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3^
SULLA
CAPPELLINA
DEGLI SCROVEGNI
nELL'AREHA DI PADOVA
ÌVI FRESCHI DI GIOTTO
IN ESSA DIPINTI
PIETRO ESTENSE SELVATICO
PADOVA
COI TIPI DELLA MINERVA
Fyj.
£ opera che sorprende, e perché sopra ogni altro suo
fresco conservatìssìina, e perchè piena di quella grazia na-
tiva e di quel grande che Gioito egregiamente seppe con-
giungere.
Lanzi. Stor. piti. Voi. II.
*•'
AD
ALESSANDRO CONTE PAPPAFAVA
DEI CARRARESI
CAVALIERE GEROSOLIMITANO
CkìiO AI BUONI all'arti ALLA PATRIA
questi cenni
sulla più conservata opera
di chi primo
ebbe il grido nella italiana pittura
offeriva
in testimonio di reverente amicizia
l' autore
INTRODUZIONE
S
embra che la fortuna concedesse alla sola
Italia il primato nelle arti della bellezza visibi-
le, perchè esse quasi servissero di conforto alle
sciagure chCvin ogni età dilacerarono, afflissero
questa infelice regione, e mantenendola a gra-
ve danno spartita e discorde , le frodarono sem-
pre l'onore di nazione. È però forza confessare
che questo lamentato squarciamento politico, se
anneghittì la forza morale degl'Italiani, fu an-
che la prima e più efficace cagione della eccel-
lenza di quelle arti che sono tanta parte di no-*
stra gloria, le quali sicuramente non sarebbero
giunte ad apice si elevato, se la penisola fosse
stata sempre un vasto regno signoreggiato da
una ricca metropoli. Ove l'Italia nella forma
del suo governo fosse andata del pari con quasi
tutte le Potenze d'Europa, ogni fonte di nazio-
nale ricchezza , siccome fiume in mare , avreb-
be messa foce nella capitale, e quella unica-
mente vedremmo ora arricchita d'ogni maniera
di adornamenti, e decorata da illustri tele e da
marmi, ed abbellita da giganteschi edifizii , co-
me appunto avTcnne alle sfarzose città bagnate
dalla Senna e dal Tamigi, le quali rinserrarono
ed ancora rinserrano quasi tutte le pregevoli
produzioni artistiche dell'operosa Francia e del-
l'industre Inghilterra. Per lo contrario, al risor-
gere delle lettere e delle arti ogni città di que-
sta patria bellissima sollevatasi od a repubbli-
ca od a principato, si fé centro ad un potere
municipale, che tutti gli sforzi diresse a fare
d'ogni guisa più ornata la ristretta cerchia fra
cui doveva distendere il proprio dominio. Ecco
perchè tutte quante sono le città, le terre, e
poco men ch'io non dissi le ville, che sorgono
numerosissime dall'Alpe al Faro, vanno super-
be di splendidi monumenti, prov^ non men:|o-
gnera di quanto fossero fiorenti ed onorate le
arti nelle età dei maggiori. Ad ogni passo ti si
offrono e tempii magnifici eretti dalla pietà dei
cittadini, e pubblici palazzi alzati dall'oro dei
municipii, e tavole e marmi e bronzi posti a
fregio degli altari, dei santuarii, delle piazze,
delle vie.
Gli ultimi avvenimenti politici, che nel bre-
ve mutarsi di vent'anni più secoli racchiusero ,
e tennero Europa in orrido tramestio , sperdet-
tero, disertarono, distrussero gran parte di tan-
to nazionale decoro; ma molto ancora ce ne ri-
mane, uscito incolume dagli artigli dell'avara
fortuna, al quale peraltro poco o ninno pensiero
7
porgiamo, e quasi appena degoiamo di sfugge-
vole sguardo. ^ ,
Noi Italiani, a guisa del male proyido colo-
no che nelle annate abbondeyoli d'ogni prodot-
to non cura le messi del campo, e le abbando-
na quasi a pasto degli animali , dimentichia-
mo i prodigii dell'arti avite, che ad ogni pas-
so qui sorgono, quasi a rimprovero del fiacco
secolo, ed a testimonio delle perdute rappre-
sentanze ; i quali se decorassero le ricche me-
tropoli dello straniero, sarebbero stati a minuta
illustrati, esaltati, e con ogni pompa di lodi fatti
per modo famósi, che lascierebbero d'assai più
ammkati quegli osservatori avvezzi a misurare
il merito delle opere dalla fama che le circonda.
Da tanta nostra negligenza non ne viene sol-
tanto scapito al nome italiano, ma ben anche
gravissimo danno alla storia delle arti, la quale
ignara del numero e del pregio di molti capo-
lavori che per tutto rabbelliscono questa terra
di onorate ricordanze, erra incerta nel suo cam-
mino , né può mostrare tutto il vario e succes-
sivo progredimento delle menti italiane nelle
discipline intese a produrre il bello visibile; ne
vale a tiarre dalla oscurità nomi e lavori d'in-
gegni da noi, in tanta dovizia di artefici, chia-
mati minori , ma che tornerebbero a vanto prin-
cipale delle nazioni oltramontane.
8
Saluteremmo quindi benemeriti della patria
comune que' molti scrittori ed artisti, di che
anche a' di nostri si gloriano le italiane città, se
togliessero con ogni diligenza ad illustrare col-
la penna e col bulino i famigerati monumenti
che ornano i yarii territorii, ov' essi ora -vivono
ai liberali studii. Allora si vedrebbe quanta an-
cora abbiamo . dovizia di preziose opere; allora
più non ci graverebbe la indecore sì ma pur
vera accusa che ci viene d'oltremente, dimen-
ticar noi quelle glorie dei progenitori, per cui
fummo un giorno invidiato modello di civiltà ,
d'ingegno, di potenza a men fortunate popola-
zioni; né più lo straniero, scorrendo rapidamen-
te le ridenti contrade italiane , farebbe , sicco-
me sciaguratamente ora fa, affrettati studii sui
nostri capolavori delle trascorse età, i quali o
stortamente considerati, o corredati da temera-
rie sentenze, egli pubblica orgoglioso fra le sue
nebbie britanne , o fra le mura romorose della
sua Parigi.
Io credo di non andare errato se affermo, fra
gl'illustri monumenti, i quali non furono per
anco sottoposti ad accurato esame, non doversi
lasciare ultimo l'Oratorio degli Scrovegni nel-
l'Arena di Padova, che alzato al cominciare
del secolo decimoquarto , decorato da insigni
produzioni contemporanee, ci presenta ancoi'a,
9
pressoché non tocca dal tempo, l'aurora delle
arti italiane , foriera di non emulato meriggio.
Su d'esso mi venne il pensiero di stendere al-
cune osservazioni, le quali io sommetto al let-
tore, non già come una compiuta illustrazione,
ma solo come un caldo invito ed un incitamen-
to ai dotti ed agli artisti perchè lo facciano ar-
gomento dei profondi loro studii.
Io non mi sarei condotto a scrivere nemme-
no questi poveri cenni , conscio di quanto pic-
colo peso io possa gravarmi; ma gli scrivo per-
chè, temo che le celebri investigazioni dettate
dal d'Hancarville su quest'Oratorio non sieno
per uscire più mai dal portafoglio di un bizzar-
ro Oltramontano; gli scrivo perchè pavento an-
che su questo chiaro monumento piombi da qui
a non molti anni la invano lagrimata sorte dì
allri molti che sotto i nostri occhi vedemmo
quasi con esultanza abbattuti, e si rimanga al
paro di quelli senza uno storico che lo ricordi,
senza una pagina che ne conforti a mirarlo (0.
Il tempio di sant'Agostino, per cinque secoli
venerato pegno della religione e delle arti dei
(i) Le stesse nostre Guide e gli storici nostri non han-
no che brevissimi cenni su questo prezioso Oratorio.
Anche gli scrittori di cose d'arte, il Vasari, il Baldinuc-
ci, il Lanzi, appena lo nominarono.
IO
maggiori, fu atterrato dalle fondamenta; i fre-
schi della Scuola di s. Sebastiano, preziosi per
mantegnesco tingere, ridotti muricele; i chio-
stri di santa Giustina , insigni pel casto ombra-
re del Pai'entino, turpemente od imbiancati, o
fatti segno all'orgie della soldatesca; un dipinto
del Pizzolo ricoperto d'intonaco; le porte anti-
che della città atterrate; distrutte le mura, crol-
late le torri dell'evo mezzano. Ed a chi regge-
rebbe l'animo di udire lo sperpero, l'abbandono,
e, dirò peggio, il depredamento di oggetti d'arte
rari e bellissimi, che fu con sacrilega mano osa-
to fra noi in questa parte di secolo, in cui vive
una generazione orgogliosa di perfezionamenti
e di civiltà, in questa parte di secolo appellato
dei lumi? Che più! il monumento medesimo,
che piglio a soggetto di queste mie osservazioni,
corse, non ha guari, grave pericolo. Volgono
appena dieci anni da che fummo assordati da
ignominioso martello che atterrava le fabbriche
a quello vicine , e vedemmo con raccapriccio
scalpelli e leve scassinare e sgretolare l'ester-
no delle muraglie stesse, su cui stanno coloriti
gli stupendi freschi. Accorsero ora supplici ora
minacciosi i Magistrati a porre barriera a lau-
to danno, levarono un grido d'orrore i solleciti
dell'onore nazionale, ed avventuratamente si
ristette da quella turpe mina.
II
Confidiamo che il posseditore di tanta gem-
ma non Yorr a meritarsi dai posteri la vergogno-
sa immortalità di nn Erostrato; confidiamo che
egli , nato e cresciuto fra gli agi di ricca e fio-
rente metropoli, circondato dai capolayori dei
veneti maestri, che ornano gli altari, le loggie,
le sale de' suoi avi, si avrà in avvenire un'ope-
rosa reverenza verso la più conservata fatica di
colui che primo tenne il campo nella italiana
pittura. Ma se (che il destino noi permetta
mai) venisse giorno in cui questa Cappellina
dovesse perire , ed i triboli e l'ortica crescesse-
ro ov'essa ora sorge bella di tanti ornamenti; se
nessuno movesse mai a degnamente illustrarla;
rimarranno questi cenni, i quali, a guisa di quel-
le cronache che sebbene scritte nel disadorno
latino dei medii tempi, pure portano la facella
della verità nelle pagine della storia, serviranno
almeno a ricordare di quanti meriti andasse ric-
ca un'opera, la quale non deve dirsi solamente
municipale, ma di comune diritto della nazione.
13
di narrano i cronisti (0, che verso la fine del
secolo decimoterzo Enrico Scrovegno, tiobile e
potente padovano, comperasse in patria Tanti-
co ricinto dell'Arena, avanzo di grandioso anfi-
teatro romano, dalla magnatizia famiglia dei De-
lesmanini, la quale n'era stata infeudala dall'im-
peratore di Germania Enrico III. fino dal 1090.
Lo Scrovegno fatto signore di quel sito, lo for-
tificò a guisa di castello, vi costrusse un palaz-
zo, e verso il i3o3 vi alzò la Cappellina conse-
crata alla Vergine Annunziataci). Era egli figlio
a quel Reginaldo sì famigerato per avarizia ed
usure, che meritò di essere posto dall'Alighieri
nella città dolente, ed è quel desso che
• . . d'una scrofa azzurra e grossa
Segnato avea lo suo sacchetto bianco.
Dante. Inferno. Canto XYII.
(i) Gennari Annali di Padova y Parte III. pag. 89;
Salomonio Inscriptiones urbis patavinae, pag. 369; Scar-
deone, fol. 99 e 33 a.
(q) Quivi era prima una piccola Cappella dedicata
alla Vergine Annunziata, e fino dal 1278, essendo po-
destà Matteo Querini, venne ordinato con patrio decre-
to, che ogni anno al 2 5 di Marzo, festa dell'Annunzia-
zione, si dovesse colà eseguire alla presenza del Vesco-
vo, del Clero tutto, del Podestà, degli Anziani, dei
Gastaldi delle arti ec. , una sacra rappresentazione di
quel mistero con dialoghi, suoni, canti, ed ogni manie-
ra di feste. Riconfermata cotesta usanza con uno sta-
i3
Affermano alcuni scrittori, che Enrico volesse,
coi molti dispendii profusi in questo pio layoro,
riparare alla disonorata fama del genitore, ed
imporre i veli delFobblio sulla memoria dell'ab-
bominato suo vizio. Però il Federici nella eru-
dita sua Opera sui Cavalieri Godenti non è di
opinione che Enrico erigesse tale Cappellina
soltanto per domestico uso e coi soli suoi de-
nari (0. Egli con buone ragioni si fa a provare
aver essa servito all'Ordine dei Godenti, e ne
offre poi buoni argomenti per credere lo stes-
so Scrovegno ascritto a quest'Ordine. Da tutto
luto del i33i^ durò fino diranno 1600, in cui pei dis-
ordini consociati sempre a simili feste popolari venne
abolita.
(i) Federici Storia dei Cavalieri Godenti. Venezia, vo-
lumi due. Fino dal cominciare del secolo decimoterzo
varie turbe d'eretici avevano osato porre in dubbio la
esistenza della Vergine. I Pontefici, a fine di toglTere
tanto danno dalla radice, istituirono alcune congregazio-
ni religiose, promossero unioni di devole persone, per-
chè fossero difensóri del culto dovuto alla Madre di Dio.
Allora ebbero origine i Cavalieri Godenti, che in breve
si diffusero per tutta Italia , e con ogni solerzia adem-
pirono la missione ad essi affidata. In sulle prime fu-
rono detti Cavalieri di Santa Maria; poi fatti ricchi e po-
tenti, e francheggiati dalla protezione dei Papi, che li
dispensarono da ogni pagamento di pubbliche imposte;
si giac<piero in ozio sì dilettoso, e sì inchinevole ad
ogni mondana gozzoviglia, da meritarsi l'appellati vo bef-
fardo di Frati Godenti.
«4
ciò quindi congettura venisse murata almeno in
parte colle ricchezze possedute allora da quei
Godenti in gran copia (0. Noi occupati princi-
palmente ad osservare i pregi d'arte ch'essa rac-
chiude, non vorremo addentrarci in una qui-
stione cotanto straniera al nostro scopo, e ci ri-
volgeremo invece a considerarne la sua archi-
tetturg..
Altra volta , quando toccai alcuni particolari
sui sistemi di architettare che usavansi in Pa-
dova nei secoli mezzani, brevemente descrissi
questa chiesetta ; la dissi di quello stile allora
sparso per tutta Europa, comunemente conosciu-
to sotto il nome di gotico -tedesco o posteriore ^ e
ne lodai le eleganti proporzioni. Ora, a farla me-
glio conoscere, avviso darne disegnata la pianta,
la quale mi semhra degna di molta considera-
zione per la leggiadrissima novità con cui è im-
maginata (Tav.I). Difficile tornava il dare ad un
tempietto di una sola nave certo movimento di
linee che ne togliesse l'aridità. A ciò maestre-
volmente provvide l'ingegnoso architetto, col-
locando a simiglianza delle primitive chiese cri-
stiane i due amhoni jPF^ì quali opportunamente
(i) Dà maggior vigore a questa opinione il vedere in
yarii luoghi del Mostro Oratorio la croce, stemma dei
Godenti, unita sempre ad una scrofa in piedi, arma gen-
tilizia degli Scrovegni.
i5
spezzano la monotonia delle due pareti longi- .
tudinaU. A tale uopo foggiò anche la tribuna
più stretta della nave , e ^ancheggiò il grande
arcone , che vi dà ingresso , con due spalle di
muro , su cui lo sguardo gradevolmente riposa.
Gentile poi mi sembra la forma della tripartita
finestra sulla facciata, e più gentile ancora il
profilo degli archetti marmorei che sovrastano
ai sedili della or nominata tribuna.
Il modo poi con cui è foggiato quest'abside
merita una particolare attenzione. E noto che
ì tempii cristiani, non tanto sino al looò, come
affermarono i dotti Sacchi (0 , ma per tutto il
volgere dei secoli mezzani, erano costruiti su
principii cardinali e costanti, basati sulle disci-
pline della simbolica, detta ermetica^ la qua-
le valeva a rappresentare le leggi della divi-
na economia col mezzo di cifre ed operazioni
tratte dall'aritmetica formale, ed applicate alla
edificazione dei sacri edifizii. Tuttoché noi mo-
derni versiamo in profonde tenebre sull' algo-
ritmo che racchiudeva le regole di questo anti-
co ramo di matematiche , a cui venivano attri-
buite mistiche significazioni; pure alcuni scrit-
tori ed architetti, teneri di sottili ricerche, ten-
(i) Antichità romantiche d'Italia. Epoca prima. Ca-
po III. pag. iig. Milano 1828.
i6
tarono dissipare ia parte le fitte nebbie che co-
prono sì fatte dottrine dei nostri maggiori . Fra
gli altri r ingegnoso e dotto architetto tedesco
Stieglitz (0 nella sua Storia delV architettura
credette poter derivare la fondamentale dispo-
sizione delle chiese cristiane surte fra Tunde-
cìmo e il decimoquarto secolo dalla forma poli-
gona degli absidi. Ne disse egli, che quando gli
absidi, da semicircolari si mutarono, dopo lun-
decimo secolo, in poligoni, furono così compo-
sti descrivendo varii lati in un circolo racchiuso
nel quadrato , nomato da luì fondamentale j per-
chè serba la sua radice nella larghezza del coro
stesso o della nave. Se, per esempio, il coro
avesse una projezione trilatera, originata da un
esagono descritto nel su enunciato circolo, il nu-
mero 6 dovrà apparire in ogni parte della co-
struzione ; da ogni lato della nave maggiore vi
saranno sei o tre pilastri; tutta la chiesa risul-
terà di sei unità, pigliandosi sempre per tale la
larghezza del coro. Le stesse finestre non oltre-
passeranno codesto numero. Questa ingegnosa
teona, corroborata dai fatti e dalle acute osser-
vazioni del dotto Alemanno , viene rincalzata
(i) Geschichte der Baukunst e te. Istoria dell* architet-
tura dalla prima antichità fino agli ultimi tempi, Norim-
berga 1827, in 8.0
^7
diiché dall' esempio della nostra chiesetta . Si
descriva nella sua tribuna il circolo Aj il quale
tocchi gli angoli del coro esteriore BB; si deli-
nei un esagono nel detto circolo, e si "vedrà ri-
sullarne] la presente figura dell'abside composta
dei tre lati dell'esagono stesso; indi colla lar-
ghezza della tribuna (da tenersi come unità fon-
damentale , perchè radice del quadrato chiuso
nel cerchio A) si misuri tutta la lunghezza del-
la chiesa dal punto C j ove ha cominciamento
l'esagono, fino a quello Dj ov'è la porta, e si
troveranno sei delle accennate unità. Si nume-
rino le finestre della nave, e si vedranno an-
ch'esse seguire la medesima regola (0.
Lo Scrovegno cacciato dalla patria in esilio
come sospetto di ribelli macchinazioni, prese a
vivere in Venezia, ove nel iSao pagò alla na-
tura il tributo. I figli di lui ne onorarono la «ae-
morìa e le ceneri, alzando in questo stesso Ora-
torio quell'ornato sarcofago che sta collocato
nell'abside dietro l'altare (Tav. II). L'arca posa
sopra due mensole; al di sopra di essa è steso
(i) Un tempo doveva aggiungere nobiltà e decoro a
quest'Oratorio un pronao ad archi aggettante daUa pre-
sente facciata, e che da molt'anni o per vetustà o per
incuria crollò. Havvi sotto questa chiesetta un sotterra-
neo a volta, che al citato Federici, tomo I. pag. 269,
parve servisse ad uso di refettoria pei Cavalieri Godenti.
i8
ricco letto fregiato da cortine , le quali aperte
e sostenute da due angioletti graziosamente at-
teggiati, lasciano scorgere la figura del defon-
to signore, siccome era l'uso universale nelle
tombe sfarzose di quella età. Sembrami che a
questo slesso deposito sepolcrale appartengano
pure le tre statue disposte sopra a distanza , e
figuranti la Vergine col Bambino e due angeli.
Sotto Funa di esse sta scritto il nome dell'auto-
re cosiiJacobi magistri RicoU. lo non credo però
che questi sia lo stesso scultore del sottoposto
sarcofago, scolpito in ogni sua parte con ben
maggiore correzione e morbidezza. Vivamente
mi duole che il Cicognara nel suo gigantesco
lavoro non abbia voluto far tema di esame que-
sti pregevoli marmi: egli, che alle profonde co-
gnizioni dell'arte univa diligente ed erudita cri-
tica^ ne avrebbe sicuramente rintracciata qual-
che notizia su questo maestro Ricolo, artista
da non gittarsi fra i più volgari; e ne avrebbe
anche, per ragioni che andrò notando, tratte
forse conseguenze utili a quella sua opera , la
quale, per quanto acerbamente venga morsa dal
dente degli aristarchi, rimarrà sempre uno dei
più importanti libri d'arte che possegga l'Italia.
Senza diffondermi in vane conghietture sulla
patria e sull'origine del surriferito scultore, mi
contenterò di osservare che lo stile così delle
'9
figure in alto , come di quelle poste sul sarco-
fago, e la forma stessa di tutto il monumento,
ne ricorda le maniere di scolpire usate in To-
scana nel secolo decimoquarto. I seni sì bene
alternati nelle grandiose pieghe , le squadratu-
re nelle estremità e la diligente politura del
marmo rammentano la scuola di Giovanni e di
Andrea pisano, cotanto allora fiorente nell'At-
tica italiana ed anche; nel resto della penisola.
Ciò ancora più si fa palese fermando la consi-
derazione sulla Vergine posta in mezzo ai due
angeli, la quale ha una movenza non «dissimile
da quella che Kino pisano diede alla sua cele-
bre Madonna nella chiesa della Spina in Pisa (0.
Su d'un eguale concetto sono pure immaginate
e la nostra Signora da Alberto Arnoldi scolpita
pel Bigallo a Firenze, e le altre molte citate dal
Cicognara, e da lui poste a confronto di quelle
che veggonsi in Venezia atteggiate nella stessa
guisa, le quali tutte egli ne provò derivate dal-
la scuola pisana. Il pensiero poi del nostro sar-
cofago è per siffatta maniera simile ad alcuni
che in quel secolo furono alzati da maestri pi-
sani e dai loro allievi, da doverlo quasi credere
opera di uno di quegli artefici. Il monumento
(i) Cicognara Storia della scultura^ tom. III. pagi-
na 4i7'4i9* Servì l'edizione di Prato 1826.
20
scolpito nell'eterna città dal Cosmate pel cardi-
nale Consalvo (0, va ornato da angeli disposti
nella guisa medesima del nostro sepolcro. Né
mancano punto in quello di Benedetto XL, ese-
guito a Perugia da Giovanni pisano, e neiraltro
di Assisi attribuito dal Vasari a Puccio fiorenti-
no, e dal Cicognara tenuto opera *o di Lapo , o
di altro discepolo di Nicola da Pisa. Né si op-
ponga che anche i sepolcri del resto d'Italia fog-
giavansi in quel secolo sul tipo medesimo. Se-
guivasi allora^) è vero, costantemente il sistema
di protendere su d'un letto la morta persona;
ma, fuori che in Firenze, in Pisa, ed in alcune
altre città dell'Italia meridionale (ove maestri
toscani aveano operato) , non si ponevano mai
gli angeli a sorreggere le cortine . Gli artisti di
Toscana, più che tutti gli altri del bel paese av-
vivati da ricca e florida immaginazione , piace-
vansi di meschiare nelle composizioni quanto
più potevano di poetici concetti; quindi gli ar-
gomenti di religioso soggetto vie meglio crede-
vano infiorare di poesia , quanto più gli arric-
chivano di angeliche schiere , quasi a chiarirci
che ove Iddìo appare , mai va scompagnato da
quegli spiriti, immediata emanazione di sua po-
tenza. Perciò il Ghiberti, quando nelle sue di-
(i) Cicognara, id. ib., pag. 355-a58.
21
yine porte del battìsterio fiorentino immaginò il
supremo Fattore nell'atto di trarre l'uomo dal
nulla e di dar yita a quella cara metà del gene-
re umano, soavissimo conforto alle travagliose
cure dell'altra metà laboriosa e faticante, vi pose
con anacreontico pensiero vaghissimi angioletti,
ora ammirati della più leggiadra fra le creazio-
ni, ora ajutantì amorosamente di forze celesti
la bellissima Eva, inscia e malfidente delle ter-
rene. Niuna sorpresa adunque, se dovendo quei
maestri scolpire sarcofaghi destinati ad accoglie-
re nei tempii del Signore le ossa dell'uomo che
nell'ora suprema affisò in Dio la mente ed il
cuore, vi collocarono angioletti di tutte grazie
adomi, siccome ministri di quella inessiccabile
fonte di beneficenza, che spande nettare sui
mortali e fra i lamentosi vagiti della cuna, e
fra i gelidi silenzii della tomba.
