendovi colle nuove idee pròprie, colle nuove
cognizioni e colle proprie usanze , eziandio i' segni couven*
zìonalì atti a rappresentarle. Ed è altresì naturale e fuor
d*ogni dubbio che, mentre in forza dell* unità del gover-
no, del culto e dell* interesse comune, la stessa lingua a
poco a poco si generalizzava presso tutte le singole popolazioni
italiche, ciascuna dal canto suo dovesse parlarla a suo modo,
vale a dire colla distintiva sua pronuncia, colla propria sin-
tassi , e serbando un maggiore o minor numero d* idiotismi e
di voci proprie della rispettiva lingua primitiva, eleinenti in*
destrultibili, cosi prèsso le rozze come fra le eulte nazioni.
Di qui appunto ebbe origine quella moltiplice varietà di dia*
letti, che distinse in ogni tempo in Italia tanti popoli estranei
fra loro, e le cui discrepanze di suono, di radici e di forma
segnano tuttavia più o meno precisamente i confini della prisca
etnografia italiana. Di qui appare eziandio manifesto, come l'i-
dioma latino , i cui numerosi monumenti furono sempre mo~
dello principale alle moderne letterature, fosse bensì la lingua
generale del governo, del culto e degli scrittori di tutta quanta
la penisola, il centro di perfettibilità», al quale tutti i singoli
dialetti mano mano si andavano accostando , e che , reso og-
getto primario def pubblico insegnamento , divenne eziandio il
solo interprete del foro e della tribuna, e s'insinuò persino
nelle eulte conversazioni; ma restando sempre ciò non pertanto
per sua natura lingua artificiale ed esclusiva degli studiosi, non
potè essere parlato generalmente da veruna singoia popola-
zione.
Nella stessa guisa appunto sorsero e si perfezionarono pres-
soché tutte le moderne lingue scritte d'Europa, Y iialiana,
la francese , la tedesca , T inglese ; la romaica ed altre , attin-
gendo e scegliendo i necessari! materiali ne' varii dialetti ri-
spettivi, che furono sempre esclusivamente parlati né' vari luo-
ghi, sebbene tendessero poi sempre, e tendano tuttavia ad ac-
costarsi alla lingua eulta comune, insegnata e conservata dalle
grammatiche e dai libri , e non mai dalla viva voce d' alcun
popolo privilegiato.
t66 ORDINAMBNTO DEGLI IDIOMI
Tale per avventura fu, a parer nostro, T orìgine della
lingua latina, la quale fece la sua prima comparsa con
veste grammaticale nei drammi dello schiavo greco Livio
Andronico, imitato poscia e superato da Ennio, da Pianto
e da, Terenzio. Sebbene però sin da quel tempo ella divenisse
lingua del governo e degli scrittori, egli è mestieri avvertire
che, non solo il popolo romano serbò poi sempre il proprio
dialetto; ma altre^ le favelle diverse della penisola, ed in ispe-
eie la greca, T etnisca e la celtica, continuarono ad essere
parlate nelle rispettive regioni varii secoli posteriormente, dopo
i quali alia fine la prevalente influenza della lingua aulica ge-
neralizzata valse a modificarne notevolmente la forma ed il
lessico, non già ad estirparne gì' indestruttibili elementi
Della verità di questi due fatti abbiamo non dubbie prove nella
separazione della lingua nobile o scritta dalla romana rustica
parlata, asserita in ogni tempo dagli stessi scrittori romani,
e constatata dalle opere d'Apuleio, di Pesto, di Palladio e di
tutti gli scrittori di comedie, nelle quali Tuomo del popolo
compariva sulla scena parlando il rustico dialetto. Né meno va-
lide testimonianze abbiamo in molti classici scrittori, dai quali
chiaro emerge, come la lingua etrusca sussistesse in pieno vi-
gore qualche secolo dopo Augusto, rappresentandosi in Roma
j»tessa le Atellane in quella lìngua ; come la celtica fosse pa^
lata nello stesso tempo e dopo nelle province transappennine,
e come la greca si conservasse senza interruzione veruna sino
ai tempi moderni in varie parli delf Italia meridionale.
Frattanto la lingua latina , come ogni favella artificiale , segai
tutte le fasi della romana potenza colla quale era sorta, imperoc-
ché solo allora quando Roma , compiuta la conquista d* Atene,
di Tebe e di Corinto, possedette i tesori letterarii deirOriente,
e divenne capitale del mondo incivilito, la prosa latina fa svolta
in tutta la sua eleganza per opera di Crasso, d'Ortensio, di
Cesare e di Cicerone; e solo dopo che pel conflitto di Farsa-
lia al reggimento repubblicano successe il monarchico , i poeti
vi diedero 1* ultima mano, adattandola ai nùmeri ed al metro.
Allora infatti Virgilio porse la latina epopea coW Eneide; Ovi-
dio svolse le allegorie mitologiche nelle Metamorfosi; ed Orazio
tentò gli ardimenti della lirica.
Finché Roma ricevette i ^tributi dell' Asia , delf Africa e del-
E DEI DIALETTI ITALICI. 167
fEaropa, anche ia sua lingua diffusa in tante regioni straniere^
e coltivata da tanti popoli diversi, conservò Talto seggio su cui
le immortali opere d*una schiera d*elevati ingegni Taveano col-
locata ; ma allo splendido secolo d*Augusto successero ì sangui-
nosi regni dei Caligola e dei Neroni, e la musa romana, side-
gnando gli ozi! di Titiro e le fole mitologiche^ converti i brìndisi
ad Augusto ed a Mecenate , i voluttuosi epitalami! ed i cantici
epicorei in profonde meditazioni su) naturale diritto, imprimendo
negli scritti di Lucano, di Giovenale, di Quintiliano, di Seneca,
di Plinio e di Tacito, la severità e la tristezza dei tempi.
Ammutolita sotto Toppressione della tirannide, ricomparve per
un istante, come il lampo nella procella, sotto il pslcifico governo de-
gli Antonini; ma quando Farbitrio militare franse quei nodi che col-
legavano le mire del trono agli interessi della nazione; quando il su-
premo potere venne usurpato da Barbari mercenari!, e le orde
incalzate dal freddo Settentrione inondarono là penisola, costrin-
gendo gii imperatori a trasportare in Bisanzio il crollante lor
trono, anche la lìngua scritta a poco a poco dileguò colla pri-
miera coltura , e Y Italia rimase co' suoi multiformi primitivi
dialetti, mentre i soli apostoli del cristianesimo si fecero depo-
sitari delle lettere latine, consacrandole alla Bibbia ed al
Vangelo.
Alternata colla sorte della latina si fu impertanto quella dei
dialetti parlati, i quali, dopo aver principalmente contribuito a
formare ed arricchire delle proprie spoglie il latino idioma, ri-
masero negletti nei trivii, nelle campagne e fra le domestiche
pareti , durante la lunga carriera di quello ; nel qual periodo ,
come accennammo, furono appena introdotti talvolta sulla scena
a render lepidi i pubblici spettacoli; ma quando la lingua no-
bile scomparve colla nazionale coltura , sorsero di nuovo , e
provvidero ai bisogni della vita socievole , finché giunse un' era
novella, in cui, ricomposto in Italia un nuovo ordine di cose,
contribuirono per la seconda , o piuttosto per la terza volta ,
alla formazione d' ima lingua -generale interprete comune di
tutte le nuove italiche generazioni, alla quale fu data la più
giusta e competente denominazione di italiana.
Infatti quando col romano reggime scomparvero a poco a poco gli
studiosi che sapevano scrivere latinamente, ogni provincia, cosi in
Italia, come in Gallia, in Iberia ed altrove^ per sopperire ai bi-
168 oRpmÀMBNfp DeGLiimoni
sogpi della yUo, ebbe ricorso al. proffriioi diaktlo, al quale volle
pur imprtaiere un grado dì coUura, forzi^ndolo alle forme ed
alle flessioni latine ; .dal che ebbe origiue quella vasta ed im<
.portante, sebben ia generale fiao(»i e tùzm letteratura del me-
dio evo/ la cui liqgufi venne con taqto ingegno e perseverante
.fatica riassunta dal Du. Gange nel suo gran Dizionario, mona-
mento preziosissimo e documenta irrefragabile .della rimota an-
: tichità dejgii italici dialetti. Se non che il mostruoso e ca-
priccioso organismo di. qoell' incondito latino poco inteso del
pari al popdo che ag)i studiosi, ed i continui sforzi necessarii
ad ovviarne la crescente deformità, nell'assoluto difetto di prin-
cipii, di regole e di studii, consigliarono ai più avveduti il li-
bero uso del volgare dialetto, in tutta la sua naturale sempli-
cità, e questo da prima fu svolto nell^ tenzoni e nelle serven-
tesi dei trovatori si italiani che catalani, provenzali, francesi e
castigliani, assumendo il nome generale di lingua romanza.
Ma questa lingua romanza, lungi dall'essere una lingua universale
comune a tutta la nostra penisola, non che alle romane provin-
cBf altro non era, se non il dialetto proprio del paese, dei ri-
spettivi scrittori, più meno forbito e modellato sopra una
norma comune, e quindi variò notevolmente da luogo a luogo,
come consta dai numerosi monumenti superstiti di quell'età;
{Sicché, come abbiamo altrove dimostrato, tante furono le lin-
gue romanze, quanti i. dialetti parlati ip tutta TEuropa latina; e
. perciò appunto , nella classificazione d^ile lingae d' Europa da
noi proposta nell'ai ^tonfó linguistico^ abbiamo riputato necessa-
, rio raccogliere tutti quei dialetti in varii grup{M, cui desinam-
mo coi nomi di romanzo italico ^ gajLUcfhf iberico^ retico e dace.
Ora, i primi i/k Ualia, e forse in tutta T Europa latina,
che sollevassero il proprio dialetto alla dignità di lingua scrit-
ta , furono i Siciliani , dappoiché Federico li e Manfredi pre-
miarono 0: stipendiarono alle, loro corti trovatori nazionali, ed
alternarono cpUa patria mpsa )e cure dello Stato. Carlo. d' An-
giòre di Napoli segui il loro esempio, e poiché Tarte di scri-
,vare n^I proprio dialetto^ e sollevarlo allonore. del verso trovò
mecenati in tutti i principi italiani, ognÌMCÌttà'ebbe presto i suoi
trovatori; imperocché, se in Sicilia, oltre air imperatore Fede-
rigo, e ad Enzo sua. figlio, emeifsero fra gli altri Guido dalle
Colonne e, Iacopo, da Len(|ino, anche Genova ebbe Folchelto,
E DEI DIALETTI ITAUCl. i69
Calvi e Dona; Ti9*ìno, Nicoletlo; Venezia, Giorgi; Padofva,
Brandiuo; Mantova, il Sordello; Faenza, i Pucciola; Bologna,
Guido Guìnìcelii, Ghislieri, Fabrizio, Onesto, Semprebene, Ber-
nardo e Iacopo della Lana; vantò Arezzo il suo Guittone;
Lucca il Buonaginnta; Siena, Folcacchìero » Mino^ Moccato ed
altri; Pisa, Lucio Drusi e Gallo; Pistoia, messer Gino; Todi,
lacopone; Barberino, messer Francesco; Firenze, Cavalcanti,
Brunetto Latini, Guido Lapo, Farinata degli liberti, Dino Fre-
scobaldi ed altri molti; Capua, Pietro delle Vigne segretario
deir imperatore Federigo II; e cosi tante altre città ebbero
scrittori e poeti volgari di maggiore o minor pregio, i cui com-
ponimenti, ed in parte ancora i nomi, furono col tempo
smarriti.
Ma tutti questi scrittori, come accennammo, fecero uso
del rispettivo dialetto municipale, end' è evidente, che, cosi pro-
cedendo, r Italia, priva d' una lingua atta a rappresentare T u-
nità nazionale , e smembrata in tanti piccoli Stati, sarebbe ri-
caduta nella pristina pluralità di lingue; imperocché, mentre gli
uni andavano pulendo il volgare fiorentino, o sienese, altri scri-
vevano il siciliano, altri il napolitano, ed altri preferivano an-
cora il provenzale, o il barbaro latino. La gelosia di tanti Stati
e delle piccole repubbliche già sorte, imponeva a ciascuno Fuso
del proprio dialetto ; né v'era città, che col peso del suo pri-
mato dettar potesse una sola lingua a tutta la nazione.
' Arroge, che ad accrescere le difficoltà deHunione, ed a corrom-
perne in parte i dialetti, eransi già introdotti in Italia stranieri ,
elementi, per opera dei Goti, dei Longobardi, dei Normanni e
degli Arabi, che successivamente la invasero, la devastarono, e
dopo varìi secoli dì dominio vi si sohimersero fra gli indigeni,
non senza lasciar alcune traccio della loro nazionalità ed in-
fluenza.
A liberarla quindi dalla nascente confusione di lingue era
necessario, che un potente ingegno, spoglio di pregiudizii
municipali, rivolgendo i suoi sludii alla patria intera, riu-
nisse in un sol gruppo tanti svariati dialetti, ed estraendone la
parte nobile comune a tutti, o almeno al maggior numero,
fondasse la lingua nazionale , cui s' addicesse a buon dritto il
nome d' ilalica. A tale impresa appunto accingcvasi in sul
principio del secolo XIV Dante Alighieri , il quale , concepito
i70 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
Tallo disegoo, lo espose nel suo trattato del Vulgare Eloquio
e nel Convivio^ lo svolse nella Divina Commedia, e la lingaa
italiana fu stabilita.
Quando F Alighieri scrisse il poema con parole illustri,
e quando nel libro del Vulgare Eloquio ómdannò coloro
che scrivevano un solo dialetto, allora diremo eh' ei fondasse
la favella italiana, ed insegnasse ai futuri la certa legge
d' ordinarla, conservarla ed accrescerla. Cosi avvisava il
Perticari , e cosi • fu : perocché tutta Italia invaghita ben
presto degli aurei scritti dell' esule Gorentino , abbandonò Y or-
goglio municipale, segui a popò a poco l'esempio del grun
maestro, ed ebbe una sola lingua scritta interprete ed ausilia-
re , cosi nelle politiche e nelle civili , che nelle scientifiche e
letterarie lucubrazioni.
Da questo rapido ed imparziale prospetto del successivo
sviluppo linguistico in Italia emerge evidente, come dalla
varietà delle stirpi in origine stanziate nella nostra peni-
sola e successivamente riunite sotto il reggime dei Tirre-
ni, degli Strusci, dei Galli e dei Latini^ traessero origine
in rimotissimi tempi i mohìformi italici dialetti ; come dalla riu-
nione artificiale dei medesimi, imposta dai bisogni della vita
socievole, ed operata per cura degli studiosi, prendessero for-
ma successivamente le lingue scritte convenzionali latina ed
italiana, le quali, mentre dall'una parte scaturendo dalla mede-
sima fonte, contrassero la più stretta affinità fra loro^ dall'al-
tra, mercè la generale lor diffusione su tutta la penisola, con-
tribuirono alla lor volta, nel corso di più secoli, a spargere su-
gli italici dialetti quella tinta uniforme che li rannoda in una
sola famiglia, comunque diversi fossero in origine , e composti
de' più disparati elementi. E ne consegue altresì qual manifesto
corollario, come^ anziché nella latina, T origine della lingua ita-
liana, insieme a quella della latina stessa, e di tutte le italiche
popolazioni^ debbansi rintracciare nei molteplici dialetti della
nostra penisola , fedeli depositarti dei ruderi delle prische fa-
velle.
Ciò premesso, é d'uopo ripetere ciò che abbiamo altrove
dimostrato, come nel volgere dei secoli, prima e dopo la
formazione dell'italiana lingua scritta, oltre agli accennati po-
poli settentrionali, che invasero la penisola, e vi si fusero co-
B DEI DIALETTI ITALICI. 171
gli indigeni, altre straniere nazioni, varcando e rivarcando da
ogni parte le inolili sue naturali barriera, o vi dettassero al-
ternamente le proprie leggi, o vi fondassero stabili colonie che
serbarono in parte incontaminati i costumi e la lingua loro, o
vi consolidassero un potere che in alcune parti durò sino ai di
nostri.
Tali furono precipuamente i Teutoni e gli Slavi , che pe-
netrarono in Italia da? Settentrione; gli Arabi dal Mezzogior-
no; gli Albanesi, i Greci ed i Valacchi dairOriente; { Francesi,
i Catalani e gli Spagnuoli dair Occidente ; per modo che , non
solo r immediato commercio con tanti popoli di differenti lin-
guaggi introdusse nei nostri dialetti radici e forme straniere,
ma vi si stabilirono eziandio nuove lingue , le quali , oltre ai
dialetti indigeni ed all'idioma scritto generale, vi sono in va-
rie parti distintamente parlate.
Quanto alla lingua universale italiana, appena fissata ed eslesa
per tutta la penisola, vi percorse sotto la disciplina degli scrittori
e dei filologi la propria carriera, affatto indipendente da quella
dei dialetti, che, ristretti di nuovo entro i rispettivi municipali
confini, rimasero sempre interpreti esclusivi dei pubblico e pri-
vato commercio d*ogni singola popolazione ; e solo, mentre som-
ministrarono alla lingua scritta alcuni materiali opportuni al suo
progressivo sviluppo, per la continua loro tendenza concentrica
verso la medesima, si vennero mano mano dirozzando, ed avvi-
cinando fra loro.
Sin qui si ravvisa una manifesta ripetizione di quanto
era avvenuto quindici secoli prima, durante lo stabilimento
e la diffusione della lingua latina. Se non che, allora la
necessità d'una lingua generale e comune a tutta la penisola
veniva imposta dalF unità del governo, mentre nei tempi mo-
derni venne determinata dall' inveterata consuetudine delfin-
iera popolazione d' Italia, da quindici secoli affratellata e resa
una sola, prima per opera d* un solo culto e d' una sola leg-
ge, e poscia per un cumulo di glorie, d* interessi e di sventure
comuni. Allora il peso del primato di Roma e dell' Italia cen-
trale impose alle numerose nazioni settentrionali e meridionali,
di favelle assai diverse, la propria lingua, la quale fu solo ar-
ricchita e modificata dai linguaggi dei popoli conquistati; men-
tre nei tempi moderni tutti i dialetti d'Italia, già ravvicinati e
172 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
fatti simili fra loro in tanti secoli dì comuni destini , concor-
sero insieme ed in pari tempo alia formazione della lingua co-
mune. Allora finalmente T universale rozzezza dovette ricevere
la prima norma da nazioni straniere, e la lingua nazionale fu
modellata per la prima volta da grammatici greci, che Fassog-
gettarono a forme ed a flessioni meno consentanee alla matura
della pluralità de' linguaggi parlati ; mentre la moderna litfgua,
formulata da scrittori nazionali su principii comuni a tutta la
nazione, ricevette un orgmismo ed un aspetto molto più con-
corde colla massa dei dialetti viventi. E perciò tostochè le ci-
vili discordie e gli esterni nemici fransero quei nodi che col-
legavano tutta Italia ad un solo freno, e venne menò la gene-
rale cultura, anche la lingua latina, meno intesa alla massa delle
nuove generazioni, a poco a poco scomparve, cedendo il posto
air italiana, la quale su più solidi e più durevoli principii costi-
tuita, e affatto- indipendente dall' unità del governo, che sin dal
suo nascere non ebbe mai luogo, o da quella del culto, die fa
uso della latina, non potrebbe venir meno, se non coir intera
distruzione dell' italica famiglia.
Per verità, dopo che Dante, riunendo i primi sforzi dei trovatori
italiani a prò della patria grande, ebbe poste nel divino poema le
solide fondamenta della nuova lingua, il Boccaccio, svolgendo col
Decamerone .la prosa italiana, come quello che s'era nudrito alla
scuola de' retori greci e latini, tentò piegare a costruziime latina il
periodo , sostituendo alle congiunzioni gli infinitivi assoluti , ed
introducendovi le più stentate ed oscure trasposizioni; ma per
buona ventura non ebbe in ciò gran ninnerò di s^guaci, né si
tardò molto a ricondurre la sintassi della lingua scritta alla sem-
plicità della parlata^ Allorché l'AUghieri fulminando gli scrittori
plebei, richiamava gì' Italiani allo studio dei Credi e dei Lati-
ni, egli intendeva sbandire dal suo paese quel falso gusto pro-
venzale, che aveva affascinato . una turba di servili imitatori. E
voleva mostrare a' suoi concittadini nelle opere degli avi i mo-
delli della vera letteratura dell'uomo pensante^ colla quale spe-
rava condurli a meditare seriamente sulle sorti della patria; ma
non appare da' suoi concetti , nò molto meno da' suoi Scritti ,
ch'egli intendesse /orzare la lingua italiana alle forme delia la-
tina« Né men vano sarebbe riuscito il tentativo; perocché i
Latini , ohe solevano attribuire molta importanza air armonia
/
E DEI DIALETTI ITALICI. '. 173
del periodo, e ciie, niercò la varietà delle 'flessioni e col reg^
gimento d'ogni parie del discorso» ne precisavano i rapporti,
potevano ad arbitrio invertirne F ordine nelle proposizioni ; ma,
oltre che questa arbitraria trasposizione , deviando dal rigido
principio libico, nuoce alla chiarezza del discorso, non poteva
introdursi mai nella lingua italiana, ove, per difetto dì speciali
flessioni, i rapporti delle voci vengono spesso determinati dal
rispettivo lor posto.
Quegli che, versato profondamele nelle' classiche lette-
re, serbò alia nuova lingua la pura forma del romanzo
italico y si fu il Petrarca^ Egli è vero bensì che, educato
alla scuola provenzale in Avignone, segui precipuamente quél
falso gusto di letteratura snervata e molle che T Alighieri
avea riprovato ; ma mentre con raro ingegno seppe sollevarsi
sopra quanti il precedettero, celebrando T amore con un lin-
guaggio puro, spiritoale e quasi celeste, egli mostrò ancora di
quanta forza , concisione, chiarezza e grazia il volgare italico
fosse capace, senza prendere a prestito nuove forme dalia lìn«
gaa latina.
II suo sviluppo venne frattanto agevolato dall'amore al-
lor rinascente per le lettere e per le scienze; le opere de-
gli antichi furono dissotterrate ; la stampa ben presto ne mo^
tiplicò rapidamente gli esemplari, e la novella civiltà s'avanzò
per modo; che verso la fine del* secolo XV, presso che tuttq le
città d'Italia vantavano accademie sdentifiche e letterarie.
Per verità il culto per le lettere classiche fu spinto alla supersti-
zione ai tem|M di Nicolò V, d^Atfonso di Napoli e di Cosimo
de* Medici; e l'italiana livella ne senti la dannosa inftuenza,
poiché, mentre gli uni la sdegnavano^ preferendo la latina, altri
v'insinuavano voci, frasi e forme latine, italianate a forza. I
dotti che, alia caduta dell* impero d* Oriente, eransi rifuggiti in
Italia, vollero persino esiliarla del tutto dalia repubblica delle
lettere. Pomponio Leto fondò T accademia romana, i cui mem-
bri, sdegnando persino un nome italiano, lolatinizzarobo; e
Filelfo sognò distruggere colla derisione i sublimi lavori dei tre
primi padri deir italiana letteratura. È celebre nelF istoria della
nostra lingua quel Romolo Amaseo che neiranno 1K29 sosten-
ne a Bologna in presenza di Carlo V e del pontefice Cle-
mente VII, dover la lingua latina regnar soia , e relegarsi T i-
174 ORDÌRAHBNTO I>BGL1 IDIOMI
taiiana presso ia plebe. Sogni cosi stolti, come inulUi ed in-
tempestivi ! L* idioma latino già da più secoli era spento ; un
altro più consentaneo air indole logica della nazione intera
v'era ornai dovunque successo ; il volerlo riporre in seggio era
10 stesso che voler risuscitare i morti! Se questa sfrenata
nimistà arrestò per breve tempo lo sviluppo dell' idioma vol-
gare, Io agevolò oltremodo di poi; perocché lo studio indefesso
dei classici latini fece gustare agli Italiani T eleganza dello sti-
le, e diede bando alle forme pedantesche degli Scolastici che
tenevano inceppate le menti colla dialettica. La vittoria fu com-
piuta, quando Leone X a Roma, Lorenzo de' Medici a Firenze,
quindi gli Sforza , i Gonzaga ed i principi d' Este in Lombar-
dia, profusero premii agli uomini di lettere.
A poco a poco la nuova lingua si diffuse anche nelle classi inferio-
ri. Il popolo italiano aveva incominciato a gustare i racconti caval-
lereschi, e seguiva con diletto i rapsodi, che nei trivii e nei mercati
gli narravano le prodezze dei reali di Francia e di Spagna, e
mille sogni di giganti, dì fate, di castelli incantati e di mostri
11 Pulci diede forma italiana a colali leggende, e lesse il suo
Morgante Maggiore alla conversazione di Lorenzo de' Medici ;
il Cièco da Ferrara recitò il suo Mambriano alla corte di Man-
tova, e Matteo Boiardo YOrlando innamorato a quella di Fer-
rara. Lo splendido successo di questi componimenti diede
spinta al capo-lavoro di Lodovico Ariosto, ammirato di poi da
ogni eulta nazione; e cosi divenne pienamente popolare il gu-
sto per la lingua e la poesia italiana.
Mentre gli uni porgevano all'Italia il poema romanzesco, il
Trissino, zelante cultore delle lettere greche e latine, tentò
rinnovarne l'epopea, cantando Xlkdia liberala dai Goli; e
se non raggiunse l' altezza dei modelli che imprese ad imi-
tare, valse almeno a destare il genio di Torquato Tasso che
li emulò nella Gerusalemme liberala dai Turchi.
Non vi fu genere di composizione che non venisse italiana-
mente trattato: Sannazzaro , Muzio e Rota diedero italiche
forme alla pastorale; Alamanni e Rucellai alla didascalica;
Vinciguerra ed Ariosto alla satira; Trissino e Rucellai alla
tragedia. Che anzi venne pure creata la commedia satirica,
coltivata di poi con tanto successo dalle nazioni straniere.
Per tal modo fu stabilita colla lingua eziandio la let-
E DEI DIALETTI lUkLICl. 175
teralura italiana ; e siccome il suo sviluppo precedette quello
di tutte le altre lingue moderne, cosi, anziché subirne F in-
fluenza, valse di modello alla successiva loro formazione.
Con tanti materiali più non doveva riuscir difficile T or-
dinamento d'una grammatica e d*un dizionario, che trac-
ciassero la eomun norma ai futuri, e ne frenassero l' arbi-
trio. Dopo il Bembo > cominciò il Grazzini a dame saggio ;
quindi comparvero le Regole gnmmaticali di Fortunio, le
Eleganze vulgari di Liburnio, ed i Prindpii fondamentali
della lingua toscana di Corso. Luna, Accansio, Ruscelli, San-
sovino ed altri compilarono frattanto vocabolarii che porsero
materiali agli accademici pel Vocabolario della Crusca.
Ma questi benemeriti fondatori, in onta al caldo zelo per la lingua
e le lettere patrie , erano ben lontani dal poter redigere una
grammatica ragionata del loro idioma. A quei tempi gli stu-
diosi non aveano ancora spaziato collo sguardo sopra una va-
sta famiglia di lingue , per discernere la varietà degli organici
loro elementi, né avevano alcuna idea della Grammatica gene-
rak^ sicché potessero applicarne i principii ad una lingua spe-
ciale. Essi conoscevano la grammatica greca e la latina , come
s'insegnavano allora, e trascrivendone i capitoli ed i paragrafi
neir ordine in cui li trovarono, vi sostituirono gli esempi ita-
liani, senza avvedersi della radicale discrepanza organica , per
la quale il moderno idioma distinguesi affatto dall'antico. Niente
infatti maggiormente si oppone air indole dell' italiana favella ,
quanto T attribuirvi i casi nei nomi, la voce passiva, il reggi-
mento ed altrettali flessioni granomaticali, che sono il fonda-
mento della latina, e mancalo interamente alla nostra!
Ciò non pertanto non mancarono valenti prosatori, che ricondus-
sero la lingua alla propria semplicità e naturale eleganza, svinco-
landola dalle stentate inversioni e dai lunghi periodi, nei quali
erasi tentato introdurre di nuovo la costruzione oratoria dei La-
tini; e parecchi porsero ottimi modelli di quello stile semplice
e piano, che appunto costituisce l'indole della nostra lingua. Mac-
chiavelli, Guicciardini, Nardi, Segni e Varchi, scrivendo le sto-
rie patrie, seppero talmente accoppiare il vigore e la concisione
all'eleganza ed alla purezza del dire, da non invidiar punto alla
lingua di Tucidide e di Senofonte, o a quella di Tito Livio, di
Cesare e di Tacito.
176 ORDINAMENTO DBGLl IDIOMI
Frattanto il Canzoniere del Petrarca divenne modello a tutti
gli scrittori del secolo XVf ; ma ciò che avrebbe dovuto pro-
muovere il perfezionamento della lingua, fu causa in quella
vece della sua decadenza; perocché la numerosa schiera dei
petrarchisti) anziché studiare nel Canzoniere la purezza e Te-
leganza delia lingua , si credette imitarlo , cantando' un amore
che non sentiva , e coordinando vane frasi in forma di sonetti
e di canzoni. Privi di quella spontaneità di sentimento, ch*é som-
mo' pregio del Canzioniere, sostituirono Farte alla natura, F af-
fettazione alla grazia, 1* esagerazione al giudicio.
Per tal modo il nostro idioma, divenuto Kngua simbolica,
una lingua di tropi e di figure, ebbe mestieri ben presto d*UDa
riforma; e questo bisogno fu ancor più sentilo, quando i pro-
gressi delle sette religiose e gl'interni dissapori trassero i go-
verni d'Italia ad una politica austera. La severità dei tempi
influì sulla direzione degli studii; e se le carceri, T esilio, le
torture ed i roghi tardarono i passi alla filosofia rigenerai^ da
Pico della Mirandola, Telesio^ Campanella, Cardano, Bruno^ Ga-
lileo, Sarpi, Torricelli, la critica letteraria si svolse nelle dotte
speculazioni di Beni, Politi, Leonardo Salviati, Benedetto Buorn*
mattei, Cittadini, Mombelli e Bartoli. Principale occupazione dei
letterati di quel tempo si fu il Dizionario della Crusca y che
in breve tempo ricomparve tre volte aumentato e corretto. Né
questo era ancor tutto; ebe, a precisare i canoni fondamentali
del linguaggio nostro , si avvicendarono le opere apologetiche
di Mazzoni sul Dante, le considerazioni del Tassoni sul Pe-
trarca, la retorica di Gaslelvetro, i precetti del Pallavicino, ed
un gran numero di scritti più o meno pregevoli, intesi a fondar
le regole della lingua e dello stile.
Se tutti codesti studii vabero ad approfondire la teoria dell'arte
del dire, non bastarono a proscrivere il ialso gusto diffuso da
più d' un secolo in tutta la penisola. Una falsa ristaurazione delle
patrie lettere fu ancora tentata dal Marini, uomo d'ingegno e di
sapere, il quale, trasportato dalla foga d'una calda imaginazione,
smarrì il vero scopo della riforma , e occupato più delle parole
che delle cose , più della bellezza apparente , che della ragione
del linguaggio, sostituì colori sfolgoranti alle scolorite figure dei
petrarchisti , e lasciò ancora l'Italia immersa in quella vuota let-
teratura, che, priva di filosofia, rende fiacca ed insulsa la lin-
t bBI I>IALSTT1 ITALICI/ 17^
gaa. — A ednlrariare la slorta direzione delia seuola mariner-
sca , ù fondò in Roma l' Arcadia sotto gli anspicii di Cristina
di Svezia. Da principio ottenne qualche sucdesso , mercè T o-
pera di Gnidi e di Menzini ; ma alla morte dei fondatori la
lingua e la poesia ricaddero nel vuoto primiero ; perocché l'in^
numerevole stormo degli Arcadi, preso a modèllo Teocrito,
senza inspirazione e senza naturalezza, stemprò gli argomenti
più nobili e gravi in insipide e stocchevoli cantilene pastorali.
Mentre Y Italia sciupava in tal goisa il suo genio, la Fran-
cia coltivava con pari ardore le scienze positive e le filosofi-
che» e la rapida dilffusione del sapere nelle infime classi , e il
moto impresso nelle menti dallo splendido secolo di Luigi XIY,
maturarono una riforma sociale europea. Allora gl'Italiani sen*
tirono più che mai imp^ioso il bisogno d*un linguaggio conciso
e filosofico, e T insufficienza del vocabolario fra loro invalso li
spinse ad introdurre parole e frasi straniere , che attinsero a
capriceio , ora daUe lìngue classiche , ora daHa francese.
Di qui sorsero nuove contese fra i puristi ed i novatori.
I primi vollero rinvenire nei classici e nel Vocaboljarìo della
Crusca quanto era d*uopo a rappresentare e svolgere le no-
velle dottrine del secolo ; i secondi , non meno incauti , avvi-
sando r imperfezione dei materiali sin allora raccolti, pretesero
ristauraice la lingua assoggettandola a voci e forme straniere.
Cesarotti, uomo di vastissima erudizione e di vigoroso inge-
gno , introdusse molti gallicismi nella lingua , sotto pretesto di
liberaria dalla tirannia de* cruscanti , e propose a modello di
nuova e spontànea poesia i rozzi canti dei bardi scozzesi, onde
svincolarla dalle rancide favole milologielie e dalle stentate e
vane esagerazioni dell' Arcadia. Ma per la causa della purità
gramnoiaticale si gettò nella Isuffa Giuseppe Barettt, il qéaìe ani-
maio da contrarie pfissioni a non riguardare né al vero né al
falso» lanciò invano frustate a destra ed a sinistra. Panni ed
Alfieri frattanto, trasportati dal proprio genio, ripresero digni^
tosamente il gusto depravato dei loro tempi, ed offersero aurei
modelli d'una più solida letteratura. -^ I luttuosi disastri che
agitarono negli ultimi tempi Finterà Europa, assopirono per al-
euni anni le controversie letterarie , finché ricomparve nell'a-
rena il P. Cesari, perorando la causa de Fiorentini, e risusci-
lundo nella ristampa del loro Vocabolario gli obliati riboboli
12
178 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
degli antichi. Sebbene si appoggiasse a molla dottrina, T esage-
rato ed intempestivo suo nuovo attentato venne con molta forza
d* argomentazioni respinto da Vincenzo Monti, che, sorretto da
Perticari, da Gherardini e da uno stuolo di valenti filologi , tentò
distruggere colla Proposta il despotismo letterario mttnicipaie,
e rivendicare i diritti dell'intera nazione. Sebbene per tal modo
molti scrittori italiani risguardassero la qaislione come svolta
e decisa, pure nessuno s'accinse di poi alla riforma del Voca-
bolario italiano; e mentre dalFuna parte prevalse quello degli
Accademici fiorentini^ come sola autorità costituita» dair altra
prese soverchia baldanza un arbitrio, il quale, ove non sia da
provvide leggi diretto e circoscritto , sarà per nuocere un gior-
no, cosi alla purezza, come air unità della lingua nasionak.
Dalle esposte considerazioni impertanto suir origine e sullo svi-
luppo della medesima , appare ad evidenza dimostrato , come
queste leggi debbano precipuamente fondarsi sopra un severo
studio dei patrii dialetti, dei quali la lingua nazionale esser deve
rapprc^sentante comune; giacché, s'egli è vero, che il dialetto fio-
rentino illustre, parlato solo dalla minima parte della popola-
zione d'una sola provincia d'Italia s'accosta piti d'ogni altro
alla lingua scritta generale , sicché ne disti piuttosto per vizia-
tura di pronuncia e di solecisnu, che non per discrepanza d'in-
dole e di radici, egli é vero altresì, che desso é iusulffidente
a provvedere ai moltiformi bisogni dell'intera nazione, mentre
tutti gli altri membri della medesima, per varietà di drcoslan-
ze, vale a dire di posizione, di clima, d'indole e di cultura, e
perciò ancora d'idee, di forme, di naturali prodotti e di costu-
mi, posseggono doviziosa congerie di materiali atti a riempire
i difetti e le lacune del fiorentino dii^ietto, noa che a rettifi-
carne le improprietà. E quand' anche talvolta un' idea , od un
oggetto rappresentato in modo pecuUafe presso aleone pc^la-
zioni, avesse in pari tempo un segno rappresentativo nei dia-
letti toscani, perché non potrà cosi l'una come l'altra voce
avere un posto nel Vocabolario nazionale, e dovranno quelle
piuttosto rinunciare alla propria lingua per adottare le voci di
un'altra? Qual privilegio d'anzianità o di casta può rendere
meno italiane le voci dei Veneti^ dei Lombardi e dei Siciliani,
che quelle di Val d'Arno, di Val Cecina o di Val d'Elsa?
Noi siamo d' avviso, che i generosi dai quali fu tante volle io-
B DSI DIALETTI ITALICI. i79
dagata la vera norma per ia flssazione d'una lingua nazionale^
nella foga delle loro controversie, smarrissero sempre di vista Tog-
{etto primario, quello cioè d'intendere e d'essere agevolmente
intesi in ogni angolo della penisola dai proprii connazionali. Qui
non sì tratta di determinare » quale fra .gli italici dialetti sia il
più puro ed il più nobile; quale fosse il consiglio di Dante nel
porre le prime pietre del volgare eloquio; qual lingaa scrives-
sero i trecentisti, o quale sancissero più tardi gli scrittori detti
classici; ma si tratta bensì dì fissare una Imgua italiana egual-
mente accessibile, per quanto il consente b natura del sogget-
to, al freddo pastore dell'Alpe, che all'abbronzito pescatore di
Gariddi; una lingua che provveda a tutti i bisogni degl'Italiani,
e sìa agevole a tutti; eiò che infine vuol dire : una lingua va-
sta e più consentanea all' indole generale dei dialetti parlati, o
meglio un' equa e ragionata rappresentante dei medesimi.
Lungi da noi le gare e gli odii municipali^ che inceppa-
rono in ogni tempo la soluzione dell' importante problema)
Sia lode ai Fiorentini, che primi dettarono all'Italia con
opere immortali una lingua nazionale, e primi ancora s^adope-
rarono a stabilirla su cardini fissi , redigendone con instanca-
bile zelo la Grammatica ed il Vocabolario I Ma concorriamo
pur tutti al grande edificio comune ; uniamo i nostri ai loro
sforzi, fondendo nel loro la parte nobile e pura dei nostri dia-
letti, ed avrem ben presto una isola lingua ricca di materiali e
di forme tutte nostre , ed intesa del pari da ogni popolo dal-
l'Alpe a SeiUa, dall'Adriatico al Tirreno. Ma perchè una tale
impresa raggiunger possa il compiuto suo fine, non dobbiamo
giaBomai (perdere di vista questi fondamentali prìncipii; ifi Si
tmofe una lingua atea ad agevolare e mantenere nn commer-
eio letterario fra tutti i popoli italici; 2.^ Non è italiana,
né duratura quella lingua, che cento popoli italiani debbono
studiare con lunghe veglie sui libri; 3.® Quanto piti la lin-
gua scritta 8 allontana dalla parlata , tanto piti s avvicina
aWa propria dissoluzione.
Dialetti italiani.
Stabilito il principio fondamentale ed inespugnabile, che il
nostro volgare idioma traesse così T origine come lo sviluppo
dalla fusione scambievole degli italici dialetti, e che quindi da
180 OADINAMERTO DEGLI IDlOlll
un adequato studio dei medesimi emanar debba altresì la norma
certa pel suo perfezionamento e per la sua futura conserva-
zione, gioverà determinare brevemente in quante grandi famiglie
siano essi naturalmente ripartiti nella nostra penisola, in quante
varietà principali ciascuna famiglia sia suddivisa, e quali studii
venissero di proposito instituiti sinora intorno ai medesimi , a
fine di constatarne le proprietà rispettive.
Sebbene indeterminate e presso che innumerevoli siano le va-
rietà dei dialetti italiani vìventi, ehe, non solo da luogo a luo-
go, ma sovente ancora nella stessa città dall'uno air altro quar-
tiere diversificano fra loro, ciò nuUostante, afferrando le più
caratteristiche e più diffuse loro discrepanze, si possono coor-
dinare, a nostro avviso, in otto grandi famiglie, ciascuna delle
quali , sopra ufla maggiore o minore superficie diffusa , decom-
ponesi in miaggiore o minor numero di membri , a norma della
fisica costituzione e della posizione del suolo dalla stessa occupato.
Procedendo, da settentrione a mezzogiorno > e traendo i nomi
rispettivi dair antica etnografia italimia, deHa quale ciascuna se-
gna con mirabile precisione i c(mfini, tali -famiglie sono: 1.^ la
carnica; 2.® la veneta; Zfi la gallo-italica; 4.* la ligure; 5« la
toscihlatina; 6.^ hsanmtico-iapigia; 7 fi la lucano-sicula; 8.^ la
sarda,
1/ Famiglia Omiica.
La prima è Fioretta nella parte più elevata delle Venete
province, racchiusa fra le due valli ddla Piave e dd Timavo,
fra h vetta e le estreme falde delle -Alpi Giulie e Carrnche,
per le quali è separata dai dialetti tedeschi e slavi del Tirolo
e della Garniola. Suddividesi in tre gruppi distinti, cui, dal ri-
spettivo rappresentante primario, abbiamo denominato friulano,
goriziano e bellunese.
Il gruppo friulano, posto nel eentro, è rappresentato dal dia-
letto d'Udine (Forum Julii), e le sue principali varietà sono
parlate a Spilimbergo, Ampezzo, Godroipo e Palmanova.
Il goriziano occupa tutta la valle dell'Isonzo sin presso alla
foce di questo fiume, ed è rappresentato dal dialetto di Gorizia,
suddiviso in poche e leggere varietà.
Il ^vuipfo bellunese f parlato in tutta la superiore valle della
B DBl DIALETTI ITALICI. 181
Piave, è ra|4)re8eDtalD dal dialetto proprio della città di Bellu-
no, e ne sono varietà distinte il cadorino^ lagordino ed il fel-
trino. Esso colleg^si ai dialetti alpini del Tirolo italiano che sono
come gli anelli che uniscono la carnica alla veneta famiglia,
2." Famiglia Veneta,
Questa famiglia^ conìe appare dalla denominazione che vi
abbiamo apposta, occupa precipuamente quella parte settentrio-
Dale della penisola, ove fissarono le prime sedi gli antichi Ve-
Deli, d'onde si estese più tardi verso occidente in una parte delle
regioni primitivamente occupate dai Galli e dai Reti. Essa è quindi
conterminata a settentrione dalle Alpi retiohe e dalla fiwiiglia carni-
ca; ad oriente dalle rive deirAdriatico racchiuse tra la foce del Ti-
mavo e quella del Po ; a mezzogiorno dair inferiore tronco del Po,
tra la sua foce e quella del Mincio; ad occidente 'dal corso di que-
sto fiume, dal lago Benaco, dai monti che dividono le valli della
Sarca e del Mincio, e dalF eccelsa catena Gamònia; pei quali
confini occidentali e meridionali essa è divisa dalla grande fa-
mìglia gaUoritalica. Oltre a ciò la Veneta Signoria» estesa per
secoli lungo le opposte rive deir Adriatico in lUiria ed in Dal-
mazia, trapiantò pure il proprio dialetto in quella provincia, ov'è
tuttora parlato in tutte le città e nei principali borghi lungo le
coste iDarittime. — Sopra si vasta superficie suddividesi propria-
mente in tre gruppi che, per la rispettiva posizion loro, distin-
gueremo in centrale^ occidentale ed orientale,
11 gruppo centrale occupa tutta la vasta pianura dall' Adria-
tico sino ai colli che dividono il bacino dell'Adige dalla valle
del Bachiglione, e dalle falde delle Alpi Giulie sino al Po. Esso
è rappresentato dal dialetto veneziano proprio della capitale e
di alcune sue isole, e principal tipo di tutta la veneta famiglia.
Le sue varietà più distinte sono: il dialetto chioggiotto^ il tor-
cellese^ il trevigiano^ il rovighese^ il padovano ed il vicentino^
ciascuno dei quali è poi suddiviso in un numero indeterminato
di gradazioni.
11 gruppo occidentale è parlato in tutto il bacino dell'Adige,
da Salurno discendendo sin oltre a Lc^ago. I suoi principali dia-
letti sono: il veronese ed il trentino, ciascuno dei quali è circon-
dato da un numeroso gruppo di varietà.
182 ORDINAMENTO DfiGLI IDIOMI
li gruppo orientale, che si potrd)be denominare anehe marit-
timo, estendesi lungo le spomie dell' Istria e della Dalmazia, ed
è, rappresentato dal dialetto triestino. Sne principali varietà sono
i dialetti di Parenzo, Rovigno, Dìgnano^ Fiume, Veglia^ Zara e
3.* Famiglia Gallo-italica,
La famiglia gallo-italioa , più vasta della precedente, copre
tutta là rimanente parte settentrionale d* Italia, tranne T angusto
lembo occupato dalla famiglia ligure , ed un angolo settentrio-
nale, ove, come notammo , si parlano francesi dialetti. I suoi
naturali confini sono: a settentrione, la catena deHe Alpi Co-
zie, Lepontiche e Rezie , le quali la separano dai dialetti fran-
cesi, tedeschi e romanzi della Svizzera ; ad oriente, gli indicati
confini occidentali della veneéa famiglia, pie le rive dell' Adria-
tico daUa foce del Po sino a Pesaro ; a meszogiomo, la catena
degli Appennini liguri e toscani , dalle Alpi Marittime sin oltre
la Marecchia, i quali la dividono dalle famiglie ligure e to-
sco-latina; ad occidente, le Alpi Marittime e Graie, che la se-
parano dai dialetti occitanici della Francia meridionale e della
Savoia-
Avuto riguardo alle più discrepanti varietà di suono, di ra-
dici e di forme fra i dialetti in si vasta regione parlati,* li ab-
biamo ordinati in tre grandi rami, che designammo coi nomi
di lombardo, emiliano e pedemontano, concordando questi
quasi precisamente, se non coll'attuale, almeno^ colla più antiea
divisione politica corrispondente.
l."" Il ramo lombardo, che a settentrione è contenninato dalla
catena alpina, dal Rosa sino alla catena Camonia, e ad oriente
dai' veneti dialetti, è separato ad occidente dal ramo pedemon-
tano per mezzo dell'intero corso della Sesia ^ dalla sorgente
sino alla sua foce nel Po; e a mezzogiorno éAVemiliamo per
mezzo del Po, dalla foce della Sesia sino a quella del Mincio,
tranne due piccoli seni che abbracciano^ la città di Pavia co* suoi
vicini distretti, e quella di Mantova con una parte del suo ter-
ritorio circostante. Esso consta di due gmp}N di dialetti geogra-
ficamente separati presso a poco dall'intero corso delFAdda, e
che perciò abbiamo distinto in occidentale ed orientcUe.
B DEI DlALfiTTI ITALICI. 183
Il gruppo occidmiale è rappresentato dal dialetto milanese,
che ne è princqsal Upo. I suoi (mé notevoli suddialetti , parlati
in maggiore o minor numero di varietà^ sono: il lodigianoy il
comasco, il vaUellinese^ il bormiesey il ticinese ed il verbanese.
Il gruppo orientale è rappresentato dal dialetto bergamasco^
e ne sono principali suddialetti il cremasco, il bresciano ed il
cremonese.
2.^ Il ramo cmiiiano, racchiuso principabnente tra il Po^ TAp-
peoBÌno e le rive dell' Adriatico, è separato dal pedemontano ad
occidente per mezzo d'una linea trasversale che da Valenza sul
Po ragginnge serpeggiando l'Appennino presso Bobbio ; ed a mez-
zogiorno è diviso dalla femigUa hiina per mezzo della F<^Ra.
Abbraccia inoltre al di là del Po i dialetti pavese e mantovano.
Esso è ripartito in tre gruppi distinti, che designammo coi nomi
di bolognese^ ferrarese e parmigiano.
Il pruno gruppo è rappresentato dal dialetto bolognese pro-
priamente detto, ed eslendesi fra l'Enza e T Adriatico^ fra l'al-
veo abbandonato del Po di Primaro,. l'Appennino e la Foglia.
I suoi principali suddialetti sono: il romagnolo^ del quale sono
varietà distinte il faentino, il raioennate, Vimolese^ il forlivese^
il cesenate ed iì riminese; il modenese, il reggiano ed il fri-
gnanese.
Il grappo ferrarese, posto a s^tentrìone del primo, è rap-
presentato dal dialetto di Ferrara, del quale sono principali sud-
dialetti il nuMovano ed il mirandalese.
11 grappo parmigiano, nella parte^ più occidentale di questo
ramo, è separato dagli altri due gruppi per mezzo del corso
dell'Enza, ed abbraccia, oltre al dialetto parmigiano propria-
mente detto, il borgotareae, il piacentino ed il pavese.
3.^ Il rmno pedemontano inq)ortante sopratutto^ perchè vale
a coUegare i dialetti italiani eof^i occitanici, e quindi cogli spa-
gmioli e coi francesi , è conterminato a settentrione dai monti
ehe dividono i tronchi superiori della Val Sesia e della Valle
d'Aosta dalle sottoposte valli M Cervo, dell'Orco e della Stu-
ra; ad oriate con&a coi dialetti lombardi ed emiliani; a mez-
zogiomo colle Alpi Marittime e coli' Appennino Ligure; ad occi-
dente colle stesse Alpi Marittime e colle Graie. Esso è ripartito
in tre gruppi distinti di dialetti, die abbiamo designato coi némi
di piefnontese, monferrina e canavese. Egli è però mestieri av-
)84 ORDINÀHBVTO PJB6LI 1I>I0M1
vertire che» luogo i confini oecideotalì e seitenlrìiNiaft, questi
dialetti si vanno assimilando af^i occitanici; lui^ i meridionali
ai liguri; mentre ad occidente si fondono nei lombardi e negli
emiliani.
Il gruppo Piemontese t posto nel oentiN), estendesi in tutto il
bacino superiore del Po, dalla sua sorgente sino alla foce del-
l' Orco nello stesso fiume, ed è rappresentato dal dialetto Tori-
nese principal tipo di tutto questo ramo. I suoi principali sud-
dialetti sono: i vernacoli di Ghieri, di Pinerolo, di Saluzzo, di
Savigliano e di Cuneo.
Il gruppo Monferrino si estende ad oriente del Piemontese,
dal Po sino all'Appennino ligure, ed è rappresentato dal dialetto
Astigiano. Le sue più distinte varietà sono: i dialetti d'Acqui,
d'Alba, dì Ceva e di Gasale,
Il gruppo Canavese^ posto a settentrione dei due precedenti,
fra l'Orco e la Sesia, è rappres^tato dal dialetto d'Ivrea, e sud-
diviso in tante varietà, quai^ sono le piccole valli che frasta-
gliano la r^one dal medesimo occupata. >
4/ Famiglia ligure,
Attoi^niata dai dialetti Occitanici ^ Pedemontani 9 Emiliani e
Toscani^ comecché ristretta nell'angusto leodio racchiuso fra le
coste del Mediterraneo, dalla foce della Magra a Mentone, e l'Ap-
pennino ligure, questa famiglia non si serbò meno distinta dalle
altre, per suoni, radici e forme esclusivafnente sue proprie. Seb-
tiene suddivisa in un numero indeterminato di dialetti, pure non
si riscontrano radicali discrepanze bastevoli a costitmrne più
rami. Siccouìe per altro, da Genova procedendo lui^ la costa
orientale, il linguaggio va a poco a poco assimilandosi ai dia-
letti Toscani 9 e in quella vece verso oeoidente si accosta agli
Occitanici, cosi per maggior prerìsiooe l'abbiamo ripartita nei
due gruppi orientale ed occidmtale, ciaseuno dei quaK è rappre-
sentato dal dialetto della capitale. Avvertasi però, che lungo il
lembo settentrionale vanno fondendosi coi lisÀrofi dialetti Mon-
ferrino e Parmigiano.