Sotto questo grandioso sepolcro è posta altra
arca mortuale, acchiudente le ceneri dei due
figli di Enrico. Anche su questa leggevasi nelle
età passate una iscrizione in versi latini (0, la
quale al paro dell'altra ci fu tramandata dallo
Scardeone e dal Salomonio.
L'altare che sorge isolato nella tribuna, per
le sue spirali colonnetta sugli angoli, e per quei
(i) Salomonio Inscriptiones urbis patavinac , pag. 360.
22
minuti dentelli ed archetti della cornice ram-
menta le gotiche maniere. Al di sopra però yì è
posto un tabernacolo di marmo di Carrara, i cui
cartoni , le cui ammanierate volute troppo ri-
cordano i delirii posti in gran yoga negli ultimi
anni del secolo decimosesto , nei quali fu alza-
to. In esso sta gentile paletta, che disvela il suo
autore colla iscrizione sottoposta: Petrus Pau-
lus Sancta Crux (0. Le teste sono di un grazioso
(i) Era il Santa Croce di origine bergamasco, e figlio
o nipote a quel Girolamo che in patria ed in Venezia
lasciò pregevoli opere; e sebbene nei primi anni segui-
tasse le antiche secche maniere, pure negli ultimi, al
dire dello Zanetti e del Lanzi, dilargò Io stile, e più
degli altri tutti s'accostò alla maniera di Giorgione, ed
a quella dell'immortale Gadorino. Il nostro Pietro Paolo
fu anch'egli, come gli altri della sua casa, pittore, e par
seguisse il fare del Gayagna; siccome poi degli altri più
debole, sortì il destino dei freddi imitatori d'altri imi-
tatori, non uscì mai di mediocrità; e tuttoché non me-
riti rimprovero di vergognose scorrezioni, tuttoché sia
ragionevole il suo chiaroscuro, non affatto spregevole
il suo disegno, andò ravvolto nella immensa turba di
quegli sciagurati, a cui i corvi di messer Lodovico la-
sciano cadere il nome nell'acque di Lete. Due quadri
abbiamo qui in Padova di Pier Paolo Santa Grece: l'uno
nella basilica di sant'Antonio, il quale rappresenta l'ado-
razione dei Magi; e questo che orna l'altare centrale
della GappelHna su cui favello. Quello, a vero dire,
mostra una pendenza verso lo stile dei tenebrosi, che
mezzo secolo più tardi doveano con trasognate stranezze
23
tipo, e leggiadramente pennelleggiate; le estre-
mità ben disegnate; le movenze, sebbene trop-
po aggraziate, pure non isgrade voli. E però biz-
zarria fuori d'ogni ragione, e povera di effetto,
quella di por dorature su tutte le drapperie e
su parte del campo , ne punto è lodevole il co-
lore di soverchio opaco e stentato.
Prima di consecrare tutte le nostre osserva-
zioni agli immortali dipinti da Giotto lasciatici
in questa Cappellina, entriamo la sacrestia, e
celeremente disaminiamone l'immagine di En-
rico Scrovegno, che vi si vede scolpita. Sotto
una nicchia di gotico stile sta effigiata in piedi
la figura di lui colle mani giunte, e colla faccia
rivolta al cielo. Nel piccolo plinto, che la sostie-
ne , leggesi in caratteri detti gotici o tedeschi :
Propria figura domini HenriciScrovignimilitis de
V Arena. E dalla parola militis che il Federici nel-
la citata Opera (0 trasse argomento per credere
essere stato lo Scrovegno ascritto all'Ordine dei
Godenti, i quali avevano sempre l'appellativo di
milites. Io non mi sento da tanto per discutere
questa erudita si , ma pure poc;o rilevante que-
stione; solo rifletterò, che sebbene l'accenna-
ta figura non vada ornata di molti meriti , e
insozzare l'italiana pittura; ma Taltro^che abbiamo sot-
t* occhio, non è onninamente privo di pregi.
(i) Federici, loc. cit.
24
mostri artefice assai meno esperto di quello che
operava il sarcofago, nondimeno reputo non dis-
utile il produrla incisa , perchè ne offre un sag-
gio della maniera con cui i maggiori volevano
talvolta essere rappresentati nei santi ricinti al-
zati dalla loro pietà, e perchè ne conserva il
costume civile dei nostri signorotti nelle età mu-
nicipali (0.
Alcuni altri oggetti potrebbero ancora richia-
mare una sfuggevole attenzione, siccome appun-
to è una tavola rappresentante santa Prisca, di
giottesco stile, ed un armadio ad archetti acuti,
forse contemporaneo alla chiesetta, se non fa-
cessero maggiore invito ai nostri sguardi i di-
pinti del sommo discepolo di Cimabue, scopo
principale dei commenti che sono ardito som-
me ttere al giudizio del lettore.
(i) Il citato Federici nel tomo I. pag. 268 tenta pro-
varci che r abito il quale ricopre la figura di Enrico,
tanto nella sagrestia che sul sarcofago, era quello por-
tato neUe pubbliche funzioni dai soli Godenti. Senza
farmi oppositore alla sentenza di quell'erudito, osserve-
rò per altro, che un sì fatto abito è perfettamente si-
mile al costume di molti nobili e signorotti del secolo
decimoquarto, i quali non erano ascritti a queir Ordine.
Ad avere di ciò una sicura prova si veggano le imma-
gini dei due principi da Carrara, stese sui sepolcri po-
sti nella chiesa degli Eremitani in questa città, e quel-
le degli Scaligeri nelle celebri tombe di Verona.
25
Non è già più una quistione, se nei secoli di
notte e di barbarie, che avTolsero Tltalia di te-
nebre dal cadere di Roma fino al nascere di Ci-
mabue, l'arte della pittura mantenesse qualche
battito di vita. Gli scrittori ed i monumenti ne
provano di molte guise che in questa beata re-
gione, sorrisa da tanta mitezza di aura e di cie-
lo, confortata da sì pronto ingegno ne' suoi figli,
non fu mai spento del tutto l'amore e la prati-
ca di una si leggiadra emulatrice del vero. Ma
a quale stremo rovinava l'arte in quei secoli!
Non più venustà di forme, non più un digrada-
re spontaneo dalla luce alle ombre, proporzioni
esili, occhi sbarrati, piedi ritti indurati, pieghe
ordinate a guisa di canalature; non più, in una
parola, vestigio di un'arte liberale, ma imperfet-
to e rozzissimo meccanismo. Né a trarla da tan-
ta miseria per nulla valsero i greci maestri che
nel nono e decimo secolo approdarono alle piag-
ge italiane, e si sparsero per le varie parti della
penisola a colorare goffamente ancone, trittici,
manoscritti. Anche in Bisanzio, sebbene con più
tarda caduta che in Occidente, le arti erano in-
vilite; e quei pittori, fatti ignari d'ogni imita-
zione del naturale, non altro sapeano che trac-
ciare su d'un tipo medesimo immagini deformi
di Madonne, in cui al paro dell'antico pittore di
Elena gettavano a piene mani le dorature, onde
26
la ricchezza tenesse le yeci del bello. GF italia-
ni dipintori, più incolti ancora dei greci, tolsero
ad esempio quelle povere tavole, e pel correre
di più secoli nulla di meglio valsero a produrre.
Forse ove alcuni politici travolgimenti non
avessero rotto Talto sonno d' Italia , e se coi di-
largati lumi non fossero apparse più rette ordi-
nanze , le arti del bèllo visibile non sarebbero
uscite mai dalla sozza belletta in cui giacevano
ravvolte. Ma allorché dopo la pace di Costanza
acquistarono indipendenza e potere i municipi!
italiani, allorché colle franchigie dei commercii
prosperarono nelle città ricche ed animate l'in-
dustrie, le leggi furono fatte più sante dal dirit-
to sociale, e fu sbandito il tracotato feudalismo,
la civile libertà pose radice, e tutte le arti che
fanno bellissimo il vivere civile ebbero vigore
ed incitamento, e colla frequenza dei viaggi s'ac-
comunarono le dottrine fra nazione e nazione ,
anche le arti rinverdirono su questa terra , in
cui per tanto correre di lagrimosi anni erano
state avvilite dalla barbarie. I Conti rurali non
più seminati per le campagne a gravare di ferri
le terre ad essi soggette, ma raccolti a domici-
lio nelle città, vi alzarono palazzi magnifici; le
repubbliche fatte fiorenti , molto oro profusero
ad erigere edifizii colossali , ove libravansi i di-
ritti dei liberi cittadini. La religione, energica
37
I
molla politica al buon governo delle famiglie e
degli Stati, pose attenta cura al culto esteriore,
sempre il più efficace mezzo per sollevare il
cuore delle masse fino al trono della Divinità, ed
alzò tempii in cui gran parte dispendiavasi del-
la ricchezza municipale. Vergognava ella però ,
che sulle sublimi' pareti di quelle moli slancia-
te, sull'altare ove dovea vedersi figurato l'eter-
no Valore , immagini mostruose e sconcie rap-
presentassero tanta e sì grave potenza; animò
quindi i dipintori perchè, lasciate le informi
maniere dei greci musaicistì, movessero a più si-
cura norma, togliendo piuttosto dal vero la imi-
tazione, che dalle povere iconi dei bisantini co-
loritori. Fu il primo Cimabue a staccarsi dal
fare peritoso e bistentato di quei Greci, a scor-
gere a quale nobile segno dovea intendere la
pittura , ed agli sforzi di quel magnanimo leti-
ziò Italia, e ne cantò le lodi.
La natura, che par racquistare nel sonno dei
secoli bui le forze infiacchite dal forte ope-
rare, e compiacersi di trarre da quella notte
morale gl'ingegni destinati a raggentilire le na-
zioni , a riporre in onore i civili ordinamenti ,
diede vita a Giotto, uomo di sì elevato sentire
e di sì penetrante veduta da poter soltanto es-
sere comparato a quel sommo, il quale co' suoi
versi animosi cosparse di luce tutto quel secolo
a8
originale. E di \ero parve che la fortuna ran-
nodasse quei due grandi col triplice yincolo di
coevi, di concittadini e di amici, perchè Tun
l'altro trasfondendosi i sublimi concetti, giun-
gessero per diverso cammino lo scopo di diroz-
zare gli uomini, a quei dì ancora molto lonta-
ni da civiltà. Dante col grandioso concepimento
del sacro poema prese a dimostrarci quale fos^
se il sapere e la società del suo tempo, quali le
arti, le scienze, la politica, la religione, le frodi
dei troni , i delitti dei signorotti , le spregiate
virtù del savio, i vizii e le colpe del popolo: egli
potrebbe dirsi il cronista delle cognizioni, della
filosofia e della morale dominanti in quel seco-
lo , tutto ravvolto nelle aristoteliche e platoni-
che sottigliezze: Giotto intravvide nella pittura
un mezzo vigoroso per parlare una prepotente
parola alle moltitudini, un'arte fatta per rende-
re popolari quelle verità religiose , inverso le
quali si volgevano allora tutti gì' ingegni , tutte
le menti; sentì quanta dignità convenisse alle
composizioni che pigliavano a tema UAmor che
move il Sole e Valtre stelle ; e sul vero di conti-
nuo meditando, nella espressione toccò una me-
ta, che meravigliosa per quell'età, è pur difficile
arrivare anche ai giorni nostri, comechè irrag-
giati da tanta luce di sapere. L'Alighieri cacciato
in bando dall'ingrata patria, errante di città in
^9
città, di terra in terra, per tutto propagò Tainore
Terso l'armoniosa favella del sìj tolta per lui dal
lezzo dei trivii, e'fatta aulica e cortigiana; l'al-
tro, levato in fama di grandissimo, corse reggie e
municipii, ad ornare tempii e palazzi con quel-
le dipinture che dovevano riuscire arra di fu-
tura gloria per le arti di questa classica terra.
Dante fu l'immagine del versatile ingegno degli
Italiani, che possono sicuri drizzare ad ogni stu-
dio le penne dell'intelletto: egli il filosofo, egli
Io storico, egli il padre della lingua comune, egli
il consigliero di quei soccorsi valevoli a far li-
bera e grande la patria. Giotto profondamente
comprese , che a fare universale un dipintore
è mestieri a tutte le arti sorelle abbia posto ma-
no, perchè tutte di un comune vincolo si col-
legano: egli quindi tratta la scultura, e model-
la in creta anaglifi e statue che ancora serba^
vansì conservate ai tempi del Ghiberti; tratta
le seste, ed in Napoli, in Assisi ed in patria
eleva opere stupende e lodate , fra cui torreg-
gia prima il campanile della Cattedrale fioren-
tina, mole meravigliosa e sì armonica in ogni
lato, da bastar sola ad attestare quanto anche
nell'architettura valesse quel gagliardo artista (0.
(i) Perchè nulla mancasse a rendere culto e forbito
r ingegno del fiorentino pittore, sappiamo con certezza
3o
Ricco di tanto e sì vario sapere , non è quindi
meraviglia se in fatto d*arti fu proclamato l'uo-
mo universale de' suoi di, siccome Dante lo era
in fatto di lettere.
Io forse sarò di troppo uscito dal mio sogget-
to, raffrontando fra loro queste due menti vi-
gorose; ma poiché è fama che ai nobili conce-
pimenti del sommo pittore aggiungessero nerbo
e grandezza quelli dell'immenso poeta; poiché
pur vuoisi dalla viva voce di lui, ch'é signor
dell'altissimo canto , venisse infiorata , avviva-
ta la possente immaginazione del fiorentino co-
loritore; poiché sappiamo che qui, nel cuore
dell' amico , versava l'Alighieri le angoscie del-
l' anima dolorata; mi si darà perdono se favel-
lai lungamente sugli stretti vincoli d'ingegno
e di cuore che insieme avvinsero quei due gi-
ganti italiani.
Giotto salito in grande nominanza, corse Ita-
lia e parte di Francia, invitato per tutto con
larghissimi stipendii ed onori; e per tutto lasciò
ch'egli- talvolta scriveva versi. Nel codice num. 47 della
Biblioteca Gaddiana in Firenze (ora Mediceo -Laurcn-
zìana) troviamo una canzone di lui. Tuttoché essa sia
ben lunge dal meritarsi un posto fra le gemme dell'ita-
liano Parnaso, pure ne prova la ferace mente del no-
stro pittore. Chi fosse vago di leggerla impressa, vegga
r Opera del prussiano Rumohr, Italianische Forschun-
gen etc, pag. 5i.
3i
testimonii della ferace sua fantasia, ed imitato-
ri dello stile di lui. Molti scrittori, vinti da amo-
re di municipio , potranno sforzarsi a provare
non essere egli stato il solo che desse impulso
ad una scuola, e trattasse l'arte da maestro; ma
egli rimarrà però sempre il primo dipintore de*
suoi dì, ed il più venerato, il più seguito fino a
Masaccio. Scorri tutte le città ove Giotto pose
mano a pennelli, e le vedrai fornite a dovizia
di artisti che servilmente camminarono sulle
orme di lui. Persino Siena medesima, forse per
livore di odii municipali, gelosa di non affratel-*
lare colla rivale Firenze neppure le arti del bel-
lo , serba in alcune opere di quei giorni note-
voli traccie delle maniere di colui che oscurò
la fama di Cìmabue.
Anche in Padova Giotto die opera a molti
freschi, i quali furono esemplare e guida a tutti
i nostri dipintori di quel secolo, e che ora la-
mentiamo perduti (0, ad eccezione di quelli che
(i)La Cappella del Capitolo nella basilica del Santo,
citata dal Vasari come opera bellissima di Giotto, e sor-
gente di tanti errori pei commentatori dell'aretino bio-
grafo, venne da molto tempo imbiancata. Tentai ripetu-
te prove per togliere dalle pareti il bianco sovrapposto;
ma non mi fu possibile ritornare in luce se non gli avan-
zi di uno spartimento figurante varii monaci intorno ad
un leggio.
32
fregiano l'Oratorio dell'Annunziata, giojello pre-
zioso non solamente per questa città , ma ben
anche per tutto il tenere della penisola (0, la
(i) Lessi non ha guari alla pag. 68 della ora ricor-
data Opera del Rumohr le seguenti parole, ch'io qui
riferisco tradotte. Fra gli altri lavori del nostro artista
(Giotto) ricordati dal Ghiberti ^ sonovi ancora le pitture
delV antico anfiteatro in Padova , albenchè ridotte nella
più triste condizione f essendo state ridipinte a colla. Dal-
la Falle assicura cV esse sono fra le migliori opere di
Giotto'; forse le avrà vedute prima che venissero guaste .
NelVattuale loro stato non può darsi giudizio alcuno sul
merito di esse. V'edendo così di balzo tolto a Padova
uno de' suoi più insigni ornamenti, corsi subito a rivede-
re i celebri dipinti, onde raccertarmi se i molti artisti e
dotti viaggiatori che tutto giorno li visitanfo, versavano in
errore tenendoli fra le più conservate opere di Giotto.
Dopo il più diligente esame mi riconfermai avere il
chiaro Prussiano avventato un assai storto giudizio. A
riserva dell'allegorica figura della Stoltezza, per vero
dire tutta ridipinta, di alcune parti nella parete del Giu-
dizio , e forse dello spartimento rappresentante la fuga
in Egitto, nuU'altro sembrami esservi di ritocco fra que-
st' opere del sommo Fiorentino. Parmi anzi che il sìg,
Rumohr dovesse dagli ora citati ristauri meglio convin-
cersi della preziosa conservazione serbata dagli altri fre-
schi chiusi in quest'Oratorio. Solo che avesse osserva-
to con occhio attento, e non prevenuto, vi avrebbe scor-
te tali differenze fra le parti intatte e quelle insozzate
per moderni ritocchi, da escludere ogni dubbiezza. Se
per caso, che no'l vogliamo credere, egli inviato in que-
sta nostra penisola dal Re di Prussia, onde fare incetta
33
quale perdette sciaguratamente la più gran par-
te delle tante opere dal nostro insigne maestro
condotte (0.
Il eh. abate Morelli nelle sue erudite annota-
zioni alle Notizie di opere di disegno j da lui pub-
blicate (2) in Bassano, ne provò con evidenza
che Giotto s'era posto in sì vasta intrapresa in-
torno al i3o6, quando egli cioè toccava i più
fervidi suoi anni. Questi freschi sono disposti
in tre ordini di spartimenti, nel più alto dei
quali veggonsi rappresentate le principali azioni
. »%^»^'%>^^^^r%i%^^»%^^»^%V'»^
d'illustri tele per la Pinacoteca di Berlino, ha giudicato
tutti i dipinti da lui raccolti col senno e con la ponde-
razione con cui ha dato sentenza dei giotteschi, davve-
ro che noi Italiani non possiamo lamentare i capolavori
toltici da lui, né invidiar punto al prussiano Monarca le
gemme di che gli tornò onusto il suo Ruroohr.
(i) A riserva dei nostri freschi, e di quelli esistenti
nella chiesa della Incoronata a Napoli, poco altro ci
rimane In Italia di Giotto, che non sia guasto o dal
tempo, o dalla mano degli uomini. Le pitture di san
Francesco in Assisi, oltreché fra le sue prime, pei molti
ritocchi poco più lasciano di originale. Gli spartimenti
dipinto nel Camposanto di Fisa è quasi tutto scalcina-
to; i freschi di S. Croce a Firenze per gran parte ruino-
sì; gli altri di Roma quasi distrutti. Non vaste opere
lavorò in altre città; ed anche quelle vanno a male, o
di già perirono.
(a) Notizie d* opere di disegno ec, pubblicate dal Cav.
Morelli, bibliotecario della Marciana. Bassano i8oo. Ve-
di pag. a 3, e la nota relativa alla pag. i46.
34
della Vergine, e nei due inferiori tutta la Ttta
di Gesù Cristo. Sotto a questi sonovi dipinti a
chiaroscuro le sette principali Virtù, e di pro-
spetto i Vizii a quelle opposti. Sulla parete poi
che sovrasta la porta è figurato il Giudizio fina-
le. La volta tinta in azzurro, e seminata dì stel-
le dorate , va interrotta a quando a quando da
sfondi, ove campeggiano in mezza figura nostro
Signore e varii santi e profeti.
È universale dolore degli eruditi e degli ami-
ci de' buoni studii, che il francese d'Hancar-
ville (0, in cui Tingegno era pari alla estensio-
ne delle dottrine, non abbia mai voluto far di
pubblica ragione le dotte interpretazioni da lui
scritte su questi celebri affreschi. Egli avrebbe,
mi sia lecita la espressione, notomizzato il pen-
siero di quel grandissimo, il quale di tanto avan-
zò nelle sue composizioni i bui tempi fra cui
visse. Non è sicuramente fatica dagli omeri miei
il favellare di questi dipinti colla profonda eru-
dizione di che andava ricco il d'Hancherville; e
(i) Quest'uomo di vasta erudizione e di sottilissimo
ingegno visse gli ultimi anni della longeva sua vita in
Padova, ove morì nel i8o5 quasi nonagenario. Arric-
chì le lettere dì due Opere, che gli fruttarono bella fa-
ma. Antiquité$ etrusques tirées du Cabinet de Af.' Hamil-
ton ; e Recherches sur l'origine, V esprit et le progrès des
arts de la Grece» Quest'ultima è divenuta rarissima.
3r>
quindi, interpretate che io mi avrò del mio me-
glio le ingegnose allegorie racchiuse in alcuni
di essi, penso rivolgere le mie indagini princi-
palmente sulle parti che spettano all'arte.
Addiveniva di rado, cosi nel medio evo, come
nelle età municipali, che alcun'opera s'impren-
desse senza inframmettervi qualche tratto della
scienza allegorica e simbolica, precipuo segno
cui dirizzavansi a quei dì le discipline severe
ed amene. La simbolica era allora l'espressione
della società; per vie simboliche la filosofia per-
suadeva il meditare profondo, la politica disve-
lava le ragioni del governare, la religione invi-
tava all'omaggio di Colui che addusse in terra
il vero che ci sublima, la poesia accendeva gli
animi al forte sentire, le arti medesime facean-
si rappresentazione e specchio di morale. Nin-
no stupore quindi se Giotto ne diede in questo
Oratorio un saggio della profonda perizia che
egli si aveva sulle allegorie, pingendovi coi più
ingegnosi emblemi i vizii che disonorano l'uo-
mo, e le virtù che lo rendono la più eletta del-
le creature. Un tempo non doveva essere per
certo difficile lo svolgere il pensiero che guidò
il famigerato Fiorentino nella composizione di
questi chiaroscuri, perchè sotto di essi legge-
vansi alcune iscrizioni latine, le quali probabil-
mente ne additavano le ragioni dei varii sìmboli,
36
dal pittore creduti i più acconci per dar loro
eyideDza e chiarezza. Il tempo e la mano del-
l'uomo quasi interamente cancellarono quelle
epigrafi, e solo rimasero i nomi dei viziiedelle
virtù, scritti al di sopra d' ogni figura.
Prima fra quest'ultime si presenta la Speran-
za (Tav. IV). Ne punto Tediamo in essa effigiata
quella speranza yulgare, vòlta solo ai mondani
godimenti; ma invece quel sentimento vivo, ar-
dentissimo, che quasi fiamma ascendendo, si le-
va sempre alla prima Cagione, e fa propria deli-
zia gli eterni tesori. Ce la figurò il pittore in sem-
bianze di leggiadra giovinetta, che vestita di mo-
destissimo abito si stacca dalla terra, e librata
sull'ali alza il suo volo verso il supremo dei be-
ni, perchè la speranza che si rivolge al Creatore
abbandona ogni ricordanza di quaggiuso, e tut-
ta s'affisa in lui. Ed egli accoglie benigno quel-
l'atto, che dalle cose terrene la diparte, ed a lei
che gli stende le desiose mani invia un ange-
lo, a porgerle corona di eterno premio. Qualità
devota semplicità in quella movenza, quante
ingenue grazie in quel sorriso! Sì, tu leggi nel-
l'infiammato suo volto
quello attender certo
Della gloria futura, che produce
Grazia divina e precedente merto.
Dante. Paradiso. Canto XXY.
37
Alla Speranza tien dietro la Carità (Tay. V) ,
sulla quale mi fu dato vedere le dotte osserva-
zioni del d'Hancarville (0, di cui avviso porge-
re qui un breve sunto , rimandando poi il let-
tore all'Appendice, ove ho riportata per intero
la forse anche troppo ingegnosa e sottile inter-
pretazione stesa dall'erudito straniero su que-
sta figura.