Il gruppo Orientale consta precipumnente dei dialetti di Chia-
vari, di Spezia e di Sarzana, suddivisi in molte varietà.
' Il gruppo Occidentale ha per varietà principali i dialetti di
B DEI MALBTTI ITAUCf. 185
Savona, Albenga, s. Remo e Ventìmiglia, parlali con vario ac-
cento e varia flessione nelF interna parte dei monti. — L' in-
dustria genovese poi ha fondato eziandio piccole colonie nei
villaggi di Mons e d'Escragnolles nella Provenza francese, e nel-
l'isolotto di s. Pietro in Sardegna, abitato da Genovesi pesca-
tori di corallo^ che vi parlano^ sebbene alterato^ il dialetto na-
zionale.
5/ Famiglia Tom^Latina.
Sede principale dei più celebri dominatori della penisola, e
quindi principale sorgente delle successive lingue eulte etnisca,
osca, latina, ed italiana^ la parte centrale della nostra penisola
è occupata da una famiglia di dialetti, cui^ dal nome dei primi-
tivi abitanti abbiamo appellata tosco-latina. Sebbene alle molte
e reiterate nostre dimando uno stuolo di valenti letterati toscani
e romani rispondessero asseveratamente ed unanimi, il dialetto
de' rispettivi loro luoghi nativi essere la pura favella d'Italia,
ciò nullameno più accurate ed imparziali indagini fatte sulla na-
tura vivente e sugli scritti dei secoh trascorsi, ci resero mani-
festo, essere quella regione, del pari che ogni altra, occupata
da un indeterminato numero di dialetti, quanto più prossimi alla
lingua scritta generale, altrettanto distinti fra loro per varietà
dì suono, di radici e di forme; giacché per dialetto ^ noi inten-
diamo la lingua parlata dalla massa della popolazione d'un pae-
se, e non quella della minima casta privilegiata, che> modificata
senapre dallo studio e retta da una mente ordinatrice, è opera
dell'arte, anziché, della natura.
Questa importante famiglia é conterminata a settentrione del-
l'Appennino toscano, che dalla sorgente della Magra si estende sino
a quella della Foglia ; poscia dal breve corso di questo fiume e dalle
rive deir Adriatico racchiuse tra le due foci della Foglia stessa e del
Tronto; ad oriente dal corso di questo fiume e dall'Appennino
abruzzese, che serpeggia sin presso alla sorgente del Garigliano; e
di là da una linea che discende, attraverso le Paludi Pontine, sino
al Mediterraneo; a mezzogiorno e ad oriente, dalle rive del Me^
diterraneo racchiuse tra le Paludi Pontine e la foce della Ma-
gra; poscia dal corso di questa fiume. Oltre a ciò estendesi an-
cora sul mare in tutto, le . isole del mar di Toscana , non che
186 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
in quella di Corsica. Essa naturalmente dìvidesi nei due grandi
rami tosco e latino, geograficamente separati pei* mezzo d'una
linea serpeggiante, che dalle sorgenti del Tevere raggiunge il Me-
diterraneo, seguendo da presso T attuale divisione pofitica del
granducato di Toscana dagli Stati pontificii.
1.** Il ramo toscoy posto nella parte settentrionale^ suddividesi
propriamente in quattro gruppi distinti, che abbiamo denominato
Fiorentino, Sienese, Tiberino e Corso,
II gruppo Fiorentino abbraccia tutto il bacino dell* Arno, non
che le valli del Serchio e di Cecina. Ivi è suddiviso in molti
dialetti, dei quali è principal tipo il fiorentino. Questo si stende
dalla superiore valle della Sieve sino air inferiore delFEIza, e
ne sono suddialetti il pratese ed II pistoiese. Le sue varietà
più distinte sono: il lucchese, il pisano, che si estende lungo
le valli deir Era e della Cecina , ed il livornese , eh' è il più
corrotto.
Il gruppo Sienese, distinto dal fiorentino e dal tiberino, cosi
per varietà di pronuncia, come di radici e di forme, espandesi
lungo il bacino dell' Ombrone, ed è rappresentato dal dialetto
sienese propriamente detto. Le sue principali varietà sono: i dia-
letti di Volterra, di Massa, di Grosseto e d*OrbiteIlo.
Il gruppo tiberino, meno puro degli altri, è ristretto nella sn-
periore valle Tiberina, ed in quella di Chiana. I suoi più note-
voli dialetti sono parlati a Boi^o s. Sepolcro, a Cortona ed a
Montepulciano.
Il gruppo corso, o meglio, marittimo, è diffuso nell'isola di
Corsica, in quella d*Elba, e nelle molte isolette sparse nel mar
di Toscana, ove è assai corrotto. In Corsica ir dialetto princi-
pale è quello di Corte, e ne sono suddialetti distinti quelli di
Bastìa, Calvi, Alacelo, Sartene e Bonifacio. Neil' Elba è princi-
pale il dialette di Capoliveri, le cui pia distinte varietà sono
parlate a Porto-Ferraio, a Porto-Longone ed a Campo. Per
ultimo sono distinti ancora i dialetti di Capraia e del Giglio.
2.^ Il ramo latino , posto a mezzogiorno e ad oriente del
tosco, suddividesi in due grandi gruppi, che designammo coi
nomi di romano e di umbrico, fra loro separati dalia crésta
deir Appennino, che divide F ampio bacino del Tevere dai nu-
merosi fiumicelli che dall'opposto declivio mettono foce nell'A-
drìatico.
E DEI orAUTTl ITALICI. 187
Il gruppo romano esiendesi quiDdi su tutto il bacino del Te-
vere, ed è rappresentato dal dialetto di Roma, che ne è princi-
pal tipo. Le sue più distinte varietà sono i dialetti di Gubbio, di
Perugia, di Foligno, di Spoleto, d' Oi^'vietoi di Todi, di Viterbo,
di Civitavecchia, di Rieti e di Yelletri.
Il ramo timbrico, esteso fra T Appennino e 1* Adriatico, dalla
Foglia al Tronto, è rappresentato dal dialetto anconitano. Ne
SODO varietà principali i vernacoli d' Urbino, di Fano, di Siniga-
glia, di Macerata, di Fermo e d'Ascoli.
6/ Famiglia Sannitico-Iapigia.
Conterminata a settentrione dalla latina, la vasta famiglia,
che abbiamo denominato sannitico-iapigia, perchè diffusa nella
regione primamente occupata da queste due potenti nazioni,
estendesi dall' un mare all'altro, in tutta la rimanente parte
della penisola, tranne la punta più meridionale costituente le
tre Calabrie. In cosi vasta regione, successivamente inondata
per lunga serie di secoli da innumerevoli tribù di varie stirpi,
questa famiglia porge all'etnografo in massimo numero i più
strani fenomeni linguistici da luogo a luogo, sicché assai diffi-
cile torna ^ neir inopia dei mezzi, e nella ruvidezza della mag-
gior parte di quelle popolazioni, lo stabilire un circostanziato
ordinamento di quell'immensa congerie di volgari favelle. Ciò
nonostante, restringendoci per ora alle divisioni generali, e fon-
dandoci sui fatti da noi osservati e sulle notizie raccolte con
malagevoli cure sui luoghi stessi, crediamo di poterle equamente
distribuire in quattro gruppi, che abbiamo denominato abruz-
zese ^ campano, appuliese e tarantino.
11 primo estendesi per tutti gli Abruzzi, non che nella più ele-
vata parte della Terra di Lavoro , ed è rappresentato dal dialetto
di Cbieti, che abbraccia tutte le proprietà dei dialetti che lo
circondano. I principali e più distinti fra questi sono : i vernacoli
di Teramo, di Nereto, d'Aquila, di Città-Ducale, di Sulmona,
di Lanciano e di Vasto.
Il gruppo campano, rappresentato dal dialetto della capitale,
abbraccia, oltre alla provincia di Napoli ed alla terra di La-
voro, eziandio i due principati Ulteriore e Citeriore. I suoi princi-
pali dialetti sono quelli di Pozzuoli, Sorrento, Capua, Gaeta, So-
18S ' ORDiNAMENTO ])JBGLI iaiOMI
ra,^Nola, Avellino » ArìaDo; Salerno, Campagna, Sala, Vallo e
Camerota.
Il gruppo appuliese, posto a settentrione del Napolitano, dal
quale è diviso per mezzo dell* Appennino, estendesi lungo le
Provincie di Molise e di Capitanata, ed è rappresentato dal dia-
letto di Foggia, sebbene molte e strane siano le varietà dei dia-
letti in questa regione/ Le principali e più distinte sono quelle
dì Bovino, Lucerà, s. Severo, Rodi, Serracapriola, Campobasso,
Molise ed Iseroia.
Finalmente il gruppo tarantino, formato del pari che il pre^
cedente da una indeterminata congerie di svariate favelle, oc-
cupa le terre di Bari e d'Otranto e la Basilicata. Ivi è rap-
presentato dal dialetto tarantino; e le sue più distinte varietà
sono: i dialetti di Potenza, Lagonegro, Melfi, Matera, Altamura,
Bari, Brindisi, Lecce e Gallipoli.
7." Famiglia Bruzio-Sicula.
Le prische sedi dei Bruzi e dei Siculi tanto celebri nelle sto-
rie d'Italia sono ora occupate da una distinta famiglia di dia-
letti, i quali, estendendosi ancora in tutte le isole del mar di
Sicilia, e persino nella provincia della Gallura posta nella parte
più settentrionale delF isola di Sardegna^ rivelano antichissimi
rapporti di fratellanza fra i popoli che li parlano.
Questa famiglia si espande nel continente per tutte le tre Ca-
labrie, e nel Mediterraneo occupa risola di Sicilia coi gruppi
che ne dipendono, ed il lembo settentrionale della Sardegna tra
il Limbara e lo stretto di Bonifacio. — Avuto riguardo alle mol-
teplici discrepanze di pronuncia e di forma nei dialetti che la
compongono, dividesi naturalménte in tre rami, che abbiamo
denominato calabrese, siciliano e gallwese.
1.^ Il primo, denominato calabrese perchè esteso nelle tre
Calabrie, è rappresentato dal dialetto di Cosenza, che ne è prin-
cipal tipo. Con tutto ciò esso consta d'un immenso numero di
varietà distinte, fra le quali le più notevoli sono: ì dialetti
di Castrovillari , di Rossano, di Paola,. di Nicastro, di Catan-
zaro, di Squillace, di Monte Leone, di Gioia, di Gerace e di
Reggio.
%"" Il ramo siciliano, diffuso nell'isola di Sicilia, suddividasi
fi DII DIALETTI ITALICI. i89
in due gruppi geograficamente separati dalla catena di monti
posti fra il bacino della Giarretla e quella del Salso; e perciò
dalla rispettiva poSizion loro li abbiamo denominati occidentale
ed orientale.
Il gruppo occidentale è rappresentato dal dmletto di Paler-
mo^ e ne sono varietà distinte quelli che si parlano a Trapani»
a Marsalla, a Mazzara, a Girgenti ed a Caltanisetta.
Il groppo orientale è rappresentate dal dialetto dt Gata-*
nia, e ne sono distinte varietà: il siracusano^ quel di Modica^.
il nicosiano ed il messinese, che si collega al calabrese.
S."" Per ultimo il ramo sardo, diffuso neir estremo lembo
settentrionale di Sardegna, dal golfo di Terranova a quello
d'Alghero, è rappresentato dal dialetto di Sassari, e ne sono
varietà i dialetti di Tempio ^ di Castelsardo, di Sorso e di
Aggius.
8/ Famiglia Sarda.
Quest'ultima famiglia si allontana da tutte le nieoftovate per
proprietà grammaticali e lessicali > in guisa da poter essere con-
siderata come una lingua distìnta dair^liana, del pari che la
spagnuola, dalla quale attinse colle forme parecchie radici. Ove
per altro si rifletta ai suoi stretti rapporti colla Knrgtfa del La-
zio, della quale serba intatte le più chiare impronte^ ed ove
si consideri la sua dipendenza geografica e politica dall* Italia,
non si può a meno di enumerarla fra le italiche famiglie. Essa
occupa quasi interamente l'isola di Sardegna cogli isolotti che
ne dipendono, tranne il descritto kmbo settentrionale della me-
desima, la città d* Alghero col suo territorio, ove si paria il cch
talanoy e T isolotto di s. Pietro, abitato dair accennata colonia
genovese. la co^ vasta regione essa è ripartita in due grandi
rami, che per la posizion loro furono denomfinati setten^ionale
e meridionale^ o meglio logudorese e eompidanese.
l."" Il logudorese è il più puro, ed è separato dal campida-
nese per mezzo d' una linea serpeggiante, che da Baunei attra-
versando tutta rìsola raggiunge il Capo Manno. La comune lin-
gua scritta logudorese y che già possiede una copiosa letteratu-
ra, non è propriamente parlata in verno luogo privilegiato; ma
con leggere modificazioDi è sparsa in tutti i suoi moltiplici dia-
190 ORDINAMENTO DEOLl IDIOMI
letti. Il più puro fra qaes4i> e quindi il più atto a rappresen-
tarla^ si è quello di Bonorva; le altre yarietà più distinte so-
no: i dialetti di Bitti, Gakelii, Dorgali, Fonni, Gavoi, Arizzu,
Baunei, Canusei, Osilo, Posade^ Austis, Ghilarza, Buddusò, Bo-
no, Nulvi ed Ozieri.
S.*" Il ramo campidanese viene d^ordioario rappresentato dal
dialetto di Cagliari capitale dell' ìsola; esso p^r altro suddivì-
desi in due gruppi distinti, che abbiam denominato campida-
nese proprio e subitane.
Il campidanese proprio^ parlato in tutta la regione del Cam-
pidano e nella provincia di Cagliari, ha per suddialetti princi-
pali quelli che si parlano ad Oristano, Ales, Isili, Iglesias, Tor-
toli, s. Vito e Carbonara.
Il gruppo sulciianoy pariato nella provincia d' egual nome po-
sta suirestrema punta meridionale delF isola, ha per varietà prin-
cipali i dialetti di Palmas, Santadi^ Chia e Pula.
Riserbandoci a svolgere in appartati volumi i malagevoli studi!
che ci dettarono l'esposto ordinamento sommario della indefi-
nita^e svariata serie dei nostri dialetti , procederemo a rintracciare
quali studii venissero nei varii tempi instituiti intorno ai medesimi.
Per quanto ci consta dai monumenti superstiti, egli è fuor
d'ogni dubbio, che in oiassima parte essi furono parlati e scrìtti
in ogni angolo d'Italia, con leggiere modiGcazioni, qualche secolo
avanti la formazione dell'italiana favella, la quale appunto, solo
per impedire quella moltiplicazione dei linguaggi fu loro nel
XIII secolo sostituita. Ma quei primi tentativi, come accennam-
mo, furono promossi dalla necessità di provvedere ai bisogni della
vita socievole, mentre nell'assoluto difetto di coltura, in cui le
politiche sciagure avevano immersa Italia tutta, la lingua latina
studiata da pochi non era pià4nteda dalle popolazioni; né altro
interprete rimaneva loro, se non il rispettivo linguaggio plebeo.
Non mancarono però uomini di lettere, che tentassero ezian-
dio coir armonia del verso nobilitare e diffondere in patria l'uso
dei rispettivi dialetti, del die abbiaftì dato nel precedente di-
scorso irrefragabili prove di fatto, pubblicando un saggio degli
antichi loro monumenti editi ed inediti; ma tostochè l'Alighieri
porse una sola lingua a tutto il paese, i vernacoli linguaggi ri-
caddero nel primiero abbandono, e tutte le cure degli studiosi
furono a quella rivolte.
B BEI DIALETTI ITALICI. 191
Solo verso il secolo XVI, quando collo sviluppo delie patrie
lettere, alcuni iogegai italiani crearono la comedia satìrica, i dia-
letti ricomparvero nelle rustiche lor vesti, onde rappresentare
sulla scena Tuomo del popolo e i suoi costumi. In Toscana, in
Lombardia, nella Venezia, a Napoli, ed in altre regioni si molti-
plicarono ben presto i componimenti di questo genere, cui ten-
nero dietro nuovi tentativi^ onde sottoporre air armonia del verso
le più rustiche favelle.
In breve quasi tutti i dialetti italici ebbero una più o meno
vasta letteratura lor propria, sicché^ avuto riguardo alla immensa
congerie delle produzioni di ogni genere, ardua sarebbe l'im-
presa di redigere una compiuta bibliografia dei medesimi. Ma
tutti questi innumerevoli componimenti vernacoli erano preci-
puamente intesi a trastullare il popolo con lepide rappresenta-
zioni, le brigate con giocose poesie d'indole satirica; sovente
ancora furono vani sforzi diretti a provare l'energia, la ricchezza,
la flessibilità e la grazia dei singoli dialetti ; né mai venne instituito
uno studio speciale collo scopo di rivelarne V organismo o le pro-
prietà distintive, meno ancora a fondarne un ragionato confronto.
Solo nella seconda metà delio scorso secolo venne intrapresa
da alcuni studiosi la compilazione dei vocabolarii di alcuni prin-
cipali dialetti d'Italia, massime di quelli che possedevano mag-
giore e più importante numero di produzioni. E questi primi
tentativi furono imitati, o compiuti ai nostri giorni per opera
d'una schiera di zelanti cultori delle cose patrie, sicché final-
mente un gran numero di municipii italiani possiede ormai il
proprio vocabolario vernacolo, e taluno ancora un saggio di gram^
maticali osservazioni.
Gioverà ciò non pertanto avvertire, come tutti questi lavori
venissero per lo più ristretti a rappresentare i singoli dialetti
delle città rispettive, escludendone quasi affatto i più doviziosi
e puri delle campagne e dei monti; e noteremo^ come tutti fos-
sero diretti, ad agevolare agli estranei la lettura e T inter-
pretazione delle poesie vernacole rispettive, o ad insegnare alle
singole popolazioni ia lingua aulica generale, mercè il confronto
della stessa coi volgari linguaggi. E perciò, comunque utili sif-
fatti lavori tornar possano allo scopo dei loro autori medesimi,
egli è indubitato, che ben poco giovamento arrecano al filologo,
il quale, rivolto a più nobili fini^ indaga in più vasto orizzonte
192 ORDINAMENTO 0BGLI IDIOMI, ECC.
r indole ed i rapporti dei nazionali dialelli. Per buona ventura
lo studio comparativo delle lingue, sorto e sviluppato ai di no-
stri, ha finalmenie rivelato la moltiplice importanza di qaesli
studii y e ci giova sperare , che non tarderemo ad averne una
compiuta illustrazione, a schiarimento, ed in prova delle origini,
cosi della lingua, come delF italica famiglia^
vili.
POEMETTO INEDITO
DI
PIETRO DA BARSEGAPÈ.
13
PREFAZIONE
La somma importanza dello studio sugli antichi mo-
numenti di nostra* lingua neir astrusa ricerca delle ri-
mote orìgini della medésima, fu^ da noi bastevolmente
avvertita nella precedente dissertazione Sulle lingua
romanze^ ove per la prima volta abbiamo publicato per
intero Tinteressante poemetto dì Fra Buonvicino, scritto
intomo alla metà del sècolo Xlll. Fra gli incunàbuli
della volgare letteratura in Lombardia peraltro ha di-
ritto al primo posto, per la maggiore sua mole, per *rim-
portanza deir argomento e pel modo col quale dalP au-
tore fu svolto, il celebrato Poemetto di Pietro da Bescapè
contemporàneo del Buonvìcino medesimo. Lo abbiam
detto celebre^ perchè menzionato più volte dagli scrit-
tori che imprèsero a svòlgere gli annali delFitàliche lèt-
tere, sulPautorità forse delF Argelati , che nel I Tomo,
Parte U della Bibliotheca scriptorum mediolanensium
ne porse un àrido cenno. Ciò non pertanto esso non è
meno inèdito , né meno ignoto al mondo letterario che
ne parla come di cosa che esiste , ma che non conosce.
Esso infatti esiste in ùnico esemplare manuscritto in per-
496 POEMETTO INEDITO
gamena nella preziosa Biblioteca Archintea, ove ci fu
concesso dal benemèrito possessore di trarne copia fe-
dele, allo scopo di renderlo finalmente di pùblica ra-
gione. Nessuna parte ne comparve sinora alla luce, ove
si eccettuino pochi versi deirintrodùzione, ed alcuni di-
stici posti in fine del còdjce, prodotti in Saggio dalFAr-
gelati a corredo della mentovata notizia. Ivi latinizzando
giusta Tuso dei tempi il nome delF autore, lo designa
Petrus a Basilica Petri^ denominazione constatata forse
da antiche pergamene che fanno ripetuta menzione del-
r antichissima e nobilissima famiglia a Basilica Petrij
alla quale per avventura Fautore del poemetto apparte-
neva. Questi peraltro si designa nel componimento col
nome: Petro de Barsegapèj che traccerebbe il primo
passo alla storpiatura successiva di Bescapè,
Ili questo poemetto , come apertamente dichiara nel-
r Introduzione, il poeta si propone di tracciare un\islò-
ria delPÀntico e del Nuovo Testamento, ed a ma^iore
chiarezza, dopo di aver invocato Tajuto del Dio uno e
trino , onde lo inspiri e K> Vegga , enumera i sommi
capi che imprende a trattare, e che in sèguito viene con
mirabìl ordine svolgendo, quali sono: »
Como Deo à fato lo mondo ;
E corno de terra fó lo homo formo ;
Cum'el descendè de Gel in terra,
In la Vergine regal polpetta;
E cum' el sostene passìon
Per nostra grande salvation;
E cum vera al di de Tira,
Là o'serà la grande roina;
Al peccatore darà grame?a;
Lo juslo avrà grande alegrega.
Ed in fatti, sulle traccie della Bibbia, procede quindi
a descrìvere la creazione delP universo , quella dei prò-
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 497
genitori delF umana famiglia , e il loro primo errore e
le funeste conseguenze. Quivi s' arresta a dipingere la
lottfi dell'anima colle passioni corporee, e svolge per òr-
dine i sette vizj capitali , la superbia , la gola , la lussùria,
r avarizia, Tira, T accidia e la vanagloria.
Descritti per tal modo i precipui mali che derivarono
air umanità dal peccato originale , si rivolge pieno di
conforto alla storia circostanziata del divino riscatto.
L^annunciazione della Vèrgine, la sua vìsita ad Elisabetta,
r apparizione dell'Angelo a Giuseppe, il viaggio a Bet-
lemme, la nàscita di Cristo, l'adorazione dei pastori e
dei Magi, la presentazione al tempio, la fuga in Egitto, ed
il ritorno in Nazareth dopo la strage degli Innocenti, vi
sono svolti per órdine, e con un candore singolare. Pro-
cede quindi a descrìvere la vita, la passione e la morte
di G. G., adornando il racconto con una serie di anèddoti
ed episodj, che, se non nuovi, perchè sparsi nei sacri
Còdicfi , tornano almeno strani pel modo ingènuo col
quale. sono esposti.
Dopo alcune pie riflessioni sull'Agnello immolato e sul-
1' empietà de' suoi carnéfici, s'arresta descrivendo lo spà-
simo della Vèrgine e. celebrando la pietà delle Marie,
di Giovanni , di Giuseppe d'Arimatea e di Nicodemo ,
dopo di che passa a raccontare la discesa all'inferno, la
risurrezione ed ascensione al cielo , e le successive appa-
rizioni del Redentore agli Apòstoli. Gonchiude dimo-
strando, come la dispersione e le predicazioni di questi,
le persecuzioni degli infedeli, e l'eròica fermezza dei
Màrtiri , compiessero l' òpera divina , gettando ovunque
le fondamenta imperiture della Chiesa di Cristo.
Compiuto per tal modo il pio racconto, l'autore si fa
a dichiarare , che vuol ancora far conóscere , come iddio
sarà per rrtornare l'estremo giorno a giudicare i vivi ed
i morti ; e si studia di tracciare un quadro commovente
498 POEMETTO INEDITO
deir universale giudizio , dal quale trae argomento per
esortare i suoi uditori alla preghiera ed a calcare il sen-
tiero della virtù.
Dai contesto delF intero componimento appare eviden-
te, come il Bescapè si proponesse di svòlgere per órdine
la paràfrasi dei sommi capi del Sìmbolo degli Jpòstoli,
che appunto incomincia col professare Iddio creatore del
Cielo e della terra^ e finisce rappresentandolo giùdice ine-
soràbile deir umana famiglia; e ne deriva ancora un forte
criterio per poter concbiùdere con fondamento , che lo
stesso autore appartenne a qualche Ordine religioso o
monastico , i soli depositarli a quel tempo delle scarse
dottrine scientifiche e letterarie. E scarse davvero pos-
siamo asserirle al tempo del Bescapè , se ne misuriamo
Faltezza dal suo componimento , affatto privo di originali
concetti , di pensieri elevati , di osservazioni filosofiche o
di poètiche grazie. Bensì dobbiamo notarvi un' ordine
miràbile nella condotta^ molta chiarezza nelle espressioni,
per quanto era conciliàbile con una lingua priva ancora
di règole fisse, e molta diligenza ed esattezza, che pos-
siam dire monastica , nella parte descrittiva.
Quanto alla prosodia, e piuttosto alla misura del verso,
a dire il vero non vi abbiamo riscontrata norma costante,
mentre, senza parlare degli accenti che non seguono ve-
runa legge, anche il nùmero delle sìllabe vi è indetermi-
nato e varia in ogni linea, che perciò non osiamo chiamar
verso. Per tal modo con tutta ragione potrèbbesi risguar-
dare r intero componimento come una prosa rimata, seb-
bene anche le rime bene spesso siano sbagliate , e pòr-
gano appena talvolta lontane assonanze, quali sono per
esempio : resplendente e sempre, mondo e formo, terra
e polzella^ ira e rovina, ed allretali. Con tutto ciò bene
osservando lo sforzo, che talvolta appare manifesto, dei-
Fautore, per conseguire una determinata misura ne^suoi
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. i99
versi , e prendendo norma da quelli ne^ quali pure riuseì,
possiamo stabilire , che tutto il poemetto consta di dìstici
rimati , ora in versi alessandrini , che più tardi furono
detti martelliamo attribuendone erroneamente T introdu-
zione a Pier Jacopo Martelli , ed ora in ottonarj. Ma ben
più spesso , devo ripèterlo , non vi si riscontra misura
veruna. Taluno potrebbe per avventura riconóscere qua
e là alternato dàìV autore il verso ipermetro , o dodeca-
sìllabo, che si è attribuito ai primi poeti italiani, in ispe-
eie a Dante da Majano , e col quale Alessandro de^ Pazzi
scrisse unMntera tragedia; ma ben più verisimile spiega-
zione deir incerta misura ci poi^e rimperizi^delFautore,
e più ancora T ignoranza e la negligenza del copista, al
quale dèvonsi sopratutto attribuire alquante omroissioni
ed aggiunte , che alterarono così la misura del verso ,
come la rima, e talvolta ancora violarono le leggi della
sintassi, rendendo oscura la frase, o zoppo il perìodo.
La lingua*, come ho avvertito, si è Fincòndita favella
parlata allora in Lombardia, sebbene modificata e forzata
alle forme della latina già da lungo tempo negletta e meno
intesa, alla quale per conseguenza si tentava sostituirla,
come lingua scritta. Egli è vero bensì , che al tempo dei
Bescapè avèano i Siciliani preso ad illustrare con poètici
componimenti il proprio dialetto , fra i quali emèrsero
Giulio d'Alcamo , Pier delle Vigne, Federico II, Enzo e
Manfredo, Guido dalle Colonne, Jacopo da Lentino, Ar-
rigo Testa , Ranieri da Palermo , Stefano da Messina ,
Guarzolo dia Taranto ; così pure i Toscani Cavalcanti ,
Folcacchieri , Brunetto Latini , Guitton d'Arezzo , Fa-
bruzzo da Perugia , Jacopone da Todi ventano raddriz-
zando il proprio, ond'èbbeix) imitatori anche nelF Emilia,
in Semprebene, Bernardo, Gtiido Guinicellied Onesto
da Bologna , Tommaso ed Ugolino Bùcciola da Faenza ,
Riccobaldo da Ravenna ed altri; ma gli sforai di que'
2Ò0 POEMETTOONEDITO
primi ordinatori delF itàlico idioma èrano ristretti nella
cerchia delle rispettive provincie , né V influenza loro avea
per anco varcate le rive del Po ; ond' è che gli scrittori
vèneti , lombardi e pedemontani itiossi da pari necessita
tentarono alla lor volta di dar forma ai dialetti rispettivi,
senza dipèndere dai lavori simultànei e malnoti delle altre
Provincie. Di qui appunto ebbero orìgine le varie favelle
fra gli scrittori del XIII sècolo, e di qui ancora nel suc-
cessivo le giuste querele delFÀIighieri , che vedendo per
tal mode rinnovarsi in Italia la confusione di Babele, si
accinse alla santa impresa di collegare tutta la patria
grande con una sola lingua , chiamando a tributo tutti i
dialetti itàlici , ed escludendo i privilegi municipali , fonti
perenni di letali discordie. Considerato quindi sotto Tas-
petto della lingua, sebbene appartenga a quella serie di
componimenti plebei che il sacro fuoco del Dante fulmi-
nava, il poemetto del Bescapè torna oltremodo prezioso al
filòlogo, e come documento della pluralità di lingue che
nel sècolo XIII si venivano sviluppando, e qual monu-
mento della lingua parlata sei sècoli or sonò in Lombar-
dia, e come specchio della cultura degli avi nostri a queP
tempo. Pel primo riguardo, esso coUègasi alla storia delle
origini di nostra lingua ; pel. secondo , a quella dei dia-
letti lombardi, comprovandone la remota antichità; pel
terzo finalmente , alla storia del nostro incivilimento.
Allo scopo appunto di chiarirne l'importanza in questo
triplice aspetto, mi accinsi all'ardua impresa di publicarlo
per intero trascrivendolo fedelmente dal citato Còdice ar-
chintèo , e corredandolo d' una serie di note filològiche,
le quali mentre dalF una parte chiariranno la significa-
zione dei vocàboli e dei modi meno ovvii e men cono-
sciuti , dair altra varranno a tracciare le molte ùtili ap-
plicazioni di si fatti monumenti agli studj stòrici e lin-
guistici. Fra le molte rivelazioni che emèrgono spontànee
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. SOI
dalla sémplice ispezione di questo poemetto , non ùltima
si è quella che ci rappresenta un ravvicinamento alle
forme del linguaggio vèneto di quel tempo, ciò che pro-
verebbe , che la lingua volgare , prima ancora che in
Lombardia, cominciò ad essere scritta nelle provincìe vè-
nete , sotto gli auspicj deir indipendenza republicana.
Questa influenza traspare ad ogni passo e dalla scelta
delie voci , alcune delle quali sono simili alle vènete , e
dalle flessioni, sopràtutto dalle terminazioni, e dalle ma-
niere del dire; ond'è, che sebbene il racconto del Bescapè
serbi chiaramente improntati i caràtteri della propria t>ri-
gine lombarda, pure una certa tinta generale lo assimila
ai componimenti contemporànei vèneti, come puòssi age-
volmente riconóscere confrontandolo col Lamento della
sposa padovana per la partenza del marito alle Cro-
ciate ^ già publicato dal Brunacci (0 e da me riprodotto
nella precedente mentovata dissertazione.
Quanto alla norma da me seguita nella trascrizione del
Còdice, devo dichiarare , che mia prima e sola cura si fu
quella di pòrgerlo agli studiosi fedelmente integro e ge-
nuino , giacché il solo scopo che m^ indusse a publicarlo
si è quello di pòrgere, nuovi fatti agli studiosi, e non già
di far prevalere le mie opinioni. Perciò ho ancora serbata
intatta Fortografìa dell'amanuense, per non alterare punto
la forma delle voci, né recare inipaccio alla giusta inter-
pretazione della primitiva loro pronunzia. Bensì, siccome
non si trattava di dare un fac^simile del Còdice , ma di
pòrgerne il contenuto, cosi mi sono permesso di aggiùn-
gervi i punti e le virgole che mancano nel Còdice stesso,
e che sono indispensàbili a ben intènderlo , màssime trat-
(1) Lezione d" ingresso nell'Accademia de* Ricof?eraU di Padova ,
del signor Giovanni Brunacci, ove si tratta delle antiche origini della
lingua volgare de' Padovani e d' Italia. Venezia, 1759, in^."
aOS POEMETTO INEDITO
tàndosi di una lingua ìncòndita, nella quale le leggi gra- j
maticali sovente violate e la malfertna sintassi non pos-
sono valere di guida. Per la stessa ragione ho creduto
opportuno apporre le apòstrofi e gli accenti che mancano
affatto neir originale ^ ogni qualvolta questi mi parvero
necessaij o almeno ùtili a tògliere le ambiguità, ed a chia-
rire la mente dello scrittore , ciò che non reca alterazione
veruna alla forma delle voci. Così p. e. ho apposta F apò-
strofe alla o' quando significa ore^ per distinguerla dalla
disgiuntiva ; ed ho apposto Taccento alia voce comenfày
quando esprime 1- infinito del verbo incominciare^ per
distinguerla dalla voce comenfa^ terza persona singolare
deir indicativo presente dello stesso verbo, ciò che P im-
perizia o la negligenza del copista non avverti di fare ,
con grave danno della chiarezza. £ poiché questa impe-
rizia , o negligenza del copista si manifesta sovente , ora
staccando le sillabe d^una sìngola voce, ora congiungendo
due voci distinte e separate , ora ommettendo qualche
lèttera o qualche sillaba in vocàboli che, riprodotti altrove,
vi sono giustamente espressi , cosi ogniqualvolta ho po-
tuto constatare V errore o V ommissione , vi ho apposto
r opportuno rimedio , nella certezza di non avere punto
alterato arbitrariamente le forme della dizione.
Per tal modo ho fiducia d'aver reso chiaro ed accessi-
bile a tutti un manoscritto non molto facile a decifrare.
Che se talvolta (ciò che avvenne di rado) ebbi a rinvenir
qualche voce ambigua od oscura , sia per V incertezza
dello scritto , sia per la stranezza della forma , anziché
avventurarne una spiegazione congetturale , preferii tra-
scriverla tal quale si trova nel Còdice, lasciando agli stu-
diosi la cura d' interpretarla.
A norma impertanto di quelli che rivolgeranno i loro
studj a questo patrio monumento, poiché vi ho conser-
vato i segni ortogràfici convenzionali delF originale, debbo
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 203
avvertire , che' la a: vi è adoperata ad esprimere il suono
dolce della s^ come nelle voci italiane riso^ hiswo; che la
e vi esprime il suono duro della Zy come nelle voci «o-
stanzUy allegrezza; che la k vi serba il pr.oprio suono
duro, e vi tien luogo delle eh in italiano; e la lèttera h
non vi rappresenta alcun suono, ma vi è posta ad imita-
zione delle corrispondenti voci latine, come homo^ herba
e simili. Basteranno, spero, questi pochi cenni ad agevo-
larne la lettura ed a precisarne la pronunzia , mentre a
rischiararne il significato varranno le annotazioni che
accompagnano il testo medésimo.
No è cosa in sto mundo^ tal è là mia* credenza,
Ki se possa fenire*, se la no.se comen^a.
• Petro de barsegapè si voi acomen^are,
E per raxon fenire^ segondo k'el gè pare.
Ora omiunca ^^^ homo intenda e stia pur in pax (^)
Sed kel ne gè plaxe audire d^un bello sermon verax(^);
(i) Omiunca. Voce composta di omnisunqtuimj che significa ogni.
L'aggiunto unquam impiegato a dar maggior valore alla voce^ alla
quale è suffisso^ pare che «anticamente fosse applicato a molte voci
andate fuor d'uso. Se ne serba la traccia in poche supèrstiti^ come:
chiunque j qu>alunqile^ comunque. In molte voci per altro nel vòl-
gere del tempo si preferi sostituire T equivalente italiana mat,
dicendosi : ormaij oggimai^ sempremai^ e simili.
(2) Questo verso propriamente esprime : Ora ognuno presti at-
tenzione e stia cheto. Ove si scorge^ che intenga non aveva ai
tempi del Bescapè il significato più comune e più ovvio oggidì di
capire; ma bensì il suo vero e primitivo significato di tèndere la
mente^ o , ciò che torna lo stesso , fare attenzione. Si avverta poi
come la g venga sostituita alla d^ ciò che in sèguito si ripete in
parecchie voci Y come vecudo fer veduto ^ creguo per creduto j e
simili^ e ci porge un sicuro criterio per dedurne il modo col quale
erano allora quelle voci pronunziate.
(5) In questo verso il copista^ che si manifesta del continuo ignaro
e negligente ^ ha lasciato sfuggire dalla penna alcune lèttere che
imbrogliano il senso. Dalle osservazioni fatte nello studio dell'intero
poemetto^ credo che dèbbasi con ragione ristaurare nel modo se-
guente: Sed el gè plaxe audire d'un bel scnwow perox, vale a dire :
206 POEMETTO INEDITO
Cumtare eo ^*' se volio e trare per raxon (^\
Una istoria veraxe de libri e de sermon,
Se gli piace udire un bel serinone Veritiero. La voce sed per se tro-
vasi qui usata solo allora che il poeta vuole ovviare la elicone colla
vocale seguente^ mentre scrive sempre se^ quando segue una conso-
nante. Cosi vedremo in sèguito la congiunzione che o ke mutarsi in
ked ogniqualvolta è sanità da vocale '; di modo che la d non ha qui
alcun valore^ tranne quello d'impedire Telisione; cosi appunto i
poeti moderni cangiano allo ste3S0 fine la particella tiè in ned
quando è seguita da vocale. Questa osservazione ci prova^ quanto
addietro risalga l'uso della d a tale ufficio. •
El gè pkixe per gli piace è maniera pretta lombarda^ dicendosi
tutt'ora : el ghe pias. Avvertasi, c^ie la buona ragione c'insegna a
considerare come duro il suono della g nejla voce gè che significa
gli; i.'' perchè nel sècolo xiii l'ortografia italiana non ave^a ancora
verun segno convenzionale per esprimere quel suono colle vocali e
ed i, giacché Tintroduzione della lèttera A a tal fine frapposta tra le
c^ g eie vocali in che, chi^ ghe^ ghi, pare che non venisse general-
mente sanzionata se non versola metà del sècolo xiv. Solo ad espri-
mere il suono duro della c^ come consta dal nostro còdice e da iiìtli
i contemporànei, facèvasi uso del k, scrivendo ke^ ki^ e talvolta
ancora delle gtij scrivendo que, qui, H qual ùltimo modo, già intro-
dotto dai Provenzali, si è conservato nelle moderne ortografie francese
e castigliana. 2.^ Perchè tutti i dialetti dell'alta Italia pronunziano
durala voce ghe, e la tradizione e le vecchie carte ci attestano, che
la pronunziarono sempre allo stesso modo. Quanto poi alla forma
plaxej piace, ossia alla permutazione della i in f^ che vedremo ri-
pètersi costantemente in pari circostanze , si è puro effetto della
naturale tendenza, a quel tempo generalizzata presso tifiti gli scrit-
tori italiani ed occitànici, di serbare, per quanto si poteva, le prime
forme delle radici latine.
{{) £o per io, manifesta contrazione dell'egro latino. Talvolta, ed
ispecie negli scritti del Buonvicino, trovasi eio, dal quale più
presto derivò l'italiano io.
(^) Trare per raxon è fraae più vplte ripetuta nel corso del poe-
DI PIETttO DA BARSEGAPÉ. 207
In la qua! se contèn guangii (*) e anche pistore ^^^
E del novo e del vectre (^) testamento de Crìste.
Alto Ueo patre segnior,
Da a mi forija e valor;
Patre Deo segnior veraxe,
Mandìme la toa paxe;
Jesu Cristo filiol de gloria,
Da a mi seno e memoria,
Intendimento e cognoscan^
In tuta grande lialtanca ^^>,
Si me adrica in quella via
Ke pla^a a tbà grande segnioria.
Spirito sancto, de toa bontà
Eo ne sia sempre inluminao;
Inluminao e resplendente
Del tò (^) amore sì sia sempre.
metto^ onde esprimere! dUporre per órdine giusta ii deUalo della
sana ragicne.
(1) Guangii j per Fimgeli; coiruziooe frequente nei dialetti lom-
bardi che sovente permutano va^ ve in gua, gue^ ed inversamen-
te^ come: varda per gwtrda. Cosi pure la terminanone plorale in
it Ifévasi rq^elttta in parecchi nomi lombardi.
(^) Pi%^or9j per epistole i altra corrazione propria del dialetto
lombardo I) che pèrmuta sovente la / in r^ ed iaversamente.
(3) Fectre^ per vecchio, dalla radice latina vetuSj veteris, alla
quale Tautore lenta aocoetarsi. Nel corso peraltro del poemetto
fti uso costante della parola i>egiOj cormsione di vecchio ^ che tut-
t'ora ii pòpolo milanese pronumia vecc^ e vegia pel femminile.
(4) LiaUanfa, per lealtà, sincerità. Questa desinensa è comune
a tutti gli scrittori volgari contemporànei che l'attinsero dai Tro-
vatori occitànici.
(5) Tòj f^ ttéo, è manim^a lombarda usata anche. a' di nostri.
Cosi in sèguito ve(ta*emo la forma lombarda odierna in tutti i prò-
£08 POEMETTO INEDITO
< . E clamo (^) marce al me (^) segniore
Pàtre Deo creatore ,
Ke possa dire sermon divìù,
E comen^à ^^) e trare a fin ,
Como Deo à fato lo mondo, .
E comò, de terra fò lo homo formo (*' ;
Cam el descendé (^) de cel in terra
In la vergene regal polgeìla;
E cum el sostene passion
Per nostra grande salvation;
E cum vera al dì de Fira^
Là o^ sera la grande roina;
Al peccatore darà grame^ ^*) ,
nomi possessivi mè^ tò^ sò^ per miOj tuo^ stio^ come pure mia^ ioa^
sottj pei rispettivi femminili.
(i) Clamo j per chiamo^ ad imitazione della corrispondente ra-
dice latina e provenzale. ^
(2) Mi^ per mio, come si è avvertito di sopra.
(3) Cùmencà, per incominciare; maniera pròpria del dialetto
milanese, che suole sopprimere la sìllaba finale re in tutti i modi
indefiniti nei verbi dì prima conjugazione.
(K) Formo, per /ormato. Licenza poètica, onde aver forse almeno
qualche assonanza con mondo. D'ordinario peraltro questi parti-*
cipj dei verbi di prima conjugazione hanno la terminazione ào,
propria del dialetto vèneto antico e moderno, come ; andAo, dào,
mostrào, per andato, dato, mostrato.
(8) Descendé; per discese. È da notarsi la fonna regolare ser-
bata nella flessione di questo verbo, che è conforme alla latina
descendit, e ci prova, come la irregolarità nd passato perfetto e
nel participio, cosi di questo, come di parecchi altri verbi, ve-
nisse introdotta posteriormente. Ne vedremo in sèguito molli
esempi .
(A) Grame^a, per tristezza. Radice itàlica antica andata fuor di
uso, sebbene sopraviva l'aggettivo gramo e l'astratto gramaglia.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 209
Lo tasto avrà grande alegre^a.
Ben è raxon ke l^omo intenda
De ke traila sta legenda.
L^ altissimo Deo creatore
De tuti ben comen^dore
Plaque a lui in comen^amento (^^
Lo cel e la terra el creò,
La luxe resplendente a far dignò;
Lo sol, la luna e le stelle,
Lo mare, e lì pissi, e li ol^elli <^)
Aer, e fogo, el firmamento,
Bestie tute e li serpente.
Partì la lux da tenebria (^);
Parti la nocte da la dia W;
Et alla terra de bailia (^)
(1) Quivi appare manifesto, che il copista dimenticò di trascri-
vere un verso che compieva la proposizione rimasta perciò sospe-
sa, e che formava il dìstico rimato in ento,
(2) Oìgelli per wcce/K.
(5) Divise la luce dalle tenebre. Il verbo partire è quivi adope«-
rato dall'Autore nel primo significato suo proprio; cioè nel senso
di separare^ o divìdere ; né mai in séguito viene adoperato ad
esprìmere il passaggio da uno ad altro luogo lontano, che è un
significato traslato e remoto introdotto posteriormente, esprimendo
re£fetto per la causa; giacché l'uomo andando lontano si separa
dal luogo primo e dagli oggetti che vi si trovano.
(4) Divise la notte dal. giorno, È da notarsi il nome la dia di
gènere femminile, ciò che potrebbe considerarsi come derivato
dal latino, ove dies è più sovente adoperato dagli scrittori come
femminile ; ma quando si rifletta , che lo stesso nome, e pochi
versi prima e nel corso del poemetto, è adoperato dairAutore in
gènere maschile, appaile manifesto, che quivi deviò dalla règola
solo per servire alla rima.
(5) Bailia, Antica radice italiana estranea alla lingua latina^ che
44
210 POEMETTO INEDITO
Potestà et segnoria.
De lè (*) nasce lo alimento ,
Herbe e lenie W e formento,
Biave e somen^a d^onna gran ^^\
Arbori e fruite d^omiunca man (^K
E vide Deo e si pensare <
Ke tuto tjuesto par ben stare.
Possa W de terra formò Forno,
vale pieno ed assoluto potere j e che Tautore traduce nel verso seguente
in potestà e signorìa. Con qualche modificazione nel significato e
neiruso perdura ancora in nostra lingua nella voce balia, È noto,
come sino da' suoi primordj la vèneta repùblica desse il titolo di
Bailo al magistrato al quale coi pieni poteri affidava il governo
delle lontane provincie ^ ciò che prova come più esattamente^ an-
ziché balìa y dir si dovrebbe bailìa,
(1) De lè, voce lombarda tutt'ora usata per esprimere da lei,
(2) Lenie, per legne, femminile plurale. Il lombardo adopera
questo nome anche al singolare^ la legna, che manifestamente de-
riva d^l latino plurale neutro Ugna,
(5) Biade e sementi d'ogni grano. Qui si ripete a mo' del latino
e' del provenzale la permutazione della t in l, nella voce biave; e
ciò che pib importa ^ della d in p; attestandoci^ che sei sècoli in-
nanzi il Milanese proferiva come oggidì biava per biada, come
pure somenza per semente,
(*) Alberi e frutta d'ogni specie, È invero meritévole d'osserva-
zione^ come l'anomalia esistente nella declinazione del nome frut-
to, cosi in italiano^ come nel dialetto odierno milanese (ove es-
sendo maschile nel singolare, diviene fenuniniie nel plurale, di-
cendo: le frutta, la firuta), si rinvenga ancora ai tempi del Be-
scapé, giacché la voce fruite al plurale è indubiamente di forma
femminile. Ciò prova ancora meglio la tenacità dei dialetti nel ser-
bare le pimitive loro forme.
{^) Possa, per poscM. Questa voce, come si vedrà in sèguito, è
resa dall'autore in varia forma, cioè: pò, pos, pox, poxe, ed è
una manifesta derìvazicme dalla latina post.
DI PIETRO Di BARSEGAPÉ. StH
Et Adam gè mette (^) nome;
Si li dà una compagna;
Per la soa nóme (^) Eva se clama;
Femena feda d^una costa,
La qual a V omo era posta.
De cinque sem el gè spiròe ^^\
In paradiso ì alogò.
El g^è d^ugni fructo d^arborxello
Dolce e delectevele e bello:
Tal rende vita san^a dolore,
E tal morte con grande tremore.
In questo logo i a ponù (^)
Segond(T^^) quel ki g'è plaxù.
Ouatro fiumi, <jo me viso W,
(1) Mette j per mise. Come ho già osservalo alla voce descendé^
il Bescapè serba intatte le radicali dei verbi in tutti i tempi pas-
sati e tei participj , evitando le anomalìe già^ sanzionate dall' uso
e dalla gramàtica italiana.
(9) Avvertasi, come la voce nome sia qui di gènere femminile,
mentre in latino è neutro , e negli odierni dialetti maschile. Que-
sta permutazione del gènere , ove si ripeta sovente , è chiaro in-
dizio della sovraposizione d'una lingua ad altra di natura diversa.
(3) Nel còdice da me esaminato sta chiaramente sòritto : De
cinque sem el gè spiroe; siccome peraltro la voce sem è d'ignota
significazione, cosi pare che debba annoverarsi fra i molti errori
del copista, e lèggersi piuttosto sensi^ nel qual caso significhereb-
be: e gli inspirò i einqne sensi^ cioè l'alito della vita, ciò che
pienamente concorderebbe col racconto biblico.
(4) Ponùj per po^i, serbando al sòlito la radicale di pónere,
(5) SegondOj in luogo di secondo^» ove si scorge la permutazione
della e in gr, come accade tuttavia nel vivente dialetto milanese.
(6) Ancora oggidì il pòpolo milanese, e sopratutto quello della
campagna, dice: el me dtVts^ oppure el me duvis^ per esprimere:
mi pare^ mi sembra ^ o, dò che toma lo stesso: mi è (T avviso.
Allo stesso modo anche i Provenzali dicono appunto: m'es d*am.
212 POEMETTO INEDITO
En (*) in quésto paradiso;
Lo priraer a nome Physon;
Lo segondo à nome Geon;
Tigris fi giamao W lo tertio ;
Lo quarto a nome Eufrates.
Questo logo veraxè mente <')
\jO piantò al comen^amento.
In lo qual Deo segniore
Adam è facto guardaorè '*).
(1) Oltremodo importante è questa voce én per significare sonOj
terza persona plurale del presente indicativo del verbo èssere ^
dappoiché essa ci attesta la tenacità dei dialetti nel serbare le
prime radici. È noto ^ come in origine il presente indicativo del
latino esse^ serbando la radicale eSj fosse esum^ esj est^ esumus,
estisj esunt^ delle quali voci le due prime persone e la terza plu-
rale sin dai tempi della romana repùblica avean perdita la radi-
cale e; essa per altro perdurò nel dialetto nella terza persona
plurale , ove in quella vece fu contratta la flessione caratteristicd.
Per tal modo in luogo della strana anomalìa per la quale la terza
persona è del singolare in italiano si trasforma in ^ono nel plu-
rale ^ si ebbe nel dialetto la forma regolare én^ ove la caratteri-
stica n disitingue il plurale dal singolare^ come nei verbi normali.
Ed è pure a notarsi^ come la stessa forma perdurasse nel dia-
letto milanese sino ai di nostri con lieve modificazione^ dicendosi
tutt'ora in per sano,
(2) Anche in questa voce si ripete la permutazione della e ingj
dicendosi tuttora ciamà per chiamato. Ha sopra tutto dèvesi no-
tare la desinenza ào data costantemente ai partioipj dei verbi di
prima conjugazione ^ la quale è esclusivamente propria del vèneto
dialetto.
(3) La formazione degli avverbj italiani terminati in mente ap-
pare manifesta dal còdice Bescapè, ove sono sempre separate le
due voci che li compóngono, mostrando cosi la loro derivazione
dall'ablativo assoluto latino mente preceduto da qualche aggettivo.