La Carità, die' egli, va cinta da un'aureola,
simbolo della vita beata che l'aspetta nel cielo,
e da una corona di fiori intrecciati a frutta, em-
blema della felicità ch'essa gode sulla terra. Al-
cuni di questi fiori sono di color bianco, a de-
notare quanto questa liberale virtù possa coi
soccorsi recati agl'indigenti accrescere le fami-
glie ed ampliarne la floridezza. Giotto ci rappre-
sentò la Carità sotto le sembianze di una donna
che, varcata la giovinezza, arrivò quegli anni in
cui l'intelletto è possente di tutto suo acume, e
(i) II Gay. Alessandro Co. Fappafava, delle arti bel-
le dotto cultore , e solerte a raccogliere tatto ciò che
torna ad utile e a gloria delle medesime , possedè le
illustrazioni deirerudito Francese su tre frale Virtù di-
pinte nel nostro Oratorio, la Carità^ la Fortezza e la
Prudenza. Egli ch'ebbe la gentile condiscendenza non
solo di prestarmele , ma ben anche di permettermene
la stampa , si abbia in queste pagine tributo di grato
animo. Io spero che il colto lettore mi saprà grado di
trovarle tutte e tre riunite in fine di questo libro.
38
forte il corpo di fermo vigore. Noi uomini', li-
beri dall'imperioso giogo delle passioni, preferia-
mo allora l'utile al gradevole , la verità alle ap-
parenze, la felicità al piacere, il riposo all'agita-^
zione. Il volto di questa figura non offre i linea-
menti della bellezza, ma si bene quelli della
bontà. Rivestita di modesta negligenza, ella por-
ta una sola tunica, secondo quel precetto evan-
gelico che ci avverte : Il posseditore delle due
tuniche dee porgerne una a quegli che ne difetta.
Proseguendo poi l' erudito Francese a lodare in
essa la toccante espressione di affetto e di rivol-
gimento verso il Bene supremo, ci fa osserva-
re, gli otri che le stanno al piede, e su cui son
posti alcuni cartelletti, racchiudere il denaro
consecrato al sovvenimento dei poverelli. A me-
glio indicar poi i doni della Provvidenza, di cui
la Carità è ministra , Iddio stesso , intanto che
sta contemplandola con ineffabile tenerezza, e
l'approva e la incoraggisce, le depone una bor-
sa nella mano sinistra. Ella dirizza uno sguardo
acceso, divampante inverso di lui, si muove ed
agisce unicamente per lui; ma anche affisando-
lo ella sembra da interno impulso sospinta al^
l'opposta parte, a quella parte ove tien cus;toditi
i beni fidati al zelo di lei. A dir breve, tutto in
questa cara figura manifesta la volontà d'operare
di continuò; perfino la sua movenza palesa la
39
risoluzione di mutar prestamente i passi , onde
presto giugnere il prefisso scopo.
Compagna alle due ora nominate Virtù teo-
logali campeggia la Fede (Tav.VI), matrona di
maestoso aspetto, dignitosamente ricoperta da
ampie Toluminose vesti, le quali però si mo-
strano lacerate in varie parti; forse ingegnosa
allusione alla povertà in mezzo a cui ebbe cul-
la ed origine il Cristianesimo, o meglio eloquen-
te simbolo di una religione che si fa madre e con-
fortatrice al pusillo.
Le copre il capo una mitra, a simboleggiare
eh' ella esser deve precipuo fregio dei Pontefici
e dei ministri dell'altare. Serra nella destra il
sacro segno di redenzione, e nella sinistra tiene
il rotolo de' santi papiri, ove stanno scritte le
dottrine rivelate, per dimostrare ch'essa è la
proteggitrice e la interprete dei misteri racchiu-
si nelle sacre carte. Le pendono dalla cintola le
chiavi del cielo, lasciate dal Signore in cura al
Principe degli Apostoli, ed emblema, secondo
i sacri interpreti (0, della scienza e dell'auto-
rità sacerdotale , che discerne la gravezza del-
ìe colpe, e loro appone il gastigo. Coi piedi cal-
pesta infranti idoli della Gentilità, tavolette e
carte rabescate da cabalistiche linee e da segni
(i) In Cap. XVI. Matth.
4o
di astrologia giudiziaria, ai giorni di Giotto sor-
gente troppo copiosa di errore e di traviamento
anche per le menti più acute. Lo sprezzo con
cui Taugusta donna conculca quelle fonti fatali
di aberrazione, Tale a chiarirci che la vera fede
si fa gabbo della idolatria , della superstizione ,
delle travolte credenze , e trova ogni puntello ,
ogni guida in Dio.
Viene quarta la Giustizia (Tav. VII), e nelle
spesse rughe del volto ravvisi essere virtù che
meglio s'associa col freddo senno dell'età matu-
ra, anziché coi mille impeti degli anni più verdi.
È seduta su ricco seggio, e va coronata da diade-
ma regale, per mettere in aperto che dovrebbe
essere sempre partaggio dei regnanti, o dai re-
gnanti sorretta. Una vasta bilancia le pende di-
nanzi; ed ella coi palmi delle mani sottoposti ai
due piatti tenta uguagliare il peso, acciocché
non trabocchi da ninna parte. Su d'una di quel-
le bilancie un angelo sta ponendo una corona
sul capo ad un saggio che ha fatto sua delizia gli
«tudii (0. Sulla seconda altro angelo, sguainata
la spada della vendetta , vibra un fendente ad
(i) Forse il pittore pose qui gli angeli a compiere
gli uffìzii della Giustizia, per conformarsi alla senten-
za di san Bernardo, che disse essere pura, ferma e ret-
ta la giustizia degli angeli. S, Bernardus in Conversione
S, Pauli Sermo /. Voi. I. pag. 969.
4i
un malfattore che attende ginocchioni il castigo
meritato. Concetto veramente acutissimo, poi-
ché giova a farci palese che la giustizia mini-
strata su questa terra , a simiglianza di quella
del Cielo , deve tutto Kbrare su esatta lance , e
con uguale imparzialità guiderdonare le magna-
nime, punire le azioni colpevoli . Al di sotto del-
la matronale figura veggonsi effigiati con mol-
ta diligenza ed in piccole dimensioni alcuni gen-
tiluomini che coi falconi in pugno si recano a
caccia ; altri si abbandonano a danze , fatte lie-
te dal suono dì cimbali e crotali; altri anco-
ra sfoggiano ricchi abbigliamenti, e si godono i
diletti del cavalcare. Se male non mi appon-
go, volle così il pittore darci a divedere che in
quelle società, ove la giustizia è rettamente or-
dinata, ivi Tuomo può godersi in pace i sollazzi
ed i piaceri della vita.
Chi è quella donna tutta ravvolta ne' panni ,
d'aspetto sì mite, e che pure tiene fra le mani
una spada? (Tav. Vili) Io la ravviso: è la Tem-
peranza, che nell'atto modesto ci dimostra la
placida indole ch'ella sortì da natura, e l'unica
norma che la guida nel suo cammino, quella
cioè di persuadere agli uomini il giusto operare
per le vie della dolcezza. La bocca di lei è chiu-
sa da una sbarra, per renderci avvertiti che non
meriteremo mai '1 nome di temperanti, se non
4»
porremo freno ali* inconsiderato favellare. Ma
perchè poi quella spada, sempre emblema o di
severità o di ferocia? Fatti da presso, e vedrai
essere quel ferro ravvolto da più nodi , e sì fat-
taììiente ravviluppato dal balteo, che impossibi-
le sarebbe trarnelo dalla guaina. Quel pittore
filosofo amò cosi d'istruirci che la Temperanza
non si vale mai d*armi per amicarsi i cuori, né
stringe mai al bene operare colla forza.
Non è da credere che sia atteggiata ad ugua-
le calma la Fortezza (Tav. IX), che vien dopo
la ora descritta virtù. Mostra un cipiglio seve-
ro, arrischievole , baldo, quanto le forme della
persona. Tuttoché donna, non teme vestire la
corazza. Una pelle di leone le ricopre il capo e
le spalle, e le si avvinghia ai fianchi. Qui il pit-
tore conformossi alle idee colle quali gli anti- ,
chi si piacquero rappresentarci questa invitta
virtù. Essi ci figurarono Ercole o la Forza , che
domato il leone nemeo, ne traeva la pelle e la
faceva suo manto, quasi per chiarirci che la
forza dell'uomo, quando giunga ad abbattere il
più feroce fra gli animali, può prevalere ad
ogni cosa terrena. Disse ingegnosamente d'Han-
carville (vedi l'Appendice) favellando di que-
sto dipinto , che alla fortezza è solo manto la
gloria, e che il leone è qui emblema della for-
za , e la spoglia di lui quello della gloria . Que-
43
sta bella allegoria del coraggio e dell'ardire uma-
no, prosegue egli, male Mando della sempre
bugiarda' fortuna , par di già precedere i roTe-
scii di così infida divinità, e fa suo propugna-
colo un muro, dietro al quale ella può con van-
taggio difendersi , e ferire in sicuro Y inimico
che volesse sorprenderla. Sembrami però non
rettamente sentenziasse qui il sopraccitato eru-
dito; perciocché, se non erro, non è questo altri-
menti un muro, ma sì bene uno di quegli scudi
dei legionarii romani , detti dagli antichi scuta
sabina. In questa opinione mi rassoda e la poca
grossezza di esso, convenevole sì ad uno scudo,
non mai ad un muro che servir deve a difesa ;
e la mano sinistra celata dietro quello, quasi
lo tenga imbracciato; e quel leone delineatovi
sopra , e scortante, a guisa d' immagine che se-
gue il girare di corpo curvato; e, più che tutto,
quei tronconi di lancia e di giavellotto colà con-
fitti : prova evidente che il pittore avea voluto
figurar qui un corpo ben più facile di un muro
ad essere traforato dal ferro, siccome è appunto
uno scudo, spesso formato di cuojo. Farmi an-
cora, che il dotto Francese siasi ingannato quan-
do vide nel leone, posto ritto in piedi sullo scu-
do ora descritto, un simbolo dei potenti nemici,
i quali muovono uniti contro la Fortezza. A me
pare invece ch'esso dovrebbe pigliarsi quale em-
44
blema della generosità d'animo, compagna inse-
parabile del forte, essendo il leone quello fra gli
animali che più di tutti è yolto a nobili ardi-
menti, e sdegna sempre misurarsi coi deboli. Il
sopraccitato scrittore ne disse ancora tener la
Fortezza in mano un'arma tagliente ma non ap-
puntata, per dimostrare che, chiudendo nel pet-
to generosi, non crudeli sensi, evita di apparire
formidabile, e solo si sta contenta di rintuzzare
gli assalti portati contro di essa, senza curarsi di
rovine e di stragi. Qui parmi T acuto Francese
non troppo badasse a queir arnese di guerra,
cosi interpretandolo; poich'esso, piuttosto che
ad un'azza o ad una spada, somiglia una mazza
ferrata, ch'è appunto Tarma la quale nel medio
evo tenevasi come la più dannosa, e quella che
voleva essere maneggiata da braccia vigorose,
perciò meglio di ogni altra si affaceva alla sim-
bolica figura della Fortezza.
Ultima fra le virtù è qui la Prudenza (Tavo-
la X). Su d'essa pure serbiamo le dotte osser-
vazioni del d'Hancarville, di cui il Cicognara
riportò un tratto nel Tomo III. Librò III. del
suo colossale lavoro. Io per amore di brevità
le recherò ora epilogate. Sta la Prudenza sedu-
ta su d'una di quelle seggiole di cui d'ordinario
fan uso gli uomini consecrati alle lettere , onde
abbandonarsi a tranquilla meditazione. Lo spec-
45
chio convesso da lei tenuto in una mano (il qua-
le sebbene Taiga a sminuire ed a raggentilire le
forme, pure le presenta diffìgurate), simboleggia
le prevenzioni, l'opinione ed il pregiudizio, che
ci tolgono sempre di scorgere sotto giusto pun-
to di veduta le cose da cui siamo attorniati. 11
compasso, che le sta nell'altra , è emblema del
solido giudizio da lei usato di continuo per ap-
prendere Teqiia misura delle umane azioni, com-
battere gli errori, cribrare cauta le altrui opi-
nioni, conoscere interamente sé stessa. Essendo
essa utile ugualmente ai due sessi, e dovendo
scovrire nelle memorie del passato saggi am-
maestramenti pel presente e per l'avvenire, è
bifronte, ed al volto muliebre ne porta accop-
piato un altro virile. Veggonsl in quest'ultimo
le sembianze di Socrate , il più virtuoso ed il
più assennato fra i filosofi. Secondo la massima
di lui, la Prudenza impara nel volume, in cui
tiene fiso lo sguardo, a ricercare nel vero la re-
gola de' proprii giudizii, nella virtù quella delle
sue azioni. Un velo le copre il capo, pe'rch' es-
sa possa nascondersi di guisa da non iscontrar-
si mai negli sguardi avvelenati dell' Invidia e
^ella Calunnia. Il libro posto dinanzi a lei su
d'un leggio, è quello della Storia generale del
mondo. E là che la filosofia, unita alla sperienza,
le disvelò ciò che possano le passioni ed i prì-
4G
vati interessi, i tempi e le circostanze, i buoni
ed i cattivi consigli. Il volto della Prudenza,
prosegue il d'Hancarville, ben lungi dal pom-
peggiare d'una cospicua bellezza, mostra anzi
lineamenti vulgari; e ciò perch'essa è virtù che
viene acconcia ad ogni età, ad ogni sesso, ad
ogni ordine di persone, e pe'suoi pregii intrin-
seci da preferirsi alla bellezza medesima.
Considerando in generale le figure allegori-
che di queste virtù , riflette il più volte lodato
d'Hancarville, che tutte difettano di bellezza;
ed in questo ognuno verrà con lui d' accor-
do, soltantochè abbia occhi. Ma chi crederebbe
che un siffatto mancamento egli proclamasse sic-
come pregio sommo ed ingegnoso accorgimento
del pittore , il quale avvisò , a detta sua , essere
piuttosto le ora descritte virtù degne della bel-
lezza morale, anziché della fisica? Questo, se io
non erro, chiamasi farneticare per soverchio in-
gegno. Imperocché , chi mai vi sarà di sì gros-
sa veduta da credere che un artista dotato del-
l'alta potenza di operare il bello, e col bello tras-
fondere care, leggiadre, soavissime impressioni,
volontario si studii di delineare su tipi sconci e
disavvenevoli le più belle e le più candide fra
le virtù, e ti figuri con un volto volgare la spe-
ranza che gli animi avviva, la carità che li con-
forta, la fede che li rassicura, la giustizia che
47
gli regge, la temperanza che li raffrena, la for-
za che li protegge, la prudenza che li guida
fra le prunaje di questa vita mortale ? Di qual
maniera colui che tratta le arti potrà infonde-
re neir osservatore il sentimento del hello mo-
rale, se non porrà ogni sforzo a produrre la bel-
lezza fisica e materiale, da quello scompagna-
ta di rado? Chinando sempre la fronte alle opi-
nioni del dotto Francese , mi sembra che a ciò
fare Giotto fosse sospinto suo mal grado, perchè
la mano non valeva a significare quello che il
cuore gli dettava dentro, né poteva sulla in-
fanzia delle arti arrivare il bello. Di fatto si
confrontino le teste su cui ora favellai, con le
altre moltissime che stanno colorite negli spar-
timenti di questo Oratorio, e vi si vedrà, sì,
un'aria nobile , un' espressione viva , toccante ;
ma contorni che guidino a grazia, ma linee che
dottamente alternate ci dieno bellezza , quella
bellezza che Raffaello sentì e seppe produrre,
no certamente. Io noi nego, che se l'altissimo
Fiorentino avesse fiorito quando l'arte era già
dirozzata da ogni barbarie, quando profonde me-
ditazioni sul nudo, sull'anatomia e sull'antico
avevano disvelato ai dipintori il gonfiarsi vario
ed il protendersi dei muscoli, egli coll'alacre in-
gegno avrebbe raggiunto anche nelle leste ve-
nustissimi tipi.
4a^
Siccome Giotto pose prima tra le virtù la Spe-
ranza, così, per seguire la sentenza del santo
Abate di Chiaravalle(0, collocò in cima aiyizii
la Disperazione (Tav. XI). In quella tu ammi-
ri un' estasi che la divide da ogni fralezza ; in
questa t'inorridisce Tatto infame col quale ella
disprezza ogni legge umana e divina. Essa è fat-
ta a sé stessa carnefice, perchè niun affetto più
rannoda alle dolcezze del tranquillo viv#ere, per-
chè più non serra nel cuore l'amor de' suoi si-
mili, perchè ogni gioja disparve dinanzi a lei,
cui l'avvenire, quell'incessante pensiero dell'uo-
mo, è fatto mestamente deserto, e non le offre
più che il silenzio dell'orrido nulla. Per compie-
re l'infame suicidio ella ha scelto il capestro,
forse a denotare esser quello il mezzo che usa
più di frequente l'uomo orbato di ogni speran-
za, per attentare ai proprii giorni. Un demonio
l'arronciglia pei capelli, e la trascina ove ogni
lietezza è per sempre sbandita , per far dimo-
stro che il disperato è preda degna di Satana.
A questa viene sorella la Invidia (Tav. XII}.
Macerata da rabbia e da livore, ella approfon-
da i piedi nelle fiamme, per dar forse a divede-
re che la empia sete dell'altrui danno la divora
(r) S. Bernardus. Liber ad sororem de modo bene vi-
vendi. Voi. IL pag. 866.
49
sempre siccome foco ardentissimo, o meglio per
ricordarci ch'essa è maladetta emanazione d'in-
ferno. Né, a dimostrar ciò, Giotto si stette con-
tento a quest'ultimo segno, ma volle incurvate
sulla fronte le corna, colle quali sogliono le arti
distinguere il principe delle tenebre, di cui, se-
condo il detto di sant'Agostino (0, l'invidia forma
quasi il corpo e l'essenza. E grave d'anni, per-
chè nei vecchi l'invidia è bene spesso fiera e te-
nace, e di rado si appiglia in quei petti, i quali
nel bollore dell'età e delle illusioni aborrono di
abbandonarsi ad una colpevole gioja sulle sven-
ture dei loro fratelli. Nella bocca dell'orrido mo-
stro guizza un serpente, simbolo del veleno che
è versato di continuo dalla lingua di esso. A di-
mostrare poi che i mali recati dall'invidioso alla
società bene spesso si ritorcono a danno di lui,
la schifosa biscia ripiegasi a mordere la bocca
medesima da cui esce. La mano destra di que-
sta figura, unghiata al paro degli artigli del fal-
co , si sta in atto di graffiare , siccome appunto
adopera l'invidioso, il quale usa tutte le vie per
dilacerare le azioni de' suoi simili. A significare
poi che questo abbominevole vizio sociale, più
che ad ogni altro godimento della vita, rivolge
(i) Cantra ìitteraa Petiliani Liber IL; e Tom. II. Par-
te III. pag. 860, Tom. IX. pag, 267.
4
5o
le sue sozze brame a possedere Toro altrui, il
pittore gli aggiunse due esosi emblemi di ava-
rizia. Colla mano sinistra gli fé stringere una
borsa, e le orecchie foggiò alla guisa di quelle
del lupo , eh' è V animale di tutti il più ingordo
ed insaziabile; quindi Dante quando ci pinse la
immoderata cupidigia dell'arricchire, ce la por-
se sotto forma di famelica lupa,
di natura si malvagia e ria.
Che mai non empie le bramose voglie,
£ dopo il pasto ha più fame che pria.
Inferno. Canto I.
Di rincontro alla Fede scorgesi la Infedeltà
(Tav. XllI). Forse alcuni maliziosi vorrebbero
che questo, non so se vizio o peccadiglio della
umana natura, ci venisse presentato sotto sem-
bianze muliebri, anziché maschili. Senza farmi
approvatore della maligna osservazione, rifletterò
peraltro che Giotto (tuttoché vissuto in un tem-
po in cui gli uomini meno assai che a' nostri gior-
ni erano vòlti alle raffinatezze del vivere socia-
le) troppo aveva ingegno per non sapere appor-
re distinti emblemi alle colpe di quel sesso ama-
bile , che talvolta è fermo soltanto nel cangiare
di voglie. E quando pure avesse voluto nella
figura che abbiamo sott' occhio non altro dimo-
strarci se non i mutabili capricci di quella cara
passione che amareggia ed infiora la vita di desi-
5i
derìi, di speranze, di disinganni, forse non avreb-
be trascello forme yirili. Ma io invece avviso,
piuttosto della infedeltà degli amori, volesse qui
l'artista offerirci quella infedeltà verso la reli-
gione, che spinge T idolatra a farsi ribelle al cul-
to della Croce, e trascina lo scettico a negare
resistenza del Vero eterno che ci governa. Un
uomo che sembra reggersi a stento sulle gamba,
e va coperto da un elmetto simile al petaso del
messaggero di Giove, tiene nella mano destra un
simulacro femminile, che forse cogli abiti sfarzo-
si, da cui va ornato, vuol simboleggiare la Ido-
latria, la quale si offre sempre sotto forme pom-
pose e lusinghiere a chi non è forte nella fede del
Santo dei Santi. In tale congettura mi riconfer-
ma ancora più la cordicella che, tenuta per uno
dei capi dalla statuetta accennata, s'avvinghia
coU'altro al collo dell'Infedeltà; emblema atto a
farci conoscere, se non erro, essere sì fatto vizio
sempre vassallo della Idolatria e della Eresia. Le
fiamme che ardono da un lato è probabile voglia-
no indicar le pene della Città del foco, prepara-
te a perenne castigo dell'Infedele; ma forse po-
trebbero alludere a quelle vampe che l'Alighieri
immaginò sparse fra le tombe degli eresiarchi;
Per le quali eran si del tutto accesi.
Che ferro più non chiede verun'arte.
Inferno. Canto IX.
52
Più difficile per certo sarebbe il porsi in capo
d'indovinare T allegorica significazione di quel
vecchio che spicca fino a mezza persona dairalto
della cornice, e sta svolgendo un papiro. Chi si
appaga di aeree congetture, forse direbbe essere
quegli Davidde, Il divino cantor del sommo Duce^
il quale invita l'idolatra a ricondursi su retto
cammino , offerendo ad esempio sé medesimo ,
che pur dopo aver piegato sotto la foga delle
passioni e spregiato il signor d'ogni bene, seppe
tornare fra le paterne braccia di lui. A maggio-
re e forse più forte prova di quanto ho detto sul-
la Infedeltà è da aggiugnersi, che alla parola m-
fidelitas i Padri della Chiesa apponevano sempre
la significazione o di eresia o di idolatria.
Ammirasti l'ingegno dell'artefice quando pin-
geati Giustizia ( Tav. XIV. ) ; ammiralo ancora
quando ti delinea la colpa opposta a sì bella vir-
tù , r Ingiustizia . Un uomo il quale , chiusa la
giovinezza, sembra però non piegarsi sotto il
peso degli anni, sta seduto in lunga veste da
magistrato dinanzi un tribunale. Le mani di lui
vanno munite di unghioni, siccome gli artigli
degli uccelli grifagni. La sinistra afferra con atto
disdegnoso l' elsa di una lunga spada ; la destra
stringe uno di quei biforcuti roncigli che soglio-
no usare i mugnai per trarre a riva dalle stecca-
je dei mulini le travi nascoste sott'acqua. Quali
53
simboli più acconci degli accennati per additare
la sordida rapacità di colui che , pur dovendo
tenere pubblica ragione, tutto osa attirare a pro-
prio vantaggio, e tutto credesi permesso, purché
sieno paghe le sue avare cupidigie ? Dietro allo
scanno di lui s'alza una porta merlata, forse
ad avvertirci, nelle rocche e nelle castella, più
assai che fra la pace dei campi , essere violala
ogni legge del giusto e deironesto. Non è sì age-
vole il mettere in chiaro a quale emblematica
significanza intendesse il pittore con quegli ar-
boscelli e quei rovi assiepati tutto all'intorno del
tribunale. Forse volle con oscuro sì, ma con ar-
guto modo ammonirci che le azioni ingiuste e
colpevoli dell'uomo errano per tramiti intral-
ciali al paro di quelli de' boschi, ovvero si ope-
rano fra i sentieri intricati ed insidiosi delle de-
serte foreste. Sotto l'immagine della Giustizia
vedemmo ritratti i godimenti della vita , caro
frutto di quella magnanima virtù ; qui invece
scorgonsi, nelle stesse brevi proporzioni, rapine,
' omicidii, violenze, danni ingenerati sempre dal-
la ingiustizia' delle leggi e degli uomini.
Ira (Tav. XV.). Ad ognuno sarà avvenuto di
osservare che giammai il collerico si lascia ire
a tanto eccesso di furore, se non allora che gli
è tolto disfogare la rabbia che dentro lo consu-
ma. In quegli istanti impedito di saziare la sete
54
di vendetta, inferocisce ringhiando contro sé me-
desimo. Quindi Giotto, quando si fatto -vizio si
fece a pennelleggiare, presentollo sotto le sem-
bianze di una donna che , digrignando per col-
lera i denti, fa ingiuria al petto con ambe le
mani, e dilacera a brani la veste. Anche Dante
tenne ad un simile concetto quando ci descrisse
gl'iracondi, che, attristati nella negra belletta,
.... si percuotean non pur con mano.