(4) Guardaorè per guardiano, custode.
DI PIGTBO DA BARSEGAPÈ. 213
Sì ii fa comandamento ,
De le fruite k'è là dentro
Uè ^ascun possa mangiare;
tfn gè n^è k^ei laga (^) stare;
E l'è un fruito savoroso,
Dolce e bello e delectoso,
Da cognoscer e ben e '1 mal;
Per^ò li ào vectao de man^à (^).
Si li dixe perme^o lo viso (^)
Li aloga (^) in lo paradiso:
Qual. uaca di tu mangirae,
Tu a morte morire (*),
Tute le cose vivente
D'avanzo Adam li im presente W
Serpente, oycto 90 k'el criò (^)
(i) Fé n'ha uno eh* egli deve lasciare. Qui troviamo Ioga per
la$cii' così appunto come ancor s'usa in alcuni luogbi dell'agro
milanese.
(2) Perciò gli ha vietato di mangiare. Quivi, oltre alla forma
vèneta nella flessione del participio vectao ^ è da notarsi la desi-
nenza tronca dell' infinito mancai propria del vivente dialeUo
milanese.
(5) Gli dice permessa la vista, S* intende del frutto proibito.
(4) Lì aloga significa ivi; aloga pare derivato dal latino ad lo-
cum, come pure l'altra voce di egual «ignificazlone e più volte
ripetuta nel corso del poemetto VcAt7o(|ia^ la quale indubiamente
è una corruzione di Aie loci. Quest'ultima voce òdesi ancora so-
vente nell'agro milanese. -
(b) Si è questa la versione letterale del morte morieris della
versione biblica latina,
(6) D'inanzi ad Adamo^ ivi all' istante,
'(7) La voce oycto in questo verso è cosi di forma strana, come
d'ignota significazione. Anche questa peraltro sembra un'aberra-
zione del copista, e in ogni caso significa: tiUtociò ch'egli creò.
S4 4 POEMETTO INEDITO
Ad Adam ii apresentò;
K^el miti nomi com'i plaxe (^^;
E quilli seran nomi veraxe.
Adam mete nome ale cose
Segondo quel ked el vose ^^^.
Or sen partì Io creatore
Si cum gè plaxe cum a segnìore (^\
Lo serpente qe (^) ad Eva
Drita mente là o^ eV era (^^;
PIen de venin n' era M serpente
Tosegoso e remordente,
(i) Che apponga i nomi come gli piace. Ella è forma puramente
lombarda e caratteristica dell' odierno dialetto^ quella che inco-
mincia un discorso od un perìodo colla congiunzione che^ la quale
appunto perchè congiunzione^ richiede un membro precedente
della proposizione. Cosi il Milanese odierno va dicendo^ ch'eldin
on pò; ch'el vaga pur, per esprimere: dica un po'; f?ada pure;
ove si vede che la voce che non fa l'uffizio di congionzione, o se
vuoisi considerare come tàìe^ è d'uopo sott' intèndervi una pre-
messa; del che non troviamo verun esempio, non solo nelle lin-
gue latina ed italiana ; ma ancora in tutti gli altri dialetti della
penisola.
(i) Giusta dò ch'egli f?olle. In questo verso sì ripete l'inser-
zione della lèttera d, onde ovviare la elisione della voce ke con ei •
(5) Siccome piacque a Lui ch'era il Signore ^
(k) In tutto il corso di questo poemetto si trova ripetuto fé per
ando^ la qual voce è indubiamente un derivato della radicale gire,
antico verbo italiano, del quale solo alcune flessioni di alcani
tempi ci rimangono ancora , essendo il maggior nùmero andato
fuor d'uso.
(tf) Direttamente colà ove eli' era. La voceo' per ove corrisponde
alla u' dei nostri poeti moderni, non che alla où dei Francesi , le
quali tutte sono una manifesta storpiatura deirtiM latino.
DI MBnO DA BARSBGAPÉ. 345
Si portò mala novella *
Comen^mento de la guera.
Dix quella figura soca e rea:
Perquè no mangi, madona Eva,
Del fruito bon del paradiso?
E molto bello, co me viso'(^)!
Eva dissi a lo serpente:
De le fruite k^én ^a dentro ^^^
De tute mangiar possemo;
Mo un gè n^è ke nu schivemo,
Nu no Tosemo ca (^) mangiare,
K^ el partisce lo ben dal male.
Quel Segnor ke ne criò (*)
Duramente nel comandò,
Ke nu de quel no fesomo torto ('),
Ke nu seravem (^) ambi morti.
(1) Come ho già avvertito di sopra, ^ me viso è modo lombar-
do^ che significa: fui sembra.
(2) Delle frutta che sono qui dmfro. In questo verso dobbiamo
notare tre voci di forma lombarda, e sono ; le firuite in gènere
femminile, come tati' ora s'usa nei dialetto milanese, che nella voce
la fruita abbraccia ogni specie di frutta mangereccie ; il verbo ih
per sovùo^ che Fattuale milanese eq>rime con tn^ e corrisponde
all'antica voce toscana etmo; e l'avverbio (ux tutt'cMra usato nell'a-
gro e dal pòpolo milanese per esprìmere qui.
(5) La voce ^ che d'ordinario significa qui ^ in questo luogo
corrisponde all'italiana già, >
(*) Ne criòj vale a dire ci creò. Ne per ci è proprio di tutti i
dialetti dell'alta Italia.
(5) Cosi sta scritto nel còdice, ove pare che il copista abbia
alterata l'ultima voce ; giacché sebbene sia facile indovinarne il
significato , questo non emerge dalla frase far torto.
{(i)Nù^seravemy^er noi saremmOj è maniera esclusivamente pro-
pria dèi dialetto veneziano.
2i6 POEMETTO INEDITO
Dìx to serpente a madona Eva :
Or ne man^e |>en volentera (^);
Vu seri W si comò Dee;
Gognos<)erì lo bon^ el reo(^);
Vu seri de Deo inguale (*>,
Ke vu savrì el ben, el male.
Eva si à crecuo (^) al serpente;
Lo fructo prende e metel al dente ^^\
Pò ne de al compagntou
Ke Adam Tapella nome (^). .
Quando Tavén mandegao^?).
(1) Ben {>ol€nt€ra è maniera pretta lombarda.
(2) La terminazione tronca in i delle seconde persone plurali,
che trovasi costantemente usata dal Bescapè è pure caratteristica
di tutti ì dialetti dell'alta Italia. Cosi veggiamo nei versi succes-
sivi : cognoscerì^ serì^ sa^ì per conoscerete ^ sarete j saprete j, ecc.
(5) £1 reo 3 vale a dire: il malvagio,
(4) Àncora oggidì l'uomo del pòpolo milanese dice inguai s in-
guaia per eguale.
(5) Oltre alla permutazione ddla d in e nella voee crecùo che
significa creéutqj è ancora da notarsi la desinenza ùo propria del
dialetto vèneto ^ e costante in tutti i participj della stessa conja-
gazione. La stessa osservazione abbiamo fatto più sopra nei parti-
cipi di prima conjugazione terminati in ào; di modo ehe pare non
potersi dubitare della primitiva prevalenza del dialetto vèneto nelle
forme della lingua scritta nell'alta Italia.
(6) Metter al dente j per mangiare ^ è frase lombarda.
(7) Qui dovrebbe dire : l'appella a nome.
(8) Qtmndo l'ebbero mangiato. È costante in tutto questo poe-
metto ia regolarità nella conjugazione dei verbi ^ mentre tutte
le terze persone singolari divengono plurali col solo aumento di
un'n finale; né mai v'ha luogo alcuna di qudle permutazioni
nella sìllaba radicale, o di quelle svariate flessioni , che formano
tante anomalie nei verbi italiani. Cosi appunto i^ mentre il verbo
Di PIETRO DA BARSEGAPÉ. 247
Zascàun se tea per inganao (^),
E kiUi se vìdeno scrini'dhi Wj
Vergoncià , grami e unidln (''.
lili se vol^én intro le frasche ^^\
italiano avercj ba ebbe nella terza persona singolare del passato ^
ed ebbero nella terza plurale, presso il Bescapè serba la forma
regolare ape pel singolare , apèn pel plurale. Similmente dare j
che in italiano si trasforma in diede^ diedero^ nel nostro poemetto
forma dèj dm; andare^ che nel singolare passato ha andò^ e nel
plurale andarono^ nel poemetto invece ha andò^ andònj cosi gli
altri : fó^ fin in luogo di fu^ fàronoj odìj odìn per udìj udirono j
e così di sèguito , come verremo appuntando nel corso dell'opera.
(i) Ciascuno si riconobbe ingannato. Qui si ripete la forma vè-
neta del participio colla terminazione ào^ la quale, come vedremo
in sèguito, talvolta si cangia in ado^ come: troipadOj mangiadOj
comandado. Avvertasi per altro, che questa pure è propria di
qualche dialetto vèneto, e propriamente del veronese, mentre i
Lombardi la troncano, dicendo: mangiàj trom^ comanda^ e simili.
(5) E quelli si videro scherniti. È strano nella voce scriifhidhij
come pure nella successiva unidhi ed altri participj , come tro-
vadhOj mang^iadhoj e simili, il vedere la lèttera h unita alla d^
ciò che dovrebbe èssere un segno convenzionale di particolare
pronunzia a noi sconosciuto , non potendosi attribuire a negligenza
del:copiàta, mentre è più volte ripetuta la stessa combinazione di
lèttere in simOi voci. Può darsi, che per tal modo si volesse a
quel tempo esprìmere un raddolcimento della dj come più tardi
si espresise quello della t, colle th.
(5) Svergognati^ tristi ed ignudi. il copista ha commesso un
errore, scrivendo unidhi^ in luogo di inùdhi^ cornei pare dai versi
seguenti, ove lèggesi sempre nudho per ignudo j o il poeta alterò
ad arbitrio questa voce per servire alla rima.
(4) Eglino si rax>vòlsera entro le foglie. Qui troviamo un esem-
pio, comecché isolato,, pur e sufiGciente a provare, che Tuso della
lèttera h a rèndere duro il suono della e era già introdotto ai
tempi del Bescapè, sebbene prevalesse ancora quello del k; ne ab-
biamo un altro esempio nella voce schipemo in una delle pàgine
precedenti, e nelle parole ncftt, riche tra le seguenti.
218 POniBTTO INEDITO
Come fai lì ribaldi entro le $trace;
De folle de figo, dixe la scriptura,
Ke illi se fé^ (^) la covertiira.
Pòs me^ dì (') vallando a lor
UH odìn (3) la voxe del Segnior;
UH s^ascondén intrambi du (^)
De grande timore k^ illi àn abiù (^\
Quando U Segnor gè fò apresso
Et elo clama li adesso :
0^ etu W, Adam? dixe lo Segnior;
Et el responde con grande tremore:
E' odi, Meser, la toa voxe,
De pagura ('^) me rescose ;
In per quelo ki era nudho
Si me sonto (^) asconduo.
(1) Fénj per fecero^ giusta quanto ho osservato neHa annotazione
(8) alla pag. «6.
(2) Maniera lombarda ancora in uso ond*esprfanere dopo mezio
giorno,
(5) Odtn per udirono. Vèggasi la nota (8) a pag. M.
(4) Eglino s*a8CÒsero entrambi. Qui troviamo nella voce s^astm-
dén un nuovo esempio della costante regolarità nella conjugazione
dei verbi , sebbene subissero alquante anomalie nella lingua ita-
liana posteriore.
(K) ^biù per avuto è voce tuttavia usata nel contado milanese.
(6) O* età? Ove sei tu? Questa forma si accosta molto alla pro-
venzale ed alla francese : où es-tu?
(7) Ancor oggidì il Milanese pronunzia pag%xra per paura.
(8) Reca invero sorpresa^ e nel tempo, stesso nuovo ai^omento
a provare Tirresistibile tenacità colla quale i dialetti serbano le
primitive loro forme ^ la voce sonto per io sono; mentre ancora
dopo sei sècoli il Milanese conserva nella stessa voce la t finale
che lo distingue da tutti gli altri dialetti^ dicendo: sonfandà,^
sono andato; aonV arivà^ per sono arrivato^ e simili.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 949
Dix lo Segnior: ki t'à mostrao
Ki t^à quillo nudhe trovadho,
Se no lo fructo ke tu è mangiadho?
De Io qual t^ aveva comandadho
Ke non mangiasi e tu mangiasi (*) ,
Gontra 1 meo dito <^) tu andasti.
Adam casona la compagniesa (') ,
E dix: Meser, eia fó desa,
La femena ke tu m^è dao
Me de lo fructo, eo Pò mangiao.
La femena caxona lo serpente
Ke rompe W gè fé lo comandamento.
Lo Segnior fé a lo serpente (^);
El maledixe fortemente,
Per fo kVà fato sta folia:
Lo pegio tò andarà per la via (g),
(1) Non v'ha dubio che qui dèbbasi lèggere mangiasti^ si per
il senso, come per la rima, annoverando l'ommissione della t fra
le innumerevoli negligenze del copista.
(3) Dito per dettato j Ol precetto.
(3) Adamo ne accagiona la compagna. É da notarsi la caratte-
ristica essa per la formazione del femminile, che in italiano s'ap-
plica solo ad alcuni nomi, come: poeta ^ profeta j abate ^ che nel
femminile si cangiano in poetessa^ profetessa^ abadessa; ì quali con
pochi altri formano piuttosto oggidì eccezione alla règola generale.
(H^) La soppressione della sillaba re finale in tutti gli infiniti dei
verbi è tuttavia un caràttere distintivo del dialetto milanese, che
pronunzia andà^ credj romp^ finì; per andare^ crédere^ rompere^
finire.
(8) È costante in tutto il poemetto la voce fé per andòy la quale
senza dubio è una delle molte flessioni del verbo gire^ ire, andate
fuor d'uso, come ho avvertito di sopra.
(6) Il tuo petto striscierà per ^ra. È ancora proprio del dia-
letto milanese il permutare le tt in è in alcuni nomi terminati in
3S0 POEMETTO INEDITO
Sempre mai ke tu sii vivo ^%
La^terra sera to inimigo;
Entre ti e dona Eva
No sera mai pax ni tregua;
Lo fiiio ked (^) bela avrà
E li toi ki nascerà
E^ge melerò ten^oil e guera,
Fin kene sera suso la terra.
Suso io co ìlli te daran ^)^
La testa toa illi la tufaran;
UH guardarao li pei da te;
Tu ior vorai grande mal per fé.
Pò dixe lo Segnior a dona Eva
Una menaca molte fera:
Multiplicarò li toi erore,
E t'aparturirè con grande dolore.
Tu avra^ sempre de lo lupo grande pagura,
Et elo sera tò segnior san^a rancura.
etto^ come tettOj lettOj che pronunzia teòj lei. Pare quindi che que-
st'uso nei tempi addietro fosse più esteso e forse generale, mentre
ne abbiamo un esempio nella voce pegio per peltOy ed in altre che
verremo successivamente indicando.
(i) Finche viipraL La forma sempre mai nella quale V avverbio
mai anzi che distrùggere aggiunge il màssimo valore al significato
dì. sempre j è una forma esclusivamente itàlica, della quale non si
trova traccia nella lingua latina.
(SK) Oltre alla d eufònica aggiunta alla congiunzione che onde
ovviare T elisione, qui troviamo ancora la vocale seguente prece-
duta da hj forse a prevenire ancor più V elisione medésima ; ciò
jche lascia supporre, che la lettera h valesse come segno di aspi-
razione.
(3) Co per capo, è voce propria del dialetto milanese ,. mentre
smo per sopra è comune a tutti i .dialetti vèneti; di modo che
suso lo cój forma una mistura di elementi eterogènei e dissonanti
air orecchio del linguista.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 221
Or se vol^e inverso l'omo:
Brega gè dà in questo mundo (0,
Dixe: per co ke mi non obedistì,
A toa moier ancoi credisti,'
Maledhegia (^) la terra sia !
In la tua lavorar ia
Zermo nascerà gar^on e spine ^^),
E vivere a grande fadige (*);
Lo pan avra^con grande sudore,
In grande grame^a e in dolore,
De chi (*^) a che to retornerà
Da la terra unde V è crea (^).
(i) £rega in luogo di briga, per cura, affanno; e quiadi questo
verso esprime^ come il Creatore rivolto all'uomo, h condanna a
mille cure in questo mondo.
(2) Ho avvertito di sopra, come il Lombardo permuti talvolta
le U in e nella terminazione etto; maledhegia per maledetta, è un
nuovo esempio deirantichità ed (estensione di quest' uso.
(5) Nella terra da te coltivata germoglieranno cardi e spine,
È forma vèneta nascerà per nasceranno, mentre i dialetti vèneti
non distìnguono il singolare dal plurale nella terza persona dei
verbi ; e la voce gargon è lombarda , dicendosi ancor oggi in
dialetto milanese cardón per cardi.
' (4) Il Milanese termina ancora in è la seconda persona singolare
del futuro, dicendo : te fare, te vivarè, te dare, per farai, vivrai,
darai.
(5) La forma pretta lombarda, e precisamente milanese, è mani-
festa nella espressione: de chi a che te retornerà, per esprimere,
finché ritornerai, quasi volesse dire : da qui, cioè da questo istante,
sino a che, ec.
(6) ^lla terra di cui sei creato. Rivela facilmente orìgine lom-
barda la forma data terra per alla terra, dicendosi comunemente:
l'è andà da la zia, l'è torna da so mamma, per esprìmere : andò
a visitare la zia, è ritornato a sua madre, e simili.
2S3 POCMETTO INEDITO
Pulver fti8lo -e pulver ee (*),
Et in pulver tornar tu di (^).
Ora a ior fa vestimente
De pelioe verax mente
Si li vesti. li aloe (^);
Del paradix lì descomioe ^^)
Esen fora e vasen via
En W intrambi du in compagnia.
Fora df^l paradiso li apresso
Le habitaxon gè féa (^) adesso;
Ora sen stan entrambi du
En quelo logo o^ illi én venu;
(i) Pólvere fosti e polvere sei; qui forse il copista ha raddop-
piata la e che significa sei^ per esprimere che dev'èssere prolun-
gato il suono.
(2) Pare che anzi che di dovrebbe lèggersi de' che meglio con-
verrebbe al senso devi^ ed alla rima. In questo luogo ^ come in
parecchi altri^ si scorge chiara l'intenzione dell'autore di pòrgere
la versione letterale del testo ecclesiàstico: memento homo quia
puhis eSj et in pulverem reperteris; ed è talvolta miràbile la chia-
rezza e la precisione colla quale il testo originale è volgarizzato.
(3) Varia nel poemetto .la forma di questa voce, forse per ser-
vire alla rima; lì aloe è lo stesso che lì aloga^ che significa tVt^
e deriva forse dal latino illic ad locum. -
(4) Li scacciò dal paradiso. La voce descomioe corrisponde al-
l'italiana accommiatò^ la quale peraltro ha ora un senso più mite^
qual è quello di dar licenza j o congedare.
(5) Escono e se ne vanno ambedue in compagnia. La voce in,
che significa sono ^ pare qui intrusa dal copista , essendo fuori di
posto e soverchia. Del pari è da notarsi il pleonasmo intrambi du,
il quale è ripetuto più volte, e corrisponde alla voce italiana am-
bedue, che pure è pleonasmo ; ma se questo nella buona lingua è
tollerato colla voce ambo di egual significazione^ non è poi lécito
colla voce entrambi che sta sempre da sola.
(6) La sòlita forma da noi avvei^ta nel passato dei verbi è
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. SSS
Intrambi du in conpagnia
Fano li Talbei^aria.
lUi lavorai) fera mente
Per ben viver nudria mente,
E si dan aver fiol anche loro^*).
Tal è rè W, e tal è bono.
Tuli semo de loro ensudhi W
Ki in questo mundo semo venudhi (^);
Tal fan ben e tal fan M male
Segondo quel k'i a plaxé fare.
De Eva e de Adam ormai lasemo;
De qo ke pò essere dìxemo,
E si acomen^a tal istoria
Ke sia de seno e de memoria;
Et eo ho ben in Deo fiduxia (^)
Senga omiunca meneman^a,
quivi constatata dal nuovo esempio fén per fecero derivato dal, sin-
golare fé,
(I ) Ed attèndono a procreare anch'essi. La frase darsi a qualche
cura per imprèndere^ o intèndere le proprie forzej è maniera pe-
culiare italiana^ che gioverebbe raffrontare colle corrispondenti
delle antiche lingue per raggiùngerne l'origine.
(a) Bey per reo o rèprobo.
(3) Tutti siamo da loro usciti ^ vale a dire derimti^ o discesi,^
Non si può determinare èe la voce ensudhi sia stata qm modifi-
cata per la rima con venudhij o se infatti in luogo di ensidhi si
pronunciasse ensudhi ^ sebbene appartenente^ come i^enudhi^ ad un
verbo terminante all'infinito in ire.
(4) La voce ki in questo luogo corrisponde alla latina quiye si-
gnifica noi che^ o noi i quali. La voce semo per siamo ò di pura
forma vèneta ed assai pròssima alla odierna milanese che è: sèm.
(5) Qui pare che dòbbasi lèggere fidane onde concordi nella
rima con menemanfa.
224 POEMETTO INEDITO
Ke ve dito tin tal semblato (^>,
Ke no sera para seofo de sanato (^^
In questo mundo è una discordia;
Là o' no pò esser concordia , *
Se ilii no se voleno aoomùnare
De 50 ke voi i'un F altro fiire.
L'omo a in si una cosa
Ke no voi laxà star en possa (^>.
L'anima è Puna, el corpo è T altra,
K'el fa speso de freda calda (^>;
L'anima voi stare in penitentia.
Et aver grande affltgentia;
Voi Deo servire e onderare <*)
Et a li soi comandamenti stare;
Lo corpo no vóre <*) de ^o far niente;
(i) La stranezza della voce semblato che non ha chiaro riscon-
tro in italiano rende malagévole rinterpretazione di questo verso,
il quale sembra esprimere : ch'io vi detto un tat riasiuntOj me-
glio , ch'io in porrò d' inanzi tali imà-gini.
(2) Quivi pure è d'uopo indovinare il significato che manca alle
voci cosi disposte. Pare non potersi dubitai^e ^ che il copista ba
svisato alcune voei^ come proverebbe eziandio la dissonanza della
rima semblato e sancto. Onde riassumendo tutto intiero questo pe-
riodo ^ sembra più verisimile doversi interpretare nel modo se-
^guente: Ed io confido pienamente in Dio^ che H detterò tale un
sermone^ che non avì^à l'aspetto se non di santo.
(5) Possa per riposo^ quiete. Ancor oggi dicesi in dialetto possa
per riposare.
(4) Che sovente da fredda ( ch'ella è ) la rende calda. Far di
freddo caldo per alterare^ sconvòlgerej violentare^ è modo prover-
biale vernàcolo ancora usato.
(5) Onderare per onorare.
(6) F'ore per t7uo{e è proprio del dialetto milanese, che ancora
adesso pronuncia vòr col suono eu francese.
DI PIETRO DA BAnseaÀPÉ. S25
Ma sempre voi iroplir lo ventre^
Carne de bò e bon oapon <^\
Implire se voi ben Io magon (^);
Ben vestido e ben cal^ado,
E ben voi esser consolado.
« L^ anima col mondo se tenzona ^
Forte de lu la se caxona,
La lo reprebende in molte guise
E la clama: monde, e si gè dixe:
Orme di nmndo plen de iniquità
Fate Cam el scorpion ki è inveninà,
Ke da pruma sta piato (^), e posa a la fin
Forte remorde l^omo e pon^e col venin,
En cos'i ètu fato e plen de traimento;
Zò ke tu imprometi no yen a complimento;
La scriptura lo dixe, è la veritai,
Tu è a un sol pongio, si traversarai (^).
(1) Tutto questo varso è in puro dialetto milanese, ehe ancor
oggi direbbe : carne de bò e bon capón^ per esprimere : carne di
bue e buoni capponi.
(2i) Magón è voce vernàcola, che nei. dialetti vèneti significa
propriamente ventriglio^ ed ha molta affinità col tedesco Magen^
che significa stomaco^ o ventrìcolo. Nei dialetti lombardi è pure
generalmente usata; ma in senso figurato, vale a dire, ond' esprì-
mere accoramentOj oppressione prodotta da molti dispiaceri accu^
mulati. In questo luogo ha il primitivo significato di ventricolo.
(5) Nell'agro milanese dicesi ancora priima per prima ; sta
piato significa sta chetamente steso al suolo j da piatto ^ che vale
piano j d'onde derivò la voce traslata appiattarsi p«r nascondersi.
Quindi questi due versi esprìmono : che da prima s' appiatta ( lo
scorpione), e poscia alfine morde crudelmente Vuomo e punge co/
veleno.
(K) Tu sei sopra un sol punto, se T oltrepasserai.... /'ongfto per
punto è maniera lombarda ancora iu uso nel nùmero plurale.
1»
SS6 POEIIETTO INEDITO
Vele la toa gloria a que ^rà venua ('),
Tota apernìente eia sera ca^ua (^).
Lì homini ki te segueno aeran de&lrugì (^) e morti
Gonduti al\ inferno firan afHictì e morti.
Se Tonio peùsase ben sovra lo tò afare,
In alcuna guisa noi porìsi inganare; ^
S^el ponese lo seno sover la toa fin,
No serave magiao d^ alcun so^o venin (^l
E lo W no gè pensa e no gè mète cura,
Ma pensa pur de qiiel, und^el Tavrà grande dolie (^);
De viver a rapina, aver dinar ad usura
Ke la rason i avance; de questo meteU cura;
De lare le grande caxe con li rkhi solari (^),
Fé grosse torre e ahe, depengie eben merlae (^);
(I) Fenua per. venuto serba la desinatiza dei participi nel dia-
letto vèneto.
(i) Anche la voce aperniente coir eufònica a che la precede ba
forma veneziana^ del pari che il pronome èia e la voce ca^ua per
imduia,
(3) Destmgi per distrutti ci porge un nuovo esempio della per-
fluutazione già avvertita delle tt in g.
(4) No serave fnagidojch^ significa non sarebbe nmcchiatOs è
forma veramente veneziana.
ifi) Ritenendosi duro il ^uono della g nella voce gcj tutto questo
verso è in puro dialetto vj^aeto per esprimere: ei.non vi penta
e r»m (>i mette curu.
(6) Ma pensa invece a quello d'onde aivrà grandiaffmnù El renerà
per egli avrà^ grande per grandi sono manifeste forme vernàcole.
.^^.{^y Solari per soffitte^ o cieli delle starne^ è voce propria del
dialetto vèneto, coip'era proprio dei tempi del Bescapè il prò-
ìfòndere stucchi dorati e pre;ùo6i dipinti in questa parte delle sale
e delle stanze.
(8) Depengie per dipinte è proprio del dialetto milanese, come
è del 'Vèneto la desinenza merlae.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 3Ì7
D^aver càl^e de saia et esser beli vestio;
D'aver riche vignie ke facan Io bon vino (*),
Bosco da fegnie, io molin e pò lo forno.
Vasà lu voi asaì^ kì gè stiàn de torno ^^\
Ora se sta superbo e molto iniqui toso;
Nesun li vaga preso, ke Tè fato rabioso;
Sete ancelle el à, e ^ascuna el amortosa (^^,
De so aver le pasce, con quele se demora.
L^una la superbia ke tene Lucifero;
Sego s^àmigoe quando era tropo bello,
E fo ca^ao del celo con essa in abisso.
Posa rà dada al mundo ke la stia con eso;
L^omo Fa piliada e tenia per amiga,
Per 90 fira ca^ao (^) da la corte divina.
La segonda è la gola , quella malvax ancella
^ Ke fa vender la casa, la terra e la vignia;
(1) Senza arrestarci sulla forma vernàcola delle parole ke fafan
per esprimere che facciano j o producano ^ aurvertiremo còme tro-
vandosi costaatdnente usato il k nelle voci ke, ki, si ripeta sem-
pre l' uso delle eh nelle voci riche j vichi e in talun'altra^ òiò che
prova la remota introduzione di questa combinazione di lèttere^
ma non il frequente uso delle medésime che solo più tardi fu gè*
neralìzzato.
(2) Ei vuole molti vosmIU che gli stiano d'intorno. È da notarsi
ali tempi del Bescapè la voce vasà per ser^i o vassalli,
(5) Cosi è scritto nel còdice , e pare debba intèndersi : egli ha
sette ancèlle, e ciascuna egli amoreggia; siccome peraltro la voce
amortosa ha una forma nuova e strana^ sicché fa d'uopo indovi-
narne il significato, e siccome d'altronde male consuona con de-
mora colla quale deve rimare, così dobbiamo supporre che sia
.stata alterata dalla negligenza del copista.
{K) Perciò sarà scacciato é., È da osservarsi, che sebbene fosse
pure usata la forma sera, seràn, per sarà, saranno, pure gene-
rriiuente prevale l'altra firà, firàn, derivata dal latino fieri.
328 POEMETTO INEDITO
No la sa dar per Dee nesuna caritadhe <*),
Ke tato voi per sì e anche deF altro asaì;
Per tè (^) no roman a fare ni furto ni rapina ,
Ad omiunca pasto le vuol esser servia,
E la fé tol lo pomo a lì prumer parintì (^);
Cento anni gè pari ki li aveseno a li dinti ^^\
In paradiso illi erano, e stevan (^) cortexemente;
llli foi cacai (^) de fora molte villanamente.
Adam romase nudo e la compagna nuda.
No cala a la gora (^), pur Velia sia ben passuda.
(ì) Sebbene caritadhe sia voce italiana di forma lungamente
usata di poi^ pure^ avuto riguardo alla voce assai colla quale deve
rimare i, ed alle desinenze che l'autore suol dare a slmili voci,
pare che qui dèbbasi lèggere piuttosto caritdi^ come abbiam visto
superiormente veritài.
(2) Per lei non resta a fare. . . fé per fet> e roman per rimane
sono corruzioni proprie dell'attuale dialetto milanese.
(5) Essa fé cògliere il pomo ai primieri parenti. Td, per prèn-
dere^ è tutt' ora usato dal Milanese^ come tor dal Vèneto^ le quali
voci sono manifeste contrazioni dell'italiana tògliere.
(4) Ecco una frase comune a tutti i 4ì^l6tlì dell'alta Italia, i
quali per esprimere desiderio ardente, impazienza di conseguire
alcuna cosa, dicono : già mi paiono cent'anni gli istanti che sono
frapposti — E quindi questo verso esprime letteralmente : Essa
(la gola) ardeva del desiderio che lo mangiassero.
(K) Nell'agro milanese ed in altri dialetti lombardi dlcesi tut-
t'ora steva in luogo di stava.
(6) Essi furono scacciati. Nella voce foi è chiaro che il copista
ha posta la i in luogo d'una n^ mentre altrove ha sempre scritto
fonj per furono. Nella parola cagai sì conserva poi la desinenza
dei participj veneziani.
(7) Nulla cale alla gola ^ purché sia ben pasciuta. No cala è
modo vernàcolo ancora usato nello stesso significato, e deriva dal
latino calere^ essendo, come questo, adoperato solo in terza persona
singolare. Giova poi notare la permutazione della / in r nella pa-
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 229
De 4}o dixe sancto Paulo in soà predtcan9a,
Ke Tomo debia vive con grande temperanza.
L^omo Fa piliada e tenela per amiga;
Però firà ca^ao da la maxon divina.
La ter^a ancella e la fornication:
Molto desplaxe a Deo, 90 dix lo savìomo:
Fornicatori e adulteri de^Deo fudigare,
Et el è tal peccato, ke Dee. noi voi portare,
E le piexor citae (^) venin a grande arsura ,
Gum se fa mention in la sancta scriptura.
Si è un tal peccato, cuoi più W Tomo lo faxe,
Zamai no sen despartise da k'el cor gè giaxe.
L^omo Fa piliada, e tenia per amiga,
PerQÒ firà cacao da la corte divina.
La quarta ancella si apella avari tia;
Una de le ree ke in questo mundo sia;
De tuti li mai eia pare radixe,
Segondo quelo ke Salamon dixe.
Lo povero sta a V usgio (^) e crida carità ;
No li vale clamare marce, né pietà;
El'è fata tenevre W cum^è Jata la raxa (^),
rola gora che ancora adesso è pronunciata dal pòpolo milanese
allo stesso modo.
(1) Il Veneziano odierno direbbe ancora le pezar zitae ad espri-
mere le peggiori città^ ciò che riconferma V antica influenza del
dialetto vèneto sulla lingua scritta in Lombardia.
(2) Anche la forma coni più per esprimere quanto più è propria
di tutti i viventi dialetti dell'alia Italia.
(3) Usgio per useioj porta della casa.
(4) Tenevre per tenace^ ipiscosa^ come appunta è la pece alla
quale è assimigliata.
(5) £axa o rasa chiamasi ancora in dialetto la pece gomma
di terebentina.
SSO POEMETTO INEDITO
No voi veder del ben indir fora de eaxa (*).
L'omo Fa piliada, e tenela per amiga,
Per^o firà ca^o da la inaxon divina.
La cinquina ancilla m^è vix ke sia Tira,
La qual non adovra de la ley^e divina.
Dolente la famelia o' eia brega speso <^) !
E Tè piena de lagnia più ke lo mar de peso (^);
Partire fa fra elli e metege tengone (^>,
E metege grande discordia entro K eompagnione;
La guera va crescendo e metege tesura ^^);
Del mal fa queja asai m ke lì no g'èmensura.
Ardese le case, le tegie e li paliari (*);
Morti finon li horoine, prisi e maganai (^).
(1) Non vuol ipedere mcir di casa le proprie soskmtze. La voce
del ben per sostanze è ancora u^ata in giaietto lombardo, nel qua-
le, per esprìmere che uno è lautamente provveduto, dicesi: el
gh'd del ben de Dio.
(2) Dolente la famiglia ov'essa briga spesso/
(3) Essa è piena di guai ben più che il mar di pesce. Pare che
peso per pesce sia qui posto onde servire alla rima.
(4) Ecco di nuovo il verbo partire per divìdere^ disunire. Di-
pide fra loro^ e mette guerra e discordie fra gli amici. Tale è il
significato di questo e del verso seguente, ove dobbiamo notare la
forma vèneta fra elli, e la voce occitànica coinpagnoni, per amici.
(K) La forma di questa voce tesura è affatto strana; pare per
altro che debba intèndersi scissura,
(6) j^rdoHsi le case^ le tettoje ed i fienili. Tesa e pajar diconsl
ancora in alcuni dialetti le tettoje campestri destinate a ricéverò
degli attrezzi rurali , e quelle che serbano il fi^o e la paglia per
la stagione invernale.
(7) Morti (uccisi ) persino gli uomini, presi e makeup. M4k-
fognai per malconci, ^orpi e vaieHidinarj è voce propria del
dialetto vèneto.
DI PIETRO PA BARSEGAPÈ 231
Gaym W la tene un tempo in $oa compagnia;
Olcixe lo frsfeiio, tropo fé grande folia;
El fó maledegio da Dee omnipoentè (^) ,
Gagao té a 1^ inferno entro qfueto fogo àrdente.
LMra rooiase al mondo per fané desviare
L^ omo e ta fcimena, lei de sego bregare.
Del odio e de invidia eVè fata fontana;
Fa despartire l^omo da la raxon soprana.
L'omo Vb piliada e tenela per amiga,
Per^ò firk cacao da la corte divina.
La sexena ancella me par forte secura;
Accidia s'apella in la sancta scrìptura;
Aver in fiastidio lo bon sermon divino,
No voi odir messa, ni ter^a, ni matino t');
No voi andar in ecclesia a Deo marci clamare (^);
Odir no voi vangeli, ni pistole spianare (');
E vasen per lo mundo pur pensando vanita!.
No lasa far Tomo cosa de utilitae W,
(4) Caym per, Caino.
(2) Fu maladetto da Dio onnipotente. Qui si ripete la permuta-
xione delle tt in g nella voce maladegiOj e nuova prova della ne-
gligenza del copista^ che ommise una t in omnipoentè,
(5) Qui Tautore accenna alle preghiere ecclesiàstiche per le ore
di terza , del mattutino, e slmili, prescritte nei divini ufficj.
(K) In questo verso è da notarsi la soppressione della preposi-
zione a nella frase andar a Deo marci clamare^ mentre l'italiano
direbbe : andare a chièdere perdono a Dio, La qual soppressione
è propria delle lingue francese ed occitànica; come pure appar-
tengono alle medésime le forme clamare per chièdere^ e merci
per mercè,
(K) È da notarsi la voce spianare per ispiegare^ chiarire.
(0) È proprietà costante del dialetto vèneto il terminare in ae
i nomi astratti italiani troncati in d^ dicendo: bonùie^ fedeltaé è
simili. La stessa desinenza troviamo sempre usata dal nostro auto-
^33 POEMETTO imeOfTO :
L'ofiM> rà pìliada e tenela per amiga,
Però firà cacao da la mtixaM ditinà.
De la setena ancella e' voio ^*) far memoria;
Eia me par ypoerìta> ^oè la vanagloria;
De tuto lo ben k'el fax no volDeo laudare,
INi fiage gratia, ni gloria a lui dare;
Voi si laudare e faìse laudare lo mundo,
Va segliando k^el plà^a ad omiuaea homo (^);
E de costoro à dito lo segnor Jesu Xristo
Entro lo vangelio, sicum el se trova scripto:
La lor marce illi an ^a recevudhi ,
Zoe r ostia mundana la qual i àiì vomdlii ^^\
L^omo Tà piliada, e tenela per amiga^
Per i^ò firà descacà (^) da la maxou divina.
Gum tute sete ancelle Fomo se demoni;
El ve la mo^te scuira ki ga pilia la gora ^^),
No cala W si Ta morto e tralo a mala fin,
re, sebbene talvolta il copista trascrivesse per errore ai, come nel
verso precedente vanitai.
(1) f^oio per voglio è pure maniera vèneta.
(2) Non si saprebbe da qual radice derivare la voce segliando^
qualora per avventura non fosse corruzione di scegliendo ^ che ia
questa luogo dovrebbe pur significare cercando.
(5) Cioè l'ostia mondana ch'essi hanno {>oluto. Qui si ripete la
combinazione delle dh^ da noi sopra avvertita, nei due participi,
che in onta alle buone règole son fatti plurali. La permutazione
poi della / in r nella voce t^onid/n è propria del dialetto milanese.
(4) Mentre in tutti gli ùltimi versi relativi ai sei vizj capitali
precedenti, Tautore ripete Per go firà cacao j in questo introduce
la variante descacà^ che è forma lombarda, mentre la prima è
vèneta.
(tt) Fede l'oscura morte clke gli piglia la gola. La permutazione
della / in r nella voce gora è tutt'ora propria del dialetto milanese.
(6) No cala per non importa^ . non cale, è proprio di tutti i
dialetti vèneti.
DI PIETRO DABARSEGAPÉ. SS3
Mena arinfernain quel logo tapin.
No ìè valtudo (^) grande^ ^ solaio ^ ni riche^a^
Ke no sia morto in la grande grame^a (^).'
Inlò è lagreme e pianti e d'ogni mah dolor (3);
Omiunca homo li plance e. cria > e tati fan rumor.
Tal voi aqua e tal fogo; no pon sofrer la pena;
No gè vai niente, ke grossa è la catena!
Tu no gè vai, o mundo, un festugo de palla W,
Ke posa trar nul homo de quela grande travalia (^).
Oi mundo misero, fato e cativQ et orco^
L'omo ki te segue si è destrugio e mòrto;
Zohane lo comandò ke Tomo no t'amasse,
Le toe cose sempre me (^) le refutasse; :
Sempre fuisti inestabile , fat'ee (^) com lo vento
Fa cambiar lo tempo segondo lo so valor;
Ora piove et ora fiocha et ora scolda lo sol ^^\
En cosi fé de Tomo k'è in toa bailia (^l
(1) Non gli è valso, o meglio, non gli valse grandezza^ ec.
Faliudo porge un nuovo esempio della forma regolare dei parti-
cipj, che in italiano deviano dalla règola.
(2) Oramela per miseria, tristezza è voce andata ftior d*uso.
(5) Inlò per colà, ivi deriva manifestamente dal latino in loco
{ipso)^ alla qual origine talvolta s'accosta ancor più, trovandosi
scritto inloga, del pari che dhilò, chiloga, per esprimere qui.
(4) Festingo de palia è voce vèneta, ed è corruzione di fusto,
reso diminutivo , onde significa un gambo di paglia.
(5) Travalia per travaglio, pena, dolore, è qui fatto di gènere
femminile forse per servire alla rima.
(6) Me per mai pronunziato alla francese.
(7) Fatto sei come il vento^ e qui sott'intèndesi t7 quale fa can-
giare il tempo ec.
(8) Fioca per neiHcare , e scoldà per scaldare sono modi pro-
prj. dell'attuale dialetto milanese.
(9) Così fai tu delVuom ch'è in tua balìa.
ÌS4 MESETTO WtmW
E (elo e caldo e fame, sécUie e càTÌstia(^);^
No pò star in una on sta alegro on gramo (^),
Ora ben et ora mal, ora prò et ora dagnio;
Un dì no stan alegro, ked el no sé conturba;
Mollo spesa mente del seno se remuda <^);
Per f ò no me fido in ti , ke tu no m^ par niente.
Seguirò la vìa de Deo, lo ineo Segnior vivente;
Da lu vene le bontae, le gratìe e li honoi*,
De tuti li savii ePé sopran dootor,
Et è lume resplenderite, ki ven in questo mundo,
Divina maiestae receve forma d^omo,
E Té segnior de lo celo e de la matre terra;
Vene de la vergene gentil sancta pollila.
Gom el vene in lo mundo eo vel volip camtare
Segondo la vangelio, e lo tracio in vulgare.
Ki va coronando e par k^el stia lento sempre W,
Lo Segnior del paradiso patre glorioso
El tramix lo Gabriel angelo pretioso
Ad una cita k^à nome Nazareth
À Maria vergene sponsa de Joseph; ^
Et intra T angelo là o'era la pólfelia,
{i) E gelo^ e caldo^ e fhme^ sete e carestia,
(9) La voce on ripetuta in qaesto verso è uno sbaglio manifesto
del copista , che dovea scrivere ora^ come fece nel verso seguente.
(5) È da notarsi la frase molto espressiva del seno se remuda^
per esprimere: cangia consiglio,
(4) Toma impossibile il raggiùngere il significato di questo ver-
so ^ che doveva essere seguito almeno da un altro che compiesse
il dìstico, ed il quale rimase nella penna del copista. D'altronde
sembra , che anche la voce coronando sia stata alterata dal medé-
simo in luogo di corando per correndo^ giacché allora si avrebbe il
principio d'un periodo-: Chi va correndo ed appar sempre lento^ec.
DI PIETRO DA BARSBCIAPÉ. SSft
La salutane le. faxe moUe bella,
E dix : piena de giratia domina Deo te salve !
Domino Deo è tego^ lo rex celestiale;
latro le femene tu è benedegia,
Sovre le altre savie casta et neta;
Benedicto Io fructo del tò ventre,
Filiol de Deo omnipoente.
Quando Maria odi questo sermon,
Multo inlora si ave tnrbatioD;
E in so pensè 31 ave grande turbane ^^\
Gomente fosse questa ^lutan^ ^^\
Dixe r angelo: oi, Verg<»ie Maria,
No te stremila (^) la parola mia;
Apreso Deo verax segnior
Si è trova gratia e valor,
Ke tu avrè in lo tò sancto ventre
Lo fiol de Deo vivente;
Jesù Griste de -li vera
Filiol de r Altissimo damao firà;
E lue darà segnio de fortega,
Lo segnor de ki regna in alegreca;
In cà W de Jacob sempre regnerà,
(i) In mo pernierà ebbe gran turbamento. Il Milanese odierno
direbbe pure : infel so pensée come ai tempi del Be8(^pè.
(d) Comente deriya senza clubio dal latino qua mente s die . più
tardi prese le due forme diverse : come e qualmente.
(5) Stremìss è voce propria del dialetto milanese^ per spaven-
tareij temere, ed è singolare il rinvenirla affatto eguale nel sè-
colo XIII. Non ti spaienti la parola mia. Anche resdamainone ai
colla quale l'angelo apostrofa la Vèrgine , con lieve modificaeione
- è tuttavia usata dal pòpolo.
(4) In cà per esprimere nella casa è del pari tutt' ora usala
nel dialetto milanese.
936 POEMETTO INEDITO
E delo so regno mai fin no sera.
Dixé Maria a T angelo de Griste:
Gum pò esser in mi questo?
D^ avanzo ti ben lo digo ('),
Ke homo nesun non cognosco eo.
Dix r angelo, e responde a le:
Spirito Sancto vera in ti,
Et de r altissima grande virtue
Tu sere conpressa de lue;
Per co ke de sancto nascerà ,
Fiol de Deo clamao firà.
Elixabeth la parente toa,
Ke iotro la vegeca soa (^)
^A incenera un tal fiol ^')
Ke a Deo sera fmcto bono,
Ancora no -è sex mixi passati (*>
K^ela non aveva in^nerao;
E apresso Deo veraxe •
Ben pò esser 90 k^ el gè piaxe.
Responde la Vergene Maria:
Zò ke ài dito a mi si sia;
Ecame , ke sonto don^ela (^^ ,
(1) Sopra ogni altra forma merita osservazione la trasposizione
del pronome {{avanti alVavverbio ben, la quale è caratteristica
del dialetto veneziano e ripugna alla sintassi di tutti i dialetti
lombardi.
(2) Che nella sua vecchiezza.
(5) Ha concepito un tal figlio. Ingenerare per concepire è voce
andata fuor d'uso, sebbene molto espressiva.
(4) Non sono ancor trascorsi sei mesi. Sebbene là voce sex sia
pura latina, non dobbiamo lasciar d'avvertire, che nei dialetti
lombardi dicesi ancora ses. •
(5) Eccomi j che sono ancella. Abbiamo altrove awer4ito, come
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 387
E del Segnior eo sonto ancella ,
K^eo 81 sonto soa veraxe;
Fa^a de mi 90 k^ el gè piaxe.
In la cita là o^ sta Qacharia
La è andada la Vergene Maria;
In chà ^*) de (^acharia eia intrò;
Elisabeth si la salatòe.
Quando la gè fé lo saludo,
Elisabeth si ave cbgnosudo (^),
Solamente a la loquella,
Ke Maria gravida era.
Elisabeth per la divina (^^
De Spirito Sancto si è conplida.
Lo so dolce fantin si se exaltoe (^)
Dolcemente in lo ventre soe;
Ad alta vox damar prese,
Inverso Maria guarda, e dixe:
Oi, gloriosa tu intro le vergene,
Oi, benedicta tu intro le femene,
Benedicto Io fructo del ventre tó,
Benedicta T anima, el corpo tò.
l'odierno Milanese pronunci ancora sont per sono; strana forma
in vero, della quale non si saprebbe rintracciare l'origine; don-
zela poi per serva ancella è voce milanese ancor viva.
(i) In cà per in casa^ come ho già notato, è proprio del dia-
letto milanese.
(2) Anche la voce cognossudo per conosciuto, col raddolcimento
della n in gn, è caratteristico dei dialetti dell'alta Italia,
(5) Qui è manifesto, che il copista pretermise Jl nome al; quale
l'aggettivo divina si riferisce, e che pare doversi congetturare
òpera^ o volontà.
(h) Il 5tio dolce infante si scosse.
38ft POEMETTO INEDITO
E tèe biada ke tu credìsti (^
Quel ke te dixe 1^ angelo de Xristel
Dixe Maria con grande amore:
Magnifica T anima mia lo Segnore,
E Tè exultaho k) spirito meo
In lo $aludho del meo Deo.
Quando Maria sponsa de Joseph
Gravida de Jesu Nacareth
EPàcomen^à ad ingrossare,
Et Josepo forte a dubitare;
EFera insto homo e itale,
Mo qsi no la voleva inflamae (^).
Si gè vene in so talento
Da le partise inascosamenrte.
Pensando pur de questo fare,
L^ angelo de Deo a lu se pare^
E dix: oi, Josepo filiol de David,
No temOT tu de toa Maria;
Ere vergene pol^a
La meliore ke sia In terra ,
Ni chi foe, ni chi serae,
Ni chi mài se trovarae.
Infenerao si è in le (^)
Jesu Criste filiol de Deo
Spirito Sancto, e insi
(i) E te beata, che credesti. Quivi tu credisti serba la pura
forma latina.
(3) Péfò ntm la voleva infamare (disonorare). É evidente l'in*
curia del copista, che nella voce inflamae ommise la r nell'ilti-
ma sillaba, e forse intruse di soverchio la I.
(5) Qui si ripete la voce ingenerao per concepito, colla termi-
nazione vèneta ao, ed il pronome lombardo. tó per lei.
DI HfiTRO DA BAHSEQATÉ. 389
Fìrà clamao Jesn da ti.
Lo popolo salvo farà,
D'entro li peccai lì trarà (*).
In quclo tempo era on grande homo
Ke Octaviano ave nome;
Elo in terra si è segnior,
Et era fato imperatore;
Si a fato comandare
Per lo mundo universa (^) ,
Zascaun se debia pur andare
Tuti a farse designare
A la cita o' ilPin nadi;^^)
Si se facan scriver lai W.
Si Pavé inteso lo bon Joseph,
Und' el insì de Nazareth,
E si se mise pur in la vìa;
In Bethleem va con Maria ,
Per quelo k'ili g'àn lor parentado,
Et ke David si g'era nado;
Illi én dela casa de David;
Per 50 gè van a farse scrìve ^^K
Quando illi fon a quella cita
Ke Bethleem si à noma,
{i) Li redimerà dal pec&Uo (originale).
(2) Àoche qui vèdesi chiaro^ come il <»)pista obliterasse per ne-
gligenza ràlUma sillaba le nella parola uni'Oeréak.
(5) j^lki dtià cv'eglino sono natL Qui il verbo in per sono
ha la pcedsa forma dell'attaale dialetto milanese.
(k) Si f4ccia»Q inscrìvere colà.
(b) Perciò vi pornio a farsi inscrìvere. La fìrase è afhtto lom^
borda^ 6 si usa tuti'ora in senso di disprezso. Goal t m a f<U scriv
lignifica : va in tua malùra.
S40 P0BM6TT0 INEDiTa
Li de fora molto apresM
Maria à parluri li adeso
In UQ logo poverile,
Lo qual fi (^) dito bovile.
Là partorisce sancta Maria
Del fantin V en si aveva.
E de li pagni eia faxoe (^)
In lo presepio reclinoe ^^l
No trovò logo de plaxere ,
Ma s'il faxe por li ^rer W.
Nato lo fantino de lo Salvatore
Jesu Criste de lo mondo creatore,
Yasen T angelo apresso li pastori
Ke de Io gre^o eran gnardaori (^);
A quili k^ erano in quela r^ion
(1) Forse il copista per errore scrisse fi per fò.
(2) Lo fasciò cpt pannilini. Ancor oggi il Milanese pronuncia
pagn per pannilini.
(5) Ricùverossi nel presepio.
<4) Dobbiamo crédere, che il copista, come avvenne sovente,
scambiasse qualche lèttera o qualche sillaba , poiché la voce ca-
ref'j che cosi é scritta nel Còdice, è di forma alquanto strana e
d' ignota significazione.
(K) Ch'erano custodi della greggia. Si noti, come il nome greg-
gia sia qui di gènere maschile e di forma diversa da quella che i
nomi latini di terza declinazione prèsero più tardi , come : /!;/, mei,
eh' ebbero la desinenza in e; il fiele.^ il miele , del pari che grex,
il gregge. Cosi pure è da osservarsi l'assoluta mancanza dell' arti-
colo ilj che solo nel sècolo successivo comparve nella lingua vol-
gare, trovandosi sempre lOj de lo j a lo pel maschile, la pel fem-
minile. Dalla quale osservazione è chiaro , che non si può con ra-
gione far derivare Tarticolo t7 dal pronome latino ilkj essendo
stato introdotto dopo che la lingua volgare aveva gii assunte le
proprie forme ed avea supplantata la latina.
DI PIETRO DA BABSBGAPÉ. 244
Per anuntiare la sancta nassion.
La ,cWe9a de Dee li circumplexi (*) ,
Del grande timore son tuli presi;
Dixe 1^ angelo: no abiai timore,
Ke y^anontio lo Salvatore.
Jesu Cristo fi clamato ,
Lo qual anchò (^) sì è nato
In Bethleem elo si èe;
Grande alegre^a questo ve ^^\
In ogni popolo él sera
Ke so fedehel (*) se trovarà.
In lo presepio si lo vederi
Lo dulcissimo fantin;
Vu 1 trovarì volto m pagni ;
Questo signo si v'è grande (^).
Quando T angelo ave dito
La nascion de Jesu Cristo ,
£1 fó dali angeli celestià
(i) É chiara la derivazione di questa voce dalla latina circum-
plectere per circondare^ ra^tgere,
(2) Jlncó per oggi è voce puramente vèneta ; con lievi modifi-
cazioni peraltro è comune a molti dialetti italiani ed occitànici. Il
Milanese iH*onuncia incòj il Piemontese ancoi; i Provenzali enquey^
che si pronuncia come nel piemontese.
(5) Cosi sta scritto n^X Còdice. La voce pe non ha qui un chiaro
significato ^ sebbene debba interpretarsi per appentmento^ fatto;
né pare che venisse scambiata dal copista ^ poiché consuona nella
rima col verso precedente.
(h) È strana l'ortografia di questa voce ^ che s' incontra scritta
altre volte egualmente^ e darebbe a crédere , che fosse prolungata,
o aspirata nella pronuncia ; màssime ove si consideri che nella
radice latina fidelis non entra Vh.
(tt) Questo contrassegno vi basti, 16
S4S POBfllfiTTO INEPITO
Molto tosto aconpagnià,
Ke van laudando lo Segnior:
Gloria in excel$o a Dee creator,
Et in terra pax et humilità
Entro li homini de bona volunta.
L^ angelo sen va con li altri in conpagnia
E van laudando Dee lo filiol de sancta Maria.
Al partimento de T angelo s'axembia li pastu Wj
Parlando Tun contra T altro, e digando inter lor W:
Andenio in Bethleem in quela cita,
Vegemo sta parola ke Deo n'à monstfà.
llli sen van via dritamente alo logo;
Trovòn 1) Joseph, Maria e io filiol,
Et avèn cognosudo ke J^era verità
Quelo ki del fante i era annuntià (^).
llli s'en tornòn in dreo <^) digando per la ^ente,
Nato si è Xriste lo filiol omnipoente:
De quello ke illi àn ve^uo van Deo laudando,
An 90 ke illi àn 0I9U lo van gloriando (^).
(1) Alla partenza dell'Angelo si radunano i pastori. Si scorge^
che la voce francese assembler j rassembleTj per méttere assie-
me, radunare, era comune allora al volgare itàlico, il quale serbò
alcuni derivati, come assemblea^ assembramento. In prova poi della
negligenza del copista, devo notare la voce pastu che dovrehb'ès-
sere invece pastor^ come richiede la radice latina pastor e la ri-
ma stessa, e come la stessa voce trovai scritta alcuni versi prima.
(9) Dicendo tra loro. Diga/ndo per dicendo è tutt' ora usato nel
contado milanese.
(3) Quello che dell'Infante loro era annunciato. La voce i per
loro^ a loro è ancora in uso presso alcuni dialetti lombardi.
(4) Il Milanese dice ancora indrè per indietro j dedrè per di
dietro.
(5) In questi due versi veggiamo ripetuta la lèttera ^ per d^ in
DI PIETRO DA BARSBGAPÈ. 84$
La ^enle ki l^oldiano sen dan meravelìa ^^^
De quelo ke van digandp lì pasta per la via.
Sa nota Maria matre, la vergane beata
Tiito 50 k'ela vedeva, tuto 90 eia governava W;
Tute governava, et in so core poneva;
De 90 ke del sa filiol pretioso vedeva
Oil cum ePè biada e piena d^dlegre9a,
Ha ver un tal filio ki è de tal grande9a !
Al signo de una stella resplendente
Tri Magi venen da oriente
I evan (^) quirando lo filiol de Deo,
vepw per veduto^ ed ol^ per udUo^ dò che acetìbnerebbe ad una
speciale pronuncia. Cosi pure la voce an per in nel secondo verso
consuonerebbe colla en frapcese si nella pronuncia, che nella si-
gnificazione.
(i) Le genti che li udiano^ ne stupiscono. La forma della voce
oldire per tulire è costante in tutti i suoi derivati nel corso del
poemetto.
(2) in questo luogo governava sigidfica: ne facea tesoro j doè
osservava attentamente tutto ciò che vedeva, e T imprimeva neUa
mente e nel cuòre. GoUa stessa significazione viene usato auQor
oggi il verbo governare in quasi tutti i dialetti vènelti. Cosi, p. e.,
Ciapeh e ga^emèlo significa: prendetelo ed abbiatene cura, ossia
riponetelo in luogo sicuro e custoditelo con cura. Quest' uso del
verbo ^opemare è affatto sconosciuto a quasi tutti i dialetti lombardi.
(5) Cosi sta ù«l Còdice , ove la lèttera e certamente è soverchia
o doveva precèdere la i^ dicendo : E i {?an quira;ndOj ossia: ed
essi ipanno cacando ^ dalla radice latina inquirere^ che l'autore ri-
pete due versi dopo coU'afGsso in^ e permutando nella flessione la
e in a^ col aire; inquirùndo in luogo di inquirendo. Se male non
m'appongo, questa permutazione costante della e in a nei parti-
cipi pi^ekiti dovrèbbesi attribuire all'influenza della lingua qocì-
tanica, alla quale una tal. permutazione è propria, e dalla quale
passò alla francese,
244 POEMETTO INEDITO
Lo qual è nado rex.de li Qùdei.
De questo rex van ìnquirando ;
Per Jerusalem si vaa digando:
Mg o^è culù lo qùal è nado
Ke deli (Judè fi apelado?^*)
La soa stella avem ^a ve^ui .
Per 50 somo quilòW venni;
In oriente si n^aparì^
Yen udì lo somo per adorar qui.
Herodes odi questa novella
Ki era segnore de quella terra;
El ne fó dolento ^^^ e gramo
Con tuli quili de lo $ò reniamo ^^l
El congregò tuti li majori,
Li sacerdoti e li doctorì,
Ked el da lor saver voleva
La o' Cristo nascer deveva.
(1) Non v' ha dubio^ che in questo verso il copista ha scritto ke
in luogo dì Re^ oppure ha obliterata la parola re^ senza la quale il
senso è nullo, e dovrebbe esprimere : che re de' Giudei fu (o sarà)
appellato. '
(2) Quilò per qui; sebbene questa voce sia ripetuta in varia
forma e con ortografìa diversa , come chilo ^ kiloga ^ essa è pur
sempre la stessa derivazione da hic loci,
(5) Il pòpolo milanese distingue tutt'ora i gèneri anche negli
aggettivi italiani terminanti in e colle desinenze o pel maschile,
a pel femminile, dicendo: dolento^ fedeUij ^et dolente j fedele. Nel
dialetto vèneto peraltro quest'uso è più generale e più chiaramente
manifesto, dicendosi tuttodì grando e granda in luogo di graiide;
mentre nel milanese questa distinzione è chiaramente espressa
solo in alcuni aggettivi, essendo gli altri pronunciati tronchi,
come appunto grande che solo nel femminile è granda»
(t^) Reniamo j per regno regnarne.
DI PIETRO Di BARSEGAPg. 245
Quili diseno la verità;
In Bethleem in quella cita,
Per lo propheta lo dissi e Tè scrilo (*);
Lì de' nascer Jesu Cripte.
Odi qùe disce la scriplura ^^^
De Bethleem terra Joda : .
De ti un duxe nascerà
K' el populo de Israel re^erae (^).
Erodes suso im pei si se levoe ^*)^
Li tri magi a si sì damoe;
Con grande amore imprese da lor ^^^
Quando la stella si àparì a lor;
I eseri, lo tempo e li contràti (^^,
(i) Pokìiè il Profeta lo disse j e sta scritto. È maniifesta T im-
pronta Idtina nel verbo dissi da dixit^ sicché pare , che solo più
tardi venisse scambiata la desinenza in e per distìnguere la terza
persona dalla prima.
(i) Ascolta ciò che insegna la Scrittura, Il verbo latino discere
è affatto scomparso dalla lingua italiana ^ nella quale sèrbansi ap-
pena alcune voci derivate ^ éome : discépolo^ disciplina e talun'al*
tra; si vede peraltro ch'era usato nel senso d' insegnare ai tempi
del Bescapè.
(5) Recerae per régi^/erà attesta chiaramente la prevalenza della
forma vèneta , poiché è proprio esclusivamente dei dialetti vèneti
il permutare in ^ ossia z dolce il suono schiacciato della g, che
il lombardo proQunoia assai distinto^ dicendo: regg^ legg^ gionìo^
Giorg^ laddove il Vèneto dice : rézer^ lézer^ zomo^ Zorzi e simili.
(4) Si few in piedi, Im pei è fórma lombarda, dicendosi lutt'ora
im pè,
(5)- Pare che imprese in quésto luogo significhi richiese^ piut-
tosto che apprese j o seppe.
(5) Forse dobbiamo interpretare questo verso cosi : Le cose ^ il
tempo e le circostanj^ej sebbene non. si conosca esempio della voce
contràti usata in questo senso.
S46 POEMCTTO ÌNi»)IT0
Per ben saver tuli li fati;
E dixe a loro: or ve n'andà<*>
In Bethleétai queia cita ;
Del fantin domandari;
Pò verri, sì m'el diri
Li o' vu l'awi tre vado,
Et in qual logo el sarà nado;
Ked e' vorò venire a lui
Per adorar sicomo vui.
lui se miseno in la vìa;
Ecco la stella li aparia;
Quella ke pare in oriente (^)
D^ avanzo loro i aparì seiiì}u*e;
Et illi seguivano quella stella
Andando dreo W de terra in terra.
Quando la stella fó andada
Sover Io fantin, là o' eia era nada (^),
La stella e li demorò,
E più inan^e no andò.
Videno la stella ke lì stava,
E più inan^e no andava^
De grande alegre^a si s^alegròn;
(4) Or ve n'andate. La forma onda in questo luoga ò evidente-
mente forzata per servire alla rima con cittò^ mentre cosi il Leni'
bardo eome il Vèneto dicono, e forse anche allora dicevano:
andè.
(f ) Pare in laogo di apare è non dnbia negligenza del copista,
mentre nel verso precedente si trova aparta^ e nel seguente aparì.
(5) j4ndà udrò ih dialetto mifànese, e andar drio net vèneto ,
significano seguire.
(*) Per rettificare il senso di questo verso, pare che dèUbasi
lèggere: Idj 'o^ egli era natOj il qoal errore venne forse com-
messo dal copista per la consonanza della rima.
DI PIETaO DA BARSEGAPÉ. 347
Entro. la casa si entròn (^) ,
Lo faiìtìn trovòn li stare
Gum Maria soa matre.
Quando quisti Tavèn ve^u.
Si se 9otòn d' avanzo hi (*^;
Si io coaien^òn adorare
E de lor presenti a fare,
Et aver sov^r lor Ihesoro (^),
Si gè offrìn mirra et oro,
Oro et incenso et mirra offréà
Questue lo don ked illi gè fén W.
QuaMlli s^eveno a partire W,
Una vox i^ è- parili a dire W:
Al^re Herodes no tomabi ,
(4) Giova ripètere la osservazione già fatta sulla regolarità co-
stante nella formazione dei plurali dei verbi coiraumento della n.
Qui troviamo due nuovi esempj ^ in entròn ^ alegròn ^ per entra-
rono^ 8i rallegrarono.
(2) Si gettarono a lui d'inanzi. Le voci Iti ^v lui e le per lei ,
sovente adoperate dal Bescapè •^ sono ancora proprie ttel dialetto
milanese.
(5) Cosi sta letteralmente scritto^ e pare che debba intèndersi^
o^ ad averlo »opra ogni lor tesoro ^ oppure, a versargli sopra i
lor tesori,
(4) Fén, ed òffrén sono due nuovi esempj della formazione dei
plurali col solo aumento della n. Abbiamo pure un nuovo esempio
della licenza del poeta, o del copista nella voce offrén^ invece di
offrin, come tràvasi scritto nel verso precedente, perchè non era
vincolato dalla rima.
(tf ) Quando stanano per partire. Anche qui sono manifeste le
sillabe ommesse dalla negligenza del copista , che scrisse qua per
quanyio, e «'^moper si anpeano.
(•) Letteralmente questo verso significa: Una pace loro è ap-
parsa a dire. La forma fè^ per loro è ^ si usa ancora in vari dialetti.
248 ^ POEMETTO INEDITO
Per altra via Ve n'andai.
E quili sen van per altra vìa,
Zascun sen torna in la soa villa (^).
Li nomi dili magi Pun è Guaspar,
L'altro Marchion, T altro Balde?ar(*);
Zascun se va in soa region
Sicomo per T angelo a lor ven in vision (^l
Quando la Vergene se levò de parlore.
Si cum se trova intro le carte.
E quando in la eglesia eia introe\
La sancta mesQ se gè eanloe W- '
La mesa sancta e lì sermon
Et oldin lo canto san Simeon.
La m<ssa fó si sancta e verax,
Ke li bastón devene cera.
Tale meravelia Deo faxeva ,
Ke li bastón de (lama ardeva;
Per 50 gè dixe li pluxor delera (^)
<^
(1) F'illa per città è voce provenzale.
(2) Ancora adesso i nomi proprj Melchiorre e Baldassarre nel
dialetto milanese si esprimono: MarcMòn e Baidissàr.
(5) Ciascuno sen va nella propria regione^ siccome ordinò l'an-
gelo loro apparso in mione.
(4) Egli è invero sorprendente lo strano zoticismo dell'Autore,
che introduce la messa cantata ai tempi della Vergine. Giova però
crédere^ ch'egli usasse tale espressione per èssere meglio inteso
da' suoi uditori, giacché non possiamo suppcnre in un cenobita
banditore della Bibbia e del Vangelo ignoranza di tal fatta.
(byDehra è voce sconosciuta, e forse resa tale da qualche &-
rore del copista ; il significato complesso peraltro dell' intero pe-
riodo è chiaro quanto basta. Basterebbe d' altronde ' permutare h
d in o per renderla intesa, giacché si avrebbe: o'el'era, cioè:
o^>e ella era.
Di PIETBfh DA BABSEOAPÉ. 249
Sancta Maria candellera,
E si s^apella eatro la mesal
Saneta Maria ciriaL
No fé pò longa deinoran^a
K'el fé si richa desD^o^tran^a ^^^
A le noge d'Architeclin
Là o' Ifé de raiguavin (2). . ,
Sen^a omiunca meneinan^a/^^)
£1 fé inlò ^^) tal demon^tran^a.
Posa ?e elio per vale e per montagnie (*) ,
Fin k^elPavé passao trenta anni^^);
Et ecco r angelo. lo messo spirituale^
Messo del Segi)ior; lo rex celestiale ,
Ven' a Josepo in vision^ e i à dito (^);
Tó Maria, el faptin, e fu^e in Egipto W;
Herodes quere Jo fantin per degolare^^^);
(4) Che ne diede ampia prova.
(2) Colà ^ dove con^ferti raqua in Kino,
(5) Si noti la forza di questa espi^essioneviatesa a constatare la
verità del racconto. ^Letteralmente significa : senza la mìnima sol-
trazione^ e quindi corrisponde alla frase italiana : senza levarci
un ette,
(4) Inlò, che talvolta ^gnifica colà, come avverbio di luogo, in
questo verso pare piuttosto avverbio di tempo ^ e sanifica allora,
(5) Poscia egli. andò per. min e per montapie. Elio per egli è
pretto veneziano.
(0) Finch'eàbe compiuti trent'annl La desii^za in ào dei par-
ticipj di prima conjuga^ioae è costante. -
(7) / à dito, per gli disse,
{S)^To' per prendi. teco è voce vernàcola propria dei Vèneti; i
Lombardi pure dicono tó. La radice da cui deriya sembra senza
dubio il verbo tògliere.
(9) Erode cerca l'Infante per farlo decapitare. Anche il verbo
S50 P06Mfi?T0 INEDITO
Lì con eso loro no dibli demorare (^);
E slare in Egipto, e no ten despartire,
De qui a quelo tempo 4e f el vero a dire <*).
Yoseph sen va tosto in Egipto,
Segondo quel ke T angelo i a dito;
Vasen de nocte drito per là via
Con lo fantin e con saneta Maria.
Herodes vide ke r è schemudo
Da li mai, ni ke tornòn'a lui (^^,
EI fó pien dMra e de iniquità.
Va in Bethleem in quela cita,
Fa degolar fantin per soa iniquità;
E fon cento quaranta e quatro milia.
In lo sancto paradiso la lor mason è scripta (^\
D'avanzo lo creatore, in lo regno de vita;
E le lor madrane forte mente plorava ('>,
Ve9ando li soi filiol ki Herodes degolava.
Or lasemo stare de questo ki è dicto,
E si andemo inange segondo ke Tè seripto.
Venudo è lo tempo k^el sona la novella;
Morto sì è Hérode^, e meso soto terra.
L'angelo si sen va, et a Joseph a dito:
querere per cercare «comparve dalla lingua ilaliana^ alla quale ri-
mase solo qualche derivato ^ eome : queHto^ qttegtìone^ e slmili.
(1) Toma vano avvertire, come dibli per cfept sia voce alte-
rata per incuria del copista.
(2) La forma propria del dialetto lombardo è manifesta nella
frase : de qui a quelo tempo kej onde esprimere : «tuo a che.
(5) Mai per Magi è pura dimenticanza del copista.
(h) Mason per ^abitazione; corrisponde al maison de' Francesi^
ed air italiano tnagUme.
(B) Madrane per madri è forse errore dd copista^ a meno che
non si consideri come derivato da matrone»
DI PIETRO DA BABSEGAPÉ. 851
Tò Maria, e\ fantin, et exe de Egipto (^);
Va in Israel , mort^ è lo de&liale,
Ouelo ki Hìena9ava Io fatttin degalare.
El se leva suso (<>, e metese in< la vi£^,
Va io Isrl con U fante e con Maria.
Ave olendo ^^) Joseph e temeva de Tandare,
K' el filici de Herodes regnava per so patre.
L^ angelo, de Deo in vision i apare^
In terra de Gallìlea el devese andare;
El g'è una cita k^à noQoò Nai^aretb,
Li sta Maria, el fautin et Joseph; s
UH demoraii insen^a in sancta carità;
El fantin creseva m seno e in bontà ;
Seno e saver e tuta, cortesia ,
E tuti bon eximpli de sòa boca ensiva.
La 9énte ki Todiva w dano mwavelia
De 90 ke dixe lo filio de saneto a Maria.
Po^ se n^andoe per pian e per montagnie
Fin k^el Tavè passao trenta anni.
Si sen 9e al fiume Jordane,
Quand'el bate^ó san Qoane;
Si gè mise (^) Jhane Baptisto,
Et elo bate^à Jesum Xriste.
(i) Esci dall' Egitto; la forma di questa frase imperativa è prettai
latina : et exi de JEgyfOo.
(2) El 96 leipa suso è frase pretta veneziana.
(5) La forma particolare del verbo ol^ire^ come ho già avver-
tito ) si trova conservata in tutte le voci derivate. Cosi in questo
luogo ave olgudo^ per ebbe udito.
(4) In'que3to luogo il copista scordò la voce nome^ senza la
quale manca il senso , dovendosi interpretare: gli impose nome
Giovanni Battista.
Ì52 POEMETTO fNÈWTO
E quilì ki ènlora se bate^an,
Si avén nomi Oistìan.
Quando el in trenta anni son cresue <^),
El coroencò le grabde virtue.
Una grande mera velia el fé, .
K'el resuscitò lo fiol del re,
K' entro Faigua^era fondao
Fin a! ter^o di el gl'era stao.
Ouand^el ke (^) li mandò a dire,
K'el se voleva convertire,
S' el gè rendeva lo so filiol
D^ond'el n'aveva grande dolo i^\
Jesu Xriste no se dementegò (♦>,
K^el Sancto Spirito si gè mandò;
A lui mandò lo Sancto Spirito,
Sì U fé* tornare da morte in vita
E si '1 trasse' fora ale rive;
E tuta la ^ente si lo vide^
Cosi lo rendè al patf« soe ^^\
(4) È costante errore del pòpolo vèneto, quando pur tenta di
parlare italianamente , il far uso della voce ^ano nella terza per-
sona singolare del tempo presente ^ nel verbo é^^er^^ dicendo: que-
sto sono bellOj e simili. Cosi troviamo ora in questo verso qtumio
el son eresile^ ad esprìmere : quando egli è cresciuto. É poi chiaro,
che il poeta ha cangiato cresuo in cresm^ per servire alla rima
con virtue.
(2) Sebbene nel Còdice stia scritto ke^ egli è però evidente, che
debba lèggersi rcj ossia : quando il re gli mandò a dire.
(5) Ond'egli n'avea gran dolore.
(4) Dalla forma di questo verbo parrebbe doversi interpretare
non si dimenticò; ma conviene meglio al senso: non si smenA,
oppure, non ricusò.
(K) Rendè in luogo di rese^ serbando sempre intatta la sìllaba
radicale , giusta quanto ho osservato sin da principio.
DI PIETRO DA ^BS£GÀPÉ. 253
Gom el gè dixe e i cotdandò.
Molte 9ente a lui credevano
Per queste cose ke ìUi crédevano;
Mo disemo lo re è bate^ao
Con tuti quili del ^ò regnapio^ .
Jesu Cristo se n,^alegrjGi,
E da lì inan^e el predica
Facendo a luti grande sermont,
Segondo ke dixe la raxon.
Lo patre nostro Jesu Xriste
D^omiunca saver el è magislro^
El fé la sancta compagnia
Molto bella e ben complia.
Li apostoli mise in soi capituli , .
Gom li sexanta e du disipuli.
Za no se fé longa demora ^^^
Ke molta gente se convertir iniòra
Ouand'el passò per li desèrti
E per li strigi e per li avete W;
E mandò sci predicatore
De fin in India la maiore.
Sancta Susana liale
Guarì de falso criminale ;
(4) Tutta insieme la frase di questo verso significa: beìtprestOj
oòsia ìwn andò guari tempo.
(3) Colla sòlita negligenza il copista ha scritto a^ete, in luogo di
averti^ come richièggono il ^enso e la rima^ onde si avrebbe : pei
deserti stretti e per gli aperti. ^Strigi per stretti ricorda la viziosa
permutazione lombarda delle tt in cc^ dicendosi ancor oggi strecc
in luogo di stretti.
254 POfiMfiTTO INEDITO
E san Jona xe de la barena <^);
Quando lo ^ite W entro T arena.
Lo re de gloria Jesu Cristo
D^omiunca saver «I è magistro;
El descendè de cel e yen a ou
Facendo a nu le grande verta W.
Li morti de terra su levò,
Visibel mente K suscitò;
* • Storti^ 9opi e anche sidrae ^^^
De lor gè vene pietae.
Infirmi , cegi (^) e cotal jente
El gi (^) sanava incontinente;
El convertiva li peccatore
Tra^eva fora deli errore.
El fé una cossa ke fó grande mei-avelÌQ
(4) Sovente il Lombardo pèrmuta la l in r. Abbiamo altrove ap-
puntato gora per gola; così adesso troviamo barena per balena,
(2) Non è fàcife avvertire tutte le inesattezze e gli errori com-
messi dal copista; qui troviamo gitta in luogo di' gettò j come nel
verso précédente xe.in luogo di ext, ond' esprimere esci.
(5) La voce virtù in questo poemetto ha sempre significato di
prodigio j o miracolo.
(4) Sebbene di strana forma, la voce gidrae^ già ripetuta altro-
ve, significa senza dubio scianmto^ o checché di slmile ; forse an-
cora è corruzione di assiderato,
(5) Infermi^ ciechi e coiai genie.
(6) È proprietà distintiva dei dialetti vèneti il permutare il sqodo
delle II molli in Ig^ pronunciando famil-gia^ el-gi in loogo di fa-
miglia^ egli. A provare quindi la prevalente influenca del dialetto
vèneto in Lombardia ai tempi del Beseapè , troviamo ancora tn^
da di questa vèneta viziatura nella frase el gi sanava in luogo di
ei gli sanava.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 255
Ih li homìni k' erano cinque milia (*);
Sor un monte eie li fé assetare (^\
A grande large^a li de mancare ^^\
De du pisci e de cinque pane or^ai (^)
Tuti afati a ii a saziai.
Dodex còfeni W fó T avanzamento
Segondo ki in lo evangelio se ie^e inlò dentro ^^K
Inlora quela ^ente si acomenzòn
D^ avanzo Jesu Xristo butàse in oraxòn;
Levar le man in alto, e preseno adorare;
De 90 k^elg^àdonao comen^ano regratiare (^).
Or digemo (^) del Ségnore veraxe
Como nosco el fé paxe W;
K^ el se degnò a nu venire
(i) li nùmero mille è sempre espresso latinamente colla voce
milia,
(i) Ancora oggidì il pòpolo milanese dice: setà^ setàss^ per se-
dercj sedersi. Il vèneto dice : sentarse,
(5) In gran copia lor diede a mangiare.
(4) Con due pesci e cinque pani; non mi riuscì interpretare Tag-
gettivo orceaij che si riferisce o alla qualità^ alla forma e gran-
dezza dei pani,
(8) Ne sopravanzàrono dódici canestri. Ancora adesso il Mila-
nese dice : dòdes còfen^ ad esprimere dodici canestri.
(6) Giusta quanto si legge entro il Fangelo. Segondo per se-
condo è forma lombarda.
(7) Se in luogo dì comen^no leggeremo comén^ a, corregge-
remo forse altro errore del copista^ ed avremo: cominciarono a
ringraziarlo di quanto ha loro dato.
(Sf) Il Venezimo dice ancora «{t^cjmo^ per diciamo ^ favelliamo;
.il Lombardo , disèm.
(9) Come si rappacificò con noi. La voce nosco in luogo di con .
noi è dunque di vecchia data nella lingua volgare.
S56 POGKCTTO INfiDITO
A aiagÌ8trare et semoqìre ^^\
Predicando omiunca homo,
E facendo grande setmon
Ke nu devesem obedire
E la drita via pur lenire.
Quando questo a nu diseva
Lo so regno n^inprometeva (^);
Quelo regno glorioso
Sovra li altri pretioso ,
K* el no gè va nesun si 9opo,
Ke lì no corona e vaga tosto (^^ ;
Ni si infermo, ni sidrao,
K' el no sia drito e resanao.
Nesun gè more, ni g^à grame^a;
Omiunca homo è pieno de alegre^a.
El descendé de celo in terra
Per nu intro la grande guera;
Per sostenire sede e fame
Per lo peccao de Eva e d^Àdame
E li disipuli drè veniando (^)
De terra in terra el andando;
(1) Jld ammaestrare ed ammonire.
(2) Inprovèéier per prométtere è fornii propria dei dialetti
vèneti.
(5) Che m noti corra e non cammini tosto. Più v(^fe incontrasi
in questo poemetto il verbo coronare, per correre , ciò che è por
^moritèvole d'osservaziooe, quando per altro aon sia per ne|^-
gonza del copista.
(4) Abbiamo altrove avvertito andar drè per seguire^ quf tro-
viamo venir drè collo stesso significato; e troviamo pure ripetntai
. la desinenza ondo invece di endo, sebheoe tenóre appartenga alla
quarta conjugazione.
DI PIETBO DA BARSEGAPÈ. 257
Promettendo a nu la vita
Se nu gessemo (*) per la drita ;
Digando a nu li bon exetnpti
Li eser «li conveneftte^^J
A quili ke volen ia cel montare
- Per avere vita eternale.
D' un grande miracolo ve volio dire
Ke fé Xrìste, senja mentire;
Queio nostro graade.Segniore
Und' ave li Qudei grande dolore, «
Sacerdoti e Farisei, ^ ^
Li principi deli (^udei
Invidiosi e grami e forte;
K^ el suscitò Labaro da morte ,
Lo qual era in lo monumento
K'el marciva ga là dentro;
Quatro di éì stete in morte^
Si k' el pudiva molte forte.
Jesu Criste si lagremoe,
Ad alta voxe Labaro clamoe.
Quand^el clamao, Labaro vene fora,
Incontinenti ^') el insi fora ;
Labaro fó in pei levao,
Da morte a vita suscitao;
E lo Segnor li in presente
(i) Ecco uà nuovo derivato del verbo tre o gire nella voce
^ssemoj per gissimo^ o andassimo.
(2) Esser èglino necessarj. La voce eH per èglino è propria dei
dialetti vèneti.
(5) É manifesta la derivazione di questa voce dalla latina incoi»-
iine^ter,
17
S5S POEMETTO llfEQITO
Comandò ali soi desoentri W^
K' eli lo deveseno desligare,
E laxarlo via andare.
Ora YU avi intesso un bel sermon ,
E molto ben trato per raxon.
Glamemo marce al creatore^
Ki è nostro patre segniore,
Ke el ne dia intendimento,
Segondo lo so boa piacimento ,
Ke nu possemo dir e fiB^
Zo k' el ne volese comandare ;
Ke nu possemo portar in paxe
Questo mundo reo e malvaxe,
A 90 ke nu possemo andare
Et in alta gloria demorare.
Ora homiomo (^) inten9a e stia pur in paxe,
Se d^un belio dito audire ancora ve plaxe;
* Et eo si prego tuta ^ente
La qua^ è qui comunamente
Ke me debia intende et atooitare
De 90 ked eo volto cumtare.
Et el ve dixe meser san Poro:
Inló 0' è 7 tò core, ilio è 7 tò texoro (^)j
(I) In luogo (ti discépoli^ disipulij l'autore fece qui uso delia
\oce digcentij per ragione della rima con presente; ma il copista
vi ha interposta un r^ che guasta e la rima e la parola.
(3) Altrove abbiamo sempre rinvenuto omnmca homo; qui il
copista ha messo fuori di posto Vh ed obliata la finale iinca. Gò
nulla di meno è chiaro il significato : Ora ognuno presH aUen-
zione e 9tìa cheto.
(5) Colà ov è il tuo cuore j ivi è il tuo tesoro. È interessante la
distinzione ivi fatta tra i due avverbj inlòj ed iilò.
DI PIETAa DA bArscgapé. 959
Questo dìgto sapiài, Segaore,
Ki r intende, el è da honore
E de gloria è de bontà ^
E de omìunca utilità,
De grandega e de cortexia,
E de verità senga biixia.
Sapiai, Segnor, questo sermon,
Non è miga de bufon (^);
An^e (^) en sermon de grande pagura ,
D^onde eo si n^ò molto grande rancura W,
Petro de Barsegapè san^a tenor (^)
Questo si fó lo ditaor <»)
Ke dito questo ditao:,
E dal so core si 1- à pensao;
Mo el è pluxor W ditaori
Ki àn dito de beli sermoni;
Ank^eo ven dirò, se a Deo plaxe,
A quel homo Segnore yeraxe
Ki m^an dato cognoscan^a,
Et in lu tenio grande fidanza.
(i) Questo 'modo di dire è invero troppo basso e disdicèvole ad
un sacro oratore ^ ciò che può solo escusare la rozzezza dei tempi.
Siecome egli si accinge a narrare la Passione di G. C. , così pre-
dispone con questa introduzione il lettore , assicurandolo^ che non
è raccanio ifwentato.
(2) Aitzi un racconto si spaventoso.
(5) Bancufn per rancore; forse per formare la rima con pagura,
(4) San^ tenor ^ cioè francamente j veracemente.
(8) Ditaor^ Yale a dire: quello che lo ha dettato^ come chiara-
mente esprime nel verso seguente.
(6) Pluxor^ cioè parecchi^ dal provenzale e dal francese plu-
sieursj o meglio dal latino plures*
à60 POEMETTO INEDITO
Ora ve volio comen^are e direy
E per raxon molto beri fenire;
Mo eo prego tuta 9ente
Sed eo fallase àvu presente (*)
Ke vu rae debiè perdonare,
E no reprehende lo meo ditare.
Et eo ve dirò dra (*) pàssion
Ki sostene lo nostro Segoore,
E ciim el resascìtò,
E cum r inferno el spoliò,
E cum el ne trasse Ir soi amixi
Si cum la scriptura dine.
Una grande maravelia denan^ v'è dita (^),
La qual de sovra si è scrìpta
In sto libro motto bon,
Lo qual si a pluxor sermon;
K^ al fó trato da morte a vita
San Labaro de Ebitania;
Così farà de V altra ^ente
Quando el sera io so placimente;
Poi receve palma e oliva. *
Mate^a fan quilK ki la schiva W!
(4) S'io fallassi^ rammentatevi, i$*ed per se^ porta suffissa la d,
ond' evitare V elisione con eoy aver presente per ricordarsi^ avver-
tire j è modo di dire ancor proprio di parecchi dialetti.
(2) A meno che non voglia attribuirsi ad errore del co{Hsta^ ciò
che è molto probàbile^ reca sorpresa il trovare in questo luogo
l'articolo dra per della^ che è proprio dei dialetti Hguri e di al-
cuni pedemontani ^ sebbene non ha guari fosse ancora in uso
.pressò i dialetti deiralta Lombardia, verbanese e ticinese.
(5) D&nan^e v'è dita^ vale a dire : vi fu già ratcontata^ o)pfmre
vi ho già testé r<tccontato.
(4) Stolti quelli die la ricusano !
DI METRO DA PEItSEGAPÉ. 261
La ifobìa fé con li soi frai (^)^
Con lor mangiò in carità;
Pò gè lavò le man e li pèe.
Jesu Xriste filiol de Deo
Cum el fó ven9U0 ^^^ in quela nocte
Dal traitò Juda Scariote,
Per trenta dinar, ke più non prese,
Per mego la gola sen apesse ^^\
D'onde queste cose a vu dona ^^^
Za ve cuntarò molt tosto per man ^^l
Se vu intendi pur ancora <^^ .
Eo no ve farò tropo demora.
Quando Labaro suscitò in Betania, .
Li (^udè pensòn grande folìa,
E sì fon grami et molte tristi
De questo miracolo ki fé Griste;
E se voren (^^ pur pensare
(4) Passò il yi(Ked% co^ suoi fratelli { discepoli), Lsl voce cobia
per giovedì è ancora propria di alcuni dialetti* vèneti, specialmente
del veronese. Il Veneziano pronuncia zióba; l'antico milanese,
come consta dai documenti, pronunciava giòbbittj e ancora adesso
in molti luoghi dei contado è viva la voce giòbia, ' .
(2) Nella parola venguo per venduto si rinnova la permutazione
della dìng già più volte avvertita, e la desinenza dei participj vèneti.
(5) Apesse per appese^ vale a dire : s*appicò per la gola,
(4) Dobbiamo crédere, che il copista ommettesse in questo luogo
alcune lèttere, o ne scambiasse altre, poiché la voce dona:, che
non consuona colla rima, non si connette colle altre nel periodo.
Forse dèvesi lèggere diymàn^ cioè: dimani,
(5) Per man 3 vale a dire: per ordine^ a ìnano a mano.
(6) Il verbo intèndere è sempre usato dall'autore, pel senso di
prestare attenzione.
(7) f^oren per pòg/tono è pura forma del dialetto milanese, che
tutl' ora pronuncia : voren.
t69 IPOBIETTO INBDITO
Gum lo posseno a morte trare;
À traimento et a grande torto
Pur Yoleno far sì k^eLsia morto.
E di e lìocte van pensando,
El traimento si van cercando,
Gum illi posseno ol9Ìre ^^\
Ke illi no veleno k^el debia vivere.
Un de M s^axembla W ii Pharisei
E li principi deli (^udei;
Si sen van a Jèsu Xriste,
Si Io clamòn per magistro;
In mal dire et in mal fare
UH sei credevano inganare
Con falsità e con buxia.
De lu pensavano felonìa
Quela 9ente invidiosa,
Bruta e falsa et inodiosa^
No calavano ^^) de pensare
Como illi Io possano accusare
D^ avanzo lo pòvolo e del segnore
Ke de loro era imperatore.
No li cessavano dei maldire,
Per farlo prender et olfire.
In parole l'avraven reprenguo (*^ ,
(i) Anche il verbo olfir^ per uccìdere serba la forma costante,
che abbiamo avvertito in oldire per udire,
(9) Axemblarse^ per tmtV^t^ conpentre^ è voce molto aflBne al-
roccitànica ed alla francese s'assembler^ te ras9embler,
(3) Non cessavano di pensare. Ancor oggi nel dialetto inilanese
calàj fra gli altri ^ ha il significato di «lentr meno^ diminuire.
(h) Lo avrebbero ripreso nei detti j se pur to avessero potuto.
La forma della parola a^^àven. del pari che quella dei partkìpj ^
è pretta veneziana.
DI ramo DA SARSCGAPÉ. MS
Se jllì avessenò pur posuix
EI nostro Segnore Jesu Xriste.
Lo qual et*a bon magistro,
Sape ben lo lor affare
Li lor penserLe li lor andare »*);
Vide la lor iniquitae^
Mo el era pien de liumilitae.
Humel mente gè respose,
Parlando cum plana voxe
El i asponfeva la scriptura^^),
Parlando con grande mensura ^?\
El contenda a semonire^
UH no volevan pur audire;
E li (^udè mìseno man ale prede (^>^
E si gè trasevano drè ^^\
El fu^i delo tempio e si ^'a^ose
Ke illi ravravan morto a YOxe.
Ora sen va de terra in terra,
E li Qudè li fan la guerra;
Ora sen vau li (^udei
£ li falsi Pbarisei
Gonsiliando molte forte. "
Com el Signore omnipoente
A si clamò li soi descentre,
In li que è la fidanza W,
Si lì faxe la predicaùga^
(i) / lor pensieri e la loro cotictotto.
(3) Egli esponeva hro la Scrittura.
(5) Menmraj fer predsiùney moderazione.
(H) Ancora adesso il Lombardo pronanda prede per pietre^ som.
(tt) Trar drè per gettar contro è maniera lombarda.
(6)r Nei quali è pura la fede.
Si64 POEVGTTO INEDITO
El gè dixe: ora m^aseoltoe;
In Jerusalem mego tornae (^).
Heu ve dìgo ia verità
Ke firò inloga passiona ^^).
Li Io filiol del Creatore
Com el Segniore pò esser morto (*)
Sera trahìdo ali peccatore;
Illi me Iigaran alo palo
Come fosse pur un latro ;
No gi lagaràn de roba iiidolo ^^^f
Dati ^udè da Jet al meritogo ^')
Illi spudano suso lo volto,
E diran k' el sia stolto;
Si li daran suso lo galon
E de vergelle e de baston ^^);
Tal gè darà suso lamaxella^
Ke sangue g'andarà^de qui in terra.
Po^ lo meteran in t^roxe,
(1) Meco tornate. Pare che le vocaili ae nelle parole ascoltai,
tomae dèbbansi lèggere come il dittongo latino ae, nel qual caso
avrebbero rodiema. pronuncia : oscoftè, tome.
(2) Che colà subirò i miei patimenti. Sono per lo più derivate
dalla radice fieri le voci del verbo essere; perciò troviamo firò
per sarò.
(5) Questo verso deve eliminarsi, come intruso per distrazione
del copista. 11 sen3o e le rime lo esclùdono interamente, dovendosi
lèggere.: Ivi il figlio del Creatore sarà tradito dai peccatori.
.(A) Non gli lasceranno veste indosso. La parola lagdper lasciare
è ancora viva nel contado milanese;
(tf) Lo strano accozzamento ddle parole di questo verso rende
assai malagévole indovinarne il significalo.
(6) E di ipergìì» e di bastoni: Fergella per pergfo è voce an-
cora viva nel contado milanese.
DI PIETRO DA RARSEGAPÉ. 365 .
Sì l'ulciran tuti a xoxe (*);
Al tergo dì s^rà lévao,
Da mòrte suscitao*
Quando el i ave ben predicai,
E molto beo amagistrai,
Vasen drito per la via
Gom li disìpuli in conpagnia.
Quando el fó a Belfagie
Al monte de oHìve,
Si clamò du deli frai,
Et a lor dise: or ve n^ andai,
E si andai intramhi du .
In quel castello ki è contra nu.
Li aloga (*) trovari
Una asena con Pasenìn;
UH én ligai, e vu li desligai <'),
Et a mi si li mene.
Se vu trovè in lo castello
Ki ve faca alcun revello W,
(1) Neir ùltimo \ef^o del capo precedente sta scritto : l'avr^^an
morto a spoxe^ ossia Vavrèbbero ucciso colle grida. Pare quindi che
qui pure debba lèggersi a voxCj anziché a xoxe ^ parola d' ignoto
significato.
(2) Ecco una diversa forma del ripetuto avverbio di luogo inloga,
iniòjilloga e simili^ derivato sempre dalle forme latine in loco,
eo locOy ilio loco.
(5) Essi sono legati, e voi slegateli, e conduceteli a me. Abbiamo
qui ui^a prova del modo col quale dèvesi pronunciare desligai
(che forse dovèasi scrivere desligae).^ dalla voce mene colla quale
dev'èssere rimato. E ciò ci somministra novella prova della negli-
genza costante del copista^- che scrisse la medésima voce in tante
forme diverse^ cioè : andai, andae, andè.
(k) Remilo per rilievo, opposizione. Si vede chiaro ^ che fu in-
vertito l'ordine delle sillabe, per conseguire la rima.
366 POENETTO INEDITa
Diri, k^el non abia sognia ^^^
Ke alo Segnor fano besognia.
UH se metèn in la via
Intrambì du in compagnia,
Et al castello illi andòn
E r asena si deslìgòn ^^>)
UH la deslìgòn H adeso,
Eia , V asenÌQ con esa apreso ;
UH la menòn com esso loro^
Si dan alo Segnore;
Suso gè mente ^^)'Ie Yestimente;
So ver r asena verax mente
Lo Segnor gè fén montare ,
Per più suave cavalcare (^).
Elo se mete in la via ,
E la grande ^ente lo seguiva.
In Jerusalem va io Segnore,
Et asai gè fan lo ^nde honore.
Partìa g^è de quela (ente
Ke soleveno le vestimente^^^ ^
E rame de palma,
Si le metevano suso la strada ;
La strada van tuli adeguando (®)
(4) Sognia per euraj pensieroj dalla voce francese mn.
(9) E slegarono V àsina. È sempre costante la forma regolare
per la formazione delle terze persone plnrali.
(5) Per negligenza sta scritto menfe in luogo di meim^ osai
méttono.
(h) Onde più agiatamente cavalcasse.
(5) Che si lèfpano le vestimento. Per errore il oojjiista scrìsse
solcQeno^ anziché se lei?ano.
(6) È molto propria ed espresriva la frase adeguare la via, per
tògliere gli inciampi, e rènderla piana e netta.
DI PIBTRO DA BARSEGAPÉ. 367
La o^ era le prede e lo fango ;
Ke la asena non habia male ,
E ke ta vaga più soave.
Oraiunca homo va cantando,
El Deo del cel si van laudando;
OsanaJ Jesu Xrìste^
Fané salvi bon magistro (^);
Benedigio sia lo Creatore
Ki n' à dato si bon Segnore !
Tuti qui li dela cita
Grandi e piceni, e tal e quali^
Incontra vèneiio al so Segnore;
Si gè fan lo grande honore,
Si com^ in la Scriptura se trova scripto ,
llli gè fén quél honòr ki v'è dito.
In Jerusalem si sen andòe
Et in lo tempio si entrée.
Trovò li mercadandia (^);
Tute le merce ^eta via ,
Et desbregò tuto lo tempio (^).
Dise a quili k^ erano là dentro :
Gasa mia , et oi , casa de oration ,
Fata v' àn speronca da latron (*) !
(i) Fané sahi per fa noi sahi, o facci sahi, è maniera propria
cosi dei dialetti vèneti ^ come dei lombardi.
(9) /pt trow mercato. Si yed^ che sin dal sècolo XIII èrano In uso
ambe le voci merce e mercatanzìa, poiché nel verso seguente
soggiunge: tutte le merci getta via/ ma con significato diverso.
(5) Desbregàr, o c(es6rigfdr per sbarazzare, tògliere tutte le cose
Jnùtili e moleste, è voce ancora usata nei dialetti vèneti^ ove ha
ancora il significato di sbrigare, per far presto, spicciare.
(4) Fàtta'v' hanno spelonca di ladroni. La permutazione della {
268 POEMETTO INEDITO
E po' va vìa per la* terra,
Ke nesun homo no Tapella;
No gè fó ki Falbregase (^),
INI ki de beve lì n'iid <lasse;
Ma ese de la cita a man a man ,
Quìdexe mìlligìa ben iuitan (^),
A casa dela Madelena,
E U ave rìcha cena.
Maria fóalegra forte,
K^el suscitò Io fradelo da morte.
Si Io receve alegramente,
E po' li dona de Tinguente (^)
Pretipso e pien d'odore,
E si ne unfe io Segiiore.
Li alo èn albregai (^)
Lo Segnore con li soi frai»
IVla sì g'è un falso frado W
Ki Juda traitò fi clanlao;
in r nella voce speroma si ripete ancor oggi nel dialetto mila-
nese , come in parecchie altre voci da noi avvertite.
(i) Anche l'inversione del posto della r in albregase, per alber-
gasscj òdesi tuttogiorno dal pòpolo milanese. ^
(^) Quìndicimiglia ben lontano. Ho già avvertito di sopra come il
Vèneto in generale inverta il suono delle II molli ^ che in italiano
si rappresenta con gli^ in Igi, Questa influenza deHa pronuncia
vèneta è qui manifesta nella parola millgia^ nella quale il copista
ha di più inserito una i. Vedi la Nota (0)^ a pag. 2tf4;
(5) Inguento dice tutt'ora il pòpolo milanese per unguento.
(ft) /pt sono albergati: La voce én per sono e .albregai per al-
bergai sono proprie del dialetto milanese.
(B) Poiché nel plurale è sempre scritto frai per fratelli o discé-
poli , non rv'ha duhio^ che in singolare dovrebb* èssere firao, tanto
più che meglio consuonerebbe con clamao, ossia chiamato.
DI PIETRO DA BARSEGy^PÉ. 269
Del Segnore efa sènescaico,
E canevé si era questo trailo ^^\
Si comen^a a businare W
El de grande ramporgnie a trare,
De i}o ke sta Maria feva ^^\
Und'al Segnore eia onjeva W;
E si deseva entro li frai:
Za (') yegnì, si m^ ascoltai :
Per que se perde questo unguento
Ke ben vale dinari d'argento?
Ben se porave esser vencù ^^^ 5
E de bon dinar aver ablù <^),
Et aver fato carità
A quili qui àn necessità.
Ora respondea lo Segnore,
E dixe a Juda lo traitore:
Perque vatu <•) ramporgniando,
(i) Ed era cantiniere questo traditore. La voce caneipé è ancora
viva nel dialetto milanese. A qual fonte poi il nostro autore attin-
gesse la notizia di questa professione di Giuda, non ci è dato co-
nóscere. #
(^) Egli comincia a buccinare, vale a dire a mormorare, ed a
calunniare.
(5) Fe^ per faceva è ancora usata da alcuni dialetti lombardi.
(4) Poich'essa ungeva il Signore.
(5) Zi^ per qua è voce vernàcola generale.
(6) Ben potrebbe èssere venduto. Ecco un nuovo esempio della
forma vèneta in porave, e della permutazione della d in ^ nella
voce vengu.
(7) Qui dovrebbe èssere scritto abiù^ voce ancor viva nel con-
tado milanese per avuto.
(8) Perchè vai tu rampognando.^ La voce vatuhsi forma occità-
270 POEMETTO INEDITO
E Maria molestando?
Era fato boiì lavore,
Ke Tà ungio (*) lo Segoore;
De li. poveri avri asai eoa vuj
Mo eo no seró sempre con vu,
Dixe li frai alo Segnore,
Parlando con grande amore :
Dì, Segnore, là o^el te plafa
0' nu devemo far la pascha?
Et el dixe: or ve n^ andai
In Jerusalem quela cita ,
Vu vederi un homo andare
Con un vasello d^i^qua portare ,
Et portarà un vasello de aqua^
t)ige, ke farò sego la pasca ^
Com eso lu ve n^ andari,
Et a casa soa demorari.
Li aloga aprestà (^)
De quel ki besognia de fa;
Tute cose a complimento ,
Ke no gè sia mancamento.
Questo volio ke vu sapia,
Ke meo tempo si è aproximà. «
Du dili frai vano via
Entrambi du in cOnpagnia.
P)o caiòn, si fon andai W
nica e vèneta ad un tempo ^ mentre^ cosi li Provenzale, come il
Veneziano dicono ancora : vas-tu,
(1) Ungio per unto^ colla permutazione della t ing propria del
dialetto milanese.
(2)«/(pì apprestate,
(5) No calòn per non cessarono, non desistettero. Abbiamo al-
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 271
Drita mente ala cita ;
Lo boQ homo avèn ve^u;
Si sen fèn drito a lu;
Li in presente si li àn dito
Zò ki li manda lo magistro;
Ked hel sego voi albregare W^
E la festa de pasca li voi fare.
Et illi receve alegra mente,
A casa li mena incontinente.
Li aprestan lo mangiare,
E quel ki g^ è mestér ^^> de fare.
Lo Segnor con li soi frai
In questa casa én albregai.
In l'ora de vespro el g'intrò
Tuli afati si là salutò;
Dixe: frai mei:, mandegemo (^) ,
Entremo a desco e si cenemo.
Quando illi fon tuti asetai (^),
E' si à dito ali soi frai :
Un grande tempo ò desidrao (^) ,
(E, leva la man, si à segnao),
De mangiar con tuti vu
In .questa pasca k'è vegnu;
trove appuRtato il verbo calare col significato d'importare^ come
derivato dalla radice latina calere. In questo luogo, ha il significato
suo proprio di venir meno.
(1) Cji'egli vuole albergar seco,
(2) £ quanto vi è mestieri di fare. Si vede che la frase italiana
esser mestieri, far di mestieri è molto antica.
(5) Mandegemo, ^er manduchiamo, mangiamp.
(4) Asetai per seduti è voce lombarda.
(8) Già da gran tempo ho desiderato.
272 POEMETTO INEDITO
Or mangierno in carità,
A ^ò ke sia passiona.
Or manduga Io Segnore
In carità con eso loro ,
E pò da desco se levòe;'
Li soi frai a si clamòe,
E si gè dise : oi , frai mei ,
Eo ve volio lavar li pei.