Ma con la testa e col petto e coi piedi.
Troncandosi coi denti a brano a brano.
Inferno. Canto VII.
Questo chiaroscuro, se non è pregevole per ca-
stigato contorno, fa però mostra di grande cal-
dezza. Sembra quasi che il dotto artefice abbia
voluto incarnare quelle tonanti ed animose pa-
role di san Basilio (0, quando rovescia un tor-
rente di contumelie contro gl'irosi; e scorgi tutta
divampare la sconvolta persona, e parti udire Io
stridio dei compressi denti, e miri il livido volto,
e le turgide vene, ed il capo rigonfio pel tempe-
stoso mareggiare dell'animo. •
Eccoti dinanzi all'Incostanza (Tav. XVI.). È
giovinetta in sul fiore degli anni, che a corpo
abbandonato si getta sopra una ruota , e viene
tx'ascinata dal rapido aggirarsi di quell'eloquente
(i) Homclia adversus iratos, Tom. II. pag. i^S,
55
simbolo deirumaiia mobilità. Vedendo però qui
r Incostanza opposta alla Fortezza, è da credere
che l'artista ce la porgesse quasi immagine di
debolezza e di fatuità negli argomenti che per-
tengono alla religione; per la qual cosa io avviso
che la ruota yoglia anche alludere a quella sen-
tenza deir Ecclesiastico: Praecordia fatui quasi
rota carri; et quasi axis s^ersatilis cogitatus illius.
Cap. XXXIII. V. 5.
Impetuoso -vento ne gonfia la gonna , e siffatta-
mente ne agita le pieghe, che quasi dubiteresti
vederla trasportata in aria ; leggiadra maniera
per farci conoscere essere la leggerezza sempre
inseparabile compagna alla incostanza.
Viene da ultimo la Follia (Tav.XVIL), né hai
d' uopo di leggerne in alto il nome per ricono-
scerla. Un uomo quasi nudo, col capo bizzarra-
mente ricoperto da piume a guisa degl'Indiani,
affeiTa una grossa claTa,la quale sembra voglia
egli far ruotare intorno alla impazzata, siccome
di sovente sogliono quegli sciagurati che hanno
smarrito il bene dello intelletto. None perciò da
credere sia qui effigiata quell'alienazione della
mente, la quale fa l'uomo meno che mortale, e
gli toglie la potenza sublime concedutagli dal-
l'Eterno; ma sì bene l'altra che lo avvolge e lo
trascina nel peccato a cui gli Ebrei davano no-
me da insensatezza. Forse il pittore vesti di quelle
56
foggie indiane quest' ultimo vizio per ricordarci
gl'Infedeli ed i Gentili, ì quali da san Paolo so-
no detti stoltij perchè non conoscevano le vie di
Dio, e si vivevano in profonde tenebre sui dom-
nii della vera fede.
Se vorrassi perdonare ad alcune scorrezioni
nel nudo, alle estremità, per vero dire, condotte
con molta secchezza è stento, concederassi es-
sere questi chiaroscuri di lunga mano superiori
al bujo secolo in cui furono prodotti. Loderan-
nosi volti, se non gentUi e leggiadri, certamente
di un'energica vivezza, movenze sempre vere e
concordi al concetto , pieghe con diligente faci-
lità disposte e con industre artifizio dipinte, un
segno castigato purissimo , invenzioni sempre
varie, sempre nuove, sempre ingegnose. Queste
allegorie, potente prova dell'acuta mente giotte-
sca, è forza credere venissero altamente ammi-
rate anche ai giorni del pittore, poiché veggiamo
un illustre artista a lui contemporaneo imitarne
quasi interamente alcune. Andrea Pisano, scul-
tore sommo, in quel suo miracolo dell'arte, la
porta meridionale del battisterio fiorentino, com-
pose alcune virtù sull'archetipo stesso delle ora
mentovate. Sono fra queste (siccome avverti an-
che il Cicognara(O) la Fede e la Piudenza, nelle
(i) Tom. III. pag. 399-400.
5?
quali non solo veggonsi quasi i simboli stessi ,
ma pressoché le movenze delle nostre. Ned è a
credere che Giotto si pigliasse a modello Andrea;
poiché le pitture dell'Annunziata furono da lui
operate nel i3o6, e la porta di san Giovanni a
Firenze si fuse , com' è notato nella iscrizione ,
ventiquattro anni dopo, vale a dire nel i33o. È
più verosimile che Andrea , vedute avendo le
dipinture deirArena fra gli anni i3o4 ^ i3io,
nei quali dimorò a Venezia , quasi a tributo di
ammirazione verso tanto lavoro , ne traesse al-
cune invenzioni per acconciarle a quelle por-
te bellissime, che bene disse il Cicognara essere
r anello fra le rozze del Bonnano e le meravi-
gliose del Ghiberti. Ben è vero potersi pensare
non già Tuno degli artisti copiasse queste figure
dalFaltro, ma piuttosto entrambi le attignessero
dalle nozioni più ricevute e più comunali a quei
giorni in fatto di Iconologia simbolica. Mi pare
peraltro che una tale opinione male si regga ,
quando si vogliano osservare nelle opere d'altri
artisti contemporanei le allegorie medesime im-
maginate da' nostri due insigni, poiché si scorge
ben di leggieri essére su differente tipo ordinate.
In tanto dubbio un passo del Vasari vale forse
a disvelare il vero meglio di ogni altra prova (0.
(i) Fita di Andrea Pisano. Tom. II. pag. 157.
58
Racconta egli nella Vita del pisano scultore,
« che essendo quest'ultimo a Ciotto amicissimo,
» gli fu data a finire una delle porte del tempio
» di san Giovanni , di cui avea fatto Giotto un
» disegno bellissimo, ec.» Qual meraviglia quin-
di che il discepolo di Cimabue, solito a ripete-
re , come notò anche il Lanzi , le proprie com-
posizioni , improntasse su d' un concetto stesso
le allegoriche immagini da lui effigiate, e quelle
che disegnava per Y amico suo ? Il Padre della
Valle in una nota al sopraccitato passo del Va-
sari non trova probabile che uomo sì sommo ,
com'era il pisano Andrea, si piegasse a spende-
re ventidue anni per eseguire i pensamenti di
un altro. Ma se l'ottimo Padre avesse posto men-
te che Giotto veniva salutato il più eccellente
dipintore de' suoi giorni e quasi il moderatore
delle arti tutte, se avesse considerato che a nin-
na opera metteasi mano in Firenze senza prima
tenerne seco lui consiglio , avrebbe senza dub-
bio sminuita la sorpresa. E l'avrebbe anzi tolta
di mezzo, se si fosse piaciuto rammentare , si-
mile esempio non essere rimasto unico nella sto-
ria delle arti. Il Pinturicchio, pennello certamen-
te non volgare, si diede per parecchi anni a colo-
rire gli stupendi cartoni da Raffaello immaginati
per rappresentare le azioni illustri del pontefi-
ce Pio IL, Enea Piccolomini, e ne porse quelle
59
preziose pitture, bellissime fra le molte della sa-
nese cattedrale. Fra Bastiano del Piombo, pittore
dì forza e di gagliardia, incarnò parecchie ardite
composizioni dell'immortale Bonarotti. Lo stesso
Giulio Romano, sì grande, sì abbondoso, sì vario
nelle invenzioni, assoggettò la impaziente sua
mano a porre ad effetto vasti pensieri dell'Ur-
binate. La potenza d' inventare dottamente è sì
raro dono nelle arti del bello, è pregio sì parca-
mente conceduto dal Cielo , che non è da sor-
prendere se artisti per ogni maniera sommi in-
chinaronsi in tutti i secoli a farsi mani servili
ai concepimenti di quei pochi, cui natura largì
una mente alacre, slanciata, creatrice. E tanto
più ciò doveva accadere in un secolo, come quel-
lo di Giotto, nel quale per povertà di lumi e di
mezzi tornava certo difficilissimo il comporre
lodevolmente un ricco numero di storie.
Dopo i chiaroscuri lo sguardo corre volentieri
alla parete sopra la porta, ove sta dipinto il Giu-
dizio finale, composizione strana quanto le co-
stumanze, temeraria quanto il fiero secolo ia
cui venne operata. Signoreggia nel mezzo Que-
gli cK è padre d'ogni mortai uita^ ravvolto dalle
fascie di quell'Iride, che, al dire dell'Apocalisse,
accerchiano il trono di Dio. Le zone di essa, an-
ziché spartite nei sette primitivi colori, non ne
offrono che tre soli , forse per ridurci a mente
6o
quelle inspirate parole, alludenti alla divina Tria-
de, del ghibellino poeta, quando tutto affiso nella
beata luce dell'eterno Amore prorompeva:
Nella profonda e chiara sussistenza
Dell'alto lume parvemi tre giri
Di tre colori e d'una continenza ;
E Tun dall'altro, come Iri da Iri,
Parca riflesso; e '1 terzo parca foco
Che quinci e quindi ugualmente si spiri.
Paradiso, Canto XXXIIl.
Il Signor delle sfere ha fatto le nul>i suo padi-
glione, e dal suo trono escono le folgori e le sette
lampade ardenti (0, simboleggiate dagli Angeli
annunziatori di quel gran dì, in cui ogni speran-
za, ogni grandezza, ogni tema s'agguaglia dinan-
zi a lui. Egli maggioreggia su tutte le altre figu-
re, perchè i primi maestri delle arti presso ogni
nazione avvisarono valere la grandezza materia-
le a far si che le moltitudini piglino una vasta
e larga idea sulla morale dell'oggetto effigiato, e
si avvezzino persino dalle esterne rappresenta-
zioni a considerare la Divinità superiore ad ogni
cosa creata.
Librati sull'ali stanno in alto a miriadi i che-
rubici spiriti, dispiegando festanti il vessillo di
{i) Et de throno procedehant fulgura et. voces et to-^
nitrua, et septem lampades ardenies ante thronum , qui
suìit septem spiritus Dei. Apoc. Gap. IV. v, 5.
6i
salvazione, ed inneggiando alla gloria di Colui
che gF innamora e li fece cotanti. Affianchi di
Luì siedono apostoli e patriarchi , più sotto nu-
merosissimi santi e heati. Ma la sua parola tuo-
nò tremenda sui mondi e sul tempo; e i mondi
crollarono, e il tempo disparve. Escono dagli
avelli i trapassati vestiti d'ossa e di polpe, aspet-
tando paurosi la voce che atterra e suscita. E
quella voce che solleva dalla polvere il pusillo,
e lo pone daccanto ai potenti; ch'è bufera a tu-
mide superbie, conforto al morente, dovizia al
povero, terrore ad astiose vendette; quella voce
che impera sui burroni e sul mare, sui cedri del
Libano e sulle quercie di Basan; quella voce che
rapida comanda 1* universo ed il nulla, chiamò
a sé gli eletti, e dannò i reprobi nell'eterno do-
lore. Quindi tu vedi affollarsi alla destra di Lui
Vanirne beate d'una vita d'amore e di pace, collo
sguardo fiammeggiante d'allegrezza porre in Lui
tutto l'animo, ed ogni desiderio, ogni speranza,
ogni consiglio attignere da Lui, e beverne ineb-
briate le eterne armonie. Là miri coronati prin-
cipi, fra cui quel primo ricoperto di romana lo-
rica è forse Costantino , il quale tanto giovò a
dilargare per tutto il vastissimo impero la reli-
gione di carità e di concordia, che tutti ne lega
ad un patto. Là donne regali, liete di stringere
rami di palma, simbolo di quei terreni martini
62
che loro Talsero la celeste Sionne. Là scorgi pò-
•verelli mondi da colpe, che offerirono a Dio una
vita di miserie e di stenti, accomunarsi cogli
umili opulenti, che non dimenticarono, il loro
superfluo esser pane dell'indigente; Là finalmen-
te i fondatori dei sacri Ordini , che dai silenzii
del chiostro e fra il salmeggiare degl* inni san-
tissimi diffusero la religione di Cristo, anima-
rono gli sforzi del negletto agricoltore , raccol*
sero d'ogni buona disciplina le ricordanze, con-
servarono i preziosi scritti della dotta antichità.
Orribile spettacolo a sinistra ! ! Gli spiriti ru-
belli trascinano spietatamente coi roncigli e coi
graffi per quell'aere greve senza stelle i mala-
detti dall'ira suprema. L'ingegnoso pittore, per
parlare all'animo una sublime parola di filoso-
fia, ci pinse nell'alto, piuttostochè gli eterni tor-
menti inflitti ai peccatori, le colpe sozze e ne-
fande che traggono l'uomo sul cammino di per-
dizione. E qua tu vedi femmine da conio, rotte
ad ogni brutale lascivia, vendere per oro l'ono-
re; là ministri dell'altare, conculcata la più alta
missione che sia sulla terra, barattare a fissato
prezzo il perdono di Dio. Strani, e consigliati
da bizzarra immaginativa , si mostrano i varii
strazii coi quali i demonii graffiano, squojano,
dilacerano le membra dei dannati. Non v'ha
età, non condizione da quei feroci rispettata*
63
Anzi, ad offerirne una preziosa lezione morale,
adoperò di guisa quel sommo artista, che appa-
rissero più fieramente straziati gli uomini i quali
tennero sulla terra le dignità e gli onori, e po-
tendo operare il bene , portarono ai lor fratelli
roYina e sangue, anziché coloro che trascinaro-
no miserrima vita fra il servaggio e la povertà.
Perilchè ci figurò dilaniati orribilmente da Sa-
tana principi che, spregiato ogni sociale diritto,
gravarono di esecrate catene i soggetti; maestrati
i quali, conculcata ogni legge, si fecero idolo del-
l' arbitrio e tutto osarono, per avvilupparsi fra
le nefande ambagi dell'ambizione; sacri pastori
che, in luogo di mostrarsi alle suggette greggie
modello di umili evangeliche virtù, in luogo di
sacrare vigilie e digiuni a pregare dal Cielo per-
dono , conforto , benedizione , in luogo di farsi
puntello e sovvenimento a' poveri, trassero gior-
ni inverecondi, e bruttati dal brago de' vizii. A
dir breve , per tutto quel vasto concepimento
v'ha tale un disperato agitarsi, uno scendere di
colpa in colpa maggiore, uno accapigliarsi con-
fuso fra dannati e demonii, per tutto nuovi tor-
menti e nuovi tormentati, che malagevole e lun-
ghissima impresa sarebbe il volerlo a minuto
descrivere.
Fra quegli alti malori, quasi signore dell'in-
ferna regione, giganteggia Lucifero. Nel vederlo
64
arruffare gl'ispidi Telli e divorare con Ire boc-
che i dannati, tornano a mente i robusti versi
del fuggiasco Ghibellino , quando ci adombra
Vangelo rubello, fatto tricìpite, piangere con sei
occhij e per tre menti
Gocciare il pianto e sanguinosa bava.
Da ogni bocca dirompea coi denti
Un peccatore a guisa di maciulla,
Sicché tre ne facea così dolenti.
Inferno, Canto XXXIV.
È rimarchevole come in tutta questa vasta com-
posizione Giotto si piacesse di mutar più volte
la proporzione delle figure. Notammo ch'egli di-
segnò Dio più grande di tutti gli esseri creati
che lo circondano . Gli apostoli , i patriarchi , e
quelli che , promovendo il santo culto di lui ,
meritarono le celesti felicità , sovrastano agli
eletti posti a destra del Signore ; ed essi pure
sono di gran lunga più alti dei reprobi collocati
a sinistra, tuttoché anzi per ragione di prospet-
tiva dovesse operarsi il contrario. Forse il pit-
tore, fermo al principio di cui più sopra dicem-
mo, essere cioè le dimensioni fisiche prepotente
mezzo a far concepire all'animo l'astrazione del-
le relative grandezze morali, avvisatamente in
quella guisa immaginando il suo dipinto , volle
darci un'idea sensibile delle gradazioni che si
inframmettono fra il Creatore d'ogni bene e la
65
più avvilita delle sue creature, Tuoino ravvolto
nel fango delle colpe.
Non si accagioni d'inverecondia o d' irreligio-
ne l'insigne maestro, se lasciò ire il pennello
ad abbiette oscenitadi ed a mille turpezze cle-
ricali. Potenti ragioni doveano a ciò forzarlo; e
prima lo spirito di fazione , peste allora di ma-
gnati e di plebe , funesta miseria di gagliardo
secolo. In quei tempi ogni cittadino, obbliando
spesso le sciagure e la libertà della patria, fatto
del cadavere dei fratelli sgabello ad orgogliose
ambizioni, andava matto per Guelfi o per Gbi-
bellini, quelli a Cesare, questi alla Chiesa avver-
si. Certo non abbisognano lunghi ragionamenti
a persuadere che Giotto, l'amico di Dante, par-
teggiasse per gli ultimi; certo chi si mostrava
dimestico all'uomo il quale fieramente cantava :
Le mura che solcano esser badia,
Fatte sono spelonche, e le cocolle
Sacca son, piene di farina ria,
Paradiso. Canto XXII*
dovea starsi pronto ad avvalorare coi colori quei
delti animosi. È quindi chiaro che, ogni volta
gliene venisse il destro , non facea sparmio di
aguzzi trovati per disfogare l'intima bile verso
dei sacerdoti, e farli segno di pubblico scherno.
Per altro ti reca sorpresa com'egli si permettes-
se ciò in un sacro ricinto, destinato agli uffiziì
66
di pia corporazione. A tanto forse lo guidayano
e i tempi e i costumi, che ancora sapeano d'in-
temperante e di agresto, né ayeano onninamen-
te spogliata la ruvida scorza; e la società, che a
qualunque fazione inchinasse, pure godeva ve-
der dilania te le avare nequizie di che andavano
bruttati molti fra i sacri pastori. Era questo as-
sennato consiglio a correggere i ministri del
santuario, o troppo celere mezzo a disseminare
irriverenza verso la religione, spregio verso ogni
pudore? Ai filosofi la difficile sentenza. Noi pas-
siamo a questione che più si lega col nostro
soggetto.
È tradizione che ad ispirare a Giotto sì gran-
dioso concepimento molto abbia giovato l'Ali-
ghieri, il quale a quei giorni errante di terra in
terra, recato erasi in Padova a visitarvi l'aniico.
Vero è che il divino poeta (siccome ne racconta
Benvenuto da Imola (0) venne fra noi quando
(i) Ecco le parole deU' Imolese. Accidit autem semel
quod dum Giottus pingeret Paduae adhuc satis juvenis
unam Cappellani in loco ^ uhi fuit olim Theatrum sive
Arena y Dantes pervenit ad locum. Quem Giottus honori-
fice receptum duxit ad domum suam . Uhi Dantes vi-
dens plures infantulos ejus summe defornies ^ et {ut cito
dicam) patri simillimos , petivit : Egregie magister, nimis
miror quod cum in arte pictoria dicamini non hahere
pareniyUnde est quod alias fi guras facitis tamformosas,
vestras vera tam turpes? Cui Giottus sulridens, praesto re-
67
Ciotto ne pingeva i suoi prodigii nell'Arena. Ve-
ro è che il cantor di Beatrice amava il pittore
di fida e ferma amicizia; quindi è ben verosi-
mile di molti consigli lo soccorresse: ma non per
questo ne viene che la composizione del Giudi-
zio finale sia condotta intieramente sui dante-
schi dettati. Anzi alcune osservazioni, che qui
porrò innanzi, mi guidano a credere per gran
parte il contrario.
Il sacro poema , improntato ad ogni pagina
d'un forte ed originale sentire, subito che uscì
in luce, stampò nel secolo gagliarde impressio-
ni . Tutti i dipintori sincroni ad esso , quando
tolsero a rappresentare i Novissimi, ne seguiro-
no palmo a palmo le traccio. Così Andrea Or-
cagna ci pinse a Firenze in S. Maria Novella
l'inferno colle stesse divisioni e bolge con cui
Dante avea spartito il bujo regno. Per la qual
cosa se tu ti fai minutamente a raffrontare la
prima Cantica dell'immortale poema con quel
grandioso affresco, ne vedrai, a sì dire, ritratti gli
alti concetti. Così Bernardo Orcagna nel terzo
Novissimo, che ammirasi in uno dei lati del Cam-
spondit: Quia pingo de die, sed fingo de nocte. Haec re-
sponsio summe placuit Danti , non quia sibi esset nova y
quum inveniatur in Macrohii libro Satumalium, sed quia
nata videhatur ab ingenio hominis. Muratori Antiquita-
tes italicae medii aevi» Tom. J. pag. 1 1 86.
68
posante pisano, si fece seguace di siffatte norme.
Cosi molli dipinti di consimile soggetto, eseguiti
in quel secolo nella Toscana ed in altre parti
d'Italia (0, pigliarono a modello l'universale poè-
ma, e tentarono serbarne lo stesso disegno. Ma
tutto ciò non vediamo nello Inferno di Giotto,
che ci sta sott'occhio. Non v'hanno in esso qua'
tanti gironi concentrici, ove sì numerose torme
di peccatori provano quanto tremenda piom-
bi la vendetta dell'offeso Signore; non v'hanno
le bolge degl'ipocriti, rivestiti di dorate cappe
di piombo; non quelle dei lussuriosi, cacciati a
turbo dai furiosi venti. Né vedi gl'iracondi attri-
starsi nella negra belletta, ne i prodighi volger
gran peso per forza di poppaj né i violenti mu-
tarsi in tronchi, ove fanno nido le arpie; non
Cerbero che per tre bocche latra , non il lupo
maledetto che tuona con la voce chioccia, non
Caronte che cogli occhi di bragia batte col re-
(i) Nella Tavola II. dell'Opera intitolata Alphàbetum
Thihetanum del P. Giorgi , religioso agostiniano , stam-
pata in Roma nel 1763, vedesi riportato un dipinto figu-
rante r Inferno , il quale ha grande rapporto colle de-
scrizioni dantesche. Cotanta poi era nel secolo del poe-
ta la venerazione per le immortali Cantiche di lui, che
a Firenze, correndo Tanno i3o4, in una festa popola-
re diretta dal pittore Buffalmaco fu data una specie di
rappresentazione teatrale , ordinata intieramente secon-
do il tessuto della prima Cantica dantesca.
69
mo i mìseri che varcano la livida palude , non
Ugolino che rode il teschio misero coi denti ,
non la bella Ariminese che lagrima l'amore fal-
lito, e la leggiadra persona tolta per sì truce mo-
do. Ciò solo che in tale affresco sembrami, sic-
come accennai, tratto dal poeta, è la fascia tri-
colore che raccerchia il trono dell'Altissimo , e
Lucifero che gigantesco e feroce ingoja ad un
tempo tre peccatori. Ma anche quello imperato-
re del doloroso regno non è poi foggiato intiera-
mente sulla dantesca descrizione. Il poeta ci por-
se Lucifero, a mo' d'Ecate, con tre facce unite
ad una sola testa; e qui invece ad un solo volto
d'uomo vanno aggiunte due teste di serpenti.
Dante lo disse tuffato nel ghiaccio sino a mezzo
il petto; e qui è figurato intero e sedente (0. Che
che ne sia di sì fatte rassomiglianze, è però certo
nulla esservi in tutto il resto di quella vasta com-
posizione, che ricordi e il generale tessuto ed^i
peculiari episodii della divina Commedia. Ben è
vero che la versatile fantasia dell'Alighieripoteva
proporre a Giotto l'Inferno ed il Paradiso su vie
ben diverse da quelle ch'egli stesso calcò; ma
(i) Anche il P. della Yalle nelle sue note alla Yita
di Giotto scritta dal Vasari è d'opinione che Dante
suggerisse al pittore fiorentino soltanto quel Demogor-
gone che ha tre f accie ^ e manuca Vanirne dannate, Va-
sari Fita di Giotto^ pag. loi.
72
veramente fosse stato in questa composizione
scorta a Giotto, quest* ultimo , nonché lasciarla
bistrattare da men perite mani, con ogni soler-
zia avrebbe tentato di finirla e limarla di guisa,
che il fiero poeta andasse superbo nel vedere
maestrevolmente vestite di colore e di forma le
energiche idee che gli rampollavano nell'anima.