E si respose un deli frai,
Ke san Pietro si clama,
E dixe: Meser, ke vota fare <*)?
Perquè votu li nostri pei lavare?
Dixe lo bon Segnor veraxe :
Fra Petro ^^\ sta in paxe; ^
Quando t'avrò lavai li pei,
Ben tei dirò perqu'^1 fa?' eo (^\
Alo Segnore Petro respose,
E si li dise a piena- vòxe:
Li mei pei no lavare^
INi im perpetua no li sugare (^).
Dise lo Segnore ali frai soi :
Si li toi pei no lavarò,
Non avere mego a partire,
INi a fare, 'ni anche a dire.
(1) Mésser per Signore^ che vuoi tu fare?
(2) È strano il predicato fra', col quale i mònaci più tardi si
denon^inàvano tra loro. v. ^
(5) Ben ti dirò perch' io lo faccia.
(4) / miei piedi non tacerai, né giammai li asciugherai.
Ancor oggi il Milanese ed il Vèneto usano .la terminazione è
nella seconda persona singolare del faturo, e la voce sOgà^ o
sugar per asciugare.
DI PIETBO DA BAitSEGAPÉ. 273
Dixe Petro: Meser, e' son tò,
Lavarne li pei, e le man e lo co <^);
Fa, Meser, quel ke tè plaxe,
Ke tu è me Segaor veraxe.
Quando illi avéne tuli li pei lavai,
E tuti a desco iirin tornai,
Si li comen^a à magistrare,
E si gè dise in so parlare :
Questo exemplo e' V ò dao ^^^
Deli pei ke v'ò lavaò,
Si corno e' li ò lavadi a vu
Ke li debiai lavar int^ vu;
E questo ve volio comandare ,
Ke ve debiai intér vu. amare.
Or se lamenta lo Segnore,
E dixe ali frai lo so dolore;
Si li dixe con grande suspiro:
Un de vu me de^traìre)
Li frai ne fon molto dolorosi ,
E molto grami e pehserosi ^
Mormorando entre loro:
Qual è quel ki è traitore?
Juda trailo era a désco,
E crida forte: sont' e' deso <^)?
Lo Segnor si gè respose
Humél mente, in plana voxe:
] Tu è dito: sonfe* deso?
Noi palese ni anche per questo ^*).
(i) Co per mpo è vece propria del dialetto milanése^
(^) Qmsf esempio io v' ho dato.
(3) Son io dmo? Y^di la nota (5), a pag. %M,
(k) Non lo paleso neppur per questo. La forma ni anche è pro-
18
274 . POESETTO l!f£QirO
El g'à li un de ii frai,
Ke san (^ohane fi clamaó ;
In scoso (^) dèi Segnore dormlya^
Grande fidanca in lu aveva ,
Ke aveva grande dolore
D^eser traido lo so Segoore;
Si le comen^ò a dhre:
Ki te de', Meser, traire?
El gè respose humel mente :
Quel farà la trai&on (^)
Kt mangiarà questo bocon.
E lo Segnor dixe a Juda :
Toi , lo' sto bocon e sì M manduga ^') :
Quel ke tu à pi&nsao de fare^
Tralo tosto a desbregare W.
La boca avrì lo trailo Juda,
Tol el bocón e si '1 mandoga*
Quando Tayé mandugao,
Sathanas gè fó intrao;
Da desco se levò , e si ^é vìa (^\
priamente vernàcola, perocché i Vèneti dicono gnam^a, i Lombardi
gnan,
(1) In grembo del Signore ei dormiva. Ecco una voce pretta
milanese, che dice in scoss per esprimere in grembo; e quindi
chiama scossa il grembiule.
^ (2) f! ben ovvia la consonanza dì questa voce con trahison fran-
cese, che. significa del pari tradimento.
(5) Prendi questq^ boccone, e mangialo. Le voci'toi^ to', da tò-
gliere, sono lombarde.
(4) In questo luogo desbregare è adoperalo nel senso proprio di
spicciare. SpìcciaU presto.
(5) Si alzò dal desco, e se n'andò.
DI PIETRO DA BÀRS&QAPÉ. 27 5
E lasa star Id compagaia.
Lo Segnor dìxe sili frai : "
Sia guarntdi et aprestadi (^),
E ben aeorti et a^e^udi (*>,
Ke questa noete siri asalìudi.
Scandaii^i vu sari
Quando preso me vederi.
Dixe Petro un diU frai:
(Ja no serò scandalifao«
E gè dixe Io Segnore:
Tu avrè lo grande tremore,
Quando tu vedere li Qudè
E Seri vanti (3> e Pharìsei;
Et ancora questo te volio aregordare (^);
Ke trea via ('> me di renegare ;
Inanze k^el gallo habia cantao
Trea via m'avrè renegao.
Dixe Petro molto forte:
E' troverò ioan^e la morte (^^.
(i) 4$%ite agguerriti eprtmti.
(i) Bene attenti ed avveduti, pùichè in questa notte sarete assaliti.
(5) £ Scribi e Farisei,
(4) jiregordare per ricordare è ancora proprio del pòpolo mi-
(5) Trea via per tre volte^ tre fiate. La voce via per fiata è an-
cora usata in aritmètica, dicendosi : dù via> dU fa quàtter, ossia :
due fiate due fanno quattro.
(6) la subirò prima la morte. L'influenza della lingua proven-
zale nelle forme di quella del Bescapè rèndesi sovente manifesta
nelle flessioni dei verbi. Abbiamo visto più volte tu è onde e^ri-
mere tu sei; ora troviamo qui eo troverò, ad esprìmere il futuro
troverò, che nelle lingue occitànica e francese è aiy^^unlo trou-
nevai.
276 POHIBTTO INEDITO
Li altri dìseno come fé Petro :
Morì voliemo se Ve mesterò <*>,
E ^ascaun de nu si sera gramo
De questo ke nu te vederamo ;
Et UQca da ti no samo parire (^>
Per laxarse tilti olcire.
Or lasemo questo stare,
Ke innante eo volio andare.
Lo Segnor im pei levò,
E li soi frai a si clamò;
Con eso. loro el ^é via
Drita mente ad una villa.
Quando illi fon lì arivai ,
llli erano stangi W et afadigai ;
Li frai se dano alo possare (^),
E lo Segnor ^e adorare.
Si se butò in oriente (^),
Le man levò incontinente-^
E si dise: oi, patre meo,
Ti ki è Segnore del cel,
Sa questa morte a ti si pialle ,
Ben la volio portare in paxe;
(I) Ecco un nuovo esempio della frase esser mestieri^ per far
d'uopo, abbisognare,
()) Qui in luogo di samo parire è chiaro ehe deve lèggersi
s'avemo a partire, giacché il significato di questo verso è il se-
guente : iVe mai ci divideremo da te, e poi continua : per lasciarci
ticcider tutti.
(5) Anche qui la g ha suono duro cotne in gè, e quindi suona
evidente : stanchi e affaticati,
(4) Fossore per riposare è voce vernàcola lond>arda.
(5) Si rivolse \;erso V oriente, '
DI NETfiO DA BABSEGAPÈ. 277
Da k'eo cognoseo Io tò talento ^^\
Ben volia soffrire questo tormento,
Per salvare la humana ^ente
La qua! se perdeva mala mente.
Per questo passio (^) ke tlebio portare,
Ben volio ke tugi (^) se deban salvare;
Et, oi, dolcissimo patre meo,
A ti recomando lo spirito meo.
Quando el ave asè oradho (*>,
A li sot frai^se.n^è tornao.
loro si dixe cum carità :
No dormì, ma sì vegià (^);
Stahi tuli in oratione^
Ke non intrè in temptatione.
(1) Dappoiché io, conosco il tfw volere. Sebbene il verbo cogfno-
SCO sìa pretto latino, pure debbo avvertire, che tutti i dialetti
lombardi e vèneti serbarono il suono gn, a differenza della lingua
italiana. È pure da notarsi la voce talento per volere, volontà.
(2) Passio è la voce latina generalmente sancita ad esprimere
la Passione di G. C. È però singolare ^ come un nome femminile
e in latino e in italiano, sia fatto maschile , co^i dall'autore, che dice
chìdiT^kmenie quesio passio, come dal, pòpolo ne* vari suoi dialetti, che
ancora denòmina el Passio, il racconto della Passione di G* C. tra-
mandatoci dagli Evangelisti. Ciò deriva probabilmente dalla desi-
nenza in distintiva dei nomi maschili.
(3) Ho avvertito altre volte, come il Milanese permuti sovente le
tt in fi scbiacoialo, màssime nel plurale dei nomi, dice,ndo: el tèe,
i tee, ossia il tetto, i tettìj cosi: tUtt per tutto, e tiiè per tutti. La
voce tugi per tutti, ci attesta che allo stesso modo pronunctàvasi
anche nel sècolo XIII.
(4) Quando egli ebbe alquanto- pregato. La voce asse, per abba-
stanza, assai, è del pari vèneta e lombarda.
(tt) Non dormite, ma tegliate.
278 POfMBTTO INEDITO
Trea via ^é ad orare <*>
Al so patre spiritaale;
Pagura si a delo morire,
Mo in paxe el voliò (^) tolfirire ,
Da k'el plaxe alo so patre
In piena pax lo voliò portare.
Et el se retoma alt soi frai;
Si lì trova adorminthai;
Or gè dixe lo Segnore,
E si gè dixe con grande amore:
Or dormi e 6Ì posse
K^el meo tempo è aprosimao.
Juda traitór desliale,
ApensMido lo grande male (^)
Et apensando lo. grande dolore
De traire lo Segnore,
No cala di e nocte pensare (*> , •
Gum el ne possa haver denare;
El se n^andò ali Qudei,
Per vender lo filiol de Deo.
Gomen<;a dire inter loro:
Or m^ biscottai, l^li s^or^
Un grande tempo avi querudo,
(1) Tre volte andò a preg&re.
($) f^oliò per volle, ci è nuova prova d^lo sforzo col cfiiale ai
tempi del Bescapè si evitavano tutte le ilrregolaiilà dèi verbi., màs-
sime nella formazione dei tempi passati e dei participj. Possiamo
asserire, che le règole gramaticali a ciò destinate èrano senza ec-
cezione.
(3) L'uomo zòtico del volgo suole ancora preméttere l'eufònica
a al verbo pensare. •
(4) Non cessa di pensare dì e notte.
pi PIETIIO DA MUSEGAPÈ. 27$
Domandò et an voliudo ^^)
Quel ke se dixe re deli Qudei,
E dixe ke F.è filiol de Deo;
Se vu'I vorì, e' vel darò ^^\
Entro le man vel melerò ; .
Questo volioke vu sapiai,
Ke voljo esser ben pagao.
Li (^udei fon adun (^)
Consertando pur inter lar
De quel ki a dito lo traitò^
K^el voi vender lo Segnor.
In lor conselìo àn ordenao
Ke Juda fica (^) ben pagao.
Trenta, dinar d^ariento , .
Questo sera lo pagamento;
Si li fan venir li in presente,
Si Fan pagao incontinente.
Quando Juda fó ben pdgao,
E li dané ave governao (^^,
(1) Lungamente avete cercato j dimandato ed anche voluto. È chia-
ro^ che il copista ha per errore scritto domando, in luogo di d(h
manda, o domandap. La voce an per anche è ancora usata tra i
Lombardi.
(2) Se poi lo voiete, io vel darò. La permutazione della / in r
nella voce t?ori è propria del dialetto milanese ^ del pari che la
flessione finale^
(3) In questo componimento è ripetuta più volte la frase èssere
ad un per unirsi, adunarsi.
(4) Fissa per fosse òdesi ancora in molti luoghi del contado mi-
lanese.
(tt) Ecco un nuovo esempio del verbo governar per riporre^
custodire. Vèggasi la Nota (^) a pag. 245.
280 POGHCTTO rNEDITO
Dixe: Segnor, ora m' intendi ^
L^omo è ve^aò e scaltrio ^^^^
Ke l^omó sa de plaxor arte^
Ke Io cognoseo ben in parte.
Per 90 volk) ke vu sapiai,
Ke vu sia pur «jente asai , '
E de le arme ben gUarnidi,
E tuti afati me seguidi.
Àndarò inan^e^ e tu apreso;
Quel ke baxarò, el sera deso;
Vu Io pilià e si M tegnari;
Farine po' quel ke vu vori.
Et illi cridan: sia, sia,
No vestale, (^) sì, andemo via*
Juda se mete in la via
Gom li (^udei in conpagnta.
Tal porta spada, e tal folfon (^),
E tal cortelo da galon W ;
lUi gè van con grande lumere (^) ,
(1) Uvjomo è avi?eduto e scaltrito. Pare die m hiogo di vefdo
debba lèggersi avegiu)^ come altrove sì è visto.
' (2) Non sostate (non indugiate), partiamo. Al verbo a^talarsi
per sostare^ sospèndere, è affatto sconosciuto cosi al dialetti, come
alla lingua italiana.
(5) Folción per grande falce .^ coltello potatorio, è voce an-
cora viva in tutto Tagro milanese. •
(^) Cortelo da galon significa quel coltellaccio , che uo tempo
solca Tùomò del pòpolo portare al fianco pendente dalla cintola.
Ancor oggi il Vèneto ed il Lombardo pronunciano cortelo o cartkl
in luogo di coltelhj colla sòlita permutazione della l in r.
{ìi)Liimera lUmierà per làmpada è ancora in uso presso il
pòpolo milanese. ^
DI PIETRO DA MRSEC;APÈ. 984.
E con lanterne et cervelere (*>.
Or va via Io traitpre
Dritamente alo Segnore,
E si dixe a Jesu Xriste:
De' te salve , oi , magistre !
In quelo logo li presente
Si Vk baxao incontinente;
E Jesu Xrìste dixe a lue:
A mi perquè è vegnue (*)?
Li (^udei si Io pillane
Si gè ligòn de drè le. man.
Or lo comen^àn a blastemare,
E de grande guan^ ade a dare ;
V un lo tira ^ e Taltro lo fere ('^ ,
E r altro gè va criando dreo.
Li altri frai fucino via (^),
Lasòn stare la conpagqìa
De pagura ke illi àn abiudo
Quando ilio se videno assalìudo«
Un gè ne fó. ki se defese
Quando li l'avevano preso;
Zo fó Petro l'un deli frai
Ki a lo cortelo ben amolao (^) ;
(1) La voce cervelere che assai probabilmente significa cèreij o
fiàccole^ se non è una nuova alterazione del cppista, è voce inte-
ramente perduta.
(^). Perchè sei tu venuto u me? Ecco un nuovo esempio del
verbo è per eei^ dal latino e dal francese tu és.
(5) Fere per ferisce, com'è tutt'ora in uso nella poesia itòliana.
(4) Fufìno per fuggirono, in luogo di fucin. Questa volta il €o<
pista yfiiòr dell'usato^ vi aggiunse una o alla ».
(tf) Amolao, o molaa, dice ancora il Venead^o per aguzziUo; il
Lombardo diee mola.
283 POEMETTO INKDtrO
Si Io trase fora dola guadine (^) , «
E vasen a loro con grande ira
Ki era habluto (^) contra lo Segnore
Si taliò Toregia (^) ad un de loro.
E Jesu Xriste si la piliò
Et incontinente gè la soldo <^),
E si a digto alo so fra^
Gum la grande humilita :
Petro, mete lo cortelo tò,
E si lo torna in lo logo rà;
Ke agiadio sol ferire (^)'
A gladio è degno de morire.
Dixe lo Segnore ali (^udei,
Ke gè ligòn le man de drè:
E con spade e con lan^on
Preso m^avi com^un latron;
Za fue il tempio spesa fiada (^)
Là dentro ke v^amagistrava;
Vu, Qudei, no me prendistì)
Ni nesuna fiada me lenisti.
(1) Cruadina per vagina^ o fodero è yoee ancora viva nei dia-
letti vèneti.
(2) Dalla strana forma dì questa voce^ probabilmente guasta per
òpera del copista^ non ho potuto ritraore veran significato.
(5) Oregia per orecchio in gènere femminile è voce ancor pro-
pria del dialetto milanese.
(4) Soldo per mUò^ attaccò j dieesi ancora dal pòpolo milanese.
(B) Il copista colla sua consueta negligenza scrisse agiadio in
luogo di a gladio, com'è ripetuto nel. verso seguente; e quindi il
significato di questi due versi è: Chi colla spada suol ferire è de-
gno di morire colla spada; dò che fu reso con Ueve modfficazione
nel vecchio proverbio: Chi di coltel ferisce^ di ooltel perisce.
(6) Qui è d'uopo lèggere: Già fui nel tempio spesse flaie.
DI PIETRO DA BARSEGAPI^. S88
El g^è un soxero de Caifax
Ke voi savef quel vit'el fax (*).
Si nel domanda palexe mente
Velando quili kì g'in presente.
El gè responde lo Segnore
Guni planeca e con amore: ^
in lo tempio ho predicao,
In palese et non in privao .
In sinagoga et in contradi,
Là oe li Qudei éq oongregadi;
Querine quili ki m'àn ol^ù (^\
Ke molto speso g'in abiù;
UH ve diranla verità .
De quel ke li à magistrà.
Un deli Qudei lì in presente
Levò le man incontinente^
Si gè de tal (^) suso la maxelta,
Ke sangue gè ce inintro <*> in terra;
Forte Grida contra lui:
Tu mala mente responcù.
Responde a lu lo filiol de Deo,
Alo crude falso <^udeo;
Humel mente et in grande paxe,
Dixe lo bon Segnor veraxe :
(4) Jlovi un nèòcero di Caifa, che wol sapere qMi pàa ei meni.
La frase /or lu x4jta è propnamente lombarda.
(5) ChiédÀteto a quelli che m'hanno udito.
(5) Qui doU>iamo crédere, che restasse nella penna del eopista
la parola schù^ffOj o guandaia^ od altra equivalente.
(4) In iniro in terra contiene per certo qualche ^Ulaba di trop-
po ^ a meno che non iatendesse esprimere : sin entro ferra.
36 4 POfiMETTO INEDITO
Se digo mal, rendi provane ^^^,
E si lAonstrai te$tiaiODÌan^;
Se digo ben, perqué me dai,
Digando eo la verifai ?
La (ente rea e malvaxe e. falsa
. Si meDÒn Xriste a Cdi£Ba.e ;
A furo (*) et a grande ira
Con tra iu lo populo crida ;
San Coh^n^ ^ san. Petro
No se tolevano ^a deò (').
Un grande fogo era in la casa
0^ la f ente se scaldava ;
Petro fé là molto to^to
Ke poca roba aveva indOsO.
In quelo tempo era sorada ^^^
E tuta nocte aveva vegiado;
Or se scalda pianamente ^^).
Una ancella ke lì era
A Petrp pari molto fera (®);
incontra Iu eia i à dito :
Tu è de quili k' erano con Xristo.
Responde Petro, e si ^1 negòe;
(1) Provati fa per prova è forse licenza del poeta per conseguire
la rima.
(2) Non v'ha dubio, che qui deve lèggersi furor o furore.
(5) Forse deye lèggersi dreo^ volendo esprìmere^ che Pietro e
Giovanni non gli stavano appresso^ ma bensì a qualche distanza..
(4) Dovrebbe dire sorado, come richiede il senso e la rima, e
significa raffreddato* La voce sordr per raffreddare, ossia divenir
freddo j è viva generalmente nei dialetti vèneti..
(tf) In questo luogo il copista oblitwò di trascrivere un verso,
che dovea rimare con phunafnefUe^ e formare il distico.
(6) Si fece a Pietro con alterigia.
DI .PIETRO IVA BARSEGAPÈ. 285
Oi, femenay dise, quelo niente no soe ^^h
Un'altra ancela li in presente
Si a dito lo someliante;
Petro aferma e si ^ura W ,
K'ei noi cognosce ni M vide unca ^^K
Un altro homo dise a Petro:
Tu eri con Jesu Nazareno;
La toa loquela lo manifesta.
Petro cura e si protesta:
]Ni lo cognosco, ni lo so.
Trea fiada lo renegò.
Lo gallo cantò li'n presente;
E Petfo Todi incontinente.
Quando el odi lo gallo cantare,
Si s^à comenca aregordare
De quelo ke i aveva dito
Lo segnor De Jesu Xriste,
Ked el lo deveva renegare
An^e k'el gallo devese cantare.
Vergonca n'avé te dolore,
K'el renegò lo so Segnorej
Or se concò a lagremare W^
E de grami suspiri a trare.
Li principi deli Qudei
Sacerdoti e Pharisei,
Quando tornòn tuti adun ,
(1) Non lo conosco punta.
(2) Zuràr per giurare è nianiera propria, dei Vènetr.
(5) Che noi conosce^ né lo vide mai. Troviamo costantemente
unca per mai, dal latino unquam,
(4) Ora cominciò a piàngere. Non v' ha dubio^ che si doveva
scrivere comengò.
2^86 PO^ETTO INEDITO
Grande conselio fan enter loro.
En coiitra Xriste àn cmlenao
Ke a morte fi^ condemnao.
IIK menano Xriste a Pillato
Bt àolo lato lu legato (^).
Juda vide, lo Segnore
In grande pene et in dolore
Amaramente et a grande torto
Dali Qvidei dever fi morto (^);
E penssb ke Tà mai fato,
E voleva retrare in dreo lo pato <^^.
Si sen va ali (^udei,
E domandò lo fiiiol de Deo.
)Hi resposeno incontinente,
Ke illi ne yoleno far niente.
Lo falso Jnda peccatore
Li dinar ^et6 enter loro;
Dal bon Segnore se desperò
Et incontinente si Tapicò.
Pillato clama lo fiiiol de Deo,
E dixe: è tu re deli )Qudei?
Et responde Jesu Xriste,
Et si gè dixe: tu è dito ^^^
Li princìpi deli <^udei,
Sacerdoti e Pharisei
Li comen^ano acufeare,
E de falsi testimonii dare.
(1) Legato, per giùdice^ drbiiro,
(a) Dover èssere ucciso
(3) E voleva annullare il contratto. Ancor oggi il milanese di-
ce: tira in dfé nel medésimo senso di annullare^
(f^) Maniera latina, letteralmente tradotta da dtxÌ9lti* Iti tm ietto.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. ' 2&7
Pillato dis^ al Segnore:
Odi que te dixe qiiestor (*)?
Ke illi te dan testimoniane ,
E contra ti fan provan^a.
Lo Segnor sta humelmente,
No gè responde de niente.
Pillato ke a grande torto. vide,
Jesu Xriste voi fi morto.
Ad falsità et a buxia
Ulcire lo voleno per invidia,
Laxsa lì lo filiol de Deo^
E vasen fora ali Qudeir
Illi én congregai li apressQ,
Et a lor dixe li adesso:
Vu avi ordenao,
Ad omiunca pasca de fi laxao ^^^
Un de quili ki aveseno offeso,
Qe in vostra possa fosse preso.
Qual voli ki vaga in paxe
D^entre Xriste e Barabaxe?
Tuti crian: Barabaxe;
Quel voliemo ke vaga in paxe;
E criano molto forte,
Jesu Xriste fi^a morto.
Pillato responde, et a lor à dito:
Que sera de Jesu Xriste?
Non à fato nesun torto,
Perqué deves^e esser morto;
No trovo in lu ^a cason,
(I) Questor per costoro. r
(3) Che ogni anno nel giorno di Pasqua sia liberato dal càrcgre.
288 POEMETTO INBUtTO
Perqué in la abtà rasofi ^^^
De far Xriste degoltare,'
]Ni a torineato tormentafe.
E li Qudei erian ad alta roxiti^
Pur moira^ moira in la croxe^^) -
Grucificare pur lo voltemo^
Sor la eroxe deb legno.
Pillato vide lo ramore '
Ke illi fan contva '1 Segnore , '
Ke niente el gè ^ova ^%
Quando per lu ei li pregava;
Ma maior iniquitae ,
Li cresceva par assae (^);
Venir el fé de bela aqna
In un vaxelo k^à nome la caga (^);
El le mane si se lavòe^
Et un donzello a. si elamòe^
(i) Perchè in lui abbiate ragione o causa.
(2) Moira per muoja; il Milanese direbbe: ch'el mora ; ed il
Vèneto: ch'el mora,
(3) Zova per gftova è proimnoia vàaeta. La rima peraltro e la sin-
tassi accennano all'errore del copista, «che dov^.scrivere giovai».
(4) Gli dispiaceva assai. Nel dialetto milanese dicasi rincrès per
rincrescere.
(tf) Forse ai tempi del Bescapè chìamàvasi caga il caiino, o k
catinella, che serve a contener Taqua destinata a lavarsi le mani.
La voce cazza peraltro nei dialetti vèneti ed in lingua italiana
esprime solo il ramajnoto^ che a guisa diicooeèiaja serve a trafi*
portar Taqua dai grandi recipienti nel catino. Questo medésimo
strumento dicesi in dialetto milanese tazzaj e chiamasi poi cazzi
la cazza di pìcciola dimensione, che serve a mestare e scodellare
le vivande.
Di PIETRO DA BARSEGAPÉ. 289
K^el gè portasse un mantile (^\
Et ali Qudei cometica dire :
Segnor, eo me lavo le man ^
Vedente vuì tiiti per man (^);
Ancora sì è a loro digando:
K'eo no volio esse colpando (^)
In lo sangue de questo homo.
Li Qudei disseno a iu:
Tuto sìa sover nu^
Sovra li filio^ke nu habiemo
Tuto lo peccao recevemo.
Ala per fin Pillato de Xriste ie de bailia,
Ke illi fai^no 90 ke illi voliano
Per soa grande folia.
UH perdonòn a Baraban,
E tolén Xriste a man a man;
Si lo despoKòn tuto nudo,
Si comici fosse pur mo' nassudo (^\
E no gè lasòn de roba in dosso.
Fora la trasen molto tosto,
(i) Questa voce^ ch'è pure italiana ad esprimere tomgliola
salpietta^ sì pronuncia ora dal Milanese mantìn/ quando peraltro
vuol esprimere il pannolino destinato a rasciugarsi, lo distingue
col nome di siigamàn,
(^) ^l cospetto di {>oi tutti. L'aggiunto perman significa aduno
ad uno, vale a dire: nessuno eccettuato.
(5) Colpando per colpàbik colpévole. Qui per certo il copista
ha obliterato un verso , che collegando insieme il periodo do-
vrebbe rimare e formare il distico col verso seguente , il quale
perciò rimane solo e staccato. Di una tal negligenza abbiamo già
visto, e troveremo nuovi esempi.
(4) Appena nato. La frase pur mo' per appena , H fresco, fu
sempre di buona lingua, e deriva manifestamente dal latino mox.
19
390 POEHJBTTO niEDtTO
Po^ se Io ligòn ala palio,
Si com^el fosse par un latro,
E de ver^elie molle grosse
Si lo ferivaoo sover le coste.
E tanto gè de (^) per le bra^ee per le gambe,
Ked el pioveva vivo sangue;
E la carne bianca motto s'ascoriva ^^\
Più negra ka coldera eia si pariva (^).
D^una corona li fan presente
Fata da spine ben pon^ente.
Più ka lesena elWa aguda (^),
Suso lo co si gè Tàn metua;
Et illi gè la melén de tal virtù (^>,
K^el sangue fora g^è insù (^);
E d'una porpora Tàn vestio,
A ?o k'el fi^e ben screnido<^).
D'avanzo gè stan in flnogion (^>
Per far de lu deresion;
(I) Qui il copista ha dimenticato la n caratteristica del plora-
le^ ond'esprimere : gli diedero.
{%) S'ascùriva ^er' a^oscura^mj annerna,
(5) Purea più nera ch'una taldaja, É tott'om praprio del bassa
pòpolo e del contado milanese il pronunciare cold per ca&io ; di
qui appunto coldera per caldaja.
(4) Esm era acuta più, che lésina. La Yoce tóèena è jNropria di
tutti i dialetti vèneti , mentre il Milanese pronuncia leena.
(tt) flirta per ferza^ giusta il significato radicale ddla parols.
(0) Che il sangue gli uscì fiwri.
{!) SorenUo per schernito. Giova avvertire l'uso di qoesta voce
nel sècolo XIII .^ essmido per avventura una delle amiche nuUd
itàliche.
(8) Gli stanno d*inanzi in ginocchioni. Il Vèneto pronuneia an-
cora oggidì ini zenogión^ ed il Lombardo tu genogiòn.
DI PifiTRO DA BARSEGAPè. 294
E per iiìiqaita e per grande ira
Tuto Io pòvelo sen scregiìiva (*) ;
E si deseviano a mala fé:
Deo te salve y meèer lo rex!
In Golgatha va li (^udet
Con eso Io filiol de Deo <^l
Li (^udei vìdeno un homo
Ke Simon aveva nome;
Si gè fan la croxe portare
E grama mente lo voi fare <*);
No sei atenta a contradire,
Ke gran pagura ha del morire.
Quando illi fon là andai,
E luti afati congregadì,
Lo povolo cria tuto a voxe:
Pur moira Xriste in la croùce!
Ora fó Xriste li arivado,
E molto tosto Tàn crucificado.
Là suso in la croxe si Tapitòn,
Le man e li pei si g^ ingiodòn <^);
Or io comencan a ferire
Si com^homo kMli voleno olcire;
Et in me^o de du latrone
Xriste sostene passione.
Com eso loro in croxe levao
(1) Tutto il pòpolo lo 8cherni(>a.
(2) / Giudei vanno mi Gòlgota col figliuolo di Dio. È dà no-
tarsi il modo con esso in luogo di con, che non danza eloganea è
ancora usato nella buona lingua. ^
(5) £ lo fa a mal* in cuoi*e^ di mala voglia.
(4) È comune cosi ai dialetti lombardi come ai vèneti il verbo
inciodàj inciodàr per inchiodare.
292 POEMETTO JNEDfTO
Et in me^o loro è ^ydigao.
LJun era reo et peccatore ,
Forte screniva lo Segnore;
ÀF altro ne fice grande peccdo (')^
Marce gè vene e pietà;
A Jesu Xriste marce clamoe,
E dixe: Meser, in lo regno toe
Quando vorrè li andare,
De mi te debii aregordare.
E Jesu Xriste si gè dixe:
Àncoi sere mego in paradiso (^).
Lo Segnore vide la matre stare
Plangorenta e grama strare ^^\
Dolorosa e molto trista
Con san Qobane evangelista.
IntrambL du prese a clamare,
L'uno aP altro a comandare W.
A la matre si dignoe:^
Oiy (emina , ecco lo filiof toe.
ÀI disipulo disc apreso,
Zò era ^ohane li adeso: > "'^'""^
Ecco ta matre toal^
(4) V altro n'ebbe gran compassione. É frase comune e generale
nei dialetti vèneti e lombardi il far pecà, per ai^er compassione, o
destar compassione. Giova notarla come usata anche ai tempi del
Bescapè.
(2) Oggi sarai meco in paradiso.
(5) Strare non ha verun significato; forse dovea ripètere stare,
o qualche verbo di simile significazione.
(i^) Comandare per vaccomandare^ dalla radice latina comendare.
Quindi il significato delFintiero periodo è il seguente : Gesù Cristo
chiamò a sé S. Gioipanni e la Madre Maria^ e cominciò a racco-
mandare Vuna alValtro,
DI PIETRO DA BÀRSEGAPÉ. 293
Et elo la tén ormai per soa (*\
(Juand' el vene a traversare (^\
Ad alta voxe prese a clamare:
Oiy patre meo, domine Deo,
A ti comando lo spirito meo;
Et oiy patre meo celestiale.
No me dibli abandonareJ
E la soa testa si inclinòe,
E da beve domandòe*
E un deli Qudei fó tosto acorto;
Axeo con fere g'avé sporto <').
E quando el n'avé ben cercao^.
Et ali Qudei disc: el è consumao.
Ora traversò Jesu Xriste (^) ,
Quando el ave questo dito.
Ora plance e plura sancta Maria
Del so filiol, ke la vedeva
In la crox esser penduo,
Despoliado e tuto nudo;
(i) Ed ei la tenne ormai per sua (madre).
(2) Quando si sentì venir meno. È strano il verbo traversare ,
ond' esprimere il passaggio da questa all'altra vita.
(5) Gli porse aceto con fiele. Il Veneziano pronuncia ancora aséo
per ojceto; il Milanese, asé. La voce fere per fiele poi attesterebbe
che la permutazione della /in r ^ che abbiamo già avvertita in
gora^ barena ed altre, per gola^ balena^ ec, era un tempo più
frequente che non ai giorni nostri.
(4) Cercao per assaggiato. Questo senso traslato, ma pure espres-
sivo del verbo cercare^ è ora affatto perduto.
(5) Il Bescapè non volle valersi del verbo morire^ né d'altro di
eguài significazione, parlando di Gesù Cristo ; ma ripete il verbo
traversare, cioè passare da un luogo ad un altro, come fece Cri-
sto, che scese alle regioni inferne, e* poi sali al cielo.
S94 POEMBTTO INEDITO
Dal co ali pei el san^enava ('),
In la croxe o' el picava (*>,
E passionado molto forte
In la crox o^ el pende in morte.
Li Qudeì pieni de venin
Sì gè menòn Tavogal Longin (^);
E Longin Favogal apenào (^),
La lan^a gè mise per lo costao;
E per sì grande for^a lo feriva ,
Dentro dal core ella sentiva;
E fora per la sancta plaga
Si insì sangue et aqua.
Lo sangue e Taigua vene in pla^ ^\
Et el sen lavò li ogi e la fa^a;
Li ogi sen lavò e li mentoh (^),
Posa vide più claro ka un falcon.
Quando el vide, sì lagremò,
Et in greve colpa si clamò.
El vene al sangue, e si'l covrì <^);
Et a Deo tanto servì,
Tanto gè fé servisii da bon grao W,
(1) Dal capo ai piedi versala eangue,
(i) Ov> era appeso.
(5) Noa mi fu dato scoprire la radice deirepiteto avogal dato a
Longino^ che sappiamo èssere stato un milite romano.
{k) uipenao per impietosito^ mosso a compassione.
(5) Pla^j cioè sul piazzale ove sorgeva la croce. Forse l'autore
si valse di questa voce per la rima con foga.
(6) Dopo aver detto nel verso precedente^ che Longino se ne
lavò gli occhi e la faccia., ripete lo stesso sostituendo a faccia la
voce mentonj cioè il mento, perchè acconcia alla rima con fake»»
(7) Si accostò al sangue (versato al suolo), e il ricoperse.
(8) Grao per grado^ giusta la pironuncìa veneziana.
DI PIETRO DA BARSEGàPt S95
K^ el fó po^ martiro clamao. ,
Posa s^è leva un tempo tale (^),
Ke fó molto greve e mortale*
Tuto lo mando s^atenebrie,
La nocte fó da me^o die ^^);
Pestelentie e terremoti,
Da mefo di devene nocte^
Tuta la (ente si se smarìva,
Asai g^en fó ki sen pentiva (').
Per 5Ò fé ben lo re Pillato,
K^el se lavò da quel peccato.
A mala mente et a grande torto
Jesu Xriste si è morto.
Tuta la twra si tremòe
Quando Xriste traversòe.
Multi corpi én suscitadi,
E da morte én su levai;
La luna, el sol si se obscuri,
El tempio grande se desparti (^)»
DeuSy aida ^^\ dix sancta Maria,
Questa $i è grande mahasia (^)
Ki à fa sto ^udeo
In lo dolce fillol meo.
Or clama e dix sancta Maria:
(i) Qui il nome tempo ^ adoperato per procella ^ temporale ,
com' è tutt' ora in uso in tutti i dialetti cispadani.
(SK) Tutto il mondo fu coperto di tenebre^ sicché fu notte a mezzo
il giorno,
(5) Fé n'ebbero moUi che si pentirono.
(1^)' Spartisse per fèndersi^ dioidersi è ancora viro nei dialetti
lombardi.
(5) ^ida per ajuto, soccorri. In italiano dlcesì pure aitò.
(6) Malvasia per mahagilà, iniquità.
S96 POfiHETTO INEDITO
^ f^u ke traversai per la, via,
E tai e guai a mi pegi (^^^
Lo meo dolor si vederi
S'al n^è nesun lo someiante
Jl meo dolor hi è cotanto.
Sin gMnvìda le soe serore W,
Ke sego plangan sto dolore.
Or pianali e phiran molte forte
Del so filio, k^ela ve morto
A gran peccao e mala mmite
Flagelao, e grave mente.
DeuSy aida, dìx sancta Maria,
Plangemo tute in compagnia;
Piange mego le me serore,
Piangi mego lo grande dolore.
Piangi mego del meo filiol,
D'ond'eo ne porto lo grande dolo,
Ke sempre è "%tado hon e Hate,
Sanga peceao e sanca male,
Da k'el insi dal meo ventre.
Casto e puro è vivudo sempre;
E da k^el fó ingenerao\,
Sanga macula, è akvado;
Sempre à servido ali Qudei
Lo dulcissimo filiol meo;
. Dal meo filio illi àn abluo
Tufo quel ke li àn voliudo.
{i) A me guardate, È manifesto^ cbe (fui Taiilore imprese a
voltare lètteralmeiite nella sua lingua la lamentazione del Profeta:
O POS qui transitis per viam^ attendite^ et videte^ si est dolor sieul
et dolor rnetis.
(2) Serore per sorelle^ dal latino sorores.'
DI PlITftO l)A BCnSfiGAPÉ. S97
Per insidia y et a grande torta
Li ^udei si me V<M morto.
Quando eHayé 90 dito et aitata flada,
Si fó in terra strdngosada^(^).
Le tre Marie g^éa presente
Le que^ si n^én grame e dolente^
E le ne portan lo grande dolore
De la morte del Salvatore.
Plan^en tute in compagnia
Con la Vergene Maria;
Or plaoQen tute tre serore
Con grangì suspiri e con> dolore ^')
Del bon Segnore Jesu Xriste,
Lo qual in crox è fa finito,
Si com'eo ve n'ò aregordào,
E denan^e n^abiemo parlào.
Certo li ^udei si ne fiki aogura
Gontra U Segtior ie fén cura;
UH perdonòn a Baraban;
Xriste olciseno a man a man ,
Ki era iusto, e bon Segnor;
E quelo era latro e traitor,.
Et, oi tapin, miseri, dolenti I
Com poivo esser grami sempre <^)
Li latron mìseri (^udei,
Aver morto lo filio de Deo?
(1) Cadde a terra angosciosa e «pentito.
(9) Grangi suspiri per grandi sospiri. La permutazione della d
in g nella voce grangia è la stessa della ^ in c^ che abbiamo' av-
vertito pia sopra.
(5) Come poterono èssere sempre tristi. La voce poiDO è forse
alterata per incuria del copista.
298 POEMETTO INEDITO
Oi, Deus, akia, sancto patre,
Goni pensÒD questo a fare,
KW mundo aveva in soa bailia^
Pensar de lu cotal folìa ?
E Io fiol de Deo veraxe
Tute lo reòevè in paxe,
Ke ilio fó prò e forte (^),
Et obediente de.fin ala morte;
Quand^el vene a traversare^
A lor degnò a perdonare;
Al so albergo el gMnvidò,
Quando lo co el g^ inclinò.
Et 01, Jesu Xriste Deo veraxe,
Manda a nu la toa paxe.
Lì im presente era un homo ,
Ke Josepo aveva nome,
El era d'una terra maralvaxia (');
Vene a Pillato , e si 'I queriva W;
E questo Josepo era bon e liale,
E molte ie desplaque questo male,
E dixe: eo son stao tò soldaero (^),
Ni anche altro da ti no quero (^),
Se no quel propheta, s'el te plaxe;
K'el volio metere entro la vaxe.
(1) Poiché egli fu prode e forte,
(^) Non sapendo come interpretare questa voce, Tho trascritta
letteralmente come sta nel còdice. Egli è per altro evidwle^ che
qui Tautore park di Giuseppe é'jirianakm.
(3) Femke a Pilato, e il richieieva.
(4) Io fui tuo soldato. É singolare l'affinità, forge aceideatale^tr»
questa voce èoldaero e la corrispondenle inglese sùldier.
(5) Né altro da te chieggo.
DI PIETRO OA BABSE6APÈ. S99
Pillato g^eiì dà la parolla^^),
Ke con la bona ventiura la lolla (') .
S^n fa^a $oa vofainta,
Ke ^a no li sera veda <^l
Josepo Pilbto regratià,
Et a Jesu Xriste si è retoma.
Et Josepo e Nicodemo
Si gè desclavò le man e li pei W^
Per amore e per grande servixio
Lo trasseno 90SO del crucifixo ^^\
Et Josepo aveva un bel pano
Lavorào e ben fato;
Inlò deatro si Tinvoliò ^^\
E po^ M portan via da inlò;
Si lo portòn al monumento
Ke ole più ke no fa plumento (^);
(1) Pilato gliel promette.
(2) Cile con biuma pace se lo prenda. Tutti i dialetti vèneti e
lombardi fanno sempre uso del verbo tògliere per prèndere j il
qaal aitino è esdusivamente proprio della buona lingna. Cosi il
Milanese direbbe: ek'el s^el tSju; to; to/i/y ed il Venesiana: el se
lo Ioga; tò; tolilo; per esprimere : se lo prenda; prendi; prenderlo,
(5) Ne faccia ciò che fmole^ che non gli sarà vietato. Feààr^ o
tsedàj per vtetore è affatto ignoto ai dialetti cispadani^ che faono
uso del verbo proibire.
(4) GH schiodarono le mani ed i piedi.
{$) Lo trassero giù dalla croce. La voce zoso per giuso^ è pro-
pria del Veneziano.
(6) Colà dentro l'involse. Il Milanese direbbe: el l'à imolHà.
(7) Che olezza ben pia che melissa. Il verbo ole deriva manife*
stamente dal latino olere. L'espressione che no fa ò maniera tutta
propria del dialetto lombardo^ ancora in uso. Ho poi interpretato
plumento per melissa, come Terfoa aromàtica più olezzante e più
300 POEHfiTTO INEDITO
E quele sancte compagnie
Et asè plura le tre Marie^
K^elle portoli per bon tallento
Lo sancto prétìoso unguento.
Lo sancto corpo si è ingorvernio (^).
L^ anima sen ^é aP inferno drita.
Quando ad inferno (é Jesu Xriste,
Passò serpenti e basilischi ,
Tanto g^intrò e ferro e forte,
Ke tute se dexbrixò le porte <^);
Le porte rompe e dexbrixò,
E Lucifero incadenò;
Lucifero se mise in cadena,
E li soi amixi trase da peiia.
Quando el trase fera Eva et Adame ,
Isac, Jacob et Àbrame,
Isaia ne à trato in quela dia,
Natan propbeta, et Ysaia,
nòta^ e come quella che in lingua provenzale denominàvasi ap-
punto pimént Da questa^ radice medésima trassero forse gli Spa-
gnuolì il nome pmiento da Joro dato ai pepe^ ossia al capsicus
annum.
(1) La voce ingorvernio è certamente alterata dal copista^ che
vi aggiunse un r e vi omise una t^ dovendo scrivere tngfovemfto, ^
che meglio consuonerebbe colla rima dritto^ e derivando dalla
radice giwemare^ che abbiamo appuntata alla nota (2), pag. 245^ si-
gnificherebbe riposto deposto.
(%) Che tutte si spezzarono le porte. Seguendo la règola costante
dovrebbe èssere scritto dexbrixòn per il plurale. In questa voce è
manifesta l'affinità col briser Aeì Francesi^ e col brechen dei Te-
deschi^ che hanno il medésimo significato. Eguale affinità serba
altresì col verbo sbregàr dei dialetti vèneti e collo strega del mi-
lanese, che significano lacerare, stracciare.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 301
El propheta Sacariel,
Jeremia et Israel (^)',
SMn trase Moises et Aaron,
David profeta e Salamon,
E tato lo povol de Israel,
E la compagnia de Moises,
E thomasen et anoe (^)
Inlora partì li bon dali re\
Quando V inferno el spoliò,
Al monumento retornò;
AI tergo dì k^el resuscitò,
Partise da lì^ e si sondando,
E si sen qé in Gallilea,
Per fugire la fente i^udea.
Le tre Marie portòn un unguento,
E si sen^andòn al monumento,
Là oe Tera metuo; si guardòn;
Lo sancto corpo no gè trovòn.
Lo sancto angelo g^aparì
Li o^ era le tre Marie,
E tute tre suso un predon (^)
Si stasevano in grande pensaxon (*);
E fén semblanga de tremore,
Quando eie videno lo splendore.
(1) Forse voleva esprimere Esdra^ forzandolo alla rima.
(2) Ho trascritto questo verso tal quale sta nel còdice, onde il
lettore di me più sagace possa indovinarne il significato. Vorrebbe
dire per avventura : e Tomaso, ed anche Noè? Il senso e la rima
non vi ripugnano; ma non è chiaro.
(5) Abbiamo visto preda per pietra, che ancor oggi nel contado
dicesi préa; ora troviamo predòn per masso, gran pietra..
(4^) Pensaxon per meditazione, pensiero. Forse la. desinenza è
stata forzata per la rima.
302 POEKBTTO INEDITO
Lo sancto angelo si li a sàlutoe^
Po^ le querì, e domandoe;
E si gè disse con grande amore:
Non abià tu 9a Umore ^
Mo que aspectayn (^)) tre Marie?
Eie resposeno, e si deseyano:
Nu aspectemo lo Deo possente,
Ki è insuo del monuoiento;
Ke ancoi aPalba del maitin
Apari un sancto pélegrìn;
Nu Tatendemo e li soi ministri, •
Ked illi cttintan ^^\ k^el sìa Xrìste,
K^ è verax padre e Segnore ,
Ke de tuto lo mondo è o^eatore,
Ke soffrì la grande pena,
Ke Vk ve^tt la Madelena (^>;
Andrea e Petro lo van cercando,
E li dìscipuli e li altri sancti.
Dix r angelo: vu querì Jesu Na^are
Crucificao dali (^udei ?
In Gallilea ve u^ andari;
E li aloga lo trovare
Or ve n^ andai. Le tre Marie
Gum sancta gratia replenie
Didi (*) ad Andrea et a Petrò
(4) li pronome posposto al Terbo interrogativo colla forma
ctspectà'VU, accenna alla rimota inflaenza dei dialetti occitànici e !
francesi : che aspettate ?
(3) Cùintan per raccontano, li Milanese odierno direbbe ciinkrL
(5) /\>tc/i6 la Maddalena la vide.
(h) Didi è senza dubio errore del copista , che dovea scrivere j
dixe, dissero. " 1
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. ^03
Et ali altri sancti ki ^1 requerono,.
A sancta Maria et a sao Qoane ,
Ke li alò lo trovaraa.
In Gallilea fé li sancti,
Là o^ era suscita dolo e pianti
La soa matre gloriosa,
Kè fó de Deo regina e sponsa,
E soa matre et soa filia;
Questo fó grande mera velia 1
Et elio filiol e patre
Si com^ el vose comandare (^)«
E in alo tergo di k^ el suscitò
Ala Madelena se monstrò;
E la Madelena entro Porto era;
E Jesu Xriste gè là o^ ePera;
E quela prese a guardare,
E Jesu Xriste vide lì stare.
Quela a lui si scusando,
Et ali soi pei si se butò;
E li comengà mercè clamare,
Si com^ eP era usada fare«
E Jesu Xriste si la segnore ^^\ >
Partise da li, e si sen^andoe,
A san Petro et ali altri frai
Pluxor fiada si s^è monstrà;
E per terra e per mare
Pluxor fiada a lor g^ apare.
(4) SkcomB ei volle comandare.
(3) Per Aliavo errore sta scritto segnore ia luogo di segnòej
vale a dire : la benedisse. Cosi almeno richiede il senso e Id rima
andòe.
304 POEMETTO INEDITO
Una sema (^) k- i eran vegnui
In t'una casa tati adoni,
Molto grami et penserasi
(Per li Qudei eran ascusi),
Àvevan serao le feneslre e li usgi <^) ,
Et in grande pagura stevan togi;
Molto staxevano in grande error,
Quaddo Jesu vene mtre lor;
Jesu Xriste vene in me^o,
Et a lor parlò adesso;
Entre lor vene, e disse: stè in pax.
E tuti cognovén Deo verax <^\
Pax a vai, el dix a lor,
E'son doso, non abiai timor.
Si ke ^scaun T afigurò (^);
Ma san Thomax gè dubitò.
San Thomax illora no g'era,
Quand^el vene la sancta spera (^);
Quando Jesu fó ben cognosuo,
E san Thomax si fó vegnuo,
El no crete W) la verità.
Fin k'el no tocò le plage;
(i) Qui pare che debba lèggersi una $eraj giaccbà^ema^ com'è
scritto nel còdice, non ha verun significato, a meno che non vo-
gliasi risguardarlo come un derivato della radice latina semel, che
appunto significa una volta.
(2) Aveano chiuso le finestre e gli usd.
(5) Cognovén per riconóbbero,
(4) Sicché ciascuno il riconobbe.
(5) Spera è per me voce ignota, giacché la significazione di
sfera che ha in nostra lingua mal s'addice in questo luogo.
(6) Crete per credette. Nuova trascuranza del copista.
m PIETRO DA BARSfiGAPÉ. 305
E Io SegQor dixe: Thomax,
No critu ke^fiia Deo verax?
Vedi le man^ vedi li pei,
Vedi le plage, fpadi mei.
E Jesu Xrisie si annuntià;
Beati ki vite ^^^ e ki crederà!
Ma più beato sera poiù
Ki no vile, e <;redem a nul
Inlora sape sen^a tenore (^^,
Ke Fera ben lo verax Segnore.
Quando (fó si ferma la oreden^sa^^
La pasca fén per alegranfa.
Tri di avevano -5Ì5unao^^i 5
Per lo S^nor ki fó penao;
Ki no mangiaven, ni bevevano,
Per gramega k'ili avevano;.
Ma lo Segnor si li alegra,
De sancta manna si li sagia;
Gum plane9a e con mensura^
Si g' avarse la Scriptura ^%
Ked ili credano con? la mente ^ *
K^el sia deso verax mente.
Quaranta di apari a lor
Jesu Xriste lo Salvator;
De sancto regno k'el gè parlava,
E de ben far li amagistrava.
(1) f^ite per vide.
(S) Allorfi seppe senza visiva (senza alcun dubio).
(5) ^Hgunao pc^ digiunato. Nuovo esempio della frequente per-
mutazione della d in e,
(4) Apre loro la Scrittura. Aderse per apre è voce aqcor viva
nei dialetti vèneti. 20
306 POEVETTO INEDITO
E poMixe ala soa matre,
Ke la se debia confortare;
In breve sarà in tal compagnia^
Ke mai no sentirà de lagnia ('),
Più luxerà le speritale ^^^
Ke no fa stella (ornale;
Sempre staremo mi e le
In la marce del patre meo,
A reclamare solo timore (^)
Marce per tuli li peccatore.
Lo patre meo si creò lo mundo
De fin al cello in lo profundo (^);
E cel, et airo, et aqua, et terra,
E tuto quanto Àover eFera.
Za intro loro m' à trametuo ,
E mal cambio me n^àn ren^uo (^);
Yu savè ben la verità,
Si cum^eo fu crucificao; >
La mia morte e^ ò lasao soripta,
E cum^eo son tornao in vita;
E vu diri entro li sermon
La mia morte e la mia resurrection.
(1) Lagni per lamenti, e lagna ss o hgnarse^ per querelarsi son
voci comuni a tutti ì dialetti cispadani.
(2) Forse significa spirituale^ cioè: Ella (Marra) fatta spirito- ri-
splenderà ben più che stella mattutina.