Piuttosto parmi che il dotto pittore non altra-
mente dal chiaro amico e concittadino pigliasse
le mosse nel comporre il Giudizio , ma ne atti-
gnesse il profondo concetto dalle sacre carte, e
peculiarmente dall'inspirato libro di san Giovan-
ni. E di vero, se ti fai a considerare gli eletti po-
sti alla destra, i reprobi alla sinistra del supre-
mo Giudice, e quel circolo, simbolo d'eternità,
che serra il trono dell'Eterno, e quei gravi vec-
chiardi seduti su dignitosi scanni, e quegli angeli
che squillando le mistiche tube annunziano il
giorno dell'ira e della misericordia, e quelle fol-
gori e quei torrenti di fuoco , che lanciati dal
seggio di Dio rovinano sui maledetti, torneran-
noti alla memoria i motti sublimi di Matteo, di
Daniello, e del rapito di Patmo. Né Giotto era
il primo a pigliare a norma della composizione
del Giudizio l' augusto e terribile profetare dei
sacri libri. Per tacere d'altri esempii numerosis-
simi, nei mosaici della basilica Marciana ed in
quello vasto della cattedrale di Torcello (ove i
73
greci maestri nello scorrere del decimosecondo
secolo ne porsero figurato il gran dì) yeggonsi
le medesime ora notate allusioni s^i passi biblici
che rammentano il giorno finale.
Questo dunque parmi buono argomento a con-
cludere che Giotto , anziché profittare dei con-
sigli di Dante } seguisse le traccie di chi lo avea
preceduto nel rappresentare un simile soggetto,
e le infiorasse poi colla vigorosa sua immagina-
zione . Ove parmi piuttosto si possa venir per-
suasi che il sommo Ghibellino giovasse Tamico,
è nelle figure allegoriche delle virtù e dei vi-
zìi, su cui tenni discorso, nelle quali e tante
v'hanno allusioni, come osservai, al poema sa-
cro, e v'ha tale una critica e perspicace mora-
lità, da attestare di leggieri il soccorso d'una
mente superìore , e fatta per disdegnare persi-
no i limiti della terra , siccome era quella del-
l 'Alighieri.
Nel centro della or descritta parete v'ha un
episodio che in ninna guisa collegasi col resto
della composizione, e che potrebbe dirsi con
moderna frase un fuor coopera. A' piedi d'una
croce sorretta da due angeli veggonsi tre donne
in atto di presentare il modello dell' Oratorio ,
su cui discorro , ed un personaggio fregiato di
signorile veste talare, che sta umil emente genu-
flesso dinanzi ad esse. Il modello accennato posa
74
sulla spalla di un frate in bianca cocolla. Forse
volle il pittore in quella dignitosa figura ginoc-
chioni effigiarci Enrico Scrovegno ch'era signore
deirArena e della chiesa, nelle tre donne tre
sante protettrici a cui egli avea peculiare devo-
zione, e nel frate posto a fulcire il modello del-
l' Oratorio tutto l'Ordine dei Godenti, che te-
neva debito di qui adempiere i sacri obblighi
ad esso imposti.
Proseguendo ad osservare i dipinti delle altre
pareti, incomincierò dai più alti, ove stanno
espressi i fatti della Vergine. Mi dilungherò al-
quanto nello svolgere i soggetti di questa prima
linea, perchè non essendo dei più comuni, po-
trebbero a molti riuscire oscuri, senza un qual-
che schiarimento. Per trovare il conveniente
ordine, ed insieme concatenare le storie, è forza
dar principio dallo spartimento a destra di chi
entra, collocato in un angolo dappresso al muro
della tribuna.
Primo spartimento. Un talamo infecondo era
marchio d'ignominia presso gli Ebrei. Gioachino
dolente d'essere da vent'anni indarno congiunto
ad Anna, lamentandone la sterilità, alzava a Dio
calde ed incessanti preghiere ond' essere fatto
ricco di prole. Solcano coloro che non manca-
vano di figliuoli presentarsi al tempio nella fe-
sta dei Tabernacoli ad offerire doni e ringrazia-
75
menti. Gioachino in quel di si meschiò ad essi;
e presentando le obblazioni d^uso, porse voti
air Altissimo perchè Io togliesse a tanta sciagura.
Fatti accorti di ciò il sommo pontefice Isacaar
e Ruben scriba di lui , poco curando le meste
istanze del sant'uomo, ne rifiutarono i doni,
e lo scacciarono irati dal tempio. Lo spregiato
Gioachino palesa qui con mirabile yerità il sen-
timento del cordoglio e della tristezza.
Secondo. £ qui figurato il santo, che uscito
tutto yergognoso dal santuario , ripara presso i
pastori del suo gregge, oye non si stanca di chie-
dere fervidamente la bramata grazia al Primo
Fonte degli esseri.
Terzo. Intanto che Gioachino poneva Tanimo
a tanta inchiesta, Anna mestissima di sua ste-
rilità volgevasi anch'essa al Dator d'ogni bene,
perchè le concedesse un figliuolo, ch'ella con-
sentiva consecrare in servigio di lui. Ed ecco al-
lora apparir Gabriello fortezza di Dio, e rassi-
curarla volere l'Altissimo far paghi sì giusti de-
siderii, e dovere dal grembo di lei uscire una
vergine operatrice d'ogni prodigio. Le sacre car-
te ci narrano che al sopravvenire del raggiante
cherubino si stava Anna nel giardino. Il pittore
però preferì rappresentarla in una stanza, forse
perchè, poco forte com'era nella .pittura di pae-
se, allorché glielo consentiva il soggetto trasce-
76
glieva più yolentieri intemi di architettura, ove
Talea molto più.
Quarto. Ignaro intanto Gioachino di quanto
Vangelo ayea promesso ad Anna, non intrala-
sciava di supplicare il Signore. L artista quindi
ce lo figurò prono dinanzi un altare, su cui arde
vittima offerta al supremo Fattore. La devota
posa del santo è tutta avvivata di amore e di
fede verso il Vero eterno. Iddio ha già accet-
tato il puro olocausto , e la mano di lui ravvol-
ta (0 fra misteriose nubi comparisce nelFaito a
benedirlo. Raccontano i sacri scritti, che stando
ancora pregante Gioachino, gli apparve Gabriel-
lo ad annunziargli, siccome Dio gli avrebbe con-
ceduto prole eletta a compiere alto mistero di
religione. Ecco infatti qui l'angelo con dignitosa
movenza indirizzare la parola al santo. Giotto
ce lo pinse come solcasi anche nei primi secoli
della Chiesa, ricoperto cioè di bianca ed ampia
tunica, che, al dire della Bibbia, è la veste degli
spiriti angelici. Esso, al paro di tutti i cherubi-
ni dipinti da Giotto in quest'Oratorio, tiene in
mano uno scettro sormontato da una foglia di
(i) Fino dal sesto e settimo secolo veniva rappresen-
tato il dlyin Padre sotto il simbolo di una mano che
sporge da una nube. Giampini Vetera monumenta ^ Ta-
vola IL del Tom. II.
77
trifoglio, secondo molti scrittori simholo della
Trinità (0.
Quinto. Vedesi qui Gioachino immerso nel
sonno. Vicino a lui, quasi in atto di contemplar-
lo, stanno due pastori, e nell'alto un angelo vo-
lante sembra volgere la parola al dormente. For-
se qui l'artista volle con più di evidenza farci
conoscere T apparizione ed il messaggio divino
nell'altro spartimento a vero dire oscuramente
rappresentato.
Sesto. Avea Gahriello ingiunto a Gioachino e
ad Anna di portarsi entrambi in un fissato gior-
no alla Porta aurea di Gerusalemme, ove si sa-
rebbero veduti (Tav. XVIII.). Essi tutti, speran-
zosi in quelle parole, colà recaronsi; e scontra-
tisi, proruppero in lagrime e voci di letizia, fatti
certi che ogni loro voto non poteva che venir
presto esaudito. Quanto e quale affetto trasfonde
nell'animo questa leggiadra composizione!
Settimo. La storia della Vergine, interrotta dal
dipinto del Giudizio finale, viene proseguita nel-
la parete dirimpetto. Nel primo spartimento di
questo lato vedesi la pia Anna giunta al colmo
de' suoi voti per aver dato in luce quella che
(i) Questo bastoncello, detto dagli scrittori di cose
ecclesiastiche haculum viatorium, e dal vescovo Sinesio
segno dèlia potenza, talvolta era anche sormontato da
una croce o da un pomo.
78
doyea tornare in allegrezza il pianto d* Eva. Ella
si giace nel letto, intantochè alcune ancelle con
ogni sollecitudine raccolgono la preziosa bam-
bina. Non sembrava forse a Giotto di averci ba-
stevolmente porto idea del soggetto; e quindi,
poco curante di offendere la ragione e la con-
venienza, raddoppiò Fazione figurando sull' in-
nanzi del quadro alcune donne pronte ad ap-
prestare i primi necessarii uffizi! alla piccioletta
Maria. Non sembra vero come un artista osser-
vatore e filosofo , qual era il fiorentino pittore ,
si lasciasse ire a sì fatta ripetizione di soggetto,
nuocendo così all' unità e distraendo l'attenzio-
ne. Questa però fu piuttosto generale colpa d«l
secolo, che peculiare di lui solo. Allora quasi
tutti gli artisti approvavano tale massima. A ciò
fare erano trascinati dall'esempio dei bisantini
maestri che ad essi apprendevano l'arte, i qua-
li non vergognavano di porre doppia azione in
tutte le loro composizioni E forse anch'essi non
aveano tratta una tanta sconcezza dalle rozze
loro menti, sì bene dagli antichi bassorilievi,
di frequente bruttati da simile difetto. Dal dipin-
to che abbiamo sott' occhio è manifesto quanto
Giotto, ingegno sì originale, tenesse ancora in
qualche parte alle maniere dei Bisantini, poi-
ch'egli imitò nella generale distribuzione e nella
forma della scena un fresco operato nei chiostri
79
di Santa Maria Novella di Firenze dai dipintori
greci che insegnarono Tarte a Cimabue. Y eggasi
questa composizione in d*Agincourt che ne la
diede incisa, e scorgerassi quanto s'aYYÌcini''alla
giottesca su cui ho favellato (0.
Ottavo. Giunta al quinto anno Maria, i geài'
tori la presentarono al tempio, ov'era costume
informare Tanimo delle donzelle uscite da ono-
rati parenti alle domestiche e religiose virtù,
finché avessero tocca Tetà da marito. È degna
di nota in questo succoso e vigoroso dipinto la
pietà e Funzione sparsa su tutte le figure, e pe-
culiarmente su quella dignitosa di Simeone, che
vestito di pallio sacerdotale accoglie con affetto
rispettoso la celeste fanciullina.
Nono. Instava Anna perchè la pia figliuola an-
dasse a marito , secondo la legge ; ma quella ,
presaga di più alti destini, rifiutava per serbarsi
vergine. Il Pontefice su ciò dubbioso volle aver-
si a consigliero il Cielo. A conseguire tanto fine
congregò i suoi Leviti, e fra i digiuni si diede a
pregare. Allora dal mezzo del propiziatorio udì
voce divina, che gì* imponeva adunasse nel tem-
pio tutti gli uomini da marito della stirpe di
David, e comandasse loro di portar seco verghe
(i) Ved. d'Agìncourt. Storia delVarte^ ec. Tom. VI.
pag. 36a e 363, Tay. iog-ii3.
8o
secche, fra le quali doTeva rinverdire e mandar
fiori queir una soltanto che stava fra le mani del-
Tuomo designato dal Signore a sposo di Maria.
Yèggonsi qui dunque tutti gli aspiranti avviarsi
al tempio portando una bacchetta, che raccolta
da Simeone viene deposta sulF altare. Il grave
aspetto di lui, e per antica vecchiezza veneran-
do, inspira rispetto ai ricorrenti, tutti umili nel
compiere quel sacro comando del Cielo.
Decimo. Poste sulP altare le verghe , tutti yì
stanno genuflessi all'intorno, aspettando il di-
vino miracolo che deve farne fiorire una sola.
È bello in questa composizione il religioso si-
lenzio che vi regna , e gli atti dei circostanti ,
tutti composti a reverenza profonda. È pure de-
gno di osservazione il colore d*assai più vigoroso
che d'ordinario non suole nei dipinti di Giotto,
e magistralmente intonato coll'azzurra tinta del
campo . Chi nelV arte è perito , ben sa quanto
costi larmonizzare con siffatta tinta tutte le al-
tre variatissime delle figure.
Undecimo. La mistica verga ha fiorito, e fu
eletto Giuseppe , vecchio di rimessi natali , ma
di alte virtù. Egli venne tosto congiunto a Ma-
ria coi riti usati nel matrimonio dal popolo ebreo.
Duodecimo. Di già compiuto il rito, s'avviano
gli sposi al domestico tetto. Qui il gajo Fioren-
tino, onde far dimostro quanta lietezza ponesse
8i
quel maritaggio nell'animo dei parenti di Maria,
ci colorò un'allegra turba, che cantando e cita-
rizzando su musicali strumenti festeggia gli spo-
si. Gran peccato che questo spartimento sentisse
più degli altri il danno del tempo, e per le doc-
cie filtrate lungo la muraglia patisse gravissimo
nocumento !
Molti fra i soggetti finora da me nominati si
ricercherebbero indarno nei quattro noti Evan-
gelii. La più gran parte, siccome notò anche il
d*Hancarville, Giotto la trasse dall'Evangelio, te-
nuto apocrifo , o Proto-evangelio, che viene at-
tribuito a san Giacomo minore (0, ove tutte si
raccontano le geste della Vergine, e della santa
madre di lei. Le storie però del secondo e terzo
ordine sono tratte dai quattro Evangelii cono-
sciuti, e rifeiisconsi tutte alla vita del Salvato-
re. Essendo i soggetti in esse rappresentati dei
più cogniti e comuni, torna inutile il descriverli
a minuto : basterà quindi indicarli , e toccare su
d'essi soltanto quei particolari che possono me-
ritare una qualche attenzione.
(i) Il Proto-evangelio è così chiamato, perchè dà
contezza degli avvenimenti che precedettero immediata-
mente la predicazione della nuova religione. Ycdi Co-
dex apocrjphus Novi Testamenti etc, illustratus opera et
studio Joannis Caroli Thilo. Lipsiae i833.
6
82
Incominciando nel secondo ordine dallo spar-
timento posto a sinistra dell* osservatore, dap-
presso al mnro dèlia tribuna si presenta:
i.<* La nascita di Cristo. E dipinto per gran
parte annerito e scalcinato ; spicca però ancora,
per molta gagliardia di tingere, il san Giuseppe
dormente.
2.<* L'adorazione dei Magi. Devotissime sono
le movenze dei tre coronati; a leggiadrissima
compostezza è atteggiata la santa ed immacola-
ta Donna.
3.^ La presentazione di Gesù al tempio. Non
sapresti se più laudare il decoro e la dignità del
sacerdote, od i bellissimi getti di pieghe che Te-
stone le figure.
4-** La fuga in Egitto. Non uguaglia in bel-
lezza i precedenti. 11 colore e sì annebbiato e
scuro , il disegno cotanto trascurato , i yolti si
male scelti, che lascia giusta dubbiezza non sia
opera del maestro.
5.° La strage degV innocenti. A xìservsL di una
figura a sinistra dell'osservatore, che rassembra
spiccata dalla parete, non si vantaggia gran fat-
to su quello testé nominato.
6.® Cristo disputa fra i Dottori. Tanto cote-
sto fresco è guasto per salsedine dei niuri, che
temerario ed arrischiato tornerebbe qualunque
giudizio.
83
7.** // battesimo di Gesù Cristo. Gli angeli so-
no graziosamente atteggiati, ma molto stento e
rozzezza scorgesì nei due protagonisti del quadro.
8.^ Le nozze di Carta e Galilea. La fredda com-
posizione non è rabbellita che dal veramente
mirabile partito di pieghe della figura centrale.
Quel corpacciuto in fiorentino costume, che tra-
canna a josà, potrebbe forse essere un mordace
ritratto.
g.® La resurrezione di Lazzaro. Mi parve si
bene composta, che la volli riprodotta coll'inci-
sione,e quindi dovrò parlarne più sotto (Tavo-
la XIX.).
IO.*» L^ ingresso a Gerusalemme j e la festa deh
Vulivo. Grave e nobile è la figura del Salvatore,
ma non del paro le altre degli astanti. È capric-
ciosa sconcezza colui che asconde il capo sotto
il mantello d^uno prostrato dinanzi al Verbo
umanato.
ii.o Cristo scaccia dal tempio i profanatori.
Sì fredda , si languida è questa composizione ,
che si dura fatica a crederla immaginata da
Giotto.
12.° La cena cogli ^j4postoli (ordine terzo).
L'architettura con quegli esili sostegni che reg-
gono il tetto, e quella minutaglia di ornamenti,
rammenta il fare e le massime dei maestri greci.
Il pittore vesti ognuno degli Apostoli con abiti
\
«4
di colori e foggie differenti, che serbò poi sem-
pre a ciascheduno d*essi quand'ebbe a rappresen-
tarli in altri spartimentì di questa Cappellina.
1 3.^ Cristo lava i piedi agU jipostolL Gesù ti
inspira reverenza e rispetto: tu ravvisi un nume
in quello che s'inchina ad atto umile.
14.** Il bacio di Giuda. Per verità e sceltezza
poche teste possono pareggiare quella di Gesù.
Il panneggiamento di una figura sul dinanzi del
quadro onorerebbe ogni più grande artista.
i5.<> Cristo dinanzi Caifa. Ne Masaccio, ne
Benozzo Gozzoli, né il Ghirlaiidàjo, né alcuno
dei maestri castigati e puri del secolo decimo-
quarto vergognerebbe di aver disegnato (dalle
estremità in fuori) il Salvatore. Né tanto è mi-
rabile per correzione, quanto per certo senti-
mento di dignità, da cui traspare soltanto ras-
segnazione, non avvilimento.
16.° La coronazione di spine. Alcune teste
non difettano di vivezza e di calore; però tutto
il dipinto é timido e freddo.
l'j.^ Cristo porta la croce, lì Salvatore ma-
nifesta la sicura mano del maestro , non però
laltre figure assai scorrette.
i8.<^ La crocefissione . Molta verità, molta
evidenza di passioni in alcuni volti. Il nudo del
divino Crocefisso é d'assai meno secco di tutti
gli altri che veggonsi in questa chiesetta.
85
ig.® Cristo morto fra le Marie. Ne parlerò a
diffuso più sotto , quando sopporrò a qualche
analisi quella stupenda composizione (Tav. XX.).
20.0 La resurrezione e V apparizione alla Mad-
dalena, I soldati giacenti, con tanta puerile sec-
chezza delineati, provano yero ciò che fu detto
da uno scrittore, che Giotto cioè nei temi mar-
ziali non yalea molto. Si legge una mirabile
trasfusione d'anima nella devota sorpresa della
Maddalena.
21.0 1/ ascesa di Cristo al cielo. Il figlio del-
TAltissimo e la Vergine meritano molta consi-
derazione, sì per espressione, sì per disegno.
2 2 .0 La discesa dello Spirito Santo sugli ripo-
stoli . Per amore di verità sagrificò il buon ef-
fetto della composizione con tutte quelle figure
che volgono le schiene airosservatore. Se il let-
tore non fosse ristucco di riscontri fra Dante e
Giotto, direi che potrebbesì assomigliare questo
dipinto a quella terzina degli scabbiosi :
O tu che con le dita ti dismaglie,
Cominciò il Duca mio a un di loro,
E che fai d*esse talvolta tanaglie, ec.
Inferno, Canto XXIX.
Ammiri in essa la verità , ma non il modo con
cui ti vien porta.
Oltre a tutte queste ora nominate , possono
annoverarsi come opere di Giotto altri due di-
86
pinti posti ^lateralmente al grande arcone della
tribuna. Quello a destra rappresenta la visita
della Vergine ad Elisabetta; T altro a sinistra »
Giuda cbe, istigato da Satana, strìnge il sacri-
lego patto, e stende la mano al prezzo del san-
gue. Sopra le imposte dello stesso arcone yedesi
ancbe il mistero dell' Annunziazione; ma il pen-
nello parmi men largo e meno corretto del giot-
tesco. Per la qual cosa io crederei fosse quella
dipintura opera di Taddeo di Bartolo sanese» il
quale, come vedremo, condusse le storie nella
tribuna. Di Giotto sono però sicuramente tutti
i profeti, i santi , e i yarii emblemi cbe ornano
e girano gli spartimenti e la vòlta.
I freschi in questa Cappellina immaginati dal
sommo Toscano sono sì vani nel loro soggetto,
sì diversi nella espressione, per tal modo il for-
te vi è misto al dilicato, l'agitato al tranquillo,
che non temerei d'affermare potersi meglio che
da ogni altra opera superstite di quel dipintore
conoscere e giudicare quanto egli valesse nella
difficile arte di Apelle. Perciò mi si perdonino
alcune generali riflessioni sui pregi e sui difetti
di questi celebri dipinti.
DissGKO. Io sono ben lunge dal considerarne il disegno
castigato e corretto al paro di quello dei quat-
trocentisti; ma è però indubitato che, se non
nelle figure nude, certo in quelle ricoperte di
87
larghi panni scorgesi una simmetria ed una giu-
stezza di proporzioni ignota ai predecessori ed
ai contemporanei di Giotto. Nel contorno egli
qui appalesa la più casta e pura semplicità , e
pende piuttosto a far grand' uso di rette ; ma ,
per evitare durezza, le alternò a quando a quan-
do con graziose curve, abborrendo però sempre
da quel serpeggiante che di facile ingenera tri-
vialità. Per citare alcuni esempii fra i molti,
nelle storie del bacio di Giuda, della presenta-
zione della Vergine al tempio, della Maddalena
ai piedi del Salvatore, ammirasi o nel protago-
nista o nei personaggi accessorìi un accordo di
parti e certa corretta severità di linee, che li fa
degni di miglior secolo. E chi non vorrebbe aver
delineato , dalle estremità in fuori , la più gran
parte delle figure allegoriche a chiaroscuro, di
cui ho parlato più addietro, e sopra tutte la Spe-
ranza e la Fede, decorose, nobili, naturali, che
nulla più? Una si fatta perfezione non è da cre-
dere Giotto traesse soltanto o dalla imitazione
della gretta e secca maniera di Cimabue, ov-
vero dal proprio versatile ingegno; ma devesi
reputar frutto dello studio grandissimo da lui
posto sulle meravigliose opere di Nicola Pisano,
che forse gli furono guida e norma a vedere il
vero grandiosamente, e meglio ancora sugli an-
tichi bassorilievi. Notò anche il Lanzi la grande
88
imitazione dei marmi greci, che yedesi nelle pit-
ture di Giotto, e tentò darne ragione (0. « Era-
» no (dic'egli) marmi antichi a Firenze, che oggi.
» veggonsi presso il duomo, per tacere di quelli
D che poi yide a Roma ; ed il loro merito, se già
» era accreditato per Tesempio di Nicola e di Ciò-
» yanni Pisani, non poteya ignorarsi da Giotto ,
)i a cui natura tanto ayea dato sentimento pel
)> buono e pel hello. Quando si yeggono certe sue
» teste yirili, certe forme quadrate lontanissime
» dalla esilità dei contemporanei, certo suo gu-
»sto di pieghe rare, naturali, maestose, certe
» sue attitudini che sulF esempio deg]i antichi
» spirano decoro e posatezza, appena può duhi-
» tarsi eh* egli profittasse non poco dei marmi
» antichi . Lo scoprono i suoi stessi difetti Un
» hrayo scrittore troya in lui una maniera che
» ha dello statuino, a differenza degli esteri suoi
» coetanei. »
Né questo è il solo difetto originato in lui
dalla frequente meditazione sui bassorilieyi. Le
sue figure pajono colossi rispetto alle architet-
ture che fregiano i fondi, appunto come yedesi
negli anaglifi greci e romani, nei quali per Tan*
gustia del campo erasi conyenuto fra gli artisti
di foggiare le fabbriche picciolissime, onde non
togliessero al marmo uno spazio sempremai pre*
(i) Storia pittorica delV Italia. Tom. L pag. 17.
89
zioso. Seguitando poi un principio scrupolosa-
mente mantenuto dagli antichi nei loro bassori-
lievi, rade volte dispose le figure su varii piani,
ma* le collocò su d* una sola linea , evitando il
più che potè gli scorti sì nei volti che nelle al-
tre parti della persona.
Ove però nel disegno dee veramente tenersi
principe, ove seppe contemperare dottamente
lo studio dell'antico con quello del vero, è nelle
pieghe, sempre si maestose, sì morbide, si gra-
ziosamente affaldate , che poco lasciano a desi-
derare, e meriterebbero di essere profondamente
studiate anche ai nostri giorni. È mirabile come
in età sì grossa ed inetta quell'uomo sommo po-
nesse nel panneggiare una sceltezza ed un arti-
fizio che di rado furono raggiunti anche nelle
epoche auree dell' tirte. Bello è l'osservare co-
m'egli, ove le pieghe si stringono insieme, tenga
sempre minute falde, ed occhi ristretti e bene
squadrati; poi a mano a mano che vanno dilar-
gandosi le aggrandisca, e le foggi più rade, e le
spezzi a tempo , perchè la continuità non pro-
duca monotonia , o rompa le masse. Bello è os-
servare come alterni le curve colle angolari, le
cadenti colle sostenute, come vesta senza affet-
tazione e senza sforzo il nudo , e in mezzo a
tutti questi sottili artifizii mai offendala verità,
e da grand' uomo nasconda l'arte con l'arte.