(5) G)si sta scritto , né è possibile dame fondata interpreta-
zione. Bensì potrebbe darsi, che l'ignorante copista invertisse il
posto di due vocali , scrivendo solo tìmore^ in luogo di soHlo
more, ciò che darebbe un giusto senso al periodo.
(4) // Padre mio creò Vuniverso^ dall'alto de* deli sino all'abisso.
(5) E me n'han reso un cattivo concambio.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 307
E dixe anjcora a Qoane et a Petro^
^ Cum lo mundo era Io so guerero;
Lo mundo ve laso, e si 1 refudo,
Quel mundo si nò m^à cognosuo;
AI mundo vigni, al mundo cognovi,
E Io mundo no cognove mi (^).
Cosi ve digo e ve responso,
Ki è con mego no si con 'I mundo (^).
Vedente loro el se levò ,
In Paltò cello si scusando;
In quelo regno glorioso,
D'avanzo alo so patre pretioso.
Li disipuli delo Segnore
^Àn abiù lo grande dolore,
Li que romasen (oso in terra <^),
In dolor et in grande guera;
Und^al Segnor li a laxadi
K^ el no li a sego menadi;
E si in romasi de dreo
In quelo monte de olive;
Et levan li ogi inverso cel,
Et al Segnor si guardano dreo.
Du angeli veneno adesso a loro,
Si com plaque al creatore,
Molto belli et avinenti (*),
(i) jél mondo venni ^ il mondo conobbi ^ ed il mondo non mi
conobbe. Sono evidenti le radici e le forme latine.
(2) Chi è con me, non sia col mondo.
(5) Essi che rimasero giù in terra.
{t^) Anche la voce a{>^enente, ossia di vago aspetto, era dunque
usata coll'odierno significato anche ai tempi del Bescapè.
308 POEMETTO INEDITO
Vestidi de bianco, e belli e ^entì (');
Si gè diseno incontinente:
Que fava (^) qui , bona ^enle ?
Là suso in cello perquè guarda,
Drè alo Segnor, là o' el è andà?
Si com Favi ve5uo montare,
Lo veri ^a $oso tornare.
E li angeli si ^éno via (^)
'Entrambi du in conpagnia;
Là suso in celo si én tornadi,
Là illi staràn sempre exaltadi.
Li disipuli vano via;
Ouela bona compagnia
In Jerusalem sen van ascusi
Molto grami e penserusi,
Und^el Segnor li abandonò;
Perqué in terra li lasò,
K' el no se li menò dreo
Ouand^el montò là suso in celo.
Lo Segnar sì li amò tanto,
K'el gè tramise lo Spirilo Sancto;
Jli dise du vene in lor (*),
Aprisi fon de grande amor,
E de seno e de scriptura ,
(1) Forse significa dn^i, qualora non fosse una sincope di gentili.
(2) Che fate voi quì^ buona gente?
(3) E gli angeli partirono,
{h) Ho trascritto questo verso come sta nel còdice., ma non mi
fu dato ridurlo a chiara lezione, correggendo gli errori del co-
pista che lo rèndono oscuro. Si vede peraltro che dovrebbe signi-
ficare: Appena lo Spirito Santo scese in loro, furono compresi
da grande amore , ec. <
DI PIETRO DA BARSfifiAPÉ. 309
E àe grande bona ventura,
E de sapientìa e de bontà,
E! de tuta grande Italtà.
Grande mente én confortai,
K'illi se tèneno asegurai;
Spirito Sancto si è in lor
Ki gè dà for^a e valor,
E grande seno e grande memoria,
De dire delo Segnòr de gloria;
E quando illi se veneno a despartire,
Tuli se baxòn sen^a mentire (*>.
Ora se despar^eno per .lo mundo W,
E digando ad omiunca homo,
Ke Jesu Xriste si fó morto
Amaramente et a grande torto,
E da morte è su levao^
In alto cel si n'è andao;
E van digando in palexe
La sanda vita ked el iaxeva;
Gum^ el vene, in questo mundo ,
Per scampar omiunca homo
Dele man de vegio antico
Sathanas crude inimigo;
E van digando ste novelle
E per cita e per caslelle.
Là o' è li grangi imperatori (^),
Marchixi e conti e grandi segnori ('*^;
(i) E qìmndo sisepatàrono, si baciarono cordialmente,
(2) Si spàrseno per lo mondo.
(5) Là Oipe sono i grandi imperatori.
(k) Se non bastassero la lìngua ^ lo stilè e l'intero tessuto del
racconto a pòrgerci idea esatta delFassolbta rozzezza deirAutore ,
310 POBMETTO INEDITO
Palexe mente , vedente omìoroo
De questa sancta passion
Ke sostene Jesu Xriste^
Lo qua! fé lor magistro.
No temeven de niente,
Ke illi no deseseno palex mente;
Ke illi no splanaseno ^^^ la scriptura
Là o^ ePera la pia dura,
Tuta (ente amagistrando,
E lo batexemo predicando.
Meravelia quel k^illi diseno
Dela fé e del batesemo,
Predicando la Trinitai,
Ke omiunca homo vegnia a cristinità.
Asai dela 9ente segueno lor
E con la mente e con lo cor;
Predicando franca mente,
. La Gesia (^) cresce grande mente;
Tuto lo mundo ra parlando
De 90 ke quisti van digando,
E de seno e de savere,
De grande vertù ke illi paren avere.
Lo patre Deo creatore
Grande vertù ai ia per (or (^>;
No vene a lor a men de niente (^),
K^el con lor regiia sempre,
potremmo ora appuntare t marchesi ed i conti del sècolo d'Au-
gusto !
(1) Splanaseno per illustrassero.
(2) Il Lombardo pronuncia ancora adesso Giesa per Chiesa,
(3) Per mezzo loro fa grandi mòrécolL
(4) Pare che debba intèndersi: Non ricusò loro cosa akmm.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. ^ 314
Et a lor si fé una impromessa ,
Ke a lor fó de grande grande^a <*);
Ked el nolia abandonare ^^\
Fin k^el mundo sia durare,
No a fidel li sol corpi,
Ke per lu debiano esser morti.
Or se stan d'avanzo li re,
Predicando la sancta fé;
D^ avanzo conti e marchixi,
Et aferinano in palex,
Ke Jesu Xriste si é Segnor
Verax, patre et salvator;
9
K^ el fé celio et la terra,
E descendé in la pon^ela;
Recevé morte verax mente ^
Per salvare la humana jente;
E cum^el ter^o dk el resuscitò,
E cum r inferno el spolìò,
E trase fora li soi amixi,
Si cum la Scriptura dtxe.
Incadenò lo inimigo,
Quel superbo vegio antigo;
E trase fora et Adame et Eva,
E tuti li bon ke lì era;
Li propheti e li sancti patriarchi (^),
E li menò in vita eterna,
(1) Non v'ha dubio che in luogo di grande^ qui doveva èssere
scritto: allegrezza.
(2) Qui troviaiho un esempio del verbo latàno nolle volgarizzato:
Ch'Ei non ipoglia abandonare il mondo, finché sarà per durare,
(3) Quivi il copista obliterò un verso, che^ rimando con patriar-
chi, dovea compiere il distico.
34 2 / POEMETTO iNBDrro
E li aloga li governa (*\
E ki voi lì andare
In questo a demolire ,
Tegnia Xriste per so Deo,-
E lasa stare lo van e reo ;
Tegnia la fé drita e veraxe.
E faxg'a quel ke a Xriste plaxe;
Et adora in Trinità
La divina maiestà;
E schivie Satanaxe,
Omiunca idola se destruga ^%
Entro lo fogo se conduga,
Ke non àn intendimento,
]Ni alcun cognoscimenlò;
Ben è raxon ke le siano destruge^
E tute afate siano conbuste.
Quisti regi et imperatori ,
Conti e markixi e grandi segnori
Si fon irati contra li descentre
De Jesu Xriste omnipoente;
Si li fan marturiare,
E de grande pene durare,
In la croxe pene soffrire,
Taliare le teste, e morire;
Ili se leganao scortegare ^^\
(i) Ed ivi li conserva. Giova avvertire il costante uso del verbo
goipernare per porre in serbo, custodire,
{%) E cosa strana il trovare il nome ìdolo in gènere femminile.
Forse l'autore dal nome latino neutro plurale idola trasse la ca-
ratteristica del femminile volgare.
(5) Colla sòlita negligenza il copista scrisse fegfanao in luogo di
lagaipàn^ vale a dire : lasciavano, dal verbo tagà, sul quale vèg-
gasi la nota (4) a pag. 264.
DI PIETRO DA BÀRSEGAPÈ. SÌS
Ange ke illi voliano Deo negare *);
Et sì stano moJte fojrte,
Et in grande. paxe toleno la morie ^- .
Àlegrameole e cum bon core,
Sì ke la morte no gè dorè ^^\
En cosi van T anime de lor
In paradiso alo so Segnor,
In questo logo resplendente,
E li stan alegramente;
Jesu Xriste lo bon Segnor
Si gè fé a lor grande honor.
Li sancti corpi pretiusi \
Privadamente fin ascusi,
Sepelìdì e governadi (*^ ;
Tuti son sanctificadi,
Deo fare per lor vertù ^^^
Segondo kello ^^^ ke nu avemo ve?u;
Geàie g' è fate alo so honor <^^;
In nostra terra n' è pluxor.
Glamemo marce a Jesu Xriste,
Lo qual si è verax magistro, ,
Kè n' dia gratia de ben fare ;
(4) Questi due versi insieme sigaìficano : Eglino (gli Apòstoli)
si lasciàoano scorticare piuttosto che rinegare G, C.
(2) Toleno la morte per subiscono, o ricèi?ono la morte. È co-
stante Tuso del verbo tògliere per prèndere, ricevere,
(5) Il dialetto milanese si fa di nuovo manifesto nella voce dorè
pel duole, essendo ancor viva la voce dm^ colla stessa significa-
zione.
(4) Governadi per riposti; veggasi la nota (SI) a pag. 24.3.
(5) Iddio operò prodigi per mezzo loro,
(6) Il copista per negligenza scrisse kello per quello,
(7) Chiese ( cioè templi ) furono edificate in loro onore.
314 POEMETTO INEDITO
Ke nu abiemo vita eterna
D^ avanzo Falta segnorìa
Gum qaella nobel compagnia
In secula seeulorum. Jmen,
Petro de Barsegapè si voi ancora
Tractar, e dir del Segnore,
K'el vora dir e fare.,
E li bon e li rei ^udigare;
E se vu volisi, bona ^ente,
Questo dito ben intende,
Si ven dirò in grande parte
Si cum^ el è scripto in queste carte;
Et eo prego per bon amore,
Ke vu debiè intende, boni segnor,
E vu donan (*) , ke si presente ,
Prego ke vu debiai intènde;
Questa non è pan^anega d'inverno (^),
Quando vu stè in grande so^orno (^),
E stè a grande asio a pè del fogo (*),
(1) In questa voce o fa d'uopo trasportare rultìma n inanzi Va
che dovrebb'essere e^ formando cosi e voi donne, che siete pre-
senti; oppure staccare la sillaba an che significa anches pure, leg-
gendo : e voi pure^ o donne, ec. Ancor oggi il Milanese pronuncia
nel plurale t donn per le donne,
(3) Qitesta non è fàvola d*m>emo; vale a dire di quelle che si
raccontano al fuoco nelle lunghe sere d'inverno. La voce panzà-
nega è ancora viva nel dialetto milanese colla stessa significazione
di fola.
(5) In grande socorno qui significa : per lunghe ore.
(4) Tutto questo verso con lievi modificazioni s'accorda nelle
forme col dialetto milanese odierno. E i^ ne sUate agiatamente a
pie del focolare.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 345
Cam pere e pome quando e^ le^o (^^;
Mo se va intendi ben la raxon,
Vu sì n^avrì grande pensaxon (^^
Se più de prede no seri duri,
Vu vi n'avri de grande pagure W;
Si intendi questo sermone
Ke ve volio dire per raxon ,
E se vu ve de ben ad intendimento,
Qualche cosa n' avivo imprende (*>.
Quel homo si è mato^ke tropo s^asegura
In avere grande richè^eestare in aventura (^);
Ke i^ ò ve$uo ventura e grande rike^e
Ki én devenue a grande baserà.
Lo secolo è fragele e vane;
Tal g^ è ancò^ no g^ è doman ;
Zascaun devrìa pur pensare
En (^) in ben dire et in ben fare;
E sovra li quatro pensamento,
Ond^ omo vene a salvamente.
Lo prumer si è de strapasare <^);
(1) Coa pere e mele quand^io leggo,
{i) Ne avrete argomento di grande 'meditazwiie.
(5) Sono costanti le forme vernàcole di pagwra per paura ,
preda per pietra^ e simili.
(4) Qualche cosa ne apprenderete.
(K) In questo luogo aventura e fpentura^ com'è ripetuto nel verso
seguente , significano pròspera fortuna,
(6) Per errore dell'amanuense è scritto en per et.
(7) Il primo si è quello della morte. Ancor oggi nel dialetto mi-
lanese rùstico k t di primo viene scambiata in u^ die èndosi el priim.
La voce strapasare è la stessa che Titaliana trapassare per morire;
noi abbiamo già visto i^ata dal Bescapè V altra : tra^^ersare collo
stesso significato.
3\6 POEMETTO INEDITO
E lo segondo de resuscitare;
Lo tergo si è del paradiso;
Lo quarto è inferno; $o m^è viso.
Ki penserà sovra quistì quatro,
Za no farà mortai peccato;
E quel ke no gè pensarà,
Se ben el vive, mal g'avrà.
Àyemo dito de questo mundo,
E de que è fato Pomo;
E cum Xriste vene in terra
In la sanctissima'polgella;
E cum el portò grande passìon,
Per nu aver salvation;
Ancora g' è un poco a dire;
INo ve recresca del odire,
Com lo Segnor^omnipoente
Zudigarà Fumana gente.
Àio gudistO) al dì de Tira
Ke li sera de grande ruina,
. E li sera podestà
Forte mente acompagnià,
E la celestià cavalarìa,
Zoe li angeli* gloriusi,
Cum tuti li sancti pretiusi;
Li sera lo grande splendore,
Ki resplenderà cum fa (*) lo sol :
La divina maiestà,
Pretiosa podestà,
Jesu Xriste possente^
Molto forte e grande mente
(1) Odesi tutto giorno nella bocca del pòpolo lombardo com'fi^
per siccome, del pari che.
DI PltlTRO DA BARSEGAPÉ. 3Ì7
Se penerà suso la cadrega ^*^;
E d'avaiifo lù la nobel schiera,
E cureri e tubaturì (^) ,
E li grangi e li menuri,(^);
Omiunca persona debia lì andare
A quelo aregno genera ^*';
Molto tosto e prestamente
Àsemblarà tuta la ^ente;
Le grande vertue dal cel vera,
In Josaphat la condurà
L^ altissimo verax Deo^
Per cudigare lo bon dal reo.
Mo li sera si grande fortuna <^)
(1) Cadrega per sedia è voce comunemente usata nel dialetto
milanese; il vèneto dice: carega. Qui peraltro dobbiamo interpre-
tarla per trono.
{^) Tubator chiama il Milanese il pùblico banditore^ perchè fa
uso di tuba, o tromba.
(5) E i grandi e i subalterni, vale a dire: tutta la gerarchia
celeste.
(4) /4 qmirarringo generale. Il copista ha messa anche qui fuori
di posto la nj che dovea precèdere e non seguire la g^ formando
arengo; dicèvasi ancora volgarmente rengò e renga; ma questa
voce scomparve del tutto dai dialetti, dacché cessarono le concioni
popolari.
(5) Una prova evidente della prevalenza del dialetto vèneto nella
lingua scritta del sècolo Xill ci porge la frase: sarà sì grande
fortuna^ ond' esprimere una tremenda procella , mentre il Vene-
ziano distingue appunto ancora oggidì col nome di fortuna le
burrasche più pericolose e più fatali dell* Adriatico. Che tale è
quivi pure il significato di questa voce, è chiaro dai versi seguen-
ti, ove dice: che farà turbare il sole^ la lunn, le stelle e gli ele-
menti, ec. ec.
318 POEMETTO INEDITO
Turbar fena lo sol e la luna (*> ,
Le stelle del cel e li alimenti (^^ ,
E Faìro e tuti li firmamenti.
E ben vel.dixe la Scriptura,
Ke li apostoli avran pagura,
Quando ilii vederan lo cel piegare (^^ ,
E li archangeli an tremare.
Mo quando quili avran tremor^
Que porà dire li peccator,
Ke no saran mundi ni lavai
Dali crudelissimi .peccati ?
Multi poran esser dolenti,
Ke la no trovaran parenti,
Ke posa Tun Fallro asconder,
Ke molto avran desi a dir (*).
Oi Deo, cum seran beati
Killi, k^eran W iusti trovali!
Partir i avrà lo Segnore
Si cum fa lo bon pastore,
Ki mele le pegore da Tuna parte,
E li capri li mete desvarte W;
K^el melerà li bon dalo lado dextro,
E li malvaxi dalo lado senestro;
(4) In luogo di fena lèggasi farà^ essendo manifesto V errore
del copista.
(2) Qui pure in luogo di alimenti^ dèvesi lèggere elemmtL
(5) Piegare per piegare; cioè, quando vedranno U cielo ««mi-
porsi,
(h) Che rnolto avranno a pensare a sé stessi.
(8) In luogo di k'eran^ lèggasi ke firan o seran j vale a dire:
che saranno trovati giusti/
(6) E mette i capri in disparte.
Di PIETBO DA BAB8EGAPÈ. 319
E si farà comandameatì ,
Ke omiunca homo intenda queta mente x
La sen lentia k^el voi dare,
E manifesta lo ben dal hiale.
Ki avrà fato bea, so sera,
E cum eso lu lo trovarà (^);
Ki mal avrà fato, lo someliente,
Gum eso lu. el sera sempre ^^h
Ora arenga ^^) Jesu Xrbte
laverso li boa dalo lado drito (^),
E a lor dixe lo boa Segaor,
Gum graade piaae^a e cum amor:
Vu, benedicti, veni a mi,
Ke vu stai li ben venui!
Vegai via alo regao meo,
Ki v'è aprestado dal patre meo;
Fame e sede me vedisti,
Graade pietà de mi avisti;
Vu facisti caritae,
Viai e paae me deste asae;
Vu me vedisti peregriaare,
* Gum esso vu me fisi stare (^);
Nudo me vedisti e mal guaraido,
E ben da vai fue vestido;
Infermo me vedisti et in prexon,
(i) Chi avf'à fatto del benej sarà smj e lo troverà sempre in se
stesso.
(2) Similmente chi avrà fatto il male^ lo porterà sempre seco,
(5; Arenga per arringa.
(4) Rivolto ai buoni dal lato destro.
(5) Presso voi mi ricovraste.
320 POEMETTO INEDITO
De mi portasi compassion ^^); .
E se eo veneva povero e nudo,
Cum alegreya fu recevudo;
Per carità m^albregasti,
E vestimente me donasti;
Sed eo fuMnfermo et amalao,
Da VII fiva ben revisitao (^);
Molto n'avisi pesan^oa e dolo (^),
Sicum^eo fose vestro filio.
Diran li insti ad una voxe
Là o' sera la reràx croxe: *
Quando te videmo, palre sancto,
Ke nu te servimo cotanto (*)?
Dix li iusti ancora a Xristo:
Dì, Meser, quando fó questo,
Ke nu te videmo in povertà,
E ke nu te fessemo carità ?
E lo Segnor dirà a loro
Humelmente con grande amor :
Quando vedisti lo povero stare
D'avanfo vu marce clamare^
Nudo e crudo (^) e mal guarnido ,
(1) Di me aveste compassione.
(2) S'io fui infermo ed ammalato^ da voi veniva rifocillato. In
luogo di remitao dovrebbe lèggersi revisiao^ cioè refiziao ^ come
lutt' ora dice il Veneziano ond' esprimere rifocillato,
(5) Ne aveste grande afflizione e dolore. La voce pesangoa deriva
manifestamente dalla provenzale pesance che appunto significa af-
flizione, e dalla quale ebbe origine la voce eastiglianapesoduiwftre.
(4) Qìiondo avvenne^ o Padre santo ^ che noi ti f^edemmo e ti
seì^immo m tal modo?
(8) É frase ancor viva presso i dialetti vèneti, ond'esprimere la
perfetta indigenza d'un infelice , il dirlo : nudo e crudo.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 331
E mai cal^ado e mal vestido,
Sostenir feme e sede,
De lor yen file grande marce ;
A vu ne prese pietà,
Vui li albergasi in carità;
De vostro. aver ie fisti ben (^);
Et eo tal don ke a vu ne ven ,
Vu seri sempre beati ^
Benedicti et incoronati ,
Ke quando vidisti li mei menor,
E gè fisi ben per lo meo amore (^) ,
Inlora lo fisi a mi insteso <^) ,
Ke (ascaun de lor era meo messo.
Mo è venuta la saxon (^) ,
Ke vu n^avrì grande guiardon ^^);
.Gum esso mego in lo regno meo
Sempre stari d'avango lo patre meo;
Li insti pon stare onne (^) in paxe;
Zo ke g^è dito mo'ge plaxe.
Zoan lo dixe, Marco et Matbeo
Et ancbe Luca lo disipulo de Deo,
Lo rex de gloria si li apellare,
Et a presente domandare
(1) Colle vostre sostanze li beneficaste,
(2) E li beneficaste per amor mio.
(5) Allora lo faceste a me medesimo,
(k) Ora è giunto il tempo, È ovvia l'affinità della voce sassfm
coll'occitàniea saison^ che significa stagione^ ed anche tempo.
(tf) Anche la voce guiderdone quivi corrottamente espressa nella
parola guiardon , se è ^ come pare indubitato, di orìgine germàni-v
ca , fu introdotta nella nostra lingua da parecchi sècoli.
(6) Onne per tutti , dalla voce latina omnes.
21
S22 POEMETTO INEDITO
Quili k'in dala man senestra^
Ke no fon dìgni de la destra.
E po^ parla lo Segnore
Da lado senestfo, o'è^l dolor:
Maledicti, andàven via
In la grande tenebrìa,
Entro io fogo eternale,
Ke sempre mai devi li stare
Gum lo crudel inimigo,
Lo diabolo v^io antigo.
Pio me valse marce clamare,
Ke vu me volisi albregare;
Vu me vedisi afamado,
jNudo e crudo, et amalao;
JNon avisì pietà,
Ke a mi fisi carità;
Vu no credisti ali mei ministri
Ke dela lege erano magistri;
Ke ben savevano la doctrina,
Ki è veraxe medesina;
Da fare li mei comandamenti,
Vu ve ne mostresi molto linti (^^,
E mala mente si én recevui
De quili k' erano infirmi e nudi;
Vu me vedisi incarcerao,
Povero e nudo e despoliado;
Eo soffrì dolor e tormento,
Et afamao e sedolento ^^\
(1) NelFeseguire i miei precetti vi mostroite moUo lentL In luogo
di Unti lèggasi lentis cioè re^tiip come richiede anche la rima.
(2) Sedoìento per assetato è voce ouova che non ha riscontro
in verun dialetto.
DI PIETRO DA BARSGGAPÈ. 3S3
Et in carcere et in prexon
Sosteni fera passion,
Et molto grande infirmità;
De mi non arisi pietà;
No me volisi sovenir
Per uno pogie guarire <*).
Responde li peccato!*
Con grande dolìa e con tremor:
Mo^ quando te videmo int'al besognia (^\
Ke unca de ti non avessemo sognia (^)?
Se altra persona nel dissese,
A nu no par k'el g'el credesse W;
Ke nu te vedesemo infirmila^
Ni soffrir necessità,
Ni quando te videmo nudo essere,
Povertà , fame e sede.
Responde lo bon Segnor,
E si dira incontra lor:
Quando vu vedissi lo povero stare
D^ avanzo vu marce clamare,
Ke a lor fasisti carità,
Vu non a visi pietà.
Illi se reclamòn da me,
(1) Toma difficile restituire questo verso alla sua vera lezione;
pare peraltro che dèbbasi intèndere : Non mi voleste soccorrere
ondHo potessi guarire.
(9) È caràttere proprio di tutti i dialetti cispadani V esprimere
la preposizione nel, o nelh colle parole infel,
(5) Sognia per cura^ dal provenzale e dal francese soin^ come
abbiamo altrove avvertito. V. la nota (1) a pag. 2C6.
(4) Se altri, fuor di te ^ cel dicesse , ci pare che nessuno gliel
crederebbe.
324 POEMETTO INEDITO
Non avisi in lor marce.
Òr ve n^ andai j vu mala ^nte,
Entro lo fogo k^ è luto ardente.
Maledicti et bli^stemai
Vu stari là sempre mai,
Ke quando vedisi li minimi vaei
Ke ve quer ivano lo ben per Deo ^^\
Vu non volisi unca albregare^
Ni gè dese bever né mangiare.
Mo quando lor non albregasi
A mi medesimo lo vedasi (^).
Lo merito ke devrì avere
In proximan Tavì vedere (^);
Vu andari in fogo ardente ,
Grudel e pessimo e boliente,
In greve puca et in calor,
In tormenti et in dolor
Infimo, grande e tenebroso
Ke molto è forte et angososo.
A provo dela grande calura (*)
(i) Che pt chiedèf?ano elemòsina in nome di Dio.
{i)^ me medésimo il ricmaste. Torna supèrfluo Tav venire, come
in tutti questi verbi , oltre ai tanti errori ed alle molte inesattez-
ze , il copista omettesse sempre la t, scrivendo fpolisi^ albregasi,
vedisi, vedasi, in luogo di polisti, albregasti, vedisH, vedasH, e si-
mili, nei quali tutti ha serbata la i della flessione latina, in luogo
della e finale italiana.
(5) /h breve lo vedrete. Forse deve lèggersi in proximum, op-
pure in proximam, sottintendendo horam.
{h) Nel contado milanese dicesi ancora a prov^ oppure a prof,
ond' esprìmere appresso, che è appunto il significato di a provo in
questo verso del Bescapè. Ne abbiamo un esempio nel Canto XII
deir Inferno dell'Alighieri, al verso 95, ove trovasi a pruovo pure
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 325
Àvri SÌ pessima fregìura W ,
Ke tati cridan: fogo, fogoJ
E (a mai no trovarì bon logo;
E fame, e sede avrì crudel;
Ma non avri lagie ni mei (^);
Inantje avri diverse pene
De crudelissime cadene;
Ad un ad un siri ligai,
E molto firì marturiadi
De scorpion e de serpenti ,
E de dragon molti mordenti
Ki van per epe e devorare (^);
Mo si no ve poran luiare W ;
E quilì marturii seran tanti,
Doli, angustie, cridi et pianti,
per appresso; ed ha egual significato Va prob del Provenzale, non
che il prope dei Latini , dal quale verisimìlmente tutti gli altri
derivano.
(i) Fregiura per freddo. Ho già avvertito Tueo del Lombardo di
permutare sovente le tt eie dd in ce ed in gg schiacciati. Infatti,
ancora adesso pronunciasi frèèj o firèg^ per freddo. Dalle pre-
messe osservazioni la versione italiana di questo periodo è la se-
guente: appresso all'ardente calore avrete sì intenso freddo^ che
lutti grideranno: foco^ foco! Anche la voce fogOj come è scritta,
del pari che la seguente logOj ha la pura forma veneziana, mentre
il Milanese pronuncia fiig^ log,
(2) Abbiamo un nuovo esempio della pennutazione delle tting,
nella parola lagie per latte^ che ancora adesso il pòpolo milanese
pronuncia laè. *
(5) La voce eoe è certamente storpiata dal copista, sicché torna
assai difficile indovinarne il significato , che pur dovrebbe èssere
quello di cògliere^ afferrare.
(K) Luiare, forse per dilaniare; anche questa voce pare muti-
lata dal copista.
326 POEUETTO INEDITO
Kì ve para mille anni una bora (^);
E più seran nigri ka mora (^)
Quilli ke y^àn marturiare;
E ca mai no devrì requiare W.
Or stari destrugi e malmenai ,
E dala mia parte siè blastasmai.
Quand^el avrà sententiao,
Et asolvudo et condempnao ,
Et condempnao li peccatori
Entro Io fogo infernore,
Molto tosto e ben viaco
Gè dark lo grande screvago ^*)
In la scuira tenebria
Gum demonii in compagnia.
In quella dura passion
No g'è più redemption!
Lasemo stare li condempnai,
KMIIi seran li mal fadai;
E digemo deli asolvui;
(i) È comune ai dialetti vèneti e lombardi la frase: sembrar
mille anni un' ora^ ond'esprìmere, che il tempo parrà molto lungo
per Tintensità del dolore.
(2) Siccome il cofpìsta non fece uso dì lèttere majùscole^ se non
per le sole iniziali d'ogni verso, cosi non si può determinare^ se
per mora egli intenda una Negra, o Etiope, oppure il frutto del
rovo {rubus fruticosus) che spesseggia nelle nostre siepi, e che
distinguesi col nome di mòra,
(5) Nei dialetti vèneti dlcesi ancora requiàr^ nei lombardi requie,
per riposare, aper pace.
(4) Nei dialetti vèneti scravazzo significa dt'/tipto^ roi>escio tTa-
qua. Pare quindi che qui debba intèndersi, che, pronunciata la fa-
tale sentenza, immantinente precipiterà lo stuolo dei peccatori nel
tenebtvso regno insieme ai demonj.
DI PIETRO DA BARSEGAPE. 327
Quilli serali li ben venui.
Vu ki m^odì et ascoltai,
Et in vostro core pensò,
E vu vori ben odire
Zò k^el Segnore ve manda a dire;
Vu sempre inai stari con lu,
Ni (a no sa partir da vu;
E si ve dark vita eternale
E gloria celestiale;
' E de nela di ase alu paxe (^)
E a quilli, ke le soe pvre faxe.
In io libro de vita li insti si én scripti,
Et lauda da Deo e benedigii;
Gum Jesu Xriste la compagnia
UH faran T albergarla
In lo regno resplendente ^^\
•
(i) Ho trascrìtto questo verso letteralmente come sta nel còdi-
ce , sebbene mi sembrasse , che debba ridursi alla lezione seguen-
te: E Deo ne la dia, se a lu plaxe, vale a dire : E Dio ce la
conceda (la gloria celestiale), se a lui piace,
(2) Questo è l'ultimo verso del Poemetto del Bescapè serbatoci
nel còdice archìntèo, o piuttosto, come sembra, sin qui trascrisse
il copista, né procedette oltre, sebbene appaia manifesto^ che po-
che linee dovèano mancare al compimento del medésimo. Ora ,
siccome con questo verso medésimo é terminata la pàgina , cosi
ad annunziare la continuazione del periodo sospeso^ trovasi a' piedi
della pàgina stessa il richiamo della prima parola del verso che
dovea seguire, che é d'ai;>ango; ma nella pàgina che segue, in luogo
della continuazione del Poemetto, trovasi un'orazione pure in
volgare, evidentemente scritta da altra mano, e con lingua e modi
diversi, sebbene presso a poco dello stesso tempo. Nell'averso di
questa carta, che è l'ultima del còdice, dopo la preghiera ^ trò-
vansi alcune dichiarazioni scritte collo stesso caràttere della pre-
ghiera. La prima è questa :
328 POEMETTO INEDITO DI PIETRO DA BARSEGAPÉ.
Pietro da Barxegapè^ ke era un /untone
Si à fato sto sermon.
Si compilliò e si Va scripto
Ad honor de Jesu Cristo.
Qui peraltro devo osservare, che ìa tutto il corso del Poemetto il
nome dell' autore è ripetutameQte espresso de Barsegapè ^ e non
mai da come in questa nota <) né colla' x in luogo della s. Oltre a
ciò soggiunge, ch'era un fantòn; e poiché fantòn è voce strana,
priva di significato, dobbiamo lèggere santòn^ cioè, ch'era un san-
fuomo; ciò mostrerebbe chiaramente, che l'autore era già morto,
, quando fu scritta questa dichiarazione , e che quindi non può in
verun modo èssergli attribuita. Se V Argelati , che pel primo fece
menzione di questo còdice, ed il Giulini che appuntò Terrore
della data^ avessero avvertita e Timperfezione del Poemetto, e la
scrittura diversa delle ùltime due pàgine, ed il vero signifiicato di
questa nota, ne avrebbero dato certamente un diverso giudizio.
La seconda dichiarazione, a differenza della prima, che risguarda
l'autore del Poemetto, si riferisce al tempo in cui il còdice fii
trascritto , ed è la seguente :
In mille duxento sexanta e quattro
Questo libro si fò fato^
Et de junio si era lo prumer dì
Quando questo dito se fenir;
Et era in secunda diction
In un venerdì abassando lo soL
Ilo già avvertito nella Prefazione V errore dell' amanuense che
scrisse sessanta in luogo di settanta, giacché solo Tanno 1274 con-
corda colla indizione e col giorno e mese indicati. Aggiungerò ora,
che questa data si riferisce al tempo in cui il còdice fu scritto., e
non già al tempo in cui fu dettato il Poemetto dalT autore 3 il
quale, come consta dalla prima nota, non era già più. E. quindi ne
viene , che l'età del Poemetto risale ancora verso ^ e forse avanti
la metà del sècolo XIII.
IX.
DELLE LINGUE GERMANICHE
E
DELLA LORO GRAMMATICA.
n
iTermaniche , sin dai tempi di Roma , quasi per tacita con-
venzione degli scrittori, cbiamaronsi tutte quelle nazioni, che,
alcuni secoli prima delKéra nostra^ coprivano gran parte del-
l' Europa settentrionale, che poi si sparsero in tutte le Pro-
vincie del decadente impero occidentale, ed ì cui discendenti
hanno tuttavia grandissima parte nei destini della moderna
Europa, non che di parte dell' America, dell* Africa, dell'Asia
e dell'Australia. Teutoni, Suevi, Teutteri, Sicambri, Cherusci,
Cauci, Brutteri, Riarsi, Tubanti, Catti, Frisi, fiatavi, Tungri,
Ermuaduri, Menapii, Taurisci, Turingi, Marcomanni, Quadi,
Éruli, Alemanni, Vàndali, Goti, Franchi, fiurgundi, Angli,
Sàssoni, Langobardi, Juti, Svetoni, Suioni, Normanni, Va-
reghi , ed altri popoli ancora loro congiunti e con diversi nomi
distinti, appartennero tutti alla grande famiglia delle nazioni
germaniche.
Col progresso dei tempi, le tante migrazioni, le fluttuazioni
perpetue, ed i tanti accozzamenti del genere umano, cangia-
rono interamente l'aspetto di questa numerosa famiglia di po-
poli, e la dispersero in tante regioni, e la mescolarono ad
altre genti greche, latine, basche, gaeliche, cambriche, slave,
finniche, semitiche e turche. Alcuni scomparvero interamente,
senza lasciar traccia; altri, fondendosi in nazioni d'altra ori-
gine, cangiarono nome e natura; altri, aggruppandosi fra loro
medesimi, formarono nuovi popoli misti, ^i quali fu dagli storici
applicato un diverso nome : cosi che , in onta ai soccorsi del-
l'istoria, della geografia, della tradizione e dei monumenti, in-
vano cerchiamo nelle tante nazioni supèrstiti le vestigia di varj
antichi popoli germanici.
I Tèutoni, che con formidabile moltitudine minacciarono la
romana repubhca, pienamente sconfitti da Mario, andarono poi
332 DELLE LINGUE GEUMÀMCHE
confusi nel nome generico di latta la nazione. I Marcomanni,
i Quadi, i Gepidi ed altri popoli, fondendosi nei Goti, forma-
rono con questi un solo pòpolo, e con essi frammisti poi
alle tante nazioni meridionali, smarrirono la propria naziona-
lità. I Franchi, dopo aver collegato sotto il nome loro i Teut-
teri, i Catti, i Brutteri, i Camavi, i Cauci, dopo aver regnato
dal Reno ài Pirenei , dopo aver riedificato V impero d' Occi-
dente, si fusero nelle nazioni celto-Iatine, e perdettero quasi
ogni traccia della loro origine germanica. Gli Angli, i Sàssoni,
gli Juti, ed una parte dei Frisi, invadendo la Gran Brettagna,
si amalgamarono a quelle nazioni celtiche, e più tardi fram-
misti ancora ai Dani ed ai Normanni, che li soggiogarono, con-
corsero a formare la potente nazione inglese. I Vareghi, com-
posero il primo nùcleo della potenza russa, ma si dispersero
per entro le nazioni slave da loro sottomesse. I Vàndali, dopo
aver signoreggiato ambo le opposte rive del Mediterraneo, e fon-
dato in Àfrica un dominio, che estendevasi dalle Colonne d^ Ercole
allaCirenaide, lasciarono solo un'orma del loro passaggio in una
provincia della Spagna. Gli Svevi ed i loro confederati anda-
rono compresi nel nome collettivo di Alemanni; poi furono da
Clodoveo sottomessi ed incorporati coi Franchi; poi riebbero
nome nella Germania moderna per perderlo di bel nuovo. Gli
Slavi e gli Ungari frattanto s'impossessarono d'una gran parte
delle terre di queste nazioni, nel mezzo delle loro antiche sedi;
nuovi interessi e nuove leghe li congiunsero, e li scomposero
più volte nei tempi moderni; nuovi costumi e nuove credenze
successero al prisco culto d'Odino, e di Thor; cosicché appena
trovansi incontaminate poche reliquie dei primitivi popoli ger-
manici nella remota Islanda, difese da un mare inóspite e dalla
sterilità del suolo ; e altre poche in alcuni recessi della Frisia,
ove, sebbene minacciati dalle onde del Zuydersee, che ingojè
successivamente le loro città e i villaggi, i pochi Frisoni im-
perterriti si conservano all'ombra della loro povertà, pressoché
immuni dalle invasioni straniere \
* II celebre Malte-Brun ^ parlando delP indole di questo valoroso popolo,
ebbe a dire: Dix-huit siècles ont vu le RKin changer son courSj et l'Océan
englouHr ses rivages; la nalion Frisonne est reslée débout^ cofìtme un moRU*
memi hisiorique^ dégne d'iniéresser également Ics desccndans des FraneSj de*
Anglo-Saxons et des Scandina^es, Vedi, PrécU de Gcographie universelle, Pa-
ris^ 1810.
E DELLA LORO GRAMMATICA. 333
A sviluppare T immensa compàgine di tutte queste stirpi venne
fia dallo scorso secolo chiamata in sussidio la Linguistica , la
quale in breve corso di vita, già riempi molte lacune di quel-
Tintricatissima istoria. S'iniziò lo studio di tutte le lingue set-
tentrionali moderne, e se ne accertarono le grammatiche ed i
dizionarj; vennero dissotterrati anti/;hi monumenti di nazioni
estinte ; si ricomposero le vetuste lingue da tanti secoli perdute;
si sottoposero a confronto i moderni idiomi cogli antichi, e sopra
questo fondamento si stabili una quasi compiuta classificazione
di quei popoli.
Tutte le lingue germaniche finora note , vennero prima di
tutto compartite in due grandi famiglie, distinte per singolari
proprietà grammaticali^ e sono: la famiglia delle lingue teuto-
niche, e quella delle scandinaviche. La prima comprende tutte
quelle lingue germaniche^ antiche e moderne, che furono, o
sono parlate sul continente europeo, al di qua del Baltico, e
nelle Isole Britanniche. La seconda comprende le lingue par-
late in Islanda, nella penisola scandinava e nelle isole danesi,
ohre alle antiche colonie svezzesi nella Finlandia e lungo le
coste orientali del Baltico, appartenenti alla monarchia russa,
le quali conservano in parte la lingua svezzese.
La numerosa famiglia delle lingue teutoniche si suddivide in
due rami , denominati , per la rispettiva posizione geografica ,
meridionale ChochdeutschJ, e settentrionale (niederdeut$ch , o
plattd'CUtschJ, Al primo ramo appartengono : V antica lingua dei
Franchi e degli Alemanni (althochdeutschj, e la moderna tede-
sca (heuhochdeutsch) mista dei due dialetti meridionale e setten-
trionale, e determinata primamente da Lutero colla sua versione
della Bibbia. Al secondo appartengono : la lingua gotica, detta an-
cora da molti mesogotica; T antica lingua sàssone (altnieder-
deutsch, altsàchisich) ; T anglo-sàssone, mista di varj dialetti
deir antica sàssone; l'antica e la moderna frjsica, T inglese
e r olandese colla fiamminga (hiederlàndischj. Qui dobbiamo
osservare, che i linguisti discordano intorno al posto da asse-
gnarsi alla lingua gotica. Il celebre Malte-Brun, che la consi-
derava come sorella secondogenita delF antica islandese, la col-
locò nel gruppo delle scandinave; mentre il dotto danese Erasmo
Rask, che sospinse più avanti di tutti lo studio delle lingue
settentrionali , la ripose fra le teutoniche meridionali. Noi ab-
biamo altrove accennato le principali ragioni, che ci indussero
334
DELLE LINGUE GERMANÌCHE
a considerare la gotica siccome anello intermedio che insieme
congiunge i due gruppi meridionale e settentrionale, e perciò
abbiamo preferito riporta accanto all'antica sàssone, alla quale
più che ad ogni altra si accosta col suo sistema fonetico , e
con certe forme distintive.
La famiglia delle lingue scandinaviehe comprende infine Tantica
e la moderna islandese, la svezzese diffusa ancora in Finlandia
ed in Estonia, e la danese parlata con qualche varietà nella
Danimarca propria, e nella Norvegia. Per maggiore chiarezza
porgiamo la seguente tavola:
Lingue germaniche distinte in due famiglie
TBDTOIIIGHB
Meridionali
{Hochdeutsch)
Settentrionali (lifiederdeutsch )
Tedesca antica Gotica (GotMschj o Hfcesogothisch) ,
(althochdeutsch) lingua degU antichi Goti e della versione
lingua dei Fran- biblica di Ulfila.
chi , Alemanni , Sassone anliea ( Jltniederdeutsck j o
Svevi, ec. Mlsàchsiseh)^ lingua degli antichi Sassoni,
Tedesca nnh e di tutte le nazioni che abitavano la Gut-
dema(neuhoch' manta settentrionale.
deutsch) parlata Jnglo-Sassone ( AngeUSachsisch) ^ mi-
oon varj dialetti sta dei dialetti degli antichi Sassoni , An-
In tutta la Ger- gli e Juti.
mania meridlo- Frisica {Allfriesisch)^ parlata dagli
naie, forma \\ antichi Frisi e Cauci, e con varie modiO-
fondo della lin- cazloni ancora adesso dai Frisoni moderni,
gua scritta, cosi in varj dialetti, a Uindelopen, nella Frisia
della Germania propria, a Schiermonnikog, nel Saterland
superiore, come e nella Frisia settentrionale.
deir inferiore, e Sassone moderna {Neuniederdeutsch , o
di varj popoli Neitsàchsisch o Platldeutsch) , parlata in
delle Provincie varj dialetti nella Germania settentrionale,
russe del Bai* Olandese e Fiamminga {Neuniederlàn'
lieo. dischj Dutcfi) parlaUi nei Paesi Bassi,
ossia nelle provincie olandesi e in gran
parte del Belgio.
Inglese ( ]}feueng lisca) , lingua domi-
nante della Gran Brettagna.
SCAHDUfAVlCIIi
Islandese [an-
tica y ( Jltnor-
disch o Islàn-
disch ) , lingoa
degli antichi
Scandinavi e
delle antiche Sa-
ghe del Norie;
si parla e scrive
ancora oggidì
quasi Inconta-
minata, nell'I-
slanda.
Svezzese
( Schwedisch ) ,
lingua parlata
in varj dialetti
in tutla la Sve-
zia e Finlandia.
Danese {Dà-
nisch) , parlata
con qualche va-
rietà nelle Isole
danesi , nella
Jutlanda ed in
Norvegia.
E DELLA LORO GRAMMATIGA. 5^5
Tra i primi the propagarono lo studio delle lingae setten-
trionali merita singolare menzione T inglese Hickes^ che. nel suo
Tesoro publicò , fin dal principio dello scorso secolo , gli ele-
menti grammaticali delle lingue anglo-sàssone , meso-gotica ,
francica ed islandese. Gli tennero dietro i celebri Schilter, Ju-
nins, Marshall, Lye, Sdmner, Peringskjòld, Wilkins, Wormio^
Manning ed altri, che illustrarono varie delle antiche lingae
germaniche, e ne publioarono successivamente le grammatiche
ed i lessici. L* olandese jLaraberto Ten-Kate tentò tracciare una
classificazione ragionata di tutti quegli idiomi. Ma questi studj
non furono con particolar cura coltivati , e direUi ad alto e
nobil fine , se non verso la fine dello scorso secolo , e meglio
ancora nel presente.
Abbiamo dimostrato in un precedente lavoro * quanto con->
tribuissero all' illustrazione dell'antica lingua gotica Ihre, Sti-
ernhielm^ BenzeI, Fulda, Reinwal, Knittel, Zabn^ Ca^tiglioni,
Massmann, Sjerakowsky ed altri; in simil guisa venne illustrata
r antica lingua islandese da varj dotti in Danimarca e Svezia.
Molte delle antiche saghe furono publicate, tradotte ed illu-
strate, per opera del celebre istorico Suhm e deìV Istituto
Arna-Magneano, al quale negli ultimi tempi successe la Regia
Società degli Antiquarii del Norie. Questa, fra i tanti studj
diretti all'illustrazione delle patrie antichità, intraprese la pu-
blicazione di tutti gli antichi manoscritti nordici, colle versioni
jn Ialino e danese. Oltre a ciò Groeter, Kofod-Àncher, Lan-
gebek, Nyerup, Thorkelin, Afzelius, Thorlacius, Rafn ed altri
posero in chiara luce tutto quello che si riferisce alle anti-
chità , alla mitologia , al diritto ed alla primitiva letteratura
scaudinavica. Con tutti questi materiali il celebre Rask com-
pose una grammatica ed un dizionario delf antica lingua islan-
dese , e una dottissima dissertazione sulF origine di queir i-
dioma, e sulla affinità sua colle altre lingue japetiche ^ Dopo
le quali opere di Rask comparve alla luce, nel 1829 » Finge-
gnosa Grammatica istorica delle lingue danese, islandese e
svezzese del professore Peterssen ^.
* Reliquie del testo d' Ulfila^ edile dal Conte C. O, CastigUòni {Politecnico^
voi. II, pag. 461).
* UndersÓgclse om del gamie IVordiskej ellcr Jslandske Sprogs Oprindelscj
for fatteli af R. K, Rask. Kjóbenhavn^ 1016.
^ DelDanskej Norske og Svenskc Sprogs JiisloriCj af N, M. Peterssen.
Kjòbenhavnj I82u.
536 DELLE LINGUE GERMANICHE
Là liogua degli antichi Frisi ebbe ad iiiastratori Wiarda,
Hettema, Schwartzenberg , Eplceroare, Wierdsnaa e Brantsma,
che ne publicarono, tradussero e commentaroBO gii antichi mo-
numénti , somministrando ampia materia a Aask per la com-
pilazione della grammatica , e all' aitró distinto danese Outzen
per la redazione del Dizionario. Tra i più benemeriti dì que-
sto interessantissimo idioma merita siiigolar^ menzione il dotto
nostro corrispondente I. H. Halbertsma, commentatore di Gi-
berto lapiks, ed autore di preziosi scritti linguistici ^
L'antica lingua sàssone, sebbene esclusa dalla letteratura
germanica fin dai tempi delta riforma religiosa , fu ricomposta
ed ampiamente illustrata dai dotti Schmeller, Kinderling, Mone,
Baumann e Hoflfmaun di Fallersleben, che ne resero di publica
ragione! principali monumenti, quali sono il poema di Helìdnd,
r Armonia degli Evangelii di Taziano , ed il poema allegorico
Béineke Vos.
Huydecoper, Tinstancabile Willems, Siegenbeek, Blommaert,
Yan der Hagen ed altri molti illustrarono tutti i monumenti
deir antica lingua neerlandese.
L' Anglo-sàssone, già riprodotta in chiara luce nelle erudite
opere di Hickes, Junius, Lye, Wilkins, Thwaites, e Manning, ebbe
negli ultimi tempi più profondi illustratori in Couybeare, Schmid,
Price, Thorpe, Ingram^ Thorkelin, Kemble, Turner, Palgrave,
Bosworth e Rask, i quali ultimi due lasciarono i migliori trat-
tati grammaticali di questa lingua.
Finalmente anche 1* antica tedesca meridionale (hochdeutsch) fa
minutamente analizzata negli ultimi tempi, per le laboriose cure
di Graif, Wackernagel, Fulda, Lachmann, Docen, Massmann,
Hoffmann, Schmeller, Yan der Hagen, Benecke, ec. Per evitare
le troppo frequenti ripetizioni, abbiamo taciuto nel corso di
queste rapide citazioni il nome dei due fratelli Grimm, che in-
defessamente contribuirono air illustrazione di tutti quegli an-
tichi e moderni idiomi. Le belle edizioni dell'Edda, del poema
dei Nibelunghi, delle antiche leggi germaniche, ec. publicale
con dotte osservazioni dal dott. Jacopo Grimm, basterebbero
ad assicurargli quell'alta riputazione, di cui meritamente gode
I Tra i promotori e cultori della letteratura frisica son degni d** onore
varj allri eruditi , come Posthumus , Wassenberg, Uoelcstra^ Hoeuffl, Wiclinga..
Uubcr, ec.
E DELLA LORO GRAMMATICA. 337
ili Europa Ve là quale non poirà mai venir meno nella rico-
noscenza dei pòsteri.
Quest'uomo raro, scorgendo negli antichi documenti delle
lingue germaniche molti punti che le ravvicinavano assai più
che non appaja dal confronto delle moderne, e trovaiido un*
considerevol numero di documenti atti a determiùare, pel corso
di venti secoli circa , le successive variazioni , che recarono a
tutti questi idiomi le vicende dei tempi, concepì la gigantesca
idea di tesserne un'istoria filosofica mediante una grammaliea
comparativa e cronologica, la quale, mostrandone i tratti di-
stintivi, ne mostrasse allò stesso tempo la commune orìgine da
un tipo commune. La prima parte di questo pregevolissimo:
lavoro vide la luce a Gottinga, nel 1819, con un'introduzione,,
nella quale 4' autore , mostrando il disegno dell'opera, ed an-
nunciando alcuni principali risultamenti delle laboriose sue
speculazioni, enumera le tante fonti, alle quali attinse i mate-*
riali per la redazione della grammatica di tutti quégli idiomi ^
Per procedere coir ordine richiesto dalla natura, egli distribuì
tutte le Jingue germaniche cronologicamente, partendo dalle più
antiche , e discendendo gradatamente alle moderne e tuttora
viventi. Non è mestieri accennare ^ come tutti questi moderni
idiomi siano derivati direttamente dagli antichi; è noto ad
ognuno, che la moderna lingua tedesca derivò dalla lingua degli
antichi Franchi ed Alemanni, combinata con quella degli anti-
chi Sàssoni; T attuale olandese, che prima dell'Unione delle
Sette Provincie, chiamavasi fiamminga, si formò sulle mine delle
antiche lingue sàssone e frìsica; l'inglese derivò dall' anglo*'
sàssone , la quale alla sua volta surse dalla mescolanza 4egli
antichi dialetti sàssone, anglo e juto; e le attuali lingue scau-
dinaviche, danese e svezzese si formarono sùll' idioma reso il-
lustre dagli antichi Scaldi, cioè sull'islandese, che si conservò
quasi intatto, fino ai nostri giorni, nell'Islanda.