90
Andi^ea del Sarto ed il Frate, maestri sommi
nel drappeggiare, forse non ayrebbero sdegnato
d'esser detti gli autori de' bei getti di panni che
rivestono le figure della Temperanza e della
Fede. Vedete là quanto magistero, quanto dot-
to contrasto di pieghe minute e grandiose, e in
onta a ciò quanta bella semplicità !
Accennai che in questi freschi Giotto più -val-
se nelle figure drappeggiate , che nelle nude ; e
di fatto in tal parte si mostra quasi sempre cosi
meschino, cosi scorretto, non tanto nei gene-
rali rapporti , quanto nella collocazione e for-
ma dei muscoli, da quasi npn sembrare lo stesso
pittore che disegnò le altre figure panneggiate.
Né ciò deve recar meraviglia. Il nudo è certa-
mente il punto più levato e più difficile dell'ar-
te, ed a raggiungere in ciò anche una perfezio-
ne relativa bisognano profondissimi studii sul-
la anatomia e sul vero, i quali non potevano co-
noscersi in quel secolo oppressato ancora da tan-
ta rozzezza. Chi è nell'arte versato, ben sa per
molta esperienza che non costa lunghe vigilie
il trattare lodevolmente un getto di panneggia-
menti, il toccare con verità gli accessorii; ma
d'altra parte lente e penose meditazioni doman-
da il nudo, onde tutte conoscere le ragioni dei.
muscoli e delle appiccature , onde sotto le car-
tilagini ed i tendini intrawedere le ossa , onde
9^
sceverare nelle umane figure il yero bello dai
difetti commisti, e delle scelte membra di mol-
te comporre un tipo perfetto. Aggiungi, che la
superstizione di quei ciechi tempi tenendo per
sacrilego (0 il notomizzare i cadaveri, toglieva ai
pittori il più efficace mezzo a tutte poter cono-
scere le ragioni ed i movimenti del corpo umano.
Le stesse difficoltà che all' artista. o£&e il nu-
do, gli si appresentano ugualmente formidabiK
neirestremità. Per la qual cosa v'ebbero anche
ne' più. bei secoli dell' arte , ed a' nostri giorni
pur v'hanno, ingegni celebratissimi che in que-
sta parte mai uscirono dai confini della medio-
crità. Ciò quindi spiega abbastanza perchè nelle
mani e nei piedi riesca sempre gretto e meschi-
no il nostro pittore, e bene spesso, quando glielo
consente il soggetto, si adoperi a nasconderli
sotto lunghissime vesti.
(i) I pittori non cominciarono a far ponderati studii
sui cadaveri che verso la fine del secolo decimoquinto
e sul cominciare del decimosesto. Tuttoché fosse allora
d'assai mitigato il rigore della Chiesa verso i notomizza-
tori, pur erano forzati ad operare di nascosto; e quan-
do il celebre Yesalio nel i543 pubblicò la sua grande
Opera De humani corporis fabrica non potè sfuggire i
fulmini del Santo Uffizio, che accusatolo di aver taglia-
to il cadavere di un gentiluomo spagnuolo , lo dannò ,
in onta della protezione di Carlo Y., ad intraprendere
il pellegrinaggio di Terra Santa.
92
Non af&enato dalle accennate pastoje, s*ebbe
a merito il vanto di sommo nelle teste. È sem-
pre ne' suoi volli, e più nei maschili, un conte-
gno sì nobile, una verità di affetti, una sì ac-
corta varietà, che riconosciamo tosto in lui la
continua abitudine ai ritratti. Questa cara ap-
plicazione dell'arte può quasi dirsi figlia della
sua mano. Ben è vero che anche prima di Giotto
i pittori tentarono di effìgiare gli uomini sommi
t:he colla spada e colla santità della vita aveano
meritato delle nazioni; ma quelle immagini oom*
parvero si deformi , sì goffe , sì lontane dal na-
turale, da essere differenti di poco dagli spaven-
tosi volti dipinti idealmente. Nei ritratti invece
del nostro pittore ravvisi certa impronta di ve-
rità, che ti appalesa quanto anche in questa
parte valesse. Egli era così tenero di siffatto
pregio , che in molte fra le sue opere ebbe va-
ghezza d'introdurre le sembianze degli uomini
insigni ai quali era legato di molta dimestichez-
za. Per lui quindi vedemmo prodotti i volti di
Dante , di Brunetto Latini , di Corso Donati ,
ec. ec. Forse ove la storia ci fosse stata meno
avara di notizie intorno ai dipinti sui quali ora
favello, potremmo ammirare in molte teste i ri-
tratti di alcuni fra gl'illustri vissuti ai giorni del
pittore. Peculiarmente nella composizione del
Giudizio finale alcuni volti degli eletti al lato
93
destro (sola parte forse dipinta dalla mano dì
Giotto in questo affresco) lasciano intravredere
quegl'indizii, pei quali gli artisti sogliono diffe-
renziare le fisonomie ideali da quelle ricopiate
sul Tero.
Né punto più del suo disegno nei nudi vale
il suo colorito , quasi sempre sbiadato , debole ,
e di soverchio uniforme. Nei panni, ideile fab-
briche, negli accessorii però conserva certi tuo-
ni di forza, a dir vero, bellissimi e freschissimi,
i quali, anziché da più secoli, pajòno da pochi
giorni usciti dalla tavolozza del pittore. Il suo
chiaroscuro, se non ha sempre una giusta e ben
ponderata degradazione, osservato separatamen-
te in ogni figura , è però lodevole e serba sem-
pre grandioso partito, perchè non aspreggiato
da troppo risentite od inopportune mezze-tinte.
Considerato però nella massa della composizio-
ne, difetta non poco, e lascia desiderare maggior
sagrifizio di parti lontane, e quindi maggiore
armonia.
Annobilì spesso le composizioni con leggia-
drissime architetture, nelle quali è mirabile la
industria con cui seppe stupendamente imitare
i marmi più belli e ricercati. Ben lungi peraltro
dal decorarle di quello stUe antico, conveniente
a storie accadute nel secolo di Augusto e di Ti-
berio , le foggiò sulla maniera detta gotica j che
CotORITC
e
Chiaroscdi
Abchitettub
e
Prospettiva
94
era la sola conosciuta e praticata a^ suoi di . Né
punto ammirerai in esse lo scortare di linee e
le esattezze di prospettiva con cui quel bizzarro
ingegno di Paolo Uccello seppe in poco campo
fingere gran luogo. Non è però vero, come af-
fermò il Lanzi (0 , che Giotto e i suoi seguaci
in questo ramo d*arte pargoleggiassero; non è
vero che le loro figure sdrucciolino dai piani j
ed i casamenti non abbiano giusto punto di vedu»
ta. Basta gettar qui T occhio su tutti gli sparti-
menti in cui sono architetture, e principalmen-
te su quello ove Anna s'incontra con Gioachino
alla Porta aurea di Gerusalemme , per venire
persuasi del contrario. Le linee concorrono sem-
pre al punto della veduta, e giustamente resta-
no intercise dalle altre che partono da quello
della distanza ; le cornici , i listelli , le gole , e
tutte le parti aggettate sfuggono e si voltano se-
condo ragione; infine scorgesi che s'egli ignorava
le appurate raffinatezze dell'arte, non era per
altro digiuno affatto delle regole principali.
Paese. Ma se nelle architetture di Giotto v'ha gra-
zia e leggiadria , sì belle doti si desiderano in-
darno ove il pittore è forzato a lasciar campeg-
giare il paesaggio. I suoi sassi sono contornati
con durezza e quasi muovono a riso, e l'arte di
(i) Storia della pittura. Toni. I. pag. 49-
95
frappeggiare gli alberi mancagli onninamente.
<i È un fatto (dice il sommo Giordani (0 quando
» discorre con tanta eleganza i pregi e le men«
» de di Benvenuto da Imola) che riesce non in-
» degno da considerare e molto difficile ad in-
» tendere , come la pittura di paese , tanto più
» facile che la umana e la storica, sia nondime-
»no assai più. tardi giunta al perfetto; il che
»pare contro il consueto delle cose umane.»
Eppure il perchè di ciò non mi sembra sì mal-
agevole a discoprirsi. Troppo tempo l'arte do-
vette faticare intorno al perfezionamento della
difficile imitazione dell'uomo, perchè a' sommi
artisti rimanesse agio di consecrare a quella del-
la natura campestre osservazioni e cure. E d'al-
tra parte, quegli illustri dipintori tutta la gloria
loro ponendo nel colorare l'uomo e le magnani-
me azioni di lui collo stile più grandioso e più
nobile, per nulla curarono far peculiare sogget-
to dei loro studii il paese , da essi considerato
come accessorio. Era d'uopo che la fortuna ne-
gasse un fervido immaginare e menti creatrici
ad alcune regioni, come l'Olanda e la Fiandra,
perchè i pittori di quelle contrade si dessero
quasi intieramente alla meno levata pittura di
paese, e la guidassero alla maggiore eccellenza.
(i) Sulle pitture di Innocenzio Francucci da Imola.
Discorso ec, pag. i8o.
96
Era d*uopo, siccome sciaguratamente ayyepiie
a' dì nostri, che la moda, quella mutabile Dea,
la quale volge a suo senno tutte cose umane ^
rifiutasse di vedere ornate le sale dei doviziosi
colle geste degli avi , e domandasse ai pennelli
acque cadenti per dirotte balze , ed orride gio-
gaje, e gotici tempii irti di mille pinnacoli, ra-
bescati da mille meandri, e le rive amenissime
delle insubri e romane campagne. Era d'uopo che
. la religione più non avesse mestieri di fregiare
la santità degli altari colle pie ed edificanti im-
prese dei martiri e santi, perchè molti artisti si
inducessero a non trattare se non paesi e vedu-
te, ramo in vero secondario dell'arte, ma il solo
che valesse a fornirli di onesti premii.
Composizione Ma se in queste parti accessorie Giotto (co-
EspisssioNE. mechè d'assai superiore ai contemporanei) non
usci mai di mediocrità, da pochi peraltro fu su-
perato nella composizione e nella espressione,
primi e più eccelsi fini dell'arte. Dispone egli
sempre i suoi gruppi con grande naturalezza e
conformi a convenienza , senza mai andar cer-
cando a bella posta artifiziose e ben contrastate
linee che si foggino a piramide. Mal pago poi
delle uniformi movenze, dalla imperizia dei gre-
ci artefici ripetute di continuo, accortamente
variolle, contrastando con ingegno le posizioni
di profilo con quelle di prospetto.
97
Niuno poi lo pareggiò nel dare tanto di evi-
denza ai soggetti, che non arverrà inai tu abbia
ad errare incerto sul quadro per cercarvi il per-
sonaggio principale, ne vacillerai a determinare
il genere di azione rappresentata. Per non re-
care che un esempio, ove Simeone si prostra
dinanzi l'altare, osserva come primeggi la sua
ben panneggiata figura; e tuttoché al paro degli
altri genuflesso , vedi quanto per riverenza di
atti si faccia in lui più che negli altri palese il
fervore della preghiera.
Quest' alto ingegno toccò poi gli affetti colla
profondità del filosofo e colla libera immagina-
zione del poeta. Indagatore ingegnoso dell'uomo,
e delle passioni che lo accompagnano nel cam-
mino della vita , avea osservato che sì nei miti
come nei gagliardi sentimenti, nelle impressioni
di pietosa misericordia come negli impeti focosi
dell'ira, fra il terrore come in mezzo alla mera-
viglia, i movimenti della persona non sono mai
d'ordinario contorti e violenti. Le fisiche altera-
zioni prodotte dalle tempeste dell'animo non si
trasfondono per tutte le membra, ma si concen-
trano quasi sempre nel volto, il quale sì modi-
fica subitamente a seconda del sentimento che
agita il cuore. Perciò mai divaricò di troppo le
gambe delle sue figure, mai ne alzò di soverchio
le braccia , mai le atteggiò a quelle mosse di
9»
danzatori, per cui alcuni artisti si mostrano si
teneri ; mai in somma diede ad esse quel teatra-
le , che se aggiunge bellezza per la Tarietà dei
movimenti, nuoce peraltro alla verità ed alla
convenienza.
A meglio conoscere quanto fossero radicati in
lui questi principii, vedilo qui nella resurrezio-
ne di Lazzaro (Tav. XIX.), ed ammira quella
nobiltà di gesto nel Salvatore, quella tenera ri-
conoscenza che guida le sorelle del risorto a
prostrarsi dinanzi al Figliuol di Maria, l'indif-
ferenza degli Apostoli usi a veder di continuo
i prodigii del loro Maestro: mira quell'incredulo,
a cui un santo dimostra esser tornata in Lazzaro
là vita; e loda l'ingegno del grand' uomo, che a
tanti affetti sì gagliardi e diversi, ai tanto varii
pensamenti appalesati dai circostanti diede una
semplicità , una chiarezza , un decoro da pochi
arrivato (0.
(i) Il pittore nel porgerci qui Lazzaro ravvolto da
bende, secondo Tuso tenuto dagli Egizìi e da molti fra
gli antichi Orientali nel seppellire i cadaveri, parve dar-
ci una prova di quanto fosse addottrinato nella storia
dei costumi. È però da avvertire, che in simile guisa
solcano foggiare il risorto Lazzaro anche i pittori che
di molti secoli precedettero Giotto; ed egli forse potreb-
be aver eziandio in questa parte imitati quegli antichi.
In molte pitture delle catacombe di Roma e di Napoli,
forse dei quarto o quinto secolo. Lazzaro è sempre così
99
Degno di molta considerazione è pure Io spar*
timento oye Anna s'incontra, secondo la predi*
zione dellangelo, collo sposo Gioachino alla Por*
ta aurea di Gerusalemme (Tav. XVIII.)* Quanta
mansuetudine , quanta bontà , quanta religione
traspare dagli atti e dai volti lietissimi dei due
Tecchi conjugi, quanta posata compiacenza nei
servi e nelle ancelle lontane!
Ove però Giotto in questi dipinti sembrami
superare se stesso , è in quello figurante Cristo
morto fra le Marie (Tav. XX.), il quale colle
molte bellezze che lo adornano parve persino
imperare sulla mano inesorabile del Tempo, che
meno Toffese di tutti gli altri spartimenti. Steso
fra le braccia delle Marie sia lo spento corpo
del* Salvatore , in cui non ravvisi le orride ap-
parenze di morte, ma quasi il sonno del giusto,
che colla pace nell'animo sembra posar come per-
sona stanca. Fra le pie intese a quel mesto uffi-
zio , alcune guardano tutte dolenti il sacro vol-
to , altre inclinate sulla divina salma ne alzano
le spenzolate braccia , quasi non credenti che
morte abbia furato tanto bene agli umani; altre
mestissime ne sorreggono i piedi. Ma chi può de-
scrivere il dolore della Vergine? Ella, fatto delle
disegnato. Vedi D'Agincourt Storia delVarte dimostrata
coi monumenti, Tav. XI. e XII.
lOO
ginocchia sgabello al prezioso cadavere , gli av-
vinghia al collo le braccia, e par coll'atto pietoso
voler richiamare a vita quella fredda spoglia. In
quegli occhi, di già muti ad ogni sorriso, tu leggi
il crucio d'una madre che per volgere di tem-
po ne si estingue, ne manco si attenua. Ove più
fervono gli anni bollenti per ardite speranze,
ivi sono più involontarii, più impetuosi l'ilarità
ed il dolore: Gioito quindi, di questo vera pro-
fondo osservatore, atteggiò nel mezzo del qua-
dro Giovanni, che in movenza agitata ferma Io
sguardo sul divino Maestro, e par quasi coi gridi
e coi lamenti ridomandarlo alla morte. Per lo
contrario poco lunge da lui ti si presentano Ni-
codemo e Giuseppe d'Arimatea; e sebbene in
ambidue tu indovini tristezza e cordoglio, pure
scorgi di facile che il peso degli anni ha di già
compresso lo slancio delle ardenti passioni, ed
il freddo dell'età raggelò nel cuore anche il do-
lore delle più gravi perdite. Scorati per trango-
sciato affanno si mostrano pure quei cari angio-
letti che volano confusamente nell'alto del qua-
dro. Quale d'essi fa ingiuria al volto, chi si strappa
i capelli, chi della veste fa velo alle dirotte la-
grime. A dir breve, tutto è pianto in questa com-
posizione, e v'ha poi tale un'evidenza, una gra-
dazione di affetti, una espressione di ora cupo,
ora disperato dolore , che non temerei di affer-
lOI
mare , essere stato da Ciotto composto un tale
soggetto con acutezza e profondità forse mag-
giore di quanti altri anche insigni artisti in me-
glio illuminati secoli Io immaginarono (0.
In quasi tutte le storie rappresentate in que-
sto Oratorio Giotto si mostra Talente composi-
tore; ma ove prevale è sempre nelle invenzioni
che pigliano a tema la mite e devota pietà, ed
il fervido zelo di religione. Egli, al paro di tutti
i contemporanei, vedeasi attorniato da circo-
stanze le quali doveano agevolargli i mezzi a
convenientemente figurarne i concelti profondi.
La religione allora si concatenava a tutte le vi-
cende della vita , padroneggiava tutte le azioni
del mortale , s' era trasfusa nella scienza , nelle
arti, nella eloquenza, nei delitti, sui troni; essa
era tutto. Le feste quindi a quei dì , i pubblici
spettacoli, i trattenimenti di ogni maniera non
altro si proponevano che i misteri di Gesù Cri-
sto, i miracoli de' santi, e tutta sorta di religiosi
argomenti. Non è quindi meraviglia se i pittori,
vedendo in mille guise e di continuo espressi
quegli stessi devoti movimenti che dovevano
(i) Il sig. Rchberg nelle Tavole che accompagnano la
sua Vita di Raffaello, Monaco 18245 ^^ diede disegnata
in litografia questa composizione. Peccato che o per in-
curia, o per soverchia fretta, egli ne ommettesse alcune
fiffurc !
102
collocare nei lóro dipinti , più facilmente , che
a' giorni nostri non avviene , sapessero comuni-
care ad essi il sacro entusiasmo, Funzione e la
carità di quella benefica Fede che tutti ne chia-
ma fratelli, tt Le processioni dei penitenti bian-
tt chi (osserya il più volte lodato Cicognara (0),
)) che da un estremo alValtro d'Italia movevano
)} le popolazioni, e presentavano di continuo at<-
)> teggiamenti di compunzione agli occhi degli
)) imitatori della natura , dovettero necessaria^
D mente moltiplicare le occasioni di scolpire in
» ognuna di tali produzioni quell'espressione che
» caratterizzava un numero tanto esteso di per-
D sone attaccate di buona fede alla religione con
)> tutti i segni della vera divozione, quanto alle
D esteriori forme del culto. »
Ned è già da credere che in tutti gli altri sogt>
getti, nei quali non era obbligo manifestare un
nmile fervore verso il Cielo, il nostro pittore ed
i suoi coevi non toccassero il linguaggio delle
passioni coi principìi sopra enunciati, Qualun*^
que fosse l'argomento da quegli artisti preso a
trattare , lo svolgevano colla stessa castigatezza
di massime. Simili ai poeti ed agli scrittori ad
essi contemporanei, noeditavano sempre sull'in-
(i) Cicognara Storia della scultura^ Totp. IH. pagi-
na 4^*
ia3
dole degli affetti , sulla natura esteriore , ed in-
tendevano a portare tutte le loro considerazio-
ni sulla filosofia dell'arte. Non conoscevano con-
venzioni o maniere, perchè sebbene talvolta si
piacessero profittare de' marmi antichi, pure di
preferenza consultavano la nuda, la semplice
natura; solo in essa si affisavano, solo in quel
gran libro leggevano. Da ciò quindi i difetti ed
i pregi comuni alle ai-ti ed alle lettere di quel
secolo; da ciò quella rigidezza di contorni, quel-
la timida e servile imitazione d'ogni minuta*
glia, quelle forme e quei modi ignobili, senza
arte frammisti a nobilissimi; e da ciò del pari
quella forza e caldezza , quel nerbo di senti-
menti, quelle grazie caste, ingenue, riservate,
che tanto e di tante guise ingemmano le produ-
zioni di quella età.
E pur caro discernere questa fratellevole co-
munanza fra l'arti e le lettere di quel secolo si
grande e ad un tempo sì rozzo. È pur caro vede-
re il più insigne poeta di quell'età quasi andar
del paro per mende e per bellezze col più insigne
pittore; che mentre il primo, accarezzate talvol-
ta immagini o sconcie, o tenebrose, od aspre per
favella pargoleggiante , esce poi d' improvviso
gigante e sublime, quasi tori'ente che per gon-
fiato corno sdegna margini e rive , e colora con
robusto tingere il cielo, il mare, il canto dell'au-
io4
gello, il rombo della tempesta; Taltro dopo aver
disegnale scorrette e rigide estremità, dopo aver
consecrato il pennello ad inutile pazienza in-
torno a minute vene, a velli, a ricami, si dilar-
ga sicuro, e maestrevolmente t'incarna toccanti
affetji, e nobili movenze, e soffio di vita.
L'ora notato ravvicinamento fra lettere ed arti
$erve quasi a porgerci il ritratto morale della
civiltà dei tempi mezzani; e considerato sotto
più vaste relazioni potrebbe farsi sorgente di pro-
fondo meditare ai sapienti. £ noi lascieremo ai
sapienti l'ingegnoso uffizio, e solo ci basterà
( per non uscire di via ) d'osservare che Giotto
e i discepoli suoi furono esempio e modello ai
pittori del susseguente secolo , i quali del vero
sommamente studiosi , e sciolti da molte infaur
tili fasce dell'arte, improntarono i loro dipinti
di tanta purezza , di tanto candore , che a con-
siderarli è uu incanto. Ferma lo sguardo sulle
placide ed attraenti sembianze delle veramente
celesti Madonne del beato Angelico da Fiesole,
di fra Filippo Lippi, del Gozzolì,del Masaccio;
mira quanta religione spii'i dai tranquilli gesti,
dai mansueti volti di quei loro santi; e di leg-
gieri ti accorgerai quanto quegli artisti nel d^r
vita e linguaggio alle fisoqomie ed alle figure
seguissero i principii e le ornie dell'illustre di-
scepolo di Cimabue e della sua scuola.
io5
Non fu che sul declinare del sestodecimo e
sul sorgere del trasognato secolo susseguente ,
quando Tarte siyolse alle stravaganze, che i pit-
tori diedero contorti movimenti alle loro figure,
e rifuggirono da queir aurea semplicità, prima
bellezza nel vero, e nelle arti che prendono ad
imitarlo. Anche a' nostri giorni , in cui pittura
e scoltura pretendono vanto di purismo e di ca-
stigatezza, alcuni artisti, innamorati di tutto
ciò che dalla Grecia e dal Lazio ebbe sorgente,
siffattamente pongono i loro studii sulle antiche
statue, che ne ritraggono persino le dignitose
mosse. La qual cosa, forse conveniente alla scol-
tura, destinata a figurar Fuomo fatto nume od
eroe, male il più delle volte si addice alla pittu-
ra , la quale toglie spesso a rappresentare scene
della domestica vita, ed è meno propria della so-
rella ad offerirci le apoteosi degli uomini som-
mi. Coloro quindi, per consei'vare dignità, sa-
grificano il vero, e mostrando nelF atteggiare i
personaggi soverchio artifizio e troppo studiati
contrasti di linee, nuocono alla espressione (0.
(i) Volesse pure la sorte che nelle Accademie, ove
8* iniziano i giovanetti nei misteri di Parrasio e di Apel-
le, s'insegnasse loro a meditare sui dipinti dei treoen*
tisti e dei quattrocentisti, e si dimostrasse quanto fine,
diligenti, molteplici osservazioni facessero quegli artisti
sulla verità , onde conseguire tanto avvivamento di af-
io6
Prima di dar fine alle osservazioni su queste
insigni opere, resta che alcuna cosa io dica sul
meccanismo con cui sono condotte. Disaminan-
dole attentamente , parmi vi sieno adoperati i
fettl, tanta ammirata castigatezza di colori e di forme!
Se venisse il giorno in cui Tarte si apprendesse in tal
guisa, oh quanto e quanto verrebbe sbandito da non po-
chi fra i moderni dipinti quel manechinoso y che loro ag-
giunge freddezza ! quanto meglio poserebbero sui piani
le figure, spesso ora slanciate, per vaghezza di leggiadre
movenze, in atto di danza! quante, In una parola, con-
venzioni o false o sconvenienti sparirebbero da molte
tele che ora ornano alcune doviziose pareti dei gabinet-
ti! Quel giorno. Io lo spero, non è per Tltalia lontano ;
Taurora di quel giorno (oh non fosse pur vero ciò che
m'esce dal labbro) spunta forse ora per gli stranieri, i
quali avidi d'apprendere calano dall'Alpi, e s'Innebriano
nelle ingenue grazie effuse dalle tavole e dai freschi di
Giotto, deirOrcagna, del beato Angelico, del Masaccio,
dei Bellini, e ne fanno tesoro di cognizioni, che a larga
mano profondono nei veri e studiati loro dipinti. Se noi
Italiani , a cui le arti sono antico e famigerato patrimo-
nio, slamo punti da nobile desiderio di raggiungere an-
cora nella pittura il bello a cui arrivarono I sommi del
sestodecimo secolo, rimontiamo alle fonti, e ne attigne-
remo un'acqua di perenne limpidezza, e monda da ogni
sozzura; né corriamo a dissetarci alla foce, ove se II fiu-
me devolve più largo, Tonda vi è però sempre frammi-
sta al greto ed alle melme. Non dimentichiamo che il
divino Urbinate non isdegnava talvolta ricopiare dal FIc-
solano e dal Masaccio alcune figure per farle fregio delle
proprie composizioni.
107
soliti melodi coi quali i prìmi dipintori usavano
disporre i colori a fresco. Sulla calce greggia è
disteso un intonaco di colore rossiccio, in cui è
forse mescolato un poco di calcestruzzo o di
pozzolana. Indi yi è sovrapposta l'ultima mano
di malta fina o marmorino, su cui sta il dipinto.
Tuttoché si ravvisi in queste pitture molta forza
di tingere, peculiarmente nelle architetture e
nei panni, pure mi viene sospetto non sieno in-
tieramente a buon fresco, vale a dire senza ri-
tocchi a secco. Tre ossei*vazioni mi confermano
in questa opinione. i.<* Per quanto si voglia con
diligenza esaminarle, non vi si vedono mai quel-
le commettiture d'intonaco eh' è forza rinvenire
in tutti gli affreschi, e principalmente in quelli
i quali per la molta finitezza con cui sono lavo-
rati domandarono lungo tempo ad essere com-
piuti. - 2,° Se si dilavano le pitture a buon fre-
sco con acido idroclorico diluto con acqua, non
soffrono quasi detrimento alcuno. Per lo con-
trario se si fregheranno le nostre col detto aci-
do, si vedranno anche colla più leggera bagna-
tura scolorarsi. - 3.<> In molti luoghi, ove le no-
stre pitture sono guaste o per salsedine o per
doccio d'acqua, vedesi scrostarsi il sovrapposto
colore, a guisa delle cose a tempera, e lasciar
comparire la tinta di biadetto che scorgesi data
prima a tutto lo spartimento. 11 colore a buon
io8
fresco invece o perisce insieme all'intonaco , o
Tiene combusto ed assorbito dalla calce. Da tut-
to ciò adunque parmi si possa a buona ragione
argomentare, essere questi freschi in gran parte
terminati a tempera, dopo forse che, rasciugata
tutta Topera, avranno lasciato discernere al pit-
tore ove più abbisognassero d'accordo.
A conferma di questo mio sospetto viene ac-
concio un passo di uno scrittore vissuto per gran
parte nel secolo del nostro pittore , e de' suoi
metodi peritissimo. Genuino Cennini in quel
suo Trattato della pittura j ove ne apprende, co-
m'egli afferma, le pratiche tenute nell'arte dal
gran maestro Giotto j ne dice al Gap. LXXVII.
pagii74 (*^» ^ nota che ogni cosa che lavori in
fresco vuole essere tratto a fine e ritoccato in sec-
co con tempera. Quale prova maggiore che quei
buoni antichi neppur sognavano poter condm-re
intieramente a fresco qualsiasi opera ? Né devesi
credere, checché ne dica il Vasari, quest'arie
del frescare salisse nel sestodecimo secolo a tan-
ta perfezione da tenersi vilissima cosa il ritoccare
in secco. Il Gorradi usò dare alcuni ritocchi ad
(i) Vedi Gennino Cennini Trattato della pittura^ Ro-
ma i8ai. Questa preziosa Opera, che ne disvela a mi-
nuto i metodi usati nel dipingere dagli artisti del secolo
decimoquarto , fu per la prima volta messa in luce ed
eruditamente illustrata dal cav. Giuseppe Tambroni.
109
olio sugli intonachi da lui colorati. Raffaello stes-
so, al dire di molti intelligenti, Telava ed armo-
nizzava a secco que' suoi meravigliosi concepi-
menti delle loggie vaticane. In tempi da noi non
lontani Mengs finiva i suoi freschi valendosi di
tempere miste a latte e spirito di vino.
Ora, ch'io scrivo, molti artisti non isdegnano
ripassare a tempera su alcune parti dei loro fre-
schi onde meglio intuonarle. Dissi molti e non
tutti, perchè l'Italia novera ancora pochi sommi
(e ne taccio i nomi per non offendere o la mo-
destia loro,o l'amor proprio dei minori) , i quali
emulano il merito che fu quasi peculiare ai soli
veneti maestri vissuti nel secolo aureo delle arti,
di incarnare cioè sulle muraglie giganteschi e
succosi dipinti , vergini da ogni ritocco. Sì , al-
lora era dato soltanto ai Paoli, ai Zelottì, ai Por-
denoni ec. l'improntare di primo getto, sulle pa-
reti, armoniche, calde e sicure tinte, le quali,
sprezzando gl'insulti dei secoli e delle procelle,
attestassero ai tardi nepoti quanto quei sommi
in ogni maniera di colorire fossero principi.
Reca poi non poca sorpresa il considerare co-
me opere sì vaste, e con tanta paziente diligenza
compiute, sicché ogni piega, ogni testa è d'un
finito da miniatura, potessero venir tutte lavo-
rate da un artista solo, d'altra parte affollato da
imprese ampie e laboriosissime. Come mai Giotto,
no
sicuramente il più universale pittore de* suoi dì ;
Giotto, che con pari solerzia poneva mano alle
seste ed ai pennelli; Giotto, che da Napoli, ove
vegliava la gigantesca costruzione del Castello
dell'Uovo, correva a Lucca ad alzare la fortezza
dell'Agosta; che architettava quel maraviglioso
campanile della sua patria, disegnava colà le
porte di S. Giovanni , in Arezzo il sepolcro di
Guido Tarlato; e tutte queste importanti e lun-
ghe fatiche alternava coi numerosissimi dipinti
colorati in Assisi, in Roma, in Rimini, in Urbi-
no, in Ravenna, ec; Giotto, che non pago della
gloria acquistata nelFammiratrice penisola, tras-
cprreva parte di Francia, e vi lasciava testimo-
nii del gagliardo suo ingegno; come mai, dico,
uomo da tanti lavori gravato poteva senz'ajuto
veruno dar fine alle dipinture della nostra chie-
setta ed a tutte laltre sue colla squisitezza di un
miniatore? Farmi che a spiegare questo fatto,
il quale sa di miracolo , non vi sia che un sol
modo, avvalorato, per quanto mi sembra, an-
che da storici esempii.
Allora ogni artista di qualche nome soleva
tenere aperta una bottega , ove . molti giovani
apprendevano Tarte, e lavoravano tutto dì a di-
grossare le opere del maestro. Giotto medesi-
mo si stava nella sua officina attorniato da pro-
prii alunni, quando disegnò d'un sol trailo quel-
Ili
rO (0 meraviglioso, eternato col celebre adagio.
Quando poi a qualcheduno di quegli artisti si
allogavano vaste commissioni, ecco subito il pit-
tore recarsi sul luogo , seco traendo la piccola
legione degli scolari. Egli disegnava con ogni
accuratezza i cartoni, poi distribuiva i lavori
agli allievi, a seconda dell'ingegno di ciaschedu-
no. A chi erasi fatto valente nel trattare i pan-
neggiamenti dava a colorire le drapperie ; chi
della prospettiva era perito dipingeva le archi-
tetture; chi più provetto mostravasi nelle estre-
mità, poneva il pennello unicamente in quelle;
e chi o da poco si stava col maestro , o da na-
tura matrigna avea avuto corto l'ingegno, sten-
deva i campi in azzurro, ovvero attendeva allo
smaltare, al lavorare in muro, al pulire. Tutti
costoro poi, avvezzi fin da' primi anni a viversi
in compagnia d' un valente , ed a vederlo ope-
rare, cotanto ne prendevano le maniere e la
pratica, da quasi farsi i meccanici stromenti
della volontà dì lui ; e tutti poi fra loro si ras-
somigliavano , da essere ben malagevole il po-
terne notare essenziali differenze. Il maestro in
seguito ripassava su tutta l'opera sbozzata dagli
allievi, la finiva, l'armonizzava, e forse serbava
per sé il travaglio di molte teste, siccome la
(i) Vasari Vita di Giotto. Tom. II. pag. 86.
112
parie più difficile e più importante di qiialun-
que dipinto.
Né questa mia congettura è senza appoggio
d'esempii. Il Vasari in parecchi luoghi d'elle sue
Vite ricorda affreschi dei sommi artisti del se-
colo decimoquarto condotti per gran parie dai
loro allievi. Nei secoli posteriori non isdegnò di
operare nella guisa or da me accennata anche
il divino Urbinate. Ov'egli recavasi a dipingere
sulle pareti, aveva ad ajuti il Pippi, Ferino del
Vaga, Raffaellino del Colle, ec. Ed alcuni fra
questi discepoli di quel grande , come Giulio e
Ferino, levati poscia in fama di maestri, fecero
lavorare nei loro freschi il Fagni, Rinaldo man-
tovano, Luzio romano, Guglielmo milanese, ed
altri parecchi. Sì fatta opinione viene poi me-
glio rafforzata dall'esame di alcuni tratti dell'ora
citato scritto del Genuini. Ne apprende egli nel
Gap. IL, che l'artista, a fine di venire a perfezione
nell'arte siuzj doveva allora starsi in servitù e vi-
versi con amore ed obhedienza dappresso al mae-
stro per molti e molt'anni. E dopo averci detto
che Taddeo Gaddi se ne sletle con Giotto per ben
ventiquattro, ed egli stesso ne visse con Agno-
lo di Taddeo dodici, c'insegna com'era in quei
giorni debito del pittore tutte conoscere quelle
pratiche materiali inerenti alla pittura, che ora
vanno eseguite dal muratore, dal falegname, dal
ii3
doratore, ec. « Sappi, die' egli (O^ che non tor-
» rebbe essere men tempo a impalare : come ^
» prima studiare da piccino un anno a usare il
» disegno della tavola ; poi stare con maestro a
2> bottega 9 che sapesse lavorare di tutti i mem-
»bri che appartiene di nostr^arte; e stare e in-
» cominciare a trìare de' colori ; e imparare a
» cuocere delle colle, e triare de' gessi; e piglia-
V re la pratica dello ingessare le ancone, e rile-
» varie e raderle ; mettere doro, granare bene,
» per tempo di sei anni. E poi in praticare a co-
fiorire, adornare di mordenti j far drappi d'oro,
» usare di lavorare di muro per altri sei anni,
» sempre disegnando , non abbandonando mai
» né in di di festa, né in dì di lavorare. »» E poco
dopo : « Che molti sono che dicono , che senza
D-essere stati con maestri hanno imparato l'arte.
dNo '1 credere, ch'io ti do l'esempio di questo
» libro : studiandolo di dì e di notte , e tu non
» ne veggia qualche pratica con qualche mae-
)) stro, non verrai mai da niente » ec. ec.
Ora chi non vede che ogni volta Giotto intra-
prendeva una vasta opera , siccome era quella
del nostro Oratorio ^ doveva aversi a compagni
ed i meno abili fra' suoi allievi, atti solo a ma-
cinarCj ad incollare j a mettere di bollo j a brunire ^
(i) YecL Gennino Gennini, Op. cit. pag. 91.
8
ii4
a granare j a ritagliare j a latrare in muro ec. ec,
ed i più addottrinali di già provetti nel disegna-
re^ neW adornare j nel temperare^ nel colorire in
murOj nel trarre a fine in secco ec. ec, nel con-
durre insomma accuratamente tutti quei parti-
colari di cui il dilìgente Genuino ci fa menzio-
ne nel Gap. IV?
Questa mia opinione si fa poi ancora più pro-
babile rispetto ai dipinti che abbiamo sotto lo
sguardo, quando si voglia con attenzione avvi-
sarli. La composizione ed il concetto si vedran-
no sempre guidati da una sola mente acuta e
pensatrice ; ma nella esecuzione rimarcheran-
nosi differenze manifeste evidentissime. Alcune
teste si vedranno avvivate da caldi sentimenti,
e dipinte con un amore che incanta; alcune al-
tre, anche nello stesso spartimento,o trascurate,
o foggiate su brutti tipi, e con un tocco di pen-
nello stentato ed incerto. Alcune drapperie con-
servano tutto il magistero che Giotto sapea dare
a questo importante ramo dell'arte; altre all'op-
posto mancano di grazia, ed anche di verità.
Che più? spesso la figura principale è notevole
per grandissima diligenza e freschezza ; le ac*
cessorie al contrario per goffaggine e negligen-
za. Anche quegli che meno si conosce dell'arte,
esamini da vicino lo spartimento del Cristo mor-
to fra le Marie, che sta nel mezzo della parete
Ilf)
a sinistra, ed i chiaroscuri figuranti i Yizii e le
Virtù; e vi scorgerà una squisitezza di lavoro, un
pennello paziente e sicuro ad un tempo, un mo-
vimento di passioni degno solo di tanto maestro.
Si rivolga poi alla strage degl'innocenti, che
sta nell'ordine medio dell'altra parete, e si ac^
corgerà di leggieri con quanta incuria o rozzez*
za venisse gettata sull'intonaco questa storia, a
riserva di poche teste. Ned è da credere che i
men helli fra i dipinti che osserviamo sieno ope-
ra di un solo fra i seguaci di Giotto. Il più su-
perficiale esame hasterà a convincere che uno
stesso pennello non può aver lavorate le grette
figure della strage degl'innocenti, e le meschine
e fredde che veggonsi nelle nozze di Cana. Fi-
nalmente, a concludere, non vi sarà alcuno si-
curamente, che guardando la parete del Giudi-
zio finale voglia tenere dalla stessa mano esegui-
te le devote figure dei patriarchi e degli eletti^
le meno belle degli angeli superiori, e le meschi-
ne e talvolta deformi dei dannati.
I dipinti delle pareti laterali alla tribuna sono
opera di Taddeo di Bartolo o Bartoli sanese, qui
chiamato, al dire del Vasari, da Francesco i]L vec-
chio da Carrara. Questi è lo stesso Bartolo che
dipinse in Pisa uno spartimento del Camposan-
to, coprì di freschi la Cappella ed una sala nel
palazzo pubblico di Siena verso il i4i4> ^ morì
ii6
poco dopo cVanni Sg (0. Non so come, leggendo
quest'epoche avverate dalla storia, alcuni scrit-
tori possano averlo creduto scolare di Giotto (^),
che nato nel 1276, morì nel i336, quando cioè
il Bartoli non doveva avere che all'incirca quat-
tro anni. Né solamente per l'epoca in cui visse
non potè essergli discepolo, ma par non gli fosse
neppure imitatore; perchè, come osserva il Vasa-
ri, ehbe stile che tiene della maniera di Ugolino
sanese, cotanto dalla giottesca diversa. Se le pit^
ture eh' egli qui ci lasciò non fossero state per
gran parte ritocche da poco perite mani, stando
esse dappresso a quelle di Giotto , ci giovereb-
bero meglio che tutte le altre opere di Taddeo
a giudicare in quali parti andasse lungi dai Fio-
rentini, in quali loro si avvicinasse. Però da una
immagine della Vergine, non difformata dal sa-
crilego pennello dei ristoratori, scorgesi palese-
mente il vago tingere di quella scuola lietissi-
ma fra lieto popolo, com'è la sanese; ma in pari
tempo un disegno meno sicuro, meno largo, me-
no corretto del giottesco.
I soggetti qui trattati riferisconsi ad azioni
della Vergine. Il primo in alto a sinistra di chi
m^^tt^*^%
(i) Vasari Fita di Taddeo Bartoli. Tom. IL pag. 343.
(2) Tanto affermarono il Morelli nelle note alle No-
tizie d'opere di disegno co. pag. i55, il Brandolese nel-
la Guida di Padova, ed altri ancora.
li;
entra la tribuna è troppo guasto dal tempo, per
potersene in verun modo indovinare ciò ch'esso
rappresentasse. In quello di mezzo è figurata no-
stra Signora, la quale manifesta a san Giovanni
la novella della propria morte, inviatale dal di-
vin Figlio. Nell'altro di sotto la immacolata Don-
na postasi a giacere su d'umile letticciuolo, e da-
ta a tutti gli astanti benedizione, trapassa lieta di
questa terra, e vola nel grembo della incarnata
Sapienza. SulF inferiore dei tre spartimenti del-
l'altra muraglia ci vengono offerti i funerali del-
la Vergine ; in quello centrale la sua ascesa al
Cielo; e nell'ultimo, in alto. Maria seduta ac-
canto al Salvatore, e da lui coronata imperatri-
ce e signora dell'universo. Denno tenersi dello
stesso Taddeo anche i varii santi che ornano
l'archivolto interno della tribuna e le nicchie.
Ecco quanto ho potuto e saputo osservare su
questo celebre monumento delle arti italiane,
su questi insigni dipinti colorati dal Fiorentino
immortale. Taluno forse mi farà rimprovero per-
chè non ho compensato alla pochezza del mio
lavoro neir unica maniera ch'io mi poteva, of-
ferendo cioè incise tutte le composizioni qui di-
pinte da quel primo rigeneratore della pittura;
ma, lo ripeto, io non m'ebbi a mira di preseu-
ii8
tare in questi cenni una completa illustrazione
(impresa da ingegno ben più valente ch'io non
mi sono), e perciò mi stetti contento di porgere
intagliate quelle cose soltanto, le quali fossero
più delFaltre acconcie a dare una giusta idea di
que' pregiati freschi, e valessero a sorreggere le
osservazioni che intorno al merito loro io ere*
detti dettare. Tale altro forse mi taccierà o di
negligenza o di poca sollecitudine inverso le glo-
rie patrie , perchè dissi , all' infuori di questa ,
tutte perite le opere condotte da Giotto in Pa-
dova , mentre tiensi andare ornato e ricco de'
suoi freschi il nostro Salone; ma a me parve,
che dopo l'affermare di antica Crònaca (0 che
li vorrebbe a Giotto anteriori; dopo la testimo-
nianza dell'anonimo Morelliano (a) che li disse
del Miretto, e d'un Ferrarese di cui tace il no-
me; dopo i dotti dubbii dei chiarissimi Lanzi e
Meschini , e di quanti artisti li visitarono , do-
vesse quasi esser fuori d'ogni questione, ch'essi
mai uscissero dal pennello di quelF insigne ca-
poscuola.
Se in onta però di quanto potesse venirmi
apposto a colpa in questo lavoro, i miei con-
(i)In antica Cronaca ms., ch'era posseduta dal beneme-
rito dell'arti padovane fu Gay. de Lazara, si legge: 1271
hoc anno depictum Juit palatium Com...is Paduae.
(j) Morelli Notizia d^ opere di disegno ce, pag. 28.
^^9
cittadini e tutti quelli che si conoscono d'arte
reputeranno non del tutto inutili e spregeyoli
queste mie osservazioni , ed io mi terrò larga-
mente guiderdonato della mia fatica, ed io mi
porrò tutto per l'avvenire a recar qualche luce
sulle arti di questa patria mia, a cui mi legano
mille yincoli di affezionerò.
(i) La stampa di queste mie osservazioni toccava
quasi al suo termine, quando mi furono gentilmente
comunicate dal dotto sig. abate Cornino, sacerdote di
questa Cattedrale, alcune erudite ricerche ch'egli avea
stese sul nostro Oratorio. È di non piccola importane
za la seguente, che io qui riporto a prova di sue dili-
genti investigazioni , e ad emenda di un mio errore.
Egli ci avverte essersi ingannale tutte le nostre Guide
leggendo sotto la statua della Tergine posta sopra il
deposito dello Scrovcgno Jacohi Magistri Hicoliy e do-
versi invece leggere Jonis (abbreviatura di Joliannis)
Magistri Nicoli, lo, confidando nelFaccuratezza del Ros-
setti e del Brandolese , ho riportato a pag. i8 quella
inscrizione com' essi la stamparono , senza recarmi a
riscontrarla dappresso*, ma avvertito dello sbaglio dal.
l'erudito Comino, mi portai a raccertarmene co' mici
proprli occhi, e la trovai conforme alla sua correzione.
Questo maestro Giovanni sarebbe egli mai Giovanni da
Fisa, figliuolo dell'immortale Nicola, e seguace delle
maniere paterne ? Se ciò fosse, avrei la compiacenza di
non essere uscito dal vero, quan<lo congetturai a p. 19
appalesare quell'opera le massime della scuola pisana.
APPEPn>IGE
ILLUSTRATION
DES TROIS FIGURES DES VERTUS
stemteù pat Chiotto
DAN8 L*£GLI8E
DE l'ANNONCIADE A PADOUE
PAR D'HANCARVILLE
f
LES VERTUS.
L
le mot vertu dans le sens physique exprime
d'abord la force, la vigueur des corps; il exprime^
dans le sens moral, les qualités de T esprit ou du
coeur.
La sapesse est, selon Aristote, la plus sublime des
qualités de l'ame; la prudence en est la plus utile.
Architas de Tarente appellait celle -ci la sdence
des choses consfcnahles à Vhomme. Elle nous ap-
prend a prévoir les biens ou les maux ayenir. La
force dont le sentiment produit le courage, assure
la liberté de nos actions. La temperance ou la mo-
dération prise pour règie de la conduite humaine,
la dirige vers le bon ou Thonnéte. La justice enfin^
dont l'objet est le maintien de Tordre, dévient avec
les vertus précédentes le principe de tonte morale.
Du mot Cardo employé par les Latins pour signifier
un pivot on a donne à ces vertus le nom de cardi-
nales par ce que tout le sy stéme des moeurs roule
sur elles, comme sur autant des pivots. Architas
contemporain de Platon, sorti de Fècole de Pytha-
gore, distingua le premier ces quatres vertus princi-
pales. Prises dans la nature de Thomme, elles ne se
fondent pas sur ses droits métapbysiques , mais sur
%Qs devoirs réels. Il doit ètre prudent dans la poste-
126
rìté , courageux dans les revers de la fortune , mo-
déré dans ses désirs , juste dans toutes ses aciions;
en remplissant ces obligations il travaille a son bon-
heur sur la terre. Il existe cependant encore un or-
dre des vertus enseignées par la religion chrétienne;
celles ci sont la perfection des autres préscrites par
Dieu méme; elles assurent à Thomme le bonheur
de la vie future. Ces vertus appellées théologales à
cause de leur divine origine; sont la Foij la Charité^
XEspérance. Représentées ici avec les vertus mora-
les, pour marquer leur prééminence Giotto les a fait
converser avec des ètres superieurs par leur sainte-
té a la nature humaine. Voyez dans ces figures celle
de la Foi; elle recoit sa doctrine d'un Evangeliste.
Dieu lui-méme remet dans les mains de. la Charité
les moyens d*exercer sa bienfaisance. Un auge enfin
couronne XEspérance.
LA SAGESSE, cu LA PRUDENCE.
Socrate donne ainsi que Platon le nom de Sa-
gessa à la prudence morale. Elle consiste a discer-
ner les véritables intéréts des hommes , prévoir les
dangers dont ils peuvent ètre menacés , à ménager
les moyens, ou les prevenir, et en arre ter les effets.
La prudence est le fruit , et la raison éclairée par
le savoir; pour ce motif on lui donne ici le nom de
Sapiencej Sapientia. C'est aussi la marque la plus
127
assurée, la preuve la plus certaine de la force du di-
sceruement jointe a la solidité du jugement. Voìr
les clioses comme elles sont, parler comme il faut,
sayoir se taire à propos, ménager le temps, agir pour
le mieux selon les circoustances, sont les actes les
plus propres a faire reconnaitre la prudente . Cette
vertu est, comme toutes les autres, une science; le
vice contraire est une erreur fondée sur Fignorance,
regardée par Socrate comme le plus grand des maux.
Àmie de Texpérience, la prudence, se fortifiant par
l'exercice, s accroit par la réflexion. Elle cherche dans
l'étude du passe la raison, de prévoir lavenir. Recueil-
lant avec choix des connaissances en tout genre, la
Prudence en forme le trésor de Tàme , elle en tire
tous les remèdes aux maux de Tesprit, toutes les con-
solations contre les adyersités de la vie. De tant des
connaissances la plus difficile a se procurer, mais la
plus utile de toutes est celle de soi-mème. Le sage
Thalés renfermait en elle toutes les autres, car il la
recommandait seule. On lacquiert en conversant
beaucoup avec soi, on la perd vivant dans la fonie,
on Taugmente en culti vant Tamitié des sages, on la
perfectionne par Tétude des hommes réunis à la pra-
tique des affaires.