Ciò nullostante, confrontando tutti questi moderni idiomi coi
tipi primitivi dai quali emanarono , si trovano talmente diversi
da quelli, che> non ostante la più profonda cognizione dei mo-
derni , non si possono interpretare gli antichi , senza un lungo
studio speciale; tante sonò le modificazioni, a cui nel corso di
pochi secoli gli antichi idiomi ebbero a soggiacere! Ora codeste
* Veut9che Grammatik von Jaeob Grimm, GóUingenj 1819-37.
338 DELLE LINGUE 6BRMANIGBE
modiflcazioDi non poterono esser T opera d'un istantaneo rÌTol-
gimento operato nelle moderne generazioni; ma bensì un lento
effetto del tempo, che a poco a poco cangia T aspetto di tntte
le cose. Dì fatti , poco dopo il mille , generalmente parlando ,
taiii gli antichi idiomi si scomposero , o disparvero , come
risulto dai monumenti posteriori a quell'epoca; e sappiamo
d'altronde che tutti gli idiomi moderni, poco più, poco meno,
non furono determinati colle forme che. attualmente li distin*
gnono, se non verso il 1500. Perlochè ci riroane nn inter-
vallo d'oltre quattro secoli, durante il quale le antiche lin-
gue, sottoposte qua^i a fusione novella, subirono quella gran
trasformazione , onde ricomparvero poscia a novella vita e con
si diversa forma nelle moderne. In simil guisa le moderne lin-
gue meridionali, l'italiana, la francese, la spagnuola e la por-
toghese, non ricomparvero colle attuali lor forme, che deri-
varono dagli antichi dialetti rispettivi^ se non nel secolo Xlll
all'incirca , dopo che la lingua latina , dalla quale trassero tanta
copia di materiali, erasi per varj secoli rifusa, sotto L'influenza
delle tante nazioni straniere componenti il vasto imperio ro-
mano, in esso penetrate, non che delle nuove discipline della
moderna civiltà.
Ciò premesso, siccome non era possibile tracciare un'istoria
compiuta delle varie fasi delle lingue germaniche, senza seguir
passo passo tutte quelle intermedie modificazioni, che sono
quasi anello tra le antiche e le moderne, così il dott. Grimm,
considerando il sovraindicato intervallo come il medio evo delle
Hngue germaniche, costruì sui monumenti di quel tempo le
grammatiche di tutti questi idiomi ìntermedj, denominandoli:
mittelhochdeutsch , millelniederdeutsch , mittelniederlandisch ,
mittelengliìieh , ossia alio- tedesco del medio tsó ^ basso-tedeteo
del medio evo, ec, ec. , e distribuì quindi nella sua granraia-
tica tutte le lingue germaniche nell'ordine seguente:
6oli<cA Gotica
Lingue an lidie
dall'anno suo
incirca
. fino al 1100
AUhochdeulsch Alto-tedesca antica
Aliniederdeuisch Basso-tedesca antica
Jngelsàchnsch Anglo-sassone
Jltfrie^isch. frisica antica
JUnordisch Nordica antica, o islandese
. ^ • f « • i MUtelhochdeuUch Alto-tedesca del medio evo
Lingue aci lempi i MitlcMederdeutsch Basso-tedesca del medio evo
di mezzo , uai j Mittelniederlandisch Fiamminga o neerlandese del med. evo.
1100 fino al *«t>of j|f,7(efc«fif/McA Inglese del medio evo
E DELLA LOnO GRikMMATICA. 339
f Neuhoehdeutich Tedesca propriamente delia
^Neuniederdeutsch Basso-tedesca, o sàssone moderna
Lingue moderne j Pfeuniederlàndisch Olandese moderna
dal »«oo incirca \Neunordisch Islandese moderila
fino a noi ÌSchwedUch Svezzese
[ Dànisch Danese
\NeuenQli9ch Inglese
L'idea di coordinare nella medesima grammatica tutte le suc-
cessive fasi intermedie , per le quali una lingua passò prima
d'acquistare le attuali sue forme, é veramente nuova e filo-
sofica. Egli è pur bello il vedere , come dalle molteplici fles-
sioni e dalle ricche forme delle antiche lingue sassone ed islan-
dese, Tarte della parola sia passata a poco a poco all'estrema
semplicità delle grammatiche inglese e danese, senza perdere
punto del suo vigore e delle sue attrattive! Vi s'intravede in
certo modo tutto il corso della mente umana nella evoluzione
del pensiero , e l'istoria del pensiero medesimo. Ma non era
egualmente filosofico e giusto il voler rappresentare tutta la
serie A\ quelle successive modificazioni in una supposta lingua
di transizione, che propriamente non fu mai. Quando una lin-
gua, bastevole ai bisogni ed alla condizione fisica e morale
d'uifa nazione, è determinata sopra regole costanti, attraversa
più secoli, senza soggiacere a sensibile alterazione. Ma quando
il popolo che la parla, cangiando religione, costumi e territorio,
risorge a nuovo modo di vita e diverso ordine di cose^ e sentendo
imperioso il bisogno di chiarire con nuovo processo d'idee il pen-
siero, imprime diversa forma al linguaggio, s'inoltra lentamente
nella modificazione di questo, e solo di mano in mano che una
generazione va introducendo una nuova forma, quella che vi suc-
cede dimentica insensibilmente l'antica, e ne introduce una se-
conda; e cosi procede di generazione in generazione, finché ridotto
il regime intellettuale a livello del mondo esteriore, senza av-
veder3i, si arresta, mette in ordinanza tutte le modificazioni e
le ampliazioni date al suo novello modo di rappresentare il nuovo
modo d'esistenza, e, stabilitele come càrdini fissi, vi si adatta
ciecamente per nuovo corso . di secoli, finché un ordine novello
di cose tragga le future generazioni a nuova riforma.
Così appunto avendo proceduto le nazioni germaniche, quando,
messe in prossimo e continuo contatto colle nazioni meridionali,
abbracciarono col nuovo culto anche la civiltà novella, ne con-
segue che, durante tutto il corso di quella rigenerazione, non
S40 DELLE LINGUE 6BRMANIC0E
ebbero, propriamente parlando, lingua stabile e fissa; ma, come
abbiamo altrove dimostrato svolgendole origini di nostra lingua \
ogni anno del medio evo era un passo verso un nuovo Hn-
guaggio; e quindi il voler accertare le regole fondamentali della
lingua di queir instabile intervallo , è lo stesso che voler deli-
neare i contorni d'un albero dall'ombra fugace che progetta
sul suolo; tanto più, cfhe alla continua mobilità naturale della
lingua aggiijngevasi ancora, in quell'era di transizione, il ca-
priccio e r esitanza degli scrittori, i quali, simili a nocchiero
senza bùssola, erravano incerti sul loro cammino. Ora, se
ogni anno, ogni paese, ogni scrittore aveva il proprio modo di
inflettere i vocaboli e d'esprimere, i suoi pensieri, come sarà
, mai possibile racchiudere in una sola grammatica, come appar-
tenenti ad una medesima lingua, tante diverse forme, che non
furono mai contemporanee, né mai furono generali? Giova cre-
dere, che se all'autore si fossero affacciate simili considera-
zioni, forse non si sarebbe accinto all'ardua impresa di co-
stringere tutte quelle lingue intermedie in forma di gramnMtica;
e non avrebbe avvalorato la supposta esistenza di certi dialetti
misti , come quello del poema eroico sulla lotta di Hildibrath
e Hadubrant, nel quale, anziché ravvisare uno speciale dialetto
misto, sembra più ragionevole riconoscere con Bouterweek lo
sforzo d'un Sàssone che tenta scrivere nei dialetti francieo. Le
forme diverse hévan, hewen^ hèbhan e himil, alcune delle quali
si riscontrano altresì nel poema di Heliand, non potranno por-
gere fondata prova sulla patria dell'autore di quest'ultimo,
come pur si vorrebbe.
Prescindendo per un istante da tutte queste considerazioni,
e riguardando tutte le lingue intermedie, ordinate dal dotL
Grimm nella sua grammatica, non già come lingue proprie di
una data età, ma come rappresentanti in complesso le varie
forme assunte da quegli idiomi nel mentovato intervallo, non
vediamo come non abbia seguito lo stesso procedimento anche
perle lingue soandinaviche; ma passi di salto dall'antica islan-
dese alle moderne svezzese e danese, senza curare i gradi in-
termedj, pei quali nel corso di quattro secoli anche queste lin-
gue passarono prima d'assumere le attuali lor forme. Questa
» Vedi la Memoria intitolata: Origine e sviluppo della lingua italiana
(Polileenfco, voi. in, pag. IM).
E DELLA LORO GUAMMATICA. 341
nijincanza rìesee tanto più sensibile, quando consideriamo, che
i dialetti nordici posseggono considerevol copia di docamenti
del medio evo, i quali avrebbero potuto fornire ampia materia
a compilar la grammatica di quella lingua intermedia. Il cele-
bre professore Kolderup-Rosenvinge publicò in tre volumi in
quarto gli Statuti e le leggi danesi del medio evo, aggiungen-
dovi la versione danese e dotti commenti. Le tante leggi pro-
vinciali della Svezia e della Norvegia, appartenenti alla stessa
età, non contengono minor dovizia di materiali, come appare
dalla bella edizione di Collin e Schlyter. Oltre a ciò, il trat-
tato che ha il titolo di Konungastyrilse (istituzione dei re),
la raccolta delle leggi ecclesiastiche della Zelanda, publicata
da Thorkelin *, e molti altri importanti documenti, sarebbero
siale fonti preziose, come lo furono poi pel professore Peterssen,
che ne trasse ottimo partito nella sullodata istoria delle lingue
nordiche.
Un'altra osservazione oseremmo fare intorno all'ordine ge-
nerale di quest'opera, e più particolarmente intorno alla di-
stribuzione delle materie. Se si riguarda all'intrinseca tessitura
di tutti gl'idiòmi della famìglia germanica , vi si scorge una
mirabile consonanza; ma assai più nel dizionario, che non nelle
inflessioni e negli artificj grammaticali. Il doppio articolo ora
premesso, ora posposto ai nomi , le differenti forme delle voci
passive, il diverso modo d'inflettere le principali parti del di-
scorso ed il vario ordinamento della frase, pongono una troppo
grande separazione fra le lingue scandinaviche e tutte le teutoni-
che, sicché si possano raccogliere in un solo quadro, come fa l'au-
tore. Similmente le proprietà, che distinguono i dialetti della
Germania settentrionale da quelli della meridionale , sembrano
abbastanza evidenti, perchè non si possa assimilarle in un mi-
nuto confronto. Saremmo quindi d'avviso, che l'autore avrebbe
meglio raggiunto l'alto suo fine, qualora avesse separati i tipi
principah, come levarle tinte d'una tavolozza, apponendovi
immediatamente e di séguito le successive modificazioni a cui
ciascuno soggiacque nelle varie età. Per tal modo il gran qua-
dro dell'opera, che ora è frastagliato in mille brani, e nel
quale tante lingue si trovano confuse, verrebbe ripartito in pic-
coli quadri separati e indipendenti, in ciascuno de' quali più
' Thorkcllm sammling af Danske Kirkclovc» Kjdbcnhavn^ 1787.
549 DELLE LINGUE GERMANlCtlE
facilmente si potrebbe scorgere con una^ sola occhiata Y anda-
mento «delle singole lingue, dalla origiue loro fino a noi. Al-
l' intento poi d'inslituire nn generale confronto fra le sepa-
rate membra del vasto corpo, avrebbero meglio potuto ser-
vire, alla fine di ciascun libro, alcuni prospetti che rappresen-
tassero il riassunto comparativamente ordinato di tutte le os-
servazioni nel libro medesimo svolte. E perciò il seguente
prospetto sarebbe riescito forse più consentaneo alla natura ed
al fine dell'opera.
I II ni.
Lingua gotica Sàssone anlica Anglo-sassone
. . . . . . . Sassone dei mediò evo Inglese del medio evo
Sàssone moderna Inglese moderna
IV. V. V.
Frisica anlica Teutonica anlica Islandese antica
Neerlandese del m. evo Teutonica del m. evo Islandese del medio evo
Olandese moderna Tedesca moderna Islandese moderna
. . Svezzese
Danese
Con simile distribuzione, oltre che ogni parte, sebbene parte
integrante del tutto, potrebbe reggere isolata e da sé, si ver-
rebbe a conseguire ancora meglio T intento dell'autore, di
porgere allo studioso un sussidio per fondarsi nell'intima co-
gnizione della lingua nativa ; giacché per conoscere la natura
e l'organismo della propria lingua, non è necessario al germano
meridionale lo studio delle scandinaviche o delle, neerlandesi,
come non è quello delle teutoniche al giovine danese od islao-
dese.
Ma queste considerazioni non terranno, che la superficiale
idea sin qui abbozzata di quest'opera, non basti a mostrar
l'alta importanza della gigantesca impresa del dott. Grimm, e
la somma dottrina e le laboriose veglie che il suo conaponi-
mento richiedeva. A mostrarne il merito intrinseco ed i veri
vantaggi, valgano pochi cenni sul contenuto dei primi quattro
volumi, finora venuti in luce.
Prima di publieare il volume secondo, l'autore di^de, nel 1822,
una seconda edizione del primo, e vi produsse un lunghissimo
trattato intorno alle lettere proprie di tutti gl'idiomi germanici,
per rappresentarne il sistema fonetico , e gettare insieme le
fondamenta del connesso ordine ortografico.
R DELLA LORO GRAMMATICA. 343
Abbiamo già in altro scritto * dimostrato di qual momento
sia il sistema fonetico delle nazioni per io studio comparativo
delle lingue, e come ne sia necessario un diligente esame^ per
determinare con certezza i rapporti delle nazioni che le parlano;
ma abbiano dimostrato altresì, che i principj costituenti il si*
stema fonetico d'una lingua debbonsi raccogliere dal labbro
stesso della nazione che la parla, e non dagli scritti, i quali li
possono rappresentare solo in modo imperfetto , e più sovente
riescono fallaci od equivoci, per la generale insufficienza di tutti
gli alfabeti conosciuti, e per la varia ed arbitraria applicazione
e combinazione dei medesimi segni a rappresentare suoni af*
fatto diversi. Se questo è vero per tutte le lingue viventi e
meglio conosciute» del cui sistema fonetico non è possibile for-
marsi idea dietro la sola scrittura, senza un apposito studio
della natura delle lettere medesime, e senza che la viva voce
del maestro supplisca alle loro imperfezioni , quanto più non
dovrà apparir manifesta T impossibilità di stabilire la pronunzia
e r ortografia di lingue estinte da secoli, sul mero fondamento
di pochi manoscritti malconci dal tempo, ed alterati dai copia-
tori? Ciò premesso, faremo le seguenti avvertenze: l."" varj
erano gli alfabeti usati dalle antiche nazioni germaniche, cioè,
il runico, il gotico, T anglo-sàssone ed il latino, delle cui let-
tere , massime nel runico e nel gotico , non si può assegnare
con certezza, in molti casi , il preciso valore '^. %° La maggior
parte di quegli alfabeti furono dai popoli germanici presi in
altre lingue, ed adattati alle proprie, cosicché non v'ha dubbio,
che varj di quei segni vi prendessero un valore diverso dal
I primitivo, come vediamo neir applicazione dell* alfabeto greco
alla lingua gotica, e del latino alle slave e finniche, alle viventi
germaniche, e persino ai dialetti affini della stessa famiglia la-
tina. 3/' Molti degli antichi manoscritti germanici non sono
> Vedi la Memoria: Sullo studio comparativo delle lingue (Politecnico ^yoL II,
pag. ibi).
» Egregiamente esprimevasi a questo proposito il rinomato Halberlsma ,
nell' opera intitolata : Bosworth'9 Origin of the germanic and scanditiavian
language». London j isise^ pag, stt.
AU knowledge in thi» mailer depends upon the written letlers^ and upon
determining the sound of Ihose lellers. Yhis howéver is a very difficult task.
There is no connection at ali betwecn marks and audible sounds : t/w lellers
serve more to indicale the genus j than the species of the sounds j and use
alone con teach w the thades of pronunciation.
344 DELLE LINGUE GERMANICUE
originali^ ma copie fatte in età posteriori, e forse presso a na-
zioni diverse, cosicché non si poteva conservare sempre intatta
la vera forma del luogo e del tempo al quale i documenti ap-
partenevano. 4.^ Non è certa resistenza d*un sistema ortogra-
fico generalcv particolarmente nel lungo intervallo di transizione,
al quale nulladimeno là massima parte dei manoscritti appar-
tiene ; ma (^ni scrittore, come aveva un dialetto proprio, aveva
un suo sistema ortografico, come appare dalle tante varianti
dei manoscritti di quella età. Potremmo citare ad esempio di
questo disordine ortografico gli stessi manoscritti nostri del
medio evo e dei secoli ancora posteriori, nei quali troviamo
indistintamente scambiato nel medesimo paese il 6 in t?^ il v
in u, Vu in h^ e viceversa^ la x in ss, le consonanti geniinate
in semplici; disordine, che non avendo sovente altra orìgine
che l'arbitrio degli scrittori,'trarrebbe facilmente in errore chi
si attentasse a spiegarlo altrimenti.
Tutte queste considerazioni mostrano troppo evidènte Tim-
possibiiità di stabilire una fondata dottrina delle lettere proprie
dei singoli antichi idiomi germanici; e sebbene il dott. Grimm,
intento a superare le più gravi difficolta, abbia congiunto a la-
boriose speculazioni profonda dottrina ed acutissimo ingegno,
non potè preservarsi dal cadere nel labirinto d'un intricato
sistema, <;ostrulto secondo un partìcolar suo modo di vedere e
di sentire. Appunto per questo non possiamo comprendere, come
egli condanni quelli che fanno uso delle lettere gotiche ed an-
glo-sàssoni nella publicazione dei rispellivi documenti, mentre,
per renderne i suoni perfettamente identici coir alfabeto latino,
r editore sarebbe sovente costretto ad alterarli, o interpretarli
a suo talento, rappresentandoli con una combinazione di lettere^
che non conviene egualmente ai varj sistemi ortografici, intro-
dotti presso tante nazioni. La difficoltà ch« la lettura di questi
caratteri presenta, non è ragione che possa prevalere ai sovra-
detti inconvenienti, tanto più che i caratteri gotici ed anglo-sàs-
soni derivano immediatamente dai greci e dai latini, dei quali
non può ignorare il valore chi coltiva simili studj.
S'egli è impossibile, sulla semplice norma d^gli antichi mano-
scritti, stabilire con certezza il compiuto sistema fonetico di
tante nazioni, non ne viene perciò che non si possano fino ad
un certo punto determinare, almeno sommariamenVe, i caratteri
principali; e quindi con quella osservazione non intendiamo dire
E DELLA LORO GRAMMATICA. 345
che Fautore dovesse trascurape affatto- questa parte importan-
tissima della grammatica; ma bensì che la trattasse con quella
somma cautela che un soggetto. cosi arduo, e dubio richiedeva,
anziché costruire un sistema ipotetico di suoni per questa e
per quella lingua, per condurre poi lo studioso a quelle con-
clusioni ch'agli voleva. Cosi, per esempio, l'importanza ch'egli
attribuisce alle vocali* a preferenza delle consonanti , è tanto
sistematica, quanto insussistente; ejl è contraria air ordine na-
turale, nonché airopinione universale dei linguisti, che rico-
nobbero sempre nelle consonanti la vera ossMura del sistema
fonetieo d^lle nazioni. Gli Orientali spinsero ancora la cosa più
oltre, mentre da loro o non si scrivevano le vocali, o se ne in-
dicava solamente il posto nei vocaboU; ciò cbO' mostra mani-
festamente qual caso ne facessero. 11 voler poi pretendere ^be
le vocali presso le nazioni germaniche fossero più persistenti
che non presso i Greci ed i Latini, viene a smentirsi piena-
mente dal fatto.
Prima d^entrare nei particolari, crediamo opportuno riportare
un brano dì lettera d' un dotto nostro corrispondente olandese,
che cade appunto in acconcio sul fs^tto mostro. On sait^ cosi
egli scriveva non ha guari, gue Grimm et autre» font autant
et plus de-cas des voyelles que des eonsonnes; en vous demanr
dant, Monsieur^ V explkation de ce phénomèmj je vom débite
mon opinion, Les Altemands se piquent d'eire ks vrais Ger-
mani de Tacite, et par conséquent frères des Goths, des Chaur
ces,^ des Frisons, des Anglo-SaxonSy etc; mais ils voient fort
bien que kwrs eonsonnes ne kur accordent pas cette place ;
au contraire elks leur destinent celle de neveux abàtardis.
Le développement, ou plùtot l'endurcissement des eonsonnes t
est une marque irrécusabk de l'àge des langues et des dia-
kctes, Frater, dens, sont plus anciens que brothar, thunthus,
qui à kur tour sont plus anckns que V alkmand pruoder ,
zand. Dans ks voyelks au contraire les Alkmands ressenv-
blerU autant que nous aux Goths, et voilà pourquoi ces mes-
sieurs, pour se rapproeher d' avantage au vrai sang des Ger-
mani, mettent les voyelles au premier rang. Lasciando a parte
le opinioni, e venendo ai fatti, varranno a far conoscere la si-
stematica condotta dell' autore alcune delle tante osservazioni,
che ci venne fatto d' appuntare qua e là nella lettura di que-
st'opera.
• 25
546 "^ DELLE LINGUE GERHANICHE
Prima di tutto e^i stabilisce una divisione di vocaK io pure
e torbide, che a nostro avviso è affatto imaginaria; e chiama
pure a, o, %i, torbide e, 6, u; che anzi considera la e piattesto
èome una corruzione delfa^ che exìme una vocale priimtiva, e
pretende, che abbia cominciato a figurare come vocale distinta,
soltanto C4>ir antica lingua franca ed alemanna, perchè nei pri-
mitivi caratteri runici non sì trova rappresentata eoo segno
proprio. A questo potremmo rispondere, che -dagli Orientali si
scrivevano propriamente tre sole vocali, sebbene ne avessero un
numero maggiore; e T autore non ignora, che le nazioni set-
tentrionali portarono le loro rune dall'Asia; cosicché non si
potrebbe trarre argomento alcuno, quand'anche nelle antiche
rune mancassero i segni d'altre vocali. Oltre ciò l'autore stesso
(pag. 2) confessa, che la maggior parte degli antichi scritti
runici furono alterati dai copiatori che li tramandarono ; epperò
r alfabeto runico desunto da quei frammenti potrebbe fornire al
più un principio di prova. D'altronde se, come non v'ha du-
bio, l'antico germanico era un dialetto d'una lingua più antica,
perchè non avrà tratta da quella colle altre vocali anche la e?
In simil guisa procedendo, egli asserisce (p. 11), che negli
antichi dialetti germanici la geminazione delle consonanti è molto
rara, mentre abbiamo contraria testimonianza nei monumenti
gotici, presso i quali è frequente. Cosi egU colloca a torto fra
le lettere composte la sch e le aspirate dei moderni Tedeschi,
le quali invece, presso gli Slavi, gli Armeni, e le tante nazioni
semitiche, vennero sempre e giustamente riconosciute come sem-
plici, e rappresentate con segno proprio. Che se i Tedeschi,
adattando alla loro lingua l'alfebeto della latina, che mancava
di questi suoni, furono costretti a rappresentarli colla combi-
nazione di varie lettere, questo non potrà in verun modp can-
giarne la natura.
Quando l'autore si fa a rintracciare le fondamenta dell'an-
tica prosodia germanica, si appoggia all'analogia delle lingue
greche e romane, e vuole che, siccome queste dalla quantità
delle sillabe passarono nei tempi moderni agli accenti, cosi le
lingue germaniche abbiano seguito eguale procedimento. Ora ,
perchè l'analogia servir possa di prova, sarebbe necessario di-
mostrare , che tale è la legge universale delle lingue , ciò che
sembra impossibile nei caso nostro , poiché le lingue greca e
latina non sostituirono l'accento alla quantità, se non dopo aver
B DELLA LORO GRAMMATICA. 347
oltrepassalo il calmine del loro perfezionamento, e propriamente
al tempo della loro massima decadenza; mentre le lingue ger-
maniche avrebbero subito questo cangiamento al tempo del loro
primo sviluppo, ciò che rende inopportuno il paralello. £gli
era forse più naturale, ed egualmente appoggiato all'analogia,
il riconoscere che, siccome i Latini fondarono la prosodia loro
sulla quantità delle sillabe, ad imitazione dei Greci, cosi le na-
zioni tedesche fondassero la propria sugli accenti, ad imitazione
delle moderne lingue meridionali. L'autore parte dal principio,
che siccome molte voci attualmente lunghe e monosillabe erano
anticamente dissillabe, ed avevano lunga la seconda, cosi la prima
dovrebbe essere ^tata breve, poiché, posando il tono sulla se-
conda, varia doveva essere la quantità della prima; e ne fa
r applicazione alla lingua latina* della quale riferisce alcuni
esempj. Ma qui, senza avvedersi , confonde la prosodia antica
eolla moderna dottrina^ degli accenti, affatto sconosciuta agli
antichi e di natura affatto diversa , mentre la quantità delle
sillabe poteva essere e lunga e breve, vi cadesse, o no, Tao-
cento. Tanto è vero, che le lingue latina e greca offrono indi-
stintamente voci dissillabe , nelle quali le quantità variano in
tutte le combinazioni possibili *"", ,"""■,"*". Oltre a ciò è
a notarsi, che i principj della prosodiarlatina sono in certi casi
diametralmente opposti a quelli della germanica, mentre in la-
. lino la. vocale seguita da due consonanti generalmente è lunga^
e lo è sempre se è seguita da una consonante raddoppiata. Ma
in tedesco invece suole avvenire il contrario , massime se la
vocale è seguita da consonante doppia. Quindi è assolutamente
falsa r induzione, ch'egli ne vuol ricavare, che il raddoppia-
mento delle consonanti, ed il prolungamento delle sillabe operato
daH'A posposto, hanno la medesima origine; poiché il primo
abbrevia la sillaba, accentuandola, laddove il secondo, accentuan-
dola, la prolunga. Se quindi questi due effetti sono analoghi
nella teoria dei toni , sono invece opposti neir antica prosodia,
e potrebbero servire a provare, che questa si fondava piuttosto
sulla dottrina degli accenti, che delle quantità.
Troppo sottili , e quindi impossibili ad applicarsi nei casi
pratici, sono le distinzioni che il dolt. Grimm tenta avvalorare
(pag. 108) intorno ai dittonghi iu, io, ^o, mentre gli scrittori
germanici , egualmente che gli esteri , erano trpppo incostanti
neiruso dei medesimi, e sovente li confondevano del pari che
548 DELLE LINGUE GERHANiCHr
le cODSonaDti d, t, th. Nella nota dello 3tesso paragrafo egli
pretende dimostrare che diutìsc, ieudiscus (tedesco) deriva dalla
radice tkiuthsj e non da thitida, poiché il derivativi) possessivo
dovrebbe essere thiudaivisk^ V analogia per altro e V uso co-
stante delle lingue germaniche ci mostra invece che se^ manna
forma mannisks , anche thituia deve formare thiudisks, e ne
abbiamo una chiara conferma nella gotica versione dell' epistola
ai Gelati, testé publicata dal conte Ottavio Gastlglioni.
Ogniqualvolta T autore trova negli anlichi monumenti fatU
centrar] al suo sistema^ è troppo facile ad imputarlo alla fal-
lacia dei copisti, ed a moltiplicare le eccezioni, le. quali talvolta
sorpassano le sue regole. Cosi attribuisce ad errori di scrittura
ì tanti esempj dei dittonghi oe, oi, che si riscontrana nella
cantica di Yilleramo; pretende falsa la lezione Ltiilpraiufo in-
vece di LiutprandOf come pure di tutti gli ut, che a suo cre-
dere devono essere tu, oppure vi; e quando trova il nome di
Hessen (Assia) derivato da quello degli antichi Chatti che Ta-
bìtavano, impugna la verità istorica piuttosto che ammettere
lo scambio del t, in s.
Più oltre r autore s'interna in nuove distinzioni, per deter-
miniHre la differenza tra il t; e la /^ e qua trova uà errore ,
là crea un* eccezione , mentre in sostanza tutta là difBeoltà è
sciolta quando si consideri T attitudine organica, sia orale, sia
aurìculare, propria delle- naziom germaniche. Non vediamo noi
rinnovarsi lo stesso tutto giorno dai tanti, i quali anche stabi^
liti da molf anni in Italia, non mostrano di distinguere il v
dair/; il b AdA p, il d dal t, ee.ì Les Allemanda, ci scrìveva
schers^ando, ma giustamente, il succitato nostro corrispondente
olandese , peuvent bien prononcer toutes les consonneè, mai»
ih ont l' ergane de fom assez imparfaitj pour ne pouvoir en
discerner toules les nuances. Si un AUemand entend quun
Hollandais va à la chasse des beren (degli or&i)^ il veut ètte
du par li j el tuer lui aussi les peren (le pere).
ÀI contrario, T autore attribuisce altrove (pag. 173) a varietà
di pronuncia ciò che deriva puramente dalF imperfezione della
scrittura. È noto, come presso tutte le nazioni che adottarono
r alfabeto latino^ la lettera e avanti le vocali e, i, si pronunci
diversamente che avanti Va, Yo qYu; non è quindi da. sor-
prendersi se , nelle glosse d'Isidoro si trovano le due forme
diverse fleische, scheinit, e scaffan, scribaitf per rappresentare
E DELLA LORO GRAMMATICA. 349
il medésimo suono. Ora siccome la forma sch fu adoperata da
aftrì scrittori a rappresentare il suono sci italiano, tanto diverso
dair altro ski, cosi il nostro autore attribuisce all'idioma d'I-
sidoro una pronunzia diversa, e di più pretende, che la pronun-
zia del suono «et incominciasse dalle voci che hanno Ve e Vij
e passasse poi a quelle che hanno Va, Vo e Tu; ciò è un
confondere stranamente i modi di scrivere colla pronunzia, gli
effetti colle cause. Che se Isidoro e tanti altri scrittori germa-
nici erano incostanti nel rappresentare la sibilante sei, questa
circostanza non può somministrar prova favorevole o contraria,
mentre era solo conseguenza dell* imperfezione deiralfabeto, e
della mancanza d'un sistema ortograflco, che vi supplisse. Non
è mestieri ricordare , come ancora oggidì , mentre i Tedeschi
rappresentano quel suono colle lettere sch, gli Inglesi invece
adoperano le sole sh^ e gli Svezzesi le sk; cosi tra le nazioni
romane, mentre T Italiano usa se avanti e ed i, e sei avanti a,
0, u, il Francese invece ed il Portoghese fanno' uso delle eh,
che in italiano rappresentano il suono duro del k, e nello spa-
gnuolo quello del et italiano.
La causa che indusse V autore a quella strana opinione , si
è r aver voluto sostenere, che negli antichi monumenti tedeschi
la e, avanti Ye e Vi, equivalesse a ke, ki, ciò che sarà forse
vero in alcune glosse; ma Taziano, Kerone, Notkero, ed altri,
non usano mai la lettera e in simil guisa, non trovandosene un
solo esempio. Per dimostrare che il fatto era tale neir antica
lingua sàssone, egli si appoggia alle voci ecid, cruci, palencèa, ec.
nelle quali attribuisce ai e il suono duro del k. Ma se avesse
osservato, che ecid era pronunziato dall'antico germanico ezih,
e dal moderno essig; che eruct viene pronuirziato dagli odierni
Tedeschi kreutZj e dagli Inglesi cross; che palencèa corrisponde
all'antico germanico pallanzy onde forse il nome di Pakncia
in Ispagna, e di Pallanza sul Lago Maggiore, in 'tutti i quali
derivati non riscontrasi ombra di k, non avrebbe certamente
attribuito questo suono al ce, ci degli antichi Sàssoni.
Parlando poi della lingua anglo-sassone, l'autore, non po-
tendo opporsi alle prove che militano contro la sua opinione,
confessa, che in luogo dell' anglo-sassone ce, ci, cy, le lingue
romane usano la z, o la ce italiana; che il Frisone vi impiega
le sz, tz; che lo Svezzese, sebbene usi la lettera k, la pro-
nunzia come il Tedesco tseh, simile all'italiano ci; che anche
3S0 DELLE LlIfGLE GEBMATIICBE
r Islandese, servendosi del k. Io raddolcisce, interponendovi un
j tra il k e Ve, Ma , ad onta di ciò , finisce per meltere in
dabio, se gli AngloHsàssoni raddolcissero, o no, la r avanti
Ve e Vi; e si fonda sqU* osservazione, che il e avanti a, q, u
forma alliterazione con ce, cu Ma qui egli non pon mente, che
ralliterazione degli antichi Germani non era fondata puramenle
sul suono, come le nostre rime ; ma bensì sulla forma materiale
del segno, e che tutti i sistemi riamici ci forniscono esempj di
tali irregolarità. Anche la prosodia francese si appaga talvolta
della forma materiale, de foculaire, come si esprìme Olivet
nella sua Prosodia francese, anziché delia pronuncia. D'altronde
non solo egli è fuor d'ogni dubio , che la e raddolciva avanti
Ve e Tf^.ma egli è certo ancora che lo stesso k dei Sàssoni
assunse nelle isole britanniche il suono della ce italiana in
molti vocaboli; suono, che posteriormente passò in retarlo alla
moderna inglese, la quale pronunzia church, chief, ec, eh rap-
presentando il *suono della nostra ce. Ora siccome questo suono
non si ritrova precisamente identico in veruna delie altre lin-
gue germàniche, egli è certo, che nella lingua anglo-sàssone fu
introdotto dalle nazioni celtiche colà stanziate e sottomesse, le
quali, mentre sostitiurono al loro antico idioma la lingua dei
conquistatori, vi adattarono la nativa loro pronuncia. Troviamo
ancora Videntico fenòmeno net dialetti lombardi, i quali scam-
biano il suono duro delle voci italiane chiodo, chierico, chia-
mare, chiaro, nell'altro più dolce cfod, eèregh, dama, dar, ec.
Dal che si può trarre argomento per credere , che le nazioni
celtiche della Gran Brettagna avessero una più stretta analogia
coi Celti cispadani, che non coi Galli propriamente detti, ai quali
é assai verisimile che questo suono fosse affatto sconosciato.
Potremmo qui aggiungere una serie d* osservazioni intorno
alla teoria sviluppata dal dott. Grimm per le altre lettere , e
specialmente per le gutturali, che gli presentarono i fatti meno
conciliabili col suo sistema, essendo questo, in fine, sempre di-
retto a mostrare raffinila del gotico coi dialetti germanici me-
ridìonidi. Impresa assai difficile invero, mentre il sistema fone-
tico, ch'è pur di sommo rilievo air etnògrafo ; ci rappresenta
invece la lingua gotica molto più affine alle soandinaviehe ed
alle germaniche inferiori. Ci basterà per ora avere accennata
r impossibilità di fondare una teorìa certa dei suoni di lingue
estinte, desumendoli dai segni che li rappresentano; poiché sic-
E DCLLiV LORO GRAMIRATICA. 3K1
eome i segni sensibili non hanno altro rapporto coi suoni, se
Don quello che assegnò loro la recondita convenzione delie
nazioni che li usavano, cosi, finché non ci vengano rivelate le
fondamenta di. questa convenzione, qualunque tentativo, rivolto
a scoprire quei rapporti, non potrà essere se non sistematico
ed ipotetico.
Il dott. Grimm non ommise d'adattare al suo sistema anche
la teoria delle flessioni, nel secondo libro, ove prende a trattare
delle declinazioni e delle conjugazioni. Anche qui egli entra
in una folla di raffinatezze grammaticali, le quali, stancando il
lettore, rendono arduo fuso della sua grammatica. Dopo aver
moltiplicate le declinazioni e le conjugazioni, talvolta oltre i
limiti della precisione e della chiarezza, introduce una nuova
distinzione grammaticale , separando le declinazioni e coujuga-
zioni forti dalle ofe6ó/t. Chiama forti (»tarke) le più antiche,
e proprie delle radici primitive; deboli (schwaché) quelle delle
voci derivale, nella cui forma venne intrusa una n per le de-
clinazioni, od altra consonante per le conjugazioni. Questa di*
stinzione,. quand'anche giusta, rende più complicata la tessitura
dell'opera^ ed accresce il già soverchio numero delle suddivi-
sioni, t
Quanto ai verbi, egli propone quindici conjugazioni di verbi
per le lingue gotica, e germanica; quattordici p^r T antica sàs-*
sene, anglo-sàssone, frisica ed islandese; mentre i varj filologi
che compilarono la grammatica di queste lingue, ne additano
un numero assai minore. Cosi il rinomato autore produce tre
forme per i passivi gotici, delle quali la terza, essendo perfet-
tamente identica alla prima, si potrebbe ommettere, comunque
appartenente alia terza conjugazione debole. Qui si potrebbero
in quella vece^ introdurre più opportunamente ì varj esempj,
che offrono i rescritti delfÀmbrosiana publicati posteriormente
dal conte Castiglioni. ^
Mentre dall'una parte si estese alquanto nella teorica delle
conjugazioni delle antiche lingue gotica, islandese, anglo-sàsso-
ne, ec, lo troviamo poi troppo arido nelle conjugazioni iiMt'^n^ì<^^
lingua frisica, delle quaU non dà che un cenno, senza citar le
fonti dalle quali le attinse. Basti il dire, che in una sola pagina egli
racchiude tutte le flessioni di quattordici conjugazioni di verbi,
compresevi le osservazioni ed eccezioni rispettive. Ommette poi
interamente le conjugazioni dei verbi inglesi del periodo di
3S3 DBLLG LIN6UE GCRMANICHE
mezzo , per modo che. anche per la luigiia inglese manca in
parte quest* importantissimo anello intermedio» come per le sean-
dinaviche.
Il secondo ed il terzo volume^ che insieme ammontano a 1800
pagine, racchiudono F interessante teoria dc^Ha formazione delle
varie parti del discorso. È questa forse la parte più importante
dello studio grammaticale, sebbene quasi ignorata dagli aaiicfai,
e troppo negletta dai moderni. Nello studio comparativo delle
lingue è di sommo rilievo, perchè rivela rapporti, che non
lasciano dubbj sulla loro affinità , o differenza , ciò che non è
sempre vero dei rapporti etimologici sovente fallaci»
Possiamo considerare. lo sviluppo filosofico di questa dottrina
come opera dei nostri giorni, dovuta particolarmente ai Ger-
mani, tra i quali Adelung, Buttmann, Grotefend, Becker e Rask,
che ne mostrarono Futilità e T importanza, e ne applicarono
i principi a varie lingue. Dopo aver appreso l'artificio usato
in una lingua per la formazione delle parole, il dizionario non
atterrisce più lo studente, che se lo vede, quasi per incanto,
di grosso volume ridotto a poche carte. Le radici di tutte le
lingue sott poche assai, e^i nove decimi circa delle parole che
impinguano i nostri vocabolarj sono derivate, per modo che lo
scolare esperto della formazione delle voci, ne ha già appreso
i nove decimi. Taylor, nella sua edizione del Dizionario greco*
latino di Schrevelio, introdusse una raccolta di sentenze, le
quali comprendono tutte le voci greche primitive; ed il testo
greco occupa appena quattro fogli; si picciolo ò il numero degli
elementi, dai quali si genera la ricchissima lingua greca i
Non possiamo qui dissimulare, che, nella grammatica del dott
Grimm, avremmo desiderato vedere questo trattato premesso
alla teorica delle flessioni, ciò che sarebbe stato senza dubio
più consentaneo all'ordine naturale; giacché egli è chiaro, che
debbasi premettere la divisione^ ragionata delle parti del discorso
alle regole particolari di ciascheduna ; e la divisione delle parti
del discorso porta seco la necessità di stabilire coi caratteri che
le distinguono anche le leggi della loro formazione. 11 dotto
autore amò meglio posporla, e noi non vorremo eertamente
apporglielo a colpa. Certo è , che mostrò di conoscere ed ap-
prezzare la somma importanza di questa teoria,. coi profondi
studj manifestati ne' due citati volumi, nei quali trovasi larga-
mente profusa tutta la dottrina dal soggetto richiesta. Ma, men-
E DELLA LORO GRAMMATICA. 383
tre ammiriamo T impassibile costanza e T indefesso zelo nel rac-
cogliere tanti e si preziosi materiali, non possiamo imsiginare
che alcuno voglia e possa percorrere qnasi due mila pagine
fitte, generalmente composte di semplici parole staccate» di
cifrOy e di abbreviazioni e citazioni, interrotte da diversi carat-
teri, ed in varie lingue. La distribuzione di tanti materiali, ed
il modo con eui vi sono rappresentati, sembrano veramente de^
stinati a mettere alla prova la pazienza del più impavido e
Treddo specnlatore. Lo studioso che vi cerca le leggi proprie
d'una data lingua per la formazione delle sue voci, è costretto
a balzure'di qua, di là a tentone, per cercarvi le linee sparse
che vi si riferiscono, e per leggère una sola pagina, deve per-
correrne cento. In quella vece il linguista che vi cerca ì* rap-
porti delle leggi delle varie Knguev al quale oggetto soltanto
l'ordine delle materie sembra diretto, vi trova una congerie di
fatti, senza dilucidazioni, ^e talvolta senza appoggio, dai quali
poco vantaggio può ritrarre, se prima non chiede a sé stesso
€ùme e dove e perchè?
Oltre a ciò, sembra che T autore, troppo inclinato alle sotti *
gliezze metafisiche, ed alle divisioni air infinito, abbia voluto
semplifieare le radici»' anche dove ne manca del tutto il fonda-
mento. Finché egli divide la voce inglese drinker, nella radicale
drink, e nell'affisso derivativo er, ohe serve à cangiare F attri-
buto in soggetto, anzi ad unire soggetto ad attributo nella stessa
voce, la cosa é tanto chiara, quanto esatta. Ma se poi riprende
la radice drink, e suddividendola in drin e k, ci presenta anche
quest'ultimo come affisso derivativo, avremo diritto di chiedere,
quale sia il primitivo significato di drin, e quale influenza vi
esèrciti r affisso kf Ora tale è appunto il modo dell' autore,, il
quale (pag. 279) divide le parole inglési. 6eneA, stork, thanky
folk, worki ec., e ^lichiara le finali eh, k, affissi derivativi, senza
esaminare se ben, $lor, than, fot, ec. siano poi vere radici,
quale ne sia il valore, e simili.
11 quarto volume, che vide la luce nelKanno 1837, non è
minore degli altri, e contiene presso. à mille pagine egualmente
fitte, con un prodigióso numerò di notizie. Ivi il chiaro autore ^
tratta della sintassi, e ne sviluppa teoricamente e praticamente
le due prime parti. Egli divide questo . trattato in cinque se-
zioni: nelle due prime, che formano il soggetto di questo vo-
lume, prende. ad esaminare là proposizione semplice, conside-
354 DELLE LINGUE OERMANiqPB
rata nel nome e nel verbo; nella terza comprenderà le leggi
della proposhione composta; nella quarta tratterà della con-
gìonsione e della negazione; nella quinta finalmente si estenderà
sulla disposizione ordinata delle varie parti del discorso, ndile
sentenze. Per modo che se». dopo la sintassi, T autore intende
sviluppare ancora le regole della prosodia e della versificazione,
presso le varie nazioni germanicbe, dobbiamo ancora aspettarci
per lo meno due grossi volumi, a compimento di questa gram-
matica laboriosissima e monumentale..
Il metodo è lo stesso dei volumKprecedenti; tiitto vi è egual-
mente ordinato, secondpilsuo particolar. sistema, ed egualmente
copiose e fitte vi sono le citazioni. Se noa.che.vi. si mostra
menò arido neir esposizione di quanto appartiene ^r indole .par-
ticolare delle varie lingue, e da profondo conoscitore della loro
tiessitura e dei loro monumeiiti, presenta numerose osservazioni
affatto nuove ed interessanti. Verremmo ad oUrepasisare. i con-
fini d' una Memoria, se dovessimo entrare nei particolari di que-
sto volume, il quale ci fa sperare, che Fautore voglia estendersi
più convenevolmente ndla quinta sezione, come quella che, me-
glio d' ogni altra, è atta a rappresentare Ja filosofia delle lin-
gne, ed a mostrare i caratteri irrefragabili dei loro rapporti.
Se non che, per quanto riguarda le antiche lingue^ l'impresa
«ì sembra superiore ai mezzi; i quali ^ per la lingua gotica,
per la franca^ e per T antica sàssonein partieols^e, si riducono
a mere traduzioni^ anzi a traduzioni dei libri aacri, le quali,
per la natura del soggetto, essendo rìgida fedeltà alla lettera,
dovettero allontanarsi talvolta dalla costruzione più consentanea
al genio delle diver^ lingue. Epperò al filologo , che su tali
documenti cerca le leggi deUja costruzione degli antichi idiomi,
non rimane altro sussidio^ fuorché dVadalrtarsi . ciecamente a
queste violente inversioni preserilte dalle circostanze, o inter-
pretare arbitrariamente T ordine naturale, che le varie parli
del discorso avrebbero dovuto seguire in ciascuna lingua.
Conchiuderemo, riassumendo quanto abbiamo sin qui .esposto,
cbe la Grammatica 4el dott. Jacopo Grimm è una miniera ine-
sauribile delle più preziose notizie sui priueipj costituenti gFi-
diomi germanici^ non die sulla loro letteratura antica e mo-
derna; ma perchè tutte queste notizie possano riusetre di verace
vantaggio ai coltivatori di simili .studj, è prima. necessario che
siano alquanto depurate dall- influenza del siskema, che le rese
E DELLA LOnO 6ftAI|BIAT|CA. ^^
sovente peiieolo86'e scMsp^tte» e pia di tutlo ancora elie.siaiitf
convenevolodeiite ordibate, e eon maggiore chiarezza esposte <
sviluppate. Faceiamo qaiiidi voti^ efae- qualche, dotto sett^Btrio--
naie, interpretando la m^nte dell' illustre aittore, si accinga a
questa utilissima impresa, e renda atta quest'opera ad essere
posta nelle mani della gioventù , alla quale è riservato racco-'
glìere le tant utilie deduzioni, che da simile lavora possono sca-
turire. Ma^ perchè le deduzioni siano giuste^ naturali e apon*?
tauee, è dttopo sopratutto che il rifonditore della Grammatica
del dott. Grimm si spogli di qualsiasi prevenzione, e da osser**
vatore imparziale esponga i fatti quali sono, e non quali de^
vrebbero essere, per giungere a conclusioni prestabilite. Ove poi^
nella rifusione delPc^ra, venga ordinando in serie separate
le successive modificazioni cui soggiacque nei secoli ciascuna
lingua, risulteranno molto più sensibili levarle lacune dall'au-
tore lasciatevi, massime nello sviluppo delle lingue scandina-
viche.) e di alcune fra le teutoniche inferiori, quali sono: la
frisica moderna, l'inglese dei tempi di mezzo e la moderna
sàssone, considerata ne' suoi molteplici dialetti.
OHre a ciò, per conseguire pienamente il fine, al quale una
grammatica isterica deve ordinarsi , sembra ancora necessario
che, mentre si vanno gradatamente enumerando le varie mo-^
dificazioni subite da una lingua, si accennino nello stesso tempo,
per quanto è possibile, le varie cause estranee che più vi con-
corsero. Per tal modo, oltre al far manifesta l'origine delle
tante irregolarità che rendono difficile lo studio delle lìngue ,
e rendono perplesso l'etnògrafo, vengono ancora opportunamente
distinte tutte le forme che le lingue assunsero spontaneamente,
nel corso dei secoli, da quelle che vi furono per violenza in-
trodotte dalle altre nazioni.
Un altro desiderio ci resta a manifestare prima di lasciar
questo grave argomento, ed è, che il nobile esempio dell'autore
possa essere- sprone ad altre nazioni, e trovar valenti seguaci,
che s' accingano all' impresa di tessere l' istoria filosofica delle
varie loro lingue. Una simile impresa sarà senza dubio fe-
conda de' più felici effetti, ed aprirà vastissimo campo alle spe-
culazioni dei pòsteri. Allora almeno avremo preparati, come
osserva egregiamente il dott, Grimm, i veri materiali per la
primitiva istituzione della gioventù, la quale in tutto il mondo
incivilito consacra gli anni più preziosi della vita allo studio della
356 DELLE LINGUE GEtlHAlllCRB E DELLA LORO GRAMIIATICA.
lingua latina , senza altro fine che la lettura di tfnei classid.
Raccoglìanio pare ed insegniamo i precetti delie antiche lingae,
ma rappresentiamole come studio fondamentale di quelle di
cui dobbiamo valerci negli usi communi della vita, come fonti
da cui queste scaturirono, e come congiunte aHe lingue d'altre
nazioni , che vennero considerate per secoli come tante razze
diverse. Ma non risvegliamo le rivalità^ non introduciamo le
passioni nella scienza! Abbiamo bisogno di scoprire la verità,
di mostrare coirirrefragabile testimonianza dei naturali rap-
porti, che siamo fratelli. Poco monta se tremila anni fa gli an-
tenati nostri conquistassero il mondo, o, come le tribù pro-
scritte dei Paria, errassero ignobili per foreste e deserti! Apriamo
senza ambagi il libro dell' universo , e svolgiamone le miste-
riose pagine: questa è la gloria alla quale dobbiamo aspirare.
X.
SUI
CANTI NAZIONALI
DEGLI SLAVI
f^^
X ra i sublimi quadri the la naiura semplice ed inculta offre
talora, egli è pur commovente allo straniero, che osa inoltrarsi
negli inospiti gioghi della Servia, della Bosnia, deirErj^egovina,
del Mónte-Negro, della Dalmazia, lo scorgere un vigoroso stuolo
di giovani pastori, raccolti alFonobra d* atHichissima pianta, in-
torno ad un canuto vecchio, che col flebile liuto sulle ginoc-
chia, assorto nelle avite tradizioni, ripete loro canzoni amorose,
patetici lai e gesta di guerrieri. La quiete che regna in quelle
valli ridenti attorniale d'inaccessibili balze, gli armenti sparsi
qua e là senza custodi, la reciprocanza degli affettr, la sempli-
cità dei costumi, le lagrime che talvolta i modulati accenti del
vecchio traggono da queir attònita turba, forifiano mirabile con-
trasto col pugnale che scintilla al fianco delle doilzélie, e col
pesante archibugio che pende dagli omeri del pastore.
Questa nazione , ammiratrice della sublime natura , sobria ,
'naturalmédte proclive alla vita campestre, oltremodo gelosa dei
suoi diritti e della sua liberta, percorrendo le native nìontagne
colla canna pàstoreccia in una mano' e Farehibugit) al dorso,
alterna le cure della vita, ora guidando gli armenti, ora confi--
battendo i nemici. Anch'essa ebbe i valorosi, che caddero
per la patria e per Cristo, e ne immortalò le gesta con carmi
inspirati; ma invano ricerchi i nomi degli antichi suoi bardi,
le pergamene cui affidarono le loro saghe. Qui la natura e
il cielo maestoso e ridente profusero ovunque il dono della
poesia e della musica; i vecchi, neire ore di riposo, ripetono
di figli i canti che appresero dai padri, e mentre, col racconto
delle prodezze degli avi, informano gli animi alia virtù, col di-^
pìngere le sciagure della patria, li infiammano contro i nemici.
Questa nativa attitudine alla poesia, commune a tutte quasi
le primitive società , apparo oggimai generale presso tutte le
360 SUI CAKTI NAZIONALI DEGLI SLAVI.
nazioni slave, e il prodì^oso numero di canzoni nazimialì, che
si vanno qua e là raccogliendo presso gli Slavi dì Russia , di
Polonia, di Boemia, di Lnsazia, d' Ungheria, d' IHiria, potrebbe
porger materia di paragone colle memorie dei, rapsodi Greci,
degli Scaldi di Scandinavia , dei Bardi di Scozia. Noi non ver-
remo rimescolando le antiche controversie suH' autenticità dei
poemi d'Omero e d'Ossian. Diremo però, che i molti canti na-
zionali propri delle popolazioni illiriche^ somministrano un chiaro
esempio ti' antiche poesie sparse in una vasta regione e con-
servate oralmente, le quali, aggirandosi per lo più sopra te tra-
dizioni li' un popolo, ed essendo modellate sulla natura del
hiogo che le inspirò, potrebbero, opportunamente distribuite,
comporre un comples^ regolare e proporzionato nelle varie
sue parti. Che anzi ve n'ha taluna che, per ampiezza di tes-
suto e regolare condotta, forma un compiuto poema.
Prima però d'entrare nei particolari di quest' argomento, giova
premettere alcune notizie istoriche e geografiche intorno alle na-
zioni alle quali questi componimenti appartengono, ed alla lingua
in cui furono esposti. E prima di tutto avvertiremo, che il nome
di nazione serbica non è qui ristretto ad esprimere il piccolo
numero di Slavi che vive nell'attuale principato di Serbia o
Servia, ma comprende altresì Uitte le nazioni illiriche le quali,
sebbene separate da varj secoli, palesano una commune origine,
e parlano dialetti d' una medesima lingua»
L'antico lUirUo, ai tempi romani, abbracciava la vasta regione
posta fra l'Adriatico, il Danubio,. il mar Nero e il monte Emo;,
ed i suoi abitanti primitivi formavano un numeroso popolo
strettamente collegato coi Traci. Versa la metà del secolo VI,
questa parte d'Europa, devastata dalle frequenti guerre degl'im-
peratori, e dalle repentine invasioni degli Unni, dei Goti, degli
Avari, venne inondata da immenso sciame di Slavi , i quali
furono poi distinti col varj nomi di Bùlgari, Servi, Bosnii, Croati,
Slavpni e Dàlmati, Alcuni istorici, conservando l'antica deno-
minazione data dai Romani al paese , li indicarono complessi-
vamente col nome d' lllirii. Naturalmente inclinati alla vita pa-
cifica e sobria, gli Slavi, tosto che furono a prossimo contatto
colle incivilite nassioni meridionali, abracciarono il Cristianesimo,
nel corso dei secoli VII, Vili e IX, e fondarono diversi regni,
che , dopo essere stati a vicenda più o meno potenti , furono
da nuovi invasori alla loro volta distrutti. Le rivalità che, fin
SUI CANTI NAZIONALI ITEGLI SLAVi: 36i
dalla loro prima comparsa nella istoria, li* trassero tra loro ad
aspre guerre, e la varia sorte cui furono alternamente soggetti,
cadendo sotto la dominazione di priaeipi italiani, tedeschi, mà-
giari e turchi, finirono a separarli in tante nazioni distinte,
interrompendo fra loro ogni commercio.
Tra ì primi i Bulgari forono battezzati da Cirillo e Metodi»,
benemeriti propagatori del Cristianesimo presso le nazioni slave,
cui providero' eziandio d' una versione dei libri sacri. H regno
loro fu in continua guerra contro i Serbi, i Grpci, gli Uiigari
ed i Turchi. Dopo aver trionfato dei Serbi, caddero, nell'an-
no H7S sotto il domìuio degl' imperatori greci, dal quale pas-
sarono, nel 1396, sotto il giogo ottomano, e vi trassero una
calamitosa esistenza fino ai di riostri. Ma non ostante T intro-
duzione dell'Islamismo nelle lóro terre^ si serbarowo fedeli dita
chiesa greca. Alcune mìgliaja vivono ancora in Macedonia, eolà
trasportati dal torrente delle vicende.
I Serbi, propriaménte detti, ftirono governati per alcuni sè-
coli da principi nazionali, chiamati Shupm. Otto re e dm
imperatori discesero dalla chiara stirpe Nèmanic. La loro isto-
ria è pure una serie continua di guerre contro gì' imperatori
bizantini, e i chan dei Bùlgari, dai quali ftirono per un istante
soggiogati; ma liberatisi ben presto, si riordinarono, e divennero
oltre modof potenti, sotto il loro Czar Stefano Duscban, il quale
dettò all'imperatore di Bisanzio condizioni di pace, e domina
sulla Serbia, sulla Bulgaria e sulla Macedonia. All'immatura
sua morte, i suoi Stati furono divisi da varj piccoli prinripr,
tra i quali il valoroso Lazzaro peri a Kossovo, combatteido
per la religione e la libertà K È questi uno <kgli eroi celebrati
nelle canzoni serbiche, le quali tuttora odonsi ripetere fra i
monti che furonn il teatro delle sue gesta.
Indeboliti dalle discordie intestine, i Serbi, nel 1565i ^
giacquero al dominio turco , sotto il quale fremettero fin qu^
ai nostri giorni. Negli ultimi tempi però un raggio di libertà
rifulse ancora sul loro orizzonte; poiché, rési solo tributari
della Porta e retti da un principe nazionale, possono far riso-
nare liberamente fra le loro balze i canti <^ i:ammentano la
• Nella slessa battaglia cadde eziandìo il sultano Amurat 1 , per mano di
JUilosc 0|}iU(i, genero di Lazzaro Grebliànoviò.
24
$6Ì SVI GANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI.
memoria di DiuelMiD^ di. Uozaro, di Marco Kraljeyìc e di A^
J^an ^
Oltre. a qnelli cbe eompoa^po la popolazione dell'attuale
principato di Serbia, trovansi aleane migliaja dì Serbi neirim-
pero austrìaco, più particotarmente nel Sanato, e nelle contèe
meridionali d'Ungheria, da Semlino a S. Andrea presso Buda,
ì quali \i 81 rifuggirono 9 in varie età, per sottrarsi al flagello
oÉtomano* Fin dal 1690, ii.potriarea Arsenio IH eonigrò dalla
Seriiia in Ungheria con treaitasette mila femiglie; e nel 1737,
Arsenio IV segui le sue tracce, con unnumevo ancora mag-
f^e; ciò che portò una ferita insanabile air agonizzante cul-
tura di queUa nazione.
I Bosnii, dopo essere stati uniti ai Serbi fino al secolo XIV,
iMidarono un regno separato, che comprendeva il Monte-Negro
e r Erzegovina, cosi clamala dopo che Federicp III conferi
al principe Stefano il titolo di JDfica (JUerzog). Ma questo regno
eU>e assai breve, durata, peroecbè. nel secolo seguente cadde
ki potere degli Ungari, e nel XVI divenne preda dei Turchi,
die vollero imporre ai vinti il Corano. La ma^ior parte però,
in onta aBa scimitarra tutca, si conservò fedele al Cristianesimo,
ed< appartiene aUa diiesa grecai cento mila in circa sono cat-
tolici.
Di tutti gli Slavi che fonnano parte dell' antico regno di
j^snia, i soU Montenegrini non furono mai soggiogati dai Tur-
chv; ma fra le imóspite rupi si . reggono a forma di republica
militare, cui presiede , il :ye$eov4>. coi^ a^ai limitato potere.
i Croati fondarono verso Tanno 640 un reg^o n^Ua i*egìone
da loto attualmente occupata , dppo averne espulsi gli 4vari.
I Alcuni slatttori pretendono, cbe questa tribù stanziasse in
Europa, prima ancora degli altri Slavi meridiioi^li; alla quale
ofunione préslapo forte argdmentp. alcune impronta fisiche e
morali, che li di&tingoono dagli altri tutti, e la posizione loro
■ '■ ■ * ' » •
• )9f>n un trattato fra la Porta e la Serbia, guarentito dalla Uussia, la Serbia
venne riconosciuta semplice tributaria della Porta. Il Firmano spedito non tia
guari dal Gran Signore al ba$cìà di Belgrado , Ira vàrj privilegi , accorda ai
Serbi ancora i seguenti t ki^piiena Ubcrtli del catto; la fao«Uà di scegliere i
capi del loro governo ; l' indipendenza dell^ amministrazione ; V integrità del-
r antico territorio; la libertà di commerciare in tutto r impero ottomano con
passaporti serbici; la facoltà di stabilire scuole, stamperie ed ospitali ; 1* in-
terdizione a tutti i Turchi di risiedere in Serbia^ eccetto ì presidj d* alcune
fortexze , eie. ec.
9U1 CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 363
più inoltrata vèrso' il centro d'Europa. Ma la loro isttffia è
molto oscura, e resa ancora più incerta dalle discrepanze degH
scrittori. Certo è, che sostennero lunghe e sanguinose lotte con-
tro gli Ungarì, ai quaH furono poscia aggregati per eredità; e
formando piarle del regno ungàrico, passarono poi <^on questo
sotto la dominazione austriaca, alla quale obbedirono , senza
interruzione, fioo al presente.
Gli' SlavonI si stabilirono nella picoola striscia di terra com*
presa fra la Drava e ia Sava; anehe il loro regno fu di breve
durata, poiéhè lìlrono con quello di Croazia incorporati nel-
r Ungheria, quando Lepa, sorella di s. Ladislao, riunì sul capo
fraterno le due corone. Cogli Ungari passarono poscia air ob-
bedienza austriaca.
I Dàlmati stanziarono lungo le cos|e deirAdriatico, da Fiumci
fino a Càttaro, e vi fondarono ai tempi delF imperatore Er,af^
dio un regno che conservò T antico nome di quel paese.
Dopo aver lottato con varia sorte contro fa republica vèneta'»
passarono per diritto di successione sotto la eorotia ungàrica,
de' cui domiAj formano parte ancora. Nel regno di Dalmaz^p
intendianào comprendere eziandio la piccola repuWica di Ragusi^
la quale, sebbene per tanto. tempo sqparata ^'interessi politici
dalle terre circostanti, può riguardarsi Cornee cUtta e sede della
cultura ilUrica. •*
Vi si comprendono inoltre quei Moriacclu che, sebbene apr
partengano ad naia famìglia distinta^ formano partci dei Dàlmati,
e parlano il medesimo dialetto. Sogliono i Dàlmati battolici . apr-
pellare Vfidacchi (Vlach) ì loro fratelli addetti alla chieda grfica;
e quindi hanno dato ad altri il nome di Morlaecbi (Marvla^),
che significa, secondo alcuni; Valacchi neri; secondo altri, -con
più ragione, Valacchi marinimi; diciamo con più ragione, poi-
ché infatti i Morlacchi di Rotar e d^Ile pianure di Segna e di
Knin non sono bruni, ma biondi.
• Ora, tulli questi popoli, abitando da varj secoli le regioni
deirantieo /Mmco^ furono coll^tivamente designati dagli scrit-
tori col nome commune :di UHtii, i soli Bùlgari. eccetMiati.; i
<iuali, avendo adottata la lingua ilHrica, sebbène. corrotte dalla
vetusta forma della primitiva e dalle voci Uirche> dèvwo pur§
esservi compresi. Siccome poi, non ostante la separazione non
interrótta da tanti secoli, e il dominio di tante nazioni alle
quali soggiacquero, conservarono presso cl^e intana la medesima
564 SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVK
feyeHa, cosi venne applicato anche a questa il nome à'Iltiriea.
Ma negli ullimi tempi essendosi osservato da moderni seriltori^
come T antica denominazione A'Illiria cangiasse più volte si-
gnificato nel corso di pochi secoli, a misara che il fluttuare
continuo delle vicende politiche ne allargò, o ristrinse i confini,
e trovandola quindi troppo vaga a precisare i limiti entro i
quali quest'idioma si paria, T abbandonarono, e vi sostituirono
l'altra di nazione e lingua serbica. Siccome peraltro questa se-
conda denominazione non è meno impropria della prima, e
vnle solo a destare frivole rivalità nei varj membri d*una me-
desima famiglia , così comprenderemo tutti questi popoli , che
dalla Stiria e dalla Garin tio si estendono tra T Adriatico ed il
Danubio sino al mar Nero, nel nome collettivo di Slavi meri-^
dionaH , il qnal nome si potrà applicare egualmente alia loro
lingua, ove non si voglia preferire quello d'Illirica..
Riassumendo:' questa lingua si parla, con lievi modificazioni,
da oltre cinque miKoni di Slavi sparsi in Bulgaria , in Mace*
donia, in Servia, in alcune contee meridionali dell* Ungheria,
in Bosnia, in Erzegovina, nel Monte-Negro, in Dalmazia^. Sia-
vonia^ Istria, Croazia, Gapniola, Stiria e Garintia. Le difierenze
de' suoi dialetti sono di poco momento, e consistono. principal-
mente nella pronuncia. U chiaro rieoglitore dai loro Ganti
nazionali, il benemerito Wuk Stephànovic Karadeio *, il quale,
naio in Serbia e dedito sin dalla prima gioventù allo studio
della patria lingua , ne percorse con occhio indagatore tutto il
dominio, appuntò fra tutte quelle nazioni tre soli dialetti > e
sono: l."" il dialetto erzegavdnieo, parlato in {Erzegovina, Monte-
Negro, Bosnia, Dalmazia, Groazia, Garintia», e nella parte su-
perióre della Servia fino aMatschva^ Yaljevo e Karanovac;
2.^ il ressàvico parlato in Brariitscevo, fino ni Timok, in
Ressava , nei distretto di Parakin ed in Kriseevac fino a Kofr-
sovo; 5." il sirmico, parlato in Sirmia, in Batschka, nel Sanato
di Temesvar, ed in Servia, tra la Sava, il Danubio e la Morava ^.
Di qui si scorge, come egli escluda da questa famiglia i Bùl-
gari, che in numero di oltre mezzo milione, trovansi sparsi in
Bulgaria e Macedonia. Di fatti» oltre che i primitivi abUanti di
questa regione, coi quali i Serbi si fusero, non erano in ori-
• NaroUns Srb$k» Piesme^ ec. ossia, Haccolta di Canzoni serbiche. Lipsia,
1841. Voi. 4.
* Per quanto spella alla classificaiione di quéste lingue ed alla loro lettera-
tura veggasi il mio Aliante Linguislico (TEuropa. Voi. I^ pag. sos
SUI (UNTI NAZION/IlLI PPGLl 9LAVI. 36i(^
gtae Stevi, ma Traci, come abbiamo acoen^ato^ vi si aggianseTd
poi altre nazioai; e ne risultò uo papale mista di Slavi,. Greci,
Albanesi e Tatari. In una proporzione presso che eguale, apche
il dialetto ivi parlato assunse voci di tutte le disparate^ Ijague
di qvelle nazioni, eosicehò si può con ragione riguardarlo, come
dialetto distinto; ma non cessa per questo d'essere un dialetto
slavo afSne al sèrbico, eoi quale ha eomBumi alquanti caràtteri
fondamentali.
Se la separazione degli Slavi meridionali in tanti piccoli Stati,
se hi varia loro sorte ed iK continuo eommereio con nassioo^
diverse non infittirono ad alterare sensibilmeate 1^ communi^
loro favella, era però naturale che dovessero contribuiire al vario
suo sviluppo, aceelerandolo colà, dove fioriva uno Stato, er^lr,
lentandolo sotto r oppressione straniera. Goal avvenne di fattir
e possiamo dire, che qvasi tutte le provincie a vicenda ebberp
letteratura propria, senza che T incremento dell' una abbia po-
tuto esercitare influenza nell'altra^
Tra le cause che principalmente concorsero a tracciare una
divisione indelèbile nello svihippo letterario dei dialetti slayi
meridionali^ dobbiamo annoverare la religioner per la fatale se-
parazione deHa chiesa greca e iella latina. Il primo monumenti^
scritto che si conosca presso quei popoli cooiparve col Cri-
stianesimo nella versione deHe saere Carte. Siccome furono piro<-
pagate per le predicazioni di missionari greci e latini, ne venne,
che i primi introdussero presso gli Slavi orientali l'alfabeto
ciriUkùy ed i secondi fecero usò del laUno presso gli occidentali.
Questo semplice fatto, ebe in origine fu naturale conaegi^eiizfi
della posizione delle varie provincie, bastò col tempo a separare
i figli della chiesa greca da quelli ^ella Ialina; imperocché
quando la corte di Roma, proscrivendo la veraifOne^ biblica di
Metodìo, impose a tatti i fedeli Tuso della latina o della greca,
quelli ohe vi si opposero, tra i quali i Serbi propriamente detti,
conservarono r alfabeto cirillico, ed i Dàlmati che possi^eirano
la versione slava della. Bibbia nelF antichissimo alfabeto glagali-
tico, attribuito a. s. Girolamo, ottennero dal Pontefice di valersi
della propria lingua e di quella versione nelle pratiche reU-
^ose; per modo che sin da principio tre furono gli alfabeti
che vi prevalsero '. Comunque inefficace sembrar possa. questa
' ' * • • }
• Veggasi d questo proposilo fa Mola («) a pag.xxxix nel precedente discorso
Sulla yUa^ sugli Scritti del conte C O. Castiglioni.
556 SOI e ARTI KAZIONALI »BGLI SLAVK
diversità d' alfabeti, essa ìaAqI particotarmente presso qvei po-
poli ad impedire la formazione d'una sola repnUica letteraria,
unico mezzo per determinare una lingaa, e avanzar rapida^
mente nelle istituzioni oiviK.
A questa prima divisione si aggiunse una ^seconda, presso
^t Shvi cattolici; perociehè gli Slavoni ed i Croati, che usavano
r alfabeto Matino, adottarono nella loro letteratura profana no 1
sistema ortografico diverso da quello dei Dàlmati; onde avvenne j
che, mentre tutte quelle genti potevano conversare facilmeate
f^ loro per eommunanza dì dialetto, non s* intendevano negli
scrìtti per discrepanza ortograica, e i loro libri apparteaoero
esclusiTamente alla rispettiva provincia. Fu questa una dellecause
che tennero dividi i letterati di Serbia da quelli di Slavonia e
di Dalmazia. Per questo appunto ctaseuna provincia ha lette-
ratura propria e indipendente , pur parlando uda Hiedesinii
lingua. I
Per buona ventura vi si apprestò rimedio ai no$iri giorni,
coir introdurre una nuova ortografia empiite e ragionata, che
sf adottò da molti Slavi neri^nali , isoli Serbi eccettuati^ i
quali conservano l'alfabeto cirillico* Da qvesta riforma^ la coi
diffusione è in parte dovuta al benemerito dott. Lodovico Gaj,
dobbiamo riprometterci i pia fawistì effetti; e facciamo voto, ehe j
quella generosa nazione si spogli dcMe rivriilà municipali, e tatta '
si unisca sotto una norma conunune a formare una sola lette-
raria republica.
A rallentare lo sviluppo delle lettere iUirìdie contribuì ancora
Tnso dell' antica slavónica, ossìa lingna ecclesiastica, neUa qoaie
furono compilate sin dai primi secoli molte opere preziose saere
e profane. Più tardi ^i Slavi meridionali estivarono eommuno-
mente la latina, sopratutto dopo le vicende della. riforma reli-
giosa; e r italiana ebbe moki cultori in Rugosi e nelle Provin-
cie più occidentali delFIlBria; cosicché se fiorirono in varie eli
ie rettore e le scienze in Serbia ed in Dalmazia, prineipahneate
in Ragusi, TAtene degU Slavi marittimi, sotto la direzione di
dotti italiani e greci, che vi trovarono ospitale rifuso dalhi stra-
iÉteì*a perseeuzione , la lingua nazionale vi rimise per lunga
stagione negletta.
^ i primi ohe sentirono la necessità di coltivarla e farla stra-
mento del sociale progresso, furono i Dàlmati, i quali, se cre-
diamo a Làseari, Gaboga e Gradi, ebbero distinti poeti nazionali
SOI CANTI NAZIdNALi DEGLI fiLAVK 567
sin dal secolo X. Con tutto cid i priori padri della poesia illi-
rica apparvero solo verso la fine del XV in Ragasi , e fturoao
Giorgio Darzìc, Sigismondo Menze, Marco Vetrame e Niccolò
Dimitri. ^
V abate Ignazio {iiorgi, il più lodato poeta dello scorso secolo,
sopranomò i due i^riini il Petrarca di il Boccaccio degli Illirici^
Sipmmndvi^ Menzius, cosi egli si esprime^ inler p0eia8 i%-
rioùs primus , mtaie comvus Georgia Darma ; iiuim ineunto
anno ÌS90 uterque floruiL Aunm ex his altemun Petrarchamt
Boceacium alterum Utyrieas poeseos appellare; nam et elegarilia
iéioimatìg et senieniiarum maviias in ipris passim emineL Sulle
traccie di questi padri della poesia nazionale mossero nel corso
del secolo XVI molti distinti scrittori, tra i qnsii citeremo An*
drea Subranovic, Niccolò Noie, Francesco Lóccari, Marino Bo^
resic, Domenico Ragnina, Simone e Domenico Zlataric, Savino
e Francesco Bodoli, i due Boùa, Andrea Sorgo, Stefano Gozze
e Marino Mazibradio. In particolare Ragnina e Zlatarie promos-
sero il nazionale incivilimento , voltando nella pàtria favella le
prmeipalrproduzioni strania*e. Dopo questi comf^irve Gianfran*^
Cesco Góndola, il quale apprestò, forse primo fra gli stranieri,
una bella versione della Gerusaleniane liberata^ e avendo soUet
vaio alla perfezione il Dramma nazionale, fu venerato dai pòsteri
come il miglior poeta della nazione. Nel secolo precedente, Ve*
tranic avea tradotto dal greco T^uòa d'Euripide, Luccart il
Pastor fido, Domenico Zlàtarrc WElettra di Sofocle e X Andini»
del Tasso; Botta la Gioeasta.
È pure da osservarsi, come eziandio gli ecclesiastici, seguendo
fi generale impulso, secondassero gli sforzi della nazione; ma i
loro tentativi di volgarizzare i libri sacri, furono. repressi. Ban*-
dùlovie tradusse, neirauno 1613, gli Evangelj e le Epistole, dei
quali non si permise la stampa. Cionullostante Kascic e molti
ecclesiastici di alto ordine pnblicarono nel vulgare dialetto molte
opere destinate all'istruzione religiosa, che contribuirono a spai^
gere anche nel popolo i semi della civiltà.
Dopo questi pretiminari, abbiamo tutta ragione di credere,
che , fiorendo aHora in Dalmazia le classiche lettere , anche le
nazionali vi si sarebbero rapidamente perfezionate; se non che
la fatala' sventura che, nel 1667, sepeUì Ragusi sotto le sue
mine, troncò troppo presto rincominciata carriera, ed il se-
colo XVII terminò nello squallore d'un triste silènzio, solo in-
368 SOI -CANTI NAZlOKAIil DBGLI SLAVI.
terroCto da qualche Ingabre canto nazionale^ dhe il padre An-
drea Kascie Miossic por raccolse e pablicò.
Rislaurata Ragnsi dall'orribile disastra, anche le lettere ri-
presero r interrotto corso. La lingua vulgare trovò un caldo
difensore neir abate Resa, il quale eWe a vantarsi pabUeamente
d'aver cacciata in perpetvo bando T antica slavonica. Egli tra-
dusse con rara diligenza tutta la Bibbia ed altre opere sacre,
ed inviatele al sommo pontefice, chiese infratluosamente il per-
messo di sostituirle alle antiquate versioni slavoniche. Con tutto
ciò non cessò mai, finché visse, di promuovere la cultura delFì-
dioma nazionale, il quale fu interamente sostituito alla lingua
slavonica, e ordinato con grammatiche e dizionarj.
Già fin dal principio del secolo XVIIl aveva coinlneiato il
padre Cassio ad illustrare le /ondaménla della lingua vulgare
nell'opera intitolata: InstUutionum lingwB itlyriew libri duo:
Romae, 1604; ed il padre MLsalia aveva fissate quelle del-
l'ortografia , nel suo Thesaurui lingum. iltyriecB: Laurasii et
Anconm, 1651 ; le quali opere, non essenda coronate da felice
successo, iurpno poi seguite dalla gramiMitica e dal dizionario,
che Ardelio della Bella publicò a Venezia nell'anno 1728. Ivi
l'autore propose una nuova ortografia, pekrchè fosse commune
a tutte le provincie dàlmato-serbii^e; ma non. fu più avven-
turato de' suoi predecessori.
Sul principio dd corrono, secolo, Giovanni Voltiggi propose
un terzo sistema d'ortografia, che non fu séguito, nel dizionario
illirico-italiano'tedesco S il quale é preceduto da breve pamr
matica. Più commendevoli sono e il Lexicon laiino-iialieo-'illyri'
ctan, puUicato a Vienna, nell'anno 1801, da Gioachino Stulli,
la Grammatica illirica d'Appendini, stampatala Ragusi nel 1808,
e l'altra più recente di Babukic, intitolata: €rundziÀge det^ lUi-
rischen Grùmmaiik. Wien, 1839.
Mentre i Dàlmati si dedicarono con ardore ad illnstrare il dia-
letto nazionale, gli Slavoni non si mostrarono inclinati a se-
guirne l'esempio, e prender parte in una causa commune*. Oltre
4;he presso loro le lettere non furono in verno tempo con par-
ticolare cura educate, la lotta delle fazioni religiose contribuì
ancora a soffocarne per tempo il nascente amore. I propaga-
tori della riforma religiosa, esposero nel dialetto del popolo le
• Bicsoslomik HUrieBkoga, i4alianskoga i umuicshùgaj u Beau. (Vienua).
SIU GANTI NAZIONALI DBCLI SLAVI. 369
loro dispute; ma la loro caduta sventò quei primi tentativi , e
presso i pochi scrittori fece preferire alla lingua vulgàre la la-
tina , sino ai di nostri. Ecco le principali cause, per le quali
il nativo dialetto venne generalmente trascurato presso gli Sla*-
voni. Ciò nullostante anche tra loro qualche studioso contribuì
all'incremento degli utili studj; come tale inerita particolare*
menzione il professore Katancic le cui opere» benché latine,
sono ricche di filologiche dottrine sul dialetto slavonico.
I Serbi, propriamente detti, ed i Bosnj loro confinanti fecero
uso deir antica lingua slavonica, fin quasi ai nostri giorni, e
quindi li troviamo fra gli ultimi che si prestarono a nobilitare
il dialetto nazionale. Soltanto verso la metà delio scorso secolo,
nacque in Temesvar un uomo destinato a scuoterli dall' inerzia,
e ri&yegliare in loro T amore della lingua nativa. Fu questi Do-
siteli Obradovic, il quale, dopo aver percorso per venticinque anni
tutta r Europa, riportò neirinculta patria le adunate cognizioni,
e tentò inalzare il.diaielto all'onore di lingua scritta. Per ve-
rità egli non ebbe, prima di morire, il conforto di trovar se-
guaci della bella impresa, e mori nelFanno 1811, senza aver
compenso alle sue fatiche. Ma il seme vitale era sparso, e non
tardò a germogliare rigoglioso, per opera di Davidovié e Wuk
Stephànoviò Karadcic, i quali , protetti da un principe magna-
nimo, fecero ogni 'sforzo per condurre i loro cittadini a scri-
vere come parlavano. Davidoviò publicò in Vienna, dal 1814
al 1822, una gazzetta politico-letteraria, la quale, essendo scritta
in lingua serbica , sparse una benefica luce nella sua patria.
Wuk Stèphànovic compilò una grammatica ed un dizionario i,
sulla nornia dei migliori lavori consimili delle più eulte lingue
d' Europa,
L' instancabile Jacopo Grimm pagò un tributo di stima al-
l' autore, trasportando in tedesco questa eccellente grammatica,
corredandola d' osservazioni e d'una dotta prefazione, alla quale
abbiamo attinte molte notizie, non che l'analisi del poemetto che
abbiamo scelto a corredo di questa breve dissertazione.
II chiaro esempio di quo' valenti produsse il desiderato effetto
sull'intera nazione. Luciano Muscitzky fu meritamente applau-
dito come poeta lirico; Milutinovii! descrisse epicamente la guerra
patria dell'anno 1812, e publicò alcune tragedie. Altri valenti
» Srbski Jiiecnik; u BccUj I8i8.
370 SUI CANTI NAZIOSIALI DBGLl SLAVI.
coltivarono eón Telice successo varj generi di letteratura; gli
sforzi della nazione vengono promossi dalie cure di quel go-
verno, per modo che abbiamo ragionata speranza di veder
quanto prima rigenerata quella nazione, e la sua letteratura
messa ai pari di quella degli altri popoli slavi.
Fra i lavori,. coi quali Wuk Stephànovic Karadeic illustrò
là sua lingua e la patria, è sommamente commendevole la ci-
tata raccolta di canti nazionali. Tutti i popoli slavi , come ab-
biamo accennato , ebbero da natura una particolare attitudine
alla musica ed alla poesia; e la manifestarono con un prodi-
gioso numero di canzoni popolari. Varj dotti d'ogni nazione
si diedero a raccogliere queste testimonianze irrefragabili delle
congènite facoltà dell'umana natura, e delle antiche tradizioni
di quei popoli. Sono generalmente note le raccolte di canzoni
boeme, polacche, russe, ec. illustrate dai chiari linguisti Hanka,
Dobrowrsky, Dietrich, Gelakowsky, Swóboda, Busse, Kascic,
Rollar * , e già tradotte in varie lingue. Ma fra le nazioni slave
primeggia V illirica , come quella che possiede maggior copia di
simili componimenti , e la cui lingua meglio si presta alla va-
rietà dei concetti ed air armonia del metro.
Il chiaro Stephànovic, ammirando sin dagli anni giovanili que-
sta prerogativa della sua nazione , dedicò lunghi studj a rac-
cogliere dal labbro de' suoi queste native inspirazioni, e tra-
scrivendole fedelmente, ed ordinandole per tempi, quanto era
possibile, le diede alla luce in quattro volumi. Racchiuse nel
primo le canzoni amorose, nelle quali le passioni più delicate,
sebbene in contrasto coi rozzi costumi, sono dipinte colle più
nobili imàgini. Distribuì nel secondo e nel terzo tutte le poesie
eroiche, nelle quali vengono celebrati i valorosi che versarono
il sangue per la patria e la religione; e vi si vedono talvolta
* Igor Swatoflavic. Htldengeiong vom Zuge gegen die Pohvzerj aus dem
Altrussischen neu uberselzt^ ec. voh JVenceslaw Hanka, Prag ji»%i, — Huko^
pi8 Kralodworsky^ wydan od F asiaca Hanky, w Praze ^ isio. — Jtussische
Volks-màrchcn hcrausgegeben von Dietrich. Leipzig ^ f»3i. — Fùrsl Vladi-
mir und dessen Tafelrunde^ herausgegeùen vfon Busse, Leipzig j ibi 9. — Ce-
lahowsky^ Slovanské Narodni Pisné. w Praze^ f ess. — Kóniginnhdfer Mind-
scriften; Sammlutig allbohmischen Gesànge^ herausgegeùen von Swòboda. Prag^
1829. Kascic j Bazgovor ugodni narodna Slovinskoga* 9 Mleszi^ 1 7tto. — Pistìé
svétske lidu Slovenskcgo . w Uhrich . Pestj I8«5. — Malo-rossiskija pesni,
Moskaw 1829. — Nàrodnié ZpiewankyjCili Pisne svetské slowakuw^ odJana
Kollàra, ìV Budjne^ t83».
SUI GANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 371
t moderni campioni, travestili ed involti negli antichi miti degli
avi. Dispose nel quarto una selva di poesie sacre e profane,
raccolte più tardi, alcune delle quali potrebbero ordinarsi nei
precedenti volumi. Non solo tutte queste popolari poesie odonsi
ancora dalla bocca dei pastori, nel mezzo delle loro montagne,
ma molte altre , che col tempo si potrebbero raccogliere ^ se
la peregrinazione per quegli inóspiti monti fosse meno perigliosa.
Tra gli eroi, che trovansi celebrati nella maggior parte di
esse, primeggia Marco Kraljevic, al cui padre la tradizione at-
tribuisce la fondazione della fortezza di Sciìtari, ed il quale
colle più segnalate prove di valore, tentò salvare la patria
agonizzante dall' oppressione ottomana. La varietà dei colori,
coi quali le prodezze di questo eroe sono descritte, desta sempre
nuovo interesse in chi sa gustare le bellezze di quella lingua.
Se quelle canzoni fossero artiGciosamente ordinate , potrebbero
formare una compiuta descrizione della vita e delle imprese
di Kraljevic, come nei canti d'Omero, di Virgilio e di Ossian
trovansi descritte quelle d'Ulisse, d'Enea e di Fingallo.
Non appena quest'opera vide la luce, che varj giornali let-
terari di Germania, d'Inghilterra, d' Olanda, tributarono ad una
voce sensi di lode e riconoscenza alla dottrina del ricoglitore, il
quale non cessò di ben meritare della patria con nuove fati-
che i. Non mancarono eruditi che, per far conoscere alle- loro
nazioni le peregrine bellezze di quelle poesie, le traducessero
in varie lingue. L' instancàbile JBowring, che sfiorò presso che
tutte le letterature d'Europa, le trasportò in lingua inglese.
La sempre lodata Talvi ne voltò buon numero in lingua tede-
sca a Halle. Gerhard ne publicò una seconda versione a Lipsia,
e v'introdusse varie canzoni ommesse dalla Talvi; e Gòtze
quasi nello stesso tempo ne diede una terza versione a Pie-
troburgo.
Dolenti che l'esempio non siasi per anco seguito dagli Ita-^
liani, ai quali, per quanto sappiamo, quest'opera non fu an-
cora annunciata, crediamo far cosa gradita ai lettori, offren-
done un Saggio nel sunto d'un componimento, il quale, per l'or-
dine col quale è svolto, e per essere composto di oltre i200 ver-
si, può risguardarsi come un breve poema.
* Piavania Zernogorska i Herzegovacka, u LeipzigUj 1857. — Narmtne
ric$me Po»hviz€t Na Zetìgna^ isse.
372 SUI GANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI.
LE NOZZE DI MASSIMO GERNOJEVié.
Ivan Cernojevic, il potente signore di Sbablak, si reca a Ve-
nezia con tre tonnellate d'oro, per chiedere sposa a sao figlio
Massimo la figlia del Doge. Il Doge si mostra lungamente av-
verso. Ivan, pertinace nella impreca, profonde Toro apportato,
ed in capo a tre anni ottiene la bramata promessa. La sposa
accetta T anello, e si fa patto di celebrar le nozze dopo che Ivan,
ritornato a Shablak, vi avrà fatto il ricolto del grano e del vino.
Ivan prende congedo, dicendo, che condurrà seco mille con^
vitati; invila il Doge a mandare altretanti Latini ad incontrar
lo sposo, e soggiunge: Fra tutti questi e quelli, nessuno sarà
bello quanio mio figlio e tuo genero. Il Doge, punto dalle in-
aspettate parole : Or bene, risponde; s'ella è cosi, tuo figlio
avrà giojellie ricchi doni; ma, guai a te, se mentii Ivan ritorna
a Shablak; ma qual fu il suo stupore, quando rivide il figlio tal-
mente malconcio dal vajuolo, che appena uno fra mille p^tevasi
dir più deforme.
La moglie, accortasi del suo turbamento, gli chiede se gli si
fosse per avventura rifiutata la donzella, o gli increscesse il pro-
fuso denaro? Egli risponde: ottenni la fede della fanciulla/
ella à assai vezzosa. Nulla mi cale dell'oro: ben sai, che ne ab-
biamQ in Shablak ripiena una torre, sióchè non appare che un
obolo vi manchi. Mi cruccia solo d'avere attestalo al Doge che,
fra mille Serbi e mille Latini, nessuno sarebbe avvenente al par
di Massimo; ed ora^ poiché lo trovo fra mille e mille il più de^
forme, temo una vendetta.
La mqglìe Io colma di rimproveri. Perchè sei tu ito oltremare
a cercare una sposa al nostro Massimo? Non ve n Ita forse di
vezzose ed illustri nelle nostre terre^ e nelle circostanti cestella
a noi soggette? Ivan arde di sdegno , e grida; Nessuno ardisca
pronunziare parola Su questo sinistro argomento: se alcuno
verrà a porgermi gli augurj suoi, gli strapperò colle mie memi
gli occhi. Questa minaccia corre di bocca in bocca , e nessuno
ardisce profe^rir motto sulla malaugurata ventura.
In tal guisa passano nove anni. Sul principio del decimo, ar-
riva un messo, con lettere del vèneto congiunto: Se tu acquisti
un prato, o lo irrighi e lo coltivi , o lo affidi alle cure altrui ^
affinchè la brina e la neve non cadano sugli appassiti fiori.
sul CANTI NAZIONALI DCGLI SLAVI. 37?
Cosi devi condur teca la figlia, della quale chiedenti la. fede ^ a
lasciarla libera, sicché pc^sa congiungersi ad altro sposo.
Questo messaggio conturba Ivan, e poiché non si vede intorno
alcun ministro, al quale palesare il suo dolore^ si volge alia con-
sorte, è le chiede consiglio: se debba, colla risposta, rif>orre la
nuora in libertà di scegliere altro sposo, o tener la data pro-
messa? La moglie risponde: Possente Ivan Cernojevii, e quando
mai le mogli hanno prestato consiglio ai mariti? Quando verrà
quel giorno, in cui potranno prestarlo, esse, cui fu data lunga
la chioma, e breve la mente? Tuttavia prosegue: Sarebbe ingiu-
sto inanzi a Dio, e vituperoso in faccia agli uomini rinunziare
alla donzella. La sventura può cogliere qualunque mortale; se
i nostri nuovi congiunti sono saggi e bufoni, non ci daranno a
colpa il terribile morbo da cui nostre figlio venne assalito., Oie
se temi la guerra, e tu radwna, non già mille, ma due mila
compagni, scegli i più valorosi, dà loro i piti generosi destrieri
e vanne a precidere la sposa.
Ivan imbaldanzito scrive al Doge: In breve io verrò a te;
poni a guardia alcuni de' tuoi. Tosto ch'io giunga alla spiaggia^
fa che vi ritrovi le tue navi. Trenta cannoni dall'alto dei ba-
luardi daranno il segno della mia partenza.
Non appena ebbe inviata questa lettera , che ordinò allo scrì-
vano di apprestare fogli d'invito a quelli che dovevano fargli
scorta. Invia la prima lettera a Bar ed Ulcin (Antivari e Dulci-
gnò), terre del suo domìnio, al voivòda Milosch Obrenbégovic ,
il quale dev'essere il primo fra i compagni di quella spedizione
nuziale, e deve condur seco molti de' suoi. La seconda viene
spedita sulle rupi di Monte-Negro , al suo nipote Giovanni Gar
pitano. Questi deve condur seco almen cinquecento de' suoi , ed
essere paraninfo della leggiadra Latina. Cosi^ soggiunge, io e tu
avremo i primi onori. Manda la terza lettera a Kuc ed a Bra^
tonoscìc, al voivòda Likovìc Ilia, coUa quale gU impone di recarsi
a Shablak con tutti i suoi. La quarta s'invia a Sceremetovic,
in Drekaióvice, con queste espressioni: Raduna tutti i figli di
Drekalóvice, fino al verde Lim '. Quanto madore sarà il nu-
mero, tanto meglio per te!
Invia la quinta nella città di Podgoritza, presso Scn tari, per
tutti i suoi numerosi congiunti , al celebre guerriero» a Falco
» Fiume che separa la Scrvìa dair Erzegovina. •
374 SUI cAMTi hazionali dbgli slavL
KujiradciG Gjarol Nah fraporre indugiay'ma (' affretta a wfi con
tutti i tuoi riccamente vetiiii. Raduna tufii i congiunti, i mi-
liti pie i)eUo9'Ó8t.ed i più bei eavalU. Siano questi magnifica-
mente ùddoÒbati con 9eUe e.^uaidrappe turche e ludcafiti ar-
mature ; indoseino qùelU ve$ii di seta e di velluto purpureo, le
quali ulta pioggia ed .mi (kok si farmo più rubiconde e splen-
denti: assettino al capo i più ricchi ornameli, sicché non v' ab-
bia tra i Serbi ù tra i.JLatini più ricco vestimento. I Latini
profondono tutto lo splendore neUe vesti; ma non hanno il mae-
stoso aspetto, né gU oeehi scintillanti, .dei valorosi figli di Pod-
goritza.
Ciò fatto, invita eoa oiessi, e seaza lettere, i prodi di Shablak
e dei eontomi. Tutti t méssi vami^ rapidaoteote: e tutti i capi-
tani e \ gueprierì (fella Servia, dppo i più soUoiciti prepararvi, si
radunano a torme, e s^aSrettajio a far parte del nuziale corteg-
gio. A queir insolito movioìiento , a quel magnifico spettacolo,
accorrono da ogni parte i vecchi ed i figli, d^ campi. Questi
gettano l'aratro; i pastori .abbaiidonaiio rairm^nto, e lutti s'af-
follano neiia spaziosa pianura atte.(alde di ShabÌla)L, ove lo stuolo
dei prodi deve radunarsi.
Allo spuntare del di, Giovanni Capitano, il figlio della sorella
d*lvan^ destinato ad essere paraninfo, sale sulla torre di Shablak,
accompagnato a qualche distanzia da.duefidi« Come infausta co-
meta gira lo sguardo, sulla raccolta turba» e guiata i cannoni
delle torri. Giunto alla cima^ inoooira Ivan Cernoìevic, che in
atto di sorpresa, gli chiede: ;G6é t^iipi tti^ qui si di piattino?
Giovanni gli rammeola il grave perieok) che sovrasta alle sue
terre, se lo lascia senza difesa:, ^ lQ)P^*eg9! a trasceglier quelli
che debbono scortare la sposa a Shablak* QU r^ppreseota come,
restando tutta la terra indì&sat efA a temersi improvisa irruzione
dei Turchi, essendo che il viaggio a Y^ezia non si patria com-
piere in meno di quaranta giorni. Dopo ciò,. gli racconta un in-
fausto sogno della trascorsa notte, nel qu^^ vide un'orribile
procella infuriare sopra Shablak; repenle scoppiare il fulnaine,
ehe atterrò il ti^pio esmosse.le pii dure p.ieti*e; T altare cadde
sul capo di Massimo, il quale nuUostaate sopravisse. Agitato,
dopo il racconto di. que^ ^0910 sinis4ro^ riouQVia più calde pre-
ghiere ad Ivan: Zio, memdfite soh i convitaci.
Sdegnato Ivan, rampogna il nipote: Iddio , esclama, vibrerà
il suo flagello sopra il t^o capo} I sogni sono ombre fallaci
SUI CATiTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. S7ÌS
della notte. Dio solo è la pura verità! Arrossisco pur troppo
d'avere indugiato cotanto, e lasciata la sposa per nove anni
negletta; egli è tempo ormai di celebrare le nozze! Quindi'
manda il nipote agli artiglieri, colP ordine di earieare i cannoni,
e dare il segno delia sua partenza; ne rende avvertiti tutti i se-
guaci, onde non si sgomentino, né lascino balzare nelPaqua i
sorpresi cavalli. Cosi fu fatto: il cupo tuono dei bellici strumenta
odesi rimbombare tra Teco dei vicini monti, ed imprime uh senso
di terrore negli animi degli astanti; alla fine vi succede un grido
di gioja, e si mettono in cammino.
Di mano in mano, che la festevole turba s* allontanava oltre
i monti e le patrie campagne, tornava la serenità nei loro petti.
Dai lontani spaziosi campi del mare vedevano i naviganti on-
deggiare i bellicosi destrieri e le aste lucicanti. Ivan Cernojevic
era attorniato dai suoi; da un lato cavalcava T intrepido Milosch,
e Massimo dall'altro. Poiché il buon vecchio ebbe chiesto silenzio
a tutti, cosi lor parla: Udite, fratelli, il mio consiglio. Un giorno
io feci protesta al Doge, che fra mille dermici scelti compagni
ed altretanti Latini, nessuno sarebbe avvenente quanto mio figlio.
Per mala ventura, it morbo lo rese fra tanti più deforme, ed
io sarò detto mentitore dal mio vèneto congiunto. Or dunque,
poiché il voivòda Milosch ha fra tutti il più maestoso sembiante,
io m'avviso, ch'egli indossi le dorate piume e le principesche
insegne di Massimo, e rappresenti lo sposo, finché abbiamo con-,
dotta in patria la nuora.
Nessuno del numeroso stuolo osa risponder parola , poiché
tutti temono Timpeto feroce di Massimo. Finalmente, dopo uà
cupo silenziQ, Milosch risponde: Tu sei il nostro principe; tu
induci Massimo ad acconsentirvi di buon grado, ed io farò come
ii piace; ma colla sacra promessa, che tutti i presenti che ver-
ranno fatti dai novelli congiunti aito sposo restino miei. A piena
gola rise il vecchio Ivan , e «t, soggiunge, tutti i presenti sa-
ranno tuoi; nessuno li divida teco ; e al ritorno in Shablak ,
altro ne aggiungerò io stesso; da quest'ora ti prometto unpajo
di calzari ricamati d' oro, adorni di ricche gemme, la mia tazza
d'oro pesante, e cingerotti al fianco una sciabola preziosa.
Ciò detto, ^i posero a Milosch le dorate piume di Massimo, ie
la comitiva raggiunse la spiaggia del ceruleo mare, ove trovale
le venete navi, s'imbarca, e con prospero vento approda a Ve-
nezia.
378 SI3J CANTI NAZIONALI DEGLI &LAVI.
veba eè$ére sposai Massimo, mio sposo, ascolla: Se non ritogb
quei doni allo straniero, ti giuro, che non farò più oltre un
passo; ma volgendo il destriero alla spiaggia del mare, pren-
derò una faglia dell' albero Scemiscikla, e la segnerò di san-
gue, e l'affiderò al mio grigio falcone , onde la rechi al veceUo
genitore; egli radunerà i Latini, e volerà ad atterrare Shabkk,
e vendicare V insulto.
A tati detti si cormccia T animo di Massimo, e fariboudo
sprona il destriero , che sanguinoso e spumante spicea orribili
salti. Nessuno osa trattenerìo; impauriti tutti gli cedono il passo.
Milosch con un sogghigno» esclama: ove corre Massimo, m\
queèl' impeto forsenjmto .^ Ma questi, gli piomba addosso, gli vi-
bra la lancia^ lo coglie tra le piume, nel mezzo della fronte, ^sic-
ché cade esangue» Poi gli recide il capo, lo. ripone nella bisaccia,
e tolta la sposa dalle mani del paraninfo, yola a recarne novella
a sua madre.
Eterno Iddio! Sia lodaia optai sempre la tua volontà! Ha chi
non torse io sguardo inorridito dalla strage accanita che successe
alla caduta del maestoso capitano? I suoi. congiunti, riguardatisi
attonitamente , si gettano furibondi a vendicare la .morte del
ducè. La scarica dei loro ardhibusi copre Torizzonte d'una densa
nube; il fragore delie spade e delle lancie, il cozzare degli elmi
e degli scudi , rese più orribile la mischia. In breve le madri
furono immerse in perpetuo dolore; le sorelle si avvolsero io
aero velo; le spose ritornarono vedove al tetto paterno.
Ivan Cernojevie nuota in un lago di sangue. Quella terribile
giornata preparò perpetue angoscie al suo cuore. Egli invoca
Iddio che mandi un vento a sperdere quella nebbia , e ^i ri-
sditari il campo , e gli conceda di veder T èsito della mischia. Il
vento soffia e dissipai la nube. Ivan gir.a rapido lo sguardo , e
vede miseranda strage. Guerrieri e cavalli 9ìutilati; ode i so-
spiri dei feriti , e palpitante s'avanza; cerc^ tyn il sangue e gli
estinti suo figlio; in quella vece passa accosto a Giovanni Ca-
pitano moribondo; ma no U riconoscendo, prosegue. Quello, con
Sdea voce il rampogna: Possono dunque i riccìù doni nuzié
tenderti cotanto altero, che non degni d'uno sguardo lo sven-
turato nipote mprif^ondo, e ti allontani senza chiedergli dell^
sue ferite? Il vecchio si volge stupito, e visto il nipote^ languente,
versa amare, lagrime; guarda le sue ferite, e sporgendo, che vi-
Gina gli sovrasta la morte, gli chiede di Massimo e della sposa ^
SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVf. 379
che poco prima gli stavano appresso. Quello risponde con
tronchi accenti , che Massimo s' era involato colla sposa , rivol-
gendo i passi verso la madre; cosi dicendo, manda I ultimo so-
spiro.
I Ivan corre a Shablak. Giunto alla porta del castello, vede una
lancia ed un destriero, cui erasi apprestato un canestro d'avena.
Più oltre vede Massimo sedente che scrive sulla ginocchia una
lettera al suocero , e a lui dinanzi T infelice donzella. Raduna,
tali erano le parole della lettera, raduna i tuoi Latini, e vieni
ad abbattere Shablak, e riprendere la tua vergine. Il mio regno
è giunto al suo termine; io vado a Costantinopoli a farmi Turco.
La novella dell' infausto evento si éiffuse per tutto il paese.
Non appena giunse .alle orecchie di tvan Obrenovic fratello di
Milosch , che posta la sella al eavallo vi balzò sopra , e prese
congedo d&i suoi , come se andasse ad incontrar la morte. Io
parto , miei fratelli , vado a Costantinopoli per la vostra sal-
vezza. Massimo Cernojèviò spera forse indurre il Sultano con
promesse e lusinghe a mandare un esercito contro di vm. Ma
finch' io sarò colà, saprò render vani i suoi sforzi.
Giungono entrambi a Costantinopoli; ode il Sultano delle loro
discordie. Egli fa loro accoglienza ^ e gli ascrive tra' suoi fedeli ,
imponendo ad Ivan il nome di Mahmud Bey Obrenbégovic, ed
ed a Massimo quello di Skanderberg Ivan-Bégovie. Dopo nove
anni, ebbero in premio nove poderi; li cambiarono con un ba-
scialato, e col diritto di portar bianche code. Ivan ebbe Ipek, e
Massimo Scùlari; il primo, un fertile e ricco paese; il secondo,
il paese delle rane, del sale e dei bùfali. Da quel tempo a noi,
tra i loro pòsteri non vi fu pace.
Fine.
INDICE
Prefazione ................ Pcuj. v
Della Vita e degli Sorìtti del couU^G. 0. Ca$UgUani . . » xv
Origine e sviluppo delift Liiiguìstiea. . . . . «....» 5
Della Linguistica applicata alla ricerca dalle origini itàliche »* 81
Prospetto topografico-stalistico delle Colonie straniere ditalia « 45
Djella.letterativa popolare dell'Epiro . . i . . . . » 77
Orìgine^ diffusione ed importanza delle lingue furbeschi^, . » i07
Studj sulle lingue romanze . .... .... . >» U3
Ordinamento degli idiomi e dei dialetti italici » t63
Poemetto inèdito di Pietro da Barsegapè ....... 495
Delle lingue germaniche e della loro grammatica . . . » 531
Sui Canti nazionali degli Slavi ........." 559
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