Assise non sur un de ces sièges ordinairement en
usage, mais en une des ces chaires dont les gens
de lettres se servaient autrefois pour se livrer com-
modement a la méditation, pour s*occuper dans la
128
retraile , pour écarter la foule importune , la Pru-
dence ici représentée loin da bruii jouissant de la
tranquillile , a Tabri du tumulle , parali viyre seule.
En ce moment elle Se regatde^ s'occupe d'elle-mème,
s'applique a se bien reconnailre« Le miroir conyexe
ou elle yoil ses iraits eiì diminue quelqiies défauts,
en les représentant sóùs les formed plus petites^^ ce-
pendanl il les defigute en les courbant, en changeanl
leurs proportions5 il les mentre enfin sous des ap-
parences contraires a la vérité. Tel est Teffet de
lamour ptopre: il nous embellit à nos yeuit, il nous
rend ridicules a ceux des autres. La Prùdence ne
l'ignore pas pour éclairer la yérité doni elle s'odcu-
pe : elle s'arrange de mànièi'e à dorriger les etreurs,
ou pourrait la jeter le miroil* trompeur^ elle s'agite,
èlle parali médontente, ne youlant se yoir ni en
mieux , ni en plus mal ; mais désirant se connaitre
comme elle est, elle s'applique a trouyer les raoyens
de refnplir son objet, en corrigeant le portrait peint
par la flatterie ou la satyre ^ résultantes de la nature
de son miroir infidel.
Ce miroir c'est l'opinion, Son effet ressemble à
celui du préjugé; l'un ne peni a cause de sa conye-
xité représenler les objets sans en altérer les formes;
l'opinion ou le préjugé produil ordinairement par la
préyention empèche de yoir les cboses comme il
conyiendrait pour les bien apprécier. Un jugement
sain peni rectifier leurs erreurs, à l'aide du sayoir.
129
fonde sor celte raison éclairée, doni la sagesse est le
fmit; elle est la Prudence mème. Le jogement soli*
de, doni elle fait an continuel osagei est representé
par le compas dont elle se sert icL La raison, ses la-
mières, ses expériences dirigeant ses doìgts, tous les
Tojes agir, se moayoir poar arranger les pointes de
cet instmment de comparaìson; il lui donnera la me-
sore ezacte des cboses, lui fera regretter ceUe des
préjngés, lai rendra sospectes les opinions, finirà par
lai donner la jaste connaissance d*elle mème.
L'oeil de cette figare, en considérant ses traìts ré-
flechis dans le miroir, parait se rapportar dans son
inlérienr comma il arrive qaand on médite ptofon-
dement; ce regard intérieur c*est celai de la pensée,
il est Feffet de la réaction du sentiment cause par
l'action de la vae non sar la rétiae, mais sur Tàme
mème. Cette ingéniease expression donne a la figare
4e la Pradence un caractère serieux, un air de pro-
fonde application propre a faire sentir son exacti-
tude, son attentìon scrapuleuse à comparer, a calcu*
ler, a determinar Tétat précis des choses avant d'en
parler, avant de las jugar^ avant da prandre un parti
ralativamant à elles.
La Prudence étant également utile aux daux saxes,
pour catta raison son yisage se yoit ici réuni a calui
d'un homme ^ on reconnait dans ce damier la pliy*^
sionomia da Socrate, la plus vartuaux, la plus éclai-
ré, la plus saga des philosophes ; par catte composi-
9
i3o
tion emblématique ^ìomme celle des tétes de Ja-
nus, le peintre a représenté la Prudence observaut le
temps ou les choses par les yeux de la pUlosopliie ,
ou platòt de la sagesse. Selon la maxime de Socra-
te, elle apprend dans le livre ouvert devant elle à
cbercher dans la vérité la règie de ses jugemens,
dans la vertu celle de &es actions. Trouvant dans la
mémoire du passe l'exemple du present, dans la com-
binaison des temps celle des idées capables de faire
prévoir les événemens à venir, elle connaìt la me-
sure des possibles, les termes de Futile, ceux de
lagréable, les limites du bon, celles de rhonnéte.
Elle doit faire un continuel usage de ces importantes
connaissances; elle en a besoin pour rendre justice
aux autres, pour reussir à se faire pardonner d'ètre
juste; car s'il est souyent diffìcile de faire du bien
aux hommeS) il est toujours périlleux de les gou-
verner. ,
Le voile mis sur la tète de la Prudence Favertit
de se cacher, elle doit se tenir dans Tobscurité, ne
se pas montrer, crainte de sé remontrer sóus les yeux
envenimés de l'envie , ou les regards meurtriers de
la calomnie. Le livre place sur un pupitre devant la
Prudence, est celuì de Fhistoire generale du monde:
c'est là où la philosophie se réunit à Texpérience,
pour lui découvrir ce que peuvent les passions et
les intéréts, les tems et les conjectures, les bons et
les mauvais conseils.
t3^
Loin d'ètre d*une beauté distinguée, le yisage de
la Prudence est au contraire d'une forme très-com-
mune. Cette vertu convient à tous les états, comme
à tous les àges, à tous les sexes; elle est par son ca-
ractère, comme par son mérite, préférable à la beau-
té mème; bien différens des avantages brillans mais
passagers de la beauté, ceux du caractère, ceux du
mérite acquis par Fexpérience se maintiennent dans
toutes les saisons de la vie. Ils n òtent rien aux
agrémens de la jeunesse, ils font la gioire de 1 age
mùr, ils donnent du lustre a la vieillesse, ils en
adoucissent les regrets en caimani les inquietudes,
en lui laissant voir d'un oeil indifférent le moment
prevu, où le temps ne sera .plus pour elle. La pru-
dence, lui en ayant fait connaitre la nécessité , elle
l'attend sans le désirer ni le craindre.
LA FORTITUDE, cu LA FORCE,
ou LA VALEUR.
Le nom latin de cette vertu en indique le prin-
cipe moral; le mot Fortitudoj dans le Pentateuque,
marque ordinairement la puissance, on l'y distingue
de la force du corps. Dans le livre de Josué, com-
me dans celui des juges, on confond l'un avec l'au-
tre. Ce terme sert encore pour exprimer la force de
l'esprit, ou celle de l'intelligence; quelquefois il ex-
prime la fermeté de Fame, la sante méme. Le senti-
ment de ces qualités, étant celui du courage, ou de
l32
la valeur, cette dernière expression est encore dans
récriture le synonime du mot Fortitudoj ou vertu
guerrière. Pour ces raìsons nous nous serviront tou-
jours d'elle en parlant de la figure représentée par
cette pelature. Le caractère de cette figure exprime
exactement toutes les manières d'étre de la Fortitude.
On f reconnaìt la puissance , la force corporelle ,
celle de l'esprit, celle de T intelligence, de la fer-
meté, du courage. Elle est peinte comme Dieu réu-
nissant en lui le conseil avec Tintelligence, qui pos-
sedè , dit Job , la sagesse réunie à la fortitude • Ces
yertus sont liées l'une à Tautre dans l'ordre moral;
c'est pourquoi la valeur, ou la fortitude, dont l'em-
ploi est souvent nécessaire a la sagesse, estici repré-
sentée près d*elle. Cette dernière tient à la force de
l'intelligence, ou de l'esprit; la première a plus de
rapport a la force du corps; l'une tient de l'autre les
règles de la prudence. EUes lui apprennent a ne
point trop compter sur les hazards, a se méfier des
faveurs de la fortune, à ne point se deconcerter dans
les reyers, à se défier enfin de sa propre force, à
craindre quand la prudence ne la conduit pas. Utile
quand la valeur sait user avec modération, celle-ci
ne doit pas oublier de s'assurer contre les attaques
de ses ennemis, avant d'entreprendre de les poursui-
vre. Pour exprimer ces idées, pour ne rien donner
au bazard, la Valeur se méfiant de la Fortune, prend
des précautions en cas de reyers, sans trop se con-
i33
fier a elle méme; garantle par une cubasse contre
les attaques du deliors, elle est encore abritée par
un mur, où elle peut se defendre avec ayantage. De
là elle Toit aisement Tennemi, dont elle se doit gar-
den Il lui est facile d^empécher l'entrée de cet asile,
dont elle est toujours maitresse de sortir quand elle
le jugera convenable à ses interéts. Ces dispositions
sont faites par la Prudence méme.
La figure de la Yaleur est représentée sous les
formes d'une femme de constitutiòn très-robuste, de
taille très - quarrée , d'un yisage presque viril; ses
yeux regardent le perii avec fermeté; jsa bouche en-
trouverte, mais sans mouvement, paraitattendre Ten-
nemi sans le craindre, sans le braver, sans méme lui
parler. Son àme semble émue, sans étre ni troublée,
ni fort agitée. Se trouvant près de Tennemi, elle me-
nage son haleine, prete à se mésurer corps à corps en
cas de besoin. Sa force, dont elle connait la grandeur,
se manifeste dans cette figure, comme dans celle de
FHercule des anciens par l'extréme grosseur de son col.
Une peau de lion sert de manteau à la Yaleur.
Le muffle de cet animai en couvre la té te, ses pattes
du devant se rattacbent sur sa poitrine, celle de der-
rière sur ses reins. C'est encore un des symboles de
la force du corps. Les pattes rattachées sur la poi-
trine expriment la fermeté de Téme, la magnanimi-
té du coeur. Homère donnait à Hercule le titre de
coeur de lion AiovrooSvfios. Le muffie de cet ani-
i34
mal place sur la lète de la Valeur, j est le siège de
la force de Tesprit, ou de rintelligence. On peut re-
conuaitre dans cette peiniure d'une vertu morale
celle de la femme forte, doni il est parie dans les
livres saìnts. Son prix, semblable à celni de la Va-
leur, ne peut s'estimer. La fortitude avec la gioire
forment son manteau; le lion est ici Tembléme de
la fortitude; sa dépouille y est celui de la gioire; elle
recouvre les épaules de la Valeur.
Le bras puissant de cette belliquense figure se
prépare à frapper, eependant il semble attendre le
moment de porter des coups assurés; il dédaigne
de ménacer, il avertit, il laìsse a la réflexion le temps
de faire la paix, ou du moins Foccasion de la de-
mander. Elle est presque toujours préférable a la
guerre; le plus puissant doit la rechercher; il peut
perdre les avantages en la continuant. Le sort, dit
le sage Chiron, en emplojant la douceur, au lieu de
se faire craindre se concilie le respect de ses yoisins.
La Valeur tient une arme trancbante, mais sans
pointe; un bouton en tient la place. Cette vertu doit
e tre géneréuse ; elle évite de paraitre redoutable ;
son bras ne s'éléye point pour frapper; elle se con-
tente de se tenir sur ses gardes. Contente de repous-
ser les attaques, il lui suffit de rendre inutiles les
armes empio jées contre elle. Reduire à Timpuis*
sance les efforts de Tennemi c*est le yaincre en effet
sans irriter son ressèntiment; e' est prendre l'ascen-
i35
dant sur lui saus proyoquer sa vengeance; c*est faire
le meilleur usage de la yaleur, Temploi le plus ayan-
tageux de la force. Les Spartiates préferaient les
avantages ménagés par la prudeuce aux succés prò-
cnrés par le courage. Ljsandre doni la politìque pré-
férait la violence à la douceur , la perfidie a la ju-
stice, détruisit Sparte par ses victoires mèmes. £m-
plojant ici la prudence dans le ménagement de ses
avantages , la yaleur sachant bien combattre , mais
sacbaat mieux faire la guerre, vieni de se servir de
son-arme pour couper la pointe des piéges avaucés
pour la blesser; ils ne peuvent plus agir conlre
elle, les débris s'en vojent prés des murs; des glands
de plomb inutilement lancés contre eux se sont amor-
iis en les touchant ; tout montre dans cette action
Teroploi de la précaution par préférence à celui de
la force ouverte. Le choix de Tarme dont on se sert,
la manière d*en faire usage , celle de se poster con-
venablement, décident de la fortune du combat.
Au lieu de représenter la troupe ou Tarmée dont
la Yaleur est censée soutenir les efforts, un lion
prenant ses ennemis en représente ici la grande
puissance, la fermeté, la fureur. Cet animai, le plus
fort de tous, ne craint la rencontre d aucun autre. Il
se dresse avec rage, mais il n'ose agir pour ne pas
la tuer comme la V^aleur pourrait le faire; elle s'est
contentée de lui couper une partie des ongles dont
il voulait la déchirer, Pour la perte de ses moyens
i36
d*agir il cesse d'étre en état de nuire , il essaje des
peines très-vives, vivement exprìmées dans sa fi^re.
Ses doigts enflés par ses blessures ont perda leurs
formes naturelles; étourdi par la douleur, ses dents
mémes lui deviennent inutiles; car il ne peni se le-
nir sur ses jambes de devant, il ne peut s'approcher
pour mordre, il ne peut s'élancer pour Trapper du
poids de son choc Tobjet doni il est séparé. Ses yeux
se ferment; yous le vojez, yous Tentendez jetter un
cri d'eflroi; loin d*inspirer la terreur, il la ressente;
il cède enfin à la Y aleur prudemment dirigée par la
modération conseryée dans le moment méme de la
yictoire . La Sagesse triomphe de la Force ; elle est
préférable a la Yaleur méme.
Gomme la figure de la Sapience, celle de la For«
titude est entièrement dépouryue de beante; il en
est à peu près de méme de toutes les autres Yertus
peintes ici par Giotto. EUes lui ont ^emblé ne point
tirer leur beante morale des qualités extérieurs; mais
de celles du caractère propre à cbacune d'elles. La
Yaleur considérée d*après ce principe, se présente à
mon imagination comme une personne d'un courage
male, d'une résolution inébranlable , d'une fermeté
à tonte épreuye, d'une constance sans bomes, d'une
infatigable actiyité , d'une incomparable magnanimi*
té, enfin d'une prudence consommée. Sa figure de<-
sagréable au premier abord, examinée plus soigneu*
sement, reyue plusieurs fois , finii pour me sembler
i37
remplie d'esprit, d'àme, de vìe; elle communique le
sentiment dont elle est affectée, ses yeux montrent
son peu d*estlme de ses injustes ennemis, sa déter-
mination de ne rien leur céder, son nez svenile par
un effet de son indignation contro eux. Sans parler,
son action parait défiér; mais le mouyement de son
bras, cornine celai de sa main, annonce le risque de
quiconque se hasarderait de re^evoir un tei défi.
LA CHARITÉ.
La Charité représentée par cotte figure se propose
deux objets : lun regarde Dieu , 1 autre est relatif à
tous les hommes réunis sous le nom du prochain.
Dieu, principe de tous biens, est pour Thomme, dit
S. Thomas, Tunique raison d*aimer. Chez ce Do-
cteur de TEcole lamour présent est toujours réuni
avec le bonbeur avénir.
La Religion de Jesus- Christ ordonnant daimer
Dieu par préférence à tout, préscrit en méme tems
l*obligation de cbérir le prochain comme soi méme.
Sur ces deux importans préceptes reposent toutes
les lois de la Religion: ils sont la source du bonheur
des sociétés, les fondemens de Tordre, les bases de
la tranquillile publique. Aucun institut religieux^
aucune opinion philosophique ne donnent a la recon-
naissance, ne proposent à la bienfaisance des mo-
iifs plus sublimes ; mais aussi aucun sjstéme reli-
i38
gieux ne promet à la charité des récompenses aussi
grandes. Il faut aimer les hommes comme vos frères,
ils sont ainsi que vous les créatures de Dien, sans
lui Tous ne seriez pas; il vous a donne la vie, il
vous la conserve; volre amour pour lui, votre cha-
rìté pour les hommes obtiendront pour récompense
rélernelle béatitude.
Pour distinguer de toutes les autres cette bienfai-
sante ver tu, ici sa tè te est entouré d'une aureole, ou
cercle de lumière, sjmbole glorieux de la vie bien-
beureuse déstinée a la récompenser. Par cet attribut,
dont on ne voit aucune trace, ni dans les figures
de la Foi, ni dans celle de FEspérance, réunies dans
ces peintures avec celle de la Charité, cette dernière
est caractèrisée, suivant Tidée de S. Paul, comme la
première, la plus signalée, la plus nécessaire des trois
vertns théologales. L'aureole, dont sa téte est ceinte,
renferme une croix de feu; c'est Fembléme du sau-
veur des bommes.
La Cbarité vient de Dieu; il est lui-mème la Cha-
rité; par elle il a donne son Fils pour le salut du
monde; celui-là a repandu son sang pour en opérer
la rédemption. L'ardeur de la Charité est marquée
par cette croix de feu. Cet ordre des choses donne
à la vertu , dont nous parlons, un caractère difTérent
de colui de la bienfaisance, prise dans tout autre sy-
stéme religieux ou philosophique, car il a la Chari»
té de Jésus-Christ pour model. Lui-méme se donne
i39
pour exemple qnand il dit: Chérissez vous Fun Tau-
tre, cornine je vous ai chéris. L'amour du prochain ,
exprimé par la fi^re de la C barite, se fonde sur le
desir de plaire a Dieu en imitant sa conduite envers
les hommes*
La Chatité se glorifie de la croix placée sur sa
tete; l'aureole, où elle est renfermée, marque le ro-
jaume des Cieux destine pour elle: e est la couronne
de la vie, la couronne éternelle de gioire, dont parie
S. Pierre. La Charité porte encore une autre cou-
ronne formée des fleurs entremélées des fruits; c'est
le signe de la récompense à ce monde, celui des ap-
plaudìssemens dont elle est digne, eniìn celui du
bonheur dont elle jouit dejà dans la terre, dans l'at-
tente d'un plus grand dans le Ciel. Quel plaisir égale
le sentiment des bienfaits dqnt on est le dispensa-
teur, du contentement dont on est la cause, de la
consolation des malheureux dont on est l'auteur ?
Des fleurs de couleur bianche, du genre des renon-
cules, marquent ici la fécondìté des alimens , Taug-
mentation des familles procurées par les mains gè-
néreuses de la Cbarité au mojen des secours por-
tés dans le sein des indigens. Giotto a représ'enté la
Cbarité sous les traits d'une femme dont la jeunesse
vient de faire place à cet àge, ou l'esprit est arrivé
a tonte la force, le corps à tonte sa vigueur; libre
du joug impérieux de3 passions,on préfére alors l'utile
a l'agréable, le solide au brillant, le bonheur au piai-
i4o
8Ìr, le repos a lagitation: le caractère du visage de
celle figure n'est pas celui de la beaulé , mais celui
de la bonlé. La Charilé se monlre dans un habille-
ment modesle; elle porle une seule robe conforme-
menl à son préceple évangelique: Qite le possesseur
de deux tuniques en donne une à celui qui rien
a poinL La méme chose esl encore recommandée en
faveur des inforlunés privés du nécessaire à leur sub-
sislance. La Charilé lienl pour eux un bassin rempli
des différenles sorles de fruils, des grénades, des
figues pour élancher leur soif , d*épis de blé pour
appaiser leur faim. On y voit encore des fleurs du
genre de celles doni esl orné sa couronne; loul cela
esl pour les pauvres. Les bienfails des riches soni
leur palrimoine: Tun possedè les biens de la famille,
c*en esl Faine ; Faulre en esl le cadel: en sj ren-
danl ulile, il a droil à leur dislribulion; len priyer,
c*esl lui faire injuslice. Yous devez èlre miséricor«
dieux, si yous voulez oblenir la miséricorde de Dieu;
il faul chérir vos ennemis mémes à fin de yous mon-
Irer enfans du Pere celesle, doni le bien s*élend sur
lous. Dans ces préceples soni renfermés lous les sen-
timens d'humanilé, les bienfails, les secours, les con-
seils , la douceur , la commiséralion , T indulgence ,
Toubli des injures, la crainle de conlrisler nos sem-
blables; ils conliennenl enfin la morale la plus sù^
blime. La Charilé se dépouille loujours ayec plaisir;
elle croil s*enrichir en donnanl: elle a dans le coeur
i4i
son yéritable trésor; il est ouvert a tous; sa joìe s'ac-
croit en rechauffant ce sentimeut prèt à s'éteindre
dans lame des malheureux. Vous le voyez dans cette
bienfaisante figure; son visage éclate, etincelle, ra-
jonne de cette joie celeste, dont les seules àmes com-
patissantes peuvent étre susceptibles. Le peintre était
sans doute capable de la sentir, puisque il la pn
rendre ayec tant d'energie, puisqull a su la distin-
guer de tout autre. Il Ta imprimé dans toutes les
parties, ou la voit dans les yeux, on la reconnait
dans la bouche de la Charité; son sourire n annonce
ni le plaisir de Tesprit, ni celui de la jouissance des
sens; il exprime le contentement du coeur, le bon-
beur de Tàme, la satisfaction de la conscience. Le
bien judicieusement fait, la libéralité sans aucun mé-
lange d*interét, sans aucun retour sur elle méme,
sans aucun motif d'amour propre, dans le seni desir
de remplir ses devoirs en obéissant à TAuteur de tous
biens, peuvent seuls étre la source d'une telle affe-
ction, d*un tei amour, d'une pareille joie. La Chari-
té l'a transplanté sur la terre; mais elle a son origine
dans le Ciel: il faut, pour la faire germer ici bas, la
candeur, la pureté de Tàme; elle lui donne les idées
les plus élévées, elle s'en rend elle méme le noble
témoignage; si cette toucbante figure ponvait prendre
la parole, elle ne manquerait pas de dire en parlant
d'elle : Le Ciel n est plus pur, que le fond de mon
coeur.
i4a
La Charìté foule aux pieds les diverses sortes de
grains; les oùtres remarquables par des étiquettes
contiennent de Targent. Elle a sous elle des mon-
naies de coin, ou de valeur differente. Il lui en faut
pour les moindres classes d'hommes pour tous les
besoins. Poar exprimer ces différentes idées on voit
sous cette figure des petits bàtons; ce sont des mar-
qnes des billets de cbange^ou, cornine on les appel-
lali anciennement, des Tessera: on gravali sur elles
la qualilé avec les nombres des effels destinés a ceux
doni il's étaienl le partage. Tout indique en celle
parile les dons de la Providence, doni la Charilé esl
le minislre , le fidèle econome. Dieu lui-méme, pére
de loules les créalures, reroel une bourse abondanle
dans la main gauche de la Cbarilé chrélienne; il la
regarde avec une lendresse parliculière, il Tapprouve,
il Tencourage, il la favorise, il la chéril; chacun de ses
senlimens s*exprime à pari dans la figure. Dans son
infinie bonlé il semble se déclarer lui-m éme pour le
principe, le premier auleur de loule charilé; l'aclion
de ses mains marque encore la confiance , la benne
volonlé, son amour pour elle. Il abaudonne lous les
biens pour lusage commun de loules les créalures;
celle expression rend celle d'Euripide:
Aux petits des oiseaux il donne leur pàture,
Et sa bonté 8*étend sur leu te la nature.
La Charilé lourne les yeux vers Dieu; ils s'em-
brasenl) s*enflammenl en le voyanl; elle se meul, se
143
dirige, agii seulem^nt par luì, uniqaement pourlui;
mais tout en le regardant, son bras droit, sa main,
son mouvement paraissent rentrainer; elle est portée
par eux du còte oppose à celui ou elle regarde les
biens confiés à son zele; elle ne peut s'arrèter, elle
n*a pas mème le temps de rendre gràce; il faudrait
pour cela retarder sa course, les momens lui sont
précieux , le bésoin lattend , la misere lui tend les
bras, elle entend leur cris, elle accourt a leur aide,
elle va joindre aux fruits , à distribuer de sa main
droite Fargent regu dans ce moment par la main
gauche; vous en voyez la destination , V empio! n'en
est pas douteux, tout exprime Tintention de cette
toucbante figure, de cette aimante vertu; sans cesse
elle agit, jamais elle ne perd un instant; laction de
son corps, celle de son épaule, comme celle de ses
bras, indiquent sa résolution de marcher prompte-
ment; elle a la vi tesse de la pensée, Timagination la
précède; elle est déjà où elle n'est pas encore entrée.
Comme le soleil, elle repand par-tout la lumière, la
cbaleur, les bienfaits de la Providence.
i44
ERRATA - CORRIGE.
Pag. Un.
22. g. Sancia Crux (i). Sonda Crux iSgS (i).
24* 8. nicipali (i). nicipall (0 (Tav. III.).
33. 24* clIpÌDlo nel Campo dipinti nel Camposanto di
8anto di Fisa è qua- Pisa sono quasi tutti scal-
si tutto scalcinato; cinati;
79* I. di Firenze in Firenze
Qu
<^^^
HUi^im^ 1 , 1_
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■i'i;iy.ìi'.VCTafq iVA^Mi 'xS> 'ni^,niììnii'.
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